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LE MOMITE DELL'ITALIA ANTICA
EACCOITA «ENEEAII
DEL
R Raffaele Garrucci
D. 0. D. e.
PARTE PEIMA
MONETE FUSE
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ROMA
COI TIPI DEL CAV. V. SALVIUCCI
1885
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AI LETTORI
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ja raccolta generale delle monete, che l'Italia antica fuse e coniò nelle sue zecche è lo
scopo di questa mia opera. Io la imprendo dalla origine quando le città e le repubbliche
erano indipendenti e la conduco fino a che Roma impadronitasi degli stati d'Italia e sottopo-
stili alla sua dominazione o all'alto dominio ne regolava le sorti. Concessa poi la piena cittadi-
nanza a quei popoli insorti, che la domandavano, il dritto di batter moneta con la libertà si estinse.
Un'opera simile che contenesse tutte le monete disegnate o descritte fu già intrapresa
all'esordio di codesto secolo dal Carelli, ma non condotta a fine: le duecento sue tavole con
l'aggiunta di altre due videro la luce così imperfette come le aveva lasciate al 1831.
La descrizione di cotesta tavola fu affidata ai Cavedoni, che profittò delle scoperte e degli
studii posteriori al Carelli per emendarle e renderle utili per quanto poteva agli studiosi. Stimò
anche opportuno pubblicare di nuovo in secondo luogo la descrizione che il Carelli aveva fatta
della sua privata collezione messa a stampa, e vi aggiunse le emendazioni fattevi dall'Avellino.
Ma il Carelli aveva riprodotte le stampe dell' Arigoni e del card. De Zelada e di altri edi-
tori di moneta fusa; i PP. Marchi e Tessieri avevano messo un ordine nuovo e una novella
distribuzione all'oes grave, e pubblicato il frutto dei loro lavori nel 1839 : il Kircheriano ed
altri musei avevano accresciuto di molto il numero dei bronzi inedili nelle raccolte loro, e
tutto ciò bisognava che venisse a compire l'impresa del Carelli, conducendola fino ai giorni
nostri, dando luogo a quanto si era scritto e divulgato dai numismatici. Era d'uopo che final-
mente prendessero posto le monete di aes rude, con le questioni che avevano destato e il gua-
dagno per la storia che se ne poteva cavare.
Le settanta tavole di questa mia raccolta comprenderanno quante monete fuse conosco, di-
segnandole di nuovo quasi tutte dagli originali o almeno dai gessi e dalle galvanoplastiche, e
togliendo di mezzo i bronzi falsi, alcuni dei quali si credono tuttavia autentici. Per fare ciò
si richiedeva tempo e però passarono sette lustri in circa. Le monete fuse, di questa
prima parte, poiché nella seconda parte che ora si stampa sono raccolte le monete coniate,
sono state da me divise in tre classi : nella prima pongo l'aes rude, nella seconda l'aes signa-
tum, nella terza l'aes grave.
Intendo ringraziare tutti coloro, che mi hanno aiutato, i nomi dei quali non lascerò di
riferire a suo luogo. Lontano come sono per professione e per indole dai complimenti con-
fesso che questo mio lavoro ha bisogno di molto per appagare tutte le brame e di tutti ;
a me basti di aver cominciato quando potevo aver l'agio di far disegnare e l'opportunità di
scrivere e di andar perfezionando l'ardua impresa.
Ora farò qui seguire un breve indice dei luoghi, donde generalmente si sono avuti i
bronzi qui disegnati e descritti.
INDICAZIONE DELLE CITTÀ E DEI LUOaHI
DOVE SI SA CHE I BRONZI DESCRITTI NELLE LXX TAVOLE SONO STATI TROVATI
E DELLE EACCOLTE PUBBLICHE E PRIVATE OVE SI CONSERVANO E IN MANCANZA DA CHI PUBBLICATI
Albano, Àlbanum, Yi, 8.
Ancarano, v. Norcia.
Ardea, LSVII, 2.
Ariccia, Arida, 1, 1; X,2;XII, 2; XIII, 2; XIV, 1.
Aiigoni, XL, 11-13; XLIV, 11; LXVI, 16-19.
-iscoli di Puglia, Ascidum Aptdum, LXV, 1-5.
Atri, Hatria, asse LX, 6; serie; LXI, 1-4; LXil, 1-4.
Belona, Vulsiniensis aga; LXVII, 3.
Carelli, XXI, 3; XL, 10; LIV, 6.
Castellani, t. Cortona.
Cerveteri, Caerae, I, 2; II, 1.2; III, 1-5; IV, 1;
V, 2-6; IX, 2,3; XXII, 2.
Cesena, Caesena, LXVIII, 1.
Comete, Tarquinii, VI, 10; XXV, 4, 5; XXVI 2-6 ;
serie XLVI, 1-8; LXX, 1.
Cortona, coli. Castellani, LIV, 1.
Fabbro, Vuldniensis ager, IX, 1; X 2.
Fermo, Fìrmum, LX, 3-5.
Fiesole, Faesulamis ager, X, 3.
Genzano, Lanioinus ager, XV. 1.
Gobbio, Iguvium, tripondio LVI, 14: serie LVII,
1-7; LVni, 1-7.
Lazio, Latini, XXXVIII, 1 -7; XL; XLI, 5, 6; XLII,
3-7; XLIV, 1-10; XLV, 1-11.
Lucerà, Lvceria, LXIII 1-3; serio LXIV, 1-18.
Lucerà, Eoma-Lucera, XXXII, 2, 3, asse moderno
col gallo e l'epigrafe LXX, 3; col cavallo e
l'epigrafe LXIII,3; come imaginata dal Ric-
cio V. pag. 41.
Lunghezza, CoUatia, V, 1.
M in moneta ovale XXVII, 8, 9.
M in moneta rotonda. R. V\ tav. XLIV, 6, 7.
Marchi e Tessieri, LXVI, 15.
Marzabotto, Bononiensiì aga; VIII, 2.
Metaponto. Metapontwn, LXVI, 3-6.
Moneta ovale XXVII, 10-12.
Montefìascone, Vulsiniensis ager, VII, 1.
Museo di Bologna, LUI, 4.
» Britannico, X, 1 ; XI, 2; XII, 2 ; XIII, 1 ;
XVIII; XXIII; XXIV, 1; XLIV, 9.
» Kircheriano, XVI; XVII, 2; XXI, 1, 2;
XXIII: XXV, 1-3; XXVII, 1,2; XXIX, 6;
XLIV, 2-4. 6, 7, 0, 1 0 ; XLV, 1 , 3, 4, 5, 10, 11.
» di Cortona (Sellari), XXVH, 13.
» di Firenze, LIV, 7.
» di Parigi, XX, 1 ; XLV, 6; LV, 1.
» di Pesaro, XII, 1; XXXI, 3,.LIII, 5; LVI, 1.
» di Torino, XXVII, 3.
., » Vaticano, XIV, 2.
» di Vienna, XLIV, 5; XLV, 9.
Nicotera, campagna di, LXX, 2.
Norcia, Nursia, LXVII, 1.
Oirvieto, Vulsiniensis ager, LXIII, 3. v. Fabbro.
Ossi in Sardinia VI, li.
Palestrina, Praeneslinus ager, VI, 1, 3, 6, 7, 10, 14;
XLI, 1-4; XLII, 1, 2; XLIV, 1; LXIX. 1, 7.
Passeri, LVI, 1, 2.
Pesaro, Pisaurensis àger, XVII, 1; XXVII 1.
Pinder, XLV, 2, 7.
Ponte Landolfo , Benevenlanus ager , VI , 9 ;
LXVIII, 2. suppl. LXVII, 2; gruppo di aes
rude e cusum VI, 14.
Quingento, Parmensis ager, sign. VII, 2.
Rieti, Beate, XXXIII, 1.
Rimini, Ariminum, LIX, 1-6; LX, 1, 2; asse coi
tipi romani, XXVIII, 1.
Roma, aes signatum, LXVIII, 4; Romanus ager,
XXIV, 2; XXVIII, 2-4; Eoma-Lazio, XXIX,
1-8; XXX, 1; XXXI, 1-3; XXXII, 4, 5.
Roma-Luoera XXXII , 2, 3 ; Eoma-Velletri ,
XXXII, 1.
Romamm, XXIII; XXIV, e a pag. 40 (falso).
Sabatini ad lacum Sabate, XXXV, 1-7.
Sabina, Sabini, XXXVI, 1-6, XXXVII, 1 -7; XL, 8.
T. Nicotera.
Saura Faliscohtm (Monte Soratte), XXXIII 2, 3;
XXXIV 1-6; LXX, 2.
Seolca in Sardinia, VI, 12.
Sutri, Satrium, XXXIX, 1-3; XL, 1-7.
Tarquinii. v. Corneto.
Telamone, Telamon, XLVII, 1, oncia. Il bronzo
con l'epigrafe fl>|t, è impostura moderna :
se ne ha il disegno alla tavola 125.
Teramo, Interamna praetuU. Vili, 1.
Tivoli, Tibur, XLIIL 1-7.
Todi, Tudertinus ager, XXVII, 2-7; XXVIII, 1-
LUI, 2, 3 ; tutta la serie, LV, 1-8 ; LVI, 1-11.
Todi-Chiusi, VI, 3: Todi-Perugia, LIV, 1.
Toscana, Etruria, ruota-ancora M, LI, B ; ruota-
cratere, D, LI, 2; ruota-anfora, LI, 3; ruota-
ferro di bipenne, LII, 1; ruota-itero, Lll, 2;
ruota etrusca-item,LII, 3; A, V, ruota etru-
sca-item, LUI, 1; Vì,A,^, V, L, 1; fl^^, ),
anfora, LI, 1-3. Elruscorum, testa coperta di
pileo acuminato /( accetta, coltello, LIV, 1-6.
Velecha, LXVI, 7-14.
Velletri, Velilernus ager, XXXIII; LXIX, 2.
Velletri. v. Eoma-Velletri
Venosa, Veniisia, LXV, 6-12; LXVI, I, 2.
Vestini, Ves{tinorum}, LXII, 5-8.
Vetulonia, ruota-ancora, LUI, 4, 5.
Vicarello, Aquae ApoUinares, VI, 2, 4, 13, 15, 17,
19, 22; XIV, 3; XXVI, 1 ; XLV, 8.
Volterra, Volaterrae, XLVII, 2-4 ; XLVIII, 1-7 ;
XLIX, 1-7.
Vulci, Volcentanus ager, XI, 1 ; XV, 2.
DESCEIZIONE E DICHIARAZIONE DELLE TAVOLE
PARTE PRIMA
MONETE FUSE
AES EUDE
Non si è dubitato finora che in Eoma vi potessero essere
fin dai tempi di Romolo artefici clie lavoravano Toro e l'argento :
ma che questi formassero due corpi distinti lo apprendiamo da
un passo di Plinio , che a quanto so non si è finora considerato
da quel lato che poteva giovare alla discussione relativa alle
origini numismatiche. Il dotto antiquario romano dopo aver
riferito da un libro di Timeo , probabilmente da quello che
scrisse intorno alla medicina che si cava dai metalli, de metal-
lica medicina (index ad Plinii H. N. 1. XXXIII), che i Eomani
prima di Servio Tullio usavano Vaes rude nel cambio delle
merci, soggiunge (L. XXXIV, 1), che l'uso di questo aes si
dimostrava col fatto anteriore a Servio, perchè Numa alle due
corporazioni di artefici aggiunse una terza che fu dei fabbri di
rame. Sed et alia vetustas aequalem urbi auctoritatem eius
declarat, a rege Numa collegio tertio aerariorum fabrum in-
stituto.
In queste tre oiScine lavoravasi adunque dai tre collegi
in oro in argento e in rame a scopo monetario : ma non vi
s' imprimeva verun tipo sulle rozze masse : all' oro e all' ar-
gento 0 si dava prima o si diede poi una figura quadrata che
per analogia ai mattoni ebbe il nome di later come impariamo
da Varrone {de vita Populi Romani pr. Nonio 2, 481 ; 12, 9)
e da Plinio (H. N. XXXIII, 3, 17) : ma quanto al rame la nostra
esperienza ci ha dimostrato che gli si dava non solo una forma
di later, ma sì gli si facevano prendere ancora altre ed altre
forme, almeno fuori di Roma, come si dirà. Abbiamo ancora
appreso che Servio il quale segnò il primo con un' impronta
Vaes rude, onde gli fu dato il nome di signatum, non pose
cotesto segno sn d'altra forma che la quadrilatera : e cosi deve
intendersi Plinio ove scrive (H. N. XXXIII, 13) : Servius rex
primus signavit aes. rudi ante usos romanos Tirnaeus tradii.
Se in Asia prevalse l'oro e in Grecia l'argento, in Italia
fu data la preferenza al rame per la gran quantità che se ne
cavava dalle sue miniere, sicché poi si diveime sui primordi del
secolo quarto di Roma a fonderne di forma raramente ovale
comunemente rotonda dividendolo in pezzi coi propri tipi a
doppio rilievo e d' ordinario marcati con cifre numeriche che
ne indicassero il valore legale. Questo aes prese poi nome di
aes grave.
Di tutto ciò che ci avevano tramandato gli antichi noi
abbiamo acquistato esperienza pei depositi qua e là rinvenuti
specialmente nella media Italia. Questi depositi che volgarmente
si chiamano tesoretti contengono : 1° solo aes grave , come
quelli di monte Mario, di Comete, di Cere, di Amelia ; 2° ov-
vero r aes grave con aes rude ed aes signatum , come quello
scoperto a Vulci, dove l'aes grave era solo rappresentato da alcuni
pezzi, i pili sestanti, di forma ellittica; 3° ovvero solo aes rude ed
aes signatum, come quelli di Ariccia e di Cere ; 4° ovvero
Vaes rude e V aes signatum con pezzi di spade, punte di lancia
e frammenti di accetta, siccome quello scoperto presso di Ascoli
Piceno. Non v' è poi dubbio che le tre specie di aes avevano
egualmente corso non solo prima del 485 quando si stabilì che
l'asse fosse sestantario, ma anche di poi : ed io allegai già
in prova {Diss. arch. I, p. 154) un notevole luogo di Livio
(1, XXVI) dove si legge che i soldati di Annibale, visto spo-
gliato il tempio di Feronia dei doni d'oro e d'argento, tocchi
da religione gittarono nel recinto del tempio pezzi di aes rude,
dei quali un gran numero fu trovato dopo la loro partenza : aeris
rud,era iecerunt, quorum acervi post profectionera Annibalis
magni inventi. Erano adunque cotesti gli stipendi giornalieri,
neir epoca stessa in che si depose nel sepolcro accanto ad un
soldato quel gruppo di moneta rude e coniata che ho raccon-
tato a suo luogo (v. Dichiar. tav. VI, 14).
Or ci conviene notare alcune particolarità riguardanti la
forma di questo aes rude che generalmente si chiama pane
metallico. Il nome di pane veramente non conviene a tutte le
AES EUDE
forme, ma a quelle si può dare che sono larghe e rotonde quasi
pani. Ma ho io già avvertito nelle Dissertaùoni (loco citato) che
se ne fusero di varia grandezza fino alla mezza libbra, e ne
allegai gli esempì dalle scoperte di Vicarello e Prenestine: posso
ora aggiungere anche Belona dopo la publicazione di uno d'essi
bronzi fatta dal eh. P. De Feis (lav. LXVIII, 3), e sopratutto
quello di Tarquinia che do nella tavola LXVII, 1, dove è
singolare, che come quello di Belona, apparisce fuso a forma
chiusa , essendovi rimasta la verghetta metallica formatasi nel
getto del metallo all'apertura della staffa, qual si vede anche
in un sestante della sei'ie ovale recatomi dagli soavi di Anca-
rano e che ora è nella mia collezione. Ciò non di meno deve
tenersi come parto d'imaginazione ciò che scrisse già ilMommsen,
essersi fuso Vacs rude in forma di cubo fino al peso di una libbra,
dandosi poi a pesi maggiori la forma quadrilatera {H. de la m. 1,
p. 175 seg.). Perocché se fosse vero che nelle acque di Vicarello
non si sian trovati pezzi di aes eccedenti la libbra : pure se ne
erano trovati a Vulci di quei di due libbre. Ora poi più e pili
depositi sono venuti a dimostrare mal fondata questa teoria sopra
il pezzo supposto libbrale di Vicarello.
Nel bel mezzo dell'antica Cere che oggi si chiama Cer-
veteri il sig. Filippo Calabresi scavando un fosso a gran pro-
fondità s'imbattè in un bel deposito di aes rude e signatum
accennato di sopra. Brano ivi cento sessantasette pezzi di
varia grandezza che tutti insieme sommavano a centocinquanta
libbre di rame, per buona ventura salvate a tempo dalla fornace.
Saggiatone un pezzo apparve di puro rame senza mistura di
stagno come a Villanova, né di zinco come a Vicarello, ovvero
di piombo come a Marzabotto. Fra molti pezzi di piccola mole
ve ne erano dei grandi ohe richiamarono il mio studio, ma vi
trovai anche uno intero, quantunque però un po' difettoso da un
lato essendosi arrestato il metallo nella staffa. Ben però si
vedeva che tendeva ad una forma rotonda (vedasi la lav. Il e, b).
Questo mi servì di guida onde studiati anche gli altri frammenti
(tav. Ili, 1-5) ne deducessi che il metallo gettavasi in una sco-
della, a fondo leggermente concavo, ovvero in una larga staffa
in forma di cono rovescio e a fondo mobile. Ciò mi si fé' palese
vedendo come intorno al fondo di cotesti pani formavasi una
bava che prendeva la figura di una base (vedi la citata tav. III).
Ora il deposito di Bologna ci ha dato pani di conica forma
rovescia e a fondo convesso.
Karl sono i pani fusi in scodelle ovali : di questi ho due
esempi, 1' uno dal deposito di Ariccia, l'altro da quello di Cere
(tav. I, 1, 2). A Cere anche debbo l'unico frammento di un
pane in forma anulare (tav- IV, 2) largo tre centimetri e mezzo,
grosso cinque del peso di tre libbre e due once, il cui intero
doveva avere venti centimetri di diametro e pesare sedici libbre.
Il qual peso non parrà eccessivo sapendo che dal deposito di
Bologna, come mi scrive il eh. Brizio, se ne ebbe uno in forma
di cono rovescio del peso di sei kilogrammi e 200 grammi.
Nella tav. VI n. 11 do l'unico pezzo che si è conservato
di un gran numero d' aes rude rinvenuto in Ossi di Sardegna.
La forma ne è singolare perchè piano convessa, rotonda, e del
diametro di dodici centimetri del peso di gr. 1540. Dopo que-
sta scoperta divulgata dal eh. canonico Spano pare che siasi
cominciato a tener conto di simile aes rude, del quale si sono
raccolti e deposti nel Museo di Cagliari da varie parti dell' Isola
notabili pezzi che serbano in varie proporzioni la simile ro-
tonda forma piano convessa.
A Scolca nell'isola medesima fu trovato un deposito di bronzi,
che si vedono ridotti a metà della loro grandezza nella tavola dello
Spano (v. la nostra tav. VI n. 12): questi imitano la forma ret-
tangola dei quadrilateri. Con le forme rettangole vi erano miste
anche le tendenti a forma triangolare, ed é notevole, che essendo
i pezzi rotondi trovati in questa isola di rame puro, questi in-
vece sono di rame misto al zinco, ovvero alla cadmia.
Che Vaes rude abbia avuto la forma di verga quadrata
(tav. VI, 3-8) l'abbiamo imparato da alcune di cotesto verghe
rinvenute nel Lazio e in Btruria messe a confronto con altre
simili verghe, ma appartenenti alla classe AelVaes signatum
(tav. XXVII, 13). Queste portano in rilievo rami braceiati con
globetti ripetuti negli intervalli di un braccio all'altro.
Sui pezzi di aes rude si vedono talvolta delle contromarche
come sui quadrilateri e sull'aes grave etrusco. Grli esempi che
ne abbiamo sull'nas rude lasciano indecisa la questione, se
queste contromarche s'improntavano nelle zecche prima della
emissione, ovvero, se le repubbliche le imprimevano sui pezzi
che a tal fine avevano ritirato dal corso per poi rimetterle in uso-.
Per contromarca, intendesi un segno impresso sul metallo già
lavorato e freddo : tali sono i simboli e i nomi propri impressi
a modo di esempio sulle strigili. Di questa natura certamente
non sono, quantunque fatte al modo medesimo quei simboli im-
pressi in incavo sulle due facce di un pezzo di bronzo fuso trovato
nell'Orvietano ovvero di una piastrellina qual si é quella recataci
da Ancarano, alla quale ora si è aggiunto un nuovo esempio che
viene da Perugia. È a quanto pare, un aes signatum in incavo.
Coi segni o lettere impresse a modo di contromarca non si deb-
bono neanche confondere i segni o lettere graffite, un cui esempio
indicatomi già dal P. De Feis mi è stato di poi confermato
anche dal eh. Brizio, su di uno dei pezzi più piccoli del deposito di
Bologna pesante solo 260 grammi che porta nella faccia con-
vessa 0 sia inferiore la seguente sigla Kf-. E il Brizio soggiunge :
« che un grande numero di fibule e di paalstabs ohe erano in-
sieme con i detti pani di bronzo è insignito di sigle, le quali
non ha trascritte perchè non gli pare possano considerarsi come
contrassegni della legalità dell'ae.'; ».
Dissi già altra volta che molti pezzi nel deposito di Cere
si vedevano evidentemente spezzali e ciò contro taluni che non
se ne mostravano persuasi : e alla difficoltà che si opponeva di
rompere questi pani risposi sapersi dai fonditori di metalli che
il rame detto da essi acre cioè non battuto né temperato ma
fuso e freddo si rompe a colpi di martello e viepiù se è collo
stagno in lega. Osservai altresì che in alcuni pezzi sono rimasti
i segni dell'accetta o tagliuola adoperate a preparare il rame
alla rottura (tav. V, 6) : la quale osservazione ho poi veduta
essersi fatta anche dal eh. sig. conte Gozzadini. Notai inoltre
nel deposito di Cere un pane ridotto col martello a forma ret-
tangola (tav. V n. 5) e aggiunsi aversene un altro voluto ridurlo
a forma quadra ma lasciato a mezzo il lavoro imperfetto, ed ora
posso mostrare un nuovo esempio in un quadrilatero trovato di
T. I-V
ABS RUDE
vecente alle rive del Tevere (tav. LXVIII di Suppl. n. 4). Non
mi pare di omettere in questo luogo quel frammento che mi
è stato recato or ora con altri pezzi proveniente da un deposito
di Cesena, ove da un pane metallico in forma di scodella a
fondo leggermente convesso si è ricavato col martello una evi-
dentissima accetta (tav. LXVIII n. 1, a, b).
Al metallo greggio i latini diedero nome di raudus e
rudus, e in questo senso scrive Livio nel luogo sopracitato
:ieris rudero. Questo nome però si trova esteso anche ad oggetti
artefatti sani o rotti che siano, se si hanno in conto o si riducono
a semplice merce, non altro considerandone che il valore me-
tallico. In questo senso si legge nel Digesto {frag. 7, § 7, de
auro, arg. 34, 2), che, vas conflatum ad rudein massa m .. .
reverti potest.
Constando dalle prove allegate qual si fosse Vaes che chia-
mossi rude non deve aver luogo il quesito, se i depositi di
questo bronzo sono veramente tesoretti di moneta, ovvero depo-
siti di metallo destinato aUa fonderia.
È stato anche cercato se l' aes rude si ebbe un peso deter-
minato. A che rispondo non aversene esperienza, perchè raris-
simo è il caso di trovare dei pani metallici interi, e quando
anche si trovassero non si potrebbe argomentare dalla quasi
parità dei pesi l' intenzione di dar loro un valore determinato,
potendo ciò derivare dalla parità delle staffe. In generale è vero
che questa uguaglianza di staffe può aver giovato ad un ap-
prezzo quahmque che poi si sarà compiuto sulle bilance; così
può tenersi per verisimile che chi rompeva i pani e le armi tal-
volta il faceva serbando una certa imiformità : ma sarebbe
contro la esperienza e la natura delle cose il pretendere che
siasi fatto sempre a disegno. Le ragioni che si possono essere
avute per ridurre le armi ad rudem massam sono forse perchè
spoglie tolte al nemico in guerra, o perchè adoperandosi ornai le
armi di ferro per la scarsezza del bronzo, tornava conto ado-
perar questo al cambio delle merci. Comunque sia , strano
sarebbe opinare che all' aes rude si fosse mai data la forma di
spada, di accetta, o di lancia perchè nei depositi si trovano
queste armi intere o rotte insieme coli' aes rude.
Tav. L
1. a, b. Bronzo proveniente dalla valle dell'Aricela. Fu posseduto
dal barone P. E. Visconti dal quale seppi che i contadini
lo avevano rotto come ora si vede e lasciato perdere quel
piccolo frammento che ora gli manca. La sua apparizione
coincide coUa scoperta del deposito aricino, che sappiamo
non esser venuto tutto intero nel Kircheriano. Sarà dimque
da credersi uno dei pezzi componenti quel ripostiglio. E
faso in una staffa deUa singoiar forma ellittica a fondo con-
cavo di patera bassa in modo che la grossezza del bronzo
fusovi dentro supera i due centimetii. Il suo peso si ac-
costa alle 12 libbre antiche alle quali Varrone assegna 288
scrupoli pari a 312 grammi, posto lo scrupolo uguale a
gr. 1,12. L'oncia romana di oltre a gr. 27,00 differisce
di meno di un grammo dalla odierna oncia romana di
gr. 28,00. Però spesso mi son servito dell'uno e dell'altro
peso constando l'antica libbra di gr. 324 incirca e la
moderna di gr. 336.
2 fl, b. Aes oblongo scavato dentro avente di fuori la forma di
una navicella trovato nel deposito di Cere e venuto nella mia
collezione. Pesa grammi 536, pari ad una libbra e sette
once incù'ca. Chi ha piti volte vedute le lucerne di terracotta
fatte a mano che si ti-ovano insieme con le stoviglie fime-
bri in Eoma e nel pascolare di Castel Gandolfo non troverà
strano il confronto fra queste lucerne e il bronzo di Cere.
Tav. il
a, b. Aes intero come è venuto fuori dalla staffa trovato nel de-
posito di Cere ed ora nella mia collezione. È di forma rotonda
tendente alla ovale, ma difettosa dal lato sinistro a motivo
della fusione che come pare è stata impedita nella forma.
Il suo peso è di libbre 8 e 9 once e mezzo. È notevole
quella sgocciolatura di metallo per tutta quasi la superficie
piana: quanto alla parte convessa essa è tanto irregolare
da fare meritamente conchiudere che il metallo fu colato
in un fossetto di arena.
Tav. m.
1-5. Ho riunito qui questi cinque pezzi usciti dal deposito di
Cere, perchè ci danno un saggio dei pani metallici rotondi
divisi in quattro parti. Di più perchè vi si vede chiaramente
come il metallo si è aperta la via intorno intorno per un
fondo che doveva perciò essere mobile. Il primo pezzo pesa
due libbre e once due : il secondo due libbre once otto :
il terzo libbre quattro once otto e mezzo : il quarto libbre
quattro once tre : il quinto libbre quattro once otto e mezzo.
Tav. IV.
1. a, &, e. Strano bronzo tendente alla forma di cono rovescio pro-
dotto dal deposito di Cere. Chiaro appai-isce che le pareti
interne della forma pieghettavano e però hanno impressi
più angoli e cantoni ma non simmetrici fra loro. Il peso
è di libbre quattro e due once in circa. Fu spezzato in più
luoghi a colpo di martello del quale rimangono evidenti le
ammaccature. Le forme a cono rovescio hanno ora perfetti
modelli in alcuni bronzi del deposito di Bologna (Gozza-
dini. Noie sur uno cachette de fondeur, Toulouse 1877, ed.
sep. pag. 11).
2. a, b, e, d. Il deposito di Cere ci manda ancora questo bronzo
singolare, il quale a tutti i segni dimostra d'esser parte
d'un grosso anello. Esso prova che il metallo fu fatto scor-
rere nella forma circolare a più riprese. Il suo peso è di
ti-e libbre once due incirca.
Tav. V.
1. Questo bronzo e i seguenti sono stati raccolti in questa tavola
per dare una idea delle spezzature e dei tagli quando si
AES BUDE
T. VI
dichiararono da taluni a giudizio dei periti, impossibili, non
ostante le prove recate dal conte Gozzadini. Migliori esempì
ne sono venuti di poi alla luce fra i quali tiene un singoiar
posto quel bronzo di Cesena che rappresenta un' accetta
(tav. LXVIII 1, a b). Il diedi anche inciso dalla parte del
dritto e del riverso nel quaderno 720 pagg. 718, 718 della
Civ. Catt. Esso non viene da Cere, ma da Collatia oggi detta
Lunghezza, e fu trovato insieme con altri sette pezzi nel
mezzo di un sepolcro rotondo comune ad altrettanti defouti
divisi l'uno dall'altro da un mnricciuolo e collocati come
raggi intorno ad un centro. Il suo peso è di gr. 320. V'erano
insieme con questo aes rude vasellini e tazze di buon la-
voro : i vasellini a due manichi e striati in pasta di color
nero, le tazze in color di creta giallognola dipinte a cerchi
concenti'ici di color nero.
2, 3, a, b, e. Vengono ambedue da Cere. Il peso del primo è
di once nove e mezzo in circa, quello del secondo è di
circa sei once. Le linee del taglio sono ancor qui in am-
bedue evidenti, solo non si saprebbe dire se lo strumento
adoperato fosse piuttosto ima mannaia che una scure. Oo-
gidì nelle officine si adoperano tagliuoli coi quali s'intacca
il rame che poi si spezza a colpi di mazza e ciò si fa anche
a freddo. Nel n. 2 si vede la tagliatura sui tre lati e
sul piano appaiono i ripetuti colpi di mazza.
4. a, b, e. Ancor questo pezzo che è pure ceretano è rajjpre-
sentato da tre suoi lati. Pesa una libbra once otto e mezzo
in circa. Fu staccato da im pane della forma d' una patera
come appare dal fondo convesso e dalla figura rotonda in a.
Sono ancor qui patenti i colpi di mazza in e.
5. Ai due frammenti 2, 3 di forma triangolare piacemi aggiun-
gere questo che è stato ridotto a forma rettangola. Pro-
viene da Cere e pesa due libbre e once quattro. Ve n'è un
altro pezzo nella collezione la cui riduzione a forma qua-
drata non è stata compita se non da soli tre lati.
6. o, h. Bronzo ceretano espresso in a dalla faccia inferiore e
in b dal lato sinistro. V'è da notare in a un evidentissimo
taglio e in 6 la piccola massa cilindrica confusa col liquido
metallico e quegli sfiati prodotti dalla ineguaglianza di tem-
peratura. Pesa tre libbre ed once sette.
Tav. vi.
1. Dalle terre di Palestrina nella collezione del bar. Visconti.
Pesa quattro libbre once otto e mezzo. La sua grossezza
è rappresentata in b, il bronzo tende alla forma quadrata.
2. Dalle acque di Vicarello ora nel Kircheriano. Kappresenta il
più gran pezzo di aes rude tratto da quelle acque. Esso
servì di base al Mommsen per stabilire che V aes rude e
Vaes quadrilatero andavano del pari, in guisa che Vaes rude
fosse di pezzi inferiori alla libbra e al di sopra della libbra
i quadrilateri, ciò che ho dimostrato nel prolegomeno non
esser vero. Notisi inoltre che il peso di questo bronzo non
è come presunse il Mommsen di una libbra, ma sì di due
libbre e oltre ad un oncia, cioè di gr. 707,20. Trovasi pub-
blicato dal barone D'Ailly nelle Recherches tom. I, pi. 1, 1.
La sua forma è quasi quella di un cubo.
3, 4. n n. 3 rappresenta un pezzo di aes in forma di verga quadrata
colla sua base a destra e a sinistra. L'ho trovato in una
delle casse sepolcrali nella necropoli di Palestrina; ora è
deposto nel museo Vaticano. A questo pezzo fa buon con-
fronto quello del n. 4 cavato dalle acque di Vicarello e
ora nel Kircheriano. Si riscontrano assai bene anche per la
bava dai due lati.
5-8. Nette per contrario da ogni bava si mostrano le quattro
verghe quadrate che dò sotto questi numeri. Non sono tro-
vate tutte in un sito ma in diversi. Il n. 5 fu trovato dal
eh. Gamurrini fra Todi e Chiusi e fu dato alla luce nel
Periodico del march. Strozzi (an. IV, tav. 1, 2, 2, 6, p. 16):
il n. 6 l'ho raccolto io stesso nei miei scavi di Palestrina:
Il n. 7 fu recato da Albano al barone P. E. Visconti
il n. 8 l'ebbe il medesimo barone Visconti da Palestrina :
in esso sono evidenti i segni della tagliatura a destra. Per
questi pezzi e i due precedenti avrassi fondata e sicura
dimostrazione che in Toscana e nel Lazio fu in uso Vaes
rude in forma di verghe quadrate : piena conferma poi ce
ne daranno le simili verghe appartenenti all' aes signatum
che mostreremo nella tav. XXVII' n. 13, a, b.
9. Da Ponte Landolfo presso Benevento nella mia collezione.
Di questo bronzo del quale qui ho delineato la faccia piana
tratterò di nuovo nel Supplemento tav. LXVIII, 2, a, b, dove
darò anche la faccia inferiore che porta impressa la lettera ^,
di che non mi era avveduto prima. Pesa once quattro scarse.
10. Dalla necropoli di Tarquinia. Pezzo singolarissimo fuso fra
staffe chiuse, di che è argomento l'esuberante metallo del
canaletto d'infusione, quale si vede nell'aes signatum e nel-
Vaes grave e in special modo in un sestante della serie
ovale recatomi da Ancarano.
11. Scavandosi in Ossi di Sardegna nel 1851 fu rinvenuto, scrive
il ean. Spano {Bull. arch. sardo 1860 p. 34), sotto un tronco
di quercia un gran numero di questo aes rotondo e piano
convesso che fu distrutto e non se ne riserbò che questo
sol pezzo pel museo di Cagliari ove ora si trova deposto.
Pare che gli Ossensi con questi pezzi di analoga forma ro-
tonda imitassero le forme di aes grave che era allora in
uso in Italia. È ora saputo che in luoghi diversi dell'isola
si sono poi trovati simili pezzi rotondi ma di peso mag-
giore, sempre però di puro rame a differenza dei pezzi qua-
drati n. 62 che sono generalmente composti di rame e zinco
che diciamo ottone. Questo pezzo nel disegno dello Spano è
stato ridotto alla sua metà, come ora apprendo dal direttore
del museo di Cagliari. Pesa gr. 1540.
12. In Scolca della medesima isola di Sardegna fu scoperta, a
testimonianza dello Spano ( Bull. cit. p. 34 tav. E n. 1)
nel 1840 una pignatta piena di aes rettangolo o tendente
alla forma triangolare (vedi BìtW. arc/ì.. sardo tav. E n. 2-5).
Cotesto pezzo è ancor esso ridotto nelle tavole dello Spano,
essendo di cent. 6 per otto e mezzo di altezza: il suo
peso è di gr. 640. Gli fanno riscontro il bronzo di Pale-
strina del n. 16 di questa tavola, e il bronzo quadrato di
Ancarano che do nel supplemento (tav. LXVII, 1).
13. È venuto nel Kircheriano dalle acque di Vicarello. Non v'ha
dubbio che sia frammento di una lastra ovale o rotonda
T. VI
AES BUDE
come l'altro simile estratto dalle acque medesime clie do
nella tav. XXVI n. 1, colla sola differenza che questo è
rude l'altro è segnato di un tronco marchiato di un glo-
betto fra ciascuna coppia delle sue braccia.
14. Trovato da me in ima parte della necropoli prenestina de-
stinata alla sepoltura dei soldati. Accanto alla" testa dello
scheletro dal lato destro era questo gruppetto di metalli
congiunti dall' ossido di ferro. Vi si vedono due fram-
menti di aes rude, una monetina di bronzo napolitano col
mezzo bue androprosopo e la testa di Apollo al riverso
con parte della epigrafe. V'è insieme un anello di ferro, due
frammenti di bulle in rame e due tronche lamine dello stesso
metallo (vedi le mie Diss. archeol. voi. 1 p. 133 e la Civ.
Calt. quad. 790 p. 477).
15. Dalle acque di Vicarello. È un frammento di lastra che non
può dirsi se di forma ovale ovvero rotonda. Non ha verun
tipo ma è liscia e piana solo da una parte, dall' altra è
convessa.
16. Anche Palestrina come Ancarano, e ora Perugia, usò 1' aes
rude di forma quadrata.
17. Pezzo triangolare di Vicarello della qual forma ne furono
veduti più pezzi nel deposito di Scolca insieme colle forme
rettangole. Vedi avanti n. 12.
18. Dalle acque di Vicarello. Pezzo che simula la forma d'una
accetta.
19-22. Dalle acque medesime. Sono forme che si accostano alle
triangolari, rettangole, cubiche, miste. Non sono le più pic-
cole avendosene di quelle che pesano appena due grammi,
un cui esempio è nella mia collezione, e un altro si trova
nel D'Ailly {Recherches, tom. 1 pi. 1, 8).
AES SiaNATUM
Abbiamo appreso dall' esperienza che 1' aes rude si fuse
d'ordinario in istaffe aperte, e per contrario le staffe chiuse furono
adoperate comrmemente a fondere Vaes signatum. La forma vol-
gare di queste staffe o matrici fu quadrilatera. Da principio le
due matrici non si accostavano in guisa che combaciassero, ma
si lasciavano in qualche maggiore o minore distanza di modo
che il liquido metallo che fondevasi dal minor lato superiore
riempiva anche i margini delle staffe e questa esuberanza noi
sogliamo chiamar bava: si è anche da notare che le due staffe
non si vedono collocate parallele, ma più spesso da basso in alto
oblique, sicché il quadrilatero con la sua bava prende aspetto di
cogno. H peso del metallo non è determinato, ma nei più recenti
si accosta alle cinque libbre. I tipi di questa prima epoca sono
tronchi bracciati, ovvero ramoscelli di foglie acute in punta simili a
quella della Chamaerops humilis, e però alle frasche che i maestri
della palestra come quelli in musaico delle terme antoniniane por-
tano in mano per far scuola ai giovani palestriti. Oggi è invalso
l'uso di definire il tronco bracciate per ramo secco e la frasca
simile a quella deUa chamaerops humilis di chiamarla spina di
pesce. La maggior copia di codesti quadi-ilateri, dei quali non
si è iìnora trovato veruno intero, se ne sono avuti in qualche
numero dagli scavi delle terramare di Lombardia. Le campagne
di Vitorchiano verso Montefiascone ne hanno messi all' aperto
due notevolissimi esempì, e le terre di Ardea ne hanno mostrato
un terzo esempio per fabbrica e peso egualissimi ai lombardi.
Dopo questi rozzi ed assai arcaici saggi porremo quei frammenti
che sono di miglior arte e insieme di minor peso. Gli estremi
confini di loro scoperte sono stati finora Marzabotto nel Bolo-
gnese e Teramo negli Abruzzi, ai quali si è venuto di recente
ad unire il romano trovato sulle rive del Tevere che traversa
la città, nel quale egualmente che nel teramano cominciano a
variare i tipi per dar luogo ai delfini che vi si vedono effigiati
soli ovvero insieme con qualche strumento del quale rimane
l'asta e può credersi che sia rm tridente simbolo allusivo al
mare del pari che il delfino. Agli estremi confini di questa
seconda epoca o ai principi della terza si possono assegnare i
due quadi-ilateri che devono essere usciti dalle officine di Todi
e ci sono giunti interi. L'un d'essi ha per tipo la clava e al
riverso la frasca della chamerops humilis, l'altro figm-a un bue
e al riverso il tronco bracciate forse della verbena.
Alla terza epoca della miglior arte si deve il veder rego-
lata meglio la fusione, essa fa in prima sparire del tutto la bava
dai tre lati, e si studia che le due staffe combacino, onde non
avvenga ciò che non è sì raro a vedersi nei quadrilateri delle epo-
che anteriori, in diverso livello le impronte di un lato da quelle dal-
l'altro. È da stimarsi che il metallo vi si adoperasse quale si
cava dalle miniere, ovvero, siccome ne abbiamo esperienza nel-
Vaes rude, vi si mescolasse in poca quantità dove il piombo
dove il zinco e dove lo stagno. Della provenienza di questi qua-
drilateri non si è sempre tenuto conto. Nondimeno sembra che
non se ne debba di troppo allargare la regione segnataci da
Tarquinia, Bomarzo e Todi dal lato dell'Etruria e dell'Umbria
e da Velletri che sembra l'ultimo termine dell'altro.
1 tipi di questa età non sono ancora figure d'uomiui o di
Dei, ma segni e simboli presi dalla natura animale e dagli stru-
menti d'uso nella vita civile. È cosa notabile che nei quadri-
lateri di questa classe finora conosciuti non siasi veduto altro
che il bue quantunque il nome di pecunia dicasi provenuto
all' asse, perchè con esso pagavasi la somma delle multe in
buoi e pecore, multae dictione ovium et bowm (CAcr. de re pubi. II
e. 9) ; e neanche può dirsi che siasi avverato ciò che Plinio ha
scritto {L. XVIII, 3) essersi in principio segnata la moneta coi
tipi dei buoi e delle pecore, ovium boumque effigie e che da
questa nota pecudum fosse denominata, uìule et pecunia ap-
pellata (L. XXXII1,13).I quali due testi avendo citati il P. Eckhel
{D. 71. V. I, 11) meritamente soggiunge che gli si concederebbe
di non sottoscrivere a tale sentenza a cui non suffragano le mo-
nete. Non fu di fatti perciò che la moneta si disse pecunia ma,
perchè con essa pagavasi il valore dei buoi e delle pecore ; poi
anche se ne allargò il significato, sicché ogni provento della terra in
grano, in frutta, chiamossi pecunia, quia ex his rebus constai quam
nunc pecuniam dicimus. (Paul, in Post. p. 244). Ognun vede
che l'aquila ministra del fulmine e il pegaso sono simboli l'uno
di Giove tonante, l'altro del dio marino, dal quale secondo la
tradizione seguita da Cornuto il pegaso ebbe origine e nome: cIttò
zàv Ttfffàiv (òvonaa[iévog {De nat. deor. e. 22 p. 130 ed. Ossan.).
AES SIGNATUM
T. VII
A prospera impresa sembranmi alludano i polli augurali in atto
di beccare avidamente la polenta e di fare colle bricciole di
essa cadute sul terreno il trijmdiuin solistimum ; che poi queste
imprese siano di un' armata il dinotano quei due astri simboli
dei due gemelli protettori della navigazione, e al riverso quei
delfini che nuotano fra due rostri di nave. Cercandosi poi un
legame ohe insieme congiunga la scrofa e l'elefante africano si
troverà qualora si voglia por mente a ciò che si narra avve-
nuto nella giornata campale dei Komani contro Pirro sotto le
mura di Ascoli in Puglia : di che vedi il commentario alla de-
scrizione della tav. XXII n. 1. Che poi questi che chiamo rostri
non siano stati finora ben definiti per tridenti, lo dimostra la forma
troppo diversa come già ho notato in un articolo {Civ.Calt. qu. 726
pag. 723), non vedendovisi nei tridenti quelle legature che so-
lidamente uniscono nei rostri le punte estreme fra di loro, sicché
ne formano una sola massa. Alcimi tipi che vediamo sui nostri
quadrilateri separatamente si sono veduti congiunti in altri bronzi
ora smarriti o occulti. Il Mionnet vide l'aquila col fulmine sul
dritto e un parazonio sul rovescio di uno d'essi {Méd. rom. tom. I
pag. 1): nn tridente dall' un lato e il fulmine dall'altro ap-
parve già in tre esemplari che si trovarono nella necropoli di
Tarquinia, secondo la notizia confermatami dal bar. Visconti, il
quale anche me ne indicò i tipi, non espressi dal Borghesi, che
ne ricordò il ritrovamento. Ho detto di sopra che Tarquinia,
Bomarzo e Todi sono i limiti settentrionali della regione dove
si sono trovati finora i quadrilateri di questa classe. Non pare
dunque che i Eomani abbiano mai fuso o lasciato fondere qua-
drilateri nella città di Rimini, ovvero che i Eiminesi che hanno
fuso di certo Vaes grave, abbiano emessi metalli quadrilateri. Né
giova opporre i clipei di gallica forma ovale che si trovano im-
pressi su di uno di essi. Perchè noi concediamo che i Galli
adoperassero scudi di questa forma, ma neghiamo che siano stati
solo lor propri, constando che in certo tempo anche i Romani
ne fecero uso. Roma su di una moneta di Locri si appoggia
ad un clipeo elittico identico al gallico anche per l'insegna che
porla simile ad un fulmine privo dei soliti raggi : ne può cre-
dersi che i Locresi rappresentando Roma armata la volessero di-
fesa da uno scudo non suo. Della spada non parlo, perchè consta
dai monumenti averne essi avuta di più d'una maniera. L'eb-
bero a due tagli e acuta in punta con una vetta traversa per
paramano, come si vede sulla moneta fusa riminese, e inoltre pare
che abbiano adottata anche la romana, quale si rappresenta sui
quadrilateri, siccome impariamo dalla moneta coniata, dove è
figurato il Gallo armato di scudo di asta e di un parazonio nel
fodero desinente in tondo e munito della piastra di guardia che
diciamo crespello. Ai Galli Celti Diodoro Siciliano attribuisce
doppia spada una dritta l'altra curva come ha notato il Bor-
ghesi {Oeim:, 1 pag. 337, 338; Diod. Sic. V, 30).
È parere dei numismatici che questi quadrilateri siano al-
trettanti quincussi o quinipondii e lo deducono dal peso che
sogliono avere di cinque libbre a cui mancano talvolta otto once
più spesso sole tre o quattro. Ninno di questi bronzi porta il
nome del popolo o della città se ne eccettui quel solo che reca
l'epigrafe ROMANOM. Niuno ha veruna nota di valore, questa
cominciò solo ad inscriversi quando i quadrilateri furono ridotti.
La zecca di Todi ci aveva messi sull'avviso della diminu-
zione avvenuta nel peso dei quadrilateri, come sulla moneta lib-
brale. Fu dunque dato alla luce dal Passeri {Chron.nwnism.
p. 193) un quadrilatero del peso di once tredici e colla nota del
valore segnata con quattro globetti sotto i piedi del bue che ne
era il tipo. Strano sarebbe e nuovo l'uso dei globetti che di-
notano l'oncia invece della linea verticale che segna la libbra :
ma v' è un esempio indubitato che possiamo allegare, ed è il
decapoudio di bronzo del Kircheriano di sferica forma e piana
da due lati, suU' uno dei quali è il numero X e suU' opposta
faccia vi si vedono queste cifre -ì- : : : : : ; dove l'uffizio dei glo-
betti e della linea orizzontale è notevole, non potendo spiegarsi
altrimenti gli uni e gli altri che per libras decem, come leggiamo
distesamente in altri pesi VNCIAS VI, a modo di esempio ; inoltre
il peso di grammi 3581,30 vi corrisponde, fatta l'oncia di gr. 28,
a dieci libbre, otto once, grammi 3 : posto adunque che il qua-
drilatero del Passeri pesava tredici once e valeva quattro libbre,
dovrà dirsi che la libbra era ridotta a quadrantaria. Tarquinia
ci ha recentemente dati interi quadrilateri anepigrafi, e dei fram-
menti che portano notato il valore col noto segno della linea
verticale, che in uno è tripla. Or, poiché dei due interi l'uno pesa
gr. 558 l'altro 545 cioè once venti meno due grammi ed once 19
più gr. 13, ne deduciamo che gl'interi dei quali ora abbiamo
frammenti colla nota II e III debbono essere stati tripondii
della riduzione semissale, non essendo probabile la trientale
più di quello che sia l'adoperare cinque linee UHI invece d'un V,
e potendo sempre supporsi che l'intero peso fosse più o meno
di ventiquattro once.
A cotesta epoca di riduzione parmi si debbano riferire quei
frammenti di verghe quadrate che recano il tronco della verbena
per tipo e fra le braccia globetti, i cui esemplari furono pos-
seduti in Cortona dal Sellari, dove nou sappiamo se i globetti
siano note di once ovvero di libbre ridotte, o solo vi alludano.
)
Tav. VII.
1. a, b, e. Il frammento posto in primo luogo proviene dalle
campagne di Montefiascone (o Vitorchiano) ('); il suo peso è
di gr. 2248 pari a libbre sei, once otto e altrettanti grammi.
Le due facce sono quadrilatere, ma i lati minori colla loro
bava (così dicesi il metallo trascorso fra i labri delle staffe)
si vanno restringendo in basso, sicché danno l'aspetto di cono
rovescio. Un secondo frammento ivi medesimo trovato che
sembra tenere un andamento parallelo delle due facce ha
la non ordinaria ertezza di sei centimetri, e, quantunque
non abbia maggiore altezza di dieci centimetri, pesa non-
dimeno gr. 2400. La notizia della forma e del peso mi è
stata comunicata dal sig. V. Capobianchi. Può credersi che
l'intero quadrilatero dovesse pesar il doppio stando alle
ordinarie misure di codesti bronzi. Quadrilateri simili a
(') Cotesto bronzo fu comprato in Montefiascone e n'ebbi notizia da
colui elle lo comprò e dal venditore. Appresi di poi dal sig. Capobianchi
che fu insieme con altri bronzi da me descritti trovato nelle terre di Vi-
torchiano.
T. VIII-X
AES SIGNATUM
questi due si erano avuti da Marzabotto nel Bolognese e
in qualche numero dalle terre di Parma e di Reggio e
credevasi che fossero sol proprie della Emilia e delle pia-
nure lombarde : ma ecco Montefiascone, ecco Teramo, ecco
Ardea, d'onde abbiamo dedotto che bronzi di tal peso e
figura sono propri anche delle regioni del Lazio, della
Etruria e del Piceno. Si è detto che il segno postovi so-
pra sia un fulmine : ma può esser piuttosto un tronco della
gramigna (Targioni Tozzetti, Inslit. botaniche 3 ed. Firenze
1813, T. I, tav. Ili, n. 89): poiché a volerlo fulmine man-
cherebbe la punta al tronco simile alle due braccia late-
rali: inoltre nei fulmini le parti trisulche sono alle due
estremità, e posto che l'una manchi, mai non avrebbero il
tronco sì prolungato senza che vi fosse dove stringerlo con
la mano.
2. a, b, e, d. In Quingento, luogo del comune di s. Lazaro Par-
mense, furono trovati in una terramare dieci frammenti di
aes. Quell'uno d'essi che ho qui delineato è venuto in
possesso del march. Strozzi: il suo peso è di gr. 2350
pari a libbre sette. Esso porta in rilievo un ramo brac-
ciate senza foglie, che suole dirsi ramo secco. La forma
dei lati minori è come quella del bronzo di Montefiascone
a cono rovescio: pari ne è la grossezza h, e, d con quella
del montefiasconese predetto 6, e.
Tav. Vm.
1. a,b, e, d. Kirch. Scoperto a tramontana di Teramo in contrada
detta dei Turri luogo distante tre miglia dalla città, come
afferma il sac. D. Giuseppe Mentori in una sua lettera al P.
Marchi, nella quale narra cotesto trovamento. Il suo peso è di
grammi 1407 pari a libbre quattro once cinque incirca. Vi si
vede in rilievo un'asta terminata forse in tridente e in mezzo
a due delfini. AI riverso non appare che l'asta in campo
liscio. Il profilo conico della bava al lato minore e di molto
si assottiglia.
H Gennarelli (ia moneta primitiva p. 17) trascrive in
nota una lettera del P. Marchi che dice aver comprato a
caro prezzo questo mezzo quinipodio dal cav. prof de Paolis
che rebl)e dalla provincia di Teramo. Alla pag. 109 il
Gennarelli torna a parlarne dicendo che il cav. de Paolis
con lettera del 29 dicembre 1842 l'assicurò che il fram-
mento fu trovato presso Nereto nell'agro pretuziano.
2. a, b. Trovato nello scoprire il principale monumento funebre
di Misanello a Marzabotto nel Bolognese (Gozzadini, Di
un'aiìtica necropoli a Marzabotto 1865, tav. XVII n. 5
pag. 53). Il suo peso è di libbre sette meno undici grammi
pari a gr. 2157. Tutta la superficie di cotesto bronzo è sì
coperta di ossido, che, oltre all'asta di mezzo non presenta
allo sguardo se è liscio ovvero se vi sono delfini, come nel
bronzo teramano precedente, a cui cotanto si assomiglia,
anche per la grossezza b ; neppure può indovinarsi se l'asta
portasse in cima un tridente, ovvero due serpi come caduceo,
n bel confronto fra questi due pezzi provenienti da re-
gioni così distanti e nondimeno di forma, di disegno, di
peso tale che sembrano usciti dalle medesime staffe ci
farà persuasi ohe non vi fu diversità fra le genti dell'alta
e media Italia fra Parma, Bologna e Seggio e il Piceno e
il Lazio. Ce ne convinceremo anche meglio considerando
il singolare aes di Ardea che si darà nell' appendice
tav. LXVn, 2, a, b, e, d, e.
Tav. IX.
1. a, b, e. Trovato a Fabbro nella provincia di Orvieto insieme
con altri pezzi e ora nella collezione del march. Strozzi. Il
suo peso è di gr. 805 pari a libbre due e un' oncia in
circa. Sulle due facce vi si rileva il così detto ramo secco,
ma che a me pare possa essere invece un tronco bracciate
della verbena (v. Targioni Tozzetti, op. cit. tav. Ili n. 65).
Si noti ancora come siano mal accostate le due staffe più.
bassa l'una a, piìi in su l'altra b, e e come inoltre il profilo
della bava b parallelo dimostri che non vi fu distaccamento
maggiore dall'una che dall'altra estremità.
2. a, b, e. Dal deposito di Cere ora nella mia collezione. Bronzo
intorno involto nell'ossido di ferro. È un piccolo frammento
di quadrilatero ma di non lieve momento ; stantechè sia il
solo esempio ohe si abbia della estremità superiore, come
si deduce chiaramente da quel canaletto e che gli corre in-
torno. Il coperchio adunque che si assestava sulle staffe
ebbe una base o piede, che il teneva fermo mentre il me-
tallo fuso si gettava nelle staffe pel foro che vi si doveva
essere aperto nel mezzo. Nella faccia a rimane un vestigio
del ramo secco o tronco di verbena, e sul lato minore la
bava non ha sensibile divaricazione. Il suo peso è di once
sette e gr. 13.
3. a, b, e. Trovato nel deposito di Cere con Vaes rude e ora
nella collezione mia. È tutto involto e coperto dall' ossido
di ferro, come il In'onzo del numero precedente e qualche
altro aes del ripostiglio medesimo. Quel tronco bracciato e
la forma di cono rovescio data al bronzo e alla bava per
la divaricazione delle staffe, ravvicinano il bronzo ceretano
di tanto ai bronzi di Teramo (tav. Vili, 2) e di Fiesole
(tav. X, 3) da farli credere gettati in una comune officina.
Pesa gr. 2104 pari a libbre cinque ed once quattro incirca.
Tav. X.
1. a, b- Frammento di quadrilatero di forma convessa da am-
bedue le facce. È nel Museo Britannico e pesa una libbra
e dieci once. Il tronco bracciato che v' è sopra di rilievo
ha due particolarità, perchè è nodoso e le braccia non son
rette ma curve e sembra che si assottiglino nelle punte.
La seconda è che vi si vede impressa una mezza luna per
contromarca. Fu dunque riconosciuto la seconda volta dal-
l'autorità publica che lo legalizzò perchè avesse valore in
quella città e territorio, dove l'avranno trovato. I numi-
smatici credendo che i nocchi del tronco fossero vertebre
hanno dato al tronco nome di spina di pesce, a cui si ac-
costa in fatti per la figura e spessore e andamento delle
ABS SIGNATUM
T. X[-XIV
braccia. Ma di certo quei nodi uon sono vertebre come si
vedrà di poi e quel curvarsi delle braccia si osserva anche
nel bronzo seguente, sebbene ivi esse non si assottigliano.
A me pare che questo tronco si rassomigli di molto ad
un ramo della pianta detta Chamaerops humilis (Targioni
Tozzetti, op. cit. n. 57), da cui tagliavano una volta le frasche
pei maestri degli atleti. Se ad alcuno sembrassero piuttosto
nervo e fili di una foglia potrebbe paragonarne il disegno alla
foglia del Ficus religiosa (Targioni Tozzetti, op. cit. tav. IV
n. 152) : ma io preferisco la prima spiegazione tenendolo
per ramo della Chamaerops humilis, a cui può ridursi anche
la figura del bronzo di Fabbro disegnata qui appresso, seb-
bene le braccia non siano acute.
2. a, b, e. Dal rispostiglio di Fabbro nel territorio di Orvieto
ora nella collezione Strozzi. Pesa gr. 1110 pari a libbre
tre, once quattro incirca. Le superficie di questo frammento
sono piane, quel cordone formato dalla bava fra le staffe
non è cuneiforme avendo le linee di contorno parallele.
Ho già notato che le braccia del ramo che è espresso sulle
due facce non vanno su dritte, ma s'incurvano, pur nondi-
meno non sono acute in cima né più larghe alla base.
3. à, 6, e. Unico avanzo del ripostiglio di circa settanta pezzi
trovato nelle vicinanze di Fiesole. È serbato in Firenze dal
doti Andrea Carlo GargioUi. Pesa gr. 1344 pari a libbre
tre, once otto. È questo il primo esempio del ramo con più
di due braccia la cui distanza ci conferma nell'opinione che
sia tronco di verbena. Le due staffe neanche qui combaciano:
la bava tra di esse staffe riesce alquanto cuneiforme.
Tav. XI.
1. fl, b. Trovato nel tesoretto di Vulci, ma ora nel Kircheiiano.
Pesa grammi 387 pari ad una libbra e due once e mezzo
incirca. Il tronco bracciate quantunque assai guasto si con-
fronta abbastanza col ramo bracciate di Fabbro (T. X
2) dall' una delle facce e col tronco della Chamaerops
(ibid. n. 1) dall'altra.
2. a, b. È nel Museo Britannico e se ne ignora la provenienza.
Il bronzo è intero e di forma piano-convessa : rappresenta
dall'una delle facce una clava, dall'altra un ramo della
Chamaerops a cui si sono impressi a ciascuna linea glo-
betti che sembrano essere dentro cerchi a guisa di anelli
di che avremo esempi luminosi di poi. Il suo peso è di
gr. 1509,38 pari a cinque libbre meno once tre incirca.
Tav. XIL
1. a, 6. È nel Museo di Pesaro e fu dato dal Passeri (Parai. 1. 1, 2).
Passò quindi nelle tavole del Carelli XLI, 2. Lo descrive
il Lanzi (Saggio tav. II p. 127 n. 5). Il mio disegno, se
ne eccettui l'eccedenza del metallo che ho copiato dal Ca-
relli, viene da un gesso che me ne sono procurato. I con-
torni a schiancio ricorrono anche in altri pezzi, che paiono
usciti dalle officine di Todi ponendoli a confronto col mo-
dello tav. XVII. Rappresenta da un lato il delfino, dal-
l'altro il tronco bracciato coi globetti negli anelli di rilievo
ai punti ove le braccia partono dal tronco. Il suo peso è
di gr. 900, ossia di due libbre e otto once incirca.
2. a, b. È nel Kircheriano e proviene dal ripostiglio dell'Aric-
cia. Eappresenta da un lato due delfini e dall'altro il tronco
bracciato con certe vestigie degli anelli di rilievo sul tronco
agli intervalli delle braccia.
3. a, b. Nel Museo Britannico d'ignota provenienza; sembra
però dell'oiEcina medesima, donde fu emesso il bronzo del
n. 1. Il Poole nel Catalogne p. 38 lasciò incerto il tipo del
riverso dove ho io, giovandomi di un gesso, tracciato il tronco
bracciato cogli anelli sui centri delle braccia.
Tav. XIII.
1. fl, b. Dalla collezione Guadagni ora nel Museo Britannico
e stampato nel Catalogue pag. 29. Fu veduto e descritto
dal P. Lanzi (Saggio t. 11 pag. 102 2=" ed.). Il suo pesa
è di gr. 1593,691 pari a libbre quattro, once nove, incirca.
La nota del Mommsen (Blacas, H. t. 1 p. 381) è da emen-
darsi. Il Carelli tav. XL, 1 non dà il quadrilatero descritto
dal Lanzi, ma il borgiano, che fu veduto dall'Eckhel ed è
ora nel Museo Nazionale di Napoli (vedilo a tav. LXIX, 2).
Questi due sono autentici: ma non quello che il Caronni
comprò dal Minervino, al quale vedesi aggiunta l'epigrafe
ROAAANOM, non ROMANO come scrive il Mommsen. I qua-
drilateri che portano con i tipi medesimi questa iscrizione
(se ne contano quattro) sono tutti falsi. Di quello che publico
qui ho la copia galvanoplastica, del secondo ho il gesso,
e da ambedue ho tratto i miei disegui. Al Carelli fu cer-
tamente mal disegnato quello che ora è nel Museo Napo-
litano, come vedremo a suo luogo.
2. «, b. Dal ripostiglio di Ariccia, ora nel Kircheriano. Fram-
mento di quadrilatero rappresentante dall'un lato la spada
dall'altro il suo fodero, dove è assai ben conservato il cin-
golo e l'orlo del fodero che si eleva nel mezzo per im-
boccarlo nella corrispondente incavatura del manico : di che
abbiamo avuto un esempio nella spada col fodero tro-
vata nel distretto di Huzès, e deposta nel Museo di arti-
glieria in Parigi (Revue arch. 1866 p. 184, 185 pi. VI, Q).
Il peso di questo frammento è di gr. 573.
Tav. XIV.
1. a,b. Il tipo dello scudo si aveva nell'esemplare Guadagni ci-
tato dal Lanzi, ora nel Museo Britannico (Catal. p. 2127):
io do qui inciso uno dei due esemplari che venne al Kir-
cheriano dal ripostiglio di Aricela, l'altro passò al marchese
G. Durazzo. Cotesto sopra delle sue facce porta la leg-
genda DIJIA tracciata collo stecco dal modellatore sulla
creta (vedi la mia Storia d'Isernia Napoli, 1848 pag. 182).
Noi non possiamo dedurre se questa epigrafe fosse fatta
per ozio 0 per indicare la zecca. Ricordo ai lettori il nome
di Macoluia graffito sulla faccia interna di uno dei piedi
della celebre cista prenestina del Kircheriano; al quale
T. XV-XVlt
AES SIGNATUM
non fu prestata fede (Ilist. de la monn. t. 1 pag. 187
ed. Blacas), ma che fu dimostrato vero ed inciso nelle Diss.
archeol. (voi. 1 tav. XI, 21). Il bronzo del Museo Britan-
nico pesa gr. 1623,30 pari a quattro libbre e dieci once,
il nostro ha grammi 1580, pari a libbre 4, once 8 e 8 grammi.
La forma dei due scudi è ellittica ; nel primo a v' è rap-
presentato l'umbone che si prolunga a destra e a sinistra
in forma di costola di rinforzo. Simile a questo è lo scudo
usato dai Galli e noto per piti monumenti. Il secondo scudo
b porta quattro razzi di fulmini che partono da un globo
posto nel centro verso la periferia. Alcuna cosa di analogo
si vede nel riverso di una moneta di bronzo di Agyrium
in Sicilia nota all'Eckhel e stampata dall'Avellino {Real
Museo Borbonico tomo XII tav. XXIX, (1, Napoli, 1839); il
quale avvertì che cotesto simbolo non aveva ricevuta una
soddisfacente spiegazione, e che l'Eckhel non ne aveva fatto
motto; il Mionnet {Descript, t. 1, pag. 217) lo disse una
croce., e il Poole ruota a quattro raggi (a Catal. Sicilij
pag. 25), ma il cerchio della ruota manca nell'esemplare
edito dall'Avellino; e sul quadrilatero non può dirsi che
sia ruota, perchè ovale.
2. a,b. Nel Museo Vaticano. È frammento di quadrilatero col
tipo dei due scudi ellittici.
3. Dalle acque di Viearello; è nel Kircheriano. A quanto pare
deve essere im frammento di quadrilatero col tipo di uno
scudo ellittico da cotesto lato.
Tav. XV.
1. a, b. Trovato in Castel Gandolfo presso il casino di campagna
del duca di Blacas d'Aulps che il comprò per la sua col-
lezione l'anno 1820 (vedi la lettera del Blacas nell'in-
nuaire Numism. 1882 pag. 284), ed è ora passato nel Museo
Britannico. Il Blacas figlio ne aveva preparata la pubbli-
cazione nell'appendice al voi. Ili àelV Histoire de la mannaie
romaine, che è stato pubblicato col titolo di voi. IV dal
barone de Witte, Paris 1875 pag. 5 pi. I, II. Il suo peso
secondo il Blacas {^eltre cit.) è di 54 once romane, ma
si è verificato di recente e conta grammi 1495,06 pari a
libbre quattro, once quattro e gr. 10. Il mio disegno è preso
dal gesso che se ne conserva nel Kircheriano. Quivi me-
desimo si ha un secondo esemplare levato dalle acque di
Viearello assai roso. Eappresenta da l'un lato il tripode su
zampe di leone e nel riverso l'ancora. È assai di rado che
sulle monete italiche il tripode figuri come tipo: se ne
eccettui Crotone che ne fa solenne pompa, come Metaponto
della sua spiga di grano ; cinque sono le città che talvolta
se ne servono. Lo fa Temesa, indi Napoli, Metaponto,
Petelia e Keggio. Dell'ancora è ancor più raro l'uso; pe-
rocché ponendo da parte gli Etruschi appena se ne ha un
esempio in Atri, uno in Taranto, e solo in Pesto si trova
adoperata in quattro piccoli bronzi. Il veder dunque i due
tipi congiunti nel Lazio deve interpretarsi per un caso non
ordinario, qual sarà stato il voler alludere ad una spedi-
zione a Delfo, cosa che leggiamo fin dai tempi più remoti
essersi fatta dai Latini (Liv. I a. 56).
2. a, b. Cotesto frammento che dal ripostiglio di Vulci, come
ha notato il Puertas, passò nel Kircheriano, fu noto al Ca-
relli che lo die' inciso alla tav. XXXIX, 2 ma non esat-
tamente. Quindi il Cavedoni nella descrizione prese l'avanzo
del tripode b per un vaso che chiamò diota, e il Mommsen
il disse di poi anfora {H. de la monn. 1. 1, Annexes pag. 831).
Ciò quanto al riverso. Il mio disegno è cavato dall' origi-
nale e vi si vedono con verità espresse sul dritto quelle
che il Mommsen (loc. cit.) prese per linee oblique. Esse
a me sembrano penne dell'ala di un pegaso piuttosto
che di un' aquila. Il suo peso è di once 6, deu. 7 pari
a gr. 177,82.
Tav. XVI.
1. a, b. Trovato nelle campagne di Bomarzo e deposto nel Kirche-
riano. Pesa grammi 1686,35 pari a cinque libbre e gr. 6,35.
Kappresenta da un lato il tridente dall'altro il caduceo e
ad ambedue è avvinta lina tenia o lemnisco. Di simili qua-
drilateri se ne hanno altri due esemplari uno nel Museo
di Firenze del peso di gr. 1628,00 secondo il Fontana (let-
tera aggiunta alla Decr. della serie consolare n. 23), cioè di
libbre 4, once 9, ed è descritto anche dal Lanzi {Saggio,
11, 27, 8) e stampato dall'Inghirami (Mon. etruschi serie HI
pag. 17 tav. 2, 3, 1821-1826), donde il trasse di poi il Ca-
relli (tav. XXXIX, 1). Il terzo nel Vaticano e l'abbiamo
avuto dal comm. C. L. Visconti (Period. di storia e diritto
1880 , 63 seg.) di gr. 1678,00 cioè cinque libbre incirca.
Un quarto esemplare con questi tipi ma col caduceo alquanto
diversamente modellato si conserva nel Museo di Parigi e
l'ha pubblicato il Cohen {Mon. de la rép. rom. pi. LXXIII
pag. 349): pesa gr. 1680,15, cioè libbre cinque incirca.
Questo ha di proprio che il cappio del lemnisco annodato
al caduceo esce a sinistra e non a destra come nei tre
descritti: vi sono state inoltre omesse nel caduceo le due
foglie sulle quali posano i serpenti.
Tav. XVII.
1. a, b. Fu dell'abate Mascioli di Todi che il tenne caro: né
se non dopo la morte di lui l'Olivieri n'ebbe un disegno
dal parroco Giovannelli, che diede alle stampe {Fondaz. di
Pesaro pag. 28). Più compiuta è la narrazione che se ne
ha nel Diario del Giovannelli: la cui notizia debbo al march.
Antaldi che me ne ha scritto da Pesaro il 28 ottobre 1880,
ed è questa: « Fu trovato nel 1745 a Rosaro in quel di
Todi; l'Olivieri nel 1717 non ne aveva avuto che il disegno
ed il peso dal tedino don Andrea Giovannelli , del quale
abbiamo il Diario in Olivieriana; poi nel Diario ridetto
tom. 2° a pag. 108 si vede che da certo Valentini fu il
quadrilatero stesso donato al Passeri e da lui deve averlo
avuto l'Olivieri >.. Il Passeri lo riprodusse {Paralipom. tab.I)
e da lui il trasse il Carelli (tab. XLI, 1). Il mio disegno
è tratto da un gesso che me ne sono procurato. Nel dritto
. è figurato un bue che va a destra e guarda di prospetto,
-2
10
AES SIGNATUM
T. xvin XIX
nel riverso v' è un ramo bracciate con globi impressi
a rilievo quasi dentro anelli su dove il tronco germina
i rami. Il suo peso è di libbre quattro, once 9, gr. 8
pari a gr. 1436.
Con questo bronzo non si può confondere il quadrilatero
di Todi coi tipi medesimi, ma del peso di due libbre e dieci
once, della quale moneta il Borghesi scrisse il 6 mag-
gio 1826 al cav. Delfico {Oeuvres voi. VI pag. 307) « Ho con-
sigliato a fare delle diligenti ricerche sopra la di lei pro-
venienza, dalle quali poi so che è rimasto constatato che
fu trovata, se non erro, un due anni fa a Todi da un vil-
lano che la vendè per metallo ad un rigattiere, dal quale
fu rivenduta per poco prezzo ad im onesto collettore che
io ben conosco, da cui in fine è stata ceduta al Museo Oli-
vieri di Pesaro ove ora si conserva ». La qual notizia può
ben esser vera, sebbene il bronzo non sia entrato nel Museo.
Perocché il soprallodato march. Antaldi mi scrive che per
quanto egli sa non vi è mai stato nel Museo Olivieri altro
bronzo che avesse questi tipi, che il sopra descritto, e di tal
peso. Il Lanzi (Saggio 2" t. II pag. 102), novera tre esem-
plari con questi tipi uno nel Museo di s. Genoveffa, l'altro
del Pembroke, passato poi in possesso del sig. Bunbury, il
terzo, del quale si parla, presso il Mascioli. Può ben
essere che egli intendesse indicare soltanto il tipo del
bue dall' una delle facce, perchè quello del Mascioli ha
dall' altra un ramo bracciato. Egli ancora novera un bronzo
col bue duplicato nel Museo Borgia ( Saggio , 2" ed.
p. 102 ) : ma ivi non vi fu mai altro, che un frammento
con questo tipo.
2. a, b. Frammento proveniente da Vulci, ora nel Kircheriano.
Un frammento simile è nel Museo di Napoli e pesa gr. 654,15
(Borgia, Catal. ms. p. 17). Questo, ha di sopra del gallo
che è volto a sinistra una stella. Il volcentano pesa gr. 572,35,
quello del Borgia once 23, den. 3 i. Vedremo l'intero qua-
drilatero nelle due tavole seguenti, dei cui tipi rimane qui
un gallo da un lato e un rostro di nave con due mezzi
delfini dall'altro. Quell'arnese che dico rostro è detto aviron,
remo, dal Mommsen-Blacas [Hist. de la monn. 1. 1 p. 175,
cf. p. 330), e ivi medesimo 1° trident; e così l'appella il
Borgia con altri e ora il Sambon {Recherches p. 56 n. 6, 8) dove
è scritto per errore deux dauphins et dewx étoiles, invece di
deux coqs etc.):ma vedi appresso. È anche bene avvertire che
nella indicata pagina dove si parla del ripostiglio di Vulci
dicesi che vi furono trovati dei quadrilateri in parte rotti e
che tre di cotesti frammenti sono oggi nel Kircheriano : indi
nella nota (2) si descrivono come interi: ces trois pièces ont
pour type 1° un boeuf sur le deux faces; 2° un aviron
avec deux dauphins deux poulets; S" une haste sur les
deux faces. Questo modo inesatto di esprimere la qualità
dei pezzi e la parte del tipo che solo vi rimane dipende dal
racconto di Melchiade Fossati nella lettera del 1842, 25
agosto, stampata dal Gennarelli a p. 12 della Mon. primitiva:
dove si legge che a cinque palmi dal snolo fu trovata un' olla
piena di bronzi, altri dupondii o tripoudii parallelepipedi e ve
ne erano dei franti, altri di parti aliquote di assi di figura
ellissoide schiacciata ed i piìi erano sestanti. Il Mommsen
mette ancora nel novero dei frammenti con questo tipo
quello del Carelli (T. XL n. 2), che è dato da me a
T. XII, 2; nella quale opinione è stato anche il Cavedoni
{ad Carell. tab. cit.).
Tav. XVIII.
a, b. Nel Museo Britannico (Catal. 64, 65). I suoi tipi sono
da un lato i due polli che beccano, dall'altro due opposti
rostri di nave con due delfini tra mezzo che si vanno in-
contro. Il suo peso è di gr. 1491,70. Avendo osservato nella
stampa' del Catalogue dato da Poole la mancanza dei due
astri nel dritto di questo quadrilatero, che si hanno nel-
r esemplare di Parigi, ne ho dimandato all'autore, che mi
risponde non apparirvene la traccia: ho quindi riprodotto
il diseguo dato da lui nel Catalogue citato.
Tav. XIX.
a, 6. Nel gabinetto delle medaglie in Parigi. Lo hanno descritto
il Lanzi (Saggio t II p. 10 2'' ediz.), l'Akerman (Descript,
of rare roman coins t. I p. 2 ) , il Eiccio ( Mon. delle
ant. fam. di Roma p. 250), il Lenormant che ne ha dato
anche un disegno nel testo (Élite des monum. céramogr.
introd. 1. 1 p. LVIII, LIX), il Cavedoni [ad Carell. tab. XL
n. 2), il Mommsen (H. de la monn. voi. I p. 330, cf.
p. 175) e il Cohen {Mon. de la rép. pag. 350, 2), tutti i
quali autori han del pari scritto che dall'un lato sono due"
polli e dall'altro due delfini con due tridenti. Il tipo del
dritto è a parer mio una coppia di polli augurali fra due
astri in atto di beccare ; al riverso sono due rostri di nave
veduti di fianco e due delfini. Ad escludere qui l'idea del
tridente basterà notare che le tre cuspidi non sono libere,
come sempre nei tridenti, ma legate insieme dal metallo
che ne riempie gl'intervalli fin quasi alle estreme punte. Che
se i rostri talvolta mostrano le punte prohmgate di modo
che paiono tridenti, non avviene perciò che i tridenti abbiano
mai ripieni gl'intervalli. Il mio disegno che ha la prima volta
espressa la vera figm-a di cotesti strumenti è stato tratto da
un buon gesso. Non intendo con ciò negare che la identica
forma tricuspide colle due punte laterali piegate in fu«ri co-
me foglie non siano perciò tridenti; tali certamente ce li rap-
presentano i Tudertini (tav. LV, 5; LVI, 9). Il peso di questo
bronzo è di grammi 1525,50 pari a quattro libbre, once otto,
■ gr. 1. A mio credere fra i due tipi passa una stretta relazione.
Perocché se nei due polli ohe beccano vogliamo riconoscere
che rappresentino il tripudium solistimum , augurio solito
prendersi nelle pugne anche navali , e i due astri sono
quelli che proteggono la navigazione, ossia quelli che appa-
iono sulle teste dei Dioscori, é poi indubitato che i delfini
simboleggiano le acque del mare, come i rostri significano
le navi rostrate.
T. XX-XXIII
AES SIGNATUM
11
Tav. XX.
(.', b. Nel gabinetto delle medaglie in Parigi. L'ha pubblicato il
Cohen (op. cit. p. 350 pi. LXXIV) dopo altri. Il mio dise-
gno deriva da un gesso, e però vi si vede il bue intero,
non mutilo come il fanno quei che l' hanno dato in
islampa finora. Il suo peso è di gr. 1385,90 o sia quat-
tro libbre, tre once incirca. Se ne conosce un secondo
esemplare che fu già del Pembroke (Num. ant. Ili, 119),
comprato poi dal Bunbury ; pesa gr. 1790,15, cioè lib-
bre cinque, once 4 meno due grammi, non sei once
qnanto gli assegna il Cohen (1. cit.). Io ignoro adun-
que ciò che si legge nella versione del Blaoas (T. I
p. 331) secondo la quale l'Hussey (An essat/ etc. 1836,
p. 120, 132 ) parie de trois lingots carrés du Musée Bri-
tannique au type du hoeuf, qui péseraient environ 3 li-
vres '/4, ce qui équivaut à peu près à 1703 gr. 89. Lo
Spanhemio (De praest. et usu numism. t. 1 p. 22) e il Ca-
relli (tab. XXXVII, 1, 2) hanno delineato quello del Pem-
broke. Il Cai-elli vi aggiugne il disegno del P. Du Molinet
(Cahin. de sainte Geneviève p. 47 pi. XIV) che lo ha ri-
dotto e lo stampa da un sol lato : e così è riprodotto dal
Montfaucon {Ant. expliquée t. III p. 164 pi. LXXXVIII).
Questi lo chiamano quadrusse, ma non ne riportano il peso.
Di quello esemplai-e, a cui si danno dal Riccio tredici once
di peso, e che ei dice essere stato nella collezione del Pas-
seri, poi nella sua, non posso dir nulla fin che non saprò
dove ora si conserva. È certamente notevole che il Passeri
si trovi d'accordo col Eiceio in quanto alle tredici once , ma
non si trovi d'accordo col medesimo in quanto ai segni di
valore, scrivendo il Passeri che porta quattro globi in segno
delle quattro libbre , e delineando il Eiceio quattro linee
nel senso medesimo (Mon. delle ant. fam. tav. LXVIII 2' ed.
1843 pag. 250). Il bai-one D'Ailly {Recherches t. I p. 200)
scrive di averne visto uno falso presso un negoziante di
Napoli nel 1852.
Tav. XXI.
1. a, b. Nel Kircheriano non si sa d'onde , ma probabilmente
da Vulci. Frammento di quadrilatero rappresentante dai
due lati il toro italico. Pesa gr. 430,39.
2. a, b. Nel Kircheriano. Venne forse dalla collezione del mar-
chese Eecupero e rappresenta i quarti posteriori del toro
italico. Il suo peso è di gr. 201,37.
3. Dalle tavole del Carelli (XL, 2), non dall'originale che non si
sa dove stia. Il Mommsen cita negli Annexes p. 330 questo
bronzo fra quei che portano per tipo al dritto due polli e al
riverso due creduti tridenti e due delfini, ma sbaglia anche
perchè lo strumento che è al riverso è un vero tridente
sempre così effigiato sui quadrilateri come lo è questo.
Tav. XXTI.
1. a, 6. Dalla collezione Guadagni di Firenze passato ora al
Museo Britannico e dato dal Poole (Catalogue pag. 62,63).
Io ne ho tratto il disegno da una mia copia alla galvano-
plastica. Eappresenta da un lato un elefante asiatico che
va a destra , daU' altra una scrofa che va a sinistra. Il
Lanzi lo vide e descrisse {Saggio t. II p. 102 ed. sec), e il
Carelli lo stampò nella sua tavola XXXVIII, dove il Ca-
vedoni scrive, che il Lanzi ne vide dei simili, ma che nel
riverso v'era un sus ovvero xm aper, non una scrofa. Ma
la scrofa e' è e non un sus, se non soltanto nella stampa del
Carelli. Del resto il Fontana {Descr. di una serie consolare
p. 3) aveva avvertito, che il Lanzi citando un secondo esem-
plare del Museo di Firenze (II, 2 ed. p. 100) erra « per-
chè questo non ha una troia e im elefante, ma sì una troia
e un bue, che non doveva citarsi perchè opera di Weber,
rotondo e falso ». Del terzo esemplare che il Lanzi dice pas-
sato in Inghilterra dalla collezione del barone Stosch non se
ne sa nulla. Pesa grammi 1681, 68, cioè cinque libbre incirca.
I Eomani videro l'elefante asiatico la prima volta nel 474,
vinto Pirro ad Ascoli di Puglia; videro di poi nel 504
l'elefante africano quando vinti i Cartaginesi Metello ne
menò pel suo trionfo a Eoma centoquattro (Orosio IV, 9).
Non si saprebbe spiegare qual motivo ne inducesse i Eo-
mani a congiungere insieme sul medesimo bronzo l'ele-
fante e la scrofa , se non ce ne avesse aperta la intelli-
genza un curioso racconto di Eliano ( De nat.. animai. I
e. 38). L'elefante, scrive egli, teme il grugnito del porco
e si ha per tradizione che i Eomani con questo spediente
posero in fuga ad Ascoli gli elefanti di Pii-ro l'Epirota
e così ne riportarono splendida vittoria : ÒQÓwSeì S èXsqiag
XOiQov §orjV . nVTù) toIvvv, (paal, xcù 'PwficeToi zovg avv
lIvQQm ròì rjusiQWTrj étQÉipavTO iXstpavtag xal fj vìxtj
avv toTg 'Po^iamg XafiTtgwg éys'vsTo; e si racconta che i
Megaresi assediati da Antigono presero alcuni porci, e, a
farli strillare bene, gì' impegolarono e dato fuoco gli spin-
' sere contro agli elefanti dell'oste nemica che infuriati la
misero in disordine (Id. lib. XVI e. 36). Gli elefanti scrive
Plinio {H. N. Vili, 9), si spaventano ad un minimo gru-
gnito del porco: minimo suis stridore terrentur.
2. a, b. Dal deposito di Cere. Frammento di quadrilatero sulle
cui facce rimangono appena visibili le tracce di piedi d'animali
dietro le ammaccature della mazza adoperata per romperlo.
Tav. XXIII.
1. a, b. Dalle terre velletrane trovato insieme coli' altro qua-
drilatero che porta per tipo la spada e il fodero. L'Eckhel
lo vide nel Museo Borgiano di Velletri , e lo pubblicò
nella Sylloge I tab. IX p. 90 e lo descrisse nella D.N.V.
T. Il p. 86 e T. V p. 49, 50, indi il Carelli lo fé inci-
dere nella sua tavola SXXVI. Non si sa come, ne quando
fu estratto dal Museo predetto : solo è certo che non fu mai
nel Museo di Napoli, dove passò una parte del Borgiano,
lo che è dimostrato dall'Avellino per mezzo del Catalogo che
ne fu fatto al tempo della consegna. Nel Museo Kirche-
riano, dove ora si trova, entrò per le mani del dott. Emilio
Braun che lo comprò in Napoli, e gli furono pagati 300
12
AES SIGNATCJM
T. xxiv-xxvr
scudi, mi narrava il P. Marchi, oltre un ammasso di aes grave
per giunta. Il Mommsen tutto ciò non Io doveva ignorare
e fa perciò maraviglia come abbia osato mettere in dubbio
il modo dell'acquisto, scrivendo: Cette pièce apres avoir
passée avec le Musile Borgia (corr. une parile du Musée B.
perchè l'altra parte fu deposta in Propaganda di Eoma)
dans la collection de Naples, est venne, on ne sait trop
comment, dans le Musée Kircher à Rome. Fu pubblicato
di nuovo dopo l'Bckhel dall' Instituto nel BuUeUino<&. 1844
pag. 49 segg.: ma il mio disegno è preso dall'originale
che pesa gr. 1610, 99, cioè libbre quattro e nove once e
gr. 14 in circa. Kappresenta da un lato l'aquila che vola di
prospetto stringendo il fulmine negli artigli e volge il capo
a destra; dall'altro lato il pegaso che corre a sinistra bat-
tendo le ali; di sotto v'è la leggenda: ROW\ANOM.
T.U-. XXIV.
1. 0, h. Dal Museo Guadagni in Firenze ove lo vide il Lanzi
{Saggio T. II p. 126, 1), ora nel Museo Britannico. Il mio
disegno è cavato da un mio calco in galvanoplastica.
Kappresenta come il precedente l'aquila di fronte che vola
portando il fulmine negli artigli e al riverso il pegaso che
prende il volo a sinistra. Vi si rivede l'epigrafe ROMA-
NCIA. Peso gr. 1391 pari a libbre 4, un'oncia e gr. 6. Un
esemplare senza leggenda l'ho io veduto in Parigi presso
r Hoffman.
2. a, h. Trovato nell'a. 1846 in ottobre a Tor Maraneia presso
le mura di Kóma e dato nelle Mem. numismatiche a p. 42
tav. Vn, 3, 4. Il Capranesi lo vendette poi al Kircheriano. È
un frammento di quadrilatero con avanzo dei tipi e della
epigrafe che si hanno interamente rappresentate nei due
quadrilateri precedenti. Pesa gr. 233, 17, cioè otto once
e den. 6. Nella versione dell' H. de la monn. 1. pag. 177(')
si legge Vauthenticité du lingot ayant pour type un Fou-
dre et Pegase avec la legende ROMANOM, si deve in-
tendere che l'aquila è perita del tutto e vi si vede da un
lato una sola .parte di fulmine ed all' opposto i soli piedi
del pegaso con la leggenda ROM. Quanto all'autenticità
del quadrilatero intero eUa era stata ben stabilita prima
del 1846, e però il Mommsen non doveva scrivere che allora
soltanto divenne incontrastabile l'autenticità di esso quando
fu trovato il frammento.
Tav. XXV.
1. a, b. Nel Kircheriano. Parte inferiore del tronco bracciate
sulle due facce: il suo peso è di gr. 302.
2. Dalla collezione Eecupero nel Kircheriano : il suo peso è di
grammi 111. I suoi tipi sono da un lato il tronco di ver-
bena, dall'altro il ramo di Chamaerops. Sul tronco in mezzo
delle cui braccia sono impressi gli anelli, ma non vi appare
il globo come si è veduto nel bronzo tudertino, Tav. XVII 1, b.
3. a, b. Dal deposito di Ariccia nel Kircheriano: il suo peso è
di grammi 420 e rappresenta da un lato un ramoscello di
olivo con in cima tre foglie, dall'altro un segno incerto
probabilmente perchè ammaccato da colpi di mazza.
4. a, b. Trovato nKlla necropoli di Tarquinia in una cassa sepol-
crale di nenfro accanto allo scheletro : ha di peso gram. 558
pari a cii'ca venti once. Kappresenta da due lati due mezze
lune rivolte colle punte ai lati minori. Io l' ebbi presso di
me e il feci disegnare.
5. a, b. Dalla necropoli di Tarquinia nel Museo Britannico lo
ha dato inciso il Poole {Catal. p. 66): il suo peso è di
gr. 35 pari a venti once incirca. I suoi tipi sono i me-
desimi che nel precedente numero 4. Coteste venti once
dei due quadrilateri provano una riduzione nel sistema
di Tarquinia, lo che ci è dimostrato da simili pezzi ohe
portano le note di valore.
Tav. XXVI.
1. a. Frammento di lastra rotonda o ellittica tratta dalle acque
di Vicarello e ora nel Kircheriano. Porta per tipo il tronco
bracciato coU'anello, che qui è ovale, sul tronco fra i due
rami.
2. ffl, b. Dalla necropoli di Tarquinia nella collezione mia. Fram-
mento di piccolo quadrilatero coi tipi delle mezze lune
volte colle punte ai lati minori. Vi si vede l'impressione
lasciata da un forte colpo di mazza: e la fusione del bronzo
non è ben fatta, notandosi per tutto gruppi e nodi di puro
stagno. Il suo peso è di gr. 391. Altri pezzi di cotesto
aes quadrilatero sono nella collezion mia e provengono da
Tarquinia : uno di recente ne ho veduto presso il sig. Stet-
tiner a cui è stato recato da Città della Pieve insieme con
altri piccoli frammenti di lastre quadrate e di quadrilateri.
3. a, b. Dalla necropoli di Tarquinia nella collezione mia. I
suoi tipi sono le mezze lune volte ai lati minori: ma di
singolare v'è nel centro un fiore simile ad un asterisco.
11 suo peso è di gr. 441.
4. a, b. Dalla necropoli di Tarquinia. 11 suo peso è di gr. 437.
Ha per tipi dai due lati im A di forma latina rivolta ai
lati minori colla sua base, e questo medesimo A si doveva
vedere dall' opposto lato minore , come apprendiamo dal
frammento seguente n. 6. Nel campo di mezzo dove nel
frammento n. 3 abbiamo un asterisco, qui si vedono tre
linee parallele perpendicolari ai lati maggiori che senza dub-
bio sono la nota del valore, cioè libbre tre : ma non è certo
se ne è perita alcun' altra. Se il pezzo è, come pare, alquanto
maggiore della metà noi avremo un quadrilatero di circa
ventiquattro once, cioè un quadrusse di diminuzione se-
missale. *'
5. a^b. Dalla necropoli di Tarquinia ora nella collezione Strozzi
in Firenze, È del peso di gr. 221 e s'intende che gli manca
pili della metà.
6. a, b. Nel Kircheriano e proviene dagli scavi di Tarquinia.
Vi si vede un A con due linee parallele; ohe compie il
disegno del tipo dalla opposta parte del n. 4, come si dimo-
stra dal collo di getto. Il suo peso è di gr. 343,80, cioè di
una libbra e grammi sette.
T. XXVII
AES SIGNATUM
13
Tav. XXVII.
1. a, b. Nel Kircheriano. Eappresenta un serto di foglie d'olivo
sospeso ad un anello tipo ripetuto sulle due facce. Pesa
gr. 1(57.
2. o, b, e. Nel Eircheriano. Mezzo semisse della serie di forma
ovale col segno di valore, del peso di gr. 98. È però in-
signe, perchè ci rivela una serie di peso il doppio mag-
giore della libbra semissale i cui spezzati iìnora si cono-
scevano. Ora l'intero cbe doveva essere di circa 196 gr.
ci fa supporre un asse' di gr. 396 cioè oltre a quattordici
once. I suoi tipi sono la clava da un lato e la nota etrusca
di semisse r\ dall'altro.
3. a, b. Nel Museo di Torino. Unico esemplare dell'asse di
cotesta serie preso a calco fin dal 1854 nel Museo pre-
detto. I suoi tipi sono la clava da un lato e la nota del-
l'asse I dall' alti-o. Pesa once sei.
4. a, b. Nel Kircheriano. Unico esemplare intero di semis della
serie ovale dove la clava è il tipo del dritto e il segno
di valore nel riverso. Pesa gT. 84,00 pari ad once tre.
5. a, 6. Nel Kircheriano. Frammento col predetto tipo della
clava nel dritto e il segno di valore : dall' altro. Pesa gr. 47,
ma essendo mancante di una sua parte può valutarsi che
fosse di due once e però del peso di gr. 56. Il sig. L. Sambon
assegna ai pezzi a sé noti per limite di peso dai gr. 46 ai 37.
Il trienle dovrebbe pesare due once e mezzo per istare in
serie con un semisse del peso di tre once.
6. 7. a, b. Nel Kircheriano. Sestante ad oncia non rari coi tipi
della clava e la nota di valore. II peso del sestante è di
un'oncia gr. 28,00: quello dell'oncia è di dodici denari, ossia
gr. 14,00. Il Sambon assegna al sestante i limiti da gr. 89
a dieci: il peso di due miei esemplari è di gr. 26,00;
23,50. Un terzo a cui è attaccata molta bava dal canaletto di
fusione pesa gr. 34,00. L' oncia secondo il Sambon va da
gr. 18 a ó.
8, 9. Dall' Arrigoni. (i'aes grave tav. V incerte 11,12, pag. 36).
Sestante ed oncia della forma di una ghianda missile ma
smussata alle due punte. Ha per tipo al dritto im M o
IH latino, al riverso la nota di valore.
10. Kircheriano (Olivieri, Fond. di Pesaro tav HI, 7). Piccolo
bronzo di forma lentieolare. Ha per tipo il ferro della
lancia da una parte, la clava dall'altra. Pesa gr. 7,00.
11, 12. a,b. Marchi e Tessieri, Vaes grave pag. 28. Sestante
ad oncia di forma lentieolare oblunga come nella serie 3-7
precedente. Il sestante ha una clava per tipo dal dritto e
al riverso un ramo bracciate colla nota di valore, l'oncia
ha nel dritto due rami bracciati uniti al tronco in con-
trario come si figurano i raggi di un fulmine, ma di pili
vi si vede una linea retta traversa nel punto di congiun-
zione; al riverso è la sola nota dell'oncia.
13. n Caronni vide questi due frammenti di verghe quadrate in
Cortona nella collezione del Sellari (Ragguaglio tav. VI
n. 48), quando erano stati dati già in luce dal Passeri ,
( Paralip. tab. I nn. 3, 4, 5). Li ha dipoi riprodotti il P.
Marchi [L'aes grave, CI. II, IV nn. 5, 6, 7) ma nel testo
(p. 28) ha scritto che sono pubblicati per moneta, ma che
non paiono moneta. Il tipo di ambedue si è un ramo
bracciale, il cui tronco è posto su due cantoni, mentre le
braccia si stendono sulle quattro facce a destra e sinistra:
negl'intervalli delle braccia sono dei globetti che forse allu-
dono ai segni di valori. Questa serie di moneta ovale si
è attribuita a Todi a motivo della clava trovandosi che i
Tudertini l'hanno fatta tipo dei loro trienti ; ma se valesse
questa ragione vi avrebbe troppo maggior dritto Volterra,
che non nei trienti soltanto ma ripete per tutta una serie
del suo aes grave il tipo della clava; si è anche detto,
che gli spezzati di questi bronzi provengono dalle terre
tudertine : ma essi si trovano per tutta l'Etruria, dove non
si sogliono trovare monete umbre. Di recente ne .ho io
avuto da Ancarano antica necropoli di Nursia o di qual
altra città della Sabina. È per me di gran peso che nel
deposito di Vulci tutto composto di aes rude e signatwni
senz'ombra o vestigio di moneta fusa sia etrusca, sia umbra,
siano stati trovati questi soli pezzi che appartengono all'ars
grave ridotto. Ciò prova che se il deposito antecede il 474
nel quale anno fu presa e distrutta Vulci, era già avvenuta
la diminuzione dell'asse semissale. Tarquinia di certo aveva
anch'essa cominciato a fondere i suoi quadrilateri su questo
piede ridotto. In quel deposito non vi era aes grave etrusco
ma questi soli spezzati della' serie ovale che si attribuisce
a Todi e vi consente l'uso che si fa in essi della mezza
luna per nota di semisse, come pur fa Todi nella sua
monetazione primitiva; inoltre la riduzione dell'asse che è
propria di Todi e non delle città etrusche.
AES GRAVE
LATIUM, SABINA
Fu una volta cercato se presso gli antichi 1' aes libbrale
si dicesse grave a motivo del peso specifico, ovvero perchè non
si numerava, ma si pesava. A mio credere il nome grave de-
signò il peso specifico originale dell'asse, che fu libbrale o quasi
libbrale, ma di poi quel vocabolo di grave non si poteva dare
al numero dei pezzi sibbene al peso di molti in massa fin da
quando s'introdusse la moneta di bronzo nominale e fu abrogata
l'effettiva.
Noi seguiamo l'esempio dei numismatici che hanno dato il
nome di aes grave all'aes fuso libbrale estendendone il signi-
ficato anche alle successive diminuzioni e a tutta la varietà delle
libbre. L'aes gram degli antichi non comprende 1' aes rude e
l'aes signatum, ma solo quell'aes d'un determinato peso legale
sovente espresso con globetti e linee rette e sinuose.
Questo aes di peso determinato non è ben certo quando
ebbe origine e da qual popolo. Si tien per congettura che in-
cominciasse a Eoma all'epoca dei decemviri, leggendosi che le
multe in bestiame stabilite per legge Aternia-Tarpeia del 300
rinnovata due anni dopo per la legge Menenìa-Sestia furono poi
nel 324 per la legge Giulia-Papiria cambiate in multa pecunia-
ria, nella quale per una pecora pagavansi dieci assi e per un bue
14
AES GRAVE
T. XXVII
cento (Cic. de r. p. II, 35) : levis aestimatio pecudum in multa
lege C. lulì P. Papirii consulum constiluta est. Cotesta conget-
tura si conferma da Livio (IV, 41) che nell'anno 352 fa la prima
volta menzione dell'aes grave nella condanna di Postumio alla
somma di dieci mila assi: decem millibus aeris gravis. E però
da notare che prima si trova menzione dell'oes e dell'asse, inoltre
del quadrante e del sestante, nondimeno non si può per ciò dire
che Vaes fosse piuttosto grave che rude e signatum ; e neanche
che Vas il qnadrans e il sextans dinotino la creazione dell' aes
grave, cioè di una moneta di forma e di peso determinato.
L' epoca delle diminuzioni successive dell' aes grave ci è
ignota : e gli antichi scrittori non ne parlano, È però dimostrato
dalla nostra esperienza che dall'ssse di peso effettivo si passò
all'asse semissale, poscia al trientale, indi al quadrantario e final-
mente al sestantario, nella qual epoca fu stabilito per legge
del 485, che si coniasse l'asse del peso di im sestante.
Coteste diminuzioni si trovano soltanto nell' aes grave di
Eoma, di Lucerà, di Venosa, di Todi ; forse anche degli Eugu-
bini, se può dedursi dal peso del tresse, che suppone l'asse di
quattro once, mentre negli assi finora noti se ne contano sei.
AUa serie ridotta di Todi coll'aquila manca l'asse, ma questo
asse non manca nella serie ovale ridotta, che si è attribuita ai
Tudertini.
La repubblica romana non emise multipli dell' asse, cioè
dupondii, tripondii, e decapondii nell'epoca primitiva dell' aes
grave, ma quando era già avvenuta la riduzione.
I tipi dell'aes grave sono presi generalmente dalla classe
dei simboli e dei segni : fu proprio del Lazio e della Sabina il
prendere per tipo le imagini d'uomini e di donne, simboliche
ancor esse. Atri, Arimino, romane colonie si attennero in parte
a questa usanza.
Eoma ripete il tipo del rovescio per tutta la serie, Ei-
mini ripete il tipo del dritto. Atri varia il tipo del dritto e
del riverso. Lucerà segue un sistema suo proprio del quale
ragiono nelle dichiarazioni delle tavole. Il Lazio ripete il
tipo del dritto pei primi tre pezzi e ripete il riverso per
tutta la serie. La Sabina, ora non ripete ma duplica il tipo
che è lo stesso nel dritto e nel riverso, ora non ripete il tipo,
né lo duplica.
II Lazio e la Sabina non usano dichiarare il proprio nome ;
talvolta è un simbolo ovvero una lettera iniziale soltanto che
vi si legge. Eoma si inscrive soltanto nella moneta che fonde
nella zecca degli alleati con tipi non suoi: ma quando i tipi
sono gli stessi essa indica la zecca se ad esempio è Lucerà,
con U, se Velletri con V. Atri inscrive il suo nome, e così i
Vestini e Fermo. Venosa è incerto se abbia apposto il suo mo-
nogramma nella serio libbrale. Lucerà comincia dalla serie ridotta
e lo fa con la sola iniziale !.-, Ascoli di Puglia prende per tipo
la lettera A che ripete per tutta la serie. Questa A non etru-
sca ma latina appare inaspettata sulla serie di Tarquinia il cui
significato letterale o simbolico è tuttavia un enimma.
I coloni lucerini sono i soli che abbiano inscritti sugli assi
i nomi dei magistrati monetali o eponimi che vogliano credersi.
Eieti appone sul dritto le iniziali di uno o due magistrati e
pel riverso l'iniziale del suo proprio nome.
ETRURIA, UMBRIA
Quanti hanno scritto intorno al primitivo bronzo monetato
dagli Etruschi si sono dati per vinti al Mommsen ohe tiene
questa specie di moneta non essere fra loro anteriore al 474 di
Eoma. Egli lo deduce da ciò che l'Etruria trastiberina soggio-
gata appunto in quell'anno non ha moneta propria di bronzo :
ragion dunque volere ohe neanche il resto della nazione etrusca
se lo avesse fuso o coniato. Ma questo argomento che parca
così solido ha oggi perduto ogni valore dopoché i prodotti degli
scavi della necropoli tarquiniese tenuti in osservazione hanno
rimesso alla luce una nuova serie di aes grave libbrale nel ri-
manente delle terre etrusche e latine non mai veduto. Da questa
scoperta è stata tolta ancora ogni difesa alla opinione che l'in-
troduzione della moneta di bronzo in Etruria datasse dall'epoca
della diminuzione semissale romana: perchè Tarquinia insieme
colVaes quadrilatero del sistema quadrantario ci ha dato la
propria serie libbrale in assi di dodici libbre incirca e al di
là fino a quella trovata nel 1875 con un astro a quattro raggi
per tipo ripetuto sulle due facce del peso di gr. 368 cioè di
once 13 e gr. 4.
La tradizione faceva Numa autore dell' aes rude, Servio
Tullio dell'acs signatum e coi nostri studi si è probabilmente
stabilito che 1' aes grave deve essere stato introdotto circa i
primordi del secolo terzo di Eoma, e non abbiamo finora niun
argomento che seriamente combatta queste tre epoche, ovvero
l'origine romana del bronzo fuso monetato. Ma neanche le mo-
nete coniate si possono far precedere il quarto secolo di Eoma
nel quale Atene e i Greci d' Italia cominciano ad usarle. La
serie ovale fusa e la serie coniata incusa sono due singolarità
che si trovano solo in Etruria. Al 474 circa allorché verisimil-
mente fu nascosto il deposito di aes rude e signatum presso
le mura di Vulci le monete ovali non solo erano in corso nel-
l'Etruria, perchè alquante di essa vi si rinvennero fra quei bronzi,
ma, ciò che s'ignorava, essa aveane subito' già una diminuzione.
Ciò si deduce dal frammento di semisse di recente acquistato
pel Kircheriano il quale suppone un asse libbrale , mentre i
pezzi della intera serie conosciuti finora appartengono ad un
asse il cui solo esemplare che è nel Museo di Torino è di ridu-
zione semissale.
Usano gli Etruschi nelle monete fuse di ripetere i tipi del-
l'asse per tutta la serie : gli Umbri invece variano in due modi.
I Tudertini, come i Eomani, li fanno diversi nei cinque spez-
zati inferiori; ma gli Eugubini hanno per costume, a quanto
pare, di cambiar tipo tre volte, ripetendo i tipi dell' asse nel
semisse, del triente nel quadrante, del sestante nell'oncia. Ee-
stano però alcuni tipi fuori di serie ai quali attendiamo che si
trovi il compagno. Nelle note del valore , è costante presso
degli Umbri l'adoperare la nota etrusca 3 dinotante la metà o
sia il semisse: nel che vanno con loro d'accordo i Volterrani
fra gli Etruschi e quei che pongono la testa del sacerdote per
tipo, e quei che la ruota etrusca al dritto e al riverso, e quei
che fondono le loro monete in forma ovale. Quindi si deduce
che cotesta serie ovale o è uscita dalle officine di Todi o da una
città la quale fondesse in origine l'asse libbrale e si servisse
T. XXVIII
AES GEAVE
15
della nota etrusca D per indicare il semisse. Inoltre la serie che
ha per tipo a dritta la nota etrusca e al riverso tre mezze lune
volte col dosso al centro, non ostante l'epigrafe dell'asse cho lo
dichiara tudertino perchè adopera i sei globetti per nota del
semisse, non deve essere stato emesso dalla zecca di Todi. L'asse
e i suoi multipli si sogliono trovar notati con l'unilìi I. Vi hanno
però esempi dei dodici globetti.
Gli Etruschi, tranne Volterra, e, fra le monete coniate,
Pupluna, Fercnas e Peithesa, sogliono abbreviare il loro nome
sulle monete scrivendo talvolta due lettere M, ma comune-
mente una sola lettera iniziale, dove non omettono ancor questa.
Yetulonia adopera quattro sole lettere. Fall, sulla moneta coniata :
in monete di confederazione la città che ai suoi tipi inscrive
il nome della città confederata il pone per intero Vetlunva in
una moneta della quale abbiamo finora il solo asse. Un singo-
larissimo bronzo coniato che si conserva nel Museo di Parma
nomina le tre città confederate in questo modo Fufluna, Felalu,
Cha, cioè Pupluna, Velulonia e Chamars. Grli Umbri amano far
pompa del loro nome sulla moneta fusa e coniata scrivendovi
Tulere nell'asse e semisse e sulla coniata; Tuder, Tu negli spez-
zati : gli Eugubini danno sempre intero Icuvini ovvero Icuvins.
È una singolarità della quale abbiamo avuto esempio in Sabina,
dove sembra che abbiano notate con tre iniziali SAF il proprio
nome nel solo bronzo di tatta la serie che rappresenta l'oncia.
E un' oncia ancora si è quel recente bronzo venuto in possesso
del march. Strozzi dagli scavi di Telamone, sul quale se la
prima lettera non è chiara si legge però indubitato \MA>I che
agevolmente si compie Tlo.mun. Questa oncia non ha verun tipo.
In altre poi pare che il nome della città o intero o in sole
iniziali siasi impresso nel solo asse o nel suo multiplo. Leggesi
così Tulere in un asse, e A nel dritto V nel riverso di un du-
pondio, d'ambedue i quali bronzi abbiamo la serie intera ma
anepigrafa.
Alle monete già fuse nelle tre classi di aes rude, signa-
tum e grave o coniate si vedono talvolta impressi dei segni,
che diciamo contromarche le quali però non ricevono nella prima
emissione, ma dopo che sono entrate in commercio. Il supporre
altrimenti non ci par verisimile : essendo evidente che chi fuse
il metallo vi deve aver notato nella forma o staffa quanto si
esige perchè abbia corso legale. E però diciamo che non occorre
legalizzarlo con altro marchio. Sopra un frammento di aes rude
portatoci dalle terre dei Liguri Bebiani presso Benevento ve-
diamo ben impressa la lettera ^ retrograda e di arcaica forma,
e sopra un frammento di aes signatum probabilmente trovato
nella necropoli di Tarquinia ora nel Museo Britannico è im-
pressa profondamente una mezza luna: la mezza luna e un astro
si trovano impressi in altro frammento di quadi'ilatero prove-
niente di certo dalla stessa necropoli, e posseduto dal marchese
Strozzi. SuU'aes grave e sulle monete coniate etrusche ho no-
tato un >l, 0 r, ovvero una foglia di edera, ovvero una mezza
luna 3; questi due ultimi segni impressi a solo contorno.
Le monete di confederazione si riconoscono come ho sta-
bilito altrove a queste condizioni. I due o piii nomi inscritti
su di una moneta che ha per tipi quei di una d'esse ; un nome
solo inscritto sulla moneta che porta i tipi d'altra zecca. Così
hanno adoperato anche gli Etruschi per significare la loro al-
leanza di ohe è certissimo esempio il triplice nome di Pupluna
Vetulonia e Chamars sulla moneta coniata coi tipi di Populo-
nia. Non si dovrebbe quindi trovar ostacolo ad ammettere almeno
come verisimile che si legga il nome di Vetulonia su d'un asse
i cui tipi sono da un lato la ruota ad otto raggi e dall'altro
l'ancora, tipi già noti nella serie di Chamars e delle città in-
dicate dalle loro iniziali ì, 5, >J, A, serie però non ridotte e
aventi costantemente per tipo la ruota a sei raggi, non ad otto
come quella che porta il nome di Vetlunva. L'asse controverso
che ai tipi della ruota etrusca da una parte e le tre mezze lune
dall'altra congiunge il nome di Todi e non ha il peso, non la
maniera, non la forma, uè i tipi tudertini, in questa nostra ipo-
tesi parmi che trovi la ragionevole sua spiegazione. Crediamo
finalmente degna di menzione la maniera di coniare il bronzo
tenuta dagli Etruschi in una loro serie che riesce nuova e sin-
golare anche per le straordinarie divisioni e il modo d'indicarle
non con le solite cifre ma come sull'oro e sull'argento coi nu-
meri. Essa pel molto che mi sono adoperato è riunita ora in
una serie, nella quale fa sua mostra il )IC che è seguito dal ^
e il peso di entrambi ne avverte del valore di 100 nel primo
e di 50 nel secondo. Poscia si hanno spezzati di XXX, AXX,
XX, XIIC, X, A. Manca tuttavia l'unità minore e probabilmente
il AX, il AXXX, il XXXX e il AXXXX, il qual supposto atten-
diamo che si avveri come tanti altri per le scoperte ulteriori,
le cui basi sono state con instancabile attività e consiglio poste
dal sig. march. C. Strozzi, nome illustre che ricordo con sin-
golare aifezione e doverosa riconoscenza.
Tav. XXVIII.
1. Museo di Pesaro. Bifronte barbato e coronato di lauro: la
nota della libbra gli è sopra scritta ma il suo peso eccede
l'ordinario peso dell'asse romano che non passa i gr. 312,30:
questo invece ne pesa 389,50. Al rovescio è la prora di
nave volta a sin. e di sopra ripete la nota della libbra. 11
Eocchi nel catalogo ms. di quel Museo ha notato l'analogia
di questa libbra con quella di Atri, come apprendo dal
eh. sig. march. Antaldi. A me pare che sia stato fuso nel
territorio di Rimini, e siasi perciò ritenuto il peso della libbra
locale. La prora volta a sin. appartiene alla seconda emis-
sione romana, al qual tempo ovvero ad epoca posteriore
bisogna riportar quest'asse : il che ci conferma nel parere
già dato, che nel peso si è seguita la libbra di Eimini.
Del resto alla regola stabilita dal D'Ailly v'è qualche ec-
cezione. Vedi appresso n. 4.
2. Kircheriano. Bifronte barbato. R. Prora di nave volta a d. Il
barone D'Ailly ha stabilito {Rech. I p. 35, 36) che la prora
si trova costantemente volta a destra uell'asse primitivo: ma
nella seconda emissione che tende alla diminuzione e nelle
serie già diminuite al pari che nei multipli essa si vede volta
a sinistra; di che mi è piaciuto dare un esempio nel se-
misse seguente. Il maggior peso dell'asse primitivo è come
fu detto di gr. 312,30 e discende fino a 207,10. Così il
Bar. D'Ailly, il quale anche dimostra che le riduzioni sue-
16
AES GEAVE
T. XXIX-XXXI
cessive si fanno di metà in metà, creando prima- 1' asse
semissale, poscia il quadrantale, ohe è la metà del semisse.
Ma avrebbe dovuto dire che v'era inoltre 1' asse trientale che
dimostra avvenuta una diminuzione al terzo, iìno a tanto che
legalmente si stabilì l'asse sestantario, diminuendo a metà
l'asse trientale. 11 peso più elevato dell' asse semissale è
stato stabilito dal D'Ailly a gr. 178. Nel gran deposito di
assi primitivi scoperto a Cerveteri vi si trovarono tre esem-
plari del peso di gr. 143,90; 147,80; 148, che sembrano
provare non essersi fatto quel deposito prima dell' epoca
dell'asse semissale.
3. Kircheriano. Testa di Giove laureata barbata e volta a destra.
R. Prora di nave volta a sin. ; di sopra è la nota del semisse.
4. Kircheriano. Testa di Minerva volta a sin.; di sotto è la
nota del triente. R. Prora a d. e vi si vede ripetuta la
nota del triente.
Tav. XXIX.
1. Kircheriano. Testa di Ercole giovine coperta della pelle di
leone che gli si annoda al collo ; dietro a d. è la nota del
quadrante. R. Prora volta a d. e di sotto vi è ripetuta la
nota di valore. Un quadrante ben conservato di mia colle-
zione pesa grammi 79 che darebbe un asse di gr. 316: ma
si è già notato che gli, spezzati inferiori all'asse sogliono
riferirsi all' asse di dodici once e più, quantunque tali
assi non si siano mai trovati. Un quadrante di seconda ri-
duzione cioè appartenente all'asse di quattro once è nel
Kircheriano. Il D'Ailly {Rech. I, 129) stima che sia unico:
esso pesa gr. 25,85.
2. Kircheriano. Testa di Mercurio con pileo alato volta a sin.
R. Prora volta a d. di sotto è la nota del sestante.
3. Kircheriano. Testa di Koma galeata volta a sin. R. Prora
di nave a d. e di sotto la nota dell'oncia.
4. Coli. D'Ailly [Rech. pi. XX, 1-2 pag. 77, 80). Semisse unico
nel quale la testa di G-iove è volta a destra e la prora
della nave è volta a sinistra. Il suo peso è di gr. 127,750,
e può appartenere all'asse primitivo. Nella coli. Blacas v'è
un triente rimasto ignoto al D'Ailly, nel quale la testa
della Minerva è volta a destra e la prora a sinistra (Blacas-
De Witte, H. de la monn. t. IV pi. VI n. 2 pag. 8). Il
suo peso è di gr. 81,84 e però deve considerarsi di prima
emissione.
5. Coli. D'Ailly (Redi. I pi. XXVI, 2). Asse del peso di
gr. 154,10,54 e però semissale. Ha per tipo il bifronte
nel dritto, nel rovescio la prora volta a sin. e sopra di essa
la nota della libbra. Questa prima riduzione non era am-
messa da alcuni, ma il D'Ailly ne ha dimostrato la realtà.
6. Kircheriano. Tripondio unico a motivo del tipo che è il bi-
fronte. Io l'ho veduto nel Kircheriano, ove ora non è; però
non ne ho tratto il disegno dall'originale, ma dalle tavole del
D'Ailly (Recherch., t. I pi. XXV, 3), che non ben ritrae
l'antico. Il D'Ailly ne dà il peso di gr. 254,90 ma sostiene
a pag. 193 che non è un tripondio, sibbene un dupondio.
Ma il peso di gr. 254 equivale a 9 once e mezzo incirca
di gr. 27, che meglio si adattano alla diminuzione qua-
drantaria che alla trientale. Poi rispetto alla nota osservisi
come delle tre linee richieste ad indicare il tripondio, se
della mediana non vi è rimasta che una traccia, v'è però
una tale distanza delle due linee estreme , che sarebbe
inesplicabile se non avesse dovuto segnarsene una nel mezzo.
Inoltre di essa linea media le tracce sono evidenti. Deve
dunque stimarsi che sia un tripondio del sistema quadran-
tale, e tal parere ci è confermato anche dal peso.
7. Kircheriano. Asse trientale del peso di gr. 102. Il dritto ha
il solito tipo del bifronte barbato, nel rovescio la prora è
volta a sin. e sopra v'è la nota della libbra.
8. Kircheriano. Asse sestantario del peso di due once, pari a
gr. 56,00. Il D'Ailly stabilisce il peso normale di cotesti
assi a gr. 54,166 (T. Ilpart. I pag. 117). È notevole nel
disegno di questo bronzo il profilo del naso nel bifronte
che da sinistra è convesso, da destra è concavo. Inoltre si
ha da avvertire al modo di trattare i capelli della fronte
e la barba con una doppia serie di globetti in Inogo dei
ricci. Il Caronni nel catalogo del Museo Hedervary ha già
notato che cotesta maniera di trattare i capelli, la barba e
anche il bulbo degli occhi tenevasi ai suoi tempi come pro-
pria delle officine di Gubbio, donde provenivano, dic'egli,
tutti questi bronzi: Barba et coma oculique globuli perpetui
sunt, horumque assium genus ex eugubiana Etruriae regione
proveniunt omnes, ita ut a nonnullis antiquariis Eugubio
civitati tribuantur. La quale opinione, dice egli, si conferma
da un fatto, del quale ha tenuto conto il Eeposati {Zecca
di Gubbio), avvertendo che un ingente numero di assi
sestantarii fu trovato ivi insieme colla forma e che erano
conservati dall'abate Trombelli: Eugubii sextantarios fusos
probat numerus ingens cum ipsa forma repertus et a Trom-
bellio servatus. Contemporaneamente all' asse sestantario
fuso fu coniato in Koma l'asse del peso di due once la cui
estrema diminuzione fu stabilita dal D'Ailly a grammi trenta.
Tav. XXX.
a, b. Kircheriano. Il Cohen ha scritto di questo decusse che nel
Museo di Napoli ve n'è un altro esemplare {Monn. de la rép.
rom. pag. 349) : ma ivi non è mai stato, e il nostro passò dal
Museo Capponi nel Collegio romano, e fu noto al Gori, al
Passeri, al De Zelada. Testa di Eoma volta a d. coperta di
galea a testa di grifo coi lacci da legarla pendenti : di dietro
alla nuca è la nota del valore, X ; il suo peso è di gr. 1106,60
pari ad once 39 e mezzo romane: donde risulta che questo
decusse fu emesso nell'epoca dell'asse trientale. Al riverso
è la prora della nave volta a sin. e di sopra è ripetuta
la nota. X.
Tav. XXXI.
1. a, &, e. Kircheriano. Testa galeata di Eoma con eresta di
grifo e i lacci da legarla pendenti : di dietro è la nota del
tripondio. R. Prora a sin. e di sopra la nota medesima del
T. XXXII
AES GRAVE
17
valore. La forma del rostro non è sempre la stessa perciò
ho curato di esprimere la notevole varietà che si vede
nel rovescio del tripondio e. Il peso di cotesti pezzi, se-
condo il D'Ailly, va da grammi 208 a 213; sono dunque
da riferire alle corrispondenti riduzioni dell'asse a norma
dei limiti assegnati dalla esperienza.
2. Eirclieriano. Testa di Eoma volta a d. con galea che ha
una codetta di crini per cresta e la gronda alla nuca assai
stretta: ivi è anche la nota del valore. R. Prora volta
a sinistra e vi è di sopra ripetuta la nota del dupondio.
Il peso ascendente dei dupondi va da grammi 151 a 200,
che però possono rispondere alle tre diminuzioni. In un
esemplare trovato negli scavi di Santa Maria di Fal-
leri veduto da me la nota del valore mancava al rovescio
di esso.
3. Museo di Pesaro. Testa della dea Uovaa volta a destra con
elmo a testa di grifo e larga gronda alla nuca. Vi si
vedono i lacci pendenti come alla Roma del tripondio e del
deeapondio descritti di sopra. Il segno X del decusse vi
si vede a sinistra e a destra, davanti al volto v'è per segno
monetale xm ferro di lancia. R. Prora di nave volta a sini-
stra e di sopra la nota X del valore : il ferro di lancia vi
è ripetuto e si vede sotto la prora, stando al di sopra la
nota del decusse. Il suo peso è di grammi 721, e però può
corrispondere all'asse ridotto a tre once, cioè quadrantario.
Questa insegna del ferro di lancia ha riscontro nell'argento
coniato anonimo. II eh. march. Antaldi che ha scandagliato
il peso del decusse, mi scrive che a cotesto deeapondio il
Gori (Mus. Eli: tav. CXLVI n. 6) ha attribuito 40 once,
mentre non ne pesa che 26 e 17 denari. L'Arigoni ohe
l'ebbe e il pubblicò {Num. musei /!ri(7on. t. Ili tav. 21,22)
lo rappresenta assai male ; né dopo se n' è veduto alcun
altro miglior disegno. A me sembra che il peso sia al-
quanto scadente per difetto della fusione.
EOMA-VBLITRAE
Tav. XXXn.
1. Coli. Depoletti. Testa di Giove laureata volta a sin. ed ha
di sotto la nota S giacente. R. Prora volta a destra sulla
quale si vede la lettera V. Il suo peso è di once cinque
e mezzo. E. negoziante Depoletti che il possedeva mi disse
che gli era venuto dalle campagne velletrane ; e ciò parmi
si confermi dalla iniziale V della zecca veliterna, dove ai
Romani piacque di fondere la moneta, contrasegnandone
l'ofScina con la iniziale V, non altrimenti che fecero in Lucerà
con la lettera U. Velletri era colonia latina ed avrà potuto
prestare cotesto ufiìcio della zecca a Roma prima del 361,
nel quale anno, come narra Diodoro (XIV, 102), o nel 371,
come si ha da Livio (VI, 20), si separò dalla romana con-
federazione, e nel 416 perdette i suoi diritti di cittadinanza.
Essa aveva in prima emessi probabilmente dei quadri-
lateri, due certamente se ne trovarono nelle sue campa-
gne (tav. LXrX, 2), e di questi uno con l'epigrafe RO-
N\ANO/V\ (Vedi tav. XXHI).
ROMA-LUCERIA
2. Eircheriano. Bifronte barbato. R. Prora di nave volta a destra,
accanto alla quale v' è la iniziale U della zecca lucerina.
È moneta di riduzione quadrantaria pesando once 2 e de-
nari 22 : nondimeno la prora non è, come vorrebbe il D'Ailly
(V. tav. XXVIII, 2), volta a sinistra. A Lucerà fu dedotta
una colonia romana nel 440: donde il bar. D'Ailly de-
duce che la riduzione quadrantaria era già avvenuta in
Roma in questa epoca. Ma ciò suppone che tal serie di
asse e semisse coi tipi romani siasi emessa subito che vi
si condusse la colonia, di che non v'è motivo. Lucerà ebbe
la serie primitiva coi propri tipi come vedremo, e la serie
ridotta al peso delle tre once: è quindi ragionevole che
la moneta coi tipi romani si stirai fusa quando in Eoma
erasi ridotta a quadrantaria. Notisi che qui il bar. De Witte
(Op. cit. t. IV pag. 13 pi. XVIII) ha chiamata riduzione
trientale, o sia di 4 once, quella che per noi è quadran-
taria 0 sia di 3 once.
3. Eircheriano. Testa di Giove laureata volta a dr. R. Prora
volta a destra, di sopra è la nota S e dal lato destro è la
lettera iniziale U. Il suo peso è di un' oncia e mezzo. La
legge del D'Ailly che la prora è volta a sinistra nella serie
ridotta, non è neppur qui osservata.
EOMA E U
4. Eircheriano. Testa muliebre di prospetto coperta dell' elmo
a tre creste : ha pendenti agli orecchi, e collana di pietre
preziose al collo : due liste di capelli lucignolati dalla cer-
vice le cascano sulle spalle. R. Bue che va a destra e guarda
di prospetto: nell'esergo ROMA. Sul dorso del bue si alza
un caduceo. Niun disegno fin ora ha saputo rappresentarci
tutti i particolari che abbiamo descritti: il D'Ailly che è
l'ultimo editore ha pur omesso la collana e i pendenti (T. I,
XLVIII, 2). Il peso di quest'asse è di once nove e quattro
denari.
5. Eircheriano. Tipo simile al precedente, se non che in questo
manca la doppia lista di capelli ravvolti, e la collana pur
manca : però vi si vedono i pendenti che sono omessi nelle
edizioni, anche dal D'Ailly (T. I, XLVIII, 1). Sul bue al
rovescio non si drizza un caduceo, come nel bronzo pre-
cedente, ma vi sta un U acuto. Il suo peso è di once otto,
imdici denari e mezzo. Di cotesto rare monete se ne è tro-
vato un esemplare negli scavi di Veleia (De Lama, Tav.
Alim. pag. 57), uno nel Modanese sulla via della Secchia
(ivi pag. 58), uno qui in Eoma nel Campo Verano, di cui
diedi già conto nella Civ. Catt. (1877 pag. 7, 8). Ma in
Puglia non si sa che se ne sia trovato veruno, e nondimeno
il Riccio l'ha attribuita a Lucerà. Or le acque di Vicarello
che non ci hanno mostrata neppur una moneta fusa della
zecca di Lucerà ci hanno invece dati sette di questi assi,
quattro colla insegna del caduceo e tre con la iniziale U :
la loro patria dunque non può essere cercata fuori del Lazio
0 della Sabina nella quale regione, non sapendosi che vi
sia stata una città con l' iniziale U, è d'uopo che ci vol-
3
18
AES GEAVE
T. XXXIII
giamo al Lazio che ci darà da scegliere Lavinium, Lani-
viwn ovvero Lahìcum prima del 416 o sia dell' epoca di
assorbimento delle città latine nella cittadinanza romana.
EEATE
Tav. xxxin.
1. Kirclieriano. Testa barbata con capelli in masse immollate
d'acqua e coronata di giimco palustre volta a sin. Dinanzi
vi ho letto UT. R. Aquila piscaria che tiene negli artigli
un pesce e vi poggia sopra : sul dorso è chiara la lettera R,
che al P. Marchi parve un monogramma, né del resto si
avvide delle due lettere che sono chiare nel dritto {Lettera
al Gennarelli, Mon. prim. 1842, 29 ag. pag. 22). Il Blacas
{H. de la monn. I pag. 392) annota che la lezione di queste
tre lettere non si ebbe prima che io la pubblicassi negli
Annali deW Instituto 1860 pag. 242. Ciò è verissimo, perchè
a Eoma ne furono recati insieme due esemplari ma imo
d'essi soltanto entrò nel Kircheriano, l'altro l'ebbe il De-
poletti, sul quale non fu ravvisata veruna lettera. Il tipo
del dritto è manifestamente di un dio acquatico a cui con-
viene il giunco palustre e l'avere i capelli come lucignoli
in umide masse. A ciò anche dà buon sostegno il tipo del
rovescio, l'aquila piscaria. Quel R dunque che si legge sul-
l'aquila può ben essere un' iniziale del nome di zecca che
emise questo asse ; delle due lettere del dritto dirò di poi.
Considerata le circostanze predette, e come non può essere
guari lontana quella terra, donde si è recato il doppio esem-
plare mi è sembrato che niuna città vi potesse pretendere
più di Reale. Era questa nei tempi dell'asse primitivo, a
cui dobbiamo riportarla pel" suo peso di once otto e dicias-
sette denari, era dico, presso un lago ohe si chiamò lacus
veliìius, e per la città che lo dominava, lacus reatinus e
palus reatina. Il qual lago non si cerchi nell'odierno lago
di Pie' di Luco, perchè troppo discosto, né in quello di Eipa
Sottile, 0 di Lago Lungo, perchè di loro non si avvera
ciò che del lacus reatinus, il quale, scrivono gli antichi,
disseccato divenne un campo amenissimo, onde si ebbe il nome
della greca Tempe e perchè roscido si disse campus Rosea
e campus roseus, rosulanus. I Eeatini, scrive Cicerone ad
Attico (IV, 15), mi condussero a vedere la loro Tempe.
Ella era prima il lago Velino che M. Curio Dentato dis-
seccò aprendogli l'uscita nella Nera, sicché però il terreno
ne rimase rugiadoso : Reatini me ad sua Tempe duxerunt,
quod lacus Velinus a M. Curio emissus interciso monte
in Neram defluii, ex quo est illa siccata et humida tamen
modice rosea.
Il Velino era uno di quei laghi nei quali, avverte Oo-
lumella (L. Vili e. 16), erano stati portati semi di pesci
marini che tolleravano 1' acqua dolce. Quos lacus . . con-
vectis marinis seminibus replebanl, inde Velinus, inde
etiam Sabatinus et item Volsiniensis et Ciminus lupos aura-
tasque procreaverunt: ao si qua sunt alia piscium genera
dulcis undae lollerantia.
Le due lettere LT che sono nel dritto con ogni vero-
simiglianza le dico iniziali del magistrato che ordinò la
emissione del bronzo, ponendovi sopra per tipo la testa del
lacus reali7ius e al riverso l'uccello che viveva sopra quel
lago e pascevasi del buon pesce che vi pescava.
SAUEA EALISCOEUM
2. Kircheriano. Testa giovanile diademata con capelli fluttuanti
intorno alla fronte e al collo, volta a sinistra ; di dietro alla
nuca è un S. R. Il tipo medesimo del dritto ma qui la testa
è volta a destra ed ha alla nuca ripetuto 1' S del dritto.
Pesa once undici, denari imo e mezzo.
3. Museo di Pesaro. Testa giovanile con diadema occulto den-
tro i capelli volta a sinistra. Alla nuca v' è un grappolo
d'uva col suo picciuolo ben chiaro. R. La stessa testa, ma
coronata di raggi volta a destra: alla nuca vi si ripete il
grappolo d'uva ancor qui col suo picciuolo.
La iniziale S si ha finora nell' unico esemplare del Kir-
cheriano: il grappolo d' uva era unico iu quello del Museo
di Pesaro, ora vanta un secondo esempio in 'uu asse tro-
vato nelle campagne di Nicotera in Calabria (Vedi la
tav. LXX n. 2). Eccetto i descritti tre esemplari, gli assi
di questa serie mancano del tutto di segni monetali e di
lettere come si vede nella tavola seguente.
Or è qui luogo di cercarne la patria. Cominciamo dalla
provenienza. Il P. Marchi non fé caso dell' esemplare notato
dalla lettera S, che fu tardi indicato a me e a lui dal sig.
Gr. Lovatti, il quale lo vide posto da parte coi duplicati
nel Kircheriano. Il Marchi adunque intese parlare della serie
priva di qualsivoglia segno o lettera quando scrisse dell'asse,
che dal ripostiglio di monte Mario ne venne fuori un solo,
e degli altri pezzi di questa serie attestò che erano recati
dalle vicinanze di Eoma e piìi da quelle che toccano il mare
(Uaes grave pag. 61). Dalla mia esperienza ho che Cer-
veteri ha dato un solo esemplare di questo asse, Tarquinia
ne ha dati tre: degli spezzati poi qual pili qual meno se
ne trovano sparsamente anche in parti lontane dal mare.
Ma r argomento di molto valore si è che di simili assi ne
abbiamo raccolti quattordici dalle acqiie di Vicarello e
dalle medesime due semissi, dieci trienti, dieci quadranti,
nove sestanti, once settantatre, mentre le acque del Fucino
hanno somministrato un solo asse, nn solo semisse, quattro
trienti, sette quadranti, quattordici sestanti, dodici once.
Non v' ha quindi dubbio che la patria loro si debba cer-
care nella Sabina. A determinar poi più particolarmente il
luogo di origine, viene opportuno il simulacro dell' asse e
r iniziale S. Il culto dell' Apollo-Sole fu assai celebre nel
Soratte. A lui facevasi annuo solenne sacrifizio nel Soratte
(Plin. H. N. VII, I, 49): laonde Virgilio invocandolo il
chiama sancH custos Soractis {Aeii. XI, 785); e Silio al
Soracte dà l'appellativo àiPhoebeus {Punic.YIl, 662). Questo
Soracte si disse anche Sauracte e così lo appella Catone
(ap. Varron. /?./?. 11 e. 4); e così Saura si appellò la città
e Saurani si dissero da uu antico scrittore greco quei
che l'abitavano, nominando egli : i principali fra i saurani
(ap. Steph. Byz. s. v. 2avga : 2cxvgav(òv d' al xogovipaiÓTocroi).
Cotesti Saurani furono anche soprannominati Hirpi (Plin. 1.
T. XXXIV-XXXVI
AES GEAVB
19
cit.), donde è probabilmente nato, che Stefano attribuisse
questa Saura ai Sanniti confondendo gli Birpi del Soratte
cogli Hirpini del Sannio.
Tav. XXXIV.
1. Kircheriano. Testa dell'Apollo Sorano diademata volta a sini-
stra R. Lo stesso tipo volto a destra. Pesa undici once e
denari sette. L' Erizzo (Discorso sopra le medaglie degli
antichi p. 249), dice di avere avuto im bronzo grossis-
simo con la testa di Apollo dall' ima e dall' altra parte,
il cui peso gli pareva che fosse di sei libbre, ma sog-
giunge che un altro bronzo di maggior peso di tutte le
suddette monete ha da un lato la testa di Koma ar-
mata di un elmo antico con n dietro. R. Euota tra' cui
raggi veggonsi i due medesimi segni. Ciò scrivendo, io
dico, r Erizzo dimostra che il bronzo con la ripetuta testa
di ApoUo non arrivava a sei libbre, perchè a sua confes-
sione era minor di peso di questo secondo bronzo il quale por-
ta la nota II dinotante un dupondio, che è quello della
nostra T. XXXIX, 2.
2. Kirch. Pegaso in corsa a sinistra e la nota S. R. Lo stesso
tipo ma volto a destra con la nota retrograda 2. Pesa
cinque once e cinque denari.
3. Kii'ch. Protoma di cavallo volta a sinistra e sotto al collo la
nota del triente. R Lo stesso tipo ma volto a destra e sotto
del collo la nota medesima. Pesa once quattro e denari dieci.
4. Kirch. Cignale corrente a sinistra : di sotto la nota del qua-
di'ante. R. Lo stesso tipo volto a destra e vi è ripetuta la
nota di valore. Pesa once tre e tre denari.
5. Eareh. Testa di im Dioscoro volta a sinistra : alla nuca la
nota del sestante. R. La stessa testa volta a destra e
dietro alla nuca la nota medesima. Pesa due once e
due denari.
6. Kirch. Grrano di orzo e nota dell'oncia. R. Lo stesso tipo.Pesa
denari ventidue.
, SABATIOT
Tav. XXXV.
1. Kircheriano. Testa muliebre volta a sinistra coperta di galea
frigia desinente in rostro d' aquila e cristata con lacci
pendenti: alla nuca è per segno monetale una clava. R.
Lo stesso tipo ma volto a destra e col medesimo segno della
clava. Pesa nove once e nove denari. La clava si ripete
per tutta la serie: ma v'è inoltre una seconda serie che
non ho rappresentato nelle tavole, dove questo segno manca:
nel resto è similissima, ed è pili facile a trovarsi che la
precedente. A determinare la regione vale non poco il sa-
pere, che dieci esemplari dell' asse si rinvennero nel de-
posito di Cerveteri e che dal ripostiglio di monte Mario
se ne ebbero con la clava e senza (ilarchi, Vaes graveiG).
Per mia esperienza altri due esemplari ma senza clava
vengono dalla necropoli di Cerveteri e questa città mede-
sima ora ha dato cinque semissi: che se vi aggiungiamo il
bel numero degli spezzati inferiori all'asse rimessici dalle
acque di Viearello troveremo probabilissimo che autori
della serie possono essere i Sabatini. Per popolo sabatino
non intendiamo già quello che vi venne trasportato dalla
Campania non prima dell'anno 543 (Liv. XXVT, 34) e fugli
concesso di prendere stanza nelle terre di Sutri, Nepi e
Vai (Liv. VI, 5), ma coloro che abitarono la sponda sinistra
del lago di Bracciano, ed al 367 di Koma diedero il nome
alla tribù (Liv. VI, 5), che da loro prese a chiamarsi Sabatina.
2. Kirch. Testa giovanile coperta di galea cristata omessi del
tutto i capelli sulla fronte e sul collo : è volta a sinistra
ed ha alla nuca la clava : di sotto al collo è la nota del
' semisse. R. Lo stesso tipo ma volto a destra. Pesa once
quattro, un denaro, ac. 18. Paragona la testa simile in moneta
di argento ov'è anche il segno della clava (tav. LXXVII, 8)
3. Kirch. Fulmine con la nota del triente e la clava. R. Tipo
medesimo colla stessa nota. Pesa once 3, 4 denari. Se ne
ebbero due esemplari dalle acque di VicareUo, uno dal Fu-
cino, ne fu rinvenuto uno in Civita Castellana, uno in Grualdo
Tadino, uno inPerfugas di Sardegna [Bull. Sard. 1860 p. 35).
4. Kirch. Mano destra aperta e la nota del quadrante a sinistra ,
clava a destra. R Mano sinistra aperta e a sinistra la clava,
a destra la nota del quadrante. Pesa 2 once e 12 denari.
Di questo quadrante ne abbiamo avuto da Biccari in Puglia,
da Eiccia in provincia di Campobasso, da Cortona e da
Arezzo in Toscana.
5. Kirch. Conchiglia del genere pecten veduta dalla parte in-
terna: di sotto la clava ai lati la nota del sestante. R Lo
stesso tipo. Pesa 2 once. Da VicareUo se ne sono avuti
tre esemplari con la clava, due senza clava.
6. Kù'ch. Parte concava dell'astragalo, di sotto la clava, di sopra
la nota dell' oncia,! fi. Parte convessa dell'astragalo, e la nota
e la clava come al dritto. Pesa denari 19. VicareUo ne ha
mandati quindici senza clava, sette con clava.
7. Kirch. Ghianda nel suo calice e la nota della semoncia a d. R. Lo
stesso tipo e la nota della semoncia a sinistra. Pesa de-
nari 11. VicareUo ne mise fuori 18.
SABINI
Tav. XXXVI.
Ai Sabini dobbiamo attribuire le due serie seguenti non solo
pel gran numero di assi e di spezzati che ci hanno man-
dato le acque di VicareUo, ma sì pure per la positiva te-
stimonianza di un' onica suUa quale se ne legge il nome
SAF (Tav. XL, 8 b). Un terzo argomento ne lo dà il ve-
dervi ritenuto nel semisse, nel triente, nel quadrante, nel
sestante, nell'oncia \m tipo della serie assegnata ai Sabatini,
coi quali perciò arguisco che ebbero ima confederazione,
espressa anche nell'asse col tipo del bifronte, imagine sim-
bolica dei due popoli.
1. Kii-ch. Bifronte forse muliebre coi capelli avvolti intorno alla
fronte e alle tempia e coronato di lauro. R. Testa di Mer-
curio coperta di petaso alato volta a sin. AUa nuca v'è per
segno monetale una ronchetta, che si ripete per tutta la serie.
Pesa once 9 e 15 denari. Questo asse venne nel Kiixhe-
rìano dalla Sabina.
20
AES GRAVE
T. XXXVII xxxviri
2. Kireh. Testa giovanile con galea cristata volta a sin., di sotto
è la nota del semisse. R. Testa nuda con capelli avvolti
alla guisa medesima che si vedono nelle teste del bifronte :
di sotto è la nota del semisse e alla nuca la ronchetta. Un
esemplare di questo semisse fu già trovato nelle terre di
Chiusi (Gori, Mus. Etr. II p. 426 tab. CXCVII, 9) ed era
del peso di once 4, scrupoli 14.
3. Kireh. Fulmine e la nota del triente. R. Delfino volto a
destra. Di sotto la nota stessa, di sopra la ronchetta. Tre
esemplari furono trovati in un deposito presso s. Germano ;
e v'erano insieme due quadranti della serie medesima ed
un sestante (Bull. Inst. 1878 pag. 30).
4. Kireh. Mano destra aperta ; alla sin. la nota del quadrante,
a d. la ronchetta. R, Due acini d'orzo e la nota medesima.
Qui il modellatore del conio avrebbe dovuto porre la ron-
chetta sul rovescio della moneta, come fa in tutta la serie,
ed egli l'ha posta invece sul dritto.
5. Kireh. Conchiglia del genere pecien veduta dall'interno, e nota
del sestante. R. Caduceo, la nota medesima e la ronchetta
a destra.
6. Kireh. Astragalo e di sotto la nota dell'oncia. R. La nota
medesima e la ronchetta.
La semoncia finora manca.
Tav. XXXVII.
1. Kireh. Bifronte giovanile con capelli corti e dimessi cinto di
diadema: di sopra v'è la nota dell'asse che manca al bronzo
simile della tav. precedente. R. Testa di Mercurio col segno
della libbra ripetuto. Pesa once undici e den. 21. Di questo
asse le acque di Vicarello ne hanno mandato sedici esem-
plari, e se ne ebbero quattro dal ripostiglio di Cerveteri,
altri dai depositi di Monte Mario, altri da quello di Ostia.
Afferma il Mommsen colP. Marchi [H. de la monn. I, 185)
che intorno ad Ostia fu trovato un deposito solo di questi
assi e più copioso di quello di Monte Mario {L''aes grave 48):
e soggiunge ohe da Vicarello se ne ebbero 1109 di questa
serie insieme con 13 di serie romana. La verità è che il
P. Marchi conta solo 13 assi col bifronte sul dritto e la
testa di Mercurio coperta di petaso alato sul riverso, che
gli furono mandati, io qui e altrove aggiungo ai suoi
calcoli anche quei pezzi allora sottratti, che vennero poscia
in mia mano. Nel luogo citato si nota dal Mommsen che
nella vicinanze di Trento fu trovato il triente, il quadrante
e l'oncia di cotesta serie, per testimonianza del Giovanelli
{Dei Rezi, p. 81).
2. Kireh. Testa giovanile galeata volta a sin., di sotto la nota
del semisse. R. Testa nuda con capelli avvolti intorno alla
fronte e all'occipite ma sciolti e ricci sul vertice : di sotto
la nota medesima. Pesa once cinque e den. 18. Di questa
moneta si ha una imitazione alla tav. XL n. 9. Or si noti
che da Vicarello ne vennero fuori quattro, e altrettanti se
ne sono avuti da Corneto. Due ne furono veduti saltare in
aria allo scoppio di una mina accesa in una cava di peperino
sulla via di Genzano verso Civita Lavinia.
3. Kireh. Fulmine e nota del triente. R. Delfino e la nota me-
desima. Pesa once tre e sette denari. Di cotesto bronzo
ne furono trovati tre esemplari nel deposito di Cerveteri e
uno n'ebbi già io dagli scavi di Tarquinia.
4. Kireh. Pongasi per dritto la mano destra aperta colla nota
di quadrante e al riverso i due acini d'orzo con la nota me-
desima, messi qui al contrario per errore. Pesa once due
e den. 19. Da Vicarello ne abbiamo avuti 58.
5. Kireh. Conchiglia pecten vista dall' interno, e nota del se-
stante. R. Caduceo e la stessa nota di valore. Pesa un'oncia
e 19 den. Dalle acque di Vicarello ne furono estratti 95
esemplari.
6. Kireh. Astragalo e sopra di esso la nota dell' oncia. R. La
stessa nota nel campo liscio. Vicarello ce ne ha mandati 581.
7. Kireh. Ghianda nel suo calice. R. Nel campo liscio la nota
della semoncia §. Le acque di Vicarello ne mandarono 361
esemplari.
NEPETE.
Tav. XXXVIII.
Questa serie assai rara fu ignota al Zelada: le acque di Vica-
rello e quelle del Fucino non ne hanno mandato alcun esem-
plare : al Kircheriano mancava tuttavia il semisse, il triente,
il quadrante e la semoncia quando fu pubblicato Vaes grave.
Brasi nondimeno posto per quadrante il bronzo che è da
me delineato nella tav. XLIII, n. 4. Gli acquisti posteriori
hanno riempita una lacuna dandoci il semisse, che ora è
nel Kircheriano, la cui scoperta ha mostrato che gli autori
dell' aes grave si erano bene apposti imaginandone il tipo
conforme a quello dell'asse. Ulteriormente si vedrà se il
paragone di questa serie con quella della tavola seguente
XXXIX è ben fondato anche pel triente, che è tuttavia
congetturale, ponendo il tipo della tèsta galeata. Questa serie
segna la nota di valore solo nel rovescio del semisse e del
sestante: v'è quindi da osservare che questa nota passa
irregolarmente sul dritto del quadrante e della semoncia,
inoltre che si ripete sulle due facce dell'oncia. Pare quindi
che siano una volta state, emesse piìi serie e .che degli
spezzati di esse sia stata composta questa che abbiamo
rappresentata.
L' analogia delle due serie può servire di norma per
ravvicinarne le zecche, onde appaia verosimile ohe questa
serie sia uscita da Nepi, come siamo per provare che la
seguente ebbe per patria Sutri, la quale città ricevette
una colonia inviata colà da Eoma uell' anno 371, Nepi
l'ebbe nel 381.
1. Kireh. Testa muliebre galeata volta a sin. con pendenti agli
orecchi. R. Vaso a due manichi. Pesa once 10 e 8 denari.
2. Kireh. Tipo simile al precedente. E. Vaso e nota del semisse
volto a sinistra 2. Pesa once cinque e sedici denari.
3. Manca: ma per congettura si è supplito dal P. Marchi. A
me pare che si debba piuttosto supplire con un qualche
simbolo al confronto delle serie espresse nelle tav. XXXV-
XXXVII nelle quali la testa umana non va oltre del semisse.
4. Kireh. Delfino che va a sin. e intorno la nota del quadrante.
T. XXXIX XL
AES GEAVE
21
R. Vaso simile ai precedenti. Pesa cuce due e undici de-
nari, n Capranesi che lo dice trovato nella regione dei
Vestini lo pubblicò (.4»?!. Inst. 1840 p. 253 tav. P. 2).
Cesselo quindi al P. Marchi, il quale gli diede nella serie
il posto occupato dal bronzo predetto.
5. Eirch. Conchiglia pectcn. /?. Vaso e nota del sestante. Pesa
due once e undici denari.
6. Kirch. Clava e nota dell'oncia. R. Vaso e di sopra nota del-
l'oncia. Pesa 17 denari. La ripetizione della nota è un'ano-
malia, se questo pezzo appartiene a questa serie.
7. Kirch. Caduceo e nota della semoncia 5. R. Vaso simile ai
precedenti. Pesa dieci denari.
SUTEIUM
Tav. XXXIX.
Il problema della patria di questa serie si può dire deciso dall'ap-
parizione del tripondio insieme col dupondio nelle campagne
di Sutri, colonia romana del 371. Prima della scoperta io
mi ero preparato a proporla per mia opinione indottovi da
trovamenti anteriori. Consideravo io che la zecca donde si dif-
fondevano questi bronzi doveva trovarsi nel mezzo , fra
Cerveteri, Monte Mario e Amelia, perchè tre assi con un
semisse ci erano stati recati da Cerveteri, due assi da Monte
Mario, due dupondi, quattro assi e un semisse scoperti a
distanza di sette od otto miglia dal confluente della Nera nel
Tevere e dove essi erano riposti con 27 assi eSsemissi romani,
due assi col tipo della testa galeata ripetuta e un triente col
busto di cavallo similmente ripetuto nelle monete assegnate
alla Sabina. Ora viene in mezzo Sutri città posta fra Amelia
da un lato, Cerveteri, e Monte Mario dall'altro, e parmi che
reclami a buon dritto per sé questa monetazione.
1. Coli. Vaticana. Testa muliebre coperta di galea cristata a
testa di grifo con lacci pendenti volta a d. ; alla nuca la
nota del tripondio. R. Ruota a sei raggi e la nota mede-
sima = del tripondio. Dalle campagne di Sutri, insieme
col dupondio della stessa serie. Pesa libbre due, once sette,
denari due. Edito negli Studi e documenti, Roma, 1880,
dal comm. C. L. Visconti pag. 72 sgg.
2. Kirch. Tipo simile al precedente, soltanto varia la nota del
valore che qui è dupondio al dritto e al riverso. Pesa 22
once. L' Erizzo (Discorso p. 29) dice di avere avuto un
esemplare di questo dupondio (Vedi tav. XXXIV, 1).
3. Kirch. Tipo simile variando solo la nota che qui è 1' asse.
Pesa once nove e imdici denari. Di questi assi ne furono
trovati quattro nel tesoretto di Amelia, tre nel tesoretto
di Cerveteri, due nel ripostiglio di Monte Mario. Il Mommsen
opinò {H. de la monn. I p. 187) che questa serie dovesse
assegnarsi ad Alba Facente e fosse anteriore alla monetina
di argento di quella città. Nella quale opinione indi a p. 192
tolta ogni esitazione stando fermo registrò Alba fra le co-
lonie latine che avevano emessa la moneta libbrale. Ma se
ciò fosse le terre albensi e il Fucino avrebbero dovuto
mandarcene a quest'ora almeno un saggio. Or prima che
il lago fosse disseccato ho io percorso piìi e piìi volte co-
teste terre e non mi è mai venuto fatto di vedervi verun
asse 0 semisse, uè quando il lago si è disseccato si è
veduto un qualche esemplare venir fuori dalle terre occu-
pate prima dalle acque. Trovaronsi bensì un quadrante con
sei trienti e tre quadranti romani, e con tre trienti, due qua-
dranti e un sestante della serie sopra descritta attribuita
da me ai Sabini (tav. XXXVI).
Tav. XL.
1. Kirch. Bue in gran corsa a sinistra; nel campo di sotto è
la nota del semisse, talvolta retrograda. R. Ruota a sei
raggi e nota del semisse. Pesa once 4 e 18 denari.
2. Kirch. Cavallo che corre di galoppo a sin. e quattro globetti,
nota del triente. R. Ruota e la nota medesima. Pesa once
due e quindici denari.
3. Kirch. Cane volto a sinistra che ha sospeso il passo e muove
la gamba destra: nell'esergo è la nota del quadrante. R. Ruota
a sei raggi, e la nota medesima. Pesa once due e due de-
nari e mezzo. Nel museo medesimo si ha esempio di uno
dei quadranti, ove il cane è volto a destra. Pesa once
due e un denaro.
4. Kirch. Testuggine. R. Ruota e nota del sestante. Pesa un'oncia
e denari venti e mezzo.
5. Kiroh. Il tipo è lo stesso che al n. 4, ma la nota del se-
misse è omessa. Pesa grammi 36,6.
Niuno ha finora vista l'oncia di questa serie. Grli spez-
zati superiori sogliono trovarsi da noi sparsamente.
6. Kirch. Testa di un Dioscoro volta a sin., alla nuca la nota
dell'oncia. R. La stessa testa volta a destra.
7. Kirch. Mano aperta, a sin. la nota di sestante, a destra una
elava. R. Lo stesso tipo, ma la nota è a destra e la clava
a sinistra.
Questi due bronzi sono nelle serie delle tav. XXXIV
e XXXV ma con altro valore : ivi il n. 6 è un sestante e
il n. 7 un quadrante.
8. Coli, di zolfi deirOdelli. Astragalo e di sopra la nota del-
l'oncia. R. La nota dell' oncia è nel mezzo del campo
e di sotto si legge chiara l' epigrafe 5AF. L' ho citata di
sopra tav. XXXVII in prova che la serie appartenne ai
Sabini.
9. Coli. Depoletti. Testa coperta di galea frigia cristata volta
a sin. e ivi la nota S. R. Testa giovanile volta a sin. coi
capelli avvolti intorno alla fronte e la nota S. Un secondo
esemplare di questo bronzo fu presso il Capobianchi, ed
era del peso di gr. 180, e vuol dire che supponeva un asse
di gr. 360, cioè di once tredici incirca. Ora se ne ha un
terzo esemplare del peso di gr. 170.
10. Dalle tav. del Carelli LVIII, 6. Astragalo ripetuto al ro-
vescio, come nella tav. XXXV, ma privo del segno mo-
netale della clava e senza la nota dell'oncia.
11-13. Dall' Arigoni. (T. Ili tab. Il, n. 23). Il tipo di questi
tre bronzi è l'astragalo ripetuto nel riverso, ma con questa
particolarità, che nel dritto del triente v'è di sopra un vaso
a due manichi e di sotto una luna crescente (id. ib. tab. 14
n. 37): nel quadrante vi sono invece due clave, l'una di
22
AES GEAVE
T. XLI-XLIII
sotto, r altra di sopra: nell' cucia {ì<\. ih. tab. 19 n. 74) y'è
la nota di valore e la clava ri^jetuta sul dritto e sul rove-
scio, simile per cib all'oncia della tav. XXXV n. 6, ma infe-
riore della metà pel peso (id. ib. tab. 19 n. 74). Il March.
Eroli narra (Bull. Instit. 1881 pag. 221) di aver veduto
in Amelia un simile bronzo.
PKAENESTE
Tav. XII.
Questa tavola e le cinque seguenti rappresentano parecchi bronzi
che non si sono potuti finora assegnare anche per conget-
tura ad alcuna zecca : sono però da eccettuare due serie od
alcuni pezzi, a cui si può attribuire con verosimiglianza
la patria. Una terza serie v'è meno lacunosa delle due pre-
dette e deve dirsi di Tarquinia, quantunque non si possa
spiegare la nota A per iniziale di quella zecca.
1. Coli. Martinetti. Testa di leone messa di prospetto in atto
di mordere un pugnale il cui manico è a destra. R. Busto
di cavallo sopra base che porta nel mezzo un incavo ret-
tangolo a modo di contromarca. Il cavallo è volto a sini-
stra ed ha davanti per segno monetale un caduceo. Pesa
undici once e tre denari. Fu trovato nella necropoli di Pa-
lestrina con altro esemplare mancante del predetto segno
ed incavo. Il suo peso era di gr. 225 cioè di sette once e se-
dici denari. Vi fu trovato insieme un semisse simile a quello
che darò nella tav. XLIV, 1. Ora si è avuto un nuovo esem-
plare con l'insegna della mezza luna trovato fra Val Mon-
tone e Montefortino (V. la tav. LXIX, 1).
2. Kirch. Testa forse muliebre con capelli corti e intorno cinti a
piti doppi da ima fascia a modo di diadema. R. Acino d'orzo,
di sopra un caduceo, di sotto la nota del semisse. Pesa
once sei : un altro esemplare del Kircheriano pesa quattro
once e venti denari.
È parer mio che il semisse e il quadrante di questa
tavola siano da unirsi insieme coll'iisse, per l' indizio che
me ne dà il segno monetale del caduceo. Anche il P. Marchi
aveva pensato ohe i due spezzati dovessero stare insieme
per lo stesso motivo {La stipe pag. 10).
3. Coli. mia. Frotoma di bue volto a sin. e guardante di pro-
spetto col muso torto. R. Clava di nuova foggia ad un sol
nodo nel mezzo. Pesa once tre, denaro imo e mezzo. Fu
trovata nel territorio di Gallicano presso s. Pastore.
4. Kirch. Astro a sedici raggi. R. Un clipeo con umbone e sopra
di esso il caduceo o segno monetale, con la nota del qua-
drante. Pesa tre once e mezzo denaro.
5. Kirch. Caduceo. R. Campo liscio. Pesa quindici grammi. Di
questo bronzo ne abbiamo avuto quattordici esemplari dalle
acque di Vicarello.
6. Mus. Brit. Grappolo d'uva con picciuolo. R. Ferro di lancia.
Pesa gr. 11,4 (Poole, Catal. pag. 60).
7. Coli. mia. L'ho io trovato nei miei scavi di Palestrina. Grap-
polo d'uva con picciuolo e foglie. R. Campo liscio, anzi spia-
nato e pulito con la lima e con forellino al di sopra, per
sospenderlo al collo. Sul campo liscio vi furono fatte delle
linee doppie che sembrano rendere lettere. Pesa gr. 6,30.
Tav. XLII.
1. Kii-ch. Testa di leone che morde un pugnale il cui manico
è a sinistra. R. Protoma di cavallo sbrigliato volto a si-
nistra. Pesa once dieci, denari quattro e mezzo. Il Passeri
n'ebbe un esemplare trovato a Perugia (Parai- tab. Vili
n. 5; cf Olivieri, Fond. di Pesaro tav. IV, 1).
2. Kirch. Testa forse muliebre con capelli corti e cinti da fascia a
doppio giro. R. Acino d'orzo, di sotto è la nota del semisse.
Pesa once sei. Dalle acque di Vicarello se ne ebbero due
esemplari.
3. Kirch. Astro a sedici raggi. R. Clipeo con umbone nel mezzo,
e la nota del quadrante- Pesa circa due once e mezzo. Ve
n'è un esemplare nel Museo Britannico (Catal- p. 81) del
peso di quattr'once in circa. Il Poole l'ha attribuito a Gub-
bio : ma gli Eugubini non hanno assi maggiori del peso di
sette once.
4. Kirch. Altro quadrante posto qui cogli spezzati seguenti, ma
non appartengono alla serie prenestina che termina col n. 3.
Vaso a due manichi con la nota del quadrante. R. Grap-
polo d'uva con un pò di tralcio. Pesa once due, denari 15
e mezzo (Capranesi, Bull. Inst. 1835 p. 43).
5. Kircli. Svastica, ovvero croce detta di Gaza R. Nel centro
è il globulo nota dell' oncia e accanto una contromarea
simile ad un triangolo aperto da un lato. Pesa circa
un'oncia. Le acque di Vicarello ce ne hanno mandato
23 esemplari.
6. Kirch. Clava e nota dell'oncia. R. Pentagono e nel mezzo
la nota stessa. Pesa un'oncia e un denaro.
