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Full text of "La Rassegna della letteratura italiana"

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RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

II' 

DELLA  LETTERATURA  ITALIANA 

DIRETTORI 

ALESSANDRO  D'ANCONA  e  FRANCESCO  FLAMINI 


^DSTNO    XI.  —   1903. 


COLLABORARONO: 

P.  BALDASSEBONI  -  E,  BERTANA  -  L.  BIADENE  -  A.  BONAVENTURA  -  V.  GIAN  - 
E.  CLERICI  -  T.  CONCARI  -  V.  CBESCINI  -  P.  d'aCHIARDI  -  A.d'aNCONA  -  L.  FER- 
RARI -  E.  FILIPPINI  -  F.  FLAMINI  -  O.  GENTILE  -  P.  G.  GOIDANICH  -  G.  LISIO  - 
P.  LONARDO  -  G.  MANACORDA  -  A.  F.  MASSÈRA  -  A.  MEDIN  -  A.  MOSCHETTI  - 
A.  NERI  -  F.  NERI  -  E.  G.  PARODI  -  M.  PELAEZ  -  D.  PROVENZAL  -  P.  PBUNAS  -  V. 
ROSSI  -  R.  SALARIS  -  I.  SANESI  -  M.  STERZI  -  E.  TEZA  -  6.  VOLPI  -  F.  ZAMBALDI. 


PISA 

ENRICO  SPOERRI,  Libraio-Editore 
19U3     * 


(Xyiv)o 


INDICE   DEL  VOLUME  XI 


Recensioni. 


B.  CaocB,  Estetica  come  scienza  delV  espressione  linguistica  generale  (F.  Neri)  .  p.  1 
Gr.  Arias,  Le  Istituzioni  giuridiche  medievali  nella  Divina  Commedia  (G.  Baldasse- 

roni) p.     7 

L.  B1A.DGNE,  Il  libro  delle  tre  sa'itfure  e  i  Volgari  delle  False  Scuse  e  delle  vanità,  di 

Bonvesin  da  la  Riva  (E.  G,  Parodi) p.    13 

G.  Lisio,  L'Arte  del  periodare  nelle  opere  volgari  di  Dante  Alighieri  e  del  sec.  XIII 

(G.  Gentile) p.    23 

C.  Ai'PRi,  e  E.  Proto,  Die  Triumphe  F.  Petrarca  ecc.  e  Sulla  composizione  dei  Trionfi 
(A.  Moschetti) p.    27 

V.  Vivaldi,  La  Gerusalemme  liber.  studiata  nelle  sue  fonti  (V.  Bossi)  ....  p.  73 
N.  BusETTo,  Carlo  de^ Dottori,  letterato  padovano  del  sec.  XVII  (E.  Bertana)     .    p.    78 

L.  Di  Fkascia,  Franco  Sacchetti  novelliere  (Q.  Volpi) -    ....    p.   83 

A.  Della  Torre,  Di  Antonio  Vinciguerra  e  delle  sue  Satire  (V.  Gian)  ....  p.  93 
G.  B.  Marchesi,  Romanzieri  e  Romanzi  italiani  del  Settecento  (T.  Concari)  .  .  p.  102 
L.  Einstein,  The  Italian  Renaissance  in  England  studies  (F.  Flamini) .    .    .    .    p.  110 

F.  FbAUiNi,  //  Cinquecento  (A.  Medin) p.  1^ 

G.  Muosi,  Lodovico  di  Brem  ecc.  (E.  Clerici) p.  140 

A.  Solerti,  Le  origini  del  melodramma  (A.  Bonaventura) p.  143 

E.  Panzaccui,  7i  libro  degli  Artisti  (P.  D' Achiardi) p.  148 

F.  P.  Lniso,  Fra  Chiose  e  Commenti  alla  D.  C.  (I.  Sanesi) p.  213 

C.  Caponi,  Vincenzo  da  Filicaja  e  le  sue  opere  (G.  Manacorda) p.  217 

J.GiLLiKRON  et  E.  Ed.mont,  Atlas  linguistique  de  la  France  (P.  G.  Goidanich).    p.  219 
F.  MoKONCiNi,  Lez.  storiche  di  Lett.  Hai.  —  P.  Petrocchi,  La  lingua  e  la  storia  lettera- 
ria d'Italia  ecc.  (G.  Lisio) p.  223 

A.  Belloni,  Frammenti  di  critica  letter.  (D.  Provenzal) p.  228 

Rime  antiche  Sanesi  ecc.  (M.  Pelaez) p.  233 

E.  Clerici,  Il  Conciliatore  (P.  Prunas) p.  253 

Miscellanea  in  onore  di  A.  Graf  (là.  ¥erra.ri) p.  260 

T.  Gargallo,  Il  Palatino  d'  Ungheria  (E.  Teza) p.  268 

M.  Fuochi,  Il  Prometeo  incatenato  (F.  Zambaldi) p.  270 


ÌV  kASSEOMA  BIBLIOORA^IÒÀ 

Comunicasioni. 

A.  E.  Massèka,  Uh  rimatore  poco  noto  del  Sec.  XV:  Giovanni  del  Testa  da  Pisa  p,  44 
E.  G.  Parodi,  /  versi  comuni  a  Pietro  da  Barsegapé  e  ad  Uguccione  da  Lodi  .  p.  116 
P.  LoKARDO,  Quattro  lettere  ined.  di  G.  Bella  Casa p.  164 

B.  SaIiAris,  ^MÌU!0  Testi  e  un  Poemetto  anonimo  del  sec.  XVII p.  158 

A.  Neri,  Alcune  rime  di  G.  V.  Mossi p.  283 

E.'EiiAPPim,  Scaligeriana p.  273 

Annunzi  bibliogrraflci. 

P.  ToLDo,  Etudes  sur  le  Theàtre  comique  francai s  du  moyen  àge  etc.  (M.  Sterzi);  p.  4.  — 
Biblioteca  critica  della  Lett.  Ital.  diretta  da  F.  Torraca  {Q.  M.);  p.  47.  —  Q.  Giacosa, 
/  castelli  valdostani  (A.  D' A.);  p.  180.  —  G.  Brizzolara,  La  Francia  dalla  Restaura- 
zione alla  fondazione  della  Repubblica  (A.  D' A.);  p.  180.  —  C.  Dolcetti,  Le  bische  e 
i  giuochi  d' azzardo  a  Venezia  (A.  D'A.);  p.  181  —  E.  Masi,  Donne  di  storia  e  romanzo 
(A  D'A.);  p.  245.  —  G.  Volpi,  Note  di  varia  erudizione  ec.  (F.  Flamini);  p.  245.  —  A. 
Loforte-Bandi,  Nelle  Letterature  straniere  (A.  Bonaventura);  p.  276.  —  E.  Brambilla, 
Foscoliana  (A.  D'A.);  p.  277.  —  G.  Negri,  Ultimi  saggi  (A.  D'A.);  p.  278.  —  I  Fioretti 
di  S.  Francesco,  nelle  ediz.  Manzoni,  Passerini,  Fornaciari  (M.  Sterzi);  p.  280. 

Cronaca.    .    .    .    .     .     .     .    .     .    .     .    .    pp.  51-72;  124-131;  182-212;  246-252;  283-328 

Necrologie. 

Gaston  Paiùs > p.  132 


RASSEGM  BIBLIOGRAFICA 

DELLA  LETTERATURA  ITALIANA 

IHrettori:  A.  D'ANCONA  e  F.  FLAMINI.  Editore:  E.  8P0EBRI. 


Anno  XL  Pisa,  Gennaio  1903.  N.  1. 


Abbonamento  annuo     \    P^^  ^Estero"    ."    '.  ^Ì"  2.    I     ^"  °''™-  ««P*"*»  <^«"*-  *•' 


SOMMARIO:  B.  Croce,  Estética  come  scienza  dell' espressione  e  linguistica  generale 
(F.  Neri).  —  G.  Aeias,  Le  istituzioni  giuridiche  medievali  nella  Divina  Commedia 
(F.  Baldasseroni).  —  L.  Biìdenk,  //  Libro  delle  tre  Scritture  e  i  Volgari  delle  False 
Scuse  e  delle  Vanità  di  Bonvesin  da  la  Riva  (E.  «.  Parodi).  —  G.  Lisio,  L'Arte 
del  periodo  nelle  opere  volgari  di  D.  Alighieri  e  del  see.  XIII.  {G.  Gentile).  — 
C.  Appel,  Die  Triumphe  Francesco  Petrarcas  in  kritischen  Texte  herausgegeben ; 
E.  Proto,  Sulla  composizione  dei  Trionfi  (A.  Moschetti).  —  Comunicazioni. 
.\.  F.  Massèra,  Un  rimatore  poco  noto  del  sec.  XV  (Giovanni  del  Testa  da  Pisa). 
—  Annunzi  bibliografici  (Vi  si  parla  di:  P.  Toldo  -  Bibl.  critica  della  Leti. 
ital.).  —  Cronaca. 


Benedetto  Croce.  —  Estetica  come  scienza  dell'  espressione  e  linguistica  gene- 
rale. —  Milano-Palermo-Napoli,  R.  Sandron,  1902  (8.°,  pp.  XX-550). 

Benedetto  Croce  riprende  e  sviluppa  ora  in  modo  compiuto  la  trattazione, 
che  avea  già  ordita  notevolmente  in  due  saggi,  di  teoria  e  di  storia:  *  e  di  due 
parti,  teorica  e  storica,  si  compone  questo  libro;  del  quale  è  doveroso  notar 
subito  la  serietà  e  quella  ch'io  vorrei  dire  sincerità  scientifica,  nella  cono- 
scenza precisa  delle  ricerche  anteriori,  ordinata  e  dominata  da  un  pensiero 
originale.  Ricordo  un  piano  di  studj,  descritto  dal  G.  in  fine  al  volume  della 
Critica  letteraria:^  molto  doversi  aspettare  da  un  lavoro  inteso  specialmente 
a  sbandire  dall'  estetica  concetti  estranei  e  confusionarj,  e  a  liberare  il  con- 
cetto dell'  arte  e  del  bello  dai  confini  segnati  arbitrariamente  con  l' uso  lin- 
guistico, "  riconoscendo  la  connessione  intima  dei  cosiddetti  fatti  estetici  ed 
*  artistici  con  altri  fatti  della  vita  dello  spirito  ,.  Le  idee  e  le  opinioni  del  C. 
si  svolsero  e  si  modificarono  in  molte  parti,  l' approdo  non  fu  dove  egli  sup- 
poneva dapprima  ;  ^  ma  veramente  noi  abbiamo  ora  dinanzi  una  ricerca  si- 
stematica guidata  da  quegli  intenti,  una  grande  opera  di  semplificazione  — 
più  volte  a  dirittura  cesarea. 


1  Tesi  fondametitali  di  un'  Estetica  ecc.  negli  Atti  della  Pontaniana,  rol.  XXX,  e  6.  B.  Vico 
primo  scopritore  della  scienza  estetica,  nella  Flegrea,  aprile  1901. 

«  Vedi  cella  2.a  ediz.,  Roma,  Loescher,  1896,  p.  177. 

s  II  C.  prevedeva  nell'insieme  un  ritorno  alle  vedute  del  Baumgarten, che  ora  invece 
giudica  severamente  quale  ritrovatore  dell'  Estetica,  nome  e  non  scienza  (cfi*.  pp.  219  Bgg.)  ; 
e  un  atteggiamento  di  opposizione  egli  tiene  ora  contro  tutta  l'estetica  metafisica  tedesca. 


2  RASSEGNA   BIBLIOaRAFIGA 

La  conoscenza  umana  ha  due  forme:  conoscenza  intuitiva  e  conoscenza 
logica:  la  prima  coglie  ìe  cose,  V individuale,  pev  mezzo  della  fantasia,  che  è 
produttrice  d'immagini;  la  seconda  V  universale,  le  relazioni  delle  cose,  per 
mezzo  dell' intelletto,  che  produce  concetti.  L'intuizione  è  indipendente  dal- 
l' intelletto;  ma  è  un'' attività  spirituale,  ciò  che  forma  la  materia,  e  quindi  non 
può  venir  confusa  con  la  materia  stessa,  con  la  sensazione,  eh' è  passività. 
Il  G.  non  nega  che  attività  e  meccanismo,  specificamente  distinti,  si  possano 
unificare  in  un  concetto  più  generale  ;  ammette  che  "  la  ricerca  sia  da  ten- 
"  tare  „,  ma  intanto  a  lui  importa  che  la  differenza  sia  stabilita.  Lo  spirito, 
in  quanto  attività,  intuisce  e  forma  nello  stesso  tempo:  l'intuizione  che  noi 
abbiamo  di  una  cosa  è  la  sua  stessa  espressione:  intuire  è  esprimere,  sen- 
z' altro.  La  scienza  dell'intuizione,  dell'espressione,  è  l'estetica:  che  può 
ancor  dirsi  scienza  dell'arte  o  del  bello,  quando  s'intenda  per  arte  l'espres- 
sione e  per  bello  il  valore  ch'essa  raggiunge:  questi  due  concetti,  che  det- 
tero tanto  da  fare  agli  estetici  per  la  ricerca  di  determinazioni  e  distinzioni 
precise,  si  uniscono  ora  indissolubilmente  neW  espressione.  Ed  è  questa  la 
veduta  nuova  del  Croce  ;  perché  altri  aveano  già  studiato  l'arte  in  relazione 
con  la  conoscenza  intuitiva,  ma  soltanto  come  espressione  di  intuizioni,  di 
alcune  intuizioni  d' uno  speciale  valore  estetico.  Per  render  chiaro  a  noi  stessi 
il  concetto  dell'arte,  dobbiamo  estenderlo  ad  ogni  fatto  espressivo,  compreso 
naturalmente  quello  eh' è  il  primo  e  pili  comune  e  diffuso  —  il  linguaggio. 

Distinguere,  sceverare  il  contenuto  e  la  forma  nell'  opera  d'  arte  è  impos- 
sibile: in  pratica,  le  analisi  rivolte  a  quel  fine  si  riducono  ad  un  inganno 
verbale,  ad  una  semplice  convenzione,  che  non  può  toccare  l'intima  unità 
e  irreducibilità  dell'  espressione.  Quando  l'espressione  è  formata  in  noi,  essa 
può  conservarsi,  può  riprodursi  per  mezzo  della  memoria;  che  è  aiutata  dagli 
stimoli  -fisici  della  riproduzione,  da  quei  segni  esteriori,  cui  diamo  di  con- 
sueto il  nome  inesatto  di  opere  d'arte:  poesie,  quadri,  statue  ecc.  Con  questi 
segni,  l'espressione  viene  esteriorizzata,  comunicata  agli  altri;  il  critico,  per  ri- 
produrre in  sé  l'opera  d'arte,  ripercorre  la  stessa  via  che  già  fu  percorsa 
dall'artista:  fra  gusto  e  genio,  sostanzialmente  identici,  non  v'è  differenza  che 
di  intensità.  Cosi  il  giudizio  estetico  ha  un  suo  criterio  sicuro,  che  non  per- 
mette varietà  né  discordia  :  e  quando  noi  siamo  esattamente  informati  delle 
condizioni  in  cui  un'opera  d'arte  fu  prodotta,  noi  possiamo  risentirla  in 
tutta  la  sua  bellezza,  possiamo  serenamente  stabilirne  il  valore.  Di  qui  la 
grande  importanza  della  critica  storica,  che  vuole  appunto  rappresentarci,  con 
la  maggiore  fedeltà  possibile,  le  condizioni  dell'arte  in  ogni  tempo. 

Questa,  nella  sua  ossatura,  la  parte  costruttiva  dell'estetica:  sulla  quale 
—  poiché  la  filosofìa  è  unità  e  non  v'  hanno  scienze  filosofiche  particolari 
se  non  come  un  aspetto,  un  lato  determinato  di  quell'unità  inscindibile  — 
il  C.  inserta  il  suo  disegno  di  una  filosofia  dello  spirito.  L'attività  spirituale 
è  teoretica  e  pratica  :  teoretica,  nella  forma  intuitiva  e  nella  forma  intellet- 
tiva ;  pratica,  nella  forma  meramente  utile,  o  economica,  e  nella  forma  mo- 
rale. Questi  quattro  momenti,  o  gradi,  sono  disposti  in  modo  che  i  gradi  teo- 
retici stanno  ai  pratici  come  il  primo  teoretico  al  secondo  teoretico  e  il  primo 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  ó 

pratico  al  secondo  pratico.  Il  solo  fatto  estetico  è  indipendente  :  ma  non  v'  ha 
concetto  senza  intuizione,  e  non  v'  ha  un  fatto  pratico  senza  la  conoscenza, 
nelle  sue  due  forme:  T  utile  presuppone  cosi  l'intuizione  e  il  concetto,  e  la 
moralità  presuppone  l'utile.  Non  esistono  altre  forme  di  attività  spirituale: 
e  sé  altre  ne  furono  poste,  si  riducono  tutte  sotto  il  concetto  delle  precedenti  : 
cosi,  notevolmente  per  noi,  la  storia  sotto  il  concetto  dell'  arte.  Il  G.  combatte 
la  storia  ideale,  che  "  si  muta  per  intrinseca  necessità  in  una  scienza  o  filo- 
"  sofia  dello  spirito  ,  (p.  43),  ed  è  questa  sola  la  scienza,  la  vera  scienza  e 
perfetta  :  fuori  di  essa,  abbiamo  complessi,  non  sistemi  di  conoscenze  :  "  ciò 
"  che  di  scientifico  è  nelle  scienze  naturali,  è  filosofia  :  ciò  che  vi  è  di  na- 
"  turale,  è  mero  fatto  ,  (p.  33)  ;  quando  si  pone  un  concetto,  si  rientra  nella 
cerchia  della  filosofia  :  "  sui  fatti  naturali  si  può  ragionare  ;  ma  non  si  può 
"  cavarne  quel  sistema,  eh' è  solo  dello  spirito  ,.  La  storia,  le  scienze  natu- 
rali, le  matematiche  sono  forme  secondarie  e  miste  della  conoscenza:  le  due 
forme  pure  o  fondamentali  sono  l' intuizione  che  ci  dà  il  mondo,  il  fenomeno, 
e  il  concetto  che  ci  dà  il  noumeno,  lo  spirito  (p.  34).  Alla  quale  ultima  af- 
fermazione non  sapremmo  accostarci  in  nessun  modo,  perché  varchiamo  con 
essa  i  limiti  d'ogni  critica  della  conoscenza:  il  G.  infatti  muove  dall'osser- 
vazione interna,  dal  soggetto  conoscente,  dallo  spirito,  e  ci  offre  lungo  la  via 
analisi  e  discussioni  di  una  reale  utilità;  ma  a  questo  punto  noi  ci  troviamo 
di  fronte  il  concetto,  che  non  studia  più  le  relazioni  tra  fenomeni  —  come 
dev'essere,  e  come  si  era  stabilito  — ,  ma  qualcosa  che  ne  sconfina,  e  ci  dà 
esso  stesso  un  noumeno,  lo  spirilo.  E,  quanto  alla  posizione  rispettiva  delle 
scienze  naturali  e  della  filosofia,  sarebbe  poco  male  se  noi  dovessimo  in- 
tendere col  nome  di  filosofia  tutta  la  conoscenza;  ma  con  ciò  non  si  muta 
d'un  punto  la  questione  intorno  alla  conoscenza  stessa.  Il  G.  non  vuole  che 
si  parli  di  convenzioni  per  le  energie  dello  spirito:  *  perché  si  abbiano  con- 
"  venzioni  particolari,  è  necessario  che  esista  qualcosa  su  cui  non  si  con- 
"  viene,  ma  che  sia  l'agente  stesso  della  convenzione;  l'attività  spirituale 
"  dell'uomo.  La  limitatezza  delle  scienze  naturali  postula  l'illimitatezza  della 
"  filosofia  „.  Da  ciò  che  ha  premesso  il  G.,  risulta  solo  che  la  parte  veramente 
scientifica  delle  scienze  naturali  dev'  esser  compresa,  è  anzi  compresa  nella 
filosofia;  ma  non  vien  luce  sulla  misura,  sui  confini  del  nostro  apprendi- 
mento, e  questi  confini,  se  e'  erano,  rimangono,  senza  differenze. 

Quest'obbiezione  ci  basta  aver  qui  soltanto  accennata;  ritornando  alla 
parte  propriamente  estetica,  nella  teoria  del  G.  v'è  tutta  una  serie  di  discus- 
sioni contro  gli  arbitrj,  i  malintesi,  i  concetti  fallaci  che  ingombrano  i  pre- 
cedenti sistemi  filosofici,  ed  anche  l'interpretazione  comune  dell'arte:  il  G. 
pone  ben  chiaramente  la  necessità  che  sia  riconosciuta  1'  indipendenza  del- 
l'arte a  fondamento  di  ogni  sana  ricerca  estetica.  Ma  la  sua  critica  è  volta 
soprattutto  a  distruggere  quattro  errori  particolari,  de'  quali  anche,  a  conclu- 
sione del  suo  libro,  fa  una  rapida  storia,  e  per  l' importanza  loro  e  perché 
di  continuo  rinascono  sotto  varie  forme  ad  insidiare  il  progresso  della  scienza. 
Il  primo  è  quello  delle  categorie  rettoriche,  della  forma  ornata  :  ora,  non  esi- 
ste un  ornamento  che  possa  aggiungersi  all'  espressione,  come  una  riccbezsia 


4  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

pili  squisita,  una  bellezza  più  delicata  ed  accorta  :  la  parola  propria  è  quella 
che  esprime  T  immagine,  così  com'è:  e  la  metafora  o  la  perifrasi  o  l'ellissi 
0  che  altro  sia,  non  è  che  la  forma  stessa,  balzata  viva,  tutt'  uno  con  l' idea. 
Il  che  é  verissimo,  e  sarà  bene  insistervi  e  battervi  su  fin  che  rimanga  traccia 
di  quell'insegnamento  artificioso,  che  disgiunge  la  forma  dal  pensiero,  dal- 
l'immagine, ciò  è  dalla  sua  stessa  ragion  d'essere:  è  una  conseguenza  lo- 
gica di  ciò  che  si  è  appreso  studiando  la  natura  dell'  espressione,  dove  con- 
tenuto e  forma  sono  inscindibili.  Ma  il  G.  non  trae  questa  conclusione  dai 
principj  già  stobilili  ;  per  giungere  a  una  demolizione  più  complessa,  muove 
nuovamente  dall'osservazione  interna.  Ogni  espressione  dev'essere  considerata 
in  sé,  e,  fra  le  moltissime  altre,  non  può  riaccostarsi  a  questa  piuttosto  che 
a  quella:  "  si  scrutino  quanto  si  vuole  i  fatti  estetici,  e  non  si  riuscirà  a 
"  trovare  tra  essi  differenze  formali,  né  a  scomporre  il  fatto  estetico  in  un 
"  fatto  estetico  di  primo  e  in  un  altro  di  secondo  grado.  Ciò  significa  che 
"  non  è  possibile  una  classificazione  delle  espressioni  „  (p.  71).  E  questa  con- 
clusione il  G.  avvalora  col  fatto  che  variano  continuamente  "  le  impressioni 
"ossia  i  contenuti:  ogni   contenuto  è  diverso  da  un  altro,  perché  niente  si 

*  ripete  nella  vita;  e  al  variar  continuo  dei  contenuti  segue  la  varietà  irri- 
"  ducibile  dei  fatti  espressivi,  sintesi  estetiche  delle  impressioni  „.  Diciamo  al- 
lora che  non  sono  possibili  le  classificazioni  delle  impressioni,  ciò  è  che  in 
natura  non  sono  possibili  le  classificazioni:  *  a  rigor  di  termini,  potremo  con- 
venirne tutti;  ma  in  questo  caso  non  vediamo  ragione  di  combattere  unica- 
mente le  classi  delle  espressioni. 

In  questa  recisa  negazione  a  noi  pare  si  accolga  quanto  è  di  eccessivo 
in  altre  due  critiche,  mosse  dal  G.  ai  concetti  dei  generi  artistici  e  letterarj 
e  dei  limiti  delle  arti.  Egli  combatte  la  teorica  dei  generi  come  un'intro- 
missione intellettualistica  nel  fatto  estetico.  Entrando  in  una  galleria  o  leg- 
gendo una  serie  di  poemi,  si  può  "  dopo  aver  guardato  e  letto,  proceder  oltre, 
"  ed  indagar  la  natura  delle  cose  colà  espresse,,  ritrarre  da  quei  singoli 
quadri  e  componimeati  le  astrazioni  di  costumi,  paesaggi,  ritratti,  fatti  tra- 
gici ecc.  La  contemplazione  estetica  ha  dato  luogo  ad  un  pensiero  logico,  ad 
un  raziocinio,  ai  concetti,  poniamo,  della  vita  domestica,  della  cavalleria, 
dell'  idillio,  della  crudeltà.  "  Ma  nessuno  può  obiettar  nulla  a  tal  procedere  . . . 
"  L'errore  comincia  quando  dal  concetto  si  vuol  dedurre  Y espressione,  e  nel 
"  fatto  sostituente  trovar  le  leggi  del  fatto  sostituito  ^,  quando  noi  ci  chie- 
diamo: "  qual'è  la  forma  estetica  della  vita  domestica,  della  cavalleria,  del- 
"  r  idillio,  della  crudeltà,  e  cosi  via  V  come  debbono  essere  rappresentati  que- 

*  sti  contenuti?  „  Di  qui  le  leggi  o  regole  dei  generi,  che  sono  false,  assurde 
fin  dalla  radice.  I  critici  pretendono  allora  di  comparare  ogni  nuova  opera 
ad  un  lor  modello  ideale,  giudicare  secondo  un  lor  proprio  codice,  aristotelico., 
0  classico,  o  romantico;  invece,  l'opera  d'arte  vuol  essere  confrontata  con 
sé  stessa,  e  non  con  altre,  perché  in  sé,  nella  sua  vita  interiore,  reca  la  sua 

»  II  0.  del  resto  non  ammette  suddivisioni  originali  nelle  quattro  forme  dello  spirito 
(cfr.p.141). 


DBLLA  LETtERATURA  ITALIANA  5 

bellezza.  Ma  quando  il  C,  ammesso  che  non  ci  son  lèggi  di  un  genere,  segue 
affermando  che  non  ci  sono  generi,  dissimula  un  salto,  che  in  realtà  non 
è  cosf  agevole.  Lo  stabilire  i  generi  e  lo  studiarli  è  precisamente  un  processo 
logico,  intellettualistico,  che  nel  campo  della  scienza  non  è  più  un'  intromis- 
sione; l'intelletto  ha  la  sua  parte  nell'esame  dei  prodotti  artistici,  a  quel 
modo  che  l' Estetica  è  scienza,  cioè  risulta  di  concetti.  Questa  lotta  a  oltranza 
contro  i  generi  deriva  da  quell'  opposizione  generale  ad  ogni  classe  di  espres- 
sioni; mentre  chi  ne  ammette  la  possibilità  può  ricercare  nelle  opere  d'arte 
le  intime  e  reali  affinità  psicologiche  di  certi  gruppi,  che  son  detti,  ad  es., 
lirici  0  drammatici:  purché  non  si  traggano  leggi  e  non  si  creda  di  pos- 
seder la  tavola  compiuta  e  infallibile  di  ciò  che  l' ingegno  umano  può  varia- 
mente produrre  nell'  arte,  e,  nella  stessa  considerazione  storica,  non  si  parli, 
come  si  parlò,  di  una  solitaria  e  schematica  evoluzione  dei  generi.  Anche 
qui,  si  tratta  di  far  bene;  e,  quando  sia  ben  fatto,  è  giusto  e  lodevole  che  si 
rappresenti  lo  svolgimento  di  un  genere,  per  coglierne  la  parte  vitale  dopo 
i  tentativi  mal  certi,  e  lo  sfiorire  e  lo  smarrirsi,  e  anche,  a  volte,  il  rinnovarsi 
guaduale  attraverso  un  pensiero  ed  un'arte  pili  fresca. 

Il  G.  stesso,  ad  altro  proposito,  non  finisce  con  1'  ammettere  nn  certo 
criterio  di  genere  quando  descrive  il  progresso,  eh'  è  nella  storia  artistica 
e    letteraria,  non  sopra  un'  unica   linea,  ma  in  tanti  cicli  progressivi  '  cia- 

•  scuno  col  proprio  problema,  e  progressivo  solo  rispetto  a  quel  problema  ,  ? 
Egli  reca  l' esempio  tipico  del  progresso  nell'  elaborazione  della  materia  ca- 
valleresca dal  Pulci  all'Ariosto.  "  Con  l' insistere  ancora  su  quella  stessa  ma- 
"  teria  non  si  avrebbe  se  non  la  ripetizione  od  imitazione,  il  diminuire  o 
"  l'esagerare,  il  guastare  il  già  fatto,  insomma  la  decadenza.  Esempio,  gli  epi- 

•  goni  ariosteschi.  Il  progresso  comincia  col  ricominciar  di  un  nuovo  ciclo. 

•  Esempio,  il  Cervantes  ,  (p.  137).  Ed  ecco  una  serie  di  opere  artistiche  riu- 
nite in  un  grup'po,  secondo  il  principio  dell'  elaborazione  successiva  di  una 
materia  comune. 

Il  C,  combattendo  ogni  concetto  di  limiti  fra  le  arti,  fa  ancora  la  critica 
delle  classificazioni  estetiche  (pp.  115-16);  e  qui,  oltre  al  fatto  di  una  possi- 
bile partizione  (non  gerarchia)  delle  arti,  la  stessa  intrinseca  colleganza  del 
contenuto  e  della  forma  ci  costringe  a  parlare  di  espressioni  musicali,  pit- 
toriche, e  simili:  possiamo  astrarre  dal  suono  e  dal  colore,  come  semplici 
istrumentì,  ma  non  dalla  natura  originaria,  intuitiva,  di  una  data  espressione. 
—  Un  quarto  errore  particolare  è  il  bello  fisico,  il  bello  di  natura:  coerente  alla 
alla  sua  teoria,  il  G.  non  può  ammettere  la  bellezza  se  non  come  attività  spi- 
rituale, e  quindi  un  oggetto  esterno  non  è  di  per  sé  né  bello  né  brutto  :  tut- 
t' al  più,  queste  parole  posssono  significare,  crediamo  anche  pel  G.,  una  mag- 
giore o  minor  convenienza  dell'  oggetto  col  proprio  fine  naturale.  In  altri 
casi  uno  spirito  agile  di  artista  compie  si  rapidamente  e  si  di  frequente  il 
processo  estetico  delle  impressioni,  che  non  sa  distinguere  la  materia  dalla 
forma,  eh' è  produzione  del  suo  spirito:  ciò  avviene  un  pò* in  tutti  ed  è  aiu- 
tato da  molti  fraintesi,  ormai  comuni  pel  lungo  uso. 

La  Storia  del  G.  ci  rappresenta  lo  svolgimento  dell'Estetica  come  scienza 


è  RASSEGNA  BlftLlOtìRAPlCA 

dell'  espressione,  scienza  moderna  di  cui  le  prime  linee  già  si  disegnano  nel- 
r  opera  universale  del  Vico  :  nondimeno  il  G.  riprende  brevemente  lo  studio 
dalle  teoriche  dell'arte  nell'antichità.  Riconosciuto  il  valore  di  questa  ricca 
e  densa  rassegna,  non  sta  ora  in  noi  rilevare  o  aggredire  alcuni  giudizj  e  al- 
cune vedute  particolari;  ma  da  un'osservazione  non  sappiamo  tenerci,  poiché 
ci  pare  che  il  Kant  e  lo  Schopenhauer  n'  escan  più  depressi  che  non  si  con- 
venga, in  una  storia  appunto  della  scienza  intuitiva  :  l' intuizione,  quale  mezzo 
conoscitivo  necessario  e  indipendente,  entra  davvero  nel  dominio  scientifico 
col  Kant.  È,  più  che  altro,  una  questione  di  proporzioni  :  il  G.  dopo  la  scoperta 
del  Vico  ha  reagito  anche  troppo  contro  i  pensatori  tedeschi. 

Ma  v'è  nel  libro  del  G.  qualcosa  che  nelle  rigide,  aride  linee  schematiche 
imposte  alla  brevità  di  una  recensione,  non  è  possibile  mantenere  né  ripro- 
durre: ed  è  la  vivacità  della  ricerca,  l'amore,  che  a  volte  scatta  nella  passione, 
per  quest'  ordine  di  studj  ancora  dubbioso,  considerato  finora  dai  più  con 
una  diffidenza  inerte.  Qualunque  debba  essere  la  parte  acquisita  alla  scienza 
per  queste  indagini  del  G.  —  e  la  più  vitale  e  feconda  sta  certo  nel  riacco- 
stamento, nella  compenetrazione  del  fatto  estetico  col  linguaggio,  con  V espres- 
sione, intesa  cosi  nel  suo  significato  più  vasto  e  insieme  più  preciso,  —  il 
nobile  desiderio  dell'  autore,  di  acquistare  amici  a  tali  studj,  spianando  osta- 
coli e  indicando  vie  da  percorrere,'  sarà  ad  ogni  modo  compiuto:  il  G.  serba 
anch' egli  "  l'attrattiva  di  quegli  scrittori  che,  oltre  ciò  che  danno  essi,  addi- 
tano e  fanno  intravvedere  una  ricchezza  da  conquistare  „.  La  Storia  del  G. 
ha  sulle  precedenti  il  merito  di  tener  conto  e  di  trattar  più  da  vicino  di  certe 
opere  critiche,  ch'erano  state  prima  escluse  o  trascurate,  ritenute  quasi  estranee 
all'estetica  propriamente  detta:  ad  es.,  le  Poetiche  del  Cinquecento.  E  uno 
dei  più  vibrati  capitoli  di  tutto  il  libro  è  quello  sul  De  Sanctis,  argomento 
carissimo  al  G.;  il  quale  anche  riconosce  —  ciò  che  davvero  non  gli  accade 
di  frequente  —  un  grande  valore  negli  scritti  di  due  estetici",  l' Hanslick  e  il 
Fiedler,  che  sono  appunto  due  critici.  Egli  combatte  le  teorie  estetiche  parti- 
colari, ma  non  vuole  rinchiudersi  nella  pallida  e  sola  speculazione  astratta  : 
sente  e  ricorda  la  necessità  dello  studio  vivo,  ad  immediato  contatto  con 
r  opera  d' arte,  e  di  una  letteratura  critica  che  sia  vigorosamente  congiunta 
con  l'Estetica. 

Ferdinando  Neri. 


1  V.  l'refaziom;  p.  IX. 


DELLA   LETtERATURA   itALtANA 


G.  Arias.  —  Le  istituzioni  giuridiche  medievali  nella  Divina  Com- 
media. —  Firenze,  Lumaclii,  1901  (8.°,  pp.  VI-240). 

Le  istituzioni  giuridiche  dei  tempi  di  Dante. furono,  in  gran 
parte,  multiformi  e  contraddittorie,  derivando  alcune  dallo  scom- 
parso regime  feudale,  altre  invece  da  quella  società  mercantile, 
che,  piena  di  audacie  innovatrici,  portò  seco  tutto  un  diverso 
modo  di  pensare  e  di  agire. 

Lo  scopo  che  l' Arias  si  è  proposto  è  stato  quello  di  mettere 
il  pensiero  di  Dante  in  relazione  con  tali  opposti  concetti  giuri- 
dici, di  ricercare  quali  di  quei  concetti  il  Poeta  approvò,  di  ve- 
dere infine  qual  giudizio  egli  dette  delle  tendenze  e  delle  aspira- 
zioni dell'età  sua.  Alle  quali  non  poteva  certo  essere  favorevole  un 
uomo,  che,  come  Dante,  sinceramente  rimpianse  i  tempi  di  Caccia- 
guida,  quando  Firenze,  dentro  il  cerchio  ristretto  delle  sue  mura, 
«  si  stava  in  pace,  sobria  e  pudica  »;  un  uomo,  che  alla  «  gente 
nuova  »  e  alle  nuove  idee  sociali  ed  economiche,  che  le  classi 
commercianti  introdussero,  si  mostrò  tenacemente  contrario.  Per- 
ciò egli  non  solo  aderì  alle  istituzioni  giuridiche,  che  furono 
comuni  ai  due  momenti  storici,  cui  abbiamo  accennato;  ma 
delle  altre,  di  quelle  che  seguono  necessariamente  la  evoluzione 
dei  tempi  e  mutano  con  il  rinnovarsi  delle  condizioni  sociali, 
egli  approvò  quelle  soltanto,  che  provenivano  da  un'  età  ante- 
riore: egli  insomma  rimase  fedele  alle  costumanze  del  passato  e  fu 
uomo  feudale.  Tale  appunto  è  la  conclusione,  cui  giunge  l'Arias: 
con  quali  argomentazioni  e  con  quali  prove,  vedremo:  ci  affret- 
tiamo intanto  a  riconoscere  che,  sebbene  non  abbiano  tutte 
eguale  valore,  esse  acquistano,  dal  loro  complesso,  singolare 
efficacia. 

Esaminata  la  definizione  dantesca  del  giure,  l'Arias  vuol  dimo- 
strare che  il  Poeta  esaltò  V  opera  legislativa  di  Giustiniano,  non 
già  per  il  suo  intrinseco  valore,  ma  per  la  sua  importanza  e 
convenienza  politica.  Dante  ebbe  poi  un  dispregio  certo  eccessivo 
per  l'opera  dei  giuristi  contemporanei,  che  pur  qualche  bene 
apportarono  alla  società  comunale,  e,  per  cause  religiose  è  po- 
litiche, dette  giudizio  molto  severo  della  legislazione  ecclesiastica 
e  specialmente  dei  suoi  commentatori:  ond' è  da  concludersi  che 
«  non  fu  né  cultore,  né  giudice  benevolo,  o  semplicemente  equo, 
«  della  scienza  del  diritto  »  (p.  26).  Ma  la  non  profonda  cono- 
scenza che  Dante  ebbe  del  giure,  non  esclude  che  nella  Commedia 


8  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

si  ritrovino  accenni,  spesso  involontarj,  ma  non  per  questo  man 
degni  di  esame,  alle  istituzioni  del  M.  E.,  tra  le  quali  «  tiene  prin- 
«  cipalissimo  luogo  la  vendetta  privata»  (p.  31).  L'Arias  non 
accetta  l'opinione  dello  Scherillo  e  pensa  che  Dante  più  che 
condannare  questo  istituto,  ne  vituperi  il  tralignamento.  Il  Poeta 
non  coinvolge  irifatti  nello  stesso  biasimo  Mosca  e  Buondelmonte, 
il  consigliatore  e  la  vittima?  {Inf.  XX Vili,  103  e  sgg.;  Farad. 
XVI,  136  e  sgg.)  E  non  è  giusto  pensare  che  condanni  il  primo 
solo  perchè  suggerì  una  pena  sproporzionata  alla  colpa  dell'altro? 
(p.  48).  Eppure,  il  rimprovero  che  D.  fa  a  Buondelmonte  e  l'al- 
lusione al  «giusto  disdegno»  degli  Amidei  {Farad.  XVI,  137)^ 
inducono  a  credere  che  il  Poeta  giudicasse  severamente  la  loro 
vendetta,  non  tanto  perché  gli  sembrò  lontana  da  ogni  equa  re- 
tribuzione del  male,  quanto  perchè  vide  in  essa  un  ben  triste 
esempio  di  giustizia  privata  e  gli  apparve  come  il  principio  di 
quelle  implacabili  inimicizie,  per  le  quali  il  giglio  della  sua 
Firenze  si  fece  vermiglio. 

Del  resto,  i  molti  luoghi  della  Commedia  citati  dall'  Aut. 
a  pp.  43-45  non  si  possono  riferire  all'istituto  della  vendetta, 
sicché  quelle  testimonianze  non  dimostrano  punto  che  Dante  la 
riconoscesse,  come  forma  di  giustizia.  Ma  resta  l' episodio  di  Geri 
{Inf.  XXIX,  18  e  sgg.),  che  —  a  prima  vista  —  sembra  confer- 
mare pienamente  la  tesi  dell'Arias.  Tuttavia,  quando  leggiamo  a 
p.  55  che  se  il  poeta  elogiò  nel  «  buon  »  Marzucco  un  atto  di  per- 
dono {Purg.  VI,  17-18),  cadde  allora  in  «  una  delle  consuete  con- 
«  tradizioni  degli  uomini  medievali  »,  pensiamo  che  assai  meglio  si 
spiegherebbe  una  di  tali  contraddizioni  nell'episodio  di  Geri,  mentre 
D.  si  trova  dinanzi  uno  «  spirto  del  suo  sangue  »  e  il  cruccio  del- 
l'ucciso  consorte  lo  commuove  e  lo  turba.  Qui  veramente  è  le- 
cito credere  che,  per  un  sentimento  spontaneo  ed  improvviso, 
risorga  in  D.  l'uomo  del  tempo  suo. 

L'Arias  osserva  inoltre  come  in  alcune  pene  imaginate  dal 
Poeta,  si  ritrovino  tutti  i  caratteri  della  vendetta  privata:  così  i 
fratelli  Alberti  cozzano  insieme  «  mossi  da  quello  stesso  senti- 
«  mento  d'ira  perversa,  che  si  mantiene  immutato,  oltre  tomba» 
(p.  57)  e  il  conte  Ugolino  morde  con  rabbia  il  cranio  del  suo  ne- 
mico. L'osservazione  è  giusta,  ma  forse  non  è  favorevole  alla  tesi 
dell'  Arias,  poiché  D.,  imaginando  che  i  dannati  invano  ricerchino 


>  Notevoli  le  parole  dell' Ottimo  «  E  dice  per  lo  giusto  disdegno,  però  che  li  Amidei 
(  ebbero  cagione  manifesta  di  disdegnarsi,  si  come  più  nobili,  contra  li  Buoudelmonti  i. 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  9 

nella  vendetta  uno  sfogo  ai  loro  odj,  un  lenimento  ai  loro  mar- 
tirj  e  in  essa  ritrovino  invece  un  nuovo  tormento  morale,  per 
biasimarla  ancora  una  volta. 

Nel  capitolo  sa  La  solidarietà  comunale  e  famigliare  si  afferma 
tra  l'altre,  che  le  invettive  dantesche  contro  alcune  città  dell'I- 
talia sono  inspirate  a  quel  concetto  medievale  della  solidarietà 
«  che  involge,  specie  nelle  colpe,  tutti  i  cittadini  di  un  medesimo 
«stato»  (p.  64);  sicché,  per  l'Aut.,  i  fieri  disdegni  contro  Pistoia 
{Inf.  XXV,  10-12)  e  contro  Genova  (J«/'.  XXXIII,  151-57)  sarebbero 
suggeriti  dalle  malvagie  opere  di  Vanni  Fucci  e  di  Branca  d'O- 
ria, mentre  è  forse  più  giusto  pensare  che  il  Poeta  prenda  oc- 
casione dalle  colpe  dei  due  dannati,  per  esprimere  un  severo  giu- 
dizio sulle  città  dove  nacquero.* 

Con  queste  osservazioni  non  intendiamo  punto  infirmare  l'idea 
fondamentale  del  lavoro  dell'Arias  e  siamo  assai  lontani  dal  pen- 
sare che  D.  abbia  precorso  i  tempi  e  intuite  le  verità  poste  in 
luce  dalla  moderna  scienza  penale;  ma  non  vorremmo  che,  nel 
combattere  i  sostenitori  di  tali  erronee  credenze,  si  peccasse  «  per 
«troppo  di  vigore».  E  veramente  a  noi  sembra  che  l'Alighieri, 
pur  essendo  uomo  del  M.  E.  e  seguace  di  idee  e  costumanze,  che 
già  a'  tempi  suoi  andavano  scomparendo,  abbia  potuto,  per  al- 
tezza di  ingegno,  disapprovare  taluna  di  quelle  consuetudini,  che, 
in  generale,  lo  trovavano  consenziente. 

L'Arias  ha  poi  veduto  nel  Poema  involontarie  reminiscenze 
di  istituti  giuridici,  anche  là  dove,  a  nostro  credere,  le  idee  di  Dante 
furono  generate  da  ben  altri  ricordi.  Cosi,  trattando  del  sistema 
penale  nella  Commedia,  egli  osserva:  «Il  primo  scopo  che  la 
«pena  si  prefigge  è  la  vendetta:  si  renda  all'offensore  male  per 
«  male.  Analogamente  la  Divina  vendetta  del  Poema  Dantesco  si 
«  studia  di  attribuire  una  pena  del  tutto  rispondente  al  male  com- 
«  piuto.  Tuttavia  la  pena  del  Medio  Evo  ebbe  pure  un  fine  più 
«elevato;  V espiazione.  Dante,  seguendo  l'uno  e  l'altro  concetto, 
«  applica  il  primo  nell'Inferno,  il  secondo  nel  Purgatorio  ».  (p.  79). 

Ora,  l'analogia  tra  i  principj  direttivi  del  sistema  penale  dan- 
tesco e  quelli  del  sistema  penale  del  M.  E.  esiste,  ma  —  a  parer 
nostro  —  è  puramente  casuale;  dacché  il  duplice  concetto  della 
vendetta  e  dell'espiazione  fu  offerto  al  Poeta  dalle  dottrine  cri- 
stiane e  a  quelle  soltanto  egli  dovette  inspirarsi.  Giusto   invece 

1  È  da  osservare  che  il  giudizio  di  D.  si  accorda  con  quello  di  altri  scritlori  del  tempo. 
Cfr.  le  parole  di  G.  Villani  (Cronica,  1,32)  su  Pistoia;  e  quelle  di  Jacopo  d'Oria  su  Genova 
{Amwles  yemieimes,  in  K.  1.  S.,  VI,  G08)  cit.  aucUe  da  T.  Oasini  uel  suo  noto  comuieato  alla  D.  C. 


10  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

e  oltreraodo  opportuno  è  il  raffronto,  che  l' Aut.  fa,  tra  le  singole 
pene  imaginate  da  D,  e  alcune  tra  le  più  caratteristiche  del 
tempo  (p,  87  e  sgg.):  e  l'argomento  —  come  altri  ha  osservato,^ 
—  sarebbe  stato  degno  di  meno  fuggevole  illustrazione. 

Nella  IV  parte  del  libro  (Ordinamento  giudiziario)  è  inserito 
un  articolo,  che  già  vide  la  luce  nella  Rassegna  Nazionale  (1.° 
aprile  1901):  in  esso  l'Arias  vuol  dimostrare  che  la  nota  simili- 
tudine dei  campioni  «  nudi  ed  unti  »  (Inf.  XVI,  24-22)  non  si  ri- 
ferisce—  come  sostiene  il  Davidsohn  ^  —  ai  campioni  del  duello 
giudiziario,  sibbene  «  agli  spettacoli  di  lotta,  i  quali,  a  somiglianza 
«  degli  antichi ....  avevano  luogo  nell'età  medievale  »  (p,  133). 

Il  Davidsohn  ha,  alla  sua  volta,  confutato  autorevolmente  la 
tesi  dell'Arias,  ^  adducendo  a  conferma  della  sua,  nuove  testimo- 
nianze, le  quali  hanno  certo  molto  valore  per  dimostrare  che  il 
duello  giudiziario  vigeva  ancora  nei  primi  decennj  del  sec. 
XIV,  ma  non  provano,  con  eguale  evidenza,  che  i  campioni  vi 
combattessero  —  come  i  Danteschi  —  nudi,  unti  e  senz'armi; 
cosicché  non  ci  pare  possa  affermarsi  che  la  questione  sia  defini- 
tivamente risolta. 

Chiude  questa  parte  del  libro  un  capitolo,  nel  quale  si  illu- 
strano le  parole  del  De  Monarchia  sul  giudizio  di  Dio  e  giusta- 
mente si  conclude  che  le  teoriche  di  Dante,  favorevoli  all'effi- 
cacia probatoria  del  duello,  dimostrano  ancora  una  volta  come 
egli  sia  «  il  Poeta  del  Medio  Evo,  spoglio,  è  vero,  delle  sue  più 
«  basse  volgarità,  ma  non  delle  sue  idee,  di  quelle  soprattutto  che 
«  attingon  vita  dalla  fede  »  (p.  140). 

La  quinta  parte  tratta  del  Diritto  civile  e  specialmente  degli 
Usi  nuziali.  Dopo  aver  dimostrato  che  «  l'inanellare  è  proprio  del 
«  fidanzamento  e  il  desponsare  o  «  consentire  per  sua  sposa  »  ina- 
«  nettando,  è  proprio  del  matrimonio  »  (p.  149),  l'Arias  scrive  che 
nei  versi  della  Pia  {Purg.  V,  135-36)  e'  è  una  manifesta  allusione 
alle  due  cerimonie,  e  —  accettando  la  lezione  disposata  —  spie- 
ga in  tal  modo  il  noto  passo  :  «  Lo  sa  colui  che  me,  già  fidan- 
«  zata  d'  altri,  aveva  tolto  per  sua  sposa  »  (p.  150).  Ma  se  ci  fer- 
miamo «all'esame  genuino  de' versi  danteschi»  la  interpreta- 
zione non  è  da  accettarsi  che  in  parte.  Il  Mazzoni  ne  ha  parlato 
di  recente  nel  Btdl.  della  Società  Dantesca:  -^  la  lezione  disposando 

i  V.  la  recensione  di  G.  Salvemini  in  Bull.  d.  Soc.  Dani.  H.  N.  S.  IX,  112  e  sgg. 
2  «  i  campioni  nudi  ed  unii  »  in  Bull,  cit.,  N.  S.  VII,  39-43.  —  L'Arias  (p.  126,  nota  1)  ne 
sbaglia  la  citazione. 

»  In  Dtdt.  d.  Soc.  Dantesca  N.  8.  IX,  185-187. 
*  N.  S.  IX,  82  e  sgg. 


DELLA  LETTERATURA   ITALIAI^A  11 

—  egli  ha  osservato  —  è  da  preferirsi  per  numero  e  autorità  di 
codici  e,  poiché  essa  esclude  subito  che  il  Poeta  abbia  alluso  a  un 
precedente  fidanzamento  della  Pia,  «  si  ha  da  ritrovare  nei  versi  di 
«Dante  con  l'accenno  a  tutt'e  due  le  cerimonie,  l'identità  della 
«  persona,  che  prima  fu  fidanzato  della  Pia  e  le  fu  quindi  marito  ». 
Ma,  secondo  noi,  anche  con  la  lezione  disposata  (e  indubbiamente 
meglio  che  con  l'altra)  si  può  pensare  che  il  fidanzato  e  il  ma- 
rito sieno  la  persona  medesima: 

Salsi  CDlui  che,  inaneUata  pria, 
Disposata  m'avea  con  la  sua  gemma. 

«  Lo  sa  colui  che,  avendomi  prima  inanellata  (è  la  cerimonia 
«  del  fidanzamento),  mi  aveva  poi  disposata  con  la  sua  gemma  (è 
«la  cerimonia  del  matrimonio)».  Con  l'altra  lezione  invece  le 
difficoltà  di  ammettere  il  duplice  accenno  sono  assai  gravi;  e  non 
occorrono  certo  molte  parole  per  dimostrare  che  quel  disposando 
appar  subito  come  un  inciso,  che  presuppone  logicamente  una 
contemporaneità  nelle  due  azioni  del  disposare  e  dell'inanellare.  ^ 

La  dote  e  le  seconde  nozze  danno  argomento  a  due  capitoli 
successivi,  nel  primo  dei  quali  l'Arias  prende  occasione  da  un 
noto  passo  del  Paradiso  (XV,  103-105)  per  indagare  le  cause  che 
determinarono  un  accrescimento  nel  valore  della  dote  e  per  di- 
mostrare come  tale  fenomeno  sia  dovuto  al  passaggio  dal  regime 
magnatizio  al  mercantile,  nonché  al  progressivo  deprezzamento 
del  capitale  mobiliare,  che  rialzò,  di  conseguenza,  il  valore  della 
moneta.  Anche  le  osservazioni  contenute  nell'altro  capitolo  sono 
tali,  che  ognuno  dovrà  convenirne.  La  dottrina  dei  Padri  della 
Chiesa  fu  contraria  alle  seconde  nozze,  mentre  la  legislazione  ca- 
nonica vide  in  seguito  la  necessità  di  non  avversarle:  ora,  l'Arias 
afferma  a  ragione  che  Dante,  per  quell'  intenso  desiderio  eh'  egli 
ebbe  di  tornare  ai  principj  originar]  e  puri  del  Cristianesimo, 
preferì  la  teorica  primitiva:  e  che  tale  fosse  il  pensiero  del  Poeta 
dimostra  chiaramente  l'episodio  di  Nino  Visconti. 

Della  moneta,  del  contratto  di  mutuo  e  dell'usura,  l'Aut.  tratta 
nella  sesta  parte  del  libro,  dimostrando  larga  conoscenza  delle 
dottrine  economiche  dell'età  medievale.  L'Alighieri,  fieramente 
avverso  a' tempi  nuovi  e  al  nuovo  ordinamento  sociale,  non  si 


<  Se  non  si  ammette  questa  contemporaneità,  è  necessario  sforzare  il  teito  a  una  simile 
interpretazione  :  (  Lo  sa  colui  cbe  mi  aveva  prima  ìuauellata,  poi  disposandomi  >.  E  il  poi, 
in  tal  caso,  è  sottinteso  nel  verso  con  uno  sforzo  eccessivo  di  buon  volere. 


12  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

curò  della  gloria,  che  dai  traffici  derivava  alla  sua  Firenze:  da 
ciò  ha  origine,  in  parte,  il  suo  sdegno  per  l'espansione  del  «  ma- 
«  ledetto  fiore  »  {Farad.  IX,  130)  e  la  sua  indifferenza  per  i  danni 
subiti  dal  commercio  fiorentino,  quando  Filippo  di  Francia  fal- 
seggiò la  moneta  {Farad.  XIX,  118-120).  E  contro  l'usura  egli 
si  scaglia  «  per  alto  intendimento  morale  e  civile  »  e  «  punisce 
«  con  pena  più  delle  altre  grave  e  vergognosa  gli  usurai  »  (p.  202). 
Molto  bene  l'Arias,  parlando  dei  tormenti,  cui  essi  sono  condan- 
nati, dà  alla  borsa  che  pende  loro  dal  collo  un  significato  di 
fiero  rimprovero  per  la  nobiltà  usuraia,  che,  dimentica  della  sua 
origine,  si  era  data  al  commercio  bancario. 

L' ultima  parte  {La  costituzione  politica  e  sociale  dei  comuni) 
si  apre  con  un  capitolo,  dove  l'Arias  tenta  di  dimostrare  che  le 
parole  dei  due  frati  gaudenti  Bolognesi  {Inf.  XXIII,  103-108) 
alludono  non  solo  al  podestà,  ma  anche  all'Ufficiale  forestiero 
della  Mercanzia:  l'ipotesi  tuttavia  dovrebbe  essere  confortata  da 
ragioni  più  convincenti  e  più  salde.  ^  D'altronde  —  non  siamo  noi 
i  primi  a  notarlo  ^  —  queste  ultime  pagine  appaiono  incompiute 
e  troppo  affrettate.  E  cosi  è  da  giudicarsi  la  breve  conclusione, 
con  cui  termina  il  pregevole  libro. 

Pregevole  veramente,  e  degno  di  essere,  più  che  letto,  studiato. 
Se  non  sempre  le  ipotesi  e  le  affermazioni  espresse  dall'  Arias 
appaiono  convincenti,  se  nell'opera  sua  si  avvertono  talvolta  di- 
vagazioni e  sovrabbondanze  e  tal' altra  lacune  ^  o  troppo  fugge- 
voli accenni  a  luoghi  della  Commedia,  che  meritavano  trattazione 
più  ampia;  è  doveroso  riconoscere  che  il  libro  ha,  non  di  rado, 
pagine  ricche  di  osservazioni  nuove  ed  acute,  e  interi  capitoli, 
dove  i  concetti  giuridici  dell'età  medievale  sono  illustrati  con 
perspicuità  e  il  pensiero  di  Dante  è  compreso  compiutamente. 

E  noi  ci  auguriamo  di  vederne  presto  una  seconda  edizione,  che 
—  resa  migliore  per  le  cure  assidue  dell' Aut.  —  anche  tipogra- 
ficamente appaia  più  corretta. 

F.  Baldasseeoni 


*  V.,  a  questo  proposito,  le  osservazioni  del  Salvemini  (loc.  cit.,  p.  113,  nota). 

•  Cfr.  la  recensione  del  R.  in  Giornale  Storico  della  Utt.  IL  Voi.  XXXÌX  (1902),  p.  416. 
3  Alcune  ne  ha  notate  il  Salvemini  nella  recensione  cit. 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  13 


Leandro  Biadene.  —  Il  Libro  delle  tre  Scritture  e  i  Volgari  delle 
False  Scuse  e  delle  Vanità  di  Bonvesin  da  la  Riva.  —  Pisa,  En- 
rico Spoerri,  1902  (8^  pp.  XXXVIIM13). 

In  questo  volume  il  Biadene  pubblica  le  poesie  di  Bonvesin 
da  Riva,  che  conservava  ancora  inedite,  fino  a  poco  tempo  fa,  il 
noto  cod.  Ambrosiano  T,  10  sup. ;  e  cioè  tutte  le  poesie  ch'erano 
rimaste  inedite  del  fecondo  verseggiatore  lombardo,  ad  eccezione 
della  Vita  di  San f  Alessio,  che  si  trova  in  un  altro  Ambrosiano  e 
della  quale  finora  non  venne  comunicata  al  pubblico  che  solo  una 
parte.  E  noto  che  i  medesimi  testi  furono,  qualche  tempo  prima  che 
dal  Biadene,  pubblicati  da  Vincenzo  de  Bartholomaeis,  nei  Documenti 
di  Storia  letteraria  della  nuova  e  benemerita  Società  filologica  ro- 
mana. Come  l'incontro  dei  due  romanisti  sia  avvenuto  non  sappiamo 
e  non  importa  di  sapere,  ma  si  può  con  sicurezza  afi^ermare  che  le 
conseguenze  non  ne  sono  state  dannose  per  Bonvesin;  giacché  il 
Biadene,  che  all'  uscire  del  primo  fascicolo  dell'  edizione  del  de 
Bartholomaeis  si  trovava  ad  aver  già  stampato  la  sua,  fu  indotto  a 
una  nuova  revisione  del  manoscritto,  del  cui  risultato,  benché  si 
riduca  ad  assai  poco,  rende  conto  in  fine  del  volume,  e  a  compilare 
il  Lessico  de'  suoi  testi,  del  quale  aveva  prima  creduto  di  poter 
fare  a  meno.  Abbiamo  dunque  davanti  a  noi  un'  edizione  delle 
pili  accurate  e  nel  tempo  stesso  delle  meglio  illustrate. 

Il  pili  importante  e  il  più  esteso  dei  tre  poemetti,  editi  nel 
volume,  è  il  Libro  delle  tre  Scritture,  diviso  naturalmente  in  tre 
parti  :  «  la  Scrittura  negra,  che  tratta  della  nascita,  vita  e  morte 
«dell'uomo  e  delle  dodici  pene  infernali;  la  Scrittura  rossa,  che 
«  narra  la  Passione  di  Cristo  ;  la  Scrittura  o  Lettera  dorata,  che 
«  descrive  le  dodici  glorie  del  Paradiso  ».  Segue  il  Volgare  delle 
false  scuse,  che  gli  uomini  adducono  per  trovare  un  pretesto  di 
non  seguir  la  virtù  ;  e  il  Volgare  delle  Vanità,  il  quale,  come  dice 
da  sé  il  titolo  del  cod.  T,  10,  Como  le  vanitade  deno  fi  despresiade, 
mostra  che  pazzo  e  cieco  è  l' uomo  il  quale  si  assottiglia  per  af- 
ferrare un'ombra,  che  tosto  dilegua,  cioè  i  vani  beni  del  mondo. 

Questa  che  son  venuto  indicando,  è  la  divisione  del  Biadene. 
Ma  non  è  da  tacere  che,  secondo  il  de  Bartholomaeis,  invece,  i  tre 
poemetti  si  ridurrebbero  a  due,  giacché  il  secondo,  ossia  il  Volgare 
delle  false  scuse,  non  sarebbe  che  una  continuazione  del  primo  e 
farebbe  quindi  parte  integrante  della  terza  parte  di  esso,  la  Lfit- 


14  ÌAS9BONA   BIBLIOGRAFICA 

tera  dorata.  Quale  dei  due  editori  abbia  coito  nel  segno  non  è 
COSI  facile  decidere.  La  contiguità  delle  due  parti  nel  codice  prova 
poco,  anche  perché  in  esso  le  tre  Scritture  sono  separate  l' una 
dall'altra,  per  mezzo  di  altre  poesie  frapposte,  e  prima  di  tutte 
ricorre  l'ultima,  la  Scrittura  dorata;  ma  parrebbe  invece  provare 
in  favore  del  de  Bartholomseis  la  convenienza  dell'ultima  quar- 
tina del  poemetto  con  la  prima  del  Volgare  delle  false  scuse. 
La  quartina  di  chiusa  suona  cosi: 

Oy  Deo,  corno  queUo  è  mato,  cativo  e  agamone 
ke  perde  cotale  tbexoro,  trovando  excusatione! 
comò  quello  è  prode  e  savio,  corno  quello  è  barone, 
ke  per  ben  fare  aqnista  el  grande  possessione  ! 

E  l'altra: 

Molti  bomini  in  questa  vita  se  dano  excusatione 

ke  elli  seraveno  boni,  ma  dixeno  cbe  non  pono, 

perzò  che  avere  non  voleno  brega  né  passione. 

Oy  Déo,  comò  quìlli  sono  mati  cbe  troveno  tale  caxonel 

Osserva  però  giustamente  il  Biadene  che  Bonvesin  poteva, 
cominciando  il  nuovo  poemetto,  avere  in  mente  1'  ultima  strofa 
di  quell'altro  suo  lavoro;  e,  a  dire  il  vero,  non  è  cosi  ricco  il 
materiale  linguistico  e  fraseologico  di  cui  dispongono  codesti  au- 
tori, né  cosi  ferace  la  loro  fantasia  che  noi  dobbiamo  maravigliarci 
se  tratto  tratto  si  ripetono  quasi  colle  medésime  parole.  Ed  è  pure 
verissimo  che  fra  i  componimenti  di  Bonvesin  si  riscontra  di  solito 
un  legame  logico  assai  stretto,  senza  che  ciò  importi  una  vera  e 
propria  continuità.  A  me  pare  infine  che  se  si  guardi  attenta- 
mente, la  strofa  di  chiusa  del  Libro  delle  tre  Scritture  si  dimostra 
scritta  quando  ancora  il  poeta  non  pensava  ad  affibbiare  a  questo 
nessuna  appendice;  non  solo  perché  essa  ha  veramente  l'aria  di 
una  chiusa,  ma  soprattutto  perché,  se  il  poeta  avesse  avuto  in 
animo  di  proseguire  col  Volgare  delle  false  scuse,  avrebbe  proba- 
bilmente invertito  l'ordine  dei  versi,  ponendo  per  ultimi  i  due 
primi,  com'  era  facile  e  naturale. 

Questo  è  un  piccolo  argomento,  ma  assai  più  valido  parrà  quello 
del  Biadene,  che  Bonvesin  nel  Prologo  del  poemetto,  benché  esponga 
tutta  la  contenenza  delle  tre  parti  di  esso,  alla  Scrittura  dorata 
non  assegna  altro  tema  che  di  parlare  «  de  la  corte  divina,  Zoe  de 
«  le  dodexe  glorie  de  quella  terra  fina  ».  Lo  stesso  può  dirsi  anche 
del  prologo  speciale  della  Scrittura  dorata.  E  resta  finalmente 
un'altra  osservazione  da  fare,  in  favore  del  Biadene.  La  Scrittura 
negra  comincia  con  due  capitoli,  I)e  la  nasione  de  Votno  e  De  h 


DELLA  LETTERATURAITALIANA  15 

morte  de  Tomo,  i  quali  formano  come  un'introduzione  generale  a 
tutto  il  poemetto:  si  tratta  della  vita  terrena  prima  di  descrivere 
r oltreterrena.  Ma  il  terzo  capitolo,  De  la  pena  Ice  ha  l'omo  quando 
el  more,  il  quale  discorre  soprattutto  della  morte  del  peccatore,  e  il 
quarto  ed  ultimo,  De  le  dodexc  pene  de  lo  wferno,  hanno  i  loro  na- 
turali contrapposti  nei  due  capitoli  che  compongono  la  Scrittura 
dorata,  cioè  De  zò  he  vene  al  insto  quando  elio  more,  e  quello,  sud- 
diviso in  paragrafi  minori,  'delle  dodici  glorie'.  Non  resta  dunque 
nessun  posto  per  un'aggiunta  o  un' appendice,  se  si  voglia  aver 
qualche  riguardo  a  quella  simmetria  delle  varie  parti  del  poemetto, 
che  doveva  parer  necessaria  anche  a  un  povero  artista  come  Bon- 
vesin,  e  che  il  de  Bartholomaeis  cercò  di  dimostrare  anche  più  com- 
plicata e  più  cosciente  che  in  realtà  non  sia.  Unendo  il  Volgare 
delle  false  scuse  col  poemetto,  si  sciupano  le  proporzioni  di  questo, 
e  si  toglie  parte  della  sua  efficacia  alla  descrizione,  con  cui  si 
chiude,  delle  glorie  celesti. 

Un'osservazione  del  de  Bartholomseis  parrebbe  fornirci  un 
punto  di  partenza  per  datare  con  qualche  sìcxxrezzo.  W  Libro  delle 
tre  Scritture.  Due  versi  di  esso  furono  introdotti,  senza  cambiarne 
il  metro,  da  Pietro  da  Barsegapé  nel  suo  Sermone;  e  questo  es- 
sendo stato  compiuto,  come  è  noto,  l'anno  1274,  il  poemetto  di 
Bonvesin  risulterebbe  di  qualche  tempo  anteriore,  e  sarebbe  cioè 
stato  composto  da  lui  negli  anni  della  sua  giovinezza.  Il  Biadene 
propende  ad  accogliere  questa  deduzione  del  de  Bartholomaeis  e 
anzi  la  conforta  di  qualche  nuova  prova,  scovando  a  sua  volta 
nel  Sermone  altri  piccoli  riscontri  col  poemetto  di  Bonvesin;  ma 
poi  gli  viene  il  sospetto,  non  più  che  il  sospetto,  che  queste  ul- 
time piccole  imitazioni  apparenti  si  devano  all'averci  due  autori 
seguito  una  fonte  comune,  e  che  invece  i  due  alessandrini,  indi- 
cati dal  de  Bartholomseis,  sieno  stati  introdotti  nel  codice  del 
Barsegapé  dal  suo  tardo  copista.  Lo  stesso  copista  avrebbe  intro- 
dotto più  oltre,  da  una  fonte  ignota,  altri  quattro  alessandrini 
(vv.  2131-34)  «che  non  sembrano  collegarsi  troppo  bene  cogli  ot- 
«  tonarj  o  novenarj  frammezzo  a  cui  essi  pure  sono  collocati  ». 

Che  il  Biadene  voglia  mostrarsi  molto  circospetto  nel  difen- 
dere il  Barsegapé  dall'  accusa  di  plagio,  è  troppo  naturale,  cre- 
dendo egli  provata  la  capacità  a  delinquere  dell'  oscuro  poeta 
meneghino,  pei  numerosi  furti  che  gli  si  attribuiscono,  commessi 
a  danno  del  Libro  di  Ugu^on  da  Laodho.  Il  Barsegapé  sarebbe 
dunque  recidivo.  Ma  se  si  trattasse  d' un'ingiusta  accusa?  Io  stesso 
tenterò  la  revisione   del   primo  processo,  in  altro  fascicolo  della 


16  RASSEGNA   BIBLIOORAFIGA 

Rassegna;  ma  'supponendo  fin  d'ora  che  gli  argomenti  da  me 
esposti  riescano  almeno  a  suscitare  gravi  e  fondati  dubbj  sul  va- 
lore delle  prove  addotte  prima  contro  il  Barsegapé,  non  dovremmo 
andar  molto  guardinghi  anche  nell'accogliere  le  nuove  accuse? 

Intanto,  dei  due  alessandrini  comuni  a  Bonvesin  e  al  Barse- 
gapé (Bonvesin,  Scrittura  rossa  47-48,  Barsegapé  1534-35)  mi  sem- 
bra agevole  giudicare;  ossia  il  sospetto  del  Biadene  è  per  me 
quasi  una  certezza:  cercherò  di  dimostrare  per  tutti  i  versi  di 
Uguccione,  che  si  trovano  inseriti  nel  poemetto  milanese,  che  an- 
ch' essi  sono  un'  aggiunta  di  un  tardo  copista,  E  probabilmente 
ha  ragione  il  Biadene  anche  pei  quattro  alessandrini  d'ignota 
provenienza. 

Riguardo  poi  agli  altri  versi,  indicati  dal  Biadene,  dove  l'ac- 
cordo del  Barsegapé  con  Bonvesin  riesce  evidente,  io  credo  molto 
difficile  dimostrare  che  si  tratti  d'interpolazioni,  ma  cerco  invano 
una  prova  qualsiasi,  la  quale  mi  faccia  parer  più  verosimile  che 
l'imitatore  sia  il  Barsegapé  e  non  invece  Bonvesin.  Direi  anzi 
che  riesce  subito,  a  chi  guardi  con  qualche  attenzione,  molto  ve- 
rosimile il  contrario.  Il  Barsegapé  descrive  la  Passione,  tenendosi 
stretto  al  Vangelo  di  Matteo,  e  solo  aggiungendo  qua  e  là  alcuni 
particolari  da  Luca  e  Giovanni:  ogni  parola  di  lui  si  può  quasi 
dire  che  abbia  la  sua  ragione  e  la  sua  fonte  nel  testo  sacro.  Il 
poemetto  di  Bonvesin,  dove  invece  poco  si  dice  dei  fatti  e  non 
ad  altro  si  mira  che  ad  insistere,  con  monotone  variazioni  e  ri- 
petizioni dello  stesso  motivo,  sugli  oltraggi  e  i  dolori  inflitti  a 
Gesù,  non  poteva  riuscire  al  Barsegapé  di  nessun  vantaggio  ; 
mentre  il  Barsegapé  se  non  altro  forniva  a  Bonvesin  una  traccia 
pel  racconto.  Non  mi  maraviglierei  se  questi  avesse  imitato  dal- 
l'altro qualche  frase  che  ricordava:  mi  maraviglierei  invece  se 
il  Barsegapé,  che  seguiva  passo  passo  il  Vangelo,  fosse  ricorso  a 
Bonvesin  per  le  parole  di  Pilato  «  eo  no  volio  esser  colpado  In  lo 
«  sangue  de  questo  hom  »  (vv.  1528-59),  che  traducono  S.  Matteo: 
«  Innocens  ego  sum  a  sanguine  insti  huius  »;  o  per  la  descrizione 
degli  ultimi  istanti  di  Gesù,  che  proviene  da  S.  Giovanni: 


E  la  soa  testa  s'inclinòe 
e  da  beve  si  gè  domandòe. 
E  nn  deli  ^udei  fo  tosto  acorto, 
axeo  con  fere  el  g'ave  sporto; 
e  quando  el  n'ave  ben  cercao 
ali  (udei  disse:  'l'è  consuraao '. 


DBLLA   LETTERATURA   ITALIANA  17 

Questi  due  passi  nel  Barsegapé  sgorgano  spontanei,  e  colla  loro 
nuda  semplicità  mostrano  che  l'ingenuo  verseggiatore  non  pen- 
sava che  a  rendere  come  meglio  sapeva  il  Vangelo  ;  mentre  Bon- 
vesin  dà  loro  una  forma  artificiosa  e  contorta,  e  del  Vangelo  non 
segue  che  le  lìnee  più  generali.  Infine,  si  capisce  che  Bonvesin, 
il  quale  andava  in  caccia  di  adornamenti  e  di  frasi,  togliesse  al 
Barsegapé  un'  espressione  come  «  le  carne  quaxe  pariveno  si  negre 
«  comò  coldera  »  ;  ma  si  capisce  meno  che  il  Barsegapé,  se  gli 
fosse  venuto  in  mente  di  prendere  da  lui  qualche  cosa,  ne  avesse 
preso  COSI  poco. 

Col  SUO  poemetto,  Bonvesin  viene  ad  aggiungersi  alla  serie, 
già  abbastanza  lunga,  dei  cosiddetti  precursori  di  Dante;  ma  mi 
guarderei  bene  dall' attribuirgli  soverchia  importanza.  Anch' egli, 
come  la  maggior  parte  di  codesti  precursori,  serve  a  far  numero, 
ma  non  ha  un  suo  significato  individuale,  non  aggiunge  alcun 
particolare  veramente  nuovo  alle  nostre  cognizioni,  non  diminuisce 
d'un  millimetro  l'immensa  distanza  che  corre  fra  codesta  massa 
incomposta  di  oscuri  tentativi  e  il  Poema  sacro.  Non  è  neppur 
facile  trovarvi  riscontri  tali  di  concetto,  che  possiamo  servircene 
per  illustrare  qualche  verso  della  Divina  Commedia  o  per  indicare 
la  lontana  origine  di  qualche  imaginazione  di  essa:  chi  non  voglia 
ricordare  le  catene  di  cui  vengon  cinti  nell'Inferno  i  peccatori,  le 
quali  son  tante  di  numero  quanti  sono  i  peccati  di  questi  (1, 571): 

con  tanti  mortali  peccati  corno  more  el  peccatore, 
con  tante  cadene  gè  ligano  le  membre  con  dolore; 

o  certi  tipi  di  tormenti,  che  ricorrono  anche  nelle  altre  leggende 
0  composizioni  consimili,  ma  qui  sono  descritti  con  molta  com- 
piacenza e  larghezza.  ^ 

Del  valore  poetico  di  Bonvesin  non  è  il  caso  di  parlare:  egli 
non  è  troppo  superiore  a  quei  suoi  poco  più  vecchi  colleghi  lom- 
bardo-veneti, che  dai  loro  monotoni  strumenti  non  sanno  trarre 
suppergiù  che  un  solo  e  identico  suono.  Nemmeno  in  lui  nulla 
che  s'avvicini  alla  varietà  e  alla  vivacità  dell'unico  poeta  del- 
l'Alta Italia,  che  sia  meno  indegno  di  questo  nome,  l'Anonimo 
genovese.  Senza  dubbio  non  mancano  in  Bonvesin  motivi  poetici 


1  II  verso  di  Dante,  che  si  riferisce  all'angelo  nocchiero  del  Pnrgatorio,  sedente  a  prora, 
e  Tal  che  farla  beato  pur  descritto  »,  pnò  avere  una  specie  di  commento  in  alcune  strofe  di 
Bonvesin,  dove  molto  prolissamente  si  svolge  il  concetto  che  la  vista  d'  un  angelo  baste- 
rebbe a  rendere  beato  un  nomo,  anche  in  mezzo  ai  tormenti. 


18  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

e  frasi  robuste,  che  possono  rendere  più  sopportabile  l'inesperienza 
di  quell'arte  primitiva;  senonché,  come  avviene  anche  negli  altri, 
di  solito  sono  motivi  tradizionali  e  frasi  trovate  già  pronte  o  nei 
testi  biblici  o  nelle  leggende  anteriori.  Ma  Bonvesin  è  un  uomo 
colto,  che  sa  di  molte  cose  e  soprattutto  sa  di  latino:  e  degli 
insegnamenti  retorici,  che  s'impartivano  alla  scuola  di  latino,  egli 
cerca  di  fare  suo  prò  anche  nella  poesia  volgare;  donde  proviene 
certa  esteriore  ricercatezza,  che  ne' suoi  versi  contrasta  talvolta 
curiosamente  con  la  rozzezza  dell'insieme,  e  si  esplica  soprat- 
tutto in  giochi  di  parole,  come:  «  Plurando  se  torzeva,  torzando 
«se  plurava,  Pianzeva  sospirando,  pianzando  suspirava  »  Libro 
de  le  ire  Scritture  II  242  sg.,  «  e  gloria  dolcissima  e  dolceze  glo- 
«  rioxe  »  III  42,  «  oy  festareza  gloria,  oy  gloriosa  festa  »  111  349, 
«  angossoxa  angustia  »  I  900,  «  angustievele  angustia  »  901,  e  altri 
consimili. 

Con  queste  ricercatezze  stilistiche,  alla  cui  seduzione  non  sfuggi 
neppur  Dante,  sono  affini  certe  ricercatezze  di  simmetria  esteriore, 
e  fra  queste  annovero  anche  e  in  primo  luogo  la  tripartizione  del 
poemetto  delle  Tre  Scritture;  dove  Bonvesin  tenta  di  innalzare  ad 
un  concetto  artistico  di  dipendenza  e  di  contrapposizione  quel- 
l'ordine per  motivi  evidenti  quasi  necessario,  in  cui  trovava 
disposti  in  altre  leggende  e  libri  ascetici  i  suoi  tre  argomenti: 
Peccato  ossia  Inferno,  Passione  di  Gesù  Cristo,  Salvazione  ossia 
Paradiso.  Colla  tripartizione  del  Poema  dantesco  tutto  ciò  non 
ha  nulla  che  fare;  ma,  insieme  con  altre  preziosità,  come  sarebbero 
le  volute  corrispondenze,  osservate  dal  Biadene,  fra  il  primo  ca- 
pitolo della  Scrittura  dorata  e  il  terzo  della  Scrittura  negra,  e  un 
po' anche  l'artificiosa  disposizione  delle  rime  nelle  prime  cinque 
quartine  del  Volgare  delle  Vanità,  ricorda  piuttosto  i  sapienti  e 
artistici,  e  talvolta  anche  troppo  raffinati  congegni  di  decorazione 
esterna,  che  Dante  ha  imaginato  nel  suo  poema  e  soprattuttto 
nel  Purgatorio. 

L'  edizione  che  il  Biadene  ha  fatto  dei  tre  componimenti  di 
Bonvesin  è  tale  da  contentare  le  più  severe  esigenze,  e  un  ottimo 
contributo  agli  studj  dialettologici  è  l'ampio  Glossario  di  cui  ha 
voluto  corredarla.  I  passi  difficili  o  anche  affatto  incomprensibili 
non  mancano  in  queste  poesie;  ma  di  solito  il  Biadene  ha  tro- 
vato per  essi  la  spiegazione  giusta  o  almeno  una  spiegazione  so- 
disfacente. Assai  poco  saprei  suggerire  di  nuovo  io  stesso  per  il 
miglioramento  o  l'intelligenza  del  testo;  e  non  molte  ne'  molto 
importanti  osservazioni  potrei  fare  intorno  al  Glossario.   Ciono- 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  19 

nostante  raccolgo  qui  in  fine  le  note,  che  son  venuto  facendo 
via  via  nella  lettura,  perché  sou  persuaso  che  specialmente  nella 
critica  e  nell'esegesi  dei  testi  ogni  pruno  fa  siepe. 

Testo.  Libro  delle  tre  Scritture,  I  9:  e  sembra  un'erronea  aggiunta 
di  un  copista,  che  non  intese.  —  163  rari:  non  sarà  da  risalire  ad  un 
Wati,  per  Wanti  erranti  ?  Cfr.  qui  Glossario,  s.  atantare.  —  311  pur  de 
una  sola  gota  non  volefi  ivtexo,  cioè,  forse:  il  peccatore  non  sarà  in- 
teso, esaudito  nemmeno  di  una  scintilla,  vaie  a  dire  nemmeno  tanto 
da  esser  arso  da  una  scintilla  di  meno.  Ma  si  potrebbe  anche 
sospettare  che  sia  da  legare  insieme  pare  uno  cayro  aprexo  Pur 
de  ima  sola  gota,  acceso  da  un'  unica  fiamma.  E  non  vale  fi  intexo 
starebbe  da  sé,  legandosi  piuttosto  col  verso  seguente.  —  461  :  Tei 
intenda  a  ki  el  piaxe,  sarà  da  leggere  ice  int.,  ecc.,  ed  è  quindi  una 
delle  solite  frasi,  riguardanti  in  apparenza  l'uditorio,  ma  che  in 
realtà  non  sono  che  zeppe,  volute  dal  verso  e  dalla  rima.  Pel 
senso  equivale  a  M  lo  vole  sapere  isi  lo  sapia  del  v.  771,  o  anche 
a  s'el  è  cìiy  volia  odire  di  III  466.  —  478  Sono  i  demonj  che 
hanno  allegrevole  core:  cfr.  Ili  346.  —  599-600:  a  tuta  fiada  an- 
gustio va  unito  con  ciò  che  precede,  cioè  angustio  se  appena  mi 
tocchi  una  goccia  d'acqua  bollente.  Il  poeta  aggiunge  a  dirve  lo 
motto,  ossia  forse  a  dirvelo  in  uno  m.  —  665:  virgola  dopo  questo 
verso;  il  Ice,  con  cui  comincia  il  verso  seguente,  dipende  da  de- 
lengua  lo  misero  de  sede.  —  667  Non  va  l'interpretazione  proposta 
in  nota:  il  complemento  di  inspemano  è  lo  bronzo  colado,  quan- 
tunque l'autore,  se  fu  l'autore,  dimenticandosene,  abbia  aggiunto 
gè  fi.  —  735-36:  intenderei,  un  po' arditamente,  se  si  vuole:  male 
abia  là  me  gè  mise  (in  questo  reo  letto),  con  pene  cosi  angosciose, 
conto  el  me  è  stravixo,  come  ho  anche  troppo  provato!  Il  ])oeta 
doveva  dire  corno  el  me  è  vixo  o  devixo,  ma  la  frase  era  troppo  lan- 
guida, e  l'ha  rinforzata,  foggiando  uno  stravixo.  —  771:  soppri- 
merei la  prima  parte  della  nota;  cfr.  qui  al  v.  461.  —  887.  Met- 
terei punto  dopo  drudo  e  morbio,  e  intenderei  onde  debio  fueire 
come  un'interrogazione,  corrispondente  a  quella  del  v.  879,  gue 
debio  fare,  mi  lasso?  e  del  v.  895  unde  son  yo  mo  venuto?  —  II  40. 
Metterei  un  interrogativo  in  fine  di  questo  verso,  come  ha  fatto 
il  de  Bartholoraaeis.  —  75.  Il  verso,  che  manca  nel  cod.  seguito, 
suona  nel  cod.  N.  95:  de  scergne  che  gen  fiva  aquella  zente  mastina. 
Non  vedo  bene  perché  al  B.  esso  non  paja  accordarsi  col  resto 
della  strofa;  ma  bisogna  però  intendere  il  de  come  un'esclama- 
zione, e  come  esclamativo  tutto  il  verso.  —  358  lo  terzo  di  sera 
lo  meo  resuscitarne nto.  Mi  sembra  afi'érmazione  troppo  categorica 


20  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

quella  del  B.  che  si  pronunciasse  resustamento.  E  perché  non  sup- 
porre che  sia  aggiunto  meo?  —  III  121  ma  el  gè  è  strabello  tem- 
porerio  e  mirabele  temperanza.  Questo  verso,  che  per  la  sua  lun- 
ghezza ricorda  quelli  del  Marchese  Colombi,  esige  qualche  cor- 
rezione; ma  invece  di  mutare  il  legittimo  temporerio  in  temporio, 
che  si  trova  al  v.  184,  cancellerei  piuttosto  mirabele,  e  anzi  forse 
sostituirei  temporerio  anche  nel  v.  184,  cancellando  stradulcissima. 
—  Volgare  delle  false  scuse,  160:  è  un  verso  difficile.  Forse  il  senso 
si  compie  col  verso  precedente:  quanto  più  il  corpo  patisce,  tanto 
più  grande  letizia  l'anima  deve  attendersi.  Poscia  il  poeta  si  ri- 
volge al  supposto  uditorio:  ki  el  sa  vedere,  da  Beo,  stagando  in 
bona  via?  Chi  sa  veder  ciò,  in  nome  di  Dio!  seguendo  sempre  la 
via  diritta?  —  261  sgg.  Capisco  poco  bene  questa  quartina;  ma 
forse  basta  sopprimere  il  ke  iniziale  del  secondo  verso,  e  spiegare 
il  tutto  cosi:  Non  v'è  uomo  al  mondo,  il  quale,  se  rifletta,  per 
acquistare  un  tesoro  assai  maggiore,  quasi  sgomentandosi  (della 
propria  stoltezza),  non  si  induca  a  rendere  il  mal  tolto.  Ma  con- 
vengo che  è  un  concetto  poco  chiaro  e  malamente  espresso.  Forse 
il  meglio  è  risolversi  a  sopprimere  anche  il  non  del  secondo  verso 
(restituire  il  numero  voluto  di  sillabe  sarebbe  facilissimo),  e  in  tal 
caso  tutto  diventa  chiaro:  nessuno  può,  riflettendoci,  impaurirsi 
di  rendere  il  mal  tolto,  per  acquistare  assai  più  di  quello  che  perde. 
Glossario.  —  Non  mi  indugio  in  questioni  linguistiche  e  mi 
contento  di  indicare  qualche  modificazione  o  qualche  aggiunta. 
abraxamento  '  bruciamento,  incendio  '.  Ma  è  in  senso  figurato, 
'cruccio'.  —  asmoreare,  ma  anche  smorsare  1  130.  —  atantare: 
Li  vermi  più  te  aspectano  in  guanto  più  te  atanti  In  grassa  e  in 
drueza:  in  quanto  più  ti  lasci  tentare  dalla  grascia,  ecc.,  tradur- 
rebbe il  B.,  ma  sarebbe  uso  piuttosto  strano.  Il  nostro  atantar 
non  significherà  invece  '  indugiare  -si  ',  come  per  es.  il  suo  pa- 
rente bestentar?  Certo,  atento  per  'attesa'  si  trova.  Ma  allora  il 
meglio  non  sarebbe  metter  punto  dopo  tantar,  e  sopprimer  la 
virgola  dopo  drueza?  —  attastare  tastare,  cfr.  pel  significato 
tantar.  —  biassare  '  contorcere,  stravolgere,  Flechia  biaxo,  ecc.  '. 
Manca  il  rimando,  ma  se  si  allude  al  v.  I  558,  credo  sia  da  in- 
tendere  diversamente.  I   diavoli  lacerano   i  peccatori  a  membro 

a  membro con  le  grampe  e  con  li  dentoni:  Li  biasseno  e 

li  segulieno  e  li  nizeno  con  bastoni,  cioè  '  li  biascicano  '.  Non  cor- 
risponde adunque  al  genov.  sbiasciu,  ma  al  genov.  giascià;  e 
del  resto  l'ant.  biaxar,  prov.  biaisar  ecc.,  non  mi  pare  possa 
avere  il  senso  che  il  B.  gli  farebbe  assumere.  —  bozoli  '  pruni, 


DfiLLA   LETTERAtUllA   ITALIANA  21 

sterpi  '.  Il  B.  vorrebbe  unirlo  col  prov.  hozóla  termine,  limite,  e 
afferma  vi  si  deva  riconoscere  il  tema  hot-.  Non  pare,  poiché  si 
deve  piuttosto  risalire  a  qualcosa  come  6occ20,  cfr.  Salvioni,  Dialetto 
d'Arbedo  16,  Cavassico  357  sgg.,  Parodi,  Arch.  glott.  XVI  117.  — 
cadiva  sarebbe  per  cadita  caduta,  come  compiva  per  compita,  e  può 
essere;  ma  il  medievale  cadivus,  servus  e.  servo  epilettico,  mi  su- 
scita in  mente  dei  dubbj.  —  cayro:  vorrebbe  leggere  caiì/ró:  sa- 
rebbe dunque  un  pretto  provenzalismo?  —  collecto  'latinismo': 
certo,  per  l'ortografia,  ma  probabilmente  non  già  per  sé  stesso, 
cfr.  l'od.  genov.  aJciigeitu,  ecc.  —  comprema  comprima  (cioè  opprima) 
III  674  :  anche  li  379,  eh'  è  forse  esempio  migliore  e  basta,  se  non 
erro,  a  distruggere  il  dubbio  che  il  B.,  esprime  sotto  comprexo,  a 
proposito  dell'esempio  suo  proprio.  —  confondnto  1  593  vale  a  un 
dipresso  '  malnato,  maledetto  '.  —  degno  '  degnato,  dato  ':  meglio 
'  dovuto  ',  me  è  degno  mi  spetta.  —  deporto,  reo  d.  tormento.  Sa- 
rebbe da  ricordare  anche  il  semplice  deporto  II  294,  che  ha  il  senso 
generico  di  '  condizione,  stato  '.  Nondimeno,  in  senso  buono,  senza 
aggettivo,  si  trova  III  412,  ma  glorioso  d.  Ili  10,  ecc.;  cfr.  straniero. 
—  desvegnire:  per  l'es.  di  I  688  è  forse  piuttosto  da  confrontare 
il  senso  di  desvenuto;  cfr.  anche  I  883:  tuto  me  desvegno  '  vo  tutto 
a  male'.  —  indizine:  aggiungi  che  è  maschile.  —  manco:  credo 
valga  '  monco  ',  come  il  genov.  mankéttu,  e  cfr.  Korting  Et.  W. 
5867  —  podere:  si  doveva  ricordare  il  senso  speciale  che  ha  I 
304,  549,  580,  867,  III  13  ecc.;  e  un'osservazione  consimile  può 
farsi  per  volere.  —  predicare:  manca  l'indicazione  dell'esempio 
forse  più  notevole,  Q  100:  e  tu  a  quello  exemplo  deverissi  essere 
predicato,  cioè,  forse^  '  edificato  '.  —  pregno  '  I  703,  restio,  ri- 
troso? '  Ma  c'è  anche  un  altro  esempio,  Q  84,  e,  data  la  diffi- 
coltà di  capire  il  primo,  è  bene  ricordarli  tutti  e  due.  Pel 
secondo,  l'interpretazione  del  B.,  data  in  nota,  mi  sembra  si- 
cura: il  ricco  ha  già  avuto  il  suo  sulla  terra:  il  misero  è  com- 
pensato colla  gloria  del  cielo,  il  quale  è  il  buon  frutto  che  lo 
rende  pregno,  sazio,  sodisfatto.  Se  cosi  è,  bisogna  risolversi  ad 
ammettere  il  medesimo  significato  anche  pel  primo  esempio;  e 
cioè  conviene  rinunciare  alla  punteggiatura  che  il  B.  adotta  nel 
testo,  e  al  senso  che  propone  nel  Glossario,  per  dar  la  preferenza 
alla  punteggiatura  e  al  senso  che  propone  in  nota:  perzò  che  era 
pregno  (sazio  di  piaceri  mondani,  felice  sulla  terra)  Non  trovo  qui 
niente  he  non  me  sia  malegno.  —  regoroxo,  in,  '  sregolatamente?' 
Al  B.  pare  il  contrario  di  a  regoloso,  che  ricorre  in  un'  altra  poesia 
inedita;  ma  sembra  che  invece  sia  la  stessa  cosa.  Dice  il  poeta: 


22  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

la  rota  (delle  vicende  umane)  non  ha  stato,  va  sempre  in  regoroxo, 
cioè  sempre  al  suo  modo,  secondo  la  sua  direzione:  cfr.  il  lat. 
rigor,  e  anche  rigorare.  Il  de  Bartholomseis  intende  '  incessan- 
temente '  e  potrebbe  anche  stare.  —  screvoroxo  credo  col  de 
Bartholomseis  sia  proprio  il  riflesso  popolare  di  scrofoloso.  — 
sentilla:  o  il  passo  è  guasto  o  non  dubiterei  aifatto  che  si  tratti 
di  '  scintilla  '.  Cfr.  il  de  Bartholomeeis,  al  quale  mi  avvicino,  in- 
tendendo: l'usura  è  mala  scintilla,  di  cui  avvampa  il  cuore  del 
peccatore,  impedendogli  di  rendere  il  mal  tolto.  —  squatarare:  il 
\h. squataràse  sciarrarsi,  vive  nel  genovese.-  volere:  può  ricordarsi 
anche  voya  sia  che  I  42.  —  ^anio  buffone:  perché  una  sola  ci- 
tazione, mentre  ce  ne  sono  altri  tre  esempj,  I  803,  III  15,  356?  — 
vernai  170:  non  sarà  errato?  Si  potrebbe  pensare  a  mena,  corno 
quella  è  soza  mena!  E  il  lapsus  zema  sarebbe  spiegato  dal  fatto 
che  il  vocabolo  precedente  finiva  con  za. 

Fra  i  vocaboli  che  mancano  nel  Glossario,  ricorderò,  a  tacere 
di  alcune  congiunzioni  composte:  (scuse  vane  e)  casse  Q  264,  ca- 
xamenti  I  157,  conquixo  Q  37  e  altrove,  eroda  cade  R  2,  damnoxo, 
in  senso  passivo,  I  68,  declina  inclina  II  254,  dormilia  Q  249,  fo- 
letto  diavolo  I  523,  ghignare  I  504  e  ghigni  I  523  ecc.,  impiliar 
Q  250,  impastrulia  R  17,  mane  mano  I  544,  Q  92  (si  dà  solo  la 
frase  per  mane  subito;  cfr.  per  mano  R  104),  masselli  {de  ferro)  1 
584,  e  cfr.  desmassati  ib.  585,  mettere  (nelle  frasi  mettere  per  niente 
III  388,  de  lo  assay  non  mete  cura  Q  272),  peria  perduta  II  366, 
presente  davanti,  R  16,  puza  cosa  puzzolente  II  196,  sana,  richcza 
s„  I  112  (anima  s.  salva  I  723),  sonare  dirsi  II  82,  stramitude  I 
495,  499,  520,  toro  tronco  III  20,  via  (nella  frase  a  tuta  via  II  45, 
cfr.  a  tuta  fiada,  s.  fìada),  ecc. 


E.  G.  Parodi. 


DKLLA   LETTERATURA   ITALIANA  23 


Giuseppe  Lisio.  —  Varie  del  periodo  nelle  opere  volgari  di  D. 
Alighieri  e  del  sec.  XIII.  —  Saggio  di  critica  e  di  storia  let- 
teraria. —  Bologna,  Zanichelli,  1902  (8.^  pp.  VlII-240). 

E  libro  fortemente  pensato,  frutto  di  lunghe  assidue  fatiche 
e  di  delicato  e  provato  intelletto  d'arte,  scritto  con  vivezza  ed 
eleganza  rara:  un  libro  veramente  degno  dell'ingegno  e  degli 
studj  dell' A. 

L'intendimento  del  quale  -  per  dirlo  con  le  sue  stesse  parole  - 
è  «  di  fermare  la  prima  pietra  di  una  critica  della  forma,  che  non 
«  comprende  già  una  lingua  o  una  letteratura,  ma  uno  scrittore 
«solo  ne' rapporti  co' contemporanei  e,  possibilmente,  con  quelli 
«che  pili  gli  si  accostano  o  più  ne  divergono  ».  Da  questa  forma, 
che  comprende  in  sé  tutta  la  bellezza  dell'  arte,  ei  trasceglie  ed 
astrae  per  ora  un  solo  elemento,  che  gli  apparisce  del  resto  cosi 
complesso  da  inchiudere  in  certo  modo  tutti  gli  altri:  il  periodo, 
«  poiché  accoglie  in  sé  l'arte  di  concepire  e  legare  il  concepito, 
«  e  concerne  intimamente  1'  abilità  di  foggiare  al  pensiero  l' e- 
«  spressione,  di  trarre  da  questa  i  più  varj  e  mirabili  effetti  ».  Son 
noti  in  proposito  i  recenti  studj  generali  del  Grober  e  particolari 
del  Vossler  sugli  elementi  stilistici  delle  opere  letterarie.  Ma  il 
Lisio,  se  concede  qualche  cosa,  qua  e  là,  in  alcune  parti  della 
ricerca,  ai  concetti  puramente  estrinseci  e  però  poco  conchiudenti 
di  quella  scuola,  si  tiene  ordinariamente  fuori  da  tali  teoriche  più  o 
meno  scientifiche  nell'  aspetto,  ma  di  nissun  valore  sostanziale,  e 
va  notando  per  un  rispetto  o  per  1'  altro  le  bellezze  o  i  difetti 
dei  periodi  danteschi:  cogliendo  costantemente  nel  segno  e  a- 
prendo  non  pochi  spiragli,  com'egli  dice  poeticamente,  nel  velo, 
che  spesso  avvolge  le  cause  e  gli  effetti  della  bellezza  formale. 

Ma  l'arte  di  Dante  nel  periodo  è  effetto  di  lavorio  incoscio 
e  spontaneo,  o  di  deliberato  proposito  ?  Il  Lisio  si  propone  sul 
principio  questa  domanda;  e  crede  dover  rispondere  che  Dante 
volle  raggiungere  certi  pregj  estetici  con  l' elaborazione  della 
forma,  osservando  che  in  varj  luoghi  delle  opere  sue  egli  ci  mostra 
chiaramente,  ora  che  era  perfettamente  consapevole  dell'  impor- 
tanza della  sintassi  nell'arte,  ora  che  si  proponeva  a  disegno 
certi  artificj  di  quella  come  mezzi  opportuni  e  adeguati  per  ap- 
propriare l'espressione  alla  materia  dell'arte. 

Onde  il  Lisio  finisce  col'  conchiudere  ricordando  il  concetto 
degli  scolastici   che  l'arte  fosse  figlia  della   natura:  e  soggiun- 


24  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

gendo  che  figlio,  benché  degenere  dell'  arte,  è  poi  l' artificio  ;  e 
che  sarebbe  meglio  immaginare  queste  tre  astrazioni,  anziché  in 
tal  relazione  di  parentela,  come  fuse  e  simili  a  un'  onda  marina 
dalle  parti  disformemente  colorate:  in  cui  si  vedono  netti  i  con- 
fini di  ciascun  colore;  ma  materia  comune  a  tutti  è  e  rimane 
l'acqua.  Fuor  di  similitudine:  il  fondamento  dell'artificio,  il  suo 
motivo,  è  il  fondamento  e  il  motivo  dell'arte:  arte  e  artificio 
sgorgano  da  una  medesima  fonte.  Il  che  è  vero:  ma  se  s'intenda 
con  moltissima  discrezione.  È  la  ricerca  dell'arte,  che  ci  trascina 
nell'artificio,  e  quindi  fuori  dell'arte:  ma  quando  l'arte  si  ricerca, 
essa  è  già  smarrita  e  non  si  troverà  più;  non  già  che  la  ricerca 
a  un  certo  punto  si  fermi  nell'arte;  e,  un  po' più  in  là  che  pro- 
ceda, precipiti  nell'artifizio. 

11  Lisio  stesso  ci  richiama  alla  mente  quel  luogo  della  Vita 
Nuova  (cap.  XIX),  in  cui  il  poeta  ci  racconta,  che  dopo  aver 
pensato  molti  di  a  Beatrice  e  a  più  degni  modi  di  lodarla,  un 
giorno  camminando  lungo  «un  rivo  chiaro  molto»,  la  sua  «  lingua 
«  parlò  quasi  come  per  sé  stessa  mossa,  e  disse  Donne  che  avete 
«  intelletto  d'amore  »;  e  il  Lisio  stesso  riconosce  nel  racconto  «  viva 
«  e  vera  la  storia  della  composizione  del  genio  »  (13).  Or  se  questa 
è  la  storia  di  ogni  composizione  artistica,  la  teoria,  il  proposito, 
la  deliberazione  del  Poeta  non  han  che  vedere  con  l' arte  viva  e 
vera  ch'egli  produce;  ma  solo  con  l'artificio.  Vero  è  bensì  che 
il  Poeta  stesso  talora  resta  vittima  come  di  un  falso  vedere,  cre- 
dendo suo  proposito  e  sua  meditata  dottrina,  antecedente  al  fatto 
dell'arte,  ciò  che  non  è  se  non  la  semplice  e  conseguente  con- 
statazione ed  espressione  de' moti  spontanei  dell'animo  suo  e 
de'  naturali  processi  della  sua  fantasia  nella  creazione  dell'  opera 
artistica.  Cosi  è  chiaro  che  si  tratta  di  una  constatazione  e  non 
di  un  proposito  nei  versi  del  Purg.  IX,  170-72  citati  dall'  A.  : 

Lettor,  tu  vedi  ben  com'io  innalzo 
la  mia  materia;  e  però  con  più  arte 
*  non  ti  meravigliar  s'io  la  rincalzo. 

Quest'avvertenza  al  lettore  segue  infatti  alla  descrizione  che 
già  egli  ha  fatto  della  visione  dell'  aquila  ne'  più  lavorati,  come 
dice  il  Lisio,  e  stupendi  periodi  che  abbia  mai  composti.  E  come 
una  sosta  che  fa  il  Poeta  a  un  certo  punto  del  quadro  che  vien  di- 
pingendo, per  gettare  uno  sguardo  di  compiacimento  alla  tela  che 
già  raccoglie  la  visione  della  sua  fantasia.  Ma  non  occorre  che 
tali  avvertenze  seguano  materialmente  :  precedano  pure  nel  verso; 
esse  seguono  sempre  nello  spirito  per  lo  meno  a  quell'oscura  e 
ancora  incerta  intuizione  della  creatura  della  fantasia  non  ancora 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  25 

incarnata  in  sonanti  parole,  che  precede  immediatamente  la  espres- 
sione: simili  in  tutto  a  quelle  prosaiche  avvertenze  che  ognun 
di  noi  mette  innanzi  a  ogni  libro  che  pubblichi:  scritte  quasi 
sempre  quando  tutto  il  libro  è  già  scritto  e  magari  stampato;  o 
se  scritte  talvolta  apparentemente  prima,  in  fatto  pensate  ne- 
cessariamente anche  allora  quando  tutto  o  quasi  il  disegno  del 
libro  ci  è  nella  mente  da  tempo.  La  poesia  come  la  prosa,  l' arte 
come  la  conoscenza  è  spontanea:  e  la  riflessione  sui  mezzi  onde 
raggiungiamo  l'arte  o  il  sapere,  presuppongono  imprescindibil- 
mente l'arte  già  creata,  il  sapere  già  conquistato. 

Con  ciò  non  voglio  dire  che  l'A.  abbia  fatto  un'opera  vana  o 
tentato  un'impresa  impossibile.  Al  contrario,  l'utilità  e  l'impor- 
tanza del  suo  lavoro,  e  la  ragionevolezza  della  sua  ricerca  con- 
sistono in  ciò:  ch'ei  si  è  posto  in  quella  situazione  psicologica 
in  cui  è  Dante  quando  interrompendo  per  un  momento  la  sua 
poesia,  s'accorge  di  aver  con  più  arte  dell'ordinario  rincalzato 
la  sua  materia;  e  dice  a  sé  e  al  lettore 


Lettor,  tu  vedi  ben  com'io  innalzo 
la  mia  materia .... 


cioè  nella  situazione  di  chi  riflette  e  critica  interrompendo  e  rom- 
pendo l'opera  d'arte,  per  scrutarvi  e  scoprirvi  entro,  con  l'ana- 
lisi spietata  dell'  anatomista  che  viviseziona  gli  organismi,  i  se- 
greti motivi  della  vita  di  bellezza,  che  le  ha  comunicato  la  fan- 
tasia —  e  fa  perciò  lavoro  di  critica  e  di  storia.  Se  fosse  altri- 
menti, egli  non  sarebbe  riuscito  a  mostrarci  se  non  gli  artificj 
e  i  secentismi,  in  cui  Dante  stesso  cascò  quando  volle  dar  legge 
al  libero  processo  della  sua  fantasia:  che  non  è  stato  certamente 
il  disegno  del  Lisio,  e  non  è  il  valore  del  suo  bellissimo  libro. 

Dopo  una  larga  introduzione,  dove  è  tracciata  una  breve  storia 
del  periodo  nella  letteratura  delle  origini  e  delle  teorie  retoriche 
e  grammaticali  del  tempo  istesso,  tutto  il  resto  del  libro  è  con- 
sacrato all'analisi  del  periodo  dantesco  nelle  opere  volgari.  Vi 
sono  studiate  sottilmente  le  relazioni  del  periodo  col  verso  e  col 
metro,  della  prosa  con  la  poesia,  le  sonorità,  le  ripetizioni,  la  col- 
locazione, e  gli  effetti  della  rima;  in  fine,  il  collegamento  e  l'or- 
ganismo del  periodo  dantesco,  la  corrispondenza  in  esso  tra  la 
materia  e  la  forma,  e  quanto  in  quest'arte  Dante  trasse  dal  suo 
maestro  ed  autore. 

Riassumere  brevemente  la  molteplice  copia  di  osservazioni 
felici  e  ingegnose  sparse  per  tutti  questi  argomenti  è  impossibile: 
e  non  sarebbe  né  anche  utile,  perché  il  valore    di  tutte   consta 


26  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

del  valore  di  ciascuna;  e  tutte  perciò,  ad  una  ad  una,  bisogna  co- 
,  noscerle.  Onde  non  si  può  che  esortare,  come  fo,  e  vivamente, 
tutti  gli  studiosi  o  semplici  lettori  di  Dante,  che  nulla  vogliano 
lasciarsi  sfuggire  della  sua  arte,  a  procurarsi  e  leggere  questo 
lavoro  del  Lisio.  Le  idee  genesali  in  tal  materia,  —  sebbene  il 
Lisio  sia  spesso  tentato  dall'  andamento  stesso  della  sua  ricerca 
a  formularne  qualcuna,  —  non  hanno  né  possono  avere  un  real 
valore.  Poiché  ogni  periodo  è  ]iin  piccolo  organismo  artistico  a 
sé,  e  una  piccola  opera  d'arte;  e  ogni  opera  d'arte  porta  con 
sé  la  sua  legge,  ha  una  particolar  bellezza  tutta  sua;  alla  quale 
non  può  competere  che  un'osservazione,  una  valutazione  critica 
del  tutto  particolare  e  propria.  Potrei  citar  degli  esempj  :  ma  chi 
ha  bisogno  dei  documenti  per  credere  che  la  critica  del  Lisio  è 
esatta  e  verace,  non  crederebbe  che  pei  soli  casi  degli  esempj. 
Tanto  vale  risparmiarsi  la  fatica,  e  invitare  a  leggere  da  sé 
tutto  quello  che  il  Lisio  ha  saputo  dirci.  Per  la  stessa  ragione 
non  so  intendere  perché  l'A.  non  abbia  visto  tutta  la  vanità  di 
certe  statistiche;  e  si  sia  quindi  affaticato  a  computare  il  numero 
di  certi  fatti  stilistici,  che  ricorrono  in  Dante.  Poiché  egli  stesso 
ci  dice  che  questa  «  non  è  materia  che  si  possa  stringere  in  breve; 
«  né  i  tipi  si  possono  cristallizzare  in  formule  algebriche  o  in 
«  figure  geometriche  »,  e  che  ridurre  a  tipi  le  varie  forme  di  pe- 
riodo che  si  riscontrano  in  Dante,  sarebbe  commettere  un  tradi- 
mento estetico  (p.  192).  Si  contano  le  cose  simili;  ma  ogni  periodo, 
ogni  fatto  stilistico,  è  un  fatto  a  sé;  corrispondente  a  un  certo 
stato  dello  spirito,  assolutamente  determinato,  la  cui  conoscenza 
non  può  essere  che  speciale  e  circostanziata,  se  cosi  m'è  lecito 
di  esprimermi.  Per  tutti  i  fatti  stilistici,  che  il  Lisio  ha  sapien- 
,temente  analizzati,  e  degli  altri  forse  che  nella  poesia  dantesca 
si  potevano  opportunamente  sottoporre  allo  stesso  sguardo  scru- 
tatore, si  può  ripetere,  quella  bella  comparazione  che  al  Lisio 
vien  fatta  a  certo  punto  per  darci  l'immagine  delle  tante  migliaia 
di  terzine  o  doppie  terzine  racchiudenti  ciascuna  un  periodo,  che 
s'incontrano  nella  Commedia.  «  Chi  guardi  a' grandiosi  pilastri  del 
«  Palazzo  del  Podestà  in  Bologna,  ne  scorge  le  pareti  fregiate  di 
«pili  che  duemila  rosette  "  d' un  largo  tutte,,  "  d' un  giro,  d'un 
«girare,,  tutte  tonde.  A  prima  vista,  sembrano  foggiate  sul  me- 
«  desimo  stampo:  aguzzando  gli  occhi,  si  rivelano  tutte  disformi, 
«  pur  lievissimamente,  di  disegno  e  di  bellezza;  tanto  che  non  ne 
«  troveresti  pur  una  che  somigli  all'  altra  »  (p.  120).  Ora,  chi  voglia 
conoscere  l'arte  cosparsa  nei  fregj  di  quei  pilastri,  che  altro  può 
fare  che  rimirare  a  una  a  una  quelle  più  che  duemila  rosette? 

Giovanni  Gentile. 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  27 


Appel  Garl.  —  Die  Triumphe  Francesco  Petrarcas  in  kritischem  Texte  he- 
rausgegeben.  —  Halle  a.  S.,  Nietneyer,  1901,  (8.»,  pagg.  XLlV-476). 

Proto  Enrico.  —  Sulla  composizione  dei  Trionfi.  —  Napoli,  Giannini,  1901, 
(8.»,  pagg.  96). 

Di  questi  due  studj  il  primo,  quello  dell'Appel,  è  il  più  grosso  volume 
che  sino  ad  ora  sia  stato  scritto  intorno  ai  Trionfi  del  Petrarca  considerati 
nella  loro  forma  esteriore;  il  secondo  quello  del  Proto,  è  un  opuscolo  di  me- 
diocre spessore,  che  intende  invece  portare  nuova  luce  sul  contenuto  dei 
Trionfi  stessi,  anzi  sulla  prima  origine  del  loro  contenuto.  Ma,  poiché  forma 
e  contenuto  nello  studio  delle  produzioni  letterarie  ed  artistiche  non  sono 
cosi  facilmente  separabili  come  nella  maggior  parte  de' frutti  il  nocciolo  dalla 
polpa,  abbiamo  creduto  bene  di  dar  conto  qui  di  tutti  due  i  lavori  insieme, 
—  tanto  più  che,  come  vedremo,  talvolta  l'uno  è  tratto  di  necessità  nel 
campo  dell'  altro. 

Grosso  volume  abbiamo  detto  quello  dell'Appel,  —  forse  troppo  grosso, 
se  si  consideri  che  a  rendersi  ragione  della  bontà  di  un  testo  critico  il  let- 
tore non  ha  sempre  bisogno  di  seguire  in  lutti  i  suoi  meandri  la  via  per- 
corsa dall'editore,  e  che  'l'accumulare  per  decine  e  decine  di  pagine  notizie 
minutissime,  espresse  in  formule  numeriche  e  di  aspetto  quasi  algebrico,  nella 
ignoranza  per  parte  del  lettore  o  per  lo  meno  nella  privazione  dei  codici, 
di  cui  quelle  formule  rappresentano  il  contenuto,  non  serve  ad  altro  che  ad 
ingenerare  confusione  anzi  sbalordimento  nel  lettore  stesso.  Anche  con  tale 
dovizia  di  indicazioni,  il  controllo  di  chi  non  abbia  intenzione  di  rifare  tutto 
il  lavoro  a  fundamentis  non  può  essere  che  superficiale  e  sommario.  E  poi- 
ché in  libri  di  tal  genere  molto  dobbiamo  fidarci  nell'  onestà,  nella  perizia 
e  nella  diUgeuza  dell'editore,  meglio  vale  da  parte  di  questo  l'enunciare  or- 
dinatamente e  chiaramente  le  premesse  di  metodo  e  di  fatto  donde  muo- 
vono le  ricerche  del  testo  e  l' esporre,  non  meno  ordinatamente  e  chiaramente 
jna  in  forma  riassuntiva,  i  resultati  degli  studj  compiuti,  cosi  che  ciascuno 
possa  farsi  un'idea  esatta  ma  complessiva  del  metodo  seguito  e  della  serietà 
con  cui  esso  fu  adoperato.  Ma  l' A.,  un  po'  forse  per  naturale  modestia,  molto 
poi  per  l'altissimo  concetto  del  metodo,  che  egli  giustamente  vuole  sia  osservato 
in  simili  lavori,  non  credette  di  darci  qui  una  edizione  definitiva  dei  Trionfi, 
anzi  fin  dalle  prime  righe  ci  avverte  che  l' opera  potrà  in  più  luoghi  e  per 
nuove  indagini  e  studj  venir  corretta  ;  da  ciò  la  necessità  di  offrire  ai  futuri 
studiosi  anche  tutto  il  materiale  di  preparazione  necessario  ai  loro  confronti. 
Di  questo  però  possiamo  fin  d'ora  esser  sicuri  che,  tranne  qualche  parziale 
e  non  molto  importante  ritocco  di  un  verso  o  di  una  strofa,  nessuno  rifarà 
la  lunga  via  dall' A.  faticosamente  e  valorosamente  percorsa,  e  che,  se  grosse 
discussioni  ancora  avran  luogo,  queste  volgeranno  tutte  intorno  alla  vecchia 
questione  dell'  ordinamento  dei  canti,  non  certo  intorno  alle  parole  del  testo. 


28  RASSEGNA  BiBLlOQRAFlCA 

Sotto  questo  aspetto,  diciamolo  subito,  1'  edizione  dell'Appel  può  nel  suo  com- 
plesso considerarsi  come  definitiva.  Ma  veniamo  ad  esaminare  pili  davvicino 
il  lavoro  importantissimo. 

La  introduzione,  che  occupa  le  pagg.  I-XLIV  è  certamente  la  parte  meno 
necessaria  di  tutto  il  volume.  L'autore  vi  tratta  questioni  non  inerenti  al 
testo  critico,  ma  bensì  alla  formazione  ed  al  contenuto  del  poema,  aggiran- 
dosi cosi  fuori  del  campo  a  lui  strettamente  segnato,  ma  non  riuscendo  a 
darci  quella  monografìa  completa,  che  sarebbe  pur  tanto  desiderabile,  della 
insigne  opera  petrarchesca.  Dopo  affermata  l' importanza  dei  Trionfi,  perché 
da  essi  è  posto  in  viva  luce  il  sentimento  umanistico  del  poeta  (al  che  si 
si  potrebbe  osservare  che  altre  opere  del  P.,  pur  essendo  di  minor  pregio, 
servono  assai  meglio  a  tal  fine)  e  dopo  aver  osservato  come  avvenga  che  con 
questo  sentimento  umanistico  si  fondano  in  lui  il  religioso  e  l'amoroso,  fa 
un  rapido  e  non  molto  concludente  confronto  fra  Laura  e  Beatrice.  E  qui, 
parlando  delle  relazioni  fra  il  P.  e  la  donna  sua,  ci  sembra,  se  non  erriamo 
noi  nella  lettura,  che  l'a.  sia  corso  troppo  lontano.  L'amore  del  P.,  dice  egli, 
non  rimase  un  languore  non  corrisposto,  una  preghiera  rivolta  da  lontano; 
questo  suo  amore  dovette  poggiare  sopra  basi  pili  solide.  '  Es  ist  kein  Zweifel 

•  dass  er  der  Geliebten  auch  in  Verkehr  nahe  getreten  ist,  das  Zeichen  ihrer 

*  Neigung  ihn  beglùckt  haben  ,.  Noi  non  siamo  certo  di  quelli  che,  con 
molta  leggerezza,  vogliono  santificare  il  poeta  e  renderlo  un  modello  di  per- 
fezione negfindogli  anche  quei  difetti  che  all'uomo  e  più  al  precursore  del 
rinascimento  non  mancavano;  ma  ci  pare  proprio  che  accusa  più  grave 
e  con  minore  fondamento  non  si  potesse  lanciare  contro  il  poeta  e  la  donna 
sua.  Nulla  in  tutte  le  opere  del  P.  ci  induce  a  credere  che  tra  Laura  e  il 
poeta  ci  siano  state  le  intime  relazioni  dall'  a.  volute  e  che  la  donna  abbia 
reso  felice  il  poeta  con  prove  materiali  della  propria  inclinazione.  È  ancor 
dubbio  per  molti,  se  non  per  noi,  che  Laura  abbia  corrisposto  anche  plato- 
nicamente all'affetto  del  suo  cantore;  e  il  credere,  come  fa  l'a.,  che  solo 
l'influenza  della  lirica  trobadorica  abbia  impedito  al  P.  di  informarci  chia- 
ramente sulla  natura  di  tali  relazioni,  è  ribadire  una  gratuita  accusa  con 
una  ipotesi  errata,  giacché,  se  intime  relazioni  ci  fossero  state,  l' influenza 
della  poesia  trobadorica,  spesso  cosi  crudamente  realistica,  avrebbe  anzi 
indotto  forse  il  poeta  a  non  nasconderle. 

Più  importante  è  la  rassegna  degli  amici  del  P.  nominati  nei  Trionfi  e 
la  questione  chi  sia  l'ombra  che,  come  Virgilio  a  Dante,  spiega  al  poeta  le 
figure  del  Trionfo  d'amore  e  un  tratto  lo  accompagna  nella  via.  Petrarca, 
si  sa,  non  ne  ha  detto  il  nome  e  i  commentatori  hanno  invano  cercato  di 
determinarlo  con  qualche  sicurezza.  L'a.  prende  in  considerazione  ad  uno  ad 
uno  tutti  gli  amici  del  P.  e,  dopo  averli  quasi  tutti  eliminati  o  per  l'una  o 
o  per  l'altra  ragione,  finisce  col  proporre  il  nome  di  Guido  Settimo,  come 
di  quello  che  meglio,  a  parer  suo,  si  conviene  colle  indicazioni  un  po'  vaghe 
offerte  dal  P.  stesso.  Ma,  a  dir  vero,  la  proposta  dell' a.  non  ci  soddisfa  per 
più  ragioni.  Delle  quali  ragioni  una  egli  slesso  tira  in  campo,  non  senza 
confessarne  la  gravità,  —  il  fatto  che  Guido  era  ligure  di  nascita,  mentre  Tom- 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  20 

bra  dice  di  se  stessa  :  teco  nacqui  in  terra  tosca.  Né  può  passare  senza  destar 
dubbj  l'interpretazione  che  egli  vorrebbe  dare  a  quel  tosca  nel  senso  di  ita- 
liana, poggiandosi  specialmente  sul  verso:  fuggo  dal  mi'  natio  dolce  aere  tosco 
del  son.  U  aura  gentil,  perché  anzitutto,  anche  in  questo  sonetto,  tosco  vuol 
dire  proprio  toscano  (di  Toscana,  anzi  di  Pisa  veniva  allora  il  poeta)  e  poi 
perché,  se  mai,  la  parola  avrebbe  ivi  acquistato  questo  significato  più  largo 
solo  in  contrapposizione  all'idea  del  paese  straniero,  da  cui  è  inspirato  il  so- 
netto. Qui  invece,  nel  Trionfo  d'  Amore,  questa  contrapposizione  non  esiste, 
e  alla  parola  tosca  s' aggiunge  e  dà  maggior  forza  e  precisione  l' altra  parola 
teco,  cosi  che  non  è  facile  ammettere  che  non  si  tratti  di  un  toscano.  Ma 
ben  maggiori  difficoltà  ancora  si  oppongono  alla  ipotesi  dell' A.  Guido  Set- 
timo era  della  stessa  età  del  P.,  aveva  con  lui  studiato  a  Montpellier  e  a 
Bologna,  era  cresciuto  con  lui  più  quale  vero  fratello  che  quale  amico,  come 
appunto  si  rileva  dalla  testimonianza  stessa  del  P.;  nulla  invece  mi  pare  più 
evidente  e  sicuro  nel  Trionfo  che  la  notevolissima  differenza  di  età  che  deve 
correre  fra  l'ombra  e  il  poeta.  Il  ragionare  antico  dell'ombra  scopre  appunto 
al  poeta  chi  in  quell'  ombra  si  celi  ;  e  l' ombra  comincia  :  Gran  tempo  é  eh'  io 
pensava  —  vederti  qui  fra  noi,  che  da'prim'  anni  —  tal  presagio  di  te  tua 
vita  dava.  Potrebbero  stare  tali  parole  in  bocca  di  un  coetaneo  ?  E  il  P.  lo 
chiama ^arfrf  e  l'altro  gli  risponde  figliuol  mio;  e  il  P.  stesso,  quasi  a  propria 
scusa,  cosi'  si  esprime  :  E  per  la  nova  età  ch'ardita  e  presta  —  fa  la  mente 
e  la  lingua,  il  dimandai,  dove  quel  nova  età  non  può  intendersi  certo  in 
in  altro  modo  se  non  in  antitesi  alla  grave  età  del  duce;  mentre  a  sua  volta 
questi  gli  risponde:  per  empier  la  tua  giovenil  voglia,  in  antitesi  cosi  alla 
propria  età  senile.  Non  dunque  Guido  Settimo;  ma  chi  allora?  Ecco;  accet- 
tata per  il  momento  e  per  necessità  più  che  per  convincimento  l'interpre- 
tazione che  l'a.  dà  a  quel  tosca  (giacché  a' farlo  apposta,  degli  amici  toscani 
del  P.  nessuno  ben  s'adatta  all'ufficio  di  guida)  mi  pare  che  egli  si  sbrighi 
nn  po' troppo  presto  di  un'altro  principalissimo  e  autorevolissimo  amico: 
Tomaso  da  Messina.  Egli  non  crede  opportuno  neanche  di  prenderlo  in  con- 
siderazione per  il  solo  fatto  che  è  incontrato  e  nominato  più  tardi  dal  P. 
(Ili,  59)  :  Volsimi  a'  nostri  e  vidi  'l  bon  Tìiomasso,  il  che  escluderebbe,  secondo 
lui,  che  Io  avesse  veduto  e  gli  avesse  parlato  prima.  Ma  procediamo  con 
attenzione  e  con  cautela.  Nessun  capitolo  dei  Trionfi  certo  ha  tante  e  tanto 
evidenti  imitazioni  dantesche  come  questo  primo:  Al  Tempo.  Il  poeta  attorno 
al  carro  d' Amore  vede  innumerabili  ombre  ;  una  tra  queste  si  stacca  dal- 
l' altre,  si  fa  riconoscere  e  gli  spiega,  con  parole  che  ad  ogni  tratto  ricordano 
r  uno  0  l'altro  passo  dantesco,  la  scena  che  si  svolge  dinanzi  e  gli  nomina  le 
persone  che  vi  prendono  parte.  Ma,  quando,  come  Dante  nel  Paradiso  ter- 
restre conosce  la  presenza  di  Beatrice  prima  ancora  di  vederla,  il  P.  impal- 
lidisce e  trema  prima  ancora  di  accorgersi  che  Laura  gli  sta  di  fianco,  il 
duce  suo,  con  sorriso  e  parole  ironiche,  si  congeda  da  lui  e  scompare,  mentre 
il  poeta  non  sa,  come  Dante,  staccare  gli  occhi  dagli  occhi  della  sua  donna. 
E  il  P.,  a  cui  (come  dissegli  il  duce  nel  congedarsi)  per  essere  intinto  della  me- 
desima pece  è  lecito  ornai  parlare  da  se  slesso  con  chi  gli  piace,  continua  nel 


3Ò  RASSEGNA   BIBLIOGRÀFICA 

c. Ili  a  vedere  coloro  che  furono  celebri  poeti  e  scrissero  d'amore,  e  tra 
questi  vede  '/  boti  Thomasso  —  eh'  ornò  Bologna  ed  or  Messina  impingua. 
Ora,  prima  di  tutto,  si  capisce  che  l'ombra,  che  fa  da  duce  al  P.,  appunto  per  tal 
sua  somiglianza  col  Virgilio  dantesco  da  cui  deriva,  non  può  che  essere  uri 
poeta,  —  e  si  capisce  anche  che,  se  il  P.  non  ne  dice  subito  il  nome,  non 
deve  averlo  fatto  per  il  gusto  di  lasciarci  poi  rompere  la  testa  a  cercarlo, 
ma  perché  deve  aver  pensato  di  rimediare  più  tardi  a  questa  ommissione. 
Anzi  a  tal  suo  intendimento  sembra  appunto  che  accenni,  quando  fa  che  la 
sua  guida  gli  dica:  Non  sai  tu  ben  ch'io  —  son  de  la  turba?  e' mi  convien 
seguire.  L'ombra  appartiene  alla  turba  degli  amanti  che  il  poeta  sta  pas- 
sando in  rassegna,  e  nella  turba  dobbiamo,  per  eccitamento  dell'  ombra  stéssa, 
cercarla.  Che  dunque  il  P.  riveda  poscia  Tomaso  e  lo  nomini  non  è  già  una 
difficoltà  per  identificare  questo  coli' ombra,  ma  è  anzi  quasi  una  condizione 
necessaria.  E  Tomaso  soddisfa  perfettamente  a  tutte  le  condizioni  che  sonò 
caratteristiche  del  duce  petrarchesco.  Amico  del  P.,  era  però  parecchi  anni 
pili  vecchio  di  lui  e  degno  in  tutto  delle  testimonianze  di  onore  e  di  rispetto 
che  il  poeta  gli  prodiga  e,  per  l' esser  morto  già  da  più  tempo  mentre  il 
P.  scriveva  i  suoi  Trionfi,  ben  adatto  all'ufficio  di  guida. 

Resterebbe,  come  dicemmo,  la  difficoltà  del  luogo  di  nascita,  quando  non 
si  volesse,  come  a  noi  appunto  sembra,  intendere  tosca  per  italiana.  Ma  si 
noti  che  nulla  sappiamo  della  nascita  di  Tomaso.  Le  notìzie  biografiche 
di  lui  si  fondano  specialmente  su  quanto  ne  lasciò  detto  il  Petrarca  stesso' 
e  r  epiteto  '  da  Messina  ,  potrebbe  ben  essergli  venuto  dal  luogo  della  sua  più 
lunga  residenza  e  della  sua  morte.  Altri  Caloria  si  ritrovano  bensiin  Sicilia,  ma 
più  tardi  di  lui.'  E  per  quanto  il  cognome  possa  far  pensare  forse  ad  un 
originale  Calauria  o  Calavrìa,^  il  che  ci  trasporterebbe  sempre  ben  lungi 
di  Toscana  e  in  terra  meridionale,  è  da  tener  ben  conto  del  fatto  che  Caloria 
veniva  usato,  certo  come  nome  e  non  so  se  come  cognome,  a  Bologna  e 
altrove  nei  secoli  XII,  XIII  e  XIV.  Molti  sono  in  quei  secoU  i  Galorio  nella 
famiglia  Zabarella,  allora  residente  a  Bologna  e  più  tardi  trasferitasi  a  Pa- 
dova. Non  è  dunque  affatto  provato  che  Tomaso  non  possa  per  avventura 
essere  anche  toscano.  —  Or  veggansi  i  versi,  coi  quali  il  P.  saluta  appunto 
Tomaso  quando  lo  incontra  fra  la  turba: 

O  fugace  dolce99aI  o  viver  lasso! 

Chi  mi  ti  tolse  Si  tosto  dinanzi 

Sen^a  '1  qual  non  sapea  movere  un  passo? 
Dove  se' or,  che  meco  eri  pur  dìaii(;i? 

i  quali  versi  possono  bensì  riferirsi  alla  intimità  durata  fra  i  poeti  e  alla 
separazione  avvenuta  in  seguito  al  passaggio  di  Tomaso  da  Bologna  a  Messina, 


•  1  Vedi  Fracassetti,  Ac//«re  etc,  ai  luoghi  dell'iudice. 

2  Vedi  ViTT.  Rossi,  Caio  Caloria  Ponzio  e  la  poesia  volgare  letteraria  di  Sicilia  nel  secolo 
Xr,  Palermo,  1893. 

8  Quest'etimo  mi  è  suggerito  da)  cbiarisaimo  collega  prof.  A.  Zenatti. 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  31 

ma  possono  pur  anche  intendersi  come  accenno  al  dislacco  del  P.  dalla  sua 
guida  nel  regno  d'Amore.  Si  notino  specialmente  le  parole:  senza  'l  qual 
non  sapea  movere  un  passo  accennanti  air  idea  di  guida  o  di  duce,  e  le  altre 
parole  tanto  precise  :  che  meco  eri  pur  diangi.  E  del  resto  il  Petrarca,  con 
artifizio  ai  suoi  tempi  comune,  avrebbe  ben  potuto  fare  delle  due  cose  una 
sola,  cioè  raffigurare  nel  suo  primo  accompagnarsi  coli' ombra  e  poi  nel  suo 
improvviso  separarsi  da  lei  appunto  le  vicende  della  sua  amicizia  con  To- 
maso, prima  suo  fido  compagno  anzi  guida,  perché  più  vecchio,  nelle  giove- 
nili  imprese  d'amore,  poi  da  lui  allontanatosi  per  le  vicènde  della  vita.  E 
allora  i  versi  sopra  citati  si  riferirebbero  nello  stesso  tempo  all'uno  e  al- 
l'altro fatto:  al  reale  e  all'allegorico.  Che  se  questa  a  taluno  sembri  so- 
verchia sottigliezza,  non  io  v'insisterò,  contentandomi  solo  di  confermare  che, 
fra  i  tanti  amici  del  P.,  Tomaso  solo  è  quegli  cui  meglio  può  attribuirsi 
l'ufficio  di  duce. 

Dopo  aver  notato,  come  inesplicabile,  il  fatto  che  il  P.  non  nomina  tra  ì 
poeti  del  tempo  e  tra  i  suoi  amici  il  Boccaccio,  sebbene  non  solo  dovesse 
aver  già  letto  le  opere  di  questo,  ma  dalla  Amorosa  Visione  togliesse,  almeno 
in  parte,  il  concetto  di  questi  suoi  stessi  Trionfi,  —  dopo  aver  mostrata 
quanto  piti  alto  sia  il  pregio  dell'  opera  petrarchesca  di  fronte  agli  altri 
componimenti  di  ugual  genere  ad  essa  anteriori,  l'A.  viene  a  stabilire  la  data 
del  principio  della  composizione  fra  il  1348  e  il  1356  e  con  maggior  proba- 
bilità e  precisione  al  1352.  La  visione  principia,  come  sempre  principiano 
tali  poemi,  di  primavera  e  il  luogo,  donde  essa  move,  è  non  l' isoletta  di 
Citerà,  come  vogliono  molti  commentatori,  ma  Cipro.  Non  sono  però  d'ac- 
cordo coir  A.,  quando  egli  vede  un  notevolissimo  salto  di  tempo  dal  Trionfo 
d' Amore  al  Trionfo  della  Pudicizia,  salto  che,  a  suo  parere,  sarebbe  giusti- 
ficato dalla  libertà  concessa  alla  Visione,  ma  che  non  cesserebbe  di  pat-eré 
inutile  e  inesplicabile,  perché  non  richiesto  da  nessuna  ragione  né  biografica,  né 
estetica,  né  logica.  L'errore,  in  cui  cadde  l'A.  assieme  a  tutti  gli  altri  commen- 
tatori (il  Leopardi  compreso),  fu  cagionato  dalle  parole  tepido  verno  dei  versi: 

(IV,  163)  Era  il  triumpho  dove  l'onde  salse 

percoton  Baia,  ch'ai  tepido  verno 
gìnns',  e  a  man  destra  in  terra  ferma  salse  ; 

nelle  quali  parole  si  vide  un  accenno  alla  mitezza  della  stagione  invernale 
nella  Campania,  facendo  cosi  impiegare  nientemeno  che  nove  mesi  al  pas- 
saggio del  trionfo  da  Cipro  a  Baia,  esempio  affatto  nuovo  nel  genere  lette- 
rario delle  Visioni,  se  si  pensa  che  il  viaggio  stesso  di  Dante  non  dura  che 
pochi  giorni.  E  come  siano  stati  occupati  quei  nove  mesi  il  poeta  non  dice, 
né  i  commentatori  sanno  indovinare.  Ma  verno,  a  mio  credere,  non  è  li 
usato  certamente  per  inverno,  bensì  per  primavera  o  stagione  semplice- 
mente,   come    derivante    da    ver    e    non    da    hibernum  *    e    tepido    non    è 


1  Non  mi  consta  che  questa  parola  sia  mai  stata  nsata  con  questo  senso  nella  lingua 
nostra,  ma  e  certo  ohe  da  veb  =  primavera  viene  il  verbo  vernare  usato  da  Patite  :  al  $<4 
che  sempre  rema  (Par.  SXX,  126)  e  da  altri. 


32  RASSEGNA  BIBLIOORAFICA 

che  attributo  complementare  e  necessario  di  verno.  Nessun  salto  di  tempo 
dunque  dall' un  all'altro  Trionfo,  che  sarebbe  irragionevole,  ma  ininterrotto 
progredir  dell'azione.  Opportuna  invece  è  la  interpunzione  nuova,  propo- 
sta dall' a.  per  l'ultimo  dei  versi  medesimi,  quale  l'abbiamo  riprodotta,  men- 
tre, secondo  la  vulgata,  leggevasi:  giunse  a  man  destra,  e  in  terra  ferma 
salse,  nuova  interpunzione  che  modifica  notevolmente  il  significato  del  luogo. 
Il  Trionfo,  da  Cipro  passato  a  Baia,  continua  verso  Avignone,  che  è  sempre 
indicato  dal  P.  come  luogo  di  nascita  di  Laura,  quantunque  Laura  sia  in- 
dubbiamente nata,  giusta  le  indagini  del  Flamini  che  l' a.  accetta  integral- 
mente, a  Caumont.  Dopo  il  Trionfo  della  Morte,  cioè  dopo  il  e.  V,  manca  ogni 
altra  indicazione  di  luogo,  il  che  appar  naturale,  se  si  pensi  che  coi  Trionfi 
della  Fama,  del  Tempo  e  dell'  Eternità  ci  troviamo,  per  dir  così,  fuori  della 
terra  stessa.  Molte  e  gravi  sono  le  oscurità,  le  contraddizioni,  le  ripetizioni, 
le  inverosimiglianze  nei  Trionfi,  e  l'A.  dichiara  di  non  voler  assumersi  il 
salvamento  di  essi  come  opera  letteraria;  rimangono  tuttavia  l'altezza  del 
concetto  generale,  la  felice  trovata  di  alcuni  pezzi  lirici,  la  bellezza  dei  versi. 
Ed  anche  di  questo  equo  e  moderato  giudizio  sentiamo  di  dover  dare  all' A. 
pienissima  lode,  che,  se  i  Trionfi  poterono,  nei  primi  secoli  dalla  loro  compo- 
sizione, piacere  a  tal  grado  che  nelle  sole  biblioteche  italiane  il  numero  dei 
manoscritti  loro  è  quasi  doppio  di  quello  delle  Rime,  ciò  provenne  più  che 
tutto  dall'indole  storico-didascalica  di  quella  poesia,  che  soddisfaceva  egre- 
giamente al  desiderio  popolare  di  erudizione,  come  è  provato  dal  fiorire  di 
innumeri  poemetti  didascalici  imitanti  la  Commedia  e  i  Trionfi.  Ma,  giudicati 
coir  occhio  sereno  e  imparziale  della  critica,  i  Trionfi  appaiono,  nel  loro 
complesso,  deficiente  opera  di  imitazione,  dove  la  tela  del  racconto  è  pove- 
rissima cosa,  e  il  contenuto  non  è  che  aride  filze  di  nomi  e  fugaci  e  pallide 
rappresentazioni  di  fatti,  e  la  forma,  ingemmata  qua  e  là  di  peregrine  bel- 
lezze, pur  sovente  si  deturpa  di  oscurità  e  di  storture  inescusabili. 

La  grande  cura  data  dal  poeta  alla  lima  dei  versi  fa  si  che  per  5  capì- 
toli noi  possiamo  distinguere  due  redazioni  diverse,  delle  quali  l'una  più 
antica,  l'altra  pili  recente;  e  le  correzioni  dall'una  nell'altra  introdotte  ri- 
guardano ripetizioni  di  rime  o  di  parole,  mutazioni  di  accenti,  sostituzione  di 
vocaboli,  aggiungimenti  di  versi. 

Passa  poi  l'A.  a  trattare  la  questione  delle  fonti.  Le  simiglianze  col  Roman 
de  la  Rose  e  col  Tesoretto  sono  assai  vaghe;  più  chiara  è  l'influenza  della 
Commedia,  ma  anche  questa  spesso  è  inafferrabile,  si  fa  sentire  più  che  ve- 
dere, perché  il  poeta,  mentre  traduce  alla  lettera  le  fonti  antiche,  parafrasa 
e  rifonde  le  moderne.  E  qui  giustamente  l'A.  combatte  un  metodo  nuovis- 
simo di  critica,  che  non  vorrebbe  ammettere  imitazione  o  inspirazione  o  de- 
rivazione se  non  dove  ci  fosse  identità,  —  mentre  nella  ricerca  delle  fonti 
canone  di  ottima  critica  è  questo:  che  le  dissimiglianze  fra  il  testo  originale 
e  il  derivato  non  contano,  contano  invece  e  soltanto,  pur  che  siano  specifiche, 
le  simiglianze.  11  dire:  il  tal  pensiero  o  la  tal  frase  non  furono  dal  Petr. 
chieste  a  prestito  a  Dante,  perché  una  o  due  parole  non  corrispondono  o 
perché  l'idea  è  rivolta  ad  un  significato  alquanto  diverso,  non  è  ragionare 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  33 

a  lunve  di  critica,  o  di  logica  che  è  Io  slesso.  E  se  taluno,  come  avvenne, 
opponendo,  dica:  il  Petr.  non  può  aver  attinto  nel  tal  luogo  al  Boccaccio, 
perché  il  Boccaccio  vi  nomina  dieci  personaggi  antichi  e  il  P.  pur  ripetendo 
gli  stessi  nomi  e  quasi  nello  stesso  ordine,  ne  lascia  fuori  due  o  tre,  dice  cosa 
che  non  conviene  neanche  discutere.  L' A.  tuttavia  prova  che,  pur  essendovi 
parecchi  notevoli  e  diretti  e  indiscutibili  punti  di  contatto  fra  la  Commedia  e 
i  Trionfi,  questi  derivano  da  quella,  più  che  in  altro  modo,  attraverso  V Amo- 
rosa Visione  del  Boccaccio.  Ma  di  ciò,  perché  ne  ha  trattato  piti  larga- 
mente il  Proto  nel  suo  opuscolo,  diremo  sulla  fine.  L' A.  chiude  la  sua  intro- 
duzione mostrando  che'  già  nella  seconda  parte  delle  Rime  tutto  era  pronto 
e  disposto  per  la  composizione  dei  Trionfi;  il  sentimento  della  nullità  delle 
cose  terrene  spingeva  il  poeta  a  cercare  solo  l'amore  ultraterreno,  e  la  spe- 
ranza lo  animava  di  rivedere  Laura  nel  cielo.  Da  ciò  la  pietà  di  Laura  verso 
il  poeta  e  le  visioni  di  lei,  esposte  nei  sonetti,  delle  quali  taluna  prelude 
veramente  ai  Trionfi,  talché  si  può  dire  che  questa  seconda  parte  sia  già  un 
vero  Trionfo  dell'Amore  e  della  Pudicizia. 

Tutta  questa  V  Introduzione.  L' A.  dice  quindi  delle  condizioni  tra  le  quali 
^$i  svolse  l'opera  sua  di  editore  e  del  metodo  da  lui  seguito.  Le  condizioni 
di  ricostruzione  del  testo  dei  Trionfi  sono  ben  diverse  che  per  il  testo  delle 
Rime.  Dei  Trionfi  non  abbiamo  un  autografo  se  non  per  l' ultimo  capitolo, 
ed  anche  per  questo  la  lezione  non  è  certo  definitiva;  inoltre  è  assai  diffi- 
:ciie  e  forse  impossibile  vedere  tutti  i  mss.,  che  sono  sparsi  per  tutto  il  inondo 
e  molti  dei  quali  si  trovano  in  mano  di  privati.  L'A.  ne  collazionò  252,  più 
ne  vide  molti  altri  che  escluse  per  varie  ragioni  dall'esame;  circa  400  fra 
tutti.  Cominciò  col  fissare  gli  autografi  o  le  copie  collazionate  certamente 
sugli  autografi,  come  il  vat.  3196  per  l'ultimo  capitolo,  il  brano  dell'edizione 
Ubaldini,  il  casan.  924,  il  parm.  1636,  etc.  Poi  fissò  oltre  a  cento  i  punti  cri- 
tici, pili  numerosi  nel  I  cap.  a  causa  delle  maggiori  disformità  di  lezione.* 
Seguono  quindi  la  discussione  delle  principali  varianti  e  la  questione  dell'or- 
dinamento dei  capìtoli.  Quanto  alle  varianti  ci  è  impossibile  qui  seguirei' a. 
nella  disamina  delle  diverse  lezioni,  disamina  condotta  sempre  con  illuminato 
senso  di  critica,  tanto  più  che  su  taluna  di  esse  varianti  avremo  occasione 
di  ritornare  più  tardi  ;  quanto  invece  all'  ordinamento  dei  capitoli,  pur  non 
intendendo  rifare  la  questione  complicatissima,  diremo  che,  dopo  questo  studio 
dell' A.,  si  troverebbero  di  fronte  o  il  vecchio  ordinamento  riprodotto  dal  Me- 
stica col  ritorno  però  alla  prima  distribuzione  offerta  dal  manoscritto  casa- 
'  natense  per  opera  del  Beccadelli  e  del  Daniello,  o  questo  nuovo  ordinamento, 
proposto  e  usato  dall' A.  sulla  scorta  di  un  numero  grandissimo  di  manoscritti. 


1  L'a.  non  conobbe  o  non  tenne  in  Qonto  nn  manoscritto  della  biblioteca  civica  di  Pa- 
'doya.(C.  P.  509.  II)  che  contiene  appunto  il  I  cap.  (Zia  notte)  dei  Trionfi,  bellissimo  quader- 
netto della  prima  metà  del  XV,  scritto  con  molta  eleganza  su  pergamena  rasata,  che  avreb- 
be dovuto  certamente,  secondo  l'intenzione  del  copista,  essere  il  primo  di  un  assai  fine  vo- 
lumei  Né  il  quadernetto  parmi  intieramente  trascurabile,  come  quello  in  cui  alla  eleganza 
della' scrittura  corrisponde  la  accuratezza  della  lezione,  vicina  a  quella  dei  testi  migliori. 


34  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Né  ì  due  ordiDamenti  sarebbero  essenzialmente  diversi  fra  loro  ;  solo  che  il 
secondo  escluderebbe  i  tre  capitoli  Stanco  già,  La  notte  e  Nel  cor  pien,  che  nel 
primo  occupano  i  posti  4,  7,  8,  e  ridurrebbe  cosf  a  dieci  soltanto  il  numero  dei 
capitoli;  escluderebbe  poi  anche  le  terzine:  Quanti  già,  che  seguono  al  cap.  Quan- 
do ad  un.  L'A.  dice  che  i  mss.,  su  cui  egli  si  fonda,  sono  i  pili  autorevoli,  ma  non 
possiamo  giudicare  se  veramente  sia  così,  mancandoci  una  descrizione  anche 
sommaria  di  tutti  i  manoscritti,  quale  pur  sarebbe  stata  desiderabile,  mentre  egli 
descrive  solo,  con  molta  cura,  alcuni  di  quelli  che,  a  giudizio  suo,  sono  i  fon- 
damentali. Questo  però  è  certo  che  il  numero  maggiore  dei  testi  e  tra  essi  non 
pochi  di  notevole  autorità  gh  starebbero  contro.  Che  il  nuovo  ordinamento 
corrisponda  ad  un  preciso  e  bene  studiato  disegno  artistico,  non  e'  è  dubbio  ; 
i  capitoli  dei  Trionfi  sarebbero  solo  dieci  e  si  dividerebbero  in  due  primi 
gruppi  uguali  di  cinque  capitoli  e  di  tre  trionfi  ciascuno.  Cosi  nel  primo 
gruppo  si  avrebbero  i  tre  Trionfi,  diremo  così,  terreni  dell'Amore,  della  Pu- 
dicizia e  della  Morte,  e  nel  secondo  gruppo  i  tre  ultraterreni  della  Fama,  del 
Tempo  e  dell'  Eternità.  Inoltre  i  due  gruppi  si  corrisponderebbero  simmetri- 
camente nella  suddivisione  interna:  in  ciascun  d'essi  tre  canti  sarebbero  dati 
al  primo  Trionfo  e  un  canto  a  ognuno  dei  seguenti  ;  si  avrebbe  cioè  una  di- 
sposizione di  tal  fatta  : 

1  ,  2  ,  3  ;  1  ;  1  ;  ;  1  ,  2  ,  3  ;  1  ;  1 . 

Correzione  e  ordinamento  dunque  intieramente  simmetrico,  —  tanto  sim- 
metrico forse  da  far  dubitare  che  il  P.,  morto  senza  poter  dare  all'  opera  sua 
r  ultima  mano,  lo  abbia,  se  non  pensato,  fissato,  e  che  l'Appel  non  si  sia  un 
po' lasciato  sedurre  dalla  stessa  sua  perfezione  e  simmetria. 

Nel  capitolo:  La  cronologia  dei  Trionfi,  l'A.  s'accorda  col  Mestica  nel  ri- 
portare il  principio  della  composizione  del  poemetto  al  13.52  o  1353  e  viene  poi 
osservando  tutti  i  dati  cronologici  del  I  canto  e  dei  canti  seguenti,  per  con- 
cludere che  il  lavoro  di  revisione  e  correzione  durava  ancora  alla  morte  del 
poeta.  Impossibile  è  invece,  dice  egli  nel  capitolo  seguente,  delineare  un  al- 
bero genealogico  dei  manoscritti,  perché  quasi  subito  dopo  la  morte  del  poeta, 
a  causa  appunto  delle  condizioni  di  testo  non  definitivo  in  cui  era  rimasto 
il  poema,  cominciarono  i  tentativi  per  la  ricostruzione  di  un  testo  critico,  — 
dal  che  gli  incrociamenti  di  varie  lezioni  anche  nei  manoscritti  piti  antichi 
e  le  difficoltà  di  cogliere  i  vincoli  di  parentela  che  legano  l'uno  all'altro. 
L'A.  ammette  dunque  che  nella  scelta  dei  testi  fondamentali  e  delle  varie 
lezioni  non  potè  sempre  seguire  il  rigido  criterio  obiettivo  della  pluralità  e 
della  maggiore  autorità,  ma  che  in  parte  dovette  fare  opera  subiettiva  e  in 
parte  anche  piegarsi  alle  necessità  materiali  del  luogo,  ponendo  a  base  del- 
l'opera sua  i  mss.  di  Roma  e  di  Firenze,  perché  pili  agevoli  a  studiare  di 
altri  non  meno  forse  autorevoli  ma  troppo  lontani.  Ricco  di  osservazioni  in- 
teressanti è  il  capitolo  Della  mètrica;  in  quello  invece  Dell'  ortografia  e  della 
prosodia  Va.  istesso  dichiara  che  non  fa  se  non  completare  le  indagini  di- 
ligenti già  pubblicate  dal  Savelli.  Ma  qui  poi  non  giungiamo  ad  intendere 
perché  altrove,  cioè  nel  principio  delle  Note,  egli  avverta  di  non  aver  sem- 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  35 

pre  introdotto  nella  ricostruzione  del  testo  le  forme  ortografiche  già  ricono- 
sciute abituali  del  poeta;  è  vero  però  che  il  poeta  stesso  se  ne  mostrava 
incerto  di  frequente. 

E  veniamo  al  testo  critico.  Dei  primi  tre  canti,  cioè  di  tutto  il  Trionfo 
dell'Amore,  nonché  dei  primi  99  versi  del  e.  IV,  Trionfo  della  Pudicizia,  e 
del  canto  :  Stancho  già,  sono  dati  a  fronte  i  due  testi,  il  più  antico  e  il  più 
recente;  di  questi  e  di  tutti  gli  altri  canti  poi  sono  in  nota  le  varianti.  Il 
testo  è  sempre  ricostruito  con  cura  e  con  vero  acume  di  critico,  dandosi  nei 
casi  dubbj  tutte  due  le  lezioni  per  mezzo  dello  sdoppiamento  della  riga;  e  le 
varianti  sono  riprodotte  con  minutissima  diligenza.  Con  troppo  minuta  dili- 
genza anzi,  che  di  taluni  evidenti  errori  del  copista,  dove  non  è  possibile 
supporre  nessun  deliberato  mutamento  morfologico  o  fonetico,  era  davvero 
inutile  tener  conto  ed  aumentare  con  essi  un  fardello  già  di  per  sé  abba- 
stanza grave.  Finereo  gocho  per  funereo  giocho,  inistahil  per  instabil,  lartende 
per  r  attende,  panimoda  per  [E]paminonda,  toppo  per  lippo,  strungi  per  stringi, 
Vneggiar  per  Vaneggiar,  pencosa  per  pensosa,  questraltra  per  questaltra 
non  sono  varianti  ma  distrazioni  de'  copisti,  veri  trascorsi  di  penna  che  non 
dovevano  venir  registrati.  Ma  di  qualche  questioncella  sulla  scelta  della  le- 
zione diremo  ora  nel  rivedere  le  numerosissime  Note,  che  seguono  al  testo 
e  nelle  quali  T  A.  lascia  anche,  molte  volte,  il  compito  suo  di  editore  per 
soddisfare  all'  altro,  assai  più  ampio  e  più  aperto  a  discussione,  di  esegeta. 
Chiediamo  venia  se  talune  delle  osservazioni  nostre  saranno  esposte  in  forma 
quanto  più  succinta  e  presso  che  telegrafica  ;  ma  non  possiamo  soverchia- 
mente abusare  dello  spazio  accordatoci.  Il  lettore,  tenendo  sempre  sott'  occhi 
il  libro  dell'A.,  supplirà  alla  deficienza.  Ecco  i  punti  principali  che  ci  sem- 
brano controversi. 

I,  115-7  1  —  €  Ed  ella  [Fedra]  ne  morio,  vendetta  forse 
d'Ypolito  e  di  Theseo  e  d'Adrianna, 
eh'  a  morte,  tu  1  sai  bene,  amando  corse  ». 

Non  mi  par  dubbio  il  che  doversi  riferire  a  Fedra  e  non  ad  Arianna. 
Arianna  non  corse  a  morte  cioè  non  si  uccise  per  amore,  ma  fu  abbando- 
nata, come  ben  si  sa,  da  Teseo  nell'isola  dove,  secondo  alcuni  mori,  ma  se- 
condo la  più  comune  versione,  accolta  da  Catullo,  fu  trovata  e  sposata  da 
Bacco.  Il  che  deve  dunque  intendersi  avverbialmente:  perchè. 

11,16-18  —  (L'altro  più  di  lontan,  quel  è  '1  gran  Greco; 
né  vede  Egisto  e  l'empia  Clitemestra: 
or  puoi  veder  Amor  s'egli  è  ben  cieco.'». 

Non  è  possibile  intendere  che  l' amore,  di  cui  è  parola  in  quest'ultimo  verso, 
sia  quello  di  CUteranestra  per  Egisto,  né  di  Agamennone  per  Cassandra.  Che 
si  intenda  di  un   amore  di  Agamennone  non  ci  può  esser  dubbio,  giacché 


t  Per  la  citazione,  naturalménte,  ci  teniaimo  al  testo  dell'Appel. 


36  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

appunto  lui  ne  è  accìecato  a  tal  segno  da  non  vedere  i  due  adulteri,  ma  non 
si  capisce,  o  difficilmente  si  capisce,  come  tale  effetto  potesse  fare  l'amore 
di  lui  per  Cassandra.  Né  di  Cassandra  è  qui  minimamente  parola.  Credo 
dunque  che  il  verso  accenni  all'amore  di  Agamennone  per  la  moglie  stessa, 
tanto  pili  che  fu  appunto  sempre  l'amore  per  la  moglie  che,  da  Agamen- 
none in  poi  e  certo  anche  prima,  rese  ciechi  i  mariti. 

II,  65  —  €  À  questa  malaliia  cotal 

remedio. 
Cotal  a  questa  malattia  ». 

L' a.  propone  come  vedesi,  due  lezioni,  la  cui  differenza  consiste  solo  nella 
diversa  collocazione  delia  parola  cotal.  Non  tiene  invece  in  nessun  conto  una 
variante,  che  ci  dà  malitia  in  luogo  di  malattia  e  che  è  portata,  con  note- 
vole accordo,  da  numerosissimi  e  importanti  codici.  Non  mancano  anzi  tutto 
esempi  di  malizia  usata  nel  senso  di  malattia;  ma  poi  qui  vuol  dire  forse 
male  causato  da  fattucchieria,  da  influenza  perniciosa,  considerando  quasi  tale 
l'amore.  È  bensì  vero  che  il  medicando  di  sopra  e  il  remedio  del  verso  stesso 
richiamano  necessariamente  l'idea  di  malattia,  ma  appunto  per  questo  trovo 
diffìcile  che  molti  manoscritti  abbiano  mutato  di  lor  capriccio  la  parola  pili 
facile  e  più  comune  nella  più  difficile  e  meno  pronta. 

II  184  segg.  L'A.  riporta  nel  primo  testo  la  lezione  più  lunga  formata  di 
7  versi  e  nel  secondo  testo  la  lezione  di  un  verso  solo.  Non  si  capisce  per- 
ché non  abbia  invece  preferito  la  lezione  del  cod.  Cas.  che  consta  di  4  versi: 

(  In  somma  so  che  cosa  è  l'alma  vaga, 
rotto  parlar  con  subito  silentio, 
che  poco  dolce  molto  amaro  appaga, 
di  chi  B'  à  il  mei  temprato  con  l' assentio  >. 

Questa,  oltre  aver  l'autorità  indiscutibile  di  più  di  un  buon  manoscritto, 
è  quella  che  meglio  corrisponde  alle  necessità  logiche  ed  estetiche  del  periodo. 

Ili,  44  —  «  L*  un  Piero  e  l' altro  e  '1  men  famoso  Arnaldo  ». 

L'altro  Piero  potrebbe  essere,  piuttosto  che  Peire  Rogier  proposto  dall' a., 
Peìre  Bremons  celebre  per  le  sue  canzoni  d' amore. 


V,  76_ —  «  Da  India,  dal  Cataio,  Marroccho  e  Spagna  ; 
«  'l  mezzo  avea  già  pieno  e  le  pendici  >. 


Non  so  vedere  la  necessità  o  l'utilità  di  porre  quel  punto  e  virgola  dopo 
Spagna  e  di  scindere  la  forma  el  in  e  'l.  Si  ottiene  cosi  un  verso  sospeso, 
senza  evidente  costruzione  grammaticale,  e  si  sciupa  intieramente  l'idea.  Il 
P.  con  l'India,  il  Cataio,  il  Marocco  e  la  Spagna  volle  indicare  i  confini  di 
quasi  tutto  il  mondo  allora  conosciuto  ;  il  mezzo  è  appunto  questo  mondo. 


t)ÉLLA  LETTERATURA  ITALIA Ì«A  37 

Égli  dlcei  lutto  lo  spazio  contenuto  in  mezzo  dall'India,  dalGataio,  etc.  era  già 
pieno...  Leggerei  dunque:  el,  e  ommetterei  il  punto  e  virgola. 

V,  153  —  <  Lo  spirto  per  partir  di  quel  bel  seuo 
con  tutte  sue  virtnti  in  sé  romito 

fatto  in  quella  parte  il  ciel  sereno  ». 

era 

La  vecchia  lezione  uvea,  adottata  per  prima  dal  P.,  è  certo  gràmatical- 
mente  la  più  chiara,  quantunque  un  po' in  contrasto,  per  il  senso,  con  ciò  che 
segue.  La  nuova  lezione  era,  proposta  dall' A.,  non  ha  che  l'appoggio  di  due 
manoscritti  e  rende  assai  più  involuta  la  costruzione  ;  si  noti  però  che  in 
tal  caso,  per  ottenere  uii  senso  gramaticale,  conviene  intendere  partire  in  si- 
gnificato transitivo  con  soggetto  cielo  e  oggetto  spirto,  cioè  :  il  cielo  era  di- 
venuto sereno  per  separare  lo  spirto  da  quel  bel  seno,  etc. 

V.  162.  —  «  Non  come  fiamma  che  per  forga  è  spenta, 

ma  che  per  se  medesma  si  consume, 

fié  vada 

,,  in  pace,  l'anima  contenta, ...  ». 
se  nando 

Né  vada,  come  vuole  l' A.,  è  impossibile  leggere  perché  contraddice  affatto  al 
senso  dei  due  versi  che  precedono  e  che  colla  loro  similitudine  esprimono 
tutto  r  opposto.  Se  n'  andò  mi  ha  tutto  l' aspetto  di  un  rabberciamento  so- 
stituito dall'amanuense,  che  volle  avere  un  senso  chiaro  ad  ogni  costo,  e  di  - 
fatti  è  portato  da  un  solo  manoscritto.  Preferirei  ne  vada  col  ne  pleonastico, 
sottintendendo  la  copulativa  e,  e  ommettendo  la  virgola  dopo  pace.  Insomma, 
dopo  r  idea  allegorica  della  fiamma  si  avrebbe  l' idea  propria  dell'  andarsene 
in  pace  dell'  anima,  posta  ugualmente  al  congiuntivo  quasi  coordinata  alla 
precedente.  Unica  e  non  lieve,  a  dir  vero,  difficoltà  la  mancanza  dell' «. 

VI.  33.  —  «  K  leggeasi  a  ciascuno  intorno  al  ciglio 

il  nome,  al  mondo  piti,  di  gloria  amico  ».  '      ■   "   ■ 

Confesso  candidamente  che  non  arrivo  a  farmi  una  ben  chiara  idea  della 
nuova  interpretazione  proposta  dall'  a.,  tanto  più  che  quella  già  data  dal 
Tassoni  e  da  tutti  accettata  è  cosi  evidente  che  di  più  non  è  possibile.  Il 
verso  33  deve  ricjonnettersi  col  precedente  v.  19:  Scolpito  per  le  fronti  era. 
il  valore;  ciascun  uomo  avea  scolpito  sulla  fronte  il  proprio  nome  nella  forma 
più  nota,  al  mondo.  Fors'anche,  quantunque  i  manoscritti  non  sembri  lo 
provino,  il  P.  scrisse  al  modo  invece  che  al  mondo. 


«  Questo  cantò  gli  errori  e  le  fatiche 
de  la 
d' una 


de  la 
del  figliuol  di  Laerte  e  diva  : 


Credo  debba  accettarsi  senz'altro  la  propostra  dell'A.,  che  la  nota  autografa  del 


38  RASSEaWA   BIBLIOGRAFICA 

P.i  side  dubio  obscurum  est,  riportata  dal  Beccadelli,  si  riferisca  al  v.  14,  vera- 
mente di  assai  dubbio  senso,  piuttosto  che  al  13,  il  quale  è  di  per  sé  chiarissimo. 

vili.  79.  —  «  Vidi  Inpia,  e  '/  veccfiiarel  .         oso 

"^  che  già  fu 

Di  saper  tutto 

Dir  «  Io  so  tutto  ». 

Non  parmi  affatto  debba  leggersi  e  'l  vecchiarel  ma  el  o  il  senza  la  virgola 
precedente.  Anche  lasciando  che  Cicerone  narra  appunto  di  Ippia  che  si 
gloriasse  di  saper  tutto,  si  deve  notare  che  di  ciascun  filosofo  qui  nominato 
il  poeta  riassume  con  una  o  più  parole  il  carattere  :  Anaxarco  è  intrepido  e 
virile,  Xenocrate  pili  saldo  che  un  sasso,  Democrito  tutto  pensoso,  per  suo 
voler  di  lume  e  d'oro  casso,  e  via  via.  In  questa  lunga  serie,  accettando  la 
proposta  dell' A.,  unico  nome  isolato,  senza  attributo  che  lo  illumini,  sa- 
rebbe quello  d' Ippia,  mentre  poi  ad  esso  seguirebbe,  pure  unico  esempio, 
una  allusione  perifrastica  ad  un  filosofo  di  cui  sarebbe  taciuto  il  nome,  e 
appunto  un  allusione  che  ad  Ippia  può  benissimo  riferirsi.  Leggere  dunque 
e  'l  sarebbe  sciupare  tuttala  costruzione  rettorica  ed  estetica  di  quelle  ter- 
zine. 

vili.  110.  —  •  Cosi  al  lume  fu  famoso  e  lippo, 

co  la  brigata  al  suo  maestro  eguale  «. 

Preferirei  a  suo  lume  portato  da  molti  autorevoli  manoscritti  piuttosto  che 
al  lume.  Se  si  accettasse  fumoso  allora  riuscirebbe  chiaro  anche  al  lume, 
cioè:  Epicuro  fu  fumoso  o  di  incerta  vista  dinanzi  alla  luce;  ma,  ammessa  la 
lezione  famoso  adottata  dall'A.  e  che  è  la  più  certa,  riesce  ben  difficile  ac- 
cordare l'idea  di  diffamatore  con  quella  di  luce.  Che  vorrà  dire  diffamatore 
della  luce?  —  A  suo  lume  indicherebbe  invece:  -alla propria  anima;  —  lumen 
vitae  nel  senso  di  anima  è  usato  assai  di  frequente  da  Virgilio  e  da  Lu- 
crezio. Epicuro  che  negò  1'  anima  immortale  sarebbe  stato  lippo  e  famoso 
a  suo  lume,  quanto  a  dire  cieco  e  diffamatore  dell'  anima  propria. 

IX.  14-15.  —  «  Che  più  nel  del  ò  io  che  'n  terra  un  uomof 
A  cui  esser  et/ual  per  yratia  cheggioì 

Tutti  i  vecchi  lettori  del  poema  avevano  riunito  questi  due  versi  in  una  sola 
domanda,  né  so  vedere  il  perché  della  nuova  interpunzione  adottata  dall'  A. 
Essa  non  fa  che  rendere  alquanto  oscuro  il  senso,  di  per  sé  prima  chiaris- 
simo: "  Che  cosa  ho  io,  esclama  il  Sole,  più  di  quello  che  ha  l'uomo  sulla 
"  terra,  r  uomo  a  cui  anzi  debbo  per  grazia  chiedere  di  esser  uguale?,.  Né 
vedrei  qui  una  allusione  all'  anima,  di  cui  sono  dotati  gli  uomini  e  non  è 
dotato  il  sole,  allusione  veduta  dal  Gesualdo  e  dal  Leopardi.  L'inferiorità 
del  sole  di  fronte  all'  uomo  è  chiaramente  spiegata  nei  versi  25  sgg.,  dove 
è  detto  che  l'uomo  può  divenire  col  passar  degli  anni  sempre  più  celebre 
anche  se  è  morto,  mentre  il  sole  tal  è  qual  era  dopo  tante  migliaia  d'anni. 

IX.  115.  —  «  Ogni  cosa  mortai  tempo  interrompe 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  39 

Non  trovando  nessuna  lezione  accettabile,  perché  tutte  prive  di  senso  e  di 
legame  sintattico,  l'A.  ha  preferito  sostituire  il  verso  con  una  riga  di  puntini. 
Però  in  nota  dice  che,  fra  le  tante,  più  accettabile  gli  sembrerebbe  la  lezione: 
e  ritoU'à,  à  men  buon  non,  a' più  degni.  A  me  pare  invece  che  basti  enun- 
ciare una  simile  proposta,  perché  debba  essere  scartata  senz'altro.  Più  or- 
ribile verso  non  saprei  immaginare.  Quella  virgola  dopo  il  7ion,  quel  non  per 
no,  quelle  tre  parole  monosillabiche  e  nasali  di  seguito  senza  pausa  inter- 
media: men  buon  non,  quei  due  à  à  pure  di  seguito,  sono  tali  barbarie  fone- 
tiche che  non  potevano  suonare  neanche  per  un  momento  su  quel  dolce  di 
Calliope  labro  del  cantore  di  Laura.  Ma,  poi  anche,  il  verso  non  avrebbe 
ugualmente  nessun  senso  né  si  collegherebbe  in  nessun  modo  con  ciò  che 
precede  o  che  segue.  Piuttosto  preferirei  la  lezione  offerta  dal  Gas.  610  (que- 
sto ms.  dà,  si  noti,  assai  sovente  un  testo  corretto)  la  quale  suona  cosi  :  e 
ritolto  a' men  buon,  non  eh' a' più  degni.  Al  ritolto  si  potrebbe  sostituire,  sulla 
autorità  di  quasi  tutti  gli  altri  manoscritti,  ritolta;  e  ritolta  sarebbe  come 
apposizione  di  mortale.  Il  verso,  non  bello  certo,  è  però  passabile  e  il  senso 
corre  abbastanza  bene  :  "  il  tempo  interrompe  ogni  cosa  mortale  e  ritolta  cosi 
"  ai  meno  buoni  come  ai  più  degni  ,.  Non  sarà  certo  soluzione  perfetta,  ma 
la  meno  infelice  che,  in  tali  difficoltà,  si  possa  sperare,  e  versi  peggiori  non 
mancano  nei  Trionfi. 

X.  103.  —  ( e  de'  guadagni 

veri  e  de' falsi  si  fora  ragione, 
che  tutti  flan  allor  opre  d'aragni. 

Rigettata  la  vecchia  opinione  del  Castelvetro,  l'A.  espone  il  dubbio  se  opre 
d'aragni  debba  intendersi  nel  senso  di  evidenti,  trasparenti  (perché  al  mo- 
mento del  Giudizio  finale  tutte  le  opere  umane  buone  o  cattive  saranno  cosi 
apipuDto  visìbili  a  tutti),  o  non  piuttosto  intendere  come  i  vecchi  commen- 
tatori vanità,  debolezze,  riferendole  solo  ai  guadagni  falsi  e  vedendo  quindi  in 
quelle  parole  una  restrizione  dell'  idea  principale,  fatto  o  figura  logica  che 
si  osserva  anche  al  verso  114  del  canto  stasso.  A  vero  dire,  quest'ultima 
soluzione  è  impedita  in  modo  assoluto  da  quel  tutti,  che  sembra  messo  H 
apposta  per  avvertire  il  lettore  che  non  si  tratta  solo  de' guadagni  falsi,  ma 
de'  veri  e  de'  falsi  insieme.  A  rincalzo  invece  della  prima  interpretazione  osser- 
verei che  il  concetto,  brevemente  enunciato  in  questi  tre  versi  103-105,  è 
ripreso  e  largamente  svolto  nei  versi  che  seguono  109-112,  dove  appunto  si 
dice: 

Nessun  segreto  Sa  chi  copra  o  chiuda, 

fia  ogni  conscien^a,  o  chiara,  o  fosca, 

dinanzi  a  tutto  '1  mondo  aperta  e  nuda  ; 
e  fia  chi  ragion  giudichi  e  conosca. 

Si  noti  r  ultimo  verso,  vera  e  propria  esplicazione  della  frase  si  farà  ragione 
del  V.  104.  Guadagni  poi  deve  intendersi  nel  senso  di  calcoli,  come  e£fetto 
per  la  V  causa,  e  il  senso  riesce  allora  chiarissimo. 


40  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA        , 

11.142.  —  «0  me!  ma  poche  notti  ; 

fur  a  tanti  desir  si  brevi  e  scarse, 
indarno  a  maritai  giogo  condotti 
(ch'i  del  nostro  furor  scufie  ììoh  false), 

e  i  legittimi  nodi  furon  rótti».  •  ' 

-   .  :  ■     M   •       ^  '.;,.■  , 

È  impossibile  leggere  eh' è  e  chiudere  il  verso  fra  parentesi,  come  fa  l'Ai,  é  " 
ciò  per  tre  ragioni:  1.  eh' è,  nel  senso  qiiod  est  con  un  predicato  plurale  dopò' 
di  sé,  non  è  ammesso  dalla  sintassi  ita;liana  ;  "1.  il  si  comparativo  del  verso  42  ■ 
richiama  di  necessità  un  ehe  correlativo   nel  fecondo  membro  del  periodo, 
3.  il  verso  45:  e  i  legittimi  etc.  cominciante  con  quel  è  copulativo  non  pò-  ■ 
trebbe  cosi  legarsi  a  ciò  che  precede  e  tutta  la  costruzione  sintattica  del  pe-'t 
riodo  ne  andrebbe  spezzata.  La  lettura  dunque  deve  rimanere  quale  fu  atri-'^ 
méssa  dai  vecchi  interpreti  del  poema,  chiudendo  con  due  virgole  il  Verso:  ' 
indarno  etc.  e  conservando  il  che  correlativo  del  si.  Resta  la  difficoltà  assai 
grave  di  intendere  il  significato  dei  due  versi  :  ehe  del  nostro  furor  etc.  ;  ma  ■' 
probabilmente  legittimi  nodi  non  è  che  una  ripetizione  esplicativa  di  scuse 
non  false  e  tutt' assieme  non  sono  che  una  perifrasi  di  matrimonio,  dovendosi 
intendere:  che  le  scuse  non  false  del  nostro  furóre  e  i  nostri  nodi  legittimi  '* 
furono  rotti,  cioè  fu  rotto  il   nostro  vincolo   matrimoniale.  Orribili  versi  ad  ' 
ogni  modo,  ma  non  li  abbiam  fatti  noi  ! 

II.  118.  —  «  eh' è  contenta  costei  lasciar  me  il  regno, 
io  il  mio  diletto,  e  questi  la  sua  vita, 

per  far,     .    pia  die  sé,l'tm  l'altro  degno*. 

vie  '    '  ■'      '  ■  j 

Intanto,  al  v.  118  conviene  scegliere  e  leggere  o  lasciarme  il  regno  o  lasciar 
me  e  'l  regno,  giacché  i  due  complementi  oggetti  cosi  disgiunti  mal  possono 
stare.  Quanto  poi  al  v.  120  l'interpretazione  del  Biagioli  è  di  tale  evidenza,  ; 
e  facilità,  che  il  voler  sostituirne  un'altra  è  davvero  opera  vana.  Quella  pro- 
posta dall' a.,  si  fonda  sur  una  sottigliezza:  far,  degno  in  alcuni  passi  pe- 
trarcheschi vuol  dire  non  solo  creder  degno  di  una  cosa,  per  dir  cosi,  teo- 
ricamente, ma  render  degno  cioè  partecipe  della  cosa  stessa  praticamente. 
Cosi,  secondo  lui,  il  verso  andrebbe  spiegato  non:  perché  ciascuno  stimava  ^ 
V  altro  più  degno  di  sé  del  bene  desiderato,  ma  invece:  perché  ciascuno  pre- 
feriva porre  V  altro  invece  di  sé  in  possesso  del  bene  desiderato.  Il  che,  se  ben 
si  guardi,  vuol  dir  lo  stesso;  è  la  stessa  idea  portata  solo  ad  un  grado  mag- 
giore di  esplicazione,  giacché  chi  crede  degno  uno  di  una  cosa,  generalmente 
gliela  dà  o  vuol  dargliela.  È,  come  si  vede,  uno  sforzo  di  esegesi  affatto  inu- 
tile. 

V.1  15  —  «  Come  11  cor  giovenil  di  lei  s'accorse, 
cosi,  pensosa,  in  atto  humile  e  saggio, 
s' assise  ». 

L'A.  pfopone  di  interpretare   l'avverbio  come  nel  significato  modale  e  cor- 
relativo  del   cosi  seguente,  cioè:  cosi  fiorente  di  giovinezza  quale  l' avea  la    • 


bBLL'A  LETTERAtURA   ITALIANA  4l  ' 

prima  tolta  teduta,  s' assise.  Ma  bisogna  convenire  che  questo  fiohnte  di  gio' 
vtnezza  è  tutto  neila   fantasia   del   commentatore  e  che  la  sola  parola  che  ' 
pòssa  accennarvi  ben  lontanamente  :  giovenil,  non  si  riferisce  a  Laura  liia  ài' 
Péltarca.  Se  si  volesse  intendere  grammaticalmente  giusta  il  desiderio  dell'Àlj 
bisognerebbe  riferire  il  come  e  il  cosi  al  pensoso  in  atto  hitmile  e  saggiò,  ma' 
il  Petr.  non  disse  mài  di   aver  veduta,  la  prima   volta,  Laura  pensosa.  A^''' 
me  non  par  dubbio  che  il  come  e  il  cosi  siano  veramente   due  correlativi" 
temporali,  quali  furono  intesi  da  lutti  i  commentatori  e  stiano  in  luogo  'di  '' 
tosto  che.  Si  ricordi  infatti  il  verso  dantesco,  di  cui  questo  è  forse  una  Yè- 
miriìscenza:  smWìo  si  com' io   di  lor   m'accorsi.  Ma  c'è    dì   più.  Quel  di  tei 
»'  accorse  non  può  essere  interpretato,  come  vorrebbe  l'a,,  per  7a  i;<de,'ma  per  " 
la  riconobbe,  essendo  quasi  una  risposta,  voluta  dalla  intelligenza  di  tutto  il 
brano  al  riconosci?  di  poco  prima.  E  questo  significato   esclude  già  di  per 
sé  tutta  r  interpretazione  proposta  dall'  A.  Il  cor  giovenil  vale,  ben  s'intende, 
per  la  memoria  giovanile,  cioè  la  memoria  delle  cose  giovanili. 

V.a  28  —  «  Ed  io:  «  Al  fiu  di  questa  altra  serena 
cti'à  nome  vita,  che  per  prova  11  sai, 
de,  dimmi  se  '1  morir  è  si  gran  pena  ».         i 

L'A.  legge  .coi  manoscritti  pili  autorevoli  serena  non  sirena  e  propone  di-' ri- 
fexire  serena  a  vita  con   evidente   reminiscenza  dantesca;  e  su  que^t^i.  iioiì>!f< 
parrai  si  possa  affatto  dubitare.  ,'  "    .-.■■.''•'•^! 

■'.Direnoo  ora  assai  brevemente  dell' opu^scolo  del' Proto.  Si  capisce  subitcr '^ 
che  il  lavoro  dell'Appel,  uscito  dopo  di  quello  del  Proto,  ha,  in  parte  ,precor-  ': 
rendone  in  parte  infirmandone'  talune  conclusioni,  tolto  a  questo  uÉia  part6<§ 
del  valore  che  gli  si  sarebbe  potuto  riconoscere.  Valore  del  resto  non  moltoì'^ 
alto,  quando  si  consideri  che  in  questo  opuscolo  di  quasi  100  pagine  è  UB'V 
ibis 'Kiedibis  continuo  intorno  press'a  poco  alle  medesimevidee,  un  accennare'!' 
quafei  affermando  e  poi  uno  smentire  é  un  ripetere  sema  fine,  talché  pui-iifcb 
pili  paziente  dei  lettori  ne  prova,  dopo  breve  spazio,  stanchezza  e  sfiducia.'?:» 
Il  lavoro  si  può,  cosi  all'ingrosso,  dividere  in  due  parti,  nella  prima  delle  ; 
quali  si  discute  della  possibile  derivaizione  dei  Trionfi  dalla  Commedia  e  dalla  • 
Amorosa  Fisjonc,  nella  seconda  assai  pili"  breve,  della  data  del  suo  comin-.'- 
ciamenlo.  ;       t 

In  quella  il  Pr.  si  fa  a  sostenere  che  l'idea  ispiratrice  dei  Trionfi  vdnnè''^ 
al. poeta  dallo  stesso  Sogno  di  Scipione,  che 'la  forma  egli  ne  :prese  almenO'~ 
in  parte  AaWAfrica,  ma.  chela  spinta  definitiva  ebbe  dalla  lettura  àeìVAm'd-  ii 
rosa  Visione.  E  per  quanto  riguarda  le  relazioni  fra  VA.  V.  e  i  Tr.,  ricono- 
sciamo volentieri  che  egli  riuscì  a  provarle  abbastanza  sicuramente,  confer- 
mando in  parte  cosi  e  illustrando  quanto  anche  TAppel,  come  vedemmo,  ha 
provato.  Soltanto   che,  come  spesso  avviene,  egli  restringe  uà  po' troppo  lo '^ 
sguardo  al  particolare  argomento  e  non  avverte  che  talune  dt^le  concordanze ;. 
da  lui  notate  sono   comuni   non  solo  ai  Trionfi  e  alla  A.  F.,  ma  a  tutta  o«! 
quasi  tutta  la  poesia  allegorico-didascalica  del  tempo.  Tale,  a  mo'd'  esempio^' 
la  rappresentazione  figurativa  di  fatti  storici  a  mezzo  di  pitture  o  scultiifé  ; ''^ 


42  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

V  Intelligentia  informi.  Quanto  alle  imilazioni  dantesche  egli  subordina  in 
mpdo  assoluto  tutto  il  suo  argomentare  ad  una  preoccupazione  unica,  quella 
di' provare  che  il  Petr.  non  aveva  letto  veramente  prima  del  1359  la  Divina 
Commedia  e  che  quindi  ogni  imitazione  formale  di  essa,  che  nei  Tr.  si  ri- 
trovi, o  deve  non  esistere  o  deve  essere  stata  inserita  dopo  quel  tempo.  Già 
egli  non  ammette  neanche  come  discutibile,  grazia  sua,  che  accenni  a  remi- 
niscenze dalla  Vita  Nova  e  dalla  Commedia  possano  esserci  nel  Canzoniere, 
e  di  fronte  a  tal  reciso  giudizio  noi  pover  uomini  dobbiamo  chinar  il  capo 
contriti;  ma  ben  poche  imitazioni  delle  pili  evidenti  si  salvano  anche  nei 
Trionfi  dall'  opera  sua  spietatamente  demolitrice.  Fino  ad  ora  nessuno  aveva 
mai  dubitato  che  i  famosi  versi  : 

O  Polimnia,  or  prego  che  m'  aiti, 

e  tu,  Memoria,  il  mio  stile  accompagni 

che  'mpreude  a  ricercar  diversi  liti, 

ricordassero  i  non  meno  famosi  di  Dante: 

O  Muse,  o  alto  ingegno  or  m'aiutate 
O  Mente  etc. 

Ma  che?  Il  prego  viene  da  nnprecor  dell'Eneide,  il  m' aiti  da  an  favem 
adais  delle  Georgiche,  la  Memoria  non  è  proprio  proprio  la  Mente  dantesca, 
i  diversi  liti,  poiché  indicano,  a  suo  giudizio,  materia  varia  in  sé  non  diversa 
da  materia  prima  trattata,*  non  hanno  a  che  vedere  col  celebre  vostri  liti 
dantesco,  e  poi  Ovidio  stesso  ha  detto  una  volta:  navis  iter  per  dir  dell'ar- 
gomento del  suo  lavoro  ;  il  Petrarca  dunque  non  sognava  neanche  della  Cora- 
media,  quando  scrisse  quei  versi  !  Qualcuno  anche  potrebbe  supporre  che  il 
verso:  Questi  fur  teco  miei  ingegni  e  mie  arti  possa  derivare  dal  dantesco: 
Tratto  t'ho  qui  con  ingegno  e  con  arte,  e  ciò  non  tanto  per  la  coincidenza  evi- 
dentissima delle  parole,  quanto  per  la  identità  della  situazione  poetica,  giacché 
cosi  nell'un  caso  come  nell'altro  è  la  donna  che  parla  all'amante  dell'influen- 
za da  lei  esercitata  sull'animo  suo  per  trarlo  a  salvamento.  Ma  quel  qualcuno 
davvero  non  saprebbe  che  anche  Orazio  ha  unito  le  due  parole  ingegno  ed 
arte,  nel  verso  :  Ingenium  misera  quia  foriunatius  arte  credit.  Che  poi  il  senso 
non  combini  neanc-he  mille  miglia  da  lontano,  questo  non  conta;  certo  il 
Petr.  ha  attinto  ad  Orazio  e  non  a  Dante.  E  cosi  per  decine  di  pagine.  Ad 
ammettere  l' imitazione  si  vogliono,  giusta  una  nuova  mirabile  critica  (di  cui 
il  Proto  par  voglia  seguire  l'infelice  esempio)  due  cose:  prima  che  le  parole 


•  O  perché  poi  il  diversi  non  possa  proprio  venir  messo  in  relazione  colla  materia  pre- 
cedente e  non  possa  quindi  intendersi,  come  suona,  per  diversi  o  differenti,  vattelapesca.  Il 
canto,  uno  di  quelli  esclusi  dall'Appel,  era  l'ottavo  nel  vecchio  ordinamento  e  non  fu  certo 
il  primo  in  ordine  di  composizione.  E  quella  invocazione  posta  lì  a  mezzo  lavoro,  non  può 
in  altro  modo  giustificarsi  se  non  coU'ammettere  che  il  Petr.  intendesse,  come  Dante,  ac- 
cennare con  essa  ad  un  mutamento  e  ad  un  elevamento  del  soggetto  da  lui  trattato.  Il  che 
appunto  ù  riconfermato  dal  verso  che  segue:  Uomini  «fatti  gloriosi  e  magni. 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  43  > 

e  il  significato  dei  versi  coincidano  esallaraente  in  modo  che,  se  misurate 
i  righi  col  compasso,  non  sgarrino  di  un  ette;  poi,  che  nessuno  al  mondo 
abbia  mai  usato  per  rinnanri  una  di  queUe  parole,  giacché  allora  è  beli*  e 
deciso,  r  imitazione  è  tolta  sempre  dal  più  antico.  Dire  che  il  Petr.  non  è  un 
plagiario  e  neanche  un  imitatore,  ma  un  ingegno  possentemente  originale  che 
asssimila  e  rifonde  ciò  che  ha  preso  da  altri,  talché  le  indagini  delle  remi- 
niscenze devono  dalla  identità  di  alcune  parole  solo  ricevere  conforto,  ma 
fondarsi  sopratutto  nella  somiglianza  del  pensiero,  nei  disegno  generale  di  un 
canto,  nella  concordanza  di  alcune  situazioni,  nell'atteggiamento  di  un'idea; 
—  dire  che,  se  di  venti  parole  o  frasi  petrarchesche,  scelte  qua  e  là  in  un 
sol  canto,  tre  ne  trovate  in  Virgilio  e  due  in  Orazio  e  quattro  in  Ovidio  e 
via  cosi,  ma  poi  tutte  venti  le  trovate  in  Dante,  principio  elementare  di  lo- 
gica e  di  critica  vuole  che  solo  in  Dante  si  riconosca  la  loro  fonte  comune, 
perché  la  prova  viene  appunto  dallo  scambievole  appoggio  che  quelle  parole 
o  quelle  frasi  si  danno  ;  è  tempo  perduto.  Talché  in  verità  non  mette  conto 
di  battagliare  con  armi  cosf  differenti.  Osserveremo  soltanto  che  il  Pr.,  ritor- 
nando sul  suo  lavoro  oggi,  dopo  l'edizione  dell'Appel,  forse  converrebbe  di 
dover  mutare  giudizio  su  taluni  punti.  Per  esempio,  il  verso:  eh' anzi  tempo 
à  di  vita  Amor  divisi,  dove  la  derivazione  dal  dantesco  :  ch'Amor  di  nostra 
vita  dipartine  è  tanto  evidente  da  apparir  quasi  materiale  e  quindi  inne- 
gabile, era  da  lui,  per  amore  della  sopradetta  tesi  aprioristica,  accettato  solo 
come  un  rabberciamento  posteriore  asserendo  che  il  Petr.,  prima  di  leg- 
gere la  Commedia,  dovea  aver  scritta  1'  altra  lezione  :  che  per  sua  man  di 
vita  eran  divisi,  dove  reminiscenza  dantesca  non  si  vede.  Ora,  neanche  a  farlo 
apposta,  dalla  edizione  critica  dell'Appel  risulta  chela  forma:  ch'anzitempo  etc, 
appartiene  proprio  alla  prima  redazione  del  Canto,  ed  io  non  dubiterei  di 
ammettere  che  invece  più  tardi  il  poeta,  riconoscendo  troppo  evidente  e  vol- 
gare l'imitazione,  da  che  egli  rifuggiva,  ne  tolse  al  verso  ogni  apparenza. 

Assai  meglio  discussa,  forse  perché  più  brevemente,  e  fondata  su  inda- 
gini nuove  è  la  seconda  parte,  che,  come  dicemmo,  tratta  il  tempo  del  co- 
minciamento  dei  Trionfi.  Ivi  con  copia  di  buone  argomentazioni  è  fissata 
al  1351  la  data  della  prima  epistola  poetica  a  Barbato  di  Sulmona,  epistola 
in  cui  si  avrebbe  il  primo  accenno  alla  concezione  del  poema.  La  concezione 
segui  dunque  alla  conoscenza  dell'amorosa  Visione,  ma  la  redazione  scritta 
non  cominciò  (e  in  questo  il  Pr.  si  accosta  alla  comune  opinione  confermata 
anche  dall'Appel)  se  non  sulla  primavera  del  1352  in  Valchiusa.  Dal  che  si 
vede  che  dei  risultati  buoni  anche  dall'opuscolo  del  Pr.  sono  offerti;  essen- 
done, come  dicemmo,  pur  attraverso  i  difetti  di  metodo  e  di  forma,  più  che 
a  sufficienza  provato  quanto  del  resto  era  già  ammesso  in  tesi  generale,  che 
la  lettura  del  poemetto  boccaccesco  ebbe  influenza  notevole  sulla  fantasia 
del  Petrarca  nell' ideare  i  Trionfi. 

Andrka  Moschetti. 


41  '  RASSÈONÀ  BtBLIOGRAFICÀ 


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y IV,  ,')}.■':•  Giovanni  Del  Ttsta  da  Pisa.  ' 

;jNel  tp^.  1739  dell' Università  di  Bologna.  -.  V  Isoldiano  notissimo  -  occorre 
un  capzqniefetto  di- 28  componimenti,  la    maggior   parte   sonetti  e  il  resto 
se^tinj|,  dati  ,dal,c$^.  come  fattura  di  un  rimatore,  altronde  ignorato,  da  Pisa, 
di  ivome„(secopdo.ogni  probabilità)  Giovanni  Del  Testa.  Veramente,  per  es-.^ 
sere  esatti,  le  cose  stanno  in  questi  termini:  da  ce.  193»  a.  198^  si  succedono 
una  sestina  e  21, sonetti  che  al  giudizio  dell'autore  0  dell'amanuense  pare 
formass'ero  ùila  serie   organica,  come   provano   queste   indicazioni   poste  al 
principio  e  a)ja  ijne  della  piccola  serie:  Domini  Johannis  cyllenij  viri  eloquen-  . 
tis,8Ìmi\q,ueàam'Fragmenta  Incipiiint  et  Finiunt  frammenta  D.  Johannis  cyllenij' 
prò  v&iàt;  da  ce.  502'*  a  tOò^  abbiàrno  poi  tre  sestine  e  3  sonetti,  dèi  quali 
compoìòitri^nti  il' primo   à  la  didascalia  Domini  Johannis  Teste  CyÙenij  de' 
Pistà/è  gli' alti^  un  semplice  eiusdem.  Che  tali  diverse  deiiomihazioni  i3Ì  H- 
feriè'éktio  ad  una  medésima  persona,  è  innegabile,  non  solo  per  esser  quelle 
quasi   fderiiiche  tra  loro,  ma  anche   perché  una  sestina  e  uri  sonetto'  della 
seconda  *  serie,  i  nn.  393  e  394  della  tavola  data  da  G.  Rossi,*  appaiono  mani- 
fe^àittètìte  scritti  per  la  stessa  madonna  Verde,  l'amata  del  rimatore,  à  cui  ; 
soh  dedicate  Tè'Tf)ia   delle   rime  del  primo   gruppo.  Di   questa   raccoltina  di 
poesie, 'poiché   nessuno  se  n'è'  occupato  fin' ora  (né  meno  il  diligentissirao 
Flaitiitìinelrà' stia" LtV/ca  toscana  del  Rinascimento)  *  non  sarà  mate  ^péuder  ' 
qui  due  parole.-  '  .  '        '    c'-;.ìlcii;;.- 

E  prilttiàf'lìi  ttftto,  chi  era  l'autore?   Della   sua   biografia  non  sappi'anfO    : 
nulla; 'soto,  dÀir  èsser  due  sonetti   suoit  (i  nn.  395  e  396)   dedicati  al>  duca 
Ercole  I  di  iPerraVa   (1474-1504),  possiam   pórre  il  fiorire  di  lui  nelUuItimoi 
quarto  delsèc.  XV.  Appartenne  egli  alla  famìglia  Del  Testa,  notissima  tra  le  r 
pisane;  |«tlaMÌa  tria  j  membri  di  questa   non   conosciapio  (cotne   mi?  faceva; 
osservarejl.:^;!!»,  prof.  Lupi,  che  qui,  cogliendo  l' occasione,  .ringrazio)  nessuno,, 
che  avesse.jiji  noijne  di  Giovaoni  e  vivesse  press' a  poco  al  terppo  del  rima- 
tore in  discorso. 5  Del  r^sto  , non  più  di  noi  fiurono,  informati,  tra, gli  antichi,,. 


't  tri  P/-b/)«J7WOfor*,  Jf;' 8.,"Vl!  [ISOSf  2,  nd-67.  Secondò  questa  tavola  cito  sempre  anctiè  gli' 
alti?l;'còrtlp9i»Jinent'IÌ    '■'»>  ■'■'     'f    '       ;     ,'     ' 

2^  Il  qtiale,  per  àUrò,  déliberatftmente' aj  astenne  (cotufs  nella  prefazione  egl i. stesso;  con^ 
fessaj  daj.  tfattar^.di  quei  rimatoci,  che.  nou^  erano  nati  p  al  meno  vissuti  a  Firenze. 

3  Questa  famiglia  (lat.  Testa  o  de  Testa)  ogRidi  estinta  apparteneva  al  quaHierivm  Kinthice 
e  doveva  essere  a  bastanza  antica  se  un  Bervardus  de  !?*«<«  (comùnicaziohe 'del  prof.  Lupi)  '' 
studiava  a  Bologna  già  nel  1202.  Molti  Del  Testa  furono  degli  anziani  della  loro  patria,  come 
puoi  vedere  d^i  d^cujJKenti-  liubblicatl  da  F.  Bonaini  uell' Ardi.  stor.  it.  (voi.  VI  della  serie  I, 
parte  seconda).  —  Quanto  all'aggiunta  di  C'yllenius  al  nome  del  nostro  autore,  non  so  come 
spiegarla,  a  meno  che  si  tratti  di  soprannome:  che  patronimico  non  so  risolvermi  a  cre- 
derla. Alcuni  sonetti  volgari  di  nn  rimatore  indicato  con  il  soprannome  di  Culhnio  o  Cyllenio 
Mercurio  e  diretti  al  veronese  Felice  Feliciauo,  si  trovano  in  uu  cod.  dell'editore  L.  S.  OlscLki 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  :  *45 

il  Grescimbeni,  che  ricordò  il  Del  Testa  nel  secondo  volume  de'  Comentari,^ 
né  il  Quadrio  *  che  attinse  anche  questa  volta;  come  quasi  sempre,  dal  custode 
d'Arcadia.  Tra  i  moderni  intendeva  metter  in  luce  questo  pisano  E.  Lamma 
nel  lavoro,  rimasto  incompiuto,  su  Alcuni  petrarchisti  del  sec.  XV;^  e  lo 
ricordò  di  sfuggita  il  Flamini,*  rimandando  il  lettore  a.\V Istoria  del  Gre- 
scimbeni. 

