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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
II'
DELLA LETTERATURA ITALIANA
DIRETTORI
ALESSANDRO D'ANCONA e FRANCESCO FLAMINI
^DSTNO XI. — 1903.
COLLABORARONO:
P. BALDASSEBONI - E, BERTANA - L. BIADENE - A. BONAVENTURA - V. GIAN -
E. CLERICI - T. CONCARI - V. CBESCINI - P. d'aCHIARDI - A.d'aNCONA - L. FER-
RARI - E. FILIPPINI - F. FLAMINI - O. GENTILE - P. G. GOIDANICH - G. LISIO -
P. LONARDO - G. MANACORDA - A. F. MASSÈRA - A. MEDIN - A. MOSCHETTI -
A. NERI - F. NERI - E. G. PARODI - M. PELAEZ - D. PROVENZAL - P. PBUNAS - V.
ROSSI - R. SALARIS - I. SANESI - M. STERZI - E. TEZA - 6. VOLPI - F. ZAMBALDI.
PISA
ENRICO SPOERRI, Libraio-Editore
19U3 *
(Xyiv)o
INDICE DEL VOLUME XI
Recensioni.
B. CaocB, Estetica come scienza delV espressione linguistica generale (F. Neri) . p. 1
Gr. Arias, Le Istituzioni giuridiche medievali nella Divina Commedia (G. Baldasse-
roni) p. 7
L. B1A.DGNE, Il libro delle tre sa'itfure e i Volgari delle False Scuse e delle vanità, di
Bonvesin da la Riva (E. G, Parodi) p. 13
G. Lisio, L'Arte del periodare nelle opere volgari di Dante Alighieri e del sec. XIII
(G. Gentile) p. 23
C. Ai'PRi, e E. Proto, Die Triumphe F. Petrarca ecc. e Sulla composizione dei Trionfi
(A. Moschetti) p. 27
V. Vivaldi, La Gerusalemme liber. studiata nelle sue fonti (V. Bossi) .... p. 73
N. BusETTo, Carlo de^ Dottori, letterato padovano del sec. XVII (E. Bertana) . p. 78
L. Di Fkascia, Franco Sacchetti novelliere (Q. Volpi) - .... p. 83
A. Della Torre, Di Antonio Vinciguerra e delle sue Satire (V. Gian) .... p. 93
G. B. Marchesi, Romanzieri e Romanzi italiani del Settecento (T. Concari) . . p. 102
L. Einstein, The Italian Renaissance in England studies (F. Flamini) . . . . p. 110
F. FbAUiNi, // Cinquecento (A. Medin) p. 1^
G. Muosi, Lodovico di Brem ecc. (E. Clerici) p. 140
A. Solerti, Le origini del melodramma (A. Bonaventura) p. 143
E. Panzaccui, 7i libro degli Artisti (P. D' Achiardi) p. 148
F. P. Lniso, Fra Chiose e Commenti alla D. C. (I. Sanesi) p. 213
C. Caponi, Vincenzo da Filicaja e le sue opere (G. Manacorda) p. 217
J.GiLLiKRON et E. Ed.mont, Atlas linguistique de la France (P. G. Goidanich). p. 219
F. MoKONCiNi, Lez. storiche di Lett. Hai. — P. Petrocchi, La lingua e la storia lettera-
ria d'Italia ecc. (G. Lisio) p. 223
A. Belloni, Frammenti di critica letter. (D. Provenzal) p. 228
Rime antiche Sanesi ecc. (M. Pelaez) p. 233
E. Clerici, Il Conciliatore (P. Prunas) p. 253
Miscellanea in onore di A. Graf (là. ¥erra.ri) p. 260
T. Gargallo, Il Palatino d' Ungheria (E. Teza) p. 268
M. Fuochi, Il Prometeo incatenato (F. Zambaldi) p. 270
ÌV kASSEOMA BIBLIOORA^IÒÀ
Comunicasioni.
A. E. Massèka, Uh rimatore poco noto del Sec. XV: Giovanni del Testa da Pisa p, 44
E. G. Parodi, / versi comuni a Pietro da Barsegapé e ad Uguccione da Lodi . p. 116
P. LoKARDO, Quattro lettere ined. di G. Bella Casa p. 164
B. SaIiAris, ^MÌU!0 Testi e un Poemetto anonimo del sec. XVII p. 158
A. Neri, Alcune rime di G. V. Mossi p. 283
E.'EiiAPPim, Scaligeriana p. 273
Annunzi bibliogrraflci.
P. ToLDo, Etudes sur le Theàtre comique francai s du moyen àge etc. (M. Sterzi); p. 4. —
Biblioteca critica della Lett. Ital. diretta da F. Torraca {Q. M.); p. 47. — Q. Giacosa,
/ castelli valdostani (A. D' A.); p. 180. — G. Brizzolara, La Francia dalla Restaura-
zione alla fondazione della Repubblica (A. D' A.); p. 180. — C. Dolcetti, Le bische e
i giuochi d' azzardo a Venezia (A. D'A.); p. 181 — E. Masi, Donne di storia e romanzo
(A D'A.); p. 245. — G. Volpi, Note di varia erudizione ec. (F. Flamini); p. 245. — A.
Loforte-Bandi, Nelle Letterature straniere (A. Bonaventura); p. 276. — E. Brambilla,
Foscoliana (A. D'A.); p. 277. — G. Negri, Ultimi saggi (A. D'A.); p. 278. — I Fioretti
di S. Francesco, nelle ediz. Manzoni, Passerini, Fornaciari (M. Sterzi); p. 280.
Cronaca. . . . . . . . . . . . . pp. 51-72; 124-131; 182-212; 246-252; 283-328
Necrologie.
Gaston Paiùs > p. 132
RASSEGM BIBLIOGRAFICA
DELLA LETTERATURA ITALIANA
IHrettori: A. D'ANCONA e F. FLAMINI. Editore: E. 8P0EBRI.
Anno XL Pisa, Gennaio 1903. N. 1.
Abbonamento annuo \ P^^ ^Estero" ." '. ^Ì" 2. I ^" °''™- ««P*"*» <^«"*- *•'
SOMMARIO: B. Croce, Estética come scienza dell' espressione e linguistica generale
(F. Neri). — G. Aeias, Le istituzioni giuridiche medievali nella Divina Commedia
(F. Baldasseroni). — L. Biìdenk, // Libro delle tre Scritture e i Volgari delle False
Scuse e delle Vanità di Bonvesin da la Riva (E. «. Parodi). — G. Lisio, L'Arte
del periodo nelle opere volgari di D. Alighieri e del see. XIII. {G. Gentile). —
C. Appel, Die Triumphe Francesco Petrarcas in kritischen Texte herausgegeben ;
E. Proto, Sulla composizione dei Trionfi (A. Moschetti). — Comunicazioni.
.\. F. Massèra, Un rimatore poco noto del sec. XV (Giovanni del Testa da Pisa).
— Annunzi bibliografici (Vi si parla di: P. Toldo - Bibl. critica della Leti.
ital.). — Cronaca.
Benedetto Croce. — Estetica come scienza dell' espressione e linguistica gene-
rale. — Milano-Palermo-Napoli, R. Sandron, 1902 (8.°, pp. XX-550).
Benedetto Croce riprende e sviluppa ora in modo compiuto la trattazione,
che avea già ordita notevolmente in due saggi, di teoria e di storia: * e di due
parti, teorica e storica, si compone questo libro; del quale è doveroso notar
subito la serietà e quella ch'io vorrei dire sincerità scientifica, nella cono-
scenza precisa delle ricerche anteriori, ordinata e dominata da un pensiero
originale. Ricordo un piano di studj, descritto dal G. in fine al volume della
Critica letteraria:^ molto doversi aspettare da un lavoro inteso specialmente
a sbandire dall' estetica concetti estranei e confusionarj, e a liberare il con-
cetto dell' arte e del bello dai confini segnati arbitrariamente con l' uso lin-
guistico, " riconoscendo la connessione intima dei cosiddetti fatti estetici ed
* artistici con altri fatti della vita dello spirito ,. Le idee e le opinioni del C.
si svolsero e si modificarono in molte parti, l' approdo non fu dove egli sup-
poneva dapprima ; ^ ma veramente noi abbiamo ora dinanzi una ricerca si-
stematica guidata da quegli intenti, una grande opera di semplificazione —
più volte a dirittura cesarea.
1 Tesi fondametitali di un' Estetica ecc. negli Atti della Pontaniana, rol. XXX, e 6. B. Vico
primo scopritore della scienza estetica, nella Flegrea, aprile 1901.
« Vedi cella 2.a ediz., Roma, Loescher, 1896, p. 177.
s II C. prevedeva nell'insieme un ritorno alle vedute del Baumgarten, che ora invece
giudica severamente quale ritrovatore dell' Estetica, nome e non scienza (cfi*. pp. 219 Bgg.) ;
e un atteggiamento di opposizione egli tiene ora contro tutta l'estetica metafisica tedesca.
2 RASSEGNA BIBLIOaRAFIGA
La conoscenza umana ha due forme: conoscenza intuitiva e conoscenza
logica: la prima coglie ìe cose, V individuale, pev mezzo della fantasia, che è
produttrice d'immagini; la seconda V universale, le relazioni delle cose, per
mezzo dell' intelletto, che produce concetti. L'intuizione è indipendente dal-
l' intelletto; ma è un'' attività spirituale, ciò che forma la materia, e quindi non
può venir confusa con la materia stessa, con la sensazione, eh' è passività.
Il G. non nega che attività e meccanismo, specificamente distinti, si possano
unificare in un concetto più generale ; ammette che " la ricerca sia da ten-
" tare „, ma intanto a lui importa che la differenza sia stabilita. Lo spirito,
in quanto attività, intuisce e forma nello stesso tempo: l'intuizione che noi
abbiamo di una cosa è la sua stessa espressione: intuire è esprimere, sen-
z' altro. La scienza dell'intuizione, dell'espressione, è l'estetica: che può
ancor dirsi scienza dell'arte o del bello, quando s'intenda per arte l'espres-
sione e per bello il valore ch'essa raggiunge: questi due concetti, che det-
tero tanto da fare agli estetici per la ricerca di determinazioni e distinzioni
precise, si uniscono ora indissolubilmente neW espressione. Ed è questa la
veduta nuova del Croce ; perché altri aveano già studiato l'arte in relazione
con la conoscenza intuitiva, ma soltanto come espressione di intuizioni, di
alcune intuizioni d' uno speciale valore estetico. Per render chiaro a noi stessi
il concetto dell'arte, dobbiamo estenderlo ad ogni fatto espressivo, compreso
naturalmente quello eh' è il primo e pili comune e diffuso — il linguaggio.
Distinguere, sceverare il contenuto e la forma nell' opera d' arte è impos-
sibile: in pratica, le analisi rivolte a quel fine si riducono ad un inganno
verbale, ad una semplice convenzione, che non può toccare l'intima unità
e irreducibilità dell' espressione. Quando l'espressione è formata in noi, essa
può conservarsi, può riprodursi per mezzo della memoria; che è aiutata dagli
stimoli -fisici della riproduzione, da quei segni esteriori, cui diamo di con-
sueto il nome inesatto di opere d'arte: poesie, quadri, statue ecc. Con questi
segni, l'espressione viene esteriorizzata, comunicata agli altri; il critico, per ri-
produrre in sé l'opera d'arte, ripercorre la stessa via che già fu percorsa
dall'artista: fra gusto e genio, sostanzialmente identici, non v'è differenza che
di intensità. Cosi il giudizio estetico ha un suo criterio sicuro, che non per-
mette varietà né discordia : e quando noi siamo esattamente informati delle
condizioni in cui un'opera d'arte fu prodotta, noi possiamo risentirla in
tutta la sua bellezza, possiamo serenamente stabilirne il valore. Di qui la
grande importanza della critica storica, che vuole appunto rappresentarci, con
la maggiore fedeltà possibile, le condizioni dell'arte in ogni tempo.
Questa, nella sua ossatura, la parte costruttiva dell'estetica: sulla quale
— poiché la filosofìa è unità e non v' hanno scienze filosofiche particolari
se non come un aspetto, un lato determinato di quell'unità inscindibile —
il C. inserta il suo disegno di una filosofia dello spirito. L'attività spirituale
è teoretica e pratica : teoretica, nella forma intuitiva e nella forma intellet-
tiva ; pratica, nella forma meramente utile, o economica, e nella forma mo-
rale. Questi quattro momenti, o gradi, sono disposti in modo che i gradi teo-
retici stanno ai pratici come il primo teoretico al secondo teoretico e il primo
DELLA LETTERATURA ITALIANA ó
pratico al secondo pratico. Il solo fatto estetico è indipendente : ma non v' ha
concetto senza intuizione, e non v' ha un fatto pratico senza la conoscenza,
nelle sue due forme: T utile presuppone cosi l'intuizione e il concetto, e la
moralità presuppone l'utile. Non esistono altre forme di attività spirituale:
e sé altre ne furono poste, si riducono tutte sotto il concetto delle precedenti :
cosi, notevolmente per noi, la storia sotto il concetto dell' arte. Il G. combatte
la storia ideale, che " si muta per intrinseca necessità in una scienza o filo-
" sofia dello spirito , (p. 43), ed è questa sola la scienza, la vera scienza e
perfetta : fuori di essa, abbiamo complessi, non sistemi di conoscenze : " ciò
" che di scientifico è nelle scienze naturali, è filosofia : ciò che vi è di na-
" turale, è mero fatto , (p. 33) ; quando si pone un concetto, si rientra nella
cerchia della filosofia : " sui fatti naturali si può ragionare ; ma non si può
" cavarne quel sistema, eh' è solo dello spirito ,. La storia, le scienze natu-
rali, le matematiche sono forme secondarie e miste della conoscenza: le due
forme pure o fondamentali sono l' intuizione che ci dà il mondo, il fenomeno,
e il concetto che ci dà il noumeno, lo spirito (p. 34). Alla quale ultima af-
fermazione non sapremmo accostarci in nessun modo, perché varchiamo con
essa i limiti d'ogni critica della conoscenza: il G. infatti muove dall'osser-
vazione interna, dal soggetto conoscente, dallo spirito, e ci offre lungo la via
analisi e discussioni di una reale utilità; ma a questo punto noi ci troviamo
di fronte il concetto, che non studia più le relazioni tra fenomeni — come
dev'essere, e come si era stabilito — , ma qualcosa che ne sconfina, e ci dà
esso stesso un noumeno, lo spirilo. E, quanto alla posizione rispettiva delle
scienze naturali e della filosofia, sarebbe poco male se noi dovessimo in-
tendere col nome di filosofia tutta la conoscenza; ma con ciò non si muta
d'un punto la questione intorno alla conoscenza stessa. Il G. non vuole che
si parli di convenzioni per le energie dello spirito: * perché si abbiano con-
" venzioni particolari, è necessario che esista qualcosa su cui non si con-
" viene, ma che sia l'agente stesso della convenzione; l'attività spirituale
" dell'uomo. La limitatezza delle scienze naturali postula l'illimitatezza della
" filosofia „. Da ciò che ha premesso il G., risulta solo che la parte veramente
scientifica delle scienze naturali dev' esser compresa, è anzi compresa nella
filosofia; ma non vien luce sulla misura, sui confini del nostro apprendi-
mento, e questi confini, se e' erano, rimangono, senza differenze.
Quest'obbiezione ci basta aver qui soltanto accennata; ritornando alla
parte propriamente estetica, nella teoria del G. v'è tutta una serie di discus-
sioni contro gli arbitrj, i malintesi, i concetti fallaci che ingombrano i pre-
cedenti sistemi filosofici, ed anche l'interpretazione comune dell'arte: il G.
pone ben chiaramente la necessità che sia riconosciuta 1' indipendenza del-
l'arte a fondamento di ogni sana ricerca estetica. Ma la sua critica è volta
soprattutto a distruggere quattro errori particolari, de' quali anche, a conclu-
sione del suo libro, fa una rapida storia, e per l' importanza loro e perché
di continuo rinascono sotto varie forme ad insidiare il progresso della scienza.
Il primo è quello delle categorie rettoriche, della forma ornata : ora, non esi-
ste un ornamento che possa aggiungersi all' espressione, come una riccbezsia
4 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
pili squisita, una bellezza più delicata ed accorta : la parola propria è quella
che esprime T immagine, così com'è: e la metafora o la perifrasi o l'ellissi
0 che altro sia, non è che la forma stessa, balzata viva, tutt' uno con l' idea.
Il che é verissimo, e sarà bene insistervi e battervi su fin che rimanga traccia
di quell'insegnamento artificioso, che disgiunge la forma dal pensiero, dal-
l'immagine, ciò è dalla sua stessa ragion d'essere: è una conseguenza lo-
gica di ciò che si è appreso studiando la natura dell' espressione, dove con-
tenuto e forma sono inscindibili. Ma il G. non trae questa conclusione dai
principj già stobilili ; per giungere a una demolizione più complessa, muove
nuovamente dall'osservazione interna. Ogni espressione dev'essere considerata
in sé, e, fra le moltissime altre, non può riaccostarsi a questa piuttosto che
a quella: " si scrutino quanto si vuole i fatti estetici, e non si riuscirà a
" trovare tra essi differenze formali, né a scomporre il fatto estetico in un
" fatto estetico di primo e in un altro di secondo grado. Ciò significa che
" non è possibile una classificazione delle espressioni „ (p. 71). E questa con-
clusione il G. avvalora col fatto che variano continuamente " le impressioni
"ossia i contenuti: ogni contenuto è diverso da un altro, perché niente si
* ripete nella vita; e al variar continuo dei contenuti segue la varietà irri-
" ducibile dei fatti espressivi, sintesi estetiche delle impressioni „. Diciamo al-
lora che non sono possibili le classificazioni delle impressioni, ciò è che in
natura non sono possibili le classificazioni: * a rigor di termini, potremo con-
venirne tutti; ma in questo caso non vediamo ragione di combattere unica-
mente le classi delle espressioni.
In questa recisa negazione a noi pare si accolga quanto è di eccessivo
in altre due critiche, mosse dal G. ai concetti dei generi artistici e letterarj
e dei limiti delle arti. Egli combatte la teorica dei generi come un'intro-
missione intellettualistica nel fatto estetico. Entrando in una galleria o leg-
gendo una serie di poemi, si può " dopo aver guardato e letto, proceder oltre,
" ed indagar la natura delle cose colà espresse,, ritrarre da quei singoli
quadri e componimeati le astrazioni di costumi, paesaggi, ritratti, fatti tra-
gici ecc. La contemplazione estetica ha dato luogo ad un pensiero logico, ad
un raziocinio, ai concetti, poniamo, della vita domestica, della cavalleria,
dell' idillio, della crudeltà. " Ma nessuno può obiettar nulla a tal procedere . . .
" L'errore comincia quando dal concetto si vuol dedurre Y espressione, e nel
" fatto sostituente trovar le leggi del fatto sostituito ^, quando noi ci chie-
diamo: " qual'è la forma estetica della vita domestica, della cavalleria, del-
" r idillio, della crudeltà, e cosi via V come debbono essere rappresentati que-
* sti contenuti? „ Di qui le leggi o regole dei generi, che sono false, assurde
fin dalla radice. I critici pretendono allora di comparare ogni nuova opera
ad un lor modello ideale, giudicare secondo un lor proprio codice, aristotelico.,
0 classico, o romantico; invece, l'opera d'arte vuol essere confrontata con
sé stessa, e non con altre, perché in sé, nella sua vita interiore, reca la sua
» II 0. del resto non ammette suddivisioni originali nelle quattro forme dello spirito
(cfr.p.141).
DBLLA LETtERATURA ITALIANA 5
bellezza. Ma quando il C, ammesso che non ci son lèggi di un genere, segue
affermando che non ci sono generi, dissimula un salto, che in realtà non
è cosf agevole. Lo stabilire i generi e lo studiarli è precisamente un processo
logico, intellettualistico, che nel campo della scienza non è più un' intromis-
sione; l'intelletto ha la sua parte nell'esame dei prodotti artistici, a quel
modo che l' Estetica è scienza, cioè risulta di concetti. Questa lotta a oltranza
contro i generi deriva da quell' opposizione generale ad ogni classe di espres-
sioni; mentre chi ne ammette la possibilità può ricercare nelle opere d'arte
le intime e reali affinità psicologiche di certi gruppi, che son detti, ad es.,
lirici 0 drammatici: purché non si traggano leggi e non si creda di pos-
seder la tavola compiuta e infallibile di ciò che l' ingegno umano può varia-
mente produrre nell' arte, e, nella stessa considerazione storica, non si parli,
come si parlò, di una solitaria e schematica evoluzione dei generi. Anche
qui, si tratta di far bene; e, quando sia ben fatto, è giusto e lodevole che si
rappresenti lo svolgimento di un genere, per coglierne la parte vitale dopo
i tentativi mal certi, e lo sfiorire e lo smarrirsi, e anche, a volte, il rinnovarsi
guaduale attraverso un pensiero ed un'arte pili fresca.
Il G. stesso, ad altro proposito, non finisce con 1' ammettere nn certo
criterio di genere quando descrive il progresso, eh' è nella storia artistica
e letteraria, non sopra un' unica linea, ma in tanti cicli progressivi ' cia-
• scuno col proprio problema, e progressivo solo rispetto a quel problema , ?
Egli reca l' esempio tipico del progresso nell' elaborazione della materia ca-
valleresca dal Pulci all'Ariosto. " Con l' insistere ancora su quella stessa ma-
" teria non si avrebbe se non la ripetizione od imitazione, il diminuire o
" l'esagerare, il guastare il già fatto, insomma la decadenza. Esempio, gli epi-
• goni ariosteschi. Il progresso comincia col ricominciar di un nuovo ciclo.
• Esempio, il Cervantes , (p. 137). Ed ecco una serie di opere artistiche riu-
nite in un grup'po, secondo il principio dell' elaborazione successiva di una
materia comune.
Il C, combattendo ogni concetto di limiti fra le arti, fa ancora la critica
delle classificazioni estetiche (pp. 115-16); e qui, oltre al fatto di una possi-
bile partizione (non gerarchia) delle arti, la stessa intrinseca colleganza del
contenuto e della forma ci costringe a parlare di espressioni musicali, pit-
toriche, e simili: possiamo astrarre dal suono e dal colore, come semplici
istrumentì, ma non dalla natura originaria, intuitiva, di una data espressione.
— Un quarto errore particolare è il bello fisico, il bello di natura: coerente alla
alla sua teoria, il G. non può ammettere la bellezza se non come attività spi-
rituale, e quindi un oggetto esterno non è di per sé né bello né brutto : tut-
t' al più, queste parole posssono significare, crediamo anche pel G., una mag-
giore o minor convenienza dell' oggetto col proprio fine naturale. In altri
casi uno spirito agile di artista compie si rapidamente e si di frequente il
processo estetico delle impressioni, che non sa distinguere la materia dalla
forma, eh' è produzione del suo spirito: ciò avviene un pò* in tutti ed è aiu-
tato da molti fraintesi, ormai comuni pel lungo uso.
La Storia del G. ci rappresenta lo svolgimento dell'Estetica come scienza
è RASSEGNA BlftLlOtìRAPlCA
dell' espressione, scienza moderna di cui le prime linee già si disegnano nel-
r opera universale del Vico : nondimeno il G. riprende brevemente lo studio
dalle teoriche dell'arte nell'antichità. Riconosciuto il valore di questa ricca
e densa rassegna, non sta ora in noi rilevare o aggredire alcuni giudizj e al-
cune vedute particolari; ma da un'osservazione non sappiamo tenerci, poiché
ci pare che il Kant e lo Schopenhauer n' escan più depressi che non si con-
venga, in una storia appunto della scienza intuitiva : l' intuizione, quale mezzo
conoscitivo necessario e indipendente, entra davvero nel dominio scientifico
col Kant. È, più che altro, una questione di proporzioni : il G. dopo la scoperta
del Vico ha reagito anche troppo contro i pensatori tedeschi.
Ma v'è nel libro del G. qualcosa che nelle rigide, aride linee schematiche
imposte alla brevità di una recensione, non è possibile mantenere né ripro-
durre: ed è la vivacità della ricerca, l'amore, che a volte scatta nella passione,
per quest' ordine di studj ancora dubbioso, considerato finora dai più con
una diffidenza inerte. Qualunque debba essere la parte acquisita alla scienza
per queste indagini del G. — e la più vitale e feconda sta certo nel riacco-
stamento, nella compenetrazione del fatto estetico col linguaggio, con V espres-
sione, intesa cosi nel suo significato più vasto e insieme più preciso, — il
nobile desiderio dell' autore, di acquistare amici a tali studj, spianando osta-
coli e indicando vie da percorrere,' sarà ad ogni modo compiuto: il G. serba
anch' egli " l'attrattiva di quegli scrittori che, oltre ciò che danno essi, addi-
tano e fanno intravvedere una ricchezza da conquistare „. La Storia del G.
ha sulle precedenti il merito di tener conto e di trattar più da vicino di certe
opere critiche, ch'erano state prima escluse o trascurate, ritenute quasi estranee
all'estetica propriamente detta: ad es., le Poetiche del Cinquecento. E uno
dei più vibrati capitoli di tutto il libro è quello sul De Sanctis, argomento
carissimo al G.; il quale anche riconosce — ciò che davvero non gli accade
di frequente — un grande valore negli scritti di due estetici", l' Hanslick e il
Fiedler, che sono appunto due critici. Egli combatte le teorie estetiche parti-
colari, ma non vuole rinchiudersi nella pallida e sola speculazione astratta :
sente e ricorda la necessità dello studio vivo, ad immediato contatto con
r opera d' arte, e di una letteratura critica che sia vigorosamente congiunta
con l'Estetica.
Ferdinando Neri.
1 V. l'refaziom; p. IX.
DELLA LETtERATURA itALtANA
G. Arias. — Le istituzioni giuridiche medievali nella Divina Com-
media. — Firenze, Lumaclii, 1901 (8.°, pp. VI-240).
Le istituzioni giuridiche dei tempi di Dante. furono, in gran
parte, multiformi e contraddittorie, derivando alcune dallo scom-
parso regime feudale, altre invece da quella società mercantile,
che, piena di audacie innovatrici, portò seco tutto un diverso
modo di pensare e di agire.
Lo scopo che l' Arias si è proposto è stato quello di mettere
il pensiero di Dante in relazione con tali opposti concetti giuri-
dici, di ricercare quali di quei concetti il Poeta approvò, di ve-
dere infine qual giudizio egli dette delle tendenze e delle aspira-
zioni dell'età sua. Alle quali non poteva certo essere favorevole un
uomo, che, come Dante, sinceramente rimpianse i tempi di Caccia-
guida, quando Firenze, dentro il cerchio ristretto delle sue mura,
« si stava in pace, sobria e pudica »; un uomo, che alla « gente
nuova » e alle nuove idee sociali ed economiche, che le classi
commercianti introdussero, si mostrò tenacemente contrario. Per-
ciò egli non solo aderì alle istituzioni giuridiche, che furono
comuni ai due momenti storici, cui abbiamo accennato; ma
delle altre, di quelle che seguono necessariamente la evoluzione
dei tempi e mutano con il rinnovarsi delle condizioni sociali,
egli approvò quelle soltanto, che provenivano da un' età ante-
riore: egli insomma rimase fedele alle costumanze del passato e fu
uomo feudale. Tale appunto è la conclusione, cui giunge l'Arias:
con quali argomentazioni e con quali prove, vedremo: ci affret-
tiamo intanto a riconoscere che, sebbene non abbiano tutte
eguale valore, esse acquistano, dal loro complesso, singolare
efficacia.
Esaminata la definizione dantesca del giure, l'Arias vuol dimo-
strare che il Poeta esaltò V opera legislativa di Giustiniano, non
già per il suo intrinseco valore, ma per la sua importanza e
convenienza politica. Dante ebbe poi un dispregio certo eccessivo
per l'opera dei giuristi contemporanei, che pur qualche bene
apportarono alla società comunale, e, per cause religiose è po-
litiche, dette giudizio molto severo della legislazione ecclesiastica
e specialmente dei suoi commentatori: ond' è da concludersi che
« non fu né cultore, né giudice benevolo, o semplicemente equo,
« della scienza del diritto » (p. 26). Ma la non profonda cono-
scenza che Dante ebbe del giure, non esclude che nella Commedia
8 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
si ritrovino accenni, spesso involontarj, ma non per questo man
degni di esame, alle istituzioni del M. E., tra le quali « tiene prin-
« cipalissimo luogo la vendetta privata» (p. 31). L'Arias non
accetta l'opinione dello Scherillo e pensa che Dante più che
condannare questo istituto, ne vituperi il tralignamento. Il Poeta
non coinvolge irifatti nello stesso biasimo Mosca e Buondelmonte,
il consigliatore e la vittima? {Inf. XX Vili, 103 e sgg.; Farad.
XVI, 136 e sgg.) E non è giusto pensare che condanni il primo
solo perchè suggerì una pena sproporzionata alla colpa dell'altro?
(p. 48). Eppure, il rimprovero che D. fa a Buondelmonte e l'al-
lusione al «giusto disdegno» degli Amidei {Farad. XVI, 137)^
inducono a credere che il Poeta giudicasse severamente la loro
vendetta, non tanto perché gli sembrò lontana da ogni equa re-
tribuzione del male, quanto perchè vide in essa un ben triste
esempio di giustizia privata e gli apparve come il principio di
quelle implacabili inimicizie, per le quali il giglio della sua
Firenze si fece vermiglio.
Del resto, i molti luoghi della Commedia citati dall' Aut.
a pp. 43-45 non si possono riferire all'istituto della vendetta,
sicché quelle testimonianze non dimostrano punto che Dante la
riconoscesse, come forma di giustizia. Ma resta l' episodio di Geri
{Inf. XXIX, 18 e sgg.), che — a prima vista — sembra confer-
mare pienamente la tesi dell'Arias. Tuttavia, quando leggiamo a
p. 55 che se il poeta elogiò nel « buon » Marzucco un atto di per-
dono {Purg. VI, 17-18), cadde allora in « una delle consuete con-
« tradizioni degli uomini medievali », pensiamo che assai meglio si
spiegherebbe una di tali contraddizioni nell'episodio di Geri, mentre
D. si trova dinanzi uno « spirto del suo sangue » e il cruccio del-
l'ucciso consorte lo commuove e lo turba. Qui veramente è le-
cito credere che, per un sentimento spontaneo ed improvviso,
risorga in D. l'uomo del tempo suo.
L'Arias osserva inoltre come in alcune pene imaginate dal
Poeta, si ritrovino tutti i caratteri della vendetta privata: così i
fratelli Alberti cozzano insieme « mossi da quello stesso senti-
« mento d'ira perversa, che si mantiene immutato, oltre tomba»
(p. 57) e il conte Ugolino morde con rabbia il cranio del suo ne-
mico. L'osservazione è giusta, ma forse non è favorevole alla tesi
dell' Arias, poiché D., imaginando che i dannati invano ricerchino
> Notevoli le parole dell' Ottimo « E dice per lo giusto disdegno, però che li Amidei
( ebbero cagione manifesta di disdegnarsi, si come più nobili, contra li Buoudelmonti i.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 9
nella vendetta uno sfogo ai loro odj, un lenimento ai loro mar-
tirj e in essa ritrovino invece un nuovo tormento morale, per
biasimarla ancora una volta.
Nel capitolo sa La solidarietà comunale e famigliare si afferma
tra l'altre, che le invettive dantesche contro alcune città dell'I-
talia sono inspirate a quel concetto medievale della solidarietà
« che involge, specie nelle colpe, tutti i cittadini di un medesimo
«stato» (p. 64); sicché, per l'Aut., i fieri disdegni contro Pistoia
{Inf. XXV, 10-12) e contro Genova (J«/'. XXXIII, 151-57) sarebbero
suggeriti dalle malvagie opere di Vanni Fucci e di Branca d'O-
ria, mentre è forse più giusto pensare che il Poeta prenda oc-
casione dalle colpe dei due dannati, per esprimere un severo giu-
dizio sulle città dove nacquero.*
Con queste osservazioni non intendiamo punto infirmare l'idea
fondamentale del lavoro dell'Arias e siamo assai lontani dal pen-
sare che D. abbia precorso i tempi e intuite le verità poste in
luce dalla moderna scienza penale; ma non vorremmo che, nel
combattere i sostenitori di tali erronee credenze, si peccasse « per
«troppo di vigore». E veramente a noi sembra che l'Alighieri,
pur essendo uomo del M. E. e seguace di idee e costumanze, che
già a' tempi suoi andavano scomparendo, abbia potuto, per al-
tezza di ingegno, disapprovare taluna di quelle consuetudini, che,
in generale, lo trovavano consenziente.
L'Arias ha poi veduto nel Poema involontarie reminiscenze
di istituti giuridici, anche là dove, a nostro credere, le idee di Dante
furono generate da ben altri ricordi. Cosi, trattando del sistema
penale nella Commedia, egli osserva: «Il primo scopo che la
«pena si prefigge è la vendetta: si renda all'offensore male per
« male. Analogamente la Divina vendetta del Poema Dantesco si
« studia di attribuire una pena del tutto rispondente al male com-
« piuto. Tuttavia la pena del Medio Evo ebbe pure un fine più
«elevato; V espiazione. Dante, seguendo l'uno e l'altro concetto,
« applica il primo nell'Inferno, il secondo nel Purgatorio ». (p. 79).
Ora, l'analogia tra i principj direttivi del sistema penale dan-
tesco e quelli del sistema penale del M. E. esiste, ma — a parer
nostro — è puramente casuale; dacché il duplice concetto della
vendetta e dell'espiazione fu offerto al Poeta dalle dottrine cri-
stiane e a quelle soltanto egli dovette inspirarsi. Giusto invece
1 È da osservare che il giudizio di D. si accorda con quello di altri scritlori del tempo.
Cfr. le parole di G. Villani (Cronica, 1,32) su Pistoia; e quelle di Jacopo d'Oria su Genova
{Amwles yemieimes, in K. 1. S., VI, G08) cit. aucUe da T. Oasini uel suo noto comuieato alla D. C.
10 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
e oltreraodo opportuno è il raffronto, che l' Aut. fa, tra le singole
pene imaginate da D, e alcune tra le più caratteristiche del
tempo (p, 87 e sgg.): e l'argomento — come altri ha osservato,^
— sarebbe stato degno di meno fuggevole illustrazione.
Nella IV parte del libro (Ordinamento giudiziario) è inserito
un articolo, che già vide la luce nella Rassegna Nazionale (1.°
aprile 1901): in esso l'Arias vuol dimostrare che la nota simili-
tudine dei campioni « nudi ed unti » (Inf. XVI, 24-22) non si ri-
ferisce— come sostiene il Davidsohn ^ — ai campioni del duello
giudiziario, sibbene « agli spettacoli di lotta, i quali, a somiglianza
« degli antichi .... avevano luogo nell'età medievale » (p, 133).
Il Davidsohn ha, alla sua volta, confutato autorevolmente la
tesi dell'Arias, ^ adducendo a conferma della sua, nuove testimo-
nianze, le quali hanno certo molto valore per dimostrare che il
duello giudiziario vigeva ancora nei primi decennj del sec.
XIV, ma non provano, con eguale evidenza, che i campioni vi
combattessero — come i Danteschi — nudi, unti e senz'armi;
cosicché non ci pare possa affermarsi che la questione sia defini-
tivamente risolta.
Chiude questa parte del libro un capitolo, nel quale si illu-
strano le parole del De Monarchia sul giudizio di Dio e giusta-
mente si conclude che le teoriche di Dante, favorevoli all'effi-
cacia probatoria del duello, dimostrano ancora una volta come
egli sia « il Poeta del Medio Evo, spoglio, è vero, delle sue più
« basse volgarità, ma non delle sue idee, di quelle soprattutto che
« attingon vita dalla fede » (p. 140).
La quinta parte tratta del Diritto civile e specialmente degli
Usi nuziali. Dopo aver dimostrato che « l'inanellare è proprio del
« fidanzamento e il desponsare o « consentire per sua sposa » ina-
« nettando, è proprio del matrimonio » (p. 149), l'Arias scrive che
nei versi della Pia {Purg. V, 135-36) e' è una manifesta allusione
alle due cerimonie, e — accettando la lezione disposata — spie-
ga in tal modo il noto passo : « Lo sa colui che me, già fidan-
« zata d' altri, aveva tolto per sua sposa » (p. 150). Ma se ci fer-
miamo «all'esame genuino de' versi danteschi» la interpreta-
zione non è da accettarsi che in parte. Il Mazzoni ne ha parlato
di recente nel Btdl. della Società Dantesca: -^ la lezione disposando
i V. la recensione di G. Salvemini in Bull. d. Soc. Dani. H. N. S. IX, 112 e sgg.
2 « i campioni nudi ed unii » in Bull, cit., N. S. VII, 39-43. — L'Arias (p. 126, nota 1) ne
sbaglia la citazione.
» In Dtdt. d. Soc. Dantesca N. 8. IX, 185-187.
* N. S. IX, 82 e sgg.
DELLA LETTERATURA ITALIAI^A 11
— egli ha osservato — è da preferirsi per numero e autorità di
codici e, poiché essa esclude subito che il Poeta abbia alluso a un
precedente fidanzamento della Pia, « si ha da ritrovare nei versi di
«Dante con l'accenno a tutt'e due le cerimonie, l'identità della
« persona, che prima fu fidanzato della Pia e le fu quindi marito ».
Ma, secondo noi, anche con la lezione disposata (e indubbiamente
meglio che con l'altra) si può pensare che il fidanzato e il ma-
rito sieno la persona medesima:
Salsi CDlui che, inaneUata pria,
Disposata m'avea con la sua gemma.
« Lo sa colui che, avendomi prima inanellata (è la cerimonia
« del fidanzamento), mi aveva poi disposata con la sua gemma (è
«la cerimonia del matrimonio)». Con l'altra lezione invece le
difficoltà di ammettere il duplice accenno sono assai gravi; e non
occorrono certo molte parole per dimostrare che quel disposando
appar subito come un inciso, che presuppone logicamente una
contemporaneità nelle due azioni del disposare e dell'inanellare. ^
La dote e le seconde nozze danno argomento a due capitoli
successivi, nel primo dei quali l'Arias prende occasione da un
noto passo del Paradiso (XV, 103-105) per indagare le cause che
determinarono un accrescimento nel valore della dote e per di-
mostrare come tale fenomeno sia dovuto al passaggio dal regime
magnatizio al mercantile, nonché al progressivo deprezzamento
del capitale mobiliare, che rialzò, di conseguenza, il valore della
moneta. Anche le osservazioni contenute nell'altro capitolo sono
tali, che ognuno dovrà convenirne. La dottrina dei Padri della
Chiesa fu contraria alle seconde nozze, mentre la legislazione ca-
nonica vide in seguito la necessità di non avversarle: ora, l'Arias
afferma a ragione che Dante, per quell' intenso desiderio eh' egli
ebbe di tornare ai principj originar] e puri del Cristianesimo,
preferì la teorica primitiva: e che tale fosse il pensiero del Poeta
dimostra chiaramente l'episodio di Nino Visconti.
Della moneta, del contratto di mutuo e dell'usura, l'Aut. tratta
nella sesta parte del libro, dimostrando larga conoscenza delle
dottrine economiche dell'età medievale. L'Alighieri, fieramente
avverso a' tempi nuovi e al nuovo ordinamento sociale, non si
< Se non si ammette questa contemporaneità, è necessario sforzare il teito a una simile
interpretazione : ( Lo sa colui cbe mi aveva prima ìuauellata, poi disposandomi >. E il poi,
in tal caso, è sottinteso nel verso con uno sforzo eccessivo di buon volere.
12 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
curò della gloria, che dai traffici derivava alla sua Firenze: da
ciò ha origine, in parte, il suo sdegno per l'espansione del « ma-
« ledetto fiore » {Farad. IX, 130) e la sua indifferenza per i danni
subiti dal commercio fiorentino, quando Filippo di Francia fal-
seggiò la moneta {Farad. XIX, 118-120). E contro l'usura egli
si scaglia « per alto intendimento morale e civile » e « punisce
« con pena più delle altre grave e vergognosa gli usurai » (p. 202).
Molto bene l'Arias, parlando dei tormenti, cui essi sono condan-
nati, dà alla borsa che pende loro dal collo un significato di
fiero rimprovero per la nobiltà usuraia, che, dimentica della sua
origine, si era data al commercio bancario.
L' ultima parte {La costituzione politica e sociale dei comuni)
si apre con un capitolo, dove l'Arias tenta di dimostrare che le
parole dei due frati gaudenti Bolognesi {Inf. XXIII, 103-108)
alludono non solo al podestà, ma anche all'Ufficiale forestiero
della Mercanzia: l'ipotesi tuttavia dovrebbe essere confortata da
ragioni più convincenti e più salde. ^ D'altronde — non siamo noi
i primi a notarlo ^ — queste ultime pagine appaiono incompiute
e troppo affrettate. E cosi è da giudicarsi la breve conclusione,
con cui termina il pregevole libro.
Pregevole veramente, e degno di essere, più che letto, studiato.
Se non sempre le ipotesi e le affermazioni espresse dall' Arias
appaiono convincenti, se nell'opera sua si avvertono talvolta di-
vagazioni e sovrabbondanze e tal' altra lacune ^ o troppo fugge-
voli accenni a luoghi della Commedia, che meritavano trattazione
più ampia; è doveroso riconoscere che il libro ha, non di rado,
pagine ricche di osservazioni nuove ed acute, e interi capitoli,
dove i concetti giuridici dell'età medievale sono illustrati con
perspicuità e il pensiero di Dante è compreso compiutamente.
E noi ci auguriamo di vederne presto una seconda edizione, che
— resa migliore per le cure assidue dell' Aut. — anche tipogra-
ficamente appaia più corretta.
F. Baldasseeoni
* V., a questo proposito, le osservazioni del Salvemini (loc. cit., p. 113, nota).
• Cfr. la recensione del R. in Giornale Storico della Utt. IL Voi. XXXÌX (1902), p. 416.
3 Alcune ne ha notate il Salvemini nella recensione cit.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 13
Leandro Biadene. — Il Libro delle tre Scritture e i Volgari delle
False Scuse e delle Vanità di Bonvesin da la Riva. — Pisa, En-
rico Spoerri, 1902 (8^ pp. XXXVIIM13).
In questo volume il Biadene pubblica le poesie di Bonvesin
da Riva, che conservava ancora inedite, fino a poco tempo fa, il
noto cod. Ambrosiano T, 10 sup. ; e cioè tutte le poesie ch'erano
rimaste inedite del fecondo verseggiatore lombardo, ad eccezione
della Vita di San f Alessio, che si trova in un altro Ambrosiano e
della quale finora non venne comunicata al pubblico che solo una
parte. E noto che i medesimi testi furono, qualche tempo prima che
dal Biadene, pubblicati da Vincenzo de Bartholomaeis, nei Documenti
di Storia letteraria della nuova e benemerita Società filologica ro-
mana. Come l'incontro dei due romanisti sia avvenuto non sappiamo
e non importa di sapere, ma si può con sicurezza afi^ermare che le
conseguenze non ne sono state dannose per Bonvesin; giacché il
Biadene, che all' uscire del primo fascicolo dell' edizione del de
Bartholomaeis si trovava ad aver già stampato la sua, fu indotto a
una nuova revisione del manoscritto, del cui risultato, benché si
riduca ad assai poco, rende conto in fine del volume, e a compilare
il Lessico de' suoi testi, del quale aveva prima creduto di poter
fare a meno. Abbiamo dunque davanti a noi un' edizione delle
pili accurate e nel tempo stesso delle meglio illustrate.
Il pili importante e il più esteso dei tre poemetti, editi nel
volume, è il Libro delle tre Scritture, diviso naturalmente in tre
parti : « la Scrittura negra, che tratta della nascita, vita e morte
«dell'uomo e delle dodici pene infernali; la Scrittura rossa, che
« narra la Passione di Cristo ; la Scrittura o Lettera dorata, che
« descrive le dodici glorie del Paradiso ». Segue il Volgare delle
false scuse, che gli uomini adducono per trovare un pretesto di
non seguir la virtù ; e il Volgare delle Vanità, il quale, come dice
da sé il titolo del cod. T, 10, Como le vanitade deno fi despresiade,
mostra che pazzo e cieco è l' uomo il quale si assottiglia per af-
ferrare un'ombra, che tosto dilegua, cioè i vani beni del mondo.
Questa che son venuto indicando, è la divisione del Biadene.
Ma non è da tacere che, secondo il de Bartholomaeis, invece, i tre
poemetti si ridurrebbero a due, giacché il secondo, ossia il Volgare
delle false scuse, non sarebbe che una continuazione del primo e
farebbe quindi parte integrante della terza parte di esso, la Lfit-
14 ÌAS9BONA BIBLIOGRAFICA
tera dorata. Quale dei due editori abbia coito nel segno non è
COSI facile decidere. La contiguità delle due parti nel codice prova
poco, anche perché in esso le tre Scritture sono separate l' una
dall'altra, per mezzo di altre poesie frapposte, e prima di tutte
ricorre l'ultima, la Scrittura dorata; ma parrebbe invece provare
in favore del de Bartholomseis la convenienza dell'ultima quar-
tina del poemetto con la prima del Volgare delle false scuse.
La quartina di chiusa suona cosi:
Oy Deo, corno queUo è mato, cativo e agamone
ke perde cotale tbexoro, trovando excusatione!
comò quello è prode e savio, corno quello è barone,
ke per ben fare aqnista el grande possessione !
E l'altra:
Molti bomini in questa vita se dano excusatione
ke elli seraveno boni, ma dixeno cbe non pono,
perzò che avere non voleno brega né passione.
Oy Déo, comò quìlli sono mati cbe troveno tale caxonel
Osserva però giustamente il Biadene che Bonvesin poteva,
cominciando il nuovo poemetto, avere in mente 1' ultima strofa
di quell'altro suo lavoro; e, a dire il vero, non è cosi ricco il
materiale linguistico e fraseologico di cui dispongono codesti au-
tori, né cosi ferace la loro fantasia che noi dobbiamo maravigliarci
se tratto tratto si ripetono quasi colle medésime parole. Ed è pure
verissimo che fra i componimenti di Bonvesin si riscontra di solito
un legame logico assai stretto, senza che ciò importi una vera e
propria continuità. A me pare infine che se si guardi attenta-
mente, la strofa di chiusa del Libro delle tre Scritture si dimostra
scritta quando ancora il poeta non pensava ad affibbiare a questo
nessuna appendice; non solo perché essa ha veramente l'aria di
una chiusa, ma soprattutto perché, se il poeta avesse avuto in
animo di proseguire col Volgare delle false scuse, avrebbe proba-
bilmente invertito l'ordine dei versi, ponendo per ultimi i due
primi, com' era facile e naturale.
Questo è un piccolo argomento, ma assai più valido parrà quello
del Biadene, che Bonvesin nel Prologo del poemetto, benché esponga
tutta la contenenza delle tre parti di esso, alla Scrittura dorata
non assegna altro tema che di parlare « de la corte divina, Zoe de
« le dodexe glorie de quella terra fina ». Lo stesso può dirsi anche
del prologo speciale della Scrittura dorata. E resta finalmente
un'altra osservazione da fare, in favore del Biadene. La Scrittura
negra comincia con due capitoli, I)e la nasione de Votno e De h
DELLA LETTERATURAITALIANA 15
morte de Tomo, i quali formano come un'introduzione generale a
tutto il poemetto: si tratta della vita terrena prima di descrivere
r oltreterrena. Ma il terzo capitolo, De la pena Ice ha l'omo quando
el more, il quale discorre soprattutto della morte del peccatore, e il
quarto ed ultimo, De le dodexc pene de lo wferno, hanno i loro na-
turali contrapposti nei due capitoli che compongono la Scrittura
dorata, cioè De zò he vene al insto quando elio more, e quello, sud-
diviso in paragrafi minori, 'delle dodici glorie'. Non resta dunque
nessun posto per un'aggiunta o un' appendice, se si voglia aver
qualche riguardo a quella simmetria delle varie parti del poemetto,
che doveva parer necessaria anche a un povero artista come Bon-
vesin, e che il de Bartholomaeis cercò di dimostrare anche più com-
plicata e più cosciente che in realtà non sia. Unendo il Volgare
delle false scuse col poemetto, si sciupano le proporzioni di questo,
e si toglie parte della sua efficacia alla descrizione, con cui si
chiude, delle glorie celesti.
Un'osservazione del de Bartholomseis parrebbe fornirci un
punto di partenza per datare con qualche sìcxxrezzo. W Libro delle
tre Scritture. Due versi di esso furono introdotti, senza cambiarne
il metro, da Pietro da Barsegapé nel suo Sermone; e questo es-
sendo stato compiuto, come è noto, l'anno 1274, il poemetto di
Bonvesin risulterebbe di qualche tempo anteriore, e sarebbe cioè
stato composto da lui negli anni della sua giovinezza. Il Biadene
propende ad accogliere questa deduzione del de Bartholomaeis e
anzi la conforta di qualche nuova prova, scovando a sua volta
nel Sermone altri piccoli riscontri col poemetto di Bonvesin; ma
poi gli viene il sospetto, non più che il sospetto, che queste ul-
time piccole imitazioni apparenti si devano all'averci due autori
seguito una fonte comune, e che invece i due alessandrini, indi-
cati dal de Bartholomseis, sieno stati introdotti nel codice del
Barsegapé dal suo tardo copista. Lo stesso copista avrebbe intro-
dotto più oltre, da una fonte ignota, altri quattro alessandrini
(vv. 2131-34) «che non sembrano collegarsi troppo bene cogli ot-
« tonarj o novenarj frammezzo a cui essi pure sono collocati ».
Che il Biadene voglia mostrarsi molto circospetto nel difen-
dere il Barsegapé dall' accusa di plagio, è troppo naturale, cre-
dendo egli provata la capacità a delinquere dell' oscuro poeta
meneghino, pei numerosi furti che gli si attribuiscono, commessi
a danno del Libro di Ugu^on da Laodho. Il Barsegapé sarebbe
dunque recidivo. Ma se si trattasse d' un'ingiusta accusa? Io stesso
tenterò la revisione del primo processo, in altro fascicolo della
16 RASSEGNA BIBLIOORAFIGA
Rassegna; ma 'supponendo fin d'ora che gli argomenti da me
esposti riescano almeno a suscitare gravi e fondati dubbj sul va-
lore delle prove addotte prima contro il Barsegapé, non dovremmo
andar molto guardinghi anche nell'accogliere le nuove accuse?
Intanto, dei due alessandrini comuni a Bonvesin e al Barse-
gapé (Bonvesin, Scrittura rossa 47-48, Barsegapé 1534-35) mi sem-
bra agevole giudicare; ossia il sospetto del Biadene è per me
quasi una certezza: cercherò di dimostrare per tutti i versi di
Uguccione, che si trovano inseriti nel poemetto milanese, che an-
ch' essi sono un' aggiunta di un tardo copista, E probabilmente
ha ragione il Biadene anche pei quattro alessandrini d'ignota
provenienza.
Riguardo poi agli altri versi, indicati dal Biadene, dove l'ac-
cordo del Barsegapé con Bonvesin riesce evidente, io credo molto
difficile dimostrare che si tratti d'interpolazioni, ma cerco invano
una prova qualsiasi, la quale mi faccia parer più verosimile che
l'imitatore sia il Barsegapé e non invece Bonvesin. Direi anzi
che riesce subito, a chi guardi con qualche attenzione, molto ve-
rosimile il contrario. Il Barsegapé descrive la Passione, tenendosi
stretto al Vangelo di Matteo, e solo aggiungendo qua e là alcuni
particolari da Luca e Giovanni: ogni parola di lui si può quasi
dire che abbia la sua ragione e la sua fonte nel testo sacro. Il
poemetto di Bonvesin, dove invece poco si dice dei fatti e non
ad altro si mira che ad insistere, con monotone variazioni e ri-
petizioni dello stesso motivo, sugli oltraggi e i dolori inflitti a
Gesù, non poteva riuscire al Barsegapé di nessun vantaggio ;
mentre il Barsegapé se non altro forniva a Bonvesin una traccia
pel racconto. Non mi maraviglierei se questi avesse imitato dal-
l'altro qualche frase che ricordava: mi maraviglierei invece se
il Barsegapé, che seguiva passo passo il Vangelo, fosse ricorso a
Bonvesin per le parole di Pilato « eo no volio esser colpado In lo
« sangue de questo hom » (vv. 1528-59), che traducono S. Matteo:
« Innocens ego sum a sanguine insti huius »; o per la descrizione
degli ultimi istanti di Gesù, che proviene da S. Giovanni:
E la soa testa s'inclinòe
e da beve si gè domandòe.
E nn deli ^udei fo tosto acorto,
axeo con fere el g'ave sporto;
e quando el n'ave ben cercao
ali (udei disse: 'l'è consuraao '.
DBLLA LETTERATURA ITALIANA 17
Questi due passi nel Barsegapé sgorgano spontanei, e colla loro
nuda semplicità mostrano che l'ingenuo verseggiatore non pen-
sava che a rendere come meglio sapeva il Vangelo ; mentre Bon-
vesin dà loro una forma artificiosa e contorta, e del Vangelo non
segue che le lìnee più generali. Infine, si capisce che Bonvesin,
il quale andava in caccia di adornamenti e di frasi, togliesse al
Barsegapé un' espressione come « le carne quaxe pariveno si negre
« comò coldera » ; ma si capisce meno che il Barsegapé, se gli
fosse venuto in mente di prendere da lui qualche cosa, ne avesse
preso COSI poco.
Col SUO poemetto, Bonvesin viene ad aggiungersi alla serie,
già abbastanza lunga, dei cosiddetti precursori di Dante; ma mi
guarderei bene dall' attribuirgli soverchia importanza. Anch' egli,
come la maggior parte di codesti precursori, serve a far numero,
ma non ha un suo significato individuale, non aggiunge alcun
particolare veramente nuovo alle nostre cognizioni, non diminuisce
d'un millimetro l'immensa distanza che corre fra codesta massa
incomposta di oscuri tentativi e il Poema sacro. Non è neppur
facile trovarvi riscontri tali di concetto, che possiamo servircene
per illustrare qualche verso della Divina Commedia o per indicare
la lontana origine di qualche imaginazione di essa: chi non voglia
ricordare le catene di cui vengon cinti nell'Inferno i peccatori, le
quali son tante di numero quanti sono i peccati di questi (1, 571):
con tanti mortali peccati corno more el peccatore,
con tante cadene gè ligano le membre con dolore;
o certi tipi di tormenti, che ricorrono anche nelle altre leggende
0 composizioni consimili, ma qui sono descritti con molta com-
piacenza e larghezza. ^
Del valore poetico di Bonvesin non è il caso di parlare: egli
non è troppo superiore a quei suoi poco più vecchi colleghi lom-
bardo-veneti, che dai loro monotoni strumenti non sanno trarre
suppergiù che un solo e identico suono. Nemmeno in lui nulla
che s'avvicini alla varietà e alla vivacità dell'unico poeta del-
l'Alta Italia, che sia meno indegno di questo nome, l'Anonimo
genovese. Senza dubbio non mancano in Bonvesin motivi poetici
1 II verso di Dante, che si riferisce all'angelo nocchiero del Pnrgatorio, sedente a prora,
e Tal che farla beato pur descritto », pnò avere una specie di commento in alcune strofe di
Bonvesin, dove molto prolissamente si svolge il concetto che la vista d' un angelo baste-
rebbe a rendere beato un nomo, anche in mezzo ai tormenti.
18 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
e frasi robuste, che possono rendere più sopportabile l'inesperienza
di quell'arte primitiva; senonché, come avviene anche negli altri,
di solito sono motivi tradizionali e frasi trovate già pronte o nei
testi biblici o nelle leggende anteriori. Ma Bonvesin è un uomo
colto, che sa di molte cose e soprattutto sa di latino: e degli
insegnamenti retorici, che s'impartivano alla scuola di latino, egli
cerca di fare suo prò anche nella poesia volgare; donde proviene
certa esteriore ricercatezza, che ne' suoi versi contrasta talvolta
curiosamente con la rozzezza dell'insieme, e si esplica soprat-
tutto in giochi di parole, come: « Plurando se torzeva, torzando
«se plurava, Pianzeva sospirando, pianzando suspirava » Libro
de le ire Scritture II 242 sg., « e gloria dolcissima e dolceze glo-
« rioxe » III 42, « oy festareza gloria, oy gloriosa festa » 111 349,
« angossoxa angustia » I 900, « angustievele angustia » 901, e altri
consimili.
Con queste ricercatezze stilistiche, alla cui seduzione non sfuggi
neppur Dante, sono affini certe ricercatezze di simmetria esteriore,
e fra queste annovero anche e in primo luogo la tripartizione del
poemetto delle Tre Scritture; dove Bonvesin tenta di innalzare ad
un concetto artistico di dipendenza e di contrapposizione quel-
l'ordine per motivi evidenti quasi necessario, in cui trovava
disposti in altre leggende e libri ascetici i suoi tre argomenti:
Peccato ossia Inferno, Passione di Gesù Cristo, Salvazione ossia
Paradiso. Colla tripartizione del Poema dantesco tutto ciò non
ha nulla che fare; ma, insieme con altre preziosità, come sarebbero
le volute corrispondenze, osservate dal Biadene, fra il primo ca-
pitolo della Scrittura dorata e il terzo della Scrittura negra, e un
po' anche l'artificiosa disposizione delle rime nelle prime cinque
quartine del Volgare delle Vanità, ricorda piuttosto i sapienti e
artistici, e talvolta anche troppo raffinati congegni di decorazione
esterna, che Dante ha imaginato nel suo poema e soprattuttto
nel Purgatorio.
L' edizione che il Biadene ha fatto dei tre componimenti di
Bonvesin è tale da contentare le più severe esigenze, e un ottimo
contributo agli studj dialettologici è l'ampio Glossario di cui ha
voluto corredarla. I passi difficili o anche affatto incomprensibili
non mancano in queste poesie; ma di solito il Biadene ha tro-
vato per essi la spiegazione giusta o almeno una spiegazione so-
disfacente. Assai poco saprei suggerire di nuovo io stesso per il
miglioramento o l'intelligenza del testo; e non molte ne' molto
importanti osservazioni potrei fare intorno al Glossario. Ciono-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 19
nostante raccolgo qui in fine le note, che son venuto facendo
via via nella lettura, perché sou persuaso che specialmente nella
critica e nell'esegesi dei testi ogni pruno fa siepe.
Testo. Libro delle tre Scritture, I 9: e sembra un'erronea aggiunta
di un copista, che non intese. — 163 rari: non sarà da risalire ad un
Wati, per Wanti erranti ? Cfr. qui Glossario, s. atantare. — 311 pur de
una sola gota non volefi ivtexo, cioè, forse: il peccatore non sarà in-
teso, esaudito nemmeno di una scintilla, vaie a dire nemmeno tanto
da esser arso da una scintilla di meno. Ma si potrebbe anche
sospettare che sia da legare insieme pare uno cayro aprexo Pur
de ima sola gota, acceso da un' unica fiamma. E non vale fi intexo
starebbe da sé, legandosi piuttosto col verso seguente. — 461 : Tei
intenda a ki el piaxe, sarà da leggere ice int., ecc., ed è quindi una
delle solite frasi, riguardanti in apparenza l'uditorio, ma che in
realtà non sono che zeppe, volute dal verso e dalla rima. Pel
senso equivale a M lo vole sapere isi lo sapia del v. 771, o anche
a s'el è cìiy volia odire di III 466. — 478 Sono i demonj che
hanno allegrevole core: cfr. Ili 346. — 599-600: a tuta fiada an-
gustio va unito con ciò che precede, cioè angustio se appena mi
tocchi una goccia d'acqua bollente. Il poeta aggiunge a dirve lo
motto, ossia forse a dirvelo in uno m. — 665: virgola dopo questo
verso; il Ice, con cui comincia il verso seguente, dipende da de-
lengua lo misero de sede. — 667 Non va l'interpretazione proposta
in nota: il complemento di inspemano è lo bronzo colado, quan-
tunque l'autore, se fu l'autore, dimenticandosene, abbia aggiunto
gè fi. — 735-36: intenderei, un po' arditamente, se si vuole: male
abia là me gè mise (in questo reo letto), con pene cosi angosciose,
conto el me è stravixo, come ho anche troppo provato! Il ])oeta
doveva dire corno el me è vixo o devixo, ma la frase era troppo lan-
guida, e l'ha rinforzata, foggiando uno stravixo. — 771: soppri-
merei la prima parte della nota; cfr. qui al v. 461. — 887. Met-
terei punto dopo drudo e morbio, e intenderei onde debio fueire
come un'interrogazione, corrispondente a quella del v. 879, gue
debio fare, mi lasso? e del v. 895 unde son yo mo venuto? — II 40.
Metterei un interrogativo in fine di questo verso, come ha fatto
il de Bartholoraaeis. — 75. Il verso, che manca nel cod. seguito,
suona nel cod. N. 95: de scergne che gen fiva aquella zente mastina.
Non vedo bene perché al B. esso non paja accordarsi col resto
della strofa; ma bisogna però intendere il de come un'esclama-
zione, e come esclamativo tutto il verso. — 358 lo terzo di sera
lo meo resuscitarne nto. Mi sembra afi'érmazione troppo categorica
20 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
quella del B. che si pronunciasse resustamento. E perché non sup-
porre che sia aggiunto meo? — III 121 ma el gè è strabello tem-
porerio e mirabele temperanza. Questo verso, che per la sua lun-
ghezza ricorda quelli del Marchese Colombi, esige qualche cor-
rezione; ma invece di mutare il legittimo temporerio in temporio,
che si trova al v. 184, cancellerei piuttosto mirabele, e anzi forse
sostituirei temporerio anche nel v. 184, cancellando stradulcissima.
— Volgare delle false scuse, 160: è un verso difficile. Forse il senso
si compie col verso precedente: quanto più il corpo patisce, tanto
più grande letizia l'anima deve attendersi. Poscia il poeta si ri-
volge al supposto uditorio: ki el sa vedere, da Beo, stagando in
bona via? Chi sa veder ciò, in nome di Dio! seguendo sempre la
via diritta? — 261 sgg. Capisco poco bene questa quartina; ma
forse basta sopprimere il ke iniziale del secondo verso, e spiegare
il tutto cosi: Non v'è uomo al mondo, il quale, se rifletta, per
acquistare un tesoro assai maggiore, quasi sgomentandosi (della
propria stoltezza), non si induca a rendere il mal tolto. Ma con-
vengo che è un concetto poco chiaro e malamente espresso. Forse
il meglio è risolversi a sopprimere anche il non del secondo verso
(restituire il numero voluto di sillabe sarebbe facilissimo), e in tal
caso tutto diventa chiaro: nessuno può, riflettendoci, impaurirsi
di rendere il mal tolto, per acquistare assai più di quello che perde.
Glossario. — Non mi indugio in questioni linguistiche e mi
contento di indicare qualche modificazione o qualche aggiunta.
abraxamento ' bruciamento, incendio '. Ma è in senso figurato,
'cruccio'. — asmoreare, ma anche smorsare 1 130. — atantare:
Li vermi più te aspectano in guanto più te atanti In grassa e in
drueza: in quanto più ti lasci tentare dalla grascia, ecc., tradur-
rebbe il B., ma sarebbe uso piuttosto strano. Il nostro atantar
non significherà invece ' indugiare -si ', come per es. il suo pa-
rente bestentar? Certo, atento per 'attesa' si trova. Ma allora il
meglio non sarebbe metter punto dopo tantar, e sopprimer la
virgola dopo drueza? — attastare tastare, cfr. pel significato
tantar. — biassare ' contorcere, stravolgere, Flechia biaxo, ecc. '.
Manca il rimando, ma se si allude al v. I 558, credo sia da in-
tendere diversamente. I diavoli lacerano i peccatori a membro
a membro con le grampe e con li dentoni: Li biasseno e
li segulieno e li nizeno con bastoni, cioè ' li biascicano '. Non cor-
risponde adunque al genov. sbiasciu, ma al genov. giascià; e
del resto l'ant. biaxar, prov. biaisar ecc., non mi pare possa
avere il senso che il B. gli farebbe assumere. — bozoli ' pruni,
DfiLLA LETTERAtUllA ITALIANA 21
sterpi '. Il B. vorrebbe unirlo col prov. hozóla termine, limite, e
afferma vi si deva riconoscere il tema hot-. Non pare, poiché si
deve piuttosto risalire a qualcosa come 6occ20, cfr. Salvioni, Dialetto
d'Arbedo 16, Cavassico 357 sgg., Parodi, Arch. glott. XVI 117. —
cadiva sarebbe per cadita caduta, come compiva per compita, e può
essere; ma il medievale cadivus, servus e. servo epilettico, mi su-
scita in mente dei dubbj. — cayro: vorrebbe leggere caiì/ró: sa-
rebbe dunque un pretto provenzalismo? — collecto 'latinismo':
certo, per l'ortografia, ma probabilmente non già per sé stesso,
cfr. l'od. genov. aJciigeitu, ecc. — comprema comprima (cioè opprima)
III 674 : anche li 379, eh' è forse esempio migliore e basta, se non
erro, a distruggere il dubbio che il B., esprime sotto comprexo, a
proposito dell'esempio suo proprio. — confondnto 1 593 vale a un
dipresso ' malnato, maledetto '. — degno ' degnato, dato ': meglio
' dovuto ', me è degno mi spetta. — deporto, reo d. tormento. Sa-
rebbe da ricordare anche il semplice deporto II 294, che ha il senso
generico di ' condizione, stato '. Nondimeno, in senso buono, senza
aggettivo, si trova III 412, ma glorioso d. Ili 10, ecc.; cfr. straniero.
— desvegnire: per l'es. di I 688 è forse piuttosto da confrontare
il senso di desvenuto; cfr. anche I 883: tuto me desvegno ' vo tutto
a male'. — indizine: aggiungi che è maschile. — manco: credo
valga ' monco ', come il genov. mankéttu, e cfr. Korting Et. W.
5867 — podere: si doveva ricordare il senso speciale che ha I
304, 549, 580, 867, III 13 ecc.; e un'osservazione consimile può
farsi per volere. — predicare: manca l'indicazione dell'esempio
forse più notevole, Q 100: e tu a quello exemplo deverissi essere
predicato, cioè, forse^ ' edificato '. — pregno ' I 703, restio, ri-
troso? ' Ma c'è anche un altro esempio, Q 84, e, data la diffi-
coltà di capire il primo, è bene ricordarli tutti e due. Pel
secondo, l'interpretazione del B., data in nota, mi sembra si-
cura: il ricco ha già avuto il suo sulla terra: il misero è com-
pensato colla gloria del cielo, il quale è il buon frutto che lo
rende pregno, sazio, sodisfatto. Se cosi è, bisogna risolversi ad
ammettere il medesimo significato anche pel primo esempio; e
cioè conviene rinunciare alla punteggiatura che il B. adotta nel
testo, e al senso che propone nel Glossario, per dar la preferenza
alla punteggiatura e al senso che propone in nota: perzò che era
pregno (sazio di piaceri mondani, felice sulla terra) Non trovo qui
niente he non me sia malegno. — regoroxo, in, ' sregolatamente?'
Al B. pare il contrario di a regoloso, che ricorre in un' altra poesia
inedita; ma sembra che invece sia la stessa cosa. Dice il poeta:
22 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
la rota (delle vicende umane) non ha stato, va sempre in regoroxo,
cioè sempre al suo modo, secondo la sua direzione: cfr. il lat.
rigor, e anche rigorare. Il de Bartholomseis intende ' incessan-
temente ' e potrebbe anche stare. — screvoroxo credo col de
Bartholomseis sia proprio il riflesso popolare di scrofoloso. —
sentilla: o il passo è guasto o non dubiterei aifatto che si tratti
di ' scintilla '. Cfr. il de Bartholomeeis, al quale mi avvicino, in-
tendendo: l'usura è mala scintilla, di cui avvampa il cuore del
peccatore, impedendogli di rendere il mal tolto. — squatarare: il
\h. squataràse sciarrarsi, vive nel genovese.- volere: può ricordarsi
anche voya sia che I 42. — ^anio buffone: perché una sola ci-
tazione, mentre ce ne sono altri tre esempj, I 803, III 15, 356? —
vernai 170: non sarà errato? Si potrebbe pensare a mena, corno
quella è soza mena! E il lapsus zema sarebbe spiegato dal fatto
che il vocabolo precedente finiva con za.
Fra i vocaboli che mancano nel Glossario, ricorderò, a tacere
di alcune congiunzioni composte: (scuse vane e) casse Q 264, ca-
xamenti I 157, conquixo Q 37 e altrove, eroda cade R 2, damnoxo,
in senso passivo, I 68, declina inclina II 254, dormilia Q 249, fo-
letto diavolo I 523, ghignare I 504 e ghigni I 523 ecc., impiliar
Q 250, impastrulia R 17, mane mano I 544, Q 92 (si dà solo la
frase per mane subito; cfr. per mano R 104), masselli {de ferro) 1
584, e cfr. desmassati ib. 585, mettere (nelle frasi mettere per niente
III 388, de lo assay non mete cura Q 272), peria perduta II 366,
presente davanti, R 16, puza cosa puzzolente II 196, sana, richcza
s„ I 112 (anima s. salva I 723), sonare dirsi II 82, stramitude I
495, 499, 520, toro tronco III 20, via (nella frase a tuta via II 45,
cfr. a tuta fiada, s. fìada), ecc.
E. G. Parodi.
DKLLA LETTERATURA ITALIANA 23
Giuseppe Lisio. — Varie del periodo nelle opere volgari di D.
Alighieri e del sec. XIII. — Saggio di critica e di storia let-
teraria. — Bologna, Zanichelli, 1902 (8.^ pp. VlII-240).
E libro fortemente pensato, frutto di lunghe assidue fatiche
e di delicato e provato intelletto d'arte, scritto con vivezza ed
eleganza rara: un libro veramente degno dell'ingegno e degli
studj dell' A.
L'intendimento del quale - per dirlo con le sue stesse parole -
è « di fermare la prima pietra di una critica della forma, che non
« comprende già una lingua o una letteratura, ma uno scrittore
«solo ne' rapporti co' contemporanei e, possibilmente, con quelli
«che pili gli si accostano o più ne divergono ». Da questa forma,
che comprende in sé tutta la bellezza dell' arte, ei trasceglie ed
astrae per ora un solo elemento, che gli apparisce del resto cosi
complesso da inchiudere in certo modo tutti gli altri: il periodo,
« poiché accoglie in sé l'arte di concepire e legare il concepito,
« e concerne intimamente 1' abilità di foggiare al pensiero l' e-
« spressione, di trarre da questa i più varj e mirabili effetti ». Son
noti in proposito i recenti studj generali del Grober e particolari
del Vossler sugli elementi stilistici delle opere letterarie. Ma il
Lisio, se concede qualche cosa, qua e là, in alcune parti della
ricerca, ai concetti puramente estrinseci e però poco conchiudenti
di quella scuola, si tiene ordinariamente fuori da tali teoriche più o
meno scientifiche nell' aspetto, ma di nissun valore sostanziale, e
va notando per un rispetto o per 1' altro le bellezze o i difetti
dei periodi danteschi: cogliendo costantemente nel segno e a-
prendo non pochi spiragli, com'egli dice poeticamente, nel velo,
che spesso avvolge le cause e gli effetti della bellezza formale.
Ma l'arte di Dante nel periodo è effetto di lavorio incoscio
e spontaneo, o di deliberato proposito ? Il Lisio si propone sul
principio questa domanda; e crede dover rispondere che Dante
volle raggiungere certi pregj estetici con l' elaborazione della
forma, osservando che in varj luoghi delle opere sue egli ci mostra
chiaramente, ora che era perfettamente consapevole dell' impor-
tanza della sintassi nell'arte, ora che si proponeva a disegno
certi artificj di quella come mezzi opportuni e adeguati per ap-
propriare l'espressione alla materia dell'arte.
Onde il Lisio finisce col' conchiudere ricordando il concetto
degli scolastici che l'arte fosse figlia della natura: e soggiun-
24 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
gendo che figlio, benché degenere dell' arte, è poi l' artificio ; e
che sarebbe meglio immaginare queste tre astrazioni, anziché in
tal relazione di parentela, come fuse e simili a un' onda marina
dalle parti disformemente colorate: in cui si vedono netti i con-
fini di ciascun colore; ma materia comune a tutti è e rimane
l'acqua. Fuor di similitudine: il fondamento dell'artificio, il suo
motivo, è il fondamento e il motivo dell'arte: arte e artificio
sgorgano da una medesima fonte. Il che è vero: ma se s'intenda
con moltissima discrezione. È la ricerca dell'arte, che ci trascina
nell'artificio, e quindi fuori dell'arte: ma quando l'arte si ricerca,
essa è già smarrita e non si troverà più; non già che la ricerca
a un certo punto si fermi nell'arte; e, un po' più in là che pro-
ceda, precipiti nell'artifizio.
11 Lisio stesso ci richiama alla mente quel luogo della Vita
Nuova (cap. XIX), in cui il poeta ci racconta, che dopo aver
pensato molti di a Beatrice e a più degni modi di lodarla, un
giorno camminando lungo «un rivo chiaro molto», la sua « lingua
« parlò quasi come per sé stessa mossa, e disse Donne che avete
« intelletto d'amore »; e il Lisio stesso riconosce nel racconto « viva
« e vera la storia della composizione del genio » (13). Or se questa
è la storia di ogni composizione artistica, la teoria, il proposito,
la deliberazione del Poeta non han che vedere con l' arte viva e
vera ch'egli produce; ma solo con l'artificio. Vero è bensì che
il Poeta stesso talora resta vittima come di un falso vedere, cre-
dendo suo proposito e sua meditata dottrina, antecedente al fatto
dell'arte, ciò che non è se non la semplice e conseguente con-
statazione ed espressione de' moti spontanei dell'animo suo e
de' naturali processi della sua fantasia nella creazione dell' opera
artistica. Cosi è chiaro che si tratta di una constatazione e non
di un proposito nei versi del Purg. IX, 170-72 citati dall' A. :
Lettor, tu vedi ben com'io innalzo
la mia materia; e però con più arte
* non ti meravigliar s'io la rincalzo.
Quest'avvertenza al lettore segue infatti alla descrizione che
già egli ha fatto della visione dell' aquila ne' più lavorati, come
dice il Lisio, e stupendi periodi che abbia mai composti. E come
una sosta che fa il Poeta a un certo punto del quadro che vien di-
pingendo, per gettare uno sguardo di compiacimento alla tela che
già raccoglie la visione della sua fantasia. Ma non occorre che
tali avvertenze seguano materialmente : precedano pure nel verso;
esse seguono sempre nello spirito per lo meno a quell'oscura e
ancora incerta intuizione della creatura della fantasia non ancora
DELLA LETTERATURA ITALIANA 25
incarnata in sonanti parole, che precede immediatamente la espres-
sione: simili in tutto a quelle prosaiche avvertenze che ognun
di noi mette innanzi a ogni libro che pubblichi: scritte quasi
sempre quando tutto il libro è già scritto e magari stampato; o
se scritte talvolta apparentemente prima, in fatto pensate ne-
cessariamente anche allora quando tutto o quasi il disegno del
libro ci è nella mente da tempo. La poesia come la prosa, l' arte
come la conoscenza è spontanea: e la riflessione sui mezzi onde
raggiungiamo l'arte o il sapere, presuppongono imprescindibil-
mente l'arte già creata, il sapere già conquistato.
Con ciò non voglio dire che l'A. abbia fatto un'opera vana o
tentato un'impresa impossibile. Al contrario, l'utilità e l'impor-
tanza del suo lavoro, e la ragionevolezza della sua ricerca con-
sistono in ciò: ch'ei si è posto in quella situazione psicologica
in cui è Dante quando interrompendo per un momento la sua
poesia, s'accorge di aver con più arte dell'ordinario rincalzato
la sua materia; e dice a sé e al lettore
Lettor, tu vedi ben com'io innalzo
la mia materia ....
cioè nella situazione di chi riflette e critica interrompendo e rom-
pendo l'opera d'arte, per scrutarvi e scoprirvi entro, con l'ana-
lisi spietata dell' anatomista che viviseziona gli organismi, i se-
greti motivi della vita di bellezza, che le ha comunicato la fan-
tasia — e fa perciò lavoro di critica e di storia. Se fosse altri-
menti, egli non sarebbe riuscito a mostrarci se non gli artificj
e i secentismi, in cui Dante stesso cascò quando volle dar legge
al libero processo della sua fantasia: che non è stato certamente
il disegno del Lisio, e non è il valore del suo bellissimo libro.
Dopo una larga introduzione, dove è tracciata una breve storia
del periodo nella letteratura delle origini e delle teorie retoriche
e grammaticali del tempo istesso, tutto il resto del libro è con-
sacrato all'analisi del periodo dantesco nelle opere volgari. Vi
sono studiate sottilmente le relazioni del periodo col verso e col
metro, della prosa con la poesia, le sonorità, le ripetizioni, la col-
locazione, e gli effetti della rima; in fine, il collegamento e l'or-
ganismo del periodo dantesco, la corrispondenza in esso tra la
materia e la forma, e quanto in quest'arte Dante trasse dal suo
maestro ed autore.
Riassumere brevemente la molteplice copia di osservazioni
felici e ingegnose sparse per tutti questi argomenti è impossibile:
e non sarebbe né anche utile, perché il valore di tutte consta
26 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
del valore di ciascuna; e tutte perciò, ad una ad una, bisogna co-
, noscerle. Onde non si può che esortare, come fo, e vivamente,
tutti gli studiosi o semplici lettori di Dante, che nulla vogliano
lasciarsi sfuggire della sua arte, a procurarsi e leggere questo
lavoro del Lisio. Le idee genesali in tal materia, — sebbene il
Lisio sia spesso tentato dall' andamento stesso della sua ricerca
a formularne qualcuna, — non hanno né possono avere un real
valore. Poiché ogni periodo è ]iin piccolo organismo artistico a
sé, e una piccola opera d'arte; e ogni opera d'arte porta con
sé la sua legge, ha una particolar bellezza tutta sua; alla quale
non può competere che un'osservazione, una valutazione critica
del tutto particolare e propria. Potrei citar degli esempj : ma chi
ha bisogno dei documenti per credere che la critica del Lisio è
esatta e verace, non crederebbe che pei soli casi degli esempj.
Tanto vale risparmiarsi la fatica, e invitare a leggere da sé
tutto quello che il Lisio ha saputo dirci. Per la stessa ragione
non so intendere perché l'A. non abbia visto tutta la vanità di
certe statistiche; e si sia quindi affaticato a computare il numero
di certi fatti stilistici, che ricorrono in Dante. Poiché egli stesso
ci dice che questa « non è materia che si possa stringere in breve;
« né i tipi si possono cristallizzare in formule algebriche o in
« figure geometriche », e che ridurre a tipi le varie forme di pe-
riodo che si riscontrano in Dante, sarebbe commettere un tradi-
mento estetico (p. 192). Si contano le cose simili; ma ogni periodo,
ogni fatto stilistico, è un fatto a sé; corrispondente a un certo
stato dello spirito, assolutamente determinato, la cui conoscenza
non può essere che speciale e circostanziata, se cosi m'è lecito
di esprimermi. Per tutti i fatti stilistici, che il Lisio ha sapien-
,temente analizzati, e degli altri forse che nella poesia dantesca
si potevano opportunamente sottoporre allo stesso sguardo scru-
tatore, si può ripetere, quella bella comparazione che al Lisio
vien fatta a certo punto per darci l'immagine delle tante migliaia
di terzine o doppie terzine racchiudenti ciascuna un periodo, che
s'incontrano nella Commedia. « Chi guardi a' grandiosi pilastri del
« Palazzo del Podestà in Bologna, ne scorge le pareti fregiate di
«pili che duemila rosette " d' un largo tutte,, " d' un giro, d'un
«girare,, tutte tonde. A prima vista, sembrano foggiate sul me-
« desimo stampo: aguzzando gli occhi, si rivelano tutte disformi,
« pur lievissimamente, di disegno e di bellezza; tanto che non ne
« troveresti pur una che somigli all' altra » (p. 120). Ora, chi voglia
conoscere l'arte cosparsa nei fregj di quei pilastri, che altro può
fare che rimirare a una a una quelle più che duemila rosette?
Giovanni Gentile.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 27
Appel Garl. — Die Triumphe Francesco Petrarcas in kritischem Texte he-
rausgegeben. — Halle a. S., Nietneyer, 1901, (8.», pagg. XLlV-476).
Proto Enrico. — Sulla composizione dei Trionfi. — Napoli, Giannini, 1901,
(8.», pagg. 96).
Di questi due studj il primo, quello dell'Appel, è il più grosso volume
che sino ad ora sia stato scritto intorno ai Trionfi del Petrarca considerati
nella loro forma esteriore; il secondo quello del Proto, è un opuscolo di me-
diocre spessore, che intende invece portare nuova luce sul contenuto dei
Trionfi stessi, anzi sulla prima origine del loro contenuto. Ma, poiché forma
e contenuto nello studio delle produzioni letterarie ed artistiche non sono
cosi facilmente separabili come nella maggior parte de' frutti il nocciolo dalla
polpa, abbiamo creduto bene di dar conto qui di tutti due i lavori insieme,
— tanto più che, come vedremo, talvolta l'uno è tratto di necessità nel
campo dell' altro.
Grosso volume abbiamo detto quello dell'Appel, — forse troppo grosso,
se si consideri che a rendersi ragione della bontà di un testo critico il let-
tore non ha sempre bisogno di seguire in lutti i suoi meandri la via per-
corsa dall'editore, e che 'l'accumulare per decine e decine di pagine notizie
minutissime, espresse in formule numeriche e di aspetto quasi algebrico, nella
ignoranza per parte del lettore o per lo meno nella privazione dei codici,
di cui quelle formule rappresentano il contenuto, non serve ad altro che ad
ingenerare confusione anzi sbalordimento nel lettore stesso. Anche con tale
dovizia di indicazioni, il controllo di chi non abbia intenzione di rifare tutto
il lavoro a fundamentis non può essere che superficiale e sommario. E poi-
ché in libri di tal genere molto dobbiamo fidarci nell' onestà, nella perizia
e nella diUgeuza dell'editore, meglio vale da parte di questo l'enunciare or-
dinatamente e chiaramente le premesse di metodo e di fatto donde muo-
vono le ricerche del testo e l' esporre, non meno ordinatamente e chiaramente
jna in forma riassuntiva, i resultati degli studj compiuti, cosi che ciascuno
possa farsi un'idea esatta ma complessiva del metodo seguito e della serietà
con cui esso fu adoperato. Ma l' A., un po' forse per naturale modestia, molto
poi per l'altissimo concetto del metodo, che egli giustamente vuole sia osservato
in simili lavori, non credette di darci qui una edizione definitiva dei Trionfi,
anzi fin dalle prime righe ci avverte che l' opera potrà in più luoghi e per
nuove indagini e studj venir corretta ; da ciò la necessità di offrire ai futuri
studiosi anche tutto il materiale di preparazione necessario ai loro confronti.
Di questo però possiamo fin d'ora esser sicuri che, tranne qualche parziale
e non molto importante ritocco di un verso o di una strofa, nessuno rifarà
la lunga via dall' A. faticosamente e valorosamente percorsa, e che, se grosse
discussioni ancora avran luogo, queste volgeranno tutte intorno alla vecchia
questione dell' ordinamento dei canti, non certo intorno alle parole del testo.
28 RASSEGNA BiBLlOQRAFlCA
Sotto questo aspetto, diciamolo subito, 1' edizione dell'Appel può nel suo com-
plesso considerarsi come definitiva. Ma veniamo ad esaminare pili davvicino
il lavoro importantissimo.
La introduzione, che occupa le pagg. I-XLIV è certamente la parte meno
necessaria di tutto il volume. L'autore vi tratta questioni non inerenti al
testo critico, ma bensì alla formazione ed al contenuto del poema, aggiran-
dosi cosi fuori del campo a lui strettamente segnato, ma non riuscendo a
darci quella monografìa completa, che sarebbe pur tanto desiderabile, della
insigne opera petrarchesca. Dopo affermata l' importanza dei Trionfi, perché
da essi è posto in viva luce il sentimento umanistico del poeta (al che si
si potrebbe osservare che altre opere del P., pur essendo di minor pregio,
servono assai meglio a tal fine) e dopo aver osservato come avvenga che con
questo sentimento umanistico si fondano in lui il religioso e l'amoroso, fa
un rapido e non molto concludente confronto fra Laura e Beatrice. E qui,
parlando delle relazioni fra il P. e la donna sua, ci sembra, se non erriamo
noi nella lettura, che l'a. sia corso troppo lontano. L'amore del P., dice egli,
non rimase un languore non corrisposto, una preghiera rivolta da lontano;
questo suo amore dovette poggiare sopra basi pili solide. ' Es ist kein Zweifel
• dass er der Geliebten auch in Verkehr nahe getreten ist, das Zeichen ihrer
* Neigung ihn beglùckt haben ,. Noi non siamo certo di quelli che, con
molta leggerezza, vogliono santificare il poeta e renderlo un modello di per-
fezione negfindogli anche quei difetti che all'uomo e più al precursore del
rinascimento non mancavano; ma ci pare proprio che accusa più grave
e con minore fondamento non si potesse lanciare contro il poeta e la donna
sua. Nulla in tutte le opere del P. ci induce a credere che tra Laura e il
poeta ci siano state le intime relazioni dall' a. volute e che la donna abbia
reso felice il poeta con prove materiali della propria inclinazione. È ancor
dubbio per molti, se non per noi, che Laura abbia corrisposto anche plato-
nicamente all'affetto del suo cantore; e il credere, come fa l'a., che solo
l'influenza della lirica trobadorica abbia impedito al P. di informarci chia-
ramente sulla natura di tali relazioni, è ribadire una gratuita accusa con
una ipotesi errata, giacché, se intime relazioni ci fossero state, l' influenza
della poesia trobadorica, spesso cosi crudamente realistica, avrebbe anzi
indotto forse il poeta a non nasconderle.
Più importante è la rassegna degli amici del P. nominati nei Trionfi e
la questione chi sia l'ombra che, come Virgilio a Dante, spiega al poeta le
figure del Trionfo d'amore e un tratto lo accompagna nella via. Petrarca,
si sa, non ne ha detto il nome e i commentatori hanno invano cercato di
determinarlo con qualche sicurezza. L'a. prende in considerazione ad uno ad
uno tutti gli amici del P. e, dopo averli quasi tutti eliminati o per l'una o
o per l'altra ragione, finisce col proporre il nome di Guido Settimo, come
di quello che meglio, a parer suo, si conviene colle indicazioni un po' vaghe
offerte dal P. stesso. Ma, a dir vero, la proposta dell' a. non ci soddisfa per
più ragioni. Delle quali ragioni una egli slesso tira in campo, non senza
confessarne la gravità, — il fatto che Guido era ligure di nascita, mentre Tom-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 20
bra dice di se stessa : teco nacqui in terra tosca. Né può passare senza destar
dubbj l'interpretazione che egli vorrebbe dare a quel tosca nel senso di ita-
liana, poggiandosi specialmente sul verso: fuggo dal mi' natio dolce aere tosco
del son. U aura gentil, perché anzitutto, anche in questo sonetto, tosco vuol
dire proprio toscano (di Toscana, anzi di Pisa veniva allora il poeta) e poi
perché, se mai, la parola avrebbe ivi acquistato questo significato più largo
solo in contrapposizione all'idea del paese straniero, da cui è inspirato il so-
netto. Qui invece, nel Trionfo d' Amore, questa contrapposizione non esiste,
e alla parola tosca s' aggiunge e dà maggior forza e precisione l' altra parola
teco, cosi che non è facile ammettere che non si tratti di un toscano. Ma
ben maggiori difficoltà ancora si oppongono alla ipotesi dell' A. Guido Set-
timo era della stessa età del P., aveva con lui studiato a Montpellier e a
Bologna, era cresciuto con lui più quale vero fratello che quale amico, come
appunto si rileva dalla testimonianza stessa del P.; nulla invece mi pare più
evidente e sicuro nel Trionfo che la notevolissima differenza di età che deve
correre fra l'ombra e il poeta. Il ragionare antico dell'ombra scopre appunto
al poeta chi in quell' ombra si celi ; e l' ombra comincia : Gran tempo é eh' io
pensava — vederti qui fra noi, che da'prim' anni — tal presagio di te tua
vita dava. Potrebbero stare tali parole in bocca di un coetaneo ? E il P. lo
chiama ^arfrf e l'altro gli risponde figliuol mio; e il P. stesso, quasi a propria
scusa, cosi' si esprime : E per la nova età ch'ardita e presta — fa la mente
e la lingua, il dimandai, dove quel nova età non può intendersi certo in
in altro modo se non in antitesi alla grave età del duce; mentre a sua volta
questi gli risponde: per empier la tua giovenil voglia, in antitesi cosi alla
propria età senile. Non dunque Guido Settimo; ma chi allora? Ecco; accet-
tata per il momento e per necessità più che per convincimento l'interpre-
tazione che l'a. dà a quel tosca (giacché a' farlo apposta, degli amici toscani
del P. nessuno ben s'adatta all'ufficio di guida) mi pare che egli si sbrighi
nn po' troppo presto di un'altro principalissimo e autorevolissimo amico:
Tomaso da Messina. Egli non crede opportuno neanche di prenderlo in con-
siderazione per il solo fatto che è incontrato e nominato più tardi dal P.
(Ili, 59) : Volsimi a' nostri e vidi 'l bon Tìiomasso, il che escluderebbe, secondo
lui, che Io avesse veduto e gli avesse parlato prima. Ma procediamo con
attenzione e con cautela. Nessun capitolo dei Trionfi certo ha tante e tanto
evidenti imitazioni dantesche come questo primo: Al Tempo. Il poeta attorno
al carro d' Amore vede innumerabili ombre ; una tra queste si stacca dal-
l' altre, si fa riconoscere e gli spiega, con parole che ad ogni tratto ricordano
r uno 0 l'altro passo dantesco, la scena che si svolge dinanzi e gli nomina le
persone che vi prendono parte. Ma, quando, come Dante nel Paradiso ter-
restre conosce la presenza di Beatrice prima ancora di vederla, il P. impal-
lidisce e trema prima ancora di accorgersi che Laura gli sta di fianco, il
duce suo, con sorriso e parole ironiche, si congeda da lui e scompare, mentre
il poeta non sa, come Dante, staccare gli occhi dagli occhi della sua donna.
E il P., a cui (come dissegli il duce nel congedarsi) per essere intinto della me-
desima pece è lecito ornai parlare da se slesso con chi gli piace, continua nel
3Ò RASSEGNA BIBLIOGRÀFICA
c. Ili a vedere coloro che furono celebri poeti e scrissero d'amore, e tra
questi vede '/ boti Thomasso — eh' ornò Bologna ed or Messina impingua.
Ora, prima di tutto, si capisce che l'ombra, che fa da duce al P., appunto per tal
sua somiglianza col Virgilio dantesco da cui deriva, non può che essere uri
poeta, — e si capisce anche che, se il P. non ne dice subito il nome, non
deve averlo fatto per il gusto di lasciarci poi rompere la testa a cercarlo,
ma perché deve aver pensato di rimediare più tardi a questa ommissione.
Anzi a tal suo intendimento sembra appunto che accenni, quando fa che la
sua guida gli dica: Non sai tu ben ch'io — son de la turba? e' mi convien
seguire. L'ombra appartiene alla turba degli amanti che il poeta sta pas-
sando in rassegna, e nella turba dobbiamo, per eccitamento dell' ombra stéssa,
cercarla. Che dunque il P. riveda poscia Tomaso e lo nomini non è già una
difficoltà per identificare questo coli' ombra, ma è anzi quasi una condizione
necessaria. E Tomaso soddisfa perfettamente a tutte le condizioni che sonò
caratteristiche del duce petrarchesco. Amico del P., era però parecchi anni
pili vecchio di lui e degno in tutto delle testimonianze di onore e di rispetto
che il poeta gli prodiga e, per l' esser morto già da più tempo mentre il
P. scriveva i suoi Trionfi, ben adatto all'ufficio di guida.
Resterebbe, come dicemmo, la difficoltà del luogo di nascita, quando non
si volesse, come a noi appunto sembra, intendere tosca per italiana. Ma si
noti che nulla sappiamo della nascita di Tomaso. Le notìzie biografiche
di lui si fondano specialmente su quanto ne lasciò detto il Petrarca stesso'
e r epiteto ' da Messina , potrebbe ben essergli venuto dal luogo della sua più
lunga residenza e della sua morte. Altri Caloria si ritrovano bensiin Sicilia, ma
più tardi di lui.' E per quanto il cognome possa far pensare forse ad un
originale Calauria o Calavrìa,^ il che ci trasporterebbe sempre ben lungi
di Toscana e in terra meridionale, è da tener ben conto del fatto che Caloria
veniva usato, certo come nome e non so se come cognome, a Bologna e
altrove nei secoli XII, XIII e XIV. Molti sono in quei secoU i Galorio nella
famiglia Zabarella, allora residente a Bologna e più tardi trasferitasi a Pa-
dova. Non è dunque affatto provato che Tomaso non possa per avventura
essere anche toscano. — Or veggansi i versi, coi quali il P. saluta appunto
Tomaso quando lo incontra fra la turba:
O fugace dolce99aI o viver lasso!
Chi mi ti tolse Si tosto dinanzi
Sen^a '1 qual non sapea movere un passo?
Dove se' or, che meco eri pur dìaii(;i?
i quali versi possono bensì riferirsi alla intimità durata fra i poeti e alla
separazione avvenuta in seguito al passaggio di Tomaso da Bologna a Messina,
• 1 Vedi Fracassetti, Ac//«re etc, ai luoghi dell'iudice.
2 Vedi ViTT. Rossi, Caio Caloria Ponzio e la poesia volgare letteraria di Sicilia nel secolo
Xr, Palermo, 1893.
8 Quest'etimo mi è suggerito da) cbiarisaimo collega prof. A. Zenatti.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 31
ma possono pur anche intendersi come accenno al dislacco del P. dalla sua
guida nel regno d'Amore. Si notino specialmente le parole: senza 'l qual
non sapea movere un passo accennanti air idea di guida o di duce, e le altre
parole tanto precise : che meco eri pur diangi. E del resto il Petrarca, con
artifizio ai suoi tempi comune, avrebbe ben potuto fare delle due cose una
sola, cioè raffigurare nel suo primo accompagnarsi coli' ombra e poi nel suo
improvviso separarsi da lei appunto le vicende della sua amicizia con To-
maso, prima suo fido compagno anzi guida, perché più vecchio, nelle giove-
nili imprese d'amore, poi da lui allontanatosi per le vicènde della vita. E
allora i versi sopra citati si riferirebbero nello stesso tempo all'uno e al-
l'altro fatto: al reale e all'allegorico. Che se questa a taluno sembri so-
verchia sottigliezza, non io v'insisterò, contentandomi solo di confermare che,
fra i tanti amici del P., Tomaso solo è quegli cui meglio può attribuirsi
l'ufficio di duce.
Dopo aver notato, come inesplicabile, il fatto che il P. non nomina tra ì
poeti del tempo e tra i suoi amici il Boccaccio, sebbene non solo dovesse
aver già letto le opere di questo, ma dalla Amorosa Visione togliesse, almeno
in parte, il concetto di questi suoi stessi Trionfi, — dopo aver mostrata
quanto piti alto sia il pregio dell' opera petrarchesca di fronte agli altri
componimenti di ugual genere ad essa anteriori, l'A. viene a stabilire la data
del principio della composizione fra il 1348 e il 1356 e con maggior proba-
bilità e precisione al 1352. La visione principia, come sempre principiano
tali poemi, di primavera e il luogo, donde essa move, è non l' isoletta di
Citerà, come vogliono molti commentatori, ma Cipro. Non sono però d'ac-
cordo coir A., quando egli vede un notevolissimo salto di tempo dal Trionfo
d' Amore al Trionfo della Pudicizia, salto che, a suo parere, sarebbe giusti-
ficato dalla libertà concessa alla Visione, ma che non cesserebbe di pat-eré
inutile e inesplicabile, perché non richiesto da nessuna ragione né biografica, né
estetica, né logica. L'errore, in cui cadde l'A. assieme a tutti gli altri commen-
tatori (il Leopardi compreso), fu cagionato dalle parole tepido verno dei versi:
(IV, 163) Era il triumpho dove l'onde salse
percoton Baia, ch'ai tepido verno
gìnns', e a man destra in terra ferma salse ;
nelle quali parole si vide un accenno alla mitezza della stagione invernale
nella Campania, facendo cosi impiegare nientemeno che nove mesi al pas-
saggio del trionfo da Cipro a Baia, esempio affatto nuovo nel genere lette-
rario delle Visioni, se si pensa che il viaggio stesso di Dante non dura che
pochi giorni. E come siano stati occupati quei nove mesi il poeta non dice,
né i commentatori sanno indovinare. Ma verno, a mio credere, non è li
usato certamente per inverno, bensì per primavera o stagione semplice-
mente, come derivante da ver e non da hibernum * e tepido non è
1 Non mi consta che questa parola sia mai stata nsata con questo senso nella lingua
nostra, ma e certo ohe da veb = primavera viene il verbo vernare usato da Patite : al $<4
che sempre rema (Par. SXX, 126) e da altri.
32 RASSEGNA BIBLIOORAFICA
che attributo complementare e necessario di verno. Nessun salto di tempo
dunque dall' un all'altro Trionfo, che sarebbe irragionevole, ma ininterrotto
progredir dell'azione. Opportuna invece è la interpunzione nuova, propo-
sta dall' a. per l'ultimo dei versi medesimi, quale l'abbiamo riprodotta, men-
tre, secondo la vulgata, leggevasi: giunse a man destra, e in terra ferma
salse, nuova interpunzione che modifica notevolmente il significato del luogo.
Il Trionfo, da Cipro passato a Baia, continua verso Avignone, che è sempre
indicato dal P. come luogo di nascita di Laura, quantunque Laura sia in-
dubbiamente nata, giusta le indagini del Flamini che l' a. accetta integral-
mente, a Caumont. Dopo il Trionfo della Morte, cioè dopo il e. V, manca ogni
altra indicazione di luogo, il che appar naturale, se si pensi che coi Trionfi
della Fama, del Tempo e dell' Eternità ci troviamo, per dir così, fuori della
terra stessa. Molte e gravi sono le oscurità, le contraddizioni, le ripetizioni,
le inverosimiglianze nei Trionfi, e l'A. dichiara di non voler assumersi il
salvamento di essi come opera letteraria; rimangono tuttavia l'altezza del
concetto generale, la felice trovata di alcuni pezzi lirici, la bellezza dei versi.
Ed anche di questo equo e moderato giudizio sentiamo di dover dare all' A.
pienissima lode, che, se i Trionfi poterono, nei primi secoli dalla loro compo-
sizione, piacere a tal grado che nelle sole biblioteche italiane il numero dei
manoscritti loro è quasi doppio di quello delle Rime, ciò provenne più che
tutto dall'indole storico-didascalica di quella poesia, che soddisfaceva egre-
giamente al desiderio popolare di erudizione, come è provato dal fiorire di
innumeri poemetti didascalici imitanti la Commedia e i Trionfi. Ma, giudicati
coir occhio sereno e imparziale della critica, i Trionfi appaiono, nel loro
complesso, deficiente opera di imitazione, dove la tela del racconto è pove-
rissima cosa, e il contenuto non è che aride filze di nomi e fugaci e pallide
rappresentazioni di fatti, e la forma, ingemmata qua e là di peregrine bel-
lezze, pur sovente si deturpa di oscurità e di storture inescusabili.
La grande cura data dal poeta alla lima dei versi fa si che per 5 capì-
toli noi possiamo distinguere due redazioni diverse, delle quali l'una più
antica, l'altra pili recente; e le correzioni dall'una nell'altra introdotte ri-
guardano ripetizioni di rime o di parole, mutazioni di accenti, sostituzione di
vocaboli, aggiungimenti di versi.
Passa poi l'A. a trattare la questione delle fonti. Le simiglianze col Roman
de la Rose e col Tesoretto sono assai vaghe; più chiara è l'influenza della
Commedia, ma anche questa spesso è inafferrabile, si fa sentire più che ve-
dere, perché il poeta, mentre traduce alla lettera le fonti antiche, parafrasa
e rifonde le moderne. E qui giustamente l'A. combatte un metodo nuovis-
simo di critica, che non vorrebbe ammettere imitazione o inspirazione o de-
rivazione se non dove ci fosse identità, — mentre nella ricerca delle fonti
canone di ottima critica è questo: che le dissimiglianze fra il testo originale
e il derivato non contano, contano invece e soltanto, pur che siano specifiche,
le simiglianze. 11 dire: il tal pensiero o la tal frase non furono dal Petr.
chieste a prestito a Dante, perché una o due parole non corrispondono o
perché l'idea è rivolta ad un significato alquanto diverso, non è ragionare
DELLA LETTERATURA ITALIANA 33
a lunve di critica, o di logica che è Io slesso. E se taluno, come avvenne,
opponendo, dica: il Petr. non può aver attinto nel tal luogo al Boccaccio,
perché il Boccaccio vi nomina dieci personaggi antichi e il P. pur ripetendo
gli stessi nomi e quasi nello stesso ordine, ne lascia fuori due o tre, dice cosa
che non conviene neanche discutere. L' A. tuttavia prova che, pur essendovi
parecchi notevoli e diretti e indiscutibili punti di contatto fra la Commedia e
i Trionfi, questi derivano da quella, più che in altro modo, attraverso V Amo-
rosa Visione del Boccaccio. Ma di ciò, perché ne ha trattato piti larga-
mente il Proto nel suo opuscolo, diremo sulla fine. L' A. chiude la sua intro-
duzione mostrando che' già nella seconda parte delle Rime tutto era pronto
e disposto per la composizione dei Trionfi; il sentimento della nullità delle
cose terrene spingeva il poeta a cercare solo l'amore ultraterreno, e la spe-
ranza lo animava di rivedere Laura nel cielo. Da ciò la pietà di Laura verso
il poeta e le visioni di lei, esposte nei sonetti, delle quali taluna prelude
veramente ai Trionfi, talché si può dire che questa seconda parte sia già un
vero Trionfo dell'Amore e della Pudicizia.
Tutta questa V Introduzione. L' A. dice quindi delle condizioni tra le quali
^$i svolse l'opera sua di editore e del metodo da lui seguito. Le condizioni
di ricostruzione del testo dei Trionfi sono ben diverse che per il testo delle
Rime. Dei Trionfi non abbiamo un autografo se non per l' ultimo capitolo,
ed anche per questo la lezione non è certo definitiva; inoltre è assai diffi-
:ciie e forse impossibile vedere tutti i mss., che sono sparsi per tutto il inondo
e molti dei quali si trovano in mano di privati. L'A. ne collazionò 252, più
ne vide molti altri che escluse per varie ragioni dall'esame; circa 400 fra
tutti. Cominciò col fissare gli autografi o le copie collazionate certamente
sugli autografi, come il vat. 3196 per l'ultimo capitolo, il brano dell'edizione
Ubaldini, il casan. 924, il parm. 1636, etc. Poi fissò oltre a cento i punti cri-
tici, pili numerosi nel I cap. a causa delle maggiori disformità di lezione.*
Seguono quindi la discussione delle principali varianti e la questione dell'or-
dinamento dei capìtoli. Quanto alle varianti ci è impossibile qui seguirei' a.
nella disamina delle diverse lezioni, disamina condotta sempre con illuminato
senso di critica, tanto più che su taluna di esse varianti avremo occasione
di ritornare più tardi ; quanto invece all' ordinamento dei capitoli, pur non
intendendo rifare la questione complicatissima, diremo che, dopo questo studio
dell' A., si troverebbero di fronte o il vecchio ordinamento riprodotto dal Me-
stica col ritorno però alla prima distribuzione offerta dal manoscritto casa-
' natense per opera del Beccadelli e del Daniello, o questo nuovo ordinamento,
proposto e usato dall' A. sulla scorta di un numero grandissimo di manoscritti.
1 L'a. non conobbe o non tenne in Qonto nn manoscritto della biblioteca civica di Pa-
'doya.(C. P. 509. II) che contiene appunto il I cap. (Zia notte) dei Trionfi, bellissimo quader-
netto della prima metà del XV, scritto con molta eleganza su pergamena rasata, che avreb-
be dovuto certamente, secondo l'intenzione del copista, essere il primo di un assai fine vo-
lumei Né il quadernetto parmi intieramente trascurabile, come quello in cui alla eleganza
della' scrittura corrisponde la accuratezza della lezione, vicina a quella dei testi migliori.
34 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Né ì due ordiDamenti sarebbero essenzialmente diversi fra loro ; solo che il
secondo escluderebbe i tre capitoli Stanco già, La notte e Nel cor pien, che nel
primo occupano i posti 4, 7, 8, e ridurrebbe cosf a dieci soltanto il numero dei
capitoli; escluderebbe poi anche le terzine: Quanti già, che seguono al cap. Quan-
do ad un. L'A. dice che i mss., su cui egli si fonda, sono i pili autorevoli, ma non
possiamo giudicare se veramente sia così, mancandoci una descrizione anche
sommaria di tutti i manoscritti, quale pur sarebbe stata desiderabile, mentre egli
descrive solo, con molta cura, alcuni di quelli che, a giudizio suo, sono i fon-
damentali. Questo però è certo che il numero maggiore dei testi e tra essi non
pochi di notevole autorità gh starebbero contro. Che il nuovo ordinamento
corrisponda ad un preciso e bene studiato disegno artistico, non e' è dubbio ;
i capitoli dei Trionfi sarebbero solo dieci e si dividerebbero in due primi
gruppi uguali di cinque capitoli e di tre trionfi ciascuno. Cosi nel primo
gruppo si avrebbero i tre Trionfi, diremo così, terreni dell'Amore, della Pu-
dicizia e della Morte, e nel secondo gruppo i tre ultraterreni della Fama, del
Tempo e dell' Eternità. Inoltre i due gruppi si corrisponderebbero simmetri-
camente nella suddivisione interna: in ciascun d'essi tre canti sarebbero dati
al primo Trionfo e un canto a ognuno dei seguenti ; si avrebbe cioè una di-
sposizione di tal fatta :
1 , 2 , 3 ; 1 ; 1 ; ; 1 , 2 , 3 ; 1 ; 1 .
Correzione e ordinamento dunque intieramente simmetrico, — tanto sim-
metrico forse da far dubitare che il P., morto senza poter dare all' opera sua
r ultima mano, lo abbia, se non pensato, fissato, e che l'Appel non si sia un
po' lasciato sedurre dalla stessa sua perfezione e simmetria.
Nel capitolo: La cronologia dei Trionfi, l'A. s'accorda col Mestica nel ri-
portare il principio della composizione del poemetto al 13.52 o 1353 e viene poi
osservando tutti i dati cronologici del I canto e dei canti seguenti, per con-
cludere che il lavoro di revisione e correzione durava ancora alla morte del
poeta. Impossibile è invece, dice egli nel capitolo seguente, delineare un al-
bero genealogico dei manoscritti, perché quasi subito dopo la morte del poeta,
a causa appunto delle condizioni di testo non definitivo in cui era rimasto
il poema, cominciarono i tentativi per la ricostruzione di un testo critico, —
dal che gli incrociamenti di varie lezioni anche nei manoscritti piti antichi
e le difficoltà di cogliere i vincoli di parentela che legano l'uno all'altro.
L'A. ammette dunque che nella scelta dei testi fondamentali e delle varie
lezioni non potè sempre seguire il rigido criterio obiettivo della pluralità e
della maggiore autorità, ma che in parte dovette fare opera subiettiva e in
parte anche piegarsi alle necessità materiali del luogo, ponendo a base del-
l'opera sua i mss. di Roma e di Firenze, perché pili agevoli a studiare di
altri non meno forse autorevoli ma troppo lontani. Ricco di osservazioni in-
teressanti è il capitolo Della mètrica; in quello invece Dell' ortografia e della
prosodia Va. istesso dichiara che non fa se non completare le indagini di-
ligenti già pubblicate dal Savelli. Ma qui poi non giungiamo ad intendere
perché altrove, cioè nel principio delle Note, egli avverta di non aver sem-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 35
pre introdotto nella ricostruzione del testo le forme ortografiche già ricono-
sciute abituali del poeta; è vero però che il poeta stesso se ne mostrava
incerto di frequente.
E veniamo al testo critico. Dei primi tre canti, cioè di tutto il Trionfo
dell'Amore, nonché dei primi 99 versi del e. IV, Trionfo della Pudicizia, e
del canto : Stancho già, sono dati a fronte i due testi, il più antico e il più
recente; di questi e di tutti gli altri canti poi sono in nota le varianti. Il
testo è sempre ricostruito con cura e con vero acume di critico, dandosi nei
casi dubbj tutte due le lezioni per mezzo dello sdoppiamento della riga; e le
varianti sono riprodotte con minutissima diligenza. Con troppo minuta dili-
genza anzi, che di taluni evidenti errori del copista, dove non è possibile
supporre nessun deliberato mutamento morfologico o fonetico, era davvero
inutile tener conto ed aumentare con essi un fardello già di per sé abba-
stanza grave. Finereo gocho per funereo giocho, inistahil per instabil, lartende
per r attende, panimoda per [E]paminonda, toppo per lippo, strungi per stringi,
Vneggiar per Vaneggiar, pencosa per pensosa, questraltra per questaltra
non sono varianti ma distrazioni de' copisti, veri trascorsi di penna che non
dovevano venir registrati. Ma di qualche questioncella sulla scelta della le-
zione diremo ora nel rivedere le numerosissime Note, che seguono al testo
e nelle quali T A. lascia anche, molte volte, il compito suo di editore per
soddisfare all' altro, assai più ampio e più aperto a discussione, di esegeta.
Chiediamo venia se talune delle osservazioni nostre saranno esposte in forma
quanto più succinta e presso che telegrafica ; ma non possiamo soverchia-
mente abusare dello spazio accordatoci. Il lettore, tenendo sempre sott' occhi
il libro dell'A., supplirà alla deficienza. Ecco i punti principali che ci sem-
brano controversi.
I, 115-7 1 — € Ed ella [Fedra] ne morio, vendetta forse
d'Ypolito e di Theseo e d'Adrianna,
eh' a morte, tu 1 sai bene, amando corse ».
Non mi par dubbio il che doversi riferire a Fedra e non ad Arianna.
Arianna non corse a morte cioè non si uccise per amore, ma fu abbando-
nata, come ben si sa, da Teseo nell'isola dove, secondo alcuni mori, ma se-
condo la più comune versione, accolta da Catullo, fu trovata e sposata da
Bacco. Il che deve dunque intendersi avverbialmente: perchè.
11,16-18 — (L'altro più di lontan, quel è '1 gran Greco;
né vede Egisto e l'empia Clitemestra:
or puoi veder Amor s'egli è ben cieco.'».
Non è possibile intendere che l' amore, di cui è parola in quest'ultimo verso,
sia quello di CUteranestra per Egisto, né di Agamennone per Cassandra. Che
si intenda di un amore di Agamennone non ci può esser dubbio, giacché
t Per la citazione, naturalménte, ci teniaimo al testo dell'Appel.
36 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
appunto lui ne è accìecato a tal segno da non vedere i due adulteri, ma non
si capisce, o difficilmente si capisce, come tale effetto potesse fare l'amore
di lui per Cassandra. Né di Cassandra è qui minimamente parola. Credo
dunque che il verso accenni all'amore di Agamennone per la moglie stessa,
tanto pili che fu appunto sempre l'amore per la moglie che, da Agamen-
none in poi e certo anche prima, rese ciechi i mariti.
II, 65 — € À questa malaliia cotal
remedio.
Cotal a questa malattia ».
L' a. propone come vedesi, due lezioni, la cui differenza consiste solo nella
diversa collocazione delia parola cotal. Non tiene invece in nessun conto una
variante, che ci dà malitia in luogo di malattia e che è portata, con note-
vole accordo, da numerosissimi e importanti codici. Non mancano anzi tutto
esempi di malizia usata nel senso di malattia; ma poi qui vuol dire forse
male causato da fattucchieria, da influenza perniciosa, considerando quasi tale
l'amore. È bensì vero che il medicando di sopra e il remedio del verso stesso
richiamano necessariamente l'idea di malattia, ma appunto per questo trovo
diffìcile che molti manoscritti abbiano mutato di lor capriccio la parola pili
facile e più comune nella più difficile e meno pronta.
II 184 segg. L'A. riporta nel primo testo la lezione più lunga formata di
7 versi e nel secondo testo la lezione di un verso solo. Non si capisce per-
ché non abbia invece preferito la lezione del cod. Cas. che consta di 4 versi:
( In somma so che cosa è l'alma vaga,
rotto parlar con subito silentio,
che poco dolce molto amaro appaga,
di chi B' à il mei temprato con l' assentio >.
Questa, oltre aver l'autorità indiscutibile di più di un buon manoscritto,
è quella che meglio corrisponde alle necessità logiche ed estetiche del periodo.
Ili, 44 — « L* un Piero e l' altro e '1 men famoso Arnaldo ».
L'altro Piero potrebbe essere, piuttosto che Peire Rogier proposto dall' a.,
Peìre Bremons celebre per le sue canzoni d' amore.
V, 76_ — « Da India, dal Cataio, Marroccho e Spagna ;
« 'l mezzo avea già pieno e le pendici >.
Non so vedere la necessità o l'utilità di porre quel punto e virgola dopo
Spagna e di scindere la forma el in e 'l. Si ottiene cosi un verso sospeso,
senza evidente costruzione grammaticale, e si sciupa intieramente l'idea. Il
P. con l'India, il Cataio, il Marocco e la Spagna volle indicare i confini di
quasi tutto il mondo allora conosciuto ; il mezzo è appunto questo mondo.
t)ÉLLA LETTERATURA ITALIA Ì«A 37
Égli dlcei lutto lo spazio contenuto in mezzo dall'India, dalGataio, etc. era già
pieno... Leggerei dunque: el, e ommetterei il punto e virgola.
V, 153 — < Lo spirto per partir di quel bel seuo
con tutte sue virtnti in sé romito
fatto in quella parte il ciel sereno ».
era
La vecchia lezione uvea, adottata per prima dal P., è certo gràmatical-
mente la più chiara, quantunque un po' in contrasto, per il senso, con ciò che
segue. La nuova lezione era, proposta dall' A., non ha che l'appoggio di due
manoscritti e rende assai più involuta la costruzione ; si noti però che in
tal caso, per ottenere uii senso gramaticale, conviene intendere partire in si-
gnificato transitivo con soggetto cielo e oggetto spirto, cioè : il cielo era di-
venuto sereno per separare lo spirto da quel bel seno, etc.
V. 162. — « Non come fiamma che per forga è spenta,
ma che per se medesma si consume,
fié vada
,, in pace, l'anima contenta, ... ».
se nando
Né vada, come vuole l' A., è impossibile leggere perché contraddice affatto al
senso dei due versi che precedono e che colla loro similitudine esprimono
tutto r opposto. Se n' andò mi ha tutto l' aspetto di un rabberciamento so-
stituito dall'amanuense, che volle avere un senso chiaro ad ogni costo, e di -
fatti è portato da un solo manoscritto. Preferirei ne vada col ne pleonastico,
sottintendendo la copulativa e, e ommettendo la virgola dopo pace. Insomma,
dopo r idea allegorica della fiamma si avrebbe l' idea propria dell' andarsene
in pace dell' anima, posta ugualmente al congiuntivo quasi coordinata alla
precedente. Unica e non lieve, a dir vero, difficoltà la mancanza dell' «.
VI. 33. — « K leggeasi a ciascuno intorno al ciglio
il nome, al mondo piti, di gloria amico ». ' ■ " ■
Confesso candidamente che non arrivo a farmi una ben chiara idea della
nuova interpretazione proposta dall' a., tanto più che quella già data dal
Tassoni e da tutti accettata è cosi evidente che di più non è possibile. Il
verso 33 deve ricjonnettersi col precedente v. 19: Scolpito per le fronti era.
il valore; ciascun uomo avea scolpito sulla fronte il proprio nome nella forma
più nota, al mondo. Fors'anche, quantunque i manoscritti non sembri lo
provino, il P. scrisse al modo invece che al mondo.
« Questo cantò gli errori e le fatiche
de la
d' una
de la
del figliuol di Laerte e diva :
Credo debba accettarsi senz'altro la propostra dell'A., che la nota autografa del
38 RASSEaWA BIBLIOGRAFICA
P.i side dubio obscurum est, riportata dal Beccadelli, si riferisca al v. 14, vera-
mente di assai dubbio senso, piuttosto che al 13, il quale è di per sé chiarissimo.
vili. 79. — « Vidi Inpia, e '/ veccfiiarel . oso
"^ che già fu
Di saper tutto
Dir « Io so tutto ».
Non parmi affatto debba leggersi e 'l vecchiarel ma el o il senza la virgola
precedente. Anche lasciando che Cicerone narra appunto di Ippia che si
gloriasse di saper tutto, si deve notare che di ciascun filosofo qui nominato
il poeta riassume con una o più parole il carattere : Anaxarco è intrepido e
virile, Xenocrate pili saldo che un sasso, Democrito tutto pensoso, per suo
voler di lume e d'oro casso, e via via. In questa lunga serie, accettando la
proposta dell' A., unico nome isolato, senza attributo che lo illumini, sa-
rebbe quello d' Ippia, mentre poi ad esso seguirebbe, pure unico esempio,
una allusione perifrastica ad un filosofo di cui sarebbe taciuto il nome, e
appunto un allusione che ad Ippia può benissimo riferirsi. Leggere dunque
e 'l sarebbe sciupare tuttala costruzione rettorica ed estetica di quelle ter-
zine.
vili. 110. — • Cosi al lume fu famoso e lippo,
co la brigata al suo maestro eguale «.
Preferirei a suo lume portato da molti autorevoli manoscritti piuttosto che
al lume. Se si accettasse fumoso allora riuscirebbe chiaro anche al lume,
cioè: Epicuro fu fumoso o di incerta vista dinanzi alla luce; ma, ammessa la
lezione famoso adottata dall'A. e che è la più certa, riesce ben difficile ac-
cordare l'idea di diffamatore con quella di luce. Che vorrà dire diffamatore
della luce? — A suo lume indicherebbe invece: -alla propria anima; — lumen
vitae nel senso di anima è usato assai di frequente da Virgilio e da Lu-
crezio. Epicuro che negò 1' anima immortale sarebbe stato lippo e famoso
a suo lume, quanto a dire cieco e diffamatore dell' anima propria.
IX. 14-15. — « Che più nel del ò io che 'n terra un uomof
A cui esser et/ual per yratia cheggioì
Tutti i vecchi lettori del poema avevano riunito questi due versi in una sola
domanda, né so vedere il perché della nuova interpunzione adottata dall' A.
Essa non fa che rendere alquanto oscuro il senso, di per sé prima chiaris-
simo: " Che cosa ho io, esclama il Sole, più di quello che ha l'uomo sulla
" terra, r uomo a cui anzi debbo per grazia chiedere di esser uguale?,. Né
vedrei qui una allusione all' anima, di cui sono dotati gli uomini e non è
dotato il sole, allusione veduta dal Gesualdo e dal Leopardi. L'inferiorità
del sole di fronte all' uomo è chiaramente spiegata nei versi 25 sgg., dove
è detto che l'uomo può divenire col passar degli anni sempre più celebre
anche se è morto, mentre il sole tal è qual era dopo tante migliaia d'anni.
IX. 115. — « Ogni cosa mortai tempo interrompe
DELLA LETTERATURA ITALIANA 39
Non trovando nessuna lezione accettabile, perché tutte prive di senso e di
legame sintattico, l'A. ha preferito sostituire il verso con una riga di puntini.
Però in nota dice che, fra le tante, più accettabile gli sembrerebbe la lezione:
e ritoU'à, à men buon non, a' più degni. A me pare invece che basti enun-
ciare una simile proposta, perché debba essere scartata senz'altro. Più or-
ribile verso non saprei immaginare. Quella virgola dopo il 7ion, quel non per
no, quelle tre parole monosillabiche e nasali di seguito senza pausa inter-
media: men buon non, quei due à à pure di seguito, sono tali barbarie fone-
tiche che non potevano suonare neanche per un momento su quel dolce di
Calliope labro del cantore di Laura. Ma, poi anche, il verso non avrebbe
ugualmente nessun senso né si collegherebbe in nessun modo con ciò che
precede o che segue. Piuttosto preferirei la lezione offerta dal Gas. 610 (que-
sto ms. dà, si noti, assai sovente un testo corretto) la quale suona cosi : e
ritolto a' men buon, non eh' a' più degni. Al ritolto si potrebbe sostituire, sulla
autorità di quasi tutti gli altri manoscritti, ritolta; e ritolta sarebbe come
apposizione di mortale. Il verso, non bello certo, è però passabile e il senso
corre abbastanza bene : " il tempo interrompe ogni cosa mortale e ritolta cosi
" ai meno buoni come ai più degni ,. Non sarà certo soluzione perfetta, ma
la meno infelice che, in tali difficoltà, si possa sperare, e versi peggiori non
mancano nei Trionfi.
X. 103. — ( e de' guadagni
veri e de' falsi si fora ragione,
che tutti flan allor opre d'aragni.
Rigettata la vecchia opinione del Castelvetro, l'A. espone il dubbio se opre
d'aragni debba intendersi nel senso di evidenti, trasparenti (perché al mo-
mento del Giudizio finale tutte le opere umane buone o cattive saranno cosi
apipuDto visìbili a tutti), o non piuttosto intendere come i vecchi commen-
tatori vanità, debolezze, riferendole solo ai guadagni falsi e vedendo quindi in
quelle parole una restrizione dell' idea principale, fatto o figura logica che
si osserva anche al verso 114 del canto stasso. A vero dire, quest'ultima
soluzione è impedita in modo assoluto da quel tutti, che sembra messo H
apposta per avvertire il lettore che non si tratta solo de' guadagni falsi, ma
de' veri e de' falsi insieme. A rincalzo invece della prima interpretazione osser-
verei che il concetto, brevemente enunciato in questi tre versi 103-105, è
ripreso e largamente svolto nei versi che seguono 109-112, dove appunto si
dice:
Nessun segreto Sa chi copra o chiuda,
fia ogni conscien^a, o chiara, o fosca,
dinanzi a tutto '1 mondo aperta e nuda ;
e fia chi ragion giudichi e conosca.
Si noti r ultimo verso, vera e propria esplicazione della frase si farà ragione
del V. 104. Guadagni poi deve intendersi nel senso di calcoli, come e£fetto
per la V causa, e il senso riesce allora chiarissimo.
40 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA ,
11.142. — «0 me! ma poche notti ;
fur a tanti desir si brevi e scarse,
indarno a maritai giogo condotti
(ch'i del nostro furor scufie ììoh false),
e i legittimi nodi furon rótti». • '
- . : ■ M • ^ '.;,.■ ,
È impossibile leggere eh' è e chiudere il verso fra parentesi, come fa l'Ai, é "
ciò per tre ragioni: 1. eh' è, nel senso qiiod est con un predicato plurale dopò'
di sé, non è ammesso dalla sintassi ita;liana ; "1. il si comparativo del verso 42 ■
richiama di necessità un ehe correlativo nel fecondo membro del periodo,
3. il verso 45: e i legittimi etc. cominciante con quel è copulativo non pò- ■
trebbe cosi legarsi a ciò che precede e tutta la costruzione sintattica del pe-'t
riodo ne andrebbe spezzata. La lettura dunque deve rimanere quale fu atri-'^
méssa dai vecchi interpreti del poema, chiudendo con due virgole il Verso: '
indarno etc. e conservando il che correlativo del si. Resta la difficoltà assai
grave di intendere il significato dei due versi : ehe del nostro furor etc. ; ma ■'
probabilmente legittimi nodi non è che una ripetizione esplicativa di scuse
non false e tutt' assieme non sono che una perifrasi di matrimonio, dovendosi
intendere: che le scuse non false del nostro furóre e i nostri nodi legittimi '*
furono rotti, cioè fu rotto il nostro vincolo matrimoniale. Orribili versi ad '
ogni modo, ma non li abbiam fatti noi !
II. 118. — « eh' è contenta costei lasciar me il regno,
io il mio diletto, e questi la sua vita,
per far, . pia die sé,l'tm l'altro degno*.
vie ' ' ■' ' ■ j
Intanto, al v. 118 conviene scegliere e leggere o lasciarme il regno o lasciar
me e 'l regno, giacché i due complementi oggetti cosi disgiunti mal possono
stare. Quanto poi al v. 120 l'interpretazione del Biagioli è di tale evidenza, ;
e facilità, che il voler sostituirne un'altra è davvero opera vana. Quella pro-
posta dall' a., si fonda sur una sottigliezza: far, degno in alcuni passi pe-
trarcheschi vuol dire non solo creder degno di una cosa, per dir cosi, teo-
ricamente, ma render degno cioè partecipe della cosa stessa praticamente.
Cosi, secondo lui, il verso andrebbe spiegato non: perché ciascuno stimava ^
V altro più degno di sé del bene desiderato, ma invece: perché ciascuno pre-
feriva porre V altro invece di sé in possesso del bene desiderato. Il che, se ben
si guardi, vuol dir lo stesso; è la stessa idea portata solo ad un grado mag-
giore di esplicazione, giacché chi crede degno uno di una cosa, generalmente
gliela dà o vuol dargliela. È, come si vede, uno sforzo di esegesi affatto inu-
tile.
V.1 15 — « Come 11 cor giovenil di lei s'accorse,
cosi, pensosa, in atto humile e saggio,
s' assise ».
L'A. pfopone di interpretare l'avverbio come nel significato modale e cor-
relativo del cosi seguente, cioè: cosi fiorente di giovinezza quale l' avea la •
bBLL'A LETTERAtURA ITALIANA 4l '
prima tolta teduta, s' assise. Ma bisogna convenire che questo fiohnte di gio'
vtnezza è tutto neila fantasia del commentatore e che la sola parola che '
pòssa accennarvi ben lontanamente : giovenil, non si riferisce a Laura liia ài'
Péltarca. Se si volesse intendere grammaticalmente giusta il desiderio dell'Àlj
bisognerebbe riferire il come e il cosi al pensoso in atto hitmile e saggiò, ma'
il Petr. non disse mài di aver veduta, la prima volta, Laura pensosa. A^'''
me non par dubbio che il come e il cosi siano veramente due correlativi"
temporali, quali furono intesi da lutti i commentatori e stiano in luogo 'di ''
tosto che. Si ricordi infatti il verso dantesco, di cui questo è forse una Yè-
miriìscenza: smWìo si com' io di lor m'accorsi. Ma c'è dì più. Quel di tei
»' accorse non può essere interpretato, come vorrebbe l'a,, per 7a i;<de,'ma per "
la riconobbe, essendo quasi una risposta, voluta dalla intelligenza di tutto il
brano al riconosci? di poco prima. E questo significato esclude già di per
sé tutta r interpretazione proposta dall' A. Il cor giovenil vale, ben s'intende,
per la memoria giovanile, cioè la memoria delle cose giovanili.
V.a 28 — « Ed io: « Al fiu di questa altra serena
cti'à nome vita, che per prova 11 sai,
de, dimmi se '1 morir è si gran pena ». i
L'A. legge .coi manoscritti pili autorevoli serena non sirena e propone di-' ri-
fexire serena a vita con evidente reminiscenza dantesca; e su que^t^i. iioiì>!f<
parrai si possa affatto dubitare. ,' " .-.■■.''•'•^!
■'.Direnoo ora assai brevemente dell' opu^scolo del' Proto. Si capisce subitcr '^
che il lavoro dell'Appel, uscito dopo di quello del Proto, ha, in parte ,precor- ':
rendone in parte infirmandone' talune conclusioni, tolto a questo uÉia part6<§
del valore che gli si sarebbe potuto riconoscere. Valore del resto non moltoì'^
alto, quando si consideri che in questo opuscolo di quasi 100 pagine è UB'V
ibis 'Kiedibis continuo intorno press'a poco alle medesimevidee, un accennare'!'
quafei affermando e poi uno smentire é un ripetere sema fine, talché pui-iifcb
pili paziente dei lettori ne prova, dopo breve spazio, stanchezza e sfiducia.'?:»
Il lavoro si può, cosi all'ingrosso, dividere in due parti, nella prima delle ;
quali si discute della possibile derivaizione dei Trionfi dalla Commedia e dalla •
Amorosa Fisjonc, nella seconda assai pili" breve, della data del suo comin-.'-
ciamenlo. ; t
In quella il Pr. si fa a sostenere che l'idea ispiratrice dei Trionfi vdnnè''^
al. poeta dallo stesso Sogno di Scipione, che 'la forma egli ne :prese almenO'~
in parte AaWAfrica, ma. chela spinta definitiva ebbe dalla lettura àeìVAm'd- ii
rosa Visione. E per quanto riguarda le relazioni fra VA. V. e i Tr., ricono-
sciamo volentieri che egli riuscì a provarle abbastanza sicuramente, confer-
mando in parte cosi e illustrando quanto anche TAppel, come vedemmo, ha
provato. Soltanto che, come spesso avviene, egli restringe uà po' troppo lo '^
sguardo al particolare argomento e non avverte che talune dt^le concordanze ;.
da lui notate sono comuni non solo ai Trionfi e alla A. F., ma a tutta o«!
quasi tutta la poesia allegorico-didascalica del tempo. Tale, a mo'd' esempio^'
la rappresentazione figurativa di fatti storici a mezzo di pitture o scultiifé ; ''^
42 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
V Intelligentia informi. Quanto alle imilazioni dantesche egli subordina in
mpdo assoluto tutto il suo argomentare ad una preoccupazione unica, quella
di' provare che il Petr. non aveva letto veramente prima del 1359 la Divina
Commedia e che quindi ogni imitazione formale di essa, che nei Tr. si ri-
trovi, o deve non esistere o deve essere stata inserita dopo quel tempo. Già
egli non ammette neanche come discutibile, grazia sua, che accenni a remi-
niscenze dalla Vita Nova e dalla Commedia possano esserci nel Canzoniere,
e di fronte a tal reciso giudizio noi pover uomini dobbiamo chinar il capo
contriti; ma ben poche imitazioni delle pili evidenti si salvano anche nei
Trionfi dall' opera sua spietatamente demolitrice. Fino ad ora nessuno aveva
mai dubitato che i famosi versi :
O Polimnia, or prego che m' aiti,
e tu, Memoria, il mio stile accompagni
che 'mpreude a ricercar diversi liti,
ricordassero i non meno famosi di Dante:
O Muse, o alto ingegno or m'aiutate
O Mente etc.
Ma che? Il prego viene da nnprecor dell'Eneide, il m' aiti da an favem
adais delle Georgiche, la Memoria non è proprio proprio la Mente dantesca,
i diversi liti, poiché indicano, a suo giudizio, materia varia in sé non diversa
da materia prima trattata,* non hanno a che vedere col celebre vostri liti
dantesco, e poi Ovidio stesso ha detto una volta: navis iter per dir dell'ar-
gomento del suo lavoro ; il Petrarca dunque non sognava neanche della Cora-
media, quando scrisse quei versi ! Qualcuno anche potrebbe supporre che il
verso: Questi fur teco miei ingegni e mie arti possa derivare dal dantesco:
Tratto t'ho qui con ingegno e con arte, e ciò non tanto per la coincidenza evi-
dentissima delle parole, quanto per la identità della situazione poetica, giacché
cosi nell'un caso come nell'altro è la donna che parla all'amante dell'influen-
za da lei esercitata sull'animo suo per trarlo a salvamento. Ma quel qualcuno
davvero non saprebbe che anche Orazio ha unito le due parole ingegno ed
arte, nel verso : Ingenium misera quia foriunatius arte credit. Che poi il senso
non combini neanc-he mille miglia da lontano, questo non conta; certo il
Petr. ha attinto ad Orazio e non a Dante. E cosi per decine di pagine. Ad
ammettere l' imitazione si vogliono, giusta una nuova mirabile critica (di cui
il Proto par voglia seguire l'infelice esempio) due cose: prima che le parole
• O perché poi il diversi non possa proprio venir messo in relazione colla materia pre-
cedente e non possa quindi intendersi, come suona, per diversi o differenti, vattelapesca. Il
canto, uno di quelli esclusi dall'Appel, era l'ottavo nel vecchio ordinamento e non fu certo
il primo in ordine di composizione. E quella invocazione posta lì a mezzo lavoro, non può
in altro modo giustificarsi se non coU'ammettere che il Petr. intendesse, come Dante, ac-
cennare con essa ad un mutamento e ad un elevamento del soggetto da lui trattato. Il che
appunto ù riconfermato dal verso che segue: Uomini «fatti gloriosi e magni.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 43 >
e il significato dei versi coincidano esallaraente in modo che, se misurate
i righi col compasso, non sgarrino di un ette; poi, che nessuno al mondo
abbia mai usato per rinnanri una di queUe parole, giacché allora è beli* e
deciso, r imitazione è tolta sempre dal più antico. Dire che il Petr. non è un
plagiario e neanche un imitatore, ma un ingegno possentemente originale che
asssimila e rifonde ciò che ha preso da altri, talché le indagini delle remi-
niscenze devono dalla identità di alcune parole solo ricevere conforto, ma
fondarsi sopratutto nella somiglianza del pensiero, nei disegno generale di un
canto, nella concordanza di alcune situazioni, nell'atteggiamento di un'idea;
— dire che, se di venti parole o frasi petrarchesche, scelte qua e là in un
sol canto, tre ne trovate in Virgilio e due in Orazio e quattro in Ovidio e
via cosi, ma poi tutte venti le trovate in Dante, principio elementare di lo-
gica e di critica vuole che solo in Dante si riconosca la loro fonte comune,
perché la prova viene appunto dallo scambievole appoggio che quelle parole
o quelle frasi si danno ; è tempo perduto. Talché in verità non mette conto
di battagliare con armi cosf differenti. Osserveremo soltanto che il Pr., ritor-
nando sul suo lavoro oggi, dopo l'edizione dell'Appel, forse converrebbe di
dover mutare giudizio su taluni punti. Per esempio, il verso: eh' anzi tempo
à di vita Amor divisi, dove la derivazione dal dantesco : ch'Amor di nostra
vita dipartine è tanto evidente da apparir quasi materiale e quindi inne-
gabile, era da lui, per amore della sopradetta tesi aprioristica, accettato solo
come un rabberciamento posteriore asserendo che il Petr., prima di leg-
gere la Commedia, dovea aver scritta 1' altra lezione : che per sua man di
vita eran divisi, dove reminiscenza dantesca non si vede. Ora, neanche a farlo
apposta, dalla edizione critica dell'Appel risulta chela forma: ch'anzitempo etc,
appartiene proprio alla prima redazione del Canto, ed io non dubiterei di
ammettere che invece più tardi il poeta, riconoscendo troppo evidente e vol-
gare l'imitazione, da che egli rifuggiva, ne tolse al verso ogni apparenza.
Assai meglio discussa, forse perché più brevemente, e fondata su inda-
gini nuove è la seconda parte, che, come dicemmo, tratta il tempo del co-
minciamento dei Trionfi. Ivi con copia di buone argomentazioni è fissata
al 1351 la data della prima epistola poetica a Barbato di Sulmona, epistola
in cui si avrebbe il primo accenno alla concezione del poema. La concezione
segui dunque alla conoscenza dell'amorosa Visione, ma la redazione scritta
non cominciò (e in questo il Pr. si accosta alla comune opinione confermata
anche dall'Appel) se non sulla primavera del 1352 in Valchiusa. Dal che si
vede che dei risultati buoni anche dall'opuscolo del Pr. sono offerti; essen-
done, come dicemmo, pur attraverso i difetti di metodo e di forma, più che
a sufficienza provato quanto del resto era già ammesso in tesi generale, che
la lettura del poemetto boccaccesco ebbe influenza notevole sulla fantasia
del Petrarca nell' ideare i Trionfi.
Andrka Moschetti.
41 ' RASSÈONÀ BtBLIOGRAFICÀ
t^t a , :r .:i
mh s'r-k >jrM- .;•. • •■ r . -,:
■;«"91 ■:.• ■ W '^^^"^^^ ^^^^ ^9"^^ D?L SECOLO- XV, ,
y IV, ,')}.■':• Giovanni Del Ttsta da Pisa. '
;jNel tp^. 1739 dell' Università di Bologna. -. V Isoldiano notissimo - occorre
un capzqniefetto di- 28 componimenti, la maggior parte sonetti e il resto
se^tinj|, dati ,dal,c$^. come fattura di un rimatore, altronde ignorato, da Pisa,
di ivome„(secopdo.ogni probabilità) Giovanni Del Testa. Veramente, per es-.^
sere esatti, le cose stanno in questi termini: da ce. 193» a. 198^ si succedono
una sestina e 21, sonetti che al giudizio dell'autore 0 dell'amanuense pare
formass'ero ùila serie organica, come provano queste indicazioni poste al
principio e a)ja ijne della piccola serie: Domini Johannis cyllenij viri eloquen- .
tis,8Ìmi\q,ueàam'Fragmenta Incipiiint et Finiunt frammenta D. Johannis cyllenij'
prò v&iàt; da ce. 502'* a tOò^ abbiàrno poi tre sestine e 3 sonetti, dèi quali
compoìòitri^nti il' primo à la didascalia Domini Johannis Teste CyÙenij de'
Pistà/è gli' alti^ un semplice eiusdem. Che tali diverse deiiomihazioni i3Ì H-
feriè'éktio ad una medésima persona, è innegabile, non solo per esser quelle
quasi fderiiiche tra loro, ma anche perché una sestina e uri sonetto' della
seconda * serie, i nn. 393 e 394 della tavola data da G. Rossi,* appaiono mani-
fe^àittètìte scritti per la stessa madonna Verde, l'amata del rimatore, à cui ;
soh dedicate Tè'Tf)ia delle rime del primo gruppo. Di questa raccoltina di
poesie, 'poiché nessuno se n'è' occupato fin' ora (né meno il diligentissirao
Flaitiitìinelrà' stia" LtV/ca toscana del Rinascimento) * non sarà mate ^péuder '
qui due parole.- ' . ' ' c'-;.ìlcii;;.-
E prilttiàf'lìi ttftto, chi era l'autore? Della sua biografia non sappi'anfO :
nulla; 'soto, dÀir èsser due sonetti suoit (i nn. 395 e 396) dedicati al> duca
Ercole I di iPerraVa (1474-1504), possiam pórre il fiorire di lui nelUuItimoi
quarto delsèc. XV. Appartenne egli alla famìglia Del Testa, notissima tra le r
pisane; |«tlaMÌa tria j membri di questa non conosciapio (cotne mi? faceva;
osservarejl.:^;!!», prof. Lupi, che qui, cogliendo l' occasione, .ringrazio) nessuno,,
che avesse.jiji noijne di Giovaoni e vivesse press' a poco al terppo del rima-
tore in discorso. 5 Del r^sto , non più di noi fiurono, informati, tra, gli antichi,,.
't tri P/-b/)«J7WOfor*, Jf;' 8.,"Vl! [ISOSf 2, nd-67. Secondò questa tavola cito sempre anctiè gli'
alti?l;'còrtlp9i»Jinent'IÌ '■'»> ■'■' 'f ' ; ,' '
2^ Il qtiale, per àUrò, déliberatftmente' aj astenne (cotufs nella prefazione egl i. stesso; con^
fessaj daj. tfattar^.di quei rimatoci, che. nou^ erano nati p al meno vissuti a Firenze.
3 Questa famiglia (lat. Testa o de Testa) ogRidi estinta apparteneva al quaHierivm Kinthice
e doveva essere a bastanza antica se un Bervardus de !?*«<« (comùnicaziohe 'del prof. Lupi) ''
studiava a Bologna già nel 1202. Molti Del Testa furono degli anziani della loro patria, come
puoi vedere d^i d^cujJKenti- liubblicatl da F. Bonaini uell' Ardi. stor. it. (voi. VI della serie I,
parte seconda). — Quanto all'aggiunta di C'yllenius al nome del nostro autore, non so come
spiegarla, a meno che si tratti di soprannome: che patronimico non so risolvermi a cre-
derla. Alcuni sonetti volgari di nn rimatore indicato con il soprannome di Culhnio o Cyllenio
Mercurio e diretti al veronese Felice Feliciauo, si trovano in uu cod. dell'editore L. S. OlscLki
DELLA LETTERATURA ITALIANA : *45
il Grescimbeni, che ricordò il Del Testa nel secondo volume de' Comentari,^
né il Quadrio * che attinse anche questa volta; come quasi sempre, dal custode
d'Arcadia. Tra i moderni intendeva metter in luce questo pisano E. Lamma
nel lavoro, rimasto incompiuto, su Alcuni petrarchisti del sec. XV;^ e lo
ricordò di sfuggita il Flamini,* rimandando il lettore a.\V Istoria del Gre-
scimbeni.