7. Kirch. Esterno della conchiglia pecten. R. Pentagono colla
nota dell'oncia nel centro. Pesa 21 denaro.
TIBUE,
Tav. XLIII.
L'asse, il triente ed il sestante di questa tavola non si sa donde
provengano, gli altri pezzi si sono trovati nelle campagne
tiburtine: più che altri l'oncia e la semoncia in quattro
esemplari ciascuno e il semisse in due ci sono stati man-
dati da quelle terre. L'asse ve l'ho aggiudicato io pren-
dendone argomento dal culto di Ercole che vi è rappresen-
tato, e perchè il grifo può bene simboleggiare le sortes,
che si conservavano nel tempio sontuoso dedicato a quel
nume, e può ben anche alludere all'oracolo apollineo, dan-
dosi ivi le risposte, per le quali la sibilla Albuna era salita
in tanta fama di sapienza e venerata come dea.
1. Coli. Santangelo. Testa di Ercole giovane coperta deUa spo-
glia leonina volta a destra. R. Protoma di grifo volta
egualmente a destra. Pesa once dieci e gr. tre.
2. Kirch. Cignale volto a destra, sopra del quale v' è la nota
retrograda del semisse. R. Vaso a larga bocca e a due
manichi. Pesa quattro once e diciassette denari. Tivoli ce
ne ha mandati due esemplari. Il Capranesi (Ann. Instit. 1840
tav. Q p. 210) che possedette questo esemplare dice che
il bar. D'Ailly ne acquistò uno in Napoli che poi smarrì.
3. Kirch. Aquila stante e respiciente a destra. R. Seppia con
quattro tentacoli e nota del triente. Di questo bronzo fu-
T. XLIV-XLVr
AES GKAVE
23
rono trovati due esemplari iu àmelia (Marcili, lav. XI n. 3,
Bull. Instit. ISSI pag. 221).
4. Eircli. Elmo frigio con guanciali e cresta volto a destra e
la nota di quadrante. R. Vaso a due manichi con copercMo
e la nota medesima. Pesa due once e qiiindici denari. Io ne
ho veduto im esemplare a Tivoli.
5. Kirch. Testuggine e nota del sestante. R. Protoma di serpe
barbato e con in capo la cresta, e vi si ripete la nota
medesima. Pesa un' oncia e diciassette denari.
G. Kirch. Vaso da latte e nota dell'oncia. R. Pedum o sia ba-
stone pastorale e la nota dell'oncia. Pesa ventidue denari e
mezzo. L'oncia e la semoncia provengono dalle campagne
di Tivoli.
7. Kirch. Scarabeo. R. Fiore. Pesa denari sedici e mezzo.
Di questa semoncia e dell'oncia ho veduto quattro esem-
plari che tutti provenivano dalle campagne di Tivoli.
Tav. XLIV.
In questa tavola sono uniti alcuni pezzi fuori di serie e di pro-
venienza generalmente ignota se ne eccettui il semisse e
il sestante n. 4.
1. Kirch. Protoma di bue volta a destra R. Prora di nave e
la nota del semisse. ^Pesa cinque once, un denaro e mezzo.
Un secondo esemplare ne fu trovato in Palestrina insieme
coll'asse che rappresenta la testa del leone col pugnale fra
i denti, e al rovescio la protoma di cavallo colla insegna del
caduceo.
2. Kirch. Testa di cignale volta a destra e nota del triente.
R. Barbito a cinque corde e la nota predetta. Pesa once
quattro e venti denari; in altro esemplare once 3 e denari
quindici.
3. Kirch. Protoma di montone volta a sinistra e nota del qua-
drante. R. Testa, parmi, di anguilla volta a sin. e nota del
quadrante. Pesa once due e den. 18.
4. Kirch. Ferro di tridente e nota del sestante. R. Àncora e la
nota medesima. Pesa un' oncia e 22 denari.
5. Museo di Vienna. Ferro di tridente. R. Fascio di verghe e
nota del sestante.
6. Kirch. Acino d'orzo nel mezzo : di sopra lA di sotto M e la
nota dell'oncia. R. Fiore ad otto petali. Pesa 17 denari.
7. Kirch. Testa di porco : di sopra v' è la nota del sestante:
Ben s'intende che il modellatore ha trasportato nel dritto
la V\ al riverso perchè non rimaneva posto dal rovescio.
di sotto la lettera AA R. Lo stesso tipo, la nota manca,
di sotto alla testa v' è VÌA retrograda. Pesa due once.
8. Museo di Vienna. È una crisalide ovvero un bruco. R. Lo
stesso tipo.
9. Kirch. È incerto se hanno voluto porre qui una lumaca
ignuda, ovvero un òrCcrxog, porcellino terrestre. R.'Nel campo
v' è la nota del triente. Pesa nove grammi e mezzo. Ve n' è
un esemplare nel Museo Britannico nel cui dritto il Poole
ha creduto che fosse rappresentata la luna crescente {Catal.
pag. 61).
10. Kirch. G-rappolo di uva con picciuolo e foglie. R. Fiore a
quattro petali. Pesa un' oncia e due denari e mezzo. Ve n' è
un esemplare nel Museo Britannico del peso di ventiquattro
grammi {Catal. pag. 39).
11. Dall'Ai-igoni (T. HI, tab. 18 n. 62, 64). Luna crescente
con astro a sei raggi. R. Sei globetti intorno a un settimo
che è nel centro. Nella tavola LXVI, 17 ne ho dato im
bronzo con simile tipo, in ciò solo differente che qui
mancano sul diitto i tre globetti o siano astri attorno al sole.
Tav. XLV.
1. Kirch. Vaso a due manichi e nota del triente. R. Corno potorio
a testa di asino e vi è ripetuta la nota medesima.
2. Coli. KoUer (Pinder, Numism. ani. ined., 1834, che erronea-
mente lo chiama quadi-ante). Testa coi capelli sparsi giu-
dicata dall'editore una Medusa : di sotto è la nota del triente.
R. Fiore a sei petali e la nota medesima.
3. Kirch. Pelle di cane posta di prospetto : di sopra v' è la nota
del quadrante. R. Testa di cane messa parimente di pro-
spetto, e di sotto ad essa la not^ medesima. Pesa quattro
once e ventitre denari : però deve assegnarsi ad un popolo,
la cui libbra si elevava al peso di quindici once.
4. Kii-oh. Eana e nota del quadi-ante. R. La triscele o sia le tre
gambe che partono da im anello centrale e la nota mede-
sima. Pesa once due e nove denari.
5. Kirch, Clipeo con umbone sovrapposto ad una piastra ro-
tonda che occupa il centro : disotto la nota del quadrante.
R. Grano d'orzo e da lato ì tre globetti denotanti il va-
lore. Pesa due once e denari dieci e mezzo.
6. Parigi, Gab. delle medaglie. Euota a sei raggi e la nota del
quadrante. R. Caduceo e la nota medesima.
7. Coli. Keller (Pinder, op. cit. pag. 38). Testa muliebre volta
a sin. R. Testa d'aquila volta a destra e di sotto la nota
del quadrante.
8. Kirch. dalle acque di Vicarello. Un secondo esemplare si ha
nel Museo Britannico {Catal. pag. 58). Testa di verro a
sin. R. Vaso a due manichi e nota del sestante. Pesa un'oncia
e quattordici denari.
9. Museo di Vienna. La lettera C, e nel mezzo la nota dell'oncia.
R. Ferro di lancia.
10. Kirch. Ferro di tridente. R. Ferro di lancia e nota del se-
stante. Pesa gr. 52. Dalle acque di Vicarello se ne sono
avuti undici esemplari.
11. Kirch. Astragalo. R. Bossolo da giuoco, il fritillum dei latini.
TAEQUINn
Tav. XLVI.
Prima dei recenti scavi fatti nella necropoli di Tarquinia, il Eo-
ehette {Journal de Savants 1841 p. 257) notò l'assenza to-
tale di moneta etrusca negli scavi di Veli, Cere, Tarquinii,
Vuloi e Bomarzo, e a p. 259 asserì, che negli scavi di Comete
e di Toscanella non erasi trovata neppure una sola moneta di
questa nazione. Quindi si tenne che l'Etruria transtiberina
non avesse avuto mai propria moneta. Or poiché questa
parte della Etruria veùne in potere dei Eomani l'anno 474,
24
AES GEAVE
XLVI
indi si dedusse, che a questo anno fosse posteriore la mo-
netazione fusa degli Etruschi. Queste deduzioni oggi non
hanno piti valore da poi che dalle tombe tarquiniesi ab-
biamo avuto un buon numero di aes grave e signalum,
suo proprio, perocché solo ivi e non mai altrove si è trovato.
Alla tre città Cere, Tarquinia, e Vai delle dodici ribel-
late a Servio Tullio (u. e. 176-219), dopo la vittoria
per essere state le prime motrici della rivolta fu tolta
una parte di territorio. Tarquinia sostenne altre guerre
con Roma fino al 404, allorché ottenne una tregua di 40 anni,
e si sa che mantenne la fede giurata. Le fu quindi accor-
data la pace l'anno 445, e rimase anche di poi fedele, di che
è anche indizio il sapersi che nel 451 l'esercito romano
ebbe libero il passo per le terre tarquiniesi. Cotesta città
ebbe la sua propria zecca, ove certamente in questo secolo
quinto fuse oltre all'aes rude, e all' aes signatum, anche
Vaes grave. BelVaes signatum primitivo si ebbe già un
bel saggio nei tre quadrilateri che il Borghesi credette
portati nel Museo Vaticano. Questi avevano per impronta
un tridente da un lato e un fulmine dall'altro. Di quello
che appartiene agli ultimi periodi del secolo quinto si è
trattato nelle dichiarazioni alle tav. XXVI, XXVII. Ma della
nuova serie di aes grave venuta alla luce ai tempi nostri
dàlia necropoli di Tarquinia dirò di essere stato il solo a
tener conto stando qui in Eoma, e a notare la provenienza
di quelle monete che si trovano oggi disperse pei musei senza
indicazione di luogo. Il primo asse che ho fatto delineare
nella mia tavola fu poi successivamente seguito dal ritro-
vamento di altri sei esemplari, fra i quali fu quello che ora
è deposto nel Museo della Università di Torino (Fabretti,
Il Museo di antichità della r. Univ. di Tor., 1872 § 41;
cf. J. de Witte, H. de la mannaie ed. del Blaoas, T. IV
pag. 14). Allora era ancor noto che io aveva già potuto
stabilire presso che del tutto la serie, a cui non mancava
che il semisse. Venne di poi ancor questo da quegli scavi,
e lo dobbiamo al cav. Gamurrini che lo ha deposto nel
Kircheriano. Il Fabretti aveva avvertito i suoi lettori
(1. cit.) che si attendessero da me l' intera serie che ora
pubblico, nella quale del resto v' è il quadrante e il triente,
che vi stanno per mia congettura fondata sulle scoperte
fatte ancor prima neUe campagne e nella necropoli. Non
devo qui omettere che ora abbiamo un novello asse con
tipo di un astro a quattro raggi ripetuto sul riverso, che
sarà dato neUa tavola di supplemento LXX, n. 1.
1. Coli. Capobianchi. Protome di cignale volta a sinistra. R. Ferro
di lancia. È il primo dei sette esemplari che ora si hanno.
Pesa grammi 307. Ma quello del Museo di Torino ne
pesa 352 (Fabretti, Il Museo d'ani, pag. 41). L'esemplare
del Museo di Londra di gr. 323,28 (Calai, of the Greek
Cons p. 149) è stato attribuito a Venosa, non essendosene
saputa la provenienza.
2. Kircheriano. Testa di montone volta a destra. R. Verga pa-
storale retta. Possedevasi dal can. Marzi, che l'aveva trovata
in un sepolcro insieme col quadrante di questa serie. Il Ga-
murrini lo acquistò e pose nel nostro Museo. Pesa gr. 137.
8. Kircheriano. Luna crescente ed astro ad otto raggi : di sotto
è la nota del triente. fi. Ruota ad otto raggi. Pesa quattr'once
e due denari. V è nel Kirch. un secondo esemplare che pesa
quattro once e nove denari. Se n' è trovato un esemplare
in Tarquinia : oud' è ohe io l'ho posto in questa serie.
Due se ne ebbero dalle acque di Vicarello. È notevole
che se ne sia trovato uno in piombo, che, per essere pos-
seduto dal Biancani in Lodi, fu attribuito dal Zanetti a
questa città (Zecche d'/toiia, V, 451). Oltre^a questo triente
di piombo ci viene da Tarquinia un sestante dello stesso
metallo, che do qui al n. 7.
4. Kircheriano. Delfino volto a d. e la nota del quadrante.
R. Ancora. Pesa due once, nove denari e mezzo. Ne fu
trovato un esemplare, come ho avvertito di sopra insieme
col semisse nella necropoli di Tarquinia.
5. Il giogo e la nota del sestante. R. L'aratro volto a d. Mi fu
recato da Tarquinia insieme con l'asse e l'oncia di questa
serie. Pesa gr. 50. Di questo bronzo si conservano nel
Kircheriano tre esemplari senza nota di valore. Il Baz-
zichelli che ce li recò disse di averli trovati nelle terre
di Tarquinia. Due di essi sono di bronzo, il terzo che è
di piombo, lo do qui al n. 7. Uno d'essi pesa un' oncia
e 19 denari.
6. Museo Britannico (Catal. pag. 40, dove è assegnato ad
Ascoli e stimato portare i segni di lui'oncia e mezzo).
Venne in mia mano con l'asse predetto e col sestante dalla
necropoli di Tarquinia; e ne trassi il disegno. Nel dritto
rappresenta la luna crescente e nel centro la nota dell'oncia.
Al riverso non v' è altro che un A. Pesa ventitré grammi.
Questo A se sia un sinbolo o una lettera il discuteremo
di poi.
7. Kircheriano. Sestante di piombo coi tipi già notati del giogo
e dell'aratro. Ma qui manca ogni nota di valore. Può ben
essere che si abbiano qui come in Venosa due serie l'una
colla nota di valore l'altra senza: perocché noi abbiamo
anche il semisse che ne è privo. Il solo sestante senza i
globetti non ne é indizio sufficiente, avendosi per espe-
rienza che cotesti spezzati sono stati emessi anche senza
le predette note, a modo di esempio in Lucerà (tav. LXIV, 7).
A proposito delle monete di piombo è bene avvertire che
la loro somiglianza con le monete di bronzo non basta a
provarne l'uso monetario: perocché si sa che tali monete
poterono esser fuse per saggiare col confronto di peso la
quantità di piombo o di stagno introdotta nelle simili mo-
nete fuse di bronzo. Il litro di piombo pesa 11 chil. 352 gr.,
il litro di stagno invece ne pesa 7 chil. 285 grammi. Po-
trebbero anche essere prove di conii.
8. Kircheriano. Bronzo privo della nota di valore. Ha nel dritto
un caduceo e nel rovescio un A. Sembra doversi attri-
buire alla zecca di Tarquinia che si serve di questo segno,
0 lettera A, non solo nell'oncia, ma sì ancora come ve-
demmo nei quadrilateri (tav. XXVII, 4-6), non potendosi
pensare ad Ascoli di Puglia che pur si serve di un simile
segno, ma per iniziale del proprio nome : né si é poi mai
saputo che le monete ascolane siano state vedute in co-
T. XLVII XLVm
AES GRAVE
25
testa Etruria trasliberina, ovvero che queste nostre siano
apparse in Puglia. Dalle acque di Vicarello si sono estratte
ventisette monete con l'A e il caduceo, come questa nostra.
Inoltre le acque medesime ci hanno mandati quattordici
esemplari di cotesta oncia o semoucia (sogliono pesare circa
i due terzi di oncia elfettiva) dove una faccia rappresenta
il caduceo, l'altra è liscia. Il loro peso suol essere di
16 grammi in circa (Poole, Calai. 61, 50, 51).
9. Ora che si è assicurata la serie dell'aes signatum coli' A e
dell'acs yravc con lo stesso segno rimane a spiegare questo A
preso per tipo dai Tarquiniesi. La quale se noi vogliamo
che sia lettera, non sarebbe certamente etrusca, ma greca, o
latina e neanche potrebbe aversi per iniziale del nome Tar-
quinii. Livio conta Tarquinia alla metà del secolo sesto fra
i popoli etruschi, che concorsero all'armamento della fiotta
romana prendendo a se di provvederla della tela di lino per
le vele (L. XXVIII, 4-3): Tarquinienseiì Unica in vela.
Non importa alla questione nostra che non sia stata fondata
dagli Etruschi : questi occuparono le terre che si stendono
fra il Tevere e il mare nell'epoca medesima, in che i Focesi
si stabilirono in Alalia. Prima era essa una colonia di greci
Tessali (.Justin. XX, 1): Midtae urbcs adirne post lantani
veluslalein vestigia graeci moris nslentanl: in Tuscis Tar-
quinii a Thessalis. Secondo Dionigi vi avevano approdato
anche i Pelasgi di Cillene (De sitit, orbis v. 347), che vi
abitarono misti ai Tirreni. Demarato vi potè trovare re-
capito l'anno 104 di Eoma: egli è certo che dopo l'occu-
pazione etrusca essa non cambiò mai nome, e sempre si è
detta Tarquinii, fìHDIAT. Sajìpiamo, che Caere si chiamò
prima AgijUa ; ma non venga, di grazia, in mente ad al-
cmio che la serie Tarquiniese sia invece uscita dalla offi-
cina di Agijlla, per trovar modo di interpretare la lettera A
delle sue monete. Di più queste monete non si trovano
in Caere e aggiungo che neppure in Alsittm, ne in Axia
(Castel d'Asso), le quali due città potrebbero cercarsi a
motivo della iniziale. Axia inoltre fu sempre etrusca ed
Alsium non ebbe una colonia romana se non sul finire della
prima guerra punica, quando erasi introdotto in Eoma l'asse
sestantario e in Italia abolita la moneta fusa. Esclusa quindi
ogni probabilità di antico nome, e del carattere greco o la-
tino in una città la cui necropoli è tutta etrusca, rimane
che ci rivolgiamo a giudicare altrimenti di cotesta A, che
deve essere piuttosto un simbolo o segno simile ad una
livella a cui il piombo manchi.
TELAMON
Tav. XLVII.
1. CoU. Strozzi. Trovato negli scavi presso Telamone. È un' oncia
fusa colla sola nota del valore che è un globetto nel cen-
tro del dritto ripetuto nel riverso. Non vi sono tipi, ma
dall' un lato vi si leggono secondo me queste lettere WA-J
che agevolmente si compiono col nome della città di Tela-
mone Tlamu.ìl Gamurriui l'ha veduto presso il march. Strozzi
e l'ha dato alla luce nel Supplemento al Corpus inscr. ilalic.
del Fabretti a p. 12 n. 70. Le lettere che anche a parer
suo sono discernibili e varmo da destra a sinistra, secondo
il disegno che ne ha dato die' egli nella tav. Ili n. 70,
si leggono . . . alata ... Ma sembra che il suo disegna-
tore non si trovi d'accordo totalmente con lui, avendo
espresso quasi in incavo le lettere I fl A + .A. La mia le-
zione deriva da imo studio iterato sul bronzo originale, clie
mi fu trasmesso dal march. Strozzi. Un bronzo simile a
questo, ma che porta da un sol lato il tipo dell' astragalo
insieme colla nota dell'oncia, è poi singolare sul rovescio
per la leggenda S A F che lo dimostra fuso dai Sabini (tav.
XL, 8 a, b), la cui serie anepigrafa si ha nella tav. XXXVII.
VOLATEEKAE
2. Volterra, Coli. Inghirami. Bifronte imberbe coperto di un
pileo a larga gronda e acuminato. R. Delfino volto a sin.
e intorno l' epigrafe NOfl>J3ì con la nota II del du-
pondio. Pesa once otto e quattro denari. L' Inghirami
l'ha pubblicato nei Monum. Etr. serie III tav. 1 ; il mio
disegno è preso da un gesso che me ne sono procurato
dal possessore.
3. Kircheriano. Bifronte imberbe coperto di pileo acuminato e
a larga gronda. R. Delfino con 1' epigrafe NOfì>l3ì e la
nota dell' asse. Pesa quattro once, dieci denari e mezzo.
4. Kircheriano. Semisse coi tipi medesimi dell' asse, tanto al
dritto che al riverso dove solo la nota dell'asse si cambia
in lunetta D, nota del semisse. Pesa due once e denari
quattordici. Ora il sig. Capobianchi mi ha recato un
suo esemplare che pesa gr. 68,60, pari a due once e
gr. 12,60.
L'Arigoni (T. Ili tab. 26) e il Dempstero (tab. LVI, I)
ne diedero inciso un esemplare, che sembra riprodotto dal
Carelli (tab. IV, 8), omessa però la nota dell'asse.
Il territorio di questa città esteudevasi fino al mare, le
cui spiagge poi tennero il nome di vada volalerrana, e
questo loro dominio sul mare vollero di certo significare
prendendo per tipo di questa serie il delfino. Era fama
che i Volaterraui avessero tolta Populonia ai Corsi, e v'era
tradizione che l'avessero colonizzata, come impariamo da
Servio (ad Virgil. Aen. J, 172); Alii fopuloniam Volater-
ranorum coloniam tradunt, alii Volaterranos Corsis eri-
puisse diclini.
Volterra inscrive il suo nome intero sulle monete, come
i Tudertini e gli Eugubini dell' Umbria, dall'uso delle quali
città si dipartono ripetendo gli stessi tipi per tutta la serie
come fanno generalmente gli Etruschi.
Tav. XLVIIL
1-7. Kircheriano. Bifronte coperto di pileo a larga gronda e
acuminato nel mezzo. R. Clava e intorno KOfl-jaì. La nota
di valore nei semisse è la lunetta. Il dupondio pesa gr. 297
pari ad once 10 e gr. 17. L'asse pesa gr. 125 pari ad once
quattro e dodici grammi. Il semis pesa grammi 99 pari ad
once 3, gr. 11. Il triente pesa gr. 63, cioè due once e tre
grammi.
26
AES GRAVE
T. XLIX L
T.iv. XLIX.
1-7. Questa serie non ha verun tipo al rovescio, ma soltanto
l'epigrafe e la nota di valore. I pesi sono quei della serie
precedente, cioè di cinque a sei once la libbra. Non v' è
stata riduzione, ma i pezzi maggiori non arrivano al giusto
peso, i minori talvolta lo sorpassano, sempre però accen-
nano alla libbra di cinque a sei once.
Quando l'Eckhel scriveva la Doclrina numorum vele-
rum eransi già tolte queste due serie a Velletri per darle
a Volterra, loro vera patria. Nelle monete genuine il bi-
fronte è sempre imberbe, il sestante dell' Arigoni (T. Ili
tav. 31 n. 17), e l'asse (ib. tav. 37, IV, 2), dove il bifronte
è barbato, non possono tenersi per veri, come li ha tenuti
dopo il Lanzi anche il Carelli, che li ha incisi nelle sue
tavole (tab. II, I, VI, 19), ai quali ha fatto l'aggiunta d'un
sestante (ib. n. 20). Falso è altresì il dupondio del Zelada
(tab. II) che pur si vede riprodotto nelle tavole Carelliane
(tab. II, 2). II Lanzi imaginb alcune spiegazioni del bifronte,
ora barbato, or in sembianze muliebri, che furono giusta-
mente riiìutate daU'Bckhel {D.n. v. 1,94).
Il culto di Ercole, la cui insegna è la elava, era diffu-
sissimo per tutta cotesta maremma, come anche dimostrano
il portus Uerculis labronis vicino a Volterra e il portus Her-
culis presso Cosa.
BTKURIA MEDITERRAISTEA
T.U-. L.
Le varie serie di aes grave nelle quali generalmente domina il
tipo della ruota, e sono anepigrafi, ovvero distinte da una
0 due lettere, o contromarche, sogliono aversi dalle terre
di Arezzo, di Cortona, di Chiusi e della Valle della Chiana.
11 loro rovescio ripete il tipo medesimo del dritto, ovvero
reca un proprio simbolo che giova a distinguere la serie.
Io ne dò il saggio nelle tre tavole seguenti delineandone
solo le maggiori unità; quanto agli spezzati che ripetono il
tipo dell'asse mi è parato sufficiente di ricordarli a ciascuna
serie.
ALLEANZA DI CAMARS CON l/I • ^ • q ■ e V ■
1. a,b. Kircheriano. Fu in Arezzo nel Museo Bacci, ora se ne ha
un secondo esemplare trovato nel 1840 su Falterona ai con-
fini della Toscana verso la Romagna. Il suo tipo è da un lato
la ruota a sette raggi con tre lettere 1/Hì separatamente
scritte ad ogni due raggi della ruota ; né v'ha dubbio che
debbasi cominciare da ì perchè fra questa lettera e la H
sono tre raggi coi due loro campi lisci. Dall'altro lato è
un' àncora sul cui ceppo fra le due patte è iscritto un V.
Pesa gr. 736. Il secondo esemplare non pesa uè più né
meno di questo. Se l'asse di coteste serie va dalle cinque
e mezzo alle sei once, né ci sono riduzioni, il bronzo che
abbiamo davanti deve tenersi per un quincusse. Di fatto i 168
grammi che danno le sei once presi cinque volte sommano
gr. 750, che poco si discosta dal peso effettivo del bronzo.
Con tutto ciò non si può decidere nulla, prima che consti
se la V sia lettera, come pare a me, ovvero cifra A del valore
di cinque, come altri opina. Gli Etruschi hanno scritto il
numero cinque, A, che è la metà inferiore del X, e non si
hanno esempi che l'abbiano mai volto in su alla maniera
dei Latini. Gli V Etruschi nel significato numerico di
cinque sono però giustamente attribuiti a sbaglio dell'ar-
tefice (ef. Fabretti, Pr. Suppl. pag. 249). Non v' è poi
motivo di supporre che qui gli Etruschi abbiano figurato
r àncora capovolta, per provare che la cifra A è nume-
rica. Le tre lettere del dritto sono disposte da destra a
sinistra, dovendosi leggere interiormente l'I 'l ^, per l' in-
clinazione delle linee della 'l e della V\, e perchè, siccome
abbiamo notato di sopra, l'epigrafe comincia da 1, fra la
qua! lettera e la i/1 estrema v' è un duplice campo libero
fra i raggi della ruota, e non un solo, come fra mezzo alle
tre lettere.
Con tali osservazioni essendo ben dimostrato l'ordine e l'anda-
mento delle tre lettere non resta che da stupire ricordando
l'erronee e disordinate lezioni che di queste lettere si rife-
riscono. Il Guarnacci {Oi-ig. Hai. p. 173) e il Passeri (p. 175)
raddoppiando gratuitamente la lettera T, e aggiuntavi un A,
giunsero a leggere T P N A, per aver l'upluna. 11 Dempstero
{Etr. num. I, tav. LXl) lesse NA^I. Il Gori (HIus. Etr. II
p. 423) compose arbitrariamente le tre lettere e lesse ^VN,
invertendole e cambiando il T in V, e annunziò che questo
bronzo apparteneva senza dubbio a Nuceria, e vi si leg-
geva Nufceria, come sulla moneta della Nuceria Alfaterna,
che scrive l11VHiq>nVl/l. L'Avellino nelle annotazioni
alle tavole del Carelli (Fior., .Ann. numism. II p. 75)
aveva scritto : Tab. 1 Inter radios iiìt. F V N, e notato che
il Mazzocchi, presso de Attellis {Civiliszazione i. II p. 19),
si vanta [Tirreniche, diatr. VI) di essere stato il solo che
l'abbia attribuita a Luna: essendo una rota a sette raggi
con tre lettere etrusche L V N divisamente tra essi apposte.
Finalmente il Cavedoni (/n Fr. CarelUi tab. I) lesse esterna-
mente e non pertanto da destra a sinistra l/l <J ì, invece di
l/l 'l ì, e al riverso considerò 1' àncora come capovolta per
trovarvi la A, quinipondii nota, già per tale giudicata dal
Passeri e dal Grotefend (Blatter fur Miinzkunde t. I n. 9).
Dopo tutti ha parlato infine il Mommsen per dire [H. de
la moivn. I p. 381), che è difficile determinare dove si debba
cominciare a leggere, perchè ciascuna lettera è fra i raggi della
ruota. Ma egli così scrivendo, mostra di non aver badato al
doppio spazio lasciato vuoto a destra; mentre ciascuna delle tre
lettere non ha in mezzo piti di un sol campo vuoto tra due
raggi. Non vi ha poi dubbio che coteste lettere debbono essere
iniziali, solo s'ignora a quali città, evidentemente in lega
fra loro, si debbano attribuire. Netuns e Nepete sono le
sole città etrusche a me note che abbiano per iniziale un V\.
La F è comune a Facsulae, a Fercnas, a Felathri ( Volaterrae),
a Fati (o sia Vetulonia), a Felsna (cioè Volsinium), e ad
altre ancora se cambiasi il V consonante in F. Abbiamo
ancora esempì della iniziale A in Peithesa, in Perusia, in
Pupiuna (o sia Populonia).
T. LI-LUI
AES GRAVE
27
fìsP, D. W\, /V\
Tat. li.
1. Nel Kircheriano. È im tlupouJio cou la ruota a sei raggi nel
dritto e l'ancora nel riverso : dove è anche il seguo di va-
lore Il e la leggenda fì-J^. Di questa serie vi è 1' asse, il
semisse, il quadrante e l'oncia ohe non lio delineato nelle
mie tavole, bastando averli indicati. La ruota che nei trienti,
semissi ed assi ha sei raggi, ne ha poi quattro nel qua-
drante, nel sestante e nell'oncia. Il semisse in cotesta serie
e nelle seguenti (2, 3) non è notato che con sei globetti e
l'asse si esprime con una linea retta verticale.
2. Nel Kircheriano. Il tipo medesimo della ruota è nel dritto,
ma nel rovescio vi si vede un vaso a due manichi di quella
classe che dicesi vaso a campana : la linea che dinota l'asse
è sulla pancia del vaso, e sopra di esso vi si vede un D
iniziale del nome della città. Di questa scorie, che ad evi-
denza si lega colla precedente e solo se ne distingue pel
nome della zecca, abbiamo la libbra che si conserva nei
Musei Kircheriano, di Arezzo, di Bologna, di Pesaro; il
semisse notato da sei globetti è pure nel Kircheriano; vi
hanno in altri Musei il quadrante, il sestante e 1' oncia.
Dalla serie medesima, variando solo il luogo della iniziale D
che è sul dritto, si ha la libbra nel Museo di Firenze e
ivi medesimo il semisse, il quadrante, il sestante e l'oncia
che trovasi anche in quello di Parigi.
In altre serie la iniziale è invece un W. Se ne ha un
esempio a Parigi, rm altro a Firenze : ma di recente il Ca-
pobianchi me ne ha mostrato un terzo bellissimo. Vi è anche
il quadrante e il sestante.
In una terza serie la iniziale è un AA ma in essa la
nota della libbra non è sulla pancia del vaso, sibbene al lato
destro. Se ne hanno tutti i pezzi, l'asse, il semisse, il triente,
il quadrante, il sestante e l'oncia.
3. Nei Musei di Firenze e di Arezzo. Nel dritto la ruota a sei
raggi, nel rovescio un' anfora, e accanto a destra la nota
del valore che è la libbra.
Di cotesta serie si hanno inoltre il semisse, un cui esem-
plare si è trovato di recente a Chiusi, il triente, U qua-
drante e l'oncia.
ALLEANZA DI COETONA CON ^ e V-
Tav. LII.
1. Nel Kircheriano. Nel dritto è il tipo della ruota a sei raggi;
sul riverso il ferro della bipenne, e a sinistra la nota del
valore che è la libbra, a destra la lettera iniziale 3. Se
ne conosce oltre all'asse, la sola oncia che è nel Museo di
Firenze.
Una seconda serie varia soltanto la iniziale che è ì. Di
questa si hanno l'asse, il semisse, il quadrante e 1' oncia.
La terza serie ha per iniziale del nome un V, la cui
asta sinistra è più lunga della destra, e pare perciò più
simile ad un U che ad un V. L' asse , il semisse, il qua-
drante e l'oncia sono conosciuti e si conservano nei Musei.
2. Nel Kircheriano. Euota a sei raggi ripetuta nel riverso, sul
cui orlo sono posti in giro dodici globetti, nota del valore
che è la libbra. Di questa serie abbiamo il semisse, il triente,
il quadrante, il sestante e l'oncia. In questa serie si sono
trovate alcune contromarche ; mi sono note la V che rive-
desi in tutti gli spezzati; però il triente non si è ancor
trovato. Nel quadrante, sestante ed oncia è marcato un h.
e nel Museo di Firenze bassi un sestante con la lettera > ;
V'è anche la 3 con una foglia di edera * parimente in
contromarca.
3. Nel Kircheriano. Euota, a cui fanno da raggi due semicerchi
opposti e congiunti da una traversa ; in alto è la nota del du-
pondio. Lo stesso tipo è ripetuto nel rovescio. Di questa
serie abbiamo il semisse, il triente, il quadrante, il sestante
e l'oncia. La nota del semisse è una mezza luna ), come
in Volterra, Todi e Grubbio, e nella serie attribuita già a
Bolsena, che ha per tipo una testa giovanile di prospetto
coperta di un pileo acuminato a guisa di meta circense.
ALLEANZA DI AEETIUM CON V-
Tav. LUI.
1. Kircheriano. Simile al dupondio della tavola precedente ha
però di proprio la lettera fì nel dritto e la V nel rovescio.
A questa serie manca tuttavia l'asse, ma v' è il semisse
nel Kircheriano notato della cifra ^ ; v' è il triente ,
il quadrante, il sestante e l'oncia nel Museo medesimo. Il
sestante e l'oncia si trovano ancora nel Museo di Cortona:
la lettera fl sembra accennare ad un Aretium rimanendo
poi a sapersi il nome dell'altra città la cui iniziale sia un V
vocale. Tale si è nell'Umbria VUrvinum Metaurensé, che
oggi si appella Urbania, VHortense Drvinum che è l'odierno
Urbino è più distante, ma non è perciò meno probabile.
ALLEANZA DI CITTÀ ETEUSCA CON TUDEE UMBEO
2. Da un calco. Euota etnisca e fra i raggi in rilievo la
leggenda 3Q3+V+. R. Globo nel centro fra tre mezze
lune opposte : intorno all' orlo , vanno dodici globetti ,
nota dell'asse. Fu già nella Collezione Coltellini di Cor-
tona (Congetture sopra Viscrisione della torre di S. Marco
pag. LXXXIX), il quale ne fece dono al Sestini, che lo
riprodusse (tom. IV delle Lettere e Diss. tav. n. 1 p. 152
Livorno, 1779). Dal Sestini passò nella Collezione Ainsley,
come attesta il medesimo Sestini (loc. cit.), dove tuttora
deve conservarsi, ovvero starà in Londra di certo, aven-
done ivi il numismatico sig. I. G. Pflster cavato il calco,
del quale mi fé' dono nel luglio del 1857, quando visitai
il Museo Britannico. Il Sestini ricorda di aver veduto \m
asse simile a questo, ma anepigrafo, nella collezione Sellari
di Cortona, e che altre divisioni di questo asse erano presso
l'Ainsley. Nel Kircheriano si hanno il semisse colla nota
del valore in sei globetti, e il triente con quattro : questi
ripetono gli stessi tipi: ma poi il quadrante ne ha tre e
il sestante due in campo liscio.
Assicurata cotesta serie rimane ora che le assegniamo
la zecca dalla quale fu emessa. Non v'è dubbio, che se do-
vessimo stare alla leggenda sarebbe Todi, ma per asse-
gnarla a Todi non v'è argomento, della leggenda in fuori,
28
AES GRAVE
T. LIV
che non opponga uu ostacolo gravissimo. In cotesto bronzo
tutto è etrusco: il peso, la figura della ruota, la prove-
nienza, il sistema dei dodici globetti per l'asse, di sei pel
semisse invece della mezza luna usata in Todi. Ma si è
convenuto generalmente come a cosa dimostrata, che vo-
lendo gli antichi significare una confederazione lo abbiano fatto
talvolta unendo insieme i tipi di una città col nome di
un'altra. Sarebbe dunque nel caso nostro espressa im'al-
leanza, ad esempio, di Cortona con Todi mettendo insieme
coi tipi della prima il nome della seconda.
3. a, h. Kircheriano. Ruota etrusca con la singolarità di quattro
lettere impresse, le quali insieme unite sembrano dire A3TT
dove rV manca. R. Il riverso è liscio, ma nel centro
v'è il globetto segno dell'oncia. Sia pur vero che fu erro-
neamente omessa l'V nella leggenda che dovrebbe essere
Q3TVT, ma sarà sempre indubitato che clii impresse queste
lettere ebbe in mente il nome di Todi.
4, 5. Museo di Bologna. Asse i cui tipi sono da im lato la
ruota ad otto raggi con lettere divise tra gli otto raggi,
che esternamente lette danno il nome FE..U[INkA. R. Ancora
con la nota dell'asse nel ceppo di congiungimento delle due
marre: il campo è intorno chiuso da un cerchio in rilievo.
Non v'ha dubbio che i tipi della ruota e dell'ancora siano
della zecca di Chiusi, la quale si chiamò Camars dagli
Etruschi, ma questi tipi sono stati veduti ancora nel quin-
cusse di confederazione, dove la prima lettera è un 3, che
è pure r iniziale del nome etrusco Fetlun[e]a inscritto fra
gl'intervalli degli otto raggi di cotesta nostra moneta. E
poiché in quel quincusse manca il nome o l' iniziale della
città alleata, indi si deduce, che il tipo, come si è avver-
tito di sopra, vale a significare la zecca, che è quella di
Chiusi. Il nome della città che qui si legge è Velhmea, o
supplendosi la terza lettera col confronto del secondo esem-
plare che dò qui appresso. Ma la penultima lettera della quale
sono determinabile le sole linee inferiori è per congettura
supplita per E, né si può altrimenti, se non si vuol leggere
Vetlunva, ovvero Vellunfa.
6. Museo di Pesaro. I tipi sono gli stessi del numero prece-
dente : r epigrafe meglio conservata si legge intera-
mente CETUCNKA. Sul ceppo dell' àncora non si lascia
scorgere la nota dell'asse. Questo bronzo che pesa sette
once fu pubblicato dal Passeri (tav. VI, 1 pag. 183) che
vi lesse, E..+U..A. Poscia il Lanzi ripetendo la stampa del
Passeri ne diede una lezione pili piena fl(MV)-J+33 {Sag-
gio 11, 30, 25). Fu dunque per ambedue certo che la città
indicata dalla epigrafe era Vetulonia : e però fa senso che il
Grotefend scrivendo dopo (BMter fur Miinzkunde 1837 T.I
n. 9) attribuisca la moneta a Vetuna città dell'Umbria
(cf. T. II p. 70 n. 5). Ma il Fabbretti avendola trascritta
nel Glossarium (col. 1959) dal Lanzi attesta poi nella Da-
acrizione geografica 1867 pag. 5XSIII di aver veduto
l'esemplare del Museo di Bologna e di avervi letto CE+UCN8fl.
La città di Vetulonia sulla propria moneta s'inscrive FA+U
e sopra un bronzo di alleanza con Populonia e Camars
essa vi è indicata dal nome V>ifl+3^. In questo asse in-
vece è denominata FE+l-CNkfl, ove la lettera C tiene il
posto della lettera vocale V ; ma non è certo come ho detto
se la penultima sia un P od un K ovvero un C o sia se
debba leggersi Vetlionea ovvero Vdlunfa oppur Vetlunva.
ETRUSCORUM
Tav. LIV.
1. Coli, del sig. Agostino Castellani in Cortona. Testa giova-
nile di prospetto con capelli sparsi coperta di un pileo di
forma piramidale senza gronda, o piuttosto con gronda
coperta da un velo che sembra involgerla. Il pileo si vede
munito di fettucce con le quali é legato di sotto al mento.
Nel rovescio v' è una scure e un coltello , nel centro un
globo, a sin. la nota dell'asse, a destra una mezza luna.
Questi tipi si ripetono per tutta la serie, se ne eccettui
la nota del valore, che nel semisse é una mezza luna
rovescia : manca finora il triente e il sestante, v' è però il
quadrante e l'oncia. Il globo dell'asse è ripetuto nel solo
semisse, ma nel piccolo bronzo n. 4 ci sta a dinotarne
il valore che è l'oncia: la semoncia altro non ha al ri-
verso che la scure e il coltello. Dal pileo acuminato del
dritto che è tanto analogo al pileo flaminico si poteva
dedurre che la figura giovanile rappresentasse un sacer-
dote, e vie più, perchè tale idea è confermata dagli
strumenti sacrificali definiti dal Cavedoni per Vacidris e
la secespita [Nat. dell'aes grave pag. 22). La opinione me-
desima portò il P. Marchi, il quale fu perciò indotto a
cambiare la nota dell'asse che credette male espressa nel
disegno in caipedimctùa. Io ne ho veduto l'originale e con-
fermo col possessore, che ivi è fuor di dubbio la nota del-
l'unità 0 sia dell'asse. È invalsa la credenza che i bronzi
di questa serie provengano dai contorni del lago di Boi-
sena. Io non so di quali pezzi lo ' abbiano detto o potuto
dire. Non di certo dell'asse , unico finora, probabilmente
trovato in luogo non molto discosto da Cortona: non del
semisse, i cui due esemplari finora noti non si sa dove
siano stati trovati. Un quadrante so che è stato di recente
comprato a Chiusi. Del sestante e dell'oncia e semoncia se
è vero che sogliono trovarsi intorno al lago fa d'uopo ri-
petere ciò che abbiamo altrove notato degli spezzati infe-
riori, cioè ohe non si suole fare gran caso di essi, quando
si tratta di assegnare la patria ad alcuna serie. Ma noi
vediamo che essendosi scavato molto intorno alla Bolsena
etrusca cioè alla odierna Orvieto, né questi né altri bronzi
della serie nostra son venuti fuori: né io ricordo di averne
veduti nella moderna Bolsena in casa del conte Cozza, che
pur aveva raccolto gran copia di svariate monete, di alcune
delle quali piacquegli farmene grazioso dono. Volendo poi
attribuire questa serie ad alcuna città etrusca farò notare
che l'Etruria centrale non adopera figure umane per tipo ;
nel che è anche seguita dai Tudertini ed Eugubini. Il Ca-
vedoni (loo. cit.) opinò, che ne fossero autori i Tuscanienses,
perchè essi si danno il nome comune alla nazione, e questa
l'ebbe dal rito sacrificale, scrivendo Plinio (III, 8, 16): .4
sacrifico ritu lingua Graecorum Thusci sv.nt cognominati. 11
T. LV
AES GEIVE
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marchese Melohiorri (Bull. Inslit. 1839 p. 122) stimò, che
si potesse dare a Luni, e il motivo iu, perchè la moneta
reca per simbolo la luna, e il cacio di Luni ebbe per
insegna patria la luna, come s'impara da Marziale, ove
scrive: Cnscus ctruscae signatus imagine lunae. Ma qui il
Melchiorri passa per tipo patrio la mezza luna , che è
invece im segno distintivo di conio, un' impronta dell'oifi-
cina ; né l'hanno adoperata solo quei di Luni, ma altri
popoli etruschi, anche in contromarca, e si trova usata anche
dai latini, come se ne può convincere chi guarda l'asse di
Palestrina (Tav.LXIX, 1), ore la mezza luna prende il posto
del caduceo. Eivenendo ai Tuscanienses cotesti popoli non
figurano fra le dodici città etrusche, e di più nel loro ter-
ritorio non si trovano le monete di questa sorta, ne poi
si vede come essi si potessero attribuire i tipi comuni a
tutta la nazione, almeno a parere dei G-recij ai quali secondo
la tradizione avevano di certo miglior dritto i Tarquiniesi.
Dietro tutto ciò io penso, che cotesta serie non si debba
attribuire ad una speciale città, ma sia piuttosto stata
emessa a nome comune dalla nazione.
2. Kircheriano. I tipi sono quei dell'asse: la nota di valore è
posta in basso fra V accetta e il coltello. Pesa tre once,
denari uno e mezzo. L' esemplare del Gabinetto parigino
delle medaglie pesa gr. 83.
3. Kircheriano. Nel quadrante si ripetono i tipi medesimi: la
nota del valore è posta fra il coltello e l'accetta. Un esem-
plare del Museo Britannico pesa gr. 45,00 {Calai, p. 24).
Un esemplare che proviene da Chiusi ha di peso gr. 36,70.
4. Kircheriano. I tipi sono gli stessi. La nota del valore è nel
centro. Pesa dodici denari. Ve n'è un altro esemplare che
pesa sedici denari e mezzo.
5. Kircheriano. I tipi sono i medesimi : manca però al riverso
la luna crescente. Non vi è la nota del valore, ma è una
mezz'oncia avendo di peso sei denari.
6. (Carelli tav. XX n. 34). Dopo la serie già descritta ho posto
questo bronzo per una certa analogia dell'accetta che vi si
vede. È un' oncia e ripete il tipo, cioè l'accetta e la clava,
a cui non v'è niente di simile nelle serie che ripetono al
rovescio il tipo del dritto.
FIXIBUS AGEOEUil PICENI ET GALLICI
ANCON
7. Museo di Firenze. Nel dritto v' è delineata la triscele o sia
il gruppo di tre gambe umane che procedono da un globo
che è nel centro, col ginocchio alquanto piegato. So-
gliono queste tre gambe seguirsi ma qui con nuovo esem-
pio due sole si seguitano, non già la terza, che ha un mo-
vimento contrario aUa seconda. B. Ferro di im tridente.
Pesa gr. 484,18, pari a diciassette once e gr. 8,18.
n Gori ne possedette il primo esemplare, che passò poi in
Sicilia e ora non si sa dove sia. 11 P. Eomano ne aveva una
copia in bronzo. Cotesto nuovo esemplare l' ha pubblicato
il Gamurrini, dal quale abbiamo appreso che proviene dalle
terre umbre tra Todi e Perugia {Perioil. numism. del
march. Strozzi anno IV p. B). È per me probabile che l'ab-
biano fuso i coloni di Ancona ; e che la triscele faccia da
simbolo del promontorio come per altro verso il cubito è
simbolo della città posta in ipso fleclenlis so orae cubilo (Plin.
//. N. Ili, 13). Perocché così potrà trovarsi anche da giusti-
ficare la disposizione nuova delle due gambe, che si vanno
incontro, sapendosi, che tre sono i promonlorii del monte
Cumerio, due dei quali colle loro estremità ricurve s'incon-
trano chiudendo in seno la città di Ancona, il terzo che spor-
ge in mare a settentrione sta solo. Exin ilta, scrive Mela
(11, 4), in angusto duorum pyoinontoriorum ex diverso
coeuntium inflexu cubiti imagine sedens. I Siracusani ri
vennero l'anno 347 di Eoma. Questo asse che pesa dicias-
sette once non ha finora spezzati: potrebbe per altro citarsi
a confronto quel triente, che do alla tav. XLV, 3, il cui
peso è di circa cinque once.
UMBRIA
TUDEE
Tav. LV.
1. Parigi, Gab. delle medaglie. Aquila ad ali semiaperte volta
a sin., davanti 3Q31-V-}- e la nota dell'asse. R. Cornucopia,
pieno di bei pomi tra i quali spiccano un grappolo d'uva
a destra con una spiga di grano, il pisello a sinistra, simbo-
leggiando le vigne, i campi e gli orti coi pomavii. Pesa grammi
255 pari ad once nove e due grammi. Un nuovo esemplare di
egual peso è stato acquistato di recente dal Capobianchi: quello
del Museo di Napoli pesa once quattordici. È da notarsi
che la monetazione di Todi si distingue notabilmente da
quella di Gubbio, e si accosta di molto a quella di Tar-
quinia e di Volterra, lasciata da parte quella del. centro
dell'Etruria il cui sistema non si diparte da un asse di sei alle
otto once. Il P. Marchi [L'aes grave pag. 76) scrive, che l'Oli-
vieri fu il primo a riconoscere le monete di Todi ; era però
stato notato dal P. Lanzi {Saggio II p. 29), che il Passeri nei
suoi Paralipomeni al Dempstero, se n'era vantato scopri-
tore da parecchi anni (/). n. v. I, 98). Il luogo accennato
dal Lanzi, e che il P. Eckhel dice ivi di non sapere dove
l'abbia scritto, è a pag. 154 dell'opera citata. Ivi narra
che avendo egli fatto dimora per due anni dal 1715
in Todi e vedute ivi ed acquistate molte di queste monete,
dalla loro frequenza cominciò a sospettare che fossero tu-
dertine: che poi ne fu pienamente convinto allorché s'im-
battè nelle monete di Gubbio pubblicate dal Dempstero.
Fu egli dunque il primo a scoprirne la zecca, e in ciò ha
ragione il Lanzi, ma l'Olivieri di fatto dieci anni prima che
il Passeri desse alla luce i suoi Paralipomeni nel 1757 ne
divulgò la scoperta, e in questo senso la sentenza del
P. Marchi è vera. Dopo l'Olivieri ne scrisse il Pellerin e
quindi il Passeri. Ciò è quanto alla scoperta della moneta
fusa di Todi. Ma fa meraviglia che non siasi avvertito aver
l'Arigoni fin dal 1741 già assegnata a Todi la moneta co-
niata che porta la stessa epigi-afe 3Q3+V+ (Tab. XXII
n. 222). SuUe monete dei Tudertini non abbiamo per tipo
figure degli dei, ma simboli, che ne rivelano gli attributi.
30
ABS GEAVE
LVI LVII
Questa relazione che passa fra le imagini degli dei e i sim-
boli posti al riverso si vedrà manifestamente nelle due
serie della moneta lucerina, la fusa e la coniata.
2. Da un'impronta. Cane alano accovacciato in riposo: altri lo
hanno detto un lupo. L'epigrafe è 3Q3+V+ e v'è la nota
del semisse. 7?. Lira a tre corde e ivi è ripetuta la nota
predetta del semisse. Pesa once sette e un quarto.
3. Kirch. Mano sinistra armata di cesto atletico e nota del tri-
ente. B. Il nome 3Q3+V+ fra due clave, e la nota del tri-
ente. Pesa gr. 63.
4. Kirch. Kana e nota del quadrante, fl. Ancora e la nota me-
desima: inoltre a d. VT. Pesa gr. 61,50. Il Mazzocchi
(Tirreni che, diatr. VI) legge LV e attribuisce questo qua-
drante a Luni.
5. Kirch. Cicala e non locusta; fra i due globetti nota del
sestante. R. Perro del tridente, a d. i due globetti, a sin.
l'epigrafe VT. Cotesto tridente ha piuttosto forma di ro-
stro quale si vede nel quadrilatero della tav. XVIII. L'esem-
plare che ora si conserva ha nel riverso 1' epigrafe Vt a
d. e i globetti a sin. e pesa gr. 40,60.
6. Kirch. Vaso a due manichi e di sopra un globetto, nota del-
l'oncia. R. Porro di lancia, a d. il globetto, a sin. \J+. Pesa
gr. 22,00.
7. Kirch. Kana. R. Testuggine a sin. im globetto, a d. VK. Pesa
gr. 17,00.
8. Da un'impronta. Pana. R. Acino di grano a destra IV: la
nota di valore manca. Cotesti due nn. 7, 8 sono fuori di serie,
di che abbiamo arrecati altri simili esempi (tav. XL nn. 6, 7).
I tipi della seconda si rivedono in un bronzo ancor esso fuori
di serie, che si trova delineato nella tav. LXIV n. 7, come
luoerino. Le monete libbrali di Lucerà non hanno leggenda,
le tudertine invece l'hanno.
Tav. LVI.
1, 2. Coli. Passeri pag. 203, 205. Vi furono dei pezzi di mo-
neta tudertina, nei quali non si avevano altri tipi che
l'aquila al dritto, e il cornucopia al riverso. Il Passeri ne
conobbe due, il semisse con la nota "^ e il triente coi
quattro globetti, dove l'epigrafe è tronca +V+. Queste due
monete suppongono iiu asse del peso di circa sei once,
pesando il semisse once tre, e il triente im' oncia e mezzo,
secondo l'Olivieri; ma il Passeri a n. 205 gU dà il peso
di gr. 42, e a pag. 214 quello di gr. 47. Non dirò che
questi tipi abbiano ad essersi ripetuti per tutta una serie ;
perchè ho l'esempio di Gubbio, che ripete a coppie i
tipi, come vedremo nelle tavole seguenti.
3. Kirch. Questa serie ha i medesimi tipi che la prima già de-
scritta alla tav. LIV, manca però sinora del proprio asse.
3-11. Nelle frazioni di questa serie è vario l'uso di scrivere
e accorciare il nome della città. Perocché nel semisse è
3Q3+V+ e si ripete anche nel riverso: la nota del valore
ora è a destra ora a sinistra: nel triente è intera, ovvero
manca I' ultima lettera, nel quadrante ora è intera, ora vi
si vede scritta la sola prima sillaba V+, la quale sillaba ini-
ziale si vede costantemente riprodotta nel sestante e nel-
l'oncia. V'è anche esempio di once che non ripetono al
rovescio il globetto del dritto. Questa serie è ridotta al
sistema dell'asse quadrantario.
4, 12, 13. Ai pezzi della nostra serie ho aggiimto il disegno di
un frammento che fu comprato qui a Roma dal sig. conte
Gir. di Colloredo: di piìi vi ho aggregato due once soli-
tarie, in una delle quali, n. 12, ohe è nei Musei di Pesaro
e di Parma, si ha un ferro di lancia e al riverso il glo-
betto in campo liscio : nell' altro, che si ha nel Carelli
(tab. XX, 38), è un acino d'orzo nel dritto e nel riverso
un globetto parimente in campo liscio.
IGDVIUM
14. Museo di Pesaro. Il tipo di questo tripondio è la luna cre-
scente con la nota del valore nel centro e l'epigrafe al di
sopra che esternamente si legge II/1I3V>II. Nel rovescio v'è
il globo del sole sfolgorante di raggi, che sono dieci. Pesa
gr. 428, lo che suppone un asse di gr. 140, pari ad once
quattro, gli assi di Gubbio finora noti vanno dai grammi 180
ai 193, cioè dalle sei alle sette once. Usano gli Eugubini,
ripetere nei multipli i tipi dell'asse, e però anche del
semisse. Le quattro stelle nel dritto sono in questo tri-
pondio appena visibili per difetto di fusione. Gli Eugu-
bini, umbri ancor essi come i Tudertini, seguono non
pertanto scuole diverse nell'arte monetale : perocché i
Tudertini si accostano di molto all'arte sabina e del Lazio
come i Tarquiniesi e i Volterrani, mentre gli Eugubini
stando piìi da presso al centro della Etruria ne imitano
il peso e la forma.
TAf. LVII.
1. Kirch. I tipi di quest'asse sono quei del tripondio, luna
crescente fra quattro stelle, nel mezzo la nota dell'asse e
r epigrafe 5HGV>II esternamente letta. /?. Globo del sole
sfolgorante per quattordici raggi, sette maggiori e altret-
' tanti minori. Pesa grammi 194 pari ad once sei e 2 de-
nari. La desinenza del nome in questi bronzi è in I, ovvero
in l : qui è in i, nell'esemplare del Museo di Pesaro è in i.
2. a, b. Kirch. Globo solare con dodici raggi. R. Luna crescente
fra quattro stelle, nel mezzo la nota del semisse e l'epi-
grafe S1/1II1V>II. Nel museo medesimo vi ha un altro esem-
plare b, nel quale è omessa la nota del valore e sono
omesse anche le quattro stelle : l'epigrafe è IMIDV)!!. Pesa
gr. 99. Di recente il Capobianchi ne ha acquistato un
esemplare dalla collezione Ranghiasci di Gubbio simile al
descritto 2 a.
3. Kirch. Cornucopia sopra un disco in rilievo : sull'orlo è scritto
iniIIV)!!. R. Tanaglia sopra un simile disco fra quattro glo-
betti, nota del valore. Pesa un'oncia e denari 21.
4. Kirch. I tipi sono i medesimi : varia il segno di valore che
è di quadrante. Il suo peso è di un' oncia e sette denari.
5. Kirch. Cornucopia sopra disco e intorno all'orlo, 5MDV>l'l. R.
Ripete lo stesso simbolo e aggiugne la nota del sestante.
T. LYiir LTX
AES GEAVE
31
Pesa diciassette denari. L'epigrafe talvolta è omessa, come
in un esemplare da me veduto in Cortona.
tj. Kirch. I tipi e l'epigrafe sono gli stessi, ma al riverso v'è
la nota dell'oncia.
7. I tipi adunque iu questa serie eugubina vanno accoppiati di
due in due. È quindi fuori di serie il sestante delineato
in questo luogo, nel quale dall'un lato è il cornucopia colla
nota del sestante, dall'altro è un ramo di palma.
Tav. LVIII.
1. Coli. mia. Luna crescente e nel mezzo l'astragalo, di sopra
esternamente letto, SHI1V>II. R. Acino d'orzo fra due stelle
e nel basso la nota del semisse. Pesa gr. 93, pari a tre
once, gr. 9. Fu trovato nelle campagne di Sentinum
(Sassoferrato) in distanza di venti miglia da Gubbio. Ora
se ne hanno altri due esemplari, uno nel Earcheriano e uno
nel Museo di Pesaro.
2. Kircheriano. Cornucopia e di rincontro l'epigrafe $N13V>II:
nel mezzo v'è la nota del semisse. lì. Elmo cristato volto
a sin. Pesa once due, den. undici.
3. Eirch. Eamo di palma dentro un cerchio; nel lembo l'epi-
grafe $HI3V>II. R, La nota del sestante dentro un cerchio.
Pesa den. 16, acini 12.
4. Museo di Milano. I tipi sono gli stessi, ma lo stile della
palma è diverso (Avell. Opusc. II, 2, 2).
5. Museo di Arezzo : si ha pure nel Museo Britannico. Cornu-
copia e nel mezzo un globo nota dell' oncia. R. Grappolo
d'uva. Nelle tavole del Carelli, che copiano dal Sestini (Leti,
cont. t. IV tab. I, 1) il grappolo è delineato in modo, che
il Cavedoni {ad Carell. tab. XXIII, 5) lo ha potuto cre-
dere una ciocca di tre olive ; inoltre il cornucopia vi è stato
cambiato in due delfini e aggiunta l'epigrafe IKVVIN.
I). Eirch. Ruota a quattro raggi colla nota del triente : sul
lembo SmilV)!!. R. Vi è ripetuto il tipo medesimo. Pesa
due once e dieci denari.
7. Kirch. Euota a ti-e raggi: nel lembo SHI3V>II. R. Vi è ripe-
tuto il tipo medesimo : di più vi è la nota del quadrante
che manca nel di'itto. Pesa un'oncia e den. 21. Questi due
spezzati suppongono un asse di maggior peso, che non è il
conosciuto sinora. Di piìi il tipo è copiato dalla serie del-
l'Etruria centrale, che la ruota del dritto ripete sul rove-
scio. Per questi due motivi li ho posti fuori della serie,
nella quale figurano i semissi ed il sestante n. 3.
AGER GALLICUS
AEIMINUM
Allorché si è preso a dimostrare che le teste del dritto
di questa serie erano quasi ritratti dei GalU Senoni, che occu-
parono questa parte dell'Umbria, fu supposto che non potevano
precedere l'epoca del loro soggiorno ; e però che non furono gli
Umbri che fusero queste monete. Eesta ora a vedere se pote-
rono fondersi dai Eiminesi dopo la partenza dei GaUi. Questa
serie è tanto rara che dell'asse non si ha finora se non l'unico
esemplare del Museo di Pesaro. Del semisse se ne contano ap-
pena tre esemplari e altrettanti del triente. Non è proba-
bile che i Galli abbiano emessa cotesta serie di aes grave,
come tenne il Borghesi (Lett. 1842, Oeuvr. VII, 390), ne si
spiegherebbe come in tanti anni di loro dominio (v'erano venuti
al piìi tardi nel 364) abbiano fuso sì poco di moneta. Stermi-
nati i Galli dalla Seuonia nel 471 i Eomani vi dedussero una
loro colonia, ma non jn'ima del 486, nel qual anno cominciò
in Eoma ad aver corso legale l'asse sestantario.
Erano adunque passati quindici anni d' indipendenza nei
quali i Eiminesi avevano ordinata la loro republica e forse an-
che aperta la loro zecca, se non si vuole piuttosto, che questa
loro monetazione fusa e coniata abbia a ripetersi, come opina
il Mommsen [H. de la m. Ili p. 187), dai coloni latini, i quali
del resto non seguirono Eoma (Momms. 1. e), ne i popoli vi-
cini 0 lontani, in quanto al singoiar costume di non variare il
tipo del dritto e di variare invece quello del riverso nella se-
rie fusa. Il Gallo Senone, colle sue armi e costumi, simbolo
della Senonia, occupa il dritto dei primi tre bronzi, i simboli
allusivi alla città marittima sono figurati sul riverso dei tre ulti-
mi. Il Gallo armato è sulla moneta coniata, dove si ha sul
dritto la testa di Vulcano, nume tutelare della colonia che la
emise.
Tav. LIX.
1. Museo di Pesaro. Testa di un Gallo molto simile ad un ri-
tratto : ha mento raso, grandi mustacchi, muscolo adusto,
capelli incolti e torque al collo. R. Protome di un cavallo
sfrenato volta a d., insegna di alta nobiltà, anzi reale, del
Gallo qui rappresentato. Pesa gr. 395 pari ad once quat-
tordici.
2. Kircheriano. Nel semisse e per tutta la serie il dritto rap-
presenta l'imagine di un Gallo, sul rovescio è lo scudo
adoperato dai Galli, che era ovale: a sin. cinque globetti
dimostrano la divisione decimale dell' asse adoperata anche
dagli Atriani. Pesa sei once e ventuno denaro pari a
grammi 194.
3. 4. Museo di Pesaro. Testa di Gallo. R. Spada e fodero. La
spada ha vetta traversa nel manico, termina in punta ed
è a doppio taglio : la lama è rinforzata nel mezzo da una
costola. Il fodero porta la cintura doppia raccomandata a
due anelli, e nel mezzo xm rilievo corrispondente alla co-
stola: la nota del triente sono i quattro globetti a sin. Il
peso è di gr. 157. Nel Kircheriano si serba un frammento
di questo bronzo che ho rappresentato al n. 4 a motivo
della punta della spada che ci si vede chiara.
5. Kircheriano. Testa simile alla precedente. R. Ferro di tri-
dente e tre globetti a destra. Pesa tre once, 19 denari e
mezzo.
6. Kircheriano. Testa del Gallo come le precedenti. R. Delfino
volto a d. di sotto ha la nota del sestante. Pesa due once
e 9 denari.
32
AES GEAVE
T. LX
Tav. LX.
1. Kircheriauo. Testa del Gallo come avanti. R. Eoslro di nave
e a sin. il globetto, nota del valore. Pesa un'oncia e dieci
den. Lo strumento clie io dico rostro di nave è da para-
gonarsi al creduto tridente della Tav. XVIII, dove ho
mostrato come i tre denti sono insieme congiunti, lo clie
non si vede mai fatto nei tridenti.
2. Kiroheriano. Testa del Gallo simile alle precedenti. /?. Con-
chiglia Peclen veduta dall'esterno. Manca ogni nota di va-
lore, ma è una semoncia, e pesa sedici denari. A miei occhi
non è barbato, quel Gallo che il Minervini allega dal Mu-
seo di Napoli in conferma della semoncia che pubblica,
appartenente alla collezione Lauria {Oss. numism. p. 10),
dove il Gallo gli pare barbato.
AGER PICEXrS
FIRMUM
o. In Fermo da ima impronta mandatami dal sig. conte L. Mor-
rone. Testa di donna volta a sin. di dietro è la nota del
quadrante. E. Testa di bue posta di i3rospetto: di sopra è
la leggenda FIR. Pesa once tre. Nel Kircheriano se ne con-
serva un esemplare rotto dal lato destro il cui peso è di
un' oncia e venti denari. Cotesto quadrante fu in prima at-
tribuito dal Vermiglioli ad Hirelum {Opusc. voi. 4; Iscr.
Perug. t. 1). Il P. Marchi lo die ad Hispelium [L'aes grave
tav. IV, B. n. 8 pag. 85 seg.). Ma il De Minicis lo rivendicò
a,'Fermo{Ce'nni sturici e numismatici di Fermo, p.Iseg. 136);
lo che si vide poi confermato da im secondo esemplare che
se ne ebbe (Le monete gravi, pag. 4). Questo pesa gr. 98.
4. Kirch. Bipenne e di sopra la nota del quadrante. R. Ferro
di lancia e dal lato sinistro SH. Il De Minicis ha dato
i due suoi esemplari per sestanti {Le monete gravi, 1868
tav. n. 2, 3): il primo, n. 2, del peso di gr. 48; il secondo,
n. 3, di gr. 37. Ma l'esemplare Kircheriano ha tre globetti
ed è però un quadrante.
5. Kircheriano. Aratro volto a destra e di sotto quattro glo-
betti certi, \m quinto è incerto. /?. Aratro volto a sinistra
e di sotto la leggenda FIR in parte logora. Vidi cotesto
bronzo nel Kircheriano fra gì' incerti e ne cavai con molto
studio l'epigrafe che il dimostra appartenente alla serie di
Fermo. Ne interrogai per lettera il De Minicis, il quale
mi rispose che veramente se n' erano trovati due esemplari
nelle campagne di Fermo, ma 1' uno di essi, tuttavia in
quella città, non mostrava di avere leggenda. 11 suo peso
è di once due e ventidue denari, o piuttosto di gr. 84 pari
a tre once. Fermo ebbe una colonia romana nel 490 : ma
le sue monete forse precedono una tale epoca.
AGER PRAETUTTIANUS
HATRIA
6. L'Hatria dei Pretuzziani credesi fondata da Dionigi il vec-
chio, ovvero rimpiantata, se era già prima colonia dei Liburni.
Il Milliugen {ConsiJ. 214) opina che sia stala fondata dal-
l'Hatria veneta, e ne prende argomento dal nome che porta.
Ma la denominazione di mare Adriatico passò dalla prima
Hatria, dove si limitava alla sola ragione che esso mare ba-
gnava, e così si cominciò ad estendere tal nome fino al
Gargano, non però si obliterò il primitivo di mare Jonio,
anzi fu la stessa cosa dire Jonio e Adriatico : rò òì avrà
'ASgi'ag èarì xcà 'lóviog, scrive Scilace (§ 27) fra gli anni
416 a 419, e aveva di sopra (al § 14) detto che il porto di
Otranto era all' ingresso del seno adiùatico, ovvero ionio :
Xii-irjV 'YÒQOvg sttI tm iov 'AÓ'qi'ov, ij reo tov loviuv xò'/.nov
arójiaK, e ohe i Japigi si stendevano fino al monte Arione
pel quale intende il Gargano; che pone però nel golfo adria-
tico: 'Icinvyég daiv f'di'oc /it'xQi 'Agtonog ngovc tov sr rm
xòXnoì nò 'Aà'gi'a. Il territorio di Adria estendevasi dal fiume
Vomano al Matrino e vi si coltivavano le viti che davano il
Pretuzziano, del quale parlano con lode Plinio e Dioscoride.
Silio però chiama vitiferi questi campi (Lib. XV v. 570) :
Ttim qua vitiferos doinitat prnetuttia pubes
laeta laboris ngros.
Del resto l'agro pretuzziano confinava col Piceno, del quale
Rufo Pesto Avieno (Descr. orbis tcrrae vv. 500, 501) scrive:
Nemnrosi maxima cernes
Culmina Piceni: coma largi palmitis ìllic
Tenditur ac fuso Bacckus tegit arva flagello.
Di tale coltivazione menano vanto anche gli Adriani che
pongono sul loro asse l'imagine di un Sileno, che venerano
come dio lare, e però gli appongono sul riverso il cane.
Questa città ebbe una colonia romana l'anno 465 passati
98 anni dalla sua fondazione, se essa fu colonia siracusana o
più veramente occupata da coloni siracusani. Certamente Pi-
listo nell'anno I della 01. 105 comandava la flotta siracusana
presso le acque dell'Adriatico, quando Dionigi il giovane era
in Caulonia e Dione occupava la tirannide in Siracusa (Diod.
XVI n. 3; Plut. in Dione e. 25, 35). Non è quindi ohe si parli
della città, come intende Tzetze, ma del mare. La loro mo-
neta fusa non è generalmente rara. Seguono il sistema deci-
male e non omettono di fondere anche la semoncia. Nell'asse
e nel semisse adoperano la nota comune dell' unità I, e del
quincunce • • • • •, ma inoltre si servono anche della ini-
ziale U che vale libbra, e del S pel semisse. V è anche
esempio della doppia nota, i globetti da un lato, il S dal-
l'altro, come si vedrà nel n. 3 della tav. LXI.
7. Kircheriano. Testa di Sileno di prospetto coronato di un
viticcio di edera con tre corimbi uno sulla fronte e due
sulle tempia. È calvo, ma due ciocche di capelli gli pen-
dono dalle tempia decorate ancor esse da un corimbo. Il
nome della città è appena visibile, però si legge senza
dubbio TAH: in alto sulla testa è la lettera >l nota iniziale
della libbra. /?. Cane accovacciato : di sotto HAT: di sopra
la iniziale U. Pesa gr. 410. Cotesta iniziale che ninno aveva
avvertita sull'esemplare del Kircheriano ha poi avuta una
conferma nell'asse del Blacas, che egli ha dato inciso (pi.
XVI, H. de la mon. t. IV), il cui peso è di gr. 385, 25,
T. XLI-XLIII
AES GRAVE
33
e dal medesimo duca è stato veduto auche iu altro esem-
plare presso l'Hoffraauu (op. cit. I pag. 355 n. 1). Un asse
del peso di 339 grammi è stato di recente acquistato dal
sig. Capobianchi.
Tav. LXI.
1. Kircheriano. Testa di Sileno di prospetto calvo con due cioc-
clie di capelli alle tempia coronato di un viticcio d'ellera
con corimbo sulla fronte, come si vede suUa moneta co-
niata di Todi. A destra HAT. R. Cane accovacciato, di sotto
è la nota della unità. Pesa once quattordici e dodici de-
nari. L'esemplare che oggi si trova nel Kircheriano pesa
gr. 198,00 pari a sette once incirca.
2. Kirclieriano. Testa di Medusa cinta il collo dalle volute di
serpenti con capelli sciolti e spinti indietro dal vento:
di sotto è HAT. B. Cavallo Pegaso corrente a destra: di
sotto è la nota del quincuuce in cinque globetti.
3. Coli. Sorriechio in Atri. La testa di Medusa è cinta al collo
da due serpenti, le code dei quali si drizzano da due lati
della fronte: di sotto è la leggenda HAT, a d. S nota
del semisse. R. Cavallo Pegaso a d. e di sotto i cinque
globetti che sono la nota del quincunce. È quindi dimostrato
che per gli Atriani il quincunce è la metà dell'asse e però
si chiama da loro col nome di semisse: donde appare
il torto di chi ha voluto negare l'asse decimale stabilito
dal P. Marchi (Momms. H. de la monn. t. I pag. 248
n. 2), e sostenuto anche dal Borghesi. Il peso del semisse
Kircheriano è di gr. 168, quello del Sorriechio n. 3 pesa
gr. 250. La nota del semis S congiunta con quella dei
cinque globetti non p\iò mettei'si in dubbio: inoltre ce ne
assicura anche il sig. Cherubini che a mia richiesta di
recente ha esaminato il bronzo e me lo ha dichiarato sicu-
ramente genuino.
■4. Kircheriano. Testa giovanile con boccoli di capelli lunghi
alla cervice e avvolti intorno alla fronte volta a sinistra :
davanti è la nota del triente. R. Vaso a due manichi con
entro una pianta della quale si vede solo il primo germo-
gliare delle foglie : a destra si legge HAT. Pesa sei once,
otto denari e mezzo.
Tav. LXII.
1. Kircheriano. È rappresentato da un lato un pesce detto rana
plscatrix degli antichi, volto a destra, ed ha di sotto la nota
del quadrante. R. Un delfino volto a d. e di sopra HAT. Pesa
tre once e ventidue denari. L'ho nella mia collezione ed
è del peso di grammi cento undici. Nella collezione Sor-
riechio se ne ha un esemplare in piombo.
2. Kirch. Gallo stante volto a sin., davanti la nota del sestante.
R. Calzare a d., di sotto TAH. Pesa un' oncia e ventidue
denari e mezzo. Ancor di questo si ha un esemplare in
piombo nella collezione Sorriechio. Noi abbiamo veduto e
spiegato in Tarquinia l'uso monetale del piombo.
3. Coli, di mons. Taggiasco. Àncora e dal lato destro un H ini-
ziale del nome di Ilatria. R. Globetto nel centro, nota
dell'oncia, e intorno TAH. L'esemplare del Kircheriano non
ha questo H nel dritto, e pesa un' oncia e cinque denari.
4. Kirch. Nel campo del dritto è un H, e al riverso A$ dove
queir S è segno già noto della semoncia. Pesa dieci de-
nari e mezzo. Hatria non si è veduta mai priva dell'aspi-
rata: fa quindi d'uopo che la lettera H del dritto ed A
del rovescio si congiungano insieme in una sola voce. Il
Mommsen ha tolta la semoncia ad Atri per darla ad Ascoli
piceno, che non ha propria moneta, e ciò a motivo della
lettera A interpretata da lui isolatamente per Asndum. Sta
però di fatto che nelle campagne di Ascoli non si è mai
trovato verun esemplare di questa moneta, la quale invece
è frequente nelle terre atriane.
VESTINOE^TVI
5. Kircheriano. Testa di bue di prospetto e di sopra la nota
del sestante. R. Luna crescente e di sotto VES. Pesa tre once.
6. Kirch. Bipenne e la nota dell'oncia. R. Conchiglia pecten ve-
duta dalla parte interna : al Iato sinistro VES. Pesa un'oncia
e undici denari (Avell. Opusc. II, 2, 3).
7. Kirch. Calzare volto a d. R. La sola epigrafe VE5. È una
semoncia del peso di grammi ventuno.
8. Kirch. Calzare a d. ed ivi la nota della semoncia l. R. La
sola epigrafe VES. È del peso di grammi 22,20. Non omet-
terò di riferire qui il triente di questa serie descritto dal
Riccio il quale afferma di averlo avuto nelle mani in un
suo viaggio {Vigile, giornale di Chieti, 31 marzo 1841).
Esso triente aveva per tipo del dritto l'interno di una con-
chiglia pecten, e al rovescio una clava, sopra della quale
era la nota del triente e sotto il nome VE^. Quivi egli dice
che il suo peso era di cinque once e mezzo, ma un dieci anni
dopo il medesimo Riccio {Repertorio, Napoli 1852 pag. 2)
gli assegna quattro once e un quarto. Non è probabile che
il tipo dell' oncia figurante l' interno della conchiglia siasi
ripetuto due volte nella serie medesima pel solo triente
e per la sola oncia. Anche la diversa valutazione del peso
prova che il Riccio siasi lasciato illudere dalla poco fedele
memoria.
APULIA
LUCERIA
Tav. LXin.
1. Coli. Santangelo. Testa di Ercole giovane coperta dalla pelle
del leone volta a d. R. Busto di cavallo brigliato volto a
sin. L'esemplai'e che è nella collezione Blacas pesa gr. 341,23
{H. de la mon. IV p. 11). Quello descritto dal Sambon
è del peso di gr. 348,40 {Recherches, p. 82). Quello pos-
seduto dal Cenni e pubblicato dal Piorelli {Ann. numism.
t. 11 frontespizio) pesava gr. 341. Il Riccio scrive che
un esemplare ne fu trovalo in Puglia, ed era del peso di
gr. 294 {Zecca di Lucerla, p. 11). Il disegno espresso da
lui aggiunge la clava presso al collo dell'Ercole, che non si
ha nei tre esemplari genuini che ho citati: ben la vedo
in uno falso e moderno, stato già nella collezione Panelli,
84
AES dEAVE
T. Lx:iv
al riverso del quale il modellatore non contento della re-
dina che sola è espressa nell'antico esemplare vi ha ag-
giunto una specie di oavezzino, che consta del frontale
con sottogola, dei facciali, della museruola. 11 mio disegno
è ricavalo dalla collezione Santangelo, dove ho avuto cura
che fosse bene espressa la criniera che vi si vede trattata
in modo singolare, l'occhio dell'Ercole non è di profilo, ma
intero, quasi fosse di prospetto, quale si vede talvolta nel bi-
fronte dell'asse primitivo romano: di che ho un esempio in
imo della mia eoUezioue appartenuto al ricco deposito di Cere.
2. Kircheriano. Testa di Apollo coi capelli raccolti e legati in
un ciuffo sul vertice volto a sin. e nota dell'asse. R. Gallo
stante volto a sin. Di assi con questi tipi se ne hanno nei
-Musei e il Minervini due ne ha pubblicato dalla collezione
Lauria {Oss. num. tav. V, 1,2) del peso di gr. 241, ove
scrive a pag. 104 ohe sono indubitatamente della zecca
di Lucerà; un terzo esemplare l'abbiamo avuto dal Duca
di Blacas che l'ebbe nel suo Museo (llist. de la monnaie,
t. IV pi. XII) del peso di gr. 202,82. È quindi un asse ri-
dotto a circa sette once, cioè a meno di due terzi. Il Lauria
coi due esemplari predetti n' ebbe anche un terzo, pubbli-
cato ancor esso dal Minervini, con la singolarità di una
leggenda al riverso, ma non ben riuscita nella fusione e però
imperfetta. Ei ne diede un supplemento ed una interpre-
tazione, della quale tratteremo nella nostra tavola LXX n. 3.
3. Nel Museo di Napoli. Eii comprato di recente in Eoma dal
comm. Piorelli e trasmesso al Museo di Napoli. Eappre-
senta nel dritto la testa di Apollo laureata volta a d. e
intorno vi si legge a d. U ■ PVUO ■ U • F : a sinistra C ■ MO-
DIO • GR • F. R. Cavallo libero volto a d. e saltellante: di
sopra un astro a quattordici raggi. Pesa gr. 396,50. Cote-
sto bronzo l'ho io giudicato una moderna copia, e questo
mio parere ora mi si conferma da ciò che del suo peso di
oltre a quattordici once mi ha scritto il eh. De Petra, al
quale ne ho fatto richiesta. Esso somiglia in tutto al vero
asse pubblicato dal Caronni, che lo comprò e introdusse
nel Museo Hedervary {ilus Hederv. pars. I p. 35 tab. II
n. 42) : era di gr. 307. Dell'esemplare che era una volta
nella collezione Lombardi in Lucerà non si è finora saputo
dove si trovi. Il sig. Prauoesco Mongelli prima del 1848 me
ne mostrò uno suo, che fuori le porte di Lucerà aveva tolto
di mano a due pastori, i quali procacciando di dividerselo
lo avevano di già profondamente intagliato e guasto. Esso
nondimeno, quantunque si mal concio, passò di poi nella
Collezione del principe Spinelli, ove nel 1855 il Miner-
vini attesta di averlo veduto {Oss. num. pag. 105). Della
notizia data dal Eicoio dell' esemplare Lombardi vedi ciò
che dico nel Pavergo a pag. 41.
La doppia scoperta fatta di cotesto asse nelle campa-
gne di Lucerà ne ha dimostrata la patria: prima il Maz-
zocchi seguito dal Caronni Io aveva attribuito a Pesto, ma
non si sa per qual motivo. Del resto, quando si emise
dalla zecca medesima l'asse ridotto, al tipo dell'Apollo fa
sostituito l'Ercole coperto dalla spoglia di leone, all' astro
di quattordici raggi quello di otto.
Tav. LXIV.
1. Nel Kircheriano. Euota a quattro raggi priva dei quarti di
cerchio : di sopra è la nota, del quineunce, ossia della metà
dell'asse decimale. R. II. tipo medesimo. Il suo peso è
di quattro once e dodici denari, pari a gr. 126. A ces-
sare ogni dubbio che in questo bronzo sia effigiata una ruota
così rozzamente espressa, ma non ostante riconosciuta anche
dal De Witte nella descrizione della tav. IV" pag. 12 (H. de la
■monn. ed. Blacas), giova osservare che i tipi di questa
serie fusa sono poi ripetuti nella serie coniata coll'ordine
m^edesimo. Ivi dunque si ha una ruota a otto raggi mu-
nita dei quarti del suo cerchio. Ed è bene avvertirlo,
perchè si vedrà, che questi tipi sono ripetuti nella serie
coniata, ove anche si apprende che sono simboli della divi-
nità ivi effigiata.
2. Coli. mia. Clava e nota del triente da un lato, dall'altro il
fulmine. Pesa grammi 100,50. L'esemplare del Kirche-
riano è di tre once, quattordici denari e mezzo.
3. Kii'cher. Delfino volto a sinistra e di sotto la nota del qua-
drante. R. Astro a sei raggi. Pesa due once e 23 denari,
4. Eirch. Esterna parte della conchiglia pecten. R. Astragalo e
di sopra la nota del sestante.
5. Coli. mia. Eaua. 7?. Spiga di grano e la nota dell'oncia. Pesa
gr. 33,50. L'esemplare del Kircheriano è di un' oncia e
denari sette.
6. Kirch. Luna crescente. R. Tirso sulla cui ferula svolazza an-
nodata una tenia. Pesa un' oncia, cinque denari e mezzo:
un altro esemplare conta di peso diciannove denari e mezzo.
Questa tenia svolazzante da due lati è stata male inter-
pretata quasi quei svolazzi fossero i tentacoli di un polpo,
che per tale si è tenuto e si tiene il mazzo di frondi e
ramoscelli del tirso.
7. Mia Coli. Ho qui posto questo bronzo che ha i tipi mede-
simi che l'oncia. Kappresenta da un lato la ranocchia e
dall'altro una spiga di grano. Esso è privo della nota di
valore. Simile a questo è il tipo di quel bronzo che ho
rappresentato nella tavola LV n. 8: esso però ha la leg-
genda nV, che ha esempi nella serie libbrale di Todi, e non
in questa di Lucerà. Il suo peso è di grammi 45,50.
I Lucerini hanno ancora fusa una serie ridotta della loro
moneta e della romana ma in questa vi hanno adoperata la
iniziale U distintiva, onde si rafferma la serie precedente
attribuita ai Lucerini. La riduzione appare fatta sulla quarta
parte della libbra.
8. Kircheriano. Testa di Ercole giovane con la spoglia del leone
in capo e la clava accostata al collo volta a d. R. Cavallo
libero galoppante a d., di sopra astro ad otto raggi, di sotto U.
Pesa due once e 14 denari; un mio esemplare smozzicato
ih due luoghi pesa once due e nove denari : il Eiccio ne dà
uno di tre once.
9. Kirch. Euota a quattro raggi e nota del quineunce: nel basso U. R.
La ruota medesima. Pesa un'oncia e 22 denari. Fno dei due
esemplari di mia collezione ha di peso gr. 38, l'altro]31,70.
10. Kirch. Clava, di sopra la nota del triente, di sotto la let-
tera iniziale U. R. Fulmine. Pesa gr. 33,50.
T. XLV
AES GEAVE
35
11. Coli. mia. In questo spezzato appare la prima volta un L
di forma cbe dicesi normale e quadrata. Pesa egualmente
gr. 33,50.
12. Kirch. Delfino: di sopra è la nota del quadrante, di sotto
la lettera U. R. Astro ad otto raggi. Pesa denari ventuno.
13. Coli. mia. Due esemplari del tipo precedente nei quali
la lettera L è quadi-ata : l'uno pesa gr. 20, l'altro 23,80.
14. Kirch. Conchiglia pecten veduta dall'esterno. B. Astragalo,
di sopra la nota del sestante, di sotto la lettera U. Pesa
gr. 17.
15. Coli. mia. I tipi e il valore sono quei del n. 14, ma
la lettera L è normale. Pesa gr. 17,20.
16. Zirch. Eana. R. Spiga di grano: di sopra è il globetto
nota dell'oncia, di ^otto la lettera U. Pesa nove denari.
17. Kirch. Luna crescente. R. Tirso che porta avvinta una tenia
svolazzante : la ferula serve anche per asta verticale della
lettera L-. Pesa sei grammi e 20 ceutigr.
18. È uno dei tre esemplari di mia collezione, nei quali la L è
normale. Pesa gr. 6,20.
ASCULUM APULUM
Tav. LXV.
1 1-5. Tardi e dopo ricerche iterate si è deciso, avuto riguardo
alla provenienza, che le monete fuse con la lettera A in-
scritta con la nota di valore nel dritto, e al rovescio un ful-
mine sono della zecca di Ascoli di Puglia. I pezzi di cotesta
serie trovati finora sono il triente, il quadrante, il sestante,
l'oncia e la semoncia. I pesi notati dal Minervini {Oss.
p. 97) sono questi: triens gr. 46,00; quadrans gr. 27,71;
sextans gr. 22, 72 ;.wr>CM gr. 13,30; semuncia gr. 6,68.
Questi pesi medesimi trovo notati dal Sambon nelle Re-
cherches del 1860 p. 74: e di nuovo nelle Recherohes
del 1869, dove anche li attribuisce ad Ascoli piceno e dà
al triente per maggior peso gr. 53 e per minore gr. 44; e
così dice del quadrante che discende da gr. 27 a gr. 21
e il sestante da 22 gr. a 17. Cotesti pesi dimostrano che
la zecca di Ascoli non emise la sua moneta fusa sul si-
stema libbrale, ma sul trientale.
VE^SrVSIA
Venosa gran città la cui origine si fa risalire a Dio-
mede ebbe da Koma una colonia nel 461, perchè stando
sul confine della Paglia e della Lucania tenesse quei due
popoli in soggezione. Era in possesso dei Sanniti, che ne
furono cacciati, quando il console Postumio la prese di
assalto; scrivendo Orazio (L. II Sat. I, 34, segg.):
Nani venusinus arai finem sub utrumque colonus
Missus ad hoc, pulsis, vetus est ut fama, Sabellis,
Quo ne per vacuum Romano incwreret hostis,
Sive quod Apula gens, seu quod Lucania hellum
Incuterei violenta
E il commentatore: Eo missus erat Romanus colonus
eo tempore, quo a Romanis Sabini vieti sunt, ut ne per
vacuum locum, Sabellis expulsis, iter Lucanis ad Ro-
manos esset pervium. Il Milliugen si maravigliava come mai
una tal città non avesse propria moneta. Egli è vero, dice,
che vi sono delle monete colla iscrizione \f da lungo tempo
attribuite a Velia, e ora si suppone che appartengano a
Venosa ; ma talune sembrano doversi assegnare piuttosto a
Veretum nella Japigia, non avendosi del resto altra guida
che la iniziale \E per se incerta {Consid. p. 241). L'Eckhel
stimò ancor esso clie cotesto \E significasse Velia, indot-
tovi dal tipo della Pallade e della civetta (D. n. v. I, 166).
Il Sestini non seppe contradire, sebbene dicesse non potersi
persuadere che monete i cui tipi avevano tanta analogia
con quei di Lucerà dovessero essere date a Velia. Dei resto
raccomandava di vedere se si potessero mai dare a Venosa
{Descr. pag. 17). Il dubbio fu tolto e la questione decisa
quando il P. Baselice tornando a Napoli da Venosa portò
seco alcune monete fuse ivi acquistate, e le mostrò all'Avel-
lino, il quale non trovandovi alcuna epigrafe pur le assegnò
a quella colonia a motivo della loro provenienza pubblican-
done l'asse {Rull. arch. nap. a. II p. 34 Tav. II fig. 6).
Egli vi riportò anche l' esemplare del Carelli (Tav. XLV, 2).
ancor esso proveniente da Venosa, ma dato come incerto.
Ora possiamo esser certi che i Venosini fusero più serie
della loro moneta, e nella prima omisero del tutto il mo-
nogramma \£, che inscrissero poi nella seconda. L'asse
della prima serie è del peso libbrale, ma di sistema de-
cimale, e non ha veruna nota di valore : il quincunce, o
sia semisse tuttavia manca, e si può esser certi che
non ebbero il triente, perchè manca altresì alla serie co-
niata : né ciò è senza esempio. Le zecche di Puglia battono
anche la semoncia ■ e noi l'abbiamo nella serie coniata
di Venosa: però notiamo che non si è ancora trovata
quella che deve appartenere alla serie fusa. La nota di
valore si trova segnata nel solo sestante della serie lib-
brale. Nel quadrante venosino di diminuzione semissale
manca la nota di valore, ma nel sestante v' è sui due lati,
e nell'oncia da un lato solo.
Ho riferito alla zecca venosina un quadrante e im
sestante per sola congettura alla quale attribuzione non sarà
ostacolo la ripetuta nota di valore, conosciutane la inco-
stanza della zecca di Venosa: e neppure mi si opporrà il
tipo nuovo, avendo osservato che anche nella moneta fusa
i Venosini hanno due tipi nei sestanti e nelle once. Si può
anche dire che hanno emesso il quadrante con due tipi
diversi, di che vedi la tavola.
6. Coli. Sant. Protoma di cignale volta a sin. R. Protoma di
cane da caccia volta a sin. Pesa gr. 330. Ve ne ha un esem-
plare nel Museo Britannico del peso di gr. 338,51.
7. Kircher. Tre mezze lune opposte dalla parte convessa ri-
guardante il centro. R. Conchiglia pecten veduta dall'esterno.
Pesa tre once e im denaro. Se l'asse è libbrale è dunque
chiaro che questo bronzo non può essere che un quadrante.
La sua provenienza ci è ignota, ma il confronto del u. 10
con simili tipi e il \E iniziale del nome di Venosa ce ne assi-
cura la patria. Noi siam privi adunque del semisse, o sia
quincunce, e del triente.
36
AES GKAVE
T. IXTI
8. Kircli. Luna crescente, e al rovescio il medesimo tipo. Pesa di-
ciassette denari. Il confronto del simile bronzo con la sillaba
\E iniziale di Venosa ci ha dimostrata la zecca che lo emise.
Se fu semoncia, noi manchiamo del sestante e dell'oncia.
9. Kircheriauo. DeMno volto a sinistra e di sotto la nota del
sestante, fl. Il tipo medesimo del dritto con la nota stessa
di valore. V è anche di questo bronzo il confronto nel
sestante che vi aggiunge il nome di Venosa. Il peso di
quello che è nella collezione Blacas è di grammi 56, il nostro
è di gr. 55,53. Ho posto questo bronzo fuori della prima
serie che è priva della nota di valore. Noi apprendiamo
che in Venosa come in Lucerà si cominciò ad apporre i
globetti delle once prima che l'asse libbrale fosse ridotto.
10. Kirch. Tre mezze lune opposte dalla parte convessa al
centro e di sopra \E. R. Esterno della conchiglia peclen.
Pesa un'oncia, nove denari e mezzo. Se questo è un qua-
drante, come quello del n. 7, abbiamo adunque che l'asse
quando fu ridotto a semissale ebbe la leggenda \F e non-
dimeno i globetti del valore vi sono omessi. Questa inco-
stanza deve sospendere il nostro giudizio intorno alla serie
libbrale che parrebbe dover portare queste note, se il se-
stante di essa serie n. 9 n' è fornito.
11. Coli Carelli (Tav. LXXXIX, 14) Mezza luna con l'epigrafe \f.
/?. Lo stesso tipo col segno dell'oncia.
12. Kircher. DeMno che va a sinistra ed ha di sotto la nota
del sestante e di sopra l'epigrafe \E. R. Lo stesso tipo,
e di sopra la nota del sestante. È per me incerto a qual serie
ridotta appartenga, però l'ho dato separatamente. Questo
esemplare pesa grammi 23,00. Altri ve ne ha di den. 15,90,
di 19 e mezzo, di 22,40, tutti muniti dell'epigrafe e della
nota di valore.
Tav. LXVI.
1. Kirch. Civetta di prospetto e nota del sestante. R. Testa di
cignale e vi è ripetuta la nota. Ho qui delineata questa
moneta in seguito alle serie di Venosa, perchè potrebbe
ben essere appartenuta ad alcuna di esse. Pesa due once
e due denari e mezzo. Questi tipi si rivedono sopra una
moneta coniata dalla predetta Venosa. Il Capranesi {Ann.
InsUt. 1870, 210 tav. Q n. 1) trasse in errore gli autori
dell'aes grave ponendo che sul riverso fosse una testa di
lupo e non di cignale.
2. Kirch. Testa giovanile di Ercole coperta dalla pelle di
leone volta a d., dinanzi v' è il segno del quadrante. R.
Protoma di porco a d. Pesa once due. Questi tipi si hanno
anche sebben separatamente sulle monete coniate di Venosa.
Di cotesto bronzo, come del precedente ne è ignota la patria.
LUCANIA AUSTRALIS
METAPONTUM
3. Kirch. Bifronte imberbe, a d. l'epigrafe W\ET (v. la tav.) R.
Elefante volto a sin. al di sopra v' è una figurina incerta, ma,
pel confronto del n. 5 può essere stata una vittorietta. Nel-
l'esergo è la nota del triente. Il suo peso è di grammi 28,65 e
suppone l'asse ridotto a quadrantario. Si è opinato che i
Lucani giunsero ad impossessarsi di Metaponto , ed ivi
fusero queste monete che in carattere osco s'inscrivono
tlIET ; ma non si è considerato che i Lucani non hanno mai
fuse monete nelle città da loro conquistate, che non si
servono nelle loro monete che dell'alfabeto greco, anche
quando adoperano il dialetto loro proprio, e così scrivono
AOYKANO/V\ in osco, siccome AYKIANilN in greca lette-
ratura. Dicasi adunque piuttosto che i Metapontini trasfor-
mati dalla lunga dominazione dei Lucani, dopo la ritirata
di Pirro, resi liberi dai Eomani emisero queste monete.
Il lungo possesso di cotesto popolo è indicato da Strabene, ove
dice che i Sanniti abolirono le feste dei Neleidi r/cfaviadi] vnù
.^ayr^rou' (VI, 264). IlMillingen [Consid.^.2o, 22) seguendo
il Cluverio {It. ant. p. 1278) giustamente tiene che qui per
Sanniti debbono intendersi i Lucani.
4. Kirch. Testa giovanile forse coronata volta a d., di dietro è
la nota del sestante , davanti il nome /V\ET. R. Elefante
gradiente a sin. di sopra è probabilmente una vittorietta
volante che l'incorona. Di questa moneta si è avuto di
recente un secondo esemplare trovato nelle campagne di
Sepino, e pesa gr. 18,70. Un frammento di nn altro esem-
plare mi fu donato in Salerno un quarantatre anni addietro.
5. Da un mio calco. Testa barbata a d. R. Elefante a d. coro-
nato dalla vittoria.
6. Coli. Lauria. Testa barbata volta a d. ; alla nuca la leggenda
/V\ET (v. la tav.) R. Elefante : di sopra la nota di sestante. Il
Minervini (nel Rull. arch. nap. Ili e nelle Osserv. numism.
pag. 74) credette esservi rappresentata una cerva nutrice di
Telefo : l'unghia visibile in tutti e quattro i piedi facendola
senza dubbio determinare per cerva. A me però non altro
appare che quanto ho espresso nella tavola. Nell'esemplare
del Museo Borgiano e in quanti mi sono noti di Propa-
ganda, si vede chiaramente un elefante di barbaro stile
ma con piedi carnosi a cui si possono supporre le tre o
quattro unghie, non però un' unghia biiìda propria del cervo.
• CAlVrPANIA
VELECHA
7. Da un gesso della Coli. Odelli. Testa del sole raggiante di
prospetto : a d. la iniziale D, a sin. la nota del semisse
significato con sei globetti. R. Luna crescente ed astro a
nove raggi entro un cerchio di altrettanti globettini: nel
basso la nota del semisse.
8. Kirch. I tipi medesimi della moneta precedente: a destra
il 3 del quale si conserva l'asta verticale, a sin. un indizio
dei due globetti. R. Luna crescente ed astro coi due glo-
betti in alto. Pesa nove denari.
9. Kircheriano. Testa del sole raggiante di prospetto, al di sotto
v' è la nota del sestante. R. busto di cavallo volto a sin. e
ha davanti la nota medesima e di sotto le lettere CE. Pesa
22 denari e mezzo. Se ne ha un esempio nel Museo Bri-
tannico {Catal. pag. 128) posto fra le monete osche incerte.
T. LXVII
AES GRAVE
37
10. Kiroher. I tipi sono simili al precedente, ma la nota è del-
l'oncia. E. Busto di cavallo volto a d. che ha dinanzi la
nota medesima. Pesa sedici denari.
Ho uniti insieme questi quattro pezzi appartenenti a due
serie diverse ma usciti dalla officina medesima, come di-
mostra il nome della città che comincia colle iniziali C e CE.
Abbiamo delle monete coniate che ripetono i tipi mede-
simi della testa del sole e del busto di cavallo e portano
la leggenda, quando è intera, CEAEXA. Se cotesto popolo
ha fuso moneta del sistema quadrantario è dunque ante-
riore in questo luogo alla prima guerra punica. Ma quale
è questa Velecha ? In Campania, dovere opinione che si tro-
vino queste monete non vi è città veruna che porti questo
0 altro simile nome. Solo un villaggio posto fra Atella e
Napoli vi si accosta chiamandosi Pollica, e dice il Giustiniani
che nelle antiche carte si trova scritto Polvica, Pulbica.
La serie seguente eh' è anonima, si crede campana,
ma non si è notato che fa uso dei sei globetti come la
precedente per dinotare il semisse, mentre gli osci cam-
pani si servono dell'asse decimale, e però il loro semisse
è un quincunce. Il Friedlaender che stanziò i Velecani in
Campania non diede loro che le sole tre monete coniate,
che sono da me incise nella Tav. LXXXVIII, 10, 11, 12.
11. Kircheriano. Due giovani in corta tunica cinta e un d'essi
con clamide gonfia dalla violenza del moto sembrano esser
venuti alle mani lottando colle pugna strette. R. Due mezze
lune opposte colla parte convessa al centro e aventi cia-
scuna in seno un astro : nel basso v' è la nota del semisse
in sei globetti. Pesa un'oncia e mezzo. Se ne ha un esem-
plare nel Museo di Pesaro: il Zanetti (Zecche, pag. 451)
l'attribuì a Luni, dove non sappiamo che siansi mai tro-
vati pezzi di questa serie.
12-14. Kircher. I tipi di questi tre bronzi sono quelli stessi
del semisse : solo ne differiscono per la nota di valore e
pel peso. Il n. 12 è un triente del peso di venti denari e
mezzo; il n. 13 è un'oncia del peso di undici denari e
mezzo; il n. 14 è una semoucia del peso di quattro de-
nari e mezzo. Non ne furono interpretati; i tipi quanto
alla zecca, si sono classificati fra gli incerti (Aes grave
Tav. IV, A, .5).
Ho qui poste alcune monete, delle quali s'ignora la
patria e sembrano provenire dalla Italia superiore, non
però quella che pongo al n. 15.
15. (Aes grave Tav. IV incerte. A, 6). Testa virile con capelli
ricci volta a sin., alla nuca la nota dell'oncia. R. Un de-
cusse 0 croce equilatera.
16-17. (L'aes grave, incerte, Tav. V dall'Arigoni nn. 4, 5). Il
secondo bronzo n. 17, che ha per tipo la mezza luna e
l'astro con un globetto a destra, deve avere invece i tre
globetti come nel n. 16 e però ve li ho aggiunti. Essi
non significano la nota di valore, ma gli astri e questo è
anche il significato di quei che sono sul rovescio.
18-19. (L'aes grave sopra citato V incerte nn. 7, 8 dalP Ari-
goni). Paragona il bronzo delineato nella Tav. XLIV n. 1 1
che è d'altro conio ma con tipi simili a questi.
APPEXDICE
SABINI
NVESIA-ANCARANO
Tav. LXVII.
1. a, b. Coli. Nardoni. Neil' antica necropoli posta presso Anca-
rano dietro i monti di Norcia, dalla quale oggi vi si va con
soli tre quarti d'ora di viaggio, il Guardabassi inspettore
degli scavi attestò di aver trovato trentasei chilogrammi e
mezzo di aes rude minuto (Mem. dei Lincei a.. 1878). Unica
però è cotesta piastrella quadi-ata che porta per tipo in in-
cavo una croce equilatera con un tondino rilevato nel centro,
quasi fulcro o piede del groma agrimensorio veduto dal-
l'alto. R. Cifra simile alla lettera C impressa ancor essa
nel bronzo. Un bronzo della stessa natura del nostro si è
pubblicato dal P. De Feis (Vedi la tav. seguente n. 3). Non
è però un frammento di lastra, ma im informe bronzo
fuso, quale l'ho fatto rappresentare nella Tav. LXVIII
n. 3. Ma ora il sig. Stettiner possiede nella collezione sua
un esemplare pei tipi impressi similissimo a quello di Anca-
rano; è una piastrellina ancor essa, come quella di Anca-
rano, ma di forma triangolare, del peso di circa 30 grammi
con la stessissima croce su di una faccia, e la mezza luna
impressa sull' altra. Esso gli è venuto da Perugia.
Consta che gli antichi marcarono Vaes rude come il
signalum. Nella collezione del march. Strozzi sono due
frammenti di quadrilatero trovati negli scavi di Tarquinia
che portano per marchio una luna crescente con un astro.
Intorno alle diverse opinioni che cercano spiegare i motivi
delle marche e contrassegni può vedersi il Borghesi (Oeu-
vres, l; 212 213). Niuno però dei bronzi con contromarca
sono contrassegnati da due facce. Perciò io stimo, che que-
sta sia una novità di aes signatum, portante i suoi tipi
impressi in incavo.
RUTULI
ARDEA
2. a, b, e, d, e. Kircheriano. Cotesto insigne frammento di qua-
drilatero, che mi fu dato di vedere quando la stampa delle
tavole di aes signatum era compiuta, mi è sembrato pre-
gio dell' opera, che si avesse almeno nell'appendice. Io ne ho
fatto delineare tutti i lati, perchè constasse la somiglianza
di questo pezzo del Lazio con quei delle terremare della
Emilia trovati nel Reggiano e nel Parmigiano. Il così detto
ramo secco è sui due lati maggiori, ma privo di quei glo-
boli con anelli che in alcuni quadrilateri si vedono impressi
sul tronco ad ogni diramazione delle braccia, e che è proprio
a quanto pare della zecca di Todi. Il metallo scorso fra
staffa e staffa nei lati minori ha quell'andamento che ab-
biamo notato in generale nei quadrilateri nei quali di
sopra si allarga. Il suo peso è di gr. 2691,00 pari a
libbre 8, gr. 3,00. Non è intero e si vede dal colpo di
mazza che porta impresso, letfc. e, che fu spezzato nel
38
ÀES GEAVB
T. LXVIII LXIX
mezzo : può quindi supporsi che l' intero pesasse sedici
libbre incirca.
Cessa quindi ogni pretesa distinzione di zecche da questa
parte, e solo si potrà dire, fra noi sono più rari questi
bronzi primitivi, e nella Emilia invece sono i più comuni.
SUPPLEMENTO I
CAESENA
Tav. LXVIII.
1. a, b. Collezion mia. Trovato dal sig. V. Capobianohi in
Cesena presso un negoziante insieme con altri frammenti
di aes rude e signatum: ora nella collezione mia per gra-
zioso suo dono. La sua forma è di bacino rotondo leggermente
concavo come si vede nel disegno, che rappresenta la gros-
sezza. È singolarissimo non solo perchè apparisce certissima-
mente tagliato, di che ora si hanno altri esempi sicuri, ma
perchè chi lo tagliò ebbe intenzione manifesta dì farsene
un' accetta, la cui forma il pezzo tagliato esprime a mara-
viglia. Non ometterò di far notare che fra i pezzi di questo
deposito me ne fu recato un secondo, che ha ugual forma di
accetta ma non così bella e finita. Il peso del frammento
qui disegnato è di gr. 351. Costui che da un pane metal-
lico tagliò due accette non avrebbe di certo fusa un'accetta
per farne aes rude.
SAMNIUM
2. Mia collezione. Questo pezzo di aes rude mi è stato recato
da Ponte Landolfo città posta a poca distanza da Campo Lat-
taro nel Sannio, territorio dei Liguri Bebiani. Io ne ho già
dato in disegno la parte liscia nella Tav. VI n. 9, ma allora
non mi era peranco avveduto della singolarissima lettera ì
impressa per contrassegno sulla faccia opposta. La forma
della lettera è arcaica, l'andamento è retrogrado: ma non
ci è dato di stabilire che senso si abbia. Era con altri
pezzi maggiori sotto grosse pietre che si vollero rimuovere
dal proprietario avv. D. Daniele Perugini. Su di una moneta
di bronzo della collezione D'Ailly furono lette due sigle S F ,
le quali in altro bronzo si sou vedute spiegate FORTVNAI
STIPE (D'Ailly, fìecherches sur la monn.rom. 1 pl.LIV, 12;
cf. la mia SijU. pag. 555,2299). Il bronzo nostro antecede
l'epoca della colonia beneventana, e del traspiantamento dei
Liguri Bebiani nel Sannio.
3. Belona nell'Orvietano, ora posseduto dal P. D. Leopoldo De Peis
Barnabita e da lui pubblicato con una dichiarazione, nella
quale è di parere, che questo informe pezzo con una croce
equilatera impressa da un lato e un' àncora dall'altro, sia
il vero e primitivo aes rude del peso di un'oncia divenuto
per quei segni impressi aes signatum. Ho già detto avanti
che dalla necropoli di Anoarano ci è venuto un simile pezzo
ma in piastrellina quadrata portante da un lato la lettera
0 segno C e dall'altro una croce equilatera similissima a
quella di Belona. e anche da Perugia se ne è avuta una
seconda piastrellina coi segni medesimi, che porta quella
di Ancarano. Il minuto aes rude raccolto in quella necropoli
montò a cento e dieci libbre incirca, ma fra tanti piccoli
pezzi uno soltanto portava i due segni predetti. Le let-
tere 0 i segni impressi generalmente si sono sempre tenuti
e si tengono universalmente in conto di contromarca: e a
ragione : noi troviamo di fatto questi marchi impressi anche
sull'aM uscito dalle forme con segni in rilievo. Ma non v'è
esempio che le contromarche occupassero il campo della
moneta, uè che si imprimessero su l'una e l'altra faccia.
Eagion vuole adunque, che questi segni impressi si riguar-
dino come tipi. Vi fu quindi una terza classe di aes che
portò i tipi in incavo. Ma non saprei seguire il P. De Peis,
quando stima che Vaes rude fu in origine di un peso mi-
nimo e determinato.
EOMA
4. Coli. Pasinati , oggi passato in quella del sig. Pietro Stettiner.
Frammento di quadrilatero con un delfino di arcaico stile
sulle due facce, il primo quadrilatero che si sappia trovato
in Roma esso è stato levato dalle acque del Tevere pro-
priamente fra Ponte Kotto e Ripa Grande, Pesa gr. 1460
pari a quattro libbre, quattro once e grammi 12. Prendo
argomento dal posto dato al delfino per credere ohe un
simile delfino doveva essere figurato nella parte mancante.
Dico, poiché fu tagliato, perchè vi si vede una linea segnata
e poco sopra di essa il segno dell'accetta per disporre il
bronzo al colpo di mazza. Il quadrilatero intero doveva
quindi pesare un otto in nove libbre. È notevole che in
questo quadrilatero la grossezza della bava sporgente fra
le due staffe sia uguale dall'alto in basso, e regolare.
Non v'è finora un bronzo di questa classe così elegante
e simmetrico.
SUPPLEMENTO II .
PRAENBSTE
Tav. LXIX.
1. Trovato nelle terre che sono fra Val Montone e Monte Portino.
Testa di leone di prospetto ohe morde una lamina di spada
acuta a due tagli munita di manico a destra. R. Protoma
di cavallo sbrigliato volta a sin. dinanzi alla fronte v' è
una mezza luna. Pesa gr, 347. È questo il terzo asse che
ci viene dalle terre circostanti a Pai estrina, onde ho preso
partito di assegnarlo a quella insigne città del Lazio. Gli
assi privi di segni monetali formano una prima serie,
la seconda se ne distingue per un caduceo, del quale mi
sono giovato per mettere insieme alcuni pezzi che ripetono
la stessa insegna: questi sono il semisse e il quadrante
(Tav. XLI, 2, 4). Ora per cotesto nuovo asse portante per
insegna la luna crescente, si dovrà fare altrettanto, e però
attenderemo che la terra ci rimetta degli spezzati che
abbiano, questo segno monetale.
• VELITRAB
2. 0, b. Museo di Napoli. Quadrilatero della collezione Borgiana,
finora descritto, ma non pubblicato per disegno. Il P. Eckhel
T. LXX
AES GEAVE
39
lo vide il primo in Velletri e lo descrisse : poscia il Borgia
r inserì nel rn(o/of/o del suo Museo trascritto dall'Avellino e
dato in luce dal Fiorelli {Ann. di numìsin. Yol.ll p. 99).
Ivi il Borgia p. 10 lo attribuisce a Kimini. Eappresenta da
un lato la lama di una spada, dall'altro il fodero col balteo
0 cinturino. Pesa gr. 1898,14 pari a cinque libbre ed 8
once meno 6 grammi. Il Borgia gli assegna once 60 e de-
nari 2. Fu trovato insieme col quadrilatero che porta da un
lato l'aquila sul fulmine, dall' altro il pegaso e l'epigrafe
ROAAAMOAA. Il Carelli n'ebbe forse uno schizzo di disegno
ma, se è così, assai dift'erente. Perocché il manico non è
ricurvo di sopra, come lo rappresenta il disegno del Carelli,
ma termina in un pomo; non ha poi la vetta libera per
paramano, ma congiunta di un pezzo. colla lama. Questa è a
punta ed ha due tagli il cui trinciante ai due terzi si al-
larga a guisa del ferro di una lancia. Essa poi è corsa per
lungo da una costa di forza. Quanto al fodero questo è
baccellato ed ha l'estremità inferiore protetta da una larga
piastra orlata in forma di pelta, che le fa da crespello. Il
cingolo è annodato alla estremità superiore poco di sotto
all'apertura o bocca che riceve la lama, la quale appare
aver due seni e sollevarsi nel mezzo, perchè la lama, in-
trodotta che sia, si tenga ferma. Vedi le dichiarazioni fatte
alla Tav. XIII.
SUPPLEMENTO III
ETEURIA .
. TAEQUINII
Tav. LSX.
1. Tarquinia. Asse col tipo di un astro a quattro raggi ripe-
tuto nel riverso. Il sistema di ripetere nel rovescio il tipo
del dritto, proprio della zecca sabatina e sabina (Tav. XXXIV,
XXXV), e di alcune città dell' Etruria centrale (Tav. LII,
2, 3 ; Lm) si vede qui usurpato anche da Tarquinia. Di ciò
avevamo avuto un indizio nei quadrilateri ridotti (Tav. XXVII,
4, 5; XXVn, 2, 3, 4, 5, 6), che al pari dei quadrilateri col tipo
del ramo braeciato (Tav. IX, 1. 3 H; 1, 2, 3; XXV 1, 2) e
del bue (Tav. XX), ripetono la mezza luna ovvero la let-
tera A sulle due facce. Di quest'asse scoperto nel 1875 che
ha di peso gr. 368 non si hanno finora spezzati. L'altro asse,
che ci ha dato Tarquinia in piìi esemplari, pare che debba
stare a capo della serie sia che pesi gr. 352, come quello
del Museo di Torino, 0 323 come quello del Museo Britan-
nico, 0 307 come quello che fu una volta nella collezione
Capobianchi ed è stalo da me disegnato nella Tav. XLVI.
Questi pesi a bastanza dimostrano, che in Tarquinia, più
che in Atri e altrove, non si stette per nulla alla libbra
romana effettiva o nominale che voglia dirsi.
FALISGI
SAURA FALISCORUM
2. Nel Museo di Napoli, trovato in Calabria nelle campagne di
Nicotera {Not. degli scavi 1882 pag. 285). E un secondo
esemplare di quel rarissimo e finora unico del Museo Olivieri
di Pesaro, che rappresenta sui due lati la testa dell'Apollo
Sorano (v. Tav. XXXIII, 3), aggiuntovi per simbolo mone-
tale dietro la nuca un grappolo d' uva che erroneamente cre-
derebbesi un 1^. Il picciuolo che qui non è chiaro ben si
vede espresso nella tavola citata in quel di Pesaro. General-
mente si tiene per lunga esperienza che le monete fuse di
maggior peso non si trovano molto lontane dalle città e
regioni che le emisero : ma qui la lontananza è sì grande
che appena basta a spiegarla l'analogia di qualche asse della
Italia centrale ti;ovato, per modo di esempio, a Veleia o a
Trento. Il motivo di tale trasporto non è sempre agevole che
si divini: pure per questo asse che appartiene ai Falisci della
Sabina si può sospettare che i coloni dedotti dai Komani
in Ipponio verso l'anno 515 siano stati parte di quei Fa-
lisci, che poco dopo furono dedotti in Sardegna (vedi la
Sylloge inscr. ant. n. 558).
APULIA
LUCERIA
3. (a), h. Coli. Lauria. È il riverso dell'asse edito dal Minervini
{Osierv. pag. 104 Tav. IV, 14) il cui dritto è simile a quello
dell'esemplare seguente. Qui poi ho riprodotto da un mio
particolar disegno la faccia b soltanto dove si leggono
i nomi dei due soprastanti alla zecca, che credesi lucerina.
Il Minervini tenne questo bronzo indubbitatamente genuino,
io ne ho sempre difEidato; però mi parve che vi dovesse
essere un originale antico dal quale il moderno impostore
avesse potuto ricavare la leggenda con tale paleografia ed
ortografia superiore a qualunque ordinaria contraffazione.
La lezione del Minervini fu: SE POS C ■ BAB ed ■ U • ,
spiegando e supplendo Sergius o Servius Postumius, Pu-
hlius Babidius, Luceria. Io lessi la prima volta U ■ SExtio
P ■ BAB (Syll pag. 78).
4. a, b. Dalle campagne di Campobasso, ora posseduto dal sig.
Dom. Bellini. A conferma dei miei sospetti e diiBdenze è
venuto alla luce dopo molti anni questo nuovo esemplare
apertamente moderno, ma con leggenda ben conservata,
onde è stato ripreso da me l'esame del primo esempilare
e ne è risultata una lezione piìi piena del primo bronzo mal
riuscito nella fusione. I nomi dei duumviri monetali sono
stati qui diversamente ordinati, dandosi il primo posto a
Babio, il secondo a Sestio : ecconè l' epigrafe SEP • BABI •
U • SEXTI . Ambedue i coni sembrano usciti dalla medesima
mano, che non badando nella iscrizione circolare alle linee
paleografiche, che fossero volte al centro, ce ne ha date
nell'uno e nell'altro bronzo alcune d'esse inclinate se-
guendo la mano che modellava da sinistra a destra ; lo
che parmi argomento di artefice moderno. Se l'originale
non ha mai esistito, colui che inventò questi nomi e li
somministrò all'artefice mostra di non ignorare la paleo-
grafia ed ortografia arcaica latina. A me non fa certa-
mente ostacolo il prenome SEP per Seplimus quantunque
il confessi raro di guisa che l' Creili potè sostenere per ben
fatto dall' Hagenbuch il supplemento Seplimius, togliendolo
40
AES GEAVE
T. LXX
così dalla classe dei prenomi nella gruteriana 527, 1, dove
si legge : SEP • ANICIVS ■ DAMA ; opinione accettata anche
dal sig. Henzen, onde, nell' indice dell' Orelli ha posto
questo Septimius nel novero di quei nomi, che falsamente
si credono prenomi: nomina quae male prò praenominibus
habentur. Ma se è vero che i pronomi Quintus, Sextus,
Decimus, notati da Varrone, provennero dall'ordine della
nascita, qual motivo vi sarà, dice il Borghesi {Oeuvr.
VITI pag. 33) da rigettare quei, che Varrone non cita,
mentre l'analogia ne vien garante ed anche il fatto. Var-
rone dice (De L. L, IX, 60 ed. Muli.) : In praenominibus,
quibus dlscernerentur nomina gentilicia, ut ab numero,
in viris Quintus, Sextus, Decimus. Il fatto poi è ohe nella
Epitome de nom. rat. (L. X Val. Max.) è ricordato il pro-
nome Septimus, portato già dal primo re degli Bquicoli:
Ab aequicoUs Septimum Modium primum regem eorurn:
Ivi l'annotatore cita Livio (1, XXV, 37), che scrive:
L. Marcium Septimi fllium e i codici, che sono concordi a
dare questa lezione.
PARERaO
NUOVO QUADKILATERO FALSO COL TIPO DELLA SPADA E DEL FODERO E L'EPIGRAFE ROMANOM
Comincio dal ripetere ciò, che altrove scrissi dei tre qua-
drilateri del Sinistri, per dare un giudizio competente di un
nuovo quadrilatero recante gli stessi tipi ma modificati, che si
è sostenuto e forse si sostiene tuttora per genuino ed autentico.
L'ab. Minervino prima del 1804 serbava in Napoli im qua-
drilatero che aveva per tipi una spada e al riverso un fodero,
accanto al quale era espresso in istrana guisa un fulmine ; leg-
ge vasi inoltre dalla parte della lama l'epigrafe ROAAANOM.
Il P. Caronni che il vide se ne invaghì e ottenutone a gran prie-
ghi un disegno il diede alla luce nel suo Ragguaglio (Tav.XIII).
Potè dipoi dall'erede del Minervino acquistare il bronzo ori-
ginale pel Museo Wiczay.
Ma rimaneva al Caronni di apprendere cosa, che gli di-
minuì in seguito la gioia di quell'acquisto per dar luogo a
sospetti. In Roma come cominciò a sapersi del quadrilatero
minerviniano così vi fu un tal Giuseppe Sinistri, il quale di-
chiarò pubblicamente essere egli l'autore di quello e di due
altri quadrilateri siffatti.
Il Caronni adunque ebbe quivi il primo avviso, che il fece
entrare in diffidenza di quel suo cotanto vantato acquisto : onde
nella descrizione del Museo Hedervariano stampata dal Wiezay
(tom. I n. 387) ne mise in dubbio l'autenticità.
Dal canto suo il Seidl {Schwergeld, pag 64) die' per so-
spettissimo l'esemplare identico conservato nel Gabinetto di
Vienna ed il sig. Arneth ne confermò il parere. Non mancava
dunque che di sapere ove si celasse il terzo esemplare e di
questo risponderemo noi, avendone avuta certa notizia e di pili
ima copia in gesso nel 1861 dal Museo di Volterra. Del resto
esso non fu mai tenuto per genuino, ma tutto al piti copia
di un originale antico, secondo il Can. Gori prefetto di quel
Museo, alla cui opinione sottoscrive il prof. Migliarini nella
lettera del 6 aprile 1861, dove avvalora cotal parere del Gori
colla testimonianza di colui, che lo dette al Museo, il quale,
com' egli scrive, lo qualificò per ripetizione da antico originale :
e mi fa notare il Migliarini che in quel tempo vi erano in Volterra
due Inghirami intendenti, oltre molti altri.
11 Can. Gori scriveva il 16 marzo di quest' anno al Mi-
gliarini: « La tradizione sta contro l'autenticità del presente
asse in discorso ». E prosegue a dire: « Dal calco che le invio
Ella potrà rilevare qualche criterio sulla natura di tal fusione
ed informarne il chiarissimo P. Garrucci, il quale potrebbe insti-
tuire qualche utile disquisizione sul vero originale ». Ciò è quanto
scrissi e divulgai nella Civ. Catt. quad. 726 pag. 724, in segg.
Da queste tre copie che è oramai certo essere quelle di
cui il Sinistri si confessò autore, bisogna ora distinguere un
quadrilatero di recente uscito alla luce che ripete l'identico
disegno ma con particolarità diverse.
Codesto quadrilatero giacque per lunga pezza ignorato e
s'ignorerebbe tuttavia, se un tal Bonichi non lo avesse tratto
fuori dalle tenebre. Egli un bel dì mi si presentò al Collegio
Romano col bronzo originale ed un disegno che serbo tuttora
dimandandomi di farne una illustrazione. Ma essendomi io ri-
fiutato, che il conobbi falso, egli lo mandò a Parigi dove il Duca
di Blacas lo acquistò per la sua collezione, persuaso di avere
in esso trovato l'antico modello, dal quale il Sinistri aveva tratto
le sue tre copie modificandone in alcune parti il tipo. Perocché
in questo la testa di ariete posta per pomo della spada guarda
a destra, il fulmine a pie' della spada è omesso, varia la forma
del fodero, acuto in pimta, e vi si vede aggiunta la lettera N avanti
a ROMANOAA, che manca negli esemplari del Sinistri, non
eccettuato quello del Caronni, contro a ciò che ne scrisse per
errore il Blacas [H. dd la m. t. I pag. 179, nota), e l'epigrafe
è trasportata da destra a sinistra del fodero.
Or il Duca sostenne 1' antichità di cotesto bronzo in più
luoghi della Histoire de la mannaie, e lo stesso ha fatto di poi
il barone De Witte nella descrizione delle tavole tom. IV del-
l'opera medesima. Una tal differenza di pareri si è ancor notata
in quanto alle due monete che portano la leggenda PO/V\A, KVPI
e OVAUAISTEA, ne deve recar sorpresa se si considera a qual
raffinatezza di iniitazione dell'antico sono oggidì giunti gl'impo-
stori; ed è ben ricordare la urna di piombo, detta in Francia
di Domitilla, conservata una volta nel Museo Blacas, dichiarata
come parfaitement authentique (Revuearchéol.lSQQ pag. 20) e
come tale pubblicata ed illustrata dal Gerhard {Ant. Bildwerke
pi. LXXXVII 1-4), la cui forma di gesso ho io veduta in
casa del cav. Ruspi, che me la mostrò, dichiarandosene l'in-
ventore ed artefice. Un argomento di imperizia nel falsario può
anche suggerirlo l'epigrafe N ■ ROMANOM, che a parere del
Mommsen e del De Witte solo può spiegarsi per Nummus Roma-
ncrum. Ma che i Romani nelle monete emesse a loro conto dalle
1
T. LXX
AES GEAVE
41
zecche degli alleati non abbiano adoperato la lettera N come
fanno i Teatini e i Venosini, quando imprimono il bronzo deci-
male, lo dimostra la monetazione con l'epigrafe ROAAA e la lettera
U 0 n, dove nell'esergo a significare il sistema decimale adoperano
invece dell' N la cifra dell' S signiiìcando coll'S le sei once o
sia il semisse romano e coi quattro globi le altre quattro. Inoltre
è da notarsi che questo quadrilatero non si può esser fuso
fuori del Lazio, nel quale non essendo in uso l' asse decimale,
sarebbe stato fuor di luogo il denominare nummus il bronzo,
che di piti dovrebbe supporsi di riduzione semissale, pesando
il quadrilatero once 53.
ASSE IMAGINAEIO DI LUCERÀ
Asse Incerino con testa di Apollo diademata volta a d. e
intorno U- PVUiO- U- F- C- MODIO- CN- F. B. Cavallo corrente a
destra e di sopra astro ad otto raggi. Trovasi delineato dal Riccio
noi PoUorama pUtoresco (Napoli n. 29), dal quale l'autore trasse
e stampò a parte l'articolo medesimo colla figura dell'asse, che è
stato riprodotto dal Ritschl nelle Priscae latiniiatis monumenta
Ta?. V, insieme con l'altro asse datoci dal Caronni. Il Mommsen
poi ha dato confusamente le due descrizioni del Riccio con
r Hedervariana del Caronni {H. de la m. I p. 344), riferendo
la sola iscrizione che si diparte da quella del Caronni, e
non è la vera, come si vedrà dall'esame che qui soggiungo.
Il Riccio nel Poliorama afferma che questo bronzo fu trovato
nel 1847 alla porta di Lucerà detta di Troia e fu acquistato dal
Lombardi ed egM ne diede notizia al Cavedoni (c£ Bull. Arali,
dell' Instit. 1847 p. 159), attestando che pesava undici once
nap. pari a gr. 294. Ma il medesimo Riccio dando alla luce
in Napoli nel 1852 il Repertorio o sia descrizione e tassa
delle antiche monete ecc., citato dal Mommsen col titolo
Monete di città (1. cit.), a p. 29 dà di questa che pur chiama
unica moneta del Museo Lombardi una descrizione diversa.
Primieramente dice che la testa di Apollo è laureata e che
la stella ha 14 raggi, e di piìi che sotto il cavallo v' è l'ar-
caica U iniziale della zecca lucerina. La qual descrizione non
si trova d'accordo col disegno del dritto ohe ci mostra un Apollo
diademato ne con quello del riverso, ove l'astro è ad otto raggi.
e la lettera iniziale U non vi si vede. Nel quale ultimo par-
ticolare della lettera U non va neanche d'accordo con la descri-
zione, che egli ne fece al Cavedoni, nel 1847. Il Riccio del Re-
pertorio che descrive l'unico asse Lombardi non è dunque il
Riccio del Cavedoni, e il Riccio del Cavedoni non è quello del
Poliorama. Si può quindi con fondamento supporre che al Riccio
mancando il disegno dell'unico asse Lombardi si sia servito
di un bronzo edito dal P. Marchi e da me riprodotto alla
Tav. XXXIV n. 1,6, ed a cui abbia apposto un riverso tolto dal noto
asse Ulcerino ridotto (Tav. LXIV n. 8), dove si ha l'astro ad
otto raggi : abbia però omessa la lettera U, forse perchè ne fu
avvertito, ovvero si avvide dell'errore. E questa ipotesi a me sembra
spiegare il fatto di un disegno che non va d'accordo coll'unico
originale dallo stesso Riccio descritto al Cavedoni e nel Reper-
torio, e neanche con quello del Caronni da lui medesimo citato
con dire parergli « quella moneta di Lombardi essere la descritta
e delineata nel Museo Hedervariano sotto Pesto, Pars 1 pag. 35
tab. 11 fol. 42 » (Repert. nota 35 a pag. 6). Quanto alla
iscrizione, essa si diparte da quella del Caronni nella disposi-
zione è distribuzione se ne diparte anche nel dettato, cambiando
il GR ■ F in CN ■ F. Conchiudiamo che questo asse, come è rap-
presentato in figura dal Riccio, non è mai stato nella raccolta
Lombardi, ne altrove, e però dovrà essere escluso dalle opere
dei sigg, Ritschl e Mommsen, e di quanti lo hanno citato e
trascritto sulla fede di lui.
Fine cella Pakte prima — Monete fuse
ARICCIA
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2-6 CERVETE-RI
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"TELANDCLFO 10 TARQUINIA IJ OSSI IN CARDEOMA k- 3CULCA 1 N SAP.DEONA
T.VII.
1 a.bc MONTEFIASCONE-
2-a,b,cd OUINCiENTO
T.VIII.
1 a.b TERAMO
2-a,b.c. MAB.ZABOTTO
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1 a.b.c. FABBRO 2-a,b.c. T-a,b.c. CERVETE:p.
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1 a.b. MUSEO BRITANNICO
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3 a. b.c. FIESOLE
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1 a,b.. VULCI 2 a.b. MUSEO BRITANNICO
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1 a.b, MUSEO LI PESARO 2a.b. ARICCIA 3a,b, MUSEO BRITANNICO
T . Xlll.
1 a.b, MUSEO BRITANNICO
-2 ARICGIA
T.XIV.
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1 a.b, ARICCi'A
2 a.b. MUSEO VATICANO
3 VIGARELLO
T.XV.
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1 a.b, GENZANO 2 a,b. VULCI
T.-XVI
a.b. BOMARZO
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a.b, MUSEO BRITANNICO
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a,b. MUSEO DI PARIGI
T. XXI.
1 a.b. 2a.b, MUSEO KIRCHERIANO 3 a.b, CARELLI
T.XXII.
! MUSEO BRITANNICO
2 CERVETEKI
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MUSEO KIRCHERIANO
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T . XXIV.
1 MUSEO BRITANNICO 2 MUSEO KIRCHE
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LUCANIA
CAMPANIA
ETRURIA
i.
APPENDICE
T. LIVI
ANCARANO
AR_DEA
SVPPLTLXTOI
2.
7. CESENA -^ PONTE LANDOLFO. J.BELONA .^.ROMA
SVPPL.TLXIX
/.
7. PRESSO MONTE FORTINO ^. MUSEO DI NAPOLI
SVPPL.TLXX_
i.
TARQUINIA
M.
LE MONETE DELL' ITAIIA AUnCA
EACeOlTA (lENERAlE
DEL
R Raffaele Garrucgi
D. c. D. e.
PARTE SECONDA
MONETE CO NI AT E
■^G)Cg)(a-
ROMA
COI TIPI DEL CAV. V. SALVIUCCI
1885
INDICE DELLE CITTA E DEI POPOLI D'ITALIA
CHE HANNO CONIATA MONETA
/; primo numero arabico indica il prolegomeno, il romano la tamia col numero della moneta, l'ultimo la pagina che lo dichiara.
Aesemia 99 XC 17-24 99.
Alba LXXXIII 17-19 73.
Aletium V. Balethium.
AUpha LXXXYin 20, 21 91.
Alliba 93 LXXXIX 37-42 95, 96.
Aminei 144, 145 CTII 36-38 145.
Ancona LXXXII 27 76.
Aquilonia 99, 100 XC 25 101.
Aquinam 77 LXXXII 30-32 77.
Ariminam LXXXH 26 76.
Arpi IH XCm 1-23 112.
Asculum Apalum HO XCII 32-36 111.
Atella LXXXVIII 1-8 90.
Atìnum attr. erron. CXXV 7 186.
Atiniom attr. erron. CXXV 11. 186 v. Valentia.
Aurunca 78 LXXXHI 2-4 79.
Azetium 116 XCV 2-4 116.
Balethlnm sen Falethium 122 XCVII 1-3 122.
Baibarorum plagia LXXX 18 80. — LXXVII
27-30 51. — LXXVIII 1-13 61,62.
Barioni 116 XCV 8-14 116.
Bellum sociale 102, 103, 104 XCI 1-32 106-107.
Benventiun XC 16 99.
Blera (Sieda), aurum rude LXXI 2, 3 47.
Brettii 183 CXXIV 7-31.
Brundisium 121 XCVI 27-39 121,122.
Bytontnm sea Bytnntum XCV 5-7 116.
C, Testa di Apollo o di Pallade R. Civetta
LXXVI 6, 7 59.
> , ì , W , /V\ , Testa di moro. R. Elefante LXXV
11-15 58.
5 , ì , V, Enota, R Bipenne LXXVI 11-19 59.
D, W1, M, Testa di Lare. R. Cane LXXVI 8-10 59.
D , Enota. R. Ancora LXXVI 20, 21 59.
Gielinm 117 XCV 15-32 117, 118.
Caiatia LXXXVni 15, 16 90-91.
CalatiaLXXXVini9-21 89.— LXXXIX 1-3 89.
Cales 79 LXXXIII 13-18 79.
Campani 86-87 LXXXVI 13-19 87, 88.
Can LXXVI 3 59
Ca vel Ka, Eoma v. Eoma.
Camars LXXIV 10 56.
— anmm mde LXXI 1 47.
Cannsium 114 XCIV 1-7 114.
Capna LXXXVI 22-35 88.— LXXXVII 1-18 89.
Casarium 153 CXI 1-4 153, 154.
Canlunia 155,156 CXI U-30 156,157. —
CXXV 16-17. 1S6.
Clnsìum T. Camars.
Compnlteria v. Cubalteria.
Consa-Populonia LXXII 18 51.
Consentia 170 CXVII 33-36 170.
Copia 144 CVII 27-35 144.
Cora LXXXII 22 74.
Cortona LXXIII 11 53.
Cosa Volcientinm LXXXII 23-25 74-76.
Croton 147, 148 CVIH 26-37 149, 150. — CIX
1-39 150, 151. — ex 1-44 152, 153. —
CXXV 15 185, 186.
Croton, attr. err. CXXV 8.
Croto-VeUa falsa CXXV 2 47. 188.
Ct»a LXXIV 14 57.
Cubulteria LXXXVHI 13, 14 90.
Cumae 80 LXXXIII 20-13 81.
Echethia LXXIII 34, 35 55.
Etruria 13-47.
^ Euota. R. Bipenne LXXVI 22 39.
Patluna = Vetulonìa LXXIV 15-9 57.
Feinat v. Venafrnm.
Felzna, Felsnna LXXI 12-14 47, 48. — CXXV 13.
185.
Fensernia vel Sensernia 93 LXXXIX 1-13 93.
Fercna LXXIV 13 58.
Fetalu = Vetulonia LXXIV 10 56.
Fistelia 93, 94 LXXXIX 14-36 94, 95.
Frentrum 101 XC 26 101.
Fuflnna LXXIV 10. v. Pnpluna
Galli Cisalpini v. Barbaroram plagia.
Graxa 119 XCVI 1-12 119-120.
Gry = Grumbestiui XCV 39-41 119.
Heraclea 131, 132 CI 16-40 132, 133. — CU
1-19 133.134.
llipponium, sive Iponium 166 CXVI 9-19 167.
Hydruntnm 122 XCVII 4, 5 123.
Hyria, Hyrina 92 LXXXIX 1-8 92, 93.
Hyrinm Apuliae 109 XCII 21, 22 109.
Incertae sedis Etmriae aes incnsum LXXV 1-10
57, 58.
— non incusum LXXI 21-30 49, 50. — LXXIII
7-10, 12-28 53. — CXXV 12 185.
Imum 97 XC 6-9 98.
U Eoma V. Eoma
Larinum 101, 102 XC 27-37 102.
Latinm aes a latinis magistratibus cnsum LXX^'I
1-3 59.
Laus 170 CXVII 1-19.
Locri 15S, 159 CXII 16-32 159, 160. — CXIII
1-22 160,161.
Locri (AO) attr. err. CXXV 12 186, 187.
Lucani 182 CXXm 26-33. — CXXIV 1-6.
Lucerla 109 XCII 23-31 110.
W LXXIV 11, 12 56.
Malies 98 XC 13-15 98, 99.
Marsicum bellum v. Bellam sociale.
Matiolum XCV 43-45 119.
Mesma 165, 166 CXVI 1-8 166.
Metapontum 134-136 CU 20-35 136, 137. —
CHI 1-28 137,138.— CIVl-34 138,139.—
CV 1-41 139, 140. — evi 1-6 140.
Metlia LXXIII 6 53.
Neapolis82,83 LXXIV 18-38 83,84.— LXXXV
1-19 81-86. — LXXXVI 1-14 86.
Neapolis ApnUae 118 XCV 33-38 118.
Nola 91 LXXXVin 22-30 91.
Nethu aur. LXXI 1-6 47.
— arg. LXXI 15-17 48.
Nuceria Alfaterna 96 XC 1-5 97.
Nncria Brattiorum 168 CXVI 28-33 168.
Orsentum CXVII 20, 21.
Orra 120 XCVI 14-26 120. attr. err. CXXV, 9
187.
Oxentam 123 XCVII 6-13 123.
Paestnm 179 CXXI 41-44. — CXXII 1-41. —
CXXIII 1-23 179-182.
Pai Mol CXVII 22. falsa CXXV 10, 11 187.
Pallanum LXXXII 28, 29 77. —CXXV 14 IS-'i.
Pandosia 154 CXI 5-8 154.
Peithesa LXXVI 1-5 59.
PeteUa 157 CXII 1-19 157.
Pisae V. Teutha.
Pitanatae Peripoli 98 XC 11, 12 98.
Populonia LXXI 1-11 47. — LXXIV 10 56.—
CXXV 1-11 184, 185.
Populonia-Consa LXXn 18 51.
Pnpluna = Populonia LXXII 1-32. — LXXIII 1-5
50-53. — LXXIV 1-9 55, 56. — CXXV
1-11 51.
Posidonia 175, 176 CXX 1-22.CXXI 1-40 177, 178.
Pnpluna v. Populonia CXXI 1-40.
Kegium 161, 162 CXIV 1-38 163, 164. — 163
CXVl-28 164, 165.— attr.err.CXXVS 186
Eoma, nummi cusi extra urbem 62-65 LXXX
1-22 67, 68.
Eoma, nummi cusi intra urbem 62-65 LXXIX
1-16 65,66.
Eomanor. nomine cusi a sociis LXXVII 4-26
60, 61.
Eoma KA , CA LXXXI17-25.— LXXXn 1-4 71.
Eoma L CXXX 24-34. — LXXXI 1-13 68, 69.
Eoma P LXXXI 14, 15 70.
Koma S LXXXI 16 70.
Eoma SP LXXXI 23.
Soma Quirit. falsa CXXV 10 187
EomaD. Famil. nummi LXXIX 17-24 66, 67.
Entastini 115 XCIV 23-33 115, 116. — XCV
1 116.
Eab, C- Eub LXXVII 1, 2 59.
S Eoma T. Eoma.
SaUpia 113 XCIII 24-38.
Samnites 98 XC 10 98.
Scylaciam 161 CXm 23-27 161.
Sidinm XLV 42 119.
Signia LXXXni 20, 21 73.
Siris 145 CVIIIl-3 145.
Ser CXI 9, 10 154.
S P Koma T. Eoma.
Sty XCVI 13 120.
Suessa LXXXII 33-39. — LXXin 1 77, 78.
Sybaris 145, 146 CVIII 4-25 146, 147.
Tarentum 123-125 XCVH 14-34 125, 126. —
XCVIII 1-28 126, 127.— XCIX 1-53 127-
129. — C 1-68 129-131. — CI 1-15 121.
Tarentum, attr. err. CXXV 1 186.
Telesia LXXXVHI 19 91.
Temesa 167 CXVI 27 168.
Terina 168 CXVH 1-32 168, 169.
Teutha = Pisae LXXI 18, 19 49.
Thezi, Tliezle LXXm 29-37 54, 55.
Thurium 140, 141 CVI 7-32 140-147. — 142
CVII 1-26 143, 144.
Tianum Sidicinum 79 LXXXIII 5-12 79.
Tiate Apnlum 107 XCII 1-20 lOS, 109.
Tla (Telemon) falsa CXXV 1 ISS.
Trebula mutuesca LXXI 35.
Tuder LXXV 16-18 58.
Vrsentnm v. Orsentum.
Vxentum v. Oxentum.
Valantea, falsa, CXXV 11 187.
Valentia 166 CXVI 20-26 167. — XXV 11.
Velecba 90 LXXXVIII 9-12 90.
Velia-Croton, falsa, CXXV 3 188.
Velia CXVIII 23-49. — CXIX 1-39.
Venafrum LXXXVIII 17, 18 91.
Vennsia 114 XCIV 8-22 114, 115.
A.WTSO
Il dare una raccolta generale delle monete coniate d' Italia
era di per sé un'impresa così vasta, che non si sarebbe potuta
condurre a fine senza gli aiuti e il favore di molti, o direttori dei
musei, 0 privati possessori, quando non si fossero volute ripro-
durre le stampe altrui, ma cominciare del tutto da capo a
far nuovi disegni sugli originali, ovvero sulle loro impronte.
Non dovrà fare perciò maraviglia il sapersi che siano passati
parecchi lustri in viaggi, in ricerche, in esami di collezioni
puhliche e private, fuori e dentro l' Italia. Il frutto che da questi
viaggi e pervestigazioni si coglie, la Dio mercè, è destinato a
vostro profitto, o studioso lettore, e lo troverete, se meco andrete
cercando in questi fogli ciò che di meglio e di nuovo ho potuto
scoprire e mettere a profitto della scienza.
Passando ora al metodo tenuto nella Descrizione e Dichia-
razione delle monete, dirò, che i numismatici descrivendo le
monete sogliono notarne il metallo, il modulo, il peso, lo stato
di conservazione, la rarità di ciascuna. À tutte queste cose non
mi sono creduto astretto, pubblicando di ciascuna moneta il
disegno, dal quale risulta qual sia il modulo e lo stato di con-
servazione. La qualità del metallo è stata iniìiSttaT sulle tavole
con le cifre au. ar. ae. Quanto alla rarità, essa se è insigne
0 solo notabile risulta e facilmente si deduce dalla descrizione:
ma in generale si sa oggi che il valore dipende da cause varie.
Del peso poi se ne tiene conto, quando pare che sia utile, oppor-
tuno, necessario il farlo ; di tutti i pezzi, non è possibile, quando
non si su dove sono gli originali, o non si è avuto l' agio di
conoscerlo. D' altra parte sembra che troppo si dia oggidì ai
pesi : ed io credo che non di rado questa troppa fiducia noccia.
Ottima è la considerazione del Imhoof-Blumer che dei pezzi fior di
conio usciti dalla officina medesima delle buone volte difi'eriscano
fra loro da 10 a 15 Vo per la poca cura posta di certo nel
prepai-are i tondini {Le sistème euboique, Paris 1882 5, note).
Si fa caso della così detta biografia di ciascuna moneta, nella
quale si contano l'un dopo l'altro gli editori: e in ciò si va
tanto innanzi da imputare a colpa se una citazione per avven-
tura si è omessa. E questo un giogo che deve portare chi se lo ha
imposto : io non penso che altra legge vi sia, se non di citare
se vi è alcuno del quale si vuol dare notizia utile a chi scrive
0 a chi legge. Del resto quando si volessero citar tatti, spesso
neanche si potrebbe o per ignoranza della lingua nella quale
sono scritti gli articoli di numismatica, o per la ignoranza dei
libri e periodici nei quali si leggono, ovvero perchè quei libri
e quei periodici non sono mai pervenuti a notizia o alla mano
di chi scrive.
Per la dichiarazione dei tipi non posso fare a meno di
esporre nettamente le ragioni della propria e dell' altrui sentenza,
cercando sempre di evitare che il lettore sia defraudato, che
è atto di perfetta giustizia, e non per umani riguardi lodando
e biasimando chi che sia. Vivi felice iv Kvqìoì 'Ir^aov.
Infine resta che io renda a tutti coloro che poco o molto
mi hanno aiutato le grazie dovute.
pag
nel testo
62
rXTKA VEBEM
aggiungi
EXTEA
70
sannica
correggi
sannitica
71
Oralione
»
Crotone
72
WVITRIT
»
mVITNIlT
73,74
Lxxxni
»
LXXXII
74
Jlarsiliam
»
Massiliam
108
n. 5 VM
j)
VAA
113
n. 23
»
24
Errata-Corrise
pag.
119
125
123
158
Narvegna correggi Nervegna
n. 22 Falanto » Taranto
n. 24-26 invece di lo stesso tipo in incavo, si
riformi coù: Il n. 24 ripete in incavo i tipi
del n. 23 - i un. 25, 26 ripetono il tipo
del dritto - indi invece di tutti e tre questi
didrammi kggi: 1 due esemplari 23, 26.
il n. 8 e il n. 9 vanno scambiati
n. 28 Falanto correggi Taranto
n. 198 » 158
PAETE SECONDA
MONETE CONIATE
ETRUEIA
Nel pubblicare il nummo d'argento del Museo Borgiano
non ben letto dal Sestini e attribuito ad ima confederazione di
Vescia e Minturnae nella Campania mi giovai di altri due esem-
plari, scoperti di poi, ancor essi monelli nella leggenda, come
il primo e col loro aiuto potei ristabilire la leggenda ben sin-
golare in lingua etrusca, che fu : Ì3A : m\l•\^\l^ : \W\. La notizia
ne fu da me divulgata nelV Annuaire numismalique : ma cM
poteva allora prevedere che si sarebbe trovato un esemplare
dopo cento e piìi anni da che era apparso il Borgiano che rife-
risse intera la leggenda e che mi facesse lieto di averla tanto
prima indovinata? Serva questo esempio per provare che riguardo
alla monetazione etrusca si è lavorato molto e tuttavia si lavora
in raccoglierla e nondimeno siamo ancora troppo scarsamente
provvisti. Però è duopo che io avverta i lettori che non si aspet-
tino se non poche e povere considerazioni le quali sono ben
limgi dal corrispondere all'alta e giusta idea che si ha di
cotesta nazione e non provano un gran commercio che pur si
faceva dai Greci e dai Penicii, di Asia e di Africa nei suoi porti.
n piìi antico argento ed oro dagli Etruschi monetato ha
tipi stranieri : la Gorgone e il leone. La Gorgone è rappresen-
tata dalla sua testa di prospetto con la lingua sporgente le
labbra aperte e le gote contratte ; il rovescio è liscio ma piii
tardi comincia a portare qualche simbolo o segno, ed indi anche
il nome della zecca che è fll1V>I'1V'l; il suo peso da principio
superò gli otto grammi, poi si abbassa agli otto grammi e di
sotto. La sua divisione è in metà e quarta. Coteste condizioni
convengono pienamente col didramma Attico-Euboico di Solone e
però non potendosi riferire ad un caso, uè credere che gli Ate-
niesi prendessero dagli Etruschi, che come abbiamo detto non
ebbero propria moneta, ragion vuole che gli Etruschi l'abbiano
presa da loro. Non può quindi darsele un' antichità maggiore
del 160 di Eoma. V è solo questo di proprio che gli Ateniesi
dividono il loro di dramma in otto parti che dicono oboli e gli
Etruschi invece in dieci X, e quindi la dramma ne contiene
cinque e la quarta parte due e mezzo che notano colle cifre
A, e IK, le quali talvolta insieme uniscono con im tratto a.
traverso; ovvero adoperano la greca lettera § dinotante del pari
che il <, mezza unità. Cotesta forma di cifra supponendo il sigma
di quattro linee e non piìi di tre S come si scrisse in tempi piti
remoti ci serve di buon argomento per dedurre che questi pezzi
durarono a lungo almeno fino a tanto che la forma della lettera §
ebbe origine ed uso , lo che era certamente avvenuto prima
del 276 di Koma. Dedurremo di piìi che quando la cifra del-
l' argento era duplicata sicché in luogo del X la unità superiore
portava col peso medesimo la doppia cifra XX, le frazioni infe-
riori non conservavano più il tipo medesimo. Ciò si dimostra non
solo dalla cifra X, che recano i pezzi del peso di gr. 4 e con
altri tipi, ma dal validissimo argomento che risulta dall'esame
del deposito di Sovana, dove sono stati trovati insieme colle unità
a testa di gorgone del valore di XX e peso di circa 8 grammi,
e le loro metà con teste di profilo giovanili laureate, e mulie-
bri diademate in buon numero. A questa serie devono quindi
riportarsi gli argenti con la cifra A e HA e finalmente quelli
che recano il n. 1 ed hanno ancor essi per tipo la testa umana
di profilo.
Tutta questa monetazione emana dalla officina di Pu-
pluna, come dimostra la leggenda che vi si trova al riverso.
In questa epoca si è cambiato anche il tipo della maggiore
unità sostituendo alla Gorgone la testa di Pallade galeata posta
di prospetto con allato un delfino simbolo di città marittima,
e il n. XX.
Al sistema della cifra vicenaria sono da congiungere que-
gli aurei che recano teste umane di profilo con le note di va-
lore X e del peso di oltre a 0,50 gr. e con le note di AXX
del peso di gr. 1,30 ad 1 e 40: dai quali ragionevolmente dedu-
ciamo che ci manca tuttavia l'aureo colla nota 1^ e con ogni
probabilità le frazioni inferiori 3I1X, A, •!■
Ora ho da por mente ad una serie di ori e di argenti che
non ha niente di comune con quelle che abbiamo considerate
finora. Queste consistono di aurei a testa di leone e rovescio
liscio dei quali si sono finora trovati tre che portano le note
di valore 1^, AXX, 5IIX. E in prima si dimanda a qual città
6
44
BTEUEIA
della Etruria appartengono. Essi sono stati attribuiti finora a
Populonia ma non si saprebbe dire per qual serio motivo. Pe-
rocché sulle monete sicuramente populoniesi non è finora apparso
il tipo della testa leonina. Il tipo del leone intero in argento
con lingua egualmente sporgente e del peso di gr. oltre a 16
attende la sua destinazione : ma questa non sarà di certo Popu-
lonia, sebbene quella tal città della quale si legge il nome
solito scolpirsi in questi tempi sul campo liscio del riverso.
È solo esso per quanto so dei quattro esemplari a me noti che
porti una leggenda e l'ha dato a conoscere il oh. Poole (A Catal.
of the greek coins, p. 7 n. 1). Vistane l'importanza ne diman-
dai un calco ed è da questo che fo dipendere la mia lezione
alquanto diversa da quella dell'editore. Io convengo con la tra-
scrizione di tre lettere, ma mi diparto solo da queir una che al
Poole è sembrata im h e a parer mio dev' essere un 3 con le
appendici traverse non riuscite nel conio, che ha lasciato anche
una nappa di metallo. La voce adunque non può essere che
ìOm ovvero =I03I1 voce non intera la quale si accosta al nome
^HV03h. Questa città dove fosse non è chi lo possa dire: ma
non fa maraviglia perchè neanche si sa dove fu AJBOB'I, dove
A+3W, dove 3>JI30, dove EYE®, dove 011513=1, nomi tutti che
ci sono rivelati dalle monete etrusche, per tacere di quelli noti
per le sole iniziali A, V, /V\, !). A questa unità maggiore con la
epigrafe 303t1 parmi corrisponda quella monetina che porta
per tipo la testa del leone e pesa gr. 1,07 dichiarando col peso
di essere la decima parte, e con la nota X che ha sotto di se
dieci parti inferiori.
Il tipo del leone è notissimo per le monete dei Focosi di
Velia, che fondarono Alalia in Corsica. Può quindi stabilirsi
con fondamento ohe questa Nethu sia una loro colonia mentre
un' antica tradizione attribuiva ai Corsi la fondazione di Popu-
lonia (Servius ad Aen. X, 172). Anche questo tipo evidente-
mente focose prova che la monetazione dell' oro cominciò al piìi
presto verso il 160 nella quale epoca i Pocesi trapiantarono il
loro soggiorno in Corsica.
Gli Etruschi ancora inventarono una moneta d'oro liscia
da ambedue i lati e per lo piìi di forma globulare schiacciata
solo marcando la minore unità della nota ■!■ fra due punti, del
peso di gr. 0,06. La serie di queste monete viene dall'antica
Blera, oggi Bieda : il pezzo maggiore di gr. 5,24 ce lo ha man-
dato Chiusi.
Notilissima è l'arte di Bolsena, oggi Orvieto, nei tre pezzi
che ne abbiamo con la leggenda Il1flm<l33 che nella frazione
inferiore è abbreviato in VN3ì il cui intero darebbe Felsuna
ovvero Felsfia stando al Felznani della maggiore unità, e al
Felsnach ravvisato nelle pitture vulcenti {Diss. archeol. II p. 64).
Questi pezzi secondo che ha già notato il Gamurrini si corri-
spondono esattamente fra loro dacché la quarta parte pesa un
grammo e quindici centigrammi e l'intero che porta due de-
cine XX ne pesa quattro e 67. Sono della più bella e florida
epoca e però notabilmente posteriori a quella degli aurei di
Nethu il cui ^ pesa grammi 4,25, ma si divide in metà AXX
e in quarti XIIC, nei quali le due frazioni inferiori ben si cor-
rispondono, ma non ragguagliano la maggiore unità dandoci
gr. 2,86 in luogo di gr. 4,24. Stando le proporzioni dell'uno
a 16 ben si deduce che da gr. 4,24 avendo per la quarta parte
gr. 1,06 si otterrà una unità di argento di gr. 16,96 qual è
presso a poco il valore del nummo coll'intero leone : e però si
può dir certo che le due frazioni non si corrispondono con la
unità di gr. 4,24 ma con altra più debole.
Dopo l'argento e l'oro di Pupluna, e di Nethu e l'oro di
Felzna passiamo ad altre città etrusche. Non vi è moneta di
nobile metallo che porti il nome di Tarquinia, di Vulci, di
Telamone, di Vetulonia, di Volterra, di Chiusi o d'altra delle
piii note città nella storia, se ne eccettui Cortona : si può solo
congetturare che Cosa ebbe la sua, ed ecco in qual modo
si procede. Un nummo col tipo della testa di Gorgone del va-
lore di due decine, XX, fu posseduto dal dottor Puertas, che
ne lasciò memoria in una scheda conservata nel Museo di Fi-
renze. Egli ne disegna il rovescio ponendovi un pesce proba-
bilmente tonno e di sotto la intera voce KOSM. Il Puertas non
si è mai citato fin ora che con lode, ne v' era motivo di trascri-
vere in moneta ben nota di Pupluna un nome allora non inteso.
Intanto ai nostri studi questo nome ha un valor singolare : pe-
rocché ci offre in greche lettere e in dialetto dorico la vera e
originai denominazione di Cosa, della quale qualche debole trac-
cia se ne ha nei codici di Plutarco dove si legge (l'ito Fta-
min., 1, 6) Kàraa; e Consa, Consantts si legge in parecchi codici
di Livio (ed. Draken. T. Ili, 250, 512). È proprio del dia-
letto cretese di mutare Movaa in Móvaa, vnà^xovaa in vTiaQ-
ypvtìa. È quindi chiaro che la Kàtsa e Eóoaa si poteva essere
detta Kóvcta, cambiato solo Vco in o nel manoscritto di Plu-
tarco. Il tipo del rovescio ricorda il Qvvvoaxónstov che al ri-
ferire di Strabene era fabbricato presso di Cosa per la pesca
dei tonni.. Non meno evidente è il nummo del Museo di Fi-
renze battuto dai Cortonesi. Costoro come Etruschi il cui alfa-
beto rifiuta la vocale o si appellano Curt... I tipi sono al dritto
una testa giovanile a d. e alla nuca la nota A del valore: al
riverso due tentacoli di polpo e a d. TQV) con la metà supe-
riore uscita di conio, ma che facilmente si compie Curtuna.
Meno agevole sarà il modo che si dovrà tenere per divi-
nare quale città si abbia coniata la moneta che porta per tipo
un calamaio detto loligo dai Latini, e di sotto un X : di questo
nummo si é trovato anche il duplicato con lo stesso tipo e di
sotto il XX: il peso del X è gr. 11,5 e quello del XX di gr. 22,55.
Già sapremo a qual città si possano probabilmente attribuire
quei nummi che hanno di peso undici grammi : ma ciò che im-
porta è la provenienza: perchè sappiamo che il XX in doppio
esemplare è stato recato al marchese Strozzi da Pisa. Ora cer-
cando quale analogia passa fra il tipo del calamaio e Pisa la
troveremo nel racconto di Plinio che presso Servio [ad Virq.
X, 179) si attribuisce a Catone, essere stata Pisa in prima
fondata dai Greci Teutoni, detti anche Teutones e Teutae, i quali
la loro città dissero Teuta, il qual nome poscia i nuovi coloni
cambiarono in Pisa. Non par quindi inverosimile che i Pisani
alludendo al primitivo lor nome si siano dati per tipo un cala-
maio che i Greci per l'appunto chiamano in loro lingua Tsvdog,
e TsvOig. Così la seppia, (Xì^nid diede il nome arjnovg alla città
clie i Latini dicono Sipontum.
Una moneta d'argento del peso di gr. 22,55 del valore
ETRUEIA
45
di XX unità la cui metà pesa grammi 11,5 del valore di X
non si conosce altrove liattuta in Italia; non dai Greci, né
dai Latini. Attribuiremo adimque al commercio coi Fenicii del-
l'Africa e dell'Asia i vari sistemi seguiti e introdotti nelle
città etrusche.
B questa opinione sembrerà piti verisimile se vi aggiun-
giamo in conferma un secondo fatto che ci risulta dall'esame
di altra serie etrusca, che porta per tipo l'ippocampo.
I pezzi trovati tìnora sono
oro A gr. 2,75 (tav. CXXV, 13).
argento C gr. 2,02 (tav. LXXI, 28).
ce gr. 4,18, 4 (ibid. 27).
L gr. 5,35 (ib. 30).
È chiaro che l'aureo rappresenta la metà di una unità mag-
giore, che deve avere avuto di peso gr. 5,50, il cui duplicato
che supponiamo, perchè il cinque rappresenta una frazione,
sai-à stato di gr. 11,00. Parimente se poniamo la minore imita
dell'oro in ragione del 16 di argento, avremo 1 : 16 = gr. 8,30,
e poiché il pezzo di argento con la nota CC pesa gr. 4,18, cioè
là metà, dedurremo che il pezzo di gr. 8,30 portava il valore
di ecce cioè XXXX e progredendo: il pezzo di gr. 16,60 =
tXXX e quello di gr. 20,90 = DIC.