Veniamo  ora  al  canzoniere  del  nostro  poeta,  canzoniere  forse  pili  note- 
vole di  quanto  si  può  credere,  ove  lo  giudichiamo  alla  stregua  degli  altri 
moltissimi  che  dello  stesso  tempo  ci  restano.  Intendiamoci:  nulla  di  straor- 
dinario; l'autore  assorge  solo  qualche  volta,  e  non  è  poco,  alla  mediocrità, 
eh'  è  il  supremo  limite  estetico  della  scuola  alla  quale  appartenne  ;  e  di  essa 
ha,  in  genere,  tutti  i  caratteri  (direi,  i  difetti)  che  furono  cosi  bene  còlti  dal 
Flamini  nell'opera  citata  più  sopra:  ristreW-ezjja  di  conteèltl  e^'fatipoatà  di 
espressioni,^  frequenti  oscurità,  non  poche  inversioni  e  iatìni^itì'ij  e'-9opi'a 
tutto  il  peso  soffocante  della  mitologia  classica^'o,  meglio,  della  retorica  mito- 
logica quattrocentista.^  A  volte  si  tocca  il  grottesco  nella'"còrtimistióne  del 
sopranaturale  pagano  co' '1  cristiano,  còme  quando  (n.  207),' dopo  il  ricordo 
dei  doni  che  alla  bella  donna  fecero  Minerva  Venere  Apòllo,  è  detto  che 
'  gli  angioli  summi  del  celeste  coro  ,  le  diedero  il  dolce  cànt'ó.  In  feóttipenso 
la  musa  del  rimatore  s'inalza  ov'ei  tocca  delle  bellezze  della 'sua  donha;  vepsi 
ben  fatti  s'incontrano  più  facilmente,  e  anche  concetti,  se  noa  nuovi;  al  itìfebo 
espressi  con  qualche  originalità;  valgano  ad  esempio  questi:^  -  -    '-' 

.  ■  .vU--(:'  V, 

Celeste  forma  in  nitido  alabastro;  r  - 

gli  occhii  doe  stelle  e  '1  capo  de  fino  oro; 
bianche  rose  e  vermiglie  in  perle  e  'n  ostro; 

la  man  d'avorio ;    ?';  ^  •••  :-  ;   •  • 

n.l9?);  .    ;-;   .   ■;;:;  ;• 


fe  gran  parte  del  sonetto  n.  204,  che  qui  trascrivo' per  interb:-  '=•  "■ 

Questa  alma  gloriosa  e  francba  donnaj   '  ,[  ,  >[    ,; 

che  per  mostrar  de  dio  valore  e  possa 
boggi  è  tra  noi  per  terra  in  carne  e  'n  ossa, 
de  beltà  specchio  e  de  virtù  colonna; 


recentemente  illustrato  da  C.  Mazzi  (Sonetti  di  Pel.  Feliciano  ;  in  La  Bibliofilia,  v.  Ili  [1901-2] 
55  sgg.);  ma  non  è  possibile  determinare  se  questo  Cyllenlo  sia  una  stessa  persona  co"l  Del 
Testa.  La  ragion  cronologica,  tuttavia,  non  si  .opporrebbe  all'ii^entiflcazione. 
1  Ed.  dell' Mona  del  1730:  voi.  Ili,  p.  300.  .       '    -^    .  ,,., 

5  Pag.  209  del  voi.  II  dell' Moti  a.  ^,  ,;  ;  !  ., 
3  Propugnatore,  XX  [18871  2,202  sgg.;  384  sgg.  ,,,.,;  ,t  -, 
*  Oiorn.  stor.  della  lett.  it.,  XV  [1890]  239  n.  1. 

6  In  due  sonetti  (197  e  198)  ricorre  il  medesimo  concetto  che  né  Virgilio  né  Omero  avreb- 
bero potuto  degnamente  cantare  della  donna  amata  dal  poeta;  in  altri  due  (205  e  207),  di 
costei  si  enumerano  le  bellezze,  onde  le  diverse  divinità  dell'Olimpo  le  fecero  dono.  Cosi 
gli  ostri  e  le  perle  del  bel  volto  son  ricordati  al  meno  in  cinque  poesie  e  quasi  sempre  con  le 
stesse  parole. 

fi  Notevoli  specialmente,  sotto  questo  rispetto,  i  sonetti  195  e  205-?07.;       ,  ,  ;        t 
T  Mi  attengo   scrupolosamente   ma  non  pedant^scarpcnte   al  ms.,  usando  d^l^e.^^i^^oze 
concesse  in  simili  trascrizioni.  .  ■    ,  t 


46  RASSEGNA   BIBLIOQRAFICA 


quando  la  vedo  scapigliata  in  gonna 
par  cbe  sia  el  sole  cum  l'aurora  mossa, 
alegra  chiara  lustra  biancba  e  rossa, 
tanto  nel  volto  splende  mia  madonna. 

Ma  poi  ch'ella  à  racolti  i  crini  d'oro 
iu  un  bel  groppo,  e  riposato  alquanto, 
gli  ostri  e  le  perle  fanno  el  suo  lavoro. 

o  dio,  che  psalmeggiar,  che  dolce  canto! 
eh' a  gli  angioli  del  ciel,  nel  summo  coro, 
dinanzi  al  gran  factor,  non  ne  do  vanto. 


II  quale  sonetto  ci  fa  creder  che  Giovanni  godesse  l'intimità  della  saa 
donna  (vedi  il  verso  quinto):  certo,  in  quella  confessione  delle  dolci  confi- 
denze che  questa  si  permette  co'  '1  suo  amatore  -  e  la  confessione  par  che 
venga  fuori  involontaria  di  mezzo  al  convenzionalismo  cortigianesco  che 
aggrava  il  resto  del  sonetto  -  traluce  un  affetto  più  umano  e  pili  vivo,  che 
ci  fa  guardar  con  occhio  meno  severo  le  smancerie  in  cui  tosto  ricade 
l'autore.  L'amor  suo,  fuori  di  questo  che  s'è  notato,  non  à  nulla  di  singo- 
lare: alle  lodi  della  bella  *  (nn.  196-199,  202-207)  si  alternano  confessioni  di 
raffreddamento  nel  poeta  (n.  212)  e  lamenti  per  la  crudeltà  dell'amata  (nn.  194, 
195,  200,  213).  Un  dolore  amoroso  veramente  sentito  esprime,  a  parer  mio, 
il  robusto  sonetto  n.  215. 

L'argomento  predominante  nel  piccolo  canzoniere  è  dunque  l'amore: 
anche  altri  oggetti  tuttavia  non  son  esclusi.  Cosi  ricorderò  i  due  sonetti 
395  e  396  al  duca  di  Ferrara,  in  tono  di  consiglio  il  primo,  di  lode  il  secondo; 
il  394  -  pubblicato  dal  Grescimbeni  -,  graziosa  descrizione  del  calendimaggio 
iu  città  e  pe'  i  campi;  il  214  morale,  il  208  a  lode  di  Firenze,  il  209  all'Italia, 
e  in  fine  il  210  e  il  211,  ove  son  nominati  alcuni  pittori  contemporanei  ed  un 
artefice  Gorradino,  che  con  l'iperbolismo  quattrocentistico  è  detto  superiore 
a  Fidia  e  a  Policleto.  L' ultimo  dei  due  sonetti  non  sarà  inutile  riprodurre, 
non  foss' altro  che  a  titolo  di  curiosità;  ed  è  il  seguente: 

Io  sarò  sempre  amico  a'  dipiuctori, 
a  Forte  e  Marcbo  e  al  Borgho  mio  divino; 
ma  '1  gran  Giovanni  e  '1  buon  Gentil  Bellino 
flan  sempre  digni  di  celesti  bonori. 

costor  son  quei, d'ogni  altra  gente  fòri 
ch'àn  traete  l'arte  e  preso  suo  camino, 
dui  bei  fratelli  e  '1  patre  lor  più  fino 
mastro  da  farne  in  versi  gran  romori. 

,  Ma  lasso  el  mio  Francescho  da  l'un  lato, 

eh' a  l'uno  e  l'altro  stile  à  messo  il  legno 
per  farse  al  mondo  un  bel  cavallo  alato? 


1  Nel  canzoniere  è  chiamata  co'  '1  nome  di  Verde.  Questa  parola,  che  del  resto  potrebbe 
essere  un  se»hal,  ricorre,  tra  gli  altri,  nei  nn.  198,  200,  201,  207,  212,  215,  393,  394.  Un  altro  ac- 
(sepRO  al  nome  di  i;n'am«ta  (Laura?)  si  ha  forse  nei  sonetti  201  e  212. 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  47 


Antonio  Riccio  è  ben  de  laude  degno, 
e  Gian  Boldd  che  Scopa  à  pareggiato; 
ma  Goradino  in  creta  el  primo  teguo.  i 


Anche,  degne  di  osservazione  son  le  sestine,  componimento  poco  usato 
al  tempo  del  poeta,  delle  quali  restano  quattro,  numero  tanto  più  notevole  su 
ventotto  componimenti  a  pena  che  costituiscono  il  canzoniere.  Di  queste 
sestine,  la  terza  (n.  392)  è  una  preghiera  scritta  per  Iji  festa  di  Natale:  pro- 
babilmente in  essa  si  dee  veder  la  ragione  per  cui  il  buon  canonico  Gre- 
scimbeni  affermava  che  "  nelle  sestine  apparisce  egli  (il  Del  Testa)  più  felice 
"  e  meno  incolto  ,.  In  realtà  io  preferisco  i  sonetti  alle  tre  prime  sestine, 
non  forse  all'ultima  (n.  394),  amorosa,  che  presenta  qua  e  là,  su  '1  far  del 
Petrarca,  alcuni  luoghi  felici.  Le  due  rimanenti  (nn.  194  e  391),  di  niun  pregio, 
si  aggirano  su  i  soliti  lamenti,  una  per  la  crudeltà  di  madonna,  T  altra  per 
la  corruzione  del  secclo. 

In  conchiusione,  questo  rimatore  avrebbe  potuto  continuar  a  dormire  nel- 
l'oblio del  manoscritto  senza  danno  né  grave  né  leggero  delle  lettere  nostre; 
ma  visto  che  molti  altri,  più  di  lui  immeritevoli,  son  ricondotti  continua- 
mente alla  luce,  ra'  è  parso  bene  di  rendergli  giustizia  con  queste  poche  ri- 
ghe. Tuttavia  voglia  credere  il  lettore  che  non  mai  il  nostro  Giovanni  fu  cosi 
sincero,  come  quando,  lamentandosi,  disse  di  sé  (n.  393)  che  il  caso  la  for- 
tuna e  la  stella  sua  non  lo  fecero  nascer  poeta. 

Aldo  Frano.  Masséra. 


ANNUNZI  BIBLIOGRAFICI. 

Parre  Toldo.  —  Etudes  sur  le  Théàtre  comique  frangais  du  moyen  àge  et 
sur  le  rùle  de  la  Notivelle  dans  les  Farces  et  dans  les  Comédies  —  in  Studj 
di  Filol.  Romanza  . —  fase  25  (voi.  IX,  fase.  2). 

Il  compito  propostosi  dall' a.  in  questo  lavoro  non  è  certo  dei  più  agevoli, 
quando  si  pensi  ch'egli  ha  cercato  di  stabilire  le  relazioni  tra  la  Farsa  e  la 
Commedia  profana  fi'ancese  da  una  parte  e  la  Novella  indigena  e  forestiera  da 
un'altra,  cominciando  dal  sorgere  del  teatro  comico  oltr'Alpe,  quale  erede  per 
indole  e  scopi  dei  '  Fableaux  ,,  che  cadevano  decisamente  in  disuso,  e  spingen- 
dosi fino  al  rinnovamento  nei  primordj  del  sec.  XVIIL  Né  per  quanto  egli  faccia 
oggetto  speciale  del  suo  studio  la  produzione  dei  secoli  XV  e  XVI,  i  limiti  cro- 


>  1  pittori  indicati  nei  w.  3-8  sono  i  tre  famosi  Bellini,  veneziani,  Jacopo,  padre,  e  i  figli 
Oiovanni  (1427-1516)  e  Gentile  (v.  1426-1507).  —  Antonio  Bregno,  veronese,  detto  Riccio  o  Riizn, 
ta  architetto  e  scultore,  e  mori  a  Foligno  nel  1498.  —  Di  Giovanni  Boldri,  medaglista  e  pittore 
veneziano  della  metà  del  sec.  XV,  abbiamo  alcune  medaglie  datate  dal  1457  al  1466.  —  Gli  altri 
artisti  nominati  nel  sonetto  non  son  riescito  ad  identificare,  meno  forse  Corradino,  che  può 
essere  il  domenicano  fra' Bartolommeo  C!orradinì,  detto  Carnevale,  pittore  e  architetto  urbina'e 
vissuto  fin  dopo  al  1488. 


48  .  ,1 ,  RA8SBQN A -BIBLIOGRAFICA 

nologìci  cessano  dal  rimanere  a  gran  distanza  l'un  dall'altro:  ma  se  a  questo 
si  aggiunga  la  difficoltà  dell'indagine  in  materia  tanto  copiosa  ed  in  cosi  pic- 
cola parte  ordinata,  ci  si  metterà  in  grado  di  apprezzar  con  maggiore  equità 
il  presente  lavoro.  Il  quale  si  può  dividere  in  due  parti:  la  prima  diligente  ed 
accurata  sulla  commedia  dei  secoli  XV  e  XVI;  la  seconda,  meno  sicura  e  sen- 
"fe? alcun  dubbio  insufficente  sul  teatro  comico,  del  sec.  XVII  e  dei  primi  anni 
i^delsec.  XVIll.  Ciò  non  ostante,  pur  aggiungendo  che  l'argomento  è  ben  lungi 

•  tdair essere  esaurito,  vogliamo  affrettarci  a  convenire  che  questo  studio  rappre- 
-' senta  un  notevole  contributo  a  quella  storia  sistematica  delle  relazioni  tra 

Francia  e  Italia,  d'indole  più  psicologica  che  letteraria,  la  quale  almeno  finora 
-non  è  che  un  desiderio  per  molli.  Sono  dieci  capitoli  in  tutto,  pili  la  prefa- 

■  •tione:  nel  primo  (pp.  187-203)  l'A.  prende  in  esame  alcuni  motivi  tradizionali 
f-di  giuochi  d'astuzia  elaborati  nei  favolelli  e  passati  direttamente  nella  com- 

■  media  e  nella  farsa  del  XV  e  del  XVI  secolo.  Nel  secondo  (pp.  208-218)  pone 
■J'^in  relazione  qualche  produzion  comica,  che  direttamente  ne  derivi,  coi  nu- 
merosi componimenti  in  prosa  ed  in  verso,  ne'  quali  è  un  continuo  palleggio 

-id^ argomenti  in  favore  ed  in  opposizione  al  matrimonio.  Quindi  prendendo 
;*-lé  mosse  da  una  giusta  affermazione,  che  l'ideale,  cioè,  della  moglie  nel 
-medio  evo  era  la  donna  sottomessa  in  tutto  e  per  tutto  alla  forza  bru- 
tale del  marito,  il  T.  va  rintracciando  nei  débats,  nei  contrasti  e  nelle  no- 
velle nostrane  molte  derivazioni  d'uno  stesso  motivo  sul  modo  pili  oppor- 
tuno, onde  può  valersi  il  marito  per  domare  1* ostinazione  femminile  (cap.  HI 
pp.  219-233);  e  serba  al  IV  cap.  (pp.  233-264)  la  disamina  dei  drammi,  che 
traendo  il  ridicolo  da  un  lato  opposto  del  matrimonio,  portano  sulla  scena 
i  mariti  aggirati  continuamente  dall'astuzia  delle  lor  donne.  Al  qual  propo- 
sito osserva  giustamente  l' a.  che  il  marito  diventa  in  questi  drammi  l' es- 
senza della  stupidità,  sicché  il  trionfo  degli  espedienti  di  negromanti,  di 
scongiuri,  di  apparizioni  e  d' unguenti  miracolosi  messi  in  opera  dalla  moglie, 
sempre  astuta  è  vero,  ma  d'un' astuzia  ingenua  e  grossolana,  riesce  molto 
'facilitato.  Senonché,  per  quanto  non  frequenti,  s' incontran  per  le  com- 
medie e  per  le  novelle  del  tempo  anche  esempj  di  fedeltà  da  parte  delle 
donne,  che  volgono  la  loro  astuzia  tradizionale  non  ad  ingannare  il  marito,  ma 
ad  aiutarlo  per  iscoprire  chi  vorrebbe  attentare  all'  onore  della  famiglia  :  in 
questo  caso  quale  protagonista  ridicolo,  al  marito  sottentra  l'amante.  T^ale  è 

•  r  argomento  del  V  cap.  (pp.  265-277)  che,  quanto  alla  matèria  di  elaborazione 
'chiude  r  esameassai  largo  e  paziente,  condòtto  con  diligenza  sulla  commedia 

francese  nel  suo  primo  periodo.  Nei  tre  Capitoli  successivi  (VI,  'VII,  VIII, 
pp.  277-324)  la  ricerca  è  volta  a  lumeggiare  i  caratteri  che  più  frequentemente 
tornano  in  scena.  Tutta  la  società,  senza  riguai"dó  alcuno  di  casta  o  privi- 
legio, il  contadino  ignorante  cótne  il  nobile  orgoglioso;  in  '  special  modo 
se  povero  come  il  prete,  che  tutto  assorto  in  un  falso  pietismo  pur  di  poter 
coprirsi  sotto  una  maschera  d'illibatezza  e  santità  si  crede  lecito  tener  mano 
a  qualunque  intrigo,  tutti  insomma,  prestano  argomento  al  ridicolo.  iJon  gran 
-.novità  perciò  tra  i  protagonisti  del  teatro  francese  e  quelli  della  nostra 
'■'Rinascenza,  appunto  perché  tanto  qui  come  oltr'Alpe  la  commedia  come  la 
novella  rispecchiano  ugualmente  le  debolezze  e  le  ridicolaggiùì  ,dèlla  so- 
cietà. A  questa  prima  segue  una    seconda   parte,  direi  qu£|.si,  divisa  ^  sya 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  49 

volta  in  due  capitoli,  i  quali  ancorché  sien  ben  nutriti  di  fatti  non  posson 
pretendere  che  di  sfiorar  l'argomento.  Il  IX  (pp.  B24-356)  vorrebbe  studiare 
le  relazioni  della  novella  colla  commedia  francese  della  Rinascenza  e  del 
XVII  secolo,  e  com'è  naturale  s'indugia  su  Molière  e  su  quei  di  sua  scuola; 
il  X  ed  ultimo  movendo  da  questo  punto  arriva  ai  primi  anni  del  1700  con 
particolar  riguardo  al  La  Fontaine,  quale  novelliere  ed  autore  drammatico. 
Ci  siamo  diffusi  alquanto  a  dar  ragione  di  questo  studio  perché  interessa 
la  letteratura  nostra,  e  in  special  modo  la  forma  novellistica,  per  i  numero- 
sissimi riscontri  che  il  T.  istituisce  tra  intrecci  di  novelle  e  drammi  francesi 
e  novelle  e  facezie  e  farse  di  autori  italiani,  quali  il  Boccaccio,  il  Sacchetti,  il 
Poggio,  Sabadino  degli  ArienLi,  Masuccio,  lo  Straparola,  il  Domenichi,  il  Ser- 
cambi,  il  Doni,  il  Randello,  il  Firenzuola  e  molti  e  molti  altri,  onde  per  questo 
rispetto  il  presente  lavoro  può  esser  considerato  come  un  buon  contributo 
alla  storia  della  varia  fortuna,  eh'  ebbe  fuor  d' Italia  il  patrimonio  novellistico 
nostrano.  M.  Sterzi. 


Biblioteca  critica  della  Letteratura  italiana  diretta  da  Francesco  Torraca  : 
fase.  36-42:  E.  Hauvettk,  F.  Torraca,  E.  Cochin,  V.  Gian,  F.  Golagrosso.* 
—  Firenze,  Sansoni,  1901. 

Dobbiamo  alla  conferenza  di  E.  Hauvette  su  Dante  e  la  poesia  francese 
del  Rinascimento  (di  pagg.  38  in  16.»  —  trad.  Agresta)  notizie  preziose  e 
accortamente  raccolte  sulla  fortuna  del  Divino  Poema  in  Francia.  Dalle  re- 
miniscenze di  Cristina  de  Pizan  ci  conduciamo  gradatamente  alle  imitazioni 
sapienti  di  Margherita  di  Navarra,  che  le  concezioni  allegoriche,  lo  stile  e  il 
metro  tolse  dalla  poesia  dell'Alighieri.  Noi  amiamo  questo  genere  di  ricerche 
che  dimostrano  come  tra  furori  di  rapine  e  di  guerre,  gli  spiriti  di  nazioni 
diverse  s'accordino  nel  puro  dominio  dell'arte.  Nel  caso  speciale  poi  non 
abbiamo  che  a  rallegrarci  che  la  dotta  conferenza  venga  ad  integrare  il  noto 
e  importante  studio  del  nostro  Flamini  su  Le  lettere  italiane  alla  corte  di 
Francesco  I.  —  Va  notata  in  appendice  la  recensione  di  F.  Torraca  al  Livre 
du  Chemin  de  Long  Estude  di  Cristina  de  Pizan,  pubblicato  la  prima  volta 
dal  Puschel  nel  1881. 

Lo  stesso  prof.  Torraca  raccoglie  in  un  volumetto  a  parte  (di  pagg.  40  in 
16.»)  quanto  ha  potuto  rintracciare  delle  Donne  italiane  nella  poesia  provenzale. 
Alcune  figure  —  Beatrice  figlia  di  Bonifazio  marchese  del  Monferrato,  Bea- 
trice e  Giovanna  d'Este,  Emilia  Traversare,  la  contessa  di  Provenza  —  n'e- 
scono in  luce  più  chiara,  in  più  efficace  rilievo  ;  ma  altre,  la  maggior  parte, 
non  ostante  i  nuovi  documenti  e  le  notizie  con  fatica  raccolte  restano  ancora 
nell'oscurità.  Dalla  quale  alcune  ora  son  tratte  perle  notevoli  aggiunte  del 
Bertoni  {Giorn.  Stor.  XXXVI,  XXXVIII).  Intorno  all'interessante  argomento 
molte  cose  potranno  ancora  ricercare  e  trovare  gli  studiosi:  l'A.  ha  fatto  il 


»  Dei  fase.  37-38  (Erans,  F,  Petrarca  e  la  sua  corrispondenza  epistolare)  si  è  già  parlato 
nella  Ras».  IX.  329. 


50  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

dover  suo  indicando  da  maestro  la  via.  —  In  una  nota  in  appendice  si  tratta 
in  particolare  della  famosa  Treva  di  Guglielmo  de  La  Tor,  che  si  vorrebbe 
composta  prima  del  1220. 

Non  tanto  la  minuzia  delle  ricerche  e  dei  fatti  quanto  le  considerazioni 
argute,  la  forma  garbata  e  vivace  rendono  pregevole  e  graditissimo  alla  let- 
tura il  libro  di  E.  Gochin  sul  Boccaccio  (di  pagg.  104  in  16.»).  I  giudizi  sul- 
l'uomo, sui  suoi  amori,  sulle  sue  credenze  religiose  e  sui  criterj  morali  non 
tutti  forse  persuaderanno,  ma  piaceranno  per  la  convinzione  sincera  —  frutto 
di  lungo  studio  —  onde  sono  dettati.  Vorremmo  ad  ogni  modo  che  non 
COSI  gran  conto  si  fosse  fatto  della  dimora  del  Boccaccio  a  Napoli,  che  ne 
venisse  attenuata  e  quasi  messa  in  dubbio  la  profonda  e  sincera  toscanità. 
—  Fa  appendice  alla  studio  una  nota  erudita  sulla  seconda  visita  di  mess. 
Giovanni  a  Venezia,  che  l'A.  vorrebbe  far  risalire  all'anno  1367. 

Un  ottimo  Medaglione  del  Rinascimento  ricostruisce  V.  Gian  trattando  con 
paziente  minuzia  di  Cola  Bruno  Messinese  e  delle  sue  relazioni  con  Pietro 
Bembo  (pagg.  102  in  16.»).  L'A.  con  somma  cura  indaga  le  vicende  dell'umile 
gretario;  come  fu  a  Venezia  ed  allo  studio  di  Padova,  poi  a  Urbino  e  a 
Roma;  come  divenne  amministratore  del  patrimonio  del  Bembo  non  solo, 
ma  anche  suo  bibliotecario  e  revisore  di  stampe  e  consigliere  in  questioni 
di  lettere.  Onorato  della  intera  fiducia  del  cardinale  attese  con  coscienza 
all'educazione  dei  figli  di  lui.  Naturalmente  ebbe  e  mantenne  relazioni  con 
molti  letterati  e  in  special  modo  col  Lampridio,  col  Bonfadio,  con  Trifon  Ga- 
briele, col  Ramusio.  Quanti  meglio  lo  conobbero  e  furono  suoi  amici  ama- 
ramente ne  piansero  la  morte  avvenuta  nel  1542.  Negli  ultimi  anni  fu  l'a- 
mima  dell'Accademia  degli  Infiammati  di  Padova  o,  co  m'ebbe  a  dire  Fran- 
cesco Quirini:  "di  essa  meritissimo  padre,.  Merito  suo  grandissimo,  nota 
giustamente  il  G.,  fu  d'aver  scritto  poco;  di  questo  poco  è  offerto  un  saggio 
nell'Appendice,  ove,  con  una  diligentissima  bibliografia  delle  lettere  del  Bruno, 
si  contengono  interessanti  saggi  epistolari  inediti  suoi  e  del  Bembo. 

Da  qualche  tempo  è  ritornato  in  onore  più  di  quanto  meriti  il  Teatro 
gesuitico.  F.  Golagrosso  che  di  cotesto  Teatro  con  speciale  riguardo  a  Saverio 
Bettinelli  trattò  anni  sono,  ripubblica  il  suo  studio  ampliato  e  corretto  (di 
pagg.  XXVM38  in  16.»).  Della  natura  di  quelle  curiose  rappresentazioni,  dei 
criterj  a  quali  gli  autori  s'ispiravano,  delle  norme  che  ne  regolavano  l'esecu- 
zione, parla  con  la  scorta  del  Baysse,  dello  Zeidler  e,  nella  prefazione,  del 
ReinhardstSttner.  Ampiamente  si  diffonde  sulle  tragedie  del  Bettinelli  —  del 
quale  espone  le  teoriche  —  rilevandone  le  molteplici  relazioni  con  la  tra- 
gedia Francese.  Accurata  è  la  disamina;  buona  e  ricca  la  messe  delle  no- 
tizie, ma  al  lavoro  avrebbe  giovato  assai  un  ordine  più  severo  ed  una 
maggior  concisione.  G.  M. 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  51 


CRONACA. 

.*.  La  Strenna  dantesca  pubblicata  quest'anno  -  ed  è  il  secondo  -  dai 
sigg.  Bacci  e  Passerini  (Firenze,  Lumachi,  di  pag.  152  in  16.»)  contiene  pa- 
recchi scritti,  alcuni  dei  quali  degni  di  special  nota,  ed  è  ornata  di  illustra- 
zioni: che  sono,  il  ritratto  di  D.  di  Andrea  del  Castagno,  la  casa  di  Dante,  e 
il  bozzetto  della  ricostituzione  della  medesima,  le  undici  medaglie  dantesche 
del  Museo  del  Bargello,  il  ritratto  del  Carducci  ecc.  le  Regole  per  trovare  il 
termine  pasquale,  il  plenilunio  pasquale  e  la  Pasqua  compilate  da  F.  Angblitti 
secondo  le  dottrine  del  poeta,  e  un  Calendario  ove  sono  notate  date  storiche 
riferentesi  al  poema  e  al  suo  autore,  ricordiamo  i  seguenti  scritti:  G.  Carducci, 
Allusioni  di  D.  alla  Vita  Nuova,  postille  al  '  libello  ,  giovanile  (ma  ormai  è 
posto  in  dubbio  che  il  *  Messer  Brunetto  ,  ricordato  in  un  sonetto,  sia  il  La- 
tini: è  piuttosto  un  Brunelleschi)  :  L  Del  Lungo,  Le  case  degli  Alighieri  a  Fi- 
reme  (notizie  rilevanti  e  sicure  di  topografia  fiorentina  e  alighieriana);  L  B. 
Supino,  Le  medaglie  di  D.  nel  museo  del  Bargello  (accurata  illustrazione  numi- 
smatica e  storica);  F.  D'Ovidio,  Nota  al  e.  XI,  19-21  dell' laferno ;  G.  Maz- 
zoni, Minime  curiosità  dantesche;  G.  Mestica,  La  missione  di  D.  nella  D.  C; 
N.  ZiNGARELLi,  Ben  s'impingua  e  Son  si  poche;  A.  Bonaventura,  L'armonia 
delle  sfere  nella  D.  C;  G.  Federzoni,  Ancora  pel  numero  nove;  G.  Vandelli, 
Int.  al  testo  critico  della  D.  C.  Si  aggiungano  informazioni  bibliografiche  su 
Gli  studj  danteschi,  notizie  sulla  Società  dantesca  italiana,  su  la  Lectura 
Dantis,  e  poesie  originali  e  tradotte.  Non  vogliamo  poi  dimenticare  uno  scritto 
del  prof.  A.  Eccher  sulla  Società  Dante  Alighieri,  su  quella  istituzione  che  fra 
mezzo  a  mille  difficoltà  prosegue  un  fine  altamente  nazionale,  ed  opportu- 
namente ha  scelto  a  sua  insegna  il  nome  del  creatore  della  nostra  letteratura. 

.*.  Abbiamo  un  nuovo  studio  sull'  anno  della  finzione  dantesca,  di  che  è 
autore  il  sig.  P.  Boccone  {Leggendo  la  D.  C,  Palermo,  tip.  Era  Nova,  1902  di 
pagg.  50  in  15.°).  Esso  si  compone  di  quattro  capitoletti  seguiti  da  tre  chiose. 
Il  primo  è  inteso  a  mostrare  in  special  modo,  contro  le  conclusioni  dell' An- 
gelitti,  che  gli  argomenti  storici  forniti  dal  poema  stesso  inducono  a  porre 
la  visione  nel  1300.  È  veramente  notevole  l'interpretazione  proposta  al  v.  78 
e.  XXIII  Purg.,  la  quale  se  a  primo  aspetto,  per  la  sua  novità,  ha  qualche 
apparenza  di  sottigliezza,  finisce  col  persuadere.  Secondo  il  B.  quelle  parole 
rivolte  da  D.  all'  amico  Forese  "  cinqu'  anni  non  son  volti  in  fino  a  qui  ,  non 
hanno  il  senso  di  una  semplice  determinazione  cronologica,  ma  scaturiscono 
da  un  sentimento  di  meraviglia  naturale  in  D.,  che  stretto  a  lui  tanto  fami- 
liarmente da  convertirlo  a  mutar  vita,  come  dice  V  Ottimo,  poteva  saper  be- 
nissimo per  quanti  anni  il  Donati  fosse  vissuto  nel  peccato  :  ammesso  che 
questi  anni  fossero  in  numero  di  cinque,  e  ricordandosi  della  legge  "  tempo 
'  per  tempo  si  ristora  ,,  D.  doveva  rimaner  sorpreso  che  non  essendo  passati 
ancora  cinqu'anni  dalla  sua  morte,  egli  si  trovi  nel  Purgatorio  e  non  nell'Anti- 
purgatorio; onde  si  spiega   la  curiosità  di  D.  e  l'esaltazione  di  Nella,  ch^ 


52  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

colle  sue  preghiere  aveva  diminuito  al  consorte  le  pene  d'oltretomba  ^, 
Non  altrettanto  persuasiva  ci  sembra  l'interpretazione  dei  rimpianti  di  Nino, 
né  la  divisione  in  due  momenti,  che  l'A.  vorrebbe  vedere  nel  discorso  del 
buon  giudice  di  Gallura,  perché  crediamo  che  le  terzine  dantesche  in  questo 
punto  formino  un  sol  tutto,  rifereutesi  al  nuovo  matrimonio  della  vedova  di 
Nino  col  signore  di  Milano:  è  un  rimpianto  spontaneo  che  si  chiude  coli' ac- 
cenno aperto  alle  cause  che  lo  determinano.  Ma  non  per  questo  diamo  al 
fatto  un  valore  assoluto  per  trasportare  la  data  della  visione  nel  1031,  perché 
se  è  assodato  che  il  fidanzamento  di  lei  fu  concluso  soltanto  nel  maggio 
del  '300,  nulla  impedisce  di  credere  che  per  la  notorietà  dei  contraenti 
se  ne  parlasse  già  nel  marzo  dell'anno  giubilare.  Nell'ultima  parte  1' a.  cerca 
mostrare  con  sottih  distinzioni  sul  modo  di  computar  il  tempo,  che  la  con- 
traddizione tra  i  fenomeni  astronomici,  che  stanno  per  l'anno  anteriore,  è 
soltanto  apparente,  non  sostanziale  — .  Il  verso  75  del  e.  V.  Inf.  propone 
all' a.  il  quesito:  perché  Francesca  e  Paolo  son  leggeri  al  vento?  Perché, 
egli  risponde,  D.  con  quell'aggettivo  "  leggeri  ,  ha  voluto  indicare  la  vicinanza 
dei  due  dannati  rispetto  a  lui  ed  al  suo  duca.  Infatti,  egli  dice,  si  sa  che 
quando  due  corpi  si  muovono  colla  stessa  velocità  nello  stesso  spazio,  ma 
in  punti  per  distanza  diversi,  i  più  vicini  a  chi  guardi  paion  più  veloci.  La 
qual  cosa  a  noi  sembra  che  qui  non  potesse  avverarsi  trattandosi  non  di 
moti  regolari  ma  discordanti  per  direzione  e  velocità:  e  questo  valga  come 
nota  speciale.  In  generale  poi,  non  crediamo  sia  cosa  prudente  l'andar  in- 
vestigando ragioni  scientifiche,  là  dove  il  poeta  si  lasciava  condurre  non  dal 
raziocinio  ma  dalla  fantasia;  si  che  a  noi  sembra  che  anche  qui  quell'epi- 
teto sia  stato  suggerito  al  poeta  dalla  consistenza  materiata  che  ai  suoi  occhi 
prendeva  la  visione,  o  forse  anche  dal  desiderio  di  dare  a  questa  visione 
un'evidenza  pittorica  — .  La  chiosa  seconda  riguarda  la  "mala  striscia, 
dell' Vili.  Purg.,  nella  quale  l'a.  vede  raffigurata  la  politica,  "  astuta  sempre, 
*  come  astuto  è  il  serpente,  ma  qui  cattiva,  egoistica  e  solo  curante  delle  ap- 
"  parenze  „.  Cosi  nelle  spade  spuntate  egli  vede  il  simbolo  della  potenza  regale, 
che  può  influire  soltanto  sulle  azioni  esterne  dei  sudditi:  nell'affocamento 
di  esse,  il  simbolo  di  carità,  e  negli  angeli  che  le  impugnano,  la  personifica- 
zione del  motto  "  omnis  potestas  a  Deo  „.  Senonché  a  noi  sembra  che  questa 
limitazione  del  simbolo  non  regga,  perché  in  tal  caso  non  sarebbe  ragio- 
nevole che  Sordello,  un  trovatore,  vedesse  anch'  egli  nel  serpe  il  suo  nemico 
(cfr.  Vili  Purg.  V.  95:  Vedi  là  il  nostro  avversaro),  ed  anche  perché  l'ac- 
costamento fatto  da  D.  stesso  tra  il  serpe  della  valletta  ed  il  serpe  d'Eva 
ci  induce  a  vedere  nella  *  mala  striscia  „  il  simbolo  del  peccato  in  genere, 
piuttosto  che  di  uno  speciale  peccato  — .  Colla  quarta  chiosa  torna  l'a.  sul- 
l'interpretazione della  "Concubina  di  Titone  ,,  nella  quale  egU  vede  raffi- 
gurata l'Aurora  solare. 

.•.  Torna  a  riardere  la  vexata  quaestio  del  pie  fermo  con  due  pubblica- 
zioni del  prof.  E.  Sigardi  {Un  enimma  dantesco,  estr.  dalla  Riv.  d'Italia,  agosto 
1902  e  Ancora  la  spiegazione  di  un  enimma  dant.,  ih.,  ott.  1902)  ed  altra  del 
sig.  L.  Arezio;  Il  pie  fermo  di  Dante  su  la  piaggia  diserta  (Palermo,  Reber, 
1902).  Il  Sic.  vuol  mostrare  che  D.  col  celebre  verso  non  intese  dire  d' es- 
sere in  salita,  ma  di  percorrere  un  terreno  pianeggiante  o  d'insensibile  in- 


DÉtLA  LETTERATURA   ITALIANA  53 

clinazione,  perché  il  modo  *  a'  pie  ,,  a  suo  parere  fu  adoperato  da  D.  e 
dai  contemporanei  soltanto  per  indicare  un  territorio  cosi  configurato,  sia 
ancora  perché  per  piaggia  non  si  può  intendere  altrimenti,  come  egli  vuol 
dedurre  anche  da  un  passo  del  Convito.  Allarga  poi  1  confini  della  selva  tanto 
da  includervi  anche  la  piaggia  diserta;  crede  si  <lebba  cominciare  a  parlar  di 
salita  soltanto  colla  parola  erta  ;  sostiene  che  l' incontro  delle  tre  fiere  avvenga 
in  piano,  e  intende  il  ruinare  in  basso  loco  in  senso  puramente  allegorico. 
Passando  poi  al  nodo  della  questione  rifiuta  il  modo  d'intendere  tradizionale, 
esprimendosi  in  modo  certo  non  benigno  verso  i  vecchi  commentatori,  a  capo 
de' quali  sta  Giov.  Boccaccio,  e  sostituisce  alla  loro  la  sua  interpretazione, 
secondo  la  quale  D.  avrebbe  voluto  dire:  mi  tremavan  le  gambe  per  la  paura, 
e  potevo  tener  fermo  soltanto  il  piede  che  poggiava  sul  terreno  ;  l' altro 
vacillava.  E  su  questo  punto  più  che  sull'  altro  consentiamo  coli'  a.  —  Gol 
secondo  articolo,  comparso  poi  sulla  medesima  Rivista,  più  che  esporre  nuovi 
argomenti  a  conferma  della  sua  opinione,  polemizza  vivacemente  col  Passerini, 
che  sul  Marzocco  aveva  discusso  e  negato  ogni  valore  alla  soluzione  da  lui  pro- 
posta — .  L'Arezio  scrive  per  confutare  il  S.,  col  quale  non  s'accorda  rispetto  al 
significato  che  questi  attribuisce  al  costrutto  '  a' pie  „,  ed  alla  parola  piaggia; 
intende  diversamente  il  passo  del  Gonvito;  dà  un  significato  del  tutto  nuovo 
all'aggettivo  diserta,  che  egli  prende  in  senso  di  ronchiosa;  e,  ripigliando 
l'interpretazione  tradizionale  interpreta:  ripresi  la  strada  per  la  piaggia  sco- 
scesa, tanto  che  essendo  impedito  nella  salita  ad  ogni  passo,  il  piede  su  cui 
poggiavo  il  corpo  rimaneva  sempre  più  basso.  Acume  ai  due  scrittori  non 
manca,  ma  a  noi  basta  aver  notato  sommariamente  le  opinioni  dell'uno  e 
dell'altro;  incliniamo  però  a  credere  che  Dante  abbia  voluto  significare  che. 
il  modo  suo  di  procedere  era  siffatto,  che  poggiandosi  colla  persona  più  sul 
pie  posteriore  che  coli' anteriore,  era  sempre  pronto  a  dar  di  volta  e  tornare 
addietro. 

.•.  Conobbe  Dante  il  Tractatus  Sphaerae,  che  Bartolomeo  da  Parma 
•  partìm  de  suo  et  partìni  de  alieno  ,  compilò  in  Bologna  nel  1297  ?  Il 
prof.  Gius.  BoFFiTO  crede  che  si;  e  in  una  breve  memoria,  dal  titolo:  Dante 
e  Bartolomeo  da  Parma  (estr.  dai  Rendiconti  del  R.  Ist.  Lomb.  di  se.  e  leti., 
serie  II,  voi.  XXXV,  1902,  pp.  10,  in  8.°)  raccoglie  ed  esamina,  coli' usata 
ponderazione,  più  luoghi  delle  opere  dantesche  {Par.,  I,  64  e  76,  XIV,  30; 
Conv.,  Ili,  e.  5,  Un.  137  sgg.),  che  offrono  qualche  *  parallelismo  ,  colle  dottrine 
dell'astronomo  ducentista.  Da  tali  raffronti  si  avvantaggiano  non  poco  le 
nostre  conoscenze,  assai  scarse  tuttavia,  in  fatto  di  cosmografia  dantesca.  Ma 
sopratutto  un  passo  del  Paradiso,  tormentato  dai  critici  (i  vv.  37-42  del  e.  I), 
sembra  ricevere  nuova  luce  dalle  ricerche  del  dotto  barnabita.  Secondo  l'o- 
pinione di  Bartolomeo  da  Parma  e  dei  cosmografi  del  tempo,  il  coluro  equi- 
noziale, quando  il  sole  sorge  col  segno  dell'ariete,  coincide  perfettamente 
coir  orizzonte  retto.  Ora,  supposto  che  i  quattro  cerchi  nominati  da  Dante 
sieno  il  coluro  equinoziale,  l'orizzonte,  l'equinozio  e  lo  zodiaco,  e  il  sole  si 
trovi  nella  costellazione  dell'ariete,  ne  consegue  che  i  cerchi  riduconsi  effet- 
tivamente a  tre,  e  tre  sono  le  croci-  che  formano,  intersecandosi  in  un  sol 
punto.  Al  contrario  quattro  cerchi  separati  e  distinti,  incontrandosi  nello 
stesso  punto,  formerebbero  sei  croci,  non  tre. 


54  RASSEGNA   BIBLIOORAPICA 

Ricca  di  erudizione  solida  e  riposta  è  pure  l' altra  memoria  del  prof. 
BoFFiTO,  che  qui  registriamo  :  Di  alcune  quistioncelle  di  Cosmogonia  dantesca 
(estr.  dalla  Rivista  di  Fisica,  Matematica  e  Scienze  Naturali,  luglio  1902, 
pp.  14,  in  8.").  La  mondana  cera  {Par.,  I,  41),  il  siiggetto  degli  elementi  (Par., 
XXIX,  51)  e  il  suggello  della  neve  {Par.,  Il,  107)  sono  gli  argomenti,  intorno 
ai  quali  il  B.  ha  esercitata  la  critica  sua,  minuta  e  diligente.  Pel  primo  e- 
nigma  dantesco,  passi  di  Aristotile  e  di  Alberto  Magno  valgono  a  confermare 
che  la  mondana  cera  di  Dante  non  è  che  la  materia  sensibile,  vegetabile  ed 
animale,  ovvero,  in  generale,  gli  elementi.  Il  suggello  degli  elementi  è  pel 
Boffito,  conforme  alle  dottrine  di  S.  Tommaso,  la  materia  prima;  e  quello 
della  neve  la  materia  della  neve  medesima,  cioè  l'acqua. 

.*.  Accennammo  già  quando  ne  usci  la  I  parte,  agli  studj  del  p.  G.  Bof- 
fito sulla  Quaestio  de  Aqua  et  Terra  attribuita  a  Dante.  Ora  ne  è  stata 
pubblicata  la  II  ed  ultima  parte  (estr.  dalle  Memorie  dell'  Accad.  dell.  Scienze 
di  Torino,  di  86  pagg.  in  4."  gr.).  Le  conclusioni  a  cui  mirava  l'a.  erano 
già  note,  ed  ora  sono  corroborate  di  minute  ricerche  e  dotti  ragionamenti, 
che  determinano  le  fonti  alle  quali  ricorse  chi  compose  la  Quaestio.  Posta 
al  tempo  di  Dante,  la  Quaestio,  secondo  l'opinione  autorevole  del  p.  B., 
"  sarebbe  un  anacronismo  storico  scientifico  ,,  dacché  si  vale  di  scrittori 
che  Dante  non  conobbe,  e  contraddice  a  sentenze  da  Dante  approvate  e 
seguite.  E,  come  già  fu  da  altri  opinato,  l'autore  di  questa  falsificazione 
resta  quel  Moncetti,  che  primo  la  pubblicò  col  nome  di  Dante. 

.*.  Gol  titolo  Poesia  pagana  ed  Arte  Cristiana  il  prof.  Feo.  Romani  racco- 
glie due  suoi  scritti:  l'uno  su  V Inferno  di  Virgilio,  l'altro  su  le  principali 
figurazioni  della  Sibilla  di  Ctima  nelV  Arte  cristiana  (Firenze,  Olschki,  1902, 
di  pagg.  70  in  8.°),  ambedue  notevolissimi  per  dottrina  e  per  forma.  Col 
primo  descrive  l'inferno  quale  fu  rappresentato  dal  gran  poeta  latino,  ricer- 
candone le  origini  nel  pensiero  e  nella  religione  pagana,  mostrando  ciò  che 
di  simile  e  di  dissimile  vi  ha  fra  esso  e  l' inferno  cristiano  del  poema  dan- 
tesco, e  per  ultimo  tracciando,  coli' aiuto  di  una  carta,  l'itinerario  del  viaggio 
di  Enea  al  Tartaro.  Tutto  il  lavoro  è  condotto  con  fine  senso  d' arte,  e  acuti 
sono  i  raffronti  fra  la  descrizione  virgiliana  e  la  dantesca.  Quasi  appendice 
al  primo  è  il  secondo  scritto,  che  enumera  i  concetti  e  le  forme  varie  colle 
quali  vennero  rappresentate  le  Sibille  in  genere,  e  pili  particolarmente  la 
Gumana,  e  ce  le  pone  sott' occhio  in  ben  diciotto  illustrazioni  di  affreschi  e 
quadri  di  celebri  autori.  Il  R.  mostra  in  questo  studio  buon  gusto  artistico 
e  sicura  conoscenza  delle  vicende  della  pittura.  L'  edizione  è  elegantissima 
e  ben  curata  la  stampa.  Ma  a  pag.  27  lin.  29  non  sarà  da  leggersi  mariti 
uccisori  anziché  uccisi? 

:.  Il  dott.  Carlo  Steiner  col  suo  scrino  :  Per  la  data  del  De  Monarchia 
(Novara,  Cantone,  1902)  vuol  confermare  l'opinione  di  coloro  che  credono  il 
De  Monarchia  esser  stato  composto  prima  del  Convito  e  pili  precisamente 
nel  1303.  Ma  a  noi  non  sembra  necessario  riconoscere,  come  l'A.  vorrebbe, 
chiara  allusione  al  De  Monarchia  nel  luogo  citato  del  Convito,  dove  a  nostro 
parere  il  modo  avverbiale  "  ogni  qual  volta  ,,  va  inteso  come  amplificazione 
rettorica,  usata  da  D.  per  esprimere  il  senso  di  dolore,  ond'era  oppresso  ogni 
volta  che  parlando  di  reggimento  civile,  a  lui  si  presentava  spontaneo  quello 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  55 

di  Firenze.  Tant'è  vero  che  in  quel  che  segue  ("Ma  perocché....,)  per 
scusarsi  della  brevità  con  cui  qui  tratta  la  materia  attenente  ad  equo  go- 
verno, cita  il  penultimo  T^rattato  ove  pili  si  distenderà  a  questo  proposito, 
ma  non  il  De  Monarchia,  come  sarebbe  stato  per  lo  meno  molto  logico  e 
naturale,  se  quest'  opera  fosse  stata  compiuta,  come  vuole  lo  S.,  prima  del 
Convito.  Né  riesce  pili  persuasiva  l'altra  osservazione  intorno  alla  frase 
'  familiaria  destruenda  ,,  il  qual  modo  neutro,  a  nostro  parere,  non  ha  senso 
limitato  come  vuole  il  Tocco  ed  accetta  lo  St.,  ma  ìndica  quel  complesso 
di  idee  e  di  cose  materiali  care  al  Poeta,  il  cui  ricordo  dovè  riuscirgli  dolo- 
roso non  solo  nei  primi  momenti  di  vita  randagia,  come  pensa  TÀ.,  ma 
ovunque  e  sempre  fino  alla  morte.  Il  commento  poi  ai  vv.  1-15  del  XVI 
del  Paradiso,  riferiti  a  p.  16  in  forma  cosi  deplorevolmente  errata,  ci  lascia 
molto  dubbiosi,  come  pure  non  comprendiamo  per  quale  ragionamento  giunga 
l'a.  alla  conclusione  della  p.  23.  A  noi  sembra  invece  che  il  tempo  in  cui  D. 
cessò  dal  disprezzare  e  dal  combattere  i  guelfi,  e  scorgendo  attorno  a  sé 
un  più  largo  orizzonte,  capi  esser  suo  dovere  di  illuminare  gli  avversarj  e 
mostrar  loro  il  diritto  divino  dell'impero,  coincida  perfettamente  con  quel 
periodo  di  vita,  senza  dubbio  d' assai  posteriore  ai  perigliosi  avvolgimenti  dei 
primi  anni  d'esilio,  quando  "  fatta  parte  per  sé  stesso  ,,  comprese,  grazie  agli 
studj  scientifici  e  filosofici,  non  dover  più  schierarsi  tra  i  Bianchi  o  tra  i  Neri, 
ma  istruire  con  un  trattato  coloro  ch'ei  credeva  nell'ignoranza.  Per  tali 
considerazioni,  e  per  altre  ancora,  non  crediamo  poterci  accordare  coli' A. 
Dell'assegnare  all'anno  1303  la  composizione  del  De  Monarchia. 

.'.  Il  prof.  L.  Gerboni  ha  preso  a  soggetto  di  una  sua  Conferenza  L'amore 
nella  vita  e  nelle  opere  di  Dante  (estr.  dalla  Rassegna  Nazionale  del  16  ott. 
1902).  In  soggetto  ormai  così  trito,  ha  saputo  esporre  con  efficacia  quanta 
parte  tenga  1'  amore  nei  casi  e  negli  scritti  del  nostro  maggior  poeta,  ed  ha 
illustrato  specialmente  la  Vita  Nuova  e  i  casi  in  essa  narrati.  Un  certo  lirismo 
nella  forma,  che  conveniva  alla  lettura,  poteva  con  vantaggio  esser  attenuato 
nelle  stampe. 

.".  La  beneficenza  in  Dante  (estr.  dalla  Rass.  Nazionale  del  1.°  ott.  1902, 
di  pagg.  9  in  16.»)  è  breve  parte  di  un  pili  ampio  lavoro  che  il  prof.  A. 
Morena  dedicherà  a  studiare  La  morale  economica  di  Dante.  Dal  poema  e 
pili  dal  Convito,  l'a.  raccoglie  e  coordina  i  concetti  del  sommo  poeta  intorno 
all'argomento,  e  li  illustra  senza  coartarne  né  lo  spirito  né  la  lettera,  si  da 
farci  augurare  che  presto  posto  innanzi  agli  studiosi  il  frutto  della  accurata 
indagine. 

.'.  Il  sig.  A,  Belloni  studia  le  relazioni  fra  Dante  e  Lucano  (estr.  dal 
Gr.  St.  d.  let.  il.  V.  XL  p.  120).  Che  i  commentatori  sian  andati  in  genere  trop- 
p' oltre  neir asserire  che  D.  descrivendo  l'incenerirsi  di  Vanni  Fucci  copiasse 
da  Lucano,  conveniamo  col  B.;  ma  d'altro  lato  ben  pochi  potrebbero  accor- 
dargli che  il  sommo  poeta  non  avesse  in  quel  punto  "  affatto  la  mente  al 
•  caso  dell'  infelice  soldato  di  Catone  „  (p.  3).  Perché  indiscutibilmente  tra 
gli  episodj  di  Vanni  Fucci  e  di  Sabello  ci  sono  due  forti  punti  di  identità  : 
il  morso  del  serpe  e  l' incenerirsi  delle  carni,  pei  quali  anche  a  noi  sembra 
probabilissimo  che  D.  traesse  i  motivi,  e  solo  i  motivi,  da  Lucano,  che  egli 
cita,  si  noti  bene,  nel  canto  successivo.  Opportunamente  l'A.  istituisce  alcuni 


56  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

confronti  tra  particolari  espressioni  del  pensiero  nella  frase,  e  fa  notare  che 
D.  tolse  da  Lucano  l'espediente  di  porre  a  riscontro  l'ora  dell'un  emisfero 
coir  ora  dell'altro  per  dare  maggior  esattezza  alle  modificazioni  cronologiche. 
Partendo  poi  da  un  riscontro  virgiliano,  egli  crede  di  identificare  nel  Marcello 
del  VI  Purg.  il  distruttore  di  Siracusa,  qui  simbolo  del  salvatore  della  patria 
in  genere,  e  non  il  Marcello  menzionato  da  Lucano  qual  fiero  oppositore 
dell'autorità  imperiale.  "  Appar  chiaro,  egli  dice,  per  giustificare  questa  in- 
"  terpretazione,  che  agli  oppositori  dell'impero  D.  accenna  nei  vv.  91-96,  si 
"  che  egli  si  ripeterebbe  se  ad  essi  alludesse  anche  nei  versi  125-126  ,.  Se- 
nonché  a  noi  sembra  che  di  ripetizione  nei  due  luoghi  si  possa  parlare,  per- 
ché nel  primo  1'  apostrofe  è  rivolta  contro  i  Montecchi,  i  Cappelletti,  i  Mo- 
naldi,  i  Filippeschi,  i  Santafiora,  contro  i  nobili  insomma,  cb'ei  chiama 
*  gentili  j,,  mentre  nel  secondo  è  drizzata  ai  villani  dai  subiti  guadagni,  at- 
teggiati a  politicanti  ostili  all'impero.  Notevoli  invece  sono  la  conferma  che 
per  mezzo  di  nuovi  riscontri  dà  alla  parola  "  pregno  ,  (v.  31  e.  XIV  Purg.) 
nel  senso  di  ricco  di  acque;  il  commento  con  cui  dilucida  i  due  gioghi  di 
Parnaso  accennati  nel  Paradiso  (e.  1,  vv.  16-18),  e  la  "  delfica  deità  ,,  non- 
ché r  assai  valido  rincalzo  alla  variante,  già  da  altri  sostenuta  ai  vv.  85-87 
e.  XXIV  Inf. 

.'.  Il  sig.  CmiLLO  Bernardi  intitola  Lascio  cotale  trattato  ad  altro  chiosatore 
(Bozzolo,  1902)  un  suo  studio  dantesco.  Secondo  il  B.,  Dante  non  volle  allu- 
dere né  all'amico  Sigisbuldi  né  ad  altri,  ma  a  sé  slesso:  il  luogo  ove  Dante 
chiosò  la  partita  di  Beatrice  sarebbe  la  prima  parte  del  e.  XXX  del  Purgatorio. 
Ma  non  crediamo  che  l'A.  colga  nel  segno.  Infatti  il  Poeta  medesimo  dicendo 
di  non  voler  trattar  questa  materia  per  evitare  la  necessità  di  lodare  né 
stesso,  ci  avverte  colla  maggior  chiarezza  possibile,  se  pur  non  vogliamo 
prender  quella  come  una  frase  generica,  che  in  tutt' altri  che  in  lui  si  deve 
ricercare  il  chiosatore.  Invero,  anche  attenendoci  soltanto  al  significato  let- 
terale e  grammaticale,  nessuno  potrà  mettere  in  dubbio  che  "  altro  chio- 
"  satore  „  voglia  significare  "  persona  diversa  da  chi  scrive  „.  Ma  anche  pre- 
scindendo da  questo,  è  vero  che  il  P.  nel  XXX  del  Purg.  chiosi  la  partita  di 
Beatrice?  Il  B.  risponde  atTermativamente,  perché  secondo  lui  la  frase  chiosar 
la  partila  non  vuol  dir  altro  che  determinare  la  condizione  di  Beatrice  in 
cielo.  Il  che  non  ci  sembra  conforme  al  vero,  perché  la  frase  suddetta  a 
nostro  parere,  vuol  dire  "  porre  in  chiaro  le  cause  della  partita,  descriverne 
i  modi,  le  circostanze  e  tutt' al  più  accennare  a  qual  porto  tranquillo  si 
fosse  indirizzata  l'anima  di  Beatrice  ,.  Ora  invece  di  tutto  questo,  nel  XXX 
del  Purgatorio  si  accenna  soltanto  di  volo  al  tempo  in  cui  essa  di  carne  sali 
a  spirito.  Per  siffatte  ragioni  non  crediamo  che  l'interpretazione  del  B. 
possa  aver  fortuna. 

.*.  Il  prof.  Nkno  Simonetti  sostenendo  che  L' Epistola  a  Cangrande 
non  è  di  Dante  (Spoleto,  Bagnoli,  1902)  vuole  confermare  con  qualche 
nuova  osservazione  il  resultato,  al  quale  è  giunto  nel  Giorn.  dant.  an.  X, 
quad.  VI  e  VII,  l'amico  F.  P.  Luiso,  cui  è  diretto  quest'opuscolo  in  forma 
di  lettera  aperta.  Non  vogliamo  punto  entrare  nel  merito  della  questione, 
ma  soltanto  far  osservare  all'  a.  che  ai  suoi  ragionamenti  altri  e  ben  fon- 
dati so  ne  potrebbero  opporre.  Egli  ammette  adunque  col  L.  che  un  ignoto 


DfiLLA  LEtTERATÙRA  ItALlAttA  57 

abbia  scritto  questa  lettera,  senz' alcuna  idea  di  farla  passare  alla  posterità 
come  scrittura  di  Dante,  ma  soltanto  per  accompagnare  a  Gangrande,  il 
dono,  eh' ei  gli  faceva,  della  terza  cantica  di  Dante.  Il  donatore,  osserva 
il  S.,  vuol  contraccambiare  il  signore  di  Verona  '  adeguatamente,  con  doni 
"  pari  al  pregio,  che  de'benefìzj  ricevuti  sente  nell'animo  ,  (pag.  3).  I  beneficj 
ricevuti  son  grandi  e  quindi  v'è  bisogno  d'un  contraccambio  grande,  dice 
il  S.,  e  va  bene:  ma  arrivato  a  questo  punto,  abbandonandosi  alla  fantasia, 
ci  descrive  l'ignoto  autore  dell'epistola,  intento  nella  sua  biblioteca  a 
esaminare  invano  i  suoi  "  scrittarelll  ,  per  offrirne  qualcheduno  in  omaggio 
allo  Scaligero,  accorgendosi  soltanto  dopo  attento  esame  che  un  solo  libro 
della  sua  raccolta  può  pagare  il  beneficio  ricevuto,  e  questo  libro  sarebbe 
il  Paradiso  dantesco.  Ma  tuttociò  allo  slato  presente  delle  cose  non  è 
che  gioco  di  fantasia,  perché,  a  chi  ben  consideri  il  testo  latino,  la 
parola  munuscula  manifesta  un  senso  ben  diverso  da  quello  di  "  scrit- 
•  larelli  ,,  come  vorrebbe  il  S.  Infatti  i  beneficj  ricevuti  dal  donatore  furon 
materiali:  perciò  guardando  ben  sottilmente  la  cosa  a  beneficj  materiali 
sarebbe  bisognato  corrispondere  con  altrettanti  beneficj  della  stessa  specie; 
ma  il  donatore  per  quanto  vedesse  questo  suo  dovere,  per  la  ristrettezza  dei 
mezzi  non  poteva  presentare  a  Gangrande  altro  che  piccoli  doni  "  munu- 
scula ,.  E  allora  a  Dante,  vero  o  simulato  che  sia,  non  restava  che  offrire 
parte  di  quel  poema,  in  cui  più  si  appuntavano  le  sue  speranze,  su  cui  anzi 
fondava  la  certezza  della  sua  grandezza  :  vobis  adscribo,  afferò,  vobis  denique 
recommendo.  Le  quali  espressioni  abbiara  voluto  qui  riferire  per  mostrare  che 
la  tesi  sostenuta,  o  meglio  confermata  dal  S.,  anche  qui  trova  un  inciampo  ; 
infatti  con  qual  diritto  un  terzo  qualunque  si  permetteva  di  scrivere  il  nome 
di  Gangrande  in  fronte  alla  cantica  dantesca?  Nessun  altro  che  Dante  o 
vero  0  simulato  poteva  adscribere  il  poema  ad  un  principe:  altrimenti  il 
primo  a  riderne  sarebbe  stato  lo  Scaligero.  Altra  osservazione  del  S.  è  la 
seguente  :  in  questa  lettera  dedicatoria  si  dice  che  il  dono  accrescerà  lustro 
al  nome  di  colui,  al  quale  è  dedicato.  E  sempre  usato,  osserva  l'a.,  che  nelle 
dediche  si  dica  perfettamente  il  contrario;  che  cioè  l'opera  è  umile  cosa 
ma  acquisterà  pregio  dal  nome  che  porta  in  fronte  :  solo  uno  che  non  fosse 
Dante  poteva  parlar  cosi  del  Paradiso,  il  che  a  noi  sembra  per  lo  meno 
un  po' ingenuo,  perché  ci  si  dimentica  che  qui  si  dovrebbe  aver  a  che  fare 
col  libero  fiorentino  immune  da  ogni  cortigianerìa  civile  e  letteraria,  ai  suoi 
tempi  del  resto  ben  scarsa;  col  poeta  che  pur  di  trovare  la  libertà,  ha  af- 
frontato i  disagj  del  mistico  viaggio  d'oltretomba;  con  colui,  che  consapevole 
della  grandezza  del  proprio  ingegno  non  aveva  esitato  a  proclamare  che  al- 
l'opera sua  avevan  posto  mano  e  cielo  e  terra:  qual  meraviglia  se  non  si 
disdiceva  davanti  ad  un  piccolo  principe  della  terra?  E  questa  nobile  su- 
perbia non  si  rivela  anche  in  parecchi  tratti  delle  opere  minori,  del  Con- 
vito in  special  modo  ?  Né  ha  valore  quell'  oblati  della  pag.  5,  dopo  quanto 
abbiamo  osservato  s\x\Y  adscribo  della  formula  finale  ò^Wa  salutatio.  Perciò,  se- 
condo noi,  la  conferma  del  S.  alle  opinioni  del  L.  non  ha  tutto  quel  valore 
che  all'  a.  è  sembrato  attribuirgli. 

.•.Il  sig.  Aldo  Fr.  Massera  studia  nuovamente  La  Patria  e  la  Vita  di  Cecco 
Angiolieri,  Siena,   1902  (estr.  dal    Bull,  senese  di  st.  patria,  an.  Vili,  1902 


58  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

fase.  III).  Scopo  precipuo  di  quest'opuscolo  è  di  confutare  gran  parte  di  ciò  che 
su  Cecco  fu  scritto  dal  Mancini  in  Cortona  nel  medio-evo  (Firenze,  Garnesecchi, 
1997)  e  nel  Contributo  dei  Cortonesi  alla  coltura  italiana  (Firenze,  Garnesec- 
chi, 1898).  Negato  ogni  valore  alla  identificazione  del  poeta  umorista  con  un 
Cecco  di  Angioliero  cortonese,  l'a.  tien  fermo,  secondo  i  pili,  che  Cecco  per  la 
nascita,  per  la  vita,  per  la  sua  poesia,  sia  "  gloria  tutta  senese  ,:  ricostruisce 
un  piccolo  albero  genealogico,  che  partendo  dall'  avo  abbraccia  i  quattro  figli 
del  poeta,  di  cui  ritesse  la  vita  aggiungendo  a  quel  poco  che  si  sapeva  di  lui 
e  di  sua  famiglia  qualche  altra  notizia  ch'egli  è  venuto  rintracciando:  no- 
tevole tra  l'altre  è  quella  sulla  morte  di  Cecco,  che  resta  fissata  a  qualche 
tempo  prima  del  1313,  come  si  ricava  indirettamente  dalla  deliberazione  del 
Consiglio  generale  di  Siena  riguardante  l'eredità  di  Cecco,  già  accennata  dal 
prof.  D' Ancona,  ma  ora  opportunamente  pubblicata  in  fine  all'opuscolo. 

.•.  In  uno  Studio  sulla  poesia  goliardica,  il  sig.  S.  Santangelo  (Palermo,  Re- 
ber,  1902,  di  pp.  92  in  16.°)  si  propone  anzitutto  di  dimostrare  come  i  Goliardi 
non  siano  stati  altro  che  giullari  e  buffoni  e  non  abbiano  mai  scritto  la 
poesia  ritmica  latina  a  noi  pervenuta  sotto  il  nome  di  *  Goliardica  ,.  Il  me- 
todo che  egli  tiene  nella  sua  ricerca  è  il  seguente;  esamina  dapprima  i  do- 
cumenti pili  recenti  e  poi  confronta  il  risultato  ottenuto  coi  documenti  più 
antichi;  e  cosi  riesce  non  infelicemente  a  provare  che  i  Goliardi  erano  solo 
giullari,  documentando  un'affermazione  analoga  fatta  dal  Novali.  Combatte 
poi  r  opinione  dello  Straccali,  che  i  Goliardi  fossero  scolari  vaganti  e  s' apre 
cosi  la  via  a  dimostrare,  con  un  attento  esame  dei  documenti  in  cui  il  nome 
"  goliardus  ,  trovasi  riportato,  che  gli  autori  della  poesia  goliardica  non  fu- 
rono i  Goliardi.  Passa  quindi  a  sfatare  la  leggenda  di  "  Golia  ,  il  quale  sarebbe 
stato,  secondo  l' attestazione  di  Giraldo  Gambrense,  un  famoso  parasita  e 
capo  di  una  associazione  di  Goliardi;  e  con  buona  copia  d'argomenti  prova 
come  questa  leggenda  si  sia  formata  in  Francia  e  trasformata  in  Inghilterra, 
dove  Golia  diventò  l'autore  dapprima  di  poesie  giullaresche  e  in  appresso 
di  poesie  satiriche,  morali,  religiose  e  ascetiche.  11  nome  di  Goliardi  poi  1'  A. 
lo  fa  derivare  dal  latino  "gula^;  opinione  che  si  può  sostenere  tanto  lin- 
guisticamente che  storicamente.  Negata  la  paternità  ai  goliardi  della  poesia 
goliardica,  resta  a  ricercare  chi  ne  siano  gli  autori;  e  l'A.  esaminati  i  do- 
cumenti varj  di  sffatta  forma  di  poesia,  conclude  affermando  che  questa  poesia 
non  fu  mai  in  opposizione  collo  spirito  dei  tempi  e  fu  composta  da  studenti, 
chierici  e  monaci  e  cantata  nelle  scuole,  nelle  chiese,  nelle  corti,  nelle  piazze, 
anche  dal  popolo.  L'a.  poi  si  propone  di  contribuire  alle  difficili  ricerche 
per  stabilire  la  patria  delle  poesie  ritmiche  latine,  per  lo  più  anonime,  ba- 
sandosi suir  influenza  che  la  pronuncia  francese  del  latino  ha  sulla  versifi- 
cazione ritmica:  ma  l'argomento  pare  a  noi  incerto  e  non  del  tutto  accet- 
tabile. L'autore  chiude  questo  suo  studio,  che  ci  sembra  un  contributo  buono 
allo  studio  della  poesia  goliardica,  dimostrando  con  molti  esempj  (tra  i 
quali  importante  è  la  riproduzione  d'un  ritmo  latino  inedito,  tratto  dal  codice 
Fitalia  in  Palermo)  che  possediamo  "  per  ogni  genere  in  cui  si  suddivido  la 
"  la  poesia  goliardica,  documenti  sufficienti  che  attestano  l'esistenza  di  questa 
*  poesia  anche  in  Italia  ,. 

/.  Dei  canterini,  poeti  e  suonatori  a  servigio  del  Comune,  si  occuparono 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  59 

dopo  Adamo  Rossi  di  Perugia,  il  D'Ancona,  lo  Zippel,  il  Novali  ed  altri,  ma 
poco  si  sapeva  dei  Canterini  senesi,  e  ora  un  curioso  documento,  che  riguarda 
la  musica  di  palazzo,  è  pubblicato  in  occasione  nuziale  dal  sig.  Paolo  Pic- 
coLOMiNi  (Siena,  Lazzeri,  1902  di  pagg.  12  in  16.°),  altro  aggiungendovene  che 
riguarda  lo  scultore  senese  Lorenzo  di  Mariano  detto  il  Manina. 

.'.  Che  le  differenze  fra  le  lingue  neolatine  e  fra  i  dialetti  di  ciascuna  di 
es^e  abbiano  a  spiegarsi  con  V  immanenza  delle  favelle,  cui  il  latino  si  so- 
vrappose, fu  sentenza  di  una  scuola  filologica,  che  per  tal  modo  esagerò  un 
concetto,  nel  quale,  inteso  discretamente,  v'  ha  pur  quache  cosa  di  vero  e 
d'innegabile.  Bene  ha  fatto  dunque  il  prof,  F.  D'Ovidio  tornando  a  prender 
in  esame  l' arduo  problema,  ricercando  le  Reliquie  probabili  o  possibili  degli 
antichi  dialetti  italici  nei  moderni  dialetti  italiani  e  negli  idiomi  romanzi  in 
^e»er«  (Napoli,  tip.  Universit.,  1902  di  pagg.  45  in  16.»),  additando  le  difficoltà 
fra  mezzo  alle  quali  può  farsi  l' indagine,  e  suggerendo  il  metodo,  seguendo 
il  quale  si  può  giungere  a  buoni  risultati.  Lo  scritto  è  vecchio  di  più  anni, 
ma  poiché  l'autore  è  ritornato  su  quest'argomento,  e  intanto  in  lui  è  cre- 
sciutala dottrina  e  l'esperienza,  noi  facciamo  voti  che  si  lasci  prendere  dal- 
la vaghezza  di  una  materia  che  può  dirsi  nuova,  e  che  è  certo  importantis- 
sima, e  compia  l'incominciato  lavoro,  del  quale  oltre  le  fondamenta,  dà  in 
questa  pubblicazione  alcuni  particolari,  che  invogliano  del  resto. 

.•.  Il  dott.  Pietro  Egidi  in  un  opuscolo  Di  un  sermone  semidrammatico  del 
sée.  XV  (Perugia,  Unione  tipogr.  1902,  di  pagg.  11  in  16.»)  dà  notizia  di  un 
frammento  di  sermone  intorno  alla  incarnazione,  che  si  conserva  nel  cod. 
1287  della  Vittoiio  Emanuele.  La  importanza  di  esso  consiste  nell' offrirci 
uno  dei  gradi  intermedj  della  evoluzione  corsa  tra  i  Sermoni  semidrammatici, 
che  furono  studiati  dal  De  Bartholom^is,  e  gli  informi  tentativi  di  Devozione, 
fatti  conoscere  dal  De  Lollis. 

.•.  Il  prof.  Giov.  Pan&a,  oltre  essere  un  accurato  bibliografo,  come  mostra 
la  sua  recente  pubblicazione,  che  illustra  un  ignota  edizione  quattrocentina 
degli  Statuti  suntuarj  di  Aquila  con  brevi  aggiunte  al  saggio  critico  sulle  stam- 
perie abruzzesi  (Aquila,  tipogr.  Aternina,  1902  di  pagg.  16  in  16.°),  è  anche  un 
acuto  osservatore  di  tutto  ciò  che  concerne  la  vita  antica  e  nuova  della  sua 
regione.  L'  opuscolo  ora  dato  in  luce  col  titolo  Metereologia  e  Superstizione  in 
Abruzzo  (Teramo,  tip.  Abruzzese,  di  pagg.  20  in  16.»),  raccoglie  e  illustra  con 
varia  dottrina  alcune  credenze  popolari  sulle  bufere,  sui  fulmini  e  le  pietre 
dette  del  fulmine,  e  su  altre  superstizioni  riguardanti  i  paurosi  fenomeni  natu- 
rali. Ma  anche  più  c'interessa  ciò  ch'egli  riferisce  di  Una  Leggenda  scannese 
intorno  a  Carlo  Magno.  È  un'aggiunta  notevole  alle  Tradizioni  Carolingie 
in  Italia,  che  si  rannoda  a  quel  romanzo  dei  fatti  di  Antifor  di  Barosia,  che  fu 
poema  assai  diffuso  e  letto  nel  Cinquecento.  Alla  leggenda  carolingia  un'altra 
ne  precede,  sempre  appartenente  a  Scanno,  riguardante  quel  Pietro  Baia- 
bardo  0  Bailardo,  del  quale  tanto  fu  favoleggiato,  e  sul  quale  è  da  vedere 
un  saggio  del  prof.  D'Ancona  nelle  Varietà  storiche  e  letterarie  (I,  15)  e  una 
Comunicazione  del  prof.  Gabotlo  in  questa  nostra  Rassegna  (VI,  88). 

.*.  Per  occasione  nuziale  il  prof.  Ang.  Solerti  ha  pubblicato  (s.  n.  t.,  1902, 
di  pagg.  27  in  16.°)  una  antica  Rappresentazione  di  Febo  e  Pitone  o  di  Dafne, 
contenuta   nel   cod.  mantovano,  che   ha  anche  1'  Orfeo.  Essa   è   ricordata  e 


60  RASSEGNA  Bibliografica 

riassunta  nelle  Origini  del  Teatro  del  D'Ancona,  II,  350,  ma  piacerà  posse- 
derla per  intero.  Pare  che  sia  lavoro  poetico  e  musicale  del  fiorentino  Gian 
Pietro  della  Viola,  e  che  fosse  rappresentata  alla  corte  dei  Gonzaga  nel  1486. 

.'.  È  uscito  in  luce  il  24.»  Bullettiito  dell'  Istituto  Storico  Italiano  (Roma, 
Forzani,  di  pagg.  209  in  IS."),  che  contiene  una  accurata  e-  ben  illustrata 
raccolta  di  Poesie  minori  riguardanti  gli  Scaligeri  a  cura  dei  proff.  G.  Cipolla 
e  Fl.  Pellegrini.  Sono  centun  documenti,  formanti  tutt' insieme  un  corredo 
assai  rilevante  alla  storia  dei  signori  di  Verona  dal  1271  ai  principj  del 
sec.  XV,  il  grido  dei  quali  echeggiò  anche  fuori  del  proprio  territorio,  poiché 
le  loro  gesta  s' intrecciano  per  lungo  tempo  coi  fatti  della  superiore  e  della 
media  Italia.  Poesie  di  cortigiani  e  voci  di  rimatori  di  piazza,  carmi  latini 
e  frottole  volgari,  iscrizioni  metriche,  epigrammi,  ballate,  sonetti,  formano 
una  svariatissima  collana  poetica,  in  mezzo  alla  quale  splende  come  gemma 
di  maggior  luce,  il  brano  della  Commedia  in  che  Dante  tesse  la  lode  degli 
illustri  suoi  ospiti.  Le  illustrazioni  dei  due  dotti  veronesi,  a  cui  è  dovuta 
questa  raccolta,  nulla  lasciano  da  desiderare  cosi  rispetto  alla  correttezza  dei 
testi,  come  alle  notizie  storiche. 

.'.  Il  prof.  G.  ZippEL  per  occasione  nuziale  dà  in  luce  Una  lettera  inedita 
di  Francesco  Filelfo  a  Lorenzo  il  Magnifico  (Pisloja,  Fiori,  1892,  di  pagg.  13 
in  16.»).  La  lettera  è  in  volgare,  ed  è  curiosa,  non  solo  perché  in  essa  si 
ritrova  il  carattere  petulante  ed  inquieto  del  celebre  umanista,  ma  anche 
perché  egli  ci  si  mostra  nell'aspetto  d'informatore  politico,  dandosi  con 
tal  ufficio  autorità  di  consigliere  e  di  giudice,  e  cercando  il  favore  dei  po- 
tenti. Il  documento  è  accuratamente  illustrato  dall'editore. 

.".  Il  sig.  H.  Varnhagen  ha  riprodotto  a  fac-simile  un  antico  poemetto  ita- 
liano, cioè  La  novella  di  due  preti  et  un  cherico  inamorato  d'una  dama 
(Erlangen,  Junge,  1903,  di  pagg.  17  in  16.°  non  numer.),  del  quale  due  soli 
esemplari,  tipograficamente  indipendenti  1'  uno  dall'altro,  si  conservano,  l'uno 
a  Berlino,  l'altro  nella  Biblioteca  di  Erlangen;  ambedue  hanno  tuttavia  le 
stesse  xilografie,  una  in  principio,  l'altra  in  fine.  Il  poemetto  ha  il  carattere 
degli  altri  componimenti  congeneri:  facilità  di  verso,  vivezza  di  esposizione, 
ma  forma  scorretta  e  rozza.  Di  queste  burle  fatte  a  preti  lascivi  dai  mariti 
delle  donne  da  essi  insidiate,  non  difettano  esempj  nei  nostri  novellieri,  e 
parecchi  paialellismi  col  fatto  cantalo  nel  poemetto  raccoglie  il  dotto  editore 
nella  breve  prefazione,  in  aggiunta  a  quanto  scrisse  in  una  sua  Memoria  sulle 
antiche  stampe  italiane  nell'Universitaria  di  Erlangen.  La  riproduzione  è 
ottimamente  riuscita. 

.'.  El  Cancionero  de  Mathias  Duque  de  Estrada  ecc.  por  Bonilla  y  Sam 
Martin  y  Eugenio  Mele  (estr.  da  La  Revista  de  Archivos,  Bibliothecas  y  Mu- 
»eos)  è  descritto  qual'é:  una  copiosa  antologia  di  poeti  spagnoli  del  sec.  XVII 
conservata  in  un  cod.  della  Nazionale  di  Napoli.  Di  questo  Mathias  che  fu 
il  raccoglitore,  nulla  è  noto,  ma  l' opuscolo  ha  importanza  per  le  notizie  bi- 
bliografiche che  raccoglie  e  i  testi  spagnuoli  che  pubblica. 

.•.  Di  un'  Ecloga  di  L.  Ariosto  e  della  sua  allegoria  storica  (estr.  dsiW  Ateneo 
Veneto,  an.  XXV,  voi  1,  fase.  3,  Venezia,  1902)  c'intrattiene  in  un  suo  lavo- 
retto il  sig.  St.  Fermi.  Conveniamo  coli' a.  sull'importanza  di  questo  compo- 
nimento, perché  ci  mostra  in  un  dato  momento  la  figura  morale  dell'Ariosto, 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  61 

ma  certo  ne  avrebbe  acquistata  ancor  più  se  l'A.  avesse  dimostrato  esser 
questa  l'unica  ecloga  .lei  poeta  reggiano  ;  perché  l'affermare  soltanto  di  aver 
"forti  motivi,  per  non  creder  autentica  l'altra  rinvenuta  nel  1845  da  Teo- 
derico  Landoni,  come  tutte  le  frasi  troppo  generiche,  lascia  il  tempo  che  trova. 
S'indugia  a  parlare  dei  fatti  sanguinosi  ai  quali  l' ecloga  allude:  il  delitto  cioè 
compiuto  dal  cardinale  Ippolito  per  gelosia  sul  fratello  naturale  Don  Giulio, 
la  congiura  sorta  dal  desiderio  di  vendetta  di  quest'  ultimo  e  poi  abortita, 
la  punizione  dei  congiurati.  Dopo  il  riassunto  del  componimento  preso  ad 
esaminare,  riconferma  la  data  già  da  altri  assegnatagli  (22  lug.-12  sett.  1506) 
ed  il  luogo,  ove  secondo  ogni  probabilità  fu  scritto,  eh' è  Ferrara.  Indaga  poi 
gli  scopi  dell' ecloga  che,  secondo  l'a.,  si  riducono  a  celebrare  con  lodi  il  duca 
Alfonso  e  la  duchessa  Lucrezia  Borgia  e  ricostruire  il  fatto  in  modo  che  il 
card.  Ippolito,  cui  il  poeta  serviva  da  tre  anni,  rimanesse  in  parie  discol- 
pato. Dopo  un  accenno  bibliografico  alle  10.  edizioni,  che  del  componimento 
si  fecero  dal  1807,  fino  al  quale  anno  era  rimasta  inedita,  al  1894,  passa  a 
due  riscontri  realmente  notevoli  tra  alcuni  versi  dell' ecloga  ed  altri  del  ì^m- 
rioso,  ed  in  fine  chiude  T  opuscolo  con  qualche  considerazione  sullo  scarsis- 
simo merito  letterario  che  all'  ecloga  può  attribuirsi. 

.•.  L'editore  Romagnoli-Dall' Acqua,  editore  della R.  Commissione  dei  Testi 
di  Lingua,  ha  messo  in  luce  il  voi.  IV  delle  Rime  di  T.  Tasso  curate  da  A. 
Solerti  sui  manoscritti  e  sulle  antiche  stampe  (Bologna,  1992  di  pagg.  386  in 
16.°).  Il  voi.  contiene  le  Rime  d' occasione  e  d' encomio:  prima  quelle  di  data  in- 
certa, e  poi  quelle  composte  negli  anni  1585-86.  La  stampa  è  condotta  dal 
Solerli  colla  solila  accuratezza  e  con  copia  di  apparato  critico. 

.".  Lo  scritto  di  L.  Frati  su  Una  Pasquinata  contro  i  lettori  dello  studio 
bolognese  nel  1563  (Bologna,  Zanichelli  1902,  di  pagg.  15  in  16.»),  acquista 
una  certa  importanza  per  l' opportuno  accostamento  che  il  moderno  editore 
istituisce  tra  questa  e  quella  famosa,  della  quale  l'anno  dopo  fu  incolpato 
Torquato  Tasso,  allora  ventenne.  Dal  lato  letterario  questa  cinquantina  di 
terzine  (che  di  tante  si  compone  all' incirca  la  pasquinata)  ha  ben  scarso 
valore,  ma  contribuisce  quale  documento  storico  a  farci  comprender  meglio 
quell'ambiente  della  scolaresca  bolognese,  che  poco  più  tardi  al  Tasso  doveva 
cagionar  tante  noje. 

.•.  Enumerando  /  Capitani  lucchesi  del  sec.  XVI  e  di  ciascun  d' essi  dando 
qualche  notizia,  il  sig.  G.  Sardi  (Lucca,  Giusti,  1902,  di  pagg.  118  in  118  in 
16.0)  ha  scritto  una  pagina  di  non  poca  importanza  della  storia  della  sua 
città.  I  capitoli  più  rilevanti  di  questo  lavoro  sono  quelli  dedicali  al  tempo 
dell'assedio  di  Firenze  e  alle  imprese  del  Ferruccio,  ad  illustrar  le  quali, 
oltre  che  di  documenti  di  archivio,  l'A.  si  giova  di  un  poemetto  su  la  bat- 
taglia di  Gavinana,  rarissimo,  e  del  quale  la  sola  copia,  mutila,  trovasi  nella 
biblioteca  lucchese,  scritto  da  un  medico  Donati,  che  si  intitolava  Donato 
Callofilo.  Interessanti  sono  i  ragguagli  che  l'A.  ci  comunica  intorno  alla  po- 
litica degli  Anziani  lucchesi,  oscillante  con  sollili  astuzie  fra  la  benevolenza 
verso  Firenze  e  la  tema  dell'Impero,  non  solo  nel  tempo  dell'assedio,  ma 
anche  di  poi,  durante  l'audace  impresa  di  Piero  Strozzi.  Con  queste  indagini 
il  sig.  S.  rinnova  i  nomi  e  la  gloria  di  parecchi  valorosi  suoi  concittadini  del 
sec.  XVI,  e  accenna  ad  altri  capitani  lucchesi  del  successivo,  che,  come  tanti 


62  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

altri  italiani  di  quell'  età,  diedero  prova  di  valore  in  Fiandra,  in  Polonia,  in 
Francia,  in  Austria;  e  vorremmo  che  essi  e  le  loro  gesta  fornissero  materia 
ad  altra  Memoria  dell'  erudito  autore. 

/.  Il  prof.  Ant.  Favaro  ha  accresciuto  di  due  altri  lavori  la  copiosa  serie 
dei  suoi  sludj  galileiani.  Con  uno,  che  prosegue  la  collana  de  Gli  amici  e  cor- 
rispondenti di  Galileo  (Venezia,  Ferrari,  1902,  di  pagg.  37  in  16.*)  ci  parla 
con  nuovi  e  minuti  particolari  di  queir  Alessandra  Bocchineri  *  che  fece 
"  palpitare  di  senile  affetto  il  cuore  sempre  giovane  di  Galileo  ,,  e  alla  quale 
è  diretta  1'  ultima  lettera  che  di  lui  ci  sia  pervenuta.  Oltre  che  di  lei,  il  F. 
ci  parla  di  due  fra  i  suoi  tre  mariti,  cioè  Francesco  Rasi  aretino,  che  fu 
valentissimo  musicista  e  cantante,  e  Giov.  Fr.  Buonamici,  esperto  diplo- 
matico, amici  ambedue  del  sommo  matematico.  Anzi  di  quest'  ultimo  è  fra 
i  documenti,  e  dopo  altre  lettere  dell'Alessandra,  pubblicata  una  importante 
relazione  del  processo  di  Galileo.  Essa  era  nota,  ma  taluno  ne  aveva  negato 
r  autenticità,  non  senza  buone  ragioni  :  la  nuova  lezione  di  essa,  scoperta  dal 
F.,  e  assai  diversa  da  quella  già  divulgata,  ci  sembra  tale  da  eliminare  ogni 
dubbio.  —  L'altro  è  un  ragguaglio  interessante  su  I  documenti  del  Processo 
di  Galileo  (Venezia,  Ferrari,  190!2,  di  pagg.  50  in  16.°)  ove  si  narrano  le  vi- 
cende del  volume  della  Inquisizione  romana,  contenente  gli  atti  del  processo 
galileiano,  trasportato  in  Francia  da  Napoleone,  poi  per  lunghi  anni  smarrito, 
e  quando  ritornò  a  luce  dato  più  volte  alle  stampe  con  arbitrj  d'ogni  sorta, 
ommissioni  ed  errori.  Ora  agli  editori  della  Edizione  nazionale  delle  opere 
di  Galileo  è  stato  concesso,  con  liberalità  che  desterà  negli  studiosi  maraviglia 
e  insieme  gratitudine,  di  trarne  copia  dall'originale,  ed  esso  entrerà  a  far 
parte  dell'ultimo  volume,  il  XIX,  della  raccolta.  Intanto  colla  storia  delle  vi- 
cissitudini, ne  abbiamo  qui  le  primizie  per  opera  del  prof.  Favaro,  il  quale  al 
testo  del  Processo  potrà  aggiungere  anche  una  serie  di  documenti  che  ne 
fanno  parte,  benché  non  contenuti  nel  citato  volume.  Certo  è  che  questa 
pubblicazione  getterà  gran  luce  su  un  fatto,  narrato  fin  ora  a  seconda  delle 
diverse  opinioni  e  passioni,  ma  senza  la  scorta  di  autorevoli  documenti.  Sol- 
tanto è  da  lamentare  che  Io  Stato,  i!  quale  non  sa  e  non  può  far  l'editore, 
salvo  che  per  la  spesa,  abbia  voluto  restringere  a  troppi  pochi  esemplari 
l'edizione  così  detta  nazionale  e  l'abbia  sottratta  al  commercio,  cosicché 
non  è  facile  giovarsene  se  non  da  pochi  privilegiati,  e  ricorrendo  alle  bi- 
blioteche. Un  libro  non  è  mai  perfettamente  edito  se  non  si  trova  da  com- 
prare. E  ora  che  lo  Stato  ha  deliberato  di  assumersi  la  spesa  di  stampa 
delle  opere  di  Leonardo,  vorremmo  che  non  si  cadesse  nello  stesso  errore, 
e  fosse  lecito  acquistarsi  a  proprie  spese  quelle  pubblicazioni,  che  un  privato 
può  non  potere  o  non  volere  avere  in  dono  dal  Ministero. 

.'.  Il  sig.  Oskar  Klinger  studia  il  teatro  comico  italiano  a  Parigi  sul  finire 
del  secolo  XVll  nello  scritto  Die  Comédie  Italienne  in  Paris  nach  der  Sam- 
mlung  von  Gherardi  {Slrassharg,  Trùbner,  1902).  Interessante  senza  dubbio  per 
la  nostra  letteratura  è  questo  volume,  nel  quale  l'a.  prende  a  considerare  gli 
svariati  prodotti  della  commedia  italiana  in  Francia,  con  particolar  riguardo 
a  quelle  pubblicate  dal  Gberardi  nella  sua  raccolta.  Egli  crede  che  queste 
rappresentino  in  genere  l'anello  di  congiunzione  tra  la  commedia  dell' Arte 
e  la  commedia   regolare,  tra  le  buffonerie  della  prima  e  le  produzioni  di 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  63 

gusto  parigiDo,  tra  ì  caratteri  esteriori  della  commedia  nostrana  ed  i  tipi 
italiani  da  un  lato,  ed  il  contenuto  francese  dall'altro.  Fino  al  1682  la  com- 
media dell'  Arte  in  Parigi  si  vale  della  lingua  nativa,  conserva  tutti  i  carat- 
teri e  gli  elementi  tradizionali  del  luogo  d'origine,  si  mantiene  insomma 
talmente  immune  da  ogni  mistura  esotica,  che  rappresenta  l'ulteriore  e 
naturale  sviluppo  della  commedia  improvvisa,  per  natura  e  per  forma 
prettamente  italiana.  Dal  1682  in  poi  essa  è  costretta  a  infranciosarsi  in  modo 
che  la  sua  storia  s'integra  con  quella  del  teatro  e  del  costume  parigino. 
Cosi  l'opinione  già  espressa  a  questo  riguardo  dal  Moland  viene  ora  confer- 
fermata  dal  K.  Cominciando  dai  primi  anni  del  sec.  XVI  sotto  la  reggenza 
di  Francesco  I,  egli  mostra  nei  cenni  introduttivi  come  l' emigrazione  in 
Francia  dei  nostri  commedianti  s'accresca  man  mano  che  ci  s'inoltra  nei 
tempi,  in  special  modo  nel  sec.  XVII,  sul  finire  del  quale  tre  teatri  stavano 
aperti  al  pubblico  parigino:  la  Commedia  francese,  l'italiana  e  l'Opera.  Op- 
portunamente l'a.  si  studia  di  porre  in  rilievo  questo  incremento  delle  rap- 
presentazioni; segue,  fin  dove  glielo  permettono  i  documenti,  le  loro  vicende; 
s'indugia  in  special  modo  attorno  ai  nostri  commedianti,  circondati  di  sim- 
patia non  solo  da  parte  del  pubblico,  ma  anche  della  corte  fino  all'  anno 
nel  quale  pel  matrimonio  morganatico  del  re  colla  Maintenoni  sono  condan- 
nate il  riso  e  le  buffonate  e  trionfa  attorno  a  Luigi  la  bacchettoneria.  11  re 
slesso,  pochi  anni  prima  cosi  appassionato  pel  teatro  italiano,  assiste  in 
questo  tempo  molto  raramente  alle  rappresentazioni:  dopo  il  1690  poi,  le 
trascura  affatto.  I  comici  italiani  però  continuano  ancora  per  qualche  tempo  a 
sollevare  coi  loro  dialoghi,  scintillanti  di  spirito  e  di  vivacità  talora  satirica, 
gli  infrolliti  cortigiani  di  Versailles,  ma  inutilmente:  i  tempi  son  mutati,! 
commedianti  francesi  ottengono  il  sopravvento.  Nel  novembre  e  decembre  del 
1691  questi  danno  a  corte  10  rappresentazioni,  5  i  nostri;  nella  prima  metà 
del  '95  quelli  21,  questi  4;  nel  '96  quelli  11,  questi  2  e  nel  secondo  semestre, 
quelli  19  questi  1,  fino  a  che  nella  primavera  del  '97,  mentre  la  compagnia 
francese  dà  ancora  qualche  rappresentazione  a  Versailles,  i  comici  italiani  son 
costretti  a  partirsene.  Questo  è  il  sunto  della  introduzione,  in  cui  il  K.  anticipa 
i  resultati,  ai  quali  giunge  col  suo  stùdio  diviso  in  quattro  capitoli,  più  un 
indice  bibliografico,  breve  ma  accurato.  Nel  primo  dà  il  sunto  delle  cin- 
quantacinque commedie  del  Gherardi,  nel  secondo  le  esamina  dal  loro  aspetto 
pili  caratteristico,  come  documenti  cioè  di  caricatura,  importanti  per  la  storia 
del  costume  e  della  cultura.  Nobili,  banchieri,  avvocati,  medici,  poeti,  accade- 
mici, "  preziosi  e  preziose  „  in  genere,  il  melodramma,  il  sesso  femminile, 
Parigi,  insomma  colle  sue  mode  e  con  tutte  le  sue  stranezze,  davano  materia 
ai  nostri  commedianti.  Nel  3."  cap.  dà  indicazioni  biografiche  più  o  meno 
abbondanti  e  più  o  meno  sicure  su  coloro,  che  in  maggior  grado  si  distinsero, 
e  prende  ad  esaminare  i  tipi,  che  essi  incarnavano,  sui  quali  non  dice  però 
gran  che  di  nuovo;  nel  quarto  discorre  del  carattere  letterario  delle  commedie 
prettamente  italiane  e  di  quelle  più  tardive,  che  accolsero  la  lingua  dal 
paese  ove  erano  rappresentate;  ne  pone  in  evidenza  lo  scopo  satirico,  gli 
elementi  onde  risultano,  così  la  trama  interna  della  Commedia,  come  la  rappre- 
sentazione esterna,  e  accenna  al  vaudeville  ed  all'opera  comica  come  agli  ultimi 
frutti  di  questa  produzione  letteraria.  Nel  5.°  ed  ultimo  capitolo  tratta  degli 


64  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

autori  francesi,  che  ancor  si  licordano  per  aver  secondato  e  contribuito  colle 
loro  commedie  all'  incremento  del  teatro  italiano  in  Francia.  Per  concludere, 
a  noi  sembra  che  questo  lavoro  condotto  senza  dubbio  con  metodo  rigoro- 
samente scientifico,  non  dica  molte  cose  nuove,  riassuma  bensi  e  disponga 
è  riconfermi  con  ordine  e  chiarezza  cose  già  noie,  ma  sparse  per  articoli  o 
per  libri  svariati,  rendendo  con  ciò  un  vero  servizio  agii  studiosi. 

.•.  Estratta  dalla  Rivista  Musicale  Italiana  (voi.  IX,  1902,  fase.  3.»  di  pp.  56) 
è  una  importante  Memoria  del  prof.  A.  Solerti  su  Le  rappresentazioni  mu- 
sicali di  Venezia  dal  1571  al  1605  per  la  prima  volta  descritte.  Il  prof.  So- 
lerti, che  sta  lavorando  sui  primi  saggi  del  Melodramma,  e  annunzia  pros- 
sima la  pubblicazione  di  alcuni  volumi  di  documenti  su  tal  materia,  ci  dà 
qui,  compilata  dal  sig,  Avalle  della  Marciana,  una  bibliografia  di  cinquantun 
componimenti  melodrammatici,  dati  in  Venezia  dal  1571  al  1605,  e  che  co- 
stituiscono un  periodo  importante  delle  origini  del  genere.  Il  primo  notato 
è  il  Trionfo  di  Cristo  di  Celio  Magno,  e  l' ultimo  è  li  Pazza  saggia  di  ano- 
nimo. I  soggetti  di  queste  rappresentazioni  sono  assai  varj:  mitologi,  storici, 
tragici,  comici.  Ampj  sono  i  ragguagli  bibliografici,  sf  da  darci  una  idea  del- 
l'argomento  e  svolgimento  delle  favole  musicate.  11  Solerti  pare  voglia  ar- 
restarsi nella  storia  del  dramma  musicale  ai  primordj  del  sec.  XVII,  ma  poi- 
ché dice  di  aver  raccolto  insieme  quanto  "  dai  contemporanei  „  fu  scritto  su 
cotesto  periodo,  e  altri,  o  lui  stesso,  potrebbe  invogliarsi  a  conoscere  e  far 
conoscere  le  narrazioni  dei  contemporanei  pur  pel  periodo  successivo,  ci  piace 
qui  menzionare  una  fonte  inesplorata,  additataci  dal  nostro  dotto  amico,  Emile 
Picot:  ed  è  il  Mercure  de  France,  che  contiene  numerosi  e  curiosi  ragguagli 
sugli  spettacoli  veneziani  a  cominciare  dal  1679.  Poiché  ormai  non  ci  è  dato 
attingere  a  questa  sorgente,  altri  lo  faccia;  il  valente  amico  ci  asserisce 
che  raccogliendo  insieme  le  relazioni  del  vecchio  giornale  francese  si  po- 
trebbe farne  un  discreto  volumetto. 

.•.  Proseguendo  le  indagini  e  gli  studj  sulle  origini  del  Melodramma,  il 
prof.  A.  Solerti  ci  dà  ora  una  monografia  su  Laura  Guidi ccioni-Lucchesini 
ed  Emilio  de' Cavalieri  (estr.  dalla  Riv.  Music.  Ital.,  di  pagg.  33  in  16.»),  che 
con  molti  particolari  espone  quanto  ha  potuto  raccogliere  sulla  poetessa 
lucchese  e  sul  musicista  romano,  che  "  per  la  fusione  dei  loro  spiriti  e  per 
*  l'intimità  della  vita,  dettero  per  primi  la  forma  del  melodramma  nell'accordo 
"  della  poesia  con  la  musica  ,.  Con  questi  pregevoli  studj  del  Solerti  comincia 
un  po' di  luce  su  un  periodo  oscuro,  eppure  egualmente  rilevante  per  la 
storta  della  poesia  e  per  quella  della  musica. 

.'.  A  proposito  dell'Estetica  di  G.  B.  Vico,  e  a  conforto  di  opinioni  già 
espresse  (cfr.  Flegrea,  aprile  1902),  il  nostro  amico  e  collaboratore  B.  Croce 
pubblica  un  breve  scritto  (estr.  dalla  Riv.  di  Filosofia  e  Scienze  affini,  ag. 
1902),  ove,  ribattendo  le  critiche  della  signorina  Martinazzoli,  conferma  e 
rincalza  la  tesi  "  che  al  Vico  si  debba  il  ritrovamento  della  scienza  estetica  ,. 

.•,  E  uscito  a  luce  coi  torchi  dello  Zanichelli  il  XIII  voi.  delle  Opere  di 
G.  Carducci  (di  pagg.  469  in  16.°).  Esso  è  tutto  dedicato  al  Parini,  non  però 
all'autore  del  Giorno,  ma  a  quello  delle  Odi  e  dei  Sonetti:  si  sa  che  al  poema 
e  alla  sua  storia  il  Carducci  ha  dedicato  già  dal  '94  un  intero  volume,  che 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  65 

a  suo  tempo  rientrerà  nella  serie.  Gli  scritti  qui  raccolti  colla  denominazione 
Il  Parini  minore  sono  usciti  a  luce  in  varj  tempi  e  in  periodici  diversi.  Ne 
diamo  l'indice:  Il  Parini  principiante  -  L'Accademia  dei  Trasformati  e  G. 
Parini  -  Pariniana  {Preliminari  -  La  Vita  Rustica  -  Il  Brindisi  -  L' Im- 
postura -  Le  Nozze)  -  Dentro,  fuori,  intorno  ai  Sonetti  di  G.  P.  {I  Sonetti  di 
G.  P.  •  Devozione  -  Galanteria  •  Varietà)  -  Saggio  di  bibliografia  pariniana 
{Opere,  Testimonianze,  Elogi,  Vite  ecc.,  Storie  letterarie  ecc.).  Questi  diversi 
scritti,  tutti  meritamente  noti  ai  cultori  delle  nostre  lettere,  sono  stati  dall' a. 
riveduti  ed  accresciuti,  e  cosi  insieme  raccolti  formano  una  lettura  dotta  e 
piacevole  per  copia  di  notizie  biografiche,  storiche  e  letterarie,  e  acutezza 
di  osservazioni.  La  parte  più  accresciuta  é  la  bibliografica  :  notiamo  però  in 
essa  l'ommissione  del  commento  alle  Odi  del  prof.  D'Ancona  (Le  Monnier 
1884),  che  pur  è  menzionato  nel  corso  del  voi.  Ma  le  bibliografie  non  riescono 
mai  complete. 

.'.  Del  prof.  Matteo  Nolfi  abbiamo  alcune  Note  critiche  al  Filippo  di 
Vittorio  Alfieri  (Torino,  Petrini,  1901,  in  8.°,  pp.  64);  utili  certo  ed  interessanti, 
ma  che  ci  sembrano  d'assai  inferiori  per  originalità  e  novità  di  ricerche  agli 
scritti  pubblicati  sullo  stesso  argomento  dall' Impallomeni  e  dal  De  Sanctis. 
In  verità  le  prime  pagine  (1-19),  ove  si  tratta  dei  caratteri  generali  delle 
tragedie  alfieriane,  non  offrono  gran  che  di  rilevante.  Vi  si  discorre  alla  ria- 
fusa e  superficialmente  dell'  efficacia  esercitata  dall'  arte  alfieriana  sul  risor- 
gimento politico  della  nazione,  delle  vicende  della  tragedia  italiana  innanzi 
il  700,  del  teatro  inglese  e  dello  Shakespeare,  delle  tragedie  classiche  fran- 
cesi, della  tragedia  greca  civile  e  patriottica,  dell' Arcadia  e  della  teorica  de^ 
V arte  per  l'arte.  Pili  accurato  è  l'esame  della  tragedia  alfieriana  (pp.  20-44). 
al  quale  seguono  alcune  osservazioni,  assai  appropriate,  suU'  arte,  sul  verso 
e  sulla  lingua  del  Filippo  (pp.  45-58).  Ma,  quanto  allo  stile,  non  possiamo  ta- 
cere all'autore  alcuni  appunti.  Troppo  spesso  la  scarsa  precisione  dei  con- 
cetti e  r  improprietà  della  forma  offendono  il  lettore;  come  nei  periodi  seguenti: 
'  Nei  tratti  circoscrittivi  ed  intensivi  di  questo  carattere  di  innamorata  donna, 
"  salta  agli  occhi  un  disegno  di  condotta  assai  semplice,  liscio,  veloce,  e  insie- 
*  me  monco  ed  arido  . . .  p.  21  ,  . . .  "  [Isabella]  come  costruzione  etica  non  è 
"  quindi  la  Fenice  delle  consorti;  come  lavoro  d'arte  questo  tipo  muliebre, 
"  quantunque  assai  debole,  desta  nell'animo  una  profonda  emozione  e  vi  lascia 
"una  salubre  efficacia  (p.  25)  ,.  la  conclusione,  l'importanza  del  soggetto 
avrebbe  meritato,  ci  sembra,  una  trattazione  assai  pivi  profonda,  e  un'  espo- 
sizione più  ordinata,  e  più  lucida. 

.'.  Di  Un  emulo  di  Vittorio  Alfieri,  il  co.  Alessandro  Pepoli,  e  più  precisa- 
mente di  un  saggio  di  genere  drammatico  "  nuovo  ,,  da  lui  intitolato  con  nome 
greco  fisedia,  tratta  il  prof.  N.  De  Sangtis  in  una  breve,  ma  succosa  memoria 
(Catania,  Galatola,  1901,  pp.  30,  in  8.°).  È  noto  come  l'elegante  patrizio  bo- 
lognese in  più  atti  della  sua  vita  privata  e  letteraria  mostrasse  1'  ambizione 
o  preoccupazione  di  apparire  emulo  dell'Alfieri.  Gran  *  domator  di  cavaUi  ,, 
come  questi,  e  corteggiatore  di  dame,  il  Pepoli  aspirò,  non  meno  dell'asti- 
giano, al  vanto  di  restauratore  della  -tragedia  italiaaa  ;  e  divise  eoa  lui  gli 
applausi  dei  teatri  aristocratici,  ove  tal  genere  era  coltivato  di  preferenza. 
L'Alfieri  scriveva  V  Agamennone,  e  il  Pepoli  un  Agamennone,  ma  senza  con- 


66  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

fidenti;  l'uno  componeva  il  Filippo,  e  l'altro  il  suo  D.  Carlo;  quegli  dava 
alle  scene  il  Bruto  II,  e  questi  II  sepolcro  della  libertà.  Cosi,  mentre  l'asti- 
giano, innestando  la  tragedia  sul  vecchio  tronco  del  dramma  musicale,  ten- 
tava nella  tramelogedia  V Abele  un  genere  nuovo,  che  "riaprisse,,  come 
s'esprimeva,  "  nei  contemporanei  la  comunicazione  tra  l'intelletto  e  l'udito  ,, 
il  Pepoli  si  atteggiava  a  riformatore  del  teatro  italiano  colla  *  fisedia  „  il  La- 
dislao. Che  cosa  fosse  tal  *  fisedia  „  secondo  i  concetti  del  poeta,  e  che  cosa 
poi  riuscisse  nell'opera  concreta;  quali  siano  i  pregi  del  Ladislao,  e  quali,  più 
grandi  e  più  numerosi,  i  difetti,  ricerca  il  De  Sanctis  e  pone  in  luce  con  ogni 
diligenza,  esaminando  il  componimento  drammatico  nelle  sue  parti,  e  raf- 
frontandolo coW  Abele  alfieriano.  Frutto  di  tali  indagini  è  la  conclusione,  che 
trascriviamo:  "  La  tramelogedia  dell'Astigiano  non  era  quella  cosa  indefini- 
"  bile  che  1'  autore  credeva,  e,  fondandosi  su  elementi  già  preesistenti  e  ben 
"  determinati,  poteva  chiamarsi  un  tentativo:  la  fisedia  del  Pepoli  riuscì  in- 
"  vece  alla  negazione  dell'arte  drammatica,  perché,  consistendo  essa  in  una 
"  mescolanza  capricciosa  di  generi  diversi  e  ripugnanti  tra  loro,  non  giunge 
"  a  destare  nell'animo  nostro  quegli  effetti  pei  quali  il  componimento  teatrale 
*  è  creato  „ . 

.'.  Il  quinto  degli  Anniversarj  manzoniani  del  prof.  Bellezza  discorre  de 
Le  Versioni  inglesi,  tedesche  e  russe  dei  Promessi  Sposi  (estr.  dalla  Rass. 
Nazionale  dell'  ottobre  1902,  di  pagg.  27  in  16.°).  Le  traduzioni  esaminate 
sono  sei  tedesche,  tre  inglesi  e  una  russa.  Sarebbe  incredibile,  se  l'a.  non 
ce  ne  fornisse  le  prove,  lo  strazio  che  del  romanzo  italiano  hanno  fatto 
costoro,  che  possono  ben  dirsi  traditori,  anziché  traduttori.  Brani  interi  sono 
arbitrariamente  ommessi  (ad  es.  V  Addio  di  Lucia,  l'episodio  di  Cecilia  ecc.), 
e  le  traduzioni  errate  sono  innumerevoli  e  scandalose.  Ridire  è  scambiato 
con  ridere,  caso  in  casa,  ora  avverbio  in  ora  nome,  secentista  in  sessagenario, 
campagna  in  compagnia,  manacce  in  minacce,  cento  sguardi  in  cento  guardie, 
pruno  in  pugno,  inferriata  in  Ferrer;  parlare  a  balzi  diventa  parlare  sul- 
l' orlo  di  un  precipizio,  far  d'ogni  erba  fascio,  far  d'ogni  mosca  un  elefante, 
un  pajo  di  maniche,  un  par  di  manette;  sbudellarsi  è  reso  sfogar  la  malin- 
conia! E  cosi  per  centinaia  di  casi.  Par  fatto  apposta  per  ingarbugliare  il 
senso!  Con  altro  studio  che  ci  promette,  l'a.  trarrà  le  sue  conclusioni  per 
dedurne  qual  veramente  fu,  in  tre  grandi  paesi  di  Europa,  la  fama  del  Man- 
zoni e  la  conoscenza  della  sua  opera. 

.*.  Il  prof.  Giov.  Negri  nell'opuscolo  Dubbj  manzoniani  e  risposte  (Milano, 
Agnelli,  1903,  di  pagg.  36  in  16.*")  esamina  uno  scritto  ben  noto  del  doti. 
Bellezza  su  certe  "contraddizioni  e  incongruenze  ,,  che  si  sono  volute  rin- 
venire nei  Promessi  Sposi,  e  con  acutezza,  che  talvolta  è  forse  troppa,  di- 
fende il  Manzoni  da  quelle  accuse,  e  da  altre  mosse  dal  march.  Grispolti. 
Altra  volta  ci  è  accaduto  di  accennare  a  questa  controversia,  esprimendo 
l'opinione  che  se  anche  quei  nei  esistessero  nel  romanzo,  non  attenuereb- 
bero d'un  minimo  che,  la  fama  dell'autore.  Anche  il  sole  ha  le  sue  macchie. 
Anche  Dante  mette  la  figlia  di  Tiresia  nel  Limbo,  e  Manto,  che  è  cotesla 
figlia  di  Tiresia  appunto,  nell' Inferno.  Anche  l'Ariosto  fa  combattere  pala- 
dini, che  ha  già  dato  per  morti.  Difendiamo  pure  dalla  taccia  d'incongruenza 
0  di  sbadataggine  il  Manzoni;  ma  non  gU  facciamo  grave  carico  se  Renzo 


DELLA   LBTTEftATURA   itALlANA  67 

avesse  in  giorno  di  divieto  mangiato  quelle  famose  polpette  e  quel  non  meno 
famoso  stufatino.  Il  Negri  dice  che  sarà  accaduto  per  effetto  della  carestia, 
che  rendeva  meno  osservanti.  E  sia  cosi,  e  pur  che  sia  finita,  accordiamoci 
su  tal  plausibile  spiegazione.  Quanto  al  bravo  Negri,  aspettiamo  da  lui,  dopo 
le  belle  illustrazioni  leopardiane,  un  lavoro  al  quale  aveva  posto  mano  pa- 
recchi anni  addietro  sul  poeta  Angelo  Mazza,  e  vorrremmo  che  desse  com- 
ponimento al  lavoro  su  cotesto,  che  fra  i  poeti  del  sec.  XYIII  è  uno  dei 
pili  notevoli. 

.*.  La  morte  che  improvvisamente  ha  ai  25  agosto  1902  interrotto  gli  studj 
e  1  lavori  del  prof.  Policarpo  Petrocchi,  non  ha  fortunatamente  impedito 
il  compimento  e  la  pubblicazione  dei  Promessi  Sposi,  raffrontati  sulle  due 
edizioni  del  1825  e  1840  con  un  commento  storico,  estetico  e  filologico.  La 
Ditta  Sansoni  ha  infatti  messo  testé  a  luce  quest'  opera,  che  consta  di  4  voi. 
di  complessive  pagg.  X-1272  in  16.'.  Quale  fosse  l'intendimento  del  Petroc- 
chi è  detto  nella  Introduzione,  già  comparsa  dal  1893:  esso  è  stato  osser- 
vato costantemente  nel  corso  del  lungo  e  faticoso  lavoro,  e  compiuto 
con  copiosissimo  e  utilissimo  Indice  delle  Note.  Ninno  poteva  dirsi  me- 
glio atto  del  Petrocchi,  toscano  e  autore  di  un  pregiato  Dizionario  italiano,  a 
un'opera  come  questa,  alla  quale  si  richiedevano  molta  conoscenza  della 
lingua  e  molta  squisitezza  di  gusto.  Né  questo  solo  bastava;  ma  anche  ri- 
chiedevasi  molto  senso  d'ordine  per  disporre  la  varia  materia,  e  far  vedere 
anche  sensibilmente  la  serie  di  mutazioni,  anche  lievi,  del  testo  del  romanzo. 
A  tutto  ciò  è  riuscito  molto  bene  il  Petrocchi,  adoperando  diversità  di  ca- 
ratteri e  separazione  delle  varianti  dalle  postille.  Certo  chi  vorrà  procurarsi 
un  semplice  diletto  estetico  non  leggerà  i  Promessi  Sposi  in  questa  edizione, 
come  il  pili  gustoso  modo  di  legger  la  Divina  Commedia  è  leggerla  in  una 
edizione  senza  commenti;  ma  gli  studiosi,  maestri  e  scolari,  e  tutti  quelli 
che  già  conoscendo  il  libro,  vorranno  meglio  apprezzare  l'arte  finissima  del- 
l'autore, si  compiaceranno  nel  ricorrere  a  questo  commento,  che  tante  cose 
insegna  sul  diffidi  magistero  dello  scrivere.  Si  potrà  qualche  volta  dissentire 
dal  Petrocchi,  perché  la  materia  è  di  natura  sua  disputabile,  ma  non  si  potrà 
non  riconoscere  che  in  questo  lavoro  del  compianto  pistojese  v'  ha  un  te- 
oro  di  acute  osservazioni  filologiche  e  di  soda  e  svariata  dottrina. 

.".  Un  Matrimonio  curioso  nel  700  è  il  titolo  di  un  opuscoletto  edito  dal 
prof.  E.  Filippini  Per  le  Nozze  Zaniboni-Panazza  (Menaggio,  Baragiola,  1902, 
pp.  14,  in  8.°).  Si  tratta  di  un  matrimonio  di  sorpresa,  celebrato  da  due  pae- 
sani di  Val  d'Intelvi  dinanzi  al  parroco  di  Cima  o  Lacima  (Lago  di  Lugano), 
nel  1753.  Il  fatto,  che  ricorda  assai  da  vicino  l'episodio  famoso  dei  Promessi 
Sposi,  ed  ha  qualche  valore  anche  per  la  storia  del  costume,  è  riferito  per 
disteso  dal  parroco  medesimo,  G.  B.  Gobbi,  in  certe  sue  Memorie  della  Cura, 
che  si  conservano  manoscritte  a  Menaggio,  presso  l' Archivio  del  Subecono- 
mato dei  Benefìzj  vacanti.  E  ad  illustrazione  del  racconto  manzoniano  lo  dà 
alla  luce  il  F.,  corredandolo  di  erudite  note  ed  opportune  considerazioni. 

.•.  Di  Antonio  Guadagnali  poeta  satirico  tratta  il  sig.  G.  Stia  velli  (Roma, 
Mariani,  1902  pagg.  20  in  16.°)  in  uno  scritto,  il  quale  è  detto  formar  parte 
di  un  libro,  pili  volte  annunziato  e  che  ormai  vorremmo  veder  a  luce,  sul 
poeta  aretino  e  la  toscana  dei  suoi  tempi.  L'  a.  studia  specialmente  le  pre- 


68  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

fazioni  in  sesta  rima  che  il  Guadagnoli  dal  1832  al  '58  poneva  innanzi  al 
lunario  popolare  di  Sesto  Gaio  Baccelli,  e  in  esse  rileva  specialmenlo  le  al- 
lusioni politiche,  per  concludere  poi,  contro  l'opinione  di  parecchi  che  ne  han 
toccato,  ch'ei  fu  un  poeta  politico  e  liberale.  Forse  vi  è  esagerazione  cosf 
da  parte  di  chi  troppo  vilipese  il  Guadagnoli  e  la  sua  poesia,  come  da  parte 
dello  Stiavelli,  che  lo  difende  e  lo  leva  troppo  pili  su  che  non  meriti.  Vera- 
mente pili  che  un  poeta  satirico  fu  un  poeta  giocoso,  e  1'  onestà  delle  sue 
intenzioni  e  delle  sue  parole  non  va  scambiata  col  liberalismo  e  colle  sue 
più  dirette  e  vere  manifestazioni  innanzi  al  1848.  A  noi  pare  che  l'apologia 
del  poeta  aretino  vada  diminuita  di  qualche  tono.  E  del  resto  se,  come  è 
promesso  dal  titolo,  il  sig.  S.  tratterà  insieme  del  Guadagnoli  e  della  Toscana 
ai  suoi  tempi,  e  ben  scorgerà  e  dimostrerà  le  attinenze  fra  questi  e  il  poeta, 
da  tale  studio  imparziale  e  sereno,  scevro  cosi  da  smania  di  detrazione 
come  di  panegirico,  balzerà  fuori  la  figura  del  Guadagnoli  più  rassomigliante 
al  vero. 

.•,  In  occasione  di  nozze,  il  prof.  P.  Antolini  ha  messo  a  luce  due  lettere 
di  Felice  Foresti  (Argenta,  tip.  operaia,  di  14  pagg.  in  IG."),  uno  dei  martiri 
nostri  del  '21.  Sono  notevoli,  perché,  specialmente  la  prima,  danno  idea  del 
modo  di  sentire  e  di  pensare,  lutto  spirituale  e  romantico,  della  generaziene 
a  cui  il  Foresti  apparteneva.  L' Antolini  ci  annunzia  di  aver  fra  mano  una 
vita  del  Foresti  :  e  noi  ne  affrettiamo  coi  voti  la  pubblicazione. 

.•.  Sono  usciti  a  luce  i  fase.  46-48  de  /  Comici  italiani  del  prof.  L.  Rasi, 
che  comprendono  gran  parte  della  lettera  R.  Notevoli  sono  parecchi  articoli 
in  essi  contenuti;  amplissima  la  biografia  di  Adelaide  Ristori,  arricchita  di 
ritratti  che  la  rappresentano  nelle  parti,  dove  levò  maggior  grido.  Impor- 
tanti anche  gli  articoli  consacrati  agli  attori  Antonio,  Luigi  e  Francesco 
Riccoboni,  che  mantennero  in  onore  oltr'alpi  l'arte  comica  italiana.  Poteva 
forse  esser  più  ampio  il  cenno  dato  della  Robotti:  ma  insufficiente  addirittura 
ci  sembra  quello  consacrato  ad  Amato  Ricci,  che  spesso  innalzò  la  maschera 
popolana  dello  Stenterello  a  dignità  maggiore,  trasformandola  a  parte  di  ca- 
ratterista. In  Firenze,  nella  tradizione,  il  Rasi  avrebbe  potuto  facilmente 
trovare  elementi  a  una  più  ricca  biografia  di  un  attore  davvero  eccellente. 

.'.  Il  dolt.  G.  BiADEGO  raccoglie  in  un  volume  alcuni  Discorsi  e  profili 
letterarj  (Milano,  Gogliato,  di  pagg.  287  in  16."),  dei  quali  diamo  i  titoli:  Dante 
e  gli  Scaligeri  —  Per  il  1."  centenario  delli  Biblioteca  cotnun.  di  Verona  — 
Il  Pisanello  —  G.  Zanella  —  R.  Fulin  —  Giov.  Sauro  e  N.  Tommaseo  — 
Francesca  Lutti  —  Felice  Griffini  —  Ett.  Se.  Righi  —  Antonio  Rosmini  a 
Verona  —  Discepoli  veronesi  del  Rosmini  —  Il  can.  Giuliari,  Fr.  Angeleri 
e  Paolo  Perez  —  Antonio  Pompei  -  ■  Cesare  Betteloni.  —  Della  massima  parte 
di  questi  studj  abbiamo  dato  un  cenno  via  via  che  uscivano  a  luce,  e  non 
potremmo  che  ripetere  quel  che  già  dicemmo  di  ciascun  di  essi.  Ora  si  rileggono 
volentieri  insieme  riuniti,  perché  si  possono  dire  altrettanti  capitoli  di  un 
medesimo  libro.  L'abbondanza  delle  notizie  anedottiche  va  del  pari  col  buon 
ordine  e  colla  chiarezza  elegante  nel  darci  ragguagli  d'uomini  e  d'istituzioni, 
spettanti  per  la  maggior  parte  alla  cultura  veronese.  Ma  noi  accogliamo  il  vo- 
lume e  gli  facciamo  festa  non  solo  per  ciò  che  contiene,  ma  per  quello  che 
promette,  e  che  dovrà  essere  una  storia  letteraria  di  Verona  nel  sec.  XVIII 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  69 

e  XIX.  Il  Biadego  è  chiamalo   a  questo  lavoro  di  importanza  non  soltanto 
municipale,  dagli  studj  di  tutta  la  sua  vita. 

/.  Lo  studio  riassuntivo  e  molto  sintetico  del  sig.  L.  Gretella,  Leggendo 
Lenau  (Trani,  Vecchi,  di  pagg.  23  in  16.»),  tratta  della  produzione  dramma- 
tica e  lirica  del  poeta  di  Csatad;  e  ci  interessa  più  particolarmente  per  il 
confronto  che  il  G.  istituisce  nelle  ultime  pagine  tra  il  suo  autore  ed  il  Leo- 
pardi. Ambedue  sono  grandi  poeti  del  dolore;  il  quale  è  fatto  talora  meno 
acerbo  nel  Recanatese  da  quella  vena  d'humour,  che  mancò  completamente 
al  Lenau.  Ambedue  resi  pessimisti  oltre  che  da  inclinazione  naturale,  dalla 
loro  costituzione  fisica  e  dai  rapporti  ch'essi  ebbero  colla  società;  l'uno  tor- 
mentato dal  dubbio  tra  scienza  e  religione,  l' altro  sconfortato  dal  più  re- 
ciso scetticismo.  Il  quale  però  non  toglie  al  Leopardi  di  elevarsi  talora  al- 
l'educazione umana,  al  concetto  della  fratellanza  universale,  mentre  nel  Lenau 
la  poesia  è  soltanto  sfogo  al  dolor  suo.  Carattere  saliente  della  poesia  nel- 
l'uno e  nell'altro  è  un  forte  soggettivismo  — .  Cose  nuove,  originali  questo 
libretto  non  reca,  ma  compendia  garbatamente  quanto  finora,  in  special  modo 
in  Italia,  è  stato  detto  sull'  argomento. 

.*.  Importante  assai  per  la  storia  del  nostro  risorgimento  è  un  Diario 
dei  fatti  occorsi  in  Genova  negli  anni  1847-49,  scritto  via  via  da  I.  G.  Isola 
nell'età  sua  giovanile,  e  ora  messo  a  luce  (Genova,  Garlini,  1902,  di  pa^'g.  26 
in  16.°).  Dalle  prime  dimostrazioni  e  dalle  grida  sommesse  a  gloria  di  Pio 
IX  si  arriva  alle  fucilate  e  al  bombardamento,  che  domò  l'inesplicabile  rivolta 
genovese  dopo  la  battaglia  di  Novara.  Nella  rapida  forma  di  appunti  gior- 
nalieri ci  rivivono  dinanzi  nei  loro  tratti  più  caratteristici,  una  quantità  di 
fatti  dimenticati,  e  scorgiamo  via  via  il  corrompersi  dell'opinione,  che  dagli 
evviva  trascorre  agli  abbasso  e  dalla  fiducia  trapassa  al  sospetto  e  all'  odio. 
Chi  legga  questo  diario,  anche  se  non  genovese,  può  comprendere  come  da 
si  bel  principio  si  cascò  a  cosi  vii  fine:  e  sarebbe  desiderabile  che  ogni  città 
italiana  potesse  offrire  nei  diarj  contemporanei  ai  primi  albori  del  risorgi- 
mento, una  raccolta  di  notizie  cosi  copiosa  e  sincera. 

.•.  Per  le  nozze  Niccolai-Parenti  il  sig.  A.  Ghiti  ha  pubblicato  una  Lettera 
di  L.  Muzzi  a  Pietro  Contrucci  (Pistoja,  1902),  scritta  il  25  maggio  1837  per 
ringraziare  V  amico  che  gli  aveva  mandato  in  dono  copia  delle  sue  "  iscri- 
*  zioni  italiane,,  stampate  appunto  in  quell'anno.  L'editore  nella  garbata 
prefazione  promette  uno  studio  suU' epigratìa  con  special  riguardo  al  Gon- 
trucci,  e  non  possiamo  augurarci  altro  che  questa  promessa  diventi  presto 
cosa  compiuta. 

.".  Il  prof.  Francesco  Torraga  salendo  per  la  prima  volta  la  cattedra  di 
letteratura  comparata  nell'Università  di  Napoli,  dopo  aver  annunziato  che 
nel  suo  corso  tratterà  di  Goffredo  Ghaucer,  ha  discorso  del  suo  predecessore 
e  dei  proprj  antichi  compagni,  cioè  di  Francesco  De  Sanctis  e  della  sua  se- 
conda scuola  (nella  Settimana  del  7  Dee.  1902),  e  lo  ha  fatto  con  affetto  e 
con  garbo.  Il  ritratto  del  maestro  è  fedelmente  preso  dal  vero:  quello  dei 
discepoli  ci  attrae  col  nome  di  tanti  uomini,  dispersi  in  varie  parti  d'Italia 
e  in  varj  ufficj,  ma  nei  quali  si  conserva  ed  appare  qualche  tratto  della  co- 
mune derivazione.  Dopo  tanti  casi  di  fortuna  noi  auguriamo  al  Torraca  di 
aver  trovato  nella  cattedra  napoletana  un  sicuro  porto,  al  quale  sarà  di  tutela 
il  nome  del  gran  maestro  ed  educatore,  cui  egli  succede. 


70  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

.'.  Agli  studiosi,  specialmente  universilarj,  dell'antico  francese,  giungerà 
gradito  l'annunzio  della  nuova  edizione  de  La  Vie  de  Saint  Alexis)  dataci 
da  Gaston  Paris  (Paris,  Bouillon,  1903  di  pagg.  63  in  16.»  picc).  È  il  testo 
critico  dall'antico  poema,  seguito  da  un  lessico  completo  e  da  una  tavola 
delle  assonanze:  esso  è  ricostruito,  per  ciò  che  riguarda  la  lezione,  mediante 
la  comparazione  dei  manoscritti,  e  rispetto  alle  forme  sullo  studio  dell'evo- 
luzione storica  della  lingua.  Come  libro  di  scuola,  il  poemetto  è  accompa- 
gnato da  tutti  i  silssidj  più  necessarj:  e  come  lettura  di  antico  testo,  è  nel 
vero  l'editore  affermando  che  se  non  è  il  primitivo  originale  perduto,  non 
può  molto  sensibilmente  differire  da  esso. 

.".  Pietoso  intetilo  è  stato  quello  della  sig.*  Giul.  0.  Gampblli  di  racco- 
gliere colla  denominazione  d\  Rose  di  macchia  i  versi  di  Fr.  Coppi  Tosca- 
NELLI  (Livorno,  Giusti,  1902  di  pagg.  64  in  16.»),  tutti  di  genere  popolare,  e 
rinfrescare  cosi  la  memoria  di  un  giovane  ingegno,  cui  la  morte  precoce  tolse 
di  poter  mostrare  il  gentil  vigore  delle  sue  forze.  Nato  nel  '32,  mori  egli  nel  '64. 
Non  tutti  i  suoi  versi  hanno  egual  pregio,  e  tornando  su  di  essi  l'  autore,  se 
li  avesse  dovuto  stampare,  a  taluni  avrebbe  tolto  certe  forme  un  po' lezióse, 
ad  altri  dato  un  nferbo  maggiore.  Ma  crediamo  degna  assolutamente  di  sal- 
varsi dall'oblio  la  serie  di  stornelli  sulla  Rosa  di  Novara,  fresca  e  spontanea 
ispirazione  dall'aura  che  nel  principio  del  1859  fecondava  i  germi  del  no- 
stro risorgimento.  E  intanto  il  popolo  non  ha  esso  obliato,  anzi  ha  costu- 
dito  e  serbato   nella  sua  memoria,  e   ripete  ancora  il  Fior  della  Bara. 

.'.  Nella  pubblicazione  Faville  patrie  il  nostro  collaboratore  A.  A.  Michieli 
(Treviso,  Turazza,  1902,  di  pagg.  55,  in  16.)  raccoglie  alcuni  aneddoti  di  storia 
patria  dal  '48  agli  anni  successivi,  per  rammentare  ignoti  o  dimenticati  eroismi 
e  oscuri  ma  benemeriti  cooperatori  e  martiri  della  causa  del  risorgimento 
nazionale. 

.•.  Notizie  curiose  insieme  e  interessanti  allo  studio  della  scienza  medica 
e  alla  storia  della  pubblica  igiene,  raccoglie  G.  Pitré  in  una  sua  Memoria, 
che  modestamente  battezza  col  nome  di  appunti,  su  V Accademia  di  medi- 
cina, i  medici,  gli  aromatarj  e  alcune  malattie  in  Palermo  nella  seconda  metà 
del  aec.  XVIII  (Palermo,  tip.  del  Giorn.  di  Sicilia,  1902  di  pagg.  22  in  16.°). 
Spigolare  in  uno  scritto  che  è  già  una  spigolatura  scelta  in  un  campo  assai 
vasto,  sarebbe  ardua  cosa,  e  ce  ne  asteniamo.  Ma  vogliam  dire  soltanto  come 
questo  scritto  dell'infaticabile  siciliano  mostri  quanti  ostacoli  vi  erano  nel 
passato  ai  provvedimenti  igienici  e  ai  metodi  più  razionali  per  la  cura  dei 
morbi;  ma  come  in  cotesto  passato,  al  quale  si  rimproverano  superstizione 
e  ignoranza,  si  trovino  pur  anche  sani  provvedimenti  ed  utili  istituzioni,  pro- 
mosse dal  buon  senso  e  ispirate  dalla  carità. 

.'.  Il  sig.  Paolo  Segato,  che  recentemente  scrisse  nella  Rivista  d'Italia 
dello  scrittore  friburghese  Alberto  Bilzius,  ha  pubblicato  Una  Novella  di 
quest'autore  tradotta  in  vernacolo  feltrino  (Feltre,  Gastaldi,  1902,  di  pagg.  23 
in  16.»).  Essa  fa  parte  della  raccolta  Novelle  e  scene  della  vita  popolare  della 
Svizzera,  ed  ebbe  speciale  fortuna,  perché  da  essa  fu  tratto  il  testo  di  un'o- 
pera musicale  mollo  in  voga  al  suo  tempo,  intitolata  Der  Tabulettkramer 
(Il  merdaiolo  ambulante).  Il  Segato  ha  fatto  precedere  alla  sua  versione 
alcune  informazioni  sulle  principali  caratteristiche  della  fonetica  e  della  mor- 
fologia del  feltrino. 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  71 

.'-  Diligente  e  interessante  è  io  scritto  che  la  sig."  Gemma  Cenzatti  ha  con- 
sacrato a  Alfonso  de  Lamartine  e  l'Italia  (Livorno,  Giusti,  1902,  di  pagg.  116  in 
16.  )  e  che  si  legge  volentieri  anche  dopo  aver  veduto  il  capitolo  che  al  poeta 
delle  Meditations  consacra  il  Magnien  nel  suo  recente  voi.  snW  Italie  dea 
Romantiques.  L'  autrice  segue  a  passo  a  passo  il  poeta  francese  dai  primi 
anni  fino  a  quando,  presso  alla  tomba,  ingiuriò  Dante  con  insana  parola  e 
suscitò  le  ire  degli  italiani.  Nota  come  la  Gerusalemme  liberata,  a.  sua  con- 
fessione, fu  il  primo  libro  che  gli  facesse  impressione  sulla  fantasia  e  sul 
cuore  (pag.  31).  L'Ariosto  invece  —  cosa  strana!  —  lo  faceva  sbadigliare 
(pag.  8).  Dell'Alfieri  portò  giudizj  mutevoli  (pagg.  8-10):  del  Foscolo,  i  Sepolcri 
del  quale  imitò,  avverti  la  parentela  intellettuale  coi  maggiori  ingegni  (pag.  33). 
È  curioso  poi  che  in  un  momento  della  sua  gioventù  dicesse  di  aver  quasi  o- 
bliato  il  francese  pel  "  celeste  idioma  ,  nostro,  e  onorare  soltanto  i  poeti  italiani 
(pag.  17).  D«iritalia  si  sa  come  sentenziasse,  e  come  una  spada  italiana  gli 
ricacciasse  in  gola  la  villana  sentenza:  ma  ebbe  poi  sensi  di  pentimento  del- 
l'offesa gratuita  (pagg.  70-81).  Buona  è  la  trattazione  delle  scritture  lamarti- 
niane,  che  l'Italia  ispirò:  e  lucida  l'esposizione  della  verità  o  no,  dell'idillio 
di  Graziella  (pagg.  19,21,27),  che  è  tutto  un  postumo  ricamo  ideale  sui  ri- 
cordi di  una  avventura  amorosa,  e,  come  a  dire,  la  purificazione  di  una  sca- 
pestrataggine giovanile:  ma  che  ad  ogni  modo  resta  un  capolavoro  letterario. 
Questo  saggio,  lo  ripetiamo,  è  buono,  e  certi  piccoli  nei  non  ne  diminuiscono  il 
valore:  cosi  notiamo  (pag.  50)  che  il  Galiani  non  può  farsi  vivere  fino  a  poco 
prima  del  1820,  dacché  era  morto  già  nel  1787:  il  general  Pepe  menzionato  a  pp. 
56  non  può  esser  Gabriele  —  quello  del  duello  -  ma  Guglielmo,  né  (pag.  66) 
lo  scritto  di  Gabriele,  dal  quale  il  duello  ebbe  origine,  può  dirsi  un'operetta: 
era  un  art.  dell'Antologia;  lo  scrittore  dell'^rcadm  non  era  un  conte  Salvagnoli- 
Marchetti,  ma  un  semplice  abate  ecc.  Buono  è  in  generale  lo  stile,  e  di  frasi 
come  questa  a  pag.  99  —  *  il  Campanile  di  Giotto,  inno  alato  che  si  slancia 
ardito  nello  spazio  azzurro,  —  fortunatamente  non  ce  n'è  molt' altre. 

.*.  Abbiamo  innanzi  a  noi  parecchi  volumi  della  Biblioteca  Storica  del 
Risorgimento  italiano,  pubblicati  nel  corso  del  1902  dalla  Società  editrice  Dante 
Alighieri  di  Roma.  Cominciamo  dal  render  conto  del  voi.  4-5  della  serie 
terza,  che  è  la  parte  prima  del  lavoro  di  Ermanno  Lokvinson,  Giuseppe  Go' 
ribaldi  e  la  sua  legione  nello  Stato  Romano,  1848-49  (di  pagg.  XI-278,  con 
uno  schizzo  geografico).  È  un  libro  di  che  non  può  dirsi  che  bene.  Ogni 
più  minuto  particolare  è  vagliato  con  tutta  cura,  e  somma  è  l'indipendenza 
colla  quale  l'A.  giudica  certi  trascorsi  di  lingua  e  certi  impeti  del  generale, 
l'atteggiamento  suo  rimpetto  al  governo  e  ai  suoi  superiori  gerarchici,  l'in- 
sofferenza delle  forme  legali  e  il  modo  di  combattere  qualche  volta  un 
po' all'impazzata  contro  forze  disciplinate  e  maggiori.  Le  soe  relazioni  col 
Pisacane  e  col  Roselli  sono  poste  in  chiara  luce  senza  tendenza  apologetica, 
ma  con  tutta  imparzialità.  E  l'A.  può  concludere  che  "  anche  alla  prova  di 
"  una  indagine  scrupolosa  dei  minimi  atti  della  vita  di  Garibaldi,  pur  dimo- 

*  strandosi  egli,  come  uomo,  non  esente   dai   difetti  e  dalle  debolezze  della 

*  natura  umana,  resiste,  e  la  sua  figura  continua  a  grandeggiare  fra  tutti  co- 

*  loro  che  la  circondano  per  lucidità  di  visione  nel  guardare  davanti  a  sé,  per 
"  prontezza  d'azione,  per  forza,  spontaneità  e  sincerità  di  patriottismo  ,.  Con 


72  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

questa  pubblicazione,  della  quale  attendiamo  il  seguito,  la  persona  del  gene- 
rale esce  dalle  nebbie  della  leggenda,  ed  entra  nella  piena  luce  della  storia. 

—  Buon  documento  di  storia  sarà  la  riproduzione  fatta  da  M.  Menghini  dei 
sei  quaderni  de  La  Giovine  Italia  del  Mazzini,  della  quale  sono  già  uscite 
due  dispense  6,  11-12  (la  prima  di  pagg.  XXXVIII-135,  l'altra  di  pagg.  258). 
Contengono  oltre  scritti  di  occasione,  anche  brani  di  storia,  come  le  memorie 
sui  casi  napoletani  dal  1799  al  '21,  la  risposta  del  Sercognani  al  gen.  Armandi 
riguardante  i  fatti  di  Romagna  del  '31,  ecc.  Il  Menghini  vi  ha  mandato  in- 
nanzi una  opportuna  prefazione  con  molte  e  curiose  notizie  suH'  origine  del 
giornale,  sulle  sue  vicende,  i  collaboratori,  le  persecuzioni  dei  governi  italiani 
del  tempo  e  gli  oltraggi  che  contro  il  giornale  furono  scagliati  dalle  penne  degli 
scrittori  a  quei  governi  devoti,  che  formano,  diremmo,  la  parte  amena  della 
pubblicazione.  Il  Menghini  promette  anche  un  Indice  analitico  delle  materie, 
che  ajuterà  a  far  ricerche  in  questa  ristampa  del  periodico.  Per  esattezza 
bibliografica  avremmo  desiderato  che  si  indicasse  via  via  a  quale  dei  fasci- 
coli della  Giovine  Italia  appartengano  gli  articoli  riprodotti. 

—  Il  voi.  9-10  contiene  uno  scritto  del  dott.  Gennaro  Mondaini  su  /  moti 
politici  del  '48  e  la  setta  dell'  Unità  Italiana  in  Basilicata  (di  pagg.  XII-324), 
frutto  di  assidue  indagini  su  documenti  del  tempo.  Intento  dell'autore  ci 
sembra  sia  quello  di  mostrare  come  la  rivoluzione  politica  del  '48  non  sia 
in  fondo  se  non  un  "  effetto  politico  di  una  rapida  evoluzione  economico- 
"  sociale  „,  della  quale  le  prime  origini  risalgono  al  decennio  del  governo 
murattiano  e  all'introduzione  di  nuove  idee  e  di  nuove  istituzioni.  Allora 
alla  nobiltà  feudale  si  surrogò  la  borghesia,  che  si  trovò  in  lotta  cosi  con  la 
monarchia  assoluta  come  coli' elemento  popolare.  Questa  è  la  tesi  di  filosofìa 
della  storia,  che  collega  e  rischiara  i  fatti  narrati  dall' A.  Il  quale  accusa  di 
gretto  "  municipalismo  ,  i  promotori  di  quei  fatti,  ma  non  tace  come  la  setta 
dell'  *  Unità  italiana  ,  avesse  non  piccola  diffusione  anche  in  Basilicata.  E 
pur  notando  in  questa  narrazione  storica  un  po'  di  rigidità  sistematica  in  fa- 
vore di  una  tesi,  l'A.  ha  ragione  di  rilevare  verso  la  fine  l'importanza  della 
"  questione  demaniale  non  ancora  pur  troppo  risolta  in  Basilicata  e  nelle 
"  altre  terre  del  mezzogiorno  d' Italia  ,. 

—  Il  voi.  7-8  è  uno  scritto  dell' avv.  G.  Leti,  Fermo  e  il  card.  Filippo  de 
Angelis  (di  pagg.  X-276),  un  po'  lungo  e  minuto,  più  cronaca  che  storia,  ma 
alla  storia  non  inutile  per  conoscere  le  condizioni  di  una  città  dello  stato 
pontificio  durante  lo  sgoverno  de'  preti,  e  l' opera  invadente,  baldanzosa  e 
spesso  pazzesca,  di  un  alto  dignitario  ecclesiastico.  I  particolari  dì  fatti  e  di 
persone  fermane  sono  corroborati  da  documenti,  e  hanno  tutto  V  aspetto  di 
esattezza.  Meno  sicuri  sono  gli  accenni  a  cose  e  personaggi  non  di  Fermo: 
ad  es.  a  pagg.  80  dando  una  breve  biografia  di  Gesare  Trevisani  si  dice  che 
egli  a  Firenze  "  fondò  lo  Spettatore  italiano  col  Finali  e  col  Ricasoli  ,.  Ora,  per 
essere  esatli,  i  fondatori  di  quel  periodico  furono  Celestino  Bianchi  e  Cesare 
Donati  :  il  Finali  era  a  Torino,  e  il  Ricasoli  stava  a  Broglio  e  collo  Spettatore 
non  aveva  relazione  nessuna. 


k.jy  kvcovk  direttort  retponsahile. 

.  Pim.  Tipografia  r.MMiotU,  1903. 


RASSEGM  BIBLIOGRAFICA 

DELLA  LETTERATURA  ITALIANA 

IHitttori:  A.  D'ANCONA  e  F.  FLAMINI.  Editore:  E.  SPOEBBI. 

Anno  XI.  Pisa,  Febbraio-Marzo- Aprile  1903.  N.  2-3-4. 


Abbonamento  annuo     >    ?"  }!l*f."!l  *    '    '  ^Ì'"  2     !     Unnum.separatoCent.fi». 
'    per  I  f^biero     .    .      *     if.    \ 


SOMMARIO:  V.  Vivaldi,  La  Gerusalemme  Liberala  studiata  nelle  sue  forme  (Azione 
principale  del  poema)  (V.  Rossi).  —  N.  Busetto,  Carlo  De' Dottori  letterato  pado- 
vano del  Secolo  XVII,  studio  biograficoletterario  (E.  Bertana).  —  L  Di  Francia, 
Franco  "bacchetti  novelliere  (Q.  Volpi).  —  A.  Della  Torre,  Di  Antonio  Vinciguerra 
e  delle  sue  satire  (V.  Ciao).  —  G.  Marchesi,  Romanzieri  e  Romanzi  del  Settecento 
(T.  Concari).  —  L.  Einstein,  The  italian  Renaissance  in  England  Studies  (F.  Fla- 
mini). —  Comunicazioni.  E.  (ì.  Parodi,  /  versi  comuni  a  Pietro  da  Barsegapé 
e  ad  Ugueeione  da  Lodi.  —  Cronaca.  —  Necrologia. 


Vincenzo  Vivaldi.  —  La  Gerusalemme  Liberata  studiata  nelle  sue 
fonti  {Azione  principale  del  poema).  —  Trani,  V.  Vecchi,  ti- 
pografo-editore, 1901  (8.",  pp.  Vili,  351). 

Nel  1893  il  prof.  Vivaldi  pubblicò  dne  volumi  di  studj  Sulle  fonti 
della  Gerusalemme  Liberata  (Catanzaro,  Caliò),  coi  quali  «  volle 
«  portare  -  mi  valgo  delle  parole  di  lui  stesso  -  il  suo  contributo 
«  all'  indagine  sulle  fonti  dell'  opus  magnum  del  Tasso,  mostrando 
«  quante  reminiscenze  vi  siano  dei  poemi  cavallereschi  ».  Con  altro 
intento  pose  mano  all'opera  di  cui  diede  fuori,  or  fa  circa  un 
anno,  questo  primo  volume;  il  quale  abbiamo  tardato  ad  annun- 
ziare nella  speranza  che  avessero  intanto  ad  uscire  i  Prolego- 
meni, se  non  anche  il  secondo  volume  con  cui  l'  opera  sarà  com- 
piuta. Nel  volume  che  ci  sta  fra  mano,  il  Vivaldi  intese  a  discu- 
tere tutte  le  fonti  della  lAberata  indicate  prima  da  altri  o  da 
lui  e  «  per  mezzo  d'un  lavoro  eliminativo  ed  aggiuny;endone  qua 
«  e  là  qualcuna  nuova,  a  fissare  quella  a  cui  il  Tasso  veramente 
«attinse».  Un  giudizio  sicuro  su  quest'opera  laboriosa  non  sarà 
veramente  possibile  se  non  quando  avremo  sott' occhio  anche  il 
frutto  delle  ricerche  del  Vivaldi  sulle  letture  e  sulla  coltura  del 
Tasso,  sulle  sue  predilezioni  letterarie,  sui  suoi  principi  d'arte  poe- 
tica, sulle  cronache  della  prima  crociata  delle  quali  si  valse;  cioè 
il  volume  dei   Prolegomeni^  ed  insieme  la  trattazione,  che  darà 


74  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

materia  al  secondo  volume,  intorno  alle  fonti  degli  episodj.  Tut- 
tavia non  vogliamo  indugiare  pili  oltre  a  dire  del  primo,  con- 
cernente l'azione  principale  del  poema,  vale  a  dire  il  racconto 
dei  fatti  guerreschi  che  si  compiono  intorno  o  dentro  Gerusa- 
lemme; anche  perché,  costretti  come  saremo  dalla  natura  stessa 
del  libro  piuttosto  a  ritrarne  il  generale  andamento  ed  il  metodo, 
che  a  riassumerne  e  a  discuterne  i  singoli  risultati,  avremo  forse  a 
fare  qualche  osservazione  o  ad  esprimere  alcun  desiderio  onde 
potrà  giovarsi  la  parte  non  peranco  stampata. 

Lode  incondizionata  merita  la  diligenza  che  il  V.  ha  posto  nel 
ricercare  e  raccogliere  per  entro  ai  commenti,  alle  scritture  e^ 
spressamente  cronologiche,  alle  lettere  del  Tasso,  tutti  gli  addita- 
menti  di  riscontri  e  di  convenienze.  Poche  cose  e  di  non  grande 
importanza  gli  saranno  sfuggite,  ^  né  qui  accade  censurare  la 
mancanza  d'esatte  indicazioni  bibliografiche  ne'suoi  rinvii,  per- 
ché a  codesto  legittimo  desiderio  del  lettore  provvederanno,  non 
v'ha  dubbio,  i  Prolegomeni.  Gli  additamenti  raccolti  il  V.  esamina 
e  discute  via  via  ad  uno  ad  uno,  esponendo  le  ragioni  per  cui 
questi  gli  sembrano  a  buon  dritto  da  annoverarsi  tra  le  «  fonti  » 
del  Tasso  e  quelli  giudica  di  dover  escludere  dal  novero;  e  riesce 
cosi  a  sbarazzare  il  terreno  della  ricerca  da  molte  male  erbe  a- 
limentate  dall'inconsulta  vaghezza  ch'ebbero  alcuni  critici,  di 
accumulare  riscontri  su  riscontri  non  sempre  a  proposito.  In  sulla 
fine  del  secondo  volume  il  V.  tirerà  certo  le  somme  di  questa  sua 
minuziosa  disamina  e  con  altrettanta  diligenza  metterà  in  luce 
la  varia  contribuzione  -  varia  per  quantità  e  per  qualità  -  recata 
dai  varj  scrittori  al  poema  tassiano.  Per  quel  che  è  dato  vedere 
finora,  par  bene  che  come  la  parte  storica  dipende  essenzialmente 
dai  cronisti  della  Crociata,  cosi  la  parte  fantastica  da  Virgilio  piò 
di  frequente  che  da  qualsiasi  altro  classico,  greco  o  latino  o  ita- 
liano. 

Alla  diligente  incetta  delle  fonti  fin  qui  segnalate  non  corri- 
sponde nell'opera  del  V.  una  altrettanto  diligente  ed  acuta  clas- 
sificazione di  esse.  Anche  lasciati  da  banda  i  riscontri  casuali  o 
mal  definiti,  la  parola  «  fonte  »,  in  ispecie  quando  si  parli  di  ar- 
tisti non  volgari,  può  avere  cosi  ampio  e  cosi  vario  significato, 


1  Tra  le  opere  ove  ricorre  alcuncbé  di  simile  al  paragone  àeWegro  fanciul  e  che  già  fu- 
rono per  questo  citate  altrove,  dovevano  essere  ricordate  a  p.  15,  anche  la  spagnola  Ctltstina, 
le  epistole  di  N.  Franco  (vedi  questa  Rassegna,  III,  242  e  VII,  281)  e  il  Cortegiano  del  Castiglione 
(ediz.  Gian,  p.  359).  Forse  la  gran  voga  della  bella  similitudine  fermò  l'attenzione  del  Tasso 
sul  noto  passo  di  Lucrezio,  passo  che  gli  fu  modello,  come  a  ragione  afferma  il  Vivaldi. 
Anche  si  poteva  notare  che  il  Tasso  stesso  dice  che  il  brutto  verso  Alla  vewìelin  ni  non  nll'niulo 
(Lib.  IX,  85)  è  modificazione  d'uno  (ancor  più  brutto)  «  troppo  rubato  dalla  Caunce  »  (Lettere, 
ed.  Onastì,  voi.  I,  p.  66).  Ma  le  sono  inezie. 


DBLLA   LETTRRATURA    ITALIANA  75 

che  quando  non  si  voglia  -  il  che  pur  sarebbe  opportuno  -  re- 
stringere i'uso  della  parola  ad  una  determinata  categoria  di  fonti, 
occorre  almeno  fare  delle  distinzioni.  Un'opera  può  spiegarci  come 
e  perché  in  un  certo  momento  l'attività  fantastica  d'un  artista 
siasi  rivolta  in  un  certo  senso;  un'altra  chiarirci  il  motivo  di 
certe  associazioni  d' idee  o  magari  di  certe  dissociazioni  ;  qua 
possiamo  trovare  come  a  dire  la  traccia  del  cammino  percorso 
dalla  fantasia;  là  il  perché  d'un  determinato  atteggiamento  del 
concetto  e  quindi  dell'espressione.  Si  hanno  cosi  «  fonti  »  di  na- 
tura diversa,  che  a  lor  volta  possono  avere  in  diverso  modo  ope- 
rato; o  che  lo  scrittore  le  tenesse  deliberatamente  presenti;  o  che 
gliene  rifiorisse  nel  cervello  il  ricordo,  spontaneo  ma  da  lui  rav- 
visato; o  che  misteriose  affinità  psichiche,  abitudini  intellettuali, 
avviamento  di  educazione  e  di  studj  lo  conducessero,  senza  ch'egli 
se  n'avvedesse,  ad  una  concezione  simile  o  uguale  a  quella  di 
altro  scrittore.  Ora  nel  libro  del  Vivaldi,  se  la  natura  stessa  delle 
cose  determina  talvolta  la  separazione  delle  fonti  sostanziali  dalle 
formali  -  passi  per  brevità  questa  grossolana  nomenclatura  -,  non 
sempre  tale  distinzione  è  osservata  e  ben  di  rado  è  fatta  dal- 
l'autore con  netta  coscienza. 

La  mancanza  di  saldi  criterj  direttivi  e  di  una  chiara  visione 
della  delicata  complessità  dei  problemi,  parmi  sia  infatti  il  prin- 
cipal  difetto  di  questa  pur  accurata  opera  del  V.  In  più  d'uii 
luogo  egli  ha  occasione  di  riconoscere  in  un  medesimo  racconto 
o  in  una  medesima  descrizione  del  suo  poeta  fonti  molteplici  ; 
eppure  in  altri  luoghi  (p.  es.  a  pp.  25,  195)  non  si  ])erita  di  ad- 
durre come  argomento  contro  la  ragionevolezza  d' un  raffronto 
istituito  da  altri,  la  dimostrazione  ch'egli  abbia  dato,  d'altra  de- 
rivazione; come  se  non  sia  possibile  che  nel  fervente  crogiolo  della 
fantasia  elementi  di  disparata  origine  siausi  fusi  insieme,  o  filoni 
d'altro  metallo  siansi  insinuati  nella  massa  del  più  abbondante. 
Questo  preconcetto,  congiunto,  mi  permetta  il  V.  di  dirlo,  a  certo 
malcelato  proposito  di  contradire  a' suoi  predecessori,  adombra 
non  di  rado  la  serenità  del  giudizio  o  conduce  a  conclusioni  che 
contrastano  coli' evidenza.  Recherò  dite  esempj. 

Il  verso  del  Tasso  «  La  divisa  dal  mondo  ultima  IriiiuJa  »  {Lib., 
I,  44)  è  certo  calcato  sul  virgiliano  «  Et  penitus  toto  divisos  orbe 
«Britaunos»,  Il  Novara  però  ricordò  anche  l'oraziano  «  Ultiraos 
«  orbis  Britannos  ».  Ma,  chiosa  il  V.  (p.  37),  «  1'  aggettivo  diviso 
«  ripetuto  nei  due  autori  mostra  che  il  Tasso  ebbe  presente  Vir- 
«  gilio  nello  scrivere».  Io  non  mi  farò  a  sostenere  che  nell'e- 
spressione tassiana  c'entri  per  un  po' anche  il  lirico  di  Venosa; 
osserverò   soltanto  che  la  chiosa  del  nostro  A.  può  essere  rim- 


I 


76  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

beccata  cosi:  «l'aggettivo  ultimo  ripetuto  nei  due  autori  mostra 
«che  il  Tasso  ebbe  presente  Orazio  nello  scrivere». 

Il  Vivaldi  (p.  192  sgg.)  col  Multineddu  giudica  derivato  dal- 
l'episodio  di  Partenopeo  nella  Tehaide  (X,  702  sgg.)  quello  di 
Lesbino  nella  Liberata  (IX,  81  segg.).  Le  somiglianze  nella  situa- 
zione e  nell'andamento  della  piccola  azione  fanno  credere  che 
sia  proprio  cosi;  ma  ciò  non  deve  impedire  di  ammettere  che  a 
determinare  l'intuizione  fantastica  che  di  quella  scena  ebbe  il 
Tasso,  abbiano  conferito  rappresentazioni  di  altri  poeti.  Di  Le- 
sbino scrive  il  Tasso: 

A  cui  non  anco  la  stagion  novella 
Il  bel  mento  spargea  dei  pi-imi  fiori. 
(IX,  81). 

In  Partenopeo  Stazio  rileva: 

Nondiiin  mutatae  rosea  lanugine  malae. 
(IX,  703). 

Presso  Virgilio,  il  re  Evandro  dice  di  sé: 

Tum  mihi  prima  genas  vestibat  flore  inventa, 
(Vili,  160). 

E  di  Federico  Gonzaga  l'Ariosto  dice: 

Federico,  eh' ancor  non  ha  la  guancia 
De' primi  fiori  sparsa. 

(XXXIII,  46). 

Ebbene  come  si  fa  a  negare  che  nella  figurazione  del  giovinetto 
Lesbino  abbiano  comunque  avuto  parte  e  Virgilio  e  l'Ariosto? 
Sia  pure  che  la  scena  descritta  da  Stazio  fosse  presente  al  poeta 
quand'ei  narrava  la  pietosa  morte  del  paggio  di  Solimano;  pure 
a  nessuno  credo  parrà  dubbio  che  quand'egli  venne  a  raffigurarsi 
l'immagine  del  giovinetto  sventurato,  altre  reminiscenze  gli  ger- 
mogliassero nella  mente.  Né  quelle  di  Virgilio  e  dell'  Ariosto 
soltanto.  Seguita  il  Tasso: 

Palon  perle  e  rugiade  in  su  la  bella 
Guancia  irrigando  i  tepidi  sudori; 
Giunge  grazia  la  polve  al  crine  incolto 
E  sdegnoso  rigor  dolce  è  in  quel  volto. 

E  Stazio: 

multnmque  severis 

Asperat  ora  minis  ;  sed  frontis  serrat  honorem 

Ira  deoens 

Illum  et  Sidoniae  juga  per  Theumesia  nymphae 
Bellantem  atque  ipso  sudore  et  pulvere  gratum 

Landant    

(IX,  704-6,  709-11). 

Ma  nella  IV  Eroide  d'Ovidio  si  legge: 


Te  tuuB  iste  rigor  positique  sine  arte  captili 
Et  levlB  egregio  pulvis  in  ore  decet. 

(w.  77-8). 


DELLA   LÉTtERAtURA   ITALÌANA  7^ 

ÀI  Vivaldi  i  versi  di  Stazio  pajono  più  simili  a  quelli  del  Tasso 
che  non  siano  i  versi  del  poeta  di  Sulmona.  Nessun  altro,  credo, 
sarà  di  questo  avviso;  molti  vedranno  invece  anche  qui  le  tracce 
d'una  specie  della  memoria,  non  rara  ne' poeti  delle  età  di  produ- 
zione riflessa,  della  memoria  frammentaria,  la  quale  come  più 
plastica  e  più  atta  a  dar  luogo  a  nuove  combinazioni,  che  non 
sia  la  memoria  sistematica  a  svolgimento  continuo,^  meglio  aiuta 
il  lavoro  fantastico. 

Uno  studio  di  fonti  che  non  vada  oltre  all'indicazione  delle 
opere  e  dei  passi  messi  a  profitto  dall'autore,  si  riduce  ad  un 
passatempo  erudito  non  molto  piacevole.  Solo  quando  il  ricerca- 
tore avrà  anche  mostrato  come  il  suo  poeta  siasi  valso  delle  fonti, 
se  di  tutte  in  un  modo  o  non  piuttosto  delle  une  a  questa  e  delle, 
altre  a  quella  guisa,  se  di  tutte  ad  ogni  intento  o  non  piuttosto 
delle  une  ad  un  fine  e  delle  altre  ad  un  altro,  come  abbia  trasfor- 
mato la  materia  che  gli  si  offriva  dinanzi,  come  collegato  e  fuso 
in  nuove  unità  gli  elementi  raccolti  da  più  parti  e  per  quanto 
abbia  cooperato  alla  nuova  creazione  egli  stesso  colla  sua  propria 
attività  fantastica;  solo  allora  il  ricercatore  potrà  dire  d'aver  toc- 
cato la  meta,  che  altra  non  può  essere  se  non  una  conoscenza 
quanto  più  sia  possibile  esatta  e  piena  dell'arte  del  poeta.  Nel 
volume  che  abbiamo  sott'occhio  il  V.  non  è  andato  mai  oltre  la 
raccolta  e  la  scelta  del  materiale  greggio,  e  può  far  meravigli^ 
che  egli  non  abbia  sentito  il  bisogno  di  prepararsi  via  via  con 
osservazioni  spicciolate  le  basi  di  quello  che  avrà  ad  essere  l'ul- 
timo ornamento  del  suo  edificio.  Quello  stesso  episodio  di  Lesbino, 
su  cui  ci  siamo  un  po' intrattenuti,  variato  di  reminiscenze  vir- 
giliane e  ovidiane  e  ariostesche,  ma  fondato  su  Stazio,  avrebbe 
porto  occasione,  o  m'inganno,  ad  alcuna  di  siffatte  osservazioni. 
D'altro  canto  un  impaccio  ad  un  certo  genere  di  rilievi  se  l'è 
creato  il  Vivaldi  colla  sua  stessa  divisione  fondamentale  del  la- 
voro {Anione  principale,  Episodj);  perché  quando  non  si  seguano 
ordinatamente  le  manifestazioni  dei  varj  caratteri  dei  personaggi 
e  nell'azione  principale  e  negli  episodj,  è  difficile  cogliere  i  mo- 
tivi delle  modificazioni,  che  il  poeta  abbia  recato  ne'  suoi  modelli 
e  quindi  assai  di  rado  ci  si  viene  a  trovare  nel  punto  di  vista 
più  favorevole  ad  un  giudizio  delle  sue  creazioni.  Ma,  non  ne  du-" 
bitiamo,  un'ampia  e  ben  ragionata  conclusione  ovvierà  a  questi 
inconvenienti  ;  viene  a  dirlo  il  Vivaldi  stnsso  promettendo,  in  sul 
chiudere  questo  primo  volume,  di  trattare  in  altro  punto  del  suo 
lavoro  «  dei  caratteri  dell'  arte  del  Tasso  » . 

Vittorio  Rossi. 

'  Te.  RiBOT,  Essai  sur  l' iiiMyinalioii  créatrice,  P»ris,  19(M),  pp.  18-9. 


^8  RASSEGNA   BÌtìLlOGilAFlCA 


Dolt.  Natale  Busetto.  —  Carlo  De' Dottori  letterato  padovano  del  secolo  X VII, 
studio  biogr  a  fico-letterario,  Città  di  Castello,  Lapi,  1902  (in  8.°,  pp.  VII-397). 

Carlo  De'  Dottori  è  stato  sempre  ricordato  in  tutte  le  nostre  storie  let- 
terarie un  po'  ampie;  di  lui  dovettero  più  specialmente  occuparsi  coloro  che 
attesero  alla  storia  del  poema  eroicomico  e  della  tragedia;  a  lui  nel  1792, 
dedicò  una  buona  Memoria,  prevalentemente  biografica,  il  suo  concittadino 
ab.  Giuseppe  Gennari;  e  delle  sue  opere,  ma  più  in  particolare  deW  Aristodemo, 
scrisse,  or  è  poco,  la  signorina  Lina  De  Carlo;  adesso  poi  il  dott.  Busetto 
ci  dà  in  cotesto  volume  (che  per  la  mole  eccede  senza  dubbio  l'importanza 
del  soggetto)  una  monografia  del  Dottori  cosi  ampia,  minuziosa  e  ben  cor- 
redata di  documenti,  che  può  considerarsi  esauriente  e  definitiva. 

Certo  senza  l'aiuto  d'essa,  del  Dottori  non  si  potrà  ormai  più  discorrere; 
e  se  anche  i  giudizj  dati  dal  Busetto  sul  suo  autore  e  sul  pregio  delie  singole 
opere  di  lui  non  fossero  tutti  destinati  a  restare,  l'aiuto  pòrto  da  cotesto 
diligente  lavoro  a  chiunque  voglia  mettersi  in  grado  di  valutare  l'animo  e 
l'arte  del  secentista  padovano,  sarà  sempre  indispensabile. 

Allo  studio  sul  Dottori,  che  occupa  le  prime  243  pagine,  segue  una  co- 
piosa appendice,  formata  da  documenti  genealogici  ed  economici,  da  lettere 
inedite  del  Dottori  ad  alcuni  principi  suoi  padroni  o  protettori,  e  ad  alcuni 
letterati  suoi  amici,  come  frate  Ciro  di  Pers  e  Girolamo  Graziani. 

S'aggiungono  anche  alquante  lettere  inedite  "di  personaggi  diversi,  (pre- 
lati, principi  e  patrizi  veneziani)  al  Dottori  ;  ma  non  tutte  coteste  lettere  — 
siano  del  Dottori  siano  d'altri  —  appaiono  cosi  rilevanti  che  meritassero 
d'essere  integrahnente  stampate.  Meglio  avrebbe  fatto  il  Busetto  estraendone 
i  passi  utili  ed  innestandoli  nel  testo  del  suo  studio  o  allegandoli  nelle  note 
a  pie  di  pagina  ;  dove  potevano  anche  trovare  luogo  opportuno  quelle  lettere 
più  importanti  e  significative,  che  gli  fosse  piaciuto  di  riprodurre  per  disteso. 
Avrebbe  cosi  alleggerito  di  non  poco  il  volume,  e  avrebbe  raggiunto  meglio 
il  legittimo  desiderio  di  chi  trova  documenti  notevoli:  far  si  che  non  pas- 
sino inosservati;  ciò  (he  spesso  accade  quando  si  confinino  nelle  lunghe  ap- 
pcndic-i.  Neppure  colla  diligenza  dei  lettori  di  monografie  erudite  —  che 
ispesso  per  necessilà  devon  essere  frettolosi  —  conviene  far  troppo  a  fidanza! 

Seguono,  nella  II  parte  (ìcW  Appendice,  parecchi  scritti  inediti  del  Dottori, 
riprodotti  o  integralmenic  o  pat/ialmente;  e  sono:  alcune  note  di  lingua 
soW Aristodemo;  i  due  primi  canti  deW Asino  nella  forma  della  prima  ste- 
sura; poche  stanze  dei  canti  inedili  della  Gahitca ;  qualche  saggio  dell'aUro 
poemetto  La  Prigione;  molti  saggi  del  poema  satirico  II  Parnaso;  poi  so- 
netti satirici  e  burleschi  ed  epigrafi  latine. 

La  III  parto  ùqW  Appendice  è  finalmente  costituita  da  una  copiosissima 
Notizia  dei  manoscritti  e  delle  stampe  delle  opere  edite  e  inedite  di  Carlo 
Dottori. 

Come  si  vede  il  Busetto  ha  compiuto  il  suo  studio  con  ogni  scrupolo 
di  buona  preparazione,  con  la  più  precisa  informazione  di  tutto  ciò  che 
apparteneva  al  suo  autore,  ed  anche  —  conviene  agg  iungere  —  con  buona 


DELLA   LSTtERAfukA   ITALIA  t( A  7^ 

CcuoscèDita  deH' ambiente  in  cui  si  trovò  a  vivere;  che  della  vita  padovana 
nel  secolo  XVII  il  Busetlo  cercò  il  quadro  in  ottimi  documenti  sincroni,  e 
specialmente  in  quelle  Alcune  satire  inedite  (del  Dottori,  e  d'amici  e  con- 
cittadini di  lui),  di  cui  già  discorse  neìV  Ateneo  Veneto  del  1901. 

Venendo  ora  a  dar  conto  dello  Studio  biografico-letterario,  premetto  che  nei 
nove  capitoli,  in  cui  è  diviso,  l'esposizione  della  vita  del  Dottori  non  è  di- 
stinta dall'  esame  delle  sue  opere.  "  Ho  intrecciato  ,  -  scrive  l' A.  -  "  non 
senza  difficoltà  al  racconto  della  vita  varia  e  complessa  l'esame  e  l'apprez- 
zamento degli  scritti,  avendo  avvertito  che  questi  per  la  massima  parte  sona 
il  riflesso  di  quella  „  (p.  VI).  Ora  è  innegabile  che  parte  della  produzione 
letteraria  del  Dottori  in  qualche  modo  dipende  dai  casi  e  dalle  vicende  di  lui;  e 
lo  provano  le  allusioni  a  fatti  della  sua  vita  privata,  che  non  vi  mancano; 
però  si  badi  che,  nell'insieme,  la  produzione  letteraria  del  secentista  pado- 
vano è  ben  lontana  dall'avere  quella  spiccata  impronta  soggettiva  che  rende 
inesplicabili,  inintelligibili  l'opere  d'altri  scrittori,  quando  si  considerino  se- 
paratamente dal  momento  in  cui  furono  prodotte,  dalle  condizioni  specia- 
lissime, esteriori  ed  interne,  in  cui  versarono  ne' diversi  momenti  della  loro 
vita  gli  autori  di  esse. 

D'altra  parte  la  vita  e  l'indole  del  Dottori  —  a  quanto  ne  sappiamo  — 
non  hanno  in  sé  nulla  di  cosi'  straordinario  e  di  cosi  singolare  da  rendere 
straordinarie  e  sipgolari  anche  le  sue  opere,  sicché,  a  capire  e  a  valutar  queste, 
bisogni  non  perder  d' occhio  mai  quelle.  Insomma  io  non  credo  che  fosse  pra- 
prio  necessario,  nel  nostro  caso,  di  mandare  innanzi  di  pari  passo  lo  studio  bio- 
grafico col  letterario;  anzi  ritengo  che  l'aver  voluto  intrecciarli,  abbia  recalo 
qualche  danno  all'  economia  del  libro  e  alla  limpidezza  della  esposizione;  senza 
contare  che  sarebbe  stato  certo  comodo  ed  utile  avere  raccolta  tutta  in  un 
capitolo  una  compiuta  biografia  dell'autore,  corretta  e  integrata  mercé  le 
nuove  ricerche  laboriosamente  compiute  dal  Busetto.  Egli  avrebbe  messo 
cosi  in  più  chiara  luce  quel  tanto  (non  è  forse  molto,  ma  è  pur  qualche 
cosa)  ch'egli  fu  in  grado  d'aggiungere  a  ciò  che  già  sapevasi  itftorno  al- 
l'jiorao  di  cui  studiò  la  vita  e  il  carattere. 

Nel  1.  cap.,  dopo  un  conno  sugli  antenati  del  Dottori,  il  Busetto  discorre 
più  dello  slato  degli  sludj  e  del  costume  a  Padova  nella  prima  mela  del 
seicento,  che  degli  sludj  giovanili  e  della  adolescenza  del  suo  autore;  argo- 
mentando, in  mancanza  di  dirette  notizie,  che  quelli  e  questa  dovettero  ri- 
sentirsi delle  generali  condizioni  del  luogo  e  del  tempo;  e  aggiungendo  una 
ampia  analisi  dell'  Alfenore,  novella  o  romanzetto  galante  che  il  Dottori 
compose  appena  ventenne. 

V  Alfenore  è  un  omaggio  adulatorio  alle  dame,  a  cui  è  dedicato  —  ma 
le  dame  non  sentirono  soltanto  le  carezze,  bensi  anche  le  punte  della  penna 
del  Dottori,  uso,  come  tant' altri,  ad  alternare  complimenti  e  satire.  Fu  so- 
spettato autore  di  certo  libello  in  cui  alcuni  gentiluomini  e  alcune  signore 
di  Padova  non  erano  risparmiali,  e  passò  un  brutto  guaio.  Di  ciò  il  Busetto 
discorre  nel  11  cap.,  in  cui  traila  dei  costumi  giovanili  del  Dottori  e  del 
poemetto  la  Prigione,  che  si  riattacca  appunto  a  quel  lai  guaio  dianzi  ac- 
cennato; delle  prime  liriche  erotiche  di  lui  e  della  sua  ."  natura  voluttua- 
ria, (voleva   dir    voluttuosa);  esamina  4*  Qnlatea    e  gli  Sfortunati  amori, 


éO  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

che  male  (secondo  ogni  probabilità,  cfr.  p.  51)  gli  furono  altribuiti;  indi 
discórre  delle  prime  liriche  filosofico-politiche,  che  incominciarono  a  sgor- 
gare dalla  vena  del  Dottori  abbondanti,  specialmente  dopo  che  il  matrimonio 
(1644)  —  non  esemplare  e  non  felice  —  ebbe  chiuso,  il  più  agitato  e  sca- 
pigliato periodo  della  giovanezza  del  poeta. 

Il  III  cap.  riguarda  principalmente  l'indirizzo  poetico  seguito  dal  Dottori, 
che  appartiene,  senza  dubbio  al  gruppo  dei  lirici  classicheggianti  del  suo 
secolo;  e  il  poemetto  satirico  //  Parnaso,  in  cui  la  satira  personale  e  la 
civile  sono  mescolate  con  la  letteraria. 

Nel  IV  cap.,  che  abbraccia  gli  anni  1650-53,  il  Busetto  raccolse  le  notizie 
che  si  riferiscono  alla  vita  cortigiana  del  Dottori,  ai  rapporti  di  lui  col  prin- 
cipe Leopoldo  di  Toscana  e  col  card.  Rinaldo  d'Este,  al  cui  servigio  stette 
qualche  tempo  in  Roma.  Cade  in  questo  periodo  la  nuova  ristampa  delle 
Ode  e  la  composizione  delle  Canzoni,  di  cui  il  Busetto  discorre  (e  non  gliene 
facciamo  simpiovero)  piuttosto  brevemente;  la  composizione  6ìQ\V Asino,  e 
il  cominciamento  à&W Aristodemo.  A  queste  due  opere,  le  sole  veramente 
che  abbiano  ancor  qualche  vita  o  qualche  rinomanza,  sono  poi  consacrati 
due  lunghi  speciali  capitoli  (V  e  VI),  sui  quah  pili  oltre  mi  fermerò  un  mo- 
mento. 

Il  cap.  VII  segue  la  vita  e  l'operosità  letteraria  del  Dottori  tra  il  1654 
e  il  1657;  dal  ritorno  di  lui  in  patria,  dove  è  assunto  a  varie  cariche  pub- 
bliche, al  moménto  in  cui,  rimasto  vedovo,  mette  finalmente  giudizio  e  si  dà 
a  Vita  pivi  soda,  prendendosi  cura  dei  figU.  In  questo  periodo  egli  compose 
altre  nuove  canzoni  morali,  in  cui  il  Busetto  rilevò  certi  "  accenni  di  pessi- 
"  mismo  preleopardiano  „.  Leggo  pessimismo,  come  mi  dà  il  sommario  del 
capitolo  e  la  p.  192;  non  romanticismo  preleopardiano,  come  è  stampato, 
certo  per  errore,  a  p.  188  ed  altrove;  ed  aggiungo  che  il  Busetto  non  ha 
créduto  ^unlo  d'aver  scoperto  nel  Dottori  un  precursore  vero  del  Leopardi; 
però  non  parmi  ch'egli  abbia  spiegata  in  tutti  i  modi  possibili  quell'ombra 
di  tristezza  ch'è  diffusa   in   alcuni  di  cotesti   componimenti  del  suo  autore.' 

*  lo  non  voglio  fare  del  Dottori  „  -  egli  scrive  -  "  un  pessimista  del  colore 
"  leopardiano,  che  sarebbe  manifesta  l'esagerazione;  ma  è  certo  che  la  rovi- 

*  nata  complessione  del  corpo,  il  cumulo  di  invidie,  di  dispetti,  di  odii,  di 
"  faccende  tediose,  il  vano  cozzare  dell'ideale  e  del  razionale  con  la  realtà, 
'determinarono  sin  dalla  gioventù  del  nostro  poeta  un  certo  pessimismo 
"  filosofico,  che  ....  può  accompagnarsi  .inche  con  un'  indole  naturalmente 
"  gioconda,  quale  in  parte  ebbe  il  Dottori  ,  (p.  193).  Non  sarebbe  stato  inutile 
avvertire  che  quel  certo  pessimismo  filosofico  poteva  manifestarsi  nella  poesìa! 
del  secentista  padovano  anche  indipendentemente  da  qualsiasi  speciale  pre- 
disposizione soggettiva  a  lui  propria,  poiché  è  tutt' altro  che  raro  nella  let- 
teratura del  tempo.  Piangere  sulle  miserie  della  vita,  gemere  sulla  inesora- 
bile fugacità  degli  anni,  distruttori  d'ogni  bellezza,  d'ogni  gioia,  d'ogni  for- 
tuna, detestare  gl'inganni,  la  vanità  del  mondo,  proclamare  la  nullità  delle 
speranze  e  della  vita,  ecc.,  fu  esercizio  che  piacque  a  molti  e  molli  verseg- 
giatori del  seicento,  né  importa  qui  cercarne  le  ragioni;  né  posso  io  qui  sten- 
dermi a  citarne  esempj,  che  a  chiunque  abbia  qualche  diretta  notizia  della 
letteratura  di  quel   secolo   riuscirebbero  inutili.  Per  un  poHmelro   già  edito 


DELLA  LETTERATURAITALIANA  81 

dal  Trucchi  *  sotto  il  Titolo  di  Ka/i/tó  del  mondo,  e  rielito  or  non  è  mollo 
con  quest'altro  titolo:  Della  miseria  e  vanità  umana,^  un  amico  del  Dottori, 
fra  Giro  di  Pers,  parve  già  un  diretto  e  legittimo  precursore  del  Leopardi. 
Ma  basterà  che  ricordi  Antonio  Abati,  l' abate  delle  arguzie,  come  i  contem- 
poranei lo  chiamarono,  l'autore  delle  Frascherie.  Ebbene;  tra  le  Poesie  po- 
stume di  lui  (Bologna,  Kealdini,  1671)  spesseggiano  le  variazioni,  in  tutti 
i  toni,  su  questo  tema: 

Ogni  cosa  se  ne  va, 
Ricchezza, 
Bellezza, 
Fortezza  d'età: 
Ogni  cosa  se  uè  va.  3 

Si  veda  l'altra  frottola,  pur  malinconica,  che  termina  cosi: 

Che  avanza,  cbe  avanza  « 

Da  l'empia  sciagura? 
La  gloria  futura 
Già  termina  in  onta. 

Già  scende  chi  monta,  .       "  ! 

Perché  l'oro  mancò,  fama  s' oscura;  t 

Ohe  86  l'oro  del  sole  a  noi  tramonta. 
Non  mira  ì  mcrti  altrui  la  notte  ombrosa  : 
Finisce  ogni  cosa.  *; 

o  l'altra  che  conclude: 

Cosi  al  liii  moribondo 

Nel  mondo  è  il  tutto,  anzi  col  tutto  è  il  mondo  »; 

I 

oppure  il  sonetto,  piuttosto  bruttaccbiolo  : 

Su  la  tòrta  del  mondo  aspra  pendice  : 

Muove  l'uomo  nascente  a  i  falli  il  piede 

E  del  pianto  d'Adamo  antico  erede 

I  suoi  futuri  error  geme  e  predice. 
Sotto  una  destra  poi  moderatrice,  ' 

Quasi  vite  recisa,  al  pianto  riede  ; 

Quindi  in  pili  saldo  piò  pianger  si   vede 

Di  Fortuna  e  d'Amor  l'orma  infelice.. 
Ne  la  sua  chioma  altìn  neve  biancheggia. 

Che  stemprata  dal  cor  i  rai  tremanti,  ' 

Ij'opie  de  l'alma  rea  stilla  e  sbandeggia. 
Cosi  favella  al  suo  sepolcro  avanti. 

Se  il  natal,  se  la  fuga  uu  fin  pareggia, 

Che  Ila  l'umana  vita  altro  che  pianti'?  6 

Però  si  badi  che  i  confini  tra  1'  umor  tetro  e  il  giocoso  appaiono  nell'  Ab- 
bati assai  incerti  (e  non  in  lui  solo  cotesta  incertezza  si  fa  manifesta);  in- 


1  Poesie  italiano  inedite  di  dugento  autori  ecc.,  IV,  212  sgg. 

2  Ili  appendice  allo  studio  di  B.  Guyon,  Fin  Cito  ài  Fers  e.  tu  sua  pof-sia,  Udine,  1897. 

3  Cosi  incomincia  una  luui;a  frottola  intitolata  Fttyacilù  liwnaiia,  tutte  dello  stesso  te- 
nore, a  p.  290  delle  Poesie  cit 

*  P.  338.  S'intitola  appunto  Finisce  oi/ni  cosa.  ■  ■ 

•  *  P.  420.  S'intitola  Caducità  delle  humaiie  cose. 
tt  P.  437:  Che  la  vita  humuna  in  tutte  le  quattro  età  t  lacrime. 


ea  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

falli  cotesto  accorato  deploratore  delle  umane  miserie  compose  anche  und 
faceta,  per  musica,  in  lode  della  morte,  la  quale  incomincia  cosi  : 

Viva  la  Morte,  viva, 

Quest'è  lina  Dea 

Che  in  terra  sta, 

Che  a  l' buoni  si  fa 

Tanto  pietosa, 

Che  ne'  debiti  suoi  paga  ogni  cosa; 

e  finisce  con  una  preghiera  alla  pietosa  dea  di  non  venir  a  trovare  il  poeta 
prima  ch'egli  T abbia  chiamata  davvero!* 

Mi  rimetto  in  careggiata,  e  proseguo  il  frettoloso  rendiconto. 

Il  cap.  Vili,  che  abbraccia  oltre  un  decennio  (1658-1669)  c'informa  dei 
rapporti  del  Dottori  con  la  Casa  d'Austria,  alla  quale  egli  s'era  legato  col  fa- 
vore dei  Gonzaga,  e  specialmente  di  quella  Eleonora  che  fu  moglie  di  Fer- 
dinando imperatore,  grande  amico  e  mecenate  (occorreva  ricordarlo)  di  let- 
terati italiani,  e  poeta  anch'esso  (come  Dio  non  vuole)  in  nostra  lingua.  Ap- 
partengono a  cotesti  anni,  oltre  a  parecchi  sonetti  ed  odi,  il  dramma  per 
musica,  V  Ippolita,  alcune  non  liete  vicende  domestiche  del  Dottori  (non  al- 
leviate dall'annua  pensione  assegnatagli  dalla  corte  absburghese)  e  due  viaggi 
da  lui  compiuti:  uno  a  Vienna,  l'altro  a  Firenze. 

Nel  IX  cap.  è  riassunta  la  storia  degli  ultimi  sedici  anni  non  tutti  tran- 
quillamente vissuti  dal  Dottori  (1670-1 686)  ^^rocw?  negotiis,  e  tra  le  poche  cose 
da  lui  composte  in  questo  periodo,  meritano  particolar  menzione  le  due  o- 
pere  drammatiche  :  Biauca  de'  Bossi  e  Zenohia  di  Budamisto,  sulle  quali 
il  Busetto  si  trattiene  a  lungo,  cercando  di  mostrare  la  "  loro  importanza 
storica  nello  svolgimento  del  dramma  verso  il  tipo  moderno,. 

La  Zenobia  di  Badamisto  è  una  delle  tante  opere  tragi-comiche  di  cui  fu  fertile 
il  nostro  seicento.  Essa  attesta  unicamente  (se  pur  non  si  voglia  riconoscere  una 
prova  d'influenza  francese  nella  scelta  d'un  soggetto  che  già  era  stato  trattato 
dal  d'Aubignac  e  dal  Montauban -)  l'abbandono  delle  forme  classiche  del  dram- 
ma tragico,  eh'  è  comune  in  Italia  negl'  ultimi  decenni  del  secolo  XVII.  La  Zeno- 
bia è  in  prosa,  come  pure  la  Bianca  de'  Bossi,  che  peraltro  s' attiene  più  fedel- 
mente allo  schema  delle  tragedie,  e  ne  conserva  anche  il  coro,  esclamante  e  pia- 
gnucolante in  prosa.  Ora  al  Busetto  parve  che  *  avendo  trattato  in  prosa 
un  argomento  essenzialmente  tragico  ,,  il  Dottori  facesse,  *  rispetto  alla  ge- 
nesi e  allo  svolgimento  del  dramma  moderno,  opera  non  trascurabile  „;  e  che 
negli  *  elementi  romanzeschi  „  di  cui  venne  "  rimpolpando  il  nudo  schema 
della  tragedia  classica  ,,  nella  violata  unità  di  luogo,  oltre  che  "  nella  gran 
parte  concessa  all'elemento   amoroso  ,,  siano  da  ravvisare  "gli  inizj  di  un 


»  /i>,  p.  316. 

!i  Veramente  la  precedenza  non  ispetta  ai  Francesi;  che  già  prima  del  d'Antignac  e  del 
Montauban  aveva  trattato  cotesto  soggetto  un  poeta  della  corte  di  Carlo  Emanuele  I,  il  geno- 
vese G.  Antonio  Ansaldo.  La  sua  Zenobia  regina  A' Armenia,  di  cui  darò  qualche  notizia  altrove, 
non  fu  mai  pubblicata.  11  nis.  che  ce  la  conserva  esiste  alla  Nazionale  di  Torino,  segnato 
N.  VI,  45.  Non  porta  data;  ma  per  piii  di  un'  indizio  sicuro  esso  appartiene  ai  primi  anni  del 
secolo  XVII. 


DfeLLA   LElTEtlAtUtlA  ITALIANA  83 

arte  nuova  ,  (p.  215).  Bisognerebbe  sapere  che  cosa  s'abbia  ad  intendere 
per  *  dramma  moderno  ,,  prima  di  decidere  se  cotesti  fatti  notati  nell'opera 
del  Dottori  preludano  veramente  ad  esso.  Comunque,  cotesti  fatti,  nell' ulti- 
mo quarto  del  seicento,  erano  tutt' altro  che  nuovi  e  singolari;  poiché,  p.  es., 
quella  prevalenza  degli  elementi  romanzeschi  e  amorosi  nella  nostra  tragedia 
era  già  incominciata  a  manifestarsi  da  un  secolo;  come  sarebbe  facile,  ma 
qui  fuor  di  luogo,  a  provarsi. 

Qualche  parola  adesso  intorno  a  que' capitoli  V  e  VI  che  trattano  delle 
due  maggiori  opere  del  Dottori;  buoni  entrambi,  malgrado  qualche  prolis- 
sità e  ridondanza  (difetto  di  tutto  il  libro),  e  qualche  lacuna,  che  pur  vi  si 
nota. 

Dell'asino  il  Busetto  comincia  a  discorrere  rifacendosi  dalla  storia  della 
composizione  di  cotesto  poema  eroicomico,  che  fu  davvero  il  primo  in  cui 
riapparissero  schiette  le  forme,  il  motivo,  l'andamento  e,  in  parte,  il  sapore 
della  Secchia,  sulla  quale  venne  fedelmente,  ma  non  servilmente  e  non  in- 
felicemente esemplato,  Poi  indica  le  fonti  da  cui  la  materia  del  poema  è  de- 
rivata nel  suo  sostrato  storico;  avverte  in  qual  modo  essa  materia  fosse 
elaborata,  combinata  e  trasformata  dall'autore;  nota  a  quali  parti  di  essa 
egU  conservasse,  in  certa  misura,  dignità  e  serietà  eroica,  e  a  quali  altre  pai  ti 
desse  espressione  comica;  divide  in  più  gruppi  distinti,  secondo  la  loro 
origine  o  storica  o  fantastica,  il  lor  carattere  comico  od  eroico,  il  lor  signi- 
ficalo satirico,  ecc.  i  diversi  personaggi  chre  vi  compaiono  appena  o  vi  agi- 
scono. Gotesta  rassegna  di  personaggi  àeVi' Asino  è  assai  diligente,  minuta; 
né  sarebbe  stato  male  se  il  Busetto  l'avesse  in  qualche  parte  abbreviata; 
che,  a  dir  vero,  non  tutte  quelle  varie  figure  e  figurine  del  Dottori  hanno 
rilievo  e  contorni  cosi  spiccati  e  singolari '<la  fermar  l'attenzione.  Piuttosto 
avrefi  preferito  ch'egli  s'indugiasse  alquanto  di  pili  intorno  a  qualche  per- 
sona degna  di  nota,  che  passa  quasi  inavvertita  nella  lunga  schiera  delle 
figure  pili  comuni.  Sono  poche,  p.  es.,  le  cinque  linee  che  il  Busetto  (p.  125) 
dedica  a  Desmanina,  moglie  ripudiata  d'Ezzelino  il  Monaco;  intorno  alla 
quale  sospira  d'amor  silenzioso  il  cavalleresco  conte  Ardiccione  di  Peraga, 
che  rispelta,  tacendo,  la  virtù  e  il  dolore  della  donna  sopraffatta  dall'onta 
dell'ingiusto  ripudio  (cfr.  e.  I,  st.  30.'  sgg.)  e  tutta  assorta  nei  chimerici  sogni 
di  vendetta,  che  la  porteranno  poi  ad  affrontare  in  campo  il  marito  scono- 
scente, ed  a  morire  contenta  sotto  i  colpi  di  lui^c.  IV,  st.  14.*  sgg.).  Il  ro- 
manzesco ed  il  tragico  di  quella  storia  d'amore  non  somiglia  in  nulla  a  ciò 
che  di  pili  serio  v'ha  nella  Secchia;  dove  anche  il  famoso  episodio  degli 
amori  della  Luna  e  d'Endimione,  cantati  da  Scarpinello  (e.  Vili,  st.  46.*  sgg.), 
finisce  in  una  sghignazzata.  Ora  non  il  solo  episodio  che  ho  richiamato,  ma 
anche  altre  parti  dell'^siMO  hanno  impronta  e  intonazione  luti' altro  che  eroi- 
comica; e  alla  frequenza  di  tali  elementi  era  da  dar  qualche  peso  nel  con- 
siderare il  poema  del  Dottori  in  relazione  cogli  altri  poemi  congeneri.  Se- 
condo me  Y Asino  è  il  nostro  poema  eroicomico  in  cui  l' intonazione  e  il  co- 
lorito proprj  del  genere  sono  meno  continui;  e  perciò,  se  parrai  giusto  il  dire 
che  "  l'imitazione  tassoniana  è  pili  larga  „  in  e»so  che  non  in  qualsiasi  al- 
tro poema  della  medesima  famiglia,  non  sono  ben  persuaso  che  in  esso  sia 
*  pili  compiutamente  raggiunta  la   fusione   del   faceto    col   serio  ,;  né   che 


^  tlASSfiONA  BlfiLIOGRAFlCA    ■■■ 

*  meno  degli  altri  poemi  eruicomici  V Asino  risenta  l'influsso  dei  poemi  epici 
e  dei  romanzi  eroico-galanti  del  tempo  „  (p.  145).  Piuttosto  consentirei  nel 
ritenere  che  il  poema  del  Dottori,  sia  effettivamente  pervaso  d' "  un  forte 
realismo,  e  che  l'essenza  di  questo  realismo  sia  eminentemente  satirica  ^ 
(p.  131).  Il  Busetto  ha  analizzato  assai  bene  il  contenuto  satirico  deìV Asino, 
distinguendone  i  varj  motivi  e  soggetti  (e  ha  fatto  cosa  opportuna,  anchQ 
perché  da  chi,  or  non  è  molto,  fu  studiato  l' elemento  satirico  nei  poemi 
eroicomici,  *  il  poema  del  Dottori  fu  trascurato  affatto)  ;  sennonché  parmi  che 
nelle  pagine  dedicate  a  cotesta  ricerca  egli  non  abbia  rilevato  un  degli  ac- 
cenni satirici  più  vivi  e  nuovi  che  vi  compaiono,  voglio  dire  il  ritratto 
del  menante,  curioso,  indiscreto,  disinvolto  cacciator  di  novelle  da  spacciare 
negli  avvifi;  voglio  dire  il  ritratto  di  Mercurio  giornalista  (e.  II  st.  40  sgg.). 
Lungamente  il  Busetto  discorre  anche  dell'Aristodemo,  né  io  potrei  qui 
riassumere,  neppure  per  sommi  capi  cotesto  capitolo  che  si  stende  per  35 
grandi  pagine.  L' Aristodemo  fu  composto  fra  il  '53  e  il  '54  e  rappresentato  nel 
maggio  di  quell'anno  a  Padova  con  successo,  per  tre  volte  consecutive,  da 
dodici  giovani  cavalieri;  stampato  non  fu  che  nel  '57,  dopo  che  l'autore  lo 
ebbe  ritoccato  e  corretto  secondo  gli  avvisi  del  principe  Leopoldo  di  Toscana 
e  di  Giro  de'Pers.  Raffrontata  la  tragedia  al  racconto  storico  di  Pausania, 
che  le  servi, di  fonte,  il  Busetto  si  ferma  a  rilevare  la  larghezza  con  cui  il 
Dottori  interpreta  le  regole  delle  unità,  e  gli  dà  special  lode  di  tale  "  indi- 
pendenza artistica  „  (p.  154).  Veramente  non  parmi  che  fosse  il  caso  di  guar; 
dare  con  soverchia  ammirazione  e  meraviglia  un  procedimento  tutt' altro  che 
unico  e  nuovo;  che  il  Dottori,  estendendo  la  durata  dell'azione  a  48  ore, 
fece  .ciò  che' da  alcuni  in  teoria  erasi  già  concesso,  e  da  parecchi  in  pratica, 
erasi  già  fatto.  Quanto  poi  all'abbondanza  degli  episodj,  essa  non  è  taled^^ 
costituire  eccezione;  ben  pili  ricche  ne  sono  non  poche  tragedie  della  se- 
conda metà  del  cinquecento  e  d«l  seicento.  Rassegnati  i  luoghi  àeìV  Aristo- 
demo in  cui  traspare  qualche  imitazione  o  reminiscenza,  anche  lontana,  dei 
tragici  greci  e  di  Seneca,  il  Busetto  espone  i  giudizj  dei  contemporanei  sulla 
tragedia  del  Padovano,  e  poi  quelli  de' critici  più  tardi  o  recentissimi;  fer- 
mandosi specialmente  ad  esaminare  un'  accusa  più  volte  ripetuta  contro  lo 
stile  deW Aristodemo,  che  parve  a  molli  troppo  lirico.  "  Ciò  è  vero  ,  —  conr 
fessa  il  Busetto  —  "  e  di  tal  difetto  noi  possiamo  veder  la  cagione  nella 
struttura  metrica  della  tragedia,  eccessivamente  -  abbondante  in  parecchi 
tratti  drammatici,  di  settenari  e  di  quinari,  e  nell'indole  artistica  del  poeta 
non  meno  che  nelle  condizioni  dell'animo  suo  quando  scriveva  o,  megUo. 
rifaceva.  ì'  Aristodemo.  In  quegli  anni,  come  appare  dal  suo  epistolario,  soffrj 
assai  d'ipocondria  e  di  mal  di  stomaco  e  nel  1657  gli  mori  la  moglie;  ^ 
appunto  di  que' giorni  la  lettera  con  la  quale  accompagnava  V Aristodemo 
al  card.  Rinaldo,  dicendo  che  aveva  imparato  a  scriver  tragedie  dalle  suq 
vere  „  (p.  163).  Con  ciò  non  parmi  che  il  lirismo  deW Aristodemo  sia  chiar 
ramente,  sufficientemente  spiegato.  La  frequenza  de'  versi  rotti  è  propria  au: 
che  d'altre  tragedie,  né  per  questo  il  loro  stile  brilla  di  fosforescenze  liri- 
che. Chi  oserebbe,'?,  es.,  di  sostenere  che  sian  hrici  i  prosaicissimi  settenari 

l  Q.  Zaccagnini,  uegll  Sludj  di  leUeralura  italimia,  Napoli  1900,  HI. 