Veniamo ora al canzoniere del nostro poeta, canzoniere forse pili note-
vole di quanto si può credere, ove lo giudichiamo alla stregua degli altri
moltissimi che dello stesso tempo ci restano. Intendiamoci: nulla di straor-
dinario; l'autore assorge solo qualche volta, e non è poco, alla mediocrità,
eh' è il supremo limite estetico della scuola alla quale appartenne ; e di essa
ha, in genere, tutti i caratteri (direi, i difetti) che furono cosi bene còlti dal
Flamini nell'opera citata più sopra: ristreW-ezjja di conteèltl e^'fatipoatà di
espressioni,^ frequenti oscurità, non poche inversioni e iatìni^itì'ij e'-9opi'a
tutto il peso soffocante della mitologia classica^'o, meglio, della retorica mito-
logica quattrocentista.^ A volte si tocca il grottesco nella'"còrtimistióne del
sopranaturale pagano co' '1 cristiano, còme quando (n. 207),' dopo il ricordo
dei doni che alla bella donna fecero Minerva Venere Apòllo, è detto che
' gli angioli summi del celeste coro , le diedero il dolce cànt'ó. In feóttipenso
la musa del rimatore s'inalza ov'ei tocca delle bellezze della 'sua donha; vepsi
ben fatti s'incontrano più facilmente, e anche concetti, se noa nuovi; al itìfebo
espressi con qualche originalità; valgano ad esempio questi:^ - - '-'
. ■ .vU--(:' V,
Celeste forma in nitido alabastro; r -
gli occhii doe stelle e '1 capo de fino oro;
bianche rose e vermiglie in perle e 'n ostro;
la man d'avorio ; ?'; ^ ••• :- ; • •
n.l9?); . ;-; . ■;;:; ;•
fe gran parte del sonetto n. 204, che qui trascrivo' per interb:- '=• "■
Questa alma gloriosa e francba donnaj ' ,[ , >[ ,;
che per mostrar de dio valore e possa
boggi è tra noi per terra in carne e 'n ossa,
de beltà specchio e de virtù colonna;
recentemente illustrato da C. Mazzi (Sonetti di Pel. Feliciano ; in La Bibliofilia, v. Ili [1901-2]
55 sgg.); ma non è possibile determinare se questo Cyllenlo sia una stessa persona co"l Del
Testa. La ragion cronologica, tuttavia, non si .opporrebbe all'ii^entiflcazione.
1 Ed. dell' Mona del 1730: voi. Ili, p. 300. . ' -^ . ,,.,
5 Pag. 209 del voi. II dell' Moti a. ^, ,; ; ! .,
3 Propugnatore, XX [18871 2,202 sgg.; 384 sgg. ,,,.,; ,t -,
* Oiorn. stor. della lett. it., XV [1890] 239 n. 1.
6 In due sonetti (197 e 198) ricorre il medesimo concetto che né Virgilio né Omero avreb-
bero potuto degnamente cantare della donna amata dal poeta; in altri due (205 e 207), di
costei si enumerano le bellezze, onde le diverse divinità dell'Olimpo le fecero dono. Cosi
gli ostri e le perle del bel volto son ricordati al meno in cinque poesie e quasi sempre con le
stesse parole.
fi Notevoli specialmente, sotto questo rispetto, i sonetti 195 e 205-?07.; , , ; t
T Mi attengo scrupolosamente ma non pedant^scarpcnte al ms., usando d^l^e.^^i^^oze
concesse in simili trascrizioni. . ■ , t
46 RASSEGNA BIBLIOQRAFICA
quando la vedo scapigliata in gonna
par cbe sia el sole cum l'aurora mossa,
alegra chiara lustra biancba e rossa,
tanto nel volto splende mia madonna.
Ma poi ch'ella à racolti i crini d'oro
iu un bel groppo, e riposato alquanto,
gli ostri e le perle fanno el suo lavoro.
o dio, che psalmeggiar, che dolce canto!
eh' a gli angioli del ciel, nel summo coro,
dinanzi al gran factor, non ne do vanto.
II quale sonetto ci fa creder che Giovanni godesse l'intimità della saa
donna (vedi il verso quinto): certo, in quella confessione delle dolci confi-
denze che questa si permette co' '1 suo amatore - e la confessione par che
venga fuori involontaria di mezzo al convenzionalismo cortigianesco che
aggrava il resto del sonetto - traluce un affetto più umano e pili vivo, che
ci fa guardar con occhio meno severo le smancerie in cui tosto ricade
l'autore. L'amor suo, fuori di questo che s'è notato, non à nulla di singo-
lare: alle lodi della bella * (nn. 196-199, 202-207) si alternano confessioni di
raffreddamento nel poeta (n. 212) e lamenti per la crudeltà dell'amata (nn. 194,
195, 200, 213). Un dolore amoroso veramente sentito esprime, a parer mio,
il robusto sonetto n. 215.
L'argomento predominante nel piccolo canzoniere è dunque l'amore:
anche altri oggetti tuttavia non son esclusi. Cosi ricorderò i due sonetti
395 e 396 al duca di Ferrara, in tono di consiglio il primo, di lode il secondo;
il 394 - pubblicato dal Grescimbeni -, graziosa descrizione del calendimaggio
iu città e pe' i campi; il 214 morale, il 208 a lode di Firenze, il 209 all'Italia,
e in fine il 210 e il 211, ove son nominati alcuni pittori contemporanei ed un
artefice Gorradino, che con l'iperbolismo quattrocentistico è detto superiore
a Fidia e a Policleto. L' ultimo dei due sonetti non sarà inutile riprodurre,
non foss' altro che a titolo di curiosità; ed è il seguente:
Io sarò sempre amico a' dipiuctori,
a Forte e Marcbo e al Borgho mio divino;
ma '1 gran Giovanni e '1 buon Gentil Bellino
flan sempre digni di celesti bonori.
costor son quei, d'ogni altra gente fòri
ch'àn traete l'arte e preso suo camino,
dui bei fratelli e '1 patre lor più fino
mastro da farne in versi gran romori.
, Ma lasso el mio Francescho da l'un lato,
eh' a l'uno e l'altro stile à messo il legno
per farse al mondo un bel cavallo alato?
1 Nel canzoniere è chiamata co' '1 nome di Verde. Questa parola, che del resto potrebbe
essere un se»hal, ricorre, tra gli altri, nei nn. 198, 200, 201, 207, 212, 215, 393, 394. Un altro ac-
(sepRO al nome di i;n'am«ta (Laura?) si ha forse nei sonetti 201 e 212.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 47
Antonio Riccio è ben de laude degno,
e Gian Boldd che Scopa à pareggiato;
ma Goradino in creta el primo teguo. i
Anche, degne di osservazione son le sestine, componimento poco usato
al tempo del poeta, delle quali restano quattro, numero tanto più notevole su
ventotto componimenti a pena che costituiscono il canzoniere. Di queste
sestine, la terza (n. 392) è una preghiera scritta per Iji festa di Natale: pro-
babilmente in essa si dee veder la ragione per cui il buon canonico Gre-
scimbeni affermava che " nelle sestine apparisce egli (il Del Testa) più felice
" e meno incolto ,. In realtà io preferisco i sonetti alle tre prime sestine,
non forse all'ultima (n. 394), amorosa, che presenta qua e là, su '1 far del
Petrarca, alcuni luoghi felici. Le due rimanenti (nn. 194 e 391), di niun pregio,
si aggirano su i soliti lamenti, una per la crudeltà di madonna, T altra per
la corruzione del secclo.
In conchiusione, questo rimatore avrebbe potuto continuar a dormire nel-
l'oblio del manoscritto senza danno né grave né leggero delle lettere nostre;
ma visto che molti altri, più di lui immeritevoli, son ricondotti continua-
mente alla luce, ra' è parso bene di rendergli giustizia con queste poche ri-
ghe. Tuttavia voglia credere il lettore che non mai il nostro Giovanni fu cosi
sincero, come quando, lamentandosi, disse di sé (n. 393) che il caso la for-
tuna e la stella sua non lo fecero nascer poeta.
Aldo Frano. Masséra.
ANNUNZI BIBLIOGRAFICI.
Parre Toldo. — Etudes sur le Théàtre comique frangais du moyen àge et
sur le rùle de la Notivelle dans les Farces et dans les Comédies — in Studj
di Filol. Romanza . — fase 25 (voi. IX, fase. 2).
Il compito propostosi dall' a. in questo lavoro non è certo dei più agevoli,
quando si pensi ch'egli ha cercato di stabilire le relazioni tra la Farsa e la
Commedia profana fi'ancese da una parte e la Novella indigena e forestiera da
un'altra, cominciando dal sorgere del teatro comico oltr'Alpe, quale erede per
indole e scopi dei ' Fableaux ,, che cadevano decisamente in disuso, e spingen-
dosi fino al rinnovamento nei primordj del sec. XVIIL Né per quanto egli faccia
oggetto speciale del suo studio la produzione dei secoli XV e XVI, i limiti cro-
> 1 pittori indicati nei w. 3-8 sono i tre famosi Bellini, veneziani, Jacopo, padre, e i figli
Oiovanni (1427-1516) e Gentile (v. 1426-1507). — Antonio Bregno, veronese, detto Riccio o Riizn,
ta architetto e scultore, e mori a Foligno nel 1498. — Di Giovanni Boldri, medaglista e pittore
veneziano della metà del sec. XV, abbiamo alcune medaglie datate dal 1457 al 1466. — Gli altri
artisti nominati nel sonetto non son riescito ad identificare, meno forse Corradino, che può
essere il domenicano fra' Bartolommeo C!orradinì, detto Carnevale, pittore e architetto urbina'e
vissuto fin dopo al 1488.
48 . ,1 , RA8SBQN A -BIBLIOGRAFICA
nologìci cessano dal rimanere a gran distanza l'un dall'altro: ma se a questo
si aggiunga la difficoltà dell'indagine in materia tanto copiosa ed in cosi pic-
cola parte ordinata, ci si metterà in grado di apprezzar con maggiore equità
il presente lavoro. Il quale si può dividere in due parti: la prima diligente ed
accurata sulla commedia dei secoli XV e XVI; la seconda, meno sicura e sen-
"fe? alcun dubbio insufficente sul teatro comico, del sec. XVII e dei primi anni
i^delsec. XVIll. Ciò non ostante, pur aggiungendo che l'argomento è ben lungi
• tdair essere esaurito, vogliamo affrettarci a convenire che questo studio rappre-
-' senta un notevole contributo a quella storia sistematica delle relazioni tra
Francia e Italia, d'indole più psicologica che letteraria, la quale almeno finora
-non è che un desiderio per molli. Sono dieci capitoli in tutto, pili la prefa-
■ •tione: nel primo (pp. 187-203) l'A. prende in esame alcuni motivi tradizionali
f-di giuochi d'astuzia elaborati nei favolelli e passati direttamente nella com-
■ media e nella farsa del XV e del XVI secolo. Nel secondo (pp. 208-218) pone
■J'^in relazione qualche produzion comica, che direttamente ne derivi, coi nu-
merosi componimenti in prosa ed in verso, ne' quali è un continuo palleggio
-id^ argomenti in favore ed in opposizione al matrimonio. Quindi prendendo
;*-lé mosse da una giusta affermazione, che l'ideale, cioè, della moglie nel
-medio evo era la donna sottomessa in tutto e per tutto alla forza bru-
tale del marito, il T. va rintracciando nei débats, nei contrasti e nelle no-
velle nostrane molte derivazioni d'uno stesso motivo sul modo pili oppor-
tuno, onde può valersi il marito per domare 1* ostinazione femminile (cap. HI
pp. 219-233); e serba al IV cap. (pp. 233-264) la disamina dei drammi, che
traendo il ridicolo da un lato opposto del matrimonio, portano sulla scena
i mariti aggirati continuamente dall'astuzia delle lor donne. Al qual propo-
sito osserva giustamente l' a. che il marito diventa in questi drammi l' es-
senza della stupidità, sicché il trionfo degli espedienti di negromanti, di
scongiuri, di apparizioni e d' unguenti miracolosi messi in opera dalla moglie,
sempre astuta è vero, ma d'un' astuzia ingenua e grossolana, riesce molto
'facilitato. Senonché, per quanto non frequenti, s' incontran per le com-
medie e per le novelle del tempo anche esempj di fedeltà da parte delle
donne, che volgono la loro astuzia tradizionale non ad ingannare il marito, ma
ad aiutarlo per iscoprire chi vorrebbe attentare all' onore della famiglia : in
questo caso quale protagonista ridicolo, al marito sottentra l'amante. T^ale è
• r argomento del V cap. (pp. 265-277) che, quanto alla matèria di elaborazione
'chiude r esameassai largo e paziente, condòtto con diligenza sulla commedia
francese nel suo primo periodo. Nei tre Capitoli successivi (VI, 'VII, VIII,
pp. 277-324) la ricerca è volta a lumeggiare i caratteri che più frequentemente
tornano in scena. Tutta la società, senza riguai"dó alcuno di casta o privi-
legio, il contadino ignorante cótne il nobile orgoglioso; in ' special modo
se povero come il prete, che tutto assorto in un falso pietismo pur di poter
coprirsi sotto una maschera d'illibatezza e santità si crede lecito tener mano
a qualunque intrigo, tutti insomma, prestano argomento al ridicolo. iJon gran
-.novità perciò tra i protagonisti del teatro francese e quelli della nostra
'■'Rinascenza, appunto perché tanto qui come oltr'Alpe la commedia come la
novella rispecchiano ugualmente le debolezze e le ridicolaggiùì ,dèlla so-
cietà. A questa prima segue una seconda parte, direi qu£|.si, divisa ^ sya
DELLA LETTERATURA ITALIANA 49
volta in due capitoli, i quali ancorché sien ben nutriti di fatti non posson
pretendere che di sfiorar l'argomento. Il IX (pp. B24-356) vorrebbe studiare
le relazioni della novella colla commedia francese della Rinascenza e del
XVII secolo, e com'è naturale s'indugia su Molière e su quei di sua scuola;
il X ed ultimo movendo da questo punto arriva ai primi anni del 1700 con
particolar riguardo al La Fontaine, quale novelliere ed autore drammatico.
Ci siamo diffusi alquanto a dar ragione di questo studio perché interessa
la letteratura nostra, e in special modo la forma novellistica, per i numero-
sissimi riscontri che il T. istituisce tra intrecci di novelle e drammi francesi
e novelle e facezie e farse di autori italiani, quali il Boccaccio, il Sacchetti, il
Poggio, Sabadino degli ArienLi, Masuccio, lo Straparola, il Domenichi, il Ser-
cambi, il Doni, il Randello, il Firenzuola e molti e molti altri, onde per questo
rispetto il presente lavoro può esser considerato come un buon contributo
alla storia della varia fortuna, eh' ebbe fuor d' Italia il patrimonio novellistico
nostrano. M. Sterzi.
Biblioteca critica della Letteratura italiana diretta da Francesco Torraca :
fase. 36-42: E. Hauvettk, F. Torraca, E. Cochin, V. Gian, F. Golagrosso.*
— Firenze, Sansoni, 1901.
Dobbiamo alla conferenza di E. Hauvette su Dante e la poesia francese
del Rinascimento (di pagg. 38 in 16.» — trad. Agresta) notizie preziose e
accortamente raccolte sulla fortuna del Divino Poema in Francia. Dalle re-
miniscenze di Cristina de Pizan ci conduciamo gradatamente alle imitazioni
sapienti di Margherita di Navarra, che le concezioni allegoriche, lo stile e il
metro tolse dalla poesia dell'Alighieri. Noi amiamo questo genere di ricerche
che dimostrano come tra furori di rapine e di guerre, gli spiriti di nazioni
diverse s'accordino nel puro dominio dell'arte. Nel caso speciale poi non
abbiamo che a rallegrarci che la dotta conferenza venga ad integrare il noto
e importante studio del nostro Flamini su Le lettere italiane alla corte di
Francesco I. — Va notata in appendice la recensione di F. Torraca al Livre
du Chemin de Long Estude di Cristina de Pizan, pubblicato la prima volta
dal Puschel nel 1881.
Lo stesso prof. Torraca raccoglie in un volumetto a parte (di pagg. 40 in
16.») quanto ha potuto rintracciare delle Donne italiane nella poesia provenzale.
Alcune figure — Beatrice figlia di Bonifazio marchese del Monferrato, Bea-
trice e Giovanna d'Este, Emilia Traversare, la contessa di Provenza — n'e-
scono in luce più chiara, in più efficace rilievo ; ma altre, la maggior parte,
non ostante i nuovi documenti e le notizie con fatica raccolte restano ancora
nell'oscurità. Dalla quale alcune ora son tratte perle notevoli aggiunte del
Bertoni {Giorn. Stor. XXXVI, XXXVIII). Intorno all'interessante argomento
molte cose potranno ancora ricercare e trovare gli studiosi: l'A. ha fatto il
» Dei fase. 37-38 (Erans, F, Petrarca e la sua corrispondenza epistolare) si è già parlato
nella Ras». IX. 329.
50 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
dover suo indicando da maestro la via. — In una nota in appendice si tratta
in particolare della famosa Treva di Guglielmo de La Tor, che si vorrebbe
composta prima del 1220.
Non tanto la minuzia delle ricerche e dei fatti quanto le considerazioni
argute, la forma garbata e vivace rendono pregevole e graditissimo alla let-
tura il libro di E. Gochin sul Boccaccio (di pagg. 104 in 16.»). I giudizi sul-
l'uomo, sui suoi amori, sulle sue credenze religiose e sui criterj morali non
tutti forse persuaderanno, ma piaceranno per la convinzione sincera — frutto
di lungo studio — onde sono dettati. Vorremmo ad ogni modo che non
COSI gran conto si fosse fatto della dimora del Boccaccio a Napoli, che ne
venisse attenuata e quasi messa in dubbio la profonda e sincera toscanità.
— Fa appendice alla studio una nota erudita sulla seconda visita di mess.
Giovanni a Venezia, che l'A. vorrebbe far risalire all'anno 1367.
Un ottimo Medaglione del Rinascimento ricostruisce V. Gian trattando con
paziente minuzia di Cola Bruno Messinese e delle sue relazioni con Pietro
Bembo (pagg. 102 in 16.»). L'A. con somma cura indaga le vicende dell'umile
gretario; come fu a Venezia ed allo studio di Padova, poi a Urbino e a
Roma; come divenne amministratore del patrimonio del Bembo non solo,
ma anche suo bibliotecario e revisore di stampe e consigliere in questioni
di lettere. Onorato della intera fiducia del cardinale attese con coscienza
all'educazione dei figli di lui. Naturalmente ebbe e mantenne relazioni con
molti letterati e in special modo col Lampridio, col Bonfadio, con Trifon Ga-
briele, col Ramusio. Quanti meglio lo conobbero e furono suoi amici ama-
ramente ne piansero la morte avvenuta nel 1542. Negli ultimi anni fu l'a-
mima dell'Accademia degli Infiammati di Padova o, co m'ebbe a dire Fran-
cesco Quirini: "di essa meritissimo padre,. Merito suo grandissimo, nota
giustamente il G., fu d'aver scritto poco; di questo poco è offerto un saggio
nell'Appendice, ove, con una diligentissima bibliografia delle lettere del Bruno,
si contengono interessanti saggi epistolari inediti suoi e del Bembo.
Da qualche tempo è ritornato in onore più di quanto meriti il Teatro
gesuitico. F. Golagrosso che di cotesto Teatro con speciale riguardo a Saverio
Bettinelli trattò anni sono, ripubblica il suo studio ampliato e corretto (di
pagg. XXVM38 in 16.»). Della natura di quelle curiose rappresentazioni, dei
criterj a quali gli autori s'ispiravano, delle norme che ne regolavano l'esecu-
zione, parla con la scorta del Baysse, dello Zeidler e, nella prefazione, del
ReinhardstSttner. Ampiamente si diffonde sulle tragedie del Bettinelli — del
quale espone le teoriche — rilevandone le molteplici relazioni con la tra-
gedia Francese. Accurata è la disamina; buona e ricca la messe delle no-
tizie, ma al lavoro avrebbe giovato assai un ordine più severo ed una
maggior concisione. G. M.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 51
CRONACA.
.*. La Strenna dantesca pubblicata quest'anno - ed è il secondo - dai
sigg. Bacci e Passerini (Firenze, Lumachi, di pag. 152 in 16.») contiene pa-
recchi scritti, alcuni dei quali degni di special nota, ed è ornata di illustra-
zioni: che sono, il ritratto di D. di Andrea del Castagno, la casa di Dante, e
il bozzetto della ricostituzione della medesima, le undici medaglie dantesche
del Museo del Bargello, il ritratto del Carducci ecc. le Regole per trovare il
termine pasquale, il plenilunio pasquale e la Pasqua compilate da F. Angblitti
secondo le dottrine del poeta, e un Calendario ove sono notate date storiche
riferentesi al poema e al suo autore, ricordiamo i seguenti scritti: G. Carducci,
Allusioni di D. alla Vita Nuova, postille al ' libello , giovanile (ma ormai è
posto in dubbio che il * Messer Brunetto , ricordato in un sonetto, sia il La-
tini: è piuttosto un Brunelleschi) : L Del Lungo, Le case degli Alighieri a Fi-
reme (notizie rilevanti e sicure di topografia fiorentina e alighieriana); L B.
Supino, Le medaglie di D. nel museo del Bargello (accurata illustrazione numi-
smatica e storica); F. D'Ovidio, Nota al e. XI, 19-21 dell' laferno ; G. Maz-
zoni, Minime curiosità dantesche; G. Mestica, La missione di D. nella D. C;
N. ZiNGARELLi, Ben s'impingua e Son si poche; A. Bonaventura, L'armonia
delle sfere nella D. C; G. Federzoni, Ancora pel numero nove; G. Vandelli,
Int. al testo critico della D. C. Si aggiungano informazioni bibliografiche su
Gli studj danteschi, notizie sulla Società dantesca italiana, su la Lectura
Dantis, e poesie originali e tradotte. Non vogliamo poi dimenticare uno scritto
del prof. A. Eccher sulla Società Dante Alighieri, su quella istituzione che fra
mezzo a mille difficoltà prosegue un fine altamente nazionale, ed opportu-
namente ha scelto a sua insegna il nome del creatore della nostra letteratura.
.*. Abbiamo un nuovo studio sull' anno della finzione dantesca, di che è
autore il sig. P. Boccone {Leggendo la D. C, Palermo, tip. Era Nova, 1902 di
pagg. 50 in 15.°). Esso si compone di quattro capitoletti seguiti da tre chiose.
Il primo è inteso a mostrare in special modo, contro le conclusioni dell' An-
gelitti, che gli argomenti storici forniti dal poema stesso inducono a porre
la visione nel 1300. È veramente notevole l'interpretazione proposta al v. 78
e. XXIII Purg., la quale se a primo aspetto, per la sua novità, ha qualche
apparenza di sottigliezza, finisce col persuadere. Secondo il B. quelle parole
rivolte da D. all' amico Forese " cinqu' anni non son volti in fino a qui , non
hanno il senso di una semplice determinazione cronologica, ma scaturiscono
da un sentimento di meraviglia naturale in D., che stretto a lui tanto fami-
liarmente da convertirlo a mutar vita, come dice V Ottimo, poteva saper be-
nissimo per quanti anni il Donati fosse vissuto nel peccato : ammesso che
questi anni fossero in numero di cinque, e ricordandosi della legge " tempo
' per tempo si ristora ,, D. doveva rimaner sorpreso che non essendo passati
ancora cinqu'anni dalla sua morte, egli si trovi nel Purgatorio e non nell'Anti-
purgatorio; onde si spiega la curiosità di D. e l'esaltazione di Nella, ch^
52 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
colle sue preghiere aveva diminuito al consorte le pene d'oltretomba ^,
Non altrettanto persuasiva ci sembra l'interpretazione dei rimpianti di Nino,
né la divisione in due momenti, che l'A. vorrebbe vedere nel discorso del
buon giudice di Gallura, perché crediamo che le terzine dantesche in questo
punto formino un sol tutto, rifereutesi al nuovo matrimonio della vedova di
Nino col signore di Milano: è un rimpianto spontaneo che si chiude coli' ac-
cenno aperto alle cause che lo determinano. Ma non per questo diamo al
fatto un valore assoluto per trasportare la data della visione nel 1031, perché
se è assodato che il fidanzamento di lei fu concluso soltanto nel maggio
del '300, nulla impedisce di credere che per la notorietà dei contraenti
se ne parlasse già nel marzo dell'anno giubilare. Nell'ultima parte 1' a. cerca
mostrare con sottih distinzioni sul modo di computar il tempo, che la con-
traddizione tra i fenomeni astronomici, che stanno per l'anno anteriore, è
soltanto apparente, non sostanziale — . Il verso 75 del e. V. Inf. propone
all' a. il quesito: perché Francesca e Paolo son leggeri al vento? Perché,
egli risponde, D. con quell'aggettivo " leggeri , ha voluto indicare la vicinanza
dei due dannati rispetto a lui ed al suo duca. Infatti, egli dice, si sa che
quando due corpi si muovono colla stessa velocità nello stesso spazio, ma
in punti per distanza diversi, i più vicini a chi guardi paion più veloci. La
qual cosa a noi sembra che qui non potesse avverarsi trattandosi non di
moti regolari ma discordanti per direzione e velocità: e questo valga come
nota speciale. In generale poi, non crediamo sia cosa prudente l'andar in-
vestigando ragioni scientifiche, là dove il poeta si lasciava condurre non dal
raziocinio ma dalla fantasia; si che a noi sembra che anche qui quell'epi-
teto sia stato suggerito al poeta dalla consistenza materiata che ai suoi occhi
prendeva la visione, o forse anche dal desiderio di dare a questa visione
un'evidenza pittorica — . La chiosa seconda riguarda la "mala striscia,
dell' Vili. Purg., nella quale l'a. vede raffigurata la politica, " astuta sempre,
* come astuto è il serpente, ma qui cattiva, egoistica e solo curante delle ap-
" parenze „. Cosi nelle spade spuntate egli vede il simbolo della potenza regale,
che può influire soltanto sulle azioni esterne dei sudditi: nell'affocamento
di esse, il simbolo di carità, e negli angeli che le impugnano, la personifica-
zione del motto " omnis potestas a Deo „. Senonché a noi sembra che questa
limitazione del simbolo non regga, perché in tal caso non sarebbe ragio-
nevole che Sordello, un trovatore, vedesse anch' egli nel serpe il suo nemico
(cfr. Vili Purg. V. 95: Vedi là il nostro avversaro), ed anche perché l'ac-
costamento fatto da D. stesso tra il serpe della valletta ed il serpe d'Eva
ci induce a vedere nella * mala striscia „ il simbolo del peccato in genere,
piuttosto che di uno speciale peccato — . Colla quarta chiosa torna l'a. sul-
l'interpretazione della "Concubina di Titone ,, nella quale egU vede raffi-
gurata l'Aurora solare.
.•. Torna a riardere la vexata quaestio del pie fermo con due pubblica-
zioni del prof. E. Sigardi {Un enimma dantesco, estr. dalla Riv. d'Italia, agosto
1902 e Ancora la spiegazione di un enimma dant., ih., ott. 1902) ed altra del
sig. L. Arezio; Il pie fermo di Dante su la piaggia diserta (Palermo, Reber,
1902). Il Sic. vuol mostrare che D. col celebre verso non intese dire d' es-
sere in salita, ma di percorrere un terreno pianeggiante o d'insensibile in-
DÉtLA LETTERATURA ITALIANA 53
clinazione, perché il modo * a' pie ,, a suo parere fu adoperato da D. e
dai contemporanei soltanto per indicare un territorio cosi configurato, sia
ancora perché per piaggia non si può intendere altrimenti, come egli vuol
dedurre anche da un passo del Convito. Allarga poi 1 confini della selva tanto
da includervi anche la piaggia diserta; crede si <lebba cominciare a parlar di
salita soltanto colla parola erta ; sostiene che l' incontro delle tre fiere avvenga
in piano, e intende il ruinare in basso loco in senso puramente allegorico.
Passando poi al nodo della questione rifiuta il modo d'intendere tradizionale,
esprimendosi in modo certo non benigno verso i vecchi commentatori, a capo
de' quali sta Giov. Boccaccio, e sostituisce alla loro la sua interpretazione,
secondo la quale D. avrebbe voluto dire: mi tremavan le gambe per la paura,
e potevo tener fermo soltanto il piede che poggiava sul terreno ; l' altro
vacillava. E su questo punto più che sull' altro consentiamo coli' a. — Gol
secondo articolo, comparso poi sulla medesima Rivista, più che esporre nuovi
argomenti a conferma della sua opinione, polemizza vivacemente col Passerini,
che sul Marzocco aveva discusso e negato ogni valore alla soluzione da lui pro-
posta — . L'Arezio scrive per confutare il S., col quale non s'accorda rispetto al
significato che questi attribuisce al costrutto ' a' pie „, ed alla parola piaggia;
intende diversamente il passo del Gonvito; dà un significato del tutto nuovo
all'aggettivo diserta, che egli prende in senso di ronchiosa; e, ripigliando
l'interpretazione tradizionale interpreta: ripresi la strada per la piaggia sco-
scesa, tanto che essendo impedito nella salita ad ogni passo, il piede su cui
poggiavo il corpo rimaneva sempre più basso. Acume ai due scrittori non
manca, ma a noi basta aver notato sommariamente le opinioni dell'uno e
dell'altro; incliniamo però a credere che Dante abbia voluto significare che.
il modo suo di procedere era siffatto, che poggiandosi colla persona più sul
pie posteriore che coli' anteriore, era sempre pronto a dar di volta e tornare
addietro.
.•. Conobbe Dante il Tractatus Sphaerae, che Bartolomeo da Parma
• partìm de suo et partìni de alieno , compilò in Bologna nel 1297 ? Il
prof. Gius. BoFFiTO crede che si; e in una breve memoria, dal titolo: Dante
e Bartolomeo da Parma (estr. dai Rendiconti del R. Ist. Lomb. di se. e leti.,
serie II, voi. XXXV, 1902, pp. 10, in 8.°) raccoglie ed esamina, coli' usata
ponderazione, più luoghi delle opere dantesche {Par., I, 64 e 76, XIV, 30;
Conv., Ili, e. 5, Un. 137 sgg.), che offrono qualche * parallelismo , colle dottrine
dell'astronomo ducentista. Da tali raffronti si avvantaggiano non poco le
nostre conoscenze, assai scarse tuttavia, in fatto di cosmografia dantesca. Ma
sopratutto un passo del Paradiso, tormentato dai critici (i vv. 37-42 del e. I),
sembra ricevere nuova luce dalle ricerche del dotto barnabita. Secondo l'o-
pinione di Bartolomeo da Parma e dei cosmografi del tempo, il coluro equi-
noziale, quando il sole sorge col segno dell'ariete, coincide perfettamente
coir orizzonte retto. Ora, supposto che i quattro cerchi nominati da Dante
sieno il coluro equinoziale, l'orizzonte, l'equinozio e lo zodiaco, e il sole si
trovi nella costellazione dell'ariete, ne consegue che i cerchi riduconsi effet-
tivamente a tre, e tre sono le croci- che formano, intersecandosi in un sol
punto. Al contrario quattro cerchi separati e distinti, incontrandosi nello
stesso punto, formerebbero sei croci, non tre.
54 RASSEGNA BIBLIOORAPICA
Ricca di erudizione solida e riposta è pure l' altra memoria del prof.
BoFFiTO, che qui registriamo : Di alcune quistioncelle di Cosmogonia dantesca
(estr. dalla Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali, luglio 1902,
pp. 14, in 8."). La mondana cera {Par., I, 41), il siiggetto degli elementi (Par.,
XXIX, 51) e il suggello della neve {Par., Il, 107) sono gli argomenti, intorno
ai quali il B. ha esercitata la critica sua, minuta e diligente. Pel primo e-
nigma dantesco, passi di Aristotile e di Alberto Magno valgono a confermare
che la mondana cera di Dante non è che la materia sensibile, vegetabile ed
animale, ovvero, in generale, gli elementi. Il suggello degli elementi è pel
Boffito, conforme alle dottrine di S. Tommaso, la materia prima; e quello
della neve la materia della neve medesima, cioè l'acqua.
.*. Accennammo già quando ne usci la I parte, agli studj del p. G. Bof-
fito sulla Quaestio de Aqua et Terra attribuita a Dante. Ora ne è stata
pubblicata la II ed ultima parte (estr. dalle Memorie dell' Accad. dell. Scienze
di Torino, di 86 pagg. in 4." gr.). Le conclusioni a cui mirava l'a. erano
già note, ed ora sono corroborate di minute ricerche e dotti ragionamenti,
che determinano le fonti alle quali ricorse chi compose la Quaestio. Posta
al tempo di Dante, la Quaestio, secondo l'opinione autorevole del p. B.,
" sarebbe un anacronismo storico scientifico ,, dacché si vale di scrittori
che Dante non conobbe, e contraddice a sentenze da Dante approvate e
seguite. E, come già fu da altri opinato, l'autore di questa falsificazione
resta quel Moncetti, che primo la pubblicò col nome di Dante.
.*. Gol titolo Poesia pagana ed Arte Cristiana il prof. Feo. Romani racco-
glie due suoi scritti: l'uno su V Inferno di Virgilio, l'altro su le principali
figurazioni della Sibilla di Ctima nelV Arte cristiana (Firenze, Olschki, 1902,
di pagg. 70 in 8.°), ambedue notevolissimi per dottrina e per forma. Col
primo descrive l'inferno quale fu rappresentato dal gran poeta latino, ricer-
candone le origini nel pensiero e nella religione pagana, mostrando ciò che
di simile e di dissimile vi ha fra esso e l' inferno cristiano del poema dan-
tesco, e per ultimo tracciando, coli' aiuto di una carta, l'itinerario del viaggio
di Enea al Tartaro. Tutto il lavoro è condotto con fine senso d' arte, e acuti
sono i raffronti fra la descrizione virgiliana e la dantesca. Quasi appendice
al primo è il secondo scritto, che enumera i concetti e le forme varie colle
quali vennero rappresentate le Sibille in genere, e pili particolarmente la
Gumana, e ce le pone sott' occhio in ben diciotto illustrazioni di affreschi e
quadri di celebri autori. Il R. mostra in questo studio buon gusto artistico
e sicura conoscenza delle vicende della pittura. L' edizione è elegantissima
e ben curata la stampa. Ma a pag. 27 lin. 29 non sarà da leggersi mariti
uccisori anziché uccisi?
:. Il dott. Carlo Steiner col suo scrino : Per la data del De Monarchia
(Novara, Cantone, 1902) vuol confermare l'opinione di coloro che credono il
De Monarchia esser stato composto prima del Convito e pili precisamente
nel 1303. Ma a noi non sembra necessario riconoscere, come l'A. vorrebbe,
chiara allusione al De Monarchia nel luogo citato del Convito, dove a nostro
parere il modo avverbiale " ogni qual volta ,, va inteso come amplificazione
rettorica, usata da D. per esprimere il senso di dolore, ond'era oppresso ogni
volta che parlando di reggimento civile, a lui si presentava spontaneo quello
DELLA LETTERATURA ITALIANA 55
di Firenze. Tant'è vero che in quel che segue ("Ma perocché....,) per
scusarsi della brevità con cui qui tratta la materia attenente ad equo go-
verno, cita il penultimo T^rattato ove pili si distenderà a questo proposito,
ma non il De Monarchia, come sarebbe stato per lo meno molto logico e
naturale, se quest' opera fosse stata compiuta, come vuole lo S., prima del
Convito. Né riesce pili persuasiva l'altra osservazione intorno alla frase
' familiaria destruenda ,, il qual modo neutro, a nostro parere, non ha senso
limitato come vuole il Tocco ed accetta lo St., ma ìndica quel complesso
di idee e di cose materiali care al Poeta, il cui ricordo dovè riuscirgli dolo-
roso non solo nei primi momenti di vita randagia, come pensa TÀ., ma
ovunque e sempre fino alla morte. Il commento poi ai vv. 1-15 del XVI
del Paradiso, riferiti a p. 16 in forma cosi deplorevolmente errata, ci lascia
molto dubbiosi, come pure non comprendiamo per quale ragionamento giunga
l'a. alla conclusione della p. 23. A noi sembra invece che il tempo in cui D.
cessò dal disprezzare e dal combattere i guelfi, e scorgendo attorno a sé
un più largo orizzonte, capi esser suo dovere di illuminare gli avversarj e
mostrar loro il diritto divino dell'impero, coincida perfettamente con quel
periodo di vita, senza dubbio d' assai posteriore ai perigliosi avvolgimenti dei
primi anni d'esilio, quando " fatta parte per sé stesso ,, comprese, grazie agli
studj scientifici e filosofici, non dover più schierarsi tra i Bianchi o tra i Neri,
ma istruire con un trattato coloro ch'ei credeva nell'ignoranza. Per tali
considerazioni, e per altre ancora, non crediamo poterci accordare coli' A.
Dell'assegnare all'anno 1303 la composizione del De Monarchia.
.'. Il prof. L. Gerboni ha preso a soggetto di una sua Conferenza L'amore
nella vita e nelle opere di Dante (estr. dalla Rassegna Nazionale del 16 ott.
1902). In soggetto ormai così trito, ha saputo esporre con efficacia quanta
parte tenga 1' amore nei casi e negli scritti del nostro maggior poeta, ed ha
illustrato specialmente la Vita Nuova e i casi in essa narrati. Un certo lirismo
nella forma, che conveniva alla lettura, poteva con vantaggio esser attenuato
nelle stampe.
.". La beneficenza in Dante (estr. dalla Rass. Nazionale del 1.° ott. 1902,
di pagg. 9 in 16.») è breve parte di un pili ampio lavoro che il prof. A.
Morena dedicherà a studiare La morale economica di Dante. Dal poema e
pili dal Convito, l'a. raccoglie e coordina i concetti del sommo poeta intorno
all'argomento, e li illustra senza coartarne né lo spirito né la lettera, si da
farci augurare che presto posto innanzi agli studiosi il frutto della accurata
indagine.
.'. Il sig. A, Belloni studia le relazioni fra Dante e Lucano (estr. dal
Gr. St. d. let. il. V. XL p. 120). Che i commentatori sian andati in genere trop-
p' oltre neir asserire che D. descrivendo l'incenerirsi di Vanni Fucci copiasse
da Lucano, conveniamo col B.; ma d'altro lato ben pochi potrebbero accor-
dargli che il sommo poeta non avesse in quel punto " affatto la mente al
• caso dell' infelice soldato di Catone „ (p. 3). Perché indiscutibilmente tra
gli episodj di Vanni Fucci e di Sabello ci sono due forti punti di identità :
il morso del serpe e l' incenerirsi delle carni, pei quali anche a noi sembra
probabilissimo che D. traesse i motivi, e solo i motivi, da Lucano, che egli
cita, si noti bene, nel canto successivo. Opportunamente l'A. istituisce alcuni
56 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
confronti tra particolari espressioni del pensiero nella frase, e fa notare che
D. tolse da Lucano l'espediente di porre a riscontro l'ora dell'un emisfero
coir ora dell'altro per dare maggior esattezza alle modificazioni cronologiche.
Partendo poi da un riscontro virgiliano, egli crede di identificare nel Marcello
del VI Purg. il distruttore di Siracusa, qui simbolo del salvatore della patria
in genere, e non il Marcello menzionato da Lucano qual fiero oppositore
dell'autorità imperiale. " Appar chiaro, egli dice, per giustificare questa in-
" terpretazione, che agli oppositori dell'impero D. accenna nei vv. 91-96, si
" che egli si ripeterebbe se ad essi alludesse anche nei versi 125-126 ,. Se-
nonché a noi sembra che di ripetizione nei due luoghi si possa parlare, per-
ché nel primo 1' apostrofe è rivolta contro i Montecchi, i Cappelletti, i Mo-
naldi, i Filippeschi, i Santafiora, contro i nobili insomma, cb'ei chiama
* gentili j,, mentre nel secondo è drizzata ai villani dai subiti guadagni, at-
teggiati a politicanti ostili all'impero. Notevoli invece sono la conferma che
per mezzo di nuovi riscontri dà alla parola " pregno , (v. 31 e. XIV Purg.)
nel senso di ricco di acque; il commento con cui dilucida i due gioghi di
Parnaso accennati nel Paradiso (e. 1, vv. 16-18), e la " delfica deità ,, non-
ché r assai valido rincalzo alla variante, già da altri sostenuta ai vv. 85-87
e. XXIV Inf.
.'. Il sig. CmiLLO Bernardi intitola Lascio cotale trattato ad altro chiosatore
(Bozzolo, 1902) un suo studio dantesco. Secondo il B., Dante non volle allu-
dere né all'amico Sigisbuldi né ad altri, ma a sé slesso: il luogo ove Dante
chiosò la partita di Beatrice sarebbe la prima parte del e. XXX del Purgatorio.
Ma non crediamo che l'A. colga nel segno. Infatti il Poeta medesimo dicendo
di non voler trattar questa materia per evitare la necessità di lodare né
stesso, ci avverte colla maggior chiarezza possibile, se pur non vogliamo
prender quella come una frase generica, che in tutt' altri che in lui si deve
ricercare il chiosatore. Invero, anche attenendoci soltanto al significato let-
terale e grammaticale, nessuno potrà mettere in dubbio che " altro chio-
" satore „ voglia significare " persona diversa da chi scrive „. Ma anche pre-
scindendo da questo, è vero che il P. nel XXX del Purg. chiosi la partita di
Beatrice? Il B. risponde atTermativamente, perché secondo lui la frase chiosar
la partila non vuol dir altro che determinare la condizione di Beatrice in
cielo. Il che non ci sembra conforme al vero, perché la frase suddetta a
nostro parere, vuol dire " porre in chiaro le cause della partita, descriverne
i modi, le circostanze e tutt' al più accennare a qual porto tranquillo si
fosse indirizzata l'anima di Beatrice ,. Ora invece di tutto questo, nel XXX
del Purgatorio si accenna soltanto di volo al tempo in cui essa di carne sali
a spirito. Per siffatte ragioni non crediamo che l'interpretazione del B.
possa aver fortuna.
.*. Il prof. Nkno Simonetti sostenendo che L' Epistola a Cangrande
non è di Dante (Spoleto, Bagnoli, 1902) vuole confermare con qualche
nuova osservazione il resultato, al quale è giunto nel Giorn. dant. an. X,
quad. VI e VII, l'amico F. P. Luiso, cui è diretto quest'opuscolo in forma
di lettera aperta. Non vogliamo punto entrare nel merito della questione,
ma soltanto far osservare all' a. che ai suoi ragionamenti altri e ben fon-
dati so ne potrebbero opporre. Egli ammette adunque col L. che un ignoto
DfiLLA LEtTERATÙRA ItALlAttA 57
abbia scritto questa lettera, senz' alcuna idea di farla passare alla posterità
come scrittura di Dante, ma soltanto per accompagnare a Gangrande, il
dono, eh' ei gli faceva, della terza cantica di Dante. Il donatore, osserva
il S., vuol contraccambiare il signore di Verona ' adeguatamente, con doni
" pari al pregio, che de'benefìzj ricevuti sente nell'animo , (pag. 3). I beneficj
ricevuti son grandi e quindi v'è bisogno d'un contraccambio grande, dice
il S., e va bene: ma arrivato a questo punto, abbandonandosi alla fantasia,
ci descrive l'ignoto autore dell'epistola, intento nella sua biblioteca a
esaminare invano i suoi " scrittarelll , per offrirne qualcheduno in omaggio
allo Scaligero, accorgendosi soltanto dopo attento esame che un solo libro
della sua raccolta può pagare il beneficio ricevuto, e questo libro sarebbe
il Paradiso dantesco. Ma tuttociò allo slato presente delle cose non è
che gioco di fantasia, perché, a chi ben consideri il testo latino, la
parola munuscula manifesta un senso ben diverso da quello di " scrit-
• larelli ,, come vorrebbe il S. Infatti i beneficj ricevuti dal donatore furon
materiali: perciò guardando ben sottilmente la cosa a beneficj materiali
sarebbe bisognato corrispondere con altrettanti beneficj della stessa specie;
ma il donatore per quanto vedesse questo suo dovere, per la ristrettezza dei
mezzi non poteva presentare a Gangrande altro che piccoli doni " munu-
scula ,. E allora a Dante, vero o simulato che sia, non restava che offrire
parte di quel poema, in cui più si appuntavano le sue speranze, su cui anzi
fondava la certezza della sua grandezza : vobis adscribo, afferò, vobis denique
recommendo. Le quali espressioni abbiara voluto qui riferire per mostrare che
la tesi sostenuta, o meglio confermata dal S., anche qui trova un inciampo ;
infatti con qual diritto un terzo qualunque si permetteva di scrivere il nome
di Gangrande in fronte alla cantica dantesca? Nessun altro che Dante o
vero 0 simulato poteva adscribere il poema ad un principe: altrimenti il
primo a riderne sarebbe stato lo Scaligero. Altra osservazione del S. è la
seguente : in questa lettera dedicatoria si dice che il dono accrescerà lustro
al nome di colui, al quale è dedicato. E sempre usato, osserva l'a., che nelle
dediche si dica perfettamente il contrario; che cioè l'opera è umile cosa
ma acquisterà pregio dal nome che porta in fronte : solo uno che non fosse
Dante poteva parlar cosi del Paradiso, il che a noi sembra per lo meno
un po' ingenuo, perché ci si dimentica che qui si dovrebbe aver a che fare
col libero fiorentino immune da ogni cortigianerìa civile e letteraria, ai suoi
tempi del resto ben scarsa; col poeta che pur di trovare la libertà, ha af-
frontato i disagj del mistico viaggio d'oltretomba; con colui, che consapevole
della grandezza del proprio ingegno non aveva esitato a proclamare che al-
l'opera sua avevan posto mano e cielo e terra: qual meraviglia se non si
disdiceva davanti ad un piccolo principe della terra? E questa nobile su-
perbia non si rivela anche in parecchi tratti delle opere minori, del Con-
vito in special modo ? Né ha valore quell' oblati della pag. 5, dopo quanto
abbiamo osservato s\x\Y adscribo della formula finale ò^Wa salutatio. Perciò, se-
condo noi, la conferma del S. alle opinioni del L. non ha tutto quel valore
che all' a. è sembrato attribuirgli.
.•.Il sig. Aldo Fr. Massera studia nuovamente La Patria e la Vita di Cecco
Angiolieri, Siena, 1902 (estr. dal Bull, senese di st. patria, an. Vili, 1902
58 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
fase. III). Scopo precipuo di quest'opuscolo è di confutare gran parte di ciò che
su Cecco fu scritto dal Mancini in Cortona nel medio-evo (Firenze, Garnesecchi,
1997) e nel Contributo dei Cortonesi alla coltura italiana (Firenze, Garnesec-
chi, 1898). Negato ogni valore alla identificazione del poeta umorista con un
Cecco di Angioliero cortonese, l'a. tien fermo, secondo i pili, che Cecco per la
nascita, per la vita, per la sua poesia, sia " gloria tutta senese ,: ricostruisce
un piccolo albero genealogico, che partendo dall' avo abbraccia i quattro figli
del poeta, di cui ritesse la vita aggiungendo a quel poco che si sapeva di lui
e di sua famiglia qualche altra notizia ch'egli è venuto rintracciando: no-
tevole tra l'altre è quella sulla morte di Cecco, che resta fissata a qualche
tempo prima del 1313, come si ricava indirettamente dalla deliberazione del
Consiglio generale di Siena riguardante l'eredità di Cecco, già accennata dal
prof. D' Ancona, ma ora opportunamente pubblicata in fine all'opuscolo.
.•. In uno Studio sulla poesia goliardica, il sig. S. Santangelo (Palermo, Re-
ber, 1902, di pp. 92 in 16.°) si propone anzitutto di dimostrare come i Goliardi
non siano stati altro che giullari e buffoni e non abbiano mai scritto la
poesia ritmica latina a noi pervenuta sotto il nome di * Goliardica ,. Il me-
todo che egli tiene nella sua ricerca è il seguente; esamina dapprima i do-
cumenti pili recenti e poi confronta il risultato ottenuto coi documenti più
antichi; e cosi riesce non infelicemente a provare che i Goliardi erano solo
giullari, documentando un'affermazione analoga fatta dal Novali. Combatte
poi r opinione dello Straccali, che i Goliardi fossero scolari vaganti e s' apre
cosi la via a dimostrare, con un attento esame dei documenti in cui il nome
" goliardus , trovasi riportato, che gli autori della poesia goliardica non fu-
rono i Goliardi. Passa quindi a sfatare la leggenda di " Golia , il quale sarebbe
stato, secondo l' attestazione di Giraldo Gambrense, un famoso parasita e
capo di una associazione di Goliardi; e con buona copia d'argomenti prova
come questa leggenda si sia formata in Francia e trasformata in Inghilterra,
dove Golia diventò l'autore dapprima di poesie giullaresche e in appresso
di poesie satiriche, morali, religiose e ascetiche. 11 nome di Goliardi poi 1' A.
lo fa derivare dal latino "gula^; opinione che si può sostenere tanto lin-
guisticamente che storicamente. Negata la paternità ai goliardi della poesia
goliardica, resta a ricercare chi ne siano gli autori; e l'A. esaminati i do-
cumenti varj di sffatta forma di poesia, conclude affermando che questa poesia
non fu mai in opposizione collo spirito dei tempi e fu composta da studenti,
chierici e monaci e cantata nelle scuole, nelle chiese, nelle corti, nelle piazze,
anche dal popolo. L'a. poi si propone di contribuire alle difficili ricerche
per stabilire la patria delle poesie ritmiche latine, per lo più anonime, ba-
sandosi suir influenza che la pronuncia francese del latino ha sulla versifi-
cazione ritmica: ma l'argomento pare a noi incerto e non del tutto accet-
tabile. L'autore chiude questo suo studio, che ci sembra un contributo buono
allo studio della poesia goliardica, dimostrando con molti esempj (tra i
quali importante è la riproduzione d'un ritmo latino inedito, tratto dal codice
Fitalia in Palermo) che possediamo " per ogni genere in cui si suddivido la
" la poesia goliardica, documenti sufficienti che attestano l'esistenza di questa
* poesia anche in Italia ,.
/. Dei canterini, poeti e suonatori a servigio del Comune, si occuparono
DELLA LETTERATURA ITALIANA 59
dopo Adamo Rossi di Perugia, il D'Ancona, lo Zippel, il Novali ed altri, ma
poco si sapeva dei Canterini senesi, e ora un curioso documento, che riguarda
la musica di palazzo, è pubblicato in occasione nuziale dal sig. Paolo Pic-
coLOMiNi (Siena, Lazzeri, 1902 di pagg. 12 in 16.°), altro aggiungendovene che
riguarda lo scultore senese Lorenzo di Mariano detto il Manina.
.'. Che le differenze fra le lingue neolatine e fra i dialetti di ciascuna di
es^e abbiano a spiegarsi con V immanenza delle favelle, cui il latino si so-
vrappose, fu sentenza di una scuola filologica, che per tal modo esagerò un
concetto, nel quale, inteso discretamente, v' ha pur quache cosa di vero e
d'innegabile. Bene ha fatto dunque il prof, F. D'Ovidio tornando a prender
in esame l' arduo problema, ricercando le Reliquie probabili o possibili degli
antichi dialetti italici nei moderni dialetti italiani e negli idiomi romanzi in
^e»er« (Napoli, tip. Universit., 1902 di pagg. 45 in 16.»), additando le difficoltà
fra mezzo alle quali può farsi l' indagine, e suggerendo il metodo, seguendo
il quale si può giungere a buoni risultati. Lo scritto è vecchio di più anni,
ma poiché l'autore è ritornato su quest'argomento, e intanto in lui è cre-
sciutala dottrina e l'esperienza, noi facciamo voti che si lasci prendere dal-
la vaghezza di una materia che può dirsi nuova, e che è certo importantis-
sima, e compia l'incominciato lavoro, del quale oltre le fondamenta, dà in
questa pubblicazione alcuni particolari, che invogliano del resto.
.•. Il dott. Pietro Egidi in un opuscolo Di un sermone semidrammatico del
sée. XV (Perugia, Unione tipogr. 1902, di pagg. 11 in 16.») dà notizia di un
frammento di sermone intorno alla incarnazione, che si conserva nel cod.
1287 della Vittoiio Emanuele. La importanza di esso consiste nell' offrirci
uno dei gradi intermedj della evoluzione corsa tra i Sermoni semidrammatici,
che furono studiati dal De Bartholom^is, e gli informi tentativi di Devozione,
fatti conoscere dal De Lollis.
.•. Il prof. Giov. Pan&a, oltre essere un accurato bibliografo, come mostra
la sua recente pubblicazione, che illustra un ignota edizione quattrocentina
degli Statuti suntuarj di Aquila con brevi aggiunte al saggio critico sulle stam-
perie abruzzesi (Aquila, tipogr. Aternina, 1902 di pagg. 16 in 16.°), è anche un
acuto osservatore di tutto ciò che concerne la vita antica e nuova della sua
regione. L' opuscolo ora dato in luce col titolo Metereologia e Superstizione in
Abruzzo (Teramo, tip. Abruzzese, di pagg. 20 in 16.»), raccoglie e illustra con
varia dottrina alcune credenze popolari sulle bufere, sui fulmini e le pietre
dette del fulmine, e su altre superstizioni riguardanti i paurosi fenomeni natu-
rali. Ma anche più c'interessa ciò ch'egli riferisce di Una Leggenda scannese
intorno a Carlo Magno. È un'aggiunta notevole alle Tradizioni Carolingie
in Italia, che si rannoda a quel romanzo dei fatti di Antifor di Barosia, che fu
poema assai diffuso e letto nel Cinquecento. Alla leggenda carolingia un'altra
ne precede, sempre appartenente a Scanno, riguardante quel Pietro Baia-
bardo 0 Bailardo, del quale tanto fu favoleggiato, e sul quale è da vedere
un saggio del prof. D'Ancona nelle Varietà storiche e letterarie (I, 15) e una
Comunicazione del prof. Gabotlo in questa nostra Rassegna (VI, 88).
.*. Per occasione nuziale il prof. Ang. Solerti ha pubblicato (s. n. t., 1902,
di pagg. 27 in 16.°) una antica Rappresentazione di Febo e Pitone o di Dafne,
contenuta nel cod. mantovano, che ha anche 1' Orfeo. Essa è ricordata e
60 RASSEGNA Bibliografica
riassunta nelle Origini del Teatro del D'Ancona, II, 350, ma piacerà posse-
derla per intero. Pare che sia lavoro poetico e musicale del fiorentino Gian
Pietro della Viola, e che fosse rappresentata alla corte dei Gonzaga nel 1486.
.'. È uscito in luce il 24.» Bullettiito dell' Istituto Storico Italiano (Roma,
Forzani, di pagg. 209 in IS."), che contiene una accurata e- ben illustrata
raccolta di Poesie minori riguardanti gli Scaligeri a cura dei proff. G. Cipolla
e Fl. Pellegrini. Sono centun documenti, formanti tutt' insieme un corredo
assai rilevante alla storia dei signori di Verona dal 1271 ai principj del
sec. XV, il grido dei quali echeggiò anche fuori del proprio territorio, poiché
le loro gesta s' intrecciano per lungo tempo coi fatti della superiore e della
media Italia. Poesie di cortigiani e voci di rimatori di piazza, carmi latini
e frottole volgari, iscrizioni metriche, epigrammi, ballate, sonetti, formano
una svariatissima collana poetica, in mezzo alla quale splende come gemma
di maggior luce, il brano della Commedia in che Dante tesse la lode degli
illustri suoi ospiti. Le illustrazioni dei due dotti veronesi, a cui è dovuta
questa raccolta, nulla lasciano da desiderare cosi rispetto alla correttezza dei
testi, come alle notizie storiche.
.'. Il prof. G. ZippEL per occasione nuziale dà in luce Una lettera inedita
di Francesco Filelfo a Lorenzo il Magnifico (Pisloja, Fiori, 1892, di pagg. 13
in 16.»). La lettera è in volgare, ed è curiosa, non solo perché in essa si
ritrova il carattere petulante ed inquieto del celebre umanista, ma anche
perché egli ci si mostra nell'aspetto d'informatore politico, dandosi con
tal ufficio autorità di consigliere e di giudice, e cercando il favore dei po-
tenti. Il documento è accuratamente illustrato dall'editore.
.". Il sig. H. Varnhagen ha riprodotto a fac-simile un antico poemetto ita-
liano, cioè La novella di due preti et un cherico inamorato d'una dama
(Erlangen, Junge, 1903, di pagg. 17 in 16.° non numer.), del quale due soli
esemplari, tipograficamente indipendenti 1' uno dall'altro, si conservano, l'uno
a Berlino, l'altro nella Biblioteca di Erlangen; ambedue hanno tuttavia le
stesse xilografie, una in principio, l'altra in fine. Il poemetto ha il carattere
degli altri componimenti congeneri: facilità di verso, vivezza di esposizione,
ma forma scorretta e rozza. Di queste burle fatte a preti lascivi dai mariti
delle donne da essi insidiate, non difettano esempj nei nostri novellieri, e
parecchi paialellismi col fatto cantalo nel poemetto raccoglie il dotto editore
nella breve prefazione, in aggiunta a quanto scrisse in una sua Memoria sulle
antiche stampe italiane nell'Universitaria di Erlangen. La riproduzione è
ottimamente riuscita.
.'. El Cancionero de Mathias Duque de Estrada ecc. por Bonilla y Sam
Martin y Eugenio Mele (estr. da La Revista de Archivos, Bibliothecas y Mu-
»eos) è descritto qual'é: una copiosa antologia di poeti spagnoli del sec. XVII
conservata in un cod. della Nazionale di Napoli. Di questo Mathias che fu
il raccoglitore, nulla è noto, ma l' opuscolo ha importanza per le notizie bi-
bliografiche che raccoglie e i testi spagnuoli che pubblica.
.•. Di un' Ecloga di L. Ariosto e della sua allegoria storica (estr. dsiW Ateneo
Veneto, an. XXV, voi 1, fase. 3, Venezia, 1902) c'intrattiene in un suo lavo-
retto il sig. St. Fermi. Conveniamo coli' a. sull'importanza di questo compo-
nimento, perché ci mostra in un dato momento la figura morale dell'Ariosto,
DELLA LETTERATURA ITALIANA 61
ma certo ne avrebbe acquistata ancor più se l'A. avesse dimostrato esser
questa l'unica ecloga .lei poeta reggiano ; perché l'affermare soltanto di aver
"forti motivi, per non creder autentica l'altra rinvenuta nel 1845 da Teo-
derico Landoni, come tutte le frasi troppo generiche, lascia il tempo che trova.
S'indugia a parlare dei fatti sanguinosi ai quali l' ecloga allude: il delitto cioè
compiuto dal cardinale Ippolito per gelosia sul fratello naturale Don Giulio,
la congiura sorta dal desiderio di vendetta di quest' ultimo e poi abortita,
la punizione dei congiurati. Dopo il riassunto del componimento preso ad
esaminare, riconferma la data già da altri assegnatagli (22 lug.-12 sett. 1506)
ed il luogo, ove secondo ogni probabilità fu scritto, eh' è Ferrara. Indaga poi
gli scopi dell' ecloga che, secondo l'a., si riducono a celebrare con lodi il duca
Alfonso e la duchessa Lucrezia Borgia e ricostruire il fatto in modo che il
card. Ippolito, cui il poeta serviva da tre anni, rimanesse in parie discol-
pato. Dopo un accenno bibliografico alle 10. edizioni, che del componimento
si fecero dal 1807, fino al quale anno era rimasta inedita, al 1894, passa a
due riscontri realmente notevoli tra alcuni versi dell' ecloga ed altri del ì^m-
rioso, ed in fine chiude T opuscolo con qualche considerazione sullo scarsis-
simo merito letterario che all' ecloga può attribuirsi.
.•. L'editore Romagnoli-Dall' Acqua, editore della R. Commissione dei Testi
di Lingua, ha messo in luce il voi. IV delle Rime di T. Tasso curate da A.
Solerti sui manoscritti e sulle antiche stampe (Bologna, 1992 di pagg. 386 in
16.°). Il voi. contiene le Rime d' occasione e d' encomio: prima quelle di data in-
certa, e poi quelle composte negli anni 1585-86. La stampa è condotta dal
Solerli colla solila accuratezza e con copia di apparato critico.
.". Lo scritto di L. Frati su Una Pasquinata contro i lettori dello studio
bolognese nel 1563 (Bologna, Zanichelli 1902, di pagg. 15 in 16.»), acquista
una certa importanza per l' opportuno accostamento che il moderno editore
istituisce tra questa e quella famosa, della quale l'anno dopo fu incolpato
Torquato Tasso, allora ventenne. Dal lato letterario questa cinquantina di
terzine (che di tante si compone all' incirca la pasquinata) ha ben scarso
valore, ma contribuisce quale documento storico a farci comprender meglio
quell'ambiente della scolaresca bolognese, che poco più tardi al Tasso doveva
cagionar tante noje.
.•. Enumerando / Capitani lucchesi del sec. XVI e di ciascun d' essi dando
qualche notizia, il sig. G. Sardi (Lucca, Giusti, 1902, di pagg. 118 in 118 in
16.0) ha scritto una pagina di non poca importanza della storia della sua
città. I capitoli più rilevanti di questo lavoro sono quelli dedicali al tempo
dell'assedio di Firenze e alle imprese del Ferruccio, ad illustrar le quali,
oltre che di documenti di archivio, l'A. si giova di un poemetto su la bat-
taglia di Gavinana, rarissimo, e del quale la sola copia, mutila, trovasi nella
biblioteca lucchese, scritto da un medico Donati, che si intitolava Donato
Callofilo. Interessanti sono i ragguagli che l'A. ci comunica intorno alla po-
litica degli Anziani lucchesi, oscillante con sollili astuzie fra la benevolenza
verso Firenze e la tema dell'Impero, non solo nel tempo dell'assedio, ma
anche di poi, durante l'audace impresa di Piero Strozzi. Con queste indagini
il sig. S. rinnova i nomi e la gloria di parecchi valorosi suoi concittadini del
sec. XVI, e accenna ad altri capitani lucchesi del successivo, che, come tanti
62 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
altri italiani di quell' età, diedero prova di valore in Fiandra, in Polonia, in
Francia, in Austria; e vorremmo che essi e le loro gesta fornissero materia
ad altra Memoria dell' erudito autore.
/. Il prof. Ant. Favaro ha accresciuto di due altri lavori la copiosa serie
dei suoi sludj galileiani. Con uno, che prosegue la collana de Gli amici e cor-
rispondenti di Galileo (Venezia, Ferrari, 1902, di pagg. 37 in 16.*) ci parla
con nuovi e minuti particolari di queir Alessandra Bocchineri * che fece
" palpitare di senile affetto il cuore sempre giovane di Galileo ,, e alla quale
è diretta 1' ultima lettera che di lui ci sia pervenuta. Oltre che di lei, il F.
ci parla di due fra i suoi tre mariti, cioè Francesco Rasi aretino, che fu
valentissimo musicista e cantante, e Giov. Fr. Buonamici, esperto diplo-
matico, amici ambedue del sommo matematico. Anzi di quest' ultimo è fra
i documenti, e dopo altre lettere dell'Alessandra, pubblicata una importante
relazione del processo di Galileo. Essa era nota, ma taluno ne aveva negato
r autenticità, non senza buone ragioni : la nuova lezione di essa, scoperta dal
F., e assai diversa da quella già divulgata, ci sembra tale da eliminare ogni
dubbio. — L'altro è un ragguaglio interessante su I documenti del Processo
di Galileo (Venezia, Ferrari, 190!2, di pagg. 50 in 16.°) ove si narrano le vi-
cende del volume della Inquisizione romana, contenente gli atti del processo
galileiano, trasportato in Francia da Napoleone, poi per lunghi anni smarrito,
e quando ritornò a luce dato più volte alle stampe con arbitrj d'ogni sorta,
ommissioni ed errori. Ora agli editori della Edizione nazionale delle opere
di Galileo è stato concesso, con liberalità che desterà negli studiosi maraviglia
e insieme gratitudine, di trarne copia dall'originale, ed esso entrerà a far
parte dell'ultimo volume, il XIX, della raccolta. Intanto colla storia delle vi-
cissitudini, ne abbiamo qui le primizie per opera del prof. Favaro, il quale al
testo del Processo potrà aggiungere anche una serie di documenti che ne
fanno parte, benché non contenuti nel citato volume. Certo è che questa
pubblicazione getterà gran luce su un fatto, narrato fin ora a seconda delle
diverse opinioni e passioni, ma senza la scorta di autorevoli documenti. Sol-
tanto è da lamentare che Io Stato, i! quale non sa e non può far l'editore,
salvo che per la spesa, abbia voluto restringere a troppi pochi esemplari
l'edizione così detta nazionale e l'abbia sottratta al commercio, cosicché
non è facile giovarsene se non da pochi privilegiati, e ricorrendo alle bi-
blioteche. Un libro non è mai perfettamente edito se non si trova da com-
prare. E ora che lo Stato ha deliberato di assumersi la spesa di stampa
delle opere di Leonardo, vorremmo che non si cadesse nello stesso errore,
e fosse lecito acquistarsi a proprie spese quelle pubblicazioni, che un privato
può non potere o non volere avere in dono dal Ministero.
.'. Il sig. Oskar Klinger studia il teatro comico italiano a Parigi sul finire
del secolo XVll nello scritto Die Comédie Italienne in Paris nach der Sam-
mlung von Gherardi {Slrassharg, Trùbner, 1902). Interessante senza dubbio per
la nostra letteratura è questo volume, nel quale l'a. prende a considerare gli
svariati prodotti della commedia italiana in Francia, con particolar riguardo
a quelle pubblicate dal Gberardi nella sua raccolta. Egli crede che queste
rappresentino in genere l'anello di congiunzione tra la commedia dell' Arte
e la commedia regolare, tra le buffonerie della prima e le produzioni di
DELLA LETTERATURA ITALIANA 63
gusto parigiDo, tra ì caratteri esteriori della commedia nostrana ed i tipi
italiani da un lato, ed il contenuto francese dall'altro. Fino al 1682 la com-
media dell' Arte in Parigi si vale della lingua nativa, conserva tutti i carat-
teri e gli elementi tradizionali del luogo d'origine, si mantiene insomma
talmente immune da ogni mistura esotica, che rappresenta l'ulteriore e
naturale sviluppo della commedia improvvisa, per natura e per forma
prettamente italiana. Dal 1682 in poi essa è costretta a infranciosarsi in modo
che la sua storia s'integra con quella del teatro e del costume parigino.
Cosi l'opinione già espressa a questo riguardo dal Moland viene ora confer-
fermata dal K. Cominciando dai primi anni del sec. XVI sotto la reggenza
di Francesco I, egli mostra nei cenni introduttivi come l' emigrazione in
Francia dei nostri commedianti s'accresca man mano che ci s'inoltra nei
tempi, in special modo nel sec. XVII, sul finire del quale tre teatri stavano
aperti al pubblico parigino: la Commedia francese, l'italiana e l'Opera. Op-
portunamente l'a. si studia di porre in rilievo questo incremento delle rap-
presentazioni; segue, fin dove glielo permettono i documenti, le loro vicende;
s'indugia in special modo attorno ai nostri commedianti, circondati di sim-
patia non solo da parte del pubblico, ma anche della corte fino all' anno
nel quale pel matrimonio morganatico del re colla Maintenoni sono condan-
nate il riso e le buffonate e trionfa attorno a Luigi la bacchettoneria. 11 re
slesso, pochi anni prima cosi appassionato pel teatro italiano, assiste in
questo tempo molto raramente alle rappresentazioni: dopo il 1690 poi, le
trascura affatto. I comici italiani però continuano ancora per qualche tempo a
sollevare coi loro dialoghi, scintillanti di spirito e di vivacità talora satirica,
gli infrolliti cortigiani di Versailles, ma inutilmente: i tempi son mutati,!
commedianti francesi ottengono il sopravvento. Nel novembre e decembre del
1691 questi danno a corte 10 rappresentazioni, 5 i nostri; nella prima metà
del '95 quelli 21, questi 4; nel '96 quelli 11, questi 2 e nel secondo semestre,
quelli 19 questi 1, fino a che nella primavera del '97, mentre la compagnia
francese dà ancora qualche rappresentazione a Versailles, i comici italiani son
costretti a partirsene. Questo è il sunto della introduzione, in cui il K. anticipa
i resultati, ai quali giunge col suo stùdio diviso in quattro capitoli, più un
indice bibliografico, breve ma accurato. Nel primo dà il sunto delle cin-
quantacinque commedie del Gherardi, nel secondo le esamina dal loro aspetto
pili caratteristico, come documenti cioè di caricatura, importanti per la storia
del costume e della cultura. Nobili, banchieri, avvocati, medici, poeti, accade-
mici, " preziosi e preziose „ in genere, il melodramma, il sesso femminile,
Parigi, insomma colle sue mode e con tutte le sue stranezze, davano materia
ai nostri commedianti. Nel 3." cap. dà indicazioni biografiche più o meno
abbondanti e più o meno sicure su coloro, che in maggior grado si distinsero,
e prende ad esaminare i tipi, che essi incarnavano, sui quali non dice però
gran che di nuovo; nel quarto discorre del carattere letterario delle commedie
prettamente italiane e di quelle più tardive, che accolsero la lingua dal
paese ove erano rappresentate; ne pone in evidenza lo scopo satirico, gli
elementi onde risultano, così la trama interna della Commedia, come la rappre-
sentazione esterna, e accenna al vaudeville ed all'opera comica come agli ultimi
frutti di questa produzione letteraria. Nel 5.° ed ultimo capitolo tratta degli
64 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
autori francesi, che ancor si licordano per aver secondato e contribuito colle
loro commedie all' incremento del teatro italiano in Francia. Per concludere,
a noi sembra che questo lavoro condotto senza dubbio con metodo rigoro-
samente scientifico, non dica molte cose nuove, riassuma bensi e disponga
è riconfermi con ordine e chiarezza cose già noie, ma sparse per articoli o
per libri svariati, rendendo con ciò un vero servizio agii studiosi.
.•. Estratta dalla Rivista Musicale Italiana (voi. IX, 1902, fase. 3.» di pp. 56)
è una importante Memoria del prof. A. Solerti su Le rappresentazioni mu-
sicali di Venezia dal 1571 al 1605 per la prima volta descritte. Il prof. So-
lerti, che sta lavorando sui primi saggi del Melodramma, e annunzia pros-
sima la pubblicazione di alcuni volumi di documenti su tal materia, ci dà
qui, compilata dal sig, Avalle della Marciana, una bibliografia di cinquantun
componimenti melodrammatici, dati in Venezia dal 1571 al 1605, e che co-
stituiscono un periodo importante delle origini del genere. Il primo notato
è il Trionfo di Cristo di Celio Magno, e l' ultimo è li Pazza saggia di ano-
nimo. I soggetti di queste rappresentazioni sono assai varj: mitologi, storici,
tragici, comici. Ampj sono i ragguagli bibliografici, sf da darci una idea del-
l'argomento e svolgimento delle favole musicate. 11 Solerti pare voglia ar-
restarsi nella storia del dramma musicale ai primordj del sec. XVII, ma poi-
ché dice di aver raccolto insieme quanto " dai contemporanei „ fu scritto su
cotesto periodo, e altri, o lui stesso, potrebbe invogliarsi a conoscere e far
conoscere le narrazioni dei contemporanei pur pel periodo successivo, ci piace
qui menzionare una fonte inesplorata, additataci dal nostro dotto amico, Emile
Picot: ed è il Mercure de France, che contiene numerosi e curiosi ragguagli
sugli spettacoli veneziani a cominciare dal 1679. Poiché ormai non ci è dato
attingere a questa sorgente, altri lo faccia; il valente amico ci asserisce
che raccogliendo insieme le relazioni del vecchio giornale francese si po-
trebbe farne un discreto volumetto.
.•. Proseguendo le indagini e gli studj sulle origini del Melodramma, il
prof. A. Solerti ci dà ora una monografia su Laura Guidi ccioni-Lucchesini
ed Emilio de' Cavalieri (estr. dalla Riv. Music. Ital., di pagg. 33 in 16.»), che
con molti particolari espone quanto ha potuto raccogliere sulla poetessa
lucchese e sul musicista romano, che " per la fusione dei loro spiriti e per
* l'intimità della vita, dettero per primi la forma del melodramma nell'accordo
" della poesia con la musica ,. Con questi pregevoli studj del Solerti comincia
un po' di luce su un periodo oscuro, eppure egualmente rilevante per la
storta della poesia e per quella della musica.
.'. A proposito dell'Estetica di G. B. Vico, e a conforto di opinioni già
espresse (cfr. Flegrea, aprile 1902), il nostro amico e collaboratore B. Croce
pubblica un breve scritto (estr. dalla Riv. di Filosofia e Scienze affini, ag.
1902), ove, ribattendo le critiche della signorina Martinazzoli, conferma e
rincalza la tesi " che al Vico si debba il ritrovamento della scienza estetica ,.
.•, E uscito a luce coi torchi dello Zanichelli il XIII voi. delle Opere di
G. Carducci (di pagg. 469 in 16.°). Esso è tutto dedicato al Parini, non però
all'autore del Giorno, ma a quello delle Odi e dei Sonetti: si sa che al poema
e alla sua storia il Carducci ha dedicato già dal '94 un intero volume, che
DELLA LETTERATURA ITALIANA 65
a suo tempo rientrerà nella serie. Gli scritti qui raccolti colla denominazione
Il Parini minore sono usciti a luce in varj tempi e in periodici diversi. Ne
diamo l'indice: Il Parini principiante - L'Accademia dei Trasformati e G.
Parini - Pariniana {Preliminari - La Vita Rustica - Il Brindisi - L' Im-
postura - Le Nozze) - Dentro, fuori, intorno ai Sonetti di G. P. {I Sonetti di
G. P. • Devozione - Galanteria • Varietà) - Saggio di bibliografia pariniana
{Opere, Testimonianze, Elogi, Vite ecc., Storie letterarie ecc.). Questi diversi
scritti, tutti meritamente noti ai cultori delle nostre lettere, sono stati dall' a.
riveduti ed accresciuti, e cosi insieme raccolti formano una lettura dotta e
piacevole per copia di notizie biografiche, storiche e letterarie, e acutezza
di osservazioni. La parte più accresciuta é la bibliografica : notiamo però in
essa l'ommissione del commento alle Odi del prof. D'Ancona (Le Monnier
1884), che pur è menzionato nel corso del voi. Ma le bibliografie non riescono
mai complete.
.'. Del prof. Matteo Nolfi abbiamo alcune Note critiche al Filippo di
Vittorio Alfieri (Torino, Petrini, 1901, in 8.°, pp. 64); utili certo ed interessanti,
ma che ci sembrano d'assai inferiori per originalità e novità di ricerche agli
scritti pubblicati sullo stesso argomento dall' Impallomeni e dal De Sanctis.
In verità le prime pagine (1-19), ove si tratta dei caratteri generali delle
tragedie alfieriane, non offrono gran che di rilevante. Vi si discorre alla ria-
fusa e superficialmente dell' efficacia esercitata dall' arte alfieriana sul risor-
gimento politico della nazione, delle vicende della tragedia italiana innanzi
il 700, del teatro inglese e dello Shakespeare, delle tragedie classiche fran-
cesi, della tragedia greca civile e patriottica, dell' Arcadia e della teorica de^
V arte per l'arte. Pili accurato è l'esame della tragedia alfieriana (pp. 20-44).
al quale seguono alcune osservazioni, assai appropriate, suU' arte, sul verso
e sulla lingua del Filippo (pp. 45-58). Ma, quanto allo stile, non possiamo ta-
cere all'autore alcuni appunti. Troppo spesso la scarsa precisione dei con-
cetti e r improprietà della forma offendono il lettore; come nei periodi seguenti:
' Nei tratti circoscrittivi ed intensivi di questo carattere di innamorata donna,
" salta agli occhi un disegno di condotta assai semplice, liscio, veloce, e insie-
* me monco ed arido . . . p. 21 , . . . " [Isabella] come costruzione etica non è
" quindi la Fenice delle consorti; come lavoro d'arte questo tipo muliebre,
" quantunque assai debole, desta nell'animo una profonda emozione e vi lascia
"una salubre efficacia (p. 25) ,. la conclusione, l'importanza del soggetto
avrebbe meritato, ci sembra, una trattazione assai pivi profonda, e un' espo-
sizione più ordinata, e più lucida.
.'. Di Un emulo di Vittorio Alfieri, il co. Alessandro Pepoli, e più precisa-
mente di un saggio di genere drammatico " nuovo ,, da lui intitolato con nome
greco fisedia, tratta il prof. N. De Sangtis in una breve, ma succosa memoria
(Catania, Galatola, 1901, pp. 30, in 8.°). È noto come l'elegante patrizio bo-
lognese in più atti della sua vita privata e letteraria mostrasse 1' ambizione
o preoccupazione di apparire emulo dell'Alfieri. Gran * domator di cavaUi ,,
come questi, e corteggiatore di dame, il Pepoli aspirò, non meno dell'asti-
giano, al vanto di restauratore della -tragedia italiaaa ; e divise eoa lui gli
applausi dei teatri aristocratici, ove tal genere era coltivato di preferenza.
L'Alfieri scriveva V Agamennone, e il Pepoli un Agamennone, ma senza con-
66 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
fidenti; l'uno componeva il Filippo, e l'altro il suo D. Carlo; quegli dava
alle scene il Bruto II, e questi II sepolcro della libertà. Cosi, mentre l'asti-
giano, innestando la tragedia sul vecchio tronco del dramma musicale, ten-
tava nella tramelogedia V Abele un genere nuovo, che "riaprisse,, come
s'esprimeva, " nei contemporanei la comunicazione tra l'intelletto e l'udito ,,
il Pepoli si atteggiava a riformatore del teatro italiano colla * fisedia „ il La-
dislao. Che cosa fosse tal * fisedia „ secondo i concetti del poeta, e che cosa
poi riuscisse nell'opera concreta; quali siano i pregi del Ladislao, e quali, più
grandi e più numerosi, i difetti, ricerca il De Sanctis e pone in luce con ogni
diligenza, esaminando il componimento drammatico nelle sue parti, e raf-
frontandolo coW Abele alfieriano. Frutto di tali indagini è la conclusione, che
trascriviamo: " La tramelogedia dell'Astigiano non era quella cosa indefini-
" bile che 1' autore credeva, e, fondandosi su elementi già preesistenti e ben
" determinati, poteva chiamarsi un tentativo: la fisedia del Pepoli riuscì in-
" vece alla negazione dell'arte drammatica, perché, consistendo essa in una
" mescolanza capricciosa di generi diversi e ripugnanti tra loro, non giunge
" a destare nell'animo nostro quegli effetti pei quali il componimento teatrale
* è creato „ .
.'. Il quinto degli Anniversarj manzoniani del prof. Bellezza discorre de
Le Versioni inglesi, tedesche e russe dei Promessi Sposi (estr. dalla Rass.
Nazionale dell' ottobre 1902, di pagg. 27 in 16.°). Le traduzioni esaminate
sono sei tedesche, tre inglesi e una russa. Sarebbe incredibile, se l'a. non
ce ne fornisse le prove, lo strazio che del romanzo italiano hanno fatto
costoro, che possono ben dirsi traditori, anziché traduttori. Brani interi sono
arbitrariamente ommessi (ad es. V Addio di Lucia, l'episodio di Cecilia ecc.),
e le traduzioni errate sono innumerevoli e scandalose. Ridire è scambiato
con ridere, caso in casa, ora avverbio in ora nome, secentista in sessagenario,
campagna in compagnia, manacce in minacce, cento sguardi in cento guardie,
pruno in pugno, inferriata in Ferrer; parlare a balzi diventa parlare sul-
l' orlo di un precipizio, far d'ogni erba fascio, far d'ogni mosca un elefante,
un pajo di maniche, un par di manette; sbudellarsi è reso sfogar la malin-
conia! E cosi per centinaia di casi. Par fatto apposta per ingarbugliare il
senso! Con altro studio che ci promette, l'a. trarrà le sue conclusioni per
dedurne qual veramente fu, in tre grandi paesi di Europa, la fama del Man-
zoni e la conoscenza della sua opera.
.*. Il prof. Giov. Negri nell'opuscolo Dubbj manzoniani e risposte (Milano,
Agnelli, 1903, di pagg. 36 in 16.*") esamina uno scritto ben noto del doti.
Bellezza su certe "contraddizioni e incongruenze ,, che si sono volute rin-
venire nei Promessi Sposi, e con acutezza, che talvolta è forse troppa, di-
fende il Manzoni da quelle accuse, e da altre mosse dal march. Grispolti.
Altra volta ci è accaduto di accennare a questa controversia, esprimendo
l'opinione che se anche quei nei esistessero nel romanzo, non attenuereb-
bero d'un minimo che, la fama dell'autore. Anche il sole ha le sue macchie.
Anche Dante mette la figlia di Tiresia nel Limbo, e Manto, che è cotesla
figlia di Tiresia appunto, nell' Inferno. Anche l'Ariosto fa combattere pala-
dini, che ha già dato per morti. Difendiamo pure dalla taccia d'incongruenza
0 di sbadataggine il Manzoni; ma non gU facciamo grave carico se Renzo
DELLA LBTTEftATURA itALlANA 67
avesse in giorno di divieto mangiato quelle famose polpette e quel non meno
famoso stufatino. Il Negri dice che sarà accaduto per effetto della carestia,
che rendeva meno osservanti. E sia cosi, e pur che sia finita, accordiamoci
su tal plausibile spiegazione. Quanto al bravo Negri, aspettiamo da lui, dopo
le belle illustrazioni leopardiane, un lavoro al quale aveva posto mano pa-
recchi anni addietro sul poeta Angelo Mazza, e vorrremmo che desse com-
ponimento al lavoro su cotesto, che fra i poeti del sec. XYIII è uno dei
pili notevoli.
.*. La morte che improvvisamente ha ai 25 agosto 1902 interrotto gli studj
e 1 lavori del prof. Policarpo Petrocchi, non ha fortunatamente impedito
il compimento e la pubblicazione dei Promessi Sposi, raffrontati sulle due
edizioni del 1825 e 1840 con un commento storico, estetico e filologico. La
Ditta Sansoni ha infatti messo testé a luce quest' opera, che consta di 4 voi.
di complessive pagg. X-1272 in 16.'. Quale fosse l'intendimento del Petroc-
chi è detto nella Introduzione, già comparsa dal 1893: esso è stato osser-
vato costantemente nel corso del lungo e faticoso lavoro, e compiuto
con copiosissimo e utilissimo Indice delle Note. Ninno poteva dirsi me-
glio atto del Petrocchi, toscano e autore di un pregiato Dizionario italiano, a
un'opera come questa, alla quale si richiedevano molta conoscenza della
lingua e molta squisitezza di gusto. Né questo solo bastava; ma anche ri-
chiedevasi molto senso d'ordine per disporre la varia materia, e far vedere
anche sensibilmente la serie di mutazioni, anche lievi, del testo del romanzo.
A tutto ciò è riuscito molto bene il Petrocchi, adoperando diversità di ca-
ratteri e separazione delle varianti dalle postille. Certo chi vorrà procurarsi
un semplice diletto estetico non leggerà i Promessi Sposi in questa edizione,
come il pili gustoso modo di legger la Divina Commedia è leggerla in una
edizione senza commenti; ma gli studiosi, maestri e scolari, e tutti quelli
che già conoscendo il libro, vorranno meglio apprezzare l'arte finissima del-
l'autore, si compiaceranno nel ricorrere a questo commento, che tante cose
insegna sul diffidi magistero dello scrivere. Si potrà qualche volta dissentire
dal Petrocchi, perché la materia è di natura sua disputabile, ma non si potrà
non riconoscere che in questo lavoro del compianto pistojese v' ha un te-
oro di acute osservazioni filologiche e di soda e svariata dottrina.
.". Un Matrimonio curioso nel 700 è il titolo di un opuscoletto edito dal
prof. E. Filippini Per le Nozze Zaniboni-Panazza (Menaggio, Baragiola, 1902,
pp. 14, in 8.°). Si tratta di un matrimonio di sorpresa, celebrato da due pae-
sani di Val d'Intelvi dinanzi al parroco di Cima o Lacima (Lago di Lugano),
nel 1753. Il fatto, che ricorda assai da vicino l'episodio famoso dei Promessi
Sposi, ed ha qualche valore anche per la storia del costume, è riferito per
disteso dal parroco medesimo, G. B. Gobbi, in certe sue Memorie della Cura,
che si conservano manoscritte a Menaggio, presso l' Archivio del Subecono-
mato dei Benefìzj vacanti. E ad illustrazione del racconto manzoniano lo dà
alla luce il F., corredandolo di erudite note ed opportune considerazioni.
.•. Di Antonio Guadagnali poeta satirico tratta il sig. G. Stia velli (Roma,
Mariani, 1902 pagg. 20 in 16.°) in uno scritto, il quale è detto formar parte
di un libro, pili volte annunziato e che ormai vorremmo veder a luce, sul
poeta aretino e la toscana dei suoi tempi. L' a. studia specialmente le pre-
68 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
fazioni in sesta rima che il Guadagnoli dal 1832 al '58 poneva innanzi al
lunario popolare di Sesto Gaio Baccelli, e in esse rileva specialmenlo le al-
lusioni politiche, per concludere poi, contro l'opinione di parecchi che ne han
toccato, ch'ei fu un poeta politico e liberale. Forse vi è esagerazione cosf
da parte di chi troppo vilipese il Guadagnoli e la sua poesia, come da parte
dello Stiavelli, che lo difende e lo leva troppo pili su che non meriti. Vera-
mente pili che un poeta satirico fu un poeta giocoso, e 1' onestà delle sue
intenzioni e delle sue parole non va scambiata col liberalismo e colle sue
più dirette e vere manifestazioni innanzi al 1848. A noi pare che l'apologia
del poeta aretino vada diminuita di qualche tono. E del resto se, come è
promesso dal titolo, il sig. S. tratterà insieme del Guadagnoli e della Toscana
ai suoi tempi, e ben scorgerà e dimostrerà le attinenze fra questi e il poeta,
da tale studio imparziale e sereno, scevro cosi da smania di detrazione
come di panegirico, balzerà fuori la figura del Guadagnoli più rassomigliante
al vero.
.•, In occasione di nozze, il prof. P. Antolini ha messo a luce due lettere
di Felice Foresti (Argenta, tip. operaia, di 14 pagg. in IG."), uno dei martiri
nostri del '21. Sono notevoli, perché, specialmente la prima, danno idea del
modo di sentire e di pensare, lutto spirituale e romantico, della generaziene
a cui il Foresti apparteneva. L' Antolini ci annunzia di aver fra mano una
vita del Foresti : e noi ne affrettiamo coi voti la pubblicazione.
.•. Sono usciti a luce i fase. 46-48 de / Comici italiani del prof. L. Rasi,
che comprendono gran parte della lettera R. Notevoli sono parecchi articoli
in essi contenuti; amplissima la biografia di Adelaide Ristori, arricchita di
ritratti che la rappresentano nelle parti, dove levò maggior grido. Impor-
tanti anche gli articoli consacrati agli attori Antonio, Luigi e Francesco
Riccoboni, che mantennero in onore oltr'alpi l'arte comica italiana. Poteva
forse esser più ampio il cenno dato della Robotti: ma insufficiente addirittura
ci sembra quello consacrato ad Amato Ricci, che spesso innalzò la maschera
popolana dello Stenterello a dignità maggiore, trasformandola a parte di ca-
ratterista. In Firenze, nella tradizione, il Rasi avrebbe potuto facilmente
trovare elementi a una più ricca biografia di un attore davvero eccellente.
.'. Il dolt. G. BiADEGO raccoglie in un volume alcuni Discorsi e profili
letterarj (Milano, Gogliato, di pagg. 287 in 16."), dei quali diamo i titoli: Dante
e gli Scaligeri — Per il 1." centenario delli Biblioteca cotnun. di Verona —
Il Pisanello — G. Zanella — R. Fulin — Giov. Sauro e N. Tommaseo —
Francesca Lutti — Felice Griffini — Ett. Se. Righi — Antonio Rosmini a
Verona — Discepoli veronesi del Rosmini — Il can. Giuliari, Fr. Angeleri
e Paolo Perez — Antonio Pompei - ■ Cesare Betteloni. — Della massima parte
di questi studj abbiamo dato un cenno via via che uscivano a luce, e non
potremmo che ripetere quel che già dicemmo di ciascun di essi. Ora si rileggono
volentieri insieme riuniti, perché si possono dire altrettanti capitoli di un
medesimo libro. L'abbondanza delle notizie anedottiche va del pari col buon
ordine e colla chiarezza elegante nel darci ragguagli d'uomini e d'istituzioni,
spettanti per la maggior parte alla cultura veronese. Ma noi accogliamo il vo-
lume e gli facciamo festa non solo per ciò che contiene, ma per quello che
promette, e che dovrà essere una storia letteraria di Verona nel sec. XVIII
DELLA LETTERATURA ITALIANA 69
e XIX. Il Biadego è chiamalo a questo lavoro di importanza non soltanto
municipale, dagli studj di tutta la sua vita.
/. Lo studio riassuntivo e molto sintetico del sig. L. Gretella, Leggendo
Lenau (Trani, Vecchi, di pagg. 23 in 16.»), tratta della produzione dramma-
tica e lirica del poeta di Csatad; e ci interessa più particolarmente per il
confronto che il G. istituisce nelle ultime pagine tra il suo autore ed il Leo-
pardi. Ambedue sono grandi poeti del dolore; il quale è fatto talora meno
acerbo nel Recanatese da quella vena d'humour, che mancò completamente
al Lenau. Ambedue resi pessimisti oltre che da inclinazione naturale, dalla
loro costituzione fisica e dai rapporti ch'essi ebbero colla società; l'uno tor-
mentato dal dubbio tra scienza e religione, l' altro sconfortato dal più re-
ciso scetticismo. Il quale però non toglie al Leopardi di elevarsi talora al-
l'educazione umana, al concetto della fratellanza universale, mentre nel Lenau
la poesia è soltanto sfogo al dolor suo. Carattere saliente della poesia nel-
l'uno e nell'altro è un forte soggettivismo — . Cose nuove, originali questo
libretto non reca, ma compendia garbatamente quanto finora, in special modo
in Italia, è stato detto sull' argomento.
.*. Importante assai per la storia del nostro risorgimento è un Diario
dei fatti occorsi in Genova negli anni 1847-49, scritto via via da I. G. Isola
nell'età sua giovanile, e ora messo a luce (Genova, Garlini, 1902, di pa^'g. 26
in 16.°). Dalle prime dimostrazioni e dalle grida sommesse a gloria di Pio
IX si arriva alle fucilate e al bombardamento, che domò l'inesplicabile rivolta
genovese dopo la battaglia di Novara. Nella rapida forma di appunti gior-
nalieri ci rivivono dinanzi nei loro tratti più caratteristici, una quantità di
fatti dimenticati, e scorgiamo via via il corrompersi dell'opinione, che dagli
evviva trascorre agli abbasso e dalla fiducia trapassa al sospetto e all' odio.
Chi legga questo diario, anche se non genovese, può comprendere come da
si bel principio si cascò a cosi vii fine: e sarebbe desiderabile che ogni città
italiana potesse offrire nei diarj contemporanei ai primi albori del risorgi-
mento, una raccolta di notizie cosi copiosa e sincera.
.•. Per le nozze Niccolai-Parenti il sig. A. Ghiti ha pubblicato una Lettera
di L. Muzzi a Pietro Contrucci (Pistoja, 1902), scritta il 25 maggio 1837 per
ringraziare V amico che gli aveva mandato in dono copia delle sue " iscri-
* zioni italiane,, stampate appunto in quell'anno. L'editore nella garbata
prefazione promette uno studio suU' epigratìa con special riguardo al Gon-
trucci, e non possiamo augurarci altro che questa promessa diventi presto
cosa compiuta.
.". Il prof. Francesco Torraga salendo per la prima volta la cattedra di
letteratura comparata nell'Università di Napoli, dopo aver annunziato che
nel suo corso tratterà di Goffredo Ghaucer, ha discorso del suo predecessore
e dei proprj antichi compagni, cioè di Francesco De Sanctis e della sua se-
conda scuola (nella Settimana del 7 Dee. 1902), e lo ha fatto con affetto e
con garbo. Il ritratto del maestro è fedelmente preso dal vero: quello dei
discepoli ci attrae col nome di tanti uomini, dispersi in varie parti d'Italia
e in varj ufficj, ma nei quali si conserva ed appare qualche tratto della co-
mune derivazione. Dopo tanti casi di fortuna noi auguriamo al Torraca di
aver trovato nella cattedra napoletana un sicuro porto, al quale sarà di tutela
il nome del gran maestro ed educatore, cui egli succede.
70 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
.'. Agli studiosi, specialmente universilarj, dell'antico francese, giungerà
gradito l'annunzio della nuova edizione de La Vie de Saint Alexis) dataci
da Gaston Paris (Paris, Bouillon, 1903 di pagg. 63 in 16.» picc). È il testo
critico dall'antico poema, seguito da un lessico completo e da una tavola
delle assonanze: esso è ricostruito, per ciò che riguarda la lezione, mediante
la comparazione dei manoscritti, e rispetto alle forme sullo studio dell'evo-
luzione storica della lingua. Come libro di scuola, il poemetto è accompa-
gnato da tutti i silssidj più necessarj: e come lettura di antico testo, è nel
vero l'editore affermando che se non è il primitivo originale perduto, non
può molto sensibilmente differire da esso.
.". Pietoso intetilo è stato quello della sig.* Giul. 0. Gampblli di racco-
gliere colla denominazione d\ Rose di macchia i versi di Fr. Coppi Tosca-
NELLI (Livorno, Giusti, 1902 di pagg. 64 in 16.»), tutti di genere popolare, e
rinfrescare cosi la memoria di un giovane ingegno, cui la morte precoce tolse
di poter mostrare il gentil vigore delle sue forze. Nato nel '32, mori egli nel '64.
Non tutti i suoi versi hanno egual pregio, e tornando su di essi l' autore, se
li avesse dovuto stampare, a taluni avrebbe tolto certe forme un po' lezióse,
ad altri dato un nferbo maggiore. Ma crediamo degna assolutamente di sal-
varsi dall'oblio la serie di stornelli sulla Rosa di Novara, fresca e spontanea
ispirazione dall'aura che nel principio del 1859 fecondava i germi del no-
stro risorgimento. E intanto il popolo non ha esso obliato, anzi ha costu-
dito e serbato nella sua memoria, e ripete ancora il Fior della Bara.
.'. Nella pubblicazione Faville patrie il nostro collaboratore A. A. Michieli
(Treviso, Turazza, 1902, di pagg. 55, in 16.) raccoglie alcuni aneddoti di storia
patria dal '48 agli anni successivi, per rammentare ignoti o dimenticati eroismi
e oscuri ma benemeriti cooperatori e martiri della causa del risorgimento
nazionale.
.•. Notizie curiose insieme e interessanti allo studio della scienza medica
e alla storia della pubblica igiene, raccoglie G. Pitré in una sua Memoria,
che modestamente battezza col nome di appunti, su V Accademia di medi-
cina, i medici, gli aromatarj e alcune malattie in Palermo nella seconda metà
del aec. XVIII (Palermo, tip. del Giorn. di Sicilia, 1902 di pagg. 22 in 16.°).
Spigolare in uno scritto che è già una spigolatura scelta in un campo assai
vasto, sarebbe ardua cosa, e ce ne asteniamo. Ma vogliam dire soltanto come
questo scritto dell'infaticabile siciliano mostri quanti ostacoli vi erano nel
passato ai provvedimenti igienici e ai metodi più razionali per la cura dei
morbi; ma come in cotesto passato, al quale si rimproverano superstizione
e ignoranza, si trovino pur anche sani provvedimenti ed utili istituzioni, pro-
mosse dal buon senso e ispirate dalla carità.
.'. Il sig. Paolo Segato, che recentemente scrisse nella Rivista d'Italia
dello scrittore friburghese Alberto Bilzius, ha pubblicato Una Novella di
quest'autore tradotta in vernacolo feltrino (Feltre, Gastaldi, 1902, di pagg. 23
in 16.»). Essa fa parte della raccolta Novelle e scene della vita popolare della
Svizzera, ed ebbe speciale fortuna, perché da essa fu tratto il testo di un'o-
pera musicale mollo in voga al suo tempo, intitolata Der Tabulettkramer
(Il merdaiolo ambulante). Il Segato ha fatto precedere alla sua versione
alcune informazioni sulle principali caratteristiche della fonetica e della mor-
fologia del feltrino.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 71
.'- Diligente e interessante è io scritto che la sig." Gemma Cenzatti ha con-
sacrato a Alfonso de Lamartine e l'Italia (Livorno, Giusti, 1902, di pagg. 116 in
16. ) e che si legge volentieri anche dopo aver veduto il capitolo che al poeta
delle Meditations consacra il Magnien nel suo recente voi. snW Italie dea
Romantiques. L' autrice segue a passo a passo il poeta francese dai primi
anni fino a quando, presso alla tomba, ingiuriò Dante con insana parola e
suscitò le ire degli italiani. Nota come la Gerusalemme liberata, a. sua con-
fessione, fu il primo libro che gli facesse impressione sulla fantasia e sul
cuore (pag. 31). L'Ariosto invece — cosa strana! — lo faceva sbadigliare
(pag. 8). Dell'Alfieri portò giudizj mutevoli (pagg. 8-10): del Foscolo, i Sepolcri
del quale imitò, avverti la parentela intellettuale coi maggiori ingegni (pag. 33).
È curioso poi che in un momento della sua gioventù dicesse di aver quasi o-
bliato il francese pel " celeste idioma , nostro, e onorare soltanto i poeti italiani
(pag. 17). D«iritalia si sa come sentenziasse, e come una spada italiana gli
ricacciasse in gola la villana sentenza: ma ebbe poi sensi di pentimento del-
l'offesa gratuita (pagg. 70-81). Buona è la trattazione delle scritture lamarti-
niane, che l'Italia ispirò: e lucida l'esposizione della verità o no, dell'idillio
di Graziella (pagg. 19,21,27), che è tutto un postumo ricamo ideale sui ri-
cordi di una avventura amorosa, e, come a dire, la purificazione di una sca-
pestrataggine giovanile: ma che ad ogni modo resta un capolavoro letterario.
Questo saggio, lo ripetiamo, è buono, e certi piccoli nei non ne diminuiscono il
valore: cosi notiamo (pag. 50) che il Galiani non può farsi vivere fino a poco
prima del 1820, dacché era morto già nel 1787: il general Pepe menzionato a pp.
56 non può esser Gabriele — quello del duello - ma Guglielmo, né (pag. 66)
lo scritto di Gabriele, dal quale il duello ebbe origine, può dirsi un'operetta:
era un art. dell'Antologia; lo scrittore dell'^rcadm non era un conte Salvagnoli-
Marchetti, ma un semplice abate ecc. Buono è in generale lo stile, e di frasi
come questa a pag. 99 — * il Campanile di Giotto, inno alato che si slancia
ardito nello spazio azzurro, — fortunatamente non ce n'è molt' altre.
.*. Abbiamo innanzi a noi parecchi volumi della Biblioteca Storica del
Risorgimento italiano, pubblicati nel corso del 1902 dalla Società editrice Dante
Alighieri di Roma. Cominciamo dal render conto del voi. 4-5 della serie
terza, che è la parte prima del lavoro di Ermanno Lokvinson, Giuseppe Go'
ribaldi e la sua legione nello Stato Romano, 1848-49 (di pagg. XI-278, con
uno schizzo geografico). È un libro di che non può dirsi che bene. Ogni
più minuto particolare è vagliato con tutta cura, e somma è l'indipendenza
colla quale l'A. giudica certi trascorsi di lingua e certi impeti del generale,
l'atteggiamento suo rimpetto al governo e ai suoi superiori gerarchici, l'in-
sofferenza delle forme legali e il modo di combattere qualche volta un
po' all'impazzata contro forze disciplinate e maggiori. Le soe relazioni col
Pisacane e col Roselli sono poste in chiara luce senza tendenza apologetica,
ma con tutta imparzialità. E l'A. può concludere che " anche alla prova di
" una indagine scrupolosa dei minimi atti della vita di Garibaldi, pur dimo-
* strandosi egli, come uomo, non esente dai difetti e dalle debolezze della
* natura umana, resiste, e la sua figura continua a grandeggiare fra tutti co-
* loro che la circondano per lucidità di visione nel guardare davanti a sé, per
" prontezza d'azione, per forza, spontaneità e sincerità di patriottismo ,. Con
72 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
questa pubblicazione, della quale attendiamo il seguito, la persona del gene-
rale esce dalle nebbie della leggenda, ed entra nella piena luce della storia.
— Buon documento di storia sarà la riproduzione fatta da M. Menghini dei
sei quaderni de La Giovine Italia del Mazzini, della quale sono già uscite
due dispense 6, 11-12 (la prima di pagg. XXXVIII-135, l'altra di pagg. 258).
Contengono oltre scritti di occasione, anche brani di storia, come le memorie
sui casi napoletani dal 1799 al '21, la risposta del Sercognani al gen. Armandi
riguardante i fatti di Romagna del '31, ecc. Il Menghini vi ha mandato in-
nanzi una opportuna prefazione con molte e curiose notizie suH' origine del
giornale, sulle sue vicende, i collaboratori, le persecuzioni dei governi italiani
del tempo e gli oltraggi che contro il giornale furono scagliati dalle penne degli
scrittori a quei governi devoti, che formano, diremmo, la parte amena della
pubblicazione. Il Menghini promette anche un Indice analitico delle materie,
che ajuterà a far ricerche in questa ristampa del periodico. Per esattezza
bibliografica avremmo desiderato che si indicasse via via a quale dei fasci-
coli della Giovine Italia appartengano gli articoli riprodotti.
— Il voi. 9-10 contiene uno scritto del dott. Gennaro Mondaini su / moti
politici del '48 e la setta dell' Unità Italiana in Basilicata (di pagg. XII-324),
frutto di assidue indagini su documenti del tempo. Intento dell'autore ci
sembra sia quello di mostrare come la rivoluzione politica del '48 non sia
in fondo se non un " effetto politico di una rapida evoluzione economico-
" sociale „, della quale le prime origini risalgono al decennio del governo
murattiano e all'introduzione di nuove idee e di nuove istituzioni. Allora
alla nobiltà feudale si surrogò la borghesia, che si trovò in lotta cosi con la
monarchia assoluta come coli' elemento popolare. Questa è la tesi di filosofìa
della storia, che collega e rischiara i fatti narrati dall' A. Il quale accusa di
gretto " municipalismo , i promotori di quei fatti, ma non tace come la setta
dell' * Unità italiana , avesse non piccola diffusione anche in Basilicata. E
pur notando in questa narrazione storica un po' di rigidità sistematica in fa-
vore di una tesi, l'A. ha ragione di rilevare verso la fine l'importanza della
" questione demaniale non ancora pur troppo risolta in Basilicata e nelle
" altre terre del mezzogiorno d' Italia ,.
— Il voi. 7-8 è uno scritto dell' avv. G. Leti, Fermo e il card. Filippo de
Angelis (di pagg. X-276), un po' lungo e minuto, più cronaca che storia, ma
alla storia non inutile per conoscere le condizioni di una città dello stato
pontificio durante lo sgoverno de' preti, e l' opera invadente, baldanzosa e
spesso pazzesca, di un alto dignitario ecclesiastico. I particolari dì fatti e di
persone fermane sono corroborati da documenti, e hanno tutto V aspetto di
esattezza. Meno sicuri sono gli accenni a cose e personaggi non di Fermo:
ad es. a pagg. 80 dando una breve biografia di Gesare Trevisani si dice che
egli a Firenze " fondò lo Spettatore italiano col Finali e col Ricasoli ,. Ora, per
essere esatli, i fondatori di quel periodico furono Celestino Bianchi e Cesare
Donati : il Finali era a Torino, e il Ricasoli stava a Broglio e collo Spettatore
non aveva relazione nessuna.
k.jy kvcovk direttort retponsahile.
. Pim. Tipografia r.MMiotU, 1903.
RASSEGM BIBLIOGRAFICA
DELLA LETTERATURA ITALIANA
IHitttori: A. D'ANCONA e F. FLAMINI. Editore: E. SPOEBBI.
Anno XI. Pisa, Febbraio-Marzo- Aprile 1903. N. 2-3-4.
Abbonamento annuo > ?" }!l*f."!l * ' ' ^Ì'" 2 ! Unnum.separatoCent.fi».
' per I f^biero . . * if. \
SOMMARIO: V. Vivaldi, La Gerusalemme Liberala studiata nelle sue forme (Azione
principale del poema) (V. Rossi). — N. Busetto, Carlo De' Dottori letterato pado-
vano del Secolo XVII, studio biograficoletterario (E. Bertana). — L Di Francia,
Franco "bacchetti novelliere (Q. Volpi). — A. Della Torre, Di Antonio Vinciguerra
e delle sue satire (V. Ciao). — G. Marchesi, Romanzieri e Romanzi del Settecento
(T. Concari). — L. Einstein, The italian Renaissance in England Studies (F. Fla-
mini). — Comunicazioni. E. (ì. Parodi, / versi comuni a Pietro da Barsegapé
e ad Ugueeione da Lodi. — Cronaca. — Necrologia.
Vincenzo Vivaldi. — La Gerusalemme Liberata studiata nelle sue
fonti {Azione principale del poema). — Trani, V. Vecchi, ti-
pografo-editore, 1901 (8.", pp. Vili, 351).
Nel 1893 il prof. Vivaldi pubblicò dne volumi di studj Sulle fonti
della Gerusalemme Liberata (Catanzaro, Caliò), coi quali « volle
« portare - mi valgo delle parole di lui stesso - il suo contributo
« all' indagine sulle fonti dell' opus magnum del Tasso, mostrando
« quante reminiscenze vi siano dei poemi cavallereschi ». Con altro
intento pose mano all'opera di cui diede fuori, or fa circa un
anno, questo primo volume; il quale abbiamo tardato ad annun-
ziare nella speranza che avessero intanto ad uscire i Prolego-
meni, se non anche il secondo volume con cui l' opera sarà com-
piuta. Nel volume che ci sta fra mano, il Vivaldi intese a discu-
tere tutte le fonti della lAberata indicate prima da altri o da
lui e « per mezzo d'un lavoro eliminativo ed aggiuny;endone qua
« e là qualcuna nuova, a fissare quella a cui il Tasso veramente
«attinse». Un giudizio sicuro su quest'opera laboriosa non sarà
veramente possibile se non quando avremo sott' occhio anche il
frutto delle ricerche del Vivaldi sulle letture e sulla coltura del
Tasso, sulle sue predilezioni letterarie, sui suoi principi d'arte poe-
tica, sulle cronache della prima crociata delle quali si valse; cioè
il volume dei Prolegomeni^ ed insieme la trattazione, che darà
74 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
materia al secondo volume, intorno alle fonti degli episodj. Tut-
tavia non vogliamo indugiare pili oltre a dire del primo, con-
cernente l'azione principale del poema, vale a dire il racconto
dei fatti guerreschi che si compiono intorno o dentro Gerusa-
lemme; anche perché, costretti come saremo dalla natura stessa
del libro piuttosto a ritrarne il generale andamento ed il metodo,
che a riassumerne e a discuterne i singoli risultati, avremo forse a
fare qualche osservazione o ad esprimere alcun desiderio onde
potrà giovarsi la parte non peranco stampata.
Lode incondizionata merita la diligenza che il V. ha posto nel
ricercare e raccogliere per entro ai commenti, alle scritture e^
spressamente cronologiche, alle lettere del Tasso, tutti gli addita-
menti di riscontri e di convenienze. Poche cose e di non grande
importanza gli saranno sfuggite, ^ né qui accade censurare la
mancanza d'esatte indicazioni bibliografiche ne'suoi rinvii, per-
ché a codesto legittimo desiderio del lettore provvederanno, non
v'ha dubbio, i Prolegomeni. Gli additamenti raccolti il V. esamina
e discute via via ad uno ad uno, esponendo le ragioni per cui
questi gli sembrano a buon dritto da annoverarsi tra le « fonti »
del Tasso e quelli giudica di dover escludere dal novero; e riesce
cosi a sbarazzare il terreno della ricerca da molte male erbe a-
limentate dall'inconsulta vaghezza ch'ebbero alcuni critici, di
accumulare riscontri su riscontri non sempre a proposito. In sulla
fine del secondo volume il V. tirerà certo le somme di questa sua
minuziosa disamina e con altrettanta diligenza metterà in luce
la varia contribuzione - varia per quantità e per qualità - recata
dai varj scrittori al poema tassiano. Per quel che è dato vedere
finora, par bene che come la parte storica dipende essenzialmente
dai cronisti della Crociata, cosi la parte fantastica da Virgilio piò
di frequente che da qualsiasi altro classico, greco o latino o ita-
liano.
Alla diligente incetta delle fonti fin qui segnalate non corri-
sponde nell'opera del V. una altrettanto diligente ed acuta clas-
sificazione di esse. Anche lasciati da banda i riscontri casuali o
mal definiti, la parola « fonte », in ispecie quando si parli di ar-
tisti non volgari, può avere cosi ampio e cosi vario significato,
1 Tra le opere ove ricorre alcuncbé di simile al paragone àeWegro fanciul e che già fu-
rono per questo citate altrove, dovevano essere ricordate a p. 15, anche la spagnola Ctltstina,
le epistole di N. Franco (vedi questa Rassegna, III, 242 e VII, 281) e il Cortegiano del Castiglione
(ediz. Gian, p. 359). Forse la gran voga della bella similitudine fermò l'attenzione del Tasso
sul noto passo di Lucrezio, passo che gli fu modello, come a ragione afferma il Vivaldi.
Anche si poteva notare che il Tasso stesso dice che il brutto verso Alla vewìelin ni non nll'niulo
(Lib. IX, 85) è modificazione d'uno (ancor più brutto) « troppo rubato dalla Caunce » (Lettere,
ed. Onastì, voi. I, p. 66). Ma le sono inezie.
DBLLA LETTRRATURA ITALIANA 75
che quando non si voglia - il che pur sarebbe opportuno - re-
stringere i'uso della parola ad una determinata categoria di fonti,
occorre almeno fare delle distinzioni. Un'opera può spiegarci come
e perché in un certo momento l'attività fantastica d'un artista
siasi rivolta in un certo senso; un'altra chiarirci il motivo di
certe associazioni d' idee o magari di certe dissociazioni ; qua
possiamo trovare come a dire la traccia del cammino percorso
dalla fantasia; là il perché d'un determinato atteggiamento del
concetto e quindi dell'espressione. Si hanno cosi « fonti » di na-
tura diversa, che a lor volta possono avere in diverso modo ope-
rato; o che lo scrittore le tenesse deliberatamente presenti; o che
gliene rifiorisse nel cervello il ricordo, spontaneo ma da lui rav-
visato; o che misteriose affinità psichiche, abitudini intellettuali,
avviamento di educazione e di studj lo conducessero, senza ch'egli
se n'avvedesse, ad una concezione simile o uguale a quella di
altro scrittore. Ora nel libro del Vivaldi, se la natura stessa delle
cose determina talvolta la separazione delle fonti sostanziali dalle
formali - passi per brevità questa grossolana nomenclatura -, non
sempre tale distinzione è osservata e ben di rado è fatta dal-
l'autore con netta coscienza.
La mancanza di saldi criterj direttivi e di una chiara visione
della delicata complessità dei problemi, parmi sia infatti il prin-
cipal difetto di questa pur accurata opera del V. In più d'uii
luogo egli ha occasione di riconoscere in un medesimo racconto
o in una medesima descrizione del suo poeta fonti molteplici ;
eppure in altri luoghi (p. es. a pp. 25, 195) non si ])erita di ad-
durre come argomento contro la ragionevolezza d' un raffronto
istituito da altri, la dimostrazione ch'egli abbia dato, d'altra de-
rivazione; come se non sia possibile che nel fervente crogiolo della
fantasia elementi di disparata origine siausi fusi insieme, o filoni
d'altro metallo siansi insinuati nella massa del più abbondante.
Questo preconcetto, congiunto, mi permetta il V. di dirlo, a certo
malcelato proposito di contradire a' suoi predecessori, adombra
non di rado la serenità del giudizio o conduce a conclusioni che
contrastano coli' evidenza. Recherò dite esempj.
Il verso del Tasso « La divisa dal mondo ultima IriiiuJa » {Lib.,
I, 44) è certo calcato sul virgiliano « Et penitus toto divisos orbe
«Britaunos», Il Novara però ricordò anche l'oraziano « Ultiraos
« orbis Britannos ». Ma, chiosa il V. (p. 37), « 1' aggettivo diviso
« ripetuto nei due autori mostra che il Tasso ebbe presente Vir-
« gilio nello scrivere». Io non mi farò a sostenere che nell'e-
spressione tassiana c'entri per un po' anche il lirico di Venosa;
osserverò soltanto che la chiosa del nostro A. può essere rim-
I
76 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
beccata cosi: «l'aggettivo ultimo ripetuto nei due autori mostra
«che il Tasso ebbe presente Orazio nello scrivere».
Il Vivaldi (p. 192 sgg.) col Multineddu giudica derivato dal-
l'episodio di Partenopeo nella Tehaide (X, 702 sgg.) quello di
Lesbino nella Liberata (IX, 81 segg.). Le somiglianze nella situa-
zione e nell'andamento della piccola azione fanno credere che
sia proprio cosi; ma ciò non deve impedire di ammettere che a
determinare l'intuizione fantastica che di quella scena ebbe il
Tasso, abbiano conferito rappresentazioni di altri poeti. Di Le-
sbino scrive il Tasso:
A cui non anco la stagion novella
Il bel mento spargea dei pi-imi fiori.
(IX, 81).
In Partenopeo Stazio rileva:
Nondiiin mutatae rosea lanugine malae.
(IX, 703).
Presso Virgilio, il re Evandro dice di sé:
Tum mihi prima genas vestibat flore inventa,
(Vili, 160).
E di Federico Gonzaga l'Ariosto dice:
Federico, eh' ancor non ha la guancia
De' primi fiori sparsa.
(XXXIII, 46).
Ebbene come si fa a negare che nella figurazione del giovinetto
Lesbino abbiano comunque avuto parte e Virgilio e l'Ariosto?
Sia pure che la scena descritta da Stazio fosse presente al poeta
quand'ei narrava la pietosa morte del paggio di Solimano; pure
a nessuno credo parrà dubbio che quand'egli venne a raffigurarsi
l'immagine del giovinetto sventurato, altre reminiscenze gli ger-
mogliassero nella mente. Né quelle di Virgilio e dell' Ariosto
soltanto. Seguita il Tasso:
Palon perle e rugiade in su la bella
Guancia irrigando i tepidi sudori;
Giunge grazia la polve al crine incolto
E sdegnoso rigor dolce è in quel volto.
E Stazio:
multnmque severis
Asperat ora minis ; sed frontis serrat honorem
Ira deoens
Illum et Sidoniae juga per Theumesia nymphae
Bellantem atque ipso sudore et pulvere gratum
Landant
(IX, 704-6, 709-11).
Ma nella IV Eroide d'Ovidio si legge:
Te tuuB iste rigor positique sine arte captili
Et levlB egregio pulvis in ore decet.
(w. 77-8).
DELLA LÉTtERAtURA ITALÌANA 7^
ÀI Vivaldi i versi di Stazio pajono più simili a quelli del Tasso
che non siano i versi del poeta di Sulmona. Nessun altro, credo,
sarà di questo avviso; molti vedranno invece anche qui le tracce
d'una specie della memoria, non rara ne' poeti delle età di produ-
zione riflessa, della memoria frammentaria, la quale come più
plastica e più atta a dar luogo a nuove combinazioni, che non
sia la memoria sistematica a svolgimento continuo,^ meglio aiuta
il lavoro fantastico.
Uno studio di fonti che non vada oltre all'indicazione delle
opere e dei passi messi a profitto dall'autore, si riduce ad un
passatempo erudito non molto piacevole. Solo quando il ricerca-
tore avrà anche mostrato come il suo poeta siasi valso delle fonti,
se di tutte in un modo o non piuttosto delle une a questa e delle,
altre a quella guisa, se di tutte ad ogni intento o non piuttosto
delle une ad un fine e delle altre ad un altro, come abbia trasfor-
mato la materia che gli si offriva dinanzi, come collegato e fuso
in nuove unità gli elementi raccolti da più parti e per quanto
abbia cooperato alla nuova creazione egli stesso colla sua propria
attività fantastica; solo allora il ricercatore potrà dire d'aver toc-
cato la meta, che altra non può essere se non una conoscenza
quanto più sia possibile esatta e piena dell'arte del poeta. Nel
volume che abbiamo sott'occhio il V. non è andato mai oltre la
raccolta e la scelta del materiale greggio, e può far meravigli^
che egli non abbia sentito il bisogno di prepararsi via via con
osservazioni spicciolate le basi di quello che avrà ad essere l'ul-
timo ornamento del suo edificio. Quello stesso episodio di Lesbino,
su cui ci siamo un po' intrattenuti, variato di reminiscenze vir-
giliane e ovidiane e ariostesche, ma fondato su Stazio, avrebbe
porto occasione, o m'inganno, ad alcuna di siffatte osservazioni.
D'altro canto un impaccio ad un certo genere di rilievi se l'è
creato il Vivaldi colla sua stessa divisione fondamentale del la-
voro {Anione principale, Episodj); perché quando non si seguano
ordinatamente le manifestazioni dei varj caratteri dei personaggi
e nell'azione principale e negli episodj, è difficile cogliere i mo-
tivi delle modificazioni, che il poeta abbia recato ne' suoi modelli
e quindi assai di rado ci si viene a trovare nel punto di vista
più favorevole ad un giudizio delle sue creazioni. Ma, non ne du-"
bitiamo, un'ampia e ben ragionata conclusione ovvierà a questi
inconvenienti ; viene a dirlo il Vivaldi stnsso promettendo, in sul
chiudere questo primo volume, di trattare in altro punto del suo
lavoro « dei caratteri dell' arte del Tasso » .
Vittorio Rossi.
' Te. RiBOT, Essai sur l' iiiMyinalioii créatrice, P»ris, 19(M), pp. 18-9.
^8 RASSEGNA BÌtìLlOGilAFlCA
Dolt. Natale Busetto. — Carlo De' Dottori letterato padovano del secolo X VII,
studio biogr a fico-letterario, Città di Castello, Lapi, 1902 (in 8.°, pp. VII-397).
Carlo De' Dottori è stato sempre ricordato in tutte le nostre storie let-
terarie un po' ampie; di lui dovettero più specialmente occuparsi coloro che
attesero alla storia del poema eroicomico e della tragedia; a lui nel 1792,
dedicò una buona Memoria, prevalentemente biografica, il suo concittadino
ab. Giuseppe Gennari; e delle sue opere, ma più in particolare deW Aristodemo,
scrisse, or è poco, la signorina Lina De Carlo; adesso poi il dott. Busetto
ci dà in cotesto volume (che per la mole eccede senza dubbio l'importanza
del soggetto) una monografia del Dottori cosi ampia, minuziosa e ben cor-
redata di documenti, che può considerarsi esauriente e definitiva.
Certo senza l'aiuto d'essa, del Dottori non si potrà ormai più discorrere;
e se anche i giudizj dati dal Busetto sul suo autore e sul pregio delie singole
opere di lui non fossero tutti destinati a restare, l'aiuto pòrto da cotesto
diligente lavoro a chiunque voglia mettersi in grado di valutare l'animo e
l'arte del secentista padovano, sarà sempre indispensabile.
Allo studio sul Dottori, che occupa le prime 243 pagine, segue una co-
piosa appendice, formata da documenti genealogici ed economici, da lettere
inedite del Dottori ad alcuni principi suoi padroni o protettori, e ad alcuni
letterati suoi amici, come frate Ciro di Pers e Girolamo Graziani.
S'aggiungono anche alquante lettere inedite "di personaggi diversi, (pre-
lati, principi e patrizi veneziani) al Dottori ; ma non tutte coteste lettere —
siano del Dottori siano d'altri — appaiono cosi rilevanti che meritassero
d'essere integrahnente stampate. Meglio avrebbe fatto il Busetto estraendone
i passi utili ed innestandoli nel testo del suo studio o allegandoli nelle note
a pie di pagina ; dove potevano anche trovare luogo opportuno quelle lettere
più importanti e significative, che gli fosse piaciuto di riprodurre per disteso.
Avrebbe cosi alleggerito di non poco il volume, e avrebbe raggiunto meglio
il legittimo desiderio di chi trova documenti notevoli: far si che non pas-
sino inosservati; ciò (he spesso accade quando si confinino nelle lunghe ap-
pcndic-i. Neppure colla diligenza dei lettori di monografie erudite — che
ispesso per necessilà devon essere frettolosi — conviene far troppo a fidanza!
Seguono, nella II parte (ìcW Appendice, parecchi scritti inediti del Dottori,
riprodotti o integralmenic o pat/ialmente; e sono: alcune note di lingua
soW Aristodemo; i due primi canti deW Asino nella forma della prima ste-
sura; poche stanze dei canti inedili della Gahitca ; qualche saggio dell'aUro
poemetto La Prigione; molti saggi del poema satirico II Parnaso; poi so-
netti satirici e burleschi ed epigrafi latine.
La III parto ùqW Appendice è finalmente costituita da una copiosissima
Notizia dei manoscritti e delle stampe delle opere edite e inedite di Carlo
Dottori.
Come si vede il Busetto ha compiuto il suo studio con ogni scrupolo
di buona preparazione, con la più precisa informazione di tutto ciò che
apparteneva al suo autore, ed anche — conviene agg iungere — con buona
DELLA LSTtERAfukA ITALIA t( A 7^
CcuoscèDita deH' ambiente in cui si trovò a vivere; che della vita padovana
nel secolo XVII il Busetlo cercò il quadro in ottimi documenti sincroni, e
specialmente in quelle Alcune satire inedite (del Dottori, e d'amici e con-
cittadini di lui), di cui già discorse neìV Ateneo Veneto del 1901.
Venendo ora a dar conto dello Studio biografico-letterario, premetto che nei
nove capitoli, in cui è diviso, l'esposizione della vita del Dottori non è di-
stinta dall' esame delle sue opere. " Ho intrecciato , - scrive l' A. - " non
senza difficoltà al racconto della vita varia e complessa l'esame e l'apprez-
zamento degli scritti, avendo avvertito che questi per la massima parte sona
il riflesso di quella „ (p. VI). Ora è innegabile che parte della produzione
letteraria del Dottori in qualche modo dipende dai casi e dalle vicende di lui; e
lo provano le allusioni a fatti della sua vita privata, che non vi mancano;
però si badi che, nell'insieme, la produzione letteraria del secentista pado-
vano è ben lontana dall'avere quella spiccata impronta soggettiva che rende
inesplicabili, inintelligibili l'opere d'altri scrittori, quando si considerino se-
paratamente dal momento in cui furono prodotte, dalle condizioni specia-
lissime, esteriori ed interne, in cui versarono ne' diversi momenti della loro
vita gli autori di esse.
D'altra parte la vita e l'indole del Dottori — a quanto ne sappiamo —
non hanno in sé nulla di cosi' straordinario e di cosi singolare da rendere
straordinarie e sipgolari anche le sue opere, sicché, a capire e a valutar queste,
bisogni non perder d' occhio mai quelle. Insomma io non credo che fosse pra-
prio necessario, nel nostro caso, di mandare innanzi di pari passo lo studio bio-
grafico col letterario; anzi ritengo che l'aver voluto intrecciarli, abbia recalo
qualche danno all' economia del libro e alla limpidezza della esposizione; senza
contare che sarebbe stato certo comodo ed utile avere raccolta tutta in un
capitolo una compiuta biografia dell'autore, corretta e integrata mercé le
nuove ricerche laboriosamente compiute dal Busetto. Egli avrebbe messo
cosi in più chiara luce quel tanto (non è forse molto, ma è pur qualche
cosa) ch'egli fu in grado d'aggiungere a ciò che già sapevasi itftorno al-
l'jiorao di cui studiò la vita e il carattere.
Nel 1. cap., dopo un conno sugli antenati del Dottori, il Busetto discorre
più dello slato degli sludj e del costume a Padova nella prima mela del
seicento, che degli sludj giovanili e della adolescenza del suo autore; argo-
mentando, in mancanza di dirette notizie, che quelli e questa dovettero ri-
sentirsi delle generali condizioni del luogo e del tempo; e aggiungendo una
ampia analisi dell' Alfenore, novella o romanzetto galante che il Dottori
compose appena ventenne.
V Alfenore è un omaggio adulatorio alle dame, a cui è dedicato — ma
le dame non sentirono soltanto le carezze, bensi anche le punte della penna
del Dottori, uso, come tant' altri, ad alternare complimenti e satire. Fu so-
spettato autore di certo libello in cui alcuni gentiluomini e alcune signore
di Padova non erano risparmiali, e passò un brutto guaio. Di ciò il Busetto
discorre nel 11 cap., in cui traila dei costumi giovanili del Dottori e del
poemetto la Prigione, che si riattacca appunto a quel lai guaio dianzi ac-
cennato; delle prime liriche erotiche di lui e della sua ." natura voluttua-
ria, (voleva dir voluttuosa); esamina 4* Qnlatea e gli Sfortunati amori,
éO RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
che male (secondo ogni probabilità, cfr. p. 51) gli furono altribuiti; indi
discórre delle prime liriche filosofico-politiche, che incominciarono a sgor-
gare dalla vena del Dottori abbondanti, specialmente dopo che il matrimonio
(1644) — non esemplare e non felice — ebbe chiuso, il più agitato e sca-
pigliato periodo della giovanezza del poeta.
Il III cap. riguarda principalmente l'indirizzo poetico seguito dal Dottori,
che appartiene, senza dubbio al gruppo dei lirici classicheggianti del suo
secolo; e il poemetto satirico // Parnaso, in cui la satira personale e la
civile sono mescolate con la letteraria.
Nel IV cap., che abbraccia gli anni 1650-53, il Busetto raccolse le notizie
che si riferiscono alla vita cortigiana del Dottori, ai rapporti di lui col prin-
cipe Leopoldo di Toscana e col card. Rinaldo d'Este, al cui servigio stette
qualche tempo in Roma. Cade in questo periodo la nuova ristampa delle
Ode e la composizione delle Canzoni, di cui il Busetto discorre (e non gliene
facciamo simpiovero) piuttosto brevemente; la composizione 6ìQ\V Asino, e
il cominciamento à&W Aristodemo. A queste due opere, le sole veramente
che abbiano ancor qualche vita o qualche rinomanza, sono poi consacrati
due lunghi speciali capitoli (V e VI), sui quah pili oltre mi fermerò un mo-
mento.
Il cap. VII segue la vita e l'operosità letteraria del Dottori tra il 1654
e il 1657; dal ritorno di lui in patria, dove è assunto a varie cariche pub-
bliche, al moménto in cui, rimasto vedovo, mette finalmente giudizio e si dà
a Vita pivi soda, prendendosi cura dei figU. In questo periodo egli compose
altre nuove canzoni morali, in cui il Busetto rilevò certi " accenni di pessi-
" mismo preleopardiano „. Leggo pessimismo, come mi dà il sommario del
capitolo e la p. 192; non romanticismo preleopardiano, come è stampato,
certo per errore, a p. 188 ed altrove; ed aggiungo che il Busetto non ha
créduto ^unlo d'aver scoperto nel Dottori un precursore vero del Leopardi;
però non parmi ch'egli abbia spiegata in tutti i modi possibili quell'ombra
di tristezza ch'è diffusa in alcuni di cotesti componimenti del suo autore.'
* lo non voglio fare del Dottori „ - egli scrive - " un pessimista del colore
" leopardiano, che sarebbe manifesta l'esagerazione; ma è certo che la rovi-
* nata complessione del corpo, il cumulo di invidie, di dispetti, di odii, di
" faccende tediose, il vano cozzare dell'ideale e del razionale con la realtà,
'determinarono sin dalla gioventù del nostro poeta un certo pessimismo
" filosofico, che .... può accompagnarsi .inche con un' indole naturalmente
" gioconda, quale in parte ebbe il Dottori , (p. 193). Non sarebbe stato inutile
avvertire che quel certo pessimismo filosofico poteva manifestarsi nella poesìa!
del secentista padovano anche indipendentemente da qualsiasi speciale pre-
disposizione soggettiva a lui propria, poiché è tutt' altro che raro nella let-
teratura del tempo. Piangere sulle miserie della vita, gemere sulla inesora-
bile fugacità degli anni, distruttori d'ogni bellezza, d'ogni gioia, d'ogni for-
tuna, detestare gl'inganni, la vanità del mondo, proclamare la nullità delle
speranze e della vita, ecc., fu esercizio che piacque a molti e molli verseg-
giatori del seicento, né importa qui cercarne le ragioni; né posso io qui sten-
dermi a citarne esempj, che a chiunque abbia qualche diretta notizia della
letteratura di quel secolo riuscirebbero inutili. Per un poHmelro già edito
DELLA LETTERATURAITALIANA 81
dal Trucchi * sotto il Titolo di Ka/i/tó del mondo, e rielito or non è mollo
con quest'altro titolo: Della miseria e vanità umana,^ un amico del Dottori,
fra Giro di Pers, parve già un diretto e legittimo precursore del Leopardi.
Ma basterà che ricordi Antonio Abati, l' abate delle arguzie, come i contem-
poranei lo chiamarono, l'autore delle Frascherie. Ebbene; tra le Poesie po-
stume di lui (Bologna, Kealdini, 1671) spesseggiano le variazioni, in tutti
i toni, su questo tema:
Ogni cosa se ne va,
Ricchezza,
Bellezza,
Fortezza d'età:
Ogni cosa se uè va. 3
Si veda l'altra frottola, pur malinconica, che termina cosi:
Che avanza, cbe avanza «
Da l'empia sciagura?
La gloria futura
Già termina in onta.
Già scende chi monta, . " !
Perché l'oro mancò, fama s' oscura; t
Ohe 86 l'oro del sole a noi tramonta.
Non mira ì mcrti altrui la notte ombrosa :
Finisce ogni cosa. *;
o l'altra che conclude:
Cosi al liii moribondo
Nel mondo è il tutto, anzi col tutto è il mondo »;
I
oppure il sonetto, piuttosto bruttaccbiolo :
Su la tòrta del mondo aspra pendice :
Muove l'uomo nascente a i falli il piede
E del pianto d'Adamo antico erede
I suoi futuri error geme e predice.
Sotto una destra poi moderatrice, '
Quasi vite recisa, al pianto riede ;
Quindi in pili saldo piò pianger si vede
Di Fortuna e d'Amor l'orma infelice..
Ne la sua chioma altìn neve biancheggia.
Che stemprata dal cor i rai tremanti, '
Ij'opie de l'alma rea stilla e sbandeggia.
Cosi favella al suo sepolcro avanti.
Se il natal, se la fuga uu fin pareggia,
Che Ila l'umana vita altro che pianti'? 6
Però si badi che i confini tra 1' umor tetro e il giocoso appaiono nell' Ab-
bati assai incerti (e non in lui solo cotesta incertezza si fa manifesta); in-
1 Poesie italiano inedite di dugento autori ecc., IV, 212 sgg.
2 Ili appendice allo studio di B. Guyon, Fin Cito ài Fers e. tu sua pof-sia, Udine, 1897.
3 Cosi incomincia una luui;a frottola intitolata Fttyacilù liwnaiia, tutte dello stesso te-
nore, a p. 290 delle Poesie cit
* P. 338. S'intitola appunto Finisce oi/ni cosa. ■ ■
• * P. 420. S'intitola Caducità delle humaiie cose.
tt P. 437: Che la vita humuna in tutte le quattro età t lacrime.
ea RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
falli cotesto accorato deploratore delle umane miserie compose anche und
faceta, per musica, in lode della morte, la quale incomincia cosi :
Viva la Morte, viva,
Quest'è lina Dea
Che in terra sta,
Che a l' buoni si fa
Tanto pietosa,
Che ne' debiti suoi paga ogni cosa;
e finisce con una preghiera alla pietosa dea di non venir a trovare il poeta
prima ch'egli T abbia chiamata davvero!*
Mi rimetto in careggiata, e proseguo il frettoloso rendiconto.
Il cap. Vili, che abbraccia oltre un decennio (1658-1669) c'informa dei
rapporti del Dottori con la Casa d'Austria, alla quale egli s'era legato col fa-
vore dei Gonzaga, e specialmente di quella Eleonora che fu moglie di Fer-
dinando imperatore, grande amico e mecenate (occorreva ricordarlo) di let-
terati italiani, e poeta anch'esso (come Dio non vuole) in nostra lingua. Ap-
partengono a cotesti anni, oltre a parecchi sonetti ed odi, il dramma per
musica, V Ippolita, alcune non liete vicende domestiche del Dottori (non al-
leviate dall'annua pensione assegnatagli dalla corte absburghese) e due viaggi
da lui compiuti: uno a Vienna, l'altro a Firenze.
Nel IX cap. è riassunta la storia degli ultimi sedici anni non tutti tran-
quillamente vissuti dal Dottori (1670-1 686) ^^rocw? negotiis, e tra le poche cose
da lui composte in questo periodo, meritano particolar menzione le due o-
pere drammatiche : Biauca de' Bossi e Zenohia di Budamisto, sulle quali
il Busetto si trattiene a lungo, cercando di mostrare la " loro importanza
storica nello svolgimento del dramma verso il tipo moderno,.
La Zenobia di Badamisto è una delle tante opere tragi-comiche di cui fu fertile
il nostro seicento. Essa attesta unicamente (se pur non si voglia riconoscere una
prova d'influenza francese nella scelta d'un soggetto che già era stato trattato
dal d'Aubignac e dal Montauban -) l'abbandono delle forme classiche del dram-
ma tragico, eh' è comune in Italia negl' ultimi decenni del secolo XVII. La Zeno-
bia è in prosa, come pure la Bianca de' Bossi, che peraltro s' attiene più fedel-
mente allo schema delle tragedie, e ne conserva anche il coro, esclamante e pia-
gnucolante in prosa. Ora al Busetto parve che * avendo trattato in prosa
un argomento essenzialmente tragico ,, il Dottori facesse, * rispetto alla ge-
nesi e allo svolgimento del dramma moderno, opera non trascurabile „; e che
negli * elementi romanzeschi „ di cui venne " rimpolpando il nudo schema
della tragedia classica ,, nella violata unità di luogo, oltre che " nella gran
parte concessa all'elemento amoroso ,, siano da ravvisare "gli inizj di un
» /i>, p. 316.
!i Veramente la precedenza non ispetta ai Francesi; che già prima del d'Antignac e del
Montauban aveva trattato cotesto soggetto un poeta della corte di Carlo Emanuele I, il geno-
vese G. Antonio Ansaldo. La sua Zenobia regina A' Armenia, di cui darò qualche notizia altrove,
non fu mai pubblicata. 11 nis. che ce la conserva esiste alla Nazionale di Torino, segnato
N. VI, 45. Non porta data; ma per piii di un' indizio sicuro esso appartiene ai primi anni del
secolo XVII.
DfeLLA LElTEtlAtUtlA ITALIANA 83
arte nuova , (p. 215). Bisognerebbe sapere che cosa s'abbia ad intendere
per * dramma moderno ,, prima di decidere se cotesti fatti notati nell'opera
del Dottori preludano veramente ad esso. Comunque, cotesti fatti, nell' ulti-
mo quarto del seicento, erano tutt' altro che nuovi e singolari; poiché, p. es.,
quella prevalenza degli elementi romanzeschi e amorosi nella nostra tragedia
era già incominciata a manifestarsi da un secolo; come sarebbe facile, ma
qui fuor di luogo, a provarsi.
Qualche parola adesso intorno a que' capitoli V e VI che trattano delle
due maggiori opere del Dottori; buoni entrambi, malgrado qualche prolis-
sità e ridondanza (difetto di tutto il libro), e qualche lacuna, che pur vi si
nota.
Dell'asino il Busetto comincia a discorrere rifacendosi dalla storia della
composizione di cotesto poema eroicomico, che fu davvero il primo in cui
riapparissero schiette le forme, il motivo, l'andamento e, in parte, il sapore
della Secchia, sulla quale venne fedelmente, ma non servilmente e non in-
felicemente esemplato, Poi indica le fonti da cui la materia del poema è de-
rivata nel suo sostrato storico; avverte in qual modo essa materia fosse
elaborata, combinata e trasformata dall'autore; nota a quali parti di essa
egU conservasse, in certa misura, dignità e serietà eroica, e a quali altre pai ti
desse espressione comica; divide in più gruppi distinti, secondo la loro
origine o storica o fantastica, il lor carattere comico od eroico, il lor signi-
ficalo satirico, ecc. i diversi personaggi chre vi compaiono appena o vi agi-
scono. Gotesta rassegna di personaggi àeVi' Asino è assai diligente, minuta;
né sarebbe stato male se il Busetto l'avesse in qualche parte abbreviata;
che, a dir vero, non tutte quelle varie figure e figurine del Dottori hanno
rilievo e contorni cosi spiccati e singolari '<la fermar l'attenzione. Piuttosto
avrefi preferito ch'egli s'indugiasse alquanto di pili intorno a qualche per-
sona degna di nota, che passa quasi inavvertita nella lunga schiera delle
figure pili comuni. Sono poche, p. es., le cinque linee che il Busetto (p. 125)
dedica a Desmanina, moglie ripudiata d'Ezzelino il Monaco; intorno alla
quale sospira d'amor silenzioso il cavalleresco conte Ardiccione di Peraga,
che rispelta, tacendo, la virtù e il dolore della donna sopraffatta dall'onta
dell'ingiusto ripudio (cfr. e. I, st. 30.' sgg.) e tutta assorta nei chimerici sogni
di vendetta, che la porteranno poi ad affrontare in campo il marito scono-
scente, ed a morire contenta sotto i colpi di lui^c. IV, st. 14.* sgg.). Il ro-
manzesco ed il tragico di quella storia d'amore non somiglia in nulla a ciò
che di pili serio v'ha nella Secchia; dove anche il famoso episodio degli
amori della Luna e d'Endimione, cantati da Scarpinello (e. Vili, st. 46.* sgg.),
finisce in una sghignazzata. Ora non il solo episodio che ho richiamato, ma
anche altre parti dell'^siMO hanno impronta e intonazione luti' altro che eroi-
comica; e alla frequenza di tali elementi era da dar qualche peso nel con-
siderare il poema del Dottori in relazione cogli altri poemi congeneri. Se-
condo me Y Asino è il nostro poema eroicomico in cui l' intonazione e il co-
lorito proprj del genere sono meno continui; e perciò, se parrai giusto il dire
che " l'imitazione tassoniana è pili larga „ in e»so che non in qualsiasi al-
tro poema della medesima famiglia, non sono ben persuaso che in esso sia
* pili compiutamente raggiunta la fusione del faceto col serio ,; né che
^ tlASSfiONA BlfiLIOGRAFlCA ■■■
* meno degli altri poemi eruicomici V Asino risenta l'influsso dei poemi epici
e dei romanzi eroico-galanti del tempo „ (p. 145). Piuttosto consentirei nel
ritenere che il poema del Dottori, sia effettivamente pervaso d' " un forte
realismo, e che l'essenza di questo realismo sia eminentemente satirica ^
(p. 131). Il Busetto ha analizzato assai bene il contenuto satirico deìV Asino,
distinguendone i varj motivi e soggetti (e ha fatto cosa opportuna, anchQ
perché da chi, or non è molto, fu studiato l' elemento satirico nei poemi
eroicomici, * il poema del Dottori fu trascurato affatto) ; sennonché parmi che
nelle pagine dedicate a cotesta ricerca egli non abbia rilevato un degli ac-
cenni satirici più vivi e nuovi che vi compaiono, voglio dire il ritratto
del menante, curioso, indiscreto, disinvolto cacciator di novelle da spacciare
negli avvifi; voglio dire il ritratto di Mercurio giornalista (e. II st. 40 sgg.).
Lungamente il Busetto discorre anche dell'Aristodemo, né io potrei qui
riassumere, neppure per sommi capi cotesto capitolo che si stende per 35
grandi pagine. L' Aristodemo fu composto fra il '53 e il '54 e rappresentato nel
maggio di quell'anno a Padova con successo, per tre volte consecutive, da
dodici giovani cavalieri; stampato non fu che nel '57, dopo che l'autore lo
ebbe ritoccato e corretto secondo gli avvisi del principe Leopoldo di Toscana
e di Giro de'Pers. Raffrontata la tragedia al racconto storico di Pausania,
che le servi, di fonte, il Busetto si ferma a rilevare la larghezza con cui il
Dottori interpreta le regole delle unità, e gli dà special lode di tale " indi-
pendenza artistica „ (p. 154). Veramente non parmi che fosse il caso di guar;
dare con soverchia ammirazione e meraviglia un procedimento tutt' altro che
unico e nuovo; che il Dottori, estendendo la durata dell'azione a 48 ore,
fece .ciò che' da alcuni in teoria erasi già concesso, e da parecchi in pratica,
erasi già fatto. Quanto poi all'abbondanza degli episodj, essa non è taled^^
costituire eccezione; ben pili ricche ne sono non poche tragedie della se-
conda metà del cinquecento e d«l seicento. Rassegnati i luoghi àeìV Aristo-
demo in cui traspare qualche imitazione o reminiscenza, anche lontana, dei
tragici greci e di Seneca, il Busetto espone i giudizj dei contemporanei sulla
tragedia del Padovano, e poi quelli de' critici più tardi o recentissimi; fer-
mandosi specialmente ad esaminare un' accusa più volte ripetuta contro lo
stile deW Aristodemo, che parve a molli troppo lirico. " Ciò è vero , — conr
fessa il Busetto — " e di tal difetto noi possiamo veder la cagione nella
struttura metrica della tragedia, eccessivamente - abbondante in parecchi
tratti drammatici, di settenari e di quinari, e nell'indole artistica del poeta
non meno che nelle condizioni dell'animo suo quando scriveva o, megUo.
rifaceva. ì' Aristodemo. In quegli anni, come appare dal suo epistolario, soffrj
assai d'ipocondria e di mal di stomaco e nel 1657 gli mori la moglie; ^
appunto di que' giorni la lettera con la quale accompagnava V Aristodemo
al card. Rinaldo, dicendo che aveva imparato a scriver tragedie dalle suq
vere „ (p. 163). Con ciò non parmi che il lirismo deW Aristodemo sia chiar
ramente, sufficientemente spiegato. La frequenza de' versi rotti è propria au:
che d'altre tragedie, né per questo il loro stile brilla di fosforescenze liri-
che. Chi oserebbe,'?, es., di sostenere che sian hrici i prosaicissimi settenari
l Q. Zaccagnini, uegll Sludj di leUeralura italimia, Napoli 1900, HI.