Passiamo al pezzo di argento col cerbero al riverso del
peso di gr. 5,35. Questo porta la nota della metà < , adunque
vi fa un pezzo di gr. 10,70 del valore di X, e un pezzo di
gr. 21,40 del valore di XX. Le quali divisioni e multipli ci
portano evidentemente al tridrammo (vedi Eeggio) o alla pu-
nica monetazione dell'oro e dell'argento in Sicilia.
Tra le città di nome e di sito ignoto possono prendere il primo
posto quelle che troviamo scritte Thezi e Thezle. Il confronto
della doppia e triplice maniera di scrivere una città Felzna e
Felsw, Pupluna e Furlana, Fati, Fatalu e Fetlunfa può in
certa guisa giustificare la ipotesi che come la prima e la
seconda moneta che portano scritto 0EII così anche la terza
sulla quale si legge OEIUE appartengano ad un sol popolo.
Bisogna però far notare che i pesi della prima gr. 11,12 gr. 11,30
non si corrispondono col peso della seconda gr. 8,23 né con
quelli della terza gr. 9,91 : anche i tipi appellano ad epoche
diverse. Può darsi che i sistemi siansi cambiati : v' è per-
tanto da fare gran caso dei tipi della seconda moneta: essi
sono al dritto la testa diademata di un uomo in tetro sembiante
e volto di terzo a sinistra dalla qual parte sono volte le due
serpi che le guizzano intorno : al riverso poi v' è la sfinge che
siede a destra: nelle quali rappresentanze parmi troppo evi-
dente che si abbia coUa sfinge tebana anche la testa di Edipo,
quale dicevasi che si elevasse dal suolo presso l'ara delle furie
a cui alludono le serpi, per maledire di nuovo i figli suoi. Come
poi la favola tebana sia divenuta \m tipo della moneta di Thezi
etrusca in tanta oscurità di emigrazioni e di storia io non credo
facile il poterlo conoscere. Aggiungasi nella moneta di Thezle
la protome del bue che non senza verosimiglianza direbbesi al-
ludere aUa Beozia, mentre il mostro marino del riverso facil-
mente allude al mare. La furia deUa prima moneta sebbene
pili vagamente può ancor essa alludere al mito medesimo.
Le medesime terre etrusche ci mettono poi innanzi la città
detta Echethia nella moneta che porta i tipi di una testa mu-
liebre laureata con pendenti agli orecchi volta ad. e al riverso
un gufo con la leggenda 3 EtE® < . Lasciando stare l'insolito simbolo
dell'uccello funesto che forse vi sta come sacro aUa ninfa Orfne
sua madre e moglie dell'Acheronte, diciamo che probabilmente
di questa Echethia parla Stefano di Bizanzio in un luogo che
il Meineke col Cluver ha creduto corrotto sostenendo che si
debba leggere "Ex^^qa città nota e nominata sol tre linee dopo
dallo stesso grammatico geografo. Ma eglino dovrebbero anche
sostenere che il derivato 'Exénaróg sia sbagliato, il che non fanno
né ponno fare avendo contro l'autorità dell' Alicarnasseo Dionigi.
Niente pertanto si guadagna intorno al sito di questa Echethia
etrusca. Resta finalmente Metl.Ai-BWi posta innanzi ad una testa
giovanile laureata in moneta che ha il riverso liscio. Che sia
Mèlelia o Metilia e congettura, ma del sito ove fu, non abbiamo
nulla da dire.
Non debbo qui omettersi una singolarità che giova a for-
marsi un alto concetto del commercio marittimo degli Etruschi
coi popoli di Oriente. Ciò si deduce dal bisogno che essi mo-
strano di adoperare sulla moneta, oltre alle proprie cifre espri-
menti il valore, anche le cifre greche e persiane. Questo sistema
che ora a noi reca imbarazzo e incertezza non doveva recarlo
una volta quando le serie erano complete e le città distinte.
Non può però dirsi altrettanto delle monete di Pupluna dove
non pare che siasi mai coniato un pezzo di XXX del quale
il AX ovvero il A sotto altra forma esprimesse la metà del tutto.
Parliamo ora delle nuove cifre, e cominciamo dalla greca §
che si è veduta nel sesterzio etrusco scambiarsi colla cifra A
di altro esemplare. Un secondo esempio l'ho da una monetina
di bronzo rappresentante al dritto la testa di Mercurio sotto
alla quale è notato un C, nel riverso v'è la civetta con la epi-
grafe A^BOn-l e a sinistra della civetta la cifra ^ , dinotante
la metà al pari della cifra etrusca C impressa nel dritto.
In una moneta della quale si hanno due esemplari l'uno
nel Museo Britannico, ma cosi guasto e coperto dall'ossido in
quella parte dove sogliamo cercare la nota del valore che al
eh. Poole non é riuscito decifrare: ma l'altro esemplare che é nel
Museo di Firenze è cosi netto che ci fa conoscere di sopra del-
l'ippocampo accanto ad un delfino la nota CC deUa quale occorre
che qui ci occupiamo. Pesa gr. 4,18. Un nummo coi tipi me-
desimi del peso di una metà, cioè di gr. 2,02 del quale pure
si hanno due esemplari con questa varietà , che nel primo v'è
per cifra un X e di sotto all'ippocampo un C ; nel secondo esem-
plare fattoci conoscere dal Bompois l'ippocampo è volto a sinistra
e ha di sopra la sola cifra D, omessa ogni altra. Ma ecco un
aureo cogli stessi tipi della collezione Strozzi dove la cifra sot-
toposta all'ippocampo è un A. Il suo peso è di gr. 2,75.
Comparando queste preziose monetine noi deduciamo che
la cifra CC contiene il doppio valore di quello che ha la cifra D
corrispondendovi anche il peso che è la metà : ma in pari tempo
dobbiamo conchiudere che i C vale X, non solo per questo con-
fronto, ma perchè vediamo l'X scambiarsi col D del secondo esem-
plare. Impariamo anche dall'esemplare Strozzi che il cinque è
anche significato dalla cifra A, cioè che la C del secondo esem-
46
ETRUKIA
piare ha il valore generico di metà, e particolare di dieci :
lo che conferma la osservazione fatta di sopra relativa alla
doppia maniera di significare il numero o in sé come X o rela-
tivamente alla unità maggiore come A ovvero C, cioè metà.
Ci si potrebbe da taluno dimandare, come si può spiegare
questo doppio significato della cifra C che ora dinotala metà
ora il numero dieci. Io invero noi saprei spiegare se non mi
si offrisse nella scrittura orientale un buon confronto.
Questo ci viene dalla Fenicia, che si serve della lunetta D
per esprimere il dieci e questa pei multipli raddoppiano scri-
vendone due 0 tre o quante ne abbisognano (Gesen. Script, lin-
guaeq. phoenio. inonum. pag. 87: cf. Pihan, Exposé dea ùgnes
de numération, p. 165) : le quali cifre i Penicii le hanno co-
muni coi Persiani e cogli Assiri che nell'alfabeto cuneiforme
esprimono con la lunetta ad angolo il daca <, e il visali « cioè
il dieci e il venti (Pihan, op. oit. pagg. 45,46). Ecco quanto si
può per ora dire a fin di spiegare cotesta nuova e ignota ma-
niera di cifre numeriche adoperata dagli Etruschi, nel cui uso
volgare etrusco la cifra D è una variante del A, che si scrive
anche giacente or sull'uno or sull'altro lato >, < e boccone r\ .
L'osservazione che sono per fare mi conferma nella sen-
tenza che a spiegare queste cifre bisogna rivolgersi ai Penicii.
In quelle monete che in prima a riverso liscio poi di doppio
rilievo si legge notato il numero XX che gli Etruschi sogliono
dividere interponendo or quattro globetti ■ ". • , or due : che di
frequente chiudono fra due linee parallele 1:1 si vedono ancora
esternamente a destra e a sinistra due piccoli cerchi, che chia-
meremo zeri, perchè identici a cotesta cifra. Incerto è tuttavia
che a noi l'abbiano comunicata gli Arabi; l'uso però che ne
facciamo che è di multiplicare per dieci il numero dopo del
quale lo poniamo, non si può rivocare qui, come è chiaro. Bi-
sogna dunque rivolgersi ad una scrittura nella quale il numero,
0 è preceduto o è seguito da un zero, non perciò cambia di va-
lore. E questa è la Fenicia ove le cifre numerali che dinotano
il dieci con una linea retta orizzontale, ovvero con una curva 5,
si accompagnano indifferentemente a destra o a sinistra con un
zero (Gesen., op. cit. p. 87; Pihan, op. cit. p. 185). Gli Etruschi
usano di separare ima parola dall'altra con due punti vertical-
mente posti: il principio e la fine dell'epigrafe adornano con
una lunetta volta in contrario a destra e a sinistra: pongono
talvolta due astri o compiono il vuoto se l'epigrafe è circolare
ponendovi i segni del sole e della luna. Le quali cose è d'uopo
avvertire anche perchè gli astri a quattro raggi non si pren-
dano per numeri come è avvenuto al P. Eckhel nel pubbli-
care ima moneta etrusca del Museo di Firenze {Numi vel. pag. 10
tab. I n. 9).
La più antica serie di bronzo coniato in Etruria si è quella
che ha il camp_o del dritto convesso col tipo in rilievo, al quale
è congiunto un riverso piano coi tipi incussi. Non vi si è letta
finora veruna epigrafe; e le divisioni e il peso non dipendono
per nulla dal sistema romano della moneta coniata di bronzo.
1 pezzi che ne abbiamo vanno dal cinque di gr. 3,07 al cin-
quanta e dal cinquanta di gr. 20,40 al cento di gr. 40, 80.
Portano costantemente sul dritto per tipo la testa di una di-
vinità e sul riverso l'imagine di un animale a lei sacro, a cui
nel pezzo di cinque si è surrogato un simbolo. L'ippocampo
che è sul riverso della maggiore unità sembra riportare questa
serie a quell'argento che ha per tipo cotesto medesimo fanta-
stico animale.
Alla classe delle monete fuse sembrano doversi assegnare
quei piccoli bronzi che sono contrassegnati dalle due facce con
tipi incusi. Tre sinora io ne conosco, tutti però trovati in
luoghi diversi. Quello di Belona nell'Orvietano che è fuso nelle
staffe, l'altro di Ancarano, e il terzo, che è venuto in Roma
al sig. Stettiner da Perugia. Portano questi da un lato una specie
di croce equilatera e il primo ha dal riverso un' àncora, gli altri
due una mezza luna; il lor peso non è maggiore dell'oncia.
Ad un terzo sistema riferiremo quelle eleganti monetine
colla nota delle iniziali 5, ì, \M, AA battute verosimilmente ai
tempi di Pirro, quando anche Todi e Peithesa battono la loro
moneta, e quelle tre città che si dissimulano nelle lettere 5, ]M, N\.
Dalle quali si debbono distinguere per anteriorità e per sin-
golarità di tipo che è ruota al dritto e accetta bipenne al ri-
verso quella serie che si rende singolare per le iniziali 5, 1, V,
i quali bronzi constano della nota e del peso che valsero, l'unità,
la metà di essa e la quarta parte. Il peso delle maggiori unità
non suole arrivare ai dodici grammi.
Le monete di Pupluna e di Patluua non mi paiono ante-
riori alla dominazione romana. Il piii alto peso che si abbiano
non è maggiore della mezz'oncia incirca. La nota di valore fu-
rono da principio due globetti che pei Latini segnano il sestante;
ma ben tosto i globetti furono quattro e si hanno esempi della
moneta coi due globetti ribattuta per quattro. Di cotesto nummo
col tipo di Pallade al dritto e la civetta volante al riverso coi
quattro globetti conosciamo una serie composta di tre pezzi,
che chiameremo alla latina, triente, quadrante (or ora trovato e
posseduto dal sig. Mazzolini) e sestante. Questi due spezzati
minori non si sono peranco trovati ribattuti, ed è però proba-
bile che non vi fosse in origine che il solo sestante, riconiato
per triente, quando si creò coi tipi medesimi e gli si diedero
i spezzati minori suddetti.
Populonia coniò di poi sestanti con questi tipi. Testa di
Vulcano e al riverso martello e tenaglia: Testa di Mercurio e
al riverso il caduceo. Cotesti bronzi sogliono essere ribattuti
sui sestanti col tipo della Pallade ; e il motivo parmi sia stato,
perchè ne fu cambiata la nota di valore, da due globetti a
quattro, e vi si aggiunse una seconda nota che fu un X, dino-
tandosi così che i quattro globetti equivalevano ad una unità
che a guisa dell'obolo attico conteneva dieci unità minori.
Si hanno separatamente da tutti questi due bronzi del peso
medesimo ma colla nota del sestante. I tipi del primo sono testa
di Vulcano. R. Tenaglia e martello con l'epigrafe attestante
un' alleanza con Camars e Felalu (ib. n. 3 Tav. LXXIII
n. 10): quei del secondo sono testa di Ercole giovane diademata
e colla clava presso al collo, al cui riverso sono l'arco, lo strale,
la clava e la leggenda MNMV^ con due globetti.
Questa Fetalu è di certo Vetwlonia, la quale separatamente
batte piccoli bronzi con la nota di sestante, e la metà di esso
ma senza nota di valore. Il tipo costante si è una testa gio-
vanile coperta dalla spoglia di cignale e al riverso il ferro di
T. LXXI
ETEUEIA
47
tridente fra due delfini in atto di sommersarsi nelle onde del
mare. Il nome della cittii e +Aì, ovvero >ltAì.
Yetulonia ci lia dato di recente due esemplari di uu bronzo
che porta dalle due facce la nota del quadrante, e al dritto una
testa giovanile coperta della spoglia a quanto si può giudicare
di un delfino, ài riverso un' àncora, dove a rincontro dei tre glo-
betti appare un'epigrafe fl a +3 di tre lettere; fra le quali è il
globetto di grandezza eguale ai tre dinotanti il valore. Nuovo
è ancora il bronzo che reca per tipo una testa muliebre galeata
a sin. e al riverso un mezzo mostro marino a zampe collo e
testa fantastica: il nome della città è ^f)H^Q3ì. Erano finalmente
noti i due esemplari di un bronzo che pone per iniziale della
sua zecca un W, e per tipo ima testa giovanile a d. e al ri-
verso un campo ornato di mezze lune e stelle.
Questo è quanto si è finora scoperto e saputo del bronzo
coniato dagli Etruschi.
BLERA, CAMAES
Tav. LXXI.
1. Museo di Firenze. Apre la serie delle monete di oro etrusche
una piastrelUna rotonda senza tipo e rilevala come gemma
sul piano del cerchio che la serra. È stata trovata a Chiusi e
pesa grammi 5,24. Il G-amurrini che l'ha publicata (Period.
del march. Stro-zì, an. VI pag. 64 Tav. Ili n. 10) opina a
pag. 14 che questo pezzo possa rappresentare le cento litro
etrusche assai scadenti. Egli pone adunque un grammo d'oro
uguale a XX litro di argento, cioè le monete di gr. 16
uguali a XX litre, e però le Gorgoni del valore di X litro
uguaglieranno un mezzo grammo d'oro. DaUe terre mede-
sime provengono i seguenti pezzi della collezione Strozzi:
1. Tondino d'oro senza tipo o di forma globulare schiac-
ciata, ma grossa, del peso di gr. 0,120.
2. Piastrellina di forma parimente globulare schiacciata
di gr. 0,090.
3. Tondino della medesima forma. Ve pure sul piano
liscio rilevalo il numero -l- fra due globetti. Pesa gr. 0,060.
Or anche Bieda ha mandato pezzi d'oro senza tipo che si con-
servano egualmente nella ricca collezione del march. Strozzi,
alla cui cortesia io debbo anche le indicazioni che seguono :
1. di forma globulare schiacciata ma di molto spessore:
pesa gr. 0,760,
2. di forma globulare non schiacciata: pesa gr. 0,530,
8. di forma globulare non schiacciata: pesa gr. 0,380,
4. di forma globulare non schiacciata: pesa gr. 0,180.
2, 3. Di tutti cotesti pezzetti la mia tavola porta incisi due sol-
tanto cioè il n. 4 di Bieda (Tav. n. 2), e il n. 3 di Chiusi
(Tav. n. 3).
NETHV
4-6. Coli. Strozzi. Testa di leone messa di profilo a d. con
lingua sporgente. Di sotto della testa v' è la nota 1^ del
valore, che vuol dire cinquanta, il suo peso è gr. 4,24. Nella
medesima insigne collezione si trovano due frazioni infe-
riori con questo tipo, variando solo la noia che nel n. 5
è AXX, cioè venticinque : il cui peso è di gr. 1,43, e nel
n. 6 è Xll> cioè dodici e mezzo; il peso è di gr. 0,72.
Ora mi si annunzia la scoperta di im secondo esemplare con
testa di leone e il numero AXX trovato nei pressi di Popu-
lonia, il suo peso è di gr. 1,50. Ho dichiarato nella mia
Sylloge la origine delle cifre numeriche: ivi dissi che il
cinquanta '^ è nato della metà della cifra che dinota cento >K,
e così il cinque A dal X. Fanno insomma gli Etruschi l'in-
tero e lo dividono in due parti servendosi di una d' esse
per esprimere la metà. La linea verticale moltiplica per
dieci. Or aggiungo che il cinque A si esprime con la metà
inferiore o laterale del X e però giacente su di uno dei
lati a destra < di che abbiamo qui un esempio, ovvero a
sinistra, >, che vedremo appresso. Queste due lunette o linee
angolari volte di fuori fanno >!< il cento, volte in dentro CD
fanno il mille. La linea verticale inchiusa nella cifra ha
il valore di moltiplicare per dieci.
7. Museo di -Firenze. Testa di donna con collana volta a d.
Alla nuca è la nota AXX. Proviene da Eoselle e pesa
gr. 1,30. Un secondo esemplare di cotesto tipo viene dalle
terre di Populonia ed è nella coli. Strozzi: pesa gr. 1,40.
Un terzo della coli, medesima proviene dalle terre di Buon-
convento: pesa gr. 1,38. Un quarto è posseduto dal conte
Mancini in città di Castello e pesa gr. 1,36 (Vedi Ga-
murrini, op. cit. Tav. Ili, 4, 5, 6). Un quinto è nella col-
lezione Mazzolini in Campiglia.
8-11. Coli. Lovatti ('). Testa giovanile nuda con capelli corti,
volta a d. ha davanti la nota X del valore e dietro la nuca
una mezza luna >. pesa gr. 0,53. Nell'esemplare posto al
n. 9 che è nel Eircheriano la testa guarda la destra e il
segno di valore sta davanti prendendo la forma di un for-
cipe: pesa gr. 0,52. Il Migliarini me ne descrisse uno
appartenente ad un suo amico, nel quale dic'egli la testa
nuda era dentro un circolo volta a sin. e aveva dinanzi
un X: il peso era di gr. 0,525. Il n. 10 della nostra tavola
è simile al n. 8, gli manca solo la mezza luna alla nuca,
il n. 11 che ha la testa volta a d. non porta il numero X
davanti come il n. 10, ma alla nuca. Questi aurei non sono
cosi rari come gli altri: il Gamm-rini ne descrive dieci e
di tre ne dà anche i disegni (Tav. cit. u. 7, 8, 9), il loro
peso va da gr. 0,52 a gr. 0,60. Dal duca di Luynes ebbi
descritto quello della sua collezione così: Téte imberbe à
gauche: devant X, gr. 0,53.
PELZNA
12. Museo Britannico. Testa giovanile con capelli crespi coro-
nata di mirto volta a sin. Le note XX di valore sono divise
l'uua davanti, l'altra alla nuca. B. Toro che va a sinistra
sorvolandogli un uccello con corona nel rostro : nel campo
a sinistra è una stella e nell'esergo si legge \y\(\y\1-\3^.
Il suo peso è di gr. 4,67. L'ha pubblicata il Friedlaender:
ma vi è stata omessa la corona {Beitr. pi. V n. 3), e la
sua lezione è stata Felzpapi. Che vi si debba leggere Fel-
{') Questa collezione ora è dispersa: ma io qui e in seguito indico dove
si trovavano i pezzi quando li feci disegnare.
ETEUEIA
T. LXXr
znani e non Felzpapi l'ho detto la seconda volta nella Civ.
Catt. serie XI voi. 11 a. 1880 quad. 720 tessendo laverà storia
di cotesta moneta, veduta da me e così letta nel Museo di
Londra l'agosto del 1857; dove anche dissi a parer mio
doversi attribuire a quella Felsina, che i Komani dissero
Volsinium. Il Deecke ha trovato im argomento da riget-
tare questa moneta fra le false, e questo è che il toro
porta la coda alta come se fosse in attitudine d' investire
mentre cammina di passo. Gli si potrebbe però far notare,
che propriamente non va, ne corre , ma si arresta. Poi
quanto alla coda gli si può far osservare che gli antichi
non ponevano questa coda alzata fra le attitudini del toro
che si eccita : Plinio ha scritto dei tori che (H. N. Vili, 70)
tota comminatio prioribus in pedibus: stai ira glisoente
alternos repUcans spargensque in alvum arenam. Pari-
mente EMano se ha notato del leone (come anche fa Pli-
nio H. N. Vili, 19, 2) che con la coda si flagella i fianchi
per eccitarsi alla lotta {H. Anim. VI, 1) : 6 le'cov ly
àXxaia èavxòv èjisydQsi fiagTi^oxr, ciò che gli elefanti fanno
colla proboscide ; però del toro non altro osserva che quanto
ne ha detto Plinio. Noi vediamo di fatto che non sempre i
tori cozzanti sulle monete hanno la coda alzata, ma talvolta
dimessa come in un mio didrammo di Turio, e in un bronzo
di Salpi (T. xeni, 13), però appuntano le corna e coi piedi
spargono l'arena (vedi la Tav. CXXI, 31, 82). Per lo con-
trario vediamo quei tori che non investono portare nondi-
meno talvolta alzata la coda, di che ho per esempi sugli
occhi due monete fuse (Tav. XXXII, 4, 5), e im didrammo
di Napoli col toro androprosopo, e un tetrobolo di Turio
(Tav. CVII, 1). Non si è poi ancora niente notato dal Deecke
riguardo alle code dei tori che sostano d'improvviso nel
corso, 0 che piegano le ginocchia per adagiarsi sul campo
come l'androprosopo di Reggio (T. CXIV, 1).
13, 14. Il primo aureo stato già della Eegiua Cristina , poi nel
Museo del duca di Bracciano, indi nel Vaticano, ove l'addita
l'Eckhel {add. ad Doctr. p. 16) , poi nel Museo Wicza]'
(Caronni, Viaggio p. 144, Steimbuchel in not. ad Eckhelii
add.), ora è nel Museo di Gotha. Il secondo è nel Parigino
Gab. delle medaglie. Testa di donna volta a d. diademata
con pendenti agli orecchi; davanti è la nota A. R. Cane
pomerano che corre a destra, preso per leone dal Bestini.
Nell'esergo del primo si legge i-Q^ e di sopra del cane A ;
nell'esergo del secondo V^>l3ì ; ed è privo della nota A posta
nel primo di sopra del cane, al quale manca anche la testa
per difetto di conio. Quell'A che nella prima moneta messa a
confronto colla seconda poteva sembrare nn' ultima lettera
della leggenda Vi<l3ì, ora siam certi ohe non è se non la
nota del valore. Perocché un terzo esemplare se n' è tro-
vato nelle campagne di Monteflaseone, ora nella collezione
Strozzi, che ci ha dato nel riverso intera la leggenda Vi•i3^
e non di meno di sopra del cane la nota A del cinque
(v. la Tav. CXXV, n., 13). Il Millingen ragionando (Consid.
p. 172) dell'esemplare pubblicato dal Bestini avverte che
cotesto numismatico l'attribuì a Velia: poscia il Caronni
lo die' a Telsina (Bologna). Ma l'Hennin sembra lodare il
Sestini di averlo restituito aVelia (^Manuel de numism .11,70)
L'Avellino tenne prima pel Caronnni poi pel Sestini {Op. 11
pag. 100-106). Il MuUer, {Etruscher. 1. 1 p. 334) la stimò
di Volsinii. Il peso di ambedue gli esemplari è di gr. 1,15 r
donde il Gamurrini conchiuse che dovessero tenersi per la
quarta parte della moneta di Pelsina, ed usciti dalla zecca
medesima. Ne pare a me che debba fare ostacolo la leggenda
negli uni Felsu e nell'altro Felznani trovandosi variate anche
altre leggende etrusche, Pupluna, Fufluna e Puplana ;
Fetl{una), Fetalu{na) e Fatl{una), Thezi e Thezle. Questa
doppia denominazione Valso e Volsinium fu nota anche ai
Eomani nei cui fasti trionfali al 460 si legge che M. Ati-
lio Eegolo trionfò DE VOLSONIBVS ET SAMNITIBVS e
consta da Livio (X, 37) che Volsinii, Perusia ed Arretium,
tres validissimae urbes, furono vinte e si arresero. Non
trovo che veruno abbia finora notato questa sinonimia.
NETHU
15. Museo Britannico. Mostro a corpo di leone desinente in
coda 0 testa di serpente volto a sinistra che sembra stare
in agguato. R. E liscio ma vi si leggono quattro lettere in
rilievo disposte in due linee. L'ha pubblicate il Poole (Calai.
p. 7 n. 1) e vi ha letto -.^i nel gesso che ho davanti
parmi che la seconda lettera sia invece un 3, sicché unendo
per ipotesi le quattro lettere si avrà ì03H cioè Nethu che po-
trebbe essere il nome etrusco di Nettuno, JI1V03I1 (Pabretti,
Lex. p. 1223). Se poi vale il confronto di questa moneta con
quelle di Pupluna, che inscrivono il loro nome parimente
sul campo del riverso (Tav. LXXII, 12, 15, 16, 17, 30,
31, 32; CXXV, 1, 2, 8, 9), questa non sarà moneta di
Populonia, ma di una ignota città denominata Nethu (na), alla
quale dovranno quindi attribuirsi anche gli aurei 4, 5, 6 e
l'argento n. 22 che portano per tipo la testa del leone, del
qual tipo non si ha riscontro nelle monete di Populonia (').
Pesa gr. 16,653.
16. Museo di Firenze. Simile al precedente, ma a rovescio
liscio. L' ebbe il Millingen che il pubblicò nei Supplé-
ments ause considérations, (1, 11): il suo peso è di gr.
16,46. Se ne ha un terzo esemplare che fu nella collezione
del Gen. Fox [Engraving of inpublished, or rare grcek
coins, 1862 pi. 1. 4) ed é ora nel Museo di Berlino. Un
quarto é ora presso il sig. Alessandro Mazzolini in Campiglia.
17. Museo Vaticano. Cignale che va a destra camminando sopra
balze : pesa gr. 15,8. Il Mionnet narra (Supplém. 1 pag.
200 n. 17) di averne avuto un esemplare che fu il primo
ed é ora nel gabinetto delle medaglie: pesa gr. 16,117.
Un terzo esemplare trovato di recente in Pullonica é nella
collezione Strozzi. Altri tre esemplari se ne hanno l'uno
nel Museo di Pirenze del peso di gr. 16,67, l'altro in
quello di Grosseto, il terzo nel Museo Britannico del peso
di gr. 16,42.
(') Facciasi attenzione alla opinione del Millingen, al quale pare che
Populonia sia nome umbro, o romano, non dei Pelasgi-Tirreni.
T. LXXI
ETRUEIA
49
TEUTHA-PISAE
18. Coli. Strozzi. Pesce chiamato loligo dai Latini e da noi cala-
maio, fatto però di strana foggia come di vaso a grossa pancia
dal collo del quale come se fosse testa, sporgono gli
otto tentacoli aventi nel mezzo un bulbo, che sarà forse
la pannocchia di una delle sue braccia ritirate nel sacco
intestinale ; termina poi nel basso in un bottone e porta come
di ordinario le pinne laterali. Di sotto v' è la nota XX; pesa
gr. 22,55. Fu recato da Pisa insieme con altro esemplare
che è nella collezione predetta e si trova pubblicato dal
Bompois [Revue archéol. 1879 pi. XVIII). Questo pesa
gr. 21,40.
19. Museo di Volterra. Lo stesso tipo del calamaio che nel prece-
dente, ma le pinne e le braccia non vi sono espresse: di sotto
la nota è X e pesa gr. 11,5. Io ne ebbi un gesso dal quale
ho cavato il mio disegno : fu noto al Micali che lo ha dato
negli Antichi monumenti, 1840, Tav. LIX, 4. Era tradi-
zione ricordata da Plinio (III, Vili, 1) e da Catone (presso
Servio ad Virgil. Aen. X, 169 seg.) che Pisa fosse in prima
fondata da Croci detti Teulani, Teutones e Teutae e che
questi chiamarono la città col loro nome Teuta, che poi
dai Lidi che vi si stabilirono, si disse Pisa : Alii incolas
eius oppicU Teutas fuisse et ipsum oppidum Teutam no-
minatum, quod postea Pisas Lydi lingua sua lunarem
portum significare dixerunt. Or queste monete col tipo
del calamaio vengono da Pisa, ed è notevole che il cala-
maio dai Croci si dica TsvOig e Ttvtog. Ricordo che il
nome ISìjTiovg ovvero ^luoìg, alla città di Siponto lo die-
dero le seppie, di cui quel mare era pescosissimo.
20. Museo di Volterra (Micali, op. cit. Tav. LIX, 7 : Bompois,
Revue arch. 1879 pi. XVIII, 11). Cane accovacciato come
sulla moneta fusa di Todi (Tav. LV, 2) : il rovescio è liscio.
SEDIS INCEETAE
21. Museo Britannico (Bompois, loc. oit. n. 6). Mostro con testa
zampe e corpo di leone, lingua sporgente a coda di pi-
strice desinente in testa di drago nell'esemplare del sig. Maz-
zoUni, che ho davanti, ma, secondo il Bompois, in testa
di gallo. L'esemplare del Britannico pesa gr. 10,15, il se-
condo del Mazzolini è di gr. 10,60. Abbiamo appreso che
cotesto statere si divide in terzi di gr. 3,85, un cui primo
esemplare è del Mazzolini ed ha per tipo la testa, collo e
torace di leone con lingua sporgente volta a sin.
22. Kircheriano, indi è passato nel Museo Britannico (CaJaLp. 8
n. 6} : pesa gr. 1.67. Testa di leone di stile barbaro volta
a sinistra. Nel campo di sopra si ha la nota di valore X,
e di sotto alla testa una linea quasi retta posta orizzon-
talmente. Una simile linea si vede dopo il numero X ma
obliqua nel bronzo di Populonia (Tav. LXXIV n. 9).
23. Museo Vaticano. Lepre volta a destra e giacente : è del peso di
gr. 4. Nel Museo Britannico ve n'è un altro esemplare e
pesa gr. 4,21 {Catal. pag. 7, 3).
24. Museo Vaticano. Civetta posta quasi di fronte: è del peso di
gr. 2,10. Nella coli. Strozzi ve n'è un altro esemplare.
25. Coli. Strozzi. Testa di montone volta a sin. Ve ne hanno due
esemplari ambedue guasti dall'ossido: il loro peso è di
gr. 0,91; 0,72.
26. Museo di Firenze. Testa giovanile a destra: alla nuca la nota X:
intorno al campo è un cerchio di grosse perle. R. Fulmine
fra due mezze lune. E une specie di balaustro che dico ful-
mine. Tale è di certo il fulmine in un bronzo di Crotone
(Tav. ex, 33).
27. Museo di Firenze. Ippocampo volto a destra: in alto a sinistra
v'è un delfino e presso di lui la nota CC del valore: il
rovescio è liscio : pesa gr. 4,18. Ve n'è un esemplare nel
Museo Britannico [Catal. 7, 2), dove la nota numerica e
il delfino per difetto di conio non sono distinti, ma fanno
una sola massa. Pesa gr. 4,53. Vedremo ora che la nota
numerica deve valere il XX.
28. Coli. Luynes. I tipi sono i medesimi che nel pezzo precedente,
solo varia la nota che qui è X posta di sopra dell' ippo-
campo: e di sotto al medesimo vi si vede una mezza luna C.
Il peso è di gr. 2,02.
29. Museo Britannico. Ippocampo volto a sinistra: di sotto v'è il
delfino e di sopra la nota numerica D. Pesa gr. 2,55 (Bompois,
Revue, 1879 pi. XVIII n. 9).
30. Museo Britannico. Vi si vede l'ippocampo volto a destra in
mezzo a quattro delfini : egli ha davanti la nota A del va-
lore. R. Cane cerbero a tre teste stante a destra in un
campo quadrato. Pesa gr. 5,35 (Bompois, Revue cit. p. 28).
Non v'ha dubbio che le cifre di queste monete sono
numeriche e quanto alla forma loro non sono nuove: ma
è pur vero che le due CC della prima vi sono adoperate
in modo nuovo. Se la cifra C vale in etrusco metà del
dieci : dunque due CC varranno dieci. Pertanto invece della
cifra C si vede un X sulla moneta del n. 28 il cui peso è la
metà di quella del numero 27. Adunque le due cifre CC non
valgono cinque e cinque cioè dieci, ma dieci e dieci, cioè
venti. E questa deduzione ci è confermata paragonando fra
loro le due monete 28, 29 dove, essendo uguale il peso,
troviamo la cifra X cambiata in 3, che necessariamente deve
spiegarsi per dieci. Adunque la cifra 5 è eguale a X, e le
due CC sono eguali a XX, mentre la cifra D in altre monete
etrusche vale cinque e la X vale dieci.
Potrebbe quindi essere che questo fosse il caso mede-
simo notato in quelle monete col tipo della Gorgone, nelle
quali sebbene il peso sia lo stesso, nondimeno si vede il
numero X cambiato in XX (Tav. LXXII nn. 1, 2) e tal-
volta in A e in AX (ib. nn. 5, 6).
Ma v'è di nuovo e d'insolito l'uso di cifre che ora si-
gnificano cinque e dieci come in tutti i monumenti etru-
schi a noi noti, ora invece il dieci e il venti. D'onde ciò ?
Io penso che dal commercio coi popoli d'Oriente cioè coi
Penicii e per loro mezzo coi Persiani e cogli Assiri. Pe-
rocché sappiamo che i Penicii oltre alla linea retta oriz-
zontale — , si servono della cifra ) per esprimere il dieci che
pei multipli raddoppiano (Gesen. Script. Hnguaeq. phoenic.
monum. p. 87: Pihan, Exposé des signes de numération,
Paris, 1860 p. 165). Parimente gli antichi Persiani e gli Assiri
50
ETRUEIA
T. LXXII
che si servono dell'alfabeto cuneiforme fanno il loro daca,
che è il nostro decem in questo modo < , e pel loro vinati
che è il nostro vigiliti raddoi)piano le cifre << (Pihan, op.
eit. pagg. 45, 46) ; di che non vi è cosa che piti rassomigli
alla cifra CC della moneta (Tav. LXXI n. 27), mentre il
daca < di tanto si avvicina al < (ib. n. 30), la quale del
resto non si distingue dalla cifra che esprime in etrusco
il cinque, che si scrive giacente ora a destra < , ora a
sinistra >, ora boccone A.
POPULONIA
Tav. LXXII.
1. Kircheriano. Testa della Gorgone diademata , con lingua
sporgente, e i capelli discriminati e sciolti posta di pro-
spetto: di sotto v'è la nota del valore X fra due delfini:
pesa gr. 8,18. L'esemplare del Museo Vaticano è di gr. 8,15.
Il primo esempio fu noto al Micali (op. cit. tav. LIV, 1) che
lo vide presso i sigg. Della Gherardesca. Io ne conosco altri
esempi inEoma, in Firenze, in Milano, in Parigi, coU.Luynes,
in Londra nella coli. Blacas {H.de la monn.T.IVpag.21n.7),
nel Museo Britannico (Catal. p. 6, 30). Non è dunque da
far caso del Mommsen, che il solo esempio da se veduto
nel Museo di Berlino sentenziò doversi tenere per uno sba-
glio dell'incisore.
2-4, 5. Collezione Lovatti al quale furono tutti e tre questi pezzi
insieme recati dalla collezione Fanelli di Sarteano. I tipi
sono qui nel n. 2 simili al n. 1, se non che mancano i
due delfini attorno all'X. Pesa gr. 8,10. Nel n. 3 la Gor-
gone è priva del diadema e non ha discriminatura nei ca-
pelli: la nota del valore è un A, e pesa gr. 4,10. Nel n. 4
i capelli della Gorgone sono discriminati, il diadema è
omesso, la nota del valore è HC: il peso è di gr. 1,85. Fu
dunque una volta, e ciò non si era saputo finora, che le zecche
di Etruria emisero col tipo della Gorgone il denario, il qui-
nario e il sesterzio. Ma cotesti spezzati inferiori sono oggi
assai rari, ed io del quinario non conosco che vi sia altro
che quello del sig. Mazzolini in Campiglia, e pesa gr. 4.
Del sesterzio ve n'è un secondo esempio nella collezione
Luynes con le nota 1 1 § da me inciso qui al n. 5 : ed ora
se n'è avuto un terzo che si conserva nel Museo Britannico
{Catal. pag. 396, 2), la cui nota di valore non dovrebbe
avere nell'originale la forma di tre linee rette, come ce la
rappresenta la stampa del catalogo, e che in ciò è anche
discorde dal testo, che vi pone una linea retta fra due lunette
opposte C 5 ; esse debbono essere due rette con la terza
curva volta però a sinistra, come ce lo fa indovinare l'ar-
tista che l'ha quasi espressa nella incisione.
6. Nella collezione mia. Il tipo è il medesimo, se non che il
diadema è omesso : il peso è di gr. 8,00 ; ma ecco che la
cifra numerica è im A. È però simile in ciò alla cifra <
posta in luogo delle due decine XX, o delle lunette CC
nella moneta dichiarata di sopra Tav. LXXI n. 30.
7. Museo di Vienna trovasi però anche altrove ed io l'ho ve-
duto in Firenze e a Parigi nella collezione Luynes : inoltre
tre nuovi esempì sono a me pervenuti col ripostiglio di
Sovana, due dei quali del peso di gr. 8,30; 8,00. Il terzo
esemplare mancante a destra per difetto di metallo è di
gr. 6,60. Il tipo è la testa della Gorgone senza diadema:
di sotto si vedono queste cifre oA::Xo, dalle quali si
raccoglie il numero AX diviso da quattro punti e lateral-
mente chiuso da due zeri : dei quali sarà detto nel numero
seguente.
8. Museo Vaticano. Il tipo è il medesimo che nel precedente :
ma la nota di valore è questa o X : : X o, il numero XX
diviso in quattro punti è terminato a destra e sinistra da
due zeri. Pesa gr. 8,10. Quattro miei esemplari provenienti
dal deposito di Sovana simili in tutto a cotesto vaticano
mostrano però la testa della Gorgone cinta del diadema e
nel mezzo delle note numeriche hanno solo due punti ver-
ticalmente disposti e fra due linee rette 1 : j . Il loro peso
è di gr. 8,15, ne più ne meno.
Quel cerchietto se lo dico zero, non intendo perciò di
metterlo a confronto della nostra cifra numerica, la quale
messa innanzi ai numeri non accresce valore e posta dopo
è segno di multiplo. Questa moderna cifra, qual che ne sia la
sua origine o araba ovvero boeziana (Vénoent, Revue arch.lV
601 segg.: Journal de mathémat. de Liouville, t. IV p. 261)
non ha che fare colla nostra cifra etrusca, la quale non dà
ne toglie il valore ai numeri: essa mi sembra posta in-
nanzi e dopo come nella numerazione fenicia, ove precede
la nota del dieci scrivendosi — O, ovvero segue O^ , senza
che perciò quelle cifre abbiano un nuovo valore (Gesenius,
op. cit. p. 87; Pihan, op. cit. pag. 165). E dovrà dirsi lo
stesso quando la cifra X ovvero XX si scrive dentro a co-
testi zeri (v. Tav. LX-XII nn. 24, 25). Il ripostiglio di So-
vana mi ha pure fornito un esemplare, nel quale alle due
linee e due punti di mezzo si vede sostituita la cifra O
in questo modo: oXOXo.
La questione dei numeri A,AX,XX di monete che non
differiscono nel peso, se non pareva innanzi possibile a ri-
solversi, oggi si risolve al confronto della monetazione dei
Fenicii di Africa, il cui sistema è di ritenere sempre il me-
desimo peso e di cambiar solo le note di valore (Miiller,
Numism. de Vane. Afrique,I'g. 120, II pag. 134). Il ro-
vescio di questa moneta finora liscio comincia a vedersi
ornato di segni, di leggende e di tipi in rilievo, dei quali
diamo qui appresso gli esempi, e nella tavola di supple-
mento CXXV.
9-11. Museo di Firenze. La specialità di questi tre pezzi con-
siste nelle linee di rilievo e decussate che si hanno nel
rovescio. I due primi esprimono nettamente quattro decussi;
il terzo ha invece ima lista attraversata da due simili liste
parallele fra loro. Già il P. Bckhel ne aveva dato un esempio
nella Sylloge, tav. 1, 10 : io ne ho veduti dei simili nei Musei
di Roma, di Parma, di Milano, e ve n'è anche qualcuno
presso il march. Strozzi. Il Poole ne descrive uno del Museo
Britannico (Catal. ■ 2, 6). Quattro novelli esempi me li ha
forniti il ripostiglio di Sovana.
12. Coli. Lovatti. La maschera gorgonia non ha il diadema
come le tre precedenti: la nota del valore è XX, ma vi
T. LXXII
ETKUKIA
51
si vedono tra mezzo due punti verticalmente posti. Il rovescio
mal impresso si può ora interpretare per l'ottimo confronto
di UE secondo esemplare della mia collezione proveniente
da Sovana. Sono ivi queste lettere V>I0 (v. Tav. CXXV n. 2)
cioè Phlu, le quali ritengono parte della leggenda che do-
veva essere (fll1)V'J0(V({)), Populonia. Questo nome si trova
variamente scritto, come dirò, ma sempre con lettere etru-
sclie : qui però è la prima ed imica volta che al A si vede
sostituita la lettera 0, e la prima sillaba vi è omessa, non
però, a quanto pare, per difetto di conio o di metallo.
Noi abbiamo altri notevoli esempì di sillabe o lettere
soppresse a principio della leggenda alla maniera dei Pre-
nestini del Lazio che scrivono METiO per PROMETIO,
(Sijll. 539), dei Fistelini di Campania che scrivono §TAIilN
per (l)l$TAinN (Tav. LXXXIX, 22) e dei Posidoniati, che
pongono 0/V\E per POME (Tav. CXXI, 6, 20). L'esemplare
di mia collezione pesa grammi 8,00.
lo. Museo di Pii-enze. Spettro gorgonio senza diadema : di
sotto XX. R. Due caducei giacenti l'uno in contrario dell'ai--
tro. Ve ne ha esempio nei musei di Parma e di Parigi
e ne posseggo ancor io imo trovato nel ripostiglio di So-
vana, dove però l'imo dei due caducei è uscito di conio :
inoltre vi si vedono di sotto chiare tracce della leggenda
AVA (Tav. CXXV n. 7).
14. Dal Museo Vaticano. Larva gorgonia. R. Polpo a sette ten-
tacoli. Se ne ha esempio nei musei di Parigi e di Vienna.
Il Poole ha stampato quello del Museo Britannico {Catal.
2, 4). Nel ripostiglio di Sovana ne ho trovati dieci esem-
plari, nei quali domina il polpo che occupa tutto il campo
(v. p. e. CXXV, 3), ma talvolta vi si vedono anche altri
polpi teste nati andare a nuoto: in due esemplari è da no-
tarsi un ferro di tridente figui'ato due volte nel campo,
dove anche si distendono i tentacoli del polpo (Tav. CXXV
n. 4). n Micali publioa un esemplare nel cui rovescio sono
rappresentati quattro piccoli polpi (Tav. LIV n. 3: cf. Ca-
relli, T. VII, 6). Il Sambon ne cita uno del Museo Bri-
tannico, nel quale si vedono, die' egli, due polpi {Recher-
ches, pag. 55 n. 35) ; ma questa moneta nel Catalogne del
Poole non è indicata.
15. Museo di Firenze. Larva gorgonia: di sotto la nota XX.
R. Luna crescente e sopra di essa il ferro di un tridente :
intorno si legge flUfl^l'IV'I e nell'intervallG due astri a
quattro raggi divisi da due punti. Pesa gr. 7,50. Il P. Bckhel
lo stampò [Numi Vel. p. 10 Tab. 1 n. 9) e di nuovo lo
descrisse nella I). N. V. I pag. 95 notando la singolarità
del Puplana: dove però al riverso pose due XX invece
deUe due stelle (cf. CareUi.Tab. VII, 8). Ma il Millingen
{Consid. pag. 166) seguito dal Cavedoni {in Tab. Car. p. 2)
condannò questo Puplana di errore, sostenendo che sia
stato preso per un R l'V mal figurato. Pertanto l'Eckhel
ha ragione non solo per l'esemplare di Firenze, ma di piìi
per un secondo del Gabinetto delle medaglie, e per quattro
nuovi che il ripostiglio di Sovana ha mandato alla mia col-
lezione, nei quali il primo N di flIIflvI'IV'l è a chiarissima forma
scolpito (v. Tav. CXXV n. 1).
16. Museo di Monaco. Ho espresso il solo rovescio, perchè il
dritto porta la larva gorgonia simile a quella del n. se-
guente. Nel centro è figurato un astro intorno al quale
avrebbe dovuto girare l'epigrafe che è uscita fuori di conio,
eccetto la prima lettera A e l'ultima Pi: nell'intervallo di
queste due lettere è una mezza luna e accanto un globo
dentro un anello.
17. Museo di Firenze. Testa della Gorgone e di sotto la nota XX.
R. Astro nel mezzo fra globetti figuranti le stelle e in-
torno fll1V<J'IV('1) : nell'intervallo della leggenda è una
mezza luna. Questa moneta colla precedente ha di pro-
prio il tipo del rovescio che non è la mezza lima col ferro
del tridente come quella del n. 15, ma l'astro a sei raggi
fra sei globetti.
POPULONIA-COSSA
18. Coli. Puertas. Testa della Gorgone. R. Pesce tonno e di
sotto KO^SA. Il Migliarini lucidò per me da una scheda
conservata in Firenze fra le carte del dott. Puertas il di-
segno che qui pubblico: la moneta originale non si sa
dove sia. Le lettere della epigrafe sono precise e non equi-
voche; laonde è d'uopo che si accetti la leggenda, che è
greca di alfabeto e di lingua. La testa della Gorgone fu
anche tipo proprio della NeapoUs di Macedonia, ma questa
porta nel rovescio un quadrato incuso, e non segna la nota
del valore. Sicché la moneta è veramente etrusca, ma la
leggenda non è Pupluna. Il caso non è nuovo che ai tipi
di una città si veda congiunto un nome non proprio : noi
ne abbiam veduto e ne vedremo altri esempi. Non so poi
imaginarmi verun ostacolo dalla parte del nome greco,
KOHIK, che vedo regolarmente formato, quantunque in
dialetto cretese, nel quale si disse, per esempio, Móvaa,
vTtaQxoraa. Alla forma vetusta del nome Kovaa successe
la più recente Kuiaa e Kóaaai, nella quale per compenso
della V si surroga un « in vece dell' oi', ovvero si rad-
doppia la consonante, oaa. Plutarco però deve aver scritto
Kóvaa (v. Flamin. I, 6), le cui vestigia noi troviamo nella
lezione Kùvaa, tuttocchè erronea, conservataci nei mano-
scritti e ritenuta nelle stampe. Questa città fu dunque di
greca origine e venne poi occupata dagli Etruschi di Vulci,
di che è argomento il vederla chiamata Cossa Volcientium.
L'insegna del tonno che è sul rovescio ricorda la pesca
che se ne faceva in questo mare, al quale effetto vi fu
fabbricata sul promontorio una specola detta da Strabene
OvvvoaxÓTvsiov (L. V, 225 Casaub.), specola dei tonni.
POPDLONIA
19. Museo di Parigi (Luynes, Revue nuinism. 1859 pi. XV
n. 2). Testa d'uomo barbato e coronato di lauro a tre or-
dini di foglie volta a d. : la lettera h, che si vede in altri
esemplari, manca perchè uscita di conio.
20. Museo di Parigi. Testa d'uomo barbato con lunghi mu-
staeci volta a sin.: alla nuca la lettera h. Pesa gr. 11.
Non v' è finora riscontro di cotesto h solitario nelle mo-
7
52
ETEUEIA
T. LXXIl
nete che sono certamente di Populonia: lo troviamo invece
in quelle che portano i tipi e il nome disteso Peithesa.
21. Museo di Parigi (Luyues, Rcvue numism. XV, 3). Testa
barbata con mustacci lunghi e cinta di un diadema volta
a sin.: alla nuca h. Pesa gr. 11,13.
22. Museo Vaticano. Testa giovanile coronata di lauro e volta
a d. : alla nuca h.
23. Museo di Firenze. Testa giovanile laureata con accenno
di basette alle gote volta a d. : alla nuca h.
24. Museo Vaticano. Testa giovanile laureata con fior di la-
nugine alla gota volta a d. : alla nuca la lettera h. R. Il
numero X in rilievo e accanto la cifra medesima entro
due cerchi concentrici. Pesa gr. 11,25.
25. Museo di Parigi. Simile testa giovanile laureata volta a d. :
alla nuca manca la lettera h per difetto di conio. R. V è
il numero X dentro due cerchi concentrici. Questa moneta
e la precedente, 24, sono ribattute sopra due esemplari
simili a quello del n. 19, apparendovi in uno il profilo
del volto barbato che guarda- a d. e nell'altro tutto il ver-
tice. Da cotesti due pezzi possiamo dedurre che si volle
apporre ima nota numerica, e che un tal senso ci convien
dare aache alle note dei riversi nei nn. 9, 10, 11, ma non
sappiamo a qual fine. Che il numero X si ponesse tal-
volta dentro un cerchio o zero me V ha confermato il
Migliarini descrivendomi l'aureo di un suo amico simile
a quelli della Tav. LXXI n. 8-11.
26. Museo di Parigi. Testa di Ercole giovane coperta dalla
pelle di leone volta a sinistra. Pesa gr. 8,33.
27. Museo di Parigi. Testa di Ercole coperta dalla spoglia di
leone posta di prospetto. In tre miei esemplari che pro-
vengono da Sovana si vedono chiari i pizzi della lanu-
gine sulle guance e così anche in altro della provenienza
medesima di recente entrato nella collezione del marchese
Strozzi. L'esemplare del Blacas pesa gr. 7,20 (H. de la
monri. pi. XVIII, 5 pag. 21): quello del Museo Britannico
è di gr. 8,78 {Catal. n. 1): quei della mia collezione
hanno di peso gr. 7,50; 8,20; 8,30.
28. Museo di Parigi. Testa di Ercole giovane messa di pro-
spetto con la pelle- di leone annodata al collo : da due lati
vi si vede la nota XX di valore. R. Clava in campo liscio.
Il suo peso è di gr. 8,20. L'Eckhel in quello del Museo
Witzay stimò fosse rappresentato un volto di donna e pensò
ad Gufale {D. n. v. I, 93). Ma gli esemplari venutici dal
ripostiglio di Sovana rimuovono ogni dubbio che sia Ercole,
avendogli espresso la prima lanugine sulle guance.
29. Nel Museo Vaticano. Testa di Pallade messa quasi di pro-
spetto e coperta del trifale, ossia elmo a tre pennacchi.
Ha i capelli sparsi e un monile al collo : la nota di va-
lore è XX divisamente scritta. Il riverso è liscio. I due
miei esemplari provenienti da Sovana pesano gr. 7,50; 8,60.
30. iSTel Museo Borgiano di Propaganda. Testa di Pallade co-
perta dell'elmo trifale quasi dì prospetto, ma non bene
impressa nel conio. /?. Nel mezzo la luna crescente e dentro
di essa un astro composto di cinque globetti : intorno è una
leggenda uscita in parte fuori di conio, non però sformata
per ripercussione di conio come scrive il Millingen (Consid.
p. 206), della quale rimane ^ : V E5 : NVI : . Dal Bestini in poi
non so che altri abbia veduto ed esaminato questa moneta :
io ne presi il calco e ne feci trarre un diseguo nel 1846. Il
Sestini che la vide il primo ne die' la descrizione e il
disegno nella Descr. num. vet. (1796, Tab. I, 6). Ei vi
lesse VES : NVI e l'attribuì ad una confederazione di due
città della Campania, Vescia e Minturnae. Ma dipoi nelle
Class, general, (pag. 12 ed. 2) tenne che il nummo fosse
di Populonia. Il Lanzi la die' ai Vestini (Saggio, T. II
p. 641) nelle cui terre, si trovano gli spezzati di aes grave
che portano la leggenda VES : ma noi persuase all'Eckhel
(D.n. D. I, 99), né valse a sgombrare i dubbi al Millin-
gen {Consid. p. 206), che si accostò alla seconda opinione
del Sestini, ma quanto alla leggenda egli non la spiegò,
invece pronunziò {Considerat. pag. 206) che la moneta era
ribattuta e la leggenda interamente svisata. Il Sestini non
dava luogo nel disegno che ne publicò a questo appiglio e
però il Cavedoni non avrebbe dovuto scrivere {ad Cavell.
Tab. XXX, 1), che l'epigrafe e il tipo erano del pari vi-
ziati a motivo di essere stato il metallo piìi e piìi volte
ribattuto per colpa del mouetiere: bis pluriesque monetarii
culpa percussum. Pece però notare che doveva attribuirsi
a Populonia pel confronto di altro esemplare publicato dal
Micali e riprodotto dal Carelli nella Tav. VII n. 1, nel
cui riverso è quasi intera l'epigrafe di Populonia, V>i'1V^,
con in mezzo la luna crescente e l'astro. Ma se cotesto
confronto vale ad additarci la patria della moneta non
serve poi a spiegare e supplire la epigrafe dell'esemplare
borgiano di Propaganda. Eesta quindi a noi di renderci conto
dell' H : l-ES : NVI : Sul quale argomento perchè non perisse
il frutto dei miei studi di parecchi anni addietro io mi
affrettai di porli in luce per mezzo àelVAnnwaire de nu-
mismatique. Ivi io avvertiva che alla lezione del Sestini
era d'uopo aggiungere quell'avanzo di lettera, che ho qui
espressa e mi è sempre parata un A, di poi che per me è
un U quella lettera che il Sestini espresse per V. L'iscri-
zione va da sinistra a destra e a parer mio comincia da NVI.
Dico che comincia, perchè l' imparo da un bel confronto
offertoci da un esemplare del Gabinetto delle medaglie
espresso qui nella Tavola al n. 32.
31, 32. L'epigrafe che è monca legge NVI ... . NA, dove oltre
ai due punti che distinguono i vocaboli v' è un astro e
vuol dire che la leggenda ha qui fine. Questo supplemento
ci è confermato dal riscontro di altro esemplare che fu già
nella collezione Wigan e ora è nel Museo Britannico (Poole,
Catal. 396, 1) dove si Jegge V^J'l e accanto in un altro
cerchio . . . . M che sarà stato (AM)V>I'1(V') : l)W II Poole
non ne ha dato se non le due prime linee e un accenno
della terza e quarta. Il \\M, come consta dalle più antiche
iscrizioni etrusche ebbe in quella lingua il senso del
greco l/V\3, della qual formola fanno uso anche i Tarentini
in qualche loro moneta, scrivendo TAPANTINilN H/V\(l).
(Minervini, Bull, ardi- n. s. 1860, p. 26). Potrebbe forse
citarsi la moneta del bar. Behr descritta da Pr. Lenormant
T. LSXIII
ETEURIA
53
(Descr. des médailles du baron Behr, Paris, 1857) nella
quale al riverso della testa di Pallade coperta di elmo
laiu'sato con civetta a sin. si leggeva • • ANO$ sopra il toro
andropvosopo a sin. e nell'esergo: N\\ AKIAAOY. Il'Lenormant
supplisce (KAAAP)ANOS a me pare certo che sia di Hyrium
e si debba supplire YPIANOS , e il motivo si è, perchè i
Campani non hanno mai posto la civetta sull'elmo di Pal-
lade, come fanno i Nolani e gli Iriani. È però singolare
la formula MI 'JxMoif adoperata dall'artefice del conio.
Per l'ultima voce UES dell'esemplare borgiano i riscontri
finora mancano. Proporremo a modo di congettura, che con
tal vocabolo abbiano voluto gli Etruschi tradurre il greco
ró,uo^, dapoichè il NO/V\Og è UES, o sia la UEX, la qual
lettera X si trova scambiata in 5, perchè gli Etruschi non
ammisero la lettera doppia nel loro alfabeto. Se cotesto
parere si accetta si potrà dire di aver trovato il vocabolo
adoperato da questa nazione per significava il nummo e
gli Etruschi ci appariranno ancor qui a contatto commer-
ciale coi Latini, coi Greci d'Italia e di Sicilia.
Tutto questo ragionamento erasi da me fatto da parecchi
anni, ed ora ci è dimostrato verissimo, avendoci la terra di
Sovana mandato il deposito, del quale ho di sopra detto,
dove si trovano gli esemplari col tipo al dritto di Pallade e
al riverso la leggenda intera. Un quarto esemplare del ripo-
stiglio medesimo è passato ad arricchire la collezione del
marchese Strozzi. Debbo per altro avvertire che la leggenda
delle monete 31, 32 si può solo allegare per la voce IW\,non
però per la voce UES, che non può esservisi scritta. Le leg-
gende adunque al riverso della Pallade, sono tre. In rma che
ha nel centro la mezza luna con un astro, si legge solo
AIIVnI'IV'I, ed offre un secondo esempio alla moneta del
Micali ; negli altri due, nei quali l'astro è rappresentato da
sei punti intorno ad un globetto centrale, la leggenda va
da sinistra a destra e dice: NVI : hVhUVNA : UES (Tav. CXXV
nn. 1, 2), come appunto nel monco esemplare borgiano :
nella terza si ha soltanto flhV>l'1V'1 : WM.
Tav. LXXni.
1. Testa di donna volta a d. con pendenti e collana, coronata
di spighe: v' è da sin. la nota del valore X, a destra un
pentagono. Collezione Strozzi. Pesa gr. 4,00.
2. Kirch. Testa giovanile a sin. con accenno di peli alla guancia
coronata di lauro : dietro a d. la nota X. Ve ne hanno
piìi esemplari: cotesto è del Kircheriano e pesa gr. 4,36.
3. Nel Kircheriano. Testa di donna cinta di largo diadema con
pendenti agli orecchi e capelli sciolti: dietro a sin. la nota X.
Pesa gr. 4,20. Nel deposito di Sovana di. cotesto monete del
n. 2 se ne sono trovate quattordici, quattro di quelle del n. 3.
Il loro peso è generalmente di gr. 4,00. Sono adunque
da tenersi per la metà di quelle che portano per tipo la
testa della Gorgone, o di Pallade, o di Ercole, tutte trovate
insieme nel deposito medesimo.
4. Kii'ch. Testa virile con accenno di basette coronata di laurea e
cinta di un cordone al collo. Dietro a d. la nota X. Pesa gr.4,10.
5. Eirch. Testa giovanile volta a d. con capelli corti e ricci:
la nota X è a sin. : il suo peso è di gr. 2,15, ma un esem-
plare pili conservato pesa gr. 3,10.
METLIA
6. Coli. Strozzi. Testa giovanile cinta di laurea volta a d. : alla
nuca v' è un avanzo della nota X : a d. l'epigrafe At3VV\.
L'ultima lettera che è in parte uscita di conio è proba-
bilmente un A. Il Gamurrini ne ha data notizia nelVApp.
al C. inscr. ital. del Pabretti pag. 10 n. 54 dove interpreta
metallum, e gli pare che la città siasi chiamata Metallia
0 MeduUia o in altro modo somigliante. DeUa lettera A in
luogo di -J abbiamo esempi nelle epigrafi, fra le quali basta
la tomba vulcente da me illustrata, ove ho letto Larnai
così scritto: \m\(\K.
SEDIS mCERTAE
7. Coli. Strozzi. Testa muliebre cinta di largo diadema come
quella del n. 3: al riverso ruota a otto raggi. Sul volto
si vede intagliato quasi contromarca un X.
8. Museo di Firenze. Testa di donna coronata di spighe con
pendenti e collana come quella del n. 1 e volta a sin. :
al riverso rm mostro a corpo umano con testa e coda di
cavallo.
9. Nel Museo Vaticano. Testa giovanile volta a d. : alla nuca
la nota A. Il peso è di gr. 2,45, cioè della metà di quelle
monete che sono qui ai nn. 1-8.
10. Kirch. Testa giovanile coi capelli ricci volta a sin. : alla
nuca ha la nota A di metà del denaro predetto. Pesa gr. 2,40.
CORTONA 0 CORTUOSA
11. Nel Museo fiorentino. Testa giovanile, come la 9 prece-
dente volta a d. colla nota '\ alla nuca. Nel riverso sono
impressi due tentacoli propri del polpo del qual partico-
lare ho un buon riscontro in una delle monete di Sovana
che ha sul dritto la larva gorgonia, e sul riverso soltanto
due dei tentacoli che si- distendono per tutto il campo.
Sull'orlo di questo rovescio a dritta si leggono da destra
internamente i resti di alcune lettere uscite di conio, le
quali compiendosi paiono potersi leggere IQVD e darei una
metà del nome di Cortona o di Cortuosa (Liv. VI, 4), i
quali due nomi in etrusco si dovevano scrivere Curtvtisa
e Curtuna. Non ho nominato Corythus, perchè non ne fa
menzione la storia.
SEDIS INCERTAE
12. Testa di uomo barbato e cinto di tenia volta a d. : dietro
la nota A. È nella mia collezione e pesa gr. 2,00. Se ne
hanno esempi nei musei di Parma, di Milano, di Parigi,
nel Kircheriano e presso il marchese Strozzi.
13, 14. Testa giovanile con capeUi corti e ricci coperta di pileo
alato volta a sin. Quella del n. 13 è presso di me e pesa
gr. 3,90, la seconda che è nel Museo di Firenze ha di
peso gr. 3,92.
15. Testa simile a quella del n. 14 ma volta a d.: l'orlo del
54
ETEURIA
T. LXXIir
■petaso non è periato, e dietro la nuca v' è la nota 5 :
il peso di cotesto nummo che è nel Museo di Firenze è
di gr. 0.90, cioè la quarta parte dei due precedenti. Non
pertanto la cifra del valore è quella che dinota metà D,
come il A dei numeri 13, 14. V è inoltre ivi medesimo
un aljtro nummo col tipo di una testa nuda imberbe volta
a d. che ha alla nuca un A e pesa un grammo.
16-19. Testa giovanile volta a d. talvolta a sin. eolla nota
di valore variamente figurata IO; HA; Ali, dove il A non è
già la nota del cinque, ma vale come segno di metà : e
però esprime colle due linee il due e mezzo dai Eomani
notato con due unità e un S{einis). Uno di cotesti nummi
è nella coUezion mia : pesa gr. 0,80 e porta la cifra 11$ .
Onde deduco, che questa sia la minore unità nella serie
che porta per tipo la testa della Gorgone etc. della Tav. 1
e la testa di donna o d'uomo dei mi. 2-5 di questa Tavola.
20. Nel Museo di Firenze. Testa simile a quelle dei nn. pre-
cedenti ed è segnata parimente dalla nota HA, ma dimostra
di essere ribattuta vedendosi sul riverso una testa simile
che è in parte uscita di conio. , Su di questo rovescio si
vedono impresse a rilievo linee geometriche decussate e
framezzo ad esse un S ed un O. Le monete della Gallia
danno esempi di simili tipi (vedi la lievue archéologique
del 1881 a pag. 209). Sembra però che questo nummo
sia stato ribattuto nella Gallia e poi abbia ricevuto in
Etruria sulla parte liscia l'impronta che ho descritta colla
nota di due e mezzo.
21. Coli. Lovatti. Testa giovanile con capelli corti volta a d.:
davanti ha per segno dell'unità una linea verticale. Il peso
è di gr. 0,90. Il Gamurrini publicandone un esemplare
■ nel Period. nitmism. del march. Strozzi (an. VI Tav. Ili
n. 11) del peso di gr. 0,90 ha dato un elenco dei pesi di
simili monete, le quali non portano la nota che si vede
in queste due (op. cit. p. 68 nota) : nella Coli. Strozzi
gr. 0,72; 0,74; 0,76; 0,82; 0,90: nel Museo di Firenze
gr. 0,80; 0,85.
22. Nel Museo di Firenze. Euota etrusca di singoiar forma che
ha per raggi due semicerchi opposti fra loro dalla parte
convessa con una traversa che passa loro nel centro e vi
riceve il mozzo coli' estremità dell' asse o sala su cui
la ruota gira. Nel campo del riverso che è liscio è espressa
la sola nota dell'unità. Il suo peso è di gr. 0,82 (Gamur-
rini, Period. cit. T. III n. 12).
23. Altro simile nummo privo però della nota di valore. È nel
Museo di Firenze e pesa gr. 0,85.
24. Abbiamo due esempi di questa moneta, l'uno trovato da me
presso un rigattiere in Perugia ed è nella mia collezione;
l'altro fu del Lovatti che l'ebbe da Corneto, ambedue di
peso poc'oltre ai gr. 0,80. Eappresentano da una faccia la
rana, dall'altra la mosca ambedue di finissimo lavoro.
25. Maschera comica di fronte, e al riverso uno scarabeo, colla
sua pallottola che inchiude l'uovo. Pervenne nella mia colle-
zione da Chiangiano. Il suo peso è di gr. 0,95.
26. Maschera comica ripetuta sulle due facce: l'ho da un calco
(Fox, Greek coins, pi. I, 1).
27. Nel Museo Britannico (Poole, Catal. 8, n. 7). Maschera
tragica di prospetto: il riverso è liscio. Pesa gr. 0,51.
28. Ivi (Poole, Catal. 8, n. 9). Testa di prospetto coi capelli
discriminati e ondeggianti, del peso di gr. 0,38.
THEZI, THEZLE
29. Museo Britannico. Eappresenta una furia che rapidamente
va a sinistra e guarda di prospetto stringendo in ciascuna
mano una serpe, fl. Euota etrusca di antica forma a cui
fanno da raggi due semicerchi infissi in im legno bistondo,
grosso nel centro, dove riceve la testa dell'asse attra-
versata dal cavicchio. Fra i due semicerchi si legge
06II: il suo peso è di gr. 11,11. Fu trovata nella necro-
poli di Vulci e recata a Roma al Capranesi, che pubbli-
colla negli Ann. dcWInst. (1840, XII tav. P 1 pag. 208);
poi la vendette al Museo Britannico. Insieme con questo
ne fu trovato un secondo esemplare che fu acquistato pel
Kircheriano ed è qui espresso al n. 31. Era esso coperto
di ossido ma ripulitone per industria del Tessieri apparve
ancor esso scritto ed è quello che si vede stampato neWAes
grave alla classe III, suppl. n. 9 : il suo peso è di gr. 9,13.
Di coteste monete niuna se ne è trovata finora a Fiesole,
e nondimeno il Capranesi (loc. cit.), gli autori dell' aes grave
(p. 37), il Duca di Luynes {Ckoix, 1840, pi. 1 n. 5), il
Eochette (Journ. des Sav. 18-41 p. 263), il Cavedoni (Bull.
Inst. 1842 p. 156) l'attribuiscono a Fiesole. Ma l'epigrafe non
è (DEIV né ®EIU come si è fatto presumere, sibbene ©Eli,
cioè Thezi. Il Luynes cambiò poi di opinione {Revue nu-
mism. 1859 pi. XV n. 4 ed. sep. pag. 47, 48), e tenne
che- la moneta fosse di Vei, il che otteneva dando a due
delle lettere un valore latino, pel quale il O diveniva un O
e r I un F, considerando la ruota come allusiva al nome
di Vei. Il sig. Hennin la tolse a Faesulae per attribuirla
a Telamone {Manuel de numism. t. Il p. 70), come se la
epigrafe OEII non dovesse valer nulla.
30. Coli. Luynes. I tipi sono quei medesimi che nei due esem-
plari precedenti, l'epigrafe vi si vede omessa. Pesa gr. 11,30.
Simile a questo è l'esemplare che l'Ecthel [D. n. v. 1,269),
trasse dal Catalogue raisonné dello Schachmann, 1774, p. 57,
dal quale si apprende che fu trovato in Malta ed era fo-
derato. Per lo che nasce il dubbio non sia quello che oggi
si ha nel Museo di Gotha di gr. 11,35, anepigrafo e foderato
ancor esso. La donna alata in lunga tunica quivi espressa,
che io credo una furia, fu giudicata dall'Eckhel (loc. cit.) una
Nemesi, non di certo a motivo della ruota, perchè egli stimò
che fosse una tal sorta di clipeo e però inclinò ad assegnarla
a Camarina. Una Gorgone vi vide il Creuzer {Symbol, t. II
p. 664), ma ravvisò al riverso una ruota stranamente con-
figurata, ove anche affermò, non si sa come, che molti esem-
plari di poi provennero da Cere e da Vulci, sui quali si
leggeva OESV. Gorgone la disse anche il Luynes seguito
dal De Witte (//. de la monn. IV p. 18), Furia l'Hennin,
Faturn, aiaa, il Cavedoni, attribuendole le zanne, che non ha,
e talora anche la lingua sporgente, della quale particolarità
non si scorge nei migliori esemplari verun indizio. Io, per
T . L XXIV
ETRURIA.
55
me, la tengo per furia e me ne couvince la favola di Edipo
espressa nello spezzato inferiore, dove appaiono i due serpi
intorno alla testa di Edipo, che emerge dal suolo per ma-
ledire i due suoi figli. Coteste spiagge occidentali dell'Italia
furono assai piti che non si crede frequentate da colonie gre-
che. Sono citati e noti Tarcone, Evandro, Damarato conduttori
di Pelasgi forse Tessali, di Pelasgi Arcadi, di Corinzii.
Giustino scrive (XX, 1): Midtae urbes adhuc post tamtam
vetustatem vestigia graeci moris ostentant. . in Tuscis Tar-
quinii a Thessalis (vedi l'Alicarnasseo. Il geografo Dionigi
(De situ orbis v. 347 segg.) canta in versi:
TvQ^rjvol ,(tìi' TTQMz' ijiì òé aqiiBi (pvXa IlsXaayiàv
^ O'ì TCOTS Kvi.hjvrj^£ f s'cp éaTCSQi'ijv aXu (iavzsg
AvTÓ^ivtj^cai'To aì'v àvÓQaOi TvQQip'oTai.
Esiodo ci ha conservato la tradizione antichissima che
faceva Agrio e Latino figli di Cii'ce e di Ulisse ('). Nel-
l'epoca medesima che i Focosi si stabilivano in Cimo, in
Populonia e in Marsiglia l'anno 104, una greca colonia fon-
dava Cessa, Damarato approdava in Tarquinia (Paus. X, 8).
Dietro tutto ciò non sarà riprovevole il riconoscere una
città fondata dai G-reci e detta da loro Thessala, sulle spiagge
occupate poscia dagli Etruschi, che vi batterono la moneta
coU' epigrafe 0EII e OEIUE.
31. Coli. Luynes. Altro esemplare del medesimo nummo trovato
insieme con quello del n. 29 a Vulci privo di leggenda.
Pesa gr. 11,30.
32. Coli. Luynes. Fu recato a Eoma dall'Btruria trastiberina e
per mia mano passò al duca di Luynes. Testa di terzo
cinta da diadema e in atteggiamente flebile posta fra due
serpi con intorno la leggenda OEII : nel riverso è la sfinge
sedente e volta a destra. Pesa gr. 8,23. Un secondo esem-
plare se ne ha ora nel Museo di Firenze. Il Gamurrini
(op. cit. p. 55, t) opina che sia la testa di Esculapio con
sopra un serpente, ma i serpenti sono due, e io stimo che
vi sia rappresentata la testa di Edipo che dalla terra si
eleva presso l'ara delle Erinni, significate dalle serpi, per
ripetere le maledizioni ai figli. La sfinge tebana che è
sul riverso a tale interpretazione ci è di guida.
33. Museo Britannico. Protome di bue volta a d.: intorno inter-
namente letto OEIl-E: da sinistra a destra, come in OEII.
Nel riverso cavallo marino volto a d. Il suo peso è di
gr. 9,33 (Bompois, Revue, pi. XVI, 8, Poole, Catal. p. 397,
1). Cotesto nome ThezLe parmi il medesimo Thezi con l'ag-
giimla dell'ultima sillaba.
ECHETHIA
34. Nel Museo Britannico. Testa muliebre con pendenti agli
orecchi e coronata di laurea, volta a d. Nel riverso un
gufo e al lato destro quasi in esergo la leggenda, Ef E®,
(') II sig. Helbig ha voluto di recente sostituire ad "Jyqiov il nome
T«p;fmv (Bull. Imtil. 18S4) : ma non si è sovvenuto elle Licofrone ha dato
Tarcone e Tirreno per figli a Telefo frigio (Lycoph. v. 1248 seg.) :
Tuqyuìif xtà Tvoaìivòg, tudliìveg Xvxoi
Tiày Hop.x'/.slùìv iy.yeyiìireg Ki^uttov.
fra due lunette opposte. Pesa gr. 3,80. L' ha publicata
il Bompois {Revue arch. 1879 pi. XVI, 8). In Stefano di
Bisanzio è nominata una città 'Exsti'a nóhg 'hah'ag, e
tre linee dopo si legge : 'Exéxqa. nóhg 'IraXt'ag. Il Mei-
neke annota 'Egeria ex 'ExérQce corruplum vidit Cluverus. Ma
può ben essere che non sia cosi : e di fatti il grammatico
insegua che da 'Exixqa deriva 'Exsxqaróg voce adoperata da
Dionigi d'Alicarnosso, ma da 'Ex^iCa dice che deriva 'Exsnce-
j'óg, come da Kagdia deriva Kaqdiavòg. La ^Ex^tia siiriscontra
colla 'Ex^D di Etruria, se cambiasi solo in tenue l'aspi-
rata 0.
35. Coli. mia. Testa muliebre volta a sin. ornata di pendenti
e di una corona di lauro con contromarca di forma pira-
midale: il rovescio è liscio. Pesa gr. 2,20. Mi fu recata
dalle campagne di Monteleone in Sabina, l'antica Trebula
Mutitesca.
PUPLUNA
Tav. LXXIV.
1. Museo Kircheriano. Testa di Pallade volta a -d.: di sotto è
il segno del valore .... : Nel riverso la nottola che vola e
vi si ripete la nota del valore : nel campo due stelle l'una
a d. l'altra a sin. della nottola. Quantunque cotesto triente
non porti inscritto verun nome di città, nondimeno esso
era già computato per moneta etrusca: ora poi è dimo-
strato di Populonia dai non pochi esemplari che vengono
da quella riviera come ho appreso dal march. Strozzi. Nella
collezione Mazzolini trovasi un quadrante di cotesta serie
venuto or ora alla luce, dove i tipi sono gli stessi che quei
del sestante, la nottola è in riposo, ma i tre globetti che
stanno sul dritto, sul riverso non sono visibili per difetto
di conio.
2. Coli. Strozzi. Testa molto svanita di Pallade galeata volta
a d. R. Nottola levata a volo, di prospetto e di sopra una
mezza luna decrescente fra due globetti. A d. e a s. della
nottola si trovano due ruote impresse a modo di contromarca.
Cotesto sestante si trova ribattuto e senza contromarche:
io ne ho veduto un esemplare nella collezione Mazzolini,
dove i tipi sono del triente n. 1, ma dietro il collo della
Pallade rimane la luna decrescente fra i due globetti del se-
stante che fu il primo tipo, e al riverso di sotto alla not-
tola che vola si leggono le lettere ■■•'IV'1. Il sestante adunque
è anteriore o contemporaneo al triente e ambedue appar-
tengono a Pupluna.
3. Nel Kii-cheriano. Pesa gr. 12,20. Testa imberbe di Ercole
cinta di diadema e colla clava accostata al collo : nel riverso
vi si vede l'arco, la clava, la freccia, i due globoletti segno
del valore e il nome della città fll1V>l'1V"l. Il Carelli la dà
(Tav. Vili, 30), ma omette la clava nel dritto, che vi è
stata poi espressa dal Poole (Catal. 5, 24).
4. Nel Kircheriano del peso di gr. 9,70. La coli. Strozzi ne
possiede un esemplare con quattro globoletti in contromarca,
I tipi sono : testa di Minerva e nota del valore .. R. Not-
tola stante sopra due simili globoletti : a sinistra una mezza
luna fra due astri, in basso l'epigrafe flMV>l')V'l. Abbiamo
56
ETRUKIA
T. LXXIV.
dunque un altro esempio del sestante ribattuto per triente,
e ne vedremo altri nei nn. 5-9.
5. Nel Eircheriano. Testa di Vulcano a d.': dietro la nota X.
B. La tenaglia e il martello colla nota del triente ....;
intorno al lembo fll1V^J'lV'1. Pesa gr. 8,12. Un esempio reca-
tomi di recente da Campiglia pesa gr. 7,50. Sotto il martello
rimane la mezza luna fra due stelle del conio precedente.
(3. Nel Museo di Parma. Moneta coi tipi del n. 4 ribattuta con
quei del n. 5. Appartengono al rovescio del primo tipo le
poche lettere della epigrafe AVA, e al dritto la debole ombra
della testa di Minerva.
7. In Parigi nel Gabinetto delle medaglie. Data dall'Bckhel {N.
vet. tab. II n. 1.5). Questo bronzo ha i tipi del n. 4 ed è
ribattuto con quei del n. 5. Del primo conio rimangono i
due globoletti sul volto del Vulcano e uno dei due astri :
nel riverso è superstite l'elmo della Minerva. Uno di co-
testi nummi ribattuti si deve dire che fosse quello figurato
dal G-uarnaeci (Tav. XII, 8) e ripetuto dal Carelli (Tab.
Vni, 28). Nei bronzi 5, 6 sono insieme unite due sorte
di cifre numeriche e discordi nel rappresentarne il valore :
perocché alla nuca del Vulcano è un X, dieci, e fra la te-
naglia e il martello un . . . . , quattro. Sono dunque due i
valori di cotesti bronzi nel cambio e le dieci unità deb-
bono equivalere nei conti a quattro unità. Abbiamo veduto
nelle monete di argento cambiarsi la cifra del valore ri-
manendo il peso medesimo e l'abbiamo spiegato col buon
confronto della monetazione cartaginese, e di altre grandi
città di commercio nelle quali il magistrato faceva coniare
insieme monete di sistema diverso (Miiller, Ancien Afrique,
voi. I p. 120, Il pag. 134). Vedremo di poi anche in Roma il
denario con la cifra XVI, e in Puglia ai sestanti con-
giunta la cifra S, e nella moneta di Brindisi la nota S unita
coi quattro globetti.
8. Nel Museo di Parma. Testa di Mercurio : dietro la quale una
mezza luna: in basso due globoletti appartenenti al conio
anteriore che ebbe i tipi del n. 4. R. Due caducei volti
in contrario, ambedue decorati di lemnisco, nel mezzo l'epi-
grafe flMV>l'lV^ e la nota ^X del valore, dove appare una
linea obliquamente posta accanto al numero X. Abbiamo
di sopra avuto un esempio di cotesta linea sebben non con-
giunta ma separata dall'X (Tav. LXXI, 22). La sua giaci-
tura singolare può essere indizio che non si volle con essa
indicare l'unità. Sarà quindi d' uopo conchiudere che non
ebbe valore numerico, ma si adoperò per cifra di signifi-
cato analogo al cerchietto O dopo le decine (T. LXXII, 7,8).
9. Nel Eircheriano. È ribattuto come il precedente ; di che sono
indizio certo i due globoletti e l'astro superstiti. Nel basso
del riverso è un caduceo lemniscato ma in alto in vece
della forma nota del caduceo se ne ha uno composto di tre
anelli con la estremità volte in fuori. Ancor qui come sopra
n. 8, e in un simile nummo del Museo di Parigi edito
dall'Bckhel (iV. vel. II p. 1) la nota del valore X ha dopo
di sé una linea obliqua, la quale come ho detto di sopra
vi starà come la cifra O a significare il valore numerico
delle X. Di una simile linea obliqua si servono i Greci a
fin di determinare le lettere numeriche a cui si vuol dare
il valore millenario (Franz, El. epigr. gr. pag. 349).
PUPLUNA-VETULONIA-CAMARS
10. Nel Museo di Parma. Un simile nummo fu stampato dal
Caronni {Mus. Vitzai/, part. I p. 16 n. 325), ma egli vi
lesse male V<Ifl^3ì e non altro. Cotesto Vetaru il Sestini
l'attribuì a Massa di Maremma, Massa Veternensis, che
credette un' antica città di nome Veterna (Ciass. Gen. p. II
_ ed. 2); ma di questa Veterna non si hanno indizi prima di
Ammiano Marcellino. Al Millingen parve che questo nummo
e i simili fossero ribattuti e da attribuirsi a Populonia
(Consid. p. 173). Tale opinione fu anche del Carelli, come
annota il Cavedoni (in Carell. tab. . . p. 2 n. 20); ma l'at-
tribuzione ne ha poggiato finora sul falso : ivi si legge Fetalu
che è manifestamente Vetulonia. I tipi soìio. Testa coperta
di pileo conico laureato volta a d. alla cui nuca vedesi spun-
tare una mezza nave. Non credo che l'insegna della nave
possa cambiare in Ulisse il Vulcano dei Populoniesi, pre-
valendo le insegna del riverso che sono le tenaglie e il
martello. A Vulcano si è data la prova per dinotare la città
marittima che faceva gran commercio del rame e del bronzo
lavorato, i?. Martello a sin., tenaglia a destra, in mezzo due
globoletti, nota del valore: intorno a sin. V>lfl+3ì assai bene
impresso, a destra flHV>J8V8, e in cima esteriormente scritto
si legge (\-V. In altri esemplari questi due nomi sono assai sva-
niti. Tali mi sono sembrati i due posseduti dal march. Strozzi,
in uno dei quali si è letto ^ISV-I soltanto, e in altro AHV>i8V't ed
V>)A+3, di che il Gamurrini dà notizia nell'ipp. al C. inscr. ìt.
del Pabretti pag. 10 nn. 55, 56 (Tav. III n. 56). È una mo-
neta di confederazione dei tre popoli i Vetuloniesi, i Pu-
plunesi e i Camarti. Nel nome di Pupluna é singolare lo
scambio che vi si fa due volte del Pe in Pi.
11. Museo di Firenze. Testa giovanile nuda volta a d. ohe sembra
guardare in alto. R. Due astri e due mezze lune e nel
basso un terzo astro al quale probabilmente era congiunta
la sua mezza luna, e però si può opinare che sia uscita
di conio: nell'orlo superiore vi si legge \N\. Fu inciso dal
Carelli T. Vili n. 32, che non si avvide della lettera W,
né altri dopo di lui.
12. Museo di Monaco. Altro esemplare del nummo medesimo
trovato da me nel Museo predetto, ed era stato ancor esso
inciso dal Carelli (Tav. Vili n. 38)
I
FERCNA
13. Museo di Firenze. Di cotesta moneta si hanno due esem-
plari ambedue scoperti dal Gamurrini e il primo anche
stampato dal medesimo. Nel primo la leggenda erasi con-
servata per metà \(W> , e fu ragionevolmente supplita
if)l/l>(<lflT), con quella verosimiglianza che sol si poteva.
Venne di poi fuori l'altro esemplare, che do qui, ove si
legge invece interamente JflUXlBì. I tipi sono : testa di
Pallade galeata e volta a sin. R. Metà anteriore di un
mostro marino a testa di tigre.
T. LXXV
ETEURIA
57
CT«A
14. Museo Britanuico. Aucor di questa moneta si hanno due
esemplari il primo nel Museo Britannico datoci dal Poole
Calai, p. 14 n. II) del peso di gr. 14,19: l'altro di re-
cente scoperto dal sig. Falchi che il possiede ed è di gr.
13,(300. Ha per tipo ima testa giovanile volta a d. la quale
porta sul capo a modo di copertura im delfino volto a sini-
stra verso la nuca. Nel campo di sopra è la nota del qua-
drante o a • . R. Àncora coU'anello alla cui sinistra si ri-
petono i tre giobelti, e a destra si legge fl»+). In cotesto
nome di città v'è di singolare il globetto schiacciato che
vi tiene luogo di lettera alfabetica. Un caso che può dii'si
simile a questo fu notato dal Eiccio in un semisse della
Kiibria dove l'epigrafe è scritta così D«S, cioè, dice il
Borghesi scrivendone al D'Ailly (25 marzo_ 1840 Oeuvers,
VII pag. 369), che quello che sembra la lettera O è piuttosto
una specie di scudo rotondo senza ornati e liscio. Chi sa dun-
que cosa sarà? ma DOS non è certo. Così egli. E noi diciamo
che più volte si è veduto l'O in forma di piastrella rotonda,
per arte o per difetto del conio. Qui poi il globetto • o
vale un Q, ovvero è veramente un segno di valore da pa-
ragonarsi ad un simile globetto egualmente seguito da una
lettera alfabetica »S, che si ha in un bronzo di Venosa.
La strana inserzione di un globetto nella epigrafe ha fatto
credere al Poole, che la moneta fosse ribattuta. Il Gra-
murrini che ne dà notizia nell'/l/)/!. al Corpus inscr. ital.
del Pabretti pag. 73 n. 848 lascia incerto se questo ton-
dino sia un globetto o un buco. Posso assicurare che nei
due esemplari il tondino è in rilievo pari alle lettere e a
superficie piana; però la leggenda non è Cati, come la si
vede trascritta dal Poole e in ciò ha ragione il Gamurrini.
Eimane dunque che si legga Ct o a. La testa coperta dalla
spoglia del delfino allude senz'altro ai Tirreni cambiati in
delfini dal figlio di Semole.
PATU (Vetulonia)
15. Gabinetto delle medaglie (Monfaucou, Supfl. Ili, XLVIII, 9).
Testa giovanile coperta della spoglia di cignale. B. Ferro
di tridente fra due delfini. La nota del valore » • , qui è
monca, ma si vede intera nell'esemplare del Kircheriano e
nel Viennese. L'eroe che si vede coperto della spoglia del
cignale ricorda probabilmente Elpenore uno dei compagni
di Ulisse trasformato da Circe in forma di cignale ; il se-
polcro di lui yedevasi sul Circeio cinto intorno di belle
piante di mii-to (Theopkrast. H. V, 9; Plin.//. N. 1. XV e. 86).
Il Mommsen che cambia questa spoglia in pelle di leone,
tiene quindi erroneamente per Ercole l'eroe che ne è vestito
{H. de la monn. voL I pag. 388).
16-18. Apprendiamo da questa serie che la leggenda, quando è
piena, conta quattro lettere •^■i-f\^. Sono sestanti e ne por-
tano la nota ripetutamente sul diitto e sul rovescio ; il peso
ne è vario : la collezione Strozzi ne conta di gr. 13,750 e
giii. fino a gr. 5,350. H sig. Falchi fra un gran numero
di cotesti bronzi (Ricerche di Vetulonia, Prato 1881) uno
ne possiede di gr. 5,050, che ha come il nostro del n. 16
i globetti sotto il collo della testa giovanile.
19. Nel Kircheriano. Pesa gr. 3,18 : ma ve n'è un altro esemplare
di gr. 5,00. L'epigrafe è qui sotto il collo e non vi si vede
verun segno di valore.
AES INCUSUM SEDIS INCEETAE
Tav. LXXV.
1. Museo Vaticano. Il Capranesi ne pubblicò un esemplare (Dia-
milla, Mem. numism. tav. I n. 1 pag. 9), ma stranamente
contrafatto, e neanche fu chiaro se avesse il riverso in-
cuso. Al 1860 non si conosceva che wa. solo bronzo a ri-
verso incuso, ed era quello dato dal Micali [Ant. mon. pi.
CXV): noi dunque ne daremo la prima volta tutta una serie.
Testa barbata e cinta di lawo volta a destra; dietro la
nuca è la nota del valore 3IC. R. Cavallo marino incùso.
Pesa gr. 40,80. L'esemplare del Capranesi non ben con-
servato pesava gr. 32,00. Da cotesto nummo appresi e feci
noto ai miei amici, che l'hanno divulgato, la forma e il valore
della cifra DIC presso gli Etruschi. Ora da Campiglia il sig.
Mazzolini mi ha recato un terzo esemplare, ma roso nella
superficie del dritto, e accecato dalla ruggine nel riverso. È
del peso di gr. 30,80.
2. Museo .di Torino (Sambon, Recherches, pi. IV, 26). Nel dritto
testa barbata coperta dalla spoglia probabilmente di un
delfino, dietro la nuca è la nota '^. R. Aquila volta a destra
e respiciente a sinistra, dove è un serpe che par le si drizzi
contro. Pesa gr. 21,25.
3. Museo Vaticano. Testa barbata volta a d. coperta della spoglia
simile a quella del numero precedente , dietro T uscita
per metà di conio. R. Grifo che va a destra. Pesa gr. 19,100.
Un esemplare che è del march. Strozzi trovato in Val d'Orcia
pesa gr. 19,30 ma è alquanto logoro.
4. Nel Museo Vaticano. Testa barbata volta a d. e coperta della
spoglia probabilmente di un cane pomerano. Plutone in
una pittura etrusca si copre con pelle di cane (Conesta-
bile, PUt. mur. tav. XI); di dietro è la nota XXX. R. Testa
di asino. Pesa gr. 13,43. Ve n'era un esemplare nella col-
lezione Lovatti. Fra le schede Kircheriane di mano del
Puertas si ha un disegno di questo bronzo e nel Museo
di Firenze se ne conserva un altro di mano del Sestini,
dove si vede aggiunta l'epigrafe flHV>l')V1 dimezzata nel
dritto e intera nel riverso. A me non è avvenuto di vederne
alcun riscontro : penso che le Unee del cerchio di ornato
siano state trascritte per lettere. Il Carelli dà nella tav. Vili
n. 31 un bronzo simile nel dritto al nostro; ma egli vi
ha rappresentato al riverso una larva gorgonia di rilievo.
Il Gamurrini (op. cit. p. 62) stima che vi sia nel dritto la
testa di Ercole e nel riverso una colomba e un serpe pro-
babilmente per equivoco con l'altra moneta riferita di sopra.
5. Nella collezione Strozzi. Testa di donna coperta dì elmo a
destra ; davanti la nota AXX. R. Gallo che canta volto a
sin. Pesa gr. 11,20. Ve n'è un esempio nel Museo Vati-
cano del peso di gr. 10,72 ; un terzo si conserva nel Parigino
Gabinetto delle medaglie del peso di gr. 11,60. L'Arigoni
58
ETEDRIA, UMBRIA
T. LXXVI
l'ha dato nel T. Ili, Vili, 9 fra gl'incerti, ma non lia in-
dovinato la lìgura del riverso.
6. Nel Museo Vaticano. Testa barbata e cinta di corona volta
a d.: dietro ba la nota XX. R. Aquila rivolta a sinistra
respiciente a d. con le ali aperte e a doppia testa, ma per
sbalzo di conio. Pesa gr. 11,4.
7. Nel Museo Vaticano (Micali, Ant. mon. Pir. 1832 tav. CXV
nn. 9, 10). Simile al precedente, ma nell' aquila non v' è
sbalzo di conio. Pesa gr. 9,3. Un esemplare cbe se ne ba
nel Gabinetto delle medaglie pesa gr. 10,70 (cf. H. de la
mon. IV pi. XVIII, 9).
8. Nel Museo di Firenze. Testa cbe par muliebre con capelli
richiamati e ritenuti dalla tenia, con monile al collo. Sta
dentro un periato e una laurea ed ha dietro la nuca la
nota X, di sotto al collo la nota ID. Pesa gr. 6,40. R. Serpe
con pelle screziata o più veramente punteggiata. Il G-a-
murrini (op. cit. p. 63) crede che la testa sia di Bsculapio.
9. Nella collezione Strozzi. Testa virile barbata volta a d.; dietro
la nota X dentro un periato e una corona di lauro. R. Pesce
simile al capriscusYolio a d. dentro una laurea. Pesagr. 2,49.
Il Gamurrini (loc. cit.) cita dalla tav. CXV n. 13 del Mi-
cali {Ant. monwn.) un bronzo nel quale è una testa bar-
bata e dietro X. R. Quadrato incuso. In altro simile bronzo
assai detrito ha egli letto il numero V : ma è chiaro che
deve essere X, perchè se fosse V non si sarebbe scritto
così in etrusco.
10. Parigi, Gabinetto delle medaglie. Testa probabilmente di
donna coperta di elmo frigio volta a d.; dietro > nota del
cinque, o metà di un tutto. R. Quattro fiori simili ai gi-
giiacei coi loro calici volti ad un centro. L' ha comunque
pubblicata il Sestini {Museo Fontana, III, XI, 1). Il sig.
Mazzolini ne possiede un esemplare del peso di gr. 3,07.
>, ì, M, /V\ SEDIS INCEETAB
11-14. Museo Kircheriano. Testa di moro con anello all' orec-
chio volta a d. R. Elefante asiatico con la squilla al collo
stante, volto a destra. I bronzi che portano questi tipi si
distinguono fra loro per quattro diverse lettere alfabetiche,
che vi si vedono al riverso e sono >, ì, 141, /V\: tre di
esse > HI /V\ si ripetono talvolta anche sul dritto.
15. Nella collezione Strozzi. Questa monetina ha i tipi predetti
. e per lettera distintiva un /V\ al dritto e al riverso ; ma nel
dritto allato all'WV vi sono due altre lettere. Il Gamurrini
ritiene che le lettere del dritto siano latine e dicano C • PISO:
io invece confessandone la difficoltà pure devo dire che tale
lettura mi pare impossibile: io vi trovo invece C^\^A. e
questa terza lettera N\ rivedo dimezzata nel rovescio dove il
Gamurrini ha letto un 5. La lettera M segna il conio come al
riverso. Il Cr\ parmi dinoti il due e mezzo. I bronzi con
questi tipi si sogliono trovare in Val di Chiana e il loro peso
è di gr. 2,40 ; 2,80.
L' imagine dell' elefante non ci riporta al secolo sesto
quasi che fosse di razza africana, sapendosi che ai tempi
della guerra punica tali elefanti furono veduti in Italia;
ma essi invece sono gli asiatici di Pirro mostrati a Roma
dal censore Sulpicio Saverrione dopo la giornata di Ascoli.
Né deve far ostacolo il vedere quivi ritratto il moro custode
della bestia : perocché cotesti mori erano anche in Asia, e
gli indiani insieme cogli africani adoperavansi per la singoiar
perizia in addestrare gli elefanti, di modo che a ra-
gione Lelio trattando di costoro pone insieme gli Indiani
e gli Africani da sé veduti in Africa nel tempo che era
legato di Scipione (Cic. De reputi. II, 40) : Non et tibi
{Scipioni) cum essem legatus {bello punico tertio) saepe vidi.
Ergo ille indus aut poenus unam coercet belluam et eam
docilem et humanis moribus adsuetam. Pirro a testimo-
nianza di Dionigi di Alicarnasso {Fragm. LXIX e. 14
pag. 134 ed. medio!.) si serviva di Indiani, che gli saranno
stati spediti da Tolomeo di Egitto suo suocero, dei quali
erasi giovato anche per ricuperare l' Epiro.
TUDEE (in Umbria)
16. Nel Museo Kircheriano. Testa giovanile coperta di pileo
a doppia gronda. R. Scrofa con tre porcelletti, 'due dei
quali volti verso la madre, il terzo va di passo : vi si legge
di sopra 3<13+V+ (Marchi e Tessieri, U aes grave, Suppl.
ci. II, 2 ; Poole, Calai, pag. 397, 1). Pesa gr. 9,25.
17. Kirch. Testa di Sileno coronata di edera con un corimbo sulla
fronte male espresso finora nelle stampe come un bitorzo (Ca-
relli, tav. XXI, 42). R. Aquila stante a sinistra in atto di pren-
dere il volo e 3"^3tV+ È di gr. 3,80. L'esemplare di mia col-
lezione pesa gr. 4,20.
18. Nel Kircheriano. Testa di fauno con orecchi lunghi e affi-
lati e corna di caprio in fronte. R. Cornucopia con spiga
di grano, grappolo d'uva, e un guscio o baccello di legume
che par di fava o pisello e leggenda 3'^3+V+. Pesa gr. 1,75. È
stato notato dal Cavedoni che le corna del fauno furono omesse
dal disegnatore del Carelli (Tav. XXI, 44). Ebbe adunque
Todi ima moneta coniata di gr. 9, come l'obolo greco, la
metà di esso e il quarto. Il tipo dell'obolo rappresenta un
porcaio coperto di un pileo simile a quello che ha in capo
Eaustolo sul denaro di Sesto Pompeo. Ambedue cinti da
doppia gronda. Al Millingen pare {Consid. p. 169) che sia
un petaso di forma singolare portata forse da un Mercurio.
PEITHESA C, W\, M, 5
Tav. LXXVI.
1. Nel Kircheriano. Testa di Mercurio coperta dal pileo alato
volta a d. R. Civetta e quasi di prospetto e a d. fli30l3'1.
Il sig. Hennin, scrive di Peithesa {Manuel de numism. Il
p. 70) : Les pèces attribuées à cette ville ont été restituées
à Veientum d'Etrurie. Ebbe dunque ragione il Millingen
di notare che questo nummo inscritto ha fornito un ampio
campo di congetture, avendolo il Lanzi dato a Perugia
{Saggio, II, t. I fig. II), il Cramer a Pisa {Anc. Itahj, vol.I
pag. 173), il Mionnet a Veientum o Vei {Suppl. 1. 1 p. 204),
attribuzione sostenuta anche dal citato Hennin. Ma cotesti
piccoli bronzi si sogliono trovare in Val di Chiana, e perf>
ivi deve essere stata una volta la cercata Peithesa.
2. Kirch. I tipi medesimi, ma la leggenda fliSOB'l è sul dritto:
T. LXXVII
ETRUEIA, LATIUM
59
al rovescio invece a destra della civetta vi si trova il se-
gno g in parte logoro.
3. Coli. mia. I tipi sono gli stessi, ma sotto il collo del Mer-
curio al dritto v'è un C : al rovescio vi si legge ftGOGA
e inoltre a sinistra presso l'ala della civetta uu g . Qui
abbiamo dunqne una prova novella che dimostra l'uso si-
multaneo di due segni iu due alfabeti diversi l' un greco
l'altro etrusco. Il loro peso è di gr. incirca 3.
4. Kirch. I tipi sono i medesimi, soltanto la epigrafe è qui
espressa per la sola lettera iniziale A che si ripete sul
dritto e sul rovescio.
5. Kirch. Testa di Apollo cinta di laurea colla faretra al collo
volta a desti'a : dinanzi v'è la lettera h. R. Civetta quasi di
prospetto: a destra vi si ripete la lettera h e sopra di essa
un po' logoro il segno g . È certo che il $ ancor qui
dinota la metà come nel n. 3 ; l' altro segno giacente
che si vede sul di-itto e a destra pare sia l' iniziale di
Peithesa.
(3. Coli. mia. Testa di Pallade galeata volta a d. e di sopra
un C. R. Civetta quasi di prospetto e a destra C.
7. Kirch. I tipi sono gli stessi, soltanto nel dritto la lettera C
non è posta di sopra dell' elmo, ma davanti della Pal-
lade a destra. Qui il C mi sembra lettera iniziale. Queste
due monete 6, 7 pesano gr. 2,00.
8-10. Nel Kirch. Testa giovanile coperta della pelle di cane
pomerano, la cui figura è rappresentata al riverso in atto
di correre a sinistra, di sotto fra le gambe vi si legge ima.
delle tre lettere 5, \M, M. L' Eckhel {D. n. v. I, 95) e
ilEochette {Journal des Sav. 1841 p. 24) la dicono erronea-
mente testa di Ercole coperta della pelle di leone.
3, ì, V
11-13. Nel Kirch. Euota a sei raggi e nota dell'oncia. R. Ferro
della bipenne e la nota medesima, inoltre a destra una
delle tre lettere D, ì, V. *
14-16. Nel Kirch. I tipi sono gli stessi e cosi anche le lettere,
varia soltanto il peso donde risulta che queste valgono la
metà dell'oncia, od unità maggiore.
17-19. Nel Kirch. Il tipo del dritto è lo stesso dei precedenti
nn. 11-16: nel rovescio le lettere sono parimente D, 1, V
ma la bipemie è qui munita di manico. Ecco qual'è il peso
dei nove pezzi:
nn. 10 11 12
gr. 10,70 11,00 8,70
nn. 13 14 15
gr. 3,70 2,70 6,70
nn. 16 17 - 18
gr. 2,20 1,70 3,40
20, 21. Nel Kirch. Kuota a sette raggi e a sin. il segno del-
l'oncia. R. Ancora, a sinistra il medesimo segno, a destra
nel n. 20 un D nel n. 21 un 1; la lettera V manca finora.
Il loro peso è gr. 8,00; 8,80.
22. Museo di Torino, e ne ho veduto ' un altro esemplare in
Parigi presso l'esperto sig. Hoffmann. Euota ad otto raggi.
R. Ferro della bipenne in mezzo a quattro globetti dino-
tanti un triente: di sopra un ì. Pesa gr. 25,00.
LATIUM
AES A LATINIS MAGISTKATIBUS CUSUM
Tav, LXXVII.
1, 2. Nel Kircheriano. Testa di Ercole barbato cinta di diadema
con clava al collo volta a d. R. Cane cerbero a tre teste
volto a d. nell'esergo C- RVB. 11 sig. Imhooff-Blumer [Monn.
qraecq. 13) pone un S invece della clava e la testa laureata,
dove io vedo im diadema. L'epigrafe di questa moneta fu
letta dal Sestini AARVB [Class, gener. pag. 12) e però at-
tribuì il bronzo a Marrubium, capitale dei Marsi. Insorse
contro il Millingen, che nell' esemplare da lui posseduto,
ed è quel medesimo che qui publico, n. 1, vide un punto da-
vanti a RVB, e un vestigio di lettera avanti a quel punto
comunque non gli bastasse l'animo di accertarne il valore:
nondimeno propose che vi si dovesse riconoscere probabil-
mente il nome di im magistrato della famiglia Rubria [Con-
siderai, p. 233). 11 parere del Millingen è confermato da
un simile nummo veduto da me nella collezione Luynes
dove però il prenome è omesso e si legge nettamente RVB
in campo liscio [Sylloge, pag. 139) la quale particolarità
non è sfuggita all'Imhooflì-Blumer che ci dà un suo esemplare
col solo RVB nell' op. cit. pag. 13. Ivi anche descrive uu
triente del sig. Waddington con tipi diversi da questi e
r epigrafe RVB. Testa di Cibele turrita e la nota del
triente ® ® © a . R. Leone aggruppato che leva il piede si-
nistro ed ha dietro un astro ad otto raggi e nell'esergo si
legge egualmente RVB.
3. Nel Museo di Parma. Testa muliebre coronata di edera a d.
R. Pantera che colla zampa sinistra tiene l' asta di una
lancia appoggiata sulla spalla: nell'esergo CA/.
Sugli esemplari letti finora si è detto che vi fosse
scritto CAP e il Mazzocchi seguito dal Daniele (Nuin.
cap. n. 9 pag. 33), e il Combe l'hanno attribuita a Capua.
11 Capranesi nega che vi sia mai stato scritto CAP ed aven-
dovi egli invece di poi letto CAI stima col Priedlaender che
si debba attribuire a Caiazzo, che chiama Calatia latina [Ann.
dell' Inst. 1843 T. XII pag. 214 tav. d'agg. Pnn. 5, 6). Ivi
nota che simili monete ma senza leggenda si trovano di fre-
quente nelle terre romane. Una di fatto ne è stata trovata
or ora presso Albano. Il Piorelli pensò che dovesse appar-
tenere a Sardes della Lidia essendogli sembrato che vi si
leggesse in lettere greche CAP [Oss. numism. 1843 p. 80).
Nell'esemplare che qui esprimo ho letto in monogramma CA/
che dà la leggenda CAN. Con questi tipi ed epigrafe è di
recente stata trovata una moneta nelle campagne di Orvieto,
l'antica Bolsena, donde altre 9 senza leggenda si sono in
pari tempo raccolte e le ho vedute presso il march. Strozzi
in Firenze. Un bronzo coi tipi medesimi ohe è nel Museo
Britannico porta l'epigrafe S (Poole, Catat. pag. 84 n. 22).
Per le quali osservazioni è d'uopo convenii-e che il nome
notato nell'esergo non è nome di città, ma di magistrato ;
che però la moneta non è latina di Capua ne di Caiazzo ne
di Caieta, ne greca di 2àgóig, e può solo probabilmente as-
segnarsi alla zecca della Bolsena romana, se si vuol tener
s
60
LATIUM, EOMA
T. LXXVII
conto delle terre donde n'è venuta fuori la maggior copia. !
Inoltre non è di un'epoca molto remota dalla guerra sociale,
avendo notato il sig. Imhooff-Blumer (Mon. graecq.iì. 36 n. 84)
che se n'è trovato un esemplare ribattuto sopra un bronzo
questorio di Sicilia portante sul dritto il bifronte barbato,
e al riverso entro corona di lauro il nome OP-PI. Noi lo di-
remo di epoca incerta della Eepubblica, ma probabilmente
anteriore al 664. Ma non sappiamo chi sia quest'Oppio ne
come siasi prenominato (Klein, ,Die VerwaUungsbeamten
ecc. Bonn, 1878 pag. 161).
NDMMI CUSI NOMINE ROMANORUM A SOCIIS
4. Nel Kircheriano. Testa di Apollo coronata di lauro. R. Ca-
vallo libero che corre a sin.; di sopra ROMA. Pesa gr. 6,77.
5. Nel Kirch. I tipi sono i medesimi che nel precedente : esso
però ne è la metà, e pesa gr. 3,28.
6. Nel Kirch. Bronzo coi tipi medesimi che nel denaro e qui-
nario precedenti : ma il cavallo è frenato, l'epigrafe ROMA
è in basso. Pesa gr. 3,70.
7. Nel Kirch. Testa di Marte con accenno di peli alla guancia:
dietro clava. R. Cavallo libero a d., sopra clava, sotto ROMA.
Pesa gr. 6,77. Un mio esemplare pesa gr. 6,40.
8. Nel Kirch. Bronzo coi tipi medesimi del denaro precedente.
Pesa gr. 3,70.
9. Nel Kirch. Testa di Marte con grifo per ornato sulla cocca.
B. Protome di cavallo frenato, dietro falcetta, sotto ROMA.
Del peso di gr. 6,77.
10. Nel Kirch. Quinario coi tipi medesimi del denario del peso
di gr. 3,28. Un mio esemplare è di gr. 3,00 incirca.
11. Nel Kirch. Bronzo coi tipi medesimi dei due nummi pre-
cedenti del peso di gr. 3,20.
12. Nel Kirch. Testa di Ercole giovane con la clava al collo.
R. Pegaso: sopra clava, sotto ROMA. Pesa gr. 6,80.
13. Nel Museo Britannico. Testa di Minerva, volta a sinistra.
R. Aquila di prospetto volta a d. stante con un fulmine
negli artigli, da presso a sin. un pugnale, intorno al giro
ROMANO- Ne ho veduto tre esemplori uno qui in Koma
nella coli. Lovattr, uno nel Museo di Vienna e so che ve
n'è uno a Berlino. I tipi di cotesto bronzo sono quegli che
si vedono su di un bronzo di Locri, dove però l'aquila guarda
a sinistra (Tav. CXIII, n. 9, 10). Il Sambon ne descrive un
esemplare {Racherches, p. 131) del peso di gr. 17,00. Il
modulo, il peso, e i tipi si accordano a farci argomentare
che cotesto bronzo si è battuto pei Romani nella Brezzia
probabilmente nella zecca Locrese.
14. Nel Kirch. Testa di donna coperta del pileo frigio a becco
di grifo coi lacci da annodarlo al mento. R. Cane che va
a destra: nell'esergo ROMA. Pesa gr. 1,10.
15. Nel Kirch. Testa di Ercole giovane cinta di diadema con
la spoglia di leone e la clava al collo. R. La lupa ohe ha
alle poppe i due gemelli, nell'esergo ROMANO. Pesa gr.
7,29. Un mio esemplare è di gr. 6,71.
16. Nel Kirch. Testa di donna coperta di elmo a becco di grifo:
dietro ha l'insegna di un' ala. R. Vittoria coperta a mezzo dal
pallio in atto di appendere una corona al ramo di palma
che ha nella sinistra, e il fa giovandosi della zona o lemnisco
al quale la corona è annodata. Nel campo a d. sogliono
essere inscritte una o due lettere ; qui è un 0 ; a sinistra
ROMANO. Pesa gr. 6,07, Dei due miei esemplari quello
che ha nel dritto per insegna monetale un ferro di tri-
dente e al riverso K pesa gr. 6,40 : l' altro che ha nel
d.ritto un cornucopia e al riverso T pesa egualmente gr. 6,40.
17. Nel Kirch. Testa barbata di Marte a sin. dietro un ramo-
scello di quercia. R. Testa di cavallo frenato posta sopra
un plinto che porta la leggenda ROMANO ; dietro spiga
di grano. Pesa grammi 7,29. Due miei esemplari pesano
gr. 7,10, 7,35.
18. Edita dal Piorelli (.4nn. di numism. 1846 tav. I, 9). Testa
di Marte barbato volta a d. R. Protome di cavallo frenato
\olta a d.; nel campo a d. ROMA, di dietro a sinistra è
una spiga di grano. Io stimo che alla leggenda manchi
l'ultima sillaba NO uscita di conio e che questa sia l'unità
minore dello statere n. 16, che porta i medesimi tipi: il
suo peso non può essere che di gr. 0,65 incirca, parte due-
decima della maggiore unità o se si vuole divisa in seste
una hemiecte, rifiCsxTov.
19. Nel Kirch. Testa di Apollo cinta di lauro volta a sin. da-
vanti ROMANO. R. Cavallo frenato che corre a destra, di
sopra è un astro. Pesa gr. 7,2.
20. 21. Nel Kirch. Testa muliebre volta a destra, talvolta a
sinistra, coperta di elmo, intorno ROMANO ovvero ONAMOJI.
/(. Protoma di cavallo frenato volta a destra o a sinistra
colla epigrafe medesima intorno Ol/lAMOJl retrograda. Nei
due modi se ne trovarono 916 nelle acque di Vicarello.
22. Era presso jil Depoletti. I tipi sono i medesimi di quelli
dei nn. 20, 21, però ambedue sono rivolti a sinistra, e
l'epigrafe vi è soltanto al riverso OHAMOfl. Inoltre sotto
alla protoma di cavallo vi ho letto SVES assai basso ; onde
potrebbe parere che questo' nome sia una traccia rimasta
di altro conio precedente. Ma si osservi, che le monete di
Sessa leggono sempre SVESANO, e qui non vi è posto
per le sette lettere. La somiglianza di queste monete con
quelle di Cosa dimostra che l'una dell'altra può credersi
copia : il gran numero, ohe se n'è trovato nelle acque di
Vicarello ne fa certi, che i Eomani 1' hanno coniato nella
zecca dei Sabatini. L'epigrafe SVES è prova, che una moneta
con questo tipo fu anche coniata per alleanza nella zecca di
Sessa non prima forse del 441.
23. Nella coli. mia. Testa giovanile diademata. /?. Leone volto
a destra che morde il ferro abbrancato colla zampa sini-
stra. Nell'esergo ROMANO. Pesa gr. 14,00. Un secondo
esempio di egual peso è parimente presso di me. Non è
stato finora osservato da veruno che si fossero battuti una
volta dei dioboli o dei dilitri. Ne vedremo un esempio
anche nel bronzo napolitano (tav. LXXXV 29), la cui fabbri-
cazione deve essere contemporanea.
24. Nel Kirch. dalle acque di Vicarello. Il bronzo è ribattuto
su di un tipo che tuttavia vi si distingue : Testa di Net-
tuno al dritto, delfino al riverso, e di sotto U, tipi noti nella
serie lucerina; ma in questi tipi^ l'epigrafe è intera UOVCERI,
T. LXXVIII
LATIUM, EOMA
61
qui è la sola iniziale L- sotto al delfino. Lucerà ebbe uua
colonia latina nel 440. L'epigrafe del secondo conio non è
leggibile, ma dal confronto si deduce che deve esservi scritto
ROMANO. Pesa gr. 6,80.
25, 26. Nel Kirch. Do questi due esempi, uno simile al pre-
cedente n. 23, dove però si vede chiaramente la zampa del
leone ; l'alti-o di conio diverso. La leggenda in ambedue è
ROMANO ; di queste monete se ne sono raccolte dalle acque
di Vicarello 1156 esemplari, e se ne sarebbero avuti piìi
ancora, se i fanchi di quelle acque fossero stati ben cer-
cati. Kagione vuole, che ancor questi bronzi siano usciti
dalla zecca dei popoli sabatini, di che è buona conferma
anche la testa dell'Apollo Sorano.
XUMMI CUSI A PLAGIANIIS GALLIS CISALPINIS
27, 28. Testa di donna coperta di elmo volta a sin. R. Pro-
toma di cavallo frenato : dietro è scritto nel primo ROMAAC
nel secondo R 0 M M 0 C.
29. Nella coli. Lovatti. Testa di donna coperta di elmo aulo-
pide decorato suUa cocca di un grifo. R. Protoma di ca-
vallo frenato volta a sin., dietro 30MA05I. L'epigrafe varia-
mente scritta è però uniforme nella ultima lettera che nel-
l'alfabeto latino è un C; ma quel qualunque popolo che
scrisse Raomoc, Rommoc, Rommc, non volle di certo scri-
vere il Romano dei bronzi ohe portano il tipo medesimo.
Non v'è analogia fra la desinenza in o gen. plur. e quella
in oc; egli ebbe piuttosto in mente Roma{i)os. Cerchisi
dunque in qual parte d'Italia si potè' usare il C greco in
luogo dell'E latino, cioè una letteratura mista di elementi
greci e latini, e troverassi, se non erro, la nazione dei Galli
Celti, che nelle loro monete scrivono AOVKOTIKNOC, Pl-
TANTIKOC, VENEXTOC, AEIOVIGIAGOC, BIATEC. Questa
confusione di due alfabeti e il C del greco equivalente all'S
latino parmi sia dimostrato da un nome gallico che si legge
doppiamente scritto sulle monete dei Seguanosi e degli Bl-
vezii. Perocché ove i Seguanosi scrivono in greco alfabeto
KCOlOC gli Elvezii hanno nel latino COIOS {Revue ar-
chéol. 1868 pag. 138). Noi adunque rilegheremo a buon dritto
al settentrione dell'Italia queste monete. I Oalli che imi-
tavano i tipi romani e quelli dei G-reci di Marsiglia, ne
introdussero inoltre dei propri. Ai tipi di Marsiglia può
riferirsi l'aureo trovato a Vercelli nel quale si vede la testa
laureata di Apollo col riverso DIKO di sopra del leone (Bruzza,
Iscr. ani. vercellesi pref. p. CVII), a cui si deve paragonare
la dramma citata dal Robert [Ann. numisin. 1879 p. 272)
con la testa di Diana e al riverso DIKO e il leone a dritta,
che è stampato nel Dici, archéol. de \la Caule, fig. 48. Hanno
propri tipi le due monete d'oro edite dal Promis (Ricer-
che sopra alcune monete trovate nel Vercellese, 1865), e
riportate nel Bull, dell' List. 1866 pag. 187.
30. Nel Museo Britaimico. Testa di donna volta a destra e co-
perta di elmo ; ha davanti un meandi'O. R. Testa di cavallo
frenato volto a destra;ha davanti una stella, dietro >IOMA Vili
ili sotto T. È troppo evidente che questo nummo è uscito
dalle oiEcine celtiche cisalpine, le quali copiavano i tipi
delle monete greche e latine (V. la tav. LXXII, 12, 13, 15).
Il numero Vili ne sia una prova della gallica officina, es-
sendo gallico il costume di mettere queste cifre numeri-
che in luogo dei globettini indicanti il valore. Inoltre la
voce >IOMA se non vuol tenersi per ROMA mutando come
erroneo il >l in 51, avrà un riscontro fra i nomi propri dei
capi Galli, su di altre contraffazioni galliche, tra le quali,
seguendo il Robert (1. e), nominerò BRIC, COMA, Vili D COMA.
Tav. LXXVIII.
1, 2. Nel Kircheriano. Testa di donna con capelli acconciati e
ornati di lamine in modo da figurare un elmo con cresta
e pennacchi laterali. Porta pendenti agli orecchi e una lancia
al fianco sinistro: dietro vi si vede la nota del triente.
R. Centauro raggiunto alle spalle dal giovine Ercole che
l'ha preso pei capelli e lo minaccia colla clava levata. Il
centauro esprime il suo dolore con la mano che si è le-
vata alla fronte. Avanti a d. è la nota del triente; nel-
l'esergo ROMA. Pesa gr. 49,50. Vedi anche al n. 2 la testa
della donna presa da un esemplare della collezione mia,
dove l'acconciatura dei capelli è più decisa. Il peso del
bronzo è di gr. 49,95.
3, 4. Nel Kirch. Testa giovanile son capelli corti e ricci co-
perta dalla spoglia d'un cignale : a sin. è la nota del qua-
drante. R. Toro che corre a destra avendo tra i piedi un
serpente munito di cresta che strisciando sul terreno si
slancia verso la destra medesima. Di sopra vi è il segno
del quadrante, nell' esergo ROMA. Il primo (n. 3) pesa
gr. 42,00; il secondo (n. 4) è di gr. 41,00. Un mio esem-
plare pesa gr. 39,60. L'Eckhel (D. n. v. 1. 138) crede
cosa difiìcile spiegare cotesto tipo altrimenti che con la
favola di Giove trasformato in toro, onde Cerere ebbe Per-
sefone, e, cambiato in serpente, dal quale Persefone ebbe
un figlio tauriforme, secondo il noto verso: Tavqog Sqccxovtoq
aal Squ/Uov xavgov TrdrrjQ.
5. Nel Kirch. La lupa che allatta i due gemelli, nell'esergo è
la nota del sestante. R. Aquila che porta nel rostro un fiore
aperto: a sin. vi è la nota del sestante, a destra ROMA.
Tre esemplari di questo bronzo si ebbero dalle aeque di
Vicarello. Pesa gr. 29,70 : un mio esemplare è del peso di
gr. 24,20. Niuno s' è finora accorto della singoiar coda che
porta la lupa nella moneta romana di questa epoca, la quale
è cotanto simile alla leonina anche pel fiocco di lunghi
peli che ha alla punta. Una coda egualmente lunga, spoglia
di peli, e pannocchiuta in punta ho notata sulle monete
di argento (v. la tav. LXXVII, 19): e non è perchè in
Koma si brattasse così, ohe anzi le monete della Pompeia
(tav. LXXIX, 19, 20) figurano la lupa quale l'ha descritta
Plinio con coda piìi corta di quella delle pecore, ma al
pari vellosa (//. N. XI, 411): (Caudae caulis) vulpihiis et
lupis villosus, ut ovibus, quihus procerior.
6. Nel Kirch. Testa del sole raggiante messa di prospetto con
accenno della clamide abbottonata sul petto: a sin. è la
nota dell'oncia. R. Luna crescente con due astri e il segno
62
LATIUM, KOMA
T. LXXVIIl
dell'oucia nel centro ; di sotto ROMA. Se ne ebbero quattro
esemplari dalle acque di Vicarello. II suo peso è di gr. 35,20.
7. Nel Kirch. I tipi sono quei del quadrante (un. 3, 4), sola-
mente vi si Tede aggiunta una spiga di grano al riverso.
Pesa gr. 13 incirca. Esso dimostra una prima diminuzione.
Una moneta con questi tipi fu ribattuta coi tipi al dritto
della testa di Cerere e al riverso Ercole che raggiùnto il
cervo l'ha preso per le corna : ma il suo valore è dinotato
al dritto con un S che vale semis o sia metà.
8, 9. Il n. 8 fu già presso Depoletti. Tipi del quadrante di se-
conda diminuzione simili del tutto a quei della diminu-
zione prima, come appare dal n. 9, perocché nel n. 8 il
serpente del riverso non si scorge essendo il bronzo ribat-
tuto sopra una moneta di Gerone II, del cui nome riman-
gono le lettere lEPIl. Cotesto principe regnò in Sicilia
dal 478 : è quindi certo che a questa seconda diminuzione
non si venne innanzi alla epoca predetta. Il suo peso è di
gr. 7,80.
10. Nel Kirch. Testa di donna cinta da corona turrita con pen-
denti agli orecchi e con lembo di tunica attorno al collo.
lì. Fantino a cavallo ohe corre a destra e fa scoppiare il
frustino eccitando il cavallo alla corsa : di sotto ROMA. Il
suo peso è di gr. 8,20. Di questi esemplari se ne ebbero
dalle acque di Vicarello non meno di 31.
11, 12. Nel Kirch. Sestante coi tipi romani. Il sestante pesa
gr. 19,80, la semoncia gr. 5,43. Se ne dà il saggio in prova
dell' asse 'trientale.
13. Nel Kirch. Triente con tipi romani battuto sopra un bronzo
anteriore, del quale riman quasi intiera la leggenda ROMA
dietro la testa della Minerva. Pesa gr. 28,00. È un saggio
che si dà in prova dell'asse quadrantale.
ROMA
NUMMI CUBI INTRA URBEII
L'esperienza c'insegna che il denaro pesava ai tempi di
Varrone tre scrupoli. Or egli attesta ohe dicevasi aver Servio
Tullio coniato il denaro e che questo aveva di peso quattro
scrupoli sopra quello dei tempi suoi (ap. Charis. Inst.
(Iramm. I p. 103 ed. Keil): Nwinmum argenteum flatum
frimum a Servio Tullio clicunt: is Ili l scrupulis maior
fuit quam iiunc. Patto adunque lo scrupolo uguale a
gr. 1,12 ne segue che i sette scrupoli siano pari a gr. 7,84.
Ho notato altra volta il grave errore del Borghesi (Oeuvr.
II pag. 287) seguito dal Mommsen [H:de la m. II p. 26 ed.
Bl.) che facevano di quattro scnipolì il denaro di Servio,
quasi ohe Varrone avesse scritto: js 1 1 1 1 scrupulis (constans)
maior fuit quam nunc est, cum constai Iribus. Varrone
dice chiaro che quel nummo valeva quattro scrupoli di
piìi che il denaro dei tempi suoi, che ne valeva tre; e
quattro più tre fanno sette.
Il duca di Luynes videil vero senso {Le nummus de Ser.
Tullius, 1859 p. 6 ed. sep.), nel che fu poi seguito dal Mom-
msen (op. cit. I pag. 243 nota), ma non fu felice nella scelta
del nummus di Servio. Il Mommsen (loc. cit.) invece con-
dannò Varrone per aver confuso il nummvs greco d'argento
la cui decima parte è la libella d'argento col nummus de-
narius romano che valse dieci assi di bronzo.
Il duca di Luynes dal canto suo non trovandosi bene ai
conti, perchè i due nummi prescelti non pesavano sette
scrupoli, sibbene undici, si volse alle monete di Alba e
di Segni che prese col Mommsen per le Hbellae e sem-
lieiiae d'argento, dal cui peso di gr. 1,100 ; 1,115 ; 1,283 ecc.
dedusse che il nummo serviano doveva pesarne 11,99 (ed.
cit. p. 12, 13), che è il peso predetto delle sue due mo-
nete credute serviane. Ma se è vero che queste monete val-
gono l'obolo e il diobolo tarantino, come in altro luogo
sostiene il Mommsen, come potranno tenersi per la decima
e vigesima parte della unità maggiore?
Varrone parla di nuovo del nummus argenteus antico nel
libro V de L. L. (§ 173, ed. Muller) e dice, che la sua maggiore
unità valeva dieci assi di bronzo e però dicevasi denarius,
la sua metà ne valeva cinque e denominavasi quinarius,
alla quarta parte che valeva due assi e mezzo davasi nome
di sestertius : la decima parte si appellava libello, perchè
valeva una libbra di bronzo, e così la metà della libella
avea nome scmbella e la quarta rispondeva al teruncius
(issis, perchè valeva tre once di bronzo.
Il Mommsen dice impossibile il dimostrare che queste
monete siano mai realmente esistite: il est impossible de
démontrer qu^elles aient jamais léellemént existó ; non
pertanto riconosce che i Populoniesi ebbero le tre divisioni
dell'argento, il denaro X, il quinario A, e il sestertio HA.
Egli però non potè' dimostrarlo che unendo insieme tipi
diversi. Non era ancora noto che vi fu una volta una serie
di queste tre divisioni, X, A, HA, col medesimo tipo, che
è quello della Gorgone (v. la T. LXXII un. 2-4). II Mommsen
credeva ohe il numero X in luogo del XX non avesse altro
esempio che in una sola moneta del Museo di Berlino, e
però dichiarollo sbaglio dell'incisore. Non conosceva la metà,
ohe si mostra oggi anche nel Museo di Londra, e presso il
Mazzolini in Campiglia; non seppe del sesterzio e ohe queste
tre divisioni esattamente si corrispondono di peso. Inoltre
che levavansi, come dimostrai altra volta, contro la sen-
tenza di lui non pochi esemplari che se ne hanno nelle
collezioni pubbliche e private e sono di coni diversi. Ne
le frazioni inferiori avrebbero ragione di essere, se si trat-
tasse di sbaglio dell'incisore, il quale avesse scolpito X
in luogo di XX. Vi fu dunque una volta un nummus ar-
genteus colle divisioni della metà e del quarto : la serie è
anonima, né finora vi ha riscontro di nummi denarii col
tipo della Gorgone che abbiano segui o tipi al riverso, come
li hanno i nummi dei due X. Diremo noi che sia questa
la moneta coniata da Servio ? Se alcuno il dicesse non sa-
premmo ohe opporre. Dimostrai tempo fa le origini etrusche
del re Servio Tullio, messe fuori di controversia dalla sco-
perta delle pitture vulcenti. I fasti trionfali e' insegnano
che egli fu di frequente in Etruria e la guerreggiò, e ne
ottenne non meno di tre trionfi negli anni 182, 186, 190.
Cicerone potè' quindi con verità scrivere che Servio vendicò
T. LXXYIII
LATIUM, EOMA
63
colla guerra le ingiurie degli Btrusclri: Eltuscoriim iniurias
Mio est V'Itus (de rep. II e. 21), e Livio narra ohe Servio
mosse guerra ai Veienti e ne mise iu rotta uu esercito
sterminato (Liv. I, 42), fuso ingenti hostium exercitu. Può
quindi ben essere che per le spese di guerra abbia in
Etruria battuto l'argento che l'antichità gli attribuisce.
Eoma intanto non aveva propria zecca e Livio potè'
asserii'e che l'anno 350 non si era ancora in questa città
battuto argento (L. IV, 60): nonchim argcntum signalum
erof. nel che pienamente sottoscriviamo al parere del barone
d'Ailly (Beclìcrches sur la monnaie romaine, T. Ip. 160),
col quale anche ci troviamo d'accordo per concedere a Roma
la propria monetazione di argento e di oro prima dell'epoca
indicata da Plinio. Il d'Ailly die' ragione ai PP. Marchi e
Tessieri sostenendo, appoggiato anche all'autorità del Bor-
ghesi, che la serie di monete d'argento e di bronzo colla
epigrafe ROMA e ROMANO, le quali si vogliono da altri
battute nelle zecche campane, siano invece state emesse
dalle zecche del Lazio : egli pure si attiene al parere già
da altri emesso, che i bifronti d'argento col Giove in qua-
driga e fulminante al riverso siano stati emessi dalla zecca
di Koma prima dell'epoca additata da Livio (Epìt. 15) e
seguita da Plinio (loc. eit.). Le ragioni da lui allegate ci
paiono solide e specialmente notiamo quella, che deriva
dalle restituzioni di Traiano. Imperocché consta che Tra-
iano restituì le monete della repubblica battute in Eoma :
e non avrebbe con esse riprodotto il bifronte col Griove
fulminante al riverso, e solo esso, se non fosse stato certo
che quella moneta al pari delle altre da lui riprodotte era
coniata in Eoma. Il peso primitivo della sua unità mag-
giore è di . sei scrupoli che si divide in due metà di scru-
poli 3 ciascuna (Tav. LXXVIII, 18, 22).
CoU'argeiito è d'uopo dire che si battesse anche l'oro:
ma noi non conosciamo di questo metallo che l'aureo, i cui
tipi furono poi riprodotti dallo zecchiero Ti. Veturio nei
primi anni del secolo settimo di Eoma. Noi abbiamo anche
la sua metà in oro e in elettro, e lo deduciamo dal peso,
non portando segni di valore. La maggior unità pesa otto
scrupoli e la metà ne pesa quattro. È però venuto fuori
un esemplare, che al peso di scrupoli quattro e ai tipi
predetti congiimge singolarmente la nota di valore : questo
è il numero XXX. Dal primo possessore che fu il nego-
ziante Sibilio se ne diede tosto ragguaglio al Borghesi, il
quale vedendo che quel nummo pesava una sestula o sia
la sesta parte di un' oncia opinò che nel numero XXX si
dovessero ravvisare trenta sesterzi! Egli però non s'avvide
che facendo il valore di quattro scrupoli d'oro uguali a
trenta sesterzi d'argento si abbassava di troppo H valore
dell'oro, un cui scrupolo si pareggiava così a sette scrupoli
e mezzo, essendo noto che pochi anni dopo uno scrupolo
d'oro valeva venti sesterzi d'argento, mentre egli il faceva
valuto prima sette sesterzi e mezzo. Il Mommsen andò
iu altra sentenza: perocché considerando che il sesterzio
non precedeva l'epoca della nuova divisione del denaro in-
trodotto per legge del 485, stimò che il numero trenta
dovesse valere trent'assi del peso librale. Ma egli non si
avvide, che così ammetteva un rapporto incredibile fra l'oro
e il bronzo, stabilendo che uno scrupolo d' oro stesse in
proporzione con 1800 scrupoli di bronzo che si hanno dalla
somma di sette assi librali e mezzo, dopo di aver posto,
quantunque erroneamente, che il peso effettivo dell' asse
era di gr. 240 (').
A sciogliere il nodo era d' uopo supporre che 1' aureo
fosse stato battuto allorché l'asse romano erasi diminuito
fino a quasi un'oncia. Ma in tal tempo erasi già emesso
il sesterzio e ragion vuole che le note di valore dell'aureo
si riferiscano all'argento quando questo vi è non al bronzo.
Se si vuole adunque ritenere l'alta età dell'aureo e met-
terlo al pari dell' argento' che porta il tipo medesimo, si
dovrà dire che il XXX riguardi la minore unità d'argento,
che é la metà del nummus col bifronte e il Giove fulmi-
' nante in quadriga, non essendosi in quella età battuta ve-
runa frazione inferiore. Così uno scrupolo d'oro varrà sette
minori unità e mezzo, cioè l'oro starà all'argento come uno
scrupolo a ventidue e mezzo, essendo ciascuna minore unità
del peso di due scrupoli ; ovvero supponendo diminuito di
poco il peso del nummus, come di fatti si trova per espe-
rienza, starà come uno a venti. Si deduce quindi che il
numero XXX segnato sull'aureo non vale trenta sesterzi
come pensa il Borghesi, e non vale neppure trenta assi
librali, ma sì trenta minori unità del nummus argenteus
diminuito (vedi appresso), che sono pari a trenta quinarii
primitivi della romana monetazione.
A parere del lodato barone d'Ailly il denario e gli aurei
romani coi propri spezzati furono emessi insieme al tempo
'della nuova monetazione assegnata da Plinio al 485; ma
egli stima che questa cominciasse ad emettersi quando si
crearono i triumviri monetali, che a detta di Sesto Pom-
ponio furono instituiti insieme coi triumviri capitales (de
orig. iuris. leg. Il) : constituti sunt eodem tempore et trium-
viri monctales aeris argenti auri flatores et triumviri ca-
pitales, qui carceris custodiam haberent; e si sa dalla Epi-
trtmeXl di Livio che costoro furono creati nel 465: Triumviri
capitales tunc primum creati sunt.
Ma Pomponio assegnandole il 465 commette a giudizio
del Mommsen (pag. 47) un errore manifesto. E quale ? Egli
non lo ha detto, ma si può congetturare che sia di aver sup-
posto i triumviri monetales prima che si fosse stabilita la
zecca sul Campidoglio nel tempio della Griunone Moneta
donde trassero la denominazione di monetales, essendosi
quel tempio costruito quando erasi dichiarata la guerra a
Pirro e ai Tarantini : ir t'ìi rtoòi lliSgov xcà TaoavTtrovg
(') n Mommsen suppone che l'asse romano pesasse allora dieci once
e l'oncia fosse di grammi 20 J- Ma l'esperimento preso dal barone d'Ailly
dimostra che gli assi di allora generalmente arrivano a grammi 312 pari ad
once 11 gr. 24. Una tale somma di fatti si raccoglie da 288 scrupoli. Inoltre
avverte che la maggior parte dei sestanti e delle once si riportano all'asse
di 12 once effettive. Tarrone ha pur detto che la moneta anteriore alla prima
gnerra punica pesava 288 scrupoli {D. r. Tust. L. I e. 10): Jugermn habel
scripula 288, quantum as antlquus noster ante bdium punicum pendebai.
64
LATIUM, KOMA
T. LXXVIII
noXs'fKii (Snid. v. ,itoi');T«). A noi non par strano che Pom-
ponio possa aver nominati monetales questi triumviri col
nome divenuto dipoi solenne, e niente osta, che sia stato
creato un collegio di tre, coll'antico nome di collegium
aerarioruin fabrum di numero non definito per legge. Ne
il Mommsen trova improbabile che si battesse in Koma
l'argento prima dell'epoca pliniana al tempo della guerra
di Pirro (p. 30): « Rien ne prouve que l'établissement de
l'atelier monetane dei Romains dans le tempie de Junon mo-
neta ne coincide pas avec l'epoque de la guerre de Pyrrhus
et par conséquent avec l'émission de la mannaie d^argent » .
Egli è certo che prima della nuova creazione la moneta
d'argento e di bronzo erasi diminuita di valore effettivo,
l'asse semissale era calato a quadrantario , il bifronte dai
sei scrupoli era disceso a quattro. Noi ne abbiamo le prore
in quanto alla diminuzione del bronzo : un' oncia ribattuta
sopra una moneta di Gerone II (Tav. LXXIX, 35; d'Ailly
op. cit. i. II p. 135) del peso di gr. 5, 61, 22, la quale
non può antecedere il 478, quando G-erone cominciò a re-
gnare, né può essere posteriore al 485, allorché l'asse era
disceso al peso di due once e si diceva sestantario. D'al-
tronde sono notissimi nei musei gli assi del peso di un
semisse e di un quadrante; di che rendono piena ed au-
tentica testimonianza le diligentissime ricerche del eh. ba-
rone d'Ailly (v. voi. I pag. 47, 48 e 155).
In quanto al nummus argenteus col bifronte e il Giove
fulminante in quadriga ecco il risultato degli studi fattivi
dal prelodato d'Ailly (op. cit. pag. 159). Il suo peso mas-
simo, però eccessivo per esuberanza di metallo (pag. 180),
é di gr. 8,03, il minimo è di gr. 4,27. Egli ne ha pesato 99
colla leggenda ROMA ineusa, 56 colla leggenda in rilievo ed
ha notato che i primi variano di peso da gr. 6,77 a gr. 5,70:
e che i secondi stanno tra i gr. 6,82 e 4,27. La mia
privata collezione ne novera dodici e di questi sei con leg-
genda ineusa e altrettanti con leggenda in rilievo. Lo scan-
daglio fattone conferma i dati del d'Ailly, in quanto che
sì gli uni come gli altri non vanno al di sopra di gr. 6,60:
ve n'è anche rmo con epigrafe iuousa (Tav. LXXVIII, 21)
che pesa gr. 4,30 poco più di quello di gr. 4,27 con leg-
genda in rilievo pesato dal d'Ailly. Dalla quale esperienza
si può dedurre che gi'incusi o non hanno precedenza di
tempo come ha opinato il d'Ailly, sugli inscritti in rilievo,
ovvero, che non si è cessato di coniarne anche quando il
peso era diminuito ; lo che si dimostra vero anche per altro
argomento. Nel tesoretto di Mas era si trova un denario col
tipo dei Dioscori e l' insegna dell' àncora orizzontale (Tav.
LXXVIII, 25) ribattuto sopra un bifronte con la leggenda
ineusa ; è ben conservato e di buono stile ; il suo peso è
di gr. 4,90. I denari coi Dioscori e senza simboli di questo
ripostino non superano di peso i gr. 4,40 : dei 75 che hanno
simboli, nessuno eccede il predetto peso di 4,40.
Colla legge del 485 fu determinato che da una libbra
di argento si tagliassero 72 denari e però che il denaro il
quale risultava del peso di 4 scrupoli si divideva in qui-
narii e sesterzi! : così denominando dal corrispondente va-
lore del bronzo l'unità maggiore d'argento, la sua metà è
la quarta parte. L'oro fu egualmente diviso in tre frazioni
da tre scrupoli ad uno, di modo che la maggiore unità
pesasse soli tre scrupoli, i due terzi 2 e l'un terzo 1, va-
lendo ogni scrupolo 20 sesterzii di argento. Queste porzioni
dell'argento e quelle dell'oro portarono il tipo medesimo
dell'un tà maggiore; i segni numerici per l'argento furono
il X, il V, e il US ; per l'oro il LX, il XXXX, il XX. Ma
quanto alla proporzione dell'argento al bronzo, questa, come
si è di sopra notato, sarebbe incredibile, se non si dovesse
supporre, ciò che altronde sappiamo, essersi con questa
legge abbassato il valore reale dell'asse, onde avvenne che
il sesterzio non stesse alle due libbre e mezzo di peso ef-
fettivo, cioè a gr. 830, posto l'asse di gr. 336 della libbra
effettiva, ma a gr. 224 dell'asse quadrantario o piuttosto a
gr. 280 dell'asse trientale.
E possiamo aggiungere, che quando il valore del num-
mus si abbassò a 4 scrupoli gli si aggiunse una minore
unità, della quale abbiamo due esemplari l'uno nella col-
lezione Priedlaender di peso ignoto, l'altro nel Museo- di
Napoli nella collezione Santangelo del peso di gr. 0,96: il
suo tipo è il bifronte da un lato e un cavallo sfrenato dal-
l'altro colla epigrafe ROMA.
Donde anche si deduce che era impossibile l'esistenza
del sesterzio prima del 465 o del 485. Noi abbiamo di
fatti veduto che l'argento, il bronzo e l'oro altrimenti si
corrispondevano, allorquando era coniato un nummo d'ar-
gento del peso di sei scrupoli e la sua metà di scrupoli tre.
Se l'oro fosse stato battuto la prima volta 62 anni dopo
dell'argento, come dice Plinio, non gli corrisponderebbero
che gii assi ridotti al peso effettivo di un' oncia. Or noi
abbiamo aurei che portano per simbolo il ferro di lancia
il bastone nodoso, il pentagono, l'ancora, e però si corri-
spondono cogli assi sestantarii impressi coi simboli pre-
detti. Adunque l'oro non si cominciò a battere dal 547, e
viceversa dopo il 537 epoca dell'asse onciale non si ebbero
piti aurei, non trovandosene alcuno che ripeta i simboli
impressi su quegli assi onciali, o denari di 84 alla libbra.
Per tutto ciò siamo certi ohe i magistrati romani che
battono moneta non cominciano ad imprimere i simboli
verso l'anno 553 ossia verso la fine della seconda guerra
punica, come ha stabilito il Mommsen p. 43; anzi è di-
mostralo che e simboli e nomi in monogramma si hanno
nell'epoca dell'asse sestantario. Siane esempio il denario
col monogramma A/ e quello con A'E e con PX , e quei ohe
portano una delle lettere Q, V, l- acuto, per ometterne altri
di peso non ancora accertato. Sappiamo anche che Plinio
confuse il tipo primitivo del nummus denarius con la mo-
netazione iniziata al 485, se scrisse che nota argenti fueri'
bigae atque quadrigae. Le quadriglie su questi denari fu-
rono impresse verso la fine del secolo VI e le bighe con
la Diana anche dopo. I denari romani dal 485 in poi eb-
bero per tipo, fino ad un certo tempo costante, i dioscori,
e così i quinarii, e i sesterzii.
Perocché i primi denarii si tagliarono a 72 per libbra.
T. LXXIX
LATIUM, ROMA
65
come si è detto, e però pesarono gr. 4,50; che poscia siansi
diminuiti a gr. 3,86 il proviamo dal fatto, concliiudendo
che se ne spezzavano perciò 84 da ciascuna libbra. Questa
diminuzione avvenne con ogni probabilità nel 537 quando
l'asse fu ridotto ad un' oncia (d'Ailly, T. Il parte I p. 114).
Si è cominciato a dubitare della origine del vittoriato
stabilita dal Borghesi al 527 dopo il trionfo sull'Illirico.
Questa regione batteva la dramma; non altrimenti che Mar-
siglia: sicché il vittoriato corrispondendo di peso alla dramma
deve essere slato consigliato dal bisogno del commercio coi
popoli confinanti dei due mari il Mediterraneo e l'Adriatico,
l due depositi quello di Eiccia e il più recente di Maserà
ci hanno dimostrato, che quantimque si fosse introdotto dai
Eomani col vittoriato il denaro e le sue frazioni, nondimeno
si preferì in quei luoghi il comodo uso del vittoriato, sicché il
denaro vi aveva poco o niun corso. Le monete dei primi 100
armi sono state trovate in questi tesoretti o conservate o
ruspe mentre i vittoriati sono logori al maggior segno. In
Ispagna e forse anche in Italia si coniò un doppio vitto-
riato che pesa 6 scrupoli, quanto cioè il primitivo num-
ìiìus argenlcus di Roma. Il vittoriato é stato impresso a
Corfìi conquistata dai Eomani nell'anno 525, e vi si è bat-
tuto anche il quinario.
Pare certo che le "prime emissioni di vittoriati fossero
fatte a scopo di provvedere in modo speciale e abbondan-
temente di tale moneta coloro che commerciavano imme-
diatamente coi popoli dei due mari, presso i quali era in
voga la dramma. E si conferma considerando che con co-
testi vittoriati non sono stati trovati quinarii né sesterzii,
ma 0 sono stati trovati soli, come a Taranto, ovvero in-
sieme coi soli denarii.
14. Nel Museo di Marsiglia. Bifronte imberbe coronato di laurea.
/?. Due uomini armati di lancia e di spada l' uno senza
barba e in corazza, l'altro barbato e in corta tunica feri-
scono colla punta dei loro pugnali una porchetta tenuta sulle
braccia da un ministro cho ha piegato un ginocchio e guarda
l'uomo che è a destra, significando con ciò che è colui che
parla : nell'esergo ROMA. Ho prescelto questo esemplare fra
quei che si trovano nei musei in memoria dell'amie 1854 nel
quale cominciai da Marsiglia lo spoglio dei musei numisma-
tici di Francia. Il suo peso è di gr. 6,72 cioè di 6 scrupoli.
15. Nel Kireh. I tipi sono quei medesimi che nell'aureo prece-
dente. Pesa gr. 3,36 cioè 3 scrupoli.
16. Nel Museo Vaticano. I tipi sono gli stessi dei due am-ei
precedenti, se non che sotto al collo del bifronte è segnata
la nota del valore XXX. Pesa gr. 4,46 cioè 4 scrupoli meno
due centigr.
17. Nel Kirch. Bifronte come nei numeri precedenti. B. Giove ful-
minante in rapida quadriga. Elettro delpeso di gr. 2,60 a 3,20.
18-23. I tipi di questa serie fino al n. 23 sono gli stessi che
nell'elettro del n. 17. Bifronte imberbe. R. Giove fulmi-
nante in quadriga guidata dalla Vittoria. Nel n. 18 solo si
vede aggiimta una spiga di grano al tipo del riverso ; l'epi-
grafe ROMA è in incavo nei nn. 19, 21. Nel n. 22 che
rappresenta il quinario o mezzo denaro primitivo la qua-
driga è volta a sinistra: quello di mia collezione pesa gr. 3,20.
11 n. 23 è un bronzo inargentato. Di questo metallo se ne
trovano in certo numero e anche senza traccia di argento,
di tal che si è creduto che si fosse battuta una moneta
di rame con questi tipi.
24. Coli. Santangelo. Bifronte. lì. Cavallo galoppante a destra:
sotto ROMA del peso di gr. 0,96. È quindi una hecte la
cui unità maggiore avrebbe da unire al tipo del bifronte
(nn. 14-23) quello del cavallo libero, che si ha nei nummi
della Tav. LXXVII, 4-8.
25. Nella mia coli, dal deposito di Maserà ora passato nel
Museo di Napoli. Testa di Eoma con elmo alato e a testa
di grifo, con pendenti e collana: dietro la nota X. R. I due
Dioscori con le lance impugnate correnti a cavallo verso
destra : di sotto vm' àncora, nell'esergo ROAAA. Moneta ri-
battuta sopra un nummo che aveva il tipo del bifronte,
del quale rimane un sicuro vestigio nel taglio e contorno
del collo sul riverso, e al dritto resta la metà della epi-
grafe ROMA incisa in incavo misto e retrograda. Il peso
di questo denaro è di gr. 4,90. Il barone d'Ailly ha pesato
29 esemplari con la leggenda in incavo ed ha notato che il
maggior peso è di gr. 6, 77, il minore di gr. 5,70. Ha
pesato anche 56 esemplari colla leggenda in rilievo e scrive
che vanno da gr. 6,82 a 4,27 (Recherches voi. I p. 159,
160). Un mio esemplare (u. 21) con leggenda in incavo
pesa gr. 4,30, come ho già notato nella dissertazione pre-
messa, la quale gioverà di leggere a schiarimento delle
monete che ho distribuite e descritte in questa Tavola e
descriverò nella seguente.
Nella qual dissertazione non trovo nulla da cambiare
dopo di aver letta la nuova distribuzione che se ne è pro-
posta dal De Petra. Qualche lieve differenza nelle somme
parziali degli esemplari, se vi è, può spiegarsi per la tu-
multuaria aggiunta di quei denari e vittoriati che vennero
rimessi da Maserà quando si volle che fosse il tesoretto
materialmente intero.
Ta^'. LXXIX.
1-4. l nn. 1, 3, 4 sono dal Kircheriano; il n. 2 è dal Blacas
(H. de la monn. IV pi. XXIII, 11). Il peso di questi aurei
è di due e di uno scrupolo, cioè \^X di gr. 3,36; XXXX
di gr. 2,24 e XX di gr. 1,12. Il n. 2 porta per insegna
una clava, o bastone nodoso, che si trova anche sui denari,
sui vittoriati e sull'asse che è sestantario, alla cui epoca
debbono assegnarsi, mentre gli assi sestantarii cessati nel 537
dimostrano il limite estremo di emissione.
5. Dal deposito di Maserà. Testa di donna con pendenti e col-
lana coperta di galea alata: dietro X. R. I due diosco ri
con lancia abbassata corrono cavalcando a destra : di sotto
ROMA di rilievo sopra fondo incavato. Pesa gr. 4,30. Questa
maniera di conio che consta insieme del rilievo e dell'in-
cavo e la diremo per ciò forma mista, è stata avvertita
anche dal barone D'Ailly (V. Recherches pi. XLIV, 4).
6-8. Denaro quinario e sesterzio primitivo del peso di quattro,
66
LATIUM, KOMA
T. LXXIX
due e uno scrupolo, colle note del valore X, V, US e l'epi-
grafe ROAAA.
9, 10. Dal deposito di ilaserh, è tratto il vittoriato ohe dò qui
inciso, n. 8 ; ma il semi-vittoriato n. 9 l' ho preso dal
duca di Blacas. In ambedue manca la cifra S a destra del
trofeo la quale in due esemplari del Borghesi appariva
evidentissima (Decad. XVII ; Oeuvr. t. II pag. 295 ):
Il peso di cotesti due esemplari era di grammi 1,44, 1,48.
Ora non li trovo nel catalogo che di questa insigne col-
lezione borghesiana si è stampato in Eoma 1881 ; ne alla
pag. 112, dove erano da cercarsi, uè altrove.
11. Il Blacas ne ebbe l'impronta dal sig. Zobel di Zangroniz,
e lo die' inciso. Dopino vittoriato del peso di gr. 6,37.
12. Dal Blacas (ft, IV pag. 28 pi. XXXIII, 4), comunicatogli
dallo Zobel: vittoriato nel quale la leggenda è incusa, di
che se ne conoscono tre esemplari del peso di gr. 2,99;
3,11; 8,47.
13. Nella coli. mia. Testa di Apollo a destra. Pezzo ribattuto
sopra il tipo di una testa coperta di elmo del quale ri-
mangono le vestigia. R. Vittoria che incorona un trofeo:
nell'esergo ROMA ; nel campo L. Nel 650 il vittoriato si
uguagliò al quinario, che portò per tipo la testa di Giove
ovvero come qui di Apollo sul dritto, e la Vittoria sul
riverso. A darne un esempio ho prescelto questo mio,nummo,
perchè il d'Ailly non s'imbatte' mai, nella serie dei vittoriati
distinti con lettere monetali, in veruno che portasse un L.
Questa lettera poi è di forma normale quadrata; perchè tale
paleografia si usava in questo secolo settimo di Eoma.
14-16. Al tipo costante dei Diosoori succedettero nei denari i
tre tipi che ho espressi qui, la luna in biga in atto di
guidare soltanto, poi, n. 15, in atto di maneggiare la frusta:
in terzo luogo, n. 16, dove alla luna è sostituita la Vitto-
ria in atto di sferzare i cavalli che guida.
17. Un quarto tipo succeduto a quello della luna fu la Diana in biga
di cervi colla faretra alle spalle e una fiaccola accesa nella
destra. Nel basso v'è per insegua monetale l'astro falcato.
18. In quell'epoca, che diciamo dei segni monetali anteriori alle
iniziali dei nomi del magistrato, venne l' idea del denaro
a contorno dentato. Il magistrato che l'emise vi pose per
insegna una ruota a sei razzi.
Non è né può essere nostro pensiero di inchiudere nella
nostra raccolta i tipi delle monete introdottivi dai magi-
strati ai quali era commesso di batter moneta. La è questa
una branca di numismatica che per uso si tratta separa-
tamente. Nondimeno dopo gli esempi dei tipi introdotti suc-
cessivamente dalla repubblica ho voluto dare un qualche
saggio dei tipi triumvirali e a tal fine ho prescelto i primi
quattro denari (nn. 19-22), e se ne vedrà il perchè nelle
note seguenti.
19. 20. Testa galeata di Eoma, dietro la nuca un vaso ad im
manico creduto orciuolo dei sacrifizi, ma dichiarato dal Bor-
ghesi {Oeuvres,Y, 130) per la mulctra o vaso da mungere
il latte. Donde acutamente il Borghesi arguisce che Fosthis
sia piuttosto cognome del Sesto Pompeio autore della me-
daglia che del pastore. R. La lupa che allatta i due ge-
melli a pie' di un albero sul quale si è posato un uccello
mentre il pastore Paustolo guarda con stupore i gemelli
alle poppe della lupa: in altri esemplari si legge accanto
il nome FOSTLVS che qui è uscito di conio, il nome del
magistrato monetale è Secctiis Pompenos che vi si è e.-presso
nel n. 17 colle lettere SEX. POM e nel n. 20 con erronea
metatesi SEX- PMO. Neil' esergo è ROAAA. Questa sigla
POAA è ora la prima volta che si legge sull'argento. Brasi
stabilita in fatti questa differenza fra la moneta di bronzo
di questo magistrato e quella di argento: che il bronzo
leggeva sempre POW\ e 1' argento invece sempre PO. Or
questa differenza non si sosterrà più per i due esemplari
del deposito di Maserà, che ci danno sull'argento una volta
POAA e un' altra per errore PMO. Al Cavedoni v enne in
mente che si potessero attribuire queste monete alla fa-
miglia Pomponia o Pompilia [Saggio d'osserv. p. 17 ; Appena.
p. 147) ma il Borghesi rifiutata la Pompilia si dimostra
convinto che sia la Pompeia, e assegna questo Sexto che
crede figlio di un Pompeio bisavolo di Pompeio Magno alla
prima metà del secolo VII [Oeuvr. II pag. 129 segg.) avanti
alla legge Petronia.
21. Dal deposito di Maserà. Il monetiere Veturio adottò per
proprio tipo un Marte nel dritto e nel riverso quel tipo
di feda'azione ohe abbiamo osservato negli aurei primitivi.
Dicono che il facesse in memoria del suo antenato T. Ve-
turio Calvino, nel cui consolato (a. 420) ai Sanniti e ai
Campani fu accordato colla pace il dritto della città sine
suffragio (Veli. 1, 14): Campanis data est civitas partique
Samniliurn sine suffragio; ovvero per la pace conchiusa
coi Sanniti alle Porche Caudine nel 333 (Liv. IX, 1) : nu-
hilis clade romiina Caudina pax (cf. H. de la rnonn. ed.
Blac. II p. 806). Il nostro denaro ci toglie dall'incertezza
in che ne lascia la descrizione mommseniana, dubitando egli
se la testa sia di Marte giovane ovvero della dea Eoma.
L'accenno delle basette in cotesto fior di conio mostra in-
dubitato, che è un Marte. E tanto ci si conferma dal con-
fronto di questo nummo con altro della guerra Marsica
(Tav. CXI, 21), che il Cavedoni stima sia stato dagli Italici
copiato (ad Carell. tab. CCII n. 26), dove la guancia del
Marte è tutta fiorita. È da notare che qui i due guer-
rieri del riverso sono in punta d'armi, laddove nell'aureo
colui che indossa la corazza ha in mano una corta lancia
rovescia e nella sinistra la guaina colla clamide o palu-
damento: qui invece egli si appoggia alla lancia e porta
la guaina del parazonio a tracolla. Porse col tipo dell'aureo
si volle esprimere una federazione per la quale si accordò
ai Campani la cittadinanza : e nel denaro di Tiberio Vetu-
rio si è inteso invece di esprimere la pace caudina avve-
nuta stando ambedue i popoli sotto le armi.
22. Dal deposito di Maserà. È il riverso di un denaro di P. Cal-
purnio, che nel dritto porta la testa di Eoma e dietro alla
nuca la nota del valore X. I numismatici non san dire
quale divinità sia quella che va in biga e vi è coronata
dalla Vittoria. Pure si ha da considerare quell'astro ad otto
raggi che un dei cavalli porta impresso sul fianco. Il
T. LXXX
LATIUM, EOMA
67
Mommsen, il De Witte e il Blacas [fi. de in monn. II,
IV pag. 41) lo hanno creduto ed espresso qual nota del
denaro, e dicono perciò che questa nota X vi si trova due
volte, dietro la testa di Koma e sul fianco del cavallo. Ma
da quando in qua si sono avute note di denari ad otto raggi?
Inoltre appare ben chiaro un globo nel centro: le quali
due pai-ticolarit^ vietano che si prenda per X nota di va-
lore. Esso è dunque un astro, che definiremo con tutta
verosimiglianza pel pianeta della dea Venere, che va in
biga. Il trovarsi poi sul fianco del cavallo ha buon riscon-
tro nelle monete di Napoli, dove vi si vede piìi volte un
astro sul fianco del bue androprosopo (Tav. IXXIX, 14,
LXXXIII, 1). A questa dea infatti sta bene la ricca treccia
di capelli che le scende sulle spalle, cosa notata anche dal
Borghesi {Oeuvres I, p. 141). Questi però non ha creduto
che fosse Venere, ma che con quella donna in biga coro-
nata dalla Vittoria si alludesse ad un trionfo marittimo :
e di questa sua spiegazione allegò per tutta prova il del-
fino. Pertanto questo delfino del Borghesi non si è mai
veduto su questi denari, se non è forse che la coda di imo dei
cavalli ha potuto sembrare un delfino. Il Publio Calpurnio
non ci è noto: può pertanto proporsi per congettura il P. Cal-
purnio Lanario che viveva nella seconda metà del secolo
settimo, perchè nel ripostiglio di Maserà nascosto certa-
mente prima del 630 se ne sono trovati otto esemplari e
tutti ruspi. A ragione dunque gli si è assegnata un'epoca
pili antica, nella quale potè esercitare la sopraintendenza
della zecca solita darsi ai giovani sui primordi della loro
carriera politica.