DELLA   LiiTTERAtURA   ITALIANA  85 

e  quinari  che  lo  Speroni  adoperò  nella  Canare,  coli'  intento  d' imitar  meglio 
—  con  que'  versi  —  i  quali  escono,  egli  diceva,  frequentemente,  spontanea- 
mente dalle  labbra  di  chiunque  parli  —  il  discorso  improvviso  e  comune? 
Anche  V  ipocondria,  il  mal  di  stomaco,  ecc.  non  bastano,  secondo  me,  a  spie- 
gare il  famoso  lirismo  del  Dottori  :  che  andava  piuttosto  considerato  in  re- 
lazione ad  alcuni  fatti  stilistici  evidenti  in  tragedie  della  fine  del  cinquecento 
e  del  seicento,  nelle  quali  s'accentua  una  specie  di  reazione  contro  quel 
canone  di  piana  e  languida  semplicità,  che  s'era  formato  sull'esempio  e  sui 
precetti  del  Trissino  e  d'altri.  Uno  dei  primi  a  dire  aperto  che  lo  stil  tra- 
gico poteva  assorgere  alle  forme  più  ornate  e  concitate  della  espressione 
poetica,  e  valersi  di  quel  parlar  figurato  eh'  eragli  stato  interdetto,  fu  appunto 
un  contemporaneo  del  Dottori,  il  p.  Sforza  Pallavino.  Ma  intorno  a  questo 
punto  vi  sarebbero  molte  cose  da  aggiungere,  che  mi  condurrebbero  a  di- 
lungarmi oltre  il  lecito. 

"  Due  qualità  nuove  „  scrive  il  Busetto  "  o  quasi  nuove  (non  ancora  bene 
osservate)  contraddistinguono  1'  Aristodemo  . . . ,  cioè  la  ben  riuscita  rappre- 
sentazione del  tipo  femminile  in  Merope  e  Anfia ...  e  (quel  che  più  im- 
porta) l'elemento  amoroso  dominante  cosf  che  da  esso  dipendono  l'anno- 
darsi e  lo  scioglimento  dell'azione  „  (p.  164).  Delle  due  cose,  quella  che  più 
importa,  fu  già  osservata  (bene  o  male)  anche  da  altri;  ed  ha  effettivamente 
una  certa  importanza,  ma  non  quale  il  Busetto  se  la  figura  ;  e  non  direi  che 
deW  elemento  amoroso  il  Dottori  fosse  primo  a  far  cosi  *  largo  uso  ,  (p.  179). 
Oltre  ai  tragici  nostri  che  ivi  il  Busetto  ricorda,  altri,  della  fine  del  cinque- 
cento, avrebbero  potuto  fornirgli  materia  d'utile  confronto,  e  persuaderlo  che 
V elemento  amoroso  s'era  già  accampato  da  molti  anni  come  assoluto  signore 
sulla  scena  tragica.  Può  servire  d'esempio  tipico  V Adelgiso  dello  Zinani. 
Dopo  essersi  indugiato,  forse  più  che  noti  convenisse,  a  ribattere  certe  cen- 
sure date  dal  Beneducci  al  Dottori,  e  a  svolgere  le  lodi  fattene  dal  Pagani- 
Cesa,  il  Busetto  raffronta  V Aristodemo  al  cosi  detto  tipo  tragico  francese,  no- 
tando qualche  *  notevole  affinità  ,  di  cotesla  nostra  tragedia,  *  col  teatro 
d'oltralpe  ,  (p.  150);  e  conclude  che  '  V Aristodemo  di  Carlo  Dottori,  benché 
difettoso  riguardo  allo  stile  ,  (troppo  facilmente,  secondo  me  egli  ha  con- 
cesso questo  famoso  difetto,  e  s'è  dimenticato  di  notare  in  che  lo  stile  tra- 
gico del  Dottori  s'avvantaggi  in  calore  e  in  movimento  su  quel  più  comune 
dei  gelidi  e  compassati  nostri  tragedi  del  cinquecento)  "  è  una  delle  pochis- 
sime tragedie  buone  del  nostro  secenlo;  e  sebbene  modellato  sullo  stesso 
stampo' classico  . . . ,  segna  un  notevole  passo  nell'evoluzione  verso  quel  tipo 
di  tragedia  italiana  che  s'affermò  coll'Alfieri  „. 

In  che  il  Dottori  precorra  e  preannunzi  l'Alfieri,  per  me  —  lo  dichiaro  — 
non  so  vederlo;  ma  non  imporla,  e  concludo  alla  mia  volta  anch'io,  affer- 
mando con  convinzione,  che,  malgrado  qualche  esuberanza  ed  inesperienza 
giovanile,  qualche  giudizio  non  ben  dimostrato  né  forse  dimostrabile,  e  la 
tendenza  ad  accrescere  più  che  non  fosse  giusto  l'importanza  e  il  merito  del 
suo  autore,  il  Busetto  ha  fatto  opera  utile  nel  complesso,  e  in  più  d'una 
parte  buona  e  lodevole, 

UMILIO  Bertana. 


86  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 


Letterio  Di  Francia.  —  Franco  Sacchetti  novelliere.  —  Pisa,  Nistri, 
1902  (8.0  gr.,  pp.  344).  Estratto  dagli  Annali  della  B.  Scuola 
Normale  superiore  di  Visa,  Voi.  XVI. 

Le  novelle  di  Franco  Sacchetti  sono  un  attraente  argomento 
di  studio,  e  tanto  più  dovevano  allettare  qualche  giovane,  in 
quanto  non  si  aveva  di  esse  una  illustrazione  larga  e  coscenziosa; 
onde  si  può  dire  che  sia  stato  bene  ispirato  il  sig.  Di  F.  accin- 
gendosi a  questo  lavoro,  che  ha  compiuto  almeno  con  grande 
amore.  E  questo  grande  amore  gli  deve  valere  perché,  se  nel 
libro  si  trovan  delle  mende,  come  credo,  non  si  dia  ad  esse 
troppa  importanza. 

Però  prima  di  parlare  dell'opera,  il  Di  F.  ci  ha  voluto  ri- 
presentare l'autore,  ed  ecco  che  il  cap.  1  s'intitola  appunto  Vita 
di  Franco  Sacchetti.  Nell'avvertenza  il  nuovo  biografo  ci  dice 
che  non  si  è  «  curato  di  interrogar  gli  archivj  perché  sapeva  che 
altri  a  ciò  attendeva  da  varj  anni  »:  nemmeno  ha  tratto  partito, 
quanto  avrebbe  potuto,  dal  canzoniere  del  Sacchetti:  anzi,  se  ta- 
lora ne  ha  riportati  dei  versi,  li  ha  citati  quasi  sempre  dalle 
stampe  dell'  Allacci,  del  Carducci  e  di  altri,  invece  che  dal  pre- 
zioso autografo  laurenziano.  Abbiamo  dunque  una  nuova  bio- 
grafia del  Sacchetti  provvisoria;  sicché  forse  l'autore  avrebbB 
potuto  rinunziare  affatto  all'  idea  di  descriver  la  vita  del  piacevole 
trecentista  (eh'  era  cosa  non  richiesta  necessariamente  dal  tem» 
propostosi),  contentandosi  di  far  vedere  lungo  il  suo  studio  quanto 
lume  si  può  trarre  dal  Trecehtonovelle  per  conoscere  le  vicende 
e  il  carattere  dello  scrittore.  Nonostante  egli  determina  meglio  la 
cronologia  della  vita  di  Franco  *  e  dà  rilievo  alla  sua  figura,  stu- 
diandolo in  relazione  ai  fatti,  ai  quali  esso  partecipò,  se  non  sem- 
pre coli' opera,  almeno  col  sentimento. 

Colle  notizie  biografiche  s' intrecciano  osservazioni  sulle  qua- 
lità morali,  delle  quali  poi  si  parla  di  proposito,  per  compiere  il 
ritratto,  nelle  ultime  pagine  del  capitolo  ;  il  qual  ritratto  sarebbe 
riuscito  più  intero,  se  si  fosse  tenuto  conto,  come  meritavano, 
delle  corrispondenze  poetiche,  che  occupano  un  posto  notevole  nel 


1  AI  Di  F.,coine  già  a  tnc,  è  sfuggito  che  il  priorato  del  1383  pare  sia  da  trasportarsi 
al  1384.  Si  veda  Ln  Vita  IMinmt  mi  ihias(iiiieiilo,Mi\ano,  .893,1,  lOC.  Clic  Franco  dove  re- 
carsi a  Genova  pili  d'una  volta,  non  è  il  primo  il  Di  F.  a  osservarlo  :  si  veda  la  n.  1  a  p.  306 
dell'ed,  Sonzogno  delle  Novelle,  la  sola  che  ora  ho  a  mano. 


DELI.A   LETTERATURA   ITALIANA  87 

canzoniere  sacchettiano.  11  Di  F.  fa  notare  la  serenità  d'animo, 
l'amor  di  patria  e  della  famiglia,  la  fede  salda  e  profonda,  la 
probità,  il  buon  senso  naturale  che  distinguono  il  suo  autore,  e 
discorre  pure  della  cultura  di  esso,  che  dichiara  «  molto  limi- 
«  tata  »  (p.  39)^:  conclude  dicendo  che  «come  nella  vita,  così 
«  nelle  opere,  il  Sacchetti  rimase  schiettamente  trecentista  »  (p,  42). 
Il  cap.  II  è  dedicato  ai  Sermoni  evangelici,  perchè,  avendo  questi 
«  molti  punti  di  contatto  »  con  le  novelle,  il  Di  F.  ha  creduto 
bene  di  fermarsi  su  di  essi  prima  di  parlare  dell'opera  più  nota 
di  Franco:  e  ne  fa  un  esame  diligente,  forse  alquanto  minuto,  se 
si  ripensa  ai  titolo  del  libro.  Discute  prima  il  tempo  della  compo- 
sizione, concludendo  che  deve  porsi  «  fra  il  1378  e  il  1392,  ma 
più  vicino  a  quella  che  a  questa  data  »  (p.  45):  quindi  discorre 
della  loro  costituzione,  del  contenuto  e  della  forma,  lasciando 
da  parte  gli  aneddoti,  i  quali  sono  studiati  separatamente  nel 
cap.  III.  In  questi  Sermoni  s' intrecciano  questioni  dogmatiche 
con  altre  riguardanti  la  disciplina  ecclesiastica  e  la  morale; 
delle  quali  alcune  possono  avere  una  qualche  importanza  e  ser- 
vire a  penetrar  meglio  lo  sguardo  nella  vita  del  sec.  XIV;  ma 
«  ce  n'  è  parecchie  di  inutili  e  oziose  »  (p.  53).  Il  meglio  si  può 
dire  che  consista  nelle  tirate  satiriche  e  nei  paragoni  «  presi  per 
lo  più  dalla  vita  comune,  famigliare  »  (p.  62).  Del  resto  di  quk- 
rantanove  sermoni,  uno  solo,  il  2",  «  si  distingue  da  tutti  gli 
altri  per  maggior  compostezza  e  diciamo  pure  per  vera  bellezza  » 
(p.  60):  i  rimanenti,  dal  più  al  meno,  sono  «  un  accozzo  di  varie 
questioni,  di  esempj,  di  digressioni  narrative  ed  erudite  senza 
legame  »  (p.  47).  Né  rispetto  all'arte  c'è  molto  da  rallegrarsi: 
se  l'andatura  del  periodo  è  «  più  corretta  »,  è  anche  «  più  fati*- 
cosa  che  nelle  novelle  »  (p.  65);  se  la  lingua  è  più  scelta,  è 
anche  spesso  infarcita  di  latinismi.  Dopo  ciò  mi  meraviglia  che  il 
Di  F.  alzi  la  voce  contro  di  me,  per  avere  io  chiamato   il  Sac-^ 


l  A  proposito  della  cultuia  del  Sacchetti  in  relazione  coll'arte  sua,  il  DI  F.  ci  dà  dne 
giudizj,  l'uno  a  breve  distanza  dall' altro,  cbe  non  vanno  molto  d'accordo.  Infatti  a  p.  38 
dice  cbe  «  Franco  era  nato  artista,...  e  la  scarsa  cultura,  in  luogo  di  miocergli,  serbò  intatte 
«  le  qualità  delle  sua  mente;  fortuna  per  noi,  perché,  invece  di  uno  scrittore  originale,  schietto 
•  e  colorito;  avremmo  avuto  un  compositore  di  libri  in  latino  ecc.. .  »:  ma  poi  a  p.  39  aiferma 
che  quella  di  Franco  «  fu  una  mezza  cultura,  che  assai  spesso,  invece  di  giocare,  gli  uocque, 

«  perché  nelle  poesie,  ad  esempio per  la  mania  di  mostrarsi  istruito,  fece  a  volte  delle 

«  tiritere  noiosissime..  .  le  quali  guastano  la  freschezza  dell'ispirazione  ».  Si  veda  pure  a  p.  56. 
Parlando  della  «  libreria  «  di  Franco  mi  pare  che  il  Di  F.  sia  un  po'  arrischiato.  Non  è 
necessario  cbe  egli  conoscesse  e  tanto  meno  possedesse  tn'.te  lu  opere  di  cui  citava  qualclie 
passo  con  esattezza.  Cfr.  questa  Rassegna,  1899,  p.  86. 


58  RASSEONA   BIBLIOGRAFICA 

chetti  «  il  più  arido  e  il  pili  goffo  degli  ascetici  italiani  del  suo 
tempo  »  1  e  che,  avendo  io  detto  che  i  Sermoni  «  non  attestano 
né  ingegno  aperto,  né  fervore  di  cuore  nell'autore  »,  esca  in  que- 
sta espressione:  «  Riguardo  airiu<2;egno  aperto  e  al  fervore  di 
cuore,  mi  permetto  di  osservare  che  è  troppo  arrischiata  e  for- 
s'  anche  presuntuosa  l' affermazione  del  Volpi  ».  (p.  64).  Che  ci 
abbia  che  fare  qui  la  presunzione,  non  so  veramente;  questo  però 
è  da  osservare,  che,  se  io  non  ho  trovato  «  fervt.re*  di  cuore  » 
nei  Sermoni,  il  Di  F.  ci  dice  che  Franco  discorre  di  religione 
«  quasi  sempre  con  la  mente  fredda  del  critico  teologante,  rara- 
mente col  cuore»  (p.  48)  e  «  si  perde  in  fredde  considerazioni-» 
(p.  61)  ;  se  io  non  ho  visto  nel  Sacchetti  ascetico  «  apertura  di 
mente»  e  l'ho  giudicato  «il  più  arido  e  il  pia  goffo  degli  asce- 
tici italiani  del  suo  tempo  »,  il  Di  F.  trova  che  egli  abusa  del- 
l'allegoria  e  della  retorica;  «  e  specialmente  l'allegoria  è  il  più 
delle  \ ohe  goffa,  stentata,  noiosa  come  quella  de^piUgoffì,  scrittori 
del  Medio  Evo  »  (p.  60),  e  che  quando  il  buon  Franco  «  vuole 
commuovere,  si  gonfia  (!)  per  dar  fuori  una  fantasia,  che  vorrebbe 
essere  grandiosa  ed  è  invece  —  almeno  per  noi  —  goffamente 
«  barocca  »'(p.  61).  Tanto  che  concludo  che  la  migliore  dimostra- 
zione e  conferma  che  potessi  aspettarmi  dei  miei  giudizj,  l' ha  data 
appunto  colle  sue  osservazioni  lo  stesso  mio  contraddittore. 

Vero  è  che  per  spiegare  l'imperfezione  dei  Sermoni  il  Di  F. 
si  appiglia  a  un'ipotesi,  di  cui  si  compiace:  anzi  per  lui  non  è 
un'ipotesi,  ma  un  fatto  certo:  i  Sermoni  sono  semplicemente  ab- 
bozzati e  sarebbero  stati  qualche  cosa  di  meglio,  se  avessero 
avuto  una  maggiore  elaborazione  e  l'opera  della  lima.  Argo- 
mento per  concludere  cosi  è  unicamente  quella  stessa  imperfe- 
zione, che  si  vuole  in  certo  modo  giustificare.  Io  non  dico  che  ciò 
sia  impossibile;  ma  mi  pare  che  per  affermare  con  sicurezza  quanto 
afferma  il  Di  F.,  occorra  qualche  altro  argomento.  Si  poteva  ri- 
cavare qualche  cosa  dallo  stato  del  testo  dei  Sermoni  nel  mano- 
scritto autografo;  se  non  che  il  codice  laurenziano  dà  torto  al 
Di  F.,  perché  son  tutti  argomenti  contrarj  alla  sua  tesi  la  scrit- 
tura chiara  e  ordinata,  come  di  chi  copia  cose  già  preparate;  le 
pochissime  correzioni  ed  aggiunte  (se  ne  incontran  forse  più  nel 
Canzoniere);  la  mancanza  di  segni  indicanti  pentimenti;  il  fatto 
stesso  che  i  Sermoni  si  trovano  in  un  volume,  che  contiene  scritti, 
come  le  poesie,  certamente  elaborati  e  fissati  nella  forma  defini- 

i  U  'IVecevto.  Milano,  VaUardi,  p.  198. 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  89 

tiva.  E  poi  come  si  concilia  questa  idea  dell'abbozzo  con  l'os- 
servazione fatta  dallo  stesso  Di  P.,  che  nei  Sermoni  la  sintassi  è 
più  sostenuta  e  la  lingua  pili  scelta  che  nelle  novelle?  Ma  an- 
che ammettendo  per  indubitato  che  queste  scritture  siano  poco 
più  che  appunti  da  essere  integrati  e  corretti,  che  si  guadagna? 
Poco,  al  mio  parere.  Quando  leggo  certi  pensieri  dei  Sermoni,  provo 
un  senso  di  pena;  e  considero  che  se  anche  fossero  espressi  con 
più  arte,  non  potrei  riceverne  una  buona  impressione;  perché  il 
male  sta  nella  sostanza,  nella  maniera  di  concepire  certe  cose, 
non  nelle  maniera  di  esporle. 

Nel  cap.  Ili  si  esaminano  le  15  novelle  che  Franco  inserisce 
nei  Sermoni;  e  la  conclusione  è  che  «  più  di  dieci  derivano  sicu- 
«  ramente  da  fonti  scritte,  una  o  due  probabilmente  furono  at- 
«  tinte  alla  tradizione  orale  »  e  due  «  pur  derivando  degli  scrittori 
«  latini  »  subirono  forti  cambiamenti  (p.  85).  E  cosi  si  vede  la 
differenza  che  è  tra  questi  racconti  e  quelli  del  Trecentonovélle : 
i  primi  ci  riconducono  più  all'antichità  e  alla  leggenda  e  i  se- 
condi invece  ci  fanno  partecipare  alla  vita  del  tempo  dell'autore. 

Argomento  del  cap.  IV  sono  la  cronologia  e  la  fortuna  del 
Trecentonovélle.  Prima  però  della  cronologia  il  Di  F.  vuol  toccar 
la  questione  della  composizione  delle  novelle.  Egli  ci  dice  che 
«  bisogna  far  distinzione  fra  composizione  e  riordinamento  delle 
«  novelle  »  (p.  87),  che  queste  furono  scritte  alla  spicciolata  e  «  poi 
«  ordinate  nella  raccolta  cosi  come  stanno  »  (p.  e),  coli' aggiunta 
del  proemio  e  delle  moralità.  Quello  dunque  che  risulta  chiaro 
dalle  parole  del  Di  F.  è  che  i  commenti  alle  novelle  sono,  secondo 
lui,  di  qualche  tempo  posteriori  alle  novelle  stesse;  ma  se  queste 
siano  disposte  secondo  il  tempo  in  cui  furono  scritte,  oppure  or- 
dinate secondo  un  criterio  diverso  dal  cronologico,  è  questione 
che  non  si  propone.  ^  Quanto  alla  cronologia,  il  Di  F.  conferma 
l' opinione  del  Gaspary  che  l'opera  sia  cominciata  nel  1392  e 
compiuta  dopo  il  1395.  Discorrendo  della  fortuna  di  essa  fa  ve- 
dere come  Franco,  assai  conosciuto  come  novellatore  nel  suo  se- 
colo, fu  in  quello  appresso  dimenticato,  e  dal  cinquecento  ad  oggi 
è  via  via  cresciuto  nella  considerazione  degli  studiosi.  Cosi  siamo 
finalmente  al  capitolo  più  importante:  Il  Trecentonovélle:  Fonti  e 
riscontri. 

Seguire  passo  passo  il  Di  F.  nella  sua  faticosa  ricerca  sarebbe 


i  A  giudicarne  da  quel  che  il  Di  F.  dice  a  p.  104  parrebbe  ritenesse  che  Franco  avesse 
9eguito  un  ordine  logico; ma  poi  a  p,  292  si  esprime  diversamente. 

1 


90  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

impossibile:  mi  studierò  di  dare,  per  quanto  posso,  un'idea  chiara 
del  metodo  seguito  e  dei  resultati  ottenuti.  Questa  illustrazione 
delle  novelle  sacchettiane  si  può  dire  che  è  di  due  specie:  da  una 
parte  il  Di  F.  ha  procurato  di  raccogliere  notizie  intorno  ai  per- 
sonaggi a  cui  si  attribuiscono  le  avventure,  dall'altra  è  andato 
cercando  racconti  ed  aneddoti  che  abbiano  più  o  meno  relazione 
colle  avventure  stesse;  e  non  solamente  ha  frugato  nelle  raccolte 
medioevali,  ma  ha  pure  avuto  l'occhio  cosi  a  scritti  posteriori  al 
Sacchetti  come  alla  tradizione  vivente,  per  trovare  indizj  da  cui 
potere  argomentare,  almeno  come  possibile,  la  provenienza  della 
narrazione  del  suo  autore. 

Il  Di  F.  ha  avuto  la  buona  idea  di  raggruppare  le  novelle 
secondo  i  personaggi  o  secondo  la  materia;  e  cosi  il  cap.  V  è 
diviso  in  paragrafi,  alcuni  dei  quali  hanno  dei  titoli  generici  {Re 
e  principi,  Potestà  e  giudici  ecc.),  altri  hanno  per  titoli  nomi  di 
protagonisti  {Bernabò  Visconti,  Basso  della  Penna  ecc.),  altri  non 
hanno  un  unico  titolo;  ma  comprendono  novelle  diverse.  Forse 
si  poteva  fare  a  meno  di  questa  terza  categoria,  e  sopra  tutto 
si  poteva  evitare  che  sotto  un  certo  titolo  si  trovassero  novelle 
che  con  esso  non  avessero  che  fare,  come,  ad  esempio,  quella  di 
Coppo  Domenichi,  che  è  compresa  nel  gruppo  intitolato  Giotto  e 
Buffalmacco  (§  XVIII).  Ancora  si  sarebbe  potuto  disporre  i  di- 
versi gruppi  secondo  un  certo  ordine  e  alcuni  fonderli  insieme, 
perchè  oltre  al  comodo  della  trattazione  si  sarebbe  raggiunto  un 
altro  scopo,  quello  di  disegnare  meglio  certi  tipi  e  presentarli 
più  nitidi  e  tutti  in  un  tratto  all'osservazione  del  lettore.  Può 
essere  che  un  filo  sottile  sfuggitomi  leghi  i  diversi  gruppi  di  no- 
velle nell'ordine  che  loro  ha  dato  il  Di  F.;  ma,  per  esempio,  non 
apparisce  quanto  opportunamente  Basso  della  Penna,  l'arguto 
albergatore,  stia  fra  due  signori,  Bernabò  Visconti  e  Rodolfo  da 
Camerino;  il  Gonnella  e  Dolcibene  li  vedremmo  volentieri  ac- 
canto, senza  i  predicatori  di  mezzo,  anzi  tutti  i  buffoni  grandi  e 
piccoli  si  farebbero  buona  compagnia,  mentre  qui  sono  sparpa- 
gliati: lo  stesso  si  dica  dei  pittori  e  dei  medici. 

Il  campo  è  vasto;  e  quindi,  anche  se  il  mietitore  si  è  mo- 
strato infaticabile,  non  deve  far  maraviglia  che  nella  illustrazione 
delle  novelle  sacchettiane  resti  ancora  da  spigolar  qualche  cosa. 
Intanto,  per  parte  mia,  fo  le  seguenti  aggiunte  e  osservazioni. 
Le  lasagne  bollenti  che  obbligano  a  piangere  (p.  126)  ricordano 
la  novelletta  dei  frati  che  mangiano  il  migliaccio,  narrata  nel 
Morgante  (XVI,  42  e  43).  A  proposita  di  Amerigo  da   Pesaro  e 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  91 

delle  leggi  contro  il  lusso  delle  donne  fiorentine  (p.  138)  si  po- 
teva ricordare  quel  che  ne  dice  Guido  Biagi  nella  Vita  italiana 
del  Rinascimento,  I,  106  e  107.  A  certe  storpiature  del  Pater 
nostcr  (p.  156)  allude  anche  Simone  Serdini  {Giornale  stor.  della 
ìett.  ital.,  XV,  42),  Il  taglio  insegnato  da  Bartolino  farsettaio  (p.  165) 
è  argomento  dì  un  sonetto  di  Luigi  Pulci  (n.  XI  dell' ed.  del  1759). 
Che  quel  messer  Rossellino  della  Tosa  della  nov.  126  possa  es- 
rere  messer  Rosso  della  Tosa  morto  nel  1309  (non  nel  1308) 
(p.  194)  non  mi  pare;  prima,  perché  i  diminutivi  e  i  vezzeggia- 
tivi dei  nomi  propri  avevano  in  quel  tempo  più  importanza  che 
non  si  creda  per  distinguere  le  persone,  e  poi  perché  nei  docu- 
menti, accanto  al  più  noto  messer  Rosso  della  Tosa  si  trova  no- 
minato anche  un  Rossellino  della  medesima  famiglia  (v.  Del 
Lungo,  Dino  Compagni  ecc.  II,  413,  in  nota)  da  non  confondersi,  cre- 
do, col  feditore  omonimo  della  battaglia  di  Montecatini,  e  che  invece 
potrebb' essere  quel  Rossellino  della  Tosa  che  i  commentatori  di 
Dante  c'indicano  come  marito  di  Piccarda  Donati,  forse  quello 
stesso  che  fu  potestà  di  Montemurlo  nel  1291  e  nel  1292  e  di 
Modena  nel  1297  (Gherardi,  Le  constdte  della  Rep.  fior.,  II,  p.  595, 
664  e  666).  Che  il  ser  Ciolo  della  nov.  51  sia  la  stessa  persona 
che  Ciolo  degli  Abati,  quello  del  proverbio  e  del  Novellino  (p.  204), 
non  è  impossibile;  ma  non  c'è  da  fidarsi  troppo  della  corrispon- 
denza del  nome  solo,  tanto  più  che  il  personaggio  del  Sacchetti 
ha  il  titolo  di  sere,  che  manca  tanto  nel  Novellino,  quanto  nel 
proverbio.  Si  può  aggiungere  che  nel  Novellino  Ciolo  Abati  è  pre- 
sentato semplicemente  come  un  amico  che  va  a  trovare  1'  amico  : 
non  abbiamo  veramente  il  parassita  del  Sacchetti.  Per  Massaleo 
degli  Aibizzi  (p.  207)  si  veda,  invece  dell'Ammirato,  l'opuscolo 
di  P.  Papa:  Rime  di  ser  Matteo  di  Landos^o  degli  Alhizsi  (Fi- 
renze, 1895.  Nozze  Bacci-Del  Lungo).  La  preferenza  di  Valore  di 
Buondelmonti  per  la  macina  del  grano  (p.  233)  mi  ricorda  queste 
parole  d'una  lettera  di  Luigi  Pulci:  «Or  sia  alla  buon' ora!  Di- 
«  cono  molti  che  l' oro,  le  pietre  preziose,  il  reobarbaro,  l' azzurro 
«  oltra  marino  sono  d'assai  prezzo;  a  me  pare  la  farinn.  Viva  dun- 
«  que  la  farina  in  secula  sectdorum!  »  (Lettere,  Lucca,  1886,  p.  26). 
Le  conclusioni  a  cui  giunge  il  D.  F.  sono  notevoli.  Di  218 
novelle,  mentre  gli  accessorj  «  sono  storici  in  quasi  tutte  »,  (p.  286) 
solamente  91  hanno  resistito  alla  dotta  analisi  del  critico  e  si 
possono  considerare  veramente  storiche;  le  altre  sono  o  tra- 
dizionali  o  miste  o  dubbie.  ^ 

i  A  prop.)sito  del  numero  piuttosto  grande  delle  novelle  tradizionali  trovate  nel  Sac- 
clietti,  il  Di  F.  a  p.  104  si  esprime  cosi:  n  In  questa  ricerca  abbiamo  fiducia  di  giungere  a 


92  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Il  cap.  VI  s'intitola  Valore  estetico  della  materia  e  della  forma. 
Il  Di  P.  fa  notare  la  difiFerenza  tra  il  Sacchetti  e  il  Boccaccio  e 
COSI  riassume  le  sue  osservazioni  :  «...  la  novella  del  Sacchetti  è 
«  essenzialmente  realistica,  aneddotica,  esteriore  e  di  costume,  men- 
«  tre  quella  del  Boccaccio  è  essenzialmente  romanzesca,  psicolo- 
«  gica,  di  carattere  »  (p.  294).  Farmi,  però,  esagerato  il  dire  che 
l'autore  non  raggruppò  le  novelle  «secondo  certi  argomenti  o 
«  personaggi  o  categorie  di  personaggi  »  (p.  292)  e  che  fra  esse 
si  avvertono  solo  deboli  legami  esteriori.  Non  ci  sembra  che  ciò 
possa  dirsi,  quando  su  Basso  della  Penna  si  hanno  quattro  no- 
velle di  seguito  (18-21);  altre  quattro  di  seguito  su  Rodolfo  da 
Camerino  (38-41);  due  su  Dolcibene  (24  e  25);  due  su  Ribi  (49 
e  50);  due  gruppi  di  due  sul  Gonnella  (173  e  174,  211  e  212). 
Le  novelle  220-225  costituiscono  un  gruppo  per  l'affinità  della 
materia  e  lo  stesso  Pranco  ci  avverte  al  principio  della  nov.  226 
d'averne  consapevolezza:  «  Alcuna  inframmessa  è  da  dare  a  questi 
«  inganni.. .  ».  E  altre  frasi  simili  si  potrebbero  citare  contro  l'af- 
fermazione del  Di  F.,  il  quale  del  resto  non  si  è  ricordato  d'a- 
vere scritto  a  p.  104  che  il  novelliere  «  spesso  congiunse  insieme 
«  novelle  dello  stesso  genere  o  le  raggruppò  intorno  a  certi  tipi 
«  a  lui  cari  ». 

Dopo  aver  confrontato  il  Sacchetti  anche  con  altri  novellieri 
contemporanei,  il  Di  P.  passa  a  studiare  l'opera  sua  in  se  stessa. 
Pranco  coi  suoi  racconti  ci  tiene  vicini  a  lui  nell'ordine  del  tempo, 
come  dello  spazio  e  ci  fa  rivivere  la  vita  gaia  e  spensierata  del 
suo  secolo.  La  sua  è  un'arte  di  mezzo  (e  qui  il  Di  P.  si  trattiene 
a  combattere  coloro  che  giudicano  artista  inconsapevole  il  Sac- 
chettti  delle  novelle)  che  sta  tra  quella  complessa  del  Boccaccio 
e  quella  semplice  e  primitiva  del  Novellino.  Il  Sacchetti  non  sa 
comporre  novelle  complicate,  né  sfoggia  immaginativa;  ma  ascolta 
e  raccoglie,  rappresentando  specialmente  la  realtà  esteriore   con 


(qualche  risaltato  nnovo,  almeno  rispetto  all'assoluta  e  ardita  affermazione  del  Volpi,  il 
quale  di  223  novelle  sacchettiane  crede  che  '  solo  due  appartengano  alla  specie  delle  no- 
«  Telline  tradizionali  medioevali'».  Ma  la  citazione  non  è  esatta:  io  non  sono  stato  assoluto, 
né  ardito.  Non  avendo  né  tempo,  né  modo  (e  neanche,  dirò,  l'obbligo)  di  riscontrare  se  tutte 
le  novelle  del  Sacchetti  che  hanno  apparenza  storica  fossero  veramente  storiche,  cosa  dif- 
ficile, perché,  come  ben  dice  lo  stesso  Di  F.,  «  pochissime  »  di  quelle  tradizionali  «  potreb- 
«  bero  riconoscersi  come  tali  a  occhio  nudo,  perché  il  novelliere. ..  si  è  ingegnato  di  com- 
«  porle  nella  verità  >,  (p.  105)  scrissi  cosi:  «...  sono  fatti  quasi  esclusivamente  di  colore  sta- 
di vico. . . .  Solo  due  delle  novel  le  mi  sembra  che  facciano  eccezione  e  appartengano  alla  specie 
I  delle  novelline  tradizionali  ecc.  ».  Ora  il  Di  F.  lascia  la  prima  frase,  dalla  seconda  leva  il 
sembra;  e  cob)  dà  un  altro  aspetto  all^  cosa. 


DBLLA  LETTERATURA  ITALIANA  93 

evidenza,  sempre  presente  e  sempre  pronto  a  mettere  innanzi  la 
sua  persona.  Discorrendo  delle  specie  dei  personaggi  e  dei  loro 
caratteri  il  Di  F.  torna  al  confronto  col  Boccaccio  ;  ragiona  quindt 
delle  moralità,  delle  diverse  specie  di  comico,  dell'umorismo. 
Aspettavo  con  una  certa  curiosità  di  vedere  trattato  l' importante 
argomento  dello  stile  e  della  lingua;  ma  una  nota  ci  avverte  che 
l'autore,  non  volendo  «  abusare  troppo  dell'onorevole  ospitalità» 
(p.  323),  concessagli  negli  Annali  dell'Università  pisana,  si  è  do- 
vuto contentare  di  pochi  cenni  generali,  ai  quali  bastano  tre  pagine. 
Concludendo,  questo  del  Di  P.  è  un  lavoro  nel  quale  possono 
notarsi  esuberanze  e  deficienze,  ma  che,  nel  suo  complesso,  è  utile. 
La  parte  migliore  per  la  copia  dell'erudizione  e  per  la  novità 
delle  conclusioni  mi  pare  quella  che  riguarda  le  fonti  del  Tre- 
centonovelle;  e,  nonostante  le  mende  notate  ed  altre  di  minor  conto, 
si  può  dire  che  l'autore  rivela  alcune  buone  attitudini  alla  critica 
letteraria  e  un  ingegno  bisognoso  pili  di  freno  che  di  stimolo. 

Guglielmo  Volpi. 


Arnaldo  Dklla  Torre.  —  Di  Antonio  Vinciguerra  e  delle  sue  satire. 
—  Rocca  S.  Casciano,  Cappelli,  1902  (8.",  pp.  255). 

Alla  serie,  già  numerosa,  delle  monografie  illustranti  singoli 
autori  del  Rinascimento  nostro,  viene  ad  aggiungersi,  in  buon 
punto,  questa  del  Della  Torre. 

In  buon  punto,  dico,  perché  del  satirico  veneziano  che  ne  è 
l'oggetto,  molto  si  parlava,  ripetendo,  sino  ad  ora,  ma  senza  che 
l' opera  sua  fosse  stata  mai  sottoposta  a  quell'  esame  che  solo 
poteva  permettere  di  parlarne  con  «conoscenza  di  causa». 

L'A.  è  giovane  operoso,  già  favorevolmente  noto  agli  studiosi; 
ma  giova  rilevar  subito  che  questo  lavoro,  sebbene  venuto  in  luce 
ultimo  dei  suoi,  è,  se  non  erriamo,  il  primo  da  lui  pensato  e  com- 
posto, onde  non  è  a  stupire  se  serba  ancora  molte  delle  incertezze, 
deficenze  ed  incoerenze  proprie  della  prima  redazione. 

Il  libro  si  divide  in  due  sezioni  distinte,  l' una,  storico-biogra- 
fica, l'altra,  letteraria;  quella,  diciamo  subito,  senza  confronto  più 
nuova  ed  utile  e  concludente  di  questa. 

L'A.  ammette  col  Cicogna  l'origine  recanatese  della  famiglia 
Vinciguerra,  ma  non  approfondisce  l'indagine  e  l'opinione  sua 
non  conforta,  come  avrebbe  potuto,  con  l' analogia  di  altre  con- 
simili immigrazioni  sulle  Lagune  compiute  da  famiglie  dell'Italia 
centrale  -  e  propriamente  dal  versante  adriatico,  Marche  e  Ro- 
magna -  che  diedero  anche  buoni  cultori  alle  lettere  nostre.  Da 


94  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

Rimiui,  p.  es.,  passò  a  Venezia  un  gruppo  d'immigrati,  fra  i  quali 
il  padre  di  quel  Giovan  Battista  Rarausio,  che  proprio  in  questi 
giorni  ha  avuto  un  diligente  e  sagace  illustratore,  nel  dott.  Antonio 
Del  Piero.  1 

Oriundo  dunque  da  Recanati,  ma  veneziano  di  nascita,  sebbene 
non  di  condizione  patrizia,  il  V.  dovette  nascere  fra  il  1440  e  il  '46, 
dacché  un  documento  fatto  conoscere  dall' A.,  ci  informa  che  il 
29  settembre  del  '58  il  giovane  Antonio  teneva  già  V  officio  di 
donzello  del  Maggior  Consiglio.  Da  questo  punto  il  D.  T.  cerca  di 
seguirlo  nei  primi  suoi  studj  e  in  quelli  degli  anni  più  maturi, 
raccogliendo  buone  notizie  sulle  relazioni  letterarie  di  lui  con 
Giovanni  Caldiera,  che  gli  fu  maestro  in  umanità  e  potè  ispirargli 
il  culto  di  Dante,  con  Gian  Mario  Pilelfo,^  con  Giorgio  Merula, 
e  coi  letterati  fiorentini,  specialmente  il  Ficino  e  il  Landino. 

Ma  la  relazione  più  saliente  nella  vita  del  V.  fu  quella  con 
Bernardo  Bembo,  che  egli  accompagnò  come  segretario  nelle  varie 
ambascerie,  in  Ispagna  (1468-69)  e  per  due  volte  a  Firenze  (1474-76 
e  1478).  E  peccato  quindi,  data  l'importanza  di  questa  relazione, 
che  l'A.  non  sia  riuscito  ad  aggiungere  nulla  a  quanto  era  già 
noto,  sovrattutto  per  lumeggiare  l'aspetto  letterario  di  essa. 

•Veramente  solo  nell'ambasceria  fiorentina  del  '74  il  V,  è  de- 
signato col  titolo  di  secretarius,  mentre  prima  era  uno  dei  notai 
(scribae)  della  Cancelleria.  Ora,  appunto  in  questo  officio  e  in  una 
particolare  attribuzione,  che  al  nostro  come  a  letterato  poteva 
essere  data,  credo  debba  ricercarsi  l'origine  e  la  ragione  di  quel- 
l'altro titolo  o  soprannome  di  Cronicus  o  Cronico,  con  cui  lo  ve- 
diamo frequentemente  menzionato  e  per  la  cui  spiegazione  il 
D.  T.  non  tenta  neppure  una  congettura  qualsiasi.  Che  quell'epi- 
teto potesse  equivalere  a  Croììista,  è  reso  più  probabile  dal  fatto 
che  il  V.,  reduce  dalla  sua  missione  nell'isola  di  Veglia,  compilò 
una  Cronica  di  quali'  isola  e  degli  avvenimenti  che  la  riguarda- 
vano, la  quale,  segnalata  già  da  A.  Zeno,  che  la  possedeva  fra  i 
suoi  codici,  fu  modernamente  data  in  luce,  come  ricorda  anche 
l'A.  (p.  56). 

Il  quale  ci  off're  un'idea  abbastanza  compiuta  dell'attività  con- 
tinua spiegata  dal  Secretarlo  veneziano,  informandoci  delle  altre 
sue  numerose  missioni,  che  furono  tutte  politiche  e  diplomatiche. 


i  Della  vita  e  degli  nliidi  di  0.  lì.  ìiamviio,  Venezia,  1902,  efr.  pp.  5-6.  (Kstr.  dal  .V.  Aich. 
\emto,  N.  S.,  t.  IV,  P.  2). 

«  n  D.  T.  ricorda  opportunamente  l'epistola  poetica  con  la  quale  il  Filelfo  rispondeva 
ad  mi'altra  del  V.;  ma  doveva  avvertire  che  quelle  lodi  sbardellate,  ond' erano  prodighi  gli 
umanisti,  lungi  dall'essere  prese  allii  lettera,  meritano  «l'esser  poste  in  quarantena  o  per  lo 
meno  attenuate  di  molto. 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  95 

eccezion  tutta  per  una  curiosa,  una  specie  d'incarico  tra  scienti- 
fico e  politico-amministrativo  per  la  compilazione  d'una  carta  del 
Friuli  (p.  43).  Il  cronico,  per  ragioni  del  suo  officio,  diventa  dun- 
que anche  cartografo.  Queste  notizie  il  D.  T.  attinge  in  gran 
parte  dall'Archivio  veneziano,  ma  buona  parte  di  esse  erano  già 
da  più  che  mezzo  secolo  conosciute  per  mezzo  degli  Annali  Veneti 
di  Domenico  Malipiero,  quelli  che  il  Sagredo,  loro  editore,  giudicò 
«  splendido  monumento  di  storia  italiana  ».^  Gli  Annali  non  hanno, 
naturalmente,  quella  copia  ed  esattezza  d'informazioni  che  i  do- 
cumenti officiali  ci  forniscono,  ma  derivano,  è  chiaro,  in  gran  parte 
da  essi  e  li  integrano  per  quei  casi  nei  quali  le  ricerche  dell'A. 
sono  rimaste  infruttuose.  Quando  invece  fra  i  documenti  e  gli 
Annali  ci  sia  disaccordo, ^  dovremo  dar  torto  ai  secondi,  purché 
la  colpa  non  sia  dell'editore,  non  sempre  esatto  nel  ricostruirne 
la  cronologia. 

Fra  le  missioni  sostenute  dal  V.  una  delle  più  delicate  fu  quella 
affidatagli  nel  settembre  del  1486,  allorquando,  revocato  Antonio 
Loredan  dall'  ambasciata  di  Roma  sotto  l' accusa  di  sodomia,  fu 
mandato  il  nostro  secretano  a  reggerla  temporaneamente  in  at- 
tesa del  nuovo  titolare  (pp.  66  sg.).  Peraltro  su  questa  faccenda 
è  doveroso  notare  che  gli  Annali  ci  fanno  sapere  ciò  che  i  docu- 
menti consultati  dall'A.  non  dicono  —  o  pajono  non  dire  —  che 
la  brutta  accusa  onde  fu  colpito  il  Loredan,  era  aggravata  da 
un'altra,  cioè  dalla  violazione  e  comunicazione  di  segreti  d'offi- 
cio, ma  che,  sebbene  fosse  condannato  in  contumacia  a  dieci  anni 
di  bando,  l'ambasciatore  fini  con  l'essere  assolto  «  per  esser  sta  co- 
«  gnussù  che  la  imputazion  era  calunniosa  ».  ^ 

Secondo  il  D.  T.  (pp.  77-80)  il  V.,  inviato  a  Bologna,  presso 
Giovanni  Bentivoglio,  capitano  generale  della  Lega  contro  Car- 
lo Vili,  con  decreto  del  10  giugno  1495,  vi  sarebbe  rimasto  inin- 
terrottamente sino  alla  fine  dell'  agosto  '99.  Invece  dagli  Annali 
si  apprende  che  durante  questo  periodo  di  tempo  il  solerte  segre- 


1  'SeW  ArchMo  stor .  Hai.,  t.  VII  della  prima  S.,  1843. 

2  II  caso  più  curioso  di  discrepanza  è  quello  che  si  riferisce  alla  calda  richiesU  che 
papa  Innocenzo  Vili  fece  nel  gennaio  1488  al  Consiglio  di  Venezia  per  avere  presso  di  sé, 
ai  propri  servigj,  il  Vinciguerra.  Mentre  i  documenti  citati  dall'A.  (pp.  71-2)  c'informano  che  il 
Consiglio  dei  Dieci  accolse  la  domanda  ma  che  il  V.  fini  col  rinunciare,  per  contro  il  Malipiero 
(p.  308)  scriveva  sotto  l'anno  1488:  «  A  di  21  de  zener  papa  Innocenzo  ha  richiesto  la  Signoria 
«che  ghe  daga  Antonio  Vincivora  segretario:  et  è  sta  preso  de  darghelo  et  è  nuda:  e  sempre 
«  ghe  è  sta  in  gratia  ». 

3  Scrive  il  Malipiero  (pp.  298-9):  «  A'-6  de  settenbrio  1486,  l'è  sta  [il  Loredan]  revoca  per 
«lettere  dei  Cai  di  X,  perché  un  miedego  che  ghe  praticava  in  casa,  scrisse  a  essi  Cai,  che 
e  alcuni  zoveui  trivisani  dormiva  con  esso  e  per  tal  causa  i  haveva  in  libertà  tutte  le  cose 
e  pubbliche,  e  le  referiva  al  Cardenal  de  Napoli.  E  i  Cai  mandò  Antonio  Vincivera  a  Roma  ecc.  ». 


96  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

tarlo  fu  per  ben  due  volte  a  Firenze,  l' una  nel  giugno  1495, 
«  spazza  drio  »  di  Pietro  Dolfin,  generale  dei  Camaldolesi,  l' altra 
nel  1498,  testimonio  e  informatore  degli  ultimi  atti  con  cui  si 
chiuse  la  tragedia  di  frate  Girolamo  Savonarola.  ^ 

Questa  fu  probabilmente  l'ultima  missione  compiuta  dal  V., 
il  quale,  malandato  in  salute,  si  ritirava  in  una  sua  villetta  di 
Zovon,  in  quel  di  Padova.  Il  3  dicembre  del  1502  egli  vi  faceva 
testamento  —  e  il  D.  T.  lo  pubblica  per  intero  in  Appendice,  ma 
poco  correttamente  ^  — ^  e  moriva  il  9  di  quello  stesso  mese.  Dove 
avveniva  la  morte?  Non  a  Zovon,  risponde  l'A.  (p.  84),  perché 
il  Sanudo,  registrandola,  parla  di  Padova.  Il  che  è  esatto,  ma  non 
va  preso  alla  lettera.  E  ammissibile  infatti  che  il  povero  Secre- 
tarlo, da  un  pezzo  malato  («  stato  assa'  malato  »,  scrive  il  Sanudo), 
proprio  quando  era  moribondo  («  corpore  languens,  jacens  in 
«  lecto  »,  dice  il  testamento),  dopo  avere  testato,  nel  cuor  dell'in- 
verno, venisse  trasportato  in  città,  con  un  tragitto  tutt' altro  che 
breve  e  a  quel  tempo,  certo  malagevole,  per  istrade  accidentate 
e  faticose  ?  0  non  devesi  credere  piuttosto  che  il  Sanudo,  al- 
lorquando scriveva  eh'  esso  era  morto  a  Padova,  intendesse  par- 
lare del  «  territorio  di  Padova  »,  nel  quale  appunto  sorgeva  la 
villa  di  Zovon,  non  troppo  nota  neppure  ai  Veneziani? 


1  0/?.  C!<.,  PP- 348,  500.  A  pp.  78-9  l'A.  riproduce  i  due  sonetti  politici,  che  il  V.  spedì  in 
Bologna,  uno  del  quali,  la  risposta  in  difesa  di  Venezia,  era  uscito  dalla  sua  penna. 

Doveva  ricordare  che  essi  erano  stati  già  segnalati  di  sui  Diari  del  Sanudo  dal  Cesabeo, 
I.a  formazione  di  Mastro  Pasquino,  Boma,  1894,  pp.  10-11  dell'  estr.  dalla  X.  Antologia.  A  p.  31 
alla  forma  latinizzata  Barhadigo  andava  sostituita  quella  volgare  Barbarigo.  Lo  strambotto 
sul  ritratto  del  V.  eseguito  dal  Carpaccio,  che  l'A.  opportunamente  pubblica  a  p.  83,  era  stato 
edito  e  illustrato  dal  Colasanti  nel  FaufuUn  d.  domenica,  A.  XXlll,  a.  28,  li  luglio  1901. 

2  Leggendo  questo  documento  nel  testo  pxibblicato  dall' A.  (pp.  221-5),  vi  trovai  cosi  mal- 
trattati il  senso  e  la  grammatica,  che,  nonostante  l'avvertenza  dell'editore,  nonostante  la  qua- 
lità del  testo  medesimo,  evidentemente  scritto  in  un  latinaccio  notarile  mescolato  col  vol- 
gar  padovano,  chiesi  ed  ottenni  dalla  benemerita  Direzione  del  Museo  padovano  (che  qui 
ringrazio  pubblicamente)  un'accurata  collazione  con  l'originale.  Il  resultato  di  questa  coUa- 
iJtbne  confermò  i  miei  giusti  sospetti,  come  apparirà  dal  saggio  delle  principali  correzioni 
che  offro  agli  studiosi,  avvertendo  che  i  primi  numeri  rinviano  rispettivamente  alla  pagina 
e  alla  linea  della  stampa,  il  nis.  indica  il  testamento  originale. 

221,2  Indictione  prima,  ms.  quinta;  i  preseutibus  viri,  ms.  presentibus  prudentissimls 
viri  (sic);  6  habitat  padue  in  contra,  ms.  habitatoris  padue  in  centrata;  11  omnes  habitant, 

ms.  omnibus  habitatoribus  ;  12  testìbus  ad  hec  habiti,  ms habitis  ;  13  vochati  et  rogati, 

ms.  vochatis  et  rogatis;  222,  2  hoc  igitur,  ms.  hec  igitur;  11  ut,  ms.  et  ;  12  Cartusie  Venetiarum, 
ms.  Cortusle  Venetiis;  17  dieta  ecclesia,  ms.  diete  ecclesie;  22  laboro  nullo,  ms.  nullo  labore; 
32  quod  antea,  ms.  per  antea;  33  eius  oorpum  quatuor  dies,  ms.  eius  corpus  per  dies  quatuor; 
34  custodiantur,  ms.  custodieut;  223  2  potueruut,  ms.  potuerint;  4  post  mortem,  ms.  post  mor- 
tem  suam;  5  cum  domus,  ms.  cum  domis  {sic);  8  in  vila  tantum,  ms.  in  vita  tantum  ;  13  sunt, 
ms.  sint;  omni  dies,  ms.  omnes  dies;  15  bacelem  argenti,  ms.  bacilem  Srgenteum;  polis  argenti, 
ms.  probabilmente  posatis  argenteis;  20  reliquit,  ms.  relìnquit;  224,  3  prò  ducati,  ms.  prò 
ducatis;  7  purquod,  ms.  prout  quod;  12  omise  cum  le  satire,  ms.  onise  [forse  onitej  cum  le 
satire;  14  cura  diligeutia,  ms.  cum  diligenzia;  15  alìarum,  ms.  altero;  IG  ipse  testatoris,  ms. 
ipse  testatori  18  habeant  vestigiam,  ms.  habeatur  vestiglum;  26  quas  fercbat,  ms.  quod  ferebat; 
27  duas,  niH,  suas;  31  arti  lilogofie,  ms.  artis  jUlosofia;  225  omnem  aliud,  ms.  omne  aliud. 


DEI-LA   LBTTERATURAITALIANA  97 

L'esame  delle  opere  del  V.  si  riduce  di  necessità  u  quello  delle 
Sìa^/re,  onde  troppe  parole  spende  l'A,  intorno  all'ipotetico  Can- 
zoniere e  al  De  principe  in  terza  rima,  dal  momento  che  del  primo 
ci.  sono  rimasti  soltanto  un  sonetto  ed  un  capitolo,  tali  da  im- 
pedirci di  deplorare  la  perdita  del  resto,  e  del  secondo  è  irrepe- 
ribile il  cod.  che  lo  conteneva,  membranaceo  e  con  la  dedica  al 
Doge  Leonardo  Loredan. 

Anche  più  sobrio  il  D.  T.  poteva  essere  nel  parlare  della  Epi- 
stola consolatoria  in  terzetti,  che  il  V.  inviò  al  Caldiera  per  la 
morte  della  figlia  Catteruzza.  Nulla  di  più  comune  del  fatto  av- 
venuto al  secretarlo  bazzicante  con  le  Muse:  nei  suoi  primi  anni 
egli  rimò,  come  quasi  tutti  i  giovini  d'allora,  petrarchescamente 
d'amor  profano,  e  in  sèguito  obbedì'  a  quella  tendenza  moraleg- 
giante e  quasi  ascetica,  che  si  rivela  in  questa  Epistola,  anche 
in  grazia  dell'argomento,  e  più  si  manifesterà  nelle  satire  propria- 
mente dette.  L'A.  osserva  che  l'essere  rimasto  il  V.  celibe  impe- 
nitente non  deve  stupire,  anzi  era  «cosa  che  ben  si  addiceva  a  chi, 
«  Come  lui,  vedeva  nel  matrimonio  la  morte  di  ogni  virtù  e  scriveva 
«  una  satira  per  celebrare  la  verginità  ».  Sarà;  quantunque  alle  pa- 
role dei  poeti,  e  sovrattutto  dei  versaioli  di  questo  calibro,  convenga 
dare  un  valore  assai  relativo.  Ma  vien  fatto  di  chiederci  :  forse 
che  la  virtù,  l'esercizio  delle  virtù  e  la  conservazione  della  vir- 
ginità stavano  dunque,  pel  V.,  nel  mettere  al  mondo  dei  figli  na- 
turali, com'egli  fece?  E  non  dovremo  appunto  nel  pentimento  di 
questo  fatto  e  nel  desiderio  di  tener  celata  il  più  possibile  que- 
sta contraddizione  fra  le  belle  parole  in  brutti  versi  e  la  realtà, 
cercare  la  cagiou  vera  per  la  quale  il  bravo  Segretario  non  men- 
zionò il  figlio  suo  naturale  Marcantonio,  se  non  in  un  passo  del 
testamento,  dove  si  vede  che  la  mala  condotta  del  giovane  ac- 
cresceva il  cruccio  nell'animo  del  moribondo  moralista? 

Di  ognuna  delle  satire  vinciguerriane  l'autore  porge  un  largo 
(troppo  largo,  trattandosi  di  componimenti  notissimi)  riassunto,  e 
cerca  di  determinare  l'occasione  e  la  cronologia,  additando,  quando 
gli  si  oflFre  il  destro,  fonti  e  riscontri.  Cosi,  ad  es.,  nella  satira 
De  miseria  hunianae  conditionis,  che  più  che  una  satira,'  potrebbe 
dirsi  un  trattatello  ascetico  (cfr.  p.  116),  egli  rileva  alcune  inne- 
gaVnli  derivazioni  dal  De  contemptu  mundi,  la  nota  operetta  di 
Innocenzo  III,  e  dall'  altro  opuscolo  latino  De  laude  solitariae  vitae, 
attribuito  a  S.  Basilio.  La  rassegna  si  chiude  con  l'  esame  delle 
quattro  satire  inedite,  che  per  certi  dati  interni  appajono  eviden- 
temente composte  dal  V.  negli  ultimi  suoi  anni,  certo,  dopo  il  1492. 

Alla  fine  del  volumetto  il  D.  T.  si  propone  d' indagare  quale 
aia  «  il  valore  storico  »  -  veramente,  storico-letterario  -  di  questa, 


98  RASSEGNA    KIRIJOUUAFIGA 

produzione  satirica  del  Secretario  veiieisiano,  quale  posto  cioè  gli 
spetti  nella  storia  della  satira.  Di  togliergli  «  il  primato  inteso 
«  in  modo  assoluto  »  non  era,  a  dir  vero,  neppure  il  caso,  dacché 
ormai  a  nessuno  poteva  venire  in  niente  di  credere  e  di  dire  che 
prima  di  lui  non  si  fossero  scritte  satire.  E  lo  stesso  D.  T.  rico- 
nosce che  ciò  «  non  ha  bisogno  di  dimostrazione  »  (p.  193),  ma 
viceversa  poi  ammannisoe  per  parecchie  pagine  un  abbozzo,  su- 
perfluo, della  storia  di  alcuni  motivi  satirici,  '  rammenta  che  prima 
del  V.  s'era  avuta  una  serie  copiosa  di  capitoli  ternarj,  d'indole 
gnomica  e  moraleggiante,  che  «  per  certi  riguardi  è  una  satira 
«  vera  e  propria  »  e  che  Griorgio  Soramariva  aveva  pubblicata  la 
sua  versione  di  Giovenale  in  terza  rima.  Ciononostante,  l'A.  con- 
«  serva  questo  priorato  »  al  V.  in  grazia  d'un  «  elemento  nuovo  » 
che  egli  vede  nella  sua  produzione  per  la  prima  volta,  eccezion 
fatta  per  Dante,  cioè  «  la  chiara  manifestazione  e  la  esplicita  di- 
«  chiarazione  della  propria  personalità,  e  la  coscienza  del  proprio 
«  ufficio  di  poeta  satirico  ». 

Ma  qui  il  D.  T.  fu  vittima  d' una  singolare  illusione  pronun- 
ciando un  giudizio  che  riesce  tanto  più  inatteso,  dacché  egli  me- 
desimo rileva  (p.  208)  che  certe  enfatiche  pretensiose  dichiarazioni 
del  ;V.  non  sono  che  una  parafrasi  di  altre  consimili  di  Giovenale. 
Anzi  queste  dichiarazioni,  tolte  dal  poeta  latino,  lungi  dal  bastare 
a  darci  un  elemento  della  nuova  personalità,  come  vorrebbe  l'A., 
ne  sono  la  negazione  più  assoluta.  Parimenti,  non  sono  bastanti 
a  tale  dimostrazione  le  boriose  e  romorose  parole  con  cui  il  V. 
invoca  solennemente  i  più  illustri  satirici  dell'antichità  classica: 
«  Surga  qui  l'alta  tuba  venosina,  j  La  citara  d'Arunca,  e  quel 
«d'Aquino,  j  Che  il  scettro  tiene  in  poesia  latina  ecc.».  Fiato 
sprecato,  i  poeti  invocati,  non  vollero  rispondere.  E  si  capisce: 
sarebbe  troppo  agevole  impresa,  se,  a  fare  l'individualità  e  la 
grandezza  d' un  poeta,  bastassero  di  tali  invocazioni  e  dichiara- 
zioni non  so  se  più  indiscrete  o  strampalate! 

Né  maggior  ragione  ha  l'A.  di  lodare  il  Veneziano  per  V uni- 
versalità satirica.  Che  in  lui  fosse  l'intenzione  temeraria  di  me- 
nare la  falce  inesorabile,  come  dice,  in  tutti  i  campi,  di  scagliare 
i  suoi  «fulgori,  armati  alla  rnina  del  vizio  »,  non  nego;  ma  dalla 
intenzione  al  fatto,  in  arte  specialmente,  c'è  di  mezzo  l'abisso, 
e  anche   nell'arte   —  anzi  nell'arte    sovrattutto  —  le  intenzioni 


'  Mi  restringo  ad  un'osservazione:  l'A.  cita  (p.  196)  la  Xeiicùi  e  la  Beco  come  sag^i  di 
componimenti  satirici,  mentre  non  sono  che  innocue  parodie  burlesche  della  poesia  rusticale. 
A  proposito  poi  di  satira  politica:  niuno  eli  e  conosci  la  sat.  IX  del  V.  Conlru  morts  ìiuins 
mtnUi  potrà  credere  che  essa  non  sia,  in  fondo,  altro  che  "  una  satira  politica  vera  e  propria  „. 
Con  questo  (tritevio,  quanto  più  politica  si  dovrebbe  dire  la  prima  satira  dell'Ariosto! 


DKI.I.A    LBTTEKATURA    ITALIANA  99 

non  viily;oiio  se  non  in  quanto  i  tutti  loro  corrispondano.  E  l'  ef- 
fetto, neir  opera  satirica  del  V.,  fu  tale  da  rendere  neppure  pen- 
sabile quella  lode.  ^ 

In  quest'ultima  parte  del  suo  libretto  l'A.  tradisce  ad  ogni 
pie' sospinto  un'incertezza  grande  di  criterj,  che  lo  costringe  ad 
onimissioni,  esagerazioni  e  anche  contraddizioni  non  lievi. 

Un  punto  importante  della  sua  trattazione  doveva  essere  l'in- 
dagine degli  elementi  classici  e  del  loro  atteggiarsi  o...  irrigi- 
dirsi mortificati  nelle  satire  del  V.  Invece  egli  se  ne  sbriga  (p.  206) 
con  due  parole,  cosi:  «Sarebbe  inutile  aggiungere  che  il  V.  at- 
«  tinge  a  piene  mani  dai  satirici  latini  »,  e  appiè' di  pagina  con- 
densa in  quattro  righe  alcune  citazioni  puramente  numeriche, 
che  si  potrebbero  senza  fatica  moltiplicare,  ma  che,  gettate  a 
quel  modo,  non  dicono  nulla.  E  evidente  che  il  critico  ha  rinun- 
ziato al  suo  principale  oflficio,  mentre  gli  sarebbe  stato  facile  di- 
mostrare che,  dove  non  fraintende,  il  Secretano  veneziano,  per 
cieca  imitazione,  fa  la  caricatura  del  poeta  d'Aquino. 

La  stessa  osservazione  valga  per  le  imitazioni  dantesche. 
«  Si  possono  con  molta  facilità  cogli<'re  imitazioni  di  versi  dan- 
«  teschi  in  tutte  le  satire  del  nostro»,  scrive  più  oltre  ^p.  218) 
l'A.,  aggiungendo  un'altra  noticina  che  non  serve  a  nulla.  Invece 
sarebbe  stato  utile  e  non  difficile  dimostrare  che  razza  d'imita- 
tore, goftb  e  irriverente,  dell'Alighieri,  sia  stato  il  V.,  il  quale  in- 
terpretava a  modo  suo  —  un  modo  tanto  arbitrario,  quanto  gros- 
solano —  il  testo  della  Commedia.  ^ 

Anche  pel  D.  T.  il  posto  da  assegnarsi  al  V.  nella  storia  della 
satira  è  il  medesimo  che  si  suole  concedergli,  il  posto  di  primo, 
scrittore  di  quella  che  può  chiamarsi  «  satira  regolare  italiana  » 
(p.  208).  Sul  quale  giudizio  avrei  da  fare  qualche  riserva,  ma  non 
è  questo  il  momento.  ^ 

Piuttosto  ho  il  dovere  di  giustificare  ciò  che  dicevo  delle  con- 
traddizioni, nelle  quali  è  caduto  l'A.  In  un  luogo  (p.  185)  egli 
scrive  che  le  quattro  satire  inedite  «  come  corrono  nel  loro  svol-, 
«  gimento  più  spedite,  cosi  sono  anche  per  quel  che  riguarda  il 
«  concetto,  più  originali  e  indipendenti  »  —  e  simile  sentenza  ri- 
pete pili  oltre  (p.  215).  Sennonché,  parlando  subito  dopo  della 
satira  8.*,  una  delle  quattro  inedite,  osserva  che  «  solo  essa  riesce 

1  11  D.  T.  a  provare  che  i  «  posteri  ìininediati  »  del  V.  compresero  quanto  c'era  di  nuovo' 
nelle  satire  sue  e  •  lo  riconobbero  «//«r/i's  vtibis  »,  adilnce  (p.  206)  il  titolo  della  prima  stampa 
delU-  satire  viiicìgtierriane.  Ma  egli  fraintende  quel  titolo  di  Oi>(iii  nota,  che  era  comuuisairao 
nelle  stampe  popolaresche,  specie  della  Venezia  a  partire  dal  sec.  XV  cadente. 

«  Valga  un  esempio,  tratto  dalla  sat.  IV:  i  Mentre  il  fior  della  età  è  in  citna  verde  »!! 
Un'altra  gemma  pseudo-dantesca,  nella  stessa  satira,  è  la  sg.:  <  Chi  vuol  esser  felice  quag- 
giù, prenda  |  Dietro  il  mio  solco,  che  spumando  corre  |  ,  La  strada,  prima  che  l'età  discenda  ». 


lOO  RASSÉGNA   BIBLIOGRAFICA 

«  molto  pesante  perle  lunghe  filastrocche  di  esera pj  tratti  dalla  sto- 
«  ria  antica,  e  non  avvivati  da  un  solo  lampo  di  poesia»; 
e  di  nuovo,  nelTAppendice  (p.  231),  le  suddette  quattro  satire  di- 
ventano «le  più  perfètte  che  il  V.  potesse  compiere,  data  la 
«  sua  speciale  tempra  letteraria  ».  Ma  proprio  quando  ci  atten- 
deremmo dall'A.  il  testo  di  queste  quattro  perfezioni  vinciguer- 
riane,  egli  ci  dichiara  (p.  241)  che  s'  è  accontentato  di  dare  un 
sunto  di  tre  di  esse  e  non  ne  pubblica  che  una,  la  terza  «  la  sola 
«veramente  che  ne  meriti  il  conto».  Oh  allora?! 

L'incertezza  poi  di  criterj  nella  valutazione  estetica  si  rivela 
anche  nel  linguaggio  critico,  insufficiente  ed  improprio,  sovrat- 
tutto  troppo  generico,  che  non  entra  mai  nel  vivo  e  nel  caratte- 
ristico del  documento  poetico.  Nel  rapido  esame  estetico  delle 
satire  vinciguerriane  l'A.  vi  trova  (p.  211)  «  versi  realmente  belli, 
«  nei  quali  si  può  cogliere  una  certa  concisione  di  idee  ed  una 
«  forma  che  riesce  scultoria  nella  sua  ruvidezza ...  In  questi  versi 
«  I  voleva  dire  «  in  questa  forma  ruvida,  ma  scultoria  »]  potremo 
«  dire  che  consiste  la  peculiarità  della  poesia  vinciguerriana  ».  E 
altrove  (p.  212)  :  «  versi  belli  non  mancaiio  »...  «  versi  ben  tor- 
«  niti  »,  «  esempj  di  gagliarda  ruvidezza  »  [il  «  ben  tornito  »  fa  a 
«  pugni  col  «  ruvido  »!].  Nella  3.*  satira  «  in  numero  assai  maggiore 
«sono  i  brani  notevoli»  (p.  213)  e  altri  versi  «degni  di  ogni 
«considerazione  ».  Altrove  (sat.  IV)  l'A.  trova  altri  versi  che  «  non 
«  sono  da  tacersi  »  e  cosi  via  coi  versi  notevoli,  belli  e  simili.  La 
conclusione  di  tutti  questi  giudizj  spicciolati  è  che  «l'unico  vero 
«  pregio  artistico  delle  satire  del  V.  è  quella  gagliarda  ruvidezza 
«  della  forma,  che  ci  dà  alle  volte  versi  pieni  di  maschio  vigore  » 
(p.  217).  È  lo  stesso  giudizio  che,  più  breve  ed  efficace,  dava  non 
è  molto  Vittorio  Rossi,  parlando  «  di  una  cotal  rude  energia  di 
«  rappresentazione  »  di  cui  fa  prova  «  talvolta  »  il  Veneziano;  quel 
medesimo,  in  fondo,  che  aveva  dato  il  Sansovino.  Peccato  tuttavia 
che  l'A.  stesso  abbatta  inesorabilmente  questo  giudizio  e  le  lodi 
prodigate  nelle  sue  pagine  ai  vei  bersi  vinciguerriani,  col  dichia- 
rare (p.  209)  che  una  delle  cause,  fra  le  altre,  che  «  contribuisce 
«nel  V.  a  distruggere  ogni  effetto  artistico,  è  la  lotosità 
«della  lingua»,  come  diceva  l'accademico  Aideano. 

Se  il  D.  T.  avesse  sottoposto  ad  un  esame  più  attento  le  sa- 
tire del  V.,  avrebbe  potuto  dare  un'espressione  più  concreta  e 
sicura  e  più  coerente  ai  proprj  giudizj;  avrebbe  potuto  dimostrare 
che  egli,  eccitato  sovrattutto  dall'  esempio  del  Sommariva,  *  che 
aveva  tentato  di  rivestire  di  brutta  forma  volgare,  in  terzine,  le 

i  Come  ho  detto,  l'A.  ricorda  sì  la  versione  soinmariviana,  ma  non  ne  trae  il  partito  che 
avrebbe  potuto  e  dovuto. 


à 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  101 

satire  di  Giovenale,  si  invasò  dell'idea  di  diventare  egli  il  Gio- 
venale cristiano,  credette  che  bastasse  fare  la  voce  grossa,  pre- 
dicare, tuonare,  gonfiando  le  gote,  ma  falli  miseramente  per  di- 
fetto di  ispirazione,  d'ingegno,  di  arte.  Riuscì  soltanto,  in  quel 
suo  vano  arrabattarsi  poetico,  a  dar  saggio  di  goflPa  e  pretensiosa 
poesia  presecentistica.  E  a  fare  apposta,  i  segni  di  questa  Sua 
gonfiezza  e  turgidità  sono  visibili  proprio  in  quei  medesimi  passi 
che  il  D.  T.  cita  (p.  213)  come  i  più  degni  di  nota.  Invoco  un  po'  di 
benevola  attenzione  e  d'abnegazione  dal  paziente  lettore. 
Il  V.  parla  dell'avarizia  ed  esclama: 

Questo  è  11  venen.che  serpe  per  le  vene 

De  le  mitre  superbe  e  de'  tiranni, 

Che  hanno  posto  in  ricchezze  ogni  lor  spene  : 
Amaro  seme  di  futuri  danni. 

Che  Italia  impregna,  e  languida  su  el  parto  ^ 

Già  si  comincia  a  torger  dagli  affanni. 

L'A.  trova  «  ardente  patriottismo  »  e  «  tratti  caratteristici  »  in 
questi  versi,  nei  quali  è  un  séguito  di  immagini  una  più  barocca 
e  falsa  e  impropria  dell'  altra,  tali  da  disgradarne  il  peggior  se- 
centista; dai  quali  apprendiamo  che  l'avarizia  è  un  veleno,  che 
questo  serpeggia  per  le  vene  delle  mitre  e  . . .  dei  tiranni,  che  poi 
diventa  un  seme  amaro,  che  impregna  V  Italia,  la  quale  ha  già  le 
doglie  del  parto,  dal  quale  nasceranno  i  danni  futuri  di  lei  !  Ma 
chi  potrà  negare  che  questo  non  sia  un  parto  mostruoso  o  un 
aborto  della  musa  satirica  vinciguerriana? 

Qualcuno  dirà  ch'io  incrudelisco  troppo  contro  . . .  un  morto, 
il  V.;  ma  rispondo  che  sarebbe  ingiusto  usargli  indulgenza©  pietà, 
tanto  si  mostra  pieno  di  sé  e  ridevolmente  borioso.  0  non  ebbe 
il  coraggio,  proprio  egli,  che  aveva  quei  versi  sulla  coscienza,  di 
rivolgere  al  mondo  un  monito  come  questo: 

Or  sappia  il  mondo  che  d'altro  non  curo, 
Che  dei  miei  dolci  e  graziosi  versi, 
Che  tratto  m' han  dal  suo  costume  oscuro  -  ? 

E,  peggio  ancora,  non  osò  proclamare  la  dolce  gloria  acquistata 
col  suo  stile  ^wewfe,  parafrasando  un  verso  dell'Alighieri: 

Né  voglio  pili  tener  dentro  nascosto 
La  ricca  vena  del  fluente  stile. 
Che  m'ha  tratto  dai  pili,  fra  i  rari  posto-? 

E  questo  ci  sembra  più  che  bastante,  anche  per  dimostrare  che 
allorquando  il  D.  T.  (pag.  220)  concludeva  con  l'asserire  che  il  V. 
«ci  appare  come  il  vero  poeta  satirico  cristiano»,  la 
penna  dovette  tradire  il  suo  pensiero.  Tanto  varrebbe,  allora, 
dire  eh*  un  banchiere  fallito  è..,  un  vero  banchiere  moderno! 


102  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Mi  rihcresce,  in  fine,  di  notare  che  dalla  Appendice  II,  la  quale 
doveva  essere  un  contributo  alla  futura  edizione  critica  delle  sa- 
tire vinciguerriane,  e  che  tratta  delln  primitiva  disposizione  di  esse, 
si  desume  il  convincimento  che  l'A.  non  ha  ancora  la  prepara- 
zione necessaria  per  una  impresa  simile.  '  Un  esempio.  Della  Con- 
solatoria al  Caldiera  il  D.  T.  si  trova  ad  avere  due  redazioni  di- 
verse, una  manoscritta,  da  un  cod.  laurenziano,  1'  altra  a  stampa. 
Egli  -si  chiede  (p.  234)  quale  di  esse  sia  «  la  precedente  »,  e  con- 
fessa di  non  avere  «  nessuno  elemento  per  poter  rispondere  in 
«  modo  certo  ». 

Proprio  nessuno?  E  le  varianti?  In  ogni  modo,  mentre  ci  at- 
tenderemmo ch'egli  porgesse  agli  studiosi  questi  «elementi»  di 
discussione  e  di  giudizio,  cioè  le  varianti,  «  appunto  perciò  non 
«  riporta  queste  diiferenti  lezioni,  tanto  più  che  esse  non  intac- 
«  cano  il  senso  generale  dell'epistola».  Invece  si  restringe  a  tra- 
scrivere i  trenta  versi  mancanti  alla  volgata. 

Se  pei  libri  di  critica  letteraria  valessero  i  noti  precetti  che 
Orazio  dava  ai  giovani  Pisoni,  e  il  D.  T.  non  avesse  lasciato 
trascorrere  il  «  multa  dies  »  dalla  prima  composizione  di  questa 
monografia  senza  «  multa  litura  »  e  sovrattutto  se  avesse  avuto 
il  coraggio  di  rifarne  la  seconda  parte,  sarebbe  stato  un  gua- 
dagno grande  per  lui,  pel  V.  e  pei  lettori,  grandissimo  per  quelli 
fra  essi  che  devono  adempiere  l'officio,  spesso  increscioso,  di  critici. 

Vittorio  Gian. 

Giambattista  Marchesi.  —  Romanzieri  e  Romanzi  italiani  del  Settecento.  — 
Studj  e  ricerche  con  bibliografìa  e  illusttazioni.  —  Bergamo,  Istituto 
d'Arti  grafiche  Editore,  1903. 

"  Gli  studj  dei  quali  è  composto  il  presente  volume,  non  presumono  co- 
"  stituire  una  storia  del  nostro  romanzo  del  Settecento.  Ma  da  essi  potran- 
"  nosi  facilmente  dedurre  le  linee  fondamentali  di  una  storia  futura  „.  Cosi 
l'A.  (p.  333),  che  a  me  pare  abbia,  se  non  esaurito,  almeno  portato  tal  con- 
tributo di  ricerche  e  di  studj  sopra  il  soggetto  preso  a  trattare,  da  togliere 
ad  altri  il  bisogno  o  la  voglia  di  tornare  su  un  argomento,  che  è  certamente 
notevole  per  il  rispetto  della  psicologia  e  della  storia,  ma,  riguardo  al  quale 
quanto  all'etica  e  all'estetica  ho  i  miei  dubbj.  Il  Voi.,  d'un  400  pagine,  è 
nitidamente  ed  elegantemente  impresso,  con  una  quarantina  o  più  di  rami 
intercalati  nel  testo,  riprodotti  dalle  opere  originali  ;  damine  eleganti,  cava- 
lieri cirrati  e  incipriati,  salottini  confidenti,  sfondi  di  verde  e  d'ombre,  navi 
simbòliche  abbandonate  a  simboliche  onde,  e  ghirigori  e  fregj  capricciosi  e 
versetti  allusivi,  come  piacevano  al  secolo  filosofo  e  galante.  Comprende  sette 

1  Ma  forse  è  UD'iraprcsa  che  uon  merita  la  fatica  e  il  dispendio  neceSsarj.  Tanto,  le  •di- 
zioni che  abbiamo  del  V.,  quantunque  poco  corrette,  sono  sufficienti  ;  le  quatta  satire  ine- 
dite, delle  quali  posseggo  copia,  sono  auch'  esse  troppo  miserabile  cosa.  E  vi  sono  ben  altre 
opere,  più  ntili  e  più  rare,  da  mettere  o  rimettere  in  lucei 


DBLLA   LETTERATURA    ITALIANA  108 

capitoli  e  due  appendici,  la  prima  delle  quali  è  lo  studio  d'un  gustosissimo 
romanzo  satirico,  messo  innanzi  come  un  possibile  *  contributo  alla  storia 
iìe\  Giorno  "ed  anche  un  solo  commento  a  un  episodio  di  esso,;*  l'altra 
è  un  Saggio  bibliografico  dei  romanzi  originali  e  tradotti  del  Sec.  XVIII,  con 
una  punta  nel  sec.  successivo,  almeno  per  quanto  riguarda  Vincenzo  Coco, 
il  Foscolo  e  Alessandro  Verri. 

Il  cap.  1.»,  che  è  de' più  brevi  (pp.  11-46),  ma  pieno  di  utili  notizie  a 
spiegare  lo  svolgimento  del  romanzo  in  Italia  nel  sec.  XVIII,  discorrfe  degli 
influssi  stranieri,  che  in  tal  forma  d'arte  operarono  su  di  noi,  e  ne  risve- 
gliarono e  informarono  il  gusto,  specie  nella  seconda  metà  del  secolo,  in  cui 
cominciò  a  prender  voga.  I  grandi  romanzieri  inglesi  di  quell'età  Richardson, 
Fiedling,  De  Poe,  Smollet,  Johnson,  l'amico  del  Baretti,  con  le  Pamele  e  le 
Clarisse,  le  Amelie,  i  Robinson  erano  fra  noi  tradotti  e  letti  e  diffusi  più  di 
Swifl  e  di  Sterne  co' loro  romanzi  comico-satirici;  la  Pamela  fu  ben  presto 
conosciuta,  imitata,  portata  sul  teatro,  parodiata;  e  di  orfanello  inglesi,  d'av- 
venturieri inglesi,  d'onorati  inglesi  eran  piene  le  carte.  —  Di  Francia  non  è  a 
dire:  un  pelago:  Lesage,  Marivaux,  Prevost,  Montesquieu,  che  con  le  Letlres 
Pèrsanes,  modellate  su  un  vecchio  romanzo  italiano  (p.  32),  apriva  l'adito  a 
tante  imitazioni  e  contraffazioni  in  forma  epistolare;  poi  Voltaire  e  Rousseau, 
che  con  la  Nuova  Eloisa  dava  alia  Francia  la  preminenza  in  questo  genere 
letterario,  e  con  loro  altri,  o  men  noti  o  ignorali,  eran  la  delizia  del  gran  pub- 
blico dei  lettori.  Romanzi  sentimentali  e  fantastici,  filosofici  e  galanti,  etici  e 
pastorali  si  traducevano  *  talora  pessimamente  ,  si  raffazzonavano  per  lè 
persone  letterate,  che  invano  contro  quella  produzione  straniera  eran  messe 
in  guardia  da  una  critica  un  po'  illiberale  e  ristretta,  ma  di  buona  coscienza.* 


1  Avventine  lìi  Lillo  cagnoln  bolognese,  storia  critica  e  fiaìnnlt,  che  l'A.  crede  tradotta  dal- 
l'inglese,  probabilmente  da  G.  Gozzi  (p,  359),  di  sopra  un  esemplare  francese.  Di  codesto 
romanzo  di  Coventry  vi  è  anche  nna  traduzione  tedesca,  molto  posteriore  alla  nostra,  di 
Jofiami  Friedrich  Jnnger,  I.eipgig,  1782,  lìiutato  il  titolo,  secondo  la  libertà  dei  traduttori  e 
raffazzonatori  d'allora,  in  I>tr  Kleine  Cesar  ;  vedi  M.  Goedeke,  voi.  IV,  p.  224;  lo  stndio  fu  già 
pubblicato  nel  Giorn.  Star,  della  Lett.  Itnl.,  voi.  XXXVIII,  p.  97-122.  E  poiché  questa  nota  è  per 
la  letteratura  canina,  aggiungerò  alle  citazioni  dell'autore  nxi'Ormione  di  P.  I.  Martello 
ni  morte  di  Po  cane  mormiisse  stan^pata  in  Bologna  nel  1727,  iu  \'ersi  e.  Prose,  presso  Lelio 
della  Volpe,  part.  1.  p.  187  e  seg.;  il  quale  Martello  avrebbe  anche  ne  Lo  Starnuto  di  Ercole, 
specie  di  rappresentazione  burattinesca,  fornito  a  Swift  l'idea  del  GuUiver  e  de'suoi  lilli- 
Duzziani;  raccostamento,  che  fa  il  paio  con  l'altro  del  C/Voooé  e  del  Tristram  Sliatidy.e  da 
accogliersi  con  benefizio  d'inventario.  Quanto  poi  concerne  le  lagrime  in  morte  di  Pippo  cane 
vicentino  ricordate  dall'A.  a  p.  36i,  stampate  a  Milano  nel  1749,  noto  che  a  Vicenza  tr6  anni 
prima,  nel  1746,  si  fece  un'edizione  col  titolo:  Epicedi  a  Pippo  il  Barbino,  che  dev'essere 
tutt'una  cosa  con  le  Lagrime,  con  qualche  alterazione,  come  si  vede  dal  titolo  alquanto 
mutato. 

2  Ricorderò  alcuni  di  codesti  romanzi  francesi  o  tradotti  iu  francese,  che  i  giornali 
contemporanei  offrivan  come  primizie  ai  lettori  italiani;  l'A.  che  molti  ne  cita  a  p.  38  e  Se'gg. 
lasciò  da  parte,  forse  perchè  non  han  trovato  un  traduttore  italiano:  Les  Yicissitudes  de 
la  fortune,  dall' ingl.  in  tre  voi.  —  Aiirelie  ou  la  vie  dn  grand  monde,  pure  dall'ingl.  in  dilò 
voi.  —  La  belle  Syrienne,  in  tre  voi.;  non  ho  trovato  di  questi  ultimi  alcuna  indicazione  tipog. 
—  Sofà  e  Orsola,  ovvero  Lettere  (stratte  da  un  portafoglio  per  il  sig.  di  Cl.armois,  Parigi,  1778;  è 
una  traduzione  italiana?  —  Così  t,e  memorie  del  conte  di  Bettem,  che  si  danno  come  stam- 
pate a  Koano  nel  1756,  e  una  Silvia  tratta  AaM' Aminta  e  dal  Pors/oc /io,  stampata  in  Parigi 
con  la  data  di  Londra,  operetta  «  scritta  elegantemente,  mi  troppo  teneramente  »  dice  il  rv- 
censore,  e  portava  in  fronte  l'Ovidfano:  srrihere  pis^it  amor  {(liorn.  de'l.ett.di  Fireme,  tinnc, 


104  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

È  un  quadro  animato  e  vivo,  che  potrebbe  considerarsi  come  una  bella  in- 
troduzione, se  il  libro  avesse  forma  organica  e  una. 

Di  P.  Chiari,  romanziere,  discorre  l'A.  nel  2.»  cap.  (pp.  49-186)  con  particolar 
competenza,  e  passando  in  rassegna  quella  sua  laboriosità  tumultuaria,  pro- 
seguita per  pili  d'un  ventennio,  senza  calore  nell'anima  e  senza  fiamma 
nel  cervello,  trova  modo  d'innestare  qua  e  là  tante  notizie  biografiche,  ret- 
tificare errori  di  date  e  di  fatti,  stendersi  nelle  polemiche,  che  scompigliarono 
la  vita  letteraria  e  civile  della  Venezia  d'  allora.*  Dà  estratti,  talvolta  un  po' 
lunghetti,  della  Filosofessa  ital.,  che  è  in  ordine  di  tempo  il  primo  romanzo 
del  Chiari,  suggeritogli  da  consimili  racconti  inglesi  e  francesi  ;  de  La  Bal- 
lerina Onorata,  de  La  Cantatrice  per  disgrazia  (riduco  codesti  titoli  ai  lor 
termini  minimi),  due  parti  d'una  trilogia  teatrale,  la  cui  terza  parte  è  La 
Commediante  in  fortuna  ossia  ecc.  stesa,  al  solito,  in  pochi  giorni.  Segue 
La  Giocatrice  di  Lotto,  uno  de'  pili  ricercati  e  famosi,  e  poi  non  so  quanti 
altri,  tramezzati  da  Lettere,  Riflessioni  critiche,  Saggi,  Traduzioni,  che  usci- 
vano dalla  penna  di  quell'uomo,  mossa,  si  direbbe,  da  un  congegno  mecca- 
nico anzi  che  da  volontà  consapevole  o  da  un'idea  dominante,  senza  che 
mai  nel  corso  dell'opera  sua,  a  maraviglia  feconda  nel  decennio  dal  1750 
al  '60,  si  giovasse  di  nuovi  elementi  o  facesse  "  evoluzione  alcuna  „  verso 
una  più  sincera  e  schietta  comprensione  del  vivere  contemporaneo;  sempre 
uguale  monotona  raffazzonatrice.  Poi  notizie  su  La  Bella  Pellegrina,  che  il 
M.  dice  suggerita  da  uqa  commedia  del  Voltaire  (p.  94  e  segg.);  La  Francesf 
in  Italia,  s^Aìsa.  di  macchiette  e  figurine  piacevoli;  La  Viniziana  di  Spirito; 
La  Donna  che  non  si  trova,  nel  quale  par  *  che  senta  la  carezza  di  quell'aria 

*  che  spirava  d'oltr' Alpi,  anche  se  non  ne  sente  la  forza  innovatrice  (p.  114)  ,. 
Ma  la  narrazione  affoga  "  nelle  solile  avventure  d'amore  e  di  viaggi  „  nelle 
solite  combinazioni  d'avvenimenti  improvvisi,  variate  qua  e  là  di  facili  com- 
mozioni e  fantasticherie,  cosi  care  "  alle  anime  tenere  che  ricavan  diletto  dal 

•  pianto  ,.*  Cosi  via  via  l'A.  scende  per  ordine  cronologico  agli  ultimi  ro- 
manzi, fino  alla  Fantasima  che,  egli  dice,  "  si  potrebbe  ancora  leggere  con 
"  qualche  diletto,  se  non  fosse,  come  tutti  gli  altri,  eccessivamente  lungo  ar- 
"  ruffato  e  sproporzionato  ,  (p.  129).  Ho  trascritto  le  proprie  parole  dell'  A. 
perché,  per  quanto  si  voglia  essere  benevoli  al  Chiari,  non  è  possibile  far 
altrettanto  con  l'opera  sua,  anche  senza  discostarci  dai  propositi  suoi  e  dal 
fine  ch'egli  assegnava  al  romanzo;  né  bastano  tratti  vivi,  e  accessoij  geniali, 
che  non  mancano,  o  qualche  timido  intendimento  di  satira  più  casuale  che 
d'intenzione,  a  rimettere  in  vista  quei  libri  che,  almeno  nel  rispetto  dell'in- 
venzione e  dell'arte,  non  sono  esemplari  pregevoli. 


1742)  ;  poi  una  Orfiweìla  del  Costello  di  Carlotta  Smith,  celebratissimo,  nn  Piaggio  di  Reaifor 
ipocondriaco  in  forma  epistolare,  e  altri  pubblicati  dal  Briaud,  dal  Buisson  e  dal  Guillot,  che 
erano  in  Parigi  quel  che  in  Venezia  il  Pasinelli,  il  Battaglia  e  il  Colett'.  Del  resto,  nel  1746 
il  Giorn.Lelt.  di  Siena,  ta^o.  Ai  settembre,  dando  notizia  d'un  romanzo  stampato  l'anno  pri- 
ma a  Norimberga,  Idoiia  delle  avventure  marivigliose  dil  gentìtuomo  Ferdinando  di  Thon,  no- 
tava con  amarezza,  che  anche  in  Italia  abbondavano  i  cattivi  romanzi  d'ogni  specie,  stupidi 
e  incoerenti  come  e  più  di  quello  che  presentava  al  pubblico. 

i  Lo  studio,  avvisa  l'A.,  era  già  stato  pubblicato  in  opuscolo  a  parte  nel  1900  a  Bergamo. 

*  Cosi  nell'art,  primo  della  Cantatrice  per  disgrazia. 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  105 

E  mi  pare  su  per  giii  del  medesimo  avviso  anche  l'A.  :  figure  di  perso- 
naggi scolorite  e  stinte,  qualcuna  insulsa  (p.  61);  grossolane  pitture  d'am- 
biente (p.  77),  nessuna  o  pochissima  arte  nel  comporre  gli  elementi  onde  il 
racconto  s' intesse,  (p.  103),  assenza  d'interesse  e  di  personalità,  strascico, 
fatica,  shiavatura  di  stile,  son  tante  cose  che,  anche  senza  essere  sistematico 
detrattore  del  Chiari,  bastano  a  spiegare  le  censure  di  qualche  contempo- 
raneo, un  po'  maldicente  per  vero,  ma  arguto  e  giudizioso,  che  metteva  l' abate 
bresciano  tra  gii  arruffoni  della  letteratura  con  qualche  trovata  bestialmente 
felice.^  Una  lode  va  data  all' A.,  d'averci  saputo  pazientemente  condurre  per 
codesta  landa  inamena  senza  farci  sentire  la  stanchezza  del  cammino,  o  la 
voglia  di  restare  a  mezzo. 

Il  capitolo  III  discorre  di  Antonio  Piazza  romanziere,  che  per  opera  del- 
l'A.  viene  a  prendere  il  posto  che  gli  spetta  nella  storia  del  romanzo  ita- 
liano del  Settecento;  la  materia  è  nuova,  né  senza  attrattiva.*  Narratore,  com- 
mediografo, gazzettiere  il  Piazza,  nella  vita  longeva  (1742-1825),  fu  prima 
ammiratore  ed  emulo  del  Chiari,  poi,  con  intendimenti  più  realistici,  indipen- 
dente e  geniale  riformatore  d'un  genere,  sviato  tra  avvolgimenti  e  garbugli 
d'intrecci  di  fantasia  (p.  149);  meritava  dunque  chi  se  n'occupasse  quanto 
e  più  del  Chiari,  nel  quale  s' era  fin  qui  incentrata  e  raccolta  la  storia  del 
romanzo  di  quell'età.  L'A.  move  dal  primo  romanzo,  che  il  Piazza  pubblicò 
a  vent'  anni,  dove  si  rivela  "  pessimo  scrittore,  ma  non  antipatico  „  (p.  143), 
e  dove  adopera,  come  il  suo  modello,  la  forma  autobiografica  e  la  distribu- 
zione e  divisione  della  materia  in  capitoH  co' rispettivi  argomenti  in  fronte. 
Ma  la  sua  arte  acquista  andando;  L'Italiano  Fortunato  è  scritto  con  meno 
disagio  di  costrutto  e  di  lingua;  e  così  L' Incognito  Innocente,  L'Ebrea,  I 
Zingani,  dei  quali  ultimi  l'A.  dà  un  largo  estratto  e  un  passo  del  cap.  X 
come  saggio  di  satira  del  costume  signorile.  Il  Piazza  gli  pare  più  studioso 
della  realtà,  anche  se  grossolana  nell'espressione  e  grottesca  (p.  173);  più 
fermo  nel  concetto  che  la  storia  va  cercata  meglio  della  favola,  e  che,  di- 
ceva lui,  *  è  canone  saggio  innalzare  i  proprj  lavori  sul  piano  che  la  verità 
•  e  la  natura  ,  suggeriscono.^  Anche  più  tardi  tornava  sui  medesimi  canoni, 
e  n'  attendeva  1'  approvazione  da  quel  pubblico  colto  "  che  non  ama  il  ma- 
raviglioso   romanzesco,  ma    semplicità  e  union  delle  azioni,  non  i  caratteri 


t  e.  Qozzi,  Memorie  tHu^/i,  XXXIV. —  Circa  i  processi  di  composizione,  l'editore  napo- 
letano de  La  Balleriva  Onorata,  1755,  nell'  avviso  A  chi  legge,  dice  che  11  Chiari  ne'suoi  romanzi 
"trasporta  di  fatto  quanto  trova  di  buono  s  di  meglio  ne' romanzi  francesi;  e  il  volerli 
tradurre  oggidì  (quei  romanzi  francesi)  non  sarebbe  che  replicare  sotto  più  torchi  e  sotto 
titoli  dilferenti  la  medesima  cosa  „.  O  dov'è  allora  il  loro  valore  psicologico  rispetto  a  noi? 
Anche  il  Lesage  metteva  a  sacco  i  romanzi  picareschi  di  Spagna;  ma  la  satira  delle  debolezze 
umane,  le  scene  della  vita  privata,!  tratti  storici  sono  de' costumi  e  del  vivere  contempo- 
raneo di  Francia.  —  Quanto  è  poi  alla  smania  e  all'agevolezza  di  comporli,  il  Chiari  per 
bocca  d'una  principessa  svedese  ne  L'Amante  Incognita,  cap.  10,  così  ne  parla:  "Io  son 
d' un  carattere  così  capriccioso  in  questa  materia,  che  aver  vorrei  cento  mani  e  centupli- 
care me  stessa,  onde  scrivere  e  pubblicare  ogni  giorno  opere  somiglianti,  che  si  bramano, 
si  aspettano,  si  comprano  e  si  ristampano  —  e  diceva  il  vero  —  specialmente  pid  sono  strava- 
ganti e  compassionevoli ,. 

2  Come  autore  di  romanzi,  il  Piazza  era  ricordato  in  compagnia  del  Chiari  ed  altri 
scrittori  da  dozzina  dal  Foscolo,  nel  Saggio  ecc.  —  Prose  Leti.,  Voi  2.,  p.  289. 

3  Avviso  che  va  innanzi  alla  Commedia  Art  famiglia  mal  regolata,  di  pochi  anni  poste- 
riore a)  romanzi  ricordati.  « 


106  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

esagerati,  ma  quei  che  sono  copiati  dalla  natura,  e  che  non  sono  spinti  oltre 
i  confini  dell'umana  condizione,,.* 

La  si  direbbe  una  teorica  precorritrice;  se  non  che  in  pratica  continuò 
anche  lui,  se  non  a  meravigliare  con  le  stravaganze  dei  casi,  a  intenerire  e 
far  piangere,  e  fu  un  po'  nel  romanzo  quel  che  il  Gamerra  nel  dramma,  uno 
scrittore  lagrimoso  e  sentimentale.  Del  resto  io  non  fò  che  toccare  alcuni  punti 
della  sua  inesauribibile  operosità  nel  romanzo,  che  l'A.  segue  con  molta  di- 
ligenza, raccogliendo  via  via  notizie  utilissime  per  la  storia  del  teatro  ita- 
liano della  seconda  metà  del  Settecento,  che  forni  al  Piazza  la  materia  per 
un  altro  romanzo,  scritto,  dice  l'A.,  con  la  solita  fretta  (p.  183  e  segg.).* 

Nel  cap.  IV  son  raccolte  rare  notizie  sui  romanzi  erotici  di  Vincenzo  Rota, 
padovano  ;3  di  G.  B.  Vercì,  lo  slorico  della  Marca  Trivigiana  e  degli  Ezzelini, 
di  Giuseppe  Maria  Foppa,  e  di  altri  meno  conosciuti,  "  stesi  sui  soliti  motivi 
"  chiariani,  i  soliti  casi,  le  solite  avventure,  le  soHte  colpe  dell'amore,  che 
"  ritornano  in  mille  guise  e  s'avvicendano,  le  eterne  colpe,  gli  eterni  deliri  ,. 
(p.  210).  Il  Foppa  meritava  forse  maggior  discorso;  *  studente  laborioso, 
*  archivista  di  private  famiglie,  romanziere,  scrittore  d'altre  cose  fantastiche, 
"  studiante  musicale,  compilatore  di  leggi  e  marito  „  come  egli  scrive  di  sé 
nelle  Memorie,  non  istarebbe  male  in  compagnia  degli  altri  venturieri  lette- 
rati di  quell'età,  più  modesto  però  da  conoscer  bene  il  pregio  dell'opera 
propria,  se,  presentandosi  ai  posteri  in  poche  pagine  autobiografiche,  sce- 
glieva per  sé  l'epigrafe  virgiliana:  Sunt  lacrymae  rerum.*  S'accosta  più  al 
Chiari  che  al  Piazza,  per  l' amore  al  fantastico  e  al  maraviglioso,  e  per  la 
forma  autobiografica,  che  predilige.  Poi  il  gusto  per  l' allegoria  cominciò  a 
invadere  anche  il  Romanzo,  e  su  l'esempio,  al  solito,  di  Francia  si  ebbero 
Il  Congresso  di  Citerà  dell' Algarotti,  un  Viaggio  all'isola  d' Amore  di  un 
Borromeo,  un  anonimo  Naufragio  felice  nel  mare  del  disinganno,  (p.  214  e 
segg.),  che  ha  qualche  tocco  rilevato  e  vivace,  e  alcune  figure  bravamente 
descritte.5  A  tutto  codesto  rigoglio  del  romanzo,  maggiore  che  mai  tra  il 
1750  e  il  '70,  non  mancò  la  parodia,  per  l'appunto  com'era  avvenuto  in 
Germania  molti  anni  prima  ;^  e  Francesco  Gritti  veneziano,  buon  cultore  del 

1  Così  nella  conclusione  d' una  sua  Commedia  Chi  la  dura  la  vitice,  compiuta  in  Treviso 
l'anno  1811,  che  il  M.  dice  mai  rappresentata,  edita  in  Venezia  dalla  stamperia  Molinari 
nel  1823. 

s  Nell'avviso  che  va  innanzi  a  I  deliri  delle  anime  amanti,  l'editore  Bassaglia,  Venezia 
1782,  promette  la  ristampa  di  due  altri  romanzi  La  Innocente  perseguitata  e  La  Moglie  senza 
marito,  che  mi  pare  dia  come  cose  del  Piazza;  il  Marchesi  aggiudica  il  seoondo  al  Chiari 
{Appendice  bibliografica,  p.  400J. 

8  Del  Rota,  che  un  ammiratore  contemporaneo  dice  «  ingegno  bizzarro  »,  è  alle  stampe 
un  Baccanale,  felice  imitazione  del  Redi  e  del  Baruflfaldi,  che  il  dott.  Fortunato  Federici, 
bibliotecario  dell'università  di  Padova,  mandava  nel  1823,  in  occasione  di  nozze,  al  dottor 
Floriano  Caldani  prof,  di  Anatomia  in  detta  Università. 

*  Cap.  XV.  Il  M.  dà  il  secondo  romanzo  del  Foppa,  Le  Memorie  del  Marchese  d'Astorgo, 
come  stampato  nel  1776;  nel  cap.  V  delle  Memorie  il  Foppa  l'assegna  al  1778. 

^  Vìi  Congresso  di  Parwa.so,  stampato  a  Ferrara  nel  1774,  senza  nome  d"  autore,  per  Giu- 
seppe Barbieri,  mi  pare  abbia  rapporti  col  romanzetto  allegorico  piuttosto  che  col  romanzo 
galante,  almeno  da  quanto  si  può  argomentare  dalla  notizia  che  se  ne  legge  nelle  KoeelU 
della  Rep.  Lett.  di  Venezia  per  l'anno  1775,  p.  71. 

6  Ricorderò  nn' Antipamela,  senza  nome  d'autore  "  oder  die  entdekte  falsche  Unschuld  in 
in  deu  lìegebenhtite»  dei-  Syrene.  Vedi  K.  Goedeke,  loc.  clt.  La  Pamela  era  stata  tradotta  In 


DELLA  LETTERATURA  ITAUANA  107 

patrio  dialetto,  arguto  parodista  del  teatro  contemporaneo  e  gran  traduttore 
di  cose  francesi,  mandò  per  le  stampe,  sotto  il  nome  di  Dottor  Pif-Puf  le 
Memorie  del  sig.  Tommasino,  che  sono  un  documento  di  satira  piccante  e 
giudiziosa.  Peccato,  dice  l'A.,  che  l'opera  restasse  interrotta  (p.  222). 

Il  cap.  V  ci  porta  nel  gran  mare  dei  romanzi  satirici,  filosofici  e  morali, 
usciti  in  sul  finire  del  secolo,  quando  le  facoltà  del  pensiero  parvero  raffi- 
narsi nel  presentimento  de'  moti  che  sopravvenero.  Dà  un  largo  estratto 
d'un  amplissimo  e  bizzarro  romanzo  del  veneziano  Zaccaria  Sceriman,  or- 
dito su  quello  sfondo  di  divagazioni  e  di  viaggi,  caro  agi'  Inglesi,  in  regioni 
chimeriche,  tra  abitanti  immaginari,  nella  contrada  delle  Scimmie,  in  quella 
dei  Cinocefali,  poi  nella  fortezza  dei  venti,  nel  castello  delle  misure,  nei  campi 
della  miseria,  mescolando  stranamente  il  positivo  e  l'allegorico,  il  reale  e  il 
fantastico,  il  verisimile  e  il  mostruoso  e  grottesco.  Vi  sono  accenni  satirici 
ai  costumi  del  tempo,  l' amore  morboso  per  i  cani,  per  le  discussioni  filoso- 
fiche, per  mode  e  riti  che  ebbero  le  eleganti  frecciate  del  Parini  e  dell'Al- 
fieri ;  ma  il  tutto  con  prolissità,  ripetizioni,  monotonia,  goffaggine  e  mancanza 
di  genialità  (p.  241)  e  di  vita  interiore,  che  del  resto  sarebbe  semplicità 
cercare  in  quegli  scrittori.  —  Vengono  poi  i  romanzi  morali  e  satirici  di 
G.  Gozzi,  dove,  a  dir  il  vero,  il  romanzo  ci  vuole  un  po'  di  sforzo  a  tro- 
varcelo; due  romanzi  del  Casanova,  uno  dei  quali,  d'inspirazione  gulive- 
riana,  perché  scritto  in  francese  eccede  i  confini  del  tema;  nondimeno 
l'A.  ne  dà  la  trama  (p.  251-254),  come  di  cosa  importante  e  ormai  fatta 
rarissima.*  Accenni  evidenti  di  satira,  pili  politica  che  personale,  l'A.  trova 
neìV  Abaritte  di  Ippolito  Pindemonte;  romanzo  uscito  nel  1790,  aspramente 
giudicato,  e  "ormai  affatto  dimenticato,  (pp.  256-261);  la  Russia  la  Ger- 
mania la  Francia  vi  sono  sotto  finti  nomi  descritte  ne' loro  difetti,  con  qual- 
che esagerazione,  dal  giovine  viaggiatore  italiano,  che  solo  nella  Nuova  Ze- 
landa {V  Inghilterra)  trova  un  paese  ideale  e  degno  d' ogni  encomio  per  piti 
rispetti.  Per  questo  forse  V Abaritte  piaceva  all'Alfieri,  e  per  quella  leggiera 
tinta  di  francofobismo,  che  raggiungerà  nel  Misogallo  un  astio  senza  esempio, 
e  che  in  Ippolito  non  esce  dai  limiti  d'un  sereno  ottimismo.  Se  non  che 
il  secolo,  che  s'affrettava  ad  altro,  parve  anche  fastidire  il  romanzo  filoso- 
fico, sia  pure  con  buoni  intendimenti  satirici  e  pregj  artistici;  occorreva 
mutar  strada,  e  in  quel  trepidare  e  imbaldanzire  degli  animi,  si  cercò  un  anti- 
doto alle  pericolose  novità,  con  un  ritorno  alle  narrazioni  educative  sullo  stam- 
po del  Telemaco  (p.  264).  Il  nostro  romanziere  pedagogista  fu  il  sig.  Micheletti, 
aquilano  d' origine,  e  il  suo  Monte  Areteo,  o  della  virtù,  venne  a  dettare 
l'arte  del  governo,  senza  sogni  di  grandezza  e  di  gloria,  a  un  principe  ere- 
ditario, che  era  il  figlio  di  Carolina  d'Austria  e  d'un  Borbone  spergiuro 
(p.  265).'  Ultimo  esempio  di  romanzo  didattico,  che  prelude,  di  lontano,  al 


Germania  nel  1742,  due  anni  prima  che  in  Italia,  dove  la  prima  traduzione,  secondo  il  M., 
sarebbe  del  1744;  però  le  Novelle  Oltramontane  per  l'anno  1742,  p.  157  danno  notizia  d'una 
traduzione  della  Pamela,  come  uno  de'  più  celebrati  romanzi. 

1  S'intitola:  Icosameron,  ov  histoire  d'Edouard  et  d' Elisabeth,  con  la  indicazione  di  Praga, 
nella  stamperia  della  Scuola  normale;  p.  251  e  segg. 

2  Un  giorn.  di  quel  tempo,  che  si  stampava  a  Mantova  {Qiorn.  della  Leti.  Hai.  per  l' anno 
1794,  tom. in,  par. Il)  ne  dava  notizia  con  parole  punto  benevoli;  lo  dice  *  langiiìdo,  dififaso 


108  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

romanzo  patriottico  d' un'  età  più  prossima  a  noi,  e  si  collega  all'  Ortis,  per 
il  sentimento  e  la  forma  epistolare  intercalata  qua  e  là  tra  la  narrativa  e 
la  dialogica,  è  il  Platone  in  Italia  di  V.  Goco,  che  "  ancora  si  legge  e  fa 
"  pensare,  insegna  ed  educa  „  (p.  273).* 

Con  il  sesto  cap.  eccoci  finalmente  a  due  nomi  conosciuti:  ad  A.  Verri  e 
al  Foscolo,  alle  Avventure  di  Saffo  e  a\V Ortis,  un  romanzo  erudito  d'argo- 
mento greco  e  un  romanzo  di  passione  d'argomento  contemporaneo.  L'A. 
se  ne  risente,  e  anche  lo  stile  pare  che  si  ravvivi  dopo  un  tanto  aggirarsi 
tra  "  ignoti  e  dimenticati  ,.  Il  capitolo  è  de'  più  densi  e  geniali.  Vi  si 
ricordano  i  primi  tentativi  di  romanzo  storico  anteriori  al  Verri  (pagine 
278-281),  le  traduzioni  di  consimili  opere,  dovute  al  diffondersi  dell'amore 
per  gli  studj  storici  e  archeologici  in  quello  scorcio  di  secolo,  da'  quali, 
forse,  attinse  il  Verri  inspirazione  per  la  Saffo}  Alla  Saffo  tenner  dietro 
le  Notti  romane;  poesia  di  sepolcri  ed  eloquenza  di  silenzj  e  d'ombre,  che 
più  sotto  l'Autore  definisce,  con  ragione,  un  poema  didascalico  in  prosa 
(p.  294),  e  la  Vita  di  Erostrato,  dove  nella  struttura  e  storicità  del  perso- 
naggio altri  volle  trovare  un  adombramento  del  Bonaparte.  Ma  già  altre 
correnti  di  opinioni  e  di  idee  entravano  nel  dominio  delle  lettere,  e  or- 
mai la  storia  dello  spirito  irrequieto,  che  vede  una  dopo  1'  altra  dileguare 
r  idealità  vagheggiate,  è  nelle  Ultime  lettere  di  Jacopo  Ortis.  11  M.  ne  rifa, 
valendosi  di  recentissimi  studj  nostrali  e  stranieri,  la  genesi,  ben  differente 
da  quel  che  n'aveva  scritto  il  Garrer,  uno  de'primi  biografi  del  poeta;  narra 
delle  vicende  esteriori  e  dei  moventi  psicologici  che  condussero  alla  com- 
posizione del  romanzo;  3  tocca  della  popolarità  della  forma  epistolare  e  della 
materia  di  sentimento  in  romanzi  allora  di  moda,  e  della  facile  discendenza 
dal  Richardson  e  dal  Rousseau  al  Foscolo  (p.  306),  che  trovò  nell'ambiente 
storico-sociale  il  soggetto  per  un  racconto  d'amore  compenetrato  di  senti- 
mento patriottico  e  di  spirito  filosofico,  volto  all'indagine  d'un  problema, 
che  aveva  richiamato  l' attenzione  di   tanti   altri.  ■*  E  cosi  1'  Ortis  quanto  al 


perdentesi  in  cose  minute  ecc.  „  In  quel  tempo,  o  giù  di  lì,  un  altro  aquilano  Orazio  Antonio 
Cappelli  dedicava  al  Re  cattolico  delle  due  Sicilie  un  poema  filosofico  in  quattro  libri 
Della  legge  di  Natura,  in  Napoli  presso  Donato  Campo,  che  si  chiude  con  le  lodi  al  governo 
del  Principe!  (MagaBzinu  Toscano,  voi.  12.). 

i  Un  sentore  di  satira  personale,  perduto  per  noi,  doveva  essere  nel  Platone,  specie  nel 
Tom.  II,  dove  sotto  la  figura  di  Nicorio  è  vivamente  e  neramente  dipinto  Monti,  come  diceva 
con  dolore  il  Manzoni, scrivendone  all'amico  G.  B.  Pagani  in  data  6  settembre  1807  (Kpist. 
Voi.  1.);  nelle  Edizioni  posteriori  alla  prima  milanese  il  luogo  in  discorso  fu  soppresso. 

2  Un  anno  prima  della  Saffo  era  uscito  in  Parigi  Agalhon  et  Deidamie  par  M.  de , . .  che 
svolge  una  scena  d'amore  tra  notizie  archeologiche  nell'isola  di  Paros  e  in  luoghi  vicini 
ad  Atene.  E  poiché  sono  a  codeste  citazioni,  ricorderò  un  altro  racconto  di  qiiegll  anni, 
posteriore  di  poco  alla  Saffo,  stampato  a  Florence,  Imprimerie  de  la  rose,  indicazione  falsa 
senza  dubbio,  di  certo  sig.  Imbert,  che  pone  la  scena  a  Troia,  prima  del  famoso  assedio. 

8  11  M.  scrive  che  il  romanzo  uscì  in  Bologna  nel  maggio  o  nel  giugno  del  '99;  Foscolo 
dice  "verso  la  fine  „  di  quell'anno;  Notizia  Bibliogr.  dettata  per  l'edizione  londinese,  che 
invece  fu  fatta  a  Zurigo, 

4  Alle  rare  notizie  in  proposito  (p.  308  e  segg.)  aggiungerò,  che  alcuni  anni  prima  da 
nn  giovine  piemontese,  il  cav.  Viale,  era  stato  pubblicato  in  Genova  per  il  Francelli  sotto 
il  bel  nome  di  Canti  del  solitario  delle  Alpi  un  poemetto  in  ottave,  tutto  sul  Suicidio.  Vedi 
fJiorn.  della  Lelt.Ilal.per  l'anno  1793  dove  è  recato  anche  un  sonetto  del  medesimo  autore 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  109 

soggetto  e  all'arte,  parve  "  suggellare  un  periodo  delia  storia  del  romanzo, 
"  e  finire  un  genere  passionale  „  anziché  aprire  la  via  a  un  nuovo  indirizzo 
artistico  (p.  320).  Lasciamo  all' A.  rispondere  de' suoi  giudizj.  e  avvertiamo 
r  imparzialità  con  la  quale  si  comporta  nella  controversia  dei  rapporti  tra 
il  Werther  e  1'  Ortis;  proclive  a  scagionare  il  Foscolo  dalla  taccia  di  bu- 
giardo, che  in  questo  proposito  gli  fu  affibbiata,  pensa  che  l'eroe  del  nostro 
romanzo  è  pili  vero  del  tedesco,  più  psicologicamente  consono  alle  situazioni 
che  lo  sospingono  alla  tragica  soluzione  finale.  In  materia  non  del  tutto 
nuova,  ha  trovato  modo  di  dir  cose  non  dette  e  interessanti,  e  scrivere 
pagine  che  mi  sembrano  delle  più  rapide  e  convincenti. 

Né  meno  importante  è  il  capitolo  ultimo,  VII  (pp.  326-334),  fatto  in  gran 
parte  di  considerazioni  generali,  fondate,  s'intende,  su  documenti  e  prove  che 
l'A.  ha  raccolto  da  opere  di  critica  e  di  amena  letteratura,  commedie,  no- 
velle, corrispondenze,  giornali,  memorie;  e  dove  anche  si  trovano  tante  que- 
stioni collaterali  sull'utilità  del  romanzo,  combattuto  da'  Giansenisti  e  da'  Ge- 
suiti, da  trattatisi  e  da  predicatori  ;  sul  suo  diffondersi  e  prevalere  come  forma 
connessa  con  l'estetica  e  l'anima  del  tempo;  sopra  quel  suo  accompagnare 
e  cooperare  al  risvegliarsi  della  coscienza  morale  e  civile  e  al  raffinarsi  del 
sentimento,  all' entusiasmo  per  la  scienza  e  la  filosofia,  all' amore  per  le  in- 
dagini della  storia,  nella  quale,  un  po' più  tardi,  cercò  fatti  e  soggetti,  che  po- 
tessero accendere  altri  sentimenti,  che  non  i  soliti  dell'amore  e  della  galan- 
teria per  carezzare  le  orecchie  patrizie. 

Dalla  vergognosa  celebrità  del  Chiari,  come  la  chiamò  un  giudice  forse 
un  po'  parziale  (p.  332),  che  fece  del  romanzo  un  guazzabuglio  di  cose  sor- 
prendenti e  scomposte,  al  Foscolo,  che  diede  al  romanzo  la  consistenza 
d'una  vera  e  propria  opera  d'arte  (p.  319),  l'A.  ha  traccialo  in  questi  suoi 
studj  il  cammino  da  esso  percorso  nel  secolo,  che  sta  scritto  in  fronte  al  libro. 

Al  quale  come  siasi  apparecchiato,  con  qual  corredo  di  materiali  diligen- 
temente raccolto  ed  elaborato,  oltre  le  ricche  notizie  bibliografiche,  messe  a 
lor  luogo  nel  testo  a  pie' di  pagina,  fa  fede  la  seconda  appendice,  dove  sono 
catalogati  i  romanzi  italiani  e  tradotti  del  sec.  XVIII  ;  a  centinaia,  benché 
nella  breve  nota,  che  va  innanzi,  accenni  all'imperfezione  e  deficienza  del 
Saggio,  giustificate  dalla  difficoltà  di  simili  ricerche.  * 


pieno  di  quel  tetro  malinconico  e  fantastico,  che  è  in  tanti  scritti  di  quel  tempo.  Del  resto 
molti  anni  prima  Appiano  Buonafede  aveva  pubblicato  iu  Lucca  una  Storia  critica  e  filosofica 
del  snicidio  rugio)tnto,{ne\ìsi  Stamperia  di  V.  Giiintini,  1761),  dove  tra  altri  maestri  di  quel- 
Tatto  cita  nn'apolof;ia  del  suicidio  ardita  ed  eloquente  fatta  dal  Montesquieu  nella  set- 
tantaquattresima  delle  I.ettres  Per.iuiies;  veramente  è  la  LXXVI  neU'ediz.  Garnier  Freres, 
Paria.  In  quella  storia  Cromaeiano  ricorda  parecchi  moderni,  oltre  gli  antichi,  che  prima  di 
Werther  e  di  Ortis  s'apparecchiarono  al  suicidio  con  pieno  convincimento. 

1  A  p.  386  del  Saggio  dà  le  Disgrazie  d'Urania,  sema  nome  d'autore;  una  edizione  bo- 
doniana, Parma  1793,  lo  dà  come  opera  di  Carlo  Benvenuto  Rebbio  conte  di  S.Raffaele:  e 
credo  sia  del  medesimo  una  Emirena,  romanzo  educativo  stampato  dal  Malatesta  in  Milano 
nel  1776.  —  A  p.  397;  Vita  del  Barone  di  YVémA-,  edizione  del  1789,  Italia;  non  so  se  sia  una 
stessa  cosa  con  una  che  è  data  come  traduzione  dal  francese  e  l'indicazione  Italia,  in 
Milano  presso  Giacomo  Barelli.  —  A  p.  389,  Memorie  delia  Duchessa  di  Kingston  ;  molto  prima 
dell'edizione  veneziana,  se  n'era  fatto  un  transunto  per  il  Giornale  delle  nuove  mode,  anno 
1788-89  tom.  VI-VII. —  Aggiungerò;  Abdeker  ossia  l'arte  di  conoscere  la  bellezza,  romanzetto 
galante,  pieno  di  fredde  allegorie,  tradotto  dal  francese;  Italia,  1787.  —  Lettere  inglesi  di  di- 


ilo  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Troppe  altre  citazioni  e  osservazioni  richiederebbe  la  copiosa  materia  del 
volume,  specie  dove,  senza  uscire  dal  soggetto  principale,  si  stende  in  ri- 
cerche comparative  e  raffronti  con  opere  simili  di  altre  letterature,  già  adulte 
e  rigogliose,  dove  il  romanzo  era  davvero  la  dimostrazione  dell'indole  e  dello 
spirito  di  quelle  genti,  e  rappresentava,  comunque,  una  vittoria  della  moder- 
nità sulle  grandi  forme  tradizionali  dell'arte  classica,  che  a  quella  genera- 
zione impaziente  e  audace,  desiderosa  di  verità,  non  parevano  le  più  adatte 
a  servire  come  mezzi  di  propaganda.  —  Ma  non  voglio  abusare  oltre  della 
cortese  ospitalità  della  Rassegna,  contento  d' aver  messo  in  chiaro  i  pregj  e 
l'importanza  del  lavoro.  T.  Goncari. 


Lewis  Einstein.  —  The  italian  Renaissance  in  England  Shtdies.  — 
New  York,  The  Columbia  University  press,  1902  (8.°  picc, 
pp.  XVI-420). 

Non  veramente  di  «Studj»,  come  si  legge  nel  titolo,  si  tratta; 
bensì  di  un'opera  complessiva  di  divulgazione.  Che  se  qua  e  là 
l'autore  ha  occasione  —  come  vedremo  —  di  esporre  i  risul- 
tamenti  d' indagini  proprie,  per  lo  più  egli  altro  non  fa  se  non 
raccogliere  da  fonti  stampate,  antiche  e  moderne,  sommarie  no- 
tizie sugl'importanti  quanto  vasti  soggetti,  che  negli  otto  capi- 
toli del  suo  lavoro  viene  sinteticamente  svolgendo. 

È  un  libro  questo  del  signor  Einstein,  che  può  aspirare  prin- 
cipalmente al  vanto  d'invogliare  gli  studiosi  a  rivolgersi  ad  un 
campo  ch'egli  nella  prefazione  non  a  torto  chiama  mezzo  ine- 
splorato. Il  disegno  della  grande  opera,  a  cui  la  fortuna  delle 
lettere  italiane  in  Inghilterra  durante  i  secoli  XV  e  XVI  merita 
di  offrire  argomento,  c'è  già  in  queste  pagine,  giudiziosamente  e 
maestrevolmente  tracciato;  anche  la  disposizione  della  materia 
dovrà  essere  certo  non  diversa  da  quella  che  qui  le  è  data.  Ma 
perché  tale  opera  possa  esser  scritta  con  quella  copia  di  notizie 


verse  dame  tradotte  daU'ingleae  ;  l'autore  dev'  essere  itaHano,  come  si  può  argomentare  dalla 
uotizìa  che  ne  davano  le  Xoveìle  Leti,  di  Venezia  per  l'anno  1754,  p.  40.  —  Sogno,  tr&dnziooe 
dal  francese,  con  aggiunte  e  note;  Milano,  1775  presso  Galeazzi. —  Anna  Dell, storia  Inglese, 
Milano  1776;  la  traduzione  italiana  è  dedicata  «  all'autore  cbiarissimo  del  Libro  dei  delitti 
e  delle  pene  ».  —  Le  disgrazie  del  destino  ovvero  1  Paesi  per  amore  con  rami,  Italia  1778,  presso 
i  librari  mercanti  di  novità  nella  stamperia  Pirola.  —  Noterò  per  ultimo  che  a  p.  415  il  M.  dà 
tra  i  romanzi  1/ Ulisse  il  giovane  dell' ab.  Lazzarini,  che  è  il  titolo  d'una  tragedia  del  Laz- 
zarini  stampata  tra  il  1719  e  20  a  Padova  e  a  Ferrara;  equivoco,  come  l'A.  medesimo  mi 
avvisa,  incorso  a  cagione  di  un  Catalogo  di  libri  italiani  del  fu  signor  Ploncel,  avvocato  al 
Parlamento  di  Parigi,  nel  quale  catalogo  sotto  la  rubrica  Homanzi  p.  318  tra  gli  altri  è  citato 
l'Ulisse.  —  Un  romanzetto  pastorale  dev'essere  anche  //  Monte  Ureo  del  Savioli,  opera  gio- 
vanile sull'andamento  deW Arcadia  Abì  Sanoazzaro;  il  trovarci  de' versi  tramezzati  alla 
prosa  non  guasta,  perché,  per  esempio,  erano  in  versi  anche  i  romanzi  di  Riccardo  Blakmor, 
ohe  G.  Gozzi,  in  nota  al  Saggio  di  critica  del  Pope,  cant.  Ili,  chiama  lo  Sondery  dell'lnghil- 
t«rra,  e  del  quale  si  diceva  che  ogni  anno  partorisse  un  grosso  volume. 


^  DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  111 

eh' è  desiderabile,  occorre  che  prima  venga  condotto  molto  in- 
nanzi il  lavoro  monografico  preparatorio;  occorre  che  sia  prima 
bene  dissodato  il  terreno  su  cui  si  dovrà  edificare,  mediante  le 
industri  fatiche  di  eruditi  inglesi,  americani  ed  italiani;  occorre, 
insomma,  che  si  faccia  per  l'Inghilterra  ciò  che  per  la  Francia 
son  venuti  e  vengono  facendo,  oltre  a  qualche  nostro  connazio- 
nale, il  Picot,  il  Vianey,  l'Hauvette  ecc.^  Con  ottimo  pensiero, 
tre  professori  americani,  G.  E.  Woodberry,  J.  B.  Fletcher,  J.  E. 
Spingarn,  hanno  in  questi  giorni  messo  mano  alla  pubblicazione 
di  un  Journal  of  comparative  literature,  sotto  gli  auspicj  della 
Columbia  University  di  Nuova  York.-*  Griova  augurare,  che  con 
questo  mezzo,  e  mediante  la  serie  degli  studj  di  letteratura  com- 
parata editi  dalla  detta  Università,  dei  quali  anche  il  volume  di 
cui  parliamo  fa  parte,  si  riesca  a  mettere  insieme  tutto  il  mate- 
riale che  occorre  alla  costruzione  del  desiderato  edifizio.  All'Ein- 
stein resterà  pur  sempre  il  merito  d'esserne  stato  il  primo  ar- 
chitetto. E  se  la  sintesi  finale  sarà  affidata  a  lui,  tanto  meglio. 

Vediamo  intanto  e  i  pregi  e  le  lacune  del  libro  che  ci  sta 
dinanzi. 

Nel  primo  capitolo  si  parla  di  coloro  che  primi  ammirarono, 
e  fecero  ammirare,  in  Inghilterra  la  cultura  umanistica.  Sono 
eruditi  e  mecenati:  fra  questi  ultimi,  di  gran  lunga  più  beneme- 
rito di  ogni  altro  Umfredo  duca  di  Glocester.  Le  notizie  che  l'Ein- 
stein dà  intorno  ad  esso  e  ai  letterati  italiani  da  lui  protetti 
poco  aggiungono  a  ciò  che  si  ricava  dal  Creighton  ^  e  dal  Voigt.* 
L'autore  avrebbe  potuto  arricchirle  giovandosi  delle  pagine  che 
il  Borsa  nella  sua  monografia  sul  Decembrio  °  dedica  al  duca  di 
Glocester  e  ai  vincoli  che  lo  strinsero  ai  nostri  umanisti,  in  ispecie 
a  Tito  Livio  da  Forlì.  Sul  quale,  del  pari  che  sulla  corrispondenza 
del  Decembrio  col  Duca,  gli  avrebbe  inoltre  giovato  conoscere 
un  altro  scritto  sul  celebre  umanista  di  Vigevano:  quello  del 
Gabotto.^ 

1  Vero  modello  di  cosi  fatte  monografie  mi  sembrano  le  due  recentissime  di  E.  Picot  :  ies 
llulitns  en  France  mi  XVI.  siede,  1.  serie  (Bordeaux,  1902,  estr.  dal  Bull,  italieti)  e  Dts  Francois 
qtrì  out  éciit  en  iMien  mi  X\'I.  siede,  Parigi,  1902,  (estr.  dalla  Her.  lUs  bibliothèqws),  con  le  quali 
il  mio  dotto  amico  si  viene  preparando  a  quella  Histoire  de  la  liltér.  ital.  en  France  au  XVI, 
.«iVc/e,  ch'egli  promette,  e  che  riuscirà  certo  magistrale  e  in  ogni  parte  compiuta. 

*  Han  promesso  di  collaborarvi  anche  una  ventina  di  comparatisti  stranieri,  fra  cui  otto 
italiani. 

3  The  Eady  Renaissance  in  England,  Cambridge,  1895. 

*  Die  WiederbelebMii/  des  class.  Àltedhnms,3  Berlino,  1893.  I)  cap.  l.del  lib.  VI,  che  tratta 
dell'Umanesimo  in  Inghiterra,  è  messo  qui  largamente  a  profitto  dell'Einstein. 

5  tji  umanista  viyivanasco  del  sec.  XIV,  Genova,  1893  (estr.  dal  O'ioni.  liyustico,  XX),  cap.  II. 
Ofr.  questa  Ross.,  1,  229  sgg. 

6  1/ attività  politica  di  P.  C.  Pecenibiio.  Genova,  1893  (estr.  dal  Giorn.  ligustico,  XX),  pp.  35-6 
e  39.  Cfr.  questa  Ra^s.,  loc.  cit.  —  11  Gabotto  quivi  (p.  35)  prometteva  anche  un  lavoro  speciale 


112  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA  * 

Anche  ciò  che  l'È.  ci  fa  sapere  intorno  agli  Inglesi  che  nel 
secolo  XV  vennero  ad  erudirsi  nelle  Università  italiane  è  troppo 
scarso.^  Si  può  dire,  anzi,  che  serva  soltanto  a  stuzzicar  la  nostra 
curiosità  e,  di  conseguenza,  a  far  sorgere  in  noi  il  desiderio  d'un 
lavoro  speciale  sull'importante  soggetto,  simile  a  quello  che, 
con  diligenza  e  perizia,  ha  incominciato  il  Picot  intorno  agli  stu- 
denti francesi  venuti  fra  noi.^  Parimente,  sugl'Italiani  che  inse- 
gnarono umanità  ad  Oxford,  non  troviamo  in  questo  libro  se  non 
qualche  accenno.  Sarà  vero  che,  com'  è  stato  congetturato,  il 
Grocyn  e  il  Linacre  —  i  quali  formano  col  Latimer  la  triade  del- 
l'erudizione  oxoniese  nell'estremo  Quattrocento  —  abbiano  stu- 
diato in  Oxford  sotto  Cornelio  Vitelli?  Di  questo  lodato  latinista 
e  grecista  italiano,  che  fu,  secondo  Polidoro  Vergili,  il  primo 
docente  d'umane  lettere  in  quella  città,  perché  non  dar  notizia 
ai  lettori?  Il  Vitelli  fu  anche  professore  d'eloquenza  all'Univer- 
sità di  Parigi,  e  in  Italia  insegnò  a  Venezia  e,  probabilmente,  a 
Padova.  Nativo  di  Cortona,  non  già  di  Corneto,  come  credette  il 
Vergili, 3  egli  è  noto  soprattutto  per  le  sue  scritture  contro  il  Pe- 
rotto ed  il  Merula.* 

Molto  più  copioso  di  notizie  è  il  capitolo  secondo,  che  tratta 
dell'efficacia  esercitata  sul  costume  cortigianesco  dell'Inghilterra 
dall'esempio  delle  corti  italiane  del  Rinascimento  e  dai  libri  del 
Castiglione,  del  Della  Casa,  del  Muzio,  del  Guazzo,  ecc.  Notevole 
ciò  che  l'Einstein  scrive  del  Book  of  honor  and  arnies  e  del  Honor 
militar  and  civìl  di  Guglielmo  Segar,  della  Fractise  del  Saviolo, 
del  The  nobles  or  of  nohility  dell' Humphrey.  Curiosi  particolari 


(ohe  credo  uoii  abbia  mai  pubblicato)  sulle  relazioni  italiane  di  Uuifredo.  —  Giova  osservare, 
che  al  Duca  di  Glocester  è  dedicata  una  delle  tante  versioni  dal  greco  di  Lapo  da  Castì- 
glionchio  iuniore:  la  l'iVn  d'/lW^secse  di  Plutarco.  Nella  dedicatoria  (ex  Bouonia,  II  non.  decein. 
1437),  stampata  per  interi)  nelle  Vite  di  Plutarco  edite  dal  Campano  a  Uoma  nel  1470  (1,225) 
e  parzialmente  da  F.  P.  Luiso,  in  StuiJj  Hai.  di  floìof/ia  clnssicn  di  Firenze,  VII,  273-75,  Lapo 
4ice  di  avere  avuto  contezza  dell'amore  d'Umfredo  per  gli  studj  d'umane  lettere  da  Zenone 
di  Castiglione,  vescovo  di  Bayeux  (sul  quale  v.  Borsa,  Wece/iilicio,  cit ,  pp.  60-61). 

i  Gli  sarebbe  stato  utile  vedere  ciò  che  della  dimora  di  Giovanni  Tiptoft,  conte  di  Wor- 
cester, in  Italia  e  della  dedica  d'una  versione  di  Luciano  fattagli  dal  Griflblini  verso  il  1460, 
scrive  G.  Mancini,  Frane.  OriffuUni  coynominuto  h'iimc.  Aretino,  Firenze,  18;)0,  pp.  30-31.  Dire 
"  Francesco  Aretino  ,  soltanto  (Einstein,  p.  25)  genera  ambiguità;  dacché  può  far  credere,  che 
si  tratti  del  celebre  Francesco  Accolti. 

2  Aes-  Fiu»{uiiò-  à  V  Uìiiveimlé  de  Ferrara  uu  XV.  et  «a  XVI.  siede,  in  Juuriìal  des  satunti, 
febbraio-marzo  1902. 

3  PoLiDOBi  Vebgilii  A)/,(///cne  Insloriae,  Basilea,  1534,  p.  610:  "  Cornelius  Vitellius,  homo 
'  ìtalus  Corneti,  quod  est  maritimum  Hetruriao  oppidum,  natus  nobili  prosapia,  vir  optimua 
'  graticsusque,  o  m  n  i  u  m   primus    Oxonii   bonas   litcras   docuerat,. 

■»  Cfr.  TiBABoscHi,  Storia  d.  leti,  it.,  VI,  lib.  3.",  cap.  V,  §  66  ;  Zeno,  Vonsia>ie,  li,  64,  83  ;  Hal- 
LAM,  Hill,  de  la  Itttér.  de  l' Europe,  traduz.  di  A.  Borghers,  Parigi,  1839, 1,  234-35,  276;  Crrvieb, 
Hist.de  l' Univ.  de  Paris,  IV,  439,  441;  G.  Mancini,  //  cotitribvto  dei  Cortonesi  alla  cultura  ital., 
Firenze,  1898,  pp.  21,  26-26. 


DELLA   LÉl-tEftAtURA    ITALIANA  113 

egli  ci  offre  circii  allo  «  sport  »,  alle  maschere  ed  alle  mode  che 
gl'Inglesi  nel  Cinquecento  imitavano  dagl'Italiani;  e  fa  giuste 
osservazioni  sulle  teoriche  intorno  all'amore  e  alla  donna,  sul- 
l'idea del  perfetto  cortigiano  e  diplomatico,  sulle  dottrine  stra- 
tegiche, ch'essi  imparavano  allora  da  noi.  La  conoscenza  del  no- 
stro idioma  alla  corte  d'Enrico  Vili  e  poi  della  regina  Elisabetta; 
le  fatiche  di  Giovanni  Florio,  figlio  d' un  profugo  protestante  ita- 
liano, ad  incremento  di  tale  conoscenza;  infine  l'impronta  essen- 
zialmente italiana  data  in  Inghilterra,  durante  il  secolo  decimo- 
sesto, cosi  alla  vita  dell'alta  società,  come  all'educazione  femmi- 
nile, off'rono  argomento  all'ultima  parte  di  questo  capitolo. 

Al  quale  ne  tien  dietro  un  altro  che,  a  mio  avviso,  è  il  mi- 
gliore del  libro.  Tratta  degli  Inglesi  che  nel  Rinascimento  viag- 
giarono per  l'Italia,  ammirandone  gli  splendori  artistici,  e  ne  de- 
scrissero ai  connazionali  le  bellezze  ed  i  costumi.  In  questa  parte 
del  suo  lavoro  l'Einstein  s'è  valso  di  materiale  difficilmente  ac- 
cessibile a  noi  Italiani,  od  anche  inedito  nelle  biblioteche  del 
Regno  Unito;  ^  onde  ha  fatto  opera  veramente  utile,  per  quanto 
suscettiva  di  non  pochi  accrescimenti.  Ed  utile,  ma  troppo  som- 
mario, è  ciò  che  nel  capitolo  seguente  (di  sole  venti  pagine)  egli 
dice  del  fanatismo  britannico  per  le  cose  nostre  e  del  conseguente 
grido  d'' all' armi  contro  il  «  pericolo  italiano  »,  per  cui  l' «  italia- 
«  nate  englishman  »  divenne  oggetto  di  riprovazione  e  di  sarcasmo. 

Deficiente,  invece,  mi  sembra  il  capitolo  V,  con  cui  si  apre  la 
seconda  parte  del  libro.  Il  soggetto,  attraentissimo,  —  «  GÌ'  Ita- 
«  liani  in  Inghilterra:  ecclesiastici,  artisti  e  viaggiatori  »  —  me- 
ritava di  più  e  di  meglio!  La  questione  se  Dante  fu  ad  Oxford 
vi  è  appena  accennata.  ^  Fra  i  dotti  della  nostra  nazione  che 
varcarono  la  Manica,  non  veggo  ricordato,  né  qui  né  altrove,  quel 
Girolamo  Balbi  di  Venezia,  tipo  d'umanista  vero  (nel  senso  più 
lato  del  vocabolo  e  sul  vecchio  stampo  italiano),  che  le  famose 
polemiche  coll'Andrelini,  col  Tardif,  col  Gaguin  ^  costrinsero  verso 
il  1496  a  lasciar  Parigi,  dove  professava  umane  lettere,  e  a  tra- 
sferirsi in  Inorhilterra.  *  Di  Andrea  Ammonio  della  Rena  da  Lucca 


1  Veggasi,  a  pp.  386-87,  la  lista  degli  Enqlish  accouiifs  of  Itali/  in  the  aixteetdh  centuri/. 

*  L'È.  dice  soltanto:  •  It  has  even  beeii  tbougbt  by  sorue,  tbat  Dante  stadied  tbeology 
«  tbere  »  (p.  180).  Kppure,  qwel  cbe  in  proposito  ebbero  ad  osservare  il  Gladstone  (in  A7ji«- 
teeìith  ceuluiif  del  giugno  1892),  A.  R.  Maksh  (in  The  nntion  del  27  aprile  1893)  ed  altri  meri- 
tava d'esser  discusso.  Cfr.  A.  Makendczzo,  Se.  Dante  fu  ad  Oxford,  in  La  .scintilla,  X,  un.  18  sgg. 

3  Vedi  in  proposito  h.  Gkigkr,  Studien  cui-  Gesch.  d.franzós.  Htimunisuius,  in  Vierteijabrs- 
schrifi  f .  Kultur  u.  Lilter.  der  Renaissance,  l,  1-48. 

*  Sul  Balbi,  oltre  all' Agostini  (ScriW.  »«««».,  ir,  240  sgg.),  al  ÌH/iZZVcaBijVi{Scritt.  d' Italia, 
II,  I,  83)  e  al  Tibaboschi  (Storia,  loc.  cit.,  §  65),  v.  1  miei  Slitdj  di  utoiia  ìelter.  Hai.  e  straniira. 
Livorno,  1895,  pp.  206-7. 


114  RASSEGNA   BIBLIOflRAFICA 

(ra.  1517)  è  qui  ricordato,  incompiutamente,  il  nome  ^  e  poco  pili; 
laddove  egli  avrebbe  dovuto  campeggiare  nel  capitolo  di  cui  par- 
liamo. Non  lieve  efficacia  ebbe,  in  fatto,  sui  conterranei  d'ado- 
zione questo  grande  amico  d'Erasmo,  2  che  diventò  segretario  del 
re  d'Inghilterra  per  le  lettere  latine,  e  si  procacciò  la  stima  di 
uomini  come  Tommaso  Moro  e  Giovanni  Colet,  ^  1  suoi  Poemata, 
fino  a  noi  pervenuti,  che  lo  mostrano  in  relazione  con  alti  digni- 
tarj  britannici,  la  sua  Scolici  conflictus  historia  e  il  De  rebus  nihili, 
di  cui  abbiam  notizia  dalle  lettere  dell'umanista  di  Rotterdam, 
certo  giovarono  a  rafforzare  nella  patria  dello  Shakespeare  lo  stu- 
dio e  l'amore  delle  lettere  latine.*  Similmente,  contribuì  non  poco 
a  diffondere  presso  codesta  nazione  la  cultura  umanistica  quel 
Polidoro  Vergilio  o  Vergili,  di  cui  l'Einstein  nel  suo  libro  avrebbe 
dovuto  trattare,  per  quanto  sommariamente,  con  ben  maggiore 
accuratezza.  ^ 

Dopo  aver  discorso  brevemente  degli  artisti  italiani  in  Inghil- 
terra, dei  libri  in  italiano  quivi  stampati,  de' nostri  eretici  che, 
come  Bernardino  Ochino  e  Pietro  Martire  Vermigli,  vi  si  rifu- 
giarono, degli  ambasciatori  veneziani  e  di  quanti  altri  riferirono 
in  Italia  ciò  che  oltre  la  Manica  avevano  osservato,  l'autore  vie- 
ne a  trattare  un  tema  che  non  entra  propriamente  nell'ambito 
degli  studj  letterarj  :  i  mercanti  italiani  in  Inghilterra.  Noi  ci 
contenteremo  di  notare,  come  qui  l'Einstein,  pur  valendosi  d'uno 
speciale  lavoro  di  E.  A.  Bond  su  tal  soggetto,  *>  esponga  i  risul- 
tamenti  di  ricerche  proprie  nell'Archivio  di  Stato  di  Firenze  e 
nei  manoscritti  del  Museo  Britannico.  ^  La  parte  meno  approfon- 
dita di  questo  importante  capitolo  ci  sembra  quella  che  riguarda 
l'effetto  prodotto  sul  popolo  destinato  a  divenire  il  padrone  dei 
mari  dall'esempio  e  dall'opera  dei  nostri  navigatori,  esploratori 
e  geografi.  Il  bellissimo  argomento  vi  è  appena  sfiorato.  Scarse 
ed  inesatte  le  notizie  su  Pietro  Martire  d' Anghiera  e  le  sue  Decades 


1  La  vera  forma  del  nome  italiano  d'Ammonio,  sfuggita  anche  al  diligentissimo  .VIaz- 
zucHELLi  {Scritt.  d'  Ilalin,l\,&i&-i'l),fn  trovata  da  C.  Lucchesini,  Della  storia  Mter.  dei  ducalo 
liiccluse,  in  Mem.  e  dncum.  per  servire  alla  storia  del  ducato  lucchese,  Lucca,  1825,  IX,  182. 

*  Ofr.  M.  Reich,  Erusnius  v.  Rotterdam  ecc.,  in  Wesldeutsche  Zeitschrift,  supplem.  IX  [1896|, 
136.  E  vedi  l'ediz.  di  Leida,  1710,  delle  Opera  omnia  d' Erasmo,  III,  I,  col.  103  D,  403  B,  788  P. 

s  Cfr.  S.  Knight,  Tlie  life  of  d.r  Jolm  Colet,  Londra,  1724.  Quest'opera  contiene  utili  notizie 
su  Ammonio,  dalle  qnali  l'È.  avrebbe  potuto  ricavar  profitto. 

4  Cfr.  E.  G.  Ledos,  Les  poésies  lutines  d'Andrea  Ammonio  della  Rena,  in  Rer.des  hibliothi- 
qiits,  magtfio  1897.  Anche  questo  articolo,  scritto  con  piena  conoscenza  delle  fonti  per  la  vita 
d'Ammonio,  avrebbe  potuto  somministrare  all'È,  il  modo  di  trattar  di  lui  come  si  conveniva. 

8  Oltre  al  Tiraboschi  ed  al  Bayle,  vedi  sul  Vergili  il  Commentario  degli  uomini  ilhtatri 
d'  Urbino,  Urbino,  1819,  pp.  95-100. 

6  Italian  merchauts  in  Enyland,  in  Arclineologia,  voi.  XXVIII. 

7  Cfr.  la  lista  delle  itaniiscripl  soiirces,  a  pp.  391-93. 


DfiLLA    LETTERATURA    ITALIANA  115 

de  orbe  novo;  '  irriconoscibile,  sotto  l'appellativo  di  Luigi  Ver- 
tomanno  ria  Roma,  il  viaggiatore  bolognese  Lodovico  de  Varthe- 
ma,  autore  del  divulgatissimo  Itinerario.  * 

Ed  eccoci  agli  ultimi  due  capitoli  del  libro,  che  in  sole  cento 
pagine  trattano  delle  «  idee  storiche  e  politiche  degli  Italiani  in 
«  Inghilterra  »  e  dell'  influenza  della  nostra  letteratura  sulla  let- 
teratura inglese  del  Cinquecento.  È  facile  capire,  che  si  tratta  d'un 
semplice  excursus,  d'un  disegno  tracciato  a  grandi  linee,  nel  quale 
parti  rilevanti  del  quadro  rimangono  nell'ombra.  ^  Ed  anche  qui 
sviste  ed  omissioni;*  anche  qui  non  è  tenuto  conto,  quanto  si 
sarebbe  dovuto,  di  qualche  scritto  speciale.  ^  Ma,  nonostante,  la 


1  Pietro  Martire  non  fu  mal  presidente  del  Consiglio  delle  Indie,  come  a^erma  l' antore 
a  pag.  279:  bensì  elettone  membro  nel  1518,  venne  confermato  nell'ufficio  sei  anni  dopo, 
quando  si  procedette  al  riordinamento  di  tale  consesso.  Quest'errore  l'È.  avrebbe  evitato,  se 
sul  geografo  d'Anghiera  avesse  messo  a  profitto  le  monografie  di  H.  A.  Schumacher,  Petrus 
Marti/r,  der  GeschicMschreiber  des  Wellmeeres,  Nuova  York,  1879;  I.  H.  Mabiéjol,  P.  M.  d'Anghiera, 
Parigi,  1887;  G.  Pennesi,  P.  M.  d'A.  e  le  sue  relasioni  sulle  scoperte  oceaniche,  in  Raccolta  di 
docum.  e  sliidj  puhbl.  dalla  Commiss.  Colombiana  ecc.,  P.  V,  voi.  2°  (Roma,  1894)  E  in  tal  caso 
egli  non  avrebbe  mancato  altresì  di  notare,  che  il  De  orbe  «otonel  1587  fu  ristampato  per 
cura  d'un  inglese,  Riccardo  Hackluyt,  con  dedica  ad  un  altro  inglese,  il  Baleigh;  entrambi 
celebri  negli  annali  della  geografia. 

2  *  Lewis  Vertomannus  gentleman  of  the  citie  of  Rome  „  è  chiamato  effettivamente  il 
De  Varthema  nella  prima  versione  inglese  del  suo  Itinerario  (cfr.  P.  Amai  di  S.  Filippo,  Bio- 
grafia dei  viaggiatori  ital.  ecc.,*  Boma,  1882,  p.  237);  ma  l'È.  non  doveva  omettere  d'identificare 
codesto  incognito  *  Vertomannus  ,  col  ben  noto  viaggiatore  e  di  soggiungere  in  proposito  le 
opportune  notizie. 

3  Al  tutto  insufficiente,  per  esempio,  ciò  che  si  dice  a  pp.  363-64  sull'imitazione  italiana 
nella  novella  inglese!  All'È,  è  sfuggito  l'importante  lavoro  del  Koeppel,  Studien  ztir  Oesch. 
der  ital.  Sotelle  in  der  eiigl.  litter.  des  XVI.  Jahrh.,  Strasburgo,  1892  (fase.  70.o  delle  Qtieilen  u. 
Foracl^ngtn  ztir  Sprach  -  u.  Kultitrge^ch.  d.  german.  Vólker);  lavoro  che,  infatti,  egli  non  cita  nella 
Bibliografia  insieme  cogli  altri  del  medesimo  autore.  Vedine  riassunti  i  risultamenti  princi- 
pali nel  mio  Cinquecento,  Milano,  1902,  p.  480. 

4  Dello  Zodiacus  vitae  del  Palingenio  l'È.  cita  a  p.  346  la  versione  incompiuta  del  1561 
{The  first  six  books  of  M.  P.),  Ma  essa  usci  per  intero  alla  luce  nel  '65  ;  e  i  primi  tre  libri  il 
GooGE  aveva  già  pubblicati,  tradotti,  nel  '60  (cfr.  E.  Teza,  Lo  Zodiacus  vitae  di  Pier  Angelo  Man- 
zolli,  Bologna,  1888,  p.  11,  estr.  dal  Propugnatore).  —  li'Aininta  del  Tasso  l'È.  crede  sia  stata  tra- 
dotta in  esametri  latini  da  Tommaso  Watson  nel  1587  {correggi  1585).  Trattasi,  invece,  di  undici 
Qaerelae  dal  Watson  medesimo  composte  col  titolo  d'Aminta,  che  con  la  pastorale  tassesca 
nulla  hauno  di  comune.  Cfr.  Solerti,  Bibliogr.  dell' Aminta,  in  Opere  minori  in  versi  di  T.  Tasso, 
Bologna,  1895,  III,  cxiv  n.  —  Che  il  Cromwell  abbia  detto  al  cardinal  Polo  d'aver  preso  a 
guida  della  sua  condotta  il  Principe  del  Machiavelli,  all'erma  il  Polo  stesso  ;  ma  1'  E.  nou  do- 
veva tralasciar  di  notare,  che  la  veridicità  di  tale  asserzione  è  stata  impugnata  dal  Bbosch, 
Gesch.  von  England,  Gotha,  1890,  VI,  259  (cfr.  Villari,  -Y.  Mach,  e  i  suoi  tempi,  2  II,  433-34). 

s  Sul  soggiorno  di  Giordano  Bruno  in  Inghilterra,  era  da  mettere  a  profitto  ;in  articolo 
di  A.  Valgimioli,  in  La  vita  ital.,  1, 19  (v.  anche  L.  Auvbay,  0.  B.  à  Paris,  estr.  dai  Mém.  de  la 
Sociélé  de  t'Hìst.  de  Paris  et  de  l' Ile-de-t'rance,  XXVII  (19001,  p.  9).  -  Buone  notizie  sull'Imitazione 
del  Sannazzaro  nello  Shepheard'  s  Calendar  dello  Spenser  e  nell' ircorfm  del  Sidney,  l'È.  poteva 
ricavare  da  un  noto  scritto  del  Tobbaoa  {Gl'imitatori  stranieri  di  J.  Sannazaro,^  Roma,  1882, 
pp.  71-78).  —  Intorno  alle  imitazioni  del  Wyatt  da'  nostri  satirici,  non  si  doveva  trascurare  la 
memoria  di  P.  Bellezza,  in  llendic.  del  R.  Istituto  Lombardo,  XXX,  fase.  8.»  —  S'avverta  per 
ultimo,  che  della  vasta  e  bella  opera  di  A.  W.  Ward,  A  liistory  of  euglish  drumatie  literuture 
ecc.,  di  cui  l'È.  cita  ed  adopera  l'ediz.  del  1875  in  due  volumi,  una  nuova  edizione  rivedala 
e  corretta,  in  3  volami,  si  è  pubblicata  nel  1899  a  Londra. 


116  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

lettura  di  quest'ultima  parte  del  libro  giova  a  dare  un'idea  com- 
plessiva dei  molti  debiti  che  gl'Inglesi  hanno  coli' Italia  in  ispecie 
per  ciò  che  si  riferisce  al  magistero  dello  stile,  dell'elocuzione, 
del  verso.  Ed  oltre  che  utile,  riesce  piacevole,  per  la.  vivacità  del 
dettato  e  per  la  copia  di  assennate  osservazioni. 

Delle  quali  —  giova  notare  per  ultimo  —  non  è  penuria  nean- 
che negli  altri  capitoli  del  libro.  Anzi  in  ciò  sta  la  maggiore  at- 
trattiva di  esso  e  il  maggior  merito  dell'autore.  Chi  voglia  aver 
sott' occhio  una  specie  d'inventario,  ben  ragionato,  di  quello  che 
nel  Rinascimento  l'Inghilterra  attinse  alle  vivide  sorgenti  della 
nostra  vita,  della  nostra  cultura  e  dell'arte  nostra,  percorra  da 
capo  a  fondo  questo  volume,  che,  anche  per  l'assetto  tipografico 
e  per  le  belle  illustrazioni  che  lo  adornano,  piace  e  diletta. 

Francesco  Flamini. 


COMUNICAZIONI. 


I    VERSI    COMUNI    A    PIETRO    DA    BARSEGAPE    E    AD   UGUCCIONE    DA    LODI. 

È  noto  che  il  Tobler,  pubblicando  nel  1884  il  Libro  di  Ugugon  da  Laodho, 
richiamò  l'attenzione  degli  studiosi  sul  fatto  che  varj  gruppi  di  versi  si  ri- 
trovano uguali,  con  varianti  di  poco  conto,  nel  Sermone  del  Barsegapé,  e 
ch'egli  dette  ragione  di  questo,  certo  non  fortuito,  accordo,  supponendo  che 
il  Barsegapé  si  fosse  senza  scrupolo  giovato,  a  scanso  di  fatica,  dell'  operetta 
del  suo  più  vecchio  collega.  Al  Tobler  fecero  eco  coloro  che  più  tardi  parla- 
rono 0  dell'uno  o  dell'altro  dei  due  poemetti,  e  ricorderò  il  Salvioni,  Giornale 
storico  della  letteratura  italiana,  XXIX  45.3  n.,  e  il  Keller,  nella  sua  edizione 
critica  del  Sermone,  7.*  Io  mi  sono  persuaso  che  le  cose  stieno  in  modo  assai 
diverso,  e  mi  provo  a  darne  qui  una  dimostrazione,  che  vorrei  riuscisse  chiara 
e  convincente. 

Esaminiamo  i  passi  che  il  Barsegapé  avrebbe  tratto  dal  Libro  di  Uguc- 
cione.  Tutti,  ad  eccezione  di  uno,  che  per  ora  lascio  da  parte,  si  trovano 
verso  la  fine  del  poemetto,  dove  i  vv.  2180-2201,  2220-23,  2234-45,  2264-69, 
2272-79,  2294-319,  2334-67,  2384-92,  corrispondono  rispettivamente  ai  vv. 
1713-34,  1739-42,  1743-54,  1757-62,  1763-70,  1773-98,  1801-34,  1835-43  di 
Uguccione. 

Nel  primo  passo,  il  Barsegapé  comincia  a  descrivere  il  Giudizio  Univer- 
sale, parafrasando  molto  fedelmente  San  Matteo,  25,  31  sgg.  Si  noti  che  della 
sua  fedeltà  al  Vangelo  il  Barsegapé  se  ne  tiene  e  ne  fa  quasi  pompa  davanti 


I  Die  Reimprfdif/t  dei!  PUtio  da  Bar.ifqapé,  Kiitisclier  i'exl  mit  Mnìe'lunt/,  Grammalik  n.  Glossar, 
hrsfigb.  V.  Emil  Keller.  Fraueiifelil,  1901  {Ueiloye  min  Pioijiiiimn  der  Tìnmj.  h'anloiiscìmU  fiìr 
da»  Schuljuhf  1900  190 J). 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  117 

ai  suoi  uditori.  Parlando  delia  venuta  di  Gesii  Cristo  sulla  terra,  dice  espres- 
samente (vv.  404-5)  : 

eo  vel  volio  ouiutare 
segondo  lo  Vangelio:  e'  l'ó  traete  in  vulgare.^ 

Noi  crediamo  che  gli  si  deva  prestar  fede,  almeno  fino  a  prova  decisa- 
mente contraria. 

Dice  San  Matteo:  "  Gum  autem  venerit  Filius  hominis  in  majestate  sua, 
et  omnes  angeli  cum  eo,  tane  sedebit  super  sedem  majestatis  suae:  et  con- 
gregabuntur  ante  eum  omnes  gentes,  et  separabit  eos  ab  invicem,  sicut  pa- 
stor  segregat  oves  ab  htedis ...... 

E  il  nostro  traduce  : 

2168.  —  E  la  divina  maiestà, 

la  pretiosa  podestà, 

Jbesu  Christe,  lo  Deo  poscente, 

monto  forte  e  grande  mente 

se  ponerà  suso  la  cadrega, 

e  davanzo  In  la  nobel  schiera, 

e  cnreri  e  tubaturi 

e  li  grangi  e  li  luennri. 

Omiunca  homo  debìa  li  andà 

a  quelo  arengo  genera. 

Molto  tosto  e  prestamente 
2179. —  asemblarà  tnta  la  9ente: 


2202.  —  Partir  i  aura  lo  Segnore 
si  corno  la  lo  bon  pastore, 
ki  mete  le  pegore  dal'  una  parte 
e  li  caprili  mete  desvarte. 

E  evidente  che  fra  questi  due  passi  non  c'è  soluzione  di  continuità,  e 
che  rendono  esattamente  la  descrizione  del  primo  dei  Vangeli.  Non  si  desi- 
dera dunque  nulla  di  più.  Senonchè  fra  l' uno  e  1'  altro  sono  inseriti  22  versi 
di  Uguccione  (1713-34),  i  quali  cominciano: 

2180.  —  Le  grande  vertue  dal  cel  vera, 
in  Josephat  la  condnrà 
l'altissimo  veraxe  Deo 
per  gndigare  lo  bon  e  "1  reo, 

e  dopo  aver  descritto  i  segni  minacciosi  del  cielo,  ecc.,  conchiudono  così: 

2200.  —  Oi  Deo,  cam  serali  beai 

killì  k'  erau  mondi  trovai  ! 

Si  può  forse  discutere  sul  buono  o  cattivo  accordo  dei  primi  di  questi 
versi  uguccioniani  con  quelli  che  li  precedono  immediatamente  nel  Sermone; 
ma  mi  par  difficile  concedere  che  dopo  gli  ultimi,  ora  citati,  i  quali  si  rife- 
riscono solo  ai  giusti,  trovino  luogo  conveniente  i  versi  del  Barsegapé  2202 


*  Il  Keller:  segoniìo  lo  tanfirìio  «  lo  tracio  in  vulgare.  Tutfal  più  posso  ammettere  cbr 
invece  di  e  V ò  sia  da  leggere  e  (copulativa)  l'ò.  CJaile  dunque  l'osservazione  del  Keller, 
pag.  4,  che  al  Barsegapé  sia  servito  di  fonte  anche  uu  ihicId  ih  lulgure. 


118  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

sgg.,  dove  si  ritorna  alla  divisione  delle  pecore  dai    becchi:  'Partir  i  avrà 

10  Segnore  '.  Non  parrà  dunque  temeraria  congettura  la  mia,  che  i  22  versi 
di  Uguccione  sieno  stali  introdotti  tardi,  per  opera  di  qualche  amanuense, 
nel  testo  del  Barsegapé,  allo   scopo  di  aggiungervi   quello  che  ci  mancava. 

11  Barsegapé  si  tiene  stretto  al  Vangelo  :  Uguccione  attinge  invece  anche 
ad  altre  fonti  più  ricche  di  particolari  e  propriamente,  com'io  credo,  ai  noti 
poemetti  francesi  sui  'quindici  segni  del  Giudizio':*  è  naturale  che  qual- 
cuno cercasse  di  fondere  insieme  i  due  testi,  per  non  perdere  nulla  di  cosi 
interessanti  notizie.  È  il  medesimo  procedimento  che  troviamo  spesso  adot- 
tato dai  trascrittori  di  enciclopedie,  di  cronache  o  anche  di  romanzi  me- 
dievali. 

Seguirebbero  i  versi  del  Barsegapé  2220-2223,  che  dovrebbero  corrispon- 
dere ai  versi  di  Uguccione  1739-1742;  ma  non  so  chi  vorrebbe  assumersi  di 
affermare  con  sicurezza  che  i  due  verseggiatori  non  possano  averli  scritti 
senza  saper  l'uno  dell'altro.  Il  testo  del  Vangelo  dice:  "Venite,  benedicti 
Patris  mei,  possidete  paratum  vobis  regnum  a  constitutìone  mundi  ,,  e  il 
Barsegapé  traduce  : 

Veni  a  mi,  benedicti  vu, 
ke  vu  sìai  li  ben  venu: 
veni  via,  alo  regno  meo, 
ki  v'è  aprestado  dal  patre  meo  ! 

E  Ugucon.  poco  diversamente,  ma  un  po' fedelmente: 

Voi  benedtieti,  a  mi  vegnì, 
lo  regno  meu  possederì, 
q*  eu  v'ài  prestad  e  preparato, 
Bì  com  a  voi  e  nonciato. 

Dopo  il  passo  citato  dianzi.  San  Matteo  continua:  "  esuri  vi  enim,  et  de- 
distis  mihi  manducare:  sitivi,  et  dedistis  miti  bibere:  hospes  eram,  et  coUe- 
gistis  me  :  nudus  et  cooperuistis  me  :  infirmus  et  visitastis  me  :  in  carcere 
eram,  et  venistis  ad  me.  Tunc  respondebunt  ei  iusti,  dicentes:  Domine,  quando 
te  vidimus  esurientem,  et  pauimus  te?.  . .  ,. 

Letterale  è  la  traduzione  del  nostro  poeta: 

2224.  —  lu  fame  e  sede  me  vedisti, 

grande  pietà  de  mi  avisti. 

Vu  me  fasisti  carìtae, 

viu  e  pane  me  desse  asae. 

Vu  me  vedisti  peregrinare, 

com  esso  vu  me  fisi  stare  ; 

nudo  me  vedisti  e  mal  gnarnido, 

e  ben  da  vui  fu  e'  vestido  : 

infermo  me  vedisti  et  In  prexon, 
2233.  —  de  mi  portasi  compassion. 


Dix  li  iusti  Mora  a  Christo: 
'  Or  di,  meser,  quando  fo  questo, 
ke  nu  te  videmo  in  povertà 
e  ke  te  fessemo  carità  '? 


1  Più  d'un  verso  di  Uguccione  è,  a  quello  che  posso   vedere,  tradotto  alla  lettera   dal 
francese. 


DELLA  LETTERATURA   ITAUAISA  119 

Ho  cambiato  nel  v.  2246  l' ancora  che  porta  il  manoscritto  in  altro  av- 
verbio  di  tempo  inlora ;  e  qaesto  basta  a  mettere  in  tutto  d'accordo  il  Bar- 
segapé  col  Vangelo,  e  a  legare  insieme  indissolubilmente  i  due  passi  riferiti. 
Come  credere  dunque  che  sieno  stati  introdotti  nel  poemetto  proprio  dal 
suo  autore  i  versi  2234-2245,  provenienti  da  Uguccione  (1743-54),  che  ripe- 
tono senza  nessun  motivo  le  medesime  cose  e  perfino  sdoppiano  la  domanda 
dei  giusti? 

2234.  —  '  E  se  eo  vigni  povero  e  uudo, 

Cam  legreva  fu  recevndo: 

per  carità  vn  ni'aìbregasi 

e  vestimente  me  donasi  : 

sed  eo  fu  infermo  et  amalao, 

da  vu  fui  ben  revisitao. 

Molto  n'avisi  pesauga  e  dol, 

si  comò  pare  de  filiol  '. 

Diran  li  insti  ad  una  voxe 

là  o  sera  la  vera  croxe: 

'  Quando  te  videmo,  patre  saucto, 
2245. —  ke  nu  te  servimo  cotanto?' 

L'amanuense,  che  inserì  questi  versi,  si  trovò,  giunto  all'ultimo  di  essi, 
dinanzi  alla  piccola  difficoltà  di  quell'avverbio  inlora  del  v.  2246  e  lo  ag- 
giustò alla  meglio  in  ancora,  ottenendo  un  apparente  legame  di  senso. 

Per  ragioni  consimili  e  forse  anche  più  forti  vanno  senz'altro  tolti  via 
dal  Sermone  i  vv.  2264-69  (=  Ug.  1757-62),  e  i  vv.  2272-79  (=  Ug.  1763-70). 
Basti  accennare  alla  sciocca  ripetizione  che  conterrebbero  i  versi  del  Barse- 
gapè  2280-81,  rispetto  ai  due  che  il  precedono.  Tarda  inserzione  sono  pur 
senza  dubbio  i  vv.  2334-2367  (=  Ug.  1801-1834),  poiché  nel  testo  del  Ser- 
mone le  parole  di  Gesù  Cristo,  sempre  ricalcate  su  quelle  del  Vangelo,  hanno 
la  loro  fine  naturale  coi  versi  2332-33: 

Maledicti  et  blastemai, 
TU  ve  stari  là  sempre  mai. 

Qualche  difficoltà  parrebbe  opporci  il  fatto  che  tolto  via  tutto  ciò  che 
spetta  ad  Uguccione,  a  questi  due  versi  ne  seguirebbero  subito  altri  due 
consimili,  i  vv.  2368-69  : 

Or  stari  destrugi  e  malmenai 
e  dala  mia  parte  sie  blastemai. 

Ma  io  non  credo  di  mancare  ai  suggerimenti  della  prudenza,  supponendo 
che  anch'essi  sieno  da  escludere  dal  Sermone,  come  uno  sdoppiamento,  non 
indagherò  se  voluto  o  casuale,  degli  altri  due. 

Finalmente  i  vv.  2384  -  92,  che  corrispondono  agli  ultimi  nove  versi  del 
Libro  di  Uguccione  (1835-43),  e  il  verso  2393,  che  probabilmente  è  di  Uguc- 
cione medesimo  (e  dovrebbe  quindi  aggiungersi  in  fine  al  suo  Libro,  resti- 
tuendogli r  ultimo  verso  che  gli  manca),  dividono  di  nuovo  parti  e  concelli 
che  devono  stare  uniti,  e  formanoun  intermezzo  inaspettato  e  perturbatore. 
Il  Barsegapé  si  propone  ora  di  tacer  dei  dannati  e  di  parlare  dei  giusti:  e 
dei  giusti  parla  nel  verso  2394  e  nei  successivi.  I  versi  uguccioniani  interposti 
si  rivolgono  invece  agli  uditori  e  sono  una  delle  solite   formole  di  chiusa  ; 


120  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

tanto  più  fuori  di  posto  in  questo  punto,  in  quanto  ciift  la  vera  chiusa  del 
Barsegapé  non  è  lontana  e,  come  si  può  imaginare,  è  somigliantissima  d'in- 
tonazione e  di  senso. 

In  questa  descrizione  del  Giudizio  universale  ho  lasciato  da  parte,  perché 
presentano  difficoltà  piti  serie,  i  vv.  2294-2319,  che  rispondono  ai  vv.  1773-98 
di  Uguccione.  Traducendo  sempre  San  Matteo,  il  Barsegapé  mette  in  versi 
le  parole  del  Signore  ai  maledetti,  e  la  parafrasi,  molto  fedele,  si  compie  col 
V.  2293.  Seguono  i  versi  di  Uguccione,  che  ripetono  al  solito  cose  consimili, 
con  particolari  un  po'  differenti,  e  che  noi,  valendoci  dell'  esperienza  ornai 
acquistata,  saremmo  pronti  ad  escludere  dal  Sermone.  Ma  due  almeno  di 
questi  versi  disgraziatamente  sono  necessarj  al  senso,  quelh  che  corrispon- 
dono all'evangelico:  "  Tunc  respondebunt  ei  et  ipsi  (i  dannati),  dicenles. . .  ,. 
Scrivo  in  corsivo  i  due  versi  di  Uguccione  strettamente  necessarj: 

2282.  —  Maledicti,  andaven  via 

in  quela  grande  tenebria, 

entro  lo  fogo  eternale  ! 

Ke  sempre  mai  devi  li  stare 

cum  lo  falso  crudel  inimìgo, 

lo  diabolo  vegio  antigo. 

No  me  valse  marce  clamare, 

ke  VII  me  volisi  albregare. 

Vii  me  vedisi  afamao, 

nndo  e  crudo  et  amalao  : 

de  mi  non  avisi  pietà, 
2293.  —  ke  a  mi  vu  fisi  carità. 


2312.  —  Responderà  li  peccalor 

con  grande  dolia  e  con  tieinor: 

2320.  —  Quando  te  videmo  nudo  esser 
eu  povertà,  fame  e  sede  ? 

Il  verso  2320,  a  dire  il  vero,  nel  manoscritto  è  legato  coi  versi  prece- 
denti, di  Uguccione,  per  mezzo  di  un  ni,  ni  quando  te  videmo,  ecc.;  ma, 
lasciando  stare  che  con  esso  abbia  una  sillaba  di  troppo,  nulla  impedisce  di 
credere  che  il  ni  sia  stato  aggiunto  proprio  allo  scopo  di  ottenere  il  necessario 
legame.  Siamo  a  un  dipresso  nel  medesimo  caso  di  quell'avverbio  inlora, 
mutato  in  ancora.  Del  resto,  nei  vv.  2320-21  è  spremuto  tutto  il  succo  delle 
parole  di  S.  Matteo:  "  Domine,  quando  te  vidimus  esurientem,  aut  sitientera, 
aut  hospitem,  aut  nudum,  aut  infirmum,  aut  in  carcere,  et  non  ministravi- 
mus  tibi?,;  cosicché  non  c'è  alcun  bisogno  di  valersi  dei  sei  versi  di 
Uguccione,  che  li  precedono  nel  manoscritto: 

2314.  —  Mo  quando  te  videmo  in  besognia, 

ke  de  ti  non  avessemo  sognia? 

Se  altra  persona  nel  dlsesse, 

a  mi  no  par  k'  e'  gel  credesse, 

ke  ti  vedesemo  infirmila 
2319  —  soferir  ne  necessità. 

Aggiungiamo  anzi  che  poco  si  accordano  questi  con  quelli,  se  non  altro 
perchè  la  necessità,  di  cui  si  parla  al  v.  2319,  non  è  altra  cosa  che  \&  povertà, 
ecc.,  del  2321. 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  121 

Concludiamo  dunque  daccapo  che  slrettamente  necessari!  sono  soltanto 
i  versi  2312-13;  e  giunti  .a  questo  punto  è  difficile  che  non  sentiamo, il 
bisogno  di  fare  l'ultimo  passo  e  di  considerare  anche  questi  ultimi  indizii 
di  plagio  come  tarda  inserzione  d'un  copista,  che  li  ha  sostituiti  a  due  versi 
originarli  del  Barsegapè.  0  diciamo  meglio.  Probabilmente  si  presentò  qui 
un  caso  consimile  a  quello  dei  vv.  2242-46,  dove  si  ripete  due  volte  *  Diran 

•  li  insti  „,  "  Dix  li  iusti  ,.  Ivi  era  possibile  rabberciare  i  versi  e,  con  una 
piccola  alterazione,  conservare  tanto  il  testo  originario  quanto  la  glossa  uguc- 
cion,iana:  nel  caso  presente  invece,  fra  le  due  parafrasi  dell'unnico  concetto 

•  dicono  i  peccatori  ,  non  essendo  interposto  nulla,  bisognava  rassegnarsi 
ad  accogliere  1' una  e  a  sopprimere  l'altra;  e  la  soppressipne,  per,  un  ^caso.o 
per^^una  svista  qualsiasi,  fu  fatta  in,  danno  del  Barsegapè,  Ma  poi,  si  può 
parlar  qui  d'una  vera  e  propria  soppressione?  Non  è  ben  .pcQbabile(iche  al- 
meno nel  primo  verso  i  due  autori  s'incontrassero,  quasi  per  forza,  in  un'unica 
forma  Responderà  li peccator?  E  anche  il  secondo  doveva  suonigirg;  nel  testo 
originale  del  Bersegapé  assai  simile  all' uguccioniano  con  gr'ctnde  dolia  Oceon 
tremor.  Uno  scambio  era  dunque  molto  facile  e  poco  dannoso:  non  era  quasi 
neppure  uno  scambio. 

Veniamo  finalmente  al  passo  che,  quantunque  si  trovi  .in  principio  del 
poemetto,  abbiam  lasciato  per  ultimo,  perché,  considerato  da  sé  solo,!noa.?i 
avrebbe  dato  modo  di  formarci  un'  opinione  ferma  e  determinata  q  aaebe 
avrebbe  potuto  indurci  in  errore.  Fondandosi  soltanto  su  di  esso  -e  chi  sa 
che  proprio  su  di  esso  non  si  sieno  fondati  e  il  Tobler  e  gli  altri?  -  uqo 
potrebbe  veramente  propendere  a  giudicare  il  Barsegapè  reo  convinto;  ma 
quanto  a  noi,  che  studiando  gli  altri  passi  ci  slam  fatto  un  chiaro  concetto 
delle  cose,  basta  un  semplice  calcolo  di  probabilità  a  persuaderci,  che  se  il 
Barsegapè,  nonostante  le  apparenze  contrarie,  non  fu  colpevole  altrove,  dif- 
ficilmente sarà  stato  in  quest'unico  passo. 

Il  Barsegapè  comincia  il  suo  poemetto  ab  ovo,  cioè  dalla  creazione  del 
mondo,  e  naturalmente  viene  ben  presto  a  parlare  di  Adamo  ed  Eva,  del 
loro  peccato  e  della  loro  punizione.  Cacciati  fuori  dal  Paradiso  terrestre, 
devono  guadagnarsi  la  vita  col  sudore  della  fronte: 

216.  —  lUi  lavoran  fera  mente 

per  ben  viver  niidria  mente, 

e  sì  1  den  aver  fiol  anche  loro: 

tal  è  reo  e  tal  è  houo. 

Tnti  semo  de  lor  ensudhi 

kl  in  questo  mniido  semo  venudhi:  -  '' 

tal  fan  '1  ben  e  tal  fan  '1  male, 
223.  —  segondo  quel  k'  i  à  plaxé  fare. 


238.  —  L' omo  à  In  si  una  cosa 

ke  noi  voi  laxar  (star)  eu  possa:  ■'  ' 

l'anima  è  l'una  e '1  corpo  è  l'altra,  ' 

ke '1  fa  spesso  de  freda  calda.  3 
L'anima  voi  stare  in  penitentla, 

I. 

1  11  Keller:  e  s'i. 

2  11  passo  è  senza  dubbio  guasto,  e  non  è  facile  correggerlo.  Si  potrebbe  pensare  che  la 
cosa  la  quale  non  lascia  star  in  posa  l'uomo  sia  l'intima  lotta  e  discordia  fra  le  due  forze 

9 


122  RASSKONA   BiBl.IOGRAFlCA 

ma  il  corpo  non  ne  vuol  sapere,  ecc.  ecc.  Una  dotnanda  si  affaccia  subilo, 
alla  quale  non  è  cosi  facile  rispondere:  questi  due  passi  sono  sufficenlemenle 
collegali  fra  loro?  Collegali  sono,  non  c'è  dubbio;  ma,  secondo  l'ingenuità 
di  quei  vecchi  narratori  e  specialmente  del  nostro  Barsegapé,  noi  ci  atten- 
deremmo qualche  verso  di  più,  che  rivolgendosi  agli  uditori,  li  preparasse 
ai  nuovi  argomenti  e  fors' anche  li  esortasse  a  meritarsi  il  paradiso.  Cosi, 
dopo  finito  di  parlare  dei  peccali  mortali,  egli  annuncia  che  passerà  a  trat- 
tare della  venuta  di  Gesù  Cristo  (vv.  404-5);  e  poi  fa  un  preambolo  non 
breve,  prima  di  descrivere  la  Passione  (861-923),  e  un  altro,  prima  di  descri- 
vere il  Giudizio  universale  ('2107-148):  a  tacere  che  oltre  ai  versi  di  pream- 
bolo, qui  ci  sono  anche  quelli  che  chiudono  con  una  delle  solite  ammonizioni 
la  parte  precedente. 

Consideriamo  però  che  il  preambolo  alla  Vita  di  Gesù  Cristo  e  quello 
al  Giudizio  universale  sono  necessarii,  perché  ci  introducono  alla  seconda  e 
alla  terza  delle  tre  grandi  parli  in  cui  il  poemetto  è  diviso:  creazione  e  pec- 
cato, redenzione,  giudizio.  Nel  nostro  passo  invece,  piuttosto  che  un  nuovo 
argomento,  abbiamo  la  conclusione  e  la  moralizzazione  della  prima  parte, 
con  tutte  le  necessarie  considerazioni  sulla  lotta  fra  la  carne  e  lo  spirito 
e  il  conseguente  trionfo  dei  peccati  mortali. 

Insomma,  potranno  rimanere  dei  dubbi,  ma  non  si  può  dimostrare  che 
fra  i  due  passi  non  ci  sia  un  sufficiente  legame;  e  tuli' al  più  ammetteremo 
volentieri  che  la  nostra  medesima  incertezza  spieghi  facilmente  come  il  so- 
lito raflfazzonatore  abbia,  fra  l'uno  e  l'altro,  inserito  alcuni  versi  di  Uguc- 
cione  (1067-80): 

224.  —  D'Adam  e  d'Eva  cimai  lasemo; 

de  <jo  ke  pò  esser,  dixemo,  > 

e  si  acomeni;a  tal  istoria 

ke  sia  de  seno  e  de  memoria! 

Et  eo  ho  ben  in  Dee  fidanza 

8en<;a  omiunca  menenian^a, 

ke  ve  dirò  un  tal  semblant 

ke  no  parrà  seno  de  fant. 
lu  questo  mundo  è  una  discordia 

ke  da  rar  sen  trova  concordia: 

l'anima  e  '1  corpo  se  };ueria, 

Qasonn  voi  prendere  la  soa  via: 

l'uu  no  voi  90  ke  l'altro  far, 
237.  —  no  se  voleu  acomunar. 

Eppure  anche  qui  l'inetliludine  dell'interpolatore  si  palesa:  l'uomo  che  scrisse 
i  vv.  238  sgg.  non  poteva  avere  davanti  a  sé  gli  ultimi  di  questi  citati  ora: 


contrarie;  e  in  tal  caso  l'ttna  e  l'altrn  del  verso  240  non  si  riferirebbero  a  quel  rosn,  ma 
starebbero  da  sé,  come  se  il  poeta  volesse  dire:  l'anima  e  il  corpo  son  due  esseri  distinti. 
E  forse  egli  scrisse:  L' uvimn  è  tmit  e.  'l  corpo  un  nitro,  Ke  'l  fa  s/itsso  de  /redo  caldo.  Ossia: 
l'anima  ha  la  sua  propria  individualità  e  ha  la  sua  anche  il  corpo;  la  qual  cosa  (cioè  la 
quale  coesisteuza  in  lui  di  due  esseri  così  diversi)  spesso  gU  fa  provare  contro  sua  voglia 
freddo  e  caldo,  oppure  lo  induce  a  continue  contradizioul,  facendolo  passare  pei  più  diversi 
stati.  Può  anch'essere  che  il  verso  Ke'l/a  s/iesso,  ecc.,  bI  riferisca  unicamente  al  corpo  :  il 
quale  corpo  spesso  lo  fa  passare  dal  freddo  al  caldo;  e  allora  sarebbe  da  ricordare  ciò  che 
il  Barsegapé  stesso  dice  del  mondo,  vv.  390  sgg.:  Eucoìi  fi  de  l'omo  k'i  m  loa  hailiu,  K 
fi*lo  «  caldo  e  fame,  sedlie  e  caristia  :  Xo  pò  star  in  una,  ou  Sia  alegro  mi  gramo. 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  128 

essi  mostrano  che  le  due  parti  sono  stale  collocate  accanto,  quasi  mecca- 
nicamente, senza  criterio.  E  chi  sa  inoltre,  se  i  versi  di  Uguccione  non  ab- 
biano anche  usurpato  il  posto  di  altri  versi  del  povero  Barsegapé,  i  quali 
dovessero  formare  quel  nesso  pili  stretto  e  più  evidente  fra  i  versi  223  e 
238,  che  pur  può  parere  desiderabile? 

Ma  le  difficoltà  non  sono  vinte  tutte:  una  ne  resta,  forse  più  grave,  certo 
tale  che  non  possiamo  formulare  intorno  ad  essa  un  giudizio  netto  e  preciso. 
Uguccione,  subito  dopo  il  peccato  di  Adamo  ed  Eva,  introduce  le  considera- 
zioni sulla  lotta  fra  l'anima  e  il  corpo:  lo  stesso  fa  pure  il  Barsegapé.  Inoltre 
i  vv.  242-52  di  questo  rammentano  abbastanza  vivamente,  per  l' andamento 
e  il  significato,  i  vv.  1085  sgg.  di  Uguccione.  Si  potrebbe  adunque  concedere 
che  il  Barsegapé  avesse  qualche  ricordo  del  Libro  del  suo  predecessore  e 
in  questo  passo  lo  seguisse  almeno  alla  lontana;  ma  a  me  sembra  più  pro- 
babile che  le  somiglianze  provengano  invece  dai  ricordi,  presenti  ad  entrambi, 
di  consimili  leggende  anteriori.  Il  passo  di  San  Paolo  {ad  Galatas  V  17), 
eh' è  il  punto  di  partenza  di  entrambi  i  poeti,  era  notissimo  e  dette  origine 
ai  più  ampi  e  varii  svolgimenti;  e  d'altra  parte  sarebbe  singolare  che  il  Bar- 
segapé, nel  quale  la  caduta  di  Adamo  ed  Eva  e  poi  le  disquisizioni  sul  pec- 
cato sono  organicamente  legate  Insieme  e  colle  parti  seguenti,  ricorresse  al 
Libro  di  Uguccione,  dove  non  stanno  da  sé  e  non  formano  che  un  breve 
particolare  in  mezzo  alla  monotona  congerie  degli  ammonimenti  morali.  Fi- 
nalmente il  motivo  delia  lotta  fra  l'anima  e  il  corpo  (o  il  mondo,  che  egli 
poi  sostituisce  a  questo)  è  svolto  dal  Barsegapé  in  modo  diverso  e  più  com- 
piuto, cosi  da  avvicinarsi  al  tipo  dei  noti  contrasti.* 

Concludo  finalmente.  Il  Barsegapé  non  è  affatto  reo  delle  colpe  appostegli 
di  plagio  continuato:  è  già  molto  se  si  può  conservare  un  leggero  dubbio 
che  gli  sia  balenato  un  fuggevole  ricordo  dell'  operetta  del  suo  predecessore 
e  ne  abbia  tratto  l'idea,  soltanto  l'idea,  d'introdurre  nella  sua  trattazione  il 
motivo  del  contrasto  fra  l'anima  e  il  corpo,  che  del  resto  egli  conosceva 
assai  bene  per  proprio  conto.  Per  tutti  gli  altri  passi  uguccioniani,  non  si 
può  dubitare  che  sieno  tarde  interpolazioni.  Forse  un  manoscritto  del  Bar- 
segapé venne  glossato  lungo  i  margini,  con  passi  analoghi  del  Libro  di  Uguc- 
cione,^  per  opera  del  suo  possessore,  che  potremmo  anche  imaginare  prov- 
vedesse cosi  ai  bisogni  della  sua  professione;  e  più  tardi  le  glosse  furono 
fuse,  con  assai  poco  discernimento  ma  non  forse  senza  un  determinato  pro- 
posito, col  testo  originale.  In  una  vera  e  propria  edizione  critica  del  Barse- 
gapé questi  passi  interpolati  dovrebbero  essere  espunti. 


1  È  piuttosto  singolare  il  passaggio  improvviso  dalle  considerazioni  sulla  discordia  del- 
l'anima e  del  corpo  ai  rimproveri  al  mondo;  beucbé  l'uno  e  l'altro  sieno  motivi  tradizio- 
nali, coi  quali  si  rannodano  le  disqnisizioni  sui  peccali  mortali,  derivate  anch'esse,  in  ul- 
tima origine,  dal  citato  passo  di  San  Paolo.  È  probabile  che  il  Barsegapé  togliesse  le  linee 
Kenerali  di  questo  passo  da  qualche  modello  anteriore,  se  non  da  piti  d'uno. 

2  E  forse  non  solo  di  Uguccione.  Vedi  Biadene,  //  Libro  delle  tre  Scritture,  ecc.,  di  Bon- 
le'ìin  da  Rita,  pag.  IX.  pei  vv.  2131-34  del  Barsegapé,  e  cfr.  Rassegna  XI, pagg.  15  sg.  (Mi  si 
permetta  di  notar  qui  che  un  errore  di  stampa  rese  di  difficile  intelligenza  le  linee  8-9  di 
pag.  15;  a  lin  8  si  legga:  'come  cercherò  di  dimostrare  ,,  ecc.,  e  nella  lìn.9  si  sopprimali 
secondo  che). 


124  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Mi  sono  diffuso  nella  dimostrazione  assai  pili  che  non  vorrebbe  l'esiguità 
dell'argomento  e  della  mia  congettura;  ma  ci  son  stato  indotto  dal  desiderio 
di  riuscir  chiaro  e  dalla  speranza  di  non  aver  a  ritornare  su  cosi  piccola 
questione.  Del  resto,  quando  si  comincia  non  si  sa  dove  si  finisce  e,  come 
dice  l'aurea  massima  del  mio  Barsegapé, 


DO  è  cosa  in  sto  mundo  -  tal  è  Ila  mia  credenza 
ki  se  possa  fenir  se  la  no  se  comen<;a. 


E.  G.  Parodi. 


CRONACA. 


.'.  È  stata  pubblicata  a  cura  del  sig.  A.  Lisini  una  seconda  edizione  del- 
l'Elenco dei  Documenti  esistenti  nella  Sala  della  Mostra  e  nel  Museo  delle 
Tavolette  dipinte  della  Biccherna  e  della  Gabella,  nel  R.  Archivio  di  Siena 
(Siena,  Lazzeri,  di  pagg.  61  con  3  illustraz.).  Il  libretto  non  è  soltanto  una 
guida  pei  visitatori,  ma  è  un  indice  di  curiosi  ed  importanti  documenti  di 
storia  e  d'arte.  Essi  risalgono  a  remota  antichità  :  il  primo  documento  è  del 
736.  Seguono  ad  esso  diplomi  imperiali  (Lodovico  il  pio,  Ottone  I,  Federigo  I, 
Carlo  IV  ecc.).  Bolle  Papali  (Alessandro  III,  Pio  II  ecc),  Documenti  con  sot- 
toscrizioni autografe  di  Imperatori  (Massimiliano,  Carlo  V  ecc.),  di  Papi  e 
Cardinali  (Leone  X,  Leone  XIII  ecc.),  di  Re  e  Princìpi  (Ugo  il  Grande,  la 
Contessa  Matilde,  Ferdinando  e  Isabella,  Filippo  II,  Francesco  Foscari,  Ga- 
leotto Manfredi,  Andrea  Doria  ecc.),  di  scienziati  e  letterati  (il  Machiavelli, 
il  Della  Casa,  Paolo  Giovio,  Claudio  Tolomei  ecc.),  di  artisti  (Giacomo  della 
Guercia,  Francesco  di  Giorgio  Martini,  il  Biringucci,  il  Peruzzi,  il  Sodoma  ecc.), 
di  capitani  ed  uomini  d'arme  (l'Aguto,  lo  Sforza,  il  Piccinino,  Prospero  Co- 
lonna, il  Borbone,  il  Maramaldo,  Malatesta  Bagiione  ecc.),  di  donne  illustri 
(le  due  Giovanne  di  Napoli,  l'Isotta  da  Rimini,  la  Caterina  Sforza,  Giulia 
Farnese,  Caterina  de' Medici,  Isabella  Orsini,  Bianca  Cappello,  Elisa  Bacioc- 
chi  ecc.):  poi,  documenti  religiosi,  politici,  artistici  (fra  questi  le  quietanze 
di  Niccola  Pisano  pei  lavori  del  Pulpito).  Notevole  è  una  serie  di  Documenti 
danteschi,  che  ricordano  personaggi  e  fatti  menzionati  nella  Div.  Commedia 
(una  sentenza  sottoscritta  da  Pier  della  Vigna,  una  procura  sottoscritta  da 
ser  Brunetto,  le  condanne  fatte  a  Casella,  il  rendiconto  della  Pia  dei  Toloraei, 
il  codicillo  di  madonna  Sapia,  una  donazione  di  Cunizza  ed  altri  assai,  e 
per  ultimo  il  Testamento  del  Boccaccio).  Seguono  Carte  mercantili  e  Curio- 
sità, e  infine  documenti  della  cacciata  degli  Spagnuoli  da  Siena  e  della  difesa 
della  libertà  in  Montalcino.  —  La  seconda  parte  dell'interessante  volumetto 
contiene  l'indice  delle  Tavolette  che  si  veggono  nel  Museo. 