DELLA LiiTTERAtURA ITALIANA 85
e quinari che lo Speroni adoperò nella Canare, coli' intento d' imitar meglio
— con que' versi — i quali escono, egli diceva, frequentemente, spontanea-
mente dalle labbra di chiunque parli — il discorso improvviso e comune?
Anche V ipocondria, il mal di stomaco, ecc. non bastano, secondo me, a spie-
gare il famoso lirismo del Dottori : che andava piuttosto considerato in re-
lazione ad alcuni fatti stilistici evidenti in tragedie della fine del cinquecento
e del seicento, nelle quali s'accentua una specie di reazione contro quel
canone di piana e languida semplicità, che s'era formato sull'esempio e sui
precetti del Trissino e d'altri. Uno dei primi a dire aperto che lo stil tra-
gico poteva assorgere alle forme più ornate e concitate della espressione
poetica, e valersi di quel parlar figurato eh' eragli stato interdetto, fu appunto
un contemporaneo del Dottori, il p. Sforza Pallavino. Ma intorno a questo
punto vi sarebbero molte cose da aggiungere, che mi condurrebbero a di-
lungarmi oltre il lecito.
" Due qualità nuove „ scrive il Busetto " o quasi nuove (non ancora bene
osservate) contraddistinguono 1' Aristodemo . . . , cioè la ben riuscita rappre-
sentazione del tipo femminile in Merope e Anfia ... e (quel che più im-
porta) l'elemento amoroso dominante cosf che da esso dipendono l'anno-
darsi e lo scioglimento dell'azione „ (p. 164). Delle due cose, quella che più
importa, fu già osservata (bene o male) anche da altri; ed ha effettivamente
una certa importanza, ma non quale il Busetto se la figura ; e non direi che
deW elemento amoroso il Dottori fosse primo a far cosi * largo uso , (p. 179).
Oltre ai tragici nostri che ivi il Busetto ricorda, altri, della fine del cinque-
cento, avrebbero potuto fornirgli materia d'utile confronto, e persuaderlo che
V elemento amoroso s'era già accampato da molti anni come assoluto signore
sulla scena tragica. Può servire d'esempio tipico V Adelgiso dello Zinani.
Dopo essersi indugiato, forse più che noti convenisse, a ribattere certe cen-
sure date dal Beneducci al Dottori, e a svolgere le lodi fattene dal Pagani-
Cesa, il Busetto raffronta V Aristodemo al cosi detto tipo tragico francese, no-
tando qualche * notevole affinità , di cotesla nostra tragedia, * col teatro
d'oltralpe , (p. 150); e conclude che ' V Aristodemo di Carlo Dottori, benché
difettoso riguardo allo stile , (troppo facilmente, secondo me egli ha con-
cesso questo famoso difetto, e s'è dimenticato di notare in che lo stile tra-
gico del Dottori s'avvantaggi in calore e in movimento su quel più comune
dei gelidi e compassati nostri tragedi del cinquecento) " è una delle pochis-
sime tragedie buone del nostro secenlo; e sebbene modellato sullo stesso
stampo' classico . . . , segna un notevole passo nell'evoluzione verso quel tipo
di tragedia italiana che s'affermò coll'Alfieri „.
In che il Dottori precorra e preannunzi l'Alfieri, per me — lo dichiaro —
non so vederlo; ma non imporla, e concludo alla mia volta anch'io, affer-
mando con convinzione, che, malgrado qualche esuberanza ed inesperienza
giovanile, qualche giudizio non ben dimostrato né forse dimostrabile, e la
tendenza ad accrescere più che non fosse giusto l'importanza e il merito del
suo autore, il Busetto ha fatto opera utile nel complesso, e in più d'una
parte buona e lodevole,
UMILIO Bertana.
86 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Letterio Di Francia. — Franco Sacchetti novelliere. — Pisa, Nistri,
1902 (8.0 gr., pp. 344). Estratto dagli Annali della B. Scuola
Normale superiore di Visa, Voi. XVI.
Le novelle di Franco Sacchetti sono un attraente argomento
di studio, e tanto più dovevano allettare qualche giovane, in
quanto non si aveva di esse una illustrazione larga e coscenziosa;
onde si può dire che sia stato bene ispirato il sig. Di F. accin-
gendosi a questo lavoro, che ha compiuto almeno con grande
amore. E questo grande amore gli deve valere perché, se nel
libro si trovan delle mende, come credo, non si dia ad esse
troppa importanza.
Però prima di parlare dell'opera, il Di F. ci ha voluto ri-
presentare l'autore, ed ecco che il cap. 1 s'intitola appunto Vita
di Franco Sacchetti. Nell'avvertenza il nuovo biografo ci dice
che non si è « curato di interrogar gli archivj perché sapeva che
altri a ciò attendeva da varj anni »: nemmeno ha tratto partito,
quanto avrebbe potuto, dal canzoniere del Sacchetti: anzi, se ta-
lora ne ha riportati dei versi, li ha citati quasi sempre dalle
stampe dell' Allacci, del Carducci e di altri, invece che dal pre-
zioso autografo laurenziano. Abbiamo dunque una nuova bio-
grafia del Sacchetti provvisoria; sicché forse l'autore avrebbB
potuto rinunziare affatto all' idea di descriver la vita del piacevole
trecentista (eh' era cosa non richiesta necessariamente dal tem»
propostosi), contentandosi di far vedere lungo il suo studio quanto
lume si può trarre dal Trecehtonovelle per conoscere le vicende
e il carattere dello scrittore. Nonostante egli determina meglio la
cronologia della vita di Franco * e dà rilievo alla sua figura, stu-
diandolo in relazione ai fatti, ai quali esso partecipò, se non sem-
pre coli' opera, almeno col sentimento.
Colle notizie biografiche s' intrecciano osservazioni sulle qua-
lità morali, delle quali poi si parla di proposito, per compiere il
ritratto, nelle ultime pagine del capitolo ; il qual ritratto sarebbe
riuscito più intero, se si fosse tenuto conto, come meritavano,
delle corrispondenze poetiche, che occupano un posto notevole nel
1 AI Di F.,coine già a tnc, è sfuggito che il priorato del 1383 pare sia da trasportarsi
al 1384. Si veda Ln Vita IMinmt mi ihias(iiiieiilo,Mi\ano, .893,1, lOC. Clic Franco dove re-
carsi a Genova pili d'una volta, non è il primo il Di F. a osservarlo : si veda la n. 1 a p. 306
dell'ed, Sonzogno delle Novelle, la sola che ora ho a mano.
DELI.A LETTERATURA ITALIANA 87
canzoniere sacchettiano. 11 Di F. fa notare la serenità d'animo,
l'amor di patria e della famiglia, la fede salda e profonda, la
probità, il buon senso naturale che distinguono il suo autore, e
discorre pure della cultura di esso, che dichiara « molto limi-
« tata » (p. 39)^: conclude dicendo che «come nella vita, così
« nelle opere, il Sacchetti rimase schiettamente trecentista » (p, 42).
Il cap. II è dedicato ai Sermoni evangelici, perchè, avendo questi
« molti punti di contatto » con le novelle, il Di F. ha creduto
bene di fermarsi su di essi prima di parlare dell'opera più nota
di Franco: e ne fa un esame diligente, forse alquanto minuto, se
si ripensa ai titolo del libro. Discute prima il tempo della compo-
sizione, concludendo che deve porsi « fra il 1378 e il 1392, ma
più vicino a quella che a questa data » (p. 45): quindi discorre
della loro costituzione, del contenuto e della forma, lasciando
da parte gli aneddoti, i quali sono studiati separatamente nel
cap. III. In questi Sermoni s' intrecciano questioni dogmatiche
con altre riguardanti la disciplina ecclesiastica e la morale;
delle quali alcune possono avere una qualche importanza e ser-
vire a penetrar meglio lo sguardo nella vita del sec. XIV; ma
« ce n' è parecchie di inutili e oziose » (p. 53). Il meglio si può
dire che consista nelle tirate satiriche e nei paragoni « presi per
lo più dalla vita comune, famigliare » (p. 62). Del resto di quk-
rantanove sermoni, uno solo, il 2", « si distingue da tutti gli
altri per maggior compostezza e diciamo pure per vera bellezza »
(p. 60): i rimanenti, dal più al meno, sono « un accozzo di varie
questioni, di esempj, di digressioni narrative ed erudite senza
legame » (p. 47). Né rispetto all'arte c'è molto da rallegrarsi:
se l'andatura del periodo è « più corretta », è anche « più fati*-
cosa che nelle novelle » (p. 65); se la lingua è più scelta, è
anche spesso infarcita di latinismi. Dopo ciò mi meraviglia che il
Di F. alzi la voce contro di me, per avere io chiamato il Sac-^
l A proposito della cultuia del Sacchetti in relazione coll'arte sua, il DI F. ci dà dne
giudizj, l'uno a breve distanza dall' altro, cbe non vanno molto d'accordo. Infatti a p. 38
dice cbe « Franco era nato artista,... e la scarsa cultura, in luogo di miocergli, serbò intatte
« le qualità delle sua mente; fortuna per noi, perché, invece di uno scrittore originale, schietto
• e colorito; avremmo avuto un compositore di libri in latino ecc.. . »: ma poi a p. 39 aiferma
che quella di Franco « fu una mezza cultura, che assai spesso, invece di giocare, gli uocque,
« perché nelle poesie, ad esempio per la mania di mostrarsi istruito, fece a volte delle
« tiritere noiosissime.. . le quali guastano la freschezza dell'ispirazione ». Si veda pure a p. 56.
Parlando della « libreria « di Franco mi pare che il Di F. sia un po' arrischiato. Non è
necessario cbe egli conoscesse e tanto meno possedesse tn'.te lu opere di cui citava qualclie
passo con esattezza. Cfr. questa Rassegna, 1899, p. 86.
58 RASSEONA BIBLIOGRAFICA
chetti « il più arido e il pili goffo degli ascetici italiani del suo
tempo » 1 e che, avendo io detto che i Sermoni « non attestano
né ingegno aperto, né fervore di cuore nell'autore », esca in que-
sta espressione: « Riguardo airiu<2;egno aperto e al fervore di
cuore, mi permetto di osservare che è troppo arrischiata e for-
s' anche presuntuosa l' affermazione del Volpi ». (p. 64). Che ci
abbia che fare qui la presunzione, non so veramente; questo però
è da osservare, che, se io non ho trovato « fervt.re* di cuore »
nei Sermoni, il Di F. ci dice che Franco discorre di religione
« quasi sempre con la mente fredda del critico teologante, rara-
mente col cuore» (p. 48) e « si perde in fredde considerazioni-»
(p. 61) ; se io non ho visto nel Sacchetti ascetico « apertura di
mente» e l'ho giudicato «il più arido e il pia goffo degli asce-
tici italiani del suo tempo », il Di F. trova che egli abusa del-
l'allegoria e della retorica; « e specialmente l'allegoria è il più
delle \ ohe goffa, stentata, noiosa come quella de^piUgoffì, scrittori
del Medio Evo » (p. 60), e che quando il buon Franco « vuole
commuovere, si gonfia (!) per dar fuori una fantasia, che vorrebbe
essere grandiosa ed è invece — almeno per noi — goffamente
« barocca »'(p. 61). Tanto che concludo che la migliore dimostra-
zione e conferma che potessi aspettarmi dei miei giudizj, l' ha data
appunto colle sue osservazioni lo stesso mio contraddittore.
Vero è che per spiegare l'imperfezione dei Sermoni il Di F.
si appiglia a un'ipotesi, di cui si compiace: anzi per lui non è
un'ipotesi, ma un fatto certo: i Sermoni sono semplicemente ab-
bozzati e sarebbero stati qualche cosa di meglio, se avessero
avuto una maggiore elaborazione e l'opera della lima. Argo-
mento per concludere cosi è unicamente quella stessa imperfe-
zione, che si vuole in certo modo giustificare. Io non dico che ciò
sia impossibile; ma mi pare che per affermare con sicurezza quanto
afferma il Di F., occorra qualche altro argomento. Si poteva ri-
cavare qualche cosa dallo stato del testo dei Sermoni nel mano-
scritto autografo; se non che il codice laurenziano dà torto al
Di F., perché son tutti argomenti contrarj alla sua tesi la scrit-
tura chiara e ordinata, come di chi copia cose già preparate; le
pochissime correzioni ed aggiunte (se ne incontran forse più nel
Canzoniere); la mancanza di segni indicanti pentimenti; il fatto
stesso che i Sermoni si trovano in un volume, che contiene scritti,
come le poesie, certamente elaborati e fissati nella forma defini-
i U 'IVecevto. Milano, VaUardi, p. 198.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 89
tiva. E poi come si concilia questa idea dell'abbozzo con l'os-
servazione fatta dallo stesso Di P., che nei Sermoni la sintassi è
più sostenuta e la lingua pili scelta che nelle novelle? Ma an-
che ammettendo per indubitato che queste scritture siano poco
più che appunti da essere integrati e corretti, che si guadagna?
Poco, al mio parere. Quando leggo certi pensieri dei Sermoni, provo
un senso di pena; e considero che se anche fossero espressi con
più arte, non potrei riceverne una buona impressione; perché il
male sta nella sostanza, nella maniera di concepire certe cose,
non nelle maniera di esporle.
Nel cap. Ili si esaminano le 15 novelle che Franco inserisce
nei Sermoni; e la conclusione è che « più di dieci derivano sicu-
« ramente da fonti scritte, una o due probabilmente furono at-
« tinte alla tradizione orale » e due « pur derivando degli scrittori
« latini » subirono forti cambiamenti (p. 85). E cosi si vede la
differenza che è tra questi racconti e quelli del Trecentonovélle :
i primi ci riconducono più all'antichità e alla leggenda e i se-
condi invece ci fanno partecipare alla vita del tempo dell'autore.
Argomento del cap. IV sono la cronologia e la fortuna del
Trecentonovélle. Prima però della cronologia il Di F. vuol toccar
la questione della composizione delle novelle. Egli ci dice che
« bisogna far distinzione fra composizione e riordinamento delle
« novelle » (p. 87), che queste furono scritte alla spicciolata e « poi
« ordinate nella raccolta cosi come stanno » (p. e), coli' aggiunta
del proemio e delle moralità. Quello dunque che risulta chiaro
dalle parole del Di F. è che i commenti alle novelle sono, secondo
lui, di qualche tempo posteriori alle novelle stesse; ma se queste
siano disposte secondo il tempo in cui furono scritte, oppure or-
dinate secondo un criterio diverso dal cronologico, è questione
che non si propone. ^ Quanto alla cronologia, il Di F. conferma
l' opinione del Gaspary che l'opera sia cominciata nel 1392 e
compiuta dopo il 1395. Discorrendo della fortuna di essa fa ve-
dere come Franco, assai conosciuto come novellatore nel suo se-
colo, fu in quello appresso dimenticato, e dal cinquecento ad oggi
è via via cresciuto nella considerazione degli studiosi. Cosi siamo
finalmente al capitolo più importante: Il Trecentonovélle: Fonti e
riscontri.
Seguire passo passo il Di F. nella sua faticosa ricerca sarebbe
i A giudicarne da quel che il Di F. dice a p. 104 parrebbe ritenesse che Franco avesse
9eguito un ordine logico; ma poi a p, 292 si esprime diversamente.
1
90 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
impossibile: mi studierò di dare, per quanto posso, un'idea chiara
del metodo seguito e dei resultati ottenuti. Questa illustrazione
delle novelle sacchettiane si può dire che è di due specie: da una
parte il Di F. ha procurato di raccogliere notizie intorno ai per-
sonaggi a cui si attribuiscono le avventure, dall'altra è andato
cercando racconti ed aneddoti che abbiano più o meno relazione
colle avventure stesse; e non solamente ha frugato nelle raccolte
medioevali, ma ha pure avuto l'occhio cosi a scritti posteriori al
Sacchetti come alla tradizione vivente, per trovare indizj da cui
potere argomentare, almeno come possibile, la provenienza della
narrazione del suo autore.
Il Di F. ha avuto la buona idea di raggruppare le novelle
secondo i personaggi o secondo la materia; e cosi il cap. V è
diviso in paragrafi, alcuni dei quali hanno dei titoli generici {Re
e principi, Potestà e giudici ecc.), altri hanno per titoli nomi di
protagonisti {Bernabò Visconti, Basso della Penna ecc.), altri non
hanno un unico titolo; ma comprendono novelle diverse. Forse
si poteva fare a meno di questa terza categoria, e sopra tutto
si poteva evitare che sotto un certo titolo si trovassero novelle
che con esso non avessero che fare, come, ad esempio, quella di
Coppo Domenichi, che è compresa nel gruppo intitolato Giotto e
Buffalmacco (§ XVIII). Ancora si sarebbe potuto disporre i di-
versi gruppi secondo un certo ordine e alcuni fonderli insieme,
perchè oltre al comodo della trattazione si sarebbe raggiunto un
altro scopo, quello di disegnare meglio certi tipi e presentarli
più nitidi e tutti in un tratto all'osservazione del lettore. Può
essere che un filo sottile sfuggitomi leghi i diversi gruppi di no-
velle nell'ordine che loro ha dato il Di F.; ma, per esempio, non
apparisce quanto opportunamente Basso della Penna, l'arguto
albergatore, stia fra due signori, Bernabò Visconti e Rodolfo da
Camerino; il Gonnella e Dolcibene li vedremmo volentieri ac-
canto, senza i predicatori di mezzo, anzi tutti i buffoni grandi e
piccoli si farebbero buona compagnia, mentre qui sono sparpa-
gliati: lo stesso si dica dei pittori e dei medici.
Il campo è vasto; e quindi, anche se il mietitore si è mo-
strato infaticabile, non deve far maraviglia che nella illustrazione
delle novelle sacchettiane resti ancora da spigolar qualche cosa.
Intanto, per parte mia, fo le seguenti aggiunte e osservazioni.
Le lasagne bollenti che obbligano a piangere (p. 126) ricordano
la novelletta dei frati che mangiano il migliaccio, narrata nel
Morgante (XVI, 42 e 43). A proposita di Amerigo da Pesaro e
DELLA LETTERATURA ITALIANA 91
delle leggi contro il lusso delle donne fiorentine (p. 138) si po-
teva ricordare quel che ne dice Guido Biagi nella Vita italiana
del Rinascimento, I, 106 e 107. A certe storpiature del Pater
nostcr (p. 156) allude anche Simone Serdini {Giornale stor. della
ìett. ital., XV, 42), Il taglio insegnato da Bartolino farsettaio (p. 165)
è argomento dì un sonetto di Luigi Pulci (n. XI dell' ed. del 1759).
Che quel messer Rossellino della Tosa della nov. 126 possa es-
rere messer Rosso della Tosa morto nel 1309 (non nel 1308)
(p. 194) non mi pare; prima, perché i diminutivi e i vezzeggia-
tivi dei nomi propri avevano in quel tempo più importanza che
non si creda per distinguere le persone, e poi perché nei docu-
menti, accanto al più noto messer Rosso della Tosa si trova no-
minato anche un Rossellino della medesima famiglia (v. Del
Lungo, Dino Compagni ecc. II, 413, in nota) da non confondersi, cre-
do, col feditore omonimo della battaglia di Montecatini, e che invece
potrebb' essere quel Rossellino della Tosa che i commentatori di
Dante c'indicano come marito di Piccarda Donati, forse quello
stesso che fu potestà di Montemurlo nel 1291 e nel 1292 e di
Modena nel 1297 (Gherardi, Le constdte della Rep. fior., II, p. 595,
664 e 666). Che il ser Ciolo della nov. 51 sia la stessa persona
che Ciolo degli Abati, quello del proverbio e del Novellino (p. 204),
non è impossibile; ma non c'è da fidarsi troppo della corrispon-
denza del nome solo, tanto più che il personaggio del Sacchetti
ha il titolo di sere, che manca tanto nel Novellino, quanto nel
proverbio. Si può aggiungere che nel Novellino Ciolo Abati è pre-
sentato semplicemente come un amico che va a trovare 1' amico :
non abbiamo veramente il parassita del Sacchetti. Per Massaleo
degli Aibizzi (p. 207) si veda, invece dell'Ammirato, l'opuscolo
di P. Papa: Rime di ser Matteo di Landos^o degli Alhizsi (Fi-
renze, 1895. Nozze Bacci-Del Lungo). La preferenza di Valore di
Buondelmonti per la macina del grano (p. 233) mi ricorda queste
parole d'una lettera di Luigi Pulci: «Or sia alla buon' ora! Di-
« cono molti che l' oro, le pietre preziose, il reobarbaro, l' azzurro
« oltra marino sono d'assai prezzo; a me pare la farinn. Viva dun-
« que la farina in secula sectdorum! » (Lettere, Lucca, 1886, p. 26).
Le conclusioni a cui giunge il D. F. sono notevoli. Di 218
novelle, mentre gli accessorj « sono storici in quasi tutte », (p. 286)
solamente 91 hanno resistito alla dotta analisi del critico e si
possono considerare veramente storiche; le altre sono o tra-
dizionali o miste o dubbie. ^
i A prop.)sito del numero piuttosto grande delle novelle tradizionali trovate nel Sac-
clietti, il Di F. a p. 104 si esprime cosi: n In questa ricerca abbiamo fiducia di giungere a
92 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Il cap. VI s'intitola Valore estetico della materia e della forma.
Il Di P. fa notare la difiFerenza tra il Sacchetti e il Boccaccio e
COSI riassume le sue osservazioni : «... la novella del Sacchetti è
« essenzialmente realistica, aneddotica, esteriore e di costume, men-
« tre quella del Boccaccio è essenzialmente romanzesca, psicolo-
« gica, di carattere » (p. 294). Farmi, però, esagerato il dire che
l'autore non raggruppò le novelle «secondo certi argomenti o
« personaggi o categorie di personaggi » (p. 292) e che fra esse
si avvertono solo deboli legami esteriori. Non ci sembra che ciò
possa dirsi, quando su Basso della Penna si hanno quattro no-
velle di seguito (18-21); altre quattro di seguito su Rodolfo da
Camerino (38-41); due su Dolcibene (24 e 25); due su Ribi (49
e 50); due gruppi di due sul Gonnella (173 e 174, 211 e 212).
Le novelle 220-225 costituiscono un gruppo per l'affinità della
materia e lo stesso Pranco ci avverte al principio della nov. 226
d'averne consapevolezza: « Alcuna inframmessa è da dare a questi
« inganni.. . ». E altre frasi simili si potrebbero citare contro l'af-
fermazione del Di F., il quale del resto non si è ricordato d'a-
vere scritto a p. 104 che il novelliere « spesso congiunse insieme
« novelle dello stesso genere o le raggruppò intorno a certi tipi
« a lui cari ».
Dopo aver confrontato il Sacchetti anche con altri novellieri
contemporanei, il Di P. passa a studiare l'opera sua in se stessa.
Pranco coi suoi racconti ci tiene vicini a lui nell'ordine del tempo,
come dello spazio e ci fa rivivere la vita gaia e spensierata del
suo secolo. La sua è un'arte di mezzo (e qui il Di P. si trattiene
a combattere coloro che giudicano artista inconsapevole il Sac-
chettti delle novelle) che sta tra quella complessa del Boccaccio
e quella semplice e primitiva del Novellino. Il Sacchetti non sa
comporre novelle complicate, né sfoggia immaginativa; ma ascolta
e raccoglie, rappresentando specialmente la realtà esteriore con
(qualche risaltato nnovo, almeno rispetto all'assoluta e ardita affermazione del Volpi, il
quale di 223 novelle sacchettiane crede che ' solo due appartengano alla specie delle no-
« Telline tradizionali medioevali'». Ma la citazione non è esatta: io non sono stato assoluto,
né ardito. Non avendo né tempo, né modo (e neanche, dirò, l'obbligo) di riscontrare se tutte
le novelle del Sacchetti che hanno apparenza storica fossero veramente storiche, cosa dif-
ficile, perché, come ben dice lo stesso Di F., « pochissime » di quelle tradizionali « potreb-
« bero riconoscersi come tali a occhio nudo, perché il novelliere. .. si è ingegnato di com-
« porle nella verità >, (p. 105) scrissi cosi: «... sono fatti quasi esclusivamente di colore sta-
di vico. . . . Solo due delle novel le mi sembra che facciano eccezione e appartengano alla specie
I delle novelline tradizionali ecc. ». Ora il Di F. lascia la prima frase, dalla seconda leva il
sembra; e cob) dà un altro aspetto all^ cosa.
DBLLA LETTERATURA ITALIANA 93
evidenza, sempre presente e sempre pronto a mettere innanzi la
sua persona. Discorrendo delle specie dei personaggi e dei loro
caratteri il Di F. torna al confronto col Boccaccio ; ragiona quindt
delle moralità, delle diverse specie di comico, dell'umorismo.
Aspettavo con una certa curiosità di vedere trattato l' importante
argomento dello stile e della lingua; ma una nota ci avverte che
l'autore, non volendo « abusare troppo dell'onorevole ospitalità»
(p. 323), concessagli negli Annali dell'Università pisana, si è do-
vuto contentare di pochi cenni generali, ai quali bastano tre pagine.
Concludendo, questo del Di P. è un lavoro nel quale possono
notarsi esuberanze e deficienze, ma che, nel suo complesso, è utile.
La parte migliore per la copia dell'erudizione e per la novità
delle conclusioni mi pare quella che riguarda le fonti del Tre-
centonovelle; e, nonostante le mende notate ed altre di minor conto,
si può dire che l'autore rivela alcune buone attitudini alla critica
letteraria e un ingegno bisognoso pili di freno che di stimolo.
Guglielmo Volpi.
Arnaldo Dklla Torre. — Di Antonio Vinciguerra e delle sue satire.
— Rocca S. Casciano, Cappelli, 1902 (8.", pp. 255).
Alla serie, già numerosa, delle monografie illustranti singoli
autori del Rinascimento nostro, viene ad aggiungersi, in buon
punto, questa del Della Torre.
In buon punto, dico, perché del satirico veneziano che ne è
l'oggetto, molto si parlava, ripetendo, sino ad ora, ma senza che
l' opera sua fosse stata mai sottoposta a quell' esame che solo
poteva permettere di parlarne con «conoscenza di causa».
L'A. è giovane operoso, già favorevolmente noto agli studiosi;
ma giova rilevar subito che questo lavoro, sebbene venuto in luce
ultimo dei suoi, è, se non erriamo, il primo da lui pensato e com-
posto, onde non è a stupire se serba ancora molte delle incertezze,
deficenze ed incoerenze proprie della prima redazione.
Il libro si divide in due sezioni distinte, l' una, storico-biogra-
fica, l'altra, letteraria; quella, diciamo subito, senza confronto più
nuova ed utile e concludente di questa.
L'A. ammette col Cicogna l'origine recanatese della famiglia
Vinciguerra, ma non approfondisce l'indagine e l'opinione sua
non conforta, come avrebbe potuto, con l' analogia di altre con-
simili immigrazioni sulle Lagune compiute da famiglie dell'Italia
centrale - e propriamente dal versante adriatico, Marche e Ro-
magna - che diedero anche buoni cultori alle lettere nostre. Da
94 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Rimiui, p. es., passò a Venezia un gruppo d'immigrati, fra i quali
il padre di quel Giovan Battista Rarausio, che proprio in questi
giorni ha avuto un diligente e sagace illustratore, nel dott. Antonio
Del Piero. 1
Oriundo dunque da Recanati, ma veneziano di nascita, sebbene
non di condizione patrizia, il V. dovette nascere fra il 1440 e il '46,
dacché un documento fatto conoscere dall' A., ci informa che il
29 settembre del '58 il giovane Antonio teneva già V officio di
donzello del Maggior Consiglio. Da questo punto il D. T. cerca di
seguirlo nei primi suoi studj e in quelli degli anni più maturi,
raccogliendo buone notizie sulle relazioni letterarie di lui con
Giovanni Caldiera, che gli fu maestro in umanità e potè ispirargli
il culto di Dante, con Gian Mario Pilelfo,^ con Giorgio Merula,
e coi letterati fiorentini, specialmente il Ficino e il Landino.
Ma la relazione più saliente nella vita del V. fu quella con
Bernardo Bembo, che egli accompagnò come segretario nelle varie
ambascerie, in Ispagna (1468-69) e per due volte a Firenze (1474-76
e 1478). E peccato quindi, data l'importanza di questa relazione,
che l'A. non sia riuscito ad aggiungere nulla a quanto era già
noto, sovrattutto per lumeggiare l'aspetto letterario di essa.
•Veramente solo nell'ambasceria fiorentina del '74 il V, è de-
signato col titolo di secretarius, mentre prima era uno dei notai
(scribae) della Cancelleria. Ora, appunto in questo officio e in una
particolare attribuzione, che al nostro come a letterato poteva
essere data, credo debba ricercarsi l'origine e la ragione di quel-
l'altro titolo o soprannome di Cronicus o Cronico, con cui lo ve-
diamo frequentemente menzionato e per la cui spiegazione il
D. T. non tenta neppure una congettura qualsiasi. Che quell'epi-
teto potesse equivalere a Croììista, è reso più probabile dal fatto
che il V., reduce dalla sua missione nell'isola di Veglia, compilò
una Cronica di quali' isola e degli avvenimenti che la riguarda-
vano, la quale, segnalata già da A. Zeno, che la possedeva fra i
suoi codici, fu modernamente data in luce, come ricorda anche
l'A. (p. 56).
Il quale ci off're un'idea abbastanza compiuta dell'attività con-
tinua spiegata dal Secretarlo veneziano, informandoci delle altre
sue numerose missioni, che furono tutte politiche e diplomatiche.
i Della vita e degli nliidi di 0. lì. ìiamviio, Venezia, 1902, efr. pp. 5-6. (Kstr. dal .V. Aich.
\emto, N. S., t. IV, P. 2).
« n D. T. ricorda opportunamente l'epistola poetica con la quale il Filelfo rispondeva
ad mi'altra del V.; ma doveva avvertire che quelle lodi sbardellate, ond' erano prodighi gli
umanisti, lungi dall'essere prese allii lettera, meritano «l'esser poste in quarantena o per lo
meno attenuate di molto.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 95
eccezion tutta per una curiosa, una specie d'incarico tra scienti-
fico e politico-amministrativo per la compilazione d'una carta del
Friuli (p. 43). Il cronico, per ragioni del suo officio, diventa dun-
que anche cartografo. Queste notizie il D. T. attinge in gran
parte dall'Archivio veneziano, ma buona parte di esse erano già
da più che mezzo secolo conosciute per mezzo degli Annali Veneti
di Domenico Malipiero, quelli che il Sagredo, loro editore, giudicò
« splendido monumento di storia italiana ».^ Gli Annali non hanno,
naturalmente, quella copia ed esattezza d'informazioni che i do-
cumenti officiali ci forniscono, ma derivano, è chiaro, in gran parte
da essi e li integrano per quei casi nei quali le ricerche dell'A.
sono rimaste infruttuose. Quando invece fra i documenti e gli
Annali ci sia disaccordo, ^ dovremo dar torto ai secondi, purché
la colpa non sia dell'editore, non sempre esatto nel ricostruirne
la cronologia.
Fra le missioni sostenute dal V. una delle più delicate fu quella
affidatagli nel settembre del 1486, allorquando, revocato Antonio
Loredan dall' ambasciata di Roma sotto l' accusa di sodomia, fu
mandato il nostro secretano a reggerla temporaneamente in at-
tesa del nuovo titolare (pp. 66 sg.). Peraltro su questa faccenda
è doveroso notare che gli Annali ci fanno sapere ciò che i docu-
menti consultati dall'A. non dicono — o pajono non dire — che
la brutta accusa onde fu colpito il Loredan, era aggravata da
un'altra, cioè dalla violazione e comunicazione di segreti d'offi-
cio, ma che, sebbene fosse condannato in contumacia a dieci anni
di bando, l'ambasciatore fini con l'essere assolto « per esser sta co-
« gnussù che la imputazion era calunniosa ». ^
Secondo il D. T. (pp. 77-80) il V., inviato a Bologna, presso
Giovanni Bentivoglio, capitano generale della Lega contro Car-
lo Vili, con decreto del 10 giugno 1495, vi sarebbe rimasto inin-
terrottamente sino alla fine dell' agosto '99. Invece dagli Annali
si apprende che durante questo periodo di tempo il solerte segre-
1 'SeW ArchMo stor . Hai., t. VII della prima S., 1843.
2 II caso più curioso di discrepanza è quello che si riferisce alla calda richiesU che
papa Innocenzo Vili fece nel gennaio 1488 al Consiglio di Venezia per avere presso di sé,
ai propri servigj, il Vinciguerra. Mentre i documenti citati dall'A. (pp. 71-2) c'informano che il
Consiglio dei Dieci accolse la domanda ma che il V. fini col rinunciare, per contro il Malipiero
(p. 308) scriveva sotto l'anno 1488: « A di 21 de zener papa Innocenzo ha richiesto la Signoria
«che ghe daga Antonio Vincivora segretario: et è sta preso de darghelo et è nuda: e sempre
« ghe è sta in gratia ».
3 Scrive il Malipiero (pp. 298-9): « A'-6 de settenbrio 1486, l'è sta [il Loredan] revoca per
«lettere dei Cai di X, perché un miedego che ghe praticava in casa, scrisse a essi Cai, che
e alcuni zoveui trivisani dormiva con esso e per tal causa i haveva in libertà tutte le cose
e pubbliche, e le referiva al Cardenal de Napoli. E i Cai mandò Antonio Vincivera a Roma ecc. ».
96 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
tarlo fu per ben due volte a Firenze, l' una nel giugno 1495,
« spazza drio » di Pietro Dolfin, generale dei Camaldolesi, l' altra
nel 1498, testimonio e informatore degli ultimi atti con cui si
chiuse la tragedia di frate Girolamo Savonarola. ^
Questa fu probabilmente l'ultima missione compiuta dal V.,
il quale, malandato in salute, si ritirava in una sua villetta di
Zovon, in quel di Padova. Il 3 dicembre del 1502 egli vi faceva
testamento — e il D. T. lo pubblica per intero in Appendice, ma
poco correttamente ^ — ^ e moriva il 9 di quello stesso mese. Dove
avveniva la morte? Non a Zovon, risponde l'A. (p. 84), perché
il Sanudo, registrandola, parla di Padova. Il che è esatto, ma non
va preso alla lettera. E ammissibile infatti che il povero Secre-
tarlo, da un pezzo malato (« stato assa' malato », scrive il Sanudo),
proprio quando era moribondo (« corpore languens, jacens in
« lecto », dice il testamento), dopo avere testato, nel cuor dell'in-
verno, venisse trasportato in città, con un tragitto tutt' altro che
breve e a quel tempo, certo malagevole, per istrade accidentate
e faticose ? 0 non devesi credere piuttosto che il Sanudo, al-
lorquando scriveva eh' esso era morto a Padova, intendesse par-
lare del « territorio di Padova », nel quale appunto sorgeva la
villa di Zovon, non troppo nota neppure ai Veneziani?
1 0/?. C!<., PP- 348, 500. A pp. 78-9 l'A. riproduce i due sonetti politici, che il V. spedì in
Bologna, uno del quali, la risposta in difesa di Venezia, era uscito dalla sua penna.
Doveva ricordare che essi erano stati già segnalati di sui Diari del Sanudo dal Cesabeo,
I.a formazione di Mastro Pasquino, Boma, 1894, pp. 10-11 dell' estr. dalla X. Antologia. A p. 31
alla forma latinizzata Barhadigo andava sostituita quella volgare Barbarigo. Lo strambotto
sul ritratto del V. eseguito dal Carpaccio, che l'A. opportunamente pubblica a p. 83, era stato
edito e illustrato dal Colasanti nel FaufuUn d. domenica, A. XXlll, a. 28, li luglio 1901.
2 Leggendo questo documento nel testo pxibblicato dall' A. (pp. 221-5), vi trovai cosi mal-
trattati il senso e la grammatica, che, nonostante l'avvertenza dell'editore, nonostante la qua-
lità del testo medesimo, evidentemente scritto in un latinaccio notarile mescolato col vol-
gar padovano, chiesi ed ottenni dalla benemerita Direzione del Museo padovano (che qui
ringrazio pubblicamente) un'accurata collazione con l'originale. Il resultato di questa coUa-
iJtbne confermò i miei giusti sospetti, come apparirà dal saggio delle principali correzioni
che offro agli studiosi, avvertendo che i primi numeri rinviano rispettivamente alla pagina
e alla linea della stampa, il nis. indica il testamento originale.
221,2 Indictione prima, ms. quinta; i preseutibus viri, ms. presentibus prudentissimls
viri (sic); 6 habitat padue in contra, ms. habitatoris padue in centrata; 11 omnes habitant,
ms. omnibus habitatoribus ; 12 testìbus ad hec habiti, ms habitis ; 13 vochati et rogati,
ms. vochatis et rogatis; 222, 2 hoc igitur, ms. hec igitur; 11 ut, ms. et ; 12 Cartusie Venetiarum,
ms. Cortusle Venetiis; 17 dieta ecclesia, ms. diete ecclesie; 22 laboro nullo, ms. nullo labore;
32 quod antea, ms. per antea; 33 eius oorpum quatuor dies, ms. eius corpus per dies quatuor;
34 custodiantur, ms. custodieut; 223 2 potueruut, ms. potuerint; 4 post mortem, ms. post mor-
tem suam; 5 cum domus, ms. cum domis {sic); 8 in vila tantum, ms. in vita tantum ; 13 sunt,
ms. sint; omni dies, ms. omnes dies; 15 bacelem argenti, ms. bacilem Srgenteum; polis argenti,
ms. probabilmente posatis argenteis; 20 reliquit, ms. relìnquit; 224, 3 prò ducati, ms. prò
ducatis; 7 purquod, ms. prout quod; 12 omise cum le satire, ms. onise [forse onitej cum le
satire; 14 cura diligeutia, ms. cum diligenzia; 15 alìarum, ms. altero; IG ipse testatoris, ms.
ipse testatori 18 habeant vestigiam, ms. habeatur vestiglum; 26 quas fercbat, ms. quod ferebat;
27 duas, niH, suas; 31 arti lilogofie, ms. artis jUlosofia; 225 omnem aliud, ms. omne aliud.
DEI-LA LBTTERATURAITALIANA 97
L'esame delle opere del V. si riduce di necessità u quello delle
Sìa^/re, onde troppe parole spende l'A, intorno all'ipotetico Can-
zoniere e al De principe in terza rima, dal momento che del primo
ci. sono rimasti soltanto un sonetto ed un capitolo, tali da im-
pedirci di deplorare la perdita del resto, e del secondo è irrepe-
ribile il cod. che lo conteneva, membranaceo e con la dedica al
Doge Leonardo Loredan.
Anche più sobrio il D. T. poteva essere nel parlare della Epi-
stola consolatoria in terzetti, che il V. inviò al Caldiera per la
morte della figlia Catteruzza. Nulla di più comune del fatto av-
venuto al secretarlo bazzicante con le Muse: nei suoi primi anni
egli rimò, come quasi tutti i giovini d'allora, petrarchescamente
d'amor profano, e in sèguito obbedì' a quella tendenza moraleg-
giante e quasi ascetica, che si rivela in questa Epistola, anche
in grazia dell'argomento, e più si manifesterà nelle satire propria-
mente dette. L'A. osserva che l'essere rimasto il V. celibe impe-
nitente non deve stupire, anzi era «cosa che ben si addiceva a chi,
« Come lui, vedeva nel matrimonio la morte di ogni virtù e scriveva
« una satira per celebrare la verginità ». Sarà; quantunque alle pa-
role dei poeti, e sovrattutto dei versaioli di questo calibro, convenga
dare un valore assai relativo. Ma vien fatto di chiederci : forse
che la virtù, l'esercizio delle virtù e la conservazione della vir-
ginità stavano dunque, pel V., nel mettere al mondo dei figli na-
turali, com'egli fece? E non dovremo appunto nel pentimento di
questo fatto e nel desiderio di tener celata il più possibile que-
sta contraddizione fra le belle parole in brutti versi e la realtà,
cercare la cagiou vera per la quale il bravo Segretario non men-
zionò il figlio suo naturale Marcantonio, se non in un passo del
testamento, dove si vede che la mala condotta del giovane ac-
cresceva il cruccio nell'animo del moribondo moralista?
Di ognuna delle satire vinciguerriane l'autore porge un largo
(troppo largo, trattandosi di componimenti notissimi) riassunto, e
cerca di determinare l'occasione e la cronologia, additando, quando
gli si oflFre il destro, fonti e riscontri. Cosi, ad es., nella satira
De miseria hunianae conditionis, che più che una satira,' potrebbe
dirsi un trattatello ascetico (cfr. p. 116), egli rileva alcune inne-
gaVnli derivazioni dal De contemptu mundi, la nota operetta di
Innocenzo III, e dall' altro opuscolo latino De laude solitariae vitae,
attribuito a S. Basilio. La rassegna si chiude con l' esame delle
quattro satire inedite, che per certi dati interni appajono eviden-
temente composte dal V. negli ultimi suoi anni, certo, dopo il 1492.
Alla fine del volumetto il D. T. si propone d' indagare quale
aia « il valore storico » - veramente, storico-letterario - di questa,
98 RASSEGNA KIRIJOUUAFIGA
produzione satirica del Secretario veiieisiano, quale posto cioè gli
spetti nella storia della satira. Di togliergli « il primato inteso
« in modo assoluto » non era, a dir vero, neppure il caso, dacché
ormai a nessuno poteva venire in niente di credere e di dire che
prima di lui non si fossero scritte satire. E lo stesso D. T. rico-
nosce che ciò « non ha bisogno di dimostrazione » (p. 193), ma
viceversa poi ammannisoe per parecchie pagine un abbozzo, su-
perfluo, della storia di alcuni motivi satirici, ' rammenta che prima
del V. s'era avuta una serie copiosa di capitoli ternarj, d'indole
gnomica e moraleggiante, che « per certi riguardi è una satira
« vera e propria » e che Griorgio Soramariva aveva pubblicata la
sua versione di Giovenale in terza rima. Ciononostante, l'A. con-
« serva questo priorato » al V. in grazia d'un « elemento nuovo »
che egli vede nella sua produzione per la prima volta, eccezion
fatta per Dante, cioè « la chiara manifestazione e la esplicita di-
« chiarazione della propria personalità, e la coscienza del proprio
« ufficio di poeta satirico ».
Ma qui il D. T. fu vittima d' una singolare illusione pronun-
ciando un giudizio che riesce tanto più inatteso, dacché egli me-
desimo rileva (p. 208) che certe enfatiche pretensiose dichiarazioni
del ;V. non sono che una parafrasi di altre consimili di Giovenale.
Anzi queste dichiarazioni, tolte dal poeta latino, lungi dal bastare
a darci un elemento della nuova personalità, come vorrebbe l'A.,
ne sono la negazione più assoluta. Parimenti, non sono bastanti
a tale dimostrazione le boriose e romorose parole con cui il V.
invoca solennemente i più illustri satirici dell'antichità classica:
« Surga qui l'alta tuba venosina, j La citara d'Arunca, e quel
«d'Aquino, j Che il scettro tiene in poesia latina ecc.». Fiato
sprecato, i poeti invocati, non vollero rispondere. E si capisce:
sarebbe troppo agevole impresa, se, a fare l'individualità e la
grandezza d' un poeta, bastassero di tali invocazioni e dichiara-
zioni non so se più indiscrete o strampalate!
Né maggior ragione ha l'A. di lodare il Veneziano per V uni-
versalità satirica. Che in lui fosse l'intenzione temeraria di me-
nare la falce inesorabile, come dice, in tutti i campi, di scagliare
i suoi «fulgori, armati alla rnina del vizio », non nego; ma dalla
intenzione al fatto, in arte specialmente, c'è di mezzo l'abisso,
e anche nell'arte — anzi nell'arte sovrattutto — le intenzioni
' Mi restringo ad un'osservazione: l'A. cita (p. 196) la Xeiicùi e la Beco come sag^i di
componimenti satirici, mentre non sono che innocue parodie burlesche della poesia rusticale.
A proposito poi di satira politica: niuno eli e conosci la sat. IX del V. Conlru morts ìiuins
mtnUi potrà credere che essa non sia, in fondo, altro che " una satira politica vera e propria „.
Con questo (tritevio, quanto più politica si dovrebbe dire la prima satira dell'Ariosto!
DKI.I.A LBTTEKATURA ITALIANA 99
non viily;oiio se non in quanto i tutti loro corrispondano. E l' ef-
fetto, neir opera satirica del V., fu tale da rendere neppure pen-
sabile quella lode. ^
In quest'ultima parte del suo libretto l'A. tradisce ad ogni
pie' sospinto un'incertezza grande di criterj, che lo costringe ad
onimissioni, esagerazioni e anche contraddizioni non lievi.
Un punto importante della sua trattazione doveva essere l'in-
dagine degli elementi classici e del loro atteggiarsi o... irrigi-
dirsi mortificati nelle satire del V. Invece egli se ne sbriga (p. 206)
con due parole, cosi: «Sarebbe inutile aggiungere che il V. at-
« tinge a piene mani dai satirici latini », e appiè' di pagina con-
densa in quattro righe alcune citazioni puramente numeriche,
che si potrebbero senza fatica moltiplicare, ma che, gettate a
quel modo, non dicono nulla. E evidente che il critico ha rinun-
ziato al suo principale oflficio, mentre gli sarebbe stato facile di-
mostrare che, dove non fraintende, il Secretano veneziano, per
cieca imitazione, fa la caricatura del poeta d'Aquino.
La stessa osservazione valga per le imitazioni dantesche.
« Si possono con molta facilità cogli<'re imitazioni di versi dan-
« teschi in tutte le satire del nostro», scrive più oltre ^p. 218)
l'A., aggiungendo un'altra noticina che non serve a nulla. Invece
sarebbe stato utile e non difficile dimostrare che razza d'imita-
tore, goftb e irriverente, dell'Alighieri, sia stato il V., il quale in-
terpretava a modo suo — un modo tanto arbitrario, quanto gros-
solano — il testo della Commedia. ^
Anche pel D. T. il posto da assegnarsi al V. nella storia della
satira è il medesimo che si suole concedergli, il posto di primo,
scrittore di quella che può chiamarsi « satira regolare italiana »
(p. 208). Sul quale giudizio avrei da fare qualche riserva, ma non
è questo il momento. ^
Piuttosto ho il dovere di giustificare ciò che dicevo delle con-
traddizioni, nelle quali è caduto l'A. In un luogo (p. 185) egli
scrive che le quattro satire inedite « come corrono nel loro svol-,
« gimento più spedite, cosi sono anche per quel che riguarda il
« concetto, più originali e indipendenti » — e simile sentenza ri-
pete pili oltre (p. 215). Sennonché, parlando subito dopo della
satira 8.*, una delle quattro inedite, osserva che « solo essa riesce
1 11 D. T. a provare che i « posteri ìininediati » del V. compresero quanto c'era di nuovo'
nelle satire sue e • lo riconobbero «//«r/i's vtibis », adilnce (p. 206) il titolo della prima stampa
delU- satire viiicìgtierriane. Ma egli fraintende quel titolo di Oi>(iii nota, che era comuuisairao
nelle stampe popolaresche, specie della Venezia a partire dal sec. XV cadente.
« Valga un esempio, tratto dalla sat. IV: i Mentre il fior della età è in citna verde »!!
Un'altra gemma pseudo-dantesca, nella stessa satira, è la sg.: < Chi vuol esser felice quag-
giù, prenda | Dietro il mio solco, che spumando corre | , La strada, prima che l'età discenda ».
lOO RASSÉGNA BIBLIOGRAFICA
« molto pesante perle lunghe filastrocche di esera pj tratti dalla sto-
« ria antica, e non avvivati da un solo lampo di poesia»;
e di nuovo, nelTAppendice (p. 231), le suddette quattro satire di-
ventano «le più perfètte che il V. potesse compiere, data la
« sua speciale tempra letteraria ». Ma proprio quando ci atten-
deremmo dall'A. il testo di queste quattro perfezioni vinciguer-
riane, egli ci dichiara (p. 241) che s' è accontentato di dare un
sunto di tre di esse e non ne pubblica che una, la terza « la sola
«veramente che ne meriti il conto». Oh allora?!
L'incertezza poi di criterj nella valutazione estetica si rivela
anche nel linguaggio critico, insufficiente ed improprio, sovrat-
tutto troppo generico, che non entra mai nel vivo e nel caratte-
ristico del documento poetico. Nel rapido esame estetico delle
satire vinciguerriane l'A. vi trova (p. 211) « versi realmente belli,
« nei quali si può cogliere una certa concisione di idee ed una
« forma che riesce scultoria nella sua ruvidezza ... In questi versi
« I voleva dire « in questa forma ruvida, ma scultoria »] potremo
« dire che consiste la peculiarità della poesia vinciguerriana ». E
altrove (p. 212) : « versi belli non mancaiio »... « versi ben tor-
« niti », « esempj di gagliarda ruvidezza » [il « ben tornito » fa a
« pugni col « ruvido »!]. Nella 3.* satira « in numero assai maggiore
«sono i brani notevoli» (p. 213) e altri versi «degni di ogni
«considerazione ». Altrove (sat. IV) l'A. trova altri versi che « non
« sono da tacersi » e cosi via coi versi notevoli, belli e simili. La
conclusione di tutti questi giudizj spicciolati è che «l'unico vero
« pregio artistico delle satire del V. è quella gagliarda ruvidezza
« della forma, che ci dà alle volte versi pieni di maschio vigore »
(p. 217). È lo stesso giudizio che, più breve ed efficace, dava non
è molto Vittorio Rossi, parlando « di una cotal rude energia di
« rappresentazione » di cui fa prova « talvolta » il Veneziano; quel
medesimo, in fondo, che aveva dato il Sansovino. Peccato tuttavia
che l'A. stesso abbatta inesorabilmente questo giudizio e le lodi
prodigate nelle sue pagine ai vei bersi vinciguerriani, col dichia-
rare (p. 209) che una delle cause, fra le altre, che « contribuisce
«nel V. a distruggere ogni effetto artistico, è la lotosità
«della lingua», come diceva l'accademico Aideano.
Se il D. T. avesse sottoposto ad un esame più attento le sa-
tire del V., avrebbe potuto dare un'espressione più concreta e
sicura e più coerente ai proprj giudizj; avrebbe potuto dimostrare
che egli, eccitato sovrattutto dall' esempio del Sommariva, * che
aveva tentato di rivestire di brutta forma volgare, in terzine, le
i Come ho detto, l'A. ricorda sì la versione soinmariviana, ma non ne trae il partito che
avrebbe potuto e dovuto.
à
DELLA LETTERATURA ITALIANA 101
satire di Giovenale, si invasò dell'idea di diventare egli il Gio-
venale cristiano, credette che bastasse fare la voce grossa, pre-
dicare, tuonare, gonfiando le gote, ma falli miseramente per di-
fetto di ispirazione, d'ingegno, di arte. Riuscì soltanto, in quel
suo vano arrabattarsi poetico, a dar saggio di goflPa e pretensiosa
poesia presecentistica. E a fare apposta, i segni di questa Sua
gonfiezza e turgidità sono visibili proprio in quei medesimi passi
che il D. T. cita (p. 213) come i più degni di nota. Invoco un po' di
benevola attenzione e d'abnegazione dal paziente lettore.
Il V. parla dell'avarizia ed esclama:
Questo è 11 venen.che serpe per le vene
De le mitre superbe e de' tiranni,
Che hanno posto in ricchezze ogni lor spene :
Amaro seme di futuri danni.
Che Italia impregna, e languida su el parto ^
Già si comincia a torger dagli affanni.
L'A. trova « ardente patriottismo » e « tratti caratteristici » in
questi versi, nei quali è un séguito di immagini una più barocca
e falsa e impropria dell' altra, tali da disgradarne il peggior se-
centista; dai quali apprendiamo che l'avarizia è un veleno, che
questo serpeggia per le vene delle mitre e . . . dei tiranni, che poi
diventa un seme amaro, che impregna V Italia, la quale ha già le
doglie del parto, dal quale nasceranno i danni futuri di lei ! Ma
chi potrà negare che questo non sia un parto mostruoso o un
aborto della musa satirica vinciguerriana?
Qualcuno dirà ch'io incrudelisco troppo contro . . . un morto,
il V.; ma rispondo che sarebbe ingiusto usargli indulgenza© pietà,
tanto si mostra pieno di sé e ridevolmente borioso. 0 non ebbe
il coraggio, proprio egli, che aveva quei versi sulla coscienza, di
rivolgere al mondo un monito come questo:
Or sappia il mondo che d'altro non curo,
Che dei miei dolci e graziosi versi,
Che tratto m' han dal suo costume oscuro - ?
E, peggio ancora, non osò proclamare la dolce gloria acquistata
col suo stile ^wewfe, parafrasando un verso dell'Alighieri:
Né voglio pili tener dentro nascosto
La ricca vena del fluente stile.
Che m'ha tratto dai pili, fra i rari posto-?
E questo ci sembra più che bastante, anche per dimostrare che
allorquando il D. T. (pag. 220) concludeva con l'asserire che il V.
«ci appare come il vero poeta satirico cristiano», la
penna dovette tradire il suo pensiero. Tanto varrebbe, allora,
dire eh* un banchiere fallito è.., un vero banchiere moderno!
102 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Mi rihcresce, in fine, di notare che dalla Appendice II, la quale
doveva essere un contributo alla futura edizione critica delle sa-
tire vinciguerriane, e che tratta delln primitiva disposizione di esse,
si desume il convincimento che l'A. non ha ancora la prepara-
zione necessaria per una impresa simile. ' Un esempio. Della Con-
solatoria al Caldiera il D. T. si trova ad avere due redazioni di-
verse, una manoscritta, da un cod. laurenziano, 1' altra a stampa.
Egli -si chiede (p. 234) quale di esse sia « la precedente », e con-
fessa di non avere « nessuno elemento per poter rispondere in
« modo certo ».
Proprio nessuno? E le varianti? In ogni modo, mentre ci at-
tenderemmo ch'egli porgesse agli studiosi questi «elementi» di
discussione e di giudizio, cioè le varianti, « appunto perciò non
« riporta queste diiferenti lezioni, tanto più che esse non intac-
« cano il senso generale dell'epistola». Invece si restringe a tra-
scrivere i trenta versi mancanti alla volgata.
Se pei libri di critica letteraria valessero i noti precetti che
Orazio dava ai giovani Pisoni, e il D. T. non avesse lasciato
trascorrere il « multa dies » dalla prima composizione di questa
monografia senza « multa litura » e sovrattutto se avesse avuto
il coraggio di rifarne la seconda parte, sarebbe stato un gua-
dagno grande per lui, pel V. e pei lettori, grandissimo per quelli
fra essi che devono adempiere l'officio, spesso increscioso, di critici.
Vittorio Gian.
Giambattista Marchesi. — Romanzieri e Romanzi italiani del Settecento. —
Studj e ricerche con bibliografìa e illusttazioni. — Bergamo, Istituto
d'Arti grafiche Editore, 1903.
" Gli studj dei quali è composto il presente volume, non presumono co-
" stituire una storia del nostro romanzo del Settecento. Ma da essi potran-
" nosi facilmente dedurre le linee fondamentali di una storia futura „. Cosi
l'A. (p. 333), che a me pare abbia, se non esaurito, almeno portato tal con-
tributo di ricerche e di studj sopra il soggetto preso a trattare, da togliere
ad altri il bisogno o la voglia di tornare su un argomento, che è certamente
notevole per il rispetto della psicologia e della storia, ma, riguardo al quale
quanto all'etica e all'estetica ho i miei dubbj. Il Voi., d'un 400 pagine, è
nitidamente ed elegantemente impresso, con una quarantina o più di rami
intercalati nel testo, riprodotti dalle opere originali ; damine eleganti, cava-
lieri cirrati e incipriati, salottini confidenti, sfondi di verde e d'ombre, navi
simbòliche abbandonate a simboliche onde, e ghirigori e fregj capricciosi e
versetti allusivi, come piacevano al secolo filosofo e galante. Comprende sette
1 Ma forse è UD'iraprcsa che uon merita la fatica e il dispendio neceSsarj. Tanto, le •di-
zioni che abbiamo del V., quantunque poco corrette, sono sufficienti ; le quatta satire ine-
dite, delle quali posseggo copia, sono auch' esse troppo miserabile cosa. E vi sono ben altre
opere, più ntili e più rare, da mettere o rimettere in lucei
DBLLA LETTERATURA ITALIANA 108
capitoli e due appendici, la prima delle quali è lo studio d'un gustosissimo
romanzo satirico, messo innanzi come un possibile * contributo alla storia
iìe\ Giorno "ed anche un solo commento a un episodio di esso,;* l'altra
è un Saggio bibliografico dei romanzi originali e tradotti del Sec. XVIII, con
una punta nel sec. successivo, almeno per quanto riguarda Vincenzo Coco,
il Foscolo e Alessandro Verri.
Il cap. 1.», che è de' più brevi (pp. 11-46), ma pieno di utili notizie a
spiegare lo svolgimento del romanzo in Italia nel sec. XVIII, discorrfe degli
influssi stranieri, che in tal forma d'arte operarono su di noi, e ne risve-
gliarono e informarono il gusto, specie nella seconda metà del secolo, in cui
cominciò a prender voga. I grandi romanzieri inglesi di quell'età Richardson,
Fiedling, De Poe, Smollet, Johnson, l'amico del Baretti, con le Pamele e le
Clarisse, le Amelie, i Robinson erano fra noi tradotti e letti e diffusi più di
Swifl e di Sterne co' loro romanzi comico-satirici; la Pamela fu ben presto
conosciuta, imitata, portata sul teatro, parodiata; e di orfanello inglesi, d'av-
venturieri inglesi, d'onorati inglesi eran piene le carte. — Di Francia non è a
dire: un pelago: Lesage, Marivaux, Prevost, Montesquieu, che con le Letlres
Pèrsanes, modellate su un vecchio romanzo italiano (p. 32), apriva l'adito a
tante imitazioni e contraffazioni in forma epistolare; poi Voltaire e Rousseau,
che con la Nuova Eloisa dava alia Francia la preminenza in questo genere
letterario, e con loro altri, o men noti o ignorali, eran la delizia del gran pub-
blico dei lettori. Romanzi sentimentali e fantastici, filosofici e galanti, etici e
pastorali si traducevano * talora pessimamente , si raffazzonavano per lè
persone letterate, che invano contro quella produzione straniera eran messe
in guardia da una critica un po' illiberale e ristretta, ma di buona coscienza.*
1 Avventine lìi Lillo cagnoln bolognese, storia critica e fiaìnnlt, che l'A. crede tradotta dal-
l'inglese, probabilmente da G. Gozzi (p, 359), di sopra un esemplare francese. Di codesto
romanzo di Coventry vi è anche nna traduzione tedesca, molto posteriore alla nostra, di
Jofiami Friedrich Jnnger, I.eipgig, 1782, lìiutato il titolo, secondo la libertà dei traduttori e
raffazzonatori d'allora, in I>tr Kleine Cesar ; vedi M. Goedeke, voi. IV, p. 224; lo stndio fu già
pubblicato nel Giorn. Star, della Lett. Itnl., voi. XXXVIII, p. 97-122. E poiché questa nota è per
la letteratura canina, aggiungerò alle citazioni dell'autore nxi'Ormione di P. I. Martello
ni morte di Po cane mormiisse stan^pata in Bologna nel 1727, iu \'ersi e. Prose, presso Lelio
della Volpe, part. 1. p. 187 e seg.; il quale Martello avrebbe anche ne Lo Starnuto di Ercole,
specie di rappresentazione burattinesca, fornito a Swift l'idea del GuUiver e de'suoi lilli-
Duzziani; raccostamento, che fa il paio con l'altro del C/Voooé e del Tristram Sliatidy.e da
accogliersi con benefizio d'inventario. Quanto poi concerne le lagrime in morte di Pippo cane
vicentino ricordate dall'A. a p. 36i, stampate a Milano nel 1749, noto che a Vicenza tr6 anni
prima, nel 1746, si fece un'edizione col titolo: Epicedi a Pippo il Barbino, che dev'essere
tutt'una cosa con le Lagrime, con qualche alterazione, come si vede dal titolo alquanto
mutato.
2 Ricorderò alcuni di codesti romanzi francesi o tradotti iu francese, che i giornali
contemporanei offrivan come primizie ai lettori italiani; l'A. che molti ne cita a p. 38 e Se'gg.
lasciò da parte, forse perchè non han trovato un traduttore italiano: Les Yicissitudes de
la fortune, dall' ingl. in tre voi. — Aiirelie ou la vie dn grand monde, pure dall'ingl. in dilò
voi. — La belle Syrienne, in tre voi.; non ho trovato di questi ultimi alcuna indicazione tipog.
— Sofà e Orsola, ovvero Lettere (stratte da un portafoglio per il sig. di Cl.armois, Parigi, 1778; è
una traduzione italiana? — Così t,e memorie del conte di Bettem, che si danno come stam-
pate a Koano nel 1756, e una Silvia tratta AaM' Aminta e dal Pors/oc /io, stampata in Parigi
con la data di Londra, operetta « scritta elegantemente, mi troppo teneramente » dice il rv-
censore, e portava in fronte l'Ovidfano: srrihere pis^it amor {(liorn. de'l.ett.di Fireme, tinnc,
104 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
È un quadro animato e vivo, che potrebbe considerarsi come una bella in-
troduzione, se il libro avesse forma organica e una.
Di P. Chiari, romanziere, discorre l'A. nel 2.» cap. (pp. 49-186) con particolar
competenza, e passando in rassegna quella sua laboriosità tumultuaria, pro-
seguita per pili d'un ventennio, senza calore nell'anima e senza fiamma
nel cervello, trova modo d'innestare qua e là tante notizie biografiche, ret-
tificare errori di date e di fatti, stendersi nelle polemiche, che scompigliarono
la vita letteraria e civile della Venezia d' allora.* Dà estratti, talvolta un po'
lunghetti, della Filosofessa ital., che è in ordine di tempo il primo romanzo
del Chiari, suggeritogli da consimili racconti inglesi e francesi ; de La Bal-
lerina Onorata, de La Cantatrice per disgrazia (riduco codesti titoli ai lor
termini minimi), due parti d'una trilogia teatrale, la cui terza parte è La
Commediante in fortuna ossia ecc. stesa, al solito, in pochi giorni. Segue
La Giocatrice di Lotto, uno de' pili ricercati e famosi, e poi non so quanti
altri, tramezzati da Lettere, Riflessioni critiche, Saggi, Traduzioni, che usci-
vano dalla penna di quell'uomo, mossa, si direbbe, da un congegno mecca-
nico anzi che da volontà consapevole o da un'idea dominante, senza che
mai nel corso dell'opera sua, a maraviglia feconda nel decennio dal 1750
al '60, si giovasse di nuovi elementi o facesse " evoluzione alcuna „ verso
una più sincera e schietta comprensione del vivere contemporaneo; sempre
uguale monotona raffazzonatrice. Poi notizie su La Bella Pellegrina, che il
M. dice suggerita da uqa commedia del Voltaire (p. 94 e segg.); La Francesf
in Italia, s^Aìsa. di macchiette e figurine piacevoli; La Viniziana di Spirito;
La Donna che non si trova, nel quale par * che senta la carezza di quell'aria
* che spirava d'oltr' Alpi, anche se non ne sente la forza innovatrice (p. 114) ,.
Ma la narrazione affoga " nelle solile avventure d'amore e di viaggi „ nelle
solite combinazioni d'avvenimenti improvvisi, variate qua e là di facili com-
mozioni e fantasticherie, cosi care " alle anime tenere che ricavan diletto dal
• pianto ,.* Cosi via via l'A. scende per ordine cronologico agli ultimi ro-
manzi, fino alla Fantasima che, egli dice, " si potrebbe ancora leggere con
" qualche diletto, se non fosse, come tutti gli altri, eccessivamente lungo ar-
" ruffato e sproporzionato , (p. 129). Ho trascritto le proprie parole dell' A.
perché, per quanto si voglia essere benevoli al Chiari, non è possibile far
altrettanto con l'opera sua, anche senza discostarci dai propositi suoi e dal
fine ch'egli assegnava al romanzo; né bastano tratti vivi, e accessoij geniali,
che non mancano, o qualche timido intendimento di satira più casuale che
d'intenzione, a rimettere in vista quei libri che, almeno nel rispetto dell'in-
venzione e dell'arte, non sono esemplari pregevoli.
1742) ; poi una Orfiweìla del Costello di Carlotta Smith, celebratissimo, nn Piaggio di Reaifor
ipocondriaco in forma epistolare, e altri pubblicati dal Briaud, dal Buisson e dal Guillot, che
erano in Parigi quel che in Venezia il Pasinelli, il Battaglia e il Colett'. Del resto, nel 1746
il Giorn.Lelt. di Siena, ta^o. Ai settembre, dando notizia d'un romanzo stampato l'anno pri-
ma a Norimberga, Idoiia delle avventure marivigliose dil gentìtuomo Ferdinando di Thon, no-
tava con amarezza, che anche in Italia abbondavano i cattivi romanzi d'ogni specie, stupidi
e incoerenti come e più di quello che presentava al pubblico.
i Lo studio, avvisa l'A., era già stato pubblicato in opuscolo a parte nel 1900 a Bergamo.
* Cosi nell'art, primo della Cantatrice per disgrazia.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 105
E mi pare su per giii del medesimo avviso anche l'A. : figure di perso-
naggi scolorite e stinte, qualcuna insulsa (p. 61); grossolane pitture d'am-
biente (p. 77), nessuna o pochissima arte nel comporre gli elementi onde il
racconto s' intesse, (p. 103), assenza d'interesse e di personalità, strascico,
fatica, shiavatura di stile, son tante cose che, anche senza essere sistematico
detrattore del Chiari, bastano a spiegare le censure di qualche contempo-
raneo, un po' maldicente per vero, ma arguto e giudizioso, che metteva l' abate
bresciano tra gii arruffoni della letteratura con qualche trovata bestialmente
felice.^ Una lode va data all' A., d'averci saputo pazientemente condurre per
codesta landa inamena senza farci sentire la stanchezza del cammino, o la
voglia di restare a mezzo.
Il capitolo III discorre di Antonio Piazza romanziere, che per opera del-
l'A. viene a prendere il posto che gli spetta nella storia del romanzo ita-
liano del Settecento; la materia è nuova, né senza attrattiva.* Narratore, com-
mediografo, gazzettiere il Piazza, nella vita longeva (1742-1825), fu prima
ammiratore ed emulo del Chiari, poi, con intendimenti più realistici, indipen-
dente e geniale riformatore d'un genere, sviato tra avvolgimenti e garbugli
d'intrecci di fantasia (p. 149); meritava dunque chi se n'occupasse quanto
e più del Chiari, nel quale s' era fin qui incentrata e raccolta la storia del
romanzo di quell'età. L'A. move dal primo romanzo, che il Piazza pubblicò
a vent' anni, dove si rivela " pessimo scrittore, ma non antipatico „ (p. 143),
e dove adopera, come il suo modello, la forma autobiografica e la distribu-
zione e divisione della materia in capitoH co' rispettivi argomenti in fronte.
Ma la sua arte acquista andando; L'Italiano Fortunato è scritto con meno
disagio di costrutto e di lingua; e così L' Incognito Innocente, L'Ebrea, I
Zingani, dei quali ultimi l'A. dà un largo estratto e un passo del cap. X
come saggio di satira del costume signorile. Il Piazza gli pare più studioso
della realtà, anche se grossolana nell'espressione e grottesca (p. 173); più
fermo nel concetto che la storia va cercata meglio della favola, e che, di-
ceva lui, * è canone saggio innalzare i proprj lavori sul piano che la verità
• e la natura , suggeriscono.^ Anche più tardi tornava sui medesimi canoni,
e n' attendeva 1' approvazione da quel pubblico colto " che non ama il ma-
raviglioso romanzesco, ma semplicità e union delle azioni, non i caratteri
t e. Qozzi, Memorie tHu^/i, XXXIV. — Circa i processi di composizione, l'editore napo-
letano de La Balleriva Onorata, 1755, nell' avviso A chi legge, dice che 11 Chiari ne'suoi romanzi
"trasporta di fatto quanto trova di buono s di meglio ne' romanzi francesi; e il volerli
tradurre oggidì (quei romanzi francesi) non sarebbe che replicare sotto più torchi e sotto
titoli dilferenti la medesima cosa „. O dov'è allora il loro valore psicologico rispetto a noi?
Anche il Lesage metteva a sacco i romanzi picareschi di Spagna; ma la satira delle debolezze
umane, le scene della vita privata,! tratti storici sono de' costumi e del vivere contempo-
raneo di Francia. — Quanto è poi alla smania e all'agevolezza di comporli, il Chiari per
bocca d'una principessa svedese ne L'Amante Incognita, cap. 10, così ne parla: "Io son
d' un carattere così capriccioso in questa materia, che aver vorrei cento mani e centupli-
care me stessa, onde scrivere e pubblicare ogni giorno opere somiglianti, che si bramano,
si aspettano, si comprano e si ristampano — e diceva il vero — specialmente pid sono strava-
ganti e compassionevoli ,.
2 Come autore di romanzi, il Piazza era ricordato in compagnia del Chiari ed altri
scrittori da dozzina dal Foscolo, nel Saggio ecc. — Prose Leti., Voi 2., p. 289.
3 Avviso che va innanzi alla Commedia Art famiglia mal regolata, di pochi anni poste-
riore a) romanzi ricordati. «
106 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
esagerati, ma quei che sono copiati dalla natura, e che non sono spinti oltre
i confini dell'umana condizione,,.*
La si direbbe una teorica precorritrice; se non che in pratica continuò
anche lui, se non a meravigliare con le stravaganze dei casi, a intenerire e
far piangere, e fu un po' nel romanzo quel che il Gamerra nel dramma, uno
scrittore lagrimoso e sentimentale. Del resto io non fò che toccare alcuni punti
della sua inesauribibile operosità nel romanzo, che l'A. segue con molta di-
ligenza, raccogliendo via via notizie utilissime per la storia del teatro ita-
liano della seconda metà del Settecento, che forni al Piazza la materia per
un altro romanzo, scritto, dice l'A., con la solita fretta (p. 183 e segg.).*
Nel cap. IV son raccolte rare notizie sui romanzi erotici di Vincenzo Rota,
padovano ;3 di G. B. Vercì, lo slorico della Marca Trivigiana e degli Ezzelini,
di Giuseppe Maria Foppa, e di altri meno conosciuti, " stesi sui soliti motivi
" chiariani, i soliti casi, le solite avventure, le soHte colpe dell'amore, che
" ritornano in mille guise e s'avvicendano, le eterne colpe, gli eterni deliri ,.
(p. 210). Il Foppa meritava forse maggior discorso; * studente laborioso,
* archivista di private famiglie, romanziere, scrittore d'altre cose fantastiche,
" studiante musicale, compilatore di leggi e marito „ come egli scrive di sé
nelle Memorie, non istarebbe male in compagnia degli altri venturieri lette-
rati di quell'età, più modesto però da conoscer bene il pregio dell'opera
propria, se, presentandosi ai posteri in poche pagine autobiografiche, sce-
glieva per sé l'epigrafe virgiliana: Sunt lacrymae rerum.* S'accosta più al
Chiari che al Piazza, per l' amore al fantastico e al maraviglioso, e per la
forma autobiografica, che predilige. Poi il gusto per l' allegoria cominciò a
invadere anche il Romanzo, e su l'esempio, al solito, di Francia si ebbero
Il Congresso di Citerà dell' Algarotti, un Viaggio all'isola d' Amore di un
Borromeo, un anonimo Naufragio felice nel mare del disinganno, (p. 214 e
segg.), che ha qualche tocco rilevato e vivace, e alcune figure bravamente
descritte.5 A tutto codesto rigoglio del romanzo, maggiore che mai tra il
1750 e il '70, non mancò la parodia, per l'appunto com'era avvenuto in
Germania molti anni prima ;^ e Francesco Gritti veneziano, buon cultore del
1 Così nella conclusione d' una sua Commedia Chi la dura la vitice, compiuta in Treviso
l'anno 1811, che il M. dice mai rappresentata, edita in Venezia dalla stamperia Molinari
nel 1823.
s Nell'avviso che va innanzi a I deliri delle anime amanti, l'editore Bassaglia, Venezia
1782, promette la ristampa di due altri romanzi La Innocente perseguitata e La Moglie senza
marito, che mi pare dia come cose del Piazza; il Marchesi aggiudica il seoondo al Chiari
{Appendice bibliografica, p. 400J.
8 Del Rota, che un ammiratore contemporaneo dice « ingegno bizzarro », è alle stampe
un Baccanale, felice imitazione del Redi e del Baruflfaldi, che il dott. Fortunato Federici,
bibliotecario dell'università di Padova, mandava nel 1823, in occasione di nozze, al dottor
Floriano Caldani prof, di Anatomia in detta Università.
* Cap. XV. Il M. dà il secondo romanzo del Foppa, Le Memorie del Marchese d'Astorgo,
come stampato nel 1776; nel cap. V delle Memorie il Foppa l'assegna al 1778.
^ Vìi Congresso di Parwa.so, stampato a Ferrara nel 1774, senza nome d" autore, per Giu-
seppe Barbieri, mi pare abbia rapporti col romanzetto allegorico piuttosto che col romanzo
galante, almeno da quanto si può argomentare dalla notizia che se ne legge nelle KoeelU
della Rep. Lett. di Venezia per l'anno 1775, p. 71.
6 Ricorderò nn' Antipamela, senza nome d'autore " oder die entdekte falsche Unschuld in
in deu lìegebenhtite» dei- Syrene. Vedi K. Goedeke, loc. clt. La Pamela era stata tradotta In
DELLA LETTERATURA ITAUANA 107
patrio dialetto, arguto parodista del teatro contemporaneo e gran traduttore
di cose francesi, mandò per le stampe, sotto il nome di Dottor Pif-Puf le
Memorie del sig. Tommasino, che sono un documento di satira piccante e
giudiziosa. Peccato, dice l'A., che l'opera restasse interrotta (p. 222).
Il cap. V ci porta nel gran mare dei romanzi satirici, filosofici e morali,
usciti in sul finire del secolo, quando le facoltà del pensiero parvero raffi-
narsi nel presentimento de' moti che sopravvenero. Dà un largo estratto
d'un amplissimo e bizzarro romanzo del veneziano Zaccaria Sceriman, or-
dito su quello sfondo di divagazioni e di viaggi, caro agi' Inglesi, in regioni
chimeriche, tra abitanti immaginari, nella contrada delle Scimmie, in quella
dei Cinocefali, poi nella fortezza dei venti, nel castello delle misure, nei campi
della miseria, mescolando stranamente il positivo e l'allegorico, il reale e il
fantastico, il verisimile e il mostruoso e grottesco. Vi sono accenni satirici
ai costumi del tempo, l' amore morboso per i cani, per le discussioni filoso-
fiche, per mode e riti che ebbero le eleganti frecciate del Parini e dell'Al-
fieri ; ma il tutto con prolissità, ripetizioni, monotonia, goffaggine e mancanza
di genialità (p. 241) e di vita interiore, che del resto sarebbe semplicità
cercare in quegli scrittori. — Vengono poi i romanzi morali e satirici di
G. Gozzi, dove, a dir il vero, il romanzo ci vuole un po' di sforzo a tro-
varcelo; due romanzi del Casanova, uno dei quali, d'inspirazione gulive-
riana, perché scritto in francese eccede i confini del tema; nondimeno
l'A. ne dà la trama (p. 251-254), come di cosa importante e ormai fatta
rarissima.* Accenni evidenti di satira, pili politica che personale, l'A. trova
neìV Abaritte di Ippolito Pindemonte; romanzo uscito nel 1790, aspramente
giudicato, e "ormai affatto dimenticato, (pp. 256-261); la Russia la Ger-
mania la Francia vi sono sotto finti nomi descritte ne' loro difetti, con qual-
che esagerazione, dal giovine viaggiatore italiano, che solo nella Nuova Ze-
landa {V Inghilterra) trova un paese ideale e degno d' ogni encomio per piti
rispetti. Per questo forse V Abaritte piaceva all'Alfieri, e per quella leggiera
tinta di francofobismo, che raggiungerà nel Misogallo un astio senza esempio,
e che in Ippolito non esce dai limiti d'un sereno ottimismo. Se non che
il secolo, che s'affrettava ad altro, parve anche fastidire il romanzo filoso-
fico, sia pure con buoni intendimenti satirici e pregj artistici; occorreva
mutar strada, e in quel trepidare e imbaldanzire degli animi, si cercò un anti-
doto alle pericolose novità, con un ritorno alle narrazioni educative sullo stam-
po del Telemaco (p. 264). Il nostro romanziere pedagogista fu il sig. Micheletti,
aquilano d' origine, e il suo Monte Areteo, o della virtù, venne a dettare
l'arte del governo, senza sogni di grandezza e di gloria, a un principe ere-
ditario, che era il figlio di Carolina d'Austria e d'un Borbone spergiuro
(p. 265).' Ultimo esempio di romanzo didattico, che prelude, di lontano, al
Germania nel 1742, due anni prima che in Italia, dove la prima traduzione, secondo il M.,
sarebbe del 1744; però le Novelle Oltramontane per l'anno 1742, p. 157 danno notizia d'una
traduzione della Pamela, come uno de' più celebrati romanzi.
1 S'intitola: Icosameron, ov histoire d'Edouard et d' Elisabeth, con la indicazione di Praga,
nella stamperia della Scuola normale; p. 251 e segg.
2 Un giorn. di quel tempo, che si stampava a Mantova {Qiorn. della Leti. Hai. per l' anno
1794, tom. in, par. Il) ne dava notizia con parole punto benevoli; lo dice * langiiìdo, dififaso
108 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
romanzo patriottico d' un' età più prossima a noi, e si collega all' Ortis, per
il sentimento e la forma epistolare intercalata qua e là tra la narrativa e
la dialogica, è il Platone in Italia di V. Goco, che " ancora si legge e fa
" pensare, insegna ed educa „ (p. 273).*
Con il sesto cap. eccoci finalmente a due nomi conosciuti: ad A. Verri e
al Foscolo, alle Avventure di Saffo e a\V Ortis, un romanzo erudito d'argo-
mento greco e un romanzo di passione d'argomento contemporaneo. L'A.
se ne risente, e anche lo stile pare che si ravvivi dopo un tanto aggirarsi
tra " ignoti e dimenticati ,. Il capitolo è de' più densi e geniali. Vi si
ricordano i primi tentativi di romanzo storico anteriori al Verri (pagine
278-281), le traduzioni di consimili opere, dovute al diffondersi dell'amore
per gli studj storici e archeologici in quello scorcio di secolo, da' quali,
forse, attinse il Verri inspirazione per la Saffo} Alla Saffo tenner dietro
le Notti romane; poesia di sepolcri ed eloquenza di silenzj e d'ombre, che
più sotto l'Autore definisce, con ragione, un poema didascalico in prosa
(p. 294), e la Vita di Erostrato, dove nella struttura e storicità del perso-
naggio altri volle trovare un adombramento del Bonaparte. Ma già altre
correnti di opinioni e di idee entravano nel dominio delle lettere, e or-
mai la storia dello spirito irrequieto, che vede una dopo 1' altra dileguare
r idealità vagheggiate, è nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis. 11 M. ne rifa,
valendosi di recentissimi studj nostrali e stranieri, la genesi, ben differente
da quel che n'aveva scritto il Garrer, uno de'primi biografi del poeta; narra
delle vicende esteriori e dei moventi psicologici che condussero alla com-
posizione del romanzo; 3 tocca della popolarità della forma epistolare e della
materia di sentimento in romanzi allora di moda, e della facile discendenza
dal Richardson e dal Rousseau al Foscolo (p. 306), che trovò nell'ambiente
storico-sociale il soggetto per un racconto d'amore compenetrato di senti-
mento patriottico e di spirito filosofico, volto all'indagine d'un problema,
che aveva richiamato l' attenzione di tanti altri. ■* E cosi 1' Ortis quanto al
perdentesi in cose minute ecc. „ In quel tempo, o giù di lì, un altro aquilano Orazio Antonio
Cappelli dedicava al Re cattolico delle due Sicilie un poema filosofico in quattro libri
Della legge di Natura, in Napoli presso Donato Campo, che si chiude con le lodi al governo
del Principe! (MagaBzinu Toscano, voi. 12.).
i Un sentore di satira personale, perduto per noi, doveva essere nel Platone, specie nel
Tom. II, dove sotto la figura di Nicorio è vivamente e neramente dipinto Monti, come diceva
con dolore il Manzoni, scrivendone all'amico G. B. Pagani in data 6 settembre 1807 (Kpist.
Voi. 1.); nelle Edizioni posteriori alla prima milanese il luogo in discorso fu soppresso.
2 Un anno prima della Saffo era uscito in Parigi Agalhon et Deidamie par M. de , . . che
svolge una scena d'amore tra notizie archeologiche nell'isola di Paros e in luoghi vicini
ad Atene. E poiché sono a codeste citazioni, ricorderò un altro racconto di qiiegll anni,
posteriore di poco alla Saffo, stampato a Florence, Imprimerie de la rose, indicazione falsa
senza dubbio, di certo sig. Imbert, che pone la scena a Troia, prima del famoso assedio.
8 11 M. scrive che il romanzo uscì in Bologna nel maggio o nel giugno del '99; Foscolo
dice "verso la fine „ di quell'anno; Notizia Bibliogr. dettata per l'edizione londinese, che
invece fu fatta a Zurigo,
4 Alle rare notizie in proposito (p. 308 e segg.) aggiungerò, che alcuni anni prima da
nn giovine piemontese, il cav. Viale, era stato pubblicato in Genova per il Francelli sotto
il bel nome di Canti del solitario delle Alpi un poemetto in ottave, tutto sul Suicidio. Vedi
fJiorn. della Lelt.Ilal.per l'anno 1793 dove è recato anche un sonetto del medesimo autore
DELLA LETTERATURA ITALIANA 109
soggetto e all'arte, parve " suggellare un periodo delia storia del romanzo,
" e finire un genere passionale „ anziché aprire la via a un nuovo indirizzo
artistico (p. 320). Lasciamo all' A. rispondere de' suoi giudizj. e avvertiamo
r imparzialità con la quale si comporta nella controversia dei rapporti tra
il Werther e 1' Ortis; proclive a scagionare il Foscolo dalla taccia di bu-
giardo, che in questo proposito gli fu affibbiata, pensa che l'eroe del nostro
romanzo è pili vero del tedesco, più psicologicamente consono alle situazioni
che lo sospingono alla tragica soluzione finale. In materia non del tutto
nuova, ha trovato modo di dir cose non dette e interessanti, e scrivere
pagine che mi sembrano delle più rapide e convincenti.
Né meno importante è il capitolo ultimo, VII (pp. 326-334), fatto in gran
parte di considerazioni generali, fondate, s'intende, su documenti e prove che
l'A. ha raccolto da opere di critica e di amena letteratura, commedie, no-
velle, corrispondenze, giornali, memorie; e dove anche si trovano tante que-
stioni collaterali sull'utilità del romanzo, combattuto da' Giansenisti e da' Ge-
suiti, da trattatisi e da predicatori ; sul suo diffondersi e prevalere come forma
connessa con l'estetica e l'anima del tempo; sopra quel suo accompagnare
e cooperare al risvegliarsi della coscienza morale e civile e al raffinarsi del
sentimento, all' entusiasmo per la scienza e la filosofia, all' amore per le in-
dagini della storia, nella quale, un po' più tardi, cercò fatti e soggetti, che po-
tessero accendere altri sentimenti, che non i soliti dell'amore e della galan-
teria per carezzare le orecchie patrizie.
Dalla vergognosa celebrità del Chiari, come la chiamò un giudice forse
un po' parziale (p. 332), che fece del romanzo un guazzabuglio di cose sor-
prendenti e scomposte, al Foscolo, che diede al romanzo la consistenza
d'una vera e propria opera d'arte (p. 319), l'A. ha traccialo in questi suoi
studj il cammino da esso percorso nel secolo, che sta scritto in fronte al libro.
Al quale come siasi apparecchiato, con qual corredo di materiali diligen-
temente raccolto ed elaborato, oltre le ricche notizie bibliografiche, messe a
lor luogo nel testo a pie' di pagina, fa fede la seconda appendice, dove sono
catalogati i romanzi italiani e tradotti del sec. XVIII ; a centinaia, benché
nella breve nota, che va innanzi, accenni all'imperfezione e deficienza del
Saggio, giustificate dalla difficoltà di simili ricerche. *
pieno di quel tetro malinconico e fantastico, che è in tanti scritti di quel tempo. Del resto
molti anni prima Appiano Buonafede aveva pubblicato iu Lucca una Storia critica e filosofica
del snicidio rugio)tnto,{ne\ìsi Stamperia di V. Giiintini, 1761), dove tra altri maestri di quel-
Tatto cita nn'apolof;ia del suicidio ardita ed eloquente fatta dal Montesquieu nella set-
tantaquattresima delle I.ettres Per.iuiies; veramente è la LXXVI neU'ediz. Garnier Freres,
Paria. In quella storia Cromaeiano ricorda parecchi moderni, oltre gli antichi, che prima di
Werther e di Ortis s'apparecchiarono al suicidio con pieno convincimento.
1 A p. 386 del Saggio dà le Disgrazie d'Urania, sema nome d'autore; una edizione bo-
doniana, Parma 1793, lo dà come opera di Carlo Benvenuto Rebbio conte di S.Raffaele: e
credo sia del medesimo una Emirena, romanzo educativo stampato dal Malatesta in Milano
nel 1776. — A p. 397; Vita del Barone di YVémA-, edizione del 1789, Italia; non so se sia una
stessa cosa con una che è data come traduzione dal francese e l'indicazione Italia, in
Milano presso Giacomo Barelli. — A p. 389, Memorie delia Duchessa di Kingston ; molto prima
dell'edizione veneziana, se n'era fatto un transunto per il Giornale delle nuove mode, anno
1788-89 tom. VI-VII. — Aggiungerò; Abdeker ossia l'arte di conoscere la bellezza, romanzetto
galante, pieno di fredde allegorie, tradotto dal francese; Italia, 1787. — Lettere inglesi di di-
ilo RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Troppe altre citazioni e osservazioni richiederebbe la copiosa materia del
volume, specie dove, senza uscire dal soggetto principale, si stende in ri-
cerche comparative e raffronti con opere simili di altre letterature, già adulte
e rigogliose, dove il romanzo era davvero la dimostrazione dell'indole e dello
spirito di quelle genti, e rappresentava, comunque, una vittoria della moder-
nità sulle grandi forme tradizionali dell'arte classica, che a quella genera-
zione impaziente e audace, desiderosa di verità, non parevano le più adatte
a servire come mezzi di propaganda. — Ma non voglio abusare oltre della
cortese ospitalità della Rassegna, contento d' aver messo in chiaro i pregj e
l'importanza del lavoro. T. Goncari.
Lewis Einstein. — The italian Renaissance in England Shtdies. —
New York, The Columbia University press, 1902 (8.° picc,
pp. XVI-420).
Non veramente di «Studj», come si legge nel titolo, si tratta;
bensì di un'opera complessiva di divulgazione. Che se qua e là
l'autore ha occasione — come vedremo — di esporre i risul-
tamenti d' indagini proprie, per lo più egli altro non fa se non
raccogliere da fonti stampate, antiche e moderne, sommarie no-
tizie sugl'importanti quanto vasti soggetti, che negli otto capi-
toli del suo lavoro viene sinteticamente svolgendo.
È un libro questo del signor Einstein, che può aspirare prin-
cipalmente al vanto d'invogliare gli studiosi a rivolgersi ad un
campo ch'egli nella prefazione non a torto chiama mezzo ine-
splorato. Il disegno della grande opera, a cui la fortuna delle
lettere italiane in Inghilterra durante i secoli XV e XVI merita
di offrire argomento, c'è già in queste pagine, giudiziosamente e
maestrevolmente tracciato; anche la disposizione della materia
dovrà essere certo non diversa da quella che qui le è data. Ma
perché tale opera possa esser scritta con quella copia di notizie
verse dame tradotte daU'ingleae ; l'autore dev' essere itaHano, come si può argomentare dalla
uotizìa che ne davano le Xoveìle Leti, di Venezia per l'anno 1754, p. 40. — Sogno, tr&dnziooe
dal francese, con aggiunte e note; Milano, 1775 presso Galeazzi. — Anna Dell, storia Inglese,
Milano 1776; la traduzione italiana è dedicata « all'autore cbiarissimo del Libro dei delitti
e delle pene ». — Le disgrazie del destino ovvero 1 Paesi per amore con rami, Italia 1778, presso
i librari mercanti di novità nella stamperia Pirola. — Noterò per ultimo che a p. 415 il M. dà
tra i romanzi 1/ Ulisse il giovane dell' ab. Lazzarini, che è il titolo d'una tragedia del Laz-
zarini stampata tra il 1719 e 20 a Padova e a Ferrara; equivoco, come l'A. medesimo mi
avvisa, incorso a cagione di un Catalogo di libri italiani del fu signor Ploncel, avvocato al
Parlamento di Parigi, nel quale catalogo sotto la rubrica Homanzi p. 318 tra gli altri è citato
l'Ulisse. — Un romanzetto pastorale dev'essere anche // Monte Ureo del Savioli, opera gio-
vanile sull'andamento deW Arcadia Abì Sanoazzaro; il trovarci de' versi tramezzati alla
prosa non guasta, perché, per esempio, erano in versi anche i romanzi di Riccardo Blakmor,
ohe G. Gozzi, in nota al Saggio di critica del Pope, cant. Ili, chiama lo Sondery dell'lnghil-
t«rra, e del quale si diceva che ogni anno partorisse un grosso volume.
^ DELLA LETTERATURA ITALIANA 111
eh' è desiderabile, occorre che prima venga condotto molto in-
nanzi il lavoro monografico preparatorio; occorre che sia prima
bene dissodato il terreno su cui si dovrà edificare, mediante le
industri fatiche di eruditi inglesi, americani ed italiani; occorre,
insomma, che si faccia per l'Inghilterra ciò che per la Francia
son venuti e vengono facendo, oltre a qualche nostro connazio-
nale, il Picot, il Vianey, l'Hauvette ecc.^ Con ottimo pensiero,
tre professori americani, G. E. Woodberry, J. B. Fletcher, J. E.
Spingarn, hanno in questi giorni messo mano alla pubblicazione
di un Journal of comparative literature, sotto gli auspicj della
Columbia University di Nuova York.-* Griova augurare, che con
questo mezzo, e mediante la serie degli studj di letteratura com-
parata editi dalla detta Università, dei quali anche il volume di
cui parliamo fa parte, si riesca a mettere insieme tutto il mate-
riale che occorre alla costruzione del desiderato edifizio. All'Ein-
stein resterà pur sempre il merito d'esserne stato il primo ar-
chitetto. E se la sintesi finale sarà affidata a lui, tanto meglio.
Vediamo intanto e i pregi e le lacune del libro che ci sta
dinanzi.
Nel primo capitolo si parla di coloro che primi ammirarono,
e fecero ammirare, in Inghilterra la cultura umanistica. Sono
eruditi e mecenati: fra questi ultimi, di gran lunga più beneme-
rito di ogni altro Umfredo duca di Glocester. Le notizie che l'Ein-
stein dà intorno ad esso e ai letterati italiani da lui protetti
poco aggiungono a ciò che si ricava dal Creighton ^ e dal Voigt.*
L'autore avrebbe potuto arricchirle giovandosi delle pagine che
il Borsa nella sua monografia sul Decembrio ° dedica al duca di
Glocester e ai vincoli che lo strinsero ai nostri umanisti, in ispecie
a Tito Livio da Forlì. Sul quale, del pari che sulla corrispondenza
del Decembrio col Duca, gli avrebbe inoltre giovato conoscere
un altro scritto sul celebre umanista di Vigevano: quello del
Gabotto.^
1 Vero modello di cosi fatte monografie mi sembrano le due recentissime di E. Picot : ies
llulitns en France mi XVI. siede, 1. serie (Bordeaux, 1902, estr. dal Bull, italieti) e Dts Francois
qtrì out éciit en iMien mi X\'I. siede, Parigi, 1902, (estr. dalla Her. lUs bibliothèqws), con le quali
il mio dotto amico si viene preparando a quella Histoire de la liltér. ital. en France au XVI,
.«iVc/e, ch'egli promette, e che riuscirà certo magistrale e in ogni parte compiuta.
* Han promesso di collaborarvi anche una ventina di comparatisti stranieri, fra cui otto
italiani.
3 The Eady Renaissance in England, Cambridge, 1895.
* Die WiederbelebMii/ des class. Àltedhnms,3 Berlino, 1893. I) cap. l.del lib. VI, che tratta
dell'Umanesimo in Inghiterra, è messo qui largamente a profitto dell'Einstein.
5 tji umanista viyivanasco del sec. XIV, Genova, 1893 (estr. dal O'ioni. liyustico, XX), cap. II.
Ofr. questa Ross., 1, 229 sgg.
6 1/ attività politica di P. C. Pecenibiio. Genova, 1893 (estr. dal Giorn. ligustico, XX), pp. 35-6
e 39. Cfr. questa Ra^s., loc. cit. — 11 Gabotto quivi (p. 35) prometteva anche un lavoro speciale
112 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA *
Anche ciò che l'È. ci fa sapere intorno agli Inglesi che nel
secolo XV vennero ad erudirsi nelle Università italiane è troppo
scarso.^ Si può dire, anzi, che serva soltanto a stuzzicar la nostra
curiosità e, di conseguenza, a far sorgere in noi il desiderio d'un
lavoro speciale sull'importante soggetto, simile a quello che,
con diligenza e perizia, ha incominciato il Picot intorno agli stu-
denti francesi venuti fra noi.^ Parimente, sugl'Italiani che inse-
gnarono umanità ad Oxford, non troviamo in questo libro se non
qualche accenno. Sarà vero che, com' è stato congetturato, il
Grocyn e il Linacre — i quali formano col Latimer la triade del-
l'erudizione oxoniese nell'estremo Quattrocento — abbiano stu-
diato in Oxford sotto Cornelio Vitelli? Di questo lodato latinista
e grecista italiano, che fu, secondo Polidoro Vergili, il primo
docente d'umane lettere in quella città, perché non dar notizia
ai lettori? Il Vitelli fu anche professore d'eloquenza all'Univer-
sità di Parigi, e in Italia insegnò a Venezia e, probabilmente, a
Padova. Nativo di Cortona, non già di Corneto, come credette il
Vergili, 3 egli è noto soprattutto per le sue scritture contro il Pe-
rotto ed il Merula.*
Molto più copioso di notizie è il capitolo secondo, che tratta
dell'efficacia esercitata sul costume cortigianesco dell'Inghilterra
dall'esempio delle corti italiane del Rinascimento e dai libri del
Castiglione, del Della Casa, del Muzio, del Guazzo, ecc. Notevole
ciò che l'Einstein scrive del Book of honor and arnies e del Honor
militar and civìl di Guglielmo Segar, della Fractise del Saviolo,
del The nobles or of nohility dell' Humphrey. Curiosi particolari
(ohe credo uoii abbia mai pubblicato) sulle relazioni italiane di Uuifredo. — Giova osservare,
che al Duca di Glocester è dedicata una delle tante versioni dal greco di Lapo da Castì-
glionchio iuniore: la l'iVn d'/lW^secse di Plutarco. Nella dedicatoria (ex Bouonia, II non. decein.
1437), stampata per interi) nelle Vite di Plutarco edite dal Campano a Uoma nel 1470 (1,225)
e parzialmente da F. P. Luiso, in StuiJj Hai. di floìof/ia clnssicn di Firenze, VII, 273-75, Lapo
4ice di avere avuto contezza dell'amore d'Umfredo per gli studj d'umane lettere da Zenone
di Castiglione, vescovo di Bayeux (sul quale v. Borsa, Wece/iilicio, cit , pp. 60-61).
i Gli sarebbe stato utile vedere ciò che della dimora di Giovanni Tiptoft, conte di Wor-
cester, in Italia e della dedica d'una versione di Luciano fattagli dal Griflblini verso il 1460,
scrive G. Mancini, Frane. OriffuUni coynominuto h'iimc. Aretino, Firenze, 18;)0, pp. 30-31. Dire
" Francesco Aretino , soltanto (Einstein, p. 25) genera ambiguità; dacché può far credere, che
si tratti del celebre Francesco Accolti.
2 Aes- Fiu»{uiiò- à V Uìiiveimlé de Ferrara uu XV. et «a XVI. siede, in Juuriìal des satunti,
febbraio-marzo 1902.
3 PoLiDOBi Vebgilii A)/,(///cne Insloriae, Basilea, 1534, p. 610: " Cornelius Vitellius, homo
' ìtalus Corneti, quod est maritimum Hetruriao oppidum, natus nobili prosapia, vir optimua
' graticsusque, o m n i u m primus Oxonii bonas litcras docuerat,.
■» Cfr. TiBABoscHi, Storia d. leti, it., VI, lib. 3.", cap. V, § 66 ; Zeno, Vonsia>ie, li, 64, 83 ; Hal-
LAM, Hill, de la Itttér. de l' Europe, traduz. di A. Borghers, Parigi, 1839, 1, 234-35, 276; Crrvieb,
Hist.de l' Univ. de Paris, IV, 439, 441; G. Mancini, // cotitribvto dei Cortonesi alla cultura ital.,
Firenze, 1898, pp. 21, 26-26.
DELLA LÉl-tEftAtURA ITALIANA 113
egli ci offre circii allo « sport », alle maschere ed alle mode che
gl'Inglesi nel Cinquecento imitavano dagl'Italiani; e fa giuste
osservazioni sulle teoriche intorno all'amore e alla donna, sul-
l'idea del perfetto cortigiano e diplomatico, sulle dottrine stra-
tegiche, ch'essi imparavano allora da noi. La conoscenza del no-
stro idioma alla corte d'Enrico Vili e poi della regina Elisabetta;
le fatiche di Giovanni Florio, figlio d' un profugo protestante ita-
liano, ad incremento di tale conoscenza; infine l'impronta essen-
zialmente italiana data in Inghilterra, durante il secolo decimo-
sesto, cosi alla vita dell'alta società, come all'educazione femmi-
nile, off'rono argomento all'ultima parte di questo capitolo.
Al quale ne tien dietro un altro che, a mio avviso, è il mi-
gliore del libro. Tratta degli Inglesi che nel Rinascimento viag-
giarono per l'Italia, ammirandone gli splendori artistici, e ne de-
scrissero ai connazionali le bellezze ed i costumi. In questa parte
del suo lavoro l'Einstein s'è valso di materiale difficilmente ac-
cessibile a noi Italiani, od anche inedito nelle biblioteche del
Regno Unito; ^ onde ha fatto opera veramente utile, per quanto
suscettiva di non pochi accrescimenti. Ed utile, ma troppo som-
mario, è ciò che nel capitolo seguente (di sole venti pagine) egli
dice del fanatismo britannico per le cose nostre e del conseguente
grido d'' all' armi contro il « pericolo italiano », per cui l' « italia-
« nate englishman » divenne oggetto di riprovazione e di sarcasmo.
Deficiente, invece, mi sembra il capitolo V, con cui si apre la
seconda parte del libro. Il soggetto, attraentissimo, — « GÌ' Ita-
« liani in Inghilterra: ecclesiastici, artisti e viaggiatori » — me-
ritava di più e di meglio! La questione se Dante fu ad Oxford
vi è appena accennata. ^ Fra i dotti della nostra nazione che
varcarono la Manica, non veggo ricordato, né qui né altrove, quel
Girolamo Balbi di Venezia, tipo d'umanista vero (nel senso più
lato del vocabolo e sul vecchio stampo italiano), che le famose
polemiche coll'Andrelini, col Tardif, col Gaguin ^ costrinsero verso
il 1496 a lasciar Parigi, dove professava umane lettere, e a tra-
sferirsi in Inorhilterra. * Di Andrea Ammonio della Rena da Lucca
1 Veggasi, a pp. 386-87, la lista degli Enqlish accouiifs of Itali/ in the aixteetdh centuri/.
* L'È. dice soltanto: • It has even beeii tbougbt by sorue, tbat Dante stadied tbeology
« tbere » (p. 180). Kppure, qwel cbe in proposito ebbero ad osservare il Gladstone (in A7ji«-
teeìith ceuluiif del giugno 1892), A. R. Maksh (in The nntion del 27 aprile 1893) ed altri meri-
tava d'esser discusso. Cfr. A. Makendczzo, Se. Dante fu ad Oxford, in La .scintilla, X, un. 18 sgg.
3 Vedi in proposito h. Gkigkr, Studien cui- Gesch. d.franzós. Htimunisuius, in Vierteijabrs-
schrifi f . Kultur u. Lilter. der Renaissance, l, 1-48.
* Sul Balbi, oltre all' Agostini (ScriW. »«««»., ir, 240 sgg.), al ÌH/iZZVcaBijVi{Scritt. d' Italia,
II, I, 83) e al Tibaboschi (Storia, loc. cit., § 65), v. 1 miei Slitdj di utoiia ìelter. Hai. e straniira.
Livorno, 1895, pp. 206-7.
114 RASSEGNA BIBLIOflRAFICA
(ra. 1517) è qui ricordato, incompiutamente, il nome ^ e poco pili;
laddove egli avrebbe dovuto campeggiare nel capitolo di cui par-
liamo. Non lieve efficacia ebbe, in fatto, sui conterranei d'ado-
zione questo grande amico d'Erasmo, 2 che diventò segretario del
re d'Inghilterra per le lettere latine, e si procacciò la stima di
uomini come Tommaso Moro e Giovanni Colet, ^ 1 suoi Poemata,
fino a noi pervenuti, che lo mostrano in relazione con alti digni-
tarj britannici, la sua Scolici conflictus historia e il De rebus nihili,
di cui abbiam notizia dalle lettere dell'umanista di Rotterdam,
certo giovarono a rafforzare nella patria dello Shakespeare lo stu-
dio e l'amore delle lettere latine.* Similmente, contribuì non poco
a diffondere presso codesta nazione la cultura umanistica quel
Polidoro Vergilio o Vergili, di cui l'Einstein nel suo libro avrebbe
dovuto trattare, per quanto sommariamente, con ben maggiore
accuratezza. ^
Dopo aver discorso brevemente degli artisti italiani in Inghil-
terra, dei libri in italiano quivi stampati, de' nostri eretici che,
come Bernardino Ochino e Pietro Martire Vermigli, vi si rifu-
giarono, degli ambasciatori veneziani e di quanti altri riferirono
in Italia ciò che oltre la Manica avevano osservato, l'autore vie-
ne a trattare un tema che non entra propriamente nell'ambito
degli studj letterarj : i mercanti italiani in Inghilterra. Noi ci
contenteremo di notare, come qui l'Einstein, pur valendosi d'uno
speciale lavoro di E. A. Bond su tal soggetto, *> esponga i risul-
tamenti di ricerche proprie nell'Archivio di Stato di Firenze e
nei manoscritti del Museo Britannico. ^ La parte meno approfon-
dita di questo importante capitolo ci sembra quella che riguarda
l'effetto prodotto sul popolo destinato a divenire il padrone dei
mari dall'esempio e dall'opera dei nostri navigatori, esploratori
e geografi. Il bellissimo argomento vi è appena sfiorato. Scarse
ed inesatte le notizie su Pietro Martire d' Anghiera e le sue Decades
1 La vera forma del nome italiano d'Ammonio, sfuggita anche al diligentissimo .VIaz-
zucHELLi {Scritt. d' Ilalin,l\,&i&-i'l),fn trovata da C. Lucchesini, Della storia Mter. dei ducalo
liiccluse, in Mem. e dncum. per servire alla storia del ducato lucchese, Lucca, 1825, IX, 182.
* Ofr. M. Reich, Erusnius v. Rotterdam ecc., in Wesldeutsche Zeitschrift, supplem. IX [1896|,
136. E vedi l'ediz. di Leida, 1710, delle Opera omnia d' Erasmo, III, I, col. 103 D, 403 B, 788 P.
s Cfr. S. Knight, Tlie life of d.r Jolm Colet, Londra, 1724. Quest'opera contiene utili notizie
su Ammonio, dalle qnali l'È. avrebbe potuto ricavar profitto.
4 Cfr. E. G. Ledos, Les poésies lutines d'Andrea Ammonio della Rena, in Rer.des hibliothi-
qiits, magtfio 1897. Anche questo articolo, scritto con piena conoscenza delle fonti per la vita
d'Ammonio, avrebbe potuto somministrare all'È, il modo di trattar di lui come si conveniva.
8 Oltre al Tiraboschi ed al Bayle, vedi sul Vergili il Commentario degli uomini ilhtatri
d' Urbino, Urbino, 1819, pp. 95-100.
6 Italian merchauts in Enyland, in Arclineologia, voi. XXVIII.
7 Cfr. la lista delle itaniiscripl soiirces, a pp. 391-93.
DfiLLA LETTERATURA ITALIANA 115
de orbe novo; ' irriconoscibile, sotto l'appellativo di Luigi Ver-
tomanno ria Roma, il viaggiatore bolognese Lodovico de Varthe-
ma, autore del divulgatissimo Itinerario. *
Ed eccoci agli ultimi due capitoli del libro, che in sole cento
pagine trattano delle « idee storiche e politiche degli Italiani in
« Inghilterra » e dell' influenza della nostra letteratura sulla let-
teratura inglese del Cinquecento. È facile capire, che si tratta d'un
semplice excursus, d'un disegno tracciato a grandi linee, nel quale
parti rilevanti del quadro rimangono nell'ombra. ^ Ed anche qui
sviste ed omissioni;* anche qui non è tenuto conto, quanto si
sarebbe dovuto, di qualche scritto speciale. ^ Ma, nonostante, la
1 Pietro Martire non fu mal presidente del Consiglio delle Indie, come a^erma l' antore
a pag. 279: bensì elettone membro nel 1518, venne confermato nell'ufficio sei anni dopo,
quando si procedette al riordinamento di tale consesso. Quest'errore l'È. avrebbe evitato, se
sul geografo d'Anghiera avesse messo a profitto le monografie di H. A. Schumacher, Petrus
Marti/r, der GeschicMschreiber des Wellmeeres, Nuova York, 1879; I. H. Mabiéjol, P. M. d'Anghiera,
Parigi, 1887; G. Pennesi, P. M. d'A. e le sue relasioni sulle scoperte oceaniche, in Raccolta di
docum. e sliidj puhbl. dalla Commiss. Colombiana ecc., P. V, voi. 2° (Roma, 1894) E in tal caso
egli non avrebbe mancato altresì di notare, che il De orbe «otonel 1587 fu ristampato per
cura d'un inglese, Riccardo Hackluyt, con dedica ad un altro inglese, il Baleigh; entrambi
celebri negli annali della geografia.
2 * Lewis Vertomannus gentleman of the citie of Rome „ è chiamato effettivamente il
De Varthema nella prima versione inglese del suo Itinerario (cfr. P. Amai di S. Filippo, Bio-
grafia dei viaggiatori ital. ecc.,* Boma, 1882, p. 237); ma l'È. non doveva omettere d'identificare
codesto incognito * Vertomannus , col ben noto viaggiatore e di soggiungere in proposito le
opportune notizie.
3 Al tutto insufficiente, per esempio, ciò che si dice a pp. 363-64 sull'imitazione italiana
nella novella inglese! All'È, è sfuggito l'importante lavoro del Koeppel, Studien ztir Oesch.
der ital. Sotelle in der eiigl. litter. des XVI. Jahrh., Strasburgo, 1892 (fase. 70.o delle Qtieilen u.
Foracl^ngtn ztir Sprach - u. Kultitrge^ch. d. german. Vólker); lavoro che, infatti, egli non cita nella
Bibliografia insieme cogli altri del medesimo autore. Vedine riassunti i risultamenti princi-
pali nel mio Cinquecento, Milano, 1902, p. 480.
4 Dello Zodiacus vitae del Palingenio l'È. cita a p. 346 la versione incompiuta del 1561
{The first six books of M. P.), Ma essa usci per intero alla luce nel '65 ; e i primi tre libri il
GooGE aveva già pubblicati, tradotti, nel '60 (cfr. E. Teza, Lo Zodiacus vitae di Pier Angelo Man-
zolli, Bologna, 1888, p. 11, estr. dal Propugnatore). — li'Aininta del Tasso l'È. crede sia stata tra-
dotta in esametri latini da Tommaso Watson nel 1587 {correggi 1585). Trattasi, invece, di undici
Qaerelae dal Watson medesimo composte col titolo d'Aminta, che con la pastorale tassesca
nulla hauno di comune. Cfr. Solerti, Bibliogr. dell' Aminta, in Opere minori in versi di T. Tasso,
Bologna, 1895, III, cxiv n. — Che il Cromwell abbia detto al cardinal Polo d'aver preso a
guida della sua condotta il Principe del Machiavelli, all'erma il Polo stesso ; ma 1' E. nou do-
veva tralasciar di notare, che la veridicità di tale asserzione è stata impugnata dal Bbosch,
Gesch. von England, Gotha, 1890, VI, 259 (cfr. Villari, -Y. Mach, e i suoi tempi, 2 II, 433-34).
s Sul soggiorno di Giordano Bruno in Inghilterra, era da mettere a profitto ;in articolo
di A. Valgimioli, in La vita ital., 1, 19 (v. anche L. Auvbay, 0. B. à Paris, estr. dai Mém. de la
Sociélé de t'Hìst. de Paris et de l' Ile-de-t'rance, XXVII (19001, p. 9). - Buone notizie sull'Imitazione
del Sannazzaro nello Shepheard' s Calendar dello Spenser e nell' ircorfm del Sidney, l'È. poteva
ricavare da un noto scritto del Tobbaoa {Gl'imitatori stranieri di J. Sannazaro,^ Roma, 1882,
pp. 71-78). — Intorno alle imitazioni del Wyatt da' nostri satirici, non si doveva trascurare la
memoria di P. Bellezza, in llendic. del R. Istituto Lombardo, XXX, fase. 8.» — S'avverta per
ultimo, che della vasta e bella opera di A. W. Ward, A liistory of euglish drumatie literuture
ecc., di cui l'È. cita ed adopera l'ediz. del 1875 in due volumi, una nuova edizione rivedala
e corretta, in 3 volami, si è pubblicata nel 1899 a Londra.
116 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
lettura di quest'ultima parte del libro giova a dare un'idea com-
plessiva dei molti debiti che gl'Inglesi hanno coli' Italia in ispecie
per ciò che si riferisce al magistero dello stile, dell'elocuzione,
del verso. Ed oltre che utile, riesce piacevole, per la. vivacità del
dettato e per la copia di assennate osservazioni.
Delle quali — giova notare per ultimo — non è penuria nean-
che negli altri capitoli del libro. Anzi in ciò sta la maggiore at-
trattiva di esso e il maggior merito dell'autore. Chi voglia aver
sott' occhio una specie d'inventario, ben ragionato, di quello che
nel Rinascimento l'Inghilterra attinse alle vivide sorgenti della
nostra vita, della nostra cultura e dell'arte nostra, percorra da
capo a fondo questo volume, che, anche per l'assetto tipografico
e per le belle illustrazioni che lo adornano, piace e diletta.
Francesco Flamini.
COMUNICAZIONI.
I VERSI COMUNI A PIETRO DA BARSEGAPE E AD UGUCCIONE DA LODI.
È noto che il Tobler, pubblicando nel 1884 il Libro di Ugugon da Laodho,
richiamò l'attenzione degli studiosi sul fatto che varj gruppi di versi si ri-
trovano uguali, con varianti di poco conto, nel Sermone del Barsegapé, e
ch'egli dette ragione di questo, certo non fortuito, accordo, supponendo che
il Barsegapé si fosse senza scrupolo giovato, a scanso di fatica, dell' operetta
del suo più vecchio collega. Al Tobler fecero eco coloro che più tardi parla-
rono 0 dell'uno o dell'altro dei due poemetti, e ricorderò il Salvioni, Giornale
storico della letteratura italiana, XXIX 45.3 n., e il Keller, nella sua edizione
critica del Sermone, 7.* Io mi sono persuaso che le cose stieno in modo assai
diverso, e mi provo a darne qui una dimostrazione, che vorrei riuscisse chiara
e convincente.
Esaminiamo i passi che il Barsegapé avrebbe tratto dal Libro di Uguc-
cione. Tutti, ad eccezione di uno, che per ora lascio da parte, si trovano
verso la fine del poemetto, dove i vv. 2180-2201, 2220-23, 2234-45, 2264-69,
2272-79, 2294-319, 2334-67, 2384-92, corrispondono rispettivamente ai vv.
1713-34, 1739-42, 1743-54, 1757-62, 1763-70, 1773-98, 1801-34, 1835-43 di
Uguccione.
Nel primo passo, il Barsegapé comincia a descrivere il Giudizio Univer-
sale, parafrasando molto fedelmente San Matteo, 25, 31 sgg. Si noti che della
sua fedeltà al Vangelo il Barsegapé se ne tiene e ne fa quasi pompa davanti
I Die Reimprfdif/t dei! PUtio da Bar.ifqapé, Kiitisclier i'exl mit Mnìe'lunt/, Grammalik n. Glossar,
hrsfigb. V. Emil Keller. Fraueiifelil, 1901 {Ueiloye min Pioijiiiimn der Tìnmj. h'anloiiscìmU fiìr
da» Schuljuhf 1900 190 J).
DELLA LETTERATURA ITALIANA 117
ai suoi uditori. Parlando delia venuta di Gesii Cristo sulla terra, dice espres-
samente (vv. 404-5) :
eo vel volio ouiutare
segondo lo Vangelio: e' l'ó traete in vulgare.^
Noi crediamo che gli si deva prestar fede, almeno fino a prova decisa-
mente contraria.
Dice San Matteo: " Gum autem venerit Filius hominis in majestate sua,
et omnes angeli cum eo, tane sedebit super sedem majestatis suae: et con-
gregabuntur ante eum omnes gentes, et separabit eos ab invicem, sicut pa-
stor segregat oves ab htedis ......
E il nostro traduce :
2168. — E la divina maiestà,
la pretiosa podestà,
Jbesu Christe, lo Deo poscente,
monto forte e grande mente
se ponerà suso la cadrega,
e davanzo In la nobel schiera,
e cnreri e tubaturi
e li grangi e li luennri.
Omiunca homo debìa li andà
a quelo arengo genera.
Molto tosto e prestamente
2179. — asemblarà tnta la 9ente:
2202. — Partir i aura lo Segnore
si corno la lo bon pastore,
ki mete le pegore dal' una parte
e li caprili mete desvarte.
E evidente che fra questi due passi non c'è soluzione di continuità, e
che rendono esattamente la descrizione del primo dei Vangeli. Non si desi-
dera dunque nulla di più. Senonchè fra l' uno e 1' altro sono inseriti 22 versi
di Uguccione (1713-34), i quali cominciano:
2180. — Le grande vertue dal cel vera,
in Josephat la condnrà
l'altissimo veraxe Deo
per gndigare lo bon e "1 reo,
e dopo aver descritto i segni minacciosi del cielo, ecc., conchiudono così:
2200. — Oi Deo, cam serali beai
killì k' erau mondi trovai !
Si può forse discutere sul buono o cattivo accordo dei primi di questi
versi uguccioniani con quelli che li precedono immediatamente nel Sermone;
ma mi par difficile concedere che dopo gli ultimi, ora citati, i quali si rife-
riscono solo ai giusti, trovino luogo conveniente i versi del Barsegapé 2202
* Il Keller: segoniìo lo tanfirìio « lo tracio in vulgare. Tutfal più posso ammettere cbr
invece di e V ò sia da leggere e (copulativa) l'ò. CJaile dunque l'osservazione del Keller,
pag. 4, che al Barsegapé sia servito di fonte anche uu ihicId ih lulgure.
118 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
sgg., dove si ritorna alla divisione delle pecore dai becchi: 'Partir i avrà
10 Segnore '. Non parrà dunque temeraria congettura la mia, che i 22 versi
di Uguccione sieno stali introdotti tardi, per opera di qualche amanuense,
nel testo del Barsegapé, allo scopo di aggiungervi quello che ci mancava.
11 Barsegapé si tiene stretto al Vangelo : Uguccione attinge invece anche
ad altre fonti più ricche di particolari e propriamente, com'io credo, ai noti
poemetti francesi sui 'quindici segni del Giudizio':* è naturale che qual-
cuno cercasse di fondere insieme i due testi, per non perdere nulla di cosi
interessanti notizie. È il medesimo procedimento che troviamo spesso adot-
tato dai trascrittori di enciclopedie, di cronache o anche di romanzi me-
dievali.
Seguirebbero i versi del Barsegapé 2220-2223, che dovrebbero corrispon-
dere ai versi di Uguccione 1739-1742; ma non so chi vorrebbe assumersi di
affermare con sicurezza che i due verseggiatori non possano averli scritti
senza saper l'uno dell'altro. Il testo del Vangelo dice: "Venite, benedicti
Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutìone mundi ,, e il
Barsegapé traduce :
Veni a mi, benedicti vu,
ke vu sìai li ben venu:
veni via, alo regno meo,
ki v'è aprestado dal patre meo !
E Ugucon. poco diversamente, ma un po' fedelmente:
Voi benedtieti, a mi vegnì,
lo regno meu possederì,
q* eu v'ài prestad e preparato,
Bì com a voi e nonciato.
Dopo il passo citato dianzi. San Matteo continua: " esuri vi enim, et de-
distis mihi manducare: sitivi, et dedistis miti bibere: hospes eram, et coUe-
gistis me : nudus et cooperuistis me : infirmus et visitastis me : in carcere
eram, et venistis ad me. Tunc respondebunt ei iusti, dicentes: Domine, quando
te vidimus esurientem, et pauimus te?. . . ,.
Letterale è la traduzione del nostro poeta:
2224. — lu fame e sede me vedisti,
grande pietà de mi avisti.
Vu me fasisti carìtae,
viu e pane me desse asae.
Vu me vedisti peregrinare,
com esso vu me fisi stare ;
nudo me vedisti e mal gnarnido,
e ben da vui fu e' vestido :
infermo me vedisti et In prexon,
2233. — de mi portasi compassion.
Dix li iusti Mora a Christo:
' Or di, meser, quando fo questo,
ke nu te videmo in povertà
e ke te fessemo carità '?
1 Più d'un verso di Uguccione è, a quello che posso vedere, tradotto alla lettera dal
francese.
DELLA LETTERATURA ITAUAISA 119
Ho cambiato nel v. 2246 l' ancora che porta il manoscritto in altro av-
verbio di tempo inlora ; e qaesto basta a mettere in tutto d'accordo il Bar-
segapé col Vangelo, e a legare insieme indissolubilmente i due passi riferiti.
Come credere dunque che sieno stati introdotti nel poemetto proprio dal
suo autore i versi 2234-2245, provenienti da Uguccione (1743-54), che ripe-
tono senza nessun motivo le medesime cose e perfino sdoppiano la domanda
dei giusti?
2234. — ' E se eo vigni povero e uudo,
Cam legreva fu recevndo:
per carità vn ni'aìbregasi
e vestimente me donasi :
sed eo fu infermo et amalao,
da vu fui ben revisitao.
Molto n'avisi pesauga e dol,
si comò pare de filiol '.
Diran li insti ad una voxe
là o sera la vera croxe:
' Quando te videmo, patre saucto,
2245. — ke nu te servimo cotanto?'
L'amanuense, che inserì questi versi, si trovò, giunto all'ultimo di essi,
dinanzi alla piccola difficoltà di quell'avverbio inlora del v. 2246 e lo ag-
giustò alla meglio in ancora, ottenendo un apparente legame di senso.
Per ragioni consimili e forse anche più forti vanno senz'altro tolti via
dal Sermone i vv. 2264-69 (= Ug. 1757-62), e i vv. 2272-79 (= Ug. 1763-70).
Basti accennare alla sciocca ripetizione che conterrebbero i versi del Barse-
gapè 2280-81, rispetto ai due che il precedono. Tarda inserzione sono pur
senza dubbio i vv. 2334-2367 (= Ug. 1801-1834), poiché nel testo del Ser-
mone le parole di Gesù Cristo, sempre ricalcate su quelle del Vangelo, hanno
la loro fine naturale coi versi 2332-33:
Maledicti et blastemai,
TU ve stari là sempre mai.
Qualche difficoltà parrebbe opporci il fatto che tolto via tutto ciò che
spetta ad Uguccione, a questi due versi ne seguirebbero subito altri due
consimili, i vv. 2368-69 :
Or stari destrugi e malmenai
e dala mia parte sie blastemai.
Ma io non credo di mancare ai suggerimenti della prudenza, supponendo
che anch'essi sieno da escludere dal Sermone, come uno sdoppiamento, non
indagherò se voluto o casuale, degli altri due.
Finalmente i vv. 2384 - 92, che corrispondono agli ultimi nove versi del
Libro di Uguccione (1835-43), e il verso 2393, che probabilmente è di Uguc-
cione medesimo (e dovrebbe quindi aggiungersi in fine al suo Libro, resti-
tuendogli r ultimo verso che gli manca), dividono di nuovo parti e concelli
che devono stare uniti, e formanoun intermezzo inaspettato e perturbatore.
Il Barsegapé si propone ora di tacer dei dannati e di parlare dei giusti: e
dei giusti parla nel verso 2394 e nei successivi. I versi uguccioniani interposti
si rivolgono invece agli uditori e sono una delle solite formole di chiusa ;
120 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
tanto più fuori di posto in questo punto, in quanto ciift la vera chiusa del
Barsegapé non è lontana e, come si può imaginare, è somigliantissima d'in-
tonazione e di senso.
In questa descrizione del Giudizio universale ho lasciato da parte, perché
presentano difficoltà piti serie, i vv. 2294-2319, che rispondono ai vv. 1773-98
di Uguccione. Traducendo sempre San Matteo, il Barsegapé mette in versi
le parole del Signore ai maledetti, e la parafrasi, molto fedele, si compie col
V. 2293. Seguono i versi di Uguccione, che ripetono al solito cose consimili,
con particolari un po' differenti, e che noi, valendoci dell' esperienza ornai
acquistata, saremmo pronti ad escludere dal Sermone. Ma due almeno di
questi versi disgraziatamente sono necessarj al senso, quelh che corrispon-
dono all'evangelico: " Tunc respondebunt ei et ipsi (i dannati), dicenles. . . ,.
Scrivo in corsivo i due versi di Uguccione strettamente necessarj:
2282. — Maledicti, andaven via
in quela grande tenebria,
entro lo fogo eternale !
Ke sempre mai devi li stare
cum lo falso crudel inimìgo,
lo diabolo vegio antigo.
No me valse marce clamare,
ke VII me volisi albregare.
Vii me vedisi afamao,
nndo e crudo et amalao :
de mi non avisi pietà,
2293. — ke a mi vu fisi carità.
2312. — Responderà li peccalor
con grande dolia e con tieinor:
2320. — Quando te videmo nudo esser
eu povertà, fame e sede ?
Il verso 2320, a dire il vero, nel manoscritto è legato coi versi prece-
denti, di Uguccione, per mezzo di un ni, ni quando te videmo, ecc.; ma,
lasciando stare che con esso abbia una sillaba di troppo, nulla impedisce di
credere che il ni sia stato aggiunto proprio allo scopo di ottenere il necessario
legame. Siamo a un dipresso nel medesimo caso di quell'avverbio inlora,
mutato in ancora. Del resto, nei vv. 2320-21 è spremuto tutto il succo delle
parole di S. Matteo: " Domine, quando te vidimus esurientem, aut sitientera,
aut hospitem, aut nudum, aut infirmum, aut in carcere, et non ministravi-
mus tibi?,; cosicché non c'è alcun bisogno di valersi dei sei versi di
Uguccione, che li precedono nel manoscritto:
2314. — Mo quando te videmo in besognia,
ke de ti non avessemo sognia?
Se altra persona nel dlsesse,
a mi no par k' e' gel credesse,
ke ti vedesemo infirmila
2319 — soferir ne necessità.
Aggiungiamo anzi che poco si accordano questi con quelli, se non altro
perchè la necessità, di cui si parla al v. 2319, non è altra cosa che \& povertà,
ecc., del 2321.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 121
Concludiamo dunque daccapo che slrettamente necessari! sono soltanto
i versi 2312-13; e giunti .a questo punto è difficile che non sentiamo, il
bisogno di fare l'ultimo passo e di considerare anche questi ultimi indizii
di plagio come tarda inserzione d'un copista, che li ha sostituiti a due versi
originarli del Barsegapè. 0 diciamo meglio. Probabilmente si presentò qui
un caso consimile a quello dei vv. 2242-46, dove si ripete due volte * Diran
• li insti „, " Dix li iusti ,. Ivi era possibile rabberciare i versi e, con una
piccola alterazione, conservare tanto il testo originario quanto la glossa uguc-
cion,iana: nel caso presente invece, fra le due parafrasi dell'unnico concetto
• dicono i peccatori , non essendo interposto nulla, bisognava rassegnarsi
ad accogliere 1' una e a sopprimere l'altra; e la soppressipne, per, un ^caso.o
per^^una svista qualsiasi, fu fatta in, danno del Barsegapè, Ma poi, si può
parlar qui d'una vera e propria soppressione? Non è ben .pcQbabile(iche al-
meno nel primo verso i due autori s'incontrassero, quasi per forza, in un'unica
forma Responderà li peccator? E anche il secondo doveva suonigirg; nel testo
originale del Bersegapé assai simile all' uguccioniano con gr'ctnde dolia Oceon
tremor. Uno scambio era dunque molto facile e poco dannoso: non era quasi
neppure uno scambio.
Veniamo finalmente al passo che, quantunque si trovi .in principio del
poemetto, abbiam lasciato per ultimo, perché, considerato da sé solo,!noa.?i
avrebbe dato modo di formarci un' opinione ferma e determinata q aaebe
avrebbe potuto indurci in errore. Fondandosi soltanto su di esso -e chi sa
che proprio su di esso non si sieno fondati e il Tobler e gli altri? - uqo
potrebbe veramente propendere a giudicare il Barsegapè reo convinto; ma
quanto a noi, che studiando gli altri passi ci slam fatto un chiaro concetto
delle cose, basta un semplice calcolo di probabilità a persuaderci, che se il
Barsegapè, nonostante le apparenze contrarie, non fu colpevole altrove, dif-
ficilmente sarà stato in quest'unico passo.
Il Barsegapè comincia il suo poemetto ab ovo, cioè dalla creazione del
mondo, e naturalmente viene ben presto a parlare di Adamo ed Eva, del
loro peccato e della loro punizione. Cacciati fuori dal Paradiso terrestre,
devono guadagnarsi la vita col sudore della fronte:
216. — lUi lavoran fera mente
per ben viver niidria mente,
e sì 1 den aver fiol anche loro:
tal è reo e tal è houo.
Tnti semo de lor ensudhi
kl in questo mniido semo venudhi: - ''
tal fan '1 ben e tal fan '1 male,
223. — segondo quel k' i à plaxé fare.
238. — L' omo à In si una cosa
ke noi voi laxar (star) eu possa: ■' '
l'anima è l'una e '1 corpo è l'altra, '
ke '1 fa spesso de freda calda. 3
L'anima voi stare in penitentla,
I.
1 11 Keller: e s'i.
2 11 passo è senza dubbio guasto, e non è facile correggerlo. Si potrebbe pensare che la
cosa la quale non lascia star in posa l'uomo sia l'intima lotta e discordia fra le due forze
9
122 RASSKONA BiBl.IOGRAFlCA
ma il corpo non ne vuol sapere, ecc. ecc. Una dotnanda si affaccia subilo,
alla quale non è cosi facile rispondere: questi due passi sono sufficenlemenle
collegali fra loro? Collegali sono, non c'è dubbio; ma, secondo l'ingenuità
di quei vecchi narratori e specialmente del nostro Barsegapé, noi ci atten-
deremmo qualche verso di più, che rivolgendosi agli uditori, li preparasse
ai nuovi argomenti e fors' anche li esortasse a meritarsi il paradiso. Cosi,
dopo finito di parlare dei peccali mortali, egli annuncia che passerà a trat-
tare della venuta di Gesù Cristo (vv. 404-5); e poi fa un preambolo non
breve, prima di descrivere la Passione (861-923), e un altro, prima di descri-
vere il Giudizio universale ('2107-148): a tacere che oltre ai versi di pream-
bolo, qui ci sono anche quelli che chiudono con una delle solite ammonizioni
la parte precedente.
Consideriamo però che il preambolo alla Vita di Gesù Cristo e quello
al Giudizio universale sono necessarii, perché ci introducono alla seconda e
alla terza delle tre grandi parli in cui il poemetto è diviso: creazione e pec-
cato, redenzione, giudizio. Nel nostro passo invece, piuttosto che un nuovo
argomento, abbiamo la conclusione e la moralizzazione della prima parte,
con tutte le necessarie considerazioni sulla lotta fra la carne e lo spirito
e il conseguente trionfo dei peccati mortali.
Insomma, potranno rimanere dei dubbi, ma non si può dimostrare che
fra i due passi non ci sia un sufficiente legame; e tuli' al più ammetteremo
volentieri che la nostra medesima incertezza spieghi facilmente come il so-
lito raflfazzonatore abbia, fra l'uno e l'altro, inserito alcuni versi di Uguc-
cione (1067-80):
224. — D'Adam e d'Eva cimai lasemo;
de <jo ke pò esser, dixemo, >
e si acomeni;a tal istoria
ke sia de seno e de memoria!
Et eo ho ben in Dee fidanza
8en<;a omiunca menenian^a,
ke ve dirò un tal semblant
ke no parrà seno de fant.
lu questo mundo è una discordia
ke da rar sen trova concordia:
l'anima e '1 corpo se };ueria,
Qasonn voi prendere la soa via:
l'uu no voi 90 ke l'altro far,
237. — no se voleu acomunar.
Eppure anche qui l'inetliludine dell'interpolatore si palesa: l'uomo che scrisse
i vv. 238 sgg. non poteva avere davanti a sé gli ultimi di questi citati ora:
contrarie; e in tal caso l'ttna e l'altrn del verso 240 non si riferirebbero a quel rosn, ma
starebbero da sé, come se il poeta volesse dire: l'anima e il corpo son due esseri distinti.
E forse egli scrisse: L' uvimn è tmit e. 'l corpo un nitro, Ke 'l fa s/itsso de /redo caldo. Ossia:
l'anima ha la sua propria individualità e ha la sua anche il corpo; la qual cosa (cioè la
quale coesisteuza in lui di due esseri così diversi) spesso gU fa provare contro sua voglia
freddo e caldo, oppure lo induce a continue contradizioul, facendolo passare pei più diversi
stati. Può anch'essere che il verso Ke'l/a s/iesso, ecc., bI riferisca unicamente al corpo : il
quale corpo spesso lo fa passare dal freddo al caldo; e allora sarebbe da ricordare ciò che
il Barsegapé stesso dice del mondo, vv. 390 sgg.: Eucoìi fi de l'omo k'i m loa hailiu, K
fi*lo « caldo e fame, sedlie e caristia : Xo pò star in una, ou Sia alegro mi gramo.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 128
essi mostrano che le due parti sono stale collocate accanto, quasi mecca-
nicamente, senza criterio. E chi sa inoltre, se i versi di Uguccione non ab-
biano anche usurpato il posto di altri versi del povero Barsegapé, i quali
dovessero formare quel nesso pili stretto e più evidente fra i versi 223 e
238, che pur può parere desiderabile?
Ma le difficoltà non sono vinte tutte: una ne resta, forse più grave, certo
tale che non possiamo formulare intorno ad essa un giudizio netto e preciso.
Uguccione, subito dopo il peccato di Adamo ed Eva, introduce le considera-
zioni sulla lotta fra l'anima e il corpo: lo stesso fa pure il Barsegapé. Inoltre
i vv. 242-52 di questo rammentano abbastanza vivamente, per l' andamento
e il significato, i vv. 1085 sgg. di Uguccione. Si potrebbe adunque concedere
che il Barsegapé avesse qualche ricordo del Libro del suo predecessore e
in questo passo lo seguisse almeno alla lontana; ma a me sembra più pro-
babile che le somiglianze provengano invece dai ricordi, presenti ad entrambi,
di consimili leggende anteriori. Il passo di San Paolo {ad Galatas V 17),
eh' è il punto di partenza di entrambi i poeti, era notissimo e dette origine
ai più ampi e varii svolgimenti; e d'altra parte sarebbe singolare che il Bar-
segapé, nel quale la caduta di Adamo ed Eva e poi le disquisizioni sul pec-
cato sono organicamente legate Insieme e colle parti seguenti, ricorresse al
Libro di Uguccione, dove non stanno da sé e non formano che un breve
particolare in mezzo alla monotona congerie degli ammonimenti morali. Fi-
nalmente il motivo delia lotta fra l'anima e il corpo (o il mondo, che egli
poi sostituisce a questo) è svolto dal Barsegapé in modo diverso e più com-
piuto, cosi da avvicinarsi al tipo dei noti contrasti.*
Concludo finalmente. Il Barsegapé non è affatto reo delle colpe appostegli
di plagio continuato: è già molto se si può conservare un leggero dubbio
che gli sia balenato un fuggevole ricordo dell' operetta del suo predecessore
e ne abbia tratto l'idea, soltanto l'idea, d'introdurre nella sua trattazione il
motivo del contrasto fra l'anima e il corpo, che del resto egli conosceva
assai bene per proprio conto. Per tutti gli altri passi uguccioniani, non si
può dubitare che sieno tarde interpolazioni. Forse un manoscritto del Bar-
segapé venne glossato lungo i margini, con passi analoghi del Libro di Uguc-
cione,^ per opera del suo possessore, che potremmo anche imaginare prov-
vedesse cosi ai bisogni della sua professione; e più tardi le glosse furono
fuse, con assai poco discernimento ma non forse senza un determinato pro-
posito, col testo originale. In una vera e propria edizione critica del Barse-
gapé questi passi interpolati dovrebbero essere espunti.
1 È piuttosto singolare il passaggio improvviso dalle considerazioni sulla discordia del-
l'anima e del corpo ai rimproveri al mondo; beucbé l'uno e l'altro sieno motivi tradizio-
nali, coi quali si rannodano le disqnisizioni sui peccali mortali, derivate anch'esse, in ul-
tima origine, dal citato passo di San Paolo. È probabile che il Barsegapé togliesse le linee
Kenerali di questo passo da qualche modello anteriore, se non da piti d'uno.
2 E forse non solo di Uguccione. Vedi Biadene, // Libro delle tre Scritture, ecc., di Bon-
le'ìin da Rita, pag. IX. pei vv. 2131-34 del Barsegapé, e cfr. Rassegna XI, pagg. 15 sg. (Mi si
permetta di notar qui che un errore di stampa rese di difficile intelligenza le linee 8-9 di
pag. 15; a lin 8 si legga: 'come cercherò di dimostrare ,, ecc., e nella lìn.9 si sopprimali
secondo che).
124 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Mi sono diffuso nella dimostrazione assai pili che non vorrebbe l'esiguità
dell'argomento e della mia congettura; ma ci son stato indotto dal desiderio
di riuscir chiaro e dalla speranza di non aver a ritornare su cosi piccola
questione. Del resto, quando si comincia non si sa dove si finisce e, come
dice l'aurea massima del mio Barsegapé,
DO è cosa in sto mundo - tal è Ila mia credenza
ki se possa fenir se la no se comen<;a.
E. G. Parodi.
CRONACA.
.'. È stata pubblicata a cura del sig. A. Lisini una seconda edizione del-
l'Elenco dei Documenti esistenti nella Sala della Mostra e nel Museo delle
Tavolette dipinte della Biccherna e della Gabella, nel R. Archivio di Siena
(Siena, Lazzeri, di pagg. 61 con 3 illustraz.). Il libretto non è soltanto una
guida pei visitatori, ma è un indice di curiosi ed importanti documenti di
storia e d'arte. Essi risalgono a remota antichità : il primo documento è del
736. Seguono ad esso diplomi imperiali (Lodovico il pio, Ottone I, Federigo I,
Carlo IV ecc.). Bolle Papali (Alessandro III, Pio II ecc), Documenti con sot-
toscrizioni autografe di Imperatori (Massimiliano, Carlo V ecc.), di Papi e
Cardinali (Leone X, Leone XIII ecc.), di Re e Princìpi (Ugo il Grande, la
Contessa Matilde, Ferdinando e Isabella, Filippo II, Francesco Foscari, Ga-
leotto Manfredi, Andrea Doria ecc.), di scienziati e letterati (il Machiavelli,
il Della Casa, Paolo Giovio, Claudio Tolomei ecc.), di artisti (Giacomo della
Guercia, Francesco di Giorgio Martini, il Biringucci, il Peruzzi, il Sodoma ecc.),
di capitani ed uomini d'arme (l'Aguto, lo Sforza, il Piccinino, Prospero Co-
lonna, il Borbone, il Maramaldo, Malatesta Bagiione ecc.), di donne illustri
(le due Giovanne di Napoli, l'Isotta da Rimini, la Caterina Sforza, Giulia
Farnese, Caterina de' Medici, Isabella Orsini, Bianca Cappello, Elisa Bacioc-
chi ecc.): poi, documenti religiosi, politici, artistici (fra questi le quietanze
di Niccola Pisano pei lavori del Pulpito). Notevole è una serie di Documenti
danteschi, che ricordano personaggi e fatti menzionati nella Div. Commedia
(una sentenza sottoscritta da Pier della Vigna, una procura sottoscritta da
ser Brunetto, le condanne fatte a Casella, il rendiconto della Pia dei Toloraei,
il codicillo di madonna Sapia, una donazione di Cunizza ed altri assai, e
per ultimo il Testamento del Boccaccio). Seguono Carte mercantili e Curio-
sità, e infine documenti della cacciata degli Spagnuoli da Siena e della difesa
della libertà in Montalcino. — La seconda parte dell'interessante volumetto
contiene l'indice delle Tavolette che si veggono nel Museo.
.'. Il sig. T. Cannizzako, ben noto come poeta, prende a trattare colla sua
pubblicazione 11 Lamento di Lisahetta da Messina e la Leggenda del Vaso
di Basilico (Messina, tip. Tribunali, 1902, di pp. 125) un punto controverso
di storia e di Critica letteraria e di poesia popolare. È noto come il Boccaccio
([V, 5) dopo aver narrato il caso miserando dell' Isabetta, cui i fratelli tol-
ùélLa LKTtEttAtURA Italiana l25
gono il testo di basilico, ove aveva sotterrato la lesta dell' amante, da quelli
uccisole, e che ne muore di dolore, conclude a questo modo: * E cosi il suo
" disavventurato amore ebbe termine. Ma poi a un certo termine divenuta
" questa cosa manifesta a molti, fu allora chi compose quella Canzone, la
" quale ancora oggi si canta : Qual esso fu lo mal cristiano Che mi furò la
* grasca ecc. „. Questa Canzone fu pubblicata per primo, per intero, dal
Fanfani ; poi con maggior cura dal Carducci, e sta in un cod. laurenziano.