2:3. Dal deposito di Maserà. Testa di Eoma coperta di elmo
alato : dietro la cui nuca è un' urna senza manico con co-
perchio terminato a cono dalla cui cima penzola il fiocco
del nastro che serve a sollevarlo. R. Donna iu, quadriga
veloce con in mano un'asta che ostenta eolla d. un pileo
conico privo di gronda. Nel basso C* CASSI ; nell' esergo
ROMA.
24. Nella coli. mia. Testa di donna coronata con segno di con-
tromarca sul volto: a sinistra si legge LIBERT, a destra
Q. CASSIVS. R. n tempio perittero di Vesta, con dentro
una sedia curale: nel campo a sin. una sitella, a destra
una tavoletta colle lettere A C (Absolvo, Condemno).
Questa moneta oltre alla singolarità della contromarca
che nelle monete dei Cassii non ha finora altro esempio è
stata da me qui incisa pel confronto della moneta n. 23,
la cui spiegazione ho data nel Periodico dello Strozzi e
nella Civ. Cattolica, dove dimostro che C. Cassio nel tipo
n. 23 vanta la legge tabellaria proposta dal padre suo re-
lativa alla libertà del suffragio nei comizii , e Q. Cassio
col tipo del n. 24 mentre ricorda questa medesima legge
fa pompa insieme del celebre giudizio delle Vestali che
rese famoso il suo antenato.
25. Nella coli, del bar. d'AiUy {Recherc.hes, t. I pi. XLI, 8).
Testa di Koma doppiamente impressa per sbalzo di conio.
R. Prora di nave battuta sopra il tipo del tridente che suole
vedersi nelle monete di Gerone II: di sotto vi è il glo-
betto segno dell'oncia. Pesa gr. 6,70. Il lodalo sig. d'AiUy
se ne giova a dimostrare che questa oncia non si sarebbe
potuta coniare prima del regno di Gerone, che esordi al 478
né dopo il 486 epoca dell'asse sestantario che ridusse alla
quarta parte il peso dell'asse. A ragione quindi si deduce
che vi fu in tal tempo una diminuzione dell'asse trientale a
quadrantario o sia di tre once.
26-33. Nella, coli. mia. Bifronte barbato e coronato: di sopra,
il segno della libbra, R. Prora di nave a d., di sopra ramo
di lauro, di sotto ROMA. La serie dell'asse sestantario non
ha in prima verun segno oltre ai tipi della repubblica; indi
cominciano i magistrati ad apporvi alcun segno, poi si passa
ad inscrivervi i nomi abbreviati. Ho qui omesso il semplice
asse e sostituito l'asse parimente sestantario che porta per
segno un ramo di lauro, per dare così insieme \m saggio
di quelle serie che portano i segni. I tipi in questa età
mai variati del bronzo romano sono questi: dopo 1' asse
descritto avanti; il semisse (n. 27) testa di Giove e al
riverso costantemente la prora della nave volta a d. ; il
triente (n. 28) testa di Minerva; il quadrante (n. 29) testa
di Ercole imberbe; il sestante (n. 30) testa di Mercurio;
l'oncia (n. 81) testa di Eoma galeata: l'epigrafe è ROMA
con l'A ovvero A, ovvero A. La mezz'oncia (n. 32) senza
veruna nota; ovvero con la nota della semoncia, che nel-
l'esemplare del Museo Vaticano da me inciso (n. 33) è gia-
cente boccone p-) a guisa di un i», ma talvolta è quasi
verticale 3 come in un sestante appartenente al sistema
semissale, del peso di gr. 23,00 privo dei due globetti che
ho nella mia collezione. La sua origine è di certo il S
greco, del quale si servono anche gli altri popoli italici
a distinzione del segno del semisse S, 5, che sogliono notare
con un s latino a linea curva od angolare.
Tav. LXXX.
1. Presso Depoletti. Moneta ribattuta sopra un semisse del quale
rimangono le tracce sicure nella prora colla epigrafe sot-
toposta ROM e nella S nota di valore. Testa di Minerva
con elmo corinzio volta a d. R. Prora volta a d. con un
delfino in rilievo presso il rostro; di sotto vi si leggono
le due prime lettere di ROMA, di sopra è la nota, 1 1, del
valore. Fu dunque, da semisse che era, battuto per dupondio
Il suo peso è di gr. 39,15. Il Mommsen {Rull. Inst. 1862
p. 49) lo assegnò all'epoca dell'asse onciale (debole o forse
alla serie semonciale, H. de la monn. T. Il p. 215 n. 1),
e soggiunge: La moneta non è certamente un triente ri-
fatto, perocché i trienti coniati più pesanti sorpassano di
poco il peso di grammi 20. Non si avvide egli dunque che
la moneta era prima un semisse. Dopo il Mommsen l'ha
pubblicato il d'Ailly il quale pensa che sia battuto sopra
un asse sestantario (Recherches,T. II p. 131). Si vede poi
riprodotto dal Blacas {H. de la monn. voi. IV tav. XVI, 3
pag. 24); ma ancor questa volta vi è omesso ogni indizio
del semisse anteriore. A riscontro di cotesto bronzo ho in
questa tavola medesima stampato al n. 25 un altro semisse
9
68
LATIUM, KOMA.
T. LXXX
il cui peso è di gr. 47,00. Ambedue dunque appartengono
ad un asse quadrautario, e il dupondio potè' essere battuto
quando l'asse era onciale.
2, 3. Do qui per saggio delle diminuzioni onciali e semonciali
i due assi nn. 2, 3, e di questi 1' uno semplice 1' altro
con emblema della Vittoria che corona un ferro di lancia.
4. Il semisse di questo numero pesa gr. 3. l'ho prescelto perchè
ignoto al d'Ailly. Esso appartiene alla serie dell'asse di-
minuito ad un quarto di oncia. Porta oltre alla nota del
valore, Semis, ripetuto un altro S sulle due facce, che non
è altro se non un segno distintivo dei conii preso dall'al-
fabeto, il qual costume ha volgari esempi nelle monete di
famiglie, ma non è finora concorde l'opinione dei numisma-
tici intorno al quando queste lettere sono da tenersi per
iniziali dei nomi di città e quando debbono reputarsi segni
dei fabbricanti dei conii. Può dirsi però generalmente che
le lettere siano iniziali dei nomi propri o delle città o dei
magistrati in tutte quelle classi di monete le cui zecche
non le adoperarono per distinzioni di conii o delle autorità
che le hanno emesse.
Segue ora una serie di piccolissimi bronzi che portano
con tipi svariati il comun delle volte lo stesso nome ROMA ;
tutti di peso inferiore ai gr. 7, il qual peso fu stabilito
dal bar. d' Ailly come ultimo limite di diminuzione del-
l'asse semonciale. Egli però crede che cotesti bronzi siano
stati battuti al 714 quando cessò l'asse semonciale, per
tutto il 715. Ma questa opinione non si sostiene. Noi ab-
biamo a modo di esempio al nostro n. 15 un bronzo che
ha per tipo sul dritto la testa di donna galeata e al riverso
un doppio cornucopia. L'ha pubblicato il PioreUi (Mon. ined.
Tav. I n. 4) fra le monete urbiche della Campania opi-
nando che probabilmente sia stato battuto verso il quarto
secolo di Koma, forse in Napoli che emise un piccolo bronzo
di peso uguale col cornucopia nel riverso (v. la T. LXXXVI
n. 10). Il Cohen Mécl. consul. pi. LXXI n. 16 p. 348
n. 40) e il d'Ailly (pi. LXXVIl, 8) dietro la testa del loro
' esemplare vi hanno veduto ed espresso un globetto, qual
segno di valore. Se è così, non si potrà questo bronzo
annoverare fra quei che il d'Ailly crede appartenere alla
riduzione dell'asse al quarto di oncia. E neppur vediamo
come si possano ridurre a questa classe quei pezzi che
portano la nota S (nn. 6, 7, 8) ovvero i tre globetti « « «
(n. 9). Intanto ne daremo la descrizione:
5. Bifronte barbato. R. Prora di nave, AMOJI (d'Ailly, LXII, 5).
6. Bifronte barbato. R. Prora di nave sopra C, sotto ROMA
(id. LVII, 7).
7. Testa di donna galeata. R. Giovane nudo che si appoggia ad
un trofeo colla sinistra e porta una clava : davanti S, dietro
ROMA (id. LXV, 8).
8. Testa con barba aguzza e capelli raccolti intorno al diadema
che li lega in massa alla cervice. R. Prora di nave, di sotto S
(id. LXV, 9).
9. Testa coperta di pelle leonina che pare doppia, ma deve essere
uno sbalzo di conio. R. Prora: sopra ROMA, a d. tre glo-
betti (id. LXV, 11).
10. Testa giovanile galeata. /?. ROMA (id. LXV, 20).
11. Testa giovanile coperta di pileo frigio. R. Prora di nave,
ROMA (id. LXV, 15).
12. Testa radiata del sole. R. Prora di nave e sotto ROMA
(id. LXV, 16).
13. Bifronte barbato colla nota della libra in cima alle due teste.
R. Vittoria con corona volta a d. (id. LVI, 111).
14. Bifronte laurealo. R. Cornucopia e a d. ROMA (id. LXXVIl, 4).
15. Testa di donna con sparsi capelli alla cervice, dietro glo-
betto. R. Due cornucopie e ROMA (id. LXXVIl, 8).
16. Testa di Mercurio col petaso alato. R. Doppio cornucopia
e ROMA (id. LXXVI, 8)
17. Testa giovanile nuda. R. Cornucopia e ROMA (id. LXXVIl, 1).
18. Bifronte barbato in cerchio di perle. R. Vittoria che corona
un trofeo (id. LVII, 10).
19. Testa barbata e laureata simile a Lucio Vero. R. Lupa che
allatta i due gemelli a pie' di una palma, nell'esergo ROMA
(id. LXV, 17).
20. Testa giovanile diademata. R. Prora di nave (id. LIV, 13).
21. Paustolo appoggiato al bastone solleva la destra. R. La lupa
che allatta i gemelli a pie' di una palma. È nella collezione
mia che il rinvenni negli scavi di vigna Velluti in Palestrina.
22. Bifronte barbato. R. Ercole stante che soffoca il leone. Da
un mio calco preso forse nel Museo di Vienna.
23. Al bar. d'Ailly parve inesplicabile questo asse coi tipi ro-
mani e con un nome greco letto da lui per metà -VCOC
(Tav. CXIII, 13). È della serie onciale pesando gr. 17,34.
Corfù potrebbe esserne la patria; perciocché nella sua mo-
netazione si serve dei tipi della mezza nave e del bifronte.
Il nome è per me quello del magistrato locale.
I Komani batterono monete a proprio conto in Lucerà
e in Canosa, lasciando ad ambedue queste città di apporvi
col nome ROMA anche l'iniziale U e KA, ovvero C, ovvero CA.
Ciò ò dimostrato dalla provenienza di cotesto monete fre-
quenti nella campagna di Lucerà e di Canosa. Vi è però
una serie ohe alle lettere predette sostituisce P ovvero un T
e questo or solo ora congiunto con un U e così il P che
si vede una volta insieme con un S su di un bronzo coi
tipi del sestante romano; Di queste diremo poi. Ora ci trat-
tiene la serie lucerina.
24. 25. Abbiamo veduto nella serie delle monete fuse di Lucerà
coi tipi romani ancora un asse ed un semisse 'del sistema
quadrautario; or qui abbiamo posto in primo luogo un se-
stante romano insignito della U iniziale di Lucerà che pesa
10,20 gr. (u. 24) e però appartiene al sistema dell' asse
trientale. Abbiamo inoltre (n. 25) un semisse di gr. 47,10
che appartiene all'asse quadrautario. Questi due pezzi co-
niati dimostrano che in tali prime riduzioni dell'asse pri-
mitivo si usò di fondere i pezzi maggiori riservando la
coniazione per gli spezzati minori. Il primo pezzo è nella
collezione mia, il secondo fu del Eiccio {Repertorio, nel
frontespizio cf. p. 30). Il mio disegno è tratto da un calco,
che ne posseggo.
26. Dall'Avellino {Bull. Arch. Napol. T. III. tav. 3 n. 3). Testa
di donna coperta di galea alata a becco di grifo e collana
T. LXXXI
LATIUM, EOMA
69
al collo : dietro è il seguo (lell'oncia, di sotto al collo im U.
R. Prora di nave di sopra ROMA, di sotto il seguo dell'oncia.
Pesa gr. 5, 36. Il tipo del dritto è simile a quello dei quinarii
e dei sesterzi! d'argento battuti nella zecca lucerina.
27-30. Coli. mia. I due quinarii, il sesterzio e il vittoriato
ai tipi romani aggiungono la lettera U, ora sul dritto ora
sul riverso: è nel dritto ai numeri 28, 29, nel riverso ai
numeri 27, 30.
31-34. Serie della moneta di bronzo coi tipi romani battuta in
Lucerà: l'iniziale U trovasi ripetuta nel dritto e nel rove-
scio, ovvero da una sola parte, di che si dà un saggio nel-
r asse e triente (nn. 31, 32), nell' oncia e nella semoncia
(nn. 33, 34).
Tav. LXXSI.
1. Nel Kirch. Testa di Apollo laureata, dietro U. R. I due Dio-
scori che hanno appuntate le lance correndo a cavallo : dì
sotto ROMA ; neir esergo la nota del quincunce. Pesa
gr. 21,20.
2. Nel Kirch. Testa di Cerere coronata di spighe. R. Vittoria
che guida una quadriga : sopra U , sotto ROMA ; nell'esergo
$••••, nota del destante, dove l' S ha il valore, che
nell'asse duodecimale romano, di significare sei, e non la
metà dell' asse decimale, come nei bronzi di Atri. Il suo
peso è di gr. 16,85. Intanto avremo imparato che i Lucerini
a marcare il valore deU'asse ebbero due modi, imperocché
0 si servirono dell'unità (Tav. LXIII, 23) ovvero della cifra
dinotante l'asse decimale che significarono con un semis
seguito da quattro globetti. Del segno della libbra, U, in
tal senso essi non si servono mai; gli Atriani sì, che fanno
anche uso in pari tempo dell' S e dei cinque globetti a
dinotare la metà della loro lilibra decimale.
3. Nel Kirch. Bronzo coi tipi del sestante romano dato per qua-
drante : sotto al collo del Mercurio v' è un U , sopra vi
sono i tre globetti ; e nel riverso ROMA e vi si ripetono
i tre globetti. Il suo peso è di gr. 10,00. L'ha dato anche
il bar. d'Ailly {Recherches, pi. CIV, 4, 5), e l'ebbe nella
sua collezione il Lovatti. Lucerà si è servita del sestante
romano elevandolo al valore di tre calchi deboli (cf. Mul-
ler, Anc. Afr. voi. I. pag. 123).
4. CoU. d'Ailly {Recherches, pi. CIV, 14). Sestante coi tipi
romani ed un L- sotto al coUo del Mercurio: al riverso,
oltre ai due globetti, vi è nel campo superiore un S. È ma-
nifesto che le due note di valore sono l'una dall'altra indi-
pendenti. Se si voleva dimostrare che il pezzo valeva due
once e mezzo si doveva scrivere •»$ come nelle monete
di Venosa, un'oncia e mezzo si scrive «S. Ma se il tipo
del sestante che abbiam veduto divenire anche quello della
mezz'oncia, doveva qui essere adoperato per semoncia, non
occorreva la nota del sestante e si doveva omettere. Brin-
disi, a quanto pare, ci ha dato un simile esempio (Tav. XCVI
n. 38) servendosi del conio di un triente sul quale hanno
impressa la lettera S, lasciando intatti i quattro globetti
al luogo dell'esergo, così nel dritto come nel riverso (v. Tav.
XCVI, 38). Conchiudasi dunque che queste monete, mentre
sono sestanti e trienti nella propria lor serie, fauno anche
parte di altra serie che ha pesi e denominazioni diverse.
Il sestante romano è insieme un S , £, cioè una metà di
altra unità che può essere probabilmente 1' obolo , la cui
metà è di quattro grammi e poco piti. In quel tempo
adunque l'hemiobolo equivaleva ad un sestante romano
ridotto.
5. Nel Museo di Vienna (cf. la coli. d'Ailly, pi. CIV, 17).
n suo peso è di gr. 3,43. Bronzo coi tipi romani del se-
stante, omesse però le note dei globetti, e sostituitovi
nel campo superiore il segno del semis £_: La lettera U
iniziale della città è sul dritto e si ripete sul riverso, dove
è anche ROMA.
6. Presso L, Sambon (cfr. d'Ailly, pi. CIV, 18). Testa di Er-
cole imberbe coperta della spoglia di leone, iiresso il mento U-
R. Pegaso a d. sopra £: sotto ROMA. Nella Tav. 75 n. 12
si trova un bronzo coi tipi che sono qui riprodotti. Lucerà
se ne è servita per tipo della mezz'oncia.
7-9. Coli. mia. Vittoriato coi tipi comuni, ma battuto in Lucerà,
della qual città porta l'iniziale U; inoltre gli si vede nel
campo del riverso im T, ovvero queste due lettere sono
insieme congiunte in monogramma nel solo riverso n. 9. Il
peso del n. 7 è di gr. 3,00; del n. 9, di gr. 2,75. Ma noi qui
non possiamo acconciarci al parere che queste due let-
tere siano iniziali di nome proprio di un magistrato, perchè
la lettera l- si legge anche sola nel vittoriato della Tav. LXI
n. 30. È notevole il riscontro fortuito di un UT suUa mo-
neta fusa (Tav. XXXIII, 1) che ho attribuito a Eieti: ivi
poi tengo per certo che siano iniziali del magistrato mo-
netale. Lucerà può ben essere entrata in confederazione
con uno dei due Teani l'Apulo o il Marruccino e seguendo
il costume avrà a tal uopo inscritta l'iniziale del suo nome
sulla moneta. D'altronde non vi ha esempio sulle monete
lucerine d'argento di nomi propri dei magistrati dissimu-
lati in sigla. A Teate hanno pensato altri prima di me (pr.
Minervini, Oss. pag. 91), mentre il Cavedoni stimolli am-
bedue nomi di magistrato {Rull. arch. nap. II, 133).
8. Nel Museo di Vienna (cf. d'Ailly, pi. CVI, 7). Testa giova-
nile coperta di galea corinzia a d. sotto U. R. Giovane a
testa nuda che cavalca a sinistra; nell'esergo RoMA, sotto
il cavallo T con la linea traversa assai logora, a sinistra S.
L'esemplare viennese è usato e pesa gr. 0,90: qifello del
d'Ailly pela gr. 0,98. La cifra S può significare metà, l'in-
tero non si è ancora veduto: ma è certo che avrebbe i
tipi propri lucerini, e non i romani. Però non dobbiamo
imaginare che questo S significhi mezzo vittoriato. La
moneta è dei tempi in che il vittoriato si sarebbe ripro-
dotto in Lucerà col tipo romano, come la sua unità.
Il Borghesi tenne che nei semivittoriati romani la cifra
IS a parer suo si doveva spiegare per un sesterzio e mezzo.
Si hanno di fatto delle monete che portano per tipo la Vit-
toria coronante il trofeo e nel campo di mezzo le lettere IS :
ma queste non hanno per tipo del dritto la testa di Giove
come i vittoriati e i veri semivittoriati (T. LXXIX, 9, 10)
70
LATIUM, ROMA
T. LXXXI
sibbene la testa di Apollo; e si sa clie queste cominciaao
ad emettersi verso il 650 quando per legge Clodia si ri-
pigliò la soppressa fabbricazione dei sesterzi! assimilali però
nel valore ai quinarii, come ho detto a suo luogo. Noi dunque
ci maravigliamo come il Borgliesi abbia potuto essere se-
guito dal Mommsen in questa sua sentenza.
Inoltre la cosa è in se assurda. Perchè se la S significa di per
se la metà, cioè un sesterzio e quarto (cf. Tav. LXXXII, 9),
a che le deve stare davanti quella unità , che il Bor-
ghesi pretende significare un sesterzio ? Conchiudasi che
queir IS ha quel valore d'iniziale, che haimo le diverse lettere,
le quali sogliono trovarsi sui quinarii tra la Vittoria e il trofeo.
Il Borghesi anche attesta {Oeuvr. 11 29.5) di avere nella sua
collezione mezzi vittoriati con la S a destra del trofeo che
è al riverso, e che una ripetizione ne vide presso il d' Nott,
che fu poi acquistata dal bar. d'Ailly (Oeuvr. t. Vili p. 206).
Ma se nel catalogo di vendita della collezione Nott non se ne fa
cenno, giova però il sapere che si è trovato anche altrove. Che
se è così, e la S dinota il mezzo vittoriato, sarà cotesta
una nuova ragione di rigettare la spiegazione di nota di
valore che si è voluta dare alle lettere IS.
10. Parigi, Gab. delle medaglie. Testa di Minerva, di sotto v'ha
la nota del valore, due globetti e U. i?. I due Dioscori colla
propria stella sul vertice, le lance nella sin. e le destre
elevate correnti a cavallo a d., sotto i cavalli T; nell'esergo
ROMA.
11,12. Testa di donna coperta di pileo frigio a becco di grifo:
sotto U, dietro la nota dell'oncia. lì. Dioscoro corrente a
cavallo con lancia impugnata, sotto T; nell'esergo ROAAA.
Il Fiorelli stampò la stessa moneta [Oss. mon. rare Tav. I
n. 6) con la particolarità della lettera T- ripetuta in mono-
gramma al riverso, e il cavaliere coperto di elmo cristato,
la quale ho io riprodotta al n. 12 sulla fede di lui, l'epi-
grafe ROMA vi manca. Egli attesta a p. 3 il monogramma
sembrargli incerto, ma che ha procurato far disegnare con
la maggiore esattezza.
13. Le due teste dei Dioscori coperte di pileo conico: dietro T.
/?. I due cavalli dei Dioscori con le due" stelle: nell'esergo U.
Quel T che in tutte le monete di questa serie tiene il posto
del riverso cedendo alla lettera U il posto del dritto qui
prende il posto del dritto, e la epigrafe ROMA vi è omessa.
Sarà pertanto questa la ■ sola moneta battuta indipendente-
mente dalla zecca di Eoma e di carattere puramente mu-
nicipale. *
14. Nel Kirch. Testa di Cerere cinta di spighe, dietro P. R. Qua-
driga guidata dalla Vittoria , sotto ROMA ; nell' esergo
S**** nota del destante. Pesa gr. 17,00.
15. Nel Kich. Testa di Apollo laureata a d. dietro P. fi. I due
Dioscori correnti a cavallo colla lancia impugnata, di sopra
brillano i loro astri, di sotto è ROMA : nell'esergo è posta
la nota del quincunce •••••. Pesa gr. 8,00. Si è cer-
cata la patria di cotesta serie la cui iniziale fosse un P.
Il bar. d'Ailly ebbe l'idea di attribuirla a Perugia, ovvero
a Paestum, la qual città, die' egli, dista poco da Lucerà. La di-
stanza fra le due città invero non è poca, poiché Lucerà
è nell'alta Puglia e Paestum in Lucania. Ma sia pure : e
come si vorrà che in Perugia etrusoa e in Pesto colonia
romana si abbiano coniate monete che giammai si sono
trovate in cotesta terra ? E poi come volere porre in Pesto
tali monete, ovvero a Perugia, che non sappiamo perchè
dovessero appropriarsi coi tipi luceriui il sistema dell'asse
decimale, del quale certamente in Pesto non vi è verun
riscontro, e neanche in tutta la Lucania. I Romani battendo
moneta in Lucerà vi hanno posta l'iniziale U e quando ri-
produssero queste serie di monete nella Peucezia che co-
minciava dal fiume Cervaro dove terminava la Daunia :
amnis Cerbalus Dauniorum finis (Plin. H. n. Ili, 12), e
quando ne emisero altra serie in Siponto città posta allo
sbocco del medesimo fiume, ovvero nella vicina Salpi non
vi apposero la U, ma la lettera S, come vediamo qui nel
numero seguente. Apprendiamo anche da Stefano che presso
Argirippa osia Arpi v'era una città di nome Paesus ovvero
Apaesus il cui etnico era Paesius ovvero Paesinus (p. 102
ed. Meinek.) : eari xal Tr^g Javviag nóXig Ilalaog xal 'Ag-
yvQiTTjTa, fjg rò iOrixòv naioiog, ?^, oniQ afietvov, ncctalvog.
Potrebbe quindi essere che fra questa Paesus e Luccria vi
sia stata una lega: ma può anche proporsi che i Lucerini
abbiano fatto alleanza coi Pentri, che dopo la battaglia di
Canne non si diedero ai Cartaginesi come il resto della
nazione sannioa (Liv. IX, 31: XXII, 615, e poterono confe-
derarsi con Lucerla loro vicina.
16. Museo di Torino, edita dal Fabretti, e qui riprodotta da
un calco. Testa di Cerere cinta di spighe; dietro alla
nuca un S: rimane la spoglia del cignale dal conio ante-
riore. R. Ercole che arresta il cervo: v' èia clava da presso
e nel basso ROMA : rimane in alto la spiga e uno dei gio-
ir
betti del conio precedente. La moneta è ribattxita sopra un
quadrante di prima diminuzione appartenente alla serie
che rappresenta la testa giovanile coperta della spoglia di
cignale e al riverso il toro che corre, la spiga in alto e
e la nota del valore • o e . (Tav. LXXVIII n. 7). Cotesto S
è in tal luogo, dove suole scolpirsi l'iniziale della zecca
ovvero la nota di valore. Roma può averla emessa in Si-
ponto come ho avvertito di sopra; ovvero in Salapia: se
ciò non fosse quel S dinoterebbe il valore di metà.
17-19. Coli. d'Ailly (Reche. clies, pi. LXXXI, 16, 18; LXXXII, 1).
Monete coi tipi romani battute iii Canosa con la epigrafe K^^
ovvero K. Nella classe delle monete romane coniate di bronzo
portanti lettere di alfabeto e credute rappresentare iniziali
di zecchieri erasi ancora annoverata cotesta serie con KA
e la seguente con la leggenda medesima, scambiato solo
il K greco in C latino. Ora da questo novero si sono se-
parate quelle che portano la leggenda predetta, e la loro
serie si è annoverata, come la lucerina, fra quelle che no-
minano per iniziali la zecca. All'argomento gravissimo della
provenienza non vi è che opporre, ed io posso invece con-
fermarla con la mia esperienza.
20. Kircheriano. Sestante battuto sopra un bronzo di Gterone II
col tipo della lesta di Giove a sin. e il tridente al riverso.
Ha la testa di Mercurio al dritto e al rovescio la prora
T. LXXXII
LATIUM, KOMA
71
a d. e la lettera K: di sopra è la spiga di grano, di sotto
ROMA. Gerone II regnò dal 478 al 540 e il bronzo pesa
gr. 8 e però accennando così all'asse sestantario , non è
anteriore al 486.
Noi manchiamo tuttavia dell'oncia ma invece abbiamo
la semoncia (d'Ailly, CXII, 8) dove la testa del dritto che il
d'Ailly ha rappresentato per muliebre dovrebbe essere in-
vece di Mercurio.
21. Kirch. Sestante coi tipi romani e la leggenda ROMA: inoltre
accanto alla prora del rovescio la sillaba KA in mon. e di
sopra la spiga di grano. Pesa gr. 5.
22. Coli. d'Ailly {Recherches, pi. CX). Testa di donna coi ca-
pelli raccolti alla nuca volta a d. R. Prora volta a d. di
sopra la spiga di grano e accanto KA. La leggenda ROAAA
manca per difetto di conio. E una semoncia: stimo però
che la testa debba essere di Mercurio, non muliebre.
23. Coli. d'AiUy (16, pi. CVIH, 19). Bronzo coi tipi del se-
stante romano edito dal d'AiUy (Tav. CVin, 19). Ha di sin-
golare due lettere SP sotio la prora del riverso. È una semon-
cia che deve appartenere alla serie di tipo romano: non par
Terosimile che la S così congiunta col P sia cifra del valore
e il P si debba riferire ad una incerta zecca di Puglia. Po-
trebbe invece pensarsi a Spoletium colonia latina del 512.
24. 25. Serie di bronzi coi tipi romani e l'epigrafe CA. L'asse
è stato in prima da me espresso da un esemplare non ri-
battuto edito dal d'Ailly (Tav. CI, 1). Poscia ne ho dato
un secondo che è ribattuto, ove il conio non è ben riuscito
per dissestamento del metallo. In ambedue pertanto sono
chiare le due teste barbate del bifronte e non si dovrà
concedere al Borghesi {Oeuvr. VI pagg. 371, 373 Lett.
dal 1828) che l'un volto è imberbe, barbato l'altro. Il n. 26
è nella collezione mia. È stato ribattuto sopra un bronzo
degli Oeniadac portante per tipi la testa di Giove e al
riverso la protome dell' Acheloo con l'epigrafe OINIAAA(N).
L'asse descritto dal Borghesi pesa gr. 25,80 ed è perciò
tenuto piuttosto per onciale, che semonciale: gli fa però
meraviglia l'A nel secolo settimo che dovea essere andato
da lungo tempo in disuso. Egli l'assegna a Capua (p. 372)
e cita l'Avellino (Giom. numism. n. 1 pag. 3) : al Cavedoni
(ivi p. 372) parve piuttosto impresso nella Puglia e sog-
giunge che questa sua opinione fu poi dimostrata vera
dall'opera del Eiccio intorno alle monete di Lucerà : ma ora
non v' è numismatico che ne dubiti. Kiguardo all'A- ado-
perato oltre al secolo sesto ho già notato nella Sylloge a
p. 42 che cotesta forma è adoperata anche nel secolo settimo
in nummis Apuliae, ed è solo nella voce ROMA della mo-
netazione romana che ne cessa l'uso dopo il 610.
Tav. LXXXII.
1-4. Nella eoli. mia. Segue la serie deUa tav. precedente che
porta l'epigrafe CA. Di questa abbiamo anche l'oncia che
manca tuttavia alla serie inscritta KA, e la semoncia (n. 4),
che ho avvertito dover rappresentare in quella serie la
testa di Merciuio e non di una donna.
5, 6. Quinario e sesterzio coi tipi romani. Testa galeata nel dritto:
i due Dioscori nel riverso dove si legge nell'esergo ROMA
e sotto i cavalli M . Questo monogramma si è diversamente
spiegato. Il Kiecio l'attribuisce ad una famiglia Eomilia.
Ma leggendosi nel monogramma un A avrebbe egli dovuto
cercare piuttosto la famiglia Eomania come ha fatto di poi
il Cohen nel supposto che la prima lettera sia, come è di fatto
un R. Può essere ancora che il Eiccio quando imaginò la spie-
gazione abbia letto RoM, come fa supporre il Cavedoni, e così
invero lesse il Burton nel catalogo della collezione Pembroke
pubblicato nel 1848. Più singolare è Carlo Lenormant, che
vi ha trovato Q • MARI. Le quali interpretazioni avendo il
Mommsen riferite nella nota (') al voi. II H. de la monn.
pag. 225, conchiude con rigettarle tutte. Il bar. deWilte
nel voi. IV della stessa opera a p. 29 si mostra difllcile
a chi crede che si potesse qui due volte ripetere il nome
di Roma. Questa interpretazione parmi sia stata proposta
da Fr. Lenormant, il quale stima che ciò siasi fatto per
attestare che questa moneta non è stata emessa in altra
zecca a nome di Eoma, ma in Eoma stessa. Or ciascun vede,
che in questo modo si sarebbe dovuto ripetere due volte su
tutte le monete romane battute in Eoma il nome stesso di
Eoma, mentre è sempre bastato dire ROMA, perchè s'in-
tendesse che la moneta è stata emessa da questa città.
Ma ecco un nuovo ostacolo : perocché il barone d'AiUy
non legge R la prima lettera, sibbene O, ed ha così letto
anche il Cohen nella tavola XLIII n. 7, e similmente dopo
tutti il Blacas e il de Witte nella tav. XXIII, Tom. V. H. de la
mannaie, n. 5, pubblicando a pag. 2 l'esemplare del qui-
nario conservato nel Museo Britannico. Ma è certissimo che
la prima lettera si deve leggere R la qual lettera apparisce
limpida e netta in tutta la serie posseduta dal sig. Bel-
lini, che ho davanti; e sono U denaro, il sesterzio, l'asse,
il semisse, il quadrante, e U sestante. Stabilito adunque
che la prima lettera nel monogramma è un R non rimane
che di leggervi un nome o cognome nelle quattro let-
tere ROMA : le quali poiché abbiam mostrato che non si
possono leggere Roma, nome della città, conviene persua-
dersi che sono un cognome forse abbreviato, o forse si deb-
bono invertire, ponendo a modo di esempio il MA davanti
e così avremo Maro, o invece Varo, se consideriamo che la
lettera M vi si trova apparentemente piuttosto che real-
mente sciogliendosi il nesso in V ed R.
Cotesta serie appartiene all'epoca dell'asse sestantario sca-
dente verso l'onciale : perchè l'asse pesa gr. 34,50 ; il semisse
gr. 18,50; il quadrante gr. 9,00 e il sestante gr. 6,20. Il peso
poi del denaro è di gr. 4,45 e quello del sesterzio è di gr. 1,10.
7. NeUa coli, mia, dal deposito di Maserà. Ciò che qui avanti ho
detto della serie di monete portanti ROMA in monogramma
si può dire anche del CROT 11 Borghesi stabilì che fosse
un cognome di famiglia , offreudoglisi un T. Metilius
0 piuttosto un Ti. Maecilius Croio luogotenente di Appio
Claudio pretore in Sicilia l'anno 539 (T. Liv. XIII), 31.
Altri poi comunemente opinano e con essi il Momms«n che
cotesti vittoriati sono battuti in Orabone e però ne portino
72
KOMA, GALLIA GIS., LATIUM
T. LXXXII
il nome. Ma io non sono di questo parere, e ragiono così.
Se il monogramma di Corcira, KoP, e il nome del magi-
strato, Af e l'anno in che i Eomani occuparono questa città
ne rendono certi, che quei vittoriati sono stati hattuti in
quell'isola, per contrario non si prova che in Vibo siano
stati emessi questi nummi prima della colonica deduzione '
in quella città, quando solo le si poteva essere cambiato
il greco nome di CEIB o EIPnNION in VALENTIA che
costantemente porta sulle sue monete. Di piìi al 565, epoca
della colonia, i vittoriati non si battevano più e non se ne
ripigliò la fabbricazione se non circa un secolo dopo al 650,
quando si equipararono ai quiuarii e vi si alternò la testa
di Giove con quella di Apollo. Come poi si spiegherà il
lungo viaggio di questi vittoriati, fino nel Sannio e nella
Gallia cisalpina dove si sa che si sono trovati, e si trovano
tuttavia, dimostrandoceli la recente scoperta di Gambolò
Lomellina, dove è venuta in luce un'olla contenente 170
vittoriati, con la sola leggenda ROMA, e fra essi imo con
la epigrafe CROT [Noi. degli scavi, 1884 pag. 167), mentre
ninno ha mai sentito che neUe terre di Crotone e di Mon-
teleone in Calabria se ne trovino, e neanche se n' è trovato
alcun esemplare nel tesoretto di soli vittoriati scoperto non
ha guari nel suolo Tarantino.
8. Nella coli, mia dal deposito di Maserà. È singolare, perchè non
si è veduta finora la Vittoria portare nella mano sinistra
una corona, mentre un'altra ne pone in cima del trofeo. La
leggenda in tre esemplari di questo deposito è come l'ho
espressa \B: la seconda delle due linee che compogono il V
non è più alta, ma sono ambedue uguali. Diremo adun-
que anche per questo nuovo riscontro eselusa la congettura
del Cavedoni che ci proponeva di leggere VB {Ripost. p. 176
n. 155) : non però accettiamo l'opinione del Mommsen che
riconosce nelle monete dei n. 7, 8 due zecche aperte dai Eomani
l'una in Crotone e l'altra in Vibo. I due vittoriati CROT
della mia coli, pesano gr. 2,70 ; 2,90. 1 tre con\S usati pe-
sano gr. 2,80 ; 2,90. Quei della collezione Blaoas hanno di
peso gr. 3,30; 3,21; 3,00.
9. Coli. Blaeas {H. de la monn. T. IV fol. XXIII, 19 p. 30). Il
suo peso è di un grammo. Il Borghesi ne ebbe due esem-
plari che pesavano gr. 1,48. 1,44. Se \B fosse nome di
Vibone si sarebbe dovuto con antica ortografia scrivere,
\EIB , come si legge sulle monete antecedenti CEIB. Ma co-
testo nome non si è mai trovato sulle monete di questa colonia
che portano costantemente il nome di VALENTIA, impostole
dai Eomani. Altri motivi si leggono esposti nel prole-
gomeno alla tav. LXXIX.
10. 11. Coll.D'Ailly (Recherches, pi. CHI, 3, 4). Quinario e vit-
toriato coi tipi romani: hanno inoltre sotto i cavalli del
riverso un monogramma «8: indicante il nome di Eóqxvqcc,
ed un altro a destra contenente due iniziali Af del
magistrato monetale. I Eomani occuparono Corcira nel 526,
e come si vede vi batterono moneta lasciando che s'indi-
casse il nome della zecca locale e anche dal magistrato.
Serve ciò a conferma di quanto si è esposto di sopra rela-
lalivamente al nome CROT che è in lettere latine, parendo
che quella città greca per indicare il suo nome avrebbe do-
vuto servirsi della greca lingua come fa Corfù e non della la-
tina, se non forse nel nome ROMA. Ora dopo quei nummi che
si tengono emessi dai Eomani coi propri tipi fuori di Eoma
soggiungerò alcuni altri di bronzo e di argento che hanno
tipi romani senza il nome di Roma, ovvero portano tipi
stranieri col nome di Eoma.
] 2. Nel Museo di Firenze. Testa giovanile laureata R. Protoma
di cavallo frenato, sotto K^ i\0. La lettera X> vale A nel-
l'alfabeto euganeo , e però il nome si legge Kasio. Il
Mommsen ne ha descritte alcune di cotesto rare monete
(Die nordtctrusck. .ilph. pag. 213 n. 36, 37 ; p. 253), che
furono trovate a Jonquières fra Grange e Sorges insieme
con monete di Marsiglia. Ma la desinenza vi è sempre in
OS , K^^IOS , K/'^ lOon (Taf 37 A, B); talvolta retrograda
t\j Olrj A>l (ib. e), non mai K^<IO, come in questa nostra.
13. D'Ailly {Recherch. pi. LXVI n. 2). Testa di dorma diademata
con pendenti agli orecchi volta a. d. R. Vittoria che guida
una biga di cavalli: nell'esergo la epigrafe COA... I tipi del
riverso di questa e della moneta antecedente sono romani ;
ne mi par dubbio che ancor questa come la precedente sia
una imitazione del denaro romano con la Vittoria in biga al
rovescio. Il nome può essere integrato COMa (cf Eobert,
.innuaire numism. 1879 pag. 285) ; ed è ben verosimile
che i Galli abbiano avuto una zecca nella Italia cisalpina
(Bull. Jnstit. 1866 pag. 187; cf Bruzza, Vercelli, pref CVII),
come ne ebbero nelle Gallio, e fra gli Elvezi. Noi ne ab-
biamo avuto un esempio nella Tavola LXXVII n. 30 dove
la moneta romana con la testa di Minerva e al rovescio la
protoma frenata del cavallo si vede riprodotta insieme colla
leggenda >IOW\A ;, se non che vi si aggiunge il numero VIII,
la qual usanza di cifre numeriche indicanti il valore dei
pezzi ha esempi analoghi nella monetazione dell'oro celtico
trovato in Colombey, in Porto del Vallese, in Val d'Aosta
fra i Salassi , nel gran S. Bernardo (v. Mommsen, Die '
nordtetr. Alphab. pag. 202 Tav. 1 un. 1, 2, 3, 4).
14. Nel Museo di Vienna. Testa di Apollo laureata a. d. R. Mezzo
bue androprosopo con astro in rilievo sul corpo volto a d.
in alto PilMAIilN. Sarebbe strano se Eoma battendo ima
libra od obolo campano coi tipi napolitani vi avesse inscritto
il proprio nome in greca lingua e letteratura PilW\AiAN. Ben
però possono i Napolitani aver ciò fatto a motivo di signi-
ficare una confederazione. Imperocché questo è appunto imo
dei modi di esprimerla adoperando- una città i propri tipi e
inscrivendo il nome della città con la quale ha stretto i patti.
Vero è però che in tal caso il carattere e la lingua suol
essere quello dell'alleata, ma esempi del contrario non man-
cano. Così spiegai ima volta la epigrafe osca l'MVITRIT in
moneta del Teate Apulo e la greca epigrafe AAPINilM in
moneta del frentano Larino, nei quali due bronzi i tipi sono
campani. Quanto al bronzo di Cirene che talvolta s'inscrive
KVPA al rovescio, e tal altra IMfll al dritto (v. Mùller,
La numism. de Vano. Afrique, I pag. 36; ef. p. 29 n. 100),
esso mi pare analogo alle monete allegate, nelle quali i
Cirenei e non i Eomani hanno inscritto in greca lingua il
T. LXXXIII.
LATIDM
73
uome di Eoma. Il Du Chalais pensa che a motivo di signi-
ficare la loro riconoscenza a Koma (Revue numism. 1851
p. 85-87), rEctliel stima che per farle onore {D. »7. v. V, 4),
e così anche Locri scrive in greco PilMH e (liSTIs: in una
sua moneta coniata in segno di onore e gratitudine.
15. Nella coli, mia, da Pistoia. Testa di Apollo volta a sin. da-
vanti l'epigrafe TAMOA^ e nel campo un S davanti al collo
e un altro S dietro. R. Bue andi-oprosopo coronato dalla Vit-
toria, tra le cui gambe uu T. La leggenda è RAOMAT nome
che vuol credersi equivalente a Raomoe per ROMAOC
16. Nel Kircheriano dalle acque di Vicarello. Testa di Apollo
volta a d. /?. bue androprosopo coronato dalla Vittoria: nel-
l'esergo --HAMO.. , cioè Romano.
LATIUM
ALBA
Alba Pueente di origine marsa, Albenses qui sunt Marsi
^enus (Paulus in P'esto p. 4), è sita sui confini degli Equi e
considerata perciò come equa da Livio (X, 1) e da Strabene,
il quale la pone a contatto coi Marsi é^iogovaa Magooìg
(V, 111, 13). Ebbe una colonia romana l'anno 452. Si è
dubitato se abbia coniata moneta prima di questo anno : a
me pare che il tipo della monetina d' argento con l'aquila
e il fulmine se non lo dimostra, lo persuade: e così la
Minerva. Agii Albensi fu attribuita dal Mommsen ima serie
di moneta fusa di bronzo. La serie assegnatale dal Mommsen,
non può appartenere a questa città, nelle cui terre non se n' è
mai trovato verun pezzo e neanche nel lago. Gli Albensi vene-
ravano un dio tutelare che chiamavano Albensis Pater, e ce ne
fa fede una lamina trovata in Alba con dedicazione AL-BSI PA-
TRE. I Prenestini veneravano il Twpenus Pater (SijlL 1491),
i Reatini il Pater Beatinus {/nscr. vet. Réat. pag. 7) che
probabilmente sarà stato VAuctor gentis, lo xzidTrig in coteste
città, come Enea fondatore di Lavinia, ivi venerato col nome
di Indigens pater (vedi Civ. Catt. quad. 778 pag. 467).
17. Da un'impronta in zolfo. Testa di Mercurio a d. R. G-rifo
che prende il volo a destra, e AUBA (Carell. Tav. X n. 8),
il qual riverso si vede in parte duplicato per sbalzo di
conio in un esemplare già posseduto e fatto delineare dal Pio-
relli {Mon. ined. Tav. I, 1). Il suo peso è di gr. 1, 28 e
in altri esemplari, 1, 25; 1, 11; 1, 02. La controversia rela-
tiva alla natura deU' animale alato se grifo o pegaso sem-
bra per questi due esemplari ben conservati risoluta contro
il Caronni e a favore del Sestini. Esso è grifo composto
della parte anteriore di aquila e posteriore di leone, come
lo descrive il P. Eckhel (D. n. v. I p. 100).
1 8. Dalla coli. mia. Un simile nummo si è pubblicato dall'Avel-
lino (Opuso. II num. 11; R. M. Rarb. t. II Tav. XVI, 8).
Testa di Minerva a d. R. Aquila sopra un fulmine volta
a d. Pesa gr. 0,60.
19. DaUa coU. mia. Questa monetina è descritta dall' Eckhel
[D. n. V. I pag. 100). Testa di Minerva a d. R. AquUa
(sopra un fulmine) volta a d. e respiciente a sin.: sopra
AUBA. È nel Pellerin, Ree. pi. VII, 5 e nel Carelli, Tav. X
u. 6, 7. Pesa gr. 0,60 e in altri esemplari 0,59; 0,58 e meno.
SIGNIA
Segni era città dei Volsci e i Komani vi dedussero una
colonia l'anno 259 rinnovando quella che dicevasi in prima
dedotta da Tarquinio (Liv. 1, 56) a tutela di Roma: prae-
sidium urbi futurum (id. 11, 21): Signia coionia, quam
reco Tarquinius deduxerat, suppleto numero colonorum
ìteruin deducta est. Sulla moneta prende per tipo Mer-
curio, a cui dà il petaso alato: ma in un esemplare di mia
collezione , gli si vede in capo un pileo frigio parimente
alato e inoltre munito di larga fascia ricamata per anno-
darlo al mento, di modo che viene dubbio se sia piuttosto
un Perseo: ma è certo che se ciò fosse non gli conver-
rebbe il caduceo, sibbene la liarpe, o sia spada da ferir
di punta e di taglio con ronchetta dall'uno dei lati. Questa
colonia ci dà uno dei primi esempi della lettera G, che nel-
l'alfabeto latino comincia a distinguersi dalla C , alla quale
fino allora erasi dato il valore della C e della G. Fu dunque
creata una nuova lettera e ciò si ottenne con ima virgoletta
aggiunta all'una delle due estremità della C, ponendola di
sopra, ovvero di sotto: finì poi col tener costantemente
l'estremità inferiore, e fu adottata nel secolo quinto in
Lucerà e altrove. La testa calva del Sileno congiunta ad una
protome di cignale a modo del Janus geiainus, sono a
quanto pare simbolo dei fertili vigneti consociati alle sel-
vose balze opportune alla caccia del cignale. Nota il Ca-
vedoni [Spicil. numism. p. 12) che diverse congetture si
sono fatte da altri su questo tipo [Giorn. Arcad. 1828
tom. XXXIX p. 244), ed egli ne propone una sua che Si-
leno 0 Marsia sia simbolo frequente di colonia romana, e
il cignale sembri alludere al nome Seignia essendo una
delle insegne dell'esercito romano, onde deduce che Segni
fu colonia militare
20. Nel Kirch. Testa di Mercurio coperta del petaso alato: ac-
costo al collo un delfino, davanti un caduceo. Segni ebbe
una colonia romana nel 259 (T. Livio I, 56 e Dionigi d'AU-
carnasso, IV, 63): Alba assai dopo nel 451 (Liv. X, 1;
Veli. I, 44). Questa coniò la sembella d'argento, ma Segni
emise anche la libella. R. Testa di Sileno a sin. congiunta
alla protome di un cinghiale a d. nel campo di sotto SEIC
disoprala lettera A, segno monetale di minutissimo carat-
tere e però omesso finora perchè non veduto. L'ha inciso
il Carelli e il Sestini ma ninno prima del Capranesi vi ha
espresso il delfino {Ann. Instit. T. XII tav. P, 2). L'esem-
plare di Vienna è uno di quei che leggono ^EIC, in altri
come fu già notato dal Ritsohl e da me l' ultima lettera
porta un apice ora in cima, come l'esemplare Kircheriano,
ora in basso G, col quale si volle dai Segnini distinguere
il C dal G che circa il quinto secolo si introdusse nell'al-
fabeto latino non essendosi fino a quel tempo adoperata che
la sola lettera C, come ho notato nel prolegomeno.
21. Nella collez. mia. Testa di Mercurio ma in singoiar modo
coperta di un pileo frigio alato e munito di largo nastro
pendente, decorato di ricamo. Il delfino e il caduceo vi sono
74
COSA VOLCIENTIUM
T. LXXXIII
espressi come nel n. 20. R. Testa di Sileno a sin. congiunta
alla protome di un cignale a d. Nel campo di sotto SEIC,
di sopra la minutissima lettera monetale omessa iìnora dagli
editori. Pesa gr. 0,60 ed è però un obolo. Il pileo frigio
alato si vede più volte in capo a Perseo clie taglia la testa
alla Gorgone. Si sa che egli ebbe da Mercurio i calzari, ma
non si legge che quel nume gli avesse dato anche il pileo.
Adunque i Signini sono i soli fra gli antichi che facciano
Mercurio in abito di Perseo, mentre comunemente a Perseo
sono tributate le insegne di Mercurio.
COKA
22. Parigi gabinetto delle medaglie. Testa di Apollo laureata
volta a sinistra. R. Eroe a cavallo coperto di pileo arcadico
vestito di clamide e di calzari a mezza gamba in atto di
lanciare una verretta o giavellotto correndo a destra. Pesa
gr. 6,70. Il Carelli che possedette questo didrammo lo die'
inciso nella sua tavola LIS, 1. Il produsse di poi anche il
Millingen quando le tavole carelliane erano ancora inedite:
ma vi lesse SORANO, e lo attribuì a Sora {Anc. coins.
pi. I, 1 Consider. pag. 237). Poscia corresse la sua lezione
e diede la moneta rettamente a Cori [Suppl. aux oonsid.
pi. II, 17; pag. 21, 22). Io ne ho tratto un calco dall'ori-
ginale che ho fatto disegnare. La epigrafe CORANO è in-
dubitata; v' è inoltre, ciò che nessuno ha prima notato, che
l'eroe porta calzari a mezza gamba, la qual particolarità
conferma l'opinione del Cavedoni che al pileo argivo vi
riconobbe il Coras fratello di Catillo e di Tiburte fonda-
tori di Tivoli (Serv. ad Aen. VII, 672). Cori era colonia
latina (Liv. II, 16) nel 251 e ribellò passando dalla parte
degli Aurunci : tornò quindi alla confederazione latina, sic-
ché nel 370 vi figura nella lista che ne dà Dionigi, dove però
si legge Kógvoiv (V, 61). Il Eiocio descrive un suo bronzo
coi tipi campani e la leggenda KORANO ( Repert. pag. 3).
Egli mi scrisse di averlo venduto al barone Beher di Stral-
sunda [Lettera del 28 settembre 1863), ma non dice in
qual tempo. È però certo, che in questa collezione, cono-
sciuta pel catalogo del sig. Pr. Lenormant, Description de
médailles du baron Beher, Paris 1857) non era ancora en-
trata nell'anno in che ne fu stampata la descrizione.
COSA VOLCIENTIUM (ETKURIA).
Si sa di certo che vi fu una Cosa o Cossa presso Orbetello,
dove ora è Ansidonia: i testi degli antichi scrittori abbon-
dano : tra i quali mi piace additare l' Itiner. marit. (ed.
Partney n. 514) dove si assegnano novanta stadi di distanza
dall'isola del Griglio, Igilium, a Cosa: e Cesare, che nel (L. 1
cap. 34 de B. civ.) racconta di Domizio aver costui prese
sette navi da privati cittadini di Cossa e dall' isola predetta
e fattivi montar sopra servi, liberti e coloni suoi, li menò
seco ad occupar Marsiglia: Domitium ad occupandam
Marsiliam navlbus actuariis septem , quas , Igilii et in
Cosano a privatis coaotas, servis, liherlis colonis suis com-
pleverat. A questi due testimoni aggiungo una vecchia la-
pide trovata in Orbetello, che quella repubblica dei Cos-
sani, RESP COSSANORVM (Or. 971) , dedica a Gordiano
terzo. Ma im'altra Cosa vi fu che Cesare (de B. civ. Ili e. 22)
pone nelle terre dell'antico Turio, scrivendo che Celio Vi-
niciano simulando di andare da lui andò invece a Turio e ivi
tentò di sollevare il presidio dei suoi Galli ed Ispani, i quali
irritati gli tolsero la vita nel tempo stesso che Annio Mi-
lone levati alcuni schiavi dagli ergastoli cercava, dic'egli, di
oppugnare Cosa nell'agro di Turio: quibusdam solutis erga-
stulis Cosam in agro Thurino oppugnare caepit; e aggiugne
che Milone vi morì di un colpo di pietra lanciatagli dalle mura,
lapide ictus ex muro periit; e Plinio piìi particolarmente
ci fa sapere che Milone aveva cominciato ad operare dal ca-
stello Carissano ma che ivi presso fu ucciso (//. N. II, 57):
Juxla [Castellum Carissanum) T. Annius Milo occisus est. E
parmi che non sia Cesare il solo che parli di questa Cosa
perocché vedo stare a lei bene le circostanze della Cosa de-
scritta da Ecateo Milesio presso Stefano bizantino, il quale
pone questa città nella Enotria, e dentro terra : Kóogk nòXig
OlrmtQav sv tuì p^aoyeù/i. So che Velleio (L. II, 68) scrive
essere avvenuta la morte di Milone a Compsa fra gli Irpini :
ma è un errore, perocché Cesare, che ben sapeva dov'erano
di presìdio i suoi Galli ed Ispani, narra la morte di Celio
avvenuta nel municipio di Turio e Milone tolto di vita a
Cossa nell'agro turino.
Vendicati i passi che parlano delle due Cosse, quella
dei Volcenti e quella dell'agro turino, resta ora che ve-
diamo se si ha verun' altra Cossa : perocché il Lessico fur-
lanettiano stampato in Lipsia pone ima Cossa in sinn
paestano Campaniae prope Pompeins, per la quale cita a
torto il luogo di Cesare che abbiam veduto indicarla in
agro Thiorim. Nel che oltre alla confusione tutta sua del ■
sinus paestanus col sinus puteolanus e della Campania dov'è
Pompei, colla Lucania dove é Pesto, quel Lessico, dico, pare
che abbia adottata la sentenza di coloro fra i quali è Lo-
renzo Giustiniani {Oizion. geogr. tom. IV p. 102) che pon-
gono una Cossa in Conca città poco lontana da Amalfi; e
secondo cotesti scrittori una delle cinque città che avemmo,
dice Giustiniani, sotto nome di Cossa. Egli non nomina quali
sono a suo credere queste cinque Cossae, ma non é mala-
gevole indovinargliele, ponendo insieme la Cossa Volcien-
tium e la Cossa in agro Thurino, la Cossa che si preten-
deva essere dove è Compsa , la Conca della quale qui si
parla, e la Cosa ad Lirim, la quale si é supposta senz'altro
fondamento che di un fiume chiamato Cosa che per la valle
di Prosinone va a scaricare le sue acque nel Liri. Di questo
fiume parlano Strabene (L. V p. 237) ed Eliano in due
luoghi controversi (Var. hist. II, 26; IV, 17): ora tut-
tavia si chiama con tal nome. Premesse queste notizie é
duopo che ci volgiamo alla questione numismatica che ne
è stato il motivo. Trattasi di saper da quale Cossa si è co-
niata la moneta che porta il nome Coza, e dei Cosanesi,
Cosano. Molti dicono che tali monete provengono dalla Cam-
pania, onde é stata forza trovare una città di tal nome nelle
terre campane. Di tal sentenza fu il Carelli nella cui De-
T. LXXXII
COSA VOLCIBNTIUM
75
script io si legge la prima volta la supposta Cosa ad Lirim.
A lui si oppone l'Avellino nelle note dicliiarando, che di
questa città non si aveva notizia. Egli però sostiene invece
che la Cosa delle monete deve cercarsi nella città degli
Irpini anticamente detta Compm, nomine vetusto, e poi
Cassa (ad Carell. descript.). Questo parere fu seguito dal
Millingen [Coìuider. p. 229, 230). L'Avellino non allegò
altra prova che una iscrizione gruteriana trovata in Compsa,
nella quale si leggeva REIP. COSSANAE (Grut. DCCCX);
Ma ora si è fatto noto, che questa voce fu inserita nel testo
dell'Apiano, dal quale l'ha tratto il Gruferò (cf. hiscr. r. n.
hit. ed. Monims. n./207).
Abbiamo dichiarato che non vi fu una Cossa ad Lirim,
né veruna Cossa fra gli Irpini : diciamo ancora che la Conca
in sinu paestanu non è mai stata Cossa: non si possono
adunque assegnare monete a cotesto Cosse imaginarie, sia
di Campania sia degli Irpini che abbiano coniate monete
con la leggenda COZA e COSANO.
Ma donde ebbe mai origine questa così ferma persuasione
nel Carelli e nell'Avellino ? per quanto a me pare da due mo-
tivi diversi : il Carelli perchè teneva questa moneta di fab-
brica campana, e però cercava loro uaa sede, e non tro-
vandone alcuna, imaginò che accanto al fiume Cosas ci do-
vesse essere stata una città di tal nome: l'AveUino poi si lasciò
persuadere dalla epigrafe interpolata dell'Apiano e credette
che Compsa si fosse chiamata anche Cassa; negò poi alla
Cosa degli Etrusci tal moneta, non parendogli possibile,
che una città etrusca potesse emettere nummi di fabbrica,
di tipi e di epigrafe non etrusca : nam etruscis Casis tribui
non posse a fabrica, ti/pis, epigraphe manifestum. L'Avel-
lino, a quanto pare, era di parere che Koma spedisse la
colonia non nella Cosa etrusca sibbene in Compsa degli
Irpini ; e questa è veramente anche l'opinione del Eunkenio
e del Madvig, pei quali si è ultimamente dichiarato il Momm-
sen, e per le ragioni allegate da costoro, e perchè stima
eertissimo, che questi bronzi sono coniati nell'Italia meri-
dionale, probabilmente in Campania.
Poi dice che stando a Tito Livio; dove scrive (XX, VII, 10):
El ab altero mari Pontiani et Paestani et Cosani; non si
può pensare a Compsa città mediterranea, sibbene ad una
città sita sulla costa occidentale dell' Italia , ma non alla
Cosa etrusca, che Euhnken e Madvig a ragione hanno riget-
tata per due motivi : perchè Livio la dice dedotta insieme
con Pesto, e che per lor giudizio non può essere, che si
deducessero ambedue nello stesso anno, e perchè verso
l'anno 481 Koma non distese le sue conquiste verso l'Etru-
ria, sibbene nell'Italia meridionale. {Hist. de la monn. 1, 186).
Egli dunque mostra d'ignorare che a coteste due ragioni
aveva già risposto lo Zumpt (Comm. epigr. 1 pag. 257
n. 3, 1850) : la prima non valendo nulla, perchè vi hanno
altri esempi di due colonie dedotte nel medesimo anno, p. e.
Eimini e Benevento, anzi tre soggiungo io (Liv. XXXIV, 45):
Coloniae civiìim romanci um eo anno (558) deductae sunt,
Puteolos, Vulturnum, Liternum. E molto naeno valore ha
la seconda, constando di fatto dalla epitome di Livio (L. Xin),
che i Eomani felicemente guerreggiarono allora in Etruria
e nella Italia meridionale : res prospere in Etruscas Lu-
canos Bruttios et Samnitos gestae. Infine consta da Plinio,
che una colonia fu dedotta dai Eomani nella Cossa etrusca:
Cossa Valcientium a populo Romano deducta {li. N. III,
8, 51): e ne avevano ben ragione di fortificarsi sopra mare
da cotesto lato, perchè prevedevasi xma guerra contro l'ar-
mata di Cartagine che era stata chiamata dai Tarantini in
aiuto e che di fatto venne in questi tempi medesimi (Liv.
epist. XIV), Carthaginensium classis auxitio Tarentinis
venit.
Eesta ora un altro argomento, che l'Avellino prudente-
mente non tocca, quello della provenienza di tali monete.
Ne parla però il Sestini ove scrive di coteste monete ces-
sane, che vengono dalla parte d'Italia che fu il regno di
Napoli; e il Eiccio {Reperì, p. 19), che rinvengonsi nella
sola Campania. Queste due testimonianze l'una di un nu-
mismatico toscano e di gran fama, l'altra di un gran col-
lettore di monete e negoziante sagace in Napoli avrebbero
gran peso, se si potesse provare che essi parlino per espe-
rienza e non per opinione preconcetta. Certamente i fatti
non provano che le monete di Cosa, delle quali conosciamo
soli due tipi, si trovino in Campania e nella sola Campania
ovvero nelle regioni meridionali che furono già regno di
Napoli. Se così fosse sarebbe inesplicabile come la colle-
zione Santangelo ricchissima di monete campane non ne
possegga neppure un esemplare, e come l'Avellino pub-
blicando nel R. M. Borbonico (voi. II tav. XVI, XLVII)
la serie di monete campane del regio medagliere , e de-
scrivendole (presso Eiorelli, Ann. di Num. II pag. 4),
non ne abbia trovato verun esemplare da delineare. Il Ca-
relli poi nel catalogo della sua collezione si mostrò così
poco esperto di coteste monete cosane che tenne per tale una
moneta sulla quale l'Avellino attesta che si leggeva RO-
MANO dall'una e dall'altra faccia : Epigraphen ROMANO
in utraque facie depi-ehendi, non COSANO. Un solo esem-
plare è dunque che il Carelli ebbe e descrisse nella sua
lunga carriera di numismatico, e questo col tipo di Pal-
lade ; l'altro che ha per tipo la testa di Marte non l'ebbe
e neanche il vide presso l'Eckhel per farlo incidere nelle
sue tavole. Al Eiccio fu parimente ignoto il tipo della testa
barbata di Marte: quello della testa di Minerva lo diede
Reperì, p. 19) si, ma erroneamente trascritto. Nei quali
due difetti cade egualmente il Sambon altro collettore di
Napoli, ed editore {Recherches, p. 58) ; cotanto estranei ai
nostri numismatici furono questi bronzi che pur dicono
trovarsi in Campania, e nella sola Campania. Qui invece
nelle pubbliche e private collezioni di Eoma e di Toscana
le monete di Cossa quantunque rare non mancano. L'aveva
il Borgia ai tempi dell' Eckhel nel suo Museo di Velletri:
l'ha il Museo Vaticano, l'ha il Kircheriano, l'ho ancor io
nella mia privata raccolta e mi proviene da Chiusi. Final-
mente il marchese Strozzi mi scrive ora così : « Le monete
di Cosa realmente si trovano come tante volte fu detto nelle
vicinanze di Ansedonia. Dagli scavi fatti dai signori Viva-
io
76
ACER GALLICUS, PICENtTM
T. LXXXII
relli a Talamone quattro o cinque anni or sono ne ebbi
diverse ».
Dopo tutto ciò parmi che non si voglia tuttavia persi-
stere nella falsa opinione che assegna tali monete a due
zecche ignote la Cosa del Liri e la Compsa degli Irpini.
23, 24. Testa di Marte barbala e galeata a d. fl. Protome di
cavallo frenato volta a d. ovvero a sinistra, col delfino
accosto al collo e l'epigrafe al riverso COSANO, OMA205
25. Mus. Kirch. Testa di Minerva a sin. e l' intera epigrafe
AZOD. R. Protoma di cavallo frenato a destra e COZAMO.
Dai tempi del P. Eckhel che publioò il primo i due
esemplari delle monete di Cosa che serbavansi nel Museo
Borgiano l'imo colla testa di Pallade l'altro con quella di
Marte {Syll. I. num. vet. pag. 81, D. n. V. I. 90) a quei
del Carelli (Tab. X, 17, 18, 19), e da quei del Carelli ai
nostri non si è ancora notato da veruno che le due leg-
gende COSANO e COZANO non sono promiscue , ma la
prima è costantemente così scritta nei bronzi col tipo di
Marte, e la seconda è soltanto in quelli che hanno il tipo
di Minerva. Non ammettiamo quindi l'idea proposta dal
Mommsen che il Z sparisse di buon ora dall'alfabeto ar-
caico di Eoma, per farvi di poi novella comparsa nell'epoca
tarda. Sono i Cosani che l' introducono e non i Romani:
Così il G si vide prima tra i Palisci, in Lucerà e in Segni
e poscia sugli esordi del secolo sesto in Eoma. Vi è di
piìi un'altra distinzione da fare: perocché le monete col
tipo di Marte non hanno finora sugli esemplari a me noti
piii di una sola epigrafe e questa al riverso: quella invece
col tipo di Minerva hanno sempre doppia leggenda l'una
dalla parte del dritto l'altra da quella del riverso. Sulla
moneta col tipo di Marte è COSANO ovvero ONAZOD,
su quella col tipo di Minerva si legge al dritto COZA,
al riverso COZAHO e ancor questa talvolta retrograda.
Ebbe quindi ragione il Carelli, quando diede COSA per
leggenda monca a riverso della moneta n. 1 della sua De-
scriptio, non però l'Avellino che disse parergli intera: in-
tegra videtur in hoc numo epigraphe fuisse COSA non
abrupta ut Careltio visum. Correggasi dunque anche il
Cavedoni che pone COSA due volte al dritto e al riverso
della moneta, col tipo di Pallade. Avrà inoltre ben notato
l'Avellino che sulla moneta incisa al n. 2" dal Carelli ove
è la testa giovanile coperta di elmo cristato volta a si-
nistra non fu ben letto COSANO, ma si doveva leggere
RO/\AANO e al riverso egualmente ROMANO. Si è ancora
cercato se la lettera Z abbia il valore suo proprio ovvero
sia una variante ortografica dell'S. A tal questione parmi
rispondano i Cosani che non le adoperano promiscue ma
si servono della S in quelle monete che hanno per tipo
Marte e del Z nelle altre che recano il tipo di Pallade;
dimostrando così il passaggio da una ortografia all'altra.
ACER GALLICUS
ARIMINVM
20. Testa barbata coperta di pileo conico volta a sin. R.
Uomo armato di clipeo elittico, di lancia che impugna, e
di parazonio munito nel basso di larga piastra. Ha nuda
la testa e quella parte del corpo che non è occultata
dallo scudo, mentre va di buon passo a sinistra: nel-
r esergo ARIMN. In alcuni esemplari il pileo di Vulcano
si vede cinto di laurea: e il P. Marchi notò anche un torque
al collo del milite che è sul riverso. Il P. Eckhel (fl. n. v.
p. 96) attesta di aver letto ARIMNO in piìi esemplari dei
vari musei di Italia. A me non è avvenuto di trovarne
alcuno in verun museo, e neanche in quello di Pesaro,
che di tali esemplari è fornitissimo, ne tampoco altrove;
ma solo che in taluni esemplari l' epigrafe è ARIM, e va
talvolta da destra a sinistra. Eimini coniò questo bronzo
allor che vi fu dedotta la colonia romana nel 486, come
fecero altre colonie latine Benevento, Isernia, Cosa, Copia,
Valenza e Pesto. Stimò l' Eckhel che l' uomo barbato coperto
del pileo conico fosse Vulcano {N. vet. anecd. p. 6), non
Ulisse come aveva opinato il Khell e sul riverso riconobbe
un soldato gallo, non Diomede. Al Millingen {Considerai.
p. 222) non piacque Ulisse, ma neanche Vulcano, perchè,
die' egli, la testa non è coperta di pileo sibbene di un elmo.
Conchiuse quindi che vi si dovesse riconoscere un eroe locale.
A me pare che i coloni latini abbiano voluto rappresentare
Vulcano, il dio delle ofBcine dei fabbri erarii e nume tute-
lare delle colonie. Invero il Carelli nella Descriptio pone in
capo a cotesta figura un elmo con cresta : ma l'Avellino il
corresse (cf. Cavedoni in tab. Carell. p. 7). Vedo poi al
riverso un soldato Gallo Senone nel suo costume. Citasi
un nummo di Rimini posseduto dal Tanini, in doppio esem-
plare, dove in luogo del Senone oravi per tipo una rana.
Se ne ha notizia dal Bestini che n'ebbe un esemplare e il pose
nella collezione Ainsleiana {N. vet. p. 6; cf Add. ad D.
n. V. Eckhelii, 1826 pag. 12).
PICENUM
ANCON
27. Nella collezione mia. Testa dì Venere coi capelli legati
in massa alla nuca e coronata di mirto : dietro M. R.
Una mano col braccio destro piegato in gomito che stringe
un ramo di palma: in alto due stelle, sotto AfKilN.
Neil' esemplare che do inciso appare assai certa l' estre-
mità svolazzante della fettuccia che lega i capelli alla
dea Venere. A fondare questa città vennero i Siracusani
per sottrarsi secondo Strabene (V, IV, 2) alla tirannia di
Dionigi : 2vQaxo<TÌù)v xTt'ai.ia tcòv (pvyóvTwv Tr^v .JmvvaCov
vvQttvvCSa.
La condizione del sito marittimo che fa gomito suggerì
loro il nome 'Ayxàv, che vuol dire gomito e questo gomito
come arma parlante presero per tipo. La dea Venere che
ebbe in questa colonia culto principale (Catull. Carm. 37;
Juvenal. Sat. IV, 40) servì loro di tipo sul dritto della mo-
neta: i due astri posti sul riverso richiamano i due gemelli
che questo popolo marino prendeva a protettori della navi-
gazione. La lettera M forse deve essere un 3 e dinotare
l'emiobolo: una simile C si trova sopra un bronzo che ho
attribuito a Scyllatium. Il suo peso è di gr. 5,70.
T. LXSXEI
PELIGNI, AQUINDM, CAMPANIA
77
PELIGNI
PALLANVM
28. Nel Museo di Milano. Testa di Vulcano imberbe e coperta
di pileo conico volta a destra, ed ha dietro la tenaglia. R.
Testa alata di Medusa posta di prospetto con bocca larga-
mente aperta : di sotto stanno due serpi che si drizzano in
contraria parte: intorno si legge PALACNVS. Nell'esem-
plare della collezione Borghesi (Calai, p. 3 n. 32 Tav. I
n. 32) invece è PALACNVS.
29. Nel Kircheriano. Testa di donna coperta di un elmo sul
quale a modo di visiera è un dragone alato prominente :
sopra di esso è un grifo che si leva a volo. R. Vi si legge
PAL entro una corona di quercia. Fu del Millingen che la
fé' incidere (PI. Ili, 13) e ne mandò un zolfo al Borghesi,
il quale scrisse al Cavedoni (21 dee. 1R43) che esami-
nandolo attentamente con una buona lente vi trovò lo spa-
zio, e, come anche gli parve, le vestigia di due righe che
potrebbero ben dire PALA/CINV [Ocuvr. voi. VII p. 449, 450).
Il Cavedoni senz' altro abbandonata la lezione del Millingen
la publieò secondo il Borghesi (Bull. ardi. nap. an. II
Tav. I, 1). La S finale si stimò che fosse nota del semisse,
nella moneta del n. 28. Questi due bronzi appartengono
ad un popolo che si dà il nome di Palacno e Palacino.
Non è quindi la nazione Palatina ovvero Pallantina che
abitasse la vetusta città Palatium. Il nome Palacnus 'può
essere un sinonimo di Palanus come oprugnus di aprunus.
In simil guisa il Niebhur (//. ro7n. I, 98) deriva Aurun-
cvs da Aurunus. Una tradizione conservataci da Festo (p. 222
ed. Muller) narrava che dal re VolsimioLucullo nacquero due
nepoti Pacinus e Pelicus, dai quali ebbero origine due popoli i
Pacinates e i Peligni. Questi in principio si debbono essere
appellati Paligni e Palini come gli appellano Diodoro ed
Appiano, naXriVoi', naXirioC e naXiyrol, al quale i moderni
editori hanno sostituito l' e ed hanno anche voluto correg-
gere il TtaXiroi (Diod. XX, 90) in 'Ardyrioi, (Niebhur, V,
363 ed. Golb.), e così il padre della loro gente si sarà chia-
mato Palicus non Pelicus.
L'ordine alfabetico serbato da Pesto che pone Paeana-
Peligni- Pales-Partus dimostra che Verrio avrà dovuto scri-
vere Paligni, come sopra non avrà scritto Pellices ma Pal-
laces (cf. Svetonio, Vespas. 21, e gli annot.). Ma neanche
da Palicus ovvero Palignus può derivarsi Palacnus, se
non nel supposto che vi fosse anche la forma Palanus,
Questa v' è di fatto nella denominazione che nelle terre dei
Peligni si diede al monte di Palena sul quale era il campo
detto oggi di Giove dove si venerava il Jovis Palanus:
e alla città Pallanum nei Prentani. Prevale però la odierna
. forma Palena e così abbiamo Valle Palena con tre grosse
borgate dette Palena, Gesso Palena, Letto Palena. Del Paci-
nus non si sa nulla: e a me viene in mente che forse fu
Palacinus e non Pacinus questo nipote di Lucullo. Così
lasceremmo in pace i Paligni o Peligni e ci appiglieremmo
al Palacinus per attribuirgli la moneta.
AQUINVM
'Axovìvov, scrive Strabone (V. 237), fiaydXrj nóXtg, zag'
ov ó Mt'Xnig gù Troraftóc. Si sa che fu uno dei municipii
volsco-latini più popolosi e però ingens Aquinum è detto
da Silio (Vili, 405): ma dei suoi fasti municipali e della
sua storia primitiva non ne sappiamo nulla : né poi la mo-
neta ha un proprio tipo. Aquino si vede che entrò in al-
leanza con Napoli e coi mimicipii e colonie di Sessa, Calvi,
Caiazzo, Venafro, Telese, Tiano sidicino le quali tutte im-
pressero una moneta col tipo del gallo che canta. La sua
ortograiìa scambia il QV col CV, e scrive AQVINO e
ACVINO come i Latini, MIRQVRIOS [Syll. 536) e MERCV-
■ RIVS, PEQVNIA e PECVNIA, AQVTIVS e ACVTIVS. Singo-
lare si è la forma aperta del Q nella paleografia degli
Aquinati, che non ha finora verun altro riscontro. 11 peso
di questi bronzi è di gr. 6,15-6,61.
30-32. Testa di Pallade coperta di galea corinzia volta a
sin. R. Gallo che canta volto a sin. dietro un astro e la
lettera C, davanti AQVINO. Trovasi ancora scritto, n. 31,
OHI Vi) A ed ACVINO (mia coli.), n. 32, dove il gallo è volto
a destra. Aquino città volsea non fu colonia avanti alla
guerra marsica, ma di certo deve annoverarsi fra le città
che ebbero un trattato di alleanza con Roma, come il fa
supporre l'uso che gli Aquinati fanno della lingua latina
nella moneta, al pari dei Teanesi, dei Caiatini, di Calvi e
Sessa colonie latine, che battono un simile nummo col tipo
del gallo.
CAMPANIA
SUESSA
Suessa cominciò a dirsi aurunca od auruncorum, quando
accolse nelle sue mura gli Aurunci salvatisi fuggendo da
Aurunca che fu distrutta dai Teanesi. Le sue monete e
quelle di Calvi non adoperano altra lingua che la latina
quantunque siano osche ambedue non meno di Teano sidicino.
I Suessani veneravano Apollo, e vantavano il giuoco, dei de-
sidtores, 0 sia di coloro, che cavalcando tiravano seco un altro
cavallo, sul quale saltavano nella corsa, della qual loro
prodezza davasi spettacolo al popolo e se ne premiava il
vincitore con un ramo di* palma. Ebbero anche in onore
Mercurio a cui davano im pileo tessalico rotondo alato e
leggermente acuminato nel centro. Appropriaronsi ancora
il tipo campano del toro androprosopo e coniarono la mo-
neta di alleanza col gallo. Figurarono di più. Ercole in atto
di soffocare il leone. La leggenda PROBOVi è loro comune
coi coloni beneventani, se ne eccettui lo scambio del B in
P, scrivendo i Beneventani PROPOM. I Eomani si resero
padroni di Sessa, come ebbero disfatta la lega latina a Tri-
fano, e vi mandarono una colonia nell'a. 441. Si ha una
moneta di particolare alleanza fra Sessa e Napoli coi tipi
campani.
33, 34. Nella collezion mia. Testa di Apollo laureata volta a
d. dietro, n. 33, il Palladio, preso dal Carelli e dall'Avel-
78
CAMPANIA
T. LXXXIII
lino per trofeo {Catal. Suesa, 1, Avell. Suppl. p. 8 n. 28)
e "un indeciso segno monetale, n. 34, astro. R. Fante
desultore che cavalcando trae seco l'altro cavallo: egli è
coperto di pileo conico e porta nella destra un ramo di
palma lemniscate, che appoggia alla spalla. Neil' esergo
SVE5AN0. Sessa Aurunca fu colonia nel 441 e pare che
molto si applaudisse dei giuochi equestri fra i quali era
quello del desultor che essa prescelse a rappresentarla.
35-38. Testa di Mercurio coperta di petaso alato volta a sin.
Davanti n. 35 nROBO/V\, n. 36 PRBOM, n. 37 PRBOVW,
n. 38 PROBVM. R. Ercole di prospetto con la clava fra
i piedi strozza il leone e a sin. SVESANO. Si è cercato il
senso del vocabolo Probom variamente scritto sul dritto di
questo bronzo e che sembra dover essere lo stesso del PRO-
POAA inscritto sulla moneta di Benevento. È mia opinione
che con questa singoiar voce si voglia significare essersi quella
moneta coniata a norma di legge e come tale riconosciuta ed
approvata; e paragono la legge puteolana {SylL 017 vers.
32, 33): Quod eorum qui in Consilio esse solent viginti turati
probaverint, probum esto; quod ieis improbarint, im-
probum esto. Stimo per ciò che probum valga lo stesso
che proba moneta, come per opposito dicesi moneta reproba
quella, che non è approvata. Inoltre che il probum non indichi
il peso debitum pondus, ma la qualità del metallo, speciei
probae (Dirksen, Manuale fontiu,m iuris civ. rom. 1837
p. 760 V. probu.s); sicché potrebbe esservi sottinteso aes,
metallum, non pondus. Le quattro maniere di scrivere il
vocabolo probum, notate di sopra, sono le sole che ho
trovate sinora. L'Avellino corresse l'ARBO, ARBOV/Vi letto
dal Carelli (Descr. 21, 22, 24) attestando che nei nn. 20, 21
si leggeva • ■ OBVM e nel n. 24 P- BOV/V\. Egli ammise tre
lezioni PROBOM, PROROM o ilROBOVM e aggiunse che l'AR-
BOVM del n. 22 si doveva a parer suo emendare PROBOO/V\(').
Le lezioni niKEOVM data dal Pellerin Recueil, IX, 49),
e AAOSTAS: (Hunter, p. 287 n. 3, Carelli tab. LXV, 19)
non hanno riscontro: il PROROM, PROBOM, ohe ci trascrive
l'Eckhel [Catal. M. Caes. p. 6 pag. 19) è mal trascritto.
Queste monete, mi scrive il sig. Kenner, direttore del Museo
Cesareo, sono tuttavia nel Museo imperiale e vi si legge,
n. 21, PROBOVM, n. 25, PROBOM. Non ometterò che la
greca leggenda AAOSITAS: è ammessa come possibile dal
Mommsen (H. de la m. Ili, f. 180, nota), stante che i mone-
tieri si servono talvolta delle lettere greche, come segni
monetali. Egli inoltre vede non so qual mistero nel PRBOVM,
ove scrive (C. I. L. voi. I, 9): Ut Leucios, Oscorum. Luvk,
Graecorum ytevx respondet, ut noundinum ex novem deri-
vatum est, ita in prboum sane aliud latet ac simplex voca-
bulum probom. A me par strano cercare un senso ignoto nel
prboum ove è evidente dal confronto di PROBOM PROBVM
di altri conii che sia una semplice varietà ortografica del-
l' O, V, OV. Ed è ben altra cosa il servirsi di lettere greche
come segni monetali ; e però sorprende che siansi allegati
(') Stimo che il fi e l'OO in queste lezioni JcH'Ayellino si debbano
attribuire ad erruri di stampa.
questi confronti per giustificare l'uso della greca lingua di
una città non di certo greca sopra mi pubblico monumento
ai tempi della colonia latina.
39. Testa laureata di Apollo volto a d. dietro O. R. Bue an-
droprosopo coronato dalla Vittoria : nell' esergo SVESANO.
In altri esemplari si legge is: o P fra le gambe del toro,
e dietro la testa di Apollo alcune di queste lettere K, N, T
notate già dal Carelli.
Tav. LXXXIII.
1. Nella mia collezione. Testa di Minerva coperta di galea aulo-
pide volta a d., ha nella massa dei capelli inserto un gio-
iello in forma di rosaceo, e al collo una larga zona per
collana. R. Gallo che canta volto a d. dietro astro, davanti
SVESANO. Fra gli esemjDlari che portano questo tipo ho
prescelto questo, perchè più ornata vi si rappresenta l'ima-
gine della dea, e dà fondamento di credere che siasi ri-
tratto un principal simulacro venerato in questa colonia.
AURUNCA
Grli Aurunci a nome dei quali è battuta la moneta di
bronzo, in osca lingua, sono quei popoli che abitarono Au-
runca capitale degli Ausoni, che dicevasi fondata da Auson
figlio di Circe e di Ulisse (Fest. pag. 18). Questa città le cui
mine oggi si mostrano sul monte santa Croce di Eocca Mor-
fina, piccola terra distante quattro miglia da Tiano egual-
mente che da Sessa, ebbe dunque la propria moneta, la quale
fu dai numismatici per lunghi anni attribuita a Marcina città
annoverata da Strabene fra le campane (V, 251). Il motivo
si fu, perchè vi leggevano che una sola epigrafe quella cioè
che è posta, non quella che sta di sopra, e questa che sta
di sotto al delfino del riverso, la quale dice in osca lingua
^II51>INW, ovvero JII>I>INI41, ovvero ^1I>1>IRRH1 il qual Macdes
nome del magistrato traducevasi MarrAna non Madcina,
quando non si era ancora inteso il valore della lettera 51
nell'osca letteratura. Questa attribuzione durò fino ai giorni
nostri, e solo il Millingen non se n'era mostrato persuaso
e aveva pensato invece che il bronzo fosse di Arpi ovvero
di Salpi (Consid. p. 195).
Nel 1847 studiando la collezione del Kircheriano vitroyai
un esemplare di questa rara moneta, e avvedutomi della iscri-
zione quantunque assai logora che pur v' era di sopra del del-
fino, la presi meco per determinarne la lezione. Avvenne dun-
que che dopo lunghe e ripetute prove vi leggessi la voce
mOUd^^^N, confermandomi due esemplari l'uno del pr. di
s. Giorgio l'altro del cav. Santangelo. La notizia ne fu di-
vulgata da me nel Bull. ardi, napol. 1852 tav. IV, 4 pag. 65).
La moneta fu dunque d'allora in poi assegnata ad Aurunca,
e il Macdes ovvero Macces apparve dover essere nome di un
magistrato monetale.
I cittadini di Aurunca erano socii del popolo romano,
ma essendosi messi a predare nelle terre vicine diedero ai
Romani indizio di meditata ribellione, e però fu mandato
lor contro M. Furio Camillo, che nel 409 li disfece. L'anno
T. LXXXIII
CAMPANIA
73
seguente il console Tito Manlio li accettò per deditizii. I Si-
dicini mossero poi loro guerra con l'aiuto dei Caleni: e gli
Auninci ebbero ricorso a Roma: ma tardando di troppo
l'aiuto implorato dai Komani essi abbandonata la città si
rifuggiarono in Sessa e iri si fortificarono (Liv. Vili, 15).
La cittìi abbandonata fu quindi presa e disfatta dai Sidicini :
moenia antiqua eorum urbemque ab SUlicinis deletam.
Così ebbe fine Aurunca e cominciò Sessa a darsene il so-
prannome ; quae nunc Aurunca appellata, scrisse Livio.
2-4. Sono qui rappresentati tre esemplari, il primo è nel Kir-
cheriano, il secondo nel Museo Britannico, il terzo nel
Museo Santangelo. Tutti gli esemplari cbe si conoscono
finora sono logori.
Nel dritto v' è la testa di Apollo coronata di lauro e
Tolta a sin. dietro ha una patera. B. Delfino nuotante a
sin. di sopra mi>ll/lNqNN di sotto ^ll>l>INNW. Nel secondo
esemplare la leggenda è WV>ll'IN^NN dove sembra che vi
sia l'I in monogramma coll'Ud. Nel terzo il nome del ma-
gistrato è ^IIJDIRUI dove l'N non si raddoppia come nel
numero 2, e il secondo >l è scambiato erroneamente in Jl [Mac-
diis). lì magistrato è Maccius, nome sì raro che io non ne
ricordo più che un solo esempio ed è in una lapida trovata
di recente in Pompei (Giorn. degli scavi, 1881 p. 141),
la quale correttamente a pag. 324 si legge così:
C • TILLIVS C • F • RV • ITER
r • MACcivs ■ r ■ F • selas
II • VIR ■ IVR • DEIC
EX D ■ D • FAC • COER
TIANUM SIDICINUM
Una splendida prova dell'arte osca di Campania ci viene
dalle monete di Teano sidicino. Veneravano essi Ercole
e Apollo e li rappresentarono sulla moneta ponendo nei ri-
versi dell'argento la triga come i Caleni, e nel bronzo po-
sero Mercurio col toro androprosopo dei Campani. È sin-
golare che il loro Mercurio porti un pileo largo, acuminato
e che pare intessuto di paglia, le ali che si vedono nel
pelaso del Mercurio di Sessa vi sono omesse. Questa città
venne in potere dei Eomani dei quali aveva implorato
l'aiuto contro i Sanniti e i Greci ; e nella guerra annibalica
essa ne era la prinoipal piazza d'arme: finalmente vi fu
dedotta una colonia da Augusto. In tutte le monete i Tia-
nesi fanno uso della lingua osca, se ne eccettui soltanto
quel bronzo che ha per tipo la testa di Minerva e al riverso
il gallo, dove ancora l'epigrafe è latina TIANO. Cotesto
tipo si vede comune ad altre città fra le quali Napoli vi
adopera l'argento, e ritiene la propria lingua, che è la greca,
Telese e Venafro la osca, Caiazzo, Calvi, Sessa, Aquino
la latina. Teniamo come verosimile, che Napoli stesse a capo
di questa alleanza che ci si rivela dalla comunanza del tipo,
e che mancando a Napoli la corrispondente moneta di bronzo
con tal tipo, sia avvenuto che si confederassero ad uno
scopo nell'epoca in che non si coniava piìi l'argento in
Sessa e Calvi. Sembra anzi che Aquino, Telese e forse anche
Venafro e Caiazzo abbiano avuto di qua l'impulso di co-
niare moneta.
5. Nel Museo Santangelo. Testa di Ercole imberbe coperta dalla
spoglia di leone SVUNkT. /f. Vittoria che guida una ti-iga
I di cavalli; nell'esergo SVUDIIJIR (Minervini, Bull. arck. nap.
an. IV tav. IX n. 4).
6. I tipi non sono diversi da quei della moneta precedente,
manca però l'epigrafe nel dritto e solo si legge nell'esergo
del riverso SVMflhT.
7. Testa di Apollo laureata e volta a d. ivi JIVI/IFil-T. B. Bue
androprosopo a d. sopra lira nell'esergo SVUDIIJIR.
8,9. Testa di Mercurio volta a d. dietro un astro e il caduceo,
davanti JIVUNIT. B. Bue androprosopo, astro di sopra,
}IVHI>II51I(^) nell'esergo. Nella mia collezione vi è un esem-
plare con due tagli profondi di contromarche sul volto del
Mercurio, che io qui rappresento (n. 9).
10,11. Testa di Apollo volta a sin. davanti 9MV\WT. R. Bue andi-o-
prosopo a d. coronato dalla Vittoria, la un mio esemplare
conservatissimo si legge >IVHRiT. Lo do inciso (n. 11) per
conferma di cotesto scambio del >l e del 51 il quale s'in-
contra come ho detto anche in ^IIJDINWI talvolta scritto in
luogo di ^ll>l>INkM.
12. Testa di Minerva coperta dall'aulopide volta a sin. R. Galla
che canta a d., dietro astro, avanti TIANO.
CALES
Calvi dopo di aver combattuto e distrutto Aurunca
nell'anno 419 mosse guerra ai Eomani, e fu vinta, presa
e predata dal console M. Valerio Corvo. Vi fu inoltre la-
sciato a guardia un presidio fin che non vi si collocò
nell'anno 420 una colonia {Veli. 1, 14), che prese il nome
di Cales Ausonum. Dei fatti e del governo di Calvi libera
la storia è muta. Della sua prosperità, ci fa fede Livio,
ove nota, che i Romani vi fecero ima preda ingente: ma
dell'epoca in che fu colonia parlano le sue monete e i suoi
fittili donde apprendiamo l'alto grado di coltura a che
era giunta. Mentre le famiglie dei Canulei, degli Atilii e
dei Gabinii erano venuti in tanta fama pei loro lavori di
creta, quanta ce la rivelano il gran commercio che se ne
faceva per tutto il Lazio, in Etruria e in Sabina, la zecca
coniava quei didrammi, che fanno oggi così bella mostra
nelle raccolte numismatiche. La Pallade è di stUe perfetto,
e la Vittoria in triga lanciata a gran corso ben sostiene
il confronto dei bassirilievi del Partenone. Il bronzo sembra
più antico dell'argento, nel quale solo s'incontra spesso
la lettera U non acuta ma media forma. I due metalli
sono tagliati sul sistema della Campania, come quei dì
Sessa e Tiano, ma non si conoscono frazioni. È nota una mo-
neta di confederazione fra Calvi e Napoli (Tav. LXXXV, 32).
In un bronzo napolitano di mia collezione che è ribattuto
sono tuttavia visibili alcune lettere della leggenda in greco
alfabeto KAAE (Tav. LXXXV, 30).
13. Nel Ejrcheriano. Testa di Minerva coperta dell'aulopide
con corona in rilievo sulla cocca volta a d. sotto al collo 0,
80
CAMPANIA
T. LXXXin
dietro ferro di lancia. B. Vittoria che guida una biga,
nell'esergo CAUENO.
14. Mia collezione. Lo stesso tipo che al n. 13 suU'aulopide è un
grifo, sotto al collo un B dietro un pentagono. L'epigrafe è
uscita di conio. La lettera U d'ordinario è della forma detta
media cioè né acuta né normale.
15. Testa di Apollo Tolta a sin. dietro uno scudo dittico. R. Bue
androprosopo coronato dalla Vittoria, nell'esergo CAI'ENO.
La lettera I' nel bronzo è sempre acuta.
16. 17. Testa di Minerva volta a sin. davanti (n. 16) CAl'ENO,
dietro A. 7?. Gallo che canta a d. dietro astro, davanti
(n. 16 A), A^EN^ (n. 17). È opinione del Minervini {Oss.
p. 23, 24) che quell'A del riverso e del dritto, maggiore
delle solite lettere, dinoti l'iniziale di Aqicinum e però che
sia questa moneta di confederazione.
18. Nel Museo di Vienna. Testa giovanile volta a d. coi capelli
annodati alla nuca. R. Gallo che canta volto a d. dietro
astro, davanti CAUEUO. Parmi che sia una contrafazione in
argento della litra od obolo di rame, a cui si è cambiato
il tipo del dritto: ne fo autori i Galli cisalpini.
CUMAE
I Calcidesi di Eubea dopo aver rifabbricata in Asia la
eolica Cuma vennero nelle nostre terre, e in prima si stan-
ziarono in Aenaria, detta da Omero Inarime e dai Greci
d'Italia Pithecusa, oggi è Ischia: ma non guari dopo abban-
donata l'isola presero stanza in terra ferma, e vi fondarono
Cuma. Loro colonie furono Dicaea, detta anche Dicaear-
cliia, Palaepolis e Neapolis. Fondarono anche Zancle in
Sicilia l'anno primo della Olimpiade XIII che è il tren-
tesimo dalla fondazione di Roma (Tucid. VI, 4). Sosten-
nero gli attacchi dei Tirreni e li respinsero con l'aiuto di
Gerone I, non pertanto soggiacquero all'ambizione di uno
dei loro prodi generali Aristodemo il Malaco, che ne usurpò
il governo. Tarquinio Superbo vi prese soggiorno dopo la
disfatta al lago Eegillo e vi morì l'anno 259. I Sanniti in-
vasa Campa nel 319, e impadronitisi di Volturno nel 331,
presero Cuma d'assalto nel 335, e vi fecero massacro dei
cittadini costringendone molti a trasferire la loro stanza
in Napoli. Essi però vi dominarono per pochi anni essen-
done stati scacciati nel 342. Dal confronto di due nummi,
l'uno dei quali coi tipi campani congiunge l'epigrafe Cume-
nis (T. LXXXIV, 6) e l'altra di simil fabbrica (T. LXXXI, 14)
che cambia l'epigrafe in Fiscinis, possiamo dedurre che ci
fu un' alleanza f^ a i Cumani e i Pistelini, e troveremo an-
cora il motivo della conchiglia marina dei cumani presa
per tipo dei Fistelini, popolo mediterraneo, come è dimo-
strato appresso. Un nummo veduto solo dal Mionnet rap-
presentante da un lato mezza ranocchia e dall' altro una
conchiglia con l'epigrafe KVAAE (Mionnet, I p. 114
u. 139) del peso di gr. 5,44 è sembrato al Mommsen
battuto sul sistema eginetico. La loro moneta è lo statere,
che dividono in sesti e dodicesimi. Coniarono l'oro e l'ar-
gento non però il bronzo : la moneta di questo metallo che
le si attribuisce non si è mai trovata in Campania : si cerchi
nella Brezzia fra le locresi. Nel Museo di Parigi vi fu
una moneta d'oro, della quale ebbi dubbio che fosse d'argento
indorato : il Cohen interrogatone da me, presente il sig. Cha-
bouillet, non volle dare il suo avviso. Ora la monetina
messa in luce dal Poole, della quale non possiamo dubi-
tare, se non ne dubita l'editore, ha posto fuor di contro-
versia che in Cuma fu una volta battuto l'oro. L'alfabeto
e il dialetto del quale si serve Cuma è quello primitivo
dei Calcidesi nel quale la lettera sigma è a tre aste l :
però vi fu introdotto anche il più recente alfabeto nel quale
questa lettera ha la forma cosidetta dell'arco scitico 5. Fra
i tipi delle monete è singolare quello che esprime tre teste
di fiere, l'una di fronte che sta nel mezzo e le due laterali
di profilo. Al Millingen [Anc. coins pi. I p. 4, ConsuL p. 121)
parvero tutte e tre teste di cinghiali e ricordò l'antica pre-
tensione dei Cumani di possedere nel tempio di Apollo i
denti del cignale di Erimanto. Ma è certo che la fiera di
mezzo è un leone. Par quindi chiaro che i Cumani hanno
messe insieme queste tre fiere di natura discorde quasi
in domestica compagnia per rappresentare un mito, qual si
è quello delle stalle di Circe, donde ancora hanno presso
le rappresentanze di Scilla cambiata da Circe in mostro
marino e vi hanno figurato Glauco, per le relazioni sue con
Scilla che provocarono la vendetta di Circe e perchè era
favola Euboica donde i Cumani traevano origine (Serv. ad
■• Virg. Ed. VI, 74): Glaucus deus marinus, dum ipse amare-
tur a Circe et eam contemneret: illa irata, fontem in quo
Soylla solebat se abluere infecit venenis ; in quem cum de-
soendisset puella inedia sua parte in feram mutata est.
Per tal motivo accetto ancor io che sia Glauco col Cave-
doni {Spie, numism. p. 14 e 301), col Luynes {Ann. In-
sti!. 1830 p. 806) e col Millingen {Sìjll. p. 13), il quale
prima {Recueil, p. 3-6) aveva stimato che fosse Aegeon, ac-
cetto, dico, che il mostro sia Glauco. Il Cavedoni (1. oit.)
aggiunge, che Glauco tenevasi padre di Deiphobe, Sibilla
cumana. Gli Allibani che abitarono le stesse spiagge cu-
mane rappresentavano Scilla in atto di portare colla sini-
stra un delfino e colla destra un polpo; le protome dei cani
latranti si levano dalle spalle soltanto, ovvero anche dal-
l'inguine, essa talvolta ha il torace coperto di marina lanu-
gine, e Glauco ha il mento vestito di peli. Eitornando al
tipo del leone in mezzo ai cignali è d'uopo avvertire, che
il Millingen l'ha poi tacitamente riconosciuto a p. 231, 232,
dove riporta una novella spiegazione del Cavedoni {BuUett.
Instit. 1840 p. 9), che nel leone vorrebbe trovare una re-
miniscenza della Dicaearchia, fondata dai Samii, e di più
una loro alleanza. Ma il Cavedoni non ha considerato che
col leone simbolo dei Samii vi sono due cignali, che per
ciò dovrebbero dirsi simbolo, se non adoperato dai Samii,
almeno dei Cumani, ciò che non sappiamo come si possa
provare. Però fa senso che il Millingen abbia considerato
questa congettura non solo come ingegnosa, ma come la
più verisimile di quante si erano proposte.
19. Parigi, nel Gabinetto deUe medaglie preso da me a calco.
T. L5XXIV
CAMPANIA
81
Testa della Cuma volta a d. i?. Conchiglia e intorno 3AAV>I
ìndi O. Una moneta simile fu da me veduta anche nel Mu-
seo di Torino e ne presi il calco. Ora fattane ricerca per
conoscere il peso e prenderne esperimento se di puro oro,
i direttori dei due Musei mi hanno fatto sapere che ivi piìi
non si trovano. Il Cohen prima non volle, interrogatone da
me, dire che ne pensava. Nella collezione Santangelo se ne
ha una con la testa di Minerva coperta di aulojjide sul
dritto. Questa come ha ben avvertito il Fiorelli nel Catalogo
è dorata di recente. Forse le due monete saranno state
riconosciute per tali e sottratte.
20. Nel Museo Britannico. Aulopide volta a sin. R. Conchiglia
e intorno 3AAV>I. Il Poole (Catal. 85, 1) attesta che è d'oro
del peso incirca di 0,32.
21. Nel Museo Britannico. Testa di Cuma con monile al collo
e tenia intorno ai capelli. R. Conchiglia sopra della quale
sorge una palma e intorno vi è scritto KVAAE. Pesa gr. 7,58
(Poole, Catal. p. 85, 2).
22. Nella collezione di Luynes. Testa di Cuma a d. coi capelli
sollevati alla nuca dal nastro che cinge il capo; davanti
KV/V\E. lì. Protome di leone di mezzo a quelle di due ci-
gnali. Il Millingen vi ha veduto invece la testa o spoglia
di un cignale fra le spoglie di due fiere domate da Ercole
(Considerai, pag. 126, 127).
23. n disegno che ho inciso deriva da un zolfo. La protoma
del leone e dei due cignali stanno qui sul dritto rimanendo
sul riverso la solita conchiglia e con essa un turbine ma-
rino: intorno si legge due volte per isbalzo di conio KV-
MAION.
24. Da un zolfo. Testa di Cuma a d. R. Conchiglia e sopra di
essa il mostro Scilla cinta intorno di cani che latrano e
desinente in coda tortuosa di pistrice, in alto MOIA/V\V>l.
25. Nel museo di Milano. Testa di Cuma volta a d. R. Con-
chiglia e sopra di essa un busto d'uomo barbato desinente
in coda di pistrice; di sotto KV/V\(AIO)N.
26. Da un zolfo. Se ne ha un esemplare nel museo Britannico
[Catal. p. 89, 27). Testa di Cuma volta a sin. R. Conchi-
glia e sopra di essa il mostro Scilla con indosso una corta
veste tessuta di lunghi velli ed epigrafe KVMAIOld NI.
27. Nel Museo di Napoli. Testa di Pallade coperta di galea
laureata e volta a d. R. Conchiglia e sopra di essa un serpe
e MOIAW\V>l.
28. Coli. Luynes. Testa di Pallade coperta di galea laureata e
fregiata della civetta volta a sin. R. Conchiglia e sopra di
essa un acino di grano, sotto OMOIAWV)!. Torna qui quel-
rO che abbiamo veduto nel n. 1 il cui valore egualmente
che quello della sillaba NI ci è ignoto.
29. Nel Museo Britannico. Testa di Pallade coperta di elmo
laureato volta a d. R. Conchiglia e sopra di essa un cane
pomerano che va a sinistra camminando sopra una linea con-
cava: intorno KV/V\AION.
30. Coli. Luynes. Testa di Pallade coperta dall' aulopide volta
a d. intorno KWVAION. R. Granchio marino che sostiene
colle due chele la conchiglia. Questo tipo si spiega dal
Millingen come un apologo tolto dall'istinto del granchio
che per divorare la conchiglia gitta dentro alle aperte sue
valve un sassolino, e cita per ciò Oppiano, Halieut. II,
ver. 169-180.
Tav. LXXXIV.
I. Testa di Cuma volta a d. R. Conchiglia e sopra di essa un
Cerbero a due teste: intorno KYN\AION. Il Millingen dà al
Cerbero tre teste (Syll. of ano. Greek Coins p. 10 pi. 1
n. 4; Considerat. pag. 126). Egli ricorda il Cerberium e
cita Scimno (v. 340, ed. Muller), che lo dice oracolo sot-
terraneo, vjzoyfiòviov navTEÌov, dove Ulisse si recò ritornando
da Circe. Non mi par probabile il sospetto del Letronne e
di altri che si riferisca all'impresa di Ercole.
2-4. Testa di Cuma. R. Conchiglia e acino di grano. L'epigrafe
è n. 2 l/i01A/V\Y>l, n. 3 (KV)/V\AION, n. 4 KVMAION. Questo
n. 4 è della collezione mia e si rende singolare per la
lettera 5 alla nuca della testa nel dritto. Ve n'è un esempio
anche nel Museo Britannico [Catal. 87, 116).
5. Mia collezione. Il Minervini l'ha da un altro esemplare [Bull.
ardi. nap. Ili tav. Vili, 3). Ve n'è un terzo nella col-
lezione Luynes. Testa, di Cuma a d. /?. Bue androprosopo
coronato dalla Vittoria; nell'esergo KYCOAION ripetuto due
volte per sbalzo del conio.
6. Nel Museo di Napoli. L'ha pubblicato il Fiorelli [Ann. di
numism. 1876 Tav. Ili, 5) dall'esemplare medesimo che
-porta nel dritto la testa di Cuma e al riverso la conchi-
glia e sopra un acino di grano eolla epigrafe che io leggo
IW\ B'I'IV!) precedente una linea che sembra improvvidamente
staccata dal D col quale doveva unirsi e formare il >l.
7. Testa di donna volta a d. R. Conchiglia e sopra un sorcio:
di sotto KVUAI.
8. Nel Museo di Firenze. Testa di donna. R. Conchiglia e sopra
una testa d'uomo barbato: intorno è l'epigrafe KV((0AI)ON,
9. Testa di uomo barbato coperta di aulopide e volta a d. R. Con-
chiglia e sopra KV.
10. Collezione Santangelo. Testa giovanile imberbe coperta di
aulopide e volta a d. R. Conchiglia e sopra KV. Questo esem-
plare è dorato.
II. I tipi sono simili a quelli del n. 10: v'è di piìi nel riverso
una conchiglia pecten, sopra la solita conchiglia è l'epigrafe
intera KVCOE.
12. Nel Museo Britannico [Catal. p. 88 n. 17). I tipi sono gli
stessi che ai nn. 10 11, ma l'epigrafe del rovescio è re-
trogada e tronca AAftV)!. Sul corpo della conchiglia v'è scol-
pito un AA. Pesa gr. 0,77.
13. Avell. Op. 11, tav. Ili, 13. Elmo aulopide. R. Conchiglia
e (KV)M.
14. Avell. Op. II, tav. Ili, 3. I tipi medesimi che nel n. 13.
L'epigrafe è FV. Pesa gr. 0,10.
15. Kuota a tre razzi con tre globetti negli intervalli. R. Del-
fino e sotto V>l (Poole, Catal. 89, 24). Pesa gr. 0,12.
16. Elmo aulopide. R. Conchiglia e V>l (Id. Catal. 89, 25). Pesa
gr. 0,06.
17. Elmo aulopide volto a sin. R. Conchiglia (Minervini, Bull.
82
CAMPANIA
T. LXXXIV
ardi, napol. Ili, XH, 4 ; Oss. IV, 4). Nel Museo Britan-
nico ve n'è un simile esemplare del peso di gr. 0,32 con
l'epigrafe KV63E. Il Minervini {Oss. p. 34) osserva che po-
trebbe essere anche di Napoli : ma i tipi della galea plu-
tonica e della conchiglia del Lucrino sono cumani.
NEAPOLIS
I Cumani avendo presa terra all' occidente del promon-
torio di Miseno mandarono tre loro colonie a pigliar stanza
a mezzodì del medesimo lungo la riviera del cratere e furono
Dieaearchia, Palepolis e Parthenope detta anche Neapolis
quando vi si stabilirono i Calcidesi, coi Pitecusani e cogli
Ateniesi, dice Strabene (V. IV, 7), o, come scrive Lutazio,
quando i Cumani gelosi del concorso dei popoli a quella
loro colonia essendo venuti in deliberazione di distruggerla
e lavorando a tal fine ebbero ordine dall'oracolo di aumen-
tarne gli abitanti ciò che essi fecero e col nuovo nome
v' instituirono feste solenni (ap. Philarg. in Virgil. Georg.
IV, 562). Questo avvenimento data dall' anno 307 in circa
di Roma. Essendo poi nati tra gli abitanti dissidii e stando
divisi da partiti furono costretti ad accogliere anche i Cam-
pani in civil società e affidarsi piuttosto ad essi che ai loro pro-
prii concittadini : onde è che fra i demarchi si trovano nomi di
osca origine (Strab. loc. cit.). Questa ammissione di coloni di
versi è dimostrata dal dialetto ora cuboico, ora gionico nei
nomi NEOPOAITAS:, NEOPOUitEilN, NEHP0H2:.;La forma
del sigma è doppia: essi adoperano il 5 che durava tut-
tavia allorché fu introdotto l'alfabeto euclideo, stante che
gli Ateniesi furono piìi lenii dei Dori ad accettare la forma
dell'arco scitico S. Così abbiamo NEOPOUITHJ, NEOPO-
UITHS e NEHPOUS . Al 429, erasi già cambiato il primitivo
U in A, se il Carilao della moneta è quel medesimo, che
aprì le porte di Palepoli ai Eomani, e per altra via mise
fuori la guarnigione sannitica e rimandò la nolana. Allora
fu anche rinnovato il foedus noapoUtanum, del quale parla
Livio (VIII, 26). Credevasi che una delle Sirene di nome
Partenope gittatasi dall' alta roccia dell' isola da lei abitata
nel mare sottoposto approdasse alle foci del Sebeto e quivi
poi fosse sepolta, a cui i Napolitani fabbricarono un tem-
pio e instituirono feste e sacrifizii. Il fiume da Lieofrone
è chiamato Glanis il quale anche nomina la torre di Palerò,
dove dice che abitò la Sirena, e dove ebbe la tomba.
Ci sarà facile assegnare alcune monete all' epoca di tran-
sizione nella quale si vede una testa muliebre coi capelli
sparsi e diademata di prospetto e al riverso il bue andro-
prosopo che va a destra o a sinistra. Queste adoperano in
pari tempo l'alfabeto antico e il pivi recente inscrivendosi
NEOPOUITES, ovvero NEOPOUITH5, ovvero NEOPOAlTHg .
Ad epoca posteriore si debbono assegnare quelle dove il
bue androprosopo mentre va a destra o a sinistra volge
la testa di prospetto sorvolando una vittorietta, che lo inco-
rona. In queste monete l'alfabeto è sempre il pivi recente,
dove sono le lettere H, il, e la A e la $ . Ma questa epoca
è di certo anteriore alla cessazione della zecca degli Iriani :
perchè noi abbiamo una moneta napolitana con tali tipi e
tale letteratura ribattuta dalla zecca d' Hyrium ( tav.
LXXXIX, 6). Vi ha una monetina da me letta presso il
sig. Eiccio e illustrata nel Bull. Arch. Napol. fnnova se-
rie, 1852 n. 3) i cui tipi sono da un lato una testa gio-
vanile sulla cui fronte spunta un piccolo corno vitulino,
ed ha intorno la leggenda SEPEI0OS: nel rovescio è una
donna alata sedente accanto ad un monumento, ed ha da
presso un'urna giacente al suolo. Quel fiamicino che i latini
costantemente scrivono Sebethus e fra i Greci Teognosto (58)
il chiama ^éfiidog voluto cambiare dal Lobeck (PathoL
pag. 365) in ^e'iSrjdoc, si è poi finalmente appreso da que-
sta moneta che si appellò IsTteidog. I latini fecero sempre
lunga la prima sillaba, sembra però che i Greci fra i quali
è il citato Teognosto abbiano serbato 1' s in quel luogo.
La radice e il significato di questo nome ci è ignoto.
La Sirena Partenope non fu ninfa acquatica: ben però
il Sebeto ebbe una figlia che fu madre di Ebaio, e questa
è che Virgilio chiama Nympha Sebeihis (Aen. VII, 735).
Io ravviso la Sirena Partenope in quella donna alata che
siede accanto al suo monumento. Essa è tenuta per la for-
tuna della Città la n'x»; nóXsoic, come la Serena Ligoa,
che però prende ivi anche il nome di Terina. È loro attri-
buto r idria, nella quale raccolgono acque salubri e perenni,
che rendono lieta e felice la città lieti e fecondi i campi.
I Napoletani avevano drizzata una statua alla Sirena Par-
tenope e la sua testa posero sul dritto della moneta, ovver
quella di Pallade attica. V è anche l'Apollo sia il Cumano
sia il Delfico, per ordine del quale i Cumani ripopolarono
la città che volevano distruggere.
Se Palepoli e Napoli erano due città l'una presso del-
l'altra e come afferma Livio (Vili e. 22) abitate da un sol
popolo, duobus urbibus populus idem habitabat, non per-
tanto ai Palepolitani solo i Eomani attribuirono i danni fatti
nell'agro campano e nel Salerno e contro essi soltanto rivol-
sero le armi. I Palepolitani aveano chiamato a difesa della
loro città Sanniti e Nolani. Carilao e Ninfio che erano prin-
cipi di quella città e parteggiavano pei Eomani ve gì' intro-
dussero mettendone fuori Sanniti e Nolani. Si venne quindi
ad una nuova alleanza con Eoma. Ma Livio non l'appella
foedus Palaepolitanum, sibbene Neapolitanum, mentre a
Eoma si trionfò, de Falaepolitanis. Tutte queste partico-
larità dimostrano che Palepoli altro non era che un'acro-
poli, una cittadella di Napoli, e però ivi erano le forze
militari e a lei sola si attribuivano i guasti fatti. Carilao
e Ninfio, se sono quei ohe si leggono sulla moneta, avremo
indi conosciuto quando furono emessi questi didrammi. Po-
tremo anche opinare che la. moneta di bronzo inscritta
Pil/V\AlilN fu impressa all'occasione del foedus neapolita-
num ad onore dei Eomani e a dichiarazione del patto.
Della società coi Tarentini fanno prova le monete coi tipi
di quel popolo, sebbene quando agli aiuti che i Palepolitani
se ne attendevano, si sa che furono delusi (Liv. Vili, 25, 27).
Abbiamo anche dei bronzi col doppio nome di Napoli e di
Sessa, di Napoli e di Calvi: e una confederazione fu fatta
T. LXXXIV
CAMPANIA
83
con queste due città e iaoltre con Compulteria, con Piste-
lia e con Isernia, non prima però del 491, la cui espres-
sione io ravviso nella sigla 1$ , nome dissimulato dal capo
di essa. Sulla qual sigla di significato così controverso, che
fu da un tale detta perciò enimmatica, io non posso ravvi-
sare, che r iniziale di un magistrato della natura medesima
che i tanti nomi accorciati, talvolta solitarii, talaltra in-
sieme con uno o due colleghi. Trovansi di fatti questi
esempi: IS, Piì; IS lE; 1$, OS, KE veduti e trascritti
dal Carelli e dall' Avellino. I§ , XA (in monogr.) di mia
collezione non ben letto ISX dal Carelli, 1$, XA yvt in
altro mio esemplare. Nella carelliana Descr. pag. 26 n. 185
abbiano l§ , NS, non ben letto JVB dall'Avellino.
Cotesto IS se è nome di magistrato, come ho proposto
rimane a spiegare come si trovi con tanti colleghi. Pu già
sospettato dal Cavedoni {Bidl. iììstii. 1850 p. 197) che la
sigla le si riferisse ad una moneta convenzionale di quelle
regioni che avesse lo stesso peso e valore per tutte le
città e però dovesse spiegai'si 'I^ódooTrog 'I-ririi.(og 'I—6vo!.ioi
0 in simile modo. Ma in tal caso panni, non si sarebbe
dovuto vederla confusa con altre cifre e non interamente
scritta.
L' elefante asiatico messo per insegna su di un didramma
e sulla corrispondente dramma c'insegna che anteriormente
agli appresti per le guerre annibaliche si era cominciato a bat^
tere la dramma. Allora anche dovettero imprimere quella mo-
neta di bronzo che ha per tipo una testa di ritratto coi capelli
corti e ricci, e quell'altra che porta un personaggio caval-
cante coperto di un pileo a larga falda e con un para-
zonio sotto l'ascella sinistra, avendo pur la destra elevata.
Non è un Dioscoro che non avrebbe portato il parazonio
sub axilla, ma la lancia in pugno: ha però un'attitudine non
propria di uomo privato, la destra in alto. Io vi riconosco
una statua equestre ad onore di Pirro venuto nel 473 in
soccorso delle colonie greche di Italia. Egli è rappresentato
come nelle monete siracusane (Eaoul Rochette Mem. de
numism. Il, pi. 1 n. 16): ma la elevazione della destra
dimostra che viene a liberare.
È una singolarità fra le colonie greche della Campania il
diobolo di bronzo o dilitro che voglia dirsi, di cui ora cono-
sco più di un esempio. L'hanno battuto anche i Eomani
coi tipi deUa testa di Apollo e il leone al riverso : il suo
peso è di gr. 12,00. I magistrati pongono i loro nomi in
sigla, anche sul bronzo come si è veduto, ovvero intera-
mente. Di questi nomi io non ne conosco sull'argento che sei:
APTEMIOV, TNAIOY, AIO(l)ANOYS , XAPIAEil , TAV-
Klill, OAVMPIS : onde appare che fu libero inscriverli in
caso retto ovvero in obliquo, genitivo e dativo. QuelF'J^irf-
tiiov è stato trascritto finora ARTEMIA, e così si è letto
XAPIAEilS : i vari esemplari da me veduti leggono ,
XAPIAEil, come ho attestato.
Napoli è la prima che introduce in Campania il tipo
del toro androprosopo e lo rappresenta in seg^iito coronato
da una vittorietta sospesa a volo. A spiegare questo tipo
simbolico i numismatici si sono divisi in due schiere, l'una
di essi coi quali è l'Eckhel {D. n. v. I, 138 segg.) tenendo
che così fosse rappresentato il Bacco soprannominato Ebone
dalla barba ; l'altra che vi si volesse rappresentare l'Ache-
loo fiume dell' Acarnania, il cui culto fosse trapiantato in
Campania col prendervi terra la salma della Sirena Parte-
nope, ima delle figlie di lui. Questo culto non si potè in-
trodurre in Napoli se non quando ebbe un tal nome, rimessa
in piedi dai Cumani, e ciò dovette accadere avanti al 319
0 sia alla occupazione sannitica di Campa, anzi prima che
cotesta città fosse dominata dagli Etruschi. Perocché i Cam-
pani allora coniarono col tipo del toro androprosopo e greca
epigrafe in pari tempo che i Napolitani, siccome ci dimo-
stra U somigliantissimo tipo ed arte delle monete dei due
popoli. Non si sa se fu un'alleanza o qual altro motivo che
inducesse i Campani ad adottare il tipo napolitano. Allora
fu ricevuto anche in Hyrina ed Alife, poscia lo copiarono
Cuma e Nola, e vi aggiunsero la vittoria coronante il toro,
che però deve credersi già introdotta dai Napolitani in segno
e memoria dei giuochi instituiti in onore deUa Partenope.
18. Collezione Luynes. Testa di donna cinta da ima filza di perle
ai capelli e al collo con pendenti di perle all'orecchio dentro
una corona di olivo, volta a destra. R. Mezzo bue andro-
prosopo che nuota cinto ai fianchi di zona gemmata, intorno
NEHPOUS. Pesa gr. 7,60. Al costume di cotesto cingolo
bullato intorno al corpo allude Calpurnio Nemesiano {Bucol.
Ed. VI, 40, 41):
a doiso quae totnra circoit alvum
Alternai vitreas lateralis cingala buUas,
dove cingula nom. sing. è detto il cingolo degli animali, no-
tando s. Isidoro che: cingula homìnum, cingulas animalium
diciinus. Il Minervini attesta{ Oss. p. 67), che un tridi'ammo con
questi tipi ed epigrafe fu posseduto dallo Spinelli principe di
S. Griorgio. L'esemplare che qui pubUco è quello appunto, che
daUa collezione Spinelli passò a queUa del Luynes, ma è di-
dramma. Questa moneta porta il nome della città NsrjTvoXic,
non degli abitanti che si dicono NsomlÌTut. Al Ner/TTohg
fa riscontro IIulm'TzoXig non nalaiónoXi^. Strabene scrive
Nsàjioh: e NsccTiolTrca in comune dialetto, e così general-
mente gli scrittori greci. Pa senso che il Berkelio nelle
note a Stefano bizantino (pag. 584) citi lo Spanemio che
attesta aversi d'ordinario presso i negozianti monete inscritte
NEAnOAITilN, ma anche in alcune leggersi NEOnOAE.TilN.
Perocché altra leggenda di questa epoca non si ha che
NEOnOAITilN, e di rado NEOnOAlTEilN.
19. Da un' impronta in zolfo. Testa di Pallade coperta di elmo lau-
reato a d. R. Bue androprosopo a d. che ritira indietro il pie' si-
nistro anteriore, e leggenda di sopra NEfOUT, a destra 9 nel-
l'esergo 5 e a sin. un delfino. Un esemplare del Museo Britan-
nico legge egualmente [Catal. 92, 1) NEPOUIT, a destra 3 nel-
l'esergo S e a sin. un delfino.
20-22. Pongo tre riversi di altrettante monete a motivo del
confronto, che ne porge l'epigrafe, la quale nel n. 20 è
rEOnOAIT, in fine HS , y.iovr^dóv, nel n. 21 è reti'Ograda al
pari del n. 22 e (Sovatqo(fi]Sóv, come ai nn. 23, 24, 26, 29,
n
84
CAMPANIA
T. LXXXV
e leggendosi boccone nei nn. 21, 22 invece di § , che
si ha nel numero 20. Dai quali esempi si può dedurre
che la finale S si rappresenta talvolta giacente come un M.
Colla medesima giacitura scrivono i Campani il S or boc-
cone or su di un fianco, e quindi anche couchiuderemo
che mal ci siamo apposti finora credendo doversi leggere
KAAAnANO/V\ in genitivo plurale di osco dialetto. Ivi è
KAMPANOS tutto greco.
23. Museo di Napoli. Testa di donna messa di prospetto coi
capelli sparsi e il capo cinto di larga fascia. R. Bue andro-
prosopo volto a sin. e sopra NEOPOUI ; nell'esergo iET.
L'introduzione della vocale lunga H non trasse seco dunque
il cambiamento del lambda U in A : perocché noi troTÌamo
l'antico U congiunto colla ortografia più recente dell' H
euclidèo.
24. Coli. Luynes. Testa simile alla precedente. R. Bue volto
a sin. e (NE)OnOH; nell'esergo ^HT. La lettera i anteriore
alla § si trova qui e nei nn. 23, 25, 26 congiunta colla
L e colla E per H. Ma si è già avuto esempio del § con-
giunto ad H ed U in NEHPOUIS del n. 18.
25. Museo Britannico (Catal. 92, 3). Testa di donna cinta di
larga benda dalla quale presso alla fronte spuntano due
foglie e dimostrano una corona probabilmente di lauro.
R. Bue androprosopo a d., sopra una conchiglia pecteti e
l'epigrafe NE)OnOL.ITES.
26. Museo Britannico {Catal. 93, 4). Testa di donna volta a
sin. dietro alla nuca A. R. Bue androprosopo e sopra
NEOPOH{T) tra le gambe del bue iA. Questa desinenza
in as notata già dall'Ecthel ci è confermata anche da altri
esempi (V. il Catalogue cit. pag. 97, 98 nn. 39, 40, 41).
27. Coli. Santangelo. Testa di donna cinta di diadema volta
a d., davanti IAOTOEU. R. Bue androprosopo volto a sin.
sopra n031/l ; nell'esergo un serpe marino ideale a testa
di cavallo (cf. tav. LXXIII, 33).
28. Testa di donna volta a d. R. Bue androprosopo a sin. sopra
NEOPO. In questi due numeri 27, 28 i capelli corti e la
omissione dei pendenti e della collana sono singolari. Era
pertanto tradizione che Partenope approdando a Napoli si
tagliasse i capelli.
29. Avellino, Opuso. II, 3, 5. Testa laureata di Apollo volta a d.
R. Bue androprosopo a sin. sopra n03(M); nell'esergo THS.
80. Collezione Santangelo. Testa di donna cinta di diadema volta
a d. R. Bue androprosopo e sopra MEOI.
31. Collezione Luynes. Testa di donna di prospetto coi capélli
sparsi e decorata d'alta stefane con palmette e pegasi e
una filza di perle intorno al collo. R. Bue androprosopo co-
ronato dalla Vittoria, tra le gambe fAVZIill; nell'esergo
leggenda di carattere cieco per difetto di conio preso a
torto per fenicio.
32. Collezione mia. Testa di Pallade coperta di elmo ornato di
laurea e di una civetta. R. Bue androprosopo volto a sin.
e coronato dalla Vittoria: nell'esergo NEOPOAIT.
33. Coli. mia. Testa di donna ornata di pendenti e di una filza
di perle intorno al collo volta a sin. dietro la nuca un ele-
fante. R. Bue androprosopo coronato dalla Vittoria : tra le
gambe 81, nell'esergo NEOPuAITilN, L'insegna dell'ele-
fante dinota che cotesto didramma fu battuto dopo l'ar-
rivo di Pirro.
34. Coli, mia fior di conio. Testa di donna diademata con pen-
denti e collana volta a d. /?. Bue androprosopo coronato
dalla Vittoria : nell'esergo NEOnOAITHg .
35-38. Coli. mia. I tipi di questi didrammi sono simili ai due pre-
cedenti: i simboli e le epigrafi sono i seguenti: n. 35. Die-
tro la testa della donna coperchio forse di un' ara accesa,
forse della incudine su cui si conia la moneta, sotto al
collo APTEMIOY. R. OE nell'esergo (NEOP)OAIT; n. 36.
Dietro la testa una giovinetta daduca con due fiaccole nelle
mani, sotto il collo APTEMI. R. Tra le gambe del bue N,
neir esergo NEOHOAITilN ; n. 37. Dietro la testa della
donna un grappolo d'uva, sotto il collo A10(1)AN0Y§.
R. Nell'esergo NEOPOAITilN ; n. 38. Dietro la testa della
donna una daduca, sotto al collo PAPME. R. Tra le gambe
del bue un'ape, nell'esergo NEOPOAITIIN.
Tav. LXXXV.
1,2. Le due monete rappresentate qui dalla sola parte del dritto
compiono la serie delle monete insignite di nomi o inte-
ramente scritti ovvero in piti di una sillaba e solite citarsi
da coloro che trattano definire se questi siano nomi di ar-
tefici dei conii ovvero di magistrati. In primo luogo vi è
XAPIAEil si vorrebbe che costui fosse quel Carilao che con
V
Ninfio, a cui si attribuisce la moneta col N aprì le porte
di Palepoli ai Romani escludendone con arte la guarnigione
sannitica. In secondo luogo pongo il NionoXir che si legge
in un esemplare al quale non manca sul riverso il nome
NEOnOAITilN. Si hanno anche qui nelle mie tavole monete
di popoli che vi si inscrivono ripetutamente sul dritto e
sul riverso ; ma è notabilissimo che questo Nsonahr abbia
preso posto dove si sogliono leggere i nomi proprii di per-
sone.
3-5. Si danno esempi di piìi nomi inscritti sul dritto n. 3 § TA, X :
0 veramente insieme sul dritto e sul riverso n. 4 OA,
OAYM(PI§ ). Al n. 5 v' è un esempio di nome OYIA, che
non è di greca origine.
6. Coli. Santangelo. Testa muliebre cinta di largo diadema ri-
camato a meandro e annodato sulla fronte, con orecchino
a tre pendenti, TQiyhjvr], volta a d. R. Bue androprosopo
volto a d. coronato dalla Vittoria: nell'esergo AOIPYiiNA.
La publicò il Minervini (pag. 71), che vi lesse un' epi-
grafe di carattere punico nei due esemplari allora noti
(Oss. num. t. Illn. 4; VII, 3, pag. 54). Un terzo esemplare
nitidissimo si possiede ora dal sig. Dom. Bellini in Campo-
basso. Osservati attentamente i caratteri di coteste monete,
ecco il parer mio.
Non v' è dubbio che talune lettere espresse dal Minervini
siano fenicie, o meglio puniche, e però non avendo consultato
l'originale si poteva solo discutere sul valore del senso. Il duca
de Luynes se mai ebbe una volta questi caratteri per fe-
nicii, come al Minervini scrisse il Eochette {Oss. p. 56),
T. LXXXV
CAMPANIA
85
certo parlandone meco tenne un contrario linguaggio. Ora
considerata l'originai moneta il parer mio è che l'epigrafe
tuttoché barbara e retrograda ostenta nuUadimeno elementi
greci e tali che si possono interpretare per Nsvnoh, erro-
neamente scritto Nsi'TTiol. Dove l'italico II prende il luogo
di E, r O si vede cambiata in Y, di ohe abbiamo altri esem-
pi nel greco dialetto di Napoli che però pare fosse l'eolico
quando fu coniata questa moneta. Anche l'Ahrens ha no-
verato et' per eo come eolico (de dial. aeol. pag. 103).
Il novello esemplare recatomi dal sig. Bellini dà la chiara
leggenda: AOPYiM.
7. È un simile esempio di erronea leggenda iiE/vTOii in moneta
di bello stile. Nel Museo di Marsiglia lessi già in moneta
di Napoli chiaramente NEOAHO.
8. Collezione Santangelo. Testa di ApoUo cinta di laurea con
capelli ricci ; volta a d. davanti NEOPO. E. Cavaliere nudo
con clamide svolazzante che armato di elmo corre vibrando
un giavellotto.
9. Esempio della dramma che reca i tipi comimi. Testa di donna
volta a sin. dietro un cornucopia. R. Bue andi'oprosopo co-
ronato dalla Vittoria ; fra le gambe l§ : nell' esergo NEO-
POMTflN. Le lettere 1$ si trovano ancora nei didrammi.
10,11. Nel Museo di Napoli. Testa giovanile del fiume Sebeto
con corno sulla fronte e cinta di diadema: intomo nel
n. 10 si legge 5EP..QOS e n. 11 SEPEI..5 onde io inver-
tendo anche l'erroneo 0OSSEPE che si era letto dal Eic-
cio, ti-assi la intera leggenda 5EPEI005. R. Donna alata
sedente con ramo di lauro nella sin. ed ha da presso im'urna
giacente. Essa è seminuda ed in atto di volgersi indietro
e guardare in alto. Nel n. 10 la donna alata, porta la dèstra
ad un monumento di forma incerta e non le si vede il
ramo nella sinistra. E. peso delle due monete è di gr. 0,61
cioè di un hemiecta, pesando allora lo statere di Napoli
gì'. 7,40 in circa. Questa imagine non fu ben interpretata
finora nelle due edizioni che se ne sono fatte fra noi.
12. Testa giovanile con capelli corti cinti di laurea, volta a d.
R. Testa di prospetto del bue androprosopo, di sopra è la
stessa cifca X.
13. CoUezion mia. Testa giovanile coperta di pelle leonina volta
a d. intorno NEOPOAITH^ . R. Donna alata sedente e
volta a sinistra.
14. Coli. mia. Testa di Pallade coperta di elmo laureato volta
a d. R. Mezzo bue androprosopo a sin., sopra NEOPO,
pesa gr. 0,61.
15. Nel Museo Britannico (Catal. 104, 97; AveUino, Opusc. U,
3, 6; Eiorelli, Ann. di Numism. tav. 3, 6). Testa di Pal-
lade con elmo alato volta a d. R. Mezzo bue androprosopo
volto a sin. sopra NEoft.
16. (Minervini, Rull. arch'. napol. VI tav. VII, 5). Testa di
Pallade coperta di elmo laureato volta a d. R. 3M inse-
rito dentro la nota H che dinota l'emiobolo.
17. Testa di PaUade coperta di elmo volta a d. R. Conchiglia
e sopra NEO.
18. Nel Museo Britannico {Catal. p. 96 n. 24). Testa di donna
cinta di diadema volta a d. R. Conchiglia e NE.
19. Nel Museo Britannico {Calai. 95, 21). Testa nuda con grosso
gruppo di capelli alla nuca e lettera A. R. Mezzo bue an-
droprosopo a d. sul cui dorso stassi una civetta: intomo
è la leggenda NE(0)P(0)A.
20. Nel Museo Britannico {Calai. 95, 17). Testa di Pallade
coperta di aulopide volta a d. ed epigrafe 0(3)1/1. R. Mezzo
bue androprosopo e intorno 03H.
21. Museo Britannico {Calai. 95, 18). Testa di Pallade e nella
collezione mia coperta di aulopide volta a d. intorno 0(3H).
Nella coli. Luynes là leggenda è intera NEO. R. Protome
del bue androprosopo volto a sinistra.
22. (Fiorelli, Mon. ined. I, 3). Elmo aulopide. R. Conchiglia e
sopra N.
23. 24. Testa di Apollo coi capelli corti volta a d. : sotto al
mento API in mon. R. Ercole sulle ginocchia che strozza
il leone; sopra (NEOP)OAITilN. Nell'esemplare n. 24 dove
la leggenda è intera, manca il monogramma, e v'è al ri-
verso la clava dietro di Ercole.
25, 26. Testa laureata di ApoUo coi capelli lunghi e ondulati
volta a d. R. Vittoria che guida una biga di cavalli a d.
Nel n. 26 v'è sul dritto l'epigrafe NEOPOAITilN, e nel-
l'esergo del riverso TA. la Vittoria guida a sinistra.
27, 28. Testa di Apollo coi capelli lunghi coronata di lauro, a
destra. R. Gallo che canta. Nel n. 28 v'è al dritto l'epi-
grafe NEOPOAITilN e al riverso l'astro del mattino su in
alto dietro del gallo.
29. Bronzo del Museo di Arezzo. Testa di Apollo coronata di lauro
volta a d. e NEOPOAITilN. R. Bue androprosopo volto
a d. sopra astro, tra le gambe 03 nell' esergo E. Pesa gr. 12,00,
Nel Museo Britannico {Catal. 110, 158) se ne ha un esem-
plare che pesa gr. 14,00. Ho già notate trattando delle
monete battute dai Eomani nelle città del Lazio che ve ne
sono di quelle che raggiungono come cotesto napolitano
nel peso il doppio obolo o litra di bronzo che si debba dire.
30. Nella collezione mia. Testa di Apollo volta a sin. davanti
NEOPOAlTilN. R. Bue androprosopo coronato dalla Vit-
toria: tra le gambe 12. Moneta ribattuta sopra una di Calvi
deUa quale si è conservato abbastanza il nome che è in
greca lingua senz'altro esempio: KAAH(NflN).
31. Bronzo del Museo di Vienna simile pei tipi al precedente
n. 30. V'è di proprio soltanto un astro nell'esergo del ri-
verso, e sul corpo del bue l'impronta VESA della moneta
di Suessa, donde deduciamo che questi bronzi sono con-
temporanei 0 posteriori a quelli di Sessa fatta colonia romana
nel 441.
32. Dalla collezione mia passata al parigino Gabinetto delle me-
daglie. I tipi sono gli stessi che nei due bronzi precedenti:
v'è di proprio il P dietro la nuca di ApoUo e l'epigrafe
desinente in Sì.. Nel riverso è un astro fra le gambe del
toro, e nell'esergo si legge CAUENO.
33. Questo secondo esemplare deUa confederazione di Napoli e
Calvi si ha nel Museo di Vienna; la lezione del dritto è
NEOPOAITilN nel riverso il bue a volto umano non è
coronato dalla Vittoria, in cui vece è in quel posto una
lira, fra le gambe vi si legge un C e nell'esergo CAUENO.
86
CAMPANIA
T. LXXXVI
34. Nel Museo di Napoli (MineiTini, Ois. tav. VI, 11). Sul dritto
è come nei nn. 30, 31, 33 nel riverso v'è la leggenda l§
fra le gambe del bue omessa dall' incisore del Minervini
e nell'esergo 5VESAN. In Andria presso D. Lorenzo Troya
ne ridi molti anni addietro un altro esemplare. Testa di
ApoUo volta a sinistra e ivi SVESANO, dietro alla nuca N.
R. Toro a volto umano coronato dalla Vittoria volto a d.
tra le gambe ig e intorno a sin. (NEO)nOAIT.
35. Nel Museo di Napoli. Testa di Apollo laureata volta a d.
avanti NEOPOAITCON. R. Bue androprosopo, sopra il busto
raggiante del sole di prospetto fra le due lettere <t)l : tra
le gambe del bue si hanno due monogrammi TA63 AE.
36. I due esemplari dati dal Minervini. Testa di Apollo lau-
reata a d. NEOPOAITilN. R. Bue androprosopo a d. Sopra
astro ad otto raggi : nell'esergo MA... /V\A0.., sono segnate
coi punti come monche. Un mio esemplare col MA non
lascia dubbio che la leggenda è intera.
37. Dalla collezione mia. Testa di Apollo laureata volta a sin.
innanzi un N e alla nuca P. R. Bue androprosopo volto a
sin. sopra del quale è un cratere a due manichi e nel-
l'esergo MIA.
38. Nel Museo di Napoli (Avellino, R. M. Rorhon. IL 48, 5).
Testa di Apollo volta a d. R. Onfalo e lira verso la quale
una Vittoria vola portando la corona nella destra e nella
sinistra la tenia: Cuin corona et taeniis. Nell'esergo NEO-
nOAITilN. La tenia fu omessa nel disegno che ne trasse
l'Avellino. Di sotto NEOPOAITilN.
39. 40. Do qui due bronzi, nei quali alla testa di ApoUo si
vede congiunto al riverso la lira e la cortina di lui : nella
prima v'è di più un ramo di lauro a cui è annodato un
nastro svolazzante e nella seconda un bucrauio, supplendosi
poi il lauro da ramoscelli che intorno cingono la rete della
cortina. L'epigrafe del dritto è nel primo bronzo 3PA nel
secondo IP : inoltre nell'esergo del primo è NEOPOAITIIN
con \m fulmine, in quello del secondo (NEO)PO AI(T....)
Tav. LXXXVI.
1. Testa di Apollo volta a d. coi capelli che gli cascano lisci alla
nuca e sono cinti di un ramo di lauro con foglie e frutti
che diconsi bacche. R. Mezzo bue androprosopo con un astro
a quattro raggi in rilievo sul fianco.
2. Testa di ApoUo laureata e volta a d. R. Mezzo bue andro-
prosopo nuotante sulle onde. Ho inciso questo bronzo per
dimostrare che non è come si credette dal Eiccio [Reper-
torio pag. VI p. 27 e n. 30) e dal Minervini (Oss. tav. I
n. 4 p. 48) a bocca aperta sgorgente im grosso zampillo di
acqua quale anche il disegno lo rappresenta. Io ho avuta
nelle mani cotesta moneta e non vi ho trovato che un
apparente zampillo formato dall'ossido e a bocca chiusa,
disotto alla quale e di mezzo alla barba comincia questo
illusorio filo di acqua. La lira descritta ed espressa dagli
editori a sinistra non l'ho disegnata, perchè non 1' ho po-
tuta scoprire. L'epigrafe legge: NEOPOAITI...
3. Testa di Apollo laureata volta a d. con capelli lunghi e av-
volti alla nuca. R. Mezzo bue androprosopo ed epigrafe
NEO(PO)ACTEnN. Sul collo del bue è notabilissima la
figura dell'ala di sparviere o scarabeo che pur si trova di-
pinto sugli Api di Egitto, non meno che l'astro sul fianco di
essi [Ailièn. frane. 1855 pag. 54). Il Mariette avrebbe potuto
pensare a decorazioni dipinte su quell'animale sacro, delle
quali sembra essersi fatta imitazione dai Greci di Napoli.
4. Testa di Apollo laureata volta a sin. R. Mezzo bue andro-
prosopo volto a d. con un § inscritto nel campo a sin. e
(N)EOPOAITE di sopra.
5. Bronzo simile al precedente n. 4 ma la lettera nel campo
a sin. è un P.
6. Testa di Apollo volta a sin. davanti NEOPO. R. Mezzo bue
androprosopo, sopra delfino, nel campo a sin. § . A togliere
il sospetto che questo § nei due nummi 4 e tì avesse un
valore di cifra dinotante metà, ho dato questo n. 6, nel quale
ricorre l'S , quantunque il pezzo sia la quarta parte del
nummo. Collo stesso intento ho hato il n. 5, dove in luogo
della lettera S è un P, e nondimeno ancor questo bronzo
pesa la metà dell'intero nummo.
7. Nel Museo Britannico {Catal. 398, 1). I tipi sono gli stessi
dei nn. 4, 5, 6, l'epigrafe è NEOPOAi a cui è soprascritta
la sillaba finale TilN. Nel Catalorjue non è stato notato
il peso, ma pare dal confronto di altro simile bronzo di mia
collezione che sia la parte quarta del nummo. Queste fra-
zioni appartengono ad un'epoca nella quale non si batteva
il mezzo nummo col bue androprosopo coronato dalla Vit-
toria, che si vede espresso nel n. seguente.
8. Testa di Apollo laureata volta a sin. R. Bue androprosopo
coronato dalla Vittoria volto a d., nell'esergo NEOPOAITilN.
9. Testa giovanile con corti capelli diademata volta a d. R.
Cavallo libero che corre a d. sotto fra le gambe un ful-
mine, sopra NEOPOAI...
10. Testa di Diana coronata di lauro volta a d. con pendenti
agli orecchi e una filza di perle al collo: dietro la nuca
spunta l'arco e la faretra. R. Cornucopia e intorno NEO-
POAITilN; nel basso AP in mon. e un astro.
11. Testa giovanile nuda con capelli corti volta a d. dietro la
nuca un astro. R. Cavaliere coperto di pileo conico con
clamide svolazzante che galoppa a sinistra elevando al cielo
la destra; sotto nell'esergo N)EOPOAI tra le gambe del
cavallo PO. In altro esemplare AY.
12. Simile tipo nel dritto, ma il cavaliere del riverso porta
un parazonio sotto l'ascella sinistra e la clamide vi è omessa;
di sotto è scritto A§ , e nell' esergo NEOPOAIT. Non si
può dire che questo personaggio sia uno dei due Castori.
13. Nella collezione mia. Elegantissimo nummo con testa di
riti-atto in formam Afollinis volta a sin. e coronala di
alloro. R. Tripode ed epigrafe NEOPOAITilN.
14. Testa di ApoUo laureata e volta a sin. dietro la nuca una
cornucopia. R. Tripode ed epigrafe NEOPOAITUN.
CAMPANI
T. Livio dice che la città di Volturno, la quale ora s i
chiama Capua fu (nel 352) presa dai Sanniti (IV, 37) Voi-
T. LXXXVI
CAMPANIA
87
liirnuin, Etrtiscoruni urbeiìi, quac nunc Capua est, ab
Samnitibus caplam. Ma egli si sbaglia; perchè la città di
Volturno omonima al fiume fu dodici miglia distante da
Capua, ove ora è Castel Volturno, cioè alle foci del fiume
e la città dei Campani deuomiuossi Campa fin dal 309, nel
quale anno secondo Diodoro Siculo la gente campana co-
minciò ad aver vita civile e proprio nome (L. XII, 31);
stì-i'og ràr Kaf.i7iavwv avriOTrj. 11 nome di Capua non è
anteriore al 319 nel qual anno fu occupata dai Sanniti che
nel 332 cacciarono gli Etruschi da Volturno.
La moneta campana deve chiudersi fra due limiti il 309
e il 319. I Campani hanno comuni coi Napolitani 1' arte,
il tipo e la paleografia, se non che i Napoletani fanno uso
promiscuo deU'i e S , i Campani non già, che adoperano
costantemente il secondo sigma. U peso ordinario di cotesto
monete campane è simile a quello degli stateri di Cuma e
di Napoli. L' alfabeto dei Campani è il greco gionico, la orto-
grafia è queUa degli osci grecizzati. Essi scrivono il loro nome
in più modi KAMPANOS , KAPPANOS , HAMPANOS ,
APPANOS , non mai KaTTvavóg: la loro città non si chiamava
dunque Kanva, ma Kàiina, come anche dimostra il KA/V\-
PANUN ritenuto dai Campani di Sicilia, e per assimilazione
KarrTru ('), e la lettera iniziale nella loro pronunzia si affievo-
liva cambiandosi in aspirata e però anche si ometteva. I
Eomani dovevano sapere che una colonia falisca prese una
volta stanza in Capua perchè la porta che menava a Capua
r appellarono Porta Capena ("). Grli Osci erano sabini di
origine come i Ealisci : la città capitale di costoro si disse
Capena presso alla quale v'era un campo che chiamavasi
stellate e un altro campo stellate si trova nella campagna
di Capua. La notizia viene da Verrio Placco (Pest. p. 343):
Stellati{na tribus dieta non a campo) eo qui in Campania
est, sed eo qui{prope abest ab urbe Ca)pena, ex quo Tu-
sci profecti st(ellatinuìn illuni campum appeilaverunt).
Nel qual passo è necessario intendere per Tusci gli Osci
Tirreni, perchè i Tusci non sono di origine sabina, né Pa-
lisea. Questi Tusci secondo Plinio possedettero anche la
campagna dove i Eomani allogarono poscia i Picentes fra
Nocera e il Sele. Alla voce patronimica KAAAPANOS fu
sostituita EuTivcaói nome derivato dall'osco sannitico, HHR)!,
nella qual lingua come nella etrusca il vau fa anche le
veci di u vocale come WVHIci>lìVH equivale a Novxgiraiv.
I Sanniti osci di Capua ristabilirono tardi la loro zecca,
cioè alla metà incirca del secolo quinto di Koma: il loro
argento pesa gr. 5,90 ; 5,49, il bronzo è decimale : l'unità
maggiore del peso di due once, analoga all'asse sestan-
tario romano. La serie di questo bronzo porta le stelle per
nota di valore e vi fu anche una emissione posteriore ana-
loga all'asse onciale. In questa serie adoperano i globetti
(') Non fo conto del passo di Ecateo (fr. 27), nel qnale si deriva da
KÓTiv; il nome di Kdnvcc {Ap. Slepli. s. v.). Essa è un'aggiunta poste-
riormente fatta, la quale suppone accettata la tradizione del frigio Ca-
pijs. che prese vigore dopo l'anno 417, quando Capua divenne prefet-
tura dei Eomani.
(') Stefano la chiama Kàniyytc
per nota di valore. La prima non ha che sestanti ed once,
la seconda corre intera dall'asse all'oncia: ambedue però
seguono il sistema decimale usitato nelle regioni transap-
penuiue. Emisero anche contemporaneamente monete sul
sistema delle città greche, oboli ed emioboli.
15. Nel Museo Britannico {fiatai, p. 75, 3) forse quel medesimo
esemplare che fu del Sambon (Minervini, Oss. tav. IV n. 3).
Testa di Pallade coperta di elmo attico volta a d. E. Bue
androprosopo gradiente a sin. : di sotto del listello, dove
poggia le zampe, un doppio ramo di lauro, in alto KA/V\-
PANOA'. L'ultima lettera non è compita; pare però che
si debba leggere col Minervini e col Poole KA/V\PANON.
Negli esemplari da me finora esaminati non ho trovato
esempi del KA/V\PANOW\ : ben ve ne ha di quelli che re-
cano KAN\PANO sopra del toro e un /V\ fra le gambe dove il
Millingen [Cons. p. 14) ammette im W\ o un N. Io non ne
conosco esempi, tutti quelli che ho veduti danno costantemente
un M tra le gambe, e di rado davanti a destra. Si è fatta
questione se qitell'M debba cougiungersi col KA/V\PANO o
no. L' Eckhel {Doct. n. Vet. I p. 108) ha opinato, 1' Avel-
lino vi assente (Ital. num. I, 32) e dietro di lui il
Cavedoni {ad Carell. tab. LXIII, 7), che debba separarsi :
a me pai'e il contrario. I Campani scrivono interamente in
greca ortografia KAMPANOS, e forse KAW\PANON. Que-
sto nome è tutto in linea retta di sopra del bue, ma tal-
volta seguono i Napolitani che scrivono in linea retta segui-
tamente, ovvero di modo, che le ultime lettere girano quasi
sparse e disseminate nel campo e anche neU'esergo. Nel
qual andamento circolare si vede la $ da un lato e tal-
volta giacente in guisa di /V\ tra le gambe del bue. Siano
esempi i nn. 21, 22 della tav. LXXIV. Oseremo noi di as-
serire che i Napolitani hanno scritto NEOPOAITHM ? ov-
vero NEOPOAITH e staccare così l'ultima lettera? certo
che no. Tal è il caso delle monete campane. Dicasi dun-
que che in cotesti luoghi la lezione è KA/V\PANOS , quan-
tunque paia KAW\PANO/V\. Un simile scambio di giacitura
della è , si può notare in un didramma di Turio del mu-
seo di Vienna dove si legge suUa base del toro MOAO$ -
§ 0/V\ in luogo di MOAOS 2 Og .
16. Nel Museo di Napoli. Testa di Pallade coperta di semplice
elmo attico volta a d. R. Bue androprosopo tra le cui gambe
una cicogna, sopra KAPPANO e separatamente l'ultima let-
tera N\ ossia $ . Il Cavedoni non si è apposto giudicando
che l'uccello possa essere del genere dei falconi {Bull. Inst.
1850, 198). Egli anche ammette col Friedlaender KA/V\-
PANON e KAPPANON.
17. Nel Museo di Monaco. Testa di Pallade coperta di elmo lau-
reato volta a d. R. Bue androprosopo e leggenda retrograda
gOUAHXA. Questa è la tanto celebre moneta data dall'Avel-
lino ad Arpi (Opwsc. Ipag. 151 tav. I, 4), perchè vi lesse
^OUAHSA- Ma contro ad attribuzione così nuova sorsero
i numismatici, fra i quali furono il Priedlaender e il Momm-
sen, il Eochette e il Lenormant nei luoghi citati dal Mi-
nervini {Oss. pag. 92 nota 8). Nondimeno il Cavedoni la
sostenne {Bull. inst. 1853 p. 125). Il didi-ammo veduto da me
CAMPANIA
T. LXXXVI
ha veramente 50MAn>IA, che si può ridurre a §OHAmA>l
trasposta la prima lettera, ovvero ad §OHAmA omessa
la iniziale K, come nei due didrammi dei nn. 19, 20. AlFried-
laender parve un abbaglio dell'Avellino questo JOKIAnflA
invece di KAPPANOS, la qual condanna sembrò al Cave-
doni acerba di troppo e cotale abbaglio stimò quasi incre-
dibile in quel numismatico {Bull. cit. p. 204). Il Momm-
sen ritrattò poscia la sua condanna e scrisse (G. de la
m. I p. 255), che prima dell' Avellino l' Ignarra avea detto
di veder APPANOS e l'Avellino ARPAN05, retrogrado:
ma si potrebbe, die' egli, credere errore, se non vi fosse
l'esemplare in Monaco che ne giustifica la lezione del-
l'Avellino. « MM. Ignarra et Biccio (Mon. di eiltà p. 37)
ont cru voir la legende APPANOS et Avellino [Opusc. II
p. 151 pL /n. 4) ARPANOS retrograde. Le type campanien
et une legende qui se rapproche tellement de KAPPANOS
pourraient faire croire à uue erreur et (aire hésiter sur
l'attribution qui en a été faite à Arpi, mais Vexernplaire
de Munich justifie complètement la lecon d'Avellino ». Ma
è pur troppo vero, che cotesto esemplare legge § OHfn>IA
che però deve dirsi un errore dell' incisore del conio in luogo
di SOl/lAmA.
18. Questo didrammo simile pei tipi al precedente n. 17 se
ne distingue pel eambio del K in H nel nome ^Ol/IAn/V\AH. Lo
pubblicai quando era nella collezione mia (Bull. arch. napol.
p. 66, t. IV n. 6) e allora lessi HVR sotto il collo della Pal-
lade. L'esemplare che ora posseggo non ha questa, né veruna
altra leggenda nel luogo indicato. La cicogna che abbiamo
notata nel n. 16 qui è davanti al bue androprosopo e le
ravvicina ambedue. Scrivevasi adunque contemporaneamente
KAPPANOg e §01/lAnfV\AH.
19, 20. I tipi di codesti due didrammi sono testa nuda ma
diademata incerto se di uomo o di donna volta a d. R. Bue
androprosopo e un serpe che gli striscia fra le gambe : im-
porta però il vedere che si ha nella seconda intero il nome
APPANOg .
CAPUA
21, 22. Proviene il primo esemplare dalla collezione del Luynes
(gr. 5,90), il secondo dalla collezione di Santangelo (gr.5,49).
Testa di Giove laureata e volta a d. R. Aquila sopra un ful-
mine come per prendere il volo e a d. IHWÌ. L'Amaduzzi
{in Passera pici. vasc. t. Ili pag. LXXVIII) cita un si-
mile nummo d'argento con la t. di Giove al dritto e l'aquila
al riverso, ma vi legge tutere e l'attribuisce a Todi : Cime-
lio tam singulari quae sit habenda fides, scrive l'Eckhel
{D. n. V. I, 97), ignoro, viderint eruditi Itali. A me non
par dubbio che sia stato letto il nome BOa+Vt invece di
23. Coli. Sant. Testa di Giunone diademata volta a d. con iscet-
tro presso la nuca. E. Fulmine alato, tripode e I1PN>I.
24. Museo di Vienna. Testa slmile alla precedente. R. Due busti
coperti da un velo e posti sopra due piedistalli decorati di
drappo: una larga tenia si stende sopra le due teste, a sin.
un tripode, a d. UflR)! di gr. 6,26. Il Gerhard credette di ve-
dere su questa moneta due matrone sedenti e velate dal
manto, Agathe-Cerere e la Bona Dea {Aband. der Berlin.
Akad. 1847 p. 471 tav. II, 6). Al Cavedoni sembrò che fos-
sero due simulacri analoghi al Palladio, fatto doppio per dif-
ficultarne il rapimento del vero (Bull. Inst. 1850, 197).
25. Da un mio calco. Testa simile alla precedente n. 24. R. Spiga
di grano, a d. un tripode per tale giudicato anche dal Cave-
doni (L cit). e dal Minervini (Oss. p. 26). A sin. IVX^X
26. Museo di Vienna. Testa di Giunone velata e diademata a
d. dietro la nuca lo scettro. R. Spiga di grano, tripode e
DPRDi 3,84.
27. Coli. mia. Testa di Apollo laureata a d. R. Barbito e 3PR>I,
gr. 4,61.
28. Da un mio calco. Testa di Ercole giovane diademata e volta a
d. dietro la nuca sporge la clava. R. Cane a tre teste, nel-
l'esergo DHN)!.
29. Mio disegno. Testa di Ercole nuda colla clava presso al collo
volta a d. R. Cerva che allatta Telefo: nell' esergo lV\f\)\. In
questo bronzo e nei due seguenti i Capuani hanno rappre-
sentato il frigio Telefo figlio di Ercole, re dei Misi e padre di
Tareonte e di Tirreno. Licofrone racconta che Enea e cotesti
due figli di Telefo s'incontrarono con Ulisse in Italia e vi
fecero alleanza. Il Minervini (Oss. p. 29, 30) ha richiamato
un tal racconto per ispiegare il motivo di questi tipi su
monete capuane, e cerca trarre alla stessa favola i due giu-
ranti espressi , anche dagli Atellani e di più il rito del
porchette tenuto dal ministro che è ginocchione. Indi de-
duce che Capua vanta le origini frigie al pari di Eoma.
30. Mio disegno. Testa di Telefo coperta di pileo frigio. R. Cerva
che allatta, nell'esergo HflN)!.
31. Museo Britt. (Catal. 85, 21). Testa di Telefo coperta di pileo
frigio. R. Trofeo di armi con corazza, gambali, parazonio,
elmo e clipeo rotondo : nell'esergo DPN)!.
32. Museo Britt. (Catal. 84, 21). Testa di donna coperta di elmo
volta a d. fi. Elefante africano con campanello appeso al
collo: nell'esergo DPRX.
33. Testa di Giove laureata volta a d. dietro due astri messi
per nota di valore. R. Aquila ad ali aperte sul fulmine:
nel campo due astri; di sotto IVHA.
34. Testa di Giove simile alla precedente e i due astri. R. Diana-
luna che guida una biga di cavalli che corrono a d. nel
campo due astri, nell'esergo 1VH>\. Le ruote della biga sono
munite di raggi e non a timpano, come parve che fossero
al Cavedoni nei tre sestanti del Museo Estense (Bull. Inst.
1850, 197).
35. Da un calco. Moneta ribattuta sopra un'oncia romana della
quale rimane il globetto che ne è il segno, e un po' del
collo della Boma. R. La Diana-luna in biga impressa sopra
la prora della nave. La moneta osca del, valore di due
once è battuta sopra l'oncia del sistema semissale romano.
Il Minervini (Oss. p. 25, 26 tav. IV, 2) ne pubblica una
simile, ove conferma alla dea del dritto il nome di Giu-
none ; non è però egli alieno dal crederla. Vesta a ri-
guardo dei Penati che riconosce nei due simulacri velati
del riverso. Egli ricorda a tal riguardo il culto degli
T. LXXXVII.
CAMPANIA
89
dei Penati introdotto in Italia dal frigio Enea, e che Capua
dicevasi fondata da Capys ancor esso frigio di nazione. Che
i Penati solessero tenersi velati il Minervini lo prova (n. 28)
con un passo di Licofrone e commentato dal suo scoliaste.
Tav. LXXXYII.
1. Carelli, LXIX, 19. Testa di Capua cinta di corona turrita sulla
quale è scolpito in rilievo il fulmine. È volta a d. e dietro ha
due astri, che sono la nota del valore : di più uno strumento
incerto, secondo il Friedlaender, ma che si può dire secondo
il Cavedoni (Bull. Instit. 1850, 197) una cornetta da caccia.
Ivi anche opina che il fulmine scolpito sulla corona turrita
alluda ai campi flegrei, ove Giove fulminò i giganti. R. Ca-
valiere armato di corazza, di elmo e di clamide che corre
a destra con la lancia abbassata; dietro al cavallo i due
astri, di sotto un turbine maiiuo; nell'esergù DIIN)!
2. Coli. Sant. I tipi medesimi e il medesimo turbine. L'astro
dinota che vale un'oncia; nell'esergo UHN)!.
3. Carelli, tav. LXIX, 7. Testa di Giove laureata volta a d. dietro
due astri segno del valore. lì. Due giovani in tunica cinta,
clamide e alti calzari, che insieme sostengono una porchetta
e levano alto al paro i pugnali pronunziando insieme la
formola del giuramento ; a sin. i due astri; nell' esergo
DDR)!. L'Avellino {Op. 11, 3, 1) ha stampato un esemplare
con tre astri, credo per errore.
4. Calco. Testa di Giove simile alla precedente, dietro l'astro
indice del valore. B. Vittoria che coronali trofeo; a d. l'astro;
nell'esergo DnR>l.
5. Calco. Testa di Pallade coperta di aulopide volta a d. B.
Vittoria che ostenta una corona volta a sin., nel campo ivi
un astro; nell'esergo DilR)!.