.'.  Il  sig.  T.  Cannizzako,  ben  noto  come  poeta,  prende  a  trattare  colla  sua 
pubblicazione  11  Lamento  di  Lisahetta  da  Messina  e  la  Leggenda  del  Vaso 
di  Basilico  (Messina,  tip.  Tribunali,  1902,  di  pp.  125)  un  punto  controverso 
di  storia  e  di  Critica  letteraria  e  di  poesia  popolare.  È  noto  come  il  Boccaccio 
([V,  5)  dopo  aver  narrato  il  caso  miserando  dell' Isabetta,  cui  i  fratelli  tol- 


ùélLa  LKTtEttAtURA  Italiana  l25 

gono  il  testo  di  basilico,  ove  aveva  sotterrato  la  lesta  dell' amante,  da  quelli 
uccisole,  e  che  ne  muore  di  dolore,  conclude  a  questo  modo:  *  E  cosi  il  suo 
"  disavventurato  amore  ebbe  termine.  Ma  poi  a  un  certo  termine  divenuta 
"  questa  cosa  manifesta  a  molti,  fu  allora  chi  compose  quella  Canzone,  la 
"  quale  ancora  oggi  si  canta  :  Qual  esso  fu  lo  mal  cristiano  Che  mi  furò  la 

*  grasca  ecc.  „.  Questa  Canzone  fu  pubblicata  per  primo,  per  intero,  dal 
Fanfani  ;  poi  con  maggior  cura  dal  Carducci,  e  sta  in  un  cod.  laurenziano. 
Il  sig.  ,G,  prendendo  a  studiarla,  sostiene,  contro  chi  vi  scorse  il  raffaz- 
zonamento antico  di  una  primitiva  canzone  siciliana,  ch'essa  ci  si  pre- 
senta nelle  sue  forme  native  del  vernacolo  insulare.  E  con  questo  con- 
cetto ne  lenta  una  ricostruzione,  la  quale  sarebbe  riuscita  più  chiara,  se 
fosser  meglio  coordinati  il  testo  e  le  note:  se,  cioè,  la  numerazione  progres- 
siva dei  versi  sì  accordasse  coi  richiami  delle  note,  che  rispondono  invece 
ai  versi  di  ciascuna  strofe.  Ma  facendo  come  ha  fatto,  e  il  pili  spesso  la 
nota  essendo  distante,  in  altra  pagina,  dal  verso  che  illustra,  il  riscontro  non 
è  facile  né  comodo:  sicché,  meglio  piuttosto  era  raccogliere  dopo  ciascuna 
strofe  le  annotazioni,  intercalandole  fra  l'una  e  l'altra.  Comunque  sia  di 
orò,  abbiamo  della  Canzone  una  forma  da  tenerne  conto.  Ma  non  sempre 
andremmo  d'accordo  col  G.  su  alcune  lezioni:  per  es.  il  verso  51  non  ci  pare 
che  possa  suonare  Fosse  chi  la  mi  r insegnar  di  voglia,  né  che  il  voglia  possa 
starvi  a  codesto  modo:  sicché  riteniamo  pili  giusta  la  correzione  del  Fanfani: 
Forse  chi  la  mi  rinsegnar  voglia.   Quanto  poi  a  giudicare  la  canzone  *  un 

*  vero,  gioiello  letterario  ,,  è  queslion  di  gusto,  e  sarebbe  superflua  e  vana 
cosa  il  provarsi  a  combattere  cotesto  giudizio.  Più  d'accordo  ci  troviamo  col- 
l'a.  nel  dubitare  della  relazione  attestata  dal  Boccaccio  fra  la  novella  e  la  Can- 
zone, sebbene  discordiamo  poi  da  lui  nel  trovare  in  questa  allusioni  sensuali; 
e  neanche  potremmo  ammettere  in  tutto  certi  argomenti  a  provare  l'origine 
messinese  della  poesia.  Il  sig.  C.  afferma  fra  le  altre  cose  che  "  dire  la  testa 
"  del  basilico  per  significare  sulla  quale  cresceva  il  basilico  non  è  espressione 
"  né  naturale  né  chiara,  mentre  rimettendovi  grasta  il  senso  si  fa  logico  e 
"  piano  ,.  Ma  se  testa  nell'antico  uso  toscano  vai  quanto  testo  o  vaso  e  se 
grasta  in  siciliano  ha  egual  significato,  non  intendiamo  qual  valore  possa 
avere  l'argomento  del  sig.  G.  Dove  poi  dissentiamo  assolutamente  da  lui  è 
rispetto  all'origine  storica  del  Lamento.   "  Io  ho  pensalo,  egli  scrive,  che  ove 

*  si  trovasse  nella  Storia  o  nelle  Leggende  di  Sicilia,  dalla  metà  del  sec.  XIII 

*  a  quella  del  XIV,  qualche  illustre  donna  dal  nome  di  Elisabetta,  alla  quale 
"  si  potessero  per  un  fatto  di  grande  pubblicità,  bene  e  naturalmente  appli- 

*  care  i  sentimenti  e  le  frasi  contenute  nel  Lamento,  se  ne  potrebbe  legit- 

*  timamente  e  con  grande  probabilità  dedurre  che  ad  essa  abbia  voluto  al- 

*  ludere  il  poeta  anonimo,  chiunque  esso  sia  stato  , .  Ed  è  cosi  che  la  Lisabetta 
del  Lamento  diventa  la  figlia  di  Eurico  di  Carinzia  e  Boemia,  sposa  a  Pietro  II 
re  di  Sicilia.  Ma  se,  si  può  ammettere,  come  vuole  non  senza  ragione  l'a.,  che  la 
donna  e  l'amante  innominali  del  Lamento  non  si  trovino  in  alcuna  rispondenza 
coir  Isabella  e  il  Lorenzo  della  novella  boccaccesca,  ben  maggiore  è  la  di- 
stanza fra  il  caso  del  Lamento  e  la  storia  della  regina  di  Sicilia  :  il  che  il 
sig.  G.  riconosce  formalmente  dicendo  che:  "con  siffatta  congettura  non 
"  pretendif.njo  alTermare  che  tra  il  grau   Giustiziere  (il  l'alizzi)  e  la  regina 


l26  Rasségna  BiBLiooRAFidA 

"  Elisabetta  esistessero  rapporti  più  familiari  e  pili  teneri  di  quetli  cottsentitì 

*  tra  una  regina  e  il  suo  primo  ministro  ,.  Con  tal  esplicita  dichiarazione, 
si  può  dire  che  Ta.  abbia  condannato  tutto  quello  che  segue,  con  ampio 
svolgimento,  per  rincalzare  il  suo  assunto  di  argomenti  d'  ogni  maniera.  Fra 
i  quali  ve  n'ha  taluno  di  singoiar  tenuità:  per  es.  quello  dedotto  dal  verso 
e  forse  glie  ne  gioveria,  rivolto  dalla  donna  appassionata  a  chi  le  rendesse 
ciò  che  r  era  stato  tolto  :  E  doneriegli  un  bacio  in  disianza  :  forse  glie  ne 
gioveria.  11  che  vuol  dire  semplicemente:  forse  gli  sarebbe  gradevole  tal 
ricompensa:  e  per  ciò  non  ci  capacitiamo  che  la  frase  abbia  "  grandissimo 

*  significato  ,  se  fosse  vera  la  congettura  che  chi  parla  è  una  regina,  re- 
stando invece  superflua  e  vota  di  senso  se  \\  Lamento  si  suppone  in  bocca 
di  una  donna  privata.  11  tentativo  finale  di  ritrovare  in  Mazzeo  di  Ricco 
da  Messina  l'autore  del  Lamento ò  poi  assolutamente  cervellotico  e  fondato  su 
ragioni  di  niun  valore:  e  basti  citare  una  sola  di  queste:  il  Lamento  nel 
primo  verso  usa  villania,  e  Mazzeo  in  una  Canzone  villanamente  :  altrui  cose 
dice  il  Lamento  e  Mazzeo  adopera  questa  parola  altrui  nello  stesso  senso.  ^- 
Goncludendo,  il  sig.  C.  dà  in  questo  suo  scritto,  saggio  dì  molta  e  forse  troppa 
ingegnosità,  ma  di  non  vera  esperienza  nel  trattar  le  questioni  che  si  rife- 
riscono a  poesia  popolare.  Può  ben  essere,  come  l'a.  sostiene,  che  il  cosf 
detto  Lamento  sia  invece  un  allegorico  canto  amoroso,  che  in  nulla  si  ran- 
nodi colla  narrazione  boccaccesca  ;  ma  può  anche  ben  essere  che  si  tratti 
di  un  caso  amoroso  di  personaggi  oscuri  ed  ignoti,  né  sia  da  cercare  ad  esso 
un  fondamento  storico  in  vicende  auliche  e  regali.  Anche  gli  umili  possono 
trovare  un  umile  narratore  dei  loro  dolori. 

.'.  Tra  i  personaggi  mitici  dell'  India  non  vi  è  forse  figura  e  tipo  che  me- 
glio di  Naciketàs  rappresenti  ed  incaini  l'indole  estremamente  speculativa 
dégl' Indi.  Naciketas  è  un  giovane  brahmano,  che  avendo  ottenuto  dal  dio 
della  morte  la  scelta  di  tre  doni,  insiste  perché  questi  gli  sveli  l'arcano  d'ol- 
tretomba. Come  ogni  altra  leggenda,  anche  questa  di  Naciketas  si  è  venula 
man  mano  trasformando  nella  seriore  letteratura  brahmanica  ed  il  seguirne 
il  graduale  svolgimento  per  poi  descriverne  la  forma  che  ha  assunto  nei 
Purana,  forma  oggetto  dell'  interessante  lavoro  del  doti.  Belloni,  di  cui  è  ap- 
punto  apparsa   ora  la   prima   parte.   [Il   Nàsiketopàkhànam  secondo    i  mss. 

*  1253  „  e  "  916  e  ,  dell'  "  Lidia  Office  „  preceduto  da  una  notizia  sulle  *  Vi- 
sioni Indiane  „.  Parte  prima.  Estratto  dal  Giornale  della  Società  Asiatica  Ita- 
liana, Firenze,  1902,  voi.  XV  in  8..°).  In  questa  l'A.  dà  una  breve  notizia 
storica  sulle  Visioni  indiane  in  genere  ed  espone  poi  con  molta  sobrietà 
insieme  ed  accuratezza  tutto  ciò  che  si  riferisce  alla  leggenda  di  Naciketas, 
alle  sue  origini,  alle  sue  varie  redazioni.  Il  pregevole  opuscolo  è  condotto  con 
serietà  e  scrupolo  scientifico,  ed  invoglia  a  prender  notizia  della  seconda 
parte  del  lavoro,  la  quale  conterrà  uri  materiale  nuovo  ed  originale  estratto 
da  due  manoscritti  inediti.  E  di  molta  lode  è  meritevole  l'A.  che  pur  attin- 
gendo alle  fonti  indiane,  ha  saputo  e  saprà  rendere  l'opera  sua  accessibile 
a  lettori,  anche  profani  di  Sanscrito,  i  quali  avessero  vaghezza  di  conoscere 
le  leggende  escatologiche  dell'India,  affin  di  studiare  le  assonanze  che  pi-e- 
sentano  coi  miti  occidentali  d'oltretomba.  11  contemperamento  insomma  del- 
l'esattezza filologica  con  l'esposizione  facile  e  piana  della  materia  pare  rag- 


bEiA.A    LETTÌiRAtUtlA    ITALIANA  12? 

giunto  io  questo  lavoro,  che  va  particolai  mente  segnalalo  all' attenzione  de- 
gli studiosi  della  letteratura  delle  Visioni. 

.-.  Estratto  dai  voli.  X-XIII  della  Rivista  delle  Bibl.  ed  Archicj,  abbiamo 
innanzi  a  noi,  raccolto  insieme,  l'indice  de  La  Carte  di  P.  Giordani  nella 
Lauremiana,  diligentemente  compilato  dal  dolt.  G.  Mazzi  (Firenze,  France- 
schini,  di  pagg.  46  in  8.°  1902).  Queste  carte  giordaniane  sono  raccolte  in 
XXIV  voi.,  dei  quali,  cinque  contengono  scritti  del  Giordani;  uno,  di  altri 
autori;  dodici,  l'Epistolario;  due,  lettere  di  varj;  l'ultimo,  documenti  per 
la  vita  civile  e  letteraria  del  Giordani.  È,  come  si  vede,  una  suppellettile 
copiosa,  e  chi  volesse  mettervi  le  mani,  ma  sapesse  adoperarle  a  guida  del 
cervello,  ne  caverebbe  buon  profitto  a  se  e  agli  studj.  Lasciando  stare,  che 
su  questi  scritti  si  potrebbe  condurre  una  edizione  degli  scritti  del  piacen- 
tino compiuta  e  corretta,  il  vantaggio  che  se  ne  caverebbe  per  una  nuova 
slampa  dell'  Epistolario  sarebbe  notevolissimo.  E  1'  Epistolario  meriterebbe 
di  esser  riprodotto,  riordinandolo,  accrescendovi  le  lettere  al  Giordani,  che  si 
potessero  rinvenire  in  questo  deposito  laurenziano  e  altrove,  compiendo  le 
lacune,  e  aggiungendo  note  illustrative  di  cose  e  di  persone.  Se  ne  formerebbe 
un  repertorio  di  notizie  di  storia  civile  e  letteraria,  copiosissimo  e  impor- 
tante pel  periodo  che  corre  dalla  dominazione  francese  agli  albóri  del  '48.  Il 
Gussalli  ha  certamente  fatto  non  poco  per  la  gloria  del  suo  amico;  ma  spe- 
cie rispetto  all'Epistolario,  ha  anche  gravissime  colpe,  perchè  non  solo  esso 
non  è  raccolto  tutto  insieme,  ma  disseminato  in  varj  volumi,  ma,  inoltre, 
stampando  sotto  la  dominazione  austriaca,  e  quando  troppo  vivi  erano  i  ricordi 
di  uomini  e  di  fatti,  ha  stracciato  e  soppresso  troppi  brani  di  lettere  del 
Giordani  e  d'altri.  11  peggio  è  che  queste  soppressioni  non  sono  stale  fatte 
su  copie,  ma  sugli  originali,  e  in  modo  da  non  potersi  scorgere  ciò  che  sta 
sotto  il  nerissimo  frego  d'inchiostro:  e  in  altri  casi  ha  taglialo  la  carta. 
Né  basta:  molte  lettere  a  lui  slesso  dirette  ha  bruciato,  lasciandone  soltanto, 
quasi  compiacendosene,  il  ricordo.  Cosi  nel  fascio  delle  lettere  del  '44  è  anno- 
talo: distrutto  quasi  tutto  ;  e  distrutto  è  per  la  massima  parte  quello  '  copioso 
ed  inlimo  ,  dal  '36  al  '38,  coli' avvertenza:  '  E  credasi  che  senza  la  notizia 
di  tale  carteggio  resta  ignota  la  miglior  parte  dell'animo  del  Giordani,.  E 
allora  perché  abbruciare  baibaramenle,  e  con  si  poca  reverenza  allo  scrit- 
tore? Ci  guardi  il  cielo  da  amici  e  zelatori  cosi  fatti!  Ad  onta,  però,  dei  guasti 
e  delle  falcidie  operale  dal  Gussalli,  si  potrà  sempre  riprodurre  quel  che 
resta  dell'Epistolario  giordaniano  con  nuove  cure,  e  sopratutto  con  annota- 
zioni su  cose  e  persone,  e  spiegazioni  di  allusioni  e  forme  convenzionali,  che 
spesso  adoperava  il  Giordani,  volendo  liberamente  confidarsi  cogli  amici,  ma 
fidando  nella  ignoranza  di  quelli  che  gli  aprivano  la  corrispondenza.  Di  questo 
coperto  linguaggio  si  hanno  esempj  frequenti  nelle  lettere,  e  vario  secondo 
le  persone.  Cosi  ad  es.  corrispondendo  col  Gicognara,  chiamava  mamma 
l'Italia:  e  ci  ricordiamo  sempre  l'indignazione  di  un  dotto  uomo,  al  quale, 
aprendo  un  volume  AeW Epistolario,  venne  fallo  d'imbattersi  in  una  serie 
di  lettere  dove  colesta  parola  si  trova  accompagnata  da  epiteti  ingiuriosi 
ed  irriverenti,  sicché  si  scandalizzò  contro  il  Giordani,  non  intendendo  ch'egli 
si  scagliava,  non  contro  la  propria  genitrice,  ma  contro  l'Italia  serva  di  quei 
giorni!  Quest'Indice  del  Mazzi  possa  essere  pertanto  d'incitamento  a  qual- 


128  RASSEGNA   BIBMOORAPICA 

che  studioso  per  darci  un  nuovo  e  piti  compiuto  lavoro  suljo  scrittore  pia- 
centino, e  se  è  possibile,  r^/?js^o/or/o  in  forma  degna  dell'autore. 

/.Con  lodevole  sollecitudine  il  sac.  Felice  Ceretti  fa  seguire  al  primo 
volume,  cui  già  accennammo  {Rassegna  IX,  177),  il  secondo  delle  sue  Biografie 
Mirandolesi  (Mirandola,  Grillo,  1902,  di  pagg.  242  in  16.»),  che  comprende  le 
lettere  L  •  0.  Non  sono  certamente  molti  coloro  fra  i  biografati,  il  cui  nome 
superi  il  territorio  dell'  antico  ducato  ;  ma  ciò  accade  tuttavia  in  tutte  le 
consimili  raccolte  municipali  o  regionali,  né  il  fìae  di  queste  è  il  registrare 
soltanto  i  nomi  di  grande  celebrità.  Tuttavia  anche  in  questo  volume  ci  imbal- 
liamo in  qualche  uomo,  del  quale  non  è  senza  utilità  o  curiosità  conoscere  i 
particolari  della  vita.  Tale  ad  esempio  Flaminio  Lolli,  che  sofferse  l'esilio  per 
la  libertà,  e  che  ricordiamo  aver  veduto  a  Firenze  nel  1849,  oratore  nei  cir- 
coli popolari  e  autore  di  poesie,  ricche  di  sensi  patriottici,  più  che  di  pregj 
d'arte.  Alla  storia  del  periodo  napoleonico  appartengono  Giuseppe  e  Luigi 
Luosi  e  il  padre  loro  Giovanni:  il  primo  ministro  della  giustizia  nella  Ce- 
salpina  e  poi  del  Direttorio,  e  nel  regno  d' Italia  nuovamente  preposto  alla 
Giustizia;  l'altro,  seguace  della  fortuna  del  fratello  e  suo  segretario  nello 
stesso  dicastero.  Biografìa  interessante  e  ricca  di  particolari  è  quella  di  An- 
nibale Maffei,  soldato  di  molto  valore  nelle  guerre  del  sec.  XVII  e  nelle  milizie 
piemontesi,  ove  giunse  ai  piti  alti  gradi,  e  plenipotenziario  di  Vittorio  Amedeo 
al  Congresso  di  Utrecht,  e  per  lui  Viceré  in  Sicilia.  Altri,  di  minor  fama,  sono 
giureconsulti,  medici,  teologi,  architetti,  pittori,  soldati,  musici  e  comici  ecc. 
Le  biografìe  sono  condotte  con  diligenza  e  narrate  elegantemente:  e  Miran- 
dola dovrà  esser  grata  a  questo  indefesso  racv'Oglitore  delle  patrie  memorie. 

.*.  In  occasione  del  Congresso  storico  internazionale  tenutosi  in  Roma  dal 
2  al  9  aprile,  furono  fatte  molte  e  rilevanti  pubblicazioni.  Faremo  un  rapido 
cenno  non  di  tutte,  ma  solo  di  quelle,  specie  d'indole  bibliografica,  che  ci 
sono  pervenute. 

Da  Venezia  ci  giunge,  compilato  dal  sig.  C.  Giomo  a  cura  della  R.  Deputa- 
zione di  storia  patria  un  volume  d' Indice  generale  della  prima  serie  (1891-1900) 
del  periodico  storico  Nuovo  Archivio  Veneto  (Venezia,  Visentini,  di  pag.  232, 
in  16.°).  Gli  Indici  sone  generale,  cronologico,  dei  Documenti  per  nome,  geo- 
grafico dei  documenti,  per  nome,  per  luogo,  per  materia. 

—  A  cura  della  stessa  Deputazione,  e  del  medesimo  compilatore,  abbiamo 
un  voi.  di  Indici  per  nome  di  autore  e  per  materia  delle  pubblicazioni  sulla 
storia  medievale  italiana  raccolte  e  recensite  da  C.  Cipolla  nel  Nuovo  Archivio 
Veneto  (Venezia,  Visentini,  di  427  pagg.  in  16.»).  Gli  autori  dei  quali  s' indicano 
gU  scritti,  che  spesso  sono  una  ricca  serie,  sommano  a  3712:  e  questo  basti 
a  indicare  la  utilità  bibliografica  di  questo  volume. 

—  La  R.  Deputazione  Veneta  di  Storia  patria  ha  pur  dato  incarico  al  suo 
segretario  prof.  G.  Occioni-Bonaffons  di  compilare  un  Indice  tripartito  delle 
sue  pubblicazioni  (Venezia,  tip.  Emiliana,  di  pagg.  77  in  16.»).  Gli  Indici  sono 
per  ordine  di  pubblicazione,  per  autori  in  ordine  alfabetico  e  dei  nomi  di  per- 
sone e  di  cose.  Ad  essi  precedono  Notizie  preliminari  storiche  sulla  Depu- 
tazione slessa  e  l'Elenco  dei  Socj. 

—  Anche  V Ateneo  Veneto  a  cura  del  vicepresidente  G.  Musatti  ci  dà  un 
volumetti  di  Indici  dei  lavori  comparsi  nelle  sue  pubblicazfoni  dal   1812  a 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  129 

lutto  il  1900  (Venezia,  Garzia,  di  pagg.  167  in  16.°).  Gli  Indici  sono  due;  per 
materie  e  per  autori. 

—  E  il  Friuli  ci  offre  a  cura  deirAccademia  di  Vdìne,  V Indice  per  au- 
tori e  per  materie  delle  Memorie  inserite  negli  Atti  dell'Accademia  stessa 
(Udine,  Doretti,  di  pagg.  35  in  16.»). 

—  Dalla  Lombardia  e  dalla  Società  Lombarda  ci  viene  un  bel  voi.  intitolato 
Miscellanea  di  Studj  e  Documenti  (Milano,  Gogliati,  di  pagg.  163  in  16.°  con 
illustraz.).  Diamo  l'indice  degli  scritti  in  esso  contenuti,  che  basterà  a  de- 
notarne l'importanza:  A.  Skpulcri,  I  papiri  dell'i  Basilica  di  Monza  e  le  re- 
liquie inviate  da  Roma  —  F.  Novati,  Bartolommeo  della  Capra  e  i  primi 
suoi  passi  in  Corte  di  Roma  —  B.  Nogara,  /  codici  di  Maffeo  Vegio  nella 
Biblioteca  Vaticana  e  un  inno  di  lui  in  onore  di  S.  Ambrogio  —  R.  Sab- 
BADiNi,  //  card.  Branda  da  Castiglione  e  il  rito  romano  —  A.  Ratti,  Quaran- 
tadue lettere  originali  di  Pio  2."  relative  alla  guerra  per  la  successione  nel 
reame  di  Napoli  (1460-68)  —  E.  Motta,  Otto  pontificati  del  Cinquecento  (1551- 
1591)  illustrati  da  corrispondenze  trivulziane  —  S.  Ambrosoli,  Una  medaglia 
poco  nota  di  p.  Pio  IV  nel  R.  Gabinetto  numismcctico  di  Brera. 

—  L'Istituto  Lombardo  ci  dà  Vindice  dei  lavori  storici  contenuti  nelle 
sue  pubblicazioni  dalla  fondazione  a  tutto  il  1901  (Milano,  Hoepli,  di  pagg.  63 
in  16.»),  che  è  insieme  per  autori  e  per  materie. 

—  La  Società  storica  comense  ci  dà  gli  Indici  del  suo  Periodico,  del 
qualejdal  1878  al  1900  sono  usciti  13  voi.  (Como,  Ostinelli,  di  pagg.  1 15  in  IS.»), 
e  sono  per  autori,  per  materie  e  cronologici. 

—  Dal  Piemonte  ci  giunge  soltanto  come  saggio,  V  Introduzione  all'  Indice 
Metodico  della  Rivista  Storica  italiana  dal  1884  al  1901  (Pinerolo,  tip.  so- 
ciale, di  pagg.  XXXVII  in  16.°).  Questa  introduzione  scritta  dal  prof.  C.  Ri- 
NAUDO  è  buon  augurio  dell'opera,  che  sarà  compresa  in  due  voi.  di  circa 
500  pagg.  ciascuno.  A\V  Introduzione  tengono  dietro  V  Elenco  dei  Periodi  spo- 
gliati nella  Rivista,  e  quello  dei  Collaboratori. 

—  La  Liguria  manda  una  breve  Memoria  sulla  società  storica  savonese 
(Savona,  Bertolotto,  di  pagg.  19  in  16.°)  a  cura  del  "segretario  A.  BRaNO,  con- 
tenente Vindice  delle  pubblicazioni  (mancante  però  di  rimandi  ai  voi.)  e 
V  Elenco  dei  Soci. 

—  Da  Modena  la  R.  Deputazione  di  storia  patria  offre  un  saggio  del  suo 
proposito  di  continuare  ad  ampliare  la  Biblioteca  modenese  del  Tiraboschi, 
col  primo  fascicolo  che  ne  ha  messo  a  luce  (Modena,  soc.  tipogr.,  di  pagg.  80 
in  16.»).  La  copia  di  notizie  biografiche  e  bibliografiche  che  troviamo  in  questo 
saggio,  è  garanzia  che  1'  opera  dei  continuatori  sarà  degna  del  primo  iniziatore. 

—  La  Toscana  si  presenta  in  primo  luogo  con  un  Indice  suppletivo  del 
triennio  18981900  (serie  V,  voi.  21-26)  àéW Archivio  storico  italiano  (Firenze, 
Galileiana,  di  pagg.  74  in  16.°),  al  quale  precedono  interessanti  per  quanta 
brevi,  alcuni  cenni  sulla  storia  di  cotesto  periodico,  compilati  con  diligenza 
da  A.  Giorgetti. 

—  Parte  di  maggior  volume  è  ciò  che  intanto  A.  Gherardi,  ci  dà  dell' //«- 
ventarlo  sommario  del  R.  Archivio  di  Stato  in  Firenze  (Firenze,  Galilejana, 
di  pagg.  128  in  16.°),  che,  compiuto,  e  se  anche  compendioso,  ognun  vede 
quanto  sarà  utile  agli  studiosi:  il  che  avverrà  fra  breve,  quando  sia  ultimato. 


130  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

—  L'archivista  T.  Del  Badia  ha  compilalo  gli  Indici  (geografico,  crono- 
logico e  onomastico)  della  Miscellanea  fiorentina  dì  erudizione  e  di  storia; 
utile  pubblicazione,  della  quale  sono  a  stampa  (ed  è  desiderabile  che  presto 
siano  in  maggior  numero)  due  soli  volumi  (Firenze,  LamJi,  di  pp..  XXIV  in  16.»), 

—  Il  prof.  G.  Scaramella  ha  compilato  l' Indice  dell'  Archivio  del  Collegio 
Cicognini  di  Prato  (Prato,  Giacchetti,  di  pagg.  29  in  16.°),  preponendovi  una 
breve  storia  di  quel  rinomato  Istituto. 

—  Di  Siena  ricordiamo  due  pubblicazioni:  1' una  è  1'  Indice  somario  delle 
serie  dei  documenti  del  R.  Archivio  di  Slato  (Siena,  Lazzeri,  di  pagg.  151  in  16.") 
a  cura  del  Direttore  A.  Lisini,  e  che  prelude  all'  Inventario  generale,  che  pros- 
simamente uscirà  a  luce:  e  l'altra  sono  gli  Indici,  a  cura  di  P.  Piccolomini, 
delle  pubblicazioni  della  Società  senese  di  storia  patria,  della  Sezione  lette- 
raria dell'  Accademia  dei  Bozzi  e  della  Commissione  senese  di  essa  Accademia, 
preceduti  da  Relazioni  del  presidente  A.  Rossi  e  del  segretario  F.  Donati  (Siena, 
Lazzeri,  di  pagg.  124,  in  16  »);  utilissimi  repertorj  ambedue,  di  storia  muni- 
cipale. 

—  Roma,  sebbene  sede  del  Congresso,  non  sappiamo  che  abbia  dato  se 
non  gli  Indici  generali  delle  pubblicazioni  dell'Accademia  di  Conferenze  sto- 
rico-giuridiche, che  hanno  il  nome  di  Studj  e  documenti  di  Storia  e  Diritto, 
compilati  per  nomi  di  autori,  secondo  ragioni  cronologiche  e  secondo  persone, 
luoghi  e  cose  da  E.  Celani  (Prato,  Giachetti,  di  pagg.  105  in  4.°). 

—  E  perché  fatto  a  spese  del  Gomitato  centrale  notiamo  sotto  questa 
rubrica  1'  Indice  tripartito  della  Rivista  storica  del  Risorgimento  italiano,  com- 
pilato da  F.  GuERRi  e  A.  Zanelli  (Prato,  Giachetti,  di  pagg.  40  in  16.0).  gggo 
è  geografico,  cronologico  e  onomastico,  e  suggella  una  pubblicazione  che  rese 
non  pochi  «ervizj  alla  storia  contemporanea,  e  più  poteva  renderne  se  la 
vita  le  fosse  durata  pili  lunga. 

—  Napoli  per  cura  dellla  Società  Napoletana  di  storia  patria,  manda  una 
Relazione  del  prof.  M.  Schifa  (Napoli,  Pierro,  di  pagg.  24  in  16.°),  che  narra 
le  origini,  i  propositi  e  l'operato  dal  1876  al  1903,  di  cotesto  benemerito  ed 
operoso  istituto. 

—  Dalla  Sicilia  e  dalla  Società  per  la  storia  patria  abbiamo  V  Indice  ge- 
nerale dell'  Archivio  storico  siciliano  (1873-1900)  per  autori,  cronologico,  e  per 
materie  (Palermo,  Era  Nuova,  di  pagg.  151  m  4.°),  al  quale  si  aggiunge  la 
Relazione  del  segr.  G.  Lodi,  Sul  movimento  scientifico  ed  economico  della  So- 
cietà siciliana  per  la  storia  patria  nel  sessennio  1895-1900  (Palermo,  Lo  Sta- 
tuto, di  pagg.  28  in  16.°):  l'uno  e  l'altra  notevoli  documenti  dell'operosità 
del  siciliani  nel  rifare  la  storia  dell'isola. 

—  Altre  pubbhcazioni  cui  diede  occasione  il  Congresso  meritano  di  es- 
ser ricordate.  E  prima  la  Biblioteca  di  Bibliografia  storica  italiana:  Cata- 
logo tripartito  delle  Bibliografie  finora  pubblicate  sulla  storia  generale  e  par- 
ticolare d'Italia  (Roma,  Loescher,  di  pag.  39  in  4.°).  La  ripartizione  è  la 
seguente:  1.  Bibliografia  di  storie  a  stampa,  2.  Bibliografia  di  storie  mss.,  di 
Documenti  storici  ecc.,  3.  Bibliografia  di  Statuti.  La  compilazione  di  questi 
Indici  è  opera  del  sig.  Emilio  Calvi,  e  A.  Lumbroso  vi  ha  premesso  una 
Prefazione,  che  dà  ragione  del  lavoro  e  della  sua  opportunità.  Il  lavoro  è 
condotto  dal  Calvi  con  quella  perizia,  che  già  ha  mostrato  nel  terzo  e  quarto 


DKI.I.A   LETTERATURA   ITALIANA  131 

Supplemento  alla  Bibliotheca  BihHographiea  Italica  i\e\V  OiWno  e>¥\ìm2L%9\\\'. 
esso  comprende  oltre  cinquecento  indicazioni  di  bibliografie  storiche  gene- 
rali o  particolari,  disposte  per  ordine  alfabetico  di  luoghi,  quanto  alle  opere 
a  stampa,  da  Abruzzi  a  Zoldo;  poi  collo  stesso  sistema,  le  opere  manoscritte 
da  Ancona  a  Vicenza,  per  ultimo  la  bibliografia  di  Statuti  da  AlÒenga  a 
Viterbo.  Un  indice  geografico  raggruppa  i  titoli  delle  tre  parti,  e  per  ultimo 
viene  un  Supplemento  di  addizioni  e  correzioni.  La  riconoscenza  e  il  plauso 
degli  studiosi  di  storia  vorremmo  incoraggiassero  il  sig.  Calvi  a  metter  fuori 
prontamente  le  annunziate  Tavole  storiche  dei  Comuni  Italiani. 

—  Pili  lungo  discorso  del  rapido  annunzio  che  sinmo  costretti  a  consa- 
crargli, meriterebbe  il  sontuoso  voi.  col  quale  il  prof.  A.  Moschetti,  nostro 
carissimo  collaboratore,  illustra  //  Museo  VÀvico  di  Padova  (Padova,  Prospe- 
rini,  di  pagg.  176  in  4.").  Con  esso  si  descrivono  le  diverse  raccolte,  che 
insieme  formano  cotesto  insigne  istituto  patavina:  la  i?»ò/io<^crt,  nelle  varie 
sue  classificazioni  (padovana,  di  testi  di  lingua,  di  manoscritti  e  incunaboli, 
di  autografi,  femminile,  dantesca,  petVarchesca,  cominiana,  ecc.).  gli  Archivj 
(storici,  giudiziari,  ecc.),  le  Raccolte  artistiche,  archeologiche  e  varie  (Pinaco- 
teca, Abiti  e  stoffe,  archeologica,  lapidaria,  patriottica,  ecc.)  e  il  Museo  nu- 
mismatico Bottacin.  La  descrizione  comprende  le  origini,  le  vicende  e  lo  stato 
attuale  delle  raccolte,  ed  è  arricchita  di  ritratti  e  di  belle  riproduzioni  di  oggetti 
d'arte.  Fra  questi  ultimi  notiamo  la  riproduzione  di  quadri  insigni  del  Ba- 
salti, dello  Squarzon,  di  Gian  Bellino,  del  Previtali,  di  Tiziano,  di  Antonello 
da  Messina,  del  Longhi,  del  Tiepolo,  ecc.  e  di  sculture  del  Canova  e  del  Vela. 
Padova  può  a  buon  dritto  vantarsi  di  possedere  un  cosi  ricco  tesoro  di 
memorie  cittadine  e  di  lavori  d'arte,  ed  esser  lieta  dell'averne  affidata  la 
custodia,  l'aumento  e  l'illustrazione  ad  un  cosi  zelante  e  dotto  uomo  com'è 
il  Moschetti.  Ma  debita  lode  va  data  anche  ai  singoli  cittadini  padovani, 
che  in  numero  di  venticinque,  più  due  ditte,  tipografica  l'una  e  l'altra  fo- 
tografica, hanno  volenterosamente  concorso  alla  spesa  occorrente  per  le  illu- 
strazioni, che  di  tanto  accrescono  il  pregio  di  questa  pubblicazione. 

—  Importante  per  gli  studj  storici  è  la  Comunicazione  di  Vitt.  Fiorini 
su  I  lavori  preparatori  alla  nuova  edizione  dei  Rerum  Italicarum  Scriptores, 
che  si  fa  dal  tipografo-editore  Lapi  di  Città  di  Castello  (di  pagg.  51  in  4.°), 
Essa  ci  da  notizia  dei  lavori  già  compiuti  e  degli  iniziati,  e  ci  porge  affida- 
mento che  la  diffìcile  impresa  sarà  condotta  a  termine.  E  noi  ad  essa  ap- 
plaudiamo. Forse  qualcuna  di  queste  riproduzioni  non  corrisponderà  al  bi- 
sogno e  all'aspettativa:  ma  errare  humanum  est,  e  in  tal  sorta  di  opere, 
ogni  errore  speciale  è  sempre  riparabile.  Intanto,  il  fare  invece  del  non  fare, 
è  in  sé  stesso  buona  cosa;  ottima  poi,  se  vi  si  può  aggiungere  un  epiteto: 
far  bene.  Il  Fiorini  nel  suo  discorso  dà  notizia  della  distribuzione  delle  ri- 
stampe muratoriane,  e  delle  cautele  prese  perché  si  dìeiio  buoni  testi  e  ben 
illustrati,  e  aggiunge  le  Norme  per  la  compilazione  degli  Indici;  e  l' editore 
a  sua  volta,  dà  un  saggio  dei  testi  e  degli  indici.  I  fascicoli  già  pubblicati 
sono  15,  e  la  ristampa  muratoriana  procede  alacremente. 


1^2  RASSEGNA   BIBLl(yÌRAFICA 


NECROLOGIA. 


t  II  5  marzo  scoi-so  spengevasi  a  Cannes  il  grande  filologo  e  letterato 
Gaston  Paris,  in  seguito  a  lunga  malattia,  della  quale  i  primi  sintomi,  o 
almeno  i  più  violenti,  si  manifestarono  in  lui  Tanno  passato,  dopo  un  pia- 
cevole e  può  ben  dirsi,  trionfale  viaggio  in  Italia.  Egli  aveva  appena  sessan- 
taquattro anni,  e  quel  che  perde  in  lui  la  scienza,  lo  sanno  tutti  i  cultori 
dì  es^a;  quello  che  mancherà  d'ora  innanzi  agli  amici,  questi  soltanto  pos- 
sono saperlo  e  sentirlo.  Tutti  i  giornali  anche  politici,  hanno  deplorato  la 
perdila  di  tanto  maestro.  Chi  scrive  commosso  queste  poche  parole  ha  cer- 
cato di  parlare  pili  degnamente  del  Paris,  commemorandolo  presso  l'Acca- 
demia dei  Lincei  con  un  discorso  che  presto  uscirà  a  luce  negli  Atti  di  co- 
testo Istituto.  Avremmo  tuttavia  voluto  dar  in  questo  periodico  essenzial- 
mente, bibliografico,  una  indicazione  più  compiuta  che  fosse  possibile,  delle 
pubblicaziopi  dì  luì,  e  ci  eravamo  accinti  al  lavoro  quando  abbiamo  saputo 
ch'essa  è  già  stata  fatta  —  sotto  gli  occhi  del  Paris  stesso  —  dal  suo  al- 
lievo, il  prof.  Bedìerc  e  perciò  ce  ne  asteniamo.  Ma  vogliamo  ricordare,  non 
sen;sa  sentirne  soddisfazione,  che  il  Paris  mostrò  la  sua  benevolenza  iill' u- 
mile  nostra  Rassegna,  e  la  degnò  della  sua  cooperazione,  come  si  vede  dal 
saggio  Anse'is  de  Chartage  e  la  "Seconda  Spagna  „,  chen  si  trova  rvell' an- 
nata.!, pag.  154. 


Per  mancanza  di  spazio  la  maggior  parte 
della  Cronaca  ,è  rimandata  aj  prossimo 
fascicolo.  ' 


A.  D'Ancona  direttore  responsabile. 


Pia»,  Tipografia  F.  MariotU,  1903. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

DELLA  LETTERATURA  ITALIANA 

Direttori:  A.  D'ANCONA  e  F.  FLAMINI.  Editore. •  E.  SPOERRI. 


Anno  XI.  Pisa,  Maggio-Giugno-Luglio  1903.  N.  5-6-7. 


Abbonamento  annuo    \   ^g^  l'Estero'    '.    !  ^l"*^  ».    !    Un  nnm.  separato  Cent.  »•• 


SOMMARIO:  F.  Flamini,  //  Cinquecento  (A.  Modin).  —  G.  Mconi,  Ludovico  di  Brente 
e  le  prime  -polemiche  intorno  a  madama  di  i^taèl  ed  al  romanticismo  in  Italia 
(1816)  (E.  Clerici).  —  A.  Solerti,  Le  origini  del  melodramma  (A.  Bonaventuro).  — 
E.  Panzacchi,  Il  libro  degli  artisti  (\ntoloiria)  (P.  i>' AchiarJi).  —  A.  Wesselofsky, 
Zttr  Frage  iiber  die  Heimath  der  Legende  vom  heiligen  Gral  (V.  Cresci  ni).  — 
Oommiicazioni .  P.  Lonardo,  Quattro  lettere  inedite  di  G.  Della  Casa.  —  R. 
Salaris,  Fulvio  Testi  ed  un  poemetto  anonimo  del  secolo  XVII.  —  Annanzì  bi- 
bliografici (Vi  si  parla  di:  Giacosa,  Brizzolara,  Dolcetti).  —  Cronaca. 


Francesco  Flamini.  —  Il  Cinquecento.  —  Milano,  F.  Vallardi,  1902;  voi.  VI 
della  Storia  letteraria  d'Italia  scritta  da  una  società  di  professori  (8.° 
gr.,  pp.  XI-594). 

Era  nostro  primo  proposito,  e  insieme  desiderio  della  direzione  di  questo 
periodico,  di  limitare  il  discorso  intorno  al  libro  sul  Cinquecento,  pubblicato 
or  non  è  molto  da  uno  dei  due  direttori  della  Rassegna,  ad  una  recensione 
puramente  espositiva  del  suo  contenuto.  Sennonché  la  lettura  del  libro  ci  fece 
mutar  idea;  perchè,  come  non  ci  sarebbe  piaciuto  di  tacere  le  giuste  lodi 
dovute  a  questo  importante  volume,  cosi  non  avremmo  potuto  né  voluto 
passar  sotto  silenzio  la  poche  mende  che  crediamo  di  avervi  riscontrate:  e 
però,  abbandonata  ogni  altra  considerazione  in  proposito,  deliberammo  di 
scriverne  con  libertà  di  giudizio,  come  se  Fautore  non  avesse  alcuna  parte 
nella  redazione  di  questa  Rassegna,  né  fosse  nostro  amico  carissimo. 

Dopo  questa  dichiarazione,  che  reputammo  necessaria,  veniamo  senz'altro 
al  volume,  la  cui  mole  e  il  cui  indice-sommario  particolareggiato  che  gli  va 
innanzi  bastano  da  soli,  quando  si  ripensi  al  nome  dell'autore,  a  convincerci 
che  abbiamo  dinanzi  un'opera  critica  di  non  comune  impoiliinza.  Già  di  per 
sé  il  solo  fatto  di  pubblicare  un  libro  intorno  ad  un  secolo,  come  il  Cin- 
quecento, così  straordinariamente  ricco  di  ogni  genere  letterario,  di  autori 
e  di  opere,  e  sul  quale  si  é  scritto  tanto  e  da  tanti  in  Italia  e  fuori,  fa  pre- 
supporre in  chi  vi  si  accinge  una  fibra  assai  forte  di  erudito  e  di  crìtico  e 
spalle  adeguate  al  grave  incarco.'  Il  Flamini  infatti  padroneggia  con  occhio 
sicuro  non  pur  tutta  l'opera  letteraria  di  quel  secolo,  ma  anche  il  copioso 
lavoro  critico  che  intorno  ad  essa  si  venne  esercitando  fino  ai  nostri  giorni, 
e  lumeggia  opportunamente  le  maggiori  figure,  che,  quali  altrettanti  fari,  ci 

IO 


134  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

guidano  nell'intricato  labirinto  delle  opere  germogliate  in  quel  periodo  ma- 
ravigliosamente fecondo. 

Molta  parte  della  produzione  letteraria  del  Cinquecento  era  stata  già  in 
precedenza  studiata  da  altri  con  larghezza  di  vedute  e  profondità  di  dottrina, 
tali  da  lasciar  poco  a  desiderare  ;  ma  su  altre  si  era  sorvolato,  ovvero  non 
si  era  usata  la  stessa  cura  diligente  ed  esauriente.  Il  F.,  com'  è  ben  naturale, 
si  giovò  degli  scritti  generali  e  particolari  dei  suoi  predecessori,  ma  rinnovan- 
done spesso  il  lavoro  critico,  in  modo  che  potè  talvolta  rettificare  o  com- 
piere l'opera  loro.  Alcuni  capitoli  di  questo  volume  non  potevano  riuscirci 
per  ciò  del  tutto  nuovi  ;  né  avrebbe  potuto  essere  diversamente:  ma  in  altri,  e 
più  specialmente  in  quelli  dov'è  studiata  la  prosa,  troviamo  indagini,  notizie  e 
osservazioni  originali.  Tuttavia  anche  in  quelle  parti  nelle  quali  lo  soccorse 
il  lavoro  altrui,  egli,  come  abbiam  detto,  rielaborò  e  disegnò  la  materia  in 
modo,  che  questa  larga  e  densa  sintesi  della  storia  letteraria  del  Cinquecento, 
tanto  pel  contenuto  quanto  per  la  forma  sobria,  disinvolta,  efficace  e  dove 
occorreva  anche  vivace,  ha  quella  spiccata  impronta  di  originalità,  che  maqca 
nei  libri  di  pura  compilazione. 

L'A.  in  una  breve  avvertenza  premessa  alla  sua  ampia  e  dotta  biblio- 
grafia* ricorda  le  opere  generali  onde  più  specialmente  si  giovò:  cioè,  il  se- 
condo volume  della  Storta  della  Letteratura  del  Gaspary,  che  ebbe  *  sott'oc- 
"  chio  spessissimo  e  con  profitto  ,,  il  Manuale  D'Ancona-Bacci  e  le  opere 
monumentali  del  Quadrio,  del  Tiraboschi  e  dello  Zeno.  "  Invece,  di  nessun 
"  aiuto  m'è  stata  la  troppo  sistematica  Storia  della  lett.  ital.  di  U.  A.  Ganello  ,: 
giudizio  codesto  che  a  noi  pare  troppo  severo  e  che  avremmo  voluto  rispar- 
miato ad  un  uomo  tutt' altro  che  indegno  della  sua  fama  e  ad  un'opera  la 
quale,  giova  non  dimenticarlo,  fu  pubblicata  ventitre  anni  or  sono  e  che  no- 
nostante il  suo  schematismo  (e  quale  storia  letteraria  generale  non  è  più 
0  meno  schematica?),  per  larghezza  e  novità  di  vedute,  per  acutezza  e  ori- 
ginalità, talora  perfino  soverchia,  di  giudizj  e  per  olcune  parti  veramente 
notevoh,  quali,  ad  esempio,  le  pagine  dove  discorre  della  hrica  e  del  poema 
romanzesco  e  dell'epico,  non  può  essere  trascurata  da  uno  storico  delle  no- 
stra letteratura:  né  infatti  la  trascurò  neppure  il  F.  stesso,  citandola  in  più 
luoghi  della  sua  bibhografia. 

Ma  anche  più  severo  fu  il  F.  verso  il  Ginguené,  che  non  nomina  affatto 
in  nessun  luogo  del  suo  volume;  mentre,  come  ognun  sa,  ben  sei  dei  nove 
volumi  della  Histoire  liti.  d'Italie  del  Ginguené  sono  dedicati  al  Cinquecento. 
Ma  l'ampiezza  della   trattazione  non  sarebbe  titolo  sufficiente   di  lode,  ove 


1  Aggiunte,  correzioni  e  osservazioni  i  cultori  degli  studj  letterari  non  mancheranno 
di  fare  a  questa  bibliografia,  le  quali  tuttavia  non  varranno  a  diminuirne  l'importanza  e 
l'utilità.  Per  parte  mia  confesso  di  non  averla  sottoposta  ad  un  esame  accurato,  e  nello 
scorrerla  notai  solo  una  certa  disuguaglianza  nel  modo  di  citare  le  edizioni  dei  testi  e  mi 
vennero  sott' occhio  talune  dimenticanze  di  poco  conto.  Pel  Modesti,  ad  es.,  (p.  538)  egli 
ricorda  il  voi.  pubblicato  dall'Albini  nel  1886,  e  non  la  posteriore  monografia  dello  stesso 
A.  edita  negli  Atti  e  Memorie  della  R.  Depulm.  di  St.  patria  per  le  prov.  di  Romagna,  III  serie,  voi. 
XVII  — .  A  p.  550  non  accenna  alle  due  stampe  dei  Canti  Carnescialeschi  fatte  in  Lucca  nel 
1750,  di  cui  V.  Gamba,  Serie  dei  Testi  (1839)  p.  83  — .  La  prima  ediz.  delle  opere  di  lluzzante 
è  Infatti  la  vicentina  del  1598,  ma  si  poteva  avvertire  che  se  ne  fecero  poi  parecchie  altre. 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  135 

mancassero  le  larghe  analisi  critiche  dei  poemi,  delle  tragedie  e  delle  com- 
medie, la  equità  e  finezza  dei  giudizj  desunti  dallo  studio  diretto  delle  opere, 
il  buon  ordinamento  della  materia  e  la  vivacità  dell'esposizione,  che  al  con- 
trario abbondano  nell'opera  del  letterato  francese;  la  quale,  nonostante  i 
lavori  recenti,  assai  più  ricchi  di  notizie  biografiche  e  bibliografiche,  rimane 
tuttavia  un'opera  utile  agli  studiosi  del  Cinquecento. 

Il  volume  del  F.  si  divide  in  tre  grandi  parti:  nella  prima  studia  la  finale 
evoluzione  del  Rinascimento,  nella  seconda  la  letteratura  classica  del  gran 
secolo,  nell'ultima  la  letteratura  al  tempo  della  reazione  cattolica.  Riservan- 
doci di  discutere  poi  il  disegno  di  quest'opera,  riassumiamone  brevemente 
la  contenenza.  Precede  la  trattazione  dei  tre  grandi  argomenti  una  breve 
introduzione  sul  pensiero  nel  Rinascimento,  che  fu,  più  che  filosofico,  politico 
e  artistico.  Lo  spirito  critico  del  Machiavelli  e  il  senso  pratico  del  Guicciar- 
dini innalzarono  la  politica  a  dignità  di  scienza;  e  quanto  all'arte,  il  Rina- 
scimento, prevalendo  in  esso  sul  pensiero  il  culto  della  bella  forma,  anziché 
creare,  svolse,  assimilò  e  perfezionò  la  materia  dei  classici:  onde  la  formula 
dell'arce  per  V arte  si  può  adattare  benissimo  agli  Italiani  del  Rinascimento. 
Ciò  spiega  perché  in  tanto  fervore  di  studj  classici  la  maggior  gloria  della 
nostra  poesia  in  questo  periodo  sia  stata  l' epopea  cavalleresca  di  origine  e 
di  argomento  afi'atto  medievali,  *  campo  da  spiegarvi  l'agile  varietà  dell'in- 
"  gegno  finamente  educato  ,. 

Nel  primo  capitolo  della  prima  parte,  la  quale  va  dal  1494  al  1530,  cam- 
peggiano le  due  grandi  figure  del  Machiavelli  e  del  Guicciardini;  ed  è  una 
bella  sintesi,  non  priva  di  osservazioni  originali,  degli  studj  più  notevoli  pub- 
blicati di  recente  sui  due  statisti  fiorentini.  L'A.  non  nasconde  la  sua  predi- 
lezione per  il  Machiavelli,  la  quale  manifesta  anche  in  un  giudizio  forse  troppo 
reciso  ch'egli  dà  dell'ingegno  del  Guicciardini,  là  ove  dice,  *  che  la  larghezza 
"  audace  originale  delle  idee  e  la  potenza  di  sintesi,  maravigliose  nell'  autore 
*  dei  Discorsi,  in  lui  si  desiderano  ,. 

Come  allora  (cap.  II)  la  pittura  grandeggiò  su  tutte  le  altre  arti  figura- 
tive, perchè  essendo  spariti  i  modelli  classici,  era  libera  nella  scelta  dei  sog- 
getti e  dei  colori  ;  cosi  nella  poesia  il  poema  romanzesco  avanzò  in  perfe- 
zione col  Furioso  ogni  altra  forma,  perché,  quanto  alla  materia,  *  poteva 
"spaziare  a  suo  piacimento  ne' campi  fioriti  dell'invenzione  poetica  ,.  Bello 
e  sotto  ogni  aspetto  compiuto  l' esame  larghissimo,  che  l' A.  fa  del  poema 
arìosteo,  e  cioè  della  materia,  della  forma,  delle  fonti,  del  valore  storico  e 
artistico,  dello  scopo  e  della  grande  sua  fortuna.* 

La  cultura  umanistica  e  il  volgare  è  l'argomento  del  terzo  capitolo.  Ve- 
nezia, tra  il  cadere  del  sec.  XV  e  il  sorgere  del  XVI,  colle  sue  celebri  tipo- 
grafie e  accademie  fu  uno  dei  principali  centri  donde  irradiò  la  cultura 
classica,  non  pure  in  Italia,  ma  in  tutte  le  nazioni  civili  d'Europa.  E  poiché 
"  la  storia  dell'  umanesimo  è  in  gran  parte  la  storia  del  culto  della  forma 
"  secondo  le  varie  tendenze,  che  prevalsero   ne'  secoli  dal   decimoquarto   al 


l  A  p.  75  il  F.  dice,  che  Orlando  più  prode  e  pivi  magnanimo  di  tutti  i  cavalieri,  esce 
vittorioso  da  qualsiasi  impresa  sema  bisogno  d' incanti.  Ma  Orlando  non  era  forse,  a  un 
di  presso  come  Achille,  invulnerabile  in  tutta  la  persona,  faorcbé  nella  pianta  dei  piedi? 


136  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

"decimosesto  „,  l'avviamento  retorico  e  formale  degli  studj  sopra  la  latinità 
favori  in  Italia  il  fiorire  delle  Università  e  delle  Accademie  e  giovò  ai  pro- 
gressi dell'antiquaria   e  all'incremento   dei   Musei    e  delle   biblioteche.  "  Ai 

*  progrediti  studj  della  lingua  e  delle  opere  letterarie  degli  antichi  corrispose 
"  una  più  larga  e  in  generale  meglio  intesa  imitazione  di  esse  nella  pro- 
"  duzion  poetica  originale  in  latino  ,,  e  però  si  ebbero  poemi  sacri  con  pa- 
ludamento classico,  poemi  filosofici,  didascalici  ed  epici.  Assai  migliore  fu 
la  lirica,  di  cui  tutte  le  forme  e  i  metri  tutti  ebbero  numerosi  e  talvolta 
eccellenti  cultori,  quali  il  Bembo,  il  Gotta  e  il  Navagero;  e  in  generale  la 
produzione  poetica  in  latino  dei  primi  decenni  del  Cinquecento  è,  ove  si  ec- 
cettui la  drammatica,  che  manca  di  calore  e  di  sincerità,  un  fatto  letterario 
importantissimo.  Ma  la  seconda  età  del  Rinascimento  non  attese  soltanto  a 
rievocare  il  passato,  si  anche  a  rinnovar  l'uso  del  volgare  presso  i  dotti;  e 
l'ultima  parte  di  questo  capitolo  è  dedicata  appunto  al  famoso  dibattito  in- 
torno alla  lingua  letteraria  italiana,  nel  quale  ebbe  parte  principalissima  il 
Bembo,  la  cui  idea  di  attenersi  ai  Trecentisti  trionfò. 

"L'opera  dei  drammatici  e  dei   lessicografi  portò   all'unificazione   della 

"  lingua e  l'evoluzione  del  Rinascimento  condusse  ad  una  produzione  di 

"  poesia  e  prosa  italiana  uniforme  ne'  caratteri  generali,  ma  copiosa  e  cor- 
"  retta,  povera  di  capolavori,  ma  ricca  d'opere  pregevoli ,,  che  forma  il  sog- 
getto della  seconda  parte  di  questo  libro,  in  cui  è  studiata  quella  che  l'A. 
chiama  la  letteratura  classica  del  gran  secolo;  e  cioè  nel  I  cap.  la  poesia 
narrativa,  nel  II  la  lirica  e  le  forme  minori,  nel  III  la  drammatica,  nel  IV  la 
prosa.  Nella  poesia  narrativa  di  questo  periodo,  che  va  dal  1530  al  1560,  ab- 
biamo gli  epigoni  dell'fAriosto,  che  si  sforzano  di  emulare  il  loro  modello 
"  cercando  il  nuovo  nello  strano  ,,  e  una  doppia  forma  di  parodia  (se  cosi 
possiamo  esprimerci)  del  poema  romanzesco,  vale  a  dire  le  vere  e  proprie 
canzonature  dell'Aretino,  del  Folengo,  del  Lasca  e  di  altri  minori,  e  il  poema 
epico  gravemente  riplasmato  sullo  stampo  classico,  del  Trissino,  dell'Ala- 
manni ecc.  Ma  assai  più  che  nell'epica  gli  Italiani  di  questo  periodo  si  eser- 
citarono nella  lirica.  Il  Bembo,  che  fu  il  riformatore  del  gusto,  cominciò  con 
lo  scriver  Hriche  cortigiane  e  di  mestiere,  al  modo  di  quelle  del  Galmeta, 
del  Notturno  e  cosi  via  ;  rime  che  poi  egli  stesso  rifiutò.  Il  suo  mutamento 
avvenne  nel  1523  circa:  allora,  attingendo  la  materia  delle  sue  rime  dal  Pe- 
trarca, "  rivolse  tutte  le  sue  cure  alia  forma:  cioè  a  dar  salda  compagine  al 
"  verso,  cosi  sciatto  presso  i  suoi  predecessori  immediati,  e  ad  ottenere,  in- 

*  sieme  con  la  sudata  facihtà,  una  compostezza  signorile  ,. 

La  scuola  veneziana  sorta  sotto  gli  auspicj  del  Bembo  contribui  a  dif- 
fondere il  petrarchismo  non  solo  nel  Veneto  e  nella  Lombardia,  ma  anche 
per  tutta  la  rimanente  penisola,  e  cosi  si  ebbe,  come  disse  il  Franco,  "  il 
"  Petrarca  commentato,  il  Petrarca  imbrodolato,  il  Petrarca  tutto  rubato,  il 
"  Petrarca  temporale,  il  Petrarca  spirituale  ,.  La  lirica  del  Cinquecento,  tran- 
ne pochissime  eccezioni,  quali  Michelangelo,  il  Tansillo,  il  Berni  e  Gaspara 
Stampa,  è  "  un  gran  deserto  di  fantasia  e  d'idealità  „.  L'A.,  contro  l'opinione 
del  Graf  e  di  altri,  non  ammette  che  ci  sia  stata  una  vera  e  propria  vigorosa 
corrente  di  antipetrarchismo,  ma  solo  dei  rivoletti  che  produssero  "  frescura 
"  e  verde  al  modo  d'un' oasi  ,.  Più  gradite  assai,  perché  improntate  a  mag- 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  137 

gior  sincerità,  ci  riescono  le  forme  minori  della  lirica:  la  satira  derivata  dal 
sermone  dei  secoli  precedenti,  politica,  morale  e  sociale,  la  poesia  burlesca, 
la  carnescialesca  e  la  rusticale.  Notevoli  le  ultime  pagine  di  questo  capitolo, 
in  cui  il  F.,  giovandosi  di  studj  suoi  e  di  altri,  discorre  dei  mecenati  e  degli 
imitatori  che  la  lirica  italiana  del  Cinquecento  ebbe  fuori  della  penisola,  so- 
prattutto in  Francia  e  in  Ispagna;  e  una  importante  novità  di  questo  libro, 
a  differenza  delle  storie  letterarie  precedenti,'  è  appunto,  in  questo  e  in  altri 
capitoli,  lo  studio  dell'  influenza  esercitata  dalle  varie  forme  letterarie  italiane 
fuori  della  nostra  patria. 

Non  certo  meno  ampio  di  questo  sulla  lirica  è  il  successivo  capitolo  sulla 
drammatica,  in  cui  ad  una  ad  una  sono  passate  in  rassegna  tutte  le  varie 
categorie,  dalla  tragedia  regolare  del  Trissino  e  del  Rucellai  a  quelle  del 
Giraldi,  che  dimostrò  libertà  di  criterio  e  un  lodevole  senso  di  modernità; 
dalla  commedia  di  imitazione  plautina  e  terenziana  a  quella  di  tradizione 
paesana  ;  dalla  farsa  (genere  intermedio  fra  la  tragedia  e  la  commedia),  alla 
commedia  rusticale  e  bucolico-rusticale,  onde  derivarono  le  favole  pastorali 
del  Tasso  e  del  Guarini,  come  dalla  farsa  procede  la  commedia  *  dell'arte  , 
e  "  a  soggetto  „.  Di  tutte  queste  varie  categorie  il  F.  studia  i  caratteri  gene- 
rali, e  per  ognuna  fa  l'analisi  critica  delle  tragedie  e  delle  commedie  più 
notevoli,  indugiandosi  naturalmente  più  a  lungo  sulle  commedie  dell'Ariosto, 
dell'Aretino,  del  Lasca  e  particolarmente  sulla  Mandragola  del  Machiavelli; 
a  proposito  della  quale  ci  compiacciamo  di  veder  confermata  l'opinione  e- 
spressa  prima  d'ogni  altro  dal  Ganello,  e  che  fu  poi  accettata  e  ribadita  dal 
Villari  e  da  chi  scrive  questo  articolo,  che  cioè,  quanto  al  concetto  informa- 
tivo, la  burla  oscena,  non  sia  fine  a  se  stessa,  ma  come  dice  il  F.,  "  stru- 
"  mento  necessario  alla  rappresentazione  di  una  società  fracida  fin  dalle  fon- 
"  damenta  „.  La  parte  più  nuova  di  questo  capitolo  è  l'ultima,  in  cui  l'A. 
tratta  del  teatro  popolare  e  dell'influenza  esercitata  dalla  drammatica  ita- 
liana in  Francia,  in  Ispagna  e  in  Inghilterra. 

Ben  cento  fìtte  pagine  di  questo  volume  sono  dedicate  alla  prosa  del 
secondo  periodo,  cioè  alla  storiografia,  ai  romanzi,  alle  novelle,  alle  opere 
didascaliche  e  parenetiche,  di  critica,  di  polemica  e  di  epistolografia.  Sebbene 
non  manchino  pregiate  monografie  sui  più  notevoli  prosatori  di  questo  pe- 
riodo, tuttavia  nessuno,  prima  del  F.,  aveva  sottoposto  la  prosa  del  Cinque- 
cento ad  un  esame  cosi  diligente,  cosi  ampio,  cosi  denso  di  osservazioni, 
come  questo  che  l' A.  ci  offre  nel  cap.  IV.  Noi  non  possiamo  certo  seguirlo 
qui  in  codesta  sua  lunga  rnssegna  di  scrittori  e  di  opere,  ma  ci  basta  notare, 
come  della  prosa,  che  mercé  l'umanismo  aveva,  con  l'unificazione,  acquistato 
un  tipo  nazionale  tutto  proprio,  sia  messo  bene  in  evidenza  il  vario  colo- 
rarsi e  atteggiarsi  nelle  diverse  opere,  a  seconda  dell'indole  degli  scrittori, ^ 


1  ter  la  drammatica  qualche  acceUEO  fece  però  anche  il  Qaspary. 

*  Quanto  al  Sanuto  non  ripeterei- col  Cantiì  che  la  lingua  dei  Diari  sia  quella  allora 
parlata  dai  Veneziani;  ohéilSaouto  iu  questa  e  nelle  altre  sue  opere  si  industriò  di  riac- 
costare come  meglio  seppe  il  suo  dialetto  al  tipo  della  lingua  letteraria;  cièche  parrà  ma- 
nifesto a  chi  confronterà  la  lìngua  del  Sanuto  con  quella,  ad  es.,  delle  commedie  e  delle 
lettere  dBl  Calmo.  II  F.  inoltre  riferisce  iu  modo   inesatto  il  titolo  d'una  delle  opere  del 


138  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

La  terza  parte  del  volume,  la  quale  s'intitola  La  letteratura  al  tempo 
della  reazione  cattolica,  e  che  va  dal  '60  al  '95  circa,  è  assai  più  breve  delle 
precedenti;  e  ciò  non  solo  perché  la  messe  delle  opere  letterarie  nell'ultimo 
quarantennio,  se  non  scarseggiò,  certo  venne  scemando,  ma  anche,  o  perchè 
all'A.  venne  un  po'  meno  la  lena,  o  perché  i  limiti  imposti  dall'  editore  pro- 
babilmente lo  costrinsero  ad  affrettarsi  verso  la  fine;  se  pure  non  vi  con- 
tribuirono tutte  un  po' queste  ragioni  insieme.  Quest'ultima  parte  è  divisa 
in  due  soli  capitoli:  nel  primo  sono  studiate  le  tendenze  nuove  del  pensiero 
e  dell'arte  al  prorompere  della  reazione  cattolica,  che  irrigidì'  il  pensiero  in 
dogmi  fissi  e  immutabili.  Allora  le  lettere,  sotto  l'influsso  dell'assolutismo 
politico  e  religioso,  si  ridussero  un  trastullo  vano  dello  spirito;  di  qui  le 
innumerevoli  Accademie  che  pullularono  da  un  capo  all'  altro  della  penisola. 
La  società  veniva  educata  dai  Gesuiti;  onde  lo  spirito  ascetico  largamente 
diffuso  in  tutte  le  forme  della  nostra  letteratura  di  quell'  età,  persino  nei 
romanzi  e  nelle  novelle.  Nella  lirica  e  nella  drammatica,  anche  per  ciò  che 
s'attiene  agli  elementi  formali,  gli  indizj  del  decadimento  sono  evidenti:  *  qn 
"  desiderio  irrequieto  del  nuovo,  una  smania  di  far  inarcare  le  ciglia,  uno 
"  sviscerato  amore  per  le  sottigliezze  e  le  squisitezze  ,.  Spentasi  nel  popolo, 
per  effetto  dell'Inquisizione  e  del  predominio  spagnuolo,  ogni  operosità  civile 
e  politica,  era  ben  naturale  che  i  cultori  della  scienza  dello  stato  dovessero, 
in  generale,  accontentarsi  di  filosofare  sugli  antichi  testi,  anziché  ispirarsi 
alle  miserande  condizioni  dei  loro  tempi.  Sola  Venezia,  ultimo  asilo  di  libertà 
e  di  indipendenza  politica  e  religiosa,  ebbe  a  questo  tempo  un  vero  e  degno 
seguace  del  Machiavelli  in  Paolo  Paruta,  che,  storico,  filosofo  e  diplomatico 
ad  un  tempo,  nelle  sue  opere  accoppiò  la  pratica  con  la  teoria. 

Ma  se  nella  seconda  metà  del  Cinquecento,  a  causa  dell'oppressione  po- 
litica e  intellettuale,  parve  come  disseccata  ogni  fonte  di  originalità  nelle 
manifestazioni  artistiche  e  nelle  elucubrazioni  politiche,  non  mancarono,  anzi 
appunto  per  ciò  spesseggiarono  gli  scritti  di  argomento  esclusivamente  sto- 
rico, letterario  e  filosofico,  i  lavori  di  erudizione  classica  ed  ecclesiastica,  le 
polemiche  sulle  questioni  della  lingua,  i  trattati  e  le  epistole;  tutte  quelle 
opere  insomma  per  le  quali  il  letterato  o  il  filologo  o  lo  storico  non  doveva 
mai  spingere  lo  sguardo  oltre  "  il  chiuso  della  sua  servitù  civile  e  intellet- 
"  tuale  „.  A  ogni  modo,  l'unità  del  nostro  volgare  nella  seconda  metà  del 
secolo  XVI  si  afforzò  in  modo,  da  servire  a  tutte  le  più  svariate  manifesta- 
zioni del  pensiero,  esercitando  straordinaria  efficacia  anche  in  parecchie  na- 
zioni straniere,  dove  i  nostri  prosatori  furono  tradotti,  ridotti  e  imitati. 

L'ultimo  capitolo  tratta  del  dramma  pastorale  e  dell'epopea;  e  in  esso, 
come  ben  s'indovina,  domina  sovrana  la  figura  del  Tasso:  tanto  che,  ad 
eccezione  di  alcune  pagine  in  cui  l'A.  discorre  degli  inizj  e  dei  precedenti 
immediati  del  dramma  pastorale  e  del  poema  epico,  e  di  altre  sul  Pastor 
fido  del  Guarini,  tutto  il  rimanente  è  dedicato  al  massimo  poeta  e  prosatore 
della   seconda  metà  del   Cinquecento.  Il  Tasso  e  il  Guarini   fecero  "  per  la 


Sanuto:  Spedùione  di  Carlo  Vili  e  di  Luii/i  XII  in  lUilia,  porche  egli  nou  narrò  che  la  sola 
spedizione  di  Carlo  Vili.  E  invece,  poiché  ricorda  le  opere  principali  di  lui,  non  doveva  di- 
menticare i  Commentari  della  ijuerra  di  Ferrara  {Venezia,  1829). 


DBLLA  LETtERATtJRA  ITALIANA  139 

poesia  bucolica  destinata  alle  scene  quello  che  sugl'inizj  del  secolo  stesso 
avean  fatto  per  l'epopea  l'Ariosto,  per  la  lirica  e  per  la  prosa  il  Bembo: 
levatala  cioè  di  mano  alla  gente  grossa  e  inesperta,  la  raccostarono  ai  classici 
esemplari  del  genere  (che  in  embrione  contenevano  anche  l'elemento  dram- 
matico), e  la  svolsero  ed  ampliarono  secondo  la  loro  dottrina,  il  loro  ingegno 
e  il  loro  gusto  finemente  educato  ,.  Buonissime  anche  queste  pagine  sul 
Tasso;  né  alcuno  potrebbe  richiedere  dal  F.  cose  nuove,  dopo  i  molti  e  lodati 
lavori,  che  in  questi  ultimi  anni  specialmente  si  vennero  pubbhcando  suU'ia- 
felice  autore  della  Gerusalemme  e  dell' Aminla. 

Terminato  il  rapido  riassunto,  per  sommi  capi,  della  vastissima  materia 
contenuta  in  questo  poderoso  volume,  cui  nessuno  vorrà  né  dovrà  lesinare 
tutta  la  lode  che  sinceramente  gli  è  dovuta,  anche  il  nostro  compito  sarebbe 
adempiuto,  se  non  c'incombesse  l'obbligo  di  esaminare,  oltre  al  contenuto, 
anche  il  disegno  generale  dell'  opera.  Ogni  distribuzione  e  divisione  in  materia 
letteraria  è  di  per  se  stessa  artificiale  e  soggettiva;  e  però  non  sarà  mai, 
su  questo  punto,  agevole  V  accordo  dei  critici.  Sennonché  siffatte  divisioni 
saranno  tanto  meglio  e  tanto  più  largamente  accette,  quanto  più  approssi- 
mativamente rispecchieranno  lo*  svolgimento  e  gli  intrinseci  e  vicendevoli 
rapporti  dei  fatti  storici  e  dei  letterarj.  Che  se  il  Ganello  ha  soverchiamente 
insistito  nel  ricercare  come  l' arte  sia  fluita  dalla  vita  e  quanto  su  di  essa 
abbia  poi  influito  (che  è  l'idea  principe  di  tutto  il  suo  libro),  il  F.  invece 
vi  badò  forse  troppo  poco:  da  ciò  quel  suo  ordinamento,  che,  secondo  noi 
crediamo,  non  sempre  si  accorda  con  le  vicende  storiche  del  secolo. 

Con  lo  spuntare  del  sec.  XVI  non  comincia  un  nuovo  indirizzo  filosofico, 
letterario  e  artistico,  ma  seguita  e  si  compie  l'opera  iniziata  nel  Quattrocento; 
e  però  ben  giustamente  il  F.  considerò  la  storia  letteraria  di  una  parte  del 
Cinquecento  come  la  finale  evoluzione  del  Rinascimento.  Nel  secondo  tren- 
tennio si  manifesta,  secondo  il  F.,  la  vera  letteratura  del  gran  secolo,  quella 
letteratura  cioè  che  pe'suoi  caratteri  particolari  potremmo  dire  propria  esclu- 
sivamente del  Cinquecento,  ossia  dall'  età  classica  nazionale;  a  differenza 
non  solo  della  precedente,  ma  anche  di  quella  degli  ultimi  quarant'anni,  in 
cui  per  effetto  della  reazione  cattolica  e  del  predominio  spagnuolo,  il  pen- 
siero e  l'arte  assumono  quelle  tendenze  per  le  quali  le  lettere  e  le  arti  si 
avviano  di  gran  passo  al  Seicento. 

Ora,  poiché  è  evidente  e  innegabile  che  il  sec.  XVI  si  divide  in  due  età 
storiche  ben  distinte,  e  che  questa  divisione  avvenne  proprio  a  mezzo  del 
secolo,  quando  il  Santo  Ufficio  cominciò  a  inquisire  e  si  inaugurò  il  Concilio 
di  Trento,  non  riesce  ben  chiara,  per  quanto  si  badi  pili  che  alla  cronologia, 
all'intrinseco  svolgimento  dei  generi  e  delle  forme  letterarie,  questa  triplice 
ripartizione  della  materia  ideata  dal  F.,  onde  derivano  parecchie  contraddi- 
zioni, ammettiamo  pure  pili  formali  che  intrinseche,  ma  che  non  perciò  sa- 
rebbe, crediamo,  stato  meglio  evitare,  adottando  un  disegno  corrispondente 
alla  divisione  storica  ora  accennata.  Eccone  qualche  esempio  tra  i  più  no- 
tevoli. Il  Bembo  cominciò  a  scriver  le  sue  rime  nei  primi  anni  del  sec.  XVI, 
le  pubblicò  nel  '30,  mori  nel  '47;  il  F.  parla  di  lui  come  umanista  e  dell'  opera 
sua  in  favor  del  volgare  nella  prima  parte,  e  del  lirico  e,  si  noti,  degli  Aso- 
lani  compiuti  intorno  al  1502,  nella  seconda.  Cosi  dicasi  di  Michelangelo,  la 


140  RA8SB0NA  BIBLIOGRAFICA 

cui  operosità  poetica  si  svolge  nel  primo  trentennio,  non  già  nel  secondo. 
Al  primo  periodo  appartengono  veramente  e  il  Berni,  morto  nel  '35  e  le  satire 
dell'Ariosto,  di  cui  il  F.  tratta  nel  secondo.  La  Ninfa  Tiberina  del  Molza  (1538) 
non  è  che  la  continuazione  e  il  perfezionamento  di  un  genere  portato  già  cosi 
alto  dal  Poliziano  e  dal  Magnifico,  onde  se  ne  doveva  parlare  nella  prima 
parte.  Quanto  alla  drammatica,  della  quale  si  discorre  nella  seconda  parte, 
la  Sofonisba  del  Trissino  e  la  Rosraunda  del  Rucellai  sono  del  '15,  1'  Oreste 
del'SS,  e  si  arriva  alla  metà  del  secolo  con  l' Grazia  dell'Aretino.  Le  com- 
medie del  Machiavelli  e  dell'Ariosto  sono  anteriori  al  '30;  e  per  la  prosa, 
oltre  agli  Asolani  e  al  Corlegiano  del  Castiglione,  morto  nel  '29,  il  Libro  di 
natura  d'Amore  dell' Equicola  fu  composto  nientemeno  che  circa  il  1495; 
e  pure  anche  di  questo,  come  degli  altri,  il  F.  discorre  nella  seconda  parte. 
Ma  se  l'A.  divide  l'opera  sua  in  tre  parti,  non  perciò  crede  che  il  Cin- 
quecento debba  essere  diviso  in  tre  età;  che  anzi  alle  due  età  suaccennate 
egli  allude  in  pili  luoghi  del  volume  (p.  296  e  418),  e  più  chiaramente  che 
altrove  nella  conclusione,  dove  dice  benissimo:  "Il  Cinquecento  comprende 
*  propriamente,  non  una  sola,  bensì'  due  distinte  età  della  letteratura  italiana. . . 
"La  prima  è  quella  in  cullo  spirilo  del  classicismo...  trionfò  incontrastato 
"  fra  noi  nell'arte  e  nella  vita.  La  seconda  è  quella  in  cui  contro  esso  spirito 
"  si  combatterono  in  Italia  le  più  fiere  battaglie,  tentando  di  restringere  al 
"  formale,  all'estrinseco,  l'efficacia  dell'opera  del  Rinascimento.  La  prima  età 
"  chiude  e  suggella:  la  seconda  apre  ed  avvia  „.  E  se  ciò  è,  come  noi  cre- 
diamo, verissimo,  perché  non  fondere  insieme  le  due  prime  parti  del  libro, 
in  modo  da  mostrare  che  proprio  alla  metà  del  secolo  si  compi  anche  let- 
terariamente, oltre  che  politicamente,  l'opera  del  Rinascimento?  Noi  insomma 
avremmo  preferito  che  il  F.  avesse  abbandonato  del  tutto  il  criterio  artifi- 
ciale dei  suoi  tre  periodi  o  parti,  e  si  fosse  più  decisamente  attenuto  a  quello 
storico,  per  cui  nessun  altro  secolo  forse  ebbe  due  età  cosi  nettamente  di- 
stinte da  fatti  e  da    caratteri   politici  e  letterari   del    tutto  diversi,  e  per  il 

tempo  cosi  giustamente  proporzionate,  come  il  Cinquecento. 

A.  Medin.  . 

G.  MuoNi.  —  Ludovico  di  Breme  e  le  prime  polemiche  intorno  a 
madama  di  Staci  ed  al  romanticismo  in  Italia  {1816)  —  Milano, 
Società  Editrice  libraria,  1902  (8."  pagg.  99). 

Dopo  aver  accennato  di  volo  agli  scrittori  principali,  che  get- 
tarono le  basi  delle  nuove  dottrine  romantiche,  alla  Stael,  allo 
Schlegel,  al  Sismondi,  l'A.  passa  senz'altro  ad  esaminare  quei 
due  famosi  articoli  pubblicati  da  madama  di  Stael  nella  Biblioteca 
Italiana,  ricordando  le  polemiche  a  cui  essi  dettero  origine,  e  che 
durarono  vive  e  continue  per  tutto  quel  tempestoso  anno  1816. 
Comincia  egli  col  riferire  i  primi  attacchi  contro  la  baronessa 
comparsi  nelle  Novelle  Letterarie  fiorentine,  sostenuti  e  rafforzati 
dallo  Spettatore  di  Milano,  e  la  difesa  generosa  e  cavalleresca  del- 
l'abate di  Breme,  di  cui  venne  in  quell'anno  alla  luce  l'opuscolo 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  141 

Discorso  intorno  àlV  ingiiistisia  di  alcuni  giiidiej  letterarj  italiani. 
Due  articoli  poco  tnen  che  ingiuriosi  contro  la  Stael  scagliò 
anche  il  servilissirao  e  frivolo  periodico  Corriere  delle  Dame,  dei 
quali  era  autore  quel  conte  Trussardo  Caleppio,  commissario  di 
polizia  e  futuro  redattore  àoiV Accattabrighe,  che  si  distinse  più 
ti  rdi  per  la  guerra  spietata  al  Conciliatore.  «  Le  sue  idee  »,  os- 
serva il  Muoni,  «  sono  un  tessuto  di  meschinità  e  di  vaniloquenza  ». 
Né  tacque  il  Monti  che,  nel  numero  del  giugno  della  Biblioteca, 
pubblicò  anonimo  un  dialogo,  in  cui  parlava  di  quei  due  articoli, 
come  pure  delle  accuse  del  conte  Trussardo:  e,  accanto  alla  cri- 
tica «colta  e  garbata»  del  Londpnio,  si  ebbe  l'insulso  e  sgan- 
gherato articolo  del  Giornale  di  letteratura  e  di  belle  arti  in  Fi- 
reme.  A  castigar  però  questi  velenosi  libelli,  veniva  giù  «  la 
più  acerba  frustata  »  che  in  quel  tempo  fosse  agli  avversar]  di- 
stribuita: le  Avventure  letterarie  o  consigli  d^tin  galantuomo  a  varj 
scrittori,  scritte  da  Pietro  Borsieri.  Di  questo  libro,  il  quale  «  de- 
sta un  vivo  interesse  in  chi  voglia  conoscer  da  vicino  i  retro- 
scena delle  guerricciole  letterarie  d'allora  »,  e  che  a  noi  veramente 
appare  «  unico  e  singolare  tra  gli  sconci  vaniloquj  dei  polemisti 
contemporanei  »,  il  Muoni  riferisce  lunghi  e  notevoli  brani,  per 
mostrare  «quali  meriti  singolari  d'arguzia,  di  sobrietà  e  di  lar- 
ghezza di  vedute  »  fosse  nel  futuro  collaboratore  del  Foglio  Az- 
zurro. Lo  strepito  di  queste  battaglie  giunse  persino  all'orecchio 
del  Leopardi  giovinetto,  che,  in  quell'anno  medesimo,  inviò  al- 
l'Acerbi un  suo  articolo,  in  risposta  a  quello  della  Staèl  sulle 
Traduzioni.  Ma  l'Acerbi,  che  forse  in  quell'articolo  non  trovava 
bastante  sapore  di  lingua,  ne  rifiutò  la  pubblicazione. 

Nel  secondo  capitolo,  il  M.  esamina  brevemente  (sarebbe  stato 
meglio  farlo  nel  primo),  quali  idee  s'  avessero,  in  Italia  e  nel  1816, 
intorno  al  romanticismo.  Mostra  anzitutto  di  che  genere  fossero 
i  consigli  forniti  dalla  Stael  ai  letterati  italiani,  scegliendo  i  pili 
importanti  fra  quelli  che  diedero  origine  alle  difese.  Tra  coloro 
che  sostennero  vigorosamente  la  scrittrice  francese,  oltre  il  Bor- 
sieri, troviamo  anche,  com'è  naturale,  Ludovico  di  Breme.  Que- 
st'  ultimo,  nota  il  Muoni,  pubblicò  il  suo  Discorso  anche  prima 
della  Lettera  Semiseria  di  Crisostomo,  della  quale  anticipò  molti 
punti.  Sulle  sue  idee  generali,  meno  note  ma  non  meno  larghe 
ed  originali  di  quelle  del  Berchet,  l' A.  s' indugia  alquanto,  rife- 
rendo, come  ei  suole,  di  quello  scritto  brani  caratteristici.  «  La 
natura  »,  osserva  il  Brerae,  «  non  entra  per  nulla  in  queste  nostre 
decisioni  e  classificazioni  di  secoli  inarrivabili,  di  letteratura  clas- 
sica e  non  classica Scommetterei  il  Tesoro  di   ser  Brunetto 

Latini  e  fra  Guittone  con  monsignor  Bottari,  che  la  natura  mette 
in  una  sola  classe  Omero,  Dante,  Shakespeare,  Sofocle  ». 


142  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Il  terzo  ed  ultimo  capitolo  sembra  a  noi  non  tanto  opportu- 
namente posposto  agli  altri  due,  coi  quali  non  ha  in  verità  al- 
cun intimo  legame.  Essendosi  presentata  alla  mente  dell' A.,  nello 
studiare  le  polemiche  romantiche  di  quell'anno,  assai  caratteri- 
stica la  figura  dell'abate  di  Breme,  egli  ne  tesse  in  parte  la 
biografia.  Ricorda  quali  fossero  le  sue  relazioni  e  le  sue  amicizie 
letterarie,  durante  il  periodo  di  tempo  che  va  dal  1807  al  1818: 
e  quali  vincoli  di  gratitudine  e  d' affetto,  quali  cordiali  rapporti 
fossero  tra  l'abate  romantico  e  il  suo  maestro  Tommaso  Valperga 
di  Caluso,  tra  lui  e  la  contessa  d'Albany;  e  torna  giustamente 
ad  insistere  sull'ammirazione  del  Breme  per  madama  di  Stael. 
L'influenza  di  questa  donna,  che  nella  sua  villa  di  Coppet  in 
Isvizzera  radunava  sovente  una  elettissima  schiera  d'ingegni,  che 
ospitava  il  Byron  e  lo  Schlegel,  il  Pictet  e  il  Brougham,  fu  per 
l'ingegno  del  Breme  decisiva,  e  durò  assai  viva  per  tutta  intera 
la  vita  di  lui.  L'A.  termina  ricordando  l'amicizia  del  Breme  per 
il  Foscolo,  alquanto  offuscata  piti  tardi  da  un  disgustoso  incidente; 
le  relazioni  col  Monti  e  col  Botta,  e  i  legami  fraterni  che  strinsero 
la  sua  anima  con  quelle,  assai  simili,  del  Borsieri  e  del  Pellico. 
In  unione  con  questi  due  egli  formò  in  Milano  quel  primo  cena- 
colo romantico  (1815-16),  da  cui  fu  concepito  un  nuovo  periodico, 
//  bersagliere^  sentinella  avanzata  del  Conciliatore. 

Lo  studio  del  M.  contiene  senza  dubbio  molte  curiosità  aned- 
dotiche e  molte  notizie  letterarie,  e  riesce  interessante,  perchè 
tende  a  farci  meglio  conoscere  quel  primo  accendersi  in  Italia 
d'una  questione,  a  cui  erano  legate  cosi  da  vicino  le  sorti  della 
nostra  letteratura.  Assai  utili  tornano  pure  quei  brani  eh'  egli 
riferisce,  estratti  da  opuscoli  e  da  periodici  assai  rari,  per  lumeg- 
giare di  quando  di  quando  l'indole  di  quelle  polemiche.  Ma,  nel 
complesso,  a  noi  pare  che  questo  lavoro  manchi  di  compattezza 
organica.  Non  parlando  della  poca  opportunità  che  presentano 
quei  cenni  sulla  vita  privata  del  Breme,  posti  in  fine  del  libro, 
quando  si  sono  già  esaminate,  nei  due  capitoli  precedenti,  le  sue 
idee  letterarie  e  le  idee  morali;  troppo  fitta  e  troppo  densa  è  la 
selva  dei  minuti  particolari,  delle  notizie,  delle  rettifiche,  degli 
stessi  brani,  allineati  1'  uno  di  seguito  all'  altro,  con  un  nesso  non 
sempre  naturale;  troppo  minute  le  fila  e  le  diramazioni  e  l'in- 
treccio delle  opinioni;  cosi  che  nella  niente  del  lettore  non  rimane 
un  concetto  chiaro  e  complessivo  delle  contese  letterarie  d' allora. 
Eppure  l'argomento  era  di  tal  natura,  da  rendere  indispensabili 
queste  conclusioni  e  queste  sintesi  parziali,  per  seguire  le  linee 
grandiose  ed  immutabili  della  nuova  teoria,  senza  perdere  di  vista 
il  corso  principale,  attraverso  una  miriade  di  rigagnoletti.  Alcune 


DELLA  LBTTKRATURA  ITALIANA  143 

questioni,  di  grande  importanza,  sono  poi  dall' A,  toccate  un  po' 
troppo  fugacemente.  Accennando  al  sorgere  del  romanticismo,  egli 
afferma  come  «  a  tre  si  possano  ridurre  i  germi  dell'  arte  roman- 
tica, attecchiti  in  Italia  prima  che  venissero  le  discussioni  teoriche: 
e  cioè  i  poemi  di  Ossian,  le  lagrimose  Notti  di  Young,  la  poesia 
sepolcrale  . . .  »;  concludendo  che  «  la  cosa  esisteva  dunque  prima 
dell'idea».  Su  questa  esistenza  del  romanticismo  prima  ancora 
della  sua  nascita,  bisognerebbe  un  po'  meglio  intendersi.  Il  ro- 
manticismo italiano,  che  si  determina  in  forma  di  scuola  soltanto 
dopo  il  1815,  non  predicò  né  poteva  predicare  cose  del  tutto 
nuove:  ma  originale  è  la  fusione  intima  di  tutti  quegli  elementi 
letterarj,  filosofici,  morali  e  patriottici,  che  dà  a  concetti  e  a  teo- 
rie, spesso  in  parte  già  enunciate,  una  fisionomia  singolare  ed  un 
carattere  assolutamente  nuovo.  Edmondo  Clbefci. 


A.  Solerti.  —  Le  origini  del  melodramma.  —  Torino,  Bocca,  1903. 

L'idea  di  raccogliere  in  un  volume  le  principali  testimonianze 
dei  contemporanei,  intorno  alle  origini  del  Melodramma,  è  stata 
certamente  una  felicissima  idea:  giacché  sebbene  gran  parte  degli 
scritti  dal  Solerti  raccolti  fosse  già  stata  anche  modernamente 
rimessa  in  luce  dal  Vogel,  dal  Grevaert  e  da  altri,  pure  giova  trovar 
riuniti  tanti  importantissimi  scritti  in  una  moderna  edizione 
italiana.  E  di  ciò  va  data  lode  al  prof.  Solerti,  che  può  giusta- 
mente lusingarsi  di  aver  fatto  opera,  la  quale  tornerà  gradita  agli 
studiosi  dell'interessante  argomento.  In  fatto  da  tali  testimonianze 
si  rileva  ben  chiaramente  a  qual  concetto  e  a  quali  intendimenti 
si. ispirarono  gli  iniziatori  di  quella  «Riforma  Fiorentina  »,  che 
originata  dall'idea  di  un  ritorno  all'antica  arte  dei  Greci,  pose 
invece  le  fondamenta  dell'  opera  teatrale  moderna. 

Che  la  prima  spinta  alla  maravigliosa  invenzione,  come  Jacopo 
Peri  la  chiama,  sia  stata  data  da  Emilio  del  Cavaliere  (cui  la  for- 
tuna negò  per  molto  tempo  fama  pari  al  suo  merito)  non  si  può 
mettere  in  dubbio.  Oltre  al  suo  editore  Alessandro  Guidotti  che 
gliene  dà  vanto,  lo  riconosce  il  Peri  medesimo  dicendo  come:  dal 
signor  Emilio  del  Cavaliere,  prima  che  da  ogni  altro  ch'io  sappia, 
con  maravigliosa  invenzione,  ci  fusse  fatta  udire  la  nostra  musicq 
sulle  scene.  E  da  quanto  dice  il  Guidotti  si  deduce  che  il  genti- 
luomo romano  intendesse  di  fare  le  sue  composizioni  a  somiglianza 
di  quello  stile  col  quale  si  dice  che  gli  antichi  Greci  e  Romani  nelle 
scene  e  teatri  loro  solcano  a  diversi  affetti  muovere  gli  spettatori. 

Ma  ciò  che  pili  preme  notare  sono  gli  avvertimenti  dati  nella 


144  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Epistola  ai  lettori  per  la  giusta  interpretazione  di  queste  sue  mu- 
siche: tra  i  quali  attirano  più  vivamente  la  nostra  attenzione 
quelli  rivolti  al  cantante,  che  dovrà  cantar  con  aflFetto,  sen^a  pas- 
saggi (cioè  senza  inopportune  fioriture  a  scapito  del  sentimento 
drammatico)  e  accompagnarsi  con  una  azione  appropriata,  e  quelli 
relativi  agli  strumenti,  che  dovranno  esser  in  numero  proporzio- 
nato alla  capacità  della  sala  e  'perché  non  sieno  veduti  si  deb- 
bono suonare  dietro  le  tele  della  scena;  colla  qual  prescrizione  Emilio 
del  Cavaliere  anticipava  di  circa  due  secoli  e  mezzo  l'idea  wa- 
gneriana! Ed  anche  un'altra  cosa  importante  diceva  il  grande 
artista,  sempre  in  rapporto  agli  strumenti  o  meglio  al  loro  ufficio 
nel  dramma.  Quella  che  il  Combarieu  chiamava  la  Psicologia 
dell'  orchestra  e  della  quale  attribuiva  a  G.  Giacomo  Rousseau 
l'invenzione  (che  1' Hellouin  rivendicava  invece  a  Claudio  Monte- 
verdi)  era  stata  già  immaginata  e  sentita,  anche  prima  che  dal 
gran  Cremonese,  da  Emilio  del  Cavaliere,  il  quale,  come  dice  l'Epi- 
stola, laudarehbe  mutare  str omento  conforme  all'  affetto  del  recitante. 

Non  è  chi  non  vegga  l'importanza  di  questa  idea  dell'appro- 
priare ad  ogni  personaggio  una  classe  di  strumenti:  idea  che  se 
non  fosse  stata  enunciata  da  Emilio  del  Cavaliere  prima  che  co- 
minciasse il  '600,  si  direbbe  della  più  fresca  modernità.  Né  meno 
notevole  è  il  concetto  di  lui  intorno  a  quella  varietà  di  ritmo.,  che, 
tanti  secoli  dopo,  poneva  sulla  sua  bandiera  Gioacchino  Rossini, 
e  che  l'antico  compositore  invocava,  volendo  che  l'arie  e  le  mu- 
siche non  sieno  simili,  ma  variate  con  molte  proporzioni,  cioè  tri- 
ple, sestuple  e  di  binario.  E  più  e  più  altre  cose  e  intorno  alla  du- 
rata degli  spettacoli,  e  all'ordinamento  del  teatro,  e  ai  libretti 
per  musica  ci  piacerebbe  pure  notare  se,  comparando  la  materia 
allo  spazio  di  cui  possiamo  disporre,  non  ci  sentissimo  costretti 
ad  affrettare  il  cammino. 

Perciò  sulla  ormai  ben  nota  «  Prefazione  »  del  Peri  alla  sua 
«  Euridice  »  non  ci  fermiamo  se  non  per  rilevare  come  un*  altra 
idea  di  un  altro  grande  alemanno,  Cristoforo  Gluck,  sia  stata  anti- 
cipata da  un  antico  musicista  italiano.  E  noto  che  il  Gluck  soste- 
neva dover  essere  la  musica  una  declamazione  intensiva:  e  che 
cosa  voleva  Jacopo  Peri  se  non  imitar  col  canto  chi  parla  e  usare, 
a  modo  de'  Greci,  tm''  armonia  che  avanzando  quella  del  parlare 
ordinario  scendesse  tanfo  dalla  melodia  del  cantare,  che  pigliasse 
forma  di  cosa  mezzana !^  Perciò  egli  diceva  di  aver  cercato  una 
maniera  di  musica,  che  potesse  prender  temperato  corso  tra  i  mo- 
vimenti del  caldo  sospesi  e  lenti  e  quegli  della  favella  spediti  e  ve- 
loci, e  di  aver  trovato  come  nel  parlar  nostro  molte  voci  s'into- 
nino di  per  sé  in  guisa  che  vi  si  può  fondare  armonia.  Simile  prò- 


DBLLA   LETTERATURA   ITALIANA  145 

cedimento  usava  nel  comporre  Vincenzo  Bellini,  il  quale  in  una 
lettera  a  Filippo  Cicconetti,  tra  l'altro,  scriveva:  «  chiuso  quindi 
nella  mia  stanza  comincio  a  declamare  la  parte  del  personaggio 
del  dramma  con  tutto  il  calore  della  passione  e  osservo  intanto 
le  inflessioni  della  mia  voce,  l'affrettamento  e  il  languore  della 
pronunzia  in  questa  circostanza,  l'accento  insomma  ed  il  tono  del- 
l'espressione che  dà  la  Natura  all'uomo  in  balia  delle  passioni; 
e  vi  trovo  i  motivi  ed  i  tempi  musicali  adatti  a  dimostrarle  e  a 
trasfonderle  in  altrui  per  mezzo  dell'armonia...». 

Importantissima  è  poi  la  «  Prefazione  »  di  Giulio  Caccini  alle  sue 
Nuove  Musiche,  la  quale  pure  è  un  vero  e  proprio  manifesto  este- 
tico, che  contiene  in  sostanza  tutte  le  idee  sul  dramma  lirico,  di 
Gluck  e  di  Wagner.  Ivi  egli  narra  come  dalle  discussioni  cogli 
amici  della  Camerata  Fiorentina  (nelle  quali  aveva  appreso  più 
che  in  trent'anni  nel  contrappunto)  avesse  derivato  la  convin- 
zione a  non  pregiare  quella  sorta  di  musica,  che  non  lasciando  bene 
intendersi  le  parole,  guasta  il  concetto  et  il  verso,  ora  allungando 
et  ora  scorciando  le  sillabe  per  accomodarsi  al  contrappunto,  lace- 
ramento della  poesia:  ivi  espone  come  gli  venisse  in  pensiero  di 
introdurre  una  sorte  di  musica  per  cui  altri  potesse  quasi  che  in 
armonia  favellare  e  come  avesse  sempre  ricercato  V  imitazione  dei 
concetti  delle  parole;  ivi  si  scaglia  contro  gli  abusi  dei  cantanti 
pei  loro  giri  di  voci  e  trilli  e  gruppetti,  ritrovati  non  già  perché 
sieno  necessarj  alla  buona  maniera  di  cantare,  ma  si  per  dare  una 
certa  titillazione  agli  orecchi  di  quelli  che  meno  intendono  che  cosa 
sia  cantare  con  affetto:  ivi  insomma  porge  una  quantità  di  pre- 
cetti intorno  all'estetica  e  alla  pratica  dell'arte  musicale,  che  ci 
fanno  ammirare  tanta  acutezza  di  osservazione  e  tanta  finezza 
di  gusto. 

Segue,  nella  raccolta  del  Solerti,  la  prefazione  di  Marco  da 
Gagliano  alla  Dafne:  quella  prefazione  in  cui  il  colto  ed  equili- 
brato compositor  fiorentino  mostra  di  possedere  cosi  largo  con- 
cetto dello  spettacolo  teatrale,  da  dichiarare  che  non  basta  la  mu- 
sica sola  a  formarlo,  ma  richiedonsi  molti  altri  requisiti  dall'in- 
sieme dei  quali  acquista  veramente  eccellenza.  E  anche  qui  come 
non  ricordare  gli  scritti  del  Wagner  sull'opera  d'arte  dell'av- 
venire e  come  non  riconoscere  che  anche  qui  l'innovazione  te- 
desca non  fu  altro  (in  rapporto  alle  mutate  condizioni  dei  tempi) 
che  un  ritorno  ad  un'anticaglia  italiana? 

Ma  la  prefazione  alla  Dafne  ha  inoltre  una  grande  impor- 
tanza storica,  giacché  l'autore  vi  narra  come  ebbero  origine  gli 
spettacoli  chela  Camerata  Fiorentina  ideò,  e  ne  racconta  le  primo 
vicende.  Indi  si  dilunga  a  parlar  della  Dafne,  dando  numerosi  e 


146  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

giudiziosi  avvertimenti  intorno  alla  sua  esecuzione:  avvertimenti 
che  sono  al  tempo  stesso  tanti  precetti  artistici  della  pili  indi- 
scutibil  giustezza. 

E  la  serie  delle  Prefazioni  si  chiude  con  quella  di  Filippo  Vi- 
tali a\V  Aretusa,  prefazione  che  è  solo  un  resoconto  della  prima 
esecuzione  di  quella  favola  e  del  grande  successo  riportato,  con 
relative  modeste  dichiarazioni  dell'autore  che,  al  solito,  ne  attribui- 
sce il  merito  agli  esecutori,  all'apparato  scenico  etc.  etc. 

A  questo  punto  del  volume  troviamo  ripubblicato  l'impor- 
tante «  Discorso  »  di  Vincenzo  Giustiniani  sopra  la  musica  dei  suoi 
tempi.  Il  Solerti  opportunamente  riproduce  anche  1'  erudita  av- 
vertenza che  vi  pi'emise  Salvatore  Bongi,  quando  pubblicò  il  Di- 
scorso per  occasione  di  nozze,  e  che  fornisce  ampie  notizie  sul- 
l'autore e  sull'opera  sua.  Nel  discorso  del  Giustiniani  poi,  è  se- 
guito il  cammino  della  nuova  arte  musicale  da' suoi  primi  pafesi, 
fino  al  1628,  anno  nel  quale  indubitatamente  fu  scritto  :  e  si  parla 
con  assai  diffusione  delle  condizioni  della  musica,  sia  vocale  che 
strumentale,  in  quel  tempo. 

Pure  alle  origini  del  Melodramma  si  riferisce  l' estratto  della 
prima  parte  de^  Discorsi  e  Regole  sovra  la  musica  di  Severo  Bo- 
nini,  che  ci  dà  particolareggiate  informazioni  intorno  a  coloro 
che  idearono  e  a  quelli  che  interpretarono  il  nuovo  genere  d'arte, 
cioè  intorno  ai  principali  cantori,  cantatrici  e  compositori  recita- 
tativi  di  Fireìise,  com'  egli  li  chiama.  A  complemento  delle  quali 
notizie  il  diligentissimo  prof.  Solerti  aggiunge  in  nota  quelle  al- 
tre che  si  ricavano  da  un  raro  opuscolo  della  Biblioteca  Riccar- 
diana. 

Segue  la  notissima  «  Lettera  »  di  Pietro  De'  Bardi,  documento 
che  non  doveva  mancare  in  questa  raccolta,  ma  sul  quale,  per  essere 
stato  stampato  e  ristampato  pili  volte,  stimiamo  inutile  soffer- 
marci. Assai  meno  noto  è  invece  il  lungo  «Discorso»  di  Pietro  Della 
Valle,  pubblicato  nel  1763  dal  Gori  nel  2."  volume  dei  Trattati 
di  musica  di  G.  B.  Doni  e  nel  quale  lo  scrittore,  che  ha  pel  suo 
tempo  idee  molto  avanzate,  si  propone  di  dimostrare  che:  la  mu- 
sica dell'  età  nostra  non  è  punto  inferiore,  ansi  è  migliore  di  quella 
dell'  età  passata.  Il  discorso  è  del  1640  ed  è  diretto  a  Lelio  Gui- 
diccioni,  il  quale  avea  lamentato  (come  in  tutti  i  tempi  si  è  fatto) 
la  decadenza  della  musica  vecchia.  Pietro  della  Valle,  che  era  di 
opposto  parere,  combatte  i  soverchi  artificj  della  musica  vecchia 
fondata  esclusivamente  sul  contrappunto,  e  mostra  come  i  compo- 
sitori dell'età  sua  abbiano  concorso  a  liberarla  da  quel  difetto, 
facendo  luogo  al  sentimento  e  alla  giusta  espressione  delle  pa- 
role. Parla  poi  del  suo  Carro  di  fìdiltà  d'  amore  (di  cui  il  Solerti 


DBLLA  LETTERATURA   ITALIANA  147 

riproduce  in  appendice  il  testo  da  un  rarissimo  opuscolo)  e  discute 
a  lungo  sull'indirizzo  dell'arte  nuova,  sui  nuovi  cantanti,  sulle 
tante  novità  peregrine,  che  all' età  passata  furono  affatto  ignote,  per 
le  quali  l'arte  venne  acquistando  maggior  calore  di  sentimento 
e  maggiore  scioltezza  di  forme. 

Dopo  una  descrizione  delle  opere  sulla  musica  di  G.  B.  Doni, 
leggiamo  nell'  interessante  volume  alcuni  estratti  dal  Trattato 
della  musica  scenica  di  lui.  Vi  hanno  dei  capitoli  assai  curiosi, 
come  quello  in  cui  l'autore  vuol  dimostrare  che,  poiché  le  lunghe 
musiche  generano  tedio,  è  molto  meglio  cantare  parte  delle  azioni 
che  tutte  intere  !  Che  ne  direbbero  i  iiostri  editori  ?  —  In  altro 
capitolo  il  Doni  studia  a  quali  specie  di  azioni  drammatiche  con- 
venga più  o  meno  la  melodia,  dimostrando  che  meglio  si  adatta 
alla  tragedia  che  alla  commedia  e  che  può  introdursi,  ma  limi- 
tatamente, nelle  Rappresentazioni  spirituali,  mentre  le  Pastorali 
possono  aver  musica  in  tutte  le  parti  loro. 

Un  altro  capitolo  si  riferisce  alle  origini  del  cantare  in  scena, 
e  ripete  le  notizie  storiche  della  «  Riforma  Fiorentina  »  :  altri  trat- 
tano del  Mimo  antico,  delle  Favole  Atcllane  e  degli  Intermezzi, 
del  progresso  di  cui  la  scena  lirica  è  suscettibile,  dell'accompa- 
gnamento strumentale.  Con  felice  pensiero  il  Solerti  aggiunge 
poi  un  passo  tolto  dal  Trattato  de-generi  e  della  Musica,  nel 
quale  è  fatta  una  chiara  distinzione  tra  il  genere  madrigalesco 
e  il  nuovo  stile  monodico,  affermandosi  che  il  miglioramento  die 
ha  fatto  la  musica  per  questa  sorte  di  melodie  è  molto  notabile,  per 
quanto  le  imperfezioni  dello  stile  madrigalesco  debbano,  secondo 
il  Doni,  pili  che  al  genere  in  sé,  attribuirsi  all' artefice,  c/ie  wow 
V  assegna  a  soggetti  proporzionati. 

La  riproduzione  del  testo  poetico  della  Rappresentazione  di  Ani- 
ma e  Corpo,  un'ampia  e  diligente  Bibliografia  delle  prime  Favole 
in  Musica  dal  1600  al  1640  (di  parecchie  delle  quali  si  ha  ora  per 
la  prima  volta  notizia)  ed  un'altra  copiosa  Bibliografia  relativa 
alla  letteratura  sulle  origini  del  Melodramma,  aggiungono  pregio 
al  volume  che  il  prof.  Solerti  ha  messo  insieme  con  acuto  discer- 
nimento e  con  cura  amorosa. 

Arnaldo  Bonaventura. 


148  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 


Enrico  PANZAccnr.  —  Il  libro  degli  artisti  (Antologia).  —  Milano, 
Cogliati,  1903  (pp.  XV-527,  in  16."). 

Mentre  si  sta  discutendo  circa  l'opportunità,  o,  per  meglio  dire, 
la  necessità  di  introdurre  una  buona  volta  l'insegnamento  della 
storia  dell'arte  nelle  nostre  scuole,  ecco  alla  luce  un  libro,  che 
se  non  può  contribuire  alla  soluzione  del  grave  problema,  può 
tuttavia  prestare  un  valido  ajuto  a  quei  volenterosi  che  avessero 
desiderio  di  cominciare  ad  infondfere  nei  giovani  un  certo  inte- 
resse ed  amore  per  quei  negletti  studj.  Lo  scopo  che  Enrico  Pan- 
zacchi  si  è  proposto  con  questa  Antologia  è  stato  appunto  quello 
di  indurre  gli  studiosi  a  familiarizzarsi  con  lo  spirito,  con  la  cul- 
tura e  con  le  abitudini  della  vita  dei  nostri  pittori,  scultori  e  ar- 
chitetti. E  poiché  fortunatamente  i  nostri  grandi  artisti,  senza 
essere  veri  e  proprj  letterati,  non  furono  neanche  quegli  uomini 
incolti  che  taluno  suppone,  di  modo  che  «  quando  alcuni  di  essi 
«  adoperarono  la  penna  con  qualche  intendimento  letterario,  per 
«  la  vivacità  e  la  grazia  innata  dello  scrivere,  meritai'ono  d'  essere 
«^talvolta  invidiati  dagli  uomini  di  lettere  propriamente  detti  », 
COSI  l'A.  è  riuscito  a  comporre  felicemente  nello  stesso  tempo  un 
opera  d'arte,  di  letteratura  e  di  storia,  raccogliendo  in  questo 
volume  prose  e  versi,  che  ad  artisti  in  gran  parte  appartengono. 
Inoltre,  poiché  le  relazioni  fra  artisti  e  letterati  furono  nei  di- 
versi secoli  multiformi  e  continue,  egli  ha  creduto  opportuno 
unire  a  quei  brani  altri  brani  di  poeti  e  di  prosatori,  che  ad  ar- 
tisti o  ad  opere  d'arte  in  qualche  modo  si  riferiscono. 

La  materia  è  divisa  per  secoli,  ed  ai  brani  riportati  vengono 
fatti  precedere  per  ogni  secolo  brevi  cenni  riassuntivi  della  sto- 
ria artistica  di  quel  dato  periodo,  al  quale  gli  scritti  stessi  appar- 
tengono. Ogni  volta  che  comparisce  nel  libro  il  nome  di  un  ar- 
tista, le  annotazioni  richiamano  brevemente  la  vita  e  le  opere  di  lui. 

Per  i  secoli  XIII  e  XIV  ai  brani  di  prosa  scelti  dal  Trattato 
della  Pittura  di  Cennino  Genuini,  dai  Commentarj  del  Ghiberti, 
dalla  Cronaca  di  Giovanni  Villani,  dalla  Vita  Nuova  di  Dante, 
dalle  novelle  di  Franco  Sacchetti,  e  sopratutto  poi  dal  Vasari, 
sono  uniti  non  pochi  brani  poetici,  che  colle  arti  plastiche  stanno 
in  una  certa  relazione.  Così  l'A.  riporta  le  mirabili  terzine  del 
e.  X  del  Purgatorio,  nelle  quali  Dante,  descrivendo  le  sculture 
che  ornano  la  ripa  tra  il  primo  ed  il  secondo  girone,  dà  forma 
perfettamente  plastica  alla  sua  immaginazione;  quelle  relative  a 
Franco  Bolognese,  alcuni  sonetti  di  Dante  stesso,  del  Petrarca, 
di  Andrea  Orcagna  ed  alcune  rime  del  Poliziano. 


I 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  149 

Per  il  secolo  XV,  oltre  che  a  quelli  del  Vasari,  che  tanto  in 
questo,  come  nel  secolo  successivo  tengono  la  prevalenza,  nn  largo 
posto  è  concesso  agli  scritti  di  L.  B.  Alberti.  L'A.  riferisce  pure 
un  brano  di  quella  Cronaca  rimata  di  Giovanni  Santi,  padre  di 
Raffaello,  la  quale  pur  non  avendo  un  grande  valore  poetico,  non 
è  tuttavia  priva  di  interesse  per  i  frequenti  accenni  all'arte  ed 
agli  artisti  contemporanei. 

L' arte  del  secolo  XV  non  dava  vita  soltanto  alle  tele  ed  alle 
p.ireti  delle  chiese  e  dei  chiostri.  Per  intendere  adeguatamente  la 
sua  alta  importanza  politica  e  civile  in  quel  secolo,  non  basta 
studiare  le  opere  d'arte  che  uscirono  dai  pennelli  divini,  non  ba- 
sta leggere  i  brani  dei  biografi.  L^arte  penetrata  nell'anima  del 
popolo  diveniva  parte  vitale  di  ogni  manifestazione  del  popolo 
stesso,  ed  informava  di  se  le  feste  pubbliche,  i  giuochi  ed  ogni  al- 
tra espressione  di  quella  età  festosa  ed  obliosa.  Nelle  liete  ma- 
scherate, inventate  da  artisti  e  da  gaudenti  buontemponi,  abbia- 
mo di  tutto  ciò  le  testimonianze  più  fedeli;  ed  i  Canti  Carnascia- 
leschi che  in  quelle  occasioni  si  cantavano  dal  popolo,  ci  danno  la 
più  intensa  vibrazione  di  cotesta  nota  gaia  e  spensierata.  Cosi  l'A. 
alle  narrazioni  che  il  Vasari  ci  ha  lasciato  di  tali  feste,  unisce  op- 
portunamente alcuni  brani  di  quei  canti,  come  quello  del  Trionfo 
di  Bacco  e  di  Arianna,  cosi  delizioso  nel  suo  ritornello: 

"  Chi  vuol  esser  lieto  sia 
Di  domali  non  c'è  certezza,. 

Parimente  un  brano  di  quella  strana  e  bizzarra  opera  che  è  il 
Sogno  di  Polifilo,  e  che  va  adorna  di  preziose  incisioni  attribuite 
al  Mantegna,  al  Bellini,  a  Raffaello,  a  Jacopo  de' Barberi,  ci  ri- 
porta ai  tempi,  nei  quali  andavano  maturandosi  le  forme  della 
nuova  architettura,  che  doveva  essere  inaugurata  più  tardi  da  Bra- 
mante. Chiudono  gli  scritti  del  sec.  XV  molti  brani  del  Trattato 
della  Pittura  di  Leonardo  da  Vinci,  nei  quali  i  consigli  più  pra- 
tici ili  fatto  di  arte  vengono  accoppiati  ai  sentimenti  della  più 
alta  poesia,  che  ispiravano  costantemente  quel  sommo  genio  en- 
tusiasta delle  bellezze  del  corpo  umano  e  dell'armonia  che  regna 
fra  tutte  le  opere  della  natura. 

Premesse,  secondo  il  solito,  alcune  considerazioni  storiche  al- 
l'esame  del  sec.  XVI,  di  questo  secolo,  che  come  dice  il  Taine, 
ci  dette  in  arte  il  tipo  di  un'umanità  superiore,  e  che  potrebbe 
avere  per  insegna  quei  due  versi  di  Michelangelo: 

"  Per  fido  esempio  di  mia  vocazione 
Nascendo  mi  fu  data  la  bellezza  „, 

11 


150  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

l'A.,  dopo  avere  altresì  osservato  che  non  bisogna  intendere  e 
studiare  quest'epoca  in  un  senso  troppo  rigorosamente  cronolo- 
gico, passa  a  darci  brani  del  Vasari,  di  Messer  Baldassar  Casti- 
glioni,  del  Borghini,  dei  Dialoghi  del  Firenzuola,  di  rime  del  Bembo, 
di  Griovanni  della  Casa,  ottave  dell'Ariosto,  versi  di  artisti,  quali 
il  Bramante,  il  Francia,  il  Reni,  e  sopratutto  poi  di  Michelan- 
gelo, per  la  biografia  del  quale  vengono  riportati  in  gran  numero 
dei  brani  del  Condivi.  Si  aggiungano  a  questi  scritti  molte  lettere 
scambiate  fra  artisti,  letterati  e  principi,  alcuni  dialoghi  di  Paolo 
Pino,  di  Ludovico  Dolce,  di  Andrea  Gilio,  alcuni  passi  della  au- 
tobiografia di  KafFaello  da  Montelupo,  molti  di  quelle  del  Cellini 
e  dei  trattati  di  lui  sull'Oreficeria  e  sulla  scultura,  altri  sonetti 
del  Cellini  stesso,  del  Varchi,  del  Bronzino,  ed  altri  trattati  an- 
cora del  Lomazzo,  di  Romano  Alberti,  di  G.  B.  Armenino,  del 
Palladio,  e  si  capirà  facilmente  come  lafisonomia  di  questo  grande 
secolo  ne  risulti  chiara  ed  evidente  nelle  sue  varie  manifestazioni. 

L'arte  del  secolo  successivo,  ispirata  a  quel  sentimento  reli- 
gioso misto  di  fervore  e  di  entusiasmo  declamatorio,  che  pure 
aveva  ancora  in  se  molti  elementi  di  forza  e  di  grandezza,  trova 
le  più  fedeli  testimonianze  del  suo  carattere  nelle  Vite  del  Bal- 
dinucci,  in  molte  poesie  di  G.  B.  Marini,  nella  Felsina  Pittrice  di 
G.  C.  Malvasia,  nel  Microcosmo  della  pittura  di  Francesco  Scan- 
nelli, in  alcune  lettere  dei  Caracci,  di  G.  Reni,  del  Bernini,  in  rime 
del  Bernini  stesso,  o  a  lui  dedicate,  di  Salvator  Rosa  e  di  Ago- 
stino Caracci,  ed  in  altri  brani  di  prosa  del  Bon-omini,  di  Carlo 
Gregorio  Rosignoli  ecc. 

Per  il  sec.  XVIII,  non  avendo  allora  avuto  la  patria  nostra 
abbondanza  di  artisti  di  grande  valore,  non  potevamo  purtroppo 
avere  neanche  una  grande  copia  di  scritti  letterarj,  che  servis- 
sero ad  illustrarne  le  opere.  Al  Rococò,  che  aveva  trionfato  fino 
verso  la  metà  del  secolo,  tanto  di  là  quanto  di  qua  dalle  Alpi, 
si  oppose  in  Italia  quel  movimento  artificioso,  che  con  slancio 
poco  sincero  proclamò  il  trionfo  della  bellezza  greca  e  romana. 
Il  Tiepolo,  che  primeggia  fra  coloro  che  si  tennero  in  disparte  dal 
rinnovamento  classico,  rappresenta  l' ultimo  fulgóre  della  grande 
arte  veneziana.  Accanto  a  lui  il  Canaletto  e  Rosalba.  Fra  gli  ar- 
chitetti sono  da  ricordarsi  il  Gallo  e  il  Dotti,  Notevole  fama  eb- 
bero il  Soli,  il  Temanza,  loZanoia,  il  Cagnola,  il  Canina,  il  Diedo. 
Per  la  pittura,  a  Roma  l'astro  maggiore  è  Vincenzo  Camuccini; 
a  Firenze  Luigi  Sabatelli  e  il  Benvenuti  aretino.  Ma  tutti  questi 
artisti  ben  poco  scrissero,  e  chi  scrisse  di  loro  o  della  loro  arte 
si  lasciò  spesso  dominare  dal  barocco  sia  nella  forma  che  nel 
concetto.  Sono  tuttavia  degni  di  nota  e  non  privi  di  interesse  gli 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  151 

scritti  di  Gio.  Maria  Ciocchi,  la  pittura  in  Parnaso;  i  Saggi  so- 
pra la  pittura  di  Fr.  Algarotti,  gli  Avvertimenti  di  Giuseppe  Za- 
netti, i  Dialoghi  del  Bottari,  molti  passi  delle  opere  del  Milizia, 
il  Trattato  di  Niccola  Passeri,  i  Sonetti  di  Giuliano  Cassiani,  ed 
alcuni  epistolarj. 

Venendo  finalmente  al  sec.  XIX,  che  racchiude  in  se,  come 
dice  l'A.  molti,  svariati  e  spesso  confusi  movimenti  d'arte  e  di 
idee,  i  brani  degli  scrittori  in  fatto  d'arte  ci  si  offrono  assai  pili 
abbondanti  che  per  il  secolo  precedente.  Le  lettere  del  Canova, 
i  Ricordi  di  Massimo  D'Azeglio,  l'Autobiografia  del  Dupré,  molti 
brani  del  Tommaseo,  ci  danno  nello  stesso  tempo  i  migliori  e- 
sempj  di  bello  scrivere,  ed  i  migliori  ammaestramenti  suU'  arte 
contemporanea.  A  questi  vanno  nniti  alcuni  scritti  di  Giuseppe 
Bossi,  le  terzine  di  Paolo  Costa  sul  gruppo  del  Laocoonte,  il  ce- 
lebre sonetto  del  Giusti  sulla  Fiducia  in  Dio  del  Bartolini,  le  Me- 
morie di  Fr.  Hayez,  gli  Scritti  d'arte  del  Mussini,  alcuni  sonetti 
di  Andrea  Maffei,  l'  ode  dello  stesso  Panzacchi  a  Michelangelo,  e 
quelle  del  Carducci  per  la  statua  «  la  madre  »  di  Adriano  Cecioni. 
Chiudono  la  raccolta  alcuni  brani  di  tre  pittori,  che  si  possono 
annoverare  fra  i  pili  arditi  ed  i  più  forti  della  seconda  metà  del 
secolo:  Luigi  Serra,  Giovanni  Segantini  e  Telemaco  Signorini.  Le 
lettere  dei  primi  due,  «  Caricaturisti  e  Caricaturati  »  ed  alcuni 
sonetti  del  terzo,  ci  rivelano  gli  alti  ideali  artistici,  che  anima- 
rono le  menti  di  quei  maestri  scesi  da  poco  nella  tomba,  ideali 
che  in  gran  parte  sono  ancora  quegli  stessi  di  molti  giovani 
viventi. 

Cosi,  giungendo  fino  alla  soglia  dell'arte  nostra  contemporanea, 
il  Panzacchi  ha  saputo  darci  un  libro,  che  è  opera  utile  e  anche 
nuova,  e  che  riuscirà  di  pari  interesse  tanto  per  gli  artisti  quanto 
per  i  letterati,  iniziando  quelli  con  piacevoli  letture  ad  una  mag- 
giore conoscenza  della  letteratura  che  li  riguarda,  e  questi  a  fa- 
miliarizzarsi un  po'  pili  cogli  artisti  finora  troppo  a  torto  negletti. 

Pietro  D'Achiardl 

A.  Wessei.ofsky.  —  Zur  Frage  iiber  die  Heimath  cler  T  rr/ende  vom 
heiliqen  Gral  (Sonderabdruck  aus  dem  Archiv  tur  slavische 
Phiiologie,  Bd.  XXIII)  ;  Berlin,  1901  (pp.  70,  8.»). 

Questo  saggio  del  romanista  insigne  spetta  alla  ricca  serie 
delle  pubblicazioni,  onde  a  gara  colleghi,  amici,  discepoli  vollero 
onorare  il  giubileo  cattedratico  del  prof.  D'Ancona. 

Ben  è  vero  ciò  che  avverte,  cominciando,  il  W.:  la  leggenda 
del  san  Graal  ha  già  promossa  una  intera  letteratura,  che  ogni  anno 


152  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

più  s'  estende,  ed  agita  sempre  nuove  questioni.  '  Quale  fu  la  culla 
della  leggenda?  Come  s'è  formata?  Rispecchia  essa  uno  schema 
favoloso  di  origine  gallese,  cui  siensi  accomodati  motivi  e  nomi 
di  saghe  cristiane:  o  si  tratta  invece  del  processo  contrario:  del- 
l'amplificarsi di  un  racconto  apociifo  cristiano,  che  sia  stato 
abbellito  e  ornato  di  frange  fantastiche,  attinte  alle  leggende  po- 
polari del  Gralles?  Due  le  vedute  fondamentali;  due  sono  i  campi, 
ne' quali  si  aggruppano  gli  studiosi.  Ma  non  basta:  data  l'ultima 
ipotesi,  di  dove  spuntò  il  tema  apocrifo?  Dall'Oriente  o  dal  seno 
stesso  del  cristianesimo  gallese? 

Il  W.  aveva  avuta  ancora  l'occasione  di  toccare  siffatti  proble- 
mi. Per  lui  non  v'ha  dubbio  che  la  leggenda  del  san  Graal  sia  di 
origine  cristiana:  egli  aveva  già  chiaro  in  mente  il  concetto  che  si 
dovesse  ammettere  una  fonte  orientale  e  che  s'avesse  a  conside- 
rare come  un  più  tardo  evento  il  localizzarsi  della  leggenda  in 
Bretagna.  Ora  egli  corregge,  approfondisce  e  precisa:  nelle  fonti 
de' romanzi  del  san  Grraal  si  rifletterebbero  leggende  irradiatesi  da 
una  diaspora  cristiano-giudaica  in  Palestina,  in  Siria,  in  Etiopia: 
e  si  sarebbero  esse  comunicate  e  aggiustate  al  mondo  occiden- 
tale per  effetto  di  una  trasmissione  del  tutto  meccanica. 

Le  più  antiche  testimonianze  occidentali  circa  Griuseppe  d'Ari- 
matea  e  il  Graal  offrono  l'insieme  di  questi  dati  precipui:  Giu- 
seppe ha  raccolto  il  sangue  del  salvatore,  e  proprio  in  un  vaso, 
ch'era  stato  usato  nella  santa  cena  presso  Simone  il  lebbroso: 
egli  è  amico  dell'apostolo  Filippo  e  propagatore  del  vangelo: 
pratica  il  sacramento  eucaristico  su  l'esempio  della  cena  di  Cristo, 
ed  erige  una  chiesa  in  onore  della  madre  di  Dio:  il  figliuol  suo 
viene  consacrato  vescovo.  Stabilito  questo,  il  W.  si  volge  ad  esplo- 
rare le  leggende  orientali;  e  comincia  da  un  monumento  geor- 
giano («  mit  enim  grusinischen  Denkmal  »),  che  manifestamente 
riflette  una  più  antica  fonte  orientale,  probabilmente  siriaca.  Il 
più  remoto  de' manoscritti,  cui  venne  fatto  al  W.  di  risalire,  spetta 
al  977  ;  e  il  racconto,  che  si  trae  da  quella  e  da  altre  versioni, 
presenta  curiosi  riscontri  con  lo  schema  di  ciò  che  l'occidente 
narrerà  più  tardi  in  rima  e  in  prosa.  Campeggia  ivi  pure  la  fi- 
gura di  Giuseppe:  ivi  pure  la  sacra  cena  vien  celebrata  nella 
casa  di  Simone  da  Cirenaica  od  in  quella  di  Giuseppe:  questi 
raccoglie  il  sangue  di  Cristo  ;  sparge  il  vangelo  a  Lydda  o  Dio- 
spolis,  ove  si  reca  al  fine  stesso  anche  1'  apostolo  Filippo  :  sorve- 


1  Per  farsi  un'idea  di  codesto  rigoglio  critico,  basta  vedere  la  bibliografia  eh' è  in  E, 
Wechssler,  Pie  Sage  vom  heiligen  Orni  in  ihrer  Enlvìcklwìg  bis  anf  R.  Wagners  Parsifal,  Halle 
a,  S.,  1898,  pp.  191  sgg. 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  153 

glia  la  edificazione    della  chiesa  in  onore  della  madre  di  Dio,  e 
in  questa  Enias  è  consacrato  vescovo  .... 

Forte  di  cotesti  raffronti,  il  W.  passa  ad  analizzare  le  due  prin- 
cipali versioni  della  lejjgenda  del  san  Graal:  il  romanzo  di  Robert 
de  Boron  e  la  prima  parte,  che  potrebb' esser  la  più  antica,  del 
«  Grand  Saint  Graal  ».  Seguire  via  via,  lentamente,  la  disamina 
acuta,  le  illustrazioni  ingegnose  e  dotte  del  W.,  d'ordine  geogra- 
fico, storico-religioso,  etimologico,  in  una  Rivista,  che  non  in- 
tende alla  storia  comparativa  delle  letterature  medievali,  sarebbe 
un  fuor  d'opera.  Ci  bastino  le  conclusioni. 

Il  substrato  della  parte  prima  del  «  Grand  Saint  Graal  »  è 
una  leggenda  locale,  propriamente  siriaca,  derivante  da  una  dia- 
spora giudaico-cristiana  nel  settentrione  della  Mesopotamia:  il 
nome  Orcaus  rimanda  al  siriaco  Orhoi,  non  all'  arabo  Roha,  che 
è  Bohais  (Edessa)  delle  fonti  occidentali.  In  codesta  leggenda 
si  figurava  Giuseppe  come  predicatore  del  cristianesimo,  battez- 
zato dall'apostolo  Filippo  e  in  possesso  del  sangue  di  Cristo.  Ora, 
circa  il  1135  presso  Guglielmo  di  Malmesbury,  o  piuttosto  nella 
sua  fonte,  compare  una  notizia  non  bene  perspicua  sopra  Giu- 
seppe, l'amico  dell'apostolo  Filippo,  del  quale  si  dice  già  che 
predicò  il  cristianesimo  in  Bretagna:  innanzi  il  1204  si  diffon- 
deva per  l'occidente  il  racconto  di  Giuseppe  e  del  vaso  della  cena, 
che  nel  750  sarebbe  stato  reso  manifesto  in  una  visione  ad  un 
romito  bretone:  e  che  si  trattasse  del  vaso  col  sangue  di  Cristo, 
come  resulta  dal  prologo  del  «  Grand  Saint  Graal  »,  che  della  vi- 
sione narra  pur  esso,  è  chiaro.  Tutto  ciò  })oteva  appartenere  ad 
una  leggenda  apocrifa  siriaca  di  colorito  giudaico-cristiano  o  forse 
nestoriano,  ad  una  leggenda  del  secolo  Vili,  che  venne  trasmessa 
per  via  indiretta  all'occidente  romanzo,  e  in  tal  forma  che  rivela 
cognizione  immediata  e  personale  dell'oriente.  Eccoci  dunque  al 
tempo  delle  crociate,  al  principio  del  secolo  XII:  anzi  il  W.  de- 
terminerebbe il  punto  e  il  tempo  della  comunicazione  del  rac- 
conto apocrifo  agli  occidentali:  la  signoria  franca  su  Edessa  (Or- 
caus) dal  1097  al  1144. 

Più  arduo  fissare  il  tempo  della  versione  parallela  della  leg- 
genda, che  ci  fu  conservata  nel  romanzo  di  Robert  de  Boron.  In 
ogni  modo,  è  duplice  la  redazione  che  l'Europa  conobbe.  A  Co- 
stantinopoli non  pare  che  essa  attecchisse,  mentre  cosi  fortunato 
accoglimento  incontrò  nella  Francia  settentrionale  e  in  Inghil- 
terra. Si  rispecchia  una  versione  particolare  in  Wolfram  von 
Eschenbach;  ed  una  più  antica  fase  del  racconto  su  la  inchiesta 
del  mistico  vaso,  forse  sta  in  fondo  alla  seconda  parte  del  «  Grand 
Saint  Graal  ».  La  contenenza  religiosa  della  leggenda,  che  ai  cat- 


l54  RASSÉGNA   BIBLIOGRAFlfcA 

tolici  romani  riusciva  oscura,  venne  da  essi  in  vario  modo  inter- 
pretata e  ridotta.  Operò  il  solito  spirito  dell'adattamento  locale, 
SI  che  la  straniera  leggenda  in  sé  ricevesse  tratti  della  saga  in- 
digena e  con  questa  strettissimamente  si  intrecciasse:  Cosi  s'  ap- 
propriò dessa  Perceval;  e  la  tavola  rotonda  di  Uter-Pendragon 
venne  concepita  come  terza,  dopo  la  tavola  della  cena  di  Gesù  e 
Giuseppe.  Cosi  forse  Hebron,  abbreviato  in  Bron,  potè  esser  fatto 
tutt'uno  con  il  gallese  Bran  il  benedetto,  il  Graal  con  un  favoloso 
talismano  ecc.  A  questo  modo  il  racconto  della  predicazione  del 
cristianesimo  in  un  riposto  angolo  dell'  oriente  si  svolse  nella 
storia  di  un'antica  conversione  della  Bretagna,  indipendente  da 
Pietro  e  da  Roma.  Questo  sollevava  la  coscienza  della  chiesa 
bretone,  e  la  leggenda  si  fece  popolare,  perché  rispondeva  a' fini 
della  lotta  politico-religiosa.  E  contemporanea  fu  un'altra  evo- 
luzione di  genere  afi'atto  letterario:  la  contenenza  religiosa  si 
esagerò,  si  oscurò  più  sempre  con  intrusioni  fantastiche,  etero- 
genee, su  la  via  del  misticismo  e  de'  nuovi  problemi  psicologici. 
I  motivi  originar]  della  leggenda  cedetter  luogo  ad  altri,  cui  do- 
minava un  inquieto  spirito  di  elevazione  trascendente,  una  bra- 
mosia tormentosa  di  luce  e  di  purità,  una  specie  di  nostalgia  del 
cielo,  al  quale  avrebbe  sollevato,  rapito  l'errabondo  mortale  il 
santo  Graal. 

Questa  la  ricostruzione  del  Wesselofsky,  luminosa,  acuta,  ori- 
ginale. Varrà  essa  a  risolvere  il  faticoso  problema,  che  l' ha  su- 
scitata? Sconfiggerà  essa  lo  scetticismo,  che  perpetuamente  s'ac- 
compagna alla  ricerca  delle  remote,  nebulose  origini  ? 

Vincenzo  Ckescini. 

COMUNICAZIONI. 

QUATTRO  LETTERE  INEDITE  DI  G.  DELLA  CASA. 

Con  la  oedola  Concistoriale  del  2  aprile  1544  ^  Monsignor  Gio- 
vanni Della  Casa  venne  eletto  dal  Pontefice  Paolo  IIP  Arcivescovo 
della  Chiesa  di  Benevento,  rimasta  vacante  per  la  rinunzia  di 
Francesco  della  Rovere.  Appena  si  seppe  questa  notizia,  i  Con- 
soli 2  della  città  beneventana  ed  il  Capitolo  metropolitano  si  af- 
frettarono ad  esprimere  al  nuovo  arcivescovo  le  più  sentite  con- 


1  Vedi  la  bioi^rafia  del  Conte  G.  ìi.  Casotti  nello  Ojitre  del  Casa,  voi.  I,  Milano,  1806, 
pag.  59.  Secondo  l'Ughelli,  voi.  Vili  dell"  Italia  Sacni,  Veuetiis,  MDCCXXI,  col.  170,  l'elezione 
sarebbe  avveuuia  il  7  e  non  il  2. 

*  I  Consoli  in  questo  tempo  erano  8;  vedi  il  mio  studio:  Gli  Staltiti  di  Benevento  sino 
aUuJine  del  sec.  .\  17,  Beucveuto,  De  Mavtiui,  l'JO'i. 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  155 

gratnlazioni  per  la  dignità  di  recente  conferitagli,  inviando  a 
Roma  l'Arcidiacono  «  molto  nobile  et  costumato  et  gentil  homo  » 
(doc.  II). 

Alla  partenza  di  questi  il  Della  Casa,  in  data  del  3  maggio, 
scrisse  due  lettere;  ^  indirizzando  la  prima  ai  Consoli,  come  capi 
della  città,  per  ringraziarli  della  gentile  premura  che  avevano 
avuta.  In  essa  si  lamenta  che  a  cagione  dei  «  tempi  pericolosi  » 
non  potrebbe  egli  venire  a  Benevento  «  a  fare  1'  obbligo  suo  » 
prima  del  mese  di  ottobre;  intanto  però  li  prega  di  favorire  la 
Chiesa  ed  il  Clero,  promettendo  dal  canto  suo  di  fare  quanto  può 
nelle  «occorrenze  della  città».  La  seconda  è  diretta  ai  Canonici 
e  Capitolo,  di  cui  l'Arcivescovo  gradisce  le  congratulazioni;  e  non 
sentendosi  bastante  a  sostener  il  grave  peso  della  sua  carica,  in- 
voca l'aiuto  divino.  E  poiché  può  venire  a  visitare  la  sua  Chiesa 
soltanto  nel  prossimo  ottobre,  ^  li  esorta  a  dargli  subito  avviso, 
qualora  si  accorgano  di  «  alcun  errore  nella  administratione  o  nel 
«  Clero  »,  affinché  lo  possa  emendare,  sebbene  si  trovi  lontano. 

Del  30  maggio  dello  stesso  anno  è  la  terza  lettera  diretta, 
come  la  prima,  ai  Consoli  e  città  di  Benevento.  Da  questa  si  ri- 
leva che  avendo  i  Magnifici  Signori  mandato  al  nuovo  Arcivescovo 
un  ambasciatore,  M.  Scipione  Perrotti,  per  trattare  di  un  certo 
negocio,  non  si  era  potuto  ottenere  altro  dal  Camerlengo,  che  una 
lettera  per  Monsignor  Arcella,  perché  non  molestasse  la  città  per 
tutto  il  mese  di  giugno. 

Non  molti  mesi  prima  della  sua  morte,  ^  il  Della  Casa  scrive 
al  Capitolo  ed  ai  Canonici  una  quarta  lettera,  partecipando  che 
ha  destinato  al  governo  della  Chiesa  di  Benevento  il  Vescovo  di 
Lesina,  in  sostituzione  di  Monsignor  di  Civita  di  Penna,  che  dovrà 
assentarsi  per  alcuni  mesi. 

Pietro  Lonaudo. 


1  Forse  alla  quarta  deUe  lettere  che  si  pubblicano  per  la  prima  volta  accenna  Pompeo 
Sarnelli,  Memorie  ciouologiclie  dei  Vencovi  ed  Aiciascoci  di  Btuecettto,  Napoli,  MDCXCI..  pag.  145 
con  le  parole  :  «  Ho  veduto  delle  lettere  del  nostro  Arcivescovo  in  cui  egli  si  sottoscriveva  : 
r  Acc(  te  scoro  di  B«ii«/ ««io,  mentre  le  altre  tre  sono  firmate:  0  io.  Kl. \et\,o\  di  Beiieveitio. 

2  Non  sappiamo  se  mantenesse  o  no  la  promessa:  certo  si  è  che  in  una  lettera  al  ni- 
pote Pandolfo  Kncellai,  del  9  agosto  1550,  dice:  «Disegno  andare  a  Benevento  adesso  e 
•  star  là  tino  a  fatto  Natale  »,  O/iere  r.it.,  voi.  If,  pag.  216.  Ed  è  probabile  che  prima  di  que- 
st'anno non  visitasse  la  città,  poiché  nel  1544,  dopo  nominato  arcivescovo,  venne  destinato 
Nunzio  Apostolico  alla  Repubblica  di  Venezia,  e  la  sua  Nunziatura  <  fini  colla  vita  di 
«  Paolo  III  »  (1549):  Oji.cit.,  voi.  I,  pag.  59  sg. 

3  Si  disputò  circa  l'anno  della  sua  morte.  L' affermazione  del  Casotti,  che  egli  morisse 
il  14  novembre  1556  è  ora  provata  c::atta  da  G.  Coggiola,  Stdl' unno  diU't  morte  di  m.  Delta 
Casa,  Pistoja,  Fiori,  19  Ul. 


156  RASSEGNA   BIBLlOGRAFtCA 


I.l 


Alli  Nostri  Mag.ci  Sig.ri  li  S.ri  Consuli  et  citta  di  Benevento  figliuoli  nostri 
spirituali. 

Molto  Mag.ci  Sig.ri  miei. 

Per  la  relation  del  R.do  S.or  Archidiacono  il  quale  ci  è  parso  di  cono- 
scere molto  costumato  religioso  et  nobil  gentilhomo  et  per  le  lettere  delle 
SS.  V.  abbiamo  conosciuto  l'honorato  giudicio  che  fanno  di  noi  et  quanto 
hanno  sentito  piacere  delia  dignità  nostra,  del  uno  et  del  altro  readiamo  lor 
gratie  quanto  possiamo  maggiori  ;  et  pregamo  N.  S.  Dio  che  ne  presti  del  suo 
favore  si  che  noi  possiamo  adempiere  in  parte  quello  che  SS.  V.  sperano 
di  noi,  et  perche  non  ci  possiamo  si  tosto  spedir  di  qua  che  possiamo  partir 
avanti  i  tempi  pericolosi,  et  cosi  venir  a  far  V  obligo  nostro  prima  che  ad 
Ottobre,  pregamo  le  SS.  V.  che  si  degnino  in  quello  che  occorre  favorir  la 
Chiesa  et  il  Clero,  et  ci  offriamo  al  incontro  nelle  occorrenze  della  città,  et 
particularmente  di  ciascuno  pronti  ad  ogni  loro  commodo,  alle  quali  ci  rac- 
comandiamo pregando  N.  S.  Dio  che  doni  loro  la  sua  gratin.  Di  Roma  allj 
IIJ  di  Maggio  xMDXLIIIJ. 

D.   V.  SS.  "l  P'"ce>- 

Gio.  El.  di  Benevento. 

Alli   molto   Reverendi  Sig.ri  Canonici  et  Capitolo   di  Benevento  fratelli  a- 
mantissiini. 

Molto  Reverendi  Signori. 

Il  buon  animo  delle  SS.  V.  verso  di  me  et  il  piacere  che  hanno  preso 
del  iudicio  che  N.  S.re  ha  fatto  di  me  preponendomi  alla  Chiesa  Beneven- 
tana mi  è  molto  grato,  pensando  che  con  l'amore  che  mi  portano  potremo 
più  ■  unitamente  servire  al  cullo  di  N.  S.re  Dio  et  al  servitio  della  detta 
Chiesa;  ne  le  ringratio  dunque,  offerendo  loro  al  incontro  pari  volontà,  prima 
nella  administration  della  Chiesa  e  poi  particularmente  anchora  nelle  loro 
occorrenze.  Piaccia  a  sua  M.là  divina  ch'io  possa  esser  bastante  à  sostener 
si  grave  peso  et  a  sodisfiire  à  quanto  esse  si  promettono  di  me. 

Ho  conosciuto  il  Reverendo  S.or  Archidiacono  molto  nobile  et  costumato 
gentil  homo  et  S.  S.  esporrà  anchora  più  largamente  alle  SS.  V.  quanto  son 
desideroso  di  piacer  loro,  né  per  bora  mi  occorre  altro  che  exortarle  che 
dove  veggano  alcun  errore  nella  adminislratione  o  nel  Clero,  si  degnino  dar- 
mene adviso,  acciocché  con  lo  aiuto  di  Dio  lo  possa  emendare  cosi  absente, 
poi  ch'io  non  posso  venir  al  obligo  mio  sino  a  Ottobre,  al  qual  tempo  pia- 


1  Archivio  della  Città  di  Benevento,  voi.  IX,  n.  1. 

2  Archivio  Caiiitolure  del  Duomo  di  Benevento,  voi.  8'J,  u.  15. 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  157 

cendo  a  Dio  verrò  a  visitar  la  Chiesa  et  le  SS.  V.  alli  quali  mi  raccomando 
pregando  N.  S.ie  Dio  che  le  custodisca  in  sua  gratia. 
Di  Roma  alli  IIJ  di  Maggio  M.  D.  X.  LIIIJ. 

Circa  la  Cappella  abbiamo  commesso  al  Signor  Archidiacono  che  quando 
sarà  costà  elegga  due  huomini  periti  o  più  se  gli  piacerà  che  veggano  dove  detta 
Cappella  si  può  far  senza  preiuditio  di  quella  del  corpus  domini  et  che  si  faccia. 

Di  V.  SS.  Reverendi  itti  frater  Jo.  El.  Beneventi. 

III.i 
Alli  molto  Mag.ci  S.ri  come  fratelli  li  Sig.ri  Consuli  et  città  di  Benevento. 

Molto  Mag.ci  S.ri. 

Habbiamo  ricevuta  la  lettera  de  le  S.  V,  et  inteso  il  negocio  loro,  nel 
quale  come  doverrà  ancho  avisarle  M.  St^ipio  Perolte  non  s'è  potuto  far 
altro  che  ottenere  una  lettera  dell' Ill.mo  et  R.mo  Camerlengo  diretta  a 
Mons.or  Arcella  che  non  molesti  cotesla  città  per  questo  contado  per  tutto 
il  mese  di  Giugno  prossimo  fra  questo  tempo  si  potrà  vedere  di  fare  qual- 
che altra  cosa  del  che  non  maucaremo  per  il  desiderio  che  habbiamo  sempre, 
et  stiano  sane. 

Di  Roma  alli  XXX  di  maggio  M.  D.  XLIIIJ 

delle  SS.  V.  ""««  />ateUo 

Gio.  El.  di  Benevento. 

1111.=* 

Alli  Reverendi  come  fratelli  il  Capitolo  et  Canonici  di  Benevento  Monsignore 
della  Casa. 

Reverendi  come  fratelli.  Perché  monsignor  di  Civita  di  Penna  ha  da  esser 
absente  per  alcun  mese  da  Benevento  per  servitio  de  nostri  padroni,  et  de- 
siderando noi  che  la  nostra  Chiesa  non  patisca  ne  le  cose  spirituali  et 
temporali  durante  l'absentia  di  S.  S.  habbiamo  deputato  al  governo  di  essa 
Chiesa  il  molto  Reverendo  Vescovo  di  Lesina  come  le  SS.rie  VV.  potranno 
vedere  per  la  sostitutione  autentica  fatta  dal  detto  Monsignor  di  Peana  in 
persona  di  S.  S.  Però  sarà  debito  delle  SS.ie  vostre  di  obedire  al  prefato 
vescovo  di  Lesina  in  tutto  quello  che  appartiene  alla  nostra  iurisdittione  come 
le  hanno  fatto  per  il  passato  al  detto  monsignor  di  Penna  o  come  farebbero 
alla  persona  nostra  propria,  et  alle  SS.  VV.  ci  raccomandiamo  et  offeriamo 
pregando  il  S.r  Dio  benedetto  che  le  consoli.  Di  Roma  alli  VIIJ  di  Maggio  1556 

di   VV.  SS.ie  come  fratellù 

L'Arcivescovo  di  Benevento. 


l  Archivio  della  Ciltù  di  Benevento,  voi.  IX,  n.  51. 

*  Archivio  Capitolare  del  Duomo  di  Bevevtuio,  voi.  88,  n.  18. 


158  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

FULVIO    TESTI    E    UN   POEMETTO    ANONIMO   DEL   SECOLO    XVII.* 

I. 

Le  guerre  che  Carlo  Emanuele  di  Savoia  combatte  negli  anni 
che  corsero  dal  1613  al  1618,  prima  per  la  successione  del  Mon- 
ferrato e  poi  direttamente  contro  la  Spagna,  che  era  intervenuta 
imponendo  all'ardito  duca  sabaudo  condizioni  troppo  dure,  ride- 
starono in  tutta  la  penisola  l'odio  contro  il  dominio  straniero, 
che  gravava  con  mano  di  ferro  sopra  la  patria,  e  risvegliarono 
molte  speranze  di  redenzione.  Un'eco  di  queste  speranze  è  ri- 
masta non  solo  nelle  notissime  Fdippichc,  attribuite  finora  al  Tas- 
soni, ^  ma  anche  in  gran  numero  di  scritture  anonime,  in  prosa 
e  in  verso,  che  dovettero  avere  allora  una  grande  diffusione.  ^ 

Fulvio  Testi,  che  non  era  ancora  diventato  cortigiano  degli 
Estensi  né  ancora  aveva  l'animo  viziato  dall'aria  della  corte, 
anch' egli,  dinanzi  al  nobile  ardimento  di  Carlo  Emanuele,  che, 
solo  fra  i  principi  d'Italia  ligj  tutti  agli  Spagnuoli,  osava  opporsi 
loro  con  le  armi  e  proclamare  la  sua  libertà  e  la  libertà  d'Italia, 


1  MI  preme  avvertire  che,  se  questo  brtve  scritto,  per  raf^ioni.che  qui  sarebbe  iuutìle 
spiegare,  vie»  pubblicato  soltanto  ora,  fu  però  composto  nel  1900  e  presentato,  come  ap- 
pendice della  mia  tesi  di  laurea,  alla  facoltà  letteraria  di  Pisa.  Ora  compare  alquanto  mo- 
dificato. 

2  Gli  furono  contestate  già  dal  Gabotto  (Per  la  sloiia  della  letUr.  civile  dei  tempi  di  Carlo 
Kiiumnele  ì,  in  «  Kendìconti  dell'Accad.  dei  Lìncei  »,  serie  V,  voi.  Ili,  fase.  5  p.  331  n.  4)  e  più 
tardi  da  G.  Rna  (  A/MSdxdco  Tassoni  e  Carlo  Eniannele  I  di  Savoia,  in  Giorii.  stor.  lett.  it.,  XXXII, 
e  in  Poeti  della  Corte  di  C.  E.  1  di  Savoia,  Torino,  Loescher,  189!)),  cui  rispose  D.  Ferrerò  (/.« 
dtte  prime  Filippiche  sono  opera  di  Aless.  Tassoni,  in  Giorn.  st.  lett.  it.,  XXXV).  11  Rua  replicò 
(cfr.  Giorn.  st.  XXXVI)  ribattendo  le  osservazioni  del  Ferrerò  e  riaffermando  la  sua  opinione. 
11  Big.  Francesco  Bartoli  {Fidcio  Testi  autore  di  prose  e  poesie  politiche  e  delle  Filippiche,  Città 
di  Castello,  Lapi,  1900:  e  Fulvio  Savoiano  (F.  Testi),  Le  Filippiche  e  due  altre  scritture  contro 
ijli  Spagiiucli,  Milano,  Sonzogno,  1902)  venuto  terzo  nella  disputa,  identificando  col  Testi 
quel  Fulvio  Savoiano,  che  il  Tassoni  nel  Manifesto  dice  essere  l'autore  delle  due  prime 
Filippiche,  attribuisce  questa  e  molte  altre  scritture  politiche  al  poeta  modenese;  ma  la  sua 
dimostrazione,  che  pur  contiene  delle  osservazioni  notevoli,  è  ben  lungi  dal  riuscire  convin- 
cente. All'identificazione  del  Savoinuo  col  Testi  s'oppongono  non  poclie  difficoltà:  ci  sono 
qua  e  là  negli  ops.  di  quello  notizie  autobiografiche  che  mal  s'adattano  a  questo.  Io  non 
posso  qui  entrare  in  molti  particolari;  ba.sti  osservare  che  le  Filippiche  furono  evidente- 
mente composte  a  Roma  alla  fine  del  1614  o  al  principio  del  1615,  mentre  il  Testi,  partito 
da  Roma  nel  maggio  del  '14,  dopo  breve  soggiorno,  non  ci  ritornò  che  nel  "20.  La  questione 
sarà  nuovanieute  trattata  sulla  .scorta  di  nuovi  documenti  dal  prof.  Riia  in  un  volume  di 
prossima  pubblicazione,  nel  quale  ristudierà  tutta  la  letteratura  civile  dei  tempi  di  C.  E.  1. 

3  Cfr.  D'Ancona,  Sa^/i/i  di  polemica  e  di  poesia  politica  del  sec.  XVII,  in  •  Archivio  Veneto  » 
voi.  Ili,  p.  2;  Il  concetto  dell' finità  politica  ne'  poeti  italiani,  iu  «  Studj  di  critica  e  storia  lot- 
toraria  >,  Bologna,  ZanicUelìi,  1880;  e  F.  Qubotto,  op.  cit. 


DELLA   LÈITTERATURA  ITALIANA  159 

si  senti  infiammar  Fanimo  e  non  potè  trattenere  un  grido  di  am- 
mirazione.' 

Già  in  un  sonetto,  pubblicato  fra  altre  sue  rime  nel  1613,  ^ 
aveva  benedetto  la  guerra,  che  destava  l'Italia  dall'ozio  e  dal 
sonno,  in  cui  l'avevano  immersa  tanti  anni  di  servitù.  Il  Tassoni, 
il  fiero  nemico  degli  Spagnuoli,  col  quale  il  Testi  aveva  fatto  vita 
comune  in  Roma  nel  1614,  aveva  probabilmente  accresciuto  in 
lui  l'odio  contro  la  Spagna  e  l'ammirazione  per  il  Duca  di  Sa- 
voia. Sicché,  quando  al  giovane  poeta,  raccolto  nella  tranquillità 
della  sua  casa,  giunse  notizia  che  Carlo  Emanuele,  abbandonato 
e  avversato  dagli  altri  principi  d'Italia,  amanti  del  quieto  vivere 
e  gelosi  l'uno  dell'altro,  ed  esortato  a  far  pace  dalla  repubblica  di 
Venezia,  rimaneva  dubbioso  ed  esitante  dinanzi  a  una  nuova 
guerra,  egli,  pieno  l'animo  di  nobile  entusiasmo,  sciolse  il  suo 
canto,  per  eccitare  il  duca  a  proseguire  animosamente  l'impresa 
cosi  bene  iniziata,  rompendo  ogni  indugio  e  lasciando  da  parte 
ogni  esitanza: 

C4arlo,  quel  generoso  invitto  core, 

Da  cui  spera  soccorso  Italia  oppressa, 

A  che  bada?  a  che  tarda?  a  che  più  cessa? 

Nostre  perdite  son  le  tue  dimore. 
Spiega  l'insegne  ornai,  le  schiere  aduna, 

Fa  che  le  tue  vittorie  il  mondo  veggia  ; 

Per  te  milita  il  Ciel,  per  te  guerreggia 

Fatta  del  tuo  valor  serva  Fortuna. 

Né  ti  curare  s'altri  non  s'unisce  a  te  e  non  ti  soccorre:  a  te 
solo  spetterà  la  gloria  di  schiacciare  il  capo  all'Idra  ibera  e  il 
vanto  di  atterrare  il  Gerione  che  opprime  l'Italia. ^ 

Accanto  alle  quartine,  generalmente  più  note,  ^  si  devono  ri- 
cordare altri  due  sonetti,  composti  probabilmente  prima  di  esse, 
i  quali  benché  meno  importanti,  sono  pur  notevoli  per  lo  spirito 
che  li  anima.   Nel   primo,  intitolato   «  All'  Altezza   del   Duca  di 


1  È  dedicato  a  Simon  Carlo  RouditieHi  «  astrologo  ecceUeatissimo  »,  e  iutitolato  S'o/</a 
•  IninuHi  d' Italia.  E  notevole,  oltre  che  per  lo  spirito  clie  lo  auima,  auche  per  certo  imma- 
gini, che  ricompaiono  poi  nei  canti  a  Carlo  Emanuele  del  1617.  Cir.  Rime  di  Fulvio  Testi, 
Venezia,  Ciotti,  1613,  pag.  63. 

2  Vedi  Rime  di  F.  Testi,  Modena,  Cassiani,  1617. 

3  Di  esse  F.  Gabottofece  conoscere,  di  sul  cod.  n.  298  della  Bibl.  del  Re  di  Torino,  una 
parafrasi  francese  (Cfr.  i'iia  para/nini  francese  delle  iiuarline  di  Fulvio  Testi,  in  «  Biblioteca 
delle  scuole  italiane  »,  novembre  1891),  che  egli  assegna,  come  l'originale,  all'  estato  1614  (Cfr. 
Fer  la  storia  ecc.,  p.  326).  Probabilmente  prima  anche  che  fossero  stampate  con  le  altre 
poesie  nel  1617,  le  quartine  uscirono  e  si  diffusero  in  fogli  volanti,  dei  quali  qualcuno  è 
giunto  lino  a  uoi  ed  è  conservato  nella  Bibl.  del  lie  di  Toriuo. 


160  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Savoia  »,  l'Italia,  un  tempo  regina  del  mondo  e  ora  «  fatta  mi- 
sera e  prigioniera  »,  mostra  a  Carlo  Emanuele  le  piaghe  sanguinose 
aperte  nel  suo  seno  dalla  ferocia  dei  dominatori  stranieri,  e  spera 
di  sottrarsi  col  suo  aiuto  «al  giogo  indegno».'  Nell'altro  «In 
persona  dell'Italia  sopra  i  presenti  motivi  di  guerra  »  si  lagna  che 
i  suoi  figli  si  uniscano  agli  stranieri  per  straziarla  e  insanguinarla: 

Misera  Italia,  onde  sperar  degg'  io 
Tregua  a'  miei  guai,  soccorso  a'  miei  perigli, 
Se  crudi  incontro  a  me  fatti  i  miei  figli 
Sé  stessi  han  per  altrui  messo  in  oblio  ? 

Dunque  barbaro  stuol  rapace  e  rio 

Vien  nel  mio  petto  a  insanguinar  gli  artigli, 
E  congiunti  con  lor  farsi  vermigli 
Vedrò  i  guerrieri  miei  nel  sangue  mio  ? 

Itene  pur,  ingrati  figli  e  indegni, 
E  lasciate  di  voi  empie  memorie 
Fatti  ministri  in  me  de  gli  altrui  sdegni. 

Infelici  trofei,  misere  glorie. 
De  le  proprie  ruine  altrui  far  regni, 
E  le  perdite  sue  chiamar  vittorie.* 

Dopo  gli  insuccessi  della  primavera  del  1615,  il  duca  di  Sa- 
voia dovette  piegare,  e  cedendo  alle  preghiere  e  alle  istanze  dei 
mediatori  e  alle  minacce  di  guerra  dell'ambasciatore  francese 
conchiuse  un  accordo  con  la  Spagna  (2."  trattato  di  Asti  -  21 
giugno).  Ma  di  questa  pace  non  rimase  soddisfatto  né  il  duca  di 
Mantova,  che  si  lagnava  di  non  avervi  avuto  parte  e  rifiutava  di 
perdonare  ai  ribelli,  né  la  Spagna,  cui  rincresceva  il  non  aver 
potuto   umiliare,  come  desiderava,  il   duca  di  Savoia,  che  aveva 


i  Uime  ài  F.  Testi,  ediz.  cit.  1  primi  versi 

•  Quella,  che  già  nel  secolo  vetusto 
Fu  del  mondo  reina,  Italia  altera, 
E  eh'  or  misera  fatta  e  prigioniera 
Di  barbare  catene  ba  '1  collo  onusto  ecc., 

ricordano  un  sonetto  politico  di  Giov.  Gnidiccioni  <  A  Vincenzo  Buonviso  sulle  guerre  d'I- 
talia del  1526  »: 

«  Quosta  clie  tanti  secoli  già  stese 
Si  lungi  il  braccio  del  felice  impero 
Donna  delle  Provincie  e  di  quel  vero 
Valor,  che  in  cima  d'  alta  gloria  ascese  ; 

Giace  vii  serva  o  di  cotante  offese, 
Che  sostien  dal  Tedesco  e  dall' Ibero, 
Non  spera  il  fin 

2  Ediz.  cit.,  pag.  162. 


DELLA  I.ETTBRATURA  ITALIANA  161 

trattato  con  lei  da  pari  a  pari,  e  spiaceva  anche  che  garanti  del- 
l'esecuzione  del  trattato  dovessero  essere  i  Francesi,  i  quali  pote- 
vano per  tal  modo  intervenire  nelle  cose  d' Italia.  Ma  per  allora 
alla  Spagna  conveniva  dissimulare  il  suo  malcontento,  per  non 
creare  nuovi  ostacoli  al  duplice  matrimonio  combinato  con  la 
Francia  già  da  cinque  anni.  Però  appena  questo  fu  celebrato, 
decisa  a  non  mantenere  i  patti  stipulati  ad  Asti,  richiamò  l'Yno- 
yosa,  che  era  sembrato  troppo  condiscendente,  e  mandò  al  governo 
di  Milano  D.  Fedro  di  Toledo;  il  quale  non  tardò  a  manifestare 
i  suoi  propositi  ostili  al  Duca  Sabaudo,  cui  voleva  costringere  a 
chiedere  perdono  al  re. 

Carlo  Emanuele,  pur  non  piegandosi  alle  pretensioni  del  go- 
vernatore spagnuolo,  mostrava  desiderio  di  pace,  o  fosse  realmente 
stanco  di  cosi  lungo  e  inutile  armeggio,  o  lo  movessero  ragioni  di 
opportunità  politica.  Mentre  pur  continuavano  e  dall'una  parte 
e  dall'altra  gli  armamenti  e  i  preparativi  di  guerra,  furono  avan- 
zate proposte  e  avviate  trattative  di  accomodamento;  le  quali, 
benché  si  prolungassero  per  quasi  tutto  l'anno  seguente,  fallirono 
completamente  per  l'ostinazione  di  D.  Fedro  nel  pretendere  che 
il  Duca  chiedesse  perdono  e  rinunziasse  al  trattato  d'  Asti. 

Cosi  nel  settembre  ricominciarono  le  ostilità:  dapprima  Carlo 
Emanuele  toccò  qualche  sconfitta;  ma  poi,  soccorso  dalle  armi 
dei  Francesi  e  aiutato  dai  danari  di  Venezia,  riportò  una  serie  di 
vittorie,  che  destarono  l'ammirazione  e  l'entusiasmo  di  quanti 
seguivano  con  amore  i  progressi  delle  sue  armi.  In  poco  tempo 
fu  un  rapido  fiorire  di  canti  politici  e  patriottici,  suscitato  dagli 
eventi  propizi  dei  primi  mesi  del  1617. 

Propi'io  in  quell'anno,  in  sul  cominciar  dell'aprile,  il  Testi 
dava  fuori  un  nuovo  volume  di  Bime  e  lo  dedicava  «all'Invit- 
«  tissimo  Principe  Carlo  Eraanuello  di  Savoia  »  '  con  una  lettera 
nobilissima,  in  cui  esprime  con  calda  eloquenza  la  sua  ammira- 
zione per  il  grande  guerriero,  che  raccoglieva  «  in  sé  solo  e  ne'suoi 
«serenissimi  figli  tutto  il  valore»  d'Italia,  e  che  per  due  volte 
aveva  vinti  e  dispersi  due  potenti  eserciti  spagnuoli.  «  Io  -  scrive 
«  nella  dedicatoria  -  dopo  haver  cantato  di  bella  donna,  tratto 
«  dal  fervor  dell'età  rivolgo  lo  stile  all'eroico  valore  di  V.  A.,  e 
«  le  mie  Muse,  che  danzavano  dianzi  con  le  Grazie  e  Venere,  cor- 
«  rono  al  suon  dell'armi  agl'inviti  di  Marte». 

Queste  Bime,  uscendo  alla  luce  in  quella  lieta  primavera,  in 


1  Rime  I  di  Fulvio  Testi  |  all'  Invittissimo  |  Principe  |  Carlo  Emannello  |  Duca  di  Sa- 
voia I  In  Modena,  con  licenza  de'superiori.  Neil'  ultima  pagina:  <  In  Modena,  |  Per  Gìulian 
Cassiani,  M.  DC.  XVII.  |  In  2i.o  (15  per  10  «/a),  di  pagg.  210  più  2  n.  n. 


162  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

cui  il  successo  fortunato  delle  armi  sabaude  aveva  ridestato  le 
speranze  di  molti  e  ispirato  il  canto  dei  poeti,  non  potevano  non 
accogliere  anch'esse  l'eco  di  siffatte  speranze  e  di  tali  canti.  In- 
fatti, oltre  che  nelle  quartine  e  nei  sonetti  già  ricordati,  troviamo 
accenni  a  Carlo  Emanuele  e  alla  sua  impresa  ardimentosa  nelle 
ottave  «  al  sig.  Conte  Fabio  Scotti  »: 

. . .  E '1  duca  Alpin,  eh' ora  cavalli  e  fanti 
Raduna,  intento  a  gloriose  imprese...; 

e  più  chiaramente  in  quelle  dedicate  «  al  sig.  Gio.  Battista  Pan- 
zetti  »,  per  esortarlo  a  prendere  le  armi  : 

Or  che  fa,  pien  di  nobile  ardimento, 
Qual  già  contra  i  Giganti  in  Flegra  Giove, 
0  qual  Alcide  a  domar  mostri  intento, 
Carlo  contra  a  V Ibero  eccelse  prove; 
Tu  dunque  in  ozio  neghittoso  e  lento 
Starai,  Panzetti,  e  non  andrai  là  dove 
Marte,  tuo  Dio,  ti  chiama,  e  la  Fortuna 
Mille  a  la  destra  tua  palme  raduna? 

Altri  navighi,  spinto  da  ingorde  e  avare  brame,  per  mari  ignoti; 
tu,  che  sei  chiamato  dal  tuo  genio  ad  imprese  gloriose,  impugna 
la  spada,  e  non  ti  mancherà  degno  premio.  Grià  in  altre  occasioni 
hai  dato  prove  del  tuo  valore; 

...  Ma  se  gloria  desii  suprema  e  vera 
Per  la  strada  di  Marte  il  pie  volgendo, 
Vanne  a  V  Alpino  Eroe,  che  il  ferro  impugna 
E  per  la  libertà  d'Italia  pugna. 

Goffredo,  liberando  il  sepolcro  di  Cristo,  diede  materia  di  altis- 
simo canto  «  a  fortunato  ingegno  »  ; 

...  Ma  se  r  Italia  che  dei  propri  danni 
E  dell'altrui  viltà  par  che  s'adiri. 
Dopo  si  lunghi  e  sf  penosi  affanni 
Fia  che  libera  e  lieta  un  di  respiri, 
Spiegherà  più  d'un  cigno  eccelsi  vanni, 
Carlo  innalzando  agli  stellanti  giri ...  * 

In  quello  stesso  tempo,  in  cui  dedicava  le  Rime  a  Carlo  Ema- 
nuele, è  probabile  che  il  giovane  poeta  dettasse  anche  quel  poe- 
metto in  quarantatre  ottave,  conosciuto  generalmente  col  nome 

1  Ediz.  cit.,  pag.  151, 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  163 

di  Pianto  cf Italia,^  e  che   ormai  gli  dovrebbe  essere  restituito 
senza  contestazione  alcuna. 


IL 

Molto  s'è  discusso  intorno  a  questo  poemetto,  per  stabilire  se 
esso  appartenga  al  Tassoni,  al  Testi  o  al  Marino;  e  il  dibattito 
è  stato  cosi  lungo  e  cosi  minuta  la  discussione,  che  oramai  po- 
trebbe parere  inutile  perdita  di  tempo  il  riparlarne.  Né  io  mi  sarei 
indotto  a  trattare  di  nuovo  questo  argomento,  se  non  avessi  visto 
che  pur  dai  difensori  del  Testi,  intenti  a  notare  affinità  stilisti- 
che e  a  rilevare  corrispondenze  di  concetti  e  concordanza  di  frasi 
e  conformità  d'atteggiamenti,  si  è  troppo  trascurato  ciò  che  a 
me  sembra  possa  dare  la  prova  più  sicura  e  decisiva  in  favore  di 
questa  attribuzione:  l'esame  diligente,  cioè,  dei  manoscritti,  né 
pochi  né  privi  d'importanza,  nei  quali  il  componimento  ci  è  con- 
servato. 

Ma,  prima  di  tutto,  non  sarà  inutile  rifare  la  storia  della  lunga 
questione. 

Lorenzo  Crasso,  nella  biografia  che  del  Testi  inseriva  fra  i 
suoi  Elogi  d'huomini  illustri,  pubblicati  nel  1666, '-^  citava  fra  le 
opere  a  stampa  del  poeta  modenese  V Italia.  Più  d'un  secolo  dopo 
il  Tiraboschi,^  cui  forse  era  rimasta  ignota  questa  notizia,  attri- 
buiva anch' egli  al  Testi  il  poemetto  anonimo;  e  la  sua  opinione 
veniva  accolta  dagli  Editori  modenesi,*  che  per  primi  stamparono 
fra  le  poesie  del  loro  concittadino  il  detto  componimento,  e  da 
quanti,  dopo  di  loro,  curarono  edizioni  del  Testi  o  scrissero  in- 
torno a  lui.  5  Ma  nel  1847  il  poemetto  fu  pubblicato,  come  inedito, 


1  Fn  pubblicato  alla  uiaccbia  fru  il  1615  e  il  1617  e  nelle  prime  stampe  è  intitolato: 
•  L'Italia  I  all'Iuvittissimo  |  e  Gloriosissimo  Prencipe  |  Carlo  Emanuel  Duca  di  Savoia  ».  In 
8,0  di  pp.  16  n.n.  Di  quest'antica  edizione  possiede  quattro  esemplari  la  Biblioteca  Marciana 
di  Venezia,  due  la  Bibl.  Vittorio  Emanuele,  e  uno  la  Cnsfinatense  e  la  Barberina  di  Roma,  l'^ln»- 
broiiiiìin  di  Milano,  1*  {/)ii>«)-si7rtria  di  BoloRoa,  la  .V(uio»a/*  di  Firenze  e  ì'Oraloriana  di  Na- 
poli. Un  esemplare  ne  ho  visto  anche  presso  il  D'Ancona.  Nella  copia  della  Bibl.  Casanatense, 
che  è  registrata  nel  vecchio  catalogo  fra  le  opere  del  Testi,  sopra  il  titolo  è  scritto,  di  mano 
del  sec.  XVII  «  Auttore  Fulvio  Testi  »,-  e  nell'ultima  carta  prima  del  fine  :  «  Del  Conte  Fulvio 
Testi  »,  di  carattere  più  recente. 

2  Voi.  I.pag.  388. 

3  Vita  del  conte  FuMo  Testi,  Modena,  1780,  pag.  156. 

1  Opere  scelte  di  Fulvio  Testi,  voi.  1  [Poesie],  Modena,  1817. 

8  Si  trova  col  nome  del  Testi  nell'ediz  cit  del  1817  e  in  quella  di  Brescia,  Ventnrini, 
1822,  t.  II;  di  Milano,  Bettoni,  1831,  pp.  493-96;  nei  Versi  alla  jìfitrin  di  Lirici  italiatii  dal  sec. 
XIV  al  XVII f:  raccolti  per  cura  di  F.  L.  Polidori,  Firenze,  Cecchi,  1847,  pp.  133-60;  nel  Serto 
di  documenti  attenenti  alle  liec-li  Case  di  Suvoia  e  di  Brnfjama  per  le  aiispicatissime  nozze  di 
S.  A.  R.  la  Pi-incipessa  Pia  di  Savoia  con  S.  M.  Luigi  di  Portogallo,  Firenze,  stamp.  Beale,  1862, 
per  Francesco  Cambiagi;  nel  Parnaso  modenese  dal  sec.  XV  al  see.XVlll,  Modena,  1866 ;  nei 


164  RASSEONA    BIBI.IOORAFICA 

fra  le  poesie   del   Marino   dui   Trucchi,  ^   che   lo    trasse  dal   Cod.^ 
Mglb.  359,  e  riprodotto  in  un'edizione  di  poesie  dello  stesso  Ma- 
rino nel  1861.2 

Nel  1880  il  D'Ancona,  rilevando  corrispondenze"  di  concetto 
e  di  forma  fra  le  ottave  e  le  Filippiche,  espresse  il  dubbio,  se 
piuttosto  che  al  Testi  esse  non  dovessero  attribuirsi  al  Tassoni;  ^ 
ma  si  continuò  tuttavia  dai  più  a  crederle  opera  del  Testi.*  Se 
non  che  nel  1887  il  Mango,  ■"*  osservando  la  evidente  somiglianza 
e  la  strettissima  relazione  che  corre  fra  questo  poemetto  e  le 
quartine  a  Carlo  Emanuele  [Carlo,  quel  generoso  invitto  corej, 
ch'egli  credeva  del  Marino,  ne  indusse  che  anche  l'altra  poesia 
dovesse  con  molta  probabilità  attribuirsi  a  quest'ultimo.  Il  Bel- 
loni,**  rilevando  l'errore  grossolano  in  cui  era  caduto  il  Mango 
con  l'assegnare  al  Marino  un  componimento,  che  trovasi  fra  le 
liime  del  Testi,  rivendicò  a  questo  le  ottave  dedicate  al  duca  di 
Savoia.  Il  Mango  ^  non  s'appagò  a  queste  ragioni;  e  appoggian- 
dosi all'autorità  del  Toppi  ^  e  del  Quadrio.-'  i  quali  citano  fra 
le  opere  del  Marino  un'/to?ia  afflitta,^^  identificò  con  essa  la  poesia 


[Alici  del  sfC.X  17/,  Milano,  Sonzogno,  1878;  neUo  Poesie  (ìi  Falcio  jTéSìi,  Torino,  1882,  p.  201 
sgg.,  e  neUe  liime  scelte  di  Fulvio  Testi  annotate  da  E.Roncaglia,  Bologna,  Azzoguidi,  1883. 
E  come  opera  sxia  lo  tennero  il  Cicconi  (Del  sentimento  italimio  nei  poeti  del  seicento,  in  e  An- 
tologia Italiana  »  di  Torino,  1846,  p.  633),  il  Ferrerò  {Il  conte  F.  Testi  alla  corte  di  Torino,  Mi- 
lano, Daelli,  1865,  p.  21),  il  De  Castro  {Fulvio  Testi  e  ìe  Corti  italiane  nella  prima  metà  del  XVIl 
secolo,  Milano,  Battezzati,  1875,  p.  22),  il  Santi  {F.  Testi  e  C,  Emanuele,  in  «  Kivista  Europea  », 
1880, 16  gennai';),  il  Molineri  (Carlo  Kmanaele  I  duca  di  Saioia  p.  351)  ed  altri,  che  verremo 
via  via  citando. 

1  Trucchi,  Poesie  inedite  di  dugeiito  autori,  Prato,  1847,  voi.  IV,  p.  337.  Il  Tracchi,  a  p.  337 
ci  fa  sa  ere  che  il  Pianto  d' Italia  trovasi  nel  cod.  Mglb.  359,  p.  494;  e  nella  pag.  segnente, 
sotto  il  titolo  del  poemetto  aggiunge:  «  Ottave  estratte  dal  cod.  3561  mglb.  della  raccolta 
malatestiana  ». 

*  Opere  del  cav.  Giamb.  Marino  con  giunta  di  nuovi  componimenti  inediti,  Napoli,  Bonteanx 
et  Axibry,  1861.  In  quest'edizione  il  poemetto,  che  è  dato  come  inedito,  è  invece  stampato 
secondo  la  lezione  datane  dal  Trucchi  di  sul  cod.  Mglb.  359  o  3561. 

3  Studj  di  critica  e  di  storia  letteraria,  Bologna,  Zanichelli,  1880,  pp.  90-91,  dov'  è  ristam- 
pato il  discorso  sul  Concetto  dell'unità  politica  nei  poeti  italiani.  Nella  l.a  ediz.  dì  questo  di- 
scorso (Pisa,  fif.  Nistri,  1876,  p.  57,  n.  84)  il  D'A.  si  mostrava  ancora  incerto,  ma  inclinava  piut- 
tosto ad  attribuirle  al  Testi. 

*  Cfr.  C.  Pascal,  Fulvio  Testi  poeta  cicile,  in  "  Napoli  letteraria  „,  a.  I,  n.  30. 

5  F.  Mango,  Il  Marino  poeta  lirico,  Cagliari,  1837,  pp.  102  e  segg. 

6  Testi,  Tassoni  o  Marino?  in  "  Propugnatore  „  n.  s.  voi.  II,  p.  I  (1889).  Il  Belloni  s'è  occu- 
pato nuovamente  della  questione  in  un  recente  studio,  intitolato  «  Testiana  »,  stampato  nel 
suoi  Frammenti  di  critica  letteraria,  (ìtlìla,ììo,  Albrighi,  Segati  e  0.,  1903)  pp.  167-77. 

7  Di  alcune  stame  adespote  del  s«c.  X 17/,  Palermo,  1890,  e  ristampato  poi  senza  modifi- 
cazioni in   Varietà  W<«)v/We,  Roma,  1899,  pp.  35  segg. 

8  Biblioteca  napoiitana  et  apparato  de  gli  huomini  illustri  di  Napoli  e  del  regno,  Napoli, 
1678,  p.  195. 

9  Istoria  e  ragion  d'ogni  poesia,  t.  II,  p.  I,  cap.  8,  pp.  282-86. 

>o  II  Belloni  nel  suo  secondo  scritto,  che  ora  citeremo,  fa  osservare  che  nessun  codice 
porta  questo  titolo;  ma  veramente  esso  si  legge  nei  codd.  Oampori  y.  z.  2.  36  e  Y,  B,  6,  9  della 
B.  Biblioteca  Estense  dì  Modena  e  nel  cod.  22-1  della  Bibl.  D'Addosio. 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  165 

tanto  disputata.  11  Belloni  replicò,  ^  opponendo  alla  testimonianza 
del  Toppi  e  del  Quadrio  quella  più  antica  di  Lorenzo  Crasso,  e 
dimostrando  con  raffronti  stilistici  esservi  maggiori  affinità  for- 
mali e  sostanziali  fra  le  poesie  del  Testi  e  le  ottave,  che  non  fra 
queste  e  le  composizioni  del  Marino;  e  conchiudeva  che  «tra  i 
«  discutibili  autori  le  maggiori  probabilità  erano  per  il  Testi  ». 

Contemporaneamente,  e  senza  conoscere  lo  scritto  del  Belloni, 
propugnava  la  stessa  opinione  di  lui  il  sig.  Luigi  Arezio,  ^  il  quale 
fece  notare  anzitutto  che  il  Cod.  3561,  dal  quale  si  diceva  tratto 
il  componimento  nel!'  edizione  del  1861,  era  lo  stesso  Cod.  Mgl. 
359,  da  cui  l'aveva  trascritto  il  Trucchi. ^  Osservò  poi  che  que- 
sto ms.  non  poteva  avere  tutto  quel  valore,  che  gli  si  attribuiva, 
dal  momento  che  in  esso  venivano  spacciate  per  inedite  poesie 
già  stampate  piti  di  trent'anni  prima.  Fatte  quindi  ricerche  nella 
biblioteca  Estense,  riusci  ad  avere  notizia  di  due  codici;  i  quali 
però  non  poterono  servire  a  provare  che  le  famose  ottave  sono 
del  Testi,  perchè  in  uno  esse  erano  adespote  e  nell'altro  il  nome 
dell'autore  era  stato  aggiunto  dal  Tiraboschi.*  In  mancanza  di 
prove  dirette,  V  Arezio  cercò  la  soluzione  del  problema  ricorrendo, 
come  già  aveva  fatto  il  Belloni,  a  confronti  stilistici;  e  anch' egli 
dalle  molte  rassomiglianze,  che  venne  via  via  notando,  conchiuse 
doversi  attribuire  il  poemetto  anonimo  al  poeta  modenese. 

Sebbene  questi  risultati,  per  il  metodo  troppo  soggettivo  con 
cui  si  erano  ottenuti,  non  fossero  veramente  troppo  sicuri  e  inop- 
pugnabili, erano  nondimeno,  nello  stato  della  questione,  i  più 
probabili;  cosi  che  anche  il  D'Ancona,  che  prima  aveva  espresso 
qualche  dubbio,  ne  fu  convinto  e  si  dichiarò  apertamente  favo- 
revole all'opinione  del  Belloni  e  dell' Arezio.^ 

Nel  1894  il  Grabotto,  che  riprese  in  esame  tutta  la  letteratura 
civile  dei  tempi  di  Carlo  Emanuele  I,  ^  ponendo  altrimenti  la 
questione,  sostenne  che  la  tanto  disputata  Italia  non  potesse  es- 

1  Di  una  poesia  anonima  del  sec.  lYII,  in  "  Propugnatore  ,,  n.  s.  voL  IV,  p.  n  (1891],£ksc. 
22-23. 

2  SnW atttenticità  di  un  poemetto  pubblicato  alla  macchia  nel  sec.  XF//, Palermo,  AmenU, 
1891. 

3  né  era  cosa  troppo  difficile  a  notare,  giacché  il  Trucchi  stesso  a  p^ig.  338  indica  col 
n.  3561  quello  stesso  ms.,  che  nella  pag.  antecedente  aveva  designato  col  n.  359. 

i  I  codici  conosciiiti  dall'Arezio  sono  quelli  segnati  ora,  il  1  o  OC.  G.  3,  2,  e  il  secondo 
X.  3.  9, 15,  che  più  innanzi  descriveremo.  È  strano  che  l'Arezio  non  siasi  accorto  che  nel  v. 
dell'  ultimo  foglio  del  cod.  OC.  G.  3, 2,  si  trova  scritto,  de!la  stessa  mano  :  "  Canzone  del  sig.  Co: 
'  Testi  contro  de  gli  Spagnuoli  „;  e  che  il  cod.  OC.  J.  9, 15  non  contiene  intero  il  poemetto, 
ma  finisce  alla  st.  34. 

5  V.  Manuale  della  letteratura  italiana,  voi.  Ili,  p.  412  e  Letteratura  civile  dei  tempi  di  Carlo 
Km.  I,  in  •  Rendiconto  dell'adunanza  solenne  della  R.  .\ccad.  dei  Lincei,  4  Giugno  1893  ,,  p.  73. 

6  Op.  cit. 

J3» 


166  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

sere  né  del  Testi  né  del  Tassoni  né  del  Marino,  «  perché  nes- 
«  sano  di  questi  tre  grandi  scrittori  avrebbe  cosi  largamente  at- 
«  tinto  dagli  altri  due  contemporanei  ».i  Ma  -  salvo  il  Grabotto 
e  il  Mango,  che  ostinatamente  rimase  fermo  nella  sua  prima 
opinione  2  -  tutti  erano  ormai  d'accordo  nel  ritenere  il  poeta 
modenese  autore  delle  ottave  anonime;  e  questa  convinzione  ve- 
niva rinforzata  da  un  documento  pubblicato  dal  Rua.^  Ciò  no- 
nostante nel  1897  si  levò  ancora  una  voce  a  difesa  del  Marino, 
ma  con  argomenti  cosi  deboli,  anzi  addirittura  puerili,  da  non 
meritare  ch'altri  si  prendesse  la  briga  di  confutarli;*  onde  la 
lunga  disputa  si  poteva  senz'altro  ritenere  definita  a  favore  del 
Testi. 

Se  non  che  recentemente  la  questione  si  riaccese  per  la  sco- 
perta di  documenti,  che  a  tutta  prima  parrebbero  infirmare  le 
conclusioni  del  Belloni  e  dell' Arezio.  P.  P.  Parrella,  in  un  arti- 
colo della  Rassegna  critica,^  additò  una  miscellanea  di  stampe 
e  due  codici  della  biblioteca  Oratoriana  di  Napoli,  ne' quali  il 
poemetto,  che  sembrava  assicurato  al  Testi,  si  trova  col  nome 
del  Marino.  Nella  miscellanea,  che  contiene  ventisette  opuscoli 
politici,  è  inserito  un  esemplare  della  stampa  originale  delle  ot- 
tave, nel  quale  alla  parola  Italia  è  aggiunto  a  penna  l'aggettivo 
afflitta  e  sotto  il  titolo  intero  si  legge,  pure  manoscritta,  l'indi- 
cazione: del  cav.  Gio.  Battista  Marino.  Con  lo  stesso  titolo  e  con 
la  stessa  indicazione  è  registrato  in  un  catalogo  della  biblioteca 
Oratoriana,  compilato  nel  1736:  da  ciò  il  Parrella  deduce  l'at- 
tendibilità dell'attestazione  del  Toppi,  il  quale  per  conseguenza, 
ricordando  1'  «  Italia  afflitta  »,  non  poteva  riferirsi  ad  altro  che 
alle  quarantatre  ottave.  Queste  si  trovano  y)ure  adespote  e  ane- 
pigrafiche  nel  Cod.  Pil.  X,  n.  XXVIII  della  stessa  biblioteca;  ma 
poiché  sono  frammischiate  a  componimenti  del  Marino,  a  questo 
il  Parrella  le  assegna,  benché  non  rechino,  come  gli  altri,  il  nome 


1  Op.  cit.,  pag.  332,n.  2. 

2  Cfr. /)»'  ima  poesia  politica  (in  "Note  letterarie  „,  Palermo,  1894,  pp.  7-21),  e  "Varietà 
letterarie  „,  Eoma,  1899,  pp.  85  e  segg.  L'Arezio  tornò  pure  sulla  questione  con  un  altro  opa. 
(Ancora  sidV auteidicità  d'un  poemetlo  adespoto  del  sec.XYll,  Palermo  1893),  nel  quale  non 
aggiunge  argomenti  né  più  nuovi  né  pili  calzanti  degli  anteriori;  ma  indica  un  terzo  ras., 
il  cod.  Campori  y.  z.  2,  36,  che  contiene  le  ottave  adespote. 

3  In  una  lettera  del  conte  Scaglia,  ambasciatore  di  Savoia  a  Venezia,  del  19  agosto  1617, 
si  trova  inclusa  un'altra  lettera,  con  firma  inintelligibile,  datata  di  Ferrara  16  agosto  1617, 
nella  quale  si  leggono  queste  parole:  «  Mi  mandi  quelle  stanze  del  S.  Fulvio  Testi  che  sono 
uscite  alle  stampe,  perché  facendo  raccolta  in  un  libro  di  tutte  queste  scritture,  s'accomo- 
derà in  stampa  e  manoscritto  (sic)  imaginandomi  che  lo  stampatore  Io  abbia  avuto  da  lei  »: 
V.  •  Giorn.  stor.  della  Iettar,  ital.,  »  XXVII,  pp.  231-32. 

■*  L.  Predieri,  Il  Piaiiln  d'Italia,  in  "  Rivista  abruzzese  „,  ottobre,  1897. 
5  P.  P.  Parrella,  L'aittore  del  «  Pianto  d' Italia  »,  in  "  Rassegna  critica  dell»  lettor,  ital., ,, 
1899,  n.  10-12,  pp.  213  e  seg. 


DELLA   LBTTRRATURA    ITALIANA  167 

del  poeta  napoletano.  E  lo  confermano  in  qne.sta  convinzione  al- 
cune parole,  con  le  quali  l'anonimo  raccoglitore  dedica  il  volume: 
«La  fortuna  m'ha  fatto  capitar  di  Francia  alcune  composizioni 
«  del  cav.  Marino ...  le  quali  composizioni  quantunque  di  là  mss. 
«  si  leggano,  non  son  però  mai  uscite  alle  stampe  ».  Ora,  poiché 
«  la  Murtoleidc  e  la  Marineide,  che  fanno  parte  della  raccolta,  fu- 
rono edite  nel  1619,  il  Parrella  ne  induce  che  il  codice  dev'essere 
stato  scritto  prima  di  quell'anno,  e  precisamente  nel  1615,  anno 
in  cui  —  secondo  lui  —  il  poemetto  fu  composto  e  pubblicato. 

Nell'altro  codice  dell'  Oratoriana,  intitolato  Ragguagli  di  Par- 
nasso  e  contenente  scritture  politiche  dal  1615  al  1629,  le  ottave 
hanno  lo  stesso  titolo  delle  stampe  originali,  sotto  il  quale,  a  ca- 
ratteri più  grossi,  che  il  Parrella  giudica  della  stessa  mano,  si 
legge:  del  cav.  Gio.  Battista  Marino.  Ora  -  prosegue  il  Parrella  -, 
poiché  i  sostenitori  del  Testi  non  possono  recare  altra  prova  di- 
retta in  favore  della  loro  tesi,  tranne  l'opinione  del  Tiraboschi, 
il  quale  non  si  sa  perché  attribuisca  II  Pianto  al  suo  concitta- 
dino; poiché  il  carme  non  fa  parte  di  nessuna  edizione  delle  Rime 
del  Testi  né  è  stato  mai  pubblicato  sotto  il  nome  di  lui  separa- 
tamente prima  del  1780,  né  trovasi  infine  in  nessun  codice,  non 
c'è  ragione  per  sostenere  ch'egli  ne  sia  l'autore  e  non  il  Marino, 
al  quale  lo  assegnano  i  mss.  indicati.  Né  si  può  opporre  il  do- 
cumento pubblicato  dal  Rua,  giacché  in  esso  non  si  può  vedere 
indicato  con  assoluta  certezza  il  componimento,  eh' è  oggetto  della 
controversia. 

Il  ragionamento  e  la  conclusione  del  Parrella  parvero  a  molti 
cosi  sicuri  e  convincenti,  da  assicurare  al  Marino  la  paternità  del- 
l'//a/m  o  almeno  rendere  molto  incerta  e  dubbia  l'attribuzione 
di  essa  al  Testi.  '  Ma  nello  stesso  tempo  il  Bartoli,  che  tolse  a 
studiare  molte  delle  scritture  politiche  del  seicento,  ^  indicava  due 
manoscritti  del  sec.  XVII,  uno  della  Bibl,  di  Parma  e  l'altro  del- 
l'Estense, nei  quali  il  poemetto  trovasi  col  nome  del  poeta  mo- 
denese. E  poco  più  tardi  il  Borzelli,  ^  sottoponendo  a  minuto  e- 
same  le  prove  addotte  dal  Parrella,  dimostrava  in  modo  esauriente 
il  niun  valore  di  esse  e  la  ninna  attendibilità  del  Cod.  Pil.  X, 
n.  XXVIII  della  Bibl.  Oratoriana. 

Anzitutto,  mentre  in  fronte  a  tutti  gli  altri  componimenti  il 
raccoglitore  non  ha  lasciato  di  ripetere  il  nome  del  Marino,  pro- 
prio in  quello,  di  cui  si  discute,  esso  manca;  né  basta  per  attri- 
buirglielo il  fatto   che  si  trovi  frammischiato  ad  altre  poesie  di 

«  Cfr.  Giorn.  st.  lett.  it.,XXXVni,  fase.  110-111,  pag.  382. 

2  Fulvio  lesti  autore  delle  Filippiche  ecc..  Città  di  Castello,  Lapi,  1900. 

3  Ancora  dell'autore  del  "  Pianto  d' Italia  ,,  in  «  Bass.  crit.  della  letter.  it,  »,  anno  V,  n.  9-12, 
pp.219  aegg. 


168  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

lui,  perché  in  tal  caso  si  dovrebbero  ritenere  come  sue  alcune 
che  manifestamente  non  gli  appartengono.  Inoltre,  anche  a  non 
tener  conto  di  quest'omissione  e  ammettendo  che  il  raccoglitore 
lo  ritenesse  veramente  del  Marino,  la  sua  testimonianza  non  può 
avere  tutta  quell'importanza,  che  il  Parrella  le  attribuisce.  Le 
parole  della  dedica,  ch'egli  cita,  non  bastano  a  persuaderci  che 
il  ms.  sia  anteriore  al  1619,  perché  potrebbero  essere  nient' altro, 
che  una  delle  tante  gherminelle,  a  cui  spesso  e  volentieri  ricor- 
revano nel  seicento  editori  e  stampatori,  per  acquistare  più  credito 
e  assicurare  maggior  spaccio  ai  propri  libri.  '  Né  maggior  valore 
possono  avere  le  due  miscellanee,'  nelle  quali  il  nome  del  Marino 
fu  aggiunto  dal  possessore,  l'avvocato  Griuseppe  Valletta,  che  pro- 
babilmente ebbe  questa  notizia  dal  Magliabechi,  al  quale  appar- 
teneva il  Cod.  Mglb.  359,  e  la  comunicò  alla  sua  volta  al  Toppi, 
che  se  ne  servi  per  la  sua  Biblioteca  napolitana. 

Vien  cosi  a  mancare  1'  argomento  principale  a  favore  del  Ma- 
rino e  cade  tutta  la  dimostrazione  del  Parrella.  Non  resta  dunque 
che  riaffermare  e  rinforzare  con  prove  più  sicure  e  inoppugnabili 
l'attribuzione  al  Testi. 

Io  non  starò  a  ripetere  qui  i  confronti  stilistici,  sui  quali  tornò 
a  insistere  recentemente  il  Bartoli,  ^  né  m' indugierò  a  rilevare 
altre  somiglianze  e  analogie,  che  pur  sarebbe  assai  facile  addurre,* 
fra  le  poesie  del  Testi  e  le  ottave  a  Carlo  Emanuele.  E  neppure 
mi  fermerò  a  ricordare  la  testimonianza  di  Lorenzo  Crasso,  la 
quale  è  ben  più  importante  e  autorevole  di  ogni  altra,  perché 
egli  ebbe  in  eredità  i  mss.  del  Marino  e  poteva  perciò  solo  tro- 
varsi in  grado  di  sapere  la  verità.  A  dissipare  ogni  dubbio  e  a 
togliere  ogni  esitanza,  più  d'ogni  altro  argomento  intrinseco  o 
estrinseco,  mi  pare  abbia  valore  la  tradizione  manoscritta,  la  quale 
soltanto  io  credo  possa  darci  la  prova  più  certa  e  decisiva,  per 
affermare  che  il  poemetto  anonimo  dedicato  a  Carlo  Emanuele 
di  Savoia  è  opera  di  Fulvio  Testi.  ^ 

Ho  potuto  aver  notizia  di  ventisette  codici,  nei  quali  esso  è 
contenuto,  e  che  qui  importerà  descrivere: 

1  Questa  raccolta  sembra  proprio  apparecchiata  per  la  stampa  :  chi  voglia  persuader- 
sene rilegga  le  parole  della  dedicatoria  riportate  dal  Parrella. 

2  Anch'  lo  potrei  citare  la  misceli.  297  della  Bibl.  Casanatense,  in  cui  un  esemplare  del 
poemetto  reca  sopra  il  titolo  il  nome  del  Testi,  scritto  in  carattere  del  sec.  XVII. 

8  II  vero  autore  del  poemetto  «  ì.'  Italia  »,  in  "  Fanfulla  della  Domenica  ,,  anno  XXIV,  n.  29 
(20  luglio  1902]. 

*  Un  notevole  riscontro  ci  è  fornito  da  tutta  la  canzone  In  morie  di  Madama  Virginia 
Medici  d' Kste  (Rime,  ediz.  1617,  p.  113),  in  cui  il  poeta  immagina  che  la  defunta  ducliessa  ap- 
paia in  sogno  al  marito  e  cerchi  di  consolarlo.  E  questa  poesia  è  di  poco  anteriore  al  poe- 
metto, essendo  la  Duchessa  morta  nel  gennaio  del  1615. 

'•>  Non  cosi  pare  al  Belloni,  il  quale  crede  molto  incerto  quest'argomento  di  prova, 
perché  «  non  sempre  è  possibile,  anzi  é  molto  diffìcile,  lo  stabilire  sel'attribuzio|ie  si  fon^i 


DBLLÀ  LETTERATURA  ITALIANA  169 

1.  Goc(.  n.  908  della  biblioteca  di  Parma,  cart.,  in  fol.,  del  sec.  XVII.  È  un 
cod.  miscellaneo,  che,  oltre  le  Quartine  contro  la  corte  di  Roma,  contiene 
"  L'Italia  all'Invittiss.",  e  Gloriosiss."  Prencipe  \  Carlo  Emanuele  Duca  di  \ 
Savoia  I  Del  Cavaliere  Fuluio  Testi  ,.'  • 

2.  Cod.  Vaticano  latino  8918.  Cartaceo,  misceli,  in  4.°,  dei  seco.  XVI  e  XVII, 
di  carte  62  num.  recentem.  È  composto  di  16  fascicoletti  di  vario  formato, 
rilegati  in  pergamena.  Il  16."  di  6  carte  [ce.  57i-62^]  contiene  le  ottave  col 
seguente  titolo:  *  L' Italia  |  Del  caualier  Fuluio  Testi  Modenese  all'  \  Invit- 
tis.uto  Pr.pe  Carlo  Emanuelle  \  Duca  di  Sauoia  „. 