Il sig. ,G, prendendo a studiarla, sostiene, contro chi vi scorse il raffaz-
zonamento antico di una primitiva canzone siciliana, ch'essa ci si pre-
senta nelle sue forme native del vernacolo insulare. E con questo con-
cetto ne lenta una ricostruzione, la quale sarebbe riuscita più chiara, se
fosser meglio coordinati il testo e le note: se, cioè, la numerazione progres-
siva dei versi sì accordasse coi richiami delle note, che rispondono invece
ai versi di ciascuna strofe. Ma facendo come ha fatto, e il pili spesso la
nota essendo distante, in altra pagina, dal verso che illustra, il riscontro non
è facile né comodo: sicché, meglio piuttosto era raccogliere dopo ciascuna
strofe le annotazioni, intercalandole fra l'una e l'altra. Comunque sia di
orò, abbiamo della Canzone una forma da tenerne conto. Ma non sempre
andremmo d'accordo col G. su alcune lezioni: per es. il verso 51 non ci pare
che possa suonare Fosse chi la mi r insegnar di voglia, né che il voglia possa
starvi a codesto modo: sicché riteniamo pili giusta la correzione del Fanfani:
Forse chi la mi rinsegnar voglia. Quanto poi a giudicare la canzone * un
* vero, gioiello letterario ,, è queslion di gusto, e sarebbe superflua e vana
cosa il provarsi a combattere cotesto giudizio. Più d'accordo ci troviamo col-
l'a. nel dubitare della relazione attestata dal Boccaccio fra la novella e la Can-
zone, sebbene discordiamo poi da lui nel trovare in questa allusioni sensuali;
e neanche potremmo ammettere in tutto certi argomenti a provare l'origine
messinese della poesia. Il sig. C. afferma fra le altre cose che " dire la testa
" del basilico per significare sulla quale cresceva il basilico non è espressione
" né naturale né chiara, mentre rimettendovi grasta il senso si fa logico e
" piano ,. Ma se testa nell'antico uso toscano vai quanto testo o vaso e se
grasta in siciliano ha egual significato, non intendiamo qual valore possa
avere l'argomento del sig. G. Dove poi dissentiamo assolutamente da lui è
rispetto all'origine storica del Lamento. " Io ho pensalo, egli scrive, che ove
* si trovasse nella Storia o nelle Leggende di Sicilia, dalla metà del sec. XIII
* a quella del XIV, qualche illustre donna dal nome di Elisabetta, alla quale
" si potessero per un fatto di grande pubblicità, bene e naturalmente appli-
* care i sentimenti e le frasi contenute nel Lamento, se ne potrebbe legit-
* timamente e con grande probabilità dedurre che ad essa abbia voluto al-
* ludere il poeta anonimo, chiunque esso sia stato , . Ed è cosi che la Lisabetta
del Lamento diventa la figlia di Eurico di Carinzia e Boemia, sposa a Pietro II
re di Sicilia. Ma se, si può ammettere, come vuole non senza ragione l'a., che la
donna e l'amante innominali del Lamento non si trovino in alcuna rispondenza
coir Isabella e il Lorenzo della novella boccaccesca, ben maggiore è la di-
stanza fra il caso del Lamento e la storia della regina di Sicilia : il che il
sig. G. riconosce formalmente dicendo che: "con siffatta congettura non
" pretendif.njo alTermare che tra il grau Giustiziere (il l'alizzi) e la regina
l26 Rasségna BiBLiooRAFidA
" Elisabetta esistessero rapporti più familiari e pili teneri di quetli cottsentitì
* tra una regina e il suo primo ministro ,. Con tal esplicita dichiarazione,
si può dire che Ta. abbia condannato tutto quello che segue, con ampio
svolgimento, per rincalzare il suo assunto di argomenti d' ogni maniera. Fra
i quali ve n'ha taluno di singoiar tenuità: per es. quello dedotto dal verso
e forse glie ne gioveria, rivolto dalla donna appassionata a chi le rendesse
ciò che r era stato tolto : E doneriegli un bacio in disianza : forse glie ne
gioveria. 11 che vuol dire semplicemente: forse gli sarebbe gradevole tal
ricompensa: e per ciò non ci capacitiamo che la frase abbia " grandissimo
* significato , se fosse vera la congettura che chi parla è una regina, re-
stando invece superflua e vota di senso se \\ Lamento si suppone in bocca
di una donna privata. 11 tentativo finale di ritrovare in Mazzeo di Ricco
da Messina l'autore del Lamento ò poi assolutamente cervellotico e fondato su
ragioni di niun valore: e basti citare una sola di queste: il Lamento nel
primo verso usa villania, e Mazzeo in una Canzone villanamente : altrui cose
dice il Lamento e Mazzeo adopera questa parola altrui nello stesso senso. ^-
Goncludendo, il sig. C. dà in questo suo scritto, saggio dì molta e forse troppa
ingegnosità, ma di non vera esperienza nel trattar le questioni che si rife-
riscono a poesia popolare. Può ben essere, come l'a. sostiene, che il cosf
detto Lamento sia invece un allegorico canto amoroso, che in nulla si ran-
nodi colla narrazione boccaccesca ; ma può anche ben essere che si tratti
di un caso amoroso di personaggi oscuri ed ignoti, né sia da cercare ad esso
un fondamento storico in vicende auliche e regali. Anche gli umili possono
trovare un umile narratore dei loro dolori.
.'. Tra i personaggi mitici dell' India non vi è forse figura e tipo che me-
glio di Naciketàs rappresenti ed incaini l'indole estremamente speculativa
dégl' Indi. Naciketas è un giovane brahmano, che avendo ottenuto dal dio
della morte la scelta di tre doni, insiste perché questi gli sveli l'arcano d'ol-
tretomba. Come ogni altra leggenda, anche questa di Naciketas si è venula
man mano trasformando nella seriore letteratura brahmanica ed il seguirne
il graduale svolgimento per poi descriverne la forma che ha assunto nei
Purana, forma oggetto dell' interessante lavoro del doti. Belloni, di cui è ap-
punto apparsa ora la prima parte. [Il Nàsiketopàkhànam secondo i mss.
* 1253 „ e " 916 e , dell' " Lidia Office „ preceduto da una notizia sulle * Vi-
sioni Indiane „. Parte prima. Estratto dal Giornale della Società Asiatica Ita-
liana, Firenze, 1902, voi. XV in 8..°). In questa l'A. dà una breve notizia
storica sulle Visioni indiane in genere ed espone poi con molta sobrietà
insieme ed accuratezza tutto ciò che si riferisce alla leggenda di Naciketas,
alle sue origini, alle sue varie redazioni. Il pregevole opuscolo è condotto con
serietà e scrupolo scientifico, ed invoglia a prender notizia della seconda
parte del lavoro, la quale conterrà uri materiale nuovo ed originale estratto
da due manoscritti inediti. E di molta lode è meritevole l'A. che pur attin-
gendo alle fonti indiane, ha saputo e saprà rendere l'opera sua accessibile
a lettori, anche profani di Sanscrito, i quali avessero vaghezza di conoscere
le leggende escatologiche dell'India, affin di studiare le assonanze che pi-e-
sentano coi miti occidentali d'oltretomba. 11 contemperamento insomma del-
l'esattezza filologica con l'esposizione facile e piana della materia pare rag-
bEiA.A LETTÌiRAtUtlA ITALIANA 12?
giunto io questo lavoro, che va particolai mente segnalalo all' attenzione de-
gli studiosi della letteratura delle Visioni.
.-. Estratto dai voli. X-XIII della Rivista delle Bibl. ed Archicj, abbiamo
innanzi a noi, raccolto insieme, l'indice de La Carte di P. Giordani nella
Lauremiana, diligentemente compilato dal dolt. G. Mazzi (Firenze, France-
schini, di pagg. 46 in 8.° 1902). Queste carte giordaniane sono raccolte in
XXIV voi., dei quali, cinque contengono scritti del Giordani; uno, di altri
autori; dodici, l'Epistolario; due, lettere di varj; l'ultimo, documenti per
la vita civile e letteraria del Giordani. È, come si vede, una suppellettile
copiosa, e chi volesse mettervi le mani, ma sapesse adoperarle a guida del
cervello, ne caverebbe buon profitto a se e agli studj. Lasciando stare, che
su questi scritti si potrebbe condurre una edizione degli scritti del piacen-
tino compiuta e corretta, il vantaggio che se ne caverebbe per una nuova
slampa dell' Epistolario sarebbe notevolissimo. E 1' Epistolario meriterebbe
di esser riprodotto, riordinandolo, accrescendovi le lettere al Giordani, che si
potessero rinvenire in questo deposito laurenziano e altrove, compiendo le
lacune, e aggiungendo note illustrative di cose e di persone. Se ne formerebbe
un repertorio di notizie di storia civile e letteraria, copiosissimo e impor-
tante pel periodo che corre dalla dominazione francese agli albóri del '48. Il
Gussalli ha certamente fatto non poco per la gloria del suo amico; ma spe-
cie rispetto all'Epistolario, ha anche gravissime colpe, perchè non solo esso
non è raccolto tutto insieme, ma disseminato in varj volumi, ma, inoltre,
stampando sotto la dominazione austriaca, e quando troppo vivi erano i ricordi
di uomini e di fatti, ha stracciato e soppresso troppi brani di lettere del
Giordani e d'altri. 11 peggio è che queste soppressioni non sono stale fatte
su copie, ma sugli originali, e in modo da non potersi scorgere ciò che sta
sotto il nerissimo frego d'inchiostro: e in altri casi ha taglialo la carta.
Né basta: molte lettere a lui slesso dirette ha bruciato, lasciandone soltanto,
quasi compiacendosene, il ricordo. Cosi nel fascio delle lettere del '44 è anno-
talo: distrutto quasi tutto ; e distrutto è per la massima parte quello ' copioso
ed inlimo , dal '36 al '38, coli' avvertenza: ' E credasi che senza la notizia
di tale carteggio resta ignota la miglior parte dell'animo del Giordani,. E
allora perché abbruciare baibaramenle, e con si poca reverenza allo scrit-
tore? Ci guardi il cielo da amici e zelatori cosi fatti! Ad onta, però, dei guasti
e delle falcidie operale dal Gussalli, si potrà sempre riprodurre quel che
resta dell'Epistolario giordaniano con nuove cure, e sopratutto con annota-
zioni su cose e persone, e spiegazioni di allusioni e forme convenzionali, che
spesso adoperava il Giordani, volendo liberamente confidarsi cogli amici, ma
fidando nella ignoranza di quelli che gli aprivano la corrispondenza. Di questo
coperto linguaggio si hanno esempj frequenti nelle lettere, e vario secondo
le persone. Cosi ad es. corrispondendo col Gicognara, chiamava mamma
l'Italia: e ci ricordiamo sempre l'indignazione di un dotto uomo, al quale,
aprendo un volume AeW Epistolario, venne fallo d'imbattersi in una serie
di lettere dove colesta parola si trova accompagnata da epiteti ingiuriosi
ed irriverenti, sicché si scandalizzò contro il Giordani, non intendendo ch'egli
si scagliava, non contro la propria genitrice, ma contro l'Italia serva di quei
giorni! Quest'Indice del Mazzi possa essere pertanto d'incitamento a qual-
128 RASSEGNA BIBMOORAPICA
che studioso per darci un nuovo e piti compiuto lavoro suljo scrittore pia-
centino, e se è possibile, r^/?js^o/or/o in forma degna dell'autore.
/.Con lodevole sollecitudine il sac. Felice Ceretti fa seguire al primo
volume, cui già accennammo {Rassegna IX, 177), il secondo delle sue Biografie
Mirandolesi (Mirandola, Grillo, 1902, di pagg. 242 in 16.»), che comprende le
lettere L • 0. Non sono certamente molti coloro fra i biografati, il cui nome
superi il territorio dell' antico ducato ; ma ciò accade tuttavia in tutte le
consimili raccolte municipali o regionali, né il fìae di queste è il registrare
soltanto i nomi di grande celebrità. Tuttavia anche in questo volume ci imbal-
liamo in qualche uomo, del quale non è senza utilità o curiosità conoscere i
particolari della vita. Tale ad esempio Flaminio Lolli, che sofferse l'esilio per
la libertà, e che ricordiamo aver veduto a Firenze nel 1849, oratore nei cir-
coli popolari e autore di poesie, ricche di sensi patriottici, più che di pregj
d'arte. Alla storia del periodo napoleonico appartengono Giuseppe e Luigi
Luosi e il padre loro Giovanni: il primo ministro della giustizia nella Ce-
salpina e poi del Direttorio, e nel regno d' Italia nuovamente preposto alla
Giustizia; l'altro, seguace della fortuna del fratello e suo segretario nello
stesso dicastero. Biografìa interessante e ricca di particolari è quella di An-
nibale Maffei, soldato di molto valore nelle guerre del sec. XVII e nelle milizie
piemontesi, ove giunse ai piti alti gradi, e plenipotenziario di Vittorio Amedeo
al Congresso di Utrecht, e per lui Viceré in Sicilia. Altri, di minor fama, sono
giureconsulti, medici, teologi, architetti, pittori, soldati, musici e comici ecc.
Le biografìe sono condotte con diligenza e narrate elegantemente: e Miran-
dola dovrà esser grata a questo indefesso racv'Oglitore delle patrie memorie.
.*. In occasione del Congresso storico internazionale tenutosi in Roma dal
2 al 9 aprile, furono fatte molte e rilevanti pubblicazioni. Faremo un rapido
cenno non di tutte, ma solo di quelle, specie d'indole bibliografica, che ci
sono pervenute.
Da Venezia ci giunge, compilato dal sig. C. Giomo a cura della R. Deputa-
zione di storia patria un volume d' Indice generale della prima serie (1891-1900)
del periodico storico Nuovo Archivio Veneto (Venezia, Visentini, di pag. 232,
in 16.°). Gli Indici sone generale, cronologico, dei Documenti per nome, geo-
grafico dei documenti, per nome, per luogo, per materia.
— A cura della stessa Deputazione, e del medesimo compilatore, abbiamo
un voi. di Indici per nome di autore e per materia delle pubblicazioni sulla
storia medievale italiana raccolte e recensite da C. Cipolla nel Nuovo Archivio
Veneto (Venezia, Visentini, di 427 pagg. in 16.»). Gli autori dei quali s' indicano
gU scritti, che spesso sono una ricca serie, sommano a 3712: e questo basti
a indicare la utilità bibliografica di questo volume.
— La R. Deputazione Veneta di Storia patria ha pur dato incarico al suo
segretario prof. G. Occioni-Bonaffons di compilare un Indice tripartito delle
sue pubblicazioni (Venezia, tip. Emiliana, di pagg. 77 in 16.»). Gli Indici sono
per ordine di pubblicazione, per autori in ordine alfabetico e dei nomi di per-
sone e di cose. Ad essi precedono Notizie preliminari storiche sulla Depu-
tazione slessa e l'Elenco dei Socj.
— Anche V Ateneo Veneto a cura del vicepresidente G. Musatti ci dà un
volumetti di Indici dei lavori comparsi nelle sue pubblicazfoni dal 1812 a
DELLA LETTERATURA ITALIANA 129
lutto il 1900 (Venezia, Garzia, di pagg. 167 in 16.°). Gli Indici sono due; per
materie e per autori.
— E il Friuli ci offre a cura deirAccademia di Vdìne, V Indice per au-
tori e per materie delle Memorie inserite negli Atti dell'Accademia stessa
(Udine, Doretti, di pagg. 35 in 16.»).
— Dalla Lombardia e dalla Società Lombarda ci viene un bel voi. intitolato
Miscellanea di Studj e Documenti (Milano, Gogliati, di pagg. 163 in 16.° con
illustraz.). Diamo l'indice degli scritti in esso contenuti, che basterà a de-
notarne l'importanza: A. Skpulcri, I papiri dell'i Basilica di Monza e le re-
liquie inviate da Roma — F. Novati, Bartolommeo della Capra e i primi
suoi passi in Corte di Roma — B. Nogara, / codici di Maffeo Vegio nella
Biblioteca Vaticana e un inno di lui in onore di S. Ambrogio — R. Sab-
BADiNi, // card. Branda da Castiglione e il rito romano — A. Ratti, Quaran-
tadue lettere originali di Pio 2." relative alla guerra per la successione nel
reame di Napoli (1460-68) — E. Motta, Otto pontificati del Cinquecento (1551-
1591) illustrati da corrispondenze trivulziane — S. Ambrosoli, Una medaglia
poco nota di p. Pio IV nel R. Gabinetto numismcctico di Brera.
— L'Istituto Lombardo ci dà Vindice dei lavori storici contenuti nelle
sue pubblicazioni dalla fondazione a tutto il 1901 (Milano, Hoepli, di pagg. 63
in 16.»), che è insieme per autori e per materie.
— La Società storica comense ci dà gli Indici del suo Periodico, del
qualejdal 1878 al 1900 sono usciti 13 voi. (Como, Ostinelli, di pagg. 1 15 in IS.»),
e sono per autori, per materie e cronologici.
— Dal Piemonte ci giunge soltanto come saggio, V Introduzione all' Indice
Metodico della Rivista Storica italiana dal 1884 al 1901 (Pinerolo, tip. so-
ciale, di pagg. XXXVII in 16.°). Questa introduzione scritta dal prof. C. Ri-
NAUDO è buon augurio dell'opera, che sarà compresa in due voi. di circa
500 pagg. ciascuno. A\V Introduzione tengono dietro V Elenco dei Periodi spo-
gliati nella Rivista, e quello dei Collaboratori.
— La Liguria manda una breve Memoria sulla società storica savonese
(Savona, Bertolotto, di pagg. 19 in 16.°) a cura del "segretario A. BRaNO, con-
tenente Vindice delle pubblicazioni (mancante però di rimandi ai voi.) e
V Elenco dei Soci.
— Da Modena la R. Deputazione di storia patria offre un saggio del suo
proposito di continuare ad ampliare la Biblioteca modenese del Tiraboschi,
col primo fascicolo che ne ha messo a luce (Modena, soc. tipogr., di pagg. 80
in 16.»). La copia di notizie biografiche e bibliografiche che troviamo in questo
saggio, è garanzia che 1' opera dei continuatori sarà degna del primo iniziatore.
— La Toscana si presenta in primo luogo con un Indice suppletivo del
triennio 18981900 (serie V, voi. 21-26) àéW Archivio storico italiano (Firenze,
Galileiana, di pagg. 74 in 16.°), al quale precedono interessanti per quanta
brevi, alcuni cenni sulla storia di cotesto periodico, compilati con diligenza
da A. Giorgetti.
— Parte di maggior volume è ciò che intanto A. Gherardi, ci dà dell' //«-
ventarlo sommario del R. Archivio di Stato in Firenze (Firenze, Galilejana,
di pagg. 128 in 16.°), che, compiuto, e se anche compendioso, ognun vede
quanto sarà utile agli studiosi: il che avverrà fra breve, quando sia ultimato.
130 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
— L'archivista T. Del Badia ha compilalo gli Indici (geografico, crono-
logico e onomastico) della Miscellanea fiorentina dì erudizione e di storia;
utile pubblicazione, della quale sono a stampa (ed è desiderabile che presto
siano in maggior numero) due soli volumi (Firenze, LamJi, di pp.. XXIV in 16.»),
— Il prof. G. Scaramella ha compilato l' Indice dell' Archivio del Collegio
Cicognini di Prato (Prato, Giacchetti, di pagg. 29 in 16.°), preponendovi una
breve storia di quel rinomato Istituto.
— Di Siena ricordiamo due pubblicazioni: 1' una è 1' Indice somario delle
serie dei documenti del R. Archivio di Slato (Siena, Lazzeri, di pagg. 151 in 16.")
a cura del Direttore A. Lisini, e che prelude all' Inventario generale, che pros-
simamente uscirà a luce: e l'altra sono gli Indici, a cura di P. Piccolomini,
delle pubblicazioni della Società senese di storia patria, della Sezione lette-
raria dell' Accademia dei Bozzi e della Commissione senese di essa Accademia,
preceduti da Relazioni del presidente A. Rossi e del segretario F. Donati (Siena,
Lazzeri, di pagg. 124, in 16 »); utilissimi repertorj ambedue, di storia muni-
cipale.
— Roma, sebbene sede del Congresso, non sappiamo che abbia dato se
non gli Indici generali delle pubblicazioni dell'Accademia di Conferenze sto-
rico-giuridiche, che hanno il nome di Studj e documenti di Storia e Diritto,
compilati per nomi di autori, secondo ragioni cronologiche e secondo persone,
luoghi e cose da E. Celani (Prato, Giachetti, di pagg. 105 in 4.°).
— E perché fatto a spese del Gomitato centrale notiamo sotto questa
rubrica 1' Indice tripartito della Rivista storica del Risorgimento italiano, com-
pilato da F. GuERRi e A. Zanelli (Prato, Giachetti, di pagg. 40 in 16.0). gggo
è geografico, cronologico e onomastico, e suggella una pubblicazione che rese
non pochi «ervizj alla storia contemporanea, e più poteva renderne se la
vita le fosse durata pili lunga.
— Napoli per cura dellla Società Napoletana di storia patria, manda una
Relazione del prof. M. Schifa (Napoli, Pierro, di pagg. 24 in 16.°), che narra
le origini, i propositi e l'operato dal 1876 al 1903, di cotesto benemerito ed
operoso istituto.
— Dalla Sicilia e dalla Società per la storia patria abbiamo V Indice ge-
nerale dell' Archivio storico siciliano (1873-1900) per autori, cronologico, e per
materie (Palermo, Era Nuova, di pagg. 151 m 4.°), al quale si aggiunge la
Relazione del segr. G. Lodi, Sul movimento scientifico ed economico della So-
cietà siciliana per la storia patria nel sessennio 1895-1900 (Palermo, Lo Sta-
tuto, di pagg. 28 in 16.°): l'uno e l'altra notevoli documenti dell'operosità
del siciliani nel rifare la storia dell'isola.
— Altre pubbhcazioni cui diede occasione il Congresso meritano di es-
ser ricordate. E prima la Biblioteca di Bibliografia storica italiana: Cata-
logo tripartito delle Bibliografie finora pubblicate sulla storia generale e par-
ticolare d'Italia (Roma, Loescher, di pag. 39 in 4.°). La ripartizione è la
seguente: 1. Bibliografia di storie a stampa, 2. Bibliografia di storie mss., di
Documenti storici ecc., 3. Bibliografia di Statuti. La compilazione di questi
Indici è opera del sig. Emilio Calvi, e A. Lumbroso vi ha premesso una
Prefazione, che dà ragione del lavoro e della sua opportunità. Il lavoro è
condotto dal Calvi con quella perizia, che già ha mostrato nel terzo e quarto
DKI.I.A LETTERATURA ITALIANA 131
Supplemento alla Bibliotheca BihHographiea Italica i\e\V OiWno e>¥\ìm2L%9\\\'.
esso comprende oltre cinquecento indicazioni di bibliografie storiche gene-
rali o particolari, disposte per ordine alfabetico di luoghi, quanto alle opere
a stampa, da Abruzzi a Zoldo; poi collo stesso sistema, le opere manoscritte
da Ancona a Vicenza, per ultimo la bibliografia di Statuti da AlÒenga a
Viterbo. Un indice geografico raggruppa i titoli delle tre parti, e per ultimo
viene un Supplemento di addizioni e correzioni. La riconoscenza e il plauso
degli studiosi di storia vorremmo incoraggiassero il sig. Calvi a metter fuori
prontamente le annunziate Tavole storiche dei Comuni Italiani.
— Pili lungo discorso del rapido annunzio che sinmo costretti a consa-
crargli, meriterebbe il sontuoso voi. col quale il prof. A. Moschetti, nostro
carissimo collaboratore, illustra // Museo VÀvico di Padova (Padova, Prospe-
rini, di pagg. 176 in 4."). Con esso si descrivono le diverse raccolte, che
insieme formano cotesto insigne istituto patavina: la i?»ò/io<^crt, nelle varie
sue classificazioni (padovana, di testi di lingua, di manoscritti e incunaboli,
di autografi, femminile, dantesca, petVarchesca, cominiana, ecc.). gli Archivj
(storici, giudiziari, ecc.), le Raccolte artistiche, archeologiche e varie (Pinaco-
teca, Abiti e stoffe, archeologica, lapidaria, patriottica, ecc.) e il Museo nu-
mismatico Bottacin. La descrizione comprende le origini, le vicende e lo stato
attuale delle raccolte, ed è arricchita di ritratti e di belle riproduzioni di oggetti
d'arte. Fra questi ultimi notiamo la riproduzione di quadri insigni del Ba-
salti, dello Squarzon, di Gian Bellino, del Previtali, di Tiziano, di Antonello
da Messina, del Longhi, del Tiepolo, ecc. e di sculture del Canova e del Vela.
Padova può a buon dritto vantarsi di possedere un cosi ricco tesoro di
memorie cittadine e di lavori d'arte, ed esser lieta dell'averne affidata la
custodia, l'aumento e l'illustrazione ad un cosi zelante e dotto uomo com'è
il Moschetti. Ma debita lode va data anche ai singoli cittadini padovani,
che in numero di venticinque, più due ditte, tipografica l'una e l'altra fo-
tografica, hanno volenterosamente concorso alla spesa occorrente per le illu-
strazioni, che di tanto accrescono il pregio di questa pubblicazione.
— Importante per gli studj storici è la Comunicazione di Vitt. Fiorini
su I lavori preparatori alla nuova edizione dei Rerum Italicarum Scriptores,
che si fa dal tipografo-editore Lapi di Città di Castello (di pagg. 51 in 4.°),
Essa ci da notizia dei lavori già compiuti e degli iniziati, e ci porge affida-
mento che la diffìcile impresa sarà condotta a termine. E noi ad essa ap-
plaudiamo. Forse qualcuna di queste riproduzioni non corrisponderà al bi-
sogno e all'aspettativa: ma errare humanum est, e in tal sorta di opere,
ogni errore speciale è sempre riparabile. Intanto, il fare invece del non fare,
è in sé stesso buona cosa; ottima poi, se vi si può aggiungere un epiteto:
far bene. Il Fiorini nel suo discorso dà notizia della distribuzione delle ri-
stampe muratoriane, e delle cautele prese perché si dìeiio buoni testi e ben
illustrati, e aggiunge le Norme per la compilazione degli Indici; e l' editore
a sua volta, dà un saggio dei testi e degli indici. I fascicoli già pubblicati
sono 15, e la ristampa muratoriana procede alacremente.
1^2 RASSEGNA BIBLl(yÌRAFICA
NECROLOGIA.
t II 5 marzo scoi-so spengevasi a Cannes il grande filologo e letterato
Gaston Paris, in seguito a lunga malattia, della quale i primi sintomi, o
almeno i più violenti, si manifestarono in lui Tanno passato, dopo un pia-
cevole e può ben dirsi, trionfale viaggio in Italia. Egli aveva appena sessan-
taquattro anni, e quel che perde in lui la scienza, lo sanno tutti i cultori
dì es^a; quello che mancherà d'ora innanzi agli amici, questi soltanto pos-
sono saperlo e sentirlo. Tutti i giornali anche politici, hanno deplorato la
perdila di tanto maestro. Chi scrive commosso queste poche parole ha cer-
cato di parlare pili degnamente del Paris, commemorandolo presso l'Acca-
demia dei Lincei con un discorso che presto uscirà a luce negli Atti di co-
testo Istituto. Avremmo tuttavia voluto dar in questo periodico essenzial-
mente, bibliografico, una indicazione più compiuta che fosse possibile, delle
pubblicaziopi dì luì, e ci eravamo accinti al lavoro quando abbiamo saputo
ch'essa è già stata fatta — sotto gli occhi del Paris stesso — dal suo al-
lievo, il prof. Bedìerc e perciò ce ne asteniamo. Ma vogliamo ricordare, non
sen;sa sentirne soddisfazione, che il Paris mostrò la sua benevolenza iill' u-
mile nostra Rassegna, e la degnò della sua cooperazione, come si vede dal
saggio Anse'is de Chartage e la "Seconda Spagna „, chen si trova rvell' an-
nata.!, pag. 154.
Per mancanza di spazio la maggior parte
della Cronaca ,è rimandata aj prossimo
fascicolo. '
A. D'Ancona direttore responsabile.
Pia», Tipografia F. MariotU, 1903.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
DELLA LETTERATURA ITALIANA
Direttori: A. D'ANCONA e F. FLAMINI. Editore. • E. SPOERRI.
Anno XI. Pisa, Maggio-Giugno-Luglio 1903. N. 5-6-7.
Abbonamento annuo \ ^g^ l'Estero' '. ! ^l"*^ ». ! Un nnm. separato Cent. »••
SOMMARIO: F. Flamini, // Cinquecento (A. Modin). — G. Mconi, Ludovico di Brente
e le prime -polemiche intorno a madama di i^taèl ed al romanticismo in Italia
(1816) (E. Clerici). — A. Solerti, Le origini del melodramma (A. Bonaventuro). —
E. Panzacchi, Il libro degli artisti (\ntoloiria) (P. i>' AchiarJi). — A. Wesselofsky,
Zttr Frage iiber die Heimath der Legende vom heiligen Gral (V. Cresci ni). —
Oommiicazioni . P. Lonardo, Quattro lettere inedite di G. Della Casa. — R.
Salaris, Fulvio Testi ed un poemetto anonimo del secolo XVII. — Annanzì bi-
bliografici (Vi si parla di: Giacosa, Brizzolara, Dolcetti). — Cronaca.
Francesco Flamini. — Il Cinquecento. — Milano, F. Vallardi, 1902; voi. VI
della Storia letteraria d'Italia scritta da una società di professori (8.°
gr., pp. XI-594).
Era nostro primo proposito, e insieme desiderio della direzione di questo
periodico, di limitare il discorso intorno al libro sul Cinquecento, pubblicato
or non è molto da uno dei due direttori della Rassegna, ad una recensione
puramente espositiva del suo contenuto. Sennonché la lettura del libro ci fece
mutar idea; perchè, come non ci sarebbe piaciuto di tacere le giuste lodi
dovute a questo importante volume, cosi non avremmo potuto né voluto
passar sotto silenzio la poche mende che crediamo di avervi riscontrate: e
però, abbandonata ogni altra considerazione in proposito, deliberammo di
scriverne con libertà di giudizio, come se Fautore non avesse alcuna parte
nella redazione di questa Rassegna, né fosse nostro amico carissimo.
Dopo questa dichiarazione, che reputammo necessaria, veniamo senz'altro
al volume, la cui mole e il cui indice-sommario particolareggiato che gli va
innanzi bastano da soli, quando si ripensi al nome dell'autore, a convincerci
che abbiamo dinanzi un'opera critica di non comune impoiliinza. Già di per
sé il solo fatto di pubblicare un libro intorno ad un secolo, come il Cin-
quecento, così straordinariamente ricco di ogni genere letterario, di autori
e di opere, e sul quale si é scritto tanto e da tanti in Italia e fuori, fa pre-
supporre in chi vi si accinge una fibra assai forte di erudito e di crìtico e
spalle adeguate al grave incarco.' Il Flamini infatti padroneggia con occhio
sicuro non pur tutta l'opera letteraria di quel secolo, ma anche il copioso
lavoro critico che intorno ad essa si venne esercitando fino ai nostri giorni,
e lumeggia opportunamente le maggiori figure, che, quali altrettanti fari, ci
IO
134 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
guidano nell'intricato labirinto delle opere germogliate in quel periodo ma-
ravigliosamente fecondo.
Molta parte della produzione letteraria del Cinquecento era stata già in
precedenza studiata da altri con larghezza di vedute e profondità di dottrina,
tali da lasciar poco a desiderare ; ma su altre si era sorvolato, ovvero non
si era usata la stessa cura diligente ed esauriente. Il F., com' è ben naturale,
si giovò degli scritti generali e particolari dei suoi predecessori, ma rinnovan-
done spesso il lavoro critico, in modo che potè talvolta rettificare o com-
piere l'opera loro. Alcuni capitoli di questo volume non potevano riuscirci
per ciò del tutto nuovi ; né avrebbe potuto essere diversamente: ma in altri, e
più specialmente in quelli dov'è studiata la prosa, troviamo indagini, notizie e
osservazioni originali. Tuttavia anche in quelle parti nelle quali lo soccorse
il lavoro altrui, egli, come abbiam detto, rielaborò e disegnò la materia in
modo, che questa larga e densa sintesi della storia letteraria del Cinquecento,
tanto pel contenuto quanto per la forma sobria, disinvolta, efficace e dove
occorreva anche vivace, ha quella spiccata impronta di originalità, che maqca
nei libri di pura compilazione.
L'A. in una breve avvertenza premessa alla sua ampia e dotta biblio-
grafia* ricorda le opere generali onde più specialmente si giovò: cioè, il se-
condo volume della Storta della Letteratura del Gaspary, che ebbe * sott'oc-
" chio spessissimo e con profitto ,, il Manuale D'Ancona-Bacci e le opere
monumentali del Quadrio, del Tiraboschi e dello Zeno. " Invece, di nessun
" aiuto m'è stata la troppo sistematica Storia della lett. ital. di U. A. Ganello ,:
giudizio codesto che a noi pare troppo severo e che avremmo voluto rispar-
miato ad un uomo tutt' altro che indegno della sua fama e ad un'opera la
quale, giova non dimenticarlo, fu pubblicata ventitre anni or sono e che no-
nostante il suo schematismo (e quale storia letteraria generale non è più
0 meno schematica?), per larghezza e novità di vedute, per acutezza e ori-
ginalità, talora perfino soverchia, di giudizj e per olcune parti veramente
notevoh, quali, ad esempio, le pagine dove discorre della hrica e del poema
romanzesco e dell'epico, non può essere trascurata da uno storico delle no-
stra letteratura: né infatti la trascurò neppure il F. stesso, citandola in più
luoghi della sua bibhografia.
Ma anche più severo fu il F. verso il Ginguené, che non nomina affatto
in nessun luogo del suo volume; mentre, come ognun sa, ben sei dei nove
volumi della Histoire liti. d'Italie del Ginguené sono dedicati al Cinquecento.
Ma l'ampiezza della trattazione non sarebbe titolo sufficiente di lode, ove
1 Aggiunte, correzioni e osservazioni i cultori degli studj letterari non mancheranno
di fare a questa bibliografia, le quali tuttavia non varranno a diminuirne l'importanza e
l'utilità. Per parte mia confesso di non averla sottoposta ad un esame accurato, e nello
scorrerla notai solo una certa disuguaglianza nel modo di citare le edizioni dei testi e mi
vennero sott' occhio talune dimenticanze di poco conto. Pel Modesti, ad es., (p. 538) egli
ricorda il voi. pubblicato dall'Albini nel 1886, e non la posteriore monografia dello stesso
A. edita negli Atti e Memorie della R. Depulm. di St. patria per le prov. di Romagna, III serie, voi.
XVII — . A p. 550 non accenna alle due stampe dei Canti Carnescialeschi fatte in Lucca nel
1750, di cui V. Gamba, Serie dei Testi (1839) p. 83 — . La prima ediz. delle opere di lluzzante
è Infatti la vicentina del 1598, ma si poteva avvertire che se ne fecero poi parecchie altre.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 135
mancassero le larghe analisi critiche dei poemi, delle tragedie e delle com-
medie, la equità e finezza dei giudizj desunti dallo studio diretto delle opere,
il buon ordinamento della materia e la vivacità dell'esposizione, che al con-
trario abbondano nell'opera del letterato francese; la quale, nonostante i
lavori recenti, assai più ricchi di notizie biografiche e bibliografiche, rimane
tuttavia un'opera utile agli studiosi del Cinquecento.
Il volume del F. si divide in tre grandi parti: nella prima studia la finale
evoluzione del Rinascimento, nella seconda la letteratura classica del gran
secolo, nell'ultima la letteratura al tempo della reazione cattolica. Riservan-
doci di discutere poi il disegno di quest'opera, riassumiamone brevemente
la contenenza. Precede la trattazione dei tre grandi argomenti una breve
introduzione sul pensiero nel Rinascimento, che fu, più che filosofico, politico
e artistico. Lo spirito critico del Machiavelli e il senso pratico del Guicciar-
dini innalzarono la politica a dignità di scienza; e quanto all'arte, il Rina-
scimento, prevalendo in esso sul pensiero il culto della bella forma, anziché
creare, svolse, assimilò e perfezionò la materia dei classici: onde la formula
dell'arce per V arte si può adattare benissimo agli Italiani del Rinascimento.
Ciò spiega perché in tanto fervore di studj classici la maggior gloria della
nostra poesia in questo periodo sia stata l' epopea cavalleresca di origine e
di argomento afi'atto medievali, * campo da spiegarvi l'agile varietà dell'in-
" gegno finamente educato ,.
Nel primo capitolo della prima parte, la quale va dal 1494 al 1530, cam-
peggiano le due grandi figure del Machiavelli e del Guicciardini; ed è una
bella sintesi, non priva di osservazioni originali, degli studj più notevoli pub-
blicati di recente sui due statisti fiorentini. L'A. non nasconde la sua predi-
lezione per il Machiavelli, la quale manifesta anche in un giudizio forse troppo
reciso ch'egli dà dell'ingegno del Guicciardini, là ove dice, * che la larghezza
" audace originale delle idee e la potenza di sintesi, maravigliose nell' autore
* dei Discorsi, in lui si desiderano ,.
Come allora (cap. II) la pittura grandeggiò su tutte le altre arti figura-
tive, perchè essendo spariti i modelli classici, era libera nella scelta dei sog-
getti e dei colori ; cosi nella poesia il poema romanzesco avanzò in perfe-
zione col Furioso ogni altra forma, perché, quanto alla materia, * poteva
"spaziare a suo piacimento ne' campi fioriti dell'invenzione poetica ,. Bello
e sotto ogni aspetto compiuto l' esame larghissimo, che l' A. fa del poema
arìosteo, e cioè della materia, della forma, delle fonti, del valore storico e
artistico, dello scopo e della grande sua fortuna.*
La cultura umanistica e il volgare è l'argomento del terzo capitolo. Ve-
nezia, tra il cadere del sec. XV e il sorgere del XVI, colle sue celebri tipo-
grafie e accademie fu uno dei principali centri donde irradiò la cultura
classica, non pure in Italia, ma in tutte le nazioni civili d'Europa. E poiché
" la storia dell' umanesimo è in gran parte la storia del culto della forma
" secondo le varie tendenze, che prevalsero ne' secoli dal decimoquarto al
l A p. 75 il F. dice, che Orlando più prode e pivi magnanimo di tutti i cavalieri, esce
vittorioso da qualsiasi impresa sema bisogno d' incanti. Ma Orlando non era forse, a un
di presso come Achille, invulnerabile in tutta la persona, faorcbé nella pianta dei piedi?
136 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
"decimosesto „, l'avviamento retorico e formale degli studj sopra la latinità
favori in Italia il fiorire delle Università e delle Accademie e giovò ai pro-
gressi dell'antiquaria e all'incremento dei Musei e delle biblioteche. " Ai
* progrediti studj della lingua e delle opere letterarie degli antichi corrispose
" una più larga e in generale meglio intesa imitazione di esse nella pro-
" duzion poetica originale in latino ,, e però si ebbero poemi sacri con pa-
ludamento classico, poemi filosofici, didascalici ed epici. Assai migliore fu
la lirica, di cui tutte le forme e i metri tutti ebbero numerosi e talvolta
eccellenti cultori, quali il Bembo, il Gotta e il Navagero; e in generale la
produzione poetica in latino dei primi decenni del Cinquecento è, ove si ec-
cettui la drammatica, che manca di calore e di sincerità, un fatto letterario
importantissimo. Ma la seconda età del Rinascimento non attese soltanto a
rievocare il passato, si anche a rinnovar l'uso del volgare presso i dotti; e
l'ultima parte di questo capitolo è dedicata appunto al famoso dibattito in-
torno alla lingua letteraria italiana, nel quale ebbe parte principalissima il
Bembo, la cui idea di attenersi ai Trecentisti trionfò.
"L'opera dei drammatici e dei lessicografi portò all'unificazione della
" lingua e l'evoluzione del Rinascimento condusse ad una produzione di
" poesia e prosa italiana uniforme ne' caratteri generali, ma copiosa e cor-
" retta, povera di capolavori, ma ricca d'opere pregevoli ,, che forma il sog-
getto della seconda parte di questo libro, in cui è studiata quella che l'A.
chiama la letteratura classica del gran secolo; e cioè nel I cap. la poesia
narrativa, nel II la lirica e le forme minori, nel III la drammatica, nel IV la
prosa. Nella poesia narrativa di questo periodo, che va dal 1530 al 1560, ab-
biamo gli epigoni dell'fAriosto, che si sforzano di emulare il loro modello
" cercando il nuovo nello strano ,, e una doppia forma di parodia (se cosi
possiamo esprimerci) del poema romanzesco, vale a dire le vere e proprie
canzonature dell'Aretino, del Folengo, del Lasca e di altri minori, e il poema
epico gravemente riplasmato sullo stampo classico, del Trissino, dell'Ala-
manni ecc. Ma assai più che nell'epica gli Italiani di questo periodo si eser-
citarono nella lirica. Il Bembo, che fu il riformatore del gusto, cominciò con
lo scriver Hriche cortigiane e di mestiere, al modo di quelle del Galmeta,
del Notturno e cosi via ; rime che poi egli stesso rifiutò. Il suo mutamento
avvenne nel 1523 circa: allora, attingendo la materia delle sue rime dal Pe-
trarca, " rivolse tutte le sue cure alia forma: cioè a dar salda compagine al
" verso, cosi sciatto presso i suoi predecessori immediati, e ad ottenere, in-
* sieme con la sudata facihtà, una compostezza signorile ,.
La scuola veneziana sorta sotto gli auspicj del Bembo contribui a dif-
fondere il petrarchismo non solo nel Veneto e nella Lombardia, ma anche
per tutta la rimanente penisola, e cosi si ebbe, come disse il Franco, " il
" Petrarca commentato, il Petrarca imbrodolato, il Petrarca tutto rubato, il
" Petrarca temporale, il Petrarca spirituale ,. La lirica del Cinquecento, tran-
ne pochissime eccezioni, quali Michelangelo, il Tansillo, il Berni e Gaspara
Stampa, è " un gran deserto di fantasia e d'idealità „. L'A., contro l'opinione
del Graf e di altri, non ammette che ci sia stata una vera e propria vigorosa
corrente di antipetrarchismo, ma solo dei rivoletti che produssero " frescura
" e verde al modo d'un' oasi ,. Più gradite assai, perché improntate a mag-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 137
gior sincerità, ci riescono le forme minori della lirica: la satira derivata dal
sermone dei secoli precedenti, politica, morale e sociale, la poesia burlesca,
la carnescialesca e la rusticale. Notevoli le ultime pagine di questo capitolo,
in cui il F., giovandosi di studj suoi e di altri, discorre dei mecenati e degli
imitatori che la lirica italiana del Cinquecento ebbe fuori della penisola, so-
prattutto in Francia e in Ispagna; e una importante novità di questo libro,
a differenza delle storie letterarie precedenti,' è appunto, in questo e in altri
capitoli, lo studio dell' influenza esercitata dalle varie forme letterarie italiane
fuori della nostra patria.
Non certo meno ampio di questo sulla lirica è il successivo capitolo sulla
drammatica, in cui ad una ad una sono passate in rassegna tutte le varie
categorie, dalla tragedia regolare del Trissino e del Rucellai a quelle del
Giraldi, che dimostrò libertà di criterio e un lodevole senso di modernità;
dalla commedia di imitazione plautina e terenziana a quella di tradizione
paesana ; dalla farsa (genere intermedio fra la tragedia e la commedia), alla
commedia rusticale e bucolico-rusticale, onde derivarono le favole pastorali
del Tasso e del Guarini, come dalla farsa procede la commedia * dell'arte ,
e " a soggetto „. Di tutte queste varie categorie il F. studia i caratteri gene-
rali, e per ognuna fa l'analisi critica delle tragedie e delle commedie più
notevoli, indugiandosi naturalmente più a lungo sulle commedie dell'Ariosto,
dell'Aretino, del Lasca e particolarmente sulla Mandragola del Machiavelli;
a proposito della quale ci compiacciamo di veder confermata l'opinione e-
spressa prima d'ogni altro dal Ganello, e che fu poi accettata e ribadita dal
Villari e da chi scrive questo articolo, che cioè, quanto al concetto informa-
tivo, la burla oscena, non sia fine a se stessa, ma come dice il F., " stru-
" mento necessario alla rappresentazione di una società fracida fin dalle fon-
" damenta „. La parte più nuova di questo capitolo è l'ultima, in cui l'A.
tratta del teatro popolare e dell'influenza esercitata dalla drammatica ita-
liana in Francia, in Ispagna e in Inghilterra.
Ben cento fìtte pagine di questo volume sono dedicate alla prosa del
secondo periodo, cioè alla storiografia, ai romanzi, alle novelle, alle opere
didascaliche e parenetiche, di critica, di polemica e di epistolografia. Sebbene
non manchino pregiate monografie sui più notevoli prosatori di questo pe-
riodo, tuttavia nessuno, prima del F., aveva sottoposto la prosa del Cinque-
cento ad un esame cosi diligente, cosi ampio, cosi denso di osservazioni,
come questo che l' A. ci offre nel cap. IV. Noi non possiamo certo seguirlo
qui in codesta sua lunga rnssegna di scrittori e di opere, ma ci basta notare,
come della prosa, che mercé l'umanismo aveva, con l'unificazione, acquistato
un tipo nazionale tutto proprio, sia messo bene in evidenza il vario colo-
rarsi e atteggiarsi nelle diverse opere, a seconda dell'indole degli scrittori, ^
1 ter la drammatica qualche acceUEO fece però anche il Qaspary.
* Quanto al Sanuto non ripeterei- col Cantiì che la lingua dei Diari sia quella allora
parlata dai Veneziani; ohéilSaouto iu questa e nelle altre sue opere si industriò di riac-
costare come meglio seppe il suo dialetto al tipo della lingua letteraria; cièche parrà ma-
nifesto a chi confronterà la lìngua del Sanuto con quella, ad es., delle commedie e delle
lettere dBl Calmo. II F. inoltre riferisce iu modo inesatto il titolo d'una delle opere del
138 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
La terza parte del volume, la quale s'intitola La letteratura al tempo
della reazione cattolica, e che va dal '60 al '95 circa, è assai più breve delle
precedenti; e ciò non solo perché la messe delle opere letterarie nell'ultimo
quarantennio, se non scarseggiò, certo venne scemando, ma anche, o perchè
all'A. venne un po' meno la lena, o perché i limiti imposti dall' editore pro-
babilmente lo costrinsero ad affrettarsi verso la fine; se pure non vi con-
tribuirono tutte un po' queste ragioni insieme. Quest'ultima parte è divisa
in due soli capitoli: nel primo sono studiate le tendenze nuove del pensiero
e dell'arte al prorompere della reazione cattolica, che irrigidì' il pensiero in
dogmi fissi e immutabili. Allora le lettere, sotto l'influsso dell'assolutismo
politico e religioso, si ridussero un trastullo vano dello spirito; di qui le
innumerevoli Accademie che pullularono da un capo all' altro della penisola.
La società veniva educata dai Gesuiti; onde lo spirito ascetico largamente
diffuso in tutte le forme della nostra letteratura di quell' età, persino nei
romanzi e nelle novelle. Nella lirica e nella drammatica, anche per ciò che
s'attiene agli elementi formali, gli indizj del decadimento sono evidenti: * qn
" desiderio irrequieto del nuovo, una smania di far inarcare le ciglia, uno
" sviscerato amore per le sottigliezze e le squisitezze ,. Spentasi nel popolo,
per effetto dell'Inquisizione e del predominio spagnuolo, ogni operosità civile
e politica, era ben naturale che i cultori della scienza dello stato dovessero,
in generale, accontentarsi di filosofare sugli antichi testi, anziché ispirarsi
alle miserande condizioni dei loro tempi. Sola Venezia, ultimo asilo di libertà
e di indipendenza politica e religiosa, ebbe a questo tempo un vero e degno
seguace del Machiavelli in Paolo Paruta, che, storico, filosofo e diplomatico
ad un tempo, nelle sue opere accoppiò la pratica con la teoria.
Ma se nella seconda metà del Cinquecento, a causa dell'oppressione po-
litica e intellettuale, parve come disseccata ogni fonte di originalità nelle
manifestazioni artistiche e nelle elucubrazioni politiche, non mancarono, anzi
appunto per ciò spesseggiarono gli scritti di argomento esclusivamente sto-
rico, letterario e filosofico, i lavori di erudizione classica ed ecclesiastica, le
polemiche sulle questioni della lingua, i trattati e le epistole; tutte quelle
opere insomma per le quali il letterato o il filologo o lo storico non doveva
mai spingere lo sguardo oltre " il chiuso della sua servitù civile e intellet-
" tuale „. A ogni modo, l'unità del nostro volgare nella seconda metà del
secolo XVI si afforzò in modo, da servire a tutte le più svariate manifesta-
zioni del pensiero, esercitando straordinaria efficacia anche in parecchie na-
zioni straniere, dove i nostri prosatori furono tradotti, ridotti e imitati.
L'ultimo capitolo tratta del dramma pastorale e dell'epopea; e in esso,
come ben s'indovina, domina sovrana la figura del Tasso: tanto che, ad
eccezione di alcune pagine in cui l'A. discorre degli inizj e dei precedenti
immediati del dramma pastorale e del poema epico, e di altre sul Pastor
fido del Guarini, tutto il rimanente è dedicato al massimo poeta e prosatore
della seconda metà del Cinquecento. Il Tasso e il Guarini fecero " per la
Sanuto: Spedùione di Carlo Vili e di Luii/i XII in lUilia, porche egli nou narrò che la sola
spedizione di Carlo Vili. E invece, poiché ricorda le opere principali di lui, non doveva di-
menticare i Commentari della ijuerra di Ferrara {Venezia, 1829).
DBLLA LETtERATtJRA ITALIANA 139
poesia bucolica destinata alle scene quello che sugl'inizj del secolo stesso
avean fatto per l'epopea l'Ariosto, per la lirica e per la prosa il Bembo:
levatala cioè di mano alla gente grossa e inesperta, la raccostarono ai classici
esemplari del genere (che in embrione contenevano anche l'elemento dram-
matico), e la svolsero ed ampliarono secondo la loro dottrina, il loro ingegno
e il loro gusto finemente educato ,. Buonissime anche queste pagine sul
Tasso; né alcuno potrebbe richiedere dal F. cose nuove, dopo i molti e lodati
lavori, che in questi ultimi anni specialmente si vennero pubbhcando suU'ia-
felice autore della Gerusalemme e dell' Aminla.
Terminato il rapido riassunto, per sommi capi, della vastissima materia
contenuta in questo poderoso volume, cui nessuno vorrà né dovrà lesinare
tutta la lode che sinceramente gli è dovuta, anche il nostro compito sarebbe
adempiuto, se non c'incombesse l'obbligo di esaminare, oltre al contenuto,
anche il disegno generale dell' opera. Ogni distribuzione e divisione in materia
letteraria è di per se stessa artificiale e soggettiva; e però non sarà mai,
su questo punto, agevole V accordo dei critici. Sennonché siffatte divisioni
saranno tanto meglio e tanto più largamente accette, quanto più approssi-
mativamente rispecchieranno lo* svolgimento e gli intrinseci e vicendevoli
rapporti dei fatti storici e dei letterarj. Che se il Ganello ha soverchiamente
insistito nel ricercare come l' arte sia fluita dalla vita e quanto su di essa
abbia poi influito (che è l'idea principe di tutto il suo libro), il F. invece
vi badò forse troppo poco: da ciò quel suo ordinamento, che, secondo noi
crediamo, non sempre si accorda con le vicende storiche del secolo.
Con lo spuntare del sec. XVI non comincia un nuovo indirizzo filosofico,
letterario e artistico, ma seguita e si compie l'opera iniziata nel Quattrocento;
e però ben giustamente il F. considerò la storia letteraria di una parte del
Cinquecento come la finale evoluzione del Rinascimento. Nel secondo tren-
tennio si manifesta, secondo il F., la vera letteratura del gran secolo, quella
letteratura cioè che pe'suoi caratteri particolari potremmo dire propria esclu-
sivamente del Cinquecento, ossia dall' età classica nazionale; a differenza
non solo della precedente, ma anche di quella degli ultimi quarant'anni, in
cui per effetto della reazione cattolica e del predominio spagnuolo, il pen-
siero e l'arte assumono quelle tendenze per le quali le lettere e le arti si
avviano di gran passo al Seicento.
Ora, poiché è evidente e innegabile che il sec. XVI si divide in due età
storiche ben distinte, e che questa divisione avvenne proprio a mezzo del
secolo, quando il Santo Ufficio cominciò a inquisire e si inaugurò il Concilio
di Trento, non riesce ben chiara, per quanto si badi pili che alla cronologia,
all'intrinseco svolgimento dei generi e delle forme letterarie, questa triplice
ripartizione della materia ideata dal F., onde derivano parecchie contraddi-
zioni, ammettiamo pure pili formali che intrinseche, ma che non perciò sa-
rebbe, crediamo, stato meglio evitare, adottando un disegno corrispondente
alla divisione storica ora accennata. Eccone qualche esempio tra i più no-
tevoli. Il Bembo cominciò a scriver le sue rime nei primi anni del sec. XVI,
le pubblicò nel '30, mori nel '47; il F. parla di lui come umanista e dell' opera
sua in favor del volgare nella prima parte, e del lirico e, si noti, degli Aso-
lani compiuti intorno al 1502, nella seconda. Cosi dicasi di Michelangelo, la
140 RA8SB0NA BIBLIOGRAFICA
cui operosità poetica si svolge nel primo trentennio, non già nel secondo.
Al primo periodo appartengono veramente e il Berni, morto nel '35 e le satire
dell'Ariosto, di cui il F. tratta nel secondo. La Ninfa Tiberina del Molza (1538)
non è che la continuazione e il perfezionamento di un genere portato già cosi
alto dal Poliziano e dal Magnifico, onde se ne doveva parlare nella prima
parte. Quanto alla drammatica, della quale si discorre nella seconda parte,
la Sofonisba del Trissino e la Rosraunda del Rucellai sono del '15, 1' Oreste
del'SS, e si arriva alla metà del secolo con l' Grazia dell'Aretino. Le com-
medie del Machiavelli e dell'Ariosto sono anteriori al '30; e per la prosa,
oltre agli Asolani e al Corlegiano del Castiglione, morto nel '29, il Libro di
natura d'Amore dell' Equicola fu composto nientemeno che circa il 1495;
e pure anche di questo, come degli altri, il F. discorre nella seconda parte.
Ma se l'A. divide l'opera sua in tre parti, non perciò crede che il Cin-
quecento debba essere diviso in tre età; che anzi alle due età suaccennate
egli allude in pili luoghi del volume (p. 296 e 418), e più chiaramente che
altrove nella conclusione, dove dice benissimo: "Il Cinquecento comprende
* propriamente, non una sola, bensì' due distinte età della letteratura italiana. . .
"La prima è quella in cullo spirilo del classicismo... trionfò incontrastato
" fra noi nell'arte e nella vita. La seconda è quella in cui contro esso spirito
" si combatterono in Italia le più fiere battaglie, tentando di restringere al
" formale, all'estrinseco, l'efficacia dell'opera del Rinascimento. La prima età
" chiude e suggella: la seconda apre ed avvia „. E se ciò è, come noi cre-
diamo, verissimo, perché non fondere insieme le due prime parti del libro,
in modo da mostrare che proprio alla metà del secolo si compi anche let-
terariamente, oltre che politicamente, l'opera del Rinascimento? Noi insomma
avremmo preferito che il F. avesse abbandonato del tutto il criterio artifi-
ciale dei suoi tre periodi o parti, e si fosse più decisamente attenuto a quello
storico, per cui nessun altro secolo forse ebbe due età cosi nettamente di-
stinte da fatti e da caratteri politici e letterari del tutto diversi, e per il
tempo cosi giustamente proporzionate, come il Cinquecento.
A. Medin. .
G. MuoNi. — Ludovico di Breme e le prime polemiche intorno a
madama di Staci ed al romanticismo in Italia {1816) — Milano,
Società Editrice libraria, 1902 (8." pagg. 99).
Dopo aver accennato di volo agli scrittori principali, che get-
tarono le basi delle nuove dottrine romantiche, alla Stael, allo
Schlegel, al Sismondi, l'A. passa senz'altro ad esaminare quei
due famosi articoli pubblicati da madama di Stael nella Biblioteca
Italiana, ricordando le polemiche a cui essi dettero origine, e che
durarono vive e continue per tutto quel tempestoso anno 1816.
Comincia egli col riferire i primi attacchi contro la baronessa
comparsi nelle Novelle Letterarie fiorentine, sostenuti e rafforzati
dallo Spettatore di Milano, e la difesa generosa e cavalleresca del-
l'abate di Breme, di cui venne in quell'anno alla luce l'opuscolo
DELLA LETTERATURA ITALIANA 141
Discorso intorno àlV ingiiistisia di alcuni giiidiej letterarj italiani.
Due articoli poco tnen che ingiuriosi contro la Stael scagliò
anche il servilissirao e frivolo periodico Corriere delle Dame, dei
quali era autore quel conte Trussardo Caleppio, commissario di
polizia e futuro redattore àoiV Accattabrighe, che si distinse più
ti rdi per la guerra spietata al Conciliatore. « Le sue idee », os-
serva il Muoni, « sono un tessuto di meschinità e di vaniloquenza ».
Né tacque il Monti che, nel numero del giugno della Biblioteca,
pubblicò anonimo un dialogo, in cui parlava di quei due articoli,
come pure delle accuse del conte Trussardo: e, accanto alla cri-
tica «colta e garbata» del Londpnio, si ebbe l'insulso e sgan-
gherato articolo del Giornale di letteratura e di belle arti in Fi-
reme. A castigar però questi velenosi libelli, veniva giù « la
più acerba frustata » che in quel tempo fosse agli avversar] di-
stribuita: le Avventure letterarie o consigli d^tin galantuomo a varj
scrittori, scritte da Pietro Borsieri. Di questo libro, il quale « de-
sta un vivo interesse in chi voglia conoscer da vicino i retro-
scena delle guerricciole letterarie d'allora », e che a noi veramente
appare « unico e singolare tra gli sconci vaniloquj dei polemisti
contemporanei », il Muoni riferisce lunghi e notevoli brani, per
mostrare «quali meriti singolari d'arguzia, di sobrietà e di lar-
ghezza di vedute » fosse nel futuro collaboratore del Foglio Az-
zurro. Lo strepito di queste battaglie giunse persino all'orecchio
del Leopardi giovinetto, che, in quell'anno medesimo, inviò al-
l'Acerbi un suo articolo, in risposta a quello della Staèl sulle
Traduzioni. Ma l'Acerbi, che forse in quell'articolo non trovava
bastante sapore di lingua, ne rifiutò la pubblicazione.
Nel secondo capitolo, il M. esamina brevemente (sarebbe stato
meglio farlo nel primo), quali idee s' avessero, in Italia e nel 1816,
intorno al romanticismo. Mostra anzitutto di che genere fossero
i consigli forniti dalla Stael ai letterati italiani, scegliendo i pili
importanti fra quelli che diedero origine alle difese. Tra coloro
che sostennero vigorosamente la scrittrice francese, oltre il Bor-
sieri, troviamo anche, com'è naturale, Ludovico di Breme. Que-
st' ultimo, nota il Muoni, pubblicò il suo Discorso anche prima
della Lettera Semiseria di Crisostomo, della quale anticipò molti
punti. Sulle sue idee generali, meno note ma non meno larghe
ed originali di quelle del Berchet, l' A. s' indugia alquanto, rife-
rendo, come ei suole, di quello scritto brani caratteristici. « La
natura », osserva il Brerae, « non entra per nulla in queste nostre
decisioni e classificazioni di secoli inarrivabili, di letteratura clas-
sica e non classica Scommetterei il Tesoro di ser Brunetto
Latini e fra Guittone con monsignor Bottari, che la natura mette
in una sola classe Omero, Dante, Shakespeare, Sofocle ».
142 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Il terzo ed ultimo capitolo sembra a noi non tanto opportu-
namente posposto agli altri due, coi quali non ha in verità al-
cun intimo legame. Essendosi presentata alla mente dell' A., nello
studiare le polemiche romantiche di quell'anno, assai caratteri-
stica la figura dell'abate di Breme, egli ne tesse in parte la
biografia. Ricorda quali fossero le sue relazioni e le sue amicizie
letterarie, durante il periodo di tempo che va dal 1807 al 1818:
e quali vincoli di gratitudine e d' affetto, quali cordiali rapporti
fossero tra l'abate romantico e il suo maestro Tommaso Valperga
di Caluso, tra lui e la contessa d'Albany; e torna giustamente
ad insistere sull'ammirazione del Breme per madama di Stael.
L'influenza di questa donna, che nella sua villa di Coppet in
Isvizzera radunava sovente una elettissima schiera d'ingegni, che
ospitava il Byron e lo Schlegel, il Pictet e il Brougham, fu per
l'ingegno del Breme decisiva, e durò assai viva per tutta intera
la vita di lui. L'A. termina ricordando l'amicizia del Breme per
il Foscolo, alquanto offuscata piti tardi da un disgustoso incidente;
le relazioni col Monti e col Botta, e i legami fraterni che strinsero
la sua anima con quelle, assai simili, del Borsieri e del Pellico.
In unione con questi due egli formò in Milano quel primo cena-
colo romantico (1815-16), da cui fu concepito un nuovo periodico,
// bersagliere^ sentinella avanzata del Conciliatore.
Lo studio del M. contiene senza dubbio molte curiosità aned-
dotiche e molte notizie letterarie, e riesce interessante, perchè
tende a farci meglio conoscere quel primo accendersi in Italia
d'una questione, a cui erano legate cosi da vicino le sorti della
nostra letteratura. Assai utili tornano pure quei brani eh' egli
riferisce, estratti da opuscoli e da periodici assai rari, per lumeg-
giare di quando di quando l'indole di quelle polemiche. Ma, nel
complesso, a noi pare che questo lavoro manchi di compattezza
organica. Non parlando della poca opportunità che presentano
quei cenni sulla vita privata del Breme, posti in fine del libro,
quando si sono già esaminate, nei due capitoli precedenti, le sue
idee letterarie e le idee morali; troppo fitta e troppo densa è la
selva dei minuti particolari, delle notizie, delle rettifiche, degli
stessi brani, allineati 1' uno di seguito all' altro, con un nesso non
sempre naturale; troppo minute le fila e le diramazioni e l'in-
treccio delle opinioni; cosi che nella niente del lettore non rimane
un concetto chiaro e complessivo delle contese letterarie d' allora.
Eppure l'argomento era di tal natura, da rendere indispensabili
queste conclusioni e queste sintesi parziali, per seguire le linee
grandiose ed immutabili della nuova teoria, senza perdere di vista
il corso principale, attraverso una miriade di rigagnoletti. Alcune
DELLA LBTTKRATURA ITALIANA 143
questioni, di grande importanza, sono poi dall' A, toccate un po'
troppo fugacemente. Accennando al sorgere del romanticismo, egli
afferma come « a tre si possano ridurre i germi dell' arte roman-
tica, attecchiti in Italia prima che venissero le discussioni teoriche:
e cioè i poemi di Ossian, le lagrimose Notti di Young, la poesia
sepolcrale . . . »; concludendo che « la cosa esisteva dunque prima
dell'idea». Su questa esistenza del romanticismo prima ancora
della sua nascita, bisognerebbe un po' meglio intendersi. Il ro-
manticismo italiano, che si determina in forma di scuola soltanto
dopo il 1815, non predicò né poteva predicare cose del tutto
nuove: ma originale è la fusione intima di tutti quegli elementi
letterarj, filosofici, morali e patriottici, che dà a concetti e a teo-
rie, spesso in parte già enunciate, una fisionomia singolare ed un
carattere assolutamente nuovo. Edmondo Clbefci.
A. Solerti. — Le origini del melodramma. — Torino, Bocca, 1903.
L'idea di raccogliere in un volume le principali testimonianze
dei contemporanei, intorno alle origini del Melodramma, è stata
certamente una felicissima idea: giacché sebbene gran parte degli
scritti dal Solerti raccolti fosse già stata anche modernamente
rimessa in luce dal Vogel, dal Grevaert e da altri, pure giova trovar
riuniti tanti importantissimi scritti in una moderna edizione
italiana. E di ciò va data lode al prof. Solerti, che può giusta-
mente lusingarsi di aver fatto opera, la quale tornerà gradita agli
studiosi dell'interessante argomento. In fatto da tali testimonianze
si rileva ben chiaramente a qual concetto e a quali intendimenti
si. ispirarono gli iniziatori di quella «Riforma Fiorentina », che
originata dall'idea di un ritorno all'antica arte dei Greci, pose
invece le fondamenta dell' opera teatrale moderna.
Che la prima spinta alla maravigliosa invenzione, come Jacopo
Peri la chiama, sia stata data da Emilio del Cavaliere (cui la for-
tuna negò per molto tempo fama pari al suo merito) non si può
mettere in dubbio. Oltre al suo editore Alessandro Guidotti che
gliene dà vanto, lo riconosce il Peri medesimo dicendo come: dal
signor Emilio del Cavaliere, prima che da ogni altro ch'io sappia,
con maravigliosa invenzione, ci fusse fatta udire la nostra musicq
sulle scene. E da quanto dice il Guidotti si deduce che il genti-
luomo romano intendesse di fare le sue composizioni a somiglianza
di quello stile col quale si dice che gli antichi Greci e Romani nelle
scene e teatri loro solcano a diversi affetti muovere gli spettatori.
Ma ciò che pili preme notare sono gli avvertimenti dati nella
144 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Epistola ai lettori per la giusta interpretazione di queste sue mu-
siche: tra i quali attirano più vivamente la nostra attenzione
quelli rivolti al cantante, che dovrà cantar con aflFetto, sen^a pas-
saggi (cioè senza inopportune fioriture a scapito del sentimento
drammatico) e accompagnarsi con una azione appropriata, e quelli
relativi agli strumenti, che dovranno esser in numero proporzio-
nato alla capacità della sala e 'perché non sieno veduti si deb-
bono suonare dietro le tele della scena; colla qual prescrizione Emilio
del Cavaliere anticipava di circa due secoli e mezzo l'idea wa-
gneriana! Ed anche un'altra cosa importante diceva il grande
artista, sempre in rapporto agli strumenti o meglio al loro ufficio
nel dramma. Quella che il Combarieu chiamava la Psicologia
dell' orchestra e della quale attribuiva a G. Giacomo Rousseau
l'invenzione (che 1' Hellouin rivendicava invece a Claudio Monte-
verdi) era stata già immaginata e sentita, anche prima che dal
gran Cremonese, da Emilio del Cavaliere, il quale, come dice l'Epi-
stola, laudarehbe mutare str omento conforme all' affetto del recitante.
Non è chi non vegga l'importanza di questa idea dell'appro-
priare ad ogni personaggio una classe di strumenti: idea che se
non fosse stata enunciata da Emilio del Cavaliere prima che co-
minciasse il '600, si direbbe della più fresca modernità. Né meno
notevole è il concetto di lui intorno a quella varietà di ritmo., che,
tanti secoli dopo, poneva sulla sua bandiera Gioacchino Rossini,
e che l'antico compositore invocava, volendo che l'arie e le mu-
siche non sieno simili, ma variate con molte proporzioni, cioè tri-
ple, sestuple e di binario. E più e più altre cose e intorno alla du-
rata degli spettacoli, e all'ordinamento del teatro, e ai libretti
per musica ci piacerebbe pure notare se, comparando la materia
allo spazio di cui possiamo disporre, non ci sentissimo costretti
ad affrettare il cammino.
Perciò sulla ormai ben nota « Prefazione » del Peri alla sua
« Euridice » non ci fermiamo se non per rilevare come un* altra
idea di un altro grande alemanno, Cristoforo Gluck, sia stata anti-
cipata da un antico musicista italiano. E noto che il Gluck soste-
neva dover essere la musica una declamazione intensiva: e che
cosa voleva Jacopo Peri se non imitar col canto chi parla e usare,
a modo de' Greci, tm'' armonia che avanzando quella del parlare
ordinario scendesse tanfo dalla melodia del cantare, che pigliasse
forma di cosa mezzana !^ Perciò egli diceva di aver cercato una
maniera di musica, che potesse prender temperato corso tra i mo-
vimenti del caldo sospesi e lenti e quegli della favella spediti e ve-
loci, e di aver trovato come nel parlar nostro molte voci s'into-
nino di per sé in guisa che vi si può fondare armonia. Simile prò-
DBLLA LETTERATURA ITALIANA 145
cedimento usava nel comporre Vincenzo Bellini, il quale in una
lettera a Filippo Cicconetti, tra l'altro, scriveva: « chiuso quindi
nella mia stanza comincio a declamare la parte del personaggio
del dramma con tutto il calore della passione e osservo intanto
le inflessioni della mia voce, l'affrettamento e il languore della
pronunzia in questa circostanza, l'accento insomma ed il tono del-
l'espressione che dà la Natura all'uomo in balia delle passioni;
e vi trovo i motivi ed i tempi musicali adatti a dimostrarle e a
trasfonderle in altrui per mezzo dell'armonia...».
Importantissima è poi la « Prefazione » di Giulio Caccini alle sue
Nuove Musiche, la quale pure è un vero e proprio manifesto este-
tico, che contiene in sostanza tutte le idee sul dramma lirico, di
Gluck e di Wagner. Ivi egli narra come dalle discussioni cogli
amici della Camerata Fiorentina (nelle quali aveva appreso più
che in trent'anni nel contrappunto) avesse derivato la convin-
zione a non pregiare quella sorta di musica, che non lasciando bene
intendersi le parole, guasta il concetto et il verso, ora allungando
et ora scorciando le sillabe per accomodarsi al contrappunto, lace-
ramento della poesia: ivi espone come gli venisse in pensiero di
introdurre una sorte di musica per cui altri potesse quasi che in
armonia favellare e come avesse sempre ricercato V imitazione dei
concetti delle parole; ivi si scaglia contro gli abusi dei cantanti
pei loro giri di voci e trilli e gruppetti, ritrovati non già perché
sieno necessarj alla buona maniera di cantare, ma si per dare una
certa titillazione agli orecchi di quelli che meno intendono che cosa
sia cantare con affetto: ivi insomma porge una quantità di pre-
cetti intorno all'estetica e alla pratica dell'arte musicale, che ci
fanno ammirare tanta acutezza di osservazione e tanta finezza
di gusto.
Segue, nella raccolta del Solerti, la prefazione di Marco da
Gagliano alla Dafne: quella prefazione in cui il colto ed equili-
brato compositor fiorentino mostra di possedere cosi largo con-
cetto dello spettacolo teatrale, da dichiarare che non basta la mu-
sica sola a formarlo, ma richiedonsi molti altri requisiti dall'in-
sieme dei quali acquista veramente eccellenza. E anche qui come
non ricordare gli scritti del Wagner sull'opera d'arte dell'av-
venire e come non riconoscere che anche qui l'innovazione te-
desca non fu altro (in rapporto alle mutate condizioni dei tempi)
che un ritorno ad un'anticaglia italiana?
Ma la prefazione alla Dafne ha inoltre una grande impor-
tanza storica, giacché l'autore vi narra come ebbero origine gli
spettacoli chela Camerata Fiorentina ideò, e ne racconta le primo
vicende. Indi si dilunga a parlar della Dafne, dando numerosi e
146 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
giudiziosi avvertimenti intorno alla sua esecuzione: avvertimenti
che sono al tempo stesso tanti precetti artistici della pili indi-
scutibil giustezza.
E la serie delle Prefazioni si chiude con quella di Filippo Vi-
tali a\V Aretusa, prefazione che è solo un resoconto della prima
esecuzione di quella favola e del grande successo riportato, con
relative modeste dichiarazioni dell'autore che, al solito, ne attribui-
sce il merito agli esecutori, all'apparato scenico etc. etc.
A questo punto del volume troviamo ripubblicato l'impor-
tante « Discorso » di Vincenzo Giustiniani sopra la musica dei suoi
tempi. Il Solerti opportunamente riproduce anche 1' erudita av-
vertenza che vi pi'emise Salvatore Bongi, quando pubblicò il Di-
scorso per occasione di nozze, e che fornisce ampie notizie sul-
l'autore e sull'opera sua. Nel discorso del Giustiniani poi, è se-
guito il cammino della nuova arte musicale da' suoi primi pafesi,
fino al 1628, anno nel quale indubitatamente fu scritto : e si parla
con assai diffusione delle condizioni della musica, sia vocale che
strumentale, in quel tempo.
Pure alle origini del Melodramma si riferisce l' estratto della
prima parte de^ Discorsi e Regole sovra la musica di Severo Bo-
nini, che ci dà particolareggiate informazioni intorno a coloro
che idearono e a quelli che interpretarono il nuovo genere d'arte,
cioè intorno ai principali cantori, cantatrici e compositori recita-
tativi di Fireìise, com' egli li chiama. A complemento delle quali
notizie il diligentissimo prof. Solerti aggiunge in nota quelle al-
tre che si ricavano da un raro opuscolo della Biblioteca Riccar-
diana.
Segue la notissima « Lettera » di Pietro De' Bardi, documento
che non doveva mancare in questa raccolta, ma sul quale, per essere
stato stampato e ristampato pili volte, stimiamo inutile soffer-
marci. Assai meno noto è invece il lungo «Discorso» di Pietro Della
Valle, pubblicato nel 1763 dal Gori nel 2." volume dei Trattati
di musica di G. B. Doni e nel quale lo scrittore, che ha pel suo
tempo idee molto avanzate, si propone di dimostrare che: la mu-
sica dell' età nostra non è punto inferiore, ansi è migliore di quella
dell' età passata. Il discorso è del 1640 ed è diretto a Lelio Gui-
diccioni, il quale avea lamentato (come in tutti i tempi si è fatto)
la decadenza della musica vecchia. Pietro della Valle, che era di
opposto parere, combatte i soverchi artificj della musica vecchia
fondata esclusivamente sul contrappunto, e mostra come i compo-
sitori dell'età sua abbiano concorso a liberarla da quel difetto,
facendo luogo al sentimento e alla giusta espressione delle pa-
role. Parla poi del suo Carro di fìdiltà d' amore (di cui il Solerti
DBLLA LETTERATURA ITALIANA 147
riproduce in appendice il testo da un rarissimo opuscolo) e discute
a lungo sull'indirizzo dell'arte nuova, sui nuovi cantanti, sulle
tante novità peregrine, che all' età passata furono affatto ignote, per
le quali l'arte venne acquistando maggior calore di sentimento
e maggiore scioltezza di forme.
Dopo una descrizione delle opere sulla musica di G. B. Doni,
leggiamo nell' interessante volume alcuni estratti dal Trattato
della musica scenica di lui. Vi hanno dei capitoli assai curiosi,
come quello in cui l'autore vuol dimostrare che, poiché le lunghe
musiche generano tedio, è molto meglio cantare parte delle azioni
che tutte intere ! Che ne direbbero i iiostri editori ? — In altro
capitolo il Doni studia a quali specie di azioni drammatiche con-
venga più o meno la melodia, dimostrando che meglio si adatta
alla tragedia che alla commedia e che può introdursi, ma limi-
tatamente, nelle Rappresentazioni spirituali, mentre le Pastorali
possono aver musica in tutte le parti loro.
Un altro capitolo si riferisce alle origini del cantare in scena,
e ripete le notizie storiche della « Riforma Fiorentina » : altri trat-
tano del Mimo antico, delle Favole Atcllane e degli Intermezzi,
del progresso di cui la scena lirica è suscettibile, dell'accompa-
gnamento strumentale. Con felice pensiero il Solerti aggiunge
poi un passo tolto dal Trattato de-generi e della Musica, nel
quale è fatta una chiara distinzione tra il genere madrigalesco
e il nuovo stile monodico, affermandosi che il miglioramento die
ha fatto la musica per questa sorte di melodie è molto notabile, per
quanto le imperfezioni dello stile madrigalesco debbano, secondo
il Doni, pili che al genere in sé, attribuirsi all' artefice, c/ie wow
V assegna a soggetti proporzionati.
La riproduzione del testo poetico della Rappresentazione di Ani-
ma e Corpo, un'ampia e diligente Bibliografia delle prime Favole
in Musica dal 1600 al 1640 (di parecchie delle quali si ha ora per
la prima volta notizia) ed un'altra copiosa Bibliografia relativa
alla letteratura sulle origini del Melodramma, aggiungono pregio
al volume che il prof. Solerti ha messo insieme con acuto discer-
nimento e con cura amorosa.
Arnaldo Bonaventura.
148 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Enrico PANZAccnr. — Il libro degli artisti (Antologia). — Milano,
Cogliati, 1903 (pp. XV-527, in 16.").
Mentre si sta discutendo circa l'opportunità, o, per meglio dire,
la necessità di introdurre una buona volta l'insegnamento della
storia dell'arte nelle nostre scuole, ecco alla luce un libro, che
se non può contribuire alla soluzione del grave problema, può
tuttavia prestare un valido ajuto a quei volenterosi che avessero
desiderio di cominciare ad infondfere nei giovani un certo inte-
resse ed amore per quei negletti studj. Lo scopo che Enrico Pan-
zacchi si è proposto con questa Antologia è stato appunto quello
di indurre gli studiosi a familiarizzarsi con lo spirito, con la cul-
tura e con le abitudini della vita dei nostri pittori, scultori e ar-
chitetti. E poiché fortunatamente i nostri grandi artisti, senza
essere veri e proprj letterati, non furono neanche quegli uomini
incolti che taluno suppone, di modo che « quando alcuni di essi
« adoperarono la penna con qualche intendimento letterario, per
« la vivacità e la grazia innata dello scrivere, meritai'ono d' essere
«^talvolta invidiati dagli uomini di lettere propriamente detti »,
COSI l'A. è riuscito a comporre felicemente nello stesso tempo un
opera d'arte, di letteratura e di storia, raccogliendo in questo
volume prose e versi, che ad artisti in gran parte appartengono.
Inoltre, poiché le relazioni fra artisti e letterati furono nei di-
versi secoli multiformi e continue, egli ha creduto opportuno
unire a quei brani altri brani di poeti e di prosatori, che ad ar-
tisti o ad opere d'arte in qualche modo si riferiscono.
La materia è divisa per secoli, ed ai brani riportati vengono
fatti precedere per ogni secolo brevi cenni riassuntivi della sto-
ria artistica di quel dato periodo, al quale gli scritti stessi appar-
tengono. Ogni volta che comparisce nel libro il nome di un ar-
tista, le annotazioni richiamano brevemente la vita e le opere di lui.
Per i secoli XIII e XIV ai brani di prosa scelti dal Trattato
della Pittura di Cennino Genuini, dai Commentarj del Ghiberti,
dalla Cronaca di Giovanni Villani, dalla Vita Nuova di Dante,
dalle novelle di Franco Sacchetti, e sopratutto poi dal Vasari,
sono uniti non pochi brani poetici, che colle arti plastiche stanno
in una certa relazione. Così l'A. riporta le mirabili terzine del
e. X del Purgatorio, nelle quali Dante, descrivendo le sculture
che ornano la ripa tra il primo ed il secondo girone, dà forma
perfettamente plastica alla sua immaginazione; quelle relative a
Franco Bolognese, alcuni sonetti di Dante stesso, del Petrarca,
di Andrea Orcagna ed alcune rime del Poliziano.
I
DELLA LETTERATURA ITALIANA 149
Per il secolo XV, oltre che a quelli del Vasari, che tanto in
questo, come nel secolo successivo tengono la prevalenza, nn largo
posto è concesso agli scritti di L. B. Alberti. L'A. riferisce pure
un brano di quella Cronaca rimata di Giovanni Santi, padre di
Raffaello, la quale pur non avendo un grande valore poetico, non
è tuttavia priva di interesse per i frequenti accenni all'arte ed
agli artisti contemporanei.
L' arte del secolo XV non dava vita soltanto alle tele ed alle
p.ireti delle chiese e dei chiostri. Per intendere adeguatamente la
sua alta importanza politica e civile in quel secolo, non basta
studiare le opere d'arte che uscirono dai pennelli divini, non ba-
sta leggere i brani dei biografi. L^arte penetrata nell'anima del
popolo diveniva parte vitale di ogni manifestazione del popolo
stesso, ed informava di se le feste pubbliche, i giuochi ed ogni al-
tra espressione di quella età festosa ed obliosa. Nelle liete ma-
scherate, inventate da artisti e da gaudenti buontemponi, abbia-
mo di tutto ciò le testimonianze più fedeli; ed i Canti Carnascia-
leschi che in quelle occasioni si cantavano dal popolo, ci danno la
più intensa vibrazione di cotesta nota gaia e spensierata. Cosi l'A.
alle narrazioni che il Vasari ci ha lasciato di tali feste, unisce op-
portunamente alcuni brani di quei canti, come quello del Trionfo
di Bacco e di Arianna, cosi delizioso nel suo ritornello:
" Chi vuol esser lieto sia
Di domali non c'è certezza,.
Parimente un brano di quella strana e bizzarra opera che è il
Sogno di Polifilo, e che va adorna di preziose incisioni attribuite
al Mantegna, al Bellini, a Raffaello, a Jacopo de' Barberi, ci ri-
porta ai tempi, nei quali andavano maturandosi le forme della
nuova architettura, che doveva essere inaugurata più tardi da Bra-
mante. Chiudono gli scritti del sec. XV molti brani del Trattato
della Pittura di Leonardo da Vinci, nei quali i consigli più pra-
tici ili fatto di arte vengono accoppiati ai sentimenti della più
alta poesia, che ispiravano costantemente quel sommo genio en-
tusiasta delle bellezze del corpo umano e dell'armonia che regna
fra tutte le opere della natura.
Premesse, secondo il solito, alcune considerazioni storiche al-
l'esame del sec. XVI, di questo secolo, che come dice il Taine,
ci dette in arte il tipo di un'umanità superiore, e che potrebbe
avere per insegna quei due versi di Michelangelo:
" Per fido esempio di mia vocazione
Nascendo mi fu data la bellezza „,
11
150 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
l'A., dopo avere altresì osservato che non bisogna intendere e
studiare quest'epoca in un senso troppo rigorosamente cronolo-
gico, passa a darci brani del Vasari, di Messer Baldassar Casti-
glioni, del Borghini, dei Dialoghi del Firenzuola, di rime del Bembo,
di Griovanni della Casa, ottave dell'Ariosto, versi di artisti, quali
il Bramante, il Francia, il Reni, e sopratutto poi di Michelan-
gelo, per la biografia del quale vengono riportati in gran numero
dei brani del Condivi. Si aggiungano a questi scritti molte lettere
scambiate fra artisti, letterati e principi, alcuni dialoghi di Paolo
Pino, di Ludovico Dolce, di Andrea Gilio, alcuni passi della au-
tobiografia di KafFaello da Montelupo, molti di quelle del Cellini
e dei trattati di lui sull'Oreficeria e sulla scultura, altri sonetti
del Cellini stesso, del Varchi, del Bronzino, ed altri trattati an-
cora del Lomazzo, di Romano Alberti, di G. B. Armenino, del
Palladio, e si capirà facilmente come lafisonomia di questo grande
secolo ne risulti chiara ed evidente nelle sue varie manifestazioni.
L'arte del secolo successivo, ispirata a quel sentimento reli-
gioso misto di fervore e di entusiasmo declamatorio, che pure
aveva ancora in se molti elementi di forza e di grandezza, trova
le più fedeli testimonianze del suo carattere nelle Vite del Bal-
dinucci, in molte poesie di G. B. Marini, nella Felsina Pittrice di
G. C. Malvasia, nel Microcosmo della pittura di Francesco Scan-
nelli, in alcune lettere dei Caracci, di G. Reni, del Bernini, in rime
del Bernini stesso, o a lui dedicate, di Salvator Rosa e di Ago-
stino Caracci, ed in altri brani di prosa del Bon-omini, di Carlo
Gregorio Rosignoli ecc.
Per il sec. XVIII, non avendo allora avuto la patria nostra
abbondanza di artisti di grande valore, non potevamo purtroppo
avere neanche una grande copia di scritti letterarj, che servis-
sero ad illustrarne le opere. Al Rococò, che aveva trionfato fino
verso la metà del secolo, tanto di là quanto di qua dalle Alpi,
si oppose in Italia quel movimento artificioso, che con slancio
poco sincero proclamò il trionfo della bellezza greca e romana.
Il Tiepolo, che primeggia fra coloro che si tennero in disparte dal
rinnovamento classico, rappresenta l' ultimo fulgóre della grande
arte veneziana. Accanto a lui il Canaletto e Rosalba. Fra gli ar-
chitetti sono da ricordarsi il Gallo e il Dotti, Notevole fama eb-
bero il Soli, il Temanza, loZanoia, il Cagnola, il Canina, il Diedo.
Per la pittura, a Roma l'astro maggiore è Vincenzo Camuccini;
a Firenze Luigi Sabatelli e il Benvenuti aretino. Ma tutti questi
artisti ben poco scrissero, e chi scrisse di loro o della loro arte
si lasciò spesso dominare dal barocco sia nella forma che nel
concetto. Sono tuttavia degni di nota e non privi di interesse gli
DELLA LETTERATURA ITALIANA 151
scritti di Gio. Maria Ciocchi, la pittura in Parnaso; i Saggi so-
pra la pittura di Fr. Algarotti, gli Avvertimenti di Giuseppe Za-
netti, i Dialoghi del Bottari, molti passi delle opere del Milizia,
il Trattato di Niccola Passeri, i Sonetti di Giuliano Cassiani, ed
alcuni epistolarj.
Venendo finalmente al sec. XIX, che racchiude in se, come
dice l'A. molti, svariati e spesso confusi movimenti d'arte e di
idee, i brani degli scrittori in fatto d'arte ci si offrono assai pili
abbondanti che per il secolo precedente. Le lettere del Canova,
i Ricordi di Massimo D'Azeglio, l'Autobiografia del Dupré, molti
brani del Tommaseo, ci danno nello stesso tempo i migliori e-
sempj di bello scrivere, ed i migliori ammaestramenti suU' arte
contemporanea. A questi vanno nniti alcuni scritti di Giuseppe
Bossi, le terzine di Paolo Costa sul gruppo del Laocoonte, il ce-
lebre sonetto del Giusti sulla Fiducia in Dio del Bartolini, le Me-
morie di Fr. Hayez, gli Scritti d'arte del Mussini, alcuni sonetti
di Andrea Maffei, l' ode dello stesso Panzacchi a Michelangelo, e
quelle del Carducci per la statua « la madre » di Adriano Cecioni.
Chiudono la raccolta alcuni brani di tre pittori, che si possono
annoverare fra i pili arditi ed i più forti della seconda metà del
secolo: Luigi Serra, Giovanni Segantini e Telemaco Signorini. Le
lettere dei primi due, « Caricaturisti e Caricaturati » ed alcuni
sonetti del terzo, ci rivelano gli alti ideali artistici, che anima-
rono le menti di quei maestri scesi da poco nella tomba, ideali
che in gran parte sono ancora quegli stessi di molti giovani
viventi.
Cosi, giungendo fino alla soglia dell'arte nostra contemporanea,
il Panzacchi ha saputo darci un libro, che è opera utile e anche
nuova, e che riuscirà di pari interesse tanto per gli artisti quanto
per i letterati, iniziando quelli con piacevoli letture ad una mag-
giore conoscenza della letteratura che li riguarda, e questi a fa-
miliarizzarsi un po' pili cogli artisti finora troppo a torto negletti.
Pietro D'Achiardl
A. Wessei.ofsky. — Zur Frage iiber die Heimath cler T rr/ende vom
heiliqen Gral (Sonderabdruck aus dem Archiv tur slavische
Phiiologie, Bd. XXIII) ; Berlin, 1901 (pp. 70, 8.»).
Questo saggio del romanista insigne spetta alla ricca serie
delle pubblicazioni, onde a gara colleghi, amici, discepoli vollero
onorare il giubileo cattedratico del prof. D'Ancona.
Ben è vero ciò che avverte, cominciando, il W.: la leggenda
del san Graal ha già promossa una intera letteratura, che ogni anno
152 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
più s' estende, ed agita sempre nuove questioni. ' Quale fu la culla
della leggenda? Come s'è formata? Rispecchia essa uno schema
favoloso di origine gallese, cui siensi accomodati motivi e nomi
di saghe cristiane: o si tratta invece del processo contrario: del-
l'amplificarsi di un racconto apociifo cristiano, che sia stato
abbellito e ornato di frange fantastiche, attinte alle leggende po-
polari del Gralles? Due le vedute fondamentali; due sono i campi,
ne' quali si aggruppano gli studiosi. Ma non basta: data l'ultima
ipotesi, di dove spuntò il tema apocrifo? Dall'Oriente o dal seno
stesso del cristianesimo gallese?
Il W. aveva avuta ancora l'occasione di toccare siffatti proble-
mi. Per lui non v'ha dubbio che la leggenda del san Graal sia di
origine cristiana: egli aveva già chiaro in mente il concetto che si
dovesse ammettere una fonte orientale e che s'avesse a conside-
rare come un più tardo evento il localizzarsi della leggenda in
Bretagna. Ora egli corregge, approfondisce e precisa: nelle fonti
de' romanzi del san Grraal si rifletterebbero leggende irradiatesi da
una diaspora cristiano-giudaica in Palestina, in Siria, in Etiopia:
e si sarebbero esse comunicate e aggiustate al mondo occiden-
tale per effetto di una trasmissione del tutto meccanica.
Le più antiche testimonianze occidentali circa Griuseppe d'Ari-
matea e il Graal offrono l'insieme di questi dati precipui: Giu-
seppe ha raccolto il sangue del salvatore, e proprio in un vaso,
ch'era stato usato nella santa cena presso Simone il lebbroso:
egli è amico dell'apostolo Filippo e propagatore del vangelo:
pratica il sacramento eucaristico su l'esempio della cena di Cristo,
ed erige una chiesa in onore della madre di Dio: il figliuol suo
viene consacrato vescovo. Stabilito questo, il W. si volge ad esplo-
rare le leggende orientali; e comincia da un monumento geor-
giano (« mit enim grusinischen Denkmal »), che manifestamente
riflette una più antica fonte orientale, probabilmente siriaca. Il
più remoto de' manoscritti, cui venne fatto al W. di risalire, spetta
al 977 ; e il racconto, che si trae da quella e da altre versioni,
presenta curiosi riscontri con lo schema di ciò che l'occidente
narrerà più tardi in rima e in prosa. Campeggia ivi pure la fi-
gura di Giuseppe: ivi pure la sacra cena vien celebrata nella
casa di Simone da Cirenaica od in quella di Giuseppe: questi
raccoglie il sangue di Cristo ; sparge il vangelo a Lydda o Dio-
spolis, ove si reca al fine stesso anche 1' apostolo Filippo : sorve-
1 Per farsi un'idea di codesto rigoglio critico, basta vedere la bibliografia eh' è in E,
Wechssler, Pie Sage vom heiligen Orni in ihrer Enlvìcklwìg bis anf R. Wagners Parsifal, Halle
a, S., 1898, pp. 191 sgg.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 153
glia la edificazione della chiesa in onore della madre di Dio, e
in questa Enias è consacrato vescovo ....
Forte di cotesti raffronti, il W. passa ad analizzare le due prin-
cipali versioni della lejjgenda del san Graal: il romanzo di Robert
de Boron e la prima parte, che potrebb' esser la più antica, del
« Grand Saint Graal ». Seguire via via, lentamente, la disamina
acuta, le illustrazioni ingegnose e dotte del W., d'ordine geogra-
fico, storico-religioso, etimologico, in una Rivista, che non in-
tende alla storia comparativa delle letterature medievali, sarebbe
un fuor d'opera. Ci bastino le conclusioni.
Il substrato della parte prima del « Grand Saint Graal » è
una leggenda locale, propriamente siriaca, derivante da una dia-
spora giudaico-cristiana nel settentrione della Mesopotamia: il
nome Orcaus rimanda al siriaco Orhoi, non all' arabo Roha, che
è Bohais (Edessa) delle fonti occidentali. In codesta leggenda
si figurava Giuseppe come predicatore del cristianesimo, battez-
zato dall'apostolo Filippo e in possesso del sangue di Cristo. Ora,
circa il 1135 presso Guglielmo di Malmesbury, o piuttosto nella
sua fonte, compare una notizia non bene perspicua sopra Giu-
seppe, l'amico dell'apostolo Filippo, del quale si dice già che
predicò il cristianesimo in Bretagna: innanzi il 1204 si diffon-
deva per l'occidente il racconto di Giuseppe e del vaso della cena,
che nel 750 sarebbe stato reso manifesto in una visione ad un
romito bretone: e che si trattasse del vaso col sangue di Cristo,
come resulta dal prologo del « Grand Saint Graal », che della vi-
sione narra pur esso, è chiaro. Tutto ciò })oteva appartenere ad
una leggenda apocrifa siriaca di colorito giudaico-cristiano o forse
nestoriano, ad una leggenda del secolo Vili, che venne trasmessa
per via indiretta all'occidente romanzo, e in tal forma che rivela
cognizione immediata e personale dell'oriente. Eccoci dunque al
tempo delle crociate, al principio del secolo XII: anzi il W. de-
terminerebbe il punto e il tempo della comunicazione del rac-
conto apocrifo agli occidentali: la signoria franca su Edessa (Or-
caus) dal 1097 al 1144.
Più arduo fissare il tempo della versione parallela della leg-
genda, che ci fu conservata nel romanzo di Robert de Boron. In
ogni modo, è duplice la redazione che l'Europa conobbe. A Co-
stantinopoli non pare che essa attecchisse, mentre cosi fortunato
accoglimento incontrò nella Francia settentrionale e in Inghil-
terra. Si rispecchia una versione particolare in Wolfram von
Eschenbach; ed una più antica fase del racconto su la inchiesta
del mistico vaso, forse sta in fondo alla seconda parte del « Grand
Saint Graal ». La contenenza religiosa della leggenda, che ai cat-
l54 RASSÉGNA BIBLIOGRAFlfcA
tolici romani riusciva oscura, venne da essi in vario modo inter-
pretata e ridotta. Operò il solito spirito dell'adattamento locale,
SI che la straniera leggenda in sé ricevesse tratti della saga in-
digena e con questa strettissimamente si intrecciasse: Cosi s' ap-
propriò dessa Perceval; e la tavola rotonda di Uter-Pendragon
venne concepita come terza, dopo la tavola della cena di Gesù e
Giuseppe. Cosi forse Hebron, abbreviato in Bron, potè esser fatto
tutt'uno con il gallese Bran il benedetto, il Graal con un favoloso
talismano ecc. A questo modo il racconto della predicazione del
cristianesimo in un riposto angolo dell' oriente si svolse nella
storia di un'antica conversione della Bretagna, indipendente da
Pietro e da Roma. Questo sollevava la coscienza della chiesa
bretone, e la leggenda si fece popolare, perché rispondeva a' fini
della lotta politico-religiosa. E contemporanea fu un'altra evo-
luzione di genere afi'atto letterario: la contenenza religiosa si
esagerò, si oscurò più sempre con intrusioni fantastiche, etero-
genee, su la via del misticismo e de' nuovi problemi psicologici.
I motivi originar] della leggenda cedetter luogo ad altri, cui do-
minava un inquieto spirito di elevazione trascendente, una bra-
mosia tormentosa di luce e di purità, una specie di nostalgia del
cielo, al quale avrebbe sollevato, rapito l'errabondo mortale il
santo Graal.
Questa la ricostruzione del Wesselofsky, luminosa, acuta, ori-
ginale. Varrà essa a risolvere il faticoso problema, che l' ha su-
scitata? Sconfiggerà essa lo scetticismo, che perpetuamente s'ac-
compagna alla ricerca delle remote, nebulose origini ?
Vincenzo Ckescini.
COMUNICAZIONI.
QUATTRO LETTERE INEDITE DI G. DELLA CASA.
Con la oedola Concistoriale del 2 aprile 1544 ^ Monsignor Gio-
vanni Della Casa venne eletto dal Pontefice Paolo IIP Arcivescovo
della Chiesa di Benevento, rimasta vacante per la rinunzia di
Francesco della Rovere. Appena si seppe questa notizia, i Con-
soli 2 della città beneventana ed il Capitolo metropolitano si af-
frettarono ad esprimere al nuovo arcivescovo le più sentite con-
1 Vedi la bioi^rafia del Conte G. ìi. Casotti nello Ojitre del Casa, voi. I, Milano, 1806,
pag. 59. Secondo l'Ughelli, voi. Vili dell" Italia Sacni, Veuetiis, MDCCXXI, col. 170, l'elezione
sarebbe avveuuia il 7 e non il 2.
* I Consoli in questo tempo erano 8; vedi il mio studio: Gli Staltiti di Benevento sino
aUuJine del sec. .\ 17, Beucveuto, De Mavtiui, l'JO'i.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 155
gratnlazioni per la dignità di recente conferitagli, inviando a
Roma l'Arcidiacono « molto nobile et costumato et gentil homo »
(doc. II).
Alla partenza di questi il Della Casa, in data del 3 maggio,
scrisse due lettere; ^ indirizzando la prima ai Consoli, come capi
della città, per ringraziarli della gentile premura che avevano
avuta. In essa si lamenta che a cagione dei « tempi pericolosi »
non potrebbe egli venire a Benevento « a fare 1' obbligo suo »
prima del mese di ottobre; intanto però li prega di favorire la
Chiesa ed il Clero, promettendo dal canto suo di fare quanto può
nelle «occorrenze della città». La seconda è diretta ai Canonici
e Capitolo, di cui l'Arcivescovo gradisce le congratulazioni; e non
sentendosi bastante a sostener il grave peso della sua carica, in-
voca l'aiuto divino. E poiché può venire a visitare la sua Chiesa
soltanto nel prossimo ottobre, ^ li esorta a dargli subito avviso,
qualora si accorgano di « alcun errore nella administratione o nel
« Clero », affinché lo possa emendare, sebbene si trovi lontano.
Del 30 maggio dello stesso anno è la terza lettera diretta,
come la prima, ai Consoli e città di Benevento. Da questa si ri-
leva che avendo i Magnifici Signori mandato al nuovo Arcivescovo
un ambasciatore, M. Scipione Perrotti, per trattare di un certo
negocio, non si era potuto ottenere altro dal Camerlengo, che una
lettera per Monsignor Arcella, perché non molestasse la città per
tutto il mese di giugno.
Non molti mesi prima della sua morte, ^ il Della Casa scrive
al Capitolo ed ai Canonici una quarta lettera, partecipando che
ha destinato al governo della Chiesa di Benevento il Vescovo di
Lesina, in sostituzione di Monsignor di Civita di Penna, che dovrà
assentarsi per alcuni mesi.
Pietro Lonaudo.
1 Forse alla quarta deUe lettere che si pubblicano per la prima volta accenna Pompeo
Sarnelli, Memorie ciouologiclie dei Vencovi ed Aiciascoci di Btuecettto, Napoli, MDCXCI.. pag. 145
con le parole : « Ho veduto delle lettere del nostro Arcivescovo in cui egli si sottoscriveva :
r Acc( te scoro di B«ii«/ ««io, mentre le altre tre sono firmate: 0 io. Kl. \et\,o\ di Beiieveitio.
2 Non sappiamo se mantenesse o no la promessa: certo si è che in una lettera al ni-
pote Pandolfo Kncellai, del 9 agosto 1550, dice: «Disegno andare a Benevento adesso e
• star là tino a fatto Natale », O/iere r.it., voi. If, pag. 216. Ed è probabile che prima di que-
st'anno non visitasse la città, poiché nel 1544, dopo nominato arcivescovo, venne destinato
Nunzio Apostolico alla Repubblica di Venezia, e la sua Nunziatura < fini colla vita di
« Paolo III » (1549): Oji.cit., voi. I, pag. 59 sg.
3 Si disputò circa l'anno della sua morte. L' affermazione del Casotti, che egli morisse
il 14 novembre 1556 è ora provata c::atta da G. Coggiola, Stdl' unno diU't morte di m. Delta
Casa, Pistoja, Fiori, 19 Ul.
156 RASSEGNA BIBLlOGRAFtCA
I.l
Alli Nostri Mag.ci Sig.ri li S.ri Consuli et citta di Benevento figliuoli nostri
spirituali.
Molto Mag.ci Sig.ri miei.
Per la relation del R.do S.or Archidiacono il quale ci è parso di cono-
scere molto costumato religioso et nobil gentilhomo et per le lettere delle
SS. V. abbiamo conosciuto l'honorato giudicio che fanno di noi et quanto
hanno sentito piacere delia dignità nostra, del uno et del altro readiamo lor
gratie quanto possiamo maggiori ; et pregamo N. S. Dio che ne presti del suo
favore si che noi possiamo adempiere in parte quello che SS. V. sperano
di noi, et perche non ci possiamo si tosto spedir di qua che possiamo partir
avanti i tempi pericolosi, et cosi venir a far V obligo nostro prima che ad
Ottobre, pregamo le SS. V. che si degnino in quello che occorre favorir la
Chiesa et il Clero, et ci offriamo al incontro nelle occorrenze della città, et
particularmente di ciascuno pronti ad ogni loro commodo, alle quali ci rac-
comandiamo pregando N. S. Dio che doni loro la sua gratin. Di Roma allj
IIJ di Maggio xMDXLIIIJ.
D. V. SS. "l P'"ce>-
Gio. El. di Benevento.
Alli molto Reverendi Sig.ri Canonici et Capitolo di Benevento fratelli a-
mantissiini.
Molto Reverendi Signori.
Il buon animo delle SS. V. verso di me et il piacere che hanno preso
del iudicio che N. S.re ha fatto di me preponendomi alla Chiesa Beneven-
tana mi è molto grato, pensando che con l'amore che mi portano potremo
più ■ unitamente servire al cullo di N. S.re Dio et al servitio della detta
Chiesa; ne le ringratio dunque, offerendo loro al incontro pari volontà, prima
nella administration della Chiesa e poi particularmente anchora nelle loro
occorrenze. Piaccia a sua M.là divina ch'io possa esser bastante à sostener
si grave peso et a sodisfiire à quanto esse si promettono di me.
Ho conosciuto il Reverendo S.or Archidiacono molto nobile et costumato
gentil homo et S. S. esporrà anchora più largamente alle SS. V. quanto son
desideroso di piacer loro, né per bora mi occorre altro che exortarle che
dove veggano alcun errore nella adminislratione o nel Clero, si degnino dar-
mene adviso, acciocché con lo aiuto di Dio lo possa emendare cosi absente,
poi ch'io non posso venir al obligo mio sino a Ottobre, al qual tempo pia-
1 Archivio della Città di Benevento, voi. IX, n. 1.
2 Archivio Caiiitolure del Duomo di Benevento, voi. 8'J, u. 15.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 157
cendo a Dio verrò a visitar la Chiesa et le SS. V. alli quali mi raccomando
pregando N. S.ie Dio che le custodisca in sua gratia.
Di Roma alli IIJ di Maggio M. D. X. LIIIJ.
Circa la Cappella abbiamo commesso al Signor Archidiacono che quando
sarà costà elegga due huomini periti o più se gli piacerà che veggano dove detta
Cappella si può far senza preiuditio di quella del corpus domini et che si faccia.
Di V. SS. Reverendi itti frater Jo. El. Beneventi.
III.i
Alli molto Mag.ci S.ri come fratelli li Sig.ri Consuli et città di Benevento.
Molto Mag.ci S.ri.
Habbiamo ricevuta la lettera de le S. V, et inteso il negocio loro, nel
quale come doverrà ancho avisarle M. St^ipio Perolte non s'è potuto far
altro che ottenere una lettera dell' Ill.mo et R.mo Camerlengo diretta a
Mons.or Arcella che non molesti cotesla città per questo contado per tutto
il mese di Giugno prossimo fra questo tempo si potrà vedere di fare qual-
che altra cosa del che non maucaremo per il desiderio che habbiamo sempre,
et stiano sane.
Di Roma alli XXX di maggio M. D. XLIIIJ
delle SS. V. ""«« />ateUo
Gio. El. di Benevento.
1111.=*
Alli Reverendi come fratelli il Capitolo et Canonici di Benevento Monsignore
della Casa.
Reverendi come fratelli. Perché monsignor di Civita di Penna ha da esser
absente per alcun mese da Benevento per servitio de nostri padroni, et de-
siderando noi che la nostra Chiesa non patisca ne le cose spirituali et
temporali durante l'absentia di S. S. habbiamo deputato al governo di essa
Chiesa il molto Reverendo Vescovo di Lesina come le SS.rie VV. potranno
vedere per la sostitutione autentica fatta dal detto Monsignor di Peana in
persona di S. S. Però sarà debito delle SS.ie vostre di obedire al prefato
vescovo di Lesina in tutto quello che appartiene alla nostra iurisdittione come
le hanno fatto per il passato al detto monsignor di Penna o come farebbero
alla persona nostra propria, et alle SS. VV. ci raccomandiamo et offeriamo
pregando il S.r Dio benedetto che le consoli. Di Roma alli VIIJ di Maggio 1556
di VV. SS.ie come fratellù
L'Arcivescovo di Benevento.
l Archivio della Ciltù di Benevento, voi. IX, n. 51.
* Archivio Capitolare del Duomo di Bevevtuio, voi. 88, n. 18.
158 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
FULVIO TESTI E UN POEMETTO ANONIMO DEL SECOLO XVII.*
I.
Le guerre che Carlo Emanuele di Savoia combatte negli anni
che corsero dal 1613 al 1618, prima per la successione del Mon-
ferrato e poi direttamente contro la Spagna, che era intervenuta
imponendo all'ardito duca sabaudo condizioni troppo dure, ride-
starono in tutta la penisola l'odio contro il dominio straniero,
che gravava con mano di ferro sopra la patria, e risvegliarono
molte speranze di redenzione. Un'eco di queste speranze è ri-
masta non solo nelle notissime Fdippichc, attribuite finora al Tas-
soni, ^ ma anche in gran numero di scritture anonime, in prosa
e in verso, che dovettero avere allora una grande diffusione. ^
Fulvio Testi, che non era ancora diventato cortigiano degli
Estensi né ancora aveva l'animo viziato dall'aria della corte,
anch' egli, dinanzi al nobile ardimento di Carlo Emanuele, che,
solo fra i principi d'Italia ligj tutti agli Spagnuoli, osava opporsi
loro con le armi e proclamare la sua libertà e la libertà d'Italia,
1 MI preme avvertire che, se questo brtve scritto, per raf^ioni.che qui sarebbe iuutìle
spiegare, vie» pubblicato soltanto ora, fu però composto nel 1900 e presentato, come ap-
pendice della mia tesi di laurea, alla facoltà letteraria di Pisa. Ora compare alquanto mo-
dificato.
2 Gli furono contestate già dal Gabotto (Per la sloiia della letUr. civile dei tempi di Carlo
Kiiumnele ì, in « Kendìconti dell'Accad. dei Lìncei », serie V, voi. Ili, fase. 5 p. 331 n. 4) e più
tardi da G. Rna ( A/MSdxdco Tassoni e Carlo Eniannele I di Savoia, in Giorii. stor. lett. it., XXXII,
e in Poeti della Corte di C. E. 1 di Savoia, Torino, Loescher, 189!)), cui rispose D. Ferrerò (/.«
dtte prime Filippiche sono opera di Aless. Tassoni, in Giorn. st. lett. it., XXXV). 11 Rua replicò
(cfr. Giorn. st. XXXVI) ribattendo le osservazioni del Ferrerò e riaffermando la sua opinione.
11 Big. Francesco Bartoli {Fidcio Testi autore di prose e poesie politiche e delle Filippiche, Città
di Castello, Lapi, 1900: e Fulvio Savoiano (F. Testi), Le Filippiche e due altre scritture contro
ijli Spagiiucli, Milano, Sonzogno, 1902) venuto terzo nella disputa, identificando col Testi
quel Fulvio Savoiano, che il Tassoni nel Manifesto dice essere l'autore delle due prime
Filippiche, attribuisce questa e molte altre scritture politiche al poeta modenese; ma la sua
dimostrazione, che pur contiene delle osservazioni notevoli, è ben lungi dal riuscire convin-
cente. All'identificazione del Savoinuo col Testi s'oppongono non poclie difficoltà: ci sono
qua e là negli ops. di quello notizie autobiografiche che mal s'adattano a questo. Io non
posso qui entrare in molti particolari; ba.sti osservare che le Filippiche furono evidente-
mente composte a Roma alla fine del 1614 o al principio del 1615, mentre il Testi, partito
da Roma nel maggio del '14, dopo breve soggiorno, non ci ritornò che nel "20. La questione
sarà nuovanieute trattata sulla .scorta di nuovi documenti dal prof. Riia in un volume di
prossima pubblicazione, nel quale ristudierà tutta la letteratura civile dei tempi di C. E. 1.
3 Cfr. D'Ancona, Sa^/i/i di polemica e di poesia politica del sec. XVII, in • Archivio Veneto »
voi. Ili, p. 2; Il concetto dell' finità politica ne' poeti italiani, iu « Studj di critica e storia lot-
toraria >, Bologna, ZanicUelìi, 1880; e F. Qubotto, op. cit.
DELLA LÈITTERATURA ITALIANA 159
si senti infiammar Fanimo e non potè trattenere un grido di am-
mirazione.'
Già in un sonetto, pubblicato fra altre sue rime nel 1613, ^
aveva benedetto la guerra, che destava l'Italia dall'ozio e dal
sonno, in cui l'avevano immersa tanti anni di servitù. Il Tassoni,
il fiero nemico degli Spagnuoli, col quale il Testi aveva fatto vita
comune in Roma nel 1614, aveva probabilmente accresciuto in
lui l'odio contro la Spagna e l'ammirazione per il Duca di Sa-
voia. Sicché, quando al giovane poeta, raccolto nella tranquillità
della sua casa, giunse notizia che Carlo Emanuele, abbandonato
e avversato dagli altri principi d'Italia, amanti del quieto vivere
e gelosi l'uno dell'altro, ed esortato a far pace dalla repubblica di
Venezia, rimaneva dubbioso ed esitante dinanzi a una nuova
guerra, egli, pieno l'animo di nobile entusiasmo, sciolse il suo
canto, per eccitare il duca a proseguire animosamente l'impresa
cosi bene iniziata, rompendo ogni indugio e lasciando da parte
ogni esitanza:
C4arlo, quel generoso invitto core,
Da cui spera soccorso Italia oppressa,
A che bada? a che tarda? a che più cessa?
Nostre perdite son le tue dimore.
Spiega l'insegne ornai, le schiere aduna,
Fa che le tue vittorie il mondo veggia ;
Per te milita il Ciel, per te guerreggia
Fatta del tuo valor serva Fortuna.
Né ti curare s'altri non s'unisce a te e non ti soccorre: a te
solo spetterà la gloria di schiacciare il capo all'Idra ibera e il
vanto di atterrare il Gerione che opprime l'Italia. ^
Accanto alle quartine, generalmente più note, ^ si devono ri-
cordare altri due sonetti, composti probabilmente prima di esse,
i quali benché meno importanti, sono pur notevoli per lo spirito
che li anima. Nel primo, intitolato « All' Altezza del Duca di
1 È dedicato a Simon Carlo RouditieHi « astrologo ecceUeatissimo », e iutitolato S'o/</a
• IninuHi d' Italia. E notevole, oltre che per lo spirito clie lo auima, auche per certo imma-
gini, che ricompaiono poi nei canti a Carlo Emanuele del 1617. Cir. Rime di Fulvio Testi,
Venezia, Ciotti, 1613, pag. 63.
2 Vedi Rime di F. Testi, Modena, Cassiani, 1617.
3 Di esse F. Gabottofece conoscere, di sul cod. n. 298 della Bibl. del Re di Torino, una
parafrasi francese (Cfr. i'iia para/nini francese delle iiuarline di Fulvio Testi, in « Biblioteca
delle scuole italiane », novembre 1891), che egli assegna, come l'originale, all' estato 1614 (Cfr.
Fer la storia ecc., p. 326). Probabilmente prima anche che fossero stampate con le altre
poesie nel 1617, le quartine uscirono e si diffusero in fogli volanti, dei quali qualcuno è
giunto lino a uoi ed è conservato nella Bibl. del lie di Toriuo.
160 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Savoia », l'Italia, un tempo regina del mondo e ora « fatta mi-
sera e prigioniera », mostra a Carlo Emanuele le piaghe sanguinose
aperte nel suo seno dalla ferocia dei dominatori stranieri, e spera
di sottrarsi col suo aiuto «al giogo indegno».' Nell'altro «In
persona dell'Italia sopra i presenti motivi di guerra » si lagna che
i suoi figli si uniscano agli stranieri per straziarla e insanguinarla:
Misera Italia, onde sperar degg' io
Tregua a' miei guai, soccorso a' miei perigli,
Se crudi incontro a me fatti i miei figli
Sé stessi han per altrui messo in oblio ?
Dunque barbaro stuol rapace e rio
Vien nel mio petto a insanguinar gli artigli,
E congiunti con lor farsi vermigli
Vedrò i guerrieri miei nel sangue mio ?
Itene pur, ingrati figli e indegni,
E lasciate di voi empie memorie
Fatti ministri in me de gli altrui sdegni.
Infelici trofei, misere glorie.
De le proprie ruine altrui far regni,
E le perdite sue chiamar vittorie.*
Dopo gli insuccessi della primavera del 1615, il duca di Sa-
voia dovette piegare, e cedendo alle preghiere e alle istanze dei
mediatori e alle minacce di guerra dell'ambasciatore francese
conchiuse un accordo con la Spagna (2." trattato di Asti - 21
giugno). Ma di questa pace non rimase soddisfatto né il duca di
Mantova, che si lagnava di non avervi avuto parte e rifiutava di
perdonare ai ribelli, né la Spagna, cui rincresceva il non aver
potuto umiliare, come desiderava, il duca di Savoia, che aveva
i Uime ài F. Testi, ediz. cit. 1 primi versi
• Quella, che già nel secolo vetusto
Fu del mondo reina, Italia altera,
E eh' or misera fatta e prigioniera
Di barbare catene ba '1 collo onusto ecc.,
ricordano un sonetto politico di Giov. Gnidiccioni < A Vincenzo Buonviso sulle guerre d'I-
talia del 1526 »:
« Quosta clie tanti secoli già stese
Si lungi il braccio del felice impero
Donna delle Provincie e di quel vero
Valor, che in cima d' alta gloria ascese ;
Giace vii serva o di cotante offese,
Che sostien dal Tedesco e dall' Ibero,
Non spera il fin
2 Ediz. cit., pag. 162.
DELLA I.ETTBRATURA ITALIANA 161
trattato con lei da pari a pari, e spiaceva anche che garanti del-
l'esecuzione del trattato dovessero essere i Francesi, i quali pote-
vano per tal modo intervenire nelle cose d' Italia. Ma per allora
alla Spagna conveniva dissimulare il suo malcontento, per non
creare nuovi ostacoli al duplice matrimonio combinato con la
Francia già da cinque anni. Però appena questo fu celebrato,
decisa a non mantenere i patti stipulati ad Asti, richiamò l'Yno-
yosa, che era sembrato troppo condiscendente, e mandò al governo
di Milano D. Fedro di Toledo; il quale non tardò a manifestare
i suoi propositi ostili al Duca Sabaudo, cui voleva costringere a
chiedere perdono al re.
Carlo Emanuele, pur non piegandosi alle pretensioni del go-
vernatore spagnuolo, mostrava desiderio di pace, o fosse realmente
stanco di cosi lungo e inutile armeggio, o lo movessero ragioni di
opportunità politica. Mentre pur continuavano e dall'una parte
e dall'altra gli armamenti e i preparativi di guerra, furono avan-
zate proposte e avviate trattative di accomodamento; le quali,
benché si prolungassero per quasi tutto l'anno seguente, fallirono
completamente per l'ostinazione di D. Fedro nel pretendere che
il Duca chiedesse perdono e rinunziasse al trattato d' Asti.
Cosi nel settembre ricominciarono le ostilità: dapprima Carlo
Emanuele toccò qualche sconfitta; ma poi, soccorso dalle armi
dei Francesi e aiutato dai danari di Venezia, riportò una serie di
vittorie, che destarono l'ammirazione e l'entusiasmo di quanti
seguivano con amore i progressi delle sue armi. In poco tempo
fu un rapido fiorire di canti politici e patriottici, suscitato dagli
eventi propizi dei primi mesi del 1617.
Propi'io in quell'anno, in sul cominciar dell'aprile, il Testi
dava fuori un nuovo volume di Bime e lo dedicava «all'Invit-
« tissimo Principe Carlo Eraanuello di Savoia » ' con una lettera
nobilissima, in cui esprime con calda eloquenza la sua ammira-
zione per il grande guerriero, che raccoglieva « in sé solo e ne'suoi
«serenissimi figli tutto il valore» d'Italia, e che per due volte
aveva vinti e dispersi due potenti eserciti spagnuoli. « Io - scrive
« nella dedicatoria - dopo haver cantato di bella donna, tratto
« dal fervor dell'età rivolgo lo stile all'eroico valore di V. A., e
« le mie Muse, che danzavano dianzi con le Grazie e Venere, cor-
« rono al suon dell'armi agl'inviti di Marte».
Queste Bime, uscendo alla luce in quella lieta primavera, in
1 Rime I di Fulvio Testi | all' Invittissimo | Principe | Carlo Emannello | Duca di Sa-
voia I In Modena, con licenza de'superiori. Neil' ultima pagina: < In Modena, | Per Gìulian
Cassiani, M. DC. XVII. | In 2i.o (15 per 10 «/a), di pagg. 210 più 2 n. n.
162 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
cui il successo fortunato delle armi sabaude aveva ridestato le
speranze di molti e ispirato il canto dei poeti, non potevano non
accogliere anch'esse l'eco di siffatte speranze e di tali canti. In-
fatti, oltre che nelle quartine e nei sonetti già ricordati, troviamo
accenni a Carlo Emanuele e alla sua impresa ardimentosa nelle
ottave « al sig. Conte Fabio Scotti »:
. . . E '1 duca Alpin, eh' ora cavalli e fanti
Raduna, intento a gloriose imprese...;
e più chiaramente in quelle dedicate « al sig. Gio. Battista Pan-
zetti », per esortarlo a prendere le armi :
Or che fa, pien di nobile ardimento,
Qual già contra i Giganti in Flegra Giove,
0 qual Alcide a domar mostri intento,
Carlo contra a V Ibero eccelse prove;
Tu dunque in ozio neghittoso e lento
Starai, Panzetti, e non andrai là dove
Marte, tuo Dio, ti chiama, e la Fortuna
Mille a la destra tua palme raduna?
Altri navighi, spinto da ingorde e avare brame, per mari ignoti;
tu, che sei chiamato dal tuo genio ad imprese gloriose, impugna
la spada, e non ti mancherà degno premio. Grià in altre occasioni
hai dato prove del tuo valore;
... Ma se gloria desii suprema e vera
Per la strada di Marte il pie volgendo,
Vanne a V Alpino Eroe, che il ferro impugna
E per la libertà d'Italia pugna.
Goffredo, liberando il sepolcro di Cristo, diede materia di altis-
simo canto « a fortunato ingegno » ;
... Ma se r Italia che dei propri danni
E dell'altrui viltà par che s'adiri.
Dopo si lunghi e sf penosi affanni
Fia che libera e lieta un di respiri,
Spiegherà più d'un cigno eccelsi vanni,
Carlo innalzando agli stellanti giri ... *
In quello stesso tempo, in cui dedicava le Rime a Carlo Ema-
nuele, è probabile che il giovane poeta dettasse anche quel poe-
metto in quarantatre ottave, conosciuto generalmente col nome
1 Ediz. cit., pag. 151,
DELLA LETTERATURA ITALIANA 163
di Pianto cf Italia,^ e che ormai gli dovrebbe essere restituito
senza contestazione alcuna.
IL
Molto s'è discusso intorno a questo poemetto, per stabilire se
esso appartenga al Tassoni, al Testi o al Marino; e il dibattito
è stato cosi lungo e cosi minuta la discussione, che oramai po-
trebbe parere inutile perdita di tempo il riparlarne. Né io mi sarei
indotto a trattare di nuovo questo argomento, se non avessi visto
che pur dai difensori del Testi, intenti a notare affinità stilisti-
che e a rilevare corrispondenze di concetti e concordanza di frasi
e conformità d'atteggiamenti, si è troppo trascurato ciò che a
me sembra possa dare la prova più sicura e decisiva in favore di
questa attribuzione: l'esame diligente, cioè, dei manoscritti, né
pochi né privi d'importanza, nei quali il componimento ci è con-
servato.
Ma, prima di tutto, non sarà inutile rifare la storia della lunga
questione.
Lorenzo Crasso, nella biografia che del Testi inseriva fra i
suoi Elogi d'huomini illustri, pubblicati nel 1666, '-^ citava fra le
opere a stampa del poeta modenese V Italia. Più d'un secolo dopo
il Tiraboschi,^ cui forse era rimasta ignota questa notizia, attri-
buiva anch' egli al Testi il poemetto anonimo; e la sua opinione
veniva accolta dagli Editori modenesi,* che per primi stamparono
fra le poesie del loro concittadino il detto componimento, e da
quanti, dopo di loro, curarono edizioni del Testi o scrissero in-
torno a lui. 5 Ma nel 1847 il poemetto fu pubblicato, come inedito,
1 Fn pubblicato alla uiaccbia fru il 1615 e il 1617 e nelle prime stampe è intitolato:
• L'Italia I all'Iuvittissimo | e Gloriosissimo Prencipe | Carlo Emanuel Duca di Savoia ». In
8,0 di pp. 16 n.n. Di quest'antica edizione possiede quattro esemplari la Biblioteca Marciana
di Venezia, due la Bibl. Vittorio Emanuele, e uno la Cnsfinatense e la Barberina di Roma, l'^ln»-
broiiiiìin di Milano, 1* {/)ii>«)-si7rtria di BoloRoa, la .V(uio»a/* di Firenze e ì'Oraloriana di Na-
poli. Un esemplare ne ho visto anche presso il D'Ancona. Nella copia della Bibl. Casanatense,
che è registrata nel vecchio catalogo fra le opere del Testi, sopra il titolo è scritto, di mano
del sec. XVII « Auttore Fulvio Testi »,- e nell'ultima carta prima del fine : « Del Conte Fulvio
Testi », di carattere più recente.
2 Voi. I.pag. 388.
3 Vita del conte FuMo Testi, Modena, 1780, pag. 156.
1 Opere scelte di Fulvio Testi, voi. 1 [Poesie], Modena, 1817.
8 Si trova col nome del Testi nell'ediz cit del 1817 e in quella di Brescia, Ventnrini,
1822, t. II; di Milano, Bettoni, 1831, pp. 493-96; nei Versi alla jìfitrin di Lirici italiatii dal sec.
XIV al XVII f: raccolti per cura di F. L. Polidori, Firenze, Cecchi, 1847, pp. 133-60; nel Serto
di documenti attenenti alle liec-li Case di Suvoia e di Brnfjama per le aiispicatissime nozze di
S. A. R. la Pi-incipessa Pia di Savoia con S. M. Luigi di Portogallo, Firenze, stamp. Beale, 1862,
per Francesco Cambiagi; nel Parnaso modenese dal sec. XV al see.XVlll, Modena, 1866 ; nei
164 RASSEONA BIBI.IOORAFICA
fra le poesie del Marino dui Trucchi, ^ che lo trasse dal Cod.^
Mglb. 359, e riprodotto in un'edizione di poesie dello stesso Ma-
rino nel 1861.2
Nel 1880 il D'Ancona, rilevando corrispondenze" di concetto
e di forma fra le ottave e le Filippiche, espresse il dubbio, se
piuttosto che al Testi esse non dovessero attribuirsi al Tassoni; ^
ma si continuò tuttavia dai più a crederle opera del Testi.* Se
non che nel 1887 il Mango, ■"* osservando la evidente somiglianza
e la strettissima relazione che corre fra questo poemetto e le
quartine a Carlo Emanuele [Carlo, quel generoso invitto corej,
ch'egli credeva del Marino, ne indusse che anche l'altra poesia
dovesse con molta probabilità attribuirsi a quest'ultimo. Il Bel-
loni,** rilevando l'errore grossolano in cui era caduto il Mango
con l'assegnare al Marino un componimento, che trovasi fra le
liime del Testi, rivendicò a questo le ottave dedicate al duca di
Savoia. Il Mango ^ non s'appagò a queste ragioni; e appoggian-
dosi all'autorità del Toppi ^ e del Quadrio.-' i quali citano fra
le opere del Marino un'/to?ia afflitta,^^ identificò con essa la poesia
[Alici del sfC.X 17/, Milano, Sonzogno, 1878; neUo Poesie (ìi Falcio jTéSìi, Torino, 1882, p. 201
sgg., e neUe liime scelte di Fulvio Testi annotate da E.Roncaglia, Bologna, Azzoguidi, 1883.
E come opera sxia lo tennero il Cicconi (Del sentimento italimio nei poeti del seicento, in e An-
tologia Italiana » di Torino, 1846, p. 633), il Ferrerò {Il conte F. Testi alla corte di Torino, Mi-
lano, Daelli, 1865, p. 21), il De Castro {Fulvio Testi e ìe Corti italiane nella prima metà del XVIl
secolo, Milano, Battezzati, 1875, p. 22), il Santi {F. Testi e C, Emanuele, in « Kivista Europea »,
1880, 16 gennai';), il Molineri (Carlo Kmanaele I duca di Saioia p. 351) ed altri, che verremo
via via citando.
1 Trucchi, Poesie inedite di dugeiito autori, Prato, 1847, voi. IV, p. 337. Il Tracchi, a p. 337
ci fa sa ere che il Pianto d' Italia trovasi nel cod. Mglb. 359, p. 494; e nella pag. segnente,
sotto il titolo del poemetto aggiunge: « Ottave estratte dal cod. 3561 mglb. della raccolta
malatestiana ».
* Opere del cav. Giamb. Marino con giunta di nuovi componimenti inediti, Napoli, Bonteanx
et Axibry, 1861. In quest'edizione il poemetto, che è dato come inedito, è invece stampato
secondo la lezione datane dal Trucchi di sul cod. Mglb. 359 o 3561.
3 Studj di critica e di storia letteraria, Bologna, Zanichelli, 1880, pp. 90-91, dov' è ristam-
pato il discorso sul Concetto dell'unità politica nei poeti italiani. Nella l.a ediz. dì questo di-
scorso (Pisa, fif. Nistri, 1876, p. 57, n. 84) il D'A. si mostrava ancora incerto, ma inclinava piut-
tosto ad attribuirle al Testi.
* Cfr. C. Pascal, Fulvio Testi poeta cicile, in " Napoli letteraria „, a. I, n. 30.
5 F. Mango, Il Marino poeta lirico, Cagliari, 1837, pp. 102 e segg.
6 Testi, Tassoni o Marino? in " Propugnatore „ n. s. voi. II, p. I (1889). Il Belloni s'è occu-
pato nuovamente della questione in un recente studio, intitolato « Testiana », stampato nel
suoi Frammenti di critica letteraria, (ìtlìla,ììo, Albrighi, Segati e 0., 1903) pp. 167-77.
7 Di alcune stame adespote del s«c. X 17/, Palermo, 1890, e ristampato poi senza modifi-
cazioni in Varietà W<«)v/We, Roma, 1899, pp. 35 segg.
8 Biblioteca napoiitana et apparato de gli huomini illustri di Napoli e del regno, Napoli,
1678, p. 195.
9 Istoria e ragion d'ogni poesia, t. II, p. I, cap. 8, pp. 282-86.
>o II Belloni nel suo secondo scritto, che ora citeremo, fa osservare che nessun codice
porta questo titolo; ma veramente esso si legge nei codd. Oampori y. z. 2. 36 e Y, B, 6, 9 della
B. Biblioteca Estense dì Modena e nel cod. 22-1 della Bibl. D'Addosio.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 165
tanto disputata. 11 Belloni replicò, ^ opponendo alla testimonianza
del Toppi e del Quadrio quella più antica di Lorenzo Crasso, e
dimostrando con raffronti stilistici esservi maggiori affinità for-
mali e sostanziali fra le poesie del Testi e le ottave, che non fra
queste e le composizioni del Marino; e conchiudeva che «tra i
« discutibili autori le maggiori probabilità erano per il Testi ».
Contemporaneamente, e senza conoscere lo scritto del Belloni,
propugnava la stessa opinione di lui il sig. Luigi Arezio, ^ il quale
fece notare anzitutto che il Cod. 3561, dal quale si diceva tratto
il componimento nel!' edizione del 1861, era lo stesso Cod. Mgl.
359, da cui l'aveva trascritto il Trucchi. ^ Osservò poi che que-
sto ms. non poteva avere tutto quel valore, che gli si attribuiva,
dal momento che in esso venivano spacciate per inedite poesie
già stampate piti di trent'anni prima. Fatte quindi ricerche nella
biblioteca Estense, riusci ad avere notizia di due codici; i quali
però non poterono servire a provare che le famose ottave sono
del Testi, perchè in uno esse erano adespote e nell'altro il nome
dell'autore era stato aggiunto dal Tiraboschi.* In mancanza di
prove dirette, V Arezio cercò la soluzione del problema ricorrendo,
come già aveva fatto il Belloni, a confronti stilistici; e anch' egli
dalle molte rassomiglianze, che venne via via notando, conchiuse
doversi attribuire il poemetto anonimo al poeta modenese.
Sebbene questi risultati, per il metodo troppo soggettivo con
cui si erano ottenuti, non fossero veramente troppo sicuri e inop-
pugnabili, erano nondimeno, nello stato della questione, i più
probabili; cosi che anche il D'Ancona, che prima aveva espresso
qualche dubbio, ne fu convinto e si dichiarò apertamente favo-
revole all'opinione del Belloni e dell' Arezio.^
Nel 1894 il Grabotto, che riprese in esame tutta la letteratura
civile dei tempi di Carlo Emanuele I, ^ ponendo altrimenti la
questione, sostenne che la tanto disputata Italia non potesse es-
1 Di una poesia anonima del sec. lYII, in " Propugnatore ,, n. s. voL IV, p. n (1891],£ksc.
22-23.
2 SnW atttenticità di un poemetto pubblicato alla macchia nel sec. XF//, Palermo, AmenU,
1891.
3 né era cosa troppo difficile a notare, giacché il Trucchi stesso a p^ig. 338 indica col
n. 3561 quello stesso ms., che nella pag. antecedente aveva designato col n. 359.
i I codici conosciiiti dall'Arezio sono quelli segnati ora, il 1 o OC. G. 3, 2, e il secondo
X. 3. 9, 15, che più innanzi descriveremo. È strano che l'Arezio non siasi accorto che nel v.
dell' ultimo foglio del cod. OC. G. 3, 2, si trova scritto, de!la stessa mano : " Canzone del sig. Co:
' Testi contro de gli Spagnuoli „; e che il cod. OC. J. 9, 15 non contiene intero il poemetto,
ma finisce alla st. 34.
5 V. Manuale della letteratura italiana, voi. Ili, p. 412 e Letteratura civile dei tempi di Carlo
Km. I, in • Rendiconto dell'adunanza solenne della R. .\ccad. dei Lincei, 4 Giugno 1893 ,, p. 73.
6 Op. cit.
J3»
166 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
sere né del Testi né del Tassoni né del Marino, « perché nes-
« sano di questi tre grandi scrittori avrebbe cosi largamente at-
« tinto dagli altri due contemporanei ».i Ma - salvo il Grabotto
e il Mango, che ostinatamente rimase fermo nella sua prima
opinione 2 - tutti erano ormai d'accordo nel ritenere il poeta
modenese autore delle ottave anonime; e questa convinzione ve-
niva rinforzata da un documento pubblicato dal Rua.^ Ciò no-
nostante nel 1897 si levò ancora una voce a difesa del Marino,
ma con argomenti cosi deboli, anzi addirittura puerili, da non
meritare ch'altri si prendesse la briga di confutarli;* onde la
lunga disputa si poteva senz'altro ritenere definita a favore del
Testi.
Se non che recentemente la questione si riaccese per la sco-
perta di documenti, che a tutta prima parrebbero infirmare le
conclusioni del Belloni e dell' Arezio. P. P. Parrella, in un arti-
colo della Rassegna critica,^ additò una miscellanea di stampe
e due codici della biblioteca Oratoriana di Napoli, ne' quali il
poemetto, che sembrava assicurato al Testi, si trova col nome
del Marino. Nella miscellanea, che contiene ventisette opuscoli
politici, è inserito un esemplare della stampa originale delle ot-
tave, nel quale alla parola Italia è aggiunto a penna l'aggettivo
afflitta e sotto il titolo intero si legge, pure manoscritta, l'indi-
cazione: del cav. Gio. Battista Marino. Con lo stesso titolo e con
la stessa indicazione è registrato in un catalogo della biblioteca
Oratoriana, compilato nel 1736: da ciò il Parrella deduce l'at-
tendibilità dell'attestazione del Toppi, il quale per conseguenza,
ricordando 1' « Italia afflitta », non poteva riferirsi ad altro che
alle quarantatre ottave. Queste si trovano y)ure adespote e ane-
pigrafiche nel Cod. Pil. X, n. XXVIII della stessa biblioteca; ma
poiché sono frammischiate a componimenti del Marino, a questo
il Parrella le assegna, benché non rechino, come gli altri, il nome
1 Op. cit., pag. 332,n. 2.
2 Cfr. /)»' ima poesia politica (in "Note letterarie „, Palermo, 1894, pp. 7-21), e "Varietà
letterarie „, Eoma, 1899, pp. 85 e segg. L'Arezio tornò pure sulla questione con un altro opa.
(Ancora sidV auteidicità d'un poemetlo adespoto del sec.XYll, Palermo 1893), nel quale non
aggiunge argomenti né più nuovi né pili calzanti degli anteriori; ma indica un terzo ras.,
il cod. Campori y. z. 2, 36, che contiene le ottave adespote.
3 In una lettera del conte Scaglia, ambasciatore di Savoia a Venezia, del 19 agosto 1617,
si trova inclusa un'altra lettera, con firma inintelligibile, datata di Ferrara 16 agosto 1617,
nella quale si leggono queste parole: « Mi mandi quelle stanze del S. Fulvio Testi che sono
uscite alle stampe, perché facendo raccolta in un libro di tutte queste scritture, s'accomo-
derà in stampa e manoscritto (sic) imaginandomi che lo stampatore Io abbia avuto da lei »:
V. • Giorn. stor. della Iettar, ital., » XXVII, pp. 231-32.
■* L. Predieri, Il Piaiiln d'Italia, in " Rivista abruzzese „, ottobre, 1897.
5 P. P. Parrella, L'aittore del « Pianto d' Italia », in " Rassegna critica dell» lettor, ital., ,,
1899, n. 10-12, pp. 213 e seg.
DELLA LBTTRRATURA ITALIANA 167
del poeta napoletano. E lo confermano in qne.sta convinzione al-
cune parole, con le quali l'anonimo raccoglitore dedica il volume:
«La fortuna m'ha fatto capitar di Francia alcune composizioni
« del cav. Marino ... le quali composizioni quantunque di là mss.
« si leggano, non son però mai uscite alle stampe ». Ora, poiché
« la Murtoleidc e la Marineide, che fanno parte della raccolta, fu-
rono edite nel 1619, il Parrella ne induce che il codice dev'essere
stato scritto prima di quell'anno, e precisamente nel 1615, anno
in cui — secondo lui — il poemetto fu composto e pubblicato.
Nell'altro codice dell' Oratoriana, intitolato Ragguagli di Par-
nasso e contenente scritture politiche dal 1615 al 1629, le ottave
hanno lo stesso titolo delle stampe originali, sotto il quale, a ca-
ratteri più grossi, che il Parrella giudica della stessa mano, si
legge: del cav. Gio. Battista Marino. Ora - prosegue il Parrella -,
poiché i sostenitori del Testi non possono recare altra prova di-
retta in favore della loro tesi, tranne l'opinione del Tiraboschi,
il quale non si sa perché attribuisca II Pianto al suo concitta-
dino; poiché il carme non fa parte di nessuna edizione delle Rime
del Testi né è stato mai pubblicato sotto il nome di lui separa-
tamente prima del 1780, né trovasi infine in nessun codice, non
c'è ragione per sostenere ch'egli ne sia l'autore e non il Marino,
al quale lo assegnano i mss. indicati. Né si può opporre il do-
cumento pubblicato dal Rua, giacché in esso non si può vedere
indicato con assoluta certezza il componimento, eh' è oggetto della
controversia.
Il ragionamento e la conclusione del Parrella parvero a molti
cosi sicuri e convincenti, da assicurare al Marino la paternità del-
l'//a/m o almeno rendere molto incerta e dubbia l'attribuzione
di essa al Testi. ' Ma nello stesso tempo il Bartoli, che tolse a
studiare molte delle scritture politiche del seicento, ^ indicava due
manoscritti del sec. XVII, uno della Bibl, di Parma e l'altro del-
l'Estense, nei quali il poemetto trovasi col nome del poeta mo-
denese. E poco più tardi il Borzelli, ^ sottoponendo a minuto e-
same le prove addotte dal Parrella, dimostrava in modo esauriente
il niun valore di esse e la ninna attendibilità del Cod. Pil. X,
n. XXVIII della Bibl. Oratoriana.
Anzitutto, mentre in fronte a tutti gli altri componimenti il
raccoglitore non ha lasciato di ripetere il nome del Marino, pro-
prio in quello, di cui si discute, esso manca; né basta per attri-
buirglielo il fatto che si trovi frammischiato ad altre poesie di
« Cfr. Giorn. st. lett. it.,XXXVni, fase. 110-111, pag. 382.
2 Fulvio lesti autore delle Filippiche ecc.. Città di Castello, Lapi, 1900.
3 Ancora dell'autore del " Pianto d' Italia ,, in « Bass. crit. della letter. it, », anno V, n. 9-12,
pp.219 aegg.
168 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
lui, perché in tal caso si dovrebbero ritenere come sue alcune
che manifestamente non gli appartengono. Inoltre, anche a non
tener conto di quest'omissione e ammettendo che il raccoglitore
lo ritenesse veramente del Marino, la sua testimonianza non può
avere tutta quell'importanza, che il Parrella le attribuisce. Le
parole della dedica, ch'egli cita, non bastano a persuaderci che
il ms. sia anteriore al 1619, perché potrebbero essere nient' altro,
che una delle tante gherminelle, a cui spesso e volentieri ricor-
revano nel seicento editori e stampatori, per acquistare più credito
e assicurare maggior spaccio ai propri libri. ' Né maggior valore
possono avere le due miscellanee,' nelle quali il nome del Marino
fu aggiunto dal possessore, l'avvocato Griuseppe Valletta, che pro-
babilmente ebbe questa notizia dal Magliabechi, al quale appar-
teneva il Cod. Mglb. 359, e la comunicò alla sua volta al Toppi,
che se ne servi per la sua Biblioteca napolitana.
Vien cosi a mancare 1' argomento principale a favore del Ma-
rino e cade tutta la dimostrazione del Parrella. Non resta dunque
che riaffermare e rinforzare con prove più sicure e inoppugnabili
l'attribuzione al Testi.
Io non starò a ripetere qui i confronti stilistici, sui quali tornò
a insistere recentemente il Bartoli, ^ né m' indugierò a rilevare
altre somiglianze e analogie, che pur sarebbe assai facile addurre,*
fra le poesie del Testi e le ottave a Carlo Emanuele. E neppure
mi fermerò a ricordare la testimonianza di Lorenzo Crasso, la
quale è ben più importante e autorevole di ogni altra, perché
egli ebbe in eredità i mss. del Marino e poteva perciò solo tro-
varsi in grado di sapere la verità. A dissipare ogni dubbio e a
togliere ogni esitanza, più d'ogni altro argomento intrinseco o
estrinseco, mi pare abbia valore la tradizione manoscritta, la quale
soltanto io credo possa darci la prova più certa e decisiva, per
affermare che il poemetto anonimo dedicato a Carlo Emanuele
di Savoia è opera di Fulvio Testi. ^
Ho potuto aver notizia di ventisette codici, nei quali esso è
contenuto, e che qui importerà descrivere:
1 Questa raccolta sembra proprio apparecchiata per la stampa : chi voglia persuader-
sene rilegga le parole della dedicatoria riportate dal Parrella.
2 Anch' lo potrei citare la misceli. 297 della Bibl. Casanatense, in cui un esemplare del
poemetto reca sopra il titolo il nome del Testi, scritto in carattere del sec. XVII.
8 II vero autore del poemetto « ì.' Italia », in " Fanfulla della Domenica ,, anno XXIV, n. 29
(20 luglio 1902].
* Un notevole riscontro ci è fornito da tutta la canzone In morie di Madama Virginia
Medici d' Kste (Rime, ediz. 1617, p. 113), in cui il poeta immagina che la defunta ducliessa ap-
paia in sogno al marito e cerchi di consolarlo. E questa poesia è di poco anteriore al poe-
metto, essendo la Duchessa morta nel gennaio del 1615.
'•> Non cosi pare al Belloni, il quale crede molto incerto quest'argomento di prova,
perché « non sempre è possibile, anzi é molto diffìcile, lo stabilire sel'attribuzio|ie si fon^i
DBLLÀ LETTERATURA ITALIANA 169
1. Goc(. n. 908 della biblioteca di Parma, cart., in fol., del sec. XVII. È un
cod. miscellaneo, che, oltre le Quartine contro la corte di Roma, contiene
" L'Italia all'Invittiss.", e Gloriosiss." Prencipe \ Carlo Emanuele Duca di \
Savoia I Del Cavaliere Fuluio Testi ,.' •
2. Cod. Vaticano latino 8918. Cartaceo, misceli, in 4.°, dei seco. XVI e XVII,
di carte 62 num. recentem. È composto di 16 fascicoletti di vario formato,
rilegati in pergamena. Il 16." di 6 carte [ce. 57i-62^] contiene le ottave col
seguente titolo: * L' Italia | Del caualier Fuluio Testi Modenese all' \ Invit-
tis.uto Pr.pe Carlo Emanuelle \ Duca di Sauoia „.
3. Cod. 998 della R. Biblioteca di Lucca, segnato N. 7 GG. Cart., in fol.
(320 X 220), dei sec. XVII e XVIII, diviso in quattro parti. Gontiene rime
varie, per lo più di autori lucchesi, trascritte da un tal Domenico Vanni e
poi legate in volumi da Bernardo Baroni. Nella 2.* parte, pag. 82, dopo le
quartine Contro la corte di Roma (pag. 70 e segg.) si legge : Italia | all' In-
vittissimo e Gloriosissimo Carlo Emanuele \ Duca di Savoia. E in fine :
• Del S.r C. D. Fuluio Testi ,.