6. Calco. Due teste congiunte l'una di Giove e l'altra di Giunone
alla quale in altri esemplari si vede aggiunto lo scettro
dietro il collo. /?. Giove con in mano lo scettro fulmina tratto
in rapida quadriga; nell'esergo HflR)!. 11 peso è di gr. 57, 43.
7. Mus. di Napoli. Bifronte imberbe coronato di lauro. R. Giove
in quadriga guidata da una vittorietta stringe lo scettro neUa
sinistra e fulmina colla destra: nell'esergo UflN)!. Fu noto
dai tempi del Micali {Italia av. Rom. tav. LIX, 14). Se
ne hanno due esemplari nel Museo di Napoli e un terzo
è nella collezione Luynes. E. peso del nostro è di gr. 45, 38.
8. Testa giovanile coperta di elmo a due fall e nel vertice
crestato, ha i capelli divisi in liste lucignolate e guarda
a d. R. Pegaso in atto di volare, tra le sue gambe DflR)!:
disotto la nota del qaùncunce •»••».
9. Testa di Giove volta a d. R. Fulmine e nota del triente • • o • .
10. Testa di Cerere coronata di spighe. R. Bue volto a destra
che guarda di prospetto ; nel campo di sopra la nota del
quadrante ••• nell'esergo HflR)!.
11. Testa di Ercole giovane volta a d. colla clava dietro l'oc-
cipite. R. Leone che stringe colla zampa del pie' sinistro
una lancia appoggiandola al collo; nel campo di sopra è la
nota del sestante ••, nell'esergo HflN)!. Non vale la os-
servazione del Cavedoni, a cui parve che il venabolo fosse
infranto nella estremità dell'asta e ricordò il luogo di Vir-
gilio (Aen. XII, 8) impavidus frangit tdum {Bull. Inst.
1850, p. 197).
12. Testa di Diana diademata volta a d. coll'arco e la faretra
presso alla nuca. R. Cignale che va a destra; nel campo di
sopra la nota dell'oncia, nell'esergo DDR)!.
13. Coli. Luynes. Testa di Diana coronata di salcio volta a
d. dietro la nuca è l'arco e in luogo della faretra v'è una
lampada accesa. R. Simile al n. precedente.
14. Coli. mia. Testa giovanile diademata volta a d., dietro l'arco.
R. Cignale a destra, nell'esergo HflR)!, nel campo di sopra
la nota dell'oncia.
15. Testa di fauno con due corna che gli spuntano sulla fronte:
dietro ha una verga ricurva e nodosa. B. Cignale che corre
a destra, sopra nota dell'oncia, nell'esergo DHIN)!.
16. Testa di Giove laureata volta a d. B. Aquila sul fulmine,
di sotto :nR>l: è di gr. 22, 173.
17. I tipi medesimi ma il suo peso è di gr, 11, 14 e pare che
la lunetta che si vede a destra dell'aquila sia la nota del
valore, che è la metà della precedente, sia essa un asse
ridotto ad onciale, come stima il Kochette {Fonili, de Capue
p. 90), ovvero un triente, come pensa il Mommsen (pr. il
Minervini, Oss. p. 22).
18. Museo di Vienna. Testa di Ercole giovane diademata e volta
a d. con la clava presso la nuca. R. Cavallo senza freno
che corre a d., nel campo di sopra la nota del quadrante • • •.
È ribattuta sopra una moneta romana della quale rimane
sul dritto la leggenda EOMA e parte dalla prora di nave.
CALATI!
19. Testa di Giove laureata volta a d. dietro la nota del se-
stante in due astri. R. Diana che guida la biga di cavalli
sopra i due astri nell'esergo ITR>IR>I.
20. Coli. Luyn. Testa di Giove volta a d. R. Vittoria che co-
rona un trofeo: nell'esergo ITN>1N>I, nel campo un astro.
21. Coli. Luynes. Testa di Giove laureata volta a d. dietro la
nota del triente • • • » . B. Giove con lo scettro nella si-
nistra montato in rapida quadriga scaglia il fulmine: sotto
è la nota del triente; nell'esergo ITR>IN>1.
Tav. LXXXVIII.
1. Manca, finora il quadrante. H sestante ha per tipo la testa
di Giove laureata volta a destra: dietro i due globetti • • .
R. Giove fulminante in quadriga volta a d. dietro i due glo-
betti, nell'esergo KNURT.
2. Millingen Anc. coins. I, 3. Testa barbata, giudicata essere
di Nettuno asfalio dal Cavedoni qui e nella moneta se-
guente {Bull. Instit. 1850 p. 198), e ne allega per motivo
i frequenti tremuoti. È volta a d. e dietro ha un globetto.
R. Ferro del tridente e l'epigrafe T1Q>llfl>l.
3. Nel gabinetto parigino delle medaglie. Testa barbata laureata
volta a d. R. Cavallo senza freno che corre a destra : fra le
gambe im globetto, nell'esergo l'epigrafe ITR>)N>I.
90
CAMPANIA
T. L XXXIII
ATELLA
4. Nel Museo di Napoli (Avellino, Opusc. II, 2, 9). Testa del
sole coronata di sedici raggi, a sinistra uu astro. R. Ele-
fante africano volto a d. nell'esergo (<JQ)3JiR.
5. Nel Museo di Firenze. Testa di Giove laureata volta a d.
dietro la nota del triente • o • o . R. Giove fulminante
in quadriga guidata da una vittorietta ; sotto i piedi dei
cavalli >l<]3511fl, nell'esergo la nota del triente. Pesa gr. 29, 60.
6. Testa di Giove laureata volta a d., a sin. la nota del sestante.
R. Due giuranti sulla porchetta che sostengono insieme
avendo levate le destre armate di pugnali, a sin. la nota
del sestante. ••, nell'esergo >)Q3}!N. Ve ne ha un esem-
plare (fl. M. Borb. 11, XVI, 13) ribattuto sopra un bronzo
dei Eomani, (Cf. tav. LXXVH, n. 13). Testa di Pallade
volta a s. e ROMANO. R. Aquila sul fulmine e ROMA NO.
7. Simile testa di Giove e globetto segno dell'oncia. R. Vittoria
che corona un trofeo di armi composto di una corazza, elmo
trifale, lancia, clipeo e gambali, a d. la nota dell'oncia, nel-
l'esergo >ia35IR.
8. Coli. Sambon (Minervini, Oss. num.T. III 1 pag. 21). Testa
di Giove laureata a s. R. Aquila e a d. >I^3{IN. Il Mi-
nervini è di parere che l'aquila dovesse avere un fulmine
negli artigli ed opina che la monetina abbia perduta la
sua foglia d'argento: nondimeno non intende opporsi a chi
la crede una riduzione minima del bronzo (ib. in nota).
VELECHA
Le monete che recano l'epigrafe CIEAEXA or piìi or meno
tronca si tiene che siano della Campania, perchè tale è la pro-
venienza assegnata loro dal Priedlaender. Se ciò non fosse ci
saremmo probabilmente volti alla città dei Volcei sugli estre-
mi limiti della Lucania verso la Campania, corrispondente al
moderno Buccino, il qual nome non può negarsi che abbia
grande affinità con Velecha.
Or si dimanda, come e quando si è potuto stanziare questo
nuovo popolo in Campania. Il nome che i suoi abitanti si
danno li manifesta di osca origine, ma grecizzanti, servendosi
qui del greco alfabeto. Sono pertanto estranei al sistema mo-
netario dei Campani, che usano l'asse decimale, mentre costoro
si servono dell'asse duodecimale. Sembra poi che non abbiano
aperta la loro zecca prima della seconda metà del secolo quinto
di Roma, siccome fanno palese le loro monete fuse di ri-
duzione quadrantale. Inoltre per dinotare il semisse, non
adoperano la cifra S, come fanno quei del Lazio, ma i sei
globetti, che è un costume proprio in Sicilia degli Agra-
gantini, dei Camarinesi , dei Leontini , dei Mamertini, dei
Misistratesi e dei Liparesi. Dalle quali osservazioni risulta
che cotesto popolo Velecano si è traspiantato in Campania
dalla Sicilia circa l'epoca medesima , che i Campani, Oschi
ancor essi, occuparono Messina e si chiamarono Mamertini dal
loro nume principale Mamers. JPorse costoro si saranno de-
nominati Velecani dal loro Dio Volcano, nume venerato per
dio supremo in Creta, e detto ZEYS: CEAXANOS , e qui
probabilmente assimilato a Vulcano, il cui simulacro colla
leggenda VOLCANOAA vediamo dedicato qual nume pro-
tettore nella loro moneta dai coloni latini d'Isernia. I tipi
delle prime loro monete sono la testa raggiante del sole con
la luna e le stelle, e il busto di cavallo e di poi l'elefante.
Pare quindi che sia un' accozzaglia di mercenarii al ser-
vigio dei Cartaginesi, che, essendo costoro cacciati di Sicilia
dalle armi di Pirro, siano venuti seguendo i loro commi-
litoni oschi a stabilirsi nella fertile terra campana. Proba-
bilmente vennero con essi dei Mamertini , le cui monete
vediamo ribattute dai Velecani e vennero dei Cretesi che in-
trodussero il culto del dio Vulcano. I Campani avevano
occupata Messina nel 472 (Polyb. XX) e vi si erano nomi-
nati Mamertini.
9. Nel Museo di Monaco (Avell. Opiisc. II p. 4 tav. II n. 11).
Bronzo ribattuto due volte sopra una moneta romana che
portava la prora sul riverso. Testa del sole di prospetto
e due globetti del sestante. R. Elefante e sopra l'epigrafe FÉ
omessa dall'Avellino: nell'esergo il segno del sestante: al
lato destro IE residuo del primo conio /.laMEourcav.
10. Bronzo ribattuto sopra una moneta dei Mamertini della
quale rimane la traccia della testa e il nome MAAAE nel
riverso. I tipi sono gli stessi che nella moneta precedente,
il nome pero è piìi intero CEAEXA (Priedlaender, Ann.
InstiLlSiG T. XVIII pag. 150 seg.; Piorelli, Ann. di nu-
raism. I).
11. Testa del sole. R. Busto di cavallo: sopra CEAEXa. (Pried-
laender, 1. cit.; Piorelli, 1. cit. n. 2).
12. Testa del sole. R. Busto di cavallo sopra CEAEX; sotto la
testa del cavallo O... Questo bronzo fu ribattuto col tipo
del cignale che corre a destra e la leggenda ROM (Pried-
laender, 1. cit.; Piorelli, 1. cit. n. 3).
I Campani occuparono Messina nel 475 e cioè alquanto dopo
emisero la moneta a nome dei Mamertini, MAMEPTINjCIN, cioè
dei Campani che si erano dato un tal nome (Eckhel D. n.
V. I, XXXI) dal patrio loro dio Marte in osca lingua Mamers.
Alcuni di cotesti bronzi furono ribattuti dai Velecani, i quali
prima si erano fusa la moneta coi tipi del sole e del busto
di cavallo e colla leggenda 3D. (V. la tav. LXVI nn. 3-10).
La monetazione fusa di questa città può appartenere al-
l'epoca di Pirro ; ma la coniata ohe ha tipi africani dovrà
riportarsi al tempo delle due guerre puniche.
CUBULTERIA
13. 14. Testa di Apollo laureata volta a sin. R. Bue andi'o-
prosopo coronato dalla Vittoria. L'epigrafe osca si legge nel
dritto come nel n. 13, l41VHq3T>l3nV>l, ovvero nell'esergo del
riverso è talvolta erronea come in questo n. 14, ove 1' U è volto
a d. In altri esemplari del n. 13 v'è anche l'O o altra lettera
alla nuca dell'Apollo e ri§ fra le gambe del bue.
CAIATIA
15. Testa di Apollo laureata volta a sin. dove rimangono
le tracce della leggenda NilA relativa al tipo anteriore.
T. LXXXVIII
CAMPANIA
91
/?. Bue androprosopo coronato dalla Vittoria; uell'esergo
VAKV\\Tfìtfly\.
16. Testa di Pallade coperta dell'aulopide volta a sin. R. Gallo
che canta a sin. una stella, a d., CAIATINO. Al 1841 quando
il Milliugen die' alla luce le Considerations non si distingueva
la Caialia campana dalla Calatia osca, e però è che egli attri-
buisce a Caiazzo le monete osche appartenenti a S. M. delle
Galazze {Consid. n. 191, 192).
VENAPKUM
17. Coli. mia. Testa di Apollo laureata a sin. davanti WVQìNNa.
R. Bue androprosopo a d. coronato dalla Vittoria; tra le gambe
K. Sul volto dell'Apollo furono impressi due glohetti in con-
tromarca. Questo bronzo appartiene ad un deposito trovato
sulla montagna di Prosolone nel Sannio.
18. Nel Museo della Università di Glasgow. Testa di Pallade
volta a sin. R. Gallo a d. che canta, a sin. l'astro, a d. FEINAF
Un secondo esemplare fu già nella collezione Willenheim
(Ca«ai. n. 503) così descritto: Téte de Pallasadr. R. ■ ENAF
coq a dr. /E 2 1 : Nelle tavole Hunteriane si legge FEINAF,
ma nella impronta che ho davanti quel I non misura quanto
le altre lettere della epigrafe. Il Milliugen sentenziò {Consid.
p. 206) che la moneta Himteriana era di Calvi, con leg-
genda alterata dall'ossido. Un esemplare è ora venuto da
Fiesole nella mia collezione nel quale la leggenda è FE'NRF
come nell'esemplare di Hunter.
TELESIA (SAMN.)
19. CoU. Santangelo (Minerv. Oss. p. 20). I tipi sono simili al
n. precedente, l'epigrafe è 5I513T nei due esemplari che se ne
hanno. I Latini dicono Telesìa. È noto lo scambio del d in l
nelle voci latine (Varrò, R. R., Ili, 87), e così i Eomani dal san-
nitico fllHHV5IV>IR fecero Aquilonia. Un terzo esempio di que-
sta moneta si avrebbe se veramente il Keynier avesse letto
come stampa in una moneta frusta ..513... che potrebbe sup-
plirsi con JIJ13T ; ma i tipi sono atellani e però deve essere
slato ivi scritto .. .351 . .. La moneta del Eeynier è citata dal-
l'Avellino (Op.U p. 31); il Minervini (Oss. p. 21) la stima
di dubbia attribuzione per la monca epigrafe.
ALIPHA (SAMN.)
20. Testa di PaUade coperta di elmo attico cinto di laurea sulla
quale poggia una civetta. R. Bue androprosopo volto a sin.
sopra AL-l-o-HA. Questa moneta fu scoperta da Benigno Tuzi
in s. Germano ed è questa che si conserva nella collezione
Santangelo. Poi se ne ebbe un secondo esemplare ma fo-
derato ed entrò nella collezione medesima. Ma un esem-
plare anteriore si aveva già nella collezione del card. Ste-
fano Borgia, donde era passato nel Museo di Propaganda.
La forma delle lettere che ne compongono il nome è figurata
assai meglio che nei due esemplari della coli. Santangelo
in questo modo ALI-O-HA. Il confronto che possiamo fare
di questa leggenda con la seguente AUlSfl ne guida a con-
chiudere che le due lettere -O-H sono adoperate per un
semplice 0. È dunque la -o- una nuova forma del $ greco,
e l'alfabeto è greco con la sola particolarità della ridon-
danza dell' aspirazione H. La lettera o con le asticelle
orizzontali erasi già veduta in una epigrafe di Corinto, ma
con le asticelle verticali ^ {C. inscr. gr. I, 26). Gli Etrusci
scambiano ancor essi il 't col 8 e ne abbiamo esempio in
fll1V>l'1V-1 scritto egualmente che AHVnISVS. Credeva il duca
di Luynes di avere un esempio di cotesto didrammo nella
sua collezione {Bull. Ins. 1858 pag. 50) ed è pure citato
dal Minervini {Bull. arch. nap. FV, 144; Osserv. p. 11).
Tal moneta l'ho veduta; essa non porta che qualche lettera
della sua leggenda e questa non può essere AUl-o-HA, ma
AI/IEQY coli' E volto a d., come io leggo su di una conserva-
tissima moneta del Museo di Campobasso.
21. Testa di leone volta a destra. R. AH8R scritto in seno
deU' H, segno di valore dinotante la metà sia di un obolo
sia di una libra. Il Cavedoni tiene questo seguo della metà
per simbolo, del quale cerca il significato nel óàra^ la-
conico H, quantunque si abbia una sola traversa dinotante
l'amor fraterno dai Dioscori {Bull. Ins. 1850, 1, 98). A Be-
nigno Tuzi si deve la scoperta di cotesto due monete e
l'attribuzione che è poi stata seguita quasi da tutti : peroc-
ché il duca di Luynes prese per fenicia la leggenda AUI8A.
NOLA
Se si ha da ammettere per genuino un testo di Ecateo
trascrittoci da Stefano di Bizanzio, Nola con questo nome
esisteva già all' epoca in che egli scriveva, cioè alla ol.
LXXI, 1 (253 u. e.) ed era città osca, Tróhg Avaóvuiv.
Nola di fatti porta im nome che ne dinota la origine osca ;
e tale la dichiarò Catone (VeU. I, e. 7). Pu poi occupata
dai Calcidesi, che la trasformarono in greca (Justin. XSl ;
Sii. It. XII, 151). Allora dunque e non prima cominciò
la sua monetazione qhe è tutta in greca lingua ed alfabeto,
quale si osserva in Campania dopo che ebbe ricevuto la
gionica letteratura. È però certo che ella era tuttavia osca
nel 429 scrivendo Dionigi {Exc. legai, cf. Livium, VII, 22)
che i Nolani erano grandemente affezionati ai greci EUeni
confinanti colla loro republica: òiióoun' ovton' xcà aipódga
■covg èUSjvag àGTia^onévair. La signoria dei Calcidesi non
durò che pochi anni, quando i Nolani, presa d'assalto la
città e l'acropoli nel 441, passarono sotto il dominio dei
Eomani, e gran parte del loro territorio fu diviso all'eser-
cito vittorioso (Diod. Sic. XIX, 101). Dalla breve notizia
di Nola risulta mancare ogni fondamento alla opinione di
coloro che vogliono fondere insieme Irina e Nola, o che
questa città si chiamasse una volta Irina, e coniasse con
tal nome, ovvero che Irina fosse l'acropoli di Nola. Le
monete di Nola sono rare, maggiore però si è la rarità
delle monetine di argento, che si possono paragonare alle
12
92
CAMPANIA
T. LXXXIX
hemiectae: estremamente rari poi sono i bronzi. L'epigrafe
quando è intera non è altro che NilAAIOS ovvero Nil-
AAIiiN. Una sola volta si è letto NilAAljaiN e nel de-
posito di Castellini in provincia di Campobasso recente-
mente esaminato da me e descritto in vece del primo Sì.
sono adoperati due OO, NOOAA..
22-25. Di due tipi si servono i Nolani nei loro didi'ammi, la
Pallade coperta di elmo attico cinto di laurea sulla quale
posa la civetta e al riverso il bue androprosopo con l'epi-
grafe NHAAlilN, ovvero Testa di donna diademata volta
a d. con al riverso il bue androprosopo coronato dalla Vit-
toria e l'epigrafe NilAAlilN, NilAAlillN, NIIAAION, NO-
AA10$ e NOOAA... Del magistrato monetale non v' è altra
iniziale clie il monogramma /ìl fra le gambe del bue; il peso
di tre miei esemplari è di gr. 7,00.
26. Un mio didramma simile a quello del n. 23 ha una epi-
grafe in carattere minuto sotto al collo della donna dia-
demata che si può leggere >IOIAOY cioè, a quanto pare,
KoCXov.
27 Minervini, Oss. nuniism. T. Ili, 4 p. 71, 72. La testa del
dritto somigliantissima a quelle di Nola consigliarono al
Minervini di dare a questa città la moneta singolare dove
il bue ha la testa di sua specie, non la umana. Nella serie
delle monete napolitane rassomigliano al tipo del dritto
quelle che hanno epigrafi sbagliate (tav. LXXXV, 6, 7).
Non ho pertanto rimossa questa moneta dalla serie delle
nolane. Dice il Minervini che il toro può essersi sostituito
al bue androprosopo dai Sanniti che occuparono per breve ora
Nola come insegna della terra Italia. A me pare che, se ciò
fosse, il toro non si sarebbe dovuto vedere coronato della
Vittoria, la quale invece nelle monete della guerra marsica
corona l' Italia. Nondimeno il toro rappresenta ancor esso
r Italia quando corre rapido ovvero calpesta la lupa o
riposa tranquillo allato del guerriero sannita , o gli è
imposta la mano sul capo.
28-30. Da questo sistema si dipartono le monetine d'argento
che nel tipo del dritto rappresentano la testa di Apollo
laureata e volta a sinistra colla leggenda davanti ND.AAI,
e nel riverso il bue androprosopo coronato dalla Vittoria
volto a destra. Sono quindi contemporanei al bronzo al pari
di essi assai raro che ha i medesimi tipi. Le particolarità
sono nel bronzo un A dietro la nuca di Apollo e im MI
tra le gambe del bue: nei due esemplari dell'obolo che
soli conosco l'uno n. 26 in Vienna l'altro n. 27 in Napoli
v' è questa differenza, che nel primo si ha un M tra le
gambe del toro (Carelli, tav. LXXXIII, 12, 13) e nell'altro
un X ivi, e un MI nell'esergo (Avellino, Giorn. numism.
T. I tav. IV, 3). Pesa gr. 0,58 e devono considerarsi come
due hemiectae.
HYKIA 0 HYEINA
Tav. LXXXIX.
Della città Hyria o Ihjrina in Campania non si ha verun
antico scrittore che ne additi il sito, e se non altro, il
nome. Credette il Cavedoni (ad Carell. tab. pag. 31) di tro-
varne menzione in Igino {de lim consl)i. tav. 24 fig. 197
ed. Lack.) dove si nominano i Jines Hirrensium sulla via
consularis che da Napoli va a Capua, poco prima di arrivare
aWoppidum Alette. Questo passo era stato citato dal Fio-
relli {Ann. numism. I p. 83) , e certamente la vicinanza
di Atella farebbe accettare la proposta, e trovare così
meno improbabile la mutazione di Hirrensium in Hyrien-
sium 0 Hyrinensium e di iltilenatium in et Atellanatium
derivandolo -da AteUanas, come da AbeUinas si deduce
Abellinatium. Ai tempi dell' Bckhel (Zi. n. v. I, 141) non
si era ancora deciso nulla intorno alla sede di questi Hyri-
nenses, se in Campania, ovvero nel Sannio, o altrove, e l'Avel-
lino pensò alla Hyrium di Puglia, poi al ^vqqsvtov, detto
SvQaiov in alcuni codici di Strabene {Op. XI, 105), la
qual sua opinione egli poscia abbandonò. Ma il sig. Adriano
De Longpérier in ima dissertazione sul tipo della famiglia
Hosidia (Paris 1852, pag. 14) dolendosi che l'Avellino
avesse rigettata la prima sua che chiama eccellente attribu-
zione della moneta di Hyrina a Sorrento se ne dichiara
partigiano col sig. C. Lenormant e sostiene che l' aspirata i
siasi potuta cambiare in H dai Greci e ripigliarsi poi dai La-
tini, i quali anche abbiano aggiunta la n che in YPIETES si
vede omessa. Ora taluni si sono decisi per Salerno presso il
fiume Imo, altri opinano che abbia a cercarsi in Nola, la
quale talvolta si sia appellata con questo nome, tal altra
con quello di Hyrina; e il Cavedoni avverte di essere stato
dubbioso, che Note ed Hyrina fossero nomi di una stessa
città abitata da due popoli diversi e soggiugne {Bull. In-
stìt. 1850 p. 199) che il Priedlaender rese vie' piìi proba-
bile cotale opinione con più argomenti del tutto nuovi.
Altri si limitano a dire che questa Hyrina era la Palaeopo-
lis di Nola (Priedlaender, Osk. Miinzen p. 37 ; Momms. H.
de la monn. I p. 162). Il popolo Iriese declina variamente
il proprio nome sulle monete. Esso è Hyrietes, Hyrinaeus,
Hyrianus, tutti i quali derivati nascono da un Hyria od
Hyrium omonimo zìVHyrium del Gargano e all' 'Yqia della
Calabria. La lingua della quale si servono è greca, il loro
alfabeto è parimente desunto dai Greci, ma vi si vedono
introdotti dei punti sulle lettere V e I che talvolta gli ha
di sotto 1 ; r Y è ancor fatto in guisa da avvicinarsi al chi
0 psi Y. Essi adoperano in prima la forma del sigma a tre
linee S, poi a quattro i, prima l'V e la r, t>, poi la Y e
la P; prima lo spirito aspro H avanti alPV, che poi omet-
tono: il loro ^^ è arcaico. Cotesto doppio- alfabeto non si
scorge nelle monete nolane, e ciò dimostra, che non furono
contemporanee, ne che gli Iriani stessero mai insieme in
una città medesima coi Nolani, e molto meno può dirsi che
essi successero ai Nolani.
1. Nel Museo dell' Università di GlasgOTv. Testa di Pallade
coperta di elmo laureato volta a dr. R. bue androprosopo
a d. tra le gambe A 5 ■4' di sopra HVPIETES. Ne vidi un
esemplare nelle mani del sig. Sambon e vi lessi AS^', al
riverso : ma nelle Recherches a p. 165 ne sono da lui de-
scritti due, nel primo dei quali l'editore legge A e a dritta
vede una sorta di arpione, espi;ce de harpon, nel secondo
T. IXXXIX
CAMPANIA
93
riconosce soltanto le due lettere AS. Io fin da principio
vi aveva veduta la leggenda ohe bo riferita. Il direttore
del Museo di Glasgow prof. Joung mi fu cortese di un
buon calco, clie ora pubblico. Pare che cotesto popolo fosse
vago di appellarsi in piìi modi. La città se denominossi
Hyria ovvero Ht/rium indi si poteva ben dedurre il patro-
nimico HYPIETE5 ossia 'Yqu]vì]ì ed anche 'YQiàrag in dorico
dialetto. Ma essi ne derivano 'l'Qiavóg e ^YQìrog, donde ha
origine il più frequente ^YqCvu e il suo derivato ^YQivcàog.
2-i5. Le due prime nn. 2,3 scrivono YPINAI, AhllY la terza n. 4
Ahiqy (v' è anche esempio di flUNY), la quarta n. 5 YPiA-
IMO?. L' aspirata non si vede che nel n. 1 HV, ove si usa
il sigma 5, poscia si scrive sempre Y ed S , quando i
Napolitani hanno cambiato il loro alfabeto e invece di
E, L, $, P scrivono H, A, i., fi, come dimostra il n. 6
dove un didramma di Napoli con (NE)OnOA(ITHS) è ri-
battuto per (A)HI(qY). Il tipo della Vittoria che corona il
bue androprosopo non fu mai adoperato dagli abitanti -di
Hyrina come da quelli di Nola.
7. Testa di Giunone posta di prospetto coi capelli sparsi e
fluttuanti coperta di corona cilindrica ornata di palmette
nel mezzo di due cavalli marini R. Bue androprosopo a
d. sopra AhiqV.
8. Lo stesso tipo della precedente n. 7: ma il bue va a sini-
stra v' è inoltre un f segno di zecca ripetuto al dritto a d.
e al riverso tra le gambe del bue e l'epigrafe superiore
nei due esemplari che ho davanti è appena visibile: della
epigrafe poi che si legge nell' esergo rimangono deboli
tracce ma certe come se fosse stata martellata di proposito.
Un novello esemplare venuto fuori da un deposito in
provincia di Campobasso porta la leggenda F1HE1Y che è
una buona conferma della mia sentenza su d' altro esem-
plare attribuito dal Luynes ad Alipha. Vedi ciò che ho
notato sopra questa moneta nel proleg. di Alipha.
FENSEENIA o SENSEENIA
Pochissimi si noverano gli esemplari di Pensernia : ma in
tutti la leggenda è uniforme. Quello della collezione Luynes
edito dal MiUingen {Ano. coins, n. 8) reca M Vlia3^H38. Con-
corda con esso quello del museo di Panna,. .VMQ3^I13X, il terzo
è queUo della collezione Panelli, ora mia, dal quale l'Avellino
ritrasse mAHC]UT3<]8, ma la vera lezione dopo studio maturo
mi si è mostrata esser la stessa, che si ha in tre degli esem-
plari allegati, I41VHQ3^M38, dai quali si discostano i tre se-
guenti, ove la lettera iniziale si vede cambiata in k. Due di
questi esemplari si trovano nel Museo di Napoli, Coli. San-
tan gelo, e leggono ?ENSEP; il terzo è nel Museo Britan-
nico ove si legge egualmente tEN^EP (cf. Poole, Catal.
p. 128). Ciò dimostra che la iniziale 8 era considerata come
un'aspirata, e però Fensernum e Sensernum valsero lo stesso.
L' Eckhel {D. n. v. I, 171) conobbe il primo questa moneta;
ma eUa era forse logora se gli parve vedervi l' epigi-afe KPO,
e la diede a Crotone. Questa attribuzione le rimase sin
a tanto che l'Avellino in altro esemplare credette di leg-
gere Frelernum, come si è detto, e fu di avviso che si do-
vesse assegnare ad una città, che diversamente si leo'o'e
detta nei codici di Livio Cerfennia o Censennia. Poi non ne
fu pago e si rivolse a Tifernum, [Bull. arch. nap. 1846 p. 25),
che stimò essere Q>hsQvov come si legge nei codici di Tolo-
meo la quale Piterno pose a Termoli. Fu parere del Millingen
{Considerai, p. 205) che cotesto Fensernum fosse campano
e alle radici del Vesuvio, dove Livio nomina il fiume Ve-
seris (L. VIII e. 19). A me piace cotesta proposta, e credo
ohe possa accettarsi avuto riguardo al nome del fiume che sì
bene si riscontra, e singolarmente ancora al tipo della moneta,
che sembra alludere al prossimo monte Vesuvio, del quale
era antica fama, dice Strabene, che una volta ardesse ; alla
qual circostanza, penso, vollero alludere gli antichi quando
posero la chimera ttvq nvéoiau (Pindar. 01, Xni, 128 ed.
Heyn.) combattuta e domata da Bellerofonte. Non lascerò di
avvertire la grande somiglianza che passa fra i nomi delle
due città sannitiche la Aisernia e la Fensernia.
9-13. Della città che batte questa moneta si hanno esemplari
creduti anepigrafi, onde il Kiccio che uno ne riporta, ha opi-
nato della leggenda che fosse una perfetta visione {Repert.
n. 7); ma poscia confessa a p. 14 che in quella del Kochette
da lui veduta e giudicata senza leggenda, v' era e si leggeva
5EN5EP a testimonianza del duca di Luynes. Questa città
quando le leggende non sono uscite di conio si chiama dop-
piamente come ho di sopra detto Fensernia e Sensernia : della
prima epigi-afe ci sono garanti gli esemplari 9, 10, della
seconda i nn. 11, con l'epigrafe 13S\A35 e il 12 dove si
legge q3^NA3^. Non ha dunque l'Avellino creduto di vedere
un S in luogo di im (}) (Opusc. II p. 134, IV p. 81) come
gli appone il Millingen {Consicl. pag. 205). Alla quale Sen-
sernia l'Avellino, cercò per altro paragonare la Censennia
sannitica secondo alcuni codici (Liv. IX e. 44): gli venne
quindi alle mani quell' esemplare del Panelli nel quale
erroneamente lesse Freternum e aggiudicollo, come ho detto,
a Fiternum. I tipi sono la testa della Giunone Lacinia po-
sta di prospetto R. Bellerofonte sul Pegaso che combatte
la chimera. Questa ha due teste l' una di leone e l' altra
di capra, il corpo è di leone e la coda termina in testa di
serpente. È notevole la lettera f ripetuta sul dritto e sul
riverso dell'esemplare di Parma n. 13 perchè ricorre nella
moneta del n. 8. La moneta di Pensernia fu dunque incisa
contemporaneamente a quella di Hyrium e dall' incisore
medesimo che marcò il conio colla lettera f.
PISTBLIA
La città, che sulla propria moneta s' inscrive in primo
e sesto caso, di lingua e carattere sannitico, W>IT^18, ^IV>IT^I8,
sopra le piccole monete che sono bilingui dicesi in greco
(J)I$TEA1A. Niun antico ha lasciato memoria di lei che
sia pervenuta a noi e però la prima dimanda si è dove
fosse questa città. Il Mazzocchi (Tab. Heracl. p. 590) e
rignarra {De palaestra neap. p. 261), che lo segue, si
lasciarono guidare dalla analogia dei suoni quando proposero
94
CAMPANIA
T. LXXXIX
Paestum. Il Friedlaender a cui sottoscrive il Sambon {Re-
cherches pag. 46, 47), a quanto pare slette per Puteoli credo
pel motivo medesimo della vicinanza di suono dai due
nomi, egualmente che l'Avellino allorché die' queste monete
ad Histonium {Bull. nap. an. IV p. 27). Finalmente il
Minervini {Osserv. numism. p. 13) ce lo fissò in provincia
di Campobasso in quel luogo che dioesi Campo Laureili,
comune di Toro, preso argomento dalla scoperta di quaranta-
tre esemplari che misti a monete diverse si trovarono negli
scavi fatti in un antica necropoli : e pensò che questa Tiste-
lia potesse essere la Fulfulae di T. Livio. A tale opinione
si attennero il De Petra [Condizioni delle città ital. p. 86
seg.), e il Von Duhn {Bull. Instit. 1878 p. 31, 163), il
quale anche scrive che « le monete fistelline non hanno a
che fare con questa città (di Pozzuoli) ». L'argomento alle-
gato dal Minervini avrebbe valore se la indicata scoperta
avesse qualche riscontro locale. Perocché altro è che le
dette monete siansi trovate in quella regione del Sannio,
altro che ne sia ordinaria la provenienza. Il caso è diverso.
Scavandosi una necropoli in Campo Laureili, fra le monete
di città raccolte ivi, le piìi numerose sono state queste di
Fistelia. Ma né prima né dopo questo scavo si é udito che
monete simili ci fossero recate sovratutto da quella regione.
Le fistelie si trovano specialmente in Campania. Il Millingen
l'aveva appreso per esperienza: « Des monnaies nombreuses
sur les qvelles on Ut Phistltiis, scrive egli {Considerai.
p. 199), oìi Phistelia, que leurs types et leurs provenance
indiquent apparterJr à la Campanie ». Keeentemente da
una tomba di Capua ne furono estratte alcune con alquante
napolitano. Io paragono questa scoperta di Campo Laureili
ad un'altra avvenuta nella stessa provincia sulla montagna
detta Prosolone. Ivi erano monete osche di Tiano, Com-
pulteria, v'era qualch'una di Koma col bifronte e il Giove
fulminante in quadriga : v' erano le napolitane, e quelle di
Arpi in Puglia, ma in gran numero vi si trovarono quelle
di Sessa e di Calvi : queste sommavano a circa sessanta.
Nel Sannio dove non fu costume di batter moneta si com-
merciava colla moneta di Campania, di Puglia e della
Magna Grecia. Frequenti sono oggi le monete d' Irina, che
si trovano nelle terre di Campobasso, e di recente ho esa-
minato un ripostiglio trovato in Castellini fra Campobasso
e Larino, che si componeva di monete della Magna Grecia mi-
ste alle campane in guisa che fra le trentasei tutte di argento
tredici erano d' Irina, sette le nolane, cinque le napolitane,
ma una soltanto di Pistelia. Le monete raccolte in Campo
Laureili le conosco tutte dalla relazione che ne fece l' in-
caricato sig. Trotta il di 5 maggio 1855, e le ho pure ve-
dute io, che dimoravo allora in Benevento. Ve ne erano
parecchie di Taranto, altre di Metaponto, altre ili Caulonia,
altre di Napoli : v'erano le fisteline, e con esse due dei Pi-
tanati.
L'altra opinione che assegna a Puteoli queste monete
fisteline, e che il Millingen {Consid. p. 291) chiama con-
gettura la più ragionevole, non si sa donde sia nata. Do-
vrebbe almeno potersi provare che nelle terre puteolane
si trovano più che altrove frequenti tali monete: ma que-
sta pruova parmi manchi finora, e nondimeno si afferma che
le fisteline sono di Pozzuoli. Ho fatto interrogare a mio nome
il sig. Sambon che mi sembrava potesse avere un qualche
argomento, perocché il padre le aveva attribuite a Pozzuoli,
ed egli mi fece rispondere, che da Pozzuoli non vengono
le monete di Pistelia, le quali del resto si trovano nella
Campania e per lutto.
Fra tante opinioni delle quali ninna si sostiene mi sia per-
messo di proporre una mia. V é una città fra le nominate
da Livio, che meritava più che ogni altra essère ravvici-
nata a Fistlus, Fistelia; questa è Plistia, che le edizioni
del 1472 romana e parmense concordemente chiamano Phi-
listia: i eodici di Diodoro L. XIX la dicono JlXifSvixì'iv, e
così anche alcuni codici di Livio. Questa città non fu guari
lontana da Saticola, e però sui confini del Sannio verso la
Campania, e quindi occupata or da Sanniti, ora dai Greci,
ora dai Eomani, come Saticola. Oggi i geografi pongono
Saticola che Servio chiama popolo della Campania {ad Virg.
Aen. VII, 729) a s. Agata dei Goti e Plistia a quattro miglia
nel luogo detto Pletia (Lor. Giustiniani, Diz. geogr. T. Vili
p. 250). Livio narra che l'anno 489 avendo i Sanniti per-
duta la speranza di ritenere Saticola misero l'assedio a Pli-
stia socia dei Eomani (L. IX, 21): spe abiecta Saticulae
tuendae, Plistiam ipsi, socios romanorum, circumsidunt ;
e che l'esito fu (e. 22), che Saticola si arrese ai Eomani
e i Sanniti presero per forza Plistia: Saticula Romanos
per dedilionem, Plistia per vim Samnis potitur.
Or intenderassi anche il motivo per cui Fistelia conia
le sue monetine in doppia lingua, sannitica nel dritto, greca
ner riverso: perchè stando essa sui confini del Sannio e
della Campania fosse agevole alle due nazioni leggere il
nome nelle patrie loro lingue.
14. Nel Museo di Milano. La pubblicò l'Avellino {Opusc. T. II
p. ' 56 n. 13) e mostrossi disposto a crederla di Vescia e
combatté quei che la davano a Picentia. Altri però la da-
vano a Fistelia che identificavano a Picentia. Il Millingen
la tiene per moneta imitata dai barbari e non par che sia
convinto che vi si legga veramente FI5K1NIS {Consid. p. 144) :
« sur la quelle on a cru lire FISKINIS en lettres osques ». Il
Fiorelli dubitò che fosse di Fistelia {Ann. num. I, 82).
Testa di donna volta a sin. R. Conchiglia e sopra di essa
im sorcio volto a sin. con la leggenda ^INN^I'I. La moneta
cumana col sorcio al riverso è nella Tav. 81 n. 7. Questa
epigrafe Pislinis é da paragonare a Cumenis.
15. Coli, di Luynes. (Fiorelli Ann. numism. II tav. 1). Testa
di donna messa di fronte coi capelli sparsi e cinta di dia-
dema. R. Bue androprosopo a sin. e sopra ^IV>JTil(8.
16. 17. Testa di donna coi capelli sparsi e diademata posta di
fronte con una filza di perle attorno al collo. R. Bue an-
droprosopo a sinistra, nell'esergo un delfino, sopra n. 16
8UTUVU, n. 17 81STUV5.
18, 19. Testa di donna con pendenti agli orecchi e monile al
collo volta a destra ovvero n. 19 volta di fronte e coi ca-
pelli sparsi come nei n. 15-17. R. Bue androprosopo a si-
T. LXXXIX
CAMPANIA
95
lustra, uell'esergo un delfino, sopra SISTUVU. Può dirsi clie
SISTUVS sia nomiuativo plurale 81STUVI/1 sia genitivo e
31STUV15 sia locativo {Fistli, Fistlon, Fistiis).
20. Nella coli. mia. Testa di Giunone con diadema cilindrico
sul capo ornato di palmetta nel mezzo e di ippocampi, ha
i capelli sparsi, collana di perle e sta di fronte. E. Bue an-
droprosopo che guarda a destra coronato dalla Vittoria. È
foderata e priva di epigrafe ma è dello stile delle fistelie.
21. Nella coli. mia. Testa di donna diademata volta a sinistra.
/?. Bue audroprosopo che guarda di prospetto coronato dalla
Vittoria; neir esergo (ST)AYilN.
22. 23. Testa di Apollo laureata volta a sin. davanti ^TAIilNT.
B. Bue andropirosopo a destra che guarda di prospetto co-
ronato dalla Vittoria fi-a le gamhe 1^ nell'esergo /y\TV^R
nel n. 23 DIAATVAI. A buona ragione ho messo insieme que-
ste monete nelle quali il nome di Pistelia è variamente tra-
dotto: ciò che più importa si è la emissione della prima
sillaba in Stliont dei n. 22, 23 ai quali perciò ho stimato
dover aggregare la moneta n. 21 il cui Ujon superstite mi
dà fondamento a dedurre che deve esservi stato scritto stlyon.
Fisleliont pare, un genitivo del patronimico Fisteliontes o sia
Fisteliotae , che si può stimar possibile nel barbaro dialetto.
Un nuovo esemplare di cotesta moneta trovata di recente
nelle campagne di Tiano è posseduta dal sig. Marchese di
Campodisola nella quale moneta l'epigrafe del rovescio,
perchè fuori di conio.
24-27. Testa di donna volta di prospetto coi capelli sparsi e
bella collana di gioie in forma di ghiande. R. Leone volto
a sin. e talvolta n. 25 respiciente a destra. V'è nell'esergo
un serpe n. 24, 25, 27, nel campo di sopra di raro un elmo
frigio n. 25, un astro n. 26. Il tipo del leone al riverso
ha fatto attribuire cotesti oboli ad Eraclea: io, avuto ri-
guardo alla testa del dritto, gli aveva aggregati alle mo-
nete di Fistelià, quando mi è occorso di trovarne nella coli,
mia una con una metà di leggenda iV^, che facilmente si
riduce a W>JTJI8.
28, 29. H n. 28 è nella coli, mia, il 29 in quella di Santangelo e fu
già pubblicato dal Piorelli {Ann. numism. I, pag. 11 tav. 1, 6)
dopo la notizia datane dal Lenormant (Revue numism. 1844
pag. 249). Testa di donna coperta di elmo triphalus volta
di prospetto. E. H segno della metà, e intorno num. 28
N 8 A -V ' '^^ ^^ 81 5T ■ "'^' •'^^fillino dopo altri pensò che
questa fosse moneta di Histonium. [Bull. arch. «ap. 1846,25).
30-34. Testa imberbe con capelli discriminati a guisa di coppi dei
tetti. Nelle tavole del Carelli è inciso ct)I^TVAlA, che non fu
corretto dall'Avellino e neanclie dal Cavedoni [ad Car. tab.
LXII, 5-8). La greca epigrafe nelle due prime è OlìTEAIA.
E. Conchiglia, delfino, acino d'orzo e leggenda osca variamente
scritta n. 30 IV>JT^I8; 31 ^IV>JT^I8, indin. 32 1/V\V\AVI0, 33
^VVT^IS, 34 yVTWIS. Avvertasi che il Millingen ha preso
per acrostoUum la conchiglia che in cotesto monetine si
rappresenta [Coìisid. p. 201).
35. Testa a quanto pare diademata, messa di fronte e la lettera V.
E. H segno del semis e 5IVn'T^I8 (Fiorelli, Ann. num. I, 5).
36. Testa di Pallade coperta di elmo attico ornato di laurea
e della civetta volta a sin. E. Mezzo bue audroprosopo volto
a d. in alto 5IV>JT5I8 (Minerviui, Bull. arch. nap. Ili, XII,7).
ALLIBA
L'Avellino, anche dopo che il Cavedoni ebbe citato Esi-
chio, tenne che questa città non fosse mai stata ricordata
dagli antichi e a ragione. Perocché quel tratto di Esiehio
che il Cavedoni additò e trascrisse {Spicil. p. 13 an. 1838)
non parla di 'Ali^ag ma di 'AXv^ag e dice così: 'AXv§ag
OQog nccgà 2o(poxXsT, rj nólic, • ol oh XC/xrrj iv 'IxaXia xaì
€i> Troice. Quanto ad 'AXi^ag scrive Suida che vale morto,
ovvero un fiume dHnferno, ovvero l'aceto : 'Ali^ag ò vsxqog, ^
Tvorafuòg év àSov. léystai tj d)J§ag xaì rò o^og. Per la
qual menzione dell' "ASr^ avvertì l' Avellino, approvato
perciò dal Millingen {Consid. 1841 p. 141), che questa
città poteva essere stata vicina a Cuma, e presso l'Averne,
cioè in una regione sacra a Plutone; ea in regione quaa
Plutoni maxime sacra habetur (Suppl. ad Ital. numism.
pag. 12), e forse dove scorreva un fiume di nome Alibas.
Quanto poi al monte Alibas si è allegato per riscontro un
monte nella regione puteolana che oggidì si chiama Ole-
vano, e credesi che si dicesse 'AXC^ag. Tiensi anche per
dimostrato che Alliba non è Alife ed è questo il parere
del Minerviui, il quale giustamente dichiara di greco carat-
tere AH (J) HA, ond' è che le due denominazioni essendo
diverse non si possono adattare ad im linguaggio mede-
simo {Oss. p. 131). Aggiungasi che quando gli Allifaui
hanno voluto trascrivere il nome della loro città in carat-
tere osco r hanno chiamata ASMA, non ASM-JA. Indi
segue che quando gli agrimensori latini ci parlano del-
l' ager Allifanus non si deve intendere che parlino di Al-
liba, ma di Alife. Né osta che Silio Italico nomini Alife
fra Calvi e Casino [Punic. L. XII, 526) e poi fra Ndìa ed
Acerra (L. VIII, 537) per dire che si parla di due città
che il poeta se non distingue di nome le fa però distin-
guere dalla località diversa. Il quale argomento non può
sostenersi, se non si suppone, ciò che non si può, che i poeti
debbano seguire l'ordine geografico quando descrivono le
città, che in caso di guerra, o per altro motivo sono da loro
poeticamente nominate e descritte. Alifa ed Alliba hanno
sulle loro monete tipi diversi : quei di Alife non adoperano
simboli marini, come gli Allibani, che prendono il mostro
Scilla per propria insegna e le teste di Grlaueo, di Apollo,
di Pallade.
Alifa per contrario non pone sui suoi didrammi che i
soliti tipi della Campania, testa di Pallade e al riverso il
toro androprosopo. Pone anche la testa di leone allusiva
alle sue origini forse dai Samii che abitavano le spiagge. Gli
Allibani non seguono altra tradizione che quella sostenuta
anche dai Cumani della magica verga e della potenza dei
veleni di Circe, onde avveniva che si popolasse di mostri e
di belve feroci la terra e il mare circostante.
37. Mia collezione. Testa di Apollo laureata volta a d. intorno
9G
CAMPANIA
T. LXXXIX
tre delfini. /(. AAAIBANON. Il mostro Scilla con turgide
mammelle e due teste di cane che le si spiccano dalle spalle
ha nella destra un polpo e nella sinistra un delfino creduto
dal Cavedoni (Spie, numism. 15) il pesce Glauco, la sua
coda è munita di cresta: nel campo di sotto è una con-
chiglia del genere pinna. Pesa gr. 0,70.
38. Testa di Apollo laureata volta a sin. davanti: AH^IBAN. ..
R. Mostro marino bicipite e desinente in coda di pesce ar-
mata di creste : due protome di cane si slanciano dalle sue
spalle abbaiando : esso porta sulla sinistra un delfino e un
polpo nella destra ed è accompagnato da due cigni che le
aleggiano intorno. Parmi evidente che gli Allibani abitas-
sero sul mare. La doppia testa del mostro credo che sia
simbolo di sua confederazione forse con Cuma, la quale
in una singoiar moneta prende per impronta del riverso
una Scilla.
39-40. Testa di Apollo laureata fra delfini volta a d. R. Mo-
stro marino ad una testa simile però nel resto al prece-
dente: nel basso una conchiglia: l'epigrafe è AAAIBANON
più 0 meno compiuta.
41. Nella coli. mia. Testa barbata e laureata volta a d. R. Si-
mile ai tre precedenti.
42. Museo di Berlino. Conchiglia. R. H, segno della metà e in-
torno I3AAA od AAAEI (Piorelli, Annal. di numism. 1846
pag. 82 tav. Ili n. 4). Il Priedlaender, Osk. Munzen,
pag. 25) la attribuisce ad Alife persuaso che .alliba ed Alife
sono due nomi della medesima città. Io non sono di questo
parere e attribuisco col Piorelli (Mon. ined. p. 19) e col
Minervini {RuU. arch. nap. Ili, 53; IV, 145) cotesta mo-
neta ad Alliba città greca e marittima, non mediterranea
ed osca, come Alife.
NUCEKIA
Nocera, scrisse Cenone citato da Servio {ad Aen. VII, 738),
è rma delle molte città fondate dai Pelasgi e dai Greci del Pe-
loponneso, i quali diedero al fiume della contrada il nome patrio
di Sarno e presero per se il soprannome di Barrasti. Le monete
di Nocera appartengono tutte all'epoca in che essa era occupata
dagli Osci e questi si denominano Sarasneis e s' inscrivono a
distinzione, pare, di altri Nucerini coli' appellativo di Nucerini
Alafaterni. È facile rimuovere dal Sarasneis la lettera S, e sa-
ranno però i Sarani, popoli del Sarano o Sarno. Altre monete
portano il nome dei Decuini, altre dei Decuini Ranì popoli a
noi ignoti, ma che dimostrano di aver fatta alleanza coi Nuce-
rini Alafaterni. Pompei, città osca e la più vicina d'ogni altra
a Nocera, era posta sulla riva del Sarno, rjV naQaq^sT 6 JÙQvog
notajxóq (Strab. V, 170), potrebbe essere ima delle multa o-p-
pida fondate dai Greci del Peloponneso ; certo è che fu in ori-
gine greca, siccome dimostrano alcune fabbriche superstiti di
antichissimo dorico stile ; ma finora non ci si è rivelato nulla che
aiuti ad interpretrare il tipo delle monete nucerine, cioè la testa
giovanile munita di corna d'ariete e il giovane eroe nudo che
frena colla destra un cavallo e porta nella sinistra una lunga
asta con un fiore in cima. L'Avellino {Num. anecd. 22) ad-
dusse il racconto serbatoci da Svetouio (De dar. rhct. e. 4) di
un nucerino di nome Epidio che dicevasi aifogato nella fonte
del Sarno, e dopo alcuni giorni fattosi vedere colle corna uscir
dalle acque e dileguarsi; onde poi gli furono tributati gli onori
divini. Cotesto Epidio contavasi fra i suoi antenati da queU'Bpidio
ohe fu maestro di Antonio e di Augusto. Hic Epidius ortum
se ab Epidio Nuncione (') praedicabat, quem ferunt olim prae-
cipitatum in fontem fluminis Sarni paulo post cum cornibus
extitisse, ao statim non comparuisse, in numeroque deorum
habitum. La spiegazione dell'Avellino fu seguita dal Millingen
ed ebbe da sua parte il Minervini (Osserv. p. 45): ma il Millin-
gen eambiò poscia di avviso dichiarando di credere che sia la testa
dell'eroe Sarnus, dal quale prese nome il fiume, e il popolo si
appellò Sarraste {Consid. pag. 198).
Ma il racconto serbatoci da Svetonio quantunque non dica
di quali corna era munito Epidio, quando uscì dalle acque, non-
dimeno ce lo descrive apertamente qual novello nume acquatico :
edjè ben noto che ai fiumi non si davano corna convoluta in anfra-
cluni, come sono le arietine, bensì infesta come ai tori: le corna
arietine davansi invece ad Ammone e al suo figlio Dioniso, perchè
custodi ambedue delle pecore così rappresentati da quei popoli, i
quali traevano la lor ricchezza dalle mandre di questo bestiame.
Noi non abbiamo alcun indizio del culto di Bacco libico in No-
cera 0 dell'Apollo Carneo voluto sulla nostra moneta dal Du
Chalais (Rev. numism. 1850 pag. 394-404), il quale gratuita-
mente ancora gli ha attribuite le corna di ariete (Muller, Monn.
de Vane. Afr. I pag. 104). Né poi ci è possibile il concedere
che i Nucerini ponessero una volta la loro miglior fortuna nel
commercio del minore armento, come farebbe supporre il Dio-
niso di Libia, tipo principale delle loro monete. Kesta quindi
ohe alla imagine siano state attribuite le eorna d' ariete per
motivo a noi ignoto, ma verosimilmente per un racconto analogo
a quello di Carano fondatore di Aegae, che fu rappresentato con
corna di capro, perchè traforatosi in. città con un branco di
capre invase il regno. Non sapendo trovare alcim rapporto simile
a quello che fé dare ad Alessandro Magno e ad alcuni suoi suc-
cessori le corna arietine, pare che ragionevolmente c'inchiniamo
ad un mito locale qual' è, per esempio, quello dei Romani che rap-
presentarono sulla porta raudusoulana Genucio Cipo con le corna
(Val. Max. V, 6, 3, pi. XI, 45).
Quanto al tipo del riverso il Cavedoni vuole {Bull. Instit.
1850, 198) che il giovane nudo sia un Dioscoro che frena il ca-
vallo colla destra ed abbia nella sinistra una verga per reggere
ed eccitare alla corsa il eavallo. L'è un errore : il giovane non
tiene in mano una verga (e dovrebbe essere una frusta, come
sulle monete tarantine) ma un' asta con alla cima un fiore in-
torno al pomo, nel qual modo suole figurarsi lo scettro, di che
abbiamo esempi sulle monete di Eoma e di Capua. Cotesto gio-
vane adunque è un eroe deUa città e lo scettro fa arguire che
ne fu una volta capo o dinasta e conduttore.
I Nucerini venerarono ancora Apollo e i Dioscori che rap-
presentano sulla maggiore unità di bronzo ; Apollo e Diana caccia-
(') Questo vocabolo è diversamente scritto nei codici e nelle stampe,
Nuncione, Nuncino, Mancino; donde i critici hanno fatto Nucerino.
T. XC
SAMNIVM
97
itrce, la quale figurano per mezzo del suo simbolo, il cane le-
vriero, al riverso della unità, minore.
Le epigrafi osche sogliono essere spesso scorrette fuor di
dubbio per ignoranza degli artefici di zecca. Nocera venne in
potestà dei Komani nel 456 (Liv. IX, 41): (Fabius) profectus
ad Nuccriam Alfaternam, tum pacem petentes, quocl uti ea,
quum daretur, nohiisserìt, aspernatus, ohpugnando ad dedi-
tìonem mhegit.
Tav. XC.
1-3. Testa giovanile con lunghi capelli diademata e munita di
corna arietine volta a sinistra di raro a destra come nel n. 3.
Alla nuca nel n. 1 è uu delfino, intorno si legge n. 1 : NVV3N
3n>lN WWM) n. 2. /V\Vl/ia3TI/18Nx|N W\Vl/!iai>|] e all'esergo
del riverso JIBH^NQRJ n. 3. NYPKPlNVNVi<lUfl8flTCtlNV
e al riverso: KlIIDIl R. Giovane nudo con scettro nella
sinistra tiene per la briglia un cavallo che muove il
passo.
4. Testa di Apollo volta a sin.; davanti WNmiTMf\ WNY\miyy\
B. I due Dioscori nudi a cavallo che corrono verso la sinistra
alzando la destra; uell'esergo mVI/lRNQ WV1/1G>I35Ì
I Nucerini conosciuti sotto il nome di Alfaterni si danno
di .fatto questo appellativo sulle loro monete, ma negli
eserghi di esse aggiungono altri nomi nel caso genitivo
plurale ovvero nel nominativo, e sono probabilmente loro
alleati che si appellano Decuini, Decuini Raani e Sarasnei.
Koi possiamo nel Sarasnei riconoscere i Sarani ma dei
Decuini e dei Decuini Raani non troviamo che dire. Il Poole
{Catal. 121, 7) pone una lacuna davanti W1VHN.
5. Coli. mia. Testa di Apollo laureata volta a sin. R. Cane le-
vriere in agguato a destra e intorno l'epigrafe H1Vl'lia>l=lVH
kMVHQ3TN8fì>IR In altri esemplari non si vede la laurea
ma invece il segno di un diadema.
lENVM
Non ha molti anni che in due sepolcri oschi di Pompei
si rinvennero due monete di Imo coi tipi dell'Apollo e
il bue androprosopo al riverso, e l'epigrafe IDH®H (/Jwrn.
degli scavi 1874 n. 21). Altronde era noto che simili mo-
nete provenivano dalla Campania : era dunque facile il
dedurre che in Campania vi fu una città chiamata Irnum.
La Campania dal lato di mezzodì aveva per confine il
fiume Sele prima del 463 nel qual tempo i Komani tra-
sportarono in Campania i Picenti e li allogarono nelle vaste
terre che dal Sele si distendono fino a Salerno. Quivi dunque
e propriamente presso Salerno scorre un fiumicino che oggi
si appella Irno e sembra persuadere che vi stanziasse sulle
sue rive quel popolo che si chiama col nome medesimo,
costume notissimo dell'antica età.
È oscurissimo come e quando cotesto popolo venisse a
collocarsi o se vi fosse trapiantato dai Romani insieme coi
Picentini. La loro moneta è di bronzo e del più barbaro
stile e sebbene i tipi imitano le monete di bronzo di Napoli,
nella testa laureata di Apollo coi capelli alla nuca retro-
cessi ed il semplice loro a testa umana al riverso, pure
l'alfabeto e l'ortografia non è di osco, né di latino puro, ma
si avvicina al più vetusto di Lucerà e al comune di Larino,
nei quali si nota la lettera D che prende il luogo della R
latina contrariamente al dialetto osco nucerino e di Aurunca,
che ritiene la 9. Essi adoperano anche un altra let-
tera di forma assai nota negli alfabeti greci e nell'etrusco
arcaico, ma in senso a parer mio diverso. Questa è la let-
tera © che nella monete da me attentamente trascritte
ha questi esempi: IDNffi, IDffiN, IDN®D, ma si trova an-
che figurata cosi: 1DH®I, IDNOlrj. L'evidente confronto
che possiamo fare di 1DN012 con 8I$TUVR ne convince
che essa è, come parve all' Eckhel una variante dell' o
(D. n. V. I, 19), anche quando imita la forma del th
nelle voci soprascritte. Ed è notabile l'esempio di un ©
dove la linea verticale che è nel centro prende il posto di
un punto, il quale si trova usato non solo per la lettera
th ma anche per la lettera o nel greco alfabeto. Sicché si
vede che quanto a ciò v'è anche un analogo scambio di que-
ste due lettere presso i Greci : sarà poi nuovo in un alfa-
beto che ha origine dall' osco frentano, dove si legge:
SDENTDEI e UADINOD; Frentrei e Larinor, ma la o è nor-
male.
6-8. Testa di Apollo laureata coi capelli lisci e quasi rivolti
alla nuca. R. Bue androprosopo a sin., sopra la leggenda
che varia nel caso ora locativo plurale, ora singolare :
IDNOU, 1DN®D, IDN®.
9. Testa di Apollo simile alle precedenti 6-8. R. Conchiglia in
mezzo a tre delfini che le guizzano intorno. Non ha epi-
grafe, ma la somiglianza dello stile ha persuaso i numis-
matici di aggregarla alle monete di Irno.
SAMNITES
Non fu costume dei Sanniti di batter monete, ed io
non posso citare che una sola eccezione, il raro bronzo di
Aquilonia nel Sannio Pentro, la quale del resto, stando ai
confini, deve aver imitati i popoli circostanti, come le
città sannitiche che confinano colla Campania. E però venuta
alla luce in due esemplari una monetina d'argento, in-
scritta del nome retrogrado ^AYNITAN, né può dirsi che
sia moneta di alleanza, perchè i tipi non sono di alcuna
delle città greche d'Italia, ma simbolici della nazione. A
me pare che sia stata coniata dai Tarantini : la lingua della
epigrafe è dorica appunto come quella dei Pitanati, e pos-
sono assegnarsi all'epoca medesima. La testa muliebre co-
perta di un ricinium a piii ripieghe deve rappresentare il
costume delle donne sannitiche, e la punta di lancia al
riverso deve ritenersi pel craiU'tov, peculiare arma della
nazione sannitica.
Era tradizione che i Greci avessero dato nome di ^av-
vlrai a quella tribìi di Sabelli che adoperavano per asta
il saunium; i Latini li dissero Samnitae. Ma non si sapeva
qual particolare forma avesse quest'asta, e il Dacier seguito
98
SAMNIVM
T. XC
dal Muller {ad l'eUum ^. 326) l'aveva confuso con quel
giavellotto in forma di spiedo che Virgilio (Aen. VII, 665):
chìltma, veru sabellum ove scrive: tereti pugnant mucrone
veruque sabello. Il Muller poi nel luogo citato opina
clie i G-reci avessero voluto spiegare così la versione
^avvitai data al latino Samnitae. Ma quanto siano andati
lungi dal vero lo fa ora manifesto questa monetina, dove
è messo in bella evidenza clie il saunium non ebbe forma
di spiedo e mal si è confuso col veru dei Sabelli, e che
i G-reci diedero loro i primi il nome di ^avvitai dalla
singoiar forma della loro lancia, e per arma parlante l'hanno
rappresentata sulla moneta. Questa sorta di punta a larghe
ale non riconosciuta prima nelle collezioni pel oavvtov ha
ora un insigne esempio recatoci dalle campagne di Pietrab-
bondante, l'antica Bovianum Yelus dei Pentri, che fa l'orna-
mento del Museo municipale di Campobasso.
10. Testa di donna con ricinio in capo piegato in modo del tutto
locale, e leggenda HATIHYA?. R. Ferro di lancia dentro una
corona di lauro.
PITANATAB
Il Millingen ricorda {Consicl. p. 117) di aver dato alla
luce [Anc. coìns 1831 p. 13) la monetina dei Pitanati che si
davano il soprannome di Peripoli. Prima di ciò essendosi la
moneta letta dal P.Khell soltanto per metà erasi attribuita al
castello deiLocresi detto IIsQinóliov (Thucid. L. Ili, e, 99);
ma il P. Eckhel l'aveva posta fra l'incerte {N. v. anecd.
p. 308). Il Millingen tenne adunque che la moneta essendo dei
Pitanati Peripoli fosse battuta dai Tarantini per cotesti Pila-
nati 0 venuti da Pitana, ovvero così detti in memoria della
origine tarantina, chiamati Peripoli, o sia guardie a difesa
dei confini. Ma cotesti confini non sono a mio avviso quei
dei Tarantini; se così fosse, a che coniare per loro una
moneta speciale? Essi adunque stavano sopra altri confini
e questi erano dei Sanniti, pei quali si era dai Tarantini
procurato quel presidio a tutela d'ogni invasione straniera
e conferma del patto di alleanza che si era stretto fra i
due popoli. Nel tempo medesimo i Tarantini coniavano una
moneta a nome dei Sanniti (il che grandemente convalida
il parer mio), di recente scoperta in soli due esemplari
passati ambedue nella collezione del Luynes. I tipi della
moneta dei Pitanati sono tarantini, quei delle monete dei
Sanniti sono proprii e singolari.
Di questo antico impianto dei Pitanati nel Sannio per
opera dei Tarantini era giunta la notizia a Strabene (V, 250),
ma egli non vi prestò fede, giudicandola una invenzione dei
Tarantini per conciliarsi i Sanniti, avendone sperimentato
il prò, quando spedirono in loro soccorso ottantamila fanti
e ottomila cavalli (Strab. V, 1. cit.).
11, 12. Testa di donna diademata volta a sin. alla nuca "E. R. Er-
cole che strozza il leone : intorno FllTANATAN nEPinOAHN
Il monogramma dell'altro esemplare n. 12 è /E (cfr. Poole,
Catal. 398, 4), al riverso del quale 1' Ercole che strozza
il leone è volto a sinistra.
MALIES
Si è cercata la patria di cotesti bronzi assai rari, e, da
Mdes di Livio creduto l'odierno Molise dove il posero da
principio il Millingen [Anc. coins p. 3) e l'Avellino (Suppl.
ad II. vet. niom. p. 48), si è opinato di trasportarli a
Malventum detto poi dai coloni latini Beneventwm. Della
identità di cotesta Malies delle monete con Maleventum
degli storici sono incerti il Priedlaender {Osk. Mun. 67),
e il Mommsen [H. de la monn. Ili p. 187), non è per-
suaso il Rochette (Journ. des Sav. 1854 p. 243, 1), non è
sicuro il Minervini {Osserv. p. 19). Il Mommsen ora tiene
che la leggenda /V\AHES non è puramente latina, 'come
aveva opinato altra volta (Unterit. Dial. p. 192), ma vi
riconosce con quei che il Minervini chiama ultimi numi-
smatici (1. cit.) una mistione di greco e di latino. Io non
sono però di questo avviso, e corrette le false o imper-
fette lezioni dichiaro che la leggenda AAAUES unica vera,
non dà fondamento alla mistura pretesa di elementi greci
e latini ; ella è perfettamente greca non meno della moneta
napolitana dove si leggono insieme adoperate le due let-
tere l ed i (Vedi la Tav. LXXXIV, 18). Il MALIE letto
dall' Avellino è imperfetto, e nel MAllE? già citato dal
Millingen {Comid. 224 not. 1) è verissimo che si legge I
in vece di L, probabilmente per difetto di conio. La MAUIEZA
e la MAHES non si sono mai riscontrate ai tempi nostri,
e il Minervini ha lodevolmente stimato che nella moneta
del Lauria che egli pubblica la inferiore asta dell'? è ri-
masta fuori del conio.
Stabilitala vera lezione MAL-IE? potremo ormai dire che
l'è una colonia greca stabilitasi in quel luogo medesimo che
fu poi occupato dai Sanniti ed era in loro possesso nel 442
(Liv. IX e. 26, X e. 15), sotto nome di Maleventum nato da
Mah'sg per anadrome del caso quarto Mah'evzor. Paolo, cioè
Pesto 0 sia Verrio Fiacco aveva scritto di Benevento, che i
Greci suoi abitatori così la chiamarono (Fest. p. 39, ed. Muli.):
Earii urbein antea Graeci incolentes Malóev%ov appellarunt,
dove soltanto dovrà correggersi- MAUIFENTON e per sincope
MAUFENTOÌVJ, sostenendo la vocale O le veci del digamma
eolico. Il nome MaXi'eg, messo evidentemente per MaXCsig,
come Jlv'^ósg per Ilv'gósig, ha un buon riscontro in MaXisvg
nome della città dei Malli insieme e del popolo che l'abi-
tava (Steph. 642, sub v.). Dalle cose dette deriva che la
moneta non fu battuta dopo 1' occupazione romana come
opinai nelle Iscr. di Bencv. (pag. 18, 19), uè quando era
dominata dai Sanniti, ma nell'epoca in che l'abitavano da
padroni i Greci, quantunque con loro vivessero insieme fa-
miglie osche numerose, e certamente nobili e ricche. Il de-
sumo dalla famiglia dei Fabii che si apparentò cOn quella
degli Otacilii di Malevento, fin dagli ultimi periodi del
secolo terzo di Eoma, dal qual connubio nacque il N. Fabio
Vibulano che fu console nel 333 (Borghesi, Oeuvr. T. IX
pag. 99,, 100).
13. Testa giovanile volta a d. B. Bue androprosopo la cui testa
T. XC
SAMNIUM
99
è uscita (ili couio; di sopra uu elmo con i guanciali, uell'esergo
MAUIE^. L'ha pubblicato ilMinerriui {Bull. ardi, nap.lll,
XII, 9).
14, 15. Testa di douna diademata coperta di una cuffia con fiocco
pendente dal vertice; davanti MAL-IE^ (Sestini, M. Fon-
tana III, 12). E. Bue androprosopo volto a d. e guarda di
prospetto, sopra una testa di fauno barbato. L'epigrafe del
secondo esemplare è MAIIE?. Il llillingen {.incicns coins
pi. 1, 2) ha ben letto MAIIE? e ben giudica nelle Con-
sid. a p. 224 che la linea orizzontale dell'L non è visibile.
Egli primieramente attribuì questo bronzo a Mela e ovvero
Melos nel Sannio, quando altri lo giudicarono di Malvcn.
tum; poi si attenne a cotesto parere. Questo nome MaXdc
deve supporsi scritto come Jlv^ófc in vece di MaXutg,
llv^ósig omesso il iota soggiuntivo. Indi siccome dall' ac-
cusativo Jlv^ósig si è per auadrome creato dai Latini Bu-
xentuin, così da MalUrza si è formato il caso retto Ma-
lientum e inseritovi il digamme, Maliventum. I Eomaui
cambiarono il Maliventum in Bcniventura e omessa la vo-
cale i Benventum. La fondazione primitiva di codesta città
si appartiene adunque ai Greci. In altri esemplari il Ca-
relli {Dsscr. p. 10) trascrive MALIEM , la qual lezione a
]-agione non si trovò buona dall' Avellino, che esaminò
l'esemplare descritto dal Carelli {Descript, p. 15); e nean-
che da me che ho studiato le originali monete nella colle-
zione Santangelo e nel Museo di Vienna. La lettera t è
costantemente così scritta non mai S ne i. Il Mommsen
scrive (H. de la monn. Ili, 187), che la leggenda non è
puramente latina com'egli l'aveva creduta prima, trattando
dei dialetti dell'Italia inferiore pag. 102.
BENVENTUM
16. Testa di Apollo laui-eata volta a sin. e intorno BENVEN-
TOD. R. Cavallo senza freno correndo a d. intorno PRO-
' POM. n Millingen erra opinando che Benventod sia nomi-
nativo neutro e Propum sia Probom nome di un magistrato
{Consid. p. 225). Il cavallo libero ricorda l'antica tradi-
zione che riferiva a Diomede le origini della città.
AESBENIA
Questa colonia dedotta nel 491 prese per tipo la testa
di Pallade nume custode e personificazione della città non
senza allusione al Palladium e porge al riverso 1' aquila
che combatte il serpente segno, SioarjUiìov, ostentunt, del dio
supremo. Il dio di Lemno prese il secondo posto fra i pro-
tettori e vi fu espresso al riverso Giove fulminante con
quell'arma, cioè, che gli fu fabbricata da Vulcano. Copiò
in fine i tipi campani col bue androprosopo. La novità del-
l'aquila che combatte il serpe serrato fra i suoi artigli, del
qual tipo non v'è in tutta la numismatica d'Italia che un
solo riscontro neUa lontana Crotone, induce il sospetto che
sotto il simbolico óioariinTov si asconda una allusione rela-
tiva all'impianto di una colonia romana nel cuore del Sannio.
Cotesti coloni sembrano ancor nuovi al dialetto del Lazio :
già variano le arcaiche inflessioni del genitivo plurale che
esprimono in tre modi diversi: AISERNIM, AISERNIOM, Al-
5ERNIN0M e omessa la M finale AISERNIO, AISERNINO :
danno inoltre la desinenza dell'accusativo al nome del dio
Vulcano, e scrivono VOL-CANOM , singolarità che oggi si
suole scusare richiamandola all'uso greco di esprimere nel
tipo l'imagine di una statua dedicata, dove il verbo àviO-r^xs
e il nome del popolo è sottinteso.
17, 18. Testa di Pallade coperta di elmo corinzio con cresta:
davanti (AI)SERNIOM e nel n. 18 AISERNIM. R. Aquila che
combatte un serpente serrato fra i suoi artigli. Due sono
le leggende che si dipartono nelle monete con questi tipi
dalla comime AISERNIOM ed AISERNIM ambedue vedute
da me in due esemplari che furono già del barone Oliva.
19, 20. Testa di Vulcano coperta del pileo laureato volta a sin.
dietro la nuca la tenaglia, davanti VOUCAiMOM. R. Divi-
nità fulminante in biga, talvolta come nel n. 20 sorvolando
la Vittoria che reca la corona. Neil' esergo AI5ERNINO.
Il Millingen dice {Consid. 2,19) essere difficile rendersi conto
di questa desinenza in OM, in Volcanom che non può pren-
dersi per accusativo.
21. Coli. mia. Testa di Vulcano con l'epigrafe e la tenaglia
come nei nn. 19, 20. 7?. Vittoria in biga, nell'esergo AI-
SERNIM. Un esemplare simile fu pubblicato dal Piorelli
{Ann. di num. 1846, tav. Ili, 2).
22. Testa di Vulcano con l'epigrafe surriferita. R. La Vittoria
che guida la biga, nell'esergo lATINO. La stampai già in
altre isernine nella Storia d'Isernia (Nap. 1847), ma ivi non
bene interpretai la I per L, per la persuasione nella quale era
che si dovesse leggere Calatino: ora invece stimo che vada
supplito calATINO.
23. Nella collezione Santangelo. Alla lezione .4iscrnionì contra-
detta dal Mommsen dà solido appoggio Aiserninorn, non
meno oppugnata da lui. Essa è conservatissima. Testa di
Apollo laureata a sin. R. Bue andoprosopo coronato dalla
Vittoria, tra le gambe \i, nell'esergo AISERNINOM.
24. Nella coli, mia, trovata in Roma sull' Aventino. Testa di
Apollo come nel n. 23 davanti AI2ERNINO, alla nuca una
stella. R. Bue androprosopo coronato dalla Vittoria tra le
cui gambe T.
AQUILONI!
Il bronzo con l'epigrafe 51RIM1/IV51V>IN, quando si leggeva
Acurunniar, erasi dal P. Eckhel {Stjll. 1) attribuito ad Ace-
reuza, detta dai latini .icherontia (/). n. v. I, 140), ma dacché
fu avvertito che il 51 in osco valeva il D latino, e si lesse Am-
duìiniad, per conseguenza fu dal Carelli assegnato ad Aqui-
lonia, oggi detta Lacedogna. Tutti i numismatici, a parere del
Minervini {Bull. ardi. nap. IV, 1856, p. 146), tengono ora-
mai questa Lacedogna come patria della moneta. Fra costoro
non era però da contarsi il Eiccio {Reperì, p. 5 nota 6) che
nel 1852 aveva scritto {Reperì, p. 5 nota 6) volersi rico-
noscere questa Aquilonia nei ruderi di Pietrabbondante vicino
100
SAMNIUM
T. XC
Agnone. Ma i geografi con la tavola Peutiugeriana pongono
Aqnilonia dopo Aedanum fra Subromula e il Pons Auficli,
Tolomeo la colloca fra le lonivòiv jtoXeTg e Plinio nomina
gli Aquilonii in secunda regione Hirpinorum {H. N. Ili
0. XVI, 6). Tutto parebbe deciso, ma pur non è così. Per ac-
cettare questa attribuzione è d'uopo sapere se "v' è un'altra
Aquilonia, e se le monete, quantunque rare, vengono a noi
recate da Lacedogna, lo che non consta. Imperocché vi furono
nel Sannio due Aquilunie, come due Boiani, ed è errore del
Cluverio seguito in ciò dall' Harduiuo e dal Cellario (Nnt.
orb. ani. p. 699-700) e dai vecchi commentatori di Livio
di aver confusi i testi che distintamente li nominavano. Il
loro torto è di non aver badato che T. Livio parla )iel
L. X e. 38, 30, 41, 44 di un' Aquilonia che sta nei
Pentri, alla quale il console menò l'esercito passando per
Atina, mentre silV Aquilonia di Plinio sita nella regione irpina
ci si va T^er Aedanum e Subromula, e però involgono nel me-
desimo errore anche il Bovianum dei Pentri con altro Bovia-
num ambedue nello stesso Sannio, è vero, ma in luoghi
distanti, ambedue nominati da Plinio ove scrive (III, 17),
Samnitium qxios Sabellos et Greci Saunitas dixere, colonia
Bovianum velus et allerum cognomine Undecimanorum.
Dì questo secondo deve intendersi che parli Livio (IX, 44).
Vano è dunque riprendere lo storico (vedi la pag. 1021 ,
1022 del T. II ed. Drakenboroh) ohe dopo aver detto nel
e. 31 che Boviano fii presa torni al e. 44 a dire che
Boviano fu presa. Parassi anche ragione a Frontino che
di Boviano fatta colonia parla a p. 231 nell'elenco delle
colonie di Campania, e poi a p. 259 nomina di nuovo la co-
lonia Boviano fra le civitates regionis Samnii. Il Bovianum
Undecimanorum tuttavia dicesi Boiano ed è sito presso il
fiume Biferno; ma del Bovianum vetus sarebbe stato arduo
assegnare l'antico sito, se una insigne scoperta dovuta al
si5. Fr. Sav. Cremonese non l'avesse additata in Pietrab-
bondante presso il fiume Trigno. Di questa notizia egli mi
è stato cortese rispondendo alla dimanda che io glie ne
feci, cercando-sapere dove fosse quell'Anglona, nella quale
l'Avellino e altri sull'autorità di lui collocavano il Bovianum
vetus appellandosi ad una antica lapide scoperta ivi. Il Cre-
monese dunque scrive così: Agnone, 23 ott. 1880. La lapide
di che Ella mi dimanda proviene sicuramente da Pietrab-
bondante. E ciò le dico francamente, perchè fu scoperta da
me nel 1840 dentro l'abitato di Pietrabbondante in mezzo
ad altre pietre destinate ad uso di fabbrica e provenienti
con la lapide medesima dal sito dell'antica città, propria-
mente dov'è il teatro.
Ora stabilita in Pietrabbondante l'antica sede del Bovianum
vetus dobbiamo far osservare che Livio parla di cotesto
Boviano nel L. IX e. 31 (a. u. e. 443), dove lo chiama ca-
put Pentrorum Samnitium, ma non nel e. 44 dello stesso
libro IX (a. u. e. 449), come pretendono i critici. Mercecchè
in quest'anno occupando e devastando i Sanniti il campo
Stellate di Capua, i consoli Postumio e Miuucio entrarono
nelle terre del Sannio e presero a combatterli nella valle
del Biferno e a forze congiunte li disfecero presso Bovianum
che fn preso e saccheggiato. Questo Boviano ohe sta presso
il Biferno non è dunque il Bovianum che sta presso il
Trigno, ma è quello degli Undecimani, come poi si disse,
e si è detto da Plinio. Ben è però vero che il Bovianum vetus
ritornò in potere dei Sanniti la seconda e forse anche la
terza volta. T. Livio il dice chiaro descrivendo le gesta
dell'anno 456 (L. X, 11, 12) : ivi attesta che i due consoli
Cornelio e Fulvio riuscirono a riconquistarlo; e che si tratti di
questo Boviano il dimostra l'impresa condotta subito dopo da
Fulvio che conquistò Alfidena: Fulvius Bovianum aggressus,
nec ita multo post Aufidenam vi cepit. Ho detto che forse
la terza volta, perchè all'anno 461 nella splendida giornata
presso Aquilonia dice Livio (X, 38) che l'avanzo dell'eser-
cito sannitico corse a chiudersi negli accampamenti presso
Aquilonia, e ohe i nobili aquiloniesi e la cavalleria fuggendo
dalla battaglia si ricoverarono in Boiano; ciò che fa arguire
che allora questa città era tornata in possesso dei San-
niti. Peditum agmen quod superfuit pugnae in castra ad
Aquiloniam compulsum est, nobilitas equilesque Bovianum
perfugerunt. Ora diciamo dell' antica sede di Aquilonia.
Sulla riva del Trigno non molto lungi da Agnone a mez- .
zodì di Pietrabbondante, dalla quale dista un cinque miglia
in circa è un' antica città deserta cinta tuttora di mare, la
chiamano la Civitavecchia. In questo luogo è mio parere
che fosse l'antica Aquilonia. La poca distanza da Pietrab-
bondante ora riconosciuta per Bovianum spiega assai bene
ciò che scrive Livio (X , 41) gli avanzi dell' esercito san-
nitico incalzati e spinti dai Eomani essersi rifugiati negli
accampamenti che erano presso Aquilonia , ma i nobili e
i cavalieri aver cercato colla fuga di salvarsi in Bovianum.
Questa Aquilonia esser poi discosta un venti miglia
(Liv. X, 39) da Cominio assediato dal console Carvilio sicché
Papirio vi potè mandare un messo dal campo che fu a lui
di ritorno nella notte. Cominio era in quel luogo che ritiene
tuttavia l'appellazione di Val di Comino.
Provato che due fnrono le Aquilonie sorge la questione a
quale di esse spetti la moneta, cosa cotanto insolita al costume
sannitico ove la vicinanza o il dominio di città greche noi
consigliassero. Il bronzo di Aquilonia è assai raro, pur non-
dimeno, interrogato il Cremonese mi risponde, « di averne
acquistati in diversi tempi ben due conservatissimi esem-
plari da un mercante di Agnone, il quale ne accertava di
averle avute nei paesi di Agnone e contorni , ai quali si
estendeva il suo piccolo commercio ».
L'esame dei tipi (testa di Pallade, dietro alla nuca una pa-
tera da libazione. B. Personaggio militare in corazza elmo
e scudo con patera nella destra e corto bastone nella sinistra)
parmi si accomodi assai bene a rappresentare la principal
parte del rito chiamato antichissimo della nazione dal sa-
cerdote Ovio Pactio presso Livio (X, 381. L'imperatore, ben
determinato per tale dal corto bastone, fa la libazione previa
al sacrifizio esigendo da ciascun soldato che giurasse di non
abbandonare i suoi duci e di far fronte e non cedere al
nemico. La patera posta dietro alla- nuca di Pallade è un
nuovo segno che conferma la spiegazione data. Lo strata-
T. XC
SAMNIU.M
101
gemma del giiirameuto uoii riuscì è vero a bene, ma il rito
non cessò per questo di essere in rispetto ed osservanza
dei Sanniti: solo siamo incerti se la moneta sia stata co-
niata prima della giornata fatale alle armi sannitiche.
25. Nel Kircheriano. Testa di Pallade coperta di galea corinzia
con cresta volta a d. davanti 5!RIMHV/)V>li'3, alla nuca una pa-
tera, li. Personaggio militare armato di corazza, galea corin-
zia, clipeo ed asta in atto di stendere la destra, con la quale
tiene una patera, accennando così all' atto della libazione.
Negli esemplari da me veduti di questa rara moneta non
appare la punta dell'asta di dietro al collo del guerriero,
come crede il Uavedoui {Dwlt. Inst. 1850, 199). Né poi
deve esservi, stante che l'asta è pura, qual si conviene al-
V Imperalor, duce supremo (Borghesi Oeuvr. VI, 106). Vedo
poi dietro la nuca di Pallade una patera convessa nel mezzo,
non già un clipcits aereus, come il numismatico modenese
la definisce. _^
PRENTKUM
Il locativo Frcnlrei, come Loucrei e Larinci, ci prova, che
vi fu una città di nome Frentrum, la quale doveva essere la
capitale dei Prentani e sulle rive del Frento, oggi Fortore.
Ai tempi dell'Eckhel non s'era letto che BQTHa.i e davasi
il bronzo ai Pentri (D. n. v. I, 102), 1' Eekhel sospese il
suo assenso attendendo che un nummo con intera epi-
grafe insegnerebbe a dover piuttosto assegnare questa moneta
ai Prentani (ib. p. 119). Stefano bizantino nomina una FreiUa-
nwm (cf. Cavedoni, Bull. laslit. 1850 p. 199), come città d'Ita-
lia ; ma egli cita il quinto libro di Strabene, e in ciò sbaglia,
perchè il geografo non parla ivi di città, bensì del popolo
frentano (L. V e. 4 § 2). Frenter egualmente che Fren-
taivus derivano dalla medesima voce che ha denominato il
fiume Frento. Cotesto frentanus trovasi talvolta per colpa
dei copisti trasfigurato nei codici, e però non è stato sempre
ravvisato dai critici. Fra questi luoghi parmi che si debba
noverare quello che si legge in Livio (t. IX, 16), ove narra
che il console Aulio Cerretano l'anno 435 combattè i Fe-
rentani, la città dei quali gli si arrese: Aulius cum Feren-
tanis uno secundo praelio dehellavU urbemque ipsatn,
fjuo se fusa contulerat acies, obsidibus imperatis in dc-
ditionein accepil. Li riconosceremo ancora nel nome della
città Ferentimi,ra conquistata nel 432 dal console Postumio
Albino (L. X, 34), luogo corrotto variamente nei codici,
che danno, Feritram, Fortoriam, Foreirium in vece di Frcn-
trum: dove non può pensarsi che si parli di Ferenlum o
Forentum di Puglia, come in Diodoro di Sicilia (L. XIX, 65),
il cui passo si è citato a torto insieme con quello di Livio
(IX e. 16, 20) dal Millingen {Consid. e. 181), confondendo
Forentum con Frentrum. Livio dice che Postumio da
llilionia città del Sannio Pentro menò l'esercito a Frentrum :
Milionìam oppugnare aggressus . . . inde Frentrum ductae
legiones (non Ferentinum come le stampe).
La città di cui parla Diodoro si è, anche detto, Ferenlum
della Puglia, che Orazio nomina insieme con Acerenza e Bau-
zia, ambedue poste al mezzogiorno di Venosa, alla quale il
Millingen nel luogo sopra citato attribuisce il bronzo di
Frenter bronzo del quale parliamo. Non è possibile che
Aulio menasse l'esercito taut'oltre nella Puglia lasciandosi
i nemici alle spalle in Teate apulo e in Canosa , le quali
città non si arresero che un anno dopo nel 436 (Liv. IX,
20; Diod. XIX, 10) al console L. Plauzio. Le imprese nar-
rate da Diodoro debbono riportarsi al consolato di C. Giunio
Bubulco dell'anno 437, quando anche Livio racconta, che
Perento, ovvero Perento, nei quali due modi si disse questa
città, fu da Giunio presa (1. o. e. 20): nam Forenlo quoque
valido oppido iunius potitus eral: e ciò sta bene dopo aver
egli domata la Pnglia, Apulia pcrdomita. È da notarsi in
conferma che la lezione cum Fientanis si trova almeno
nel codice di Lej'da: questi sono i Frentrani, gli abitanti
di Frentrum, che si dicono FrentcMi, come il rimanente della
nazione, che occupava le terre poste tra il Fortore e il
Biferno.
26. Mia coli. Testa giovanile coperta di petaso alato volta a
sin. davanti I3<5TH3Q8. R. Cavallo alato che corre a sin. tra
le gambe im tripode nell'esergo I3QTH3<Ì8.
LAEINUM
Questa Larino confinava colla Puglia Daunia e però dagli
antichi è attribuita ora aiDaunii ora ai Frentani. I Larinati si
servono dell'alfabeto latino, nel quale però danno al D il
valore dell' R : trovasi anche una moneta con AAPiNUN in
lingua e alfabeto greco e coi tipi della Campania. Ma co-
testa moneta non meno che quella che porta il nome di
ItlViTRIlT, 0 Teate apulo in osca lingua, di cui abbiamo detto
a suo luogo, sono per me monete di confederazione e deb-
bono essere state coniate nella Campania, della quale por-
tano i tipi: come in Napoli fu di certo battuta quella che
ai tipi napolitani congiunge in greca lingua l' epigrafe
'Foì^icdav. Larino conia oboli e ima serie di sistema deci-
male: sugli oboli è scritto L-ADINEI e UADINOD la quale
seconda leggenda è constantemente adoperata nella serie
decimale. Questa ha per tipo nel dritto del quincunce, non
avendo emesso l'asse, una testa galeata con capelli corti e
ricci e i pizzi alle gote, particolarità da ninno finora os-
servata, se ne eccettui il sig. Imhoof-Blumer. Il Cavedoni
ovvero la definisce un Marte giovane, ma sol per la chioma
breve e rannodata e la penna o ramoscello che orna la galea
[Bull, lnst.it. 1850, 199), la quale del resto non si è mal
da me veduta. Quello che parve al dotto numismatico mo-
denese una penna o un ramoscello altro non è che una
lamina, talvolta ornata, sulla quale si vedono in un mio
esemplare due capocchie di chiodi ohe rattengono la cresta
dell'elmo. È anche da notarsi la serie, a capo della quale
è la testa di Pallade, perchè queste due serie si distin-
guono anche per la lettera V che si vede al riverso della
prima, e non della seconda. Si avverti già dal Cavedoni
{Bull. Insta. 1. e.) sembrare che i tipi del dritto si cor-
rispondono con quei del rovescio. Le relazioni di Giove
102
SAMNIUM
T. XC
col falmine , di Ercole col centaui'O , di Teti col delfino,
del Genio col cornucopia, di Diana col cane da caccia sono
evidenti. Non faremo quindi caso di ciò che il lodato nu-
mismatico aveva scritto prima che si avvedesse di cotesta
corrispondenza dei tipi, essere il delfino in città mediter-
ranea forse allusivo al larinus nome di un eerto pesce,
secondo Bsichio {Spicil. p. 13). A me sembra che anche
nel quincunce così la Pallade come la testa del giovane
eroe debbono avere una relazione col cavaliere armato del
rovescio , tipo comime ai due del dritto. Questo cavaliere
porta un elmo acuminato che il dimostra apulo non meno
che il clipeo rotondo. Quanto al V l'Avellino {Bull. nap.
a. IV p. 71) crede che sia l'iniziale del nome del valoroso
larinate, che lanciandosi ferocemente contro il re Pirro
nella battaglia al Liri turbò in modo le file nemiche che
costrinse il re a sottrarsi dalla pugna (Fior. 1, 18): Apud
Heradeaui et Campaniae fluvmm Urini, Levino consulo
(a. 474) prima pugna quae tam atrox fuit ut Frenlanae
praefect'iis Obsidius invectus in regeni turbaverit coegc-
ritque proiectis insignib^is praelio excedere. Ma cotesta
spiegazione suppone che in Larino si pronunciasse Ulsiniiis
come lo scrive Dionigi d' Alicarnasso (XVIIl , 2) e non
Obsidius, né Opsidiiis come si legge nei testi di Floro e
di Orosio. Inoltre non dà ragione perchè questo V si ripeta
sugli spezzati inferiori, parendo che dovesse bastare di ap-
porlo sul quincunce dove Obsidio è rappresentato non al-
trimenti che il 0 sulla moneta romana dinota che in essa
è rappresentato Filippo il macedone. A mio credere adunque
queir V non è che un segno monetale appartenente alla
distinzione dei conii. E questa spiegazione sembra anche
convalidarsi dal confronto di altre simili monete sulle
quali all'Avellino parve che questo V fosse preceduto da
una unità IV {ad Carellii Description. pag. 14, 4). Se poi
si avvera che questo V scambiasi non di rado con l'U,
come il Cavedoni vuole [in Cai eli. tab. 1. e), quell'V do-
vrebbe dirsi iniziale etnico , ma è probabile che siasi da
lui preso per U im V arcaico nel quale talvolta l'una delle
due aste è poco più breve dell'altra.
27. Mia coli. Testa di Pallade coperta di elmo con la cresta volta
a d. B. Fulmine e sopra I-ADINOD, sotto un caduceo.
28. Mia coli. Testa di Pallade coperta di elmo aulopide con la
cresta volta a sin. R. Cavallo libero corrente a d., sopra
astro, sotto L-ADINEI. Come Frentrum così Larinuni ado-
perano il genitivo singolare in cotesto due monete.
29. Testa di Apollo laureata volta a sin. davanti AAPINilN.
B. Bue androprosopo coronato dalla Vittoria. Il tipo e l'epi-
grafe in greca lingua sembrano dimostrare che la moneta
è battuta in Campania, come quella che ai tipi campani ac-
coppia la leggenda Pi^tMAIHN, ovvero W1VITNIIT. Quando
son due le epigrafi e rendono i nomi dei due popoli, è general-
mente usato di inscrivere ciascun nome nella lingua sua
propria. Così leggiamo NEOPOAITilN e CAUENO, SVESANO.
Ma quando l'una città alla moneta propria pone solo il
nome dell'altra il fa in lingua e carattere proprio suo.
30. Mia coli. Testa giovanile coi pizzi di barba nascenti sulle gote
coperta di elmo aulopide cristato volta a d. Il sig. Imhoof-
Bl. [Mann. gr. p. 5 n. 5), che pur si è avveduto di coteste
gote fiorite sembra volere che in altre simili vi sia la testa
di Pallade. Egli crede la prima una testa di Marte. B. Ca-
valiere armato di elmo acuminato e munito di cresta con
clamide svolazzante alle spalle che va di gran galoppo a
sin. egli porta lo scudo rotondo con l'insegna probabilmente
di un fulmine ed ha la lancia abbassata nella d. nel campo
è im V, tra i piedi del cavallo si legge UADINOD , nel-
l'esergo la nota del quincunce.
31. Mia coli. Testa di Pallade coi capelli lunghi e sciolti coperta
dell'aulopide cristato volta a d. B. Il cavaliere, l'iscrizione e
la nota di valore è la medesima, che nel precedente n. 30 ;
manca solo la lettera V, la quale si ha in altri esemplari
e si ripete sul triente, sul quadrante, sul sestante e sull'oncia.
32. Testa di Giove coronata di 'quercia volta a d. B. Aquila
col fulmine negli artigli: nel campo V e UADINOD; nel-
l'esergo la nota del valore che è un triente.
33. Testa di Ercole barbato coperto della spoglia di leone.
B. Centauro che corre a d. portando un ramo di albero sul-
r omero sinistro : di sotto L-ADIMOD, nell' esergo la nota
del quadrante.
34. Testa di Teti coronata e velata a d. B, Delfino , di sotto
UADINOD e la nota del sestante.
35. Testa di Apollo coi capelli corti laureata a d. dietro V.
R. Cornucopia, UADINOD, e globettino, segno dell'oncia.
36. Testa nuda di Diana eoi capelli legati in ciuffo sul vertice:
dietro al collo l'arco e la faretra. B. Cane levriere "che
corre a d., sopra una clava e LA, compito di sotto DINoD;
nell'esergo L segno della metà. L'Avellino pone di sopra uno
spiedo da caccia, e di sotto qualche cosa incerta (Opusc. II,
23) e così il Cavedoni; il Sambon lascia il campo vuoto.
37. Testa di Giove laureata volta a d. R. Luna crescente con
dentro l'astro del giorno, sotto LA. Il suo valore è quello
del nummo precedente.
BELLUM SOCIALE
Le monete degli Italici insorti confederatisi contro Soma furono
battute nella zecca di Corfinio scelta da loro per capitale e deno-
minata singolarmente VN3TI-D e ITALIA nelle due lingue dei
popoli confederati. Per Italia intendevasi allora quella parte
della penisola che dai Bruzzii della Enotria erasi propagata fino
al Kubicoue e comprendeva quei popoli ohe dimandavano di es-
sere incorporati alla romana cittadinanza. Il rimanente della pe-
nisola fino alle Alpi era Gallia togata e governavasi a modo di
provincia da un pretore, magistrato romano. Poscia i triumviri
a nome di Giulio Cesare che ne aveva fatto il decreto l'aggre-
garono al resto della Italia. Alle antiche tradizioni toccanti l'ori-
gine di questo nome sembra che i Sanniti sostituissero le proprie,
secondo le quali il giovane toro sabino che dicevasi in loro dia-
letto vitello aveva guidata la gioventù sabella a stanziarsi nelle
terre osche e costituiva ivi il Sannio : ond' è che dal vitello essi
vollero dare un nuovo nome alla loro capitale. E questa tradi-
zione del vitello sembra che essi abbiano voluto esprimere sulla
T. XG
SAMNIDM
103
moneta osca dove si vede im vitello che riposa da presso ad un
militare armato di parazonio e di lancia, il quale ne ha rivolta
la pimta a terra e stando in piedi poggia il pie' sinistro sopra
un elmo, od altro arnese. Il Cavedoni credette che costui fosse il
conduttore della gioventù sabina, Comio Castronio {Bull. ardi,
napol. T. V p. 6, 7), che si sia voluto rappresentare (Sisenua
ap. Non. V. ver sacrum, Fest. pag. 326). Ebbero adunque il
loro senato e 'crearono gli annuali loro consoli ai quali affi-
darono l'amministrazione della guerra. Ai consoli come a magi-
strato sommo e capo supremo militare era anche concesso di batter
moneta. Abbiamo quindi da distinguer i nummi che conia la
nuova repubblica da quelli che sono impressi a nome dei consoli
e che ne portano i nomi.
Nel primo anno 664 furono consoli C. Papio Mutilo forse
sidicino, ma sannita d'origine (Diod. Sic. XXXVII, 2) e Q.Pompedio
Silone marso. A costui toccò la regione settentrionale e occiden-
tale ove erano i Marsi, i Peligni, i Testini e i Picenti, a Mu-
tilo la regione orientale e meridionale dove avevano stanza i
Marruccini, i Sanniti, gli Apuli e i Lucani. Sono questi gli otto
popoli dei quali fa specialmente ricordo la storia. Pajjio si servì
della lingua sannitica, Silone della latina che era la lingua dei
Marsi. La zecca della capitale battè nelle due lingue. Tutte
queste classi pongono indistintamente otto congiurati al riverso,
ma le monete dei due consoli battono ancora coi quattro che
rappresentano i popoli alla difesa di ciascuno assegnati.
I successi felici delle loro armi furono pomposamente
figurati sulle monete, dove l'Italia residente sopra una con-
gerie di arme è coronata dalla Vittoria, ovvero alla sua testa
coperta di elmo sta per imporre la corona una vittorietta sospesa
a volo. Koma è anche allegorizzata dalla lupa e l'Italia dal vitello,
che r ha sotto i piedi e l' investe colla corna. Il vitello figura
eziandio come simbolo determinante allato ad un personaggio
armato stante col pie' sinistro poggiato sopra un elmo o altro
arnese giacente sul terreno. I numismatici hanno cercato finora
d'interpretare che cosa fosse quell'oggetto in verità mal fatto
che l'uomo armato preme col piede, e chi l'ha creduto un'insegna
romana e chi un sasso, e chi una corazza. V è stato anche ta-
luno al quale non è sembrato strano che premesse \m piede del
toro giacente. Le diverse monete con questo tipo attentamente
esaminate da me, fanno cotesto oggetto simile ad un piccolo
sacco pieno legato nel mezzo, del quale due sono le parti gonfie
e tondeggianti. Potrebbe quindi rappresentare la primitiva in-
segna militare romana che consistè in un manipolo di fieno posto
in cima di una pertica; perticas manijmlis foeni varie fonnatis
in summo iunctas (Aur. Yict. Orig. gent. roin. 22), allusivo però
alle origini dell'esercito romano rinfacciate per dileggio dagli
Italici.
Ifel secondo anno 655 i due consoli dell'anno precedente
ritennero il comando militare come pur facevano i Komani quando
era d'uopo : e inoltre furono creati i due nuovi consoli. Questi
sono, secondo me, Lucio e leio i cui nomi si leggono impressi
sulle monete coniate da loro.
In quest'anno piegando male le spedizioni e gli scontri dei
due consoli i Marsi e i popoli vicini si diedero ai Piomani e
però gl'Italici abbandonata Corfinio andarono a fortiiìcarsi in
Iseruia. Ivi elessero cinque pretori a capo dei quali posero Silone.
Questi ricomposero l'esercito che divenne forte di cinquantamila
uomini e mille cavalli (Diod. Sic. L. XXXVII, 11, 9). Si com-
battè con varia fortuna da ambedue le parti, ma scemando
sempre piìi le forze degli Italici si pensò di sollecitare Mitri-
date re del Ponto che venisse in loro aiuto. A tal fine man-
darono legati che furono ben accolti dal potentissimo re, il quale
promise loro che domata l'Asia approderebbe in Italia col suo
stuolo (Diod. fragm. 11, L. XXXVII). d óì MitgiSatrjc cmóxqiaiv
ài'Scoatv a^siv Tctg Svvdusig sìg rijv 'IxaXiuv, STtsiSàv avruì xara-
OTr[arj Tifjv 'Aaiar, loìno yÙQ xal sTiQaTTe. A SÌ lieta novella gli
Italici ripresero coraggio e Jeio per sollevare gli animi dei
confederati , cred' io, fece battere una moneta, sul cui riverso
esjjresse due personaggi militari in atto di stringersi le destre
avendo Pun dessi cioè Mitridate alle spalle lo stuolo delle navi
promesse. Coniò ancora l'oro coi simboli di Bacco forse allu-
sivi alle spedizioni asiatiche e trionfi di quel nume, col quale
poneva così in glorioso raffronto il re del Ponto ambizioso oltre-
modo di tale gloria, ond' è che si faceva chiamare réog Jiówcro;
come impariamo da Ateneo {Dipnos. V, 49), il quale anche fa
menzione della legazione italica e cartaginese loc. cit. 30: ngt'-
Ojiitg ov iióvov ix ràv 'hcchxon' ì'Oviin' àXXà xal ttccocc Kaoyj-
Sorioìv cviiiiuxiTv ci'Siovyrfg stiì tìjV Tijg 'Poiiirig àrccioediv.
Volse l'anno 665, Mitridate non si era ancora veduto e le
perdite dei confederati crescevano; gli Italici si perdevano d'animo:
Siò TTcevTSÀoig ol diToatùtca Tsranaivaijitvoi àjtsyivtoaxov. Già
Gneo Pompeo aveva sottomessi i Vestini e i Peligni, i Marsi
si erano arresi, allorché Pompedio Silone avuto uno sconti'O
con Emilio Mamerco presso Boiano, vi cadde estinto. La guerra
potea dirsi finita se non che i Sanniti si ostinarono. Papio Mu-
tilo proscritto da Siila e perciò messo fuori di Nola dai San-
niti per paura che si venisse all'assedio, non essendo neanche in
Teano voluto ricevere da sua moglie, innanzi alla porta di casa
si uccise (Licinian. Ann. p. 43 BeroL 1857 ; Livii Epil. LXXXIX;
Appian. B. C. I, 40, 42, 51). L'ultimo crollo ai Sanniti lo die
la battaglia guadagnata da Siila nel 672 su Ponzio Telesino
loro duce a porta Collina (Liv. Epit. LXXXIX).
Gli ultimi casi della vita di Papio Mutilo si sono ricordati
avanti : ma il Millingen condannando l'Olivieri [Mém. dell' Acad.
de Cortona t. II p. 59) perchè aveva supposto Papio morto in
qualche fatto d'armi, cade poi in altro errore appoggiandosi ad
una correzione dal Vesselingio introdotta nel testo di Appiano
{de Bl'U. Civ. e. 25) dove si leggeva Slatius ed egli vi pose
Papius, dando così per fatto storico che Papio Mutilo vivendo
in Eoma nell'anno 711 come si udì proscritto dai triumviri aprì
la casa al saccheggio ed egli dandole fuoco vi morì dentro con-
sunto dalle fiamme. Noi abbiamo dimostrato che Papio morì
in Teano Sidicino.
Ciascuno avrà notato che non poche monete appartenenti alla
zecca degli Italici sono copiate dalle monete della zecca di Eoma.
L'Avellino {Opusc. Il p. 18) l'ebbe avvertito e il Borghesi
(decade XVI) ne ha noverate alcune, e dopo di lui anche il
Cavedoni ne ha allegati i riscontri, e cercati i motivi {Bull.
Instii. 1850 pag. 201) e il Millingen {Conskl. p. 187) ricorda
i tipi della famiglia Sulpizia.
104
SAMNIUM
T. XC
Kimaue ora che diamo ragione della uosti-a interpretazione
relativa ad una delle monete di ootesta guerra della quale il
Borghesi portò una opinione diversa, in forza della quale essa
dovrebbe rigettarsi dal numero di quelle che furono coniate
dai collegati ed essere attribuita ai fatti di Siila con Mitridate.
Io adunque convengo che si tratti di un accordo preso, ciò che
mi significa il congiungere le destre : ma mi pare che la prora
armata vi stia a determinare ciò di che si è trattato fra i due
personaggi, cioè di im' armata di soccorso ohe l'uno dei due di-
manda e l'altro promette. Serve anche a rettamente interpre-
tare l'asta che è data soltanto al personaggio a sinistra, e che
può ben significare l'arma propria dei Sanniti, il saunioii, donde
ebbero presso i Greci il nome di Saicnitar. Il personaggio a destra
visibilmente di miglior taglia sembra anche sull'esemplare del
Vaticano cinto di alta corona e porta le anassinidi, ma l'uno e
l'altro particolare sta bene a chi rappresenta il re del Ponto:
l'asta per contrario mal si attribuirebbe a Siila generale romano,
la cui arma fu la spada che cingevasi ai fianchi e perciò chia-
mavasi parazonio.
II Borghesi fa plauso ad E. Q. Visconti ohe stimò trat-
tarsi qui del colloquio di Siila con Mitridate in cui fu con-
chiusa fra loro la pace {Oss. numism. Dee. Vili 1; Oeuvr. I
p. 374, 375). È però da notare che il Visconti prende per Mi-
tridate il personaggio a sinistra che porta la lancia e per Siila
colui che è a destra, nel che è seguito dal Borghesi, il quale
poi quanto alla nave nega che possa significare il viaggio di
Siila, stante che andò per terra a Bardano ove seguì quell'abboc-
camento, e opina che la nave voglia alludere ad uno dei princi-
pali articoli della pace che fu la cessione di settanta o ottanta
triremi: che però conchiude che acconciamente, dopo ricevute le
navi, stringe la destra del re. Dietro tutto ciò gii è forza dire
che la medaglia sia stata fatta coniare nello stesso anno 669
0 nel seguente, e appartenga a Siila, onde converrebbe esclu-
derla dal numero di quelle che furono coniate dagli Italici.
Il Cavedoni annota quivi che egli fu già di altro avviso
opinando che si trattasse del colloquio di uno dei legati italici
con Mitridate e in ciò fu approvato e seguito dal Friedlaeuder
e dal Mommsen. Nondimeno il Borghesi avendo conosciuto le
ragioni del Friedlaeuder tuttavia sostenne la interpretazione del
Visconti e sua in una lettera che il Cavedoni stampò nel lìu'L
JeW Insl. 1S51 pag. 61-63. Né pertanto il Cavedoni trovò
che opporre, anzi in conferma del parere che queste monete
le abbia battute Siila nelle zecche degli Italici pose in riscontro
a p. 63 l'aureo di M. Antonio il quale vedendosi aver un doppio II
invece di E nelle parole DIISIG ITIIH UT TIIRT mostrasi, dice,
impresso in qualche città della Campania. Ma un tal argomento in
vero non ha valore alcuno; in prima perchè ora conosciamo pa-
recchie lapidi romane che usano l'ortografia ristretta alla Cam-
pania dal Cavedoni, e perchè non si tratta di ortografia ma di
lingua che nelle monete predette si deve supporre sannitica,
adoperandosi in esse monete le note numeriche dei conii sol
proprie di questa nazione.
Al Borghesi non pare soddisfacente la spiegazione, che si rap-
presenti l'udienza data da Mitridate ai legati dei Sanniti. « Dio-
doro, eh' è il solo a farne cenno, ci dice, scrive il Borghesi, che
essi non ne riportarono che delle ciance e delle vane promesse
per cui rebelles spe atque opihus dciccti animos despondcrunt »,
e soggiunge: « Bel risultato invero di questa ambasceria per
meritare che se ne menasse vanto sui nummi » ! Cosi egli : e
veramente se la cosa fosse raccontata cosi da Diodoro non sa-
prei trovar ragione da giustificare gl'Italici che avessero voluto
conservare la memoria di un' ambasciata per loro cosi desolante
e funesta. Lo storico afferma invece che Mitridate promise agli
ambasciatori che si recherebbe collo stuolo in aiuto degli Italici
tosto che avesse assestato l'impresa ohe aveva allora da com-
piere, l'assoggettamento dell'Asia. Queste promesse poi egli non
mantenne. Ciò è vero, ma è anche vero che i legati tornarono
in Italia con le promesse, e però gl'Italici non dovevano trovar
male che a incoraggiare gli alleati si promulgasse questo risul-
tato felice dell'ambasciata e se ne facesse pompa sulla moneta.
Ma donde mai ha appreso il Borghesi che costoro invece ripor-
tarono agli alleati che Mitridate aveva date delle ciance e delle
vane promesse ? Che queste promesse di Mitridate fossero vane
non si poteva subito presumere, ben si cominciò a diffidare
quando si vide trascorrere il tempo in che si lusingavano che
approderebbe, e le cose della lega andavano assai male. Lo sco-
raggiamento sopravvenne e allora sì che non saprei approvare
chi pretendesse che delle vane promesse si menasse vanto : seb-
bene taluno potrebbe anche supporre che si cercasse rianimare
la speranza col far rappresentare sulla moneta labboccamento
e da presso una delle navi che avrebbero recato il soccorso bra-
mato: ma ciò è poco probabile: è per contrario assai naturale
che si stampasse sulla moneta la consolante promessa subito
che i legati furono di ritorno. Mitridate dall'altro lato come
uomo accorto e che aveva dichiarata inimicizia ai Komani colla
strage fattane e colla cattura del proconsole non doveva farsi
sfuggire la bella occasione che gli si offriva di portare la guerra
in Italia con si felici auspicii, specialmente perchè non erano i
soli Italici che lo avrebbero aiutato e sostenuto ma gli Africani
altresì ancor essi bramosi di veder distrutta Koma e però uni-
tisi cogli Italici a sollecitare il potentissimo re del Ponto. Co-
testa notizia che non vedo essersi avvertita da niuuo ci vien
data da Ateneo là dove riferisce l'aringa che Atenione tenne
agli Ateniesi reduce dall'Asia, dove, die' egli, sonn presso del, re
i legati degli Italici non solo ma anche dei Cartaginesi ohe
gli dimandano alleanza per portar la guerra di sterminin
sopra Roma (Athen. Dipnos. V, 1). Abbiam veduto come il
passo di Diodoro allegato dal Borghesi non faccia ostacolo alla
nostra interpretazione, ora è duopo vedere come ella si presti
a spiegare tutta la composizione di questo tipo singolare a cui,
parmi, non si è bene atteso forse per mancanza di originali
ben conservati, o per non avervi fatto uno studio più attento
e minuto. La nave che è a destra non è di Siila, perchè egli
andò al colloquio viaggiando per terra, neanche si può dire che
rappresenti una delle triremi che Siila dimandi gli si cedessero
dal re Mitridate, perchè se ciò fosse non si mostrerebbe essa
armata di soldatesca orientale , il cui simbolo evidente sono i due
fasci di strali che vi si vedono dentro insieme cogli scudi ; calamis
orierUis popidi bella conpciunt, scrive Plinio [H. N. XVI, 65). La
figura prossima alla nave non è di chi la cerca ma di quei che la pos-
T. XCI.
SAMNIUM
105
siede. Questi non èSillamaJMilridateacui stanno bene le nuassiridi
e la mano sul pomo della spada : ma quella figura a cui egli stringe
la mano che in qualche esemplare è di minor taglia e vigor militare
assai piìi si appressa a figura muliebre che virile, il che anche ci si
conferma dall'esemplare del Museo Vaticano ove pare chiaro il
rilievo del petto. Questa figura mostrasi ancora o coronata ov-
vero col capo cinto da largo diadema e porta oltre al pugnale
anche una lancia. Per tutte queste ragioni non si potrà mai
ravvisarvi un Siila, ma o l'Italia, o alcuno dei legati spediti a
Mitridate dagli Italici. La corta gonna non sarebbe un ostacolo
a reputarla figura muliebre, perchè in simile assetto si vede effi-
giata Venere armata nei denari di M. Mezzio e L. Buca monetieri
di Cesare (Blaeas, //. de la mon. voi. II pi. XXXII, 5, 6 pag. 71).
Parimenti la Spagna e la Gallia in un aureo di Gall)a edito
dal D'Amecourt vanno ancor esse in corta gonna {Aanuaire
numisiu. 1879 pi. Ili, 1). La lancia che non si adatta ad un
pacifico congresso vi può essere stata espressa per l'Italia dai
Sanniti, il cui stemma è il aavrioi; come ho dimostrato trat-
tando della moneta dei Sanniti (Tav. XC n. 10).
T.iv. XCI.
1-3. Testa di donna laureata con orecchini e filza di perle al
collo volta a sin. dietro ITALIA. R. Otto armati, che il Cave-
doni chiama Impcratores sago indutos, e non vestono che
semplice tunica cinta, coi ferri nudi nella destra, le cui
punte sono rivolte ad una porchetta tenuta da un ministro
a pie di im' insegna conficcata al suolo ; nelP esergo, INI.
Avendo gì' Italici chiamato Itaiia la città di Corfiuio scelta
per capitale della lega l'hanno poi personificata ponen-
done la testa nel dritto con la epigrafe ITALIA, ovvero
come in lingua saunilica la dissero VI>J3TI-3. Neil' esergo
del n. 1, è notato il novero dei conii con cifre numeriche,
in quello del n. 2 è indicato lo stesso con lettere alfabe-
tiche, e questa è un P : la terza ci ha dato un dieci X.
4, 5. Nella coli. mia. Busto di uno dei due Castori, coperto di
pileo acuminato cinto di laurea, ma v' è inoltre una stella
in alto, non avvertita come pare dal duca di Luynes, che l' ha
definita per testa di Vulcano (Ann. Instit. t. XIII, p. 129).
Veste una clamide abbottonata sull'omero destro ed è privo
di tunica, li. Donna armata di elmo, scudo e lancia che guida
ima biga a dritta, sotto la quale nel n. 4 è la testa di un bue
di prospetto con due globetti accanto. Nel n. 5 invece è un
semplice T e non altro.
6. Da un calco. Busto di donna galeata volta a sin. con corazza de-
corata di gemme. Essa è coronata da una vittorietta, e però
a me pare che rappresenti una personificazione della città
detta dagli Italici, Italia. R. Personaggio stante in piedi e
di prospetto coperto di elmo crestato con largo paludamento
alle spalle, che raccoglie davanti colla sinistra decorata da
duplice armilla sostenendo il parazonio nella vagina, e ap-
poggiando la destra ad un'asta che ha la punta rivolta in
basso, calca col pie' sinistro un oggetto nel quale si distin-
guono due prominenze globose. Dal lato destro si vede il
toro italico lanciato a gran corsa e dal sinistro un tronco
d'albero dal quale pendono quattro scudi: nelPesergo vi si
legge il numero HA. Tutto è chiaro in questo rovescio, solo
rimane incerto l' oggetto che il personaggio armato calca.
L' Avellino stimò che fosse ima insegna militare romana,
{It. nuìii. suppl. p. 5), e trasse il Cavedoui in questa opi-
nione.
7, 8. 11 primo esemplare è preso da un calco, il secondo è di
mia collezione. Testa di donna laureata n. 7 con pendenti
agli orecchi, u. 8 con collana al collo, volta a sinistra, a
destra vi si legge il nome della città VNBThl. R. Il per-
sonaggio medesimo descritto al n. 6, se non che non gli si
vedono al braccio le due armille. Manca a sinistra il trofeo
e il toro, che nel n. 6 si è impetuosamente lanciato al corso,
qui invece riposa accanto al guerriero stando di prospetto :
nell'esergo vi è la lettera 3. È stato detto che il guerriero
aveva posto il piede sulla zampa del toro giacente; e il
Cavedoni scrisse che il toro era posto tra le fiamme, e queste
gli divampavano il petto. Cotesta idea è falsa: si sono cre-
dute vampe le rozze pieghe della pelle pendente dal collo
del toro che dicesi pagliolaia e giogaia. Di questa composi-
zione si serve la sola zecca sannitica di Corfinio e dei capi
sannitici. Il Cavedoni credette di vedere in questo perso-
naggio militare la persona reale di Comic Castronio duce
della gioventù sabellica nel suo primo impianto nel cuore
del Sannio. L'oggetto che calca sembra un vaso a larga
bocca, ed è forse un elmo.
Una rappresentanza simile alle qui descritte fu veduta
e narrala dall'Avellino in una moneta della collezione Zurlo
[Opusc. II p. 16 n. 19), la quale mi si dice oggi posseduta
da persona privata. Vi era da un lato la testa galeata del-
r Italia volta a sin. e al riverso un uomo in pelle leonina
armato di spada in atto di appoggiarsi ad un'asta e di sten-
dere la destra verso il toro che vi si vedeva da quel lato
in mezza figura.
9. (Millingen, Sijll. I, 3). Testa di donna diademata coi capelli
raccolti in massa alPoecipite e filza di perle al collo, volta
a d. R. Vittoria alata e assisa a d. con un ramo di palma
nelle mani : nelP esergo ITALIA.
10, 11. N. 10. Testa di donna laureata a d-, dinanzi è la nota X
del denario. R. L'Italia sedente sopra una congerie di clipei,
col parazonio nella sin. che si appoggia colla d. all'asta,
ed è coronata dalla Vittoria che le sta alle spalle: nel-
Pesergo ITALIA. N. 11 (Coli. Luynes). Testa laureata di
donna volta a d. dinanzi X, a sin. ITALIA. R. Lo stesso
tipo del n. 10, ma nelPesergo è un A.
12, 13. CoU. Luyn. e Museo di Parma. Testa laureata di donna
con filza di perle al collo volta a d., a sin. ITALIA a d. XVI.
/(. L'Italia assisa su di un cumulo di clipei armata di
parazonio e di asta è coronata dalla Vittoria : nelPesergo D.
È un buon esempio di due conii in pari tempo usciti con
la medesima nota alfabetica D.
14. Coli. Lujm. I tipi sono i medesimi dei due conii precedenti :
soltanto la lettera dell' esergo è qui un G.
15, 10. Da calchi. Testa di donna coperta di elmo volta a
d. e coronata dalla Vittoria. Veste una clamide decorata di
100
SAMNIUM
T. XCI
un gioiello, lì. Due personaggi che venuti a colloquio strin-
gono la destra ambedue in tunica corta, cinta, e sago mi-
litare: colui che è a sin. è cinto di parazonio e porta una
lancia con la punta in alto ma volta indietro, l'altro con
la sinistra sul parazonio: alle spalle di lai a d. vedesi una
prora di nave con entro il vessillo lemniscato, due scudi
e due fasci di dardi : nell' esergo del n. 15 è il num. A
e in quello del numero 16 il numero IIIIA in alfabeto san-
Qitioo. L'Avellino {Opusc. II p. 16 n. 17, 18) non dice
nulla della nave, ma descrive invece una piccola Vittoria
che corona alle spalle il personaggio a destra e il Riccio
{Reperì, p. 8) ha scritto « che una figura militare con asta e
scudo dà, la destra ad altra figura militare che le sta di-
rimpetto e che appoggia la sinistra sul parazonio. Presso
questa seconda figura vi è una base dalla quale sorge una
piccola Vittoria che la corona e in altra moneta evvi una
figura discesa or ora dalla nave che le sta dietro carica di
istrumeuti bellici ». Il Riccio ha di certo preso per scudo la
clamide militare del primo. Quanto poi alla distinzione dei
due conii, in uno dei quali la vittorietta corona il militare
a destra, nell'altro v' è invece la nave, è evidente che egli
ha voluto dar luogo alla descrizione dell'Avellino, e a ciò
che vedeva coi propri occhi, la nave, non la vittorietta,
che però parmi sia uno sbaglio da addebitarsi all'Avellino,
a cui si appoggia ancora la descrizione della moneta Zurlo
riferita di sopra. L' Orsino pubblicò il ])rimo una moneta
coi tipi medesimi da me descritti, cioè con la Vittoria, sopra
ima base che incorona il militare a destra, ma nell'esergo
del riverso invece del numero IIIIA lesse l'epigrafe SVLLA IW\P.
Vediamo ora le spiegazioni che si sono date dai dotti.
Il Borghesi ammise (Oeuvr. I pag. 374 segg., II p. 273)
la moneta dell'Orsino (pr. il Morelli tav. V n. 2) e quella
del Zurlo (Avellino Opusc. t. II p. 16 n. 17, 18) e siilla
fede della prima stabilì doversi seguire la spiegazione che
ne aveva di recente proposta il Visconti, che si trattasse
ivi del famoso abboccamento di Siila con Mitridate, in cui
fu conohiusa tra loro la pace. Solo una cosa notò non poter
essere che la nave fosse di Siila, da poi che egli si era
recato per terra, ma ohe sia uua delle trenta ovvero ottanta
triremi di Mitridate cedute a Siila, come uno dei principali
articoli di quella pace. Pone quindi Siila a destra e Mi-
tridate a sinistra. Siila armato di parazonio e Mitridate co-
ronato del diadema, avente un'asta sotto il braccio sinistro
colla punta rivolta all' indietro. Da ciò deduce che la me-
daglia è stata coniata nel 669 in cui avvenne questo fatto,
0 tutt'al più nell'anno seguente. Quanto poi alla moneta
del Zurlo dice parergli probabile che siasi in essa voluta
rappresentare la pace conchiusa nel 667 da Ponzio Telesino
col vecchio Mario, della quale ragiona Appiano {B. vìe.
1. e. 90). Ma già sin dal 1850, {Bull. Instit. p. 201) il
Cavedoni mise in sospetto l'epigrafe dubitando che l'Orsino
prendesse il numero IIIIA per nome proprio e ne facesse
SVLLA aggiuntovi poi IMP e il Mommsen dichiara di parergli
certo che tale iscrizione sia del tutto dall'Orsino foggiata.
Noi invero ne abbiamo un esempio non dissomigliante nel
Garelli (iJescr. pag. 118 u. 29 ed. Caved.), che assegnò
alla guerra marsica il nummo della famiglia Vibia, omessa
l'epigrafe del riverso, e cambiato nel dritto il genitivo LIBER-
TATIS nel nominativo LIBERTAS. Può dunque accettarsi, che
l'Orsino abbia sbagliato. Quanto poi alla opinion mia, che
risolutamente rifiuto la spiegazione del Visconti applaudita
dal Borghesi, si veda ciò che ne ho scritto nel prolegomeno.
17. Coli. Blacas (//. De la monn. T. II 531, 1). Testa di donna
coronata di ellera volta a d. a cui corre d' intorno una co-
rona di lauro. B. Toro che ferisce di corno la lupa già sotto
i suoi piedi : nel campo Pi, nell'esergo VIn|>I3TH. Ve ne ha
un esemplare nella collezione Santangelo (Fiorelli, Catal.
n. 509). Ma il Riccio {Repert. p. 9) sbaglia attribuendole
al dritto la leggenda della moneta posta al n. 26 e al ri-
verso la leggenda VITELIA in luogo della osca predetta.
18. Coli, di Luynes (Avel. Opusc. II, 2, 7). Imitazione del de-
naro primitivo di Roma, del quale porta i tipi. Nell'esergo
del riverse si legge VI43TI-I1 nel campo del dritto L, del
riverso A. Il Cavedoni trova che questo nummo siasi imi-
tato dai denarii dei triumviri, M. Atilio Serano, Q. Marcio
Liboue, L. Sempronio Pizione, specialmente per la forma
Tot'yXijVog dell' orecchino.
19. 20. Coli. mia. Testa di donna laureata a d. R. Otto giuranti
attorno alla porchetta tenuta dal ministro a pie' del ves-
sillo militare. Nell'esergo rimane un O. È questa una delle
due monete a me note che portino gli otto giuranti al
riverso e la testa del dritto volta a destra (Car. tav. Ili, 13);
e però l'ho posta accanto alla celebre ed unica moneta di Q.
Silone n. 20. In essa dietro la testa della donna si ha l'epi-
grafe ITALIA che non è stata impressa dal conio neln. 19
e al riverso si legge intero Q • SILO. Pu sogno del Mé-
rimée {Bevue num. t. X p. 93, 103) che il vessillo abbia in
cima un toro di prospetto che si slancia.
21. Coli. mia. Testa virile con fior di lanugine sulle guance coperta
di elmo pinnigero dalla cui cima pende sulle spalle una 'filza
di perle che gli fa da cresta. Egli guarda a d. ed ha alle
spalle l'epigrafe VI-J3T1-II. R. Quattro armati giurano sulla
porchetta tenuta da un ministro: nell'esergo •>-linflKin>. Il
Millingen {Consid. p. 185 n. 5) descrive questa moneta
come se la testa del dritto fosse di donna; al Cavedoni parve
invece che fosse testa di Marte {Bull. Instit. 1837 p. 199).
Oramai non occorre che si esaminino e si confrontino gli
esemplari per decidere la questione, se è possibile, come
brama il Millingen, pag. 253, avendola bella e chiara de-
cisa il doppio mio esemplare conservatissimo.
22. Testa di donna coperta di elmo pinnigero con cresta e ra-
beschi volta a sinistra davanti <]VTi^<iai413->li-T\/m. B. Due ar-
mati in atto di giurare ferendo la porchetta sostenuta dal
ministro. Il vessillo appare soltanto nel tipo degli otto ar-
mati: nel riverso •>-inNNn->. L'epigrafe dunque comincia
dal riverso e termina al dritto della moneta.
28. Testa di donna coperta di elmo alato volta a d. intorno fra
due cerchi di perle >lhTVltl •>-inRNn->. R. Uomo armato di
lancia e di parazonio che pone il piede sopra un oggetto in-
certo: ivi presso è un bue in riposo: a sin. VI<J3TI-3.
T. XCI
SAMNIUM, APULTA
107
24, 25. Testa di douna coperta di elmo come nel n. 22: davanti
^liTypII R. Uomo armato col toro accanto come nel u. 23 in
alto a d. n. 24 8, n. 25 fl, a sinistra WIHISNi. Il Millingeu
opina [Consid. p. 187) che questa moneta sia stata coniata
dai Sanniti rimasti soli a continuare la guerra, e però in luogo
di Italia si è scritto Saphùiìm, nome del Sannio: ma non
pare. Quella che oggi diciamo lupa fu creduta un coccodrillo,
ma questo errore il corresse lo Scklichtegrolle (ap. Avell.
/{. vet. num. T. I p. 96, 97). L' unione di una leggenda
in latina lingua col nome sannitico di C. Papio è spiegata
dal Cavedoni col gaudio dei Marsi e dei Sanniti insieme
per la morte di Q. Servilio Cepione o piuttosto di C. Ser-
vilio proconsole {ad Carelli Tab. CCII n. 30). Ma il n. 27 coi
tipi del deuario romano di C. Servilio figlio di Marco, e la sola
epigrafe latina, dimostra che C. Papio lo riprodusse, e così
vi appose il suo nome in lingua e carattere sannitico.
26. Testa coronata di ellera volta a d. davanti qVTNqait13 •>IITVIt1.
E. Toro che ferisce di corno la lupa come nel n. 17: nel-
l'esergo iriNRn-). V'è un esemplare nel Museo di Berlino
ove il toro e la lupa sono volti a sinistra.
27-29. Imitazione del denaro di C. Servilio: nell'esergo del riverso
n. 27 ITALIA e un astro; n. 28 •> IDlNirvin-) e dalla parte del
dritto sotto il collo, >lhTVH1 e un astro. Nel n. 29 si leggono
unitele due leggende del rovescio dei n. 27, 28, una però
al riverso •>-inNNn-> l'altra al dritto ITALIA preceduta da
astro a sei raggi 'da non confondersi colla nota del denaro.
In tutta cotesta monetazione marsica non si vede usurpata
la nota ^ ovvero * , se ne eccettui i nn. 28 , 29 copiati
dal denaro romano di Servilio.
30, 31. I tipi di queste due monete sono simili a quelli dei
n. 7, 8 vi si vede soltanto aggiunta la nota X nel dritto
e nell' esergo del riverso n. 30 Jl. La epigrafe del riverso
è nuova: ^H1 l>IDV>|-IH, Niumeres Lmci{es) M{a)r(as), (Nu-
merìus Lucius Marii filius). Nel nummo del n. 31 si era
letto Luvius, e così è di fatto: ma il primo I si. è di poi
veduto che deve essere un » mal espresso: onde se ne
scusano gli editori anteriori alla scoperta.
32. Coli. Liiynes. Questa moneta tenuta prima in sospetto di mo-
" derna fu poi data per falsa. Ma essa è certamente vera a
mio giudizio e del Luynes che la comprò ed aggiunse alla
sua insigne collezione. Il Priedlaender l'ha pubblicata {Die
Osck. Miin. 73). Testa di donna coronata di edera. R. Istru-
menti del culto di Bacco, cista, nebride, tirso che qui è
lemniscato: nell'esergo si legge: im-^IK3l-im. Quest'aureo
finora unico pesa gr. 8,47 quanto uno statere ateniese, e
im am'eo di Mitridate. Lo credo battuto dal console Minazio
leio figlio di Minazio a fin di sollevar l'animo dell'eser-
cito e dei confederati colla promessa del re Mitridate, e pro-
babilmente coll'oro portato dall'Asia. Il Priedlaender prima
e poi il Cavedoni hanno scritto che il tirso termina in testa
di montone, ma è un errore, che si vede corretto dal Blacas
nella edizione dell'//. De la monn. T. IV pi. XXX, 11, quan-
tunque siasi sbagliato prendendo per cappio di tenia la se-
conda deUe tre foglie d'edera che coronano l'estrema ferula,
n. 30.
APULIA
TIATE APULUM
Gli Apuli Dauni tennero la regione confinante coi Prei-
tani a settentrione il cui limite fu il Biferno : ma le terre poste
fra il Biferno e il Fortore appartennero in parte ai Frentani di
Larino, in parte agli Apuli di Teano : Larinatium Clitórnia, Tea-
num Apulorum, scrive Plinio (//. N. Ili, 16) e Strabene (VI, 11):
SI' i^iscfoyaia rò "AttovXov Tsccvov Ò!.id»'i\itov ti[> 2idtxh<o>. Le
monete che oggi si attribuiscono a questo Teano furono lunga-
mente credute del Teate Marrucoinum al quale l'Avellino {Bull,
arca. TMp. IV, 25) assegna la moneta con l'epigrafe WVITRIIT
e i tipi campani. Io la credo battuta in Campania del pari che
quella di Larino che porta la leggenda greca coi tipi medesimi.
L'alfabeto osco estraneo alla Puglia mi ha indotto a stimarla
coniata dagli Osci campani, non però il tipo campano: perchè i
Teauesi oltre alle monete coi proprii tipi ne hanno battute anche
coi tipi di altre città, e vi si distinguono quelle di Taranto, di Ve-
lia e di Brindisi, le quali stando alle leggi stabilite si potrebbero
dire monete di confederazione. Il Teate Apulum fu anche detto
Teanum, e così Io nomina Strabene nel luogo citato rò "AnovXov
Téarov éfiióvofiov zoj 2i6ixh'(g. Gli antichi marmi chiamando Tia-
tini gli abitanti del Tianum Apulum danno la miglior prova della
verità del parer nostro, perchè da Tianum si può dedurre Tianen-
sis, ma Tiatinus necessariamente deve nascere da Tiate. Tianum.
Apulum non fu dunque in origine il nome piìi volgare di questa
città : essa chiamossi Tiate, e così anche la denominano gli Osci.
Ma cotesta sinonimia non fu capita da Livio (IX, 20), che pose
due popoli in Puglia l'uno in Teanum e l'altro in Teate (v.
Niebhur, III, 261; Momms. negli Ann. di numism. del Pio-
relli, 1846 p. 105 e 106). Perocché così egli si esprime: Ex
Apulia Teanenses Canusinique popwlationibus fessi, obsidibus
L. Plaulio consuli datis, in deditionem venerunt... Inciinatis
semel in Apulia rebus Teates quoque Apuli ad novos consules
C. lunium Bubulcum, Q.Aemiliam Barbulam foedus petitum ve-
nerunt, pacis per omnem Apuliam praestandae populo Romano
àuctores. Ma non deve far sorpresa questo equivoco di T. Livio
dove distingue i Teanenses dai Teates, coi quali due modi nei
loro monumenti doppiamente si appellano. Tiate è voce intera,
e così pensa anche il Cavedoni {Bull. Instit. 1850, 199), non già
tronca, e deriva dal neutro Teate, che è adiettivo. Può darsi adun-
que che il TIA di qualche didrammo e di qualche obolo non sia
tronco, ma il proprio nome primitivo. Su qualche altro obolo
insieme con ITAIT retrogrado si legge, secondo il Minervini
{Oss. num. 1. 1, 5-8) lfll>lfH lAAIS la cui prima lettera i è im-
perfetta, perchè in altro esemplare è 3. È nome di alcun di-
nasta Bidaeus Haciaeus, in apulo dialetto che forse in latino
risponde a Vedius Accius. L'obolo coi tipi campani e l'epigrafe
osca è divenuto celebre. Esso era apparso fin dai tempi del
Pellerin {Suppl. Ili p. 95), ma Ietto a rovescio fu dato a Mur-
gantia città del Sannio. Questa lezione ed attribuzione furono
accettate dal Lanzi {Saggio II p. 601) e dal Caronni {Mus.
Hederv. p. 20), il quale anche s' illuse, vedendovi per tipo
un leone invece del bue androprosopo. L' Avellino il primo
trovò erronea la leggenda e falsa l'attribuzione illustrando un
14
108
APULIA
T. XCII
simile nummo del r. Museo, sul quale lesse WVlTRilT, ma
l'aggiudicò a Teate Marruecino. In jiari tempo avveniva che io
ne trovassi in Koma nel Museo Borgiano di Propaganda un esem-
plare novello e senza sapere del Pellerin, ne tenni discorso nel-
TAccademia Ercolanese, l'anno 1847, e lo dichiarai di fahbrica
campana.
I Teatini nei primi tre spezzati della propria serie pongono
per tipo in prima G-iove, poi Minerva, poi Ercole: nei tre rimanenti
ripetono laPallade. Il loro sistema è decimale, e la maggiore unità
la dicono nummus, signiiìcandolo colla iniziale N. Nel sestante
l'Avellino veduto a destra un i di maggior taglia delle let-
tere TIATI stimò che fosse un monogramma da sciogliersi in
VM e da unirsi al TIATI, onde si leggesse TIATIVM ; ma in altri
esemplari si è in quel luogo trovato un K, o una corona, e
l'oncia porta talvolta un T. Sembra quindi che queste lettere,
come la corona, siano talvolta sesui monetali.
Tav. XCII.
1, 3. Testa di donna diademata volta a sin. R. Fantino che ca-
valcando corona il suo cavallo tra i cui piedi è un delfino:
r epigrafe è TIATI nel n. 1, TIA TI nel n. 2 e vi si
vede nel campo un A di maggior dimensione: non può ap-
provarsi perciò che si legga seguitamente TIATIA come
sembra proporre il Minervini (1. cit. pag. 112 nota 2). Nel
n. 3 si legge soltanto TIA (cfr. Minervini, Oss. tav. VI n. 6).
I tipi di cotesto monete sono tarantini.
4. Testa di Pallade coperta di elmo attico decorato di gemme
a modo di fiori. E. Ercole in ginocchio con la clava nella
sinistra soffoca il leone : sopra TIATI (Sambon , Recher-
ches, XV, 14).
5. Testa di Pallade coperta di elmo aulopide con cresta. R.
Ercole in piedi volto a sinistra soffoca il leone, dietro di
lui è la clava : davanti TIATI. Questi due nummi (4, 5)
sono una imitazione di altrettanti tarantini.
6. Testa di donna con corti capelli volta a d. R. Civetta sopra
\m ramo di olivo volta a destra: davanti dalla sin. TIATI.
Ancor questa moneta porta i tipi non propri ma tolti dai
Veliesi. L'ebbe data alla luce il pr. di s. Giorgio {Monu-
menti inediti tav. 8 n. 1 pag. 109). Il Priedlaeuder {Osk.
Miinz. 1850 pag. 50) crede che la testa sia d'uomo a mo-
tivo dei capelli corti e della mancanza di pendenti alle
orecchie. Altri numismatici l'hanno rifiutata, ma senza mo-
tivo. Essi avrebbero dovuto considerare lo studio di cote-
sti Teanesi d'imitare i tipi di altre città, e inoltre l'antico
modo di esprimere un'alleanza aggiungendo il proprio nome
ai tipi altrui. Or se si vuol tenere che la testa sia virile
avremo da confrontare questa moneta con una di Crotone
(tav. ex n. 2), se muliebre, le metteremo accanto una di
Velia (tav. CXIX n. 7).
7. 8. Testa di Pallade coperta di elmo crestato volta a d. R.
Civetta stante e volta a destra : l'epigrafe nel n. 7 è TIAT
nel n. 8 è TIA.
9. Testa di Apollo laureata a sin. davanti ItlVITRIlT che il
Pellerin lesse MVRTA/VTIA e attribuì a Murganzia nel San-
nio. R. Bue audroprosopo, di sopra un fulmine. Che la le-
zione del Pellerin fosse erronea ne aveva dato avviso il
Millingen {Consid. pag. 180). Egli cercata la moneta del
Pellerin nel Gabinetto Parigino delle medaglie vi scorse
chiaro WV e si avvide che erano le ultime lettere della
desinenza di un nome, qual è quello di Nuceria, Compul-
teria e di altre in osco dialetto. Ma si arrestò qui. Dipoi
nel 1845 il Piorelli {Mon. ined. pag. 21) sostenne ohe in
due esemplari del Museo di Napoli era chiarissima la leg-
genda MVRTANTIA, e ne citò un terzo del Museo Santan-
gelo, inedito pel simbolo che recava sul toro del riverso.
10. Protome di eavallo col freno volto a d. a sinistra IflAlS
IAI>IAH. R. Cavallo gradiente a sin. sopra ITAIT (Minervini,
Oss. numism. I, 5). Dico cavallo e non leone, perchè tale
il manifestano nel disegno le unghie, la coda e la criniera.
11. Testa di Giove coronata di lauro volta a d. R. Aquila stante
sul fulmine ad ali spiegate : ad. N e TIATI.
12. Testa di Minerva coperta ài elmo corinzio a d. R. Civetta
di fronte, a sin. TIATI, a d. fulmine, nell'esergo la nota del
pentoncio •••••.
13. Testa di Ercole barbato e coperto dalla spoglia di leone a
d. R. Leone ohe va a destra, sopra la clava e TIATI tra
le gambe un astro, nell'esergo la nota del triente ••••.
14. Testa di Minerva coperta di aulopide. R. Civetta.
15. 16. I tipi sono i medesimi che nel n. 14 solo nel n. 16
a destra della civetta vi si vedeva un sigma greco di propor-
zioni superiori alla forma del TIATI . L'Avellino {Opusc.
Ili pag. 115 tav. VII, 8) opinò che fosse un monogramma e
dovesse congiungersi al nome della città e formar così un
genitivo TIATIW, dove quel W valesse le due lettere VM.
Alla quale opinione mi pare che faccia ostacolo la novità
leggendosi in tutta la serie costantemente TIATI ove il voca-
bolo non è accorciato, in TIA, TIAT: poi la taglia maggiore
del creduto monogramma. Altri hanno stimato che questa
fosse una M e citano altre lettere che diconsi monetarie ;
come p. e. il K di un triente notato in un catalogo di monete
stampate a Milano nel 1881 (pag. 27 ai nn. 310, 311). Il
Kiccio vi pone un U {Reperì, p. 21) ed è ripreso dal Eried-
laender perchè omette d'indicare dove {Osk. Miinz. p. 52)
se a destra, se a sinistra, se nel dritto o nel riverso e in
quale frazione della serie. Io del resto non mi oppongo a
chi credesse che le monete teatine abbiano talvolta lettere
monetarie, come di fatti mostrano altri segni fra i quali è
anche una corona in loro luogo a destra del riverso. Solo
mi pare si debba fare eccezione della i, per le sue pro-
porzioni, e perchè non pare a me una lettera latina né un
monogramma, ma un sigma greco. Il sestante dove è il S ^
pesa grammi 4,50.
17, 18. I tipi sono i medesimi che nel sestante, solo a destra
della civetta nel n. 17 vi è una corona. Nel n. 18 l'oncia
porta a destra del riverso un T.
19. Nel Museo di Vienna. Testa di Nettuno laureata. R. L'eroe
Taranto a cavallo al delfino coronato e barbato con un tri-
dente nella sin. e in atto di porgere un vaso colla destra:
in alto TIATI, presso il piede sinistro la nota del qua-
T. XCII
APULIA
109
cbante. Il Carelli T. LXXXVIl, 15 conta cinque globetti
nel suo esemplare, imagiuando che uno di essi globetti
stesse occultato dal piede dell'eroe, il ohe non gli si può
concedere. Prende inoltre per globetto il pie' destro, che
però non si vede nel suo esemplare. Giulio Sambon nel
Calai, della collezione Borghesi n. 314 ne conta quattro
al riverso e altrettanti al dritto di quell'esemplare, e cita
le Recherches del padre p. 218, 15. Ma il Poole nell'esem-
plare del Museo Britannico [CataL pag. 147 n. 16) ne
conta tre soltanto nel dritto, e tre ne ha riconosciuto anche
il Piorelli nel dritto e nel riverso dei due esemplari
della collezione Santangelo {Calai, mi. 2109, 2110). lo non
ho iìuora veduto che gli esemplari di Vienna e di Napoli
e mi par certo che se in altri esemplari hanno contati
quattro e cinque globetti ciò è stato perchè hanno preso
per tali anche i piedi di Taranto.
20. Coli. Imhooff-BI. Testa di donna laureata e velata a d. die-
tro due globetti. R. Colomba a volo a sin. TIATl, e a d. i
due globetti. Un altro esemplare ma non così compiuto
erasi già da me preso a calco nel Museo di Parma.
HYEIUM
A settentrione del monte Gargano vi fu una città di
nome Hyrium, ultima della lapigia (Dionys. de situ orbis
V. 379), presso alla quale mostravasi su di im colle di
nome Joiov il sepolcro di Calcante, che domati i Lucani
prese soggiorno in quelle terre (Strabo, VI, 3, 9), che ai
tempi di Plinio {H. N. Ili e. 16) erano abitate dagli Atinati;
quae loca nunc tenent Atinates. Altro è il colle additato
da Scilace che il chiama, non è ben certo, 'AqCiov, il qual
vocabolo dal Muller si vuole cambiare in 'SìqCwv, rivo-
cando a tal fine la favola di Orione della Hi/ria beotica,
0 la tradizione che fa venire i Beoti nella lapigia con Mes-
sapo, dal quale la Messapia ebbe nome [ad Scylacis Peripl.
pag. 23 ed. Didot). Le monetine che ci vengono da quei
lidi chiamano quei popoli 'Yqucvivoì, forma patronimica, che
deriva da 'YQiàxì]c. (Millingen, Consid. p. 119), ma Plinio
li appella Hyrini, derivandone il nome da Hyrium. Hyria-
tini è forma insolita, come notò l'Bckhel, ma parmi ana-
loga al Tiates, che si dicono Tiatini e così anche gli
abitanti dell' Hyrina campana diversamente si appellano
Hijriatae, Hyriani, flyrinaei, sulle loro monete. Strabene è il
solo che dà alla città il nome di Ovqhov. Incontro al Gar-
gano si hanno le isole di Tremiti, in una delle quali detta
di Diomede, Diomedis insula, si venerava il sepolcro di
cotesto eroe, ad inombrare il quale, circa il 364 vi si era
trapiantato un platano, la cui coltivazione poi si diffuse in
Sicilia e fu poscia da Dionigi il vecchio trasportata in Ita-
lia (Plin. H. N. XII, 3) : Platanus haec est mare ionium
in Diomedis insulam eiusdem tumuli grafia primum in-
vecta, inde in Siciliam transgressa, atque inter primas
donata Italiae.
Nel citato passo di Plinio è notevolissima la notizia che
ci dà di Lucani e di Atinati sul Gargano, dei quali due po-
poli non so che altri ci parli. Noi abbiamo un' Atina nei
Volsci e un' altra Atina nella Lucania ambedue mediter-
ranee. A cotesti Atinati che vivevano sul mare pensai una
volta di assegnare il bronzo del Museo Borgiano di Pro-
paganda (Tav. CXXV, 3) con il busto di Pallade sul dritto
e la leggenda ATlNilN e al riverso una intera nave : ma
me ne sono ritratto considerando che nelle monete d'Italia
non v'ha esempio di busti, se non del solo Ercole così
espresso dai Venosini e non da altri: in figure muliebri
è poi senza esempio.
21. Nella coli. mia. Testa di Pallade coperta di elmo aulopide
crestato. R. Timone e delfino, VPlATINilN
22. Da un mio calco. Testa di Giove laureata a d. R. Fulmine
e YPIATlNilN.
LUCERIA
La serie coniata della moneta lucerina si vuole porre a
confronto colla serie fusa che ho data a suo luogo. Nella
fusa se ne eccettui la maggiore unità sono simboli e non
imagini degli dei : queste invece si vedono impresse nella
serie coniata e portano per riverso uno dei simboli espressi
nella corrispondente moneta fusa : donde risulta che in tal
senso quei simboli si sono da principio figurati. Dopo le
prime tre monete, che appartengono alla serie degli oboli
tagliati sul sistema greco, comincia la serie decimale dal
quincunce i cui tipi sono Pallade e la ruota. Segue Ercole
con le sue armi, indi Nettuno col delfino, poi la Teti con
la conchiglia e Apollo con la rana e Diana con la luna cre-
scente. Eimangono il fulmine, l'astro, l'astragalo, la spiga
di grano, il tirso simboli assai noti di Giove, di Apollo-
Sole, di Venere, di Cerere e di Bacco. Non pare dunque
che si verifichi l'allusione quasi armi parlanti della luna
e dell' astro al nome di Lucerla, come congetturavano il
Cavedoni (Saggio, 16) e l'Avellino {Op. 11, 64). Hanno da
considerarsi come singolari la ruota e la ranocchia. Ma si
avverta, che codesti dei sono distribuiti sulla moneta a cop-
pie. Minerva ed Ercole, Nettuno e Teti, Apollo e Diana,
donde può venire qualche luce. Perocché se Minerva si
trova insieme con Ercole ciò è perchè gli fu compagna
costante in tutte le sue imprese; era la sua Nemesi, la sua
Tyche. La rana poi può considerarsi come un simbolo fa-
tidico; perocché tenevasi che col suo gracidare più forte
e pili chiaro del solito presagisse le imminenti fecondatrici
pioggie (Aelian., de nat. anim. IX, e. 13): oTav ^àTQuxoi,
ysyiovÓTSQov (f&ayyoìVTai, xal Tpjg ffvvrj-S-sCag Xa[i7TQÓT£Qov,
inidriniav S-^Xavaiv veroìi, e Plinio (H. N. XVIII, 85, 87)
scrive: Est et aquarum significatio . . praesagiunt et anima-
malia. . Ranae quoque ultra solitum vocales. V'è però un
altro Iato dal quale se si considera la rana apparirà una
novella relazione simbolica col dio al quale qui si riferisce.
Questo è il molto uso che fé' della rana la magica super-
stizione a guarire parecchie specie di morbi. Chi ne ha brama
legga il citato Plinio che diffusamente ne parla (L. XXXII
e. 18). Non deve omettersi di far considerare il bel riscon-
110
APULIA
T. XCII
tro che a questa serie lucerina porge la serie delle monete
larisati, nelle quali, come si è notato, il riverso porta
un simbolo della divinità rappresentata nel dritto. Luceria
fu anche oiHcina della moneta romana che riprodusse in-
dicandovi la zecca lucerina colla sola iniziate U.
23. Nel Kircheriauo, moneta ribattuta trovata nelle acque di Vi-
carello. Testa di Nettuno a d. R. Delfino a d. e sotto U. Que-
sti tipi divennero poi propri del quadrante Incerino v. n. 28.
24. Coli. Lippi in Biccari. Testa barbata a d. R. Leone ohe si
arresta a d., di sopra un caduceo, nell'esergo U.
25. Nel Museo di Napoli. Testa di Ercole giovane coperta della
spoglia di leone. R. Arco e clava UOYKDEI. La desinenza
di cotesto nome lo ravvicina al simile 13QTI/13Q8. Nella
collezione Lombardi in Lucerà vidi anche e trascrissi un
esemplare con l'epigrafe UOVKEDOV, sicché il nome pro-
prio di questa città fu Lucerwm che i Latini dissero Lu-
ceria. La lettera D vale r nell'alfabeto osco ed etrusco nel
pari che nel greco arcaico. La moneta di Lucerà non iscrive
in veruno di questi alfabeti, ma in uno tutto suo proprio
che gli è comune con quello dei Frentani , di Larino, e
di Irno.
26. La serie dei nummi od assi decimali emessa dai Lucerini ado-
pera l'alfabeto latino. L'asse o unità maggiore manca, il
quincunce o semisse che pesa circa mezz'oncia ha per tipo
la testa galeata di Minerva con la nota e> o » a » e al riverso
la ruota fra i cui razzi si legge UOVCERl. Il Cavedoni
(Sar/gio, 16) tenne contro il Bestini che cotesto simbolo
non fosse ruota, mancandole il giro dei quarti. Egli lo para-
gona ai legni decussati sulle tede o fiaccole, e queste schegge
riconosce coli' Avellino (Op. Il, 13, 175) nelle monete me-
tapontine, le quali non sono ivi a parer mio né razzi di ruota,
né schegge di fiaccola, sibbene il groma agrimensorio. Ma
nelle monete di Luceria è di certo così espressa la ruota,
come si dimostra dal confronto della moneta coniata por-
tante i medesimi tipi che la fusa.
27. Testa di Ercole giovane coperta della pelle di leone. R.
Arco, clava e faretra, i segni di triente sono ripetuti sulle
due facce.
28. Testa di Nettuno diademata volta a d. dietro la nota del
quadrante. R. Delfino a d., sopra un ferro di tridente, sotto
UOVCERl.
29. Testa di Teti laureata e velata, dietro la nota del sestante.
R. Conchiglia e UOVCERl.
30. Testa di Apollo laureata a d. dietro il globetto dell'oncia.
R. Kana e intorno UOVCERl.
31. Testa di Diana col pianeta crescente sulla fronte, l'arco e
la faretra dietro il collo. R. Mezza luna e UOVCERl. As-
sai di buon' ora e sin dal secolo quinto di Roma cominciò
in Lucerà a scambiarsi l'U acuto col normale, come ho di-
mostrato altrove {Ann. deWInstituto 1860, pag. 232, 233).
ASCULUM
Di Ascoli della Puglia si ha memoria fin dal 475 (Pron-
tin. Stmtag. 1. e. 3) allor che nei suoi campi Pirro diede
aspra battaglia ai Romani che nondimeno ne riportarono
vantaggio (Fior. 1,18): In Apulia apiiid Asculum melius
dimicatum est Curio Fabricioqua consulibus. 1 Greci la di-
cono "Affxlog e "AaxXov, le monete AYCKAA. La qual voce
fu letta AVCKAA dal Pellerin onde attribuì la moneta a Dus-
celado dell'Illirico. Trovasi anche una moneta che reca per
tipo la protome del cavallo frenato e sul rovescio la spiga
ripetendo sulle due facce la leggenda AYhYSKAI. Il Se-
stini in prima lesse AYPYfKilN {Leti. t. II p. 3 lav. V, 1)
e l'attribuì agli Aurunci ; ma vi aggiunse, ut videtw, non
essendo certo {Catal. gen. Ainsley) che si dovesse così leg-
gere : poi gli parve che vi fosse scritto AYCKAlilN [Lett.
tom. V p. 38) e la diede ad Ascoli. Nel 1814 l'Avellino
avendone veduto un esemplare, sul quale lesse AYPYfKHIVl
da un lato e AYPY... dall'altro, ne fissò l'antica attribuzione
agii Aurunci, onde il Bestini per tal motivo ritornò in-
dietro al parere di prima {CI. gen. p. 5), e così, anche il
Reynier dichiarando di esservisi condotto per l'autorità del
numismatico napolitano {Précis d'une coli, de méd. p. II).
Intanto l'Avellino tornò ad esaminare la sua lezione e gli
parve che dovesse essere AVPYSAi : per la qual cosa cercò
a qual popolo potesse attribuirsi e gli parve {Op. t. III
p. 119-121) che dovessero essere gli /lj-wsj?it, il qual nome
traeva dai codici di Ploro, di Frontino e di Orosio, dove
sono chiamati Aiirusini quei campi che Livio chiama campi
Taurasini. A tutte queste false attribuzioni pose termine
il Millingen ohe conobbe il primo quale fosse il vero va-
lore della terza lettera presa per un P dal Bestini e dal-
l'Avellino e dichiarò che era invece uno spirito posto tra-
mezzo a questi due Y scrivendosi AYhYSKAl, dove poi
sivscrisse AYCKAl. Ciò che si è qui dimostrato per l'obolo
si deve anche stimar detto per l'emiobolo, che il Carelli
(tab. LXVI, 2 Catal. p. II) diede agli Aurunci e l'Avel-
lino agli Aurusini. Il Priedlaender assegnò di poi ad Ascoli
anche un bronzo che davasi ad Arpi, avendovi letto AY-
CKAIN retrogrado in un suo esemplare. Alla città di Ascoli
si deve anche attribuire la serie fusa di sistema semissale,
donde abbiamo il triente, il quadrante, il sestante, l'oncia
e la semoncia, di che vedi la dichiarazione della Tav. LXV.
Gli Ascolani hanno per tipo una Vittoria che porta
nella destra una corona pendente da un nastro, o lemniseo,
e sembra volerla legare ad un ramo di palma che ha nella
sinistra. Il Cavedoni credette che con ciò si alludesse alla
giornata di Pirro contro i Romani presso le mura di Ascoli,
onde nacque il proverbio Oscularla pugna, qua significa-
tur vietos vincere. Ma io non capisco come legando la co-
rona alla palma si possa esser voluto alludere al signifi-
cato di chi vinto vince. Il legare la corona alla palma con
lungo lemniseo, vuol dire tutto al piti addoppiare il pre-
mio della vittoria. Quanto poi al significato di Osculana
pugna mal si è afRdato il Cavedoni a Verrio Placco, che
disse presso Pesto (s. v.) essersi chiamata Osculana pugna
quella battaglia dove i Romani battuti da Pirro ad Eraclea
nel 474 vinsero nel 475 ad Ascoli. Ma strana è tale spie-
gazione di un fatto che dovea essere stato singolare per
T. XCII
APULIA
111
dar luogo ad uu iiroverbio, mentre è comuue a molte gior-
nate campali che chi vince in una possa perdere in altra.
Verrio adunque non conobbe il fatto singolare di Ascoli
che ci è narrato da Dionigi Alicaruasseo (Exc. ex 1. XX
ed. Didot ad calcem Josephi Hebr. p. |9). I Eomani erano
già vinti da Pirro ad Ascoli, quando sopraggiunsero i Darmi
ausiliarii da Arpì, ma troppo tardi e però costretti alla fuga
si volsero al campo di Pirro e trovatolo senza difesa lo
saccheggiai'ouo : il che cambiò ad un tratto la fortuna, e
coloro che da un lato erano costretti a fuggire dall'altro
raccoglievano le spoglie del nemico: Qui in{de) fugere
polsi, hinc spolia collicjunt, scrisse Titinio (ap. Festum in
ùscv.1. pugna p. 197 ed. Muli.).
32. Protome di cavallo frenato volto a sin. sotto il collo AYl-Y?
B. Spiga di grano e AYhYSKAl.
33. Cane levriero volto a d. nell'esergo AYhYSKAl. R. Spiga
di grano e AYHY.
34. Cignale in corsa a d., sopra ferro di lancia, nell'esergo
r«JlA>l)YA. R. Spiga di grano.
35. Testa di Ercole giovane volta a sin., dietro il collo la clava.
R. Vittoria che sospende una corona pendente da un lem-
nisco ad un ramo di palma, dietro AYCKAA
36. I tipi sono i medesimi in minor modulo, l'epigrafe manca.
(Friedlaender, Osk. Miinz. pag. 56, Taf. VII). Fu nella
collezione di Onofrio Bonghi.
ARPI
Strabene dedusse dall'ampio recinto delle mura di Arpi e
di Canosa che l'antica loro grandezza doveva vincerla su tutte
le città italiche (VI, 3, 9). Oggi di Arpi non rimane altro che
la non molta copiosa monetazione dell'argento e del bronzo,
dalla quale apprendiamo, qual è il suo vero nome. Strabene
afferma (1. cit. 6, 7) che essa in origine si chiamò "J^yog mrciov,
poi 'Agyi'QiTTTca, e infine ai suoi tempi "Aqtioi: ^ExciIsìto d'è'§ ciQxfjg
"A^yog TnTxiov sIt 'AgyvQcuTia, sìzavvv 'Aqtzoi. Stefano di Bizanzio
aggiunge (v. HgyvQiTiTTa), che innanzi tutto si chiamò Acéfint]:
avTr^ AckijiTTì] sxaì.sÌTo. La qual voce il Berkelio, seguito ora
dal Meineke, ha voluto cambiare, sostituendovi 'Aqtzoì, senza ri-
flettere che così contradicono a Strabene e a Dionigi {Exc. L. XX),
i quali dicono che "Aqtcoì fu il nome piìi recente.