3.  Cod.  998  della  R.  Biblioteca  di  Lucca,  segnato  N.  7  GG.  Cart.,  in  fol. 
(320  X  220),  dei  sec.  XVII  e  XVIII,  diviso  in  quattro  parti.  Gontiene  rime 
varie,  per  lo  più  di  autori  lucchesi,  trascritte  da  un  tal  Domenico  Vanni  e 
poi  legate  in  volumi  da  Bernardo  Baroni.  Nella  2.*  parte,  pag.  82,  dopo  le 
quartine  Contro  la  corte  di  Roma  (pag.  70  e  segg.)  si  legge  :  Italia  |  all'  In- 
vittissimo e  Gloriosissimo  Carlo  Emanuele  \  Duca  di  Savoia.  E  in  fine  : 
•  Del  S.r  C.  D.  Fuluio  Testi  ,. 

Nella  3."  parte  vi  sono  altri  due  componimenti  del  Testi  : 
1.»  Candia  invasa  dal  Turco  [pag.  18]  ; 

2."  Alla  SJà  di  N.  S.  |  Papa  Innocenzo  decimo  \  Si  loda  la  pace,  e  dalla 
mano  di  S.  B.  doppo  la  \  particolare  d' Italia  s'  aspetta  V  universale  d'  Eu- 
ropa ,  [pag.  19]. 

4.  Cod.  560  della  R.  Biblioteca  di  Lucca,  segnato  B.  417-418.  Cart.  in  fol. 
(320  X  220)  del  sec.  XVII,  di  pp.  478  num.,  non  compreso  l'indice.  Contiene 
rime  di  diversi  autori  del  sec.  XVII,  fra  le  quali  : 

1.°  L' Italia  I  all'  Invittissimo  e  Gloriosiss.™"  Prencipe  \  Carlo  Emanuelle 

I  Duca  di  Savoia  [pp.  218-230].  E  in  fine:  Del  Sig/  Conte  D."  Fuluio  Testi. 

2."  Esortazione  al  sig.  Conte  Panfilio  ad  \  emanciparsi  contro  il  Turcho. 
Ode  [pp.  242  e  segg.]  "  Del  Co.  D.  Fuluio  Testi ,. 

5.  Cod.  misceli.,  latino  classe  XIV,  n.  45  della  R.  Biblioteca  di  S.  Marco  di 
Venezia.  Cart.,  in  4,°,  di  pp.  330  num.  È  di  provenienza  zeniana,  e  contiene 
alcune  scritture  del  sec.  XV  e  del  XVI:  unica  del  sec.  XVII  e  in  italiano 
"  L'Italia  del  Conte  Fulvio  Testi.  All'  Invittissimo  e  Gloriosissimo  Carlo  Ema- 
nuele Duca  di  Savoia  „  [pp.  145-166]. 

Accanto  al  titolo  v'  è  l'indicazione  *  Si  trova  stampata  a  parte  ,,  che  pare 
d'  altra  mano.  In  margine,  di  fianco  alla  st.  22.*  è  notato  "  Filip.  Ili  ,;  alla 
23.»,  "  D.  Pier  di  Toledo  ,;  alla  25.%  "  Duca  di  Mantova  et  di  Savoia  etc.  ,; 
alla  27.*,  *  March,  di  Pescara,  et  del  Vasto,  Fabrizio  Colonna  etc.  ,:  alla  29.*, 
•  C.  Duca  di  Savoia  ,. 

6.  Cod.  dell' Oratorìana  di  Napoli,  sognato  Pil.  X  n.XXVIII,  Cart.,  sec.  XVII. 

II  poemetto  è  anepigrafico  e  adespoto,  ma  frammischiato  a  componimenti 
del  Marino.* 

su  ragioni  ben  valide  o  non  sia  pili  tosto  una  pura  e  semplice  supposizione  del  trascrit- 
tore ».  (Cfr.  «  Testiana  »,  in  «  Frammenti  di  critica  letter.  »  oit.,  pag.  172).  Ma  se  tale  osser- 
vazione può  valere  per  qualche  ms.,  nou  credo  si  debba  dire  altrettanto  di  tutti  quelli,  che 
io  indico  qui  appresso,  la  cui  importanza  e  autorità  appare  manifesta. 

1  Ne  dette  notizia  per  il  primo  F.  Bartoli  {fuliio  Tesli  autore  di  prose  e  poesie  politiche 
e  delle  Filippiche,  Città  di  Castello,  Lapi,  1900,  pag.  57). 

2  Cfr.  E.  Mandarini,  /  mss.  della  biblioteca  Oiatoriana  di  Napoli,  Napoli,  1897,  pp.  234-35; 
e  P.  P.  Pairella,  art.  cil. 


l70  Rassegna  biblIografìòa 

7.  Cod.  dell' Oraloriana  di  Napoli,  intitolato  "  Ragguagli  di  Parnaém  „. 
Gart.,  sec.  XVII,  di  ce.  207  nn.  e  17  bianche.  AI  n.  10  si  trova:  U Italia  \ 
all'Invittissimo  \  e  Gloriosiss.  P."  \  Carlo  Emanuele  Duca  di  Savoia;  e  sotto 
questo  titolo,  in  (jaratteie  più  grosso,  il  nome  del  Marino.' 

8.  God.  3392  della  R.  Bibl.  Gasanatense,  cart.  della  seconda  metà  del  sec. 
XVII,  in  8.",  di  ce.  308  num.  +  80  n.  n.,  non  cotnpresi  l'elenco  degli  *  Autori 
che  si  contengono  in  questo  volume  „  e  l'"  Indice  alfabetico  del  principio  di  cia- 
scuna composizione  ,.  Goutiene  poesie  di  varj  autori  del  sec.  XVII,  e  fra  le  altre: 

1."  Alla  Santità  di  Papa  Innocentio  Decimo  \  Si  loda  la  Pace  e  dalla 
mano  di  Sua  Beatitudine  doppo  la  particolare  d'Italia  s'aspetta  l' Uni- \ 
versale  d' Europa.  "  Del  Testi ,  [ce.  77''-79'^]  ; 

2.0  Alla  Corte  di  Roma.  "  Del  Testi  „  [ce.  79'--80^]  ; 

3.°  Italia  I  A  Carlo  Emanuelle  Duca  di  Savoia,  [ce.  80^-86»"].  In  fine: 
"Del  Testi,. 

9.  God.  Mglb.  II,  IV,  11.  God.  misceli,  cart.  28  X  30  di  varie  mani,  dei 
secoli  XVII  e  XVIII,  di  ce.  266  num.  recentemente,  composto  di  18  piccoli 
codici.  Il  3.°  contiene  le  seguenti  poesie  del  Testi  [ce.  68''-72'']  : 

1.°  Ode  a  Raimondo  Monteeuccoli 

2.»  Ganzone  al  March.  Massimiliano  Monteeuccoli  (sono  soltanto  le 
prime  quattro  strofe). 

3."  Quartine  contro  Roma  (ne  mancano  due). 

Il  cod.  VII  da  e.  112"^  a  121'  contiene  varie  poesie  adespote  e  alcune 
di  Girolamo  Preti.  La  prima  delle  adespote  è:  L'Italia  alV Illustrissimo  \  et 
Gloriosiss."'"  Carlo  \  Emanuelle  duca  di  Savoia  [ce.  113'- 119'].* 

10.  God.  Palatino  263  della  Bibl.  Nazionale  di  Firenze.  Gart.  misceli,  del 
sec.  XVII  (270  X  197),  pagg.  356  num.  ani.,  delle  quali  le  prime  245  sono 
scritte  di  mano  dello  scienziato  e  poeta  fiorentino  Lorenzo  Bellini;  le  ri- 
manenti sono  di  tre  o  quattro  fascicoli  scritti  da  mani  diverse  e  in  tempi 
di  poco  anteriori.  Al  n.  XL  (pp.  52-54')  contiene:  Sopra  il  lusso  di  Roma  - 
quartine  di  Fulvio  Testi;  e  al  n.  LXV  (pp.  178-184):  Italia  |  stanze  \  del 
conte  Fulvio  Testi  \  All'  Illustrissimo  e  Gloriosissimo  \  Carlo  Emanuele  Duca 
di  Savoia.^ 

11.  God.  Estense  n.  1430,  segnalo  a.  S.  3,  2.  Gart.  in  8."  piccolo  del  sec. 
XVII,  già  appartenuto  al  Gonte  Valdrighi.  Gontiene:  '^Marino  Gio.  Batt. 
Martoleide,  fischiata  prima  al  Stigliani  „  (sic)  ;  "  La  Marineide,  risposta  che 
fa  il  Murtola  al  Marino,  risala  prima  ,.  E  poi:  *  L'Italia  travagliata  \  del 
S.''  Comm."'  Fulvio  Testi  ,,  seguila  da  due  canzoni  del  Testi,  una  *  Al  S.  Go. 
Fran.»  Fontana  ,,  l'altra  "  Al  Sereniss.'""  S.'  Prencipe  Rinaldo  Gard.'"  d'Este 
nella  sua  promozione  ,. 

12.  God.  Estense  n.  837,  segnato  a.  G.  3.  2.  Gart.  in  fol.  dei  sec.  XVI  e 
XVII,  misceli,  di  prose  e  versi.  Oltre  ad  altri  componimenti  del  Testi,  alcuni 
dei  quali  autografi,  contiene,  in  un  faseicolelto  di  8  ce.  in  12.",  il  poemetto 
anepigrafico.  Nel  v.  dell'ultima  carta  si  legge,  dello  stesso  carattere  delie  ot- 


1  E.  Mandarini,  oyi.  cit.,  pp.  290  e  sgg.,  e  Parrella,  art.  cil. 

2  A.  Bartoll,/  mamscrilli  ilnliam  della  Bibl,  Xagioìiale.  di  Fìre)ìsr,voì.Ill,p.  301. 

3  Gir.  Palermo,  I  nianoiciitti  f(ilaliiii,\oì.  l,pp.  450-58.  Di  su  questo  cod.  furono  pubbli- 
cate le  ottave  nel  <  Serto  di  documenti  altenenti  alle  Reati  Case  di  Savoja  e  di  Biagama  »  già  cit. 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  171 

tave:  "  Canzone  del  sig.  co.  Testi  contro  de  gli  Spagnuoli  „.  e  questa  indica- 
zione è  poi  ripetuta  da  mano  recente  su  un  altro  foglio,  che  serve  di  co- 
perta al  fascicoletto.  In  questo  nis.  mancano  le  st.  31,  32  e  33.* 

13.  God.  Estense  n.  560,  segnato  a.  J-  9,  15.  Gart.  in  12."  picc.  sec.  XVII, 
di  ce.  45  n.  n.,  intitolato  "  Sonetti  ed  altre  composizioni  poetiche  di  vari  au- 
tori ,.  In  una  striscia  di  carta,  incollata  sul  foglio  che  serve  di  guardia,  è 
scritto:  "  Questi  componimenti  mss.  erano  in  fine  delle  poesie  liriche  di  Fulvio 
Testi  LXV,  A.  56  ,  [ora  VII,  B.  61:  è  l'edizione  Gassiani  del  1645].  La  scrit- 
tura minuta  e  nitida  ha  molta  somiglianza  con  quella  del  Testi  ;  ma  non 
oserei  affermare  che  sia  proprio  sua.  —  Le  ottave  a  Carlo  Emanuele  sono 
anepigraflche  e  adespote;  nel  margine,  di  mano  del  Tiraboschi,  è  scritto: 
*  Di  Fulvio  Testi  ,.^  Il  componimento  finisce  con  la  st.  34. 

14.  God.  Gampori  nell'Estense  di  Modena  Y.  Z.  2.  36.  Gart.  in  8.",  sec. 
XVII  di  ce.  81.  Gontiene  1'  "  Italia  afflitta  ,,  adespota. ^ 

15.  God.  Vaticano  9226,  cart.  in  12.«  (14  X  10)  della  2.^'  metà  del  sec.  XVII. 
Gontiene,  oltre  ad  alcune  rime  del  Tassoni  e  del  Marino,  anche  le  ottave  a 
Cario  Emanuele  senza  titolo,  in  fine  delle  quali  è  scritto:  "^  Fui.  Testi  „. 

16.  God.  Barberini  XLIV,  249  della  Biblioteca  Vaticana.  Gart.,  in  4.°,  del 
sec.  XVII,  di  carte  141  num.  recenlem. 

È  una  miscellanea  di  versi  di  varj  autori,  composta  di  fascicoli  e  fogli 
di  formato  e  carattere  diversi,  rilegati  insieme.  In  un  fascicolo  di  17  carte, 
di  scrittura  nitida  ed  elegante,  con  un  frontespìzio  ornato  di  fregi  e  fogliami 
a  penna,  trovasi  il  poemetto  col  seguente  titolo:  "  L' Italia  \  liberata  \  del 
Conte  I  Fulvio  Testi  \  A  Carlo  Emanuel  \  Duca  \  di  \  Savoia  [ce.  53''-65v]. 
Nella  e.  55%  dove  incominciano  le  ottave,  si  legge:  "  Invittissimo  |  Et  |  Glo- 
riosissimo Prencipe  ,.  —  Nel  medesimo  fascicolo  [ce.  TTi^-TOv]  trovasi  la  nota 
canzone  del  Testi  "  Alla  Santità  di  2J.  Sig.  \  Papa  Innocentio  X  \  Si  loda  la 
pace  e  dalla  mano  |  di  Sua  Beatitudine  |  dopo  la  particolare  d'Italia  \  s'aspetta 
l'Universale  \  di  Europa  |  Del  Conte  \  Fulvio  Testi  f,.  Seguono  a  questo,  in 
diversi  fogli  [ce.  71»'-86i],  altri  sette  componimenti,  che  si  trovano  tutti  a 
stampa  nella  "  Race,  generale  delle  poesie  ,  del  Testi  (Modena,  Sogliani,  1653), 
e  fra  gli  altri  tre  sonetti  (uno  in  doppio  esemplare)  diretti  a  Urbano  Vili, 
e  ai  due  nipoti  di  lui  Antonio  e  Francesco  Barberini,  che  sono  autografi.  I 
fogli,  che  contengono  questi  sonetti,  dovevano  far  parte  prima  di  un  altro 
volume,  come  appare  evidente  dall'antica  numerazione. 

17.  God.  Mglb.  359.  Gart.,  sec.  XVII.  A  pag.  494,  di  mano  di  Antonio  Ma- 
latesti,  con  la  data  del  1645,  si  legge:  "  Il  Pianto  d' Italia  del  Cav.  Gio.  Batt. 
Marino  dedicato  al  gloriosissimo  e  serenissimo  duca  di  Savoia  ,. 

18.  God.  242  delia  Bibl.  Guarnacei  di  Volterra.  Gart.  sec.  XVII.  Gontiene, 
il  "  lianto  d'Italia  del  cav.  Gio.  Batt.  Marino  ^.* 


1  K  uno  dei  codd.  cit.  da  L.  Arezio  (Siill'mitddicità  ecc.). 

2  È  pure  cit.  dall' Arezio,  il  quale  però  uon  s'accorse  che  inancavatio  le  ultime  nove 
stanze. 

3  Cit.  dali'Arezio  nel  suo  secondo  opa.  (Ancora  sull'autenticità  di  idi  poemelio  ecc.J. 

*  Ne  dà  notizia  il  Borzelli  (art.  ei<.),  il  quale  crede  probabile  che  il  trascrittore  di  que- 
sto ms.  volterrano  sia  lo  stesso  del  cod.  Mglb.  359,  fondandosi  sull'identità  del  titolo,  che 
hanno  le  stanze  nell'uno  e  nell'altro  codice. 


172  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

19.  God.  22-4  della  Bibl.  D'Addosio,  ora  facente  parie  della  Sagarriga- 
Visconti  di  Bari.  —  Gart.,  del  sec.  XVIf.  Vi  si  legge  1'  *  Italia  afflitta  del 
cavaliero  Gio  Batt.^  al  Seren.^'^o  sig.  Duca  di  Savoia  Carlo  Emanuele  ^. 

20.  God.  Gampori  Y.  G.  2.  1  dell'Estense  di  Modena.  Cari.,  in  fol.,  sec. 
XVII,  pp.  208  n.  n.  +  3  fogli  bianchi,  intitolato  "  Lettere  e  poesie  di  Fuluio 
Testi ,.  Gontiene  224  lettere,  seguite  da  un  Indice,  al  quale  tengon  dietro  tre 
poesie  del  Testi:  l' ultima  [pp.  196-208]  è  intitolata:  V  Italia  prigioniera  \ 
*  all'  Invittissimo  Carlo  Emanuelle  \  Duca  di  Savoia  „.  Finisce  con  la  st.34.* 

La  scrittura   rassomiglia   perfettamente   a   quella   di   Giulio   Testi,  fi- 
gliuolo del  poeta. 

12.  God.  Estense  iX,  e.  Gart.,  in  fol.,  della  seconda  metà  del  sec.  XVII, 
intitolato  "  Giardino  di  varie  compositlioni  ,.  È  una  voluminosa  raccolta  in 
sei  voli,  messa  insieme,  negli  ultimi  anni  del  sec,  XVII,*  da  un  tal  Mallerti, 
che  cosi  sottoscrive  a  p.  1582  del  t.  II:  *  Manuscritto  da  me  Pietro  Antonio 
Mallerti  ,.  Oltre  ad  altre  poesie  del  Testi  sparse  negli  altri  volumi,  nel  t.  II 
sono  contenute  le  seguenti: 

1."  Si  detestano  le  lascivie  di  Roma  |  Poesia  del  sig.'   conte  D.  Fuluio 
Testi  [pp.  667-671]; 

2."  L'Italia  |  poesia  del  conte  D.  Fuluio  Testi  [pp.  672-685]. 

Anche  in  questo  ms.  il  poemetto  termina  con  la  si.  34.' 

22.  God.  n.  1501  della  R.  Bibl.  di  Lucca,  segnato  M.  6.  Gart.,  in  fol. 
(280  X  210)  del  sec.  XVIIl,  di  ce.  211,  delle  quali  le  ultime  37  bianche.  Gon- 
tiene diversi  componimenti,  alcuni  anonimi,  trascritti  da  un  Lodovico  Breni, 
e  fra  gli  altri  : 

1.»  Contro  la  Corte  di  Roma  [ce.  83'-84']  *  Del  Sig.r  Co.  D.  Fuluio  Testi  ,. 
2»  "  Italia  1  alV  Inviti."'»  e  Gloriosiss."'o  Cario  Emanuelle  |  Duca  di  Sa- 
noia  ,.  E  in  fine:  "  Del  sig.*"  Co.  D.  Fuluio  Testi  ,. 

23.  God.  Gampori  Y.  B.  6.  9  della  R.  Bibl.  Estense.  Gart.,  in  8.»  di  ce.  132, 
del  sec.  XVIII,  intitolato:  "  Poetiche  composizioni  di  diversi  autori  ,. 

Dalla  pag.  44  alla  pag.  59  contiene  : 

"  Italia  afflitta  \  Sogno   del   conte   Fulvio    Testi  \  Al   Ser.'""  sig.  Carlo 
Emanuel  Duca  di  \  Savoia. 

24.  God.  Trivulziano.^  Gart.,  in  4.",  sec,  XVII.  Gontiene  le  ottave  adespote. 

25.  God.  I.  XI.  26  della  Bibl.  Comunale  di  Siena.^  Gart.,  del  sec.  XVII. 
Gontiene  :  L' Italia  al  Duca  Carlo  Emanuele  di  Savoja,  adespota. 

26.  God.  XII.  E.  43  della  Bibl.  Nazionale  di  Napoli.  Gontiene  il  poemetto 
adespoto,  insieme  con  la  Pietra  del  paragone  polìtico  di  Traiano  Boccalini.® 

27.  God.  I.  3.  31  della  Berloliana  di  Vicenza.  Gontiene  pure  il  poemetto 
adespoto.' 


i  Cosi  senz'altro,  lua  s'iutoude  il  resto  omesso  dal  copista.  Cfr.  Borzelli,  «)•<.  ci7. 

8  Nel  t.  IV,  p.  1599  si  trova  uu  souetto  "  sopra  Genova  battuta  dai  francesi  nel  168i , 

3  È  cit.  auclie  dal  Bartoli,  o/y.  ti7.,p.  57. 

i  Lo  conosco  soltanto  dalla  menzione  che  ne  fa  il  De-Castro,  op.  cit.  p.  25, n.  1. 

5  È  indicato  dal  Falletti,  Sdjri/i,  Palermo,  Giannoue  e  Lamantia,  1885,  pp.  l'J4-25. 

6  Cfr.  Borzelli,  art.  cit. 

7  Cf.  Borzelli,  op.  cit. 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  173 

Come  si  vede,  il  poeinelto  si  trova  adespoto  in  otto  mss.;  in 
quindici  reca  il  nome  del  Testi,  mentre  quello  del  Marino  non  si 
trova  con  certezza  che  in  quattro,  giacché  nella  Miscellanea  ci- 
tata della  Bibl.  Oratoriana  pare  si  debba  ritenere  aggiunto  po- 
steriormente. Dunque,  non  che  essere  esatta  P  affermazione  del 
Parrella,  secondo  il  quale  in  nessun  codice  si  troverebbe  il  nome 
del  Testi,  la  testimonianza  dei  mss.  giustifica  e  convalida  l'attri- 
buzione delle  ottave  al  poeta  modenese.  Certo  non  tutti  quelli, 
nei  quali  le  troviamo  a  lui  attribuite,  hanno  ugual  valore  per  la 
risoluzione  del  problema;  ma  a  nessuno  può  sfuggire  l'impor- 
tanza dei  primi  quattro,  e  segnatamente  del  Parmense  908  e  del 
Vaticano  8918,  nei  quali  il  titolo  di  cavaliere,  che  accompagna  il 
nome  del  Testi,  indica  chiaramente  che  sono  anteriori  al  1635^ 
anno  in  cui  il  nostro  poeta  fu  nominato  conte  di  Busanella.  Essi 
inoltre  ci  offrono  quasi  tutti  una  lezione  assai  migliore  e  più  cor- 
retta, che  gli  altri  codici,  come  può  facilmente  persuadersene 
chiunque  voglia  prendersi  la  briga  di  confrontarli  con  le  stampe 
antiche. 

Adunque,  senza  bisogno  di  ulteriori  prove  e  di  più  lunghi  ra- 
gionamenti, io  credo  si  possa  ormai  conchiudere  con  perfetta  si- 
curezza, che  il  poemetto  dedicato  a  Carlo  Emanuele  è  opera  di 
Fulvio  Testi. 

Dimostrato  cosi  chi  sia  il  vero  autore,  vediamo  a  qual  tempo 
dobbiamo  fissarne  la  composizione.  Anche  su  questo  punto  e'  è 
disparere.  Il  Tiraboschi  credeva  probabile  fosse  stato  scritto  e 
pubblicato  nel  1617,  supponendo  che  il  Testi  fosse  processato  e 
condannato  non  solo  per  le  Rime  dedicate  a  Carlo  Emanuele,  ma 
per  le  «  stanze  ancora  separatamente  date  alla  luce  ».^  Il  Belloni, 
l'Arezio,  il  Gabotto  e  il  Parrella  l'assegnano"  invece  alla  prima- 
vera del  1615;  il  Rua  ^  torna  all'opinione  del  Tiraboschi  e  la 
rincalza  con  nuovi  argomenti;  infine  il  Bartoli  ^  e  il  Borzelli 
lo  credono  anch'essi  scritto  nel  1617. 

Fu  già  dimostrato  —  né  qui  è  d'  uopo  ripetere  —  che  le  quar- 
tine sono  anteriori  al  poemetto,  il  quale  non  è  in  sostanza  che 
un'amplificazione  di  quelle.  Ora,  è  generalmente  ammesso  che  le 
quartine  sieno  state  composte  nel  1615  :  *  e  questa  data,  alla  quale 


i   Vita,  pag.  158. 

2  11  Rua  s'è  in  parte  ricreduto,  e  in  uno  studio  che  darà  presto  aUa  luce  si  propone 
di  dimostrare  che  le  due  parti,  di  cui  —  secondo  lui  —  consta  il  poemetto,  furono  composte 
separatamente  e  in  diverso  tempo:  la  l.a-(st.  1-31),  che  contiene  la  visione,  sarebbe  del  1615, 
e  la  2. a,  in  cui  il  poeta  aggiunge  i  suoi  conforti  a  quelli  dell'Italia  (st.  34-13),  del  1617. 

3  Anche  il  Bartoli,  nel  suo  ultimo  scritto,  propende  per  il  1615. 

*  Il  Gabotto  però,  pur  ammettendone  la  priorità  sulle  ottave,  le  crede  dell'estate  16U, 
peché  gli  pare  che  l'allusione  contro  Venezia  («  La  reina  del  mar  riposi  il  fianco,  |  Si  lisci 


174  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

ci  riportano  del  resto  gli  accenni  storici,  ci  è  fornita  anche  da 
una  nota  del  Cod.  Estense  n.  983  (a.  0.9.25):  ^  dunque  bisogna  cer- 
care dopo  quest'anno  il  momento  politico,  che  è  descritto  nelle 
ottave.  Da  tutto  il  contesto  appare  evidente  che  fnron  scritte  nel- 
l'aprile di  un  anno,  in  cui  mentre  la  fortuna  arrideva  alle  armi 
di  Carlo  Emanuele,  trattative  di  pace  vennero  a  interrompere  il 
corso  delle  sue  vittorie.' 

Ciò  mal  si  conviene  agli  avvenimenti  del  1615,  che  nel  marzo 
e  nell'aprile  di  quell'anno  furono  poco  propizj  al  duca  di  Sa- 
voia, tanto  ch'egli  non  rifiutò  di  venire  ad  un  accordo,  che  fu  poi 
concluso  il  21  giugno  (2."  trattato  di  Asti).  Invece  corrisponde 
pienamente  a' primi  mesi  del  1617,  ne' quali,  ripresesi  le  armi,  il 
Duca  sabaudo  con  l'aiuto  del  maresciallo  francese  Lesdiguières, 
riportò  parecchi  successi  su  gli  Spagnuoli,  i  quali  non  furono  più 
alieni  dall' accogliere  le  proposte  di  pace  fatte  dalla  reggente  di 
Francia.  Al  contrario  il  duca,  incoraggiato  dagli  ajuti  francesi  e 
imbaldanzito  per  le  recenti  vittorie,  mal  s'acconciava  a  deporre  le 
armi  e  interrompere  i  successi  e  cercava  d'acquistar  tempo  scher- 
mendosi con  vaghe  risposte. 

Ancora:  nella  seconda  parte  del  componimento  il  poeta,  ag- 
giungendo i  suoi  conforti  a  quelli  dell'Italia  apparsagli  in  sogno, 
esclama: 

*  Vediem  dai  tuo  valor  fiaccate  e  dome 

Le  forze  onde  T Italia  egra  si  duole, 

E  si  grande  apparecchio  svanir  come 

Larve  notturne  allo  spuntar  del  sole: 

Che  l'alterigia  Ibera,  il  cui  gran  nome 

Quasi  idolatra  il  mondo  adorar  suole, 

È  un  tuon  che  fende  l'aria  e  poi  svanisce. 

Lampo  che  abbaglia  si,  ma  non  ferisce. 
Se  gli  eserciti  immensi,  che  spogliando 

Due  volte  Europa  a' danni  tuoi  fur  tratti 

Senza  lancia  impugnar  o  stringer  brando 


il  volto  e  H'ìuaiielU  il  crine  »)  sì  convenga  pili  tosto  a  quel  momento,  iu  cui  tra  Venezia 
e  Savoia  era  rottura  completa,  clie  «  alla  primavera  del  '15,  dopo  che  già  la  Repubblica  aveva 
riproso  i  negoziati  col  duca  ili  Savoia,  per  mezzo  di  Uanieri  Zeno,  e  ne' consigli  veneziani 
cominciavano  a  proporsi  pili  gagliarde  risoluzioni».  Ma  si  può  obiettare  al  Gabotto,  che 
quando  il  Testi  scriveva  le  quartine,  la  repubblica  non  aveva  ancora  compiuto  manifesta- 
mente nessun  atto,  dal  quale  il  piibblico  potesse  apprendere  che  essa  si  decideva  a  uscire 
dall'irresoluzione  e  a  dare  soccorsi  a  Carlo  Emanuele;  si  che  il  poeta  a  buon  diritto  po- 
teva ancora  lanciare  le  sue  frecciato  contro  di  lei. 

i  Cartaceo,  iu  i.",  del  sec.  XVII.  Da  e,  273i-  a  o.  238v  contiene  le  quartine  con  questo 
titolo:  «  Al  ser.mo  sig.re  Duca  di  Savoia  Canzonetta  ai  crede  sia  del  sig.  Fulvio  Testi  anno 
1615  ». 

8  Cfr.  specialmente  st.  33,  vv.  I-C  ;  st.  5.» 


bÉLLA  LETTERATURA  ITALIANA  175 

Fur  al  primo  apparir  rotti  e  disfatti, 
Miseri  !  or  che  faran  che  mendicando 
Van  colmi  di  timor  accordi  e  patti?  ' 
Riformeranno  eserciti  migliori? 
Onde  trarran  le  genti,  ond'i  tesori? 

Anche  queste  due  stanze  ci  riportano  a' primi  del  1617;  i  due 
eserciti  spagnuoli  vinti  e  disfatti  dal  duca  è  probabile  sieno  quelli 
che  combatterono  nel  1615  e  nell'inverno  1616-17.* 

Le  stesse  cose,  quasi  con  identiche  parole,  sono  ripetute  nella 
dedicatoria  delle  Rime  del  Testi  a  Carlo  Emanuele,  che  qui  con- 
verrà tener  presente:  «  . . . .  Né  ...  si  può  udire  senza  stupore 
«  che  'l  maggior  Re  del  mondo  le  sia  venuto  due  volte  sopra  con 
«  due  i  maggiori  eserciti  ch'egli  facesse  già  mai; ...  e  che  due  volte 
«  cosi  grandi  apparecchi,  cosi  tremendi  sforzi  sieno  stati,  come 
«  nebbia  al  vento  di  tramontana,  dissipati  e  distrutti  dal  suo  va- 
«  lore.  »  3  E  questa  dedicatoria  ha  appunto  la  data  del  primo  d'a- 
prile 1617.  La  conclusione,  pertanto,  non  può  essere  dubbia.  Viene 
poi  a  confermarla  il  documento  pubblicato  dal  Rua,  nel  quale 
non  può  vedersi  indicato  altro  che  il  nostro  poemetto,  giacché 
il  Testi  nel  1617  non  pubblicò  separatamente  altre  stanze.  E 
d'altra  parte,  quelle  scritture  da  raccogliere  insieme  in  un  libro, 
alle  quali  accenna  la  lettera  citata,  non  possono  essere,  a  mio  pa- 
rere, se  non  d'argomento  e  di  carattere  politico.  E  me  ne  per- 
suade il  fatto  che  il  misterioso  personaggio,  che  scrive  la  lettera, 
richiede  la  poesia  proprio  a  un  ambasciatore  di  Savoia,  dal  quale 
aveva  già  avuto  altre  scritture  politiche.  * 

Da  quanto  abbiamo  esposto  risulta  che  la  conchiusione  pili 
probabile,  cui  si  possa  arrivare  in  questo  dibattito,  è,  che  il  cosi 


t  Assegnando  il  poemetto  al  1615,  come  si  spiegherebbero  questi  versi?  In  qiieH'anno 
gli  Spagnuoli,  non  che  meudicare  accordi  e  patti,  respingevano  risolutamente  le  proposte 
avanzate  dalla  Reggente  di  Francia  per  mezzo  dell*  ambasciatore  Sillery;  e  soltanto  verso 
il  maggio  piegarono  a  pili  miti  consìgli. 

*  Al  Belloni,  che  nel  suo  ultimo  scritto  torna  a  sostenere  con  nuovi  argomenti  la  data 
del  1615, non  sfuggi  l'importanza  dell'accenno  contenuto  nello  stanze  citate,  che  contra- 
dice alla  sua  opinione.  E  per  togliere  di  mezzo  la  diftìcoltà,  sostiene  che  in  esse  non  si 
deve  vedere  uu'  allusione  ai  casi  del  piccolo  Piemonte,  ma  pili  tosto  «  ai  due  famosi  scacchi 
sabiti  dalla  Spagna  quando  Filippo  II  aveva  tentato,  con  pericolo  di  tutta  l'Europa,  la  con- 
quista dell'Inghilterra  o  della  Francia  »,  cioè  alla  «sconfitta  deìVimiucibile  armata  (1588), 
e  alla  guerra  terminata  con  la  pace  di  Vervins  (1598)  ».  Ma,  se  anche  non  risultasse  chiaro 
da  tutto  il  contesto  che  in  questi  versi  si  allude  agli  avvenimenti  d'Italia,  contro  l'ipotesi 
troppo  ingegnosa  del  Belloni  starebbe,  ad  ogni  modo,  la  vera  lezione  del  v.  2  della  st.  XXXVII, 
nel  quale  si  deve  leggere,  con  le  antiche  stampe  e  con  la  maggior  parte  dei  mss,,  •  a' danni 
tuoi  ». 

3  Rime  di  Fulvio  Testi,  Modena,  Cassìani,  1617. 

4  Cfr.  Bua,  Epopea  Savoinu,  in  «  Giorn.  st.  lett.  ital.,  XXVII,  pagg.  231-32. 


Ì'^6  RASSEGNA   ftlBLlOatlAriCA 

detto  Piaììto  d' Italia  sia  opera  del  Testi,  al  quale  lo  assegnano 
e  la  conformità  dello  stile  con  altri  suoi  scritti  e  la  testimonianza 
della  maggior  parte  dei  codici  ;  e  che  esso  sia  stato  composto  nella 
primavera  del  1617,  nelle  stesse  circostanze,  nelle  quali  il  Testi 
dedicava  a  Carlo  Emanuele  il  volumetto  delle  sue  Rime. 


NOTA  BIBLIOGRAFICA. 


Do  qui  la  descrizione  sommaria  di  una  Miscellanea  di  scritture  politiche, 
ignota  ai  bibliografi,  che  si  conserva  nella  biblioteca  Universitaria  di  Bologna 
[Misceli.  GLXI,  segnata  0.  V.  20]. 

Contiene  venticinque  scritture,  in  verso  e  in  prosa,  la  maggior  parte  delle 
quali  sono  già  conosciute  da  altre  consimili  raccolte  del  tempo. 

I.  Pietra  ]  del  Paragone  |  politico  |  Tratta  |  dal  Monte  Parnaso  |  Dove  si 
toccano  i  governi  delle  maggiori  Mo-  |  narchie  del  Universo.  |  Di  Troiano  (sic) 
Boccalini  |  con  una  nuova  aggiunta  dell' istesso,  |  Impresso  in  Gormopoli  (sic) 
per  Zorzi  Teler,  |  MDGXV. 

Di  ce.  55  n.  n.  —  Nella  e.  2,  si  trova  il  seguente  titolo:  "  Dei  Raguagli 
di  Parnaso  |  Parte  terza,  1  di  Troiano  |  Boccalini,  |  all'Illustrissimo  mio  |  si- 
gnor osservandissimo  M.  F.  R. 

II.  Raguagli  !  di  !  Parnaso  |  Centuria  |  Quarta.  —  s.  a.  n.  di  ce.  22.  n.  n. 
Sono  quelle  che  il  Tassoni  nel  "  Manifesto  „  chiama  le  "  Esequie  della. 

riputazione  di  Spagna  ,  e  che  dice  composte  da  un  frate  francescano. 

Il  Gabotto  {Per  la  st.  della  lelt.  civ.  ecc.,  p.  404  e  sgg.)  ne  fa  una  minuta 
analisi.  * 

III.  Replica  I  alla  risposta  |  centra  la  Quarta  Centuria,  |  dei  Raguagli  |  di 
Parnaso  |  s.  a.  n.  di  pp.  16  n.  n. 

Questa  replica  si  trova  anche  in  fine  a  un'edizione  antica  delle  Filip- 
piche, ed  è  seguita,  come  nella  nostra  miscellanea,  da  una  quartina  che  serve 
da  epigrafe,  e  da  due  sonetti.* 


1  A  questi  Kaguaiìli  risponde  il  noto  *  Discorso  »  del  Soccino,  cui  replicò  il  Tassoui.  Ma 
prima  del  discorso  socciniano  fu  pubblicata  un'  altra  risposta,  a  cui  accenna  il  Gabotto 
(op.  cit.,  pag.  415)  ma  senza  darne  indicazione  precisa.  Di  questa  Hisposla  trovo  notizia  nel 
carteggio  dell' ab.  Geminiauo  Ansaloui,  ambasciatore  modenese  a  Milano,  il  quale  il  20  aprile 
1617  scriveva  al  duca  Cesare  d'Kste:  'Il  foglio  dell'avviso  di  questa  settimana  sarà  an- 
nesso a  quest'I  carta  et  insieme  la  di  fesa  fatta  innami  ad  Aii/wllo  per  la  culutiitia  data  alla 
lieimtalione  spayiiola,  che  fu  data  per  morta  ueW  assalto  di  Asti  e  per  sepolta  alla  Certosa  di 
Piemonte^  (R.  Archivio  di  Stato  dj  Modena  -  Cart.  ambasc.  da  Milano,  1617). 

2  La  quartina  e  il  2."  sonetto  intitolato  "  Italia  madre  a'  l'riucipi  suoi  figli  »  si  trovano 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  177 

IV.  Supplimento  |  a  gli  Avvisi  |  di  Parnaso.  —  s.  a.  n.,  di  ce.  8  n.  n. 
Secondo  il  Gabotto  {op.  cit.,  p.  527)  è  opera  di  quel  Valerio  Fulvio  Sa- 

voiano,  al  quale,  com'è  noto,  il  Tassoni  attribuì  le  due  prime  Filippiche. 

V.  Filippica  I  [seguita  poi  da  altre  sei].  —  s.  a.  n.,  di  ce.  22  n.  n. 

La  terza  ha  il  titolo  di:  "  Ragionamento  \  d'Italia  \  Filippica  III „, 
La  4.*,  la  6.*  e  la  7."  sono  firmate:  *  L'Innominato  accademico  libero  ,. 
È  uguale  in   tutto  alla  ediz.  delle  Filippiche  descritta  dal  Tiraboschi 
(Biblioteca  modenese,  V,  p.  204),  salvo  che  nel  nostro  esemplare  manca  la 
"  Caducatoria  prima  ,,  che  precede  quella  cit.  dall'erudito  modenese.' 

VI.  Risposta  I  alle  scritture  \  intitolale  |  Filippiche.  —  s.  a.  n.,  di  ce.  8  n.  n. 
È  datala  *  di  Milano  „,  ma  senza  indicazione  di  giorno,  di  mese  né  d'anno. 

VII.  Lettera  scritta  dall'Italia  )  alla  S.tà  di  N.  Sig.'^*  |  Papa  Paulo  V.  |  s. 
a.  n.;  ce.  8  n.  n. 

È  *  Data  nel  Giardin  del  mondo  li  1  maggio  1617  ,,  e  sottoscritta  *  Di 
V.  Beatitudine  |  Fedelissima,  Devotissima,  et  Ubidientissima  serva  |  la  tor- 
mentata, e  lacerata  Italia  „ 

Si  trova  anche  nella  Miscellanea  descritta  dal  D'Ancona,  Sa^/?!  di  po- 
lemica e  di  poesia  politica  (in  Archivio  Veneto,  voi.  III,  p.  2.*,  ops.  1.*)  e  in 
un'altra  dell' Oratoriana  di  Napoli,  descritta  da  P.  P.  Parrella.  {L'autore  del 
Pianto  d' Italia,  m  Rass.  crii.,  IV,  n.'  10-12  ops.  XVII). 


riprodotti  nella  prefazione  di  Silvio  Giannini  a  "  Le  Filippiche  contro  gli  Spngnuoli  di  Ales- 
sandro Tassoni  „,  Firenze,  1855,  pag.  VT,  da  un'antica  edizione  uguale  alla  nostra. 
Il  l.o  sonetto  è  il  seguente: 

«  L'  Aquila  fiera,  che  da  cuppi  horrori 
D'orrendi  selvi  (sic)  use/,  d' bermi  confini, 
Temeraria  i  terreni  a  noi  vicini 
Tenta  rapir  sotto  menriti  (sic)  honori 

Già  sovra  i  curvi  Abetti  i  biaiicilini 
Spiega  maligna,  e  gì'  infedeli  errori 
D'una  fede  infedel,  d'empi  furori 
Trova  chi  aiuta,  e  1  suoi  rapaci  fini. 

Tu  Leon,  sol  ben  nominato  figlio 
D'Italia  bella,  aspro  contrasto  e  fero 
Fai,  rintuzzando  un  si  rapace  artiglio; 

Deh  scuoti  il  giogo  altrui,  e  tanto  impero 
Dibella  pur,  deli  via  fatti  vermiglio 
Ne' danni  suoi  vendioator  severo». 


Cfr.  su  questa  Replica  anche  Errerà  (Sulle  Filippiche  di  Aless.  '/assoni,  pag.  47)  e  Gabotto  {op. 
cit.,  pag.  415). 

3  Un  esemplare  in  tutto  uguale  a  quello  conosciuto  dal  Tiraboschi  è  posseduto  dalla 
Biblioteca  delji^  II.  Scuola  normale  superiore  di  Pisa. 


178  RASSEGNA    BIRLIOGRAFICA 

Vili.  La  tormentala  e  lacerata  Italia  I  alla  S.tà  di  N.  Sig.  |  Papa  Paulo 
V.  I  s.  a.  n.,  di  carte  8  n.  n. 

'  Data  nel  Giardin  del  mondo,  li  giorno  della  festività  di  San  Pietro 
29  giugno  1617  ,,  e  firmata  come  nella  precedente.  (Gfr.  Saggi  ecc.  del 
D'Ancona,  n.  2;  e  Misceli.  Oratoriana,  n.  XIX). 

IX.  L'Italiano  |  a  principi  |  della  sua  |  Provincia.  |  s.  a.  n.,  carte  4  n.  n. 
(Gfr.  D'Ancona,  n.  VI). 

Gom.:  •  Non  è  maraviglia  che  vedendosi  le  miserie,  et  le  calamità  ecc. 
Fin.:  "  gli  animi  tratti  alla  naturale  unione,  et  pace  ,  È  firmato:  "  L' Innomi- 
nalo  Academico  libero  ,. 

X.  Gaducatione  |  Prima.  —   s.  a.  n.,  carte  8  n.  n. 

XL  Instrultione  a  Prencipi  j  della  maniera  |  con  la  quale  si  gover-  |  nano 
li  Padri  Giesuiti,  fatta  da  persona  religiosa,  et  totalmente  spassionata.  |  In 
Poschiavo  Per  Peter  |  Landolfo,  et  Bonatto  Minghino.  L'anno  1617.  |  Di 
carte  14  n.  n. 

(Gfr.  Misceli.  Oratoriana,  n.  II). 

XII.  L'Italia  I  all'Invittissimo  |  e  gloriosissimo  Prencipe  1  Garlo  Emanuel 
Duca  di  Savoia,  i  s.  a.  n.,  ce.  8  n.  n. 

(Gfr.  D'Ancona,  n.  XI;  Misceli.  Orator.  n.  VII). 

XIII.  L' Accademico  |  pacìfico  |  alla  Santità  di  Nostro  |  Signore  Papa 
Paolo  V.  per  la  Paci-  |  fìcatione  d'Italia.  |  s.  a.  n.,  ce.  8  n.  n. 

(Gfr.  D'Ancona,  n.  XII;  Oratoriana,  n.  XIII). 

XIV.  Italia  1  a  Roma.  |  s.  a.  n.  ;  ce.  4  n.  n. 
(Gfr.  D'Ancona,  n.  VII;  Oratoriana,  n.  XVIII). 

XV.  Italia  I  a  |  Venezia.  |  s.  a.  n.,  ce.  4  n.  n. 
(Gfr.  D' Ancona,  n.  IX  ;  Oratoriana,  n.  XVI). 

XVI.  AI  genio  |  del  signor  |  Duca  |  di  Savoia.  —  s.  a.  n.,  ce.  4  n.  n. 
(Gfr.  D' Ancona,  n.  V  ;  Oratoriana,  n.  IV). 

XVII.  Alla  Santità  |  di  Nostro  |  signore  |  Papa  Paolo  V.  |  Canzone.  —  s. 
a.  D.,  di  ce.  4  n.  n. 

(Gfr.  D'Ancona,  n.  V  ;  Oratoriana,  n.  XXI). 

XVIII.  Capitolo  I  a  Principi.  |  s.  a.  n.,  di  carte  4  n.  n. 
(Gfr.  D'Ancona,  n.  XVIII). 

XIX.  La  I  Italia  |  alla  |  Francia  alla  |  Germania,  et  alla  |  Inghilterra  |  Can- 
zone di  Zoraslro  (sic)  Pacuvio.  —  s.  a.  n.,  di  ce.  4  n.  n. 

(Gfr.  D' Ancona,  n.  Vili  ;  Oratoriana,  n.  XI). 


DELLA    LETTERATURA   ITALIANA  179 

XX.  A  Principi  |  Ghristiani.  |  s.  a.  n.,  ce.  4  n.  n. 
(Gfr.  D' Ancona,  n.  XVII). 

XXI.  Canzone  j  in  lode  |  di  Venetia.  1  s.  a.  n.,  carte  4  n.  n. 
(Gfr.  D' Ancona,  n.  X). 

XXII.  Al  Serenissimo  di  Savoia.  |  s.  a.  n. 

È  un  foglio  volante,  in  formato  più  grande  degli  altri  ops.,  e  contiene 
un  sonetto,  che  com.:  "  Né  carcere  potrà,  né  lungo  esiglio  ,  e  fin.:  "Sacri- 
ficar quest'anima  per  voi  ,.  In  fondo  alla  pagina  si  legge: 

"  EPIGRAMM.\. 

"  Aut  iiihil,  aut  Causar  terque,  alta  voce  Toletus 
Dixit:  In  Allobrognn»   diim  movet  arma  Ducem. 
Quod  cnpit  asseqviitnr,  voti  fit  in  agmine  compos; 
Esse  neqnit  Caesar,  incipit  esse  nibil„. 

XXIII.  Sentenza  1  di  Giove  |  tra  l'Aquila,  et  il  Leone.  |  s.  a.  n.  ce.  2  n.  n.  — 
Nella  1."  carta  c'è  un  sonetto  che  com.:  "  Chi  sei  tu  che  formidabii  tenti  ,,  e 
fin.:  "  Regni  ella  in  aria  pur,  in  mar  e  in  terra  „.  La  2.*  carta  è  bianca. 

XXIV.  Sboraure  |  de  cuor  |  de  Polifonio  |  Fifa  Venetian.  |  Sboraura  pri- 
ma. I  s.  a.  n.,  di  ce.  7  n.  n. 

(Gfr.  D'Ancona,  n.  XXX). 

XXV.  Sboraure  i  de  cuor  |  de  Polifonio  |  FifaVenetian  1  Sboraura  seconda.  | 
s.  a.  n.,  di  ce.  7  n.  n. 

(Gfr.  D'Ancona,  n.  XXXI;  Gamba,  Serie   degli  scritti  in  dinletto  vene- 
ziano, Venezia,  1832,  p.  109). 

Raimondo  Salaris. 


180  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

ANNUNZI  BIBLIOGRAFICI. 


(J.  GiAcosA.    —  /  Castelli  Valdostani.   —   Milano,  Gogliati,  1903,  un   voi.  di 
pagg.  383  in  16.» 

È  un  libro  di  poesia  e  di  storia  insieme  commiste,  e  che  perciò  si  legge 
con  diletto  e  con  istruzione.  L'autore  descrive  un  paese  del  quale  conosce 
cosi  i  pili  nascosti  recessi,  come  le  vicende  e  le  tradizioni  più  inlime:  del 
quale  ama  le  bellezze  naturali,  al  pari  delle  Cronache  dei  castelli  e  dei  vil- 
laggi, che  riproducono  la  vita  del  passato.  È  un  libro  sincero,  e  dopo  averlo, 
letto,  restano  impressi  nella  memoria  i  luoghi  descritti  con  tanta  verità  e 
schiettezza.  Una  trentina  di  belle  figure  illustrative  ci  pongono  innanzi  agli 
occhi  castelli,  torri,  ponti,  fontane;  ma  la  parola  dello  scrittore  ce  li  dise- 
gna con  non  minor  evidenza  dell'arte.  Né  si  creda  poi  che  l'autore  ci  dia 
soltanto  descrizioni  di  luoghi,  che  a  lungo  andare  genererebbero  in  noi  una 
specie  di  sazietà:  egli  sa  rievocare  l'età  remota,  quando  quei  ruderi,  cadenti 
per  vecchiaja  o  rassettati  al  gusto  e  alle  necessità  del  presente,  erano  dimore 
di  signori,  e  nido  di  armigeri.  Senza  romantiche  svenevolezze,  ma  con  acuto 
senso  storico,  egli  sa  dirci  non  soltanto  com'erano  costruiti  quei  forti  edifizj, 
ma  qual  vita  entro  vi  si  menava:  sa  dirci  le  usanze  dei  potenti  e  quelle  dei 
coloni,  e  ci  narra  le  avventure  d'amore  e  di  guerra,  per  le  quali  taluno  di 
quei  castelli  è  celebre  nella  storia.  Le  donne  dei  Challants,  re  Arduino  e  molti 
altri  personaggi  sfilano  innanzi  a  noi,  e  si  atteggiano  cosi  come  furono  in 
vita. 

Noi  vorremmo  che  ogni  regione  di  quest'Italia  nostra,  ov'è  da  luogo  a 
luogo  tanta  varietà  di  bellezze  di  natura  e  di  vicende  storiche  trovasse  al 
pari  della  Valle  d'Aosta  chi  la  descrivesse,  formando  una  serie  di  preziosi 
volumi,  che  meglio  ci  farebbe  conoscere  ed  amare  la  patria  comune.  Forse 
è  cosa  da  poi  ersi  sperare;  ma  a  ciascuna  dovrebbe  anche  augurarsi  chi  sa- 
pesse farlo  coir  arte  pittorica  e  la  parola  musicale  di  Giuseppe  Giacosa. 

A.  D'A. 


G.  Brizzolara.  —  La  Francia  dalla  Restaurazione  alla  fondazione  della  terza 
Repubblica  {1814-1870).  —  Milano,  Hoepli,  1903,  un  voi.  in  16.»  di  pagg. 
XX-695). 

Annunziamo  con  piacere  questo  che  ci  pare  un  buon  libro,  degno  di  far 
parte  della  "  Collezione  Storica  Villari ,  pubblicata  dal  solerte  editore  Hoepli. 
La  materia  della  narrazione  è  distribuita  in  quattro  periodi:  la  Restaurazione, 
la  Monarchia  di  Luglio,  la  Seconda  Repubblica,  il  Secondo  impero,  e  ognun 
sa  quanta  grandezza  e  varietà  di  eventi  si  comprenda  in  cosiffatte  storiche 
divisioni.  Ciascuna  di  queste  ha  nel  libro  l'ampiezza  che  merita,  e  ciascuna 
conferisce  unità  alla  narrazione  storica.  L'autore  ha  attinto  alle  fonti  migliori, 
e  porge  bell'esempio  di  equanimità  e  buon  criterio  nell' esporre  i  fatti.  Non 


DELLA    LETTERATURA   ITALIANA  181 

ci  sarebbe  tuttavia  spiaciuto,  se  invece  delle  rare  note  a  pie  di  pagina,  alla  fine 
d'ogni  periodo,  egli  avesse  citato  le  opere  da  lui  consultate,  additando  bre- 
vemente le  ragioni  dell'  aver  nel  racconto  di  certi  fatti  pili  controversi,  pre- 
ferito l'una  all'altra.  Forse  la  mole  già  notevole  del  volume  lo  ha  tratte- 
nuto dal  far  ciò;  ma  certo  che  questo  corredo  accrescerebbe  pregio  ad  un 
lavoro,  che  da  ogni  aspetto  ci  par  commendevole.  Se  però  questa  Storia  con- 
seguirà il  buon  successo,  che  le  auguriamo  e  che  merita,  sarà  codesta  un'ag- 
giunta che  accrescerà  valore  a  una  nuova  edizione.  E  dacché  siamo  sulla 
via  dei  consigli,  o  almeno  dei  desiderj,  vorremmo  che  in  una  ristampa,  oltre 
la  storia  degli  avvenimenti  si  desse  almeno  un  cenno  di  quella  delle  lettere, 
e  in  generale  della  cultura,  poiché  si  tratta  di  materia  intimamente  collegata 
con  l'altra,  né  c'è  bisogno  di  lungo  discorso  per  dimostrarlo.  Quanto  alla 
forma,  ci  sembra  che  1'  a.  abbia  saputo  insieme  contemperare  la  gravità  della 
scuola  storica  italiana  con  la  scioltezza  dell'  uso  moderno,  essendo  facile  e 
chiaro  senza  mai  cader  nel  volgare  ;  e  che  la  lingua  sia  generalmente  buona 
e  schietta.  L'editore  Hoepli  provveda  a  che  altri  volumi  simili  a  questo,  nar- 
rino le  moderne  vicende  delle  altre  nazioni  di  Europa.  A.  D'A. 


Giov.  Dolcetti.  —  Le  bische  e  i  giuochi  d'azzardo  a  Venezia  (1172-1807).  — 
Venezia,  libreria  Aldo  Manuzio,  1903.  Un  voi.  di  pagg.  XIII- 287  in  16.° 

È  un  fenomeno  curioso,  e  insieme  un  problema  psicologico,  il  notare  come 
non  sia  raro  il  caso  di  barbieri,  che  al  rasojo  alternino  la  penna.  L'Italia 
antica  può  ricordare  il  Burchiello,  che  diede  se  non  l' origine,  il  nome  a  una 
forma  poetica,  e  dopo  lui  Lazzero  Migliorucci:  e  la  Francia  moderna  anno- 
vera tra  i  barbieri  un  poeta  non  punto  spregevole,  lo  Jasmin.  Ma  ripensando 
che  p.nche  gli  illetterati  sono,  e  possono  esser  poeti,  e  se  n'hanno  esempj 
di  tutti  i  tempi  e  di  tulli  i  luoghi,  cessa  la  meraviglia  se  troviamo  fra  essi 
anche  i  barbieri.  Più  strano  è  annoverarli  nella  schiera  degli  eruditi;  ma 
forse  non  vanamente  Orazio  accompagnò  insieme  lippis  atque  tonsoribus, 
come  ricercatori  di  recondite  notizie.  L'Italia  adunque  ebbe  or  non  è  molto, 
un  barbiere  erudito  in  Gaetano  Moroni,  autore  o  compilatore  del  gran  Dizio- 
nario di  erudizione  ecclesiastica,  ed  ora  ha  questo  veneziano,  che  cercando 
nell'Archivio  de'Frarj  documenti  alla  compilazione  di  un  opera  storica  sul- 
r  Arte  sua  (e  già  ne  ha  dato  qualche  saggio),  ha  trovalo  tanto,  rispetto  ai 
giuochi  d'azzardo,  da  comporre  il  presente  volume.  Le  due  provincie  del  resto, 
sono  contigue,  perché  ai  tempi  almeno  della  Serenissima,  ben  spesso  i  bar- 
bieri erano  insieme  biscazzieri.  Da  siffatte  indagini  ne  è  uscito  fuori  intanto 
questo  volume,  che  va  dai  tempi  più  remoti  ai  principi  del  secolo  scorso, 
e  contiene  quantità  di  fatti,  accuratamente  disposti.  Esso  è  diviso  in  otto 
capitoli,  i  titoli  dei  quali  possono  dar  idea  del  contenuto  del  libro:  /  giuochi; 
Le  bische;  i  barbieri  biscazzieri,  i  Casini  da  giuoco;  la  posta  del  giuoco;' 
i  bari;  i  delitti  dei  giuocatori;  le  condanne.  L'autore  desume  tutta  la  ma- 
teria sua  dai  documenti  veneziani  ;  altri  noterà  in  un  lavoro  più  ampio  sul 
giuoco  in  generale,  certe  rassomiglianze,  e  ne  chiarirà  l' origine  e  la  deriva- 

1» 


J.82  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

zione.  Per  es.  le  scommesse  che  1' a.  ricorda  (p.  12)  in  Venezia  circa  l'ele- 
zione di  questo  o  quel  nobile  alle  più  cospicue  cariche  politiche,  trovano  un 
riscontro  colle  scommesse  usate  a  Roma  in  occasione  di  conclavi  :  e  T  altra 
usanza  di  impegnar  grosse  somme  circa  il  sesso  nascituro  da  illustri  dame, 
a  Genova  era  il  giuoco  del  redoglio.  Importante  assai  è  il  capitolo  sui  Casini 
da  giuoco;  e  di  questi  ve  n'era  persino  pe.r  le  meretrici  (p.  63),  le  quali,  è 
noto,  ne' pili  bei  tempi  della  gaja  vita  veneziana,  non  erano  dai  rettori  della 
Serenissima  vedute  di  mal' occhio  o  perseguitate:  ma  ve  n'era  anche  per 
nobili  dame,  ed  una  di  esse  osservava:  "  il  Ridotto  è  assai  comodo  per  un 
forestiere,  "  poiché  per  la  cortesia  degli  abit.Miti  può  farvi  molte  relazioni,  e 
"  il  giuoco,  se  può  pericolosamente  impegnare,  almeno  lo  allontana  dal  vuoto 
"  della  noia  „  (p.  74).  Questo  capitolo  sui  Ridotti,  che  si  direbbero  quasi  una 
istituzione  veneziana,  potrebbe  esser  amplialo  da  quanto  forniscono  in  pro- 
posilo le  relazioni  di  viaggiatori.  Ma  l'a.,  lo  ripeliamo,  non  è  voluto  uscir 
fuori  dal  suo  speciale  argomento,  e  sebbene  abbia  voluto  nella  Bibliografìa  del 
giuoco  (p.  246),  mostrare  di  conoscer  la  materia  in  tutta  la  sua  ampiezza,  ha 
serbalo  al  suo  lavoro  il  carattere  di  contributo  locale  alla  storia  del  giuoco. 
Egli  poi  lo  ha  arricchito,  oltre  che  d' indici  copiosi,  di  alcune  Appendici  assai 
utili.  Ma  la  prima  "  Nomignoli  della  plebe  nel  sec.  XVIII  „  forse  poteva  esser 
pili  ricca;  e  fra  esse  Appendici  non  avremmo  avuto  rilegno  di  porre  quel 
"  piccolo  dizionario  del  turpiloquio  e  delle  bestemmie  dei  giuocatori  „  che  egli 
ha  compilato,  ma  che  non  ha  voluto  pubblicare.  Noi  ricordiamo  di  aver  visto 
in  un  librone  del  seicento  registrate  con  approvazione  delle  autorità,  tutte  le 
più  orrende  bestemmie:  e  Salvatore  Bongi  mise  insieme  tutte  quelle  che 
ricorrevano  negli  alti  del  maleficio  della  Repubblica  di  Lucca.  Sono  curio- 
sità dirette  ai  curiosi,  e  il  modo  tenuto  dal  Bongi  nel  pubblicare  quel  suo 
florilegio,  prova  che  ciò  può  farsi  senza  scandalo.  In  mancanza  di  ciò,  faremo 
buon  viso  alla  Appendice  2.*,  che  raccoglie  Motti,  Proverbi  e  Modi  di  dire 
derivati  dal  giuoco  :  e,  tuli' insieme  saremo  grati  al  bravo  barbiere  di  Rialto, 
che  ci  ha  regalato  queste  indagini  sulla  storia  del  patrio  costume. 

A.  D'A. 


CRONACA. 

.'.  È  a  tutti  noto  come  si  sia  sollevata  una  questiona  sui  ritratti  di  Dante. 
L'argomento  era  stalo  trattato  ultimamente  dal  doti.  Ingo  Kraus,  Da»  por- 
trait  Dantes  (Berlin,  Paul,  1901),  dopo  che  l'altro  e  maggiore  Kraus  ne  aveva 
toccalo  nella  sua  magistrale  opera  sul  sommo  poeta.  È  da  ricordare  anche 
rispetto  al  ritratto  giottesco,  l'articolo,  dimenticalo  dal  Kraus,  del  prof.  D'An- 
cona nella  Lettura,  cui  era  aggiunto  il  dipinto  giottesco  sul  calco  fatto  dal 
Kirkup  e  pubblicalo  dalla  Società  Arundelliana,  riproducente  l'affresco  qual 
era  innanzi  gli  imbratti  del  restauratore  Marini.  Cotesto  articolo  valse  all'au- 
,  tore  quella  che  vien  della  maschera-Kirkup,  della  quale  sono  notissime  le 
copie,  e  che  la  vedova  del  pittore  inglese  gli  donò  per  riconoscenza  della 
difesa  da  lui  assunta  del  defunto  marito.  Pareva  di  essa  perduta  ogni  trac- 
cia; ed  ora  è  ritrovala,  ed  a  suo  tempo  diventerà  proprietà  del  Municipio  di 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  183 

Firenze,  perché  la  ponga  nella  cappella  del  Bargello  insieme  con  un  esem- 
plare della  stampa  arundelliana,  ormai  irreperibile  in  commercio.  Ora  una 
nuova  effigie  dantesca,  del  sec.  XIV,  parve  al  prof.  A.  Ghiappelli  scorgere 
nella  cappella  strozziana  in  S.  Maria  Novella  nel  dipinto  del  Paradiso,  e  tal  sua 
scoperta  annunziò  nel  Marzocco  del  20  dee.  scorso.  Al  prof.  Chiappolli  rispose 
il  prof.  P.  Papa  in  un  articolo  del  Giornale  dantesco  (XI.  1).  dove  negando 
la  rassomiglianza  di  quella  effigie  col  comune  tipo  dantesco,  faceva  notare 
come  altra  figura,  pur  nella  stessa  cappella,  ma  nella  pittura  del  Giudizio, 
fosse  stata  già  dal  Barlow,  dal  Volkmann,  e  pili  recentemente  dal  Mesnil  ri- 
conosciuta come  dantesca.  Il  prof.  Ghiappelli  ha  risposto  al  Papa  e  ad  altri 
contraddittori  in  un  artic.  della  Nuova  Antologia  del  16  aprile,  confermando 
il  suo  primo  giudizio,  e  riproducendo  i  due  affreschi.  Egli  congettura  inoltre 
che  la  figura  che  «la  dirimpetto  a  quella  in  che  riconosce  Dante,  possa  esser 
il  Petrarca,  e  un'altra  di  fianco  a  questa,  Gino  o  il  Boccaccio.  A  noi  sembra, 
che  fra  le  due  figure  del  Paradiso  e  del  Giudizio,  se  ve  n'è  una  che  ricordi 
Dante,  sia  senza  alcun  dubbio  quest'ultima,  che  si  riaccosta  al  tipo  del  poeta  in 
età  avanzata.  L'altra  si  può  almanaccare  quanto  si  vuole,  e  perfino  mettergli 
un  libro  ipotetico  sotto  il  braccio:  ma  per  noi  non  rassomiglia  al  tipo  dantesco 
né  giovane  né  vecchio.  Nella  controversia,  ma  schierandosi  contro  il  Ghiap- 
pelli, è  pure  entrato  il  sig.  G.  L.  Passerini  con  una  notevole  pubblicazione 
{Pel  ritratto  di  D.,  Firenze,  Olschki,  di  pp.  19,  in  18."),  concludendo  che  dal 
ritratto  di  Giotto,  solo  trecentesco,  si  passa  ai  ritratti  danteschi  della  seconda 
metà  del  sec.  XV,  che  sono:  il  disegno  del  cod.  palatino,  il  dipinto  di  Dome- 
nico di  Michelino,  la  miniatura  riccardiana,  la  maschera  Torrigiani,  e  forse 
il  busto  del  Museo  di  Napoli.  A  noi  sembra  che  ingiustamente  sia  qui  om- 
messa  ogni  menzione  della  maschera-Kirkup,  che  secondo  una  plausibile 
congettura  di  Corrado  Ricci,  sarebbe  calcata  non  già  sul  volto  del  morto  poeta, 
ma  sul  busto  che,  opera  forse  di  Tulio  Lombardo,  stava  sul  sepolcro  di 
Dante  a  Ravenna,  e  che  dopo  note  vicende,  passato  da  Gian  Bologna  al  Tacca, 
è  andato  perduto.  Tanto  più  ci  pareva  degno  di  ricordo,  avendo  messo  in 
lista  la  maschera  Torrigiani,  circa  la  quale  possono  aversi  molti  dubbj,  e  che 
più  che  darci  un'idea  del  volto  dantesco,  sembra  effigiare  un  capoccia  to- 
scano in  berretto  da  notte,  e  mezzo  rimbecillito.  —  La  pubblicazione  del 
Passerini  riferisce  molti  più  o  meno  autentici  ritratti  danteschi:  ma  non 
sappiamo  perché,  volendo  offrirci  il  dipinto  giottesco  anteriormente  al  ma- 
laugurato restauro,  si  sia  giovato  di  una  riproduzione  di  seconda  mano  e 
non  di  quella  della  fedele  e  diretta  slampa  arundelliana. 

.•.  Il  signor  Filippo  Zamboni  ha  pubblicato  un'  Aggiunta  di  circa  40  pa- 
gine alla  sua  Autobiografia  inserita  nell'  opera  Gli  Ezzelini,  Dante  e  gli  schiavi, 
che  di  recente  ha  ristampato  (Firenze,  Bemporad,  1902,  in  lo.").  L'annun- 
ziamo perché  alla  fine  del  fascicolelto  si  vede  riprodotta  in  facsimile  l'im- 
magine di  Dante  quale  fu  disegnata  e  colorita  in  uno  dei  due  codici  della 
Commedia,  che  si  conservano  nella  Palatina  di  Vienna.  Noi  crediamo  collo 
Zamboni  che  questa  figura  non  sia  stata  mai  pubblicata,  ma  non  riscon- 
triamo in  essa  i  tratti  caratteristici  dell'  immagine  del  poeta,  quale  appare  dai 
ritratti  più  autorevoli.  Anche  questo,  insomma,  del  codice  Viennese  ci  sembra 
un  ritratto  di  fantasia. 


184  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

.',  Gol  titolo  j^ote  alla  Divina  Commedia  (Perugia,  Tip.  V.  Santucci,  1902, 
in  16."  picc.)  il  signor  Silvio  Federici  ha  pubiìlicalo  alcune  postille  da  lui 
segnate  nei  margini  di  un'edizione  della  D.  G.  col  commento  del  Gasini.  Il 
volumetto  di  più  di  cento  pagine  non  ci  pare  che  contenga  osservazioni 
notevoli;  quasi  sempre  si  tratta  di  dichiarazioni,  che  è  utile  fare  spiegando 
a  viva  voce  nella  scuola  i  canti  di  Dante,  ma  che  non  occorre  inserire  in 
un  commento  stampato.  Qualche  volta  le  chiose  appaiono  molto  strane; 
es.  surga  di  Purg.  I,  9  è  spiegato:  *  Galliopea  si  alzi  in  piedi,  per  meglio 
*  accompagnare  il  mio  canto  con  le  sue  dolcissime  armonie  ,. 

.•.  Il  canto  VI  del  Purgatorio  è  stato  letto  in  Orsanmichele  dal  prof.  F, 
Novatì,  e  ora  ne  abbiamo  a  stampa  il  commento  (Firenze,  Sansoni,  di  pp.  55 
in  16.°),  pieno  di  acute  osservazioni  e  arricchito  di  note  erudite.  Il  N.  si  in- 
trattiene specialmente  su  Sordello,  sui  suoi  casi,  e  sulle  ragioni  che  pote- 
rono indurre  il  poeta  a  fargli  rappresentare  la  nobil  parte,  che  tutti  sanno. 
Non  crede  che  ciò  derivasse  dall'ammirazione  per  il  pianto  in  morte  di  Ser 
Blacas;  e  opina  che  Dante  conoscesse  altre  poesie  di  lui,  e  casi  della  vita 
ultima,  che  ci  sono  ignoti,  e  differirebbero  dalla  leggenda  creatasi  intorno 
al  nome  del  trovatore  mantovano.  E  questa  ci  sembra  una  probabile  conget- 
tura, che  il  N.  fiancheggia  di  buoni  argomenti  ;  ma  la  rassomiglianza  fra  Sor- 
delio  giudice  dei  regnanti  del  suo  tempo  nel  pianto  e  indicatore  e  giudice 
degli  spiriti  principeschi  della  valletta,  vuole  che  si  ponga  in  prima  riga 
l'ipotesi  pili  generalmente  acccolta,  senza  tuttavia  fare  di  quella  lirica  — 
ed  è  ciò  che  nega  appunto  il  N.  —  1'  "  unica  „  ispiratrice  del  solenne  epi- 
sodio del  Purgatorio.  Un  altro  punto  importante  è  toccato  dal  N.,  rispetto 
cioè  alle  favole  su  Sordello  raccolte  dall' Aliprandi,  sostenendo,  e  ci  sembra 
con  buona  ragione,  che  egli  non  ne  fu  inventore,  come  altri  asserì',  ma  divul- 
gatore soltanto,  deducendole,  al  pari  di  altri  episodj  della  sua  cronaca,  da 
fonti  anteriori.  Nell'ultima  parte  della  sua  lettura,  il  N.  fa  notare  come  il 
senso  dell'  unità  politica  della  patria  assurga  in  questo  canto  '  a  trionfale 
manifestazione  d'arte  ,,  ma  sia  più  antico  e  replicatamente  affermato  anche 
negli  scrittori  del  più  oscuro  medio  evo. 

.*.  Il  e.  XI  dell'  Inferno  è  stato  illustrato  per  la  Lectura  Dantis  di  Or- 
sanmichele dal  prof.  A.  Linaker  (Firenze,  Sansoni,  di  pp.  40  in  16.»).  Oppor- 
tunamente la  spiegazione  di  questo  canto  essenzialmente  filosofico,  è  stata 
affidata  a  un  cultore  di  tal  materia.  Ognuno  sa  quante  difficoltà  la  parola  stessa 
di  Dante  presenti  per  intendere  la  distribuzione  delle  colpe  e  delle  pene  nel- 
l'Inferno e  per  il  ragguaglio  con  quella  del  Purgatorio.  Dal  riferire  l'opinione, 
esposta  dal  L.,  ci  asteniamo,  perché  si  entrerebbe  in  un  troppo  ampio  pelago, 
avendo  la  controversia  in  proposito  dato  origine  a  molti  e  diversi  scritti, 
con  disparatissime  sentenze;  ci  basti  il  dire  che  la  diffidi  materia  è  trat- 
tata dal  L.  con  vivezza  e  lucidità  somma. 

.".  Il  prof.  V.  Spinazzola  ci  dà  illustrato  II  Canto  XVII  dell'  Inferno  (Na- 
poli, Trani,  di  pp.  33  in  16.°).  Non  crederemmo  esatto  ciò  che  si  dice  sul  prin- 
cipio, che,  cioè,  questo  canto  "  non  ha  avuto  sinora  alcun  esame  critico  ,, 
perché,  indipendentemente  da  tutto  quello  che  è  stato  detto,  anche  stravagan- 
temente, sul  significato  simbolico  di  Gerione,  vi  ha  nella  Lectura  Dantis  di 
Firenze  una  speciale  illustrazione  di  esso  (v.  Rassegna,  IX,  233).  Ma,  lasciando 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  185 

star  ciò,  eh' è  di  secondaria  importanza,  quello  che  il  sig.  S.  scrive  è  ben 
pensato  e  bene  esposto  in  forma  viva  e  chiara.  Quanto  egli  dice  del  modo 
come  Dante  descrive  il  mostro  immane,  delie  sensazioni  provate  da  lui  in 
quel  viaggio  nel  vuoto,  degli  elementi  antichi  e  nuovi  onde  si  compone  la 
figura  di  Gerione  e  della  virtù  di  vita  in  lui  infusa  dalP  immaginazione  del 
poeta,  è  tutto  assai  ben  detto.  Né  meno  ci  sembra  notevole  la  dichiarazione 
del  significato  simbolico  del  gran  mostro,  che,  concordiamo  con  lui,  "  traspare 
"  come  da  limpidissimo  vetro  ,,  esser  la  Frode,  sebbene  altri  recentemente, 
arzigogolando,  volesse  riconoscervi  l'Invidia.  Ed  è  vero  quello  ch'egli  osserva, 
e  che  può  estendersi  alla  spiegazione  di  altri  simboli,  e  ad  altre  *  scoperte  , 
che  ogni  tanto  si  bandiscono  in  tal  proposito:  che  cioè  Dante  sarebbe  stato 
ben  misero  poeta,  se  eerte  immagini  e  forme  della  Commedia  avessero  do- 
vuto attendere  sei  secoli  per  esser  pienamente  dichiarale. 

.".  Enrico  Proto,  nello  scritto  Per  un  passo  oscuro  della  Vita  Nova  (estr. 
dalla  Eass.  crii.  d.  leti,  it.)  riprende  in  esame  il  noto  passo  della  V.  N.:  Ego 
tamquam  centrum  circuii,  cui  simili  modo  se  habent  circunferentiae  partes  ; 
tu  autem  non  sic,  e,  richiamando  gli  accenni  della  V.  N.  ed  un  passo  molto 
opportuno  dell'Etica  Nicomachea,  esposta  e  commentata  da  S.  Tommaso, 
rincalza  l'opinione  del  Federzoni  {Studj  e  diporti  danteschi,  Bologna,  Zani- 
chelli, 1902,  pp.  47-48),  secondo  la  quale  Amore  si  serve  di  questa  immagine 
per  esprimere  la  sua  propria  condizione  di  signore  della  nobiltà,  ed  il  rira- 
overo  a  Dante  per  essersi  abbandonato,  oltre  ai  limiti  della  *  cortesia  ,  al- 
l'amore  per  la  '  donna  schermo  „. 

.".  Il  sig.  G.  Gargano-Cosenza  ripigliando  a  trattare  II  passaggio  dell'Ache- 
ronte (Castelvetrano,  Lentini,  di  pp.  43  in  16.»),  osserva  che  la  questione  è 
vecchia,  e  non  risoluta,  ma  ciò  non  gli  è  d'  ostacolo  a  discorrerne  di  nuovo. 
Egli  succosamente  riferisce  dapprima  le  spiegazioni  del  Puecianti  e  d'altri 
fino  alle  nuove  divinazioni  del  Pascoli,  e  del  Chiappell.i,  ma  conclude  che 
"  il  poeta  ci  lascia  perplessi  in  faccia  a  questo  mistero  ,  sia  per  necessità 
poetica  "  consigliata  all'autore  dal  suo  stile  allegorico  e  polisenso  ,  sia  dal- 
l'essere il  viaggio  di  Dante,  per  quanto  rappresentato  come  reale,  "  niente 
"altro  che  una  visione,.  Noi  timidamente  aggiungeremo  che  il  voler  pene- 
trare certe  parti  misteriose  del  poema,  dove  l' autore  evidentemente  ha  vo- 
luto non  esser  chiaro  ed  esplicito,  non  è  altro  che  una  ingegnosa  ginna- 
stica intellettuale:  e  dopo  tanto  affaticarsi  su  questo  oscuro  episodio,  come 
su  tanti  altri,  confessiamo  che  l'unica  cosa  significata  da  Dante  è  questa: 
ch'egli  passò  Acheronte.  Il  resto  è  congettura,  esposta  più  o  meno  ingegno- 
samente dai  commentatori. 

.'.  Tempo  addietro  il  prof.  M.  Morici  scrisse  (v.  Rassegna,  VII,  150)  per 
sfatare  la  leggenda  che  Dante  dimorasse  al  monastero  di  Fonte  Avellana, 
dove  una  cella  prende  nome  da  lui  :  anzi  volle  dimostrare  anche,  che  il 
poeta  non  che  farvi  soggiorno,  nemmeno  vi  peregrinò,  ma  vide  il  monte 
Catria  da  Ravenna,  e  lo  descrisse  ajutandosi  di  un  passo  di  Lucano.  Sorge 
adesso  il  sig.  L.  Nicoletti  a  contraddire  le  asserzioni  del  Morici  (Dante  al 
monastero  di  Fonte  Avellana,  Pesaro,  Federici,  di  pp.  61  in  18.»).  Quanto  al 
primo  punto,  tutti  gli  argomenti  addotti  non  giovano  a  render  maggiormente 
credibile  la  tradizione,  non  molto  dissimile  da  quella  della  Torre  di  Dante  in 


186  FtASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

Lunigiana  e  in  Gaseulino.  l'uò  anche  essere  che  neh' errabonda  sua  vita,  Te* 
sule  poeta  sia  stato  ospitato  dai  benedettini  dell'Avellana,  e  proprio  nelle 
stanze  che  portano  il  suo  nome;  è  più  difficile  l'ammettere,  se  anche  non  sia 
impossibile,  che  ivi  scrivesse  "  non  minimam  partem  ,  della  Commedia,  come 
porta  una  iscrizione  postavi  nel  1557  da  un  abate  commendatario  fiorentino: 
né  vi  sono  dati  sicuri  che  servano  a  corroborare  siffatta  tradizione.  Quanto 
all'altro  punto  della  controversia,  se  cioè  il  gibbo  di  che  parla  Dante  sia  stato 
veduto  dall'Avellana,  o  invece,  come  vorrebbe  il  prof.  Morici,  dalla  badia  ra- 
vennate di  Classe  fuori,  rimaniamo  dubbiosi,  vedendo  che  il  Nicoletti  asserisce 
che  "  da  Glasse  il  Gatria  non  si  vede,  assolutamente  non  si  vede,  e  nessuno 
ha  mai  potuto  vederlo  ,.  A  dirimere  i  dubbj  non  ci  vorrebbe  altro  che  un 
"  sopraluogo  „  di  dantisti  :  o  se  questo  riuscisse  troppo  incomodo,  un  refe- 
rendum; ma  forse  i  ravennati  direbbero  di  si,  e  gli  altri  di  no;  e  cosi  si 
rimarrebbe  sempre  all'oscuro. 

.".  Il  comm.  Marco  Besso,  bibliofilo  e  dantista,  A  proposito  di  una  ver- 
sione latina  della  Divina  Commedia  (Firenze,  Franceschini,  di  pag.  32  in  16.») 
rettifica  e  corregge  le  asserzioni  contradditorie  del  Batines,  del  Witte  e  del 
Terrazzi  circa  la  traduzione  del  poema  fatta  dal  padre  Garlo  d'Aquino  della 
G.  d.  G.  e  stampata  a  Napoli  nel  1728.  Notisi  bene,  stampata  a  Roma,  ma 
colla  data  di  Napoli,  perché  il  maestro  dei  sacri  palazzi  non  permise  che  a 
Roma  si  pubblicasse  il  testo  del  poema,  anche  se,  come  il  traduttore  aveva 
eseguito  per  ordine  dei  superiori,  fossero  nella  parte  italiana  soppressi  e  om- 
inessi  nella  traduzione  certi  passi  troppo  arditi  e  scandalosi.  La  traduzione 
dunque  è,  checché  altri  ne  abbia  detto,  dell'intero  poema:  salvo  per  quei 
luoghi  che  il  censore  stimava  non  approvabili.  Ora  il  sig.  Besso  è  andato 
ricercando  e  additando  tutte  queste  lacune,  cagionate  non  soltanto  da  motivi 
di  religione,  laddove  Dante  tuona  contro  la  decadenza  e  la  corruzione  della 
Chiesa  temporale,  ma  anche  da  riguardi  politici  verso  "  le  nazioni  straniere  ,, 
cioè  verso  le  città  italiane  dal  poeta  vituperate.  Curiosa  cautela,  che  forse 
serviva  a  coprire  e  inorpellare  le  vere  ragioni  dell'altra!  Il  sig.  B.  non  solo 
nota  tutte  coleste  ommissioni,  ma  aggiunge  la  traduzione  di  tutti  quei  luoghi, 
fatta  da  un  capo  ameno,  buon  latinista  nella  forma  classica  e  nella  mac- 
cheronica, che  fu  il  vicentino  Francesco  Testa,  il  quale  per  tal  modo  rese 
compiuta  la  traduzione  del  p.  Gesuita.  E  poi  ricorda  come  l'avvedimento 
della  censura  romana  facesse  scuola  in  Russia,  dove  nella  prima  stampa 
della  traduzione  del  Mier  è  stato  tolto  quanto  poteva  servir  di  scandalo  poli- 
tico, religioso  o  morale;  e  corno  in  quella  greca  di  Musurus-pascià  ambasciatore 
turco,  noi  XXVIIl  dell'Inferno  a  Maometto  è  stato  sostituito  Ario!  Strani  que- 
sti "  bracheltoni  „  di  Dante!  E  ricordiamo  anche,  come  in  un'opera  stampata 
a  Venezia,  precisamente  nella  Biografia  del  sec.  XVJ[f,  del  Tipaldo,  si  met- 
tessero dei  pudichi  puntini  all'ultima  parola  del  v,  72  Inf.  XXIV,  forse  per- 
ché parve  che  i  due  ss  fossero  una  forma  veneta  di  due  zz  toscani! 

.•.  E.  Teza  in  un  opuscolo  intitolato  L'Inferno  e  la  nuova  traduzione 
armena  (Padova,  Bandi,  11)02.  pp.  12  in  Ki.")  dà  notizia  della  jirima  tradu- 
zione armena  in  versi  deìì' Inferno  intero,  pul)blicata  dal  p.  Arsenio  Ghazikean. 
Il  Teza  giudica  questa  versione  molto  fedele,  ma  insieme  fa  alcune  osserva- 
zioni e  conclude  augurando  per  le  altre  due  cantiche  una  versione  in  prosa, 
che  riesca  a  riprodurre  con  maggiore  efficacia  1'  arte  dantesca. 


DELLA   LETtERATtJRA   ITALIANA  187 

.•.  Prendendo  le  mosse  dall' artic.  del  sig.  Bellaigue  nella  Revue  des  d. 
mondes  del  l.  gennaio,  il  prof.  A.  Taddei  in  un  opuscolo  su  Dante  e  la  musica 
(Livorno,  Giusti,  di  pagg.  15  in  1(>.°),  parla  di  alcune  melodie  ispirate  ai  poema 
dantesco,  ommesse  dallo  scrittore  francese,  e  aggiunge  assennate  considera- 
zioni sul  modo  migliore  di  interpretare  musicalmente  alcuni  episodj  della 
Commedia,  e  fra  questi  specialmente  il  bellissimo  principio  del  e.  Vili  del 
Purgatorio. 

.".  Il  prof.  G.  Del  Ghicca  non  è  rimasto  capace  di  ciò  che  dicono  i  com- 
mentatori sul  Veltro  e  su%\\  altri  simboli  del  I  canto  dell' /n/"er«o,  e  special- 
mente su  La  Lupa  dantesca:  e  con  questo  nome  intitola  uno  studio  in  pro- 
posito, (estr.  dalla  Rassegna  nazionale  del  1.  febbr.  1893.  A  lui  non  sembra 
accettabile  che  essa  significhi  l'avarizia,  come  "  intendono  tutti  gli  antichi  e 
il  più  dei  moderni  ,.  Egli  ragiona  acutamente  assai  nel  confutar  le  altrui 
dottrine:  ma  quando  vi  sostituisce  la  propria,  secondo  la  quale,  la  lupa 
significherebbe  *  la  morte  ,,  confessiamo  la  nostra  inettitudine  a  penetrare 
il  suo  pensiero. 

.".  Lo  scritto  del  sig.  G.  Paolugci,  su  Pretese  elezioni  di  Giudici  al  tempo 
di  Federico  li  di  Sverna  (Palermo,  Lo  Statuto,  pp.  17  in  8.°)  essenzialmente 
tratta  un  punto  di  storia  civile  e  giuridica,  ma  interessa  anche  indirettamente 
la  storia  letteraria,  e  la  controversia  sull'antico  poeta  Guido  delle  Colonne. 
È  noto  a  chi  vi  ha  tenuto  dietro,  che  il  Torraca,  contro  il  Monaci,  sostenne 
che  l'antico  poeta  potè  esser  giudice  di  Messina,  perché  nativo  di  questa 
città:  il  sig.  P.  annuendo  all' opinione  del  Garufi,  che  Guido  poteva,  ma  non 
doveva  esser  un  messinese,  vuol  dimostrare  che  il  Torraca  interpetrò  erronea- 
mente le  costituzioni  frediriciane  ammettendo  che  i  giudici  delle  citta  dema- 
niali fossero  eletti  dalle  Comunità.  La  questione  è  ancora  ardente  e  stfb 
judice,  e  noi  aspetteremo  che  la  sentenza  venga  pronunziata  e  raccolga  il 
consenso  del  pubblico  degli  studiosi,  sicché  ne  refluisca  qualche  maggior  luce 
sul  poeta  siciliano. 

.*.  In  un  libretto  intitolato  Shakespeare  e  i  classici  italiani  (Lanciano, 
Carabba,  1902,  pp.  46  in  16.°  picc.)  il  prof.  L.  Mascetta-Caracci  ha  raccolto 
un  gruzzolo  di  riscontri  fra  luoghi  dei  drammi,  delle  commedie  e  dei  sonetti 
del  grande  scrittore  inglese  e  altri  di  scrittori  italiani  come  il  Guinizelli,  Dante, 
il  Petrarca,  il  Boccaccio  e  l'Ariosto.  Non  diremo  che  i  riscontri  siano  sempre 
convincenti;  ma  l'opuscolo  arreca  in  complesso  un  nuovo  contributo  alla 
storia  della  conoscenza  della  nostra  letteratura  in  Inghìltera. 

.*.  In  questi  tempi  di  rinnovato  feroce  antisemitismo  giunge  opportuno 
Un  altro  documento  su  la  colonia  ebrea  di  Montegiorgio,  edito  da  C.  Pack 
(Teramo,  Riv.  Abruzzese,  di  pagg.  8,  in  16.")  in  continuazione  d'altra  ante- 
riore pubblicazione,  dal  quale  si  vede  che  se  sul  finire  del  sec.  XIII  si 
saccheggiavano  dalla  plebe  marchigiana  le  botteghe  e  le  fabbriche  di  tessuti 
degli  ebrei,  vi  erano  però  giudici  che  condannavano  alla  riparazione  dei 
danni  :  la  qual  cosa  e  la  riparazione  alle  offese  di  sangue,  pare  che  non  si 
usino  altrimenti  in  Russia  nel  sep.  XX.  L'editore  del  documento  accenna, 
ad  altre  notìzie  sulle  colonie  ebree  in  varj  paesi  delle  Marche  :  e  sarebbe 
bene  le  raccogliesse,  come  hanno  fatto,  il  Ciscato  per  Padova,  il  Luzzatto  per 
Urbino. 


188  RASSEGNA   BlBLIOaRAFICA 

.•.  Nell'ultimo  fascicolo  (ii.  'ii'»)  degli  Stiidj  di  filologia  romanza  uscito 
testé,  F.  L.  Mannucci  dimostra  lucidamente  che  il  Libro  de  la  misera  hiimana 
condicione  contenuto  in  un  codice  genovese  della  Biblioteca  delle  Missioni 
Urbane,  non  è,  come  il  Guarnerio  si  proponeva  di  dimostrare,  una  traduzione 
immediata  del  De  Contemptu  Mundi  di  Innocenzo  III,  *  sibbene  una  tradu- 

*  zione  della  Miseria  dell'  Uomo  di  Bono  Giamboni,  che  a  sua  volta  1'  opera 
"  propria  elaborò  sul  latino  del  pontefice  „.  La  conclusione  è  specialmente 
importante  per  questo,  che  appartenendo,  a  quanto  asserisce  il  Mannucci,  la 
traduzione  genovese  indubbiamente  al  principio  del  sec.  XIV,  cade  il  dubbio 
del  Gaspary  che  il  Trattato  attribuito  al  Giamboni,  per  essere  scritto  in  prosa 
troppo  forbita  e  piena,  provenga  da  una  penna  del  secolo  seguente.  In  fine 
di  questo  fascicolo  leggiamo  V  annunzio  che  con  esso  cessa  la  pubblicazione 
degli  Studj  di  filologia  romanza.  Non  possiamo  fare  a  meno  di  esprimere 
il  nostro  dispiacere  per  tale  notizia. 

.*.  Il  libro  di  I.  G.  Isola,  [parlari  italici  dall'  antichità  fino  a  noi  (Livorno, 
Giusti,  8.»,  pp.  175)  comprende  due  parti.  Nella  prima  si  discorre  dell'ori- 
gine delle  lingue  romanze  e  specialmente  dell'italiano;  la  seconda  è  un 
Catalogo  delle  voci  e  maniere  pertinenti  all'  antico  latino  rustico  conformi  alle 
odierne.  Questo  Catalogo  riproduce,  con  aggiunte  e  ritocchi,  quello  stesso  che 
l'autore  aveva  già  pubblicato  nel  1880  in  un  volume  della  Collezione  di  o- 
pere  inedite  o  rare,  in  cui  l'Introduzione  alle  Storie  Nerhonesi,  edite  nella 
medesima  Collezione,  si  allargò  tanto  da  essere  intitolata  nientemeno  che 
"  Storia  delle  lingue  e  letterature  romanze  „.  E  l'opinione  intorno  all'origine 
delle  lingue  romanze  allora  dall'Isola  esposta,  si  trova  pur  troppo  ripetuta  e 
ribadita  nella  prima  parte  del  libro  uscito  ora  col  titolo  sopra  riferito.  Egli 
cioè  continua  a  credere,  e  crede  anche  di  esser  giunto  a  dimostrare,  che  le 
lingue  romanzi;  siano  sorelle  del  latino  (cfr.  pp.  3  e  9),  rimontando  esse 
"  direttamente  e  senza  interruzione  alcuna,  ai  secoli  più  lontani  ,  (p.  38). 
Anche  se  avessimo  tempo  e  spazio  non  ci  indugeremmo  a  confutare  tale 
opinione,  sebbene  l'autore  sia  sicuro  che  il  lettore  si  metterà  in  fine  dalla 
sua  parte  (p.  11)!  Beata  sicurezza  che  gli  fa  considerare  come  impigliato  nel- 
r  errore  il  Diez  (p.  8  e  9)  e  gli  fa   notare  amaramente  che  finora   "  le  basi 

*  della  scuola  germanica  non  sono  scosse  del  tutto  „  (p.  27).  Proprio  cosi! 
Non  senza  utilità  è  il  Catalogo,  che,  come  abbiamo  detto,  segue  a  codesta 
prima  parte  del  libro;  ed  è  utile  in  quanto  le  singole  voci  sono  confortate  di 
esempj;  ma  in  quali  osservazioni  e  spiegazioni  accade  anche  qui  spesso  di 
imbatterci!  Dopo  aver  dato  una  scorsa  a  questo  Catalogo,  non  ci  fa  pili  me- 
raviglia che  il  medesimo  autore  abbia  compilato  anche  quell'altro  che  s'inti- 
tola Voci  e  maniere  genovesi  nei  classici  italiani  (estr.  dalla  Rivista  Ligure 
di  Scienze,  Lettere  ed  Arti;  Genova,  1902,  8.»,  pp.  40),  e  che  potrebbe  altret- 
tanto bene  intitolarsi  Voci  e  maniere  italiane  nel  genovese.  L'autore  nota  che 
gli  esempj  da  lui  raccolti  "  contengono  voci  e  maniere  rispondenti  in  modo 

*  singolare  e  puntualissimo  id  altrettante  fra  le  più  caratteristiche  del  dia- 
"  letto  genovese  „  (p.  1).  Si  tratta  invece  di  voci  e  locuzioni  comuni  a  gran 
parte  d' Italia.  E  che  bisogno  poi  e'  era  in  generale  di  documentarle  con  esempj 
di  scrittori  classici,  se  quasi  tutte  son  note  a  chi  conosca  un  po'  la  lingua 
letteraria  e  il  toscano  ?  Nondimeno,  a  chi  se  ne  sappia  servire,  non  diremo 
inutile  del  tutto  neppur  questo  secondo  Catalogo. 


DELLA    LETTERATURA   ITALIANA  189 

.'.  Il  prof.  Raymond  Weeks,  insegnante  di  lingue  romanze  nell'Università 
di  Missouri,  ha  pubblicato  (The  University  of  Missouri  Studies  edited  by 
Frank  Thilly  professor  of  philosophy,  voi.  I,  fase.  2.»,)  uno  studio  sull'antico 
poema  francese  intitolato  Cuvenant  Vivien,  che  per  rispetto  alla  sua  genesi 
offre  gravi  difficoltà  variamente  spiegate  dai  critici,  specialmente  francesi,  che 
se  ne  sono  occupati.  II  Weeks  riprendendo  l'argomento,  ultimamente  stu- 
diato dallo  Jeanroy,  viene  alla  conclusione  che  il  poema  francese  ci  rappre- 
senta la  fusione  di  due  narrazioni  epiche,  la  cui  materia  noi  troviamo  nelle 
"  Storie  Nerbonesi  „  del  nostro  Andrea  da  Barberino.  E  appunto  per  l'aiuto 
che  le  '  Storie  Nerbonesi  „  danno  alla  soluzione  del  problema  abbiamo  voluto 
segnalare  agli  studiosi  italiani  il  lavoro  del  Weeks. 

.*.  Per  quanto  non  si  riferisca  direttamente  agli  studj  cui  è  dedicata 
questa  Rassegna,  tuttavia  annunziamo,  per  l'utilità  dei  riscontri  che  possono 
cavarne  i  cultori  della  nostra  antica  letteratura,  la  pubblicazione  di  Paul 
Meyer  intitolata  Notice  d'un  maniiscrit  de  Triniti/  College  (Cambridge)  (Pa- 
ris, Imprimerle  Nationale,  1903,  pp.  51  in  8.").  L'illustre  romanista  dà  notizia 
della  redazione  poetica  in  antico  francese  della  Vita  di  S.  Giovanni  l' ele- 
mosiniere e  della  Vita  di  S.  Clemente  papa,  studiando  le  relazioni  fra  il  testo 
volgare  e  gli  originali  latini  da  cui  derivano,  ed  esaminando  la  lingua  del 
primo. 

.'.  Il  prof.  Manara  Valgimigli  ha  dedicato  uno  studio  alla  Poesia  satirica 
latina  medievale  in  Italia  col  titolo  di  Appunti  (Messina,  Nicotra,  1902,  in  16.»). 
Dopo  aver  discorso  nei  primi  due  capitoli  Di  alcuni  caratteri  della  coltura 
latina  medioevale  in  Italia  e  della  satira  medioevale  in  Italia  nella  tradi- 
zione e  nella  cultura  classica,  nei  quattro  capitoli  seguenti  passa  in  ras- 
segna quel  che  l'Italia  nel  medioevo  produsse,  di  poesia  satirica,  classifi- 
cando i  documenti  di  essa  in  quattro  gruppi:  satira  profana  e  satira  asce- 
tica; satira  miscredente  e  poesia  goliardica;  satira  nella  contesa  tra  Impero 
e  Chiesa;  satira  politica.  Chi  legga  il  libretto  del  Valgimigli  s'accorgerà  che 
come  fu  scarsa  la  produzione  della  poesia  satirica  latina,  cosi  fu  anche  poco 
originale;  qualche  cosa  di  più  è  da  notare  nel  genere  politico,  ma  è  sempre 
ben  poca  cosa.  —  Il  Valgimigli  mostra  in  generale  d'essere  bene  informato 
della  letteratura  del  suo  argomento,  e  per  qualche  deficienza  che  può  appa- 
rire nel  suo  lavoro  egli  dichiara  nella  prefazione  di  non  aver  potuto  com- 
piere, come  avrebbe  voluto,  le  ricerche  necessarie.  Tuttavia,  talvolta  chi  legge 
nota  che  in  qualche  punto  era  assolutamente  necessario  approfondire  le  ri- 
cerche. A  proposito,  per  esempio,  della  poesia  goliardica  in  Italia  egli  af- 
ferma recisamente  collo  Straccali  "  che  i  Goliardi  formassero  una  vera 
"associazione  di  scolari  vaganti  in  seno  agli  scolari  stessi;  ove  non  tutti  gli 
*  scolari  vaganti  erano  goliardi,  ma  ove  tutti  i  goliardi  erano  scolari  vaganti  ,. 
E  sia  pure;  ma  bisognava  tener  conto  dell'opinione  messa  innanzi  poco  prima 
dal  Novali  {Bibl.  delle  Scuole  Bai.  1."  gennaio  1900),  che  nega  l'esistenza  di 
questa  associazione,  e  vedere  se  ad  essa  potevano  opporsi  saldi  argomenti. 
Un  accenno  della  prefazione  al  Roman  de  Renard  e  ai  rifacimenti  italiani, 
editi  dal  Teza  e  dal  Putelli,  dà  occasione  ad  una  r.ota  in  fine  del  libro  in 
cui  il  Valgimigli  comunica  i  risultati  di  un  suo  studio  inedito  intorno  a  quei 
rifacimenti.  Contrariamente  all'  opinione  del  Sudre  e  del  Paris  egli  crede  "  che 


190  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

'  i  due  poemetti  su  Rainaldo  e  Lesengrino  io  Italia  non  avessero  avuta  altra 
"  fonte  che  tradizioni  orali;  e  che  da  queste  tradizioni  orali  venute  dal  comun 
"  fondo  della  epopea  renardiana  d'oltr'alpe,  ma  interamente  rimaneggiate  e 
*  con  certa  originalità  rifatte  dai  trovieri  italiani,  derivassero  i  due  poemetti 
"  indipendentissimi  l'uno  dall'altro  „.  Attendiamo  le  prove  di  tale  asserzione. 

/.  II  prof.  G.  Sai.vioni  in  una  Nota  dei  Rendiconti  dell'  Istituto  lom- 
bardo (Serie  II,  Voi.  XXXV,  1902)  intitolata  Di  un  documento  dell'  antico 
volgare  mantovano,  dopo  aver  rilevato  l'importanza  del  recente  studio  del 
Gian  su  Vivaldo  Belcalzer  {Giorn.  stor.  d.  lett.  ital.,  Supplemento,  Num.  .5)  ri- 
ferendone anche  le  principalissime  conchiusioni,  e  dopo  aver  osservato  che 
la  lingua  di  questo  antico  scrittore  mantovano  non  contiene  nulla  di  vera- 
mente caratteristico,  ma  insieme  nulla  anche  che  contraddica  al  dialetto  di 
Mantova,  stende  della  medesima  lingua  usata  dal  Belcalzer  un  commento 
sistematico  mettendone  in  evidenza  i  fatti  più  notevoli,  nonché  quelli  che 
hanno  particolar  riferimento  al  moderno  dialetto  di  Mantova. 

.•.  La  leggenda  dei  due  amanti,  ossia  dei  due  sposi,  che  per  amor  di 
perfezione  cristiana  mantengono  la  castità  nel  matrimonio,  e  dopo  morte 
sono  chiusi  in  un  medesimo  sepolcro,  a  testimonianza  della  loro  eterna  fede, 
leggenda  diffusa  in  Italia  ed  in  Francia,  fu  presa  ora  in  esame  dal  prof.  N. 
Tamassia  {Atti  del  R.  Istituto  Veneto,  tomo  LXII,  parte  seconda,  pp.  45-63). 
Egli  ne  ricerca  la  genesi  movendo  dalla  leggenda  di  Ingiurioso  e  Scolastica 
riferita  da  Gregorio  di  Tours,  e  confrontandola  con  le  altre  consimili  di  Re- 
ticio  e  sua  moglie,  raccontata  dal  medesimo  autore,  di  Plauzio  e  Orestilla 
accennata  da  Valerio  Massimo,  e  con  le  altre  due  pili  antiche  di  Martiniano 
e  Massima,  tramandataci  dallo  scrittore  africano  Vittore  Vitense,  e  di  Vale- 
vano e  Cecilia  romana,  compresa  negli  Acta  di  questa  santa.  Tutte  codeste 
leggende  hanno  comuni  i  tratti  caratteristici,  si  riducono  cioè  in  fondo  a  una 
sola  e  medesima  leggenda.  Gome  essa  sarà  sorta?  La  risposta  a  tale  dimanda 
costituisce  la  parte  più  nuova  e  interessante  dello  scritto  del  Tamassia.  Se- 
condo il  quale  l' origine  sarebbe  stata  questa.  Sono  comuni  in  antico  le 
tombe  di  coniugi,  adornate  di  statue  o  busti  che  li  rappresentano  per  lo  -più 
con  le  destre  congiunte:  sotto  è  un  epitafio,  che  ne  dice  le  lodi  e  la  felicità 
non  rotta  dalla  morte,  ma  diventata  eterna  nella  pace  del  sepolcro  (pp.  57-58). 
Ora  scorrendo  le  iscrizioni  funebri,  anche  dell'epoca  romana,  s'incontrano 
espressioni  (e  il  T.  ne  raccoglie  alquante)  che  a  un  cristiano  potevano  far 
credere  i  due  coniugi  fossero  vissuti  puri  d'ogni  contatto  carnale.  La  dottrina 
dei  padri  della  Ghiesa,  secondo  i  quali  questa  sarebbe  stata  la  massima  per- 
fezione del  matrimonio,  aiutava  tale  interpretazione.  Si  tratterebbe  dunque 
in  fondo  di  interpretazione  cristiana  di  monumenti  pagani.  La  cosa  è  ben 
possibile,  diremo  anzi  che  apparisce  probabile.  Lo  scritto  è  condotto  col  de- 
bito corredo  di  erudizione  e  non  senza  acume;  ma,  se  non  c'inganniamo, 
avrebbe  avuto  bisogno  di  essere  rielaborato  nella  composizione.  Gosi  com'  è 
non  riesce  sempre  agevole  seguire  il  filo  della  dimostrazione.  Opportuna, 
ma  non  altrettanto  corretta,  la  riproduzione  di  passi  di  autori  latini. 

.".  11  prof.  Vincenzo  Gresgini  in  una  sua  breve  nota  ha  dato  una  prima 
comunicazione  su  Gli  Affreschi  epici  medievali  del  Museo  di  Treviso  (Venezia, 
C.  Ferrari,  1903,  pp.  in  10.°).  Li  scoperse  primo  in  una  casa  di  Treviso  che 


DELLA    LÈtTERATtRA    ITALIANA  l9l 

spetta  al  sec.  XII.  il  prof.  Luigi  Bailo,  il  quale  li  ottenne  in  dono  dal  pro- 
prietario e  li  trasportò  e  allogò  iu  una  sala  del  Museo  ch'egli  dirige.  Gli  affre- 
schi sono  tre.  Uno  è  così  frammentario,  che  non  si  è  potuto  ancora  deter- 
minare quali  fatti  eroici  e  romanzeschi  riproduca;  ma  gli  altri  due  ripro- 
ducono l'uno  il  duello  di  Ferragli  con  i  paladini  francesi,  conforme  il  rac- 
conto che  se  ne  legge  nella  cronaca  del  pseudo  Turpino  e  nella  Entrée  de 
Spagne;  l'altro  la  scena  di  Aristotile,  vinto  dall'amore,  che  fa  da  palafreno 
alla  bella,  che  avea  innamorato  di  sé  Alessandro  il  Grande.  Il  Crescini  darà 
quanto  prima  insieme  col  Bailo  un'illustrazione  completa  di  queste  preziose 
reliquie  pittoriche;  qui  intanto  ha  rilevato  un'importante  conseguenza,  che 
si  può  ricavare  dall'affresco  rappresentante  il  duello,  per  la  storia  dell'epopea 
franco-veneta.  Gli  afl'reschi  secondo  i  criterj  suggeriti  dalla  storia  dell'arte 
spettano  alla  fine  del  dugento  o  al  principio  del  trecento;  ciò  vuol  dire  che 
VEntrée  de  Spagne  dovette  essere  composta  verso  la  metà  del  sec.  XIII,  se 
essa  avea  reso  tanto  popolare  il  duello  di  Ferragli,  che  sulla  fine  del  secolo 
il  pittore  si  ispirò  ad  esso  e  lo  riprodusse,  sebbene  con  varianti,  o  originali 
oche  ci  riportano  a  una  redazione  àeW  Entrée  A'xsevsA  da  quella  che  si  con- 
serva nel  codice  marciano.  Il  Crescini  e  il  Bailo  pubblicheranno  le  loro  illu- 
strazioni, che  aspettiamo  con  vivo  desiderio,  nella  Miscellanea  di  storia  del- 
l'arte medievale,  che  pubblica  la  Società  filologica  romana.  Il  Crescini  an- 
nunzia pure  che  insieme  col  Bailo  pubblicherà  le  illustrazioni  di  altri  af- 
freschi rappresentanti  leggende  troiane,  che  si  trovano  nella  Loggia  de' Cava- 
lieri in  Treviso. 

.*.  Uno  studio  di  Paolo  D'Ancona  su  le  Rappresentazioni  allegoriche  delle 
Arti  liberali  nel  Medio  Eoo  e  nel  Risorgimento  (estr.  da  l' Arte,  V,  fase.  V-XII, 
di  pp.  76  in  4.")  riuscirà  gradito  ed  utile  a  quanti  si  occupano  di  antica  let- 
teratura nonché  ai  culturi  dell'arte,  per  le  molte  illustrazioni  ch'esso  con- 
tiene. A  noi  è  vietato  discorrerne  a  lungo:  e  ci  limitiamo  ad  un  cenno,  lo- 
dando almeno  la  diligenza  adoprata  dal  giovane  autore  in  siffatte  ricerche, 
ed  augurando  ch'egli  progredisca  di  bene  in  meglio  in  questa  sorta  di  studj. 

.•.  11  Gomitato  che  viene  preparando  le  Onoranze  che  saranno  rese  nel 
prossimo  anno  in  Arezzo  a  Francesco  Petrarca,  nella  ricorrenza  del  sesto 
centenario  della  sua  nascita,  ha  pubblicato  il  primo  numero  del  Bol- 
lettino degli  Atti  (Arezzo,  Sinatti,  1903,  pp.  20  iu  8."),  in  cui  notiamo  fra  altro, 
un  articolo  di  Francesco  Flamini  sull'importanza  di  codeste  onoranze,  una 
breve  descrizione  dei  più  bei  monumenti  d'arte  della  città  di  Arezzo,  con 
illustrazioni,  del  signor  Adolfo  Ribaux,  e  i  quattro  sonetti  di  Gabriele  D'An- 
nunzio su  Arezzo. 

.*.  Alfredo  Chiti  in  un  opuscolo  estratto  dalla  Rivista  delle  Biblioteche 
e  degli  Archivi  XIII,  10-13  (Firenze,  Franceschini,  1903,  pp.  8  in  16.°),  ha  dato 
notizia  dei  Trionfi  del  Petrarca  in  un  ignoto  codicetto  pistojese.  Il  codice, 
di  proprietà  dell' avv.  Luigi  Ghiappelli,  fu  scritto  nel  quattrocento  e  pare 
appartenesse  in  origine  al  poeta  pistojese  Tommaso  Baldinotti;  nel  seicento 
era  di  Giuliano  Pacioni,  valente  giureconsulto  pure  pistojese.  Dall'esame  che 
ne  ha  fatto  il  Ghiti  risulta  ch'esso  va  ad  aggrupparsi  coi  codici  della  se- 
conda raccolta,  secondo  la  classificazione  fattane  dal  Mestica  (p.  XVIII  della 


192  ftASSÉGNA   BIBLIOGRAFICA 

ediz.  delle  Rime  del  Petrarca).  Quanto  alla  lezione,  ci  offre  un  testo  ecclet- 
tico,  generalmente  buono;  e  come  saggio  il  Ghiti  ne  ha  estratto  le  varianti, 
tenendo  presente  l'edizione  del  Mestica  stesso. 

.•.  Per  la  nuova  edizione  dei  Rerum  Ilalicarum  Scriptores.  il  dott.  Ar- 
naldo Segarizzi,  che  già  consacrò  un'accurata  e  dotta  monografìa  a  Michele 
Savonarola  (Padova,  Gallina,  1900),  ha  ora  ristampato  di  sul  codice  padovano, 
già  adoperato  dal  Muratori,  il  Libellus  de  magnificis  ornamentis  regie  civi- 
tatis  Padwe,  composto  circa  il  1446  da  quel  famoso  medico  ed  erudito  (Città 
di  Castello,  1902).  L'operetta,  affine  a  molte  altre,  anteriori  o  coeve,  intese 
all'esaltazione  di  città  italiane,  ha  importanza  specialmente  locale;  ma  poi- 
ché Padova  tiene  un  luogo  cospicuo  nella  storia  del  pensiero  italiano  in  sul 
chiudersi  del  medio  evo  e  all'aprirsi  del  Rinascimento,  lo  scritto  del  Savo- 
narola ha  già  offerto  e  può  offrire  notizie  non  ispregevoli  anche  a  chi  in- 
vestighi le  vicende  delle  lettere,  delle  arti  e  della  scienza  fuori  della  cerchia 
di  quella,  o  di  una  qualsiasi  città.  Tanto  più,  in  quanto  che  il  Segarizzi  ha 
corredato  il  testo,  diligentemente  riprodotto,  di  note  copiose,  nelle  quali,  va- 
lendosi non  di  rado  anche  di  materiale  manoscritto,  arricchisce  e  rivede  e  cor- 
regge quanto  viene  narrando  o  descrivendo  il  suo  autore. 

.'.  Al  prof.  E.  Costa,  chiaro  cultore  delle  discipline  giuridiche,  dobbiamo 
alcuni  Nuovi  documenti  intorno  a  Pietro  Pomponazzi  (Bologna,  Zanichelli,  di 
pp.  41  in  18.°)  da  lui  rinvenuti  nel  fare,  nell' Archivio  di  Bologna,  ricerche 
d'altro  genere;  ma  ch'egli  ha  creduto  utile  di  recare  a  conoscenza  degli  stu- 
diosi, opportunamente  illustrandoli.  Essi  non  sono  soltanto  una  nuova  pagina 
della  biografia  del  gran  filosofo,  ma  anche  della  storia  della  cultura,  pei  molti 
particolari  che  contengono  intorno  ai  contrasti  fra  gli  antichi  nostri  Comuni 
per  procurarsi  e  quasi  strapparsi  i  migliori  insegnanti  universitarj.  Già  il 
Podestà  e  il  Fiorentino  avevano  tratti  dagli  archivj  altri  consimili  documenti 
sul  filosofo  mantovano,  e  ora  a  quelli  vantaggiosamente  si  aggiungono  per 
maggior  notizia  delle  vicende  e  del  carattere  del  Pomponazzi,  questi  che 
pubblica  il  prof.  Costa. 

.'.  Giuseppe  Biadego  in  un  opuscolo  intitolato  Per  la  Storia  della  cultura 
veronese  nel  sec.  XIV  (Venezia,  C.  Ferrari,  1903,  pp.  39  in  16.»)  pubblica  ed 
illustra  nuovi  documenti  intorno  ad  Antonio  da  Legnago  e  a  Rinaldo  Ca- 
vallini ;  specialmente  intorno  al  primo,  di  cui  con  un  gruzzolo  di  notizie 
aggiunte  ad  altre  che  ebbe  occasione  di  comunicare  qualche  anno  fa,  rico- 
struisce la  figura  di  letterato  e  uomo  politico.  Nato  verso  la  metà  del  tre- 
cento, nel  1369  era  notaio  e  cancelliere  scaligero,  nel  1375  consigliere  di 
Cansignorio,  che  alla  sua  morte  lo  chiamò  con  altri  a  vegliare  sui  figli  ; 
viaggiò  a  Ferrara,  a  Ravenna,  a  Roma,  e  nel  1385  era  morto.  Salito  tanto 
in  alto,  fornito  di  cultura  umanistica,  diventò  amico  e  protettore  di  poeti  ed 
umanisti;  e  il  Biadego  illustra  le  sue  relazioni  con  Francesco  Vannozzo,  e 
Anastasio  di  Ravenna,  maestro  di  grnmmatica  nello  studio  padovano.  Fu 
grande  ammiratore  di  Dante,  ed  è  notevole  una  sua  lettera  del  1378  a  un 
Pietro  Ravennate,  a  cui  parla  del  suo  viaggio  a  Ravenna  e  a  Roma.  Ai  dan- 
tisti riuscirà  gradita,  perché  vi  impareranno  a  conoscere  un  ammiratore  del- 
l'Alighieri fino  ad  ora  ignoto,  e  perché  potranno  raccogliere  la  notizia  del- 


DELLA    LETTERATURA   ITALIANA  193 

l'altissimo  pregio  in  cui  i  Ravennati  tenevano  il  sepolcro  di  Dante  fino  dal 
1378,  e  quella  del  rifiuto  che  avrebbero  opposto  gli  stessi  Ravennati,  già 
prima  del  1378,  a  una  domanda  della  quale  nulla  sapevamo,  fatta  dai  fio- 
rentini di  riavere  per  denaro  le  ossa  di  Dante.  Pure  rispetto  agli  studj  dan- 
teschi è  notevole  una  lettera  in  latino  di  Antonio  da  Legnago  al  Re  Ven- 
ceslao,  erede  del  sacro  romano  impero,  al  quale,  in  termini  che  ricordano  le 
esortazioni  dantesche,  il  letterato  veronese  mette  innanzi  i  mali  della  patria, 
sperando  aiuto  dal  discendente  di  Arrigo  VII.  Questa  lettera  e  un'altra  dì 
Leonardo  Terunda,  pur  esso  colto  veronese,  indirizzata  per  la  stessa  ragione 
a  Venceslao,  mostrano  come  persistesse  ancora  per  tutto  il  trecento  la  tra- 
dizione dell'idea  imperiale  nella  città  di  Verona,  in  cui  più  dovette  esercitare 
efficacia  il  pensiero  di  Dante.  L'opuscolo  del  Biadego  è  veramente  succoso 
e  porta  un  buono  e  interessante  contributo  alla  storia  della  cultura  della 
sua  città  natale. 

.".  Ricco  ed  utile  contributo  alla  storia  patria  reca  C.  Pansa  pubblicando 
Quattro  Cronache  e  due  Diarj  inediti  relativi  ai  fatti  dell'  Aquila  dal  see. 
XIII  al  XVI  (Sulmona,  Golaprele,  di  pp.  L-113  in  8.»).  La  prima  cronaca 
va  dal  1055  al  1414,  la  seconda  dal  1254  al  1423,  la  terza  pure  dal  1254 
al  1423,  l'ultima  dal  1476  al  1564:  e  i  Diarj  appartengono  ai  tempi  della 
sollevazione  del  1528:  sono  tutti  documenti  inediti,  e  ciascuno  è  opportuna- 
mente annotato.  Ma  la  scrittura  forse  più  importante  è  la  Dissertazione  pre- 
liminare, nella  quale  il  dotto  abruzzese  discorre  sulle  fonti  edite  e  inedite 
della  storia  aquilana.  Rilevantissimo  è  ciò  che  osserva  T  a.  intorno  alla  cro- 
naca rimata  di  Buccio  di  Ranallo,  della  sua  importanza  storica  e  della  ne- 
cessità di  ristamparla  su  buoni  codici  e  con  apparato  critico.  Ma  tutto  quanto 
il  discorso  del  P.  è  una  bella  e  dotta  pagina  dì  storiografia  aquiliana. 

.*.  Fra  i  poeti  popolareggianti  dell'ultimo  quattrocento  va  annoverato  quel 
marchigiano  Benedetto  da  Cingoli,  del  quale,  da  stampa  rarissima,  riproduce 
per  occasione  di  nozze,  una  Barzelletta  il  sig.  L.  Luzio  (Sanseverino-Marche, 
Bellaharba,  di  pp.  18  in  16.").  Essa  è  intitolata  le  Monacelle,  e  doveva  esser 
evidentemente  cantata  da  maschere  vestite  dell'abito  monastico:  Monacelle 
incarcerate  Siamo  state  già  molt'anni:  Per  uscir  di  tanti  affanni  Siamo  al 
secol  ritornate:  tale  è  l'introduzione,  che  serve  anche  di  litornello.  Ognuno 
capisce  che  si  tratta  di  un  lamento  di  queste  infelici,  che  deplorano  il  per- 
duto fiore  della  loro  gioventù  e  bellezza  e  si  lagnano  dell'avarizia  dei  loro 
genitori.  Il  motivo  era  comune  e  se  ne  hanno  altri  esempj  nella  poesia  po- 
polare e  popolareggiante  del  tempo.  Questa  barzelletta,  sebbene  vada  un 
po' per  le  lunghe,  non  manca  di  brio,  e  fa  desiderare  che  l'editore  di  essa 
pubblichi,  insieme  con  uno  studio  sul  dimenticato  cingolano,  anche  una  scelta 
almeno  dei  suoi  componimenti. 

.•,  Il  prof.  L.  Piccioni  reca  un  non  inutile  contributo  alla  storia  degli  u- 
manisti  e  dell'umanesimo  con  due  piccole  biografie,  l'una  di  Michelangelo 
da  Panicale,  maestro  perugino  a  Cesena  (Cesena,  Biasini  e  Tenti,  1902,  di  pp. 
15  in  16."  picc),  l'altra  di  Angelo  Vadio,  riminese,  maestro  a  Cesena  (ibid., 
1903,  di  pp.  17  in  16."):  ambedue  pregevoli  nella  brevità  loro,  e  da  consi- 
derarsi come  pietruzze  da  adoperarsi  a  un  insigne  futuro  edifizin. 

,•.  Nel  voi.  X  degli  Studj  di  filologia  classica  il  prof.  R.  Truffi  ci  fa  cy- 


194  RASSEGNA    BIBI,IOORAFICA 

noscere  un  fatto  finora  ignoto  :  cioè  Erodoto  tradotto  da  Guarino  veronese 
(eslr.  (li  pp.  21  in  1G.°).  Di  questa  traduzione  latina,  che  sarebbe  prima  in 
ordine  di  tempo,  e  anteriore  a  quelle  del  Valla  e  del  Palmieri,  restano  al- 
cuni frammenti  in  un  cod.  della  Classense  di  Ravenna,  che  contengono  i 
primi  settantun  capitoli  delle  storie  erodotee.  Il  sig.  T.  li  pubblica,  e  aggiunge 
così  una  nuova  opera  alla  serie  delle  molte,  per  le  quali  il  vecchio  umanista 
fu  benemerito  della  cultura  classica. 

.'.  Il  prof.  P.  Provasi  illustra  uno  dei  migliori  episodj  della  Caccia  di 
Erasmo  da  Valvasone  {La  Cerva  delle  Fate,  Udine,  Del  Bianco,  di  pp.  21  in 
16.°),  indagando  quali  sono  le  fonti  cavalleresche  a  cui  l'autore  ha  attinto, 
e  confrontando  l'episodio  con  classiche  reminiscenze  d'immagini  e  di  forme. 

.■.  Il  dott.  P.  PiccoLOMiNi  ha  pubblicato  due  curiosi  Documenti  di  peda- 
gogia e  di  scuola  (estr.  dal  Bullett.  sanese  dì  storia  patria,  di  pagg.  10  in  16."): 
l'uno  di  essi  contiene  le  Istruzioni  di  Giacomo  Todeschini  Piccolomini, 
nipote  di  Pio  II  e  fratello  di  Pio  III,  al  figlio  Enea,  scritte  nel  1499,  che 
l'editore  ragguaglia  alla  nota  lettera  di  Lorenzo  il  Magnifico  al  figlio  car- 
dinal Giovanni,  e  ai  Suggerimenti  di  buon  vivere  di  Francesco  Sforza  al  figlio 
Galeazzo.  I  capitoli  di  Giacomo  sono  di  vario  genere,  ma,  come  avverte  l'e- 
ditore, danno  testimonianza  di  prudenza,  non  di  sensibilità  di  cuore  e  altezza 
d'animo.  Fra  essi  vi  è  il  consiglio  al  giovinetto  di  non  impacciarsi  in  cose 
di  Stato,  e  levarsi  anzi  e  partire  quando  si  trovasse  in  un  circolo  di  persone 
che  ne  trattassero.  Vuole  anche  che  il  figlio  vesta  "  alla  civile  ,  e  abbia  un 
fiorino  al  mese  "  per  lavare  lo  capo  e  per  le  sue  scarpe  „,  ma  ingiunge  di 
non  seguire  "  le  forgie  {fogge)  oltramontane  ,  — .11  secondo  documento  è  una 
specie  di  Calendario  universitario,  e  riguarda  specialmente  le  vacazioni,  o 
vacanze,  che  anche  allora  erano,  a  quel  che  pare,  la  cosa  più  interessante 
per  professori  e  studenti.  E  le  officiali  non  erano  poche:  ma  anche  a  quei 
tempi  vi  erano  quelle  che  i  giovani  si  pigliavano  straordinariamente.  E  circa 
queste  vi  sono  ordini  di  pene  severissime,  e  fra  le  altre  "  quattro  tratti  di 
corda  „;  ma  l'editore  aggiunge  che  esaminando  gli  atti  del  magistrato,  non 
ha  trovato  testimonianza  dell'  applicazione  di  tal  castigo.  Gli  studenti  saranno 
stati  buoni  e  diligènti,  o  l'autorità  avrà  lasciato  correre,  anche  quando  fos- 
sero per  dato  e  fatto  proprio,  incorsi  in  tal  punizione? 

.'.  Il  sig.  F.  Ceretti,  del  quale  più  volte  abbiamo  ricordato  l'operosità  nel 
ricercare  e  mettere  in  luce  i  documenti  storici  della  Mirandola,  dà  fuori  a- 
desso  un  manipolo  di  Lettere  inedite  del  e.  G.  Francesco  II  Pico  della  Mi- 
randola (Modena,  Vincenzi,  dal  voi.  3,  serie  V  delle  Memor.  di  st.  patr.  di 
Modena,  di  pp.  18  in  16.°).  Queste  lettere  dell'infelice  e  dotto  principe  rai- 
randolano  del  sec.  XVI  sono  dall'autore  diligentemente  illustrate. 

.•.  Per  la  storia  delle  relazioni  fra  la  letteratura  spagnola  e  l'italiana  è 
utile  a  leggersi  quanto  il  prof.  R.  Truffi  scrive  su  Antonio  Frasso,  poeta  del 
sec.  XVI  (Cagliari,  tipogr.  sarda,  di  32  pagg.  in  16.°).  Il  Frasso  o  Lo  Frasso, 
nato  in  Alghero,  fu  nel  suo  romanzo  de  Fortuna  de  Amor  imitatore  del  San- 
nazaro e  del  Montemayor,  e  quel  suo  componimente  pastorale,  sebbene  assai 
mediocre,  ha  meritato  una  menzione,  non  si  potrebbe  dire  se  benigna  o 
ironica,  del  Cervantes.  Un'altra  parte  del  suo  romanzo  continua  la  tradizione 
dei  Carocci  provenzaleschi  e  dei  trionfi  italiani:  né  manca  il  suo  nome  nella 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  195 

schiera  dei  cento  e  pili  poeti,  cui,  bene  o  male,  suscitò  l'estro  la  vittoria  di 
Lepanto.  L'autore  di  questo  saggio  non  esagera  i  meriti  poetici  del  Frasso, 
ma  ricorda  opportunamente  il  nome  e  gli  scritti  di  questo  sardo,  che  per 
le  opere  sue  appartiene  alla  letteratura  iberica. 

.".  Giuseppe  Battista  poeta  e  letterato  del  600  con  documenti  inediti  è  il 
titolo  d'un  volumetto  di  pp.  41  di  Edoardo  Pedio  (Trani,  Vecchi,  1902),  ma 
in  realtà  ad  esso  non  corrisponde  il  contenuto.  Precede  (1-24)  una  biografia, 
ma  molto  vaga  e  generica;  quindi  l'A.  passa  brevemente  in  due  minuscoli 
capitoletti  ad  esaminare  le  opere  poetiche  del  B.:  basti  dire  che  nel  primo 
in  tre  pagìnette  si  sbriga  della  lirica  amorosa,  sacra  ed  etica;  in  una  e  mezza 
dei  tre  libri  d'epigrammi,  ed  in  un'altra  e  mezza  degli  epicedi  eroici!  Nel 
secondo  poi,  con  sei  piccole  facciate  di  stampa  parla  delle  Giornate  Ac- 
cademiche, della  Poetica,  del  romanzo  storico  e  delle  due  Vite  di  Santi, 
scritte  dal  B.!  È  inutile  l'aggiungere  dopo  ciò,  che  il  P.  è  riuscito  soltanto 
a  dar  pochi  cenni  del  suo  autore;  ma  non  certo  una  piccola  ed  organica 
monografia,  come  sembrerebbe  a  primo  aspetto  dal  titolo  dal  lui  apposto 
all'  opuscolo. 

.*.  Il  nostro  giovane  collaboratore  M.  Sterzi  ha  volto  i  suoi  studj  sopra 
un  autore  del  seicento,  del  quale  non  poco  si  parlava,  ma  che  poco  era  stu- 
diato e  conosciuto:  Jacopo  Cicognini,  e  ad  esso  ha  dedicato  una  monografia, 
che  raccoglie  e  vaglia  le  notizie  delia  vita  e  delle  opere  (estr.  dal  Giorn.  della 
Liguria,  Spezia,  Zappa,  di  pp.  90  in  10.»).  Dopo  accertatane  la  biografia,  il  Cico- 
gnini vien  considerato  come  lirico  ed  imitatore  del  Ghiabrera,  e  come  autore 
drammatico;  nel  qual  genere  ha  un  certo  merito  e  non  mediocre  importanza, 
perché  la  sua  produzione  teatrale  mostra  l'ultimo  svolgimento  della  tradi- 
zione paesana,  prima  che,  col  figlio  di  lui  Giacinto  e  con  altri,  prevalesse  la 
imitazione  spagnuola.  Tutto  ciò  è  discorso  dallo  S.  con  sicurezza  d'informa- 
zioni, misura  di  esposizione  e  bontà  di  giudizj. 

.•.  Che  anche  un  piccolo  comune  possa  colla  propria  storia  dar  luce  alla 
conoscenza  della  storia  generale,  e  sopratutto  a  quella  parte  che  al  di  d'oggi 
più  si  cerca  di  possedere,  lo  mostra  il  Comune  di  Tregnago  nel  veronese, 
che  conserva  nel  suo  Archivio  una  cospicua  serie  di  documenti  antichi.  E 
di  essi  si  è  sapientemente  giovato  il  sig.  Ciro  Ferrari,  studiando  i  documenti 
dal  1505  al  1510  e  dicendoci  per  tal  modo  Com'  era  amministrato  un  Comune 
del  Veronese  al  principio  del  sec.  XVI  (Verona,  Franchini,  di  pp.  99  in  16."). 
E  la  vita  intima  di  un  municipio,  che  vien  svolta  innanzi  ai  nostri  occhi,  e 
che  ci  lascia  argomentate  usanze  comuni  e  generali  di  altri  enti  consimili, 
almeno  nella  stessa  regione  o  nel  dominio.  Ai  cultori  della  storia,  e  anche 
diremmo  ai  legislatori  in  tal  materia,  gioverà  conoscere  come  si  governava 
un  antico  comune  italiano,  derivante  dalia  libertà  latina  e  non  dal  feudale- 
simo straniero,  per  cjuello  che  spetta  alla  civica  amministrazione  in  argo- 
mento di  dazj,  di  edifizj  pubblici  da  mantenere  o  restaurare  o  edificare, 
di  estimi,  di  pascoli,  di  bilanci,  di  elezioni  ecc.  11  lavoro  cosi  bene  e  ordi- 
natamente condotto  dal  sig.  F.  è  arricchito  anche  di  un  utile  glossario  dei 
termini  del  vernacolo,  che  ricorrono  nei  documenti.  A  nessuno  sfuggirà  l'im- 
portanza di  queste  ricerche,  che  nella  vita  di  un  piccolo  Comune  rurale,  ripro- 
ducono e  illustrano  anche  quella  di  consimili  aggregazioni  nei  tempi  trascorsi, 


196  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

.'.  Registriamo  alcune  pubblicazioni  galilejane  del  prof.  A.  Favaro,  che 
sebbene  tutto  intento  alla  Edizione  Nazionale  delle  opere  del  sommo  filosofo 
ed  astronomo,  non  lascia  sfuggirsi  1'  occasione  di  raccogliere  e  illustrare  al- 
cuni minori  scritti  o  documenti  di  Galileo  stesso,  o  che  in  qualche  modo 
lo  riguardano.  Intanto  egli  riprende  la  serie  degli  Amici  e  Corrispondenti  di 
Galileo,  dandoci  due  altri  saggi  biografici;  l'uno,  ed  è  il  VII  nella  serie,  su 
Giovanni  Ciampoli  (Venezia,  Ferrari,  di  pp.  55  in  16.»),  l'altro,  ed  è  l'VIII, 
su  Giov.  Francesco  Sagredo  (Venezia,  Visentini,  di  pp.  132  in  16.°):  ambedue 
degnissimi  di  portare  il  nome  di  amici  del  gran  maestro.  Del  primo,  maggiori 
notizie  diede  in  questi  ultimi  tempi  un  omonimo,  il  sig.  Domenico  Ciampoli, 
ma  il  Favaro  vi  sa  aggiungere  qualche  cosa  di  nuovo.  Egli  fu  un  grande 
ammiratore  di  Galileo  :  e  a  spiegare  come  cadde  in  disgrazia  di  Urbano  VIII, 
più  che  tale  amicizia  contribuì,  secondo  il  Favaro,  l' essersi  egli  mostrato 
fautore  degli  Spagnuoli  :  ci  sembra  pertanto  che  il  vero  si  trovi  in  quelle 
parole  del  Reusch,  che  il  Favaro  stesso  riferisce:  "L'indignazione  del  papa 
"  contro  il  Ciampoli  può  aver  contribuito  a  indisporlo  verso  Galileo,  e  vice- 
"  versa  lo  sdegno  da  lui  provato  per  la  stampa  del  Dialogo,  avrà  aggravato 

*  il  suo  corruccio  contro  il  Ciampoli  ,.  Del  Sagredo  ognun  sa  quanto  ei  fosse 
entusiasta  degli  studj  di  Galileo,  e  devoto  alla  sua  persona.  Il  F.  sfata  la 
leggenda  che  il  Sagredo  avesse  parte  alla  chiamata  di  Galileo  in  Padova, 
ma  mette  in  chiara  luce  tutti  gli  ufficj  amichevoli  da  lui  usati  al  maestro, 
e  congettura  che  forse  Galileo  non  avrebbe  rinunziato  alla  "  libertà  patavina  , 
di  che  godeva,  per  tornare  in  uno  Stato  ove  dominavano  i  frati  e  i  bigotti, 
se  in  quel  momento  il  Sagredo  non  fosse  stato  in  Scria.  Dalle  lettere  di 
questi,  deplorando  la  perdita  di  quelle  di  Galileo  al  Sagredo,  riporta  tutto 
ciò  che  pili  giova  a  lumeggiarne  il  carattere  e  gli  studj,  facendo  rilevare 
quanto  egli  valesse  nelle  discipline  fisiche  e  nelle  esperienze.  Al  saggio  bio- 
grafico va  aggiunto  un  bel  manipolo  di  documenti,  fra  i  quali  le  Relazioni  del 
Sagredo  al  Senato  di  ritorno  dal  consolato  di  Soria.  —  L'altra  serie,  di 
Scampoli  galilejani,  rimasta  lungo  tempo  interrotta,  viene  continuata  ora  colla 
pubblicazione  di  un  13.°  fascicolo  (Padova,  Randi,  di  pp.  81  in  16.»),  che  con- 
tiene i  n.'  LXXXIX-XCII.  Essi  trattano  di  un  voi.  miscellaneo  di  scritti  astro- 
logici e  matematici  posseduti  dalla  Bibl.  Univ.  di  Bologna  ;  di  Galileo  e  del  te- 
lescopio; di  Galileo  e  G.  B.  Doni,  e  di  un  disegno  finora  sconosciuto  per  una 
edizione  delle  opere  di  G.  Questo  disegno  appartiene  al  Giordani,  e  veramente 
non  è  stato  male  che  non  fosse  eseguilo,  tanto  ne  erano  errati  i  criterj.  E 
pare  impossibile  che  al  Giordani  appartenga  un  giudizio  su  Galileo,  che  dal 
F.  vien  riferito,  e  che  non  vogliamo  riportare,  tanto  pili  che  possiamo  ad 
esso  contrappore  quest'altro  dello  stesso  Giordani:  "  Questo  (il  Galileo)  degli 
"  scrittori  italiani  parrai  che  sia  quello  che  unisce  in  sé  piupregj:  massime 

*  i  dialoghi  del  sistema  pajono  divini  „  {Opere,  Apperjd.  370).  —  Vogliamo 
aggiungere  che  nel  fase,  dell'  Arch.  St.  Bai.  testé  uscito  (ser.  V,  voi.  XXXI)  il 
prof.  F.  ha  inserito  una  critica  acerba  ma  giusta,  del  recente  libro  del  sig. 
Ricci-Riccardi,  Galileo  e  fra  Tomm.  Caccini. 

.\  Due  pubblicazioni  del  prof.  A.  Saviozzi  appartengono  egualmente  alla 
storia  del  costume  e  a  quella  del  dramma.  L'una  per  nozze  Braggio  Guer- 
rieri (Pesaro,  Terenzi,  di  pp.  16  in  16.»)  contiene,  convenientemente  illustrate, 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  197 

due  lettere  di  don  Bernardino  Zanca  alla  duchessa  d'Urbino,  e  raccontano 
le  feste  carnevalesche  in  Pesaro  nel  1527,  descrivendo  le  varie  mascherate 
del  giovane  principe  Guidobaldo.  In  una  di  esse,  e  in  figura  di  ortolana,  al 
pittore  Genga  parve  che  il  giovinetto  cosi  travestito  fosse  "  una  vera  figura 
antica  ,.  Fu  anche  rappresentata  un'  Egloga  del  cancelliere  Bernardino  Fat- 
tori, della  quale  però  non  è  dato  il  titolo.  —  In  altra  pubblicazione  per  nozze 
Rossi-Viterbo  (Pesaro,  Terenzi,  di  pp,  13  in  16.»)  si  dà  ragguaglio  con  let- 
tere di  Melchiorre  Zoppio,  di  una  Rappresentazione  in  Bologna  nel  1616,  che 
è  quella  del  Tancredi  di  Rodolfo  Campeggi,  con  gran  lusso  di  apparati  e  di 
macchine.  Un  particolare  curioso  notato  dal  relatore  è  che  Venere  e  l'Ira 
—  due  personaggi  mitologici  degli  intermezzi  musicali,  "  sono  state  due  donne 
in  effetto,  e  Venere  una  tale  che  non  conosce  una  nota  e  non  sa  l'abeci  ,. 
Tutta  la  lettera  è  piena  di  curiosi  particolari  sull'  assetto  scenico  del  sec.  XVII. 

.*.  Una  pubblicazione  importante  per  le  vicende  del  costume  e  la  storia 
del  lusso  è  quella  di  Polifill o  {sollo  il  qual  nome  tutti  sanno  nascondersi 
l'arch.  L.  Beltrami),  mandata  fuori  in  occasione  del  Congresso  storico,  e  che 
ha  per  titolo  :  La  guardaroba  di  Lucrezia  Borgia  (Milano,  Allegretti,  di  pp. 
HO  in  16.»).  Il  documento  tratto  dall'Archivio  di  Modena  è  illustrato  dot- 
tamente e  un  piccolo  glossario  giova  a  ben  comprendere  il  significato  di 
alcuni  vocaboli.  Nella  prefazione,  l'editore  tocca  della  questione  storica  ri- 
guardante la  vita  e  i  costumi  della  figlia  di  papa  Alessandro:  si  sa  che  ai 
df  nostri  il  Gampori,  e  poi  piti  ampiamente  il  Gregorovius  ne  vollero  rivendicar 
la  fama,  che  romanzieri  e  drammaturghi  del  periodo  romantico  avevano 
offesa,  probabilmente  oltre  il  vero;  e  il  B.  anch' egli  si  mette  a  fianco  degli 
apologisti.  Ma  di  Lucrezia  e  dei  Borgia  sarà  come  di  Pietro  Aretino  :  se  ne 
potranno  attenuare  le  colpe,  ma  gente  pulita  d' ogni  macchia  non  divente- 
ranno mai.  Quello  intanto  che  importa,  è  conoscere  mercé  questa  interes- 
sante pubblicazione,  di  stampa  "elegante  e  resa  più  attraente  dalla  riprodu- 
zione di  tre  medaglie  della  Borgia,  che  cosa  era  nel  sec.  XVI  il  corredo  di 
una  principessa,  sebben  figlia  del  "servo  dei  servi  ,;  e  dall'enumerazione 
degli  oggetti  di  vestiario,  delle  argenterie,  e  di  cose  d'uso  domestico,  c'è  da 
rimaner  sbalorditi.  Ad  es.  v'è  ricordata  una  mantiglia  di  raso  foderata  d'er- 
mellino, con  84  baiassi,  29  diamanti,  e  115  perle,  ed  un'altra  con  61  rubini, 
55  diamanti,  8  perle  grosse,  412  mezzane  e  1140  piccole.  E  cosi  via,  con  men- 
zione di  capi  ragguardevoli  per  quantità  e  pregio:  si  che  non  è  da  mara- 
vigliare se  pel  trasporto  del  corredo  da  Roma  a  Ferrara  occorsero  150  muli. 
Un  particolare  curioso  che  si  ricava  da  brani  di  lettere,  per  lo  più  di  agenti 
politici,  è  che  fi-n  d'allora,  mentre  parrebbe  frivolezza  odierna  di  referendarj 
o  relatori  o  reporter,  si  descrivevano  minutamente  gli  abiti,  le  foggie,  le  gioje 
delle  donne  nelle  feste  e  nei  principeschi  ritrovi. 

.-.  E.  Teza  in  una  sua  Nota  (Padova,  Randi,  1902,  pp.  21  in  16.»)  dà  no- 
tizia di  Scipione  Mercurii,  che  fu  un  frate  medico  del  seicento,  e  di  un  suo 
curioso  libro  intitolato  Gli  errori  popolari  d' Italia,  che  venne  fuori  in  Pa- 
dova nel  1645,  e  ne  riferisce  qualche  brano.  In  Appendice  riporta  due  brani 
della  Chirurgia  di  Maestro  Rolando  in  dialetto  veneto,  traendoli  da  un  codice 
dell'Universitaria  di  Padova.  Il  Teza  addita  il  codice,  che  è  poco  noto,  agli 
studiosi  delle  parlate  venete. 

u 


198  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

.',  Gol  saggio  su  la  Storia  e  leggenda  di  Pietro  Aretino  (Roma,  Loescher, 
di  pagg.  107  in  16.°)  il  prof.  Giov.  Mari  ha  inteso  separare  nella  biografìa 
del  "  flagello  dei  principi ,  ciò  che  vi  ha  di  vero  da  quello  che  v'  ha  di  fan- 
tastico, dovuto  in  parte  ai  proprj  vanti  del  gran  libellista  e  dei  suoi  acco- 
liti, e  in  parte  maggiore  alle  invettive  degli  avversarj  e  degli  emuli,  alcuni 
dei  quali  non  erano  migliori  di  lui.  L'impresa  era  ardua,  e  non  diremmo 
che  l'a.  sia  in  tutto  riuscito:  rimane  molto  di  dubbioso  e  d'ignoto,  che  non 
si  potrà  mai  compiutamente  conoscere  e  giudicare.  Ma  egli  si  è  tenuto  lon- 
tano dalla  tendenza  apologetica,  che  va  prevalendo  presso  taluni,  e  special- 
mente si  mostra  nel  recente  volume  del  sig.  Carlo  Bertani.  Il  secolo  certa- 
mente era  perverso,  gli  esempj  istigavano  al  male;  ma  quand'anche  si  di- 
mostri la  perversione  dell'  "  ambiente  „  non  per  questo  l'Aretino  non  fu  un 
gran  furfante:  d'ingegno,  ma  furfante.  L' autore  di  questo  saggio  è  general- 
mente equo  nei  giudizj,  e  nelle  ultime  pagg.  anche  efficace,  ma  la  cura  della 
forma  usata  in  queste,  rende  troppo  apparente  certa  trascuratezza  e  impro- 
prietà delle  antecedenti,  dove  predomina  un  fare  soverchiamente  familiare 
e  pedestre. 

,•.  Chi  sa  quanta  parte  della  vita  e  della  cultura  italiaha  di  un  tempo 
fossero  le  Accademie,  non  si  maraviglierà  che  il  dolt.  G.  Biadego  abbia  con- 
sacrato uno  studio  speciale  a  quelle  della  sua  città  nativa  {Accademie  Ve- 
ronesi, s.  n.  t.,  di  pp.  31  in  1G.°).  Ve  n'ha  di  tutti  i  nomi  e  di  tutte  le  ma- 
terie, seguendo  e  accompagnando  lo  svolgimento  delle  idee  e  degli  intenti, 
che  si  succedono  e  via  via  predominano,  finché  dagli  Incatenati,  che  sono  i 
pili  antichi,  si  giunga  all'Accademia  di  Agricoltura,  ancor  fiorente,  e  che  è 
andata  col  tempo  allargando  la  cerchia  de'  suoi  studj. 

.*.  Il  sig.  A.  G.  Spinelli,  noto  per  altre  pregiate  pubblicazioni  sulla  vita  e 
gli  scritti  del  maggior  commediografo  italiano,  nel  giorno  (26  febbrajo)  in 
che  a  Modena  si  scopri  una  lapida  in  onore  di  lui,  nella  casa  dei  suoi  mag- 
giori, ha  pubblicato  Quattro  note  goldoniane  (Modena,  Forghieri  e  Pellequi, 
di  pp.  11).  Sono  piccole  cose,  le  quali  pur  giovano  a  sapersi  e  potranno  esser 
utilizzate  in  una  ristampa  delle  Memorie  autobiografiche,  che  meriterebbero 
di  venir  riprodotte  con  illustrazioni  e  note,  riprendendo  e  compiendo  ciò  che 
aveva  cominciato  il  von  Lohner.  Le  quattro  note  sono  cosi  intitolate:  Lapide 
e  Modena  -  Ritratto  ignorato  -  //  Sonetto  del  Vicini  contro  i  Gesuiti  -  Me- 
lodramma giocoso  poco  noto:  Oratorio  dubbio. 

.•.  Il  prof.  A.  Scrocca  ha  dato  in  luce  uno  Studio  critico  suW  Agamennone 
e  stiir  Oreste  di  V.  Alfieri  (Livorno,  Giusti,  di  pp.  72  in  16.°)  in  che  accusando 
di  *  falso  ,  (e  la  parola  ci  par  troppo  cruda)  il  Villemain  pel  giudizio  delle 
relazioni  fra  i  tragici  francesi  e  l'astigiano,  e,  per  conseguenza,  di  "ingiu- 
rioso al  vero  e  all'  Alfieri  ,  anche  quello  non  disforme  del  Bertana,  sotto- 
pone a  lungo  ed  acuto  esame  le  due  "  tragedie  gemelle  ,.  Esso  conclude 
che  l'Alfieri  in  generale,  nell'uso  dei  soggetti  antichi,  tratti  dalle  favole,  dif- 
ferentemente da  come  fecero  i  francesi,  dei  quali  perciò  non  può  dirsi  se- 
guace, trasforma  il  sovranaturale  in  umano;  e  che,  in  particolare,  le  due 
citate  tragedie  vengono  ArW  Agamennone  di  Seneca,  e  1'  Oreste  ritrae  qualche 
cosa  dn\V Elettra  di  Sofocle  e  da  quella  del  Grébillon,  e  nulUa  dall'Oreste 
del  Voltaire  ;  sicché  1'  Alfieri  scrivendo  di  aver  ignorato  quest'  ultimo,  e  aver 
tratto  ispirazione  alle  "  gemelle  ,  dall'  autore  latino,  scrisse  il  vero. 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  199 

.•.  11  Municipio  di  Salerai  pubblicando  uno  scrilto  inedito  di  un  anlico 
concittadino,  porge  occasione  al  dott.  Salv.  Romano  di  parlare  di  Francesco 
il'  Aguirre  e  la  sua  opera  sul  Riordinamento  degli  studj  generali  in  Torino 
(Palermo,  tip.  Lo  Statuto,  di  pp.  14  in  8.»).  Il  D' Aguirre  fu  uno  di  quei  sici- 
liani che  Vittorio  Amedeo  condusse  seco  in  Piemonte;  ove  illustrarono  sé 
stessi  e  la  patria  lontana:  egli  fu  chiamato  alla  direzione  degli  studj,  e  in 
tal  qualità  nel  1715  presentò  al  re  un  disegno  di  riforma,  che  finora  rimase 
inedito,  e  chiamò  all'insegnamento  uomini  egregi  d'ogni  parte  d'Italia,  fra 
i  quali  il  Lama,  il  Tagliazucchi,  il  Pasini  e  il  Gravina,  che  fu  colto  da  morte 
nell'atto  di  porsi  in  viaggio.  Con  cotesto  disegno,  non  soltanto  T insegna- 
mento superiore  nelle  università,  nìa  si  riformava,  consertandolo  ad  esso, 
anche  quello  inferiore:  si  direbbe  un  preludio  della  Université  napoleonica. 
L'a.  di  questa  memoria  dà  notizie  rilevanti  del  D' Aguirre,  che  però  poi, 
perduta  la  fiducia  del  suo  principe,  passava  in  Lombardia  al  servizio  dell'im- 
peratore Carlo  VI.  L'esame  del  suo  disegno  di  riforma  datoci  dal  R.  è  utile, 
ma  è  forse  più  conciso  di  quello  che  si  può  desiderare  da  chi  segua  con 
amore  le  vicende  delle  antiche  istituzioni  pedagogiche  italiane. 

.•.  A.  Magnocavallo  prendendo  occasione  dallo  studio  del  De  Castro  {Un 
precursore  milanese  di  Cagliostro,  in  Arch.  stor.  lombardo,  ser.  Ili,  f.  IV,  350-89) 
pubblica  altre  Notizie  e  documenti  ined.  intorno  all'alchimista  G.  Borri  (estr. 
A^WArch.  st.  lomb.,  an.  XXIX,  f.  XXXVI),  tratte  dalla  Bibliotoca  e  dagli  Archivj 
Vaticani.  I  primi  due  documenti  contengono  una  minuta  descrizione  del  modo 
tenuto  per  far  pronunziar  l'abiura  ai  seguaci  di  questo  strano  tipo,  impasto 
d'asceta,  d'alchimista  e  di  ciarlatano.  Altrettanto  interessanti  son  dei  brani 
di  lettere  (pp.  13-20)  per  la  maggior  parte  del  nunzio  Pignatelli,  perché  mo- 
strano la  fama,  che  il  Borri  era  riuscito  ad  acquistarsi,  ed  il  M.  ne  ritesse 
opportunamente  la  biografia,  insistendo  sui  punti,  che  dai  nuovi  documenti 
ricevono  luce. 

.*.  Alla  maggior  conoscenza  di  quello  strano  episodio  della  vita  siciliana, 
che  cominciò  in  Messina  colla  ribellione  a  Spagna  e  fini  col  tradimento  e 
l'abbandono  da  parte  dei  francesi,  porta  un  nuovo  contributo  il  prof.  P. 
Carogna  discorrendo  di  Catania  ed  il  Val  di  Noto  durante  la  rivolta  mes- 
sinese del  1674-78  (Arcireale,  Etna,  di  pp.  115  in  IQ.").  Coli' aiuto  di  inesplo- 
rati documenti,  l'a.  illustra  il  moto  della  città  ove  prima  arse  la  ribellione, 
con  la  narrazione  dei  casi  avvenuti  nei  luoghi  contermini,  che  meno  erano 
noti,  porgendo  per  tal  modo  utili  materiali  a  chi  ci  darà  la  completa  storia 
della  rivolta  messinese. 

.•.  Curiose  informazioni  ci  offre  il  dott.  G.  Pitrè  nel  suo  scritto  su  l gior- 
nali e  la  pubblicità  in  Palermo  nella  seconda  metà  del  sec.  XVIH  {Falermo, 
tip.  lo  Statuto,  di  pp.  22  in  8.'*).  Questo  studio  di  un  cosi  zelante  e  dotto 
amatore  e  conoscitore  delle  cose  dell'isola  nativa,  è  un  buon  contributo  alla 
storia  generale  del  giornalismo  in  Italia,  che  è  sempre  da  farsi.  Poco  pili 
potrà  trovarsi  di  quello  che  il  P.  ha  raccolto  ed  esposto,  e  si  dovrà  ad  ogni 
modo  concludere  che  il  giornalisnio  nacque  tardi  in  Sicilia  e  a  stento  vi 
attecchì'.  Certi  particolari  che  il  P.  riferisce  mostrano  che  fosse  realmente 
una  pianta  esotica,  come  si  desume  dallo  scarso  numero  di  giornali,  e  dalla 
breve  vita  di  ciascuno.  1  giornali  annoverati  dal  P.  sono  le  Novelle  Misceh 


200  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

lattee  di  Sicilia  (1764-67),  il  Nuovo  Postiglione  (1771-72),  la  Raccolta  di  no- 
tizie (1793-1805),  il  Gioni.  di  Commercio  (aprile-luglio  1794),  Irasformatosi 
nel  Giornale  di  Sicilia,  che,  con  varie  vicende,  dura  tuttora.  Altrettanto  me- 
schino è  il  giornalismo  letterario.  Tutti  erano  di  piccolo  formato,  di  cattiva 
stampa,  niuno  quotidiono,  e  pertanto  a  caro  prezzo.  È  notevole  come  fin 
d'allora  in  special  rubrica  apparissero  domande  e  offerte  di  ufflcj  e  di  ser- 
vigj  per  ajo,  cameriere,  cameriera  ecc. 

.•.  Giovandosi  di  lettere  e  di  scritti  inediti  il  nostro  collaboratore  V.  Gian 
ha  descritto  con  nuovi  particolari  V  Agonia  di  un  grande  italiano  sepolto  vivo, 
cioè  di  Pietro  Giannone,  vittima  d' ire  principesche  e  sacerdotali.  Lo  scritto, 
notevole  per  ragguagli  biografici  e  informazioni  su  un'opera  inedita  V  Ape 
ingegnosa,  fu  inserito  nella  JV^.  Antologia  del  16  febbr.,  ma  nell'estratto  (di 
pp.  30  in  16.»)  ha  parecchie  note,  che  nella  pubblicazione  periodica  furono 
ommesse. 

.".  In  un  articolo  estratto  nell'  Archivio  Stor.  delV  antico  Marchesato  di 
Saluzzo  (anno  II,  I,  IV)  e  intitolato  La  Bibbia  di  Silvio  Pellico,  Adriano  Aug. 
MicHiELi  s'occupa  di  due  Bibbie,  appartenute  ambedue  a  Silvio  Pellico:  l'una 
di  minor  valore  conservata  in  una  sala  della  Gasa  Gavazza  in  Saluzzo,  e  l'altra 
di  gran  lunga  più  importante,  come  quella,  che  avrebbe  servilo  di  conforto  al 
povero  Silvio,  quando  proprio  trovavasi  allo  Spieberg.  Su  quest'ultima,  tor- 
nata in  Italia  dopo  varie  peripezie  e  posseduta  come  sembra  fino  a  poco  tempo 
fa  dal  sacerdote  D.  Stefano  Monini,  priore  dei  Bagni  di  San  Giuliano,  presso 
Pisa,  ed  ora  passata  in  mano  d'ignoti,  il  M.  richiama  giustamente  l'attenzione. 

.•.  Il  dott.  Luigi  Mario  Capelli  ha  dato  fuori  (Novara,  Fratelli  Miglio,  1903, 
di  pp.  37  la  16.»  picc.)  la  prima  parte  di  un  suo  studio  intitolato  Per  la 
maggior  fonte  letteraria  dei  *  Promessi  Sposi  „.  Dopo  aver  notato  che  in 
tutte  le  opere  del  Manzoni  si  possono  rilevare  influssi  e  inspirazioni  diverse, 
anche  di  opere  straniere,  senza  che  esse  detraggano  nulla  alla  originalità  del 
grande  scrittore,  esamina  brevemente  quel  che  è  stato  finora  scritto  intorno 
alle  fonti  dei  Promessi  Sposi,  ed  afferma  che  la  maggiore  fonte  sono  i  ro- 
manzi di  Walter  Scott  anteriori  al  1827.  Questa  opinione  non  è  nuova,  ma 
nessuno  ha  forse  finora  fatto  delle  opere  del  romanziere  inglese  quell'esa- 
me accurato  in  confronto  col  romanzo  del  Manzoni,  che  è  necessario  per 
venire  a  solide  conclusioni.  Il  Gapelli  ha  studiato  l'argomento  secondo  il 
metodo  che  indicava  in  proposito  alcuni  anni  fa  il  D'  Ovidio  in  un  suo  ar- 
ticolo, salvo  che  egli  ha  istituito  i  confronti  non  col  testo  inglese,  come  vo- 
leva il  critico  napoletano,  ma  colle  traduzioni  francesi  e  italiane  del  tempo, 
giacché  il  Manzoni  non  potè  aver  letto  quei  romanzi  nella  lingua  originale, 
che  non  conosceva.  T  risultati  di  questo  esame  il  Gapelli  darà  in  due  altre 
parti  del  suo  studio,  intitolati  Influssi  scottiani  sui  P.  M.;  Influssi  manzo- 
niani sugli  ultimi  romanzi  di  W.  Scott,  ch'egli  annunzia  di  prossima  pubbli- 
azione. 

.•.  Quel  singoiar  poemetto  che  è  il  Lament  del  Marchionn  di  gamb  averi 
di  Garlo  Porta  è  stalo  recentemente  ripubblicato  per  cura  di  F.  Fontana 
(Milano,  stab.  Menotti  Bassani).  Belle  illustrazioni  di  R.  Salvadori  adornano 
il  testo,  di  cui  curò  la  stampa,  accompagnandola  di  brevi  note,  C.  Salvioni  ; 
il  quale,  come  si  sa,  attende  d^  parecchio  tempo  a  preparare  una  nuova  e- 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  20l 

dizione  di  tutte  le  poesie  del  Porta.  Sarà  1'  edizione  definitiva.  Egli  si  indusse 
a  dar  fuori  intanto  il  Lament  nella  speranza  che  altri  possa  fornirgli  qualche 
ragguaglio  sull'autografo  di  tutto  intero  il  poemetto,  mentre  a  lui  e,  com'egli 
prova,  anche  agli  altri  editori  che  tennero  dietro  al  Cherubini,  non  è  noto 
che  quello  della  prima  parte  posseduto  dal  discendente  del  poeta,  sig.  dott. 
Carlo  Porta.  Delle  note  alcune  dichiarano  voci  e  modi  caduti  in  disuso  o 
di  non  troppo  facile  intelligenza.  Una  di  esse  ci  sembra  non  colpir  giusto, 
quella  dei  versi  287-88,  secondo  la  quale  "  fuss  on  ean  doveva  essere  *  un 
modo  ormai  irrigidito  per  dire  'si  trattasse  anche  d'un  cane',.  Invece  se- 
condo noi  fuss  on  can  non  significa  altro  in  quel  luogo  che  fossi  un  cane, 
diventassi  un  cane,  e  sarebbe  una  delle  solite  espressioni  usate  dal  popolo  a 
rinforzare  un'affermazione. 

.".  Alla  memoria  di  Niccolò  Tommaseo  e  nell'anniversario  della  sua  morte, 
E.  Tkza  dedica  un  Proemio  a  Canti  di  popolo  della  Bulgaria  e  della  Russia 
(Venezia,  Ferrari,  1902,  di  pp.  30  in  16.»).  Aspettando  i  Canti,  leggiamo  con 
reverente  interesse  questo  proemio,  nel  quale  l'a.  discorre  dell'uomo,  al  quale 
pili  egli  si  assomiglia  nella  varietà  e  vastità  della  dottrina  e  nella  attitudine 
a  raggruppare  insieme  reminiscenze  e  notizie  di  diversa  provenienza,  frutto  di 
immensa  lettura  e  di  tenace  memoria.  Molte  cose  son  qui  riferite  dell'uomo 
e  dello  scrittore,  che  illustrano  il  Tommaseo  da  tali  due  aspetti  e  ne  dimo- 
strano l'animo  e  la  mente,  avvalorando  l'intima  conoscenza  dello  scrittore 
e  dell'uomo  col  vivo  e  perenne  affetto  all'amico  e  maestro. 

.*.  II  comm.  G.  Arlìa.  (Firenze,  soc.  tip.  ed.,  di  16  pag.  in  16.°)  in  una  pub- 
blicazione nuziale,  per  mezzo  di  una  Novellina  popolare  illustra  un  modo  di 
dire  usato  dal  Machiavelli,  dal  Lasca,  dal  Celli,  dal  Cecchi:  E'  mivien  voglia  di 
ridere,  e  ho  male.  Appar  molto  probabile  che  la  Novellina  spieghi  il  modo 
di  dire;  ed,  evidentemente,  doveva  alludere  a  un  racconto  assai  divulgato  - 
questo  dell'Arila  od  altro  consimile-  perché  nella  C/isrjo,  la  forma  completa 
è:  E' mi  vien  voglia,  come  disse  colei  ecc. 

.•.  Per  le  nozze  PiniCinotli  il  sig.  C.  Masi  ha  messo  insieme  cinque  Lettere 
inedite  di  G.  Arcangeli  (Empoli,  Traversari,  di  pp.  22  in  16.°),  accuratamente 
illustrandole  con  note  relative  a  fatti  e  a  persone.  Ma  per  non  frastagliare  il 
dettato  di  sic.  avremmo  addirittura  corretto  certi  piccoli  errori  ortografici  :  e  poi 
abbrevialo  anche  certi  cenni  biografici  di  persone  ben  note,  ampliando  invece 
gli  altri  di  men  noti  personaggi  :  per  es.  i  ragguagli  troppo  scarsi  su  Lorenzo 
Neri  erapolese.  Al  nome  Berti  avremmo  detto  trattarsi  di  Filippo  Berti,  che 
coir  Arcangeli  fu  scelto  a  compagno  di  viaggio  dal  russo  general  Osterniann  : 
autore  degli  Amanti  sessagenarj  e  di  altre  commedie,  e  benemerito  fondatore 
del  Ginnasio  drammatico  in  Firenze:  brav' uomo,  troppo  ingiustamente  di- 
menticato. Ad  ogni  modo,  il  sig.  M.  conosce  e  mette  in  pratica  il  buon  me- 
todo di  pubblicare  corrispondenze  epistolari. 

.".  Il  sig.  N.  Castagna  in  un  breve  opuscolo  raccoglie  Fatti  e  note  su  I 
deputati  al  Parlamento  napoletano  del  1820-21  (Città  S.  Angelo,  tip.  della 
Vita  Abruzzese,  di  pag.  36  in  16;°  picc),  attingendo  sopra  lutto  al  ricordo 
dei  discorsi  paterni.  Egli  intanto  corregge  parecchi  errori  di  uomini  e  di  date 
di  chi  anteriormente  trattò  di  quell'episodio  della  storia  del  mezzodì:  ma 
queste  rettificazioni,  e  le  brevissime  notizie  aggiunte  ai  nomi  di  ciascun  de- 


202  RASSEGNA   BIBLIOÒRAFICa 

putato,  ci  lasciano  vogliosi  di  qualche  cosa  di  più.  Se  l'A.  è  giunto  a  rin- 
tracciare in  qual  via  e  a  qual  numero  abitavano  essi  a  Napoli,  dovrebbe 
ragionevolmente  aver  radunato  maggior  messe  di  ragguagli  suU'  esser  di 
ciascuno,  sulle  opere  ecc.  e  questi,  dacché  qui  non  ci  sono  comunicati,  spe- 
riamo debbano  dar  argomento  ad  una  ulteriore  pubblicazione. 

.'.  Il  prof.  Brognoligo  aggiunge  qualche  pagina  alla  biografia  del  e.  Gi- 
rolamo Bissari,  pubblicando  alcune  lettere  del  suo  Carteggio  (Vicenza,  Fabris, 
di  pp.  19  in  10.").  Sono  lettere  di  gentil  donne  bolognesi  al  prode  soldato 
dell'indipendenza  italiana,  ma  sono  reliquie  di  una  pili  ampia  corrispondenza, 
fattaci  già  in  parte  conoscere  da  V.  Imbriani  nel  volume  dedicato  ad  Ales- 
sandro Poerio.  Queste  narrano  con  curiosi  particolari  il  viaggio  di  Pio  IX 
nei  suoi  stati  e  specialmente  a  Bologna,  nel  1857. 

.•.  Il  giornale  la  Favilla  raccoglie  in  un  solo  fascicolo  in  onore  di  Alinda 
Bonacci  Brunamonti  (Perugia,  Cooperativa,  di  pp.  9G  in  4.")  versi  e  prose 
sulla  insigne  poetessa,  della  quale  Perugia  e  V  Italia  piangono  la  morte  recente 
Vi  sono  riuniti  il  discorso  commemorativo  del  prof.  L.  Tiberi,  uno  del  prof. 
G.  Urbini  su  V educazione  artistica  della  egregia  donna,  due  scritti,  l'uno  d 
G.  Trabalza  su  la  Pensatrice,  l'altro  di  L.  Grilli  su  la  traduzione  delle  Geor 
giche;  versi  della  signora  Aganoor-Pompilj,  poesie  e  ricordi  autobiografici 
della  Brunamonti  stessa,  il  ritratto  di  lei,  la  fotografìa  di  un  busto,  un  auto- 
grafo ecc.,  e  infine,  oltre  altre  cose,  saluti  e  telegrammi  di  uomini  illustri  e 
di  donne  colte,  mandati  il  giorno  in  che  Perugia  volle  degnamente  onorare 
la  memoria  di  colei,  che  aveva  sparso  sulla  patria  tanta  luce  di  poesia,  mite 
insieme  e  gagliarda.  Ghiude  il  fascicolo  una  bibliografia  degli  scritti  della 
Brunamonti,  e  di  quelli  d'altri  che  di  lei  parlano.  Dalla  varietà  degli  scritti 
qui  raccolti  vien  fuori  l' immagine  intellettuale  e  morale  della  insigne  poetessa, 
nella  effige  della  quale,  qual' è  fotograficamente  riprodotta,  sembra  ricono- 
scere le  doti  che  le  furono  proprie;  indovinando  dallo  sguardo  il  vigore  vi- 
vace dell'ingegno,  dai  lineamenti,  la  dolcezza  del  sentimento.  —  Anche  un 
intero  numero  della  Roma  letteraria  (25  febbr.)  è  consacrato  alle  lodi  della 
Brunamonti  con  scritti  delle  signore  Aganoor-Pompilj,  Albertoni-Tagliavini, 
Anzoletti,  Cianelli,  Haidée,  Pezzi-Pascolato,  Pierantoni-Mancini  e  di  D.  Giam- 
poli,  A.  Conti,  A.  de  Gubernatis,  Ermini,  A.  Fogazzaro,  D.  Gnoli,  F.  Lamperlico, 
G.  Mantica,  E.  Panzacchi,  M.  Rapisardi,  G.  Salvadori,  G.  Urbini,  C.  Villani  ecc., 
che  ne  illustrano  le  opere  e  ne  piangono  la  dipartita  da  noi. 

.•.  Nel  voi.  V  del  Roman.  Jahresbericht  del  Volmoller,  il  prof.  I.  Della 
Giovanna  informa  gli  studiosi  circa  //  Romanticismo,  e  la  letter.  ital.  durante 
il  Risorgimento  nazionale  (pag.  325-348)  registrando  le  pubblicazioni  su  tali 
argomenti  apparse  dal  1895  al  '98.  La  bibliografia  è  copiosa  ed  esatta  e  i 
giudizj  delle  singole  opere,  brevi  di  necessità,  ma  fondati  su  ottimi  criterj. 

.•.  Nella  Rassegna  Internazionale  (maggio  1903)  il  sig.  G.  Stiavelli  pub- 
blica un  articolo,  non  privo  di  curiosità,  col  titolo:  Epigrammi  politici  e 
letterari  noli,  mal  noti  e  ignoti,  che  potrebbe  esser  un  saggio  di  pili  ampio 
lavoro.  E  allora  qualche  cosa  l'a.  penserà  a  rettificare.  È  egli  ben  certo  che 
il  "  Poeta  Cesareo  ,  del  quale  i  Versi  furono  pubblicati  nel  1850,  sia  lo 
stornellajo  pistojese  Luigi  Giusfredi?  Noi  crediamo  che  altri  si  nasconda  sotto 
cotesto   nome:  e  ricordiamo  che  quando    uscirono  a  luce   furono   attribuiti 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  203 

non  rammentiamo  bene  se  all'avv.  Demetrio  Giotì  o  al  dott.  Pirro  Giachi.  Il 
dubbio  fra  l'uno  o  l'altro  è  naturale  perché  erano  due  amici  intrinseci,  che 
molto  avevano  a  comune.  L'epigramma  del  Prati  che  finisce  Domine  Dio? 
L'ho  fatto  io,  possiamo  assicurare  di  certa  scienza,  per  averlo  udito  dall'au- 
tore, che  non  è  del  '59  ma  del  '49  o  poco  dopo,  né  contro  il  Grispi,  ma 
contro  Lorenzo  Valerio.  Dubitiamo  che  l'epigramma  sul  Segato  sia  del  Gior- 
gini,  del  quale  molti  altri  potevano  esser  addotti:  e  contro  di  lui  è  per  scherzo 
diretto  l'epigramma  Bistin  che  quando  parla  (il  3."  verso  deve  suonare: 
forse  perché  non  ho  le  forme  sue  ?)  composto  non  dal  Giusti,  ma  dal  Salva- 
gnoli,  dal  quale  pure  potevansi  raccogliere  molli  frizzanti  epigrammi. 

.•.  La  pubblicazione  del  sig.  B.  Radice,  Gli  Inglesi  nel  risorgimento  italiano 
(Livorno,  Giusti,  di  pagg.  44  in  16.°)  riunisce  e  fonde  insieme  due  discorsi 
tenuti  a  Bordighiera  dinanzi  a  un  pubblico,  per  la  massima  parte  britannico. 
Ma  forse  lo  scritto  ritiene  ancora  un  po'  troppo  del  carattere  di  lettura  o 
conferenza,  e  conserva  certe  forme  (per  es.  l' esaltare  nel  Verdi  la  *  potenza 
"apollinea  dell'anima  oceanica,,)  che  non  si  confanno  allo  scrivere  medi- 
tato. Questo  scritto  ricorda  fatti  notevoli,  ma  non  tutti  comunemente  noti, 
e  solo  è  da  dolersi  che  di  alcuni  si  faccia  troppo  rapido  cenno:  l'autore  però 
annunzia  due  altre  pubblicazioni:  Gli  esuli  italiani  all'  estero  e  Gli  esuli  ita- 
liani ìiella  Gran  brettagna,  dove  non  vorrà  andar  sorvolando,  ma  tratterà  cer- 
tamente la  materia  con  ricchezza  e  precisione  di  particolari.  E  cosi'  operando 
farà  cosa  veramente  utile  alla  storia  del  nostro  risorgimento.  Quanto  alla 
sostanza  del  racconto,  ninno  disconosce  la  parte  che  nel  '60  ebbe  la  politica 
inglese  a  sciogliere  il  nodo  intricato  delle  cose  italiane,  ma  gioverebbe  ricordar 
meglio  che  l'intervento  diplomatico  inglese  succedette  all'intervento  'armato 
francese,  e  riconoscere  che  a  voler  la  guerra  coli' Austria  nel  '59  fu  solo, 
0  quasi.  Napoleone  contro  i  suoi  ministri,  contro  le  Camere,  e  può  dirsi, 
salvo  alcune  eccezioni,  contro  il  suo  popolo.  Per  ciò,  certe  frecciate  all'  Impe- 
ratore, e  certe  asserzioni  non  abbastanza  sicure  circa  i  suoi  ultimi  intenti, 
potevano  risparmiarsi.  Niuno  infatti  giurerebbe  eh'  egli  sognasse  la  corona 
dell'Italia  Centrale  *  sulla  testa  del  cugino,  e  quella  di  Napoli  "sul  capo  di 
uno  dei  Murat ,.  Se  si  chiedessero  le  prove  di  ciò,  sarebbe  diffìcile  presentar 
altro  che  congetture.  Anche,  non  è  serio  rinnovar  la  favola  che  l'Impera- 
tore meditasse  far  sua  *  la  ferrea  isola  dei  Sardi  e  la  ligure  Riviera  ,,  e  si 
debba  al  Russel  se  non  giunse  a  effettuar  questo  disegno:  perché  giova  ri- 
cordare come  interrogato  su  tal  proposito,  ed  anzi  sull'esistenza  di  un  for- 
male trattato,  un  ministro  italiano  ebbe  a  dire  in  pieno  parlamento,  che  cono- 
sceva terre  italiane  da  redimere,  non  terre  italiane  da  cedere:  e  all'attesta- 
zione del  Mazzini,  che  asseriva  il  documento  trovarsi  a  Torino,  legato  con 
un  filo  rosso,  o  di  altro  colore,  si  oppongono  quelle  recisamente  negative  del 
Ricasoli  e  del  Visconti  Venosta.  E  si  potrebbero  segnalare  anche  alcuni  er- 
rori, pili  specialmente  cronologici;  per  es.  l'accompagnare  nell'esilio  Ales- 
sandro Poerio  al  De  Sanctis  e  al  Mancini,  dacché  il  Poerio  era  già  morto  di 
ferite  a  Venezia:  e  il  parlare  di  -"  restaurazione  neo-guelfa  del  Gioberti  ,  a 
proposito  di  fatti  del  '59  e  '60,  quando  il  filosofo  torinese  da  pili  anni  era 
morto,  e  nel  Rinnovamento  aveva  dato  altra  direzione  al  suo  pensiero  e  quindi 
altri  consigli  agli  Italiani.  Concludendo,  questo  opuscolo  può  essere  il  germe 


à04  RASSÈONA   BliìLlOORAFICA 

di  un  buon  libro,  nel  quale  però,  per  la  gravità  e  verità  della  storia,  vorrà 
r  autore  mostrarsi  un  po'  meno  . . .  inglese  ! 

.•.  L'opera  di  F.  Gomandini  pubblicata  dal  Vallardi,  L' Italia  nei  cento  anni 
del  sec.  XIX,  della  quale  più  volte  abbiam  parlato,  e  che  ha  ripreso  con 
nuova  lena  il  suo  cammino  verso  la  mèta,  è  ora  giunta  col  fase.  36  agli  anni 
1837-'38.  Anche  questo  fascicolo  è  notevole  per  ricchezza  e  precisione  di 
notizie  e  frequenza  di  illustrazioni  d'ogni  genere:  vedute,  ritratti,  feste,  mode, 
nummi  e  medaglie  ecc.  Notiamo,  fra  le  altre  illustrazioni,  il  quadro  del  Bi- 
scarra  rappresentante  la  promulgazione  del  codice  albertino,  i  ritratti  di  Fer- 
dinando di  Borbone  e  di  Maria  Teresa  sua  sposa,  il  gruppo  delle  regine  co- 
stituzionali di  Europa  (Vittoria  d' Inghilterra,  Maria  Cristina  di  Spagna,  Maria 
da  Gloria  di  Portogallo)  da  stampa  liberale  del  tempo,  i  ritratti  dell' arcid. 
Ranieri,  di  Carlo  Botta  ecc. 

.•.  Una  pubblicazione  che  interessa  egualmente  gli  studiosi  di  Agricoltura, 
quelli  di  Sociologia,  e  quelli  del  folklore  è  la  monografia  di  E.  Metalli,  Usi 
e  costumi  della  Campagna  Romana,  con  prefazione  dell' on.  prof.  A.  Celli 
(Roma,  tipogr.  popol.,  di  pp.  VII- 170).  Essa  ci  ricorda  i  buoni  studj  del  prof. 
Padula,  che  avrebber  meritato  di  esser  dal  giornale  II  Bnizio  raccolti  in 
volume,  sullo  Stato  delle  persone  in  Calabria,  e  quelli  del  Salomone-Marino 
sugli  usi  e  costumi  dei  contadini  di  Sicilia.  Qualche  cosa  di  simile  pubblicò 
il  fu  on.  Toscanelli  per  il  contado  pisano.  L'autore,  che,  afferma  il  Celli, 
è  un  autentico  uomo  di  campagna,  ritrae  *  dal  vero  uomini  e  cose  del- 
"  l'Agro  romano  „,  dove  "  la  vita  si  svolge  ancora  come  in  tempi  assai  re- 
"  moti  da  noi  ,.  Spetta  al  legislatore  rinnovare  la  vita  di  una  cosi  vasta 
plaga,  ove  si  conservano  usanze  contrarie  alla  scienza  economica  ed  agricola; 
agli  studiosi  delle  avite  usanze  popolari  sarà  utile  il  veder  indicato  e  fer- 
mato con  esatta  descrizione  ciò  che  ormai,  prima  o  dopo,  è  destinato  a  pe- 
rire, e  piacerà  questa  rassegna  di  uomini  e  cose,  delle  quali  appena  erano  note 
le  denominazioni,  nonché  il  carattere.  Descrivendo  pertanto  le  tre  aziende 
principali  della  Campagna  romana,  quella  del  Campo,  quella  del  Procoìo  e  la 
terza  della  Masseria,  ci  passano  innanzi  tipi  di  classi  e  norme  di  cultura,  che 
attirano  la  nostra  attenzione,  e  sono  intramezzale  da  curiose  notizie  su  super- 
stizioni e  credenze  (vedi  ad  es.  quella  della  Merla),  da  proverbj,  dettati  e 
apologhi,  da  aneddoti,  e  da  Canti  popolari,  e  da  un  glossarielto,  che  avremmo 
però  desiderato  più  ampio,  di  parole  vernacole. 

.'.  Maria  Pitré,  figliuola  dell'illustre  folklorista,  ha  pubblicalo  (Palermo, 
Tipogr.  del  Giornale  di  Siciliu,  1903,  pp.  19  in  16.»)  un  gustoso  opuscolo  La 
Kalsa  e  i  Kalsitani  in  Palermo,  in  cui  descrive  l'aspetto  e  le  costumanze 
di  uno  dei  pili  curiosi  quartieri  della  città  di  Palermo,  che  conserva  ancora 
il  nome  di  origine  araba,  e  i  cui  abitanti  pescatori  o  donne  in  gran  parte 
dedite  all'arte  di  ricamare,  vivono,  si  può  dire  isolati  dal  restante  della  città. 
Il  quartiere  conserva  ancora  alcuni  monumenti  d'arte  e  fra  gli  altri  edifizj 
ha  il  famoso  Convento  della  Gancia.  La  signorina  Pitré  riferisce  anche  qual- 
che canzone  popolare'  e  noi  non  sappiamo  trattenerci  dal  riportarne  una  che 
è  veramente  poetica  : 

Una  varcuzza  baoneri  bauueri 
Sta  ddia  (dea)  d'amari  mi  vinni  a  purtari; 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  205 

Bidiuia  tutti  li  cilesti  sferi, 
Trimavanu  li  specchi  di  lu  inaril 
Binidittu  lu  Ddiu  chi  ti  manteni, 
Ch'accussi  bedda  ti  vosi  furinari! 
Spampinanu  li  ciuri  unn'è  ca  veni 
L'ariu  turbata  lu  fai  sirinari. 

.•.  Il  prof.  V.  Angeli  ha  dato  in  luce  due  Conferenze  da  lui  lette  nel  R. 
Collegio  Gicogulni,  runa  su  Amedeo  di  S'ar«)/o,  T altra  su  Vincenzo  Gioberti 
(Prato,  Salvi,  di  pp.  70)  nelle  quali  con  mente  bene  ispirata  e  mano  sicura 
tratteggia  quelle  due  immagini  preclare  di  soldato  e  re,  e  di  pensatore.  Al 
discorso  sul  filosofo  e  politico  torinese  aggiunge  pregio  una  Nota  sulle  ac- 
cuse inconsulte,  che  Francesco  Crispi  lanciò  contro  il  Gioberti  nel  centenario 
celebrato  l'Aprile  1901. 

.".  A  proposito  di  Marco  Minghetti  può  deplorarsi  con  ragione  che  poco 
sia  curata  la  sua  memoria  da  chi  per  ragioni  di  sangue  o  per  comunanza 
di  dottrine,  pili  ne  avrebbe  il  dovere.  Si  misero  a  luce,  e  non  sempre  bene, 
tre  volumi  dei  suoi  Ricordi;  poi,  separatamente,  un  altro  sulla  Convenzione 
del  Settembre.  La  pubblicazione  che  G.  Vanzolini  fa  per  occasione  di  nozze, 
di  una  sua  Lettera  a  T.  Mamiani,  (Urbino,  Arduini,  di  pp.  11  in  16.»)  datata 
dell'  ottobre  "59,  e  che  ha  importanza  politica  e  storica,  ci  fa  pensare  quanto 
alla  conoscenza  dei  fatti  del  nostro  risorgimento  gioverebbe  raccogliere  l' Epi- 
stolario dell'insigne  bolognese. 

.*.  Il  sig.  S.  Di  Giacomo,  noto  scrittore  napoletano,  ha  pubblicato  un  vo- 
lumetto intitolato  II  Quarantotto  :  Notizie,  Aneddoti,  Curiosità  intorno  al  15 
maggio  1848  in  Napoli;  arricchito  di  cinquanta  illustrazioni,  pili  quattro  fuori 
di  testo  (Napoli,  ediz.  del  Corriere  di  Napoli,  di  pagg.  52  ìu  4.»).  Non  è,  come 
dice  del  resto  il  titolo,  una  storia,  ma  una  raccolta  di  memorie,  di  notizie,  di 
documenti,  di  curiosità  sulla  vita  napoletana  in  quel  primo  respiro  di  libertà 
e  innanzi  alla  sanguinosa  catastrofe,  che  doveva  instaurare  il  più  feroce  di- 
spotismo. Sono  riproduzioni  di  fogli  volanti,  di  poesie,  di  ritratti,  di  auto- 
grafi, di  stampe  del  tempo,  specialmente,  fra  queste  ultime,  dei  combattimenti 
alle  barricate:  e  tutto  <riò  viene  opportunamente  illustrato  dalla  parola  del- 
l'autore. Curioso  assai  lo  scritto  su  i  Giornali  di  quel  periodo,  e  i  ragguagli 
sui  principali  compilatori  di  essi.  Chi  avrebbe  creduto  che  uno  dei  più  scal- 
manati giornalisti  fosse  stalo  quel  Gaetano  Valeriani,  romagnolo,  che,  in  esilio 
diventò  libraio,  e  pedantescamente  compose  un  Vocabolario  di  voci  e  frase 
erronee  stampato  a  Torino  nel  1855  da  Steffenone  e  Gomandona?  Ma  mor- 
dendo questo  e  quello  dei  filologi  italiani  del  tempo,  mostra  che  era  sempre 
lo  stesso  uomo  violento  che  scriveva  nel  Costituzionale.  Questa  pubblicazione 
del  Di  Giacomo,  cosi  versato  nella  conoscenza  della  vita  e  della  storia  'iella 
sua  città,  si  legge  con  piacere,  anche  per  la  scioltezza  e  la  vivacità  della 
forma,  sebbene  qua  e  là,  ad  esempio  nella  introduzione,  certe  descrizioni 
risentano  della  vieta  retorica  giornalistica. 

.".  Conferenze  e  Conferenzieri  è  il  titolo  di  una  Conferenza  appunto,  tenuta 
dal  sig.  P.  Barbèra  al  Circolo  filologico  di  Firenze,  del  quale  è  Presidente 
(estr.  dalla  Rass.  Nazionale,  del  1.  aprile,  di  12  pagg.  in  16.°).  In  essa  il  B.' 
espone  alcune  considerazioni  su  questa  forma  di  discorsi  in  pubblico,  che 
molto  opportunamente  potrebber  esser  apprese  e  applicate  da  chi  è  chiamato, 


206  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

pili  o  men  volente,  a  esercitar  quel  difficile  ufticio;  e  rifiorisce  il  suo  dire  di 
argute  espressioni  e  di  piacevoli  aneddoti. 

.•.  Il  buon  esito  della  prima  edizione  del  Manuale  di  storia  della  Musica 
del  prof.  A.  Bonaventura  ha  incoraggiato  l'editore  Giusti  di  Liivorno  a  farne 
una  seconda  stampa,  accresciuta  non  soltanto  di  mole  (196  pagg.  in  16."  picc.) 
ma  migliorata  assai  sull'antecedente,  specialmente  nella  parte  che  si  riferisce 
alla  musica  dei  Greci  e  del  cristianesimo  primitivo,  nonché  ai  contemporanei. 
In  piccolo  volume  abbiamo  cosi  un  esatto  e  lucido  riassunto  delle  vicende 
dell'arte  musicale;  e  chi  voglia  saperne  di  più  su  qualche  particolare,  troverà 
al  fine  d'ogni  capitolo  l'indicazioni  delle  fonti  speciali  da  consultare. 

.•.  Per  nozze  Aruch-Mondolfo  un  Anonimo  livornese,  che  è  poi  un  giovane 
innamorato  della  scienza  delle  monete,  fa  una  Correzione  numismatica  ad 
un  paragrafo  del  Vocabolario  della  Crusca  (Firenze,  Galletti,  di  pagg.  7  in  16.°). 
La  correzione  cade  sulla  attribuzione  di  un  significato  speciale  alla  parola 
cotale,  come  se  questo  vocabolo  designasse  una  moneta  fiorentina  del  sec. 
XVI.  Ma  sebbene  ciò  paja  appoggiarsi  a  un  passo  del  Varchi  e  sebbene  altri, 
non  che  la  Crusca,  abbia  creduto  all'esistenza  di  una  moneta  di  tal  nome, 
l'A.  vuol  dimostrare  che  essa  non  fu  mai  battuta,  e  perciò  non  esiste,  e  che 
cotale  nei  passi  riferiti,  vai  soltanto  quanto  pezzo  o  coso:  e  la  dimostrazione 
ci  par  riuscitissima;  cosicché  deve  modificarsi  il  relativo  paragrafo  del  Vo- 
cabolario. 

.*.  Una  delle  ultime  pubblicazioni  cui  attese  il  compianto  dott.  Gammillo 
Vitelli  è  il  Catalogo  dei  codici  che  si  conservano  nell'Archivio  Rondoni  in 
P/sa,  pubblicato  nell' undecime  volume  degli  Sludj  Storici  (1902,  pp.  176  in 
16.°).  Per  la  maggior  parte  i  codici  descritti  sono  estranei  agli  studj  lette- 
rari e  riguardano  la  storia  di  Pisa.  Segnaleremo  solo  i  codici  83,  85  e  88, 
il  primo  dei  quali,  del  sec.  XV,  contiene  rime  del  Petrarca  e  di  altri  minori 
del  trecento;  il  secondo,  del  seicento,  ha  un  commento  alla  canzone  del 
Guinizelli,  Al  cor  gentil  di  "  G.  D.  Incognito  Contrario  „  ;  1'  ultimo,  come  il 
primo,  del  sec.  XV,  contiene  Tre  "  Epitome  ,  e  Otto  "  Chiose  „  della  Divina 
Commedia  in  terzine,  che  furon  già  pubblicate  dal  Raffaelli  nelle  Deliciae 
eruditorum  col  nome  di  Bosone  da  Gubbio  e  dal  Mehus  furono  restituite  a 
Mino  d'Arezzo;  il  compendio  della  Divina  Commedia,  che  va  sotto  il  nome 
di  Pietro  Alighieri  e  alcuni  frammenti  dei  Trionfi  del  Petrarca,  qualche  volta 
con  commento  volgare.  Nel  medesimo  codice  alla  fine  si  leggono  alcuni 
frammenti  della  Divina  Commedia  e  la  Canzone  di  Antonio  da  Ferrara  per 
la  supposta  morte  del  Petrarca. 

.•.  Abbiamo  innanzi  a  noi  il  1."  voi.  di  un'opera  periodica,  della  quale 
speriamo  sollecita  la  continuazione,  e  alla  quale  auguriamo  le  sorti  pili  felici, 
ed  è  il  Piccolo  Archivio  Storico  dell'antico  marchesato  di  Saluzzo  (Saluzzo, 
tip.  Bovo  e  Baccolo,  I,  1901,  di  pp.  384  in  16.°).  Esso  si  pubblica  sotto  il 
patronato  del  conte  Ludovico  di  Saluzzo-Crissolo,  colla  direzione  del  prof. 
D.  Chiattone  e  la  collaborazione  dei  protf.  Rinaudo,  Gabotto  e  Roberti.  Inutile 
il  dire  quanto  giovino  queste  pubblicazioni  speciali  alla  storiografia  generale. 
Può  dirsi  in  contrario  che  siffatto  lavoro  separato  disperda  le  forze:  ma  il 
vero  è  che  in  raccolte  di  tal  genere  si  raccolgono  molti,  e  non  inutili  docu- 
menti e  sludj,  che  non  troverebbe  'uogo  opportuno  in  altre  d'indole  pili  gene- 


DELLA    LETTERATURA   ITALIANA  207 

rale.  Certo  è  intanto  che  questa  prima  annata  dell'Archivio  Saluzzese  contiene 
molli  scritti  importanti  di  storia  e  letteratura,  memorie  e  varietà,  bibliografie 
e  cronaca.  Fra  gli  articoli  di  soggetto  storico,  notiamo  i  seguenti:  L.  G.  Pe- 
LissiER,  Il  tunnel  del  Viso;  F.  Gabotto,  La  guerrx  del  Conte  Verde  contro  i 
march,  di  Saluzzo  e  del  Monferrato  nel  1363 ;  G.  Roberti,  I  moti  di  Revello 
e  dell'  alta  valle  del  Po  in  Lnjlio  1791;  D.  Chiattone,  Della  podesteria  in  Sa- 
luzzo;  G.  F.  Savio,  /  conti  di  Cr issalo  ;  D.  Chiattone,  Edilizia  saluzzese  nei 
sec.  XV  e  XVI;  L.  Commenginger,  Zur  Geschichtc  der  missionare  auf  Sa- 
luzzo.  E  nella  parte  letteraria:  D.  Chiattone,  /  due  codd.  mss.  della  Francesca 
da  Rimini;  Una  lettera  di  S.  P.  a  S.  Marchisio;  Cimelj  patriottici  {In  gergo 
di  setta;  La  carta  senza  colla  del  vecchio  Schiller);  Come  fu  accolta  la  Fr.  da 
Rimini;  F.  Gabotto,  Lettere  ined.  di  S.  P.  a  C.  Muletti;  M.  Vicario,  Due  let- 
tere di  S.  R;  I.  RiNiERi,  //  Cola  di  Rienzi  di  S.  P.;  La  prima  poesia  di  S.  P.; 
C.  E.  Patkucco,  La  storia  nella  leggenda  di  Griselda;  C.  Moschetti,  Un  af- 
fresco del  principio  del  sec.  XV  (si  riferisce  ai  Disciplinati);  V.  Marsengo- 
Bastia,  Tre  lettere  di  Mons.  della  Chiesa  all'  Aprosio ;  C.  Flechia,  Un  mani- 
poletto  di  etimologie  saluzzesi  ecc. 

.•.  Il  sig.  Armando  Ferrari  annunzia  un'opera  utile,  che  sarà  pubblicata 
a  Milano  dalla  Libreria  editrice  nazionale,  vale  a  dire  un  Dizionario  Topo- 
grafico-storicobibliograftco  dei  Comuni  e  delle  frazioni  del  Regno  d'Italia, 
e  ne  manda  in  luce  un  primo  fascicolo  contenente  la  Prefazione,  che  rende 
conto  delle  intenzioni  del  compilatore,  e  parte  della  lettera  A.  da  Abano- 
bagni  ad  Acceglio.  Il  titolo  stesso  dichiara  il  carattere  dell'opera  e  ne  di- 
mostra r  utilità,  dacché  ogni  articolo  contiene  per  primo,  le  notizie  topogra- 
fiche e  statistiche,  cui  seguono  i  cenni  storici,  chiudendosi  con  una  indica- 
zioni delle  fonti,  a  cui  attingere  maggiori  ragguagli.  Quest'opera  che  si  an- 
nunzia di  10  voi.  di  circa  500  pagg.  a  due  colonne,  quando  sarà  finita,  terrà 
luogo,  come  chiaro  apparisce,  di  altri  libri  speciali,  e  sarà  utile  ad  ogni 
sorta  di  persone.  Noi  rammentiamo  che  un'idea  consimile,  quanto  almeno 
alla  parte  storica  e  bibliografica,  aveva  avuto  dopo  il  1860  Felice  Le  Mounier, 
e  che  ne  aveva  affidata  l'esecuzione  ad  Adolfo  Barloli.  Disgraziatamente 
rimase  interrotta  sul  principio,  e  dopo  che  già  ne  erano  slati  tirati  alcuni  fogli. 
Ma  se  fosse  arrivata  al  termine,  sarebbe  ormai  slato  necessario  rifonderla 
perché  profittasse  del  progresso  degli  sludi.  Noi  auguriamo  che  questa  im- 
presa, cui  si  aggiunge  utilmenle  la  parte  topografica,  sia  secondata  dal  pub- 
blico suffragio  e  che  risponda  per  esattezza  e  copia  al  fine  propostosi  dagli 
editori  e  dal  compilatore. 

.-.  Abbiamo  qui  addietro  (pag.  132)  dette  alcune  poche  parole  sul  no- 
stro perduto  amico  e  collaboratore,  Gaston  Paris.  Registriamo  qui  alcune 
commemorazioni  dell'insigne  maestro:  di  F.  D' Ovmio  nel  Fanfulla  della 
Domenica  del  15  maizo:  di  Pio  Rajna  nel  Marzocco  del  15  marzo;  di 
A.  D'Ancona  nel  Giornale  d'Italia  del  16  marzo;  di  H.  Morf  nel  Frank- 
furter Zeit.  del  12  marzo  (separateabdruck);  di  E.  Teza,  In  memoriam,  Pa- 
dova, Randi,  (seduta  dell' Acc.  di  Padova  dal  12  marzo);  di  V.  Cresgini,  Ve- 
nezia, Ferrari  (seduta  dell' IsL  Ven.  del  29  marzo);  di  Gabriel  Monod  (dal 
voi.  LXXXIl  della  Revue  histor.):  di  A.  D'Ancona,  Roma,  Salviucci  (seduta 
dell' Accad.  dei  Lincei  del  15  marzo  ecc.).  Pili   o   meno    ampie,  tutte  que- 


208  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

ste  commemorazioni  significano  l' affetto  e  la   venerazione  verso   l'estinto, 

e  deplorano  la  gran  perdita  fatta  dalla  scienza  per  la  sua  morte. 