Nella 3." parte vi sono altri due componimenti del Testi :
1.» Candia invasa dal Turco [pag. 18] ;
2." Alla SJà di N. S. | Papa Innocenzo decimo \ Si loda la pace, e dalla
mano di S. B. doppo la \ particolare d' Italia s' aspetta V universale d' Eu-
ropa , [pag. 19].
4. Cod. 560 della R. Biblioteca di Lucca, segnato B. 417-418. Cart. in fol.
(320 X 220) del sec. XVII, di pp. 478 num., non compreso l'indice. Contiene
rime di diversi autori del sec. XVII, fra le quali :
1.° L' Italia I all' Invittissimo e Gloriosiss.™" Prencipe \ Carlo Emanuelle
I Duca di Savoia [pp. 218-230]. E in fine: Del Sig/ Conte D." Fuluio Testi.
2." Esortazione al sig. Conte Panfilio ad \ emanciparsi contro il Turcho.
Ode [pp. 242 e segg.] " Del Co. D. Fuluio Testi ,.
5. Cod. misceli., latino classe XIV, n. 45 della R. Biblioteca di S. Marco di
Venezia. Cart., in 4,°, di pp. 330 num. È di provenienza zeniana, e contiene
alcune scritture del sec. XV e del XVI: unica del sec. XVII e in italiano
" L'Italia del Conte Fulvio Testi. All' Invittissimo e Gloriosissimo Carlo Ema-
nuele Duca di Savoia „ [pp. 145-166].
Accanto al titolo v' è l'indicazione * Si trova stampata a parte ,, che pare
d' altra mano. In margine, di fianco alla st. 22.* è notato " Filip. Ili ,; alla
23.», " D. Pier di Toledo ,; alla 25.% " Duca di Mantova et di Savoia etc. ,;
alla 27.*, * March, di Pescara, et del Vasto, Fabrizio Colonna etc. ,: alla 29.*,
• C. Duca di Savoia ,.
6. Cod. dell' Oratorìana di Napoli, sognato Pil. X n.XXVIII, Cart., sec. XVII.
II poemetto è anepigrafico e adespoto, ma frammischiato a componimenti
del Marino.*
su ragioni ben valide o non sia pili tosto una pura e semplice supposizione del trascrit-
tore ». (Cfr. « Testiana », in « Frammenti di critica letter. » oit., pag. 172). Ma se tale osser-
vazione può valere per qualche ms., nou credo si debba dire altrettanto di tutti quelli, che
io indico qui appresso, la cui importanza e autorità appare manifesta.
1 Ne dette notizia per il primo F. Bartoli {fuliio Tesli autore di prose e poesie politiche
e delle Filippiche, Città di Castello, Lapi, 1900, pag. 57).
2 Cfr. E. Mandarini, / mss. della biblioteca Oiatoriana di Napoli, Napoli, 1897, pp. 234-35;
e P. P. Pairella, art. cil.
l70 Rassegna biblIografìòa
7. Cod. dell' Oraloriana di Napoli, intitolato " Ragguagli di Parnaém „.
Gart., sec. XVII, di ce. 207 nn. e 17 bianche. AI n. 10 si trova: U Italia \
all'Invittissimo \ e Gloriosiss. P." \ Carlo Emanuele Duca di Savoia; e sotto
questo titolo, in (jaratteie più grosso, il nome del Marino.'
8. God. 3392 della R. Bibl. Gasanatense, cart. della seconda metà del sec.
XVII, in 8.", di ce. 308 num. + 80 n. n., non cotnpresi l'elenco degli * Autori
che si contengono in questo volume „ e l'" Indice alfabetico del principio di cia-
scuna composizione ,. Goutiene poesie di varj autori del sec. XVII, e fra le altre:
1." Alla Santità di Papa Innocentio Decimo \ Si loda la Pace e dalla
mano di Sua Beatitudine doppo la particolare d'Italia s'aspetta l' Uni- \
versale d' Europa. " Del Testi , [ce. 77''-79'^] ;
2.0 Alla Corte di Roma. " Del Testi „ [ce. 79'--80^] ;
3.° Italia I A Carlo Emanuelle Duca di Savoia, [ce. 80^-86»"]. In fine:
"Del Testi,.
9. God. Mglb. II, IV, 11. God. misceli, cart. 28 X 30 di varie mani, dei
secoli XVII e XVIII, di ce. 266 num. recentemente, composto di 18 piccoli
codici. Il 3.° contiene le seguenti poesie del Testi [ce. 68''-72''] :
1.° Ode a Raimondo Monteeuccoli
2.» Ganzone al March. Massimiliano Monteeuccoli (sono soltanto le
prime quattro strofe).
3." Quartine contro Roma (ne mancano due).
Il cod. VII da e. 112"^ a 121' contiene varie poesie adespote e alcune
di Girolamo Preti. La prima delle adespote è: L'Italia alV Illustrissimo \ et
Gloriosiss."'" Carlo \ Emanuelle duca di Savoia [ce. 113'- 119'].*
10. God. Palatino 263 della Bibl. Nazionale di Firenze. Gart. misceli, del
sec. XVII (270 X 197), pagg. 356 num. ani., delle quali le prime 245 sono
scritte di mano dello scienziato e poeta fiorentino Lorenzo Bellini; le ri-
manenti sono di tre o quattro fascicoli scritti da mani diverse e in tempi
di poco anteriori. Al n. XL (pp. 52-54') contiene: Sopra il lusso di Roma -
quartine di Fulvio Testi; e al n. LXV (pp. 178-184): Italia | stanze \ del
conte Fulvio Testi \ All' Illustrissimo e Gloriosissimo \ Carlo Emanuele Duca
di Savoia.^
11. God. Estense n. 1430, segnalo a. S. 3, 2. Gart. in 8." piccolo del sec.
XVII, già appartenuto al Gonte Valdrighi. Gontiene: '^Marino Gio. Batt.
Martoleide, fischiata prima al Stigliani „ (sic) ; " La Marineide, risposta che
fa il Murtola al Marino, risala prima ,. E poi: * L'Italia travagliata \ del
S.'' Comm."' Fulvio Testi ,, seguila da due canzoni del Testi, una * Al S. Go.
Fran.» Fontana ,, l'altra " Al Sereniss.'"" S.' Prencipe Rinaldo Gard.'" d'Este
nella sua promozione ,.
12. God. Estense n. 837, segnato a. G. 3. 2. Gart. in fol. dei sec. XVI e
XVII, misceli, di prose e versi. Oltre ad altri componimenti del Testi, alcuni
dei quali autografi, contiene, in un faseicolelto di 8 ce. in 12.", il poemetto
anepigrafico. Nel v. dell'ultima carta si legge, dello stesso carattere delie ot-
1 E. Mandarini, oyi. cit., pp. 290 e sgg., e Parrella, art. cil.
2 A. Bartoll,/ mamscrilli ilnliam della Bibl, Xagioìiale. di Fìre)ìsr,voì.Ill,p. 301.
3 Gir. Palermo, I nianoiciitti f(ilaliiii,\oì. l,pp. 450-58. Di su questo cod. furono pubbli-
cate le ottave nel < Serto di documenti altenenti alle Reati Case di Savoja e di Biagama » già cit.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 171
tave: " Canzone del sig. co. Testi contro de gli Spagnuoli „. e questa indica-
zione è poi ripetuta da mano recente su un altro foglio, che serve di co-
perta al fascicoletto. In questo nis. mancano le st. 31, 32 e 33.*
13. God. Estense n. 560, segnato a. J- 9, 15. Gart. in 12." picc. sec. XVII,
di ce. 45 n. n., intitolato " Sonetti ed altre composizioni poetiche di vari au-
tori ,. In una striscia di carta, incollata sul foglio che serve di guardia, è
scritto: " Questi componimenti mss. erano in fine delle poesie liriche di Fulvio
Testi LXV, A. 56 , [ora VII, B. 61: è l'edizione Gassiani del 1645]. La scrit-
tura minuta e nitida ha molta somiglianza con quella del Testi ; ma non
oserei affermare che sia proprio sua. — Le ottave a Carlo Emanuele sono
anepigraflche e adespote; nel margine, di mano del Tiraboschi, è scritto:
* Di Fulvio Testi ,.^ Il componimento finisce con la st. 34.
14. God. Gampori nell'Estense di Modena Y. Z. 2. 36. Gart. in 8.", sec.
XVII di ce. 81. Gontiene 1' " Italia afflitta ,, adespota. ^
15. God. Vaticano 9226, cart. in 12.« (14 X 10) della 2.^' metà del sec. XVII.
Gontiene, oltre ad alcune rime del Tassoni e del Marino, anche le ottave a
Cario Emanuele senza titolo, in fine delle quali è scritto: "^ Fui. Testi „.
16. God. Barberini XLIV, 249 della Biblioteca Vaticana. Gart., in 4.°, del
sec. XVII, di carte 141 num. recenlem.
È una miscellanea di versi di varj autori, composta di fascicoli e fogli
di formato e carattere diversi, rilegati insieme. In un fascicolo di 17 carte,
di scrittura nitida ed elegante, con un frontespìzio ornato di fregi e fogliami
a penna, trovasi il poemetto col seguente titolo: " L' Italia \ liberata \ del
Conte I Fulvio Testi \ A Carlo Emanuel \ Duca \ di \ Savoia [ce. 53''-65v].
Nella e. 55% dove incominciano le ottave, si legge: " Invittissimo | Et | Glo-
riosissimo Prencipe ,. — Nel medesimo fascicolo [ce. TTi^-TOv] trovasi la nota
canzone del Testi " Alla Santità di 2J. Sig. \ Papa Innocentio X \ Si loda la
pace e dalla mano | di Sua Beatitudine | dopo la particolare d'Italia \ s'aspetta
l'Universale \ di Europa | Del Conte \ Fulvio Testi f,. Seguono a questo, in
diversi fogli [ce. 71»'-86i], altri sette componimenti, che si trovano tutti a
stampa nella " Race, generale delle poesie , del Testi (Modena, Sogliani, 1653),
e fra gli altri tre sonetti (uno in doppio esemplare) diretti a Urbano Vili,
e ai due nipoti di lui Antonio e Francesco Barberini, che sono autografi. I
fogli, che contengono questi sonetti, dovevano far parte prima di un altro
volume, come appare evidente dall'antica numerazione.
17. God. Mglb. 359. Gart., sec. XVII. A pag. 494, di mano di Antonio Ma-
latesti, con la data del 1645, si legge: " Il Pianto d' Italia del Cav. Gio. Batt.
Marino dedicato al gloriosissimo e serenissimo duca di Savoia ,.
18. God. 242 delia Bibl. Guarnacei di Volterra. Gart. sec. XVII. Gontiene,
il " lianto d'Italia del cav. Gio. Batt. Marino ^.*
1 K uno dei codd. cit. da L. Arezio (Siill'mitddicità ecc.).
2 È pure cit. dall' Arezio, il quale però uon s'accorse che inancavatio le ultime nove
stanze.
3 Cit. dali'Arezio nel suo secondo opa. (Ancora sull'autenticità di idi poemelio ecc.J.
* Ne dà notizia il Borzelli (art. ei<.), il quale crede probabile che il trascrittore di que-
sto ms. volterrano sia lo stesso del cod. Mglb. 359, fondandosi sull'identità del titolo, che
hanno le stanze nell'uno e nell'altro codice.
172 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
19. God. 22-4 della Bibl. D'Addosio, ora facente parie della Sagarriga-
Visconti di Bari. — Gart., del sec. XVIf. Vi si legge 1' * Italia afflitta del
cavaliero Gio Batt.^ al Seren.^'^o sig. Duca di Savoia Carlo Emanuele ^.
20. God. Gampori Y. G. 2. 1 dell'Estense di Modena. Cari., in fol., sec.
XVII, pp. 208 n. n. + 3 fogli bianchi, intitolato " Lettere e poesie di Fuluio
Testi ,. Gontiene 224 lettere, seguite da un Indice, al quale tengon dietro tre
poesie del Testi: l' ultima [pp. 196-208] è intitolata: V Italia prigioniera \
* all' Invittissimo Carlo Emanuelle \ Duca di Savoia „. Finisce con la st.34.*
La scrittura rassomiglia perfettamente a quella di Giulio Testi, fi-
gliuolo del poeta.
12. God. Estense iX, e. Gart., in fol., della seconda metà del sec. XVII,
intitolato " Giardino di varie compositlioni ,. È una voluminosa raccolta in
sei voli, messa insieme, negli ultimi anni del sec, XVII,* da un tal Mallerti,
che cosi sottoscrive a p. 1582 del t. II: * Manuscritto da me Pietro Antonio
Mallerti ,. Oltre ad altre poesie del Testi sparse negli altri volumi, nel t. II
sono contenute le seguenti:
1." Si detestano le lascivie di Roma | Poesia del sig.' conte D. Fuluio
Testi [pp. 667-671];
2." L'Italia | poesia del conte D. Fuluio Testi [pp. 672-685].
Anche in questo ms. il poemetto termina con la si. 34.'
22. God. n. 1501 della R. Bibl. di Lucca, segnato M. 6. Gart., in fol.
(280 X 210) del sec. XVIIl, di ce. 211, delle quali le ultime 37 bianche. Gon-
tiene diversi componimenti, alcuni anonimi, trascritti da un Lodovico Breni,
e fra gli altri :
1.» Contro la Corte di Roma [ce. 83'-84'] * Del Sig.r Co. D. Fuluio Testi ,.
2» " Italia 1 alV Inviti."'» e Gloriosiss."'o Cario Emanuelle | Duca di Sa-
noia ,. E in fine: " Del sig.*" Co. D. Fuluio Testi ,.
23. God. Gampori Y. B. 6. 9 della R. Bibl. Estense. Gart., in 8.» di ce. 132,
del sec. XVIII, intitolato: " Poetiche composizioni di diversi autori ,.
Dalla pag. 44 alla pag. 59 contiene :
" Italia afflitta \ Sogno del conte Fulvio Testi \ Al Ser.'"" sig. Carlo
Emanuel Duca di \ Savoia.
24. God. Trivulziano.^ Gart., in 4.", sec, XVII. Gontiene le ottave adespote.
25. God. I. XI. 26 della Bibl. Comunale di Siena.^ Gart., del sec. XVII.
Gontiene : L' Italia al Duca Carlo Emanuele di Savoja, adespota.
26. God. XII. E. 43 della Bibl. Nazionale di Napoli. Gontiene il poemetto
adespoto, insieme con la Pietra del paragone polìtico di Traiano Boccalini.®
27. God. I. 3. 31 della Berloliana di Vicenza. Gontiene pure il poemetto
adespoto.'
i Cosi senz'altro, lua s'iutoude il resto omesso dal copista. Cfr. Borzelli, «)•<. ci7.
8 Nel t. IV, p. 1599 si trova uu souetto " sopra Genova battuta dai francesi nel 168i ,
3 È cit. auclie dal Bartoli, o/y. ti7.,p. 57.
i Lo conosco soltanto dalla menzione che ne fa il De-Castro, op. cit. p. 25, n. 1.
5 È indicato dal Falletti, Sdjri/i, Palermo, Giannoue e Lamantia, 1885, pp. l'J4-25.
6 Cfr. Borzelli, art. cit.
7 Cf. Borzelli, op. cit.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 173
Come si vede, il poeinelto si trova adespoto in otto mss.; in
quindici reca il nome del Testi, mentre quello del Marino non si
trova con certezza che in quattro, giacché nella Miscellanea ci-
tata della Bibl. Oratoriana pare si debba ritenere aggiunto po-
steriormente. Dunque, non che essere esatta P affermazione del
Parrella, secondo il quale in nessun codice si troverebbe il nome
del Testi, la testimonianza dei mss. giustifica e convalida l'attri-
buzione delle ottave al poeta modenese. Certo non tutti quelli,
nei quali le troviamo a lui attribuite, hanno ugual valore per la
risoluzione del problema; ma a nessuno può sfuggire l'impor-
tanza dei primi quattro, e segnatamente del Parmense 908 e del
Vaticano 8918, nei quali il titolo di cavaliere, che accompagna il
nome del Testi, indica chiaramente che sono anteriori al 1635^
anno in cui il nostro poeta fu nominato conte di Busanella. Essi
inoltre ci offrono quasi tutti una lezione assai migliore e più cor-
retta, che gli altri codici, come può facilmente persuadersene
chiunque voglia prendersi la briga di confrontarli con le stampe
antiche.
Adunque, senza bisogno di ulteriori prove e di più lunghi ra-
gionamenti, io credo si possa ormai conchiudere con perfetta si-
curezza, che il poemetto dedicato a Carlo Emanuele è opera di
Fulvio Testi.
Dimostrato cosi chi sia il vero autore, vediamo a qual tempo
dobbiamo fissarne la composizione. Anche su questo punto e' è
disparere. Il Tiraboschi credeva probabile fosse stato scritto e
pubblicato nel 1617, supponendo che il Testi fosse processato e
condannato non solo per le Rime dedicate a Carlo Emanuele, ma
per le « stanze ancora separatamente date alla luce ».^ Il Belloni,
l'Arezio, il Gabotto e il Parrella l'assegnano" invece alla prima-
vera del 1615; il Rua ^ torna all'opinione del Tiraboschi e la
rincalza con nuovi argomenti; infine il Bartoli ^ e il Borzelli
lo credono anch'essi scritto nel 1617.
Fu già dimostrato — né qui è d' uopo ripetere — che le quar-
tine sono anteriori al poemetto, il quale non è in sostanza che
un'amplificazione di quelle. Ora, è generalmente ammesso che le
quartine sieno state composte nel 1615 : * e questa data, alla quale
i Vita, pag. 158.
2 11 Rua s'è in parte ricreduto, e in uno studio che darà presto aUa luce si propone
di dimostrare che le due parti, di cui — secondo lui — consta il poemetto, furono composte
separatamente e in diverso tempo: la l.a-(st. 1-31), che contiene la visione, sarebbe del 1615,
e la 2. a, in cui il poeta aggiunge i suoi conforti a quelli dell'Italia (st. 34-13), del 1617.
3 Anche il Bartoli, nel suo ultimo scritto, propende per il 1615.
* Il Gabotto però, pur ammettendone la priorità sulle ottave, le crede dell'estate 16U,
peché gli pare che l'allusione contro Venezia (« La reina del mar riposi il fianco, | Si lisci
174 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
ci riportano del resto gli accenni storici, ci è fornita anche da
una nota del Cod. Estense n. 983 (a. 0.9.25): ^ dunque bisogna cer-
care dopo quest'anno il momento politico, che è descritto nelle
ottave. Da tutto il contesto appare evidente che fnron scritte nel-
l'aprile di un anno, in cui mentre la fortuna arrideva alle armi
di Carlo Emanuele, trattative di pace vennero a interrompere il
corso delle sue vittorie.'
Ciò mal si conviene agli avvenimenti del 1615, che nel marzo
e nell'aprile di quell'anno furono poco propizj al duca di Sa-
voia, tanto ch'egli non rifiutò di venire ad un accordo, che fu poi
concluso il 21 giugno (2." trattato di Asti). Invece corrisponde
pienamente a' primi mesi del 1617, ne' quali, ripresesi le armi, il
Duca sabaudo con l'aiuto del maresciallo francese Lesdiguières,
riportò parecchi successi su gli Spagnuoli, i quali non furono più
alieni dall' accogliere le proposte di pace fatte dalla reggente di
Francia. Al contrario il duca, incoraggiato dagli ajuti francesi e
imbaldanzito per le recenti vittorie, mal s'acconciava a deporre le
armi e interrompere i successi e cercava d'acquistar tempo scher-
mendosi con vaghe risposte.
Ancora: nella seconda parte del componimento il poeta, ag-
giungendo i suoi conforti a quelli dell'Italia apparsagli in sogno,
esclama:
* Vediem dai tuo valor fiaccate e dome
Le forze onde T Italia egra si duole,
E si grande apparecchio svanir come
Larve notturne allo spuntar del sole:
Che l'alterigia Ibera, il cui gran nome
Quasi idolatra il mondo adorar suole,
È un tuon che fende l'aria e poi svanisce.
Lampo che abbaglia si, ma non ferisce.
Se gli eserciti immensi, che spogliando
Due volte Europa a' danni tuoi fur tratti
Senza lancia impugnar o stringer brando
il volto e H'ìuaiielU il crine ») sì convenga pili tosto a quel momento, iu cui tra Venezia
e Savoia era rottura completa, clie « alla primavera del '15, dopo che già la Repubblica aveva
riproso i negoziati col duca ili Savoia, per mezzo di Uanieri Zeno, e ne' consigli veneziani
cominciavano a proporsi pili gagliarde risoluzioni». Ma si può obiettare al Gabotto, che
quando il Testi scriveva le quartine, la repubblica non aveva ancora compiuto manifesta-
mente nessun atto, dal quale il piibblico potesse apprendere che essa si decideva a uscire
dall'irresoluzione e a dare soccorsi a Carlo Emanuele; si che il poeta a buon diritto po-
teva ancora lanciare le sue frecciato contro di lei.
i Cartaceo, iu i.", del sec. XVII. Da e, 273i- a o. 238v contiene le quartine con questo
titolo: « Al ser.mo sig.re Duca di Savoia Canzonetta ai crede sia del sig. Fulvio Testi anno
1615 ».
8 Cfr. specialmente st. 33, vv. I-C ; st. 5.»
bÉLLA LETTERATURA ITALIANA 175
Fur al primo apparir rotti e disfatti,
Miseri ! or che faran che mendicando
Van colmi di timor accordi e patti? '
Riformeranno eserciti migliori?
Onde trarran le genti, ond'i tesori?
Anche queste due stanze ci riportano a' primi del 1617; i due
eserciti spagnuoli vinti e disfatti dal duca è probabile sieno quelli
che combatterono nel 1615 e nell'inverno 1616-17.*
Le stesse cose, quasi con identiche parole, sono ripetute nella
dedicatoria delle Rime del Testi a Carlo Emanuele, che qui con-
verrà tener presente: « . . . . Né ... si può udire senza stupore
« che 'l maggior Re del mondo le sia venuto due volte sopra con
« due i maggiori eserciti ch'egli facesse già mai; ... e che due volte
« cosi grandi apparecchi, cosi tremendi sforzi sieno stati, come
« nebbia al vento di tramontana, dissipati e distrutti dal suo va-
« lore. » 3 E questa dedicatoria ha appunto la data del primo d'a-
prile 1617. La conclusione, pertanto, non può essere dubbia. Viene
poi a confermarla il documento pubblicato dal Rua, nel quale
non può vedersi indicato altro che il nostro poemetto, giacché
il Testi nel 1617 non pubblicò separatamente altre stanze. E
d'altra parte, quelle scritture da raccogliere insieme in un libro,
alle quali accenna la lettera citata, non possono essere, a mio pa-
rere, se non d'argomento e di carattere politico. E me ne per-
suade il fatto che il misterioso personaggio, che scrive la lettera,
richiede la poesia proprio a un ambasciatore di Savoia, dal quale
aveva già avuto altre scritture politiche. *
Da quanto abbiamo esposto risulta che la conchiusione pili
probabile, cui si possa arrivare in questo dibattito, è, che il cosi
t Assegnando il poemetto al 1615, come si spiegherebbero questi versi? In qiieH'anno
gli Spagnuoli, non che meudicare accordi e patti, respingevano risolutamente le proposte
avanzate dalla Reggente di Francia per mezzo dell* ambasciatore Sillery; e soltanto verso
il maggio piegarono a pili miti consìgli.
* Al Belloni, che nel suo ultimo scritto torna a sostenere con nuovi argomenti la data
del 1615, non sfuggi l'importanza dell'accenno contenuto nello stanze citate, che contra-
dice alla sua opinione. E per togliere di mezzo la diftìcoltà, sostiene che in esse non si
deve vedere uu' allusione ai casi del piccolo Piemonte, ma pili tosto « ai due famosi scacchi
sabiti dalla Spagna quando Filippo II aveva tentato, con pericolo di tutta l'Europa, la con-
quista dell'Inghilterra o della Francia », cioè alla «sconfitta deìVimiucibile armata (1588),
e alla guerra terminata con la pace di Vervins (1598) ». Ma, se anche non risultasse chiaro
da tutto il contesto che in questi versi si allude agli avvenimenti d'Italia, contro l'ipotesi
troppo ingegnosa del Belloni starebbe, ad ogni modo, la vera lezione del v. 2 della st. XXXVII,
nel quale si deve leggere, con le antiche stampe e con la maggior parte dei mss,, • a' danni
tuoi ».
3 Rime di Fulvio Testi, Modena, Cassìani, 1617.
4 Cfr. Bua, Epopea Savoinu, in « Giorn. st. lett. ital., XXVII, pagg. 231-32.
Ì'^6 RASSEGNA ftlBLlOatlAriCA
detto Piaììto d' Italia sia opera del Testi, al quale lo assegnano
e la conformità dello stile con altri suoi scritti e la testimonianza
della maggior parte dei codici ; e che esso sia stato composto nella
primavera del 1617, nelle stesse circostanze, nelle quali il Testi
dedicava a Carlo Emanuele il volumetto delle sue Rime.
NOTA BIBLIOGRAFICA.
Do qui la descrizione sommaria di una Miscellanea di scritture politiche,
ignota ai bibliografi, che si conserva nella biblioteca Universitaria di Bologna
[Misceli. GLXI, segnata 0. V. 20].
Contiene venticinque scritture, in verso e in prosa, la maggior parte delle
quali sono già conosciute da altre consimili raccolte del tempo.
I. Pietra ] del Paragone | politico | Tratta | dal Monte Parnaso | Dove si
toccano i governi delle maggiori Mo- | narchie del Universo. | Di Troiano (sic)
Boccalini | con una nuova aggiunta dell' istesso, | Impresso in Gormopoli (sic)
per Zorzi Teler, | MDGXV.
Di ce. 55 n. n. — Nella e. 2, si trova il seguente titolo: " Dei Raguagli
di Parnaso | Parte terza, 1 di Troiano | Boccalini, | all'Illustrissimo mio | si-
gnor osservandissimo M. F. R.
II. Raguagli ! di ! Parnaso | Centuria | Quarta. — s. a. n. di ce. 22. n. n.
Sono quelle che il Tassoni nel " Manifesto „ chiama le " Esequie della.
riputazione di Spagna , e che dice composte da un frate francescano.
Il Gabotto {Per la st. della lelt. civ. ecc., p. 404 e sgg.) ne fa una minuta
analisi. *
III. Replica I alla risposta | centra la Quarta Centuria, | dei Raguagli | di
Parnaso | s. a. n. di pp. 16 n. n.
Questa replica si trova anche in fine a un'edizione antica delle Filip-
piche, ed è seguita, come nella nostra miscellanea, da una quartina che serve
da epigrafe, e da due sonetti.*
1 A questi Kaguaiìli risponde il noto * Discorso » del Soccino, cui replicò il Tassoui. Ma
prima del discorso socciniano fu pubblicata un' altra risposta, a cui accenna il Gabotto
(op. cit., pag. 415) ma senza darne indicazione precisa. Di questa Hisposla trovo notizia nel
carteggio dell' ab. Geminiauo Ansaloui, ambasciatore modenese a Milano, il quale il 20 aprile
1617 scriveva al duca Cesare d'Kste: 'Il foglio dell'avviso di questa settimana sarà an-
nesso a quest'I carta et insieme la di fesa fatta innami ad Aii/wllo per la culutiitia data alla
lieimtalione spayiiola, che fu data per morta ueW assalto di Asti e per sepolta alla Certosa di
Piemonte^ (R. Archivio di Stato dj Modena - Cart. ambasc. da Milano, 1617).
2 La quartina e il 2." sonetto intitolato " Italia madre a' l'riucipi suoi figli » si trovano
DELLA LETTERATURA ITALIANA 177
IV. Supplimento | a gli Avvisi | di Parnaso. — s. a. n., di ce. 8 n. n.
Secondo il Gabotto {op. cit., p. 527) è opera di quel Valerio Fulvio Sa-
voiano, al quale, com'è noto, il Tassoni attribuì le due prime Filippiche.
V. Filippica I [seguita poi da altre sei]. — s. a. n., di ce. 22 n. n.
La terza ha il titolo di: " Ragionamento \ d'Italia \ Filippica III „,
La 4.*, la 6.* e la 7." sono firmate: * L'Innominato accademico libero ,.
È uguale in tutto alla ediz. delle Filippiche descritta dal Tiraboschi
(Biblioteca modenese, V, p. 204), salvo che nel nostro esemplare manca la
" Caducatoria prima ,, che precede quella cit. dall'erudito modenese.'
VI. Risposta I alle scritture \ intitolale | Filippiche. — s. a. n., di ce. 8 n. n.
È datala * di Milano „, ma senza indicazione di giorno, di mese né d'anno.
VII. Lettera scritta dall'Italia ) alla S.tà di N. Sig.'^* | Papa Paulo V. | s.
a. n.; ce. 8 n. n.
È * Data nel Giardin del mondo li 1 maggio 1617 ,, e sottoscritta * Di
V. Beatitudine | Fedelissima, Devotissima, et Ubidientissima serva | la tor-
mentata, e lacerata Italia „
Si trova anche nella Miscellanea descritta dal D'Ancona, Sa^/?! di po-
lemica e di poesia politica (in Archivio Veneto, voi. III, p. 2.*, ops. 1.*) e in
un'altra dell' Oratoriana di Napoli, descritta da P. P. Parrella. {L'autore del
Pianto d' Italia, m Rass. crii., IV, n.' 10-12 ops. XVII).
riprodotti nella prefazione di Silvio Giannini a " Le Filippiche contro gli Spngnuoli di Ales-
sandro Tassoni „, Firenze, 1855, pag. VT, da un'antica edizione uguale alla nostra.
Il l.o sonetto è il seguente:
« L' Aquila fiera, che da cuppi horrori
D'orrendi selvi (sic) use/, d' bermi confini,
Temeraria i terreni a noi vicini
Tenta rapir sotto menriti (sic) honori
Già sovra i curvi Abetti i biaiicilini
Spiega maligna, e gì' infedeli errori
D'una fede infedel, d'empi furori
Trova chi aiuta, e 1 suoi rapaci fini.
Tu Leon, sol ben nominato figlio
D'Italia bella, aspro contrasto e fero
Fai, rintuzzando un si rapace artiglio;
Deh scuoti il giogo altrui, e tanto impero
Dibella pur, deli via fatti vermiglio
Ne' danni suoi vendioator severo».
Cfr. su questa Replica anche Errerà (Sulle Filippiche di Aless. '/assoni, pag. 47) e Gabotto {op.
cit., pag. 415).
3 Un esemplare in tutto uguale a quello conosciuto dal Tiraboschi è posseduto dalla
Biblioteca delji^ II. Scuola normale superiore di Pisa.
178 RASSEGNA BIRLIOGRAFICA
Vili. La tormentala e lacerata Italia I alla S.tà di N. Sig. | Papa Paulo
V. I s. a. n., di carte 8 n. n.
' Data nel Giardin del mondo, li giorno della festività di San Pietro
29 giugno 1617 ,, e firmata come nella precedente. (Gfr. Saggi ecc. del
D'Ancona, n. 2; e Misceli. Oratoriana, n. XIX).
IX. L'Italiano | a principi | della sua | Provincia. | s. a. n., carte 4 n. n.
(Gfr. D'Ancona, n. VI).
Gom.: • Non è maraviglia che vedendosi le miserie, et le calamità ecc.
Fin.: " gli animi tratti alla naturale unione, et pace , È firmato: " L' Innomi-
nalo Academico libero ,.
X. Gaducatione | Prima. — s. a. n., carte 8 n. n.
XL Instrultione a Prencipi j della maniera | con la quale si gover- | nano
li Padri Giesuiti, fatta da persona religiosa, et totalmente spassionata. | In
Poschiavo Per Peter | Landolfo, et Bonatto Minghino. L'anno 1617. | Di
carte 14 n. n.
(Gfr. Misceli. Oratoriana, n. II).
XII. L'Italia I all'Invittissimo | e gloriosissimo Prencipe 1 Garlo Emanuel
Duca di Savoia, i s. a. n., ce. 8 n. n.
(Gfr. D'Ancona, n. XI; Misceli. Orator. n. VII).
XIII. L' Accademico | pacìfico | alla Santità di Nostro | Signore Papa
Paolo V. per la Paci- | fìcatione d'Italia. | s. a. n., ce. 8 n. n.
(Gfr. D'Ancona, n. XII; Oratoriana, n. XIII).
XIV. Italia 1 a Roma. | s. a. n. ; ce. 4 n. n.
(Gfr. D'Ancona, n. VII; Oratoriana, n. XVIII).
XV. Italia I a | Venezia. | s. a. n., ce. 4 n. n.
(Gfr. D' Ancona, n. IX ; Oratoriana, n. XVI).
XVI. AI genio | del signor | Duca | di Savoia. — s. a. n., ce. 4 n. n.
(Gfr. D' Ancona, n. V ; Oratoriana, n. IV).
XVII. Alla Santità | di Nostro | signore | Papa Paolo V. | Canzone. — s.
a. D., di ce. 4 n. n.
(Gfr. D'Ancona, n. V ; Oratoriana, n. XXI).
XVIII. Capitolo I a Principi. | s. a. n., di carte 4 n. n.
(Gfr. D'Ancona, n. XVIII).
XIX. La I Italia | alla | Francia alla | Germania, et alla | Inghilterra | Can-
zone di Zoraslro (sic) Pacuvio. — s. a. n., di ce. 4 n. n.
(Gfr. D' Ancona, n. Vili ; Oratoriana, n. XI).
DELLA LETTERATURA ITALIANA 179
XX. A Principi | Ghristiani. | s. a. n., ce. 4 n. n.
(Gfr. D' Ancona, n. XVII).
XXI. Canzone j in lode | di Venetia. 1 s. a. n., carte 4 n. n.
(Gfr. D' Ancona, n. X).
XXII. Al Serenissimo di Savoia. | s. a. n.
È un foglio volante, in formato più grande degli altri ops., e contiene
un sonetto, che com.: " Né carcere potrà, né lungo esiglio , e fin.: "Sacri-
ficar quest'anima per voi ,. In fondo alla pagina si legge:
" EPIGRAMM.\.
" Aut iiihil, aut Causar terque, alta voce Toletus
Dixit: In Allobrognn» diim movet arma Ducem.
Quod cnpit asseqviitnr, voti fit in agmine compos;
Esse neqnit Caesar, incipit esse nibil„.
XXIII. Sentenza 1 di Giove | tra l'Aquila, et il Leone. | s. a. n. ce. 2 n. n. —
Nella 1." carta c'è un sonetto che com.: " Chi sei tu che formidabii tenti ,, e
fin.: " Regni ella in aria pur, in mar e in terra „. La 2.* carta è bianca.
XXIV. Sboraure | de cuor | de Polifonio | Fifa Venetian. | Sboraura pri-
ma. I s. a. n., di ce. 7 n. n.
(Gfr. D'Ancona, n. XXX).
XXV. Sboraure i de cuor | de Polifonio | FifaVenetian 1 Sboraura seconda. |
s. a. n., di ce. 7 n. n.
(Gfr. D'Ancona, n. XXXI; Gamba, Serie degli scritti in dinletto vene-
ziano, Venezia, 1832, p. 109).
Raimondo Salaris.
180 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
ANNUNZI BIBLIOGRAFICI.
(J. GiAcosA. — / Castelli Valdostani. — Milano, Gogliati, 1903, un voi. di
pagg. 383 in 16.»
È un libro di poesia e di storia insieme commiste, e che perciò si legge
con diletto e con istruzione. L'autore descrive un paese del quale conosce
cosi i pili nascosti recessi, come le vicende e le tradizioni più inlime: del
quale ama le bellezze naturali, al pari delle Cronache dei castelli e dei vil-
laggi, che riproducono la vita del passato. È un libro sincero, e dopo averlo,
letto, restano impressi nella memoria i luoghi descritti con tanta verità e
schiettezza. Una trentina di belle figure illustrative ci pongono innanzi agli
occhi castelli, torri, ponti, fontane; ma la parola dello scrittore ce li dise-
gna con non minor evidenza dell'arte. Né si creda poi che l'autore ci dia
soltanto descrizioni di luoghi, che a lungo andare genererebbero in noi una
specie di sazietà: egli sa rievocare l'età remota, quando quei ruderi, cadenti
per vecchiaja o rassettati al gusto e alle necessità del presente, erano dimore
di signori, e nido di armigeri. Senza romantiche svenevolezze, ma con acuto
senso storico, egli sa dirci non soltanto com'erano costruiti quei forti edifizj,
ma qual vita entro vi si menava: sa dirci le usanze dei potenti e quelle dei
coloni, e ci narra le avventure d'amore e di guerra, per le quali taluno di
quei castelli è celebre nella storia. Le donne dei Challants, re Arduino e molti
altri personaggi sfilano innanzi a noi, e si atteggiano cosi come furono in
vita.
Noi vorremmo che ogni regione di quest'Italia nostra, ov'è da luogo a
luogo tanta varietà di bellezze di natura e di vicende storiche trovasse al
pari della Valle d'Aosta chi la descrivesse, formando una serie di preziosi
volumi, che meglio ci farebbe conoscere ed amare la patria comune. Forse
è cosa da poi ersi sperare; ma a ciascuna dovrebbe anche augurarsi chi sa-
pesse farlo coir arte pittorica e la parola musicale di Giuseppe Giacosa.
A. D'A.
G. Brizzolara. — La Francia dalla Restaurazione alla fondazione della terza
Repubblica {1814-1870). — Milano, Hoepli, 1903, un voi. in 16.» di pagg.
XX-695).
Annunziamo con piacere questo che ci pare un buon libro, degno di far
parte della " Collezione Storica Villari , pubblicata dal solerte editore Hoepli.
La materia della narrazione è distribuita in quattro periodi: la Restaurazione,
la Monarchia di Luglio, la Seconda Repubblica, il Secondo impero, e ognun
sa quanta grandezza e varietà di eventi si comprenda in cosiffatte storiche
divisioni. Ciascuna di queste ha nel libro l'ampiezza che merita, e ciascuna
conferisce unità alla narrazione storica. L'autore ha attinto alle fonti migliori,
e porge bell'esempio di equanimità e buon criterio nell' esporre i fatti. Non
DELLA LETTERATURA ITALIANA 181
ci sarebbe tuttavia spiaciuto, se invece delle rare note a pie di pagina, alla fine
d'ogni periodo, egli avesse citato le opere da lui consultate, additando bre-
vemente le ragioni dell' aver nel racconto di certi fatti pili controversi, pre-
ferito l'una all'altra. Forse la mole già notevole del volume lo ha tratte-
nuto dal far ciò; ma certo che questo corredo accrescerebbe pregio ad un
lavoro, che da ogni aspetto ci par commendevole. Se però questa Storia con-
seguirà il buon successo, che le auguriamo e che merita, sarà codesta un'ag-
giunta che accrescerà valore a una nuova edizione. E dacché siamo sulla
via dei consigli, o almeno dei desiderj, vorremmo che in una ristampa, oltre
la storia degli avvenimenti si desse almeno un cenno di quella delle lettere,
e in generale della cultura, poiché si tratta di materia intimamente collegata
con l'altra, né c'è bisogno di lungo discorso per dimostrarlo. Quanto alla
forma, ci sembra che 1' a. abbia saputo insieme contemperare la gravità della
scuola storica italiana con la scioltezza dell' uso moderno, essendo facile e
chiaro senza mai cader nel volgare ; e che la lingua sia generalmente buona
e schietta. L'editore Hoepli provveda a che altri volumi simili a questo, nar-
rino le moderne vicende delle altre nazioni di Europa. A. D'A.
Giov. Dolcetti. — Le bische e i giuochi d'azzardo a Venezia (1172-1807). —
Venezia, libreria Aldo Manuzio, 1903. Un voi. di pagg. XIII- 287 in 16.°
È un fenomeno curioso, e insieme un problema psicologico, il notare come
non sia raro il caso di barbieri, che al rasojo alternino la penna. L'Italia
antica può ricordare il Burchiello, che diede se non l' origine, il nome a una
forma poetica, e dopo lui Lazzero Migliorucci: e la Francia moderna anno-
vera tra i barbieri un poeta non punto spregevole, lo Jasmin. Ma ripensando
che p.nche gli illetterati sono, e possono esser poeti, e se n'hanno esempj
di tutti i tempi e di tulli i luoghi, cessa la meraviglia se troviamo fra essi
anche i barbieri. Più strano è annoverarli nella schiera degli eruditi; ma
forse non vanamente Orazio accompagnò insieme lippis atque tonsoribus,
come ricercatori di recondite notizie. L'Italia adunque ebbe or non è molto,
un barbiere erudito in Gaetano Moroni, autore o compilatore del gran Dizio-
nario di erudizione ecclesiastica, ed ora ha questo veneziano, che cercando
nell'Archivio de'Frarj documenti alla compilazione di un opera storica sul-
r Arte sua (e già ne ha dato qualche saggio), ha trovalo tanto, rispetto ai
giuochi d'azzardo, da comporre il presente volume. Le due provincie del resto,
sono contigue, perché ai tempi almeno della Serenissima, ben spesso i bar-
bieri erano insieme biscazzieri. Da siffatte indagini ne è uscito fuori intanto
questo volume, che va dai tempi più remoti ai principi del secolo scorso,
e contiene quantità di fatti, accuratamente disposti. Esso è diviso in otto
capitoli, i titoli dei quali possono dar idea del contenuto del libro: / giuochi;
Le bische; i barbieri biscazzieri, i Casini da giuoco; la posta del giuoco;'
i bari; i delitti dei giuocatori; le condanne. L'autore desume tutta la ma-
teria sua dai documenti veneziani ; altri noterà in un lavoro più ampio sul
giuoco in generale, certe rassomiglianze, e ne chiarirà l' origine e la deriva-
1»
J.82 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
zione. Per es. le scommesse che 1' a. ricorda (p. 12) in Venezia circa l'ele-
zione di questo o quel nobile alle più cospicue cariche politiche, trovano un
riscontro colle scommesse usate a Roma in occasione di conclavi : e T altra
usanza di impegnar grosse somme circa il sesso nascituro da illustri dame,
a Genova era il giuoco del redoglio. Importante assai è il capitolo sui Casini
da giuoco; e di questi ve n'era persino pe.r le meretrici (p. 63), le quali, è
noto, ne' pili bei tempi della gaja vita veneziana, non erano dai rettori della
Serenissima vedute di mal' occhio o perseguitate: ma ve n'era anche per
nobili dame, ed una di esse osservava: " il Ridotto è assai comodo per un
forestiere, " poiché per la cortesia degli abit.Miti può farvi molte relazioni, e
" il giuoco, se può pericolosamente impegnare, almeno lo allontana dal vuoto
" della noia „ (p. 74). Questo capitolo sui Ridotti, che si direbbero quasi una
istituzione veneziana, potrebbe esser amplialo da quanto forniscono in pro-
posilo le relazioni di viaggiatori. Ma l'a., lo ripeliamo, non è voluto uscir
fuori dal suo speciale argomento, e sebbene abbia voluto nella Bibliografìa del
giuoco (p. 246), mostrare di conoscer la materia in tutta la sua ampiezza, ha
serbalo al suo lavoro il carattere di contributo locale alla storia del giuoco.
Egli poi lo ha arricchito, oltre che d' indici copiosi, di alcune Appendici assai
utili. Ma la prima " Nomignoli della plebe nel sec. XVIII „ forse poteva esser
pili ricca; e fra esse Appendici non avremmo avuto rilegno di porre quel
" piccolo dizionario del turpiloquio e delle bestemmie dei giuocatori „ che egli
ha compilato, ma che non ha voluto pubblicare. Noi ricordiamo di aver visto
in un librone del seicento registrate con approvazione delle autorità, tutte le
più orrende bestemmie: e Salvatore Bongi mise insieme tutte quelle che
ricorrevano negli alti del maleficio della Repubblica di Lucca. Sono curio-
sità dirette ai curiosi, e il modo tenuto dal Bongi nel pubblicare quel suo
florilegio, prova che ciò può farsi senza scandalo. In mancanza di ciò, faremo
buon viso alla Appendice 2.*, che raccoglie Motti, Proverbi e Modi di dire
derivati dal giuoco : e, tuli' insieme saremo grati al bravo barbiere di Rialto,
che ci ha regalato queste indagini sulla storia del patrio costume.
A. D'A.
CRONACA.
.'. È a tutti noto come si sia sollevata una questiona sui ritratti di Dante.
L'argomento era stalo trattato ultimamente dal doti. Ingo Kraus, Da» por-
trait Dantes (Berlin, Paul, 1901), dopo che l'altro e maggiore Kraus ne aveva
toccalo nella sua magistrale opera sul sommo poeta. È da ricordare anche
rispetto al ritratto giottesco, l'articolo, dimenticalo dal Kraus, del prof. D'An-
cona nella Lettura, cui era aggiunto il dipinto giottesco sul calco fatto dal
Kirkup e pubblicalo dalla Società Arundelliana, riproducente l'affresco qual
era innanzi gli imbratti del restauratore Marini. Cotesto articolo valse all'au-
, tore quella che vien della maschera-Kirkup, della quale sono notissime le
copie, e che la vedova del pittore inglese gli donò per riconoscenza della
difesa da lui assunta del defunto marito. Pareva di essa perduta ogni trac-
cia; ed ora è ritrovala, ed a suo tempo diventerà proprietà del Municipio di
DELLA LETTERATURA ITALIANA 183
Firenze, perché la ponga nella cappella del Bargello insieme con un esem-
plare della stampa arundelliana, ormai irreperibile in commercio. Ora una
nuova effigie dantesca, del sec. XIV, parve al prof. A. Ghiappelli scorgere
nella cappella strozziana in S. Maria Novella nel dipinto del Paradiso, e tal sua
scoperta annunziò nel Marzocco del 20 dee. scorso. Al prof. Chiappolli rispose
il prof. P. Papa in un articolo del Giornale dantesco (XI. 1). dove negando
la rassomiglianza di quella effigie col comune tipo dantesco, faceva notare
come altra figura, pur nella stessa cappella, ma nella pittura del Giudizio,
fosse stata già dal Barlow, dal Volkmann, e pili recentemente dal Mesnil ri-
conosciuta come dantesca. Il prof. Ghiappelli ha risposto al Papa e ad altri
contraddittori in un artic. della Nuova Antologia del 16 aprile, confermando
il suo primo giudizio, e riproducendo i due affreschi. Egli congettura inoltre
che la figura che «la dirimpetto a quella in che riconosce Dante, possa esser
il Petrarca, e un'altra di fianco a questa, Gino o il Boccaccio. A noi sembra,
che fra le due figure del Paradiso e del Giudizio, se ve n'è una che ricordi
Dante, sia senza alcun dubbio quest'ultima, che si riaccosta al tipo del poeta in
età avanzata. L'altra si può almanaccare quanto si vuole, e perfino mettergli
un libro ipotetico sotto il braccio: ma per noi non rassomiglia al tipo dantesco
né giovane né vecchio. Nella controversia, ma schierandosi contro il Ghiap-
pelli, è pure entrato il sig. G. L. Passerini con una notevole pubblicazione
{Pel ritratto di D., Firenze, Olschki, di pp. 19, in 18."), concludendo che dal
ritratto di Giotto, solo trecentesco, si passa ai ritratti danteschi della seconda
metà del sec. XV, che sono: il disegno del cod. palatino, il dipinto di Dome-
nico di Michelino, la miniatura riccardiana, la maschera Torrigiani, e forse
il busto del Museo di Napoli. A noi sembra che ingiustamente sia qui om-
messa ogni menzione della maschera-Kirkup, che secondo una plausibile
congettura di Corrado Ricci, sarebbe calcata non già sul volto del morto poeta,
ma sul busto che, opera forse di Tulio Lombardo, stava sul sepolcro di
Dante a Ravenna, e che dopo note vicende, passato da Gian Bologna al Tacca,
è andato perduto. Tanto più ci pareva degno di ricordo, avendo messo in
lista la maschera Torrigiani, circa la quale possono aversi molti dubbj, e che
più che darci un'idea del volto dantesco, sembra effigiare un capoccia to-
scano in berretto da notte, e mezzo rimbecillito. — La pubblicazione del
Passerini riferisce molti più o meno autentici ritratti danteschi: ma non
sappiamo perché, volendo offrirci il dipinto giottesco anteriormente al ma-
laugurato restauro, si sia giovato di una riproduzione di seconda mano e
non di quella della fedele e diretta slampa arundelliana.
.•. Il signor Filippo Zamboni ha pubblicato un' Aggiunta di circa 40 pa-
gine alla sua Autobiografia inserita nell' opera Gli Ezzelini, Dante e gli schiavi,
che di recente ha ristampato (Firenze, Bemporad, 1902, in lo."). L'annun-
ziamo perché alla fine del fascicolelto si vede riprodotta in facsimile l'im-
magine di Dante quale fu disegnata e colorita in uno dei due codici della
Commedia, che si conservano nella Palatina di Vienna. Noi crediamo collo
Zamboni che questa figura non sia stata mai pubblicata, ma non riscon-
triamo in essa i tratti caratteristici dell' immagine del poeta, quale appare dai
ritratti più autorevoli. Anche questo, insomma, del codice Viennese ci sembra
un ritratto di fantasia.
184 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
.', Gol titolo j^ote alla Divina Commedia (Perugia, Tip. V. Santucci, 1902,
in 16." picc.) il signor Silvio Federici ha pubiìlicalo alcune postille da lui
segnate nei margini di un'edizione della D. G. col commento del Gasini. Il
volumetto di più di cento pagine non ci pare che contenga osservazioni
notevoli; quasi sempre si tratta di dichiarazioni, che è utile fare spiegando
a viva voce nella scuola i canti di Dante, ma che non occorre inserire in
un commento stampato. Qualche volta le chiose appaiono molto strane;
es. surga di Purg. I, 9 è spiegato: * Galliopea si alzi in piedi, per meglio
* accompagnare il mio canto con le sue dolcissime armonie ,.
.•. Il canto VI del Purgatorio è stato letto in Orsanmichele dal prof. F,
Novatì, e ora ne abbiamo a stampa il commento (Firenze, Sansoni, di pp. 55
in 16.°), pieno di acute osservazioni e arricchito di note erudite. Il N. si in-
trattiene specialmente su Sordello, sui suoi casi, e sulle ragioni che pote-
rono indurre il poeta a fargli rappresentare la nobil parte, che tutti sanno.
Non crede che ciò derivasse dall'ammirazione per il pianto in morte di Ser
Blacas; e opina che Dante conoscesse altre poesie di lui, e casi della vita
ultima, che ci sono ignoti, e differirebbero dalla leggenda creatasi intorno
al nome del trovatore mantovano. E questa ci sembra una probabile conget-
tura, che il N. fiancheggia di buoni argomenti ; ma la rassomiglianza fra Sor-
delio giudice dei regnanti del suo tempo nel pianto e indicatore e giudice
degli spiriti principeschi della valletta, vuole che si ponga in prima riga
l'ipotesi pili generalmente acccolta, senza tuttavia fare di quella lirica —
ed è ciò che nega appunto il N. — 1' " unica „ ispiratrice del solenne epi-
sodio del Purgatorio. Un altro punto importante è toccato dal N., rispetto
cioè alle favole su Sordello raccolte dall' Aliprandi, sostenendo, e ci sembra
con buona ragione, che egli non ne fu inventore, come altri asserì', ma divul-
gatore soltanto, deducendole, al pari di altri episodj della sua cronaca, da
fonti anteriori. Nell'ultima parte della sua lettura, il N. fa notare come il
senso dell' unità politica della patria assurga in questo canto ' a trionfale
manifestazione d'arte ,, ma sia più antico e replicatamente affermato anche
negli scrittori del più oscuro medio evo.
.*. Il e. XI dell' Inferno è stato illustrato per la Lectura Dantis di Or-
sanmichele dal prof. A. Linaker (Firenze, Sansoni, di pp. 40 in 16.»). Oppor-
tunamente la spiegazione di questo canto essenzialmente filosofico, è stata
affidata a un cultore di tal materia. Ognuno sa quante difficoltà la parola stessa
di Dante presenti per intendere la distribuzione delle colpe e delle pene nel-
l'Inferno e per il ragguaglio con quella del Purgatorio. Dal riferire l'opinione,
esposta dal L., ci asteniamo, perché si entrerebbe in un troppo ampio pelago,
avendo la controversia in proposito dato origine a molti e diversi scritti,
con disparatissime sentenze; ci basti il dire che la diffidi materia è trat-
tata dal L. con vivezza e lucidità somma.
.". Il prof. V. Spinazzola ci dà illustrato II Canto XVII dell' Inferno (Na-
poli, Trani, di pp. 33 in 16.°). Non crederemmo esatto ciò che si dice sul prin-
cipio, che, cioè, questo canto " non ha avuto sinora alcun esame critico ,,
perché, indipendentemente da tutto quello che è stato detto, anche stravagan-
temente, sul significato simbolico di Gerione, vi ha nella Lectura Dantis di
Firenze una speciale illustrazione di esso (v. Rassegna, IX, 233). Ma, lasciando
DELLA LETTERATURA ITALIANA 185
star ciò, eh' è di secondaria importanza, quello che il sig. S. scrive è ben
pensato e bene esposto in forma viva e chiara. Quanto egli dice del modo
come Dante descrive il mostro immane, delie sensazioni provate da lui in
quel viaggio nel vuoto, degli elementi antichi e nuovi onde si compone la
figura di Gerione e della virtù di vita in lui infusa dalP immaginazione del
poeta, è tutto assai ben detto. Né meno ci sembra notevole la dichiarazione
del significato simbolico del gran mostro, che, concordiamo con lui, " traspare
" come da limpidissimo vetro ,, esser la Frode, sebbene altri recentemente,
arzigogolando, volesse riconoscervi l'Invidia. Ed è vero quello ch'egli osserva,
e che può estendersi alla spiegazione di altri simboli, e ad altre * scoperte ,
che ogni tanto si bandiscono in tal proposito: che cioè Dante sarebbe stato
ben misero poeta, se eerte immagini e forme della Commedia avessero do-
vuto attendere sei secoli per esser pienamente dichiarale.
.". Enrico Proto, nello scritto Per un passo oscuro della Vita Nova (estr.
dalla Eass. crii. d. leti, it.) riprende in esame il noto passo della V. N.: Ego
tamquam centrum circuii, cui simili modo se habent circunferentiae partes ;
tu autem non sic, e, richiamando gli accenni della V. N. ed un passo molto
opportuno dell'Etica Nicomachea, esposta e commentata da S. Tommaso,
rincalza l'opinione del Federzoni {Studj e diporti danteschi, Bologna, Zani-
chelli, 1902, pp. 47-48), secondo la quale Amore si serve di questa immagine
per esprimere la sua propria condizione di signore della nobiltà, ed il rira-
overo a Dante per essersi abbandonato, oltre ai limiti della * cortesia , al-
l'amore per la ' donna schermo „.
.". Il sig. G. Gargano-Cosenza ripigliando a trattare II passaggio dell'Ache-
ronte (Castelvetrano, Lentini, di pp. 43 in 16.»), osserva che la questione è
vecchia, e non risoluta, ma ciò non gli è d' ostacolo a discorrerne di nuovo.
Egli succosamente riferisce dapprima le spiegazioni del Puecianti e d'altri
fino alle nuove divinazioni del Pascoli, e del Chiappell.i, ma conclude che
" il poeta ci lascia perplessi in faccia a questo mistero , sia per necessità
poetica " consigliata all'autore dal suo stile allegorico e polisenso , sia dal-
l'essere il viaggio di Dante, per quanto rappresentato come reale, " niente
"altro che una visione,. Noi timidamente aggiungeremo che il voler pene-
trare certe parti misteriose del poema, dove l' autore evidentemente ha vo-
luto non esser chiaro ed esplicito, non è altro che una ingegnosa ginna-
stica intellettuale: e dopo tanto affaticarsi su questo oscuro episodio, come
su tanti altri, confessiamo che l'unica cosa significata da Dante è questa:
ch'egli passò Acheronte. Il resto è congettura, esposta più o meno ingegno-
samente dai commentatori.
.'. Tempo addietro il prof. M. Morici scrisse (v. Rassegna, VII, 150) per
sfatare la leggenda che Dante dimorasse al monastero di Fonte Avellana,
dove una cella prende nome da lui : anzi volle dimostrare anche, che il
poeta non che farvi soggiorno, nemmeno vi peregrinò, ma vide il monte
Catria da Ravenna, e lo descrisse ajutandosi di un passo di Lucano. Sorge
adesso il sig. L. Nicoletti a contraddire le asserzioni del Morici (Dante al
monastero di Fonte Avellana, Pesaro, Federici, di pp. 61 in 18.»). Quanto al
primo punto, tutti gli argomenti addotti non giovano a render maggiormente
credibile la tradizione, non molto dissimile da quella della Torre di Dante in
186 FtASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Lunigiana e in Gaseulino. l'uò anche essere che neh' errabonda sua vita, Te*
sule poeta sia stato ospitato dai benedettini dell'Avellana, e proprio nelle
stanze che portano il suo nome; è più difficile l'ammettere, se anche non sia
impossibile, che ivi scrivesse " non minimam partem , della Commedia, come
porta una iscrizione postavi nel 1557 da un abate commendatario fiorentino:
né vi sono dati sicuri che servano a corroborare siffatta tradizione. Quanto
all'altro punto della controversia, se cioè il gibbo di che parla Dante sia stato
veduto dall'Avellana, o invece, come vorrebbe il prof. Morici, dalla badia ra-
vennate di Classe fuori, rimaniamo dubbiosi, vedendo che il Nicoletti asserisce
che " da Glasse il Gatria non si vede, assolutamente non si vede, e nessuno
ha mai potuto vederlo ,. A dirimere i dubbj non ci vorrebbe altro che un
" sopraluogo „ di dantisti : o se questo riuscisse troppo incomodo, un refe-
rendum; ma forse i ravennati direbbero di si, e gli altri di no; e cosi si
rimarrebbe sempre all'oscuro.
.". Il comm. Marco Besso, bibliofilo e dantista, A proposito di una ver-
sione latina della Divina Commedia (Firenze, Franceschini, di pag. 32 in 16.»)
rettifica e corregge le asserzioni contradditorie del Batines, del Witte e del
Terrazzi circa la traduzione del poema fatta dal padre Garlo d'Aquino della
G. d. G. e stampata a Napoli nel 1728. Notisi bene, stampata a Roma, ma
colla data di Napoli, perché il maestro dei sacri palazzi non permise che a
Roma si pubblicasse il testo del poema, anche se, come il traduttore aveva
eseguito per ordine dei superiori, fossero nella parte italiana soppressi e om-
inessi nella traduzione certi passi troppo arditi e scandalosi. La traduzione
dunque è, checché altri ne abbia detto, dell'intero poema: salvo per quei
luoghi che il censore stimava non approvabili. Ora il sig. Besso è andato
ricercando e additando tutte queste lacune, cagionate non soltanto da motivi
di religione, laddove Dante tuona contro la decadenza e la corruzione della
Chiesa temporale, ma anche da riguardi politici verso " le nazioni straniere ,,
cioè verso le città italiane dal poeta vituperate. Curiosa cautela, che forse
serviva a coprire e inorpellare le vere ragioni dell'altra! Il sig. B. non solo
nota tutte coleste ommissioni, ma aggiunge la traduzione di tutti quei luoghi,
fatta da un capo ameno, buon latinista nella forma classica e nella mac-
cheronica, che fu il vicentino Francesco Testa, il quale per tal modo rese
compiuta la traduzione del p. Gesuita. E poi ricorda come l'avvedimento
della censura romana facesse scuola in Russia, dove nella prima stampa
della traduzione del Mier è stato tolto quanto poteva servir di scandalo poli-
tico, religioso o morale; e corno in quella greca di Musurus-pascià ambasciatore
turco, noi XXVIIl dell'Inferno a Maometto è stato sostituito Ario! Strani que-
sti " bracheltoni „ di Dante! E ricordiamo anche, come in un'opera stampata
a Venezia, precisamente nella Biografia del sec. XVJ[f, del Tipaldo, si met-
tessero dei pudichi puntini all'ultima parola del v, 72 Inf. XXIV, forse per-
ché parve che i due ss fossero una forma veneta di due zz toscani!
.•. E. Teza in un opuscolo intitolato L'Inferno e la nuova traduzione
armena (Padova, Bandi, 11)02. pp. 12 in Ki.") dà notizia della jirima tradu-
zione armena in versi deìì' Inferno intero, pul)blicata dal p. Arsenio Ghazikean.
Il Teza giudica questa versione molto fedele, ma insieme fa alcune osserva-
zioni e conclude augurando per le altre due cantiche una versione in prosa,
che riesca a riprodurre con maggiore efficacia 1' arte dantesca.
DELLA LETtERATtJRA ITALIANA 187
.•. Prendendo le mosse dall' artic. del sig. Bellaigue nella Revue des d.
mondes del l. gennaio, il prof. A. Taddei in un opuscolo su Dante e la musica
(Livorno, Giusti, di pagg. 15 in 1(>.°), parla di alcune melodie ispirate ai poema
dantesco, ommesse dallo scrittore francese, e aggiunge assennate considera-
zioni sul modo migliore di interpretare musicalmente alcuni episodj della
Commedia, e fra questi specialmente il bellissimo principio del e. Vili del
Purgatorio.
.". Il prof. G. Del Ghicca non è rimasto capace di ciò che dicono i com-
mentatori sul Veltro e su%\\ altri simboli del I canto dell' /n/"er«o, e special-
mente su La Lupa dantesca: e con questo nome intitola uno studio in pro-
posito, (estr. dalla Rassegna nazionale del 1. febbr. 1893. A lui non sembra
accettabile che essa significhi l'avarizia, come " intendono tutti gli antichi e
il più dei moderni ,. Egli ragiona acutamente assai nel confutar le altrui
dottrine: ma quando vi sostituisce la propria, secondo la quale, la lupa
significherebbe * la morte ,, confessiamo la nostra inettitudine a penetrare
il suo pensiero.
.". Lo scritto del sig. G. Paolugci, su Pretese elezioni di Giudici al tempo
di Federico li di Sverna (Palermo, Lo Statuto, pp. 17 in 8.°) essenzialmente
tratta un punto di storia civile e giuridica, ma interessa anche indirettamente
la storia letteraria, e la controversia sull'antico poeta Guido delle Colonne.
È noto a chi vi ha tenuto dietro, che il Torraca, contro il Monaci, sostenne
che l'antico poeta potè esser giudice di Messina, perché nativo di questa
città: il sig. P. annuendo all' opinione del Garufi, che Guido poteva, ma non
doveva esser un messinese, vuol dimostrare che il Torraca interpetrò erronea-
mente le costituzioni frediriciane ammettendo che i giudici delle citta dema-
niali fossero eletti dalle Comunità. La questione è ancora ardente e stfb
judice, e noi aspetteremo che la sentenza venga pronunziata e raccolga il
consenso del pubblico degli studiosi, sicché ne refluisca qualche maggior luce
sul poeta siciliano.
.*. In un libretto intitolato Shakespeare e i classici italiani (Lanciano,
Carabba, 1902, pp. 46 in 16.° picc.) il prof. L. Mascetta-Caracci ha raccolto
un gruzzolo di riscontri fra luoghi dei drammi, delle commedie e dei sonetti
del grande scrittore inglese e altri di scrittori italiani come il Guinizelli, Dante,
il Petrarca, il Boccaccio e l'Ariosto. Non diremo che i riscontri siano sempre
convincenti; ma l'opuscolo arreca in complesso un nuovo contributo alla
storia della conoscenza della nostra letteratura in Inghìltera.
.*. In questi tempi di rinnovato feroce antisemitismo giunge opportuno
Un altro documento su la colonia ebrea di Montegiorgio, edito da C. Pack
(Teramo, Riv. Abruzzese, di pagg. 8, in 16.") in continuazione d'altra ante-
riore pubblicazione, dal quale si vede che se sul finire del sec. XIII si
saccheggiavano dalla plebe marchigiana le botteghe e le fabbriche di tessuti
degli ebrei, vi erano però giudici che condannavano alla riparazione dei
danni : la qual cosa e la riparazione alle offese di sangue, pare che non si
usino altrimenti in Russia nel sep. XX. L'editore del documento accenna,
ad altre notìzie sulle colonie ebree in varj paesi delle Marche : e sarebbe
bene le raccogliesse, come hanno fatto, il Ciscato per Padova, il Luzzatto per
Urbino.
188 RASSEGNA BlBLIOaRAFICA
.•. Nell'ultimo fascicolo (ii. 'ii'») degli Stiidj di filologia romanza uscito
testé, F. L. Mannucci dimostra lucidamente che il Libro de la misera hiimana
condicione contenuto in un codice genovese della Biblioteca delle Missioni
Urbane, non è, come il Guarnerio si proponeva di dimostrare, una traduzione
immediata del De Contemptu Mundi di Innocenzo III, * sibbene una tradu-
* zione della Miseria dell' Uomo di Bono Giamboni, che a sua volta 1' opera
" propria elaborò sul latino del pontefice „. La conclusione è specialmente
importante per questo, che appartenendo, a quanto asserisce il Mannucci, la
traduzione genovese indubbiamente al principio del sec. XIV, cade il dubbio
del Gaspary che il Trattato attribuito al Giamboni, per essere scritto in prosa
troppo forbita e piena, provenga da una penna del secolo seguente. In fine
di questo fascicolo leggiamo V annunzio che con esso cessa la pubblicazione
degli Studj di filologia romanza. Non possiamo fare a meno di esprimere
il nostro dispiacere per tale notizia.
.*. Il libro di I. G. Isola, [parlari italici dall' antichità fino a noi (Livorno,
Giusti, 8.», pp. 175) comprende due parti. Nella prima si discorre dell'ori-
gine delle lingue romanze e specialmente dell'italiano; la seconda è un
Catalogo delle voci e maniere pertinenti all' antico latino rustico conformi alle
odierne. Questo Catalogo riproduce, con aggiunte e ritocchi, quello stesso che
l'autore aveva già pubblicato nel 1880 in un volume della Collezione di o-
pere inedite o rare, in cui l'Introduzione alle Storie Nerhonesi, edite nella
medesima Collezione, si allargò tanto da essere intitolata nientemeno che
" Storia delle lingue e letterature romanze „. E l'opinione intorno all'origine
delle lingue romanze allora dall'Isola esposta, si trova pur troppo ripetuta e
ribadita nella prima parte del libro uscito ora col titolo sopra riferito. Egli
cioè continua a credere, e crede anche di esser giunto a dimostrare, che le
lingue romanzi; siano sorelle del latino (cfr. pp. 3 e 9), rimontando esse
" direttamente e senza interruzione alcuna, ai secoli più lontani , (p. 38).
Anche se avessimo tempo e spazio non ci indugeremmo a confutare tale
opinione, sebbene l'autore sia sicuro che il lettore si metterà in fine dalla
sua parte (p. 11)! Beata sicurezza che gli fa considerare come impigliato nel-
r errore il Diez (p. 8 e 9) e gli fa notare amaramente che finora " le basi
* della scuola germanica non sono scosse del tutto „ (p. 27). Proprio cosi!
Non senza utilità è il Catalogo, che, come abbiamo detto, segue a codesta
prima parte del libro; ed è utile in quanto le singole voci sono confortate di
esempj; ma in quali osservazioni e spiegazioni accade anche qui spesso di
imbatterci! Dopo aver dato una scorsa a questo Catalogo, non ci fa pili me-
raviglia che il medesimo autore abbia compilato anche quell'altro che s'inti-
tola Voci e maniere genovesi nei classici italiani (estr. dalla Rivista Ligure
di Scienze, Lettere ed Arti; Genova, 1902, 8.», pp. 40), e che potrebbe altret-
tanto bene intitolarsi Voci e maniere italiane nel genovese. L'autore nota che
gli esempj da lui raccolti " contengono voci e maniere rispondenti in modo
* singolare e puntualissimo id altrettante fra le più caratteristiche del dia-
" letto genovese „ (p. 1). Si tratta invece di voci e locuzioni comuni a gran
parte d' Italia. E che bisogno poi e' era in generale di documentarle con esempj
di scrittori classici, se quasi tutte son note a chi conosca un po' la lingua
letteraria e il toscano ? Nondimeno, a chi se ne sappia servire, non diremo
inutile del tutto neppur questo secondo Catalogo.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 189
.'. Il prof. Raymond Weeks, insegnante di lingue romanze nell'Università
di Missouri, ha pubblicato (The University of Missouri Studies edited by
Frank Thilly professor of philosophy, voi. I, fase. 2.»,) uno studio sull'antico
poema francese intitolato Cuvenant Vivien, che per rispetto alla sua genesi
offre gravi difficoltà variamente spiegate dai critici, specialmente francesi, che
se ne sono occupati. II Weeks riprendendo l'argomento, ultimamente stu-
diato dallo Jeanroy, viene alla conclusione che il poema francese ci rappre-
senta la fusione di due narrazioni epiche, la cui materia noi troviamo nelle
" Storie Nerbonesi „ del nostro Andrea da Barberino. E appunto per l'aiuto
che le ' Storie Nerbonesi „ danno alla soluzione del problema abbiamo voluto
segnalare agli studiosi italiani il lavoro del Weeks.
.*. Per quanto non si riferisca direttamente agli studj cui è dedicata
questa Rassegna, tuttavia annunziamo, per l'utilità dei riscontri che possono
cavarne i cultori della nostra antica letteratura, la pubblicazione di Paul
Meyer intitolata Notice d'un maniiscrit de Triniti/ College (Cambridge) (Pa-
ris, Imprimerle Nationale, 1903, pp. 51 in 8."). L'illustre romanista dà notizia
della redazione poetica in antico francese della Vita di S. Giovanni l' ele-
mosiniere e della Vita di S. Clemente papa, studiando le relazioni fra il testo
volgare e gli originali latini da cui derivano, ed esaminando la lingua del
primo.
.'. Il prof. Manara Valgimigli ha dedicato uno studio alla Poesia satirica
latina medievale in Italia col titolo di Appunti (Messina, Nicotra, 1902, in 16.»).
Dopo aver discorso nei primi due capitoli Di alcuni caratteri della coltura
latina medioevale in Italia e della satira medioevale in Italia nella tradi-
zione e nella cultura classica, nei quattro capitoli seguenti passa in ras-
segna quel che l'Italia nel medioevo produsse, di poesia satirica, classifi-
cando i documenti di essa in quattro gruppi: satira profana e satira asce-
tica; satira miscredente e poesia goliardica; satira nella contesa tra Impero
e Chiesa; satira politica. Chi legga il libretto del Valgimigli s'accorgerà che
come fu scarsa la produzione della poesia satirica latina, cosi fu anche poco
originale; qualche cosa di più è da notare nel genere politico, ma è sempre
ben poca cosa. — Il Valgimigli mostra in generale d'essere bene informato
della letteratura del suo argomento, e per qualche deficienza che può appa-
rire nel suo lavoro egli dichiara nella prefazione di non aver potuto com-
piere, come avrebbe voluto, le ricerche necessarie. Tuttavia, talvolta chi legge
nota che in qualche punto era assolutamente necessario approfondire le ri-
cerche. A proposito, per esempio, della poesia goliardica in Italia egli af-
ferma recisamente collo Straccali " che i Goliardi formassero una vera
"associazione di scolari vaganti in seno agli scolari stessi; ove non tutti gli
* scolari vaganti erano goliardi, ma ove tutti i goliardi erano scolari vaganti ,.
E sia pure; ma bisognava tener conto dell'opinione messa innanzi poco prima
dal Novali {Bibl. delle Scuole Bai. 1." gennaio 1900), che nega l'esistenza di
questa associazione, e vedere se ad essa potevano opporsi saldi argomenti.
Un accenno della prefazione al Roman de Renard e ai rifacimenti italiani,
editi dal Teza e dal Putelli, dà occasione ad una r.ota in fine del libro in
cui il Valgimigli comunica i risultati di un suo studio inedito intorno a quei
rifacimenti. Contrariamente all' opinione del Sudre e del Paris egli crede " che
190 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
' i due poemetti su Rainaldo e Lesengrino io Italia non avessero avuta altra
" fonte che tradizioni orali; e che da queste tradizioni orali venute dal comun
" fondo della epopea renardiana d'oltr'alpe, ma interamente rimaneggiate e
* con certa originalità rifatte dai trovieri italiani, derivassero i due poemetti
" indipendentissimi l'uno dall'altro „. Attendiamo le prove di tale asserzione.
/. II prof. G. Sai.vioni in una Nota dei Rendiconti dell' Istituto lom-
bardo (Serie II, Voi. XXXV, 1902) intitolata Di un documento dell' antico
volgare mantovano, dopo aver rilevato l'importanza del recente studio del
Gian su Vivaldo Belcalzer {Giorn. stor. d. lett. ital., Supplemento, Num. .5) ri-
ferendone anche le principalissime conchiusioni, e dopo aver osservato che
la lingua di questo antico scrittore mantovano non contiene nulla di vera-
mente caratteristico, ma insieme nulla anche che contraddica al dialetto di
Mantova, stende della medesima lingua usata dal Belcalzer un commento
sistematico mettendone in evidenza i fatti più notevoli, nonché quelli che
hanno particolar riferimento al moderno dialetto di Mantova.
.•. La leggenda dei due amanti, ossia dei due sposi, che per amor di
perfezione cristiana mantengono la castità nel matrimonio, e dopo morte
sono chiusi in un medesimo sepolcro, a testimonianza della loro eterna fede,
leggenda diffusa in Italia ed in Francia, fu presa ora in esame dal prof. N.
Tamassia {Atti del R. Istituto Veneto, tomo LXII, parte seconda, pp. 45-63).
Egli ne ricerca la genesi movendo dalla leggenda di Ingiurioso e Scolastica
riferita da Gregorio di Tours, e confrontandola con le altre consimili di Re-
ticio e sua moglie, raccontata dal medesimo autore, di Plauzio e Orestilla
accennata da Valerio Massimo, e con le altre due pili antiche di Martiniano
e Massima, tramandataci dallo scrittore africano Vittore Vitense, e di Vale-
vano e Cecilia romana, compresa negli Acta di questa santa. Tutte codeste
leggende hanno comuni i tratti caratteristici, si riducono cioè in fondo a una
sola e medesima leggenda. Gome essa sarà sorta? La risposta a tale dimanda
costituisce la parte più nuova e interessante dello scritto del Tamassia. Se-
condo il quale l' origine sarebbe stata questa. Sono comuni in antico le
tombe di coniugi, adornate di statue o busti che li rappresentano per lo -più
con le destre congiunte: sotto è un epitafio, che ne dice le lodi e la felicità
non rotta dalla morte, ma diventata eterna nella pace del sepolcro (pp. 57-58).
Ora scorrendo le iscrizioni funebri, anche dell'epoca romana, s'incontrano
espressioni (e il T. ne raccoglie alquante) che a un cristiano potevano far
credere i due coniugi fossero vissuti puri d'ogni contatto carnale. La dottrina
dei padri della Ghiesa, secondo i quali questa sarebbe stata la massima per-
fezione del matrimonio, aiutava tale interpretazione. Si tratterebbe dunque
in fondo di interpretazione cristiana di monumenti pagani. La cosa è ben
possibile, diremo anzi che apparisce probabile. Lo scritto è condotto col de-
bito corredo di erudizione e non senza acume; ma, se non c'inganniamo,
avrebbe avuto bisogno di essere rielaborato nella composizione. Gosi com' è
non riesce sempre agevole seguire il filo della dimostrazione. Opportuna,
ma non altrettanto corretta, la riproduzione di passi di autori latini.
.". 11 prof. Vincenzo Gresgini in una sua breve nota ha dato una prima
comunicazione su Gli Affreschi epici medievali del Museo di Treviso (Venezia,
C. Ferrari, 1903, pp. in 10.°). Li scoperse primo in una casa di Treviso che
DELLA LÈtTERATtRA ITALIANA l9l
spetta al sec. XII. il prof. Luigi Bailo, il quale li ottenne in dono dal pro-
prietario e li trasportò e allogò iu una sala del Museo ch'egli dirige. Gli affre-
schi sono tre. Uno è così frammentario, che non si è potuto ancora deter-
minare quali fatti eroici e romanzeschi riproduca; ma gli altri due ripro-
ducono l'uno il duello di Ferragli con i paladini francesi, conforme il rac-
conto che se ne legge nella cronaca del pseudo Turpino e nella Entrée de
Spagne; l'altro la scena di Aristotile, vinto dall'amore, che fa da palafreno
alla bella, che avea innamorato di sé Alessandro il Grande. Il Crescini darà
quanto prima insieme col Bailo un'illustrazione completa di queste preziose
reliquie pittoriche; qui intanto ha rilevato un'importante conseguenza, che
si può ricavare dall'affresco rappresentante il duello, per la storia dell'epopea
franco-veneta. Gli afl'reschi secondo i criterj suggeriti dalla storia dell'arte
spettano alla fine del dugento o al principio del trecento; ciò vuol dire che
VEntrée de Spagne dovette essere composta verso la metà del sec. XIII, se
essa avea reso tanto popolare il duello di Ferragli, che sulla fine del secolo
il pittore si ispirò ad esso e lo riprodusse, sebbene con varianti, o originali
oche ci riportano a una redazione àeW Entrée A'xsevsA da quella che si con-
serva nel codice marciano. Il Crescini e il Bailo pubblicheranno le loro illu-
strazioni, che aspettiamo con vivo desiderio, nella Miscellanea di storia del-
l'arte medievale, che pubblica la Società filologica romana. Il Crescini an-
nunzia pure che insieme col Bailo pubblicherà le illustrazioni di altri af-
freschi rappresentanti leggende troiane, che si trovano nella Loggia de' Cava-
lieri in Treviso.
.*. Uno studio di Paolo D'Ancona su le Rappresentazioni allegoriche delle
Arti liberali nel Medio Eoo e nel Risorgimento (estr. da l' Arte, V, fase. V-XII,
di pp. 76 in 4.") riuscirà gradito ed utile a quanti si occupano di antica let-
teratura nonché ai culturi dell'arte, per le molte illustrazioni ch'esso con-
tiene. A noi è vietato discorrerne a lungo: e ci limitiamo ad un cenno, lo-
dando almeno la diligenza adoprata dal giovane autore in siffatte ricerche,
ed augurando ch'egli progredisca di bene in meglio in questa sorta di studj.
.•. 11 Gomitato che viene preparando le Onoranze che saranno rese nel
prossimo anno in Arezzo a Francesco Petrarca, nella ricorrenza del sesto
centenario della sua nascita, ha pubblicato il primo numero del Bol-
lettino degli Atti (Arezzo, Sinatti, 1903, pp. 20 iu 8."), in cui notiamo fra altro,
un articolo di Francesco Flamini sull'importanza di codeste onoranze, una
breve descrizione dei più bei monumenti d'arte della città di Arezzo, con
illustrazioni, del signor Adolfo Ribaux, e i quattro sonetti di Gabriele D'An-
nunzio su Arezzo.
.*. Alfredo Chiti in un opuscolo estratto dalla Rivista delle Biblioteche
e degli Archivi XIII, 10-13 (Firenze, Franceschini, 1903, pp. 8 in 16.°), ha dato
notizia dei Trionfi del Petrarca in un ignoto codicetto pistojese. Il codice,
di proprietà dell' avv. Luigi Ghiappelli, fu scritto nel quattrocento e pare
appartenesse in origine al poeta pistojese Tommaso Baldinotti; nel seicento
era di Giuliano Pacioni, valente giureconsulto pure pistojese. Dall'esame che
ne ha fatto il Ghiti risulta ch'esso va ad aggrupparsi coi codici della se-
conda raccolta, secondo la classificazione fattane dal Mestica (p. XVIII della
192 ftASSÉGNA BIBLIOGRAFICA
ediz. delle Rime del Petrarca). Quanto alla lezione, ci offre un testo ecclet-
tico, generalmente buono; e come saggio il Ghiti ne ha estratto le varianti,
tenendo presente l'edizione del Mestica stesso.
.•. Per la nuova edizione dei Rerum Ilalicarum Scriptores. il dott. Ar-
naldo Segarizzi, che già consacrò un'accurata e dotta monografìa a Michele
Savonarola (Padova, Gallina, 1900), ha ora ristampato di sul codice padovano,
già adoperato dal Muratori, il Libellus de magnificis ornamentis regie civi-
tatis Padwe, composto circa il 1446 da quel famoso medico ed erudito (Città
di Castello, 1902). L'operetta, affine a molte altre, anteriori o coeve, intese
all'esaltazione di città italiane, ha importanza specialmente locale; ma poi-
ché Padova tiene un luogo cospicuo nella storia del pensiero italiano in sul
chiudersi del medio evo e all'aprirsi del Rinascimento, lo scritto del Savo-
narola ha già offerto e può offrire notizie non ispregevoli anche a chi in-
vestighi le vicende delle lettere, delle arti e della scienza fuori della cerchia
di quella, o di una qualsiasi città. Tanto più, in quanto che il Segarizzi ha
corredato il testo, diligentemente riprodotto, di note copiose, nelle quali, va-
lendosi non di rado anche di materiale manoscritto, arricchisce e rivede e cor-
regge quanto viene narrando o descrivendo il suo autore.
.'. Al prof. E. Costa, chiaro cultore delle discipline giuridiche, dobbiamo
alcuni Nuovi documenti intorno a Pietro Pomponazzi (Bologna, Zanichelli, di
pp. 41 in 18.°) da lui rinvenuti nel fare, nell' Archivio di Bologna, ricerche
d'altro genere; ma ch'egli ha creduto utile di recare a conoscenza degli stu-
diosi, opportunamente illustrandoli. Essi non sono soltanto una nuova pagina
della biografia del gran filosofo, ma anche della storia della cultura, pei molti
particolari che contengono intorno ai contrasti fra gli antichi nostri Comuni
per procurarsi e quasi strapparsi i migliori insegnanti universitarj. Già il
Podestà e il Fiorentino avevano tratti dagli archivj altri consimili documenti
sul filosofo mantovano, e ora a quelli vantaggiosamente si aggiungono per
maggior notizia delle vicende e del carattere del Pomponazzi, questi che
pubblica il prof. Costa.
.'. Giuseppe Biadego in un opuscolo intitolato Per la Storia della cultura
veronese nel sec. XIV (Venezia, C. Ferrari, 1903, pp. 39 in 16.») pubblica ed
illustra nuovi documenti intorno ad Antonio da Legnago e a Rinaldo Ca-
vallini ; specialmente intorno al primo, di cui con un gruzzolo di notizie
aggiunte ad altre che ebbe occasione di comunicare qualche anno fa, rico-
struisce la figura di letterato e uomo politico. Nato verso la metà del tre-
cento, nel 1369 era notaio e cancelliere scaligero, nel 1375 consigliere di
Cansignorio, che alla sua morte lo chiamò con altri a vegliare sui figli ;
viaggiò a Ferrara, a Ravenna, a Roma, e nel 1385 era morto. Salito tanto
in alto, fornito di cultura umanistica, diventò amico e protettore di poeti ed
umanisti; e il Biadego illustra le sue relazioni con Francesco Vannozzo, e
Anastasio di Ravenna, maestro di grnmmatica nello studio padovano. Fu
grande ammiratore di Dante, ed è notevole una sua lettera del 1378 a un
Pietro Ravennate, a cui parla del suo viaggio a Ravenna e a Roma. Ai dan-
tisti riuscirà gradita, perché vi impareranno a conoscere un ammiratore del-
l'Alighieri fino ad ora ignoto, e perché potranno raccogliere la notizia del-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 193
l'altissimo pregio in cui i Ravennati tenevano il sepolcro di Dante fino dal
1378, e quella del rifiuto che avrebbero opposto gli stessi Ravennati, già
prima del 1378, a una domanda della quale nulla sapevamo, fatta dai fio-
rentini di riavere per denaro le ossa di Dante. Pure rispetto agli studj dan-
teschi è notevole una lettera in latino di Antonio da Legnago al Re Ven-
ceslao, erede del sacro romano impero, al quale, in termini che ricordano le
esortazioni dantesche, il letterato veronese mette innanzi i mali della patria,
sperando aiuto dal discendente di Arrigo VII. Questa lettera e un'altra dì
Leonardo Terunda, pur esso colto veronese, indirizzata per la stessa ragione
a Venceslao, mostrano come persistesse ancora per tutto il trecento la tra-
dizione dell'idea imperiale nella città di Verona, in cui più dovette esercitare
efficacia il pensiero di Dante. L'opuscolo del Biadego è veramente succoso
e porta un buono e interessante contributo alla storia della cultura della
sua città natale.
.". Ricco ed utile contributo alla storia patria reca C. Pansa pubblicando
Quattro Cronache e due Diarj inediti relativi ai fatti dell' Aquila dal see.
XIII al XVI (Sulmona, Golaprele, di pp. L-113 in 8.»). La prima cronaca
va dal 1055 al 1414, la seconda dal 1254 al 1423, la terza pure dal 1254
al 1423, l'ultima dal 1476 al 1564: e i Diarj appartengono ai tempi della
sollevazione del 1528: sono tutti documenti inediti, e ciascuno è opportuna-
mente annotato. Ma la scrittura forse più importante è la Dissertazione pre-
liminare, nella quale il dotto abruzzese discorre sulle fonti edite e inedite
della storia aquilana. Rilevantissimo è ciò che osserva T a. intorno alla cro-
naca rimata di Buccio di Ranallo, della sua importanza storica e della ne-
cessità di ristamparla su buoni codici e con apparato critico. Ma tutto quanto
il discorso del P. è una bella e dotta pagina dì storiografia aquiliana.
.*. Fra i poeti popolareggianti dell'ultimo quattrocento va annoverato quel
marchigiano Benedetto da Cingoli, del quale, da stampa rarissima, riproduce
per occasione di nozze, una Barzelletta il sig. L. Luzio (Sanseverino-Marche,
Bellaharba, di pp. 18 in 16."). Essa è intitolata le Monacelle, e doveva esser
evidentemente cantata da maschere vestite dell'abito monastico: Monacelle
incarcerate Siamo state già molt'anni: Per uscir di tanti affanni Siamo al
secol ritornate: tale è l'introduzione, che serve anche di litornello. Ognuno
capisce che si tratta di un lamento di queste infelici, che deplorano il per-
duto fiore della loro gioventù e bellezza e si lagnano dell'avarizia dei loro
genitori. Il motivo era comune e se ne hanno altri esempj nella poesia po-
polare e popolareggiante del tempo. Questa barzelletta, sebbene vada un
po' per le lunghe, non manca di brio, e fa desiderare che l'editore di essa
pubblichi, insieme con uno studio sul dimenticato cingolano, anche una scelta
almeno dei suoi componimenti.
.•, Il prof. L. Piccioni reca un non inutile contributo alla storia degli u-
manisti e dell'umanesimo con due piccole biografie, l'una di Michelangelo
da Panicale, maestro perugino a Cesena (Cesena, Biasini e Tenti, 1902, di pp.
15 in 16." picc), l'altra di Angelo Vadio, riminese, maestro a Cesena (ibid.,
1903, di pp. 17 in 16."): ambedue pregevoli nella brevità loro, e da consi-
derarsi come pietruzze da adoperarsi a un insigne futuro edifizin.
,•. Nel voi. X degli Studj di filologia classica il prof. R. Truffi ci fa cy-
194 RASSEGNA BIBI,IOORAFICA
noscere un fatto finora ignoto : cioè Erodoto tradotto da Guarino veronese
(eslr. (li pp. 21 in 1G.°). Di questa traduzione latina, che sarebbe prima in
ordine di tempo, e anteriore a quelle del Valla e del Palmieri, restano al-
cuni frammenti in un cod. della Classense di Ravenna, che contengono i
primi settantun capitoli delle storie erodotee. Il sig. T. li pubblica, e aggiunge
così una nuova opera alla serie delle molte, per le quali il vecchio umanista
fu benemerito della cultura classica.
.'. Il prof. P. Provasi illustra uno dei migliori episodj della Caccia di
Erasmo da Valvasone {La Cerva delle Fate, Udine, Del Bianco, di pp. 21 in
16.°), indagando quali sono le fonti cavalleresche a cui l'autore ha attinto,
e confrontando l'episodio con classiche reminiscenze d'immagini e di forme.
.■. Il dott. P. PiccoLOMiNi ha pubblicato due curiosi Documenti di peda-
gogia e di scuola (estr. dal Bullett. sanese dì storia patria, di pagg. 10 in 16."):
l'uno di essi contiene le Istruzioni di Giacomo Todeschini Piccolomini,
nipote di Pio II e fratello di Pio III, al figlio Enea, scritte nel 1499, che
l'editore ragguaglia alla nota lettera di Lorenzo il Magnifico al figlio car-
dinal Giovanni, e ai Suggerimenti di buon vivere di Francesco Sforza al figlio
Galeazzo. I capitoli di Giacomo sono di vario genere, ma, come avverte l'e-
ditore, danno testimonianza di prudenza, non di sensibilità di cuore e altezza
d'animo. Fra essi vi è il consiglio al giovinetto di non impacciarsi in cose
di Stato, e levarsi anzi e partire quando si trovasse in un circolo di persone
che ne trattassero. Vuole anche che il figlio vesta " alla civile , e abbia un
fiorino al mese " per lavare lo capo e per le sue scarpe „, ma ingiunge di
non seguire " le forgie {fogge) oltramontane , — .11 secondo documento è una
specie di Calendario universitario, e riguarda specialmente le vacazioni, o
vacanze, che anche allora erano, a quel che pare, la cosa più interessante
per professori e studenti. E le officiali non erano poche: ma anche a quei
tempi vi erano quelle che i giovani si pigliavano straordinariamente. E circa
queste vi sono ordini di pene severissime, e fra le altre " quattro tratti di
corda „; ma l'editore aggiunge che esaminando gli atti del magistrato, non
ha trovato testimonianza dell' applicazione di tal castigo. Gli studenti saranno
stati buoni e diligènti, o l'autorità avrà lasciato correre, anche quando fos-
sero per dato e fatto proprio, incorsi in tal punizione?
.'. Il sig. F. Ceretti, del quale più volte abbiamo ricordato l'operosità nel
ricercare e mettere in luce i documenti storici della Mirandola, dà fuori a-
desso un manipolo di Lettere inedite del e. G. Francesco II Pico della Mi-
randola (Modena, Vincenzi, dal voi. 3, serie V delle Memor. di st. patr. di
Modena, di pp. 18 in 16.°). Queste lettere dell'infelice e dotto principe rai-
randolano del sec. XVI sono dall'autore diligentemente illustrate.
.•. Per la storia delle relazioni fra la letteratura spagnola e l'italiana è
utile a leggersi quanto il prof. R. Truffi scrive su Antonio Frasso, poeta del
sec. XVI (Cagliari, tipogr. sarda, di 32 pagg. in 16.°). Il Frasso o Lo Frasso,
nato in Alghero, fu nel suo romanzo de Fortuna de Amor imitatore del San-
nazaro e del Montemayor, e quel suo componimente pastorale, sebbene assai
mediocre, ha meritato una menzione, non si potrebbe dire se benigna o
ironica, del Cervantes. Un'altra parte del suo romanzo continua la tradizione
dei Carocci provenzaleschi e dei trionfi italiani: né manca il suo nome nella
DELLA LETTERATURA ITALIANA 195
schiera dei cento e pili poeti, cui, bene o male, suscitò l'estro la vittoria di
Lepanto. L'autore di questo saggio non esagera i meriti poetici del Frasso,
ma ricorda opportunamente il nome e gli scritti di questo sardo, che per
le opere sue appartiene alla letteratura iberica.
.". Giuseppe Battista poeta e letterato del 600 con documenti inediti è il
titolo d'un volumetto di pp. 41 di Edoardo Pedio (Trani, Vecchi, 1902), ma
in realtà ad esso non corrisponde il contenuto. Precede (1-24) una biografia,
ma molto vaga e generica; quindi l'A. passa brevemente in due minuscoli
capitoletti ad esaminare le opere poetiche del B.: basti dire che nel primo
in tre pagìnette si sbriga della lirica amorosa, sacra ed etica; in una e mezza
dei tre libri d'epigrammi, ed in un'altra e mezza degli epicedi eroici! Nel
secondo poi, con sei piccole facciate di stampa parla delle Giornate Ac-
cademiche, della Poetica, del romanzo storico e delle due Vite di Santi,
scritte dal B.! È inutile l'aggiungere dopo ciò, che il P. è riuscito soltanto
a dar pochi cenni del suo autore; ma non certo una piccola ed organica
monografia, come sembrerebbe a primo aspetto dal titolo dal lui apposto
all' opuscolo.
.*. Il nostro giovane collaboratore M. Sterzi ha volto i suoi studj sopra
un autore del seicento, del quale non poco si parlava, ma che poco era stu-
diato e conosciuto: Jacopo Cicognini, e ad esso ha dedicato una monografia,
che raccoglie e vaglia le notizie delia vita e delle opere (estr. dal Giorn. della
Liguria, Spezia, Zappa, di pp. 90 in 10.»). Dopo accertatane la biografia, il Cico-
gnini vien considerato come lirico ed imitatore del Ghiabrera, e come autore
drammatico; nel qual genere ha un certo merito e non mediocre importanza,
perché la sua produzione teatrale mostra l'ultimo svolgimento della tradi-
zione paesana, prima che, col figlio di lui Giacinto e con altri, prevalesse la
imitazione spagnuola. Tutto ciò è discorso dallo S. con sicurezza d'informa-
zioni, misura di esposizione e bontà di giudizj.
.•. Che anche un piccolo comune possa colla propria storia dar luce alla
conoscenza della storia generale, e sopratutto a quella parte che al di d'oggi
più si cerca di possedere, lo mostra il Comune di Tregnago nel veronese,
che conserva nel suo Archivio una cospicua serie di documenti antichi. E
di essi si è sapientemente giovato il sig. Ciro Ferrari, studiando i documenti
dal 1505 al 1510 e dicendoci per tal modo Com' era amministrato un Comune
del Veronese al principio del sec. XVI (Verona, Franchini, di pp. 99 in 16.").
E la vita intima di un municipio, che vien svolta innanzi ai nostri occhi, e
che ci lascia argomentate usanze comuni e generali di altri enti consimili,
almeno nella stessa regione o nel dominio. Ai cultori della storia, e anche
diremmo ai legislatori in tal materia, gioverà conoscere come si governava
un antico comune italiano, derivante dalia libertà latina e non dal feudale-
simo straniero, per cjuello che spetta alla civica amministrazione in argo-
mento di dazj, di edifizj pubblici da mantenere o restaurare o edificare,
di estimi, di pascoli, di bilanci, di elezioni ecc. 11 lavoro cosi bene e ordi-
natamente condotto dal sig. F. è arricchito anche di un utile glossario dei
termini del vernacolo, che ricorrono nei documenti. A nessuno sfuggirà l'im-
portanza di queste ricerche, che nella vita di un piccolo Comune rurale, ripro-
ducono e illustrano anche quella di consimili aggregazioni nei tempi trascorsi,
196 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
.'. Registriamo alcune pubblicazioni galilejane del prof. A. Favaro, che
sebbene tutto intento alla Edizione Nazionale delle opere del sommo filosofo
ed astronomo, non lascia sfuggirsi 1' occasione di raccogliere e illustrare al-
cuni minori scritti o documenti di Galileo stesso, o che in qualche modo
lo riguardano. Intanto egli riprende la serie degli Amici e Corrispondenti di
Galileo, dandoci due altri saggi biografici; l'uno, ed è il VII nella serie, su
Giovanni Ciampoli (Venezia, Ferrari, di pp. 55 in 16.»), l'altro, ed è l'VIII,
su Giov. Francesco Sagredo (Venezia, Visentini, di pp. 132 in 16.°): ambedue
degnissimi di portare il nome di amici del gran maestro. Del primo, maggiori
notizie diede in questi ultimi tempi un omonimo, il sig. Domenico Ciampoli,
ma il Favaro vi sa aggiungere qualche cosa di nuovo. Egli fu un grande
ammiratore di Galileo : e a spiegare come cadde in disgrazia di Urbano VIII,
più che tale amicizia contribuì, secondo il Favaro, l' essersi egli mostrato
fautore degli Spagnuoli : ci sembra pertanto che il vero si trovi in quelle
parole del Reusch, che il Favaro stesso riferisce: "L'indignazione del papa
" contro il Ciampoli può aver contribuito a indisporlo verso Galileo, e vice-
" versa lo sdegno da lui provato per la stampa del Dialogo, avrà aggravato
* il suo corruccio contro il Ciampoli ,. Del Sagredo ognun sa quanto ei fosse
entusiasta degli studj di Galileo, e devoto alla sua persona. Il F. sfata la
leggenda che il Sagredo avesse parte alla chiamata di Galileo in Padova,
ma mette in chiara luce tutti gli ufficj amichevoli da lui usati al maestro,
e congettura che forse Galileo non avrebbe rinunziato alla " libertà patavina ,
di che godeva, per tornare in uno Stato ove dominavano i frati e i bigotti,
se in quel momento il Sagredo non fosse stato in Scria. Dalle lettere di
questi, deplorando la perdita di quelle di Galileo al Sagredo, riporta tutto
ciò che pili giova a lumeggiarne il carattere e gli studj, facendo rilevare
quanto egli valesse nelle discipline fisiche e nelle esperienze. Al saggio bio-
grafico va aggiunto un bel manipolo di documenti, fra i quali le Relazioni del
Sagredo al Senato di ritorno dal consolato di Soria. — L'altra serie, di
Scampoli galilejani, rimasta lungo tempo interrotta, viene continuata ora colla
pubblicazione di un 13.° fascicolo (Padova, Randi, di pp. 81 in 16.»), che con-
tiene i n.' LXXXIX-XCII. Essi trattano di un voi. miscellaneo di scritti astro-
logici e matematici posseduti dalla Bibl. Univ. di Bologna ; di Galileo e del te-
lescopio; di Galileo e G. B. Doni, e di un disegno finora sconosciuto per una
edizione delle opere di G. Questo disegno appartiene al Giordani, e veramente
non è stato male che non fosse eseguilo, tanto ne erano errati i criterj. E
pare impossibile che al Giordani appartenga un giudizio su Galileo, che dal
F. vien riferito, e che non vogliamo riportare, tanto pili che possiamo ad
esso contrappore quest'altro dello stesso Giordani: " Questo (il Galileo) degli
" scrittori italiani parrai che sia quello che unisce in sé piupregj: massime
* i dialoghi del sistema pajono divini „ {Opere, Apperjd. 370). — Vogliamo
aggiungere che nel fase, dell' Arch. St. Bai. testé uscito (ser. V, voi. XXXI) il
prof. F. ha inserito una critica acerba ma giusta, del recente libro del sig.
Ricci-Riccardi, Galileo e fra Tomm. Caccini.
.\ Due pubblicazioni del prof. A. Saviozzi appartengono egualmente alla
storia del costume e a quella del dramma. L'una per nozze Braggio Guer-
rieri (Pesaro, Terenzi, di pp. 16 in 16.») contiene, convenientemente illustrate,
DELLA LETTERATURA ITALIANA 197
due lettere di don Bernardino Zanca alla duchessa d'Urbino, e raccontano
le feste carnevalesche in Pesaro nel 1527, descrivendo le varie mascherate
del giovane principe Guidobaldo. In una di esse, e in figura di ortolana, al
pittore Genga parve che il giovinetto cosi travestito fosse " una vera figura
antica ,. Fu anche rappresentata un' Egloga del cancelliere Bernardino Fat-
tori, della quale però non è dato il titolo. — In altra pubblicazione per nozze
Rossi-Viterbo (Pesaro, Terenzi, di pp, 13 in 16.») si dà ragguaglio con let-
tere di Melchiorre Zoppio, di una Rappresentazione in Bologna nel 1616, che
è quella del Tancredi di Rodolfo Campeggi, con gran lusso di apparati e di
macchine. Un particolare curioso notato dal relatore è che Venere e l'Ira
— due personaggi mitologici degli intermezzi musicali, " sono state due donne
in effetto, e Venere una tale che non conosce una nota e non sa l'abeci ,.
Tutta la lettera è piena di curiosi particolari sull' assetto scenico del sec. XVII.
.*. Una pubblicazione importante per le vicende del costume e la storia
del lusso è quella di Polifill o {sollo il qual nome tutti sanno nascondersi
l'arch. L. Beltrami), mandata fuori in occasione del Congresso storico, e che
ha per titolo : La guardaroba di Lucrezia Borgia (Milano, Allegretti, di pp.
HO in 16.»). Il documento tratto dall'Archivio di Modena è illustrato dot-
tamente e un piccolo glossario giova a ben comprendere il significato di
alcuni vocaboli. Nella prefazione, l'editore tocca della questione storica ri-
guardante la vita e i costumi della figlia di papa Alessandro: si sa che ai
df nostri il Gampori, e poi piti ampiamente il Gregorovius ne vollero rivendicar
la fama, che romanzieri e drammaturghi del periodo romantico avevano
offesa, probabilmente oltre il vero; e il B. anch' egli si mette a fianco degli
apologisti. Ma di Lucrezia e dei Borgia sarà come di Pietro Aretino : se ne
potranno attenuare le colpe, ma gente pulita d' ogni macchia non divente-
ranno mai. Quello intanto che importa, è conoscere mercé questa interes-
sante pubblicazione, di stampa "elegante e resa più attraente dalla riprodu-
zione di tre medaglie della Borgia, che cosa era nel sec. XVI il corredo di
una principessa, sebben figlia del "servo dei servi ,; e dall'enumerazione
degli oggetti di vestiario, delle argenterie, e di cose d'uso domestico, c'è da
rimaner sbalorditi. Ad es. v'è ricordata una mantiglia di raso foderata d'er-
mellino, con 84 baiassi, 29 diamanti, e 115 perle, ed un'altra con 61 rubini,
55 diamanti, 8 perle grosse, 412 mezzane e 1140 piccole. E cosi via, con men-
zione di capi ragguardevoli per quantità e pregio: si che non è da mara-
vigliare se pel trasporto del corredo da Roma a Ferrara occorsero 150 muli.
Un particolare curioso che si ricava da brani di lettere, per lo più di agenti
politici, è che fi-n d'allora, mentre parrebbe frivolezza odierna di referendarj
o relatori o reporter, si descrivevano minutamente gli abiti, le foggie, le gioje
delle donne nelle feste e nei principeschi ritrovi.
.-. E. Teza in una sua Nota (Padova, Randi, 1902, pp. 21 in 16.») dà no-
tizia di Scipione Mercurii, che fu un frate medico del seicento, e di un suo
curioso libro intitolato Gli errori popolari d' Italia, che venne fuori in Pa-
dova nel 1645, e ne riferisce qualche brano. In Appendice riporta due brani
della Chirurgia di Maestro Rolando in dialetto veneto, traendoli da un codice
dell'Universitaria di Padova. Il Teza addita il codice, che è poco noto, agli
studiosi delle parlate venete.
u
198 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
.', Gol saggio su la Storia e leggenda di Pietro Aretino (Roma, Loescher,
di pagg. 107 in 16.°) il prof. Giov. Mari ha inteso separare nella biografìa
del " flagello dei principi , ciò che vi ha di vero da quello che v' ha di fan-
tastico, dovuto in parte ai proprj vanti del gran libellista e dei suoi acco-
liti, e in parte maggiore alle invettive degli avversarj e degli emuli, alcuni
dei quali non erano migliori di lui. L'impresa era ardua, e non diremmo
che l'a. sia in tutto riuscito: rimane molto di dubbioso e d'ignoto, che non
si potrà mai compiutamente conoscere e giudicare. Ma egli si è tenuto lon-
tano dalla tendenza apologetica, che va prevalendo presso taluni, e special-
mente si mostra nel recente volume del sig. Carlo Bertani. Il secolo certa-
mente era perverso, gli esempj istigavano al male; ma quand'anche si di-
mostri la perversione dell' " ambiente „ non per questo l'Aretino non fu un
gran furfante: d'ingegno, ma furfante. L' autore di questo saggio è general-
mente equo nei giudizj, e nelle ultime pagg. anche efficace, ma la cura della
forma usata in queste, rende troppo apparente certa trascuratezza e impro-
prietà delle antecedenti, dove predomina un fare soverchiamente familiare
e pedestre.
,•. Chi sa quanta parte della vita e della cultura italiaha di un tempo
fossero le Accademie, non si maraviglierà che il dolt. G. Biadego abbia con-
sacrato uno studio speciale a quelle della sua città nativa {Accademie Ve-
ronesi, s. n. t., di pp. 31 in 1G.°). Ve n'ha di tutti i nomi e di tutte le ma-
terie, seguendo e accompagnando lo svolgimento delle idee e degli intenti,
che si succedono e via via predominano, finché dagli Incatenati, che sono i
pili antichi, si giunga all'Accademia di Agricoltura, ancor fiorente, e che è
andata col tempo allargando la cerchia de' suoi studj.
.*. Il sig. A. G. Spinelli, noto per altre pregiate pubblicazioni sulla vita e
gli scritti del maggior commediografo italiano, nel giorno (26 febbrajo) in
che a Modena si scopri una lapida in onore di lui, nella casa dei suoi mag-
giori, ha pubblicato Quattro note goldoniane (Modena, Forghieri e Pellequi,
di pp. 11). Sono piccole cose, le quali pur giovano a sapersi e potranno esser
utilizzate in una ristampa delle Memorie autobiografiche, che meriterebbero
di venir riprodotte con illustrazioni e note, riprendendo e compiendo ciò che
aveva cominciato il von Lohner. Le quattro note sono cosi intitolate: Lapide
e Modena - Ritratto ignorato - // Sonetto del Vicini contro i Gesuiti - Me-
lodramma giocoso poco noto: Oratorio dubbio.
.•. Il prof. A. Scrocca ha dato in luce uno Studio critico suW Agamennone
e stiir Oreste di V. Alfieri (Livorno, Giusti, di pp. 72 in 16.°) in che accusando
di * falso , (e la parola ci par troppo cruda) il Villemain pel giudizio delle
relazioni fra i tragici francesi e l'astigiano, e, per conseguenza, di "ingiu-
rioso al vero e all' Alfieri , anche quello non disforme del Bertana, sotto-
pone a lungo ed acuto esame le due " tragedie gemelle ,. Esso conclude
che l'Alfieri in generale, nell'uso dei soggetti antichi, tratti dalle favole, dif-
ferentemente da come fecero i francesi, dei quali perciò non può dirsi se-
guace, trasforma il sovranaturale in umano; e che, in particolare, le due
citate tragedie vengono ArW Agamennone di Seneca, e 1' Oreste ritrae qualche
cosa dn\V Elettra di Sofocle e da quella del Grébillon, e nulUa dall'Oreste
del Voltaire ; sicché 1' Alfieri scrivendo di aver ignorato quest' ultimo, e aver
tratto ispirazione alle " gemelle , dall' autore latino, scrisse il vero.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 199
.•. 11 Municipio di Salerai pubblicando uno scrilto inedito di un anlico
concittadino, porge occasione al dott. Salv. Romano di parlare di Francesco
il' Aguirre e la sua opera sul Riordinamento degli studj generali in Torino
(Palermo, tip. Lo Statuto, di pp. 14 in 8.»). Il D' Aguirre fu uno di quei sici-
liani che Vittorio Amedeo condusse seco in Piemonte; ove illustrarono sé
stessi e la patria lontana: egli fu chiamato alla direzione degli studj, e in
tal qualità nel 1715 presentò al re un disegno di riforma, che finora rimase
inedito, e chiamò all'insegnamento uomini egregi d'ogni parte d'Italia, fra
i quali il Lama, il Tagliazucchi, il Pasini e il Gravina, che fu colto da morte
nell'atto di porsi in viaggio. Con cotesto disegno, non soltanto T insegna-
mento superiore nelle università, nìa si riformava, consertandolo ad esso,
anche quello inferiore: si direbbe un preludio della Université napoleonica.
L'a. di questa memoria dà notizie rilevanti del D' Aguirre, che però poi,
perduta la fiducia del suo principe, passava in Lombardia al servizio dell'im-
peratore Carlo VI. L'esame del suo disegno di riforma datoci dal R. è utile,
ma è forse più conciso di quello che si può desiderare da chi segua con
amore le vicende delle antiche istituzioni pedagogiche italiane.
.•. A. Magnocavallo prendendo occasione dallo studio del De Castro {Un
precursore milanese di Cagliostro, in Arch. stor. lombardo, ser. Ili, f. IV, 350-89)
pubblica altre Notizie e documenti ined. intorno all'alchimista G. Borri (estr.
A^WArch. st. lomb., an. XXIX, f. XXXVI), tratte dalla Bibliotoca e dagli Archivj
Vaticani. I primi due documenti contengono una minuta descrizione del modo
tenuto per far pronunziar l'abiura ai seguaci di questo strano tipo, impasto
d'asceta, d'alchimista e di ciarlatano. Altrettanto interessanti son dei brani
di lettere (pp. 13-20) per la maggior parte del nunzio Pignatelli, perché mo-
strano la fama, che il Borri era riuscito ad acquistarsi, ed il M. ne ritesse
opportunamente la biografia, insistendo sui punti, che dai nuovi documenti
ricevono luce.
.*. Alla maggior conoscenza di quello strano episodio della vita siciliana,
che cominciò in Messina colla ribellione a Spagna e fini col tradimento e
l'abbandono da parte dei francesi, porta un nuovo contributo il prof. P.
Carogna discorrendo di Catania ed il Val di Noto durante la rivolta mes-
sinese del 1674-78 (Arcireale, Etna, di pp. 115 in IQ."). Coli' aiuto di inesplo-
rati documenti, l'a. illustra il moto della città ove prima arse la ribellione,
con la narrazione dei casi avvenuti nei luoghi contermini, che meno erano
noti, porgendo per tal modo utili materiali a chi ci darà la completa storia
della rivolta messinese.
.•. Curiose informazioni ci offre il dott. G. Pitrè nel suo scritto su l gior-
nali e la pubblicità in Palermo nella seconda metà del sec. XVIH {Falermo,
tip. lo Statuto, di pp. 22 in 8.'*). Questo studio di un cosi zelante e dotto
amatore e conoscitore delle cose dell'isola nativa, è un buon contributo alla
storia generale del giornalismo in Italia, che è sempre da farsi. Poco pili
potrà trovarsi di quello che il P. ha raccolto ed esposto, e si dovrà ad ogni
modo concludere che il giornalisnio nacque tardi in Sicilia e a stento vi
attecchì'. Certi particolari che il P. riferisce mostrano che fosse realmente
una pianta esotica, come si desume dallo scarso numero di giornali, e dalla
breve vita di ciascuno. 1 giornali annoverati dal P. sono le Novelle Misceh
200 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
lattee di Sicilia (1764-67), il Nuovo Postiglione (1771-72), la Raccolta di no-
tizie (1793-1805), il Gioni. di Commercio (aprile-luglio 1794), Irasformatosi
nel Giornale di Sicilia, che, con varie vicende, dura tuttora. Altrettanto me-
schino è il giornalismo letterario. Tutti erano di piccolo formato, di cattiva
stampa, niuno quotidiono, e pertanto a caro prezzo. È notevole come fin
d'allora in special rubrica apparissero domande e offerte di ufflcj e di ser-
vigj per ajo, cameriere, cameriera ecc.
.•. Giovandosi di lettere e di scritti inediti il nostro collaboratore V. Gian
ha descritto con nuovi particolari V Agonia di un grande italiano sepolto vivo,
cioè di Pietro Giannone, vittima d' ire principesche e sacerdotali. Lo scritto,
notevole per ragguagli biografici e informazioni su un'opera inedita V Ape
ingegnosa, fu inserito nella JV^. Antologia del 16 febbr., ma nell'estratto (di
pp. 30 in 16.») ha parecchie note, che nella pubblicazione periodica furono
ommesse.
.". In un articolo estratto nell' Archivio Stor. delV antico Marchesato di
Saluzzo (anno II, I, IV) e intitolato La Bibbia di Silvio Pellico, Adriano Aug.
MicHiELi s'occupa di due Bibbie, appartenute ambedue a Silvio Pellico: l'una
di minor valore conservata in una sala della Gasa Gavazza in Saluzzo, e l'altra
di gran lunga più importante, come quella, che avrebbe servilo di conforto al
povero Silvio, quando proprio trovavasi allo Spieberg. Su quest'ultima, tor-
nata in Italia dopo varie peripezie e posseduta come sembra fino a poco tempo
fa dal sacerdote D. Stefano Monini, priore dei Bagni di San Giuliano, presso
Pisa, ed ora passata in mano d'ignoti, il M. richiama giustamente l'attenzione.
.•. Il dott. Luigi Mario Capelli ha dato fuori (Novara, Fratelli Miglio, 1903,
di pp. 37 la 16.» picc.) la prima parte di un suo studio intitolato Per la
maggior fonte letteraria dei * Promessi Sposi „. Dopo aver notato che in
tutte le opere del Manzoni si possono rilevare influssi e inspirazioni diverse,
anche di opere straniere, senza che esse detraggano nulla alla originalità del
grande scrittore, esamina brevemente quel che è stato finora scritto intorno
alle fonti dei Promessi Sposi, ed afferma che la maggiore fonte sono i ro-
manzi di Walter Scott anteriori al 1827. Questa opinione non è nuova, ma
nessuno ha forse finora fatto delle opere del romanziere inglese quell'esa-
me accurato in confronto col romanzo del Manzoni, che è necessario per
venire a solide conclusioni. Il Gapelli ha studiato l'argomento secondo il
metodo che indicava in proposito alcuni anni fa il D' Ovidio in un suo ar-
ticolo, salvo che egli ha istituito i confronti non col testo inglese, come vo-
leva il critico napoletano, ma colle traduzioni francesi e italiane del tempo,
giacché il Manzoni non potè aver letto quei romanzi nella lingua originale,
che non conosceva. T risultati di questo esame il Gapelli darà in due altre
parti del suo studio, intitolati Influssi scottiani sui P. M.; Influssi manzo-
niani sugli ultimi romanzi di W. Scott, ch'egli annunzia di prossima pubbli-
azione.
.•. Quel singoiar poemetto che è il Lament del Marchionn di gamb averi
di Garlo Porta è stalo recentemente ripubblicato per cura di F. Fontana
(Milano, stab. Menotti Bassani). Belle illustrazioni di R. Salvadori adornano
il testo, di cui curò la stampa, accompagnandola di brevi note, C. Salvioni ;
il quale, come si sa, attende d^ parecchio tempo a preparare una nuova e-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 20l
dizione di tutte le poesie del Porta. Sarà 1' edizione definitiva. Egli si indusse
a dar fuori intanto il Lament nella speranza che altri possa fornirgli qualche
ragguaglio sull'autografo di tutto intero il poemetto, mentre a lui e, com'egli
prova, anche agli altri editori che tennero dietro al Cherubini, non è noto
che quello della prima parte posseduto dal discendente del poeta, sig. dott.
Carlo Porta. Delle note alcune dichiarano voci e modi caduti in disuso o
di non troppo facile intelligenza. Una di esse ci sembra non colpir giusto,
quella dei versi 287-88, secondo la quale " fuss on ean doveva essere * un
modo ormai irrigidito per dire 'si trattasse anche d'un cane',. Invece se-
condo noi fuss on can non significa altro in quel luogo che fossi un cane,
diventassi un cane, e sarebbe una delle solite espressioni usate dal popolo a
rinforzare un'affermazione.
.". Alla memoria di Niccolò Tommaseo e nell'anniversario della sua morte,
E. Tkza dedica un Proemio a Canti di popolo della Bulgaria e della Russia
(Venezia, Ferrari, 1902, di pp. 30 in 16.»). Aspettando i Canti, leggiamo con
reverente interesse questo proemio, nel quale l'a. discorre dell'uomo, al quale
pili egli si assomiglia nella varietà e vastità della dottrina e nella attitudine
a raggruppare insieme reminiscenze e notizie di diversa provenienza, frutto di
immensa lettura e di tenace memoria. Molte cose son qui riferite dell'uomo
e dello scrittore, che illustrano il Tommaseo da tali due aspetti e ne dimo-
strano l'animo e la mente, avvalorando l'intima conoscenza dello scrittore
e dell'uomo col vivo e perenne affetto all'amico e maestro.
.*. II comm. G. Arlìa. (Firenze, soc. tip. ed., di 16 pag. in 16.°) in una pub-
blicazione nuziale, per mezzo di una Novellina popolare illustra un modo di
dire usato dal Machiavelli, dal Lasca, dal Celli, dal Cecchi: E' mivien voglia di
ridere, e ho male. Appar molto probabile che la Novellina spieghi il modo
di dire; ed, evidentemente, doveva alludere a un racconto assai divulgato -
questo dell'Arila od altro consimile- perché nella C/isrjo, la forma completa
è: E' mi vien voglia, come disse colei ecc.
.•. Per le nozze PiniCinotli il sig. C. Masi ha messo insieme cinque Lettere
inedite di G. Arcangeli (Empoli, Traversari, di pp. 22 in 16.°), accuratamente
illustrandole con note relative a fatti e a persone. Ma per non frastagliare il
dettato di sic. avremmo addirittura corretto certi piccoli errori ortografici : e poi
abbrevialo anche certi cenni biografici di persone ben note, ampliando invece
gli altri di men noti personaggi : per es. i ragguagli troppo scarsi su Lorenzo
Neri erapolese. Al nome Berti avremmo detto trattarsi di Filippo Berti, che
coir Arcangeli fu scelto a compagno di viaggio dal russo general Osterniann :
autore degli Amanti sessagenarj e di altre commedie, e benemerito fondatore
del Ginnasio drammatico in Firenze: brav' uomo, troppo ingiustamente di-
menticato. Ad ogni modo, il sig. M. conosce e mette in pratica il buon me-
todo di pubblicare corrispondenze epistolari.
.". Il sig. N. Castagna in un breve opuscolo raccoglie Fatti e note su I
deputati al Parlamento napoletano del 1820-21 (Città S. Angelo, tip. della
Vita Abruzzese, di pag. 36 in 16;° picc), attingendo sopra lutto al ricordo
dei discorsi paterni. Egli intanto corregge parecchi errori di uomini e di date
di chi anteriormente trattò di quell'episodio della storia del mezzodì: ma
queste rettificazioni, e le brevissime notizie aggiunte ai nomi di ciascun de-
202 RASSEGNA BIBLIOÒRAFICa
putato, ci lasciano vogliosi di qualche cosa di più. Se l'A. è giunto a rin-
tracciare in qual via e a qual numero abitavano essi a Napoli, dovrebbe
ragionevolmente aver radunato maggior messe di ragguagli suU' esser di
ciascuno, sulle opere ecc. e questi, dacché qui non ci sono comunicati, spe-
riamo debbano dar argomento ad una ulteriore pubblicazione.
.'. Il prof. Brognoligo aggiunge qualche pagina alla biografia del e. Gi-
rolamo Bissari, pubblicando alcune lettere del suo Carteggio (Vicenza, Fabris,
di pp. 19 in 10."). Sono lettere di gentil donne bolognesi al prode soldato
dell'indipendenza italiana, ma sono reliquie di una pili ampia corrispondenza,
fattaci già in parte conoscere da V. Imbriani nel volume dedicato ad Ales-
sandro Poerio. Queste narrano con curiosi particolari il viaggio di Pio IX
nei suoi stati e specialmente a Bologna, nel 1857.
.•. Il giornale la Favilla raccoglie in un solo fascicolo in onore di Alinda
Bonacci Brunamonti (Perugia, Cooperativa, di pp. 9G in 4.") versi e prose
sulla insigne poetessa, della quale Perugia e V Italia piangono la morte recente
Vi sono riuniti il discorso commemorativo del prof. L. Tiberi, uno del prof.
G. Urbini su V educazione artistica della egregia donna, due scritti, l'uno d
G. Trabalza su la Pensatrice, l'altro di L. Grilli su la traduzione delle Geor
giche; versi della signora Aganoor-Pompilj, poesie e ricordi autobiografici
della Brunamonti stessa, il ritratto di lei, la fotografìa di un busto, un auto-
grafo ecc., e infine, oltre altre cose, saluti e telegrammi di uomini illustri e
di donne colte, mandati il giorno in che Perugia volle degnamente onorare
la memoria di colei, che aveva sparso sulla patria tanta luce di poesia, mite
insieme e gagliarda. Ghiude il fascicolo una bibliografia degli scritti della
Brunamonti, e di quelli d'altri che di lei parlano. Dalla varietà degli scritti
qui raccolti vien fuori l' immagine intellettuale e morale della insigne poetessa,
nella effige della quale, qual' è fotograficamente riprodotta, sembra ricono-
scere le doti che le furono proprie; indovinando dallo sguardo il vigore vi-
vace dell'ingegno, dai lineamenti, la dolcezza del sentimento. — Anche un
intero numero della Roma letteraria (25 febbr.) è consacrato alle lodi della
Brunamonti con scritti delle signore Aganoor-Pompilj, Albertoni-Tagliavini,
Anzoletti, Cianelli, Haidée, Pezzi-Pascolato, Pierantoni-Mancini e di D. Giam-
poli, A. Conti, A. de Gubernatis, Ermini, A. Fogazzaro, D. Gnoli, F. Lamperlico,
G. Mantica, E. Panzacchi, M. Rapisardi, G. Salvadori, G. Urbini, C. Villani ecc.,
che ne illustrano le opere e ne piangono la dipartita da noi.
.•. Nel voi. V del Roman. Jahresbericht del Volmoller, il prof. I. Della
Giovanna informa gli studiosi circa // Romanticismo, e la letter. ital. durante
il Risorgimento nazionale (pag. 325-348) registrando le pubblicazioni su tali
argomenti apparse dal 1895 al '98. La bibliografia è copiosa ed esatta e i
giudizj delle singole opere, brevi di necessità, ma fondati su ottimi criterj.
.•. Nella Rassegna Internazionale (maggio 1903) il sig. G. Stiavelli pub-
blica un articolo, non privo di curiosità, col titolo: Epigrammi politici e
letterari noli, mal noti e ignoti, che potrebbe esser un saggio di pili ampio
lavoro. E allora qualche cosa l'a. penserà a rettificare. È egli ben certo che
il " Poeta Cesareo , del quale i Versi furono pubblicati nel 1850, sia lo
stornellajo pistojese Luigi Giusfredi? Noi crediamo che altri si nasconda sotto
cotesto nome: e ricordiamo che quando uscirono a luce furono attribuiti
DELLA LETTERATURA ITALIANA 203
non rammentiamo bene se all'avv. Demetrio Giotì o al dott. Pirro Giachi. Il
dubbio fra l'uno o l'altro è naturale perché erano due amici intrinseci, che
molto avevano a comune. L'epigramma del Prati che finisce Domine Dio?
L'ho fatto io, possiamo assicurare di certa scienza, per averlo udito dall'au-
tore, che non è del '59 ma del '49 o poco dopo, né contro il Grispi, ma
contro Lorenzo Valerio. Dubitiamo che l'epigramma sul Segato sia del Gior-
gini, del quale molti altri potevano esser addotti: e contro di lui è per scherzo
diretto l'epigramma Bistin che quando parla (il 3." verso deve suonare:
forse perché non ho le forme sue ?) composto non dal Giusti, ma dal Salva-
gnoli, dal quale pure potevansi raccogliere molli frizzanti epigrammi.
.•. La pubblicazione del sig. B. Radice, Gli Inglesi nel risorgimento italiano
(Livorno, Giusti, di pagg. 44 in 16.°) riunisce e fonde insieme due discorsi
tenuti a Bordighiera dinanzi a un pubblico, per la massima parte britannico.
Ma forse lo scritto ritiene ancora un po' troppo del carattere di lettura o
conferenza, e conserva certe forme (per es. l' esaltare nel Verdi la * potenza
"apollinea dell'anima oceanica,,) che non si confanno allo scrivere medi-
tato. Questo scritto ricorda fatti notevoli, ma non tutti comunemente noti,
e solo è da dolersi che di alcuni si faccia troppo rapido cenno: l'autore però
annunzia due altre pubblicazioni: Gli esuli italiani all' estero e Gli esuli ita-
liani ìiella Gran brettagna, dove non vorrà andar sorvolando, ma tratterà cer-
tamente la materia con ricchezza e precisione di particolari. E cosi' operando
farà cosa veramente utile alla storia del nostro risorgimento. Quanto alla
sostanza del racconto, ninno disconosce la parte che nel '60 ebbe la politica
inglese a sciogliere il nodo intricato delle cose italiane, ma gioverebbe ricordar
meglio che l'intervento diplomatico inglese succedette all'intervento 'armato
francese, e riconoscere che a voler la guerra coli' Austria nel '59 fu solo,
0 quasi. Napoleone contro i suoi ministri, contro le Camere, e può dirsi,
salvo alcune eccezioni, contro il suo popolo. Per ciò, certe frecciate all' Impe-
ratore, e certe asserzioni non abbastanza sicure circa i suoi ultimi intenti,
potevano risparmiarsi. Niuno infatti giurerebbe eh' egli sognasse la corona
dell'Italia Centrale * sulla testa del cugino, e quella di Napoli "sul capo di
uno dei Murat ,. Se si chiedessero le prove di ciò, sarebbe diffìcile presentar
altro che congetture. Anche, non è serio rinnovar la favola che l'Impera-
tore meditasse far sua * la ferrea isola dei Sardi e la ligure Riviera ,, e si
debba al Russel se non giunse a effettuar questo disegno: perché giova ri-
cordare come interrogato su tal proposito, ed anzi sull'esistenza di un for-
male trattato, un ministro italiano ebbe a dire in pieno parlamento, che cono-
sceva terre italiane da redimere, non terre italiane da cedere: e all'attesta-
zione del Mazzini, che asseriva il documento trovarsi a Torino, legato con
un filo rosso, o di altro colore, si oppongono quelle recisamente negative del
Ricasoli e del Visconti Venosta. E si potrebbero segnalare anche alcuni er-
rori, pili specialmente cronologici; per es. l'accompagnare nell'esilio Ales-
sandro Poerio al De Sanctis e al Mancini, dacché il Poerio era già morto di
ferite a Venezia: e il parlare di -" restaurazione neo-guelfa del Gioberti , a
proposito di fatti del '59 e '60, quando il filosofo torinese da pili anni era
morto, e nel Rinnovamento aveva dato altra direzione al suo pensiero e quindi
altri consigli agli Italiani. Concludendo, questo opuscolo può essere il germe
à04 RASSÈONA BliìLlOORAFICA
di un buon libro, nel quale però, per la gravità e verità della storia, vorrà
r autore mostrarsi un po' meno . . . inglese !
.•. L'opera di F. Gomandini pubblicata dal Vallardi, L' Italia nei cento anni
del sec. XIX, della quale più volte abbiam parlato, e che ha ripreso con
nuova lena il suo cammino verso la mèta, è ora giunta col fase. 36 agli anni
1837-'38. Anche questo fascicolo è notevole per ricchezza e precisione di
notizie e frequenza di illustrazioni d'ogni genere: vedute, ritratti, feste, mode,
nummi e medaglie ecc. Notiamo, fra le altre illustrazioni, il quadro del Bi-
scarra rappresentante la promulgazione del codice albertino, i ritratti di Fer-
dinando di Borbone e di Maria Teresa sua sposa, il gruppo delle regine co-
stituzionali di Europa (Vittoria d' Inghilterra, Maria Cristina di Spagna, Maria
da Gloria di Portogallo) da stampa liberale del tempo, i ritratti dell' arcid.
Ranieri, di Carlo Botta ecc.
.•. Una pubblicazione che interessa egualmente gli studiosi di Agricoltura,
quelli di Sociologia, e quelli del folklore è la monografia di E. Metalli, Usi
e costumi della Campagna Romana, con prefazione dell' on. prof. A. Celli
(Roma, tipogr. popol., di pp. VII- 170). Essa ci ricorda i buoni studj del prof.
Padula, che avrebber meritato di esser dal giornale II Bnizio raccolti in
volume, sullo Stato delle persone in Calabria, e quelli del Salomone-Marino
sugli usi e costumi dei contadini di Sicilia. Qualche cosa di simile pubblicò
il fu on. Toscanelli per il contado pisano. L'autore, che, afferma il Celli,
è un autentico uomo di campagna, ritrae * dal vero uomini e cose del-
" l'Agro romano „, dove " la vita si svolge ancora come in tempi assai re-
" moti da noi ,. Spetta al legislatore rinnovare la vita di una cosi vasta
plaga, ove si conservano usanze contrarie alla scienza economica ed agricola;
agli studiosi delle avite usanze popolari sarà utile il veder indicato e fer-
mato con esatta descrizione ciò che ormai, prima o dopo, è destinato a pe-
rire, e piacerà questa rassegna di uomini e cose, delle quali appena erano note
le denominazioni, nonché il carattere. Descrivendo pertanto le tre aziende
principali della Campagna romana, quella del Campo, quella del Procoìo e la
terza della Masseria, ci passano innanzi tipi di classi e norme di cultura, che
attirano la nostra attenzione, e sono intramezzale da curiose notizie su super-
stizioni e credenze (vedi ad es. quella della Merla), da proverbj, dettati e
apologhi, da aneddoti, e da Canti popolari, e da un glossarielto, che avremmo
però desiderato più ampio, di parole vernacole.
.'. Maria Pitré, figliuola dell'illustre folklorista, ha pubblicalo (Palermo,
Tipogr. del Giornale di Siciliu, 1903, pp. 19 in 16.») un gustoso opuscolo La
Kalsa e i Kalsitani in Palermo, in cui descrive l'aspetto e le costumanze
di uno dei pili curiosi quartieri della città di Palermo, che conserva ancora
il nome di origine araba, e i cui abitanti pescatori o donne in gran parte
dedite all'arte di ricamare, vivono, si può dire isolati dal restante della città.
Il quartiere conserva ancora alcuni monumenti d'arte e fra gli altri edifizj
ha il famoso Convento della Gancia. La signorina Pitré riferisce anche qual-
che canzone popolare' e noi non sappiamo trattenerci dal riportarne una che
è veramente poetica :
Una varcuzza baoneri bauueri
Sta ddia (dea) d'amari mi vinni a purtari;
DELLA LETTERATURA ITALIANA 205
Bidiuia tutti li cilesti sferi,
Trimavanu li specchi di lu inaril
Binidittu lu Ddiu chi ti manteni,
Ch'accussi bedda ti vosi furinari!
Spampinanu li ciuri unn'è ca veni
L'ariu turbata lu fai sirinari.
.•. Il prof. V. Angeli ha dato in luce due Conferenze da lui lette nel R.
Collegio Gicogulni, runa su Amedeo di S'ar«)/o, T altra su Vincenzo Gioberti
(Prato, Salvi, di pp. 70) nelle quali con mente bene ispirata e mano sicura
tratteggia quelle due immagini preclare di soldato e re, e di pensatore. Al
discorso sul filosofo e politico torinese aggiunge pregio una Nota sulle ac-
cuse inconsulte, che Francesco Crispi lanciò contro il Gioberti nel centenario
celebrato l'Aprile 1901.
.". A proposito di Marco Minghetti può deplorarsi con ragione che poco
sia curata la sua memoria da chi per ragioni di sangue o per comunanza
di dottrine, pili ne avrebbe il dovere. Si misero a luce, e non sempre bene,
tre volumi dei suoi Ricordi; poi, separatamente, un altro sulla Convenzione
del Settembre. La pubblicazione che G. Vanzolini fa per occasione di nozze,
di una sua Lettera a T. Mamiani, (Urbino, Arduini, di pp. 11 in 16.») datata
dell' ottobre "59, e che ha importanza politica e storica, ci fa pensare quanto
alla conoscenza dei fatti del nostro risorgimento gioverebbe raccogliere l' Epi-
stolario dell'insigne bolognese.
.*. Il sig. S. Di Giacomo, noto scrittore napoletano, ha pubblicato un vo-
lumetto intitolato II Quarantotto : Notizie, Aneddoti, Curiosità intorno al 15
maggio 1848 in Napoli; arricchito di cinquanta illustrazioni, pili quattro fuori
di testo (Napoli, ediz. del Corriere di Napoli, di pagg. 52 ìu 4.»). Non è, come
dice del resto il titolo, una storia, ma una raccolta di memorie, di notizie, di
documenti, di curiosità sulla vita napoletana in quel primo respiro di libertà
e innanzi alla sanguinosa catastrofe, che doveva instaurare il più feroce di-
spotismo. Sono riproduzioni di fogli volanti, di poesie, di ritratti, di auto-
grafi, di stampe del tempo, specialmente, fra queste ultime, dei combattimenti
alle barricate: e tutto <riò viene opportunamente illustrato dalla parola del-
l'autore. Curioso assai lo scritto su i Giornali di quel periodo, e i ragguagli
sui principali compilatori di essi. Chi avrebbe creduto che uno dei più scal-
manati giornalisti fosse stalo quel Gaetano Valeriani, romagnolo, che, in esilio
diventò libraio, e pedantescamente compose un Vocabolario di voci e frase
erronee stampato a Torino nel 1855 da Steffenone e Gomandona? Ma mor-
dendo questo e quello dei filologi italiani del tempo, mostra che era sempre
lo stesso uomo violento che scriveva nel Costituzionale. Questa pubblicazione
del Di Giacomo, cosi versato nella conoscenza della vita e della storia 'iella
sua città, si legge con piacere, anche per la scioltezza e la vivacità della
forma, sebbene qua e là, ad esempio nella introduzione, certe descrizioni
risentano della vieta retorica giornalistica.
.". Conferenze e Conferenzieri è il titolo di una Conferenza appunto, tenuta
dal sig. P. Barbèra al Circolo filologico di Firenze, del quale è Presidente
(estr. dalla Rass. Nazionale, del 1. aprile, di 12 pagg. in 16.°). In essa il B.'
espone alcune considerazioni su questa forma di discorsi in pubblico, che
molto opportunamente potrebber esser apprese e applicate da chi è chiamato,
206 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
pili o men volente, a esercitar quel difficile ufticio; e rifiorisce il suo dire di
argute espressioni e di piacevoli aneddoti.
.•. Il buon esito della prima edizione del Manuale di storia della Musica
del prof. A. Bonaventura ha incoraggiato l'editore Giusti di Liivorno a farne
una seconda stampa, accresciuta non soltanto di mole (196 pagg. in 16." picc.)
ma migliorata assai sull'antecedente, specialmente nella parte che si riferisce
alla musica dei Greci e del cristianesimo primitivo, nonché ai contemporanei.
In piccolo volume abbiamo cosi un esatto e lucido riassunto delle vicende
dell'arte musicale; e chi voglia saperne di più su qualche particolare, troverà
al fine d'ogni capitolo l'indicazioni delle fonti speciali da consultare.
.•. Per nozze Aruch-Mondolfo un Anonimo livornese, che è poi un giovane
innamorato della scienza delle monete, fa una Correzione numismatica ad
un paragrafo del Vocabolario della Crusca (Firenze, Galletti, di pagg. 7 in 16.°).
La correzione cade sulla attribuzione di un significato speciale alla parola
cotale, come se questo vocabolo designasse una moneta fiorentina del sec.
XVI. Ma sebbene ciò paja appoggiarsi a un passo del Varchi e sebbene altri,
non che la Crusca, abbia creduto all'esistenza di una moneta di tal nome,
l'A. vuol dimostrare che essa non fu mai battuta, e perciò non esiste, e che
cotale nei passi riferiti, vai soltanto quanto pezzo o coso: e la dimostrazione
ci par riuscitissima; cosicché deve modificarsi il relativo paragrafo del Vo-
cabolario.
.*. Una delle ultime pubblicazioni cui attese il compianto dott. Gammillo
Vitelli è il Catalogo dei codici che si conservano nell'Archivio Rondoni in
P/sa, pubblicato nell' undecime volume degli Sludj Storici (1902, pp. 176 in
16.°). Per la maggior parte i codici descritti sono estranei agli studj lette-
rari e riguardano la storia di Pisa. Segnaleremo solo i codici 83, 85 e 88,
il primo dei quali, del sec. XV, contiene rime del Petrarca e di altri minori
del trecento; il secondo, del seicento, ha un commento alla canzone del
Guinizelli, Al cor gentil di " G. D. Incognito Contrario „ ; 1' ultimo, come il
primo, del sec. XV, contiene Tre " Epitome , e Otto " Chiose „ della Divina
Commedia in terzine, che furon già pubblicate dal Raffaelli nelle Deliciae
eruditorum col nome di Bosone da Gubbio e dal Mehus furono restituite a
Mino d'Arezzo; il compendio della Divina Commedia, che va sotto il nome
di Pietro Alighieri e alcuni frammenti dei Trionfi del Petrarca, qualche volta
con commento volgare. Nel medesimo codice alla fine si leggono alcuni
frammenti della Divina Commedia e la Canzone di Antonio da Ferrara per
la supposta morte del Petrarca.
.•. Abbiamo innanzi a noi il 1." voi. di un'opera periodica, della quale
speriamo sollecita la continuazione, e alla quale auguriamo le sorti pili felici,
ed è il Piccolo Archivio Storico dell'antico marchesato di Saluzzo (Saluzzo,
tip. Bovo e Baccolo, I, 1901, di pp. 384 in 16.°). Esso si pubblica sotto il
patronato del conte Ludovico di Saluzzo-Crissolo, colla direzione del prof.
D. Chiattone e la collaborazione dei protf. Rinaudo, Gabotto e Roberti. Inutile
il dire quanto giovino queste pubblicazioni speciali alla storiografia generale.
Può dirsi in contrario che siffatto lavoro separato disperda le forze: ma il
vero è che in raccolte di tal genere si raccolgono molti, e non inutili docu-
menti e sludj, che non troverebbe 'uogo opportuno in altre d'indole pili gene-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 207
rale. Certo è intanto che questa prima annata dell'Archivio Saluzzese contiene
molli scritti importanti di storia e letteratura, memorie e varietà, bibliografie
e cronaca. Fra gli articoli di soggetto storico, notiamo i seguenti: L. G. Pe-
LissiER, Il tunnel del Viso; F. Gabotto, La guerrx del Conte Verde contro i
march, di Saluzzo e del Monferrato nel 1363 ; G. Roberti, I moti di Revello
e dell' alta valle del Po in Lnjlio 1791; D. Chiattone, Della podesteria in Sa-
luzzo; G. F. Savio, / conti di Cr issalo ; D. Chiattone, Edilizia saluzzese nei
sec. XV e XVI; L. Commenginger, Zur Geschichtc der missionare auf Sa-
luzzo. E nella parte letteraria: D. Chiattone, / due codd. mss. della Francesca
da Rimini; Una lettera di S. P. a S. Marchisio; Cimelj patriottici {In gergo
di setta; La carta senza colla del vecchio Schiller); Come fu accolta la Fr. da
Rimini; F. Gabotto, Lettere ined. di S. P. a C. Muletti; M. Vicario, Due let-
tere di S. R; I. RiNiERi, // Cola di Rienzi di S. P.; La prima poesia di S. P.;
C. E. Patkucco, La storia nella leggenda di Griselda; C. Moschetti, Un af-
fresco del principio del sec. XV (si riferisce ai Disciplinati); V. Marsengo-
Bastia, Tre lettere di Mons. della Chiesa all' Aprosio ; C. Flechia, Un mani-
poletto di etimologie saluzzesi ecc.
.•. Il sig. Armando Ferrari annunzia un'opera utile, che sarà pubblicata
a Milano dalla Libreria editrice nazionale, vale a dire un Dizionario Topo-
grafico-storicobibliograftco dei Comuni e delle frazioni del Regno d'Italia,
e ne manda in luce un primo fascicolo contenente la Prefazione, che rende
conto delle intenzioni del compilatore, e parte della lettera A. da Abano-
bagni ad Acceglio. Il titolo stesso dichiara il carattere dell'opera e ne di-
mostra r utilità, dacché ogni articolo contiene per primo, le notizie topogra-
fiche e statistiche, cui seguono i cenni storici, chiudendosi con una indica-
zioni delle fonti, a cui attingere maggiori ragguagli. Quest'opera che si an-
nunzia di 10 voi. di circa 500 pagg. a due colonne, quando sarà finita, terrà
luogo, come chiaro apparisce, di altri libri speciali, e sarà utile ad ogni
sorta di persone. Noi rammentiamo che un'idea consimile, quanto almeno
alla parte storica e bibliografica, aveva avuto dopo il 1860 Felice Le Mounier,
e che ne aveva affidata l'esecuzione ad Adolfo Barloli. Disgraziatamente
rimase interrotta sul principio, e dopo che già ne erano slati tirati alcuni fogli.
Ma se fosse arrivata al termine, sarebbe ormai slato necessario rifonderla
perché profittasse del progresso degli sludi. Noi auguriamo che questa im-
presa, cui si aggiunge utilmenle la parte topografica, sia secondata dal pub-
blico suffragio e che risponda per esattezza e copia al fine propostosi dagli
editori e dal compilatore.
.-. Abbiamo qui addietro (pag. 132) dette alcune poche parole sul no-
stro perduto amico e collaboratore, Gaston Paris. Registriamo qui alcune
commemorazioni dell'insigne maestro: di F. D' Ovmio nel Fanfulla della
Domenica del 15 maizo: di Pio Rajna nel Marzocco del 15 marzo; di
A. D'Ancona nel Giornale d'Italia del 16 marzo; di H. Morf nel Frank-
furter Zeit. del 12 marzo (separateabdruck); di E. Teza, In memoriam, Pa-
dova, Randi, (seduta dell' Acc. di Padova dal 12 marzo); di V. Cresgini, Ve-
nezia, Ferrari (seduta dell' IsL Ven. del 29 marzo); di Gabriel Monod (dal
voi. LXXXIl della Revue histor.): di A. D'Ancona, Roma, Salviucci (seduta
dell' Accad. dei Lincei del 15 marzo ecc.). Pili o meno ampie, tutte que-
208 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
ste commemorazioni significano l' affetto e la venerazione verso l'estinto,
e deplorano la gran perdita fatta dalla scienza per la sua morte.