Nondimeno gli scrittori greci quando nominano questa città
amano di chiamarla 'AgyvQiTrna (Licophr. v. 592; Polem. fragm. 20,
Strabo, 1. cit. ; Dionjs. Halic, Exc. vai. 20, 6) ; Appiano poi
le dà il nome di "Agyog senz' alti'a aggiunta (De reb. syriac.) :
tÒ (Agyog) év rm 'loi'ioì Xayòixsvov olxiaca Jioi-irjSrjV àXcó/jisvov.
Narravasi adunque che Arpi era ima delle città fondate da Dio-
mede vagante dopo la guerra troiana, che venuto in soccorso
del re Dauno, essendo allora queste terre abitate dai Monadi e
dai Dardi, prese e distrutte due loro città Apina e Trica, fab-
bricò quest'Argo presso una città che si chiamava Filarne (Plin.
H. N. ni, 16, 5; Serv. ad Aen. VI, 246); e la soprannominò
Tuniov. Egli dopo morte vi ebbe gli onori divini, e Polemone
scrive (ap. Schol. Pìnd., Nem. X. 12) di aver veduto un tempio
a lui sacro in essa città.
Ad onta di tutti cotesti nomi che si leggono negli scrit-
tori greci, Arpi nelle sue monete non si dà altre nome che
di APRA ed APHANUN. Dico APflA, perchè mi pare, vedendolo
pili volte ripetuto, debba essere intero e non tronco, siccome
è per contrario APHAN. La vece cìgna di apule dialetto è in
lingua comune lo stesso che ccqttìj, uncino, il quale strumento
il Carelli stimò essere un harpago, quasi arma parlante, parago-
nandone la figura ad un simile uncino espresso in su d'una
moneta dei Brezzii (tav. CLXXII, 40).
Gli Arpani dividono la maggiore unità in metà, in terze e in
seste parti, ai quali spezzati danno per tipo la spiga di grano sem-
plice, doppia e tripla. Hanno inoltre coniate monete di alleanza,
ponendo il loro nome con quello della città alleata, e talvolta
omettendolo, probabilmente perchè il tipo lo indicava a bastanza.
Il Minervini mise in luce cinque monetine {Oss. tav. VII,
6-10 pag. 87) tre delle quali ho riprodotte nella mia tavola.
Il tipo comrme a tutte si è la testa di Pallade al dritto e l'Ercole
che soffoca il leone al riverso. La leggenda nella prima è CEP
al dr. e APflA al riverso: nella seconda si legge soltanto nel
dritto APPACEPT : nella terza è parimente al dr. CEPA. . . Dal
confronto ohe possiamo fare risulta indubitato che sono due
nomi ora divisi ora uniti e l'uno di essi è sicuramente Arpi,
l'altro è Vert preposto e messo dopo quello di Arpi. Rifiutata
la prima idea (e a ragione) che sia queste nome di magistrato,
il Minervini fu di opinione che in CEPT si ascondesse il nome
di llerdonea tramutata in Lsqrwvia (p. 89) per la durezza della
pronunzia messapica ed epicoria. Mette però da parte gl'Ir-
tini della Japigia di un marmo trovato sul monte Irso, e i
Vertini, Ovsqtìioi, della Lucania memorati da Strabene (VI, 2, 8).
Nuove scoperte mi hanno pei convinto che alla Vertina di Stra-
bene fu d'uopo cedere il poste e accordare la preferenza. Delle
due monete che io aggiungo alle tre del Minervini la prima di-
mostra che dopo il t seguiva nel nome meno dissimulato un I,
leggendosi ivi CEPTi, la seconda poi ci dà piena e certa l'appella-
zione cercata: questa è CEPTIENA, vocabolo assai poco lontano dalle
OvsQzhai di Strabene. Questa Verliena può essere la odierna
Verzina, come piace al Barrie, città posta ai confini della Lu-
cania verso Venosa, discosta circa due miglia dal Bradane in
diocesi di Acerenza.
Seguono due monetine della collezione di Luynes coi tipi
della testa di Minerva da un lato e un cavallo brigliato dall'altre:
ma nella prima v' è per leggenda KA, nella seconda seno tre
lettere sparsamente scritte e retrograde H A >l: il nome di
Arpi manca in ambedue e v' è invece il tipe che le fa assegnare
alla zecca di Arpi. Cercando ora nelle città d'Italia una che
cominci con queste iniziali siamo necessariamente condotti a de-
ciderci col duca di Luj-nes per Cliternia, non quella degli Equi-
celi, ma sì dei Larinati (Plin. Ili, XVI, 4): Larinatium Cli-
ternia, scrive Plinio, e Mela {de situ orb. II, 4: Danni (hahent)
Tifcrnum omnem, Ciiterniam, Larinum, Teanum, oppida, mon-
tcmque Garganuin.
Due sono i dinasti e magistrati che inscrivono il loro nome
sulla moneta, Dazo e lemano. Cotesto secondo si è letto male
finora su di una delle due monete che lo recano. Il Minervini
credette che fosse scritto EihAAAN e giudicò per tal motivo che
112
APULTA
T. xeni
la terza lettera fosse uu' aspirata anclie nell'altro nummo dove
è internamente inscritto EIHMAN (op. oit. p. 79). Ma consta
che dove fu ricevuto l'alfabeto euclideo e però la rj e la o>,
lo spirito si espresse con la metà della lettera I-: se dunque
nell'alfabeto di Puglia, che il Minervini chiama messapico, v' è
la h non può avere ugual valore la intera H. Sta però di fatto
che questa I- nel nummo non v' è, come io medesimo ho veri-
iìcato pili volte.
Arpi nel tempo in che i Sanniti sostenevano lunga ed
aspra guerra contro Koma, deliberò di darsi ai Romani e riuscì
loro di gran soccorso somministrando opportunamente grano, e
ciò fin dal 428. Li aiutò anche colle armi nel 475 nella disa-
strosa guerra contro Pirro combattuta presso le mura di Ascoli
Apula. Furono quattromila i fanti e quattrocento i cavalli che
ella spedì all'esercito romano e avrebbero preso parte alla gior-
nata campale se non fossero giunti troppo tardi. Costretti
quindi a fuggire coi Eomani già, rotti e sgominati dal nemico,
pensarono rivolgersi al campo di Pirro che presero e diedero alle
fiamme, il che die' vinta la battaglia ai Eomani, onde poi passo
in proverbio la oscularla pugna con che significavasi che i vinti
vincono. Avvenne dipoi che la fatale giornata di Canne travolgesse
la mente degli Arpani ed essi prestarono orecchio a Dazo Altinio
"uno dei loro due dinasti accostandosi nel .537 alla parte oartagi- .
nese che accolsero nelle loro mura. Ma quattro anni da poi quel
Dazo medesimo che gli aveva condotti a dar la mano ai Carta-
ginesi rivolse il popolo di Arpi a favorire di auovo i Eomani.
Della qual versatilità, gli fu fatto meritamente pagare il fio,
stante che i Eomani presa Arpi il mandarono in libera custodia
a Calvi, come impariamo da Livio (XXIV, 45).
Tav. xeni.
1. Nel Kircheriano. Testa di Cerere coronata di spighe volta
a sin.: davanti APriANjClN, alla nuca ima spiga di grano.
R. Cavallo libero che corre a sin. tra le gambe AAIOY,
di sopra un astro.
2, 3. (Avell. Opusc. Ili 1, 4). Testa di Pallade coperta di elmo
attico decorato con un grifo volta a d. R. Cavallo libero
che corre a sin. sopra APPA e tra le gambe del cavallo
NilN. Un simile nummo, ove però la galea di Pallade non
ha ornato, è nella collezione Luynes : la epigrafe legge APPA
e conferma la lezione dell'Avellino (loc. cit.)
4-6 Testa di Pallade a sin. coperta di aulopide con la cresta
volta a sin. R. (n. 4). Tre spighe opposte ai gambi ed APPA;
(n. 6) una spiga sola ed APPA. 11 numero delle spighe si
crede esprima il valore, e veramente la monetina con una
spiga pesa gr. 0,616; 0,51 negli esemplari della coli, di
Santangelo e di L. Sambon; ma quella di due spighe presso i
medesimi ha di peso gr. 2,104 ; 1,43 : e quella di tre spighe
ha gr. 2,053; 1,38. Né poi il Mommsen da tre esemplari
pesati ha ottenuto che gr. 1,78; 1,83 pari a 40 e 41 acini
napolitani. Noto che un esemplare con la testa di Pallade
e CEPT e al riverso l'Ercole con l'epigrafe APOA di sopra
e A di sotto è stata attribuita ad Eraclea dal Poole (Catal.
pag. 221 n. 24). A me pare che in luogo di APOA sia ivi
scritto APPA.
7. Testa di Apollo laureata volta a d. R. Lira e intorno HAHQA.
8. Cavallo frenato corrente a d. sopra A R. Eampino con grosso
anello e a d. A
9-12. Testa di Pallade coperta di elmo attico ornato di un grifo
volta a d. davanti CEP; n. 10 APPCEPT; n. 11 CEPA..; n. 12
CEPTI. R. Ercole ginocchioni con clava nella d. soffoca il
leone: davanti APPA e nel campo A; n. 11 nel campo b
forse B; n. 12 APPA e nel campo A come nel n. 9.
13. Nel Museo di Parma. Testa di Pallade coperta da elmo
attico senza ornato volta a d. davanti CEPTIENa. R. Ercole
stante che strozza il leone. Il nome CEP, CEPT, CEPTI
congiunto senza intervallo col nome di Arpi, che ora pre-
cede APPCEPT ora segue CEPA, ci si mostra intero in co-
testa ultima monetina CEPTI EN A, dove anche si omette
il nome di Arpi sul dritto che doveva forse essere scritto nel
riverso su quella parte della moneta che per rottura manca.
Cotesta Vt^rtiena di certo piìi si accosta alla Vertina della
estrema Lucania verso Venosa di Puglia ohe non ad Her-
donia e trattandosi di una confederazione non vi è motivo
di volere che le due città siano vicine. Herdonia fu di-
strutta ed arsa da Annibale nella seconda guerra punica
e i cittadini mandati in Metaponto e in Turio (Liv.
XXVII, 1).
14. Testa di Pallade coperta di elmo attico ornato di un grifo volta
a sin., sotto al mento la lettera J normale e retrograda.
R. Ercole ginocchioni con la clava nella destra in atto da
soffocare il leone: nell'esergo (P)YAAOY.
15, 16. Collezione Luynes. Testa di Pallade coperta di elmo attico
volta a d. ovvero (n. 15) a sinistra. R. Cavallo frenato
corrente a destra: sopra n. 14 KA; nel n. 15 HA>I. Manca
il nome di Arpi e vi si legge Kl o KXì], donde è nata
l'opinione che queste due monetine siano state emesse
dalla zecca altronde ignota della frentana CUternia.
17. Dalla collezion mia di una volta (Minervini, Oss. pag. 78
n. 4 tav. I n. 9). Testa di Pallade coperta di aulopide
crestata volta a d. R. Grappolo d'uva e intorno APHANOY
e XA iniziale del magistrato. 11 Minervini ha stampato S
in vece di AP, ma io ho sempre letto e trascritto questo
nome come qui senza monogrammo.
18. Coli. Santangelo. (Minervini, Bull. arch. nap. 11, IX). Testa
di Apollo laureata volta a sin., davanti APPAISI. R. Leone
gradiente a destra ; sopra il pentalfa ; nell'esergo APPANIiN.
19. Museo di Vienna. (Avell. Opusc. II, Tav. V, 7; Minervini,
Oss. pag. 78 tav. II 6, 7). Testa di Diana volta a d. alla
nuca l'arco e la faretra: davanti APPAIVI. R. Fulmine, sotto
ma sopra /V\AN cioè EIH/V\AN, nome del magistrato. 11 Mi-
nervini legge qui come l'Avellino H/QAAH13, e dal veder co-
testo I- ed H davanti una consonante deduce doversi loro
dare il valore di un V.
20. Testa di G-iove laureata volta a sin. davanti AAIOY. R. Ci-
gnale che corre a destra, sopra un venabolo, nell'esergo
APPANniM.
21. Testa di Giove laureata volta a sin. R. Cavallo libero in
corsa a destra, sotto APPA.
22,23. Toro cozzante a destra, tra le gambe PYAAO. R. Ca-
T. xeni
APULIA
113
vallo corrente a destra: sopra APflA sotto NOY. lu un esem-
plare di mia collezione n. 21 vi si legge tra le gambe del
toro Dq e AYFATOY nel riverso.
SALAPIA
Vitruvio afferma, che Salapia fu fondata da Diomede,
mentre altri « dice » la stima fondata da Elpia di Kodi.
Egli non dichiara chi sia l'autore di questa notizia : ma è
certo che non è Strabene, il quale ha scritto (L.XIV e. 2, 10),
. che i Eodii con quei di Coo fondarono Etpiae nella Daunia,
e non già che Elpia fondò Salapia: sy Javrioig nsrà Krpcov
(Bxiiaav) 'Elniag. Stefano di Bizanzio riconosce una 'Elma
fondata dai Eodii, il cui patronimico è 'EXmavóc, ma di
Salapia si tace, forse perchè i Greci dicono 'Elnlu o 'Elniag
quella stessa città che gli Apuli denominano 2aXaTiia, ed
avrà ragione il Coray di aver qui emendato ^alniag. Del
resto il derivato etnico di cotesta Salapia non è Salpianus,
sibbene ^aXamrog; conchiuderemo dunque che 'Elicla non
è Salapia. Salpi fu emporio di Arpi, però situata sulle
rive del mare fra l'Aufido e una palude; ma l'aria ne
era pestilente e però circa il 547 i Salapini si rivol-
sero ai Eomani dimandando dal senato per mezzo di
I. Ostilio Tubolo di cambiar loro sito. Ostilio ottenne che
si comprasse il suolo a quattro miglia di distanza, dove
trasportarono le loro abitazioni. Li provide inoltre di
un buon porto scavando un canale che ponesse la palude
in comunicazione col mare (Vitruv. L. I, 4, dove Lucio
Ostilio è prenominato Marco). Questo porto è da Lucano
messo a confronto per capacità coi porti di Otranto, di
Taranto e di Leuca (Phars. V, 377): iubel cunctas revo-
care rates, quas avius Bi/drus, antiquusque Taras, se-
cretaque littora Leucae, quas recipit Salapina palus. Sa-
lapia battè monete di bronzo, nelle quali è singolare che
ometta talvolta il proprio nome sostituendovi quello del
magistrato monetale. Uno di costoro è Dazo omonimo a
quel Dasio, del quale si narra (Liv. XXVI, 38 ; Val. Mas.
Ili, 8, cfr. 7) che nel 544, tenendone il dominio Annibale
indotto dal collega Biasio a restituir Salpi ai Eomani
riuscì di rimetterla a Marcello con i cinquecento Numidi
che v'erano stati posti da Annibale in presidio. Le divinità
che ebbero culto in Salpi furono Giove, Apollo e la Pa-
lude divenuta lor porto. I nomi dei magistrati sono in no-
minativo come Trosantios, in altri bronzi si legge Tro-
dantios e anche Trodantos, se non è questo un genitivo
dal nome Trodas accorciato. Al caso genitivo parmi si debba
assegnare Troadiu, al dativo Damaìre Dazeni, come Caisie
Eoumentei e all'ablativo Vnuentod. Cotesto magistrato Caesia
Burnente l'ho collocato qui perchè vi prende luogo invece del
nome della città, quantunque i tipi siano piuttosto ana-
loghi a queUi degli Azetini. Nel loro alfabeto i Salapini
adoperano l'alfabeto greco, ma vi hanno in singoiar modo
figurato l'omega 4'.
22. Testa di Giove laureata volta a sin. davanti (l/lilHin)AAA?.
i?. Cignale corrente a d., sopra ramo di salcio: nell'esergo
TPilAA'OY.
23-25. Testa giovanile coronata di canna palustre volta a d.,
davanti ^AAAniN(ilN). fl. Cavallo libero corrente a d., tra
le gambe DYAAOY, ovvero n. 24 TPn?ANTIO$ e sopra
il cavallo un ramo di salcio lemniscato: ovvero n. 25 si
omette la epigrafe nel dritto e al riverso si ha un astro
sopra il cavallo e tra le sue gambe ^AAfl.
26, 27. Testa giovanile coi capelli lisci e lunghi alla cervice
con l'orecchia aguzze e due corna sulla fronte volta a d.
lì. Cavallo corrente a d. sopra un ramo di salcio sotto
TPil«(A)NTIO?, ovvero TPOAANTIO^ e TPOAANTIOY
(Coli. Sant. cf. Catal. 2047-48) ovvero n. 27 TPfìAANTOS
nel Museo di Vienna. Il Minervini tiene l'imagine del dritto
per quella del fiume Aufido {Oss. pag. 411).
28, 29. Il n. 28 è nel Museo di Vienna. Cavallo andante a destra,
sopra (C)AAniNIlN. /?. Delfino volto a d. EAAMAIPE
AAIE(NI) e una mezza luna volta a sin. (cf Sambon, Re-
cherches tav. XV, 18). Il n. 29 che è nel Museo di Londra
aggiugne nel dritto Bil e inverte le iscrizioni nel riverso
ponendo di sopra del delfino volto a d. (E)AA/V\AIPE e di
sotto AAIENi.
30. Moneta ribattuta sopra un bronzo di Pesto, del quale rimane
l'epigrafe PAIS, un avanzo del delfino, e sul riverso parte
della testa di Nettuno (v. Tav. CXXI nn. 43, 44). Cavallo
andante di passo a d. tra le gambe AK in mon. R. Del-
fino che nuota a d. sotto OHIH.
31. Nella coUezion mia. Cavallo andante di passo a destra
(C)AAn(l)NilN. R. Delfino che nuota a sin. e ?A(AP1)NLAN.
32. Nel Museo di Vienna. Cavallo andante di passo a d. R. Del-
fino che nuota a sin. sopra VNV, sotto ENT^-A, forse Vnu
entod, come AOMVAAQ d'altro esemplare del Museo di
Berlino.
33. Da un calco. Nella collezione Hunter della Università di
Glasgow. Testa di Pallade coperta di aulopide crestata volta
a d. cinta di un periato che ne restringe il campo alla
metà di quello del riverso. R. Fulmine ed astro, sopra
KAI^IE sotto EOVAAENTHI. Al nome della città che ha
emesso questo bronzo supplisce il nome del magistrato
Cesia Eumente. Io l'ho noverata fra le monete di Salpi non
sapendo a qual zecca si debba attribuire. Il dialetto è apulo,
l'omissione del nome della città, a cui è sostituito il nome
di un magistrato, ha esempi in Arpi e Salpi.
34. Testa giovanile diademata volta a d. dietro alla nuca una
cornucopia, davanti ^AAAniNUN. R. Uccello simile al
pappagallo, volto a d. stante sopra base, in alto un astro,
innanzi PYAAO.
35. Nel Museo di Vienna. Testa di fauno, o simile ad esso, con
corna caprigne suUa fronte ed orecchi aguzzi alla nuca
il bastone nodoso e ricurvo proprio dei pastori, davanti
^AAAPIINilN. R. Uccello stante sopra base volto a d. in
alto è un ramo di pianta palustre.
36-38. I nn. 36 , 38 da calchi , il 37 è nella mia colL Del-
fino al dritto e al riverso. La leggenda che al n. 36 è
SAAAPINilN: quella del n. 37 è WVAPNil con le due
prime lettere capovolte, e vi si vedono al riverso quattro
globoletti; quella del n. 38 è NiHAA). Il Cavedoni diman-
114
APULIA
T. XCIV
dava che si verificasse o dileguasse uq suo sospetto, ed era, che
"uno dei due pesci fosse una salpa (Saggio p. 16). I pesci
delle monete di Salapia sono sempre delfini.
CANUSIUM
Di Canosa non sappiamo altro se non che dicevasi fondata da
Diomede e che era ima città assai grande e ricca. Se ne fa men-
zione onorevole nel disastro dei Komani a Canne (a. 438), perchè
accolse dentro le sue mura fino a dieci mila superstiti dalla strage
e con essi anche il console, e si ricorda con gran lode la ricca
matrona di nome Busa che fu liberale con loro di frumento e
di vesti (Liv. XXII, 52) : Eos qui Canusium perfugerant mulier
Apula nomine Busa genere darà ac divitiis, moenibus tantum
tectisque a Canusinis acceptos, frumento, veste, viatico etiam
iuvit: prò qua ei munificentia postea bello perfecto ab senatu
honores habiti sunt (cfr. Val. Max. IV, e. 8, 1). Erano allora i
Canusini alleati dei Eomani, e loro si mantennero fedeli nella
rivolta dei Pugliesi del 437, e tali si mostrarono di poi fino
alla guerra sociale ; allora fu che fecero causa comune cogli Ita-
lici. Canosa coniò moneta nei due metalli, ma non fu in prima
riconosciuta dai numismatici e le si negò 1' obolo d'argento dal
Combe, che vi lesse ZA in vece di KA e lo diede a Zacinto. Il
Sestini che vi lesse rettamente KA lo concesse prima a Canosa
{Letter. II p. 35 Tav. II n. 17) poi cominciò a dubitare non
si dovesse dare piuttosto a Cassope [Adcl. p. 584). Il Magnau
(T. IV tab. 18) e l'Eckhel che vi fu indotto daUa autorità
dello Chaupy (1 , 191) le attribuirono il bronzo , nel cui
dritto è una testa nuda giovanile e sul rovescio un cavaliere
nudo protetto solo dall'elmo e con lancia abbassata in atto di
assalire il nemico ; di sotto KANYSlNii. Nota ilMillingen [Con-
sid. pag. 152) supporsi che questi tipi si riferiscano a Diomede.
Il triente di Canosa variamente stampato dall' Avellino KAAY
quasi AY fosse nome di magistrato, e dal Fiorelli, che trovò nel
dritto una testa galeata {Oss. sopra monete rare Tav. II, 5
pag. 6 n. 10) invece della testa di Ercole coperta della spoglia
leonina è stato dal Minervini (p. 100) rappresentato come si vede
nella mia tavola e vi ha congiunto il sestante con la epigrafe
medesima che ne ha data una conferma. A riguardo degli oboli
di cotesta città io stimo che il triente e il sestante siano piut-
tosto once di rame nelle quali i Canusini abbiano diviso l'obolo
d'argento.
Tav. XCIV.
1, 2. Vaso a due manichi fra un orciuolo e una patera con un
globoletto in mezzo e otto simili globetti intorno che gli
fan corona. R. Lira fra due lettere KA. In im mio esem-
plare là lettera \f è capovolta.
3. Lira. R. Corona di lauro e in mezzo KA.
4. Testa giovanile volta a sin. R. Cavaliere armato di lancia che
va di galoppo a destra: di sotto KA/VY^INil
5. (Minerv. Oss. Tav. II n. 8). Testa di Ercole giovane coperta
della pelle di leone volta a d. R. Clava fra quattro glo-
boletti e l'epigrafe KANY.
6. (Id. ib. IL 9). Testa di Mercurio col petaso alato volta a d.
R. Clava fra due globolettì e l'epigrafe KANV.
7. Testa di Giove laureata volta a d. R. Corona di lauro dentro
alla quale una clava fra le due lettere KA.
VENUSIA
Cotesta colonia fuse da prima la sua monetazione poi
la coniò. Della fusa vedi ciò ohe ne ho detto nella descri-
zione della Tav. LXV, qui dirò della coniata. I Venosiui
alla maggiore unità della serie coniata danno nome di Num-
mus, come i Teatini Apuli, ma essi battono di piti il doppio
nummo N. II, al quale danno per tipo il busto di Ercole
e i due Dioseori. Nel nummo che è onciale pongono la testa
di Bacco giovane coronato di ellera e sul riverso l'intera
figura del nume, che siede tal volta accanto ad una cesta
di vimini poggiando il pie' destro ad un sasso e reggendo
il tirso nella sinistra, poiché solleva colla destra un bel grap-
polo d'uva. Egli è vestito della corta tunica riointa ed ha
calzari ai piedi. Il quincunce ha per tipo Giove e l'aquila
ministra del fulmine: poi, omesso, a quanto consta, il triente,
ha il quadrante doppio ; doppio è anche il sestante, il primo
col tipo dei due delfini al riverso, il secondo con quello
della civetta. Simile a questo è l'esemplare recato a me di
recente : è ribattuto, sopra un sestante di Brindisi del quale
serba la nota di semisse nel dritto e al riverso la gamba
del Taranto che cavalca il delfino, e il braccio con la vitto-
rietta che lo corona. Doppia è l'oncia: seguono quindi due
bronzi l'uno col tipo di Mercurio segnata di un S l'altro col
tipo della civetta che ha per nota di valore un i. Questi
sembrano appartenere a due sistemi diversi, nei quali la S
e la ? valgono la metà di un tutto; e forse troverassi un
sestante di Venosa che porti un $ analogo a quello di fiate
descritto di sopra (T. XCII n. 15). Gli ultimi due bronzi,
u. 21, 22, che si conoscono, sono privi della nota di va-
lore. Oltre a questi pezzi i Venusini coniano anche la
sescuncia, o sia l'oncia e mezzo, che segnano con un glo-
betto seguito da un S accanto al quale pongono il mono-
gramma \f iniziale del loro nome, lo che ha indotto in
errore il barone D'Ailly che leggendo © 5\E ha dato questo
bronzo, che chiama oncia, a Suessa.
8. Busto di Ercole giovane con pelle di leone e clava nella d.
appoggiata all'omero volta a d. dietro \E, dinanzi N. II.
R. I due Castori con le lance abbassate corrono a destra:
di sotto CAQ iniziali del nome del magistrato.
9, 10. Testa di Bacco coronata di edera volta a destra, dietro W.
R. Bacco diademato sedente con un pie'appoggiato ad un sasso
avendo da presso una cista, in stivaletti e corto chitone,
col tirso lemniscate nella sinistra, un grappolo d'uva nella
destra. Alla cista è affìsso un fiore a quattro petali: a destra
N. I. La testa di Bacco nel n. 10 è inoltre cinta di dia-
dema e al riverso la cista è intessuta di vimini.
11. Testa di Giove laureata volta a sin. dietro la nota del quin-
cunce.'i?. Aquila sopra un fulmine e a siaistra \E.
12. Testa di Giove laureata volta a sin. dietro la nota del qua-
T. XCIV
APULIA
115
drante. E. Tre lune falcate con entro un astro a ciascuna
aggruppate dalla parte convessa.
13. Testa di donna diademata e velata volta a sinistra, davanti \E,
alla nuca la nota del quadrante. /?. Simile al precedente
numero 12.
14. Testa di Pallade con aulopide crestata volta a d. in alto la
nota del sestante. R. \£ fra due delfini die soppozzano.
15. Testa di Pallade con aulopide crestata volta a sin. in alto
la nota del sestante. B. Civetta sopra un ramo di palma
volta a sin.: a d. \E.
16. Kircheriano. Busto del sole volto di prospetto con clamide
aifibbiata sul petto. R. Luna crescente con dentro un astro:
di sotto ©S (cf. CatoL Poole, pag. 152) segno della sesqui-
oncia 0 sesqrdobolus e \E. Cotesta moneta vagò incerta
come altre di questa zecca che per la leggenda \E si at-
tribuivano a Velia. Quando il Millingen pubblicava nel 1841
le sue Considérations, si era già convenuto che dovessero
alcune di esse darsi a Venosa sulla proposta dell' Avellino
e del Sestini, e il Millingen a pag. 241 vi dava il suo as-
senso (cf p. 93). Nondimeno soggiugneva che per alcune altre
v'era tuttavia incertezza non avendosi altro argomento che
l'iniziale \E: anzi una di esse sembravagli piuttosto della
lapigia, dove vi fu una città di nome Veretum. Fra le
monete non comprese dal Carelli nella sua DescripUo, dove
il \E sta per Velia, ve ne è una, la quale si trova da lui ag-
giunta alla Tav. LXXXIX n. 16, ed è questa nostra. Sul
disegno datoci si vede del .tutto omesso il globetto prece-
dente le lettere S\E. L'Avellino invece vi ha letto un O,
notando innanzi qualche cosa d'incerto (0/)m.sc. II, tav. II
n. 12) "OS. Dopo tutti il barone D'Ailly non altro lesse
che S\f . Il Sambon posposta la S, W • S {Rech. pag. 96)
la die per semoncia fra le fuse.
17. Busto di Ercole giovane con la spoglia del leone e la clava
appoggiata all'omero destro volto a d., davanti il globolo
segno dell'oncia. R. Leone aggruppito in atto di stringere
tra le unghie del piede destro nna lancia e appoggiarla al
collo: davanti \E (cf. Imhcoff-BL Choix pi. Vili n. 253;
monti, gr. 1, 1 di gr. 3,30).
18. Testa di Ercole barbato e cinto di laiirea volto a sin. dietro
la clava e sotto il collo la noia dell'oncia. R. Il riverso
è simile al precedente n. 17.
19. Busto di Mercurio colla clamide affibbiata sull'omero destro
e col petaso alato volto a d. R. Calzare alato, caduceo, S
segno della semoncia e \f .
20. Civetta sul ramo di olivo e \E. R. Protoma di cignale volto
a sin. e i segno della semoncia.
21. Testa di bue messa di prospetto e \E. R. Protoma di aquila
volta a destra.
22. Granchio e \E. R. Kana.
EUBASTINI
I Eubastini ebbero origine da 'Pvnai dell' Achaia, essi
però usarono un doppio patronimico, ritenendo il "Fvìp degli
Achivi e rifiutarono il derivato 'Pvjiaiog (Steph. Biz. s. v.),
formandosene uno tutto proprio, 'Pv^aareìrog, che dedussero
da un supposto 'Pv^darr/g, come gli Hi/riatini che dichia-
rono discendere da xm VgicxTr^g. Battono nei due metalli
copiando per l'argento i tipi di Taranto, di Metaponto, di
Canosa; ne hanno però anche dei propri. Quei delle monete
di bronzo si corrispondono coi tipi del riverso: perocché
pongono l'aquila con Giove, la clava e l'arco e la faretra
con Ercole, la tv/jj nóXeoig con Pallade. Questa zecca fu
riconosciuta dal Magnan, a cui assentì anche l'Eckhel {D.
n. I, 142), sebbene con qualche difficoltà; piir facile mo-
strossi il Sestini (Class, gen. II pag. 10 ed. pr.). Lorenzo
Giustiniani aveva intanto scritto nel Dision. geogr. T. Vili
a. 1814 p. 8) , che « nelle private collezioni ruvesi del
cel. D. Domenico Cotugno e dell'ab. D. Ciro Minervino
se ne conservavano e una ne aveva pubblicata il Miner-
vino (Etim. del monte Vulture Tav. 3 n. 6) ». La epi-
grafe PT, stimata dal Mola (Giorn. encicl. di Napoli 1794
p. 82) nome di magistrato fu rettamente dal Millingen
spiegata per nome del popolo [Consid. p. 101). Le mo-
nete ruvesi hanno altre sigle che sono nomi di magi-
strati, v'è il AA, che è facile spiegare col confronto di
alcune dove si legge interamente AAIOY : e a me pare pro-
babileche anche ^1 creduto dall'Avellino nome di città 2CXov-
lov e dal Minervini sospettata sigla di 2movg, Siponto (Oss.
p. 110), sia nome di magistrato, nel che mi accordo col Se-
stini, ma non lo spiegherò con lui 2Cix7tXrj^. Si legge ancora
in un terzo bronzo fPoECoE, nome di apulo dialetto forse
Grò. Evoe. L'Avellino in altro esemplare lesse TPaCEaK.
23. Testa di Pallade coperta di aulopide decorata di un astro.
R. Spiga di grano, cornucopia e PY.
24. Testa di Pallade con elmo attico ornato del mostro Scilla
volta a destra. R. Ercole in ginocchio che strozza il leone
a sin. ^1 a destra in altri esemplari PY qui uscito di conio :
neir esergo AAIOY(Minervini, Bull. arch. nap. Ili, XU, 3.)
25. Vaso a due manichi fra un creinolo e un cornucopia, e le
due lettere AA. R. Lira e PY.
26. Testa del sole messa di prospetto. R. Due mezze lune oppo-
ste sopra AA ai lati PY e due globettini. « Avellino, scrive
il Mommsen [H. de la va. I, 255) a suffisamment prouvé
(dans sa belle dissertation : Epistola de argenteo Rubastino-
rum nummo, Nap. 1844, in 4°) que la pièce des Ruba-
stini au lype du la téle du soleil a élé frappée à la suite
d'un traile d'alliance entre cette ville, Alexandre roi d'' Epire
et Tarenle et par conséquent vers Van 420 ».
27. Bucranio con vitto pendenti dal collo. R. Fulmine alato e PY.
28. Bucranio come nel n. precedente e sopra PY. R. lira.
29. Testa di Giove laureata volta a d. davanti mezza luna. R.
Aquila sul fulmine volta a sin. a destra mezza lima a
sin. PYt.
30. Testa di Ercole giovane laureata a d. R. Clava, faretra, arco
e sopra PY^ con mezza luna in corona di laiu'o.
31. Testa barbata semicalva.e laureata volta a d., intorno fPoECoE
E. Donna con cornucopia nella sin. e patera nella destra,
dietro PY. In altri esemplari l'Avellino attesta di aver
letto rPaCEoK; in tal caso fa d'uopo considerare quel
15
116
ABULIA
T. XCV
rPoECo come caso analogo a flYAAO, che si legge scritto
al pari di DYAAOY sulle monete di Salpi. L' E e il K
saranno segnacasi.
32. Testa di Pallade con aiilopide crestata volta a d. R. Vit-
toria stante con ramo di palma nella sin. e patera nella
d. dietro PVy.
33. I tipi sono i medesimi del n. 32 ma l'epigrafe è PYBA.
Tat. XCV.
1. Testa di Pallade con aulopide crestata volta a d. sopra K
R. Civetta sopra ramo di olivo e a sin. PYBASTEIN^N a
d. A. Nel Zeitsclirift fiir Numism. t. VII, 1881, si dà, noti-
zia di una simile moneta, nel cui diritto è di sopra della
testa la voce HAATVA (cf. Bull. Arch. Instit. 1878, 7,
173 dalla coli. Jatta) e sulla civetta PY LAAilAwC, ma a
p. 357 è stato letto hOAAillOL, mentre nel disegno è
invece KAAMOC.
AZETIUM
Quantunque Plinio ovvero i suoi copisti possono aver omesso
gli Azetini, nondimeno io stimo che il Millingen ben siasi
apposto in riconoscerli negli Aegetini di cotesto scrittore e
nelV Ehetium della Pentingeriana. Esclusi adunque gli Aze-
tini dell'Attica, imaginati dal Froelioh a motivo, pare, dei
tipi attici (Eckhel D. n. v. I. 222), ed il pago Azanio del-
l'Attica credutone autore dal Pellerin {Peupl. et villes, 1,
148) e dal Proelich (Eckhel, loo. cit.), anche perchè non
se ne può indi dedurre AIETINAN, teniamo col Wal-
chenaer {Méin. de l'Acacl. des Inscr. et fi. L. t. VII) che
quell'H in Ehetium vi stia in luogo del I; precipuamente
perchè, come ha già avvertito l'Eckhel, in qaella carta Vh è
più volte sostituito al z [D.n.v. 1,149), leggendovisi Cyhico,
per Cizico, .4/iotonper Azoton. Questo Azetium è segnato nella
citata carta Pentingeriana dopo la città di Caelium apula
verso Polignano, che oggi sappiamo essersi detta Neapolis-.non
può quindi confondersi con la JStjtiov di Strabene (VI, 3, 7),
che stette in opposta parte fra Ceglie e Canosa. Hanno però
torto il Millingen che pone i NrjTÌi'ot fra Ceglie e Neapolis
{Consid. p. 148), e il Kramer nelle note a Strabene, ohe
crede VElielium della carta essere il ISiqTiov del geografo.
2. Il tipo medesimo che nel precedente n. 1, ma la civetta col
ramo di lauro poggia sopra un capitello gionico: la leg-
genda poi è AIETlNilN.
3. Aquila sopra fulmine con ali aperte. R. Spiga di grano e sotto
AIETlNilN.
4. Conchiglia. R. Delfino, sopra tridente e framezzo A, di sotto
al delfino AIETl.
BTTONTUM
5. Testa di Pallade come le precedenti dei nn. 1, 2. R. Spiga di
grano e leggenda BYTONTlNilN.
6. Conchiglia. R. Giovane nudo che cavalca im delfino volto a
sin. e porta nella sin. una clava, nella d. un vaso a due
manichi; di sotto BYTONTINilN.
7. Civetta sopra un ramo di olivo. R. Fulmine a BYTONTINilN.
BARIUM
Due città nella lapigia ebbero nome di Baris, quella che
era sita negli estremi confini dei Salentini e chiamavasi ai
tempi di Strabene con altro nome Ov&qìjtóv (VI, 281), e la
Baris di lapigia che si chiamò prima Japyx. Questa è posta
sul mare, però prende per tipo Nettuno e pone sul riverso
una mezza nave rostrata, sulla quale sta un Cupidine in atto
di scoccare un dardo e fa riscontro al Cupidine della moneta
dei Brezzii che stando sul dorso dell'ippocampo di Teti
saetta. Pensa il Millingen (Consid. p. 149) che la nave
baris alluda al nome Barium : ma non è così. Questo nome
straniero alla greca lingua si trova usato in Egitto e in Siria.
Il nome Baris si dà dai Siri ai palagi dei grandi edificati
con mura e torri a guisa di castelli, onde s. G-irolamo
scrive in Ps. XXIV, 10 : Bdoig verbum est 'Etilxwqiov Pa-
laestinae et usque hodie domus ex omni parte conclusae et
in modum aedificatae turrium et moenium publicorum
BaQstg appellantur. In tal senso la sua radice è m''^ ca-
stello, palazzo. Lo stesso nome Bagic significa in Egitto
una barca tessuta di palma e di papiro e la sua radice è
coptica Bai Qi, cioè cosa fatta di palma (Peyron, Leoo. Un-
guae copticae, pag. 25). Indi si può dedurre che il nome
baris non si attaglia ad una gran nave rostrata, ma ad una
barca fluviatile, che però fu da Properzio messa in contra-
posto per dispregio delle navi di Cleopatra, ove scrisse es-
sere essa venuta quasi sopra le zattere del Nilo che si spin-
gono innanzi con lunghi pali ad inseguire le liburne ro-
strate dei Eomani :
Baridos et contis rostra liburna sequi.
8. Testa di Giove laureata volta a d. dietro alla nuca due astri
segno del valore. R. Prora di nave dalla quale un erote saetta :
intorno BAPINCON, di sotto alla prora un delfino.
9. I tipi sono i medesimi che nel n. 8, ma il segno dì valore
è una sola stella; manca al riverso il delfino e la leggenda
è BAPINilN. V è di notabile la contromarca sul volto di
Giove fatta per impressione e a fondo concavo.
10. I tipi sono i medesimi che nel n. 9 ma in luogo di due
astri vi si vedono due globettini dietro la testa di Giove,
0 piuttosto di Nettuno.
11. Museo di Napoli. I tipi sono i già detti; al riverso si legge
BAPl, e a d. /E.
12-14. Il tipo è sempre lo stesso, che nel n. 11, ma nel
n. 12 vi si vede anche il rostro tricuspide, e non così
basso come nel n. 11; nel n. 13 colla epigrafe BAPl è un
U latino di forma acuta, che in altro esemplare pubblicato
dal Minervini {Bull. arch. nap. VI, 111, 13) ha forma lunata,
dal cui centro parte una linea orizzontale € che pare si abbia
il valore medesimo dell' U sopradetto, d'indicare cioè una
metà. Si paragonino le monete di Eoma in Lucerà (LXXXI, 6),
di Brindisi (tav. XCVI, 27) e di Larino (tav. XC, 36)
T. XCV
ABULIA
117
CAJELIUM
Quella città della Puglia che dicesi Ceglie di Bari è
nominata da Stratone sul ramo dell'Appia che da Brindisi
va a Canosa passando per Egnatia e Netium (VI, 282).
Nei codici però si legge K^h'cc a differenza delle monete
che portano inscritto KaO.ia. Dopo Strabene è il libro De Co-
loììiìs dal quale impariamo che Vespasiano mandò suoi ofSziali
a limitare le terre della Puglia e della Calabria; Vager
Caelinus tì è nominato fra il Bitontino e il Genusino {De
Col. pag. 262). Ceglie è mediterranea e vi si va da
Bari per quattro o cinque miglia (Holsten. p. 276). « Nel
suo territorio, scrive il Giustiniani (Dizion. t. Ili p. 419)
si sono scavati molti pezzi di anticaglie e la sua necro-
poli è nella vasta pianura di Canneto piccola terra posta
fra Ceglie ed Acquaviva». L'egregio sig. cau.D. Carlo Ku-
biai mi ha due volte scritto dandomi notizie dei vasi che
ha trovato nelle sue possessioni di Canneto, e deUe monete
di Ceglie che serba nella sua collezione, e me ne indica i
tipi citando i numeri della tavola mia 15, 22, 25, 28.
Alcuni anni or sono fu venduta in Eoma una collezione di
monete provenienti da Bai'i e v'erano in buon numero quelle
di Ceglie con Euvo, Canosa e Bari e ne acquistammo in-
sieme il sig. G. Lovatti ed io. Il Sambon {Rech. p. 76) copia
probabilmente il MiUingen {Considèrat. 149), quando scrive,
che la sola notizia storica che si ha di questa Caelia è in
Diodoro, ove dice nel libro XIT, C. 10 , che fu presa dai
Komani nell'a. 312 av. G. C. : La seule notice historique
qui nous en reste, dice il Millingen, est celle de sa prise par
le Romaitis sous le dictateur Fabius dans la guerre Sam-
nite u e 312 (Diod. Sic. lib. XIX e. 101). Il Millin-
gen e il Sambon non hanno torto, solo si ari'erta che Fabio
fu dittatore nel 315 (n. e. 439), e che nel 312 lo era
Sulpicio Longo. Ma io giudico che lo storico siciliano deve
rigettarsi del tutto, posto a confronto con T. Livio : la lezione
forse deriva da corruzione di codici, che invece di Kuj.axiu
della Campania hanno Eeh'a, che è nella Peucezia in Puglia.
Questo paese era stato già sottomesso interamente fin dal 487,
Apulia domita (Liv. IX, 20), e le armi romane nel 441 erano
volte a combattere i Sanniti , che dopo il disastro romano
di Gaudio e la pace ignominiosa sperando un movimento in
Capua, distolti dalla proposta impresa deUa Puglia, erano
tornati indietro nella città di Gaudio, da poi che da quel
lato della Campania occupavano Pregelle, Nola ed altre
città, fra le quali è nominata Atina e Calatia. PeteUio creato
dittatore volse le armi a ricuperar Fregellae: ciò fatto e
lasciandola munita di forte presidio tornò in Campania a
respingerne i Sanniti, lo che fece egli, o come altri vogliono il
console C. Giunio, essendo egli richiamato in Eoma per fig-
gere il chiodo ai primi sentori della peste, al quale Giunio
anche attribuiscono la presa di Atina e di Calatia: qui
captae decus Nolae ad consulem Irahunt adiiciunt Atinam
et Calatiam ab eodera captas. Quasi le stesse cose conta
Diodoro, se non che le pone accadute sotto il dittatore
Q. Fabio e i codici gli fan dire che costui prese a viva forza
Ceglie e Nola colla sua rocca : Ksh'av xcà np' JScolàvmv
àxoÓTTohv i^STTof.lÓoxI^OS.
Eettificata l'erronea citazione mi rimane di togliere dalla
mente dei miei lettori il dubbio se veramente queste mo-
nete appartengono alla Celia della Peucezia e non piuttosto
alla Ceglie della Calabria, che è una seconda città di tal
nome a circa dodici miglia di distanza da Brindisi, medi-
terranea ancor essa e dove dicono essersi trovate ghiande
missili colla leggenda KAl (iVof. degli scavi, 1878, p. 75, 76),
e mi attesta il sig. Nervegna di avere ivi comprata una
monetina d'argento con la stessa epigrafe KAl. Di cotesta
città v'è un solo scrittore che la nomini, e questi è Plinio
in quel luogo nel quale novera le città della Calabria poste
sul mare Ionio con quest'ordine (III, 161) Lwpia, Bale-
sium, Caelium, Brundisium. Escluso Capo Cavallo dove
il Mannert stanziò questa Cae/ràm, e Cellino, dove l'edi-
tore piemontese di Plinio pensa che si debba collocare,
noi diremo che fu dove oggidì è la ben popolata Ceglie
che si distingue col soprannome di Messapica ovvero di
Ceglie di Brindisi (Lor. Giustin. Dizion. Ili p. 418);
ma avvertiremo che il Cellario l'ha erroneamente confusa
con Ceglie di Bari noverando Caelium di questo luogo
fra le testimonianze della Ceglie Barina (Geogr. I p. 715).
A risolvere la questione della zecca se di Puglia e dì
Calabria noi ci gioveremo della esperienza di negozianti
attestandoci il sig. Luigi Sambon, Recherches (p. 76), che
le monete di Ceglie vengono giornalmente dalla Puglia.
Citeremo inoltre im signore di Acquaviva amico del sig.
can. Eubini, che ci scrive aversi nella sua collezione molte
monete di Ceglie acquistate tutte in questi nostri paesi e
non punto in Ceglie Messapica. Indi passa a nominarle ci-
tando i numeri della mia tavola, e sono : 36 corrispondenti
ai nn. 15 e 16 argento, 9 al n. 21, 6 al n. 28, 5 al n. 29, 4
al 30. Inoltre ve ne hanno di non corrispondenti per sim-
boli e segni altre 19. Sicché cotesto solo collettore ne ha
messe insieme la non piccola somma di settantanove da
opporre a quell'unica, che il sig. Nervegna dice di aver
comprate in Ceglie di Brindisi. Bimane quindi dimostrato
che coleste monete sono della Ceglie di Puglia e non
della Ceglie Messapica; e così veramente si era fin ora
attestato dai numismatici.
Questa discussione intorno alla zecca della Ceglie di
Bari mi è stata imposta da chi bramava vedere decisa la
controversia. Potrebbe ancor essere che la Ceglie di Brindisi
abbia coniato la propria moneta. Lo che noi accetteremo
quando sarà dimostrato.
15, 16. Coli. Luynes. Testa di Pallade con elmo attico ornato
di im grifo volante volto a d. R. Ercole in ginocchio strozza
il leone; dietro di lui è la clava: l'epigrafe n. 15 è KAl
e neU'esergo Al iniziale del magisti-ato ; nel n. 18 è solo KAl.
17. CoU. Lauria (Minerv. Oss. tav. 12). Testa di bue messa di
prospetto con infule pendenti dalle eorna: sopra KAl. R. Lira.
18, 19. Da calchi. Testa giovanile coperta di elmo conico lau-
reato acuminato in cima con di sopra una cresta sfoggiata.
118
APULIA
T. XCV
R. Vaso a due manichi e intorno KAIAINON sojjra la bocca
del vaso IT. Nel n. 13 manca IT e l'epigrafe è retrograda
HOHIAIA>l. Il Cavedoni pensa che IT voglia essere \TaXia,
il Minervini (Oss.n. 99) che sia Tiazi. U duca di Luynes mo-
strandomi la moneta del n. 15 ohe ei leggeva seguitamente
KAIAI diceva che per questa epigrafe erasi assicurata a Ceglie
anche l'altra (n. 18) dove si legge solo KAI : ma non è così,
ed altri esemi3lari dimostrano che quel Al al pari che l' IT
non va congiunto col KAI. La collezione Santangelo che ha
pur due esemplari con questo Al (fiatai, nn. 1795, 69), ne
possiede un terzo, ove si legge Ilin (ib. 1797) e dimostra
che, come ho io stabilito, questo Al, TI, sono iniziali di
magistrati monetali.
20. Coli, Sambon (Minervini, Oss. t. IV, 13). Testa di bue con
le infnle o sia vitte pendenti dalle eorna. R. Vaso a due
manichi e leggenda KAIAIN.
21-24. Testa di Pallade con aulopide crestata volta a d. R. Trofeo
di armi e accanto un fulmine, e nel n. 21 due astri, nel n. 22
un solo: l'epigrafe al riverso in ambedue è KAIAINilN.
Ho prescelto questi due numeri, dove non vi sono ornati
come in altri esemplari, nei quali si vede aggiunto all'elmo
di Pallade un grifo volante e un'insegna sul clipeo del ri-
verso che in un mio esemplare n. 23 è una Medusa, in
altro n. 24 è un astro; di piìi nel trofeo è posto anche uno
degli stinieri. 11 simbolo dello zecchiere, che qui è un ful-
mine, varia, e vi si vede invece, ad esempio, una clava, un
ramo di palma.
25. Testa simile alla descritta n. 21 e due globetti. R. Vittoria
tropeofora che cammina a sinistra in atteggiamento di de-
porre oifrendo una corona: nell'esergo KAIAINilN. È pro-
babile che' il tipo del riverso, che è nel sestante non si
ripetesse d'ordinario nell'oncia, come vediamo essersi fatto
del trofeo nei due numeri precedenti.
26. Testa di Pallade come al n. 23 e un globetto segno del-
l'oncia. R. Aquila stante sul fulmine volta a sin. sopra
(KA)IAEINnN.
27. Testa di Pallade volta a d. come nei nn. precedenti. R. Tre
mezze lune con dentro a ciascuna un globetto volte dalla
parte convessa e negli intervalli KlAAINilN. Può ben essere
che questo numero sia un tricalco, e in cotesto modo si
spieghino in tre globoli e le tre lune.
28. Testa di' Giove laureata volta a d., sul vertice due globo-
letti. R. Pallade armata di elmo, di scudo e di lancia che
corre a sinistra: intorno, KAIAINUN
29. Testa simile alla prec. dietro un K e un globoletto. R. Pul-
mino e KAIAINfì.N. In altro esemplare manca il globoletto
e la lettera K e vi si legge al riverso KAIAINCON.
30. Testa di Pallade con aulopide come nei nn. precedenti. R.
I due Diosoori correnti a cavallo verso la d., nell'esergo KAIAI.
31. Testa di Pallade come la precedente ma v'è di più sopra
un globoletto. R. Araldo stante con borzacchini ai piedi, pallio
sulle spalle a pileo in capo in atto di mostrar volto a si-
nistra un ramoscello, accanto KAI.
82. Testa simile. /?. Araldo con ramoscello nella d. dietro KAIAI-
NON a sin. fulmine. Questo nummo dato per errore a Pe-
telia fu giustamente dal Cavedoni (in Carell. tab. pag. 101
n. 17; e dal Marineola (Opusc. di st. patria, Catanz. 1871
p. 139) concesso a Ceglie.
NBAPOLIS
Al Komanelli prima che ad ogni altro venne fatto di addi-
tarci in Polignano una nuova zecca, che ne portava l'antico
nome, Neapolis. Egli lo dedusse dalla provenienza delle mo-
nete, ma volle confermarlo allegando un passo di Polibio
{H. Ili, e. 108), nel quale nomina una xaCrrjv nóhv. II
Bestini se ne mostrò persuaso, ma non l'Avellino, il quale
osservò {Op. 11, 50), che se Polibio voleva intendere di
una città chiamata allora Neapolis non le avrebbe cambiato
il nome sostituendo a NsÙTiohs la xcdvrj nóXig. Gruari però
non andò che nuovi scavi praticati a Polignano ebbero messo
fuori altre monete col nome NEAPO [Bull. arch. nap. VI,
72), al qual fatto l'Avellino si arrese. Questa ritratta-
zione sfuggì al Cavedoni, non ricordando egli (ad Carell.
tab. pag. 39), che la sola opposizione fatta al Romanelli con
le parole, obloquente Avellinio. Pu dunque bandita l'erronea
attribuzione alla Neapolis di Macedonia, la quale del resto
era mal fondata, non riscontrandosi i tipi e il metallo della
Neapolis di Macedonia coi tipi, colla epigrafe NEAP e col me-
tallo di quella Neapolis di Puglia, che sono di solo bronzo
(Minervini, Om. pag. 107, 108). Polignano vanta nei tipi delle
sue monete le fertili vigne e i campi frugiferi : ma fa d'uopo
confessare, che la coltivazione di quei terreni oggi sia del
tutto cambiata, stante che il vino non primeggia, e i campi
sabbiosi non si prestano gran fatto al grano: essa invece
abbonda di olivi. Venerarono Bacco e Cerere, Diana cac-
ciatrice e il Genio della città marittima, a cui diedero per
insegna il tridente come a signore del mare, dove ora pe-
scano in buona copia le sarde.'
33. Mia coli. Testa di baccante coronata di oliera con lembo di
tunica attorno al collo volta a d. dietro ha un tirso a punta
di lancia, a d. NI. R. Grappolo d'uva con due foglie : di
sotto NEA.
34. Dal Carelli (Tab. CI, 4). Maschera di Bacco coronata di
pampini messa di prospetto. R. Grappolo d'uva con viticci
e sopra NEAP.
85. Nel Museo di Napoli. Testa di Cerere coronata di spighe
e velata volta a d. R. Spiga di grano sulla quale è im-
presso un caduceo in contromarca e NEAP. Una simile a
questa ma senza contromarca, fu pubblicata dal Minervini
[Bull. arch. nap. Ili tav. VII! n. 10).
36. Mia collezione. Testa di Cerere con acconciatura di capelli
diversa dalla precedente n. 34 coronata • di spighe di grano
e velata. R. Spiga di grano e NEAPO.
37. Nel Museo di Vienna. Testa di Diana laureata volta a d.,
alla nuca la faretra. R. Arco, faretra e NEAP.
38. (Milliugen, Suppl. II, 14). Testa giovanile con corona me-
tallica orlata di gemme volta a d. R. Ferro di tridente e
NEAnOAI. Il Cavedoni (ad Carell. CI, 5) dice, che è chioma a
foggia di corona composta: coma in suinmo vertice in co-
T. XCVI
APULIA
119
ronae formam composita e cita una testa in moneta di Napoli
(Car. T. LXXII, 15), clie dice avere una acconciatura simile
a questa: lo che io non gli concedo, e neanche che sia
chioma nella moneta di Neapolis. Il Poole (Catal. p. 142)
vi vede una testa di donna coronata ; il Millingen una testa
singolarmente ornata. Io non altro vedo che una corona.
Nel giornale numismatico {Zeitschr.fiir Nuinismatìk, VII,
1880 p. 2) si trova descritto da Von Duhn un hronzo del
Museo di Carlsruhe col delfino al dr. e al riverso un
timone NEADoA
GRUMBESTINI
39. Museo di Vienna. Testa di donna con capelli legati alla
nuca. R. Cavallo che corre a d. e sopra TPY. L'ha publi-
cata l'Avellino {R. Mus. Borii. Voi. IV tav. XV n. 10).
40. Coli. Santangelo (Mmervini, Oss. T. VII n. U pag. 117).
Testa giovanile con capelli ricci diademata e volta a d. R.
Toro che investe volto a d. sopra rPY. Il Minervini {Oss.
117) novera coloro che hanno riferita questa moneta a Gru-
menlum e annota non farsi ormai più difficoltà dagli ar-
cheologi sulla patria di queste medaglie. Ma io non so
spiegarmi come sulle piìi alte e fredde montagne della Lu-
cania si voglia collocare la sede di cotesta zecca lascian-
dosi indurre a ciò da una immaginaria etimologica origine
di fgv, quasi da Egufiosig. Il Minervini pensa che i tipi
del toro cozzante e del cavallo confermino la congettura
che fosse colonia di Turio: solo non vede doversi seguire
assolutamente l'etimologia proposta dal Niehhur seguita dal
Corcia, quantunque non ripugni che f siasi cambiato in K.
V'è però anche da considerare che i Greci scrivono Fqov-
/.lavTor, non FQVfisvT.ov. Plinio (H. III, 11) fa menzione
dei Grumbestini nell'antica Calabria, ovvero non molto
lungi, e sui confini. Ivi fu Fqu e Pv ivi Mar e Km, che
similmente accorciano le loro denominazioni.
Può credersi che da Grumo si è derivato Grumbestinus
come da Euvo Rubastinus. Del resto im altro Grumo è in
Puglia distante solo 12 miglia da Bari, i cui cittadini,
scrive il Giustiniani, fanno industria di vacche, pecore e giu-
menti. A questa Grumo il Carelli attribuì le monete con
l'epigrafe PPY: e i tipi di cavalli e di tori non che la con-
dizione del suolo confermano tale opinione.
41. Coli. Narvegna in Brindisi. Testa di donna volta a sin. con
pendenti agli orecchi e coronata dì canna palustre. R. Toro
che investe volto a sin. sopra TPY.
SIDIUM
42. Da un calco. Testa di Giove laureata volta a d. R. Ercole stante
in piedi facendosi puntello della clava sotto l'ascella sinistr-a
dal qual lato pende la spoglia del leone, ha la destra sulle reni
come l'Ercole di GUcone che porta i pomi: a sia. ^lAINilN.
Se ne ha descrizione nel Catal. del M. Britannico, dove si con-
serva la moneta , che qui è messa a stampa la prima volta.
Questi Sidini dei quali s'ignora il sito, sono degni per altro di
prendere il posto dato a Silvium, a spiegare quel i\, che si
legge sopra alcune monete di Euvo, quasi iniziale di città
confederata. I Sidini possono credersi originati dalla Side,
-iSìj del seno beotico (Pausan. Lacan. III. 22 n. 265),
Un' altra 2i'Sì] colonia dei Comani era nella Panfilia e Des-
sippo la pone nella Licia (fragm. ad calcem Josephi ed. Di-
dot p. 15) il cui patronimico è SiórjTrig.
MATIOLUM
43. Nella coli, mia (Millingen SijU. Ili, 5). Testa di Pallade
con elmo corinzio volta a d. : sopra due globoletti. R.
Leone aggruppito volto a d. con la zampa sinistra regge
ima lancia appoggiata sul collo; a destra MAT in mon.
Lo stesso gruppo di lettere da alcuni si scioglie in NAT
ovvero in TMA, da altri in MAT, e con essi opino ancor
io parendomi che il T si deve posporre come, per esempio,
l'O nel monogramma ■ft di Kógxvoa.
44. Testa di Pallade come al n. 41. R. Ercole appoggia l'ascella
0 falce colla clava e stassi così in riposo avendo la destra
rivolta sulla schiena come l'Ercole di Glicone: a sin. W\AT
in mon.
45. Testa come la predetta n. 42. R. Cornucopia e MAT in mon.
GKAXA
Tav. XCVI.
Se cerchiamo quale località si accosti al suono di questa
antica Graxa, ci si offre Grassano in terra Basilicata distante
da Matera diciotto miglia : ma le monetine con la leggenda
Tqa si trovano in buon numero nei contorni di Pasano
e nel suo territorio : io le ho vedute uscir fuori ai primi
colpi di zappa presso S. M. di Agnazzo. Non si creda per-
tanto che Gra sia equivalente a Gnatliia, o, come scrive
Strabene 'Ey varia. Questa città si chiamava una volta
Gnathia, i suoi cittadini Gnathini, come abbiamo appreso
dalla epigrafe di un suo caduceo inscritto TNAGlNilN. Né
può dirsi che di poi cambiasse nome, perchè ai tempi di
Orazio dicevasi tuttavia Gnatliia. La distanza di S. M. di
Agnazzo da Pasano è di quattro miglia in circa ed io credo
che in Pasano si debba cercare l'antica sede dei Graxani,
da poiché in una delle sue monete in luogo del monco fPA
è stato letto TPAHA. Cedano dunque il Crastus della lapigia, e
la Graia urbs a cui successivamente il Millingen (Recueil,
p. 19; Consid.^. 146, 148) volle attribuire la Gra delle no-
stre monete ; errore notevole, quasi che fosse nome di città
l'appellativo di greca, che Mela dà a Gallipoli (11, 4): urbs
graia CallipoUs. Cotesta Graxa fu nella Peucezia che comin-
ciava una volta dai confini di Brindisi, e si chiamò terra dei
Salentini, dove Plinio stanzia la Egnatia Salentina (//. N.
II, 140) : In Salentino oppido Egnatia.
1. Fulmine, sopra una stella, sotto FRA. R. Conchiglia.
2. (Minerv. Bull. ardi. nay. II, IX; Oss. pag. 102). Testa gio-
vanile che par coperta di pileo laureato volta a d. R. due
aquile stanti e volte a d. neU'esergo TPASA
120
APULIA, CALABEIA
T. XCVI
3. Nella collezion mia. Testa giovanile laureata. R. Due aquile
stanti sopra un fulmine, di sotto fPA e tre globetti.
4, 5. Testa di Giove laureata volta a d. i?. Due aquile stanti
sopra un fulmine, sotto fPA e in contromarca -X- fra due
glotetti. In altro esemplare n. 5 che è nella collezion mia
la contromarca ha due linee parallele -^^ in luogo dell'-X-
Goteste linee parallele pare debbano significare due cinque
e così la cifra sarà equivalente all'X ohe dinota le dieci
once.
6. Testa d. Giove laureata volta a d. sotto tre giobettini. R.
Un'aquila sopra fulmine e di sotto FPA.
7. Testa simile di Giove, dietro tre astri, segni del quadrante.
R. Aquila sopra fulmine volta a d. davanti KPH, sotto FPA
(Minervini, Bull. ardi. nap. II, IX, 11).
8. 9. Aquila ad ali aperte sopra un fulmine, davanti a d. una
mezza luna con piccolo globettino, sotto FPA. R. Conchi-
glia. In im mio esemplare n. 9 v'è impresso un cerchio
in contromarca.
10. Aquila stante volta a d. dietro FPA, davanti un astro. R. Con-
chiglia (Minervini, 1. cit. n. 13).
11. Aquila e sopra FPA. R. Conchiglia.
12. Delfino sopra una serie di giobettini che diminuiscono gra-
datamente di volume, sotto FPA. R. Conchiglia.
STT
13. Aquila ad ali aperte, sopra un fulmine, sotto ^TY. R. Con-
chiglia. Cotesta moneta davasi dall'Hunter a Sti/ra in Eubea,
ma l'Eckhel vi riconobbe lo stile delle monete della Magna
Grecia (D.n.v. 11 pag. 325).
ORBA
La fondazione di Orra da Erodoto si attribuisce ai Cre-
tesi che avevano accompagnato Minosse in Sicilia. Strabene
si mostra dubbioso se di questa città, che egli chiama
OvQi'a ed Erodoto 'F^h'k, si debba intendere ovvero di Ovsqi]-
róv, Vert'tum. Ma un'altra tradizione erasi suscitata un treu-
tasette anni or sono proponendo il Mommsen un testo di
Varrone che narrava di una Orra fondata dai Locresi. La
falsa lezione della quale moneta sarà dimostrata nella ta-
vola CXXV, n. 9, dove tratterremo delle monete mal lette
e male attribuite.
Basti per ora dire che il testo di Varrons con tanta pompa
allegato dal Mommsen in prova di una Orra fondata dai
Locrosi erasi già allegato dal Romanelli, là dove anche in-
tese di provare che cotesto popolo di Orra erasi da Livio
additato sotto nome di Uritae (L. XLIF, 48). Ma lo sbaglio
è manifesto. Trattasi ivi di navi imprestate ai Romani, una
trireme dai Regini, due dai Locresi ; Orra poi ne avrebbe
date quattro, non essendo città marittima, né avendo porto
0 navale sul mare. Quel testo di Livio dove si legge che
i Romani dagli Uriti ebbero quattro triremi deve emen-
darsi ab Siritibus. Sono i Siritae gli abitanti dell'antica
Siri divenuti per opera dei Tarantini emporio e navale
degli Eracleesi fin dalla Olimpiade LXXXIV: Ab Siritibus
quatuor (triremibus) acceptis, praeter oram Italiae super-
veclus Calabriae extremum proinontoriwm. Dove anche
si noti che trattasi di un popolo stanziato nel gonfo taran-
tino, perchè s'incontrava prima di superare il capo di Leuca,
cioè l'estremo promontorio della Calabria antica.
Gli Orrani venerarono in sommo grado l'eroe fondatore,
Marte, Venere e Ercole. Coniarono il bronzo coi propri
tipi in quattro serie; nella prima mostrano di aver avuta una
certa comunanza di forma con gli elmi della Coglie di Bari,
che sono acuti in cima e su quella punta pongono la cresta.
Nella seconda serie manca l'unità maggiore: si ha soltanto
la metà e il quadrante : della terza abbiamo soltanto il quin-
cunoe e il triente: della quarta possediamo parimente il
quincunce, manca poi il triente e si ha il quadrante e il
sestante. Il carattere da loro costantemente adoperato si è
il messapico.
14. Testa giovanile coperta di pileo conico con piccola cresta
quasi fiocco in cima, dietro OA. R. Aquila sopra fulmine e
in alto ORRA.
15, 16. Testa simile alla precedente, sotto al collo AA. R. Aquila
sul fulmine: sopra OR: nel n. 16 si cambia il nome del
magistrato che è E/V\.
17, 18. I tipi sono gli stessi, soltanto nel n. 18 l'aquila volta
a destra è respiciente a sinistra. Questa serie non porta
veruna nota di valore, se non che la leggenda è OR, pro-
babilmente ad indicare la metà dell'intero.
19, 20. Testa di Ercole giovane coperta della spoglia di leone
volta a d. sotto al collo ?" non avvertito dal Gorelli (tav.
CXVI, 14). R. Fulmine, sopra ORRA, sotto del fulmine FOR.
Il n. 19 pesa gr. 9, 5 ; il n. 20 gr. 4.
21, 22. Testa giovanile con elmo ornato di tre fali e di una
penna: sotto al collo AR. R. Aquila sul fulmine volta a d.
davanti ORRA, di sotto al n. 22 cinque globoletti nota del
quincunce, al n. 28 quattro globoletti nota del triente. Il
n. 21 pesa gr. 10,7; il 22 gr. 5,9, v'è anche il sestante
del peso di gr. 3,4.
28-25. Testa di donna laureata a d. con lancia a sin. R. Erote
alato che cammina a destra suonando la lira : dietro cinque
globoletti, davanti ORRA. Pesa gr. 5,4. Il tipo dei due qua-
dranti è il medesimo, soltanto l'erote porta in mano il cesto:
il n. 24 ha di peso gr. 4,7 ; il n. 35 gr. 3,4. Il triente non
si è finora vedato. Quello che il Carelli (Descr. 17) ha dato
per triente col tipo del Cupido che porta una fiaccola, ed
è accettato dal Mommsen {H. de l. m. t. III pag. 386), deve
essere stato im quincunce, se il Cupido tenne invece in
mano la lira, come giudicò l'Avellino, ovvero un qua-
drante, se ebbe un cesto. È bene notare qui le descrizioni
dei tipi dati dal Mommsen {II. de la monn. III pag. 365,
366). La testa giovanile dei nn. 21, 22 è detta lete de Pal-
las. Quella di Venere nn. 23-25 si dice téle d^un jeune
homme couronné, e il cesto n. 25 si prende per un ban-
deleite. Finalmente nel n. 19 la pelle di leone legata alla
gola di Ercole si prende per un fulmine e si attesta che
manca il seguo di valore: téte sur un foudre sans indication
de valour.
T. XCVI
APULIA, CALABRIA
121
26. Testa di donna simile alle precedenti. R. Colomba che vola
portando una corona cogli artigli ; di sotto due globoletti.
L'oncia non si è finora veduta.
BRUNDISIUM
Gli antichi non erano concordi sulla origine di Briudisi.
Alcuni dicevano che era colonia di Cretesi di Guosso condotti
in Italia da Teseo. Altri narravano che lapige figlio di De-
dalo e di una cretese l'aveva popolata coi Cretesi venuti
seco in Sicilia per vendicare la morte di Minosse, scrive
Erodoto (VII, 170), ovvero per cercare Glauco, come atte-
sta Ateneo (XII, e. 5). Non pertanto lapige tenevasi per
fondatore perchè i primi Cretesi eransi partiti per Bottièa,
e nuovi seguaci di lapige erano sopravvenuti (Strab. VI,
282). Un'altra tradizione è riferita da Giustino (XII, 2),
secondo la quale la fondazione di Brindisi deve riferirsi
agli Etoli seguaci del celebre Diomede: Eral urbs Apulis
Brundisium, quam Aetoli seculi lune oh famam rerum in
Troia yestarurii clarissimum ac nobilissimum ducem Dio-
medem condiderunt. Ma dicevasi insieme che costoro
erano stati di poi scacciati dagli Apuli.
I Brindisini erano governati da un re in quel tempo, nel
quale Falanto cogli Spartani conquistò molta parte del
loro territorio. Ciò non ostante lo accolsero quando fu
mandato fuori da Taranto, e, morto, lo onorarono di splen-
dida sepoltura. Poscia divenuti colonia romana lo scelsero
a tipo delle loro monete, quasi patrio eroe, figurandolo sul
delfino, come la vicina Dalctium.
Coloro che credono ohe la monetazione delle colonie
seguisse il peso e la riduzione legale della vecchia Roma
non potranno mai spiegare come dopo il 510 i Brindisini
battono una moneta la cui maggior unità, è di circa venti
grammi, mentre porta la nota di sestante, lo che suppone
un asse di quattro e più once.
Noi stimiamo che i globetti in questi bronzi non siano sol-
tanto segni di once locali, ma anche di altri sistemi, ossia
che i Brindisini abbiano insieme seguito il proprio sistema
e quello della regione vicina. Però non rigettiamo come er-
roneo ed impossibile il pezzo del peso di grammi quattro
notato di quattro globetti e insieme della nota di sewis,
perchè interpretiamo i quattro globetti per quattro unità
equivalenti alla metà di peso di altro sistema, significata
con l'altra cifra S. Quei che vogliono ritenere i globetti per
segno di once debbono anche accettare che la colonia non ha
seguito Roma nel valore della libbra, e quanto al pezzo
n. 38 udiremo come spiegheranno che quattro globetti sono
la metà di un tutto, o sia di un sestante, o di altra unità
maggiore che noi non conosciamo. Dovranno ancora soste-
nere che Brindisi continuò a coniare il suo bronzo dopo la
guerra italica sul sistema del 66-5, ossia della legge Pa-
piria per cui l'asse era legalmente ridotto a semonciale.
Venosa ancor essa colonia romana coniava un bronzo
del peso di grammi 7,60 con la nota del S, quando Brin-
disi lo improntò dal suo tipo, notandovi la nota di due glo-
betti 0 sia del sestante.
27. Vittorietta con palma lemniscata e corona volta a d. lì.
Delfino volto a sin. sotto BRVN, sopra L-, segno di metà.
Pesa gr. 1,18.
28. Coli. Sant. {Calai. 2224; Avellino Op. 11, V, 11). Conchi-
glia. R. Delfino e sotto un tridente e BRVN. Manca ogni
segno di valore.
29. (Carelli, tav. CXX n. 8). Testa di Nettuno laureata volta a
d. sotto due globetti nota del diobolo. /?. Genio nudo a
cavallo del delfino con cetra nella sin. e porta un vaso a
due manichi nella d., sotto BRVN e la nota del sestante
ripetuta.
30. (Car. ib. n. 6). I tipi sono i medesimi soltanto vi hanno sim-
boli e segni che variano in ciascuna serie, delle quali si
danno qui soltanto dei saggi. Nell'oncia che do qui al n. 30
Nettuno è coronato da una Vittorietta sospesa a volo e il
genio porta nella sin. un cornucopia e nella d. la Vitto-
rietta che si leva sulle ali per coronarlo. Nel campo a destra
è una clava.
31. (Carelli, tab. CXX n. 4). La testa del Nettuno sempre
laureata, ma non è coronata dalla Vittoria, in quella vece
v'è qui il tridente. Al riverso il tipo è lo stesso dei due
numeri precedenti: di sotto al delfino vi si legge l'epi-
grafe BRVN, ma la nota del valore, creduta dal Carelli es-
sere quella del semisse, è della metà di un intero, che forse
fu un obolo, forse fu una semoncia. Il pezzo di fatti pesa
gr. 4,03 mentre l'oncia n. 30 ne pesa gr. 9,70.
32. Nel Kirch. Testa di Nettuno a d. coronata dalla Vittoria:
di sotto la nota del sestante. R. Giovane nudo che cavalca
il delfino portando la lira nella sin. e la Vittoria che lo
corona colla d., di sotto è la nota del sestante e l'epigrafe
BRVN : di sopra del delfino un nome greco in monogramma
NAr, 0 APN. Cotesto sestante suppone una prima riduzione
del sestante, quando non si era coniato ancora il trienle e
il quadrante.
33. (Carelli, ib. n. 14). Alla testa di Nettuno coronato dalla
Vittoria si vede aggiunto il triente: di sotto v'è la nota
del triente. R. Giovane nudo che cavalca il delfino recando
la cetra nella sin. e la Vittoria che lo corona nella d., di sotto
BRVN e la nota del triente. Pesa gr. 8,6
34. Nel Kirch. Manca nel dritto la Vittoria e il tridente: il tipo
del rovescio non differisce dal precedente : la nota è sulle
due facce quella del quadrante.
35. Nel Kirch. Il tipo sulle due facce è il medesimo, qui però
vi si vede sul dritto aggiunta la Vittoria che corona: il
suo peso è di gr. 4,3 : e però dimostra una serie di questa
riduzione, dove questo nummo era il quadrante. I trienti
e i quadranti si cominciarono a coniare in Brindisi prima
deUa terza riduzione. In questa riduzione, nella quale il
triente è del peso di grammi 4,30 la zecca emise ancora
il semis del peso di grammi 7,60. Ne ho qui davanti un
esempio ribattuto dai Venosini per sestante o sia pel valore
di due globetti. Porta nel dritto la testa di Pallade e al
riverso la civetta, la cifra S è benissimo conservata con
al riverso la vittorietta sulla destra del genio cavalcante
il delfino.
122
APULIA, CALABKIA
T. XCVII
36. (Carelli, ib. 7). Il Nettuno di quest'oncia è coronato dalla
Vittoria, ed ha a sin. il tridente e sotto il collo la nota del
valore. Il riverso è simile al precedente, ma la nota è del-
l'oncia: pesa gr. 1,7.
87. (Car. ib. 2). Questo nummo differisco dal precedente in ciò
che il giovane al riverso non reca la cetra, ma in suo luogo
una patera. Manca la nota del valore, ma il peso è di
gr. 1,33.
38. (Car. ib. n. 30). Questo triente coi tipi medesimi del triente
n. 33 ha però di peso una metà, cioè gr. 4,9. Vi si legge
inoltre a sin. del riverso MA nome del zecchiere, e sulla
coda del delfino la nota S indicante semis. È dunque uno
di quei nummi che si vedono forniti di doppia nota e dovrà,
dirsi che in un sistema era computato per triente e in altro
per metà, di un tutto, forse un obolo, ovvero alcun altro
peso, che ignoriamo.
39. (Car. ib. 23). Testa di Nettuno laureata e coronata dalla
Vittoria : dietro la nuca il tridente, di sotto al collo la nota
del semisse. R. Giovane nudo sonante la cetra portato da
un delfino a d. e coronato dalla Vittoria: di sotto BRVN, a
sin. ARR, a d. la nota del semisse. In quest'epoca sono
frequenti i nomi dei magistrati monetali.
BALBTIUM
Tav. XCVII.
Non ha molto che si è scoperta questa nuova zecca in
monete di argento colla epigrafe k.l\®M9r\ , e furono pubbli-
cate dal duca de Luynes [Bull. ardi. nap. I p. 169), che l'at-
tribuì al Valetìum di Mela, il Balesiwn diPliuio (III, 16), che
taluni hanno emendatoi^e*mm,ed è chiamato 'Alriria da Stra-
bene (VI, 282), Valentia nell'itinerario gerosolimitano (609).
Il Minervini si volse invece ad Àletium detto Balelium nella
Peutingeriana. Ma la Foie*ÌM'm del Luynes è da cercarsi presso
il fiume Pactius, fra Brundisiurn. e Lupine, donde proven-
gono i due esemplari che ora ne possiede il Nervegii;; ; VAle-
tium 0 Baletium del Minervini è dalla sponda di mare ad
occidente lolla, penisola idruntina; Bah-jdàg è contratto ed
ha innanzi un B che vi fa le veci del F ; tolto il qual digamme
rimane Aletium. Sarebbero adunque due ^ieiwtm nella p-e-
nisola ; ma già il Cluverio p. 1351 ha mostrato che in luogo
del secondo Aletium fa d'uopo leggere Saltentium, città,
mediterranea dei Sallentini ad occidente della Messapia fra
Neretum. oggi Nardo, e Uhintmn la moderna Ug?nto : il Ba-
letium 0 piuttosto Baldhium è sinonimo di Falethium. Co-
testi Faletini prendono il nome dall'eroe che cavalca il
delfino, sia egli Taras ovvero Folanllm.i.
1. Coli. Nervegna. Taranto a i.avullo del delfino volto a d., di
sotto un piccolo delfino e l'epigrafe iR®BAR1. R. Mezza
luna 0 delfino volt(> »■ fin., e. nel centro un globetto con
le lettere 3h: intorno la medesima leggenda cambiata sol-
tanto il digamino =1 in B: if^®3Afì8.
2. Coli. Luynes (Minervini, Bull. ardi. nap. VII, II, 3). Simile
al n. precedente, anche nella E posta fuori del giro asse-
gnalo alle altre lettere.
3. Coli, Luynes (Miuerv. 1. oit. Vili, II, 4), ora se ne ha un
secondo esemplare nella coli. Nervegna. Delfino volto a d.
e l'epigrafe intorno i/<lffi3Afl3 , hE e h, nota della metà. S,
che non è. stata finora notata. R. mezza luna, di sotto
i/^®3Aflfl, di sopra hE. La lettera E ancor qui è fuor di
linea; ciò dimostra che fu aggiunta nei due conii dall'in-
cisore, il quale ha sbagliato inoltre collocando sul dritto
della moneta l'aspirazione H dopo la vocale E.
HYDIiUNTUM
Hi/drus non sra ancora fabbricata quando in quelle spiagge
ove ora è Otranto approdarono alcuni Cretesi e ivi presero
stanza, scrive Stefano (s. v. Bisvroi) : olxfj'jat, Sé tivag
^YÓQOVVta Trjg 'huXiaq ov/rco nsTioXu/fisvov. I Latini la dis-
sero Hi/dru7Uum. Si è cercato se questa città piccola sì,
ma provista di buon porto, avesse mai battuto moneta. Il
Carelli pubblicò tre piccoli bronzi e glieli attribuì. Due di
essi (tav. CXXIII, 1, 2) hanno per tipo la testa di Ercole
giovane e al riverso le armi di lui, arco, clava, faretra. L'epi-
grafe è inscritta fra il nervo teso e l'arco, YAP e AY : un
terzo (ib. 3) ha per tipo la conchiglia, e al riverso lo armi
predette e fra l'arco e la corda l' epigrafe YAP. Ma bisogna
considerare che in queste monetine cogli stessi tipi variano
le leggende. Ve ne ha per es. di quelle che leggono AY e
altre che in vece portano per .?pigrafe AE. Queste di certo non
appartengono ad Hijdrus, ma le prime a Dyrradiium, le
seconde a Leucas. Era Leucade di contro ad Otranto. Da Leuca
ad Otranto scrive Strabene v'hanno 150 stadii: 'Eh Sé rwv
Aavxòìv dq ^Yd-Qovvca Ttah'xrrjV graSiot PY; e p)rima di lui
Scilace § 27 : 'Eni 'jrSQÓsi'za nóXiv iv ty 'lanvyia dnò
xmv xsgavviiav ffraóia tov StavXov mg (f. Plinio dice
brevissimo il tragitto di miglia 19 che pone i termini
al mare Jonio ed Adriatico (Plih. L. Ili e. Il) : Hi/drun-
tum decem ac novem niillia paasuum ad discrimen .fonti
et Adriatici maris, qua in Graeciam hrevisHnm,^ tran-
situs. Quando il Millingen scriveva le Considératinns non si
erano impresse le tavole del Carelli. Egli attesa la descrizione
dei tipi letta nella Desoriptio sospettò che una moneta di
Alessandro con NAPO superstite si fosse trasformata in
YAPO (p. 122). Or la monetina da me incisa, in primo
luogo, è nel Museo di Vienna, e dice chiaramente YAP.
Stefano Bizantino in questo articolo di VSQoiJg è eviden-
temente monco. Il testo dice : 'yS(>ovg (pqovoiov àqqsvixwg-
tò f&vixóv 'YSgovvTiog cóg 2sXivovvTiog. fa%ì xal nókig
'haXiag. to i&vtxóv 'YSgovffceìog xal 'YSQOvfftog. Il Meineke
addita invero una lacuna, ma la pone fra qgovqmr e A^ae-
vixwg. A me pare che una lacuna vi debba essere, ma non
ivi, ove non ce n' è bisogno. Perchè 'YSgoimog non può
essere etnico di 'YSgovg, al quale anche è stato già assegnato
'YSgoiivTwg. Fa quindi d'uopo ricordare che Stefano ha
scritto alla voce "Axga che questa città per alcuni era sino-
nima di 'YSgov<Ta:"AxQa 'laTTvyìag nóXig xarci Tirag 'YSgovaa
XsYoi.i,6vrj. Ciò posto è chiaro che la vera lacuna è dove
manca il nome, dal quale deriva 'YSgovaaTog. Però bisogna
T. XCVII
CALABEIA
123
supplire così : aatt xcà nóhg ^haXiag 'Ydqovaa : quindi
gli si poti'ìi far seguire l'etnico che ne deriva: xà èdvtxòv
'ySQovaceìog xcà Y^Qotaiog. Pone adunque Stefono. per sino-
nimo deir«xo« 'IccTTvyia una città T(fgofio'a, e tiene ^YSqoìk
per \m castello, (fgovQior. Ecco il passo come si deve leg-
gere: 'yàQoì'g tpQOVQior àgaerixàg; rò idrixòr "^yiQovvnog
àg ^sXirovìTiog. ì'ari Sé xaì 'ì'Qàovffa nóXig 'Itah'ag, rò
i&nxor 'VSgovacùog xcà ^YSqovaiog. Non osta che la mo-
neta di Otranto sia sconosciuta nella terra d' Otranto ,
ove il Nervegna che vi fa da più anni raccolta di monete
e risiede in Brindisi attesta che non l'ha nel suo copioso
medagliere.
4 Museo di Vienna. Testa di Ercole difesa dalla spoglia del
leone a sin. R. Arco, faretra, clava, fra l'arco e la sua
corda vi si legge netta l'epigrafe YAP. Un bronzo simile
fu descritto dal "Wehl (Calai, della coli. Welzl de Wel-
lenheim, Vienne, 1844 al n. 580), però vi è supplita in
mezzo la lettera A.
5. (Carelli, t. CXXII, 3). Conchiglia B. simile al precedente
con le stesse tre lettere YAP
OXENTUM
La città che ora si chiama Ugento fu già dai Latini detta
0::a, dai Greci 'O^cig, il cui quarto caso òiccevra die' per ana-
drome Ozentum come IIv'§àg die' Buxentum. Questo nome
nella tavola del Peutinger è trascritto Uhintum, in To-
lomeo OvSsrToi; nelle monete AOIEN(ir[i'Mi'). I moderni
seguono Tolomeo e scrivono Vxentum, ma i Messapi la
dicono Aótevxov, se pui-e questo elemento I non ebbe an-
che il valore di greco ^T. Plinio trattando delle città di
codesta penisola ealabra in un passo corretto dall' Harduino
sui mss. scrive Senum, (al. Saenum) Callipolis, quae nunc
Anxa. E se ciò è, vuol dire che ne' tempi di Plinio Cal-
lipoli si denominò Anxa. Ma vi deve essere una erronea tra-
sposizione, perocché Callipolis ohe tuttavia si chiama con
questo nome, Gallipoli, non può credersi che ai tempi di
Plinio si chiamasse Anxa. Io imagino che quell'ina;» si
debba emendare Aoxa e leggo : Aoxa quae nunc Oxenlum,
Graia urbs Callipolis: Così si sarà trovata la propria sede
a quell'ignotissimo Senum o Saenum, supponendolo in luogo
di Oxenlum.
6, 7. Testa di Pallade con elmo corinzio crestato volta a destra.
R. Ercole giovane stante appoggiato alla clava con cornu-
copia e pelle leonina nella sin. I tipi sono simili ma nel
bronzo n. 6 si legge AOIEN, nel n. 7 AO (cf. Milling.
Swppl. pi. 11, 29). Talvolta la linea ti-asversa dell' A è
omessa, come nei due numeri seguenti.
8, 9. Aquila sul fulmine a destra. R. Vaso a due manichi e
nel basso a destra e a sin. due astri (Mill. Suppl. 11, 10).
Nel n. 9 l'epigi-afe è retrograda AO e sta a destra, i due
astri mancano. L' Avellino ne diede imo senza epigrafe
{Bull. T. Vni n. 13).
10. Nella coUezion mia. Testa di Pallade come quella del n. 8.
R. Civetta di prospetto e a destra OI
11. Testa di Pallade come al n. 8. R. Ercole giovane colla spo-
glia di leone avvolta al braccio sinistro e in atto di appog-
giarsi alla clava che ha nella destra; intorno OIANTlNfliN
e presso Ercole ZH, nome di magistrato, forse Zi^vóSoùQog.
12. Bifronte imberbe coperto di galea con pennacchio per cre-
sta. R. Ercole stante con cornucopia e spoglia del leone
nella sinistra, clava nella destra, dal qual lato una Vitto-
rietta volando l'incorona: a destra OIAN
13. Testa di Pallade con elmo corinzio ornato di un serpe
volta a d. davanti una lancia. R. Ercole barbato con cor-
nucopia e spoglia di leone nella sin. clava nella destra: a
sinistra un S nota del semisse e un ramo, a d. OIAI così
non OIAN
TAEENTUM
I barbari discendenti da lapige figlio di Dedalo condus-
sero in Italia una colonia di Cretesi ai tempi di Minosse II,
e la città da loro costrutta al fiume vicino denominarono
Taras in onore di un eroe, dice Strabene (VI. 2,2), di
tal nome. Questo eroe aggiunge Pausauia (X e. 10) cre-
devasi figlio di Nettuno e di ima ninfa locale: Tàqavza
tÒv ìjgooa Iloasidtòvóg (fcccfi xcà imywqiag vviiBcpr^g naXSa
elvcti, ànò Sh zoì iJQCoog xe&rjvai rà àvójiara ry nòXsi ts
xcà TCj) TTorafif^ • xccXsXtcii ycco órj Tdqag xarà rà avrà zy
nólsi xaì ò 7T0Tai.ióg. La ninfa madre di Taranto chiama-
vasi Satira, scrive Celio {Hisl. L. V ap. Schol. Leijd. ad
Virg. Georg. II v. 197), il qual nome le era comune col
luogo che abitava detto Satirio (Steph. Byz. s. v.) : ^azv-
Qiov, yaqu 7th]aiov TaQavtog. In queste terre venne di poi
ima colonia di Spartani dalla piccola città di Amicle cele-
bre pel culto di Apollo soprannominato Giacinto. Cotesta
colonia era condotta da Palante Amicleo al quale l'oracolo
di Delfo aveva mandato a dire pei messi degli Epeunau-
tae, che non andassero ad abitare le terre poste fra Sidone
e Corinto, ma invece quelle del Satirio e di Taranto,
dove le onde bagnavano il tragus (Diodor, fragm. L, Vili
n. 16 ed. Mai.).
2ccTVQiov (fQci^ov Tccqavxóg ts àyXaóv vóoìq,
Kal Xijxévtt ^xaióv, xcà ortov TQÓyog àXjXvqòv ol'àjxa
'Afiipayanà ikyyiùv axQov noXioTo ysvEtov,
"Evdoc Tdqavca noiov sui 2atvQiov ^s^ccóòra.
Cotesto tQciyog doveva intendersi essere la piantolina detta
da noi salsola. La quale significazione riuscendo oscura fu
allora che il dio disse a Palante : io ti ho dato ad abitare Sati-
rio e Taranto, popolo dovizioso, e tu farai danno ai Iapigi. Le
parole dell'oracolo omesse da Pausauia si leggono in Stra-
bene (VI, 279):
^arvQióv 101 dwxa Tàvavcàrs mova drjfiov
oìxfjdai, xcà Tcrjjia 'lanvyaaai ysvs'a&ai
Postosi in mare coi Partenii di Amicle fé vela verso il golfo
di Crissa, spinto dal vento ; ma naufragò e fu un prodigio
che si salvasse , preso in dorso da un delfino che lo con-
16
124
CALABEIA
T. XCVII
dusse al porto (Paus. X e. IS). Falanto ripreso il mare
giunse finalmente al lido delle salsole, ivi combattè e vinse
i barbari Iapigi e s'impadronì di Taranto, la più grande e
la più ricca di quante barbare o sia non elleniche città
abitavano sul mare (Paus. X, 50) : Tàgarza tcòv ^ao^d-
Q(ov ilXe nsyi'OTi.v xal £v6aij.iov&aT(ÌTip' Tcòv ini daXocaOij
nólscov. Vinti e cacciati i Iapigi gli Spartani di Amicle
ebbero a combattere i Messapii e i Peucezii uniti in lega
coi Iapigi. Kiusciti ancor qui vittoriosi mandarono doni a
Delfo cbe li riconobbe. Furono questi per la prima impresa
cavalli di bronzo e donne messapiche prigioniere (Paus. X, 10);
ma per la seconda contro i Peucezii, che erano stati
aiutati da Opi re dei Iapigi, commisero un gran lavoro
a due scultori Oneta di Egina e Caneto. Questi fecero
il re Opi morto disteso in terra presso del quale posero
l'eroe Taranto, lo spartano Palante e non lungi da lui
il delfino che lo aveva salvato (Paus. X, 13): ot dì aìmf
xsiHév(-) i(f£atrjxÓT£g ò riQiag Tàgag, iati «al <PaXàv6og, ò
ix AaxsSaìixovog xal ov ttoqqùì iov <PaXdv&ov deXtpig. Qui
è luogo da dimandarsi come Aristotele abbia scritto che
tipo solenne del nummo tarantino è l'eroe Taranto figlio
di Nettuno che cavalcali delfino (Pollux, IX, 80): 'ÀQiazo-
TéXrig iv Tjj TagavTsCt'cov noXizsCa «aXalOdaC cpì]Oi vóp,iaj.ia
nad aixoXg vovi-ii-iov, ftp' ov èvrszvnàad-ai Tagavra tòv
IlotìsiSàvog SsXqiìvi Ì7io%ovnsvov. I Tarantini certamente
nel donativo mandato a Delfo non posero il delfino accanto
a Taranto , ma presso Palante , e la tradizione che narra
di Palante salvato dal naufragio per opera d'un delfino non
racconta dell'eroe figlio di Nettuno che approdasse a Ta-
ranto cavalcando un delfino. Bisogna però dire che i Ta-
rantini attribuissero a Taranto quell'avventura ohe si nar-
rava di Palante, forse anche volendo alludere all'oracolo di
Delfo.
I Partenii trasportarono seco da Amicle il culto di Apollo
Giacinto, e a costui costruirono un sepolcro (Polyb. fragni.
L. Vili, 30,2) foggiato verisimilmente ad imitazione di
quello che in forma di ara serviva di base in Amicle al
colosso di Apollo. Instituirono anche in suo onore feste
solenni, tolsero inoltre a tipo nelle monete incuse l'Apollo
G-iacinto, che rappresentarono , come ben l'intese il Duca
de Luj-nes (Ann. Instit. t. II p. 340 pi. M, 3), con la lira
nella sinistra e in atto di elevare il fiore del giacinto (ib.
pag. 24-26). Il Bocchette ammette Apollo, ma gli vorrebbe
porre nella destra la pianta satt/rion [Mém. de numism.
pag. 192), come per alludere al campo satjjrion, dove il
suo oracolo aveva ingiunto che Taranto si edificasse. Ma
si osservi che l'oggetto tenuto da Apollo colle due prime
dita e che appressa agli occhi non è una pianta quale il
satyrion, e la cynosorchis, il cui valore è nella radice, sib-
bene im fiore della specie dei giacinti.
Non sappiamo qual forma di governo introdusse Palante in
questa colonia. Possiamo però credere che si servisse di quella
degli Spartani, e probabilmente vi stabilisse un magistrato
supremo col nome di BaaiXevg e i cinque ispettori od efori,
'come gli ebbe di poi Eraclea , colonia tarantina. Uno di
cotesti efori, dava il nome all'anno e dioevasi perciò epo-
nimo. È parere dell'Avellino che il nome inscritto sulle
monete sia di quest'eforo eponimo, ma di ciò non abbiamo
prove : invece io osservo che il costume di inscrivere i nomi
dei magistrati sulle monete siasi introdotto quando si tolse
a tipo la milizia equestre, e questo mi pare che appar-
tenga all'epoca del governo militare : allora lo ffTQarijyóg era
sostituito al BaaiXevg ; lo che avvenne prima della guerra
di Pirro. Questa opinione si convaliderebbe se constando
che sulle monete s'inscriveva l'eponimo si potesse ricono-
scere alcuno degli strategi; ma noi finora non ne cono-
sciamo più di tre : questi sono Dinone, Juvmv, Archita, 'Ag-
%vrag, e Agide, '''Ayig, che non si sono ancora letti sulle
monete. Spesso non uno ma due o tre sono i nomi abbre-
viati, e un di essi talvolta è disteso, che si leggono sui
campi della moneta. Ciò vale a provare che sono nomi di
magistrati monetali , ma non è chiaro se la diversità del
numero sìa apparente o reale. L'Avellino c'invita a considerare
se possa cavarsi alcun partito dalle tavole di Eraclea, dalle
quali si rileva come ha notato il Mazocchi, ohe di ciascun
personaggio è notata la tribù (ò'/Sag detta dagli Spartani),
poi lo stemma, poi il nome personale: e però quando due
sono i nomi personali l'un d'essi deve spiegarsi per nota ge-
nealogica dell'altro. Per esempio CE TPinOYS (t)lAnNYMO$
liiriYPISKil dovrà spiegarsi così: LE (nome della tribù),
stemma, un tripode, nome Philonymus figlio di Zopyri-
scus, posto perciò in genitivo di dorico dialetto. HE KA-
PYKEION AnOAAUNIOS IHPAKAHTA: HE (nome della
tribù), stemma caduceo, nome ApoUonius Heracleti etc.
Ma cotesta considerazione potrebbe valere se le sigle dei
nomi fossero insieme unite con certa dipendenza e non
separate e sparse pei campi del dritto e del rovescio.
La monetazione di Taranto può distribuirsi in tre epoche :
la prima arcaica coi tipi dei fondatori della città ; la se-
conda nella quale domina il tipo del popolo di Taranto, SijfjLog,
la terza nella quale campeggia la milizia equestre, mentre
sugli aurei sono rappresentate le imagini del culto. Le fra-
zioni inferiori al diadrammo e la moneta di bronzo portano
queste ed altre particolarità della città e delle campagne.
I Eomaui condussero nel 631 una colonia a Taranto, città
federata , e questa colonia fu , come dicevasi allora, con-
tributa (Plin. Ili n. 99), o sia attribuita e assegnata di
modo da comporre ima città sola, che denominarono Nepl/u-
nia Tarentum.
Le prime monete dei Tarantini appartengono ad un'epoca
di transizione, siccome si fa palese dall'uso promiscuo dei
due alfabeti, l'arcaico nel quale è la lettera 3 con la' i, ed
il più recente dove si trova la 1 e la ?.
I tarantini chiamano vóf-wg, lex, ovvero voìi/.i^uog la mag-
giore unità di argento : questa da principio ebbe di peso
grammi otto, nei tempi più recenti sette e anche sei. La
metà del i'ó,«oj in vece della nota di valore si riconosce al
mezzo ippocampo, che ne è il tipo e che si vede intero nel
rói.iog predetto. Ogni mezzo vóiiog si suddivide in quattro
parti ohe si dicono oboli, ogni obolo ha sotto di sé dieci
T. XCVII
CALABRIA
125
uuilà iuforiorì, che si dicono once : il vòftog adunque vale
ottanta once. Sappiamo che in Siracusa la maggiore unità
dividevasi doppiamente ; v'era VhcinUUrion e il pentoncion,
e vuol diceva che v'era doppio sistema, quello della litra e
quello degli oboli: ciascuna litra si suddivideva in dodici
parti e ciascun obolo in dieci: la metà, della litra con-
stava di sei parti e dicevasi hemilitrion e la metà del-
l'obolo constava di cinque parti che dicevansi once e il suo
nome era pentoncion. Tutto ciò l'abbiamo daAristotele, il
quale nomina anche gli spezzati inferiori, ma non il tetranle
che però abbiamo imparato da Esichio : sono adunque que-
sti i loro nomi e i segni: rsTgàg :: TQ(àg .-. sSàg {^i'ìdrTiof ):,
e òyxi'a ■ la litra si calcola a gr. 0,87, l'obolo a gr. 0,73. A
conoscere il valore di cotesti spezzati fa d'uopo guar-
dare i globetti che sono le note: e però i\ jjentoncion ha
cinque globetti, V hemilitrion ne ha sei. Questo è sicuro :
che quanto al peso non è da fidarsene, variando in guisa
che non si può talvolta esser certi se una monetina sia
litra od obolo. Però io sostengo che non vi sono prove si-
cure della litra tarantina voluta dal Mommsen, fino a tanto
che si trovi un hemilitrion o sia una monetina notata di sei
globetti, come si trova, e si è trovato il pentoncion. La
moneta tarantina o sia il rovi.ifios sia d'argento ovvero di
oro si divide earualmente. L'unità masafiore u^uagrlia il di-
dramme attico gr. 8,73 la sua metà, o dramma, ha gr. 4,34:
indi il tetrobolo gr. 2,91, il triobolo gr, 2,18, il diobolo
gr. 1,46, l'obolo gr. 0,73. Le prime monete serbano l'ima-
gine di Satyra, ninfa locale, e di Taranto o Palante sul del-
fino: poi l'Apollo di Amido soprannominato Giacinto. A
questi che possono chiamarsi fondatori o yaiarcd succede il
SfjHog or vecchio or giovane non senza ima allusione a
nuova forma di governo : la conocchia di lana e il cratere
di vino significano i vantati prodotti del suolo tarantino.
É ancora indizio di una nuova forma di governo il ve-
dere cangiato il tipo del (fj;,«os, in quello della milizia
equestre. Sapevamo da Eliano ( Taci. 43) e da Suida (s. v.
ÌTziziy.r-), che doppie furono le armi dei cavalieri tarantini,
lo scudo e la lancia, e due o piuttosto tre i modi di com-
battere. V'erano dei cavalieri armati di aste e di scudo
(tav. XCYIII, 8, 17, 20), e costoro portavano le aste dal lato
deUo scudo, come osserva l'Hermann (Aesch. VII ad Teb.
V. 605 p. 321. Lips. 1852). V'erano di quelli, che portavano
soltanto l'asta, e questi propriamente dicevansi dooavoffÓQoi,
assalendo il nemico e combattendo da vicino. Altri porta-
vano soltanto giavellotti da scagliare: ol 'xh-, dice Suida,
dooaTiov xoòivTui, oì xaJ.ovyruL Taouvrìvoi (ib. 18): costoro
combattevano da lontano o chiamavansi dy-go^oAtozcd; e
quando erano a cavallo dicevansi InnaxovTWzaC, scrive il
sopranominato Suida, ot éè fióvov àxovTi^ovaiv, slg ystqag
Sé ToTg no),six[oig ovf_ ioyovxai, y.al y.aXovOiv iTrnccy.ovTi-
avcd. Costoro propriamente si appellavano tarantini, ló((og
TccqurvTivoi. V'erano inoltre di quei che portavano due
giavellotti che scagliavano da lontano ; ma venuti da presso
prendevano a combattere coll'asta. Di queste maniere ab-
biamo esempi sulle moneta (ib. 13, 16, 17). È probabile
che vi avessero anche arcieri a cavallo iTtnoxo^óxcci, l'uso
dell'arco e deUe frecce è certo , vedendosi queste armi
nelle mani dell'eroe cavalcante il delfino (ib. 7, 13). La
corsa con un cavallo, rò Inmxóv, ha piìi esempii sui num-
mi (ib. 1, 4) dove anche si vede quella che si faceva con
due cavalli a cambiamento da quei cavalieri che dicevansi
cqitfiJTTToi, desultorii (ib. 25). Questi montavano sui cavalli
a bisdosso e li menavano alla corsa legati insieme : xcà
ànifiTcnoi /.ih' ol ini SvoTv cIqtqo'ìtoiv OviSsSsixs'riai' ó^oi'-
,(tsj'o( (Suid. V. ÌTrjrixij). Le corse a cavallo nelle quali i
cavalcanti correndo di galoppo si passavano le lampade
accese e dicevansi Xaiunccóoógófioi, si vedono accennate in
quel solo cavaliere che porta la fiaccola accesa (ib. 13). Sotto
questo governo cominoiossi a coniare la dramma.
14. Nella collez. mia. Taranto sul delfino va a destra; dietro
TAPAi sotto conchiglia. B. Euota a quattro raggi simi-
lissimi a quelli dei carri dipinti sul vaso chiusino detto
del Francois (vedine il frammento dato dairHeydemann(/lnn.
Instit. 1868 tav. d'agg. D).
15-16. Nella collezion mia. Taranto a cavallo del delfino va a
destra e si reca un polpo: di sotto n. 15 MQAT, n. 16 TAPA^.
R. Cavallo marino alato volto a d. di sotto una conchiglia :
nel n. 15 l'epigrafe M^AT è cosi scritta al riverso.
17. Testa di donna diademata volta a d. coi capelli annodati
alla estremità in forma di pomo : dietro la testa è un globo-
letto, lì. Taranto sul delfino a d. stende la mano sinistra
e appoggia la destra al delfiuo : dietro TAPA? ili sotto un
turbine marino.
18. Testa giovanile tosata a s.; alla nuca un globetto. R. Ta-
ranto sul delfino colle braccia protese a s., TAPA? a d.,
di sotto conchiglia.
19. Testa giovanile diademata a s. chiusa come la precedente
in un cerchio rilevato. R. Taranto sul delfino protende am-
bedue le mani andando a sinistra, dietro TAPA^
20. Testa di donna coi capelli raccolti in massa sul vertice e
diademata volta a d. dietro AT. R. Mezzo ippocampo alato
volto a d. sotto conchiglia e l'epigrafe iM
21. Nella collezion mia. Testa di donna coi capelli lunghi alla
cervice e ' desinenti in un globetto volta a d. R. Mezzo ip-
pocampo alato volto a sin. sotto conchiglia ;' a d. TAPAS
22. Museo di Milano. Testa di donna coi capelli ripiegati alla
nuca e cinta di diadema volta a d. entro una corona di
lauro. R. Giovane nudo Palante sul delfino colle mani pro-
tese andando a destra, di sotto una conchiglia, dietro MJIAT
23. Nella collezione Luyues. Taranto sul delfino a destra: die-
tro ^flJIflT retrogrado. R. Lo stesso tipo incuso, dove Ta-
ranto va a sinistra, e la leggenda TAPAS va da sinistra
a destra.
24-26. Giovane nudo genuflesso diademato volto a sin. con lira
nella sin. in atto di accostare im fiore aperto agli occhi,
davanti 5AJIAT. R. Lo stesso tipo in incavo. L'esemplare
24 è nella coli. Luj'nes, il 25 in quella del Dupré, il 26
è nel gabinetto delle medaglie a Parigi. Tutti e tre que-
sti didrammi hanno presso la mano desti'a a minutissime
lettere nro dal Kochette supplito mohoì'xog.
126
CALABRIA
T. scvm
27. Uomo barbato coi capelli lunghi vestilo di semplice pallio
alla esomide sedendo ha nella sin. una conocchia di lana
nella destra un vaso a due manichi volto a d. dietro TAPA5
R. Taranto sul delfino stende le mani a destra, sotto la
conchiglia a sin. ^AQAT
28. Uomo barbato sedente volto a sin. e sdraiato l'a-
scella sinistra col bastone : veste un semplice pallio che lo
involge lasciando nuda la metà superiore: ei solleva la
destra mostrando la conocchia di lana: intorno al campo
è una corona di lauro. B. L'eroe Palante come nei nn. 27,
28: l'epigrafe è Idni/IITl/lAqAT
29. Giovine involto a mezzo nel pallio sedente a d. in atto
di appoggiar la destra ad un bastone e tenere colla d.
un vaso a due manichi : dietro logoro. R. Taranto sul del-
fino protende le mani a sin. sotto la conchiglia, dietro
TARA5
30. Giovane sedente con bastone alla s. e conocchia di lana
nella d. B. Taranto sul delfino va a d. e protende la mano
sinistra appoggiando al delfino la destra, sotto la conchi-
glia, intorno TAPANTINilN
81. Giovane sedente involto a mezzo nel pallio con nella de-
stra protesa un vaso .e il tridente nella sinistra. R. Taranto
sul delfino che va a destra portando nella destra un polpo:
di sotto al delfino è una conchiglia; l'epigrafe manca (Hun-
ter, Tav. LV n. 7).
32. Nella collez. mia. Giovane nudo sedente sul pallio gittate
sulla coscia destra alla bestiuola che è forse un gatto
e si è levato sulle due zampe, mostra per giuoco e tra-
stullo un bastoncello coi lucignoli di lana intorno avvolti
aizzandolo alla presa, mentre nella sinistra pendente perla
il ^uaTQoXì'jxvdor, ossia un vasellino di olio insieme con
una striglie, strumenti da bagno e di palestra. /?. Taranto
sul delfino a sin. con in capo un elmo cristato, una parma
nella sin. e una pianta nella destra : di sotto è un tonno,
intorno al campo TAQAUTINil. Quella bestiuola che ho
dubitativamente chiamato gatto si è da me procurato col-
r aiuto di altri esemplari che fosse bene espressa: a me,
come sembrò al sig. Lenormant, pare un gatto.
33. Giovane sedente sul pallio come quello del n. 32 ; ma sul
dorso della destra porta un uccello e nella sin. dimessa
una conocchia di lana. R. L'eroe sul delfino a sin. imbrac-
cia uno scudo beotico, la destra è fuor di conio : sotto vi
è la conchiglia.
34. Parigi gab. delle med. (Raoul-Eoch. Meni, numism. p. 1,
IV n. 34). Giovane sedente involto a mezzo nel pallio
poggia il pie' destro sull'imbasamento di un sepolcro, il cui
coperchio è di forma piramidale. R. Taranto sul delfino e
va a sin. con un aplustre nella destra e la sinistra appog-
giata sulla fiera che cavalca.
Tav. XCVIII.
1. Taranto sul delfino e vi appoggia la sinistra portando nella
destra ima pianta a tre foglie e breve stelo (Plin. H. N.
XXVI, 19, 62, 63) qual è il Satyrion ; di sotto TAPA«. R.
Giovane nudo a cavallo di gran galoppo volto a d. di sotto
al ventre del cavallo I
2. Taranto sul delfino a sin. con un vaso a due manichi nella
d. sotto TAPAS. R. Giovane nudo che agita il frustino
esercitando il cavallo.
3. Taranto sul delfino volto a sin. scorrendo sui flutti con un
ramo nella sin. R. Giovane equestre con frusta nella d.
della quale si vede chiaro il mozzone già quasi ultimo sver-
zino, che serve a fare gli schiocchi: i suoi capelli son le-
gati in un ciuifo sul vertice alla xÓQVfi^og.
4. Collezione Sant. Taranto sul delfino in mare tempestoso va
a d. protendendo la sinistra. R. Giovane equestre che va
a d. appoggiando la d. sul dorso del cavallo.
5. Nella collezion mia. Taranto sul delfino va a sin. recando
nella d. un vaso a due manichi, di sotto, TAPA5 R. Pan-
tino a cavallo coi capelli legati in forma di pennacchio sul
vertice : davanti a destra v'è un erma d'uomo barbato, fra
le gambe del cavallo sono due spighe di grano sui loro
gambi.
6. Taranto assiso sul delfino in attitudine mesta, di sotto
R. Giovane sul cavallo che va di passo a sin. Egli è nudo
ed imbraccia un clipeo: tra le gambe del cavallo A.
7. Nella collezione mia. Taranto sul delfino volto a destra con
arco e freccia nelle mani: sotto un elefante, sopra TAPA$
R. Giovane nudo che stando davanti al cavallo colla sin.
ne ritiene le briglie e al fantino ohe lo cavalca parla col
dito disteso, come chi prescrive: tra le gambe del cavallo
API^Tin dietro al fantino TV.
8. Taranto sul delfino che scorre sulle onde del mare porta un
tridente: a d. TAPA^ sotto al delfino K. R. Giovane a ca-
vallo armato di galea crestata, di clipeo e di lanciotto.
9. Taranto sul delfino con una conchiglia in mano, di sotto TA
e TAPAS. R. Fantino nudo con parma e lanciotto in atto
di saltar giti dal cavallo, sotto P.
10. Nella coli. mia. Taranto sul delfino con parma, sulla quale
è l'insegna di un ippocampo e due lanciotti nella sin. so-
stiene sulla destra una Vittorietta che l' incorona, dietro
TAPA5, a sin. FY. R. Due giovani nudi a cavallo con semplice
clamide svolazzante sugli omeri; uno ha la clava nella sin.:
nel mezzo (JJY in mon.; fra le gambe dei cavalli: KAAAIN
11. Nella coli. mia. Taranto seduto a sin. del delfino nuotante
con parma e tridente, dietro TAPAS:, sotto al delfino A.
R. Cavallo stante volto a d. con un giovane nudo che sta
per montarvi sopra ed è armato di elmo crestato, di cli-
peo e di lancia a cui si appoggia: a destra è un h.
12. Da un calco. Taranto sul delfino con capelli lunghi che
gli cadono sull'omero sinistro con conocchia di lana nella
sin. e grappolo d'uva nella d. sull'omero destro, di dietro
a destra ANO, di sotto al delfino TAPAS. R. Giovane a
cavallo con elmo crestato, due lanciotti e un clipeo deco-
rato di un astro, dietro /V\, sotto al cavallo l-l e presso
all'orlo inferiore ADOAA...
13. (Carelli, tav. n. 151). Taranto sul delfino col capo coperto
di una causia recando frecce nelle due mani: a destra
TAPAS, a sin. XP in mon., sotto al delfino un vaso a due
T. XCIX
CALABEIA
127
manichi e A. 7?. Giovane nudo che corre a cavallo por-
tando una fiaccola accesa nella d. sotto hHPAKAH.
14. Nel museo di Vienna. Taranto sul delfino, coronato con
tridente nella sin. e porta un vaso a due manichi nella d.
allato S, sotto TAPAS. R. Due giovani] a cavallo coperti
di elmo e con clamide aifil>biata sull'omero vanno di ga-
loppo a destra, nel basso NIKYAOS.
15. Taranto sul delfino con tridente appoggiato all' omero de-
stro e parma nella sin, insignito di un ippocampo alato :
■ avanti 01 dietro TAPA^ : sotto conchiglia turbine. E. Gio-
vane a cavallo armato di elmo cristato, di scudo, di due
lanciotti e in atto di scagliare un terzo lanciotto va di ga-
loppo a destra : sotto AAl.
16. Nella coli. mia. Taranto sul delfino a sin. con conocchia di
lana, nella d. Un ciuffo dei lunghi capelli egli porta ele-
vato sulla fronte : dietro TAPAS, di sotto vi è la prua di
una nave. R. Giovane nudo a cavallo con clipeo, due lan-
ciotti e in atto di scagliarne un terzo : sotto TA.
17. Nella coli. mia. Taranto sul delfino a d. con in mano una
galea fornita di visiera, paraguatidi e ad alta cresta e die-
tro TAPAS, sotto 01. R. Giovane nudo a cavallo con cli-
peo, due lanciotti e in atto di scagliarne un terzo. Nel
campo AA, sotto al cavallo KAA e $1.
18. Nella coli. mia. Taranto sul delfino volto a sin. con un cor-
nucopia nella sin. e un vaso a due manichi nella d. nel
campo a d. un tripode, sotto TAPA^. R. Giovane a ca-
vallo armato di corazza in atto di scagliare un giavellotto,
dietro ima corona di lauro, sotto OAYMPIS.
19. Taranto sul delfino nuotante a sin. eleva la destra con un
oggetto a destra 1AT, sotto una conchiglia. R. Giovane
a cavallo con in capo un elmo a larga gronda e acumi-
nato vestito di tunica esomide, che lancia un giavellotto.
20. Coli. Luynes. Taranto sul delfino nuotante con clamide svo-
lazzante, con tridente sull'omero destro volto a sin. coro-
nato dalla Vittoria: sotto al delfino A a d. TAPA^. B.
Giovane a cavallo armato di elmo crestato, e di clipeo,
e di un lanciotto che porta nella destra, ha indosso la cla-
mide, sotto al cavallo AA.
21. Taranto sul delfino nuotante con elmo trifale in capo e
tridente appoggiato sull'omero destro solleva colla sinistra
la sua clamide: di sotto è un polpo a sin. TAPA^ a d.
Sii in monogramma. R. Giovane a cavallo volto a destra
va di trotto : è armato di elmo trifale, di corazza, di para-
zonio sotto l'ascella sinistra, di clamide e solleva in alto
la destra: dietro TK in mon. e un campanaceio di sotto
SENOKPATHS:.
22. Taranto sul delfino col tridente nella sin. è coronato dalla
Vittoria: alato ^E, sotto TAPAS. R. Uomo barbato a ca-
vallo armato di corazza e clamide andando di galoppo a
destra si volge di fronte e spande la destra mentre è co-
ronato dalla Vittoria, ^disotto KAAAKPATHS (cosi) e in mi-
nutissimo carattere, a sin. vi si legge EFIKPA in un mono-
gramma sul quale è una luna crescente.
23. Taranto siede di prospetto sul delfino volto a d. e dà un
colpo di tridente ad un pesce che guizza sulle onde: a d.
TAPAi. a sin. C e una lamina quadrata. R. Giovane nudo
che rattiene il cavallo del fantino il quale è coronato dalla
Vittoria: sotto il cavallo I
24. Nella coli. Lippi in Biccari. Taranto siede sul delfino che
nuota a sin. e porta una parma nella sin. e nella d. un
vaso: a d. TA, sotto il delfino P. R. Fantino che corona
il suo cavallo mentre un giovanetto in ginocchio cava l'xm-
ghia del pie' sinistro anteriore : davanti (j).
25. Nella coli, mia Didrammo foderato. Taranto sorto in piedi
punta un ginocchio sul dorso del delfino nuotante e te-
nendo nella sinistra la parma e due lanciotti stende a sin.
la mano : ivi TAPAS e lOP. R. Una vittoria alata con ciiiifo
di capelli legato sul vertice fattasi incontro al cavallo, il
trattiene: il cavaliere che vi sta sopra è armato di galea
crestata, e di parma con due lanciotti.
26. Taranto sedente di prospetto sul delfino scaglia un colpo
di tridente ad un pesce che nuota fra le onde, a sin. TA-
PAS, a d. A. R. Due cavalli volti a sin. con un fantino
desultor che cavalca ed è coronato dalla Vittoria, sotto 01.
27. Taranto sul delfino volto a d. con tridente nella sin. e cor-
nucopia nella d. dietro un oggetto simile ad un suggello
in lamina; sospeso per un manico, sotto TAPAS. R. Pan-
tino a cavallo volto a d. coronato dalla Vittoria: davanti EYN,
sotto AAMOKPIT
28. In mezzo ai flutti del mare dai quali è tutto intorno cinto
il campo, Taranto siede sul delfino volto a d. egli di pro-
spetto ferisce di un colpo di tridente un pesce : a destra
TAPAì. R. Fantino corona il cavallo che trotta a destra
mentre egli è coronato da ima Vittorietta sospesa a volo,
tra le gambe del cavallo AP.
Tav. XCIX.
1. Taranto sul delfino volto a sin. con una conocchia di lana nella
sin. ha capelli lunghi e scendenti sugli omeri, e stivaletti
ai piedi: dietro ANO di sotto al delfino TAPA? R. Giovane
nudo sul cavallo che va di trotto: ei si corona: dietro i.Sl
sotto il cavallo SAAO e un capitello gionico sul collarino
della colonna.
2. Mia coli. Taranto sul delfino volto a sin. in atto di lanciare
un colpo di tridente avendo la sua clamidella sul braccio
sinistro disteso: dietro ha una civetta, nel busto TAPA$.
R. Fantino che andando di trotto a sin. corona il suo ca-
vallo : dietro EY tra le gambe del cavallo AYKINO^
3. Taranto sul delfino a sin. con tridente nella sin. e nella d.
ivi E e a destra un erma barbato; sotto il delfino TAPAS
R. Vittorietta che corona il fantino nel mentre egli corona
il suo cavallo ohe trotta a destra : davanti K tra le gambe
APl«TOKPATH?
4. Coli. Sani. Taranto sul delfino a sin. con vaso nella d., die-
tro MY in mon. R. Giovine nudo a cavallo con palma lemni-
scata nella d., dietro S, in basso APISTIP, di sotto TAPAì.
5. Nella coli. mia. Dramma. Taranto sul delfino a sin. con tri-
dente nella d. e Vittorietta che l' incorona nella sin. da-
vanti EflIK in monogramma, nel basso TAPA^. R. Fantino
128
CALABKIA
T. XCIX
che va di trotto sul suo cavallo verso la destra e tenendo
nella sin. un ramo di palma lo incorona : tra le gambe del
cavallo KPITO$
6. Dramma di mia coli. Taranto sul delfino nuotante a sin. con
vaso a due manichi nella d. e tridente nella sin. : dietro
un' aquila che spiega le ali, nel basso TAPAS. R. Cava-
liere armato di corazza e d'elmo con palma lemniscata nella
destra va di trotto verso la d. fra le gambe del cavallo
^nKAIMNA^
7. Nella coli. mia. Dramma. Ilaranto sul delfino a sin. con
cornucopia nella sin. e Vittorietta che l'incorona nella d.
nel basso TAPA^ R. Fantino che incorona il cavallo che
va di trotto a sin. a d. IH tra le gambe ^SHFENHl
8. Dramma di mia coli. Taranto sul delfino a sin. con oggetto
incerto nella d. e tridente nella sin. dietro HPA nel basso
TAPA^ R. Fantino che corona il suo cavallo stante fermo
e volto a d. a sin. KAH tra le gambe del cavallo SHPAMBOS
9. 10. Testa di donna diademata a sin. e al n. 9 con pendenti agli
orecchi. R. Fantino che corona il cavallo andando di trotto
a d. tra le gambe TA e nn delfino ; e al n. 10 un cornu-
copia a sin.
11, 12. Testa barbata e cinta di diadema ornato di un ramo
d'ellera volta a d. R. Civetta di fronte e lettera A a d.
nel n. 12 vi si aggiugne a d. INVANII!
13. Testa di Pallade con elmo attico insignito del mostro Scilla
a sin. R. Civetta a sin. iQ. a d. KNVANin
14-19. Testa di Pallade con elmo attico ornato del mostro Scilla
volto a d. R. Civetta stante sopra un ramo di olivo ed ha
a sin. NEYMHNIOS, da destra POAY; nel n. 15 è H?TIA-
PXO? La civetta sta sopra un fulmine ed ha a destra
EY e un bel grappolo d'uva; nel n. 16 sta sopra un ca-
pitello gionico ed ha a destra TAP ; nel n. 17 ha sotto
gli artigli un serpe, in alto l'epigrafe (TA>PA(NTI)NilN e
a d. iSl, essa -ha le ali aperte; nel n. 18 ove la nottola
ha davanti un ramo di olivo vi si legge TAP e a d. lOP
nel n. 19 al dritto, che solo si rappresenta, essendo il ri-
verso simile al n. 18, la Pallade sta quasi di fronte, qual'è
nel Carelli (Tav. CXY), l'elmo è TQi'cfa^.oc, e a d. il mon. \E.
20-24. Testa d'uomo ovvero di donna talvolta coi capelli tagliati
corti e volta or a destra ora a sinistra. R. Conchiglia.
25. Testa di Ercole coperta da pelle di leone. R. Delfino.
26. Coli. Luynes. Pennecchio di lana attorno ad un bastoncello
dentro corona di lauro. R. Clava ed arco (Avellino, RuU.
arch. nap. 1, Vili, 2).
27. Ippocampo: di sotto una mezza luna (Avellino, RuU. arch.
nap. 1, VII, 10). R. Aratro e sopra una mezza luna.
28. Coli. Luynes. Delfino volto a sin. coronato dalla Vittoria.
R. Conchiglia.
29. Coli. Luynes. Delfino volto a d. e di sotto un Palladio e A
R. Conchiglia.
30. Museo Britannico. Conchiglia. R. Ruota (Poole, Catal. p. 168
n. 58).
81. Vaso scanellato ad un manico. R. Aquila di prospetto ad
ali aperte dentro una corona di lauro (Carelli, n. 372).
32. Conocchia di lana, di sotto AT. /?. Conchiglia (Carelli, n. 76).
33. Museo di Londra. Kuota a quattro raggi ripetuta nel ri-
verso (Poole, Catal. p. 168 n. 68).
34. Museo di Londra. Conchiglia. R. Ruota a quattro raggi
(Poole, Catal. p. 168 n. 69).
35. Coli. Luynes. Delfino, conchiglia, M51AT R. Ippocampo
alato e MSfltT. a sin.
36. Delfino a d., di sopra MSAT, di sotto conchiglia R. con-
chiglia.
37. Coli. Luynes. Taranto sul delfino volto a d. con in mano
la conocchia di lana, sotto TAPA^ R. Cavallo frenato che
corre ad. sopra TA (Carelli, tav. CXVH n. 324); cf. Mil-
lingen, Ano. coins, 1, 18).
38. Taranto a sin. con corno potorio nella d. e ramo di palma
nella d. R. Conchiglia pecten (Carelli, tav. CXVII, 288).
39. Coli. Luj'nes. Taranto sul delfino volto a sin. con vaso nella
d. e conocchia di lana nella sin. ad. S R. Conchiglia
(Carelli, n. 287).
40. Testa di donna volta a d. R. Delfino, pesce e TA (cf. Raoul
Roehette, Méin. de nwmism. 'pl. I, 10).
41. Nella coli. mia. Testa di donna con chioma alla nuca, cinta
di laurea volta a d. R. Ruota a quattro raggi.
42. Dalla coli, mia, ora nel parigino gabinetto delle medaglie.
Testa di Ercole giovane coperta dalla spoglia del leone volta
a d. R. Pallade armata di elmo e di clipeo in atto di tirare
un colpo di lancia volta a sin. davanti DK in mon. Questa
monetina mi fu mandata da Gallipoli. Il Millingen ne incise
un altro esemplare nella tavola non illustrata pl. Ili, n. 5.
43. Nella coli. mia. Testa di Pallade volta a d. R. Ercole fan-
ciullo strozza i serpenti, a sin. MY in mon. (cf. Millingen,
Recueil. t. I, 13), nell' esergo un fulmine.
44. Nella coli. mia. Testa di Pallade quasi di prospetto. R. Er-
cole che lottando con Anteo l'ha sollevato da terra e lo
stringe alla vita colle robuste braccia: a d. (J)l (Carelli,
tav. CXVI, 282).
45. Nella coli. mia. Testa di Pallade coperta di aulopide crestata
con lacci pendenti. R. Ercole che doma i cavalli di Diomede :
nel campo TA, ed MY in mon. (Carelli, tav. CXVL 283).
46. Nella coli. mia. Testa di Minerva con elmo corinzio volta
a sin. R. Ercole ritenendo il leone per la coda gii dà un
colpo di clava e; a d. l'epigrafe TAPA?
47. Nella coli. mia. Testa di Pallade di prospetto coperta del
trifale ornato del mostro Scilla. R. Ercole che ritenendo il
leone per la coda e puntandogli il ginocchio sul fianco gli
dà un colpo di clava: nel campo a destra un tripode.
48. Nella eoli. mia. Testa di Pallade di prospetto coperta da
un aulopide con due creste laterali. R. Ercole di prospetto
strozza a destra il leone; nel campo a s. è la clava e di
sotto im oggetto simile ad ima pelta, fra le gambe AP in
mon. a d. TAPA..
49. Testa di Pallade con aulopide crestata volta a sin. R. Ercole
stante che soffoca il leone, a d.la clava, a sinistra l'epigrafe
TAPANTl(NilN)
50. Testa di Pallade coperta di semplice elmo attico volta a d.
R. Ercole di prospetto soffoca il leone; a d. TAPANTINnN
tra le gambe di Ercole f a sin. la clava.
T. C
CALABEIA
129
51. Tesla di PaUade con elmo attico ornato di un ippocampo
alato. R. Ercole che col braccio sinistro soffoca il leone e
coUa destra mena la clava: a sin. arco e faretra (Carelli,
t. CXVI n. 244).
52. Testa di Minerva simQe alla precedente : di sotto al mento A
R. Ercole coronato che soffoca il leone : a sin. TAY in mon.
e la clava.
53. ìfeUa coli. mia. Ercole quasi di fronte coperto dalla pelle
di leone e con la elava da presso a sin. R. Simile al n. 51:
di sopra (T)A, tra le gambe d'Ercole (p
Tav. C.
1. Coli. mia. Testa di Pallade a d. coperta di elmo attico or-
nalo del mostro Scilla. R. Ercole aggruppato che posata la
clava coUe braccia soffoca il leone. Sul dorso di lui si legge
in carattere minutissimo A$XO. Una civetta posa sul
tergo del leone (cf. Carelli, tab. CXVI, 276).
2. Testa di Pallade coperta di elmo attico coronato di olivo volta
a sin. R. Ercole coronato in ginocchio con la elava nella d.
soffoca colla sin. il leone.
3. Testa di Pallade a d. coperta di elmo sul quale sono distri-
buiti tre fiori e nel basso presso la gronda Ve im A i?. Er-
cole come nel n. 2 a sin. (TAR)ANTlNilN.
4. Testa di Pallade a sin. con elmo ornato d'un dragone : dietro
la nuca K R. Ercole in ginocchio e di fronte con la clava
nella d. soffoca il leone.
5. Testa di Pallade coU' ippocampo alato sull'elmo volta a d.
R. Ercole deposta la clava con ambe le braccia soffoca il
leone.
6. Testa di Pallade con l'aulopide crestata volta a d. fl. Ercole
stante in piedi e di prospetto con ramo pomifero si ap-
poggia alla clava, avendo la spoglia del leone suUa sinistra:
a sin. i
7. Testa di Pallade con elmo attico ornato di un grifo volta a
d. R. Ercole sedente sulla spoglia del leone appoggia col
ginocchio destro la clava: a sin. si legge TAPANT
8. Gambaro o locusta fi^a due opposte lettere >i- R. Conchiglia.
9. Mensa, o sedia e tra i piedi un K e un ramoscello. R. Simile
mensa o sedia. Il Minervini avverte che in altra monetina si
lesse dall' AveUino TA, che confermò l'attribuzione da lui fatta
della prima {Oss. pag. 113). Or. il sig. Imhooff-Bl. (ilonn.
gr. I, 3) ne descrive un'altra, dove sotto alla mensa o
sedia v'è un -T- e nel riverso di sopra la sedia, TAPA, di
sotto T, nei lati T — E, e nell'esergo I.
10. Lira. R. Sedia o mensa fra i cui piedi TA e un uccello che
batte le ali (cf. Imhoff Bl. Monn. gr. I, 2 81 gr. 0,98).
11. Conocchia di lana fra due astri, una mezza luna e TA R. Sedia
forse sacra, cioè votiva, vedi la nota alla Storia deW arte
cristiana, voL I, t. 216. Il sig. Imhooff-Bl. descrive que-
sto nummo (J/onn. gr. p. 2, 4) dal Museo di Berlino, e
gli dà di peso gr. 0,81, e nota che il Sambon ha preso quella
sedia che è al d. per letto; U Minervini ed altri per una
mensa.
12. Testa di donna volta a d. R. Lanterna che ha di sopra in
13.
14.
15.
16-
19.
20.
21.
22.
23.
2.5.
26.
27.
28.
29.
31.
32.
33.
cima al coperchio un fiore a tre foglie sormontate da un
uccello ; a sinistra una massa pendente di grossi fili a guisa
di fiocco (cf Minervini, Oss. tav. V, 4 a).
Vaso a due manichi tra le lettere Yi R. Lettera f entro
corona di lauro.
Vaso a due manichi. 7?. P in mezzo ad una corona di lauro.
Vaso ad un manico. R. Lettera P dentro una corona di
lauro.
18. Due protome di cavalli accoppiate nel dritto e nel ri-
verso. Queste sono invece accollate nel n. 16 e al dritto
vi si vedono aggiunte due mezze lune unite dalla parte
convessa di sopra e di sotto delle due protome, nel riverso
n'è un N di sotto. 11 n. 17 pone al dritto le due pro-
tome accollate, al riverso le medesime accoppiate.
Protome di cavallo frenato ripetuta al riverso dove ha a
destra un Palladio.
Protome di cavallo libero al dritto e al riverso : ma i crini
del collo variano rabbuffati e svolazzanti sul dritto, dimessi
sul riverso.
Vaso a due manichi. R. Verghe decussate e K
(Minerv. Oss. T. VI, 5 pag. 116). Vaso a due manichi ri-
petuto al riverso: nel dritto vi si legge KA: nel riverso
si hanno tre globoletti segno del valore. Di qui comincia
la serie delle monete portanti segni di valore.
Testa di bue posta di fronte a sin. X R. Vaso a due
manichi fra quattro globoletti. Nel n. 23 vi ha un globo-
letto sulla testa di bue e i globoletti del riverso sono cinque.
Vaso e due manichi fra cinque globoletti. R. Ancora lau-
reata fra ciaque globoletti.
Vaso a due manichi fra cinque globoletti ripetuto al riverso.
Vaso simile ripetuto fra tre globoletti.
Vaso simile al dritto e al riverso: ma al dritto è in mezzo
ad un globoletto, un astro, e tm cagnolino : al riverso sta
fra tre globoletti.
30. Tipo simile al precedente ; ma nel n. 29 sta il vaso fra
due globoletti e un tripode, nel riverso fra due astri. Xel
n. 30 al dritto ha un globoletto e un ramo, al riverso è
privo d'ogni segno.
Testa di donna posta di profilo e rappresentata come cinta
di serpenti. R. Vaso a due manichi in mezzo a tre glo-
bettini dei cinque che avrebbero dovuto essere a conio intero.
Testa di donna volta a destra entro una corona composta
di segmenti di c.erchio che di certo debbono significare la
pelle di capra, aegis. R. Vaso a due manichi in mezzo a
cinque globoletti e sormontato da un €
Testa di donna volta a sin. in mezzo a cinque globoletti.
R. Lanterna con lacci da portarla sospesa : sta in mezzo a
cinque globoletti. Il Minervini (^Oss. Tav. V, 4) ne pub-
blica una simile, dove però alla testa del dritto volta a sin.
spunta un corno sulla fronte e vi sono quattro globetti.
Nel riverso è una piccola torre e vi apparisce un solo glo-
betto. n Minervini (Oss. pag. 114) ravvisa sul dritto l'ima-
gine del fiume Taras: e dove si vede una testa di donna
stima che sia Satura. Vede al riverso una torre, o un fero ;
ma non intende a che le tenie (p. 116) se non sono segnali.
130
CALABRIA
T. C
34. Nella coli. mia. Testa di donna coi capelli alla nuca rac-
colti sotto la così detta opistosphendone. R. Torre con lan-
ternino acuminato sul quale poggia un uccello : dal muro
pendono lacci. Simile a questa è la monetina data dal
Minervini {Oss. tav. V n. 4(3), nel cui tipo riconosce una
torretta.
35. (Minerrini Oss. tav. Il, 14, 16). Testa di Pallade cinta di
diadema, col quale ritiene raccolte alla nuca la massa dei
capelli, posta sopra la sua egida. R. Clava ed arco fra cinque
globoletti. Nella collezione del principe Spinelli vi si leg-
geva TA. Il Millingen nel Suppl. pi. 1, 6, e il Poole nel
Catal. p. 227, 228 n. 33, 26 l'attribuiscono ad Eraclea.
Il Minervini che l'aveva prima dato ad Eraclea (1. cit.
p. 120) la concesse poi a Taranto a motivo dell'esemplare
del principe di S. Giorgio che reca l'epigrafe TA. Nondi-
meno, ove l'epigrafe manca gli pare che si possa dare anche
ad Eraclea. Ma egli non considera il sistema tarantino dei
globetti, che non ha riscontro in Eraclea.
36. Testa di donna simile alla precedente. R. Cinque globoletti.
37. 38. Due mezze lune accostate dalla parte convessa fra quattro
globoletti. R. Lo stesso tipo: nel n. 39 i quattro globo-
letti si cambiano in quattro astri.
39. Conchiglia. R. Euota a quattro raggi con quattro globoletti
(Eiorelli Mon. ined. 1, 14).
40. Due mezze lune opposte fra quattro globoletti. R. Àncora
fra due mezze lune e uno dei quattro globoletti del conio
non intero (id. I, 19).
41. T fra tre globoletti. R. Conchiglia (Carelli, tav. CXVIII
n. 393).
42. T fra tre globoletti ripetuto al riverso (id. n. 394).
43. Due mezze lune opposte e due globoletti. R. Conchiglia.
44. Conchiglia. R. Globulo nel centro e tre globoletti intorno
(Avellino, Rull. II, 11, 9).
45. Faretra, clava e T. La Descriptio del Carelli n. 806 aggiunge
un H a sin. e legge insieme W: ma cotesto H è omesso
nella tavola CXVIII, onde ho io tratto il mio disegno R.
Due mezze lune opposte e due globoletti (Carelli, 383).
46. Clava fra due mezze lune e due globoletti. 7?. Faretra fra
due mezze lune e due globoletti (Carelli, ib. n. 304).
47. Mia collezione. Due mezze lune in contrario ed un globo-
letto al dritto e al riverso del peso di gr. 0,20 (Car. ib. 487).
48. Tutti cotesti aurei sono stati presi da me a calco in varie
collezioni. Testa di Nettuno coronata di lauro, volta a sin.;
alla nuca N< R. Aquila che con ali aperte poggia sul ful-
mine volta a d. davanti vi si legge TAPANTlNflN, e vi
si rappresentano due stelle e due anfore: di sotto al ful-
mine NIKAP
49. Testa di donna ornata di sfondone, di orecchini, e di col-
lane con legger velo gittatole sopra. È volta a d. ed ha
davanti un delfino e alla nuca un E R. Nettuno velato a
mezzo del pallio, sedente con in mano il tridente ha da-
vanti il piccolo Taranto, che leva verso di lui le mani:
è volto a sin. ed ha davanti l'epigrafe TAPANTINUN a
destra una stella sotto la sedia K e fuori un h Taranto è
nudo, salvo un piccolo pallio tragittato dietro le spalle.
50. Testa di donna simile alla precedente, ma volta a sin. con
intorno tre deliìni e davanti TAPA R. Fantino volto a d.
che cavalcando corona il suo cavallo, mentre egli è coro-
nato da una vittorietta volante : davanti è un delfino, .tra
le gambe del cavallo ^A e un'astro: nell'esargo TAPA$
51. Testa di donna uguale a quelle dei numeri 49, 50 volta
a d. ha davanti un delfino e TAPA, alla nuca lOP R.
Fantino nudo che cavalcando corona il cavallo, fra le cui
gambe è un tripode.
52. Testa di donna in tutto simile alla precedente anche pel
TAPA e il delfino che ha davanti a d. R. Cavaliere che
galoppa a d. imbracciando un clipeo e con la sin. armata di
due aste, mentre ne lancia ima terza : davanti a d. è un ful-
mine, sotto al cavallo l'epigrafe APOA
53. Testa di donna fra due delfini volta a d.; sotto al collo vi
si legge AY, e davanti TAPA R. I due Dioscori che caval-
cano a sin. sono nudi e accompagnati dal loro astro: nel-
l'esergo ^A
54. Testa di donna simile al n. 53 volta a d. sotto al collo vi
si legge AIKOAA chiaramente in luogo di NIKOAA R. I due
Dioscori, che cavalcano a sin. l'uno pone una corona in
capo al cavallo, l'altro porta un ramo di palma lemniscate,
dal quale pende una corona: in alto v' è il loro nome
AlOSKOPOl
55. Testa di Ercole giovane coperta dalla spoglia di leone volta
a d. R. Taranto con la clamidetta gittata sull'omero sini-
stro e il tridente in mano, che montato in biga di cavalli li
guida a destra: di sopra TAPANTINilN, fra le gambe
dei cavalli SI, di sotto ai piedi un fulmine
56. Testa di Ercole giovane volta a d. coperta della spoglia
di leone R. Taranto nudo montato in biga di cavalli con
tridente nella sinistra: di sopra EPPO, di sotto ai piedi
dei cavalli (TA)PANTIIMilN
57. Testa di donna a sin. con capelli legati sul vertice cinta
di tenia, ha pendenti agli orecchi e filza di perle al collo :
dinanzi un delfino e AIAT, alla nuca iA
58. Testa di donna volta a d. con capelli raccolti intorno, e
cinti da sfondone, ha pendenti agli orecchi e filza di perle
al collo: davanti si legge: TAPANTlNilN R. Taranto
cavalca il delfino a sin. portando il tridente nella s. e un
delfino nella d.; a destra TAPA^, di sotto hK
59. Testa di Pallade coperta di aulopide crestata e ornata con
grifo volta a d. R. Taranto con pallio svolazzante e tri-
dente nella sin. montato in biga di cavalli va a d., in alto
una stella.
60. Testa di Pallade come al n. 59, davanti TAPANTINilN
R. Taranto su biga di delfini a d. dietro le spalle i in
alto TA
61. Testa laureata di Apollo volta a d., dietro la nuca N< R.
Aquila sul fulmine ad ali spiegate volta a d., intorno
TAPANTINAN, a d. S, di sotto al fulmine lA
62. Testa laureata di Apollo a sin. davanti un delfino e ^A,
a d. TAPAè R. Ercole che combatte il leone a colpi di
clava, arco e faretra a sin. e in basso h
63. Testa di donna descritta al n. 58 volta a d.; alla nuca K
T. C[
LUCANIA AUSTEALIS
131
B. Taranto sedente di fronte con rocca nella d., sulla quale
è avvolta la lana, e un cerchio forse di lana filata nella
sin.; in basso un delfino, a d. TARA?.
64. Testa di Ercole giovane coperta dalla spoglia di leone a d.
R. Taranto con tridente nella sin. e orciuolo nella d. cavalca
il delfino a sin. di sotto TAPA^.
65. Testa di Pallade come al n. 60 volta a d., davanti N(.
R. Civetta ad ali spiegate sul fulmine e a destra APOA.
66. Testa di donna coi capelli raccolti in ceroMo volta a d.
davanti KA. 7?. Vaso a due manichi e intorno TAPAN.
67. Testa del sole di fronte coronata di raggi. R. fulmine e TAP
di sopra, AP di sotto.
68. I tipi medesimi, ma l'epigrafe di sopra TAPAN, di sotto APOA.
Notò già il Millingen la somiglianza di questi tipi con
quelli di una monetina pur di oro del re Alessandro di
Epiro {SuppL aux Considerai, pi. 11 n. 56 pag. 7).
Tav. ci.
1. Testa di G-iove laureata volta a d. R. Vittoria volta a d. por-
tando un fulmine: TAPANTINAN.
2. Simile testa, di dietro un grano di orzo. R. Vittoria con in
mano una corona va a d. : ivi TAPANTINilN.
3. (Carelli n. 398). Simile testa. E. Vittoria che adatta un pli-
peo ad im trofeo di armi: a sin. TAPANT.
4. Testa simile. R. Vittoria che incorona un trofeo di armi
stando a pie' di esso il clipeo : a sin. TAPANTINillM.
5. Taranto sul delfino con vaso a due manichi nella d. e cornu-
copia, nella sin. va a sin., di dietro TAPAN. R. Conchiglia.
6. Testa di PaUade con aulopide crestata volta a d. R. Ercole
che volto a sin. soffoca il leone: a d. la clava e TAPAN.
7. Testa simile alla precedente, dietro spiga di grano. R. Ercole
assiso sulla pelle del leone appoggiando la sin. alla clava
stende la destra con im bicchiere [foculum) senza ma-
nico : a sin. TAPANTINilN, e IK, forse Ixaìog (=: Elxaìog
nel dorico dialetto (Ahrens, De dor. dial. 184).
8. Nella coU. mia Testa simile alla precedente n. 6, ma sul-
l'elmo è ima sfinge. R. Ercole assiso sulla pelle del leone
con clava nella sin. e pocolo nella destra, a sin. TAPAN-
TiNAN.
9. Tipo simile a quello del n. 8, vi sono però ben espressi i
lacci che annodavano la galea sotto al mento. R. Ercole
come al n. 8, ma l'epigrafe è scritta di sotto, TARANTI,
10. (Avellino, Bull arch. nap. 1, Vili, 11). I tipi sono simili
a quelli del n. 9, ma al riverso manca l'epigrafe TARANTI,
e disotto ad Ercole si legge IKAIOS, che può tenersi per
iatero vocabolo le cui due prime iniziali si sono lette nel n. 7.
11. Nella coli. mia. Vaso a due manichi e da piedi TA a sin.
e a d. un bucranio. R. Vaso simile a quello del diitto,
ma in mezzo a due astri.
12. (Fiorelli, Osserv. numism. 11, 12). Polpo. R. Conchiglia.
13. Nel Museo di Parma. Metà del Pegaso. R. Pro toma di
cavallo frenato e davanti. T.
14. Museo di Vienna. Coppia di delfini che vanno a d. di sotto
TA. R. Conchiglia.
15. Coli. Imhoof-Blumer. Fulmine fra due mezze lune e TA.
R. Clava fra due mezze lune e due astri.
HEEACLEA
Nella ol. LXXXIV, 4. (u. e. 316) il popolo di Siri misto
di Tarentini e Turini si stanziò fra i due fiumi Siri ed Aciri
in quel luogo dove nella ol. LXXXVI (u. 321) fu fondata
dai Tarentini e Turini una colonia che chiamarono Eraclea
e le diedero per emporio e navale l'antica Siri situata a sole
tre miglia (Diod. sic. XII, 36 ; Strab. VI, 264 ; Liv. Vili, 24).
Plinio potè perciò credere che Eraclea fosse una volta
chiamata Siri, mentre Antioco presso Strabene scrive, che
Siri non solo cambiò di nome chiamandosi Eraclea, ma
anche di sito (Plin. H. N. Ili, 11): Heracha aliquando
Siris vocitata. (Strabo, VI, 264): ^HqàxXeiav S^votsqov
xhjBTp'ai f.ista^aXovGciv xccl rovroj.iK xal ròv tÓtiov. Gli
storici non dicono quale dei due popoli trasportati da Siri
inEraclea predominasse, ma le epigrafi e i tipi delle monete
eracleesi dimostrano che se negli oboli primitivi vi dominò
il dorico dialetto dei Tarentini col tipo di Ercole, vi fu
poi preferito nella maggiore unità il culto di Pallade im-
portatovi dai Turini, che erano Ateniesi di origine ; sicché
la testa di Pallade figura sul dritto nei tetradrammi, di-
drammi e dramme, Ercole nei didrammi soli; e vi tiene
il posto del rovescio. Nelle dramme vi si vede la civetta
che è l'uccello di Pallade. Il nome dorico degli Eracleesi è in
pili modi scritto: vi si legge l-HPAKAEnN, FHPAKAElilN
1-HPAKAHIilN : il che si spiega dai grammatici nel primo
esempio per la soppressione della soggiuntiva, negli altri
due per mezzo della dieresi in ^HgaxXsiog e della ectasi in
'HQaxhjiog (Theognost. 11, 57). Questo esempio non fu noto
all' Ahrens , laddove raccoglie i dorismi degli Italioti (De
dial. dor. pag. 192). Nella epoca primitiva, dal 321
al 351, Eraclea emise soli oboli d'argento sul cui dritto
pose la testa di Ercole o di Pallade nel riverso poi l'Er-
cole che soffoca il leone. Questi oboli si distinguono per
l'alfabeto anteeuclidèo dove la lettera H ha valore di spi-
rito e però si legge HE iniziale di HEPAKAEIA: di che
nella seconda epoca non v'è esempio nei didrammi e negli
spezzati inferiori, che sono dramme, dioboli ed oboli e nel-
l'unico aureo. Le monete di bronzo hanno inoltre alcuni
tipi che dinotano la fertilità del suolo in grano e in vino :
vi si è anche significata la potenza marittima rappresen-
tando un Trifone armato di scudo, di lancia e difeso dal-
l'elmo (tav. CU, 12), ovvero di tridente in luogo della lancia
difeso dallo scudo e a capo nudo (ib. 11). Credette il Mil-
lingen, che l'uno fosse Glauco e tenne per muliebre l'altro
e lo disse Scilla [Considér. n. 114,113) e ricordò la favola
cretese e gli amori di Glauco con Scilla, e la magica tra-
sformazione di costei operata da Circe: ma io sostengo, che
la riputata differenza di sesso fi-a i due mostri non v'è per
nulla. Al Eochette parve pure quel mostro di sesso fe-
minile, ma opinò, che in esso vi fosse personificata Eraclea
{Mém. numism. pag. 230). Io ne ho davanti ambedue gli
17
132
LUCANIA AUSTKALIS
T. CI
esemplari di mia collezione ben conservati, e non iscorgo
in essi quella differenza di sesso che dovrebbe cercarsi nel
petto rilevato. Il Carelli pertanto così lo ha figurato nelle
sue tavole. Quando le città greche fecero alleanza contro
i Lucani e i Messapii in questa città fu stanziatala sede
delle assemblee: ma Alessandro il Molosso nel 423 ne
trasferì il seggio alle rive dell'Acalaudro, o sia sui confini di
Eraclea e di Turio: I Lucani possedettero Eraclea dal 427
fino al 481, nel qual anno la protezione dei Eomaui ne la
liberò, ed essa rimase loro di poi fedele nelle varie vicende.
Eraclea nel sistema monetale seguì la divisione dello
statere in seste, poi del didramma. Alla dramma che ha
per tipo la testa di Pallade e al riverso la civetta si
assegnano gr. 3,72; 3,11. Le monetine ambedue con l'epi-
grafe HE, pesati dal Carelli (Descriptio nn. 37, 83) di gr.
0,72 ; 0,92 appartengono alla prima emissione e possono
tenersi per oboli battati in quella emissione piti recente
nella quale per brevissimo spazio di tempo si adottò il
sistema del didramma, della dramma, dell'obolo e dell'emio-
bolo (Poole, A Calai. 230, 44). Della dramma abbiamo notizia
dal Mionnet, gr. 3,72 e dal Thomas, gr. 3,11 {Hist. de la
monn. I, p. 298). Il Sambon ne cita uno soltanto, del
quale anche ignora il peso.
L'arte che è la piìi bella tra le monete della Magna
Grecia ne invita a conoscere i nomi degli artisti, ma in-
certe ne sono le regole. Il sig. Alfredo Von Sallet (Die
Kunsllerinschriften auf Griechischen il/wnseji, Berlin, 1871)
ritiene per tali EY(t)P ed APIST03EN0?, il primo scritto
sul listello dove poggia Ercole leonticida (Tav. CI n. 35),
l'altro inciso ivi medesimo e al dritto sulla cresta del-
l'elmo di Pallade (ib. n. 34). A questi nomi parmi si possa
aggiungere APISTOAAAAOC scolpito in due nummi sotto
il braccio destro di Ercole (ib. 38,, 39). Sembra che i ma-
gistrati monetali abbiano preso d'ordinario posto alla nuca
della Pallade, o sul campo del riverso, e che da costoro siano
diversi quei, che non in monogrammo, né in sigle, ma piìi
distesamente si inscrivono, APl^TOFE (ib. 40); AFASl-
AAMI (Milling. Syll. suppl. I, 4), pare piuttosto nome di
un eroe; A0ANA, è invece nome della dea innanzi aleni
volto si legge, come AAAAATHP nelle metapontine sta di-
nanzi al volto di Cerere ; e come sogliono inscriversi altri
ed altri nomi degli dei.
16. Testa di Ercole barbato con la spoglia di leone volto a d.
E. Leone che va a d. sopra 3H.
17, 18. Coli. mia. Testa di Ercole giovane con la spoglia di leone.
R. Leone che va a d. sopra HE ovvero EH come nel n. 18.
19. Testa di Pallade con elmo attico ornato di \m grifo. R. Er-
cole che soffoca il leone avendo la clava nella d., sopra HE.
20. Coli. mia. Tipo predetto. R. Ercole aggruppato soffoca il
leone, sopra HE.
21. Da un calco. Testa di Ercole barbato come al n. 16. R.
Ercole che soffoca il leone avendo allato la clava : intorno
mPAK.
22. Testa di Ercole giovane volta ad. R. Leone che corre a d.
sopra 3H.
23. Testa di Pallade con elmo attico ornato del mostro Scilla.
R. Ercole che avendo allato la clava soffoca il leone : a d.
hHPAKAHIilN.
24. Testa di Pallade con elmo attico ornato di un ippocampo. R.
Ercole ginocchione colla clava nella d. soffoca il leone:
sopra a sin. HPA, a destra EY.
25. Testa di Pallade di prospetto con elmo trifale ornato del
mostro Scilla armata di lancia. R. Ercole stante colla pelle
leonina sul braccio sinistro armato di arco e di clava : in-
torno hHPAKAHlilN.
26. Testa di Pallade simile a quella del n. 25. R. Ercole stante
di prospetto appoggiato alla clava con cornucopia e leon-
tèa nella sin., vaso da bere nel campo a sin. e la leggenda
hHPAKAEinN a destra.
27. La dea Pallade simile a quella del n. 23. E. Ercole stante
armato di clava e di arco come nella moneta del n. 25 è
coronato dalla Vittoria.
28. Nel Museo Britannico (Poole, Calai, p. 230 n. 44). Acino di
grano sul quale poggia una civetta. R. Aratro e sopra hHPA
pesa gr. 2, 26.
29. Parigi, nel G-ab. delle medaglie. Testa di Pallade con elmo
corinzio ornato di un grifo. R. Ercole sedente volto a d.
appoggia la sin. alla clava e recasi la destra al mento in
atto di pensare: davanti OlA, a sin. HHPAKAHlilN. Pesa
gr. 2, 14.
30. Testa di Pallade con galea attica trifala ornata di bella
cresta, messa quasi di prospetto. R. Ercole armato di clava
soffoca il leone : a sin. FHP.
31. Coli. Liiynes. Testa di Pallade volta a d. con elmo at-
tico ornato di un grifo. R. Ercole ginocchione armato di
clava strozza il leone, sopra HPAKAElilN, fra le gambe
di Ercole EY, nell'esergo una spiga di grano.
32. Testa di Pallade con elmo attico ornato del mostro Scilla
volto a d. davanti A0ANA. iì. Ercole deposta la clava
soffoca il leone : fra le gambe di lui vi sta una civetta, a
d. hHPAKAHinN.
33. Mus. di Firenze. Testa di Pallade simile a quella del n. 30.
R. Tipo simile a quello del n. 32 ; l'epigrafe è hHPAKAEilN.
34. (Imhoof-Blum. Griech. Miinz. p. 2 Taf. LIV n. 2). Testa di
Pallade coperta di elmo attico crestato e adorno del mostro
Scilla: sulla base della cresta si legge il nome API4T03E-
NOi dietro alla nuca A. R. Ercole di fronte strozza il
leone: sulla base dove poggia è di nuovo scritto APIS:T03E
e a d. HPAKAElilN. Il Millingen ne descrive uno di sua col-
lezione dove nel dritto si leggeva AFASIAAMI. (Consid.
pag. Ili), e ne dà il disegno nel Supplément. pi. 1, 4).
Cotesta moueta passò di poi a quanto pare nel Museo Bri-
tannico, ma l'editore (Catal. 321, 45) vi ha letto AfASlAAM.
La testa del dritto rassomiglia nelle fattezze giovanili a
quella di QaQQayÓQag dei Metapontini.
35. (Imhoof-Bl. Choix, pi. Vili n. 2, 54; Mon. gr. p. 2, 5). Testa
di Pallade a d. sull'elmo è un grifo, sotto il mento è un ?.
E. Ercole soffoca il leone avendo da presso la clava : fra i
piedi si legge EY(t)P, a sin. Hni3A>IAqH. I sigg. L. Sambon
(Imhoof-B. 1. cit.) e von Sallet in altro esemplare hanno
T. GII
LUCANIA AUSTKALIS
133
letto EYctA e il Sallet tiene che questo EYcl)P sia nome
di artista (Die Kunsterlinscliriften, 1871 pag. 53).
36. Testa di Pallade con elmo crestato e adorno dell'ippocampo.
7?. Ercole strozza il leone avendo deposto a sin. la clava
e l'arco: a destra si legge HPAKAElilN.
37. Nella coli. mia. Testa di Pallade con elmo corinzio ornato
di un grifo volta a d. dietro la nuca UH. R. Ercole presso
un'ara accesa con spoglia di leone e la clava nella sin., un
pocolo nella d. Nel campo a d. un fulmine.
38. Simile pei tipi alla precedente e per l'epigrafe APISTO-
AAMOS, ma divisa in tre linee ; della leggenda l-HPAKAElilN
rimane soltanto KV.
39. Testa di Pallade di prospetto con galea trifala e il mostro
Scilla sulla fronte : al lato sinistro HPA in mon. R. Ercole
stante presso un' ara accesa con la spoglia di leone, il
cornucopia nella sin. e il pocolo nella d. avendo da presso
la clava; da sin. API^TOAAMO?, in due linee, da destra
Hi5.HA>IAim. Il cornucopia piuttosto che rappellare la vit-
toria di Ercole su di Nesso, come stima il MUlingen {Con-
sider. p. 113, 114), parmi dinoti quella che portò dall' Ache-
loo a cui ruppe il corno che le Ninfe raccolsero e riempi-
rono di pomi e di frutta. L'Avellino pubblicò (Opus. t. II
tav. 11, 4) un simile nummo, sul quale gli parve fossero
espressi cinque E in quincunce, dove io fra l'ara e il
braccio di Ercole, ho letto il nome di Aristodamo.
40. Testa di Pallade volta a destra coperta di elmo corinzio
adorno di un grifo e crestato: alla nuca KAE in alto
API^ToHE. R. Ercole di prospetto con cornucopia e la pelle
leonina nella sin. appoggia sulla clava la destra ed ha a
sin. un bucranio e l'epigrafe hHPAKAElilN.
Tat. cn.
1. Mia coli. Testa di PaUade con elmo corinzio ornato del
mostro Scilla : alla nuca K. R. Ercole di fronte appoggiato
aUa clava con arco e pelle di leone sul braccio sinistro :
a sin. il pocolo e accanto alia clava AOA, a d. hHPAKAHlilN.
In altra simile moneta, ove alla nuca di Pallade si legge
HPA in mon. al riverso a sin. di Ercole, che si corona,
v'è un cornucopia, e sopra APNiAS:, e il sig. Imhoof-Bl.
(Monn. gr. p. 2, 10) avverte che fu dal Sestini {Mus.
Fontana, III tav. I, 11) letto erroneamente (1)A-PY0AC
e dalKochette {Lettre au due de Luynes p. 41 et » M.
Schom, p. 88), EVcfìAC, e posto fra gli artisti dei conii.
2. Testa di Pallade a d. come la precedente, ma il nome che
vi si legge è hHPAKAElilN. R. Ercole di fronte come
nella moneta precedente, ma il pocolo è a d. e dalla si-
nistra una vittorietta levatasi a volo lo incorona.