.*.  Del  compianto  Gaston  Paris  esce  postumo  in  luce  un  nuovo  volume  miscel- 
laneo col  titolo  Légendes  pièuses  du  Moyen  Age  (Paris,  Hachette,  di  pp.  IV-293 
in  1(5.°),  che  sarà  accolto  con  non  minor  favore  degli  antecedenti.  La  breve 
avvertenza  preliminare  dice  come  il  voi.  fu  messo  insieme  con  tre  soli  sludj 
dapprima,  destinati  a  un  pubblico  culto  e  curioso,  ma  non  speciale:  e  sono 
Roncevaux  ;  Le  Paradis  de  la  Beine  Sibylle  ;  La  Legende  du  Tannhduser. 
Sembra  che  a  questo  punto  fosse  condotta  la  stampa,  quando  il  Paris  mori, 
sicché  per  compiere  il  voi.  si  ricorse  ad  altri  scritti  suoi,  pur  sempre  illu- 
stranti le  tradizioni  popolari,  ma  di  forma  maggiormente  scientifica:  e  sono 
Le  Juif  errant  e  Le  lai  de  l' Oiselet,  ne' quali  abbonda  la  discussione  delle 
fonti  e  l'apparato  erudito,  senza  tuttavia  cessare  dall'essere  di  gradevole  let- 
tura. L'ultimo  di  questi  scritti  era  men  nolo,  perché  pubblicato  la  prima 
volta  per  nozze,  secondo  l'uso  italiano,  e  perciò  fuori  di  commercio.  Questo 
volume,  che  ci  giunge  dalla  degna  compagna  del  Paris,  noi  lo  riceviamo 
con  sensi  di  dolore  mai  sopito  e  di  ammirazione  sempre  cresente.  Facciamo 
notare  ai  lettori  italiani  che,  la  maggior  parte  di  questi  studj  riguarda  la 
nostra  letteratura:  il  Roncevaux,  per  la  nostra  epopea  cavalleresca;  la  Regina 
Sibilla  e  il  Tannhduser,  perché  dalle  indagini  dell'autore  resulta  che  il  Ve- 
nusberg  ha  da  cercarsi  nel  nostro  Appennino;  le  Juif  errant,  perché  una 
parte  di  esso  discute  l'apparizione  in  Italia  del  misterioso  personaggio. 

.'.  Gì  perviene  un  voi.  di  480  pagg.  in  16."  stampato  a  Caltanisetta,  edito 
a  Palermo  presso  Sandron,  e  che  1'  autore  data  da  Niscemi.  Esso  ha  per  ti- 
tolo V.  Grescimone,  Saggi  critici  e  lelterarj,  e  in  un  breve  proemio,  l'autore 
ci  fa  sapere  che   "  la  pubblicazione  di  alcuni  dei   presenti  studj  è  possibile 

*  soltanto  mercé  l'affettuoso  zelo  del  prof.  V.  Reforgiato,  mio  antico  discepolo, 

*  il  quale,  in  un  tempo  in  cui  il  disordine  dell'anima  mia  si  rifletteva  su  tutte 

*  le  cose  mie,  andava  raccogliendo,  come  fossero  reliquie,  e  costudi  poi  ge- 

*  lesamente  una  grande  quantità  di  scritti  miei  „,  e  finisce  coU'attestare 
"all'egregio  professore  e  all'impareggiabile  amico  imperitura  riconoscenza, 
ponendo  in  fondo  la  sua  brava  firma:  V.  Grescimone.  Ora  noi  ci  troviamo 
dinanzi  a  un  imbroglio  o  ad  uno  scherzo  bibliografico,  perché  la  più  parte 
di  questi  Saggi  ci  sono  noti  a  stampa,  col  nome  di  V.  Reforgiato,  e  di  pa- 
recchi di  essi  abbiamo  via  via  dato  un  cenno  nelle  annate  decorse  della 
Rassegna.  Gi  limitiamo  pertanto  a  dire  che  le  materie  discorse  nel  voi.  sono 
le  seguenti  :  Le  Elegie  e  gli  Epigrammi  latini  di  B.  Rota  —  Il  pessimismo 
nel  Giobbe  del  Rapisardi  —  L' elemento  epico  nelle  Odi  Barbare  di  G.  Car- 
ducci —  Il  pensiero  letterario  di  G.  Mazzini  —  Le  rime  amorose  di  V.  Al- 
fieri —  Gli  Epigrammi  di  Giano  Pannonio  —  Le  contraddizioni  di  G.  Leo- 
pardi —  Shakespeare  e  Manzoni  —  La  parodia  omerica  in  un  dramma  dello 
Shakespeare  —  Donne  e  Frati  nei  novellieri  italiani  —  Giovanni  Meli  e  Gia- 
como Leopardi. 

.'.  Il  sig.  Emilio  Galvi  della  Alessandrina  di  Homa,  già  noto  per  accurate 
compilazioni  bibliografiche,  imprende  una  laboriosa  ed  utile  compilazione 
storica,  di  Tavole  sloriche  dei  Comuni  Italiani,  e  ne  dà  un  primo  saggio  che 
31  riferisce  alla   Liguria  e  al  Piemonte  (Roma,  Loescher,  di  pp.  74  in  8."). 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  209 

Comune  per  Comune,  se  ne  notano  le  vicende  politiche,  coli' indicazione  della 
data,  e  in  fondo  a  ciascun  articolo  si  registrano  le  fonti,  alle  quali  si  è  attinto. 
Ognun  vede  come  sia  giovevole  agli  studiosi  l'aver  un  libro  al  quale  ricor- 
rere per  sapere  qual  fosse  la  condizione  e  forma  di  governo  di  un  dato 
Comune  in  un  determinato  anno.  È  questa  un'opera  di  gran  fatica  a  chi  la 
compie,  e  di  grande  utilità  a  chi  vi  vorrà  ricorrere;  sicché  devesi  augurare 
che  il  favore  degli  studiosi  arrida  a  questo  primo  saggio,  sicché  l' autore 
proceda  alacremente  a  darci  per  tal  modo  la  storia  delle  altre  città  italiane. 
Questa  prima  parte  è  preceduta  da  una  lettera  del  prof.  A.  D'  Ancona  al 
compilatore,  nella  quale  meritamente  lodando  l'impresa,  si  suggeriscono 
alcuni  espedienti  che  la  rendano  maggiormente  proficua. 

.".  È  uscito  a  luce  la  Bibliographie  des  travaux  de  m.  Leopold  Delisle, 
il  dotto  amministratore  della  maggior  biblioteca  di  Parigi,  compilata  dal  sig. 
P.  Lacoìibe;  omaggio  a  lui  offerto  nel  cinquantesimo  anniversario  dell'en- 
trata sua  in  cotesta  Biblioteca  (Paris,  imprim.  Nation.  di  pp.  XXXVini-510 
in  8.°).  Il  bel  volume,  ornato  di  un  ritratto,  comincia  colla  lista  dei  sotto- 
scrittori, di  ogni  paese,  dove  non  manca  qualche  nome  italiano,  e  dopo  una 
introduzione  del  compilatore,  segue  la  bibliografìa  dei  lavori  del  Delisle  co- 
minciando dal  1847  fino  al  1902,  che  comprende  ben  1889  titoli,  ciascun  dei 
quali  è  opportunamente  illustrato.  Con  gentil  pensiero,  alla  bibliografìa  del  ma- 
rito, segue  quella  della  sua  signora,  che  uscita  dalla  casa  dei  Bournouf,  ha 
voluto  coi  proprj  scritti  onorare  la  memoria  de' suoi.  Vengono  per  ultimo 
tre  indici,  cioè  dei  periodici  in  che  si  trovano  scritti  del  Delisle,  di  questi 
stessi  in  ordine  alfabetico,  e  l' ultimo  di  persone,  luoghi  e  materie.  Questo 
volume,  che  è  un  omaggio  alla  scienza,  è  anche  per  la  varietà  delle  materie 
delle  quali  l'operoso  uomo  si  occupò  con  copia  di  fatti  e  profondità  di  ricer- 
che, un  sussidio  utilissimo  agli  studiosi  della  storia  e  cultura  dell'età  media 
e  delle  discipline  bibliografiche. 

.•.  I  parlari  dell' Engadina  erano  stati  finora  studiati  in  più  d'un  lavoro 
(chi  non  conosce  almeno  di  nome  i  Saggi  ladini  dell'Ascoli?)  dall'aspetto 
fonologico,  morfologico  e  lessicale;  ma  della  loro  sintassi  nessuno  s'era  oc- 
cupato di  proposito.  A  questa  parte  credette  bene  di  rivolgere  l'attenzione 
Enrico  Augustin,  che  nella  sua  dissertazione  di  laurea  uscita  ora  in  luce, 
espone  la  sintassi  del  basso  -  engadinese,  tenendo  conto  anche  dei  dialetti 
dell' Alta-Engadina  e  di  Val  Monastero  dove  divergano  dal  primo  (Unteren- 
gadinìsche  Syntax  mit  Bertlcksichtigung  der  Dialekte  des  Oberengadins  und 
Munsterthals,  Halle,  Karras,  8.°,  pp.  92).  L' autore  ci  fa  sapere  di  aver  fatto 
le  sue  osservazioni  principalmente  sulla  lingua  parlata.  Non  è  dell'indole  di 
questo  periodico  entrare  nell'esame  di  tale  lavoro,  del  quale  ci  basta  rico- 
noscere l'opportunità. 

.'.  Ad  attestare  che  gli  studj  dell'Indologia  vanno  ogni  giorno  più  acqui- 
stando tra  noi  serj  e  valenti  cultori  sta  il  pregevole  opuscolo  del  dott.  Vit- 
torio Rocca  :  Sul  valore  della  parola  *  barbaro  ,  in  India,  in  Grecia,  in  Roma 
(Livorno,  Giusti,  1903).  In  esso  l'A,  si  propone  di  rintracciare  l'origine  della 
parola  "  barbaro  ,  e  d'indagarne  la  storia  semassiologica  in  India,  in  Grecia 
ed  in  Roma.  Accennato  all'ordinamento  politico  delle  caste  e  alle  salde  r.^ 


210  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

dici  che  esso  prese  in  India  fino  dai  tempi  più  antichi,  l' A.  passa  a  ras- 
segna le  voci  "  dasyu  ,,  "  nileccha  „,  *  yavana  „  tra  quelle  che  adoperarono 
gl'Indi  a  designare  i  popoli  esclusi  dalla  loro  compagine  sociale.  Il  vocabolo 
"  barbaro  „  non  ricorre  nei  Veda,  e  però  l'A.  è  giustamente  indotto  a  con- 
getturare che  esso  sia  stato  importato  in  India  dalla  Grecia.  Tesse  quindi  la 
storia  della  parola  ^dcppapo  sul  suolo  dell'Eliade  e  sostiene  che  sia  d'ori- 
gine onomatopeica  e  non  derivi  da  alcuna  radice  comune  alle  lingue  ariane. 
Facile  poi  gli  riesce  dimostrare  che  detto  vocabolo  greco  fu  presto  adottato 
dai  Romani.  Certo  il  vasto  tema  poteva  essere  trattato  con  maggiore  lar- 
ghezza, massime  là  dove  si  parla  dei  confronti  tra  le  varie  parole  sanscritiche, 
che  designano  i  popoli  non  arj  ;  ma  nei  limiti  ristretti  assegnati  al  suo  la- 
voro l'A.  ha  pur  dato  prova  di  possedere  una  conoscenza  diretta  delle  fonti 
da  cui  attinge  il  materiale  per  la  sua  indagine,  e  di  sapere,  con  acutezza  non 
comune  d'ingegno,  trarre  dai  fatti  raccolti  illazioni  verosimili  e  soprattutto 
originali.  Dalla  solerzia  del  dott.  Rocca  ci  aspettiamo  quindi  frutti  maggiori, 
e  per  ora  ci  rallegriamo  con  lui  di  averci  dato  un  saggio  di  quello  che  egli 
può  e  deve  fare  in  vantaggio  degli  studj  dell'Indologia  nel  nostro  paese. 

.•.  Il  fascicolo  degli  Atti  della  R.  Accademia  della  Crusca  pubblicato 
quest'anno  (Firenze,  Tipogr.  Galilejana,  1903,  pp.  60  in  Ifi.")  contiene,  oltre 
il  solito  rapporto  del  Segretario  Guido  Mazzoni,  che  dà  conto  della  compi- 
lazione del  Vocabolario,  V Elogio  di  Vincenzo  De  Vii  letto  dall'accademico 
corrispondente  Giuseppe  Cugnoni.  Di  seguito  all'Elogio  è  stampato  un  utile 
elenco  delle  opere  del  De  Vit,  diviso  per  materie. 

.'.  Sotto  la  direzione  del  prof.  G.  Mazzoni,  il  tipografo  editore  Licinio 
Cappelli  di  Rocca  S.  Casciano  si  propone  di  pubblicare  una  collezione  di 
Indagini  di  storia  letteraria  ed  artistica.  Ne  sono  già  usciti  due  volumi: 
A.  Della  Torre,  Paolo  Morsi,  Contributo  alla  storia  dell'  Accademia  Pompo- 
niana  :  N.  Roggeri,  Vincenzo  Cuoco,  ed  è  prossimo  ad  uscire  un  terzo  :  C. 
Sgrilli,  Francesco  Carletti,  mercante  e  viaggiatore  fiorentino.  Di  questi  lavori 
parleremo  nei  prossimi  numeri  della  Rassegna,  e  intanto  auguriamo  ogni  più 
felice  successo  all'impresa  degna  di  plauso  e  d'incoraggiamento. 

.'.  Il  prof.  V.  Fresco  pubblica  alcune  Note  e  Appunti  su  M.  Randello  e  le 
sue  Novelle  (Camerino,  Savini,  di  pp.  46  in  16.»).  Lo  scritto  si  divide  in  due 
parti:  e  la  prima  tratta  degli  Studj  e  scritti  del  R.,  desumendo  le  notizie 
dalle  dedicatorie  e  dalle  novelle:  essa  contiene  ragguagli  non  inutili;  ma 
taluni  non  furono  avvertiti:  ad  es.  quello  offerto  dalla  dedica  della  58.», 
giorn.  I  circa  il  soggiorno  del  B.  al  convento  delle  Grazie  quando  vi  dipingeva 
Leonardo.  Ma  è  curioso  che  il  Fr,  stampando  nel  1903,  ignori  del  tutto  il  lavoro 
del  Morellini  già  uscito  nel  1899,  non  che  gli  articoli  di  H.  Meyer  neW Arch.  f. 
d.  Studium  d.  neuren  Sprach.  u.  Litter.,  che  sono  condotti  sullo  stesso  sistema 
da  lui  tenuto,  di  cavar  cioè  dalle  novelle  e  dai  proemj  le  notizie  della  vita  avven- 
turosa del  frate  lombardo.  Anche  rispetto  a  certi  personaggi  del  cinquecento 
mancano  particolari  che  offrivano  studj  recenti:  per  es.  a  pag.  17  parlando  del 
Fregoso  (Phileremo),  andava  citato  lo  scritto  del  Dobelli  sulla  Cerva  Rianca. 
Pur  qualche  cosa  di  notevole  v'ha  in  questa  parte:  la  notizia  (p.  19)  di  alcuni 
scritti  perduti  del  Randello,  specie  di  certi  Ragionamenti,  e  l'opinione  che 


DELLA   LETTE    ATL'RA    ITALIANA  211 

le  rime  per  Mencia  non  cantino  un  amore  del  Bandello,  ma  d'altri:  e  su 
questo  punto  sarebbe  stato  bene  estendersi  maggiormente  a  provarlo.  All'ul- 
timo sembra  che  Ta.  sia  stanco  di  seguitare  le  peregrinazioni  del  Bandello, 
perché  si  arresta  colle  indagini  al  1530,  mentre  altri  dati  biografici  offrono  pur 
sempre  le  Novelle  e  le  dediche  dopo  cotesto  periodo  :  né  cita  a  suo  luogo 
Io  scritto  del  Patrucco  sul  Bandello  a  Pinerolo.  —  La  seconda  parte  è  di 
illustrazione  di  alcune  Nof>elle:  e  il  tema  sarebbe  bello  e  licco;  ma  qui  è 
troppo  scarso,  e  in  generale  condotto,  a  quel  che  pare,  di  seconda  mano.  Un 
cultore  di  studj  speciali  di  novellistica  comparata  avrebbe  da  far  in  pro- 
posito moltissime  aggiunte. 

.'.  Il  prof.  Vittorio  Gian  dedica  all'  amico  Vittorio  Rossi,  di  recente  ri- 
sanato da  una  grave  malattia,  un  opuscolo  -  Soteria  -  in  cui  ha  pubblicato 
e  illustrato  Una  Satira  di  N.  L.  Cosmico  (Pisa,  Nistri,  1903,  pp.  28  in  16.»). 
Di  questa  satira  Apostolo  Zeno  indicò  un'  antica  stampa  s.  a.  n.  t.,  che  nes- 
suno ha  potuto  trovare;  perciò  il  Gian  l'ha  pubblicata  traendola  da  un  co- 
dice estense,  insieme  coi  due  sonetti  di  dedica  al  Magnifico  Tommaso  Mo- 
cenigo  e  alla  sua  illustre  consarte.  È  l'unico  documento  di  poesia  satirica 
che  il  Gosmico  ci  offra,  e  ricorda  le  satire-sermoni  del  Vinciguerra,  ma  è 
esempio  non  troppo  felice  della  sua  arte  di  poetare;  e  la  sua  importanza  è 
limitata  solo  a  quel  che  può  servire  per  la  storia  del  genere.  Il  Gian  ha 
apposto  alla  satira  alcune  note,  mostrando  le  molte  reminiscenze,  alcune 
anche  classiche,  sopratutto  da  Giovenale. 

.•.  Alle  pubblicazioni  bibliografiche  (vedi  addietro,  pag.  128)  uscite  in 
occasione  del  Gongresso  Storico  tenuto  a  Roma  nell'aprile,  tre  ancora  dob- 
biamo aggiungerne  : 

1.  L'Indice  decennale  tripartito  della  Miscellanea  storica  della  Valdelsa 
(Gastelflorentino,  Giovannelli,  di  pp.  122  in  16."),  pubblicato  dal  direttore 
0.  Bacci  e  compilato  a  cura  del  Segretario  M.  Gioni.  Precede  una  Notizia 
della  Società  Storica  della  Valdelsa,  che  rende  conto  dell'operato  della  me- 
desima in  dieci  anni  di  esistenza,  modesta  ma  feconda.  Seguono  gli  Indiri 
accuratamente  condotti,  e  sono  geografico,  cronologico,  e  onomastico.  Dopo 
questi  Indici  non  si  può  non  agurare  alla  Società  della  Valdelsa  lunga  vita, 
a  maggior  vantaggio  degli  studj  storici. 

2.  L'opera  della  Commissione  provinciale  di  Archeologia  e  storia  patria 
di  Bari  nel  ventennio  1882-1902  è  una  Relazione  del  Presidente  A.  Jatta 
(Bari,  Laterza,  di  pp.  27  in  16.°)  di  quanto  essa  Commissione  ha  fatto  e  pre- 
parato. Oltre  ad  aver  promosso  scavi  e  accresciuto  un  Museo,  la  Gommis- 
sione  ha  cominciato  la  stampa  del  Codice  diplomatico  barese  e  di  una  serie 
di  Monografie  e  Documenti,  de' quali  si  hanno  già  tre  voi.:  le  Cronache  dei 
fatti  del  1799  a  cura  di  G.  Geci,  la  Storia  degli  Sforzeschi  in  Puglia  e  Ca- 
labria di  L.  Pepe,  e  la  Puglia  nel  see.  XV  di  F.  Garabellese.  Altri  voi.  sono 
in  preparazione. 

3.  La  Società  Ligure  di  storia  patria  per  mezzo  del  prof.  G.  Gogò  rende 
conto  dei  suoi  lavori  dal  1858  al  L900  (Roma,  Artigianelli,  di  pp.  54  in  16."), 
riassumendo  quanto  essa  ha  operato  rispetto  all'  Archeologia  [Iscrizioni  e 
Antichità-Numismatica)  a  Storia  Civile  ed  Ecclesiastica  {Docmnenli  illustrali, 


,212  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

'^i.'  Cronache  e  Leggende,  Monografie,  Studj  lelterarj  e  poesie  storiche.  Leggi  e 
Statuti,  Cartografia,  Colonie,  Commercio,  Geografia,  Navigazioni,  Viaggi,  Ti- 
pografia) e  a  Belle  Arti.  Abbondanti  note  in  fondo  alla  relazione  offrono 
ragguagli  bibliografici  sui  singoli  scritti  delle  notale  categorie.  Forse  sarebbe 
stato  opportuno  ed  utile  soggiungere  un  Indice  bibliografico  per  autori  e  per 
materie,  di  ciò  che  è  contenuto  nei  più  che  trenta  volumi  degli  Atti  della 
Società  finora  pubblicati.  Vero  è  che  un  ragguaglio  di  ciò  che  è  in  ciascun 
volume  si  trova  registrato  sommariamente  nell'  Annuario  della  Società  per 
l'anno  1891  (vedi  Rassegna,  IX,  177). 


k.D'AvaoTii A  direttore  responsabile. 

Pi8»,TipoKrB«a  F.  M»riotU,  1908. 


RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

DELLA  LETTEUATMA  ITALIANA 

Direttori:  A.  D'ANCOKA  e  F.  FLAMINI.  Editore:  E.  SPOEBBI. 

Anno  XI.  Pisa,  Agosto-Settembre  1903.  N.  8-9. 


Abbonamento  annuo    \   ^H  pEgtJo*    ;    ;  ^*,'*  J.    \    Un  num.  separato  Cent. 


SOMMARIO:  F.  P.  Luiso,  Tra  chiose  e  commenti  antichi  alla  Divina  Commedia  (I.  Sa- 
nesi).  —  (ì.  Caponi,  Vincenzo  da  Filicaja  e  ìe  sue  opere  (G.  Manacorda).  —  J.  Oillié- 
RON  et  E.Edmont,  Atlaa  Unguistique  de  la  Frana  (P.  H.  Goidanich).  —  F.  Moroncini, 
Lezioni  storielle  di  letteratura  italiana  desunte  dalle  opere  di  Francesco  De  San- 
ctis  e  arìattate  ad  uso  delle  scuole  secondarie  ;  P.  Petboccui,  La  lingua  e  la  storia 
letteraria  d'Italia  dalle  origini  fino  a  Dante  (0.  Liaio).  —  A.  Belloni,  Frammenti 
dì  critica  letteraria  (D.  Provenza!).  —  Binte  antiche  senesi  trovate  da  E.  Molteni 
e  illustrate  da  V.  De  Bartholomaeis  con  appendice  (M.  Pelaez).  —  Comunicazioni. 
A.  Neri,  Alcune  rime  di  Gian  Vittorio  Rossi.  —  Annunzi  bibliografici  (Vi 
si  parla  di:  E.  Masi  -  (ì.  Volpi).  —  Cronaca. 


F.  P.  Luiso.  —  Tra  chiose  e  commenti  antichi  alla  Divina  Com- 
media: Capitolo  I,  Le  «  Chiose  »  all'Inferno  di  Iacopo  Alighieri 
sono  traduzione  informe  di  un  originale  latino  (estr.  daW  Arch. 
sfor.  ital,  disp.  1.*  del  1903).  —  Firenze,  tip.  Galileiana,  1903. 

In  questo  suo  notevolissimo  articolo  il  Lniso,  dando  prova  di 
molta  genialità  e  acume  critico,  propone  e  sostiene  una  tesi  as- 
solutamente nuova:  il  testo  delle  «Chiose»  all'Inferno,  che  si 
attribuiscono  comunemente  a  Iacopo  Alighieri,  lungi  dall' esser 
opera  del  figlio  di  Dante,  non  è  invece  che  una  traduzione,  anzi 
un  «  cincischiamento  e  deturpamento  in  lingua  volgare»,  di  un 
anterior  commento  latino  oggi  perduto.  Quella  oscurità  e  gof- 
faggine che  deturpa  le  «  Chiose  »  in  modo  quasi  inverosimile  e 
per  la  quale,  nel  maggior  numero  dei  casi,  non  arriviamo  neppure 
ad  intendere  che  cosa  il  chiosatore  abbia  voluto  dire,  quella  o- 
scurità  e  goffaggine,  di  cui  non  è  agevole  credere  che  potesse 
esser  reo  Iacopo  Alighieri,  tradisce,  quando  ben  si  consideri,  una 
forma  latina  che  è  stata  resa  volgare  da  un  interprete  grossolano, 
il  quale  né  conosceva  il  lessico  e  la  grammatica,  né  aveva  «  pe- 
«  rizia  nell'uso  della  lingua  viva».  Se  tentiamo,  infatti,  di  rico- 
stituire il  testo  latino,  cosi  rozzamente  e  meccanicamente  trave- 
stito dal  volgarizzatore,  vediamo  spesso  la  ragione  dei  suoi  stra- 
falcioni e  riusciamo  a  cogliere  il  senso  delle  sue  oscure  parole. 
E  appunto   questo  tentativo   di  ricostituzione  compie  il  Luiso, 

15 


214  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

recando  numerosi  passi  delle  chiose  volgari  e  proponendo  ie 
corrispondenti  frasi  latine  che  servono  a  dilucidarli  e  che,  per 
quanto  congetturali,  non  devon  certo  esser  molto  lontane  dal  testo 
originario. 

Alcuni  degli  esempj  che  il  Luiso  adduce  sono  quanto  mai 
persuasivi;  come  può  agevolmente  riconoscere  chiunque  rifletta 
per  un  momento  a  quelli  che  io  qui  riferisco: 

1.  «...  la  cui  vendetta  istoria  in  chotal  modo  permane  [=:cu- 
«  ius  vindictae  historia  in  hoc  modo  permanet  »]. 

2.  «  il  marchesse  Obizzo  da  Esti  in  chotal  modo  colpa  si  vede 
«[:=in  huius  modi  culpa  videtur]  ». 

3.  «  avendo  di  suo  dominio, cioè  di  suo  signiore  [=sui  domini]». 

4.  «tra' quali  acidiosi  e  iracundi  operanti  [=  accidiose  et  ira- 
«  cunde  operantesj  ». 

5.  «...  quella  (qualità)  che  a  sé  medesimo  personalmente  e 
«  reallemente  ofende  »  [=  «  personaliter  et  realiter  »,  cioè  «  in  per- 
«  sona  et  in  re]  ». 

6.  «  Dipartendosi  dalla  quinta  bolgia,  cioè  qualità,  la  sesta  in 
«questo  canto  chompiutamente  si  conchiude:  cioè  di  coloro  in 
«  chili  a  V  onesta  a  presenza  V  operatione  non  si  segue,  che  volgare- 
«  mente  ypocresia  si  chiama  ».  (Traduci  e  intendi  «  . .  .idest  eorum, 
«  in  quibus  honestae  apparcntiae  operatio  non  sequitur  »). 

7.  «  Si  come  per  falsatori  realmente  i  sopra  detti  Grifolino  e 
«  Cappochio  figurativamente  in  questa  cholpa  prima  si  pogniono, 
«  chosi  personalmente  di  due  qui  si  ragiona».  (Cioè  «falsatori 
«  delle  cose  »  e  «  della  persona  »). 

8.  «  le  cui  ardenti  infiamate  (Laurenz.  e  fiamanti)  qualitadi 
«  figurativamente  significanno  le  sueperfue  caldezze  false  che  i[n] 
«loro  animo  si  conservano».  (Si  parla  di  Ulisse:  caldezze  perciò 
sarà  riduzione  volgare  di  «  calliditates  »). 

Se  tutte  le  prove  addotte  dal  Luiso  fossero  della  stessa  im- 
portanza e  avessero  la  medesima  forza,  il  suo  scritto  aquisterebbe 
valore  di  dimostrazione  matematica.  Ma,  il  più  delle  volte,  non 
è  cosi;  e  le  sue  citazioni  e  le  osservazioni  con  cui  le  accompagna 
non  valgon  davvero  a  provare  che  le  chiose  attribuite  a  Iacopo 
siano  una  informe  riduzione  di  un  testo  latino  preesistente.  Non 
posso  qui  recare  molti  esempj  di  ciò  che  affermo  perché,  altri- 
menti, sarei  costretto  a  riprodurre  troppo  gran  parte  dell'articolo 
del  Luiso.  Basteranno  dunque  i  seguenti: 

9.  «  e  simigliantemente  in  chotal  colpa  morio  Pirro  figliuolo 
«d'Achille  si  chonsidera  [=  in  hac  culpa  mortuus  Pirrus . . . . 
«  consideratur]  ».  —  Il  mortuus  latino  si  prestava  tanto  bene  ad 
essere  ridotto  nel  volgare  morto,  anche  da  una  persona  ignoran- 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  215 

tissima,  che  la  forma  morio  non  può  ritenersi  indizio  di  erronea 
intelligenza  del  testo,  ma  bensì  semplice  errore  grafico. 

10.  «  In  questa  seconda  parte  qualità  per  simgliante  si  truova 
«  un  Fiorentino  [=  In  hac  parte  secundae  qualitatis]  ».  —  Un  vol- 
garizzatore, che  trad liceva  parola  per  parola,  come  apparisce  chiaro 
dall'esempio  6,  fino  a  distaccare  l'uno  dall'altro  due  dativi  che 
erano  invece  strettamente  congiunti,  avrebbe,  se  mai,  potuto  tra- 
durre (quando  avesse  avuto  dinanzi  le  parole  latine  proposte  dal 
Luiso)  «in  questa  parte  di  seconda  di  qualità»;  ma  perché  mai 
avrebbe  invertito  l'ordine  delle  parole  medesime?  L'oscurità,  dun- 
que, rimane;  e  nulla  ci  riconduce  ad  una  precedente  forma  latina. 

11.  «  ramentandoglisi  lardipe  (=  l'ardire)  che  per  suo  malie 
«  aquisto  di  sua  muneta  re  Charllo  di  Francia  aparentando  richiese 
«  per  la  qualle  sdegnio  none  avendo  il  detto  Re  accio  chonsentito 
«  la  Ciecilia  . . .  perdere  gli  fecie  ».  Laureila.  «...  richiese  per  lo 
«quale  sdegnio...»,  dove  il  pronome  relativo  è  accordato  nel 
genere  a  «  sdegnio  ».  E  qual  senso  hanno  tutte  queste  parole  ? 
Io  restituisco  il  genere  femminile  a  quel  relativo,  e  spiego,  tra- 
ducendo in  latino:  «  regem  Carolum  in  parentelam  petiit  (il  sog- 
«  getto  è  il  papa  Niccolò);  prò  qua  (cioè  parentela)  indignatus, 
«quum  nollet  dictus  rex  consentire  etc.  >/.  —  No.  Se  l'estensore 
delle  chiose  avesse  letto,  nel  testo  che  traduceva,  in  parentelam^ 
non  avrebbe  durato  fatica  a  ridurre  tali  quali  queste  parole  la- 
tine nelle  corrispondenti  volgari  in  parentela.  Per  spiegare  quello 
strano  aparentando,  s\  potrebbe,  se  mai,  pensare  ad  in  parentadum; 
ma  nulla  ci  autorizza  a  preferir  questa  forma  all'altra,  volgare, 
in  parentado  che,  per  un  grossolano  errore  di  scrittura  dell'ama- 
nuense, diventò  poi  aparentando.  Né  lo  sdegnio  ci  riconduce  ne- 
cessariamente a  indignatus,  potendo  benissimo  derivare  dal  vol- 
gare sdegnato. 

12.  «...  avaritia,  formata  in  lupa,  a  significhare  di  sua  bra- 
«  mosa  e  infinita  voglia  »  =  ad  significationem  suae  etc.  —  Anche 
qui  si  tratterà  di  un  semplice  errore  di  scrittura  (forse,  a  signi- 
ficare sua  bramosa?  o  a  significato  di  sua  bramosa?),  che  non 
presuppone  in  alcun  modo  la  forma  latina.  iSe,  infatti,  l'estensore 
delle  chiose  si  fosse  imbattuto  nel  significationem  proposto  dal 
Luiso,  lo  avrebbe  senz'altro  reso  coli' identico  significazione. 

13.  «  Delle  qualli  per  lo  sopra  deto  motore  il  (erroneamente 
«  il  Laurenz.  ha  in)  male  volere  co  l'  operationi  (Laurenz.  che 
«  IV operatione)  a  simigliante  efeto  producie,  si  considera  »  =  prò 
supradicto  motore  mala  voluntas,  quae  operationes  ad  similem 
effectum  producit,  consideratur.  —  Il  costrutto  delle  chiose  è, 
senza  dubbio,  in  questo  esempio,  come  nell'esempio  9,  latineg- 


216  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

giante;  e  forse  appunto  per  questo  il  Luiso  pose,  qui  e  là,  a  ri- 
scontro della  frase  volgare  il  corrispondente  periodo  latino.  Ma  si- 
mili costrutti  possono  ben  essere  originali,  e  non  già  tracce  o  resi- 
dui di  una  traduzione  dalla  lingua  dei  dotti:  non  ne  abbonda, forse, 
anche  la  prosa  dantesca  del  Convivio  P  II  sopra  citato  periodo  è 
deturpato  da  un  errore  puramente  materiale:  co  invece  di  che; 
e  questo  disgraziatissimo  co,  sfuggito  alla  penna  dell'  amanuense, 
non  ci  richiama  al  latino  quae  più  di  quel  che  possa  richiamarci 
al  che  volgare. 

Ho  già  detto,  e  ripeto,  che  la  maggior  parte  degli  esempj  ad- 
dotti dal  Luiso  non  hanno  maggior  valore  di  questi  su  cui  mi 
è  parso  bene  fermarmi.  Ora,  è  naturale  che  ciò  nuoccia  non  poco 
alla  chiara  e  precisa  dimostrazione  della  tesi,  e  che  renda  difficile 
il  conseguimento  di  un  assenso  pieno  e  incondizionato.  Io,  quanto 
a  me,  credo  che  il  Luiso  abbia  veduto  giusto  e  che,  nella  sostanza, 
debba  aver  ragione.  Ma  è  un  fatto  che  il  trovarsi  pochi  esempj 
veramente  significativi  mescolati  e,  quasi  direi,  dispersi  fra  tanti 
altri  esempj  del  tutto  insignificanti  dà  origine  ad  una  curiosa  e  pe- 
nosa perplessità:  sospingendo  i  lettori  ora  all'assentimento  e  ora 
alla  negazione;  facendo,  tratto  tratto,  balenar  la  certezza  dinanzi 
al  loro  pensiero  e  risommergendoli,  subito  dopo,  nell'incredulità 
e  nel  dubbio.  Forse  il  Luiso,  come  può  ricavarsi  da  queste  sue 
parole  che  riferisco  :  «  Scorriamo  ora  insieme,  o  lettore  paziente, 
«il  libro  oscuro;  e  attingendo  le  prove  giustificatrici  della  mia 
«fiera  denunzia,  proviamoci  a  rimuovere  in  qualche  parte  l'o- 
«  scurità  addensatavisi  per  il  concorrimento  delle  diverse  cause 
«su  accennate»  (p.  20),  si  propose  un  duplice  scopo:  quello  di 
recare  alcuni  esempj  che  fossei'o  veramente  atti  a  dimostrare 
l'esistenza  di  un  commento  latino  da  cui  devono  provenire  per 
dritta  linea  le  chiose  attribuite  a  Iacopo;  e  quello  di  rischiararne 
intanto,  giacché  si  trovava  a  discorrer  di  esse,  alcuni  luoghi  più 
difficilmente  intelligibili,  senza  curarsi  se  questi  altri  luoghi  ci 
presentino,  oppur  no,  un  tipo  latino.  Ma,  se  è  cosi,  egli  avrebbe 
dovuto  mettere  in  maggior  rilievo  il  duplice  fine  a  cui  tendeva: 
non  solo  dichiarandolo  con  più  aperte  parole,  ma  anche  raggrup- 
pando le  due  specie  di  citazioni  in  due  serie  distinte,  sicché  le 
une  non  venissero  a  confondersi  colle  altre  e  non  avessero  l'aria 
di  arrogarsi  tutte  ad  un  modo  il  valore  di  «  prove  giustificatrici  ». 
Intanto,  per  effetto  di  questa  infelice  confusione,  lo  scritto  del 
Luiso  non  riesce  cosi  persuasivo  come  avrebbe  potuto;  e  la  di- 
pendenza delle  chiose  volgari  da  un  commento  latino  apparisce 
quale  una  verità  intuita  piuttosto  che  dimostrata. 

Spero  che  il  mio  buono  e  valente  amico  non  si  dorrà  di  queste 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  2Ì7 

osservazioni.  Mi  auguro,  anzi,  che,  quando  egli  avrà  terminato  di 
pubblicare  neW  Archivio  storico  italiano  questa  sua  serie  di  studj, 
che  promette  fin  d'  ora  di  essere  interessantissima,  vorrà,  racco- 
gliendoli in  volume,  introdurre  nel  primo  capitolo  opportune 
modificazioni  e  correzioni  che  valgano  a  dissipare  ogni  dubbio 
e  a  rimuovere  qualsiasi  incertezza. 

Ireneo  Sanesi. 

G.  Caponi.  —  Vincenzo  da  Filicaja  e  le  sue  opere.  —  Prato,  Già- 
chetti,  1901  (pp.  430  in  16.°). 

Il  Filicaja  (1642-1707)  sorge  in  tempo  malaugurato  di  cruenti 
guerre  dinastiche,  di  slealtà  politiche,  di  dispotismo  bacchettone 
e  crudele,  di  ignoranza  e  di  miseria.  Langue  la  scuola  galilejana 
nei  suoi  divulgatori,  né  ancora  alla  morente  storiografia  soccor- 
rono la  speculazione  filosofica  o  la  ricerca  erudita;  ancor  piac- 
ciono al  poeta  eroico  Goifredi,  Tancredi  e  Rinaldi  combattenti 
con  serietà  e  pudicizia  guerre  di  fantocci,  ed  il  lirico,  che  sente 
sfuggirsi  l'ispirazione,  rinforza  toni  e  colori,  come  schermitore 
malsicuro  che  voglia  confondere  l'avversario  con  urli  e  minacele: 
vanamente  piagnucola  o  morde  il  moralista,  il  satirico.  E  popolo 
e  corti  troppo  spesso  tornano  dalle  prediche  pasciuti  di  vento, 
o  ai  turpi  lazzi  dell'ormai  cadente  Commedia  dell'Arte  plaudono, 
ignobilmente  indulgendo  alle  riposte  passioni. 

Era  tempo,  che  da  alcuno  si  studiasse  quanto  il  Filicaja,  di 
cui  le  diverse  età  han  dato  così  diversi  giudi zj,  abbia  concesso 
alle  tendenze,  ai  criterj,  ai  sentimenti  del  suo  tempo:  il  C.  si  è 
accinto  all'  opera  con  molto  amore  e  con  grande  studio  l' ha 
terminata.  I  risultati,  non  ostante  i  gravi  difetti  di  metodo  rico- 
nosciuti dall'A.  con  rara  modestia,  non  sarà  alcuno  che,  nel  com- 
plesso, non  voglia  accettare.  Certo,  se  fossero  state  tolte  le  molte, 
le  troppe  digressioni  di  incomparabile  ingenuità,  se  l'analisi  fosse 
stata  condotta  con  quella  sobrietà  che  al  critico,  e  non  solamente 
al  critico,  è  necessaria,  ^  e  se,  sopratutto,  la  forma  fosse  stata  pili 
corretta,*  l'opera  se  ne  sarebbe  assai  avvantaggiata.  Tuttavia, 

1  Era  conveniente  dedicare  ben  tredici  pagine  di  fittissima  stampa  a  raffronti  di  fiasi 
e  parole  tra  il  Filicaja  e  il  Petrarca  per  concludere  poi  che  il  secentista  non  fu  imitatore 
del  poeta  antico? 

2  Lo  stile  ora  involuto  e  contorto,  ora  languido  e  sciatto,  non  rende  davvero  piacevole 
la  lettura.  Improprietà  e  frasi  poi  del  genere  di  quelle,  che  tra  le  molte  scelgo  ad  es.,  come 
approvare  in  chi  deve  necessariamente  tarsi  giudice  dell'altrui  buon  gusto  e  correttezza? 
"arrivare  a  questo  deperimento  della  sua  fama,  (p.  15);  "il  poeta  ebbe  ad  introdurre  nella 
propria  arte...  non  poche  cose  che  egli  derivava  ecc.„  (p.  37;  cfr.  p.  128^  ;  "il  sentimento 
nudo  e  crudo  (sic)  non  basta  né  al  poeta  né  all'artista  ,  (pp.  83  e  84);  "due  poesie  cosi 
vicine  e  per  l'argomento  e  per  la  coinposizioue  „  (p.  99);  "  il  Filicaja  . . .  illustrò  incoscientemente 


218  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

pur  COSI  com'è,  per  l'abbondanza  della  materia  raccolta  e  ordi- 
nata con  diligenza  veramente  ammirabile,  rende  possibile  tale 
sicurezza  di  giudizio,  che  nel  passato  mancava. 

Il  Filicaja  gode  buona  nominanza  —  e  non  a  torto  —  per  le 
sue  poesie  politiche.  Vero  è,  che  i  sonetti  all'Italia  né  fremono 
armi,  né  chieggon  vendetta,  ma,  espressione  di  natura  delicata  e 
femminea  aborrente  dal  fragore  delle  armi  e  fiduciosa  in  Dio, 
muovono  con  tristi  querele  su  la  misera  destinata  alla  servitù  o 
alla  morte:  ad  altri  s'appartenne  di  risvegliare  con  più  gagliardi 
accenti  gli  smarriti  spiriti  degli  Italiani.  Ma  la  vittoria  degli  im- 
periali sulle  orde  turchesche  infiamma  il  poeta  di  ardor  sacro; 
pure  non  il  valore  polono  trionfa  nel  verso  rimbombante,  ma  la 
forza  della  Fede  ricacciante  l'Eresia  nell'Averno,  ma  la  vittoria 
di  Cristo  contro  Maometto.  E  la  Canzone  per  l'Assedio  di  Vienna, 
bel  contesto  di  classico  ordito  e  di  biblica  trama,  a  malgrado  di 
ogni  artificio  o  apostrofe  o  reticenza,  sfiderà  per  molti  anni  an- 
cora l'oblio  che  già  copre  quella  a  Leopoldo  1, inetto  principe 
gemente  presso  gli  altari  mentre  i  nemici  battono  in  breccia  le 
mura  della  città,  o  quella  a  Giovanni  Sobiesky,  a  cui  l'onore  della 
vittoria  è  conteso  dalle  forze  celesti  combattenti  in  suo  favore. 

Un  sentimento  religioso  intimo  e  ardente  pervade  la  poesia 
del  Filicaja,  e  non  è  rara  in  lui  la  contemplazione  mistica,  la  vi- 
sione, l'estasi,  onde  qualche  componimento  minaccia  conia  terri- 
bilità biblica  e  qualche  altro  carezza  con  la  soavità  francescana; 
ma  lo  scrupolo,  malattia  del  secolo,  spesso  l' affligge,  e  proponi- 
menti e  consigli  informati  a  unzione  religiosa,  e  panegirici  di 
santi  e  apologie  di  miracoli  ce  lo  mostrano  vincolato  alle  forme 
esterne  del  culto,  più  che  non  si  convenga  ad  un  uomo  di  fede 
illuminata  e  cosciente.  Non  ebbrezze  di  amanti,  non  sorrisi  di  na- 
tura accoglie  la  Musa  di  lui,  che  fin  neW Amore  onesto  intravede 
pericoli  e  che,  della  Croce  facendo  sua  Clio,  non  dagli  uomini  o 
dal  mondo  attende  felicità  perfetta.  L'amore  della  fama  soltanto 
—  pallido  raggio  di  classicità  —  si  fa  strada  nell'animo  suo  pur 
fra  le  ascetiche  contemplazioni.  E  grati  siamo  al  C,  che  ci  svela 
questo  nuovo  aspetto  del  poeta,  pubblicando  il  Prometeo,  tra   i 

[l'Arcadia]  ,  (p.  22G);  "Leggendo  questa  critica  e  questa  difesa  si  prova  tanto  stupore,  cbe 
non  fa  (sic)  uessuu  ettetto  le  conclusioni  a  cui  arrivano  e  il  criticante  e  il  difensore  ,  (p.  260); 
*  quello  [sonetto]  che  ho  citato  per  il  primo  pecca  di  incoiilinenzaiU)  nelle  ripetizioni  ecc.  „ 
(p.  272);  a  p. 279,  ad  evitare  i  fronzoli  esoinativi,  vorrebbe  che  il  Filicaja  ci  "avesse  dato 
dei  sonetti  o  senza  ìtna  quuitina  o  senza  una  terzina,  o  in  qualche  altra  maniera  monchi . . .  ,; 
a  p.  280,  l'a.  lamenta  in  persona  del  Filicaja,  cbe  nella  poesia  di  lui  si  possa  trovare.... 
"ben  misero  V  armamentario  rappresentativo  (V.);  "Cristo  nell'orto  e  toio  presso  alla  morte, 
(p,  283);  'n  Filicaja  ò  pieno  di  reminiscenze  di  se  stesso,,  (p.  302);  altrove  è  scritto:  "può 
essere  che  tutto  questo  ed  anche  altro,  ohe  lo  non  conosca,  abbia  esercitato  un'azione 
cumulatica  sul  Filicaja  „  (p328);  ecc.  ecc. 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  219 

migliori  componimenti  filicajani,  se  ben  lontano  dal  concetto   e 
dalla  grandezza  eschilea. 

Mala  classica  plasticità  delle  immagini,  onde  ancora  s' abbella 
la  poesia  del  Testi,  manca  a  quella  del  Filicaja.  Nella  quale,  il  dis- 
sidio tra  forma  e  pensiero,  principio  e  fonte  di  decadenza,  pili  grave 
forse  si  rivela  che  in  quella  dei  contemperanei.  Le  Muse  intrec- 
cianti  ancora  vaghe  danze  sotto  il  pennello  di  Giulio  Romano, 
fatte  cristiane,  si  battono  il  petto  e  ostentatamente  piangono  col 
Filicaja  i  proprj  peccati;  cosi  un  giorno  il  Pantheon  significò 
goffamente  coi  suoi  campanili  la  conversione  all^  nuova  fede.  Ma 
la  libertà  di  plagio,  tutta  cinquecentistica,  piace  anche  ai  poeti 
del  secolo  XVII,  e  l'Alighieri,  il  Petrarca  e  il  Tasso  sono  sac- 
cheggiati a  man  salva  dal  poeta  fiorentino,  che  al  Marino,  al- 
l'Achillini  ed  al  Preti  s' ispira  nelle  sue  arguzie  ed  antitesi.  Pure 
la  maestria  del  verseggiatore  i  ritmi  antichi  bellamente  accorda 
coi  nuovi,  e  tale  onda  d'armonia  ne  trae,  che  spesso  anche  il  critico 
più  guardingo,  appagato  e  sedotto,  condona  ridondanze  e  artificj. 

Guido  Manacorda. 


J.  GiLLiKRON  et  E.  Edmont.  —  Atlas  linguistique  de  la  France ;  l.*"^  fase.  — 
Paris,  H.  Champion,  1902. 

L'oggetto  di  questa  pubblicazione  è  estraneo  agli  sludj  di  cui  questa  ri- 
vista va  seguendo  il  movimento;  ma,  per  la  consuela  sua  larghezza  di  ve- 
dute, il  prof.  D'Ancona  ha  voluto  ch'io  ne  parlassi  in  questa  Rassegna,  nella 
speranza  che  giovani  italiani  vengano  stimolati  a  darci  un'  opera  di  pari 
utilità  anche  per  i  nostri  parlari.  Indicherò  dunque  la  natura  e  il  disegno 
deìV Atlas,  e  dirò  poi  quale  sarebbe  il  sistema  da  preferirsi  per  un'opera 
analoga  sui  dialetti  italiani. 

La  dialettologia  di  una  nazione  ha  due  intendimenti:  uno  storico,  l'altro  de^ 
scrittivo.  La  dialettologia  storica  studia  di  rifare  a  ritroso  l'evoluzione  dei  sin- 
goli dialetti,  dall'età  dei  più  antichi  documenti,  o  da  quelle  condizioni  primitive 
che  con  la  storia  comparala  di  idiomi  affini  si  possano  ricostruire,  fino  al 
momento  attuale.  La  meta  ideale  della  dialettologia  descrittiva  è  di  offrire 
una  informazione  esatta  e  compiuta  del  patrimonio  lessicale,  una  notazione 
precisa  delle  condizioni  fonetiche,  prosodiche,  accentuative,  una  descrizione 
morfologica  e  sintattica  di  tutti  i  dialetti  e  sottodialetti  di  una  nazione.  In 
tal  modo,  da  una  parte  devono  risultar  determinati  i  gruppi  principali  e  i 
sottogruppi,  in  tutta  la  loro  estensione,  e  nello  stesso  tempo  le  minime  va- 
rietà locali,  e  dall'altra  parte  deve  risultare  ben  distinto  quel  che  sia  comune 
a  tutto  il  paese,  a  pili  regioni,  e  quel  che  sia  propriamente  regionale,  distret- 
tuale 0  locale,  nel  lessico,  nella  fonetica,  nella  prosodia,  nell'accento,  nella 
morfologia  e  nella  sintassi. 

Un  lavoro  di  questa  che  ho  chiamato  dialettologia  descrittiva  è  l'opera 
insigne  dei  signori  Gilliéroo  ed  Edmont,  di  cui  oggi  ci  occupiamo. 


220  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Da  quella  che  ho  indicalo  come  la  mela  ideale  di  questi  studj  è  il  loro 
Alias,  come  si  può  facilmente  sospettare,  di  gran  tratto  discosto.  La  Francia 
sola  conta  37,000  comuni,  il  sig.  Edmont  ne  ha  esplorati  (chi  potrebbe  dire 
"  soli  ,  ?)  639,  e,  pur  questo  si  può  sospettare,  la  sua  indagine  dovette  re- 
stringersi ad  un  numero  limitato  di  parole  e  frasi. 

La  prima  parte  del  compito  prefìssosi  dagli  Autori  consisteva  nel  notare 
gli  equivalenti  dialettali  delle  forme  di  un  quistionario  in  un  certo  numero 
di  punti,  distanti  presso  che  ugualmente  gli  uni  dagli  altri,  di  tutti  i  dipar- 
timenti romanzi  della  Francia  e  delle  regioni  francesi  appartenenti  ad  altre 
unità  politiche. 

Questo  gravissimo  compito  fu  assunto  dal  sig.  Edmont;  il  quale  andò  pere- 
grinando per  più  di  quattr'anni  nel  dominio  linguistico  francese,  correggendo 
l'itinerario  anticipatamente  stabilito,  secondochè  l'esperienza  lo  consigliava. 

Il  quistionario,  pure  preventivamente  stabilito,  conteneva  :  1.°,  parole 
lessicali,  o  scelte  nel  repertorio  popolare  e  particolarmente  adatte  a  stabilire 
le  leggi  fonetiche  dei  parlari,  o  scelte  nel  repertorio  letterario  per  mettere 
in  luce  da  una  parte  il  grado  di  vitalità  dei  singoli  dialetti  e  dall'altra  la 
misura  dell'  invasione  del  linguaggio  parigino  nelle  provincie  ;  2."»,  parole 
di  tipo  popolare  che  si  sapeva  aver  equivalenti  lessicali  diversi  in  diversi 
territori;  finalmente,  frasi  semplicissime,  atte  a  dare  un'informazione  sulle 
forme  flessionali  del  verbo,  sulla  diffusione  di  certi  schemi  sintattici  e  sulla 
fonetica  di  proposizione. 

I  signori  Gilléron  e  Edmont  hanno  ben  diritto  alla  riconoscenza  degli 
studiosi.  L' opera  loro,  infatti,  offre  alla  scienza  gran  copia  di  materiali  nuovi, 
riproduzioni  graficamente  esatte  di  materiali  vecchi  e  informazioni  assai  più 
esatte  di  quanto  non  si  avessero  sulla  estensione  di  molti  fenomeni  fonetici 
e  sull'uso  delle  voci  e  frasi  del  quistionario. 

Compiuta  questa  esplorazione,  i  chiari  Autori  posero  mano  al  loro  ardito 
e  faticosissimo  disegno  di  trasportare  su  tante  carte  geografiche  le  rispon- 
denze dialettali  alle  singole  glosse  del  quistionario.  Un  tal  disegno,  anche 
se,  come  dovrò  dire,  io  lo  avrei  voluto  eseguito  in  altro  modo,  non  si  sa- 
prebbe abbastanza  lodarlo  :  solo  ad  un  profano  potrebbe  una  tale  idea  parere 
una  stranezza;  ma  probabilmente  nessuno  vi  sarà  fra  quanti  hanno  rivolta 
la  loro  attenzione  a  studj  dialettali  che  non  abbia  nel  suo  cassetto  qualche 
abbozzo  analogo  fatto  per  proprio  uso  e  consumo;  la  carta  è  per  il  dialet- 
tologo quel  che  la  figura  per  chi  s'occupa  di  problemi  geometrici;  inquan- 
ioché  la  carta  ci  permette  di  fissare  nella  memoria  nettamente  e  tenacemente 
l'estensione  geografica  dei  fenomeni  dialettali. 

II  primo  fascicolo,  che  solo  ho  sotto  gli  occhi,  deWAtlas  consta  di  44 
carte.  La  prima  contiene  i  nomi  francesi  delle  località;  accanto  al  nome  di 
luogo  è  indicata  in  parentesi  la  cifra  degli  abitanti;  un'altra  cifra,  scritta  in 
nero  sopra  o  sotto  il  nome  di  luogo,  indica  l'ordine  progressivo  delle  esplo- 
razioni fatte;  la  seconda  carta  contiene  i  medesimi  nomi  locali  nella  forma 
dialettale;  la  terza,  interessantissima,  ci  offre  la  forma  dialettale  degli  appel- 
lativi degli  abitanti;  dalla  quarta  in  poi  troviamo  le  risposte  dialettali  alle 
voci  e  frasi  del  quistionario  (per  esempio  ad  aheille,  à  V  abri,  acier,  il  s'a- 
genottilleraient,  moije  ne  Ics  aide  pas,  aller  chercher,je  vais,  tu  vas,  où  vas-tu, 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  221 

va,  nous  allons,  toi  tu  iras,  que  f  aille,  allez,  soni  aUés).  II  nome  del  luogo 
non  ricorre  se  non  nella  prima  carta;  nelle  carte  successive,  all'indicazione 
del  nome  locale  son  sostituite  le  cifre  d'ordine  dell'esplorazione.  Non  si  veda 
in  ciò  solo  una  semplificazione  del  lavoro  tipo-litografico;  è  questo  un  abi- 
lissimo mezzo  per  render  a  colpo  d'occhio  perspicui  nella  terza  carta  la 
estensione  geografica  dei  particolari  suffissi  formativi  nei  nomi  degli  a- 
bitanti,  nelle  successive  carte  l'estensione  geografica  dei  singoli  fenomeni 
fonetici  e  delle  parole  o  frasi;  solo  nella  seconda  carta,  che  contiene  i  nomi 
dialettali  dei  luoghi  corrispondenti  ai  nomi  locali  in  francese  letterario,  questo 
sistema  era  inutile,  ed  è  anzi  incomodo. 

A  N.  0.,  in  margine,  ciascuna  carta  porta  la  segnatura  delle  voci  o  forme 
di  cui  si  è  domandato  l'equivalente  dialettale.  Nelle  parole,  che  possono  a- 
vere  più  d' un' accezione,  alla  glossa  marginale  in  caratteri  neri  va  aggiunta 
fra  parentesi  l'indicazione  complementare  del  significato,  ad  es. :  aiguillon 
[de  guépe).  Per  indicazioni  su  altri  punti,  come  sulla  separazione  dei  nessi 
sintattici,  sul  valore  dell'  interpunzione  tra  forme  di  un  sistema  morfologico, 
come  in  ahcille,  abeilles-ayneau,  agneaux,  agnelle,  sui  criteri  dell'accentua- 
zione ecc.,  rimando  per  brevità  all'opuscolo  Notice  servant  à  l'intelli- 
gence des  Gartes. 

Ho  dato  cosi  un'idea  sommaria,  ma  spero  abbastanza  chiara,  sulla  natara 
e  la  composizione  di  questo  Atlas  linguistique  de  la  France.  Ho  detto  an- 
che del  suo  valore  e  della  sua  utilità;  se  qui  sotto  io  dovrò  muovere  qualche 
appunto  al  suo  organismo,  anticipo  la  dichiarazione  che  non  intendo  per  ciò 
di  diminuire  la  considerazione,  che  a  quest'opera  colossale  è  dovuta  dalla 
critica. 

Passo  ora  ad  esprimere  il  mio  avviso  intorno  al  modo  come  dovrebbe 
essere  organizzata  un'opera  analoga  sui  dialetti  italiani.  Questa  per  più  ra- 
gioni non  dovrebbe  essere  una  pedissequa  imitazione  dell'opera  francese. 
Stabilito  preventivamente  sui  materiali  già  noti  il  programma  della  ricerca 
in  un  quistionario  simile  a  quello  degli  Autori  francesi,  e  raccolti  sui  luoghi 
i  materiali  opportuni,  questi  andrebbero  prima  pubblicati  in  un  libro  ad 
illustrazione  sistematica  dei  singoli  quesiti  fonetici,  morfologici,  sintattici, 
secondo  l'ordine  in  cui  si  presentano  nelle  trattazioni  grammaticali.  A  questo 
libro  dovrebbe  poi  essere  aggiunto  come  appendice  1'  Atlante. 

Le  ragioni  di  questo  diverso  ordinamento  sono  ovvie.  Il  lettore  avrà 
veduto  dalla  mia  recensione,  che  ad  opera  compiuta  noi  avremo  neW  Atlas 
l.  d.  l.  Fi\  un  piccolo  lessico  vero  e  proprio,  esposto  su  carte  geografiche  ed 
ordinato  in  ordine  alfabetico.  Ora  non  si  riesce  quasi  a  persuadersi  del 
perché,  dopo  aver  durata  l'immane  fatica  che  ho  descritto,  i  due  chiari 
Uomini  si  siano  appagati  della  modesta  soddisfazione  di  offrire  agli  studiosi 
dei  materiali  grezzi,  sopratutto  quando  si  pensi  che  sarebbe  bastato  loro 
di  seguire  nella  pubblicazione  l'ordine  preventivamente  stabilito  nel  questio- 
nario. Si  opporrà  facilmente,  che  una  stessa  parola  può  servire  ad  illustrare 
da  per  sé  più  paragrafi  di  fonetica  ed  insieme  uno  di  morfologia  o  di  sin- 
tassi; ma  appunto  per  questo  era  opportuno  di  fare  dell'Atlante  l'appendice 
d'un  libro  sistematico,  dai  singoli  paragrafi  del  quale  si  rimandasse  ad  una 
o  più  d'una  delle  carte.  Si  noti  ancora,  che  le  carte  misurano  54X64  era.; 


222  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

si  pensi  che  i  romanisti  e  specialmente  gli  studiosi  di  dialettologia  avian 
da  ricorrere  ad  esse  quasi  continuamente  per  attingere  o  verificare  nozioni 
attinenti  a  singoli  problemi,  e  si  capirà  che  per  tale  ufficio  è  comodissimo 
il  libro,  e  che  un  Atante  delle  belle  dimensioni  dette  finisce  coli' essere  molto 
incomodo.  Né  si  obbietti,  che  1'  Atlante,  che  io  vorrei  l'appendice  di  un  libro, 
riuscirebbe  un  duplicato  del  libro  stesso;  l'Atlante,  come  ho  detto,  servirebbe 
sempre  ad  offrire  una  facile  e  comoda  visione  dell'insieme. 

Io  reputerei  inoltre  necessario,  che  nella  esplorazione  dialettale  del  nostro 
paese  si  tenesse  anche  conto  delle  cause  etnologiche,  storiche  e  geografiche, 
onde  ebbero  origine,  prima,  le  differenzifizioni,  poi,  i  livellamenti  dialettali. 
Supposto  che  occorra  per  taluno  esser  più  chiaro,  dirò,  seguendo  l'Ascoli, 
che  le  peculiarità  fonetiche,  onde  si  differenziano  i  varj  dialetti  di  un  tipo 
linguistico  unico,  s' hanno  ad  attribuire  alla  cosidetta  reazione  etnica,  cioè  al 
particolar  modo,  onde  l'organo  vocale  di  un  popolo  o  d'  una  tribii  riprodusse 
foneticamente  la  lingua  impostagli.  Ma  i  varj  coloramenti  iniziali  sogliono 
andar  sbiadendo  ed  acquistando  una  tinta  uniforme  su  vasta  scala.  Condi- 
zione perché  ciò  s' avveri  è  la  frequenza  dei  commerci  ;  e  questa  frequenza 
è  determinata  dalle  condizioni  fisiche  e  politiche  di  una  regione;  e  due  ag- 
gregati politici  limittofi  sogliono  anche  esercitare  ciascuno  per  suo  conto 
una  attrazione  centripeta,  pur  se  le  condizioni  naturali  del  paese  sian  siffatte 
da  avviare  i  commerci  per  altre  vie.  Noi  conosciamo  un  po' all' ingrosso  l'ef- 
ficacia linguistica  assimilatrice  che  esercitarono,  in  proporzioni  assai  più 
grandi  che  non  la  lingua  letteraria,  i  dialetti  parlati  nelle  capitali  degli  sta- 
lerelli,  nei  quali  la  nostra  Italia  fu  divisa,  sulle  parlate  dei  territori  a  quegli 
stati  pertinenti. 

Di  tutte  queste  cause  geografiche  e  politiche  e  degli  effetti  loro  andrebbe 
tenuto  esatto  conto  e  nota  nella  esplorazione  e  poi  fatta  relazione  nel  libro 
e  nell'Atlante.  Certo  non  sarebbe  facile  fissare  tutte  queste  condizioni  su 
carte;  ma  mani  esperte,  come  ad  es.  quelle  del  Pullè,  che  nell'Atlante  an- 
nesso al  suo  Profilo  Antropologico  dell' Italia  ci  ha  dato  mirabili  saggi  di 
evidenza  cartografica,  potrebbero  vincere  le  difficoltà.  Anche,  i  limiti  geogra- 
fici esatti  -  tanto  interessanti  per  noi  -  dei  singoli  fenomeni  potrebbero  es- 
sére descritti  su  cartine  oro-idrografiche  minori,  intercalate  magari  nel  libro. 

In  ogni  modo  però,  la  redazione  preventiva  del  quistionario  -  e  sarebbe 
una  fortuna  che  essa  potesse  eventualmente  esser  fatta  sotto  la  direzione 
dell'Ascoli  -  non  potrebbe  essere  indipendente  dal  quistionario  francese;  ciò 
sopralutto  per  riguardo  alla  parte  lessicale.  Assai  spesso  in  questo  la  Francia 
meridionale  si  discosta  dalla  settentrionale  e  si  avvicina  al  tipo  italiano; 
sarebbe  bene  far  risaltare  quelle  identità;  e  tanto  meglio  se  si  potessero  porre 
in  rilievo  anche  le  differenze  tra  i  due  territori;  con  ciò  si  verrebbe  anche 
a  dar  precisa  materia  per  un  capitolo  sulla  fortuna  del  latino  volgare. 

L' esecuzione  del  piano  da  me  tracciato  richiederebbe  certo  ancora  mag- 
gior tempo  e  fatica  che  non  abbia  richiesto  l'opera  egregia  dei  Francesi; 
tuttavia  si  pensi  che  l' Edmont  fu  solo  ad  eseguire  le  esplorazioni  sul  ter- 
ritorio francese,  e  che  una  doppia,  tripla  mole  di  lavoro  si  otterrebbe,  se 
gli  esploratori  fossero  due  o  tre. 

Del  resto,  il  meglio  è  nemico  del  bene,  dice   il   proverbio;  e  formulo  il 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  223 

voto  che,  comunque,  questo  lavoro  dialettale  per  l'Italia  si  faccia.  Si  faccia 
almeno,  perché  è  indispensabile,  il  libro,  con  le  cartine  intercalate  che  ho 
detto;  fissate  precisamente  le  condizioni  attuali,  la  redazione  dell'Atlante, 
come  d'un' opera  di  lusso  e  solo  sussidiaria,  potrà  essere  rimessa  all'avve- 
nire. A  vincere  lo  sgomento  della  immane  fatica,  pensino  coloro  i  quali 
vagheggiassero  un  tal  disegno  che  legherebbero  il  loro  nome  ad  un'opera 
imperitura.  E  al  voto  che  l'opera  si  faccia,  aggiungo  anche  il  voto  che  si 
faccia  presto.  L'azione  livellatrice  dei  capoluoghi  sui  dialetti  di  provincia 
perdura  perenne,  e  più  grave  di  prima,  per  l'unità  politica,  diviene  l'azione 
analoga  della  lingua  letteraria.  Ad  ogni  lustro  che  passa,  per  i  facilitati 
commerci,  un  sempre  più  vigoroso  colpo  è  inferto  da  quegli  inesorabili  e 
sempre  più  forti  eredi  sul  corpo  stremato  delle  variopinte  parlate  italiane, 
viva  e  cara  reliquia  dei  tempi  che  furono. 

P.  G.  GoiDANICH. 


Francesco  Mokoncini.  —  Lesioni  storiche  di  letteratura  italiana  de- 
sunte dalle  opere  di  Francesco  De  Sanctis  e  adattate  ad  uso  delle 
scuole  secondarie.  —  Voi.  1,  Napoli,  Morano,  1902  (pp.  XII-518). 

PoLicAUPO  Petrocchi,  —  La  lingua  e  la  storia  letteraria  d^  Italia 
dalle  origini  fino  a  Dante.  —  Roma,  Loescher,  1903  (pp.  304). 

Quando  si  ha  per  le  mani  alcun  libro  simile  a  questi  che  sono 
per  esaminare,  si  corre  subito  con  la  mente  a  quell'ideale  di  storia 
letteraria,  che  ogni  onesto  insegnante  delle  scuole  secondarie 
viene  vagheggiando  via  via,  senza  pur  mai  tentare  di  attuarlo, 
incerto  ad  ora  ad  ora  tra  le  esigenze  degli  studiosi  incontentabili, 
per  cui  anche  tutto  non  è  mai  troppo,  e  le  voglie  degli  studenti, 
facilissimi  a  contentare,  per  cui  anche  il  poco  è  sempre  troppo. 
E  l'ideale  storia,  per  i  licei  o  per  altro  simile  istituto  o  anche 
per  le  persone  di  media  cultura,  si  fa  presto  a  tratteggiarla.  Uno 
sfondo  storico,  civile  religioso  sociale;  una  cornice  artistica,  scien- 
tifica; una  fila,  parecchie  file,  di  piccole  figure,  un  po'  velate  dalla 
lontananza  o  dalla  nebbia  grigia  a  pena  a  fior  di  terra;  gul 
davanti,  con  forte  rilievo  prospettico,  poche  figure  gigantesche: 
e  il  quadro  è  beli' e  disegnato.  Ma  siccome  bisogna  scrivere,  com- 
porre, ecco  che  i  fatti  ed  i  concetti,  generali  e  particolari,  si  serrano 
tra  loro  con  i  legami  logici  della  possibile  causalità,  ecco  che  si  ri- 
connettono alla  creazione  de' capolavori  ;  e  questi,  sopratutto  que- 
sti, si  analizzano  nell'intima  contenenza,  nella  forma  artistica  che 
finalmente  hanno  preso.  E  tutto  va  esposto  con  lucidità,  con  fa- 
cilità; ed  ogni  piìi  astrusa  idea  va  ridotta  ad  espressione  concreta 
intelligibile  a' più;  e  la  mole  de' fatti  e  de'giudizj  va  ristretta  in 
breve  rapido  discorso.  Che  l'alunno    non  ha,  non  può  avere,  il 


224  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

tempo  di  studiarsi  il  testo  di  storia,  come  quello  d' un  classico,  né 
possiede  la  capacità  di  stillare  dal  testo  il  succo,  di  trarne  le  po- 
che formole  entro  cui  costringere  le  notizie,  i  giudizj  necessari 
alla  sua  cultura.  E  la  breve  storia,  d'altro  lato,  deVe  essa  fornire 
all'insegnante  come  lo  spunto  per  la  illustrazione  opportuna,  non 
già  imporgli  la  triplice  fatica  della  spiegazione,  della  eliminazione, 
del  riassunto.  11  migliore  e  il  maggior  tempo  della  scuola  dev'es- 
sere consacrato  alla  lettura  de'  classici. 

A  tutto  questo,  ripeto,  si  pensa,  quando  si  hanno  per  le  mani 
libri  come  questo;  e  la  comparazione  tra  l'imagine  vagheggiata  e 
la  realtà  stampata  riesce,  naturalmente,  a  svantaggio  dell'  ultima. 
Non  farà  quindi  meraviglia  se  io,  giudicando  modestamente  da 
insegnante  liceale,  affermo  che  né  l'una  né  l'altra  di  queste  re- 
centi storie  letterarie  risponde  a'  fini  scolastici. 

Si  può  imaginare,  per  il  solo  primo  corso,  un  libro  di  testo 
di  431  pagine?  ed  un  altro  che,  in  300  pagine  arriva  a  mala  pena 
all'esilio  di  Dante,  allo  spuntare  del  secolo  XIV? 


* 

*     * 


Al  valente  prof.  Francesco  Moronciniè  parso  opportuno  formare 
un  testo  di  storia  letteraria,  ponendole  a  fondamento  il  pensiero  e  il 
giudizio  di  Francesco  De  Sanctis,  integrandola  coi  risultati  della 
critica  storica  e  filologica  ultima  nelle  parti  o  neglette  o  errate 
dallo  scrittore  meridionale.  E  ne  ha  tratto  fuori  un  libro,  di  cui 
un  quarto,  o  poco  meno,  riguarda  le  origini  etniche  e  glottolo- 
giche dell'Italia  moderna,  la  letteratura  medievale  latina,  proven- 
zale, francese,  gli  scrittori  delle  origini  e  i  minori  e  mediocri  del 
Trecento  ;  i  tre  quarti  rimanenti,  si  può  dire,  son  consacrati  a'  tre 
grandi. 

L'evidente  sproporzione  per  sé  sola  non  guasterebbe,  se  le  file 
schierate  delle  piccole  figure  non  fossero  come  svanite  all'  oriz- 
zonte, se  non  ne  fosse  risultata  una  quasi  totale  mancanza  di  sfondo 
storico.  Noi  vediamo  i  tre  grandi  giganteggiare  come  in  una 
campagna  rasa  per  guerra;  poche  erbacce  resistenti  vi  spuntano 
qua  e  là.  Tutto  il  fervore  di  vita  politica,  di  vita  scolastica,  di 
vita  artistica,  che  ribolle  in  que' primi  secoli,  che  all'occhio  non 
svigorito  da  miopia  sembra  aver  dato  a'genj  motivo,  incentivo, 
educazione,  materia,  appare  qui  sedato,  o  per  scarsi  accenni  s'in- 
dovina a  mala  pena.  La  diversità  de'  tempi,  causa  efficiente  non 
de'genj,  ma  del  loro  diverso  pensare  e  atteggiarsi,  se  talvolta 
sembi'a  indicata  o  anche  tratteggiata,  non  è  però  svolta  né  il- 
lustrata come  pur  si  dovrebbe. 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  225 

Questo  difetto  altri  potrebbe  attribuire  al  De  Sanctis,  non  al 
Moroncini.  Ma  è  ben  male  (o  mi  sbaglio  forse  ?)  aver  voluto  in- 
tegrare il  De  Sanctis;  la  cui  opera  (intendo  specialmente  la  Storia 
Letteraria)  è  concezione  critica  a  sé,  opera  d'arte  vera  e  propria 
di  quell'ingegno  singolare.  Né  mi  sembra  lecito  rimaneggiarla, 
come  si  farebbe  di  un  libro  qualunque  d' erudizione  pura  e  sem- 
plice, tanto  che  le  parti  originali  vadano  confuse  con  quelle  ag- 
giunte :  né  mi  sembra  cosa  molto  riverente  verso  il  De  Sanctis 
riprodurne  passi  interi,  con  periodi  tagliati  via  ovvero  corretti 
0  rifatti  nella  lingua  e  nella  sintassi.  Confronti,  chi  voglia  for- 
marsene un'idea,  il  §  35  della  lezione  XII,  epilogo  al  discorso  su 
Dante,  con  la  corrispondente  chiusa  del  cap.  Vili  della  Storia. 

Anche  l'ordinamento,  l'aggruppamento  de' fatti  letterarj  la- 
scia molto  a  desiderare. 

10  voglio  pur  riconoscere  che  a  porre  Dante,  come  il  frutto 
ultimo  della  vita  letteraria  del  Comune  italiano,  e  di  tutto  il  primo 
Trecento  il  Petrarca  e  il  Boccaccio,  l'autore  dev'essere  stato 
mosso  da  un  concetto  più  tosto  artistico  che  storico  di  conipo- 
sizione.  I  veri  frutti  furono  dati  da  essi.  Ma  chi  è  avvezzo,  e  non 
credo  male  avvezzo,  insegnando,  ad  unire  in  armonia,  per  quanto 
sia  possibile,  l'ordine  cronologico  e  l'ordine  logico;  si  deve  sen- 
tire a  disagio  di  fronte  a  Gino,  a' Villani,  al  Passavanti,  a  Cate- 
rina da  Siena,  collocati  tutti  prima  di  Dante.  E  l'amore  alla  cate- 
goria degli  imitatori  non  fa  si  che  di  Cecco  d'Ascoli  si  discorra 
dopo  il  Boccaccio  e  il  Petrarca? 

11  Morondni  ordina  la  materia  che  riguarda  i  tre  grandi  con 
questo  sistema:  ne  narra  prima  la  vita,  ne  rappresenta  in  breve  il 
carattere;  poiclassifica, espone,  giudica  le  opere  minori;  in  fine,  pro- 
cede all' analisi  del  capolavoro.  Confesso  che  il  sistema  conferisce 
alla  chiarezza,  facilita  l'apprendimento:  ma  esso  deve  riuscire  per  Io 
meno  discutibile  a  chi,  avendo  presente  il  metodo  del  Gaspary, 
seguito  poi  largamente  e  con  frutto,  mal  si  appaga  di  questa - 
specie  di  stacco  profondo  tra  la  vita  e  le  opere  dello  scrittore. 

La  parte  aggiunta  dal  Moroncini  dimostra  senza  dubbio  sicura 
informazione  del  materiale  storico  accumulato  dagli  ultimi  studj; 
e  si  adorna  di  un  bel  pregio,  non  comune;  l'esposizione,  cioè,  ne 
riesce  lucida  e  ordinata.  Ricordo,  a  prova,  i  cinque  capitoli  del- 
l'Introduzione e  il  capitoletto  sul  petrarchismo.  Ma,  dove  egli 
riprende  dal  De  Sanctis,  gli  avviene  qua  e  là  di  riuscire  impreciso 
o  avventato;  si  affida  troppo,  mi  sembra,  all'affermazione,  al  giu- 
dizio estetico  di  lui,  senza  aggiungere,  dove  pur  si  potrebbe  e  si 
dovrebbe,  il  proprio  grano  di  sale. 

Di  Guido  Guinizelli,  ad  esempio,  egli  non  dice  chiaro  se  fu  poeta 


226  RASSEGNA    BIRI.IOORAFICA 

o  no,  e  in  quali  rime;  di  Gino  da  Pistoja  afferma  che  «  crea  una 
scolastica  poetica,  una  retorica  ad  uso  dell' amore. ..  dove  vedi 
comparire  gli  spiritelli  d'amore»,  preesistenti,  come  ognun  sa,  in 
tutta  la  lirica  del  dolce  stil  novo. 

Il  Sacchetti  è  conciato  con  questo  reciso  giudizio:  «egli  non 
«  è  artista,  né  pur  d' intenzione  ».  Certi  ambasciatori  del  Casen- 
tino delle  novelle  e  certe  «  creature  d' amor  »  delle  ballate  pro- 
testerebbero, a  dir  vero.  Altrove  la  soverchia  riverenza  per  il  De 
Sanctis  gli  fa  dir  troppo  male  della  canzone  «  Spirto  gentil  »,  una 
delle  pili  gravi  e  appassionate  poesie  per  il  Muratori,  il  Voltaire  e  il 
Carducci.  Per  la  stessa  ragione  non  mi  pare  bene  inteso  il  passaggio 
logico  (e  quindi  la  sua  ragion  d'essere)  alla  stanza  VII  della 
canzone  «  Italia  mia  ».  La  stanza  riesce  tutt'  altro  che  fredda  e 
fuor  di  posto  a  chi  consideri  come  l'argomento  più  grave,  più 
commovente,  per  i  signori  di  quell'età,  doveva  esser  proprio  il 
pericolo  di  perdizione  che  l'anima  loro  correva,  qualora  essi  per- 
durassero nelle  fatali  discordie.  Anche  un  poeta  moderno  collo- 
cherebbe da  ultimo,  se  non  altro,  il  pensiero  della  vita  breve, 
della  morte  vicina,  come  freno  a  tutti  gli  orgogli  umani. 

Conchiudendo:  noi  ci  saremmo  aspettati  che  la  ricca  corrente 
di  pensiero  critico  proprio  al  De  Sanctis,  immessa  nella  corrente 
copiosa  delle  notizie  e  de'  giudizj  storici,  ultimamente  acquisiti, 
avesse  dato  luogo  a  fiume  nuovo.  In  quest'opera,  al  contrario,  i 
rivi  delle  due  correnti  sono  come  sviati  e  irretiti  tra  loro:  le  acque 
non  mi  sembrano  rimescolate  e  fuse. 

L' utilità  reale,  che  io  credo  si  possa  trarre  dalla  lettura  di 
questo  libro,  consiste  nella  conoscenza  piena  de' tre  capolavori  tre- 
centistici, che  si  acquista  dall'analisi  rifatta,  di  «u  tutta  l'opera 
del  De  Sanctis,  e  disposta  con  lucido  ordine,  con  opportuna  par- 
tizione. ^ 


*     * 


Ad  una  simile,  non  uguale,  conclusione  ci  porta  anche  l'esa- 
me del  libro  del  Petrocchi;  a  consigliarlo  cioè  come  buona  let- 
tura, ma  per  diversa  ragione. 

Il  filologo  toscano,  alla  cui  erudizione,  alla  cui  acutezza  inge- 
gnosa toglieva  di  serenità  e  di  pregio  certa  subiettività  passio- 
nata, prima  che  morte  immatura,  improvvisa  lo  cogliesse,  aveva 
apparecchiato  ricchissimi  materiali  per  una  nuova  Storia  lette- 
raria dell'Italia,  da  lui  vagheggiata,  cosi  per  ogni  genere  di  per- 


1  In  fondo  al  volume  son  riprodotti  per  intero  i  quattro  saggi  danteschi  dej  pe  Sanctis 
sa  la  Francesca,  sul  Farinata,  su  Pier  delle  Vigne,  sul  Conte  Ugolino. 


I 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  227 

sone  colte,  come  per  gli  alunni  delle  scuole  secondarie.  Tanto  ci 
assicura  l'ottimo  prof.  Mario  Menghini  nelle  due  belle  affettuose 
pagine,  con  cui  chiude  l'opera  interrotta  in  sul  IX  capitolo  della 
parte  consacrata  al  Duecento,  cui  precede  in  quattro  capitoli  una 
Introduzione  su  le  origini  delle  lingue  e  letterature  neo-latine, 
sulla  coltura  del  Medio  Evo  e  su  la  letteratura  medievale  ante- 
riore alla  nostra.  L'opera  si  arresta,  l'ho  detto  già,  all'esilio  di 
Dante;  cosi  che  noi  non  possiamo  misurare  tutto  il  valore  del 
Petrocchi,  come  potremmo,  se  egli  si  fosse  cimentato  con  una 
almeno  delle  tre  corone,  con  uno  almeno  de' capolavori. 

Anche  dell'epoca  trattata  ci  mancala  piena  rappresentazione; 
poiché  nulla  si  dice  della  prosa  nel  periodo  delle  origini;  ed  è 
materia  difficile  e  degna  d' essere  studiata  novamente.  A  questa 
lacuna  si  aggiunge  un'altra,  per  naturai  conseguenza.  Come  il 
Petrocchi  non  c'informò  degli  influssi  che  sul  sorgere  della  prosa 
d'arte  volgare  potettero  avere  le  scuole  di  grammatica  annesse 
alle  scuole  di  notarla,  e  delle  epistole,  de' parlamenti,  delle  dicerie 
in  volgare  non  curò  l'esame;  così  non  mise  nel  debito  rilievo  quanta 
parte  ebbe  su  la  prosa  e  su  la  poesia  nostra  la  scuola  di  retorica 
latina,  tutta  nazionale  e  già  a  poco  a  poco  maturantesi  classica. 

Ma,  pure  cosi  com'è  rimasta,  quest'opera  ci  lascia  il  desiderio 
di  quella  parte  che  la  morte  impedì  fosse  compiuta.  Né  il  desi- 
derio intiepidirà  per  altri  difetti  generali  o  particolari.  La  storia 
della  trasformazione  del  latino  ne'  volgari  romanzi  cede  senza 
dubbio  per  limpidezza  e  profondità  a  quella  rapidamente  trat- 
teggiata dal  Rajna.  Nell'ordinamento  della  materia,  Gino  da  Pi- 
stoia (e  forse  anche  Francesco  da  Barberino)  mi  sembra  mal  col- 
locato prima  di  Dante,  e  pur  male  dopo  Jacopone  i  primi  versi- 
ficatori in  dialetto  lombardo.  Questa  specie  di  precedenza  che 
la  Lombardia  si  acquista  nella  produzione  volgare  non  è  per  nulla 
notata  e  spiegata.  Né  so  qual  necessità  logica  di  causalità  o  qual 
intimo  rapporto  interceda  tra  la  dottrina  filosofica  del  dolce  stil 
novo  e  «  l' energia  materiale  accumulata  »  che  «  si  cangia  in 
«  energia  fisica  e  intellettuale,  in  energia  ideale  e  va  presto  alla 
«  meta  »  (p.  241).  Nella  composizione  dell'opera  urta  la  mancata 
fusione  di  molte  notizie  storiche  cosi  della  vita  e  delle  opere  degli 
scrittori,  come  di  altri  fatti  e  problemi,  con  la  narrazione  e  rap- 
presentazione generale.  Onde  l'autore,  per  non  venir  meno  agli 
obblighi  suoi  verso  la  scuola,  dovette  confinare  parecchio  in  mol- 
tissime e  lunghissime  note. 

Con  tutto  questo,  ripeto,  noi  desidereremmo  l' opera  intera. 

Gli  è  che,  contro  tutto  questo,  sta  un  quid  novi  nella  conce- 
zione e  nella  esecuzione.  Lo  sfondo  storico  riesce  qui  dipinto  con 


228  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

ricchezza  e  con  fedeltà.  La  nai'razione  de'  fatti  politici,  la  rappre- 
sentazione della  vita  civile  e  religiosa  del  tempo,  e  con  intendi- 
menti e  interpretazioni  tutte  moderne,  hanno  preoccupato  l'autore 
assai  più  che  non  si  suole,  E  come  in  un  tale  ambiente  sorga  una 
letteratura  grande  e  viva  ben  s'intende,  o,  per  dir  meglio,  s'intui- 
sce: che  difficilmente  si  arriverà  mai  a  scoprire,  a  dimostrare, 
la  necessità  dell'  intima  connessione. 

A  questo  si  vuole  aggiungere  il  diletto  che  proviene  dalla  chia- 
rezza analitica,  dalla  vivacità  spigliata,  dalla  facilità,  dal  correr 
via  dell'espressione,  che  sembra  alla  portata  di  tutti. 

Il  libro  si  fa  leggere;  merito  non  piccolo,  qualità  non  poco 
attraente.  ^  Giuseppe  Listo. 


Antonio  Belloni.   —   Frammenti   di  critica   letteraria.   —  Milano,  Albrighi, 
Segati  e  G.  editori,  1903  (16.°,  pp.  XlII-268). 

Questo  volume,  a  cui  l'A.  nella  sua  modestia  ha  dato  un  titolo  molto  in- 
feriore alla  importanza  del  contenuto,  si  compone  di  dieci  studj,  tre  dei  quali 
per  la  prima  volta  compaiono  dinanzi  ai  lettori  e  gli  altri  furon  già  pubbli- 
cati, ma  ora  si  presentano  o  con  aggiunte  e  modificazioni  o  completamente 
rifusi.  Noi  li  esamineremo  partitamente,  cominciando  da  quelli  nuovi. 

Nel  primo  di  essi  [Di  alcune  indicazioni  cronologiche  in  Dante  e  nel  Mus- 
sato, ^tp.  Z-li)  VA.  mostra  di  credere  che  l'anno  della  Visione  dantesca  sia 
il  1300,  quantunque  da  Purg.  XXIII,  76-78  sembri  trattarsi  del  1301.  Con- 
corda quindi  col  D'Ovidio  {Studj  sulla  D.  C,  p.  547)  nella  tesi  sostenuta,  ma 
si  stacca  da  lui  nella  scelta  degli  argomenti,  non  piacendogli  ad  es.  l'ipotesi, 
a  dir  vero  un  po' audace,  che  il  cinqii'  anni  di  Dante  sia  o  un  errore  dei 
copisti  invece  di  un  4  in  cifra,  o  uno  sbaglio  di  calcolo  del  poeta.  Il  B.  in- 
vece pensa  che  Dante,  anziché  calcolare  il  tempo  realmente  trascorso,  abbia, 
badato  alle  5  cifre  degli  anni  (129G  morte  di  Forese,  1297,  1298,  1299,  1300 
anno  della  Visione).  Per  dimostrar  la  sua  tesi,  il  B.  fa  vedere  che  tale  ma- 
niera di  computo  fu  seguita  anche  da  un  contemporaneo  di  Dante,  Albertino 
Mussato,  là  ove  parla  della  ribellione  di  Padova  agli  Ezzeliniani.  E  anche  in 
quel  passo  (nota  il  B.)  ci  fu  chi  volle  vedere  uno  sbaglio  degli  amanuensi. 
Applicando  lo  stesso  criterio  all'  elegia  De  die  natali  del  Mussato,  il  B.  ne 
cava  una  novella  prova  che  il  poeta  padovano  nacque  nel  1262,  come  il 
Gloria  aveva  sostenuto  anni  sono  in  una  nota  polemica.  E  se  (com'è  pro- 
babile) prima  o  poi  si  finirà  per  tener  autentica  la  Quaestio  de  aqua  et 
terra,  allora,  certi  che  Dante,  come  tutti  gli  uomini  del  M.  E.,  pose  la  morte 
di  Cristo  nel  35,  per  far  concordare  il  mille  dugento  con  sessantasei  di  Ma- 


1  La  stampa  del  libro,  nella  maggior  parte,  fu  curata  con  diligenza  dal  prof.  Mario 
Menghini,  a  cui  parve  cosi'  •  di  rendere  un  tributo  di  affetto  alla  memoria  del  compianto 
amico,  che  molto  ripromettevasi  da  questo  suo  lavoro  >, 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  229 

lacoda  e  il  1300  anno  della  Visione,  non  resterà  che  ricorrere  al  criterio 
(li  calcolo  fin  qui  rilevato,  ossia  al  calcolo  materiale  delle  cifre,  non  degli 
anni  compiuti.  * 

Il  secondo  dì  questi  nuovi  studj  {G.  B.  Marino  e  Giovanni  Everaerts, 
pp.  225-38)  è  un  importante  contributo  alla  conoscenza  del  corifeo  del  '600. 
Il  B.  infatti,  confrontando  le  poesie  del  Marino  con  quelle  del  poeta  belga 
Giovanni  Everaerts  (comunemente  detto  Giovanni  Secondo,  1311-36),  nota,  tra 
queste  e  quelle,  frequenti  e  rilevantissime  analogie,  sicché  egli  pensa  ragio- 
nevolmente che  r  Everaerts  fosse  uno  dei  tanti  poeti  saccheggiati  dal  poeta 
Napolitano,  il  quale  delle  proprie  scorrerie  nelle  altrui  raccolte  di  versi  non 
fece  mai  un  mistero. 

11  terzo  scritto  {Sul  soggetto  della  Ricciarda  di  U.  Foscolo,  pp.  241-58), 
dopo  aver  riferito  i  giudizj  di  Pietro  Odescalchi  e  del  Garrer,  i  quali  non 
seppero  indicar  la  fonte  della  tragedia  foscoliana,  e  l'opinione  del  Mazzoni, 
il  quale  vede  solo  una  lontana  parentela  tra  Ricciarda  e  la  Giulietta  dello 
Shakespeare,  dimostra  che  la  tragedia  deriva  indubbiamente  dalla  nov.  I 
giorn.  IV  del  Boccaccio.  Giunto  a  questa  interessante  e  del  tutto  nuova  con- 
clusione, il  B.  vorrebbe  dimostrare  che  il  Foscolo  si  valse  anche  della  Fran- 
cesca d' Arimino  di  Eduardo  Fabbri,  scritta  prima,  ma  pubblicata  dopo  la 
Ricciarda.  Questa  seconda  ipotesi  però  è  posta  innanzi  dubitosamente,  e  i 
pochi  riscontri  a  cui  il  B.  accenna  non  bastano  invero  a  persuadere  del  lutto 
il  lettore. 

Diciamo  ora  qualche  cosa  degli  scritti  già  noti,  ma  comparenti  qui  con 
modificazioni  ed  aggiunte  importanti. 

I.  5m  alcuni  luoghi  de'  carmi  latini  di  Giovanni  del  Virgilio  e  di  Dante 
(pp.  15-57).  Fonde  in  uno  i  due  suoi  studj  Sopra  un  passo  dell' ecloga  re- 
sponsiva  di   Giovanni   del    Virgilio  a  Dante  (Giorn.  stor.  d.  leti,  ital.,  XXll, 


I  L'ingegnosa  dimostrazione  non  ci  sembra  per  nulla  infirmata  da  quanto  ne  dice 
E.  G.  Pabodi,  nel  Bull.  d.  Soc.  dant.,  N.  S.,  X,  194.  "  E  invece  erano  proprio  vòlti  !  „  esclama 
11  Parodi.  E  nota:  1296-97-98-99-1300.  Cinque  anni,  non  v'è  che  dire.  Ma,  di  p;razia,  segna  il 
lettore  qnesto  ragionamento  :  È  un  fatto  incontestabile  che  il  ilussato  calcolò  come  passaii 
o  tòlti  56  anni  tra  il  SO  gingilo  1256  e  il  SO  giugno  1311,  mentre  in  realtà  non  n'erano 
passati  che  55.  Vuol  dire  adunque  che  il  Mussato,  nel  calcolare  gli  anni  p<igsati  o  vòlti, 
comprese,  insieme  coi  55  anniversarj  del  20  giugno  1256,  anche  questo  stesso  giorno.  — 
Secondo  un  tal  metodo  di  computo  si  potrebbe  dire  che  tra  il  26  luglio  1296  (data  della 
morte  di  Forese  Donati)  e  il  26  luglio  1300  (anniversario  di  quella  morte)  sono  passati 
cinque  anni,  mentre  in  realtà  non  ne  sono  passati  che  quattro.  In  altre  parole  si  potreb- 
bero dire  passati  o  vòlti  cinque  anni,  perché,  comprendendo  insieme  con  gli  anniversarj 
anche  la  data  della  morte,  si  ha  cinque  volte  il  26  luglio: 
I.  [data  della  morte]  26  luglio  1296 
II.  [l.«  anniversario]  26  luglio  1297 

III.  |2.»  anniversario]  26  luglio  1298  />  —  passati  o  rolli  cinque  anni 

IV.  13."  anniversario]  26  luglio  1299  1  secondo  il  metodo  di  com- 
V.  [i."  anniversario]  26  luglio  1300  /  putare  del  Mussato. 

Ora,  poiché  il  colloquio  tra  Forese  e  Dante  nel  e.  XXIII  del  Piirg.,  si  finge  avvenuto 
nella  fine  di  mar^o  e  ai  primi  di  aprite  del  1300,  cioè  circa  tre  mesi  prima  del  26  luglio  1300, 
anniversario  della  morte  di  Forese;  se,  nel  giorno  26  luglio  1300,  si  potrebbero  dire  (se- 
condo il  modo  di  computare  del  Mussato)  passati  o  tòlti  cinque  anni,  nel  marzo-aprile  del 
1300  si  potran  logicamente  dire  non  passati,  non  ancora  volli  cinque  anni.  Qnesto  francamente 
il  nostro  pensiero,  che  ci  duole  discordi  da  quello  dell'amato  Maestro. 

16 


230  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

269  e  sgg.)  Intorno  a  due  passi  di  un'  ecloga  di  Dante  {Arch.  veneto,  luglio- 
sett.  1895),  tenendo  specialmente  conto  della  recentissima  edizione  critica  dei 
sigg.  Ph.  H.  Wieksteed  ed  E.  G.  Gardner  Dante  and  G.  del  Virgilio  (West- 
minster,  A.  Gonstable,  1902),  della  quale  il  B.  s'è  occupato  estesamente  in 
una  recensione  che  venne  inserita  nel  Giorn,  storico  (XLII,  181).  Il  B.  ribatte 
alcune  osservazioni  mossegli  dai  sigg.  W.  e  G..  e  torna  a  sostenere  con  forti 
argomenti  la  lezione  potabor  in  III,  88-89,  mentre  i  due  inglesi  accettano  la 
lezione  portabor  data  dal  solo  ms.  Estense.  La  discussione  intorno  a  questa 
lezione  è  importante,  perchè  implica  l'altra  questione  dei  rapporti  interce- 
denti tra  i  varj  mss.  Si  noti  che  il  Parodi  in  una  recensione  del  lavoro  in- 
glese (in  Giorn.  dantesco,  X,òl  sgg.)  non  accetta  l'opinione  dei  critici  in- 
glesi, SI  bene  quella  del  B.,  la  quale  fu  pure  accolta  dall'Albini  in  suo  articolo 
(v.  Atene  e  Roma,  IV,  35).  Riproducendo  la  propria  interpretazione  dei  primi 
versi  del  carme  II,  già  riconosciuta  giusta  dal  Parodi,  il  B.  la  conforta  d'un 
nuovo  riscontro  con  Lucano  {Farsalia,  IX,  528-30),  e  a  proposito  dei  vv.  84-87 
dello  stesso  carme,  il  B.  dà  una  nuova  interpretazione  della  tanto  disputata 
delfica  deità  del  Paradiso,  I,  31-34. 

II.  S all'  episodio  di  Ciacco  (pp.  61-83).  Fonde  insieme  i  due  scritti  Osser- 
vazioni suW  episodio  di  Ciacco  in  rapporto  coli'  episodio  di  Farinata  (Padova, 
Draghi,  1899)  e  Ciacco  (in  Biblioteca  delle  scuole  italiane,  agosto-settembre 
1900).  Con  un'  argomentazione  molto  sottile,  ma  che  non  può  esser  detta 
sofìstica  (ci  duole  che  la  defìcienza  di  spazio  impedisca  di  riassumerla),  so- 
stiene che  probabilmeute  l'episodio  di  Ciacco  nel  e.  VI  àelV  Inferno  è  una 
inserzione  posteriore.  Ripubblicando  i  due  articoli  qui  uniti,  il  B.  ha  aggiunto 
parecchie  nuove  osservazioni.  In  complesso  le  dimostrazione  di  questa  tesi 
importante,  se  non  persuade  del  tutto,  fa  pensare, 

III.  Sopra  un  luogo  dell'  episodio  di  Farinata  (pp.  87-92),  già  pubblicato 
in  Rassegna  mensile  di  lettere,  di  storia  e  d'arte,  a.  I,  n.  3.  Sostiene  che  il 
regge  {Inf.  X,  82)  non  significa  torni,  ma  regga,  resista,  tenga  fronte  [agli 
assalti  della  sorte]. 

IV.  Per  la  storia  letteraria  di  Padova  (pp.  95-129).  Ripubblica  due  scritti, 
l'uno  Di  due  Scipioni  Sanguinacci  rimatori  padovani  de' secoli  XV  e  XVI, 
già  inserito  nella  Rassegna  Padovana,  a.  I,  fase.  1,  l'altro  Di  Antonio  Ongaro, 
notizia  biografica,  uscito  nella  Rassegna  mensile  citata,  a.  I,  nn.  1-3.  Il  primo 
dei  due  scritti  ricompare  quasi  immutato,  il  secondo  invece  è  ampliato  no- 
tevolmente ed  arricchito  anche  di  documenti  dell'Archivio  del  Museo  Pado- 
vano. 

V.  Di  due  pretesi  inspiratori  del  Tasso  (pp.  133-164).  La  prima  parte  di 
questo  studio  è  essenzialmente  polemica  :  in  essa  il  B.,  ripubblicando  il  suo 
scritto  Della  Siriade  di  Pier  Angelio  da  Barga  ne'  suoi  rapporti  cronologici 
con  la  Gernsahmme  liberata  (Padova,  Draghi,  1895),  combatte  la  conclusione 
a  cui  giunse  Vincenzo  Vivaldi,'  e  rende  la  propria  dimostrazione  più  salda 

1  II  Vivaldi  sostenne  la  derivazione  del  Tasso  dal  Barg«o  nel  suo  lavoro  Sulle  fonti 
della  Pfr. /i6.  (Catanzaro,  Calò,  1893),  voi.  I,  p.  9,  ribadi  la  propria  opinione  in  La  più  (/rande 
polemica  del  cinquecento  (Catanzaro,  Calò,  1895),  p.  101  sgg.,  e  in  Varia  (Catanzaro,  Calò,  189C), 
p.  153  sgg.;  e  finalmente  nel  pili  recente  studio  La  Qer,  Uh.  sltidiaia  nelle  sue  fonti  (Trani, 
Vecchi,  1901),  p.  20  sgg.,  mostra  di  continuare  ancora  a  considerare  la  Siriade  come  una 
(onte  della  Liberata. 


DELLA    LETTERATURA   ITALIANA  231 

e  compatta,  condensandola  e  sfrondandola  da  molte  digressioni  superflue,  che 
lo  sciilto  aveva  nella  sua  forma  primiera.  —  Nella  seconda  parte  il  B.  traccia 
il  ritratto  morale  di  Giovan  Mario  Verdizzotti,  bizzarro  prete  veneziauo  che 
si  vantò  d'aver  inspirato  al  Tasso  il  Rinaldo.  Egli  sostiene  la  vanità  di  tale 
vanto,  e  combatte  il  Proto,  il  quale  recentemente  s' industriò  di  dimostrare 
che  il  Tasso  poteva  aver  tratto  l'inspirazione  del  Rinaldo  dal  l.**  canto  del- 
V Aspromonte  del  Verdizzotti.*  Il  B.  reca  innanzi  molte  ragioni,  specialmente 
d'indole  psicologica,  per  provare  che  il  Verdizzotti  non  disse  il  vero,  e  cosi 
facendo  amplia  notevolmente  il  suo  studio  Di  un  altro  inspiratore  del  Tasso, 
già  comparso  nel  Giorn.  stor.  d.  leti,  ital.,  XXVIII,  176  sgg. 

VI.  Tesliana  (pp.  167-221).  Comprende,  ma  interamente  rifatti,  tre  scritti: 
Testi,  Tassoni  e  Marino?  {Propugnatore,  N.  S.  voi.  Il  fase.  9),  Gli  amori  di 
Pantea  (id.  id.  fase.  11-12),  Di  una  poesia  anonima  del  secolo  XVII  (id.  voi. 
IV,  fase.  22-22),  e  si  vale,  oltracciò,  di  Un  capitolo  inedito  di  Fulvio  Testi, 
inserito  dallo  stesso  B.  in  una  Miscellanea  per  laurea  (Padova,  Gallina,  1801). 
—  Il  poemetto  comunemente  noto  sotto  il  titolo  di  Pianto  d' Italia  è,  se- 
condo il  B.,  veramente  del  Testi.  L'egregio  critico,  rifacendo  il  suo  studio, 
ha  condotto  la  dimostrazione  con  altro  metodo,  appoggiandosi  cioè  con  ar- 
gomenti d'altro  genere  che  non  siano  quelli  dedotti  da  raffronti  stilistici. 
Risalgono  a  più  di  dieci  anni  fa  gli  scritti  coi  quali  il  B.  sostenne  contro  il 
Mango  che  il  Pianto  è  opera  del  Testi;  fa  perciò  meraviglia  che  il  prof.  F. 
Bartoli,  in  un  articolo  del  Fanfulla  della  Domenica  uscito  quasi  contempo- 
raneamente al  libro  del  B.  (26  luglio  1902),  se  la  prenda  col  B.  con  molto 
mal  garbo,  per  certe  osservazioni  che  quesii  gli  fece  quando  egli  volle  so- 
stenere che  le  Filippiche  sono  del  Testi,  appoggiandosi  anche  sul  fatto  che 
presentano  delle  somiglianze  col  Pianto.  Il  B.  gli  osservò,  che  vi  sono,  è  vero, 
le  maggiori  probabilità  per  credere  che  il  Pianto  sia  del  Testi,  ma  la  cosa 
non  essendo  sicura,  non  si  può  prender  codesta  ipotesi,  per  quaato  proba- 
bile, come  caposaldo  d'un' altra  ipotesi.  Or  poi  vediamo  con  meraviglia  che 
il  Bartoli,  pubblica  senz'  altro  le  Filippiche  come  opera  del  Testi  nella  Biblio- 
teca Universale  del  Sonzogno  ;  e  con  dispiacere  vediamo  anche  eh'  egli  vi 
ripete  nella  prefazione  gli  attacchi  al  B.*  —  Nella  seconda  parte  di  questo 
studio  il  B.  dà  notizia  di  due  canti  in  ottava  rima  del  Testi  Gli  amori  di 
Pantea,  i  quali  sono  pubblicati  per  la  prima  volta  interi  in  appendice. 

VII.  Di  una  probabile  fonte  del  "  Consalvo  ,  (pp.  261-68).  La  probabile 
fonte  del  Consalvo  leopardiano  sarebbe  un  episodio  del  Conquisto  di  Gra- 
nata di  Girolamo  Graziani.  Questo  studio  fu  già  pubblicato  nel  Rinascimento 
di  Foggia,  agosto-settembre  1895. 


1  Questioni  tassescìie,  li.  0.  M.  Verdizzotti  e  il  "  Rinaldo  „,  in  Rassegna  critica  d.  leti,  ita!., 
VI,  p.  97. 

2  Mentre  correggo  queste  bozze  vedo  che  il  Belloni  ha  risposto  argutamente  al  Bar- 
toli nell'opuscolo  Le  Filippiche  e  la  Pietra  del  Paragone.  Verona,  Franchini,  1903  (estr.  dalla 
Mixceìlanen  nuziale  Pellegrini-Buszi).  In  quest'opuscolo  il  B.  osserva  che,  lasciandosi  gnjdare 
soltanto  dal  fallace  criterio  delle  analogie  stilistiche  (unico  criterio  seguito  dal  Bartoli),  si 
potrebbe  molto  agevolmente  dimostrare  che  le  Filippiche  sono  del  Boccalini,  poiché  tra  le 
Filippiche  e  l'opera  bocc^liniana  corrono  molte  somiglianze  di  pensiero  e  di  frase. 


232  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Riassumendo,  i  vaij  studj  di  questo  volume  dimostrano  una  volta  di  più 
quell'acuta  diligenza  che  fa  dell'autore  del  Seicento  un  dei  nostri  migliori 
studiosi,  e  se  non  portano  gran  luce  alla  nostra  storia  letteraria,  ne  chiari- 
scono qua  e  là  alcuni  punti,  e  spesso  con  ipolesi  ardita  (v.  ad  esempio  i  quattro 
studj  danteschi)  aprono  la  via  a  discussioni  ed  interpretazioni  nuove. 

Dino  Provenzal. 


liime  antiche  senesi  trovate  da  E.  Molteni  e  illustrate  da  V.  De 
Bartholomaeis  con  Appendice.  —  Roma,  presso  la  Società  filo- 
logica Romana,  M.  DCCCC.  II  (di  pagg.  45  in  16.°). 

La  giovane  Società  filologica  romana,  in  poco  più  di  due  anni 
di  vita  ha  felicemente  intrapreso  pubblicazioni  notevolissime  per 
la  storia  della  nostra  antica  letteratura,  fra  le  quali  una  Miscel- 
lanea di  letteratura  del  medioevo  di  cui  la  prima  puntata  è  un 
mazzetto  di  Rime  antiche  senesi  per  cnra  di  Vincenzo  De  Bartho- 
lomaeis.  Il  ritrovamento  di  queste  rime  è  dovuto  veramente  a 
Enrico  Molteni,  giovane  romanista  il  quale,  dopo  aver  dato  un 
saggio  assai  lusinghiero  de' suoi  studj  e  del  suo  ingegno,  mori  al- 
cuni anni  fa  con  vero  danno  della  filologia  romanza.  11  De  Bar- 
tholomaeis,  esaminando  recentemente  le  carte  del  Molteni,  che  con 
provvido  consiglio  sono  state  depositate  nella  Biblioteca  Ambro- 
siana di  Milano,  e  compilandone  un  inventario  che  ha  pubblicato 
in  appendice  al  volumetto  di  cui  discorriamo,  trovò  un  frammento 
di  codice  nella  cui  copertina  si  legge  di  mano  del  Molteni  Foeti 
antichi  senesi  raccolti  da  Celso  Cittadini. 

Di  questi  poeti  senesi  raccolti  dal  dotto  Cittadini  si  conosce- 
vano finora  diverse  copie,  autografe  in  parte,  ma  tutte  più  o  meno 
incomplete:  quattro  nel  cod.  misceli.  H.  X.  2  della  Comunale  di 
Siena,  una  nel  cod.  H.  X.  47  della  medesima  biblioteca  e  un'  altra 
nel  cod,  XLV.  18  della  Barberina  di  Roma.  Ora  a  chi  esamini  il 
frammento  molteniano  balza  subito  agli  occhi,  per  la  difi'erenza 
della  scrittura  dovuta  a  momenti  diversi,  sebbene  in  tutto  il 
frammento  della  stessa  mano  del  Cittadini,  che  esso  consta  di  tre 
parti  a,  %  y;  che  y  è  indipendente  dalle  sopradette  copie  di  cui 
riproduce  il  contenuto,  che  a  e  ^  si  connettono  immediatamente 
col  codice  H.  X.  47,  di  cui  reintegra  la  primitiva  enumerazione 
delle  carte.  Il  frammento  del  Molteni,  adunque,  completa  una  delle 
copie  esistenti,  e  ad  esse  ne  aggiunge  una  nuova. 

La  copia  pili  ampia  delle  rime  senesi  ci  viene  offerta  ora  da 
H.  X.  47,  che  contiene  ventitré  componimenti  distribuiti  nelle  carte 
superstiti  14'»-32»''  e  60''-63^  delle  quali  le  ce.  29»-30«-b  e  60'*-63»' 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  233 

appartengono  al  frammento  molteuiano.  Per  nostra  fortuna,  le 
rime  che  si  leggono  in  queste  ultime  erano  fino  ad  ora  scono- 
sciute, perché,  contrariamente  a  tutte  le  altre  di  cui  conosciamo 
la  fonte  usata  dal  Cittadini  o  almeno  una  copia  ad  essa  paral- 
lela, delle  prime  non  sappiamo  donde  fosser  tolte  dal  dotto  filo- 
logo senese.  Ma,  considerato  il  loro  genere,  di  poesie  borghesi  e 
occasionali,  come  vedremo;  considerato  che  il  Cittadini  dovette 
avere  dinanzi  un  testo  assai  antico,  di  cui  non  sempre  riuscì  a 
decifrare  la  scrittura,  come  appare  dalle  lacune  della  sua  copia; 
considerato  che  di  esse  poesie  il  medesimo  Cittadini  ci  offre  una 
data;  non  credo  sia  avventato  il  pensare,  ch'egli  le  copiasse  da 
qualche  vecchia  cronaca  a  noi  ignota  o  da  libri  d'Archivio  da- 
tati, scritti  di  mano  di  qualche  notajo,  e  quindi  in  una  lettera 
che  non  dovea  esser  facilmente  intelligibile  al  Cittadini.  Sarà 
perciò  il  caso  di  tentar  qualche  ricerca  nell'Archivio  senese?  Altri, 
che  può,  vegga;  noi  vediamo  intanto  qualcosa  delle  poesie.  Le 
quali  non  sono  molte,  quattro  in  tutto;  «  ma,  osserva  il  De  Bar- 
«  tholomaeis,  sarebbe  assai  difficile  di  ritrovare,  entro  un'ambito 
«  SI  ristretto,  maggiore  varietà  di  sostanza  e  di  forma.  Qui  la  pa- 
«  rodia  religiosa,  che  rammenta  i  goliardi,  e  la  grave  tenzone 
«  politica;  qui  la  satira  aggressiva  e  personale  e  la  canzone  amo- 
«  rosa;  qui  la  poesia  borghese  e  la  cortigiana,  la  poesia  d'im- 
«  pronta  popolaresca  e  quella  di  raffinata  struttura  provenzaleg- 
«  giante  ».  Sono  documenti  tutti,  eccetto  uno  del  1321,  che  risal- 
gono alla  metà  circa  del  dugento  e  però  della  massima  impor- 
tanza. La  prima  è  una  poesia  nella  quale  un  Rugieri  racconta  la 
sua  «  Passione  ».  Un  giorno  egli  andò  a  mangiare  insieme  coi 
Patarini,  e  pare  che  con  essi  sparlasse  del  clero.  Apriti,  cielo!  E 
citato  a  comparire  dinanzi  al  tribunale  dell'inquisizione,  che  si 
componeva  del  vescovo  e  di  più  che  cento  giudici  feroci  «  Ke  di- 
cieno  tutti  di  none  ».  Il  rimatore  enumera  a  uno  a  uno  i  giudici, 
ai  quali,  parodiando,  dà  nomi  di  diavoli  e  di  altri  personaggi  della 
vera  Passione,  rapprerfeutando  se  stesso,  come  Cristo,  innocente  : 

Erode  v'era  e  Ghaifasso, 
Et  Pilato  et  Setenasso, 
Et  Longino  et  Giudeasso, 
Marlcus  et  Barnaba jsj. 

Guinziano  v'era  e  Nerone, 
Et  Staroto  et  Ferraone, 
Balzabue  e  Ruciglione, 
Ke  dicieiio  lutti  di  none. 


254  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

Comincia  l'interrogatorio;  il  povero  Rugieri  si  scusa  dicendo  che 
non  credeva  che  i  suoi  commensali  fossero  patarini,  e  poi  ag- 
giunge: 

Omo  di  mia  arte  non  si  puoe  ischusare 

Ki  lo  'nvita,  ke  non  vada  a  mangiare. 

Ma  pare  non  gli  valga  nulla;  e  gli  ultimi  versi  della  poesia,  che 
non  ci  è  conservata  intera,  echeggiano  del  grido:  a  morte!  di  quei 
feroci  giudici: 

Non  guarischa,  anzi  sia  morto, 
Non  i  sia  fatto  dricto,  anzi  torlo! 


Il  metro  è  la  quartina  monorima  di  doppj  quinarj  i  quali  di- 
scendono talora  fino  a  ottouarj;  metro  proprio  delle  narrazioni 
giullaresche  della  Passione.  Il  testo  è  tutto  chiaro,  eccetto  due 
versi  dove  ricorrono  in  rima  due  parole,  ingroti  e  histartoti,  che 
non  si  sa  che  cosa  voglian  dire:  la  seconda  credo  debba  dividersi 
hìstar  loti;  ma  come  spiegare  la  prima  parola?  Scuto  nel  v.  12 
significa  difesa,  non  denaro.  Il  Cittadini  in  una  sua  postilla  an- 
notò che  la  poesia  è  del  1262:  donde  tolse  la  preziosa  indica- 
zione che  ha  tutta  Paria  di  derivare  da  una  fonte  sicura?  Ogni 
cosa  si  spiegherebbe,  mi  pare,  se  pensiamo  che  la  vivace  composi- 
zione derivi  da  libri  d'Archivio,  come  le  rime  che  il  Carducci  ed 
altri  trassero  dai  memoriali  bolognesi. 

Un'  altra  composizione  assegnata  dal  Cittadini  al  1321  è  una 
ballata  politica  indirizzata  al  Conte  Loffredo  del  Conte  Benedetto 
Gaetano  d'Auagni,  nipote  di  Bonifazio  Vili,  che  fu  podestà  di 
Siena  nel  1321.  Non  pare  che  i  senesi  fossero  assai  contenti  del- 
l'opera sua,  e  il  rimatore,  che  il  Cittadini  in  una  sua  postilla  dice 
possa  essere  «  Simone  di  Neri  di  Ranieri  Cittadini  »,  fieramente 
deriéendolo  gli  ricorda  in  ogni  strofa  una  delle  sue  prodezze,  e 
termina  sempre  il  suo  dire  con  un  pungentissimo  ritornello: 

Deh  Contin,  torna  in  Campagna. 

col  quale  rimanda  il  messere  da  Siena  alla  sua  Contea  di  Pondi. 
Il  De  Bartholomaeis  osserva  che  il  Tommasi  nella  Historia 
di  Siena  «  porta  sopra  il  Conte  di  Fondi  un  giudizio  assai  di- 
«  verso  dal  contemporaneo  che  sfogava  il  suo  odio  contro  di  lui 
«  con  questa  ballata  ».  Ora  il  Cittadini  a  fianco  al  v.  6  «  e  giu- 
«  dici  e  cavalieri  »  cita  alcuni  nomi,  e  rimanda  a  un  «  lib.  Magi- 
«  straturae  »  che  forse,  ricercato,  potrebbe  dar  maggior  lume  a  noi, 


DELLA  LETTERATUIIA  ItALlANA  235 

come  pare  lo  desse  al  Cittadini.  Una  minaccia  del  rimatore  al 
Conte  se  volesse  restare  a  Siena,  parrebbe  richiamarci  al  poema 
dantesco  : 

Se  ci  stai,  havrai  del  fructo 

D'Alberigo  di  Romagna. 

Il  De  B.  prudentemente  non  ardisce  ajffermare  se  qui  si  alluda 
al  dattero  per  fico  che  il  faentino  raccoglieva  nella  ghiaccia 
dantesca,  ovvero  a  quello  della  tradizione  corrente  intorno  ad 
Alberigo.  A  me  pare  da  escludere  1'  accenno  dantesco,  e  lo  stesso 
vedo  che  pensa  il  Mazzoni;  '  i  due  versi  pianamente  spiegati  si- 
gnificano: se  tu  vorrai  seguitare  a  esercitare  le  tue  male  arti  qui 
a  Siena,  un  bel  giorno  mangerai  delle  frutta  che  il  frate  Grau- 
dente  Alberigo  offri!  ai  commensali,  secondo  il  noto  racconto  ;  cioè 
i  senesi  ti  faranno  accoppare. 

Più  curiosa  e  pili  notevole  è  la  terza  poesia,  una  tenzone  po- 
litica nella  quale  daccapo  un  Rugieri  scambia  cobbole  con  un 
Provenzano  che  il  Cittadini  senz'  altro  identifica,  e  sembra  assai 
ragionevolmente,  col  noto  personaggio  dantesco  che  espia  i  suoi 
falli  nel  girone  dei  superbi,  perché  fu  «  prosuntuoso  a  recar  Siena 
«  tutta  alle  sue  mani  ».  Anche  questa  poesia  ha  alcune  annota- 
zioni del  Cittadini,  che  fra  le  altre  cose  avverte:  «  Composta  nel 
«  1262.  A  messer  Provenzano  Salvati  (sic)  ed  è  delle  più  antiche 
«  scritture  di  lingua  toscana  che  si  trovino  oggi  fra  noi  ».  Vera- 
mente non  è  indirizzata  a  Provenzano,  sibbene  è  una  tenzone, 
(«  kostune  »  anzi  dice  la  poesia  con  singolare  novità  dalla  nomen- 
clatura provenzale,  novità  che  par  derivata  dalla  tradizione  sco- 
lastica) fra  Provenzano  e  Rugieri.  Ma  la  data  che  indica  il  Cit- 
tadini coglie  nel  vero,  come  mostra  il  De  Bartolomaeis;  il  quale 
s'industria,  al  lume  degli  avvenimenti  senesi  della  fine  del  1261, 
di  restringere  i  limiti  cronologici  fra  il  gennaio  e  il  febbraio  del 
1262.  Abbattuti  i  guelfi  nella  giornata  di  Montaperti,  i  senesi  e- 
rano  insidiati  dal  pontefice  Urbano  IV,  che  tentava  approfittare 
delle  rivalità  cittadine  per  dividere  i  ghibellini  vincitori.  Una 
congiura,  per  cui  fu  ucciso  il  figlio  di  un  priore,  parve  favorire 
le  intenzioni  del  papa.  I  priori  condannarono  nel  capo  gli  assas- 
sini; ma  i  guelfi,  cui  appartenevano  i  congiurati,  giudicarono  ec- 
cessiva la  punizione  trattandosi  di  una  vendetta  privata;  grida- 
rono alla  tirannide,  che  dicevano  favorita  dal  re  Manfredi,  e  sde- 
gnosi uscirono  di  Siena,  ritiratidosi  nel  Castello  di  Radicofani, 
dove  si  preparavano  alla  riscossa. 

1  In  un  articolo  pubblicato  nal  Gioni'.Ue  d' Italia  del  15  nov.  1902. 


236  ,   RASSEUÌNÀ    lJlÌBL10(ikAKÌCÀ 

Provenzano,  al  tuo  parere, 

Ke  faranno  li  sciti? 

Raveranno  el  loro  avere, 

K'al  papa  ne  son  giti? 

Siano  sì  arditi 

K'a  Siena  fien  guerrieri? 

Paionli  forniti 

Di  gente  et  di  Kavalieri? 

Questo  domanda  Riigieri  al  suo  concittadino,  il  quale  sostiene  la 
potenza  e  la  eccellenza  morale  di  Re  Manfredi: 

Quel  froriscie  e  grana 
Che  serve  a  rre  Manfredi; 
Ne  la  Corte  Romana 
Mal  v'odi  e  mal  vi  vedi! 

mentre  l'altro  afferma: 

Provenzano,  ki  riniega 
La  legie  cristiana, 
Rascion  è,  se  la  riniegha, 
L'anima  aver  insana. 

Ma  alla  fine  i  due  interlocutori  si  accordano  nel  desiderare 
la  pace  ed  augurare  che  il  trionfo  l'abbia 

....  quei  k'ama  el  komune 
Più  ke  sé  e  i  parenti, 

e  si  propongono  di  mandare  ai  concittadini  come  messaggio  della 
loro  aspirazione  la  suddetta  «  kostune  ».  Ora  mi  par  chiaro  che  il 
generoso  autore  di  questa  composizione,  la  quale  tanto  si  allon- 
tana dalla  consueta  lirica  aulica  del  tempo,  rappresenti  l'ideale  di 
molti  cittadini,  di  cui  si  ha  un'eco  nella  storia  del  Tommasi,  cioè 
che  Siena  possa  avere  la  pace  colla  conciliazione  delle  due  parti 
che  sono  rappresentate  da  Provenzano  e  da  Rugieri,  finti  inter- 
locutori nel  dibattito  politico.^  Importante  è  la  poesia  pel  conte- 


1  Questo  Itugeri  e  quel  della  Passione  sono  gli  stessi?  E  probabile;  ma  come  questo 
(Iella  "kostune,  ueauclie  l'altro  ò  necessario  credere  sia  autore  della  Passione.  E  l'uno 
e  l'altro  non  credo  abbiano  che  vedere  con  quel  Rugieri  Apugliese  di  pili  vecchia  cono- 
sci'uza  Ira  gli  studiosi.  Cfr.  tìiorn,  sloi;  della  letter.  iiuL,  XLII,  172. 


bìSLLA   LÉttERATURA   ITALIAÌSÀ  ^St 

nuto  politico  e  per  la  figura  dantesca,  che,  con  nostro  gran  gusto, 
ci  è  presentata  nella  vivezza  di  un  dialogo  che  ritrae  i  senti- 
menti con  schiettezza  degna  di  chi  ama  veramente  il  suo  Co- 
mune, e  che  ci  fa  ricordare  la  suprema  aspirazione  del  vene- 
rando Brunetto  Latini  quando  scriveva  il  proemio  al  Tesoro  ita- 
liano. Il  De  Burtholomaeis  ha  interpretato  tutta  la  poesia  in  una 
parafrasi  per  meglio  rilevarne  il  significato,  e  in  genei'ale  mi  pare 
che  colga  nel  segno.  Quanto  al  testo,  qua  e  là  lacunoso  e  non 
sempre  sicuro  nella  lezione,  osserverò  che  al  v.  11  il  uiegha  del 
manoscritto  sarà  da  correggere  certamente  in  cicgha^  tenendo  a 
riscontro  i  vv.  41-43;  e  cosi  converrà,  pel  senso,  mettere  un 
punto  alla  fine  del  v.  11  e  una  virgola  alla  fine  del  v.  12. 

L'ultima  delle  quattro  composizioni  è  un'appassionata  «  dansa», 
che  ha  però,  come  osserva  il  De  Bartholomaeis,  la  struttura  del 
discordo.  Chi  parla  in  esso  è  una  donna  che  sospira  per  il  «ca-; 
«  valero  più  fino  |  eh' è  fiore  gibellina  |  sovr'ogn' altro  latino!  »,  nel 
quale  il  De  Bartholomaeis  vorrebbe  vedere  un  accenno  al  Re 
Manfredi,  tenendo  conto  della  notizia  del  Cittadini  che  assegna 
la  poesia  (al  solito  ignoriamo  la  fonte)  al  1260  circa.  Ora  è  assai 
probabile,  come  crede  anche  il  Mazzoni,  che  qui  si  abbia  una 
poesia  scritta  da  un  l'imatore  in  persona  di  donna,  e  però  non  è 
forse  da  pensare  ad  allusioni  determinate.  Ad  ogni  modo,  la  poesia 
è  assai  notevole  per  movimento  di  passione,  e  qualche  tratto  in 
cui  è  rappresentata  l'ebbrezza  dell'amore  sognato  non  esito  a 
dire  che  mi  ricorda  la  famosa  odici na  di  Saff'o.  Il  testo  è  quasi 
tutto  chiaro;  il  ponìhdc  del  v.  31  è  da  correggere  in  pcrdirctc, 
al  V.  34  misero  è  da  dividere  in  vii  sero,  come  già  rilevò  il  Maz- 
zoni; il  V.  44  non  ha  bisogno  di  essere  emendato,  perché  so  che 
presente  pazo  vuol  dire:  so  che  allora,  nel  momento  in  cui  mi 
sveglio  dal  sogno  d'amore,  soffro. 

Al  testo  di  ciascuna  poesia  il  De  Bartholomaeis  ha  fatto  se- 
guire alcune  note  in  parte  sue  in  parte  del  Cittadini;  in  fine  poi 
ha  aggiunto  un  breve  glossario.  Quivi  alla  voce  issavia  si  può 
aggiungere  che  essa  è  anche  dell'antico  romanesco,  e  se  ne  può 
vedere  un  esempio  nelle  laude  romanesche  del  sec  XV  pubbli- 
cate di  seguito  alla  Vita  di  S.  Francesca  Romana. ^  Della  parola 
tenza,  che  equivale  a  intensa  e  significa  «  tumulto»,  si  hanno  pure 
altri  esempj  nella  poesia  del  dugento. 

Mario  Pelaez. 


1  l'er  cura  di  Mabianu  Armellini,  Roma,  Moualdi,  1882> 


238  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 


COMUNICAZIONI. 


ALCUNE   RIME   DI   GIAN   VITTORIO   ROSSI. 

Questo  scrittore  romano,  pili  noto  sotto  il  pseudonimo  di  Gian 
Nicio  Eritreo,  ha  lasciato  tutte  le  sue  opere  in  latino,  tanto  che, 
molto  opportunamente,  il  suo  ultimo  biografo,  in  un  ottimo  libro, 

10  ha  distinto  con  l'appellativo  di  «umanista  del  seicento».^  I 
bibliografi  tuttavia  ci  hanno  tramandato  memoria  di  un  suo  vo- 
lume di  rime  spirituali  dettate  in  italiano,  e  di  un  dramma  sacro, 

11  Tobia,  usciti  dai  torchi  nel  1629;  pare  anzi  che  questo  dramma 
sia  anch'esso  stampato  insieme  con  le  rime,  se  si  deve  credere  al- 
l'Allacci, il  quale  reca  il  luogo  d'impressione  (Viterbo)  e  il  nome 
del  tipografo  (Agostino  Discepolo),  mentre  il  Mandosio  dà  le  rime 
come  edite  in  Roma.  ^  Questi  poi  a<?giungeva,  che  carmi  latini  e 
volgari  manoscritti  esistevano  nella  biblioteca  Vallicelliana,  e, 
giudicandoli  unitamente,  affermava:  «in  quibus  carminibus  omnis 
«  flos  venustatis,  omne  poeticae  facultatis  lumen  enituit  »;  giudizio 
che  ha  servito  di  guida  a  quello  del  Quadrio,  il  quale  probabil- 
mente (e  lo  sospetta  anche  il  Gerboni)  ^  non  ha  veduto  il  libro 
ed  attinge  senz'altro  al  Mandosio.  Ci  sarebbe  dunque  da  credere, 
che  questo  asserto  libretto  poetico  del  Rossi  fosse  già  poco  co- 
mune nel  settecento;  oggi  certo  è  irreperibile,  che  né  al  Gerboni, 
né  a  noi  riuscì  di  scovarlo:  per  di  più  le  rime  manoscritte  non 
si  trovano  nella  citata  biblioteca;  di  guisa  che  l'unica  poesia 
volgare  di  lui  conosciuta  è  un  sonetto,  inserito  nelle  Epistolae  ad 
Tyrrhenum,  «  fluido  nella  forma,  e  spirante,  nel  concetto,  un  senso 
«di  sommessione  devota  e  di  mitezza  semplice,  che  piace».* 
«  Leggiamolo,  che  l' averlo  dinanzi  risparmierà  fatica  di  ricerca 
in  volumi  non  sempre  alla  mano: 


i  Un  umanista  étti  seicento,  Q inno  Sicio  Eritreo.  Studio  biograjìco  critico  di  IjViGiQE.nBOSi, 
Città  di  Castello,  Lapi,  1899. 

2  Mandosio,  B«6iio</jeca  Romana,  voi.  II,  p.  253  —  Allacci,  Drammaturgia,  Boma,  1666, 
p.  317. 

»  Op.  cit.,  106. 

*  Epistolae  ad  Tyrrheìmm,  (ediz.  1138),  11,  iO.  —  Gerboni,  op.  cit.,  p.  106, 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  230 


FIAT   VOLUNTAS   TUA. 

Perchè  mai  sempre  ogni  tua  santa  voglia 

In  me  s'adempì,  o  mio  Signor,  mio  Dio, 

Vestimi  del  tuo  amor  celeste  e  pio, 

E  della  propria  volontà  mi  spoglia. 
Ahi  sento  da  mortale  ultima  doglia 

Stringer  con  dura  man,  lasso,  il  cor  mio, 

Qual  or  cieco  e  sfrenato  empio  desio 

A  darsi  vinto  al  suo  voler  l'invoglia. 
Ch'  esser  non  può  colà,  se  non  tormento. 

Ove  teco  non  regna  eterna  pace, 

E  d'alme  a  te  concordi  alto  concento. 
Ma  se  del  cor  non  leghi  il  pie  fugace 

Con  stretti  lacci  a  l'amor  tuo,  qual  vento 

Spiegherà  il  voi  là  dove  a  lui  più  piace. 

Svolge,  come  si  vede,  un  concetto  spirituale,  e  sta  in  chiave  (se 
ne  potrebbe  quasi  dire  un  corollario)  con  le  rime  di  cui  vogliamo 
dar  comunicazione,  poiché  anch'esse  sono  d'argomento  ascetico. 
Poche  in  vero,  una  canzone  ed  un  sonetto;  ma  le  sole  per  ora 
che  vengano  a  tener  compagnia  a  quel  solitario  sonetto  innanzi 
riferito,  e  che  in  ogni  modo  possono  un  po' meglio  testimoniare 
dell'attitudine  poetica  in  italiano  del  nostro  latinista.  Le  precede 
una  breve  lettera,  donde  impariamo  quando  furono  scritte  ed  a 
chi  vennero  indirizzate.  Eccola: 

Al  Molto  RevA»  f*.'«  Sig.r  e  pron  mio  oss."'o  il  P.  D.  Andrea  Fossa  CanS" 
Regulare  Lateranen.-^^ 

Alli  giorni  passati,  sentendomi  compunto  il  core  della  foi'z&  della  divina 
gratia,  sparsi  queste  poche  lacrime  in  rima,  in  pentimento  degl'errori  pas- 
sati: l'invio  a  V.  P.  acciò  con  la  caldezza  delle  sue  orationi,  con  le  quali,  è 
solita  di  far  forza  al  Cielo,  le  rappresenti  a  Sua  Divina  Maestà  e  m'impetri 
da  quella  perdono.  Conoscerà  in  queste  mie  basse  rime  molle  imperfettioni 
e  debolezze,  si  come  imperfetto  e  debole  è  lo  spirito  dal  quale  son  nate. 
Potrebbe  ben  ella,  con  la  lima  del  suo  severo  giuditio,  ridurle  a  qualche  per- 
fettione,  si  come  io  spero,  con  la  divina  gralia,  dare  aumento  e  forza  allo 
spirito,  alli  santi  et  utili  ricordi  delle  prediche,  ch'ella  è  per  fare  questo  av- 
vento in  Roma,  il  che,  se  si  compiacesse  di  fare,  me  le  obbligherebbe  con 
doppio  legame  di  benefitio.  Bagio  (sic)  a  V.  P.  riverentemente  le  mani,  e  le 
prego  da  Dio  ogni  contento.  Di  casa,  l'ultimo  di  novembre  1623. 

Di  V.  P.  molto  Rev.da 

Serv.''^  Devotiss.'»" 
Gio  Vittorio  Rossi. 


240  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

E  facciamo  subito  seguire  le  «poche  lacrime  in  rima» 


Io  vivea  sciolto  da  catena  e  laccio 
In  dolce  libertà,  caro  a  me  stesso, 
E  più  al  gran  Dio,  eh'  hor  di  duol  carco  invoco, 
Né  di  tema  rigor,  di  desir  foco 
Mi  fea  col  gielo  o  con  le  fiamme  impaccio: 
Quando  di  tal  vaghezza  al  cor  m'offerse 
Forme  si  rare  il  mio  avversario  altero, 
Ch'io  là  corsi;  ma  quanto,  ahimè,  diverse 
Fur  dal  mio  falso  imaginar  le  prove! 
Sì  folte  nubi  e  nove 
Di  dolor  pili  d'ogn' altro  acerbo  e  fero 
Turbar  del  viver  mio  il  seren  chiaro. 
Ahi,  eh' a  sa  stesso  amaro, 
Le  chiuse  luci  il  cor  deluso  aperse, 
E  ben  che  tardi,  pur  conobbe  espresso, 
Che  fuor  di  quella  viva  alta  speranza. 
Altro,  che  pianto  e  duol,  nulla  n'avanzza. 

Qual  se  talhor  folle  vaghezza  invoglia 

Inesperto  nocchier,  in  fragil  legno. 

Del  mar  fidarsi  alle  chef  onde  infide. 

Che  non  si  tosto  il  Giel,  folgora  e  stride, 

Che  ripresa  l'insana  e  cieca  voglia. 

Del  mar  pentito,  non  che  satio  riede: 

Tal  delle  sorde  amare  acque  del  Mondo 

Desio  mi  prese  (ahi  stolto  è  chi  li  crede. 

Che  per  gioia  e  piacer,  dà  pene  e  scorni); 

Onde  i  miei  chiari  giorni 

Tosto  che  venner  atri,  e  dal  profondo 

Quest'implacabil  pelago  turbossi, 

E  '1  Ciel  di  nembi  armossi, 

Roco  divenni  in  dimandar  mercede. 

Piango  hor  dolente,  et  ho  me  stesso  a  sdegno, 

Che  mal  del  traditor  scorsi  l'ingegno, 

E  quanto  amica  già,  tanto  molesta, 

M'  è  de  suoi  rei  piacer  la  turba  infesta. 

Placido  in  vista,  alteri  sdegni  copre, 
E  in  poco  mele  ha  rio  veleno  ascoso, 
Perch' ingannato  altri  poi  bea  intanto 
Per  diletto  il  dolor,  per  riso  il  pianto  ; 
Tal  dal  sembiante  human  discordan  V  opre, 
E  chi  noi  vede,  ha  il  veder  corto  e  losco. 
Gustò  mai  l'alma  mia,  fin  da  primi  anni, 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  241 

Gh'a  spese  di  lui  vissi,  altro  che  tosco? 

Quando  nel  loto  ove  sepolta  giacque, 

Suoi  fieri  stratij  tacque? 

Né  satlo  il  crudo,  de' passati  inganni 

La  tien  mai  sempre   al  duro  laccio  spinta 

Ove  fu  colta  e  vinta, 

E  chiusa  in  career  tenebroso  e  fosco. 

Ella  noi  segue;  ahi  stolto  è  chi  penoso 

Aspro  viver  seguendo,  odia  il  riposo, 

E  chi  sprezzate  alte  Corone  e  Regni, 

Ritorna  al  fango  de' diletti  indegni. 

Qoal  di  porpora  e  d' or  chiara  Reina, 
Il  gran  sposo  real  posto  in  oblio, 
Arse,  impudica,  a  nova  fiamma  e  vile  ; 
Tal  rotto  il  maritai  nodo  gentile, 
L'alma  mia  cara  alla  beltà  divina, 
Hebbe  d'immondo  ardor  calde  le  brame. 
E  quando  tuono  o  folgore  dovea 
Troncato  haver  del  viver  mio  lo  stame, 
Alto  Signor,  la  tua  bontà  infinita, 
A  se  dal  Giel  m'invita, 
Perch'ogni  oscura  in  me  favilla  e  rea, 
Acceso  del  tuo  amor  verace  e  puro, 
Spenga  del  Mondo  impuro; 
Ma  quanto  aborri  il  fiero  mostro  infame, 
Sia  testimon,  quel  eh'  hor  dal  core  invio 
Largo  pianto  per  gl'occhi,  e  '1  dolor  mio, 
E  questi  a  piedi  tuoi  prieghi  e  lamenti. 
Ch'io  vo' spargendo  in  voci  alte  e  dolenti. 

Ove  fia  gionto  (ahi  lasso),  s'allor  quando 

Eran  più  nel  gioir  fissi  i  miei  sensi. 

Sciolta  dal  suo  mortai,  già  l'alma  a  volo! 

Ahi,  che  di  doglie  e  pianti  armato  stuolo 

Tratta  a  forza  l'haria,  di  pace  in  bando. 

Quanti  a  perpetuo  esiglio,  il  crudo  Inferno 

Condanna,  in  chiuso  ardente  orrido  speco. 

Via  men  di  me  rubelli   al  Re  superno! 

Quanti  ha  un  sol  fallo  a  sempre  arder  sospinto! 

E  in  me  che  carco  e  cinto 

Vissi  di  mille  colpe,  infermo  e  cieco, 

Non  cadder  l'ire  sue  vendicatrici? 

Chi  fé' loro  infelici, 

E  me  sottrasse  aV  precipitio  eterno  ? 

Mio  valor  no,  ma  quei  ch'apri  e  dispensi 

Signor  di  tua  pietate  abissi  immensi. 

Si  m' haven  sotto  1'  ali  sue  coverto, 


242  RASSRnNA    BIRLIOORAFICA 

Che  potea  il  pregio  lor  più  del  mio  merlo. 
Non  è  da  vaneggiar,  Ganzon,  più  tempo, 
Gh'  io  son  già  forsi  del  mio  giorno  a  sera, 
E  sopra  ho  morte  dispietata  e  fera. 
Dunque  tema  e  dolor  l'alma  circondi, 
E  quanto  abondò  il  fallo,  il  pianto  abondi. 


Se  dietro  al  mio  voler,  cieco  e  fatale. 
Gran  tempo  errai,  se  con  diletto  ed  arte 
Cercai  del  biasmo  honore  in  mille  carte, 
Se  corsi  pigro  al  ben,  veloce  al  male, 

Tale  il  cor  del  suo  fallo  empio  e  mortale 
Paventa,  qual  perdute  ancore  e  sarte 
Nave  di  notte,  o  come  augel,  che  sparte 
Sopra  il  tenace  vischio,  intrica  l'ale. 

Facessi  io  almen,  come  chi  prese,  errando 
In  bassa  valle,  ampio  camino  e  torto, 
Ghe  poi  raddoppia  al  buon  sentiero  i  passi! 

Perchè  da  chiaro  e  divin  raggio  scorto. 
Move  si  lento  il  mio  pensier,  poggiando 
Al  dritto  augusto  calle,  ond' al  Giel  vassi? 

Non  ci  fermeremo  a  discorrere,  ciò  che  ha  fatto  cosi  bene  il 
Gerboni,  intorno  all'indole,  al  carattere  del  poeta,  per  educazione 
e  per  ambiente  volto  all'ascetismo,  né  a  quella  specie  di  intimo 
dissidio  che  lo  avvicina  per  qualche  rispetto  al  Petrarca;  soltanto 
vogliamo  rilevare  che  queste  rime  ne  forniscono  un'altra  prova, 
non  priva  d'importanza.  E  al  Petrarca  lo  riaccosta  altresì  non  pure 
il  contenuto,  ma  la  forma  singolarmente  della  canzone;  anzi,  se 
l'osservazione  non  appaia  troppo  sottile,  un'eco  petrarchesca  ri- 
suona persino  nella  frase  delja  lettera:  «  far  forza  al  Cielo  »,  che 
potrebbe  essere  indizio  di  recente  lettura. 

Il  1623  ci  richiama  a  quel  periodo  della  vita  di  Gian  Vittorio 
in  cui  stette  come  familiare  presso  il  cardinale  Andrea  Peretti, 
e  quivi  forse,  a  correggere  la  malinconia  e  la  monotonia  della 
infruttifeira  esistenza  eh'  ei  condusse  per  diciotto  anni,  si  rifece 
alle  opere  di  quell'autore,  verso  il  quale  è  possibile  si  sentisse 
attratto  da  certe  ragioni  di  somiglianza.  Ne  sono  uscite  queste 
poesie,  derivate  da  uno  di  quegli  non  infrequenti  scatti  di  nero 
ascetismo  ond' egli  era  preso,  come  se  fosse  il  più  gran  peccatore 
di  questo  mondo.  Occasione  immediata  ed  esterna,  la  persona  cui 
sono  indirizzate,  e  l'imminenza  delle  prediche  che  il  già  illustre 
oratore  stava  ])er  incominciare  a  Roma  nell'avvento. 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  243 

Il  p.  Andrea  Fossa  era  genovese:  entrò  a  quindici  anni  nel- 
l'ordine dei  Lateranensi  ;  ottenne  u  Padova  la  laurea  in  teologia, 
filosofia  e  diritto  canonico  ;  fu  teologo  del  cardinale  di  S.  Cecilia, 
consultore  del  S.  Ufficio  in  Genova.  Ebbe  cariche  cospicue  nella 
sua  religione,  e  sali  fino  al  generalato;  di  lui  si  giovarono  in 
faccende  politiche  Vittorio  Amedeo  di  Savoia  e  Ranuccio  Farnese. 
Gli  venne  conferita  la  cittadinanza  romana.  Ridottosi  da  ultimo 
nel  cenobio  di  S.  Teodoro  in  Genova,  quivi  mori,  forse  di  peste, 
nel  1657,  essendo  teologo  della  Repubblica.  Nulla  si  ha  di  lui 
alle  stampe;  di  alcune  scritture  manoscritte  ci  hanno  lasciato 
ricordo  i  suoi  biografi,  e  pongono  fra  esse  un  JEpistolarum  ad 
Janum  Niciiim  Erytreum  liber  singularis,  che,  già  esistente  «  nella 
«  sua  scielta  e  copiosissima  Libraria  nel  Convento  di  S.  Theodoro 
«  di  Genova  »,  ^  non  si  sa  dove  sia  andato  a  finire,  ed  ora  avrebbe 
servito  assai  bene  al  nostro  scopo.  Da  ciò  se  è  lecito  argomen- 
tare che  una  corrispondenza  abbastanza  nutrita  sia  passata  tra 
il  Fossa  ed  il  Rossi  (e  un  tocco  se  ne  legge  nella  dedica  di  cui 
ora  parleremo);  non  sappiamo  quindi  spiegarci  come  non  se  ne 
riscontri  traccia  di  sorta  nelle  opere  molteplici  del  secondo,  specie 
nell'ampio  epistolario,  dove  fra  le  lettere  ad  diversos  c'era  da 
supporre  di  trovarne  qualcheduna  diretta  all'abate  lateranense. 

Ma  l'Eritreo  si  ricordò  sull'estremo  della  vita  del  suo  amico 
genovese,  e  volle  fosse  a  lui  dedicata  la  terza  Pinacoteca  che 
egli  non  doveva  vedere  alla  pubblica  luce.  Senonché  la  lettera 
che  conteneva  quest'atto  di  amicizia  e  di  omaggio,  fu  a  un  pelo 
di  andare  perduta.  Il  manoscritto  che  aveva  mandato  a  poco  alla 
volta,  in  varj  quaderni,  per  mezzo  di  Fabio ^Chigi,  al  Nihus,  af- 
finché ne  procurasse  la  stampa,  già  al  cadere  del  1646  e  nei  primi 
mesi  del  seguente,  aggiungendo  poi  man  mano  altre  biografie, 
era  indugiato  ad  esser  posto  in  composizione  fino  all'agosto, 
quando,  dopo  ricevuto  il  primo  foglio,  ebbe  dal  Nihus  la  richiesta 
della  dedicatoria.  Cascò  dalle  nuvole,  e,  turbato,  scrisse  inconta- 
nente al  Chigi:  «Maxima  Nihusii  ad  me  literae  molestia  me  af- 
«fecerunt;  quae  epistolam  requirunt  ad  eum  scriptam,  cujus  iio- 
«  mini  haec  postuma  Pinacotheca  dicatur.  Quam  ego  epistolam, 
«  longae  cujuspiam  laudationis,  quam  epistolae  similiorem  (nam 
«  amicum,  optime  de  me  meritum,  ornare  constitueram)  prips 
«  quam  ipsam  Pinacothecam  misi.  Quamobrem  peto  a  te  majorem 
«  in  modum,  ut  quaeras  investiges  num  ea  uspiam  domi  tuae  la- 
«  titet,  nam  scripsisti  ad  me,  nihil  eorum,  quae  ad  tertiam  hanc 
«Pinacothecam  pertineant,  interiisse,  vel  saltem   hoc  ipsun^  Ni- 

i  SorRKTXi,  Scrittori  della  Liguria,  ^.19. 


244  '      '   RASSEGNA   BIBLIOaRAFlCA 

^«husio'significes.  Nam  magna  spe  teneo  fore  ut  ea  inveniatur, 
«fei  diligentia  in   perquirendo    adhibeatur.    Epistolae    inscriptio 
«haec   erat:   Reverendissimo   patri  D.  Andreae  Fossae,  Abbati, 
^  «  Canoilico   Reg.  Lateranensi  ».   E   poicbé   non    veniva  risposta, 
soggiungeva  poco  dopo:  «Superiori  hebdomade  nullas,  ncque  a 
•  «te,  neque  a  Nihusio  literas  neque  quaternionem  aliquem  Pina- 
*^'«  cothécae  accepi;  veruni  moram  hanc  aequo  animo  ferre  possum, 
«  si  epistola  ad  Abbatem  Andream  Fossam  reperiatur  ».  La  de- 
dica si  ritrovò,  e  il  Nihus  gliene  diede  subito  avviso.  «  Aveo,  ex 
«  literis  Nihusii  certior  fieri   num  epistola,  qua  Pinacotheca  D. 
«  Andreae  Fossae  dicatur,  sit  inventa  »  ;  cosi  egli,  lieto,  esprimeva 
al  Chigi  la  sua  piena  soddisfazione.  ' 

E  vero,  questa  dedica  vince  per  diversi  rispetti  tutte  le  altre, 
e  ci  i^ialesa,  anche  nei  particolari,  quale  e  quanta  fosse  la  con- 
suetudine amichevole  fra  l' Abate  e  lo  scrittore,  e  come  antica  e 
desiderata  e  costante;  né  manca  la  testimonianza  del  piacere  e 
del  frutto  che  il  Rossi  ritraeva  dalle  conversazioni  di  quel  reli- 
gioso, che  gli  parlava  con  aperta  effusione  dell'animo.  Inoltre 
quivi  ritroviamo,  pur  indulgendo  alla  frase  ed  al  fine,  pregevoli 
'  notizie  biografiche,  le  quali  hanno  poi  servito  largamente  a  coloro 
che  del  Fossa  ci  serbarono  memoria.  ^ 

Ecco  chi  era  il  canonico  lateranense  a  cui  nel  1623  inviava 
l'Eritreo  la  canzone  ed  il  sonetto,  si  come  testimonianza  di  ri- 
inorso  e  di  pentimento  per  i  passati  trascorsi,  mentre  certo  si 
proponeva  di  ascoltare  indi  a  poco  la  vital  parola  del  sacro  ora- 
^  tore,  donde  sperava  quiete  e  conforto  alla  turbata  coscienza.  Se 
'  le  sei  carte  che  compongono  il  manoscritto  ^  non  sono  autografe 
(e  d'altra  parte  a  noi  mancano  i  termini  di  confronto  per  con- 
statarlo), è  indubitato  che  provengono  da  quel  convento  di  S. 
Teodoro,  ora  distrutto,  dove  assai  tempo  dimorò,  e  dove  mori 
l' Abate  Fossa,  anzi  potrebbe  dirsi  addirittura  dalla  sua  libreria 
innanzi  citata;  quelle  stesse,  poniamo  pure  in  buona  copia  cal- 
ligrafica, mandate  a  lui  dall'autore.  Il  quale  considerava  queste 
rime  «  basse  »  e  piene  di  «  molte  imperfettioni  e  debolezze  »  ;  al 
che,  fatta  ragione  dell'umiltà  e  della  compunzione,  non  vorremo 
al  tutto  contradire,  sebbene  a  noi  sembri  possano  anch'  esse  me- 
ritare il  benevolo  giudizio  dato  dell'unico  sonetto  dal  suo  più 
recente  e  miglior  biografo.  Achille  Neri. 


1  Epistolae  cit.,  II.  p.  76  SRg.;  n.  LXXVII,  LXXVIII,  LXXVIIIL 

»  De  Rosinis,  A,»/c«i(m  Aa<«-rtii«jise,  Ceseiiae,  1649, 1.p.  21.  —  Soprani,  op.  cit.  -  Giusti- 
niani, Sciitt.  Liguri,  p.  52.  —  Glorie  dei/li  lucofjuili,  Venezia,  1647. 

»  Biblioteca  della  R.  Università  di  Genova  —  Cose  Diverse,  A.  IV,  34. 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  245 


ANNUNZI  BIBLIOGRAFICI. 

Ernesto  Masi.   —  Doiiìie  di  storia  e  di  romanzo.  —  Bologna,  Zanichelli, 
1903;  un  voi.  in  16."  picc,  di  pp.  401, 

Questo  volume  tien  dietro  e  si  ricongiunge  ad  altri  due  del  medesimo 
autore  :  Studj  e  ritratti  e  Nuovi  studj  e  ritratti,  anch'  essi  pubblicati  dallo 
Zanichelli.  Il  presente  si  intitola  Donne  di  storia  e  di  romanzo,  perché  nella 
parte  storica  predominano  tre  eroine,  e  nello  studio  di  sei  romanzi  più  spe- 
cialmente si  studiano  caratteri  femminili.  Le  tre  eroine  sono  Cristina  di 
Savoja,  Maria  Mancini  Colonna  e  Caterina  li  di  Russia:  la  prima  scesa  dal 
trono,  la  seconda  vogliosa  di  salirvi,  l'ultima  salitavi  col  farsi  sgabello  del 
marito,  e  rimastavi  potentissima.  Questi  primi  tre  studj  rifanno  i  ponderosi 
volumi  che  a  ciascuna  di  coteste  tre  donne  consacrarono  rispettivamente  il 
De  Bildt,  il  (o  la)  Perey,  e  il  Waliszevvski  :  ma  i  materiali  offerti  da  questi 
scrittori  vengono  liberamente  rielaborati  dall'autore,  che  ne  estrae  il  con- 
tenuto, aggiungendovi  considerazioni  sue  proprie.  I  rimanenti  saggi,  quelli 
delle  donne  di  romanzo,  esaminano  creature  pili  o  meno  perfette  della  fan- 
tasia di  Marc  Mounier,  dello  Zola,  del  Rod  e  della  signorina  Giacomelli.  Se- 
gnaliamo, sopra  tutti,  quelli  riguardanti  i  romanzi  dello  Zola,  nei  quali,  unita 
a  grande  ammirazione  per  la  potenza  dello  scrittore,  si  rinviene  una  singo- 
lare indipendenza  di  giudizio  circa  la  scuola  sperimentale  e  il  romanzo  na- 
turalista. Le  obiezioni  all'una  e  all'altro,  nell'idea  e  nella  pratica  effettiva, 
sono  notevoli  per  acume  critico,  che  non  si  perde  in  disquisizioni  estetiche, 
ma  adopera  la  forma  e  il  linguaggio  del  buon  senso. 

Questo  volumetto  conferma  la  riputazione  in  che  è  salito  il  Masi  come 
critico,  specialmente  esperto  e  sicuro  nell'analisi  psicologica  dei  caratteri, 
sien  essi  offerti  dalla  realtà  dei  fatti  o  dalla  fantasia  degli  scrittori. 

A.  D'Ancona. 

Guglielmo  Volpi.  —  Note  di  varia  erudizione  e  critica  letteraria  {secoli  XIV 
e  XV),  Firenze,  B.  Seeber,  1903  (8.»  picc,  pp.  74). 

Come  avverte  l' autore  stesso,  dei  cinque  brevi  studj  compresi  in  questo 
volumetto  solo  il  primo  è  nuovo  ;  gli  altri  videro  la  luce,  in  tempi  diversi, 
nei  giornali  letterarj.  A  tutti,  peraltro,  l'A.,  di  cui  è  nota  agli  studiosi  la 
diligenza  oculata  e  coscienziosa,  ha  dato  nuove  cure,  qua  e  là  mutando  o 
aggiungendo  :  l' ultimo,  anzi,  ricompare  ora  quasi  raddoppiato. 

Lo  scritto  inedito  con  cui  il  libro  s' inizia  intende  a  confutare  quanto  In- 
torno a  una  ballata  di  Guido  Cavalcanti  osservò  recentemente  il  Beneducci 
ne'  suoi  Scampoli  critici,  e  a  ribadire  un'  opinione  già  espressa  nel  volume 
Il  Trecento.  Il  Beneducci  —  il  quale  di  questo  lavoro  del  Volpi  ha  recato  troppo 
severo  giudizio,  senza  porre  mente  al  fatto  che  la  nuova  edizione  della  Storia 
Letteraria  Vallardi  non  doveva  in  origine  essere  altro  se  non  un'  opera  di 
divulgazione  (secondo  il  patto  degli  autori  coli' editore)  —  ha  cercato  di  di- 
fendere la  tradizione  che  dà  come  scritta  nell'esilio  a  Sarzana  la  ballata 
Per  ch'io  non  spero  di  tornar  giammai.  Il  Volpi,  contraddicendolo,  afferma 


246  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

ora  che  tale  tradizione  non  è  già  antica,  ma  di  data  abbastanza  recente;  e, 
fattane  in  breve  la  storia,  mostra  com'essa  si  fondi  nella  presupposizione 
che  Sarzana  venisse  anche  dagli  antichi  riguardata  come  una  terra  fuori  di 
Toscana  ;  presupposizione  falsa  —  egli  dice  —  poiché  codesta  città,  posta 
sulla  sinistra  della  Magra  che  "  lo  Genovese  parte  dal  Toscano  „,  era  invece 
pei  Fiorentini  contemporanei  del  Cavalcanti  l'ultima  città  toscana  dalla  parte 
della  Liguria. 

I  testimonj  che  il  Volpi  cita  in  proposito  (Dante,  Gio.  Villani,  Fazio  degli 
liberti,  il  Boccaccio)  sono  autorevoli;  e  ci  pare  ch'egli  abbia  ragione  anche 
quando,  dopo   aver  mostrato   che  "  da   Sarzana  il  Cavalcanti   non   avrebbe 

•  potuto  dire  che  non  sperava  di  tornare  in  Toscana  per  la  ragione  geo- 
"  grafica  ,  (p.  13),  soggiunge  che  "  anche  dato  e  non  concesso  che  e^'li,  di- 
"  morando  in  Sarzana,  si  sentisse  fuori  del  territorio  toscano,  non  si  sarebbe 
"  espresso  in  quel  modo,  perché  Sarzana  anche  per  lui  sarebbe  stata  almeno 
"molto  vicina  alla  Toscana;  ond' egli  avrebbe  detto,  invece:  Non  spe- 
'^  ro  di  tornare  in  Firenze...  „.  Dove  dunque,  e  quando,  avrà  egli  dettato 
quei  versi  pieni  d'  una  malinconia  cosi  profonda  ?  Ragionevolmente  il  Volpi, 
conchiudendo  questo  suo  scritto  acuto  e  per  più  riguardi  notevole,  conget- 
tura ch'ei  li  abbia  composti  "nella  vecchia  Nìmes  ^,  dove  si  fermò,  nell'an- 
dare in  pellegrinaggio  a  S.  Jacopo  di  Compostella,  "  malato  e  solo,  lontano 

*  dalla  sua  donna  e  dalla  sua  patria  „. 

Degli  altri  lavoretti  raccolti  ora  insieme  dal  V.  —  Poesìe  popolari  dei  se- 
coli XIV  e  XV,  La  bellezza  maschile  nella  poesia  volgare  del  secolo  XV, 
Una  deploratoria  in  morte  di  Lorenzo  il  Magnifico,  Francesco  Cei  poeta  fio- 
rentino dell'ultimo  quattrocento  —  non  occorre  dare  qui  notizia;  dacché  gli 
studiosi  già  sanno,  che  contengono  notizie  curiose,  e  son  frutto  d' indagini 
pazienti  e  fortunate.  Solo  diremo,  che  la  parte  letteraria  —  al  tutto  nuova  — 
dell'ultimo  giova  a  integrare,  più  efficacemente  lumeggiandola,  quella  figura 
d'improvvisatore  fiorentino  della  scuola  del  Cariteo,  del  Tebaldeo,  di  Sera- 
fino dell'Aquila,  che  già  il  Volpi  ci  avea  fatto  rivivere  dinanzi,  nella  Biblio- 
teca delle  scuole  italiane,  tessendone  la  biografia.  F.  Flamini. 

CRONACA. 

.'.  Nel  fascicolo  sesto  del  Codice  diplomatico  dantesco  il  Rajna  pubblicò 
nel  1900  una  breve  notizia  intorno  a  quella  famosa  iscrizione  degli  Ubai- 
dini,  che  alcuni  nostri  vecchi  storici  considerarono  come  uno  dei  primi  mo- 
numenti della  nostra  lingua.  In  quella  notizia  il  Rajna  accennava  agli  ar- 
gomenti principali  i  quali  conducono  alla  conclusione  che  il  documento  è 
una  falsificazione  cinquecentesca.  Il  Rajna,  riprendendo  ora  a  studiare  più 
profondamente  la  questione,  ha  pubblicato  nell'  Archivio  Storico  Italiano 
una  dissertazione,  L' Iscrizione  degli  Ubaldini  e  il  suo  autore  (pp.  70),  nella 
quale,  dopo  aver  fatto  la  storia  del  documento  dal  tempo  in  cui  venne  in 
luce  la  prima  volta,  esamina  il  marmo,  la  forma  delle  lettere,  il  contenuto 
storico,  i  personaggi  che  vi  sono  menzionati,  la  lingua,  il  metro,  e  dimostra 
in  modo  che  ci  pare  inconfutabile,  che  l' iscrizione  è  una  falsificazione  do- 
vuta a  Giovambattista  Ubaldini,  che  la  divulgò  nel  suo  libro  Istoria  della 


DELLA   LETTBRATURA   ITALIANA  24? 

casa  degli  Ubaldini  (Firenze,  Sermartelli,  1588),  dopo  avere  ingannato  il 
Borghini,  che  la  inseri  come  documento  d'una  famiglia  fiorentina  nei  suoi 
Discorsi  editi  nel  1585.  Del  resto,  questa  iscrizione  non  è  il  solo  documento 
falso  su  cui  si  appoggi  V Istoria;  ve  ne  sono  altri  di  cui  pure  tratta  il 
Bajna  per  mostrare,  come  si  dice,  la  capacità  a  delinquere  di  Giovambattista 
Ubaldini.  La  Memoria  è  corredata  di  un  facsimile  della  iscrizione,  la  quale, 
dopo  essere  slata  trasportata  a  Firenze  nel  1570  in  casa  di  un  Ubaldini 
in  via  Martelli,  ritornò  in  Mugello  sulla  fine  del  secolo  XVIII,  ed  ora  si 
trova  in  una  sala  della  Villa  detta  del  Monte,  presso  Galliano,  di  proprietà 
del  Comm.  Luigi  Vaj.  D'ora  innanzi  bisogna  dunque  risolutamente  cancel- 
larla dal  novero  dei  primi  documenti  in  volgare. 

.".  Nel  dilagare  di  studj  grandi  e  piccini  intorno  al  nostro  maggior  Poeta, 
sia  la  benvenuta  una  Bibliografia  dantesca  (Direttore  -  Compilatore  :  Luigi 
SuTTiNA,  Gividale  del  Friuli,  presso  Giov.  Fulvio,  1902,  di  pp.  100,  in  8.»)  la 
quale  raccoglierà  periodicamente  le  sparse  pubblicazioni  a  servigio  del  ricer- 
catore. Pur  vorremmo,  per  la  miglior  economia  della  rassegna  e  ad  evitare 
troppi  vasti  e  perigliosi  confini,  che  degli  studj  intorno  al  trecento  e  a  cose 
francescane  non  se  ne  parlasse,  o  pure,  piacendo  all' A.,  se  ne  tenesse  conto 
in  altra  e  pili  conveniente  sede.  Né  all'opera  mancherà  la  materia  finché 
avranno  fiato  dantisti  e  dantofili  ;  il  che,  se  Dio  vuole,  sarà  ancora  per  un 
pezzo.  Nel  fascicolo  che  abbiamo  sott' occhio  non  sono  poche,  a  dir  vero,  le 
mende:  ampie  e  minuziose  rassegne  di  brevissimi  articoli,  troppo  scarne  e 
inconcludenti  di  opere  ponderose  ;  lodi  e  incensature  a  josa,  scorrettezze  di 
forma,  inesattezze.  Né  sappiamo  ad  es.,  quanto  opportunamente  entrino  nella 
Bibliografia  il  saggio  su  la  prigionia  di  re  Enzo  del  Frati,  gli  studj  del  Torraca  su 
la  lirica  del  Duecento  e,  peggio,  la  Francesca  da  Rimini  di  Gabriele  D'Annunzio. 
Sul  quale  l'A.,  lasciato  l'ufficio  di  bibliografo,  più  volte  ritorna,  tratto  evi- 
dentemente da  una  naturai  simpatia:  che  Dio  gli  conservi.  Del  resto  la  so- 
lerzia dell' A.  e  l'amor  suo  per  l'iniziata  impresa  ci  danno  affidamento,  che 
la  Bibliografia,  tolte  mende  ed  errori,  sia  per  diventare  sussidio  prezioso  al 
cultore  di  cose  dantesche. 

.•.  Dall'ultima  volta  che  parlammo  in  questo  giornale  (Vili,  183)  della 
Breve  esposizione  della  Dir.  Commedia  del  sig.  A.  Giordano,  essa,  accresciuta 
di  volume,  è  già  arrivata  alla  quarta  edizione,  segno  evidente  dell'utilità  sua 
e  dalla  favorevole  accoglienza  avuta  nelle  scuole.  Certo  è  che,  a  poco  per 
volta,  questo  libro  è  diventalo  una  specie  di  Enciclopedia  dantesca,  che  può 
opportunamente  guidare  i  giovani  allo  studio  del  poema.  Abbiamo  riscontrato 
con  piacere,  che  alcune  osservazioni  da  noi  fatte  all'autore  sono  state  da 
lui  accolte,  e  di  ciò  gli  siamo  grati.  Intanto  è  desiderabile  che  il  sig.  G.  con 
nuove  cure  renda  sempre  migliore  un  lavoro,  che  è  evidentemente  adoperato 
nelle  nostre  scuole. 

.•.  A  cura  dell'Istituto  storico  italiano  sono  usciti  a  luce  due  nuovi  vo- 
lumi di  fonti  per  la  storia  d' Italia,  contenenti  il  Chronicon  Farfense  di 
Gregorio  di  Catino,  cui  precedono  Li  Costructio  Farfensis  e  gli  Scritti  di  Ugo 
di  Farfa,  a  cura  di  Ugo  Balzani  (1.»  voi.  di  pp.  XLVI-366,  2."  di  pp.  566,  in 
8.0,  Roma,  tip.  Forzani).  La  prefazione  dell'editore  tratta  dell'importanza  di 
questi  antirhi«simi  documenti  di  storia  nazionale;  riassume  le  vicende  del 
celebre   monastero,  e    raccoglie   le   notizie   intorno  ai  due  autori   di   questi 


248  UASSEONA   BIBLIOGRAFICA 

scritti  e  ne  determina  il  carattere,  con  piena  informazione  e  sobrietà  di  det- 
tato. Questa  nuova  edizione,  collazionata  con  diligenza,  qua  e  là  illustrata  di 
note  e  fornita  d'indici  copiosissimi,  sarà  certamente  accolta  con  applauso 
dagli  studiosi,  accompagnandosi  con  quella  del  Regesto  Farfense,  pur  di  Gre- 
gorio di  Catino,  che  il  Balzani  stesso  insieme  con  I.  Giorgi,  bibliotecario  della 
Gasanatense,  ha  dato  nei  volumi  della  Società  romana  di  storia  patria. 

.•.  Al  prof.  Biagio  Brugi,  storico  del  diritto  valoroso  e  geniale,  dobbiamo 
due  nuovi  scritti  importanti  anche  per  la  storia  delle  lettere.  —  Il  primo  è 
un  discorso  intitolato  Gli  scolari  dello  Studio  di  Padova  nel  Cinquecento. 
(Padova,  Tip.  Bandi,  1903),  che  ci  offre  un  quadro  ben  disegnato  e  vivacemente 
colorito  della  vita  studentesca  padovana  nel  secolo  più  glorioso  pel  celebre 
Studio  della  Serenissima.  Da  svariate  fonti,  manoscritte  e  a  stampa,  l' A.  ha 
ricavato  copia  di  notizie,  anche  peregrine  e  sempre  in  sommo  grado  inte- 
ressanti; le  ha  collegate  maestrevolmente,  dilettando  e  allettando;  vi  ha  in- 
nestato acconcie  osservazioni;  ha  concluso  il  suo  dire  con  savi  ammonimenti 
agli  scolari  moderni.  —  L'altro  scritto  che  annunziamo  è  una  pagina  della 
storia  della  cultura  nostra  nella  medesima  età,  e  s'intitola:  I  giureconsulti 
italiani  del  secolo  XVI  (Modena,  1903,  estr.  A^XV Archivio  Giuridico  Filippo 
Serafini).  L'autore  vi  tratta  prima  del  vero  concetto  ed  intento  d'una  storia 
letteraria  del  diritto  romano,  poi  del  diritto  romano  dei  postglossatori  in 
relazione  coi  nostri  giureconsulti  del  Cinquecento;  collega  codesta  storia  con 
quella  dei  nostri  Studi  e  delle  loro  cattedre;  e  conchiude  determinandone  i 
limiti  con  larghezza  di  criteri. 

,•.  L'egregio  prof.  Agnelli,  bibliotecario  della  Comunale  di  Ferrara,  indotto 
forse  dagli  ardenti  desiderj  degli  studiosi,  si  propone  di  rendere  d' uso  co- 
mune il  più  prezioso  tra  i  cimelj  posseduti  da  Ferrara,  l'autografo  di  quella 
parte  dell'Orlando  che  l'Ariosto  aggiunse  nella  edizione  definitiva  del  1532. 
Non  occorrono  molte  parole  per  dimostrare  l'utilità,  la  necessità  di  quésta 
impresa.  Si  tratta  di  più  che  500  ottave,  che  il  manoscritto  ferrarese  ci  ha 
serbato  cosi  nella  forma  abbozzata,  come  nelle  loro  trasformazioni,  come  nel 
testo  ultimo.  Alcune  stanze  son  rifatte  sino  a  cinque  volle.  Quali  e  quanti 
elementi  offrono  allo  studioso  di  stilistica!  Tutto  l'autografo  sarà  riprodotto 
in  tante  tavole  in  fototipia.  Imagine  più  fedele  non  si  potrebbe  desiderarne. 
Noi  speriamo  che  il  prof.  Agnelli  vorrà  unire  anche  la  riproduzione  di  due 
carte  esistenti  nelP  Ambrosiana  di  Milano,  le  quali,  secondo  la  notizia  data 
da  G.  Lisio  all'  ultimo  Congresso  internazionale  di  scienze  storiche,  integrano 
la  buona  copia  delle  stanze  aggiunte;  sembrano  anzi  a  dirittura  strappale 
dal  manoscritto  ferrarese.  Esprimiamo  in  fine  l'augurio,  che  l'indifferenza  o 
lo  spavento  della  spesa  {lire  cento  per  tutte  le  carte)  non  soffochi  in  sul 
nascere  l'impresa  del  benemerito  bibliotecario. 

.*.  La  vita  e  le  Rime  di  Angiolo  Bronzino  danno  titolo  ed  argomento  ad 
uno  studio  della  signorina  Albertina  Furno  (Pistoja,  Fiori,  di  pp.  112  in  IG."). 
È  noto  come  questo  pittore  fiorentino  del  sec.  XVI  (1503-1572)  proseguendo 
una  tradizione  paesana,  trattasse  insieme  col  pennello  anche  la  penna.  Le 
sue  rime  serie  non  hanno  gran  valore,  salvo  per  la  lingua,  che  è  schietta  e 
viva:  ma  le  rime  "in  burla  „  lo  mostrano  non  indegno  discepolo  del  Borni, 
e  dei  più  antichi  che  di  generazione  in  generazione  si  esercitarono  in  tal  ge- 
nere di  componimenti,  mescolandovi  qualche  spruzzo  di  satira.  Tutta  ia  sua 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  249 

produzione  poetica  è  esaminala  in  forma  piana  e  lucida  dall'autrice  di  questo 
studio,  dopo  averne  narrata  la  biografia.   Ma   poiché  essa  nota  *  i  caratteri 

*  comuni  all'opera  pittorica  e  poetica  del  Bronzino  ,,  crediamo  che  utilmente, 
a  completarne  l'immagine,  si  sarebbe  potuto  trattare  di  lui  anche  come  pit- 
tore, e  almeno  enumerarne  le  opere. 

.'.  Albertina  Furno  in  un  opuscolo  intitolato  Uno  stornellato  fiorentino 
(Palermo -Torino,  Glausen,  1902,  pp.  8  in  16.°)  dà  notizia  di  un  improv- 
visatore di  stornelli,  Zulinio  Franceschi,  nativo  di  Legnaia  presso  Monticelli 
in  quel  di  Firenze,  che  fa  il  mestiere  di  lustratore  di  mobili  in  una  bottega 
d'oltr' Arno.  Il  Franceschi  ha  una  grande  facilità  di  improvvisare,  e  la  Furno 
riferisce  alcuni  suoi  Rispetti  assai  graziosi,  e  di  uno  di  essi  anche  la  tra- 
scrizione dell'aria  su  cui  egli  lo  canta.  Siccome  il  Franceschi  si  prova  vo- 
lentieri a  improvvisare  stornelli  in  tenzone,  riprendendo  l'ultimo  verso  del 
rispetto  dell'avversario  per  cominciamento  del  proprio,  la  Furno  pensò  di 
far  cantare  a  una  signorina  la  Serenata  famosa  del  Bronzino  dando  l'an- 
damento di  una  quartina  ad  ogni  terzetto  di  essa,  col  ripetere  due  volte  il 
verso  ultimo,  che  dovea  essere  il  principio  di  ogni  rispetto  del  Franceschi. 
La  Furno  fu  indotta  a  ciò  dalla  speranza  che  sulla  bocca  del  Franceschi 
rifiorissero  le  canzoni  popolari  toscane  di  cui,  secondo  la  dimostrazione  del 
Rubieri  e  del  D'Ancona,  la  Serenata  è  un  centone.  Sedici  dei  cinquantasei 
rispetti,  che  con  molta  facilità  cantò  il  Franceschi,  sono  riprodotti  dalla 
Furno,  la   quale   conclude  :  "  Io  non  do   al   fatto   pili   valore  di  quello  che 

*  abbia,  né  presumo  di  esser  giunta  con  questo  stratagemma  a  ritrovare  pro- 
"  prio  i  canti  che  vivevano  nel  cinquecento,  e  de' quali  il  Bronzino  citò  il 
"cominciamento;  ma  pure  non  è  improbabile  che  talora  il  capoverso  abbia 
"  obbligato  lo  stornellaio  a  cantare  per  intero  il  rispetto  che  gli  corrisponde  ,. 
Ad  ogni  modo,  aggiungiamo  noi,  i  Rispetti  del  Franceschi  saranno  un  utile 
termine  di  confronto  con  altri  che  per  la  Toscana  si  potranno  quando  che 
sia  rinvenire. 

.•.  La  prima  serie  degli  Studj  che  la  signorina  Eugenia  Montanari  an- 
nunzia su  l'Arte  e  la  Letteratura  nella  prima  metà  del  sec.  XIX  è  consa- 
crata a  Pietro  Giordani  (Firenze,  Lumachi,  di  pp.  XIM70  in  16."),  e  questo 
saggio  fa  bene  augurare  di  ciò  che  verrà  in  appresso.  Intanto,  considerato 
in  sé  stesso  soltanto,  è  un  buon  lavoro,  che  getta  nuova  luce  sur  un  aspetto, 
non  illustrato  fin  ora,  dal  quale  il  letterato  piacentino  dev'esser  osservato. 
Il  cullo  dell'arte  nelle  varie  sue  forme  non  fu  per  lui  una  cosa  a  parte,  ma 
connesso  con  quello  della  parola,  ed  egli  avrebbe  dovuto  rappresentare  tale 
intrinseca  unione  in  quello  che  annunziava  "  il  pili  lungo  e  il  più  importante  , 
dei  suoi  lavori.  Egli  lo  intitolava  Del  vero  nelle  arti  del  disegno  e  della 
parola,  e  di  esso  non  restano  che  frammenti,  ma  il  titolo  ce  ne  dichiara  gli 
intenti.  Da  tutte  le  varie  scritture  del  Giordani  è  perciò  1'  autrice  costretta 
a  raccogliere  ciò  che  può  darci  una  idea  dei  concetti  sull'arte,  ch'egli  agi- 
tava nella  sua  mente.  E  senza  bea  penetrarne  l'essenza,  e  la  relazione  che 
hanno  con  le  condizioni  politiche  di  quel  periodo  storico  e  colla  profonda 
italianità  del  Giordani,  mal  si  comprenderebbe  a  prima  vista  come  egli  po- 
tesse passare  dalla  celebrazione  del  Canova  a  quella  del  Bartolini;  se  non 
che,  nel  primo  egli  scorgeva  il  rinnovatore  della  squisita  arte  classica  nella 
forma,  nel  secondo  colui  che  le  comunicava  l'alito    avvivalore  dell'idea  e 


250  RASSEGNA  BIHLIOGRAFÌCA 

la  coscienza  dei  nuovi  tempi.  L'autrice  di  questo  lavoro  ha  fatto  con  esso 
opera  buona,  e  meglio  lumeggiato,  da  un  nuovo  aspetto,  l' immagine  di  uno 
scrittore,  che,  quali  si  sieno  i  giudizj  della  posterità,  esercitò  ai  suoi  di  una 
vera  dittatura  rispetto  al  gusto  letterario.  Salvo  qualche  cosa  di  un  po' ne- 
buloso e  indeterminato  nello  stile,  non  abbiamo  che  a  lodare  questo  saggio, 
e  incuorare  l'autrice  a  proseguire  la  trattazione  dell'argomento  cominciato 
a  svolgere  con  questo  volume. 

.'.  É  noto  come  un  Comitato  internazionale  intendesse  celebrare  a  suo  tempo 
il  primo  centenario  della  battaglia  di  Marengo.  Le  vicende  dei  tempi  impedi- 
rono l'effettuazione  di  questo  disegno,  del  quale  restarono  tracce  nel  BuUettin 
mensuel  du  Cornile  international  ecc.  {Rassegna,  Wll,  260)  e  nella  pubblica- 
zione per  cura  della  società  storica  alessandrina  d'un  libro  di  varj  scrittori 
{Rass.  Vili,  308).  Adesso  il  sig.  A.  Lumbroso,  presidente  del  Gomitato,  dà  a  luce 
un  voi.  col  titolo  Mélanges  Marengo  (Frascati,  tip.  Tusculana,  di  pp.  LXXI-232 
in  16."),  che  sarà  seguito  da  un  altro,  ed  è  fuori  di  commercio,  ma  destinato 
alle  biblioteche  e  ai  membri  del  Gomitato  soltanto.  Esso  contiene  gli  scritti 
di  otto  autori,  pili  la  prefazione  del  compilatore,  e  parecchie  illustrazioni 
(vedute,  carte,  ritratti  ecc.).  Sono  materiali  utili  alia  storia  del  memorabile 
avvenimento.  In  un  luogo  della  prefazione  si  ricordano  i  componimenti  poe- 
tici ch'esso  ispirò.  Altri  si  potevano  riferire  o  almeno  indicarne,  di  autori 
contemporanei  :  ma  fra  quelli  di  poeti  dei  tempi  successivi,  oltre  il  Mameli, 
potevasi  rammentare  Giuseppe  Revere,  il  carme  del  quale,  che  s'intitola 
appunto  Marengo,  ha  molto  maggior  merito  d'arte,  che  l'informe  polimetro 
del  giovane  bardo  genovese. 

.'.  Francesco  Selmi,  patriotta,  letterato,  scienziato  meritava  bene  un  ricordo 
della  sua  vita  integerrima  ed  operosa,  e  lo  ha  adesso  con  un  voi.  del  prof. 
G.  Ganevazzi,  che  alla  sua  narrazione  biografica  aggiunge  una  Appendice  di 
lettere  inedite  (Modena,  Forghieri  e  Pellequi,  un  voi.  in  18.°  di  pp.  VII-266  con 
ritratto).  La  prima  forma  di  questo  lavoro  era  quella  di  conferenza,  e  di  essa 
ritiene  tuttavia  le  impronte.  Meglio  era  forse  rifare  il  lavoro  e  pili  acconciamente 
coordinarne  e  svolgerne  le  parti,  anziché  i.l  testo  sottoporre  larghissime  note 
e  in  fondo  collocare  copiose  giunte  e  correzioni.  Cosi  com'  è,  è  un  lavoro 
alquanto  farraginoso  e  tumultuario,  nel  quale  troppo  spesso,  e  lo  dicono 
anche  i  molti  errori  tipografici,  alcuni  del  quali  corretti  a  mano,  appajono 
i  segni  della  fretta.  Dando  altra  forma  pili  ordinata  al  suo  lavoro  e  alla 
copia  dei  materiali,  1'  autore  avrebbe  anche  potuto  meglio  lumeggiare  alcuni 
aspetti  di  quest'uomo,  che,  per  naturai  driltura  d'intelletto,  emerse  fra  i 
contemporanei  come  scienziato  e  insieme  come  letterato.  I  meriti,  ad  esempio, 
del  Selmi  dantista  avrebber  meritato  pili  lungo  discorso,  mentre  invece  sono 
appena  indicali,  e  non  per  studio  proprio,  ma  per  indicazione  di  giudizj 
d'altri.  Il  saggio,  per  citarne  uno,  del  Selmi  sul  Convivio  è  un  lavoro  di  ca- 
pitale importanza,  specialmente  per  la  divinazione  sulle  14  Ganzoni  che  vi 
sarebber  state  illustrate;  e  di  ciò  appena  è  fatta  menzione.  Diremmo  quasi 
che  le  benemerenze  del  Selmi  scienziato  sieno  poste  in  più  chiara  e  piena 
luce  che  quelle  del  Selmi  letterato  e  dantista.  La  corrispondenza,  che  ha 
alcune  lettere  importanti  o  curiose,  sarebbe  stata  bene  disporla  anziché 
per  autori,  per  ordine  cronologico.  A  noi  pare  insomma,  letto  con  interesse 
questo  volume,  anche  per  le  memorie  che  in  noi  ridesta,  che   debbasi   rin- 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  251 

graziare  il  prof.  C.  dell'aver  riposto  in  onore  un  uomo  per  tanti  aspetti 
notevole;  ma  che  egli  si  sia  come  lasciato  sopraffare  dalla  quantità  e  va- 
rietà del  materiale  e  dal  desiderio  di  far  presto. 

.*.  L'infaticabile  prof.  Arturo  Farinelli  ha  pubblicato  una  seconda  serie 
di  Mas  Apuntes  y  Divagnciones  Bibliograficas  sabre  viajes  y  viajeros  por 
Espana  y  Portugal  (Madrid,  1903,  pp.  83  in  8.»  piccolo).  Chi  scorra  l'ab- 
bondante bibliografia  vi  troverà  molti  nomi  d'Italiani  che  viaggiarono  per 
la  penisola  iberica,  fermando  le  loro  impressioni  in  racconti,  alcuni  dei  quali 
giacciono  inedili  iu  biblioteche  italiane  o  straniere.  Il  Farinelli  fa  sperare  (e 
noi  l'incoraggiamo)  che  i  suoi  appunti  e  quelli  pubblicati  da  un  suo  com- 
pagno di  studj,  il  Foulché-Delbosc,  possano  essere  raccolti  insieme  in  un  voi. 

.•.  A  ragione  il  sig.  A.  Sacghetti-Tassktti  preludendo  al  suo  libro  Le 
scuole  pubbliche  in  Rieti  dal  XIV  al  XIX  secolo  (Rieti,  Frinchi,  1902,  di 
pp.  VII-202  in  8.")  osserva  che  l'illustrare  non  solo  le  vicende  dell'insegna- 
mento superiore  e  universitario,  ma  anche  quelle  dei  minori  centri,  darebbe 
contributo  non  piccolo  alla  storia  generale  della  cultura  italiana.  Intanto  egli 
fa  per  la  sua  Rieti  quello  che  è  desiderabile  che  altri  possa  fare  per  tutte  le 
città  italiane,  e  accompagna  le  vicende  dell' insegnamento  dal  sec.  XIV,  e 
precisamente  dal  1381,  in  che  per  la  prima  volta  il  Consiglio  reatino,  pur 
riferendosi  a  consuetudini  anteriori,  elesse  un  maestro  di  grammatica,  fino 
ai  di  nostri.  La  serie  di  questi  maestri  e  delle  loro  elezioni  dura  per  tutto 
il  sec.  XV  e  XVI;  e  se  per  la  maggior  parte  sono  nomi  di  oscuri  insegnanti, 
ve  n'ha  alcuno,  ad  esempio,  il  Cantalicio,  che  è  ricordato  fra  gli  umanisti. 
Quali  fossero  gli  ufficj,  quali  le  retribuzioni  di  questi  maestri  è  da  vedere 
nel  libro  che  annunziamo  (p.  88  e  seg.),  con  norme  che,  del  resto,  poco 
differiscono  dalle  comuni  ad  altre  città.  Intanto  alla  fine  del  sec.  XVII  la 
scuola  si  mutò  in  Collegio  (1617),  che  col  tempo  venne  affidato  ai  padri 
Scolopi  (1698),  finché  ritornò  Liceo  Comunale  (1815).  Queste  vicende,  che 
non  importano  soltanto  la  storia  reatina,  sono  narrate  con  largo  sussidio 
di  documenti,  e  si  terminano  con  un  indice  di  nomi  proprj,  che  potrà  per 
avventura  mettere  sulla  via  di  trovare  qualche  notizia  biografica  di  letterati 
minori  del  quattro  e  del  cinquecento. 

.•.  Nel  volumetto  di  G.  Urbini,  P/-ose  d' arte  e  d' estetica  i^ev\x%\&,  Gxxevvsi, 
di  pp.  245  in  16.°),  predomina  la  materia,  che  è  fuori  del  campo  del  nostro 
giornale.  Vi  è  bensì  quello  scritto  su  V  estetica  dantesca,  del  quale  altra  volta 
(Vili,  340)  demmo  un  cenno  di  meritata  lode.  II  rimanente  tratta  d'arte,  o 
di  critica  letteraria  contemporanea.  Fra  i  saggi  artistici  ci  par  da  segnalare, 
come  importante  per  la  storia  e  notevole  per  giusto  criterio  lo  scritto  // 
Presepio  nell'arte  umbra  (p.  83),  né  va  dimenticato  l'altro  I  ritratti  di  Gia- 
como Leopardi  (p.  109),  che  raccoglie  utili  notizie  suU'  argomento.  La  forma 
schietta  e  temperatamente  calorosa  e  vivace  fa  leggere  con  piacere  tutto 
quanto  il  volume. 

.*.  Il  prof.  6.  U.  Posocco  raccoglie  insieme  varj  suoi  scritti,  col  titolo  Note 
letterarie  e  Saggi  d' interpretazione-  ad  uso  delle  scuole  secondarie  (Faenza, 
Montanari,  di  pp.  216  in  16.»).  Sono  brevi  cose,  delle  quali  taluna  non  so- 
verchia la  pagina  :  si  direbbero  rilievi  di  un  copioso  banchetto,  se  non  fos- 
sero esse  appunto  il  banchetto  offerto  al  lettore.  Fra  gli  altri  scritti  prefe- 
riamo quelli  interpretativi,  nei  quali  ci  pare   che   maggiormente   si   scorga 


252  Rassegna  bibliografica 

il  buon  gusto  dell'autore,  e  la  familiarità  cogli  autori  classici  italiani  e  la- 
tini. Noi  pur  facendo  stima,  come  meritano,  di  queste  noterelle,  vorremmo 
vedere  in  esse  un  saggio  di  commenti,  a  Dante  per  es.  o  al  Petrarca:  ma 
l'esser  disgiunti  dai  testi,  sebbene  l'a.  dica  che  questi  sono  presenti  alla 
mente  di  tutti  o  possono  dal  lettore  facilmente  esser  messi  dinanzi  ai  proprj 
occhi,  scema  ad  essi,  cosi  come  sono,  utilità  e  pregio,  perché  è  sempre  in- 
comodo leggendo  un  libro  doverne  aprire  un  altro.  Ad  ogni  modo  però, 
queste  illustrazioni  sono  notevoli  e  da  prenderne  ricordo,  specie  dagli  inse- 
gnanti. Alcuni  scritti  di  argomento  più  generale  (per  es.:  Prolegomeni  alla 
letter.  ital.  e  1'  Ufficio  dello  scrittore)  sono  troppo  brevi,  ma  se  mancano  di 
novità,  non  sono  senza  appropriata  dottrina  né  senza  dirittura  di  giudizio. 
Lo  stile  è  sempre  facile  e  schietto  ;  ma  perché  ostinarsi  in  quella  pedanteria 
del  a  la,  de  la,  de  i  ecc.  ;  che  può  sopportarsi  in  poesìa,  ed  è  cosi  incom- 
portabilmente  sazievole  in  prosa? 

.•.  Dalla  ditta  editrice  Belforte  e  comp.  di  Livorno  ci  giunge  un  volumetto 
(di  pp.  XV-162  in  16.°)  intitolato:  Fulvio  Stanganelli  (R.  Fiacgaventò)  Pie- 
cole  prose  letterarie.  Le  cose  piccole  presuppongono  le  grandi,  come  le  opere 
minori  le  maggiori  ;  ma  ancora  non  ne  abbiamo  viste  di  tal  fatta,  né  sotto 
il  nome  di  Stanganelli,  né  sotto  quello  di  Fiaccavento.  Un  breve  preludio 
dell' a.  datato  da  Gomiso  in  Sicilia,  avverte  il  benigno  lettore  che  non  pensi 
di  trovar  nel  suo  libro  "  cose  prettamente   nuove   e   originali,  perché   ogni 

*  giorno  poche  sono  le  cose  che  paiono  nuove  ed  originali,  e  non  abbiano 
"tanto  di  barba:  solo  vi  troverà  riflesso  un  animo  non  indifferente  a  tutte 

*  le  pili  belle  e  care  idealità,  che  nell'ore  triste  che  attraversiamo,  ci  può 
'  consentire  la  vita  moderna.  Queste  ultime  parole  ci  incoraggiano  alla  lettura, 
ma  animo  ancor  maggiore  a  proseguire  ci  darebbe  la  Prefazione  che  segue, 
segnata  Domenico  Graffeo  (chi  è  questo  signore?).  Egli  esordisce  col  dire  che 
Fulvio  Stanganelli  veramente  "  non  ha  bisogno  di  presentazione  ,  :  tuttavia, 
enumerando  le  qualità  che  deve  avere  un  critico,  dice  sembrargli  le  "  pos- 
"  segga  ,,  e  che  per  contrario  *  non  abbia  alcuno  dei  difetti ,  che  possono  a  certi 
altri  critici  rimproverarsi.  Si  sarebbe  invogliali,  dopo  ciò,  a  vedere  se  a  tali 
lodi  corrispondono  gli  scritti  contenuti  nel  volumetto;  ma  il  sig.  Graffeo  (chi 
è  questo  signore?)  cosi  conchiude  la  prefazione,  rivolgendosi  ai  possibili  fu- 
turi critici  di  esso:  "  vorrebber  far  la  critica  di  un  libro  di  critica?.  Evi- 
dentemente è  meglio  lasciar  correre,  e  dar  ragione  al  signor  Graffeo  (ma  chi 
è  questo  signore?)  e  accettar  per  buono  tutto  quanto  egli  asserisce  in  lode 
del  suo  amico.  Del  resto,  nel  volumetto  forse  uno  solo  dei  saggi,  rientrerebbe 
nel  campo  da  noi  coltivato  :  quello  su  '  una  rimatrice  italiana  delle  origini  , 
cioè  sulla  Compiuta  Donzella.  E  ci  sarebbe  su  di  esso  parecchie  cose  da 
osservare  ;  ma  vogliamo  accogliere  il  consiglio  di  non  *  far  la  critica  di  un 
"  libro  di  critica  ,.  Soltanto,  rispetto  a  cotesto  saggio  appunto  ci  dimandiamo 
come  e  perché,  l'a.  che  cita  e  cita  e  ricita  gli  autori,  che  pili  o  meno  han 
trattato  l'argomento,  scrivendo  da  Gomiso  nel  1903  non  sa  nulla  di  un  la- 
voro sullo  stesso  argomento,  del  sig.  Liborio  Azzolina,  stampato  a  Palermo 
nel  1902  (cfr.  iJnssc^na,  X,  224).  Il  caso  è  un  po' strano! 

k.!)' kvooTSA  direttore  responaahilt.  .      ""^  i..j 

Pisa,  Tipografia  F.  Marlottl,  1903. 


RASSEGNA  BIBLIOaRAFICA 

DELIA  LETTEEATUEA  ITALIANA 

Direttori:  A.  D'ANCONA  e  F.  FLAMINI^  Editore:  E.  SPOERRl. 


Anno  XL       Pisa,  Ottobre-Novembre-Dicembre  1903.    N.  10-11-12. 


Abbonamento  annuo    |    P^^  }•  Estèro'  ^l"^^  ».    I    ^"  ■"""•  «opa^ato  Cent. 


SOMMARIO:  E.  Clebici,  Il  Conciliatore,  forìoùìco  milaoega  (P.  Prunas).  —  Miscellanea 
di  sttidj  critici  edita  in  onore  di  Arturo  Graf{L.  Ferrari).  —  T.  Gargallo,  Il  Pa- 
latino d'  Ungheria.  Firenze  1823.  Egy  olasz  BAnk-BAnh.  Novella  :  forràsaivat 
egyiitt  kiadta  KatoSa  Lajos  (E.  Teza).  —  M.  Fuochi,  Eschilo,  Il  Prometeo  incate- 
nato (Z). —  Comunicaeioni.  ¥,.Y\h\vv\^\.  Scaligeriana.  —  Annunzi  biblio- 
grafici (Vi  si  parla  di:  (A.  Loforte-Raodi  -  E.  liranibilla  -  G.  Negri  -  /  Fioretti  di 
S.  Francesco).  —  Cronaea. 


Edmondo  Clerici.  —  Il  Conciliatore,  periodico  milanese,  Pisa,  Nistri,  1903  (estr. 
dagli  Annali  della  R.  Scuola  Normale  Superiore,  voi.  XVII). 

Sono  trascorsi  sessant'anni  da  che  il  Sainte-Beuve  scriveva  che  la  storia 
de' giornali  di  Francia  era  ancora  da  fare,  e  s'augurava  vedere  qualche  a- 
cademia  incitare  a  quell'opera  due  o  tre  lavoratori,  coscienziosi  senz'essere 
pedanti,  intelligenti  senz'essere  leggeri.  È  tempo  —  egli  diceva  —  che  questa 
storia  si  faccia,  perch'è  già  tardi,  e  tra  poco  non  sarà  pivi  possibile. 