.*. Del compianto Gaston Paris esce postumo in luce un nuovo volume miscel-
laneo col titolo Légendes pièuses du Moyen Age (Paris, Hachette, di pp. IV-293
in 1(5.°), che sarà accolto con non minor favore degli antecedenti. La breve
avvertenza preliminare dice come il voi. fu messo insieme con tre soli sludj
dapprima, destinati a un pubblico culto e curioso, ma non speciale: e sono
Roncevaux ; Le Paradis de la Beine Sibylle ; La Legende du Tannhduser.
Sembra che a questo punto fosse condotta la stampa, quando il Paris mori,
sicché per compiere il voi. si ricorse ad altri scritti suoi, pur sempre illu-
stranti le tradizioni popolari, ma di forma maggiormente scientifica: e sono
Le Juif errant e Le lai de l' Oiselet, ne' quali abbonda la discussione delle
fonti e l'apparato erudito, senza tuttavia cessare dall'essere di gradevole let-
tura. L'ultimo di questi scritti era men nolo, perché pubblicato la prima
volta per nozze, secondo l'uso italiano, e perciò fuori di commercio. Questo
volume, che ci giunge dalla degna compagna del Paris, noi lo riceviamo
con sensi di dolore mai sopito e di ammirazione sempre cresente. Facciamo
notare ai lettori italiani che, la maggior parte di questi studj riguarda la
nostra letteratura: il Roncevaux, per la nostra epopea cavalleresca; la Regina
Sibilla e il Tannhduser, perché dalle indagini dell'autore resulta che il Ve-
nusberg ha da cercarsi nel nostro Appennino; le Juif errant, perché una
parte di esso discute l'apparizione in Italia del misterioso personaggio.
.'. Gì perviene un voi. di 480 pagg. in 16." stampato a Caltanisetta, edito
a Palermo presso Sandron, e che 1' autore data da Niscemi. Esso ha per ti-
tolo V. Grescimone, Saggi critici e lelterarj, e in un breve proemio, l'autore
ci fa sapere che " la pubblicazione di alcuni dei presenti studj è possibile
* soltanto mercé l'affettuoso zelo del prof. V. Reforgiato, mio antico discepolo,
* il quale, in un tempo in cui il disordine dell'anima mia si rifletteva su tutte
* le cose mie, andava raccogliendo, come fossero reliquie, e costudi poi ge-
* lesamente una grande quantità di scritti miei „, e finisce coU'attestare
"all'egregio professore e all'impareggiabile amico imperitura riconoscenza,
ponendo in fondo la sua brava firma: V. Grescimone. Ora noi ci troviamo
dinanzi a un imbroglio o ad uno scherzo bibliografico, perché la più parte
di questi Saggi ci sono noti a stampa, col nome di V. Reforgiato, e di pa-
recchi di essi abbiamo via via dato un cenno nelle annate decorse della
Rassegna. Gi limitiamo pertanto a dire che le materie discorse nel voi. sono
le seguenti : Le Elegie e gli Epigrammi latini di B. Rota — Il pessimismo
nel Giobbe del Rapisardi — L' elemento epico nelle Odi Barbare di G. Car-
ducci — Il pensiero letterario di G. Mazzini — Le rime amorose di V. Al-
fieri — Gli Epigrammi di Giano Pannonio — Le contraddizioni di G. Leo-
pardi — Shakespeare e Manzoni — La parodia omerica in un dramma dello
Shakespeare — Donne e Frati nei novellieri italiani — Giovanni Meli e Gia-
como Leopardi.
.'. Il sig. Emilio Galvi della Alessandrina di Homa, già noto per accurate
compilazioni bibliografiche, imprende una laboriosa ed utile compilazione
storica, di Tavole sloriche dei Comuni Italiani, e ne dà un primo saggio che
31 riferisce alla Liguria e al Piemonte (Roma, Loescher, di pp. 74 in 8.").
DELLA LETTERATURA ITALIANA 209
Comune per Comune, se ne notano le vicende politiche, coli' indicazione della
data, e in fondo a ciascun articolo si registrano le fonti, alle quali si è attinto.
Ognun vede come sia giovevole agli studiosi l'aver un libro al quale ricor-
rere per sapere qual fosse la condizione e forma di governo di un dato
Comune in un determinato anno. È questa un'opera di gran fatica a chi la
compie, e di grande utilità a chi vi vorrà ricorrere; sicché devesi augurare
che il favore degli studiosi arrida a questo primo saggio, sicché l' autore
proceda alacremente a darci per tal modo la storia delle altre città italiane.
Questa prima parte è preceduta da una lettera del prof. A. D' Ancona al
compilatore, nella quale meritamente lodando l'impresa, si suggeriscono
alcuni espedienti che la rendano maggiormente proficua.
.". È uscito a luce la Bibliographie des travaux de m. Leopold Delisle,
il dotto amministratore della maggior biblioteca di Parigi, compilata dal sig.
P. Lacoìibe; omaggio a lui offerto nel cinquantesimo anniversario dell'en-
trata sua in cotesta Biblioteca (Paris, imprim. Nation. di pp. XXXVini-510
in 8.°). Il bel volume, ornato di un ritratto, comincia colla lista dei sotto-
scrittori, di ogni paese, dove non manca qualche nome italiano, e dopo una
introduzione del compilatore, segue la bibliografìa dei lavori del Delisle co-
minciando dal 1847 fino al 1902, che comprende ben 1889 titoli, ciascun dei
quali è opportunamente illustrato. Con gentil pensiero, alla bibliografìa del ma-
rito, segue quella della sua signora, che uscita dalla casa dei Bournouf, ha
voluto coi proprj scritti onorare la memoria de' suoi. Vengono per ultimo
tre indici, cioè dei periodici in che si trovano scritti del Delisle, di questi
stessi in ordine alfabetico, e l' ultimo di persone, luoghi e materie. Questo
volume, che è un omaggio alla scienza, è anche per la varietà delle materie
delle quali l'operoso uomo si occupò con copia di fatti e profondità di ricer-
che, un sussidio utilissimo agli studiosi della storia e cultura dell'età media
e delle discipline bibliografiche.
.•. I parlari dell' Engadina erano stati finora studiati in più d'un lavoro
(chi non conosce almeno di nome i Saggi ladini dell'Ascoli?) dall'aspetto
fonologico, morfologico e lessicale; ma della loro sintassi nessuno s'era oc-
cupato di proposito. A questa parte credette bene di rivolgere l'attenzione
Enrico Augustin, che nella sua dissertazione di laurea uscita ora in luce,
espone la sintassi del basso - engadinese, tenendo conto anche dei dialetti
dell' Alta-Engadina e di Val Monastero dove divergano dal primo (Unteren-
gadinìsche Syntax mit Bertlcksichtigung der Dialekte des Oberengadins und
Munsterthals, Halle, Karras, 8.°, pp. 92). L' autore ci fa sapere di aver fatto
le sue osservazioni principalmente sulla lingua parlata. Non è dell'indole di
questo periodico entrare nell'esame di tale lavoro, del quale ci basta rico-
noscere l'opportunità.
.'. Ad attestare che gli studj dell'Indologia vanno ogni giorno più acqui-
stando tra noi serj e valenti cultori sta il pregevole opuscolo del dott. Vit-
torio Rocca : Sul valore della parola * barbaro , in India, in Grecia, in Roma
(Livorno, Giusti, 1903). In esso l'A, si propone di rintracciare l'origine della
parola " barbaro , e d'indagarne la storia semassiologica in India, in Grecia
ed in Roma. Accennato all'ordinamento politico delle caste e alle salde r.^
210 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
dici che esso prese in India fino dai tempi più antichi, l' A. passa a ras-
segna le voci " dasyu ,, " nileccha „, * yavana „ tra quelle che adoperarono
gl'Indi a designare i popoli esclusi dalla loro compagine sociale. Il vocabolo
" barbaro „ non ricorre nei Veda, e però l'A. è giustamente indotto a con-
getturare che esso sia stato importato in India dalla Grecia. Tesse quindi la
storia della parola ^dcppapo sul suolo dell'Eliade e sostiene che sia d'ori-
gine onomatopeica e non derivi da alcuna radice comune alle lingue ariane.
Facile poi gli riesce dimostrare che detto vocabolo greco fu presto adottato
dai Romani. Certo il vasto tema poteva essere trattato con maggiore lar-
ghezza, massime là dove si parla dei confronti tra le varie parole sanscritiche,
che designano i popoli non arj ; ma nei limiti ristretti assegnati al suo la-
voro l'A. ha pur dato prova di possedere una conoscenza diretta delle fonti
da cui attinge il materiale per la sua indagine, e di sapere, con acutezza non
comune d'ingegno, trarre dai fatti raccolti illazioni verosimili e soprattutto
originali. Dalla solerzia del dott. Rocca ci aspettiamo quindi frutti maggiori,
e per ora ci rallegriamo con lui di averci dato un saggio di quello che egli
può e deve fare in vantaggio degli studj dell'Indologia nel nostro paese.
.•. Il fascicolo degli Atti della R. Accademia della Crusca pubblicato
quest'anno (Firenze, Tipogr. Galilejana, 1903, pp. 60 in Ifi.") contiene, oltre
il solito rapporto del Segretario Guido Mazzoni, che dà conto della compi-
lazione del Vocabolario, V Elogio di Vincenzo De Vii letto dall'accademico
corrispondente Giuseppe Cugnoni. Di seguito all'Elogio è stampato un utile
elenco delle opere del De Vit, diviso per materie.
.'. Sotto la direzione del prof. G. Mazzoni, il tipografo editore Licinio
Cappelli di Rocca S. Casciano si propone di pubblicare una collezione di
Indagini di storia letteraria ed artistica. Ne sono già usciti due volumi:
A. Della Torre, Paolo Morsi, Contributo alla storia dell' Accademia Pompo-
niana : N. Roggeri, Vincenzo Cuoco, ed è prossimo ad uscire un terzo : C.
Sgrilli, Francesco Carletti, mercante e viaggiatore fiorentino. Di questi lavori
parleremo nei prossimi numeri della Rassegna, e intanto auguriamo ogni più
felice successo all'impresa degna di plauso e d'incoraggiamento.
.'. Il prof. V. Fresco pubblica alcune Note e Appunti su M. Randello e le
sue Novelle (Camerino, Savini, di pp. 46 in 16.»). Lo scritto si divide in due
parti: e la prima tratta degli Studj e scritti del R., desumendo le notizie
dalle dedicatorie e dalle novelle: essa contiene ragguagli non inutili; ma
taluni non furono avvertiti: ad es. quello offerto dalla dedica della 58.»,
giorn. I circa il soggiorno del B. al convento delle Grazie quando vi dipingeva
Leonardo. Ma è curioso che il Fr, stampando nel 1903, ignori del tutto il lavoro
del Morellini già uscito nel 1899, non che gli articoli di H. Meyer neW Arch. f.
d. Studium d. neuren Sprach. u. Litter., che sono condotti sullo stesso sistema
da lui tenuto, di cavar cioè dalle novelle e dai proemj le notizie della vita avven-
turosa del frate lombardo. Anche rispetto a certi personaggi del cinquecento
mancano particolari che offrivano studj recenti: per es. a pag. 17 parlando del
Fregoso (Phileremo), andava citato lo scritto del Dobelli sulla Cerva Rianca.
Pur qualche cosa di notevole v'ha in questa parte: la notizia (p. 19) di alcuni
scritti perduti del Randello, specie di certi Ragionamenti, e l'opinione che
DELLA LETTE ATL'RA ITALIANA 211
le rime per Mencia non cantino un amore del Bandello, ma d'altri: e su
questo punto sarebbe stato bene estendersi maggiormente a provarlo. All'ul-
timo sembra che Ta. sia stanco di seguitare le peregrinazioni del Bandello,
perché si arresta colle indagini al 1530, mentre altri dati biografici offrono pur
sempre le Novelle e le dediche dopo cotesto periodo : né cita a suo luogo
Io scritto del Patrucco sul Bandello a Pinerolo. — La seconda parte è di
illustrazione di alcune Nof>elle: e il tema sarebbe bello e licco; ma qui è
troppo scarso, e in generale condotto, a quel che pare, di seconda mano. Un
cultore di studj speciali di novellistica comparata avrebbe da far in pro-
posito moltissime aggiunte.
.'. Il prof. Vittorio Gian dedica all' amico Vittorio Rossi, di recente ri-
sanato da una grave malattia, un opuscolo - Soteria - in cui ha pubblicato
e illustrato Una Satira di N. L. Cosmico (Pisa, Nistri, 1903, pp. 28 in 16.»).
Di questa satira Apostolo Zeno indicò un' antica stampa s. a. n. t., che nes-
suno ha potuto trovare; perciò il Gian l'ha pubblicata traendola da un co-
dice estense, insieme coi due sonetti di dedica al Magnifico Tommaso Mo-
cenigo e alla sua illustre consarte. È l'unico documento di poesia satirica
che il Gosmico ci offra, e ricorda le satire-sermoni del Vinciguerra, ma è
esempio non troppo felice della sua arte di poetare; e la sua importanza è
limitata solo a quel che può servire per la storia del genere. Il Gian ha
apposto alla satira alcune note, mostrando le molte reminiscenze, alcune
anche classiche, sopratutto da Giovenale.
.•. Alle pubblicazioni bibliografiche (vedi addietro, pag. 128) uscite in
occasione del Gongresso Storico tenuto a Roma nell'aprile, tre ancora dob-
biamo aggiungerne :
1. L'Indice decennale tripartito della Miscellanea storica della Valdelsa
(Gastelflorentino, Giovannelli, di pp. 122 in 16."), pubblicato dal direttore
0. Bacci e compilato a cura del Segretario M. Gioni. Precede una Notizia
della Società Storica della Valdelsa, che rende conto dell'operato della me-
desima in dieci anni di esistenza, modesta ma feconda. Seguono gli Indiri
accuratamente condotti, e sono geografico, cronologico, e onomastico. Dopo
questi Indici non si può non agurare alla Società della Valdelsa lunga vita,
a maggior vantaggio degli studj storici.
2. L'opera della Commissione provinciale di Archeologia e storia patria
di Bari nel ventennio 1882-1902 è una Relazione del Presidente A. Jatta
(Bari, Laterza, di pp. 27 in 16.°) di quanto essa Commissione ha fatto e pre-
parato. Oltre ad aver promosso scavi e accresciuto un Museo, la Gommis-
sione ha cominciato la stampa del Codice diplomatico barese e di una serie
di Monografie e Documenti, de' quali si hanno già tre voi.: le Cronache dei
fatti del 1799 a cura di G. Geci, la Storia degli Sforzeschi in Puglia e Ca-
labria di L. Pepe, e la Puglia nel see. XV di F. Garabellese. Altri voi. sono
in preparazione.
3. La Società Ligure di storia patria per mezzo del prof. G. Gogò rende
conto dei suoi lavori dal 1858 al L900 (Roma, Artigianelli, di pp. 54 in 16."),
riassumendo quanto essa ha operato rispetto all' Archeologia [Iscrizioni e
Antichità-Numismatica) a Storia Civile ed Ecclesiastica {Docmnenli illustrali,
,212 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
'^i.' Cronache e Leggende, Monografie, Studj lelterarj e poesie storiche. Leggi e
Statuti, Cartografia, Colonie, Commercio, Geografia, Navigazioni, Viaggi, Ti-
pografia) e a Belle Arti. Abbondanti note in fondo alla relazione offrono
ragguagli bibliografici sui singoli scritti delle notale categorie. Forse sarebbe
stato opportuno ed utile soggiungere un Indice bibliografico per autori e per
materie, di ciò che è contenuto nei più che trenta volumi degli Atti della
Società finora pubblicati. Vero è che un ragguaglio di ciò che è in ciascun
volume si trova registrato sommariamente nell' Annuario della Società per
l'anno 1891 (vedi Rassegna, IX, 177).
k.D'AvaoTii A direttore responsabile.
Pi8»,TipoKrB«a F. M»riotU, 1908.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
DELLA LETTEUATMA ITALIANA
Direttori: A. D'ANCOKA e F. FLAMINI. Editore: E. SPOEBBI.
Anno XI. Pisa, Agosto-Settembre 1903. N. 8-9.
Abbonamento annuo \ ^H pEgtJo* ; ; ^*,'* J. \ Un num. separato Cent.
SOMMARIO: F. P. Luiso, Tra chiose e commenti antichi alla Divina Commedia (I. Sa-
nesi). — (ì. Caponi, Vincenzo da Filicaja e ìe sue opere (G. Manacorda). — J. Oillié-
RON et E.Edmont, Atlaa Unguistique de la Frana (P. H. Goidanich). — F. Moroncini,
Lezioni storielle di letteratura italiana desunte dalle opere di Francesco De San-
ctis e arìattate ad uso delle scuole secondarie ; P. Petboccui, La lingua e la storia
letteraria d'Italia dalle origini fino a Dante (0. Liaio). — A. Belloni, Frammenti
dì critica letteraria (D. Provenza!). — Binte antiche senesi trovate da E. Molteni
e illustrate da V. De Bartholomaeis con appendice (M. Pelaez). — Comunicazioni.
A. Neri, Alcune rime di Gian Vittorio Rossi. — Annunzi bibliografici (Vi
si parla di: E. Masi - (ì. Volpi). — Cronaca.
F. P. Luiso. — Tra chiose e commenti antichi alla Divina Com-
media: Capitolo I, Le « Chiose » all'Inferno di Iacopo Alighieri
sono traduzione informe di un originale latino (estr. daW Arch.
sfor. ital, disp. 1.* del 1903). — Firenze, tip. Galileiana, 1903.
In questo suo notevolissimo articolo il Lniso, dando prova di
molta genialità e acume critico, propone e sostiene una tesi as-
solutamente nuova: il testo delle «Chiose» all'Inferno, che si
attribuiscono comunemente a Iacopo Alighieri, lungi dall' esser
opera del figlio di Dante, non è invece che una traduzione, anzi
un « cincischiamento e deturpamento in lingua volgare», di un
anterior commento latino oggi perduto. Quella oscurità e gof-
faggine che deturpa le « Chiose » in modo quasi inverosimile e
per la quale, nel maggior numero dei casi, non arriviamo neppure
ad intendere che cosa il chiosatore abbia voluto dire, quella o-
scurità e goffaggine, di cui non è agevole credere che potesse
esser reo Iacopo Alighieri, tradisce, quando ben si consideri, una
forma latina che è stata resa volgare da un interprete grossolano,
il quale né conosceva il lessico e la grammatica, né aveva « pe-
« rizia nell'uso della lingua viva». Se tentiamo, infatti, di rico-
stituire il testo latino, cosi rozzamente e meccanicamente trave-
stito dal volgarizzatore, vediamo spesso la ragione dei suoi stra-
falcioni e riusciamo a cogliere il senso delle sue oscure parole.
E appunto questo tentativo di ricostituzione compie il Luiso,
15
214 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
recando numerosi passi delle chiose volgari e proponendo ie
corrispondenti frasi latine che servono a dilucidarli e che, per
quanto congetturali, non devon certo esser molto lontane dal testo
originario.
Alcuni degli esempj che il Luiso adduce sono quanto mai
persuasivi; come può agevolmente riconoscere chiunque rifletta
per un momento a quelli che io qui riferisco:
1. «... la cui vendetta istoria in chotal modo permane [=:cu-
« ius vindictae historia in hoc modo permanet »].
2. « il marchesse Obizzo da Esti in chotal modo colpa si vede
«[:=in huius modi culpa videtur] ».
3. « avendo di suo dominio, cioè di suo signiore [=sui domini]».
4. «tra' quali acidiosi e iracundi operanti [= accidiose et ira-
« cunde operantesj ».
5. «... quella (qualità) che a sé medesimo personalmente e
« reallemente ofende » [= « personaliter et realiter », cioè « in per-
« sona et in re] ».
6. « Dipartendosi dalla quinta bolgia, cioè qualità, la sesta in
«questo canto chompiutamente si conchiude: cioè di coloro in
« chili a V onesta a presenza V operatione non si segue, che volgare-
« mente ypocresia si chiama ». (Traduci e intendi « . . .idest eorum,
« in quibus honestae apparcntiae operatio non sequitur »).
7. « Si come per falsatori realmente i sopra detti Grifolino e
« Cappochio figurativamente in questa cholpa prima si pogniono,
« chosi personalmente di due qui si ragiona». (Cioè «falsatori
« delle cose » e « della persona »).
8. « le cui ardenti infiamate (Laurenz. e fiamanti) qualitadi
« figurativamente significanno le sueperfue caldezze false che i[n]
«loro animo si conservano». (Si parla di Ulisse: caldezze perciò
sarà riduzione volgare di « calliditates »).
Se tutte le prove addotte dal Luiso fossero della stessa im-
portanza e avessero la medesima forza, il suo scritto aquisterebbe
valore di dimostrazione matematica. Ma, il più delle volte, non
è cosi; e le sue citazioni e le osservazioni con cui le accompagna
non valgon davvero a provare che le chiose attribuite a Iacopo
siano una informe riduzione di un testo latino preesistente. Non
posso qui recare molti esempj di ciò che affermo perché, altri-
menti, sarei costretto a riprodurre troppo gran parte dell'articolo
del Luiso. Basteranno dunque i seguenti:
9. « e simigliantemente in chotal colpa morio Pirro figliuolo
«d'Achille si chonsidera [= in hac culpa mortuus Pirrus . . . .
« consideratur] ». — Il mortuus latino si prestava tanto bene ad
essere ridotto nel volgare morto, anche da una persona ignoran-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 215
tissima, che la forma morio non può ritenersi indizio di erronea
intelligenza del testo, ma bensì semplice errore grafico.
10. « In questa seconda parte qualità per simgliante si truova
« un Fiorentino [= In hac parte secundae qualitatis] ». — Un vol-
garizzatore, che trad liceva parola per parola, come apparisce chiaro
dall'esempio 6, fino a distaccare l'uno dall'altro due dativi che
erano invece strettamente congiunti, avrebbe, se mai, potuto tra-
durre (quando avesse avuto dinanzi le parole latine proposte dal
Luiso) «in questa parte di seconda di qualità»; ma perché mai
avrebbe invertito l'ordine delle parole medesime? L'oscurità, dun-
que, rimane; e nulla ci riconduce ad una precedente forma latina.
11. « ramentandoglisi lardipe (= l'ardire) che per suo malie
« aquisto di sua muneta re Charllo di Francia aparentando richiese
« per la qualle sdegnio none avendo il detto Re accio chonsentito
« la Ciecilia . . . perdere gli fecie ». Laureila. «... richiese per lo
«quale sdegnio...», dove il pronome relativo è accordato nel
genere a « sdegnio ». E qual senso hanno tutte queste parole ?
Io restituisco il genere femminile a quel relativo, e spiego, tra-
ducendo in latino: « regem Carolum in parentelam petiit (il sog-
« getto è il papa Niccolò); prò qua (cioè parentela) indignatus,
«quum nollet dictus rex consentire etc. >/. — No. Se l'estensore
delle chiose avesse letto, nel testo che traduceva, in parentelam^
non avrebbe durato fatica a ridurre tali quali queste parole la-
tine nelle corrispondenti volgari in parentela. Per spiegare quello
strano aparentando, s\ potrebbe, se mai, pensare ad in parentadum;
ma nulla ci autorizza a preferir questa forma all'altra, volgare,
in parentado che, per un grossolano errore di scrittura dell'ama-
nuense, diventò poi aparentando. Né lo sdegnio ci riconduce ne-
cessariamente a indignatus, potendo benissimo derivare dal vol-
gare sdegnato.
12. «... avaritia, formata in lupa, a significhare di sua bra-
« mosa e infinita voglia » = ad significationem suae etc. — Anche
qui si tratterà di un semplice errore di scrittura (forse, a signi-
ficare sua bramosa? o a significato di sua bramosa?), che non
presuppone in alcun modo la forma latina. iSe, infatti, l'estensore
delle chiose si fosse imbattuto nel significationem proposto dal
Luiso, lo avrebbe senz'altro reso coli' identico significazione.
13. « Delle qualli per lo sopra deto motore il (erroneamente
« il Laurenz. ha in) male volere co l' operationi (Laurenz. che
« IV operatione) a simigliante efeto producie, si considera » = prò
supradicto motore mala voluntas, quae operationes ad similem
effectum producit, consideratur. — Il costrutto delle chiose è,
senza dubbio, in questo esempio, come nell'esempio 9, latineg-
216 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
giante; e forse appunto per questo il Luiso pose, qui e là, a ri-
scontro della frase volgare il corrispondente periodo latino. Ma si-
mili costrutti possono ben essere originali, e non già tracce o resi-
dui di una traduzione dalla lingua dei dotti: non ne abbonda, forse,
anche la prosa dantesca del Convivio P II sopra citato periodo è
deturpato da un errore puramente materiale: co invece di che;
e questo disgraziatissimo co, sfuggito alla penna dell' amanuense,
non ci richiama al latino quae più di quel che possa richiamarci
al che volgare.
Ho già detto, e ripeto, che la maggior parte degli esempj ad-
dotti dal Luiso non hanno maggior valore di questi su cui mi
è parso bene fermarmi. Ora, è naturale che ciò nuoccia non poco
alla chiara e precisa dimostrazione della tesi, e che renda difficile
il conseguimento di un assenso pieno e incondizionato. Io, quanto
a me, credo che il Luiso abbia veduto giusto e che, nella sostanza,
debba aver ragione. Ma è un fatto che il trovarsi pochi esempj
veramente significativi mescolati e, quasi direi, dispersi fra tanti
altri esempj del tutto insignificanti dà origine ad una curiosa e pe-
nosa perplessità: sospingendo i lettori ora all'assentimento e ora
alla negazione; facendo, tratto tratto, balenar la certezza dinanzi
al loro pensiero e risommergendoli, subito dopo, nell'incredulità
e nel dubbio. Forse il Luiso, come può ricavarsi da queste sue
parole che riferisco : « Scorriamo ora insieme, o lettore paziente,
«il libro oscuro; e attingendo le prove giustificatrici della mia
«fiera denunzia, proviamoci a rimuovere in qualche parte l'o-
« scurità addensatavisi per il concorrimento delle diverse cause
«su accennate» (p. 20), si propose un duplice scopo: quello di
recare alcuni esempj che fossei'o veramente atti a dimostrare
l'esistenza di un commento latino da cui devono provenire per
dritta linea le chiose attribuite a Iacopo; e quello di rischiararne
intanto, giacché si trovava a discorrer di esse, alcuni luoghi più
difficilmente intelligibili, senza curarsi se questi altri luoghi ci
presentino, oppur no, un tipo latino. Ma, se è cosi, egli avrebbe
dovuto mettere in maggior rilievo il duplice fine a cui tendeva:
non solo dichiarandolo con più aperte parole, ma anche raggrup-
pando le due specie di citazioni in due serie distinte, sicché le
une non venissero a confondersi colle altre e non avessero l'aria
di arrogarsi tutte ad un modo il valore di « prove giustificatrici ».
Intanto, per effetto di questa infelice confusione, lo scritto del
Luiso non riesce cosi persuasivo come avrebbe potuto; e la di-
pendenza delle chiose volgari da un commento latino apparisce
quale una verità intuita piuttosto che dimostrata.
Spero che il mio buono e valente amico non si dorrà di queste
DELLA LETTERATURA ITALIANA 2Ì7
osservazioni. Mi auguro, anzi, che, quando egli avrà terminato di
pubblicare neW Archivio storico italiano questa sua serie di studj,
che promette fin d' ora di essere interessantissima, vorrà, racco-
gliendoli in volume, introdurre nel primo capitolo opportune
modificazioni e correzioni che valgano a dissipare ogni dubbio
e a rimuovere qualsiasi incertezza.
Ireneo Sanesi.
G. Caponi. — Vincenzo da Filicaja e le sue opere. — Prato, Già-
chetti, 1901 (pp. 430 in 16.°).
Il Filicaja (1642-1707) sorge in tempo malaugurato di cruenti
guerre dinastiche, di slealtà politiche, di dispotismo bacchettone
e crudele, di ignoranza e di miseria. Langue la scuola galilejana
nei suoi divulgatori, né ancora alla morente storiografia soccor-
rono la speculazione filosofica o la ricerca erudita; ancor piac-
ciono al poeta eroico Goifredi, Tancredi e Rinaldi combattenti
con serietà e pudicizia guerre di fantocci, ed il lirico, che sente
sfuggirsi l'ispirazione, rinforza toni e colori, come schermitore
malsicuro che voglia confondere l'avversario con urli e minacele:
vanamente piagnucola o morde il moralista, il satirico. E popolo
e corti troppo spesso tornano dalle prediche pasciuti di vento,
o ai turpi lazzi dell'ormai cadente Commedia dell'Arte plaudono,
ignobilmente indulgendo alle riposte passioni.
Era tempo, che da alcuno si studiasse quanto il Filicaja, di
cui le diverse età han dato così diversi giudi zj, abbia concesso
alle tendenze, ai criterj, ai sentimenti del suo tempo: il C. si è
accinto all' opera con molto amore e con grande studio l' ha
terminata. I risultati, non ostante i gravi difetti di metodo rico-
nosciuti dall'A. con rara modestia, non sarà alcuno che, nel com-
plesso, non voglia accettare. Certo, se fossero state tolte le molte,
le troppe digressioni di incomparabile ingenuità, se l'analisi fosse
stata condotta con quella sobrietà che al critico, e non solamente
al critico, è necessaria, ^ e se, sopratutto, la forma fosse stata pili
corretta,* l'opera se ne sarebbe assai avvantaggiata. Tuttavia,
1 Era conveniente dedicare ben tredici pagine di fittissima stampa a raffronti di fiasi
e parole tra il Filicaja e il Petrarca per concludere poi che il secentista non fu imitatore
del poeta antico?
2 Lo stile ora involuto e contorto, ora languido e sciatto, non rende davvero piacevole
la lettura. Improprietà e frasi poi del genere di quelle, che tra le molte scelgo ad es., come
approvare in chi deve necessariamente tarsi giudice dell'altrui buon gusto e correttezza?
"arrivare a questo deperimento della sua fama, (p. 15); "il poeta ebbe ad introdurre nella
propria arte... non poche cose che egli derivava ecc.„ (p. 37; cfr. p. 128^ ; "il sentimento
nudo e crudo (sic) non basta né al poeta né all'artista , (pp. 83 e 84); "due poesie cosi
vicine e per l'argomento e per la coinposizioue „ (p. 99); " il Filicaja . . . illustrò incoscientemente
218 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
pur COSI com'è, per l'abbondanza della materia raccolta e ordi-
nata con diligenza veramente ammirabile, rende possibile tale
sicurezza di giudizio, che nel passato mancava.
Il Filicaja gode buona nominanza — e non a torto — per le
sue poesie politiche. Vero è, che i sonetti all'Italia né fremono
armi, né chieggon vendetta, ma, espressione di natura delicata e
femminea aborrente dal fragore delle armi e fiduciosa in Dio,
muovono con tristi querele su la misera destinata alla servitù o
alla morte: ad altri s'appartenne di risvegliare con più gagliardi
accenti gli smarriti spiriti degli Italiani. Ma la vittoria degli im-
periali sulle orde turchesche infiamma il poeta di ardor sacro;
pure non il valore polono trionfa nel verso rimbombante, ma la
forza della Fede ricacciante l'Eresia nell'Averno, ma la vittoria
di Cristo contro Maometto. E la Canzone per l'Assedio di Vienna,
bel contesto di classico ordito e di biblica trama, a malgrado di
ogni artificio o apostrofe o reticenza, sfiderà per molti anni an-
cora l'oblio che già copre quella a Leopoldo 1, inetto principe
gemente presso gli altari mentre i nemici battono in breccia le
mura della città, o quella a Giovanni Sobiesky, a cui l'onore della
vittoria è conteso dalle forze celesti combattenti in suo favore.
Un sentimento religioso intimo e ardente pervade la poesia
del Filicaja, e non è rara in lui la contemplazione mistica, la vi-
sione, l'estasi, onde qualche componimento minaccia conia terri-
bilità biblica e qualche altro carezza con la soavità francescana;
ma lo scrupolo, malattia del secolo, spesso l' affligge, e proponi-
menti e consigli informati a unzione religiosa, e panegirici di
santi e apologie di miracoli ce lo mostrano vincolato alle forme
esterne del culto, più che non si convenga ad un uomo di fede
illuminata e cosciente. Non ebbrezze di amanti, non sorrisi di na-
tura accoglie la Musa di lui, che fin neW Amore onesto intravede
pericoli e che, della Croce facendo sua Clio, non dagli uomini o
dal mondo attende felicità perfetta. L'amore della fama soltanto
— pallido raggio di classicità — si fa strada nell'animo suo pur
fra le ascetiche contemplazioni. E grati siamo al C, che ci svela
questo nuovo aspetto del poeta, pubblicando il Prometeo, tra i
[l'Arcadia] , (p. 22G); "Leggendo questa critica e questa difesa si prova tanto stupore, cbe
non fa (sic) uessuu ettetto le conclusioni a cui arrivano e il criticante e il difensore , (p. 260);
* quello [sonetto] che ho citato per il primo pecca di incoiilinenzaiU) nelle ripetizioni ecc. „
(p. 272); a p. 279, ad evitare i fronzoli esoinativi, vorrebbe che il Filicaja ci "avesse dato
dei sonetti o senza ìtna quuitina o senza una terzina, o in qualche altra maniera monchi . . . ,;
a p. 280, l'a. lamenta in persona del Filicaja, cbe nella poesia di lui si possa trovare....
"ben misero V armamentario rappresentativo (V.); "Cristo nell'orto e toio presso alla morte,
(p, 283); 'n Filicaja ò pieno di reminiscenze di se stesso,, (p. 302); altrove è scritto: "può
essere che tutto questo ed anche altro, ohe lo non conosca, abbia esercitato un'azione
cumulatica sul Filicaja „ (p328); ecc. ecc.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 219
migliori componimenti filicajani, se ben lontano dal concetto e
dalla grandezza eschilea.
Mala classica plasticità delle immagini, onde ancora s' abbella
la poesia del Testi, manca a quella del Filicaja. Nella quale, il dis-
sidio tra forma e pensiero, principio e fonte di decadenza, pili grave
forse si rivela che in quella dei contemperanei. Le Muse intrec-
cianti ancora vaghe danze sotto il pennello di Giulio Romano,
fatte cristiane, si battono il petto e ostentatamente piangono col
Filicaja i proprj peccati; cosi un giorno il Pantheon significò
goffamente coi suoi campanili la conversione all^ nuova fede. Ma
la libertà di plagio, tutta cinquecentistica, piace anche ai poeti
del secolo XVII, e l'Alighieri, il Petrarca e il Tasso sono sac-
cheggiati a man salva dal poeta fiorentino, che al Marino, al-
l'Achillini ed al Preti s' ispira nelle sue arguzie ed antitesi. Pure
la maestria del verseggiatore i ritmi antichi bellamente accorda
coi nuovi, e tale onda d'armonia ne trae, che spesso anche il critico
più guardingo, appagato e sedotto, condona ridondanze e artificj.
Guido Manacorda.
J. GiLLiKRON et E. Edmont. — Atlas linguistique de la France ; l.*"^ fase. —
Paris, H. Champion, 1902.
L'oggetto di questa pubblicazione è estraneo agli sludj di cui questa ri-
vista va seguendo il movimento; ma, per la consuela sua larghezza di ve-
dute, il prof. D'Ancona ha voluto ch'io ne parlassi in questa Rassegna, nella
speranza che giovani italiani vengano stimolati a darci un' opera di pari
utilità anche per i nostri parlari. Indicherò dunque la natura e il disegno
deìV Atlas, e dirò poi quale sarebbe il sistema da preferirsi per un'opera
analoga sui dialetti italiani.
La dialettologia di una nazione ha due intendimenti: uno storico, l'altro de^
scrittivo. La dialettologia storica studia di rifare a ritroso l'evoluzione dei sin-
goli dialetti, dall'età dei più antichi documenti, o da quelle condizioni primitive
che con la storia comparala di idiomi affini si possano ricostruire, fino al
momento attuale. La meta ideale della dialettologia descrittiva è di offrire
una informazione esatta e compiuta del patrimonio lessicale, una notazione
precisa delle condizioni fonetiche, prosodiche, accentuative, una descrizione
morfologica e sintattica di tutti i dialetti e sottodialetti di una nazione. In
tal modo, da una parte devono risultar determinati i gruppi principali e i
sottogruppi, in tutta la loro estensione, e nello stesso tempo le minime va-
rietà locali, e dall'altra parte deve risultare ben distinto quel che sia comune
a tutto il paese, a pili regioni, e quel che sia propriamente regionale, distret-
tuale 0 locale, nel lessico, nella fonetica, nella prosodia, nell'accento, nella
morfologia e nella sintassi.
Un lavoro di questa che ho chiamato dialettologia descrittiva è l'opera
insigne dei signori Gilliéroo ed Edmont, di cui oggi ci occupiamo.
220 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Da quella che ho indicalo come la mela ideale di questi studj è il loro
Alias, come si può facilmente sospettare, di gran tratto discosto. La Francia
sola conta 37,000 comuni, il sig. Edmont ne ha esplorati (chi potrebbe dire
" soli , ?) 639, e, pur questo si può sospettare, la sua indagine dovette re-
stringersi ad un numero limitato di parole e frasi.
La prima parte del compito prefìssosi dagli Autori consisteva nel notare
gli equivalenti dialettali delle forme di un quistionario in un certo numero
di punti, distanti presso che ugualmente gli uni dagli altri, di tutti i dipar-
timenti romanzi della Francia e delle regioni francesi appartenenti ad altre
unità politiche.
Questo gravissimo compito fu assunto dal sig. Edmont; il quale andò pere-
grinando per più di quattr'anni nel dominio linguistico francese, correggendo
l'itinerario anticipatamente stabilito, secondochè l'esperienza lo consigliava.
Il quistionario, pure preventivamente stabilito, conteneva : 1.°, parole
lessicali, o scelte nel repertorio popolare e particolarmente adatte a stabilire
le leggi fonetiche dei parlari, o scelte nel repertorio letterario per mettere
in luce da una parte il grado di vitalità dei singoli dialetti e dall'altra la
misura dell' invasione del linguaggio parigino nelle provincie ; 2."», parole
di tipo popolare che si sapeva aver equivalenti lessicali diversi in diversi
territori; finalmente, frasi semplicissime, atte a dare un'informazione sulle
forme flessionali del verbo, sulla diffusione di certi schemi sintattici e sulla
fonetica di proposizione.
I signori Gilléron e Edmont hanno ben diritto alla riconoscenza degli
studiosi. L' opera loro, infatti, offre alla scienza gran copia di materiali nuovi,
riproduzioni graficamente esatte di materiali vecchi e informazioni assai più
esatte di quanto non si avessero sulla estensione di molti fenomeni fonetici
e sull'uso delle voci e frasi del quistionario.
Compiuta questa esplorazione, i chiari Autori posero mano al loro ardito
e faticosissimo disegno di trasportare su tante carte geografiche le rispon-
denze dialettali alle singole glosse del quistionario. Un tal disegno, anche
se, come dovrò dire, io lo avrei voluto eseguito in altro modo, non si sa-
prebbe abbastanza lodarlo : solo ad un profano potrebbe una tale idea parere
una stranezza; ma probabilmente nessuno vi sarà fra quanti hanno rivolta
la loro attenzione a studj dialettali che non abbia nel suo cassetto qualche
abbozzo analogo fatto per proprio uso e consumo; la carta è per il dialet-
tologo quel che la figura per chi s'occupa di problemi geometrici; inquan-
ioché la carta ci permette di fissare nella memoria nettamente e tenacemente
l'estensione geografica dei fenomeni dialettali.
II primo fascicolo, che solo ho sotto gli occhi, deWAtlas consta di 44
carte. La prima contiene i nomi francesi delle località; accanto al nome di
luogo è indicata in parentesi la cifra degli abitanti; un'altra cifra, scritta in
nero sopra o sotto il nome di luogo, indica l'ordine progressivo delle esplo-
razioni fatte; la seconda carta contiene i medesimi nomi locali nella forma
dialettale; la terza, interessantissima, ci offre la forma dialettale degli appel-
lativi degli abitanti; dalla quarta in poi troviamo le risposte dialettali alle
voci e frasi del quistionario (per esempio ad aheille, à V abri, acier, il s'a-
genottilleraient, moije ne Ics aide pas, aller chercher,je vais, tu vas, où vas-tu,
DELLA LETTERATURA ITALIANA 221
va, nous allons, toi tu iras, que f aille, allez, soni aUés). II nome del luogo
non ricorre se non nella prima carta; nelle carte successive, all'indicazione
del nome locale son sostituite le cifre d'ordine dell'esplorazione. Non si veda
in ciò solo una semplificazione del lavoro tipo-litografico; è questo un abi-
lissimo mezzo per render a colpo d'occhio perspicui nella terza carta la
estensione geografica dei particolari suffissi formativi nei nomi degli a-
bitanti, nelle successive carte l'estensione geografica dei singoli fenomeni
fonetici e delle parole o frasi; solo nella seconda carta, che contiene i nomi
dialettali dei luoghi corrispondenti ai nomi locali in francese letterario, questo
sistema era inutile, ed è anzi incomodo.
A N. 0., in margine, ciascuna carta porta la segnatura delle voci o forme
di cui si è domandato l'equivalente dialettale. Nelle parole, che possono a-
vere più d' un' accezione, alla glossa marginale in caratteri neri va aggiunta
fra parentesi l'indicazione complementare del significato, ad es. : aiguillon
[de guépe). Per indicazioni su altri punti, come sulla separazione dei nessi
sintattici, sul valore dell' interpunzione tra forme di un sistema morfologico,
come in ahcille, abeilles-ayneau, agneaux, agnelle, sui criteri dell'accentua-
zione ecc., rimando per brevità all'opuscolo Notice servant à l'intelli-
gence des Gartes.
Ho dato cosi un'idea sommaria, ma spero abbastanza chiara, sulla natara
e la composizione di questo Atlas linguistique de la France. Ho detto an-
che del suo valore e della sua utilità; se qui sotto io dovrò muovere qualche
appunto al suo organismo, anticipo la dichiarazione che non intendo per ciò
di diminuire la considerazione, che a quest'opera colossale è dovuta dalla
critica.
Passo ora ad esprimere il mio avviso intorno al modo come dovrebbe
essere organizzata un'opera analoga sui dialetti italiani. Questa per più ra-
gioni non dovrebbe essere una pedissequa imitazione dell'opera francese.
Stabilito preventivamente sui materiali già noti il programma della ricerca
in un quistionario simile a quello degli Autori francesi, e raccolti sui luoghi
i materiali opportuni, questi andrebbero prima pubblicati in un libro ad
illustrazione sistematica dei singoli quesiti fonetici, morfologici, sintattici,
secondo l'ordine in cui si presentano nelle trattazioni grammaticali. A questo
libro dovrebbe poi essere aggiunto come appendice 1' Atlante.
Le ragioni di questo diverso ordinamento sono ovvie. Il lettore avrà
veduto dalla mia recensione, che ad opera compiuta noi avremo neW Atlas
l. d. l. Fi\ un piccolo lessico vero e proprio, esposto su carte geografiche ed
ordinato in ordine alfabetico. Ora non si riesce quasi a persuadersi del
perché, dopo aver durata l'immane fatica che ho descritto, i due chiari
Uomini si siano appagati della modesta soddisfazione di offrire agli studiosi
dei materiali grezzi, sopratutto quando si pensi che sarebbe bastato loro
di seguire nella pubblicazione l'ordine preventivamente stabilito nel questio-
nario. Si opporrà facilmente, che una stessa parola può servire ad illustrare
da per sé più paragrafi di fonetica ed insieme uno di morfologia o di sin-
tassi; ma appunto per questo era opportuno di fare dell'Atlante l'appendice
d'un libro sistematico, dai singoli paragrafi del quale si rimandasse ad una
o più d'una delle carte. Si noti ancora, che le carte misurano 54X64 era.;
222 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
si pensi che i romanisti e specialmente gli studiosi di dialettologia avian
da ricorrere ad esse quasi continuamente per attingere o verificare nozioni
attinenti a singoli problemi, e si capirà che per tale ufficio è comodissimo
il libro, e che un Atante delle belle dimensioni dette finisce coli' essere molto
incomodo. Né si obbietti, che 1' Atlante, che io vorrei l'appendice di un libro,
riuscirebbe un duplicato del libro stesso; l'Atlante, come ho detto, servirebbe
sempre ad offrire una facile e comoda visione dell'insieme.
Io reputerei inoltre necessario, che nella esplorazione dialettale del nostro
paese si tenesse anche conto delle cause etnologiche, storiche e geografiche,
onde ebbero origine, prima, le differenzifizioni, poi, i livellamenti dialettali.
Supposto che occorra per taluno esser più chiaro, dirò, seguendo l'Ascoli,
che le peculiarità fonetiche, onde si differenziano i varj dialetti di un tipo
linguistico unico, s' hanno ad attribuire alla cosidetta reazione etnica, cioè al
particolar modo, onde l'organo vocale di un popolo o d' una tribii riprodusse
foneticamente la lingua impostagli. Ma i varj coloramenti iniziali sogliono
andar sbiadendo ed acquistando una tinta uniforme su vasta scala. Condi-
zione perché ciò s' avveri è la frequenza dei commerci ; e questa frequenza
è determinata dalle condizioni fisiche e politiche di una regione; e due ag-
gregati politici limittofi sogliono anche esercitare ciascuno per suo conto
una attrazione centripeta, pur se le condizioni naturali del paese sian siffatte
da avviare i commerci per altre vie. Noi conosciamo un po' all' ingrosso l'ef-
ficacia linguistica assimilatrice che esercitarono, in proporzioni assai più
grandi che non la lingua letteraria, i dialetti parlati nelle capitali degli sta-
lerelli, nei quali la nostra Italia fu divisa, sulle parlate dei territori a quegli
stati pertinenti.
Di tutte queste cause geografiche e politiche e degli effetti loro andrebbe
tenuto esatto conto e nota nella esplorazione e poi fatta relazione nel libro
e nell'Atlante. Certo non sarebbe facile fissare tutte queste condizioni su
carte; ma mani esperte, come ad es. quelle del Pullè, che nell'Atlante an-
nesso al suo Profilo Antropologico dell' Italia ci ha dato mirabili saggi di
evidenza cartografica, potrebbero vincere le difficoltà. Anche, i limiti geogra-
fici esatti - tanto interessanti per noi - dei singoli fenomeni potrebbero es-
sére descritti su cartine oro-idrografiche minori, intercalate magari nel libro.
In ogni modo però, la redazione preventiva del quistionario - e sarebbe
una fortuna che essa potesse eventualmente esser fatta sotto la direzione
dell'Ascoli - non potrebbe essere indipendente dal quistionario francese; ciò
sopralutto per riguardo alla parte lessicale. Assai spesso in questo la Francia
meridionale si discosta dalla settentrionale e si avvicina al tipo italiano;
sarebbe bene far risaltare quelle identità; e tanto meglio se si potessero porre
in rilievo anche le differenze tra i due territori; con ciò si verrebbe anche
a dar precisa materia per un capitolo sulla fortuna del latino volgare.
L' esecuzione del piano da me tracciato richiederebbe certo ancora mag-
gior tempo e fatica che non abbia richiesto l'opera egregia dei Francesi;
tuttavia si pensi che l' Edmont fu solo ad eseguire le esplorazioni sul ter-
ritorio francese, e che una doppia, tripla mole di lavoro si otterrebbe, se
gli esploratori fossero due o tre.
Del resto, il meglio è nemico del bene, dice il proverbio; e formulo il
DELLA LETTERATURA ITALIANA 223
voto che, comunque, questo lavoro dialettale per l'Italia si faccia. Si faccia
almeno, perché è indispensabile, il libro, con le cartine intercalate che ho
detto; fissate precisamente le condizioni attuali, la redazione dell'Atlante,
come d'un' opera di lusso e solo sussidiaria, potrà essere rimessa all'avve-
nire. A vincere lo sgomento della immane fatica, pensino coloro i quali
vagheggiassero un tal disegno che legherebbero il loro nome ad un'opera
imperitura. E al voto che l'opera si faccia, aggiungo anche il voto che si
faccia presto. L'azione livellatrice dei capoluoghi sui dialetti di provincia
perdura perenne, e più grave di prima, per l'unità politica, diviene l'azione
analoga della lingua letteraria. Ad ogni lustro che passa, per i facilitati
commerci, un sempre più vigoroso colpo è inferto da quegli inesorabili e
sempre più forti eredi sul corpo stremato delle variopinte parlate italiane,
viva e cara reliquia dei tempi che furono.
P. G. GoiDANICH.
Francesco Mokoncini. — Lesioni storiche di letteratura italiana de-
sunte dalle opere di Francesco De Sanctis e adattate ad uso delle
scuole secondarie. — Voi. 1, Napoli, Morano, 1902 (pp. XII-518).
PoLicAUPO Petrocchi, — La lingua e la storia letteraria d^ Italia
dalle origini fino a Dante. — Roma, Loescher, 1903 (pp. 304).
Quando si ha per le mani alcun libro simile a questi che sono
per esaminare, si corre subito con la mente a quell'ideale di storia
letteraria, che ogni onesto insegnante delle scuole secondarie
viene vagheggiando via via, senza pur mai tentare di attuarlo,
incerto ad ora ad ora tra le esigenze degli studiosi incontentabili,
per cui anche tutto non è mai troppo, e le voglie degli studenti,
facilissimi a contentare, per cui anche il poco è sempre troppo.
E l'ideale storia, per i licei o per altro simile istituto o anche
per le persone di media cultura, si fa presto a tratteggiarla. Uno
sfondo storico, civile religioso sociale; una cornice artistica, scien-
tifica; una fila, parecchie file, di piccole figure, un po' velate dalla
lontananza o dalla nebbia grigia a pena a fior di terra; gul
davanti, con forte rilievo prospettico, poche figure gigantesche:
e il quadro è beli' e disegnato. Ma siccome bisogna scrivere, com-
porre, ecco che i fatti ed i concetti, generali e particolari, si serrano
tra loro con i legami logici della possibile causalità, ecco che si ri-
connettono alla creazione de' capolavori ; e questi, sopratutto que-
sti, si analizzano nell'intima contenenza, nella forma artistica che
finalmente hanno preso. E tutto va esposto con lucidità, con fa-
cilità; ed ogni piìi astrusa idea va ridotta ad espressione concreta
intelligibile a' più; e la mole de' fatti e de'giudizj va ristretta in
breve rapido discorso. Che l'alunno non ha, non può avere, il
224 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
tempo di studiarsi il testo di storia, come quello d' un classico, né
possiede la capacità di stillare dal testo il succo, di trarne le po-
che formole entro cui costringere le notizie, i giudizj necessari
alla sua cultura. E la breve storia, d'altro lato, deVe essa fornire
all'insegnante come lo spunto per la illustrazione opportuna, non
già imporgli la triplice fatica della spiegazione, della eliminazione,
del riassunto. 11 migliore e il maggior tempo della scuola dev'es-
sere consacrato alla lettura de' classici.
A tutto questo, ripeto, si pensa, quando si hanno per le mani
libri come questo; e la comparazione tra l'imagine vagheggiata e
la realtà stampata riesce, naturalmente, a svantaggio dell' ultima.
Non farà quindi meraviglia se io, giudicando modestamente da
insegnante liceale, affermo che né l'una né l'altra di queste re-
centi storie letterarie risponde a' fini scolastici.
Si può imaginare, per il solo primo corso, un libro di testo
di 431 pagine? ed un altro che, in 300 pagine arriva a mala pena
all'esilio di Dante, allo spuntare del secolo XIV?
*
* *
Al valente prof. Francesco Moronciniè parso opportuno formare
un testo di storia letteraria, ponendole a fondamento il pensiero e il
giudizio di Francesco De Sanctis, integrandola coi risultati della
critica storica e filologica ultima nelle parti o neglette o errate
dallo scrittore meridionale. E ne ha tratto fuori un libro, di cui
un quarto, o poco meno, riguarda le origini etniche e glottolo-
giche dell'Italia moderna, la letteratura medievale latina, proven-
zale, francese, gli scrittori delle origini e i minori e mediocri del
Trecento ; i tre quarti rimanenti, si può dire, son consacrati a' tre
grandi.
L'evidente sproporzione per sé sola non guasterebbe, se le file
schierate delle piccole figure non fossero come svanite all' oriz-
zonte, se non ne fosse risultata una quasi totale mancanza di sfondo
storico. Noi vediamo i tre grandi giganteggiare come in una
campagna rasa per guerra; poche erbacce resistenti vi spuntano
qua e là. Tutto il fervore di vita politica, di vita scolastica, di
vita artistica, che ribolle in que' primi secoli, che all'occhio non
svigorito da miopia sembra aver dato a'genj motivo, incentivo,
educazione, materia, appare qui sedato, o per scarsi accenni s'in-
dovina a mala pena. La diversità de' tempi, causa efficiente non
de'genj, ma del loro diverso pensare e atteggiarsi, se talvolta
sembi'a indicata o anche tratteggiata, non è però svolta né il-
lustrata come pur si dovrebbe.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 225
Questo difetto altri potrebbe attribuire al De Sanctis, non al
Moroncini. Ma è ben male (o mi sbaglio forse ?) aver voluto in-
tegrare il De Sanctis; la cui opera (intendo specialmente la Storia
Letteraria) è concezione critica a sé, opera d'arte vera e propria
di quell'ingegno singolare. Né mi sembra lecito rimaneggiarla,
come si farebbe di un libro qualunque d' erudizione pura e sem-
plice, tanto che le parti originali vadano confuse con quelle ag-
giunte : né mi sembra cosa molto riverente verso il De Sanctis
riprodurne passi interi, con periodi tagliati via ovvero corretti
0 rifatti nella lingua e nella sintassi. Confronti, chi voglia for-
marsene un'idea, il § 35 della lezione XII, epilogo al discorso su
Dante, con la corrispondente chiusa del cap. Vili della Storia.
Anche l'ordinamento, l'aggruppamento de' fatti letterarj la-
scia molto a desiderare.
10 voglio pur riconoscere che a porre Dante, come il frutto
ultimo della vita letteraria del Comune italiano, e di tutto il primo
Trecento il Petrarca e il Boccaccio, l'autore dev'essere stato
mosso da un concetto più tosto artistico che storico di conipo-
sizione. I veri frutti furono dati da essi. Ma chi è avvezzo, e non
credo male avvezzo, insegnando, ad unire in armonia, per quanto
sia possibile, l'ordine cronologico e l'ordine logico; si deve sen-
tire a disagio di fronte a Gino, a' Villani, al Passavanti, a Cate-
rina da Siena, collocati tutti prima di Dante. E l'amore alla cate-
goria degli imitatori non fa si che di Cecco d'Ascoli si discorra
dopo il Boccaccio e il Petrarca?
11 Morondni ordina la materia che riguarda i tre grandi con
questo sistema: ne narra prima la vita, ne rappresenta in breve il
carattere; poiclassifica, espone, giudica le opere minori; in fine, pro-
cede all' analisi del capolavoro. Confesso che il sistema conferisce
alla chiarezza, facilita l'apprendimento: ma esso deve riuscire per Io
meno discutibile a chi, avendo presente il metodo del Gaspary,
seguito poi largamente e con frutto, mal si appaga di questa -
specie di stacco profondo tra la vita e le opere dello scrittore.
La parte aggiunta dal Moroncini dimostra senza dubbio sicura
informazione del materiale storico accumulato dagli ultimi studj;
e si adorna di un bel pregio, non comune; l'esposizione, cioè, ne
riesce lucida e ordinata. Ricordo, a prova, i cinque capitoli del-
l'Introduzione e il capitoletto sul petrarchismo. Ma, dove egli
riprende dal De Sanctis, gli avviene qua e là di riuscire impreciso
o avventato; si affida troppo, mi sembra, all'affermazione, al giu-
dizio estetico di lui, senza aggiungere, dove pur si potrebbe e si
dovrebbe, il proprio grano di sale.
Di Guido Guinizelli, ad esempio, egli non dice chiaro se fu poeta
226 RASSEGNA BIRI.IOORAFICA
o no, e in quali rime; di Gino da Pistoja afferma che « crea una
scolastica poetica, una retorica ad uso dell' amore. .. dove vedi
comparire gli spiritelli d'amore», preesistenti, come ognun sa, in
tutta la lirica del dolce stil novo.
Il Sacchetti è conciato con questo reciso giudizio: «egli non
« è artista, né pur d' intenzione ». Certi ambasciatori del Casen-
tino delle novelle e certe « creature d' amor » delle ballate pro-
testerebbero, a dir vero. Altrove la soverchia riverenza per il De
Sanctis gli fa dir troppo male della canzone « Spirto gentil », una
delle pili gravi e appassionate poesie per il Muratori, il Voltaire e il
Carducci. Per la stessa ragione non mi pare bene inteso il passaggio
logico (e quindi la sua ragion d'essere) alla stanza VII della
canzone « Italia mia ». La stanza riesce tutt' altro che fredda e
fuor di posto a chi consideri come l'argomento più grave, più
commovente, per i signori di quell'età, doveva esser proprio il
pericolo di perdizione che l'anima loro correva, qualora essi per-
durassero nelle fatali discordie. Anche un poeta moderno collo-
cherebbe da ultimo, se non altro, il pensiero della vita breve,
della morte vicina, come freno a tutti gli orgogli umani.
Conchiudendo: noi ci saremmo aspettati che la ricca corrente
di pensiero critico proprio al De Sanctis, immessa nella corrente
copiosa delle notizie e de' giudizj storici, ultimamente acquisiti,
avesse dato luogo a fiume nuovo. In quest'opera, al contrario, i
rivi delle due correnti sono come sviati e irretiti tra loro: le acque
non mi sembrano rimescolate e fuse.
L' utilità reale, che io credo si possa trarre dalla lettura di
questo libro, consiste nella conoscenza piena de' tre capolavori tre-
centistici, che si acquista dall'analisi rifatta, di «u tutta l'opera
del De Sanctis, e disposta con lucido ordine, con opportuna par-
tizione. ^
* *
Ad una simile, non uguale, conclusione ci porta anche l'esa-
me del libro del Petrocchi; a consigliarlo cioè come buona let-
tura, ma per diversa ragione.
Il filologo toscano, alla cui erudizione, alla cui acutezza inge-
gnosa toglieva di serenità e di pregio certa subiettività passio-
nata, prima che morte immatura, improvvisa lo cogliesse, aveva
apparecchiato ricchissimi materiali per una nuova Storia lette-
raria dell'Italia, da lui vagheggiata, cosi per ogni genere di per-
1 In fondo al volume son riprodotti per intero i quattro saggi danteschi dej pe Sanctis
sa la Francesca, sul Farinata, su Pier delle Vigne, sul Conte Ugolino.
I
DELLA LETTERATURA ITALIANA 227
sone colte, come per gli alunni delle scuole secondarie. Tanto ci
assicura l'ottimo prof. Mario Menghini nelle due belle affettuose
pagine, con cui chiude l'opera interrotta in sul IX capitolo della
parte consacrata al Duecento, cui precede in quattro capitoli una
Introduzione su le origini delle lingue e letterature neo-latine,
sulla coltura del Medio Evo e su la letteratura medievale ante-
riore alla nostra. L'opera si arresta, l'ho detto già, all'esilio di
Dante; cosi che noi non possiamo misurare tutto il valore del
Petrocchi, come potremmo, se egli si fosse cimentato con una
almeno delle tre corone, con uno almeno de' capolavori.
Anche dell'epoca trattata ci mancala piena rappresentazione;
poiché nulla si dice della prosa nel periodo delle origini; ed è
materia difficile e degna d' essere studiata novamente. A questa
lacuna si aggiunge un'altra, per naturai conseguenza. Come il
Petrocchi non c'informò degli influssi che sul sorgere della prosa
d'arte volgare potettero avere le scuole di grammatica annesse
alle scuole di notarla, e delle epistole, de' parlamenti, delle dicerie
in volgare non curò l'esame; così non mise nel debito rilievo quanta
parte ebbe su la prosa e su la poesia nostra la scuola di retorica
latina, tutta nazionale e già a poco a poco maturantesi classica.
Ma, pure cosi com'è rimasta, quest'opera ci lascia il desiderio
di quella parte che la morte impedì fosse compiuta. Né il desi-
derio intiepidirà per altri difetti generali o particolari. La storia
della trasformazione del latino ne' volgari romanzi cede senza
dubbio per limpidezza e profondità a quella rapidamente trat-
teggiata dal Rajna. Nell'ordinamento della materia, Gino da Pi-
stoia (e forse anche Francesco da Barberino) mi sembra mal col-
locato prima di Dante, e pur male dopo Jacopone i primi versi-
ficatori in dialetto lombardo. Questa specie di precedenza che
la Lombardia si acquista nella produzione volgare non è per nulla
notata e spiegata. Né so qual necessità logica di causalità o qual
intimo rapporto interceda tra la dottrina filosofica del dolce stil
novo e « l' energia materiale accumulata » che « si cangia in
« energia fisica e intellettuale, in energia ideale e va presto alla
« meta » (p. 241). Nella composizione dell'opera urta la mancata
fusione di molte notizie storiche cosi della vita e delle opere degli
scrittori, come di altri fatti e problemi, con la narrazione e rap-
presentazione generale. Onde l'autore, per non venir meno agli
obblighi suoi verso la scuola, dovette confinare parecchio in mol-
tissime e lunghissime note.
Con tutto questo, ripeto, noi desidereremmo l' opera intera.
Gli è che, contro tutto questo, sta un quid novi nella conce-
zione e nella esecuzione. Lo sfondo storico riesce qui dipinto con
228 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
ricchezza e con fedeltà. La nai'razione de' fatti politici, la rappre-
sentazione della vita civile e religiosa del tempo, e con intendi-
menti e interpretazioni tutte moderne, hanno preoccupato l'autore
assai più che non si suole, E come in un tale ambiente sorga una
letteratura grande e viva ben s'intende, o, per dir meglio, s'intui-
sce: che difficilmente si arriverà mai a scoprire, a dimostrare,
la necessità dell' intima connessione.
A questo si vuole aggiungere il diletto che proviene dalla chia-
rezza analitica, dalla vivacità spigliata, dalla facilità, dal correr
via dell'espressione, che sembra alla portata di tutti.
Il libro si fa leggere; merito non piccolo, qualità non poco
attraente. ^ Giuseppe Listo.
Antonio Belloni. — Frammenti di critica letteraria. — Milano, Albrighi,
Segati e G. editori, 1903 (16.°, pp. XlII-268).
Questo volume, a cui l'A. nella sua modestia ha dato un titolo molto in-
feriore alla importanza del contenuto, si compone di dieci studj, tre dei quali
per la prima volta compaiono dinanzi ai lettori e gli altri furon già pubbli-
cati, ma ora si presentano o con aggiunte e modificazioni o completamente
rifusi. Noi li esamineremo partitamente, cominciando da quelli nuovi.
Nel primo di essi [Di alcune indicazioni cronologiche in Dante e nel Mus-
sato, ^tp. Z-li) VA. mostra di credere che l'anno della Visione dantesca sia
il 1300, quantunque da Purg. XXIII, 76-78 sembri trattarsi del 1301. Con-
corda quindi col D'Ovidio {Studj sulla D. C, p. 547) nella tesi sostenuta, ma
si stacca da lui nella scelta degli argomenti, non piacendogli ad es. l'ipotesi,
a dir vero un po' audace, che il cinqii' anni di Dante sia o un errore dei
copisti invece di un 4 in cifra, o uno sbaglio di calcolo del poeta. Il B. in-
vece pensa che Dante, anziché calcolare il tempo realmente trascorso, abbia,
badato alle 5 cifre degli anni (129G morte di Forese, 1297, 1298, 1299, 1300
anno della Visione). Per dimostrar la sua tesi, il B. fa vedere che tale ma-
niera di computo fu seguita anche da un contemporaneo di Dante, Albertino
Mussato, là ove parla della ribellione di Padova agli Ezzeliniani. E anche in
quel passo (nota il B.) ci fu chi volle vedere uno sbaglio degli amanuensi.
Applicando lo stesso criterio all' elegia De die natali del Mussato, il B. ne
cava una novella prova che il poeta padovano nacque nel 1262, come il
Gloria aveva sostenuto anni sono in una nota polemica. E se (com'è pro-
babile) prima o poi si finirà per tener autentica la Quaestio de aqua et
terra, allora, certi che Dante, come tutti gli uomini del M. E., pose la morte
di Cristo nel 35, per far concordare il mille dugento con sessantasei di Ma-
1 La stampa del libro, nella maggior parte, fu curata con diligenza dal prof. Mario
Menghini, a cui parve cosi' • di rendere un tributo di affetto alla memoria del compianto
amico, che molto ripromettevasi da questo suo lavoro >,
DELLA LETTERATURA ITALIANA 229
lacoda e il 1300 anno della Visione, non resterà che ricorrere al criterio
(li calcolo fin qui rilevato, ossia al calcolo materiale delle cifre, non degli
anni compiuti. *
Il secondo dì questi nuovi studj {G. B. Marino e Giovanni Everaerts,
pp. 225-38) è un importante contributo alla conoscenza del corifeo del '600.
Il B. infatti, confrontando le poesie del Marino con quelle del poeta belga
Giovanni Everaerts (comunemente detto Giovanni Secondo, 1311-36), nota, tra
queste e quelle, frequenti e rilevantissime analogie, sicché egli pensa ragio-
nevolmente che r Everaerts fosse uno dei tanti poeti saccheggiati dal poeta
Napolitano, il quale delle proprie scorrerie nelle altrui raccolte di versi non
fece mai un mistero.
11 terzo scritto {Sul soggetto della Ricciarda di U. Foscolo, pp. 241-58),
dopo aver riferito i giudizj di Pietro Odescalchi e del Garrer, i quali non
seppero indicar la fonte della tragedia foscoliana, e l'opinione del Mazzoni,
il quale vede solo una lontana parentela tra Ricciarda e la Giulietta dello
Shakespeare, dimostra che la tragedia deriva indubbiamente dalla nov. I
giorn. IV del Boccaccio. Giunto a questa interessante e del tutto nuova con-
clusione, il B. vorrebbe dimostrare che il Foscolo si valse anche della Fran-
cesca d' Arimino di Eduardo Fabbri, scritta prima, ma pubblicata dopo la
Ricciarda. Questa seconda ipotesi però è posta innanzi dubitosamente, e i
pochi riscontri a cui il B. accenna non bastano invero a persuadere del lutto
il lettore.
Diciamo ora qualche cosa degli scritti già noti, ma comparenti qui con
modificazioni ed aggiunte importanti.
I. 5m alcuni luoghi de' carmi latini di Giovanni del Virgilio e di Dante
(pp. 15-57). Fonde in uno i due suoi studj Sopra un passo dell' ecloga re-
sponsiva di Giovanni del Virgilio a Dante (Giorn. stor. d. leti, ital., XXll,
I L'ingegnosa dimostrazione non ci sembra per nulla infirmata da quanto ne dice
E. G. Pabodi, nel Bull. d. Soc. dant., N. S., X, 194. " E invece erano proprio vòlti ! „ esclama
11 Parodi. E nota: 1296-97-98-99-1300. Cinque anni, non v'è che dire. Ma, di p;razia, segna il
lettore qnesto ragionamento : È un fatto incontestabile che il ilussato calcolò come passaii
o tòlti 56 anni tra il SO gingilo 1256 e il SO giugno 1311, mentre in realtà non n'erano
passati che 55. Vuol dire adunque che il Mussato, nel calcolare gli anni p<igsati o vòlti,
comprese, insieme coi 55 anniversarj del 20 giugno 1256, anche questo stesso giorno. —
Secondo un tal metodo di computo si potrebbe dire che tra il 26 luglio 1296 (data della
morte di Forese Donati) e il 26 luglio 1300 (anniversario di quella morte) sono passati
cinque anni, mentre in realtà non ne sono passati che quattro. In altre parole si potreb-
bero dire passati o vòlti cinque anni, perché, comprendendo insieme con gli anniversarj
anche la data della morte, si ha cinque volte il 26 luglio:
I. [data della morte] 26 luglio 1296
II. [l.« anniversario] 26 luglio 1297
III. |2.» anniversario] 26 luglio 1298 /> — passati o rolli cinque anni
IV. 13." anniversario] 26 luglio 1299 1 secondo il metodo di com-
V. [i." anniversario] 26 luglio 1300 / putare del Mussato.
Ora, poiché il colloquio tra Forese e Dante nel e. XXIII del Piirg., si finge avvenuto
nella fine di mar^o e ai primi di aprite del 1300, cioè circa tre mesi prima del 26 luglio 1300,
anniversario della morte di Forese; se, nel giorno 26 luglio 1300, si potrebbero dire (se-
condo il modo di computare del Mussato) passati o tòlti cinque anni, nel marzo-aprile del
1300 si potran logicamente dire non passati, non ancora volli cinque anni. Qnesto francamente
il nostro pensiero, che ci duole discordi da quello dell'amato Maestro.
16
230 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
269 e sgg.) Intorno a due passi di un' ecloga di Dante {Arch. veneto, luglio-
sett. 1895), tenendo specialmente conto della recentissima edizione critica dei
sigg. Ph. H. Wieksteed ed E. G. Gardner Dante and G. del Virgilio (West-
minster, A. Gonstable, 1902), della quale il B. s'è occupato estesamente in
una recensione che venne inserita nel Giorn, storico (XLII, 181). Il B. ribatte
alcune osservazioni mossegli dai sigg. W. e G.. e torna a sostenere con forti
argomenti la lezione potabor in III, 88-89, mentre i due inglesi accettano la
lezione portabor data dal solo ms. Estense. La discussione intorno a questa
lezione è importante, perchè implica l'altra questione dei rapporti interce-
denti tra i varj mss. Si noti che il Parodi in una recensione del lavoro in-
glese (in Giorn. dantesco, X,òl sgg.) non accetta l'opinione dei critici in-
glesi, SI bene quella del B., la quale fu pure accolta dall'Albini in suo articolo
(v. Atene e Roma, IV, 35). Riproducendo la propria interpretazione dei primi
versi del carme II, già riconosciuta giusta dal Parodi, il B. la conforta d'un
nuovo riscontro con Lucano {Farsalia, IX, 528-30), e a proposito dei vv. 84-87
dello stesso carme, il B. dà una nuova interpretazione della tanto disputata
delfica deità del Paradiso, I, 31-34.
II. S all' episodio di Ciacco (pp. 61-83). Fonde insieme i due scritti Osser-
vazioni suW episodio di Ciacco in rapporto coli' episodio di Farinata (Padova,
Draghi, 1899) e Ciacco (in Biblioteca delle scuole italiane, agosto-settembre
1900). Con un' argomentazione molto sottile, ma che non può esser detta
sofìstica (ci duole che la defìcienza di spazio impedisca di riassumerla), so-
stiene che probabilmeute l'episodio di Ciacco nel e. VI àelV Inferno è una
inserzione posteriore. Ripubblicando i due articoli qui uniti, il B. ha aggiunto
parecchie nuove osservazioni. In complesso le dimostrazione di questa tesi
importante, se non persuade del tutto, fa pensare,
III. Sopra un luogo dell' episodio di Farinata (pp. 87-92), già pubblicato
in Rassegna mensile di lettere, di storia e d'arte, a. I, n. 3. Sostiene che il
regge {Inf. X, 82) non significa torni, ma regga, resista, tenga fronte [agli
assalti della sorte].
IV. Per la storia letteraria di Padova (pp. 95-129). Ripubblica due scritti,
l'uno Di due Scipioni Sanguinacci rimatori padovani de' secoli XV e XVI,
già inserito nella Rassegna Padovana, a. I, fase. 1, l'altro Di Antonio Ongaro,
notizia biografica, uscito nella Rassegna mensile citata, a. I, nn. 1-3. Il primo
dei due scritti ricompare quasi immutato, il secondo invece è ampliato no-
tevolmente ed arricchito anche di documenti dell'Archivio del Museo Pado-
vano.
V. Di due pretesi inspiratori del Tasso (pp. 133-164). La prima parte di
questo studio è essenzialmente polemica : in essa il B., ripubblicando il suo
scritto Della Siriade di Pier Angelio da Barga ne' suoi rapporti cronologici
con la Gernsahmme liberata (Padova, Draghi, 1895), combatte la conclusione
a cui giunse Vincenzo Vivaldi,' e rende la propria dimostrazione più salda
1 II Vivaldi sostenne la derivazione del Tasso dal Barg«o nel suo lavoro Sulle fonti
della Pfr. /i6. (Catanzaro, Calò, 1893), voi. I, p. 9, ribadi la propria opinione in La più (/rande
polemica del cinquecento (Catanzaro, Calò, 1895), p. 101 sgg., e in Varia (Catanzaro, Calò, 189C),
p. 153 sgg.; e finalmente nel pili recente studio La Qer, Uh. sltidiaia nelle sue fonti (Trani,
Vecchi, 1901), p. 20 sgg., mostra di continuare ancora a considerare la Siriade come una
(onte della Liberata.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 231
e compatta, condensandola e sfrondandola da molte digressioni superflue, che
lo sciilto aveva nella sua forma primiera. — Nella seconda parte il B. traccia
il ritratto morale di Giovan Mario Verdizzotti, bizzarro prete veneziauo che
si vantò d'aver inspirato al Tasso il Rinaldo. Egli sostiene la vanità di tale
vanto, e combatte il Proto, il quale recentemente s' industriò di dimostrare
che il Tasso poteva aver tratto l'inspirazione del Rinaldo dal l.** canto del-
V Aspromonte del Verdizzotti.* Il B. reca innanzi molte ragioni, specialmente
d'indole psicologica, per provare che il Verdizzotti non disse il vero, e cosi
facendo amplia notevolmente il suo studio Di un altro inspiratore del Tasso,
già comparso nel Giorn. stor. d. leti, ital., XXVIII, 176 sgg.
VI. Tesliana (pp. 167-221). Comprende, ma interamente rifatti, tre scritti:
Testi, Tassoni e Marino? {Propugnatore, N. S. voi. Il fase. 9), Gli amori di
Pantea (id. id. fase. 11-12), Di una poesia anonima del secolo XVII (id. voi.
IV, fase. 22-22), e si vale, oltracciò, di Un capitolo inedito di Fulvio Testi,
inserito dallo stesso B. in una Miscellanea per laurea (Padova, Gallina, 1801).
— Il poemetto comunemente noto sotto il titolo di Pianto d' Italia è, se-
condo il B., veramente del Testi. L'egregio critico, rifacendo il suo studio,
ha condotto la dimostrazione con altro metodo, appoggiandosi cioè con ar-
gomenti d'altro genere che non siano quelli dedotti da raffronti stilistici.
Risalgono a più di dieci anni fa gli scritti coi quali il B. sostenne contro il
Mango che il Pianto è opera del Testi; fa perciò meraviglia che il prof. F.
Bartoli, in un articolo del Fanfulla della Domenica uscito quasi contempo-
raneamente al libro del B. (26 luglio 1902), se la prenda col B. con molto
mal garbo, per certe osservazioni che quesii gli fece quando egli volle so-
stenere che le Filippiche sono del Testi, appoggiandosi anche sul fatto che
presentano delle somiglianze col Pianto. Il B. gli osservò, che vi sono, è vero,
le maggiori probabilità per credere che il Pianto sia del Testi, ma la cosa
non essendo sicura, non si può prender codesta ipotesi, per quaato proba-
bile, come caposaldo d'un' altra ipotesi. Or poi vediamo con meraviglia che
il Bartoli, pubblica senz' altro le Filippiche come opera del Testi nella Biblio-
teca Universale del Sonzogno ; e con dispiacere vediamo anche eh' egli vi
ripete nella prefazione gli attacchi al B.* — Nella seconda parte di questo
studio il B. dà notizia di due canti in ottava rima del Testi Gli amori di
Pantea, i quali sono pubblicati per la prima volta interi in appendice.
VII. Di una probabile fonte del " Consalvo , (pp. 261-68). La probabile
fonte del Consalvo leopardiano sarebbe un episodio del Conquisto di Gra-
nata di Girolamo Graziani. Questo studio fu già pubblicato nel Rinascimento
di Foggia, agosto-settembre 1895.
1 Questioni tassescìie, li. 0. M. Verdizzotti e il " Rinaldo „, in Rassegna critica d. leti, ita!.,
VI, p. 97.
2 Mentre correggo queste bozze vedo che il Belloni ha risposto argutamente al Bar-
toli nell'opuscolo Le Filippiche e la Pietra del Paragone. Verona, Franchini, 1903 (estr. dalla
Mixceìlanen nuziale Pellegrini-Buszi). In quest'opuscolo il B. osserva che, lasciandosi gnjdare
soltanto dal fallace criterio delle analogie stilistiche (unico criterio seguito dal Bartoli), si
potrebbe molto agevolmente dimostrare che le Filippiche sono del Boccalini, poiché tra le
Filippiche e l'opera bocc^liniana corrono molte somiglianze di pensiero e di frase.
232 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Riassumendo, i vaij studj di questo volume dimostrano una volta di più
quell'acuta diligenza che fa dell'autore del Seicento un dei nostri migliori
studiosi, e se non portano gran luce alla nostra storia letteraria, ne chiari-
scono qua e là alcuni punti, e spesso con ipolesi ardita (v. ad esempio i quattro
studj danteschi) aprono la via a discussioni ed interpretazioni nuove.
Dino Provenzal.
liime antiche senesi trovate da E. Molteni e illustrate da V. De
Bartholomaeis con Appendice. — Roma, presso la Società filo-
logica Romana, M. DCCCC. II (di pagg. 45 in 16.°).
La giovane Società filologica romana, in poco più di due anni
di vita ha felicemente intrapreso pubblicazioni notevolissime per
la storia della nostra antica letteratura, fra le quali una Miscel-
lanea di letteratura del medioevo di cui la prima puntata è un
mazzetto di Rime antiche senesi per cnra di Vincenzo De Bartho-
lomaeis. Il ritrovamento di queste rime è dovuto veramente a
Enrico Molteni, giovane romanista il quale, dopo aver dato un
saggio assai lusinghiero de' suoi studj e del suo ingegno, mori al-
cuni anni fa con vero danno della filologia romanza. 11 De Bar-
tholomaeis, esaminando recentemente le carte del Molteni, che con
provvido consiglio sono state depositate nella Biblioteca Ambro-
siana di Milano, e compilandone un inventario che ha pubblicato
in appendice al volumetto di cui discorriamo, trovò un frammento
di codice nella cui copertina si legge di mano del Molteni Foeti
antichi senesi raccolti da Celso Cittadini.
Di questi poeti senesi raccolti dal dotto Cittadini si conosce-
vano finora diverse copie, autografe in parte, ma tutte più o meno
incomplete: quattro nel cod. misceli. H. X. 2 della Comunale di
Siena, una nel cod. H. X. 47 della medesima biblioteca e un' altra
nel cod, XLV. 18 della Barberina di Roma. Ora a chi esamini il
frammento molteniano balza subito agli occhi, per la difi'erenza
della scrittura dovuta a momenti diversi, sebbene in tutto il
frammento della stessa mano del Cittadini, che esso consta di tre
parti a, % y; che y è indipendente dalle sopradette copie di cui
riproduce il contenuto, che a e ^ si connettono immediatamente
col codice H. X. 47, di cui reintegra la primitiva enumerazione
delle carte. Il frammento del Molteni, adunque, completa una delle
copie esistenti, e ad esse ne aggiunge una nuova.
La copia pili ampia delle rime senesi ci viene offerta ora da
H. X. 47, che contiene ventitré componimenti distribuiti nelle carte
superstiti 14'»-32»'' e 60''-63^ delle quali le ce. 29»-30«-b e 60'*-63»'
DELLA LETTERATURA ITALIANA 233
appartengono al frammento molteuiano. Per nostra fortuna, le
rime che si leggono in queste ultime erano fino ad ora scono-
sciute, perché, contrariamente a tutte le altre di cui conosciamo
la fonte usata dal Cittadini o almeno una copia ad essa paral-
lela, delle prime non sappiamo donde fosser tolte dal dotto filo-
logo senese. Ma, considerato il loro genere, di poesie borghesi e
occasionali, come vedremo; considerato che il Cittadini dovette
avere dinanzi un testo assai antico, di cui non sempre riuscì a
decifrare la scrittura, come appare dalle lacune della sua copia;
considerato che di esse poesie il medesimo Cittadini ci offre una
data; non credo sia avventato il pensare, ch'egli le copiasse da
qualche vecchia cronaca a noi ignota o da libri d'Archivio da-
tati, scritti di mano di qualche notajo, e quindi in una lettera
che non dovea esser facilmente intelligibile al Cittadini. Sarà
perciò il caso di tentar qualche ricerca nell'Archivio senese? Altri,
che può, vegga; noi vediamo intanto qualcosa delle poesie. Le
quali non sono molte, quattro in tutto; « ma, osserva il De Bar-
« tholomaeis, sarebbe assai difficile di ritrovare, entro un'ambito
« SI ristretto, maggiore varietà di sostanza e di forma. Qui la pa-
« rodia religiosa, che rammenta i goliardi, e la grave tenzone
« politica; qui la satira aggressiva e personale e la canzone amo-
« rosa; qui la poesia borghese e la cortigiana, la poesia d'im-
« pronta popolaresca e quella di raffinata struttura provenzaleg-
« giante ». Sono documenti tutti, eccetto uno del 1321, che risal-
gono alla metà circa del dugento e però della massima impor-
tanza. La prima è una poesia nella quale un Rugieri racconta la
sua « Passione ». Un giorno egli andò a mangiare insieme coi
Patarini, e pare che con essi sparlasse del clero. Apriti, cielo! E
citato a comparire dinanzi al tribunale dell'inquisizione, che si
componeva del vescovo e di più che cento giudici feroci « Ke di-
cieno tutti di none ». Il rimatore enumera a uno a uno i giudici,
ai quali, parodiando, dà nomi di diavoli e di altri personaggi della
vera Passione, rapprerfeutando se stesso, come Cristo, innocente :
Erode v'era e Ghaifasso,
Et Pilato et Setenasso,
Et Longino et Giudeasso,
Marlcus et Barnaba jsj.
Guinziano v'era e Nerone,
Et Staroto et Ferraone,
Balzabue e Ruciglione,
Ke dicieiio lutti di none.
254 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Comincia l'interrogatorio; il povero Rugieri si scusa dicendo che
non credeva che i suoi commensali fossero patarini, e poi ag-
giunge:
Omo di mia arte non si puoe ischusare
Ki lo 'nvita, ke non vada a mangiare.
Ma pare non gli valga nulla; e gli ultimi versi della poesia, che
non ci è conservata intera, echeggiano del grido: a morte! di quei
feroci giudici:
Non guarischa, anzi sia morto,
Non i sia fatto dricto, anzi torlo!
Il metro è la quartina monorima di doppj quinarj i quali di-
scendono talora fino a ottouarj; metro proprio delle narrazioni
giullaresche della Passione. Il testo è tutto chiaro, eccetto due
versi dove ricorrono in rima due parole, ingroti e histartoti, che
non si sa che cosa voglian dire: la seconda credo debba dividersi
hìstar loti; ma come spiegare la prima parola? Scuto nel v. 12
significa difesa, non denaro. Il Cittadini in una sua postilla an-
notò che la poesia è del 1262: donde tolse la preziosa indica-
zione che ha tutta Paria di derivare da una fonte sicura? Ogni
cosa si spiegherebbe, mi pare, se pensiamo che la vivace composi-
zione derivi da libri d'Archivio, come le rime che il Carducci ed
altri trassero dai memoriali bolognesi.
Un' altra composizione assegnata dal Cittadini al 1321 è una
ballata politica indirizzata al Conte Loffredo del Conte Benedetto
Gaetano d'Auagni, nipote di Bonifazio Vili, che fu podestà di
Siena nel 1321. Non pare che i senesi fossero assai contenti del-
l'opera sua, e il rimatore, che il Cittadini in una sua postilla dice
possa essere « Simone di Neri di Ranieri Cittadini », fieramente
deriéendolo gli ricorda in ogni strofa una delle sue prodezze, e
termina sempre il suo dire con un pungentissimo ritornello:
Deh Contin, torna in Campagna.
col quale rimanda il messere da Siena alla sua Contea di Pondi.
Il De Bartholomaeis osserva che il Tommasi nella Historia
di Siena « porta sopra il Conte di Fondi un giudizio assai di-
« verso dal contemporaneo che sfogava il suo odio contro di lui
« con questa ballata ». Ora il Cittadini a fianco al v. 6 « e giu-
« dici e cavalieri » cita alcuni nomi, e rimanda a un « lib. Magi-
« straturae » che forse, ricercato, potrebbe dar maggior lume a noi,
DELLA LETTERATUIIA ItALlANA 235
come pare lo desse al Cittadini. Una minaccia del rimatore al
Conte se volesse restare a Siena, parrebbe richiamarci al poema
dantesco :
Se ci stai, havrai del fructo
D'Alberigo di Romagna.
Il De B. prudentemente non ardisce ajffermare se qui si alluda
al dattero per fico che il faentino raccoglieva nella ghiaccia
dantesca, ovvero a quello della tradizione corrente intorno ad
Alberigo. A me pare da escludere 1' accenno dantesco, e lo stesso
vedo che pensa il Mazzoni; ' i due versi pianamente spiegati si-
gnificano: se tu vorrai seguitare a esercitare le tue male arti qui
a Siena, un bel giorno mangerai delle frutta che il frate Grau-
dente Alberigo offri! ai commensali, secondo il noto racconto ; cioè
i senesi ti faranno accoppare.
Più curiosa e pili notevole è la terza poesia, una tenzone po-
litica nella quale daccapo un Rugieri scambia cobbole con un
Provenzano che il Cittadini senz' altro identifica, e sembra assai
ragionevolmente, col noto personaggio dantesco che espia i suoi
falli nel girone dei superbi, perché fu « prosuntuoso a recar Siena
« tutta alle sue mani ». Anche questa poesia ha alcune annota-
zioni del Cittadini, che fra le altre cose avverte: « Composta nel
« 1262. A messer Provenzano Salvati (sic) ed è delle più antiche
« scritture di lingua toscana che si trovino oggi fra noi ». Vera-
mente non è indirizzata a Provenzano, sibbene è una tenzone,
(« kostune » anzi dice la poesia con singolare novità dalla nomen-
clatura provenzale, novità che par derivata dalla tradizione sco-
lastica) fra Provenzano e Rugieri. Ma la data che indica il Cit-
tadini coglie nel vero, come mostra il De Bartolomaeis; il quale
s'industria, al lume degli avvenimenti senesi della fine del 1261,
di restringere i limiti cronologici fra il gennaio e il febbraio del
1262. Abbattuti i guelfi nella giornata di Montaperti, i senesi e-
rano insidiati dal pontefice Urbano IV, che tentava approfittare
delle rivalità cittadine per dividere i ghibellini vincitori. Una
congiura, per cui fu ucciso il figlio di un priore, parve favorire
le intenzioni del papa. I priori condannarono nel capo gli assas-
sini; ma i guelfi, cui appartenevano i congiurati, giudicarono ec-
cessiva la punizione trattandosi di una vendetta privata; grida-
rono alla tirannide, che dicevano favorita dal re Manfredi, e sde-
gnosi uscirono di Siena, ritiratidosi nel Castello di Radicofani,
dove si preparavano alla riscossa.
1 In un articolo pubblicato nal Gioni'.Ue d' Italia del 15 nov. 1902.
236 , RASSEUÌNÀ lJlÌBL10(ikAKÌCÀ
Provenzano, al tuo parere,
Ke faranno li sciti?
Raveranno el loro avere,
K'al papa ne son giti?
Siano sì arditi
K'a Siena fien guerrieri?
Paionli forniti
Di gente et di Kavalieri?
Questo domanda Riigieri al suo concittadino, il quale sostiene la
potenza e la eccellenza morale di Re Manfredi:
Quel froriscie e grana
Che serve a rre Manfredi;
Ne la Corte Romana
Mal v'odi e mal vi vedi!
mentre l'altro afferma:
Provenzano, ki riniega
La legie cristiana,
Rascion è, se la riniegha,
L'anima aver insana.
Ma alla fine i due interlocutori si accordano nel desiderare
la pace ed augurare che il trionfo l'abbia
.... quei k'ama el komune
Più ke sé e i parenti,
e si propongono di mandare ai concittadini come messaggio della
loro aspirazione la suddetta « kostune ». Ora mi par chiaro che il
generoso autore di questa composizione, la quale tanto si allon-
tana dalla consueta lirica aulica del tempo, rappresenti l'ideale di
molti cittadini, di cui si ha un'eco nella storia del Tommasi, cioè
che Siena possa avere la pace colla conciliazione delle due parti
che sono rappresentate da Provenzano e da Rugieri, finti inter-
locutori nel dibattito politico.^ Importante è la poesia pel conte-
1 Questo Itugeri e quel della Passione sono gli stessi? E probabile; ma come questo
(Iella "kostune, ueauclie l'altro ò necessario credere sia autore della Passione. E l'uno
e l'altro non credo abbiano che vedere con quel Rugieri Apugliese di pili vecchia cono-
sci'uza Ira gli studiosi. Cfr. tìiorn, sloi; della letter. iiuL, XLII, 172.
bìSLLA LÉttERATURA ITALIAÌSÀ ^St
nuto politico e per la figura dantesca, che, con nostro gran gusto,
ci è presentata nella vivezza di un dialogo che ritrae i senti-
menti con schiettezza degna di chi ama veramente il suo Co-
mune, e che ci fa ricordare la suprema aspirazione del vene-
rando Brunetto Latini quando scriveva il proemio al Tesoro ita-
liano. Il De Burtholomaeis ha interpretato tutta la poesia in una
parafrasi per meglio rilevarne il significato, e in genei'ale mi pare
che colga nel segno. Quanto al testo, qua e là lacunoso e non
sempre sicuro nella lezione, osserverò che al v. 11 il uiegha del
manoscritto sarà da correggere certamente in cicgha^ tenendo a
riscontro i vv. 41-43; e cosi converrà, pel senso, mettere un
punto alla fine del v. 11 e una virgola alla fine del v. 12.
L'ultima delle quattro composizioni è un'appassionata « dansa»,
che ha però, come osserva il De Bartholomaeis, la struttura del
discordo. Chi parla in esso è una donna che sospira per il «ca-;
« valero più fino | eh' è fiore gibellina | sovr'ogn' altro latino! », nel
quale il De Bartholomaeis vorrebbe vedere un accenno al Re
Manfredi, tenendo conto della notizia del Cittadini che assegna
la poesia (al solito ignoriamo la fonte) al 1260 circa. Ora è assai
probabile, come crede anche il Mazzoni, che qui si abbia una
poesia scritta da un l'imatore in persona di donna, e però non è
forse da pensare ad allusioni determinate. Ad ogni modo, la poesia
è assai notevole per movimento di passione, e qualche tratto in
cui è rappresentata l'ebbrezza dell'amore sognato non esito a
dire che mi ricorda la famosa odici na di Saff'o. Il testo è quasi
tutto chiaro; il ponìhdc del v. 31 è da correggere in pcrdirctc,
al V. 34 misero è da dividere in vii sero, come già rilevò il Maz-
zoni; il V. 44 non ha bisogno di essere emendato, perché so che
presente pazo vuol dire: so che allora, nel momento in cui mi
sveglio dal sogno d'amore, soffro.
Al testo di ciascuna poesia il De Bartholomaeis ha fatto se-
guire alcune note in parte sue in parte del Cittadini; in fine poi
ha aggiunto un breve glossario. Quivi alla voce issavia si può
aggiungere che essa è anche dell'antico romanesco, e se ne può
vedere un esempio nelle laude romanesche del sec XV pubbli-
cate di seguito alla Vita di S. Francesca Romana. ^ Della parola
tenza, che equivale a intensa e significa « tumulto», si hanno pure
altri esempj nella poesia del dugento.
Mario Pelaez.
1 l'er cura di Mabianu Armellini, Roma, Moualdi, 1882>
238 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
COMUNICAZIONI.
ALCUNE RIME DI GIAN VITTORIO ROSSI.
Questo scrittore romano, pili noto sotto il pseudonimo di Gian
Nicio Eritreo, ha lasciato tutte le sue opere in latino, tanto che,
molto opportunamente, il suo ultimo biografo, in un ottimo libro,
10 ha distinto con l'appellativo di «umanista del seicento».^ I
bibliografi tuttavia ci hanno tramandato memoria di un suo vo-
lume di rime spirituali dettate in italiano, e di un dramma sacro,
11 Tobia, usciti dai torchi nel 1629; pare anzi che questo dramma
sia anch'esso stampato insieme con le rime, se si deve credere al-
l'Allacci, il quale reca il luogo d'impressione (Viterbo) e il nome
del tipografo (Agostino Discepolo), mentre il Mandosio dà le rime
come edite in Roma. ^ Questi poi a<?giungeva, che carmi latini e
volgari manoscritti esistevano nella biblioteca Vallicelliana, e,
giudicandoli unitamente, affermava: «in quibus carminibus omnis
« flos venustatis, omne poeticae facultatis lumen enituit »; giudizio
che ha servito di guida a quello del Quadrio, il quale probabil-
mente (e lo sospetta anche il Gerboni) ^ non ha veduto il libro
ed attinge senz'altro al Mandosio. Ci sarebbe dunque da credere,
che questo asserto libretto poetico del Rossi fosse già poco co-
mune nel settecento; oggi certo è irreperibile, che né al Gerboni,
né a noi riuscì di scovarlo: per di più le rime manoscritte non
si trovano nella citata biblioteca; di guisa che l'unica poesia
volgare di lui conosciuta è un sonetto, inserito nelle Epistolae ad
Tyrrhenum, « fluido nella forma, e spirante, nel concetto, un senso
«di sommessione devota e di mitezza semplice, che piace».*
« Leggiamolo, che l' averlo dinanzi risparmierà fatica di ricerca
in volumi non sempre alla mano:
i Un umanista étti seicento, Q inno Sicio Eritreo. Studio biograjìco critico di IjViGiQE.nBOSi,
Città di Castello, Lapi, 1899.
2 Mandosio, B«6iio</jeca Romana, voi. II, p. 253 — Allacci, Drammaturgia, Boma, 1666,
p. 317.
» Op. cit., 106.
* Epistolae ad Tyrrheìmm, (ediz. 1138), 11, iO. — Gerboni, op. cit., p. 106,
DELLA LETTERATURA ITALIANA 230
FIAT VOLUNTAS TUA.
Perchè mai sempre ogni tua santa voglia
In me s'adempì, o mio Signor, mio Dio,
Vestimi del tuo amor celeste e pio,
E della propria volontà mi spoglia.
Ahi sento da mortale ultima doglia
Stringer con dura man, lasso, il cor mio,
Qual or cieco e sfrenato empio desio
A darsi vinto al suo voler l'invoglia.
Ch' esser non può colà, se non tormento.
Ove teco non regna eterna pace,
E d'alme a te concordi alto concento.
Ma se del cor non leghi il pie fugace
Con stretti lacci a l'amor tuo, qual vento
Spiegherà il voi là dove a lui più piace.
Svolge, come si vede, un concetto spirituale, e sta in chiave (se
ne potrebbe quasi dire un corollario) con le rime di cui vogliamo
dar comunicazione, poiché anch'esse sono d'argomento ascetico.
Poche in vero, una canzone ed un sonetto; ma le sole per ora
che vengano a tener compagnia a quel solitario sonetto innanzi
riferito, e che in ogni modo possono un po' meglio testimoniare
dell'attitudine poetica in italiano del nostro latinista. Le precede
una breve lettera, donde impariamo quando furono scritte ed a
chi vennero indirizzate. Eccola:
Al Molto RevA» f*.'« Sig.r e pron mio oss."'o il P. D. Andrea Fossa CanS"
Regulare Lateranen.-^^
Alli giorni passati, sentendomi compunto il core della foi'z& della divina
gratia, sparsi queste poche lacrime in rima, in pentimento degl'errori pas-
sati: l'invio a V. P. acciò con la caldezza delle sue orationi, con le quali, è
solita di far forza al Cielo, le rappresenti a Sua Divina Maestà e m'impetri
da quella perdono. Conoscerà in queste mie basse rime molle imperfettioni
e debolezze, si come imperfetto e debole è lo spirito dal quale son nate.
Potrebbe ben ella, con la lima del suo severo giuditio, ridurle a qualche per-
fettione, si come io spero, con la divina gralia, dare aumento e forza allo
spirito, alli santi et utili ricordi delle prediche, ch'ella è per fare questo av-
vento in Roma, il che, se si compiacesse di fare, me le obbligherebbe con
doppio legame di benefitio. Bagio (sic) a V. P. riverentemente le mani, e le
prego da Dio ogni contento. Di casa, l'ultimo di novembre 1623.
Di V. P. molto Rev.da
Serv.''^ Devotiss.'»"
Gio Vittorio Rossi.
240 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
E facciamo subito seguire le «poche lacrime in rima»
Io vivea sciolto da catena e laccio
In dolce libertà, caro a me stesso,
E più al gran Dio, eh' hor di duol carco invoco,
Né di tema rigor, di desir foco
Mi fea col gielo o con le fiamme impaccio:
Quando di tal vaghezza al cor m'offerse
Forme si rare il mio avversario altero,
Ch'io là corsi; ma quanto, ahimè, diverse
Fur dal mio falso imaginar le prove!
Sì folte nubi e nove
Di dolor pili d'ogn' altro acerbo e fero
Turbar del viver mio il seren chiaro.
Ahi, eh' a sa stesso amaro,
Le chiuse luci il cor deluso aperse,
E ben che tardi, pur conobbe espresso,
Che fuor di quella viva alta speranza.
Altro, che pianto e duol, nulla n'avanzza.
Qual se talhor folle vaghezza invoglia
Inesperto nocchier, in fragil legno.
Del mar fidarsi alle chef onde infide.
Che non si tosto il Giel, folgora e stride,
Che ripresa l'insana e cieca voglia.
Del mar pentito, non che satio riede:
Tal delle sorde amare acque del Mondo
Desio mi prese (ahi stolto è chi li crede.
Che per gioia e piacer, dà pene e scorni);
Onde i miei chiari giorni
Tosto che venner atri, e dal profondo
Quest'implacabil pelago turbossi,
E '1 Ciel di nembi armossi,
Roco divenni in dimandar mercede.
Piango hor dolente, et ho me stesso a sdegno,
Che mal del traditor scorsi l'ingegno,
E quanto amica già, tanto molesta,
M' è de suoi rei piacer la turba infesta.
Placido in vista, alteri sdegni copre,
E in poco mele ha rio veleno ascoso,
Perch' ingannato altri poi bea intanto
Per diletto il dolor, per riso il pianto ;
Tal dal sembiante human discordan V opre,
E chi noi vede, ha il veder corto e losco.
Gustò mai l'alma mia, fin da primi anni,
DELLA LETTERATURA ITALIANA 241
Gh'a spese di lui vissi, altro che tosco?
Quando nel loto ove sepolta giacque,
Suoi fieri stratij tacque?
Né satlo il crudo, de' passati inganni
La tien mai sempre al duro laccio spinta
Ove fu colta e vinta,
E chiusa in career tenebroso e fosco.
Ella noi segue; ahi stolto è chi penoso
Aspro viver seguendo, odia il riposo,
E chi sprezzate alte Corone e Regni,
Ritorna al fango de' diletti indegni.
Qoal di porpora e d' or chiara Reina,
Il gran sposo real posto in oblio,
Arse, impudica, a nova fiamma e vile ;
Tal rotto il maritai nodo gentile,
L'alma mia cara alla beltà divina,
Hebbe d'immondo ardor calde le brame.
E quando tuono o folgore dovea
Troncato haver del viver mio lo stame,
Alto Signor, la tua bontà infinita,
A se dal Giel m'invita,
Perch'ogni oscura in me favilla e rea,
Acceso del tuo amor verace e puro,
Spenga del Mondo impuro;
Ma quanto aborri il fiero mostro infame,
Sia testimon, quel eh' hor dal core invio
Largo pianto per gl'occhi, e '1 dolor mio,
E questi a piedi tuoi prieghi e lamenti.
Ch'io vo' spargendo in voci alte e dolenti.
Ove fia gionto (ahi lasso), s'allor quando
Eran più nel gioir fissi i miei sensi.
Sciolta dal suo mortai, già l'alma a volo!
Ahi, che di doglie e pianti armato stuolo
Tratta a forza l'haria, di pace in bando.
Quanti a perpetuo esiglio, il crudo Inferno
Condanna, in chiuso ardente orrido speco.
Via men di me rubelli al Re superno!
Quanti ha un sol fallo a sempre arder sospinto!
E in me che carco e cinto
Vissi di mille colpe, infermo e cieco,
Non cadder l'ire sue vendicatrici?
Chi fé' loro infelici,
E me sottrasse aV precipitio eterno ?
Mio valor no, ma quei ch'apri e dispensi
Signor di tua pietate abissi immensi.
Si m' haven sotto 1' ali sue coverto,
242 RASSRnNA BIRLIOORAFICA
Che potea il pregio lor più del mio merlo.
Non è da vaneggiar, Ganzon, più tempo,
Gh' io son già forsi del mio giorno a sera,
E sopra ho morte dispietata e fera.
Dunque tema e dolor l'alma circondi,
E quanto abondò il fallo, il pianto abondi.
Se dietro al mio voler, cieco e fatale.
Gran tempo errai, se con diletto ed arte
Cercai del biasmo honore in mille carte,
Se corsi pigro al ben, veloce al male,
Tale il cor del suo fallo empio e mortale
Paventa, qual perdute ancore e sarte
Nave di notte, o come augel, che sparte
Sopra il tenace vischio, intrica l'ale.
Facessi io almen, come chi prese, errando
In bassa valle, ampio camino e torto,
Ghe poi raddoppia al buon sentiero i passi!
Perchè da chiaro e divin raggio scorto.
Move si lento il mio pensier, poggiando
Al dritto augusto calle, ond' al Giel vassi?
Non ci fermeremo a discorrere, ciò che ha fatto cosi bene il
Gerboni, intorno all'indole, al carattere del poeta, per educazione
e per ambiente volto all'ascetismo, né a quella specie di intimo
dissidio che lo avvicina per qualche rispetto al Petrarca; soltanto
vogliamo rilevare che queste rime ne forniscono un'altra prova,
non priva d'importanza. E al Petrarca lo riaccosta altresì non pure
il contenuto, ma la forma singolarmente della canzone; anzi, se
l'osservazione non appaia troppo sottile, un'eco petrarchesca ri-
suona persino nella frase delja lettera: « far forza al Cielo », che
potrebbe essere indizio di recente lettura.
Il 1623 ci richiama a quel periodo della vita di Gian Vittorio
in cui stette come familiare presso il cardinale Andrea Peretti,
e quivi forse, a correggere la malinconia e la monotonia della
infruttifeira esistenza eh' ei condusse per diciotto anni, si rifece
alle opere di quell'autore, verso il quale è possibile si sentisse
attratto da certe ragioni di somiglianza. Ne sono uscite queste
poesie, derivate da uno di quegli non infrequenti scatti di nero
ascetismo ond' egli era preso, come se fosse il più gran peccatore
di questo mondo. Occasione immediata ed esterna, la persona cui
sono indirizzate, e l'imminenza delle prediche che il già illustre
oratore stava ])er incominciare a Roma nell'avvento.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 243
Il p. Andrea Fossa era genovese: entrò a quindici anni nel-
l'ordine dei Lateranensi ; ottenne u Padova la laurea in teologia,
filosofia e diritto canonico ; fu teologo del cardinale di S. Cecilia,
consultore del S. Ufficio in Genova. Ebbe cariche cospicue nella
sua religione, e sali fino al generalato; di lui si giovarono in
faccende politiche Vittorio Amedeo di Savoia e Ranuccio Farnese.
Gli venne conferita la cittadinanza romana. Ridottosi da ultimo
nel cenobio di S. Teodoro in Genova, quivi mori, forse di peste,
nel 1657, essendo teologo della Repubblica. Nulla si ha di lui
alle stampe; di alcune scritture manoscritte ci hanno lasciato
ricordo i suoi biografi, e pongono fra esse un JEpistolarum ad
Janum Niciiim Erytreum liber singularis, che, già esistente « nella
« sua scielta e copiosissima Libraria nel Convento di S. Theodoro
« di Genova », ^ non si sa dove sia andato a finire, ed ora avrebbe
servito assai bene al nostro scopo. Da ciò se è lecito argomen-
tare che una corrispondenza abbastanza nutrita sia passata tra
il Fossa ed il Rossi (e un tocco se ne legge nella dedica di cui
ora parleremo); non sappiamo quindi spiegarci come non se ne
riscontri traccia di sorta nelle opere molteplici del secondo, specie
nell'ampio epistolario, dove fra le lettere ad diversos c'era da
supporre di trovarne qualcheduna diretta all'abate lateranense.
Ma l'Eritreo si ricordò sull'estremo della vita del suo amico
genovese, e volle fosse a lui dedicata la terza Pinacoteca che
egli non doveva vedere alla pubblica luce. Senonché la lettera
che conteneva quest'atto di amicizia e di omaggio, fu a un pelo
di andare perduta. Il manoscritto che aveva mandato a poco alla
volta, in varj quaderni, per mezzo di Fabio ^Chigi, al Nihus, af-
finché ne procurasse la stampa, già al cadere del 1646 e nei primi
mesi del seguente, aggiungendo poi man mano altre biografie,
era indugiato ad esser posto in composizione fino all'agosto,
quando, dopo ricevuto il primo foglio, ebbe dal Nihus la richiesta
della dedicatoria. Cascò dalle nuvole, e, turbato, scrisse inconta-
nente al Chigi: «Maxima Nihusii ad me literae molestia me af-
«fecerunt; quae epistolam requirunt ad eum scriptam, cujus iio-
« mini haec postuma Pinacotheca dicatur. Quam ego epistolam,
« longae cujuspiam laudationis, quam epistolae similiorem (nam
« amicum, optime de me meritum, ornare constitueram) prips
« quam ipsam Pinacothecam misi. Quamobrem peto a te majorem
« in modum, ut quaeras investiges num ea uspiam domi tuae la-
« titet, nam scripsisti ad me, nihil eorum, quae ad tertiam hanc
«Pinacothecam pertineant, interiisse, vel saltem hoc ipsun^ Ni-
i SorRKTXi, Scrittori della Liguria, ^.19.
244 ' ' RASSEGNA BIBLIOaRAFlCA
^«husio'significes. Nam magna spe teneo fore ut ea inveniatur,
«fei diligentia in perquirendo adhibeatur. Epistolae inscriptio
«haec erat: Reverendissimo patri D. Andreae Fossae, Abbati,
^ « Canoilico Reg. Lateranensi ». E poicbé non veniva risposta,
soggiungeva poco dopo: «Superiori hebdomade nullas, ncque a
• «te, neque a Nihusio literas neque quaternionem aliquem Pina-
*^'« cothécae accepi; veruni moram hanc aequo animo ferre possum,
« si epistola ad Abbatem Andream Fossam reperiatur ». La de-
dica si ritrovò, e il Nihus gliene diede subito avviso. « Aveo, ex
« literis Nihusii certior fieri num epistola, qua Pinacotheca D.
« Andreae Fossae dicatur, sit inventa » ; cosi egli, lieto, esprimeva
al Chigi la sua piena soddisfazione. '
E vero, questa dedica vince per diversi rispetti tutte le altre,
e ci i^ialesa, anche nei particolari, quale e quanta fosse la con-
suetudine amichevole fra l' Abate e lo scrittore, e come antica e
desiderata e costante; né manca la testimonianza del piacere e
del frutto che il Rossi ritraeva dalle conversazioni di quel reli-
gioso, che gli parlava con aperta effusione dell'animo. Inoltre
quivi ritroviamo, pur indulgendo alla frase ed al fine, pregevoli
' notizie biografiche, le quali hanno poi servito largamente a coloro
che del Fossa ci serbarono memoria. ^
Ecco chi era il canonico lateranense a cui nel 1623 inviava
l'Eritreo la canzone ed il sonetto, si come testimonianza di ri-
inorso e di pentimento per i passati trascorsi, mentre certo si
proponeva di ascoltare indi a poco la vital parola del sacro ora-
^ tore, donde sperava quiete e conforto alla turbata coscienza. Se
' le sei carte che compongono il manoscritto ^ non sono autografe
(e d'altra parte a noi mancano i termini di confronto per con-
statarlo), è indubitato che provengono da quel convento di S.
Teodoro, ora distrutto, dove assai tempo dimorò, e dove mori
l' Abate Fossa, anzi potrebbe dirsi addirittura dalla sua libreria
innanzi citata; quelle stesse, poniamo pure in buona copia cal-
ligrafica, mandate a lui dall'autore. Il quale considerava queste
rime « basse » e piene di « molte imperfettioni e debolezze » ; al
che, fatta ragione dell'umiltà e della compunzione, non vorremo
al tutto contradire, sebbene a noi sembri possano anch' esse me-
ritare il benevolo giudizio dato dell'unico sonetto dal suo più
recente e miglior biografo. Achille Neri.
1 Epistolae cit., II. p. 76 SRg.; n. LXXVII, LXXVIII, LXXVIIIL
» De Rosinis, A,»/c«i(m Aa<«-rtii«jise, Ceseiiae, 1649, 1.p. 21. — Soprani, op. cit. - Giusti-
niani, Sciitt. Liguri, p. 52. — Glorie dei/li lucofjuili, Venezia, 1647.
» Biblioteca della R. Università di Genova — Cose Diverse, A. IV, 34.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 245
ANNUNZI BIBLIOGRAFICI.
Ernesto Masi. — Doiiìie di storia e di romanzo. — Bologna, Zanichelli,
1903; un voi. in 16." picc, di pp. 401,
Questo volume tien dietro e si ricongiunge ad altri due del medesimo
autore : Studj e ritratti e Nuovi studj e ritratti, anch' essi pubblicati dallo
Zanichelli. Il presente si intitola Donne di storia e di romanzo, perché nella
parte storica predominano tre eroine, e nello studio di sei romanzi più spe-
cialmente si studiano caratteri femminili. Le tre eroine sono Cristina di
Savoja, Maria Mancini Colonna e Caterina li di Russia: la prima scesa dal
trono, la seconda vogliosa di salirvi, l'ultima salitavi col farsi sgabello del
marito, e rimastavi potentissima. Questi primi tre studj rifanno i ponderosi
volumi che a ciascuna di coteste tre donne consacrarono rispettivamente il
De Bildt, il (o la) Perey, e il Waliszevvski : ma i materiali offerti da questi
scrittori vengono liberamente rielaborati dall'autore, che ne estrae il con-
tenuto, aggiungendovi considerazioni sue proprie. I rimanenti saggi, quelli
delle donne di romanzo, esaminano creature pili o meno perfette della fan-
tasia di Marc Mounier, dello Zola, del Rod e della signorina Giacomelli. Se-
gnaliamo, sopra tutti, quelli riguardanti i romanzi dello Zola, nei quali, unita
a grande ammirazione per la potenza dello scrittore, si rinviene una singo-
lare indipendenza di giudizio circa la scuola sperimentale e il romanzo na-
turalista. Le obiezioni all'una e all'altro, nell'idea e nella pratica effettiva,
sono notevoli per acume critico, che non si perde in disquisizioni estetiche,
ma adopera la forma e il linguaggio del buon senso.
Questo volumetto conferma la riputazione in che è salito il Masi come
critico, specialmente esperto e sicuro nell'analisi psicologica dei caratteri,
sien essi offerti dalla realtà dei fatti o dalla fantasia degli scrittori.
A. D'Ancona.
Guglielmo Volpi. — Note di varia erudizione e critica letteraria {secoli XIV
e XV), Firenze, B. Seeber, 1903 (8.» picc, pp. 74).
Come avverte l' autore stesso, dei cinque brevi studj compresi in questo
volumetto solo il primo è nuovo ; gli altri videro la luce, in tempi diversi,
nei giornali letterarj. A tutti, peraltro, l'A., di cui è nota agli studiosi la
diligenza oculata e coscienziosa, ha dato nuove cure, qua e là mutando o
aggiungendo : l' ultimo, anzi, ricompare ora quasi raddoppiato.
Lo scritto inedito con cui il libro s' inizia intende a confutare quanto In-
torno a una ballata di Guido Cavalcanti osservò recentemente il Beneducci
ne' suoi Scampoli critici, e a ribadire un' opinione già espressa nel volume
Il Trecento. Il Beneducci — il quale di questo lavoro del Volpi ha recato troppo
severo giudizio, senza porre mente al fatto che la nuova edizione della Storia
Letteraria Vallardi non doveva in origine essere altro se non un' opera di
divulgazione (secondo il patto degli autori coli' editore) — ha cercato di di-
fendere la tradizione che dà come scritta nell'esilio a Sarzana la ballata
Per ch'io non spero di tornar giammai. Il Volpi, contraddicendolo, afferma
246 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
ora che tale tradizione non è già antica, ma di data abbastanza recente; e,
fattane in breve la storia, mostra com'essa si fondi nella presupposizione
che Sarzana venisse anche dagli antichi riguardata come una terra fuori di
Toscana ; presupposizione falsa — egli dice — poiché codesta città, posta
sulla sinistra della Magra che " lo Genovese parte dal Toscano „, era invece
pei Fiorentini contemporanei del Cavalcanti l'ultima città toscana dalla parte
della Liguria.
I testimonj che il Volpi cita in proposito (Dante, Gio. Villani, Fazio degli
liberti, il Boccaccio) sono autorevoli; e ci pare ch'egli abbia ragione anche
quando, dopo aver mostrato che " da Sarzana il Cavalcanti non avrebbe
• potuto dire che non sperava di tornare in Toscana per la ragione geo-
" grafica , (p. 13), soggiunge che " anche dato e non concesso che e^'li, di-
" morando in Sarzana, si sentisse fuori del territorio toscano, non si sarebbe
" espresso in quel modo, perché Sarzana anche per lui sarebbe stata almeno
"molto vicina alla Toscana; ond' egli avrebbe detto, invece: Non spe-
'^ ro di tornare in Firenze... „. Dove dunque, e quando, avrà egli dettato
quei versi pieni d' una malinconia cosi profonda ? Ragionevolmente il Volpi,
conchiudendo questo suo scritto acuto e per più riguardi notevole, conget-
tura ch'ei li abbia composti "nella vecchia Nìmes ^, dove si fermò, nell'an-
dare in pellegrinaggio a S. Jacopo di Compostella, " malato e solo, lontano
* dalla sua donna e dalla sua patria „.
Degli altri lavoretti raccolti ora insieme dal V. — Poesìe popolari dei se-
coli XIV e XV, La bellezza maschile nella poesia volgare del secolo XV,
Una deploratoria in morte di Lorenzo il Magnifico, Francesco Cei poeta fio-
rentino dell'ultimo quattrocento — non occorre dare qui notizia; dacché gli
studiosi già sanno, che contengono notizie curiose, e son frutto d' indagini
pazienti e fortunate. Solo diremo, che la parte letteraria — al tutto nuova —
dell'ultimo giova a integrare, più efficacemente lumeggiandola, quella figura
d'improvvisatore fiorentino della scuola del Cariteo, del Tebaldeo, di Sera-
fino dell'Aquila, che già il Volpi ci avea fatto rivivere dinanzi, nella Biblio-
teca delle scuole italiane, tessendone la biografia. F. Flamini.
CRONACA.
.'. Nel fascicolo sesto del Codice diplomatico dantesco il Rajna pubblicò
nel 1900 una breve notizia intorno a quella famosa iscrizione degli Ubai-
dini, che alcuni nostri vecchi storici considerarono come uno dei primi mo-
numenti della nostra lingua. In quella notizia il Rajna accennava agli ar-
gomenti principali i quali conducono alla conclusione che il documento è
una falsificazione cinquecentesca. Il Rajna, riprendendo ora a studiare più
profondamente la questione, ha pubblicato nell' Archivio Storico Italiano
una dissertazione, L' Iscrizione degli Ubaldini e il suo autore (pp. 70), nella
quale, dopo aver fatto la storia del documento dal tempo in cui venne in
luce la prima volta, esamina il marmo, la forma delle lettere, il contenuto
storico, i personaggi che vi sono menzionati, la lingua, il metro, e dimostra
in modo che ci pare inconfutabile, che l' iscrizione è una falsificazione do-
vuta a Giovambattista Ubaldini, che la divulgò nel suo libro Istoria della
DELLA LETTBRATURA ITALIANA 24?
casa degli Ubaldini (Firenze, Sermartelli, 1588), dopo avere ingannato il
Borghini, che la inseri come documento d'una famiglia fiorentina nei suoi
Discorsi editi nel 1585. Del resto, questa iscrizione non è il solo documento
falso su cui si appoggi V Istoria; ve ne sono altri di cui pure tratta il
Bajna per mostrare, come si dice, la capacità a delinquere di Giovambattista
Ubaldini. La Memoria è corredata di un facsimile della iscrizione, la quale,
dopo essere slata trasportata a Firenze nel 1570 in casa di un Ubaldini
in via Martelli, ritornò in Mugello sulla fine del secolo XVIII, ed ora si
trova in una sala della Villa detta del Monte, presso Galliano, di proprietà
del Comm. Luigi Vaj. D'ora innanzi bisogna dunque risolutamente cancel-
larla dal novero dei primi documenti in volgare.
.". Nel dilagare di studj grandi e piccini intorno al nostro maggior Poeta,
sia la benvenuta una Bibliografia dantesca (Direttore - Compilatore : Luigi
SuTTiNA, Gividale del Friuli, presso Giov. Fulvio, 1902, di pp. 100, in 8.») la
quale raccoglierà periodicamente le sparse pubblicazioni a servigio del ricer-
catore. Pur vorremmo, per la miglior economia della rassegna e ad evitare
troppi vasti e perigliosi confini, che degli studj intorno al trecento e a cose
francescane non se ne parlasse, o pure, piacendo all' A., se ne tenesse conto
in altra e pili conveniente sede. Né all'opera mancherà la materia finché
avranno fiato dantisti e dantofili ; il che, se Dio vuole, sarà ancora per un
pezzo. Nel fascicolo che abbiamo sott' occhio non sono poche, a dir vero, le
mende: ampie e minuziose rassegne di brevissimi articoli, troppo scarne e
inconcludenti di opere ponderose ; lodi e incensature a josa, scorrettezze di
forma, inesattezze. Né sappiamo ad es., quanto opportunamente entrino nella
Bibliografia il saggio su la prigionia di re Enzo del Frati, gli studj del Torraca su
la lirica del Duecento e, peggio, la Francesca da Rimini di Gabriele D'Annunzio.
Sul quale l'A., lasciato l'ufficio di bibliografo, più volte ritorna, tratto evi-
dentemente da una naturai simpatia: che Dio gli conservi. Del resto la so-
lerzia dell' A. e l'amor suo per l'iniziata impresa ci danno affidamento, che
la Bibliografia, tolte mende ed errori, sia per diventare sussidio prezioso al
cultore di cose dantesche.
.•. Dall'ultima volta che parlammo in questo giornale (Vili, 183) della
Breve esposizione della Dir. Commedia del sig. A. Giordano, essa, accresciuta
di volume, è già arrivata alla quarta edizione, segno evidente dell'utilità sua
e dalla favorevole accoglienza avuta nelle scuole. Certo è che, a poco per
volta, questo libro è diventalo una specie di Enciclopedia dantesca, che può
opportunamente guidare i giovani allo studio del poema. Abbiamo riscontrato
con piacere, che alcune osservazioni da noi fatte all'autore sono state da
lui accolte, e di ciò gli siamo grati. Intanto è desiderabile che il sig. G. con
nuove cure renda sempre migliore un lavoro, che è evidentemente adoperato
nelle nostre scuole.
.•. A cura dell'Istituto storico italiano sono usciti a luce due nuovi vo-
lumi di fonti per la storia d' Italia, contenenti il Chronicon Farfense di
Gregorio di Catino, cui precedono Li Costructio Farfensis e gli Scritti di Ugo
di Farfa, a cura di Ugo Balzani (1.» voi. di pp. XLVI-366, 2." di pp. 566, in
8.0, Roma, tip. Forzani). La prefazione dell'editore tratta dell'importanza di
questi antirhi«simi documenti di storia nazionale; riassume le vicende del
celebre monastero, e raccoglie le notizie intorno ai due autori di questi
248 UASSEONA BIBLIOGRAFICA
scritti e ne determina il carattere, con piena informazione e sobrietà di det-
tato. Questa nuova edizione, collazionata con diligenza, qua e là illustrata di
note e fornita d'indici copiosissimi, sarà certamente accolta con applauso
dagli studiosi, accompagnandosi con quella del Regesto Farfense, pur di Gre-
gorio di Catino, che il Balzani stesso insieme con I. Giorgi, bibliotecario della
Gasanatense, ha dato nei volumi della Società romana di storia patria.
.•. Al prof. Biagio Brugi, storico del diritto valoroso e geniale, dobbiamo
due nuovi scritti importanti anche per la storia delle lettere. — Il primo è
un discorso intitolato Gli scolari dello Studio di Padova nel Cinquecento.
(Padova, Tip. Bandi, 1903), che ci offre un quadro ben disegnato e vivacemente
colorito della vita studentesca padovana nel secolo più glorioso pel celebre
Studio della Serenissima. Da svariate fonti, manoscritte e a stampa, l' A. ha
ricavato copia di notizie, anche peregrine e sempre in sommo grado inte-
ressanti; le ha collegate maestrevolmente, dilettando e allettando; vi ha in-
nestato acconcie osservazioni; ha concluso il suo dire con savi ammonimenti
agli scolari moderni. — L'altro scritto che annunziamo è una pagina della
storia della cultura nostra nella medesima età, e s'intitola: I giureconsulti
italiani del secolo XVI (Modena, 1903, estr. A^XV Archivio Giuridico Filippo
Serafini). L'autore vi tratta prima del vero concetto ed intento d'una storia
letteraria del diritto romano, poi del diritto romano dei postglossatori in
relazione coi nostri giureconsulti del Cinquecento; collega codesta storia con
quella dei nostri Studi e delle loro cattedre; e conchiude determinandone i
limiti con larghezza di criteri.
,•. L'egregio prof. Agnelli, bibliotecario della Comunale di Ferrara, indotto
forse dagli ardenti desiderj degli studiosi, si propone di rendere d' uso co-
mune il più prezioso tra i cimelj posseduti da Ferrara, l'autografo di quella
parte dell'Orlando che l'Ariosto aggiunse nella edizione definitiva del 1532.
Non occorrono molte parole per dimostrare l'utilità, la necessità di quésta
impresa. Si tratta di più che 500 ottave, che il manoscritto ferrarese ci ha
serbato cosi nella forma abbozzata, come nelle loro trasformazioni, come nel
testo ultimo. Alcune stanze son rifatte sino a cinque volle. Quali e quanti
elementi offrono allo studioso di stilistica! Tutto l'autografo sarà riprodotto
in tante tavole in fototipia. Imagine più fedele non si potrebbe desiderarne.
Noi speriamo che il prof. Agnelli vorrà unire anche la riproduzione di due
carte esistenti nelP Ambrosiana di Milano, le quali, secondo la notizia data
da G. Lisio all' ultimo Congresso internazionale di scienze storiche, integrano
la buona copia delle stanze aggiunte; sembrano anzi a dirittura strappale
dal manoscritto ferrarese. Esprimiamo in fine l'augurio, che l'indifferenza o
lo spavento della spesa {lire cento per tutte le carte) non soffochi in sul
nascere l'impresa del benemerito bibliotecario.
.*. La vita e le Rime di Angiolo Bronzino danno titolo ed argomento ad
uno studio della signorina Albertina Furno (Pistoja, Fiori, di pp. 112 in IG.").
È noto come questo pittore fiorentino del sec. XVI (1503-1572) proseguendo
una tradizione paesana, trattasse insieme col pennello anche la penna. Le
sue rime serie non hanno gran valore, salvo per la lingua, che è schietta e
viva: ma le rime "in burla „ lo mostrano non indegno discepolo del Borni,
e dei più antichi che di generazione in generazione si esercitarono in tal ge-
nere di componimenti, mescolandovi qualche spruzzo di satira. Tutta ia sua
DELLA LETTERATURA ITALIANA 249
produzione poetica è esaminala in forma piana e lucida dall'autrice di questo
studio, dopo averne narrata la biografia. Ma poiché essa nota * i caratteri
* comuni all'opera pittorica e poetica del Bronzino ,, crediamo che utilmente,
a completarne l'immagine, si sarebbe potuto trattare di lui anche come pit-
tore, e almeno enumerarne le opere.
.'. Albertina Furno in un opuscolo intitolato Uno stornellato fiorentino
(Palermo -Torino, Glausen, 1902, pp. 8 in 16.°) dà notizia di un improv-
visatore di stornelli, Zulinio Franceschi, nativo di Legnaia presso Monticelli
in quel di Firenze, che fa il mestiere di lustratore di mobili in una bottega
d'oltr' Arno. Il Franceschi ha una grande facilità di improvvisare, e la Furno
riferisce alcuni suoi Rispetti assai graziosi, e di uno di essi anche la tra-
scrizione dell'aria su cui egli lo canta. Siccome il Franceschi si prova vo-
lentieri a improvvisare stornelli in tenzone, riprendendo l'ultimo verso del
rispetto dell'avversario per cominciamento del proprio, la Furno pensò di
far cantare a una signorina la Serenata famosa del Bronzino dando l'an-
damento di una quartina ad ogni terzetto di essa, col ripetere due volte il
verso ultimo, che dovea essere il principio di ogni rispetto del Franceschi.
La Furno fu indotta a ciò dalla speranza che sulla bocca del Franceschi
rifiorissero le canzoni popolari toscane di cui, secondo la dimostrazione del
Rubieri e del D'Ancona, la Serenata è un centone. Sedici dei cinquantasei
rispetti, che con molta facilità cantò il Franceschi, sono riprodotti dalla
Furno, la quale conclude : " Io non do al fatto pili valore di quello che
* abbia, né presumo di esser giunta con questo stratagemma a ritrovare pro-
" prio i canti che vivevano nel cinquecento, e de' quali il Bronzino citò il
"cominciamento; ma pure non è improbabile che talora il capoverso abbia
" obbligato lo stornellaio a cantare per intero il rispetto che gli corrisponde ,.
Ad ogni modo, aggiungiamo noi, i Rispetti del Franceschi saranno un utile
termine di confronto con altri che per la Toscana si potranno quando che
sia rinvenire.
.•. La prima serie degli Studj che la signorina Eugenia Montanari an-
nunzia su l'Arte e la Letteratura nella prima metà del sec. XIX è consa-
crata a Pietro Giordani (Firenze, Lumachi, di pp. XIM70 in 16."), e questo
saggio fa bene augurare di ciò che verrà in appresso. Intanto, considerato
in sé stesso soltanto, è un buon lavoro, che getta nuova luce sur un aspetto,
non illustrato fin ora, dal quale il letterato piacentino dev'esser osservato.
Il cullo dell'arte nelle varie sue forme non fu per lui una cosa a parte, ma
connesso con quello della parola, ed egli avrebbe dovuto rappresentare tale
intrinseca unione in quello che annunziava " il pili lungo e il più importante ,
dei suoi lavori. Egli lo intitolava Del vero nelle arti del disegno e della
parola, e di esso non restano che frammenti, ma il titolo ce ne dichiara gli
intenti. Da tutte le varie scritture del Giordani è perciò 1' autrice costretta
a raccogliere ciò che può darci una idea dei concetti sull'arte, ch'egli agi-
tava nella sua mente. E senza bea penetrarne l'essenza, e la relazione che
hanno con le condizioni politiche di quel periodo storico e colla profonda
italianità del Giordani, mal si comprenderebbe a prima vista come egli po-
tesse passare dalla celebrazione del Canova a quella del Bartolini; se non
che, nel primo egli scorgeva il rinnovatore della squisita arte classica nella
forma, nel secondo colui che le comunicava l'alito avvivalore dell'idea e
250 RASSEGNA BIHLIOGRAFÌCA
la coscienza dei nuovi tempi. L'autrice di questo lavoro ha fatto con esso
opera buona, e meglio lumeggiato, da un nuovo aspetto, l' immagine di uno
scrittore, che, quali si sieno i giudizj della posterità, esercitò ai suoi di una
vera dittatura rispetto al gusto letterario. Salvo qualche cosa di un po' ne-
buloso e indeterminato nello stile, non abbiamo che a lodare questo saggio,
e incuorare l'autrice a proseguire la trattazione dell'argomento cominciato
a svolgere con questo volume.
.'. É noto come un Comitato internazionale intendesse celebrare a suo tempo
il primo centenario della battaglia di Marengo. Le vicende dei tempi impedi-
rono l'effettuazione di questo disegno, del quale restarono tracce nel BuUettin
mensuel du Cornile international ecc. {Rassegna, Wll, 260) e nella pubblica-
zione per cura della società storica alessandrina d'un libro di varj scrittori
{Rass. Vili, 308). Adesso il sig. A. Lumbroso, presidente del Gomitato, dà a luce
un voi. col titolo Mélanges Marengo (Frascati, tip. Tusculana, di pp. LXXI-232
in 16."), che sarà seguito da un altro, ed è fuori di commercio, ma destinato
alle biblioteche e ai membri del Gomitato soltanto. Esso contiene gli scritti
di otto autori, pili la prefazione del compilatore, e parecchie illustrazioni
(vedute, carte, ritratti ecc.). Sono materiali utili alia storia del memorabile
avvenimento. In un luogo della prefazione si ricordano i componimenti poe-
tici ch'esso ispirò. Altri si potevano riferire o almeno indicarne, di autori
contemporanei : ma fra quelli di poeti dei tempi successivi, oltre il Mameli,
potevasi rammentare Giuseppe Revere, il carme del quale, che s'intitola
appunto Marengo, ha molto maggior merito d'arte, che l'informe polimetro
del giovane bardo genovese.
.'. Francesco Selmi, patriotta, letterato, scienziato meritava bene un ricordo
della sua vita integerrima ed operosa, e lo ha adesso con un voi. del prof.
G. Ganevazzi, che alla sua narrazione biografica aggiunge una Appendice di
lettere inedite (Modena, Forghieri e Pellequi, un voi. in 18.° di pp. VII-266 con
ritratto). La prima forma di questo lavoro era quella di conferenza, e di essa
ritiene tuttavia le impronte. Meglio era forse rifare il lavoro e pili acconciamente
coordinarne e svolgerne le parti, anziché i.l testo sottoporre larghissime note
e in fondo collocare copiose giunte e correzioni. Cosi com' è, è un lavoro
alquanto farraginoso e tumultuario, nel quale troppo spesso, e lo dicono
anche i molti errori tipografici, alcuni del quali corretti a mano, appajono
i segni della fretta. Dando altra forma pili ordinata al suo lavoro e alla
copia dei materiali, 1' autore avrebbe anche potuto meglio lumeggiare alcuni
aspetti di quest'uomo, che, per naturai driltura d'intelletto, emerse fra i
contemporanei come scienziato e insieme come letterato. I meriti, ad esempio,
del Selmi dantista avrebber meritato pili lungo discorso, mentre invece sono
appena indicali, e non per studio proprio, ma per indicazione di giudizj
d'altri. Il saggio, per citarne uno, del Selmi sul Convivio è un lavoro di ca-
pitale importanza, specialmente per la divinazione sulle 14 Ganzoni che vi
sarebber state illustrate; e di ciò appena è fatta menzione. Diremmo quasi
che le benemerenze del Selmi scienziato sieno poste in più chiara e piena
luce che quelle del Selmi letterato e dantista. La corrispondenza, che ha
alcune lettere importanti o curiose, sarebbe stata bene disporla anziché
per autori, per ordine cronologico. A noi pare insomma, letto con interesse
questo volume, anche per le memorie che in noi ridesta, che debbasi rin-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 251
graziare il prof. C. dell'aver riposto in onore un uomo per tanti aspetti
notevole; ma che egli si sia come lasciato sopraffare dalla quantità e va-
rietà del materiale e dal desiderio di far presto.
.*. L'infaticabile prof. Arturo Farinelli ha pubblicato una seconda serie
di Mas Apuntes y Divagnciones Bibliograficas sabre viajes y viajeros por
Espana y Portugal (Madrid, 1903, pp. 83 in 8.» piccolo). Chi scorra l'ab-
bondante bibliografia vi troverà molti nomi d'Italiani che viaggiarono per
la penisola iberica, fermando le loro impressioni in racconti, alcuni dei quali
giacciono inedili iu biblioteche italiane o straniere. Il Farinelli fa sperare (e
noi l'incoraggiamo) che i suoi appunti e quelli pubblicati da un suo com-
pagno di studj, il Foulché-Delbosc, possano essere raccolti insieme in un voi.
.•. A ragione il sig. A. Sacghetti-Tassktti preludendo al suo libro Le
scuole pubbliche in Rieti dal XIV al XIX secolo (Rieti, Frinchi, 1902, di
pp. VII-202 in 8.") osserva che l'illustrare non solo le vicende dell'insegna-
mento superiore e universitario, ma anche quelle dei minori centri, darebbe
contributo non piccolo alla storia generale della cultura italiana. Intanto egli
fa per la sua Rieti quello che è desiderabile che altri possa fare per tutte le
città italiane, e accompagna le vicende dell' insegnamento dal sec. XIV, e
precisamente dal 1381, in che per la prima volta il Consiglio reatino, pur
riferendosi a consuetudini anteriori, elesse un maestro di grammatica, fino
ai di nostri. La serie di questi maestri e delle loro elezioni dura per tutto
il sec. XV e XVI; e se per la maggior parte sono nomi di oscuri insegnanti,
ve n'ha alcuno, ad esempio, il Cantalicio, che è ricordato fra gli umanisti.
Quali fossero gli ufficj, quali le retribuzioni di questi maestri è da vedere
nel libro che annunziamo (p. 88 e seg.), con norme che, del resto, poco
differiscono dalle comuni ad altre città. Intanto alla fine del sec. XVII la
scuola si mutò in Collegio (1617), che col tempo venne affidato ai padri
Scolopi (1698), finché ritornò Liceo Comunale (1815). Queste vicende, che
non importano soltanto la storia reatina, sono narrate con largo sussidio
di documenti, e si terminano con un indice di nomi proprj, che potrà per
avventura mettere sulla via di trovare qualche notizia biografica di letterati
minori del quattro e del cinquecento.
.•. Nel volumetto di G. Urbini, P/-ose d' arte e d' estetica i^ev\x%\&, Gxxevvsi,
di pp. 245 in 16.°), predomina la materia, che è fuori del campo del nostro
giornale. Vi è bensì quello scritto su V estetica dantesca, del quale altra volta
(Vili, 340) demmo un cenno di meritata lode. II rimanente tratta d'arte, o
di critica letteraria contemporanea. Fra i saggi artistici ci par da segnalare,
come importante per la storia e notevole per giusto criterio lo scritto //
Presepio nell'arte umbra (p. 83), né va dimenticato l'altro I ritratti di Gia-
como Leopardi (p. 109), che raccoglie utili notizie suU' argomento. La forma
schietta e temperatamente calorosa e vivace fa leggere con piacere tutto
quanto il volume.
.*. Il prof. 6. U. Posocco raccoglie insieme varj suoi scritti, col titolo Note
letterarie e Saggi d' interpretazione- ad uso delle scuole secondarie (Faenza,
Montanari, di pp. 216 in 16.»). Sono brevi cose, delle quali taluna non so-
verchia la pagina : si direbbero rilievi di un copioso banchetto, se non fos-
sero esse appunto il banchetto offerto al lettore. Fra gli altri scritti prefe-
riamo quelli interpretativi, nei quali ci pare che maggiormente si scorga
252 Rassegna bibliografica
il buon gusto dell'autore, e la familiarità cogli autori classici italiani e la-
tini. Noi pur facendo stima, come meritano, di queste noterelle, vorremmo
vedere in esse un saggio di commenti, a Dante per es. o al Petrarca: ma
l'esser disgiunti dai testi, sebbene l'a. dica che questi sono presenti alla
mente di tutti o possono dal lettore facilmente esser messi dinanzi ai proprj
occhi, scema ad essi, cosi come sono, utilità e pregio, perché è sempre in-
comodo leggendo un libro doverne aprire un altro. Ad ogni modo però,
queste illustrazioni sono notevoli e da prenderne ricordo, specie dagli inse-
gnanti. Alcuni scritti di argomento più generale (per es.: Prolegomeni alla
letter. ital. e 1' Ufficio dello scrittore) sono troppo brevi, ma se mancano di
novità, non sono senza appropriata dottrina né senza dirittura di giudizio.
Lo stile è sempre facile e schietto ; ma perché ostinarsi in quella pedanteria
del a la, de la, de i ecc. ; che può sopportarsi in poesìa, ed è cosi incom-
portabilmente sazievole in prosa?
.•. Dalla ditta editrice Belforte e comp. di Livorno ci giunge un volumetto
(di pp. XV-162 in 16.°) intitolato: Fulvio Stanganelli (R. Fiacgaventò) Pie-
cole prose letterarie. Le cose piccole presuppongono le grandi, come le opere
minori le maggiori ; ma ancora non ne abbiamo viste di tal fatta, né sotto
il nome di Stanganelli, né sotto quello di Fiaccavento. Un breve preludio
dell' a. datato da Gomiso in Sicilia, avverte il benigno lettore che non pensi
di trovar nel suo libro " cose prettamente nuove e originali, perché ogni
* giorno poche sono le cose che paiono nuove ed originali, e non abbiano
"tanto di barba: solo vi troverà riflesso un animo non indifferente a tutte
* le pili belle e care idealità, che nell'ore triste che attraversiamo, ci può
' consentire la vita moderna. Queste ultime parole ci incoraggiano alla lettura,
ma animo ancor maggiore a proseguire ci darebbe la Prefazione che segue,
segnata Domenico Graffeo (chi è questo signore?). Egli esordisce col dire che
Fulvio Stanganelli veramente " non ha bisogno di presentazione , : tuttavia,
enumerando le qualità che deve avere un critico, dice sembrargli le " pos-
" segga ,, e che per contrario * non abbia alcuno dei difetti , che possono a certi
altri critici rimproverarsi. Si sarebbe invogliali, dopo ciò, a vedere se a tali
lodi corrispondono gli scritti contenuti nel volumetto; ma il sig. Graffeo (chi
è questo signore?) cosi conchiude la prefazione, rivolgendosi ai possibili fu-
turi critici di esso: " vorrebber far la critica di un libro di critica?. Evi-
dentemente è meglio lasciar correre, e dar ragione al signor Graffeo (ma chi
è questo signore?) e accettar per buono tutto quanto egli asserisce in lode
del suo amico. Del resto, nel volumetto forse uno solo dei saggi, rientrerebbe
nel campo da noi coltivato : quello su ' una rimatrice italiana delle origini ,
cioè sulla Compiuta Donzella. E ci sarebbe su di esso parecchie cose da
osservare ; ma vogliamo accogliere il consiglio di non * far la critica di un
" libro di critica ,. Soltanto, rispetto a cotesto saggio appunto ci dimandiamo
come e perché, l'a. che cita e cita e ricita gli autori, che pili o meno han
trattato l'argomento, scrivendo da Gomiso nel 1903 non sa nulla di un la-
voro sullo stesso argomento, del sig. Liborio Azzolina, stampato a Palermo
nel 1902 (cfr. iJnssc^na, X, 224). Il caso è un po' strano!
k.!)' kvooTSA direttore responaahilt. . ""^ i..j
Pisa, Tipografia F. Marlottl, 1903.
RASSEGNA BIBLIOaRAFICA
DELIA LETTEEATUEA ITALIANA
Direttori: A. D'ANCONA e F. FLAMINI^ Editore: E. SPOERRl.
Anno XL Pisa, Ottobre-Novembre-Dicembre 1903. N. 10-11-12.
Abbonamento annuo | P^^ }• Estèro' ^l"^^ ». I ^" ■"""• «opa^ato Cent.
SOMMARIO: E. Clebici, Il Conciliatore, forìoùìco milaoega (P. Prunas). — Miscellanea
di sttidj critici edita in onore di Arturo Graf{L. Ferrari). — T. Gargallo, Il Pa-
latino d' Ungheria. Firenze 1823. Egy olasz BAnk-BAnh. Novella : forràsaivat
egyiitt kiadta KatoSa Lajos (E. Teza). — M. Fuochi, Eschilo, Il Prometeo incate-
nato (Z). — Comunicaeioni. ¥,.Y\h\vv\^\. Scaligeriana. — Annunzi biblio-
grafici (Vi si parla di: (A. Loforte-Raodi - E. liranibilla - G. Negri - / Fioretti di
S. Francesco). — Cronaea.
Edmondo Clerici. — Il Conciliatore, periodico milanese, Pisa, Nistri, 1903 (estr.
dagli Annali della R. Scuola Normale Superiore, voi. XVII).