3. Testa di Pallade simile alle due precedenti, ma l'elmo è
di più decorato da una corona di olivo. R. Ercole di fronte
con la pelle di leone sull'omero e sul braccio sinisti-o. Egli
si appoggia alla clava con la mano sinistra, mentre colla
destra da se medesimo si corona: a sin. HPAKAEIIIN: a
d.. NEilN: di sotto fra il piede e la clava 0. I nomi
AEilN letto dal sig. Lnhoof-Bl. [Monn. gr. 3, li), e AKilN
dal Sambon [Monn. de la presqu' ile ital. 1870 p. 287,9)
non mi sono finora occorsi. La testa della Pallade è di fronte
e a sin. vi si legge APlf in due linee.
4. Coli. Luynes. Testa di Pallade con l'egida annodata al collo ma
.sollevata dal vento di modo che le fa quasi da nimbo.
Ella è coronata di lauro, come ci dimostrano le foglie al-
terne e guarda a d. R. Ercole volto a sin. assiso sulla
pelle di leone appoggia la sinistra alla clava ed ha il po-
colo nella destra distesa, non sempre espresso dagli editori; •
a s. HPAKAÉlilN. L'hanno pubblicata il Eochette, il Luynes,
il Millingen, il Miuervini, il Poole. Ninno però ha finora
notato che l'egida è annodata attorno al collo, onde si leva
spinta dal vento e gli fa da nimbo. Il Poole (A Calai.
p. 226, 15) le dà una corona di olivo, ma l'Avellino che
descrive una monetina del E. M. Borb. nel Catalogo la
cinge di alloro, ed alloro è sul mio disegno, dove si ve-
dono chiaramente le foglie alterne non opposte come sono
quelle dell'olivo. Sono dunque due conii diversi. Eimane
quindi sodisfatto il dubbio del Minervini, che per altro
la dice coronata di foglie quantunque poi noti che il lauro
e l'ulivo sono piante convenienti alla dea delle arti, della
guerra e della pace.
5. Testa di Pallade di prospetto con in capo il trifale e sulla
fronte il mostro Scilla. R. Civetta sopra ramo di olivo volta
di prospetto; a d. clava con NI di sopra ed l-HPAKAHIilN.
6. Testa di donna diademata volta a sin. R. Spiga di grano
e a d. (l-H)PAKAEinN.
7. 8. Coli. mia. Pallade appoggiata all'asta avendo da presso il
clipeo sta davanti un'ara accesa con patera nella d., presso
lo scudo è il groma agrimensorio, del quale l'Avellino scrive
(fl. M. Borb. IV, XXX, 2), che è un simbolo il quale deve
indicare una face. R. Due Ercoli con clava e pelle di
leone nella sin. e pocolo nella d. volti a sin., nell'esergo
mPAKAElilN. Quivi stesso l'Avellino afferma, che di que-
sti Ercoli ninno ha detto che siano due. Ne parla di poi
nella Epistola de numo Rubastinorum p. 5 , 6 opinando
che la duplice figura dinota il doppio valore, lo che
si prova dal peso di gr. 7,80 paragonato al bronzo n. 9
dove l'Ercole è xino e pesa gr. 3,66. Questo è ancora
il parer mio. Ne il Cavedoni fu cauto abbastanza quando
oppose {ad Carelli tab. p. 68) che il nummo della Descriptio
n. 72 inciso nella Tab. CLXIII n. 53 con un solo Ercole
era della stessa grandezza di quello che aveva due Ercoli :
perocché doveva insieme notare che il Carelli gli assegna
il peso di gr. 3,69, che è incirca la metà dell'altro col
doppio Ercole il quale pesa gr. 7,80. Il parere del Ca-
vedoni fu che questi due Ercoli fossero due simulacri,
perchè il vero tenuto in conto di Palladio non si discer-
nesse.
9, 10.' Testa di Pallade con elmo corinzio cinto da corona di
olivo volta a d. R. Ercole con pelle di leone e clava nella
sin. e pocolo nella d., intorno HHPAKAElilN. Il n. 10 nella
coli, mia con tipi simili, ove Pallade ha un elmo attico
laureato ha pari la leggenda l-HPAKAElilN e dietro la testa
di Pallade uno scudo che ha nome di pelta.
134
LUCANIA AUSTEALIS
T. cn
11. Testa di PaUade con galea corinzia volta a d. R. Nel n.
16 tritone armato di clipeo e di tridente: di dietro è
una luna crescente. Nella collezione mia in luogo del tri-
dente porta la lancia. Nel n. 11 veste corazza, si copre
coU'elmo, porta scudo e la lancia. Di sotto questo mostro
Ti si legge hHPAKAElilN. 11 Millingen stima che sia
Scilla (Consid. pag. 114>. Vedi il proleg. p. 131.
12. CoU. mia. I tipi sono gli stessi, ma nel riverso il mostro
marino (dal Mill. creduto G-lauco 1. cit.) è coperto di elmo
crestato e porta lo scudo e la lancia.
13. Nella coli. mia. Testa di PaUade posta di fronte con pallio
abbottonato sul petto, coperta di trifale e armata di asta.
B. Trofeo di armi, corazza, elmo, gambali, clipeo e pugnale;
intorno IHPAKAElilN.
14. Carelli, tab. CLXIII, 60, Testa di Ercole giovane coperta dalla
pelle di leone volta a d. R. Clava, faretra ed hHPAKAElilN.
15. Nella coli. mia. Mezzo cavallo volto a d. R. Civetta sopra
fulmine e in alto HPA. Non par dubbio clie la civetta
e U cavallo alludano a Nettuno e Minerva.
16. Nella coli. mia. Vaso ad uso di mescere e però ad un
manico ba grossa pancia e striata. R. Spillone con diadema
0 mitella e con cilindro desinente alle due estremità in altret-
tanti cappi, per adattarla ai capelli. Per questo cilindro si
paragoni la mitella e il cilindro d'oro trovato nella ne-
cropoli di Cere (Canina, Etruria mariUima,ta.Y. LIV fig. 1).
17. Coli. Imhoof-Bl. Clava fra le lettere IHPA. R. Fulmine
fra due stelle.
18. Testa di Apollo laureata volta a d. R. Faretra, clava ed
arco ; di sopra un avanzo di leggenda UH. In un esemj)lare
della coli. Santangelo vi si legge IHP.
19. Coli. mia. Testa di Ercole coperta dalla pelle di leone an-
nodata al collo. R. Arco, clava e faretra con l'epigrafe
IHP di sopra dell'arco.
METAPONTUM
Le origini di Metaponto sono incerte. Dioevasi fondata
dai Pilli reduci con Nestore dalla guerra di Troia; a loro
si attribuiva il XqvOovv Osgog mandato a Delfo. Allega-
vasi per novella prova la pompa funebre, èvayiaanóg, che
i Neleidi celebravano in Metaponto : il cui nome primitivo
dicevasi essere stato Alybas (Sleph. s. v.) che pare essere
ricordata anche da Esichio, ove scrive, "AXv^ag ogog . . . ìj
Ttàhg. Ma altri fra i quali è lo storico Antioco dicevano che
era stata fondata da Metabo il quale le diede il uomo di
Metaponzio e costoro additavano il sepolcro di lui r^Qcòov,
che si vedeva nella città. Eforo scrive, che Metaponto deve
la sua fondazione aDaulio tiranno di Crissa (ap. Strab. 1. cit.).
Altri l'attribuiva ad Epeo di Foeide (Aristot. Mirab. 116;
lustin. XX, 2, 1). I Metapontini seguitavan la tradizione,
che li diceva dedotti da Leucippo (Strab. VI, 263), la cui
imagine essi di fatti rappresentano sulla loro moneta. Ma
eglino fanno pompa anche di Tarragora e di Agesidamida, che
però è d'uopo supporre che siano stati altri conduttori di
colonie rivelatici dalle monete e rimasti ignoti alla storia.
Ciò pure dimostra che non si tratta di prima fondazione
ma di rimpianto ; e così potranno interpretarsi e comporsi
i dissensi degli antichi scrittori.
I Metapontini erano certamente in fiore nella cinquantesima
olimpiade, quando avendo stretta alleanza coi Crotoniati e coi
Sibariti oppressero e distrussero Siri, appropriandosi il suo
territorio, a tal ohe Stefano potè scrivere che fu un tempo
in che Metaponto denominossi Siri : MstanóvTiov fj nqÓTe-
Qov 2ÌQig. Sorse quindi l'idea nei moderni che vi furono
una volta due Metaponti, e così nella edizione Aldina di
Strabene si trova corretto in tmi' MszanovTiùiv un luogo
che nei ms. è tov Mstcittovtwv. Ma quel testo è giunto
a noi lacunoso, e altro non deve dire, se non che, essere
state due le città, l'una più vicina a Taranto, cioè Meta-
ponto, l'altra piìi lontana, cioè la Siritide (v. Cramer ad
Strab. VI, 264). Metaponto nell'anno I della olimpiade LXIX
accolse Pitagora (lustin. XX, 4): ma dopo fu distrutta
dai Sanniti (Strab. VI, 264), i quali ne lasciarono il terri-
torio in abbandono: onde nella ol. LXXII, 1 Temistocle
poteva minacciando dire ad Euribiade , che . andrebbe
cogli Ateniesi a ripopolar Siri la quale era degli Ateniesi
ab antico, perchè 1' oracolo aveva detto che doveva essere
fondata da loro (Herod. Vili, 62) : rj/^ieìg . . xof-usv/jisd-a sg
2i'gtv ifjV sv 'iTciXia fJTrsq i^i.isTSQr] ré èati ix TiaXaiov sn
xal tÙ lóyia Xéyei xm rjixéonv avxi]v Stiiv xria&ìjvai. Del
resto i Sibariti la rimpiantarono chiamando gli Achei circa
l'olimpiade LXXXH, (Diod. Sic. XI, 90; XII, 16, Antio-
ch. ap., Strabon. 1. cit. VI, 264). Di questa piìi recente
Metaponzio dicevano essere originario quel Metaponto, che
dalla serva Menalippe ebbe un figlio di nome Beote.
La "monetazione metapontina conferma questi fatti, peroc-
ché dopo le monete incuse, la cui fabricazione precede
l'ol. LXIX, non si hanno monete di stile arcaico, ma della
pili bella arte simile a quella di Turio, città fondata presso
che all'epoca di cotesto novello rimpianto, e a quella dì
Eraclea dedotta dai Turii e dai Tarentini all'uscire della
ol. LXXXVI. Qua! fosse l'alfabeto dei Metapontini nella
prima epoca il fan chiaro le monete ed ora anche le due
epigrafi di recente scoperte nel suo territorio {Not. degli
scavi 1882 p. 119, 120). L'alfabeto posteriore è il comune
euclidèo. La colonia di Achei aiutata dai Turini capitanati
da Cleandride Tanno 313 sostenne una guerra cogli Enotrii
e coi Tarentini al termine della quale fu stabilito che i
Turini coi Tarentini abitassero insieme in Siri, ma questa
fosse tenuta per colonia tarentina. All'epoca del vecchio
Dionigi possiamo assegnare la moneta di recente venuta
nelle mie mani, che ci rivela una confederazione di Meta-
ponto con Caulonia, della quale terremo conto parlando di
questa città dal tiranno Dionigi distrutta. Il confine di Meta-
ponto fu dal lato orientale il Bradano : i Tarentini fabbricata
Eraclea, le aggiudicarono Siri come suo navale ed emporio
(Diod. XIV, 100). Intanto i Lucani fra l'ol. LXXXIV e
LXXXVI (u. e. 309-317) si mostrarono ai confini dell'agro
turino e guadagnate alcune battaglie ne invasero in parte
il territorio. Fu allora che i Metapontini avranno stretto
T. CU
LUCANIA AUSTEALIS
135
alleanza con loro e coniata la moneta colla leggenda AOYKA;
l'avranno anche fatta con Turio, di che fan fede le due
monete coi tipi delle due città e l'epigrafe AYK in mon.
(t. CXXIV, n. 1-3).
S' ignora quando Metaponto cadde in potere dei Sanniti,
ma è certo che costoro vi dominavano ai tempi della guerra
di Pirro. I Koniani s' impadronirono di questa città fin
dal 482. ma essi la trovarono trasformata in sannitica, sotto
la cui dominazione deve essersi introdotto l'uso dell'ars
grave con l'alfabeto sannitico, del quale abbiamo un saggio
nella moneta fusa di sistema semissale con l'epigrafe MIETA,
H1ET, di che vedi la tav. LXVI 3-6, ove gli elefanti sono
di certo gli asiatici da Pirro mostrati in Italia la prima
volta nel 473 (Plin. N. H. Vili) ; di modo che e per questo
motivo e per riguardo al peso ridotto se ne può approssi-
mativamente fissar l'epoca. Qui ebbe fine la zecca di Meta-
ponto.
Or di quanta utilità siano le sue monete s'intende
se consideriamo che non vi sono rappresentate soltanto le
imagini, ma di piìi alle imagini vi si vedono spesso dati
i nomi proprii di esse, e vi si leggono talora quei degli
artisti che le hanno incise. Quanto alle tradizioni si conferma
ciò che Antioco siracusano scrisse, quantunque Strabene non
se ne mostri convinto, (VI, 265) essere stato Metabus il primo
nome della città, eambiato poscia in Metapontum, e si suol
citare qualche moneta, che scrivendo METABO ne conserva
memoria. Joxiìó'' 'ArrCoxog tì]v nòXiv Ms-canóvTiov eiQtja&ai
Trgórsoor MsTcciSov, nceoioro^ào&m S'yarsgov. Stefano (s. U.)
dice che i barbari cambiarono il Msrànovcov in Méta^oc, ma
pare il contrario e il Salmasio (in Plin. exercit.) dà ragione ad
Antioco, dove anche deriva Metabus da Mevajìà, cioè Meva-
^ai'vio e tiene che Melapontum non è greco, ma Metapon-
tion. Nel che parmi s'inganni: perocché è certo che vi fu
un greco uomo di nome Metaponto (Strabo, 1. cit.). Non
dobbiamo con tutto ciò passar [tanto innanzi da dire con
alcuni che in su quella moneta si rappresenta la testa
dell' eroe fondatore. Ciò non può esser vero, se si avverte
che in tal caso il nome avrebbe dovuto leggersi accanto
alla testa non sul riverso della moneta, ove si legge il nome
della zecca : poi in altra moneta (Carelli .tav. CL n. 40) la
testa è di donna.
Il Millingen credette Metaponto di origine etolica e tentò
trasformare. Metabo nella etolica Metapa, allegando perciò
i giuochi celebrati in onore dell'Acheloo (Considérat. p. 19).
Ma ciò può stare senza una tal derivazione. Perocché se i
Metapontini ne fossero derivati avrebbero effigiato questo
fiume come si vede nelle monete degli Acarnani e degli
Eniadi in forma di bue a testa umana : essi invece il figurano
da uoiQo con testa munita di corna bovine: e inoltre il
culto dell' Acheloo era diffuso per tutto e i Metapontini ne
avevano special motivo possedendo vastissimi campi frugi-
feri. Poi da Metapo o Metapa non si derivò che Msia-
ncào: e Msranusvc, uè si poteva derivare MetuTiuvciog 0
MercijTovTtvog II Giove EAEYOEPIO? ci fa dedurre che
anche Metaponto festeggiasse la cacciata da Siracusa di
Dionigi il giovane per opera di Timoleonte (01. CIX, 2
a. u. 411), e ben a ragione, sapendosi che cotesto Dionigi
vessò ed oppresse le colonie greche dell' Italia, fra le quali
dovette di certo essere anche Metaponto. Ma il culto prin-
cipale era quello di Cerere e di Apollo di ohe si hanno
più prove nelle monete.
La bella sua imagine è sempre distinta dalla corona di
spighe e vi si legge talvolta il nome AAMATHP di dorico
ed eolico dialetto. Sui rovesci di alcune monete si vede
l'intera imagine di Apollo coll'arco nella sinistra abbas-
sata e un ramo di lauro nella destra accanto ad un ara.
È questa un'imìigine della statua di Apollo Pizio ohe ebbe ■
un tempio in Metaponto (Plutarc. de Pythiae oroc); prima
però era posta in una della piazze framezzo ai lauri,
quando lo spettro di Aristeo Proconnesio dimandò che gliene
fosse drizzata una accanto, e l'ebbe (Hend. IV, 13) avendo
risposto l'oracolo che all'apparizione prestassero fede. Que-
sta imagine di Aristea mi pare si possa raffigurare in una
moneta (tav. CIV, 3), che sembra ritrarne il volto. Posero
inoltre da presso ad Apollo un lauro di bronzo, che vi si
vedeva circa la olimpiade CVI (Athen. Dipnoscph. XIII, 83).
Aristea vi era venerato col nome di Giove Aristeo, Zsìig
'ÀQKTzaìog (Pindar. Pyth. IX v. 110-116), come fra gli
Arcadi, e Servio ne assegna il perchè {ad Georg. 1, 14) :
Apud Arcades prò love colitur, quod priinus ostenderit qua-
liler apes reparari debeant, e questo culto durava tuttavia
al tempo della dominazione romana, attestando Celso il filo-
sofo epicureo che v'era, quantunque scemato di molto, a
tal che ormai nessuno il riconosceva per Dio (ap. Origen.
e. Cels. L. HI, 26): tovtov ovSsìg ì'ti vo^witfi dsóv. Pal-
lade ed Ercole non mancano sulle sue monete, essendo le
divinità piii comuni nelle città Achèe: ma una epigrafe
metrica di recente trovata nel territorio metapontino dà ad
a questo eroe il glorioso appellativo di re, FANAX (Not.
degli scavi 1882 p. 119, 120).
La Pallade onoravasi precipuamente in riguardo alla ■ripar-
tizione dei campi e però le si dà per simbolo al pari di
Cerere (tav. CV, 14, 15) il groma agrimen^orio (tav. CVI, I).
Il dio Ammone e il figlio Dionisio protettori della pasto-
rizia sono figurati sulle monete e dovrà forse perciò essersi
dai Metapontini mandata l' imagine di Endimione, al tesoro
di Elide (Paus. VI, 19, 8), piuttosto perchè pastore che per
aver egli insegnato il corso della luna. Metaponto ebbe
da un lato il fiume Casuento dall'altro, però più discosto,
il Bradano. Il bue androprosopo che vi si vede su due sue
monete non è l'Aoheloo, il quale in Metaponto fu figurato
da uomo con le sole corna bovine ; deve dunque dirsi che
sia il Casuento. La monetazione di Metaponto si rende anche
singolare per le epigrafi apposte alle imagini, che le dichia-
rano, come si è detto, ma anche perchè ci conservano i
nomi degli artisti incisori dei conii. Sono nomi degli
dei EAEY0EPIOÌ, AAMATHP, APOAAilN, degli eroi condut-
tori del popolo. AEYKIPPO^, OAPPArOPA?, AfASlAAAAI-
àag sono personificazioni NIKA, hOMONOIA, YflEIA, sono
nomi dei magistrati ASKAAPIOC, BilClOC, degli artisti
136
LUCANIA AUSTRALIS
T. CU
API^T03E(ras), KI/V\nN, HPAKAEIAH?. Sulla testa di Ce-
rere loosta eli prospetto si legge in un didramma ^ilTHPIA,
che pare dovesse indicare publiche feste. Il Cavedoni opinò
poter essersi detto in forma dialettica invece di SilTEIPA
e allegò in confronto il KoQia per Kóga negli inni di Cal-
limaco : ma il parallelo non mi sembra giusto. Su di un
didi'amma con la testa di Cerere di prospetto, in alto fra
i gambi delle spighe che la cingono si legge FOSIA. È
dubbio se la dea fosse così venerata in Metaponto, ov-
vero si vogliano in tal modo indicare i suoi misteri che
tenevansi dalla gentilità per i più sacrosanti e venerabili
sulla terra.
Il sistema monetario di questa città nella età prima è
quello delle colonie achee, che si compone della unità,
gr. 8,20, del terzo, gr. 2,70, del sesto gr. 1,36, del dodi-
cesimo, gr. 0,68. Coniò di poi il distatere o tetradrammo
del peso di gr. 15,81, e lo statere, che può considerarsi
come un didramma, trovandosi, sebbeu tardi, dei pezzi di
tre grammi e frazioni, i quali perciò sono la metà dello
statere e quei di gr. 1,94; 0,77 che ne fanno perciò la
sesta e ottava parte.
Il Minervini {Oss. p. 126) opinò che l'O sia iniziale di
o^oXog in una monetina d'argento della collezione Sambon.
Ma il Sambon, che nelle Recherches 1863 pag. 138 n. 21 le
dà il peso di gr. 0,82 : non definisce poi qual nome le si
debba. Ben però il figlio di lui nel Cat. Borghesi (1881
p. 39 n. 443) la dice un obolo, e cita il padre (tav. XIX
n. 8) nelle seconde Recherches. Ma poi in altro Catalogo
stampato in Eoma (1883 pag. 8 n. 69) la dichiara dio-
bolo, e vi omette ogni segno di O, mentre il Sambon padre
gliene dà ben due: Téle de taureau entra deux O. È
dunque chiaro che i due OO non possono in una mone-
tina di gr. 0,82 dinotare il diobolo, e però l'O neanche
può dirsi iniziale di ojìoXog.
20. Coli. Santangelo. Spiga di grano in rilievo e /^ETAHONTS
R. Spiga incusa. È quell'esemplare sul quale l'Avellino
lesse META e POnS e stimò che fosse moneta [di alleanza
fra le due città Metaponto e Posidonia.
21. Coli. Borghesi. Gli stessi tipii, ma l'epigrafe è META e
vi è inoltre una locusta in rilievo e al riverso lo stesso
insetto egualmente in rilievo, ma a solo contorno.
22. Coli. mia. Gli stessi tipi dei due numeri precedenti, ma
l'epigrafe è TETAP con l' I^ di singolare forma arcaica.
23. I tipi medesimi, con l'epigrafe /^ETA, sul lato sinistro.
24. Coli. mia. Coi tipi medesimi vi è al dritto una testa di
montone in rilievo a sin. e ATS'A a d.
25. (Carelli, tab. CXLVII 23,24; Descr. 27,28). Spiga in rilievo
fra due cerchi R. Acino d'orzo fra due cerchi in incavo
(cf. Carelli, tab. CXLVII, 23,24, Descriptio n. 27,28).
Questa monetina pesa da gr. 0,667 a 693 {Car.), da 67 a
74 (Samb.). Il Cavedoni dice che i due cerchi possono di-
notare gli oboli, ma vedi appresso.
26. Coli. mia. Spiga di grano in rilievo e /v\ETA. R. Testa di
montone incusa. Dei miei due esemplari uno pesa gr. 1,10
l'altro gr. 1,20.
27. Coli. mia. Spiga di grano in rilievo. R. Spiga di grano
incusa. Pesa gr. 0,35.
28, 29. Il n. 28, Coli. Dupre'; il 29 Coli. Luynes. Aoheloo in figura
d'uomo a testa barbata con corna ed orecchie bovine, nudo e
di prospetto, porta una clamide richiamata dalle spalle sulle
braccia e pendente, la canna nella sin., una patera nella
destra: intorno si legge N0A03A AvPEAOIO. R. Spiga di
grano, a d. AT3W\, a sin. locusta. Nell'esemplare del Luynes
il Millingen {Anc. coins, pi. 1 n. 21 ; Suppl. aux consid.
p. 1 n. 2 p. 5), che l'ebbe prima, e lo die' inciso, prese
per delfino la lettera E di H0AO3A e lesse H0A<3>A
come aveva letto il Luynes (Metap. pi. I n, 13). Non è
pertanto ivi che una imperfezione di conio. Però il verso
itifallico additatoci da Pr. Lenormant come composto di
tre trochei (Revue, 1866 p. 96, 97), trova un ostacolo
nuovo e non previsto. Il Minervini {Oss. p. 123) cita
la moneta pubblicata dal Fiorelli, ove il fiume è rappre-
sentato col corpo umano e la intera testa taurina (Man. ined.
tav. I n. 10 p. 8), e ricorda quella simile del Carelli
(t. CLYIII n. 149). Ma uè il Fiorelli, uè il Carelli videro
mai una tal moneta. Essa è stata così pubblicata dal
Magnan, e da lui l' ha presa il Carelli. L' Eckhel, che
perciò vi riconobbe il Minotauro, non altri cita, che il
predetto Magnan.
30, 31. Il n. 80 da un zolfo di Odelli. Testa barbata coperta di
aulopide volta a d., sopra AEYKIPPOS:, alla nuca un cagno-
lino sedente e volto a sinistra, a sin. R. Spiga di grano, a d.
META a sin., uccello colle ali aperte sopra una delle foglie
della spiga a d., sotto AMI. Nel n. 31 ohe è nella coli, mia,
vi è omesso il cane e invece dietro alla nuca di Leucippo si
legge AMI, e al riverso è MET a sin. e a d. im fulmine. Il
Eiccio dice di aver avuta una moneta simile a questa, ma
col nome «che ei crede del magistrato, HPAKAEIAOY al
lato della lesta e META al riverso.
32. (Carelli, 115). Testa di Leucippo coperta di aulopide volta
a s. R. Una spiga di grano e sopra META. Al lato sinistro
v'è un'altra spiga per sbalzo di conio impressa in parte
fuori del cerchio; su di essa fu poi impressa una clava
per contromarca. Il Carelli ha stampato n. 115 un didramma
con due spighe uguali e parallele al riverso. 11 Eiccio
{Reperì, p. 72) scrive di aver posseduta una moneta del
modulo 10, sul cui dritto era la testa di Giove barbata e
laureata ad. e al riverso due spighe e da ciascun lato un
Dioscoro a cavallo e META. A me non è avvenuto di tro-
vare né l'una né l'altra nei musei da me visitati.
33. CoU. Santangelo (Imhoof-Bliimer, Mann. gr. p. 5, 21, pi.
A, 2). Testa giovanile con accenno di peli alla gota: è
coperta di aulopide e volta a sin., il suo nome vi si legge
accanto, OAPPArOPAS, dietro la nuca K. R. Spiga e META:
nel basso ONA. Il sig. Imhooff-Bl. nota che le sigle K ed ONA
si ripetono su quelle monete che portano la testa di Leucippo,
che però sono contemporanee : stima inoltre che 1' uno e
l'altro nome si appartengano alla testa che accompagnano.
Egli anche ha data la vera lezione di questo nome mal
trascritto nel Catalogo, OAPPA? APE^?
T. CHI
LUCANIA AUSTKALIS
137
34. Coli. Odelli. Testa di Giove laureata volta a d. davanti
EAEYOEPKOS). R. Spiga di grano a sin. sulla foglia una
ranocchia a d. META. In altro esemplare si ha la testa di
Giove laureata volta a d., alla nuca un fulmine, al riverso è
la spiga a d. e in alto un ramo di laui'O, e KAA ; a sin.
METAPOIM. n Carelli (tab. CLIII, 94) cinge la testa di
Giove di una corona di quercia e legge a d. KA : il Pio-
relli {Moti. ined. tav. Ili, 5) opina, che i Metapontini così co-
ronato rappresentino Giove a riguardo delle origini loro eto-
liehe e il Cavedoni annota che può riferirsi anche alla alleanza
con Pirro e Alessandro di Neoptolemo {ad tab. Carell.
CLIII, 94).
35. Parigi. Gah. delle medaglie. Testa di Cerere coronata di
spighe volta a sin. davanti una lucertola e AAMATHP
R. Spiga di granerà sin. sulla foglia un granchio, di sotto
la foglia APXIP e a destra granchio, APXin a d. META.
Tav. CHI.
1. Museo di Vienna. Testa di Cerere cinta di una corona di
spighe volta a d. R. Spiga di grano sulla cui foglia riposa
un uccello: a sin. METAPON.
2. CoU. Dupré. Testa di Leucippo coperta di aulopide cristata
e adorna del mostro Scilla volta e d. : davanti AEYKIPPO$.
R. Due spighe di grano, a d. E, nel mezzo SI.
3. Nella coli. Luynes se ne conserva im esemplare che reca
sul dritto la testa di Leucippo simile a quella del n. 2.
R. Due spighe di grano, sopra META, sulle foglie a sin.
una formica "a d. una locusta.
4. Coli. mia. Testa di Cerere posta di fronte con capelli sparsi
e coronati di spighe. R. Spiga di grano: a sin. META, a
destra bucranio sulla foglia e di sotto AoA.
5. Nella coli, mia foderata. Testa di Cerere velata e coronata
di spighe con pendenti e collana. Innanzi AAMATHP. R.
Spiga: a d. META e in basso KAA.
6. Testa di Cerere di prospetto coronata di spighe: in alto
SlilTHPiA. i?. Spiga, e a s. META.
7. Da mia impronta. Testa simile alla precedente, ma l'epi-
grafe sembra essere : hOSIlA. R. Simile al n. 6.
8. Testa di Cerere messa di prospetto e di assai bello stile,
alla d. AM. R. Spiga di grano, a sin. META a d. testa
di bue.
9. Museo Britannico {Catal. p. 244,591). Testa di donna coi
capelli cinti da ima tenia sottile, ha pendenti agli orecchi
e monile al collo, è volta a s. e le si legge davanti
hOMONOlA.
10. Museo Britannico {Catal. p. 245,62). Testa di donna volta
a d. coi capeUi cinti da stretta tenia rialzati e legati alla
cervice : sotto il taglio del collo si legge hVriEIA. R. Spiga
di grano e META a d. Il sig. Von Sallet dubita, se Hygiia
sia nome di dea, tale essendo VAthena Hi/gia (Pausan. I,
29, 1; Vin, 358), ovvero se nome di una donna, come
APISITH, che abbia inciso il conio {Die Kunsterlinschriften
p. 53). A me pare strano un tal supposto, e vie più perchè
presume che il nome APISiTH sia intero, mentre può assai
bene compirsi API4THTOS.
11. Testa di donna con opistosphendone fregiato di gemme
con pendenti e collana volta a d. Dinanzi al volto vi si
legge A>IIH. R. Spiga di grano e a sin. un pomo granato,
a d. METAP0NT10(N.) (Cf. Poole, CotoL 256,141).
12. Coli, Imhoof-Bl. {Monn. gr. 16). Testa di donna cinta di
un diadema sul quale sono le foglie di olivo ed è le-
gato con nodo alla cervice: sul taglio del collo è l'epi-
grafe NIKA. R. Spiga di grano : a sin META, a destra
una pera.
13. Nella coli. mia. Testa di donna diademata con pendenti in
forma di calatisco, ma non così intesi nel disegno, e monile
al coUo volta a sin. A destra vi si legge il nome dell'artista
che ha figurata l'iniziale A assai grande e il rimanente delle
lettere in minuto Pl?To(HENOS). R. Spiga di grano e
META a d.
14. Nella coli. mia. Testa simile alla precedente: sul taglio
del collo vi si legge il nome medesimo APISTO(SEN02:).
R. Spiga e a d. META.
15. Nel museo britannico {Catal. 247, 74). Terzo conio dell'arti-
sta medesimo, il cui nome AP12:T03E(N0S) si legge sul
taglio del collo. Sulla fronte della donna qui espressa
rimane un M da un altro conio insieme con alquante ari-
ste della spiga: onde è facile dedurre che sia l'iniziale di
META. R. Spiga e a d. META.
16. Nella coli. mia. Testa di donna diademata volta a d. dietro
al collo si legge KIMilN nome di artista. R. Spiga e a d.
(M)ETA. Un artista di nome Eifiav si ha su di alcune
monete nobilissime di Siracusa (Poole, Catal. Sicihj p. 175
n. 199, p. 176 n. 201, p. 177 n. 208).
17. Testa di Cerere coronata di spighe a d. R. Spiga: a sin.
META, a d. astro.
18. Nella coli. mia. Testa di Cerere coronata di spighe volta
a sin. R. Spiga a sin. META a d. il Mantis, insetto vol-
garmente detto cavallo delle streghe.
19. Nella coli. mia. Testa di Cerere coronata di spighe volta
asin. davanti HA. R. Spiga, a d. META ed YA, a sin. pis-
side, 0 frilillum da giuoco.
20. Testa di Cerere con collana e pendenti volta a sin. ; davanti
il groma agrimensorio e AAM(ATHP). R. Spiga e a d. MET.
21. Nella coli. mia. Testa di Cerere coronata di spighe coi ca-
pelli sciolti e fluttuanti alla cervice ; a d. AaI. R. Spiga,
a sin. META, a d. aratro sulla foglia e di sotto MS.
22. Nella coli. mia. Testa di Cerere coronata di spighe volta
a sin. R. Spiga, a sin. META, a d. uccello sulla foglia,
forse aquila.
23. Nella coli. mia. Testa di Cerere volta a d. cinta di largo
diadema e velata a mezzo, davanti ha il groma agrimen-
sorio. R. Spiga e a d. META che continua a sinistra scri-
vendo erroneamente PIONT in vece di PONTI.
24. Nella coli. mia. Testa di donna diademata con pendenti
all'orecchio a sin. R. Spiga e a sin. METAPONTINHN,
a d. foglia di oliera.
25. Nella coli. mia. Testa di donna cinta da stretto diadema
138
LUCANIA AUSTEALIS
T. CIV
legato alla cervice, con orecohino a tre stalagmi o sia gocce
volta a destra E. Spiga, e a destra META.
26. Nella coli. mia. Testa di donna cinta da sottil nastro più
volte fino al vertice, ove sono raccolti i capelli in un gruppo
a guisa di xQÓ^vlog. R. Spiga, sulla foglia che è a sin.
la cima di un frutice, a d. METAPON.
27. Nella coli. mia. Testa di donna coi capelli raccolti nell'opi-
stospliendone volta a d. R. Spiga, a sin. METAPON, a d.
una foglia di quercia.
28. Nella coli. mia. Testa di donna cinta di largo diadema
volta a d. R. Spiga, a sin. (M)ETAPO, a d. foglia di vite.
Tav. CIV.
1. Maseo Britannico [Catal. pag. 250, 92). Testa coronata di
lauro volta a d. Sul taglio del collo v'è scritto POA e
nell'esemplare parigino della coli. Luynes, POAV; dietro
la nuca v'è un i.. R. Spiga di grano META a d. e a sin. una
civetta che vola.
2. Coli. Luynes. Testa giovanile con lunghi capelli cinta di un
diadema ricamato a meandro e decorato da foglie dilauro :
sotto al collo fn R. Spiga e META a sinistra.
3. Coli. Santangelo. Testa giovanile volta a sin. di terzo con
capelli crespi e coronata con foglie di edera: a destra vi
si legge MOA, forse UOhOitOi., artefice. Il Minervini vi
ha letto invece KAA [Oss. num. pag. 123 tav. VII n. 13).
R. Spiga e sulla foglia un serpe, di sotto 01.
4. Coli. mia. Testa- cinta da doppia corona di olivo volta a s.:
alla nuca ^T. R. Spiga e MET. Il Minervini (Oss. p. 124),
dice rilevarsi ad evidenza che non è già corona di foglie,
ma una o due trecce di capelli che si ravvolgono intorno
al capo.
5. Coli. Luynes. Testa giovanile coronata di laurea volta a d.
R. Spiga. Un esemplare simile del Museo Britannico (Ca-
tal. 250, 94) ha sul taglio del collo PAP, e sotto t. Il Poole
nel testo legge ^PAY. Sul riverso a d. si legge META. Que-
sto dissenso dell'editore dal disegno ne avverte che nulla
si può decidere, e neanche se veramente vi sia ivi scritto.
6. Da un calco. Apollo sedente in atto di sonare la cetra ha
di dietro l'epigrafe APOAAHN, assai logora, dinanzi un
alhero di lauro. R. Spiga, a sin. META, a d. locusta.
7. Apollo stante in piedi con un ramo di lauro nella destra e
l'arco nella sin. R. Spiga e AT3M a s.
8. Apollo come è descritto al n. 7 ma oltre all'arco ha in mano
ancora una freccia stando davanti ad un'ara. R. Spiga, locu-
sta e META. L'ara è più intera in un esemplare del pari-
gino gabinetto delle medaglie.
9. Testa giovanile con lunghi capelli coperti di aulopide senza
cresta volta a d., alla nuca i. R. Spiga, civetta sopra la
foglia, A0A, e sin. META.
10. Testa di Ercole giovane coperta della spoglia del leone volta
a d. R. Spiga, a sin. mosca, a d. META.
11. Ercole stante nudo con la clava che appoggia all'omero de-
stro. R. Spiga e META (Magnan, Misceli, t. III tah. 26).
12. Nel Museo Britannico (Catal. p. 243, 51). Ercole stante
coperto dalla pelle di leone si appoggia alla clava facendo
colla patera libazione sopra un'ara che è a sin., m alto è
posto un teschio di montone. R. Spiga e META.
13. Testa del Dioniso figlio di Ammone con corna di ariete
volta a d. R. Spiga e META. È singolare il Duchalais che
prende questa testa imberbe per effigie di Arne ninfa
trasformata in pecora da Nettuno, suo amante {Revue num.
fr. 1852 p. 340, 341).
14. Nella coli. Borghesi. (Catal. tav. I n. 423). (Catal. tav. I
n. 423). Cinque acini di grano intorno ad un globetto:
negl'intervalli /«ETAP. R. Spiga e META. Nella coli. San-
tangelo bassi un esemplare di cotesto nummo edito dal
Minervini (Oss. num. t. VII n. 12): questo differisce dal
nostro in ciò che l'epigrafe del dritto è retrograda HATB '^.
Un esemplare simile a quello del Borghesi è nel Museo
Britannico (Catal. p. 242 n. 45).
15. Nella coli. Borghesi (Catal. tav. I, n. 423). Testa di Er-
cole simile a quella descritta n. 10. R. Spiga, a d. locusta,
a sin. /^ETA.
16. Simile testa di Ercole del n. 15. R. Spiga e META. Sulla
foglia è un insetto.
17. Coli. Santangelo. Apollo con l'arco nella sin. e la destra
appoggiata alle reni : porta i capelli raccolti e legati nel ver-
tice e guarda a d. stando fra due rami di lauro che si pie-
gano come per fargli corona. R. Spiga e a d. /y^ETA.
18. Testa di Pallade con galea corinzia volta a d. R. Spiga, a
d. META, a sin. civetta sopra la foglia della spiga con le
ali aperte. Una moneta pei tipi similissima a questa è
incisa da me nella tav. CXXIII n. 25, perchè invece di
META porta il nome dei Lucani, AOYKA. Ma essa può
ben essere coniata dai Metapontini confederati, prima che
cadessero in potere dei Lucani.
19. Civetta sopra un ramo di olivo volta a d.; dietro Ì.Ì. R.
Spiga a sin. META a d.; sulla foglia il groma agrimensorio.
20. Spiga e papavero che porta la capsula sullo stelo priva dalle
sue foglie. R. Spiga e groma agrimensorio : nel basso M.
21. Testa di Apollo laureata a sin. R. Tripode e a sin. spiga
di grano: fra mezzo META.
22. 23. Testa di Cerere coronata di spighe. R. Due siHghe e
a sin. META. Il u. 23 ripete il medesimo tipo, ma se ne
distingue per una sola spiga.
24. Testa barbata con corna arietine volta a d. R. Spiga fra
xm vaso a due manichi e una civetta che poggia sopra la
foglia.
25. Testa giovanile con corna arietine volta a d. R. Spiga
e META.
26. Nella coli. mia. Tipo descritto al n. 25 ma volto a sin. R.
Lo stesso tipo META, e sulla foglia una locusta.
27. Lo stesso tipo ohe al n. 26. R. Ercole strozza il leone avendo
dal lato sin. la clava. II Millingen (Supplem. 11, 2 pagi 6),
avverte che Metaponto è la sola città, cui sia piaciuto ono-
rare dì culto il dio Ammone.
28. Nella coli. mia. Testa di Pallade con aulopide senza cresta.
R. Spiga, a sin. META, a d. cornucopia.
T. CV
LUCANIA AUSTEALIS
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29. I tipi sono i medesimi: ma al dritto è aggiunta la epigrafe
METAPONTI ; al riverso v'è a d. il cornucopia (Milliugen,
Suppt. pi. 11, 1 pag. 5).
30. Mia coli. Testa di Cerere coronata di spighe volta a d. R.
Spiga, sulla foglia un aratro, a siu. META.
31. Museo Vaticano. Protoma di cavallo. R. Acino di orzo e ME
dentro un quadrato.
32. Coli. Sambon (Minerv. Oss. tav. VI n. 7 pag. 124 seg.). Testa
barbata del bue androprosopo, davanti O. R. Spiga e d. sim-
bolo incerto a d. (Minerv.) e ME. Il Millingen {Suppl. pi. 6
u. 2) ne ba stampata una simile ove manca l'O. Ma L. Sam-
bon {Recherch. 1863, p. 138 n. 21) attesta cbe nel suo
esemplare ve ne sono due e pesa gr. 0,82.
33. Coli. mia. Tre lune opposte ad un giobetto che è nel centro
aventi ciascuna nel mezzo il proprio giobetto. R. Spiga e
AT3M.
34. Coli. mia. Testa di montone in rilievo. R. Spiga e META.
Tav. CV.
1. Nei Musei di Milano e di Venezia. Testa di Cerere coronata
di spighe volta a sin. R. Spiga e sopra la foglia un forcipe.
2. Testa di Cerere coronata di spighe volta a d. ivi META. R.
Spiga e a sin. OBOAO^.
3. Ercole coperto dalla spoglia del leone appoggia la sinistra
alla clava e ha il pocolo nella destra; a d. una spiga. R.
Spiga e META.
4. Testa di donna eoi capelli ripiegati alla cervice e cinti da im
diadema volta a d. R. Spiga fra le due lettere M E a sin.
un erma itifallico.
5. Figura nuda con semplice stretto pallio sulle spalle, coronata,
con caduceo nella sin. e patera nella d. davanti ad un can-
delabro: a destra EY e un O. R. Spiga, a sin. OBO^OS,
a d. ME. Questa figura non ha verun simbolo o segno che
la caratterizzi per un Mercurio, come la dichiara il Cave-
doni {Saggio, 18). Né poi vale il solo caduceo, che pur con-
viene ad altre immagini simboliche. A me pare, che que-
sto giovane che sembra far libazione suU'ara, mentre porta
il caduceo, simbolo della pace, sia il Srjixog di Metaponto.
6. Museo di Vienna. Testa diademata di uomo barbato volta a
d. R. Spiga e a sin. l'epigrafe META.
7. Mezzo bue androprosopo volto a sin. e METAP. R. Spiga.
Questo tipo l'hanno anche battuto i Turii, a testimonianza
del De Dominicis, che ne possedette l'esemplare.
8. Leone corrente a sin. nell'esergo IT3, che mi pare si possa
supplire HT3n onde si abbia da riconoscervi un'alleanza di
Metaponto con Petelia. R. Spiga e a d. AT3M.
9. Testa di Panno con corna caprigne sulla fronte volta a d. R.
Spiga e a sin. META.
10. Testa di Apollo laureata volta a sin. R. Spiga e tripode:
fra mezzo META.
11. Coli. mia. Testa di Bacco coronata di edera volta a sin.
E. Spiga, a sin. META, a d. il groma agrimensorio. Questo
groma è un X (decussis) adoperato ad indicare il cardo e
il deeunianus per la ripartizione e terminazione dei eampi.
12. Coli. Santangelo. Testa di Apollo coronata di lauro. /?. Spiga
a e sin. META, a d. TEIM, forse TsifioxqetTìjc, perchè
TIMilN qui è scritto col iota.
lo. Coli. mia. Testa di ninfa acquatica quasi di prospetto con
capelli sciolti e sollevati intorno al capo a svolazzo. R.
Spiga a sin. locusta e META.
14, 15. Testa barbata e coperta di aulopide crestata a d. R.
Cerere in piedi di prospetto nell'atto di appoggiarsi al groma
agrimensorio: a d. META.
16, 17. Pallade armata di elmo corinzio e di clipeo nell'atto
di scagliare un colpo di lancia a d. R. Civetta su di una
spiga di grano volta a destra: dietro META. In altro esem-
plare Pallade è pur volta a d. ma veste la tunica corta
sopra la talare.
18. Coli. mia. Pallade ornata di elmo corinzio, e di clipeo
in atto di fulminare a d. R. Civetta su di una spiga di
grano volta a sin., dietro META.
19. Testa di Pallade coperta di elmo frigio volta a d.; di sotto Oo
R. Spiga e a d. ME.
20. 21 Coli. mia. Testa di Giove laureata volta a d. R. Due spighe
e un grifo a d. ; di sotto META. Nell'esemplare n. 20 v'è
una sola spiga e un groma agrimensorio sulla foglia a
sin., a d. AT3M : in altro esemplare del n. 20 si vede a
sin. un simile grifo che vola a d.
22. Museo Brit. (Catal. pag. 262 num. 190). Aquila volta a
sin. ove in un mio calco si vede una corona lemniscata.
R. Spiga, a sin. META, a d. fulmine.
23. Aquila sopra fulmine a d. R. Spiga, a d. fulmine, a sin ME:
nel predetto calco è invece più intera la leggenda, META.
24. Coli. mia. Testa velata di Cerere coronata di spighe. R. Spiga,
a sin.. EY in mon., a d. META.
25. 26. Testa di Cerere coronata di spighe volta a d. R. Due
spighe, nel mezzo META: nell'esemplare n. 25 una sola è
la spiga, e META sta a sin. Un esemplare n. 26 dato dal
Carelli (tav. CLVIII n. 165) porta a destra della spiga
META e un tripode, a sin. il nome TlMilN.
27. Coli. Santangelo. Testa di Apollo laureata a sin. R. Spiga
di grano, a sin. TiMilN, a destra META.
28. Coli. mia. Testa di Ercole volta a d. coperta dalla spoglia
di leone annodata al collo. R. Spiga e a sin. META.
29. Testa di Pallade di prospetto con galea trifala. R. Spiga,
META a sin., groma agrimensorio a d.
30. Coli. mia. Spiga e MET R. Tripode e a sin. grano di orzo,
a d. cigno. R. Spiga e META. Il Minervini {Oss. n. 143
tav. Ili, 14]) ne pubblica un esemplare con la epigrafe
META al dritto e solo un tripode al riverso a motivo del
quale la dichiara moneta di confederazione con Crotone.
31. Testa laureata di Apollo volta a d. E. Tripode, a sin. ME
a d. TA.
32. Coli. Luynes. Testa di Diana con faretra ed arco al collo volta
a d. R. Vaso a due manichi, a sin. META a d. spiga di grano.
33. Testa di Ammone colle corna arietine volta a sin. R. Spiga,
a d. groma agrimensorio e a sin. META (Carelli, tav. CLIX
n. 164).
34. Testa di Fauno con corna caprigne ohe gli spuntano sulla
18
140
LUCANIA AUSTKALIS
T. evi
fronte, coronato di canna. R. Spiga a d. pisside bossolo e
a sin. META.
35. Testa di Sileno coronata di edera. R. Spiga e a sin. META.
36. Mia coli. Testa di Cerere volta a d. R. Spiga, a d. grap-
polo d'nva, a sin. META quasi perduto.
37. Testa giovanile coperta di pileo conico volta a d. R. Acino
di orzo.
38. Testa di donna. R. Grano d'orzo, ME e di sotto TEI.
39. Testa di uomo barbato. R. Grano d'orzo fra le due lettere AA E.
40. Testa di Fauno. R. Grano d'orzo e /V\E.
41. Museo Britannico {Catal. p. 261 n. 176). Maschera comica.
R. Grano d'orzo e ME.
Tav. evi.
1. Testa di Pallade con elmo corinzio volta a sin. R. Tre acini
di orzo uniti al centro della moneta per una delle loro
estremità: negl'intervalli ME e un groma agrimensorio.
2. Testa radiata del sole di prospetto. R. Simile al n. prece-
dente ; varia il simbolo che è una fiaccola accesa.
3. Testa di Mercurio con petaso alato volta a d. R. Simile al
n. preced. eccetto il simbolo, che qui è il caduceo.
4. Nella coli. mia. I busti dei due Dioscori coperti del pileo
conico. R. Simile ai precedenti; solo varia il simbolo che
è quello dei due astri, insegna dei Dioscori; le due let-
tere ME del nome sono insieme unite.
5. Testa giovanile con diadema alato volta a d.: di dietro TI.
R. Tipo simile a quello dei nn. 1-4; diverso però n'è il
simbolo, che qui è un fiore : donde si deduce che la testa
alata è quella del vento Zefiro.
6. Testa simile alla precedente n. 5, ma le ali sono sulla fronte,
non alle tempia. R. Simile al n. preced. se non che il sim-
bolo è un caduceo.
THVRIVM
Fra gli storici antichi che trattano di Turio daremo la
preferenza a Diodoro Siciliano che ne narra le origini e i
fatti pili a minuto e meglio che gli altri, fra i quali sono
da porsi quei che dicevano averla fabbricata Filottete e
ivi serbarsi il suo sepolcro e nel tempio di Apollo essere
riposte le frecce di Ercole da luì possedute (lustin.,
L. XX, 1): Tliurinontni urbem condidisse P/iiloctetem
ferunt, ibique adhuo monumentum eius visilur et Herculis
sagittae in Apollinis tempio, quae fatum Troiae fuerunt.
Cotesto Filottete ebbe culto anche in Sibari e in Macalla
e vedremo che gli si attribuiva anche l'impianto di Siri
e di Petelia. Diodoro dice (1. XI, 90; XII, 16), che avendo
i Sibariti coll'aiuto dei Tessali rimessa in piedi nella
ol. LXXXin, 2 la loro Sibari, indi cinque anni dopo
ne furono espulsi dai Crotoniati. Ebbero essi allora ricorso
agli Ateniesi i quali nel terzo anno della olimpiade pre-
detta (u. e. 308) fecero una spedizione in loro favore e
ricondussero in Sibari i nobili Sibariti. Capo di cotesta
spedizione fu il retore Dionisio (Plut. in Nicla p. 526)
soprannominato Xalxsvg, perchè aveva consigliato agli
Ateniesi la moneta di bronzo, la quale fu del resto dopo
poco tempo abolita (Athen. XV, 669). Gli Ateniesi stan-
ziarono in Sibari, mentre i Sibariti si erano messi alla
ricerca del terreno per fabbricarvi una novella città, dove
secondo la prescrizione dell'oracolo abbondar dovesse pili
il pane che l'acqua. Conducevano seco dieci indovini ate-
niesi diretti da iin tal Lampone, che però fu detto fidvrig
s^ì]yrjTrjg e pfoiyff.ttoAóyog (Schol. ad Aristnph. Nub. v. 331) :
a tutti questi dieci i posteri diedero il soprannome di
BvQiofiàvTfie, yV Indovini di Turio. Lampone e Senocrito
giunti ad un luogo dov'era una fontana chiamata OovQia
dissero essere quello il terreno inteso dall'oracolo : e però
fu ivi fondata la città, che chiamossi Turio, e i due indo-
vini ne ebbero il nome di xTictvai, fondatori (Diod. Sic.
XII, 10). L'anno quarto della ol. LXXXIII, u. e. 309, i
Sibariti e gli Ateniesi condotti da Lisia vi presero stanza.
Sibari intanto rimase soggetta a Turio come suo emporio,
e così si può spiegare come Stefano abbia potuto scrivere
che Turio si chiamò prima Sibari, e Varrone {de R. R. 107),
che Sibari si chiamava a' suoi tempi Turio : Sybari, qui
nunc Thuril dicunlur. Essa non ne distava gran fatto,
perchè da Turio vi si vedeva una quercia che non perdeva
mai la foglia, come qui attesta Varrone e dopo di lui
Plinio [H. N. XVI, 33) ove scrive: In thurino agro, ubi
Sybaris full, ex ipsa urbe prospiciebatur quercus una
nunquam folla dimitlens. Cominciarono i nobili Sibariti
a usurpare le prime magistrature e le migliori terre
(Aristot. Polit. V, 2 ; Strabo, VI, 1), donde avvenne che gli
Ateniesi insorgessero, e messili a morte (Strab. VI, 263)
v'introdussero nuovi coloni che vi approdarono l'anno 310
(ol. LXXXIV, 1). Sarse pertanto nella ol. LXXXV, 3 un
nuovo dissidio fra gli Ateniesi di Turio e cotesti greci
da loro condotti a prendere il luogo dei Sibariti, a
quale dei due popoli toccasse l'onore di quel rimpianto,
e allora fu mandato a Delfo perchè l'oracolo decidesse.
Apollo fece loro dire che voleva egli essere tenuto per
fondatore, e la lite ebbe fine. Turio era situata fra i due
fiumi il Grati e il Sibari, ma il territorio suo si estendeva
al di là del Sibari fino al fiume Hylias, dove confinava coi
Crotoniati (Thueid. VII, 35.) Ippodamo ne fu l'architetto
e questi divise la città in sette quartieri, quattro per lo
lungo e tre per lo largo, con una piazza in ciascuna d'essi
denominata da un dio o da un eroe, a cui perciò era fab-
bricato un tempio e vi si preslava culto. I nomi furono
(Diod. 1. cit.) ^Hqàxlsia, 'A(fqodiaiag, 'OXv/imiag, Jiovvaiag,
"Hoc-ia, QovQia, @ovQira. Non pertanto vano sarebbe cer-
care una conferma di qiieste divinità dalle monete, le
quali ne sono mute, se ne eccettui la fontana Thuria rappre-
sentata su di un bronzo. Ercole, Afrodite, Giove Olimpio,
Dionisio non vi sono rappresentati. Eppure il vino di
Turio era rinomato; ó &ovqh'og twv èv 6vó/.iaTi, oivwv
sarCv,, scrive Strabene (IV, 164).
Turio fu in seguito rinforzata da nuovi coloni. All'anno
343 u. e. v'erano Ateniesi e Spartani insieme, non sempre
T. evi
LUCANIA AUSTRALIS
141
perì) iu pace fra loro: onde avvenne che gli Ateniesi avuta
la peggio nella guerra di Sicilia ne fossero cacciati e l'ari-
stocrazia si cambiasse in dinastia (Aristot. Polii. V, 6, 8).
La città, prosperò per tutto il secolo quarto e quinto, de-
dita al costume spartano di nutrire la chioma (Philostr.
V. Apoll. Ili, 15), come i Tarentini. Nel 386 avanzandosi
i Lucani contro le colonie greche, i Turini mossero loro
contro (Polyaen. Strat. 11, 10, I), ma vi furono battuti.
Se non che le orde dei barbari Lucani e Brezzii sollevatisi
coi Sanniti contro i Eomani nel 472 capitanati la seconda
volta da Stazio Statilio recaronsi allo sterminio di Turio,
la quale come pare erasi aiSdata ai Eomani (Liv. Epit. XI).
Strabene sembra dire che i Lucani ridussero Turio in
schiavitù e che i Tarentini ne li sottrassero. Ma egli in-
tende dire dei Brezzii che saccheggiarono Turio circa il 395.
Però i Turini mal volentieri stando soggetti ai Tarantini si vol-
sero ai Komani (Strab. VI, 263): ond'è che il console Pa-
brieio Luscino ne prese a grande studio la difesa e venuto
alle armi disfece i nemici facendone prigionieri cinquemila
colloro supremo duce Statilio (Val. Max. I, Vili, 43). I Turini
furono grati al tribuno della plebe Elio Tuberone che pro-
pose e fece sancire la legge che dichiarava Stazio Statilio
Lucano nemico e gli mandarono in dono una statua e una
corona d'oro : e una statua altresì donarono a Luscino, che
gli aveva liberati dall'assedio (Plin. H. N. XXXIV, 15).
Il console pose un presidio a guardia dei Turini protetti da
uno stuolo che stanziava nelle acque vicine. I Tarentini ne
ebbero dispetto e gittatisi addosso all'armata in parte la
distrussero, poi mandarono loro gente contro il presidio
che non essendo più protetto dalla fiotta abbandonò Turio
ai Tarentini. Seguirono quindi i fatti di Pirro e di Anni-
bale che a testimonianza di Appiano vi traslocò gli Atel-
lani (VII, 49). Terminate le guerre cartaginesi i Romani
dedussero nel 561 una colonia nel territorio di Turio in
Thurinum acjrum (Liv. XXXV, 9) : cotesta colonia prese
nome di Copia.
Le monete di Turio non hanno nulla di arcaico stile,"
esse cominciano al secolo quarto di Eoma, né portano nel
dritto altro tipo che la Pallade attica ; il toro che vi si vede
costantemente al rovescio non è il respiciente dei Sibariti,
dei Sirini, e degli Aminei di queste spiagge, può però cre-
dersi che ne conservi la tradizione, avendo preso il posto
della civetta ateniese. Il significato della voce dovqiog,
impetuoso, non è sì proprio del toro che ne potesse mai
fare da arma parlante come è sembrato ai numismatici. Ne
poi è vero che cotesto toro sia sempre impetuoso cozzante,
perchè noi il vediamo non di rado andar calmo e talvolta
al passo (v. i nn. 15-17, 19-21, 24), ed è anche respiciente
(ib. n. 29).Iltetradrammo, se ne eccettui Reggio e Metaponto,
non usato in Italia, fu dagli Ateniesi introdotto in Turio.
Questa moneta offrendo un campo più largo fu sovente
insieme coi didrammi lavorata da insigni maestri che vi
hanno inscritto il proprio nome, Istore, Molosso, Nicandro.
Su di un raro didrammo è impressa la testa laureata di
Apollo col toro sul rovescio : questo Apollo è ripetuto sul
bronzo, ma porta sul rovescio la lira, come nelle monete di
Reggio, donde pare sia stato imitato, se non è da stimarsi
un indizio di confederazione. In un secondo bronzo vi si
vede invece al riverso Diana in abito di cacciatrice con
fiaccola nella destra e due giavellotti appoggiati alla spalla
sinistra in atto di montare su per le balze accompagnata
dal cane.
Né il Giove 'OfWQioc, e forse neanche il Borea, se non
è al n. 6, si vedono sulla moneta. Noi sappiamo da Polibio
(L. Il e. 39) che all' 'Oi.wQwg i Turii con altri popoli innal-
zarono an tempio; ed Bliano {Var. hist. XII, 61) scrive, che
essi al Borea dichiarato loro concittadino fabbricarono una
casa e gli assegnarono porzione di terreno, dandogli il sopran-
nome di benefattore, eveQyaTrjg, e gli facevano sacrifizii,
perchè aveva, spirando, mandato in conquasso l'armata di
trecento navi, che Dionigi il vecchio menava per assalirli
(ol. XCVII, 3, u. e. 364). Hanno però tenuto conto della
fonte Turia che rappresentano coronata di canna palustre.
V è un bronzo con testa giovanile laureata e a capelli
corti, creduta muliebre dal Sambon, ohe l'ha forse veduta
nel Carelli (CLXIX, 95) così rappresentata. Questa ha nel
rovescio un cavallo libero, che saltella. Penso che sia Dio-
mede, che ebbe una statua in Turio {Sckol. Pinci. New.. X, 2),
a cui è consecrato il cavallo libero. Ad Alessandro il Molosso
i Turini innalzarono un mausoleo in attestato di gratitudine,
essendo egli venuto in Italia per sostenerla contro i Lucani.
Il ritratto di questo re può forse ravvisarsi su quel bronzo
di Metaponto (CV, 6), che figura un uomo barbato e col
capo cinto da largo diadema.
Gli artisti di Turio non iscrivono i loro nomi sull' elmo
della Pallade come i Veliesi, ma sulla base del toro, due
di essi in genitivo "idroQog, NixàvÓQo, uno in caso retto
Móloaciog, e fra le gambe anteriori Evdv{Saiiog); fra le
quattro gambe AC§vg. Sono nomi di magistrati, o di alcun
dinasta, Jàiion-, KQsiav"In7tó(!zQu{tog). Battono l'unità, mag-
giore e il doppio di essa e questa unità dividono in terze
e in seste parti. La monetina di argento n. 31 del peso
di gr. 0,47 ha dato da pensare sin a tanto che il eh. Im-
hoof-Bliimer ci ha additato qual valore si abbiano i carat-
teri del riverso. Consta dunque che i Turii dividevano l'e-
miobolo in cinque once, ciascuna delle quali pesava gr. 0,10
incirca. Il lodato editore confessa di non avere un vocabolo
che esprima queste frazioni e rifiuta l'opinione del Sam-
bon, che loro attribuisce la voce triletartemorion colla quale
gli Attici denominavano tre quarte parti dell'obolo. Ma si
deve notare che l'obolo dei Turii è doppio, l'uno pesa
gr. 0,60, l'altro 94; il primo si divide in sei parti, il secondo
in dieci. Questo T si rivede nel bronzo (T. CVIl n. 23) del
peso di gr. 1,11-0,97 e forse dovrà riconoscersi anche
nella cifra H in mon. (nn. 14, 15) del peso di gr. 4,10,
valendo di fatto un emiobolo in bronzo.
Il Sambon conobbe {Rxherch.'Q. 170) le due terze e la
duodecima parte ; la sesta è anche nella mia collezione. Una
delle unità maggiori (n. 21) di barbaro stile e foderata
porta la leggenda OOVRIil con desinenza arcaica latina
142
LUCANIA AUSTEALIS
T. evi
del genitivo plurale in o e due lettere parimente latine VR.
Dovrà dunque attribuirsi e ne saranno autori i Campani di
AteUa, 0 di Erdonia, che furono trasferiti da .Annibale in
Turio (App. VII, 49).
Il bronzo ha in prima per base l'obolo e il doppio e
quadruplo dell'obolo, non che le divisioni inferiori fra le
quali è notevole quella che porta sul rovescio un T ini-
ziale parmi del tricalco o sia della quarta parte di obolo.
11 mezzo toro è figurato pome il mezzo bue androprosopo
di Napoli in atto di nuotare nelle acque.
7. Museo di Napoli (Avellino, R. Mas. Borb. V tav. XLV, I).
Testa di Pallade sul cui elmo è il mostro Scilla, che leva la
sinistra facendo solecchio : sulla gronda è un grifo. R. Toro
cozzante volto a d. di sopra OOYPIilN. Chiamo questo toro
cozzante : non intendo perb che si lanci a tutta forza contro
il rivale, ma che corneggi come fa a modo di esempio
sulle monete della guerra sociale ferendo di corno la
lupa che ha sotto i piedi. Il Minervini {Oss. p. 48) dice
ovvio nelle nostre monete di ritrovare il toro con le
anteriori zampe ripiegate verso il corpo e col capo abbas-
sato, ovvero con una sola delle zampe anteriori piegate. Il
primo atteggiamento non so in quali monete si trovi, del
secondo, che è solenne sulle monete di Turio, dico, che
non è atteggiamento di un quadrupede che nuota: ben è
proprio del nuotante il muovere alternamente le gambe
nell'acqua e poi l'averle piegate, ma in tal attitudine la
testa è alta. II toro di Turio pare si atteggi alla pugna
dando dei colpi all'aria.
8. Coli. Luynes. Testa di Pallade con elmo attico ornato del
mostro Scilla, e sulla gronda dinn grifo. R. Toro cozzante
volto a d. sopra 0OYPIÌ1N: sul listello, dove il toro
poggia, 15TOPOC: sulla coscia del toro è scolpito in mono-
gramma EY veduto la prima volta ed espresso dal sig.
Imhoof-Blumer, al quale ne debbo l'avviso. Può essere letto
EY piuttosto che YE e tenersi per nome di magistrato.
L'artefice del tipo è Histor altronde ignoto. Qui. il sig.
Imhoof-Bl. (Monn. gr. pag. 7) raccoglie alcuni esempi di
lettere stampate in rilievo sul corpo dell' animale che è posto
sul riverso. Tali sono H ed E sul delfino di Taranto, P o
K sul leone di Lycceius, A sulla vacca di Durazzo, M, A, 0
sulla vacca di Carcyra, A sul Pegaso di Ambracia, ai quali
esempi si può aggiungere I' 3 sul leone di Velia, nella col-
lezione mia (tav. CXVIII, 24).
9. Museo di Napoli (Avellino, R. Mus. Borh.ì. V tav. XLV, 3).
Testa di Pallade volta a d. coperta di elmo attico, sul quale è
il mostro Scilla che scaglia una pietra. R. Toro simile al
n. 8: sopra GOYPIilN ed EY(t)A: in un esemplare della
coli. Santangelo si legge EV(1)E forse per EVctiP che ha
qualche altro esempio.
10. Coli. mia. Testa di Pallade col mostro Scilla sull' elmo che
lancia una pietra, sulla gronda di esso elmo Slil. R. Toro
cozzante come quello del n. 10, e fra le gambe anteriori
EYOY, di sopra R : la leggenda OOYPI0N è uscita di conio.
Nell'esergo è un pesce. Il Cavedoni congettura {Saggio, 19)
del mostro in atto di gittare un colpo di pietra, che par-
rebbe piuttosto un gigante, e potrebbe dirsi OovQiog. Ma
ai giganti che gli antichi finsero anguipedi non si sa
che abbiano aggiunti all' inguine come a Scilla cani latranti.
11. Testa di Pallade: il mostro Scilla sull'elmo porta un remo:
dietro la nuca di Pallade è E. R. Toro simile ai prece-
denti; sul listello MOAO^SOM; di sopra OOYPlilN : nel-
l'esergo un pesce: la estrema lettera M mi sembra un i
rovescio.
12. Testa di Pallade, sul cui elmo il mostro Scilla alzala sini-
stra verso la fronte. R. Toro cozzante simile a quello dei
nn. 7, 10 di sopra OOYPIIÌN; di sotto al toro entro una
zona AAOAO^^O^; nell'esergo nn pesce.
13. Coli. mia. Testa di Pallade simile alla precedente n. 12. R.
Toro simile a quello dello stesso n. 12 ma il nome N\OAOÌ-
i.Oi in carattere minuto è scritto sul listello dove poggia
il toro : di sopra OOYPlJClN : nell'esergo un pesce.
14. Nel Museo di Berlino (Friedlaender, Arch. Zeitung, 1847 '
p. 119 tav. VIII, 6). Testa di Pallade sul cui elmo il mostro
Scilla' porta im remo, ed un grifo è sulla gronda. R. Toro
cozzante: di sopra OOYPIilN; sulla base dove poggia il
toro NIKANAPO:, tra i piedi del toro una locusta. Nel-
l'esergo un pesce.
15. Coli. mia. Testa di Pallade con elmo coronato di olivo. R.
Toro andante a sinistra fra i cui piedi è scritto AIBYS:
di sopra OQYPlilN ; nell'esergo un pesce.
16. Coli. mia. Testa di Pallade simile alla precedente n. 18:
davanti alla fronte un 0. R. Toro andante a sinistra, sopra
OOYPlilN; tra le gambe un uccello che batte le ali,
nell'esergo un pesce.
17. Museo di Napoli (Avellino, R. Mus. Borb. t. V tav. XV,
12). Testa di Pallade sul cui elmo è un grifo. R. Toro
gradiente a sin. di soiH'a OOYPljQN ; nell'esergo un pesce.
18. (Carelli t. CLXVII. 27). Testa di Pallade con elmo attico alato
volta a d. /?. Toro cozzante coronato dalla Vittoria: nel-
l'ergo GOYPljQN.
19. Testa di Pallade con elmo coronato di olivo. R. Toro an-
dante di passo: sopra GOYPIilN, nell'esergo due pesci.
20. Coli, mia : moneta foderata. Testa di Pallade con elmo co-
ronato di olivo. R. Toro andante a sin. : di sopra OOYPIIIN,
tra le gambe A, nell'esergo un polipo.
21. Nel Museo di Vienna. Testa di Pallade con elmo coronato
di olivo volta a sin. e di barbaro stile. R. Toro andante
a sin., di sotto nell'esergo im pesce, di sopra OOVRlil
con alfabeto misto e flessione del genitivo plurale in 12,
come l'arcaica latina.
22. Coli. mia. Testa di Pallade con elmo ornato del mostro Scilla.
R. Toro cozzante a sin. Sopra OOYPIilN è OPA (OP in
mon.), tra le gambe SAT: nell' esergo una spada nel
fodero, che è in basso munita di larga piastra a modo di
crispello. La spina del manico termina in pomo : ha una
vetta per paramanico, e al fodero si vede annodato un
laccio che fa da balteo per sospendere l'arma dall'omero
a traverso del petto e per cingerla ai fianchi.
23. Coli. mia. Testa di Pallade sul cui elmo è il mostro Scilla
con capelli sciolti ed irti: è di forma umana fino all'in-
T. CVII
LUCANIA AUSTKALIS
143
guine, donde si spiccano due cani terminanti in una sola
coda di pistrice. R. Cotesto pezzo aveva ricevuto in incavo
l'impronta di una testa galeata quando le si stampò in
rilievo il toro cozzante volto a d. : di sopra OOYPIilN,
nell'esergo un pesce.
24. Nel Museo di Monaco. Testa di Pallade con elmo coronato
di olivo. E. Toro gradiente a sin., sopra OOYPION, nel-
l'esergo un pesce.
25. Testa di Apollo laureata volta a d. R. Toro cozzante: nel-
l'esergo (O)OYPIXIN e fra mezzo un tripode (Avellino, R.
Mics. Borb. V tav. XLV, 1).
26. Coli. mia. Testa di Pallade coperta di elmo attico cinto di
laurea volta a d. R. Toro gradiente a sin. di sopra 0OYP1,
fra le gambe T, nell'esergo pesce a d.
27. Testa di Pallade simile a quella deln. 26. R. Toro coz-
zante volto a d. sopra OOYPlilN, nell'esergo HPA.
28. Coli. mia. Testa di Pallade con elmo alato volta a d., da-
vanti il groma agrimensorio. R. Toro cozzante a d. coronato
dalla Vittoria ; nell'esergo OOYPlilN.
29. Nella coli. mia. Testa di Pallade con elmo coronato di olivo.
R. Toro andante a d. e respiciente a sin., sopra OOY (Ve-
dine una simile data dal Minervini Bull. ardi. nap. Ili, 9).
30. Coli. Imhoof-Bl. Testa di Pallade con elmo attico cinto di
una corona d'olivo, volta a d. : sopra questo tipo è scol-
pito in rilievo un T. R. La cifra P dentro alla quale un
T, indi di sotto OOY. Pesa gr. 0,47.
31. Da un mio calco. Testa di Pallade con elmo attico volta
a d. R. Nel mezzo la cifra P con dentro un T, di sopra
MY, di sotto OOY. Il sig. Imhoof-Bl. ha dato al rovescio
di queste due monetine 30, 31, questa spiegazione [Zur
Miinzkunde Boeotiens, und des Pelopon. Argos, 1877, p. 57).
La cifra P col T significa cinque T, ma da quel T non trova
per ora un vocabolo proprio nelle divisioni frazionarie, MY
è iniziale del magistrato, OOY il nome della città.
32. Nella coli. mia. Due mezze lune accostate dalla parte con-
vessa e intorno OOYP. R. Lo stesso tipo delle due lune ma
con quattro globettini (cf Piorelli, Mon. ined. tav. 11, 14),
che probabilmente dovrebbero esser cinque, essendo uno dei
globettini uscito di conio.
Tav. CVn.
1. Coli. mia. Testa di Pallade volta a d. coperta di elmo
attico adorno del mostro Scilla. R. Toro che va a destra e
guarda di prospetto : di sopra OOYPI.0.N : tra le gambe del
. toro AAMXIN, nell'esergo una fiaccola acoesa. Pesa gr. 34, 50.
2. Testa di Pallade con elmo attico ornato del mostro Scilla.
R. Toro cozzante ; di sopra OOYPIilN, nell'esergo un pesce.
3. (FioreUi, Ann. di numism. 11). Testa di Giove coronata
di laurea volto a d. R. Aquila ad ali spiegate sopra il
fulmine: a sin. OOYPIHN.
4. Coli. mia. Testa di Pallade con elmo attico decorato del
mostro Scilla volto a d. Su di questo bronzo si ripete in
contromarca la imagine di Pallade che serve di tipo. R.
Toro cozzante, fra le cui gambe posteriori sono le lettere
in iniziali di un nome (cf. IriTioarou, CVII n. 12,): in
alto si legge OOYPIXIM, nell'esergo è un pesce. Questo
magistrato Ifl battè ancora un nummo d'argento che reca
le medesime due lettere.
5. Museo di Napoli (Avellino, R. Mus. Borb. V tav. XXX,4Ì.
Testa laureata di Apollo. R. Toro cozzante volto a sin. di
sopra QOYPIilN, nell'esergo un pesce.
6. Nel Museo di Monaco. Testa di Apollo cinta di laurea.
R. Diana cacciatrice con due giavellotti appoggiati alla
spalla sinistra, e una fiaccola nella destra ; ha corta gonna,
stivaletti ai piedi e la faretra sull'omero destro andando
con celere passo accompagnata da un cane : a d. OOYPlilN
(cf Avellino, R. Mus. Borb. V tav. XXX, 8, dove la fa-
retra è omessa). Cotesto bronzo è citato a torto dal Cavedoni
nei Ripostigli (p. 234) e nelle note alle opere del Borghesi
{Oeuvr. VI, 401) per esempio di tipo simile a quello della
Diana àiitpCnvQog, ossia che porta una fiaccola in ciascuna
mano ed è in veste lunga, quale si vede sulla moneta di
P. Clodio figlio di Marco, onde conferma l'opinione sua,
che il cognome Turinus indichi essere egli originario di
Thurium, mentre il Borghesi lo dice di patria ignota.
Certamente la Diana di Turio non ha che far nulla con
quella di Clodio.
7. Coli. Santangelo. Testa della fontana Turia coronata di
canna e con pendenti agli orecchi volta a sin., a d. OOYPIA.
R. Toro cozzante a sin. in alto ISTI nell'esergo un pesce.
In altro esemplare il campo è cinto da una corona e sul toro
si legge il nome fi ARME.
8. Nel Museo di Napoli (Avellino, R. Mus. Borb.t. Vtav.XV, 11).
Testa di Pallade con elmo ornato di un ippocampo. R. Toro
cozzante a d., di sopra OOYPIilN, nell'esergo un pesce.
9. Testa laureata di Apollo a sin., dietro i?. R. Lira e intorno
OOYPIilN, di sotto s:nH iniziali di due nomi Sm, H
(cf. il n. 14).
10. Simile" testa di Apollo. R. Tripode e intorno OOYPlilN.
11. Coli. Sant. Testa di Diana a d. con faretra alle spalle e
pendenti all'orecchio. E. Apollo stante con lira nella sin. e
patera nella d., a sin. KAEilN, a d. OOYPIilN.
12. Coli. mia. Testa di Diana coi capelli allacciati sulla cer-
vice e faretra al collo. R. Lo stesso tipo della precedente,
ma a sin, si legge OOYPIDN a destra IPPOSTPA.
13. (Minerv. Oss. 1, 11). Testa di Pallade con elmo attico
cinto da una corona di olivo. R. Toro che va a destra e
volge indietro la testa, di sopra OOY. Il Cavedoni ha
notato che questa moneta fu attribuita dal Carelli a Sibari
(tab. OLXIV, 20). Essa è invece di Turio, come si mani-
festa dalla epigrafe, ohe non fu potuta leggere dal Carelli.
14. Museo di Napoli (Avellino, R. Mus. Borb. V tav. XXV,7).
Testa di Pallade coperta di elmo corinzio volta a d. R.
Toro cozzante a d. di sopra OOYP, nell'esergo fflSSilOI,
iniziali di quattro nomi Aq, Icr, Sm, $(.
15. Museo di Napoli (Avellino, R. Mus. Borb. V, XXX, 11).
Testa laureata di Griove volta a sin. R. Fulmine alato: di
sopra OOYPlilN di sotto Th in mon.
16. Museo Kircheriano. Testa di Apollo laureata volta a sin.
R. Fulmine alato; di sopra OOYPIilN di sotto Th.
144
LUCANIA AUSTRALIS
T. CYII
17. (Fiorelli, Mon. ined. II, 2). Testa di Apollo laureata volta
a sin., dietro la nuca S. R. Cornucopia, a sin. 2X1 a d.
(J)l e 0OY.
18. Testa di Apollo laureata volta a d. R. Cavallo libero in
corsa a d., di sopra 0OY, di sotto AS""" in mon. (Avel-
lino R. Mus. Borb. V tav. XX5, 9).
19. Testa di Pallade con elmo attico volta a d. R. Mezzo toro
nel n. 19 volto a sin. e intorno OOYPIIiN.
20. 11 tipo medesimo che nella precedente, ma il mezzo toro
è volto a d. e intorno gli si legge OOYP.
21. Testa di Ercole giovane coperta dalla spoglia del leone. R.
Mezzo toro volto a d. In simile nummo edito dal Piorelli
{Mon. ined. Ili, 8) vi si legge GOY e ^D..
22. (ricreili, Mon. ined. II, 13). Testa di Pallade con elmo
attico volta a d. R. Due lune opposte e nel campo OOY.
23. Coli. Imlioof-Bl. (Zur Munzkunde Boeotiens und des Pelo-
ponn. Argos 18-77 p. 58). II dritto è simile a quello del
n. 22. R. La lettera T nel mezzo delle due epigrafi EHI
di sopra, OOYP di sotto alla linea traversa. Il peso è
di gr. 1,11-0,97.
24. Testa- di Pallade con elmo attico volta a d. R. Testa di
bue di prospetto con le infulae pendenti dal collo : di sopra
OOY, di sotto astro.
25. Simile alla precedente ; ma al riverso le infulae del bucra-
nio sono omesse: di sopra si legge OOY, di sotto EP.
26. Testa di Pallade a d. con elmo coronato di olivo, R. Pro-
toma di bue a d. ed epigrafe OO.
COPIA
Da Strabene apprendiamo che i Romani mandarono
iuTuriouna loro colonia che denominarono Copia (Strabo,
VI, 263). Questa asserzione conferma il testo ricevuto di
Livio che dice essersi decretato nel 560 di dedurla (t. XXXIV,
53) in agrum thurinum, ma fu dedotta nel 561 in caslrum
Frenlinum. (Liv. 1. XXXV, 9). Il Mommsen pensa così {H. de
la w. Ili, 188) e il Millingen opina che Copia non fu dedotta
nella città di Turio, ma nell'agro, e ne dà per motivo il vedere
che Turio è sempre nominato dipoi (Considérat. pag. 229).
Io stimo che non sia stata dedotta a Turio, e inoltre che
cotesta Copia non abbia avuto lunga vita, e però che Turio si
sia ripreso colla vita il suo nome. A così opinare m' induce
non solo il vedere che si parla di Turio dopo il 56 1 ma che
dagli antichi si tace di poi di questa Copia. Plinio non
ne fa parola, e neanche l'autore del trattato de coloniis:
e neanche l' itinerario di Antonino (n. 114 pag. 52). Ma Ci-
cerone e Cesare nominano Turio nell'agro turino e Cosa in
cui vece Plinio scrivendo di Milone pone Castellum Caris-
sanum (11, 57); onde si potrebbe dire col Cellario [Geogr.
p. 719, che il nome di Copia fosse andato in dimenticanza.
La moneta che si ha di Cop ia è di bronzo, rara, e del sistema
semonciale ; l'oncia manca tuttora. La sua paleografia ritiene
dell' alfabeto arcaico la U acuta, che adopera insieme con la L
normale, il che è stato già notato da me sulle monete del
secolo sesto [Sylloge, pag. 42 can. 9). La prima emissione
che termina col semisse, non ha nomi dei magistrati ; questi
si vedono inscritti soltanto nella seconda. Sono tutti notati
con lettere solitarie ; né si saprebbe dire se uno o due siano
le persone, e se vi si è aggiunto anche il grado e la qua-
lità di magistratura. Par proprio il caso dell'asse semonciale
romano, sopra cui trovasi l'epigrafe L ■ P ■ D ■ A -P (Borghesi,
Oejtur. I pag. 878; Oss. III). Qui però ce ne apre l' intel-
ligenza il trovarsi una volta la tronca voce AID, cioè Aedi-
lis che giova anche a confermare l' interpretazione dell'A P
proposta dal Borghesi. Di qui ci spieghiamo anche il Q
che deve indicare il Quaestor. Che poi siano due gli edili
e due i questori quantunque indicati col solo nome di
famiglia, si fa manifesto dal vedere lo scambio di sito delle
due lettere, ora leggendosi U • C ora C • L. Dagli spezzati
passiamo agli assi che ci danno due epigrafi Q • P • L • L ■ N
eAA-C-M-D-L-Q-, dove il confronto ne fa accorti, che
nella seconda ugualmente che nella prima il Q vale Quae-
stores. Il sistema simile al semonciale non prova come taluni
falsamente si sono apposti, che queste monete sono poste-
riori al 665 : perchè quanto al peso della libbra le colonie
erano libere di adottare quel che loro fosse opportuno. I tipi
del dritto ritraggono quei di Roma, eccetto il semisse, che
porta r imagine della Copia in luogo della testa di Griove.
27. Bifronte barbato laureato col segno della libbra sul vertice.
R. Cornucopia; a sin. COPIA, a d. mezza luna.
28. Museo di Vienna. Testa di donna a d. coperta di velo e
coronata : dietro S segno del semisse. R. Cornucopia, a d.
COPIA, a sin. il segno S del semisse.
29. Coli. Sant. Bifronte barbato laureato col segno del valore,
che è la libbra, sul vertice. R. Cornucopia a d. COPIA e
un segno monetale, a sin. Q • P • L • U • N (11 Catal., 5179,
in fine legge M).
30. Coli. Sant. Bifronte simile al precedente n. 29. R. Cornu-
copia fra una clava a s. e un ramo di lauro a d.; COPIA a
sin. AA-C-/V\.D.L--Q.
31. Testa di donna velata e coronata volta a d. dietro alla nuca S
R. cornucopia a d. COPIA, a sin. U • C • Q.
32. Testa di Pallade coperta di elmo corinzio volta a d. Dietro
i quattro globetti, segni del triente. R. Cornucopia a d.
COPIA a sin. coi quattro globetti, l'epigrafe C • L- ■ Q. In
altro esemplare si legge come sopra, n. SI, U • C ■ Q.
33. Testa di Ercole con la pelle di leone volta a d., dietro
tre globetti. R. Cornucopia a d. COPIA a sin. U ■ I- • AID,
in basso i tre globetti.
34. Testa di Mercurio col petaso alato, dietro due globetti. R.
Cornucopia, a d. COPIA, a sin. C • U • Q e i due globetti.
35. Testa di Mercurio col petaso senz'ali. R. Cornucopia, a d.
COPIA, a sin. U-U-AID.
AMINEI
Niun dubbio che la seconda lettera '*'\ sia un mu, non un
M, san dorico. Però rimane fermo che si debba pensare ad
un popolo, il cui nome cominci dalle iniziali Ami: ed io
penso che siano questi gli Aminei, dei quali Filargirio
dice sull'autorità di Aristotele, che erano Tessali e ven-
nero in Italia dove trasportarono le viti che da loro ebbero
T. eviri
LUCANIA AUSTEALIS
145
uome di aminee (Yirg. Georg. II, 97): Amineos Aristotelcs
ni Pohjticis scrtbit, Thessalos fuisse, qui suae regionis
vites in Jtaliam transtìilerint, atque illis inde lìomen
imposìtum. Che cotesti Aiuinei prendessero stanza nella
Magna Grecia si può argomentare da Esichio p. 74 :
'Aniraìoc di' éròg v ozrog, »J ycig IlsvxsTia 'Afiiraìa Xsyi-
Tcti. Indi si dissero aminee tutte quelle vigne nelle quali
la vite aminea si coltivava (cf. Plin. H. N. XIV, 4). In questo
senso si chiama Aminea la vigna di un cittadino di Petelia
il quale nel suo testamento lascia l'usufrutto di essa agli Au-
gustali (Or. S67S): QVA/V\ VINEAW\ VOBIS AVGVSTA-
LIBVS IDCiRCO DARI VOLO QVAE EST A/V\1NEA. Gli anti-
chi non son concordi ad assegnare il luogo ai Peucezii:
questa regione scrive Plinio (III, 16) si chiamò poi Mes-
sapia e Calabria in Salentino solo ; altri però la pongono
fra Bari e. Taranto. Perecide addita i Peucezii nel seno
ionio sr ìoviro zó/rrm, ed Ecateo attesta eie confinarono
cogli Enotrii ì'droQ roTg Oi'tor gioie noodexé:. Può quindi
opinarsi che la città degli Aminei stesse fra Metaponto,
Bari e Taranto piuttosto che fra Taranto e il capo di Leuca,
dove secondo l'Harduino li pone Macrobio, se si corregge
Salentum in luogo di Falenium. Ma credo che Macrobio
veramente intendesse Falernum dove si coltivava la vite
aminea a suoi tempi {Satwn. II, 46): e dove egli perciò
stima che abitarono ■ gli Aminei: Uva aminea scilicet a
regione: nani Aminei fuerunt, ubi nunc Falernum est: e
ad ogni modo i Peucezii non oltrepassarono i confini di
Brindisi ed è piuttosto vero che il loro suolo si chiamò
in parte Salentino, ponendo Plinio la Egnatia in Salen-
tino (II, 140).
36. Coli, del Luynes. Toro in rilievo che andando a sinistra si
volge indietro e par che guardi una cavalletta che gli si
è posata sulla groppa : nell' esergo ^ '^/Q. R. Lo stesso tipo
incuso con l'epigrafe stessa in rilievo nell'esergo. Il Luy-
nes nell'elenco che mi mandò delle sue monete l'attribuì
per congettura ad Aminula Apuliae vel Amiternum. Essa
è quel medesimo esemplare che fu una volta visto in Koma
nel 1845.
37. Museo di Vienna. Il tipo è lo stesso che nel nummo pre-
cedente, e la epigrafe, quantunque logora, pure studiata
bene si legge l'^/K dai due lati. Il P. Eckhel la publicò
e descrisse (D. n. v. I, 161) citando anche il Magnan. Ma la
epigrafe non fu da lui ben letta VAA, e la moneta si attribxiì
erroneamente a Sibari. La quale attribuzione è durata e
dura tuttavia (Fiorelli, Mon. ined. II, 12).
38. Museo di Xapoli. Terzo esemplare della moneta descritta
n. 36. Ancor qui l'epigrafe è i'^f\. È stata publicata dal
De Petra, come se fosse della città di Asia nei Bruzii.
Ma vedi ciò che ne ho detto nella Civ. catt. quad. 698
pag. 226 segg.
SIEIS
Era fama che nelle terre della Enotria abitate dai Caoni
e dai Grioni e bagnate dal Siri e dal Sibari fosse approdato
Pilottete coi Troiaui, come in Sibari, e vi avesse fondata alle
foci Siri città omonima alla troica Siri e al patrio fiume (Arist.
de p. VII, 10 : Strabo, VI, 264). Questa tradizione è ricordata
da Ateneo (Dipn. Xlil, 523): ^Toiv ìjì' ttqòìzoi. xaxrjayov oi
ànù TQdi'ag èXd-óvTsg. In Siri presero di poi stanza circa l'ol.
XXIV i Colofonii di Lidia fuggendo la dominazione del re
Gige (Strab. L cit. ; Herod. I, lA): rrjv Av3mv àgz'}'' f^vvovai.
Cù'ca la ol. L i Sibariti coi Metapontini e coi Crotoniati le
mossero guerra e guadagnando la distrussero. Essa tuttavia era
deserta quando Temistocle ricordava l'oracolo che aveva ab
antico ingiunto agli Ateniesi di condurvi una colonia. Siri batte
moneta incusa divisa in quarta a proprio nome e in confedera^
zione di Bussento. Questa Buxentum non è la fondata da Smieito
nell' anno 2 della ol. LXXVII, 283 u. e. (Diod. Sic. L. XI
e. 48, 50), 0 tutto al più. tardi nell'anno 287, cioè un 103 anni
dopo la distruzione di Siri. Convien quindi dedurre che Smieito
non fondasse, ma conducesse una nuova colonia in quella città,
ovvero che il nummo di Siri non precede l'anno 287 come
conchiuse l'Eckhel.
In T. Livio è detto che ai Romani furono date quattro navi
dagli Uriti, ab Uritibus. Si è cercato chi siano cotesti Hi/rites,
così potenti in mare. Il mio parere si è che siano questi i
Siriti e che fa d'uopo correggere Uritibus in Siritibus, dai quali
i Komani poterono avere le navi, perchè Siri rimessa in piedi
dai Tarantini nella ol. LXXXIV, serviva di navale agli Eracleesi.
Tav. CVIII.
1. Museo di Napoli. Toro che andando, si rivolta indietro, nel
campo di sopra ilW. R. Lo stesso tipo incuso. Pesa gr. 2,57.
2, 3. Coli. Luynes. Il tipo già detto al dritto e al riverso incuso,
l'epigrafe è doppia: nel dritto si legge MOM^I^M e in qualche
esemplare MO^jqW: nel riverso PVtOEM ovvero tVT
come nel n. 2. Suole eccedere di peso i gr. 8,00.
STBAEIS
Quanti hanno scritto delle città d'Italia attestano (dice
Pausania VI, 19, 6), che vi fu una Sibari dove è ora Lupia:
'Onótìoi TtsQÌ 'Ivaliag xal noXéiav STTQayfióvrjffav zàv év
avzfi AovTtCag (faci xsiiisvrjv BgsvTsaiov zs fisza^v xal
'YSqovvtog jiszalls^XrjXsvai rò ovoi^ia, ^v^agtv ovaav tÒ
c(Q%càov. Antonino Liberale {Metam. e. 3) attribuisce ai
Locresi la fondazione di una Sibari presso Temesa : AoxqoI
nóliv iv 'iTaXia 2vflccQiv sxtidar. La terza Sibari che è
quella della quale trattiamo dicevasi che l'avessero fondata
i compagni di Pilottete (Schol. luvenal. VI, 296) : ma essa
sorse nell'anno 4 della ol. XIV, u. e. 33, fondata dai Tre-
zenii e dagli Achei (Arist. Polit. V, 3 ; Solin. e. 18) con-
dotti da un Is (nome forse intero) di Elice (Strabo, VI,
263). Essa era sita fra due fiumi, l'uno denominato Sibari,
l'altro Grati omonimo al fiume di Aegae, donde si erano
partiti (Herod. 1 145). Dopo pochi anni gli Achei cacciarono
i Trezenii (Arist. Polii. V, 3). Sibari prosperò lungamente
e crebbe in potenza di modo che si assogettò quattro po-
poli e venticinque città. V'erano però tali discordie inte-
146
LUCANIA AUSTEALIS
T. CVIII
stine fra la plebe e i nobili, che questi furono costretti
rifugiarsi in Crotone e chiedere a quei cittadini aiuto.
Fu dunque dai Crotoniati fatta una spedizione nella ol.
IXVn an. 3, ovvero nella LXVIII an. 2 (u. e. 243 ovvero
247). Sibari era sì vasta che toccava per cinquecento
stadi le rive dei due fiumi il Crati e il Sibari. Essa fu
presa e distrutta e a farne perdere la memoria vi fecero
passar di sojjra il Crali.
Quei 'Sibariti che ne furono supei-stiti andarono a pren-
dere stanza in Lao e in Seidro loro colonie (Herod. VI,
21): il Millingen aggiunge Posidonia {Consid. p. 7) e cita
Erodoto : di che non vi è cenno in questo scrittore. Di un
tanto infortunio toccato alla celebratissima Sibari i cittadini
di Mileto sentirono profondo dolore e ne fecero un gran
lutto, non solo perchè erano al par di loro Gioni di origine
(Herod. 1. cit; Diod. exc. Vat. p. llDind.), ma anche per-
chè erano in gran lega commerciale provedendosi da Mi-
leto di quelle sottilissime lane (Tim. ap. Athen. n. XII
p. 529 Schweig.) tanto celebrate (Plut. Aì.cib. p. 197 segg.).
Intanto i nobili Sibariti che erano in Crotone andarono
a rimettere in piedi la loro patria condottivi da un Tes-
salo (Diod. XI, 90), 0 da Tessali (id. Xtl, 10), cinquan-
totto anni dopo che la loro città era stata distrutta (ol.
LXXXII, 1: u. e. 301). In questa Sibari erano stati appena
cinque anni, ed ecco che i Crotoniati li costrinsero a par-
tirne. Allora essi implorarono aiuto dagli Ateniesi, che
mandarono una colonia l'anno terzo della ol. LXXXIII
(Diod. XII, 10), la quale prese precariamente stanza in
Sibari, dovendo andare in cerca di un terreno, che fu quello
dove fabbricarono Turio (ol. LXXXIII, 3 u. 307; Diod.
XII, 10), e vi si stabilirono chiamandovi a parte i nobili
Sibariti. La condotta di costoro in Turio fu tale, che ob-
bligarono gli Ateniesi a disfarsene un anno dopo (Aristot.
Polit. V, 6, 6): allora i Sibariti, o soli, ovvero secondo al-
cuni (Strab. VI, I, 14) insieme coi Eodii, si trasferirono
alle sponde del Traente oggi detto Trionte, dove fonda-
rono una Sibari che fu la terza di tal nome in Italia.
Questa durò fino a che i Brezii con molte altre greche
colonie la distrussero nell'ol. CVI, 1 (u. 398).
Questo brano di storia dove i Sibariti ricevono in Si-
bari una colonia ateniese è sfuggita all'Ecthel e al Mi-
nervini (0$s. pag. 130), l'uno dei quali vorrebbe che i Si-
bariti ritennero l'antico lor nome prima di assumere il nuovo
di Turio e batterono col toro sibarita e col nome di Sibari :
e l'altro, che i Turini ritennero da principio il tipo sibarita e
batterono colle monete di bronzo e d'argento col toro sibarita
e l'epigi-afe GOY appartengano a Turio. Sibari coniò col
suo proprio tipo, ma sul dritto pose la testa della Pallade
attica e adoperò la paleografia più recente SYBAPl.
Questo racconto deve servirci a distribuire le monete
sibariti in due serie assegnandole a due epoche diverse.
Alla prima serie assegneremo le incuse e quelle a doppio
rilievo che serbano l'antico alfabeto: alla epoca seconda
che comincia dalla olimpiade LXXXII, 1 (u. 302) attri-
buiremo quelle monete che portano per tipo del dritto la
testa della Pallade attica e adoprano il più recente alfa-
beto (Tav. C. Vili un. 23-26). Pare quindi che fin da
questo anno gli Ateniesi non siano stati estranei alla co-
lonizzazione di Sibari, quantunque Diodoro parli solo di
uno 0 più Tessali che l'abbiano rifondata.
Le monete di confederazione di Sibari con Lao, ovvero
di Posidonia con Sibari appartengono alla epoca prima
che termina coll'ol. LXVII a. 3, ovvero LXVIII a. 3 (u.
244-248). Le monete incuse sono anteriori alla ol. L,
nella quale fu distrutta Siri, che le sole incuse ha coniate :
ma Buxentum che si legge sulla moneta di Siri non può
essere la Buxentum da Micito fondata l'anno 2 della ol.
LXXVIT, quando cioè Siri non era stata rimessa ancora
dagli Ateniesi, che vi si recarono nella ol. LXXXIV, o
dovrà dirsi che la fondazione di Micito o Smicito fu solo una
nuova colonia che vi fu dedotta.
Il sistema monetario di Sibari nelle due epoche della
moneta incusa e della moneta a doppio rilievo è lo stesso.
Battono i Sibariti lo statere e i terzi e sesti dello statere.
Il gran commercio che facevano i Sibariti con Mileto non
ha per nulla influito a far sì che battessero la loro moneta
d'argento secondo le divisioni inferiori alla maggiore unità
che in Mileto ebbe gr. 10,59 a 10,90, dividendosi poi in
metà, in terze e seste parti, laddove Sibari nel sistema a
doppio rilievo egualmente che in quello della moneta incusa
batte l'unità maggiore di gr. 8, 21, 29 a 7, 22, e divide
questa in terze e in seste parti.
4-6. Coli. Santangelo (Minervini Bull. arch. I, VI tav. HI
n. 1). Il tipo è lo stesso che quello degli Aminei e dì
Siri, il toro respiciente. R. lo stesso tipo incuso. La leggenda
nei didrammi è VM, e si vede nell'esergo ovvero nel campo
di sopra del toro. Ma nel n. 4 vi si legge di sopra scritto
NSKA, che mi sembra vi sia invece della Vittoria volante
in atto di coronare il toro. Il nome della città è omesso.
Nel mio esemplare che ho espresso al n. 5 si legge sul
toro il nome MWA grafBto a linea raddoppiata.
7. Coli. Luynes. Toro gradiente a sinistra, nell'esergo VM e
nel campo di sopra del toro BAPS. Il Luynes nel Catalogo
di alcune monete della sua collezione, che ho di sua mano,
continua la leggenda bustro feda IIAflVM, ma ivi è in
fine la parte inferiore dell' S angolare.
8. Eitorna il toro respiciente che ha nell'esergo la leggenda
VM. 11 peso di questo n. 8 è di gr. 2,67 e si hanno gli
spezzati inferiori corrispondenti.
9. 10. Questi due nummi portano al riverso un'anfora incusa
e il primo pesa gr. 1,32 ; il secondo 0,66, cioè la sua
metà.
11. Coli. mia. Toro respiciente a d., di sopra VM. R. Ghianda
col suo calice, e a sin. AAS. È una confederazione di
Sibari con Lao, il cui tipo, la ghianda, si vede nell'esergo
della moneta di|Lao (Tav. CXVlII, 4). Questa moneta può
essere stata coniata al più lardi nei cinque anni che de-
corsero dopo il rimpianto di Sibari (301-306 u. e).
12. Di cotesto nummo, che non si era veduto dopo il Magnan
se non dal Minervini {Bull. arch. nap. t. VI, III, 5), io ne
T. CVIII
LUCANIA. AUSTRALIS, BRUTTLA
147
deserÌTerò i due esemplari a me noti. Il primo che ho qui
inciso è nella collezione Luynes. Toro a sinistra respiciente
a d., nell'esergo V/V\. R, La prima lettera del nome in
grande formato M a cui è inscritta la seconda V : in cima
nel campo è un K. L'altro esemplare è nel Museo di
Vienna, ma non vi si legge il K, e neanche in quello che
è descritto dal Poole {Catal. 284 n. 13).
13. CoU. Luynes. Toro volto, a d. di sopra Aav/V\. R. Lo stesso
tipo del toro, ma volto a sin. (Minervini, B. arch. nap.
1. cit. p. 3).
14. Coli. Santangelo. Nettuno, che movendo il passo scaglia
im colpo di tridente: un uccello gli vola dinanzi: a sin.
AflVM. R. Toro volto a d., nell'esergo ASV/A (Minervini,
Bull. arch. nap. VI, III, 3).
15. Nettuno che scaglia un colpo di tridente a d. dietro di lui
aVAA. R. Toro volto a d. coronato dalla Vittoria.
16. II tipo medesimo del n. 15 ma a sin. del dritto vi si legge
VM e l'epigrafe stessa è soprascritta al toro del riverso.
È nella coli. mia. La terra sulla quale il toro cammina
è rappresentata da una serie di glohetti, che però non sono
da prendersi per segni di valore.
17. I tipi sono i medesimi del n. 16: ma nel dritto fra le
gambe di Nettuno si vede scritto VAA e nel riverso la
serie di glohettini che figurano il suolo non è sovrapposta
alla Unea come in altre monete, sibbene vi è sottoposta.
È nella coli. mia.
18. Nettuno lancia U tridente a d. nel campo sono vestigia di
leggenda. R. Uccello dentro una corona di lauro. Simile
a cotesto nummo si è quello dato dall'Avellino con leg-
genda I/KIB'JA intorno alla quale ho perduto il tempo nel
primo mio lavoro del 1844 credendo si potesse leggere
HO^JA che spiegai per arcaico nome di Alern. (Salernum).
19-21. Simile nummo, ma nel dritto del n. 19 la leggenda è
svanita, nei nn. 20, 21 si legge flVM a d. di Net-
tuno, e nel riverso la corona è omessa. A qual classe ap-
partengano gli uccelli che vi si vedono figurati di carattere
diverso non è facile il definire. Perciò mi è sembrato utile
apporre le varietà, dove le loro forme sono più distinte.
22. Testa di Pallade con élmo attico volta a d. R. Toro a
d. respiciente, a sin. nell'esergo SYBAPl (Carelli, T. CLXIV
n. 12).
28. Nel Museo Britannico. Testa di Pallade con elmo attico
volta a d. R, Toro volto a destra col capo basso : di sopra
SYBAPI nell'esergo pesce (Catal. p. 280 n. 32).
24. Nella coli. mia. Testa di Pallade con elmo attico volta a
d. R. Toro a d. respiciente, a sin. nell'esergo SYBA.
25. CoU. Santangelo (Minervini, Bull. VI, HI, 4). Testa di
Pallade con elmo attico laureato. R. Testa del toro volta
a d. intorno SYBA. Se ne ha un esemplare nel Museo
Britannico. {Catal. p. 280 n. 35); pesa gr. 0,19.
GEOTONE
La tradizione diceva che Crotone dinasta di Corcira fu
il primo fondatore della città, a cui diede il suo nome : fu
anche detto {Schol. Theocr. id. IV, 32) che dei due figli di Eaco,
Alcimo fondò Corcira, e Crotone la città omonima. Narra-
vasi ancora di Ercole che venuto nell'Enotria ai tempi di
questo Crotone ed ospitato da lui un giorno inavveduta-
mente lo uccise. Indi a conforto della desolata famiglia
predisse che sorgerebbe ivi ima città la quale porterebbe
il nome di Crotone.
La storia poi racconta (Strab., VI, 262; Vili, 387) che
l'anno terzo della ol. XVII gli Achei condotti da Miscello
vennero a stabilirsi in questa terra per oracolo avutone
dall'Apollo di Delfo : alla quale fondazione prestò mano Ar-
chia che era andato coi Corinzii a fondar Siracusa (Strabo,
VI, 262; Pausan. Ili, 2; Suid. sub. v. 'Agxt'ag, MiaxsX'log).
Grli Achei della Laconia espulsi da Polidoro re di Sparta
e condotti da Miscello cercavano stanza ; però Pausania (1.
cit.) attribuisce a Polidoro codesta spedizione insieme con
quella dei Locresi Epizefirii.
Questa città crebbe rapidamente in potenza e ricchezza,
battè copiosa moneta, sulla quale prese per tipo il tripode
fatidico, richiamando così la tradizione storica, e nondimeno
riferì ad Ercole, che perciò chiama OIKISTA^, i suoi na-
tali. Fu famosa pei suoi atleti e prosperò facendosi gover-
nare dai sinedrii pitagorici. Sopravvenne l'epoca del lusso
e portò seco la decadenza nel costume o nella forza.
Tornando ora all'epoca di sua grandezza, ella sin dalla
prima età quando batteva moneta incusa ebbe alleate le
città che notò con queste iniziali: TE, MV, lA, PANAO,
DA, ME, KAVA, 9, 1/V\, VUI, OP. Chiare e indubitate sono
Pandosia, Sibari e Caulonia : può dirsi altrettanto di VU ed l/V\
perchè il nome e l'insegna del gallo le fa assegnare ad Imera.
Ma quanto alla sigla TE non sono concordi i numisma-
tici, dandola alcuni a Temesa, altri a Terina. Pare a me che
il TE sia iniziale di Terina, perchè Temesa si accorcia in
TEW\, non in TE. Né vale che sulla moneta di Crotone si
trovi per tipo un elmo corinzio, il quale anche è preso per
tipo da Temesa: perchè il crotonese è privo di cresta, e
queUo di Temesa l'ha : poi nella moneta della tav. CIX n. 6
se il TE fosse stato inteso per Temesa era naturale che si
soscrivesse all'elmo del riverso e invece ivi si vede ripetuto
il 9PO del dritto, assegnandosi al TE insieme col 9PO
un posto del dritto; il che non riuscirebbe agevole di spie-
gare, se veramente l'elmo e TE fossero l'uno segno, l'altro
simbolo di Temesa. Le iniziali DA sono state lette PA dal
Minervini che però non trovando veruna città che potesse
portarle si è volto a dirle iniziali del nome di un magi-
strato. Ma Crotone in questa epoca e sempre di poi non
ci dà esempi di magistrati inscritti: onde deduciamo che
il ^ilTHP di un bronzo posto sopra un' aquila che si fa pasto
di un serpe sia nome di Zevg (Cf. AIO^ ^XITHPO^ in num.
Agrigen., pr. Eckhel, D. n. v. I, 193). Quanto al delta
di questo alfabeto esso è talvolta assai somigliante al rho,
ma suUe monete di Crotone ben se ne distingue prolun-
gandosi l'asta verticale del rho di sotto oltre alla curva
che dicono riccio. Così è di fatto specialmente nella mo-
neta di 9PO non nAN-0< ; come appunto lo rivediamo nella
19
148
BRUTTIA
T. CVIII
epigrafe recata sulla tav. XI delle Notizie degli scavi 1881.
Il DA è fuor di dubbio Dande che si disse Zancle sin a
tanto che nella ol. LXXIII, 3 Anassilao non le cambiò il
nome in Messina. Notizia la è questa di molto pregio per-
chè da essa deriva la determinazione di queste prime con-
federazioni crotoniesi malamente finora confuse con quelle
di età posteriore. V'è una moneta coi tipi del tripode in
rilievo che nell' esergo inscrive lA ovvero AI (34, 35). È
opinione del Minervini che debba supplirsi "lagóv, e però
significhi un didrammo coniato per offerta sacra. Ma, per-
chè cotesto lA possa ammettere un tal supplemento e senso,
dovrebbe essere munito del suo spirito aspro HA, e poi
r esempio dell' HAPON TO APIO inciso a mano in altro
didramma dimostra che simili consecrazioni erano avven-
tizie e non sottoposte al conio della zecca. Non è poi ar-
duo conoscere qual città sia dissimulata nelle due lettere
lA se vuoisi cercarla fuori della penisola nella vicina Si-
cilia dove sarà cosa agevole trovare lATON, oggi Pati, sopra
un didrammo colla leggenda lATON (Poole, Catal. Sic.
p. 77 n. 23), confermandoci nelle proposte relazioni delle
due città la epigrafe IM di un altro nummo che aperta-
mente ci addita IMEPA (Tav. Suppl. CXXV, 15) il qual
nome doppiamente si scrisse or collo spirito or senza {Ca-
tal. cit. 79, 32-34). Non dobbiamo omettere il nummo che
alla leggenda 9PO cougiunge sul riverso VUI (n. 21) nome
portato per un certo tempo dalla predetta Imera, né quello
che accoppia al 9PO l'epigrafe retrograda OP la quale a
motivo del tipo che è il granchio potrebbe dirsi punica di
Sicilia 0 di alcuna isola fenicia del Lilibeo (MuUer, Num.
afr. Il, 181, 182). Altra confederazione si è quella che in
un didramma si legge espressa colle iniziaK AAE. Crede il
Minervini che questa sia Mesma: io invece son convinto che
essa è Metaponto pel confronto che le posso fare di altro
didrammo dove alla sinistra del dritto si legge 9PO alla
destra META (Tav. CXI, 1, 2). Deve in questa età mede-
sima collocarsi la lega di Crotone con Sibari e con Pan-
dosia lucana (Tav. CIX, 1, 2), e quella con Caulonia (Tav.
CIX, 6), la quale moneta a parer mio ha perduta la la-
mina d'argento che la copriva ed essendo sfoderata è stata
ed è tuttavia creduta della età in che Caulonia, a cui si
attribuisce, coniò il bronzo.
La lega con queste città deve essere cessata nella ol.
LXX insieme coi sinedrii pitagorici. Altra poi se ne fece
nella ol. LXXXII (u. e. 302) nella quale a Crotone non
fu accordata la preminenza esclusiva rjysi.iovia, come nella
prima, ma fu un' alleanza limitata ai soli Cauloniati e Si-
bariti (Polyb. H. II, 39). Questa ebbe gran simiglianza
colla arcaica e si stabilì al tempio di Giove termine ò[iÓQiog
(lambì, in vita Pythag. 261). Ma non abbiamo finora tro-
vata veruna moneta che porti i nomi dei due confederati.
Non si può pertanto richiamare a questa epoca la lega con
Sibari che è espressa sopra una moneta incusa la cui ces-
sazione data dalla ol. LXX, allorché ancora Sibari era stata
distrutta. Nel quarto secolo quando si era stabilita la lega
a modo degli Achei nella quale a vicenda tenevano il co-
mando le tre città Crotone, Caulonia e Sibari, questa Si-
bari non potè essere altra che la fondata alle sponde del
Traente. In questo secolo quarto vi saranno state altre le-
ghe ma noi non ne troviamo la memoria sulle monete, se ne
eccettui soltanto quella itarata coi Metapontini attestataci
da un didrammo inciso nella tav. CIX n. 37.
Ora però sono in possesso di un nuovo didrammo coi tipi
metapontini: testa di donna diademata R tripode, a d.
spiga (cf. la tav. CIV, 21), a sin. 9PO. È quindi una
confederazione di Crotone (facendo i tipi Metapontini e in
parte crotoniesi le veci del nome) con Metaponto. I Cro-
toniati non usano di inscrivere il nome del magistrato
sulla monetadi argento ond' è che 1' unico nome che vi si
legge BOI, BOlìKOY dev'essere dell'artista incisore de-
conio (Tav. CI, 12, 28): al numero dei conii attribuiremo l'ini-
ziale B (ib. n. 36), che si è letto su di uno di essi. Fra i
tipi dell'argento v'é quello dell'aquila. Si sa che il tripode
stava fra due aquile d'oro di grandezza non comune : onde
Pindaro dice che la pitonessa di Apollo sedeva fra gli
uccelli di Giove : x^vaéu>v Jiòg ÒQri%(or tzccqsSqoq come ha
ben notato il Millingen (Consid. p. 17). Quell'aquila vola or
a destra or a sinistra; e ciò anche si spiega richiamando la
tradizione ricordata dallo Scoliaste di Pindaro {Pyth.lY, 6, 7)
delle due aquile lanciate a volo da Giove in parti opposte
intorno alla terra con pari celerità, le quali essendosi scon-
trate a Delfo dimostrarono che ivi era il medio, e perciò
posero nel tempio una bianca pietra con sopra di essa i
due uccelli (Strabo IX, 419, Schol. Pind. Pijth. IV, 6) e le
diedero nome di o/ixpaXog. Il fiume Esaro vi è rappresen-
tato con chioma lunga e inanellata alla cervice. V'è una
monetina con testa giovanile a cui spuntano due corna
dalla fronte ed è cinta di una corona d' ellera. Davanti vi
si legge niXO: io l'ho rilegata alla tav. CXXV fra le
monete di attribuzione erronea.
Crotone nella prima età segue il sistema delle colonie
achee: non divide l'unità maggiore in due parti, ma in terza,
sesta e dodicesima: nella seconda età quando ebbe mutato
in K il 9 primitivo conia una maggiore unità, che divide
in metà e in seste. Si è opinato che i Crotoniati segnas-
sero, e così anche i Metapontini e i Locrosi il loro obolo
di argento e di rame per mezzo della iniziale O. Indi si
è dedotto che i due O dinotassero due oboli. Io posseggo
due monetine coi tipi del tripode da un lato e l'epigrafe
9PO dall'altro : al riverso un Pegaso che vola e di sotto
il 9 del peso di gr. 1,20. Da questa differisce la seconda
soltanto in ciò che il Pegaso vi è figurato per la sola metà
anteriore : e nondimeno ha di sotto i due O : il suo peso
è di gr. 0,61 : onde si vede che a riguardo del peso e del
mezzo Pegaso deve questa essere una metà dell'altra. Or se
la O è l'iniziale di obolo noi avremmo due oboli che a
motivo del mezzo Pegaso o del peso di gr. 0,61 fareb-
bero la metà di una unità maggiore che sarebbe perciò un
tetrobolo di gr. 1,20, e però l'obolo dovrebbe pesare gr. 0,30.
Inoltre Locri ci dà in una monetina una diota con O e al
riverso la testa di aquila di gr. 0,41 ; e in un'altra il fui-
T. eviri
BKUTTIA
149
mine tra due O, e al riverso l'aquila e due O di gr. 0,66.
Avrebbesi adunque di qui da dedurre un obolo del peso
di gr°, 41 e un obolo di gr. 0,33. Indi risulterebbe che
anche la monetina della tav. CIV n. 32 del peso di gr. 0,87
non potrebbe aver avuto un solo O come si vede nell'unico
esemplare ora noto. Nella monetazione posidoniate vi è un
pezzo coi tipi da un lato di Nettuno e ROSEI, dall' altro col
tipo del bue, sul quale sono due O. Nei tre miei esemplari il
peso è di gr. 0,75 ; 0,50 ; 0,25. La quale dottrina avrebbe
la grave conseguenza che l'obolo in Crotone e in Metaponto
e in Locri pesasse mia metà del peso comune e di più che la
unità maggiore consterebbe di grammi quattro. Ma la mo-
netazione di questa città dandoci l'un pezzo il doppio piti
pesante dell'altro e nondimeno tutti segnati dei due O ne
convince che l'opinione dell'o iniziale di o^oloq non ha come
sostenersi.
Vi hanno delle monete di Crotone che portano una nuova
cifra e l'hanno comune colle monete di Turio. Queste sono di
argento e di rame. L'argento ha la testa di Pallade e al ri-
verso un P con entro un T (Tav. CX, 13). Una simile
moneta di Turio nota a me da parecchi anni non si era
spiegata fra noi: ma il oh. Imhoof-Bliimer ne ha dato di
recente una buona interpretazione {Zur Munzkunde Boeotiens
und des Pploponnesisches Argos 1811 p. 57, 58) propo-
nendo che ivi siano indicate cinque T come valore delle
monete, quantunque poi confessi che non sa dire qual
sia il nome greco corrispondente alla cift-a T: il suo peso
è di gr. 0,47. Parimente nel bronzo si ha una monetina
con un astro da un lato e dall' altro una clava, un arco
e a d. tre T uniti alla base loro (vedi la tavola) : pesa
gr. 3,65. Di qui impariamo che anche il piccolo bronzo di-
videvasi in più T e al confronto che possiamo fare con una
monetina d'argento di Turio che al riverso ha questo tri-
plice T e pesa gr. 0,28 deduciamo che vi dovette essere
ancora in Crotone. Or essendo l'obolo d'argento in Turio
ordinariamente di circa gr. 0,60, indi si ricava che il tri-
plice T è realmente un emiobolo; e però che l'obolo ne
valse sei. Questa deduzione mena a eonchiudere che la mo-
neta con cinque T riguardi una unità divisa in dieci parti
e però un obolo diviso in dieci once d' argento, e poiché
cotesta metà di cinque pesa gr. 0,47, la sua unità ne do-
vrebbe pesare 0,94.
n bronzo cominciò ad essere monetato in Crotone al-
l'estremo periodo che precedette il cambiamento dell'alfa-
beto, del quale non se ne hanno che tre soli esempi in tre
tipi diversi, del peso da 7,00 grammi incirca.
Comincia indi la serie del bronzo che porta il nuovo al-
fabeto e questo è tuttavia onciale, ma sembra dividersi in
metà e quarti, indi in ottavi la cui unità inferiore pesa
gr. 1,40. In cotesta serie si ha la moneta descritta di so-
pra che reca i tre T e pesa gr. 3,67 facilmente riducibile
a riguardo del peso a considerarsi come l'emiobolo di bronzo,
il quale risulterebbe in Crotone composto di sei once di
meno o sia calchi.
n sig. Imhoof-Bl. ha rimesso a nuove scoperte il fis-
sare qual senso si abbia cotesto T. Nelle tavole calcolato-
ne greche il T ha doppio senso, secondo il luogo dove è
collocato, e ora significa Tcà.arrov, ora TszaoTrjLiÓQior, sup-
posto l'obolo attico di argento del valore di otto calchi, ovvero
di dieci. Ha il valore di quarta parte di obolo nella tavola cal-
colatoria greca (vedi il Bull, napol. a. 11, tav. 6, e ivi HCTX).
Nei pesi romani lo trovo in senso di uncia, TIMI, cioè un-
ciae quatuor e forse capovolto j_ in segno di semoncia ana-
logo alla cifra dell' L che ha tal significato. Ma la miglior
prova che il T non sia una iniziale di vocabolo, ma una
cifra di valore mi viene dal confronto delle monete di Ca-
merina, nelle quali l'analogo segno delle tre unità si esprime
con tre globetti congiunti per mezzo di linee in questo
modo : , j., consta poi altronde che la linea retta è un equi-
valente del globetto nella espressione di un valore. Ne
siano esempio i campioni dei pesi, dove dieci globetti val-
gono dieci libbre, e dove le tre once sono significate con
tre globetti e insieme con tre linee dimostrando il peso
che si tratta di once.
26. Nella coli. mia. Tripode e a d. 9^0. R. Lo stesso tipo
ma incuso.
27. ColL Tirelli Tripode e a d. 9i>0. B. Elmo aulopide senza
cresta incuso. Il Minervini (Bull. IV tav. V n. 1 p. 49) stimò
che l'elmo indicasse Temesa, e però fosse questa una moneta
di confederazione con quella città.
28. I tipi medesimi che nel n. 26 ma nel dritto a sin. v'è un
granchio, a d. 01?. Nel riverso che è incuso a d. OI9
a sin. TE in rilievo.
29. CoU. Luynes. Moneta incusa col tripode e la leggenda 019
a d. una cicogna ribattuta sopra un didrammo di Agri-
gento a doppio rilievo. La cicogna ricorre più volte nelle
monete di Crotone, perchè col suo crocidare fa il suono
della prima sillaba di Croio. Publio Siro la chiamò crota-
listria (Petr. Satyr. 55) come se imitasse il suono del
crotalo, e Ovidio [Metam. VI, 97) scrisse di Antigona cam-
biata in cicogna, che si fa plauso col crepitare del suo
rostro: Ipsa sibi plaudit crepitante ciconia rostro.
30. Nella coli. mia. Il tipo è quello del n. 29 : vi è nel dritto
anche il granchio a sin. e 019 a d. Ma nel riverso a
sin. si ha 0^9 e a d. un delfino.
31. Coli. mia. I tipi medesimi, col granchio e delfino che al
n. 31: nel dritto ove si legge 910 e nel riverso dove è
scritto 9f9. Pesa gr. 2,50.
32. I tipi medesimi del n. 29 colle epigrafi (^PO TE: nel
riverso mancano il simbolo e l'epigrafe che sono nel dritto
del numero predetto.
33. Parigi, Gab. delle medaglie. I tipi sono: Tripode fra
ima cicogna e l'epigrafe 9PO. R. Tripode incuso ed in-
torno impressa una monca epigrafe HAPON TO AflO.
Il Eaoul-Eochette {.Mém. de numism. p. 34 tav. III n. 24),
spiegò 'Isoov Tov 'AjióXXuirog. L' Avellino [Bull. an. VI
p. 91 T. IV, 1) lesse incuso sopra alti-a moneta e supplì
haPOS 0 AflOlNog, sacro riscatto.
34. 35. Museo di Vienna. Tripode 9PO e nell'esergo Al. B.
Tripode in rilievo e 9?0. Un nummo simile fu stampato dal
150
BEUTTIA
T. CIX
Minervini, il cui dritto n. 35 io riproduco. È una confe-
derazione fra Crotone e lA. Ma qual sarà questa lA ? Non
v'è città nella Magna Grecia che cominci con queste ini-
ziali; in Sicilia, sì, dove le monete portano la epigrafe
lATON col tipo del gallo proprio degli Imeresi (Poole,
A Catalogne of the greek coins in tho British Museum
Sicily, London 1876 p. 77, 23) e col tipo di una donna
che sta per fare la libazione su di un'ara accesa: nel-
l'esergo ATON. R. MOIA13M1 e un giovane che smonta da
un cavallo in corsa (ib. pag. 79, 35). Cotesto due monete sono
citate dal Salinas, ma egli non vi ha letto nella seconda che
TOM (Revue numism., nouv. serie IX, 1864). Terone sconfitti
i Cartaginesi chiamati in aiuto da Terillo lasciò Imera al
suo figlio Trasidio. Questo dedusse ivi una colonia di Dori
nel 278 di Eoma, ol. LXXVI, che vi si mantenne per
cinquantotto anni, cioè fino a che nel 845, ol. XCII, 1,
fu distrutta dal cartaginese Annibale e mai piti non risorse.
In sua vece i Cartaginesi un'altra città edificarono due anni
dopo in sito poco discosto, e credesi che costoro l'abbiano
denominata in loro lingua io. Questa credenza fondata
sulla epigrafe lATON congiunta col tipo del gallo si tiene
da coloro che leggono su di alcune monete le lettere pu-
niche tzitz che stimano corrispondano ad Aia. Altri però
e sono i più, hanno dimostrato che la lettera presa per
un aleph è invece un tzade e la epigrafe deve perciò leg-
gersi tzitz (Muller, Ancien Afrique Suppl. pag. 50, 3).
Omessa pertanto questa aia o ia che è stata supposta, io
stimo, che nella moneta con doppia leggenda di Imera e
di lata citata di sopra sia da riconoscere un'alleanza fra
Imera e lata, e però lungi dall'ammettere sulla moneta
un doppio nome di cotesta città, giudico lata essere da
Imera assai diversa. Il tipo del gallo, osserva il Muller
(loc. cit.), se è principale di Imera, si trova anche imitato
da altre città: senza di che il nome lATON sostituito a
quello di Imera sopra una moneta, che ha i tipi di Imera
può ben spiegarsi per una confederazione fra questa città
e quella dei 'Iszai', che doricamente si può essere detta
'laraL Di questa città il Cluverio ne parla in due luoghi
{Sicilia, pag. 270, 331), e cita il Pazello, il quale nota
ohe questa città serba oggi il suo nome: latum hodie
dictum oppidum: onde si deduce che dovette una volta
essersi scritto "^laraf, come il fiume che le scorre da
piedi, detto da Tolomeo, ^adic, o come stima il Cluverio
(loc. cit.) 'lari'g.
36. Tripode e a d. 9POTOK. E. Aquila che vola a destra la
cui figura è a contorni rilevati su di un fondo incuso.
37. Tripode e a d. OP9. R. Aquila che vola a sinistra su fondo
incuso a contorni rilevati.
Tav. CIX.
1. Coli. Luynes. Tripode, e a sin. 9P0. R. Toro a d. respiciente
a sin. incuso nell'esergo VM.
2. Coli. Santangelo. Tripode e a d. 9P0. R. Toro a d. respiciente
a sin. in rettangolo incuso, e l'epigrafe divisa PAN di sopra
Oq di sotto.
3. Coli. mia. Tripode a sin. la cicogna a d. 9P0. R. Tripode
in rilievo a d. Vi è graffito in carattere arcaico retrogrado
AIXOA.
4. Museo di Napoli e nella mia coli. Tripode a sin., vaso a
due manichi a d. 9PO. R. Tripode in rilievo, a d. cande-
labro a sin. bA nome di Dande o sia di Zancle anteriore
alla ol. LXXI allorché fu da Anassilao denominata Messana.
Questo bA si è dal Minervini [Oss. num. p. 140) letto PA,
e però gli parve, che vi si dovesse ravvisare il nome di
un magistrato , sebbene non sia facile trovare confronti..
Ed ha ragione , anzi nella età a cui appartiene la mo-
neta non usano i Crotoniati nominare il magistrato mone-
tale. A me che, pel facile scambio in questo alfabeto del
rho col delta, pare si debba qui leggere invece Da, non è
arduo il trovarvi un'alleanza di Crotone con Dande, 3>I>IMAQ.
5. Coli. Imhoof-Bliimer. Tripode e a sin. OP9. R. Aquila che
vola messa di prospetto.
6. Coli. Sant. Tripode a sin. Oq9, a d. 3T. R. Aulopide senza
cresta e di sotto OQ9.
7. Coli. mia. Aquila sopra un capitello ionico con un monile
al collo indizio di consecrazione, sopra 9POT. R. Tripode a
sin. acino d'orzo a d. 9POT : nell'esergo ME. L'Aquila non
è da metter al riverso del nummo, perchè al pari del tri-
pode dai Crotouesi è tolta per stemma rappellaute la loro
origine, gli animali che dedicavansi agli dei erano lasciati
liberi negli atrii dei templi e nei boschi sacri, e perchè
ninno li portasse via o li uccidesse erano distinti con al-
cuni segnali che ne dinotassero la consecrazione. Gli è
perciò che dal collo dell'aquila pende un nastro. '
8. Coli. Santangelo. Tripode e a sin. Oq9 a destra forse un
acino d'orzo. R. Giovane nudo che va a d. agitando un
ramo : ha davanti a sé un cervo che sta fermo e di dietro
l'epigrafe OAYfìD. Moneta di confederazione fra Crotone e
Caulonia. Da cotesto nummo di bronzo argomentò il pr. di
s. Giorgio che Caulonia non fosse distrutta del tutto dai
Campani {Med. italo greca illusi, pag. 1 seg.): a questa sen-
tenza si attiene il Marincola {Opusc. di St. patria pag. 48).
Io considero cotesto bronzo come sfoderata moneta d'ar-
gento : m'induce il periato o granitura che cinge la moneta,
della quale sono privi del tutto i bronzi di questa Crotone.
9. Da un zolfo. Tripode, e a sin. una foglia di ellera a d. 9P0I
R. Aquila a sin. sopra la testa di un cervo e respiciente
■ ad. (cf. Poole, Catal. 68).
10. Museo Britannico {Calai, n. 67). Tripode a sin. 9P0 a d.
un ramoscello di lauro. R. Aquila a sin. posta sopra una
testa di montone, e respiciente a d.
11. Museo Britannico {Catal. n. 70). Tripode, a sin. 9P0, a
d. ramoscello di lauro. R. Aquila a d. respiciente a sin.
stante sopra un architrave, ed ha davanti a d. una testa
di capro.
12. Coli. mia. Tripode dal quale pendono le sacre infule ; e da
piedi gli sorge accanto un ramo di lauro. R. Aquila che si
erge a volo e porta da presso scritto BOl(ZKOY). V il n. 28.
T. ex
BEUTTIA
151
13. Tripode e a sin. 091 a d. una spiga di grano. R. Polpo.
14. Coli. mia. Tripode a sin. foglia di edera a d. 9PO. /?. Polpo.
15. Da un zolfo. Tripode a sin. 9PO. R. Pegaso a sin. e di sotto 9.
Nella coli, mia pesa gr. 1,10.11 Siimhon {Recherches ^. 193)
confonde di certo questo pezzo col seguente, allorché gli
assegna due OO.
16. Coli. mia. Tripode e 019. R. Mezzo pegaso volto e sin. di
sotto due O pesa gr. 0,80 di questa metà del Pegaso non
parla il Sambou e neanolie il Mommsen H. de la m. Anno
X, 1 p. 308).
17-19. Tripode, g;. Lepre che corre a d. fra due cerchi O O.
pesa gr. 0,01 nel n. 17, che è nel Museo di Vienna, a sin.
del tripode sono tracce di lettere P9, nel n. 18 a d. del
tripode v'è una spiga di grano. In un simile nummo del
Museo Britannico v'è a sin. del tripode una foglia di edera
a d. 9P (Calai, p. 348, 60). Nel n. 19 i due cerchi mancano.
20. Tripode e 9PO. R. Aulopide crestata.
21. Tripode e 9PO. R. Callo gradiente a d. in alto a sin. l'epi-
grafe VVi ovvero lAA. Il nome UV ovvero NV od VkV si
trova sopra le monete che hanno per tipo il gallo : talvolta
sono insieme due nomi Imera e a d. Hyl, come in quella del
Museo Britannico (Poole, Calai. 77, 20) che legge 3MIH e
di sotto in due linee V>IV. Ma questi due nomi dinotano,
un'alleanza fra gli Himerei e gli Hylienses dell'Illirico.
22. Tripode e a sin. 9PO. R. Granchio che ha di sopra due
cerchietti e di sotto le lettere '\0. Coteste due lettere ri-
corrono sotto il medesimo tipo del granchio in monete fe-
nicie di bronzo, che non si sa a qual città si debbano asse-
gnare (Muller, Ancien Afrique. 11 p. 178, 181,182). Sene
trovano ancora di quelle ohe portano per tipo un toro gra-
diente (116 nn. 13, 14). Può del resto anche darsi che questo
<IO sia scritto nella moneta crotonese invece del solito 019.
23. Museo Britannico. Calai. 348 n. 59). Tripode e a d. 0^9.
R. Vaso detto crater, con due serpi che si elevano da piedi
in contrario.
24. Tripode. R. Aulopide senza cresta di sotto 9.
25. 26. Tripode. R. Fulmine fra due anelli o piuttosto due
patere,
27. Tripode. R. Aquila che vola a d.
28. Coli. Luynes. Tripode dal quale pendono le saere infule
a sin., 9PO a destra. R. Aquila sulla sua preda che è im
lepre: nell'esergo parte della leggenda B012:K0Y.
29. Coli. mia. Tripode e a sin. KPO, a d. un A e di sopra di
essa la cicogna. R. Aquila che ha predato un lepre.
30. Coli. mia. Tripode dal quale pendono a d. le sacre infule
e vi si vede un A, a sin. KPO. R. Aquila sopra un ramo
di lauro in atto di ergersi a volo.
31. Museo di Napoli. Tripode coperto, a d. il serpe pitone, a
sin. una spiga di grano. R. Aquila stante sopra un ramo
di lauro per ergersi a volo: di sopra KPOTilN.
32. Coli. mia. Tripode a sin. A, a d. KPO. R. Aquila stante
sopra ramo di lauro, di sotto Al.
33. Testa laureala di Apollo. R. Tripode, a sin. KPO, a destra
un ramoscello lemniscate di lauro.
34. Testa di Apollo laureata, a d. davanti KPOTilNIATAS:.
R. Ercole fanciullo di fronte che strozza i due serpenti.
I giornalisti di Trevoux in un loro esemplare (Mai, 1710)
lessero KPOTOMIS (Eckhel, D. n. v. I p. 171), proba-
bilmente in luogo di KPOTilNIA come si legge in un mio
esemplare. Il KPOTilMI che riporterò nella tav. IXXV
venne in mente all'impostore per aver forse avuto notizia
del KPOTOMIS: predetto.
35. Apollo a sinistra del suo tripode saetta il pitone, sotto
KPOTON. R. Ercole seduto sulle spoglie di leone appog-
giando la sinistra alla clava solleva un ramo infoiato sul-
l'ara accesa che ha dinanzi; nell'esergo sono due pesci.
36. Testa di Giunone di prospetto con largo diadema e filza
di perle al collo : a d. B. R. Ercole siede sulla pelle di
leone, e appoggiando la sinistra alla clava, porge il proprio
pocolo colla destra: intorno KPOTONIATAS.
37. (Minervini, Oss. p. 141; Rull. t. Ili, 15). Testa di Giunone
ornata di nobile diadema con palmetta in mezzo a due
grifi e con splendida collana. R. Ercole, come il descritto
al n. 36, ma con la sinistra in riposo : v'è però a sin. sospeso
l'arco, la faretra e la clava, e l'epigrafe KPOT intramezzata
transversalmente da ME. Il Minervini stima [Oss. p. 142)
indicata così una confederazione con Medina o Metaponto.
38. Testa di Giunone, come la già descritta al n. 37. V'è
però a sinistra l'epigrafe KPOTil. R. Ercole simile a quello
del n. predetto.
39. I tipi sono quei medesimi già descritti. Testa di Giunone
decorata di largo diadema a cui dan pregio le palmette.
R. L'Ercole è come quello del n. 36, l'epigrafe è KPOTO-
NIATAS. Il signor Imhoof-Bl. la crede di tempo ante-
riore all'adozione dell'alfabeto euclideo [Monn. gr. pag. 81)
a motivo posto dell'O invece dell'H.
Tav. ex.
1. Coli. Luynes (Imhoof-Blumer, Monn. grecq. pi. A n. 5
pag. 7). Testa di Giunone volta a d. cinta di largo dia-
dema con due grifi che si riguardano : ha pendenti agli
orecchi e un monile al collo: intorno KPOTilNIATAN.
R. Ercole sedente sopra un sasso coperto dalla spoglia di
leone con un pocolo nella d. Nel campo di sopra l'arco
e la clava.
2. Gabinetto delle medaglie. Testa di Ercole imberbe diade-
mata volta a d. R. Civetta volta a sin. stante sopra una
spiga di grano : a d. KPO.
3. Gabinetto delle medaglie. Fulmine, a d. KPO, a sin. tri-
pode. R. Cavallo frenato in corsa a d.
4. Testa del fiume Esaro laixreata dinanzi AlìAPOì. i?. Pegaso
in corsa a d., di sotto KPO (Avoli. Op. t. I tav. I, 3).
5. Nella coli, mia (Kohne, Finfzig ani. Miinzen. Taf. 1 n. 14).
Testa di Pallade coperta di aulopide crestata volta a d., di
sopra KPOTil. R. Ercole con indosso la spoglia di leone
volto a d. si appoggia alla clava : dinanzi si legge OIKISTAS:
nel campo a sin. A .11 Cavedoni (Spie. num. p. 21) opinò
che la testa figurata in questo nummo fosse di Crotone
fondatore della città; ma non si avvide che i lunghi ca-
152
BRUTTIA
T. ex
pelli alla, nuca sono annodati da nn nastro, che è solo
proprio delle donne.
6. Coli. Giorgi in Ferentino. Testa nuda forse di G-iunone di
fronte con capelli sparsi e ricca collana. R. Spiga di grano e
KPO(T)nH.
7. (Piorelli, Mon. incd. 11,5). Testa di Pallade con aulopide
volta a d. R. Clava in mezzo a K P e a due stelle.
8. Coli. mia. Testa di donna con pendenti e monile, volta a d.,
dinanzi KPOTH, alla nuca un ramoscello di lauro, del
quale rimane una foglia. R. Ercole fanciullo che strc^zza i
due serpenti.
9. (Minorvini Bull. arch. V, IV, 11). Testa di Ercole coperta
della spoglia del leone volta a d. R. Clava, a d. una fiac-
cola accesa, a sin. KPO.
10. Testa di Ercole simile a quella del n. 9. R. Clava ed arco
KPO e due astri (Carelli, tab. CLXXXIII, 29).
11. Testa di Sileno volta a sin. R. Tripode e cicogna.
12. Da un mio calco. Museo di Monaco. Lira. R. KPO in co-
rona di lauro.
13. Museo di Catanzaro. Tripode fra due lettere K P. R. Due
lettere P T in mon. Pesa gr. 0,47.
14. Tripode (KPO). i?. Segno della metà H (Minervini, V, IV, 10).
15. Coli, mia (cf Piorelli, Mon. ined. II, 4). Testa di Pallade
con elmo attico volta a d. R. Gallo volto ad. e di dietro
9PO.
16. Museo di Monaco. (Piorelli Mon. ined. tav. I, se cf. Poi,
Greek coins 1862 pi. Ili , 23). Tripode e a d. 9PO, a
sin. una foglia o pomo. R. Polpo.
A cotesti tre bronzi emessi in tempo del primo alfabeto
deve aggregarsi quello ohe il Valentini stampa nel gior-
nale detto il Calabrese (Cosenza 1843, pag. 50) ed è de-
scritto dal Marincola (Opusc. di st. patria p. 119) così:
Galea crestaia con visiera a d. e ivi 9PO. R. La lettera
K in mezzo ad un quadrato. Br. 8. Non saprei sottoscri-
vere al Marincola, che questo K sia iniziale di Crotone;
perocché essa in questa moneta medesima si scrive col 9,
e nella moneta precedente conserva la medesima ortografia
anche al riverso. Piuttosto la dirò iniziale di Caulonia.
17. Calco trasmessomi dal Marincola Museo di Catanzaro. Tri-
pode e a d. 9PO. R. Lepre che corre a d. di sotto un 9.
18. Museo di Catanzaro: calco del medesimo. Coli. Santangelo.
Testa di Ercole con la spoglia di leone volta a d. dinanzi KPO.
R. Tripode e a d. EY. L. Sambon (pi. XXIV, 32) legge in-
vece TPI, il Riccio TEM. II Minervini ne stampa un esem-
plare dalla coli. Oliva dove manca EY, che fu veduto,
die' egli, dai primi editori.
19. Da un calco. Testa di Pallade galeata volta a d., dinanzi KPO.
R. aquila volta a sin. respiciente a d. posata sulla preda
che è una testa di cervo: a destra sull'aquila TPI. Pesa
gr. 25, 86.
20. (Carelli, dal Magnan tab. CLXXXV, 52). Tripode e a
sin. KPO. R. Aquila sopra un ramo di lauro.
21- (Dal Magnan il Carelli 49). Testa di Ercole barbato con
spoglia di leone volta a d. R. Civetta e intorno KPOTH-
NIATAN.
22. (Dal Parisis il Carelli tab. CLXXXV, 50). Testa di Ercole
giovane con la spoglia di leone e di sotto al collo un ramo
di lauro. R. Colonna corinzia fra una clava e una patera :
intorno KPOTilNIATAN.
23. Nel Museo di Catanzaro (cf. Carelli, tab. CLXXXV, 55). Clava
e a d. KPO. R. Arco e a sin. TE. È un'alleanza con Terina.
24. Testa di Cerere coronata di spighe volta a d. R. Tre mezze
lune accostate dalla parte convessa con ciascuna delle tre
lettere KPO nella parte concava.
25. 26. 25. Museo di Vienna, 26. Coli. Imhoof-Blùmer. Astro
ad otto raggi maggiori e altrettanti minori. R. Clava
ed arco, KPO e nesso di tre T. In un bronzo di Came-
rina (Poole, Catal. Sicily p. 89 ai tre tau sono so-
stituiti tre globetti parimente insieme congiunti dalle
linee. Se questo confronto è ben fatto, noi avremo da de-
durre, che anche il T è una nota di valore e non una
iniziale. Certamente nei pesi romani l'oncia, duodecima
parte della libbra, si trova significata con un T (vedi il
mio articolo: Pesi di bronzo e di piombo nella Civ. Catt.
quad. 810, 1884). Il primo n. 25 pesa gr. 3,67; il se-
condo n. 26 gr. 3,15.
27. Coli. Sant. Testa giovanile diademata volta a d. davanti
KPO. R. Fulmine in mozzo a due patere.
28. Coli. mia. Testa di Ercole giovane colla spoglia di leone:
di sopra AION, dinanzi H. R. Aquila che ha fra gli ar-
tigli un serpe: dietro KPO: in altro esemplare il serpe
le si rivolta contro a bocca aperta. L'Eckhel con tutta
ragione ha scritto (0. n. v. 1,260) che questo AION è
nome di magistrato e non del tiranno Dionisio. In un esem-
plare del M. Brit. vi si legge il nome AYKilN {Catal.
356, 113).
29. Tripode e cicogna. R. Aquila volta a d. e respiciente a
sin. e ivi KPO.
30. Testa di Ercole giovane con spoglia di leone volta a sin.
R. Granchio e sotto KPO.
31. 32. Coli. mia. Testa diademata del fiume Esaro. R. Ful-
mine astro e KPOTilNIATAN. Nell'uno e nell'altro esem-
plare vi si legge il nome del fiume AI^APOS:.
33. Aquila stante sopra una testa di montone volta a d. di
dietro KPO e un astro. R. Fulmine fra due mezze lune.
34. Coli. Santangelo. Testa di Ercole giovane volta a d. R.
Aquila con un serpe fra gli artigli che le si leva contro.
35. Coli. Sant. {Calai. 6448). Testa d'Ercole giovane coperta
della spoglia di leone a d. R. Aquila e K . . . T.
36. Museo di Catanzaro. Testa d'Ercole a sin. davanti KPO.
R. Aquila che si fa pasto di un serpente, di sopra SlilTHP.
A cotesto nummo fa confronto uno di Agrigento, nel quale
sull'aquila che poggia sul fulmine è scritto AIOS Zil-
THPOS: (Eckhel, D. n. v. I, 193). Di modo che par certo
che il 2:P.THP della moneta di Crotone sia nome di Giove
(cf. la moneta dì Galaria, Poole, Catal. p. 64 51370?), il
quale vi è rappresentato iiiìVostentum, o apparizione prodi-
giosa dell'aquila che divora il serpente.
37. Coli. Santangelo. Testa di Pallade con elmo attico volta
a d. n. Civetta e KPOT.
T. CXI
BRUTTIA
153
38. Collezion mia. Testa di Pallade con elmo attico come
nel n. 33. R. Due mezze lune congiunte dalla parte con-
vessa e negli intervalli KPOT.
39. Testa di Ercole barbata e coperta dalla spoglia di leone
a d. R. Clava fra due stelle.
40. Coli. Santangelo (Catal. 6452). Testa di Ercole giovane
coperta della spoglia di leone. R. Aquila volta a d. e re-
spiciente a sin. dietro KPO, davanti T.
41. Minervini, Oss. tav. VII, 15, pag. 141. Polpo e KP. R.
Concbiglìa. Era già pubblicata dal Piorelli ma priva di
leggenda {Oss. tab. II n. 12 p. 67).
42. Fulmino e due astri. /?. Clava e T01N.
43. Testa di Ercole giovane volta a d. B. Clava, astro e a sin.
KPO piinervini, BuU. a. V tav. lY n. 12).
44. CoU. mia. Simile testa di Ercole giovane colla spoglia di
leone annodata sotto al mento. R. Clava e a sin KP.
CASAKIUM
Sotto il nome Casarium pongo una moneta cha ha per
tipi da un lato l'astragalo, dall'altro il deliìao. L'epigrafe dalla
parte dell'astragalo nelle monete più antiche è KA ovvero K,
nella più recente si legge interamente OIJIA^A)!. Il Cavedoni
(in Carellii tab. CV pag. 43) lasciò incerto se dovesse leggersi
KASARIO ovvero RIO KASA, ma corresse l'Avellino, che lesse
(/*. vet. num. p. 77 n. 302) RIO KAIA. Secondo il parer suo il
vocabolo si compone di KAS pel cui significato si rimette al
Boeck {C. i. gr. I pag. 613), e di APIH nella qual voce crede
si occulti il nome di Arione il citaredo, vissuto lungamente in
Taranto (cf. Eckhel. I, 148), alla qual città par che egli at-
tribuisca il nummo con l'epigrafe KASAPIO che lascia incerto
se debba leggersi A^fl>l01S ovvero OIJlA^fl)!. Alla città medesima
il Eiccio riporta una moneta con leggenda e tipi in parte di-
versi {Reperì, p. 52) : ostrica o frutto di mare e intorno AZAKKIO.
R. Uomo a cavallo al delfino a sin. con tridente davanti TAPAS:.
Dove si vede che l'astragalo fu da lui giudicato un' ostrica, e
lesse erroneamente AZAKKIO. Ma egli medesimo poi registra
altre due monete che descrive così {Repert. 1. di.) : ostrica o
frutto di mare ed intorno OI5IA^A>l. R. Delfino e cerchio con
ricamo elaborato ed A. E cita il Carelli, dal quale la toglie.
Indi descrive la seconda {Repert. p. 100).- allesso od oggetto
ignoto simile a quello attribuito a Taranto col 0|{1A^A>I. 7?.
Tripode. Questa seconda moneta è da lui assegnata a Crotone.
Il Valentini pubblicò una dissertazione su questa moneta, in-
titolandola: De astragalo medio irter voees KlO-AZAK in nume
TarentìnorvAn coelato. Questi dunque lo attribuì ai Tarentini, e
divise il vocabolo in due voci, le quali stimò che non ne dimo-
strassero la zecca. Nuova del tutto è poi stata la opinione del
Piorelli, che pubblicando il Catalogo della Coli. Santangelo,
dove si conserva l'esemplare, che fu di mons. Capecelatro arciv.
di Taranto, ed è dato in disegno dal Carelli (Tab. CV n. 45),
a pag. 58 lo assegna a Crotone e quanto alla epigrafe sostiene
che la lettera dopo il >l sia un A e il > per errore dell'inci-
sore sia stato mal frapposto, in terzo luogo dovendosi leggere
KAAR:0S soprannome di Apollo (Paus. II, 2, 8) distributore
delle sorti, a cui alluda l'astragalo. Aggiunge ancora che l'Avel-
lino e il Carelli non videro il tripode sopra del quale vi è ri-
percosso un delfino con tracce di lettere svanite: né le solite
iniziali 9PO, ed indicarono per A quello che è l'angolo destro
del lebete. Tali sono i pareri dei numismatici intorno alle
monete che portano per tipo del dritto l'astragalo e il nome
Casarium. Ora dirò il parer mio intorno ai due esemplari
veduti e studiati da me, e delineati ed incisi nella tavola n. 1, 2.
n Piorelli ha ben veduto e notato che l'esemplare della
Coli. Sant. era ripercosso, apparendo ivi il delfino soprapposto
al tripode: ha saputo anche leggere la pressoché svanita leg-
genda 019, aggiungerò io dal lato opposto l'epigrafe AT3IV1,
il cui ultimo elemento si legge in uno dei due esemplari assai
chiaro e certo, e però fu ritratto nel disegno inciso dal Carelli. Le
due leggende appartengono al conio anteriore e vanno congiunte col
tripode ; abbiamo dunque una moneta di alleanza di Crotone con
Metaponto. Qual tipo il dritto della moneta abbia avuto prima
di ricevere l'astragalo col nome Casario finora non possiamo
indovinare : non essendone rimasta veruna traccia nel campo :
ma probabilmente sarà stato ancor ivi il tripode. Certo è che
l'epigrafe appartiene al secondo conio, che da un lato figura
l'astragalo, dall'altra il delfino. È dunque un Casario città
che ribatte una moneta di Crotone, e, se il Eiccio ha ben ve-
duto, anche una moneta di Taranto, ma non è ne di Crotone
né di Taranto. Eitengo il nome OI51fi^A>l per genitivo sin-
golare della seconda declinazione in dialetto dorico od eolico.
Il vocabolo greco che più gli si accosta è un derivato di
Kàoa, EaGavQci, scortum, cioè KaawQsTov e Kaaavqior. Te-
nendosi a questo ultimo non troveremo altra differenza che
di dialetto mercè del quale Vav si scambia con Va e coII'kv
e ambedue con l'o), come Avkog ed ^iìXog, nqàxog e nQàrog (cf.
Ahrens de dial. dar. p. 185; de dial. aeol. pag. 102-104). Stefano
di Bizanzio ha notato per nome di luogo il EaGaosTov e cita
Aristofane, nei codici del quale si legge Kaaavqioiai (v. Berkel.
in notis p. 450). Che il nooreìov, luogo di prostituzione, abbia
dato nome ad una città, possiamo crederlo. Casoria e secondo
le carte citate dal Giustiniani Casauria {Bis. geo^r. HI pagg.
271, 272) città a tre in quattro miglia distante a settentrione
di Napoli, può aver avuto probabilmente la stessa origine.
Oltre a queste monete ribattute Casarium ha propria
moneta cogli stessi tipi e l'epigrafe KA da un lato, mentre vi si
legge dall'altro FIM. Il duca di Luynes lesse male KAR e PIN e
l'attribuì a Carbina nel citato catalogo che posseggo. Il nome FIM
è a parer mio l'iniziale di Himera scritto col digamma eolico in
luogo dell'aspirata H. Crotone ebbe ancor essa un'alleanza col
popolo di Imera. Quest'alleanza delle due città con Imera, e
l'alfabeto eolico del quale fa uso Casarium, persuadono a porre
Casarium nelle vicinanze di Crotone e a rimuoverla da Tai'anto.
Tav. CXI.
1. Museo di Vienna. Moneta ribattuta sopra un didramma di
Crotone del quale rimane nel riverso la traccia del tripode
e dell'epigrafe 9F'0. Il proprio suo secondo tipo si è lo astra-
galo e intorno OI5IAM>l. R. Tripode, primo tipo, e al lato
154
BRUTTI!
T. CXI
sin. AT3M. È quindi chiaro, che il primo tipo dimostra ima
confederazione fra Crotone e Metaponto e che questa mo-
neta fu poi ribattuta da una ignota città di nome Casarium.
2. Coli. Sautangelo. Simile alla già descritta n. 1. Nella leg-
genda del riverso si vede chiaramente la lettera A, che
sola è delineata nella edizione anteriore (Carelli, tab. CV, 45).
3. Coli. Luynes. Astragalo e KA. R. Delfino e di sotto FIM.
È un'alleanza di Gasarlo con Imera, nel qual nome l'aspi-
rata H ha ceduto il posto al digamma eolico.
4. Coli. Luynes. .astragalo. R. Delfino e di sotto K. Il Mionnet
deve aver avuto un nummo simile nel cui dritto vide
l'astragalo, e nel riverso un quadrato incuso informe {Recueil,
pi. XL, 6) dentro corona di olivo.
PANDOSIA
Ai confini della Lucania verso la Brezzia fu una città
sul fiume Aciris indicataci dalle tavole di Eraclea che ebbe
nome Pandosia (Mazzocchi, Tab. Heracl. p. 104).
V'è una moneta di confederazione tra Crotone e Pan-
dosia dove questa città è rappresentata dal loro respiciente
(Tav. ex, 2). Cotesto tipo non si sa che fosse usato dai Pan-
dosini della Brezzia, come appare dalle mie tavole ; sembra
quindi che la Pandosia della Lucania presso VAolris sia quella
colla quale i Crotoniati fecero lega espressa nei due nomi e
due tipi della moneta. Ma vi fu un'altra Pandosia sul fiume
Crati e presso il fiumicino Acheronte oggi detto Arcinti, che
Livio e Plinio dicono essere dei Lucani, chiamando così cogli
autori, dai quali trascrivevano, i Brezzi che dalla ol. CVI
la possedevano. Questa è la Pandosia piantata dai Plateesi
in Beozia, detta però JIXaxcuiwv àitoixia, dove a detta di
Plinio (H. N. Ili, 15) Teopompo lasciò scritto che era
morto Alessandro il Molosso: Pandosiam Lucanorum
urbem fuisse Theopompus (auctor esl), in qua Alexander
Epirotes occubuerit. Livio aggiunge che le membra di lui
furono raccolte da una Cosentina e sepolte in Cosenza, le
ossa furono mandate a Metaponto al suo esercito che ivi
stanziava e indi trasmesse in Epiro (Liv. Vili e. 14); se
non che Giustino scrive (Vili, 6), che i Turii ne com-
prarono il corpo e gli diedero sepoltura : Corpus eius
Thurii publice redemptum sepuUurae tradiderunt. Fu Pan-
dosia la capitale dei re Enotrii e ben munita sulle tre
colline dove era situata. Strabene perciò la chiama (fQovqiov
ÌqVIJ^vÒv e TQlxÓQl'ffOV.
Della Pandosia posta sul Crati abbiamo certezza che
batte la moneta che ne porta il nome e rappresenta il
Crati nel rovescio. Essa precede l'occupazione lucana (ol.
XCVII, XCVIII) e l'insurrezione dei Brezzii. I Pandosini
si servono dell'alfabeto dorico: hanno però di proprio che
davanti al P non adoperano il 9 ma il K. Battono nei
tempi della piii bella arte e fanno pompa della imagine
di Giunone Lacinia e del dio Pane, che veneravano entro
le loro mura.
Il Crathis dice Erodoto, fu denominato dal Crathis di
Acaia presso Aegae, così detto perchè si formava dalla
mistione di due fiumi (Strabo, L. Vili) òtto tov xìqvaoXa.
Col fiume Sybaris presso Busa di Acaia fu denominato il
fiume d'Italia (Strabo, ibid.). Era opinione che il Crati
a chi ne beveva colorisse in biondo i capelli (Aristot.).
Eliano dice invece che il Gratis fa di color bianco. Anti-
gono (e. 140) e Teofrasto dicono che i quadrupedi di neri
e rossi che sono diventano bianchi (Aelian. XII, 36).
I Pandosini rappresentano la dea Pandosia sul dritto
e al riverso il fiume Crathis in forma giovanile, privo però
delle solite corna bovine, che porta nella sinistra un al-
bero di lauro ed ha davanti a sé probabilmente un pesce,
difformato dal conio, che doveva vivere nelle sue acque.
Non è di certo la capra della quale narrano Eliano {Hanim.
VI, 42) e Proto (ad Virgil Georg. I v. 20) che ebbe un
figlio della natura di Silvano.
5. Museo Britannico {Calai, p. 370, I). Testa di Pandosia,
coi capelli rivolti e sospesi alla cervice da doppio giro di
diadema: v'è intorno l'epigrafe PANDOMSA. E. Giovane
nudo stante di prospetto con ramo di lauro nella sin. e
patera nella destra: ai piedi sembra vi stia un grosso
pesce ma è mal riuscito nel conio : a d. è la leggenda
KPAOSM, donde apprendiamo che questa è la Pandosia
lucana, cioè brezzia, posta sul fiume Grati.
6. Museo Britannico (Catei. n. 870, 2). Testa di Giunone ric-
camente cinta di alta stephane ornata di una palmetta fra
due grifi, con pendenti agli orecchi e collana, fì. Pane
nudo sedente sopra un sasso al quale appoggia la sinistra
tenendo due aste nella .destra: il suo cane gli giace da
presso : innanzi a lui è un erma barbato itifallico con
caduceo infiliate accanto e sulla stela si ha la leggenda
MAAYZ, nome forse dell'artista: a d. (nAN)AOs:iN(aN).
7. Museo Britannico {Catal. p. 371, 3). Testa della Giunone
simile a quella del n. 6. fi. Pane volto a sin. sedente su
di una rupe fra due cani che gli giacciono dappresso,
stende la d. avendo allato un'asta: a d. HANDOS:! a sin.
NIK.
8. Coli, della Zecca di Londra. T. di Giunone simile alle pre-
cedenti. R. Pane sedente su d'una rupe coperto della sua
clamide volto a d. solleva il pie' sinistro su di una roccia,
ed ha nella sin. due aste: a d. PANAOSIN.
SEK
9. Museo Brit. Catal. 395, 1 I. Da un gesso. Uomo, nudo bar-
bato con capelli lunghi alla cervice che porta sull'omero
sinistro un lungo tralcio di vite con foglie e grappoli, soste-
nendo nella destra un cratere a due manichi. Egli è volto
a sin. ed ha dinanzi la leggenda MEP. R. Tralcio di vite
con foglie e un bel grappolo d'uva.
10. (Sambon, Recherches tav. XXII, 8). Testa barbata simile
a quella dell'uomo descritto al n. 9 volta a d. dinanzi MEP.
R. Grappolo d'uva.
Ho dato luogo a cotesto due monete o piuttosto alla prima
a riguardo della seconda, la quale mi è stato assicurato
essersi trovata in Italia. Ma coloro che sostengono essersi
T. CXI
BRUTTIA
155
la prima trovata sempre in Italia mostrano di non aver
mai letto nell'Eckhel {D. n. v. IV p. 163), che conserva-
vasi nel Museo del barone Astuti , ove la vide il Sestini
(Letti: t. VII, p. 7), e che il Easche avutone il disegno dal
principe di Torremuzza la stampò nella prefazione al t. Ili
pars. II p. Vili, del suo Lessico. Eiggetta l'Eckhel le attri-
buzioni proposte da chi la voleva di Meroe della Lidia, di
Merope di Coo, di Mezaca in Sicilia, nate da falsa lettura,di
cui neanche egli si avvide, prendendo la prima lettera per
un mu. Nel quale errore era caduto anche il Sestini (Let.
t. VII p. 7) che la volle assegnare a Merusium di Sicilia.
L'epigrafe comincia con un M, come ben avverte il duca
de Luynes (Les nummus de Servius Tullius ed. sep. p. 29
note, pi. n. 4), che la diede a Sergentium di Sicilia. Noi
non sappiamo qual posto attribuirle, e se in Italia o in Si-
cilia; sarà però sempre certo che la prima sillaba è Ser non
Mer, come i primi editori hanno letto e interpretato.
CAULONIA
n poeta geografo che va sotto nome di Scimno di Ohio
e scrisse il suo poema circa il 664 u. e. dove chiamò, v. 233,
la potentissima Koma astro di tutto il mondo ci ha con-
servata la tradizione accettata dal Niebhur {H. tom. 1,224)
che attribuisce a Crotone la fondazione di Caulonia. Stra-
bene aggiunge che vi vennero gli Achei e però la chiama
'Axataiv xvitìfia, nel che trovasi appoggiato da Pausania che
ci addita anche il nome del conduttore che fu un Tifone
(VI, 3) EuvXmvCa Sé àjto^xia&n /.ih' ig 'IzaXiav vnò 'AxccTcov
olxKjzrjg Sé iysvero avrrjg Tv(pcov cdyievg. Il SUO nome primi-
tivo fu AiU.còv e poi si chiamò KavXàv (Scimn. v. 322) :
^i.szooroi.uca&t] ng xQÓvig KavXoivCa. Entrò in quella lega
con Crotone e Sibari, nella quale vicendevole vi fu il ri-
corrimento dell'ufficio di presedere. Poi divenne preda
del vecchio Dionigi, che nel 365 ol. XCVII, 4 la disertò
e mise in rovina. Ma eUa deve dirsi risorta per opera
dei Locresi poiché nel 397 ol. CV, 4 vi faceva il suo
soggiorno il giovane Dionigi (Diod. XVI, 21, 8; Plut. in
vita, 26) e cosi spiegherassi ancora rimpianto che loro si
attribuisce da Stefano di Bizanzio, che riconosce una Caulonia
dei Locresi : ìoti Si ulXrj Aoxqwv, e dallo pseudo Servio
{ad Virg. Ili v. 546), dove però confonde il Caulon monte
deUa Brezzia col monte Aulon della Calabria antica, del
quale parla anche Orazio.