Ma  questa  storia  è  in  Francia  da  farsi  tuttavia,  e  non  in  Francia  sol- 
tanto: l'Inghilterra  e  la  Germania,  che  pure  ebbero  nella  prima  metà  del 
XIX  secolo  le  riviste  più  importanti  forse  di  tutta  Europa,  non  possono  an- 
cora vantarsi  d'averla  fatta;  e  l'Italia  ha  essa  forse  su' suoi  giornali  (e  si 
prendano  pure  i  maggiori)  studj  degni  e  soddisfacenti  ?  Chi  ha  fatto  ancora 
oggetto  di  faticose  ricerche  e  di  cure  pazienti,  in  modo  che  nulla  più  ne 
resti  da  dire,  la  Biblioteca  e  il  Conciliatore  di  Milano,  V  Antologia  di  Fi- 
renze e  il  Giornale  arcadico  di  Roma,  il  Giornale  ligustico  di  Genova  e  il 
Progresso  di  Napoli?  Certo  non  v'è  persona  mediocremente  eulta  che,  più 
o  meno  particolareggiate  e  precise,  non  ne  conosca  le  origini  e  le  vicende 
e  l'importanza;  vi  fu,  anzi,  chi  lungamente  discorse  della  Biblioteca  italiana 
e  del  Conciliatore,  e  chi  àeìV  Antologia  :  ma  la  vita  del  giornale  fiorentino 
era,  se  cosi  posso  dire,  un  episodio  della  vita  di  G.  P.  Vieusseux;  e  il  Tom- 
maseo, che  mirava  a  tratteggiare  intera  la  lìgura  dell'amico  ginevrino,  non 
potè  su  Io  studio  di  quell'episodio  intrattenersi  quant' esso  consentiva,  ben- 
ché per  notizia  di  fatti  e  originalità  di  giudizj  lo  abbia  reso  prezioso  con 
parsimonia  abondante.  E  que'due  volumi  del  Gantù  lasciano  invero  molto 
da  desiderare  per  ordine,  per  esattezza,  per  giustizia  di  apprezzamenti;  quan- 
tunque ricchi  di  lettere  inedite,  di  aneddoti  peregrini  e  di  ricerche  erudite. 

Anche  in  quel  poco  di  già.  fatto  è  dunque  da  rinnovare  la  storia  de' gior- 
nali d' Italia,  e  meglio  detto  sarebbe  :  tutta  da  fare.  Per  questo  appunto  giun- 

18 


254  tlASSRONA    BIBLIOGRAFICA 

gè  opportuno  il  lavoro  del  Clerici,  che  colma  una  lacuna  e  fa  bella  rispon- 
denza al  buon  lavoro  die,  non  da  molti  anni,  un  mio  compagno  '  di  studj  diede 
alla  luce  su  '1  giornale  de'  Verri  e  del  Beccaria. 

Certo,  all'  opera  del  Clerici  non  mancano  difelli,  ma  le  più  belle  cose 
degli  uomini  ne  hanno,  diceva  P.  Verri;  e  i  difetti  sono,  in  questo  caso,  di 
tal  natura  che  trovano  facile  scusa  nell'età  giovine  dell'autore,  e  sufficien- 
temente restano  compensati  da' pregi.  Il  volume  è  diviso  in  tre  parli,  nella 
prima  delle  quali  è  tratteggiata  tutta  quasi  la  storia  del  Conciliatore  dalle 
sue  origini,  determinandone  l'indole  e  la  materia,  e  via  via  presentando  i 
collaboratori,  gli  amici  e  cooperatori  :  nella  seconda,  lenendo  presente  gran 
parte  del  moto  letterario  italiano  e  straniero,  si  riassumono,  discutendole, 
le  varie  dottrine  romantiche,  morali,  sociali,  economiche  e  sloriche:  nella 
terza,  narrata  la  fine  del  giornale  e  la  dispersione  degli  scrittori,  se  ne  ri- 
cercano le  simiglianze  d'intenti  e  dimezzi  con  V  Antologia,  levmìnando  con 
uno  sguardo  generale  al  primo  romanticismo  italiano. 

Noterò  via  via  quelle  cose  che  non  mi  sembrano  esatte,  o  su  le  quali 
più  o  meno  diversa  è  la  mia  opinione.*  Dopo  tratteggiato  con  rapidissimi 
tocchi  le  condizioni  della  penisola  in  séguito  alla  rovinosa  caduta  di  Bona- 
parle,  e  parlato  del  giungere  del  Pellico  in  Milano  nell'ottobre  del  1809,  in 
sole  quattro  pagine  (6-10)  il  Clerici  dice  de' tentativi  del  Pellico  per  far  sor- 
gere il  J?er.<!a(grZterÉ',  de' "  malumori  e  dissensi,  tra' collaboratori  deWsi  Biblio- 
teca, del  tentativo  infecondo  del  Giordani  e  del  Monti  di  contrapporle  un 
nuovo  giornale;  e  citata  una  lettera  del  Pellico  al  fratello,  ove  è  dello  che 
il  conte  Porro,  profittando  dell'ira  poetica  del  Monti  e  compagni,  li  aveva 
impegnati  a  slare  uniti  per  fare  un  nuovo  giornale;  conchiude  (pag.  10)  : 
"  cosi  quelle  mal  sicure  e  indecise  aspirazioni,  quei  vaghi  disegni  che  non 
*  erano  riusciti  al  Pellico  e  ai  suoi  due  amici,  né  al  Giordani  e  ai  malcon- 
"  tenti  dell'Acerbi,  furono  determinali  e  condotti  ad  effetto  col  valido  ap- 
"  poggio  di  due  nobili  liberali,  come  il  conte  Porro  e  il  conte  Gonfalonieri  ,. 


1  L.  Febraei,  //  Ciifft,  periodico  miliiiiese  del  sec.  XVIII,  Pisa,  Nistri,  1899. 

2  Tralascio,  per  brevità,  le  piccolezze,  delle  quali  ricordo  solo  qualcuna:  numerosi,  nelle 
citazioni  in  nota,  sono  gli  errori  dì  distruzìoue  o  di  stampa;  per  es.  errata  è  la  citazione 
a  pag.  34,  nota  5.a,  e  a  pag.  40  la  nota  1.»;  che  il  brano  cit.  è  tolto  dal  Programma  del  gior- 
nale: a  pag.  86,  la  nota  l.a  dev'  essere  corretta,  n.  34  pag.  134:  a  pag.  93,  la  nota  2.»  va  egual- 
mente corretta  n.  34  pag.  134:  a  pag.  118,  nata  2. a,  e  pag.  119  nota  l.a,  la  citazione  dev'essere 
n.  4  pag.  14-15:  a  pag.  19.5  la  nota  5  va  corretta,  pag.  422  (Pecchio):  a  pag.  127  la  nota  3.a 
deve  correggersi  n.  46  pag.  181  ;  né,  per  dire  il  vero,  le  parole  chiuse  tra  virgolette  sono  di 
Crisostomo,  che  scrisse  molto  diversamente:  nella  stessa  pag.  127,  la  citazione  che  incomin- 
cia: €  il  romanticismo  non  consiste..  .  .  ecc.  >  e  finisce  «  è  lecito  a  costoro  confondere  il 
«  genere  romantico  col  genere  pazzo  >,  è  ben  poco  precisa,  e  tutto  il  brano  viene  in  nota 
attribuito  al  Visconti,  mentre  dal  punto  che  dice  «  gli  uomini  del  volgo ....  »  eco. ...  fa 
parte  di  un  altro  articolo,  firmato  il  Cmiciliatore,  su  '1  discorso  di  L.  Mabil.  {Coiiciliaiore,  n.  40 
pag.  159).  Cosi  pure  (pag.  Ili)  Bayle  è  da  correggersi  in  Beyle:  e  non  è  esatto  citare  (pag. 
34-35)  il  solo  Bcrchet  autore  di  quell'articolo  «  sopra  un  manoscritto  inedito  del  foglio  pe- 
riodico il  Cnffè  »;  articolo  compilato  da  due  persone,  come  infatti  si  vede  anche  dalla  firma, 
nella  quale  allo  pseudonimo  del  Berchet  s'accompagna  la  sigla  P.  £  altre  inesattezze  po- 
trebbero ancora  notarsi,  ma  non  è  da  tacere  che  scrivendo  costantemente  Niccolitii  per  de- 
signare il  poeta  bresciano  Giuseppe  Nìcolinì,  e.sso  si  confonde  per  tal  modo  col  tragico 
Oiam-Battista  fiorentiuo. 


DBLLA   LETTERATURA   ITALIANA  255 

Il  Conciliatore,  dunque,  è  già  fondato  :  ma  quanto  il  Clerici  ha  detto,  è  in 
verità  troppo  poco  per  mostrarne  le  origini.  Se  ben  si  osservi,  egli  in  quelle 
quattro  pagine  non  ha  fatto  se  non  togliere  que' brani  delle  lettere  del  Pel- 
lico, necessarj  all'  argomento,  ponendovi  di  suo  ciò  che  bastasse  a  tenerli 
uniti;  cosi  che  que' brani  dicono  poco,  e  il  tutto  è  senza  vita. 

Quando,  ad  es.  il  Pellico  e  gli  amici  suoi  "  in  gran  segreto  ,  meditavano 
un  giornale  che  seppellisse  la  Biblioteca,  non  poche  certo  erano  le  difficoltà  da 
superare:  il  Clerici  afferma  (pag.  7)  soltanto  che  *  la  grave  difficoltà  di  un'ar- 
"  monia  intellettuale  necessaria  all'impresasi  presentava  sempre  più  ardua 

*  alla  mente  del  Pellico  ,;  e  cita  un  brano  di  lettera,  la  quale  dice  che  "  le 
"  volontà  non  erano  ancora  sufficientemente  concordi  ,.  Ma  il  perché  le  vo- 
lontà non  erano  concordi,  i7  percA^  mancava  "l'armonia  intellettuale,  e 
tutti,  a  confessione  del  Pellico,  guardavansi  1'  un  l' altro  in  cagnesco  ;  il  Cle- 
rici non  dice,  e  questo  appunto  era  necessario  ch'egli  dicesse.  E  senza  dubbio 
l'avrebbe  detto,  se  si  fosse  più  lungamente  trattenuto  a  dipingere  le  rivalità 
e  le  gare  meschine  de' letterati  (e  il  Poligrafo  e  i  numerosi  epistolarj  gli  forni- 
vano materia  bastante)  e  sovra  tutto  le  incertezze,  come  in  politica  anche 
in  letteratura,  dopo  il  '14;  se,  in  altre  parole,  si  fosse  studiato  a  vivere  un  poco 
la  vita  di  quel  tempo;  perché  nella  prima  parte  del  lavoro  manca  sovra 
tutto  la  dipintura  di  ciò  che  comunemente  suol  dirsi  ambiente  storico.  S'ag- 
giunga poi,  che  nel  trattare  le  origini  del  giornale  è  un  poco  di  confusione 
e  di  inutile  ripetizione  pe  '1  modo  con  che  la  materia  è  stata  disposta:  dopo 
aver  detto  in  fatti  (pag.  8)  delle  liti  tra'  soci  della  Biblioteca,  e  che  il  Porro 
e  il  Confalonieri  determinarono  e  condussero  ad  effetto  i  vaghi  disegni  de- 
gli altri  (pag.  10),  in  altre  parole,  che  fondarono  il  giornale;  presentati  i  "  due 
"nobili  liberali,  e  i  varj  cooperatori,  ritorna  (pag.  30-32)  alla  Biblioteca 
italiana,  a' dissensi  con  l'Acerbi,  al  ritirarsi  de' primi  collaboratori;  e  ripete: 
"  sorse  allora,  per  opera  di  una  società  di  buoni  patrioti  ...  il  nostro  pe- 
"  riodico  . . .  ,.  S'io  non  m' inganno,  poteva  questa  materia  esser  meglio  or- 
dinata, e  più  ampiamente  svolta:  più  svolta,  sovra  tutto,  per  ciò  che  riguarda 
—  come  dicevo  —  l'ambiente.  Il  Clerici,  ad  es.  ricorda  (pag.  11)  una  lettera 
del  Pellico,  ove  questi  dice  che  i  futuri  Conciliatori,  che  guardavansi  prima 
in  cagnesco,  avvicinandosi  si  riconobbero,  e  giustificandosi  si  stimarono.  Le 
riunioni  in  casa  Porro  furono  sorgente  certo  non  piccola  di  quell'armonia; 
non  doveva  quindi  il  Clerici  ristringersi  a  dire  soltanto  (pag.  13)  che  "  la  sua 
"  {del  conte  Porro)  casa  divenne  il  ritrovo  di  tutti  i  più  illustri  uomini  di 
"  Milano  e  di   quanti   stranieri    soggiornassero  in  quella   città   per   qualche 

*  tempo  ,;  né  fugacemente  accennarvi  altrove  (pag.  26).  Bisognava  rappre- 
sentare la  vita  di  quella  casa,  che  era  come  una  grande  lanterna  magica  in 
cui  più  0  meno  distinto  si  disegnava  il  profilo  degli  uomini  più  grandi,  e 
non  d'Italia  soltanto;  sorprendere  adunati  quelli  spiriti  eletti,  e  dipingerli 
in  quelle  loro  conversazioni,  per  elevatezza  e  importanza  paragonabili  solo 
a  quelle  in  Firenze  nel  Gabinetto  letterario  di  G.  P.  Vieusseux.  Il  sentire  nel- 
r  anima  queste  cose,  l'avrebbe  anche  aiutato  a  intendere  l'anima  del  gior- 
nale; e  mi  duole  che  l'amico  mio  si  sia  lasciata  sfuggire  l'occasione  di 
scrivervi  sopra  un  bel  capitolo  ;  che  gli  elementi  per  scriverlo  non  manca- 
vano, e  poteva  essere  geniale  e  pieno  di  vita.  Oh  quante  cose  belle  erano 


256  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

da  dirsi  su  quella  società  della  quale  lady  Morgan  scriveva  che  Parigi  slesso 
non  ne  avrebbe  potuto  offrire  una  pili  amabile  e  pili  interessante;  su  quella 
fucina  intellettuale  e  operosa,  di  dove  il  Conciliatore  traeva  la  vita,  e  dove 
fiammeggiavano  tante  idee  delle  quali  solo  una  piccola  parte  poteva  fluir 
nel  giornale  ! 

Uno  de'  difetti  dunque  di  questo  lavoro,  per  ciò  che  riguarda  la  parte 
storica,  parmi  consista  nell' essersi  l'autore  contentato  spesso  di  accennare 
a' fatti,  senza  però  spiegarli  e  intenderne  l'anima  secreta.  E  perché  sono 
venuto  a  parlare  della  parte  storica,  non  vorrò  muovergli  rimprovero  del  non 
averla  trattata  —  per  ciò  che  riguarda  strettamente  il  giornale  —  come  si 
conveniva;  che  egli  slesso  dichiara  (nella  prefazione)  di  ritornarvi  sopra  in 
avvenire,  non  avendo  pazientemente  esaminalo  le  biblioteche  private  di  Mi- 
lano, né  V Archivio  di  Sialo;  devo  bensì  dirgli  che  appunto  per  queste  ra- 
gioni il  suo  lavoro  riesce  manchevole,  in  quanto  su  ciò  che  costituisce  la 
vita  del  giornale  nelle  sue  origini  e  nel  suo  sviluppo,  ne' suoi  rapporti  con 
gli  altri  giornali,  nella  sua  fine  e  nella  sua  fortuna,  non  ha  cosa,  si  può  dire, 
che  già  prima  non  fosse  nota. 

Dalle  considerazioni  d'indole  generale  scendendo  un  poco  a  qualche  par- 
ticolare, non  saprei  consentire  davvero  all'idea  del  Lazio,  riportata  dal  Cle- 
rici, (pag.  31)  che  cioè  l'Acerbi  fu  "  spìrito  illuminato  ed  equanime  „;  alla  quale 
idea  egli  fa  coro  affermando  che  l'Acerbi  conservò  una  "  lodevole  impar- 
"zialilà,.  Certo,  il  Giordani,  il  Monti  e  gli  altri  di  troppo  a  lui  superiori, 
co' loro  disdegni  più  che  non  meritava  lo  posero  in  mala  luce;  ma  pur  ri- 
conoscendogli molti  meriti,  a  lui  negali  da' suoi  nemici,  oso  aver  qualche 
dubbio  sui  "lumi,  dell'Acerbi,  in  specie  quando  mi  torni  in  mente  l'acco- 
glienza fatta  al  Leopardi,  della  quale  il  poeta  recanatese  nelle  sue  lettere 
certo  non  molto  si  compiaceva.  In  quanto  poi  alla  sua  *  lodevole  impar- 
"  zialità  ,,  rilegga  meco  l'amico  Clerici  (cito  una  prova,  tra  le  varie  che 
potrei)  la  lettera  che  lo  Seal  vini  diresse  all'Acerbi,  nella  quale  non  po- 
teva, ben  che  irato,  rimproverarlo  di  cose  non  vere;  e  forse  muterà  d'opi- 
nione. Dicevagli  lo  Scalvini:  "quand'io  scrissi  quel  mio  parere  intorno  alla 

*  versione  dell'Edipo  Coloneo  del  cav.  Giusti,  voi  faceste  lunga  insistenza,  per- 
"  eh'  io  tacessi  alcune  parole  che  lodavano  ...  lo  stile  del  Monti  :  le  quali  io 
"  scriveva  quando  non  era,  né  pensava  essere  per  divenire,  amico  a  quell'il- 

*  lustre  ...  E  quando  voleste  ch'io  ragionassi  delle  Tragedie  di  Salvatore  Scu- 
"  deri,  era  vostro  gran  desiderio  ch'io  lodassi  quel  lavoro  ...  da  tutti  trovato 
"  indegno  di  lode;  e  quasi  a  fine  di  persuadermene  la  bontà,  venivate  dicen- 
"  domi  avere  lo  Scuderi  sollecitato  per  tutta  la  Sicilia  lo  spaccio  della  Bibita- 
"  teca  italiana»  E  allorché  presi  a  parlare  deW Iliade  volgarizzata  dal  sig.  Man- 

*  cini,  voi  a  grandissima  pena  comportaste  ch'io  non  la  ponessi  sopra  quella 

*  del  Monti,  o  non  volessi  almeno,  notando  i  difelli  dell'  una,  passarmi 
"  de' pregj  dell'altra,..,.*  Del  resto,  che  imparzialità  poteva  essere  quella 
dell'Acerbi,  se  egli  stesso,  scrìvendo  all'amico  Carpani,  diceva  che  tra  l'al- 
tre cose  che  si  proponeva  per  iscopo,  era  dare  al  giornale  (si  noti  la  frase 


t  Scritti  di  a.  Scalvini,  ordinati  da  N.  Tommaseo,  Firens»,  Le  Mounier,  1860,  pag.  U9-121. 


DELLA    LETtBRATURA    ITALIANA  ^57 

che  dipinge  tutto  l'uomo)  *  un'aria  di  imparziatilà  e  iadipeDdeuza?  ,  '  Un'a- 
ria di  imparzialità  —  dovrà  convenirne  l'amico  mio  —  non  è  vera  imparzia- 
lità, e  molto  meno,  lodevole. 

Nella  pag.  44,  trovo  scritto  che  il  Borsieri  "  qualche  volta  firmava  gli  ar- 

*  ticoli  con  una  semplice  P.  ,.  Non  nego  che  il  Clerici  abbia  le  sue  ragioni 
per  afifermar  ciò,  ma  bisognava  pur  dirle,  pe  '1  fatto  che  il  Pellico,  nel  docu- 
mento citato  dal  Gantù,  asserisce  che  il  Borsieri  si  firmava  P.  B.  (si  noti 
però  che  nel  Conciliatore  nessun  articolo  è  firmato  con  ambedue  queste  ini- 
ziali) mentre  nella  lettera  al  Foscolo  del  17  ottobre  1818  dice  invece  che  B. 
indicava  Borsieri.  E  tanto  pili  la  cosa  aveva  bisogno  di  schiarimento,  in 
quanto  anche  G.  Mazzoni,  che  pur  tante  cose  sa  su  '1  secolo  XIX,  dice  {Ot- 
<ore«<o,  pag.  237)  del  Pellico  l'articolo  su  le  comedie  dello  Sheridan  e  quello 
su  '1  Gorniani  (entrambi  firmati  con  la  sigla  P.),  che  il  Clerici,  in  vece,  attri- 
buisce al  Borsieri  (pag.  41,  86,  98). 

Né  parmi  molto  esatto  il  dire  (pag.  50)  che  lo  Scalvini  fu  "  amicissimo 

*  dei  nostri  soci,  finché  non  divenne  . . .  amico  dell'Acerbi  „.  Lo  Scalvini  co- 
nobbe e  fu  amico  all'Acerbi  da  che  giunse  in  Milano:  e  Alessandro  infatti, 
cugino  a  Giovila,  scrisse  che  questi  *  venne  in  Milano  nei  primi  mesi  del 
"1818;  alloggiò  in  casa  Acerbi  sino  a  che  passò  in  casa  Melzi,  per  l'istru- 
■  zione  de'figli,  alla  metà  di  ottobre  1818  „} 

Anche  :  per  ciò  che  riguarda  gli  amici  e  cooperatori,  non  so  se  G.  B.  Nic- 
colini  fosse,  quanto  il  Clerici  mostra  credere,  (pag.  52)  •  partigiano  ,  del  Con- 
ciliatore, al  quale  "  amicava  ,,  al  dire  del  Maroncelli  :  questo  ben  so,  che  pur 
avendo  tra  gli  scrittori  del  foglio  azzurro  amici  molti,  e  nella  pratica  ac- 
colto non  poche  massime  de' romantici,  al  Capponi,  però,  allora  in  Parigi, 
scriveva  (lettera  del  30  die.  1818)  che  il  romanticismo  era  una  follia  per  cui 
da' lombardi  si  scimieggiavano  i  tedeschi.  A  ogni  modo,  l'aver  egli  rivolto 
agli  scrittori  della  Biblioteca  le  disdegnose  (non  le  direi  *  generose  ,)  parole, 
che  il  Clerici  ricorda,  non  mostra  ch'egli  amicasse  alle  dottrine  letterarie  del 
Conciliatore;  perché  furono  scritte  nel  1822  su  V Antologia  (n.  XVII  maggio 
pag.  318)  in  difesa  d'una  sua  traduzione.  Cosi  pure,  dopo  aver  parlato  (pag.  57) 
delle  affinità  fra  le  idee  de' Conciliatori  in  politica  e  in  letteratura,  e  quelle 
del  Foscolo,  e  ricordato  il  Parere  di  lui  su  l'instituzione  di  un  giornale  let- 
terario per  ricercarvi  le  simiglianze;  il  Clerici  dice  (pag.  58):  "non  sembra 
"  quasi  che  i  nostri  avessero  ben  letto  e  meditato  questo  parere,  prima  di 

*  accingersi  alla  loro  opera?;,.  In  qualche  cosa  forse  si,  sembrerebbe:  in  altre, 
no  senza  dubbio,  tanto,  più  che  dissimili,  contrarie  sono  le  loro  opinioni. 
Avrebbero  forse  i  concihatori  assentito  a  questo,  ad  es.,  che  il  Foscolo  scri- 
veva nel  suo  parere:  "  Ogni  governo  regnante  ha  bisogno,  diritto  e  dovere 
"  di  ridurre  le  opinioni  dei  sudditi  al  sistema  del  suo  governo  ,  ?  Volendo 
notare  le  simiglianze,  dovevasi  pure  accennare  alle  differenze,  che  non  erano 
poche. 

Nel  capitolo  IV,  ove   è   discorso   del   romanticismo,  trovo   qualche   idea 


1  Lettera  citata  da  G.  Mazzoni,  L'  ottoceìiio,  p.  231. 
s  Scritti  cit.  di  G.  Scalvini,  pag.  251. 


258  RASSEGNA    BIBLIOQRAFICÀ 

(pag.  71  e  seg.)  che  darebbe  luogo  a  non  brevi  discussioni:  dice  l'A.  che  in 
ogni  età,  per  tutte  le  letterature  si  possono  osservare  due  indirizzi  del  pen- 
siero, l'uno  dei  quali  conservatore,  innovatore  l'altro:  il  romanticismo  quindi 
"  può  avere  caratteri  comuni  con  qualunque  età  di  transizione,  quando  par- 

*  tlgiani  del  vecchio  sistema  e  novatori  ribelli  si  contendono  il  campo  „,  e 
dev'  essere  considerato  come  "  prodotto  di  un  largo  movimento  del  pensiero 
"  e  della  vita  del  secolo  XVIII  ,;  ma  perché  ha  "  una  fìsonomia  propria  ,, 
l'A.  dubita  "  dell'utilità  e  della  verità  di  una  ricerca . . .  secondo  la  quale  si 
'  trovano  i  cosidetti  precursori  del  romanticismo  un  po' dappertutto  ,.  *  Come 

*  infatti  cercare  i  precursori  di  quel  nuovo  sentimento,  che  anima  1'  opera 
"  dei  nostri  romantici,  mentre  tale  sentimento ...  fu  ignoto  ai  predecessori, 
"  e  solo  in  parte  e  vagamente  sentito  da  qualche  ingegno  solitario  e  divi- 
"  natore?  „.Le  avversioni  al  convenzionale  —  continua  —  le  ribellioni  alle  re- 
gole furono  in  vario  modo  e  in  diverso  grado  *  d' ogni  tempo  e  d' ogni  pò- 
'  polo  e  non  compongono  da  sole  il  romanticismo,  i  cui  varj  aspetti  invano 
"si  cercano  in  tanti  scrittori  d'altre  età,.  Sorvolo  su  questi  benedetti  se- 
coli di  transizione  o  di  passaggio,  com'  altri  li  chiamano,  se  bene  ho  l' idea 
che  ogni  secolo  e  in  sé  e  per  sé,  e  per  rispetto  alla  vita  politica  e  per  ri- 
spetto a  tutte  le  manifestazioni  dell'  arte,  è  di  passaggio,  di  transizione  dal 
secolo  che  l'ha  preceduto  a  quel  che  lo  segue:  ma  non  intendo  il  perché 
per  il  Clerici  non  ci  abbiano  a  essere  e  non  debbano  cercarsi  i  precursori 
del  romanticismo  ;  mentre  egli  stesso  riconosce  questo  un  prodotto  del  se- 
colo XVIII;  mentre  concede  che  il  sentimento  che  l'anima  è  stato,  e  sia  pure 
"  in  parte  e  vagamente  „,  ma  tuttavia  "  sentito  „  da  qualche  ingegno;  men- 
tre afferma  che  le  avversioni  al  convenzionale,  le  ribellioni  alle  regole  e  altri 
molti  caratteri  del  romanticismo,  furono  in  vario  modo  e  in  diverso  grado 
(e  qui  esagera)  "  d'ogni  tempo  e  d'ogni  popolo  ,,  Certo,  se  i  precursori  si 
cercano,  com'egli  dice,  "  un  po'  dappertutto  ,,  se  in  essi  si  vogliano  tutti  tro- 
vare i  caratteri  che  costituiscono  il  romanticismo,  ha  tra  le  mani  buon  gioco; 
non  cosi  però  se  si  pensa  che  quel  largo  movimento  del  pensiero  che  anima 
il  secolo  XIX,  ha  avuto  una  lenta  preparazione,  che  molti  principi  più  che 
nuovi,  erano  soltanto  rinnovati,  se  i  precursori,  infine,  si  cercano  dove  e  come 
vanno  cercati.  Il  dire  che  —  per  non  essere  il  romanticismo  composto  di 
soli  certi  caratteri  comuni  ad  altre  età  —  è  inutile  e  vano  cercarne  i  suoi  varj 
aspetti  negli  scrittori  di  quell'età;*  non  mi  pare  ragionamento  diritto.  Ciò 
significa  anzi  tutto  rinunciare  a  sapere  quanto  nel  romanticismo  è  di  vera- 
mente originale,  ed  è  lo  stesso  che  pensare  e  dire  che  —  non  ritrovandosi 
i  varj  aspetti  politico,  filosofico  ecc.  della  Comedia  ne' precursori  di  Dante  — 
è  vano  ed  inutile  ricercar  ne'  dipinti  e  ne'  marmi  e  nelle  sculture  e  ne'  libri 
anteriori  a  lui,  la  sorgente  delle  sue  fantasie  e  i  primi  germi  del  suo  pensiero. 

A  proposito  del  romanticismo,  là  dove  parla  dell'opera  del  Visconti  (pag. 
Ili)  non  era  da  passarsi  sotto  silenzio  il  più  che  lusinghiero  giudizio  che  di 
lui  diede  il  Goethe:  vero  è  che  in  un  punto,  trattando  del  Conciliatore,  accenna. 
all'articolo  (pag.  208),  ma  la  notizia  che  ne  dà  è  attinta  alla  lettera  del  Porro 

•  Altrove  però,  pur  dicendo  che  il  romanticisDio  «  uon  ebbe»  precursori,  ammette  che 
possano  trovarsene  per  le  singole  parti  (pag.  233). 


DBLLA    l,«lTÉRAtUftA  itALlANA  259 

airUgoni,  rifeiila  dal  GanUi  ;  e  ho  gran  timore  (e  vorrei  ingannarmi)  clie 
il  Clerici  non  si  sia  dato  premura  di  guardarlo;  diversamente,  non  ne  avrebbe 
parlato  in  modo  si  vago,  e  sovra  tutto  non  avrebbe  detto,  modellando  la  sua 
su  la  breve  frase  del  Porro,  che  il  Goethe  "in  un  articolo  sulla  letteratura 
:"  d'Italia  ebbe  lodi  per  il  giornale  milanese  e  per  moW  dei  suoi  collaboratori  ,. 
Avrebbe  visto,  in  vece,  che  da'  collaboratori  uno  solo  è  il  lodato  :  il  Visconti. 
(L'articolo  è  Sulla  nuova  letteratura  italiana:  Goethes  Werke,  Hildburghausen, 
1869  voi.  XII  pag.  577-578). 

Qualch' altra  cosa  sarebbe  ancor  da  notare,  come  là  dove  dice  (pag.  158) 
che  ìa.  Biblioteca  "  non  poteva  interamente  disapprovare  le  nuove  dottrine  , 
e  che  combattette  "  non  tanto  il  romanticismo  come  teoria,  ma  le  partico- 
"  lari  persone  che  lo  rappresentavano  ,:  che  combattesse  le  persone,  e  certe 
persone  in  ispecie,  non  ho  dubbio;  ma  in  quanto  al  non  disapprovare  le 
nuove  dottrine,  in  altre  parole,  a  non  combatterle  come  teoria,  lascio  rispon- 
dere a  P.  Zaiotti,  il  quale  appunto  nella  Biblioteca  (t.  XXV,  1822,  pag.  156) 
scriveva:  "  Noi  abbiamo  nel  '19  combattuto  il  romanticismo  perché  ne  sem- 
'  brava  nocivo  ai  buoni  studj,  e  piti  ancora  perché  ne  pareva  che  di  quelle 

*  letterarie  dottrine  si  cercasse  far  velo  a  pericolosi  insegnamenti  di  natura 
'  affatto  diversa  „. 

Anche:  di  cose  d'arte,  poco  è  pur  vero  contiene  il  foglio  azzurro;  ma 
in  un  lavoro  tutto  su  '1  Conciliatore,  a  occuparsi  di  quel  poco  c'era  materia 
sufficiente  per  scrivervi  qualche  pagina,  non  cinque  righe,  conre  il  Clerici  ha 
fatto  (pag.  42).  Infine,  sarebbe  stato  pur  bene,  per  la  storia  del  giornale,  ri- 
cordare che  in  Firenze  il  15  di  giugno  del  1848  fu  data  la  vita  a  un  gior- 
nale politico-letterario,  co  '1  nome  istesso  di  Conciliatore;  in  tutto  diverso 
senza  dubbio  dal  primo,  e  pur  singolare  nel  fatto  che  vide  la  luce  durante 
la  rivoluzione  toscana,  come  quello  milanese  poco  innanzi  la  rivoluzione  lom- 
barda :  tale  a  ogni  modo  da  meritare  un  accenno,  perché  è  prova  bella  non 
solo  della  fortuna  di  quel  nome,  ma  dell'  efficacia  che  gli  scrittori  del  foglio 
azzurro  esercitarono  su  la  nazione.  "  Il  Conciliatore  —  scrivevano  in  fatti  nel 
"  primo  numero  i  compilatori  —  risuscitando  col  suo  nome  una  memoria 
"del  primo  grido  d'indipendenza  che  gl'Italiani  fecero  sentire  all'Europa 
"  dopo  la  rinnovata  servitù  straniera,  più  che  a  vestirsi  senza  merito  d'una 

*  gloriosa  divisa,  ha  inteso  di  pagare  un  tributo  di  gratitudine  a  quelle  forti 

*  anime  che  seppero  affrettare  coi  voti  e  preparare  con  esempj  di  coraggio 
"  e  di  sacrificio,  r  italico  risorgimento,. 

Ho  notato  finora  quelli  che  a  me  son  parsi  difetti  del  libro,  pur  sapendo 
che  ad  altri  potrebbero  forse  non  parer  tali;  tante  e  tanto  varie  tra' critici 
son  le  opinioni,  le  quali,  al  dire  del  Goethe,  mutano  in  tante  tinte  chiaroscure 
quante  sono  le  gradazioni  tra  il  becco  dell'aquila  e  il  naso  dell'etiope.  A 
ogni  modo,  quand'anche  non  mi  sia  ingannato  ne'giudizj  che  ho  dato,  i  di- 
fetti non  scemano  valore  all'opera,  cosi  come  il  Clerici  l'ha  concepita.  Egli 
si  è  proposto  sovra  tutto  studiare  il  contenuto  del  Conciliatore,  e  in  questo 
studio  è  riescilo  bene:  (ricordo,  per  farne  le  lodi,  i  capitoli  V.  VI,  VII  e  IX; 
se  bene  in  quest'ultimo  più  ampiamente  erano  da  notare  le  simiglianze  tra 
il  foglio  azzurro  e  V Antologia,  e  da  non  trascurarne  le  differenze).  V'è  dili- 
genza amorosa  nel  raccogliere  i  fatti,  acutezza  di  raffronti  e,  per  ciò  che 


260  RASSKONA   BlBLlOOftAflCA 

riguarda  la  letteratura  nostra  e  straniera,  abondanza  di  cognizioni  più  che 
non  si  ritrovi  in  giovine  comunemente:  il  tutto  poi  scritto  —  cosa  anche 
questa  non  comune  —  correttamente/  se  non  sempre  con  eleganza.  Nel 
complesso,  è  lavoro  utile  e  buono;  e  sarà  migliore  se  il  Clerici  vorrà  — 
come  promette  nella  prefazione  —  farlo  oggetto  di  nuove  cure,  sviluppare 
con  fruttuose  ricerche  la  storia  del  foglio  azzurro  e  la  parte  aneddotica, 
e  qua  e  là  ritoccarlo  e  ampliarlo;  quand'egli  accolga  quelle  poche  miti  obie- 
zioni che  via  via  gli  sono  venuto  facendo.  Se  pure  ei  non  voglia  per 
tutta  risposta  ricordarmi  ciò  che  la  buona  Lauretta  diceva  in  un  punto  del 
foglio  azzurro;*  che  cioè  le  donne  e  gli  scrittori  hanno  in  questo  un  de- 
stino comune:  nel  dovere  le  donne  soffrire  chi  non  sa  loro  fare  la  corte, 
e  gU  scrittori  chi  non  sa  far  loro  la  critica. 

Paolo  Prunas. 


Miscellanea  di  studj  critici  edita  in  onore  di  Arturo  Graf.  —  Bergamo, 
Istituto  itaUano  di  Arti  grafiche,  1903;  pp.  850,  con  ritratto  in  zincotlpia 
e  una  tav.  fot.  , 

Splendida  per  eleganza  e  ricchezza  di  ornamenti  tipografici,  per  abbon- 
danza, varietà  e  bontà  di  studj  critici,  per  numero  e  qualità  di  sottoscrit- 
tori è  la  Miscellanea,  che  discepoli,  amici  ed  estimatori  hanno  testé  pubbli- 
cata in  onore  di  Arturo  Graf,  compiendosi  il  venticinquesimo  anno  del  suo 
insegnamento.  La  Rassegna  bibliografica  unisce  ed  aggiunge  la  voce  sua  al 
coro  delle  lodi,  dei  plausi  e  degli  augurj.  E  si  affretta  a  dar  parte  ài  suoi 
lettori  di  un  cosi  cospicuo  tesoro  di  osservazioni,  di  ricerche  e  di  documenti, 
prendendo  in  esame  ogni  singolo  scritto  e  dandone,  per  quanto  è  possi- 
bile, una  notizia  analitica  ed  oggettiva. 

1  (pp.  9-52).  Fr.  D'Ovidio,  La  versificazione  delle  Odi  barbare  [Messo  in 
sodo  che  le  lingue  neolatine  posseggono  una  lor  propria  quantità,  di  carat- 
tere tutto  fisiologico  ed  eufonico,  scevra, d'ogni  legame  storico  con  la  quan- 
tità latina,  e,  di  più,  una  quantità  veramente  ereditata  dal  latino,  quella  cioè 
di  *  posizione  ,,  o  meglio  di  "  convenzione  ,,  il  D'O.  traccia  con  mano  si- 
cura la  storia  dei  tentativi  dei  nostri  cinquecentisti,  e  dei  tedeschi  del  sec. 
XVIII  (il  Klopstock,  il  Kleist,  il  Vosz,  il  Goethe,  etc),  per  riprodurre  nelle  ri- 
spettive lingue  i  metri  classici  degli  antichi.  Il  criterio  dei  poeti  tedeschi  fu 
di  abbandonare,  in  massima,  la  quantità,  e  ricalcare  i  versi  antichi  quali 
suonano  se  letti  conforme  ad  arsi  o  tesi;  sicché  ovunque  nel  verso  antico 
cadeva  l'arsi,  si  avessero  sillabe  tedesche  accentate,  e  sillabe  atone  o  di 
debole  accento  ovunque  cadeva  la  tesi.  Confortalo  dal  grande  esempio  ger- 
manico e  dal  ricordo   degli  stessi   infelici  tentativi  del  Tolomei  e  del  Min- 


1  Devo  però  notare  (e  a  me  nou  piace  lo  scrivere  in  prima  persona  plurale,  che  è  tono 
oratorio)  che  non  è  bello  il  frequente  mutare  dalla  prima  persona  plurale  alla  prima  sin- 
golare; come  nella  stessa  prefazione:  •  Soi  ci  proponiamo.. .  »,  e  pili  sotto  di  due  righe, 
(  Mi  sia  concesso  . . .  >. 

»  N.  6  pag.  20. 


Della  LBTTEiRAtuRA  italiana  à6t 

turno,  il  Carducci  si  acciase  a  ritentare  la  prova  ;  ma  tenne  via  diversa  dai 
suoi  predecessori.  Egli  si  applicò  a  contraffare  gli  esametri  e  gli  altri  versi 
latini  *  rimasti  in  asso  ,  con  quello  stesso  metodo,  onde,  secondo  V  ipotesi 
pili  ragionevole  svolta  dal  D' Ovidio  medesimo  in  altro  scritto  {SuW  ori- 
gine dei  versi  italiani,  in  Giorn.  stor.  d.  lett.  it.,  XXXII,  pp.  1  sgg.),  si  erano 
fatti  italiani  o  romanzi  gli  altri  versi  latini.  Tentò  riprodurre  cioè  con  suoni 
italiani  quel  ritmo,  che  danno  esametri  o  aicaici  latini,  letti  all'  uso  italiano, 
senza  riguardo  a  quantità  o  ad  accenti  ritmici.  E  come  la  poesia  volgare, 
al  suo  sorgere,  e  in  gran  parte  la  stessa  poesia  ritmica  latina  del  medio-evo, 
si  era  attenuta,  per  ciascun  verso,  a  quei  tipi,  che  offrivano  un  ritmo  più  con- 
facente all'orecchio,  eliminando  volentieri  gli  altri  metricamente  buoni,  ma 
ormai  ritmicamente  malsonanti;  cosi  il  Carducci  s'appigliò  a  quei  tipi  di 
esametro  o  d'altro  verso  che  gli  suonassero  meglio,  o  venissero  a  coinci- 
dere  con  versi  già  italiani,  o  sembrassero  risultare  dalla  combinazione  di  due 
fra  essi.  Tali  sono  le  conclusioni  dello  studio,  lucido  e  denso,  del  D'  0.]. 

2  (pp  53-76).  G.  Gròber,  Von  Petrarca  's  Laura  [Riprendendo  in  esame 
la  dibattuta  questione  della  reale  esistenza  della  Laura  petrarchesca,  il  G. 
dimostra  con  abbondanza  di  testimonianze,  che  il  nome  di  Laura  o  Lauretta 
(derivato  probabilmente  dal  latino  Laurentia)  ebbe  più  di  un  esempio  Ira 
i  francesi  del  settentrione  e  del  mezzodì'  innanzi  al  tempo  del  Petrarca,  e. 
propugna  l'autenticità  del  cenno  necrologico  della  Laura  avignonese,  che  si 
conserva  nel  Virgilio  del  poeta,  posseduto  ora  dall'Ambrosiana]. 

3  (pp.  77-105).  P.  Toynbee,  The  Earliest  References  to  Dante  in  English 
Literature  [Raccoglie  i  fasti  della  prima  fortuna  di  Dante  e  delle  sue  opere, 
nella  letteratura  inglese,  dallo  Chaucer  al  Gray.  Particolarmente  notevoli  sono 
le  osservazioni,  che  il  T.  dedica  alle  imitazioni  e  reminiscenze  del  divino 
poeta,  assai  frequenti  nello  Chaucer]. 

4  (pp.  107-116).  G.  Paris,  Le  conte  de  la  Gageure  dans  Boccace  [Studia  la 
novella  boccaccesca  in  relazione  ad  una  novella  anonima  italiana  antica,  edita 
per  la  prima  volta  dal  Lami,  e  ad  un  romanzetto  tedesco  quattrocentistico, 
e  mostra  com'  esse  formino,  nel  grande  ciclo  della  Gageure,  un  gruppo  a 
parte,  derivato  da  una  versione  francese,  di  cui  non  restano  genuini  rap- 
presentanti]. 

5  (pp.  117-22).  V.  Cresgini,  Retorica  dantesca  [Brevi  osservazioni  su  al- 
cuni artifìcj  retorici  abusati  nella  poesia  dantesca]. 

6  (pp.  123-42).  R.  Renier,  Cenni  sull'uso  dell' antico  gergo  furbesco  nella 
letteratura  italiana  [Studio  sull'  uso  del  gergo  in  alcuni  letterati  del  500; 
e  particolarmente  in  Antonio  Brocardo,  al  quale  il  R.  restituisce  un  codi- 
cetlo  anonimo  della  raccolta  Campori,  contenente  un  largo  spoglio  di  parole 
e  frasi  gergali  e  molte  poesie  furbésche,  e  in  Giovanfrancesco  Ferrari,  di  cui 
esamina  tre  componimenti  poetici  interamente  furbeschi,  con  altre  poesie 
d'anonimo  tratte  dal  cod.  Magi.  II,  I,  398]. 

7  (pp.  143-8).  G.  Fraccaroli,  Briciole  dantesche  [L'  a.  ricerca  Se  Dante 
abbia  conosciuto  le  Orazioni  di  Cicerone,  nota  alcune  Reminiscenze  eschilee, 
rileva  Una  pajjera  di  greco,  rescituisce  alla  sua  forma  autentica  II  motto  di 
Piaistrato,  e  mostra  la  trasposizione  da  Diogene  cinico  a  Dante,  del  nolo 
aneddoto  delle  ossa  gettate  al  poeta  da  banchettanti]. 


262  RASSEGNA   BlBlilOattAFlCA 

8.  (pp.  149-59).  B.  Croce,  Francesco  Patrizio  e  la  critica  della  retorica 
antica  [Neil'  opera  del  Patrizio  è  eccellente  il  riassunto  storico  intorno  allo 
svolgimento  dell'  arte  retorica  nelle  scuole  dell'  antichità,  al  suo  triplice  culto 
per  opera  dei  sofisti,  dei  politici  e  dei  filosofi,  e  al  suo  risorgimento  nei  tempi 
moderni  sotto  l' influsso  della  tradizione  antica;  ottime  sono  anche  le  osser- 
vazioni intorno  alla  inutilità  e  insufficenza  della  retorica  antica  nelle  mutate 
condizioni  del  tempo.  Ma  se  la  parte  critica  è  notevole,  e  viva  è  la  coscienza 
che  la  retorica  antica  non  meriti  il  nome  di  scienza,  manca  tuttavia, 
come  ben  nota  il  Gr.,  un  principio  nuovo  ed  originale,  sul  quale  il  Patrizio 
poggi  ed  edifichi  un  solido  e  ben  ordinato  sistema  di  dottrine]. 

9  (pp.  161-94).  E.  Bertana,  L'Ariosto,  il  matrimonio  e  le  donne  [A  sus- 
sidio dell'interpretazione  della  nota  satira  ad  Annibale  Maieguccio,  il  B. 
discorre  e  discute  le  opinioni  varie  espresse  dall'Ariosto  nelle  sue  opere 
intorno  allo  stato  coniugale  e  alle  virtù  e  vizj  delle  donne;  non  senza  ac- 
cennare con  tocchi  rapidi  e  sicuri  alle  opinioni  dominanti  nella  società  del 
Rinascimento  e  alle  contese  fra  apologisti  del  gentil  sesso  e  suoi  detrattori. 
La  conclusione  dello  studio  del  B.  è,  che  l'Ariosto,  pur  inclinando  a  giudizj 
di  grande  indulgenza  verso  le  donne,  e  vagheggiando  in  astratto  la  bontà 
e  l'efficacia  morale  del  matrimonio,  era  nondimeno  disposto  a  considerare, 

♦  nella  realtà,  la  virtù  femminile  come  la  più  debole  e  fragile  cosa  del  mondo, 
e  l'onor  dei  mariti  come  inevitabilmente  soggetto  a  molteplici  e  fortissime 
insidie.Onde  i  consigli  che  l'Ariosto  dà  al  cugino  Annibale  intorno  alla  pre- 
ferenza dello  stato  coningale  e  alla  scelta  di  una  buona  moglie,  sono  a  pren- 
dersi con  benefizio  d' inventario,  e  il  genuino  significato  della  satira  deve 
ricercarsi  piuttosto  nella  facezia  finale,  tratta  dal  Poggio,  d' intonazione  e  di 
sensi  prettamente  misogini]. 

10  (pp.  195-200).  G.  Mazzoni,  Per  la  maschera  di  Tabarrino  [La  maschera 
di  Tabarrino,  fiorita  in  Francia  nel  sec.  XVII,  è  d'origine  italiana,  e  proba- 
bilmente fu  creazione  del  veneziano  Giov.  Tabarin,  che  visse  ed  esercitò 
l'arte  sua  a  Parigi  nell'ultimo  trentennio  del  sec.  XVI.  Anche  in  Italia  ebbe 
qualche  fortuna.  La  troviamo  a  Napoli  nel  1669,  usata  da  un  savoiardo  detto 
"  iLTamborrino  o  Tabarrino,,  e  a  Bologna  nei  primi  decenni  del  700  per 
opera  del  comico  Bigher.  Maurizio  Sand  attesta,  che  fin  quasi  al  tempo  in 
cui  egli  scriveva,  cioè  a  mezzo  il  secolo  scorso,  era  durato  a  Bologna  nel 
teatro  delle  marionette  il  vecchio  Ser  Tabarrin;  una  specie  di  Pantalone 
bolognese,  zotico,  avaro  e  illetterato,  che  affettava  un  italiano  purgato  e  ve- 
stiva in  fogge  vistose  e  stravaganti]. 

11  (pp.  201-22).  V.  Gian,  Per  la  storia  dello  Studio  bolognese  nel  Rinasci- 
mento. Pro  e  contro  V  Amaseo  [Sulla  scorta  di  documenti  inediti  il  G.  racconta 
la  storia  delle  trattative  corse  fra  il  governo  pontificio  e  il  veneziano  per 
riavere  Romolo  Amaseo  (1524),  passato  quattro  anni  innanzi  all'Ateneo  pa- 
dovano, e  dei  contrasti  e  delle  opposizioni,  ch'egli  ebbe  a  soffrire  al  suo 
ritorno  a  Bologna  per  opera  di  un  gruppo  di  colleghi,  capitanati  dall'uma- 
nista Giambattista  Pio]. 

12  (pp.  223-33).  N.  Vagcalluzzo,  Severino  Boezio  e  Pier  della  Vigna  nella 
Divina  Commedia  [Dotta  ed  ingegnosa  disquisizione  sul  quesito,  se  "  Dante 
'  nel  rievocare  il  tragico  episodio  di  S.  Miniato  e  disegnarlo  e  colorirlo  nella 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  26S 

*  spaventosa  selva  dei  suicidi,  e   nell'idealizsare  la  figura  del  protonotaro 

*  capuano,  abbia,  inconsciamente  o  no,  subito  l' influenza  del  De  Consolatione, 

*  e  risentito  la  suggestione  vivissinia  che  sull'animo  suo  generoso  si  riflel- 

*  teva  dalla  persona  di  Boezio  ,]. 

13  (pp.  235-56).  M.  Barbi,  Alessandro  Manzoni  e  il  suo  romanzo  nel  car- 
teggio del  Tommaseo  eoi  Vieusseux  [I  giudizj  del  Tommaseo  sui  Promessi 
Sposi,  che  il  B.  pubblica  con  molte  altre  notizie  del  grande  lombardo,  tratte 
dal  carteggio  con  6,  P.  Vieusseux,  sono  improntali  al  più  grande  entusiasmo; 
e  fanno  singolare  contrasto  coli' articolo  sul  romanzo  medesimo,  edito  nel- 
V  Antologia  (ott.  1827),  ove  la  lode  è  assai  misurata,  e  il  desiderio  di  cen- 
surare, sebbene  frenato  da  un  ossequio  doveroso,  traspare  vivissimo.  Ma 
forse,  come  pensa  il  B.,  nella  contraddizione  hanno  parte  non  piccola  le  in- 
perfezioni di  forma  e  le  reticenze  di  concetto,  cosi  frequenti  nello  stile  del 
Tommaseo]. 

14  (pp.  257-65).  S.  De  Chiara,  QU  amori  di  Galeazzo  di  Tarsia  [Breve, 
ma  garbata  illustrazione  del  canzoniere  del  cinquecentista  petrarcheggianle]. 

15  (pp.  267-84).  P.  Bellezza,  Il  *  cor  di  Dante  ,  attribuito  dal  Manzoni 
a  V.  Monti  [Con  numerose  testimonianze  di  autori  contemporanei  il  B.  pone 
in  chiaro,  che  i  concetti  svolti  dal  Manzoni  nel  noto  epigramma  in  lode  di 
V.  Monti,  e  che  tanto  scandalo  sollevarono  presso  i  posteri,  ebbero  al  tempo 
suo  un'  eco  fedele  negli  elogj  prodigati  al  cantore  della  BasviUiana  in  verso 
e  in  prosa  da  numerosi  suoi  ammiratori;  e  corrispondono  d'altra  parte  a 
forti  convincimenti  (non  importa  stabilire  se  conformi  o  no,  a  verità  e  giu- 
stizia), radicati  nell'animo  del  grande  lombardo  intorno  all'opera  e  alla  vita 
del  "  divino  ,  poeta]. 

16  (pp.  285-367).  A.  Farinelli,  Sentimento  e  concetto  della  natura  in  Leo- 
nardo da  Vinci  ["  Fra  la  natura  e  Leonardo  ,,  scrive  il  F.,  *  era  reciproca 

*  corrispondenza  di  affetti  e  di  sentimenti  ;  e  se  la  Dea  solenne  si  compiacque 
•di  largire  beni  e  favori  all'artista  scienziato,  foggiato  da  lei  con  mirabile 
"  perfezione,  Leonardo  mostrossi  alla  natura  in  ogni  tempo  gratissimo,  ebbe 

*  per  lei  una  venerazione  senza  pari;  nell'amare,  nel  comprendere  la  natura 

*  restrinse  egli,  l'uomo  di  universale  sapere,  il  suo  unico  vangelo  ,.  Ebbe  il 
sentimento  della  natura  esteriore,  che  molti  credono  proprio  dei  moderni; 
e  con  occhio  paziente  e  sagace  studiò  ed  osservò  i  fenomeni  della  vita  ter- 
restre e  animale,  dai  più  alti  e  complessi  ai  pili  semplici  ed  umili.  Esplorò 
da  solo  quanto  intere  Accademie  scientifiche  non  fecero  in  lunghi  anni,  s'  av- 
venturò in  campi  nuovi  ed  ignoti,  e  indagò  anche  dei  fenomeni  estetici  e 
dello  spirito  le  pretese  ragioni  fisiche.  Andò  peregrinando  per  l' Italia,  e  rac- 
colse messe  immensa  di  osservazioni  :  fisiche,  astronomiche,  metereologiche, 
idrauliche,  telluriche.  "  Del   vero   cercò   ogni  aspetto,  ogni  forma  ;  alla  sco- 

*  perta  del  vero  si  mise  per  ogni  via,  studiò  ogni  manifestazione  di  natura 
"  con  brama  sempre  insoddisfatta,  s'empiè  il  capo  di  ogni  scienza,  volle  sgom- 

*  brare  l'ombre,  le  caligini  tutte  dell'ignoranza  ,.  £  anche  l' ideale  dell'arte 
fece  coincidere  coli' ideale  della  natura]. 

17  (pp.  369-78).  G.  Grocioni,  7/  capitolo  all'Italia  del  notaio  Peregrino  di 
Paolo  di  Lorenzo  [Dai  rogiti  notarili  dell'Archivio  di  Velletri  il  G.  pubblica 
un  capitolo  in  compianto  delie  sorti  d' Italia,  d' ignoto  cinqueoeutista]. 


264  RASSEGNA    BtBMOGRAFICA 

18  (pp.  379-83).  A.  Butti,  /  mecenati  di.  Antonio  Cesari  [Curiose  notizie 
su^jli  avari  e  scarsi  protettori  del  Cesari]. 

19  (pp.  385-90).  P.  Savi-Lopez,  La  villanella  di  Ciacco  [Il  S.  L.  propone 
una  interpretazione  nuova  del  componimento;  di  cui  rileva  alcuni  concetti 
mistici,  e  che  raffronta  con  altre  canzoni  pie  provenzali,  modellate  sulla  forma 
della  pastorella]. 

20  (pp.  391-404).  C.  SALvtoNi,  Bricciche  Bonvesiniane  [Interpretazione  e 
osservazioni  sulle  voci  :  abiscurarse,  digo,  fissar,  fu,  gamaito,  iniquità,  ke,  ki, 
ma,  moresta,  patron,  refidnrse,  righiniar  e  temorezo]. 

21  (pp.  405-29).  B.  Soldati,  Gl'inni  sacri  d'un  astrologo  del  Rinascimento 
[Sono  i  Fasti  sacri  di  Lorenzo  di  Giovanni  Bonincontri,  sanminiatese,  uomo 
d'  armi,  cortigiano  e  poeta,  lettore  di  astrologia  presso  Io  studio  fiorentino, 
e  autore  di  un  ponderoso  commento  all'  Astronomicon  di  Manilio  e  di  due 
poemi  filosofici  e  astrologici.  Essi  formano  una  specie  di  calendario  sacro 
versificato,  misto  di  canti  lirici  e  narrativi,  che  ricorda  per  una  parte,  quanto 
alla  materia,  il  Leggendario  di  Iacopo  da  Varazze,  e,  per  l'altra,  i  Fasti 
del  pagano  Ovidio  e  il  De  sàcris  diebiis  del  cinquecentista  G.  B.  Spagnuoli. 
Il  S.  illustra  l'interessante  raccolta  con  ogni  diligenza,  rilevandone  i  parti- 
colari più  notevoli  del  contenuto,  della  materia  e  dello  stile,  e  dandone  un 
giudizio  esletico  altrettanto  sobrio,  quanto  equo]. 

22  (pp.  431-52).  A.  Salza,  Una  commedia  pedantesca  del  Cinquecento  [Ac- 
curata disanima  della  commedia,  il  Pedante  del  romano  Francesco  Belo, 
per  ciò  che  riguarda  la  rappresentazione  del  pedagogo  e  della  vita  di  scuola 
nel  sec.  XVI]. 

23  (pp.  453-81).  K.  Vossler,  Stil,  Rhijthmus  und  Reim  im  ihrer  Wechsel- 
wirkung  bei  Petrarca  und  Leopardi  [Premesse  alcune  distinzioni  fra  rima 
e  ritmo  stilistico  e  acustico  (secondoché  le  azioni  esercitate  da  essi,  fisica  e 
psichica,  coincidono  o  divergono),  e  fra  le  varie  specie  di  rima  e  di  ritmo 
stilistico,  r  a.  studia  lo  svolgersi,  l'avvicendarsi  e  il  confondersi  di  tali  ele- 
menti nelle  tre  forme,  che  segnano  le  pietre  miliari  della  stoiia  della  lirica 
italiana:  il  canto  jjopolare,  ancor  vivo  nei  rispelli  e  stornelli  toscani,  il  so- 
netto e  la  canzone  rimata  dal  Petrarca,  e  la  canzone  libera  del  Leopardi. 
Nel  primo,  che  ha  strofa  composta  in  virtù  di  semplice  associazione  di  suoni, 
la  rima  è  tuttavia  strettamente  stilistica.  Suono  e  musica  generano  il  pen- 
siero, e  questo  dipende  da  quelli  direttamente.  La  poesia  stroflca  artistica  ha 
invece  tipi  molteplici:  alcuni  interamente  acustici  o  stilistici;  altri  misti  di 
rima  acustica  e  ritmo  stilistico,  o  di  ritmo  acustico  e  rima  stilistica.  Il  pen- 
siero gareggia  in  essa  col  suono  e  colla  musica,  e  tenta,  se  può,  emancipar- 
sene. Quanto  alla  canzone  libera  e  organica,  questa  forma  il  suo  schema 
secondo  un  intimo  ordinamento;  ha  rima  stilislica  o  acustica;  ma  suono  e 
musica  obbediscono  interamente  alle  esigenze  del  pensiero]. 

24  (pp.  483-90).  G.  Gigli,  Di  alcuni  sonetti  del  Boccaccio  [I  sonetti  VI-IX 
delle  Rime  (edizioni  Baldelli  e  Moulier),  ove  il  Boccaccio,  da  poco  eletto  a 
dichiarar  Dante  al  popolo  fiorentino,  si  scaglia  contro  un  ignoto  suo  detrat- 
tore, e  lamenta  le  molestie  di  una  grave  e  noiosa  malattia,  che  lo  afflisse 
negli  ultimi  anni  della  vita]. 

25  (pp.  491-505).  P.  ToLDo,  Rileggendo  le  Mille  e  una  Notte  [Il  T.  retti- 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  265 

fica  alcune  asserzioni  poco  esatte  del  Bédier,  e  mostra  come  più  d'uno  dei 
faUeaux  (ad  es.  quello  del  Prétre  qu'  on  porte,  e  l' altro  Des  trois  aveugles 
de  Compiengne,  almeno  in  parte)  e  varie  novelle  popolari  europee  (fra  le 
altre  Les  lunettes  del  La  Fontaine  e  la  nov.  195  del  Sacchetti),  abbiano  ri- 
scontro in  narrazioni  orientali,  e  particolarmente  in  racconti  della  raccolta, 
cbe  va  sotto  il  nome  di  Mille  e  una  Notte]. 

26  (pp.  507-13).  H.  Varnhagkn,  Ueber  die  Abhìlngigkeit  der  vier  àltesten 
Drucke  des  Novellino  von  einander  [Delle  quattro  prime  edizioni  delle  Cento 
novelle  (che  sono:  1.  del  1525,  curata  da  Carlo  Gualteruzzi  e  impressa  a  Bo- 
logna: 2.  senza  note  tipografiche:  3.  del  1571,  pubblicata  in  appendice  alla 
raccolta  di  Novelle  del  Sansovino;  4.  del  1572,  curata  dal  Borgiiini),  la  se- 
conda è  una  ristampa  della  prima,  la  terza  dipende  pure  da  questa,  e  Y  ul- 
tima si  uniforma  alla  seconda,  non  senza  aver  qualche  debito  alla  più  an- 
tica]. 

27  (pp.  515-43).  G.  A.  Cesareo,  Amor  mi  spira . . .  [Sotto  questo  titolo  sim- 
bolico è  una  bella  e  lucida  esposizione  del  canto  XXIV  del  Purgatorio,  ove 
s'illustra  particolarmente  l'episodio  letterario  del  colloquio  con  Bonagiunta]. 

28  (pp.  545-61).  L.  Piccioni,  A  proposito  di  un  plagiario  del  Paradiso 
dantesco  [Il  quattrocentista  Benedetto  da  Cesena,  autore  di  un  poema  teo- 
logico-morale,  in  terzine,  dal  titolo  latino:  De  honore  mulierum]. 

29  (pp.  563-69).  G.  Pitrè,  Cartelli  e  Pasquinate  nello  scorcio  del  sec.  XVIII 
in  Palermo  [Episodj  della  vita  pubblica  palermitana  negli  anni  1793-98]. 

30  (pp.  571-82).  A.  Solerti,  Bricciche  tassiane  [Due  lettere  di  Torquato 
Tasso  a  Lorenzo  Giacomini  Malespini  (1587)  colle  risposte;  una  nuova  at- 
testazione contemporanea  del  primo  amore  di  Torquato  per  Lucrezia  Ben- 
didio,  nelle  Rime  di  Bernardino  Percivalle  (1562);  un  sonetto  in  lode  del 
Tasso  di  Alessandro  Salicino  (1566);  due  lettere  di  Ercole  Cortile,  residente 
estense  a  Firenze,  e  di  Benedetto  Fantini,  agente  del  Marchese  Filippo  d'Este 
a  Ferrara,  che  riguardano  le  polemiche  colla  Crusca;  e  altre  aggiunte  e  cor- 
rezioni minute  alla  Vita  dell' a.]. 

31  (pp.  583-601).  G.  BoFFiTO,  La  leggenda  degli  antipodi  (Coli'  usata  di- 
ligenza e  sagacia  critica  il  B.  studia  lo  svolgimento  di  questa  leggenda  geo- 
grafica, che  offrì  argomento  ad  un  meraviglioso  canto  àeìV  Inferno  dantesco, 
ed  è  la  chiave  di  volta  della  figurazione  topografica  del  Purgatorio]. 

32  (pp.  603-19).  I.  Sanesi,  Per  la  storia  dell'ode  [Il  S.  rinfresca  la  me- 
moria di  due  cinquecentisti  imitatori  di  Bernardo  Tasso,  i  friulani  Giov.  Bat- 
tista Amalteo  e  Guido  Casoni.  E  aggiunge  alcune  considerazioni  intorno  ad 
"  un  aspetto  della  lirica  italiana  del  sec.  XVI  non  ancora  convenientemente 
*  e  sufficientemente  studiato  ,,  l'imitazione  reciproca  cioè  dei  nostri  poeti, 
anche  maggiori,  nella  seconda  metà  del  500  e  principio  del  sec.  XVII]. 

33  (pp.  621-44).  A.  D'Ancona,  La  leggenda  di  Leonzio  ["  La  leggenda  di 
"  Leonzio  „,  scrive  il  D'A.,  "  può  dirsi  intermedia  fra  quella  di  Don  Giovanni 
"nelle  diverse  sue  forme,  e  l'altra  di  un  teschio  parlante,  che  nelle  tradi- 
"  zioni  popolari  ci  si  presenta  con  molla  varietà  di  aspetti,.  L'a.  illustra 
le  differenze,  onde  la  prima  va  distinta  dalle  altre  ;  enumera  le  versioni  che 
ce  ne  restano,  nelle  tre  forme  in  che  è  nota  fra  noi,  di  rappresentazione 
teatrale,  di  tradizione  orale  e  di  poema  popoUre  ;  studia  e  ricerca  la  data 


266  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

probabile  delle  ndazìoni  poetiche  in  lingua  toscana  e  dialetti  istriano  e  si- 
ciliano, e  mostra,  come  innanzi  alla  sua  dilTusione  in  Italia,  il  pio  racconto 
trovasse  favore  in  Germania  presso  la  Compagnia  di  Gesù,  fosse  noto  a 
scrittori  di  cose  ascetiche  e  predicatori,  e  fornisse  argomento  a  più  poemi 
e  drammi  sacri,  rappresentati  nei  teatri  collegiali  dell'Ordine,  dai  primordj  del 
sec,  XVII  alla  metà  e  più,  del  sec.  XVIII.  Onde  conclude  che  "  la  leggenda 

*  di  Leonzio  non  è  merce  italiana  „,  ma  '  tardi  fu  introdotta  in  Italia,  ov'ebbe 
"  scarso  favore  ,,  e  le  versioni  poetiche  che  ne  abbiamo,  debbono  riportarsi 

*  a  data  relativamente  moderna,  e  non  molto  superiore  a  un  secolo  ,.  Chiude 
Io  studio  la  riproduzione  del  poemetto,  nella  lezione  offerta  dalla  stampa 
bolognese  alla  Colomba  (principio  del  sec.  XIX)]. 

34  (645-54).  F.  Flamini,  Appunti  d'  esegesi  dantesca  [Nuove  interpretazioni 
di  quattro  luoghi  del  Paradiso.  —  Par.  IX,  54  :  leggasi  malta  anziché  Malta, 
dando  al  vocabolo  significato  generico.  —  Par.  IX,  84.  Intendasi  fuor  di 
quel  mar  nel  senso,  non  già  di  "  eccetto  quel  mar  ,,  ma  di  *  uscendo,  par- 
"  tendo,  allontanandosi  da  quel  mare  ,.  —  Par.  XI,  133-39.  L'  ultimo  versò 
(*  u'ben  s'impingua,  se  non  si  vaneggia  ,)  ha  pel  FI.  valore  ironico,  non  di 
semplice  citazione;  il  correggiere  è  da  intendersi  usato  per  sineddoche  in 
luogo  di  »  correggieri  ;  e  scheggia  nel  v.  137  ha  significato  di  *  guasta  ,. 
Onde  l'intero  passo  suona  parafrasato  così:  '  Ora,  se  le  mie  parole  non  sono 
'  inefficaci,  se  sei  stato  ben  attento,  se  ti  richiami  alla  mente  quel  che  ho 

*  detto,  il  tuo  desiderio  di  sapere  sarà  in  parte  appagato  ;  poiché  vedrai  che 
"  pianta  è  quella  che  vedi  sciupare,  e  in  pari  tempo  vedrai,  quanto  male  i 
"  Domenicani  si  comportino  in  quel  cammino,  dove,  se  non  si  va  fuori  di 
"  strada,  ci  si  arricchisce  ,.  —  Par.  XIX,  115-41.  Il  FI.  rileva  l'esistenza  di 
un  acrostico  assai  significativo  nelle  ultime  nove  terzine  del  canto  XIX]. 

35  (pp.  655-62).  F.  Novati,  Una  ballata  in  onore  di  Lodovico  Migliorati, 
marchese  di  Marca  e  signore  di  Fermo  [Fu  composta  da  ignoto  rimatore, 
umbro  o  abruzzese,  tra  l'estate  e  l'autunno  del  1406,  quando  il  crudele  e 
ambizioso  nipote  di  Innocenzo  VII,  da  poco  tempo  creato  marchese  e  ret- 
tore della  Marca,  capitano  generale  dell'esercito  pontifìcio  e  signore  di  Fermo, 
avea  raggiunto  l'apice  della  fortuna  e  della  potenza.  Il  N.  la  trae  dalle  guar- 
die di  un  Seneca  ambrosiano  (il  cod.  A.  118  inf.)]. 

36  (pp.  H63-77).  E.  Sicardi,  Attorno  all'  episodio  di  Manfredi  [Acute  e  in- 
gegnose osservazioni  esegetiche  su  alcuni  luoghi  del  celebrato  episodio  dan- 
tesco]. 

37  (pp.  679-89).  A.  Fiammazzo,  Il  codice  "  Canonici  Misceli.  449  ,  detta 
Bodleiana  di  Oxford  con  commenti  latini  alla  *  Divina  Commedia  „  [Il  codice 
descritto  dal  F.  contiene  :  il  commento  dell' Jn/«rno  di  Jacopo  della  Lana, 
tradotto  in  latino  da  Guglielmo  de  Bernardis,  e  rimanipolato  coll'aiuto  delle 
chiose  del  Bambaglioli  ;  i  tre  proemi  deìVInfemo,  di  Alberico  da  Rosolate,  del 
Laneo,  e  del  Bambaglioli  ;  un  commento  latino  al  Purgatorio,  che  il  F.  iden- 
tifica con  quello  di  cui  il  cod.  8530  dell'Arsenale  di  Parigi,  descritto  da  L. 
Auvray,  conserva  due  canti  incompleti;  un  commento  latino  anonimo  del 
Paradiso,  e  i  due  noti  capitoli  di  Bosone  da  Gubbio  e  di  Jacopo  di  Dante]. 

38  (pp.  691-710).  G.  De  Lollis,  Di  Bertran  del  Pojet  trovatore  dell'età 
angioina  [Bertrando  dei  Pojet,  castellano  di  Puget-Théniers,  valente  e  prode 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  267 

cavaliere,  e  siniscalco  per  Carlo  d'Angiò  in  Lombardia,  accompagnò  il  suo 
signore  nella  spedizione  del  Napoletano,  e  n'ebbe  il  1269  "la  terra  di  Jul- 

•  lane  ed  altro  in  Abruzzo  ,,  che  permutò  poi  con  castella  *  in  iusticiaratu 
"  Terre  Laboris  ,.  Di  ritorno  da  una  missione  presso  il  Soldano,  fu  delegato 
con  altri  eminenti  personaggi  a  "  trattare,  fare  e  compiere  coi  capitani,  con- 

•  sigli  e  comitati  di  Bologna,  Parma,  Modena  e  Reggio  patti,  convenzioni,  e 
"  confederazioni,  che  sembrassero  spedire  ad  onore  della  santa  madre  Chiesa 

•  e  del  re  ,  (1269),  e  rappresentò  Carlo  presso  la  città  di  Brescia  in  qualità 
di  vicario  (1270).  Nel  1272  il  re  lo  eleggeva  giustiziere  della  Sicilia:  una 
delle  cariche  più  importanti  dell'amministrazione  provinciale  angioina.  Ma 
da  quel  punto  mancano  notizie  di  Bertrando.  E  delle  molte  poesie,  ch'egli 
compose,  restano  solo  €  un  sirventese  a  confusione  degli  avari  e  ad  esalta- 
"  jione  dei  larghi  spenditori,  e  una  tenzone  pudica  e  sottile  con  una  dama  ,. 
Il  De  L.  ne  dà  in  appendice  il  testo  critico]. 

39  (pp.  711-40).  V.  Rossi,  Armi  ed  amori  d'un  orafo  fiorentino  del  Quat- 
trocento [Elegante  ed  accurata  disamina  del  lungo  poema  autobiografico,  che 
il  popolano  Michele  di  Francesco  dei  Gorbizzeschi  compose  intorno  ai  casi 
avventurosi  della  sua  vita,  e  intitolò  De  bona  e  (sic)  mala  fortuna.  L'opera,  di 
cui  il  cod.  panciatichiano  n.  30  conserva  l'unica  copia,  è  singolare  documento 
per  la  storia  dei  costumi  fiorentini]. 

40  (pp.  741-73).  E.  Gorra,  Carlo  I  d'Angiò  nel  Purgatorio  dantesco  [Dotta 
ed  ingegnosa  disquisione  sul  quesito:  perché  Dante  abbia  salvato  Carlo 
d'Angiò,  e  l'abbia  ammesso  a  partecipare  al  convegno  dei  principi  europei' 
nella  valletta  del  Purgatorio]. 

41  (pp.  775-88).  E.  Pèrcopo,  Per  la  giovinezza  del  Sannazaro  [Il  P.  pub- 
blica ed  illustra  un  documento  dell'archivio  cassinese,  che  rischiara  di  viva 
luce  le  vicende  della  famiglia  Sannazaro  e  i  primi  anni  della  vita  del  poeta]. 

42  (pp.  789-815).  L.  G.  Pélissieh,  Pour  la  biographie  du  Cardinal  Gilles 
de  Viterie  [La  biografia  del  cardinale  Egidio  Canisio  da  Viterbo,  dotto  filo- 
sofo, storico,  oratore  e  diplomatico  valente,  è  assai  poco  conosciuta,  e  non 
fu  sinora  indagata  accuratamente.  Il  P.  pubblica,  accompagnandola  di  eru- 
dite note,  una  delle  fonti  piti  importanti  per  la  vita  dell'umanista  agosti- 
niano: gli  estratti  dei  regesti  officiali  degli  alti  del  cardinale  durante  il  suo 
generalato,  che  si  conservano  nel  cod.  ashbnrnhamiano  n.  219,  di  mano  del 
card.  Enrico  de  Noris]. 

43  (pp.  817-48).  P.  Ghistoni,  La  lonza  di  Dante  [Ecco  i  risultati  delle 
ricerche  del  Ch.,  riassunti  dall'autore  stesso  in  fine  alla  sua  memoria:  *  1)  Per 

•  gli  allegoristi  medievali  la  pelle  maculata,  screziata,  dipinta,  tigrata  è  sim- 
"  bolo  della  frode.  La  lonza  è  detta  fiera  più  veloce,  più  audace,  più  crudele 

•  del  leone,  al  quale  anzi  incute  terrore,  e  perciò  in  essa  è  imbestiata  la  ma- 

•  lizia,  peccato    ben    più  grave   della  bestialità,  raffigurata   nel   leone;  2)  la 

•  corda  magica  simboleggia  l'efficacia  pratica  della  scienza,  ed  è  maneg- 
"  giata  appunto  da  Virgilio,  che  è  allegorica  figurazione  dei  sapere  umano  ; 
"  3)  Gerione  corrisponde  alla  lonz.T.  ed  ha  figura  di  drago,  animale,  avver- 
"  tono  i  bestiari,  come  la  lonza,  più  forte  del  leone;  4)  alle  quattro  nature 

•  bestiali,  accozzate  nel  mostruoso  Gerione.  fanno  riscontro  le  quattro  cate- 

•  gorie  in  cui  si  classificano  i  fraudolenti  delle  Malebolge  ,]. 

L.  FSRRARI 


268  RARSKONA    BIBLIOGRAFICA 


Tommaso  Gargallo.  —  Il  Palatino  d^  Ungheria.  Firenze  1833.  Egy 
class  Bành-Bàn.  Novella:  forràsaivat  egyiilt  Madia  Katona 
Lajos.  —  Budapest,  1901.  ^ 

Si  sdegnavano  i  Deputati  a  correggere  il  Decamerone  che, 
nella  quarta  novella  della  nona  giornata,  quelli  che  corrono  pre- 
sto a  ritoccare  gli  scritti  altrui  avessero  dibarbato  dalle  ultime 
radici  poche  parole  del  grande  raccontatore.*  Non  potevano  im- 
maginare che,  cresciuta  l'età  del  mondo,  e  la  vigoria  della  vanità, 
si  biasimasse  tutta  quanta,  ponendole  accanto  una  sorella,  che 
non  le  rubava  il  posto,  ma  che  non  desiderava  starne  lontana.^ 

Finse  Tommaso  Gargallo  di  avere  nelle  mani  un  altro  rac- 
conto che  il  Boccaccio  forse  aveva  scritto  e  poi  rifiutato,  e  dal 
critico  siciliano,  meno  severo  dell'autore,  riportato  agli  onori  delle 
stampe.  Un  ignoto  avergliene  fatto  il  dono,  ed  egli  supporre 
fosse  l'amico  ab.  Luigi  Rezzi:  al  march.  Trivulzio  poi  lo  rido- 
nava, dedicandoglielo.  Non  dirò  impossibile  imitare,  dietro  a  molte 
novelle,  in  una  novella,  lo  stile  di  piccini  o  di  grandi  scrittori: 
ma  certo  quello  che,  per  le  Vite  dei  Padri,  era  riuscito  al  Leo- 
pardi non  riuscì  al  Gargallo.  L'avere  messo  innanzi  il  nome  del- 
l'amico, senza  trascinarlo  a  confessare  la  sua  generosità,  ci  fa- 
rebbe pensare  che  di  quella  burla  il  Rezzi  non  fosse  all'oscuro, 
per  non  dire  che  abbia,  nel  segreto,  o  ritoccato  o  approvato  lo 
stile  gargalloboccaccesco  :  e  il  tirare  in  ballo  il  march.  Trivulzio, 
onorato  e  da  onorare,  è  forse  segno  che  questi  seppe  dove  era 
la  frode  e  non  vide  macchia   al  suo   nome  parere  un  compare. 

Quello  che  in  Italia  può  essere  facilmente  o  rammentato  o 
imparato,  domanda  maggiore  curiosità  e  fortuna  tra  gli  stranieri; 
ma  anche  questi,  se  prudenti,  giungono  al  segno,  come  toccò  al 


1  Questo  è  il  titolo  intero:  le  parole  ungheresi  significano:  Una  novella  italiana  sul  Bano 
Batìk ,  pubblicata  colle  sue  fonti  da  L.  Katona.  È  un  libretto  (di  23  pag.)  tolto  via  dal  voi.  XI 
delle  Pubblicazioni  di  storia  letteraria  date  fuori,  a  Pest,  dall'Accademia. 

2  Cf.  l'annotazione  CXIV  (pag.  237)  nella  edizione  del  Le  Mouuier  (18S7). 

8  Le  parole  del  Gargallo  sono  queste:  Chi  mai  tanto  oserebbe,  da  scacciar  dal  suo  posto 
quella,  che  per  tanti  secoli  l'ha  tranquillamente  occupato,  per  questa  audace  straniera  allogarvi f 
Ma  non  sarà  temerità  il  pubblicarla,  senza  far  forza  all'  altrui  fiducia  ;  che,  appartengasi  o 
no  al  Decamerone,  t  degnissima  d'esser  rammemorata  .  .  .  per  l'esempio  almeno  che  ci  presenta. 
(Il  Palatino  d'Ungheria  novella  d'antico  codice,  ora  per  la  prima  volta  pubblicata.  Firenze  188S, 
Pag.  6  e  pag.  8). 


DELLA  LETTE  ATURA  ITALIANA  269 

signor  Luigi  Katona.  Che  il  librettino  uscito  a  Firenze  nel  1823 
Io  invogliasse,  è  naturale:  c'era  nel  titolo  11  Palatino  d'Ungheria, 
e  i  magiari  sanno  amare  le  cose  della  patria.  Sull' intrecciare  che 
fa  l'editore  del  proprio  nome  a  quello  del  dotto  romano  e  del 
patrizio  milanese  si  stupiva  a  ragione  il  Katona:  e  spero  che, 
come  io  tento  di  darne  spiegazione,  egli  voglia  seguirmi. 

A  Ini  importava  sopra  ogni  cosa  il  vedere  a  che  fonte,  o  forse 
a  che  rigagnolo,  attingesse  il  Gargallo:  e,  ristampando  tutta  la 
novella,  le  pose  accanto  quei  luoghi  che  il  traduttore  di  Orazio 
ricopiò  dal  libro  di  Luigi  Vertot  che  si  chiama  VHistoire  des 
Chevaliers  hospitaliers  etc.  (Paris,  1726,  1753, 1761),  o  dalla  Histo- 
ria  Hungarica  del  Bonfini,  ma  avvertendo  che  dal  Bonfini,  forse 
non  veduto  da  lui  nell'originale,  prende  soltanto  quello  che  aveva 
già  servito  al  francese.  Strano  è  che,  più  tardi,  i  giudici  dello 
stile  della  novella,  se  antico  o  no,  non  badarono  alla  citazione 
che  il  Gargallo  faceva  dei  due  che  narrarono,  secondo  lui,  quello 
che  prima  aveva  narrato  il  Boccaccio,  cosi  mettendo  sulla  strada 
un  critico  sagace;  ingenuamente,  dice  il  Katona,  e  forse  va  detto 
scherzosamente,  come  di  chi  andasse  per  via  travestito  da  pa- 
gliaccio, ma  colla  maschera  in  mano. 

Il  Katona  raccoglie  bene  i  fatti,  e  per  ogni  particolarità  del 
vecchio  racconto  bonfiniano,  rinnovato  dal  Vertot  e  poi  dal  Gar- 
gallo, offre  opportune  spiegazioni,  da  servire  anche  a  storie  scritte 
e  lette  da  italiani.^ 

Dunque  il  Gargallo  si  nasconde  e  non  si  nasconde:  e  tiene 
la  matassa,  ma  dà  il  bandolo  a  chi  vuole;  e  di  queste  infinocchia- 
ture letterarie  pare  all'ungherese  che  sia  più  abbondante  il  seme 
e  il  frutto  nella  terra  dei  carnovali.  Dove  ripensi  alla  storia 
letteraria  di  tutto  il  mondo  vedrà  che,  se  mancano  le  festività, 
abbondano  gli  scritti  di  ignoti  o  di  infinti  autori:  nessuno  si 
duole  perché,  a  lungo,  novelle  famose  fossero  dette  dell'autore 
del  Waverley  e  non  altro,  che  le  poesie  del  De  Lorme  sieno  di 


1  Non  è  qui  il  luogo  da  mettere  presso  al  romsnzetto  la  storia  vera.  Rimando  per  bre- 
vità alla  storia  del  Fessleb  (6'mc/i.  »ow  Vìifiern,leaih.von  /?.  A'Wji.  Leip.  ISOT,  I,  pag.  3.0)  n 
bano  è  Benedetto  (Bàuk),  della  famiglia  dei  Bór:  rea  senza  dubbio  è  la  regina  Gertrude: 
incerti  gli  storici  se  dei  fratelli  di  lei  il  vigliacco  fosse  Bertoldo,  arcivescovo,  o  Erberto; 
né  alla  punizione  della  regina  pare  desse  mano  il  tradito  marito.  Celebre  in  Ungheria  è 
la  tragedia  in  versi  di  Giuseppe  Katona  (1792)  che  usci  alla  luce  la  prima  volta  nel  1821. 
(Ho  l'edizione  del  '56,  in  Kecskemét,  procurata  da  D.  Horvàth).  Sui  poeti  tedeschi  che,  in 
ballate  o  in  tragedie,  trattarono  questo  argomento,  c'è  una  bella  dissertazione  di  G.  Hein- 
BiCH  {Bànk-Bdn,  a  tiemet  Mltéssethen.  Budapest,  1829).  Anche  Hans  Sachs  segui  nel  suo 
Andreas  der  Uttgerisch  Kònig  il  racconto  del  Bonfini.  Con  uguale  intento  Sudeshnà,  la  regina 
diìi  rtt'at</,  per  amore  al  fratello  Kìcaka  vuole  farsegli  mezzana,  e  tradire  la  bella  Ershwà. 
Ma  non  riesci  (Mahàbb.  IV,  e.  XIV  e  seg.). 

19 


270  Rassegna  bibliografica 

uomo  famoso  col  suo  vero  nome  nella  critica  francese,  che  Di- 
dimo Chierico  rubi  una  fogliolina  di  alloro  ad  Ugo  Foscolo.  Di 
chiamare  sul  palco  lo  Stecchetti  non  era  adesso  l' occasione,  nem- 
meno per  chi  desidera  fosse  stata  più  decente  e  contegnosa  una 
musa  che  poteva  ispirare  canti  pieni  di  schiettezza  e  di  grazia: 
bensì  abbiamo  tutti  a  lamentare  che,  in  codesti  carnevali  delle 
lettere,  non  basti  l'appiattarsi,  mettendo  a  disperazione  molte 
generazioni  di  eruditi,  come  Junius,^  ma  si  ardisca  fingersi,  e  si 
tenti  mostrarsi,  uno  dei  grandi.  E.  Teza. 


IVIahio  FuocHf,  —  Eschìlo,  Il  Promctro  LìcMenato.  —  Sandron,  1902 
(in  16."). 

$3  un  nuovo  volume  della  «  Biblioteca  dei  Popoli  »  diretta  da 
Giovanni  Pascoli.  A  dir  vero,  dopo  la  bella  traduzione  poetica 
degli  Acarnesi  di  Aristofane,  che  Ettore  Romagnoli  inserì  nella 
medesima  Biblioteca,  nel  ricevere  questo  Prometeo  in  prosa  ab- 
biamo  provato  una  certa  delusione.  Perché  Aristofane  in  versi 
ed  Eschilo  in  prosa?  Perché,  dice  il  Fuochi,  con  quello  li  non  si 
scherza;  vale  a  dire,  sarebbe  impresa  disperata  e  un  voler  cor- 
rere la  sorte  d'Icaro,  come  dice  Orazio  degli  imitatori  di  Pindaro. 
Ma  si  può  forse  scherzare  con  Aristofane?  Eppure  il  Franchetti 
e  il  Romagnoli  non  fecero  il  volo  d'Icaro,  o  almeno  seppero  mu- 
nirsi d'un  forte  paracadute.  Ha  ragione  il  Fuochi  allorché  pas* 
sando  in  rassegna  le  varie  traduzioni  italiane  del  Prometeo,  dal 
Cesarotti  al  Bellotti,  ne  pone  in  rilievo  i  gravi  difetti  e  dimostra 
l'opportunità  di  una  nuova  traduzione;  ma  non  ha  ragione  quando 
evede  che  una  traduzione  in  prosa,  per  quanto  buona,  possa  com- 
pensare quei  difetti  e  riempire  una  simile  lacuna. 

Facciamo  questa  specie  di  questione  pregiudiziale  pur  ricono- 
scendo il  merito  di  quanto  il  Fuochi  ci  offre,  ma  più  con  dottrina 
e  diligenza  di  filologo  che  con  genio  d'artista.  Dottrina  e  diligenza 
abbiamo  constatato  con  piacere  non  solo  nella  traduzione,  ma 
nel  diffuso  Proemio  e  nelle  Note  preliminari  ad  ogni  scena. 


«  Del  treiitasette  cnudiiìnti  tirati  fuori  dai  critici  per  dar  corpo  a  quello  spirito  aereo 
del  grande  battagliero,  ha  piti  fortuna  Sir  Pliilip  Francia  (1740-1818);  ma  non  per  modo 
che  tutti  ne  sieuo  persuasi,  (Citerò  E.  Gosse,  Hist.  of  eiyìiteenth  Cenlury  LiUraiure.  Lond.  1899, 
pag.  263).  Auclie  un  mese  io,  (.Wienmtmi,  London,  15  Aug.  li)03,p.  2'J2)  si  conobiudeva:  Jwxius 
fu  spesso  scoperto  ed  ò.  ancora  ignoto;  un  ignoto  che  diventò  scrittore  classico  per  la  sua 
nazione.  (Si  veggano  gli  articoli  del  sig.  W.  Fbaseb  Kae,  pag.  190  e  pag.  221), 


DEIJ.A    LETTERATURA    ITALIANA  271 

Il  Proemio  dà  le  notizie  necessarie  all'intelligenza  di  questo 
dramma  e  tratta  in  modo  particolare  la  questione  sul  vero  si- 
gnificato del  Prometeo  eschileo  e  l'altra  sull'esistenza  d' un'azione 
drammatica. 

È  noto  che  nell'opinione  comune  Prometeo  rappresenta  \sk 
fiera  ribellione  dell'umanità  contro  un  dio  crudele  e  tiranno  e 
l'ingiusta  pena  che  ne  soffre.  Ma  i  filologi  moderni  hanno  os- 
servato che  questo  concetto,  diametralmente  opposto  alle  idee 
religiose  di  Eschilo,  è  falso  e  si  fonda  sopra  1'  unica  tragedia  che 
rimane.  Ponendola  invece  in  relazione  con  le  altre  che  compo- 
nevano la  trilogia,  la  cosa  appare  interamente  diversa.  Kronos  e  i 
Titani  rappresentavano  il  regno  della  forza  brutale,  della  selvaggia 
ferocia;  Giove  rappresenta  quello  della  giustizia,  della  legge  mo- 
rale, della  civiltà.  Ma  per  instaurare  questo  nuovo  ordine  di  cose 
anche  Giove  è  costretto  ad  usare  la  violenza,  a  chiudere  il  padre 
e  i  titani  nel  Tartaro,  a  fiaccare  ogni  altra  opposizione.  Prometeo, 
che  prima  lo  aveva  aiutato  contro  gli  dei  della  sua  stessa  gene- 
razione, quando  si  trattò  di  distruggere  il  genere  umano  e  far 
casa  nuova,  gli  si  oppose.  Giove  dunque  è  costretto  a  trattarlo 
da  nemico;  ma  il  torto  è  di  Proraeo,  che  non  intende  gli  alti 
fini  a  cui  mira  l'azione  del  sommo  dio.  Quando  però  il  nuovo 
regno  è  assicurato,  Giove  depone  l'ira  e  si  riconcilia  col  titano. 

Queste  osservazioni  contengono  senza  dubbio  molta  parte  di 
vero  ;  ma  troppe  cose  lasciano  ancora  nel  buio.  Quale  giustizia, 
quale  trionfo  della  legge  morale  potevano  sospettare  gli  spetta- 
tori, che  erano  uomini,  in  quella  neroniana  risoluzione  di  mandar 
tutta  l'umanità  all'altro  mondo?  E  quale  idea  potevano  formarsi 
della  potenza  del  sommo  dio,  se  un  dio  minore  gì' impedisce  di 
mandarla  ad  effetto?  E  qual  torto  potevano  trovare  nel  titano, 
che  salva  l'umanità  regalandole  il  fuoco  e  insegnandole  le  arti? 
Qual  dei  due  doveva  apparire  il  civilizzatore,  quale  il  benefattore 
degli  uomini?  E  la  punizione  di  Prometeo  non  ha  tutta  l'aria 
di  uno  sfogo  di  rabbia  anziché  d'un  atto  di  giustizia?  E  non  è 
la  paura  del  segreto  fatale  a  Giove  ed  ostinatamente  taciuto  da 
Prometeo,  che  induce  quello  a  più  miti  consigli?  Sono  tutte  que- 
stioni insolute,  come  quella  del  destino  nell'Edipo  Re,  e  forse 
non  si  risolveranno  mai,  perché  conseguenze  dell'erronea  opinione 
che  i  poeti  traessero  dalle  favole  un  rigoroso  sistema  di  dottrine 
morali  e  componessero  delle  tragedie  a  tesi.  Il  Fuochi  dissente 
dal  Wilamowitz,  che  definì  la  tragedia  attica  un  pezzo  di  leg- 
genda eroica  messo  sulla  scena;  ma  non  si  può  negare  che  l'il- 
lustre filologo  abbia  le  sue  buone  ragioni  di  pensarla  a  quel 
modo,  e  il  Prometeo  può  essere  una  di  queste. 


272  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Il  Proemio  vuol  poi  dimostrare  che  nel  dramma  e' è  veramente 
un'azione,  e  la  trova  nell'audacia  con  cui  Prometeo  resiste  a 
Giove,  rifiuta  la  mediazione  di  Oceano,  si  ostina  a  conservare  il 
segreto  delle  nozze  fatali  al  suo  nemico.  Qui  poi  non  s'intende 
perché  il  Fuochi  se  la  prenda  tanto  con  quelli  che  tutto  vogliono 
spiegare  con  la  ragione  dell'ambiente  e  dei  tempi,  se  per  dimo- 
strare ciò  che  si  propose  non  fa  altro  che  ricorrere  a  quella 
ragione,  dicendo  che  nel  V  secolo  intendevasi  per  azione  tragica 
una  cosa  ben  diversa  da  quella  che  intendiamo  noi  e  che  agli 
antichi  bastava  molto  meno  di  quello  che  noi  pretendiamo  per 
poter  dire  che  un  dramma  avesse  azione.  Ciò  è  vero  e  può  an- 
che spiegarsi  con  le  probabili  origini  della  tragedia;  ma  è  anche 
vero  che  del  secolo  V  non  si  può  fare  tutta  una  cosa,  e  bisogna 
distinguere  le  varie  età  e  notare  il  grande  progresso  fatto  anche 
in  questa  parte  dell'azione  dalle  prime  prove  di  Eschilo  alle  ul- 
time di  Sofocle  e  di  Euripide. 

Per  quanto  riguarda  la  traduzione,  non  potendo  qui  scendere 
a  particolari,  basti  dire  che  essa  è  fedele  ed  esatta,  quale  era  dà 
attendersi  da  un  ellenista  come  il  Fuochi.  Però  non  sempre  sa 
emanciparsi  dalle  forme  del  testo  e  pigliare  un'  andatura  più  li- 
bera e  disinvolta.  Troppo  spesso  mantiene  il  legame  fra  le  pro- 
posizioni, onde  si  riempie  dì  perché,  però  che,  perciocché  ;  conserva 
certe  prolessi,  che  poco  convengono  col  nostro  modo  di  costruire; 
reca  troppo  alla  lettera  certe  frasi  pleonastiche,  come  al  v.  463. 
Gli  epiteti  composti,  arduo  scoglio  dei  traduttori,  perdono  assai 
nella  decomposizione  a  cui  non  possono  sfuggire.  Certe  imagini 
sono  sviluppate  oltre  l'intenzione  del  poeta.  P.  e.  al  v.  149  Eschilo 
potè  dire  *  piloti  dell' Olimpo  per  rettori,  ma  non  avrebbe  certo 
fatto  dell'  Olimpo  una  nave,  come  il  traduttore. 

Ma  questi  piccoli  nei  tolgono  ben  poco  al  valore  generale 
della  traduzione,  che  potrà  rendere  utile  servizio  a  chi  non  può 
leggere  l'originale  o  può  leggerlo  soltanto  con  una  guida  fidata 
e  sicura.  Z. 


0BLLA  LETTERATURA  ITALIANA  2^3 


COMUNICAZIONI. 


SCALI  gerì  ANA.     :  '     ' 

Al  copioso  materiale  poetico  sugli  Scaligeri,  cosi  accuratamente  raccolto 
dai  proff.  G.  Cipolla  e  Fi.  Pellegrini  (V.  la  notizia  di  cronaca  in  questa  Ras- 
segna, anno  XI,  n.  1,  pag.  60),  non  credo  si  possano  fare  molte  aggiunte.  Ma 
non  è  difficile,  a  chi  studj  qualche  ramo  speciale  della  letteratura  poetica 
del  '300  e  del  primo  '400,  trovare  altre  più  o  meno  importanti  allusioni  alle 
vicende  di  quella  famiglia.  Eccone  intanto  alcune,  che  io  riferisco  qui  senz?. 
la  vana  pretesa  d' aver  fatto  delle  scoperte,  e  solo  per  rispondere  ad  un 
cortese  invito  degli  egregi  illustratori.* 

1.  Fra  i  numerosi  componimenti  politici  in  versi  del  Medioevo,  non  è 
del  tutto  ignota  la  profezia  *  Ave  ihesu  fìgliol  de  Maria  „  in  47  ottave,  pub- 
blicata dal  prof.  Mazzatinti  nel  1887.^  Dubbia  ne  è  la  paternità,  sebbene  il 
Mazzatinti  stesso  e  il  Faloci-Pulignani  inclinino  a  credere  che  quelle  ottave 
si  debbano  al  noto  profeta  umbro,  il  B.  Tommasuccio  Unzio  da  Foligno,  a 
cui  il  cod.  Vat.  4872  le  attribuisce.^  Meno  dubbia  è  la  data  della  loro  com- 
posizione, se  più  che  alla  didascalia  del  cod.  suddetto'  si  darà  importanza  a 
certe  indicazioni  interne,  di  cui  mi  pare  non  sia  stato  fatto  il  debito  conto.* 
Ora  in  codesto  componimento  che  non  è  stato  studiato  abbastanza  e  che 
è  sfuggito  ai  proff.  Cipolla  e  Pellegrini,^  si  legge  : 

tnctì  i  tiranni  harau  tormento, 
et  pili  comuni  perderan  lor  stato, 
quel  de  Veruna  sera  cominzamento. 
(Str.  6.). 

I  quali  versi,  se  non  contengono  una  allusione  diretta  all'uno  o  all'altro 
degli  Scaligeri,  certo  si  riferiscono  alla  fine  del  loro  dominio  in  Verona,  av- 
venuta nel  1387  per  opera  di  Gian  Galeazzo  Visconti,  tantopiù  che  nell'ot- 
tava seguente  si  parla  di  un  conte  e  duca,  che  con  le  sue  rapide  conquiste 
diventerà  signore  dell'Italia. 


1  Vedi  il  loro  preambolo  alle  Poesie  Mhiori  riguardanti  gli  Scaligeri, in  Bull,  dell'  ìst.  slor. 
Hai.,  n.  24. 

5  Vedi  Miscellauea  Francescana,  voi.  II,  pagg.  3-7. 

3  Vedi  Mazzatinti,  studio  cit.,  e  Faloci-Pulignani,  /.e  aiti  e  le  lettere  alla  corte  dei 
Trinci  (Foligno,  Salvati,  1888)  pag.  77. 

*  Cito  soltanto  i  vv.  "nel  quattrocento  cinque  quattro  e  tre  ,  e  "ventiquattro  anni 
"corona  in  sulla  testa  —  porterà  eli...„  che  si  leggono  nelle  strofe  45.  e  47. 

6  Non  cosi  è  sfuggita  loro  la  profezia  "  Piò  volte  nella  mia  mente  ho  sforzato  ,  che 
contiene  chiari  accenni  ad  uno  Scaligero -e  che  io  nel  1892  cercai  d'illustrare  sulla  reda- 
Eione  napoletana.  (V.  op.  cit.,  pag.  113).  Ma  ora  le  mie  idee  sulla  paternità  e  sulla  data  di 
/qnel  componimento  sono  uu  po'canibiate,  corno  apparirà  dallo  studio  unito  alla  edizione 

critica  di  esso,  che  sarà  fra  breve  inserita  nel  Bolldiino  lìellK  fi.  llei>uìaìioiie  di  atorin  patria 
per  V  Umbria. 


S74  RASSÉGNA  BlBLlOGtlAPlCA 

2.  E  dalla  poesia  profetica  popolare  passiamo  all'epica  dotta.  Uti  poema, 
in  generale  poco  consultato,*  ma  ricco  di  notizie  storiche  relative  ai  tempi 
in  cui  fu  scritto,  è  il  Quadriregio  del  Prezzi.*  In  due  luoghi  di  esso  si  parla 
della  famiglia  della  Scala.  Il  primo  accenno  lo  abbiamo  nel  cap.  XIII  del  1.  II, 
in  cui  il  Prezzi  descrive  la  condizione  di  coloro  che  in  vita  provarono  i 
colpi  dell'incostante  Portuna:  la  sua  guida  (Minerva)  dice: 

Nel  sesto^cerchio,  se  tu  saper  vuoi, 

Li  8on  posti  i  novelli  Caini, 

Consumatori  deTratelli  suoi: 
Quei  della  Scala  spietati  Mastini 

E  pili  crudeli  che  rabbioso  cane; 

Ma  tosto  a  basso  caleranno  chini. 
(Str.  46-47). 

Se  ora  noi  ci  facciamo  ad  indagare  a  chi  siano  dirette  queste  parole,  la 
storia  veronese  ci  apprende  subito  che  il  poeta  non  poteva  qui  pensare  a 
Gansignorio  della  Scala,  che  pure  si  macchiò  due  volte  di  sangue  fraterno, 
perché  non  si  può  dire  che  avesse  avversa  la  fortuna  un  tiranno  che  dopo 
l'uccisione  del  primo  fratello  potè  riprendere  facilmente  il  dominio  della 
città  e  dopo  avere  spento  anche  il  secondo  mori  naturalmente  nel  suo  splen- 
dido castello.  Ma  se  non  bastasse  la  storia  ad  escludere  Gansignorio  dal- 
l'accenno frezziano,  basterà  certamente  il  fatto  che  di  Gansignorio  il  poeta 
si  occupa  e  molto  chiaramente  in  un  altro  luogo  del  Quadriregio,  che  ve- 
dremo fra  poco,  ponendolo  giustamente  fra  i  traditori  anziché  fra  gli  abban- 
donati dalla  sorte.3  Invece  è  chiarissima  l'allusione,  in  questo  punto,  a  uno 
dei  figli  di  Gansignorio,  Antonio  che,  imitando  in  ferocia  il  padre,  uccise  a 
tradimento  il  suo  fratello  maggiore  Bartolomeo,  con  cui  divideva  il  cornando, 
e  poi  costretto  a  fuggire  da  Verona  si  ridusse  a  morire  esule  e  povero  a 
Tredozio.  Meno  facile  è  stabilire  a  quale  altro  Scaligero  fratricida  e  disgra- 
ziato si  riferisca  l'autore,*  o  se  questi  non  abbia  adoperato  per  enfasi  re- 
torica il  plurale  invece  del  singolare. 


>  Ciò,  forse,  dipende  dal  fatto  che  del  Qundrirtgio  1  critici  d'oggi  si  occupano  troppo 
poco  e  se  n'hanno  finora  per  le  stampe  riassunti  troppo  brevi  e  scarsi.  (Vedi  *  Il  centenuto 
"del  Quadrireyio  „  che  vado  pubblicando  dall'anno  scorso  nella  Rivista  //  Umbria  diretta 
dal  prof.  F.  Ouardabassi  :  Perugia,  tip.  Umbra). 

2  Non  è  inutile  rammentare  che  secondo  l'opinione  dell'ab.  P.  Canneti,  il  critico  piti 
autorevole  che  finora  si  sia  occupato  di  proposito  del  Frezzi  e  del  suo  poema,  questo  sa- 
rebbe stato  composto  fra  il  l'dSO  e  il  1400  (V.  la  sua  Disserlugione  Apologetica  ecc.  nel  voi.  11 
dell' ediz.  di  Foligno  del  1725,  parg.  23). 

3  Tuttavia  il  Pagliarini,  commentando  i  versi  suddetti,  osserva  che  gli  Scaligeri  furono 
•  gente  veramente  fiera  e  crudele  iu  particolare  verso  il  proprio  sangue,  essendosi  pili  volte 
"con  rinnovati  esempi  di  crudeltà  e  di  perfidia  trucidati  l'un  l'altro  i  fratelli,  a  guisa  di 
"tanti  Caini:  ciò  spcciahnentc  succede  in  Cansignorio . . .  e  in  Antonio  ...  „  (V.  la  cit.  ediz. 
del  Quadr.,  voi.  II,  pag.  160).  Ma  egli  non  s'accorge  che,  dando  ai  versi  del  Frezzi  una  sl- 
mile spiegazione,  gli  attribuisce  il  grave  errore  d'aver  posto  lo  Btesso  personaggio  in  due 
parti  diverse  del  Hegno  di  Satana. 

■*  La  storia,  dopo  Cansignorio  e  Antonio,  se  non  erro,  non  ne  registra  altri:  solo  il  Cantù 
(Storia  degV  Hai.,  T.  IV,  pag.  362  :  Torino,  Pomba,  1854)  dice  che  Paolo  Alboino  tenne  mano  alla 
uccisione  di  Cangraude  II:  ma  io  non  vedo  confermata  la  notizia  né  dal  Litta  (Famiglie 
celebri  d' Italia)  ne  dal  Cipolla  (Compendio  della  Storia  politica  di  Verona). 


Della  letteratura  italiana  S^S 

3.  Ma  veniamo  senz'altro  al  secondo  e  più  importante  accenno  frezziano 
alla  signoria  scaligera.  Nel  cap.  XVI  dello  stesso  1.  II,  dopoché  il  poeta  ha 
descritto  la  venula  delle  Furie  e  di  Medusa  in  mezzo  ai  traditori  e  dopoché 
Minerva  gli  ha  indicato  e  nominato  due  di  essi,  la  Dea  aggiunge  : 

Quel  terzo  eh'  ba  la  faccia  si  benegua 

E  dentro  tutto  quauto  serpentino, 

E  eh'  ba  la  mente  di  veleu  si  pregna, 
Fu  della  Scala  e  fu  crudel  Mastino. 

Il  suo  Fratel  maggior  uccise  in  pria, 

E  poi  fu  dui  minor  ancor  Caino. 
Morto  il  primaio  ed  ei  sen  fuggi  via 

Per  la  paura,  ed  allor  di  Verona 

L'altro  Fratel  pigliò  la  Signoria. 
Mandò  pel  Fratricida  e  a  lui  perdona; 

E  tanto  amore  in  ver  di  lui  accese 

Cbe  la  bacchetta  signoril  li  dona. 
Costui  il  donator  legato  prese 

E  stretto  il  fece  mettere  in  prigione  : 

Cosi  fu  grato  a  chi  fu  a  lui  cortese. 
E  poi  'n  quell'ora,  cb' ognun  si  dispone 

In  su  l'estremo  e  contrito  e  confesso 

Si  rende  a  Dio  con  gran  divozione, 
Costui  mandò  il  dispietato  messo, 

E  fé'  mozzare  al  suo  fratel  la  testa, 

E  di  vederla  contentò  se  stesso. 
Or  fu  mai  crudeltà  maggior  di  questa? 

Non  quella  eh'  a  Tieste  fece  Atreo, 

Quando  i  figli  mangiar  li  die'  per  festa. 
Non  quella  di  Nettuno  e  di  Teseo, 

Cb*  ognun  di  questi,  se  ben  si  pon  cura, 

Ingiuria  il  fece  cosi  esser  reo. 
Ma  costui  non  offesa,  non  iniura, 

Non  la  cagion,  per  che  fu  morto  Remo, 

Ch"n  pria  bagnò  di  sangue  l'alte  mura; 
Ma  sol  si  fece  d'ogni  pietà  scemo. 

Che  dopo  lui  '1  fratello  non  regnasse  : 

Per  questo  il  fé'  morir  su  nell  estremo. 
O  doppio  fratricida,  so  tu  lasse 

La  doppia  prole,  il  tuo  paterno  esempio 

Degno  è  eh'  ancor  da  lor  si  seguita.sse. 
Che  l'uno  uccise  l'altro  orudo  ed  empio, 

E  della  Scalafu  l'ultima  feccia 

Cbe  sen  fuggi  del  Veronese  tempio 
Dietro  a  Colei  che  solo  in  fronte  ha  treccia,  i 
(Str.  52-64). 

L'autore  non  poteva  con  maggiore  esattezza  di  particolari  descrivere  la 
delittuosa  vita  di  Gansignorio,*  né  richiamare  con  parola  più  efficace  l'at- 
tenzione del  lettore  sulla  gravità  del  suo  secondo  fratricidio  e  sul  tristissimo, 
esempio  lasciato  dall'infame  tiranno  ai  suoi  due  figli.  Ma  è  anche  da  notare 
che  in  nessuna  delle  poesie  minori  sugli  Scaligeri  oggi  raccolte  si  trova 
un'allusione  cosi  importante  agli  ultimi  signori  di  Verona. 

Brescia,  nel  giugno  del  1003. 

Enrico  Filippini. 


1  Per  l'interpretazione  di  quest'ultimo  verso,  che  i  commentatori  dell'ediz.  del  1725 
non  si  curarono  d'illustrare,  dirò  cbe  il  poeta,  descrivendo  la  fortttna  simboleggiata  in  una 
donna  altissima  e  piena  di  false  lusinghe  in  volto,  aggiunge  cbe  *  sol  dinanzi  avea  capelli 
"  in  testa  „  (V.  1.  Il,  cap.  XIII,  terz.  7.).  Pare  quindi  voglia  dire  che  Antonio  della  Scala,  fug- 
gendo da  Verona,  andò  incontro  all'avversa  fortuna,  la  quale  gli  preparò,  come  sappiamo, 
l'esilio  e  la  morte.  Questo  conferma  l' allusione  ad  Antonio  nell'altro  luogo  citato. 

2  Lo  riconosce  anche  il  Pagliariui,  dedicando  ai  versi  suddetti  tre  grandi  pagine  di 
■  commento  {V.  voi.  cit.,  pagg.  1G7-170).  —  A  proposito  di  Cansignotlo,  osservo  che  il  Cantù  (op. 

clt.,  pag.  274)  aggiunge  all'epitaffio  latino  duo  versi,  che  non  trovo  a  pag.  140  della  raccolta 
dei  proli'.  Cipolla  e  Pellegrini. 


^?6  RÀSSÈ:aNA  bibLiogHa1<^iCa 


ANNUNZI  BIBLIOGRAFICI. 


Andrea  Lofortk-Randi.  —  Nelle  letterature  Straniere  {Quinta  serie):  Poeti. 
—  Palermo,  Reber,  1903. 

II  nuovo  libro  pubblicato  dal  Loforte-Randi,  contenente  la  quinta  serie 
de'  suoi  studj  intorno  alle  letterature  straniere,  è  consacrato  ai  poeti  :  allo 
Shakspeare,  al  Byron,  al  Goethe,  allo  Shelley. 

Lo  studio  sullo  Shakspeare  s'inizia  con  un  accurato  esame  delle  origini 
della  Drammatica  inglese  e  delle  sue  condizioni  ai  tempi  del  sommo  poeta:  e 
di  esso,  accennato  brevemente  alla  vita,  della  quale,  secondo  l'A.,  non  occorre 
sapere  di  pili,  è  esaminata  l'opera  ingente,  notandosi  come  egli  dovesse  in 
prima  la  sua  fama  alle  poesie  liriche  e  non  ai  suoi  drammi,  mentre  proprio 
in  questi  e  non  in  quelle  si  mostrò  la  vera  potenza  del  suo  grandissimo 
ingegno.  Tale  potenza  non  fu,  secondo  il  Loforte,  creatrice:  ma  consisté  nel- 
l'essere il  grande  inglese  riuscito  perfetto  interprete  dell'universa  natura. 
Egli  trasforma  la  materia  prima  di  cui  si  serve  (e  il  Loforte  ricorda  le  fonti 
dell'opera  Shakspeariana),  e  sa  sopra  tutto  scolpire  le  anime.  Perciò  rispec- 
chia l'umanità,  essendo  poeta  spiccatamente  oggettivo.  I  suoi  drammi,  dice 
il  Loforte,  sono  grandi  fattij  e  l'opera  sua  contiene  tutte  le  forme  del  pen- 
siero umano.  Da  ciò  la  sua  resistenza  nei  secoli  e  la  sua  efficacia  anche 
fuor  della  scena.  Lo  studio,  come  tutti  gli  altri  dell'egregio  scrittor  siciliano, 
mostra  nel!' A.  una  diretta  e  piena  conoscenza  dell'argomento  preso  a  trattare. 

Segue  uno  scritto  sul  Byron,  di  cui  l' A.  indaga  la  psiche,  la  fortuna  e 
la  virtù.  Quanto  alla  prima,  osserva  che  il  Byron  vive  nel  suo  io,  e  che  il 
Don  Giovanni  (la  sola  opera  in  cui  il  poeta  si  manifesti  intero)  è  un  com- 
mentario della  sue  lotta  colla  società.  Quanto  alla  sua  fortuna,  nota  come 
anche  per  lui  come  per  tanti  altri  (a  cominciare  da  Dante)  i  casi  della  vita 
furono  l'origine  delle  opere  d'arte:  quanto  alla  sua  virtù,  discute  intorno 
alla  tanto  vilipesa  moralità  del  poeta,  sostenendo  che  fu  sempre  e  sopra 
tutto  sincero,  come  sincera  è  l'opera  flagellalrice  del  suo  capolavoro  immortale. 

Il  terzo  studio  è  una  fiera  e  arditissima  requisitoria  contro  Volfango 
Goethe,  che,  pel  Loforte,  ha  jyerpptrato  un  ingente  furto  di  gloria.  L'A.  smi- 
nuzza il  suo  Faust  per  cercare  di  dimostrarne  la  vacuità  e  la  puerilità,  di- 
scutendone sottilmente  la  favola,  l'ordito,  la  forma. 

Quanto  a  questa  però,  ne  riconosce  l'alto  splendore;  ma  dice  che  sotto 
ad  essa  si  cerca  invano  il  poeta.  Per  il  sig.  Loforte,  Faust  nulla  dice  all'u- 
manità: non  è  un  simbolo,  non  è  un'idea,  ma  un  automa,  un  mannequin, 
un  fantoccio.  E  il  Goethe,  o  classico  o  romantico  che  sia,  è  ugualmente  falso, 
oltre  ad  esser  plagiario.  —  L' ardito  scritto  provocherà  naturalmente  la 
ribellione  e  lo  sdegno  di  tutti  gli  ammiratori  del  Goethe:  tanto  più  che  il 
Loforte,  anche  a  chi,  come  noi,  legga  il  suo  scritto  senza  preconcetti,  appare 
soverchiamente  reciso  e  assoluto  nelle  sue  draconiane  sentenze.  È  d'uopo 


DELLA  LfittERATURA  ITALIANA  277 

tuttavia  riconoscere,  che  l'A.  appunto  perciò,  si  dimostra  altrettanto  corag- 
gioso quanto  sincero  nell'espressione  de'  suoi  convincimenti,  quali  e'  si  sieno. 

Il  libro  si  chiude  con  uno  studio  sullo  Shelley,  che  il  Loforte  pone  in 
antitesi  col  Byron,  per  quanto,  come  lui,  sia  stato  un  ribelle.  E  l'A.  riesce 
a  delineare  un  bel  profilo  del  mistico,  sognante  poeta,  che  trovò  cosi  tragica 
morte  nel  mar  di  Viareggio. 

Anche  in  questo  volume,  come  nei  precedenti  dì  cui  già  demmo  notizia, 
il  Loforte-Randi  mostra  le  sue  qualità  di  critico  bene  informato,  libero  e 
ardito.  A.  B. 


E.  Brambilla.  —  Foscoliana.  —  Milano,  Sandron,  1903,  di  pp.  219  in  16.°  picc. 

Il  volume,  come  si  comprende  dal  titolo,  contiene  scritti  sul  Foscolo, 
di  diversa  ampiezza  ed  importanza:  e  sono  in  tutto  sei,  dei  quali  daremo 
breve  notizia  speciale  — .  I.  Due  comaschi  precursori  del  F.  nella  materia 
dei  Sepolcri.  E  una  aggiunta  a  quanto  in  proposito  scrissero  lo  Zumbini  ed 
il  Clan:  l'un  d'essi  è  G.  B.  Giovio,  autore  di  un  operetta  sui  Cimiterj,  già 
accennalo  dal  Gian,  —  che  tuttavia  non  notò  la  lettera'  dedicatoria  al  Fo- 
scolo —  e  l'altro,  Giuseppe  Nessi,  che  scrisse  un  discorso  sulla  precipitosa  sepol- 
tura. L'uno  e  l'altro  avvalorano  l'opinione  che  l'argomento  preso  a  trat- 
tare dal  Foscolo,  era  una  vera  '  ispirazione  del  tempo  „.  Ma  che  sopratutto  il 
Foscolo  non  abbia  plagiato  1' amico  veronese,  è  detto  nel  II.  saggio:  //  *  so- 
pruso „,  dove  si  discute  la  controversia,  che  l'A.  stesso  dichiara  "  intricata  ,. 
Ne  riferiamo  In  conclusione,  che  è  questa:  i  coUoquj  col  Pindemonte  furono 
occasione  al  carme,  "  la  materia  del  quale  erasi  già  venuta  addensando 
'nell'animo  del  poeta  pili  o  meno  consapevolmente  ,,  ed  esso  fu  "ideato 
"e  scritto  tra  l'ultima  settimana  di  giugno  e  1' ultima  settimana  circa  d'a- 
'  gosto  del  1806  ,.  Ma  l'argomento  meritava  una  trattazione  più  àmpia,  che 
meglio  convincesse,  in  tanta  discrepanza  di  opinioni,  chi  per  decidersi  fra 
esse,  voglia  averle  tutte  schierate  dinanzi.  —  Il  III.  studio  tratta  de  r  Unità 
organica  del  Carme,  ed  è  lavoro  notevole  sotto  ogni  aspetto,  che  chiarisce 
il  legame  ideale  dei  Sepolcri,  e  l'arte  dei  trapassi  da  una  parte  all'altra, 
spiegando  alcuni  passi  di  meno  agevole  e  più  contrastata  interpetrazione. 
Ma  forse  alcune  discussioni  relegate  in  nota  meglio  sarebbero  state  nel  testo 
o  avrebbero  chiesto  più  ampio  svolgimento.  E  certi  accenni  a  opinioni  e  teorie 
moderne  stuonano,  a  parer  nostro,  nel  parlare  del  Foscolo  e  della  sua  poesia. 
Cosi  ad  es.  l'A.  (p.  61),  esprime  il  desiderio  che  il  Foscolo  non  usasse  il  vo- 
cabolo *  plebe  ,  e  ne  •  avrebbe  voluto  un  altro  che  non  offendesse  il  sen- 
*  limento  umano,:  cotesto  è  "vocabolo  men  che  umanissimo,.  Ma  plebe 
v'era  ai  tempi  del  Foscolo,  ce  n'è  anche  ai  di  nostri,  e  chi  sa  non  ci  abbia 
a  esser  sempre:  e  ai  di  nostri  ci  sono  tanti  che  volontariamente  scendono 
a  condizioni  di  plebe,  anziché  sollevar  più  alto  chi  è  per  nascita  e  per  edu- 
cazione più  basso.  Anche  ci  pare  che  sia  un  po'  troppo  azzardoso,  definire 
il  Machiavelli  "  empirico  pessimista  e  idealista  anarchico  ,.  Se  queste  parole 
potessero  giungere  a  messer  Niccolò,  egli  certo  dimanderebbe:  Che  vuo' tu 


278  tlASlSEGNA   BIBLlOGftAti*ÌCA 

dire?  —  E,  senza  evocare  i  morti,  potrebbe  ogni  lettore  chiedere  che  cosa 
c'entri,  a  proposito  del  Machiavelli,  questa  profezia:  '  Io  dico  che  l'estetismo 

*  odierno  rappresenta  l'anarchismo  nell'arte:  e  solo  in  quel  mondo  molto  per- 

*  fetto  e  felice  ma  chi  sa  quanto  lontano,  a  cui  gli  anarchici  aspirano,  potrà 

*  fbrse  il  sentimento  estetico  esser  per  se,  e  l'arte  raggiungere  una  piena 
"  autonomia  (p.  68)  „.  Chi  vivrà,  vedrà:  intanto,  mentre  gli  anarchici  aspirano 
all'avvenire  coi  mezzi  che  tutti  conoscono,  torniamo  al  Foscolo  e  ai  suoi 
Versi.  —  Importante  è  pure  lo  studio  che  segue,  ed  è  il  IV:  Ugo  e  Francesca, 
che  narra  le  vicende  dell'amore  del  Foscolo  per  la  figlia  di  G.  B.  Giovio,  e 
intanto  corregge  quantità  di  inavvertenze  dei  biografi  e  di  errori  di  date 
nella  stampa  dell' ^^"^'"^'"''^  È  il  migliore  è  più  compiuto  commentario  alla 
famosa  lettera  alla  Francesca  Giovio  del  19  agosto  1809.  —  Il  V.  Studio  ri- 
guarda una  Una  pagina  di  Biagio  Pascal  nelV  Ortis.  Di  un  passo  che  il 
Foscolo  stesso  dice  "  non  so  se  suo  (vale  a  dire  di  Jacopo)  o  d'altri  quanto 

*  alle  idee,  bensì  di  stile  tutto  suo  ,  e  che  il  Foscolo  introdusse  anche  nel- 
r  Orazione  sull'origine  e  i  limiti  della  Giustizia,  il  nostro  autore  per  primo 
ritrova  la  fonte  in  uno  dei  pensieri  del  filosofo  di  Porto  Reale,  e  rileva  con 
acuta  analisi  quello  che  il  Foscolo  vi  pose  di  proprio  nell' adattarlo  al  suo 
modo  di  vedere.  E  acuta  analisi  è  anche  nell'ultimo  studio  II  sentimento  della 
Natura  nel  sonetto  "  Alla  Sera  ,.  Qui  occorrono  specialmente  alcune  note,  che 
sarebbe  stato  più  opportuno  fondere  nel  testo,  o  da  esso  staccarle  del  tutto; 
ma  lo  studio  sul  meraviglioso  sonetto  è  assai  delicatamente  condotto.  Se- 
guono numerose  Addenda  e  Corrigenda.  E  nelle  prime  troviamo  una  as- 
serzione che  vorremmo  fosse  conforme  al  vero:  ed  è  circa  il  crudele  epi- 
gramma del  Tommaseo  contro  il  Leopardi,  del  quale  il  Brambilla  dice  che 
"  non  che  l'imputazione,  neanche  il  dubbio  è  possibile,  chi  ben  comprenda 

*  la  grande  anima  del  sebenicano  (p.  i212)  ,:  la  qual  cosa  non  serve  ad  altro 
che  a  mostrare  la  molla  bontà  e  generosità  d'animo  dell'autore.  Ahimè!  Se 
è  vero! ....  Gli  potremmo  mostrare  la  lettera  del  "  sebenicano  ,,  in  che  è 
contenuto!  Ma  conchiudendo  diremo  che  il  libro  è  di  utile  e  piacevole  let- 
tura, scritto  in  forma  garbata  e  viva:  ma,  a  costo  di  sembrar  pedanti,  o  co- 
dini, dimanderemmo  all'autore  di  evitare  certe  parole  e  frasi,  come  rassegna- 
zione necessitistica  (p.  159),  fine  chateaubrianista  (p.  174),  classicismo  decora- 
mentale  (p.  190),  e  simili,  delle  quali  la  nostra  lingua  non  sente  davvero  il 
bisogno.  A.  D'A. 

Gaetano  Negri.  —  Ultimi  Saggi:  Problemi  di  Religione,  di  Politica  e  di  Let- 
teratura. Precedono:  G.  Negri  cittadino  e  pensatore,  discorso  di  M.  Schk- 
RiLLO,  e  G.  Negri  patriota  e  soldato,  discorso  di  F.  Novati,  con  molte 
Lettere  inedite  del  Negri  e  con  due  suoi  ritratti  giovanili,  —  Milano, 
Hoepli,  di  pagg.  GlV-409. 

Il  titolo  apposto  al  volume  ci  ammonisce  pur  troppo  che  dopo  di  esso  non  ne 
verranno  altri!  La  serie  cominciata  coi  Profili  e  Bozzetti  storici  nel  presente  e 
nel  passato,  e  proseguita  coi  Segni  dei  tempi,  i  Rumori  mondani  e  le  Meditazioni 
vagabonde  è  chiusa  col  presente  volume.  La  morte  così  pietosa  e  inopinata 
del  Negri  se  ha  privata  la  patria  di  un  gran  cittadino,  non  è  stata  meno 


DBLLA   LBTtBRATURA    ITALIANA  27^ 

(Ititiaosa  alla  culluia  nazionale,  perché  fra  i  pubblicidli  italiani  non  v'era 
altro  che  Io  pareggiasse  nella  svariata  cultura  e  sopratutto  nella  conoscenza 
dei  maggiori  problemi  scientifici  e  morali  dell'  età  nostra  e  nel  saperli  esporre 
con  facilità  e  chiarezza  su  pei  giornali  e  nelle  Riviste.  Né  soltanto  possedeva 
una  conoscenza  estesa  e  profonda  delle  materie  che  prendeva  a  discutere: 
ma  una  serenità  di  mente  ed  una  equanimità  di  giudizj,  che  di  rado  si  rin- 
vengono in  chi  ha  piena  coscienza  degli  ardui  conflitti  della  vita  odierna. 
Queste  doti  speciali  dell'intelletto  e  dell'animo  facevano  del  Negri  un  ottimo 
divulgatore,  e  conferivano  autorità  alla  sua  parola,  e  maggiore  ancora  glie 
l'avrebbero  conferita,  se  egli  avesse  ancora  potuta  adoperarla  in  prò  della 
patria  e  del  retto  sapere.  Restano  ora,  oltre  altri  scritti,  questi  cinque  vo- 
lumi, che  trattano  di  svariatissime  materie,  ma  che  tutti  s' informano  a  un 
solo  concetto  di  ricerca  del  vero  e  di  morale  restaurazione.  Egli  guarda 
sempre  le  cose  dall'alto  e  le  domina  coli' acuto  sguardo,  e  nel  risolvere,  o 
cercar  di  risolvere  ciò  che  più  agita  e  sommuove  il  mondo  presente,  spe- 
cie rispetto  alle  credenze  religiose,  sa  farlo  con  delicatezza,  con  tolleranza; 
non  inasprisce  il  conflitto,  ma  lo  attenua  con  un  senso  di  umana  universale 
pietà. 

Il  volume  che  annunziamo  ha  lo  slesso  carattere  degli  antecedenti.  Offre 
a  tulli  una  sana  e  giovevole  lettura;  ma  chi  ama  la  storia  del  passalo  e  vorrà 
interpretarne  il  segreto,  cercherà  il  saggio  su  Nerone  e  il  cristianesimo;  chi 
preferirà  addentrarsi  negli  avvolgimenti  della  storia  moderna,  potrà  ricorrere 
all'ottimo  capitolo  II  Principe  di  Bismarck  nei  suoi  Pensieri  e  Ricordi. 
L'arte  e  il  pensiero  antico  sono  studiati  a  proposito  di  Lucrezio:  quello 
odierno  nei  lavori  su  Anatole  France,  sallo  Zola,  sul  Taine,  sul  Tenni/son. 
I  ponderosi  problemi  sull'ordinamento  dello  Sialo  e  della  Scuola  sono  trat- 
tali nei  due  scritti  Sulla  riforma  della  legge  elettorale  politica  e  su  La  re- 
ligione e  la  morale  nell'insegnamento:  d'Italia,  del  suo  passato  e  dell'avve- 
nire, discorrono  gli  altri  su  Carlo  d' Adda  e  su  Lo  Statuto  e  V  Unità  d' Italia, 
e  gli  altri  due,  di  argomento  vivo  e  palpitante,  La  questione  meridionale 
guardata  dal  Nord,  e  I partiti  milanesi.  Un  dolce  e  vago  riposo  allo  spirilo 
del  lettore,  cosi  come  è  a  quello  del  viandante,  offre  l'articolo  Un  Paradiso 
alpestre,  che  descrive  un  angolo  riposto,  addossato  alla  parete  che  divide  l'Italia 
dalla  valle  del  Rodano. 

Questi  diversi  scritti  ci  disegnano  dinanzi  l'immagine  ideale  dell'autore; 
la  commemorazione  dello  Scherillo  tenuta  nell'Accademia  scientifica  di  Milano, 
e  l'altra  del  Novali  presso  la  Società  slorica  lombarda,  ritraggono  l'uomo 
e  le  sue  vicende,  l'opera  sua  di  soldato,  di  sindaco,  di  senatore,  e  ne  dijono 
la  mente  sempre  devola  ad  alti  ideali.  L'una  e  l'altra  sono  ispirate  da  ri- 
si»eUo  ed  affetto  quasi  filiale,  e  alla  seconda  aggiungono  pregio  parecchie 
lettere  del  tempo,  in  che,  poco  più  che  ventenne,  il  Negri  servendo  la  pa- 
tria nelle  file  dell'  esercito  e  combattendo  il  turpe  brigantaggio  del  mezzo- 
giorno, iniziava  quegli  atti  di  devozione  alla  patria,  di  che  fu  ricca  tutta  la 
sua  successiva,  ahi!  troppo  breve  carriera.  A.  D'A. 


280  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 


I  Fioretti  di  Sancto  Franciescho  secoodo  la  lezione  dei  cod.  fiorentino  scritto 
da  Amaretto  Manelli  pubblicati  di  nuovo  da  Luigi  Manzoni  di  Mordano, 
edizione  con  XXX  fototipie,  Roma,  Loescher,  MDGGGGII.. 

I  Fioretti  del  Glorioso  messere  santo  Francesco  e  de' suoi  frati  a  cura  di 
G.  L.  Passerini,  Firenze,  Sansoni,  1903. 

I  Fioretti  di  S.  Francesco  secondo  l'edizione  di  A.  Gesari  riscontrati  su  mo- 
derne stampe  per  cura  del  prof.  R.  Fornagiari,  Firenze,  Barberai  1902. 


Son  corsi  ben  diciannove  anni,  dacché  lo  Zambrini  pubblicando  1"* Appen- 
dice, alle  Opere  volgari  a  slampa'  annunziava  prossima  l'edizione  critica  dei 
"  Fioretti  „,  corredata  d'un' ampia  bibliografia;  ma,  sebbene  da  allora  ad  oggi 
sia  corso  tanto  tempo,  questa  promessa  non  è  stata  ancora  adempiuta.  Fin 
dal  1900  il  conte  Luigi  Manzoni,  da  cui  era  ragionevole  sperare  un'  opera  di 
tal  genere,  si  scusava*  col  dire  di  non  essersi  sentito  abbastanza  in  forza  per 
condurla  a  termine;  e  non  credeva  inopportuno  intanto  "...  il  dare  alla  luce 
(riportiamo  queste  parole  dalla  pref.  d'allora)  un  testo,  il  quale  non  risulti  da 
•  raffazzonamenti  arbitrarj  o  da  lezioni  diverse,  tratte  a  capriccio  da  codici 
"  e  stampe,  ma  riproduca  fedelmeate  un  codice  solo,  scelto  fra  i  migliori  ed  i 
"  più  antichi  per  modo  che  si  possa  leggerlo,  se  non  scevro  in  tutto  di  mende, 
"  almeno  rimesso  nella  forma,  in  cui  fu  divulgato  da  Menante  ben  noto  nel 
"secolo  stesso,  in  cui  l'opera  fu  composta  o  fatta  volgare  ,.3  La  nuova  le- 
zione era  tratta  dal  codice  palatino  E.  5,  9,  84,*  opportunamente  prescelto, 
perché  autografo  di  quel  medesimo  Amaretto  Mannelli,  che  è  più  noto  qual 
trascrittore  del  Decameron.  Gerto  che,  astraendo  dalla  promessa  dell'opera 
completa,  di  cui  abbiamo  toccato,  anche  in  questa,  sia  pei  pregj  intrin- 
seci, sia  per  gli  accenni  da  parte  dell'autore  ad  altri  lavori  sull'argomento, 
c'era  tanto  da  soddisfare  lo  studioso.  Infatti  in  quella  stessa  prefazione  il 
M.  annunziava  che  a  completare  il  primo,  avrebbe  raccolto  in  un  secondo 
volume  le  vite  di  Frate  Ginepro,  di  Frate  Egidio,  i  suoi  Detti  MemorabiU,  la 
Regola  dei  Frati  Minori,  il  Testamento  del  Patriarca,  una  Pia  considerazione 
sulla  vita  di  lui,  una  Profezia  ed  uno  Specchio  dell' anima,^  e  che  altrove  si 
sarebbe  accinto  a  trattare  per  esteso  la  questione  delle  fonti.^  Naturalmente 


•  f.e  opere  volgari  a  stampa  dei  secoli  XIII  e  XIV.  —  Quarta  edizione  con  Appendice.  — 
Bologna,  1884,001.  56-57. 

2  /  Fioretti  di  Sancto  Franciescho  secondo  la  legione  del  codice  fiorentino  scritto  da  Ama- 
retto Manelli,  ora  per  la  prima  volta  edita,  pubblicati  di  nuovo  da  Luigi  Manzoni  di  Mor- 
dano, Roma,  Loeschar  MDCCCC,  prefaz.  p.  I. 
'      8  Ib. 

*  Ih.  p.  IV.  .  . 
6  Ib.  p.  II. 

6  Ib.  p.  VI  e  segg.  Ivi  il  cod.  è  descritto  con  minuzia:  per  la  cronologia  il  Manelli  stesso 
ricorda  d'aver  cominciato  a  scriverlo  la  vigilia  di  Pasqua  del  1396,  e  d'averlo  finito  nel 
luglio. 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  281 

non  si  può  pretendere  da  un  autore  più  di  quello,  ch'ei  voglia  o  possa  dare, 
ma  desideriamo  soltanto  por  qui  in  rilievo  come  per  un  ricorso  strano  di  circo- 
stanze anche  queste  intenzioni  dovessero  rimanere  allo  stato  di  promesse,  au- 
gurandoci d'altra  parte  che  il  M.  voglia  mostrar  col  fatto  di  non  essersene  di- 
menticato. Alla  distanza  di  due  anni  è  uscita  alla  luce  una  ristampa  quasi 
integrale  del  volumetto  del  '900,  arricchito  con  nuove  riproduzioni  in  foto- 
tipia di  personaggi,  allegorie  e  motivi,  connessi  colla  leggenda  francescana  e 
ritratti  dal  pennello  d'artisti  contemporanei,  o  di  poco  posteriori  al  serafico 
poverello  d'Assisi.  In  ogni  modo,  per  quanto  l'opera  del  Manzoni  non  possa 
pretendere  ad  altro,  che  al  merito  d'essere  un  buon  contributo  all'edizione 
critica  definitiva,  anche  cosi  com'è,  torna  utile  ed  opportuna  per  la  nostra 
letteratura,  e  più  particolarmente  per  gli  studj  francescani. 

Nella  sobria  prefazione,  che  qui  torna,  leggermente  modificata,  a  precedere 
il  lavoro,  il  M.,  pur  affermando  di  non  voler  affrontare  il  problema  concernente 
la  cronologia  dei  Fioretti,  vi  accenna  di  volata  con  alcune  osservazioni,  sulle 
quali  vogliam  qui  dire  qualche  parola.  Egli  vede  nella  compilazione  dei 
Fioretti  due  parti  ben  distinte:  l' una  (capp.  1 -XXXVIII  dei  Fioretti  e  Con- 
siderazioni delle  Stimmate)  più  antica,  e  l'altra  (capp.  XXXVIII-LIII)  com- 
posta in  tempi  a  noi  più  vicini.*  Ed  ecco,  donde  il  M.  trae  questa  dedu- 
zione:' siccome,  egli  dice,  sette  storie  della  vita  di  S.  Francesco,  dipinte  da 
Giotto  e  dai  suoi  scolari  nella  Chiesa  Superiore  d'Assisi  sembran  tratte  dai 
Fioretti  e  l'allegoria  giottesca  della  crociera  di  mezzo  par  ispirata  alla  terza 
delle  Considerazioni  delle  Stimmate,  e  siccome  d'altro  canto  sappiamo  dal 
Vasari,  che  Giotto  fu  chiamalo  ad  Assisi  da  Fra  Giovanni  da  Morrò,  tra  il 
1296  ed  il  1304,  è  naturale  indurre,  che  la  compilazione  di  quella  parte  dei 
Fioretti,  che  riguarda  più  particolarmente  il  servo  di  Dio  e  dell'altra,  che  va 
sotto  il  titolo  di  Considerazioni  delle  Stimmate  debbano  aver  preceduto  di 
tempo  gli  affreschi  gii-ltini  della  basilica.  Siccome  invece  nella  seconda  parte, 
tutta  dedicata  ai  seguaci  del  taumaturgo,  1'  ultimo  ricordato  tra  di  questi  per 
la  cronologia  è  Fra  Giovanni  dell'Alvernia,  defunto  nel  1322,  e  se  ne  parla 
come  di  persona  già  morta,  le  prose,  che  abbraccian  la  vita  di  lui  e  dei  con- 
fratelli van  poste  per  lo  meno  dopo  il  1322.  Ora  a  noi  sembra  che  questo 
modo  d'  argomentare,  per  quanto  acuto,  non  renda  chiara  e  scientificamente 
accettabile  la  conclusione,  cui  vorrebbe  giunger  1'  editore,  riguardo  alla  cro- 
nologia dei  Fioretti  ed  alla  loro  struttura,  che  verrebbe  in  tal  caso  ad  esser 
costituita  da  due  parti,  diverse  non  solo  per  autore  ma  anche  per  tempi. 
Infatti  non  ci  par  necessario  ammettere  che  i  Fioretti  in  volgare,  quali  noi 
li  conosciamo,  dovessero  già  esistere  ai  tempi  di  Giotto,  soltanto  per  le  somi- 
glianze innegabili,  che  corrono  tra  certe  prose  francescane  ed  alcuni  affreschi 
di  quest'ultimo,  il  quale  potè  benissimo  ispirarsi  a  quel  testo  latino,  il  Fio- 
return,  se  già  esisteva,  od  a  quegli  Actus  Sancii  Francisci  et  sociorum  ejus,  che 
sembrano  aver  costituito  il  nucleo,  onde  i  Fioretti  derivarono.  E  se  ciò  non 
bastasse,  si  pensi  che  quando  Giotto  coi  suoi  dipingeva  nella  basilica  d'Assisi,  le 


I  Pref.  p.  III. 


282  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

tradizioni  su  Francesco,  su  Bernardo,  su  Masseo,  sopra  Rufino,  sopra  Egidio, 
sopra  S.  Chiara,  su  tutto  il  cenobio  e  su  tulio  quel  moto  religioso,  che  fu 
proprio  dell'Umbria,  eran  fresche  e  vigorose,  e  costiluivan  nell'insieme  quel 
poema  francescano,  che  per  quanto  forse  non  fermato  ancora  nella  parola, 
più  che  nelle  menti  era  scritto  nei  cuori.  Cosi  Giotto  o  nell'  un  modo  o 
neir  altro  potè  trarne  argomento  pei  suoi  affreschi,  ed  in  tal  caso  la  que- 
stione verrebbe  invertita:  che  le  somiglianze  coi  Fioretti  si  spiegherebbero, 
per  l'influenza  delle  pitture  murali  sulle  prose  francescane.  In  ogni  modo, 
tolta  di  mezzo  quella  conclusione  riguardante  la  priorità  dei  Fioretti  in  rap- 
porto agli  affreschi  di  Giotto,  conclusione,  che  s'imponeva  come  necessaria 
al  M.,  non  ci  sembra,  come  dicevamo,  che  siano  da  accettar  senz'altro  le 
idee  del  benemerito  editore  sulla  struttura  e  sulla  cronologia  dei  Fioretti. 
Infatti  nulla  impedisce,  secondo  noi,  che  quello  stesso  fraticello,  il  quale 
scrisse  dopo  il  '22  le  memorie  di  Fra  Giovanni  della  Vernia,  di  cui  era  stato 
compagno,  sia  anche  l'autore,  se  non  di  tutte,  di  alcune  almeno  delle  nar- 
razioncjelle,  attinenti  alla  vita  del  comun  padre  spirituale,  il  beato  "  Fran- 
"  ciescho  ,. 

Ma  lasciando  da  parte,  come  vuol  l'È.,  indagini  di  questo  genere,  dobbiam 
convenire  che  la  riproduzion  diplomatica  curata  dal  M.  è  scevra  d'  ogni  di- 
fetto. Questa  seconda  edizione  inoltre  si  avvantaggia  sulla  prima  perché 
l'ampia  errata-corrige,  è  qui  stata  sostituita  colle  emendazioni,  introdotte  nel 
testo  ;  perché  il  glossario,  oltre  a  registrare  parole  e  frasi  peculiari  alle  prose 
francescane,  riporta  vicino  alla  forma  antiquata  la  moderna  corrispondente; 
e  perché  infine  le  diciannove  incisioni,  onde  adornavasi  il  testo,  son  qui  sa- 
lite a  trenta.  Nell'insieme  insomma,  è  una  pubblicazione  condotta  con  op- 
portuno sentimento  d'artista  e  con  diligente  accuratezza  d'erudito,  in  modo 
che  faciliterà  senza  dubbio  l'opera  al  futuro  editore  del  testo  critico  delle 
prose  francescane;  opera,  che  noi  ci  auguriamo  sia  condotta  a  termine  dallo 
stesso  Manzoni. 

Né  diversamente  si  deve  giudicare  dell'  elegante  edizioncina,  che  de  "  I  Fio- 
"  retti  del  Glorioso  messere  Santo  Franciesco  e  de' suoi  frati  „  ha  compiuto 
con  la  consueta  diligenza  il  conte  G.  L.  Passerini.  Nelle  poche  pagine,  ch'egli  fa 
precedere  al  testo,  descrive  minutamente  il  codice  riccardiano  1670,  la  cui 
lezione  è  stata  da  lui  riprodotta  in  modo  integrale.  Ma  è  doveroso  altresf  no- 
tare che,  oltre  ai  "  Fioretti  „  ed  alle  "  Considerazioni  delle  Stimmate  ;,,  qui 
si  contiene  la  "  Vita  di  Frate  Ginepro  ,,  ristretta  in  quattordici  capitoletti,  ed 
in  altri  nove  quella  di  Frate  Egidio,  cui  l'accurato  editore  fa  seguire  i  *  Ga- 
"  pitoli  di  cierta  dottrina  et  delti  notabili  di  Frate  Egidio  ,,  le  *  Visioni  et 
"  revelaQioni  et  tentazioni  ch'ebbe  Frate  Egidio  innanzi  la  sua  morte  ,,  ed 
i  "Begli  esempj  e  miracoli  di  S.  Francescho  „,  parte  dei  quali  vengono  ora 
in  luce  per  la  prima  volta.  Lodevole  pensiero  infine  è  stato  quello  del  P. 
di  corredare  il  volumetto  delle  principali  varianti,  che  il  testo,  secondo  la 
lezione  da  lui  pubblicata,  presenta  a  confronto  dell'  altro,  fornitoci  dal  Manzoni. 

A  differenza  di  questi  due,  il  prof.  Fornaciari  con  un'altra  ristampa  delle 
prose  francescane  pei  tipi  del  Barbera,  ha  voluto  comporre  un  manualetto 
di  comoda  lettura  per  le  persone  colte:  "  ripresentare,  cioè  com'  egli  scrive, 
"  il  testo  dei  Fioretti  in  modo  facilmente  leggibile,  conservandogli  però  fino 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  283 

*  ad  un  certo  punto  quella  patina  di  antichità,  che  ha  perduto  nella  maggior 
"  parte  delle  edizioni  recenti .  . .  ,  '  E  non  v'  è  dubbio  che  lo  scopo  è  rag- 
giunto; il  lesto,  prescelto  dall'editore  è  quello  offerto  dalla  ben  nota  edizione 
dei  Fioretti,  curata  dal  Cesari,  corretta  qua  e  là  secondo  le  varianti  del  già 
citato  codice  Mannelli. 

Per  concludere,  se  confrontiamo  i  testi,  quali  ci  son  dati  dalle  due  ristampe 
condotte  con  intento  critico,  astrazion  fatta  dai  brevi  sommarj  d'ogni  capi- 
tolo (perché  riguardo  a  questi  non  essendovi  una  forma  fissa,  ogni  trascrit- 
tore si  credè  lecito  di  comporli  a  proprio  arbitrio)  è  facile  accorgersi  quanto 
poche  di  numero  e  quanto  lievi  d'importanza  sian  le  varianti,  che  i  due  co- 
dici presentano  tra  di  loro.  Di  ben  più  notevoli  in  vece,  com'è  naturale,  se 
ne  riscontrano  quando  si  pongano  a  raffronto  le  edizioni  del  M.  e  del  P.  con 
quella  del  F.,  perché  nel  primo  caso  l'ortografia  è  specchio  pili  o  meno  fe- 
dele della  pronunzia  dialettale  fiorentina  sul  finir  del  300,  e  sul  cominciare 
del  secolo  successivo,  nel  secondo  caso  si  mostra  pili  levigata,  perché  di  già 
sottoposta  ad  erudite  elaborazioni.  M.  Sterzi. 


CRONACA 


.'.  Il  Canto  Vili  del  Purgatorio  viene  ottimamente  illustrato  in  un  di- 
scorso del  prof.  V.  Capetti  (Milano,  Scuola  Tipo-litograf.,  di  pag.  40  in  16.»). 
Le  bellezze  della  descrizione  della  sera  colla  quale  s'inizia  il  canto,  vengono 
delicatamente  e  pienamente  esposte  dall' A.;  e  cosi  gli  episodj  di  Nino  gen- 
tile e  di  Currado  Malaspina,  la  figurazione  del  quale  è  finamente  studiata 
a  riscontro  di  quella  dell' liberti  nel  X  dell'Inferno.  Segue  un'Appendice 
Sulle  tracce  di  Virgilio,  dove  sono  raccolte  e  messe  in  mostra  recondite 
derivazioni  della  Commedia  dall'Eneide.  L'A.  quasi  sembra  accettare  l'os- 
servazione di  un  critico  benevolo,  di  troppo  addensare:  e  veramente  o  per 
natura  d'ingegno,  o  per  riflesso,  forse,  del  Tommaseo,  la  critica  sempre  ele- 
vata, lo  stile  adeguato  alla  materia,  talvolta  appajono  involuti  e  oscuri,  sf  da 
far  desiderare  maggior  perspicuità  e  scioltezza  a  una  penna,  che  ha  tanta 
copia  di  belle  e  utili  cose  da  significare  al  lettore. 

.•.  Col  titolo  di  Dantiana,  il  prof.  E.  Teza  raccoglie  alcune  noterelle  (Pa- 
dova, Bandi,  di  pagg.  27  in  16.°)  nelle  quali  raccoglie  e  illustra  notizie  di  tra- 
duttori e  storici  e  giudizj  di  uomini  più  o  men  chiari,  sul  poema  divino:  e 
prima  enumera  le  varie  sentenze  del  Goethe,  poi  dà  notizia  di  un  singoiar 
lavoro  sulla  Vita  Nuova  di  una  signora  inglese  —  che  precede  forse,  e  forse 
prelude  allo  strazio  di  Dante  fatto  sulle  scene  inglesi  dal  Sardou.  Per  ul- 
timo si  propone  una  nuova  inlerpellazione,  ironica,  al  sonetto  di  Cino  da  Pi- 
stoja,  che  enumera  e  accresce  i  difetti  del  libello  di  Dante.  L' interpretazione 
è  ingegnosa,  ma  va  letta  e  meditata  nel  testo,  al  quale  rimandiamo. 


»  l*refaz.  p.  XVIU. 


284  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

.".  Il  prof.  L.  A.  RosTAGNo  investiga  Chi  sia  Colui  che  fece  per  vìltate  il 
gran  rifiuto  (Catania,  Mollica  e  Modica,  di  pagg.  26  in  10.»),  confutando  da 
prima  la  opinione  di  coloro  che  vi  ravvisano  Celestino  V.  Non  tutti  gli  ar- 
gomenti contro  siffatta  ipotesi  sono  egualmente  calzanti.  Negando  ad  esem- 
pio, che  Dante  accogliesse  la  voce  che  il  card.  Caetani  incitasse  Celestino 
all'abdicazione,  opina,  appoggiandosi  al  Casini,  che  a  ciò  non  può  trovarsi 
allusione  nei  versi:  son  due  le  chiavi  Che  il  mio  antecessor  non  ebbe  care: 
e  ciò  ammettiatno  fino  a  un  certo  punto,  non  sembrandoci  tuttavia  che  que- 
sto-sia  un  "  accenno  delicato  e  rispettoso  ,  al  suo  predecessore.  Altri  vi 
può  scorgere  una  scusa  di  sé  medesimo,  un  accagionate  del  rifiuto  piuttosto 
la  pochezza  di  Celestino  che  le  proprie  arti.  Il  prof.  R.  riconosce  Pilato  in 
Colui,  e  sostiene  la  sua  opinione  con  argomenti  non  privi  di  probabilità.  Non 
però  diremmo  né  che  egli  sia  il  primo  a  proporre  tale  ipotesi,  e  ne  dubita 
lo  stesso  autore,  né,  che  è  più,  ch'egli  riesca  a  infondere  in  altri  la  sua  con- 
vinzione; e  non  sappiamo  se  questo  nuovo  candidalo  riuscirà  a  levar  di 
posto  quegli  che  l'occupa  da  tanto  tempo:  che,  ognun  sa,  melior  est  con- 
ditio  possidentis.  L'  A.  ci  pare  che  ragioni  sottilmente,  ma  scriva  con  troppa 
trascuratezza  di  forma  :  potremmo  di  ciò  addurre  molti  esempj  :  ci  basti 
questa  sola  proposizione:  "L'esser  attivamente  boni  si  è  solo  superando 
*  ogni  timore  d'incomodi,  pericoli  o  danni  „.  L'A.  ci  avverte  che  lo  scritto 
che  stampa  è  *  nella  stessa  stesura,  che  aveva  quando  fu  presentato  al 
concorso  dantesco  degli  insegnanti  secondarj  „;  ma  chi  e  che  cosa  poteva 
impedire  di  dargli  poi  una  buona  e  opportuna  rivista  quanto  alla  forma? 

.•.  Nelle  Conferenze  promosse  dal  Ginnasio  Comunale  di  Barletta  trovò 
luogo  V  Interpetrazione  del  e.  XXVII  dell'  Inferno  fatta  dal  prof.  C.  B.  Bar- 
BERis  (Pinepolo,  Chiantore,  di  pagg.  30  in  16.°).  L'autore,  contro  il  Tosti,  il 
Bottagisio  ed  altri,  difensori  del  nome  di  Bonifazio  Vili,  ammette,  con  pa- 
recchi commentatori  antichi  e  moderni,  "  la  verisimiglianza  del  mal  consiglio 
"  e  la  conseguerite  caduta  di  Palestrina  per  patti  non  mantenuti  ,,  e  adduce 
gli  argomenti  che  a  tal  conclusione  lo  conducono,  E  noi  in  verità,  siamo 
d'accordo  con  lui,  parendoci  inverosimile,  anche  ammessa  l'inimicizia  di 
Dante  verso  .Bonifazio,  ch'egli  di  suo  capo  inventasse  il  colloquio  fra  il  pon- 
tefice e  il  cordigliero.  Come  in  tanti  altri  casi.  Dante  dovè  appoggiarsi  a 
una  opinione,  vera  o  falsa,  generalmente  tenuta,  e  rispondente,  almeno  ge- 
nericamente, alla  realtà  di  fatto.  Questo  punto  è  pili  largamente  d'  ogni 
altro,  trattato  dall'  autore,  col  quale  non  saremmo  del  tutto  consenzienti 
neir asserire  che  il  parlare  '  lombardo  „  voglia  dire  semplicemente  e  pura- 
mente *  italiano  „,  anche  ricordandoci  che  altrove  Virgilio  chiama  "  lombardi , 
i  suoi  pa^'enti,  volendo  additare  quella  parte  della  penisola,  che  nell'antica 
geografia  romana  non  era  Italia  ma  GalUa  Cisalpina,  e  divenne  poi  Lombardia. 
Oltre  la  menzione  della  voce  issa,  il  ripetersi  di  questa  denominazione  di- 
stintiva, che  è  pur  adoperata  {anima  lombarda)  a  proposito  del  mantovano 
Bordello,  ci  pone  in  dubbio  rispetto  all' interpetrazione  data  dal  Barberis. 

.*.  Nello  scritto  L'ultima  guida  di  Dante  e  le  affinità  di  due  anime  grandi 
(Livorno,  Meucci,  di  pagg.  29  in  16-°)  il  prof.  P.  Vigo  ricerca  le  ragioni  per 
le  quali  nella  Divina  Commedia,  sia  fra  tanti  santi  e  dottori,  prescelto  San 
Bernardo  a  continuare  e  ultimare  l' uffizio  di  accompagnatore  e  maestro,  dopo 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  285 

Virgilio  e  Beatrice:  e  oltreché  nell'aver  voluto,  come  comunemente  si  opina, 
"  rappresentare  in  persona  di  lui,  se  stesso  e  la  viva  fiducia  nell'interces- 
sione della  Vergine  ,,Ie  ritrova  in  certe  *  affinità  di  intento,  di  zelo,  di  desi- 
derio in  quelle  due  anime  grandi  ,.  A  questo  fine  egli  mette  a  ragguaglio  i 
passi  dell'uno  e  dell'altro,  che  dimostrano  nelle  loro  scritture  "il  desiderio 
comune  ad  ambedue  del  rinnovamento  morale  della  Chiesa  e  del  cristiano 
consorzio,  l'ardore  della  crociata,  i  nobili  e  santi  disdegni  contro  i  traligna- 
tori  ,,  e  aggiungiamo  noi,  la  condanna  delle  ambizioni  temporali  dei  Ponte- 
fici. I  brani  arrecati  opportunamente  chiariscono  assai  bene  1'*  affinità  ,  vo- 
luta provare  dall' a.,  e  spiegano  come  l'altissimo  conto  in  che  il  gran  poeta 
teneva  il  gran  teologo,  glielo  facesse  assumere  a  guida  nell'alto  dell'Empireo. 

.'.  Il  sig,  A.  Cimino  ribadisce  una  sua  opinione,  già  espressa  di  recente 
anche  da  altri,  circa  le  relazioni  fra  la  genesi  della  Divina  Commedia  e  il 
Giubileo  del  1300,  in  una  Conferenza  sull'argomento,  che  si  intitola  appunto 
Ancora  il  giubileo  del  1300  e  Dante  in  occasione  di  una  Rivista  alla  Rivista 
d' Italia  (Napoli,  D'Auria.  di  pagg.  61,  in  16,").  Lasceremo  ciò  che  concerne 
l'occasione  dell'opuscolo,  che  è  una  polemica  contro  il  prof.  Labanca,  né  segui- 
remo l'A.  in  molte  sue  divagazioni.  Ma  un  argomento  di  pili,  o  di  maggior  peso 
circa  il  soggetto  in  discussione,  invano  si  cercherebbe  in  questo  nuovo  scritto: 
e  quanto  il  C.  ed  altri  con  lui  sostengono  come  fatto,  è  una  mera  ipotesi, 
che  non  esce  dai  confini  del  possibile.  Se  non  che  in  troppi  luoghi  appa- 
risce che  lo  zelo  religioso  non  può  tener  luogo  della  critica  oculata,  spas- 
sionata, sicura  di  sé,  come  laddove  si  fa  un  "  torto  „  a  Dante  delle  sue  invettive 
contro  la  corruzione  della  Chiesa,  nonché  nella  apologia  di  Bonifazio  VII 
(anzi,  perfino  di  Alessandro  VI).  Quanto  poi  al  dire  che  Dante  "  non  ha  messo 
"nell'Inferno  o  nel  Purgatorio  neppure  uno  che  la  Chiesa  avesse  adorato 
"  sugli  altari  ,,  si  può  bene  concederlo,  anche  se  in  colui  che  fece  il  gran  ri- 
fiuto, si  debba  riconoscere  Celestino  V:  e  ciò  per  le  ragioni  addotte  dal  Tocco 
e  dal  D'Ovidio;  ma  che  egli  non  ammettesse  "in  luogo  di  salvazione  al- 
"  cuno  per  cui  la  Chiesa  si  fosse  pronunziata  in  contrario  ,,  ci  pare  propo- 
sizione un  po'  arrischiata.  Il  gran  poeta  fu  schiettamente  ed  altamente  cat- 
tolico: ma  non  cattolico  "  cieco  ,,  come  il  C.  lo  definisce.  E  infatti  al  giu- 
dizio di  condanna  della  Chiesa  non  sostituisce  egli  il  suo  —  e  sia  pure  ap- 
poggiandosi a  leggende  e  visioni  del  tempo  —  salvando  Manfredi,  e  rimpro- 
verando anzi  al  pastor  di  Cosenza  di  non  aver  ben  letto,  obbedendo  alla 
scomunica  papale,  nel  libro  dei  decreti  di  Dio?  E  se  la  Chiesa  non  erasi 
•  pronunziata  in  contrario  ,  né  per  Catone  né  per  Rifeo,  non  è  un  grande 
ardimento  di  Dante  l'aver  infranto  per  essi  la  dottrina  cattolica  riguardo  ai 
Pagani,  promettendo  all'uno,  ctistode  del  Purgatorio,  la  "  vesta,  che  al  gran 
"  di  sarà  si  chiara  ,,  e  per  la  sola  lodevole  menzione  di  Virgilio,  collocando 
r  altro  nella  gloria  del  Paradiso?  E  Sigieri  non  era  condannato  dalla  Chiesa? 
Cattolico,  si,  e  profondamente  fu  Dante:  ma  non  "  cieco  ,:  che  rispetto  a  tol- 
lerante larghezza  di  mente,  non  è  da  mettere  in  mazzo,  tutto  che  vissuto  sei 
secoli  fa,  colla  schiera  gretta  d'intelletto  e  d'animo  di  certi  teologi  e  cattolici 
odierni. 

.'.  In  onore  di  N.  Tommaseo  e  a  ricordo  del  centfsimo  anno  del  suo  na- 
scimento, i  padri  Rosminiani  di  Stresa,  e  per  essi  la  Ditta  L.  F.  Cogliati  di 


286  RASSEGNA   BIBLIOORAFICA 

Milano  hanno  pubblicato  due  lettere  del  Tommaseo  st€sso  a  Paolo  Perez 
(di  pagg.  77  in  16.°  picc).  Gli  studiosi  conoscono  ed  apprezzano  meritamente 
il  libro  del  Perez  su  i  sette  cerchi  del  Purgatorio,  non  che  l'altro  dell*, 
fragranze  che  spirano  dal  Purgatorio  e  dal  Paradiso  di  Dante.  Le  due  let- 
tere del  Tommaseo  sono  a  proposito  di  quest'ultima  scrittura:  e  la  prima 
di  esse  ha  più  stretta  attinenza  coir  argomento,  l'altra,  pur  non  discostandosi 
da  Dante,  tratta  di  ciò  che  potrà  essere  il  sentire  corporeo  nella  vita  futura 
dei  beati.  Ambedue  sono  notevoli  per  erudizione  poetica  e  per  dottrina  teo- 
logica, e  pel  modo  col  quale  sono  trattate  in  lucida  forma  astruse  materie, 
nonché  per  l'agevolezza,  e  quasi  diremmo  familiarità,  colla  quale  con  vigile 
memoria  e  ardore  di  fantasia,  l'autore,  a  proposito  di  Dante,  richiama  e  raf- 
fronta passi  di  varj  autori,  e  specialmente  della  Bibbia  e  di  Virgilio. 

.•,  Qui  addietro  (pag.  185)  accennammo  alia  controversia  su  Dante  al  mo- 
nastero di  fonte  Avellana,  e  al  dibattito  fi  a  i  signori  Morici  e  Nicoietti 
sulla  possibilità  di  scorgere  il  Catria  da  Ravenna,  affermata  dal  primo,  dal- 
l'altro negata.  E  poiché  la  negativa  era  assoluta,  perentoria  e  quasi  in  forma 
di  sfida,  dichiarammo  di  rimaner  perplessi.  Ma  il  prof.  M.  Morici  in  una  Let- 
tera aperta  al  prof .  A.  D'Ancona  inserita  nella  Nazione  del  16  luglio  (n.  197) 
adduce  testimonianze  di  persone  autorevoli  ed  esperte,  le  quali  dicono  che 
il  Catria,  in  forma  di  gibbo,  è  visibilissimo  da  Ravenna.  Registrando  la  no- 
tizia di  queste  valide  attestazioni,  dimostrate  per  scienza  e  per  esperienza, 
pare  a  noi  che  la  causa  del  sig.  Nicoietti  possa  ritenersi  come  perduta. 

.".  Una  nota  del  prof.  A.  Moschetti  su  Un'erronea  espressione  di  Dante 
e  un'  erronea  interpetr azione  dei  commentatori  (s.  a.  n.  t.  di  pagg.  8  in  16.' 
e  una  fig.)  riguarda  il  principio  del  e.  XVI  Inf.,  e  precisamente  il  v.  7:  FJr- 
nian  ver  noi,  dove,  coli' aiuto  di  un  disegno,  l'autore  dimostra  che  il  vèr  vale 
non  già  incontro,  uva  di  fianco.  —  Il  secondo  punto  esaminato  è  il  verso 
26:  si  che  in  contrario  il  collo  faceva  a' pie  continuo  viaggio,  dove  l'a.  pre- 
ferisce la  lezione  recata  e  confermata  da  tre  delle  prime  quattro  edizioni 
del  poema:  si  che  tra  loro  il  collo  faceva  a'piè{o  co' pie)  continuo  viaggio: 
cioè,  "  piedi  e  collo  erano  in  continuo  movimento:  i  piedi  per  girare  intorno 
*  al  cerchio,  il  collo  per  rivolgersi  verso  Dante,  da  cui  si  andavano  man 
"  mano  ora  avvicinando  ed  ora  lontanando  „. 

.*.  L'articolo  del  prof.  P.  Bellezza  Del  citar  Dante  (estr.  dalla  Reas.  Na- 
zion.,  di  pagg.  14  in  16.°)  contiene  notizie  aneddote  assai  curiose:  talune  però 
delle  citazioni  dantesche  che  raccoglie,  per  la  loro  insipidezza  potevano  tra- 
lasciarsi, e  altre  migliori  se  ne  potevano  ricordare  :  per  esempio,  l' epigrafe 
dal  Gioberti  apposta  al  suo  Gesuita  moderno:  Incontanente  intesi  e  certo 
fui  Ohe  questa  era  la  schiera  dei  cattivi  A  Dio  spiacenti  ed  ai  •nemici 
sui.  —  È  noto  in  Firenze  come,  quando  nel  '46,  o  '47,  apparve  il  libro  -di 
Leopddo  Galeotti  sul  Dominio  temporale  dei  papi,  G.  B.  Niccolini  senti  ri- 
bollire in  sé  i  vecchi  spiriti  ghibellini,  e  vi  scrisse  sul  frontespizio:  Galeotto 
fu  il  libro  e  chi  lo  scrìsse.  Si  poteva  aggiungere,  perché  contenuto  in  do- 
cumento storico  assai  importante  e  nolo,  l'uso  appropriato  di  versi  dante- 
schi fatto  da  G.  B.  Giorgini  nella  sua  relazione  del  1860  al  Parlamento  ita- 
liano per  la  costituzione  e  denominazione  del  regno.  Mancavano  i  deputati 
di  Venezia  e  Roma  in  quel  primo  consesso  di  rappresentanti   d'Italia,  e  H 


DELLA   LETTERATURA    ITALIANA  287 

Giorgini  citò  opportunamente  i  versi  del  Farad.  XXX:  Vedi  li  nostri  scanni 
ei  ripieni  Che  poca  gente  ormai  ci  si  distra.  Il  prof.  Bellezza  potrà  peiTe- 
zionare,  arricchendolo,  questo  sagf^io,  che  riuscirà  sempre  di  gustosa  lettura. 

.'.  Gol  titolo  Saggi  critici  il  sig.  M.  Mandalari  raccoglie  (Città  di  Castello, 
Lapi,  di  pagg.  153  in  16.*  picc)  sette  suoi  scritti,  dei  quali  taluni  hanno 
carattere  storico,  altri  letterario.  E  questi  sono  i  tre  primi  :  Matelda  —  Le 
Satire  di  Quinto  Settano  —  Quistioni  dantesche.  Il  primo  fu  anteriormente 
pubblicato  in  rumeno  nella  versione  della  Divina  Commedia  della  signora 
Chitiu,  per  *  esporre  lo  stato  della  questione  sulla  Donna  in  che  Dante  si 
*  imbatte  nella  foresta  del  Purgatorio,  annoverando  ben  sette  personaggi 
"  storici  in  che  si  vuol  raffigurare  la  Matelda  dantesca  ,.  Ma  veramente  an- 
dava aggiunta  alle  altre,  la  donna  che  nella  V.  Nuova  domanda  a  Dante  in 
che  consista  l'amor  suo  per  Beatrice:  e  questa,  non  la  donna  gentile,  è  ve- 
ramente quella  proposta  del  Borgognoni.  L'a.  crede  —  e  qui  siamo  con  lui 
—  che  Matelda  nel  suo  intimo  significato,  sia  una  cosa  con  Lia:  ma  sostiene 
anche  che  sia  un  personaggio  vivente  solo  nella  mente  del  poeta,  e  come 
una  personificazione  del  valore  etimologico  (figlia  animosa)  del  nome:  e  qui 
discordiamo  da  lui,  perché  non  v'ha  nel  poema  personaggio  di  significato 
simbolico,  che  non  sia  insieme  uomo  o  donna  realmente  vissuto:  né  caha 
l'esempio  di  Lucia,  perché  se  essa  è  la  Grazia  illuminante  è  insieme  la 
Vergine  Siracusana  venerata  dalla  Chiesa  come  santa.  —  Soggetto  dantesco 
ha  pure  l'altro  studio,  che  espone  e  riassume  gli  studj  di  Filippo  Zam- 
boni su  Cunizza  da  Romano,  nei  quali  pone  innanzi  la  più  plausibile  ragione 
dell'averla  Dante  collocata  fra  i  beati.  —  Nello  studio  sul  Sergardi  —  o 
Quinto  Settano  —  ci  sembra  che  in  fondo  l'a.  abbia  ragione  contro  il  dott. 
Battignone  nel  definirne  il  carattere.  Negli  altri  scritti  si  danno  utili  notizie 
sulla  storia  e  sulla  cultura  calabrese.  Ma  poiché  tutti  quanti  sono  ristampe, 
non  sarebbe  stato  inopportuno  né  inutile  rivederli  tutti  accuratamente  per 
ciò  che  spetta  allo  stile,  troppo  trasandato  e  fiacco. 

.'.  Un  giovane  studioso,  il  sig.  A.  Franco,  raccoglie  per  nozze  di  parenti 
alcuni  Appunti  di  Numismatica  Toscana  dei  sec.  XIII  e  XIV  (Firenze,  Bon- 
ducciana,  di  pagg.  11  in  16.°),  ricordando  monete  che  furono  coniate  a  San- 
t'Jacopo  in  Val  di  Serchio,  a  Rigiione  e  Spedaluzzo,  a  Rifredi  e  a  Romena. 
L'À.  mostra  di  dubitare  che  Mastro  Adamo  (da  Brescia,  o  da  Brest,  come 
altri  crede  :  certo,  in  documento  autentico  testé  scoperto  è  detto  anglìcus), 
fosse  arso  davanti  al  castello,  perché  esso  non  era  in  territorio  fiorentino. 
Ma  non  è  il  Camerini  che  ciò  asserisce,  come  è  notato:  bensì"  lo  affermano 
(inanimente  i  commentatori  antichi.  E  di  fronte  al  castello  —  valga  per  quel 
che  valga  la  tradizione  —  v'ha  una  mora  di  sassi,  detta  dell'uomo  morto, 
che  si  asserisce  eretta  a  poco  a  poco  sul  luogo  ove  il  colpevole  artefice 
venne  bruciato. 

.".  La  nuova  pubblicazione  del  prof.  G.  Maruefi:  La  Divina  Commedia 
considerata  qual  fonte  dell'  Orlando  Furioso  e  della  Gerusalemme  liberata 
(Napoli,  Pierro,  di  pag.  216  in  16.")  può  tornar  utile  in  genere  agli  studiosi 
e  in  particolare  ai  maestri  delle  scuole  secondarie.  La  materia  è  divisa  in 
due  parti:  nell'una,  le  derivazioni  eerte  o  probabili,  di  concetto  (simboli,  epi- 
-sodj,  credenze,  figure),  nell'altra  quelle  di  pura  forma  (simihtudini,  immagini. 


288  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

modi  di  dire  ecc.).  Forse  era  meglio  intitolare  il  lavoro,  lasciando  la  parola 
fonte,  "Imitazioni  dell'Orlando  e  della  Gerusalemme  dalla  Commedia,  o  in 
altro  modo  consimile.  Come  succede  in  tal  genere  di  lavori,  spesso  si  cade 
neir  esagerazione  di  un  giusto  concetto,  e  ci  sarebbe  da  ridire  qualche  cosa 
su  quanto  annota  Ta.,  cosi  per  la  prima  come  per  la  seconda  categoria  di 
raffronti;  non  di  rado  questi  si  direbbero  un  po'  tirati  colle  molle.  Ma  scar- 
tando il  meno,  resta  il  più;  e  questo  può  dar  luogo,  specie  nelle  scuole,  a 
buone  considerazioni  di  stile. 

.•.  Del  prof.  G.  Gambèra  son  raccolte  in  elegante  volumetto  (Salerno,  Jova- 
ne,  di  pagg.  88  in  16.»  picc.  con  due  tavole)  le  Note  dantesche  sparsamente 
pubblicate  finora,  e  di  talune  delle  quali  abbiamo  altra  volta  parlato.  Il  ca- 
rattere loro  è  generalmente  scicntifìco,  e  più  specialmente  astronomico,  e 
questa  è  la  ragione  per  la  quale  non  su  tutte  abbiamo  autorità  di  senten- 
ziare. Ma  ben  ci  piace  di  vedere  come,  contro  l'Angelitti  ed  altri,  egli  so- 
stenga esser  la  data  del  poema  il  1300,  e  non  il  1301,  che  è  controversia  nella 
quale  oltre  l'astronomo,  può  dir  la  sua  anche  il  letterato  e  lo  storico.  An- 
che per  altre  di  queste  note  ci  par  che  l'A.  vegga  e  spieghi  dirittamente, 
come,  ad  es.  pel  verso  Se  quella  con  cui  parlo  non  si  secca,  che  non  vuol 
significare  "  Se  non  muojo  ,,  ma  invece  *  Se  la  mia  lingua,  mentre  parlo, 
non  si  congela,  non  diventa  secca  (dura)  per  freddo  ,,  né  mi  avvenga  come 
a  Camicion  dei  Pazzi  che  aveva  "  per  la  freddura  ,  perduto  ambo  gli  orecchi. 
Non  andiamo  invece  d'accordo  coli' A.  nella  spiegazione  del  principio  del 
IX  Purg.,  dove  ci  sembra  che  si  descriva  bensì  l'aurora  solare,  ma  del  nostro 
emisfero,  nelle  prime  due  terzine,  e  dalla  terza  in  giù,  per  contrapposto,  come 
Dante  suol  costantemente  fare,  l'ora  corrispondente  nell'altro  emisfero: 
l'aurora  solare  sul  monte  è  invero  descritta  nella  quinta  terzina,  ed  è  l'ora 
presso  alla  mattina,  quando  la  rondinella  comincia  i  tristi  lai  e  Dante,  già 
vinto  dal  sonno,  ha  il  sogno  simbolico.  Ad  ogni  modo,  anche  dissentendo 
su  certi  punti,  su  altri,  spettanti  specialmente  alle  cognizioni  scientifiche  del 
poeta  e  alla  loro  applicazione,  in  queste  Note  del  sig.  G.  non  c'è  che  da 
imparare  con  reverenza. 

.•.  Abbiamo  detto  liberamente  il  parer  nostro  sul  primo  fascicolo  della 
Bibliografia  dantesca,  anzi  pur  anche  trecentista  e  francescana,  del  sig.  L. 
SuTTiNA.  Lode  più  schietta  ci  sembra  meritare  il  fascicolo  2.»  (da  pagg.  101  a 
208).  Alla  bibliografìa  propriamente  detta  si  aggiunge  una  Rivista  critica  e 
bibliografica  e  delle  Noterelle.  Se  il  compilatore  continua  nel  voler  racco- 
gliere insieme  tre  diverse  categorie  di  studj  (Dante,  il  Trecento,  S.  Francesco), 
forse  non  sarebbe  male  dar  a  ciascuna  una  rubrica  distinta.  Ad  ogni  modo, 
lo  ripetiamo,  alcuni  difetti  dal  primo  iniziar  dell'opera  sono  ora  scomparsi, 
od  attenuati:  tuttavia  sarebbe  sempre  desiderabile  una  maggior  obiettività 
nei  ragguagli  bibliografici.  Il  sig,  Suttina  ci  annunzia  pel  prossimo  Centenario, 
una  Bibliografia  delle  opere  a  stampa  intorno  a  F.  Petrarca  esistenti  nella 
biblioteca  Petrarchesca- Rossettiana  di  Trieste,  e  l'aspettiamo  con  desiderio, 
dopo  averne  veduto  un  breve  saggio  (Perugia,  Cooperativa,  di  pagg.  7  in  16.»), 
che  ci  dà  ragione  di  bene  sperarne. 

.'.  Prendendo  occasione  da  Le  manuscrit  de  Dante  offerì  par  J.  Minut 
(114  roi  Francois  I  (Paris,  Bouillon,  di  pag^.  19  in  16.»)  il  dotto  bibliofilo  h. 


DBLLA   LÉTTERAtURA   itALtÀNA  289 

DoREZ  raccoglie  varie  notizie  sul  donatore  di  cotesto  codice,  conlenente  il 
poema  col  commento  di  Guiniforte,  e  in  esso  ravvisa  Jacopo  Minuti  (Myenut 
o  Minut  in  francese)  di  origine  milanese,  che  segui  Francesco  in  Francia  ed 
ivi  ebbe  ufficj,  terminando  la  sua  carica  coli'  esserJPresidente  del  Parlamento 
di  Tolosa. 

.•.  Lo  studio  critico  del  prof.  G.  De  Leonardis  su  Publio  Virgilio  Mnrone 
e  Dante  (Bologna,  Zamorani,  di  pagg.  33  in  16.»)  può  parere  ad  alcuno  che, 
anche  per  dir  cose  chiare  ed  ovvie,  troppo  si  avvolga  in  una  terminologia 
nebulosa,  e  si  svolga  in  forme,  abituali  ormai  all'autore,  che  colla  diversità 
dei  caratteri,  richiamano  le^usanze  del  Vico  ;  ma  contiene  giusti  concetti  sa 
ciò  che  Virgilio  rappresenta  nel  poema.  Propendendo  a  vedere  nel  Veltro 
un  pontefice,  e  appunto  Benedetto  XI,  1'  a.  promette  di  trattare  ulteriormente 
il  suo  assunto  e  porgere  ogni  schiarimento  in  proposito. 

.'.  È  uscita  a  luce  negli  Atti  della  Società  Ligure  di  Storia  Patria  la  se- 
conda parte  del  voi.  XXXI,  che  conduce  il  Codice  diplomatico  delle  relazioni 
fra  la  Liguria,  la  Toscana  e  la  Lnnigiana  ai  tempi  di  Dante  a  cura  del 
sig.  A.  Ferretto,  dal  1275  al  1281.  Forma  un  grosso  voi.  in  4.»  di  pagg.  LXV-501. 
Di  questa  rilevante  pubblicazione  storica  demmo  altra  volta  un  cenno  (v.  Ras- 
segna, X,  125).  La  lunga  prefazione  dà  larghi  ragguagli  di  colui  che  Dante  trovò 
fitto  nel  Oocito,  in  anima,  mentre  col  corpo  pareva  vivo  ancor  di  sopra,  cioè 
di  Branca  Doria,  e  della  sua  famiglia,  e  illustra  insieme  la  biografia  dell' uomo 
e  le  vicende  della  città  in  quel  periodo  di  tempo. 

.*.  Il  prof.  Giuseppe  Schiavo  in  un  suo  opuscolo  intitolato  Fra  la  Selva 
Sacra  (Firenze,  Lumachi,  di  pagg.  74  in  16.")  si  propone  d'illustrare  "  tutta 
"  nel  suo  complesso  la  visione  del  Paradiso  terrestre  ,.  Egli,  convinto  che 
Dante  nell' immaginare  la  visione  del  Paradiso  terrestre  deve  avere  avuto  pre- 
senti non  una,  ma  molte  sacre  allegorie  e  che,  tentando  quivi  una  allegoria 
splendida  e  vivacissima,  ricordava  senza  dubbio  antichi  veggenti  o  scrittori  a 
lui  pili  vicini,  si  dà  a  raccogliere  passi  biblici  o  di  scrittori  teologi,  che  siano 
atti  a  meglio  illustrare  i  concetti  mistici  adombrali  da  Dante  nella  sacra  selva. 
La  parte  più  notevole  dell'opuscolo  ci  pare  quella  nella  quale  lo  Schiavo 
aiutandosi  coli' autorità  di  Riccardo  da  S.  Vittore  per  quel  che  dice  nel  Be- 
niaminus  maior  aut  De  Contemplatione,  vorrebbe  mostrare  che  nel  Paradiso 
terrestre  Dante  rappresenta  i  primi  sei  gradi  della  Contemplazione,  dei  quali 
Matelda  e  Beatrice  sono  il  5.»  e  il  6.»  Molte  considerazioni  raccoglie  lo  Schiavo 
per  chiarire  le  figure  di  M.  e  B.  in  ordine  a  questo  simbolo,  ma  noi  confes- 
siamo di  non  essere  interamente  persuasi  del  ragionamento  suo.  Non  c'è 
del  resto  da  meravigliarsene  :  ormai  riguardo  alla  interpretazione  delle  alle- 
gorie dantesche  ognuno  si  forma  il  suo  sistema  ed  è  il  solo,  spesso,  a  cre- 
derci. Questo  sia  detto  senza  ombra  di  disdegno  per  il  lavoro  dello  Schiavo, 
col  quale  del  resto  ci  troviamo  pienamente  d'accordo  nel  credere  che  a 
voler  intendere  Dante  bisogna  sprofondarsi  negli  scrittori  mistici  medievali, 
senza  pretendere  però  di  spiegare  le  allegorie  solamente  con  uno  o  con  un 
altro  di  quelli.  Notiamo  in  fine  ancora  un  buon  raffronto  fra  il  canto  XXIII 
del  Paradiso  e  gli  ultimi  canti  del  Purgatorio. 

.•.  Buon  contributo  alla  nuova.  Revue  des  études  rabelaisiennes  arreca  il 
prof.  P.  ToLDO  con  una  sua  Memoria  che  s' intitola  La  fumee  du  roti  et  la 


I 


àOD  IR-ASSEGNA  BIBl.lOOUAFICA 

divination  par  signes  (str.  di  pagg.  16  in  16.")  ricercando  le  origini  e  le  pa- 
rentele di  due  episodj  pantagruelici.  Il  secondo,  che  pure  non  è  ignoto  in 
Italia  e  che  tratta  di  due  che  parlano  a  cenni,  e  ognun  d' essi  interpreta  a 
modo  suo  i  gesti  dell'altro,  c'interessa  meno  dell'altro,  che  si  riferisce  a. 
uno  dei  racconti  del  Novellino,  quello  di  Fabretto  Saracino  e  della  sentenza 
del  Soldano  contro  la  sua  pretese  di  farsi  pagare  da  un  povero  il  fumo  delle 
sue  vivande.  La  più  antica  forma,  additata  dal  T.  è  in  un  racconto  tamulico, 
e  un'altra  nei  5«^ras  ^Amé/'s.  E  cosi,  rispetto  ai  racconti  pili  divulgali  nelle 
plebi  e  negli  autori  si  trova  sempre,  o  quasi,  un  riscontro  in  quelli  orientali. 
.•.  Sul  "  Ritmo  Cassinese ,  ha  pubblicato  Francesco  Torraca  alcune 
"  Nuove  osservazioni  e  congetture  „  (di  pp.  31  in  16."),  che  si  riferiscono  alla 
lezione,  al  contenuto  e  all'autore  di  esso.  Le  correzioni  al  testo  sono  in- 
trodotte tenendo  presente  che  la  struttura  strofica  del  Ritmo  sia  di  sette 
ottonarj  con  la  stessa  rima,  pili  una  coppia  di  endecasillabi  con  rima  di- 
versa; ma  non  sappiamo  se  tutti  saranno  disposti  ad  accettare  il  nuovo 
testo  che  il  Torraca  pubblica  a  fronte  a  quello  dovuto  alle  cure  del  Giorgi 
e  del  Navone,  perché  in  alcuni  luoghi  troppo  si  allontana  dalla  lezione  del- 
l' unico  codice.  Rispetto  al  contenuto,  il  Torraca  accetta  in  sostanza  la  in- 
terpretazione del  Novati  modificandola  nel  senso  eh'  egli  crede  di  vedere 
nel  Ritmo  *  uno  di  quei  contrasti  o  dialoghi  tra  il  Morto  e  il  Vivo,  che 
"  furono  cosi  frequenti  nell'  età  di   mezzo.  Sennonché,  d' ordinario  il  Morto 

•  veniva  dall'Inferno  e  giovava  al  vivo  mediante  la  descrizione  dei  supplizi, 
"eternamente  inflitti  alle  anime  dei  reprobi;  qui  viene  dal  Paradiso  e  soc- 
"  corre  il  Vivo,  provandogli,  con  la  propria  esperienza,  che  vi  sono  contentezze 
'  spirituali  di  gran  lunga  migliori  della  brutale  soddisfazione  degl'istinti,  de'bi- 
"  sogni  materiali.  Da  questo  lato  il  Ritmo  segna  un  progresso,  un  più  inol- 
"  trato  processo  di  purificazione  rispetto  al  concetto  prevalente  in  altri  com- 
"  ponimenti  didattici  popolari  „.  L'autore  del  Ritmo  è  ignoto;  qualche  indizio 
sulla  sua  condizione  si  è  creduto  ricavare  dalle  parole  en  altu  m'encastellu, 
che  parrebbero  alludere  a  un  monaco  fors'  anche  cassinese.  Il  Torraca  spiega 
che  l'autore   annunzia  di  essere   diventato   metaforicamente  *  castellano  di 

•  un  alto  castello  ,  nel  senso  medesimo  in  cui  Dante  dice  delle  anime  che 
sono  "  cittadine  di  una  vera  città  ,.  Ma  chi  è  questo  autore?  '  Il  nome  del- 

•  r  autore  della  libera  versione  dei  Disticha  de  Moribus,  di  Messer  Catenaccio 
'  cavaliere  d'Anagni,  mi  si  è  ofTerto  spontaneamente  a  colmar  la  lacuna  della 
"seconda  stanza  ;,  cosi  risponde  il  Torraca;  infatti  al  luogo  dell'ottonario 
mancante  egli  ha  introdotto  il  verso  Truhato  aio  eo  Catenaczo,  e  rafforza  la 
sua  ipotesi  con  alcuni  raffronti  tra  alcuni  pensieri  del  Ritmo  e  i  pensieri  nuovi 
introdotti  da  Catenaccio  nei  Disticha.  L'ipotesi  arditissima,  anzi  del  tutto 
soggettiva,  porta  alla  conclusione  che  il  Ritmo  non  sia  fra  i  più  vetusti  do- 
cumenti della  poesia  italiana,  ma  un  prodotto  della  fine  del  secolo  XIII,  al 
quale,  secondo  videro  il  Giorgi  e  il  Navone,  potrebbe  appartenere  il  codice 
che  ce  lo  ha  conservato.  Il  Torraca  aggiunge  ancora  che  lo  schema  stro- 
tìco   del   Ritmo    che    presuppone    lunga   elaborazione,  nel   sec.  XII  sarebbe 

•  mirabil  mostro  ,. 

r    .'.  Il   prof.  Alfred    Jeanroy  ha    pubblicato    nell'opuscolo   Un    Sirventcs 
cantre  Charles  D'Anjou  (Toulouse,  E.  Privat,  di  pagg.  23  in  16.")  l'illustra- 


DELLA    LKTTBRATtJRA    ITALIANA  29l 

iioae  dell' unica  poesia  provenzale  del  trovatore  genovese  Galega  Ramano, 
di  recente  fatto  conoscere  dal  Bertoni.  Di  alcune  parti  della  poesia  si  era 
già  occupato  il  Torraca  nel  suo  volume  di  Studj  su  la  lirica  italiana  del 
duecento;  il  Jeanroy  la  ristampa  introducendovi  alcune  correzioni  criti- 
che e  spiegando  tutte  le  allusioni  storiche,  da  cui  risulterebbe  che  fu  com- 
posta dopo  il  marzo  1268  con  sentimenti  ghibellini  per  accompagnare  e  be- 
neaugurare  all'impresa  di  Gorradino,  diretto  a  riacquistare  il  trono  di  Napoli 
agli  Svevi.  In  una  nota  aggiunta  il  Jeanroy  espone  i  suoi  dubbj  che  nella 
poesia  di  Peire  Chastelnou,  Uoimais  nom  cai  far  plus  long'  atendenza  {Studj 
di  fil.  rom.  IX,  464)  si  alluda  alla  vittoria  di  Carlo  I  d'Angiò  a  Benevento. 
Egli  crede  invece  che  si  alluda  alla  vittoria  di  Tagliacozzo.  Ma  dobbiamo 
osservare  che  il  verso  vencut  en  camp  lo  rei  Manfre  indica  chiaramente  la 
battaglia  di  Benevento,  e  che  è  assai  debole  spiegazione  quella  che  dà  il 
Jeanroy  per  ispiegare  la  menzione  di  Manfredi  dove  si  allude  alla  battaglia 
di  Tagliacozzo,  Egli  dice  "  Manfred  a  pu  étre  considera  par  le  poète  comme 
"un  adversaire  plus  dangereux,  et  par  consequent  plus  digne  d'étre  men- 
*  tionné;  à  moins  encore  que  son  nom  n' ait  été  appelé  a  la  fin  du  vers 
"  par  le  besoin  de  la  rime  ,. 

.•.  Un  buon  contributo  di  materiali  copiosi  e  ben  ragliati  porge  alla  let- 
teratura sacra  del  primo  secolo,  il  prof.  E.  Brambilla  colla  sua  pubblicazione 
di  Rime  Ascetiche  trascritte  da  un  cod.  napoletano  e  da  un  comense  del  see. 
XV  (Cuneo,  Isoardi,  di  pagg.  78  in  16.°).  Nella  prima  parte  offre  varianti  non 
spregevoli  al  Pianto  della  Vergine  di  frate  Enselinino;  nella  seconda  riferisce 
tredici  Laudi,  illustrandole  con  notizie  letterarie  e  bibliografiche.  Notevoli  fra 
esse  sono  la  famosa  Donna  del  Paradiso,  specialmente  per  le  aggiunte  e 
interpolazioni,  due  delle  quali  in  endecasillabi:  e  il  Contrasto  fra  la  morte 
e  il  peccatore.  Non  indegni  di  osservazione  sono  89  proverbj,  trascritti  nel 
cod.  napoletano  delle  Laudi,  e  l'indicazione  di  alcuni  trattati  in  prosa,  pur 
in  esso  contenuti;  nonché  il  testo  dato  da  un  cod.  comense  della  lauda  di 
Jacopone  Jesu  nostro  amatore.  Chi  finalmente  ci  darà  una  buona  stampa 
delle  cose  del  tudertino  e  de' suoi  seguaci,  avrà  da  questa  pubblicazione  un 
prezioso  ajuto. 

.•.  Il  comm.  G.  Arlìa  ha  pubblicato  per  nozze  Due  Sonetti  di  Antonio 
Pucci  (Firenze,  Società  tipogr.,  di  pagg.  9  in  16.»).  Erano  inediti,  e  sono  tratti 
dal  cod.  barberiniano  XLV,  145.  Il  primo  è  ctHitro  un  topo  che  turbava  i  sonni 
al  poeta:  e  il  secondo  è  la  risposta  del  topo:  ed  hanno,  specialmente  il  primo, 
la  solita  festività  delle  rime  del  poeta  popolano.  Ci  uniamo  al  desiderio 
espresso  dal  chiaro  editore,  che  finalmente,  dopo  tante  sparse  pubblicazioni, 
si  raccolgano  insieme  le  poesie  e  le  prose  del  buon  trombetta  fiorentino. 

.•.  Il  signor  Henry  Cochin  in  un  fascicolo  della  Revue  d'Hist.  et  de  litter. 
relig.  à\  quest'anno  discorredi  Un  Correspondant  frangais  de  Pétrarque.  Si 
tratta  di  un  Pietro,  Abate  di  S.  Benigno  di  Digione  e  poi  di  S.  Remigio  di 
Reims  a  cui  il  Petrarca  indirizzò  tre  lettere  {Familiares  XIII,  7  ;  XV,  5,  6). 
Il  Fracassetti  credette  che  questo  personaggio  fosse  Pietro  de  ftazain ville; 
ma  il  Cochin  mostra  che  ci  sono  delle  difficoltà  per  questa  identificazione  e 
invita  gli  storici  a  indagar  meglio  fra  gli  abati  di  quei  due  conventi.  Intanto 
egli  dalle  due  lettere  sopracitate    e  da   altre  due  {Familiares  IX,  9,  IO)  in 


^92  ItASSBGNA   BlBLIOatlAF^iCA 

cui  il  Petrarca  raccomanda  l'Abate  a  due  suoi  amici,  raccoglie  tutte  le  no- 
tizie che  può  intorno  a  questo  "  Pietro  „  che  fu  uomo  dotto  e  scrittore  lo- 
dato dal  Petrarca,  per  mostrare  che  a  torto  il  Ghomlon  nella  sua  storia 
della  Chiesa  di  S.  Benigno  di  Digione  affermò  che  da  essa  non  usci  un  solo 
scrittore. 

/.  Il  2."  Bollettino  degli  Atti  del  Gomitato  pel  centenario  petrarchesco  con- 
tiene un  articolo  del  sig.  U,  Pasqui  sulla  Casa  del  Petrarca  in  Arezzo,  illu- 
strata da  due  figure,  1'  una  delie  quali  rappresenta  quella  casa  nella  quale  la 
tradizione  vuole  che  nascesse  il  poeta,  l'altra  la  strada,  poiché  altro  appunto 
non  si  sa  di  certo  salvo  ch'egli  vedesse  la  luce  nella  Via  dell'Orto.  Interes- 
sante è  anche  un  altro  articolo,  pur  illustrato,  su  Arezzo  antica.  Vi  sono 
anche  Atti  del  Gomitato  ecc.  Le  illustrazioni  sono  belle  e  nitide.  Noi  espri- 
miamo il  desiderio  che  si  raccolgano  e  si  riproducano  dal  Gomitato  in  que- 
sto Bollettino  i  pili  antichi  ed  autorevoli  ritratti  del  Petrarca. 

.•.  Esperti  della  scuola,  hanno  creduto  i  proff.  L.  M.  Capelli  e  R.  Bessonk 
che  nell'insegnamento  del  latino,  e  nella  prima  lettura  di  autori,  accanto  a 
Cornelio  e  a  Fedro  potesse  giovare  un  libro  di  svariata  materia,  e  del  quale 
non  fosse  facile  procurarsi  la  traduzione,  e  perciò  hanno  compilato  una 
Antologia  latina  tratta  dalle  opere  di  F.  Petrarca  (Torino,  Paravia,  di  pagg. 
166  in  16.»),  che  raccoglie  favole,  narrazioni,  descrizioni  atte  alla  cultura  dei 
giovinetti  e  capaci  di  fissarne  l'attenzione.  Questa  spigolatura  nelle  prose 
e  nelle  poesie  del  precursore  maggiore  degli  umanisti,  è  divisa  per  materie  in 
cinque  libri,  diligentemente  annotata,  seguita  da  un  Vocabolario  latino  e  ita- 
liano e  da  un  Elenco  alfabetico  di  regole  grammaticali.  Nulla  pertanto  è 
stato  dai  compilatori  trascurato  per  render  accetto  e  agevole  questo  tenta- 
tivo, che  non  esitiamo  a  chiamare  ardito,  ma  a  cui  auguriamo,  come  merita, 
un  felice  successo. 