Sono trascorsi sessant'anni da che il Sainte-Beuve scriveva che la storia
de' giornali di Francia era ancora da fare, e s'augurava vedere qualche a-
cademia incitare a quell'opera due o tre lavoratori, coscienziosi senz'essere
pedanti, intelligenti senz'essere leggeri. È tempo — egli diceva — che questa
storia si faccia, perch'è già tardi, e tra poco non sarà pivi possibile.
Ma questa storia è in Francia da farsi tuttavia, e non in Francia sol-
tanto: l'Inghilterra e la Germania, che pure ebbero nella prima metà del
XIX secolo le riviste più importanti forse di tutta Europa, non possono an-
cora vantarsi d'averla fatta; e l'Italia ha essa forse su' suoi giornali (e si
prendano pure i maggiori) studj degni e soddisfacenti ? Chi ha fatto ancora
oggetto di faticose ricerche e di cure pazienti, in modo che nulla più ne
resti da dire, la Biblioteca e il Conciliatore di Milano, V Antologia di Fi-
renze e il Giornale arcadico di Roma, il Giornale ligustico di Genova e il
Progresso di Napoli? Certo non v'è persona mediocremente eulta che, più
o meno particolareggiate e precise, non ne conosca le origini e le vicende
e l'importanza; vi fu, anzi, chi lungamente discorse della Biblioteca italiana
e del Conciliatore, e chi àeìV Antologia : ma la vita del giornale fiorentino
era, se cosi posso dire, un episodio della vita di G. P. Vieusseux; e il Tom-
maseo, che mirava a tratteggiare intera la lìgura dell'amico ginevrino, non
potè su Io studio di quell'episodio intrattenersi quant' esso consentiva, ben-
ché per notizia di fatti e originalità di giudizj lo abbia reso prezioso con
parsimonia abondante. E que'due volumi del Gantù lasciano invero molto
da desiderare per ordine, per esattezza, per giustizia di apprezzamenti; quan-
tunque ricchi di lettere inedite, di aneddoti peregrini e di ricerche erudite.
Anche in quel poco di già. fatto è dunque da rinnovare la storia de' gior-
nali d' Italia, e meglio detto sarebbe : tutta da fare. Per questo appunto giun-
18
254 tlASSRONA BIBLIOGRAFICA
gè opportuno il lavoro del Clerici, che colma una lacuna e fa bella rispon-
denza al buon lavoro die, non da molti anni, un mio compagno ' di studj diede
alla luce su '1 giornale de' Verri e del Beccaria.
Certo, all' opera del Clerici non mancano difelli, ma le più belle cose
degli uomini ne hanno, diceva P. Verri; e i difetti sono, in questo caso, di
tal natura che trovano facile scusa nell'età giovine dell'autore, e sufficien-
temente restano compensati da' pregi. Il volume è diviso in tre parli, nella
prima delle quali è tratteggiata tutta quasi la storia del Conciliatore dalle
sue origini, determinandone l'indole e la materia, e via via presentando i
collaboratori, gli amici e cooperatori : nella seconda, lenendo presente gran
parte del moto letterario italiano e straniero, si riassumono, discutendole,
le varie dottrine romantiche, morali, sociali, economiche e sloriche: nella
terza, narrata la fine del giornale e la dispersione degli scrittori, se ne ri-
cercano le simiglianze d'intenti e dimezzi con V Antologia, levmìnando con
uno sguardo generale al primo romanticismo italiano.
Noterò via via quelle cose che non mi sembrano esatte, o su le quali
più o meno diversa è la mia opinione.* Dopo tratteggiato con rapidissimi
tocchi le condizioni della penisola in séguito alla rovinosa caduta di Bona-
parle, e parlato del giungere del Pellico in Milano nell'ottobre del 1809, in
sole quattro pagine (6-10) il Clerici dice de' tentativi del Pellico per far sor-
gere il J?er.<!a(grZterÉ', de' " malumori e dissensi, tra' collaboratori deWsi Biblio-
teca, del tentativo infecondo del Giordani e del Monti di contrapporle un
nuovo giornale; e citata una lettera del Pellico al fratello, ove è dello che
il conte Porro, profittando dell'ira poetica del Monti e compagni, li aveva
impegnati a slare uniti per fare un nuovo giornale; conchiude (pag. 10) :
" cosi quelle mal sicure e indecise aspirazioni, quei vaghi disegni che non
* erano riusciti al Pellico e ai suoi due amici, né al Giordani e ai malcon-
" tenti dell'Acerbi, furono determinali e condotti ad effetto col valido ap-
" poggio di due nobili liberali, come il conte Porro e il conte Gonfalonieri ,.
1 L. Febraei, // Ciifft, periodico miliiiiese del sec. XVIII, Pisa, Nistri, 1899.
2 Tralascio, per brevità, le piccolezze, delle quali ricordo solo qualcuna: numerosi, nelle
citazioni in nota, sono gli errori dì distruzìoue o di stampa; per es. errata è la citazione
a pag. 34, nota 5.a, e a pag. 40 la nota 1.»; che il brano cit. è tolto dal Programma del gior-
nale: a pag. 86, la nota l.a dev' essere corretta, n. 34 pag. 134: a pag. 93, la nota 2.» va egual-
mente corretta n. 34 pag. 134: a pag. 118, nata 2. a, e pag. 119 nota l.a, la citazione dev'essere
n. 4 pag. 14-15: a pag. 19.5 la nota 5 va corretta, pag. 422 (Pecchio): a pag. 127 la nota 3.a
deve correggersi n. 46 pag. 181 ; né, per dire il vero, le parole chiuse tra virgolette sono di
Crisostomo, che scrisse molto diversamente: nella stessa pag. 127, la citazione che incomin-
cia: € il romanticismo non consiste.. . . ecc. > e finisce « è lecito a costoro confondere il
« genere romantico col genere pazzo >, è ben poco precisa, e tutto il brano viene in nota
attribuito al Visconti, mentre dal punto che dice « gli uomini del volgo .... » eco. ... fa
parte di un altro articolo, firmato il Cmiciliatore, su '1 discorso di L. Mabil. {Coiiciliaiore, n. 40
pag. 159). Cosi pure (pag. Ili) Bayle è da correggersi in Beyle: e non è esatto citare (pag.
34-35) il solo Bcrchet autore di quell'articolo « sopra un manoscritto inedito del foglio pe-
riodico il Cnffè »; articolo compilato da due persone, come infatti si vede anche dalla firma,
nella quale allo pseudonimo del Berchet s'accompagna la sigla P. £ altre inesattezze po-
trebbero ancora notarsi, ma non è da tacere che scrivendo costantemente Niccolitii per de-
signare il poeta bresciano Giuseppe Nìcolinì, e.sso si confonde per tal modo col tragico
Oiam-Battista fiorentiuo.
DBLLA LETTERATURA ITALIANA 255
Il Conciliatore, dunque, è già fondato : ma quanto il Clerici ha detto, è in
verità troppo poco per mostrarne le origini. Se ben si osservi, egli in quelle
quattro pagine non ha fatto se non togliere que' brani delle lettere del Pel-
lico, necessarj all' argomento, ponendovi di suo ciò che bastasse a tenerli
uniti; cosi che que' brani dicono poco, e il tutto è senza vita.
Quando, ad es. il Pellico e gli amici suoi " in gran segreto , meditavano
un giornale che seppellisse la Biblioteca, non poche certo erano le difficoltà da
superare: il Clerici afferma (pag. 7) soltanto che * la grave difficoltà di un'ar-
" monia intellettuale necessaria all'impresasi presentava sempre più ardua
* alla mente del Pellico ,; e cita un brano di lettera, la quale dice che " le
" volontà non erano ancora sufficientemente concordi ,. Ma il perché le vo-
lontà non erano concordi, i7 percA^ mancava "l'armonia intellettuale, e
tutti, a confessione del Pellico, guardavansi 1' un l' altro in cagnesco ; il Cle-
rici non dice, e questo appunto era necessario ch'egli dicesse. E senza dubbio
l'avrebbe detto, se si fosse più lungamente trattenuto a dipingere le rivalità
e le gare meschine de' letterati (e il Poligrafo e i numerosi epistolarj gli forni-
vano materia bastante) e sovra tutto le incertezze, come in politica anche
in letteratura, dopo il '14; se, in altre parole, si fosse studiato a vivere un poco
la vita di quel tempo; perché nella prima parte del lavoro manca sovra
tutto la dipintura di ciò che comunemente suol dirsi ambiente storico. S'ag-
giunga poi, che nel trattare le origini del giornale è un poco di confusione
e di inutile ripetizione pe '1 modo con che la materia è stata disposta: dopo
aver detto in fatti (pag. 8) delle liti tra' soci della Biblioteca, e che il Porro
e il Confalonieri determinarono e condussero ad effetto i vaghi disegni de-
gli altri (pag. 10), in altre parole, che fondarono il giornale; presentati i " due
"nobili liberali, e i varj cooperatori, ritorna (pag. 30-32) alla Biblioteca
italiana, a' dissensi con l'Acerbi, al ritirarsi de' primi collaboratori; e ripete:
" sorse allora, per opera di una società di buoni patrioti ... il nostro pe-
" riodico . . . ,. S'io non m' inganno, poteva questa materia esser meglio or-
dinata, e più ampiamente svolta: più svolta, sovra tutto, per ciò che riguarda
— come dicevo — l'ambiente. Il Clerici, ad es. ricorda (pag. 11) una lettera
del Pellico, ove questi dice che i futuri Conciliatori, che guardavansi prima
in cagnesco, avvicinandosi si riconobbero, e giustificandosi si stimarono. Le
riunioni in casa Porro furono sorgente certo non piccola di quell'armonia;
non doveva quindi il Clerici ristringersi a dire soltanto (pag. 13) che " la sua
" {del conte Porro) casa divenne il ritrovo di tutti i più illustri uomini di
" Milano e di quanti stranieri soggiornassero in quella città per qualche
* tempo ,; né fugacemente accennarvi altrove (pag. 26). Bisognava rappre-
sentare la vita di quella casa, che era come una grande lanterna magica in
cui più 0 meno distinto si disegnava il profilo degli uomini più grandi, e
non d'Italia soltanto; sorprendere adunati quelli spiriti eletti, e dipingerli
in quelle loro conversazioni, per elevatezza e importanza paragonabili solo
a quelle in Firenze nel Gabinetto letterario di G. P. Vieusseux. Il sentire nel-
r anima queste cose, l'avrebbe anche aiutato a intendere l'anima del gior-
nale; e mi duole che l'amico mio si sia lasciata sfuggire l'occasione di
scrivervi sopra un bel capitolo ; che gli elementi per scriverlo non manca-
vano, e poteva essere geniale e pieno di vita. Oh quante cose belle erano
256 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
da dirsi su quella società della quale lady Morgan scriveva che Parigi slesso
non ne avrebbe potuto offrire una pili amabile e pili interessante; su quella
fucina intellettuale e operosa, di dove il Conciliatore traeva la vita, e dove
fiammeggiavano tante idee delle quali solo una piccola parte poteva fluir
nel giornale !
Uno de' difetti dunque di questo lavoro, per ciò che riguarda la parte
storica, parmi consista nell' essersi l'autore contentato spesso di accennare
a' fatti, senza però spiegarli e intenderne l'anima secreta. E perché sono
venuto a parlare della parte storica, non vorrò muovergli rimprovero del non
averla trattata — per ciò che riguarda strettamente il giornale — come si
conveniva; che egli slesso dichiara (nella prefazione) di ritornarvi sopra in
avvenire, non avendo pazientemente esaminalo le biblioteche private di Mi-
lano, né V Archivio di Sialo; devo bensì dirgli che appunto per queste ra-
gioni il suo lavoro riesce manchevole, in quanto su ciò che costituisce la
vita del giornale nelle sue origini e nel suo sviluppo, ne' suoi rapporti con
gli altri giornali, nella sua fine e nella sua fortuna, non ha cosa, si può dire,
che già prima non fosse nota.
Dalle considerazioni d'indole generale scendendo un poco a qualche par-
ticolare, non saprei consentire davvero all'idea del Lazio, riportata dal Cle-
rici, (pag. 31) che cioè l'Acerbi fu " spìrito illuminato ed equanime „; alla quale
idea egli fa coro affermando che l'Acerbi conservò una " lodevole impar-
"zialilà,. Certo, il Giordani, il Monti e gli altri di troppo a lui superiori,
co' loro disdegni più che non meritava lo posero in mala luce; ma pur ri-
conoscendogli molti meriti, a lui negali da' suoi nemici, oso aver qualche
dubbio sui "lumi, dell'Acerbi, in specie quando mi torni in mente l'acco-
glienza fatta al Leopardi, della quale il poeta recanatese nelle sue lettere
certo non molto si compiaceva. In quanto poi alla sua * lodevole impar-
" zialità ,, rilegga meco l'amico Clerici (cito una prova, tra le varie che
potrei) la lettera che lo Seal vini diresse all'Acerbi, nella quale non po-
teva, ben che irato, rimproverarlo di cose non vere; e forse muterà d'opi-
nione. Dicevagli lo Scalvini: "quand'io scrissi quel mio parere intorno alla
* versione dell'Edipo Coloneo del cav. Giusti, voi faceste lunga insistenza, per-
" eh' io tacessi alcune parole che lodavano ... lo stile del Monti : le quali io
" scriveva quando non era, né pensava essere per divenire, amico a quell'il-
* lustre ... E quando voleste ch'io ragionassi delle Tragedie di Salvatore Scu-
" deri, era vostro gran desiderio ch'io lodassi quel lavoro ... da tutti trovato
" indegno di lode; e quasi a fine di persuadermene la bontà, venivate dicen-
" domi avere lo Scuderi sollecitato per tutta la Sicilia lo spaccio della Bibita-
" teca italiana» E allorché presi a parlare deW Iliade volgarizzata dal sig. Man-
* cini, voi a grandissima pena comportaste ch'io non la ponessi sopra quella
* del Monti, o non volessi almeno, notando i difelli dell' una, passarmi
" de' pregj dell'altra,..,.* Del resto, che imparzialità poteva essere quella
dell'Acerbi, se egli stesso, scrìvendo all'amico Carpani, diceva che tra l'al-
tre cose che si proponeva per iscopo, era dare al giornale (si noti la frase
t Scritti di a. Scalvini, ordinati da N. Tommaseo, Firens», Le Mounier, 1860, pag. U9-121.
DELLA LETtBRATURA ITALIANA ^57
che dipinge tutto l'uomo) * un'aria di imparziatilà e iadipeDdeuza? , ' Un'a-
ria di imparzialità — dovrà convenirne l'amico mio — non è vera imparzia-
lità, e molto meno, lodevole.
Nella pag. 44, trovo scritto che il Borsieri " qualche volta firmava gli ar-
* ticoli con una semplice P. ,. Non nego che il Clerici abbia le sue ragioni
per afifermar ciò, ma bisognava pur dirle, pe '1 fatto che il Pellico, nel docu-
mento citato dal Gantù, asserisce che il Borsieri si firmava P. B. (si noti
però che nel Conciliatore nessun articolo è firmato con ambedue queste ini-
ziali) mentre nella lettera al Foscolo del 17 ottobre 1818 dice invece che B.
indicava Borsieri. E tanto pili la cosa aveva bisogno di schiarimento, in
quanto anche G. Mazzoni, che pur tante cose sa su '1 secolo XIX, dice {Ot-
<ore«<o, pag. 237) del Pellico l'articolo su le comedie dello Sheridan e quello
su '1 Gorniani (entrambi firmati con la sigla P.), che il Clerici, in vece, attri-
buisce al Borsieri (pag. 41, 86, 98).
Né parmi molto esatto il dire (pag. 50) che lo Scalvini fu " amicissimo
* dei nostri soci, finché non divenne . . . amico dell'Acerbi „. Lo Scalvini co-
nobbe e fu amico all'Acerbi da che giunse in Milano: e Alessandro infatti,
cugino a Giovila, scrisse che questi * venne in Milano nei primi mesi del
"1818; alloggiò in casa Acerbi sino a che passò in casa Melzi, per l'istru-
■ zione de'figli, alla metà di ottobre 1818 „}
Anche : per ciò che riguarda gli amici e cooperatori, non so se G. B. Nic-
colini fosse, quanto il Clerici mostra credere, (pag. 52) • partigiano , del Con-
ciliatore, al quale " amicava ,, al dire del Maroncelli : questo ben so, che pur
avendo tra gli scrittori del foglio azzurro amici molti, e nella pratica ac-
colto non poche massime de' romantici, al Capponi, però, allora in Parigi,
scriveva (lettera del 30 die. 1818) che il romanticismo era una follia per cui
da' lombardi si scimieggiavano i tedeschi. A ogni modo, l'aver egli rivolto
agli scrittori della Biblioteca le disdegnose (non le direi * generose ,) parole,
che il Clerici ricorda, non mostra ch'egli amicasse alle dottrine letterarie del
Conciliatore; perché furono scritte nel 1822 su V Antologia (n. XVII maggio
pag. 318) in difesa d'una sua traduzione. Cosi pure, dopo aver parlato (pag. 57)
delle affinità fra le idee de' Conciliatori in politica e in letteratura, e quelle
del Foscolo, e ricordato il Parere di lui su l'instituzione di un giornale let-
terario per ricercarvi le simiglianze; il Clerici dice (pag. 58): "non sembra
" quasi che i nostri avessero ben letto e meditato questo parere, prima di
* accingersi alla loro opera?;,. In qualche cosa forse si, sembrerebbe: in altre,
no senza dubbio, tanto, più che dissimili, contrarie sono le loro opinioni.
Avrebbero forse i concihatori assentito a questo, ad es., che il Foscolo scri-
veva nel suo parere: " Ogni governo regnante ha bisogno, diritto e dovere
" di ridurre le opinioni dei sudditi al sistema del suo governo , ? Volendo
notare le simiglianze, dovevasi pure accennare alle differenze, che non erano
poche.
Nel capitolo IV, ove è discorso del romanticismo, trovo qualche idea
1 Lettera citata da G. Mazzoni, L' ottoceìiio, p. 231.
s Scritti cit. di G. Scalvini, pag. 251.
258 RASSEGNA BIBLIOQRAFICÀ
(pag. 71 e seg.) che darebbe luogo a non brevi discussioni: dice l'A. che in
ogni età, per tutte le letterature si possono osservare due indirizzi del pen-
siero, l'uno dei quali conservatore, innovatore l'altro: il romanticismo quindi
" può avere caratteri comuni con qualunque età di transizione, quando par-
* tlgiani del vecchio sistema e novatori ribelli si contendono il campo „, e
dev' essere considerato come " prodotto di un largo movimento del pensiero
" e della vita del secolo XVIII ,; ma perché ha " una fìsonomia propria ,,
l'A. dubita " dell'utilità e della verità di una ricerca . . . secondo la quale si
' trovano i cosidetti precursori del romanticismo un po' dappertutto ,. * Come
* infatti cercare i precursori di quel nuovo sentimento, che anima 1' opera
" dei nostri romantici, mentre tale sentimento ... fu ignoto ai predecessori,
" e solo in parte e vagamente sentito da qualche ingegno solitario e divi-
" natore? „.Le avversioni al convenzionale — continua — le ribellioni alle re-
gole furono in vario modo e in diverso grado * d' ogni tempo e d' ogni pò-
' polo e non compongono da sole il romanticismo, i cui varj aspetti invano
"si cercano in tanti scrittori d'altre età,. Sorvolo su questi benedetti se-
coli di transizione o di passaggio, com' altri li chiamano, se bene ho l' idea
che ogni secolo e in sé e per sé, e per rispetto alla vita politica e per ri-
spetto a tutte le manifestazioni dell' arte, è di passaggio, di transizione dal
secolo che l'ha preceduto a quel che lo segue: ma non intendo il perché
per il Clerici non ci abbiano a essere e non debbano cercarsi i precursori
del romanticismo ; mentre egli stesso riconosce questo un prodotto del se-
colo XVIII; mentre concede che il sentimento che l'anima è stato, e sia pure
" in parte e vagamente „, ma tuttavia " sentito „ da qualche ingegno; men-
tre afferma che le avversioni al convenzionale, le ribellioni alle regole e altri
molti caratteri del romanticismo, furono in vario modo e in diverso grado
(e qui esagera) " d'ogni tempo e d'ogni popolo ,, Certo, se i precursori si
cercano, com'egli dice, " un po' dappertutto ,, se in essi si vogliano tutti tro-
vare i caratteri che costituiscono il romanticismo, ha tra le mani buon gioco;
non cosi però se si pensa che quel largo movimento del pensiero che anima
il secolo XIX, ha avuto una lenta preparazione, che molti principi più che
nuovi, erano soltanto rinnovati, se i precursori, infine, si cercano dove e come
vanno cercati. Il dire che — per non essere il romanticismo composto di
soli certi caratteri comuni ad altre età — è inutile e vano cercarne i suoi varj
aspetti negli scrittori di quell'età;* non mi pare ragionamento diritto. Ciò
significa anzi tutto rinunciare a sapere quanto nel romanticismo è di vera-
mente originale, ed è lo stesso che pensare e dire che — non ritrovandosi
i varj aspetti politico, filosofico ecc. della Comedia ne' precursori di Dante —
è vano ed inutile ricercar ne' dipinti e ne' marmi e nelle sculture e ne' libri
anteriori a lui, la sorgente delle sue fantasie e i primi germi del suo pensiero.
A proposito del romanticismo, là dove parla dell'opera del Visconti (pag.
Ili) non era da passarsi sotto silenzio il più che lusinghiero giudizio che di
lui diede il Goethe: vero è che in un punto, trattando del Conciliatore, accenna.
all'articolo (pag. 208), ma la notizia che ne dà è attinta alla lettera del Porro
• Altrove però, pur dicendo che il romanticisDio « uon ebbe» precursori, ammette che
possano trovarsene per le singole parti (pag. 233).
DBLLA l,«lTÉRAtUftA itALlANA 259
airUgoni, rifeiila dal GanUi ; e ho gran timore (e vorrei ingannarmi) clie
il Clerici non si sia dato premura di guardarlo; diversamente, non ne avrebbe
parlato in modo si vago, e sovra tutto non avrebbe detto, modellando la sua
su la breve frase del Porro, che il Goethe "in un articolo sulla letteratura
:" d'Italia ebbe lodi per il giornale milanese e per moW dei suoi collaboratori ,.
Avrebbe visto, in vece, che da' collaboratori uno solo è il lodato : il Visconti.
(L'articolo è Sulla nuova letteratura italiana: Goethes Werke, Hildburghausen,
1869 voi. XII pag. 577-578).
Qualch' altra cosa sarebbe ancor da notare, come là dove dice (pag. 158)
che ìa. Biblioteca " non poteva interamente disapprovare le nuove dottrine ,
e che combattette " non tanto il romanticismo come teoria, ma le partico-
" lari persone che lo rappresentavano ,: che combattesse le persone, e certe
persone in ispecie, non ho dubbio; ma in quanto al non disapprovare le
nuove dottrine, in altre parole, a non combatterle come teoria, lascio rispon-
dere a P. Zaiotti, il quale appunto nella Biblioteca (t. XXV, 1822, pag. 156)
scriveva: " Noi abbiamo nel '19 combattuto il romanticismo perché ne sem-
' brava nocivo ai buoni studj, e piti ancora perché ne pareva che di quelle
* letterarie dottrine si cercasse far velo a pericolosi insegnamenti di natura
' affatto diversa „.
Anche: di cose d'arte, poco è pur vero contiene il foglio azzurro; ma
in un lavoro tutto su '1 Conciliatore, a occuparsi di quel poco c'era materia
sufficiente per scrivervi qualche pagina, non cinque righe, conre il Clerici ha
fatto (pag. 42). Infine, sarebbe stato pur bene, per la storia del giornale, ri-
cordare che in Firenze il 15 di giugno del 1848 fu data la vita a un gior-
nale politico-letterario, co '1 nome istesso di Conciliatore; in tutto diverso
senza dubbio dal primo, e pur singolare nel fatto che vide la luce durante
la rivoluzione toscana, come quello milanese poco innanzi la rivoluzione lom-
barda : tale a ogni modo da meritare un accenno, perché è prova bella non
solo della fortuna di quel nome, ma dell' efficacia che gli scrittori del foglio
azzurro esercitarono su la nazione. " Il Conciliatore — scrivevano in fatti nel
" primo numero i compilatori — risuscitando col suo nome una memoria
"del primo grido d'indipendenza che gl'Italiani fecero sentire all'Europa
" dopo la rinnovata servitù straniera, più che a vestirsi senza merito d'una
* gloriosa divisa, ha inteso di pagare un tributo di gratitudine a quelle forti
* anime che seppero affrettare coi voti e preparare con esempj di coraggio
" e di sacrificio, r italico risorgimento,.
Ho notato finora quelli che a me son parsi difetti del libro, pur sapendo
che ad altri potrebbero forse non parer tali; tante e tanto varie tra' critici
son le opinioni, le quali, al dire del Goethe, mutano in tante tinte chiaroscure
quante sono le gradazioni tra il becco dell'aquila e il naso dell'etiope. A
ogni modo, quand'anche non mi sia ingannato ne'giudizj che ho dato, i di-
fetti non scemano valore all'opera, cosi come il Clerici l'ha concepita. Egli
si è proposto sovra tutto studiare il contenuto del Conciliatore, e in questo
studio è riescilo bene: (ricordo, per farne le lodi, i capitoli V. VI, VII e IX;
se bene in quest'ultimo più ampiamente erano da notare le simiglianze tra
il foglio azzurro e V Antologia, e da non trascurarne le differenze). V'è dili-
genza amorosa nel raccogliere i fatti, acutezza di raffronti e, per ciò che
260 RASSKONA BlBLlOOftAflCA
riguarda la letteratura nostra e straniera, abondanza di cognizioni più che
non si ritrovi in giovine comunemente: il tutto poi scritto — cosa anche
questa non comune — correttamente/ se non sempre con eleganza. Nel
complesso, è lavoro utile e buono; e sarà migliore se il Clerici vorrà —
come promette nella prefazione — farlo oggetto di nuove cure, sviluppare
con fruttuose ricerche la storia del foglio azzurro e la parte aneddotica,
e qua e là ritoccarlo e ampliarlo; quand'egli accolga quelle poche miti obie-
zioni che via via gli sono venuto facendo. Se pure ei non voglia per
tutta risposta ricordarmi ciò che la buona Lauretta diceva in un punto del
foglio azzurro;* che cioè le donne e gli scrittori hanno in questo un de-
stino comune: nel dovere le donne soffrire chi non sa loro fare la corte,
e gU scrittori chi non sa far loro la critica.
Paolo Prunas.
Miscellanea di studj critici edita in onore di Arturo Graf. — Bergamo,
Istituto itaUano di Arti grafiche, 1903; pp. 850, con ritratto in zincotlpia
e una tav. fot. ,
Splendida per eleganza e ricchezza di ornamenti tipografici, per abbon-
danza, varietà e bontà di studj critici, per numero e qualità di sottoscrit-
tori è la Miscellanea, che discepoli, amici ed estimatori hanno testé pubbli-
cata in onore di Arturo Graf, compiendosi il venticinquesimo anno del suo
insegnamento. La Rassegna bibliografica unisce ed aggiunge la voce sua al
coro delle lodi, dei plausi e degli augurj. E si affretta a dar parte ài suoi
lettori di un cosi cospicuo tesoro di osservazioni, di ricerche e di documenti,
prendendo in esame ogni singolo scritto e dandone, per quanto è possi-
bile, una notizia analitica ed oggettiva.
1 (pp. 9-52). Fr. D'Ovidio, La versificazione delle Odi barbare [Messo in
sodo che le lingue neolatine posseggono una lor propria quantità, di carat-
tere tutto fisiologico ed eufonico, scevra, d'ogni legame storico con la quan-
tità latina, e, di più, una quantità veramente ereditata dal latino, quella cioè
di * posizione ,, o meglio di " convenzione ,, il D'O. traccia con mano si-
cura la storia dei tentativi dei nostri cinquecentisti, e dei tedeschi del sec.
XVIII (il Klopstock, il Kleist, il Vosz, il Goethe, etc), per riprodurre nelle ri-
spettive lingue i metri classici degli antichi. Il criterio dei poeti tedeschi fu
di abbandonare, in massima, la quantità, e ricalcare i versi antichi quali
suonano se letti conforme ad arsi o tesi; sicché ovunque nel verso antico
cadeva l'arsi, si avessero sillabe tedesche accentate, e sillabe atone o di
debole accento ovunque cadeva la tesi. Confortalo dal grande esempio ger-
manico e dal ricordo degli stessi infelici tentativi del Tolomei e del Min-
1 Devo però notare (e a me nou piace lo scrivere in prima persona plurale, che è tono
oratorio) che non è bello il frequente mutare dalla prima persona plurale alla prima sin-
golare; come nella stessa prefazione: • Soi ci proponiamo.. . », e pili sotto di due righe,
( Mi sia concesso . . . >.
» N. 6 pag. 20.
Della LBTTEiRAtuRA italiana à6t
turno, il Carducci si acciase a ritentare la prova ; ma tenne via diversa dai
suoi predecessori. Egli si applicò a contraffare gli esametri e gli altri versi
latini * rimasti in asso , con quello stesso metodo, onde, secondo V ipotesi
pili ragionevole svolta dal D' Ovidio medesimo in altro scritto {SuW ori-
gine dei versi italiani, in Giorn. stor. d. lett. it., XXXII, pp. 1 sgg.), si erano
fatti italiani o romanzi gli altri versi latini. Tentò riprodurre cioè con suoni
italiani quel ritmo, che danno esametri o aicaici latini, letti all' uso italiano,
senza riguardo a quantità o ad accenti ritmici. E come la poesia volgare,
al suo sorgere, e in gran parte la stessa poesia ritmica latina del medio-evo,
si era attenuta, per ciascun verso, a quei tipi, che offrivano un ritmo più con-
facente all'orecchio, eliminando volentieri gli altri metricamente buoni, ma
ormai ritmicamente malsonanti; cosi il Carducci s'appigliò a quei tipi di
esametro o d'altro verso che gli suonassero meglio, o venissero a coinci-
dere con versi già italiani, o sembrassero risultare dalla combinazione di due
fra essi. Tali sono le conclusioni dello studio, lucido e denso, del D' 0.].
2 (pp 53-76). G. Gròber, Von Petrarca 's Laura [Riprendendo in esame
la dibattuta questione della reale esistenza della Laura petrarchesca, il G.
dimostra con abbondanza di testimonianze, che il nome di Laura o Lauretta
(derivato probabilmente dal latino Laurentia) ebbe più di un esempio Ira
i francesi del settentrione e del mezzodì' innanzi al tempo del Petrarca, e.
propugna l'autenticità del cenno necrologico della Laura avignonese, che si
conserva nel Virgilio del poeta, posseduto ora dall'Ambrosiana].
3 (pp. 77-105). P. Toynbee, The Earliest References to Dante in English
Literature [Raccoglie i fasti della prima fortuna di Dante e delle sue opere,
nella letteratura inglese, dallo Chaucer al Gray. Particolarmente notevoli sono
le osservazioni, che il T. dedica alle imitazioni e reminiscenze del divino
poeta, assai frequenti nello Chaucer].
4 (pp. 107-116). G. Paris, Le conte de la Gageure dans Boccace [Studia la
novella boccaccesca in relazione ad una novella anonima italiana antica, edita
per la prima volta dal Lami, e ad un romanzetto tedesco quattrocentistico,
e mostra com' esse formino, nel grande ciclo della Gageure, un gruppo a
parte, derivato da una versione francese, di cui non restano genuini rap-
presentanti].
5 (pp. 117-22). V. Cresgini, Retorica dantesca [Brevi osservazioni su al-
cuni artifìcj retorici abusati nella poesia dantesca].
6 (pp. 123-42). R. Renier, Cenni sull'uso dell' antico gergo furbesco nella
letteratura italiana [Studio sull' uso del gergo in alcuni letterati del 500;
e particolarmente in Antonio Brocardo, al quale il R. restituisce un codi-
cetlo anonimo della raccolta Campori, contenente un largo spoglio di parole
e frasi gergali e molte poesie furbésche, e in Giovanfrancesco Ferrari, di cui
esamina tre componimenti poetici interamente furbeschi, con altre poesie
d'anonimo tratte dal cod. Magi. II, I, 398].
7 (pp. 143-8). G. Fraccaroli, Briciole dantesche [L' a. ricerca Se Dante
abbia conosciuto le Orazioni di Cicerone, nota alcune Reminiscenze eschilee,
rileva Una pajjera di greco, rescituisce alla sua forma autentica II motto di
Piaistrato, e mostra la trasposizione da Diogene cinico a Dante, del nolo
aneddoto delle ossa gettate al poeta da banchettanti].
262 RASSEGNA BlBlilOattAFlCA
8. (pp. 149-59). B. Croce, Francesco Patrizio e la critica della retorica
antica [Neil' opera del Patrizio è eccellente il riassunto storico intorno allo
svolgimento dell' arte retorica nelle scuole dell' antichità, al suo triplice culto
per opera dei sofisti, dei politici e dei filosofi, e al suo risorgimento nei tempi
moderni sotto l' influsso della tradizione antica; ottime sono anche le osser-
vazioni intorno alla inutilità e insufficenza della retorica antica nelle mutate
condizioni del tempo. Ma se la parte critica è notevole, e viva è la coscienza
che la retorica antica non meriti il nome di scienza, manca tuttavia,
come ben nota il Gr., un principio nuovo ed originale, sul quale il Patrizio
poggi ed edifichi un solido e ben ordinato sistema di dottrine].
9 (pp. 161-94). E. Bertana, L'Ariosto, il matrimonio e le donne [A sus-
sidio dell'interpretazione della nota satira ad Annibale Maieguccio, il B.
discorre e discute le opinioni varie espresse dall'Ariosto nelle sue opere
intorno allo stato coniugale e alle virtù e vizj delle donne; non senza ac-
cennare con tocchi rapidi e sicuri alle opinioni dominanti nella società del
Rinascimento e alle contese fra apologisti del gentil sesso e suoi detrattori.
La conclusione dello studio del B. è, che l'Ariosto, pur inclinando a giudizj
di grande indulgenza verso le donne, e vagheggiando in astratto la bontà
e l'efficacia morale del matrimonio, era nondimeno disposto a considerare,
♦ nella realtà, la virtù femminile come la più debole e fragile cosa del mondo,
e l'onor dei mariti come inevitabilmente soggetto a molteplici e fortissime
insidie.Onde i consigli che l'Ariosto dà al cugino Annibale intorno alla pre-
ferenza dello stato coningale e alla scelta di una buona moglie, sono a pren-
dersi con benefizio d' inventario, e il genuino significato della satira deve
ricercarsi piuttosto nella facezia finale, tratta dal Poggio, d' intonazione e di
sensi prettamente misogini].
10 (pp. 195-200). G. Mazzoni, Per la maschera di Tabarrino [La maschera
di Tabarrino, fiorita in Francia nel sec. XVII, è d'origine italiana, e proba-
bilmente fu creazione del veneziano Giov. Tabarin, che visse ed esercitò
l'arte sua a Parigi nell'ultimo trentennio del sec. XVI. Anche in Italia ebbe
qualche fortuna. La troviamo a Napoli nel 1669, usata da un savoiardo detto
" iLTamborrino o Tabarrino,, e a Bologna nei primi decenni del 700 per
opera del comico Bigher. Maurizio Sand attesta, che fin quasi al tempo in
cui egli scriveva, cioè a mezzo il secolo scorso, era durato a Bologna nel
teatro delle marionette il vecchio Ser Tabarrin; una specie di Pantalone
bolognese, zotico, avaro e illetterato, che affettava un italiano purgato e ve-
stiva in fogge vistose e stravaganti].
11 (pp. 201-22). V. Gian, Per la storia dello Studio bolognese nel Rinasci-
mento. Pro e contro V Amaseo [Sulla scorta di documenti inediti il G. racconta
la storia delle trattative corse fra il governo pontificio e il veneziano per
riavere Romolo Amaseo (1524), passato quattro anni innanzi all'Ateneo pa-
dovano, e dei contrasti e delle opposizioni, ch'egli ebbe a soffrire al suo
ritorno a Bologna per opera di un gruppo di colleghi, capitanati dall'uma-
nista Giambattista Pio].
12 (pp. 223-33). N. Vagcalluzzo, Severino Boezio e Pier della Vigna nella
Divina Commedia [Dotta ed ingegnosa disquisizione sul quesito, se " Dante
' nel rievocare il tragico episodio di S. Miniato e disegnarlo e colorirlo nella
DELLA LETTERATURA ITALIANA 26S
* spaventosa selva dei suicidi, e nell'idealizsare la figura del protonotaro
* capuano, abbia, inconsciamente o no, subito l' influenza del De Consolatione,
* e risentito la suggestione vivissinia che sull'animo suo generoso si riflel-
* teva dalla persona di Boezio ,].
13 (pp. 235-56). M. Barbi, Alessandro Manzoni e il suo romanzo nel car-
teggio del Tommaseo eoi Vieusseux [I giudizj del Tommaseo sui Promessi
Sposi, che il B. pubblica con molte altre notizie del grande lombardo, tratte
dal carteggio con 6, P. Vieusseux, sono improntali al più grande entusiasmo;
e fanno singolare contrasto coli' articolo sul romanzo medesimo, edito nel-
V Antologia (ott. 1827), ove la lode è assai misurata, e il desiderio di cen-
surare, sebbene frenato da un ossequio doveroso, traspare vivissimo. Ma
forse, come pensa il B., nella contraddizione hanno parte non piccola le in-
perfezioni di forma e le reticenze di concetto, cosi frequenti nello stile del
Tommaseo].
14 (pp. 257-65). S. De Chiara, QU amori di Galeazzo di Tarsia [Breve,
ma garbata illustrazione del canzoniere del cinquecentista petrarcheggianle].
15 (pp. 267-84). P. Bellezza, Il * cor di Dante , attribuito dal Manzoni
a V. Monti [Con numerose testimonianze di autori contemporanei il B. pone
in chiaro, che i concetti svolti dal Manzoni nel noto epigramma in lode di
V. Monti, e che tanto scandalo sollevarono presso i posteri, ebbero al tempo
suo un' eco fedele negli elogj prodigati al cantore della BasviUiana in verso
e in prosa da numerosi suoi ammiratori; e corrispondono d'altra parte a
forti convincimenti (non importa stabilire se conformi o no, a verità e giu-
stizia), radicati nell'animo del grande lombardo intorno all'opera e alla vita
del " divino , poeta].
16 (pp. 285-367). A. Farinelli, Sentimento e concetto della natura in Leo-
nardo da Vinci [" Fra la natura e Leonardo ,, scrive il F., * era reciproca
* corrispondenza di affetti e di sentimenti ; e se la Dea solenne si compiacque
•di largire beni e favori all'artista scienziato, foggiato da lei con mirabile
" perfezione, Leonardo mostrossi alla natura in ogni tempo gratissimo, ebbe
* per lei una venerazione senza pari; nell'amare, nel comprendere la natura
* restrinse egli, l'uomo di universale sapere, il suo unico vangelo ,. Ebbe il
sentimento della natura esteriore, che molti credono proprio dei moderni;
e con occhio paziente e sagace studiò ed osservò i fenomeni della vita ter-
restre e animale, dai più alti e complessi ai pili semplici ed umili. Esplorò
da solo quanto intere Accademie scientifiche non fecero in lunghi anni, s' av-
venturò in campi nuovi ed ignoti, e indagò anche dei fenomeni estetici e
dello spirito le pretese ragioni fisiche. Andò peregrinando per l' Italia, e rac-
colse messe immensa di osservazioni : fisiche, astronomiche, metereologiche,
idrauliche, telluriche. " Del vero cercò ogni aspetto, ogni forma ; alla sco-
* perta del vero si mise per ogni via, studiò ogni manifestazione di natura
" con brama sempre insoddisfatta, s'empiè il capo di ogni scienza, volle sgom-
* brare l'ombre, le caligini tutte dell'ignoranza ,. £ anche l' ideale dell'arte
fece coincidere coli' ideale della natura].
17 (pp. 369-78). G. Grocioni, 7/ capitolo all'Italia del notaio Peregrino di
Paolo di Lorenzo [Dai rogiti notarili dell'Archivio di Velletri il G. pubblica
un capitolo in compianto delie sorti d' Italia, d' ignoto cinqueoeutista].
264 RASSEGNA BtBMOGRAFICA
18 (pp. 379-83). A. Butti, / mecenati di. Antonio Cesari [Curiose notizie
su^jli avari e scarsi protettori del Cesari].
19 (pp. 385-90). P. Savi-Lopez, La villanella di Ciacco [Il S. L. propone
una interpretazione nuova del componimento; di cui rileva alcuni concetti
mistici, e che raffronta con altre canzoni pie provenzali, modellate sulla forma
della pastorella].
20 (pp. 391-404). C. SALvtoNi, Bricciche Bonvesiniane [Interpretazione e
osservazioni sulle voci : abiscurarse, digo, fissar, fu, gamaito, iniquità, ke, ki,
ma, moresta, patron, refidnrse, righiniar e temorezo].
21 (pp. 405-29). B. Soldati, Gl'inni sacri d'un astrologo del Rinascimento
[Sono i Fasti sacri di Lorenzo di Giovanni Bonincontri, sanminiatese, uomo
d' armi, cortigiano e poeta, lettore di astrologia presso Io studio fiorentino,
e autore di un ponderoso commento all' Astronomicon di Manilio e di due
poemi filosofici e astrologici. Essi formano una specie di calendario sacro
versificato, misto di canti lirici e narrativi, che ricorda per una parte, quanto
alla materia, il Leggendario di Iacopo da Varazze, e, per l'altra, i Fasti
del pagano Ovidio e il De sàcris diebiis del cinquecentista G. B. Spagnuoli.
Il S. illustra l'interessante raccolta con ogni diligenza, rilevandone i parti-
colari più notevoli del contenuto, della materia e dello stile, e dandone un
giudizio esletico altrettanto sobrio, quanto equo].
22 (pp. 431-52). A. Salza, Una commedia pedantesca del Cinquecento [Ac-
curata disanima della commedia, il Pedante del romano Francesco Belo,
per ciò che riguarda la rappresentazione del pedagogo e della vita di scuola
nel sec. XVI].
23 (pp. 453-81). K. Vossler, Stil, Rhijthmus und Reim im ihrer Wechsel-
wirkung bei Petrarca und Leopardi [Premesse alcune distinzioni fra rima
e ritmo stilistico e acustico (secondoché le azioni esercitate da essi, fisica e
psichica, coincidono o divergono), e fra le varie specie di rima e di ritmo
stilistico, r a. studia lo svolgersi, l'avvicendarsi e il confondersi di tali ele-
menti nelle tre forme, che segnano le pietre miliari della stoiia della lirica
italiana: il canto jjopolare, ancor vivo nei rispelli e stornelli toscani, il so-
netto e la canzone rimata dal Petrarca, e la canzone libera del Leopardi.
Nel primo, che ha strofa composta in virtù di semplice associazione di suoni,
la rima è tuttavia strettamente stilistica. Suono e musica generano il pen-
siero, e questo dipende da quelli direttamente. La poesia stroflca artistica ha
invece tipi molteplici: alcuni interamente acustici o stilistici; altri misti di
rima acustica e ritmo stilistico, o di ritmo acustico e rima stilistica. Il pen-
siero gareggia in essa col suono e colla musica, e tenta, se può, emancipar-
sene. Quanto alla canzone libera e organica, questa forma il suo schema
secondo un intimo ordinamento; ha rima stilislica o acustica; ma suono e
musica obbediscono interamente alle esigenze del pensiero].
24 (pp. 483-90). G. Gigli, Di alcuni sonetti del Boccaccio [I sonetti VI-IX
delle Rime (edizioni Baldelli e Moulier), ove il Boccaccio, da poco eletto a
dichiarar Dante al popolo fiorentino, si scaglia contro un ignoto suo detrat-
tore, e lamenta le molestie di una grave e noiosa malattia, che lo afflisse
negli ultimi anni della vita].
25 (pp. 491-505). P. ToLDo, Rileggendo le Mille e una Notte [Il T. retti-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 265
fica alcune asserzioni poco esatte del Bédier, e mostra come più d'uno dei
faUeaux (ad es. quello del Prétre qu' on porte, e l' altro Des trois aveugles
de Compiengne, almeno in parte) e varie novelle popolari europee (fra le
altre Les lunettes del La Fontaine e la nov. 195 del Sacchetti), abbiano ri-
scontro in narrazioni orientali, e particolarmente in racconti della raccolta,
cbe va sotto il nome di Mille e una Notte].
26 (pp. 507-13). H. Varnhagkn, Ueber die Abhìlngigkeit der vier àltesten
Drucke des Novellino von einander [Delle quattro prime edizioni delle Cento
novelle (che sono: 1. del 1525, curata da Carlo Gualteruzzi e impressa a Bo-
logna: 2. senza note tipografiche: 3. del 1571, pubblicata in appendice alla
raccolta di Novelle del Sansovino; 4. del 1572, curata dal Borgiiini), la se-
conda è una ristampa della prima, la terza dipende pure da questa, e Y ul-
tima si uniforma alla seconda, non senza aver qualche debito alla più an-
tica].
27 (pp. 515-43). G. A. Cesareo, Amor mi spira . . . [Sotto questo titolo sim-
bolico è una bella e lucida esposizione del canto XXIV del Purgatorio, ove
s'illustra particolarmente l'episodio letterario del colloquio con Bonagiunta].
28 (pp. 545-61). L. Piccioni, A proposito di un plagiario del Paradiso
dantesco [Il quattrocentista Benedetto da Cesena, autore di un poema teo-
logico-morale, in terzine, dal titolo latino: De honore mulierum].
29 (pp. 563-69). G. Pitrè, Cartelli e Pasquinate nello scorcio del sec. XVIII
in Palermo [Episodj della vita pubblica palermitana negli anni 1793-98].
30 (pp. 571-82). A. Solerti, Bricciche tassiane [Due lettere di Torquato
Tasso a Lorenzo Giacomini Malespini (1587) colle risposte; una nuova at-
testazione contemporanea del primo amore di Torquato per Lucrezia Ben-
didio, nelle Rime di Bernardino Percivalle (1562); un sonetto in lode del
Tasso di Alessandro Salicino (1566); due lettere di Ercole Cortile, residente
estense a Firenze, e di Benedetto Fantini, agente del Marchese Filippo d'Este
a Ferrara, che riguardano le polemiche colla Crusca; e altre aggiunte e cor-
rezioni minute alla Vita dell' a.].
31 (pp. 583-601). G. BoFFiTO, La leggenda degli antipodi (Coli' usata di-
ligenza e sagacia critica il B. studia lo svolgimento di questa leggenda geo-
grafica, che offrì argomento ad un meraviglioso canto àeìV Inferno dantesco,
ed è la chiave di volta della figurazione topografica del Purgatorio].
32 (pp. 603-19). I. Sanesi, Per la storia dell'ode [Il S. rinfresca la me-
moria di due cinquecentisti imitatori di Bernardo Tasso, i friulani Giov. Bat-
tista Amalteo e Guido Casoni. E aggiunge alcune considerazioni intorno ad
" un aspetto della lirica italiana del sec. XVI non ancora convenientemente
* e sufficientemente studiato ,, l'imitazione reciproca cioè dei nostri poeti,
anche maggiori, nella seconda metà del 500 e principio del sec. XVII].
33 (pp. 621-44). A. D'Ancona, La leggenda di Leonzio [" La leggenda di
" Leonzio „, scrive il D'A., " può dirsi intermedia fra quella di Don Giovanni
"nelle diverse sue forme, e l'altra di un teschio parlante, che nelle tradi-
" zioni popolari ci si presenta con molla varietà di aspetti,. L'a. illustra
le differenze, onde la prima va distinta dalle altre ; enumera le versioni che
ce ne restano, nelle tre forme in che è nota fra noi, di rappresentazione
teatrale, di tradizione orale e di poema popoUre ; studia e ricerca la data
266 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
probabile delle ndazìoni poetiche in lingua toscana e dialetti istriano e si-
ciliano, e mostra, come innanzi alla sua dilTusione in Italia, il pio racconto
trovasse favore in Germania presso la Compagnia di Gesù, fosse noto a
scrittori di cose ascetiche e predicatori, e fornisse argomento a più poemi
e drammi sacri, rappresentati nei teatri collegiali dell'Ordine, dai primordj del
sec, XVII alla metà e più, del sec. XVIII. Onde conclude che " la leggenda
* di Leonzio non è merce italiana „, ma ' tardi fu introdotta in Italia, ov'ebbe
" scarso favore ,, e le versioni poetiche che ne abbiamo, debbono riportarsi
* a data relativamente moderna, e non molto superiore a un secolo ,. Chiude
Io studio la riproduzione del poemetto, nella lezione offerta dalla stampa
bolognese alla Colomba (principio del sec. XIX)].
34 (645-54). F. Flamini, Appunti d' esegesi dantesca [Nuove interpretazioni
di quattro luoghi del Paradiso. — Par. IX, 54 : leggasi malta anziché Malta,
dando al vocabolo significato generico. — Par. IX, 84. Intendasi fuor di
quel mar nel senso, non già di " eccetto quel mar ,, ma di * uscendo, par-
" tendo, allontanandosi da quel mare ,. — Par. XI, 133-39. L' ultimo versò
(* u'ben s'impingua, se non si vaneggia ,) ha pel FI. valore ironico, non di
semplice citazione; il correggiere è da intendersi usato per sineddoche in
luogo di » correggieri ; e scheggia nel v. 137 ha significato di * guasta ,.
Onde l'intero passo suona parafrasato così: ' Ora, se le mie parole non sono
' inefficaci, se sei stato ben attento, se ti richiami alla mente quel che ho
* detto, il tuo desiderio di sapere sarà in parte appagato ; poiché vedrai che
" pianta è quella che vedi sciupare, e in pari tempo vedrai, quanto male i
" Domenicani si comportino in quel cammino, dove, se non si va fuori di
" strada, ci si arricchisce ,. — Par. XIX, 115-41. Il FI. rileva l'esistenza di
un acrostico assai significativo nelle ultime nove terzine del canto XIX].
35 (pp. 655-62). F. Novati, Una ballata in onore di Lodovico Migliorati,
marchese di Marca e signore di Fermo [Fu composta da ignoto rimatore,
umbro o abruzzese, tra l'estate e l'autunno del 1406, quando il crudele e
ambizioso nipote di Innocenzo VII, da poco tempo creato marchese e ret-
tore della Marca, capitano generale dell'esercito pontifìcio e signore di Fermo,
avea raggiunto l'apice della fortuna e della potenza. Il N. la trae dalle guar-
die di un Seneca ambrosiano (il cod. A. 118 inf.)].
36 (pp. H63-77). E. Sicardi, Attorno all' episodio di Manfredi [Acute e in-
gegnose osservazioni esegetiche su alcuni luoghi del celebrato episodio dan-
tesco].
37 (pp. 679-89). A. Fiammazzo, Il codice " Canonici Misceli. 449 , detta
Bodleiana di Oxford con commenti latini alla * Divina Commedia „ [Il codice
descritto dal F. contiene : il commento dell' Jn/«rno di Jacopo della Lana,
tradotto in latino da Guglielmo de Bernardis, e rimanipolato coll'aiuto delle
chiose del Bambaglioli ; i tre proemi deìVInfemo, di Alberico da Rosolate, del
Laneo, e del Bambaglioli ; un commento latino al Purgatorio, che il F. iden-
tifica con quello di cui il cod. 8530 dell'Arsenale di Parigi, descritto da L.
Auvray, conserva due canti incompleti; un commento latino anonimo del
Paradiso, e i due noti capitoli di Bosone da Gubbio e di Jacopo di Dante].
38 (pp. 691-710). G. De Lollis, Di Bertran del Pojet trovatore dell'età
angioina [Bertrando dei Pojet, castellano di Puget-Théniers, valente e prode
DELLA LETTERATURA ITALIANA 267
cavaliere, e siniscalco per Carlo d'Angiò in Lombardia, accompagnò il suo
signore nella spedizione del Napoletano, e n'ebbe il 1269 "la terra di Jul-
• lane ed altro in Abruzzo ,, che permutò poi con castella * in iusticiaratu
" Terre Laboris ,. Di ritorno da una missione presso il Soldano, fu delegato
con altri eminenti personaggi a " trattare, fare e compiere coi capitani, con-
• sigli e comitati di Bologna, Parma, Modena e Reggio patti, convenzioni, e
" confederazioni, che sembrassero spedire ad onore della santa madre Chiesa
• e del re , (1269), e rappresentò Carlo presso la città di Brescia in qualità
di vicario (1270). Nel 1272 il re lo eleggeva giustiziere della Sicilia: una
delle cariche più importanti dell'amministrazione provinciale angioina. Ma
da quel punto mancano notizie di Bertrando. E delle molte poesie, ch'egli
compose, restano solo € un sirventese a confusione degli avari e ad esalta-
" jione dei larghi spenditori, e una tenzone pudica e sottile con una dama ,.
Il De L. ne dà in appendice il testo critico].
39 (pp. 711-40). V. Rossi, Armi ed amori d'un orafo fiorentino del Quat-
trocento [Elegante ed accurata disamina del lungo poema autobiografico, che
il popolano Michele di Francesco dei Gorbizzeschi compose intorno ai casi
avventurosi della sua vita, e intitolò De bona e (sic) mala fortuna. L'opera, di
cui il cod. panciatichiano n. 30 conserva l'unica copia, è singolare documento
per la storia dei costumi fiorentini].
40 (pp. 741-73). E. Gorra, Carlo I d'Angiò nel Purgatorio dantesco [Dotta
ed ingegnosa disquisione sul quesito: perché Dante abbia salvato Carlo
d'Angiò, e l'abbia ammesso a partecipare al convegno dei principi europei'
nella valletta del Purgatorio].
41 (pp. 775-88). E. Pèrcopo, Per la giovinezza del Sannazaro [Il P. pub-
blica ed illustra un documento dell'archivio cassinese, che rischiara di viva
luce le vicende della famiglia Sannazaro e i primi anni della vita del poeta].
42 (pp. 789-815). L. G. Pélissieh, Pour la biographie du Cardinal Gilles
de Viterie [La biografia del cardinale Egidio Canisio da Viterbo, dotto filo-
sofo, storico, oratore e diplomatico valente, è assai poco conosciuta, e non
fu sinora indagata accuratamente. Il P. pubblica, accompagnandola di eru-
dite note, una delle fonti piti importanti per la vita dell'umanista agosti-
niano: gli estratti dei regesti officiali degli alti del cardinale durante il suo
generalato, che si conservano nel cod. ashbnrnhamiano n. 219, di mano del
card. Enrico de Noris].
43 (pp. 817-48). P. Ghistoni, La lonza di Dante [Ecco i risultati delle
ricerche del Ch., riassunti dall'autore stesso in fine alla sua memoria: * 1) Per
• gli allegoristi medievali la pelle maculata, screziata, dipinta, tigrata è sim-
" bolo della frode. La lonza è detta fiera più veloce, più audace, più crudele
• del leone, al quale anzi incute terrore, e perciò in essa è imbestiata la ma-
• lizia, peccato ben più grave della bestialità, raffigurata nel leone; 2) la
• corda magica simboleggia l'efficacia pratica della scienza, ed è maneg-
" giata appunto da Virgilio, che è allegorica figurazione dei sapere umano ;
" 3) Gerione corrisponde alla lonz.T. ed ha figura di drago, animale, avver-
" tono i bestiari, come la lonza, più forte del leone; 4) alle quattro nature
• bestiali, accozzate nel mostruoso Gerione. fanno riscontro le quattro cate-
• gorie in cui si classificano i fraudolenti delle Malebolge ,].
L. FSRRARI
268 RARSKONA BIBLIOGRAFICA
Tommaso Gargallo. — Il Palatino d^ Ungheria. Firenze 1833. Egy
class Bành-Bàn. Novella: forràsaivat egyiilt Madia Katona
Lajos. — Budapest, 1901. ^
Si sdegnavano i Deputati a correggere il Decamerone che,
nella quarta novella della nona giornata, quelli che corrono pre-
sto a ritoccare gli scritti altrui avessero dibarbato dalle ultime
radici poche parole del grande raccontatore.* Non potevano im-
maginare che, cresciuta l'età del mondo, e la vigoria della vanità,
si biasimasse tutta quanta, ponendole accanto una sorella, che
non le rubava il posto, ma che non desiderava starne lontana.^
Finse Tommaso Gargallo di avere nelle mani un altro rac-
conto che il Boccaccio forse aveva scritto e poi rifiutato, e dal
critico siciliano, meno severo dell'autore, riportato agli onori delle
stampe. Un ignoto avergliene fatto il dono, ed egli supporre
fosse l'amico ab. Luigi Rezzi: al march. Trivulzio poi lo rido-
nava, dedicandoglielo. Non dirò impossibile imitare, dietro a molte
novelle, in una novella, lo stile di piccini o di grandi scrittori:
ma certo quello che, per le Vite dei Padri, era riuscito al Leo-
pardi non riuscì al Gargallo. L'avere messo innanzi il nome del-
l'amico, senza trascinarlo a confessare la sua generosità, ci fa-
rebbe pensare che di quella burla il Rezzi non fosse all'oscuro,
per non dire che abbia, nel segreto, o ritoccato o approvato lo
stile gargalloboccaccesco : e il tirare in ballo il march. Trivulzio,
onorato e da onorare, è forse segno che questi seppe dove era
la frode e non vide macchia al suo nome parere un compare.
Quello che in Italia può essere facilmente o rammentato o
imparato, domanda maggiore curiosità e fortuna tra gli stranieri;
ma anche questi, se prudenti, giungono al segno, come toccò al
1 Questo è il titolo intero: le parole ungheresi significano: Una novella italiana sul Bano
Batìk , pubblicata colle sue fonti da L. Katona. È un libretto (di 23 pag.) tolto via dal voi. XI
delle Pubblicazioni di storia letteraria date fuori, a Pest, dall'Accademia.
2 Cf. l'annotazione CXIV (pag. 237) nella edizione del Le Mouuier (18S7).
8 Le parole del Gargallo sono queste: Chi mai tanto oserebbe, da scacciar dal suo posto
quella, che per tanti secoli l'ha tranquillamente occupato, per questa audace straniera allogarvi f
Ma non sarà temerità il pubblicarla, senza far forza all' altrui fiducia ; che, appartengasi o
no al Decamerone, t degnissima d'esser rammemorata . . . per l'esempio almeno che ci presenta.
(Il Palatino d'Ungheria novella d'antico codice, ora per la prima volta pubblicata. Firenze 188S,
Pag. 6 e pag. 8).
DELLA LETTE ATURA ITALIANA 269
signor Luigi Katona. Che il librettino uscito a Firenze nel 1823
Io invogliasse, è naturale: c'era nel titolo 11 Palatino d'Ungheria,
e i magiari sanno amare le cose della patria. Sull' intrecciare che
fa l'editore del proprio nome a quello del dotto romano e del
patrizio milanese si stupiva a ragione il Katona: e spero che,
come io tento di darne spiegazione, egli voglia seguirmi.
A Ini importava sopra ogni cosa il vedere a che fonte, o forse
a che rigagnolo, attingesse il Gargallo: e, ristampando tutta la
novella, le pose accanto quei luoghi che il traduttore di Orazio
ricopiò dal libro di Luigi Vertot che si chiama VHistoire des
Chevaliers hospitaliers etc. (Paris, 1726, 1753, 1761), o dalla Histo-
ria Hungarica del Bonfini, ma avvertendo che dal Bonfini, forse
non veduto da lui nell'originale, prende soltanto quello che aveva
già servito al francese. Strano è che, più tardi, i giudici dello
stile della novella, se antico o no, non badarono alla citazione
che il Gargallo faceva dei due che narrarono, secondo lui, quello
che prima aveva narrato il Boccaccio, cosi mettendo sulla strada
un critico sagace; ingenuamente, dice il Katona, e forse va detto
scherzosamente, come di chi andasse per via travestito da pa-
gliaccio, ma colla maschera in mano.
Il Katona raccoglie bene i fatti, e per ogni particolarità del
vecchio racconto bonfiniano, rinnovato dal Vertot e poi dal Gar-
gallo, offre opportune spiegazioni, da servire anche a storie scritte
e lette da italiani.^
Dunque il Gargallo si nasconde e non si nasconde: e tiene
la matassa, ma dà il bandolo a chi vuole; e di queste infinocchia-
ture letterarie pare all'ungherese che sia più abbondante il seme
e il frutto nella terra dei carnovali. Dove ripensi alla storia
letteraria di tutto il mondo vedrà che, se mancano le festività,
abbondano gli scritti di ignoti o di infinti autori: nessuno si
duole perché, a lungo, novelle famose fossero dette dell'autore
del Waverley e non altro, che le poesie del De Lorme sieno di
1 Non è qui il luogo da mettere presso al romsnzetto la storia vera. Rimando per bre-
vità alla storia del Fessleb (6'mc/i. »ow Vìifiern,leaih.von /?. A'Wji. Leip. ISOT, I, pag. 3.0) n
bano è Benedetto (Bàuk), della famiglia dei Bór: rea senza dubbio è la regina Gertrude:
incerti gli storici se dei fratelli di lei il vigliacco fosse Bertoldo, arcivescovo, o Erberto;
né alla punizione della regina pare desse mano il tradito marito. Celebre in Ungheria è
la tragedia in versi di Giuseppe Katona (1792) che usci alla luce la prima volta nel 1821.
(Ho l'edizione del '56, in Kecskemét, procurata da D. Horvàth). Sui poeti tedeschi che, in
ballate o in tragedie, trattarono questo argomento, c'è una bella dissertazione di G. Hein-
BiCH {Bànk-Bdn, a tiemet Mltéssethen. Budapest, 1829). Anche Hans Sachs segui nel suo
Andreas der Uttgerisch Kònig il racconto del Bonfini. Con uguale intento Sudeshnà, la regina
diìi rtt'at</, per amore al fratello Kìcaka vuole farsegli mezzana, e tradire la bella Ershwà.
Ma non riesci (Mahàbb. IV, e. XIV e seg.).
19
270 Rassegna bibliografica
uomo famoso col suo vero nome nella critica francese, che Di-
dimo Chierico rubi una fogliolina di alloro ad Ugo Foscolo. Di
chiamare sul palco lo Stecchetti non era adesso l' occasione, nem-
meno per chi desidera fosse stata più decente e contegnosa una
musa che poteva ispirare canti pieni di schiettezza e di grazia:
bensì abbiamo tutti a lamentare che, in codesti carnevali delle
lettere, non basti l'appiattarsi, mettendo a disperazione molte
generazioni di eruditi, come Junius,^ ma si ardisca fingersi, e si
tenti mostrarsi, uno dei grandi. E. Teza.
IVIahio FuocHf, — Eschìlo, Il Promctro LìcMenato. — Sandron, 1902
(in 16.").
$3 un nuovo volume della « Biblioteca dei Popoli » diretta da
Giovanni Pascoli. A dir vero, dopo la bella traduzione poetica
degli Acarnesi di Aristofane, che Ettore Romagnoli inserì nella
medesima Biblioteca, nel ricevere questo Prometeo in prosa ab-
biamo provato una certa delusione. Perché Aristofane in versi
ed Eschilo in prosa? Perché, dice il Fuochi, con quello li non si
scherza; vale a dire, sarebbe impresa disperata e un voler cor-
rere la sorte d'Icaro, come dice Orazio degli imitatori di Pindaro.
Ma si può forse scherzare con Aristofane? Eppure il Franchetti
e il Romagnoli non fecero il volo d'Icaro, o almeno seppero mu-
nirsi d'un forte paracadute. Ha ragione il Fuochi allorché pas*
sando in rassegna le varie traduzioni italiane del Prometeo, dal
Cesarotti al Bellotti, ne pone in rilievo i gravi difetti e dimostra
l'opportunità di una nuova traduzione; ma non ha ragione quando
evede che una traduzione in prosa, per quanto buona, possa com-
pensare quei difetti e riempire una simile lacuna.
Facciamo questa specie di questione pregiudiziale pur ricono-
scendo il merito di quanto il Fuochi ci offre, ma più con dottrina
e diligenza di filologo che con genio d'artista. Dottrina e diligenza
abbiamo constatato con piacere non solo nella traduzione, ma
nel diffuso Proemio e nelle Note preliminari ad ogni scena.
« Del treiitasette cnudiiìnti tirati fuori dai critici per dar corpo a quello spirito aereo
del grande battagliero, ha piti fortuna Sir Pliilip Francia (1740-1818); ma non per modo
che tutti ne sieuo persuasi, (Citerò E. Gosse, Hist. of eiyìiteenth Cenlury LiUraiure. Lond. 1899,
pag. 263). Auclie un mese io, (.Wienmtmi, London, 15 Aug. li)03,p. 2'J2) si conobiudeva: Jwxius
fu spesso scoperto ed ò. ancora ignoto; un ignoto che diventò scrittore classico per la sua
nazione. (Si veggano gli articoli del sig. W. Fbaseb Kae, pag. 190 e pag. 221),
DEIJ.A LETTERATURA ITALIANA 271
Il Proemio dà le notizie necessarie all'intelligenza di questo
dramma e tratta in modo particolare la questione sul vero si-
gnificato del Prometeo eschileo e l'altra sull'esistenza d' un'azione
drammatica.
È noto che nell'opinione comune Prometeo rappresenta \sk
fiera ribellione dell'umanità contro un dio crudele e tiranno e
l'ingiusta pena che ne soffre. Ma i filologi moderni hanno os-
servato che questo concetto, diametralmente opposto alle idee
religiose di Eschilo, è falso e si fonda sopra 1' unica tragedia che
rimane. Ponendola invece in relazione con le altre che compo-
nevano la trilogia, la cosa appare interamente diversa. Kronos e i
Titani rappresentavano il regno della forza brutale, della selvaggia
ferocia; Giove rappresenta quello della giustizia, della legge mo-
rale, della civiltà. Ma per instaurare questo nuovo ordine di cose
anche Giove è costretto ad usare la violenza, a chiudere il padre
e i titani nel Tartaro, a fiaccare ogni altra opposizione. Prometeo,
che prima lo aveva aiutato contro gli dei della sua stessa gene-
razione, quando si trattò di distruggere il genere umano e far
casa nuova, gli si oppose. Giove dunque è costretto a trattarlo
da nemico; ma il torto è di Proraeo, che non intende gli alti
fini a cui mira l'azione del sommo dio. Quando però il nuovo
regno è assicurato, Giove depone l'ira e si riconcilia col titano.
Queste osservazioni contengono senza dubbio molta parte di
vero ; ma troppe cose lasciano ancora nel buio. Quale giustizia,
quale trionfo della legge morale potevano sospettare gli spetta-
tori, che erano uomini, in quella neroniana risoluzione di mandar
tutta l'umanità all'altro mondo? E quale idea potevano formarsi
della potenza del sommo dio, se un dio minore gì' impedisce di
mandarla ad effetto? E qual torto potevano trovare nel titano,
che salva l'umanità regalandole il fuoco e insegnandole le arti?
Qual dei due doveva apparire il civilizzatore, quale il benefattore
degli uomini? E la punizione di Prometeo non ha tutta l'aria
di uno sfogo di rabbia anziché d'un atto di giustizia? E non è
la paura del segreto fatale a Giove ed ostinatamente taciuto da
Prometeo, che induce quello a più miti consigli? Sono tutte que-
stioni insolute, come quella del destino nell'Edipo Re, e forse
non si risolveranno mai, perché conseguenze dell'erronea opinione
che i poeti traessero dalle favole un rigoroso sistema di dottrine
morali e componessero delle tragedie a tesi. Il Fuochi dissente
dal Wilamowitz, che definì la tragedia attica un pezzo di leg-
genda eroica messo sulla scena; ma non si può negare che l'il-
lustre filologo abbia le sue buone ragioni di pensarla a quel
modo, e il Prometeo può essere una di queste.
272 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Il Proemio vuol poi dimostrare che nel dramma e' è veramente
un'azione, e la trova nell'audacia con cui Prometeo resiste a
Giove, rifiuta la mediazione di Oceano, si ostina a conservare il
segreto delle nozze fatali al suo nemico. Qui poi non s'intende
perché il Fuochi se la prenda tanto con quelli che tutto vogliono
spiegare con la ragione dell'ambiente e dei tempi, se per dimo-
strare ciò che si propose non fa altro che ricorrere a quella
ragione, dicendo che nel V secolo intendevasi per azione tragica
una cosa ben diversa da quella che intendiamo noi e che agli
antichi bastava molto meno di quello che noi pretendiamo per
poter dire che un dramma avesse azione. Ciò è vero e può an-
che spiegarsi con le probabili origini della tragedia; ma è anche
vero che del secolo V non si può fare tutta una cosa, e bisogna
distinguere le varie età e notare il grande progresso fatto anche
in questa parte dell'azione dalle prime prove di Eschilo alle ul-
time di Sofocle e di Euripide.
Per quanto riguarda la traduzione, non potendo qui scendere
a particolari, basti dire che essa è fedele ed esatta, quale era dà
attendersi da un ellenista come il Fuochi. Però non sempre sa
emanciparsi dalle forme del testo e pigliare un' andatura più li-
bera e disinvolta. Troppo spesso mantiene il legame fra le pro-
posizioni, onde si riempie dì perché, però che, perciocché ; conserva
certe prolessi, che poco convengono col nostro modo di costruire;
reca troppo alla lettera certe frasi pleonastiche, come al v. 463.
Gli epiteti composti, arduo scoglio dei traduttori, perdono assai
nella decomposizione a cui non possono sfuggire. Certe imagini
sono sviluppate oltre l'intenzione del poeta. P. e. al v. 149 Eschilo
potè dire * piloti dell' Olimpo per rettori, ma non avrebbe certo
fatto dell' Olimpo una nave, come il traduttore.
Ma questi piccoli nei tolgono ben poco al valore generale
della traduzione, che potrà rendere utile servizio a chi non può
leggere l'originale o può leggerlo soltanto con una guida fidata
e sicura. Z.
0BLLA LETTERATURA ITALIANA 2^3
COMUNICAZIONI.
SCALI gerì ANA. : ' '
Al copioso materiale poetico sugli Scaligeri, cosi accuratamente raccolto
dai proff. G. Cipolla e Fi. Pellegrini (V. la notizia di cronaca in questa Ras-
segna, anno XI, n. 1, pag. 60), non credo si possano fare molte aggiunte. Ma
non è difficile, a chi studj qualche ramo speciale della letteratura poetica
del '300 e del primo '400, trovare altre più o meno importanti allusioni alle
vicende di quella famiglia. Eccone intanto alcune, che io riferisco qui senz?.
la vana pretesa d' aver fatto delle scoperte, e solo per rispondere ad un
cortese invito degli egregi illustratori.*
1. Fra i numerosi componimenti politici in versi del Medioevo, non è
del tutto ignota la profezia * Ave ihesu fìgliol de Maria „ in 47 ottave, pub-
blicata dal prof. Mazzatinti nel 1887.^ Dubbia ne è la paternità, sebbene il
Mazzatinti stesso e il Faloci-Pulignani inclinino a credere che quelle ottave
si debbano al noto profeta umbro, il B. Tommasuccio Unzio da Foligno, a
cui il cod. Vat. 4872 le attribuisce.^ Meno dubbia è la data della loro com-
posizione, se più che alla didascalia del cod. suddetto' si darà importanza a
certe indicazioni interne, di cui mi pare non sia stato fatto il debito conto.*
Ora in codesto componimento che non è stato studiato abbastanza e che
è sfuggito ai proff. Cipolla e Pellegrini,^ si legge :
tnctì i tiranni harau tormento,
et pili comuni perderan lor stato,
quel de Veruna sera cominzamento.
(Str. 6.).
I quali versi, se non contengono una allusione diretta all'uno o all'altro
degli Scaligeri, certo si riferiscono alla fine del loro dominio in Verona, av-
venuta nel 1387 per opera di Gian Galeazzo Visconti, tantopiù che nell'ot-
tava seguente si parla di un conte e duca, che con le sue rapide conquiste
diventerà signore dell'Italia.
1 Vedi il loro preambolo alle Poesie Mhiori riguardanti gli Scaligeri, in Bull, dell' ìst. slor.
Hai., n. 24.
5 Vedi Miscellauea Francescana, voi. II, pagg. 3-7.
3 Vedi Mazzatinti, studio cit., e Faloci-Pulignani, /.e aiti e le lettere alla corte dei
Trinci (Foligno, Salvati, 1888) pag. 77.
* Cito soltanto i vv. "nel quattrocento cinque quattro e tre , e "ventiquattro anni
"corona in sulla testa — porterà eli...„ che si leggono nelle strofe 45. e 47.
6 Non cosi è sfuggita loro la profezia " Piò volte nella mia mente ho sforzato , che
contiene chiari accenni ad uno Scaligero -e che io nel 1892 cercai d'illustrare sulla reda-
Eione napoletana. (V. op. cit., pag. 113). Ma ora le mie idee sulla paternità e sulla data di
/qnel componimento sono uu po'canibiate, corno apparirà dallo studio unito alla edizione
critica di esso, che sarà fra breve inserita nel Bolldiino lìellK fi. llei>uìaìioiie di atorin patria
per V Umbria.
S74 RASSÉGNA BlBLlOGtlAPlCA
2. E dalla poesia profetica popolare passiamo all'epica dotta. Uti poema,
in generale poco consultato,* ma ricco di notizie storiche relative ai tempi
in cui fu scritto, è il Quadriregio del Prezzi.* In due luoghi di esso si parla
della famiglia della Scala. Il primo accenno lo abbiamo nel cap. XIII del 1. II,
in cui il Prezzi descrive la condizione di coloro che in vita provarono i
colpi dell'incostante Portuna: la sua guida (Minerva) dice:
Nel sesto^cerchio, se tu saper vuoi,
Li 8on posti i novelli Caini,
Consumatori deTratelli suoi:
Quei della Scala spietati Mastini
E pili crudeli che rabbioso cane;
Ma tosto a basso caleranno chini.
(Str. 46-47).
Se ora noi ci facciamo ad indagare a chi siano dirette queste parole, la
storia veronese ci apprende subito che il poeta non poteva qui pensare a
Gansignorio della Scala, che pure si macchiò due volte di sangue fraterno,
perché non si può dire che avesse avversa la fortuna un tiranno che dopo
l'uccisione del primo fratello potè riprendere facilmente il dominio della
città e dopo avere spento anche il secondo mori naturalmente nel suo splen-
dido castello. Ma se non bastasse la storia ad escludere Gansignorio dal-
l'accenno frezziano, basterà certamente il fatto che di Gansignorio il poeta
si occupa e molto chiaramente in un altro luogo del Quadriregio, che ve-
dremo fra poco, ponendolo giustamente fra i traditori anziché fra gli abban-
donati dalla sorte.3 Invece è chiarissima l'allusione, in questo punto, a uno
dei figli di Gansignorio, Antonio che, imitando in ferocia il padre, uccise a
tradimento il suo fratello maggiore Bartolomeo, con cui divideva il cornando,
e poi costretto a fuggire da Verona si ridusse a morire esule e povero a
Tredozio. Meno facile è stabilire a quale altro Scaligero fratricida e disgra-
ziato si riferisca l'autore,* o se questi non abbia adoperato per enfasi re-
torica il plurale invece del singolare.
> Ciò, forse, dipende dal fatto che del Qundrirtgio 1 critici d'oggi si occupano troppo
poco e se n'hanno finora per le stampe riassunti troppo brevi e scarsi. (Vedi * Il centenuto
"del Quadrireyio „ che vado pubblicando dall'anno scorso nella Rivista // Umbria diretta
dal prof. F. Ouardabassi : Perugia, tip. Umbra).
2 Non è inutile rammentare che secondo l'opinione dell'ab. P. Canneti, il critico piti
autorevole che finora si sia occupato di proposito del Frezzi e del suo poema, questo sa-
rebbe stato composto fra il l'dSO e il 1400 (V. la sua Disserlugione Apologetica ecc. nel voi. 11
dell' ediz. di Foligno del 1725, parg. 23).
3 Tuttavia il Pagliarini, commentando i versi suddetti, osserva che gli Scaligeri furono
• gente veramente fiera e crudele iu particolare verso il proprio sangue, essendosi pili volte
"con rinnovati esempi di crudeltà e di perfidia trucidati l'un l'altro i fratelli, a guisa di
"tanti Caini: ciò spcciahnentc succede in Cansignorio . . . e in Antonio ... „ (V. la cit. ediz.
del Quadr., voi. II, pag. 160). Ma egli non s'accorge che, dando ai versi del Frezzi una sl-
mile spiegazione, gli attribuisce il grave errore d'aver posto lo Btesso personaggio in due
parti diverse del Hegno di Satana.
■* La storia, dopo Cansignorio e Antonio, se non erro, non ne registra altri: solo il Cantù
(Storia degV Hai., T. IV, pag. 362 : Torino, Pomba, 1854) dice che Paolo Alboino tenne mano alla
uccisione di Cangraude II: ma io non vedo confermata la notizia né dal Litta (Famiglie
celebri d' Italia) ne dal Cipolla (Compendio della Storia politica di Verona).
Della letteratura italiana S^S
3. Ma veniamo senz'altro al secondo e più importante accenno frezziano
alla signoria scaligera. Nel cap. XVI dello stesso 1. II, dopoché il poeta ha
descritto la venula delle Furie e di Medusa in mezzo ai traditori e dopoché
Minerva gli ha indicato e nominato due di essi, la Dea aggiunge :
Quel terzo eh' ba la faccia si benegua
E dentro tutto quauto serpentino,
E eh' ba la mente di veleu si pregna,
Fu della Scala e fu crudel Mastino.
Il suo Fratel maggior uccise in pria,
E poi fu dui minor ancor Caino.
Morto il primaio ed ei sen fuggi via
Per la paura, ed allor di Verona
L'altro Fratel pigliò la Signoria.
Mandò pel Fratricida e a lui perdona;
E tanto amore in ver di lui accese
Cbe la bacchetta signoril li dona.
Costui il donator legato prese
E stretto il fece mettere in prigione :
Cosi fu grato a chi fu a lui cortese.
E poi 'n quell'ora, cb' ognun si dispone
In su l'estremo e contrito e confesso
Si rende a Dio con gran divozione,
Costui mandò il dispietato messo,
E fé' mozzare al suo fratel la testa,
E di vederla contentò se stesso.
Or fu mai crudeltà maggior di questa?
Non quella eh' a Tieste fece Atreo,
Quando i figli mangiar li die' per festa.
Non quella di Nettuno e di Teseo,
Cb* ognun di questi, se ben si pon cura,
Ingiuria il fece cosi esser reo.
Ma costui non offesa, non iniura,
Non la cagion, per che fu morto Remo,
Ch"n pria bagnò di sangue l'alte mura;
Ma sol si fece d'ogni pietà scemo.
Che dopo lui '1 fratello non regnasse :
Per questo il fé' morir su nell estremo.
O doppio fratricida, so tu lasse
La doppia prole, il tuo paterno esempio
Degno è eh' ancor da lor si seguita.sse.
Che l'uno uccise l'altro orudo ed empio,
E della Scalafu l'ultima feccia
Cbe sen fuggi del Veronese tempio
Dietro a Colei che solo in fronte ha treccia, i
(Str. 52-64).
L'autore non poteva con maggiore esattezza di particolari descrivere la
delittuosa vita di Gansignorio,* né richiamare con parola più efficace l'at-
tenzione del lettore sulla gravità del suo secondo fratricidio e sul tristissimo,
esempio lasciato dall'infame tiranno ai suoi due figli. Ma è anche da notare
che in nessuna delle poesie minori sugli Scaligeri oggi raccolte si trova
un'allusione cosi importante agli ultimi signori di Verona.
Brescia, nel giugno del 1003.
Enrico Filippini.
1 Per l'interpretazione di quest'ultimo verso, che i commentatori dell'ediz. del 1725
non si curarono d'illustrare, dirò cbe il poeta, descrivendo la fortttna simboleggiata in una
donna altissima e piena di false lusinghe in volto, aggiunge cbe * sol dinanzi avea capelli
" in testa „ (V. 1. Il, cap. XIII, terz. 7.). Pare quindi voglia dire che Antonio della Scala, fug-
gendo da Verona, andò incontro all'avversa fortuna, la quale gli preparò, come sappiamo,
l'esilio e la morte. Questo conferma l' allusione ad Antonio nell'altro luogo citato.
2 Lo riconosce anche il Pagliariui, dedicando ai versi suddetti tre grandi pagine di
■ commento {V. voi. cit., pagg. 1G7-170). — A proposito di Cansignotlo, osservo che il Cantù (op.
clt., pag. 274) aggiunge all'epitaffio latino duo versi, che non trovo a pag. 140 della raccolta
dei proli'. Cipolla e Pellegrini.
^?6 RÀSSÈ:aNA bibLiogHa1<^iCa
ANNUNZI BIBLIOGRAFICI.
Andrea Lofortk-Randi. — Nelle letterature Straniere {Quinta serie): Poeti.
— Palermo, Reber, 1903.
II nuovo libro pubblicato dal Loforte-Randi, contenente la quinta serie
de' suoi studj intorno alle letterature straniere, è consacrato ai poeti : allo
Shakspeare, al Byron, al Goethe, allo Shelley.
Lo studio sullo Shakspeare s'inizia con un accurato esame delle origini
della Drammatica inglese e delle sue condizioni ai tempi del sommo poeta: e
di esso, accennato brevemente alla vita, della quale, secondo l'A., non occorre
sapere di pili, è esaminata l'opera ingente, notandosi come egli dovesse in
prima la sua fama alle poesie liriche e non ai suoi drammi, mentre proprio
in questi e non in quelle si mostrò la vera potenza del suo grandissimo
ingegno. Tale potenza non fu, secondo il Loforte, creatrice: ma consisté nel-
l'essere il grande inglese riuscito perfetto interprete dell'universa natura.
Egli trasforma la materia prima di cui si serve (e il Loforte ricorda le fonti
dell'opera Shakspeariana), e sa sopra tutto scolpire le anime. Perciò rispec-
chia l'umanità, essendo poeta spiccatamente oggettivo. I suoi drammi, dice
il Loforte, sono grandi fattij e l'opera sua contiene tutte le forme del pen-
siero umano. Da ciò la sua resistenza nei secoli e la sua efficacia anche
fuor della scena. Lo studio, come tutti gli altri dell'egregio scrittor siciliano,
mostra nel!' A. una diretta e piena conoscenza dell'argomento preso a trattare.
Segue uno scritto sul Byron, di cui l' A. indaga la psiche, la fortuna e
la virtù. Quanto alla prima, osserva che il Byron vive nel suo io, e che il
Don Giovanni (la sola opera in cui il poeta si manifesti intero) è un com-
mentario della sue lotta colla società. Quanto alla sua fortuna, nota come
anche per lui come per tanti altri (a cominciare da Dante) i casi della vita
furono l'origine delle opere d'arte: quanto alla sua virtù, discute intorno
alla tanto vilipesa moralità del poeta, sostenendo che fu sempre e sopra
tutto sincero, come sincera è l'opera flagellalrice del suo capolavoro immortale.
Il terzo studio è una fiera e arditissima requisitoria contro Volfango
Goethe, che, pel Loforte, ha jyerpptrato un ingente furto di gloria. L'A. smi-
nuzza il suo Faust per cercare di dimostrarne la vacuità e la puerilità, di-
scutendone sottilmente la favola, l'ordito, la forma.
Quanto a questa però, ne riconosce l'alto splendore; ma dice che sotto
ad essa si cerca invano il poeta. Per il sig. Loforte, Faust nulla dice all'u-
manità: non è un simbolo, non è un'idea, ma un automa, un mannequin,
un fantoccio. E il Goethe, o classico o romantico che sia, è ugualmente falso,
oltre ad esser plagiario. — L' ardito scritto provocherà naturalmente la
ribellione e lo sdegno di tutti gli ammiratori del Goethe: tanto più che il
Loforte, anche a chi, come noi, legga il suo scritto senza preconcetti, appare
soverchiamente reciso e assoluto nelle sue draconiane sentenze. È d'uopo
DELLA LfittERATURA ITALIANA 277
tuttavia riconoscere, che l'A. appunto perciò, si dimostra altrettanto corag-
gioso quanto sincero nell'espressione de' suoi convincimenti, quali e' si sieno.
Il libro si chiude con uno studio sullo Shelley, che il Loforte pone in
antitesi col Byron, per quanto, come lui, sia stato un ribelle. E l'A. riesce
a delineare un bel profilo del mistico, sognante poeta, che trovò cosi tragica
morte nel mar di Viareggio.
Anche in questo volume, come nei precedenti dì cui già demmo notizia,
il Loforte-Randi mostra le sue qualità di critico bene informato, libero e
ardito. A. B.
E. Brambilla. — Foscoliana. — Milano, Sandron, 1903, di pp. 219 in 16.° picc.
Il volume, come si comprende dal titolo, contiene scritti sul Foscolo,
di diversa ampiezza ed importanza: e sono in tutto sei, dei quali daremo
breve notizia speciale — . I. Due comaschi precursori del F. nella materia
dei Sepolcri. E una aggiunta a quanto in proposito scrissero lo Zumbini ed
il Clan: l'un d'essi è G. B. Giovio, autore di un operetta sui Cimiterj, già
accennalo dal Gian, — che tuttavia non notò la lettera' dedicatoria al Fo-
scolo — e l'altro, Giuseppe Nessi, che scrisse un discorso sulla precipitosa sepol-
tura. L'uno e l'altro avvalorano l'opinione che l'argomento preso a trat-
tare dal Foscolo, era una vera ' ispirazione del tempo „. Ma che sopratutto il
Foscolo non abbia plagiato 1' amico veronese, è detto nel II. saggio: // * so-
pruso „, dove si discute la controversia, che l'A. stesso dichiara " intricata ,.
Ne riferiamo In conclusione, che è questa: i coUoquj col Pindemonte furono
occasione al carme, " la materia del quale erasi già venuta addensando
'nell'animo del poeta pili o meno consapevolmente ,, ed esso fu "ideato
"e scritto tra l'ultima settimana di giugno e 1' ultima settimana circa d'a-
' gosto del 1806 ,. Ma l'argomento meritava una trattazione più àmpia, che
meglio convincesse, in tanta discrepanza di opinioni, chi per decidersi fra
esse, voglia averle tutte schierate dinanzi. — Il III. studio tratta de r Unità
organica del Carme, ed è lavoro notevole sotto ogni aspetto, che chiarisce
il legame ideale dei Sepolcri, e l'arte dei trapassi da una parte all'altra,
spiegando alcuni passi di meno agevole e più contrastata interpetrazione.
Ma forse alcune discussioni relegate in nota meglio sarebbero state nel testo
o avrebbero chiesto più ampio svolgimento. E certi accenni a opinioni e teorie
moderne stuonano, a parer nostro, nel parlare del Foscolo e della sua poesia.
Cosi ad es. l'A. (p. 61), esprime il desiderio che il Foscolo non usasse il vo-
cabolo * plebe , e ne • avrebbe voluto un altro che non offendesse il sen-
* limento umano,: cotesto è "vocabolo men che umanissimo,. Ma plebe
v'era ai tempi del Foscolo, ce n'è anche ai di nostri, e chi sa non ci abbia
a esser sempre: e ai di nostri ci sono tanti che volontariamente scendono
a condizioni di plebe, anziché sollevar più alto chi è per nascita e per edu-
cazione più basso. Anche ci pare che sia un po' troppo azzardoso, definire
il Machiavelli " empirico pessimista e idealista anarchico ,. Se queste parole
potessero giungere a messer Niccolò, egli certo dimanderebbe: Che vuo' tu
278 tlASlSEGNA BIBLlOGftAti*ÌCA
dire? — E, senza evocare i morti, potrebbe ogni lettore chiedere che cosa
c'entri, a proposito del Machiavelli, questa profezia: ' Io dico che l'estetismo
* odierno rappresenta l'anarchismo nell'arte: e solo in quel mondo molto per-
* fetto e felice ma chi sa quanto lontano, a cui gli anarchici aspirano, potrà
* fbrse il sentimento estetico esser per se, e l'arte raggiungere una piena
" autonomia (p. 68) „. Chi vivrà, vedrà: intanto, mentre gli anarchici aspirano
all'avvenire coi mezzi che tutti conoscono, torniamo al Foscolo e ai suoi
Versi. — Importante è pure lo studio che segue, ed è il IV: Ugo e Francesca,
che narra le vicende dell'amore del Foscolo per la figlia di G. B. Giovio, e
intanto corregge quantità di inavvertenze dei biografi e di errori di date
nella stampa dell' ^^"^'"^'"''^ È il migliore è più compiuto commentario alla
famosa lettera alla Francesca Giovio del 19 agosto 1809. — Il V. Studio ri-
guarda una Una pagina di Biagio Pascal nelV Ortis. Di un passo che il
Foscolo stesso dice " non so se suo (vale a dire di Jacopo) o d'altri quanto
* alle idee, bensì di stile tutto suo , e che il Foscolo introdusse anche nel-
r Orazione sull'origine e i limiti della Giustizia, il nostro autore per primo
ritrova la fonte in uno dei pensieri del filosofo di Porto Reale, e rileva con
acuta analisi quello che il Foscolo vi pose di proprio nell' adattarlo al suo
modo di vedere. E acuta analisi è anche nell'ultimo studio II sentimento della
Natura nel sonetto " Alla Sera ,. Qui occorrono specialmente alcune note, che
sarebbe stato più opportuno fondere nel testo, o da esso staccarle del tutto;
ma lo studio sul meraviglioso sonetto è assai delicatamente condotto. Se-
guono numerose Addenda e Corrigenda. E nelle prime troviamo una as-
serzione che vorremmo fosse conforme al vero: ed è circa il crudele epi-
gramma del Tommaseo contro il Leopardi, del quale il Brambilla dice che
" non che l'imputazione, neanche il dubbio è possibile, chi ben comprenda
* la grande anima del sebenicano (p. i212) ,: la qual cosa non serve ad altro
che a mostrare la molla bontà e generosità d'animo dell'autore. Ahimè! Se
è vero! .... Gli potremmo mostrare la lettera del " sebenicano ,, in che è
contenuto! Ma conchiudendo diremo che il libro è di utile e piacevole let-
tura, scritto in forma garbata e viva: ma, a costo di sembrar pedanti, o co-
dini, dimanderemmo all'autore di evitare certe parole e frasi, come rassegna-
zione necessitistica (p. 159), fine chateaubrianista (p. 174), classicismo decora-
mentale (p. 190), e simili, delle quali la nostra lingua non sente davvero il
bisogno. A. D'A.
Gaetano Negri. — Ultimi Saggi: Problemi di Religione, di Politica e di Let-
teratura. Precedono: G. Negri cittadino e pensatore, discorso di M. Schk-
RiLLO, e G. Negri patriota e soldato, discorso di F. Novati, con molte
Lettere inedite del Negri e con due suoi ritratti giovanili, — Milano,
Hoepli, di pagg. GlV-409.
Il titolo apposto al volume ci ammonisce pur troppo che dopo di esso non ne
verranno altri! La serie cominciata coi Profili e Bozzetti storici nel presente e
nel passato, e proseguita coi Segni dei tempi, i Rumori mondani e le Meditazioni
vagabonde è chiusa col presente volume. La morte così pietosa e inopinata
del Negri se ha privata la patria di un gran cittadino, non è stata meno
DBLLA LBTtBRATURA ITALIANA 27^
(Ititiaosa alla culluia nazionale, perché fra i pubblicidli italiani non v'era
altro che Io pareggiasse nella svariata cultura e sopratutto nella conoscenza
dei maggiori problemi scientifici e morali dell' età nostra e nel saperli esporre
con facilità e chiarezza su pei giornali e nelle Riviste. Né soltanto possedeva
una conoscenza estesa e profonda delle materie che prendeva a discutere:
ma una serenità di mente ed una equanimità di giudizj, che di rado si rin-
vengono in chi ha piena coscienza degli ardui conflitti della vita odierna.
Queste doti speciali dell'intelletto e dell'animo facevano del Negri un ottimo
divulgatore, e conferivano autorità alla sua parola, e maggiore ancora glie
l'avrebbero conferita, se egli avesse ancora potuta adoperarla in prò della
patria e del retto sapere. Restano ora, oltre altri scritti, questi cinque vo-
lumi, che trattano di svariatissime materie, ma che tutti s' informano a un
solo concetto di ricerca del vero e di morale restaurazione. Egli guarda
sempre le cose dall'alto e le domina coli' acuto sguardo, e nel risolvere, o
cercar di risolvere ciò che più agita e sommuove il mondo presente, spe-
cie rispetto alle credenze religiose, sa farlo con delicatezza, con tolleranza;
non inasprisce il conflitto, ma lo attenua con un senso di umana universale
pietà.
Il volume che annunziamo ha lo slesso carattere degli antecedenti. Offre
a tulli una sana e giovevole lettura; ma chi ama la storia del passalo e vorrà
interpretarne il segreto, cercherà il saggio su Nerone e il cristianesimo; chi
preferirà addentrarsi negli avvolgimenti della storia moderna, potrà ricorrere
all'ottimo capitolo II Principe di Bismarck nei suoi Pensieri e Ricordi.
L'arte e il pensiero antico sono studiati a proposito di Lucrezio: quello
odierno nei lavori su Anatole France, sallo Zola, sul Taine, sul Tenni/son.
I ponderosi problemi sull'ordinamento dello Sialo e della Scuola sono trat-
tali nei due scritti Sulla riforma della legge elettorale politica e su La re-
ligione e la morale nell'insegnamento: d'Italia, del suo passato e dell'avve-
nire, discorrono gli altri su Carlo d' Adda e su Lo Statuto e V Unità d' Italia,
e gli altri due, di argomento vivo e palpitante, La questione meridionale
guardata dal Nord, e I partiti milanesi. Un dolce e vago riposo allo spirilo
del lettore, cosi come è a quello del viandante, offre l'articolo Un Paradiso
alpestre, che descrive un angolo riposto, addossato alla parete che divide l'Italia
dalla valle del Rodano.
Questi diversi scritti ci disegnano dinanzi l'immagine ideale dell'autore;
la commemorazione dello Scherillo tenuta nell'Accademia scientifica di Milano,
e l'altra del Novali presso la Società slorica lombarda, ritraggono l'uomo
e le sue vicende, l'opera sua di soldato, di sindaco, di senatore, e ne dijono
la mente sempre devola ad alti ideali. L'una e l'altra sono ispirate da ri-
si»eUo ed affetto quasi filiale, e alla seconda aggiungono pregio parecchie
lettere del tempo, in che, poco più che ventenne, il Negri servendo la pa-
tria nelle file dell' esercito e combattendo il turpe brigantaggio del mezzo-
giorno, iniziava quegli atti di devozione alla patria, di che fu ricca tutta la
sua successiva, ahi! troppo breve carriera. A. D'A.
280 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
I Fioretti di Sancto Franciescho secoodo la lezione dei cod. fiorentino scritto
da Amaretto Manelli pubblicati di nuovo da Luigi Manzoni di Mordano,
edizione con XXX fototipie, Roma, Loescher, MDGGGGII..
I Fioretti del Glorioso messere santo Francesco e de' suoi frati a cura di
G. L. Passerini, Firenze, Sansoni, 1903.
I Fioretti di S. Francesco secondo l'edizione di A. Gesari riscontrati su mo-
derne stampe per cura del prof. R. Fornagiari, Firenze, Barberai 1902.
Son corsi ben diciannove anni, dacché lo Zambrini pubblicando 1"* Appen-
dice, alle Opere volgari a slampa' annunziava prossima l'edizione critica dei
" Fioretti „, corredata d'un' ampia bibliografia; ma, sebbene da allora ad oggi
sia corso tanto tempo, questa promessa non è stata ancora adempiuta. Fin
dal 1900 il conte Luigi Manzoni, da cui era ragionevole sperare un' opera di
tal genere, si scusava* col dire di non essersi sentito abbastanza in forza per
condurla a termine; e non credeva inopportuno intanto "... il dare alla luce
(riportiamo queste parole dalla pref. d'allora) un testo, il quale non risulti da
• raffazzonamenti arbitrarj o da lezioni diverse, tratte a capriccio da codici
" e stampe, ma riproduca fedelmeate un codice solo, scelto fra i migliori ed i
" più antichi per modo che si possa leggerlo, se non scevro in tutto di mende,
" almeno rimesso nella forma, in cui fu divulgato da Menante ben noto nel
"secolo stesso, in cui l'opera fu composta o fatta volgare ,.3 La nuova le-
zione era tratta dal codice palatino E. 5, 9, 84,* opportunamente prescelto,
perché autografo di quel medesimo Amaretto Mannelli, che è più noto qual
trascrittore del Decameron. Gerto che, astraendo dalla promessa dell'opera
completa, di cui abbiamo toccato, anche in questa, sia pei pregj intrin-
seci, sia per gli accenni da parte dell'autore ad altri lavori sull'argomento,
c'era tanto da soddisfare lo studioso. Infatti in quella stessa prefazione il
M. annunziava che a completare il primo, avrebbe raccolto in un secondo
volume le vite di Frate Ginepro, di Frate Egidio, i suoi Detti MemorabiU, la
Regola dei Frati Minori, il Testamento del Patriarca, una Pia considerazione
sulla vita di lui, una Profezia ed uno Specchio dell' anima,^ e che altrove si
sarebbe accinto a trattare per esteso la questione delle fonti.^ Naturalmente
• f.e opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV. — Quarta edizione con Appendice. —
Bologna, 1884,001. 56-57.
2 / Fioretti di Sancto Franciescho secondo la legione del codice fiorentino scritto da Ama-
retto Manelli, ora per la prima volta edita, pubblicati di nuovo da Luigi Manzoni di Mor-
dano, Roma, Loeschar MDCCCC, prefaz. p. I.
' 8 Ib.
* Ih. p. IV. . .
6 Ib. p. II.
6 Ib. p. VI e segg. Ivi il cod. è descritto con minuzia: per la cronologia il Manelli stesso
ricorda d'aver cominciato a scriverlo la vigilia di Pasqua del 1396, e d'averlo finito nel
luglio.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 281
non si può pretendere da un autore più di quello, ch'ei voglia o possa dare,
ma desideriamo soltanto por qui in rilievo come per un ricorso strano di circo-
stanze anche queste intenzioni dovessero rimanere allo stato di promesse, au-
gurandoci d'altra parte che il M. voglia mostrar col fatto di non essersene di-
menticato. Alla distanza di due anni è uscita alla luce una ristampa quasi
integrale del volumetto del '900, arricchito con nuove riproduzioni in foto-
tipia di personaggi, allegorie e motivi, connessi colla leggenda francescana e
ritratti dal pennello d'artisti contemporanei, o di poco posteriori al serafico
poverello d'Assisi. In ogni modo, per quanto l'opera del Manzoni non possa
pretendere ad altro, che al merito d'essere un buon contributo all'edizione
critica definitiva, anche cosi com'è, torna utile ed opportuna per la nostra
letteratura, e più particolarmente per gli studj francescani.
Nella sobria prefazione, che qui torna, leggermente modificata, a precedere
il lavoro, il M., pur affermando di non voler affrontare il problema concernente
la cronologia dei Fioretti, vi accenna di volata con alcune osservazioni, sulle
quali vogliam qui dire qualche parola. Egli vede nella compilazione dei
Fioretti due parti ben distinte: l' una (capp. 1 -XXXVIII dei Fioretti e Con-
siderazioni delle Stimmate) più antica, e l'altra (capp. XXXVIII-LIII) com-
posta in tempi a noi più vicini.* Ed ecco, donde il M. trae questa dedu-
zione:' siccome, egli dice, sette storie della vita di S. Francesco, dipinte da
Giotto e dai suoi scolari nella Chiesa Superiore d'Assisi sembran tratte dai
Fioretti e l'allegoria giottesca della crociera di mezzo par ispirata alla terza
delle Considerazioni delle Stimmate, e siccome d'altro canto sappiamo dal
Vasari, che Giotto fu chiamalo ad Assisi da Fra Giovanni da Morrò, tra il
1296 ed il 1304, è naturale indurre, che la compilazione di quella parte dei
Fioretti, che riguarda più particolarmente il servo di Dio e dell'altra, che va
sotto il titolo di Considerazioni delle Stimmate debbano aver preceduto di
tempo gli affreschi gii-ltini della basilica. Siccome invece nella seconda parte,
tutta dedicata ai seguaci del taumaturgo, 1' ultimo ricordato tra di questi per
la cronologia è Fra Giovanni dell'Alvernia, defunto nel 1322, e se ne parla
come di persona già morta, le prose, che abbraccian la vita di lui e dei con-
fratelli van poste per lo meno dopo il 1322. Ora a noi sembra che questo
modo d' argomentare, per quanto acuto, non renda chiara e scientificamente
accettabile la conclusione, cui vorrebbe giunger 1' editore, riguardo alla cro-
nologia dei Fioretti ed alla loro struttura, che verrebbe in tal caso ad esser
costituita da due parti, diverse non solo per autore ma anche per tempi.
Infatti non ci par necessario ammettere che i Fioretti in volgare, quali noi
li conosciamo, dovessero già esistere ai tempi di Giotto, soltanto per le somi-
glianze innegabili, che corrono tra certe prose francescane ed alcuni affreschi
di quest'ultimo, il quale potè benissimo ispirarsi a quel testo latino, il Fio-
return, se già esisteva, od a quegli Actus Sancii Francisci et sociorum ejus, che
sembrano aver costituito il nucleo, onde i Fioretti derivarono. E se ciò non
bastasse, si pensi che quando Giotto coi suoi dipingeva nella basilica d'Assisi, le
I Pref. p. III.
282 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
tradizioni su Francesco, su Bernardo, su Masseo, sopra Rufino, sopra Egidio,
sopra S. Chiara, su tutto il cenobio e su tulio quel moto religioso, che fu
proprio dell'Umbria, eran fresche e vigorose, e costiluivan nell'insieme quel
poema francescano, che per quanto forse non fermato ancora nella parola,
più che nelle menti era scritto nei cuori. Cosi Giotto o nell' un modo o
neir altro potè trarne argomento pei suoi affreschi, ed in tal caso la que-
stione verrebbe invertita: che le somiglianze coi Fioretti si spiegherebbero,
per l'influenza delle pitture murali sulle prose francescane. In ogni modo,
tolta di mezzo quella conclusione riguardante la priorità dei Fioretti in rap-
porto agli affreschi di Giotto, conclusione, che s'imponeva come necessaria
al M., non ci sembra, come dicevamo, che siano da accettar senz'altro le
idee del benemerito editore sulla struttura e sulla cronologia dei Fioretti.
Infatti nulla impedisce, secondo noi, che quello stesso fraticello, il quale
scrisse dopo il '22 le memorie di Fra Giovanni della Vernia, di cui era stato
compagno, sia anche l'autore, se non di tutte, di alcune almeno delle nar-
razioncjelle, attinenti alla vita del comun padre spirituale, il beato " Fran-
" ciescho ,.
Ma lasciando da parte, come vuol l'È., indagini di questo genere, dobbiam
convenire che la riproduzion diplomatica curata dal M. è scevra d' ogni di-
fetto. Questa seconda edizione inoltre si avvantaggia sulla prima perché
l'ampia errata-corrige, è qui stata sostituita colle emendazioni, introdotte nel
testo ; perché il glossario, oltre a registrare parole e frasi peculiari alle prose
francescane, riporta vicino alla forma antiquata la moderna corrispondente;
e perché infine le diciannove incisioni, onde adornavasi il testo, son qui sa-
lite a trenta. Nell'insieme insomma, è una pubblicazione condotta con op-
portuno sentimento d'artista e con diligente accuratezza d'erudito, in modo
che faciliterà senza dubbio l'opera al futuro editore del testo critico delle
prose francescane; opera, che noi ci auguriamo sia condotta a termine dallo
stesso Manzoni.
Né diversamente si deve giudicare dell' elegante edizioncina, che de " I Fio-
" retti del Glorioso messere Santo Franciesco e de' suoi frati „ ha compiuto
con la consueta diligenza il conte G. L. Passerini. Nelle poche pagine, ch'egli fa
precedere al testo, descrive minutamente il codice riccardiano 1670, la cui
lezione è stata da lui riprodotta in modo integrale. Ma è doveroso altresf no-
tare che, oltre ai " Fioretti „ ed alle " Considerazioni delle Stimmate ;,, qui
si contiene la " Vita di Frate Ginepro ,, ristretta in quattordici capitoletti, ed
in altri nove quella di Frate Egidio, cui l'accurato editore fa seguire i * Ga-
" pitoli di cierta dottrina et delti notabili di Frate Egidio ,, le * Visioni et
" revelaQioni et tentazioni ch'ebbe Frate Egidio innanzi la sua morte ,, ed
i "Begli esempj e miracoli di S. Francescho „, parte dei quali vengono ora
in luce per la prima volta. Lodevole pensiero infine è stato quello del P.
di corredare il volumetto delle principali varianti, che il testo, secondo la
lezione da lui pubblicata, presenta a confronto dell' altro, fornitoci dal Manzoni.
A differenza di questi due, il prof. Fornaciari con un'altra ristampa delle
prose francescane pei tipi del Barbera, ha voluto comporre un manualetto
di comoda lettura per le persone colte: " ripresentare, cioè com' egli scrive,
" il testo dei Fioretti in modo facilmente leggibile, conservandogli però fino
DELLA LETTERATURA ITALIANA 283
* ad un certo punto quella patina di antichità, che ha perduto nella maggior
" parte delle edizioni recenti . . . , ' E non v' è dubbio che lo scopo è rag-
giunto; il lesto, prescelto dall'editore è quello offerto dalla ben nota edizione
dei Fioretti, curata dal Cesari, corretta qua e là secondo le varianti del già
citato codice Mannelli.
Per concludere, se confrontiamo i testi, quali ci son dati dalle due ristampe
condotte con intento critico, astrazion fatta dai brevi sommarj d'ogni capi-
tolo (perché riguardo a questi non essendovi una forma fissa, ogni trascrit-
tore si credè lecito di comporli a proprio arbitrio) è facile accorgersi quanto
poche di numero e quanto lievi d'importanza sian le varianti, che i due co-
dici presentano tra di loro. Di ben più notevoli in vece, com'è naturale, se
ne riscontrano quando si pongano a raffronto le edizioni del M. e del P. con
quella del F., perché nel primo caso l'ortografia è specchio pili o meno fe-
dele della pronunzia dialettale fiorentina sul finir del 300, e sul cominciare
del secolo successivo, nel secondo caso si mostra pili levigata, perché di già
sottoposta ad erudite elaborazioni. M. Sterzi.
CRONACA
.'. Il Canto Vili del Purgatorio viene ottimamente illustrato in un di-
scorso del prof. V. Capetti (Milano, Scuola Tipo-litograf., di pag. 40 in 16.»).
Le bellezze della descrizione della sera colla quale s'inizia il canto, vengono
delicatamente e pienamente esposte dall' A.; e cosi gli episodj di Nino gen-
tile e di Currado Malaspina, la figurazione del quale è finamente studiata
a riscontro di quella dell' liberti nel X dell'Inferno. Segue un'Appendice
Sulle tracce di Virgilio, dove sono raccolte e messe in mostra recondite
derivazioni della Commedia dall'Eneide. L'A. quasi sembra accettare l'os-
servazione di un critico benevolo, di troppo addensare: e veramente o per
natura d'ingegno, o per riflesso, forse, del Tommaseo, la critica sempre ele-
vata, lo stile adeguato alla materia, talvolta appajono involuti e oscuri, sf da
far desiderare maggior perspicuità e scioltezza a una penna, che ha tanta
copia di belle e utili cose da significare al lettore.
.•. Col titolo di Dantiana, il prof. E. Teza raccoglie alcune noterelle (Pa-
dova, Bandi, di pagg. 27 in 16.°) nelle quali raccoglie e illustra notizie di tra-
duttori e storici e giudizj di uomini più o men chiari, sul poema divino: e
prima enumera le varie sentenze del Goethe, poi dà notizia di un singoiar
lavoro sulla Vita Nuova di una signora inglese — che precede forse, e forse
prelude allo strazio di Dante fatto sulle scene inglesi dal Sardou. Per ul-
timo si propone una nuova inlerpellazione, ironica, al sonetto di Cino da Pi-
stoja, che enumera e accresce i difetti del libello di Dante. L' interpretazione
è ingegnosa, ma va letta e meditata nel testo, al quale rimandiamo.
» l*refaz. p. XVIU.
284 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
.". Il prof. L. A. RosTAGNo investiga Chi sia Colui che fece per vìltate il
gran rifiuto (Catania, Mollica e Modica, di pagg. 26 in 10.»), confutando da
prima la opinione di coloro che vi ravvisano Celestino V. Non tutti gli ar-
gomenti contro siffatta ipotesi sono egualmente calzanti. Negando ad esem-
pio, che Dante accogliesse la voce che il card. Caetani incitasse Celestino
all'abdicazione, opina, appoggiandosi al Casini, che a ciò non può trovarsi
allusione nei versi: son due le chiavi Che il mio antecessor non ebbe care:
e ciò ammettiatno fino a un certo punto, non sembrandoci tuttavia che que-
sto-sia un " accenno delicato e rispettoso , al suo predecessore. Altri vi
può scorgere una scusa di sé medesimo, un accagionate del rifiuto piuttosto
la pochezza di Celestino che le proprie arti. Il prof. R. riconosce Pilato in
Colui, e sostiene la sua opinione con argomenti non privi di probabilità. Non
però diremmo né che egli sia il primo a proporre tale ipotesi, e ne dubita
lo stesso autore, né, che è più, ch'egli riesca a infondere in altri la sua con-
vinzione; e non sappiamo se questo nuovo candidalo riuscirà a levar di
posto quegli che l'occupa da tanto tempo: che, ognun sa, melior est con-
ditio possidentis. L' A. ci pare che ragioni sottilmente, ma scriva con troppa
trascuratezza di forma : potremmo di ciò addurre molti esempj : ci basti
questa sola proposizione: "L'esser attivamente boni si è solo superando
* ogni timore d'incomodi, pericoli o danni „. L'A. ci avverte che lo scritto
che stampa è * nella stessa stesura, che aveva quando fu presentato al
concorso dantesco degli insegnanti secondarj „; ma chi e che cosa poteva
impedire di dargli poi una buona e opportuna rivista quanto alla forma?
.•. Nelle Conferenze promosse dal Ginnasio Comunale di Barletta trovò
luogo V Interpetrazione del e. XXVII dell' Inferno fatta dal prof. C. B. Bar-
BERis (Pinepolo, Chiantore, di pagg. 30 in 16.°). L'autore, contro il Tosti, il
Bottagisio ed altri, difensori del nome di Bonifazio Vili, ammette, con pa-
recchi commentatori antichi e moderni, " la verisimiglianza del mal consiglio
" e la conseguerite caduta di Palestrina per patti non mantenuti ,, e adduce
gli argomenti che a tal conclusione lo conducono, E noi in verità, siamo
d'accordo con lui, parendoci inverosimile, anche ammessa l'inimicizia di
Dante verso .Bonifazio, ch'egli di suo capo inventasse il colloquio fra il pon-
tefice e il cordigliero. Come in tanti altri casi. Dante dovè appoggiarsi a
una opinione, vera o falsa, generalmente tenuta, e rispondente, almeno ge-
nericamente, alla realtà di fatto. Questo punto è pili largamente d' ogni
altro, trattato dall' autore, col quale non saremmo del tutto consenzienti
neir asserire che il parlare ' lombardo „ voglia dire semplicemente e pura-
mente * italiano „, anche ricordandoci che altrove Virgilio chiama " lombardi ,
i suoi pa^'enti, volendo additare quella parte della penisola, che nell'antica
geografia romana non era Italia ma GalUa Cisalpina, e divenne poi Lombardia.
Oltre la menzione della voce issa, il ripetersi di questa denominazione di-
stintiva, che è pur adoperata {anima lombarda) a proposito del mantovano
Bordello, ci pone in dubbio rispetto all' interpetrazione data dal Barberis.
.*. Nello scritto L'ultima guida di Dante e le affinità di due anime grandi
(Livorno, Meucci, di pagg. 29 in 16-°) il prof. P. Vigo ricerca le ragioni per
le quali nella Divina Commedia, sia fra tanti santi e dottori, prescelto San
Bernardo a continuare e ultimare l' uffizio di accompagnatore e maestro, dopo
DELLA LETTERATURA ITALIANA 285
Virgilio e Beatrice: e oltreché nell'aver voluto, come comunemente si opina,
" rappresentare in persona di lui, se stesso e la viva fiducia nell'interces-
sione della Vergine ,,Ie ritrova in certe * affinità di intento, di zelo, di desi-
derio in quelle due anime grandi ,. A questo fine egli mette a ragguaglio i
passi dell'uno e dell'altro, che dimostrano nelle loro scritture "il desiderio
comune ad ambedue del rinnovamento morale della Chiesa e del cristiano
consorzio, l'ardore della crociata, i nobili e santi disdegni contro i traligna-
tori ,, e aggiungiamo noi, la condanna delle ambizioni temporali dei Ponte-
fici. I brani arrecati opportunamente chiariscono assai bene 1'* affinità , vo-
luta provare dall' a., e spiegano come l'altissimo conto in che il gran poeta
teneva il gran teologo, glielo facesse assumere a guida nell'alto dell'Empireo.
.'. Il sig, A. Cimino ribadisce una sua opinione, già espressa di recente
anche da altri, circa le relazioni fra la genesi della Divina Commedia e il
Giubileo del 1300, in una Conferenza sull'argomento, che si intitola appunto
Ancora il giubileo del 1300 e Dante in occasione di una Rivista alla Rivista
d' Italia (Napoli, D'Auria. di pagg. 61, in 16,"). Lasceremo ciò che concerne
l'occasione dell'opuscolo, che è una polemica contro il prof. Labanca, né segui-
remo l'A. in molte sue divagazioni. Ma un argomento di pili, o di maggior peso
circa il soggetto in discussione, invano si cercherebbe in questo nuovo scritto:
e quanto il C. ed altri con lui sostengono come fatto, è una mera ipotesi,
che non esce dai confini del possibile. Se non che in troppi luoghi appa-
risce che lo zelo religioso non può tener luogo della critica oculata, spas-
sionata, sicura di sé, come laddove si fa un " torto „ a Dante delle sue invettive
contro la corruzione della Chiesa, nonché nella apologia di Bonifazio VII
(anzi, perfino di Alessandro VI). Quanto poi al dire che Dante " non ha messo
"nell'Inferno o nel Purgatorio neppure uno che la Chiesa avesse adorato
" sugli altari ,, si può bene concederlo, anche se in colui che fece il gran ri-
fiuto, si debba riconoscere Celestino V: e ciò per le ragioni addotte dal Tocco
e dal D'Ovidio; ma che egli non ammettesse "in luogo di salvazione al-
" cuno per cui la Chiesa si fosse pronunziata in contrario ,, ci pare propo-
sizione un po' arrischiata. Il gran poeta fu schiettamente ed altamente cat-
tolico: ma non cattolico " cieco ,, come il C. lo definisce. E infatti al giu-
dizio di condanna della Chiesa non sostituisce egli il suo — e sia pure ap-
poggiandosi a leggende e visioni del tempo — salvando Manfredi, e rimpro-
verando anzi al pastor di Cosenza di non aver ben letto, obbedendo alla
scomunica papale, nel libro dei decreti di Dio? E se la Chiesa non erasi
• pronunziata in contrario , né per Catone né per Rifeo, non è un grande
ardimento di Dante l'aver infranto per essi la dottrina cattolica riguardo ai
Pagani, promettendo all'uno, ctistode del Purgatorio, la " vesta, che al gran
" di sarà si chiara ,, e per la sola lodevole menzione di Virgilio, collocando
r altro nella gloria del Paradiso? E Sigieri non era condannato dalla Chiesa?
Cattolico, si, e profondamente fu Dante: ma non " cieco ,: che rispetto a tol-
lerante larghezza di mente, non è da mettere in mazzo, tutto che vissuto sei
secoli fa, colla schiera gretta d'intelletto e d'animo di certi teologi e cattolici
odierni.
.'. In onore di N. Tommaseo e a ricordo del centfsimo anno del suo na-
scimento, i padri Rosminiani di Stresa, e per essi la Ditta L. F. Cogliati di
286 RASSEGNA BIBLIOORAFICA
Milano hanno pubblicato due lettere del Tommaseo st€sso a Paolo Perez
(di pagg. 77 in 16.° picc). Gli studiosi conoscono ed apprezzano meritamente
il libro del Perez su i sette cerchi del Purgatorio, non che l'altro dell*,
fragranze che spirano dal Purgatorio e dal Paradiso di Dante. Le due let-
tere del Tommaseo sono a proposito di quest'ultima scrittura: e la prima
di esse ha più stretta attinenza coir argomento, l'altra, pur non discostandosi
da Dante, tratta di ciò che potrà essere il sentire corporeo nella vita futura
dei beati. Ambedue sono notevoli per erudizione poetica e per dottrina teo-
logica, e pel modo col quale sono trattate in lucida forma astruse materie,
nonché per l'agevolezza, e quasi diremmo familiarità, colla quale con vigile
memoria e ardore di fantasia, l'autore, a proposito di Dante, richiama e raf-
fronta passi di varj autori, e specialmente della Bibbia e di Virgilio.
.•, Qui addietro (pag. 185) accennammo alia controversia su Dante al mo-
nastero di fonte Avellana, e al dibattito fi a i signori Morici e Nicoietti
sulla possibilità di scorgere il Catria da Ravenna, affermata dal primo, dal-
l'altro negata. E poiché la negativa era assoluta, perentoria e quasi in forma
di sfida, dichiarammo di rimaner perplessi. Ma il prof. M. Morici in una Let-
tera aperta al prof . A. D'Ancona inserita nella Nazione del 16 luglio (n. 197)
adduce testimonianze di persone autorevoli ed esperte, le quali dicono che
il Catria, in forma di gibbo, è visibilissimo da Ravenna. Registrando la no-
tizia di queste valide attestazioni, dimostrate per scienza e per esperienza,
pare a noi che la causa del sig. Nicoietti possa ritenersi come perduta.
.". Una nota del prof. A. Moschetti su Un'erronea espressione di Dante
e un' erronea interpetr azione dei commentatori (s. a. n. t. di pagg. 8 in 16.'
e una fig.) riguarda il principio del e. XVI Inf., e precisamente il v. 7: FJr-
nian ver noi, dove, coli' aiuto di un disegno, l'autore dimostra che il vèr vale
non già incontro, uva di fianco. — Il secondo punto esaminato è il verso
26: si che in contrario il collo faceva a' pie continuo viaggio, dove l'a. pre-
ferisce la lezione recata e confermata da tre delle prime quattro edizioni
del poema: si che tra loro il collo faceva a'piè{o co' pie) continuo viaggio:
cioè, " piedi e collo erano in continuo movimento: i piedi per girare intorno
* al cerchio, il collo per rivolgersi verso Dante, da cui si andavano man
" mano ora avvicinando ed ora lontanando „.
.*. L'articolo del prof. P. Bellezza Del citar Dante (estr. dalla Reas. Na-
zion., di pagg. 14 in 16.°) contiene notizie aneddote assai curiose: talune però
delle citazioni dantesche che raccoglie, per la loro insipidezza potevano tra-
lasciarsi, e altre migliori se ne potevano ricordare : per esempio, l' epigrafe
dal Gioberti apposta al suo Gesuita moderno: Incontanente intesi e certo
fui Ohe questa era la schiera dei cattivi A Dio spiacenti ed ai •nemici
sui. — È noto in Firenze come, quando nel '46, o '47, apparve il libro -di
Leopddo Galeotti sul Dominio temporale dei papi, G. B. Niccolini senti ri-
bollire in sé i vecchi spiriti ghibellini, e vi scrisse sul frontespizio: Galeotto
fu il libro e chi lo scrìsse. Si poteva aggiungere, perché contenuto in do-
cumento storico assai importante e nolo, l'uso appropriato di versi dante-
schi fatto da G. B. Giorgini nella sua relazione del 1860 al Parlamento ita-
liano per la costituzione e denominazione del regno. Mancavano i deputati
di Venezia e Roma in quel primo consesso di rappresentanti d'Italia, e H
DELLA LETTERATURA ITALIANA 287
Giorgini citò opportunamente i versi del Farad. XXX: Vedi li nostri scanni
ei ripieni Che poca gente ormai ci si distra. Il prof. Bellezza potrà peiTe-
zionare, arricchendolo, questo sagf^io, che riuscirà sempre di gustosa lettura.
.'. Gol titolo Saggi critici il sig. M. Mandalari raccoglie (Città di Castello,
Lapi, di pagg. 153 in 16.* picc) sette suoi scritti, dei quali taluni hanno
carattere storico, altri letterario. E questi sono i tre primi : Matelda — Le
Satire di Quinto Settano — Quistioni dantesche. Il primo fu anteriormente
pubblicato in rumeno nella versione della Divina Commedia della signora
Chitiu, per * esporre lo stato della questione sulla Donna in che Dante si
* imbatte nella foresta del Purgatorio, annoverando ben sette personaggi
" storici in che si vuol raffigurare la Matelda dantesca ,. Ma veramente an-
dava aggiunta alle altre, la donna che nella V. Nuova domanda a Dante in
che consista l'amor suo per Beatrice: e questa, non la donna gentile, è ve-
ramente quella proposta del Borgognoni. L'a. crede — e qui siamo con lui
— che Matelda nel suo intimo significato, sia una cosa con Lia: ma sostiene
anche che sia un personaggio vivente solo nella mente del poeta, e come
una personificazione del valore etimologico (figlia animosa) del nome: e qui
discordiamo da lui, perché non v'ha nel poema personaggio di significato
simbolico, che non sia insieme uomo o donna realmente vissuto: né caha
l'esempio di Lucia, perché se essa è la Grazia illuminante è insieme la
Vergine Siracusana venerata dalla Chiesa come santa. — Soggetto dantesco
ha pure l'altro studio, che espone e riassume gli studj di Filippo Zam-
boni su Cunizza da Romano, nei quali pone innanzi la più plausibile ragione
dell'averla Dante collocata fra i beati. — Nello studio sul Sergardi — o
Quinto Settano — ci sembra che in fondo l'a. abbia ragione contro il dott.
Battignone nel definirne il carattere. Negli altri scritti si danno utili notizie
sulla storia e sulla cultura calabrese. Ma poiché tutti quanti sono ristampe,
non sarebbe stato inopportuno né inutile rivederli tutti accuratamente per
ciò che spetta allo stile, troppo trasandato e fiacco.
.'. Un giovane studioso, il sig. A. Franco, raccoglie per nozze di parenti
alcuni Appunti di Numismatica Toscana dei sec. XIII e XIV (Firenze, Bon-
ducciana, di pagg. 11 in 16.°), ricordando monete che furono coniate a San-
t'Jacopo in Val di Serchio, a Rigiione e Spedaluzzo, a Rifredi e a Romena.
L'À. mostra di dubitare che Mastro Adamo (da Brescia, o da Brest, come
altri crede : certo, in documento autentico testé scoperto è detto anglìcus),
fosse arso davanti al castello, perché esso non era in territorio fiorentino.
Ma non è il Camerini che ciò asserisce, come è notato: bensì" lo affermano
(inanimente i commentatori antichi. E di fronte al castello — valga per quel
che valga la tradizione — v'ha una mora di sassi, detta dell'uomo morto,
che si asserisce eretta a poco a poco sul luogo ove il colpevole artefice
venne bruciato.
.". La nuova pubblicazione del prof. G. Maruefi: La Divina Commedia
considerata qual fonte dell' Orlando Furioso e della Gerusalemme liberata
(Napoli, Pierro, di pag. 216 in 16.") può tornar utile in genere agli studiosi
e in particolare ai maestri delle scuole secondarie. La materia è divisa in
due parti: nell'una, le derivazioni eerte o probabili, di concetto (simboli, epi-
-sodj, credenze, figure), nell'altra quelle di pura forma (simihtudini, immagini.
288 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
modi di dire ecc.). Forse era meglio intitolare il lavoro, lasciando la parola
fonte, "Imitazioni dell'Orlando e della Gerusalemme dalla Commedia, o in
altro modo consimile. Come succede in tal genere di lavori, spesso si cade
neir esagerazione di un giusto concetto, e ci sarebbe da ridire qualche cosa
su quanto annota Ta., cosi per la prima come per la seconda categoria di
raffronti; non di rado questi si direbbero un po' tirati colle molle. Ma scar-
tando il meno, resta il più; e questo può dar luogo, specie nelle scuole, a
buone considerazioni di stile.
.•. Del prof. G. Gambèra son raccolte in elegante volumetto (Salerno, Jova-
ne, di pagg. 88 in 16.» picc. con due tavole) le Note dantesche sparsamente
pubblicate finora, e di talune delle quali abbiamo altra volta parlato. Il ca-
rattere loro è generalmente scicntifìco, e più specialmente astronomico, e
questa è la ragione per la quale non su tutte abbiamo autorità di senten-
ziare. Ma ben ci piace di vedere come, contro l'Angelitti ed altri, egli so-
stenga esser la data del poema il 1300, e non il 1301, che è controversia nella
quale oltre l'astronomo, può dir la sua anche il letterato e lo storico. An-
che per altre di queste note ci par che l'A. vegga e spieghi dirittamente,
come, ad es. pel verso Se quella con cui parlo non si secca, che non vuol
significare " Se non muojo ,, ma invece * Se la mia lingua, mentre parlo,
non si congela, non diventa secca (dura) per freddo ,, né mi avvenga come
a Camicion dei Pazzi che aveva " per la freddura , perduto ambo gli orecchi.
Non andiamo invece d'accordo coli' A. nella spiegazione del principio del
IX Purg., dove ci sembra che si descriva bensì l'aurora solare, ma del nostro
emisfero, nelle prime due terzine, e dalla terza in giù, per contrapposto, come
Dante suol costantemente fare, l'ora corrispondente nell'altro emisfero:
l'aurora solare sul monte è invero descritta nella quinta terzina, ed è l'ora
presso alla mattina, quando la rondinella comincia i tristi lai e Dante, già
vinto dal sonno, ha il sogno simbolico. Ad ogni modo, anche dissentendo
su certi punti, su altri, spettanti specialmente alle cognizioni scientifiche del
poeta e alla loro applicazione, in queste Note del sig. G. non c'è che da
imparare con reverenza.
.•. Abbiamo detto liberamente il parer nostro sul primo fascicolo della
Bibliografia dantesca, anzi pur anche trecentista e francescana, del sig. L.
SuTTiNA. Lode più schietta ci sembra meritare il fascicolo 2.» (da pagg. 101 a
208). Alla bibliografìa propriamente detta si aggiunge una Rivista critica e
bibliografica e delle Noterelle. Se il compilatore continua nel voler racco-
gliere insieme tre diverse categorie di studj (Dante, il Trecento, S. Francesco),
forse non sarebbe male dar a ciascuna una rubrica distinta. Ad ogni modo,
lo ripetiamo, alcuni difetti dal primo iniziar dell'opera sono ora scomparsi,
od attenuati: tuttavia sarebbe sempre desiderabile una maggior obiettività
nei ragguagli bibliografici. Il sig, Suttina ci annunzia pel prossimo Centenario,
una Bibliografia delle opere a stampa intorno a F. Petrarca esistenti nella
biblioteca Petrarchesca- Rossettiana di Trieste, e l'aspettiamo con desiderio,
dopo averne veduto un breve saggio (Perugia, Cooperativa, di pagg. 7 in 16.»),
che ci dà ragione di bene sperarne.
.'. Prendendo occasione da Le manuscrit de Dante offerì par J. Minut
(114 roi Francois I (Paris, Bouillon, di pag^. 19 in 16.») il dotto bibliofilo h.
DBLLA LÉTTERAtURA itALtÀNA 289
DoREZ raccoglie varie notizie sul donatore di cotesto codice, conlenente il
poema col commento di Guiniforte, e in esso ravvisa Jacopo Minuti (Myenut
o Minut in francese) di origine milanese, che segui Francesco in Francia ed
ivi ebbe ufficj, terminando la sua carica coli' esserJPresidente del Parlamento
di Tolosa.
.•. Lo studio critico del prof. G. De Leonardis su Publio Virgilio Mnrone
e Dante (Bologna, Zamorani, di pagg. 33 in 16.») può parere ad alcuno che,
anche per dir cose chiare ed ovvie, troppo si avvolga in una terminologia
nebulosa, e si svolga in forme, abituali ormai all'autore, che colla diversità
dei caratteri, richiamano le^usanze del Vico ; ma contiene giusti concetti sa
ciò che Virgilio rappresenta nel poema. Propendendo a vedere nel Veltro
un pontefice, e appunto Benedetto XI, 1' a. promette di trattare ulteriormente
il suo assunto e porgere ogni schiarimento in proposito.
.'. È uscita a luce negli Atti della Società Ligure di Storia Patria la se-
conda parte del voi. XXXI, che conduce il Codice diplomatico delle relazioni
fra la Liguria, la Toscana e la Lnnigiana ai tempi di Dante a cura del
sig. A. Ferretto, dal 1275 al 1281. Forma un grosso voi. in 4.» di pagg. LXV-501.
Di questa rilevante pubblicazione storica demmo altra volta un cenno (v. Ras-
segna, X, 125). La lunga prefazione dà larghi ragguagli di colui che Dante trovò
fitto nel Oocito, in anima, mentre col corpo pareva vivo ancor di sopra, cioè
di Branca Doria, e della sua famiglia, e illustra insieme la biografia dell' uomo
e le vicende della città in quel periodo di tempo.
.*. Il prof. Giuseppe Schiavo in un suo opuscolo intitolato Fra la Selva
Sacra (Firenze, Lumachi, di pagg. 74 in 16.") si propone d'illustrare " tutta
" nel suo complesso la visione del Paradiso terrestre ,. Egli, convinto che
Dante nell' immaginare la visione del Paradiso terrestre deve avere avuto pre-
senti non una, ma molte sacre allegorie e che, tentando quivi una allegoria
splendida e vivacissima, ricordava senza dubbio antichi veggenti o scrittori a
lui pili vicini, si dà a raccogliere passi biblici o di scrittori teologi, che siano
atti a meglio illustrare i concetti mistici adombrali da Dante nella sacra selva.
La parte più notevole dell'opuscolo ci pare quella nella quale lo Schiavo
aiutandosi coli' autorità di Riccardo da S. Vittore per quel che dice nel Be-
niaminus maior aut De Contemplatione, vorrebbe mostrare che nel Paradiso
terrestre Dante rappresenta i primi sei gradi della Contemplazione, dei quali
Matelda e Beatrice sono il 5.» e il 6.» Molte considerazioni raccoglie lo Schiavo
per chiarire le figure di M. e B. in ordine a questo simbolo, ma noi confes-
siamo di non essere interamente persuasi del ragionamento suo. Non c'è
del resto da meravigliarsene : ormai riguardo alla interpretazione delle alle-
gorie dantesche ognuno si forma il suo sistema ed è il solo, spesso, a cre-
derci. Questo sia detto senza ombra di disdegno per il lavoro dello Schiavo,
col quale del resto ci troviamo pienamente d'accordo nel credere che a
voler intendere Dante bisogna sprofondarsi negli scrittori mistici medievali,
senza pretendere però di spiegare le allegorie solamente con uno o con un
altro di quelli. Notiamo in fine ancora un buon raffronto fra il canto XXIII
del Paradiso e gli ultimi canti del Purgatorio.
.•. Buon contributo alla nuova. Revue des études rabelaisiennes arreca il
prof. P. ToLDO con una sua Memoria che s' intitola La fumee du roti et la
I
àOD IR-ASSEGNA BIBl.lOOUAFICA
divination par signes (str. di pagg. 16 in 16.") ricercando le origini e le pa-
rentele di due episodj pantagruelici. Il secondo, che pure non è ignoto in
Italia e che tratta di due che parlano a cenni, e ognun d' essi interpreta a
modo suo i gesti dell'altro, c'interessa meno dell'altro, che si riferisce a.
uno dei racconti del Novellino, quello di Fabretto Saracino e della sentenza
del Soldano contro la sua pretese di farsi pagare da un povero il fumo delle
sue vivande. La più antica forma, additata dal T. è in un racconto tamulico,
e un'altra nei 5«^ras ^Amé/'s. E cosi, rispetto ai racconti pili divulgali nelle
plebi e negli autori si trova sempre, o quasi, un riscontro in quelli orientali.
.•. Sul " Ritmo Cassinese , ha pubblicato Francesco Torraca alcune
" Nuove osservazioni e congetture „ (di pp. 31 in 16."), che si riferiscono alla
lezione, al contenuto e all'autore di esso. Le correzioni al testo sono in-
trodotte tenendo presente che la struttura strofica del Ritmo sia di sette
ottonarj con la stessa rima, pili una coppia di endecasillabi con rima di-
versa; ma non sappiamo se tutti saranno disposti ad accettare il nuovo
testo che il Torraca pubblica a fronte a quello dovuto alle cure del Giorgi
e del Navone, perché in alcuni luoghi troppo si allontana dalla lezione del-
l' unico codice. Rispetto al contenuto, il Torraca accetta in sostanza la in-
terpretazione del Novati modificandola nel senso eh' egli crede di vedere
nel Ritmo * uno di quei contrasti o dialoghi tra il Morto e il Vivo, che
" furono cosi frequenti nell' età di mezzo. Sennonché, d' ordinario il Morto
• veniva dall'Inferno e giovava al vivo mediante la descrizione dei supplizi,
"eternamente inflitti alle anime dei reprobi; qui viene dal Paradiso e soc-
" corre il Vivo, provandogli, con la propria esperienza, che vi sono contentezze
' spirituali di gran lunga migliori della brutale soddisfazione degl'istinti, de'bi-
" sogni materiali. Da questo lato il Ritmo segna un progresso, un più inol-
" trato processo di purificazione rispetto al concetto prevalente in altri com-
" ponimenti didattici popolari „. L'autore del Ritmo è ignoto; qualche indizio
sulla sua condizione si è creduto ricavare dalle parole en altu m'encastellu,
che parrebbero alludere a un monaco fors' anche cassinese. Il Torraca spiega
che l'autore annunzia di essere diventato metaforicamente * castellano di
• un alto castello , nel senso medesimo in cui Dante dice delle anime che
sono " cittadine di una vera città ,. Ma chi è questo autore? ' Il nome del-
• r autore della libera versione dei Disticha de Moribus, di Messer Catenaccio
' cavaliere d'Anagni, mi si è ofTerto spontaneamente a colmar la lacuna della
"seconda stanza ;, cosi risponde il Torraca; infatti al luogo dell'ottonario
mancante egli ha introdotto il verso Truhato aio eo Catenaczo, e rafforza la
sua ipotesi con alcuni raffronti tra alcuni pensieri del Ritmo e i pensieri nuovi
introdotti da Catenaccio nei Disticha. L'ipotesi arditissima, anzi del tutto
soggettiva, porta alla conclusione che il Ritmo non sia fra i più vetusti do-
cumenti della poesia italiana, ma un prodotto della fine del secolo XIII, al
quale, secondo videro il Giorgi e il Navone, potrebbe appartenere il codice
che ce lo ha conservato. Il Torraca aggiunge ancora che lo schema stro-
tìco del Ritmo che presuppone lunga elaborazione, nel sec. XII sarebbe
• mirabil mostro ,.
r .'. Il prof. Alfred Jeanroy ha pubblicato nell'opuscolo Un Sirventcs
cantre Charles D'Anjou (Toulouse, E. Privat, di pagg. 23 in 16.") l'illustra-
DELLA LKTTBRATtJRA ITALIANA 29l
iioae dell' unica poesia provenzale del trovatore genovese Galega Ramano,
di recente fatto conoscere dal Bertoni. Di alcune parti della poesia si era
già occupato il Torraca nel suo volume di Studj su la lirica italiana del
duecento; il Jeanroy la ristampa introducendovi alcune correzioni criti-
che e spiegando tutte le allusioni storiche, da cui risulterebbe che fu com-
posta dopo il marzo 1268 con sentimenti ghibellini per accompagnare e be-
neaugurare all'impresa di Gorradino, diretto a riacquistare il trono di Napoli
agli Svevi. In una nota aggiunta il Jeanroy espone i suoi dubbj che nella
poesia di Peire Chastelnou, Uoimais nom cai far plus long' atendenza {Studj
di fil. rom. IX, 464) si alluda alla vittoria di Carlo I d'Angiò a Benevento.
Egli crede invece che si alluda alla vittoria di Tagliacozzo. Ma dobbiamo
osservare che il verso vencut en camp lo rei Manfre indica chiaramente la
battaglia di Benevento, e che è assai debole spiegazione quella che dà il
Jeanroy per ispiegare la menzione di Manfredi dove si allude alla battaglia
di Tagliacozzo, Egli dice " Manfred a pu étre considera par le poète comme
"un adversaire plus dangereux, et par consequent plus digne d'étre men-
* tionné; à moins encore que son nom n' ait été appelé a la fin du vers
" par le besoin de la rime ,.
.•. Un buon contributo di materiali copiosi e ben ragliati porge alla let-
teratura sacra del primo secolo, il prof. E. Brambilla colla sua pubblicazione
di Rime Ascetiche trascritte da un cod. napoletano e da un comense del see.
XV (Cuneo, Isoardi, di pagg. 78 in 16.°). Nella prima parte offre varianti non
spregevoli al Pianto della Vergine di frate Enselinino; nella seconda riferisce
tredici Laudi, illustrandole con notizie letterarie e bibliografiche. Notevoli fra
esse sono la famosa Donna del Paradiso, specialmente per le aggiunte e
interpolazioni, due delle quali in endecasillabi: e il Contrasto fra la morte
e il peccatore. Non indegni di osservazione sono 89 proverbj, trascritti nel
cod. napoletano delle Laudi, e l'indicazione di alcuni trattati in prosa, pur
in esso contenuti; nonché il testo dato da un cod. comense della lauda di
Jacopone Jesu nostro amatore. Chi finalmente ci darà una buona stampa
delle cose del tudertino e de' suoi seguaci, avrà da questa pubblicazione un
prezioso ajuto.
.•. Il comm. G. Arlìa ha pubblicato per nozze Due Sonetti di Antonio
Pucci (Firenze, Società tipogr., di pagg. 9 in 16.»). Erano inediti, e sono tratti
dal cod. barberiniano XLV, 145. Il primo è ctHitro un topo che turbava i sonni
al poeta: e il secondo è la risposta del topo: ed hanno, specialmente il primo,
la solita festività delle rime del poeta popolano. Ci uniamo al desiderio
espresso dal chiaro editore, che finalmente, dopo tante sparse pubblicazioni,
si raccolgano insieme le poesie e le prose del buon trombetta fiorentino.
.•. Il signor Henry Cochin in un fascicolo della Revue d'Hist. et de litter.
relig. à\ quest'anno discorredi Un Correspondant frangais de Pétrarque. Si
tratta di un Pietro, Abate di S. Benigno di Digione e poi di S. Remigio di
Reims a cui il Petrarca indirizzò tre lettere {Familiares XIII, 7 ; XV, 5, 6).
Il Fracassetti credette che questo personaggio fosse Pietro de ftazain ville;
ma il Cochin mostra che ci sono delle difficoltà per questa identificazione e
invita gli storici a indagar meglio fra gli abati di quei due conventi. Intanto
egli dalle due lettere sopracitate e da altre due {Familiares IX, 9, IO) in
^92 ItASSBGNA BlBLIOatlAF^iCA
cui il Petrarca raccomanda l'Abate a due suoi amici, raccoglie tutte le no-
tizie che può intorno a questo " Pietro „ che fu uomo dotto e scrittore lo-
dato dal Petrarca, per mostrare che a torto il Ghomlon nella sua storia
della Chiesa di S. Benigno di Digione affermò che da essa non usci un solo
scrittore.
/. Il 2." Bollettino degli Atti del Gomitato pel centenario petrarchesco con-
tiene un articolo del sig. U, Pasqui sulla Casa del Petrarca in Arezzo, illu-
strata da due figure, 1' una delie quali rappresenta quella casa nella quale la
tradizione vuole che nascesse il poeta, l'altra la strada, poiché altro appunto
non si sa di certo salvo ch'egli vedesse la luce nella Via dell'Orto. Interes-
sante è anche un altro articolo, pur illustrato, su Arezzo antica. Vi sono
anche Atti del Gomitato ecc. Le illustrazioni sono belle e nitide. Noi espri-
miamo il desiderio che si raccolgano e si riproducano dal Gomitato in que-
sto Bollettino i pili antichi ed autorevoli ritratti del Petrarca.
.•. Esperti della scuola, hanno creduto i proff. L. M. Capelli e R. Bessonk
che nell'insegnamento del latino, e nella prima lettura di autori, accanto a
Cornelio e a Fedro potesse giovare un libro di svariata materia, e del quale
non fosse facile procurarsi la traduzione, e perciò hanno compilato una
Antologia latina tratta dalle opere di F. Petrarca (Torino, Paravia, di pagg.
166 in 16.»), che raccoglie favole, narrazioni, descrizioni atte alla cultura dei
giovinetti e capaci di fissarne l'attenzione. Questa spigolatura nelle prose
e nelle poesie del precursore maggiore degli umanisti, è divisa per materie in
cinque libri, diligentemente annotata, seguita da un Vocabolario latino e ita-
liano e da un Elenco alfabetico di regole grammaticali. Nulla pertanto è
stato dai compilatori trascurato per render accetto e agevole questo tenta-
tivo, che non esitiamo a chiamare ardito, ma a cui auguriamo, come merita,
un felice successo.
.•. Le origini della Novella narrata dal Frankeleyn, nei Canterbury Tales
del Chaucer è il titolo di un bellissimo studio del Rajna (estr. dal voi. XXXII
della Romania, di pp. 64 in 16.»), che è una dotta ed abile confutazione dt
un notevole scritto di William Henry Schofield, della Harvard University.
Il Rajna torna sopra un problema che aveva già toccato, quasi per inciden-
za, in un altro recentissimo lavoro su L'episodio delle Questioni d'Amore
nel Filocolo del Boccaccio, pubblicato nel voi. XXXI della Romania, di cui
già demmo notizia. Egli dimostra, con nuovi e validi argomenti, che l'origine
del Frankeleyn' s Tale non può essere ricondotta ad un antico lai brettone,
come il Chaucer stesso vorrebbe far credere nel breve prologo che precede
il suo racconto, e come sostennero, con criterj diversi e con differenti vedute,
il Tyrwhitt, il Landau, lo Skeat, il Wright, ed altri. Il R., con l' alta compe-
tenza ch'egli ha in materie di questo genere, e con la dottrina che rende
prezioso ogni suo scritto, dimostra facilmente, in modo incontestabile, la fal-
lacia dei nuovi argomenti onde lo Schofield ha creduto di poter dare sal-
dezza al vecchio assunto, secondo il quale le parole del prologo chauceriano
risponderebbero, in qualche modo, al vero. Fonte diretta della novella nar-
rata dal Frstukeleyn è, senza dubbio, il racconto boccaccesco nella duplice
versione della IV Questione del Filocolo e della novella del Decatrteron (X,
5) : questo dimostra vittoriosamente il R., togliendo con valide ragioni ogni
DELLA LBTTERATURA ITALIANA 293
probabilità air opinione impugnala da alcuni critici del Chaucer, secondo la
quale il poeta inglese e il novelliere italiano avrebbero attinto ad originali
comuni, o quasi consimili. In qualche punto dei Frankelei/n' s Tale vi sono
convenienze e analogie, che sembrerebbero pili vicine al racconto del Deca-
meron che a quello del Filocolo; ma nel suo complesso, la contenenea nar>'
rativa della novella inglese apparisce derivata, direttamente, dalla quarta
questione del Filocolo. Con questo suo nuovo studio il R. rivendica al Boc-
caccio la fonte di uno dei più notevoli fra tutti i racconti del poeta bri-
tanno, dimostrando che a lui fu nota, fra gli altri scritti minori del Certal-
dese, anche la lunga e prolissa redazione della storia di Florio e Biancifìore.
Con questi risultati cosi lusinghieri per noi, >6pecialmente di fronte a una'
gran parie della critica inglese, il R. fa fare un altro passo innanzi alla im-
portante e dibattuta questione, se il Chaucer avesse conoscenza del Deca-
meron. Poiché ora ch'egli ha dimostrato, che insieme con tutti, o quasi tutti,^
gli altri scritti minori del Boccaccio il Chaucer conobbe anche il Filocolo,
sembra sempre pili inverosimile ch'egli non dovesse proprio saper nulla
della sua opeva maggiore, la quale era pur divenuta popolare cosi rapida-
mente. E infatti il R., con argomenti di molto valore, certo, ma per noi non
ancora interamente decisivi, sostiene nellts ultime pagine delle sue indagini
dotte e geniali, che il Decameron fu, senza dubbio, il diretlo ispiratore dei
Canterbury-Tales.
.'. Buon preludio e solido fondamento a nuovi studj sulla vita del Boc-
caccio ci offre il sig. A. F. Massèra col suo scritto Le più antiche biografie
del D. (estr. di pagg. 41 dal XXVII voi. della Zeitschr. f. Roman Philolog.),
dove si riferisce ciò che del certaldese narrarono Filippo Villani, Domenico
Bandini, Siccone Polentone e Giannozzo Manelti, riproducendo criticamente
i loro scritti. Sbrogliato il viluppo intricato delle Vile villaniane, e riconosciuto
che Filippo lasciò del suo libro, e per conseguenza della biografia del Boccac-
cio, due saccessive redazioni, si nolano le relazioni dei biografi successivi
col Villani: alla cui narrazione, togliendo la materia in parte dalla prima, la
parte dalla seconda forma, Domenico Bandini aggiunse soltanto quel che ri-
guarda il greco Leonzio, mentre il Manelti ricamò sul canavaccio di'messer
Filippo, poco pili che parole e ragionamenti aggiungendo del' proprio. Il
Polentone per contrario ignorò il Villani, e attinse le notizie della sua bio-'
grafia, poco importante del resto, da informazioni di un amico dimorante a
Firenze. Con questo»' studio del sig. M. è sgombralo e assodato il terreno, e
vi si potrà pili saldamente edificare la biografia dell'autore del Decameron.
.'. Il prof. E Teza riferisce e confronta alcuni Esempi di Elinando nello
Specchio del Passavanti {Pàdova, Laudi, di pagg. 17 in 16.°), fermandosi e
quello di Griuffredi e Beatrice, trasformalo dal Boccaccio nell' altro, di ben
altra finale moralità, su Nastagio degli Onesti nella Pineta di Ravenna; indi
riporta altra leggenda spirituale da Cesario d' Heisterbach, quella dello " sco-
' lajo parigino , mettendovi a riscontro le versioni del Passavanti slesso e
del Cavalca. Ragguagliando fra loro gli originali nella loro semplice latinità
colle versioni, per notar argutamente colla dotta scorta del Teza, le differenze
e i pregj degli uni e delle altre, concluderemo volentieri con lui: * Come è
' bella, nella sua giovinezza, la lingua dei nostri vecchi! ,.
294 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
.•. Saggio di pili ampio lavoro è quello pubblicato dal prof. U. Bellio su
Le cognizioni geografiche di Giov. FiWa«» (Pavia, Bizzoni, di pagg. 113 in 16.»).
Questa prima parte è intanto un accurato Indice alfabetico di tutti i paesi
e citlà, di che si trova menzione nella Cronaca, aggiungendovi il corrispon-
dente moderno. Utilissimo è questo lavoro paziente, che fa vedere quanto
vasto era l'ambilo storico al quale drizzava l'occhio e l'osservazione sua
il vecchio cronista, e insieme " l'esattezza e in alcuni casi la prontezza delle
informazioni ,. Ma la seconda parte, che l'a. ci promette fra breve, farà me-
glio vedere quale e quanto ampio tesoro di notizie possedesse il Villani ri-
spetto a geografìa, e sarà utile preparazione a quella nuova stampa della
Cronaca, che è un desiderio di tutti gli studiosi.
.'. Il nostro collaboratore G. Manacorda, ha pubblicato nel periodico Gli
sludi storici una Memoria intorno ad Una causa commerciale davanti all'uf-
fici» di Gazeria in Genova nella seconda metà del sec. XIV, interessante as-
sai per la storia economica e la politica conmierciale delle nostre antiche
repubbliche. La causa era fra mercanti fiorentini e noleggiatori genovesi, e
fu vinta da questi ultimi, che antica fama afferma saperla pili lunga degli
altri: quel che a noi importa far notare è che al piato, tenutosi nel 1375
innanzi il tribunale di Gazeria, prese parte il cronista Filippo Villani, come
rappresentante dell'Arte di Galimala, e che di lui si pubblicano fra i Docu-
menti ben undici lettere volgari.
.•. Tra lacchi e spade s'intitola una Conferenza del sig. D. Camici, bene
illustrata dal prof. D. Mattani (Firenze, Landi, di pagg. 71 in 16.»), nella
quale con vivacità si rappresenta la vita del popolo di Pistoja nelle .sue
vicende, specialmente dall'aspetto sociale, nel tempo della libertà del Comune,
e con verità si mostra come sieno antichi certi istituti, che ora, in diversa
forma, risorgono e portano vallilo sussidio ai concetti prevalenti di demo-
crazia. Alcuni Ravvicinamenti ed alcuni giudizj potrebber esser contestati,
ma tutta la Conferenza si legge, come sarà stata certamente ascoltata, con
interesse, non solo per la forma, ma per l'amore del ben pubblico e della
giustizia universale, che ispira l'autore.
.•. Ottimo contributo Per la storia del Dramma sacro in Italia è quello
offertoci dal dott. M. Vattasso, scrittore della Biblioteca vaticana (Roma,
lipogr. vatic, di pagg. 129 in 16.°), in aggiunta a ciò che ne diede nel 1901
»egli Aneddoti in dialetto romanesco. Il volume comprende quattro lavori:
1." Nuovi aneddoti drammatici in dialetto romanesco, di sur un cod. Vatic.
T- Regina, della prima metà del sec. XV, contenente frammenti di diverse
laudi drammatiche, e per intero una rappresentazione sacra : la Leggenda di
S. Lucia, nel metro antico della ballata maggiore. Nei frammenti è notevole
ciò che in èssi ancor rimane della primitiva forma umbra, né solo nello
schema metrico della sestina ottonaria, ma anche talvolta nella forma idio-
matica. Dàllo'Mudio di ciò che resta del dramma della Passione, l'A. deduce
a ragione che il testo della compagnia del Gonfalone rimaneggiato dal Dati
verso il 1500 e da un anonimo nel 1531 esisteva già in dialetto romanesco
fin dalla prima metà del sec. XV. — 11 secondo saggio tratta de Le rappre-
tentazioni sacre al Colosseo nei sec. XV e XVI, coll'ajuto di documenti tolti
dall'Archivio della Confraternita del Gonfalone, ritraendo da quelli i drammi
DELLA LETTERATURA ITALIANA 295
eseguiU nel Colosseo fino al 1487, mentre finora il' termine 0 quo non si
poteva fissare se non in età più innoltrata. A stabilire questo fatto per
ripetute prove giovano i libri della Compagnia, indicanti le spese occorse
per siffatti sacri ludi. L'À. li accompagna per lunga serie di auni, fino al
1562, che fu 1' ultimo nel quale si abbia di essi memoria. — Il terzo saggio ri-
produce per intero alcuni Antichi inventarj di vesti e di attrezzi Usati nelle
Rappresentazioni della compagnia del Gonfalone; e l'ultimo ci presenta il
dramma sulla conversione di S. Paolo, rimaneggiato da fra Pietro d'Antonio
da Lucignano. Esso appartiene al 1460, ma nella sua ossatura è pili antico,
anzi lascia modo di scorgere ciò che è anteriore e ciò che vi è di uu»-
vo, dacché si compone di due forme metriche, sestina e ottave: e queste
ultime, opera di fra Antonio, sono interpolazioni e rinfarcimenti, che /non al-
tercano la sostanza del dramma, anzi, tolti che sieno, lo spettacolo procede
da per se, più spedito. Ma questo dramma conferma l' ipotesi che nel seno
delle Compagnie si rimaneggiassero più volte le forme anteriori, come an-
che .sì vede in quello della Passione, dato nel Colosseo, che fu più volte ri-
fatto, e che ancora ai di nostri, è il fondamento dello spettacolo dato a Sor-
devolo nel biellese. — Tutti questi studj del dott. Vattasso mostrano acume
di osservazione e bontà di criterio; e ci sono augurio che molto ancora pos-
siamo aspettarci da lui, che, addetto alla Vaticana, può dirsi presso alla
' fonte dell' oro „.
.'. Pochi assai conoscono che sul finire del 400, Plutarco ebbe un traejlut-
tore dopo l'anonimo trecentista, che volgarizzò 1' opera dal catalano, e prima
assai dell'Adriani, la cui versione restò lungo tempo ignota, e prima ancor
più del Pompei, rimasto ormai padrone del campo. Il prof. E. Teza richiama
alla conoscenza degli studiosi un dimenticato scrittore umbro nella sua me-
moria Plutarco nella traduzione italiana di B. A. Jaconello (Venezia, Ferrari,
di pagg. 17 in 16.»), e il discorrerne gli da adito a confronti curiosi ed utili.
Sebbene questa traduzione avesse parecchie ristampe, l'opera fu obliata
né venne tenuta in pregio, e a ragione, perché lo J., come giudica rettamente i{
Teza, " scrive con isforzo , ed ha stile troppo " rozzo e slombato ,. Ma ora-
messo affatto nelle più recenti storie letterarie, non era immeritevole che
alcuno ne dicesse, per riconoscenza almeno, qualche parola, pur assegnando-
gli il posto non cospicuo che gli spetta nei nostri annali di letteratura.
.*. Il voi. IX della serie 2.* della Miscellanea-di Storia Veneta a cura della
R\ Deputazione di Storia patria contiene, fra altre cose, un interessante Iti-
nerario di Germania dell' anno ii52 a cura di E. Simoi^sfeld. Ne è autore un
Antonio de' Franceschi coadiutore del segretario dell'ambasciata, che in co-
test' anno la Repubblica di Venezia mandò all'imperatore Federigo III per
congratularsi della pace da lui conchiusa. È un diario assai minuto, sebbene
scritto spesso colla massima concisione, e che, come avverte l'editore, non
è da confondersi colle celebri Relazioni venete; ma in questi frettolosi ri-
cordi di viaggio si trovano notizie sui paesi, sul costume, sul modo di|< viag-
giare, su quello di abitare, sui convili, sulla vita insomma del tempo, di
molta curiosità e spesso anche importanti. II dotto editore vi ha posto op-
portune annotazioni, specialmente per identificare i nomi dei luoghi ricordati
dal viaggiatore.
296 RASSEGNA BIBLIOQRAPICA
.•. Nella Memoria Roma a Venezia : Satira latina del seei XV contro il
Gattamdata per il monumento del Donatello in Padova (estr. dagli Atti della
Accademia di Padova, Randi, di pagg. 9 in 16.°) il prof. A. Medin, che ci an-
nunzia una sua Storia della Repubblica in Venezia nella poesia — e sia la
benvenuta — pubblica codesto documento, finora nolo soltanto in parte, e
rafferma l'opinione del Tiraboschi, che non sia scrittura del celebre umani-
sta Basinio Basini. E chi sia il vero autore di questo componimento in vitu-
perio dell'illustre condottiero dei veneziani, fingendosi che Roma rimproveri
a Venezia l'onoranza a lui concessa, non resulta chiaro, sembrando però
plausibile' l' ipotesi del Medin, che debba esser uscito dalla penna di un poeta
sconosciuto di parte sforzesca.
.*. Assidua e piena preparazione a una stampa critica del Liber Seere-
torum fidelium Crucis, già edito dal Bongars, attesta lo studio del sig. Ar-
turo Magnocavallo su Marin Sanado il vecchio e il suo progetto di cro-
ciata (Bergamo, Arti Grafiche, di pagg. 155 in 16.»); L' A. con molta cura
raccoglie le notizie sulla vita e le peregrinazioni del vecchio Sanudo, illustra
le vicende dei tempi ond'ebbe impulso ai suoi disegni di crociata, espone i
mezzi da lui proposti per metterla ad effetto, e li mette a confronto con gli
altri disegni di contemporanei, mostrando in lui il buon veneziano, che vuole
non soltanto distruggere gli infedeli, ma giovare alla grandezza e prosperità
della repubblica e all'ampliamento dei suoi comrnercj coli' Oriente. Dopo
aver pertanto trattato con tanta copia di ragguagli e con buon criterio sto-
rico, dell'illustre veneziano e dei suoi progetti, l'A. parlerà di lui anche come
geografo e cartografo : ma quello che più desideriamo e attendiamo da lui
è la promessa nuova edizione dell'opera del Sanudo, arricchita di quelle
carte in parte inedite e preziosissime, che si conservano nella Vaticana, a
Londra e a Bruxelles, e che ci daranno una pubblicazione utilissima alla
storia civile, religiosa e commerciale. — In altro più recente scritto inserito
nel Nuovo Archivio Veneto, lo stesso M. informa di altri codd. dell' opera di
Marino.
.'. Il sig. A. Segarizzi ha pubblicato (Udine, Del Bianco, di pagg. 13 in
16.") un poemetto dell'umanista mantovano Francesco Bosco, intitolato De
civitate Austria, che sulla scorta di Paolo Diacono, ma con rentiiniscenze
vergiliane e non senza vigor di poesia, Aarra i casi principali della storia
di Cividal del Friuli.
.'. Di Francesco liberti, umanista cesenate de' tempi di Malatesta Novello
e di Cesare Borgia (Bologna, Zanichelli, 1903, pp. 1-262) ha preso a trattare il
prof. L. Piccioni, ma bisogna convenirne con franchezza, che i sei capitoli, nei
quali l'A. ha ripartito il suo lavoro, non svolgono veramente quanto il titolo
dello studio farebbe credere, perché in essi più che l'Umanista in sé e per sé
vien considerato l'ambiente in cui questi crebbe e si formò. Cosi dopo l'in-
troduzione, in cui si descrivon con diligenza i cinque codici, del lutto inediti,
contenenti cose dell' Uberti, l'A. intitola il primo capitolo: * I primi anni e
" i primi sludj ,: ma degli uni e degli altri però non dice molto. Egli rivolge
più volentieri le sue indagini sulla corte letteraria di Novello Malatesta, e
mosti'a che in realtà se il signore cesenate non esercitò un vero e proprio
mecenatismo, come il fratello Sigismondo, nutrì, secondo l' uso de' tempi, una
DELLA LETTERATURA ITALIANA 297
certa predilezione per le lettere e per le arti. Nel terzo continua a parlar
de' torbidi civili di Cesena, e vi si indugia un po' troppo in confronto alla
piccola parte, sostenuta dall'Uberti in tali vicende. Il quarto capitolo è però
più denso: l' liberti vien studiato come uomo politico, come partigiano cioè
del Valentino e della dominazione borgiana. Il penultimo infine, riserbato alla
vita particolare dell'umanista, riesce invero un po' scarso; e l'ultimo studia
* l'uomo e il poeta ,. Sotto il primo aspetto l' liberti non si distingue troppo
dagli altri umanisti; sotto il secondo ha invece qualche merito per certa fa-
cilità di vena poetica. A questo proposito avremmo voluto che il P. avesse
pubblicato in Appendice alcuni tra i più bei carmi dell' liberti, per dar prova
di queir " amor dell'arte e della gloria , (p. 68), ch'ei riconosce al suo Autore.
Nel complesso il presente lavoro se lascia troppo spesso dileguare la figura
dell'autore prescelto, possiede però il merito indubbio di contribuire con altri
.scritti dell'autore a porre in luce la parte non piccola che prese Cesena alle
vicende politiche e letterarie del nostro paese e sopratutto alla cultnra u-
manista; e costituisce per ciò un utile capitolo di storia del Rinascimento.
.•. L'erudito ricercatore di cose storiche rairandolesi, il sac. F. Gkrktti, ha
pubblicata, tradotta in italiano, una Lettera sulla Geografia di C. Tolomeo del
e. G. F. Pico della Mirandola (Mirandola, Grilli, di pagg. 21 in 16.") diretta
nel 1508 a Giacomo Essler, nella quale si accenna alla circumnavigazione
dell' Affrica e alla recenti scoperte geografiche: scrittura finora ignota, e da
aggiungersi alla bibliografia del dotto principe.
.'. In occasione di nozze il prof. Arnaldo Foresti ha raccolto in un e-
legante opuscolo le Rime di Lucia Albani (Bergamo, Istituto d'arti grafiche,
pp. 84 in 8.»), poetessa bergamasca della seconda metà del cinquecento In
un discorso proemiale ha raccolto le testimonianze che si hanno della sua
vita, i giudizj che intorno a lei diedero i contemporanei, fra cui il Tasso che
la lodò in un sonetto, e le notizie bibliografiche intorno alle stampe e ai
manoscritti che conservano 1' opera poetica dell' Albani. La quale non è in-
vero molto abbondante e consiste solo in trentun sonetti, composti, come si
legge nel frontispizio della vecchia stampa * quando era dongella in età de
* anni quindeci in sedici ,. Il leggiadro canzoniere, scrive il Foresti, pur sotto
il riflesso dello stile petrarchesco, rivela nel tono e nel colore, una sincerità
d'affetto e di sentimento, un'impronta di femminilità co' suoi abbandoni, con
le sue grazie, co' suoi dispettosi sdegni, con le sue mortali angoscje, quale
raramente si trova tra le numerose rimatrici del tempo. Se anche possa
parere soverchia questa lode, non si può negare che, considerata l' età in
cui la rimatrice scrisse, i suoi sonetti meritavano d'esser ricordati, e però
bene ha fatto il Foresti rinfrescandone la memoria.
.*. Una accurata memoria del dott. Ett. Pulejo raccoglie notizie sa la
vita e le opere di Un umanista siciliano della prima metà del see. XVI:
Claudio Mario Aretio (Arcireale, tip. dell'Etna, di pagg. 62 in 16.»). Della
vita di lui poco si sa di preciso, essendo ignoto quando nacque e quando morf,
ma può dirsi che fiorisse nel bel mezzo del Cinquecento ; di nobil prosapia,
segui le fortune dì Carlo V, e gli fu appresso in Spagna, in Italia, in Ger-
mania. Scrisse versi e prose latine,. alcune di quest'ultime notevoli, per esser
descrizioni topografiche della Spagna e della Sicilia; altre scritture pur banuo
RASSEGNA RIBLIOORAFIGA
pregio dal trattare dei fatti del tempo: le rivalità di Carlo V e di Francesco I,
il sacco di Roma ecc. Si afcorse però che il latino era ormai lingua morta,
e si penti di averla usata nelle scritture, ma anzi che volgersi al culto della
forma toscana, ormai divenuta idioma comune, credè di poter sollevare con
precetti ed esempj il suo parlare isolano a dignità di lingua, e imitando ma
contraddicendo il Bembo, compose a tal fine le Osservantii di la lingua si-
ciliana, colle quali volle fissare i canoni lette rarj del nativo vernacolo.
L'esame accurato che l'A. ci dà di quest'opera, mostra come un assunto
per sé stesso infelice e condannato a' fallire lo scopo, fosse trattato con fal-
laci criterj e con arbitrj di gusto personale. Ad ogni modo, e senz'essere
quel capolavoro, che alcuni mal avvisati panegeristi affermano, questo lavoro
dell'Arezzo ha importanza storica, anche come " documento della tendenza
" regionalista, che nei tempi passati diede sempre l'impronta agli studj del-
* l'isola,. Il lavoro del dott. P. condotto con molta cura e molta larghezza
di criterj si chiude con una buona bibliografìa degli scritti del vecchio
umanista.
p .•. Diligente studio è quello del sig. M. Catalanosu La venuta dei Normanni
in Sicilia nella poesia e nella leggenda (Catania, Monaco e Molcina, di pagg.
104 in 16.°), ma l'enumerazione che l'A. fa di monumenti letterari ^ popo-
lari eu cotesto argomento dai tempi pili antichi ai nostri, è più curiosa ch«
atile. L'a. stesso lo riconosce con queste parole di conclusione: " La tra-
* dizione poetica e quella popolare del ciclo siculo-normanno si svolsero
* parallelamente per il corso di otto secoli senza confondere mai le loro
,* acque: la prima, fredda cronaca versificata nel rr>edio evo, esercitazione
* retorica dopo il cinquecento, non attinse mai alle sorgenti fresche della
* tradizione popolare, mentre questa, a stento comparente nella vasta élabo-
^irazione leggendaria dell'età di mezzo, stagnata poi in tradizioni locali re-
* ligiose, non potè mai svolgersi e manifestarsi rigogliosamente ,. E cosi è
veramente: e nell' A. lodiamo anche l'imparzialità colla quale per amor del
vero •rinunzia, pur serbando vivo il culto patrio, a vanti e borie infondate,
anche se le avvalorino voci di illustri stranieri. Ond'è che egli non accetta,
e a parer nostro fa bene, l'ipotesi di Gaston Paris sull'esistenza di un'e-
popea normanno-siciliana delle gesta di Ruggero e dei suoi, che veramente
non può essere se non probabile, ma di una probabilità molto incerta. All'a.
frivtanto, che ci sembra giovane e volenteroso, auguriamo di trattare con lo
Btesso studio e la stessa cura, un argomento più fecondo di utili resultati.
.•. Abbiamo già altra volta ricordato {Rassegna, IX, 243) la prima parte
di una monografìa di L. De Bknedigtis sul cinquecentista Bernardino To-
mitano. Ora ad essa, che conteneva la vita, si aggiunge la seconda che esa-
mina le opere (Padova, Prosperini, di pagg. 123 in 16.*). L'a. dopo aver
accennato alle scritture di filosofìa e di medicina, più a lungo si intrattiene
Blille poesie e sulle scritture letterarie e storiche. Come poeta volgare, il
Tomitano fu pedissequo seguace del Petrarca e del Bembo; migliore assai
ootcìe poeta latino, si' da esser qualificato " l'ultimo bucolico latino ,: degno
di lode per siffatti componimenti, non privi, nella stessa imitazione, di qualche
originalità. Nelle orazioni e nei trattati didattici, egli è quanto a stile e a
lingua, un seguace del Bembo e dello Speroni; ma i quattro libri della lingua
DELLA LETTERATURA ITALIANA 299
toscana, poco hanno di notevole, e nell'imparzialità sua, l'a. li definisce
• uno zibaldone inorganico ,. Maggior lode avrebbe accompagnato il suo
nome per un trattato epistolare sui costumi dicevoli a un gentiluomo, che
precede quelli del Casa e dei Castiglione, se questo scritto non fosse stato
plagiato dal Sansovino e da Paolo Manuzio, «he attirarono a sé il merito
dovuto al Tomitano. Un'opera del quale, ancora inedita nel suo complesso,
e che sarebbe desiderabile venisse a luce, è la Vita di Astorre Bagli^M,
che si accompagna bene con tante altre di capitani e politici del Cinque-
cento, dove i particolari biografici si accoppiano con la narrazione di grandi
arveaimenti di guerra e di Stato, come quelle .dei Nardi, del Sasselli, del
Grisellini, del Mellini, del Baldi ecc. Il Tomitano pertanto è uno degli scrit-
tori minor gentium del secolo XVI; ma non era inutile rinfrescare la H>e-
moria della sua vita e delle sue opere, come ha fatto il De B. con niolta
diligenza, molta chiarezza e con schietta imparzialità.
.'. Delie fonti della Nautica di Bernardino Baldi già si era occupato in un
suo lavoro speciale il prof. 6. Zaccagnini {Gior.sior. lett. ital. XI, 466); ma
il prof. P. Provasi ha trovato ancora, e abbondantemente, da spigolare ia
questo campo, e ci ha dato un nuovo Contributo allo studio della N. (Fermo,
Montanari, di pagg. 23 in 16.°), compiendo con utili paralleli di scrittori più
recenti, le indagini che il suo predessore aveva condotto più particolarmente
sagli autori classici.
.'. Al prof. U. Fresco, che già trattò ampiamente delle Commedie di Pie-
tro Aretino, dobbiamo due opuscoli sul teatro del Cinquecento: l'uno: La
fortuna dei Menecmi di Plauto nel sec. XVI (Camerino, Savini, di pagg. 14
in 16."): l'altro: Una tradizione novellistica nelle Commedie del nee. XVI
(ibid., di pag. 25 in 16.»). Il primo vuol dimostrare, collo studio di un soggetto
antico ripetutamente trattato dalia drammatica del rinascimento, che Timi-
tazione non fu mai servile, unendosi ad essa motivi comici nuovi o tradi-
zionali, che arricchivano e talora intricavano il semplice intreccio latino:
il secondo, esaminando la varia fortuna del personaggio del senex latino ne fa
vedere i nuovi aspetti e le caratteristiche nuove, specialmente desunte -dal
Boccaccio e da altri novellatori. Il fatto è che veramente l'imitazione noà
fo mai pedissequa e i vecchi personaggi assunsero fogge e fisonoraie nuove,
dedotte e dalla novella e dal costume corrente. L'A. ha cosi toccato alcuni
punti della controversia sul limite della riproduzione comica dall' antico;
Tallargare questa ricerca, gioverebbe alla storia del dramma, e it non re-
stringersi a brevi pubblicazioni sarebbe anche a vantaggio della perspicuità
cosi dell'insieme come dei particolari.
.'. Annunziamo con piacere la pubblicazione di un nuovo volume delia
Gollezione di opere inedite o rare della R. Commissione de'testi di lingua, cioè
il secondo delle Opere di G. V. Soderini, che contiene il Trattato della citi-
tura degli orti e giardini, a cura di A. Bacchi Della Lega (Bologna, Dal-
l'Acqua, di pag. Xll-423, in 16.»). Con ciò abbiamo, ridotto a buona lezione
sull'autografo, uno dei più dilettevoli libri del nostro cinquecento, e di pu-
rissimo dettato. Utile è 1' aggiunta, ripetuta dall' edizione del Sarchiani, di un
todice delle piante descritte dal Soderini, secondo la sua denomi Dazione, ìt
corrispondente latino e greco e la nomenclatura botanica.
000 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
.'. Il nostro amico e collaboratore E.Picot ha pubblicato un primo saggio
di Chants historiques frangais du XVI siede, che contiene i componimenti
spettanti al regno di Luigi XII e di Francesco X (Paris, Colin, di pagg. 164
in 16.°). Il lavoro è fatto colla dottrina storica e la diligenza bibliografica
proprie al Picot. Noi ne facciamo menzione, perché una notevoi parte di
queste Canzoni ricorda fatti avvenuti in Italia; p. es. la battaglia di Mari-
gnano, quella di. Pavia, la presa. di Roma e la morte di Borbone, la morte
del cav. Bajardo ecc. Ugual ricchezza di componimenti poetici, pivi o m^n
popolari, avrebbe l' Italia per cotesto stesso periodo, e si dovrebbero ormai
raccogliere e metter iq luce, come segni del sentimento politico del tempo.
.'. ,Una dotta memoria di B. Croce illustra Un Canzoniere d'amore per
Costanza d'Avalos duchessa di FrancaviUa (Napoli, tipogr. Universit., di pagg.
30 in 4°). Anidre del Canzoniere è Enea Irpino da Parma, noto finora per
un sonetto soltanto sui poeti dell'età sua — il principio cioè del sec. XVI — nel
quale sono tuttavia da identificarsi due rimatori, un lucchese ed un esimano.
La maggior parte del Canzoniere è in lode di una illustre signora, che fu
variamente affermato chi fosse veramente, ed ora dal Croce è indubbiamen-
te additata nella celebre Costanza d' Avalos. Di essa è notissima la difesa
d' Ischia nel 1503 contro le galee francesi, e si sa che fu colta donna, amica
e protettrice di letterati e poeti. Più che per le rime amatorie, forse det-^
tate da ossequio cortigiano anzi che da vera passione, e che sono di imitazione
petrarchesca un po' rozza, il canzoniere dell' Irpino è da aver in pregio per i
molti accenni a fatti e personaggi del tempo, e specialmente a donne di quel-
l'età, di alto lignaggio e di signoril costume. Fra le altre notizie che se ne
desumono vi è quella di un ritratto di Costanza fatto da Leonardo da Vinci,
che la effigiò forse fra il 1513 e il '15, in età già matura, e abito vedovile,
" sotto un bel negro velo , : indicazioni che, sebbene un po' vaghe, potranno
servire a identificare questa finora ignota opera vinciana. Tutta la memoria
è condotta con quella cura che è propria ad ogni scritto dell' A.
/. La pubblicazione del dott. S. Stkvanin, Ricerche e Appunti sulle opere
di A. F. Doni con Appendice di Spigolature autobiografiche (Firenze, Lastrucci,
di pagg. 134 in 16.') non dà pili di quello che promette il titolo. Essa, è
parte di un più ampio lavoro, presentato come lesi di laurea, su questo biz-
zarro autore. La materia è ben ordinata, il giudizio generale sull'instan-
cabile poligrafo è giusto, ma veramente quanto a biografia e bibliografia,
poco 0 punto si aggiunge a quello che aveva esposto il compianto Bongi.
Quantunque il volume porti la data di quest'anno, non ci pare che siano
citate e adoperate in esso né la Vita dell'infame Aretino edita dall' Arlia
nel igpi (v. Rassegna, IX, 133) né altri scritti dell'Arila stesso sul Doni, e
neppure le Lettere scelle dal Petraglione, che sono del 1902 {Rassegna, X,
292). Per ora questo nuovo studio sul Doni ci si presenta in condizione
framrpentaria e in forma un po' sconnessa, forse perché, come annunzia l'a.,
dalla sua Tesi ha trascelto solo alcuni capitoli.
i-- .'. Proseguendo le indagini già imprese e condotte con costanza feconda
nudi buoni resultati, il prof. A. Solerti tratta in un articolo della Rivista mu-
Ij sicaìe italiana (voi. X, fase. 3.), i Precedenti del Melodramma (eslr. di pagg. 47
in 16.») accompagnando questo genere dalle prime e timide sue manifesta-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 301
zloni fino al suo compiuto svolgimento. Nel suo riassunto l'A. tratta della
musica nei varj generi drammatici fino alla metà del sec. XV, dei Ganti car-
nescialeschi e dei Trionfi fino alle mascherate e cocchiate, della favola pa-
storale nella seconda metà del sec. XVI, degli intermedj fino alla fine di esso
secolo, delle Veglie e Balletti, della Commedia dell'Arte, iu quanto la musica
s' introduceva in tutte queste forme di spettacoli, fermandosi poi alle Pasto-
rali interamente musicate sul finire del Cinquecento. Interessante sono la
riproduzione della musica di alcuni pezzi del Sacrificio del Beccari, composta
da Alfonso delia Viuola e cantata dal fratel suo nella rappresentazione tea-
trale del 1544. la descrizione degli Intermedj deir.4r/M««»a, rappresentata nel
1699, e r intero libretto dei Fidi amanti, dell'anno 1600. Lo scritto del So-
lerti è gradita anticipazione ai due voi. su gli Albóri del Melodramma e al-
l'altro, Musica, Dama e Drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1630, che
l'autore ci annunzia di prossima pubblicazione, e che attendiamo con desi-
derio poiché siam certi che con essi, e specie col primo, verrà a fissarsi la
storia, finora incerta e controversa del Melodramma. Vorremmo tuttavia sot-
toporre un dubbio all' egregio autore. Secondo egli afferma parrebbe che
nelle rappresentazioni sacre la musica e il canto apparissero soltanto qua
e là, specie nei pezzi essenzialmente lirici : e ciò crediamo anche noi, e senza
dubbio, per le più antiche. Ma è pur probabile che tutto il dramma fosse
musicato, e venisse recitato su una medesima cantilena, salvo appunto per
cotesti pezzi sopra notati. Né a ciò credere ci induce soltanto il notare che
i Maggi toscani sono tutti cantati colla stessa arisf dal principio alla fine,
e con una cantilena identica per ciascuno di essi, ma anche l'attestazione
di un contemporaneo, il Fortini, che in una delle sue Novelle — e il passo
fu citato dal D' Ancona nelle Origini del Teatro (I, 400) — parla dell'erta
delle Rappresentazioni. Siamo con ciò lontani dalla musica melodrammatica,
dove ogni parte ha propria intonazione musicale, ma non è da trascurarsi
quest'accenno ad un antico connubio perpetuo della rappresentazione dram-
matica col canto, e forse coli' accompagnamento di strumenti musicali.
.'. Oltre il noto Racconto storico sulla vita di Galileo, il prediletto disce-
polo V. Viviani aveva in animo, e ce ne sono testimonianze esplicite e di
vario tempo, di stendere del medesimo una vita più ampia. Il prof. A. Fa-
varo in apposita memoria raccoglie coteste testimonianze {V. V. e la sua
Vita di (?., Venezia, Ferrari, di pagg. 27 in 16.») e cerca di assegnare le ra-
gioni per le quali egli non condusse ad atto cotesto disegno : e fra quelle
addotte ci pare che sia assai plausibile l' infelice condizione dei tempi, nei
quali l'intolleranza della Curia impediva la glorificazione dell'illustre vittima
dell'Inquisizione.
.". Altra pubblicazione dello stesso prof. A. Fa varo è quella Per la storia
dei Manoscritti Galileiani concernenti i pianeti medicei (Venezia, Ferrari, di
pagg. 21 in 16.»); essa segue le vicende delle carte sull'argomento, da Ga-
lileo consegnate al p. Renieri, e delle quali alcune dopo la morte del valente
di.scepolo, si credettero disperse. Ma il prof. F. crede che nei mss. Palatini si
ritrovi tutto, o quasi, quello che Galileo osservò in rispetto alle stelle me-
dicee. L'opuscolo si chiude con una bibliografia delia controversia, occasio-
nata appunto dalla stampa di cotesti materiali, fatta per ordine granducale
dall'Alberi, che vanta vasi autore della scoperta dei medesimi.
302 RASSEGNA BIBLIOORAFIOA
.'. È noto che da parecchio tempo gli studiosi combattono fra loro sulla
vera paternità di alcune scritture politiche, in prosa o in versi, del sec. XVII,
e qui nella nostra Rassegna il prof. Salaris trattò or è poco (vedi p. 158)
la questione relativa al poemetto II pianto d' Italia, con buone ragioni ri-
vendicato al Testi. E al Testi si sa che il sig. F. Bartoli vuol attribuire an-
che le Filippiche, generalmente date al Tassoni. Ora il prof. A. Belloni, che
già partecipò a queste controversie, pubblica per occasione nuziale un suo
scritto Le Filippiche e la Pietra di Paragone (Verona, Franchini, di pagg. 15
in 16.»), dove, mettendo a raffronto brani delle due scritture, conclude non
già che autore idi quelle sia chi scrisse T altra, ma che ' chiunque egli sia
"stato, si valse largamente dell'opera boccaliniana ,. Ed è conclusione pru-
dente: e a noi par giusta V osservazione che il B. pone in nota, e poteva
introdursi a dirittura nel testo, che, cioè, " nella letteratura politica del se-
" colo XVII ci è stato un certo numero di frasi fatte, di luoghi comuni, d'im-
* magini convenzionali, che ricorrono nelle scritture di tal genere, senza che
" perciò possa dirsi che queste appartengano tutte allo slesso autore ,.
.'. Si sa come nel secolo scorso siano stati varj e disformi i giudizj sul
p. Bartoli : basta vedere e considerare ciò che scrissero da una parte il Gior-
dani, dall' altra il Bonghi. Il sig. À. Avetta ce n'ha dato un saggio utile e ca-
rioso parlando di Alcuni giudizj letterarj sul p. D. B. (estr. dalla Rivista
d'Italia del marzo-aprile 1903, di pagg. 9 in 16.). Ma ormai può dirsi che
si sìa giunti a sentenza equa e temperata, qual' è quella riportata dall' A.
dal Seicento del prof. BeHoni. Certo è che ancora è da farsi uno studio spe-
ciale sul Bartoli, che pure avendo molli difetti del suo tempo e altri provenienti
dal suo modo d' intendere lo stile, ha spesso ardimenti di parola e analisi di
sentimenti, che talvolta preludono alle forme moderne.
.*. Il prof. N. BusBTTO ci da un saggio di nuova interpretazione di ciò
che fu la Poesia eroicomica (Venezia, Pellizzalo, di pagg. 30 in 16.°). Secondo
egli si esprime " il poema eroicomico è parodia e satira insieme, non del
mondo epico-cavalleresco, ma della borghesia contemporanea ,, parodia a
doppia faccia, l' una rispondente all' influsso del capitolo satirico e giocoso,
della commedia popolare, della novella umoristica e della poesia macchero-
nica, l'altra rispondente all'influsso dell'epica grave,. Il nuovo concetto è
esposto in questo saggio, ma troppo però sommariamente per poterne recar
giudizio.
.". Per nozze Gasperini-Laureati il tipografo cav. F. Mariotti, coadiuvato
dal bibliotecario U. Morini e dal doti. A. Segrè ha fatto una pubblicazione
conlenente Quattro lettere di Pietro Metastasio a Mons. Angelo Fabroni, ed
un Sonetto sul giuoco pisano del ponte di R. B. Fabri (Pisa, Mariotti, di pagg.
23 in 16.»). Opportune note illustrano gli scritti dell'opuscolo, di bella ese-
cuzione tipografica.
.'. Per le nozze del fratello prof. Carlo, il sig. C. Antolini pubblica alcune
Lettere di illustri italiani (Argenta, Taddei-Soali, di pagg. 17 in 16.°), che
appartengono ad Alfonso Varano, al Metastasio, al Bettinelli, al Giordani, al
Bresciani, al Ferrari-Moreni. Non hanno grande importanza di contenuto, ma
comunque siasi, il valore di esse sarebbesi accresciuto facilmente con oppor-
tune illustrazioni di fatti e di persone. È da correggere (p. 7) Maurino con
Tirelli in Maurino conte Tiretti.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 303
.*. Un episodio della misera vita municipale delle città italiana, dopo che
cessarono di aver autonomia politica, e nel prevalere dei costumi spagnoleschi
è offerto dal prof. N. Busetto colla memoria: I Medaglini e Medaglioni (Pa-
dova, Cooperativa, di pagg. 10, in 16.») che erano i nomi di due fazioni mu-
nicipali e di clientele domestiche padovane, cominciate al fine del sec. XVI
e durate, per contendersi e usurparsi gli ufficj civili, fin verso la fine del XVII.
.•. Il sig. G. Grasso autore di uno scritto Le Rime degli Ereini di Palermo
e la decadenza letteraria in Sicilia e in Italia (Palermo, Reber, di pagg. 187
in 16.") sembra esser un principiante, e come tutti i principianti, è diffuso e
verboso: ma, invero, un po' troppo indiscretamente. Venutogli a mano un voi.
stampato nel 1734 e contenente le rime dei siciliani e peninsulari compo-
nenti l'Accademia degli Ereini, non si è contentato di un articoletto da giornale,
d'un aneddotto storico-letterario; ma ne ha cavato fuori un volumetto di giusta
mole, gonfiando, come suol dirsi, l'argomento. Bastava dire, per introduzione
al discorso, che la poesia prima del Parini trova vasi nelle condizioni, che
tutti sanno: ma invece l'a. ha voluto scrivere una quarantina di pagg. sulla
Letteratura della decadenza in Italia e in Sicilia, prendendo le mosse dal
Cinquecento quando la letteratura " dopo tanto splendore, accennava a ripie-
• garsi su sé slessa (?!) „, saccheggiando a tal fine, il Morsolin, il Bellouì, il Con-
cari, lo Scinà e tanti altri. A tutte le cose che dice lo scrittore, chi sia per poco
infarinato di storia letteraria, può rispondere : Sapevamcelo. Lo studio delle
Rime degli Ereini è fatto ne! modo più fiacco e minuto, più noioso e meno
critico, che si potesse mai immaginare, poiché i componimenti sono esami-
nati uno per uno, e si può dire anche, ciascun d'essi verso per verso. Quindi
osservazioni di minimo valore: qui è da notare le raajuscole alle voci Troni
e Gregge (p. 50), altrove è felice la giacitura degli accenti " in rèi nel primo
* verso e poi nel secondo in seduttóre, menato, spìnto (in fin del verso: quasi
• lo vedi cadere) e nel terzo in falso e convìnto; ma nel quarto, come preci-
* pita queWebb'io „ (p. 51)! Una poesia è glaciale, l'altra delle rime ha una certa
disinvoltura: la terza " ha un bel verso ,; questo componimento sarebbe passa-
bile, ma * l'ultimo verso è gonfio ,; in quest'altro c'è " fradiciume con osten-
tazione e ricercatezza, e cosi via. Ognuno de' poeti, stavamo per dire degli
imputati, passa innanzi al giudice, che lo esamina e lo fruga minutamente di
fuori e di dentro, poi si dilegua assolto o condannalo con o senza attenuanti, e
dà il passo a un altro. Ma questa sorta di critica è come una anatomia di esseri
impercettibili, e se è faticosa per l'autore (p. 124), tanto più riesce tale al
lettore. Del resto è troppa fatica per un troppo meschino resultato. Aggiun-
giamo che da pag. 1.33 al fine si riproducono (ma perché senza il nome dei
rispettivi autori?) ben 135 componimenti degli Ereini: e cosi anche con
questo espediente, r opuscolo diventa volume!
.•. L'amico e collaboratore nostro prof. G. Gentile ha testé pubblicato un
voi. intitolato Dui Genovesi al Galluppi, ricerche storiche (Napoli, ediz. della
Critica, di pagg. XV-383 in 18.*), che è il primo degli Studj di letteratura,
storia e filosofia pubblicati da B. Croce. Esso studia lo svolgimento del pen-
siero speculativo nelle provincie meridionali d'Italia: anzi può dirsi, in Na-
poli, nel secolo che va dalla mela del XVIII alla metà del sec. XIX, seguendo e
illustrando la elaborazione di queir empirismo, che è iniziato dal Genovesi e
304 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
mette capo al Galuppi. La ragione del trattare di tale evoluzione del pen-
siero italiano in una special regione, sta in questo appunto che il reame di
Napoli era nei tempi a che si restringe questo studio, politicamente sepa-
rato dal rimanente d'Italia, e dal presentare un diverso carattere la filosofìa
idealistica, dal Gerdil al Gioberti, neir Italia superiore, dalla empirica preva-
lente nel mezzogiorno. Il Gentile adunque partendo dal Genovesi, illustra le
dottrine di Melchiorre Deifico, di Carlo Lanberg, di Pasquale Borrelli, del
Bozzelli, giungendo al Galuppi e al Colecchi. L'indole speciale del nostro
periodico ci trattiene dal dire più lungamente di questa pubblicazione, che ci
pare sparga nuova luce su un periodo importante del pensiero italiano, e
nella quale è da lodare, oltre l'esatta esposizione di dottrine filosofiche, la
copia degli utili ragguagli biografici e bibliografici.
.'. Il saggio del prof. B. Percoli intitolato II Condillae in Italia (Faenza,
Montanari, di pagg. 93 in 16.°) illustra un periodo del pensiero italiano nel
sec. XVIII e nei primordj del successivo, con larghezza di informazioni sto-
riche su alcuni pensatori, molti dei quali ormai dimenticati. Egli dimostra
come, anche per la chiamata a Parma del filosofo francese, le sue dottrine
avessero in Italia copiosi seguaci : e aggiunge che il sensismo condillachiano
non fu fra noi una passiva acquiescienza a codeste dottrine, ma, mentre li-
berò la mente italiana dall'ultimo residuo della scolastica, fu anche combat-
tuto e modificato ' costituendo una fase della nostra scuola sperimentale,
che se non può vantare pagine splendide e gran luce di originalità, merita
tuttavia un posto più adeguato di quello generalmente assegnatole nella sto-
ria della nostra filosofia ,.
.'. Il dott. P. Dominici ha tratto dall'Archivio Livornese, fondato e ordi-
nato con tanta cura ed abnegazione dal prof. Pietro Vigo, e a lui dedican-
doli, alcuni Documenti sulla guerra dell'indipendenza d'America (Siena, tip.
L Bernardini, di pagg, 22 in 16.») che veramente appartengono pili alla storia
toscana che americana, e concernono la politica di neutralità fra i bellige-
ranti, seguita non senza difficoltà da Pietro Leopoldo nel conflitto fra le co-
lonie ribellate e la madre patria. Sono documenti scambiatisi fra il governo
centrale e il governatore di Livorno (non è detto chi fosse), per evitare che
Livorno, allora principalissimo e fiorente emporio mercantile del Mediterra-
neo, soffrisse detrimento, e specialmente per parte degli inglesi, che ne ave-
vano fatto scalo e depositi de' loro commerci. Lo Zobi, ultimo storico della
Toscana, non fa nessun cenno alle cure e sollecitudini ch'ebbero allora i reg-
gitori del paese per cotesto episodio di importanza mondiale : e questi do-
cumenti vengono opportunamente a colmare siffatta lacuna.
.'. Del Varano, a parer nostro, è maggiore la reputazione che il merito;
ma ciò non toglie che ne siano state di frequente in questi ultimi tempi
studiate le Visioni: ed ora abbiamo innanzi a noi le Note critiche del sig.
P. PoMPEATi sulle Opere poetiche di lui (Feltre, Castaldi, di pagg. 68 in 16.»).
L'autore notando che il poeta ferrarese è giunto a noi * con due note in-
dividuali , l'imitazione dantesca e l'ispirazione del Monti dalle sue Visioni,
si trattiene specialmente a discorrere di questi due punti, aggiungendo al
primo, le imitazioni bibliche, e al secondo le derivazioni dai componimenti
yaraniani non del solo Monti, ma del Pignotti, del Foscolo ecc., intrattenea-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 305
dosi anche sulle Rime pastorali e indicandone le reminiscenze virgiliane e
teocritee. La fatica del sig. P. è utile come raccolta copiosa di materiali, ma
sarebbe stato desiderabile che egli avesse formulato le sue opinioni sul me-
rito intrinseco del Varano come poeta, ed assegnato il posto che gli spetta
nella storia letteraria, dacché essendo essenzialmente un imitatore, fu a sua
volta imitato da non mediocri seguaci.
.*. Lo scritto del dott. G. Cavatorti : Uno sguardo a Reggio di Lombardia
nel Settecento (Firenze, soc. Tipogr. fiorentina, di pagg. 63 in 16.») è come
introduzione a più ampio lavoro intorno ad Agostino Paradisi, e vi si tratta
delle condizioni civili e morali e intellettuali di codesta città estense nel
sec. XVIII, e più particolarmente, nell'ultima parte, dell'Accademia degli /-
poeondriaci, che " nello spirito moderno a cui era informata, nei tentativi
* verso il nuovo, nella irrequietezza che l'agita, è, se non la prima, certo
• una delle prime, e figura quasi come precorritrice (istituita nel 1749) delle
" accademie di scienze e lettere che vennero di poi nelle principali città
" d'Italia, e tenuto conto della piccola città in cui è sorta, del notevole
• svolgimento conseguito, e degli uomini preclari che vi hanno partecipato,
' rimane un fatto caratteristico e singolare nella storia letteraria italiana ,.
L' a. possiede ricchezza di documenti e di notizie, e le espone con facilità e
non senza arguzia, sicché il suo lavoro è gustoso a leggersi ed è buono e
promettente preludio allo studio del poeta reggiano e della " cosi detta scuola
* lirica oraziana ,, della quale egli con altri fu notevole rappresentante.
.•. Il prof. A. Serena alle Pagine letterarie (v. Rassegna, Vili, 292) fa ora
seguire un volumetto di egual mole e formato dal titolo Appunti letterarj,
(Roma, Forzani, di pagg. 140 in 16.°). Della maggior parte di questi scritti,
ora ritoccati e corretti, abbiamo dato un cenno quando apparvero a luce
separatamente. Di tutti diamo i titoli : Niccolò Leonico Tomeo — Profana-
zione catulliana — Gli epigoni dei Granellesehi e le tragedie dell' Alfieri —
Il Sonetto italiano al tribunale dei Gesuiti — L'innesto vaccino nella poesia
italiana — Alessandro Pope e i traduttori veneti dall' inglese nel sec. XVIII
— Aglaja Anasillide — Rileggendo l'Apologia di L. de' Medici — ■■ Dante e
l'Aurora. In parecchi di essi (per es. dal terzo al sesto) vi ha copia di no-
tìzie recondite e non prive d'importanza: in tutti, chiarezza e garbo di e-
sposizione. Ma perché il Serena che mostra di conoscer cosi bene la cul-
tura letteraria veneta del sec. XVIII non raccoglie i suoi studj e le sue cure
su codesto argomento, e non ci da su di esso un lavoro di maggior lena, e
complessivo ?
.*. L'intero fascicolo di ottobre della Rivista d'Italia è consacrato a
Vittorio Alfieri, e ne diamo il sommario: A. Farinelli, V. A. nell'arte e nella
vita; M. ScHERiLLO, Il monologo nella tragedia alfieriana; G. Sergi, La per-
sonalità di V. A.; E. Bertana, Intorno all'Oreste; P. Sirven. Il dossier di V. A.
e le schiavesche patenti; N. Ihpalloheni, La Mirra di V. A.; G. Mazzatinti,
Bricciche Alfieriane; I. Della Giovanna, // Divorzio, commedia di V. A.; A.
Lombroso, V. A. giudicato da Stendhal- Beyle ; M. Porena, Reminiscenze al-
fierane nei Promessi Sposi; T. Salvini, V. A. e la forma delle sue tragedie;
CMazzatìuti, Bibliografia alfieriana — Illustrazioni: Ritratto della e. D'Albany
,. — La camera ove nacque V. A. — Facsimile di un autografo — Facsimile
B06 'KABSEONà iBÌBLiOQRAFlCA
d'un biglietto d'invito alla rappresentazione delle tragedie — Ex libris di
V. A. — Il monumento in S. Croce — Il monumento in Asti — Il palazzo
Alfieri in Asti.
/. Stampato a spese del Comune di Firenze (Roma, tip. della Camera,
19 pagg. in 18.°) è uscito a luce il robusto Discorso, che I. Del Lungo lesse
nella Sala dei Cinquecento il XIX ottobre, e ripetè a Torino. Esso è fregiato
del busto dell'Alfieri offerto dallo scultore Trentacoste alla Laurenziana, della
figura del monumento del Canova in S. Croce, e del fac-simile del sonetto •
sui quattro grandi poeti italiani.
.'. Nella fioritura di pubblicazioni cui ha dato luogo il centenario alfie-
rano, avremmo voluto che parecchie rassomigliassero quella del prof. A. Neri,
Genova e Vittorio Alfieri (Spezia, Zappa, di pagg. 37 in 16.») raccogliendo,
come si fa in essa, le memorie che riguardano il primo tragico in relazione
colle varie città italiane, la dimora che ei vi fece, gli amici che vi ebbe, le
rappresentazioni delle sue opere, le discussioni a cui diedero occasione.
Il Neri ha largamente mietuto nel campo, che si era assegnato: interessanti
assai sono le notizie che raduna ed espone su Paolo Girolamo Grimaldi, già
ministro in Spagna, su Paolo Girolamo Pallavicini, su Giorgio Yiani, su Giu-
seppe Gregorio Solari, su Gaetano Marre ecc. Ricorda come anche in Genova,
al pari che in altre città, ritornate a vita libera, si rappresentasse nel '97 il
Bruto primo, con grande entusiasmo di popolo : corregge errori tradizionali,
rettifica date, nulla trascura di ciò che promette il titolo dell' ottima mo-
nografia.
.'. Il prof. M. PoRENA raccogliendo insieme scritti vecchi e nuovi ha messo
insieme un voi. che dà buona testimonianza dei proprj studj sull' argomento
e onora l'Alfieri. Esso s'intitola V. A. e la tragedia (Milano, Hoepli, di pag.
XV-403, in 16.°), e dopo poche parole ai lettori contiene i seguenti saggi:
La vita di V. A. — La " Vita „ e le " Tragedie „ — // sentimento della Na-
tura e il Saul — La poetica alfieriana nella Tragedia — L'unità estetica
della tragedia alfieriana — L'artista, il cittadino, l'uomo. Del terzo, quarto
e quinto, che ora ci si ripresentano ritoccati e coordinati al tutto, abbiamo
già a suo tempo dato un cenno (IX, 168, Vili, 310, IX, 289). Dei nuovi, il
primo riassume ed illustra le vicende della vita dell' astigiano, combattendo
via via, con armi cortesi ma ben affilate, i contraddittori: e qui ci piace
notare ciò che è detto sulla or negata forza di volontà dell'Alfieri (p. 23).
Nel giudizio della Contessa d'Albany, ci sembra che il P. tenga una via me-
dia, (p. 27) mentre ora sembra sia nato un accordo per vituperarla. Essa è
sopratutto una donna del sec. XVIII, e niuno vuol presentarla all'ammira-
zione dei posteri come una pura colomba. Del resto, per quel che spetta
alla sua relazione coU'Alfieri, è evidente che molto dobbiamo a lei, come
ispiratrice del poeta: e questo è ciò che deve maggiormente importare a noi
italiani. Ma quando dal carteggio pubblicato dal Pelissier, vediamo che uomini
e donne, e nessun di essi volgare, l'amavano e la stimavano, i rigidi giudizj
assoluti dei posteri, debbono esser temperati dai fatti. Altro punto rilevante
è quello dove si parla del valore storico della autobiografia (p. 48). Il P. fu
forse.il primo a rilevarne certe inesattezze: ma ora si è andato troppo pili
innanzi, tanto da far quasi dell'autore un falsificatore cosciente; e slam
DKLLA LÉSttERATÙRA ItAUA^A 5l07
grati air a. di rimetter le cose al posto, senza esagerazioni, né solo ragio-
nando ma provando: e le considerazioni contenute nella Nota a pag. 123
bastano a mostrare quanto si sia trasceso su codesto punto. L' ultimo scritto
è quasi un riassunto generale, dove si dicono cose sensatissime sul carat-
tere della tragedia alfieriana : ma forse pili largamente poteva toccarsi del cit-
tadino e dell'uomo e dell' efficacia sua sul rinnovamento italiano. Ma tutto
in questo voi. è ispirato ad altezza di criterj e temperanza di giudizj, ed è
giusto darne lode all'autore.
.', Anche la Commemorazione centenaria letta dal prof. E. Comello presso
il Liceo di Gasale (Gasale, Torelli, di pag. 33) con nobiltà di parola riven-
dica i meriti di V. Alfieri, contro le accuse al tragedo, del Villeraain e del
Gantii, e quelle all'uomo, della scuola lombrosiana e del Bertana, conce-
dendo quello che è debito sull'arte dello scrittore e sui difetti del tempe-
ramento, ma tenendosi in una via media, e sopratutto fermandosi agli ef-
fetti civili che l'Alfieri volle conseguire, e che la coscienza degli italiani,
risorti a nuova vita, ampiamente riconosce e confessa. E ci piace poi che
l'a. ribatta la novissima censura fatta all'Alfieri di non aver egli, odiator
di tiranni e spasimante per la libertà, preso parte alla guerra d'America o
almeno alla difesa del Piemonte contro i francesi irrompenti. Non omnes
possumus omnia, e lasciando stare la consideraziooe dell'età del tragèdo
quando accaddero quei fatti, a questo mondo vi sono battaglie che si com-
battono colla forza muscolare e altre che si combattono colla forza intel-
lettuale. Poteva l'Alfieri, se avesse potuto o voluto, esser gregario subalterno
nell'esercito piemontese: ma se ha preferito esser primo vessillifero nell'a-
gone civile dell'arte, ha fatto certamente opera di gran lunga più proficua
all'avvenire d'Italia. (
.'. Della commemorazione alfìenana tenuta in Potenza dal prof. G. Gigli
è data alla stampa (Napoli, Trani, di pagg. 15 in 16." picc.) solo una parte>
nella quale con diffuse notizie e buon criterio è trattata La tetralogia po-
litica di lui, cioè le quattro commedie di intendimento civile, consideran-
dole come * la manifestazione più immediata e più sincera , delle sue dot-
trine, già vacillanti, e finalmente fermatesi a tener per ottimo il Governo
contemperato dei tre elementi, monarchico, aristocratico e democratico ,.
.'. Pia Malgarini nell' occasione del centenario della morte del grande
astigiano ha dato fuori un suo studio su Le liriche di Vittorio Alfieri (Parma,
Battei, di pp. 65 in 16.°). 'L' argomento non era stato mai trattato nel suo
insieme, che i saggi del Reforgiato, del Batisti e del Fabris o si limitano a
una parte della lirica, l'amorosa, o si tengono sulle generali; come anche,
per necessità, ha fatto il Bertana nel suo recente volume. La Malgarini ri-
prendendo l'argomento col proposito di farne un esame completo, ha diviso
le rime, secondo gli affetti e i pensieri che le ispirarono, in liriche d'amore,
per la madre e per gli amici, politiche, d'argomenti varj, epigrammi. Di cia-
scuna di queste sezioni ha dato un'informazione dilìgente ed esatta, mettendo
in evidenza quanto esse offrono di originale o di derivato da altri; oppor-
tunamente ha pure dato un cenno, che avrebbe forse potuto essere ampliato,
dell'elemento lirico nelle tragedie e specialmente nell'immortale Saul. Le
conclusioni a cui giunge l' A. non si può dire che siano nuove, ma il già-
S08 Rassegna BIBLIOGRAFICA
dizio che geaeralmente si suol dare delle liriche dell' Alfieri appare nello
studio delia Malgarini ben dimostrato. L'Alfieri ha dato alle sue liriche una
impronta d'originalità, per cui, anche per esse, appare distinto dagli altri
versaioli languidi del settecento e, sebbene in un gradino più basso, può
essere messo accanto al suo illustre contemporaneo, il Parini.
.'. Nobili sensi e gagliarda parola contraddistinguono il discorso, o con-
ferenza, del prof. V. Graziadei, che s'intitola da Un sonetto di V. A. (Palermo,
Reber, di pagg. 52 in 16."), che è quello ben noto: Giorno verrà. Da esso l'A.
prende le mosse a delineare, o meglio scolpire con tratti rilevati la mente
e l'animo del tragèdo, chiarirne gli intenti e mostrarne l'efficacia sui suoi
connazionali. Fra i discorsi pronunziati in varie città italiane nell'occasione
del Centenario alfìeriano, questo ci pare di grandissimo pregio per altezza di
vedute, e spesso per vigorosa eloquenza.
.". Fra i discorsi pronunziati nelle scuole secondarie per l' anniversario
alfieriano è pur da notarsi quello letto nel Teatro Civico di Sassari dal prof.
A. Giannini (Sassari, Satta, di pagg. 24 in 16.°), nel quale con dottrina e con
garbo vien contrapposta la vita italiana del tempo all'anima gagliarda del-
l'astigiano, e accennato all'efficacia dell'opera sua nel risorgimento nazionale.
— E anche in altro discorso del prof. S. Rocco letto a Compobasso e ivi
stampato (Colitti, di pagg. 33 in 16.°) si mette opportunamente in rilievo l'im-
portanza politica dell' opera alfieriana.
.'. La commemorazione letta ai giovani del Liceo d'Ivrea dal prof. E.
Cesati s'intitola L'Alfieri leggendario (Ivrea, Garda, pagg. 27 in 16.») perché
l'oratore volle tornare a considerar l'astigiano qual egli era tenuto fin' ora,
e diciamolo senz'altro, prima che venisse a luce il libro del prof. Bertana.
Egli lo combatte gagliardamente e noi non ci sentiamo di dissentire molto
da lui. Anche il sole ha le sue macchie, ma resta sostanzialmente qual' è,
altare di vita: e veramente la vita italiana del Risorgimento non s'intende
senza l'Alfieri, che la preparò e la profetò. Naturalmente in un discorso
commemorativo non può contenersi una critica che segua a passo a passo
il Bertana; ma quello che l'oratore dice, soffermandosi ad alcune conclu-
sioni soltanto e confutandole, è ben pensato e ben scritto : e il ritorno al-
l'Alfieri leggendario, pur riconoscendo i molti pregj del lavoro del Bertana,
è un giustificato ritorno all'Alfieri, qual è stato nella mente e nel cuore di
parecchie generazioni. E coli' a. consentiamo pur anco, e l'avevamo pensato
e detto anche prima di lui, che nello studio dell'Alfieri il bravo Bertana
procede un po' troppo colle norme e le forme di una requisitoria. Ma non
ci piace che il C. ai tre ordini di avversarj dell' Alfieri, notato dal Carducci
- gli accademici, i novatori sconsigliati, i critici - aggiunga e * i campioni della
critica storica , perché non tutti fra questi fecero plauso al Bertana, e il C.
non dovrebbe ignorarlo. Anzi laddove al B. rimprovera non ingiustamente
di aver giudicato dell'Alfieri "senza tener conto delle condizioni dei tempi ,
avrebbe dovuto considerare che non era il caso di tenerlo come campione
della "critica storica,, dacché nell'assoluto giudizio da lui pronunziato, il
Bertana appunto si allontanava dai canoni fondamentali di cotesto metodo.
.'. Si sa che nell'occasione del centenario alfieriano è riarsa la contro-
versta intorno alla contessa d' Albany e al giudizio sulle relazioni di lei col-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 309
TÀIfieri. Che fosse T ispiratrice della musa dell' astigiano, egli stesso alta-
mente Io assevera, e non s&ppiamo perché non gli si dovrebbe credere.
Può poi essere che negli ultimi tempi si raffreddasse T affetto fra T Alfieri
e lei: ma essa era in tutto e per tutto una donna del secolo decimottavo.
Quel eh' è certo, si è che, sebbene ardesse di fiamma senile pel Fabre, tutelò
sempre la memoria e l'onore del perduto amico: e nuova prova ce ne da
un articolo del sig. A. PaglIcci - Brozzi nella risorta Miscellanea di Erudi-
zione e Belle Arti del prof. P. Ra vagli (Nuova serie, fase. 3), dove si fa notare
con quante difficoltà delia censura e della polizia napoleonica dovesse lottare
per la stampa dell'opere postume. E si riferisce anche come alla grandu-
chessa Elisa, la quale le rimproverava l'avversione dell'Alfieri ai francesi,
TAlbany rispondesse seccamente: " Il avait ses opiqions: tous les hoinmes
ont droit d'en avoiV ,. Replicare cosi nel 1809 alla sorella di Napoleone,
significa sentire l'alterezza dell'amicizia col grande defunto.
.'. Ai signori fratelli Finai di Mantova dobbiamo, come omaggio alla me-
moria di un valoroso arcavolo materno, la pubblicazione del Diario di L.
Carpi di Revere (Mantova, Mondovi, di pagg. IX-66 in 4.'). II Carpi fu uno
dei deportati di Sebenico e Petervaradino, e il suo Diario illustra quell' epi-
sodio di eterno obbrobrio all'Austria, che, per livore e rabbia, contro ogni
jdiritto e ogni senso di umanità, trasse seco nelle casematte della Dalmazia
e del Sirmio, centinaia di patriotli cesalpini, che dovè poi, di mala voglia,
rilasciare in seguito alle vittorie francesi. Quanto essi patirono nelle faticose
marce e nelle luride prigioni, ma con animo imperterrito, auspicando alla
libertà e cantando inni patriottici in faccia ai loro aguzzini, è narrato con
veridicità dal Carpi, che della ingiusta prigionia senti nella rovina finanziaria
della famiglia, tutto il peso. Leggendo il Diario e badando alle cose nar-
rate, non ci soffermiamo alla rozzezza e agli errori dello stile e della lin-
gua. Lo scrittore non era uomo di lettere: tutt' altro! E crediamo che gli
editori, senza taccia di arbitrio soverchio, avrebbero reso un servizio al loro
.antenato, correggendo qua e là la forma, almeno nell'uscita dei verbi e
neir ortografìa, rendendo cosi più gustosamente leggibile il Diario: e rettifi-
cando alcuni evidenti errori, come ad es, Menon (p. 41) che è invece il ge-
nerale Menou, lasciato da Napoleone in Egitto : e a p. 59 mutanc^o capo in
bassOf come vuol la rima.. Ad ogni modo, questo è un documento storico, di
non piccola importanza. Sappiamo che cotesto, episodio dei Deportati Cesal-
pini sarà nuovamente fra breve illustrato a cura dei proff. A. D'Ancona e G.
Bigoni in un volume della Biblioteca del Risorgimento, ristampando il primo
le lettere Sirmiensi dell'Apostoli, e l'altro premettendovi una accurata bio-
grafìa dell'Apostoli stesso.
.'. In un opuscolo per nozze: Derivazioni Varaniane nella Visione d' E-
zechiello di V. Monti (Livorno, Debalte, di pagg. 16 in 16.»), il dott. L. Cambini
prova analiticamente ciò che genericamente venne sempre creduto e affer-
mato, che cioè, il Monti nei suoi primi poemetti, e specialmente in uno di
essi, imitò non poco dalle Visioni del Varano. Della Visione d'Ezeehiello
aveva pili particolarmente discorso anni addietro il prof. L. Cisorio notan-
done le relazioni colla Bibbia: e queste non nega l'autore del presente
scritto, ma considera come molto più strette e dirette quelle col poeta fer-
310 RASSEGNA BlBLIOQRAFlGA
rarese; aggiangendo però che " la Visione del Monti giovanetto è di molto
" superiore alle sudate e poderose composizioni del Vaiano „. Nel che con-
cordiamo con lui, e facilmente concorderanno gli studiosi. Questo breve, ma
ben ragionato saggio, è parte di più ampio lavoro del giovane autore sulle
Visioni in genere e su quelle in specie del Varano, che presto auguriamo
sia dato in luce.
.'. Un aneddoto della vita di Vincenzo Monti come agente in Roina del
Comune di Rieti ^aX 1793 al '97 (Rieti, Trinchi, di pagg. 25 in 18.») viene
narrato ed illustrato dal sig. A. Sacchetti Bassetti. Le città che formavano
lo Stato ecclesiastico tenevano in Roma un loro rappresentante perché sbri-
gasse i loro affari prèsso il governo centrale: presso a poco, dice - non sap-
piamo se ingenuamente o con malizia - l'autore, come fanno ora "presso i
• varj ministeri il Senatore e il Deputato ,. E il poeta, assunto a tale ufficio
per intercessione del DUca Braschi sbrigò parecchi incarichi di maggior
o minor importanza, dei quali danno prova le 145 lettere del Comune di
Rieti a lui, e le 60 e pili di lui al Comune, che si serbano in Archivio. Si
dovè il Monti occupare perfino di idrostatica, e di palle e affusti di cannone,
non che di cantanti e virtuosi da scritturare pel Comune. Se non che dopo
quattordici anni di servizio, i tempi erano andati mutandosi: il Comune non
confermò il suo agente presso la Curia e l'abate Monti si allontanò dalla
Curia e fu^gf da Roma diventando, com'è noto, il cittadino Monti.
,•. Il prof. A, Scrocca parlando di Una fonte del carme: " La Bellezza
dell' Universo „ del Monti (estr. dal Giorn. star, della Liguria, di pagg. 7 in 161»)
ai raffronti istituiti dallo Zumbini fra quel poemetto e il libro VII del Pa-
radiso Perduto, altri ne aggiunge, assai curiosi, da una Orazione che Fran-
cesco Maria Zanotli recitò in Roma nel 1750, e dalla quale il Monti trasse
non poèhi particolari.
.'. A cura del prof. A. A. Michieli è stata pubblicata una traduzione della
Memoria del prof. Fr. Zschéch, La Vedova Teresa (meglio converrebbe aver
riferito il vero titolo: Teresa Vedova) di G. Greppi e l' Jacopo Ortis di Ugo
Foscolo (Treviso, Turazza, di pagg. 61 in 16.»). Molte sono le piccole, ma non
inutili notizie che vi si contengono, alle quali altre ne ha aggiunte il Mi-
chieli; ma il lavoro in sé ci par poco concludente circa al fare di quelP im-
pasticciato • dramma lagrimoso , una fonte dell'Ortis: e, la tesi, a parer no-
stro, sballata, è assai lievemente toccata, perché la prima parte è tutta consa-
crata al Monti, la seconda al Greppi e all' opera sua, e appena breve spazio
resta alla dimostrazione di essa tesi. E l'efficacia della Teresa Vedova sul ro-
manzo si ridurrebbe poi a questo; all'aver 'Teresa Monti conquistato dap-
• prima il poeta colla sua bellezza e col suo spirito nelle conversazioni in
" casa sua, e ancor pili col rappresentare sul teatro una parte, che del tutto
• le si addiceva , e suU' esempio del Greppi aver fatto vedova l'eroina nella
prima forma del romanzo. Ma lutto questo è troppo poco per far di quel pa-
sticcio drammatico una aulorevol fonte dell' Ortis, che da altra parte ha più
evidenti e dirette derivazioni.
.'. Il dott. Gcioo MuoNi ha pubblicato un saggio intitolato La fama del
Byron e il Bi/ronismo in Italia (Milano, Società editrice libraria, di pp. 45
in 16.») in cui si propone di " rintracciare tra le carte degli illustri nostri,
DELLA LETTERATURA ITALIANA 311
• massime dell' età romantica, più presso a lui, ricordi e giudizj intorno al
"lord poeta,. Menziona anzitutto le prime traduzioni italiane e yite del
Byron, poi riferisce i giudizj dei letterati e poeti italiani dal Pellico al Car-
ducci e mette in rilievo quali di essi subirono l'influsso del byronismo b
furono pili palesemente imitatori del poeta inglese. Le pagine del Muoni ci
paiono veramente contenere piuttosto che un discorso organico, una serie di
appunti che avrebbero bisogno di essere fusi e svolti. Anche si potrebbero,
con qualche ulteriore ricerca, aggiungere nuovi nomi a quelli raccolti dal
Muoni. Noi ci contenteremo di additare Carlo Bini, l'amico del Guerrazzi e
del Mazzini, coi quali il livornese ebbe a comune fra altre cose l'ammirazione
pel Byron, di cui tradusse alcune poesie: e primieramente il Prigioniero di Chil-
lon pubblicato uelY Indicatore Livornese, che avea già accollo traduzioni ita-
liane <]el Byron fatte del Guerrazzi. Al Prigioniero di Chillon il Bini mandò
innanzi un lungo preambolo che sarebbe stato opportuno ricordare, perché
egli vi dice che traducendo il Byron intendeva presentare un poeta che pensa
profondamente, e ribattere l'opinione espressa nella prefazione alle Nocelle
del Cesari, stampate a Genova nel 1829, dove si dice che * il Byron, Gualtieri
" Scott, e somiglianti ingegni cosi gagliardi a mo' di palloni, si levano sulle
' nubi, sino a che ad un soffio di aura nemica, vuoti e vizzi ricaggiano al
* suolo „. Cfr. Scritti editi e inediti di Carlo Bini, raccolti da G. Levantini-
Pieroni, 2.* ediz., Firenze, Le Mounier, 1869, pag. 179.
.•. Nel mese di Settembre è stato commemorato a Viareggio il poeta
Shelley e il triste anniversario di quando, cadavere, fu gittate su quella
sponda pel naufragio dell' Ariel. Il prof. P. Vigo dà un nuovo contributo al!à
storia del triste avvenimento pubblicando alcuni documenti col titolo II nau-
fragio di P. B. Shelley (Città di Castello, Lapi, pagg. 6 in 16.*) in aggiunta
a quelli già messi a luce dal Biagi, e tratti dall'Archivio storico livornese.
.•. Tiratura a parte di pochi esemplari della Bibliografìa Napoleonica
(che vorremmo veder alacremente continuata e condotta a fine) è il voi.
Stendhal e Napoleone di A. Lumbroso (Roma, Bocca, di pagg. 107 in 8.°). Esso
però è soltanto la parte prima del lavóro, e la stampa cominciata nel ^97
si è compiuta ora, ma tuttavia restano fuori alcune importanti pubblica-
zioni stendaliane. Anche senza aspettarne il compimento si può dire che
qui è contenuto un materiale notevole su cotesto grand'amico dell'Italia: forse
non sarà inopportuno, a suo tempo, riordinarlo. Intanto molte notizie tro-
viamo qui sul Beyle e sui giudizj cosi diversi pronunziati sul suo conto, su
alcune opere sue che pili direttamente riguardano il nostro paese e la storia
nostra, e specialmente una ricca bibliografìa stendaliana, cioè delle opere
da lui scritte e di quelle che di lui discorrono. Aspettiamo con desiderio il
compimento di quest'opera, che interessa del pari l'Italia e la Francia.
.*. G. PiTRÈ ha messo insieme da varie raccolte regionali i Canti popolari
d' Italia su Napoleone I (estr. di 10 pagg. in 16.° daW Arch. d. tradiz. popol.),
che quasi tutti suonano a lutto e a vitupero, mentre la più parte delie poesie
letterarie di quel tempo esalta il guerriero liberatore, il possente monarca.
La canzone Partirò, partirò, partir bisogna, non è tanto romana quanto
anche toscana, anzi forse è da ritenersi dalla Toscana difTusa tult' intorno;
e, risorta nel '48, è forse più antica dei tempi napoleonici (vedi A. D'Ancona,
B12 RAS8BQNA BIBLIOORAPICA
Ricordi e Affetti, p. 373). E una raccolliaa assai interessante, che potrà pro-
babilmente accrescersi.
.*. Per le nozze del prof. Ciro Trabalza colla signorina Rosa, sono state
fate pubblicazioni di amici e discepoli. E fra esse notiamo le seguenti:
PiKRo Reali, Spigolature di psicologia infantile ne' Pensieri postumi di
G. Leopardi (Firenze, Paggi, di pagg. 81 in 16.»), raccolta, dallo Zibaldone
leopardiano di quanto riguarda il fanciullo, con più alcUni ricordi per T edu-
cazione del medesimo, fatta con cura e preceduta da lina opportuna prefa-
zione, che condensa sistematicamente, ciò che fu sparsamente detto dal gran
.recanatese. — A. Bertoldi, Tre lettere inedite di Ugo Foscolo (Prato, Gia-
chetti, di 16 pagg. in 16.»): una al Bodoni. una alla signora Cusi, e la terza
e più importante, alla sorella. — M. Falogi Pulignani, Una pagina di Arte
Umbra (Foligno, Salvati di pagg. 33 in 16.»), interessante capitolo di storia
artìstica della nativa regione, reso più interessante dalla riproduzione di an-
tichi monumenti. — Poesie originali o tradotte pubblicarono i signori Giulio
Urbini, Luigi Grilli, Leopoldo Tiberi; e il prof. 0. Ferrini la traduzione in la-
tino del sonetto del D' Annunzio su Gubbio. — In questa occasione, per
donarne gli amici, lo sposo mise a stampa (Roma, Forzaci, di pagg. 23 in 16.")
una sua conferenza su Gubbio, forse piuttosto lirica, che storica, e eh' egli
stesso battezza "il Gubbio della mia fantasia,.
.*. Molto negli anni scorsi si disputò circa il Consalvo del Leopardi, sia
rispetto alla data che gli spetta, sia considerandolo nel suo intrinseco valore
d'opera d'arte. Mentre allo Zumbini parve " una delle cose più perfette della
postra poesia ,, il Carducci giudicò che * nell'ordine della poesia leopardiana
segnasse „ contraddizione e disgregazione accidentale „. Il prof. G. Checchia ri-
prende e amplifica la sentenza del Carducci in un suo studio critico su co-
testo componimento (Teramo, Rivista Abruzzese, di pagg. 41). Ci sembra di
trovare in cotesto scritto alcune cose notevoli, e alcuni raffronti importanti con
altre poesie dell'autore, prima non addit,ati : ma ci sembra anche che troppo
ricalchi e insista, e soverchiamente aggravi i giudizj del maestro che segue
ed esempla, e troppo anche rigidamente osservi ed esageri quella distinzione
in periodi e gruppi, che fu istituita dal Carducci. Volendo ' continuare un po'
l'analisi , carducciana, è arrivato a tali conclusioni di critica puramente in-
dividuale, da far quasi comparire il Consalvo come opera priva affatto d'ogni
pregio : il che ci pare eccessivo. In esso trova un contrasto * fra la mal cer-
cata spontaneità del sentimento e della immagine, e la smania di tentare e
di svegliare un vero che al poeta sempre più fuggiva dall'anima „: nel Con-
salvo è " sciupato e rattrappito fra le grinze della frase incerta e nell'ordito
studiosamente contorto della costruzione ritmica, un po' scolastica e un po'
accademica, quasi fanciullesca, ciò che più efficacemente è detto nell'.^-
spasia: e cosf via. Il troppo stroppia: e la "continuazione dell'analisi „ ha
passato i limiti del discreto. A ritrarre i pregj e i difelli dei grandi occorre
mano leggera e delicata: occorre appressarsi al giudizio con ossequio e ti-
more, e sopratulto con minor fiducia in teorie astratte, che spesso hanno
realtà soltanto entro di noi, e da noi sono considerate infallibili pel nostro
individuai modo di osservare, sicché possa poi avvenire che due critici di
gran valore, sullo slesso argomento dicano l'uno bianco, l'altro nero. Ma la
verità, diceva il Renan, sta nelle graduazioni e nelle sfumature.
DELLA LETTE ATURA ITALIANA 313
.'. Dopo aver condotto cosi bene innanzi la " Piccola Biblioteca di Scienze
moderne , gli editori Fratelli Bocca di Torino mettono mano a una * Biblio-
teca letteraria , in pili piccolo formato, di bella carta e nitidi caratteri, alia
quale auguriamo il meritato favore del pubblico. Il primo volume, ora uscito
alle stampe, è del sig. R. Giani, L' Estetica nei pensieri di G. Leopardi (di
pagg. XI-S54 in 16.°). Come già il prof. Bertana per ritrarne la mente si valse
dello Zibaldone, felicemente tornato a luce, cosi ora lo studia il sig. Giani
per cavarne fuori ed esporne l'estetica, riducendo a corpo di dottrina e coor-
dinando i pensieri e gli accenni disseminati in quella specie di diario intel-
lettuale del recanatese. A una rapida scorsa ci è sembrato che Fa. di que-
sto studio abbia fatto opera coscenziosa ed utile, sicché questo volume sia
come preludio promettente a quelli che seguiranno: ma di esso intendiamo
dar maggior contezza in appresso.
.'. Il prof. Adolfo Boeri ha pubblicato uno scritto su Giacomo Leopardi e
lalingua e la letteratura francese (Palermo, tip. Era Nuova, di pagg. 131 in 8.»),
in cui ha esposto le osservazioni e i giudizj in pro|»osito che si trovano dis-
seminati nello Zibaldone. Il libro si compone di tre capitoli, nel primo dei
quali TA. parla della molta conoscenza che il Leopardi ebbe della lingua e
della letteratura francese, come resulta dalle notizie che abbiamo dei suoi
studj e da alcuni suoi scritti ; nel secondo sono raccolti i giudizj sulla lingua
e letteratura, che si trovano nello Zibaldone. Il Leopardi ebbe pochissima
stima del linguaggio e della letteratura dei nostri vicini d'oltr'Alpe. Giudi-
cava la lingua imperfetta nella sua ortografìa, nella pronuncia impropria,
inelegante, povera di radici dalle quali si possano cavar parole nuove, scarsa
di sinonimi, e per tutte queste ragioni priva di lingua poetica. Ancora rile-
vava che il francese è inadatto alle traduzioni, fra le quali apprezzava molto
solo le Georgiche volgarizzate dal De Lille e le traduzioni dell'Amyot, e di
quest'ultimo perché egli, oltre al greco e al latino, conosceva perfettamente
i classici italiani, che, al dire di Paul-Louis Courier " sont la vraie source
" de beaulés d'Amyot„. Ciò malgrado la lingua francese ha conquistato una'
universalità che si spiega non colle sue qualità intrinseche, ma coli' influenza
politica e morale esercitata dalla Francia. Riguardo alla letteratura, scarsa
messe di giudizj ha potuto raccogliere il Boeri ; oltre che dei traduttori di
cui s'è detto, il Leopardi discorre poco benevolmente del Poinsinet, del La'
Fontaine, del Bossuet "che è tutt' altro che un genio,, e con lode invece
del Bourdaloue e del Buffon. Ma per quanto il Leopardi avesse poca stima,
e non sempre a ragione, della lingua e letteratura francese, tuttavia noi
vediamo ch'egli attinse molto ad esse per la sua cultura. Cosi nell'ultimo
capitolo il Boeri parla del sistema filosofico del Leopardi per mostrare }' in-
flusso non piccolo che esercitarono sul suo pensiero i filosofi francesi e
conclude che l'influsso non si limitò alla fìlusofìa, ma anche al modo di scri-
vere. Il libro del Boeri si legge volentieri, ma non nascondiamo che si sa-
rebbe potuto ridurre alle pili modeste dimensioni di un buon articolo, anche
perché non sempre era necessario riprodurre per intero i varj giudizj dello
Zibaldone. Infine avvertiremo che il Boeri non pare conosca uno scritti»
recente, del 1902, sul medesimo argomento da lui trattato, di Albert Oriol,
Lenpardi et la littèrature frangaise nel BullHin italien, lì, 304, che saiebbe
stato bene aver presente.
314 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
/. H prof. U. Angeli ha insieme raccolte in un volumetto (Prato, Giachetti,
di pagg. 99 in 16.°) Tre. commemorazioni: io. prima del 1898: La donna e l'a-
more nei canti di G. Leopardi; la seconda, del 1900: bordello; la terza, del
1901 : Commei(norazione dei caduti a Curtatone e Montanara. La prima ben
peqsata e ben scritta, dimostra, collo studio dai primi canti elegiaci all'A-
ppasta, come l'amore * iniziatosi violento e fervente nei giovanetti anni del
Leopardi, divenisse poi soffuso di malinconia e quasi di sentimentalità inge-
nua , finché nel turbamento e nella certezza dì esser egli escluso dalle gioie
dell'amore, avviene il cozzo fra la realtà e Tidealità, e quest' ultima trionfa.
Se non che, dato il suo temperamento e la sua fibra sensibilissima, il trionfo
compiuto di una fiera passione reale trascina alla tragica fine il miserando
animo del poeta,. — Nel secondo discorso l'a. vuol dichiarare il carattere
e l'importanza del trovatore mantovano, il concetto che n'ebbe Dante e
l'arte colla quale lo introdusse nel noto episodio, facendo per ultimo un
rapido, ma succoso esame dell'invettiva occasionata dall' abbracciarsi dei due
poeti, col nome e nel nome della patria. Sembra all' a. che l'invettiva corri-
sponde^ al Pianto di Bordello per Ser Biacas, e certo v'è in essa qualche cosa
che lo richiama: ma non sembrerebbe invece che la rassegna dei principi
della valletta sia in più immediata relazione coli' enumerare e giudicare che
il.mantovano fa i principi del tempo, nel suo componimento provenzale? —
Nel terzo, con caldi sensi di amor patrio, si narra brevemente la battaglia
del 29 maggio, si commemora un valoroso pratese, caduto nel conflitto, e si
ac^cenna alle onoranze ai valorosi, fatte o tentate a Prato nel decennio. Ma qui,
come giàin altro luogo, vogliamo notare un errore storico, una esagerazione in
che l'a., come molti altri, sono caduti, parlando della commemorazione del
1851 in Santa Croce, dove veramente il tempio non " fu bagnato dal san-
gue cittadino per opera degli sgherri, che investirono il numeroso popolo ,:
fu un semplice parapiglia, e i fucili furono sparati in aria senza danno di
persona. Ciò non per difendere il governo lorenese, ma semplicemente in
omaggio al vero.
.'. Lo Studio intorno alla vita di Carlo Botta della signorina E. Rkgis,
tracciato con la guida di lettere in gran parte inedite (Torino, Clausen, di
pagg. 34 in 4.°, estr. dalle Memorie dell' Accad. Reale ecc.) non è una com-
piuta biografia, ma si ferma soltanto su alcuni punti, traendo dall'epistolario
raccolto già dal compianto Giovanni Flecchia, e che speriamo il nepote del-
l'egregio uomo darà presto in luce, quanto specialmente riguarda le opinioni
politiche e letterarie dello storico canavesano. L'a. addita la varietà di con-
vinzioni politiche nel Botta giovane e nel Botta maturo d'anni e d'espe-
rienza : che certo non è bella cosa né da mostrarsi ad esempio : ma, seguendo
lo svolgersi degli avvenimenti straordinarj della fine del XVllI e del prin-
cipio del secolo XIX quanti non sono fra i contemporanei che cangiarono
peasieri e voglie! E ad ogni modo, il Botta amò sempre e servi colla penna
Usuo paese, e visse e mori povero. Dove non si ha cangiamento nel Botta
è rispetto a idee letterarie: restò sempre un classico, un purista impenitente
eisfogò sempre l'ira sua contro i novatori, i romantici. L'a. raccoglie parecchi
dei. suoi giudizj, e non si può a meno di sorridere legjjendo quelli sul Man-
zoni e sul suo romanzo, mentre ei profonde elogj a meschini scrittori. Le
DELLA LETTERATURA ITALIANA 315
ossarvazjoni critiche del Botta, rappresentante di tutta una scuola, che nel
romanzo non vede se non * sciocchezze e bambinerie , pur riconoscendo allo
scrittore * un ingegno grande ,, dimostrano qual profondo rivolgimento arre-
casse nel campo delle lettere l'opera del Manzoni. La Memoria della sigoo-
rioa R. si fa leggere con piacere, ed è scritta con facilità e scioltezza: non
sempre con cura della forma; e, per esempio, che mai vuol significare (pag. 20)
un "accompagnamento un po' impertinente; frin-fron-frin-fron ? ,
.'. Parte di più lungo lavoro, e introduzione ad esso, e lo studio del dott.
P. Prunas, Le Origini dell' Antologia, periodico di G. P. Vieusseux (Pistoja,
Fiori, di pagg. 48 in 16.°. eslr. dalla Rassegna Nazionale, 1. luglio 1903). Pri-
ma di tesser la storia delle vicende di cotesto periodico, che forma, tanta
parte della cultura letteraria della metà dell' Ottocento, l'A. espone in questo
suo studio le condizioni politiche del tempo in che sorse, i varj tentativi per
fondare una Rivista italiana, le difficoltà d' ogni genere che dovette supe-
rare, mettendo in chiara luce la parte che nell' opera spetta a Gino Cap-
poni e a Giampietro Vieusseux, ispiratore l'uno, l'altro direttore del perio-
dico. La narrazione è condotta su documenti sicuri, specie sul carteggio del
Vieusseux, che si conserva nella Nazionale di Firenze, copiosissimo e ben
ordinato, e che è una miniera inesauribile di notizie per la storia dei tempi.
Salvo qualche po' di lungaggine in principio, dove si espongono le condi-
zioni politiche dell'Italia fra il '15 e il '20, il Prunas corre spedito ma con
copia d' informazioni e ricco corredo di testimonianze, in forma facile e chia-
ra, non priva di naturale eleganza. E questo saggio, cosi ben ordinato e cosi
ricco di ragguagli su uomini e cose, ci fa bene sperare dell' opera alla quale
prelude.
.". Il 4 ottobre, cinquantesimo anniversario della morte del conte Eduardo
Fabbri cesenate, il giornale locale II cittadino ha pubblicalo un numero quasi
tutto destinato a celebrare l' illustre uomo, chiaro per civili virtù e per forte
e culto intelletto. La vita di lui è narrata compendiosamente dal sig. N. Tro-
VANELLi, adornata di più ritratti e di altre illustrazioni. Diciamo compendio-
samente, ma sappiamo che ad una biografìa più ampia attende l'autore,
la quale ritrarrà con lo svolgimento che merita la vita dell'uomo, e la storia
dei tempi in che visse e scrisse e operò con zelo d'italiano e drittura di
mente e d' animo. E vogliam credere eh' egli ci darà allora il testo delle
Memorie sulla sua prigionia nelle carceri pontifìcie. Un altro breve articolo
dà notizia di una tragedia inedita del Fabbri La morte di Arrigo IV impe-
ratore, recandone alcuni brani, che fanno desiderare il rimanente. Prefetto
quando Murat proclamò l'indipendenza d'Italia, ministro costituzionale di
di Pio IX, capo dei liberali romagnoli e perseguitato dal governo dei preti,
autore di tragedie men note di quanto meriterebbero, ri Fabbri è ben degno
degli onori che gli si tributano, e dei quali il migliore e più opportuno sarà
quello che aspettiamo dall' egregio suo conciltadino.
.*. Fra i tanti personaggi manzoniani uno dei più vivi è quello di Per-
petua, il cui nome è rimasto proverbiale; ma mentre tutti gli altri, anche
minori di lei, erano stati notomizzati e studiati, niuno finora, se non erriamo,
ne aveva fatto argomento speciale di considerazione, come ora ha fatto il
prof. V. Graziadbi col suo scritto La :8erva di Don Abbondio (Palermo, Rf •
316 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
ber, di pagg. 42 in 16."). La critica del 6. è arguta e penetrante, e if tipo'
di questa donna volgare, ma non priva di senso pratico e di coraggio, è pie-
namente descritto, specialmente a contrasto col pusillanime padrone e a
confronto coli' amica sua, l' Agnese.
.*. Per la ricerca delle fonti dei Promessi Sposi ha speciale importanza
un articolo del sig. G. Galli, Un'operetta inedita del card. Federico Borromeo
sopra la peste in Milano, ed i Pr. Sp., inserito neir.<4rc7i. stor. lombardo, sè-
rie III, fase. XXXIX, p. 110. Benché si fosse già accennato che quella rela-
zione del card, al Manzoni non era rimasta ignota, non era stata finora rag-
gnagliata minutamente con ciò che in proposito della peste del 1630 è narrato
nel romanzo, ed è questo che ora vien fatto. Ne resulta che fra gli altri che
lasciarono memorie del terribile avvenimento, il cardinal Federico fu dal
Manzoni letto e seguito a preferenza. Vi è ad es., nel Borromeo l'episodio
di uno che si salva sul carro dei monatti, come il Manzoni fa fare a Renzo:
vi è l'episodio di Cecilia. Se non che, questa ed altra, è materia greggia,
che il sommo artista ha trasformata col suo magistero. L'a. di quell'articolo
cita anche altre fonti manzoniane, fra le altre il libro del Lampugnano, dove
si trova in genere il famoso dilemma di Don Ferrando, che già altri aveva
additato in un discorso dell'Achillini. Meglio cosi: il Manzoni riferendo quel
celebre ragionamento non potrà esser accusato di plagio, perché ha ripro-
dotto veramente quello che era il modo comune di pensare e parlare dei
dotti o pseudo-dotti di quell'età.
.*. Il fascicolo 3.» della 4." annata dell'ottima Rivista Dalmatica è tutto
dedicato a Niccolò Tommaseo, e contiene i seguenti scritti : I. Del Lungo e
P. Prunas, Dal primo esilio, lettere prime, 1834, di N. T. a G. Capponi; in-
teressatiti primizie del carteggio fra i due egregi uomini, opportunamente an-
notato - A. Franchktti, N. T. e l'educazione - U. Miagostovich, Alcune leti,
ined. di N. T. al dott. F. Galvani - G. Canna, Alcuni pensieri su N. T. •
Lettera di N. T. a Stefano Grosso - N. Castagna, Ricordi e note intorno a
N. T. (rammenta atti e motti di T., lodandone tuttavia alcuni di perfetta in-
tolleranza e contro la carità, non diremo cristiana, ma umana, come l'epi-
gramma, più scipito che crudele, contro il Leopardi). - P. Mazzoleni, Alcuni
scritti editi e inediti di N. T. riguardanti persone e cose patrie (raccolta, che
facendo contrasto alla inopportunità e peggio, della precedente, ricorda scritture
e azioni onorevoli del T. in favore della patria Sebenico e di suoi concittadini).
Una Lettera di Suor Chiara Tommaseo (con notizie curiose sui libri e mano-
scritti del padre - V. Brunelli, Manoscritti e stampe di N. T. conservati alla
Biblioteca Paravia di Zara (utile catalogo del fondo tommaseiano di Zara). -
Appunti e notizie: Le onoranze a N. T. nel centenario della nascita - Pub-;
biicazioni nel centenario della nascita di N. T, - Il fascicolo è reso più inte-
ressante dalle frequenti illustrazioni: Ritratti di N. T. nel 1861 e nel 1873;
Ritratto di Girolamo Tommaseo; Casa ove nacque N. T. a Sebenico; Il mo-
numento a N. T. in Sebenico • Facsimile di un autografo del T. - Albero
genealogico della famiglia T. ■ Con questa pubblicazione la Rivista Dalmatica
ha reso omaggio all'illustre concittadino e portato un reale contributo alla
biografia e bibliografìa di lui.
,,•. Opera meritoria e degna è stata fatta in Sicilia, ravvivando il. nome.
DELLA LETTERATURA ITALIANA 317
di Paolo Emiliani Giudici e collocandone un busto nella Università di Palermo
ai 7 giugno di quest' anno. L'inaugurazione di esso busto (in verità, non molto
rassomigliante, chi ricordi l'uomo) fu accompagnata da discorsi del prof. 6.
A. Cesareo, del prof. F. Guardione e di altri, che furono raccolti insieme col
titolo : Onoranze a P. E. G. veli' Università di Palermo (Palermo, Virzì, di
pagg. 56 in 16.°). Il discorso del Cesareo ci pare assai buono e giusto, e che
non ecceda, come spesso avviene, i meriti veri del lodato, cui attribuisce a
buon dritto di aver per primo in nna storia della letteratura italiana, scru-
tato "la legge rivelatrice dei fenomeni letterarj ,; di aver per primo intuito
che * un fenomeno letterario non si produce per generazione spontanea, ma
" è il resultato d'una lunga elaborazione della coscienza collettiva onde
* nacque ,: ma ciò non toglie che egli non riuscisse poi ad applicare la sua teo-
ria con quel medesimo acume con cui la concepiva, e questo liberamente di-
mostra r oratore, concludendo che, per certi rispetti, si possa dire esser il
Giudici " nato troppo presto ,. Ma mentre in ciò consentiamo col Cesareo,
attribuendo allo storico siciliano la lode e la censura che gli si deve, non
potremmo consentire con lui, quando assevera che dopo il De Sanctis " suc-
" cedesse per circa quarant'anni in anni in Italia un periodo d' astinenza, col
" ritorno a una critica secca, inanimata, e meccanica ,. Vero è, ei prosegue,
" che quel periodo di quaresima della intelligenza è ormai oltrepassato e che
* da qualche anno gli spiriti più alti si son rimessi su una via luminosa ,.
Ne sia lode a Dio! Ma gli studj "di analisi meticolosa ;,, di "trascrizioni,
* emendazioni, attestazioni, raffronti, che sono filologia e non critica , (ed è
pur qualche cosa, se sono di filologia buona), quegli studj ai quali appar-
tengono i lavori del Cesareo stesso sui poeti del periodo svevo, sulle rime
del Petrarca e il loro ordinamento, e che pur sono valsi a qualche cosa ri-
spetto al loro autore, appartengono alla prima e alla seconda categoria? A
noi parrebbe che spettino alla prima, ma si direbbe che il Cesareo, sdegnoso
di questo " trionfo della mediocrità ,, voglia separarsi dalla mala compagnia
degli spiriti piccoli, e confondersi in quella degli * spiriti alti , : e se cosi
vuole, tal sia, e lo vedremo alla prova! — . Lo scritto del prof. Guardione
ha pili ch'altro indole biografica, e ci dà ragguagli men noti dei primi anni
del Giudici, passati in Sicilia: men sicuri e particolareggiati sono quelli del
soggiorno in Toscana (a pag. 45 ad es. si parla delle stragi del 29 maggio
1849 neir anniversario di Curtatone e Montanara, che furono una semplice
scarica in aria !) e quelli sugli ultimi anni, ne' quali scemò in lui l'operosità
della mente e la dignità della vita. Meno temperati che quelli del Cesareo,
sono i giudizj del Guardione rispetto alle opere del Giudici. La storia della
Letteratura è lodata, senza riserva, paragonando l'autore al Beaumont, al
Guvier, a Galeno, agli Dei d' Omero ecc. Il vero è che la Storia Letteraria
del Giudici ha un merito grandissimo rispetto ai tempi, ma ormai è stata
superata : e il tornare ad essa, che pure occupa nn posto cospicuo nella serie
delle opere congeneri, sarebbe un tornare addietro, sebbene il sig. Guardione
in tutto il lavoro successivo di critica, frammentaria o generale, non vegga
ei pure che " fatiche investigatrici delle date di nascita, di sponsali, di doni
* matrimoniali, di viaggi, di nozze, di morte ,. Proprio cosi! e nuli' altro, se-
condo lui, è stato fatto in questi ultimi anni. Quanto alla Storia dei Municipj,
318 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
r oblio in che è caduta non è ingiusto, e la Storia del Teatro non è infin
dei conti, altro che una amplificazione di quel capitolo della Storta Lette-
raria, nel quale, primo fra tutti, ed è suo merito, trattò delle Sacre Rappre-
sentazioni. Alle onoranze, anche per memoria dell' amico, ci uniamo piena-
mente, e ci compiacciamo che finalmente la sua memoria sia slata ravvi-
vata e consacrata indelebilmente nella regione nativa: ma- non potremmo
approvare lodi che ci sembrano contrarie al vero, né ammettere il biasimo
incondizionato di tutta 1' opera della critica nel tempo successivo.
.•. Il poeta meridionale Nicola Sole è più fortunato morto che in vita,
poiché di lui e della Basilicata de' suoi tempi torna a parlare il prof. G.
Mari (Melfi, Grieco, di pagg. 159), dopo che ne discorsero il De Sanctis e lo
Zumbini, l'uno dicendone forse troppo male, l'altro troppo bene. Il vero è
che si parla di lui, perché nel decennio fra il '49 e il '59, è forse l'unico
poeta meridionale, che emergesse un pò sugli altri, sicché sembra dover rap-
presentare la letteratura poetica di quella regione in quel periodo. Del re-
sto, avendo una certa facilità di versi, la poesia del Sole è fiacca e stempe-
rata. L'a. di questo saggio poteva forse occupare più utilmente il suo tempo:
poteva dar forma più breve e più compatta al suo lavoro: poteva curar
maggiormente lo stile e la lingua, trasandatissimi : poteva esser non diremo
più ossequente, ma più garbato, nel contraddire i suoi due precedessori.
.*. Per le nozze della gentile e eulta signora Ada Bellucci col dott. G. Ra-
gnotti alcuni amici hanno pubblicato una bella raccoltina di scritture (Pe-
rugia, Unione tipogr., 1902, di pagg 93 in 16.»). Esse sono : Monito Salulis,
tratti da un ms. del secolo XVIII, da L. Lanzi. — Alcune notizie sul ritratto
di Annibale Mariotli, di V. Ansidei. — Il giorno nuziale nelle leggi perugine
del sec. XVI, di G. Degli Azzi Vitelleschi: diligente e curiosa raccolta di notizie
sull'argomento. — G. Mazzatinti, Camilla d' Amore, dieci strambotti di un
Cesare Dondolelli del Borgo S. Sepolcro, alcuni dei quali hanno intonazione
e reminiscenze dal tipo popolare. — L. Fumi, La moda del vestire in Lucca
dal sec. XIV al sec. XIX: è un buono e compiuto saggio sulle leggi sun-
tuarie della secolare repubblica, pieno di curiosi particolari sul contrasto
fra il desiderio di frenare il lusso, il bisogno di proteggere le industrie pae-
sane, e l'insaziabile intento femminile delle nuove fogge e dell'imitazione
degli esempj forestieri. Su questo lavoro, che è il più lungo dell'elegante vo-
lumetto, potrà ritornare l'autore con nuove cure; e allora vorrà aggiungere
all'opera sua un glossarietto, che spieghi il preciso valore di molte parole,
designanti stofTe, colori, abiti ecc., che o non s'intendono o s'intendono solo
genericamente per discrezione. — Per la stessa fausta occasione, ma sepa-
ratamente, L. Manzoni ha pubblicato (Perugia, Unione tipogr., di pagg. 10 in
16.). un documento su Lautizio di Bartolomeo dei Roteili da Perugia, ore-
fice, incisore e intagliatore di caratteri da stampa.
.'. Più tardi dell'occasione alla quale era destinato, è uscito a luce un-,
voi. miscellaneo per le Nozze Pèrcopo- Lucia ni (30 luglio 1902), e perciò» tardi
lo annunziamo (Napoli, Pieno, di pagg. 204 in 16.»). Parecchi studiosi, amici
dello sposo, hanno contribuito a formarlo: e qui diamo l'elenco dei varj scritti
che lo compongono: E. Proto,. /i padre di famiglia: dialoghi di T. Tasso
(ne esaniin.i i piegi e i «Ji^oUi; e ne indica le fonti). — G. Di NisciA, Per una
DELLA LETTERATURA ITALIANA 319
fonte probabile della " Bisbetica domata , (Alle molte altre fonti additate
e discusse, si aggiunge qui la Novella su fra Michele Porcelli del Sacchetti ;
ma converrebbe aver qualche prova che lo Shakespeare conoscesse questo
novelliere italiano, stampato per la prima volta nel 1734). — E. Cocchia,
Confronto fra V Iliade e la Chanson de Roland (Con esame accurato dei due
poemi, combatte il paragone, a tutto vantaggio del poema francese, fatto dal
Gautier fra quei due monumenti letterarj). — B. Croce, Curiosità vichiane
(Riproduce ed esamina due pareri del Vico sulle tragedie del Gravina e del
Marchese). — G. Rosalba, Un episodio della vita di Vittoria Colonna (Pub-
blica due diplomi imperiali, dai quali resulterebbe che la Colonna coadiuvò
Costanza d'Avalos nella difesa d' Ischia). — F. Torraca, Sul ritmo cassinese
Ne parliamo a parte. — R, Zumbini, Gli episodi dei montoni e della tempesta
presso il Folengo e il Rabelais (Adduce nuove prove dell' * intima parentela
di questi due autori ,), — N. Zingarelli, Per la storia del Seeretum secre-
forum (Riproduce, accennando preliminarmente le vicende di questo scritto
famoso, un lesto francese del medesimo) — Il valente dedicatario può esser
ben lieto di questa raccolta offertagli in dono dai suoi amici ed estimatori.
.*. Importante egualmente alla geografia e alla filologia é uno scritto di
G. Crocioni, Termini geografici dialettali di Velletri e contorni (estr. dalla
Riv. geograf. ital. di pagg. 9 in 16.°) conlenente vocaboli del parlar locale,
disposti per ordine di materie, e riguardanti fenomeni metereologici, cultura
e vegetazione, idrografia ecc. Molli di essi {Buriana, Breccia ecc.) apparten-
gono anche alle parlate toscane. Altra pubblicazione filologica del Crocioni
è la riproduzione de L' intervenuta ridicolosn, commedia in dialetto di Cin-
goli (Torino, Loescher, di pag. 59 in 16.») scritta nel 1606 da un Francesco
Borrocci, compositore di commedie e scherzi nel suo vernacolo, che da lui
s'intitolarono barrocciate. - La commedia, nei brevi versiceli che piacquero
anche a certi autori dei Prologhi delle Sacre Rappresentazioni, non manca
di qualche vivezza, e gli opportuni prolegomeni glottologici dell'editore age-
volano l'intendimento di questa composizione in un dialetto della Marca.
.•. Grazioso e piacevole libretto è quello messo insieme dal prof. S. Pel-
lini col titolo Medici e Medicine: Igiene popolare (Novara, Miglio, 1902, di
pagg. 148 in 16."" picc), che è una raccolta — modestamente il compilatore
lo dice Zibaldone — di aforismi, sentenze, proverbj, epigrammi, aneddoti
sulle malattie e sui farmachi. Esso si divide in due parti, la prima delle
quali tratta del modo di conservare o curare la sanità del corpo, nonché dei
professanti l'arte medica, raccogliendo in proposito di questi tutto quello che
l'esperienza ha detto in proposito, sf in bene come in male. La seconda
parte tratta dell'Igiene popolare, e mette in mostra, con opportune illustra-
zioni morali e storiche, quanto i consigli degli esperti e la sapienza tradi-
zionale degli uomini ha espresso e trasmesso circa i cibi, le bevande, il dor-
mire, l'amare ecc. È una ricca collezione di adagj e molli, che si direbbe
rimasta quasi ignorata, ma che accresciuta e confidala a un buon editore
potrebbe e dovrebbe avere facile fortuna.
.•. Con la consueta competenza e con molta chiarezza Benedetto Croce
ha di recente scritto Per la storia della critica e storiografia letteraria (Na-
poli, Tipogr. della R. Università, di pp. 28 in 8.») alcune osservazioni che si
320 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
possono considerare come i principj fondamentali di una storia della critica.
Comincia col distinguere fra storia della critica e storia delle teorie critiche ;
la seconda è un capitolo della storia della Poetica, ossia Estetica; la prima
concerne la critica in atto, è la storia della produzione effettiva dello spirito
critico nella sua vita concreta. Non bisogna trascurare però la grande ef-
ficacia che lo svolgersi della teoria ha sulla stessa funzione critica; di qui
la grande importanza che ha in una storia della critica la esposizione della
influenza delle teorie sulla pratica : ma questa esposizione si deve conside-
rare come un sussidio alla storia della critica, non è la parte principale.
Siccome in ogni lavoro critico si possono distinguere tre momenti, che sono:
1.* erudizione storica occorrente a intendere un'opera d'arte; 2." riprodu-
zione fantastica dell' opera d' arte ; 3.° rappresentazione riflessa dell' opera
d'arte; cosi oggetto di una storia della critica è il risultato di questi tre
momenti, ossia il terzo, che comprende i due primi, dei quali è necessario te-
ner conto solo come elementi sussidiar) e per evitare errori che dalla igno-
ranza di essi potrebbero nascere. Se uno di questi momenti prevalesse in una
storia della critica, questa degenererebbe o in una mera storia di dottrine
estetiche astratte o in un catalogo bibliografico o in una raccolta di aiied-
doti sulla varietà dei gusti o, finalmente, in un aggregato inorganico di que-
ste tre storie disparate. Fissato l'oggetto della storia della critica, il Croce
passa a dire che la trattazione di esso abbraccia tre parti ed importa tre
ordini di ricerche: 1.° vicende e progresso dell'attitudine o metodo critico
in genere; 2.° risultati particolari raggiunti; 3." organamento di questi in
un quadro pili o meno vasto, ossia la costruzione della storia letteraria. Lo
svolgimento di ciascuna di queste parti è chiarito con esempj, e per la 1.»
e per la 3.* il Croce dà, si può dire, un abbozzo di quello che dovrebbero
essere, mostrando quanta e quale preparazione l'egregio uomo abbia e qual
fortuna sarebbe se volesse accingersi ad un'opera di cui egli ha nella mente
con tanta chiarezza le linee generali e la distribuzione dei capitoli partico-
lari. In Appendice il Croce raccoglie alcuni pochi appunti per dimostrare
l'influenza esercitata dal Vico sulla critica letteraria italiana: da lui, egli dice,
derivano il Cesarotti, Mario Pagano, Francesco Torti, Ugo Foscolo, P. Emiliani
Giudici e il De Sanctis.
.-. Gol titolo L' Addio di Ettore e di Andromaca il prof. Fedele Romani
ha pubblicato (Firenze, Le Mounier, di pp. 105 in le.") la Lettura da lui te-
nuta nel marzo scorso al Circolo Filologico di Firenze, per incarico delia
Società italiana per la diffusione e l'incoraggiamento degli studj classici.
L'episodio dell'Iliade vi è esaminato con molto gusto e finezza; cosicché
noi vediamo in questa lettura confermate le belle attitudini di critico, che
il Romani ha rivelato in altre sue precedenti pubblicazioni di cui a suo
tempo demmo notizia. Per chi amasse rileggersi per intero l'episodio e far
confronti, il Romani ha aggiunto al suo discorso il testo greco dell'episodio,
la traduzione letterale del Cesarotti e la poetica bellissima del Monti.
.". Ci duole d'esser costretti dall'indole del presente periodico a dar sol-
tanto una breve notizia di uno studio, pubblicato da G. B. Marchesi su La
critica Letteraria e la questione del Genio (estratto dagli Atti dell'Ateneo
di Pergamo, voi, XX, Bergamo, Istituto d'arti grafiche, 1903 pp, 3-41), nel
DBLLA LBTTERATURA ITALIANA 321
quale la vexata quaestio circa l' origine e la natura del Genio è esposta con
larghezza di criterj, con conoscenza della materia presa a trattare, e con
ponderata temperanza di linguaggio. Il M. pone in evidenza la fortuna della
formula lombrosiana " genio e follia „ ; rileva gli errori e le esagerazioni,
alle quali essa ha portato, specialmente perché male applicata da troppo
fervidi seguaci; e s'indugia in special modo a di'nostrare che, mentre la
follia è il resultato di una sregolata attività delle funzioni psichiche, nel fe-
nomeno, che dicesi genio, queste medesime funzioni psichiche hanno, è vero,
un'attività eccezionale, ma regolata in questo caso dalla forza volutiva del-
l'individuo e dalle leggi universali della ragione. Termina concludendo, che
per avere la piena comprensione di un'opera d'arte, è necessario conoscer
bene, fin nei particolari, la vita dell'artista, la famiglia e l'ambiente, in cui
questi crebbe e si formò. Lo studio del M. si legge col massimo interesse,
perchè nel trattare una questione molto importante ha il doppio merito d'es-
ser ben pensato e ben scritto.
.'. Il prof. D. Garoglio ha raccolto insieme alcuni suoi Saggi di critica
contemporanea intitolandoli Versi d'amore e prose di Romanzi (Livorno,
Giusti, di pagg. XV-345 in 16."), preludio ad altri volumi, che verranno dipoi
con altra intitolazione: Per l'arte e per la vita — Risalendo la correUte —
Attraverso le frontiere, ognun dei quali lascia dal titolo intravedere ciò che in
essi sarà contenuto. Questo intanto contiene studj su autori viventi : Viva n te.
Stecchetti, Pascoli, D'Annunzio, Gena, Coli, Rossi, Orvieto, Mastri, Fogazzaro,
Neera, De Amicis, Gorradini, Agostini. I diversi studj sono tolti da giornali
e riviste, ma ci ricompaiono innanzi arricchiti quasi ognuno di note finali,
alle quali in fondo al volume altre se ne aggiungono d'indole biografica e
bibliografica, non inutili anche nel momento presente, e che più utili ancora
saranno coli' andar del tempo per le notizie che contengono. E il tempo
modificherà certamente alcuni giudizj dell'autore, che inevitabilmente risen-
tono qualche cosa del gusto corrente e dei vincoli di scuoia e d'amicizia:
ma riconoscerà anche nel critico della produzione letteraria dello scorcio
del sec. XIX e dei primordj del XX, indipendenza di giudizio, buoni criterj
d'arte e lucidità di forma. Qualche volte dall'esame del libro o dell'opu-
scolo preso ad esaminare, l'A. si solleva a questioni generali di forma, e non
possiamo se non approvare, ad esempio, ciò ch'egli dice intorno al " verso
libero,, che "per evoluzione logica, a furia di essere libero e indipendente
da qualunque legge di rima, di metro e sopratutto di ritmo , finirà col
diventar prosa. Tutto ciò è esposto con molto buon senso non solo, ma con
vero senso d'arte: e ci piace darne lode all' A. Certe sfuriate e certi sar-
casmi contro altra forma di critica non ci sono sfuggiti, ma non vogliamo
fermarci a rilevarli. Infin dei conti, dedicare un accurato studio speciale a
quella meteora fugace che fu la Vivante, non differisce molto dal diseppel-
lire un poeta o prosatore di secondo o quart' ordine dei varj secoli della
nostra letteratura e farne oggetto di critica indagine. La differenza è sol-
tanto rispetto al tempo a cui appartengono gli scrittori che danno argomento
allo studio. La critica letteraria è poi cosa tutta moderna, né poteva farsi
nei secoli decorsi ciò che oggi si fa : ma ogni forma d' arte, buona o me-
diocre o cattiva, vecchia o recente, ha un valore storico che merita di esser
322 RASSEGNA BtBLlOÒtlAFIGA
coscienziosamente illustrato, per assegnargli il posto che nella serie delle prò*
duzioni letterarie gli conviene e gli spetta'
/. li Prof. V. A. Arullani al libro Pei regni dell'arte, del quale già par-
lammo (v. Rassegna, VII. 123) ne fa seguire un altro, aggiungendo all'antico
titolo: e della Critica (Torino, Roux e Viarengo, di pagg, 239 in 16.**), che ha
gli stessi pregj e difetti notati nell'antecedente: un certo garbo nell'esporre,
ma un che di generico e di superficiale nel trattare materie che richiede-
rebbero più ampio svolgimento. Cosi ad es. lo scritto su Le rime del Boc-
caccio accenna più che non provi, e meglio l'a. avrebbe dimostrato la sua
tesi, che ci par giusta, se di molti componimenti, i quali dovrebbero dimo-
strare la verità di quanto assevera, non si fosse limitato a citare i soli ca-
poversi. Anche ci piacerebbe che l'a. parlasse meno in persona propria; la
qual cosa potrebbe esser argomento di modestia nel giudicare, ma ha tutta
l'apparenza del contrario. Cosi ad es. in due pagg. - 167-68 - troviamo mia
simpatia - mio volume - studio mio - ammirazione mia ecc., che ad ogni
modo è forma che stucca. L'autore, che cominciò a farsi conoscere con un
saggio abbastanza notevole sulla lirica del settecento, anzi che sperdersi in
questi brevi saggi, dovrebbe raccoglier le sue forze su un argomento, che
meritasse studio largo e profondo. Egli sembra troppo compiacersi in questi
lavori di fiato corto; ma evidentemente può far più e meglio. Questi sono
frantumi: il dolore in Dante e nel Petrarca, non è, per esempio, tema da
restringersi in dodici paginelte. E i Pensieri d' arte e di letteratura, coi quali
si apre il volume, sono in realtà appunti fuggitivi, che lo scrittore fissa sulla
carta per ricordarsene al caso opportuno; ma cosi come ci vengono offerti,
non meritavano davvero di uscire dallo scrigno di chi li ha vergati.
.'. Non è mai troppo tardi l'annunziare un volume compilato dal prof.
A. Solerti di Autobiografie e Vite dei maggiori scrittori italiani fino al se-
colo XVIII narrate da contemporanei (Milano, Albrighi, Segati e comp., di
pagg. XIII-580, in 16.°). La biografia di Dante è la notizia tratta dalle Cro-
nache del Villani e la vita del Boccaccio; quella del Petrarca è la Lettera
ai posteri volgarizzata dal Fracassetti: e di ambedue si reca il parallelo di
Leonardo Bruni. Del Boccaccio si dà ciò che ne scrissero Filippo Villani
e il Betussi: di Leon Battista Alberti, la Biogr. e l'autobiografia: di Lorenzo
de' Medici, i Ricordi autobiografici e la vita del Valori : del Poliziano ciò che
scrisse - non è veramente, né l'altro che segue, un contemporaneo - il Serassi,
e del Machiavelli, il Baldelli: del Guicciardini, i Ricordi autobiografici, e del
Tasso, il compendio del Manso: del Paruta, il Soliloquio: del Ghiabrera, l'au-
tobiografia: del Marino, la vita del Baiacca: del Galileo, la vita del Viviani,
e del Muratori, la lettera in che parla di sé. Tale è questa raccolta, che non
è soltanto un buon libro di lettura scolastica, ma che torna utile ad ogni
studioso, specialmente per le illustrazioni che vi ha in nota apposto il com-
pilatore.
.". Che V Antologia della Poesia italiana 0. Targioni-Tozzetti abbia in-
contrato nelle scuole la meritata accoglienza, lo prova il fatto della nona
edizione, che ne esce ora alla luce (Livorno, Giusti, di pagg. XXVII-1063, in
16.»), la quale è stata curata dal prof. F. G. Pellegrini, che già parecchie
giunte ed emendazioni aveva fatte alla antecedente. Le maggiori modifica-
DELLA LETTERATURA ITALIANA 323
zioni sono alla lezione dei testi provenzali e dialettali del primo periodo
poetico. Con queste nuove cure il libro sempre più conferma la sua utilità
scolastica e il carattere di copiosa raccolta di monumenti poetici d'ogni se-
colo accuratamente illustrati.
.". Gol riaprirsi delle scuole, riapparisce per la quinta volta con emenda-
zioni e giunte la Storia della letteratura italiana compendiala ad uso delle
Scuole da G. A. Venturi (Firenze, Sansoni, di pagg. 275 in 16." picc), della
quale la prima stampa è del 1892. La fortuna avuta dal libro ne attesta il
merito e V opportunità all' insegnameuto secondario. Succinto senza esser
scarso, questo compendio del Venturi, come quello del nostro Flamini, è buona
guida ai giovani scolari. La presente ristampa si avvantaggia sulle anteriori
per molte emendazioni e giunte, specialmente nell'ultimo capitolo, che è
slato diviso in due e largamente accresciuto.
.'. Goi tipi del Barbèra è uscito un volume ottimamente stampalo (di
pagg. L-1016 in 16.°) intitolato Gemme della Letteratura italiana. Modelli di
Prosa e Poesia con Notizie biografiche, giudizj critici, argomenti delle opere
principali antiche e moderne, per uso delle scuole e delle colte persone spe-
cialmente d' Inghilterra e degli Stati Uniti di America raccolte da J. Foote
BiNGHAH, dottore in lettere e teologia. Il lungo titolo dice abbastanza il con-
tenuto del libro, al quale va innanzi un breve discorso Al lettore, in che si
dichiarano gli intenti e i metodi di questa compilazione, e la ragione del-
l'aver in esso adoperato la lingua italiana, anziché l'inglese: questa è, l'esser
fatto il libro " per gli studiosi che già possano almeno leggere l'italiano con
' una certa facilità ,, e non dubitiamo che esso non sia utile per la bontà
e copia della scelta. Gli esempj, corredati di ragguagli biografici e bibliogra-
fici, sono distinti in periodi: l." delle origini, 2." periodo toscano, 3." dello
scadimento della lingua italiana, 4.° del Rinascimento, 5." della decadenza
dello siile, 6." dell'era arcadica, 7.° del Rinnovamento, 8." del Risorgimento
nazionale, 9." della Nuova Italia. Un Indice, cosi detto rettorico, periodo per
periodo raccoglie gli scrittori secondo i generi da essi principalmente trat-
tati. Vi hanno alcune appendici: la prima delle quali tratta delle pili importanti
Accademie italiane; la seconda, degli Argomenti delle opere pili notevoli da
Dante al Prati ; la terza, dei varj stili. La raccolta delle " Gemme , è ab-
bondantissima, e per questa il compilatore si è giovato de' suoi predecessori
italiani, e come riconosce, del Manuale D' Ancona -Dacci in modo speciale.
Noi auguriamo al Bingham che il suo lavoro * che non pretende ad origi-
" nalità, ma è fruito di grande amore e di lunga pazienza „, raggiunga il fine
propostosi, e che quest'opera valga a spandere maggiormente in Inghilterra
e in America la conoscenza della nostra letteratura nei suoi pili cospicui
esempj di concetto e di espressione. Ove ciò avvenga, in una ristampa del-
l'opera potranno togliersi alcune mende: ad apertura del libro ne notiamo
una. Il frammento d'Idillio dato a pag. 533 come del Parini non è auten-
tico. Fu stampato nel Cimento come del Parini, ma ormai tutti sanno, anche
quelli che già caddero nell'inganno, che autore di esso è l'ab. Giuseppe
Brambilla.
.'. Sono usciti a luce dalla casa editrice Barbèra i voi. 2.» e 3.° del Mar
nuale di Letterat. Italiana dei professori A. D'Ancona e 0. Bacci, intera-
/
324 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
mente rifatto, e coi quali 1' opera è compiuta, essendosi già anteriormente
pubblicati il 1.°, 4." e il 5.» Il secondo è di pagg. 713 - e nella edizione ante-
riore ne contava 621 -; il terzo, di 671 - corrispondenti alle 664 dell'antecedente.
Nel secondo voi. si aggiungono fra gli autori, de' quali si recano esempj, Gen-
nino Genuini, Lorenzo Ghiberti, Giusto de'Gonti, Leonardo Giustiniani, Bonac-
corso da Montemagno, e si dà un nuovo brano del Castiglione e di Bernardo
Tasso: nel terzo si aggiungono il Goppelta, Fr. Bracciolini e G. B. Vico e si
danno nuovi brani del Vasari, del Borghini, della Stampa, del Rinuccini, del
Segneri, del Marchetti. I ritratti sono, nel 2." voi., di L. B. Alberti, del Pulci,
del Bojardo, di Lorenzo de' Medici, del Savonarola, di Leonardo da Vinci, del
Poliziano, del Sannazzaro, del Machiavelli, del Bembo; dell'Ariosto, di Miche-
langelo, del Castiglione, del Guicciardini, di Vittoria Colonna, del Firenzuola,
dell'Alamanni, del Berni, del Cellini, del Della Gasa, del Segni e del Caro.
Nel terzo, del Vasari, del Davanzali, del Guarini, del Paruta, del Tasso, del
Chiabrera, del Sarpi, del Galilei, del Tassoni, del Marino, del Testi, del Mon-
tecuccoli, di S. Rosa, del Redi, del Magalotti, del Filicaia, del Vico. Ogni ar-
ticolo di questa nuova edizione è stato accuratamente riveduto, e la Biblio-
grafìa dei singoli scrittori condotta fino alle ultime pubblicazioni. Fra breve,
a compimento dell'opera, uscirà l'Indice generale dei 5 voli, e un Supple-
mento, nome per nome, alla biografia degli scrittori.
.•. Il nuovo voi. testé edito daW Istituto Storico Italiano: I Diplomi di
Berengario I (Roma, tip. Forzani, di pag. XVI-517 in 18.») a cura di L. Schia-
PABELLi inizia la serie di Carte, Bolle e Diplomi, che pubblicherà l'Istituto
stesso. Esso ne comprende centocinquanta fra veri e falsi, piti l'indicazione
di diplomi perduti. L'edizione è scrupolosamente condotta sugli originali o
su copie antiche, e seguendo le norme della scienza odierna. Cinque Indici for-
marlo utile corredo al testo: cioè dei destinatarj dei diplomi, dei nomi proprj,
di cose notevoli, di vocaboli non registrati nei Lessici, e degli scrittori citati
nelle fonti edite: cui seguono Giunte e correzioni. Questa pubblicazione ci
sembra di grande importanza storica, e auguriamo che ad essa, secondo il
primitivo concetto, tengan dietro i diplomi degli altri re d'Italia fino ad Ar-
duino d'Ivrea.
.'. Il V." Bullettino della Società filologica Romana contiene oltre i Verbali
delle adunanze, una nota di P. Raj.va su Gaston Paris e la Société des an-
eiens texteà frangais, altra di F. Egidi su un Documento in volgare marchi-
giano del sec. XIV, altre ancora di A. Parisotti intorno alla leggenda di
S. Giorgio, di V. Federici su g'i Affreschi nel territorio di Alatri, di F. Her-
MANiN su una stampa inedita di G. M. Pomedello, e infine alcune Notizie.
.'. La Società filologica Romana imprende a liberi intervalli la pubblica-
zione di Studi romanzi, che, sotto la direzione del prof. E. Monaci, continue-
ranno gli Studi di filologìa romanza, dei quali abbiamo annunziato la cessa-
zione. Ne è uscito un primo fascicolo, nel quale sono inseriti i seguenti scritti:
G. Bertoni, Le postille del Bembo sul cod. Provenzale X" (prova Che le note del
cod. parigino, non sono, come alcuno credette, del Petrarca, ma del Bembo.
S. Pieri, Appunti etimologici. A. Parducci, La leggenda della nascita e della
gioventti di Costantino Magno in una nuova redazione (Approvando la mas-
sima parte delle congetture del prof. A. Coen su questa curiosa leggenda,
DELLA LETTERATURA ITALIANA 325
la cui ulterìor forma, cambiato il protagonista, sono V Urbano attribuito al Boc-
caccio e il Libro imperiale del Bonsignori, sostiene con buoni argomenti
che, non solo la leggenda sia nata in Italia, ma precisamente nella Venezia,
e fattura di un qualche uomo di chiesa, recando per ultimo di essa un testo
latino). P. ToLDO, Sulla fortuna dell' Ariosto in Francia (Specialmente ri-
guarda le relazioni del Voltaire coli' autore dell'Orlando; ed è capitolo di
più ampio lavoro, che sarà certamente interessante). V. Crkscini, Ancora della
voce Garda. Notizie.
.'. Dobbiamo al prof. D. Zanichelli la pubblicazione di quindici Lettere
di M. Minghetti a L. Galeotli (Bologna, Zanichelli, di pagg. 73 in 16.») tratte
dagli autografi, che nel carteggio di quest'ultimo si conservano presso la Rie-
cardiana di Firenze. Vanno dal '47 al '68, e nell'intimità dell'amicizia, con-,
tengono assennate considerazioni sui casi via via occorrenti, e per ciò sono
importanti per la storia. E in servizio di questa, l'editore, cosi dotto nella
conoscenza dei fatti del nostro risorgimento, le ha diligentemente annotate.
.*. Il prof. D. Zanichelli ha pubblicato per nozze un bel gruzzolo di
Lettere di Bettino Ricasoli a G. Campani (Siena, Lazzeri, di pagg. 32 in 16.**),
le quali ci mostrano il severo dittatore della Toscana sotto un nuovo aspetto,
non però disforme dal tipo che se ne ha comunemente: cioè come studioso
e sollecito d'ogni miglioramento agrario, ch'egli proseguiva non soltanto
come possessore di fondi, ma pel benessere dei suoi coloni e a vantaggio
del risorgimento economico del paese. Il suo corrispondente era lo scienziato
Campani professore di chimica nell'Università di Siena, ai consigli del quale
molto ei deferiva e che desiderava compagno e confortatore in ogni nuova
impresa, in ogni pratico tentativo, persuaso com'era che * i popoli più ricchi
" e più illustri sono quelli che promuovono le scienze e ne applicano i pro-
" Dunziati ,. Queste Lettere si leggono volentieri, anche da chi non abbia
competenza nell' argomento speciale che trattano, tanto è in esse spontanea
e profonda l'impronta dell'animo del fiero barone.
.*. Per le nozze Pellegrini-Buzzi il prof. G. Gimegotto raccoglie e pubblica
alcuni documenti di quel Cesare Rossarol, che Guglielmo Pepe sopranomò
r Argante della Laguna, e che per Venezia morì nella memoranda difesa
del 1849. Sono lettere, che giovano alla biografia del valoroso soldato e alla
storia dell'assedio; e vi è anche una specie di Paternoster, in forma di liberi
versi, in ch'egli, religioso profondamente, s'indirizzava a Dio con fervore di
credente e d' italiano. Ninno si fermerà alle imperfezioni di forma, e mesta-
mente ammirerà la fiamma di carità patria, che splende in cotesta preghiera,
ringraziando chi ce l'ha fatta conoscere.
.'. Dalla ditta L. F. Gogliati di Milano riceviamo alcune recenti pubbli-
cazioni, che, sebbene non rientrino precisamente nel quadro dei nostri studj,
meritano esser brevemente accennate, anche perché non prive di pregio let-
terario. La prima è quella di mons. G. Bonomelli Dal piccolo S. Bernardo al
Brennero (un voi. di pagg. XVI-501 in 16." con illustrazioni), che fa seguito
ad altri viaggi del pio scrittore. La costante preoccupazione di lui è il fer-
vore della fede e lo studio delle presenti controversie sociali, rispetto ail«
quali cose ognun conosce i concetti e gli affetti, che distinguono l'A. nell'alto
clero italiano; ma non è meno viva e copiosa in queste pagine la desciM-
326 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
zione dei luoghi visitati, e dall'A. descritti per modo, da renderne gradita la
lettura. — L'altro è un voi. della signora Gemma Giovannini, Le donne di Casa
Savoia (un voi. pagg. XII-452, con ritratti), che è ormai giunto alla seconda
edizione: piacevol rivista di biografia e di storia, che accompagna dall' XI
al XX secolo, le vicende di una famiglia principesca, da Umberto Bianca-
mano a Vittorio Emanuele 3.", e in esse quelle d'un retaggio, sempre più
ampliato fino alla formazione del regno d' Italia. Dei principi Sabaudi è ge-
neralmente nota la vita, non sempre quella delle donne, figlie o sorelle,
madri o spose: e questa appunto l'autrice ha voluto investigare non senza
studio e fatica, e ritrarre in tante monografie, che insieme formano un com-
plesso storico. In forma facile e piana, abbiamo qui un libro di storia, at-
traente per la successione di tante immagini femminili, e utile per la copia
e varietà di notizie, che riguardano non soltanto l' Italia, ma anche bene
spesso paesi stranieri. — Il terzo libro, di cui ci piace far menzione, è di
P. Stoppani, Come d'autunno . . . (un voi. di pagg. X-294 in 16.** con illustraz.).
È una raccolta di scritti varj, notevoli lutti per bontà di concetto e di forma.
Chi scrive è un ecclesiastico: ma che all'amore per la religione congiunge
saldamente quello dellla patria. Hanno special riguardo ai nostri studj gli
scritti intitolati Una visita allo Spielberg (p. 67), che rievoca memorie dei
prigionieri italiani del '21 : la prigione di Silvio Pellico, nelle Casematte, prive
d' aria e di luce, è " orrida ,; ma i tempi sono mutati, e vi è un ritratto del
poeta, che col suo libro, contribuì anch' egli a trasformar l'impero da asso-
luto a costituzionale; la Casetta di Lucia (p. 77): quella che la tradizione
addita, ma che non può esser dimora vera di persona non esistila, bensì
possibile scena prescelta dal creatore del personaggio nel suo romanzo, è
ora V Osteria dei Promessi Sposi in Acquate; il Mistero di Oherammergau,
(p. 181) descrizione di quel rottame d' antichità, come avrebbe detto il Vico,
che è la rappresentazione della Passione nell' ormai celebre villaggio bava-
rese; e per ultimo: Galileo e la moderna quistione biblica (p. 219), che cosi
conclude: "Il progredire della coltura diede sempre più ragione al Galilei,
non solamente sul terreno della scienza positiva, nella quale si era annun-
ziato come un grande apostolo, ma anche nelle discipline bibliche moderne,
delle quali egli si può ben considerare come un illuminato precursore ,. La
lettura del libro è resa più gradevole delle molle e belle illustrazioni, che
lo adornano.
.•. Un buon prontuario di notizie è quello che ci offre il sig. A, Ferrari
col libro testé uscito a luce: / sommi Pontefici da S. Pietro a Pio X: Cro-
nologia e note storiche (Milano, Cogliati, di pagg. 151 in 18.">). Questo della
cronologia pontificia è lavoro intricalo per le controversie, specialmente sui
primi pontefici, che tutti gli studiosi conoscono; ma ad ogni modo, l'a. non
ha mancato di usare ogni diligenza, e dovrà essergliene grato ognuno che
ricorrererà al suo libro. A dimostrare come esso sia utile giova riferirne
-la distribuzione, che è la seguente: Sommi pontefici in ordine cronologico
secondo l'assunzione al pontificalo — in ordine alfabetico secondo i loro
nomi, di battesimo o assunto — in ordine alfabetico, secortdo la naziona-
lità — in ordine alfabetico secondo i cognomi — in ordine cronologico
secondo la durala del pontificalo — Indice quantitativo dei Sommi Pod-
DRI.T-A LRTTKRATURA ITALIANA 327
lefici omonimi — Elenco dei 2G4 Sommi Pontefici e dei 39 Antipapi, per
secoli — Sommi Pontefici ricordati neWa. Divina Commedia — E finalmente:
Cronologia storica dei Sommi Pontefici. — Cosi si può dire che il libro ri-
sponda ad ogni possibil forma di quesito e di ricerca.
.•. Il Congresso bibliografico tenutosi in Firenze nello scorso ottobre ha
dato occasione a parecchie pubblicazioni, e noi ricorderemo quelle che ci
sono venute alle mani. — Il comm. P. Barbèra a nome della sua casa edi-
trice ha offerto un Saggio del catalogo ragionato (in corso di stampa) delle
edizioni barbèriane (di pagg. 16 in 4."). L' intero lavoro, che registra ed il-
lustra le pubblicazioni fatte dal 1854 in poi pel. corso di 25 anni dal fon-
datore della ditta editrice, sarà pubblicato al 1. ottobre 1904 compiendosi il
mezzo secolo della vita di quella. Ogni articolo è illustrato bibliograficamente,
e ai nomi degli autori si aggiungono opportune notizie biografiche. V è
qui qualche piccolo errore da correggere: cosi ad es. il Fraticelli non fu au-
tore di due tragedie, una sul Duca d^ Atene, l'altra intitolala Gualtiero, ma
di una sola: Gualtieri duca d'Alene — . Il comm. D. Chilovi dà ragguagli su
L'Archivio storico della letteratura italiana e la Biblioteca Centrale di Firenze
(Firenze, Bemporad, di pagg. 128 in 16.°) L'Archivio storico della letteratura
italiana è una creazione geniale dell' operoso bibliotecario, che qui ne di-
chiara il disegno e la distribuzione, e ne dice la presente condizione, spe-
cialmente per la serie dei Carteggi, che forma un insieme di 400m. lettere.
Cosi sappiamo che di esso fan parte il carteggio del Vieusseux, composto di
20 mila lettere, quello di Felice Le Mounier, di 8 mila, del Protonotari di-
rettore deìV Antologia, di più di 8 m. — I signori G. Fumagalli e A. Bkrta-
RELLi hanno dato fuori un saggio (Milano, Allegretti, di pagg. 12 in 16.°) della
Guida delle Biblioteche e delle raccolte bibliografiche private. Auguriamo il
proseguimento di questa compilazione, e non ci dorremmo se le notizie fos-
sero meno concise — . Il prof. A. Linaker ha dato Notizie storiche sulla bi-
blioteca Moreniana (Firenze, Galletti e Cocci, di pagg. 19) ragguagliando di
quell'insigne collezione di libri e manoscritti di storia fiorentina, posseduta
dalla Provincia di Firenze, e formatasi via via colle raccolte Moreni, Bigazzi,
Frullani, Palagi, Pecci ed altri. Di essa sarà utile che si pubblichi il catalogo, e
che finalmente sia anche resa di pubblico uso, a vantaggio degli studiosi e
della stòria. — Il bemerito proposto di S. Gemignano, dott. U. Nomi-Pesciolini
ha dato in omaggio al Congresso, un opuscolo (Firenze, tip. Domenicana, di
pagg, 10 in 16.°) contenente una lettera di M. Amari a F. Zambrini, e un
Ricordo Alfieriano, che dà notizia àe\\9»Merope del Maffei postillata dal tra-
gico astigiano. — Lo scritto del dott. M, Scavia, Le carte dello Stato e il loro
assaggio: (Torino, Roux e Viarengo, di pagg. 21 in 16.°) tocca una grave que-
stione, quella cioè della qualità della carta, e propone i mezzi per fabbri-
carla tale da non dover temere l'inevitabile deteriorazione e distruzione della
medesima. — A. D'Ancona e G. Fumagalli hanno presentato la loro Relazione
(estr. dalla Rivista delle Biblioteche ecc. di pagg. 15 in 16.°) sulla Proposta
di una Biobibliografia italiana. I criterj alla quale s'informa furono accolti dal
Congresso storico internazionale di Roma, e son stati confermati nel Congresso
bibliografico di Firenze. — Il sig. S. Ricci ha presentato una Comunicazione
sulla necessità di una bibliografia sistematica italiana per tutte le discipline
328 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
archeologiche (Prato, Giachetti, di pagg. 9), della quale il solo titolo dimostra
l'importanza. — Contemporanea al Congresso essendo una esposizione di
cimelj tipografici, B. Podestà ha compilato una Guida alla mostra dell' arte
tipografica in Firenze (Prato, Giachetti, di pagg. 88 in 16.°), che illustra al-
cune pubblicazioni fiorentine del Cenniui, del Loslein, di Ripoli, di Lorenzo
veneziano, di Niccolò della Magna, del Miscomini, di Dino di Jacopo, del Bo-
naccorsi, del Giunta, del Torrentino ecc., pili alcuni saggi della biografia orien-
tale medicea, e di libri di musica. — Una bella e ricca pubblicazione è final-
mente quella del dolt. A. Bertarelli, Iconografia napoleonica del 1796-99,
che registra i ritratti di Bonaparte incisi in Italia e all'Estero da originali
italiani, ed è illustrata da cinque tavole in rame (Milano, Allegretti, di pagg.
70 in 4.°). Trattando ampiamente il tema, non si notano qui soltanto veri
e proprj ritratti di Napoleone, ma figure e composizioni ov'egli rappresentato,
e anche caricature: il lutto con opportune illustrazioni storiche e artistiche.
Abbiamo intanto in queste immagini del generale e del primo console una fiso-
nomia ben lontana da quella della ' convenzionale maschera cesarea „, che
prevalse dappoi.
.'.. Il sig. T. Canizzaro ha creduto dover replicare al cenno che facemmo
qui addietro (pag. 124) del suo scritto sulla canzone di Lisabetta da Mes-
sina. Egli si rivolse a noi per l'inserzione della sua risposta; ma non
contenendo questa rettificazioni di fatto, beasi discussione di opinioni, non
abbiamo creduto doverla accogliere, indipendentemente dalla sua lunghezza:
ed egli r ha posta a stampa, intitolandola Lettera al prof. A. D'Ancona del-
l' Università di Pisa (Messina, tip. Tribunali, di pagg. 32 in 16.°). La tiratura
dell'opuscolo a 225 esemplari ci assicura che esso avrà avuto larga diffu-
sione. Noi non crediamo di dover ritornare sull' argomento, ma nulla riti-
riamo di quanto abbiamo detto. C è una differenza sostanziale fra noi e il
dotto letterato e poeta messinese su troppi punti di storia, di critica, di me-
todo. Che sia difficile l'intendersi con lui, potrà porger prova sufficiente quello
che leggiamo a pag. 6. Avevamo scritto, per atto di cortesia, che ci doleva
di non poter esser d'accordo colVautore dell' opuscolo : era una forma garbata:
ma il sig. C. replica cosi: " Come se il primo dovere e lo scopo precipuo di
ciascun autore dovesse esser quello di uniformarsi preventivamente alle opi-
nioni dei possibili critici suoi ! , Fraintendendo le cose a questo mo'do, è fa-
cile aver ragione! Una cosa sola osserveremo: che stampando lettere con-
fidenziali d'altri — il C, ne stampa due del D'Ancona — se non si crede
di doverne chiedere licenza, si deve almeno cercare di riprodurle esatta-
mente. Scommettiamo che là dove il C. trascrive: ''la sua non è rettifica-
zione di fatti, ma è didattica, di opinioni ecc. „, si doveva leggere: " ma è
dibattito di opinioni ecc. „.
A. D' AmCura direttore ren/iousiihile.
PU», Tipografia F. Mariotti, 1903.
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