.•.  Le  origini  della  Novella  narrata  dal  Frankeleyn,  nei  Canterbury  Tales 
del  Chaucer  è  il  titolo  di  un  bellissimo  studio  del  Rajna  (estr.  dal  voi.  XXXII 
della  Romania,  di  pp.  64  in  16.»),  che  è  una  dotta  ed  abile  confutazione  dt 
un  notevole  scritto  di  William  Henry  Schofield,  della  Harvard  University. 
Il  Rajna  torna  sopra  un  problema  che  aveva  già  toccato,  quasi  per  inciden- 
za, in  un  altro  recentissimo  lavoro  su  L'episodio  delle  Questioni  d'Amore 
nel  Filocolo  del  Boccaccio,  pubblicato  nel  voi.  XXXI  della  Romania,  di  cui 
già  demmo  notizia.  Egli  dimostra,  con  nuovi  e  validi  argomenti,  che  l'origine 
del  Frankeleyn'  s  Tale  non  può  essere  ricondotta  ad  un  antico  lai  brettone, 
come  il  Chaucer  stesso  vorrebbe  far  credere  nel  breve  prologo  che  precede 
il  suo  racconto,  e  come  sostennero,  con  criterj  diversi  e  con  differenti  vedute, 
il  Tyrwhitt,  il  Landau,  lo  Skeat,  il  Wright,  ed  altri.  Il  R.,  con  l' alta  compe- 
tenza ch'egli  ha  in  materie  di  questo  genere,  e  con  la  dottrina  che  rende 
prezioso  ogni  suo  scritto,  dimostra  facilmente,  in  modo  incontestabile,  la  fal- 
lacia dei  nuovi  argomenti  onde  lo  Schofield  ha  creduto  di  poter  dare  sal- 
dezza al  vecchio  assunto,  secondo  il  quale  le  parole  del  prologo  chauceriano 
risponderebbero,  in  qualche  modo,  al  vero.  Fonte  diretta  della  novella  nar- 
rata dal  Frstukeleyn  è,  senza  dubbio,  il  racconto  boccaccesco  nella  duplice 
versione  della  IV  Questione  del  Filocolo  e  della  novella  del  Decatrteron  (X, 
5)  :  questo  dimostra  vittoriosamente  il  R.,  togliendo  con  valide  ragioni  ogni 


DELLA    LBTTERATURA    ITALIANA  293 

probabilità  air  opinione  impugnala  da  alcuni  critici  del  Chaucer,  secondo  la 
quale  il  poeta  inglese  e  il  novelliere  italiano  avrebbero  attinto  ad  originali 
comuni,  o  quasi  consimili.  In  qualche  punto  dei  Frankelei/n' s  Tale  vi  sono 
convenienze  e  analogie,  che  sembrerebbero  pili  vicine  al  racconto  del  Deca- 
meron che  a  quello  del  Filocolo;  ma  nel  suo  complesso,  la  contenenea  nar>' 
rativa  della  novella  inglese  apparisce  derivata,  direttamente,  dalla  quarta 
questione  del  Filocolo.  Con  questo  suo  nuovo  studio  il  R.  rivendica  al  Boc- 
caccio la  fonte  di  uno  dei  più  notevoli  fra  tutti  i  racconti  del  poeta  bri- 
tanno, dimostrando  che  a  lui  fu  nota,  fra  gli  altri  scritti  minori  del  Certal- 
dese, anche  la  lunga  e  prolissa  redazione  della  storia  di  Florio  e  Biancifìore. 
Con  questi  risultati  cosi  lusinghieri  per  noi,  >6pecialmente  di  fronte  a  una' 
gran  parie  della  critica  inglese,  il  R.  fa  fare  un  altro  passo  innanzi  alla  im- 
portante e  dibattuta  questione,  se  il  Chaucer  avesse  conoscenza  del  Deca- 
meron. Poiché  ora  ch'egli  ha  dimostrato,  che  insieme  con  tutti,  o  quasi  tutti,^ 
gli  altri  scritti  minori  del  Boccaccio  il  Chaucer  conobbe  anche  il  Filocolo, 
sembra  sempre  pili  inverosimile  ch'egli  non  dovesse  proprio  saper  nulla 
della  sua  opeva  maggiore,  la  quale  era  pur  divenuta  popolare  cosi  rapida- 
mente. E  infatti  il  R.,  con  argomenti  di  molto  valore,  certo,  ma  per  noi  non 
ancora  interamente  decisivi,  sostiene  nellts  ultime  pagine  delle  sue  indagini 
dotte  e  geniali,  che  il  Decameron  fu,  senza  dubbio,  il  diretlo  ispiratore  dei 
Canterbury-Tales. 

.'.  Buon  preludio  e  solido  fondamento  a  nuovi  studj  sulla  vita  del  Boc- 
caccio ci  offre  il  sig.  A.  F.  Massèra  col  suo  scritto  Le  più  antiche  biografie 
del  D.  (estr.  di  pagg.  41  dal  XXVII  voi.  della  Zeitschr.  f.  Roman  Philolog.), 
dove  si  riferisce  ciò  che  del  certaldese  narrarono  Filippo  Villani,  Domenico 
Bandini,  Siccone  Polentone  e  Giannozzo  Manelti,  riproducendo  criticamente 
i  loro  scritti.  Sbrogliato  il  viluppo  intricato  delle  Vile  villaniane,  e  riconosciuto 
che  Filippo  lasciò  del  suo  libro,  e  per  conseguenza  della  biografia  del  Boccac- 
cio, due  saccessive  redazioni,  si  nolano  le  relazioni  dei  biografi  successivi 
col  Villani:  alla  cui  narrazione,  togliendo  la  materia  in  parte  dalla  prima,  la 
parte  dalla  seconda  forma,  Domenico  Bandini  aggiunse  soltanto  quel  che  ri- 
guarda il  greco  Leonzio,  mentre  il  Manelti  ricamò  sul  canavaccio  di'messer 
Filippo,  poco  pili  che  parole  e  ragionamenti  aggiungendo  del'  proprio.  Il 
Polentone  per  contrario  ignorò  il  Villani,  e  attinse  le  notizie  della  sua  bio-' 
grafia,  poco  importante  del  resto,  da  informazioni  di  un  amico  dimorante  a 
Firenze.  Con  questo»' studio  del  sig.  M.  è  sgombralo  e  assodato  il  terreno,  e 
vi  si  potrà  pili  saldamente  edificare  la  biografia  dell'autore  del  Decameron. 

.'.  Il  prof.  E  Teza  riferisce  e  confronta  alcuni  Esempi  di  Elinando  nello 
Specchio  del  Passavanti  {Pàdova,  Laudi,  di  pagg.  17  in  16.°),  fermandosi  e 
quello  di  Griuffredi  e  Beatrice,  trasformalo  dal  Boccaccio  nell'  altro,  di  ben 
altra  finale  moralità,  su  Nastagio  degli  Onesti  nella  Pineta  di  Ravenna;  indi 
riporta  altra  leggenda  spirituale  da  Cesario  d'  Heisterbach,  quella  dello  "  sco- 
'  lajo  parigino  ,  mettendovi  a  riscontro  le  versioni  del  Passavanti  slesso  e 
del  Cavalca.  Ragguagliando  fra  loro  gli  originali  nella  loro  semplice  latinità 
colle  versioni,  per  notar  argutamente  colla  dotta  scorta  del  Teza,  le  differenze 
e  i  pregj  degli  uni  e  delle  altre,  concluderemo  volentieri  con  lui:  *  Come  è 
'  bella,  nella  sua  giovinezza,  la  lingua  dei  nostri  vecchi!  ,. 


294  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

.•.  Saggio  di  pili  ampio  lavoro  è  quello  pubblicato  dal  prof.  U.  Bellio  su 
Le  cognizioni  geografiche  di  Giov.  FiWa«»  (Pavia,  Bizzoni,  di  pagg.  113  in  16.»). 
Questa  prima  parte  è  intanto  un  accurato  Indice  alfabetico  di  tutti  i  paesi 
e  citlà,  di  che  si  trova  menzione  nella  Cronaca,  aggiungendovi  il  corrispon- 
dente moderno.  Utilissimo  è  questo  lavoro  paziente,  che  fa  vedere  quanto 
vasto  era  l'ambilo  storico  al  quale  drizzava  l'occhio  e  l'osservazione  sua 
il  vecchio  cronista,  e  insieme  "  l'esattezza  e  in  alcuni  casi  la  prontezza  delle 
informazioni  ,.  Ma  la  seconda  parte,  che  l'a.  ci  promette  fra  breve,  farà  me- 
glio vedere  quale  e  quanto  ampio  tesoro  di  notizie  possedesse  il  Villani  ri- 
spetto a  geografìa,  e  sarà  utile  preparazione  a  quella  nuova  stampa  della 
Cronaca,  che  è  un  desiderio  di  tutti  gli  studiosi. 

.'.  Il  nostro  collaboratore  G.  Manacorda,  ha  pubblicato  nel  periodico  Gli 
sludi  storici  una  Memoria  intorno  ad  Una  causa  commerciale  davanti  all'uf- 
fici» di  Gazeria  in  Genova  nella  seconda  metà  del  sec.  XIV,  interessante  as- 
sai per  la  storia  economica  e  la  politica  conmierciale  delle  nostre  antiche 
repubbliche.  La  causa  era  fra  mercanti  fiorentini  e  noleggiatori  genovesi,  e 
fu  vinta  da  questi  ultimi,  che  antica  fama  afferma  saperla  pili  lunga  degli 
altri:  quel  che  a  noi  importa  far  notare  è  che  al  piato,  tenutosi  nel  1375 
innanzi  il  tribunale  di  Gazeria,  prese  parte  il  cronista  Filippo  Villani,  come 
rappresentante  dell'Arte  di  Galimala,  e  che  di  lui  si  pubblicano  fra  i  Docu- 
menti ben  undici  lettere  volgari. 

.•.  Tra  lacchi  e  spade  s'intitola  una  Conferenza  del  sig.  D.  Camici,  bene 
illustrata  dal  prof.  D.  Mattani  (Firenze,  Landi,  di  pagg.  71  in  16.»),  nella 
quale  con  vivacità  si  rappresenta  la  vita  del  popolo  di  Pistoja  nelle  .sue 
vicende,  specialmente  dall'aspetto  sociale,  nel  tempo  della  libertà  del  Comune, 
e  con  verità  si  mostra  come  sieno  antichi  certi  istituti,  che  ora,  in  diversa 
forma,  risorgono  e  portano  vallilo  sussidio  ai  concetti  prevalenti  di  demo- 
crazia. Alcuni  Ravvicinamenti  ed  alcuni  giudizj  potrebber  esser  contestati, 
ma  tutta  la  Conferenza  si  legge,  come  sarà  stata  certamente  ascoltata,  con 
interesse,  non  solo  per  la  forma,  ma  per  l'amore  del  ben  pubblico  e  della 
giustizia  universale,  che  ispira  l'autore. 

.•.  Ottimo  contributo  Per  la  storia  del  Dramma  sacro  in  Italia  è  quello 
offertoci  dal  dott.  M.  Vattasso,  scrittore  della  Biblioteca  vaticana  (Roma, 
lipogr.  vatic,  di  pagg.  129  in  16.°),  in  aggiunta  a  ciò  che  ne  diede  nel  1901 
»egli  Aneddoti  in  dialetto  romanesco.  Il  volume  comprende  quattro  lavori: 
1."  Nuovi  aneddoti  drammatici  in  dialetto  romanesco,  di  sur  un  cod.  Vatic. 
T-  Regina,  della  prima  metà  del  sec.  XV,  contenente  frammenti  di  diverse 
laudi  drammatiche,  e  per  intero  una  rappresentazione  sacra  :  la  Leggenda  di 
S.  Lucia,  nel  metro  antico  della  ballata  maggiore.  Nei  frammenti  è  notevole 
ciò  che  in  èssi  ancor  rimane  della  primitiva  forma  umbra,  né  solo  nello 
schema  metrico  della  sestina  ottonaria,  ma  anche  talvolta  nella  forma  idio- 
matica. Dàllo'Mudio  di  ciò  che  resta  del  dramma  della  Passione,  l'A.  deduce 
a  ragione  che  il  testo  della  compagnia  del  Gonfalone  rimaneggiato  dal  Dati 
verso  il  1500  e  da  un  anonimo  nel  1531  esisteva  già  in  dialetto  romanesco 
fin  dalla  prima  metà  del  sec.  XV.  —  11  secondo  saggio  tratta  de  Le  rappre- 
tentazioni  sacre  al  Colosseo  nei  sec.  XV  e  XVI,  coll'ajuto  di  documenti  tolti 
dall'Archivio  della  Confraternita  del  Gonfalone,  ritraendo  da  quelli  i  drammi 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  295 

eseguiU  nel  Colosseo  fino  al  1487,  mentre  finora  il'  termine  0  quo  non  si 
poteva  fissare  se  non  in  età  più  innoltrata.  A  stabilire  questo  fatto  per 
ripetute  prove  giovano  i  libri  della  Compagnia,  indicanti  le  spese  occorse 
per  siffatti  sacri  ludi.  L'À.  li  accompagna  per  lunga  serie  di  auni,  fino  al 
1562,  che  fu  1'  ultimo  nel  quale  si  abbia  di  essi  memoria.  —  Il  terzo  saggio  ri- 
produce per  intero  alcuni  Antichi  inventarj  di  vesti  e  di  attrezzi  Usati  nelle 
Rappresentazioni  della  compagnia  del  Gonfalone;  e  l'ultimo  ci  presenta  il 
dramma  sulla  conversione  di  S.  Paolo,  rimaneggiato  da  fra  Pietro  d'Antonio 
da  Lucignano.  Esso  appartiene  al  1460,  ma  nella  sua  ossatura  è  pili  antico, 
anzi  lascia  modo  di  scorgere  ciò  che  è  anteriore  e  ciò  che  vi  è  di  uu»- 
vo,  dacché  si  compone  di  due  forme  metriche,  sestina  e  ottave:  e  queste 
ultime,  opera  di  fra  Antonio,  sono  interpolazioni  e  rinfarcimenti,  che /non  al- 
tercano la  sostanza  del  dramma,  anzi,  tolti  che  sieno,  lo  spettacolo  procede 
da  per  se,  più  spedito.  Ma  questo  dramma  conferma  l' ipotesi  che  nel  seno 
delle  Compagnie  si  rimaneggiassero  più  volte  le  forme  anteriori,  come  an- 
che .sì  vede  in  quello  della  Passione,  dato  nel  Colosseo,  che  fu  più  volte  ri- 
fatto, e  che  ancora  ai  di  nostri,  è  il  fondamento  dello  spettacolo  dato  a  Sor- 
devolo  nel  biellese.  —  Tutti  questi  studj  del  dott.  Vattasso  mostrano  acume 
di  osservazione  e  bontà  di  criterio;  e  ci  sono  augurio  che  molto  ancora  pos- 
siamo aspettarci  da  lui,  che,  addetto  alla  Vaticana,  può  dirsi  presso  alla 
'  fonte  dell'  oro  „. 

.'.  Pochi  assai  conoscono  che  sul  finire  del  400,  Plutarco  ebbe  un  traejlut- 
tore  dopo  l'anonimo  trecentista,  che  volgarizzò  1' opera  dal  catalano,  e  prima 
assai  dell'Adriani,  la  cui  versione  restò  lungo  tempo  ignota,  e  prima  ancor 
più  del  Pompei,  rimasto  ormai  padrone  del  campo.  Il  prof.  E.  Teza  richiama 
alla  conoscenza  degli  studiosi  un  dimenticato  scrittore  umbro  nella  sua  me- 
moria Plutarco  nella  traduzione  italiana  di  B.  A.  Jaconello  (Venezia,  Ferrari, 
di  pagg.  17  in  16.»),  e  il  discorrerne  gli  da  adito  a  confronti  curiosi  ed  utili. 
Sebbene  questa  traduzione  avesse  parecchie  ristampe,  l'opera  fu  obliata 
né  venne  tenuta  in  pregio,  e  a  ragione,  perché  lo  J.,  come  giudica  rettamente  i{ 
Teza,  "  scrive  con  isforzo  ,  ed  ha  stile  troppo  "  rozzo  e  slombato  ,.  Ma  ora- 
messo  affatto  nelle  più  recenti  storie  letterarie,  non  era  immeritevole  che 
alcuno  ne  dicesse,  per  riconoscenza  almeno,  qualche  parola,  pur  assegnando- 
gli il  posto  non  cospicuo  che  gli  spetta  nei  nostri  annali  di  letteratura. 

.*.  Il  voi.  IX  della  serie  2.*  della  Miscellanea-di  Storia  Veneta  a  cura  della 
R\  Deputazione  di  Storia  patria  contiene,  fra  altre  cose,  un  interessante  Iti- 
nerario di  Germania  dell'  anno  ii52  a  cura  di  E.  Simoi^sfeld.  Ne  è  autore  un 
Antonio  de' Franceschi  coadiutore  del  segretario  dell'ambasciata,  che  in  co- 
test' anno  la  Repubblica  di  Venezia  mandò  all'imperatore  Federigo  III  per 
congratularsi  della  pace  da  lui  conchiusa.  È  un  diario  assai  minuto,  sebbene 
scritto  spesso  colla  massima  concisione,  e  che,  come  avverte  l'editore,  non 
è  da  confondersi  colle  celebri  Relazioni  venete;  ma  in  questi  frettolosi  ri- 
cordi di  viaggio  si  trovano  notizie  sui  paesi,  sul  costume,  sul  modo  di|<  viag- 
giare, su  quello  di  abitare,  sui  convili,  sulla  vita  insomma  del  tempo,  di 
molta  curiosità  e  spesso  anche  importanti.  II  dotto  editore  vi  ha  posto  op- 
portune annotazioni,  specialmente  per  identificare  i  nomi  dei  luoghi  ricordati 
dal  viaggiatore. 


296  RASSEGNA   BIBLIOQRAPICA 

.•.  Nella  Memoria  Roma  a  Venezia  :  Satira  latina  del  seei  XV  contro  il 
Gattamdata  per  il  monumento  del  Donatello  in  Padova  (estr.  dagli  Atti  della 
Accademia  di  Padova,  Randi,  di  pagg.  9  in  16.°)  il  prof.  A.  Medin,  che  ci  an- 
nunzia una  sua  Storia  della  Repubblica  in  Venezia  nella  poesia  —  e  sia  la 
benvenuta  —  pubblica  codesto  documento,  finora  nolo  soltanto  in  parte,  e 
rafferma  l'opinione  del  Tiraboschi,  che  non  sia  scrittura  del  celebre  umani- 
sta Basinio  Basini.  E  chi  sia  il  vero  autore  di  questo  componimento  in  vitu- 
perio dell'illustre  condottiero  dei  veneziani,  fingendosi  che  Roma  rimproveri 
a  Venezia  l'onoranza  a  lui  concessa,  non  resulta  chiaro,  sembrando  però 
plausibile'  l' ipotesi  del  Medin,  che  debba  esser  uscito  dalla  penna  di  un  poeta 
sconosciuto  di  parte  sforzesca. 

.*.  Assidua  e  piena  preparazione  a  una  stampa  critica  del  Liber  Seere- 
torum  fidelium  Crucis,  già  edito  dal  Bongars,  attesta  lo  studio  del  sig.  Ar- 
turo Magnocavallo  su  Marin  Sanado  il  vecchio  e  il  suo  progetto  di  cro- 
ciata (Bergamo,  Arti  Grafiche,  di  pagg.  155  in  16.»);  L' A.  con  molta  cura 
raccoglie  le  notizie  sulla  vita  e  le  peregrinazioni  del  vecchio  Sanudo,  illustra 
le  vicende  dei  tempi  ond'ebbe  impulso  ai  suoi  disegni  di  crociata,  espone  i 
mezzi  da  lui  proposti  per  metterla  ad  effetto,  e  li  mette  a  confronto  con  gli 
altri  disegni  di  contemporanei,  mostrando  in  lui  il  buon  veneziano,  che  vuole 
non  soltanto  distruggere  gli  infedeli,  ma  giovare  alla  grandezza  e  prosperità 
della  repubblica  e  all'ampliamento  dei  suoi  comrnercj  coli' Oriente.  Dopo 
aver  pertanto  trattato  con  tanta  copia  di  ragguagli  e  con  buon  criterio  sto- 
rico, dell'illustre  veneziano  e  dei  suoi  progetti,  l'A.  parlerà  di  lui  anche  come 
geografo  e  cartografo  :  ma  quello  che  più  desideriamo  e  attendiamo  da  lui 
è  la  promessa  nuova  edizione  dell'opera  del  Sanudo,  arricchita  di  quelle 
carte  in  parte  inedite  e  preziosissime,  che  si  conservano  nella  Vaticana,  a 
Londra  e  a  Bruxelles,  e  che  ci  daranno  una  pubblicazione  utilissima  alla 
storia  civile,  religiosa  e  commerciale.  —  In  altro  più  recente  scritto  inserito 
nel  Nuovo  Archivio  Veneto,  lo  stesso  M.  informa  di  altri  codd.  dell' opera  di 
Marino. 

.'.  Il  sig.  A.  Segarizzi  ha  pubblicato  (Udine,  Del  Bianco,  di  pagg.  13  in 
16.")  un  poemetto  dell'umanista  mantovano  Francesco  Bosco,  intitolato  De 
civitate  Austria,  che  sulla  scorta  di  Paolo  Diacono,  ma  con  rentiiniscenze 
vergiliane  e  non  senza  vigor  di  poesia,  Aarra  i  casi  principali  della  storia 
di  Cividal  del  Friuli. 

.'.  Di  Francesco  liberti,  umanista  cesenate  de' tempi  di  Malatesta  Novello 
e  di  Cesare  Borgia  (Bologna,  Zanichelli,  1903,  pp.  1-262)  ha  preso  a  trattare  il 
prof.  L.  Piccioni,  ma  bisogna  convenirne  con  franchezza,  che  i  sei  capitoli,  nei 
quali  l'A.  ha  ripartito  il  suo  lavoro,  non  svolgono  veramente  quanto  il  titolo 
dello  studio  farebbe  credere,  perché  in  essi  più  che  l'Umanista  in  sé  e  per  sé 
vien  considerato  l'ambiente  in  cui  questi  crebbe  e  si  formò.  Cosi  dopo  l'in- 
troduzione, in  cui  si  descrivon  con  diligenza  i  cinque  codici,  del  lutto  inediti, 
contenenti  cose  dell' Uberti,  l'A.  intitola  il  primo  capitolo:  *  I  primi  anni  e 
"  i  primi  sludj  ,:  ma  degli  uni  e  degli  altri  però  non  dice  molto.  Egli  rivolge 
più  volentieri  le  sue  indagini  sulla  corte  letteraria  di  Novello  Malatesta,  e 
mosti'a  che  in  realtà  se  il  signore  cesenate  non  esercitò  un  vero  e  proprio 
mecenatismo,  come  il  fratello  Sigismondo,  nutrì,  secondo  l' uso  de'  tempi,  una 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  297 

certa  predilezione  per  le  lettere  e  per  le  arti.  Nel  terzo  continua  a  parlar 
de' torbidi  civili  di  Cesena,  e  vi  si  indugia  un  po' troppo  in  confronto  alla 
piccola  parte,  sostenuta  dall'Uberti  in  tali  vicende.  Il  quarto  capitolo  è  però 
più  denso:  l' liberti  vien  studiato  come  uomo  politico,  come  partigiano  cioè 
del  Valentino  e  della  dominazione  borgiana.  Il  penultimo  infine,  riserbato  alla 
vita  particolare  dell'umanista,  riesce  invero  un  po' scarso;  e  l'ultimo  studia 

*  l'uomo  e  il  poeta  ,.  Sotto  il  primo  aspetto  l' liberti  non  si  distingue  troppo 
dagli  altri  umanisti;  sotto  il  secondo  ha  invece  qualche  merito  per  certa  fa- 
cilità  di  vena  poetica.  A  questo  proposito  avremmo  voluto  che  il  P.  avesse 
pubblicato  in  Appendice  alcuni  tra  i  più  bei  carmi  dell' liberti,  per  dar  prova 
di  queir  "  amor  dell'arte  e  della  gloria  ,  (p.  68),  ch'ei  riconosce  al  suo  Autore. 
Nel  complesso  il  presente  lavoro  se  lascia  troppo  spesso  dileguare  la  figura 
dell'autore  prescelto,  possiede  però  il  merito  indubbio  di  contribuire  con  altri 
.scritti  dell'autore  a  porre  in  luce  la  parte  non  piccola  che  prese  Cesena  alle 
vicende  politiche  e  letterarie  del  nostro  paese  e  sopratutto  alla  cultnra  u- 
manista;  e  costituisce  per  ciò  un  utile  capitolo  di  storia  del  Rinascimento. 

.•.  L'erudito  ricercatore  di  cose  storiche  rairandolesi,  il  sac.  F.  Gkrktti,  ha 
pubblicata,  tradotta  in  italiano,  una  Lettera  sulla  Geografia  di  C.  Tolomeo  del 
e.  G.  F.  Pico  della  Mirandola  (Mirandola,  Grilli,  di  pagg.  21  in  16.")  diretta 
nel  1508  a  Giacomo  Essler,  nella  quale  si  accenna  alla  circumnavigazione 
dell' Affrica  e  alla  recenti  scoperte  geografiche:  scrittura  finora  ignota,  e  da 
aggiungersi  alla  bibliografia  del  dotto   principe. 

.'.  In  occasione  di  nozze  il  prof.  Arnaldo  Foresti  ha  raccolto  in  un  e- 
legante  opuscolo  le  Rime  di  Lucia  Albani  (Bergamo,  Istituto  d'arti  grafiche, 
pp.  84  in  8.»),  poetessa  bergamasca  della  seconda  metà  del  cinquecento  In 
un  discorso  proemiale  ha  raccolto  le  testimonianze  che  si  hanno  della  sua 
vita,  i  giudizj  che  intorno  a  lei  diedero  i  contemporanei,  fra  cui  il  Tasso  che 
la  lodò  in  un  sonetto,  e  le  notizie  bibliografiche  intorno  alle  stampe  e  ai 
manoscritti  che  conservano  1'  opera  poetica  dell'  Albani.  La  quale  non  è  in- 
vero molto  abbondante  e  consiste  solo  in  trentun  sonetti,  composti,  come  si 
legge  nel  frontispizio  della  vecchia  stampa  *  quando  era  dongella  in  età  de 

*  anni  quindeci  in  sedici  ,.  Il  leggiadro  canzoniere,  scrive  il  Foresti,  pur  sotto 
il  riflesso  dello  stile  petrarchesco,  rivela  nel  tono  e  nel  colore,  una  sincerità 
d'affetto  e  di  sentimento,  un'impronta  di  femminilità  co' suoi  abbandoni,  con 
le  sue  grazie,  co' suoi  dispettosi  sdegni,  con  le  sue  mortali  angoscje,  quale 
raramente  si  trova  tra  le  numerose  rimatrici  del  tempo.  Se  anche  possa 
parere  soverchia  questa  lode,  non  si  può  negare  che,  considerata  l' età  in 
cui  la  rimatrice  scrisse,  i  suoi  sonetti  meritavano  d'esser  ricordati,  e  però 
bene  ha  fatto  il  Foresti  rinfrescandone  la  memoria. 

.*.  Una  accurata  memoria  del  dott.  Ett.  Pulejo  raccoglie  notizie  sa  la 
vita  e  le  opere  di  Un  umanista  siciliano  della  prima  metà  del  see.  XVI: 
Claudio  Mario  Aretio  (Arcireale,  tip.  dell'Etna,  di  pagg.  62  in  16.»).  Della 
vita  di  lui  poco  si  sa  di  preciso,  essendo  ignoto  quando  nacque  e  quando  morf, 
ma  può  dirsi  che  fiorisse  nel  bel  mezzo  del  Cinquecento  ;  di  nobil  prosapia, 
segui  le  fortune  dì  Carlo  V,  e  gli  fu  appresso  in  Spagna,  in  Italia,  in  Ger- 
mania. Scrisse  versi  e  prose  latine,. alcune  di  quest'ultime  notevoli,  per  esser 
descrizioni  topografiche  della  Spagna  e  della  Sicilia;  altre  scritture  pur  banuo 


RASSEGNA    RIBLIOORAFIGA 

pregio  dal  trattare  dei  fatti  del  tempo:  le  rivalità  di  Carlo  V  e  di  Francesco  I, 
il  sacco  di  Roma  ecc.  Si  afcorse  però  che  il  latino  era  ormai  lingua  morta, 
e  si  penti  di  averla  usata  nelle  scritture,  ma  anzi  che  volgersi  al  culto  della 
forma  toscana,  ormai  divenuta  idioma  comune,  credè  di  poter  sollevare  con 
precetti  ed  esempj  il  suo  parlare  isolano  a  dignità  di  lingua,  e  imitando  ma 
contraddicendo  il  Bembo,  compose  a  tal  fine  le  Osservantii  di  la  lingua  si- 
ciliana, colle  quali  volle  fissare  i  canoni  lette rarj  del  nativo  vernacolo. 
L'esame  accurato  che  l'A.  ci  dà  di  quest'opera,  mostra  come  un  assunto 
per  sé  stesso  infelice  e  condannato  a'  fallire  lo  scopo,  fosse  trattato  con  fal- 
laci criterj  e  con  arbitrj  di  gusto  personale.  Ad  ogni  modo,  e  senz'essere 
quel  capolavoro,  che  alcuni  mal  avvisati  panegeristi  affermano,  questo  lavoro 
dell'Arezzo  ha  importanza  storica,  anche  come  "  documento  della  tendenza 
"  regionalista,  che  nei  tempi  passati  diede  sempre  l'impronta  agli  studj  del- 

*  l'isola,.  Il  lavoro  del  dott.  P.  condotto  con  molta  cura  e  molta  larghezza 
di  criterj  si  chiude  con  una  buona  bibliografìa  degli  scritti  del  vecchio 
umanista. 

p  .•.  Diligente  studio  è  quello  del  sig.  M.  Catalanosu  La  venuta  dei  Normanni 
in  Sicilia  nella  poesia  e  nella  leggenda  (Catania,  Monaco  e  Molcina,  di  pagg. 
104  in  16.°),  ma  l'enumerazione  che  l'A.  fa  di  monumenti  letterari  ^  popo- 
lari eu  cotesto  argomento  dai  tempi  pili  antichi  ai  nostri,  è  più  curiosa  ch« 
atile.  L'a.  stesso  lo  riconosce    con  queste  parole  di  conclusione:  "  La  tra- 

*  dizione  poetica   e   quella    popolare  del    ciclo  siculo-normanno    si    svolsero 

*  parallelamente  per  il  corso  di  otto  secoli  senza  confondere  mai  le  loro 
,*  acque:  la  prima,  fredda  cronaca    versificata  nel   rr>edio  evo,  esercitazione 

*  retorica  dopo  il  cinquecento,   non   attinse  mai  alle   sorgenti   fresche  della 

*  tradizione  popolare,  mentre  questa,  a  stento  comparente  nella  vasta  élabo- 
^irazione  leggendaria  dell'età  di  mezzo,  stagnata  poi  in  tradizioni  locali  re- 

*  ligiose,  non  potè  mai  svolgersi  e  manifestarsi  rigogliosamente  ,.  E  cosi  è 
veramente:  e  nell' A.  lodiamo  anche  l'imparzialità  colla  quale  per  amor  del 
vero  •rinunzia,  pur  serbando  vivo  il  culto  patrio,  a  vanti  e  borie  infondate, 
anche  se  le  avvalorino  voci  di  illustri  stranieri.  Ond'è  che  egli  non  accetta, 
e  a  parer  nostro  fa  bene,  l'ipotesi  di  Gaston  Paris  sull'esistenza  di  un'e- 
popea normanno-siciliana  delle  gesta  di  Ruggero  e  dei  suoi,  che  veramente 
non  può  essere  se  non  probabile,  ma  di  una  probabilità  molto  incerta.  All'a. 
frivtanto,  che  ci  sembra  giovane  e  volenteroso,  auguriamo  di  trattare  con  lo 
Btesso  studio  e  la  stessa  cura,  un  argomento  più  fecondo  di  utili  resultati. 

.•.  Abbiamo  già  altra  volta  ricordato  {Rassegna,  IX,  243)  la  prima  parte 
di  una  monografìa  di  L.  De  Bknedigtis  sul  cinquecentista  Bernardino  To- 
mitano.  Ora  ad  essa,  che  conteneva  la  vita,  si  aggiunge  la  seconda  che  esa- 
mina le  opere  (Padova,  Prosperini,  di  pagg.  123  in  16.*).  L'a.  dopo  aver 
accennato  alle  scritture  di  filosofìa  e  di  medicina,  più  a  lungo  si  intrattiene 
Blille  poesie  e  sulle  scritture  letterarie  e  storiche.  Come  poeta  volgare,  il 
Tomitano  fu  pedissequo  seguace  del  Petrarca  e  del  Bembo;  migliore  assai 
ootcìe  poeta  latino,  si'  da  esser  qualificato  "  l'ultimo  bucolico  latino  ,:  degno 
di  lode  per  siffatti  componimenti,  non  privi,  nella  stessa  imitazione,  di  qualche 
originalità.  Nelle  orazioni  e  nei  trattati  didattici,  egli  è  quanto  a  stile  e  a 
lingua,  un  seguace  del  Bembo  e  dello  Speroni;  ma  i  quattro  libri  della  lingua 


DELLA  LETTERATURA  ITALIANA  299 

toscana,  poco  hanno  di  notevole,  e  nell'imparzialità  sua,  l'a.  li  definisce 
•  uno  zibaldone  inorganico  ,.  Maggior  lode  avrebbe  accompagnato  il  suo 
nome  per  un  trattato  epistolare  sui  costumi  dicevoli  a  un  gentiluomo,  che 
precede  quelli  del  Casa  e  dei  Castiglione,  se  questo  scritto  non  fosse  stato 
plagiato  dal  Sansovino  e  da  Paolo  Manuzio,  «he  attirarono  a  sé  il  merito 
dovuto  al  Tomitano.  Un'opera  del  quale,  ancora  inedita  nel  suo  complesso, 
e  che  sarebbe  desiderabile  venisse  a  luce,  è  la  Vita  di  Astorre  Bagli^M, 
che  si  accompagna  bene  con  tante  altre  di  capitani  e  politici  del  Cinque- 
cento, dove  i  particolari  biografici  si  accoppiano  con  la  narrazione  di  grandi 
arveaimenti  di  guerra  e  di  Stato,  come  quelle  .dei  Nardi,  del  Sasselli,  del 
Grisellini,  del  Mellini,  del  Baldi  ecc.  Il  Tomitano  pertanto  è  uno  degli  scrit- 
tori minor  gentium  del  secolo  XVI;  ma  non  era  inutile  rinfrescare  la  H>e- 
moria  della  sua  vita  e  delle  sue  opere,  come  ha  fatto  il  De  B.  con  niolta 
diligenza,  molta  chiarezza  e  con  schietta  imparzialità. 

.'.  Delie  fonti  della  Nautica  di  Bernardino  Baldi  già  si  era  occupato  in  un 
suo  lavoro  speciale  il  prof.  6.  Zaccagnini  {Gior.sior.  lett.  ital.  XI,  466);  ma 
il  prof.  P.  Provasi  ha  trovato  ancora,  e  abbondantemente,  da  spigolare  ia 
questo  campo,  e  ci  ha  dato  un  nuovo  Contributo  allo  studio  della  N.  (Fermo, 
Montanari,  di  pagg.  23  in  16.°),  compiendo  con  utili  paralleli  di  scrittori  più 
recenti,  le  indagini  che  il  suo  predessore  aveva  condotto  più  particolarmente 
sagli  autori  classici. 

.'.  Al  prof.  U.  Fresco,  che  già  trattò  ampiamente  delle  Commedie  di  Pie- 
tro Aretino,  dobbiamo  due  opuscoli  sul  teatro  del  Cinquecento:  l'uno:  La 
fortuna  dei  Menecmi  di  Plauto  nel  sec.  XVI  (Camerino,  Savini,  di  pagg.  14 
in  16."):  l'altro:  Una  tradizione  novellistica  nelle  Commedie  del  nee.  XVI 
(ibid.,  di  pag.  25  in  16.»).  Il  primo  vuol  dimostrare,  collo  studio  di  un  soggetto 
antico  ripetutamente  trattato  dalia  drammatica  del  rinascimento,  che  Timi- 
tazione  non  fu  mai  servile,  unendosi  ad  essa  motivi  comici  nuovi  o  tradi- 
zionali, che  arricchivano  e  talora  intricavano  il  semplice  intreccio  latino: 
il  secondo,  esaminando  la  varia  fortuna  del  personaggio  del  senex  latino  ne  fa 
vedere  i  nuovi  aspetti  e  le  caratteristiche  nuove,  specialmente  desunte -dal 
Boccaccio  e  da  altri  novellatori.  Il  fatto  è  che  veramente  l'imitazione  noà 
fo  mai  pedissequa  e  i  vecchi  personaggi  assunsero  fogge  e  fisonoraie  nuove, 
dedotte  e  dalla  novella  e  dal  costume  corrente.  L'A.  ha  cosi  toccato  alcuni 
punti  della  controversia  sul  limite  della  riproduzione  comica  dall' antico; 
Tallargare  questa  ricerca,  gioverebbe  alla  storia  del  dramma,  e  it  non  re- 
stringersi a  brevi  pubblicazioni  sarebbe  anche  a  vantaggio  della  perspicuità 
cosi  dell'insieme  come  dei  particolari. 

.'.  Annunziamo  con  piacere  la  pubblicazione  di  un  nuovo  volume  delia 
Gollezione  di  opere  inedite  o  rare  della  R.  Commissione  de'testi  di  lingua,  cioè 
il  secondo  delle  Opere  di  G.  V.  Soderini,  che  contiene  il  Trattato  della  citi- 
tura  degli  orti  e  giardini,  a  cura  di  A.  Bacchi  Della  Lega  (Bologna,  Dal- 
l'Acqua, di  pag.  Xll-423,  in  16.»).  Con  ciò  abbiamo,  ridotto  a  buona  lezione 
sull'autografo,  uno  dei  più  dilettevoli  libri  del  nostro  cinquecento,  e  di  pu- 
rissimo dettato.  Utile  è  1'  aggiunta,  ripetuta  dall'  edizione  del  Sarchiani,  di  un 
todice  delle  piante  descritte  dal  Soderini,  secondo  la  sua  denomi Dazione,  ìt 
corrispondente  latino  e  greco  e  la  nomenclatura  botanica. 


000  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

.'.  Il  nostro  amico  e  collaboratore  E.Picot  ha  pubblicato  un  primo  saggio 
di  Chants  historiques  frangais  du  XVI  siede,  che  contiene  i  componimenti 
spettanti  al  regno  di  Luigi  XII  e  di  Francesco  X  (Paris,  Colin,  di  pagg.  164 
in  16.°).  Il  lavoro  è  fatto  colla  dottrina  storica  e  la  diligenza  bibliografica 
proprie  al  Picot.  Noi  ne  facciamo  menzione,  perché  una  notevoi  parte  di 
queste  Canzoni  ricorda  fatti  avvenuti  in  Italia;  p.  es.  la  battaglia  di  Mari- 
gnano,  quella  di.  Pavia,  la  presa. di  Roma  e  la  morte  di  Borbone,  la  morte 
del  cav.  Bajardo  ecc.  Ugual  ricchezza  di  componimenti  poetici,  pivi  o  m^n 
popolari,  avrebbe  l' Italia  per  cotesto  stesso  periodo,  e  si  dovrebbero  ormai 
raccogliere  e  metter  iq  luce,  come  segni  del  sentimento  politico  del  tempo. 
.'.  ,Una  dotta  memoria  di  B.  Croce  illustra  Un  Canzoniere  d'amore  per 
Costanza  d'Avalos  duchessa  di  FrancaviUa  (Napoli,  tipogr.  Universit.,  di  pagg. 
30  in  4°).  Anidre  del  Canzoniere  è  Enea  Irpino  da  Parma,  noto  finora  per 
un  sonetto  soltanto  sui  poeti  dell'età  sua  —  il  principio  cioè  del  sec. XVI  —  nel 
quale  sono  tuttavia  da  identificarsi  due  rimatori,  un  lucchese  ed  un  esimano. 
La  maggior  parte  del  Canzoniere  è  in  lode  di  una  illustre  signora,  che  fu 
variamente  affermato  chi  fosse  veramente,  ed  ora  dal  Croce  è  indubbiamen- 
te additata  nella  celebre  Costanza  d' Avalos.  Di  essa  è  notissima  la  difesa 
d' Ischia  nel  1503  contro  le  galee  francesi,  e  si  sa  che  fu  colta  donna,  amica 
e  protettrice  di  letterati  e  poeti.  Più  che  per  le  rime  amatorie,  forse  det-^ 
tate  da  ossequio  cortigiano  anzi  che  da  vera  passione,  e  che  sono  di  imitazione 
petrarchesca  un  po' rozza,  il  canzoniere  dell' Irpino  è  da  aver  in  pregio  per  i 
molti  accenni  a  fatti  e  personaggi  del  tempo,  e  specialmente  a  donne  di  quel- 
l'età, di  alto  lignaggio  e  di  signoril  costume.  Fra  le  altre  notizie  che  se  ne 
desumono  vi  è  quella  di  un  ritratto  di  Costanza  fatto  da  Leonardo  da  Vinci, 
che  la  effigiò  forse  fra  il  1513  e  il  '15,  in  età  già  matura,  e  abito  vedovile, 
"  sotto  un  bel  negro  velo  ,  :  indicazioni  che,  sebbene  un  po'  vaghe,  potranno 
servire  a  identificare  questa  finora  ignota  opera  vinciana.  Tutta  la  memoria 
è  condotta  con  quella  cura  che  è  propria  ad  ogni  scritto  dell' A. 

/.  La  pubblicazione  del  dott.  S.  Stkvanin,  Ricerche  e  Appunti  sulle  opere 
di  A.  F.  Doni  con  Appendice  di  Spigolature  autobiografiche  (Firenze,  Lastrucci, 
di  pagg.  134  in  16.')  non  dà  pili  di  quello  che  promette  il  titolo.  Essa,  è 
parte  di  un  più  ampio  lavoro,  presentato  come  lesi  di  laurea,  su  questo  biz- 
zarro autore.  La  materia  è  ben  ordinata,  il  giudizio  generale  sull'instan- 
cabile poligrafo  è  giusto,  ma  veramente  quanto  a  biografia  e  bibliografia, 
poco  0  punto  si  aggiunge  a  quello  che  aveva  esposto  il  compianto  Bongi. 
Quantunque  il  volume  porti  la  data  di  quest'anno,  non  ci  pare  che  siano 
citate  e  adoperate  in  esso  né  la  Vita  dell'infame  Aretino  edita  dall' Arlia 
nel  igpi  (v.  Rassegna,  IX,  133)  né  altri  scritti  dell'Arila  stesso  sul  Doni,  e 
neppure  le  Lettere  scelle  dal  Petraglione,  che  sono  del  1902  {Rassegna,  X, 
292).  Per  ora  questo  nuovo  studio  sul  Doni  ci  si  presenta  in  condizione 
framrpentaria  e  in  forma  un  po' sconnessa,  forse  perché,  come  annunzia  l'a., 
dalla  sua  Tesi  ha  trascelto  solo  alcuni  capitoli. 
i--  .'.  Proseguendo  le  indagini  già  imprese  e  condotte  con  costanza  feconda 
nudi  buoni  resultati,  il  prof.  A.  Solerti  tratta  in  un  articolo  della  Rivista  mu- 
Ij  sicaìe  italiana  (voi.  X,  fase.  3.),  i  Precedenti  del  Melodramma  (eslr.  di  pagg.  47 
in  16.»)  accompagnando  questo  genere  dalle  prime  e  timide  sue  manifesta- 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  301 

zloni  fino  al  suo  compiuto  svolgimento.  Nel  suo  riassunto  l'A.  tratta  della 
musica  nei  varj  generi  drammatici  fino  alla  metà  del  sec.  XV,  dei  Ganti  car- 
nescialeschi  e  dei  Trionfi  fino  alle  mascherate  e  cocchiate,  della  favola  pa- 
storale nella  seconda  metà  del  sec.  XVI,  degli  intermedj  fino  alla  fine  di  esso 
secolo,  delle  Veglie  e  Balletti,  della  Commedia  dell'Arte,  iu  quanto  la  musica 
s' introduceva  in  tutte  queste  forme  di  spettacoli,  fermandosi  poi  alle  Pasto- 
rali interamente  musicate  sul  finire  del  Cinquecento.  Interessante  sono  la 
riproduzione  della  musica  di  alcuni  pezzi  del  Sacrificio  del  Beccari,  composta 
da  Alfonso  delia  Viuola  e  cantata  dal  fratel  suo  nella  rappresentazione  tea- 
trale del  1544.  la  descrizione  degli  Intermedj  deir.4r/M««»a,  rappresentata  nel 
1699,  e  r  intero  libretto  dei  Fidi  amanti,  dell'anno  1600.  Lo  scritto  del  So- 
lerti è  gradita  anticipazione  ai  due  voi.  su  gli  Albóri  del  Melodramma  e  al- 
l'altro, Musica,  Dama  e  Drammatica  alla  corte  medicea  dal  1600  al  1630,  che 
l'autore  ci  annunzia  di  prossima  pubblicazione,  e  che  attendiamo  con  desi- 
derio poiché  siam  certi  che  con  essi,  e  specie  col  primo,  verrà  a  fissarsi  la 
storia,  finora  incerta  e  controversa  del  Melodramma.  Vorremmo  tuttavia  sot- 
toporre un  dubbio  all'  egregio  autore.  Secondo  egli  afferma  parrebbe  che 
nelle  rappresentazioni  sacre  la  musica  e  il  canto  apparissero  soltanto  qua 
e  là,  specie  nei  pezzi  essenzialmente  lirici  :  e  ciò  crediamo  anche  noi,  e  senza 
dubbio,  per  le  più  antiche.  Ma  è  pur  probabile  che  tutto  il  dramma  fosse 
musicato,  e  venisse  recitato  su  una  medesima  cantilena,  salvo  appunto  per 
cotesti  pezzi  sopra  notati.  Né  a  ciò  credere  ci  induce  soltanto  il  notare  che 
i  Maggi  toscani  sono  tutti  cantati  colla  stessa  arisf  dal  principio  alla  fine, 
e  con  una  cantilena  identica  per  ciascuno  di  essi,  ma  anche  l'attestazione 
di  un  contemporaneo,  il  Fortini,  che  in  una  delle  sue  Novelle  —  e  il  passo 
fu  citato  dal  D' Ancona  nelle  Origini  del  Teatro  (I,  400)  —  parla  dell'erta 
delle  Rappresentazioni.  Siamo  con  ciò  lontani  dalla  musica  melodrammatica, 
dove  ogni  parte  ha  propria  intonazione  musicale,  ma  non  è  da  trascurarsi 
quest'accenno  ad  un  antico  connubio  perpetuo  della  rappresentazione  dram- 
matica col  canto,  e    forse  coli' accompagnamento  di  strumenti  musicali. 

.'.  Oltre  il  noto  Racconto  storico  sulla  vita  di  Galileo,  il  prediletto  disce- 
polo V.  Viviani  aveva  in  animo,  e  ce  ne  sono  testimonianze  esplicite  e  di 
vario  tempo,  di  stendere  del  medesimo  una  vita  più  ampia.  Il  prof.  A.  Fa- 
varo  in  apposita  memoria  raccoglie  coteste  testimonianze  {V.  V.  e  la  sua 
Vita  di  (?.,  Venezia,  Ferrari,  di  pagg.  27  in  16.»)  e  cerca  di  assegnare  le  ra- 
gioni per  le  quali  egli  non  condusse  ad  atto  cotesto  disegno  :  e  fra  quelle 
addotte  ci  pare  che  sia  assai  plausibile  l' infelice  condizione  dei  tempi,  nei 
quali  l'intolleranza  della  Curia  impediva  la  glorificazione  dell'illustre  vittima 
dell'Inquisizione. 

.".  Altra  pubblicazione  dello  stesso  prof.  A.  Fa  varo  è  quella  Per  la  storia 
dei  Manoscritti  Galileiani  concernenti  i  pianeti  medicei  (Venezia,  Ferrari,  di 
pagg.  21  in  16.»);  essa  segue  le  vicende  delle  carte  sull'argomento,  da  Ga- 
lileo consegnate  al  p.  Renieri,  e  delle  quali  alcune  dopo  la  morte  del  valente 
di.scepolo,  si  credettero  disperse.  Ma  il  prof.  F.  crede  che  nei  mss.  Palatini  si 
ritrovi  tutto,  o  quasi,  quello  che  Galileo  osservò  in  rispetto  alle  stelle  me- 
dicee. L'opuscolo  si  chiude  con  una  bibliografia  delia  controversia,  occasio- 
nata appunto  dalla  stampa  di  cotesti  materiali,  fatta  per  ordine  granducale 
dall'Alberi,  che  vanta  vasi  autore  della  scoperta  dei  medesimi. 


302  RASSEGNA  BIBLIOORAFIOA 

.'.  È  noto  che  da  parecchio  tempo  gli  studiosi  combattono  fra  loro  sulla 
vera  paternità  di  alcune  scritture  politiche,  in  prosa  o  in  versi,  del  sec.  XVII, 
e  qui  nella  nostra  Rassegna  il  prof.  Salaris  trattò  or  è  poco  (vedi  p.  158) 
la  questione  relativa  al  poemetto  II  pianto  d' Italia,  con  buone  ragioni  ri- 
vendicato al  Testi.  E  al  Testi  si  sa  che  il  sig.  F.  Bartoli  vuol  attribuire  an- 
che le  Filippiche,  generalmente  date  al  Tassoni.  Ora  il  prof.  A.  Belloni,  che 
già  partecipò  a  queste  controversie,  pubblica  per  occasione  nuziale  un  suo 
scritto  Le  Filippiche  e  la  Pietra  di  Paragone  (Verona,  Franchini,  di  pagg.  15 
in  16.»),  dove,  mettendo  a  raffronto  brani  delle  due  scritture,  conclude  non 
già  che  autore  idi  quelle  sia  chi  scrisse  T  altra,  ma  che  '  chiunque  egli  sia 
"stato,  si  valse  largamente  dell'opera  boccaliniana  ,.  Ed  è  conclusione  pru- 
dente: e  a  noi  par  giusta  V  osservazione  che  il  B.  pone  in  nota,  e  poteva 
introdursi  a  dirittura  nel  testo,  che,  cioè,  "  nella  letteratura  politica  del  se- 
"  colo  XVII  ci  è  stato  un  certo  numero  di  frasi  fatte,  di  luoghi  comuni,  d'im- 
*  magini  convenzionali,  che  ricorrono  nelle  scritture  di  tal  genere,  senza  che 
"  perciò  possa  dirsi  che  queste  appartengano  tutte  allo  slesso  autore  ,. 

.'.  Si  sa  come  nel  secolo  scorso  siano  stati  varj  e  disformi  i  giudizj  sul 
p.  Bartoli  :  basta  vedere  e  considerare  ciò  che  scrissero  da  una  parte  il  Gior- 
dani, dall'  altra  il  Bonghi.  Il  sig.  À.  Avetta  ce  n'ha  dato  un  saggio  utile  e  ca- 
rioso  parlando  di  Alcuni  giudizj  letterarj  sul  p.  D.  B.  (estr.  dalla  Rivista 
d'Italia  del  marzo-aprile  1903,  di  pagg.  9  in  16.).  Ma  ormai  può  dirsi  che 
si  sìa  giunti  a  sentenza  equa  e  temperata,  qual'  è  quella  riportata  dall'  A. 
dal  Seicento  del  prof.  BeHoni.  Certo  è  che  ancora  è  da  farsi  uno  studio  spe- 
ciale sul  Bartoli,  che  pure  avendo  molli  difetti  del  suo  tempo  e  altri  provenienti 
dal  suo  modo  d' intendere  lo  stile,  ha  spesso  ardimenti  di  parola  e  analisi  di 
sentimenti,  che  talvolta  preludono  alle  forme  moderne. 

.*.  Il  prof.  N.  BusBTTO  ci  da  un  saggio  di  nuova  interpretazione  di  ciò 
che  fu  la  Poesia  eroicomica  (Venezia,  Pellizzalo,  di  pagg.  30  in  16.°).  Secondo 
egli  si  esprime  "  il  poema  eroicomico  è  parodia  e  satira  insieme,  non  del 
mondo  epico-cavalleresco,  ma  della  borghesia  contemporanea  ,,  parodia  a 
doppia  faccia,  l' una  rispondente  all'  influsso  del  capitolo  satirico  e  giocoso, 
della  commedia  popolare,  della  novella  umoristica  e  della  poesia  macchero- 
nica, l'altra  rispondente  all'influsso  dell'epica  grave,.  Il  nuovo  concetto  è 
esposto  in  questo  saggio,  ma  troppo  però  sommariamente  per  poterne  recar 
giudizio. 

.".  Per  nozze  Gasperini-Laureati  il  tipografo  cav.  F.  Mariotti,  coadiuvato 
dal  bibliotecario  U.  Morini  e  dal  doti.  A.  Segrè  ha  fatto  una  pubblicazione 
conlenente  Quattro  lettere  di  Pietro  Metastasio  a  Mons.  Angelo  Fabroni,  ed 
un  Sonetto  sul  giuoco  pisano  del  ponte  di  R.  B.  Fabri  (Pisa,  Mariotti,  di  pagg. 
23  in  16.»).  Opportune  note  illustrano  gli  scritti  dell'opuscolo,  di  bella  ese- 
cuzione tipografica. 

.'.  Per  le  nozze  del  fratello  prof.  Carlo,  il  sig.  C.  Antolini  pubblica  alcune 
Lettere  di  illustri  italiani  (Argenta,  Taddei-Soali,  di  pagg.  17  in  16.°),  che 
appartengono  ad  Alfonso  Varano,  al  Metastasio,  al  Bettinelli,  al  Giordani,  al 
Bresciani,  al  Ferrari-Moreni.  Non  hanno  grande  importanza  di  contenuto,  ma 
comunque  siasi,  il  valore  di  esse  sarebbesi  accresciuto  facilmente  con  oppor- 
tune illustrazioni  di  fatti  e  di  persone.  È  da  correggere  (p.  7)  Maurino  con 
Tirelli  in  Maurino  conte  Tiretti. 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  303 

.*.  Un  episodio  della  misera  vita  municipale  delle  città  italiana,  dopo  che 
cessarono  di  aver  autonomia  politica,  e  nel  prevalere  dei  costumi  spagnoleschi 
è  offerto  dal  prof.  N.  Busetto  colla  memoria:  I  Medaglini  e  Medaglioni  (Pa- 
dova, Cooperativa,  di  pagg.  10,  in  16.»)  che  erano  i  nomi  di  due  fazioni  mu- 
nicipali e  di  clientele  domestiche  padovane,  cominciate  al  fine  del  sec.  XVI 
e  durate,  per  contendersi  e  usurparsi  gli  ufficj  civili,  fin  verso  la  fine  del  XVII. 

.•.  Il  sig.  G.  Grasso  autore  di  uno  scritto  Le  Rime  degli  Ereini  di  Palermo 
e  la  decadenza  letteraria  in  Sicilia  e  in  Italia  (Palermo,  Reber,  di  pagg.  187 
in  16.")  sembra  esser  un  principiante,  e  come  tutti  i  principianti,  è  diffuso  e 
verboso:  ma,  invero,  un  po' troppo  indiscretamente.  Venutogli  a  mano  un  voi. 
stampato  nel  1734  e  contenente  le  rime  dei  siciliani  e  peninsulari  compo- 
nenti l'Accademia  degli  Ereini,  non  si  è  contentato  di  un  articoletto  da  giornale, 
d'un  aneddotto  storico-letterario;  ma  ne  ha  cavato  fuori  un  volumetto  di  giusta 
mole,  gonfiando,  come  suol  dirsi,  l'argomento.  Bastava  dire,  per  introduzione 
al  discorso,  che  la  poesia  prima  del  Parini  trova  vasi  nelle  condizioni,  che 
tutti  sanno:  ma  invece  l'a.  ha  voluto  scrivere  una  quarantina  di  pagg.  sulla 
Letteratura  della  decadenza  in  Italia  e  in  Sicilia,  prendendo  le  mosse  dal 
Cinquecento  quando  la  letteratura  "  dopo  tanto  splendore,  accennava  a  ripie- 

•  garsi  su  sé  slessa  (?!)  „,  saccheggiando  a  tal  fine,  il  Morsolin,  il  Bellouì,  il  Con- 
cari, lo  Scinà  e  tanti  altri.  A  tutte  le  cose  che  dice  lo  scrittore,  chi  sia  per  poco 
infarinato  di  storia  letteraria,  può  rispondere  :  Sapevamcelo.  Lo  studio  delle 
Rime  degli  Ereini  è  fatto  ne!  modo  più  fiacco  e  minuto,  più  noioso  e  meno 
critico,  che  si  potesse  mai  immaginare,  poiché  i  componimenti  sono  esami- 
nati uno  per  uno,  e  si  può  dire  anche,  ciascun  d'essi  verso  per  verso.  Quindi 
osservazioni  di  minimo  valore:  qui  è  da  notare  le  raajuscole  alle  voci  Troni 
e  Gregge  (p.  50),  altrove  è  felice  la  giacitura  degli  accenti  "  in  rèi  nel  primo 

*  verso  e  poi  nel  secondo  in  seduttóre,  menato,  spìnto  (in  fin  del  verso:  quasi 

•  lo  vedi  cadere)  e  nel  terzo  in  falso  e  convìnto;  ma  nel  quarto,  come  preci- 

*  pita  queWebb'io  „  (p.  51)!  Una  poesia  è  glaciale,  l'altra  delle  rime  ha  una  certa 
disinvoltura:  la  terza  "  ha  un  bel  verso  ,;  questo  componimento  sarebbe  passa- 
bile, ma  *  l'ultimo  verso  è  gonfio  ,;  in  quest'altro  c'è  "  fradiciume  con  osten- 
tazione e  ricercatezza,  e  cosi  via.  Ognuno  de' poeti,  stavamo  per  dire  degli 
imputati,  passa  innanzi  al  giudice,  che  lo  esamina  e  lo  fruga  minutamente  di 
fuori  e  di  dentro,  poi  si  dilegua  assolto  o  condannalo  con  o  senza  attenuanti,  e 
dà  il  passo  a  un  altro.  Ma  questa  sorta  di  critica  è  come  una  anatomia  di  esseri 
impercettibili,  e  se  è  faticosa  per  l'autore  (p.  124),  tanto  più  riesce  tale  al 
lettore.  Del  resto  è  troppa  fatica  per  un  troppo  meschino  resultato.  Aggiun- 
giamo che  da  pag.  1.33  al  fine  si  riproducono  (ma  perché  senza  il  nome  dei 
rispettivi  autori?)  ben  135  componimenti  degli  Ereini:  e  cosi  anche  con 
questo  espediente,  r  opuscolo  diventa  volume! 

.•.  L'amico  e  collaboratore  nostro  prof.  G.  Gentile  ha  testé  pubblicato  un 
voi.  intitolato  Dui  Genovesi  al  Galluppi,  ricerche  storiche  (Napoli,  ediz.  della 
Critica,  di  pagg.  XV-383  in  18.*),  che  è  il  primo  degli  Studj  di  letteratura, 
storia  e  filosofia  pubblicati  da  B.  Croce.  Esso  studia  lo  svolgimento  del  pen- 
siero speculativo  nelle  provincie  meridionali  d'Italia:  anzi  può  dirsi,  in  Na- 
poli, nel  secolo  che  va  dalla  mela  del  XVIII  alla  metà  del  sec.  XIX,  seguendo  e 
illustrando  la  elaborazione  di  queir  empirismo,  che  è  iniziato  dal  Genovesi  e 


304  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

mette  capo  al  Galuppi.  La  ragione  del  trattare  di  tale  evoluzione  del  pen- 
siero italiano  in  una  special  regione,  sta  in  questo  appunto  che  il  reame  di 
Napoli  era  nei  tempi  a  che  si  restringe  questo  studio,  politicamente  sepa- 
rato dal  rimanente  d'Italia,  e  dal  presentare  un  diverso  carattere  la  filosofìa 
idealistica,  dal  Gerdil  al  Gioberti,  neir  Italia  superiore,  dalla  empirica  preva- 
lente nel  mezzogiorno.  Il  Gentile  adunque  partendo  dal  Genovesi,  illustra  le 
dottrine  di  Melchiorre  Deifico,  di  Carlo  Lanberg,  di  Pasquale  Borrelli,  del 
Bozzelli,  giungendo  al  Galuppi  e  al  Colecchi.  L'indole  speciale  del  nostro 
periodico  ci  trattiene  dal  dire  più  lungamente  di  questa  pubblicazione,  che  ci 
pare  sparga  nuova  luce  su  un  periodo  importante  del  pensiero  italiano,  e 
nella  quale  è  da  lodare,  oltre  l'esatta  esposizione  di  dottrine  filosofiche,  la 
copia  degli  utili  ragguagli  biografici  e  bibliografici. 

.'.  Il  saggio  del  prof.  B.  Percoli  intitolato  II  Condillae  in  Italia  (Faenza, 
Montanari,  di  pagg.  93  in  16.°)  illustra  un  periodo  del  pensiero  italiano  nel 
sec.  XVIII  e  nei  primordj  del  successivo,  con  larghezza  di  informazioni  sto- 
riche su  alcuni  pensatori,  molti  dei  quali  ormai  dimenticati.  Egli  dimostra 
come,  anche  per  la  chiamata  a  Parma  del  filosofo  francese,  le  sue  dottrine 
avessero  in  Italia  copiosi  seguaci  :  e  aggiunge  che  il  sensismo  condillachiano 
non  fu  fra  noi  una  passiva  acquiescienza  a  codeste  dottrine,  ma,  mentre  li- 
berò la  mente  italiana  dall'ultimo  residuo  della  scolastica,  fu  anche  combat- 
tuto e  modificato  '  costituendo  una  fase  della  nostra  scuola  sperimentale, 
che  se  non  può  vantare  pagine  splendide  e  gran  luce  di  originalità,  merita 
tuttavia  un  posto  più  adeguato  di  quello  generalmente  assegnatole  nella  sto- 
ria della  nostra  filosofia  ,. 

.'.  Il  dott.  P.  Dominici  ha  tratto  dall'Archivio  Livornese,  fondato  e  ordi- 
nato con  tanta  cura  ed  abnegazione  dal  prof.  Pietro  Vigo,  e  a  lui  dedican- 
doli, alcuni  Documenti  sulla  guerra  dell'indipendenza  d'America  (Siena,  tip. 
L  Bernardini,  di  pagg,  22  in  16.»)  che  veramente  appartengono  pili  alla  storia 
toscana  che  americana,  e  concernono  la  politica  di  neutralità  fra  i  bellige- 
ranti, seguita  non  senza  difficoltà  da  Pietro  Leopoldo  nel  conflitto  fra  le  co- 
lonie ribellate  e  la  madre  patria.  Sono  documenti  scambiatisi  fra  il  governo 
centrale  e  il  governatore  di  Livorno  (non  è  detto  chi  fosse),  per  evitare  che 
Livorno,  allora  principalissimo  e  fiorente  emporio  mercantile  del  Mediterra- 
neo, soffrisse  detrimento,  e  specialmente  per  parte  degli  inglesi,  che  ne  ave- 
vano fatto  scalo  e  depositi  de'  loro  commerci.  Lo  Zobi,  ultimo  storico  della 
Toscana,  non  fa  nessun  cenno  alle  cure  e  sollecitudini  ch'ebbero  allora  i  reg- 
gitori del  paese  per  cotesto  episodio  di  importanza  mondiale  :  e  questi  do- 
cumenti vengono  opportunamente  a  colmare  siffatta  lacuna. 

.'.  Del  Varano,  a  parer  nostro,  è  maggiore  la  reputazione  che  il  merito; 
ma  ciò  non  toglie  che  ne  siano  state  di  frequente  in  questi  ultimi  tempi 
studiate  le  Visioni:  ed  ora  abbiamo  innanzi  a  noi  le  Note  critiche  del  sig. 
P.  PoMPEATi  sulle  Opere  poetiche  di  lui  (Feltre,  Castaldi,  di  pagg.  68  in  16.»). 
L'autore  notando  che  il  poeta  ferrarese  è  giunto  a  noi  *  con  due  note  in- 
dividuali ,  l'imitazione  dantesca  e  l'ispirazione  del  Monti  dalle  sue  Visioni, 
si  trattiene  specialmente  a  discorrere  di  questi  due  punti,  aggiungendo  al 
primo,  le  imitazioni  bibliche,  e  al  secondo  le  derivazioni  dai  componimenti 
yaraniani  non  del  solo  Monti,  ma  del  Pignotti,  del  Foscolo  ecc.,  intrattenea- 


DELLA    LETTERATURA    ITALIANA  305 

dosi  anche  sulle  Rime  pastorali  e  indicandone  le  reminiscenze  virgiliane  e 
teocritee.  La  fatica  del  sig.  P.  è  utile  come  raccolta  copiosa  di  materiali,  ma 
sarebbe  stato  desiderabile  che  egli  avesse  formulato  le  sue  opinioni  sul  me- 
rito intrinseco  del  Varano  come  poeta,  ed  assegnato  il  posto  che  gli  spetta 
nella  storia  letteraria,  dacché  essendo  essenzialmente  un  imitatore,  fu  a  sua 
volta  imitato  da  non  mediocri  seguaci. 

.*.  Lo  scritto  del  dott.  G.  Cavatorti  :  Uno  sguardo  a  Reggio  di  Lombardia 
nel  Settecento  (Firenze,  soc.  Tipogr.  fiorentina,  di  pagg.  63  in  16.»)  è  come 
introduzione  a  più  ampio  lavoro  intorno  ad  Agostino  Paradisi,  e  vi  si  tratta 
delle  condizioni  civili  e  morali  e  intellettuali  di  codesta  città  estense  nel 
sec.  XVIII,  e  più  particolarmente,  nell'ultima  parte,  dell'Accademia  degli /- 
poeondriaci,  che  "  nello  spirito  moderno  a  cui  era  informata,  nei  tentativi 

*  verso  il  nuovo,  nella  irrequietezza  che  l'agita,  è,  se  non  la  prima,  certo 

•  una  delle  prime,  e  figura  quasi  come  precorritrice  (istituita  nel  1749)  delle 
"  accademie  di  scienze  e  lettere  che  vennero  di  poi  nelle  principali  città 
"  d'Italia,  e   tenuto  conto  della  piccola  città   in   cui   è   sorta,  del   notevole 

•  svolgimento  conseguito,  e  degli  uomini  preclari  che  vi  hanno  partecipato, 
'  rimane  un  fatto  caratteristico  e  singolare  nella  storia  letteraria  italiana  ,. 
L' a.  possiede  ricchezza  di  documenti  e  di  notizie,  e  le  espone  con  facilità  e 
non  senza  arguzia,  sicché  il  suo  lavoro  è  gustoso  a  leggersi  ed  è  buono  e 
promettente  preludio  allo  studio  del  poeta  reggiano  e  della  "  cosi  detta  scuola 

*  lirica  oraziana  ,,  della  quale  egli  con  altri  fu  notevole  rappresentante. 

.•.  Il  prof.  A.  Serena  alle  Pagine  letterarie  (v.  Rassegna,  Vili,  292)  fa  ora 
seguire  un  volumetto  di  egual  mole  e  formato  dal  titolo  Appunti  letterarj, 
(Roma,  Forzani,  di  pagg.  140  in  16.°).  Della  maggior  parte  di  questi  scritti, 
ora  ritoccati  e  corretti,  abbiamo  dato  un  cenno  quando  apparvero  a  luce 
separatamente.  Di  tutti  diamo  i  titoli  :  Niccolò  Leonico  Tomeo  —  Profana- 
zione catulliana  —  Gli  epigoni  dei  Granellesehi  e  le  tragedie  dell'  Alfieri  — 
Il  Sonetto  italiano  al  tribunale  dei  Gesuiti  —  L'innesto  vaccino  nella  poesia 
italiana  —  Alessandro  Pope  e  i  traduttori  veneti  dall'  inglese  nel  sec.  XVIII 
—  Aglaja  Anasillide  —  Rileggendo  l'Apologia  di  L.  de' Medici  — ■■  Dante  e 
l'Aurora.  In  parecchi  di  essi  (per  es.  dal  terzo  al  sesto)  vi  ha  copia  di  no- 
tìzie recondite  e  non  prive  d'importanza:  in  tutti,  chiarezza  e  garbo  di  e- 
sposizione.  Ma  perché  il  Serena  che  mostra  di  conoscer  cosi  bene  la  cul- 
tura letteraria  veneta  del  sec.  XVIII  non  raccoglie  i  suoi  studj  e  le  sue  cure 
su  codesto  argomento,  e  non  ci  da  su  di  esso  un  lavoro  di  maggior  lena,  e 
complessivo  ? 

.*.  L'intero  fascicolo  di  ottobre  della  Rivista  d'Italia  è  consacrato  a 
Vittorio  Alfieri,  e  ne  diamo  il  sommario:  A.  Farinelli,  V.  A.  nell'arte  e  nella 
vita;  M.  ScHERiLLO,  Il  monologo  nella  tragedia  alfieriana;  G.  Sergi,  La  per- 
sonalità di  V.  A.;  E.  Bertana,  Intorno  all'Oreste;  P.  Sirven.  Il  dossier  di  V.  A. 
e  le  schiavesche  patenti;  N.  Ihpalloheni,  La  Mirra  di  V.  A.;  G.  Mazzatinti, 
Bricciche  Alfieriane;  I.  Della  Giovanna,  //  Divorzio,  commedia  di  V.  A.;  A. 
Lombroso,  V.  A.  giudicato  da  Stendhal- Beyle  ;  M.  Porena,  Reminiscenze  al- 
fierane  nei  Promessi  Sposi;  T.  Salvini,  V.  A.  e  la  forma  delle  sue  tragedie; 
CMazzatìuti, Bibliografia  alfieriana  —  Illustrazioni:  Ritratto  della  e.  D'Albany 
,. —  La  camera  ove  nacque  V.  A.  —  Facsimile  di  un  autografo  —  Facsimile 


B06  'KABSEONà  iBÌBLiOQRAFlCA 

d'un  biglietto  d'invito  alla  rappresentazione  delle  tragedie  —  Ex  libris  di 
V.  A.  —  Il  monumento  in  S.  Croce  —  Il  monumento  in  Asti  — Il  palazzo 
Alfieri  in  Asti. 

/.  Stampato  a  spese  del  Comune  di  Firenze  (Roma,  tip.  della  Camera, 
19  pagg.  in  18.°)  è  uscito  a  luce  il  robusto  Discorso,  che  I.  Del  Lungo  lesse 
nella  Sala  dei  Cinquecento  il  XIX  ottobre,  e  ripetè  a  Torino.  Esso  è  fregiato 
del  busto  dell'Alfieri  offerto  dallo  scultore  Trentacoste  alla  Laurenziana,  della 
figura  del  monumento  del  Canova  in  S.  Croce,  e  del  fac-simile  del  sonetto  • 
sui  quattro  grandi  poeti  italiani. 

.'.  Nella  fioritura  di  pubblicazioni  cui  ha  dato  luogo  il  centenario  alfie- 
rano,  avremmo  voluto  che  parecchie  rassomigliassero  quella  del  prof.  A.  Neri, 
Genova  e  Vittorio  Alfieri  (Spezia,  Zappa,  di  pagg.  37  in  16.»)  raccogliendo, 
come  si  fa  in  essa,  le  memorie  che  riguardano  il  primo  tragico  in  relazione 
colle  varie  città  italiane,  la  dimora  che  ei  vi  fece,  gli  amici  che  vi  ebbe,  le 
rappresentazioni  delle  sue  opere,  le  discussioni  a  cui  diedero  occasione. 
Il  Neri  ha  largamente  mietuto  nel  campo,  che  si  era  assegnato:  interessanti 
assai  sono  le  notizie  che  raduna  ed  espone  su  Paolo  Girolamo  Grimaldi,  già 
ministro  in  Spagna,  su  Paolo  Girolamo  Pallavicini,  su  Giorgio  Yiani,  su  Giu- 
seppe Gregorio  Solari,  su  Gaetano  Marre  ecc.  Ricorda  come  anche  in  Genova, 
al  pari  che  in  altre  città,  ritornate  a  vita  libera,  si  rappresentasse  nel  '97  il 
Bruto  primo,  con  grande  entusiasmo  di  popolo  :  corregge  errori  tradizionali, 
rettifica  date,  nulla  trascura  di  ciò  che  promette  il  titolo  dell'  ottima  mo- 
nografia. 

.'.  Il  prof.  M.  PoRENA  raccogliendo  insieme  scritti  vecchi  e  nuovi  ha  messo 
insieme  un  voi.  che  dà  buona  testimonianza  dei  proprj  studj  sull'  argomento 
e  onora  l'Alfieri.  Esso  s'intitola  V.  A.  e  la  tragedia  (Milano,  Hoepli,  di  pag. 
XV-403,  in  16.°),  e  dopo  poche  parole  ai  lettori  contiene  i  seguenti  saggi: 
La  vita  di  V.  A.  —  La  "  Vita  „  e  le  "  Tragedie  „  —  //  sentimento  della  Na- 
tura e  il  Saul  —  La  poetica  alfieriana  nella  Tragedia  —  L'unità  estetica 
della  tragedia  alfieriana  —  L'artista,  il  cittadino,  l'uomo.  Del  terzo,  quarto 
e  quinto,  che  ora  ci  si  ripresentano  ritoccati  e  coordinati  al  tutto,  abbiamo 
già  a  suo  tempo  dato  un  cenno  (IX,  168,  Vili,  310,  IX,  289).  Dei  nuovi,  il 
primo  riassume  ed  illustra  le  vicende  della  vita  dell'  astigiano,  combattendo 
via  via,  con  armi  cortesi  ma  ben  affilate,  i  contraddittori:  e  qui  ci  piace 
notare  ciò  che  è  detto  sulla  or  negata  forza  di  volontà  dell'Alfieri  (p.  23). 
Nel  giudizio  della  Contessa  d'Albany,  ci  sembra  che  il  P.  tenga  una  via  me- 
dia, (p.  27)  mentre  ora  sembra  sia  nato  un  accordo  per  vituperarla.  Essa  è 
sopratutto  una  donna  del  sec.  XVIII,  e  niuno  vuol  presentarla  all'ammira- 
zione dei  posteri  come  una  pura  colomba.  Del  resto,  per  quel  che  spetta 
alla  sua  relazione  coU'Alfieri,  è  evidente  che  molto  dobbiamo  a  lei,  come 
ispiratrice  del  poeta:  e  questo  è  ciò  che  deve  maggiormente  importare  a  noi 
italiani.  Ma  quando  dal  carteggio  pubblicato  dal  Pelissier,  vediamo  che  uomini 
e  donne,  e  nessun  di  essi  volgare,  l'amavano  e  la  stimavano,  i  rigidi  giudizj 
assoluti  dei  posteri,  debbono  esser  temperati  dai  fatti.  Altro  punto  rilevante 
è  quello  dove  si  parla  del  valore  storico  della  autobiografia  (p.  48).  Il  P.  fu 
forse.il  primo  a  rilevarne  certe  inesattezze:  ma  ora  si  è  andato  troppo  pili 
innanzi,  tanto    da    far    quasi  dell'autore  un   falsificatore  cosciente;  e  slam 


DKLLA  LÉSttERATÙRA  ItAUA^A  5l07 

grati  air  a.  di  rimetter  le  cose  al  posto,  senza  esagerazioni,  né  solo  ragio- 
nando ma  provando:  e  le  considerazioni  contenute  nella  Nota  a  pag.  123 
bastano  a  mostrare  quanto  si  sia  trasceso  su  codesto  punto.  L' ultimo  scritto 
è  quasi  un  riassunto  generale,  dove  si  dicono  cose  sensatissime  sul  carat- 
tere della  tragedia  alfieriana  :  ma  forse  pili  largamente  poteva  toccarsi  del  cit- 
tadino e  dell'uomo  e  dell' efficacia  sua  sul  rinnovamento  italiano.  Ma  tutto 
in  questo  voi.  è  ispirato  ad  altezza  di  criterj  e  temperanza  di  giudizj,  ed  è 
giusto  darne  lode  all'autore. 

.',  Anche  la  Commemorazione  centenaria  letta  dal  prof.  E.  Comello  presso 
il  Liceo  di  Gasale  (Gasale,  Torelli,  di  pag.  33)  con  nobiltà  di  parola  riven- 
dica i  meriti  di  V.  Alfieri,  contro  le  accuse  al  tragedo,  del  Villeraain  e  del 
Gantii,  e  quelle  all'uomo,  della  scuola  lombrosiana  e  del  Bertana,  conce- 
dendo quello  che  è  debito  sull'arte  dello  scrittore  e  sui  difetti  del  tempe- 
ramento, ma  tenendosi  in  una  via  media,  e  sopratutto  fermandosi  agli  ef- 
fetti civili  che  l'Alfieri  volle  conseguire,  e  che  la  coscienza  degli  italiani, 
risorti  a  nuova  vita,  ampiamente  riconosce  e  confessa.  E  ci  piace  poi  che 
l'a.  ribatta  la  novissima  censura  fatta  all'Alfieri  di  non  aver  egli,  odiator 
di  tiranni  e  spasimante  per  la  libertà,  preso  parte  alla  guerra  d'America  o 
almeno  alla  difesa  del  Piemonte  contro  i  francesi  irrompenti.  Non  omnes 
possumus  omnia,  e  lasciando  stare  la  consideraziooe  dell'età  del  tragèdo 
quando  accaddero  quei  fatti,  a  questo  mondo  vi  sono  battaglie  che  si  com- 
battono colla  forza  muscolare  e  altre  che  si  combattono  colla  forza  intel- 
lettuale. Poteva  l'Alfieri,  se  avesse  potuto  o  voluto,  esser  gregario  subalterno 
nell'esercito  piemontese:  ma  se  ha  preferito  esser  primo  vessillifero  nell'a- 
gone civile  dell'arte,  ha  fatto  certamente  opera  di  gran  lunga  più  proficua 
all'avvenire  d'Italia.  ( 

.'.  Della  commemorazione  alfìenana  tenuta  in  Potenza  dal  prof.  G.  Gigli 
è  data  alla  stampa  (Napoli,  Trani,  di  pagg.  15  in  16."  picc.)  solo  una  parte> 
nella  quale  con  diffuse  notizie  e  buon  criterio  è  trattata  La  tetralogia  po- 
litica di  lui,  cioè  le  quattro  commedie  di  intendimento  civile,  consideran- 
dole come  *  la  manifestazione  più  immediata  e  più  sincera ,  delle  sue  dot- 
trine, già  vacillanti,  e  finalmente  fermatesi  a  tener  per  ottimo  il  Governo 
contemperato  dei  tre  elementi,  monarchico,  aristocratico  e  democratico  ,. 

.'.  Pia  Malgarini  nell'  occasione  del  centenario  della  morte  del  grande 
astigiano  ha  dato  fuori  un  suo  studio  su  Le  liriche  di  Vittorio  Alfieri  (Parma, 
Battei,  di  pp.  65  in  16.°).  'L'  argomento  non  era  stato  mai  trattato  nel  suo 
insieme,  che  i  saggi  del  Reforgiato,  del  Batisti  e  del  Fabris  o  si  limitano  a 
una  parte  della  lirica,  l'amorosa,  o  si  tengono  sulle  generali;  come  anche, 
per  necessità,  ha  fatto  il  Bertana  nel  suo  recente  volume.  La  Malgarini  ri- 
prendendo l'argomento  col  proposito  di  farne  un  esame  completo,  ha  diviso 
le  rime,  secondo  gli  affetti  e  i  pensieri  che  le  ispirarono,  in  liriche  d'amore, 
per  la  madre  e  per  gli  amici,  politiche,  d'argomenti  varj,  epigrammi.  Di  cia- 
scuna di  queste  sezioni  ha  dato  un'informazione  dilìgente  ed  esatta,  mettendo 
in  evidenza  quanto  esse  offrono  di  originale  o  di  derivato  da  altri;  oppor- 
tunamente ha  pure  dato  un  cenno,  che  avrebbe  forse  potuto  essere  ampliato, 
dell'elemento  lirico  nelle  tragedie  e  specialmente  nell'immortale  Saul.  Le 
conclusioni  a  cui  giunge  l' A.  non  si  può  dire  che  siano  nuove,  ma  il  già- 


S08  Rassegna  BIBLIOGRAFICA 

dizio  che  geaeralmente  si  suol  dare  delle  liriche  dell' Alfieri  appare  nello 
studio  delia  Malgarini  ben  dimostrato.  L'Alfieri  ha  dato  alle  sue  liriche  una 
impronta  d'originalità,  per  cui,  anche  per  esse,  appare  distinto  dagli  altri 
versaioli  languidi  del  settecento  e,  sebbene  in  un  gradino  più  basso,  può 
essere  messo  accanto  al  suo  illustre  contemporaneo,  il  Parini. 

.'.  Nobili  sensi  e  gagliarda  parola  contraddistinguono  il  discorso,  o  con- 
ferenza, del  prof.  V.  Graziadei,  che  s'intitola  da  Un  sonetto  di  V.  A.  (Palermo, 
Reber,  di  pagg.  52  in  16."),  che  è  quello  ben  noto:  Giorno  verrà.  Da  esso  l'A. 
prende  le  mosse  a  delineare,  o  meglio  scolpire  con  tratti  rilevati  la  mente 
e  l'animo  del  tragèdo,  chiarirne  gli  intenti  e  mostrarne  l'efficacia  sui  suoi 
connazionali.  Fra  i  discorsi  pronunziati  in  varie  città  italiane  nell'occasione 
del  Centenario  alfìeriano,  questo  ci  pare  di  grandissimo  pregio  per  altezza  di 
vedute,  e  spesso  per  vigorosa  eloquenza. 

.".  Fra  i  discorsi  pronunziati  nelle  scuole  secondarie  per  l' anniversario 
alfieriano  è  pur  da  notarsi  quello  letto  nel  Teatro  Civico  di  Sassari  dal  prof. 
A.  Giannini  (Sassari,  Satta,  di  pagg.  24  in  16.°),  nel  quale  con  dottrina  e  con 
garbo  vien  contrapposta  la  vita  italiana  del  tempo  all'anima  gagliarda  del- 
l'astigiano, e  accennato  all'efficacia  dell'opera  sua  nel  risorgimento  nazionale. 

—  E  anche  in  altro  discorso  del  prof.  S.  Rocco  letto  a  Compobasso  e  ivi 
stampato  (Colitti,  di  pagg.  33  in  16.°)  si  mette  opportunamente  in  rilievo  l'im- 
portanza politica  dell'  opera  alfieriana. 

.'.  La  commemorazione  letta  ai  giovani  del  Liceo  d'Ivrea  dal  prof.  E. 
Cesati  s'intitola  L'Alfieri  leggendario  (Ivrea,  Garda,  pagg.  27  in  16.»)  perché 
l'oratore  volle  tornare  a  considerar  l'astigiano  qual  egli  era  tenuto  fin' ora, 
e  diciamolo  senz'altro,  prima  che  venisse  a  luce  il  libro  del  prof.  Bertana. 
Egli  lo  combatte  gagliardamente  e  noi  non  ci  sentiamo  di  dissentire  molto 
da  lui.  Anche  il  sole  ha  le  sue  macchie,  ma  resta  sostanzialmente  qual' è, 
altare  di  vita:  e  veramente  la  vita  italiana  del  Risorgimento  non  s'intende 
senza  l'Alfieri,  che  la  preparò  e  la  profetò.  Naturalmente  in  un  discorso 
commemorativo  non  può  contenersi  una  critica  che  segua  a  passo  a  passo 
il  Bertana;  ma  quello  che  l'oratore  dice,  soffermandosi  ad  alcune  conclu- 
sioni soltanto  e  confutandole,  è  ben  pensato  e  ben  scritto  :  e  il  ritorno  al- 
l'Alfieri  leggendario,  pur  riconoscendo  i  molti  pregj  del  lavoro  del  Bertana, 
è  un  giustificato  ritorno  all'Alfieri,  qual  è  stato  nella  mente  e  nel  cuore  di 
parecchie  generazioni.  E  coli' a.  consentiamo  pur  anco,  e  l'avevamo  pensato 
e  detto  anche  prima  di  lui,  che  nello  studio  dell'Alfieri  il  bravo  Bertana 
procede  un  po'  troppo  colle  norme  e  le  forme  di  una  requisitoria.  Ma  non 
ci  piace  che  il  C.  ai  tre  ordini  di  avversarj  dell'  Alfieri,  notato  dal  Carducci 

-  gli  accademici,  i  novatori  sconsigliati,  i  critici  -  aggiunga  e  *  i  campioni  della 
critica  storica  ,  perché  non  tutti  fra  questi  fecero  plauso  al  Bertana,  e  il  C. 
non  dovrebbe  ignorarlo.  Anzi  laddove  al  B.  rimprovera  non  ingiustamente 
di  aver  giudicato  dell'Alfieri  "senza  tener  conto  delle  condizioni  dei  tempi  , 
avrebbe  dovuto  considerare  che  non  era  il  caso  di  tenerlo  come  campione 
della  "critica  storica,,  dacché  nell'assoluto  giudizio  da  lui  pronunziato,  il 
Bertana  appunto  si  allontanava  dai  canoni  fondamentali  di  cotesto  metodo. 

.'.  Si  sa  che  nell'occasione  del  centenario  alfieriano  è  riarsa  la  contro- 
versta intorno  alla  contessa  d' Albany  e  al  giudizio  sulle  relazioni  di  lei  col- 


DELLA   LETTERATURA  ITALIANA  309 

TÀIfieri.  Che  fosse  T  ispiratrice  della  musa  dell' astigiano,  egli  stesso  alta- 
mente Io  assevera,  e  non  s&ppiamo  perché  non  gli  si  dovrebbe  credere. 
Può  poi  essere  che  negli  ultimi  tempi  si  raffreddasse  T affetto  fra  T  Alfieri 
e  lei:  ma  essa  era  in  tutto  e  per  tutto  una  donna  del  secolo  decimottavo. 
Quel  eh' è  certo,  si  è  che,  sebbene  ardesse  di  fiamma  senile  pel  Fabre,  tutelò 
sempre  la  memoria  e  l'onore  del  perduto  amico:  e  nuova  prova  ce  ne  da 
un  articolo  del  sig.  A.  PaglIcci  -  Brozzi  nella  risorta  Miscellanea  di  Erudi- 
zione e  Belle  Arti  del  prof.  P.  Ra vagli  (Nuova  serie,  fase.  3),  dove  si  fa  notare 
con  quante  difficoltà  delia  censura  e  della  polizia  napoleonica  dovesse  lottare 
per  la  stampa  dell'opere  postume.  E  si  riferisce  anche  come  alla  grandu- 
chessa Elisa,  la  quale  le  rimproverava  l'avversione  dell'Alfieri  ai  francesi, 
TAlbany  rispondesse  seccamente:  "  Il  avait  ses  opiqions:  tous  les  hoinmes 
ont  droit  d'en  avoiV  ,.  Replicare  cosi  nel  1809  alla  sorella  di  Napoleone, 
significa  sentire  l'alterezza  dell'amicizia  col  grande  defunto. 

.'.  Ai  signori  fratelli  Finai  di  Mantova  dobbiamo,  come  omaggio  alla  me- 
moria di  un  valoroso  arcavolo  materno,  la  pubblicazione  del  Diario  di  L. 
Carpi  di  Revere  (Mantova,  Mondovi,  di  pagg.  IX-66  in  4.').  II  Carpi  fu  uno 
dei  deportati  di  Sebenico  e  Petervaradino,  e  il  suo  Diario  illustra  quell'  epi- 
sodio di  eterno  obbrobrio  all'Austria,  che,  per  livore  e  rabbia,  contro  ogni 
jdiritto  e  ogni  senso  di  umanità,  trasse  seco  nelle  casematte  della  Dalmazia 
e  del  Sirmio,  centinaia  di  patriotli  cesalpini,  che  dovè  poi,  di  mala  voglia, 
rilasciare  in  seguito  alle  vittorie  francesi.  Quanto  essi  patirono  nelle  faticose 
marce  e  nelle  luride  prigioni,  ma  con  animo  imperterrito,  auspicando  alla 
libertà  e  cantando  inni  patriottici  in  faccia  ai  loro  aguzzini,  è  narrato  con 
veridicità  dal  Carpi,  che  della  ingiusta  prigionia  senti  nella  rovina  finanziaria 
della  famiglia,  tutto  il  peso.  Leggendo  il  Diario  e  badando  alle  cose  nar- 
rate, non  ci  soffermiamo  alla  rozzezza  e  agli  errori  dello  stile  e  della  lin- 
gua. Lo  scrittore  non  era  uomo  di  lettere:  tutt' altro!  E  crediamo  che  gli 
editori,  senza  taccia  di  arbitrio  soverchio,  avrebbero  reso  un  servizio  al  loro 
.antenato,  correggendo  qua  e  là  la  forma,  almeno  nell'uscita  dei  verbi  e 
neir  ortografìa,  rendendo  cosi  più  gustosamente  leggibile  il  Diario:  e  rettifi- 
cando alcuni  evidenti  errori,  come  ad  es,  Menon  (p.  41)  che  è  invece  il  ge- 
nerale Menou,  lasciato  da  Napoleone  in  Egitto  :  e  a  p.  59  mutanc^o  capo  in 
bassOf  come  vuol  la  rima..  Ad  ogni  modo,  questo  è  un  documento  storico,  di 
non  piccola  importanza.  Sappiamo  che  cotesto,  episodio  dei  Deportati  Cesal- 
pini sarà  nuovamente  fra  breve  illustrato  a  cura  dei  proff.  A.  D'Ancona  e  G. 
Bigoni  in  un  volume  della  Biblioteca  del  Risorgimento,  ristampando  il  primo 
le  lettere  Sirmiensi  dell'Apostoli,  e  l'altro  premettendovi  una  accurata  bio- 
grafìa dell'Apostoli  stesso. 

.'.  In  un  opuscolo  per  nozze:  Derivazioni  Varaniane  nella  Visione  d' E- 
zechiello  di  V.  Monti  (Livorno,  Debalte,  di  pagg.  16  in  16.»),  il  dott.  L.  Cambini 
prova  analiticamente  ciò  che  genericamente  venne  sempre  creduto  e  affer- 
mato, che  cioè,  il  Monti  nei  suoi  primi  poemetti,  e  specialmente  in  uno  di 
essi,  imitò  non  poco  dalle  Visioni  del  Varano.  Della  Visione  d'Ezeehiello 
aveva  pili  particolarmente  discorso  anni  addietro  il  prof.  L.  Cisorio  notan- 
done le  relazioni  colla  Bibbia:  e  queste  non  nega  l'autore  del  presente 
scritto,  ma  considera  come  molto  più  strette  e  dirette  quelle  col  poeta  fer- 


310  RASSEGNA  BlBLIOQRAFlGA 

rarese;  aggiangendo  però  che  "  la  Visione  del  Monti  giovanetto  è  di  molto 
"  superiore  alle  sudate  e  poderose  composizioni  del  Vaiano  „.  Nel  che  con- 
cordiamo con  lui,  e  facilmente  concorderanno  gli  studiosi.  Questo  breve,  ma 
ben  ragionato  saggio,  è  parte  di  più  ampio  lavoro  del  giovane  autore  sulle 
Visioni  in  genere  e  su  quelle  in  specie  del  Varano,  che  presto  auguriamo 
sia  dato  in  luce. 

.'.  Un  aneddoto  della  vita  di  Vincenzo  Monti  come  agente  in  Roina  del 
Comune  di  Rieti  ^aX  1793  al  '97  (Rieti,  Trinchi,  di  pagg.  25  in  18.»)  viene 
narrato  ed  illustrato  dal  sig.  A.  Sacchetti  Bassetti.  Le  città  che  formavano 
lo  Stato  ecclesiastico  tenevano  in  Roma  un  loro  rappresentante  perché  sbri- 
gasse i  loro  affari  prèsso  il  governo  centrale:  presso  a  poco,  dice  -  non  sap- 
piamo se  ingenuamente  o  con  malizia  -  l'autore,  come  fanno  ora  "presso  i 

•  varj  ministeri  il  Senatore  e  il  Deputato  ,.  E  il  poeta,  assunto  a  tale  ufficio 
per  intercessione  del  DUca  Braschi  sbrigò  parecchi  incarichi  di  maggior 
o  minor  importanza,  dei  quali  danno  prova  le  145  lettere  del  Comune  di 
Rieti  a  lui,  e  le  60  e  pili  di  lui  al  Comune,  che  si  serbano  in  Archivio.  Si 
dovè  il  Monti  occupare  perfino  di  idrostatica,  e  di  palle  e  affusti  di  cannone, 
non  che  di  cantanti  e  virtuosi  da  scritturare  pel  Comune.  Se  non  che  dopo 
quattordici  anni  di  servizio,  i  tempi  erano  andati  mutandosi:  il  Comune  non 
confermò  il  suo  agente  presso  la  Curia  e  l'abate  Monti  si  allontanò  dalla 
Curia  e  fu^gf  da  Roma  diventando,  com'è  noto,  il  cittadino  Monti. 

,•.  Il  prof.  A,  Scrocca  parlando  di  Una  fonte  del  carme:  "  La  Bellezza 
dell'  Universo  „  del  Monti  (estr.  dal  Giorn.  star,  della  Liguria,  di  pagg.  7  in  161») 
ai  raffronti  istituiti  dallo  Zumbini  fra  quel  poemetto  e  il  libro  VII  del  Pa- 
radiso Perduto,  altri  ne  aggiunge,  assai  curiosi,  da  una  Orazione  che  Fran- 
cesco Maria  Zanotli  recitò  in  Roma  nel  1750,  e  dalla  quale  il  Monti  trasse 
non  poèhi  particolari. 

.'.  A  cura  del  prof.  A.  A.  Michieli  è  stata  pubblicata  una  traduzione  della 
Memoria  del  prof.  Fr.  Zschéch,  La  Vedova  Teresa  (meglio  converrebbe  aver 
riferito  il  vero  titolo:  Teresa  Vedova)  di  G.  Greppi  e  l' Jacopo  Ortis  di  Ugo 
Foscolo  (Treviso,  Turazza,  di  pagg.  61  in  16.»).  Molte  sono  le  piccole,  ma  non 
inutili  notizie  che  vi  si  contengono,  alle  quali  altre  ne  ha  aggiunte  il  Mi- 
chieli; ma  il  lavoro  in  sé  ci  par  poco  concludente  circa  al  fare  di  quelP  im- 
pasticciato •  dramma  lagrimoso  ,  una  fonte  dell'Ortis:  e,  la  tesi,  a  parer  no- 
stro, sballata,  è  assai  lievemente  toccata,  perché  la  prima  parte  è  tutta  consa- 
crata al  Monti,  la  seconda  al  Greppi  e  all'  opera  sua,  e  appena  breve  spazio 
resta  alla  dimostrazione  di  essa  tesi.  E  l'efficacia  della  Teresa  Vedova  sul  ro- 
manzo si  ridurrebbe  poi  a  questo;  all'aver  'Teresa  Monti  conquistato  dap- 

•  prima  il  poeta  colla  sua  bellezza  e  col  suo  spirito  nelle  conversazioni  in 
"  casa  sua,  e  ancor  pili  col  rappresentare  sul  teatro  una  parte,  che  del  tutto 

•  le  si  addiceva  ,  e  suU' esempio  del  Greppi  aver  fatto  vedova  l'eroina  nella 
prima  forma  del  romanzo.  Ma  lutto  questo  è  troppo  poco  per  far  di  quel  pa- 
sticcio drammatico  una  aulorevol  fonte  dell'  Ortis,  che  da  altra  parte  ha  più 
evidenti  e  dirette  derivazioni. 

.'.  Il  dott.  Gcioo  MuoNi  ha  pubblicato  un  saggio  intitolato  La  fama  del 
Byron  e  il  Bi/ronismo  in  Italia  (Milano,  Società  editrice  libraria,  di  pp.  45 
in  16.»)  in  cui  si  propone  di  "  rintracciare  tra  le  carte  degli  illustri  nostri, 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  311 

•  massime  dell'  età  romantica,  più  presso  a  lui,  ricordi  e  giudizj  intorno  al 
"lord  poeta,.  Menziona  anzitutto  le  prime  traduzioni  italiane  e  yite  del 
Byron,  poi  riferisce  i  giudizj  dei  letterati  e  poeti  italiani  dal  Pellico  al  Car- 
ducci e  mette  in  rilievo  quali  di  essi  subirono  l'influsso  del  byronismo  b 
furono  pili  palesemente  imitatori  del  poeta  inglese.  Le  pagine  del  Muoni  ci 
paiono  veramente  contenere  piuttosto  che  un  discorso  organico,  una  serie  di 
appunti  che  avrebbero  bisogno  di  essere  fusi  e  svolti.  Anche  si  potrebbero, 
con  qualche  ulteriore  ricerca,  aggiungere  nuovi  nomi  a  quelli  raccolti  dal 
Muoni.  Noi  ci  contenteremo  di  additare  Carlo  Bini,  l'amico  del  Guerrazzi  e 
del  Mazzini,  coi  quali  il  livornese  ebbe  a  comune  fra  altre  cose  l'ammirazione 
pel  Byron,  di  cui  tradusse  alcune  poesie:  e  primieramente  il  Prigioniero  di  Chil- 
lon  pubblicato  uelY Indicatore  Livornese,  che  avea  già  accollo  traduzioni  ita- 
liane <]el  Byron  fatte  del  Guerrazzi.  Al  Prigioniero  di  Chillon  il  Bini  mandò 
innanzi  un  lungo  preambolo  che  sarebbe  stato  opportuno  ricordare,  perché 
egli  vi  dice  che  traducendo  il  Byron  intendeva  presentare  un  poeta  che  pensa 
profondamente,  e  ribattere  l'opinione  espressa  nella  prefazione  alle  Nocelle 
del  Cesari,  stampate  a  Genova  nel  1829,  dove  si  dice  che  *  il  Byron,  Gualtieri 
"  Scott,  e  somiglianti  ingegni  cosi  gagliardi  a  mo'  di  palloni,  si  levano  sulle 
'  nubi,  sino  a  che  ad  un  soffio  di  aura  nemica,  vuoti   e  vizzi  ricaggiano  al 

*  suolo  „.  Cfr.  Scritti  editi  e  inediti  di  Carlo  Bini,  raccolti  da  G.  Levantini- 
Pieroni,  2.*  ediz.,  Firenze,  Le  Mounier,  1869,  pag.  179. 

.•.  Nel  mese  di  Settembre  è  stato  commemorato  a  Viareggio  il  poeta 
Shelley  e  il  triste  anniversario  di  quando,  cadavere,  fu  gittate  su  quella 
sponda  pel  naufragio  dell'  Ariel.  Il  prof.  P.  Vigo  dà  un  nuovo  contributo  al!à 
storia  del  triste  avvenimento  pubblicando  alcuni  documenti  col  titolo  II  nau- 
fragio di  P.  B.  Shelley  (Città  di  Castello,  Lapi,  pagg.  6  in  16.*)  in  aggiunta 
a  quelli  già  messi  a  luce  dal  Biagi,  e  tratti  dall'Archivio  storico  livornese. 

.•.  Tiratura  a  parte  di  pochi  esemplari  della  Bibliografìa  Napoleonica 
(che  vorremmo  veder  alacremente  continuata  e  condotta  a  fine)  è  il  voi. 
Stendhal  e  Napoleone  di  A.  Lumbroso  (Roma,  Bocca,  di  pagg.  107  in  8.°).  Esso 
però  è  soltanto  la  parte  prima  del  lavóro,  e  la  stampa  cominciata  nel  ^97 
si  è  compiuta  ora,  ma  tuttavia  restano  fuori  alcune  importanti  pubblica- 
zioni stendaliane.  Anche  senza  aspettarne  il  compimento  si  può  dire  che 
qui  è  contenuto  un  materiale  notevole  su  cotesto  grand'amico  dell'Italia:  forse 
non  sarà  inopportuno,  a  suo  tempo,  riordinarlo.  Intanto  molte  notizie  tro- 
viamo qui  sul  Beyle  e  sui  giudizj  cosi  diversi  pronunziati  sul  suo  conto,  su 
alcune  opere  sue  che  pili  direttamente  riguardano  il  nostro  paese  e  la  storia 
nostra,  e  specialmente  una  ricca  bibliografìa  stendaliana,  cioè  delle  opere 
da  lui  scritte  e  di  quelle  che  di  lui  discorrono.  Aspettiamo  con  desiderio  il 
compimento  di  quest'opera,  che  interessa  del  pari  l'Italia  e  la  Francia. 

.*.  G.  PiTRÈ  ha  messo  insieme  da  varie  raccolte  regionali  i  Canti  popolari 
d' Italia  su  Napoleone  I  (estr.  di  10  pagg.  in  16.°  daW  Arch.  d.  tradiz.  popol.), 
che  quasi  tutti  suonano  a  lutto  e  a  vitupero,  mentre  la  più  parte  delie  poesie 
letterarie  di  quel  tempo  esalta  il  guerriero  liberatore,  il  possente  monarca. 
La  canzone  Partirò,  partirò,  partir  bisogna,  non  è  tanto  romana  quanto 
anche  toscana,  anzi  forse  è  da  ritenersi  dalla  Toscana  difTusa  tult' intorno; 
e,  risorta  nel  '48,  è  forse  più  antica  dei  tempi  napoleonici  (vedi  A.  D'Ancona, 


B12  RAS8BQNA    BIBLIOORAPICA 

Ricordi  e  Affetti,  p.  373).  E  una  raccolliaa  assai  interessante,  che  potrà  pro- 
babilmente accrescersi. 

.*.  Per  le  nozze  del  prof.  Ciro  Trabalza  colla  signorina  Rosa,  sono  state 
fate  pubblicazioni  di  amici  e  discepoli.  E  fra  esse  notiamo  le  seguenti: 
PiKRo  Reali,  Spigolature  di  psicologia  infantile  ne' Pensieri  postumi  di 
G.  Leopardi  (Firenze,  Paggi,  di  pagg.  81  in  16.»),  raccolta,  dallo  Zibaldone 
leopardiano  di  quanto  riguarda  il  fanciullo,  con  più  alcUni  ricordi  per  T  edu- 
cazione del  medesimo,  fatta  con  cura  e  preceduta  da  lina  opportuna  prefa- 
zione, che  condensa  sistematicamente,  ciò  che  fu  sparsamente  detto  dal  gran 
.recanatese.  —  A.  Bertoldi,  Tre  lettere  inedite  di  Ugo  Foscolo  (Prato,  Gia- 
chetti,  di  16  pagg.  in  16.»):  una  al  Bodoni.  una  alla  signora  Cusi,  e  la  terza 
e  più  importante,  alla  sorella.  —  M.  Falogi  Pulignani,  Una  pagina  di  Arte 
Umbra  (Foligno,  Salvati  di  pagg.  33  in  16.»),  interessante  capitolo  di  storia 
artìstica  della  nativa  regione,  reso  più  interessante  dalla  riproduzione  di  an- 
tichi monumenti.  —  Poesie  originali  o  tradotte  pubblicarono  i  signori  Giulio 
Urbini,  Luigi  Grilli,  Leopoldo  Tiberi;  e  il  prof.  0.  Ferrini  la  traduzione  in  la- 
tino del  sonetto  del  D' Annunzio  su  Gubbio.  —  In  questa  occasione,  per 
donarne  gli  amici,  lo  sposo  mise  a  stampa  (Roma,  Forzaci,  di  pagg.  23  in  16.") 
una  sua  conferenza  su  Gubbio,  forse  piuttosto  lirica,  che  storica,  e  eh'  egli 
stesso  battezza  "il  Gubbio  della  mia  fantasia,. 

.*.  Molto  negli  anni  scorsi  si  disputò  circa  il  Consalvo  del  Leopardi,  sia 
rispetto  alla  data  che  gli  spetta,  sia  considerandolo  nel  suo  intrinseco  valore 
d'opera  d'arte.  Mentre  allo  Zumbini  parve  "  una  delle  cose  più  perfette  della 
postra  poesia  ,,  il  Carducci  giudicò  che  *  nell'ordine  della  poesia  leopardiana 
segnasse  „  contraddizione  e  disgregazione  accidentale  „.  Il  prof.  G.  Checchia  ri- 
prende e  amplifica  la  sentenza  del  Carducci  in  un  suo  studio  critico  su  co- 
testo componimento  (Teramo,  Rivista  Abruzzese,  di  pagg.  41).  Ci  sembra  di 
trovare  in  cotesto  scritto  alcune  cose  notevoli,  e  alcuni  raffronti  importanti  con 
altre  poesie  dell'autore,  prima  non  addit,ati  :  ma  ci  sembra  anche  che  troppo 
ricalchi  e  insista,  e  soverchiamente  aggravi  i  giudizj  del  maestro  che  segue 
ed  esempla,  e  troppo  anche  rigidamente  osservi  ed  esageri  quella  distinzione 
in  periodi  e  gruppi,  che  fu  istituita  dal  Carducci.  Volendo  '  continuare  un  po' 
l'analisi  ,  carducciana,  è  arrivato  a  tali  conclusioni  di  critica  puramente  in- 
dividuale, da  far  quasi  comparire  il  Consalvo  come  opera  priva  affatto  d'ogni 
pregio  :  il  che  ci  pare  eccessivo.  In  esso  trova  un  contrasto  *  fra  la  mal  cer- 
cata spontaneità  del  sentimento  e  della  immagine,  e  la  smania  di  tentare  e 
di  svegliare  un  vero  che  al  poeta  sempre  più  fuggiva  dall'anima  „:  nel  Con- 
salvo è  "  sciupato  e  rattrappito  fra  le  grinze  della  frase  incerta  e  nell'ordito 
studiosamente  contorto  della  costruzione  ritmica,  un  po'  scolastica  e  un  po' 
accademica,  quasi  fanciullesca,  ciò  che  più  efficacemente  è  detto  nell'.^- 
spasia:  e  cosf  via.  Il  troppo  stroppia:  e  la  "continuazione  dell'analisi  „  ha 
passato  i  limiti  del  discreto.  A  ritrarre  i  pregj  e  i  difelli  dei  grandi  occorre 
mano  leggera  e  delicata:  occorre  appressarsi  al  giudizio  con  ossequio  e  ti- 
more, e  sopratulto  con  minor  fiducia  in  teorie  astratte,  che  spesso  hanno 
realtà  soltanto  entro  di  noi,  e  da  noi  sono  considerate  infallibili  pel  nostro 
individuai  modo  di  osservare,  sicché  possa  poi  avvenire  che  due  critici  di 
gran  valore,  sullo  slesso  argomento  dicano  l'uno  bianco,  l'altro  nero.  Ma  la 
verità,  diceva  il  Renan,  sta  nelle  graduazioni  e  nelle  sfumature. 


DELLA  LETTE    ATURA   ITALIANA  313 

.'.  Dopo  aver  condotto  cosi  bene  innanzi  la  "  Piccola  Biblioteca  di  Scienze 
moderne  ,  gli  editori  Fratelli  Bocca  di  Torino  mettono  mano  a  una  *  Biblio- 
teca letteraria  ,  in  pili  piccolo  formato,  di  bella  carta  e  nitidi  caratteri,  alia 
quale  auguriamo  il  meritato  favore  del  pubblico.  Il  primo  volume,  ora  uscito 
alle  stampe,  è  del  sig.  R.  Giani,  L'  Estetica  nei  pensieri  di  G.  Leopardi  (di 
pagg.  XI-S54  in  16.°).  Come  già  il  prof.  Bertana  per  ritrarne  la  mente  si  valse 
dello  Zibaldone,  felicemente  tornato  a  luce,  cosi  ora  lo  studia  il  sig.  Giani 
per  cavarne  fuori  ed  esporne  l'estetica,  riducendo  a  corpo  di  dottrina  e  coor- 
dinando i  pensieri  e  gli  accenni  disseminati  in  quella  specie  di  diario  intel- 
lettuale del  recanatese.  A  una  rapida  scorsa  ci  è  sembrato  che  Fa.  di  que- 
sto studio  abbia  fatto  opera  coscenziosa  ed  utile,  sicché  questo  volume  sia 
come  preludio  promettente  a  quelli  che  seguiranno:  ma  di  esso  intendiamo 
dar  maggior  contezza  in  appresso. 

.'.  Il  prof.  Adolfo  Boeri  ha  pubblicato  uno  scritto  su  Giacomo  Leopardi  e 
lalingua  e  la  letteratura  francese  (Palermo,  tip.  Era  Nuova,  di  pagg.  131  in  8.»), 
in  cui  ha  esposto  le  osservazioni  e  i  giudizj  in  pro|»osito  che  si  trovano  dis- 
seminati nello  Zibaldone.  Il  libro  si  compone  di  tre  capitoli,  nel  primo  dei 
quali  TA.  parla  della  molta  conoscenza  che  il  Leopardi  ebbe  della  lingua  e 
della  letteratura  francese,  come  resulta  dalle  notizie  che  abbiamo  dei  suoi 
studj  e  da  alcuni  suoi  scritti  ;  nel  secondo  sono  raccolti  i  giudizj  sulla  lingua 
e  letteratura,  che  si  trovano  nello  Zibaldone.  Il  Leopardi  ebbe  pochissima 
stima  del  linguaggio  e  della  letteratura  dei  nostri  vicini  d'oltr'Alpe.  Giudi- 
cava la  lingua  imperfetta  nella  sua  ortografìa,  nella  pronuncia  impropria, 
inelegante,  povera  di  radici  dalle  quali  si  possano  cavar  parole  nuove,  scarsa 
di  sinonimi,  e  per  tutte  queste  ragioni  priva  di  lingua  poetica.  Ancora  rile- 
vava che  il  francese  è  inadatto  alle  traduzioni,  fra  le  quali  apprezzava  molto 
solo  le  Georgiche  volgarizzate  dal  De  Lille  e  le  traduzioni  dell'Amyot,  e  di 
quest'ultimo  perché  egli,  oltre  al  greco  e  al  latino,  conosceva  perfettamente 
i  classici  italiani,  che,  al  dire  di  Paul-Louis  Courier  "  sont  la  vraie  source 
"  de  beaulés  d'Amyot„.  Ciò  malgrado  la  lingua  francese  ha  conquistato  una' 
universalità  che  si  spiega  non  colle  sue  qualità  intrinseche,  ma  coli'  influenza 
politica  e  morale  esercitata  dalla  Francia.  Riguardo  alla  letteratura,  scarsa 
messe  di  giudizj  ha  potuto  raccogliere  il  Boeri  ;  oltre  che  dei  traduttori  di 
cui  s'è  detto,  il  Leopardi  discorre  poco  benevolmente  del  Poinsinet,  del  La' 
Fontaine,  del  Bossuet  "che  è  tutt' altro  che  un  genio,,  e  con  lode  invece 
del  Bourdaloue  e  del  Buffon.  Ma  per  quanto  il  Leopardi  avesse  poca  stima, 
e  non  sempre  a  ragione,  della  lingua  e  letteratura  francese,  tuttavia  noi 
vediamo  ch'egli  attinse  molto  ad  esse  per  la  sua  cultura.  Cosi  nell'ultimo 
capitolo  il  Boeri  parla  del  sistema  filosofico  del  Leopardi  per  mostrare  }'  in- 
flusso non  piccolo  che  esercitarono  sul  suo  pensiero  i  filosofi  francesi  e 
conclude  che  l'influsso  non  si  limitò  alla  fìlusofìa,  ma  anche  al  modo  di  scri- 
vere. Il  libro  del  Boeri  si  legge  volentieri,  ma  non  nascondiamo  che  si  sa- 
rebbe potuto  ridurre  alle  pili  modeste  dimensioni  di  un  buon  articolo,  anche 
perché  non  sempre  era  necessario  riprodurre  per  intero  i  varj  giudizj  dello 
Zibaldone.  Infine  avvertiremo  che  il  Boeri  non  pare  conosca  uno  scritti» 
recente,  del  1902,  sul  medesimo  argomento  da  lui  trattato,  di  Albert  Oriol, 
Lenpardi  et  la  littèrature  frangaise  nel  BullHin  italien,  lì,  304,  che  saiebbe 
stato  bene  aver  presente. 


314  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

/.  H  prof.  U.  Angeli  ha  insieme  raccolte  in  un  volumetto  (Prato,  Giachetti, 
di  pagg.  99  in  16.°)  Tre.  commemorazioni:  io.  prima  del  1898:  La  donna  e  l'a- 
more nei  canti  di  G.  Leopardi;  la  seconda,  del  1900:  bordello;  la  terza,  del 
1901  :  Commei(norazione  dei  caduti  a  Curtatone  e  Montanara.  La  prima  ben 
peqsata  e  ben  scritta,  dimostra,  collo  studio  dai  primi  canti  elegiaci  all'A- 
ppasta, come  l'amore  *  iniziatosi  violento  e  fervente  nei  giovanetti  anni  del 
Leopardi,  divenisse  poi  soffuso  di  malinconia  e  quasi  di  sentimentalità  inge- 
nua ,  finché  nel  turbamento  e  nella  certezza  dì  esser  egli  escluso  dalle  gioie 
dell'amore,  avviene  il  cozzo  fra  la  realtà  e  Tidealità,  e  quest' ultima  trionfa. 
Se  non  che,  dato  il  suo  temperamento  e  la  sua  fibra  sensibilissima,  il  trionfo 
compiuto  di  una  fiera  passione  reale  trascina  alla  tragica  fine  il  miserando 
animo  del  poeta,.  —  Nel  secondo  discorso  l'a.  vuol  dichiarare  il  carattere 
e  l'importanza  del  trovatore  mantovano,  il  concetto  che  n'ebbe  Dante  e 
l'arte  colla  quale  lo  introdusse  nel  noto  episodio,  facendo  per  ultimo  un 
rapido,  ma  succoso  esame  dell'invettiva  occasionata  dall' abbracciarsi  dei  due 
poeti,  col  nome  e  nel  nome  della  patria.  Sembra  all' a.  che  l'invettiva  corri- 
sponde^ al  Pianto  di  Bordello  per  Ser  Biacas,  e  certo  v'è  in  essa  qualche  cosa 
che  lo  richiama:  ma  non  sembrerebbe  invece  che  la  rassegna  dei  principi 
della  valletta  sia  in  più  immediata  relazione  coli' enumerare  e  giudicare  che 
il.mantovano  fa  i  principi  del  tempo,  nel  suo  componimento  provenzale?  — 
Nel  terzo,  con  caldi  sensi  di  amor  patrio,  si  narra  brevemente  la  battaglia 
del  29  maggio,  si  commemora  un  valoroso  pratese,  caduto  nel  conflitto,  e  si 
ac^cenna  alle  onoranze  ai  valorosi,  fatte  o  tentate  a  Prato  nel  decennio.  Ma  qui, 
come  giàin  altro  luogo,  vogliamo  notare  un  errore  storico,  una  esagerazione  in 
che  l'a.,  come  molti  altri,  sono  caduti,  parlando  della  commemorazione  del 
1851  in  Santa  Croce,  dove  veramente  il  tempio  non  "  fu  bagnato  dal  san- 
gue cittadino  per  opera  degli  sgherri,  che  investirono  il  numeroso  popolo  ,: 
fu  un  semplice  parapiglia,  e  i  fucili  furono  sparati  in  aria  senza  danno  di 
persona.  Ciò  non  per  difendere  il  governo  lorenese,  ma  semplicemente  in 
omaggio  al  vero. 

.'.  Lo  Studio  intorno  alla  vita  di  Carlo  Botta  della  signorina  E.  Rkgis, 
tracciato  con  la  guida  di  lettere  in  gran  parte  inedite  (Torino,  Clausen,  di 
pagg.  34  in  4.°,  estr.  dalle  Memorie  dell' Accad.  Reale  ecc.)  non  è  una  com- 
piuta biografia,  ma  si  ferma  soltanto  su  alcuni  punti,  traendo  dall'epistolario 
raccolto  già  dal  compianto  Giovanni  Flecchia,  e  che  speriamo  il  nepote  del- 
l'egregio uomo  darà  presto  in  luce,  quanto  specialmente  riguarda  le  opinioni 
politiche  e  letterarie  dello  storico  canavesano.  L'a.  addita  la  varietà  di  con- 
vinzioni politiche  nel  Botta  giovane  e  nel  Botta  maturo  d'anni  e  d'espe- 
rienza :  che  certo  non  è  bella  cosa  né  da  mostrarsi  ad  esempio  :  ma,  seguendo 
lo  svolgersi  degli  avvenimenti  straordinarj  della  fine  del  XVllI  e  del  prin- 
cipio del  secolo  XIX  quanti  non  sono  fra  i  contemporanei  che  cangiarono 
peasieri  e  voglie!  E  ad  ogni  modo,  il  Botta  amò  sempre  e  servi  colla  penna 
Usuo  paese,  e  visse  e  mori  povero.  Dove  non  si  ha  cangiamento  nel  Botta 
è  rispetto  a  idee  letterarie:  restò  sempre  un  classico,  un  purista  impenitente 
eisfogò  sempre  l'ira  sua  contro  i  novatori,  i  romantici.  L'a.  raccoglie  parecchi 
dei. suoi  giudizj,  e  non  si  può  a  meno  di  sorridere  legjjendo  quelli  sul  Man- 
zoni e  sul  suo  romanzo,  mentre  ei  profonde  elogj  a   meschini  scrittori.  Le 


DELLA  LETTERATURA   ITALIANA  315 

ossarvazjoni  critiche  del  Botta,  rappresentante  di  tutta  una  scuola,  che  nel 
romanzo  non  vede  se  non  *  sciocchezze  e  bambinerie  ,  pur  riconoscendo  allo 
scrittore  *  un  ingegno  grande  ,,  dimostrano  qual  profondo  rivolgimento  arre- 
casse nel  campo  delle  lettere  l'opera  del  Manzoni.  La  Memoria  della  sigoo- 
rioa  R.  si  fa  leggere  con  piacere,  ed  è  scritta  con  facilità  e  scioltezza:  non 
sempre  con  cura  della  forma;  e,  per  esempio,  che  mai  vuol  significare  (pag.  20) 
un  "accompagnamento  un  po' impertinente;  frin-fron-frin-fron  ?  , 

.'.  Parte  di  più  lungo  lavoro,  e  introduzione  ad  esso,  e  lo  studio  del  dott. 
P.  Prunas,  Le  Origini  dell'  Antologia,  periodico  di  G.  P.  Vieusseux  (Pistoja, 
Fiori,  di  pagg.  48  in  16.°.  eslr.  dalla  Rassegna  Nazionale,  1.  luglio  1903).  Pri- 
ma di  tesser  la  storia  delle  vicende  di  cotesto  periodico,  che  forma,  tanta 
parte  della  cultura  letteraria  della  metà  dell'  Ottocento,  l'A.  espone  in  questo 
suo  studio  le  condizioni  politiche  del  tempo  in  che  sorse,  i  varj  tentativi  per 
fondare  una  Rivista  italiana,  le  difficoltà  d'  ogni  genere  che  dovette  supe- 
rare, mettendo  in  chiara  luce  la  parte  che  nell'  opera  spetta  a  Gino  Cap- 
poni e  a  Giampietro  Vieusseux,  ispiratore  l'uno,  l'altro  direttore  del  perio- 
dico. La  narrazione  è  condotta  su  documenti  sicuri,  specie  sul  carteggio  del 
Vieusseux,  che  si  conserva  nella  Nazionale  di  Firenze,  copiosissimo  e  ben 
ordinato,  e  che  è  una  miniera  inesauribile  di  notizie  per  la  storia  dei  tempi. 
Salvo  qualche  po'  di  lungaggine  in  principio,  dove  si  espongono  le  condi- 
zioni politiche  dell'Italia  fra  il  '15  e  il  '20,  il  Prunas  corre  spedito  ma  con 
copia  d' informazioni  e  ricco  corredo  di  testimonianze,  in  forma  facile  e  chia- 
ra, non  priva  di  naturale  eleganza.  E  questo  saggio,  cosi  ben  ordinato  e  cosi 
ricco  di  ragguagli  su  uomini  e  cose,  ci  fa  bene  sperare  dell'  opera  alla  quale 
prelude. 

.".  Il  4  ottobre,  cinquantesimo  anniversario  della  morte  del  conte  Eduardo 
Fabbri  cesenate,  il  giornale  locale  II  cittadino  ha  pubblicalo  un  numero  quasi 
tutto  destinato  a  celebrare  l' illustre  uomo,  chiaro  per  civili  virtù  e  per  forte 
e  culto  intelletto.  La  vita  di  lui  è  narrata  compendiosamente  dal  sig.  N.  Tro- 
VANELLi,  adornata  di  più  ritratti  e  di  altre  illustrazioni.  Diciamo  compendio- 
samente, ma  sappiamo  che  ad  una  biografìa  più  ampia  attende  l'autore, 
la  quale  ritrarrà  con  lo  svolgimento  che  merita  la  vita  dell'uomo,  e  la  storia 
dei  tempi  in  che  visse  e  scrisse  e  operò  con  zelo  d'italiano  e  drittura  di 
mente  e  d' animo.  E  vogliam  credere  eh'  egli  ci  darà  allora  il  testo  delle 
Memorie  sulla  sua  prigionia  nelle  carceri  pontifìcie.  Un  altro  breve  articolo 
dà  notizia  di  una  tragedia  inedita  del  Fabbri  La  morte  di  Arrigo  IV  impe- 
ratore, recandone  alcuni  brani,  che  fanno  desiderare  il  rimanente.  Prefetto 
quando  Murat  proclamò  l'indipendenza  d'Italia,  ministro  costituzionale  di 
di  Pio  IX,  capo  dei  liberali  romagnoli  e  perseguitato  dal  governo  dei  preti, 
autore  di  tragedie  men  note  di  quanto  meriterebbero,  ri  Fabbri  è  ben  degno 
degli  onori  che  gli  si  tributano,  e  dei  quali  il  migliore  e  più  opportuno  sarà 
quello  che  aspettiamo  dall'  egregio  suo  conciltadino. 

.*.  Fra  i  tanti  personaggi  manzoniani  uno  dei  più  vivi  è  quello  di  Per- 
petua, il  cui  nome  è  rimasto  proverbiale;  ma  mentre  tutti  gli  altri,  anche 
minori  di  lei,  erano  stati  notomizzati  e  studiati,  niuno  finora,  se  non  erriamo, 
ne  aveva  fatto  argomento  speciale  di  considerazione,  come  ora  ha  fatto  il 
prof.  V.  Graziadbi  col  suo  scritto  La  :8erva  di  Don  Abbondio  (Palermo,  Rf  • 


316  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

ber,  di  pagg.  42  in  16.").  La  critica  del  6.  è  arguta  e  penetrante,  e  if  tipo' 
di  questa  donna  volgare,  ma  non  priva  di  senso  pratico  e  di  coraggio,  è  pie- 
namente descritto,  specialmente  a  contrasto  col  pusillanime  padrone  e  a 
confronto  coli'  amica  sua,  l' Agnese. 

.*.  Per  la  ricerca  delle  fonti  dei  Promessi  Sposi  ha  speciale  importanza 
un  articolo  del  sig.  G.  Galli,  Un'operetta  inedita  del  card.  Federico  Borromeo 
sopra  la  peste  in  Milano,  ed  i  Pr.  Sp.,  inserito  neir.<4rc7i.  stor.  lombardo,  sè- 
rie III,  fase.  XXXIX,  p.  110.  Benché  si  fosse  già  accennato  che  quella  rela- 
zione del  card,  al  Manzoni  non  era  rimasta  ignota,  non  era  stata  finora  rag- 
gnagliata  minutamente  con  ciò  che  in  proposito  della  peste  del  1630  è  narrato 
nel  romanzo,  ed  è  questo  che  ora  vien  fatto.  Ne  resulta  che  fra  gli  altri  che 
lasciarono  memorie  del  terribile  avvenimento,  il  cardinal  Federico  fu  dal 
Manzoni  letto  e  seguito  a  preferenza.  Vi  è  ad  es.,  nel  Borromeo  l'episodio 
di  uno  che  si  salva  sul  carro  dei  monatti,  come  il  Manzoni  fa  fare  a  Renzo: 
vi  è  l'episodio  di  Cecilia.  Se  non  che,  questa  ed  altra,  è  materia  greggia, 
che  il  sommo  artista  ha  trasformata  col  suo  magistero.  L'a.  di  quell'articolo 
cita  anche  altre  fonti  manzoniane,  fra  le  altre  il  libro  del  Lampugnano,  dove 
si  trova  in  genere  il  famoso  dilemma  di  Don  Ferrando,  che  già  altri  aveva 
additato  in  un  discorso  dell'Achillini.  Meglio  cosi:  il  Manzoni  riferendo  quel 
celebre  ragionamento  non  potrà  esser  accusato  di  plagio,  perché  ha  ripro- 
dotto veramente  quello  che  era  il  modo  comune  di  pensare  e  parlare  dei 
dotti  o  pseudo-dotti  di  quell'età. 

.*.  Il  fascicolo  3.»  della  4."  annata  dell'ottima  Rivista  Dalmatica  è  tutto 
dedicato  a  Niccolò  Tommaseo,  e  contiene  i  seguenti  scritti  :  I.  Del  Lungo  e 
P.  Prunas,  Dal  primo  esilio,  lettere  prime,  1834,  di  N.  T.  a  G.  Capponi;  in- 
teressatiti primizie  del  carteggio  fra  i  due  egregi  uomini,  opportunamente  an- 
notato -  A.  Franchktti,  N.  T.  e  l'educazione  -  U.  Miagostovich,  Alcune  leti, 
ined.  di  N.  T.  al  dott.  F.  Galvani  -  G.  Canna,  Alcuni  pensieri  su  N.  T.  • 
Lettera  di  N.  T.  a  Stefano  Grosso  -  N.  Castagna,  Ricordi  e  note  intorno  a 
N.  T.  (rammenta  atti  e  motti  di  T.,  lodandone  tuttavia  alcuni  di  perfetta  in- 
tolleranza e  contro  la  carità,  non  diremo  cristiana,  ma  umana,  come  l'epi- 
gramma, più  scipito  che  crudele,  contro  il  Leopardi).  -  P.  Mazzoleni,  Alcuni 
scritti  editi  e  inediti  di  N.  T.  riguardanti  persone  e  cose  patrie  (raccolta,  che 
facendo  contrasto  alla  inopportunità  e  peggio,  della  precedente,  ricorda  scritture 
e  azioni  onorevoli  del  T.  in  favore  della  patria  Sebenico  e  di  suoi  concittadini). 
Una  Lettera  di  Suor  Chiara  Tommaseo  (con  notizie  curiose  sui  libri  e  mano- 
scritti del  padre  -  V.  Brunelli,  Manoscritti  e  stampe  di  N.  T.  conservati  alla 
Biblioteca  Paravia  di  Zara  (utile  catalogo  del  fondo  tommaseiano  di  Zara).  - 
Appunti  e  notizie:  Le  onoranze  a  N.  T.  nel  centenario  della  nascita  -  Pub-; 
biicazioni  nel  centenario  della  nascita  di  N.  T,  -  Il  fascicolo  è  reso  più  inte- 
ressante dalle  frequenti  illustrazioni:  Ritratti  di  N.  T.  nel  1861  e  nel  1873; 
Ritratto  di  Girolamo  Tommaseo;  Casa  ove  nacque  N.  T.  a  Sebenico;  Il  mo- 
numento a  N.  T.  in  Sebenico  •  Facsimile  di  un  autografo  del  T.  -  Albero 
genealogico  della  famiglia  T.  ■  Con  questa  pubblicazione  la  Rivista  Dalmatica 
ha  reso  omaggio  all'illustre  concittadino  e  portato  un  reale  contributo  alla 
biografia  e  bibliografìa  di  lui. 

,,•.  Opera  meritoria  e  degna  è  stata  fatta  in  Sicilia,  ravvivando  il.  nome. 


DELLA    LETTERATURA   ITALIANA  317 

di  Paolo  Emiliani  Giudici  e  collocandone  un  busto  nella  Università  di  Palermo 
ai  7  giugno  di  quest'  anno.  L'inaugurazione  di  esso  busto  (in  verità,  non  molto 
rassomigliante,  chi  ricordi  l'uomo)  fu  accompagnata  da  discorsi  del  prof.  6. 
A.  Cesareo,  del  prof.  F.  Guardione  e  di  altri,  che  furono  raccolti  insieme  col 
titolo  :  Onoranze  a  P.  E.  G.  veli'  Università  di  Palermo  (Palermo,  Virzì,  di 
pagg.  56  in  16.°).  Il  discorso  del  Cesareo  ci  pare  assai  buono  e  giusto,  e  che 
non  ecceda,  come  spesso  avviene,  i  meriti  veri  del  lodato,  cui  attribuisce  a 
buon  dritto  di  aver  per  primo  in  nna  storia  della  letteratura  italiana,  scru- 
tato "la  legge  rivelatrice  dei  fenomeni  letterarj  ,;  di  aver  per  primo  intuito 
che  *  un  fenomeno  letterario  non  si  produce  per  generazione  spontanea,  ma 
"  è  il   resultato  d'una   lunga   elaborazione   della   coscienza   collettiva   onde 

*  nacque  ,:  ma  ciò  non  toglie  che  egli  non  riuscisse  poi  ad  applicare  la  sua  teo- 
ria con  quel  medesimo  acume  con  cui  la  concepiva,  e  questo  liberamente  di- 
mostra r  oratore,  concludendo  che,  per  certi  rispetti,  si  possa  dire  esser  il 
Giudici  "  nato  troppo  presto  ,.  Ma  mentre  in  ciò  consentiamo  col  Cesareo, 
attribuendo  allo  storico  siciliano  la  lode  e  la  censura  che  gli  si  deve,  non 
potremmo  consentire  con  lui,  quando  assevera  che  dopo  il  De  Sanctis  "  suc- 
"  cedesse  per  circa  quarant'anni  in  anni  in  Italia  un  periodo  d'  astinenza,  col 
"  ritorno  a  una  critica  secca,  inanimata,  e  meccanica  ,.  Vero  è,  ei  prosegue, 
"  che  quel  periodo  di  quaresima  della  intelligenza  è  ormai  oltrepassato  e  che 

*  da  qualche  anno  gli  spiriti  più  alti  si  son  rimessi  su  una  via  luminosa  ,. 
Ne  sia  lode  a  Dio!  Ma    gli   studj  "di  analisi   meticolosa  ;,,  di   "trascrizioni, 

*  emendazioni,  attestazioni,  raffronti,  che  sono  filologia  e  non  critica  ,  (ed  è 
pur  qualche  cosa,  se  sono  di  filologia  buona),  quegli  studj  ai  quali  appar- 
tengono i  lavori  del  Cesareo  stesso  sui  poeti  del  periodo  svevo,  sulle  rime 
del  Petrarca  e  il  loro  ordinamento,  e  che  pur  sono  valsi  a  qualche  cosa  ri- 
spetto al  loro  autore,  appartengono  alla  prima  e  alla  seconda  categoria?  A 
noi  parrebbe  che  spettino  alla  prima,  ma  si  direbbe  che  il  Cesareo,  sdegnoso 
di  questo  "  trionfo  della  mediocrità  ,,  voglia  separarsi  dalla  mala  compagnia 
degli  spiriti  piccoli,  e  confondersi  in  quella  degli  *  spiriti  alti  ,  :  e  se  cosi 
vuole,  tal  sia,  e  lo  vedremo  alla  prova!  — .  Lo  scritto  del  prof.  Guardione 
ha  pili  ch'altro  indole  biografica,  e  ci  dà  ragguagli  men  noti  dei  primi  anni 
del  Giudici,  passati  in  Sicilia:  men  sicuri  e  particolareggiati  sono  quelli  del 
soggiorno  in  Toscana  (a  pag.  45  ad  es.  si  parla  delle  stragi  del  29  maggio 
1849  neir  anniversario  di  Curtatone  e  Montanara,  che  furono  una  semplice 
scarica  in  aria !)  e  quelli  sugli  ultimi  anni,  ne' quali  scemò  in  lui  l'operosità 
della  mente  e  la  dignità  della  vita.  Meno  temperati  che  quelli  del  Cesareo, 
sono  i  giudizj  del  Guardione  rispetto  alle  opere  del  Giudici.  La  storia  della 
Letteratura  è  lodata,  senza  riserva,  paragonando  l'autore  al  Beaumont,  al 
Guvier,  a  Galeno,  agli  Dei  d'  Omero  ecc.  Il  vero  è  che  la  Storia  Letteraria 
del  Giudici  ha  un  merito  grandissimo  rispetto  ai  tempi,  ma  ormai  è  stata 
superata  :  e  il  tornare  ad  essa,  che  pure  occupa  nn  posto  cospicuo  nella  serie 
delle  opere  congeneri,  sarebbe  un  tornare  addietro,  sebbene  il  sig.  Guardione 
in  tutto  il  lavoro  successivo  di  critica,  frammentaria  o  generale,  non  vegga 
ei  pure  che  "  fatiche  investigatrici  delle  date  di  nascita,  di  sponsali,  di  doni 

*  matrimoniali,  di  viaggi,  di  nozze,  di  morte  ,.  Proprio  cosi!  e  nuli'  altro,  se- 
condo lui,  è  stato  fatto  in  questi  ultimi  anni.  Quanto  alla  Storia  dei  Municipj, 


318  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

r  oblio  in  che  è  caduta  non  è  ingiusto,  e  la  Storia  del  Teatro  non  è  infin 
dei  conti,  altro  che  una  amplificazione  di  quel  capitolo  della  Storta  Lette- 
raria, nel  quale,  primo  fra  tutti,  ed  è  suo  merito,  trattò  delle  Sacre  Rappre- 
sentazioni. Alle  onoranze,  anche  per  memoria  dell' amico,  ci  uniamo  piena- 
mente, e  ci  compiacciamo  che  finalmente  la  sua  memoria  sia  slata  ravvi- 
vata e  consacrata  indelebilmente  nella  regione  nativa:  ma-  non  potremmo 
approvare  lodi  che  ci  sembrano  contrarie  al  vero,  né  ammettere  il  biasimo 
incondizionato  di  tutta  1'  opera  della  critica  nel  tempo  successivo. 

.•.  Il  poeta  meridionale  Nicola  Sole  è  più  fortunato  morto  che  in  vita, 
poiché  di  lui  e  della  Basilicata  de' suoi  tempi  torna  a  parlare  il  prof.  G. 
Mari  (Melfi,  Grieco,  di  pagg.  159),  dopo  che  ne  discorsero  il  De  Sanctis  e  lo 
Zumbini,  l'uno  dicendone  forse  troppo  male,  l'altro  troppo  bene.  Il  vero  è 
che  si  parla  di  lui,  perché  nel  decennio  fra  il  '49  e  il  '59,  è  forse  l'unico 
poeta  meridionale,  che  emergesse  un  pò  sugli  altri,  sicché  sembra  dover  rap- 
presentare la  letteratura  poetica  di  quella  regione  in  quel  periodo.  Del  re- 
sto, avendo  una  certa  facilità  di  versi,  la  poesia  del  Sole  è  fiacca  e  stempe- 
rata. L'a.  di  questo  saggio  poteva  forse  occupare  più  utilmente  il  suo  tempo: 
poteva  dar  forma  più  breve  e  più  compatta  al  suo  lavoro:  poteva  curar 
maggiormente  lo  stile  e  la  lingua,  trasandatissimi  :  poteva  esser  non  diremo 
più  ossequente,  ma  più  garbato,  nel  contraddire  i  suoi  due  precedessori. 

.*.  Per  le  nozze  della  gentile  e  eulta  signora  Ada  Bellucci  col  dott.  G.  Ra- 
gnotti  alcuni  amici  hanno  pubblicato  una  bella  raccoltina  di  scritture  (Pe- 
rugia, Unione  tipogr.,  1902,  di  pagg  93  in  16.»).  Esse  sono  :  Monito  Salulis, 
tratti  da  un  ms.  del  secolo  XVIII,  da  L.  Lanzi.  —  Alcune  notizie  sul  ritratto 
di  Annibale  Mariotli,  di  V.  Ansidei.  —  Il  giorno  nuziale  nelle  leggi  perugine 
del  sec.  XVI,  di  G.  Degli  Azzi  Vitelleschi:  diligente  e  curiosa  raccolta  di  notizie 
sull'argomento.  —  G.  Mazzatinti,  Camilla  d' Amore,  dieci  strambotti  di  un 
Cesare  Dondolelli  del  Borgo  S.  Sepolcro,  alcuni  dei  quali  hanno  intonazione 
e  reminiscenze  dal  tipo  popolare.  —  L.  Fumi,  La  moda  del  vestire  in  Lucca 
dal  sec.  XIV  al  sec.  XIX:  è  un  buono  e  compiuto  saggio  sulle  leggi  sun- 
tuarie della  secolare  repubblica,  pieno  di  curiosi  particolari  sul  contrasto 
fra  il  desiderio  di  frenare  il  lusso,  il  bisogno  di  proteggere  le  industrie  pae- 
sane, e  l'insaziabile  intento  femminile  delle  nuove  fogge  e  dell'imitazione 
degli  esempj  forestieri.  Su  questo  lavoro,  che  è  il  più  lungo  dell'elegante  vo- 
lumetto, potrà  ritornare  l'autore  con  nuove  cure;  e  allora  vorrà  aggiungere 
all'opera  sua  un  glossarietto,  che  spieghi  il  preciso  valore  di  molte  parole, 
designanti  stofTe,  colori,  abiti  ecc.,  che  o  non  s'intendono  o  s'intendono  solo 
genericamente  per  discrezione.  —  Per  la  stessa  fausta  occasione,  ma  sepa- 
ratamente, L.  Manzoni  ha  pubblicato  (Perugia,  Unione  tipogr.,  di  pagg.  10  in 
16.).  un  documento  su  Lautizio  di  Bartolomeo  dei  Roteili  da  Perugia,  ore- 
fice, incisore  e  intagliatore  di  caratteri  da  stampa. 

.'.  Più  tardi  dell'occasione  alla  quale  era  destinato,  è  uscito  a  luce  un-, 
voi.  miscellaneo  per  le  Nozze  Pèrcopo- Lucia  ni  (30  luglio  1902),  e  perciò»  tardi 
lo  annunziamo  (Napoli,  Pieno,  di  pagg.  204  in  16.»).  Parecchi  studiosi,  amici 
dello  sposo,  hanno  contribuito  a  formarlo:  e  qui  diamo  l'elenco  dei  varj  scritti 
che  lo  compongono:  E.  Proto,. /i  padre  di  famiglia:  dialoghi  di  T.  Tasso 
(ne  esaniin.i  i  piegi  e  i  «Ji^oUi;  e  ne  indica  le  fonti).  —  G.  Di  NisciA,  Per  una 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  319 

fonte  probabile  della  "  Bisbetica  domata  ,  (Alle  molte  altre  fonti  additate 
e  discusse,  si  aggiunge  qui  la  Novella  su  fra  Michele  Porcelli  del  Sacchetti  ; 
ma  converrebbe  aver  qualche  prova  che  lo  Shakespeare  conoscesse  questo 
novelliere  italiano,  stampato  per  la  prima  volta  nel  1734).  —  E.  Cocchia, 
Confronto  fra  V  Iliade  e  la  Chanson  de  Roland  (Con  esame  accurato  dei  due 
poemi,  combatte  il  paragone,  a  tutto  vantaggio  del  poema  francese,  fatto  dal 
Gautier  fra  quei  due  monumenti  letterarj).  —  B.  Croce,  Curiosità  vichiane 
(Riproduce  ed  esamina  due  pareri  del  Vico  sulle  tragedie  del  Gravina  e  del 
Marchese).  —  G.  Rosalba,  Un  episodio  della  vita  di  Vittoria  Colonna  (Pub- 
blica due  diplomi  imperiali,  dai  quali  resulterebbe  che  la  Colonna  coadiuvò 
Costanza  d'Avalos  nella  difesa  d' Ischia).  —  F.  Torraca,  Sul  ritmo  cassinese 
Ne  parliamo  a  parte.  —  R,  Zumbini,  Gli  episodi  dei  montoni  e  della  tempesta 
presso  il  Folengo  e  il  Rabelais  (Adduce  nuove  prove  dell'  *  intima  parentela 
di  questi  due  autori  ,),  —  N.  Zingarelli,  Per  la  storia  del  Seeretum  secre- 
forum  (Riproduce,  accennando  preliminarmente  le  vicende  di  questo  scritto 
famoso,  un  lesto  francese  del  medesimo)  —  Il  valente  dedicatario  può  esser 
ben  lieto  di  questa  raccolta  offertagli  in  dono  dai  suoi  amici  ed  estimatori. 
.*.  Importante  egualmente  alla  geografia  e  alla  filologia  é  uno  scritto  di 
G.  Crocioni,  Termini  geografici  dialettali  di  Velletri  e  contorni  (estr.  dalla 
Riv.  geograf.  ital.  di  pagg.  9  in  16.°)  conlenente  vocaboli  del  parlar  locale, 
disposti  per  ordine  di  materie,  e  riguardanti  fenomeni  metereologici,  cultura 
e  vegetazione,  idrografia  ecc.  Molli  di  essi  {Buriana,  Breccia  ecc.)  apparten- 
gono anche  alle  parlate  toscane.  Altra  pubblicazione  filologica  del  Crocioni 
è  la  riproduzione  de  L' intervenuta  ridicolosn,  commedia  in  dialetto  di  Cin- 
goli (Torino,  Loescher,  di  pag.  59  in  16.»)  scritta  nel  1606  da  un  Francesco 
Borrocci,  compositore  di  commedie  e  scherzi  nel  suo  vernacolo,  che  da  lui 
s'intitolarono  barrocciate.  -  La  commedia,  nei  brevi  versiceli  che  piacquero 
anche  a  certi  autori  dei  Prologhi  delle  Sacre  Rappresentazioni,  non  manca 
di  qualche  vivezza,  e  gli  opportuni  prolegomeni  glottologici  dell'editore  age- 
volano l'intendimento  di  questa  composizione  in  un  dialetto  della  Marca. 

.•.  Grazioso  e  piacevole  libretto  è  quello  messo  insieme  dal  prof.  S.  Pel- 
lini  col  titolo  Medici  e  Medicine:  Igiene  popolare  (Novara,  Miglio,  1902,  di 
pagg.  148  in  16.""  picc),  che  è  una  raccolta  —  modestamente  il  compilatore 
lo  dice  Zibaldone  —  di  aforismi,  sentenze,  proverbj,  epigrammi,  aneddoti 
sulle  malattie  e  sui  farmachi.  Esso  si  divide  in  due  parti,  la  prima  delle 
quali  tratta  del  modo  di  conservare  o  curare  la  sanità  del  corpo,  nonché  dei 
professanti  l'arte  medica,  raccogliendo  in  proposito  di  questi  tutto  quello  che 
l'esperienza  ha  detto  in  proposito,  sf  in  bene  come  in  male.  La  seconda 
parte  tratta  dell'Igiene  popolare,  e  mette  in  mostra,  con  opportune  illustra- 
zioni morali  e  storiche,  quanto  i  consigli  degli  esperti  e  la  sapienza  tradi- 
zionale degli  uomini  ha  espresso  e  trasmesso  circa  i  cibi,  le  bevande,  il  dor- 
mire, l'amare  ecc.  È  una  ricca  collezione  di  adagj  e  molli,  che  si  direbbe 
rimasta  quasi  ignorata,  ma  che  accresciuta  e  confidala  a  un  buon  editore 
potrebbe  e  dovrebbe  avere  facile  fortuna. 

.•.  Con  la  consueta  competenza  e  con  molta  chiarezza  Benedetto  Croce 
ha  di  recente  scritto  Per  la  storia  della  critica  e  storiografia  letteraria  (Na- 
poli, Tipogr.  della  R.  Università,  di  pp.  28  in  8.»)  alcune  osservazioni  che  si 


320  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

possono  considerare  come  i  principj  fondamentali  di  una  storia  della  critica. 
Comincia  col  distinguere  fra  storia  della  critica  e  storia  delle  teorie  critiche  ; 
la  seconda  è  un  capitolo  della  storia  della  Poetica,  ossia  Estetica;  la  prima 
concerne  la  critica  in  atto,  è  la  storia  della  produzione  effettiva  dello  spirito 
critico  nella  sua  vita  concreta.  Non  bisogna  trascurare  però  la  grande  ef- 
ficacia che  lo  svolgersi  della  teoria  ha  sulla  stessa  funzione  critica;  di  qui 
la  grande  importanza  che  ha  in  una  storia  della  critica  la  esposizione  della 
influenza  delle  teorie  sulla  pratica  :  ma  questa  esposizione  si  deve  conside- 
rare come  un  sussidio  alla  storia  della  critica,  non  è  la  parte  principale. 
Siccome  in  ogni  lavoro  critico  si  possono  distinguere  tre  momenti,  che  sono: 
1.*  erudizione  storica  occorrente  a  intendere  un'opera  d'arte;  2."  riprodu- 
zione fantastica  dell'  opera  d' arte  ;  3.°  rappresentazione  riflessa  dell'  opera 
d'arte;  cosi  oggetto  di  una  storia  della  critica  è  il  risultato  di  questi  tre 
momenti,  ossia  il  terzo,  che  comprende  i  due  primi,  dei  quali  è  necessario  te- 
ner conto  solo  come  elementi  sussidiar)  e  per  evitare  errori  che  dalla  igno- 
ranza di  essi  potrebbero  nascere.  Se  uno  di  questi  momenti  prevalesse  in  una 
storia  della  critica,  questa  degenererebbe  o  in  una  mera  storia  di  dottrine 
estetiche  astratte  o  in  un  catalogo  bibliografico  o  in  una  raccolta  di  aiied- 
doti  sulla  varietà  dei  gusti  o,  finalmente,  in  un  aggregato  inorganico  di  que- 
ste tre  storie  disparate.  Fissato  l'oggetto  della  storia  della  critica,  il  Croce 
passa  a  dire  che  la  trattazione  di  esso  abbraccia  tre  parti  ed  importa  tre 
ordini  di  ricerche:  1.°  vicende  e  progresso  dell'attitudine  o  metodo  critico 
in  genere;  2.°  risultati  particolari  raggiunti;  3."  organamento  di  questi  in 
un  quadro  pili  o  meno  vasto,  ossia  la  costruzione  della  storia  letteraria.  Lo 
svolgimento  di  ciascuna  di  queste  parti  è  chiarito  con  esempj,  e  per  la  1.» 
e  per  la  3.*  il  Croce  dà,  si  può  dire,  un  abbozzo  di  quello  che  dovrebbero 
essere,  mostrando  quanta  e  quale  preparazione  l'egregio  uomo  abbia  e  qual 
fortuna  sarebbe  se  volesse  accingersi  ad  un'opera  di  cui  egli  ha  nella  mente 
con  tanta  chiarezza  le  linee  generali  e  la  distribuzione  dei  capitoli  partico- 
lari. In  Appendice  il  Croce  raccoglie  alcuni  pochi  appunti  per  dimostrare 
l'influenza  esercitata  dal  Vico  sulla  critica  letteraria  italiana:  da  lui,  egli  dice, 
derivano  il  Cesarotti,  Mario  Pagano,  Francesco  Torti,  Ugo  Foscolo,  P.  Emiliani 
Giudici  e  il  De  Sanctis. 

.-.  Gol  titolo  L' Addio  di  Ettore  e  di  Andromaca  il  prof.  Fedele  Romani 
ha  pubblicato  (Firenze,  Le  Mounier,  di  pp.  105  in  le.")  la  Lettura  da  lui  te- 
nuta nel  marzo  scorso  al  Circolo  Filologico  di  Firenze,  per  incarico  delia 
Società  italiana  per  la  diffusione  e  l'incoraggiamento  degli  studj  classici. 
L'episodio  dell'Iliade  vi  è  esaminato  con  molto  gusto  e  finezza;  cosicché 
noi  vediamo  in  questa  lettura  confermate  le  belle  attitudini  di  critico,  che 
il  Romani  ha  rivelato  in  altre  sue  precedenti  pubblicazioni  di  cui  a  suo 
tempo  demmo  notizia.  Per  chi  amasse  rileggersi  per  intero  l'episodio  e  far 
confronti,  il  Romani  ha  aggiunto  al  suo  discorso  il  testo  greco  dell'episodio, 
la  traduzione  letterale  del  Cesarotti  e  la  poetica  bellissima  del  Monti. 

.".  Ci  duole  d'esser  costretti  dall'indole  del  presente  periodico  a  dar  sol- 
tanto una  breve  notizia  di  uno  studio,  pubblicato  da  G.  B.  Marchesi  su  La 
critica  Letteraria  e  la  questione  del  Genio  (estratto  dagli  Atti  dell'Ateneo 
di  Pergamo,  voi,  XX,  Bergamo,  Istituto  d'arti  grafiche,  1903  pp,  3-41),  nel 


DBLLA  LBTTERATURA   ITALIANA  321 

quale  la  vexata  quaestio  circa  l' origine  e  la  natura  del  Genio  è  esposta  con 
larghezza  di  criterj,  con  conoscenza  della  materia  presa  a  trattare,  e  con 
ponderata  temperanza  di  linguaggio.  Il  M.  pone  in  evidenza  la  fortuna  della 
formula  lombrosiana  "  genio  e  follia  „  ;  rileva  gli  errori  e  le  esagerazioni, 
alle  quali  essa  ha  portato,  specialmente  perché  male  applicata  da  troppo 
fervidi  seguaci;  e  s'indugia  in  special  modo  a  di'nostrare  che,  mentre  la 
follia  è  il  resultato  di  una  sregolata  attività  delle  funzioni  psichiche,  nel  fe- 
nomeno, che  dicesi  genio,  queste  medesime  funzioni  psichiche  hanno,  è  vero, 
un'attività  eccezionale,  ma  regolata  in  questo  caso  dalla  forza  volutiva  del- 
l'individuo e  dalle  leggi  universali  della  ragione.  Termina  concludendo,  che 
per  avere  la  piena  comprensione  di  un'opera  d'arte,  è  necessario  conoscer 
bene,  fin  nei  particolari,  la  vita  dell'artista,  la  famiglia  e  l'ambiente,  in  cui 
questi  crebbe  e  si  formò.  Lo  studio  del  M.  si  legge  col  massimo  interesse, 
perchè  nel  trattare  una  questione  molto  importante  ha  il  doppio  merito  d'es- 
ser ben  pensato  e  ben  scritto. 

.'.  Il  prof.  D.  Garoglio  ha  raccolto  insieme  alcuni  suoi  Saggi  di  critica 
contemporanea  intitolandoli  Versi  d'amore  e  prose  di  Romanzi  (Livorno, 
Giusti,  di  pagg.  XV-345  in  16."),  preludio  ad  altri  volumi,  che  verranno  dipoi 
con  altra  intitolazione:  Per  l'arte  e  per  la  vita  —  Risalendo  la  correUte  — 
Attraverso  le  frontiere,  ognun  dei  quali  lascia  dal  titolo  intravedere  ciò  che  in 
essi  sarà  contenuto.  Questo  intanto  contiene  studj  su  autori  viventi  :  Viva n te. 
Stecchetti,  Pascoli,  D'Annunzio,  Gena,  Coli,  Rossi,  Orvieto,  Mastri,  Fogazzaro, 
Neera,  De  Amicis,  Gorradini,  Agostini.  I  diversi  studj  sono  tolti  da  giornali 
e  riviste,  ma  ci  ricompaiono  innanzi  arricchiti  quasi  ognuno  di  note  finali, 
alle  quali  in  fondo  al  volume  altre  se  ne  aggiungono  d'indole  biografica  e 
bibliografica,  non  inutili  anche  nel  momento  presente,  e  che  più  utili  ancora 
saranno  coli' andar  del  tempo  per  le  notizie  che  contengono.  E  il  tempo 
modificherà  certamente  alcuni  giudizj  dell'autore,  che  inevitabilmente  risen- 
tono qualche  cosa  del  gusto  corrente  e  dei  vincoli  di  scuoia  e  d'amicizia: 
ma  riconoscerà  anche  nel  critico  della  produzione  letteraria  dello  scorcio 
del  sec.  XIX  e  dei  primordj  del  XX,  indipendenza  di  giudizio,  buoni  criterj 
d'arte  e  lucidità  di  forma.  Qualche  volte  dall'esame  del  libro  o  dell'opu- 
scolo preso  ad  esaminare,  l'A.  si  solleva  a  questioni  generali  di  forma,  e  non 
possiamo  se  non  approvare,  ad  esempio,  ciò  ch'egli  dice  intorno  al  "  verso 
libero,,  che  "per  evoluzione  logica,  a  furia  di  essere  libero  e  indipendente 
da  qualunque  legge  di  rima,  di  metro  e  sopratutto  di  ritmo  ,  finirà  col 
diventar  prosa.  Tutto  ciò  è  esposto  con  molto  buon  senso  non  solo,  ma  con 
vero  senso  d'arte:  e  ci  piace  darne  lode  all' A.  Certe  sfuriate  e  certi  sar- 
casmi contro  altra  forma  di  critica  non  ci  sono  sfuggiti,  ma  non  vogliamo 
fermarci  a  rilevarli.  Infin  dei  conti,  dedicare  un  accurato  studio  speciale  a 
quella  meteora  fugace  che  fu  la  Vivante,  non  differisce  molto  dal  diseppel- 
lire un  poeta  o  prosatore  di  secondo  o  quart'  ordine  dei  varj  secoli  della 
nostra  letteratura  e  farne  oggetto  di  critica  indagine.  La  differenza  è  sol- 
tanto rispetto  al  tempo  a  cui  appartengono  gli  scrittori  che  danno  argomento 
allo  studio.  La  critica  letteraria  è  poi  cosa  tutta  moderna,  né  poteva  farsi 
nei  secoli  decorsi  ciò  che  oggi  si  fa  :  ma  ogni  forma  d'  arte,  buona  o  me- 
diocre o  cattiva,  vecchia  o  recente,  ha  un  valore  storico  che  merita  di  esser 


322  RASSEGNA    BtBLlOÒtlAFIGA 

coscienziosamente  illustrato,  per  assegnargli  il  posto  che  nella  serie  delle  prò* 

duzioni  letterarie  gli  conviene  e  gli  spetta' 

/.  li  Prof.  V.  A.  Arullani  al  libro  Pei  regni  dell'arte,  del  quale  già  par- 
lammo (v.  Rassegna,  VII.  123)  ne  fa  seguire  un  altro,  aggiungendo  all'antico 
titolo:  e  della  Critica  (Torino,  Roux  e  Viarengo,  di  pagg,  239  in  16.**),  che  ha 
gli  stessi  pregj  e  difetti  notati  nell'antecedente:  un  certo  garbo  nell'esporre, 
ma  un  che  di  generico  e  di  superficiale  nel  trattare  materie  che  richiede- 
rebbero più  ampio  svolgimento.  Cosi  ad  es.  lo  scritto  su  Le  rime  del  Boc- 
caccio accenna  più  che  non  provi,  e  meglio  l'a.  avrebbe  dimostrato  la  sua 
tesi,  che  ci  par  giusta,  se  di  molti  componimenti,  i  quali  dovrebbero  dimo- 
strare la  verità  di  quanto  assevera,  non  si  fosse  limitato  a  citare  i  soli  ca- 
poversi. Anche  ci  piacerebbe  che  l'a.  parlasse  meno  in  persona  propria;  la 
qual  cosa  potrebbe  esser  argomento  di  modestia  nel  giudicare,  ma  ha  tutta 
l'apparenza  del  contrario.  Cosi  ad  es.  in  due  pagg.  -  167-68  -  troviamo  mia 
simpatia  -  mio  volume  -  studio  mio  -  ammirazione  mia  ecc.,  che  ad  ogni 
modo  è  forma  che  stucca.  L'autore,  che  cominciò  a  farsi  conoscere  con  un 
saggio  abbastanza  notevole  sulla  lirica  del  settecento,  anzi  che  sperdersi  in 
questi  brevi  saggi,  dovrebbe  raccoglier  le  sue  forze  su  un  argomento,  che 
meritasse  studio  largo  e  profondo.  Egli  sembra  troppo  compiacersi  in  questi 
lavori  di  fiato  corto;  ma  evidentemente  può  far  più  e  meglio.  Questi  sono 
frantumi:  il  dolore  in  Dante  e  nel  Petrarca,  non  è,  per  esempio,  tema  da 
restringersi  in  dodici  paginelte.  E  i  Pensieri  d' arte  e  di  letteratura,  coi  quali 
si  apre  il  volume,  sono  in  realtà  appunti  fuggitivi,  che  lo  scrittore  fissa  sulla 
carta  per  ricordarsene  al  caso  opportuno;  ma  cosi  come  ci  vengono  offerti, 
non  meritavano  davvero  di  uscire  dallo  scrigno  di  chi  li  ha  vergati. 

.'.  Non  è  mai  troppo  tardi  l'annunziare  un  volume  compilato  dal  prof. 
A.  Solerti  di  Autobiografie  e  Vite  dei  maggiori  scrittori  italiani  fino  al  se- 
colo XVIII  narrate  da  contemporanei  (Milano,  Albrighi,  Segati  e  comp.,  di 
pagg.  XIII-580,  in  16.°).  La  biografia  di  Dante  è  la  notizia  tratta  dalle  Cro- 
nache del  Villani  e  la  vita  del  Boccaccio;  quella  del  Petrarca  è  la  Lettera 
ai  posteri  volgarizzata  dal  Fracassetti:  e  di  ambedue  si  reca  il  parallelo  di 
Leonardo  Bruni.  Del  Boccaccio  si  dà  ciò  che  ne  scrissero  Filippo  Villani 
e  il  Betussi:  di  Leon  Battista  Alberti,  la  Biogr.  e  l'autobiografia:  di  Lorenzo 
de'  Medici,  i  Ricordi  autobiografici  e  la  vita  del  Valori  :  del  Poliziano  ciò  che 
scrisse  -  non  è  veramente,  né  l'altro  che  segue,  un  contemporaneo  -  il  Serassi, 
e  del  Machiavelli,  il  Baldelli:  del  Guicciardini,  i  Ricordi  autobiografici,  e  del 
Tasso,  il  compendio  del  Manso:  del  Paruta,  il  Soliloquio:  del  Ghiabrera,  l'au- 
tobiografia: del  Marino,  la  vita  del  Baiacca:  del  Galileo,  la  vita  del  Viviani, 
e  del  Muratori,  la  lettera  in  che  parla  di  sé.  Tale  è  questa  raccolta,  che  non 
è  soltanto  un  buon  libro  di  lettura  scolastica,  ma  che  torna  utile  ad  ogni 
studioso,  specialmente  per  le  illustrazioni  che  vi  ha  in  nota  apposto  il  com- 
pilatore. 

.".  Che  V  Antologia  della  Poesia  italiana  0.  Targioni-Tozzetti  abbia  in- 
contrato nelle  scuole  la  meritata  accoglienza,  lo  prova  il  fatto  della  nona 
edizione,  che  ne  esce  ora  alla  luce  (Livorno,  Giusti,  di  pagg.  XXVII-1063,  in 
16.»),  la  quale  è  stata  curata  dal  prof.  F.  G.  Pellegrini,  che  già  parecchie 
giunte  ed  emendazioni  aveva  fatte  alla  antecedente.  Le  maggiori  modifica- 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  323 

zioni  sono  alla  lezione  dei  testi  provenzali  e  dialettali  del  primo  periodo 
poetico.  Con  queste  nuove  cure  il  libro  sempre  più  conferma  la  sua  utilità 
scolastica  e  il  carattere  di  copiosa  raccolta  di  monumenti  poetici  d'ogni  se- 
colo accuratamente  illustrati. 

.".  Gol  riaprirsi  delle  scuole,  riapparisce  per  la  quinta  volta  con  emenda- 
zioni e  giunte  la  Storia  della  letteratura  italiana  compendiala  ad  uso  delle 
Scuole  da  G.  A.  Venturi  (Firenze,  Sansoni,  di  pagg.  275  in  16."  picc),  della 
quale  la  prima  stampa  è  del  1892.  La  fortuna  avuta  dal  libro  ne  attesta  il 
merito  e  V  opportunità  all'  insegnameuto  secondario.  Succinto  senza  esser 
scarso,  questo  compendio  del  Venturi,  come  quello  del  nostro  Flamini,  è  buona 
guida  ai  giovani  scolari.  La  presente  ristampa  si  avvantaggia  sulle  anteriori 
per  molte  emendazioni  e  giunte,  specialmente  nell'ultimo  capitolo,  che  è 
slato  diviso  in  due  e  largamente  accresciuto. 

.'.  Goi  tipi  del  Barbèra  è  uscito  un  volume  ottimamente  stampalo  (di 
pagg.  L-1016  in  16.°)  intitolato  Gemme  della  Letteratura  italiana.  Modelli  di 
Prosa  e  Poesia  con  Notizie  biografiche,  giudizj  critici,  argomenti  delle  opere 
principali  antiche  e  moderne,  per  uso  delle  scuole  e  delle  colte  persone  spe- 
cialmente d' Inghilterra  e  degli  Stati  Uniti  di  America  raccolte  da  J.  Foote 
BiNGHAH,  dottore  in  lettere  e  teologia.  Il  lungo  titolo  dice  abbastanza  il  con- 
tenuto del  libro,  al  quale  va  innanzi  un  breve  discorso  Al  lettore,  in  che  si 
dichiarano  gli  intenti  e  i  metodi  di  questa  compilazione,  e  la  ragione  del- 
l'aver in  esso  adoperato  la  lingua  italiana,  anziché  l'inglese:  questa  è,  l'esser 
fatto  il  libro  "  per  gli  studiosi  che  già  possano  almeno  leggere  l'italiano  con 
'  una  certa  facilità  ,,  e  non  dubitiamo  che  esso  non  sia  utile  per  la  bontà 
e  copia  della  scelta.  Gli  esempj,  corredati  di  ragguagli  biografici  e  bibliogra- 
fici, sono  distinti  in  periodi:  l."  delle  origini,  2."  periodo  toscano,  3."  dello 
scadimento  della  lingua  italiana,  4.°  del  Rinascimento,  5."  della  decadenza 
dello  siile,  6."  dell'era  arcadica,  7.°  del  Rinnovamento,  8."  del  Risorgimento 
nazionale,  9."  della  Nuova  Italia.  Un  Indice,  cosi  detto  rettorico,  periodo  per 
periodo  raccoglie  gli  scrittori  secondo  i  generi  da  essi  principalmente  trat- 
tati. Vi  hanno  alcune  appendici:  la  prima  delle  quali  tratta  delle  pili  importanti 
Accademie  italiane;  la  seconda,  degli  Argomenti  delle  opere  pili  notevoli  da 
Dante  al  Prati  ;  la  terza,  dei  varj  stili.  La  raccolta  delle  "  Gemme  ,  è  ab- 
bondantissima, e  per  questa  il  compilatore  si  è  giovato  de' suoi  predecessori 
italiani,  e  come  riconosce,  del  Manuale  D' Ancona -Dacci  in  modo  speciale. 
Noi  auguriamo  al  Bingham  che  il  suo  lavoro  *  che  non  pretende  ad  origi- 
"  nalità,  ma  è  fruito  di  grande  amore  e  di  lunga  pazienza  „,  raggiunga  il  fine 
propostosi,  e  che  quest'opera  valga  a  spandere  maggiormente  in  Inghilterra 
e  in  America  la  conoscenza  della  nostra  letteratura  nei  suoi  pili  cospicui 
esempj  di  concetto  e  di  espressione.  Ove  ciò  avvenga,  in  una  ristampa  del- 
l'opera  potranno  togliersi  alcune  mende:  ad  apertura  del  libro  ne  notiamo 
una.  Il  frammento  d'Idillio  dato  a  pag.  533  come  del  Parini  non  è  auten- 
tico. Fu  stampato  nel  Cimento  come  del  Parini,  ma  ormai  tutti  sanno,  anche 
quelli  che  già  caddero  nell'inganno,  che  autore  di  esso  è  l'ab.  Giuseppe 
Brambilla. 

.'.  Sono  usciti  a  luce  dalla  casa  editrice  Barbèra  i  voi.  2.»  e  3.°  del  Mar 
nuale  di  Letterat.  Italiana  dei   professori  A.  D'Ancona  e  0.  Bacci,  intera- 


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324  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

mente  rifatto,  e  coi  quali  1'  opera  è  compiuta,  essendosi  già  anteriormente 
pubblicati  il  1.°,  4."  e  il  5.»  Il  secondo  è  di  pagg.  713  -  e  nella  edizione  ante- 
riore ne  contava  621  -;  il  terzo,  di  671  -  corrispondenti  alle  664  dell'antecedente. 
Nel  secondo  voi.  si  aggiungono  fra  gli  autori,  de' quali  si  recano  esempj,  Gen- 
nino  Genuini,  Lorenzo  Ghiberti,  Giusto  de'Gonti,  Leonardo  Giustiniani,  Bonac- 
corso  da  Montemagno,  e  si  dà  un  nuovo  brano  del  Castiglione  e  di  Bernardo 
Tasso:  nel  terzo  si  aggiungono  il  Goppelta,  Fr.  Bracciolini  e  G.  B.  Vico  e  si 
danno  nuovi  brani  del  Vasari,  del  Borghini,  della  Stampa,  del  Rinuccini,  del 
Segneri,  del  Marchetti.  I  ritratti  sono,  nel  2."  voi.,  di  L.  B.  Alberti,  del  Pulci, 
del  Bojardo,  di  Lorenzo  de' Medici,  del  Savonarola,  di  Leonardo  da  Vinci,  del 
Poliziano,  del  Sannazzaro,  del  Machiavelli,  del  Bembo;  dell'Ariosto,  di  Miche- 
langelo, del  Castiglione,  del  Guicciardini,  di  Vittoria  Colonna,  del  Firenzuola, 
dell'Alamanni,  del  Berni,  del  Cellini,  del  Della  Gasa,  del  Segni  e  del  Caro. 
Nel  terzo,  del  Vasari,  del  Davanzali,  del  Guarini,  del  Paruta,  del  Tasso,  del 
Chiabrera,  del  Sarpi,  del  Galilei,  del  Tassoni,  del  Marino,  del  Testi,  del  Mon- 
tecuccoli,  di  S.  Rosa,  del  Redi,  del  Magalotti,  del  Filicaia,  del  Vico.  Ogni  ar- 
ticolo di  questa  nuova  edizione  è  stato  accuratamente  riveduto,  e  la  Biblio- 
grafìa dei  singoli  scrittori  condotta  fino  alle  ultime  pubblicazioni.  Fra  breve, 
a  compimento  dell'opera,  uscirà  l'Indice  generale  dei  5  voli,  e  un  Supple- 
mento, nome  per  nome,  alla  biografia  degli  scrittori. 

.•.  Il  nuovo  voi.  testé  edito  daW Istituto  Storico  Italiano:  I  Diplomi  di 
Berengario  I  (Roma,  tip.  Forzani,  di  pag.  XVI-517  in  18.»)  a  cura  di  L.  Schia- 
PABELLi  inizia  la  serie  di  Carte,  Bolle  e  Diplomi,  che  pubblicherà  l'Istituto 
stesso.  Esso  ne  comprende  centocinquanta  fra  veri  e  falsi,  piti  l'indicazione 
di  diplomi  perduti.  L'edizione  è  scrupolosamente  condotta  sugli  originali  o 
su  copie  antiche,  e  seguendo  le  norme  della  scienza  odierna.  Cinque  Indici  for- 
marlo utile  corredo  al  testo:  cioè  dei  destinatarj  dei  diplomi,  dei  nomi  proprj, 
di  cose  notevoli,  di  vocaboli  non  registrati  nei  Lessici,  e  degli  scrittori  citati 
nelle  fonti  edite:  cui  seguono  Giunte  e  correzioni.  Questa  pubblicazione  ci 
sembra  di  grande  importanza  storica,  e  auguriamo  che  ad  essa,  secondo  il 
primitivo  concetto,  tengan  dietro  i  diplomi  degli  altri  re  d'Italia  fino  ad  Ar- 
duino d'Ivrea. 

.'.  Il  V."  Bullettino  della  Società  filologica  Romana  contiene  oltre  i  Verbali 
delle  adunanze,  una  nota  di  P.  Raj.va  su  Gaston  Paris  e  la  Société  des  an- 
eiens  texteà  frangais,  altra  di  F.  Egidi  su  un  Documento  in  volgare  marchi- 
giano del  sec.  XIV,  altre  ancora  di  A.  Parisotti  intorno  alla  leggenda  di 
S.  Giorgio,  di  V.  Federici  su  g'i  Affreschi  nel  territorio  di  Alatri,  di  F.  Her- 
MANiN  su  una  stampa  inedita  di  G.  M.  Pomedello,  e  infine  alcune  Notizie. 

.'.  La  Società  filologica  Romana  imprende  a  liberi  intervalli  la  pubblica- 
zione di  Studi  romanzi,  che,  sotto  la  direzione  del  prof.  E.  Monaci,  continue- 
ranno gli  Studi  di  filologìa  romanza,  dei  quali  abbiamo  annunziato  la  cessa- 
zione. Ne  è  uscito  un  primo  fascicolo,  nel  quale  sono  inseriti  i  seguenti  scritti: 
G.  Bertoni,  Le  postille  del  Bembo  sul  cod.  Provenzale  X"  (prova  Che  le  note  del 
cod.  parigino,  non  sono,  come  alcuno  credette,  del  Petrarca,  ma  del  Bembo. 
S.  Pieri,  Appunti  etimologici.  A.  Parducci,  La  leggenda  della  nascita  e  della 
gioventti  di  Costantino  Magno  in  una  nuova  redazione  (Approvando  la  mas- 
sima parte  delle  congetture  del  prof.  A.  Coen  su  questa  curiosa  leggenda, 


DELLA   LETTERATURA   ITALIANA  325 

la  cui  ulterìor  forma,  cambiato  il  protagonista,  sono  V  Urbano  attribuito  al  Boc- 
caccio e  il  Libro  imperiale  del  Bonsignori,  sostiene  con  buoni  argomenti 
che,  non  solo  la  leggenda  sia  nata  in  Italia,  ma  precisamente  nella  Venezia, 
e  fattura  di  un  qualche  uomo  di  chiesa,  recando  per  ultimo  di  essa  un  testo 
latino).  P.  ToLDO,  Sulla  fortuna  dell'  Ariosto  in  Francia  (Specialmente  ri- 
guarda le  relazioni  del  Voltaire  coli' autore  dell'Orlando;  ed  è  capitolo  di 
più  ampio  lavoro,  che  sarà  certamente  interessante).  V.  Crkscini,  Ancora  della 
voce  Garda.  Notizie. 

.'.  Dobbiamo  al  prof.  D.  Zanichelli  la  pubblicazione  di  quindici  Lettere 
di  M.  Minghetti  a  L.  Galeotli  (Bologna,  Zanichelli,  di  pagg.  73  in  16.»)  tratte 
dagli  autografi,  che  nel  carteggio  di  quest'ultimo  si  conservano  presso  la  Rie- 
cardiana  di  Firenze.  Vanno  dal  '47  al  '68,  e  nell'intimità  dell'amicizia,  con-, 
tengono  assennate  considerazioni  sui  casi  via  via  occorrenti,  e  per  ciò  sono 
importanti  per  la  storia.  E  in  servizio  di  questa,  l'editore,  cosi  dotto  nella 
conoscenza  dei  fatti  del  nostro  risorgimento,  le  ha  diligentemente  annotate. 

.*.  Il  prof.  D.  Zanichelli  ha  pubblicato  per  nozze  un  bel  gruzzolo  di 
Lettere  di  Bettino  Ricasoli  a  G.  Campani  (Siena,  Lazzeri,  di  pagg.  32  in  16.**), 
le  quali  ci  mostrano  il  severo  dittatore  della  Toscana  sotto  un  nuovo  aspetto, 
non  però  disforme  dal  tipo  che  se  ne  ha  comunemente:  cioè  come  studioso 
e  sollecito  d'ogni  miglioramento  agrario,  ch'egli  proseguiva  non  soltanto 
come  possessore  di  fondi,  ma  pel  benessere  dei  suoi  coloni  e  a  vantaggio 
del  risorgimento  economico  del  paese.  Il  suo  corrispondente  era  lo  scienziato 
Campani  professore  di  chimica  nell'Università  di  Siena,  ai  consigli  del  quale 
molto  ei  deferiva  e  che  desiderava  compagno  e  confortatore  in  ogni  nuova 
impresa,  in  ogni  pratico  tentativo,  persuaso  com'era  che  *  i  popoli  più  ricchi 
"  e  più  illustri  sono  quelli  che  promuovono  le  scienze  e  ne  applicano  i  pro- 
"  Dunziati  ,.  Queste  Lettere  si  leggono  volentieri,  anche  da  chi  non  abbia 
competenza  nell'  argomento  speciale  che  trattano,  tanto  è  in  esse  spontanea 
e  profonda  l'impronta  dell'animo  del  fiero  barone. 

.*.  Per  le  nozze  Pellegrini-Buzzi  il  prof.  G.  Gimegotto  raccoglie  e  pubblica 
alcuni  documenti  di  quel  Cesare  Rossarol,  che  Guglielmo  Pepe  sopranomò 
r  Argante  della  Laguna,  e  che  per  Venezia  morì  nella  memoranda  difesa 
del  1849.  Sono  lettere,  che  giovano  alla  biografia  del  valoroso  soldato  e  alla 
storia  dell'assedio;  e  vi  è  anche  una  specie  di  Paternoster,  in  forma  di  liberi 
versi,  in  ch'egli,  religioso  profondamente,  s'indirizzava  a  Dio  con  fervore  di 
credente  e  d' italiano.  Ninno  si  fermerà  alle  imperfezioni  di  forma,  e  mesta- 
mente ammirerà  la  fiamma  di  carità  patria,  che  splende  in  cotesta  preghiera, 
ringraziando  chi  ce  l'ha  fatta  conoscere. 

.'.  Dalla  ditta  L.  F.  Gogliati  di  Milano  riceviamo  alcune  recenti  pubbli- 
cazioni, che,  sebbene  non  rientrino  precisamente  nel  quadro  dei  nostri  studj, 
meritano  esser  brevemente  accennate,  anche  perché  non  prive  di  pregio  let- 
terario. La  prima  è  quella  di  mons.  G.  Bonomelli  Dal  piccolo  S.  Bernardo  al 
Brennero  (un  voi.  di  pagg.  XVI-501  in  16."  con  illustrazioni),  che  fa  seguito 
ad  altri  viaggi  del  pio  scrittore.  La  costante  preoccupazione  di  lui  è  il  fer- 
vore della  fede  e  lo  studio  delle  presenti  controversie  sociali,  rispetto  ail« 
quali  cose  ognun  conosce  i  concetti  e  gli  affetti,  che  distinguono  l'A.  nell'alto 
clero  italiano;  ma  non  è  meno  viva  e  copiosa  in  queste  pagine  la  desciM- 


326  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

zione  dei  luoghi  visitati,  e  dall'A.  descritti  per  modo,  da  renderne  gradita  la 
lettura.  —  L'altro  è  un  voi.  della  signora  Gemma  Giovannini,  Le  donne  di  Casa 
Savoia  (un  voi.  pagg.  XII-452,  con  ritratti),  che  è  ormai  giunto  alla  seconda 
edizione:  piacevol  rivista  di  biografia  e  di  storia,  che  accompagna  dall' XI 
al  XX  secolo,  le  vicende  di  una  famiglia  principesca,  da  Umberto  Bianca- 
mano  a  Vittorio  Emanuele  3.",  e  in  esse  quelle  d'un  retaggio,  sempre  più 
ampliato  fino  alla  formazione  del  regno  d' Italia.  Dei  principi  Sabaudi  è  ge- 
neralmente nota  la  vita,  non  sempre  quella  delle  donne,  figlie  o  sorelle, 
madri  o  spose:  e  questa  appunto  l'autrice  ha  voluto  investigare  non  senza 
studio  e  fatica,  e  ritrarre  in  tante  monografie,  che  insieme  formano  un  com- 
plesso storico.  In  forma  facile  e  piana,  abbiamo  qui  un  libro  di  storia,  at- 
traente per  la  successione  di  tante  immagini  femminili,  e  utile  per  la  copia 
e  varietà  di  notizie,  che  riguardano  non  soltanto  l' Italia,  ma  anche  bene 
spesso  paesi  stranieri.  —  Il  terzo  libro,  di  cui  ci  piace  far  menzione,  è  di 
P.  Stoppani,  Come  d'autunno  . . .  (un  voi.  di  pagg.  X-294  in  16.**  con  illustraz.). 
È  una  raccolta  di  scritti  varj,  notevoli  lutti  per  bontà  di  concetto  e  di  forma. 
Chi  scrive  è  un  ecclesiastico:  ma  che  all'amore  per  la  religione  congiunge 
saldamente  quello  dellla  patria.  Hanno  special  riguardo  ai  nostri  studj  gli 
scritti  intitolati  Una  visita  allo  Spielberg  (p.  67),  che  rievoca  memorie  dei 
prigionieri  italiani  del  '21  :  la  prigione  di  Silvio  Pellico,  nelle  Casematte,  prive 
d'  aria  e  di  luce,  è  "  orrida  ,;  ma  i  tempi  sono  mutati,  e  vi  è  un  ritratto  del 
poeta,  che  col  suo  libro,  contribuì  anch' egli  a  trasformar  l'impero  da  asso- 
luto a  costituzionale;  la  Casetta  di  Lucia  (p.  77):  quella  che  la  tradizione 
addita,  ma  che  non  può  esser  dimora  vera  di  persona  non  esistila,  bensì 
possibile  scena  prescelta  dal  creatore  del  personaggio  nel  suo  romanzo,  è 
ora  V  Osteria  dei  Promessi  Sposi  in  Acquate;  il  Mistero  di  Oherammergau, 
(p.  181)  descrizione  di  quel  rottame  d' antichità,  come  avrebbe  detto  il  Vico, 
che  è  la  rappresentazione  della  Passione  nell'  ormai  celebre  villaggio  bava- 
rese; e  per  ultimo:  Galileo  e  la  moderna  quistione  biblica  (p.  219),  che  cosi 
conclude:  "Il  progredire  della  coltura  diede  sempre  più  ragione  al  Galilei, 
non  solamente  sul  terreno  della  scienza  positiva,  nella  quale  si  era  annun- 
ziato come  un  grande  apostolo,  ma  anche  nelle  discipline  bibliche  moderne, 
delle  quali  egli  si  può  ben  considerare  come  un  illuminato  precursore  ,.  La 
lettura  del  libro  è  resa  più  gradevole  delle  molle  e  belle  illustrazioni,  che 
lo  adornano. 

.•.  Un  buon  prontuario  di  notizie  è  quello  che  ci  offre  il  sig.  A,  Ferrari 
col  libro  testé  uscito  a  luce:  /  sommi  Pontefici  da  S.  Pietro  a  Pio  X:  Cro- 
nologia e  note  storiche  (Milano,  Cogliati,  di  pagg.  151  in  18.">).  Questo  della 
cronologia  pontificia  è  lavoro  intricalo  per  le  controversie,  specialmente  sui 
primi  pontefici,  che  tutti  gli  studiosi  conoscono;  ma  ad  ogni  modo,  l'a.  non 
ha  mancato  di  usare  ogni  diligenza,  e  dovrà  essergliene  grato  ognuno  che 
ricorrererà  al  suo  libro.  A  dimostrare  come  esso  sia  utile  giova  riferirne 
-la  distribuzione,  che  è  la  seguente:  Sommi  pontefici  in  ordine  cronologico 
secondo  l'assunzione  al  pontificalo  —  in  ordine  alfabetico  secondo  i  loro 
nomi,  di  battesimo  o  assunto  —  in  ordine  alfabetico,  secortdo  la  naziona- 
lità —  in  ordine  alfabetico  secondo  i  cognomi  —  in  ordine  cronologico 
secondo  la  durala   del   pontificalo  —  Indice  quantitativo  dei  Sommi  Pod- 


DRI.T-A    LRTTKRATURA   ITALIANA  327 

lefici  omonimi  —  Elenco  dei  2G4  Sommi  Pontefici  e  dei  39  Antipapi,  per 
secoli  —  Sommi  Pontefici  ricordati  neWa.  Divina  Commedia  —  E  finalmente: 
Cronologia  storica  dei  Sommi  Pontefici.  —  Cosi  si  può  dire  che  il  libro  ri- 
sponda ad  ogni  possibil  forma  di  quesito  e  di  ricerca. 

.•.  Il  Congresso  bibliografico  tenutosi  in  Firenze  nello  scorso  ottobre  ha 
dato  occasione  a  parecchie  pubblicazioni,  e  noi  ricorderemo  quelle  che  ci 
sono  venute  alle  mani.  —  Il  comm.  P.  Barbèra  a  nome  della  sua  casa  edi- 
trice ha  offerto  un  Saggio  del  catalogo  ragionato  (in  corso  di  stampa)  delle 
edizioni  barbèriane  (di  pagg.  16  in  4.").  L' intero  lavoro,  che  registra  ed  il- 
lustra le  pubblicazioni  fatte  dal  1854  in  poi  pel.  corso  di  25  anni  dal  fon- 
datore della  ditta  editrice,  sarà  pubblicato  al  1.  ottobre  1904  compiendosi  il 
mezzo  secolo  della  vita  di  quella.  Ogni  articolo  è  illustrato  bibliograficamente, 
e  ai  nomi  degli  autori  si  aggiungono  opportune  notizie  biografiche.  V  è 
qui  qualche  piccolo  errore  da  correggere:  cosi  ad  es.  il  Fraticelli  non  fu  au- 
tore di  due  tragedie,  una  sul  Duca  d^ Atene,  l'altra  intitolala  Gualtiero,  ma 
di  una  sola:  Gualtieri  duca  d'Alene  — .  Il  comm.  D.  Chilovi  dà  ragguagli  su 
L'Archivio  storico  della  letteratura  italiana  e  la  Biblioteca  Centrale  di  Firenze 
(Firenze,  Bemporad,  di  pagg.  128  in  16.°)  L'Archivio  storico  della  letteratura 
italiana  è  una  creazione  geniale  dell'  operoso  bibliotecario,  che  qui  ne  di- 
chiara il  disegno  e  la  distribuzione,  e  ne  dice  la  presente  condizione,  spe- 
cialmente per  la  serie  dei  Carteggi,  che  forma  un  insieme  di  400m.  lettere. 
Cosi  sappiamo  che  di  esso  fan  parte  il  carteggio  del  Vieusseux,  composto  di 
20  mila  lettere,  quello  di  Felice  Le  Mounier,  di  8  mila,  del  Protonotari  di- 
rettore deìV  Antologia,  di  più  di  8  m.  —  I  signori  G.  Fumagalli  e  A.  Bkrta- 
RELLi  hanno  dato  fuori  un  saggio  (Milano,  Allegretti,  di  pagg.  12  in  16.°)  della 
Guida  delle  Biblioteche  e  delle  raccolte  bibliografiche  private.  Auguriamo  il 
proseguimento  di  questa  compilazione,  e  non  ci  dorremmo  se  le  notizie  fos- 
sero meno  concise  — .  Il  prof.  A.  Linaker  ha  dato  Notizie  storiche  sulla  bi- 
blioteca Moreniana  (Firenze,  Galletti  e  Cocci,  di  pagg.  19)  ragguagliando  di 
quell'insigne  collezione  di  libri  e  manoscritti  di  storia  fiorentina,  posseduta 
dalla  Provincia  di  Firenze,  e  formatasi  via  via  colle  raccolte  Moreni,  Bigazzi, 
Frullani,  Palagi,  Pecci  ed  altri.  Di  essa  sarà  utile  che  si  pubblichi  il  catalogo,  e 
che  finalmente  sia  anche  resa  di  pubblico  uso,  a  vantaggio  degli  studiosi  e 
della  stòria.  —  Il  bemerito  proposto  di  S.  Gemignano,  dott.  U.  Nomi-Pesciolini 
ha  dato  in  omaggio  al  Congresso,  un  opuscolo  (Firenze,  tip.  Domenicana,  di 
pagg,  10  in  16.°)  contenente  una  lettera  di  M.  Amari  a  F.  Zambrini,  e  un 
Ricordo  Alfieriano,  che  dà  notizia  àe\\9»Merope  del  Maffei  postillata  dal  tra- 
gico astigiano.  —  Lo  scritto  del  dott.  M,  Scavia,  Le  carte  dello  Stato  e  il  loro 
assaggio:  (Torino,  Roux  e  Viarengo,  di  pagg.  21  in  16.°)  tocca  una  grave  que- 
stione, quella  cioè  della  qualità  della  carta,  e  propone  i  mezzi  per  fabbri- 
carla tale  da  non  dover  temere  l'inevitabile  deteriorazione  e  distruzione  della 
medesima.  —  A.  D'Ancona  e  G.  Fumagalli  hanno  presentato  la  loro  Relazione 
(estr.  dalla  Rivista  delle  Biblioteche  ecc.  di  pagg.  15  in  16.°)  sulla  Proposta 
di  una  Biobibliografia  italiana.  I  criterj  alla  quale  s'informa  furono  accolti  dal 
Congresso  storico  internazionale  di  Roma,  e  son  stati  confermati  nel  Congresso 
bibliografico  di  Firenze.  —  Il  sig.  S.  Ricci  ha  presentato  una  Comunicazione 
sulla  necessità  di  una  bibliografia  sistematica  italiana  per  tutte  le  discipline 


328  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

archeologiche  (Prato,  Giachetti,  di  pagg.  9),  della  quale  il  solo  titolo  dimostra 
l'importanza.  —  Contemporanea  al  Congresso  essendo  una  esposizione  di 
cimelj  tipografici,  B.  Podestà  ha  compilato  una  Guida  alla  mostra  dell'  arte 
tipografica  in  Firenze  (Prato,  Giachetti,  di  pagg.  88  in  16.°),  che  illustra  al- 
cune pubblicazioni  fiorentine  del  Cenniui,  del  Loslein,  di  Ripoli,  di  Lorenzo 
veneziano,  di  Niccolò  della  Magna,  del  Miscomini,  di  Dino  di  Jacopo,  del  Bo- 
naccorsi,  del  Giunta,  del  Torrentino  ecc.,  pili  alcuni  saggi  della  biografia  orien- 
tale medicea,  e  di  libri  di  musica.  —  Una  bella  e  ricca  pubblicazione  è  final- 
mente quella  del  dolt.  A.  Bertarelli,  Iconografia  napoleonica  del  1796-99, 
che  registra  i  ritratti  di  Bonaparte  incisi  in  Italia  e  all'Estero  da  originali 
italiani,  ed  è  illustrata  da  cinque  tavole  in  rame  (Milano,  Allegretti,  di  pagg. 
70  in  4.°).  Trattando  ampiamente  il  tema,  non  si  notano  qui  soltanto  veri 
e  proprj  ritratti  di  Napoleone,  ma  figure  e  composizioni  ov'egli  rappresentato, 
e  anche  caricature:  il  lutto  con  opportune  illustrazioni  storiche  e  artistiche. 
Abbiamo  intanto  in  queste  immagini  del  generale  e  del  primo  console  una  fiso- 
nomia  ben  lontana  da  quella  della  '  convenzionale  maschera  cesarea  „,  che 
prevalse  dappoi. 

.'..  Il  sig.  T.  Canizzaro  ha  creduto  dover  replicare  al  cenno  che  facemmo 
qui  addietro  (pag.  124)  del  suo  scritto  sulla  canzone  di  Lisabetta  da  Mes- 
sina. Egli  si  rivolse  a  noi  per  l'inserzione  della  sua  risposta;  ma  non 
contenendo  questa  rettificazioni  di  fatto,  beasi  discussione  di  opinioni,  non 
abbiamo  creduto  doverla  accogliere,  indipendentemente  dalla  sua  lunghezza: 
ed  egli  r  ha  posta  a  stampa,  intitolandola  Lettera  al  prof.  A.  D'Ancona  del- 
l' Università  di  Pisa  (Messina,  tip.  Tribunali,  di  pagg.  32  in  16.°).  La  tiratura 
dell'opuscolo  a  225  esemplari  ci  assicura  che  esso  avrà  avuto  larga  diffu- 
sione. Noi  non  crediamo  di  dover  ritornare  sull'  argomento,  ma  nulla  riti- 
riamo di  quanto  abbiamo  detto.  C  è  una  differenza  sostanziale  fra  noi  e  il 
dotto  letterato  e  poeta  messinese  su  troppi  punti  di  storia,  di  critica,  di  me- 
todo. Che  sia  difficile  l'intendersi  con  lui,  potrà  porger  prova  sufficiente  quello 
che  leggiamo  a  pag.  6.  Avevamo  scritto,  per  atto  di  cortesia,  che  ci  doleva 
di  non  poter  esser  d'accordo  colVautore  dell'  opuscolo  :  era  una  forma  garbata: 
ma  il  sig.  C.  replica  cosi:  "  Come  se  il  primo  dovere  e  lo  scopo  precipuo  di 
ciascun  autore  dovesse  esser  quello  di  uniformarsi  preventivamente  alle  opi- 
nioni dei  possibili  critici  suoi  !  ,  Fraintendendo  le  cose  a  questo  mo'do,  è  fa- 
cile aver  ragione!  Una  cosa  sola  osserveremo:  che  stampando  lettere  con- 
fidenziali d'altri  —  il  C,  ne  stampa  due  del  D'Ancona  —  se  non  si  crede 
di  doverne  chiedere  licenza,  si  deve  almeno  cercare  di  riprodurle  esatta- 
mente. Scommettiamo  che  là  dove  il  C.  trascrive:  ''la  sua  non  è  rettifica- 
zione di  fatti,  ma  è  didattica,  di  opinioni  ecc.  „,  si  doveva  leggere:  "  ma  è 
dibattito  di  opinioni  ecc.  „. 


A.  D'  AmCura  direttore  ren/iousiihile. 

PU»,  Tipografia  F.  Mariotti,  1903. 


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La  Rassegna  della  lotteratura 
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