Nella guerra di Pirro che durò dal 474 al 478 Caulonia fu
presa dai mercenarii campani e distrutta (Pausan. L.VIp. 349).
Nondimeno la troviamo riedificata nel 543, e al tempo della
seconda guerra punica assediata dai Eomani -che erano di
presidio in Eeggio, e se Plutarco dice il vero l'anno 545
presa d'assalto da Fabio console [in vita p. 187): è^iXaìv
xazà xQÙTog, ma liberata da Annibale (Liv. XXVII a.
241-243). Dopo le guerre puniche entrò nel dominio di
Eoma ma non riaperse la sua zecca e Strabene, allora che
egli scriveva, la dice deserta. H Marincola negli Opu-
scoli di storia 'patria a p. 25 ne addita il luogo dove fu
ima volta a quattro miglia distante ad oriente di Castel-
vetere alle falde del' monte Caulone. Il fiume che le corre
da presso nelle carte di Eizzi Zannoni è detto Alare, e
par proprio Vtlaoog notanóg, che Diodoro (XIV, 104)
pone all'occidente di Crotone fra questa città e Caulonia;
l'altro fiume, che è ad occidente di Castelvetere, chiamasi
oggi Musa, e credesi corrisponda all'antico Sagra.
Non può cader dubbio ohe tutta la zecca di Caulonia
anteceda la monetazione del rame che le manca del tutto.
I numismatici hanno proposto diverse spiegazioni del tipo
singolare sempre il medesimo sulle monete. Alcuni, scrive
il Millingen {Consid. pag. 27, hanno veduto Apollo nella
figura virile nuda che ha nella destra un ramo e sul braccio
sinistro una figurina che cammina tenendo un ramo in cia-
scuna mano, e stando davanti un cervo (Muller, Dorians
II, 3, 7): altri Apollo con Aristeo (Luynes, Nouv. ann.
de Vlnslit. ardi. 1837,1,420): altri Bacco (Avellino, Oss.
1883, II pag. 108-116). Il Millingen crede che sia di dif-
ficile soluzione, perchè dipendente da tradizione locale a
noi ignota. Il Minervini (Osserv. num. p. 133-138) tra-
lasciando le opinioni piìi antiche, ricorda quella dell'Avel-
lino, che vi scorgeva un Bacco flagellifero, quella del Muller
(1. cit.) e del Eaoul Rochette (Mém. de num. p. 24 segg.)
che vi ravvisarono Apollo espiatore di Oreste, quella dello
Strober (Abhandl. derkoen. Bayerischen Acad. 1838 p. 709),
che pensò ad Ercole reduce dagli Iperborei: e rappella
che in questi ultimi tempi il Panof ka ravvisò Apollo Hilates
(Archeol. Zeit. 1843 p. 166 seg.) : il Cavedoni [Bull. arch.
nap. dell' Avell. III, p. 58) e Samuello Birch (Num. chron.
XXX, p. 167segg.)riconolibero ApoUo persecutore di Mer-
curio, indottivi dai talari notati pel primo dal medesimo
Minervini : da ultimo il Cavedoni non osò far la scelta fra le
tante spiegazioni proposte {in Carelli tab. pag. 107). Patta una
tale rassegna il Minervini aggiunge una sua congettura fon-
data sul diligente esame della medaglia, ed è che sia Ila,
secondo Properzio, percotente col ramo, ramo submovet,
uno dei due boreadi, che svolazza intorno a lui per dargli
baci, ferentem oscula, e se ne allontana, rimosso da Ila
che a tal fine agita' la fraschetta. Or vediamo se questa
poetica finzione di Properzio si attagli ai personaggi e
all'azion loro espressa nella moneta. Un giovane nudo che
va a destra ed è in atto di vibrare un ramo fogliato è
parte principale del soggetto rappresentato. V'è inoltre un
cervo che quasi sempre fermo e il più delle volte guar-
dando indietro a lui gli sta dinanzi, e un figurino che par
cammini sul braccio sinistro disteso del giovane, portando
le ali ai talloni, e talvolta una clamide piegata sugli omeri
e sulle braccia, come si suol figurare Nettuno dai Posido-
niati; ma ciò che importa egli si reca due rami che agita
colle due mani guardando indietro al giovane nudo che va
con lui agitando pure la sua frasca. Alla maggior figura
si vede talvolta da presso una vasca di acqua or a destra
ora a sinistra, e vi si scorgono sacre infule or sospese al
corno di un bucranio, ora pendenti dal braccio disteso dal
giovane nudo : il cervo medesimo porta una collana in segno
di consecrazione.
20
156
BKUTTIA
T. CXI
I due rami sono chiari nel mio esemplare (tav. CXXV, 17) ma,
in altri or sono due (tav. CXI, 12) or uno soltanto (ib. 14) :
però ben s'intende spesso dall'atteggiamento che anche l'al-
tra mano doveva esserne fornita. Il giovane nudo ha stretta
relazione anche colle acque del mare, come dimostrano i
. due delfini che gli guizzano dintorno ; e a quella delle sor-
genti e dei iìumi, di che danno indizio le fonti coi leon-
tocasmi talvolta dietro di lui tal altra davanti, ovvero di-
nanzi al cervo tipo costante nel riverso dei didrammi, che
comunemente sta fermo volto a d., di rado a sin., talvolta
però va di galoppo a d.
Or è ben chiaro che, tranne 1' allusione alle acque della
fonte, niun altra circostanza trova una giusta spiegazione nel
mito di Properzio, e quel boreade, che pare aver suggerita
al M. una tale ipotesi, 1' è invece apertamente contrario.
Inoltre Ila avrebbe dovuto portar in mano il vaso da attin-
gere l'acqua: e così di fatti si vede nei monumenti che
lo rappresentano rapito dalle ninfe; o almeno averlo da
presso. Di modo che neanche quésta favola può dirsi qui
rappresentata, almeno come la espose nei suoi versi Pro-
perzio. Però conviene procedere in altra maniera. Tengo
per concesso che la figurina coi talloni alati del giovane
che agita la frasca sia un aereo precursore che accompagna
l'azione del giovane che agita la frasca, portando ancor esso
ed agitando frasche: non vi è idea di contrasto tra le
due figure. Né il cervo può tenersi estraneo del tutto alla
composizione: egli volgesi indietro a guardare il giovane
e lo precede, occupando poi come tipo il riverso. La fonte or
al dritto ora al rovescio rappresentata significa di esservi a
riguardo tanto del giovane che del cervo, e formare perciò
uno dei determinativi requisiti alla spiegazione del mito. La
mia ipotesi è che nel giovane figura principale sia espresso
un nume e che quella frasca non sia da lui vibrata per
allontanare il piccolo fantino : ma che questi invece cam-
mini d'accordo con lui o meglio gli vada innanzi per l'aria
agitando ancor esso le frasche e compiendo con lui il rito
di lustrazione, e paragono a questa scena il sileno dello
specchio di Palestrina che col piccolo satiro presso un vaso
di acqua danza agitando una frasca. Quel fantoccino a mio
parere non è che il vento e tutto questo agitare e vibrare
di frasche si fa per allontanare e cacciare la pestilenza
purgando l'aria con quella frasca che par di lauro presso
di un tempio che è significato dal bucranio. È insomma
il dio locale del promontorio Cocinto cinto dal mare, e però
in compagnia dei delfini, che gli guizzano intorno, che chia-
mato in aiuto il Zefiro del promontorio zefirio purifica l'aria
pestilente della stretta valle del monte Aulon, dove era si-
tuata Caulonia. Narra Igino {Peet. astron. 2, 41) che Apollo
insinuò ad Aristeo di chiedere a G-iove questo vento, perchè
temperasse i calori della canicola perniciosi agli uomini
e agli animali, e anche ai campi. Ma vedi ciò che scrivo
nel commento alla tav. CXXV, n. 16, 17.
11-14. Coli. mia. Giovane nudo in lunghi capelli alla cervice,
e raccolti in due corimbi sulla fronte va a d. in atto di sfer-
zare l'aria con un ramo fronzuto, portando disteso in avanti
il braccio sinistro, sul quale sembra che rapidamente corra
per l'aria un fantoccino che talvolta ha le ali ai piedi ed
agita simili ramoscelli fronzuti colle due mani, guardando
indietro il giovane descritto: a d. è il più delle volte un cervo
stante, ed ancor esso si volge al giovane agitatore della fra-
sca : a sin. KAYU. R. Lo stesso tipo ma incuso.
Il n. 13, coli. Luynes, è singolare perchè legge EAVA,
e al riverso, AVfl3. Di qui può spiegarsi l'altra singolarità
del 3 in luogo del >l di altra moneta (t. CIX, 8). H K
va posto innanzi al nome primitivo, AYAilN si scambia dai
Cauloniati in digamme fc come notò il Piorelli nel Catalogo
del Museo Santangelo p. 60 la qual moneta del resto è bat-
tuta in Crotone, e cambiasi in E, come in questo nummo co-
niato nella patria zecca. Queir O che si vede nel campo
separatamente al n. 14, è d'uopo che si congiunga al nome,
leggendo KAVr O. Il fantoccino ha nel n. 12 una clamidetta
spiegata distesa sulle spalle e pendente dalle braccia.
15. Allato al giovane agitatore della frasca è un bucranio dal
cui corno sin. pende un'infula : ivi è anche un erma bar-
bato : a sinistra alle spalle del giovane è un leontochasma,
ossia una bocca di leone, che versa acqua nella sottoposta
vasca sostenuta da una elegante colonnetta scanalata. R.
Cervo volto a d. in rilievo : intorno vi si legge KAYAHNI :
ATAS. Dei due punti inseriti nella leggenda non so dar
ragione.
16. Coli. mia. Il giovane agitatore del ramo fronzuto sta in
mezzo a due delfini che scorrono pel campo in senso op-
posto. Cervo in rilievo tra le cui gambe è un A e intorno
KAYAn(NI)ATAS:.
17. Cotesto nummo ha di singolare l'oca a sin. e l'essere ri-
battuto sopra un nummo coi tipi corinzii della Pallade da
un lato e dal Pegaso alato volante dall'altro.
18. 19. V'è di speciale che il cervo del riverso vi si vede
decorato di un serto intorno al collo, e nel n. 19 che a
sin. dietro al giovane è im bucranio.
20. Il dritto ha un albero forse di lauro in vece del cervo, e
al riverso ci dà un esempio del cervo che corre: l'epì-
grafe è in carattere dorico KAYhONSATAM.
21. Qui è di certo omesso il fantoccino: v'è poi di singolare
che la pianta forse di lauro si vede dinanzi al cervo del
riverso : l'epigrafe è retrograda al riverso.
22. Coli. mia. Dietro al giovane agitatore della frasca è scritto
TfllHilAV(fì>l); da destra a sinistra: nel riverso con sin-
golare esempio il cervo è volto a sinistra : ha poi davanti
una foglia di vite.
23. Coli. mia. Dal braccio sinistro del giovane pende l'infula,
che al n, 15 pende dal corno del bue. Dietro di lui vi
si vede quell'arnese che si è notato sulla moneta di
Eraclea tav. CU n. 16.
24. Coli. mia. È un esempio della dramma dove anche si ha
nel riverso un altro esempio che il cervo guardi a sinistra.
25.. Omesso il cervo nel dritto si ha un secondo esempio della
pianta dinanzi al cervo del riverso : l'epigrafe è ancor qui
doppiamente scritta, sul dritto da sinistra a destra e sul
riverso in senso retrogrado.
T. cxn
BRUTTIA
157
26. Coli. Luynes. Testa giovanile con capelli ricci e un
corno bovino che spunta dalla tempia: intorno è scritto
KAV>IONIATAM. R. Cervo volto a destra. Nella figura del
dritto vi ravvisai altra volta l'immagine del fiume Sagra s
e se ne persuase il Minervini {Oss. p. 44); ma potrebbe
pur essere e a miglior dritto 1' Eloro.
27. Testa giovanile con capelli lunghi alla cervice coronata di
lauro. R. Cervo e KAV.
28. Giovane agitatore del ramoscello. R. KAV (Avellino, Giorn.
nmn. II. 24 tav. I, 9).
29. Coli. Luynes. Cervo. R. AVA (Eaoul Kochette, Ann. Instit.
I, 418; Mém.numism. 1840, II, 11 pag. 183).
30. Triscele aggiuntesi attorno ad un desco ombelicato. R. OAVAN.
PETELIA
Era tradizione che Filottete profugo da Melibea fosse ve-
nuto coi Troiani nella Enotria e vi avesse fondata Siri e Pe-
telia: se ne mostrava peranco il sepolcro in Metaponto e le
fatali frecce di Ercole poste nel tempio di Apollo. Stava Pe-
telia presso il fiume Neeto e non lungi dal promontorio Cri-
misso. Stimò il MiUingen dopo il Coray che il suo primo nome
fosse Cone una volta metropoli dei Caoni (Milling. Considér. p. 88).
Ma cotesta opinione è contradetta dal testo di Strabene che la
dice metropoli dei Lucani (cf. Marincola Opusc. di st. patria
p. 141, 142). Vennero i Troiani con Filottete e approdarono in riva
del fiume, dove le tre figlie di Priamo Aethylla, Astioche e Mede-
sicaste noiate e stanche dal viaggio persuasero i Troiani di pren-
dere stanza in quella spiaggia e posero però fuoco alle navi. Nar-
ravasi che di tal avvenimento si conservasse la memoria nel nome
che allora diedero al fiume chiamandolo Neaetlius, Néca-3-og, quasi
NavaiOog, dalle navi bruciate. Questo racconto si legge nei com-
mentarli di Tzetze a Licofrone. Petelia non ha moneta che di bronzo
e però non aprì la zecca prima della occupazione lucana del 361.
Cesse poi ai Brezzii nel riparto delle terre conquistate avve-
nuto nel 398. Dopo la disfatta dei Eomani a Canne insorgendo
i Lucani coi Brezzii i soli Petelini mantennero la fede a Eoma.
Intanto convenne loro difendersi dai Cartaginesi che assediavano
la città : ma le donne peteline uscite di soppiatto posero fuoco
alle macchine d' assedio e le incendiarono. Esse ben altri-
menti emularono il coraggio delle donne troiane che diedero
alle fiamme le navi. Di un fatto sì nobile parmi che i Pete-
Uni abbiano voluto perpetuare la memoria ponendo sulle loro
monete per tipo una donna che con rapida corsa portando una
fiaccola a destra e la sinistra involta nel piccolo pallio va di
gran passo stando di prospetto alquanto a sinistra dello spet-
tatore. Essa porta talvolta sull' omero destro una faretra e per
tal motivo e per la fiaccola i numismatici l'hanno finora presa
per Diana. Ma si considerino le circostanze, che sono ben di-
verse da quelle che riguardano la notissima Diana, quando colla
fiaccola nella destra e con due giavellotti sulla spalla sinistra,
neUa moneta di Turio, prende la via dei monti accompagnata
dal cane di caccia. La faretra che talvolta si vede sull' omero
della donna peteUna ben si spiega con lo stato di assedio nel
quale anche le donne prestavano la loro opera alla difesa della
patria. Le monete del re Ballèo recano sul rovescio un tipo somi-
gliante al riverso della moneta di Petelia (Èckhel, IV, 167),
una donna e talvolta un uomo che porta la fiaccola accesa
nella destra e va di fronte verso la sinistra: se ne ignora il
motivo.
Del resto Petelia dopo undici mesi di assedio si rese per
fame e perchè di molto assottigliata di combattenti. I Cartagi-
nesi entratine in possesso ne affidarono il dominio ai Brezzii: ma
saputosi da Annibale che i Petelini avevano segretamente invocato
l'aiuto dei Eomani vi mandò Asdrubale che devastò la città e
dei cittadini fece macello. Ma i Eomani deplorando un sì lut-
tuoso avvenimento a mostrare quanto ne avessero tenuta in
pregio la fedeltà mandarono in Petelia loro magistrati che
raccolsero i pochi superstiti e rimisero la loro republica, la
quale riprese colle altre sue costumanze anche quella di batter
moneta, che fu di bronzo e seguì il sistema divisionale dei Eo-
mani battendo quadranti, sestanti ed once.
Tav. CXII.
1. Testa ammantata di Cerere coronata di spighe. R. Giove con
scettro nella sin. scaglia un fulmine a destra : ivi è un B
e a sin. flETHAINilN e un astro.
2. Testa laureata di Apollo volta a d. R. Tripode e dalle due
parti HETHAINilN.
3. Testa di Marte barbato con elmo aulopide volto a d. R. Vit-
toria con corona nella d. e flETHAINilN.
4. Testa di Pallade con elmo corinzio volta a d. R. Vittoria
con corona e HETHAINilN.
5. Testa di Marte simile a quella del n. 3. R. Vittoria che
porge una corona: a sin. PETHAINilN.
6. Testa radiata di Apollo. R. Tripode e intorno flETHAINUN.
7. Testa di Diana con faretra al collo. R. Cane in rapida
corsa: intorno FlETHAINilN e quattro globetti.
8. Testa barbata di Ercole e diademata. R. Clava e flETHAINilN.
9. Testa di Giove laureata volta a d. ; a sin. tre globettini
segno del quadrante. R. Giove fulminante con lo scettro
nella sin.: intorno HETHAINnN.
10. Testa di Giove laureata: dietro due globettini. i?. Fulmine
e HETHAINilN.
11. 12, 13. Testa di Apollo laureata: a d. di dietro due glo-
betti. R. Donna che viene innanzi quasi di prospetto a
gran passo portando nella destra una fiaccola accesa e un
panniUno nella sinistra. Essa ha talvolta una faretra sul-
l'omero destro n. 10, ovvero sul sinistro n. 11, e tal'altra
ne è priva n. 12: intorno vi si legge flETHAINilN. Nel
n. 12 v' è di piìi al riverso TA in mon. e la faretra è
omessa.
14. Testa di Apollo laureata e nota del sestante. R. Cerva e a
sin. un fulmine, a destra bucranio: intorno flETHAINilN.
Dal Giornale degli scavi 1881 p. 67, appare che un tal
Nicola Volante abbia trovata una moneta di Petelia col
tipo della Vittoria al dritto ed una clava al riverso. Non
avendone l'impronta dimandata, basti averne data notizia.
15. Testa di Marte, come al n. 5. R. Vittoria con palma e
corona, timone, flETHAINU'N.
158
BEUTTIA
T. cxn
LOCRI
I Locresi sono venuti in Italia dalla Locride. Questa
era abitata da due popoli omonimi, i Locresi Epicnemidii
così soprannominali dal monte Cnemis detti anche Opuntii,
che erano collocati incontro alla isola di Necroponte, Eubea,
e gli Ozolae che toccavano il seno di Corinto avendo da un
lato l'Etolia e dall'altro la Pocide. Eforo li fa venire in
Italia dalla regione degli Opuntii, Strabene riprende Eforo
e segue Timeo ed Aristotele che li dicono venuti in Italia
dalla regione degli Osolae condottivi dà Evante (VI, 259).
Convengono però tutti che approdarono nella Enotria l'anno
secondo della ol. XXIV (s. Hier. in Chron. Eus.). Ma una
tradizione seguita da Varrone e da Verrio Placco, a cui
fanno eco Virgilio ed Ovidio, dice che Locri era città forte
ai tempi della guerra troiana. Varrone narrava che alcrmi
Locresi cacciati dalle loro sedi s'imbatterono per mare in
Idomeneo che menava seco Cretesi e Illirici in cerca del
suolo dove fabbricare una città e si unirono con essi con-
ducendoli però nella patria Locri che trovarono deserta,
perchè i cittadini per paura dei nuovi coloni n'erano fuggiti.
Locri adunque già esisteva quando Idomeneo vi arrivò
coi nuovi coloni. La Locri di che si parla qui si dice da
Varrone e seguaci fondata nelle terre le quali ebbero allora
la prima volta nome di Salentine ; e furono divise in tre
parti e date a dodici popoli che indi si chiamarono Salen-
tini: fra questi furono quei di Uria ossia Orra e quei del
castello di Minerva. Noi sappiamo di certo che Orra e il
Castrum Minerva e, furono in Calabria nelle terre che si chia-
mavano prima Salentinae, ma ivi non vi è stata mai una
Locri, che invece si trova fra i Salentini della Brezzia e
della Lucania, che estendevasi dal fiume Neeto chiamato Sal-
lentino da Ovidio {Metam. lib. XV, 51) a Turio detto Sallentino
da Livio, ove scrive di Cleonimo (L. X, 2, ed. Drak.) : Thurias
urhem in Sallentinis cepit. ..col suo territorio: Thuriae
reddilae veteri cultori Sallentinoque agro pax parta. I
commentatori ed interpreti che non hanno saputo di questi
Salentini della Magna G-recia hanno corretto il Neaethum
di Ovidio in Neretum, come fa il Burmanno, ed hanno
cambiato Thurias in Hyrias urbem, ovvero Vriam urbem;
ma non bastava, essi avevano da riporre anche Locri nella
Calabria, e non l'hanno fatto, ovvero cambiare Locros in
Sallentinum con Servio [Aen. Ili, 40): ibique in Calabria
Sallentinum condidit. Questo è il testo di Varrone come
è riferito da Nonio {ad Ed. VI, 31) e trascritto dal Mommsen
sull' apografo del Keil (ap. Piorelli, Ann. di numism. I,
p. 124) : Varrò in tertio Rerum Humanarum refert :
Gentis Salentinae nomen tribus e locis fertur coaluisse
e Creta, Ilhjrico, Italia. Idomeneus e Creta oppido Blanda
pulsus per seditionem bello Magnensium cum grandi
manu ad regeni Divitium ad lUyricum venit ; ab eo item
accepta manu cum Loorensibus plerisque profugis in
mari coniunctus amicitiaque per similem causani sociatus
Locros appulit, vacuala eo metu urbe. Ibidem (con)sedit
(et) aliquot oppida condidit in queis Uria et castrum Mi-
nervae nobilissimum. In tres partes divisae copiae in po-
pulos duodecim Salentini dicti quod in salo amicitiam
fecerint. Verrio Placco (Pesi p. 329): Salentinos a salo
dictos Cretas et Illyrios qui cum Locrensibus navigantes
societatem fecerint , eius regionis Italiae, in quam d{eve-
nerint). Dal qual luogo si raccoglie che il terreno occu-
pato dai Locresi fu chiamato Salentino, ma non si conferma
che Uria e il Castrum Minervae fossero fondati da loro.
Tornando ora alla colonia della ol. XXIII anno 2, i Lo-
cresi condotti da Evante e coadiuvati dai Siracusani, che
s' erano già fin dalla ol. XVII stabiliti in Sicilia, posero
le fondamenta in Italia della colonia che prese nome di
Locri e fu soprannominata Zephyria dal promontorio sul
quale da principio quei coloni fermarono la loro stanza.
Ma dopo tre o quattro anni essi cambiarono sito impian-
tandosi coi Siracusani sopra il ciglio di un monte detto
iaàrtiq alquanto discosto dal capo Zefirio e chiamaronsi
perciò ijvi^ecfVQiot,. Il loro territorio confinava con quello
dei Begini, che ne era diviso dal fiume Alex: ivi essi co-
struirono un castello e lo diedero a giovani soldati neglTtoloi,
che ne formavano la guarnigione; e però il castello si
chiamò TreQirtóliov. Pu un tempo che a questo castello si
attribuì l'obolo di argento che porta laleggenda flITANATAN
riEPinOAilN, ma ora si è meglio stabilito che cotesti Pi-
tanati peripoli appartengono al Sannio, e che vi furono
posti in guardia dai Tarentini confederati, come si è detto
dichiarando quelle monete. Locri crebbe in ricchezza e po-
tenza per le istituzioni di Zaleuco onde potè far fronte con
diecimila soldati, fra Locresi e Keggini, ad un esercito dei
Crotoniati forte di cento trenta mila. Questa guerra fu
combattuta alle sponde del Sagra. I Crotoniati volevano
vendicarsi dell'aiuto prestato dai Locresi a quei di Siri.
Narra Griustino che nel tempo della pugna apparve una
aquila che non cessò di volare intorno ai combattenti fino
a tanto che ebbero la vittoria, e che furono veduti alla
testa loro due giovani nobili, di alta statura, con cavalli
bianchi e con clamidi di porpora che finita la pugna di-
sparvero : onde poi loro fu dai Locresi edificato un tempio
alle sponde del fiume (lustin. L. XX): Pugnantibus Locris
aquila ab ade nunquam recessit eosque tamdiu circum-
volavit quoad vincerent. In cornibus quoque duo iuvenes
diverso a caeteris armorum habitu eximia magnitudine
et albis equis et coccineis paludamentis pugnare visi
sunt, nec ultra apparuerunt, quam pugnatum est.
Ad Anassilao venne il pensiero di conquistar Locri, ma
non gli riuscì, essendosi essi validamente difesi cogli aiuti
di Gelone re di Siracusa: onde poi seguirono le parti dei
Siracusani mentre le città della Magna G-recia favorivano
gli Ateniesi. Dionigi il vecchio ampliò il territorio dei
Locresi donando loro le città di Caulonia, Mesma, Hippo-
nium e ferina. Di Scylletium, lasciata ai Crotoniati quella
parte di territorio che possedevano, l'altra la diede ai Locresi.
Ma questo ampio terreno loro durò poco, essendo soprag-
giunti i Lucani ohe occuparono in gran parte quelle terre:
T. CXII
BEUTTIA
159
Locri fu salvata dal giovane Dionigi, che però essendo stato
cacciato da Siracusa vi si ricoverò e vi stette sei anui,
fino a tanto cLe ne fu richiamato da quei del suo partito.
Ma la sua condotta crudele ed immorale in Locri addusse
i Locresi alla vendetta, che alla sua partenza misero a morte
atrocemente la moglie e le figlie; e sarebbe egli venuto a
punirgli ; ma la rivolta di Timoleonte nel 409 mise termine
al suo regno e ai suoi abusi,
I Locresi liberati ancor essi dal tiranno, al quale i magistrati
loro finché stette in Locri avevano ceduto il comando, nel 407
trucidarono la guarnigione che vi aveva lasciata. I magi-
strati ripresero il governo e rimisero in vigore le leggi e
cercarono riformare i costumi. Così risorse Locri e fiori
fino alla guerra di Pirro, quando stanchi del Prefetto e del
presidio di Pirro, se ne disfecero e cercarono l'amicizia dei
Eomani. V è una moneta di bronzo coi tipi di Locri. Testa
di Pallade volta a sin. e in alto ROMA (t. CXIII, 8). Que-
sta parmi battuta dai Locresi, dei quali porta al riverso
l'epigrafe AOKP, alleati dai romani. Ma vi è un altro bronzo
che ha la simile testa con la epigrafe ROMANO di-
nanzi a sin. e al riverso l'aquila sul fulmine e di nuovo
l'epigrafe stessa ROMANO ; la forma e il peso la rendono
simile alla moneta loerese. Mi penso che l'abbiano battuta
i Locresi a nome di Eoma e dei Komani, o i Eomani stessi
a conto loro. Locri dipoi seguendo la sorte dalle armi dopo
la disfatta dei Eomani a Canne si diede ad Annibale
(Liv. XXII, 61 ; XXIII, 30; XXIV, 1) : della qual loro defe-
zione poscia li punì Scipione, quando ebbe ricuperata la
città col favore del partito che era rimasto fedele ai Eomani
e del popolo esacerbato omai dell' orgoglio e della avarizia
dei Cartaginesi. Ai principi diede in possesso le facoltà dei
condannati e uccisi dalla fazione cartaginese (Liv. XXIX, 6, 8):
Bonaq. eorum alterius factionis principibus ob egregiam
fidem adversus Bomanos, concessU. Di che essi furono a
Eoma grati e riconoscenti coniando anche una moneta, nella
quale posero il Giova probabilmente VoQxtog nel dritto e
al riverso Eoma armata sedente e coronata dalla fedeltà
dei Locresi (u. t. CXH, 21, 22).
Furono essi adunque socii e federati, senonchè trovossi
un uomo che calpestò ogni dritto umano e religioso per
amor dell' oro pili che non aveva fatto Dionigi il giovane
e il presidio cartaginese. Questi fu Pleminio romano pro-
pretore che mise a sacco U tesoro del celebre tempio di Pro-
serpina, onde l'armo 551 furono spediti dai Locresi i loro le-
gati a Eoma, perchè ottenessero dal Senato che si restituisse al
tempio di Proserpina ciò che Pleminio coi suoi satelliti aveva
rubato (Liv. XXIX e. 18). Essi ne imploravano la fedeltà
dicendo: Ad vos vostramque (idem suppUces coiifugimus.
Fu dunque ordinato che Pleminio e i suoi legati raccoglies-
sero e restituissero al tempio il danaro sacro, e fu fatto
solenne decreto, col quale il Senato e il popolo romano
rendeva ai Locresi la libertà e le patrie leggi (id. e. 21):
di che i Locresi resero grazie al Senato e al popolo,
condannando Pleminio e gli autori dei forti e dei sacrilegii
commessi su quei loro soci, che eransi afBdati all' amicizia
e lealtà loro. Il P. Eckhel ben a proposito ha citato l'inno
dei Calcidesi {D. n. v. ì, 176), conservato da Plutarco {Vita
T. Flamininl, pag. 378) che per essere utilissimo al con-
fronto sarà bene riprodurlo qui :
niaiiv Si 'Pwfiai'oùv at^oiiav
ràv ^sTccXsvxotàiav ooxoig (pvXàtftìnv
MeXnsTs xovgai Zfjva fisyav 'Pd/iavzs
Thov T£ afia Qoi/^iaioìv niffriv'Itjte Ilaiàv
cÒTÌTS GtùTìjQ.
Vi si acclama il Giove oQxtog che vediamo personificato
sul dritto della moneta di Locri e la niang "Pafialoìv ana-
logo alla nCaTigAoxQwv. Tito Plaminino vi è chiamate ^(ot^q.
Le monete ci hanno conservata l'imagine della Proser-
pina tanto venerata dai Locresi (v. la tav. CXIII, 4, 5).
11 pugile Eutimo ebbe due statue una in Locri e l'altra in
Olimpia, le quali perchè fulminate il giorno stesso ottennero a
parere di Callimaco gli onori dei sacrifizii (Plin. H. N. VIII, 47):
Consecratus est vivus sentiensque oraculi (delphici) iussuet
lovis deorum summi obstipulatu, Euthymus pycta: Patria
eius Locri in Italia. Ibi imaginem eius, et Olijmpiae alteram
èodem die tactae fulmine Callimachum, ut nihil aliud, mira-
tum video, adeumque iussisse sacri fica/ri,quod et vivo factum
et mortuo. Eutimo morì affogato nel fiume Calcino e ne fu però
detto figlio, ma il suo padre si chiamò Asticles. Costui non si è
veduto finora sulle monete; vi figura però il Zsvg oqxiog sedente
appoggiato allo scettro con la destra aperta (t. CXIH, 13) :
sul dritto della stessa moneta si vedono le teste dei
due Castori, dei quali ho di sopra notato, che apparvero e
combatterono contro i Crotoniati al Sagra e vi ebbero
perciò im tempio alle sponde. La Giunone Lacinia, o La-
cunia che debba dirsi, non è certo che sia figurata, ma
ben può riferirsi a cotesta tradizione l'Ercole che si vede
in pili di un bronzo.
Una nota in un codice di Valerio Massimo di Brandeburgo
citato dal Vorstio pone (L. lei) che il tempio della Giu-
none di Locri, a cui Fulvio Placco tolse le tegole di marmo,
non fosse della Giunone Lacinia, ma sì Lacunia e in prova
narra che v' era un famoso ladro di nome Lacuno e Giu-
none impose ad Ercole di ucciderlo e però quella Giunone
prese il soprannome di Lacunia : Oh quam causam Lo-
crenses in honorem Junonis aedificaverunt templum Ju-
nonis Lacuniae.
La monetazione di Locri non è anteriore al quarto se-
colo di Eoma; nondimeno il peso della maggiore unità
d'argento e la divisione in seste avrebbero fatto credere
che cominciasse a battere moneta prima dei Pisistratidi ossia
del 194 di Eoma. Il Leake {Num. hall. Europ., Greci p. 63)
seguito dal Mommsen {H. de la monn. I p. 310, ed. Bl.)
rimuove da Locri gli stateri che portano tipi corinzii : ma
cotesti nummi non si trovano nelle terre degli Opunzii a
cui gli attribuiscono, e il sig. Imhooff-Bl. mi fa notare una
differenza di fabbricazione che corre per gli stateri d'Italia
coi tipi della Pallade e del Pegaso e quei di fuori, essendo
i nostri piani, concavi gli stranieri. I tipi medesimi si
160
BEUTTIA
T. CXIII
hanno anche nel bronzo e ninno ha mai veduto questi bronzi
venirci dagli Opunzii.
n Magnan {Bruttiae numismaticae, tabula 67 n. 2,
Eoma 1773) decrive un aureo da lui solo veduto. Testa di
Giove laureata a s., intorno AOKPilN. R, Aquila a d. con
lepre fra gli artigli, di sopra un fulmine, intorno AOKPiiN.
L'aureo dei Locresi veduto dal P. Eckhel presso il marchese
Tenuti è inciso qui al n. 16.
16. CoU. mia. Testa di un' aquila che ha predato un serpe ;
di sopra OA. E. Fulmine alato. Aureo una volta unico
prima della scoperta di alquanti esemplari rinvenuti in
questi ultimi anni nella terra di Tiriolo nei Brezzii. Nel-
l'esemplare del Venuti, che è questo mio, veduto e publi-
cato daU'Bcthel, la lettera O per sbalzo di conio è ripetuta
in modo che da un lato si vede congiunta. All'Eckhel questa
nuova lettera parve un enimma, non avendo osservato che
ripetevasi l'O per difetto di conio.
17. Coli. Sant. Aureo simile al precedente, dove però non v'è sbalzo
di conio nella lettera O.
18. A quest'aureo che è nella stessa coU. Santangelo manca il
serpe, e l'epigrafe sta di sotto della testa di aquila.
19. Museo di Vienna. Monetina di argento data dall' Eckhel
{St/Hoge, tab. I, 16). Aquila volta a sin., ha davanti una
spiga di grano, di sopra AO. E. Fulmine, fra due cerchi.
20. Aquila stante volta a d. davanti A. E. Fulmine di sopra AOK,
di sotto due cerchi.
21-23. Ve ne ha un esemplare anche nel Museo di Catanzaro,
come mi scrive il Marincola. Testa di G-iove coronata di
alloro volta a destra, ovvero come nei nn. 22-24 a sinistra.
Dietro alla nuca nel n. 21 ha un fulmine. R. Aquila che
si pasce di una lepre: intorno AOKPnN.Neln.22 {AOK)PIlN
è sul dritto, sul riverso poi a sin. im fulmine, a d. AP
in mon. e retrogrado. Nel n. 23 il fulmine è sul riverso
a d. e sotto alla lepre si vede un globetto e un S.
24. Testa di Giove laureata volta a d. Aquila stante volta a sin.
e intorno AOKPHN.
25. Aquila che si pasce di una lepre. E. Fulmine di sopra AOKPilN,
di sotto caduceo.
26. (Carelli, tab. CLXXXIX n. 12). Aquila stante sopra una
lepre che ha predato : intorno è una corona di lauro. E.
Fulmine dentro una simile corona e AOKP^N.
27. Testa di Pallade con l'aulopide senza cresta. B. Pegaso
volante a sin. tra le gambe AO.
28. Simile testa di Pallade ma volta a sin. dinanzi AOKPilN. E.
Pegaso e di sotto un fulmine.
29. 30. Coli. Santangelo. Testa laureata e barbata di Giove
volta a d., di sotto ZEY?. E. La pace, EIPHNA, sedente su
di un'ara ornata di un bucranio, volta a sin. ostenta un
caduceo : l'insegna della Pace, a d. si legge AOKPilN. Nel
secondo esemplare n. 30, l'epigrafe EIPHNA non vi si legge
forse perchè uscita di conio.
31, 32. Il n. 32 è nel Museo di Parigi. Nel dritto è la testa
barbata e coronata di Giove volta a sin. E. Eoma indicata
dalla leggenda PiiMA assisa e volta a destra è coronata
dalla fedeltà flISTIS : nell'esergo si legge AOKPnN. Eoma
è in tunica senza maniche, abbottonsrta sull'omero e appog-
gia la d. ad un clipeo dittico, che porta per insegna un
fulmine, ed ha sotto l'ascella sinistra due pugnali. La Fe-
deltà, mentre corona si attiene colla destra ad un lembo
del pallio che l'involge. Al dritto e al riverso si ripete la
epigrafe NE in mon., che il Cavedoni vorrebbe spiegare
NEfisraiQ in riguardo a Giove vindice del giuramento e della
data fede {Saggio, 22), e dice di preferire questo supple-
mento, anziché crederlo nome di magistrato (insolito in
monete locresi). Nel che parmi siasi ingannato.
Tav. CXIIL
1. Testa di Giove laureata volta a sin. E. Aquila stante sul ful-
mine a sin. AOKPilN.
2. Testa di donna diademata volta a d. dietro ha una fiaccola
accesa. E. Aquila stante sul fulmine a sin. AOKPIIN ed AP
in mon., a d. un ramo di lauro.
3. Nella coU. mia. Testa di donna cinta di stephane con pen-
denti e collana volta a d. E. Pallade stante in piedi armata
di elmo corinzio, di lancia e di clipeo, a cui si appoggia:
a sin. AOKPilN, a d. due stelle.
4. Testa di Pallade con elmo attico volto a sin. E. Proserpina
assisa con fiaccola nella sin. avendo a sua destra una colonna
gionica e davanti alcune spighe germogliate dal suolo.
5. Testa di Pallade con aulopide cristata volta a d. E. Proser-
pina assisa fra due astri con capsula di papavero nella
sin., e patera nella d., davanti a sin. AOKPilN.
6. Testa di Giove laureata volta a d. dinanzi è AIO^. E. Ful-
mine fra mezzo alla voce AOKPAN.
7. Nella coli. mia. Testa di Pallade con aulopide volta a sin.
alla nuca XAP in mon. E. Pegaso volante a sin., di sopra
un astro, tra le gambe un tirso lemniscate, in basso
AOKPilN.
8. (Carelli, tab. 2 n. 46). Testa di donna volta a sin. coperta da
aulopide : sopra si legge chiaro ilMA, che facilmente si compie
PUMA, della quale epigrafe che niuno parmi si è finora avve-
duto. R. Pegaso volante a sin., di sotto fulmine, in basso
AOKP. Un esempio analogo al nostro di Locri ci è offerto dai
Cirenei che ad un loro bronzo danno per tipo la testa galeata
di Eoma volta a sin. e vi scrivono di sopra IMÌ19. (Muller,
Num. de l'ancien. Afrique I, pag. 29 e 77), onorandola a
motivo dell'autonomia, che godevano sotto la romana do-
minazione.
9. Testa~ di Pallade con aulopide laureata volta a sin. alla nuca
una patera. E. Aquila sul fulmine e a sin. AOKPilN a d.
s:nP in mon.
10. Mia coli. Diminuzione del bronzo n. 12 coi tipi di Pallade e
dell' aquila.
11. 12. Diminuzione del bronzo n. 3 coi tipi della testa di Pro-
serpina e Pallade armata di lancia e scudo sul riverso. Qui
nel n. 11 vi hanno due astri e un cornucopia; dietro alla
testa di Proserpina al n. 11 vi hanno tre piccoli astri fra
un astro maggiore e un cornucopia : nel n. 12 v" è una
spiga di grano.
T. CXIII
BRUTTI!
161
13. Coli. mia. Due test,' dei Dioscori coperte di pileo conico
laureato e sormontato dalle stelle. R. Giove sedente a sin.
appoggiato allo scettro colla destra distesa : davanti AOKPilN.
Il Magnan gli pone un' aquila nella destra : e il Carelli
(Descr. p. 144, 74) ima iìala: niente di ciò né nel mio esem-
plare e neanche in quello del Museo Estense, tenendosi il
Cavedoni a dire non vedersi che cosa il Giove abbia nella
destra. Egli anche fa notare (praef. ad Car. tab.) che l'inci-
sore del Carelli tramutò Giove in una Pallade (tab. CXCI, 57).
14. Diminuzione del bronzo n. 8 coi tipi della testa di Pallade
e del Pegaso volante che qui è volto a d. di sotto AOKPJ^N.
15. Mia coli. Testa di Ercole giovane coperta dalla pelle di
leone a d. dinanzi AION. R. Pegaso volante volto a sin. di
sotto AOKPilN.
16. Testa di Giove laureata volta a d. R. Aquila a d. e ivi pro-
toma di pesce e AOKPilN.
17. Testa di Pallade con elmo corinzio volta a sin. di sopra EY.
/?. Fulmine framezzo alla voce AOKPilN e ad un cor-
nucopia.
18. Testa di Ercole con la spoglia di leone volta a sinistra.
R. Pegaso , tra le cui gambe è un fulmine : di sotto
AOKPilN.
19. Simile al n. 18: sul rovescio manca il fulmine e vi si
legge EY.
20. Diminuzione del bronzo n. 9 coi tipi della testa di Pallade
e dell' aquila stante sopra un fulmine che qui è volta a
destra, e ha davanti un astro e a sin. AOKPilN.
21. Testa nuda di dorma volta a d. coi capelli annodati alla cer-
vice. R. Eukniiie framezzo a AOKPilN.
22. Museo di Berlino. Vaso doUum. R. Grappolo d'uva e intorno
AOKPilN. Le prime lettere sono molto consumate. Il Pel-
licano {Coiai, delle inorìete locresi) ne descrive a pag. 46,
nn. 276, 277, 278 tre esemplari uno dei quali fu trovato
l'anno 1820 nel pavimento dell'antica città, contrada
Strivò.
SCTLACIUM
Era le città conquistate dal vecchio Dionigi si novera
anche Squillace ^xvD.ì^tiov già colonia degli Ateniesi con-
dotta da Meneste, 2xvXdxiov l'appellarono i Greci Scyla-
ceum, Scolacium i Latini. Dionigi ne divise il territorio in
due parti e lasciando l'una ai Crotoniati che ne erano in
possesso, l'altra la donò ai Locresi. Lo Scylacium vorrebbe
dire un luogo ovvero un covo di piccoli cani, ma la tra-
dizione locale riferita da Servio e da Cassiodoro, che vi
ebbe i natali, voleva che Ulisse avesse qui naufragato e
si fosse servito delle tavole di sue navi rotte per iniziare la
costruzione. Virgilio le dà l'appellativo di navifragum
Scylaceum. A cotesta Scylaceum parmi si possano attri-
buire i bronzi anepigrafi dati finora da alcuni a Cuma,
da altri ad Alliba ; essi rappresentano da l'un lato la testa
di Ulisse dall'altro un mostro ora uomo, ora donna, desi-
nante in corpo di pistrice, dal cui tronco dove comincia
ad essere busto umano si lanciano due cani latranti. È una
personificazione del luogo analogo in ciò al mostro Scila,
^xvXXa, dal cui ventre si spiccavano cani latranti. Ai detti
bronzi, che il sig. Sambon pel primo, seguendo la mia
opinione a lui comunicata, diede a Squillace penso si debba
unire il bronzo che fu del general Fox e si è publicato
dal medesimo (Greek coins, 8 pag. 10), ed attribuito ad
Alliba. Ecco la descrizione.
23. Coli. Fox. Testa di tritone barbato volta a d. R. Mostro
marino a metà uomo e metà pistrice con timone nella sin. e
la destra elevata: di sotto piuttosto A che A.
24. Nel Museo Britannico (Catal. p. 74, 8) si conserva un simile
nummo, del quale ho espressala testa del dritto: pel riverso
v'è il mostro medesimo : però di sotto l'editore vi legge A.
25. Nel Kirch. Testa imberbe coperta di pileo conico laureato
volta a sin. di dietro la lettera %. R. Mostro marino bi-
forme coi due cani al ventre e con clava ricurva neUa sin.
■ e la destra distesa.
26. Da un calco. Testa simile alla precedente, al rovescio il
mostro ha capelli annodati sul vertice e sembra femineo:
manca ogni lettera.
27. Da un calco. La testa è simile alle due precedenti, il pileo
conico è un po' piti basso. R. Il mostro marino che è gio-
vane nel n. 25 qui è barbato e semicalvo e gli si vedono
le due pinne discendenti dai due lati estremi del busto
umano, quasi due ale.
Il signor Màrincola-Pistoia (Opusc. di st. patria pag. 367)
descrive un bronzo del modulo 5 di fabbrica a parer suo
bruzziano, nel quale si ha la testa di Ercole giovane co-
perta della pelle di leone, volta a dr. e al riverso una prora
di nave a dr. con tracce di lettere di sopra, e nell' esergo
un avanzo di leggenda. . . . AAKI. ... È sua opinione che
debba supplirsi ^KYAAKION. Egli però cita il Golzio, IV
tab. 58 n. 5, che produsse un bronzo di prima grandezza, ove la
testa di Mercurio e la lettera 0 sono nel dritto, e una
prora di nave con la leggenda SKYAAATIilN è al riverso.
I tipi di ambedue le monete sono romani.
EEGIUM
Si narrava, che alla terra bagnata dal Tauricino o dal Lumhone
approdassero Cretesi condotti da Giocaste figlio di Eolo (CalUm.
pr. Tzetze ad Lycoph. v. 45) ; dicevasi ancora che vi fosse una
volta venuto Oreste a purgare il suo delitto lavandosi nei sette
fiumi che scorrono presso Reggio : e sene conservasse la memoria
nel portvs Orestis presso il Metauro. Confermavasi poi la tra-
dizione attribuendogli la fabbrica del tempio di Apollo (Varrò
ap. Prob. ad Virgil. Bucol.) e il parazonio che vi si conservava.
Ma le vero origini storiche di questa città sembrano datare
dall'arrivo dei Messenii e dei Calcidesi. Strabene scrive, che
Reggio fu fondata da quei Calcidesi che consecrati per oracolo
ad Apollo si recarono a Delfo, dove appresero il loro destino,
e Antioco attesta che i Messapii si congiunsero per oracolo di
Apollo ai Calcidesi spediti a fondare Reggio dai Zanclei sotto
il comando di Antimnesto. Ai Messenii comandava Alcidamida,
scrive Pausania, e vennero dopo la espugnazione di Itome nella
Messene e quando Aristodemo era morto. Impariamo poi dallo
162
BEUTTIA
T. CXIII
stesso, che a cotesti due popoli uniti in ima sola città coman-
darono da principio i principi Messemi fino ad Anassilao, quarta
successore di Aloidamida (Paus. 1. IV e. 23). Bisogna però
guardarsi di confondere con Pausania questo Anassilao della
ci. XXIX con quello a cui si attribuisce la occupazione di
Zancle e il nuovo nome che le diede di Messina. Questa città
chiamavasi tuttavia Zancle nella ol. LXXII, quando vi venne
Cadmo di Coo (Herod. VII, 164) contemporaneo di Epicarmo
(Suid. a. V.), e vi approdarono i Sammii fuggiti dal dominio dei
Persiani i quali poi Anassilao cacciò fondando la nuova città
Messina (Tucid. L. VI, 4, 6, ol. LXXI).
A questo racconto si conforma tacitamente anche Pausania,
quando narra, che Smicito, il quale fu poi servo e ministri
di Anassilao, andò a Zancle che non chiamavasi ancora Mes-
sina (V. XXVI). Di cotesto Smicito poi sappiamo da Erodoto
che Anassilao lo spedì in soccorso dei Tarentini, che erano
combattuti dai Messajiii (Herod. VII, 170), e che morto Anas-
silao dopo l'ol. LXXVIII, 2, passò in Tegea, e più statue de-
dicò in Olimpia (id. ibid.).
Anassilao mori nel 278 (Diod. Sic. XI, 43) cinque anni
da poi che aveva dominato nelle due città: gli successero i
due suoi figli che se ne divisero il principato e vi imperarono
fino al quarto anno della ol. LXXIX, quando i loro sudditi
ribellatisi li cacciarono e si costituirono in repubblica.
A questo cangiamento, cred'io, presero parte i due legisla-
tori di Locri, Zaleuco e Timarete invitati dai Keggini, il cui
risultato si fu, che si costituirono due forme di governo, la
yviivaaiaaxixì] e quella che non si sa bene se prendesse nome
da Epitocle, ovvero da Empedocle (lambì. Vita Pythag. p. 123,
ed. Arcer. 1598).
I Reggini nel 321, ol. LXXXVI, fecero alleanza cogli Ate-
niesi vedendosi minacciati dai Siracusani insieme colle città
gioniche fondate dai Calcidesi in Sicilia e in Italia. Quando
Dionigi il vecchio nel 376, ol. XCVIII, a. 2, cinse Reggio di
assedio e dopo lunga resistenza -la prese e spogliò delle sue
ricchezze, dice Aristotele, che a compenso dei furti sacrileghi
fece coniare una moneta, che pesava la metà del suo valore:
essa è probabilmente la dramma che ha per leggenda PHflNON,
a cui si può sottintendere AIAPAXMON, e non il nome del
suo peso effettivo APAXMH.
r Reggini furono difesi per opera del giovane Dionigi dai
tentativi dei Lucani. Costui un cent'anni dopo le depredazioni
del vecchio Dionigi rimise in piedi la città con tale splendore
che ne fu denominata cfoi'fìi], la splendida.
Ma eccoli osteggiati dai Brezzii, dai Cartaginesi e dal re
Agatocle, a tal che fu loro mestieri rivolgersi alla protezione
di Roma. Questa mandò loro un presidio, e fu una vera scia-
gura, perchè di stipendiarli campani, i quali oppressero la città
e so ne fecero signori tiranneggiandola per dieci anni, alla fine
dei quali venne loro la giusta punizione dal Senato, e Reggio
fu tranquilla di nuovo. La varia moneta di cotesta città nei
suoi stati diversi ci sarà di buona istruzione.
Essa batte un tridrammo e un didrammo del sistema
eginetico e in pari tempo una dramma incusa del sistema me-
desimo se, come si dice, la lega delle città acaiche d'Italia
introdussero la monetazione incusa, essa però, come qui si vede,
non si limitò alle sole città della lega, ma fuori di essa ebbe
imitatori. I Reggini ritengono il loro alfabeto calcidese, quan-
tunque la lingua dorica parlata dimostri in essa il predominio
dei Messenii. Prendono poi per tipo un bue androprosopo, solita
personificazione del fiume, che per Reggio sarà stato il Tauri-
cino, detto anche Calopinace ovvero il Lumbono, che è alla
città pili vicino. Considerata l'attitudine del bue che è quella
di star per coricarsi e prender riposo, come l'Amenano di Ca-
tania (Poole, Catal. 41, I, 2) può congetturarsi, che così ab-
biano voluto significare le sue acque, che divise e diramate
scorrevano pei campi e vi stagnavano per beneficio dell'agricol-
tura. La locusta che si vede nel campo della moneta ne avvisa
del prato e della campagna dove queirjinsetto si nutre e fa
sua dimora. I tridrammi o tetradrammi contemporanei, tutti a
doppio rilievo, hanno per tipo la testa di leone e al riverso
la testa di vitello, i quali tipi essendo comuni a Messina pro-
vano che non furono emessi prima della mutazione del suo
nome primitivo di Zancle che avvenne circa il 270. Del tri-
dramma si hanno gli spezzati inferiori di due terzi e di un
terzo ossia della dramma, che è l'eginetica, pesando i due
terzi gr. 11,70, e la dramma gr. 5,85: in] tutti questi pezzi
la leggenda è HOND35I, ma nella dramma si legge soltanto
H0D3JI.
Anassilao introdusse nelle due città da sé dominate un
nuovo tipo del quale abbiamo la interpretaziene dataci da Ari-
stotele (Polit. V, 12, 75). Egli vi si rappresentò sul carro tratto
dalle mule col quale aveva trionfato nei giuochi olimpici, e
al riverso pose una lepre, per averne introdotta la razza in
Sicilia. Doppia è la serie di questa moneta; perchè come tri-
dramma ha sotto di sé i due terzi, e come tetradramma ha
il didrammo, la dramma, il tritemiobolo, l'obolo e l'emiobolo,
che ha per tipo la mezza lepre, e al riverso un R cinto in-
torno di cinque globetti indicanti le cinque once d'argento,
però dicesi anche nsvTÓyxiov ccqyvQÌov, dacché l'obolo ne con-
tiene dieci. Il sig. L. Sambon ha trovato anche una monetina
con la sola testa della lepre e al riverso RE, del peso di gr. 0,11,
cha egli stima essere il sesto dell'obolo. Dopo il 293 la re-
publica, aboliti i tipi di Anassilao, rimise pel tipo del dritto
la testa di leone, e al riverso mise la personificazione del po-
polo libero, il Srjfiog. Egli è assiso e si appoggia ad un ba-
stone ; talvolta ostento un vaso quasi a dinotare uno dei pro-
dotti che rendono nobile la città, la ceramica (Plin. H. N. XX
2, V, 12) : Nobilitantur his fvasUJ oppida quoque ut Regium.
La leggenda è sempre la stessa, RECINON, o RECINOS retro-
grada : non v'è esempio del REGIMO attestato dalPEckhel (D. n. v.
p. 178, 180), nel quale Pestrema lettera S gli sarà sfuggita perché
confusa con le pieghe del pallio pendente dalla sedia del Sijfiog.
In un esemplare che ho sott'occhio, del peso di gr. 15,05, vi
si legge a d. HD35I. sotto la sedia O, davanti al demos la S,
ohe per poco isfugge allo sguardo, confusa colle foglie della
corona di lauro che gira intorno al campo. In questo sistema
manca il didrammo. V'è però la dramma colle sue frazioni
inferiori : il pentonoion si trova notato tuttavia con cinque glo-
betti, ma vi é anche significato dalla iniziale H, in una mone-
T. CXIV
BKUTTIA
163
tina malamente attribuita ad Eraclea, che ha la testa di leone
per tipo del dritto.
In questo tempo Eeggio coniò anche il bronzo, ma in
scarso numero e di valor nominale; l'epigrafe intera è ancor
qui RECINON.
Intanto cambiavasi l'antico alfabeto e ne abbiamo la prova
in uno statere appartenente allo stile di transizione dell'arcaismo
al pieno sviluppo. D'accordo col nuovo alfabeto che è quale
fu ofiScialmente ricevuto in Atene nel 351, l'imagine del tf/],(ios
da barbata e senile che era, si cambia in imberbe e giovanile.
A questo tetradramma mancano gli spezzati inferiori, la sua
epigrafe PHflNO^, anche retrograda, gli destina quel posto
che gli abbiamo assegnato.
Già erasi fatta la lega con Atene nel 321, della quale
abbiamo avuta notizia dal Foucart. che ne ha pubblicato il
testo (Revwe archéol. 1877 p. 387); piacque altresì adottare
lo statere di Corinto con la testa di Pallade, e al riverso
il Pegaso, credo, per utilità di commercio. Entrò anche nei
Eeggini la brama di primeggiare nella eccellenza dei conii,
e ne ebbero di bellissimi, come quello al quale lavorò Cra-
tesippo.
In questa età dell'arte la piti bella si ridestò il senti-
mento di riconoscenza _ all'oracolo di Delfo, e la memoria del
ramoscello di lauro, che i Eeggini avevano in costume di stac-
care dal bosco sacro, quando si recavano all'oracolo, il quale una
volta aveva ammoniti i loro concittadini, i Messenii, di met-
tere a parte della loro riconoscenza anche la dea Diana, che
li aveva sottratti alla rovina della loro patria Messene. Co-
minciò quindi Apollo a prendere il primo posto nella moneta
e tosto gli si aggiunse Diana: indi parve doversi serbare una
qualche memoria dell'alleanza Ateniese. Alla protezione di
Apollo dovettero anche riferire, se erano campati dai replicati
tentativi dei loro nemici il cui simbolo, il lupo, essi posero sul
riverso della loro moneta, rappresentante Apollo sul dritto.
Finalmente qualche pubblica calamità gli avrà consigliati ad
onorare Esculapio e Igia le cui rappresentanze si hanno in
ispecie sulla moneta di bronzo. Al commercio poi ampliato e
fiorente per terra e per mare panni si debbano riferire i
Dioscori e Mercurio, a cui danno in mano anche un ramoscello
di lauro del loro bosco sacro come a loro guida dei frequenti
devoti viaggi a Delfo. Pare anche che su talune monete assai
rare abbiano espresso Oreste col suo parazonio in memoria di
averlo egli, come n'era tradizione, deposto nel tempio da sé
consecrato ad Apollo, quando peregrinò in Italia per lavarsi
nei sette fiumi delle terre di Eeggio. la moneta di bronzo è
di due specie, la primitiva manca di ogni nota di valore, la
seconda ne ha di due sorta, servendosi essa egualmente dei glo-
betti e delle linee verticali per indicare le once. Nella prima
classe non ha che tiùenti e quadranti notati dai quattro o tre
globetti, nella seconda ha quadranti e trienti, ma inoltre anche
la metà dell'obolo, che significa colla iniziale fi, ed è il
Txavróyxiov. Non v'è indizio di semisse onde pare che la mo-
netina col numero XII non si possa riferire a questo sistema:
però il Cavedoni {ad Carell. tab. p. 11 n. 117) ha creduto che
dinotasse le dodici once della libbra romana, il Mommsen
(//. de la monn. I, 130) le dodici libbre di bronzo, quinta parte
delle 120 libbre di bronzo uguali ad una libbra d'argento.
Tav. CXIV.
1. Coli. Dupré (Longpérier, Revue numism. 1866, p. 265.
Bue androprosopo in atto di porsi a giacere in terra volto
a sin. nell'esergo HOHD351 : in alto una locusta. /?. Eiverso
iueuso col medesimo tipo: è di gr. 5,64 ma logora e coperta
di ossido. Il eh. Imhoof-Bl. perciò la riporta al sistema
eginetifio, nel quale essa è ima dramma, essendo la mag-
giore unità di gr. 12,51 {Le système EubOique extr. de
VAnnuaire numism. 1882 pag. 11).
2. Testa di Leone posta di fronte. /?. Testa di vitello volta
a sin., intorno MOHD351, del peso di gr. 17,33.
3. I tipi medesimi al dritto e al riverso che nel n. 2, ma il
peso è di gr. 5,85. Vale cioè un terzo del tridrammo o
statere di Corinto che voglia dirsi (Imhoof, op. cit. p. 8).
4. Testa di leone di fronte. R. RECI in corona di lauro del
peso di gr. 0,93 obolo, sesta parte della dramma di Egina
(Imhoof, 1. cit.).
5. Mia coli. Testa di leone di fronte. R. 531 del peso di
gr. 0,85.
6. Biga di muli guidata da un uomo barbato involto a mezzo
in uno stretto pallio, nell'esergo una foglia di lauro con
una bacca. R. Lepre in rapida corsa a d., intorno H0WD3JI.
Statere o tetradramma del peso di gr. 17.
7. Simile biga con ugual foglia di lauro nell'esergo. R. Lepre
in rapida corsa a d., intorno la leggenda è MER^ENiON.
Pesa gr. 17.
8. Tipo simile a quello del n. 6, ma nell'esergo in luogo della
foglia v' è la traccia di RECINON. R. Lepre corrente a d. e
intorno MOHD35I. Dramma del sistema euboico:pesa gr. 4,36.
9. Lepre corrente a d. R. D3JI del peso di gr. 0,68 una sesta
di dramma del sistema euboico.
10. Testa di leone. R. Segno della metà H: il peso è di gr. 0,32
cioè della metà di un obolo, e però si nota con l'aspirata
11. Testa di leone. R. Cinque globoletti attorno ad un 51 ini-
ziale della città. Il suo peso è di gr. 9,32 e però si deve
attribuire alla serie euboica ed attica, nella quale la dramma
è di gr. 4,36. L'obolo valse gr. 0,72 e il mezz' obolo
gr. 0,31. L'obolo attico si divide in dieci calchi, cinque
dei quali fanno Vhemioholus.
12. Testa di leone veduta di fronte. R. Uomo barbato assiso
e involto a mezzo nel pallio che recatosi la sinistra al fianco
appoggia la destra ad una verga, intorno si legge 20HD35I :
il tipo e l'epigrafe è cinta intorno da rma corona di lauro.
È del peso di gr. 17,24. Un esemplare di mia collezione
acquistato di recente rappresenta il Sr^iiog barbato, assiso,
volto a sin. colla destra appoggiata alla verga e la sinistra
alla sedia; intorno da destra si legge SOHI535I; l'O è tra i
piedi della sedia, la S davanti a sin. Pesa gr. 15,20.
13. Tipo simile al precedente, ma l'uomo assiso appoggia la
fronte alla mano destra in atto di meditare. L'epigrafe è
■21
164
BEUTTIA
T. CXV
HOND35I. Il peso di questo nummo è di gr. 4,00 perchè
un po' logoro : i più conserrati vanno ai gr. 4,35 cioè alla
quarta parte del nummo che porta i tipi medesimi ed è
però il suo tetradrammo.
14. Tipo simile al precedente, ma l'uomo assiso guarda di pro-
spetto appoggia la sinistra alla sedia ed ha dietro di se l'epi-
grafe RECINON: il peso è di gr. 17,24.
15. Coli. Imhoof-Bl. (Carelli, tav. CXCIV, n. 23). Bronzo del
peso di gr. 7,10. Porta nel dritto la testa di leone e al
riverso la leggenda RECINON circolare e inoltre un globolo
nel centro.
16. 17. Spezzati inferiori col medesimo tipo nel dritto e al
riverso il primo REC, il secondo R'E.
18. Testa barbata e coperta di pileo conico volta a d.; in-
torno vi si legge RECIN. E. Ercole che soffoca il leone.
È un bronzo che il Carelli riproduce dal Museo Hedervar.
19. Testa di leone. R. Giovane sedente colle gambe accaval-
late e appoggiando la destra al bastone: intorno è l'epi-
grafe 50Hn HI e tutto dentro una corona di alloro.
20. (Imhoof-Bl. Mon7i. grecq. pi. A n. 9). Testa d'Apollo in
capelli hmghi e laureata con triplice serie di foglie volta
a sin., davanti (PHQINilN alla nuca EY in mon. R. Testa
di leone di fronte. Pesa gr. 16,85.
21. (Borghesi, Catal. n. 619). Testa di Apollo laureata volta a d.
davanti PHflNON, alla nuca ramoscello di lauro. R. Testa
di leone messa di fronte.
22. Coli. Luynes. Testa di Apollo laureata volta a d. dietro la
nuca un ramoscello di alloro, davanti a d. PHflNOZ e sotto
il mento innOKPATHS, ovvero KPATHSinnO. Il genitivo
è in O come NIKANAPO in Turio, EYAINETO in Siracusa.
23. (Imhoof-Bl. Mann, grecq. pi.' A n. 10). Testa di Pallade
coperta di aulopide volta a sin. R. Pegaso volante a d.
tra i piedi PH in mon. Il monogramma si trova usato anche
quando la voce è intera, come in alcuni esemplari del n. 5,
Tav.CXII H^INilN.
24. Nella coli. mia. Testa di Apollo coronata a triplice serie
di foglie d'alloro volta a destra, dinanzi PHriNON : alla nuca
ramoscello d'alloro. R. Testa di leone. Pesa gr. 4,05.
25. Testa di Apollo laureata volta a sin. R. Leone che va a
sin., di sopra la clava; nell'esergo PHriNAN. Pesa gr. 3,28.
26. Testa di leone. R. Lira e intorno PHflNON : questo nummo
si ha in argento e in bronzo. L'argento pesa gr. 3,05.
27. Nella coli. mia. Testa di leone. R. Due foglie di lauro in
un ramoscello con due bacche d'olivo, e in mezzo PH in arg.
e in br.; l'argento pesa gr. 2,00.
28. Testa di Apollo volta a sin. e ivi PHriNUN. R. Bifronte
muliebre desinente in collarino di colonna.
29. Testa di Apollo laureata volta a d. dietro l'arco dinanzi
PHriNilN. R. Testa di leone. Pesa gr. 12,00.
30. Testa di Apollo laureata a d. davanti PHFINilN, alla nuca
un erma. R, Testa di leone. Pesa gr. 9,85.
31. Coli. Imhoof-Bl. Testa di Apollo laureata volta a sin. fra
due lettere PH. R. Testa di leone
32. (Imhoof-Bl. Monn. gr. 11, 14). Testa di Apollo volta a d.
dinanzi PHflNH. R. Testa, di leone. Pesa gr. 1,72.
33. Coli. Sixs (Imhoof-Bl. op. cit. 11, 43). Testa di Apollo
volta a d. dinanzi PHflNON. R. La lettera H dentro una
laurea. Pesa gr. 7,05. Questo H vale un 'HiiihtQor o 'He^àg,
cioè sei once, e però il piccolo bronzo n. 33 colla epigrafe
PHflNH ha sottinteso ovyxCa, valendo esso appunto un'oncia,
perchè pesa grammi due incirca. Ora il sig. Imhoof-Bl.
ha proposto che al PHflNH si sottintenda nóXig, invece di
ovyxi'a proposto dal Brandis, e rende probabile tal supple-
mento col paragone di altre leggende greche p. es. 'A^a-
xairi'i'a, Kcc/.iaQti'aìa, JUaia, MevSai'ij, Aagidma, fu-
Xita, etc.
34. Testa di leone. R. PH entro una laurea. Pesa gr. 6,16 cioè
un Hemilitron.
35. (Imhoof-Bl. Monn. grecq. pag. 10 n. 46). Testa di leone
e in cima un O. R. Astro a quattordici raggi. Pesa gr. 4,50.
Se queir O vale ovyxt'a, come opina l' Imhoof, si avrà un
esempio della libbra di rame del peso di grammi 54 cor-
rispondente all'oncia di gr. 4,50. Se cotesto O valesse
0|5f Aoc avremmo invece un obolo della metà incirca di peso,
perchè gli oboli di Metaponto pesano fra i sette e gli
otto ed anche nove grammi.
36. Testa di leone. R. Tripode e a d. PHflNON. Pesa gr. 3,08.
37. 38. Due teste accoppiate di Apollo e di Diana volte a d.
R. Tripode e intorno l'epigrafe PHf INilN. Questi due nummi
sono unità inferiori della serie che porla le due teste egual-
mente accoppiate, di che vedi la tav. seguente n. 9.
Tav. CXV.
1. Testa di Apollo laureata a sin. davanti PHflN.£lN. i?. Tripode.
Pesa gr. 9,50.
2. I tipi sono gli stessi, ma nel dritto v'è di più un ramo di
palma dietro la testa di Apollo, l'epigrafe è al riverso nel
n. 3. La testa di Apollo è volta a d. ed ha sotto il collo un
n e al riverso a sin. P, a destra un H.
3. Coli. Imhoof-Bl. Testa di Bsculapio coronata di lauro volta
a d. R. Il medesimo Esculapio sedente si appoggia al ba-
stone e porge la patera da libazione colla destra avendo
dinanzi a sin. un'ara o candelabro. Egli è a mezzo involto
nel pallio; intorno si legge PHf INilN.
4. Testa di Diana con arco e faretra dietro al collo. R. Leone
gradiente a d. e PHflNilN.
5. 6. Testa simile di Diana, sulla quale è l'impronta di una con-
tromarca. R. Lira e PHf INilN.
7. Testa di Diana simile alla precedente. R, Griovane Sijfiog nudo
stante di prospetto con ornata corona in capo, un bastone
al quale si appoggia nella sinistra mentre stende la destra
con un ramo di lauro e un uccello si è posato sopra il dorso
della mano volto verso di lui : alla sin. v'è un cornucopia
e intorno alla figura PHflNilN.
8. Testa di Apollo laureata e di Diana cinta di stephane volte
a d. R. Tripode PHflNAN e nota del triente. Pesa gr. 12,52,
e però appartiene al sistema della libbra di grammi incirca
trentotto, ossia di sistema sestantario.
9. Testa di Apollo laureata e volta a sinistra, dietro a de-
T. CXV
BEUTTIÀ
165
stra è una martellina, ossia una chiave da accordare stru-
menti, come la lira. B. Tripode come nei un. 1-3 e a d.
quattro globetti, la nota del triente. Ciò dimostra che Reggio
si è servito della doppia maniera di notare le once ora coi
glohetti, ora colle linee verticali. Cotesto triente pesa
grammi 7,90 e però suppone una libbra di grammi 27, ossia
di un'oncia.
10, 11. Teste accoppiate dei Dioscori coi pilei conici coronati e la
stella loro caratteristica. R. Mercurio nudo e stante di pro-
spetto con clamide affibbiata sull'omero destro, caduceo nella
sinistra, petaso in capo e ramoscelli di lauro nella destra
guarda a sin., ivi si ha un FI nota del valore di pentoncìo.
Questo bronzo è nella mia collezione. Nel n. 11 Mercurio
ha nella destra una patera e il il è di sotto di essa : in
ambedue alla d. del riverso è la leggenda PHriNn.lM. Il
peso di cotesti pentoncii è di gr. 16,50, il che suppone
una libbra di circa trentaciuque grammi. Questo pentoncio
è stato ribattuto su di un gran bronzo portante i tipi dei
Brezzi! : testa di Marte e Vittoria colla palma : di che sono
rimaste le tracce vedendosi su di uno dei berretti dei Dio-
scori, l'ala, il braccio e la palma della Vittoria, mentre al ri-
verso rimane un'ombra della testa di Marte.
12. Bifronte decorato di stephane e desinente in su in un col-
laiino di colonna. R. Esciilapio involto a mezzo nel pallio
siede appoggiando la destra ad im bastone: dal suo lato
sinistro si spicca un serpente, iii era anche la nota di quiu-
cunce n, a d. vi si legge PHFINXIN. È un bronzo ribattuto
sul tiiente n. 8 del quale rimangono i globetti e al riverso
il contorno delle teste.
13. Bifronte simile al precedente. R. Esculapio sedente involto
nel pallio col bastone nella destra : ha davanti un tripode e la
nota n : il serpe qui è omesso.
14. Testa di Diana con faretra al collo. R. Apollo nudo sedente
sul pallio che copre Tonfalo reticolato : egU ha l'arco nella
sinistra e ve l'appoggia, lo strale nella destra ed è volto
a sin. dove è posta la nota fi del valore : a destra si legge
PHriNilN.
15. Testa di Pallade con elmo attico fregiato di un grifo volta
a sin. R. Pallade stante con una vittoria tropeofora nella
d. e n clipeo nella sinistra sul quale si appoggia. In altri
esemplari sul clipeo è di rilievo rappresentata la testa gor-
gonia: a sin. fi: a d. PHflNilN. Il peso di cotesto pen-
toncio è di gr. 6.16 che suppone una Libbra di gr. 12.
16. CoU. Santangelo. Testa di ApoUo laureato a d. alla nuca
ima foglia di lam'o. R Vittoria stante con palma nella
sin. e corona nella d. a sin. PHflNilN e la nota III delle
tre once.
17. Testa laureata d' Esculapio volta a d., dietro è un ba-
stone pastorale. R. Igia ossia la salute stante con tazza
nella d. nella quale dà a bere ad un serpe : a sin. Ili, a destra
PHriNIlN.
18. Nella coli. mia. Testa di Apollo laureata volta a d. dietro
una palma. R. Lupo volto a sin., PHFINilN e III. Il peso
di questo bronzo è di gr. 6,50. Vi rimane nel riverso il
volto di Giove e nel dritto parte dell' aquila cioè del ro-
stro, dell'ala, e del simbolo, la cetra, con un ilN, parte
della leggenda BPETTinN (tav. CXXIV, 19). Il lupo può
essere qui un simbolo dei Lucani, che gli antichi scrittori
derivano dal lupo detto in greco ).vy.og, e più generalmente
significare i nemici. L'Apollo dei Eeggini è il deliìco non
il licio al quale era sacro il lupo. Altri antichi scrittori
però stimano, che i Lucani dicendosi Lyciani derivino da
un loro condottiere Lucio il nome che portano: ma vedi
appresso ove si parla dei Lucani.
19. Teste dei Dioscori coi berretti conici laureati e sormontati
dalle loro stelle volti a d. R. Cerere stante con asta nella sin.
e due spighe di grano nella destra : a sin. una mezza luna
e di sotto llll a d. PHriNilN. Pesa gr. 3.88.
20. Lo stesso tipo nel dritto che nel n. 20: al riverso v'è Mer-
curio colla clamide e il caduceo nella sin. il petaso in capo
e un ramo di lauro nella d. volto a sin. ; ivi è la nota llll
e di sotto un cornucopia : a d. PHriNHN. Pesa gr. 3, 68.
21. Teste accoppiate di Esculapio e di Igia volte a d. R. Diana
stante in tunica corta e in borzacchini da cacciatrice con
arco nella sin., la faretra sugli omeri e la fiaccola accesa
neUa d. e il cane ai piedi, che a lei si volge; a d. vedi
una spiga di grano e di sopra la nota llll : il peso è quello
dei nn. precedenti.
22. Eitornano le due teste dei Dioscori come nei precedenti
nn. 20, 21. R. Giovane Sr^aog nudo stante di prospetto con
bastone nella sin., a cui si appoggia, l'uccello sulla destra,
colla quale tiene un ramoscello di lauro : di sotto llll e infe-
riormente una sedia, a d. PHflNnN.
23. Testa di Esculapio laureata volta a d. R. Igia come l'ho de-
scritta al n. 18, a d. PHriNilfvj.
24. Nella mia coli. Testa di Apollo laureata con capelli volti
a d. R. Lira e a d. PHFINilN a sin. IH.
25. Testa di Cerere coronata di spighe. R. Lira, a sin. llll, e un
cornucopia, a d. PHriVilN.
26. (Carelli, ce. 117). Testa laureata di ApoUo dietro Xll. R.
I due Dioscori a cavallo in rapida corsa verso la d. con le
lance abbassate, nell'esergo PHriNiiN.
27. 28. (Carelli, CXCVIII, 96, 9). Testa di Diana a d. dietro
una mezza luna e una verga. R. Giovine nudo con corto ba-
stone nella d. e parazonio nella sin., a destra PHflNON, a
sin. una corazza. Il n. 29 rappresenta Diana con l'arco e
la faretra al coUo : al riverso è il medesimo giovane con
lungo bastone nella destra e il parazonio nella sinistra ;
nel campo a sin. vi si vede una corazza come nel bronzo
precedente.
MESMA
Ecateo Milesio viaggiando nella Enotria prima della ol. LXVI
(= 262 u.c.) vide e designò la città, che chiama Mf^.u?;
(fragm. 41) così denominata da una fonte: MsSfirj dirò Médfir^c,
xQrjvrfi tivo^.
Se dunque Scimno di Ohio (v. 338) e Strabene (v. 256) la
dicono fondata dai Locresi : Midjxav t'óxiaav AoxqoC; Ms'à^ia
TTÓXig Aoxqwi\ essi non pai-lano, che della Medma rimpiantala,
e però non anteriore al 366, quando i Locresi ebbero in dono
166
BEUTTIA
T. CXVI
da Dionigi il vecchio cotesta città allora deserta. Dopo il rim-
pianto cominciò Medma a batter moneta che fu di bronzo, ma
il nome che ella si dà è J/^'cr.i»;, e così l'appellò Apollodoro nel
terzo delle Croniche, come impariamo da Stefano di Bizanzio,
al qual nome ben corrisponde quello del fiume Mesima presso
del qual era situata. Le monete vedute da me nei musei di Europa
e quelle raccolte dal Capialbi non leggono mai altrimenti che
MESMAIilN; le due descritte dalMionnet [Sicppl. 1, 1034, 1035)
con l'epigrafe MEAMAIilN non sappiamo dove siano deposte.
La gran fonte Mesma omonima alla città si vede figurata sulle
sue monete. Se Strabene chiama Miifjuo; la città e lafonte (VI, 256):
MéSfia Ttóhg Aoxoàv ói.ióì'i\uog xgip'ìj neyuXrj, può ben essere
che abbia copiato Ecateo, ovvero Scimno, quantunque ai suoi
tempi fosse prevalso di appellar Mesma la città insieme e la
fonte. Il Pacifico in una lettera citata dal Capialbi (Mesma o
Medama,])Sig. 11, 12) lesse in un esemplare MESMAIilN AilPON,
la qual epigrafe fu giudicata erronea dal Capialbi, che la emendò
sostituendo AilKPnN a AilPON.
Tav. C5VI.
1, 2. Testa di Apollo laureata volta a d. dinanzi MESMAIilN.
B. Testa della fonte Mesma posta di prospetto : ella è co-
ronata di canna palustre, ha una larga collana al collo e
una elegante idria dal lato sinistro. Nel n. 2 due pannoc-
chie di canna riescono sulla fronte di lei, come le spighe
di grano nella corona di Cerere. Fu quindi per errore che
a Sestini le prese per spighe di grano e ravvisò in quella
figura Cerere [LeU. coni. VI p. 10-14), e trovò analogia
fra il nome della città e la Misma che portò da bere alla
Dea (Ant. Liber. Melam. XXIV).
3, 4. Testa di Apollo volta a d. come la precedente e nel n. 3
l'epigrafe MESMAIIIN, dietro alla nuca v'è un pilastrino in
forma di pigna sulla sua base rotonda. Il Sestini (Lett. e
diss. numism. T. 6, p. 10) ne descrive una dal Museo di
Monaco, ove si legge sul dritto ìilTHP MElMAlilN attorno
alla testa di Apollo. /?. Pane nudo sedente sopra un sasso
con da presso il cane. Egli appoggia al sasso la sinistra
ed eleva la destra con un frutto simile nella forma ad una
pigna. Nel n. 4 si legge solo ME^ e al riverso vi si vede
in alto una stella, di sotto il cane è più discosto dal gio-
vane, ma egualmente gli è rivolto : Pane ha la destra di-
stesa in ambedue i bronzi ma nel primo le quattro dita sono
ripiegate alquanto.
5. La testa della fonte Mesma posta di prospetto. R. 11 dio
Pane assiso sopra una rupe sembra additare un oggetto
a destra ove guarda il suo cane.
6. Coli. Santangelo. Testa di Apollo volta a d. dinanzi ME?MAIX1N.
R. La fonte in tutta figura: è alata, va a sinistra solle-
vando il lembo della sua veste e porta una corona nella
destra.
7. Il tipo della testa muliebre di prospetto è ripetuto anche
al riferso.
8. Coli. Sant. Testa di Apollo volta a d., dinanzi MESMA lilN.
R. Cavallo libero che corre a destra, di sopra è un astro.
La pubblicò il Capialbi {Mesma o Medama, terza ed. Nap.
1839 p. 6).
HIPPO, VALENTIA
Hippo, scrive Plinio {H. n. Ili, 5) è quella città che
ora chiamiamo Vibone Valenza : Hippo, quod nuno Vibo-
nem Valentiaiii appellamus: e prima di lui Mela (II, 4):
Hippo, nunc Vibon. 1 Greci la denominano 'Itcttcóviov, e
Strabene (VI, 256) la dice fondata dai Locresi ; Aoxqàv
xtiaixa. Al 328, nel quale Antioco terminò la sua storia,
quel seno di mare, sul quale giace Ipponio, non si chiamava
ancora Hipponiate, ma Lametino (Strab. VI, 1, 4). Al 366
{ol. XCVIII, 1) il vecchio Dionisio conquistata Ipponio ne
trasportò gli abitanti in Siracusa (Diod. XIV, 107) e ne donò
la terra ai Locresi, i quali debbono averla ripopolata, se
questa città dioesi loro colonia. GÌ' Ipponiati che erano in
Siracusa fm'ono rimessi in patria dai Cartaginesi l'anno 375
(Diod. XV, 24). Un ventitré anni dopo nel 398 (ol. CXI, 1)
i Brezzii non ancora ribelli ai Lucani invasero Ipponio e
Terina (Diod. XVI, 151). Lascio intatto il luogo di Livio
(Vili, 24) dove i critici in luogo di Sipontwnque vorreb-
bero sostituire Hipponiumque, per far dire allo storico, che
Alessandro il Molosso sottrasse dalla dominazione dei Brezzii
questa città. È poi certo che Agatocle se ne impadronì
l'anno 437, e fortificate le mura (Diod. XXI, agi. 8), le
costruì un porto, che tuttavia si chiama il porto di Bivona
e sta presso il capo Zambrone : onde poi il seno di mare
cominciò a chiamarsi Ipponiate. Gelone II l'adornò di un
bosco irrigato dalle acque, a cui fu dato nome di Corno di
Amaltea (Athen. XII, 20). Finalmente se ne resero padroni
i Komani e vi dedussero una colonia nel 515 o piuttosto
deliberarono di condurvela (Veli. I, 14), ma deve credersi
che ve la collocassero di poi terminate le guerre puniche
nel 565 come attesta Livio (XXXIV, 53 ; XXXV, 40), se
non piuttosto la rinnovellarono e la denominarono Valentia.
Le monete battute dagli Ipponiesi sono tutte di bronzo :
però non possono aver cominciata la loro monetazione
prima del 366, nel qual anno la loro città da Dionigi fu
distrutta.
Deve quindi stimarsi che la sua monetazione dati dal 375
ossia dal ritorno degli Ipponiati : essi allora se non più
tardi sotto i Brezzii comiuciano colla serie che ha per tipo
Mercurio e l'epigrafe CEI. La seconda serie si deve asse-
gnare all'epoca nella quale era essa signoreggiata dai re di
Siracusa, e allora omesso il digamma la dicono moneta
degli Ipponii, ElflilNIEilN : onde deduciamo che il caso
retto è Elnwvisvg. La terza serie è quella coniata dalla co-
lonia romana, nella quale essa non si nomina mai Vibo
ovvero Vibon, ma sempre e soltanto Valentia. Il Cavedoni
Bull. Instit., 1850 p. 200) scrive « parere ora indubitato,
che CEI sia osco, e sospetta, che Pandina, nome di una dea
che si legge sulla moneta, si possa derivare da Panda, che è
similissima alla 'Hf.ttQa del celebre calamaio borbonico,
perchè lumina pandit ». Ma cotesta Pandina nelle monete
T. CXVI
BRUTTIA
167
degli Ipponiati brandisce un flagello , onde mi pare che il
suo nome derivi piuttosto da ósiróg, terribile, e quindi
nàiSeirog, che fa gran paura, e la Uardira sarà colei,
che spaventa, si fa temere come la Griustizia ohe prende
vendetta della colpa, e che i Latini dissero Pocna.
9. Testa giovanile con in capo un pileo tessalo che si è allac-
ciato sotto il mento ed è volta a d. R. Aquila che si pasce
di un serpente, di sopra CEI.
10. Testa simile alla precedente ma il pileo è allacciato dietro
aUa cervice dove si legge CEI. R. Anfora.
11. Testa simile a quella del n. 16 e CEI. R. Caduceo. Cotesto
monete furono erroneamente date a Siri dal Pellerin
{Suppl. Ili pi. Ili, IV, 8-10), seguito dal Cavedoni
(Saggio 19). Il Millingen poi le attribuì a Ipponìo, come
avrerte il medesimo Cavedoni {ad Carellii tab. p. 105).
12. Testa di Giove laureata volta a d. R. Dolio e al lato sin.
EinfìNIEilN.
lo. Coli. Imhoof-Bl. Testa di Giove volta a sin. e intorno AIO?
OAYMPIOY. R. Aquila sul fulmine di prospetto e ad ali
aperte, intorno ElflilNIEilN (Imhoof-Bl. Monn. grecq. pag. 8
n. 30 pi. A n. 6).
14, 15. Coli. Sani. Testa giovanile con corna vitelline coronata di
canna volta a d. ivi si legge AlPEilN non PEilN, come presso
Imhoof-Bl. Monn. gr. p. 8). R. Clava di Ercole con tenia
legata in cima e pendente da due lati : intorno vi si legge
EiriilNIcilN. Nel n. 15 manca il lemnisco alla clava, e la
leggenda è logora in fine.
16. Testa di Pallade con galea aulopide fregiata di un grifo, di
sopra 2:ilTEIPA. R. La dea Pandina alata con scettro nella
sinistra e corona nella destra : davanti ElfiilNIEilN (cf.
Imhoof-Bl. op. cit. p. 8 n. 34) ove si legge accanto alla
donna alata il nome AHIAHAn.
17. Testa ed epigrafe del dritto, imagine ed epigrafe del riverso
simili alla precedente n. 10, ma la dea Pandina porta un fla-
gello in luogo della corona nella destra e una lancia nella
sinistra. Al sig. Imhoof-Bl. (1. cit. p. 9) è sembrato che por-
tasse in mano forse un caduceo.
18. Testa di Apollo laureata colla epigrafe APOAAilN soprascritta.
R. La dea Pandina col flagello, e con la lancia come neUa
precedente del n. 17 e con le due epigrafi: alla sinistra
un astro. Emmanuele Paparo publicò nel frontespizio della
sua Epistola a Vito Capialbi (Nap. 1826 p. 12, 13) una
simile moneta di Ipponio. N"el suo dritto dinanzi alla testa di
Apollo lesse NIS e giudicò che fosse testa di Bacco Nisèo,
corresse in HANAIMA il nome letto da altri AANAINA ;
ma pose in mano alla dea due papaveri. Il sig. Imhoof-Bl.
ha invece letto NYM e osserva che gli Ipponiati non inscri-
vono i nomi dei magistrati, ma delle divinità; e però egli
supplisce Nvix(fa.yéTriC, soprannome di Apollo.
19. Testa diademata giovanile ad. E. La dea Pandina con pileo
tessaUco in capo, l'asta nella sin. e il flagello nella destra :
dinanzi è una stella e a d. l'epigrafe EIPONIEilN a sin.
PANAiNA.
20. Testa di Giove laureata volta a d., dietro la cervice v'è la
nota I del valore. R. Fulmine, e a s. una vittorietta, che
dovrebbe recare nella d. la corona e nella sinistra la palma;
v'è la nota dell'asse !, e a d. VALENTIA. Pesa gr. 10-12.
21. Testa muliebre diademata volta a d. dietro alla cervice è
l'S nota del valore. R. Due cornucopie, a d. la nota S, e un
vaso a due manichi, a sin. VALENTIA. Pesa gr. 4,74.
22. Testa di Pallade con elmo corinzio volta a d., dietro la
nota • o e © del triente. R. Civetta volta di fronte, a sin. VA-
LENTIA a d. la nota del triente. La stessa moneta riprodotta
dalla collezione hunteriana, è data dal Combe per moneta
di Atinum. Egli la lesse internamente da destra a sinistra.
Vedi la tav. CXXV n. 7.
23. Testa di Ercole con la pelle di leone : a sin. la nota del
quadrante © o o /?. Due clave, a d. VALENTIA, a sin. la nota
del valore e un astro. Pesa gr. 2,60.
24. Testa laureata di Apollo a d. dietro la nuca la nota » «
del sestante. R. Lira, a d. mezza luna e la nota • • , a sin.
VALENTIA.
25. Testa di Diana con la faretra al collo. R. Cane di caccia, di
sopra un globetto, segno dell'oncia, di sotto VALENTIA.
26. Testa di Mercurio col petaso alato volta a d., dietro la cer-
vice la nota t della semoncia. R. Caduceo, a sin. la nota %
della semoncia e di sotto una mezza luna : a d. VALENTIA.
Il Carelli ne die inciso l'esemplare (tav. CLXXXVI n. 7)
e il Cavedoni credette, sulT esemplare edito dal Piorelli
{Mon. ined. tav. II, 10), dove la nota i manca nel riverso,
che il Carelli avesse errato prendendo per i la finale lA
della detrita leggenda VALENTIA. Ciò è possibile, perchè
la i sta dove avrebbe dovuto essere l'epigrafe : ma è certo
che questo bronzo porta ripetutamente la nota della se-
moncia sull'esemplare deUa coli. Santangelo, donde l'ho tratto
in luce.
TEMESA
La questione che agita vasi una volta intorno alle due Tamaso
0 Tamese, e Temesa, della quale si dovesse intendere aver
scritto Omero, se della cipriotta, ovvero della italica non si po-
teva sciogliere coll'argomenlo di Strabene (VI, 255), che
presso di Temesa italica v'erano miniere di rame una volta pro-
duttrici, ma a suoi tempi abbandonate ; perchè della Tamese
di Cipro poteva dirsi altrettanto, come nota Stefano di Bi-
zanzìo, che anzi nella cipriotta il rame era eccellente, Tàfia-
aog, Tcóhg Evnoov, 6ia(fiOQov Ijpvoa xalxóv. L'avrebbe però
potuto decidere Omero stesso, se invece del metallo avesse
parlato delle armi che si fabbricavano dalla italica, di cui
fanno pompa i Temesei. Fu fondata dagli Ausoni : però la
lingua parlata era diversa da quella dei Tafii, ossia dei
Teleboi dell' Acai-nania, che vi venivano a provvedersi del
rame. In seguito da coloni focesi ed etoli fu cambiata in
città greca e cominciò a coniare la moneta. In questa con-
dizione obbedì una volta ai Locresi, che ne presero pos-
sesso , probabilmente , a parere del Marincola , dopo
la giornata del Sagra (u. e. 303). Ma nel 336 i Brezzii,
che tuttavia militavano pei Lucani la soggiogarono cac-
ciandone i Greci. Essa nel riparto delle terre conquistate dai
Lucani rimase ai Brezzii. Ma dopo le guerre puniche i
168
BEUTTIA
T. CXVII
Eomani se ne impadronirono,- e nel 558 vi dedussero ima
colonia (Liv. L. XXSIV, 45); Tempsamis ager de Bruiiiis
captus erat. Bruttii Graecos expuli'.rant . Tempsam L. Cor-
nelius Morula et C. Solonius deduxerunt. Ve un luogo di
Ovidio nel quale i campi di Temesa sono chiamati campi
di lapige. Non v'è tradizione che i Iapigi si fossero recati
in queste terre : è però saputo per testimonianza di Eforo
che i Iapigi prima dei Greci abitarono Crotone (ap. Stra-
bon. VI, 262); ond'è che tre promontori presso Crotone si
dissero dei Iapigi.
Ho detto della moneta d'argento che si attribuisce a
Temesa. Questa reca la leggenda TEM. Vi sono però delle
monete di bronzo che taluni numismatici assegnano a
questa città, sulle quali si legge l'epigrafe TE. Io non
sono di questo avviso, ma le stimo di Terina: l'epigrafe
TEM sui bronzi non ha finora esempio sicuro.
27. .iulopide a d. e di sotto TE/V\. R. Tripode fra due ocree.
NVCRIA
Cotesta Nucria della Enotria non fu ignota agli antichi
Pilisto citato da Stefano di Bizanzio ne parlò nei tredici
libri (così Diodoro XV, 89), che scrisse delle storie siciliane
anteriori all'anno 387 u. e, ossia alla morte del vecchio
Dionisio, ove fece menzione di Terina e di Caulonia con-
quistate da quel re. Il Millingen non vi badò e tenne
{Consid. p. 196), che avesse nominato la Nuceria campana
Questa Nucria non fu dunque fondata da Annibale dopo
che ebbe distrutta Terina, come opinò il Millingen (op. cil.
p. 59), giustamente perciò condannato anche dal Marincola
{Opusc. p. 305, seg. Catanz. 1871). Ma neanche v'è motivo
di opinare che Annibale abbia mutato in Nucria il nome
di Terina, come stima il Minervini {Chiodo magico p. 25)
e però che « le monete di Nucria ormai si debbano attri-
buire alla stessa Terina con tutto fondamento »; il quale non
vi può essere se non nel supposto che altra Nocera non
esistette se non la fondata da Annibale.
Di Nucria o di Nuceria degli Enotri, ossia Tirreni come
la denomina Stefano di Bizanzio, seguendo probabilmente i
Greci Elioni (Dion. Alicarn. I, 29), parlò Pilisto nel libro
undecime delle storie Siciliane : perocché ivi trattò del vec-
chio Dionisio e gli fu mestieri far menzione di Terina con-
quistata da quel re, dalla quale la Nucria fu sì poco di-
stante. Non pare dunque che abbia ragione il Millingen
sostenendo (Consid. pag. 196), come ho detto, che ivi no-
mini la Nuceria campana.
28. Coli. mia. Testa laureata di Apollo volta a sin. davanti
NOYKPlNilN. R. Testa di leone posta di fronte.
29. Coli. mia. Testa laureata di Apollo volta a d. R. Cavallo
libero stante volto a sin., intorno NOYKPINilN, tra le gambe
un pentagono.
30. Coli. mia. Testa di Apollo laureata volta a sin. B. Cavallo
libero stante e volto a sin.
31. Da un mio calco (Carelli, p. 100, 22). Testa giovanile dia-
demata volta a d. R. Aquila a d. dal lato sin. NOYKPIN,
dal destro TAYROY. L'Avellino {Opusc. II, V, 17) lesse
rXlYlOY; il Fiorelli {Catal. n. 6847) CA«IOY; il signor
Imhoof-Bl. {Monn. gr. 35) chiama falsa la lezione FAYPOY
data dal Carelli.
32. Simile testa diademata. R. Aquila con la leggenda NOYKPIN,
e a d. STATIOY.
33. Mia coli. Testa giovanile diademata a d., alla nuca E e
sotto VP, di sotto al collo l'Eckhel {Syll. tab. 1 , 3) lesse
KPA e omise il monogramma hP che nell' esemplare dì
Vienna è certo più che non è nel mio. R. Fulmine, di sopra
NOYKPI, di sotto 5TATIOY. L'Eckhel lesse di sotto al
fulmine IVH, poscia nella D. n. v. I, 114 non diede che
KOVKPI. Il sig. Imhoof-Bl. {Mann. gr. n. 36) in luogo di
KPA riconobbe KEA ovvero KEM. 11 mio esemplare con-
ferma KPA, ed assicura 2:TATIOY.
TEEINA
Ai tempi di Pirro la prima città della Magna Grecia che
s'incontrava venendo giìi pel mare Tirreno era Terina, colonia
dei Crotoniati presso il fiume da Licofrone detto òxCvaQog e per
allegoria della veemenza del suo corso, Bovxsgwg "AQrjg. Ebbe
questo fiume di rincontro alle sue foci una isoletta che secondo
alcuni e con essi Licofrone si denominava ancora Terina. Ivi
dicevasi che fosse sepolta Ligèa una delle tre Sirene. Vorrebbe
Stefano di Bizanzio che anche il fiume si appellasse Terina,
ma è piuttosto la fonte, la quale si vede rappresentata sulle
monete, come la fonte di Napoli a riverso della imagine del
Sebeto.
Di cotesta colonia non sappiamo altro se non che fu di-
strutta nel 360 dal vecchio Dionigi, che ne donò il territorio
ai Locresi. Come poi e da chi si rimettesse,, egualmente ci è
ignoto, ma ella era risorta se fu occupata dai Lucani nel 389,
ai quali poi nel 434 la tolse Alessandro il Molosso. Morto
costui ella obbedì ai Brezzii, che ne tennero il possesso fino
481. Nella lunga guerra tra i Cartaginesi e i Eomani Terina
dagli uni e dagli altri ebbe a soffrire gravi danni e finalmente
l'anno 552 fu data alle fiamme da Annibale per timore che
venisse in mano dei Eomani.
Tav. CXVII.
1. Mus. Britannico {Catal. 385, n. 1). Testa di donna cinta
di diadema che sostiene anche la massa dei capelli ri-
chiamati alla cervice; di sopra TEP'ES/VA. R. Donna con
in mano un ramo di alloro, che stando di prospetto guarda
a sin., a d. A>liM, intorno corona di lauro.
2. Testa di donna simile, i capelli però sono annodati in
globo alla cervice, di sopra TEPSNA. R. Donna alata di
prospetto che guarda a sin. portando una corona nella
destra.
3. Testa di donna coronata di lauro a d., davanti TEP. R. Donna
alata di prospetto che guarda a sin. e sostiene con ambe-
due le mani un serto che le fa cerchio sul capo.
4. Testa di donna con capelli accomodati a modo di conchiglia
T. CXVIl
BEUTTIA
169
striata, e collana al collo, volta a sin. ; intorno gira nna
corona di lauro. lì. Donna alata sedente presso un'idria
giacente ed ha corona nella destra e caduceo nella sinistra :
intorno TEPINAION.
5. Testa di donna volta a d. dentro corona di lauro, dietro
la nuca'cl). R. Donna alata che sedendo su di un piedistallo
raccoglie in un dolio l'acqua che spiccia dalla bocca di
leone sporgente fuori di un muro di pietra quadrata : essa
ha nella sinistra il caduceo e dinanzi una vasca nella
quale nuota un oca : sull' alto del muro si legge TEPl-
NAIHN, sul dado del piedistallo HHA che sembra monco
da un nome proprio per esempio 'Jnrjnoirj'ATn'jij.avTog, nome
forse dell'artefice.
6. Testa di donna simile alla precedente n. 5. R. Donna alata
sedente sopra un dolio giacente volta a destra con un ca-
duceo nella d. e un uccello nella sin., a d. TEPINAION.
7. Testa di donna coi capelli raccolti e legati sul vertice
cinta il capo di una larga fascia. R. Donna alata stante
volta a sin. col pie' destro sollevato sopra un sasso e
reca un caduceo nella d., davanti TEPINAION.
8. Coli. Hunter. Testa di donna col capo cinto di larga fascia
volta a d. : davanti TEPINAION. R. Donna alata stante
volta a sin. e appoggiata ad una colonnetta con un caduceo
nella d., dinanzi a lei è un uccello che poggia sopra un
piedistallo; sul campo a d. un T.
9. Testa di donna cinta di larga fascia a d., alla nuca TE.
R. Donna alata sedente sopra un piedistallo o ara con ramo-
scello di lauro nella destra.
10. Testa di donna diademata volta a d. coi capelli alla nuca
raccolti nell' opistosphendone e laccio intorno al collo, di-
nanzi TEPINAIilN. R. Donna sedente su piedistallo con pa-
tera nella d. coronata dalla vittoria: davanti a sin. TERINA.
11. Testa di donna volta a d., dietro la nuca TEPI. R. Donna
alata sedente su piedistallo a base circolare e ornata in
basso di doppia filza di globoletti. Essa solleva la destra
con corona sostenendo sul dorso della mano un uccello che
batte le ali.
12. Mia coli. Testa di donna dentro corona di lauro volta a d.,
alla nuca ff. R. Donna alata assisa sopra una sedia in atto di
sostenere sul dorso della mano destra una piccola sfera come
se giuoeasse lanciando in aria la sfera colla vola della mano
e ripigliandola sul dorso, il che in toscana si chiama giuocare
a ripiglino. L'epigrafe è mezzo fuori di conio TEPINAIO(N).
È moneta foderata e serba vestigia di antica doratura.
13. Testa di donna con pendenti e collana volta a d., dinanzi
ThPINAinN. R. Donna alata sedente nella medesima at-
titudine che la precedente nel n. 11, ma l'uccelletto che
batte le ali è volto verso di lei, il piedestallo è senza
ornati.
14. Coli. mia. Testa di donna con pendenti agli orecchi e
collana al collo volta a d., alla nuca TEPI. R. Donna alata
sedente sul piedistallo decorato di un serto ed è in atto
di sostenere sul dorso della mano destra un uccello, che
sembra batter le ali essendo a lei rivolto. A sinistra si
legge nel campo liscio sottilmente graffito AAXNA, lasciva.
15. Testa di Pallade con aulopide volta a d., dietro TE in mon.
R. Pegaso volante a sinistra (Imhoof-Bl. Moìin. grecq.
pi. A n. 12).
16. I tipi sono gli stessi che del n. 12, ma è omessa la corona
nel dritto e ivi a sin. v' è l'epigrafe TEPI : Vale inoltre una
dramma.
17. In questa monetina che è ancor essa una dramma, la testa
è simile a quella del n. 14 : nel riverso la donna alata ha
la destra libera e fa gesto di felice augurio: dinanzi si
legge il nome del magistrato con un T capovolto : OIAISII.
18. (Imhoof-Bl. Mann. Qrecq. pi. A n. 11). Testa di donna
volta a sinistra. R. Donna in tunica podére e manto stante
presso un'ara con la patera nella d. in atto di fare liba-
zione, mentre colla sinistra solleva un lembo del pallio:
ivi a d. 3T.
19. Testa di donna coi capelli raccolti intorno al capo volta a
sin. : dietro alla nuca un astro R. Donna alata che vola a
d. con la sin. abbassata ritenente una corona, e levando
in alto la destra.
20. Testa di donna a d. coi capelli ritenuti dalla opistosphendone ;
dietro TE. R. Donna alata volante con corona nella si-
nistra, di sotto è un ramo di lauro.
21. Coli. mia. Testa di donna coi capelli raccolti intorno al capo
volta a sin. R. Donna alata volante a sin. con un lungo serto
pendente dalla destra.
22. Testa simile a quella del n. 17. volta a d. fl. G-ranchio ed
epigrafe scritta di modo che pare la seconda sillaba pre-
ceda, ma si dovrà leggere TEPI.
23. Testa di donna volta a d. coi capelli raccolti intorno al capo,
come al n. 21. R. granchio e la leggenda T di sopra, ed
1E di sotto, cioè, TEP.
24. Testa di donna che guarda in alto a sin. R. Donna se-
dente con uccello sulla mano destra che batte le ali che
riguarda e con collana di globetti.
25. Testa di donna simile a quella del n. 17, davanti vi si
legge PANAI/VA. R. Donna alata sedente su piedistallo
con uccello sulla mano destra, che batte le ali volto verso
di lei, che pone la d. sopra una larga patera appoggiata
al piedistallo o aralibazione, ed innanzi l'epigrafe TER,
che vi ha letto il Millingen, prima del quale il nummo
si era dato ad Ipponio.
26. Testa di donna coi capelli raccolti in treccia sul vertice e
il capo coperto da larga ed ornata pezzuola, ovvero lamina
probabilmente di oro : dietro TER. R. Ippocampo volto a d.
27. Testa di donna volta a sin. con pendenti all'orecchio. B,
Granchio con luna mancante fra le branche : di sotto TEPI.
Vediamo i bronzi.
28. Testa di donna a d. R. Lepre che corre a d. e TEPI.
29. Testa di donna dentro corona di lauro volta a sin. R. Donna
alata sedente con corona nella destra; ha da presso un
dolio a due maaicbi giacente : a .sin. TEPINAIilN.
30. Testa laureata di Apollo a sin. davanti TEPINAIilN. R.
Testa di leone posta di fronte. I tipi di cotesto bronzo sono
reggini ; e però vi è luogo a pensare che sia una moneta
di alleanza con Eeggio.
170
BKUTTIA
T. cxvir
31. Testa di donna con pendenti e collana volta a sin. R.
Granchio e TEPI.
32. (Imhoof-Bl. op. oit. pi. A, 13). Testa laureata di Apollo e
davanti l'epigrafe TEPINAIilN. R. Pegaso volante a sin. di
sopra del quale e a quanto pare nn parazonio.
CONSENTIA
KilS in lettere grecite e in lingua dei Brezzii, dei quali
fu capitale (Strab. VI, 1, 3) segue l'ortografia comune ai
latini, di omettere la N davanti alla lettera i, come si vede
fatto in COSENTIONT, COSOU,CESOR (Vedi l'indice gram-
matico della mia St/lloge p. 580). Fu presa da Alessandro
di Epiro, (Liv. Vili, 24) e al 536 da Annibale (Appian.
de Bello Ann. e. 56) ma ricuperata dai Eomani nel 540
(Liv. SXX, 19). La sua moneta è di bronzo e assai rara:
fu in prima attribuita a Consilinum dall'Avellino, a mo-
tivo della epigrafe Ki22:i, che gli parve di leggere sopra
l'esemplare che die' alla luce : ma poi, lasciata fra le in-
certe, dal Piorelli fu assegnata a Cosenza, seguendo il pa-
rere del Marincola, del quale ebbe il bronzo con chiara
leggenda Kils:, che die' alle stampe. Quest'attribuzione è
confermala dalle scoperte posteriori di altri bronzi, nei
quali non si è mai letto altrimenti che KilS. Quel!' O,
che si vede sui bronzi dei nn. 33, 35, sembra che voglia
significare, o[ìoloi;, o altro segno di valore.
33. Testa d'uomo barbato e coperto di aulopide crestata volta
a d. in alto O. R. Fulmine e di sotto tre lune come man-
canti: di sopra KilS.
34. Testa giovanile laureata volta a d. R. Il medesimo tipo
del n. 33.
35. Testa giovanile coronata di canna con corno che le spunta
sulla fronte: dietro la nuca P: sul capo O. R. Granchio
fra le cui branche sono due mezze lune opposte dalla
parte convessa, nel basso Y.ù.'^. Su queste monete cre-
dette l'Avellino che vi si leggesse K.O.SI e le attribuì
tutte a Consilinum {Opusc. II p. 132). Poi parve deci-
dersi per Cosenza (Opusc. Ili p. 141-45) : ma nelle ad-
dizioni a p. 322 sembra tornare addietro.
Il Millingen ohe nel 1831 (Anc. Coins. Il, 7 p. 26)
aveva attribuito il n. 33, allora noto, a Cosso della Lucania,
poscia nelle ConsidJrations pag. 86, a riguardo della leg-
genda Knsi, dichiarò difficile la questione. Ninno però,
non il Kiccio [Reperì, n. 169), non il Marincola (Oss.
di St. patria, 1871, Catanz. pag. 338), hanno mai veduto
in alcun esemplare il KilZI. Il Piorelli (Mon. ined. p. 15
n. 14) pubblicò nel 1845 l'esemplare del Marincola e lo
attribuì a cotesla città riconoscendovisi nella figura gio-
vanile con corno bovino sulla fronte il fiume Grati: indi
ancor io diedi una tale interpretazione e attribuzione alla
moneta nel Bull. ardi. vap. n. 1 p. 19.
36. Testa di donna diademata a d. coi capelli raccolti in
cima al vertice : di sotto Kiis: in uno dei due esemplari
da me veduti che ho qui espresso, non essendo sì chiaro
l'altro. R. Arco nel mezzo di tre lance due delle quali di
sopra la terza di sotto tutte e tre rivolte colle punte in
fuori verso la periferia, donde pare, che debbono valere a
significare le tre fasi del pianeta.
LAUS
Lao fu fondata dai Sibariti: Strabene (V, I) la dice
loro colonia, anouog Jv^agiToòr, e quando i Sibariti nel
244 (ol. LXVII, 3) furono costretti ad abbandonare la
loro patria, i Laini e quindi Scidro loro colonia gli ac-
colsero. I cittadini di Mileto piansero la loro caduta e
quel lutto fu generale fra loro. Però Erodoto giustamente
rimprovera quei di Lao che nel 256 quando Mileto fu
distrutta dai Persiani non abbiano essi pure preso il lutto
(Herod. VI, 21). V'è una moneta d'argento di confedera-
zione fra Sibari e Lao che deve precedere la olimpiade
predetta, e però l'anno 244 u. e. Lao coniò insieme mo-
neta incusa e a doppio rilievo col tipo del toro Sibarita,
androprosopo ripetuto sulle due facce con la sola differenza
che in uno dei due tipi in rilievo il toro è respiciente ; se ne
deve però eccettuare l'obolo, nel quale il tipo delle due facce
è identico. Questo toro androprosopo è sempre barbato, non
mai imberbe, come è rappresentato e descritto nelle ta-
vole del Carelli. Né mi si citi l' esemplare parigino al-
legato dal Sambon : io l'ho davanti e ve lo vedo colla barba.
Sibari nella moneta di confederazione pone per tipo di
Lao una ghianda col suo calice, il qual simbolo, che è
del prodotto di quel suolo, ha un confronto nella ghianda
posta a modo di esergo nella monetazione locale. Il toro
androprosopo di Lao ha di speciale un diadema che gli
cinge la fronte scambiato a -torto dal Magnan e da altri
editori in elmo. Nella moneta incusa la scrittura, per
metà retrograda è hAFINOM: onde risulta che essi scri-
vevano ^AFOM il nome della città e del fiume, e l'ap-
pellativo ^AFIOM, al pari che ^AFINOM. Nella moneta
a doppio rilievo si legge AA^NDM, ovvero lAOKM. II
'i insieme con la forma piìi recente A si legge in un obolo
di mia collezione, che ha sul dritto iAA, al riverso 5AA.
Il Muller ha creduto che Lao fosse fondata dai Sibariti
0 dai Turii dopo l'eccidio della loro patria (in Scyl. Cariand.
§ 12 pag. 20 ed. Did.) ; ma ciò è opporsi apertamente
ad Erodoto. Egli è certo che queste spiagge erano prati-
cate dai Sibariti prima del loro eccidio. Ne è prova Po-
sidonia, la quale del resto non si deve porre insieme con
Lao e Scidro che ricevettero i Sibariti fuggiaschi, perchè
se così fosse Erodoto l'avrebbe nominata insieme con quelle
due colonie. La confederazione di Sibari con Posidonia
ammessa dall'Ecthel [Doctr. n. v. I, 154) sulla fede del
Magnan che lesse da un lato MA e OH dall'altro, non
si accetta perchè par certo che quel OH fu letto male in
vece di MOM. II Muller vorrebbe anche attribuire la
fondazione a quei di Turio ; ma erra ; perchè quando
Turio ebbe origine le monete incuse erano cessate. Lao
batte lo statere di gr. 8,70 - 7,80 diviso in terzi, in sesti
di gr. 1,50 e in dodicesimi di gr. 0,72 che il Sambon descrive
T. CXVIII
BRUTTIA-LUCANIA OCCLDENTALIS
171
così ; Toro a volto umano di profilo a sin. nell'esergo iAA e in
alto MOM. R. Due cerchi ; di sotto AA e di sopra k. Essendo
i Lucani giunti presso Lao l'anno 328 i Greci dell'Enotria
nel 359 fecero lega difensiva contro di essi e ancora
contro Dionigi. Però i Turini vennero in aiuto di Lao
che i Lucani mostravano voler cingere d'assedio e darle
sacco (Diod. XIV, 101) : §oi'X6i.isvoi. Aàov nóXiv evSaiixora
nohoQxì':acci.. Ciò avvenne nella ol. XCVII, 3. a u. 362:
ma i Turini furono battuti presso il sepolcro di Dragone
e i Lucani s'impadronirono di Lao. Circa il medesimo
tempo avvenne che anche Posidonia cadesse nelle mani
di cotesti barbari e allora cessarono ambedue le città di
battere l'argento. Nel riparto del 399 fra i Lucani e i Brez-
zii, il fiume Lao ne segnò i confini. Cominciò indi la serie
delle monete di bronzo nella quale Lao cambiò del tutto
i suoi tipi, e colla epigrafe etnica in greca lingua inscrisse
in sigla il nome del magistrato. Al toro androposopo barbato
succede l'imagine giovanile del fiume Lao solo munita di
corna bovine: vi s'introduce il culto del Dioniso figlio
di Ammone con corna arietine: si aggiungono gli iddii
Venere, Bacco ed Ercole e sui rovesci fassi luogo ad un uc-
cello di rapina, che par corvo, probabilmente locale ; spesso
sono due questi uccelli, che o si riguardano l'un l'altro,
ovvero incrociano i loro coUi rappresentando forse la ini-
ziale AA con tale attitudine.
tat. cxvm.
1. CoU. Luynes. Bue androprosopo con diadema gemmato
sulla fronte volto a d. e respiciente a sin. Sopra vi si
legge rflF5 la qual epigrafe si compie congiungendo MOM
scritto al riverso, che è incuso col tipo medesimo del
dritto.
2. Didramma a doppio rilievo. Sul dritto il bue androprosopo
volto a sin. e respiciente a d., sul riverso il bue mede-
simo volto a dritta : l'epigrafe comincia dal riverso iM e si
compie al dritto M^ni nel n. 2, dal dritto AAi NOIA; nei
nn. 1, 3 è tronca e si ripete nei tre seguenti numeri 4, 6, 7.
3. IL tipo è lo stesso che nel n. 2, ma l'epigrafe qui comincia
sul dritto AAi e si compie sul riverso NOM.
4. Coli. Sant. Bue androprosopo a sin. e guarda a d. di sopra
?AA. R. Lo stesso bue che è volto a destra: di sopra MA,
nell'esergo del dritto ghianda col calice suo e picciuolo.
Nella monetina di alleanza fra Sibari e Lao la ghianda
occupa tutto il campo del riverso, facendo ivi solo da
simbolo della città di Lao.
5. Dramma coi tipi medesimi del n. 1, ma la leggenda è
svanita. Non vi è moneta di Lao senza leggenda, né, se
ne manca, si deve credere omessa, ma obliterata.
6. Nella coU. mia. Bue androprosopo volto a sin. e respiciente
a d. di sopra kAA. R. Lo stesso bue ma volto a d., sopra
è ripetuto 5AA col ^ retrogrado.
7. Bue androprosopo volto a sin. e guardando a d. sopra iA/\.
R. Il bue medesimo volto a destra, sopra 5AA.
8. Museo Brit. {Catal. 236, 12). Testa di donna con capelli lun-
ghi alla cervice fra quattro delfini e l'epigi-afe AAINilN.
R. Corvo, di sopra astro fra /V\l e BE, davanti una testa
di cervo.
9. Coli. Sant. Testa di donna coi capelli raccolti intorno aUa
fronte e alla nuca, a sin. l'epigrafe EY notata pel primo dal
sig. Imhoof-Bl., che la supplisce EY Svfiog {Monn. gr. 13, 14).
La medesima epigrafe si legge in altro bronzo che ha per
tipo al riverso una testa di bue davanti al falco (id. 4, 15).
R. corvo a d. ed ivi testa di ariete: di sopra AAINUN e in
seconda linea SflEA.
10. Testa di donna coronata di edera. E. Corvo, davanti testa di
ariete, di sopra STA OT.
11. CoU. mia. Testa di donna a d. R. Corvo, e davanti la testa
di cavallo, di sopra AAINilN.
12. Da un mio calco. Testa di donna cinta di diadema con ca-
pelli raccolti alla cervice, e pendenti agli orecchi volta a d.
R. Due uccelli che si riguardano : fra mezzo ad ambedue Si,
di sopra a sin. /\AO, la epigrafe a destra è svanita.
13. Testa di donna di prospetto fra due lettere AA iniziali
della zecca: a d. fiaccola accesa. R. Il medesimo tipo di
due corvi, ma di modo che i loro colli s'incrociano: fra
mezzo la lettera M.
14. Testa del fiume laino giovanile con corna bovine che gli
spuntano sulla fronte. R. Due corvi incrociati: di sopra
STA OH'\.
15. Testa giovanile volta a sin. R. corvo a sin. che ha dinanzi un
granchio, di sopra una corona fra TI e Bl.
16. Testa di donna diademata volta a d. dentro un cerchio di
globetti. R. Corvo a d., di sopra un delfino e AAINillM, da-
vanti a d. un candelabro.
17. Testa di donna diademata eoi capelli legati sul vertice e l'e-
pigrafe AA. R. Corvo a d. fra KO e MO.
18. Testa di Ercole a d. coperta dalla pelle di leone che gli si
vede annodata al collo. R. Corvo a d. e di sopra STA.
19. Testa di Dionisio con corna arietine volta a d. R. corvo
volto a d. stante davanti ad un ramo di palma lemniscato,
che ha di sopra DA e MO, di sotto AA e COX.
OESENTUM
Al Cluverio (pag. 1317) non furono note le monete di
Orsentum. Egli solo corresse Plinio (III, e. 11) che ricorda
gli Ursentini fra i popoli della Lucania, mostrando che
cotesti popoli si dovevano attribuire alla Brezzia, non alla
Lucania. Il nome di questa città pare di greca origine e
che derivi da ógaóg germe, onde òqaàaig òqaàq- av^og terra
germinante, prolifica, feconda, iadi per anadrome oqaavzov,
e òqaavTtvog. Grli Orsantini onoravano di special culto Ce-
rere il che dimostra qual fosse U germe principale delle
terre loro ubertose.
20. Nel Museo di Vienna. Testa coronata di alloro e volta a d.
dietro al coUo XPY in mon. R. Cerere stante col gi-oma agri-
mensorio nella d., un manipolo di spighe nella sinistra, e sul
campo un ferro di lancia: a d. OPZANTINilN.
21. Testa di donna coi capelli legati in massa alla cervice. R.
22
172
LUCANIA OCCIDENTALIS
T. cxvni
Giovane nudo col capo coperto da un petaso e armato di
un parazonio a tracolla , sul quale appoggia la sinistra,
stendendo la destra con una patera: intorno è la leggenda
OPSANTINilN.
PAL....MOL
Si è convenuto dai Numismatici di chiamare Palinuro
la città, accennata nelle lettere ARI, dal promontorio che
si chiama tuttavia con tal nome : e nel AO ^ vogliono si
riconosca una città omonima al fiume Molpa o Melpa detto
Melphes da Plinio. La città moderna che è vescovile trovasi
detta Melfis in Brkemperto. Io non ho visitato quei luoghi.
22. Coli. Luynes. Cignale in rilievo e al riverso in incavo con
la epigrafe 'lAT nel dritto e '10'A nel riverso. La paleografia
è simile a quella di Posidonia, di Lao, di Temesa. Di
questa moneta si ha nel Museo di Firenze un conio mo-
derno; lo avverto, perchè il vedo citato dal Riccio, (Repert.
agg. e con: p. 14) , ed è anche prodotto dal Pahretti {Gloss.
lab. LVI, 2912), non ostante la strana forma della lettera
fé e l'aver posta un san in luogo di un m in mol.
VELIA
• H Millingen fa debitamente plauso al Carelli per avere
egli assegnato a Velia in Italia le monete che hanno per
tipo il mezzo leone sul dritto che divora la preda e al ro-
vescio un quadrato incuso e quadripartito.
Velia fu fondata nel 180 u. e. dai Pocesi, che fuggendo la
dominazione persiana si erano dall'Asia traslocati in Cor-
sica dove un venti anni prima quei di loro nazione avevano
fabbricata Alalia (Herod. I, 165). Questi secondi cacciati
di là dai Tirreni e Cartaginesi cinque anni dopo traspor-
tarono le loro famiglie e sostanze in Marsiglia ; ma non ri-
coverati dai Marsigliesi (Antioch. ap. Strab. VI, 253), si
trasferirono in Eeggio dei Brezzii. L'oracolo che li aveva
prima mandati in Cimo (cosi chiamano i G-reoi la Corsica)
(Diod. Sic. V, 13, 4), di nuovo impose loro che cercassero
di fabbricarsi una novella città in un luogo, dove fosse una
palude denominata Cimo : Tòv Kvqvov xzCaai klog covra (il
testo ha ^qiov Sovra, ma vedi il Benedetti ad Herod. 1, 167),
àXK ov rfjv vT^aov; colle quali parole li avvertiva dell'er-
roneo scambio dell'isola detta Cimo, con la palude che por-
tava lo stesso nome.
Nella olimpiade LS, LXI, (u. e. 217-219) mossero co-
testi Pocesi di Eeggio in cerea della Cimo additata loro
dall'oracolo, e s'imbatterono in un uomo di Posidonia, che
mostrò loro la palude; la quale essi stimando essere la
Cimo loro prescritta dall'oracolo si posero all'opera di dis-
seccarla e poterono averne tanto di suolo ove fabbricare.
Questa città essi chiamarono"BA7;, 'Yélrj, derivandone il nome
dalla fonte (Strab. VI, 252), ovvero dal fiume i^sì]g, che le
scorreva d'appresso, anteponendo alla voce un T, che ebbe
forza di aspirata, o piuttosto di digamma, poiché fu tra-
scritto per V consonante dai Latini. Le prime loro monete
portano per tipo il mezzo leone e al rovescio un quadrato
incuso; il suo peso è di un terzo degli stateri focesi. Otto
esemplari della mia collezione danno ipesi seguenti 3 gr. 70;
8,75; 3,80; 3,80; 3,90; 3,95. La moneta focese col tipo
della foca e a rovescio incuso che è nella mia collezione
pesa gr. 3,75, ma è un po' logora. Quanto alle frazioni in-
feriori della moneta vellose il Carelli ne ha inciso una
(tab. CXXXVI, 3), ma non l'ha descritta. Il Mommsen ha
raccolto dall' Hunter, dal Mionnet, e dal Museo Britannico,
i tre esemplari che hanno il tipo di Velia e pesano da
gr. 0,50 a 0,55 : in fine L. Sambon una ne descrive a p. 175
della quale dà il peso di gr. 0,40. La mia collezione potrà
sopperire a tale scarsezza ; darò il peso di tutti e ventotto:
di questi quattro pesano gr. 0,50 ; sette 0,45 ; otto 0,40;
tre 0,35; uno 0,32; due 0,25; uno 0,18; due 0,15. Di qui
possiamo dedurre che l'unità maggiore si divise in ottave
(= 0,50 — 0,40), in sedicesime (= 0,35 — 0,25), in tren-
tesime (= 0,18 — 0,15) della dramma veliense. In questa
prima epoca avvenne ohe Velia si legasse in confederazione
con Eeggio la qual cosa noi impariamo da una di queste fra-
zioni che in due cellule del quadrato incuso ha scolpito in
rilievo un P di sopra e un YE in mon. di sotto, l'uno e l'altro
iniziali dei nomi di Velia e di Eeggio. Qual sia la preda che
il leone si vede rodere, ninno ha finora definito; solo il Carelli
ha scritto che ferinam tibiam devorat, divora la tibia di una
fiera. Or da un mio esemplare si apprende che questa è tutta
una gamba di un cervo: lo che ci giova a spiegare quel
tipo posteriore, dove il leone morde il cervo, che ha atter-
rato. Un' altra novità ancora ci si presenta ed è la lettera E
di rilievo sul corpo del leone. Simili lettere sono state av-
vertite dal sig. Imhoof-Blumer sui corpi degli animali nelle
monete, la cui spiegazione sarà forse, che servir debba di
segno monetale come le altre lettere alfabetiche d' epoca
posteriore. Eicordo un simile 3 volto a sinistra scolpito in
rilievo sul mento inferiore dell'Ercole di una delle monete
etrusche del deposito di Sovana (tav. CXXV, n. 11).
I Vellosi abolita la dramma focese, e le frazioni della
prima epoca introdussero il didramma degli Achei a doppio
rilievo e vi posero per tipo la testa di una donna i cui ca-
pelli sono ripiegati e legati dal diadema alla nuca: e al ri-
verso l'intero leone che si avventa. Due esemplari deUa
mia collezione pesano gr. 7,50 : un terzo che è foderato pesa
gr. 7,00. La metà loro o sia la dramma ha nel dritto la
testa di donna con l'acconciatura medesima dei capelli ri-
piegati alla cervice, ma cambia il tipo del riverso ponendo
ivi una civetta col ramo di olivo. Questa dramma nei primi
otto esemplari pesa gr. 3,60, 3,65, 3,70, 3,75. V'è anche
la terza parte di essa coi tipi medesimi e pesa gr. 1,20 ;
v'è la quarta parte e pesa 0,95 ; v'è la quinta del peso di
gr. 0,70 ; 0,55 : v'è finalmente la sesta che pesa gr. 0,35.
Il Sambon non conobbe che un esemplare della quinta parte
di gr. 0,51, e non altro. Con questa seconda serie comincia
a Velia l'emissione del bronzo, di che abbiamo soltanto due
rari esempii uno nella mia collezione del peso di gr. 1,50 :
l'altro nel Kircheriano: in ambedue l'acconciatura dei ca-
T. cxvin
LUCANIA OCCIDENTALIS
173
pelli è quella della dramma e la civetta non poggia sul ramo
di olivo. Comincia quindi un'arte più sviluppata, nella quale
cambiasi anche l'acconciatura dei capelli che fanno massa
alla nuca, la civetta sta sul ramo, e allora si deve essere
emesso il bronzo coi simili tipi. Nella mia coli, ve n'è sol-
tanto uno del peso di gr. 2,90. Succede di poi una dramma
sottile, di contorno spesso irregolare, ove la testa del dritto
ha una nuova acconciatura : i capelli sono solcati per tra-
verso come le strie di ima conchiglia pecten e sulla fronte
si vedono cinti di un diadema ; il taglio del collo è talvolta
adorno di una filza di perle. Dei miei sei esemplari tre
hanno di peso gr. 3,70, uno gr. 3,75, uno gr. 3,85, uno final-
mente gr. 3,35. Con questa dramma pongo la rara moneta
a testa di Pallade coperta di elmo attico, il qual tipo si ripro-
duce nei bronzi della ultima epoca.
Fin qui non ho detto nulla del didramma del Museo
Britannico edito dal Poole (Calai, p. 304) tra le monete di
Velia. Ha da un lato la testa di donna coi capelli ripie-
gati e stretti dal diadema e al riverso la sola testa del
leone che rugge: non vi è leggenda e pesa gr. 8,10. Intorno
alla quale avendo io dimandato al eh. editore per qual
motivo l'avesse data a Velia, mentre il Du 'Chalais l'aveva
attribuita alla città di G-nido (Recherch. sur quelques points
de VHistoir. numism.de la ville de Cnide, pi. Vlln. 3,4,4),
egli mi rispose, che lo stile di queste monete di Guido è
del tutto diverso. Or è certo che una moneta con la sola
testa di leone non si è finora vista fra noi, di più che i
Veliesi nella epoca della monetazione a doppio rilievo non
omisero giammai d'inscrivervi il proprio nome. Per le quali
ragioni e ancora per lo stile, che è men raffinato nelle ve-
liesi, non ho creduto inserire questo didramma in cotesta
zecca d'Italia.
Venne poi l'epoca della bella e nobile arte anche per
Velia come per le città achee della Magna Grecia, nella
quale età la Pallade domina sopra la ninfa locale che si
vede rappresentata neUe epoche anteriori insieme colla fonte.
Il MiUingen opinò [Consid. p. 91) che su tutte le monete
fosse sempre figurata Pallade ora con elmo or a testa nuda :
ma è certo che la fonte vi è stata posta almeno dove è co-
ronata di canna palustre ed è definita dall'appellativo YEAHTH
(zgjjiTy). Quando poi le si legge da presso e di sopra della
testa il nome YEAH io penso che sia la città. Viene poi in
moda Pallade, sia che i Pocesi di Velia l'abbiano fatto in
memoria della spedizione di Asia dove erano giunti colla
scorta di due ateniesi, Pilogene e Damone , onde Strabene
potè dichiarar Foeea una colonia di Ateniesi (XIV, 633):
0coxaiav ol jxsrà ^iXoyévovg 'Adnfjvaìoi, sia che abbiano
ricevuto in Velia un rinforzo di coloni ateniesi. Le mo-
nete del più bello stile non sono che didrammi. Ora però
è entrato neUa mia collezione un nummo coi tipi deUa testa
di Pallade volta a sin. e al riverso il leone gradiente e di
sopra $1 con un ferro di tridente in mezzo e nell'esergo
YEHTilN, vedesi però aUa gamba sinistra dell'H aggiunta
la A in minutissimo carattere. È del peso di gr. 0,70 e dimo-
stra che coniarono anche l'obolo. Eara è la dramma coi tipi
della PaUade galeala, e al riverso la civetta. La sua terza
parte che rappresenta la testa di donna con la civetta al ri-
verso, diviene simbolo comune anche al bronzo, se ne eccet-
tui poche monete di barbaro stile che portano al riverso
il tripode in memoria a quanto pare dell' oracolo delfico,
dal quale fu loro ingiunto che fabbricassero Cimo, come
ho detto di sopra.
I Veliesi trassero dalle buone instituzioni di Senofane e
Parmenide fondatori della scuola eleatica quella costanza
e forza che valsero loro a tener lontano il flagello dei bar-
bari Lucani : essi cercarono ed ottennero l'alleanza coi Eo-
mani, allorché le città greche si unirono per far loro
guerra con Pirro. Una sacerdotessa vellose soleva essere
prescelta dai romani pel culto della greca Cerere (Cic. prò
Balbo, 24).
23, 24. Nella coli. mia. Metà di leone che divora la gamba di
un cervo. Ve n'è uno singolarissimo n. 24 per un ir a rilievo
sul corpo del leone, che è volto a destra. E. Quadrato incuso
diviso in quattro o meno quadrati minori, perchè alcuno
di essi, talvolta non è impresso, vi ha esempio dei qua-
drati minori suddivisi talvolta : questi incusi prendono la
forma di foglie larghe in cima strette al centro di con-
giunzione.
25-32. Nella coli. mia. I tipi sono gli stessi delle unità mag-
giori. Unico forse è il caso in questa serie, di lettere in rilievo
scolpite nel campo dei quadrati minori. Così nel n. 26 a
destra v'è un P e di sotto im YE in mon. Unico è anche
l'esempio di una testa galeata nel campo del quadrato
maggiore, come nel n. 25. Quanto al peso alcuni di essi
sono di gr. 0,50 (n. 27), altri di 0,40 (n. 28, 29), altri di
0,25 (nn. 30, 31), altri finalmente di grammi 0,15, come
il n. 32.
33. Testa di donna coi capelli dalla fronte alla nuca o co-
perti da filze di perle insieme congiunte a modo di rete
seguendo l'andamento di essi che sono rivolti alla nuca.
R. Leone in agguato che rugge: di sopra civetta che vola:
nell'esergo YEAHTEHN.
34. Nella coli. mia. Testa di donna coi capelli rivolti e legati
alla cervice e cinta il capo e il collo di una filza di perle.
R. Leone in agguato che rugge : di sopra vola una civetta:
nell'esergo YEAHTEIIN.
35. Nella coU. mia. Testa di donna con acconciatura simile al
n. 36 ma essa è cinta di una tenia, e non ha al collo la
filza di perle : di sotto al coUo e intorno è liscio. E. Leone
simile ai nn. precedenti, di sopra A, nell'esergo YEAH.
36. Nella coli. mia. I tipi sono simili a quelli della moneta
precedente, ma la testa della donna è decorata da una filza
di perle che le cinge intorno il capo : non però il collo,
che è nudo: intorno si legge (YE)AHTflN. Nel riverso l'e-
sergo è liscio e solo di sopra al leone è un 3 retrogrado :
il leone non leva in alto la coda, e non solo l'ha abbas-
sata come nel n. 33, ma di più l'ha ripiegata tra le gambe.
37. Nella mia collezione. Testa di donna di arcaico stile cinta
il capo e il collo da filza di perle. R. Civetta sopra un ramo
di olivo a sin. YEAH, a d. A.
174
LUCANIA OCCIDENTALIS
T. CXIX
38. Testa di donna a d. con capelli rivolti alla cervice e stretti
da diadema che la cinge, di sotto al collo YEAH. fì. Leone
anelante alla preda a d. di sopra B, nell' esergo una civetta
sul ramo di olivo.
39. Testa di donna come la precedente, e al modo medesimo,
sotto al collo l'epigrafe YEAH. R. Leone come il precedente,
nell'esergo la civetta.
40. Coli. Luynes. Testa di donna volta a d. coi capelli raccolti
intorno alla fronte e alla cervice: di sopra YEAH: dinanzi un
tralcio di vite, e sotto il mento 0- R- Leone anelante alla
preda: nell'esergo civetta e accanto TA.
41. Coli. mia. Testa di donna diademata coi capelli rivolti alla
cervice a d. R. Civetta sul ramo di olivo, e a sin. YEAH.
H peso di questo « dei simili pezzi è di gr. 3,25; 3,70;
3,77; 3,85.
42-46. Coli. mia. La testa di donna in queste monetine ha sem-
pre la stessa coltura di capelli rilevati e sospesi alla nuca:
nel riverso la civetta è talvolta senza il solito ramo di
olivo: e una volta il nome della zecca pare omesso, ma
deve essere uscito di conio: il peso loro si è n. 42, gr. 1,20;
n. 43 gr. 0,95 ; n. 44 gì-. 0,70 ; n. 45 gr. 0,55 ; n. 46 gr. 0,85.
47-49. Coli. mia. Coteste monetine appartengono all'epoca della
pili heUa arte: la testa della donna ha i capelli raccolti intorno
alla fronte e sulla nuca : ancor qui una volta il nome della
zecca si vede mancare, ma è perchè la monetina è logora.
La civetta al riverso o ha le ali aperte o vola : nelle ultime
due a' suoi piedi v'è un I: il peso del n. 47 è di gr. 1,00
e così parimenti quello del n. 48: il n. 49 invece pesa
gr. 0,80.
Tav. CXIX.
1. Coli. Santangelo. Testa di donna coronata di canna palustre:
dinanzi HTHA3Y. R. Leone che si avventa : di sopra
YEAHTEnN.
2. Coli. mia. Testa di donna con acconciatura di capelli singo-
lare, aUa nuca H. R. Civetta sul ramo di olivo volta a sin.
che guarda di fronte : dietro a d. HA3(Y). Cotesta iscrizione
fu letta male dal Comhe, AEYK, e la moneta fu perciò at-
tribuita a Leuca in Calahria : nel quale errore ha tratto U
P. Eckhel (fl. n. v. I, 244).
3. Coli. mia. Testa di donna di stile semiarcaico coi eapelU ri-
volti aUa nuca e stretti da un laccio. R. Civetta sopra ramo
di olivo, e dietro a sin. YEAH.
4. 5. Coli. mia. Testa di donna con acconciatura di capelli
striati come conchiglia e con filza di perle al collo volta
a sin. R. Civetta stante sopra il ramo di olivo : l' epi-
grafe al n. 5 è YEA..
6. (Carelli, tav. CXXXVI, 8). Testa di Pallade coperta di sem-
plice elmo attico crestato volta a d. R. Civetta sopra ramo
di olivo volta a d. e alla sin. l'epigrafe YEAH.
7. Nella coU. mia. Testa di PaUade con elmo alato volta a d.
R. Leone gradiente a sin. e volto di prospetto : nel fondo
sorge un albero di palma fra le lettere (p 1 : nell' esergo
YEAHT.
8. Nella coli. mia. Testa di Pallade con elmo cinto di corona
d'ulivo volta a sin. R. Leone volto a sin. in atto di ruggire
e sollevare la zampa del pie destro: nell'esergo YEAHTilN.
9. Nella coli. mia. Testa di Pallade con elmo insignito di un
delfino e sulla gronda della lettera (j). F. Leone gradiente a
d. di sopra un ferro di tridente fra le lettere (J)l nell'esergo
YEAHT^N.
10. Nella coU. mia. Testa di Pallade con elmo fregiato di un
grifo volta a sin. R. Leone gradiente a d. come nel n. 8 :
di sopra YEAHTUN : nell' esergo una civetta che vola.
rXav^ ìrcTUTai, dicevano i Greci in senso di buona ventura.
11. Testa di Pallade coperta di elmo frigio sul quale è scol-
pita una centauressa corrente a sin. eoi capelli sciolti e
lunghi alla cervice e una breve clamide agitata dal vento
sul braccio sinistro. R. Leone che divora la testa di un
toro: tra le gambe un serpe, nell'esergo YEAHTilN.
12. Nella coli. mia. Testa di Pallade con elmo cinto di corona
d'olivo volta a sin. dietro la nuca KC in mon. R. Leone a
sin. nell'atto di levarsi dal pascere la lesta di montone che
ha davanti negli artigli e guardare ruggendo a destra : tra
le gambe KC : in mon. nell'esergo YEAHTilN.
13. Nella coU. mia. Testa di Pallade con elmo frigio ornato dì
una cresta di grifo con la stessa fiera volta a sinistra,
dietro al collo 0. R. Leone volto a destra che pasce la testa
di un montone : di sopra una locusta fra le lettere $ I, nel-
l'esergo YEAHTilN.
14. Nella coli. mia. Testa di Pallade volta di prospetto co-
perta di elmo frigio alato, sulla cui parte convessa si legge
KAEYAHPOY: i suoi capelli sono sciolti e ondeggianti:
ha collana con monile pendente sul turgido petto velato
dalla tunica. R. Leone divorante una testa di toro come al
n. 10 ; di sopra A, tra le gambe KC, nell'esergo YEAHTil(N).
15. 16. Nella coli. mia. Testa di Pallade con elmo fregiato di
corona di olivo e di un grifo volta a sin. R. Leone che ha
atterrato un cervo : e il morde sul dorso, intorno YEAHTEilN.
Nel n. 16 è il tipo medesimo del riverso, ma l'elmo della Pal-
lade nel dritto non ha la corona d'olivo che sulla gronda
e dietro la nuca porta in una tavoletta quadrata inscritto lE.
17. Museo di Monaco. Testa di Minerva con elmo ornato di un
grifo volta a sin. R. Leone che avendo atterrato un cervo
lo assanna al collo. L'epigrafe è svanita e solo le tracce vi
rimangono, YEAHTON (cf Carelli, tav. CXIII, 75).
18. Nella coli. mia. Testa di PaUade con aulopide crestata: è
assai adorna, in prima sulla base della cresta del nome del-
l'artefice (J)IA12:TIÌ1N(0S) , poi sulla cocca porta una Vit-
toria che guida una quadriga, indi sulla gronda è posto un
grifo. R. Leone che sta sulle onde del mare e morde il ferro
di una lancia che ha abbrancata in alto: la Vittoria vola con
una lunga tenia, nelle mani per coronarlo, e a d. (1)1 : nell'e-
sergo è scritto YEAHTilM.
19. Nella coli. mia. I tipi sono simili al n. 18, manca soltanto
di sopra del leone la Vittoria che vola e il 01 : il nome
dell'artista sembra non ben riuscito nel conio.
20. Coli. Luynes. Testa di Pallade con elmo attico adorno deUa
quadi'iga guidata dalla Vittoria e dal nome dell'artista (J)IAI-
T. CXIX
LUCANIA OCCIDENTALIS
175
2:Tin.N0S inscritto a pie della cresta. R. Leone gradiente a
d., di sopra YEAHTilN, nell' esergo tralcio di vite in mezzo
alle lettere $1.
21. Testa di Pallade con elmo alato cinto da una corona di olivo :
alla nuca Al. /?. Leone gradiente a d. di sopra spiga di
grano, tra le gambe P, nell'esergo YEAHTilN.
22, 23. Nella mia coli. Testa di Pallade con elmo frigio cinto
di olivo a sin. R. Mezzo leone giacente e intento al pasto
di una testa di ariete, in alto (J): neU'esergo -EA-
24, 25. Nella coU. mia. Testa di Ercole giovane volta a sin.
coperta dalla pelle di leone. R. Civetta, a sin. YEAH, a d.
foglia di vite. Nel n. 25 la foglia è omessa e in quel luogo
si legge YEAH.
26. Nella coli. mia. Testa di Ercole con la pelle di leone volta
a d., di dietro Tt/\n. R. Civetta in corona di ulivo fra le
quattro lettere YEAH.
27. NeUa coli. mia. Testa di donna a d. coi capelli rivolti alla
cervice e cinti da diadema. R. Civetta a sin. YEAH, a
d. Af in mon.
28. Coli. mia. Testa di donna coi capelli alla nuca rivolti e
legati col diadema volta a d. R. Civetta volta a d. e alla
sinistra YEAH.
29. Nella coli. mia. Testa di donna volta a d. R. Civetta volta
a sin. su di un ramoscello di olivo a d. YEAH.
30. Nella coli. mia. Testa di G-iove laureata a sin. R. Civetta
di fronte colle ali aperte: di sopra $1 di sotto YEAHTilN.
31. Nella coli. mia. Testa di Giove laureata a d. R. Civetta colle
ali aperte, di fronte, di sotto YEAHT.
32. Nella coli. mia. Testa di Ercole giovane a d. R. Civetta a
sia. sopra ramoscello di olivo, a d. YEAH.
33,34. Nella coli. mia. Testa di Pallade con elmo corinzio a d. R. Ci-
vetta di fronte colle ali aperte; nel n. 34 si legge YEAHTilN.
35. Testa di Bacco coronata di edera a d., sotto al collo un
tirso. R. Civetta ad ali aperte e di sotto YEAH (Cai-elli,
tav. CXLirr n. 98).
36. Nella Coli. mia. Testa laureata di Apollo a sin. R. come
al n. 35.
37. NeUa coli. mia. Testa di Ercole giovane con la peUe di
leone annodata al coUo a d. R. Civetta colle ali aperte a d.
e intorno YEAHTilN.
38. Nella coli. mia. Testa di Giove a sin. R. Civetta coUe ali
aperte di fronte, sotto YEAH.
39. Nella coli. mia. Testa di Pallade con elmo cristato a sin.
R. Tripode fra le lettere YEAH.
POSroONTA
n Kochette {Hist. des col. gr. HI p. 245) seguito dal MuUer
{Dor.l, 103) e dal Gerhard (Griech. Myth. p. S12, 1, 6) opinava
che la città di Posidonia fosse fondata dai Trezenii. Il motivo che
ebbero quei che ne fecero autori i Trezenii si è perchè Trezene
lor patria fa sacra a Posidone, di modo che ne portò un giorno
anche il soprannome (Strabo, VIII, 6, 14) : TQoitfjv Sé Isqù san
HoaaiSmog, utfov xal IloasiSaivia nozè iXéyszo. Il qual riscon-
tro se non giunge a dimostrare che da Trezene sono venuti i
Posidoniati è nondimeno da considerarsi, perchè consta che i
Trezenii che si fanno autori deUa colonia di Posidonia abita-
rono Sibari; e può ben essere che fossero traspiantati dai Si-
bariti in cotesta colonia. Strabene sembra farlo sospettare in
un passo oscuro dove afferma che i Sibariti dedussero una co-
lonia in cotesto luogo e fabbricarono il muro della città presso
il mare, ma quei che vi furono da loro collocati trasportarono
la loro stanza pivi dentro terra (Strabo, V, 251): Jv^aQìtai fièv
ovv Ì7il za?.dTTrj zsìyfig i'S-svzo, oC di olxiad^évzeg àvmzéqai
^laréazìpav. Cotesta colonia non fu qui dedotta dai Sibariti, che
quando Sibari non era ancora distrutta, il che avvenne l'anno 3°
della olimpiade LXVII. Nel qual anno avrebbero i Sibariti
potuto venire a Posidonia ; ma non si sa se siano allora andati a
Lao e Scidro. Non consta dunque l'anno nel quale fii fondata
Posidonia ; ma si può esser certi che era in piedi nell'anno 2°
della ol. LX (di Eoma 217-219), dapoichè un suo cittadino
detto però da Erodoto Posidoniate interpretò l'oracolo ai Eocesi
di Keggio additando la palude Cimo dove dovevano fabbricare
la città che denominarono Velia. Il dialetto di che si serve
Posidonia nelle monete non è dorico genuino, non dicendo essi
Horidavia, bensì Iloaiióavia, che nasce dalla forma eolica Ho-
Gsi'óav (Ahrens, de dial. aeol. p. 123), dove invece le monete danno
nO?EIAfl.N in dialetto comune. Non può negarsi del resto che
dori fossero tra i coloni di Posidonia, del qual dialetto si servì
colui che scrisse suUa laminetta d' argento dedicata a Proser-
pina: io sono della figlia della Dea (C. i. gr. n. 3778): TAM
OEO T/y\ PA^^OM E/y\i. Diremo che vi si parlava più di un
dialetto, di poi una lingua mista come abbiamo avuto esperienza
nel decreto dei Keggini a favore di Aufidio. Non sono i Posi-
doniati dori di origine ma achei. Nelle monete incuse il Net-
tuno è sempre in atto di vibrare il tridente e questo tipo me-
desimo si trova ripetuto sulle monete a doppio rilievo. Le in-
cuse sono dramme e didrammi la cui leggenda è PO/y\, PO/y\E,
PO/y\ES. V'è inoltre presso il nume l'epigrafe FSSM e A50.
Si è stimato che la prima fosse nome del fiume Tg ricordato
da Licofrone e dai grammatici Erodiano ed Esichio. Partace
storico citato da Erodiano scrive che Ercole giimse in Posido-
nia e ivi era un gran fiume chiamato tg {Dict. solit. p. 19, 4):
'Emi de àcpixszo slg zrjv HoffsiScoviav o 'HgaxXfjg . sazi àè rto-
zafjiòg "Ig xa2.oi\asvog [.is'yag. Ma quel lloastdcoria può prendersi
per territorio e così troverassi Partace d'accordo con Licofrone,
che pone questo fiume presso il promontorio dicontro l'isola
Leucosia, oggi Licosa, dove morì e fu sepolta la Sirena di questo
nome. Presso il capo Posidio detto oggi punta della Licosa
scorre un fiumicello che ha nome di rivo Lavis e ivi mede-
simo vi sono due altri rivi, quello detto dell'arena e l'altro che
dicesi rivoscello. A niuno però di questi tre sta bene l'appel-
lativo di ns'yag dato all' Tg da Partace. Comunque sia, par
certo che non abbiano voluto indicare il Sele di Posidonia fiume
grande, ma non rapido, Xd^gog, anzi paludoso e stagnante: di
più è distante dalla punta della Licosa un sei miglia. Siavi pure
stato un fiume grande e rapido ;xs'yag e Id^gog di nome "Ig;
or si domanda se di esso si deve intendere il FS5M della mo-
neta di Posidonia. L'esperienza ci ha insegnato che quando gli
antichi vollero rappresentare un fiume ne figurarono l'imagine
176
LUCANIA OCCIDBNTALIS
T. C51X
e talvolta yì apposero il nome: non abbiamo finora esempio
che l'abbiano fatto col solo nome. Ne mi si può citare contro
il nome del Sele su di una moneta pure posidoniate : perocché
ho già dimostrato altrove che è stato finora letto erroneamente
5EIAA, in vece di MEIAA. Questo MEIAA io lo considero come
il OEMISTOKAEOS: {Revue numism. 1856 p. 46 pi. IH n. 2)
a cui è sottinteso xófi/ice, ùqyvqsov, me nelle monete di Sente
ove leggiamo SEYOA KOMMA (Num. Chron. t. XX p. 151),
STEYOA APrYPIO:^ (Luyn. Num. des Satrap. pi. VI p. 45),
che sono i nomi di principi dai quali sono state coniate quelle
monete.
Quanto all' F$$M e all' A50 posti ambedue presso Nettuno
pare a me che debbano essere presi qui per soprannomi dati
al nume di Posidonia , l' uno in caso retto, l'altro in obliquo.
Il FSS/y\ vi sta per FSM che è spiegato da Esichio per forza,
F\i...lijxvg, la lettera 5 vi è raddoppiata, perchè lunga, scrivendo
Erodiano {de monas. p. 19) che tutte le voci monosillabe in
ig sono lunghe ià slg ig nàvxa ixTsCvstai. Quando al ASO sap-
piamo che il nome di ^evg davasi dagli antichi a quei numi che
si ebbero il principal culto : qui prò Jave colebaiUur.
Prima di passare piìi oltre farò notare una particolarità
che ignoro essere stata finora avvertita. Perocché avviene talvolta
che la lettera iniziale P della città sia omessa leggendosi OME
ed OME5 in luogo di POME e P0ME5. Nel Museo di Napoli
si conserva una monetina che io pubblico qui al n. 20: essa è
collocata fra le monete posidoniati dal Piorelli pel tipo e per
la fabbrica, ma non per l'epigrafe che non si è ninno attentato
a spiegare. Consta di tre lettere scritte in cerchio, delle quali
non si è saputo trovare il capo. Ora io posso dimostrare che
bisogna cominciare da O fa d'uopo leggere OME, cioè PO/y\E
essendosi omessa la iniziale P. Al n. 6 di questa tavola CXXI sul
toro del rovescio sono le medesime tre lettere e retrograde 3MO e
non è che la prima lettera manchi per difetto di conio, perchè vi
è espresso il contorno del campo. In un didrammo parimente
della mia collezione si legge OMES e neanche qui si può du-
bitare che fu omessa la iniziale P, perchè la epigrafe, comin-
cia d'in sul collo del piede di Nettuno e va fino al braccio si-
nistro. Eustazio notò già (Comm. 1647, 63) l'uso dei Gioni e
degli Eoli di omettere la lettera o sillaba iniziale, costume che
si vede essere dei nostri Prenestini che scrivono METIO per PRO-
AAETIO {Sijll. n. 539) e dicono CONIA per CICONIA (Plaut. Truc.
Ili, 2, 29). Noi vediamo che gli Achei di Posidonia fanno al-
trettanto, sia pure che un tal costume a torto siasi attribuito agli
Eoli come pensa l'Ahrens {de dial. aeol. p. 78). Quel Nettuno
sovrannominato PUS ora in nominativo, trovasi poi con pro-
prio nome detto JloasCScov in una piìi recente moneta, nella
quale a quanto so non è stato finora avvertito. È quella me-
desima che l'Avellino trasse dalla collezione Fanelli, ora mia.
Quivi dunque davanti a Nettuno (tav. CXX n. 12) è scritto
POSEIAilN. Il qual nome fu notato dal Piorelli in altro di-
drammo che è pure nella mia collezione, ma con la tronca leg-
genda ■•SEIAft"
È singolare la moneta di confederazione fra Posidonia e
Sibari, dove, omesso Nettuno, si è ritenuto per tipo il toro
sibaritico e i3MOn e al rovescio si ha AflVM con due patere
simbolo della lega sanzionata col sacrifizio. Miei sono quei
bronzi dove Nettuno privo della clamide, che ripiegata porta
sempre sugli omeri e pendente dalle braccia, è in atto di sca-
gliare un fulmine, come il Giove dei Lucani. Ne do qualche
esempio nei nn. 27, 29, 31, 82. I Lucani conquistata Posido-
nia ne erano in possesso l'anno 868 : i Eomani se ne impadro-
nirono l'anno 481, e dedottavi una colonia la denominarono
Paeslum probabilmente lo stesso che Posidonia, nome corrotto
dai Lucani.
Abbiamo detto dell'argento incuso che non ha se non di-
drammi e drammi. Ecco intanto il peso de' miei tre didrammi
7,30; 7,25; 7,00: un quarto esemplare ove il dio è barbato
venuto ora nella mia collezione pesa gr. 7,50 : in cotesto il Net-
tuno è barbato. Ora darò i pesi delie nove dramme parimente
di mia collezione gr. 8,00 (due esemplari) gr. 8,20 ; 3,30 ; 3,40 ;
3,45 , 8,50 (due esemplari) 3,60. Dell'argento a doppio rilievo la
cui unità maggiore non è certo che sia stato diviso in due metà,
r esempio che si cita di gr. 4,568 è solo veduto dal Carelli. Certa-
mente rum può citarsi una unità che pesi nove grammi, invece è
comune quella di gr. 7,90, e i dieci esemplari di mia collezione
scadono da gr. 8,00 a 7,70. Però la moneta del Carelli può consi-
derarsi del peso scadente dei due terzi, dacché si hanno unità
maggiori del peso di gr. 6,40, 6,50, anche presso di me. Eai-o
si è lo spezzato che è presso di me del peso di gr. 2,00, del
Mionnet di 2,89, del Sambon di 2,65, che si possono tenere
per terzi delle unità predette. Dopo questi porremo i sesti del
peso di 1,00, 1,15 gr. i quali per essere notati del n. III ci
fanno conchiudere che ciascuna sesta parte si suddivida alla sua
volta in terze parti, ossia che ogni terza parte constava di sei
parti minori. Noi difatti nella serie troviamo di quelle monetine
che pesano gr. 0,30, e inferiormente di quelle che pesano
gr. 0,15, 0,10, che contengono perciò due parti di hectae,
ovvero una terza parte di esse. Cosi l'unità maggiore si divise
in tre terze parti, la terza parte in sei hectae, la hecte in tre parti
minori, cioè in 18 hectae, in trentasei hemiehctae, in cinquan-
taquattro terze parti di hectae. Pu anche battuta una divisione
di terze parti in quattro minori, se consideriamo che alcuni pezzi
portano il numero — invece del n. =.
Posidonia é la sola che esprima con linee parallele orizzon-
tali ovvero verticali le frazioni dell'argento. In queste monete
a doppio rilievo se escludo la dramma e per conseguenza non
do il nome di -didrammo alla unità maggiore devo escludere
anche il nome di obolo che si dà alla decima parte della
dramma. Egli è questo un argomento per provare che gli OO
sopra i riversi di alcune monetine posidoniati di più recente
alfabeto non abbiano valore di significare due oboli. Ma v'è
un altro motivo che deriva dal peso di queste monetine. Nella
collezion mia me ne trovo tre esemplari che recano sul toro
del riverso questi OO. Or esperimentandone il peso trovo, che
il primo è di gr. 0,75; il secondo di gr. 0,50; il terzo di
gr. 0,25. Qual sarà dunque il peso dell'obolo? Sono tutti e
tre di eccellente conservazione e portano sul dritto accanto al
Nettuno la leggenda P02:EI. Una monetina di Lao con due
0 descritta del Sambon del peso di gr. 0,72, può servire di
novella prova che la O non è iniziale di obolo.
T. CXX-XXI
LUCANIA OCCIDENTALIS
177
Tav. CXX.
1. Nettuno barbato coi capelli lucignolati e lunghi alla cervice
portando attraverso le spalle e le braccia un leggier pallio
scaglia un colpo di tridente, a d. PO. R. Lo stesso tipo
incuso. Di recente ho aggiunto alla mia collezione un esem-
plare con questo tipo del Nettuno barbato dove l'epigrafe
è POM e il peso è di gr. 7,50.
2. I tipi medesimi : ma i capelli alla cervice sono meno pro-
lissi, il dio stringe un polpo nella destra e l'epigrafe è
pili intera S3/V\0n.
3. I tipi sono gli stessi, l'epigrafe è POM e Nettuno non
ha barba.
4. Nella coli. mia. Nettuno è imberbe e nel campo a d. è un
delfino di rilievo.
5. Nella coli. mia. Nettimo è imberbe ed ha davanti nel campo
un delfino a contorni in rilievo : nel riverso si nota uno
sbalzo di conio.
6. Nettuno è imberbe: a sin. l'epigrafe POM, a destra \m del-
fino in rilievo che poi si rivede in incavo nel riverso che
è incuso.
7-10. Quattro dramme coi tipi descritti: l'epigrafe è PO/y\,
POME, POMES : nella dramma del n. 7 è un dragone ma-
rino davanti a Nettuno : al n. 8 edito dal Imhoof-Blumer
sul dritto a d. è scritto [>50 ed è verosimile che vi si
debba supplire ayaXixa 11, 12. In altri esemplari a sin. del
dritto e del riverso, in alti'i invece a destra delle due
facce si legge MJ^ì, il qual nome dal Barthélemy e dall'Avel-
lino si crede appellativo del fiume l? (Minervini, III,
p. 44) : ma il MiUingea credette probabile che fosse l'ini-
ziale di Fistelia confederata con Posidonia [Consid. p. 43).
11-22. Coli. mia. Il tipo costante di cotesti didrammi a doppio
rilievo è sul dritto Nettuno barbato o imberbe e al riverso
il toro che va a destra o a sinistra. Il nome della città
0 del popolo è accorciato d'ordinario variamente, talvolta
però e intero. Oltre a ciò vi sono alcune particolarità, che
si noteranno cominciando dal numero seguente.
11. Il delfino che segue il Nettuno nel dritto si ripete nell'esergo
del riverso.
12. Fu publicato dall'Avellino e dal Millingen: ma essi non
videro la testa dei pistrice volta in su ; l'aveva però prima
veduta e comunque espressa il Carelli (tav. CXXVIII, 40)
con la sola leggenda POZEIAANIA al riverso: ma essi
non conobbero nella leggenda del dritto il nome del dio
POZEIAilN.
13. Il pisti-ice appare ancor qui, ma col capo volto in giù: v' è inol-
tre a sin. del dritto un ramoscello di alloro (cf Carelli,
tab. CXXVIII, 42, omessa però ogni leggenda).
14. Le due lettere 5A che si leggono fra le gambe di Nettuno
si ripetono fra le gambe del toro al riverso. Conosco un se-
condo esemplare di questo didrammo che è nel Museo di
Vienna. La sua significazione qui è di nome proprio di un
magistrato, non del nume e neanche di una città confe-
derata.
15. Il nome del dio si legge dal lato sinistro del dritto
PO«EIAilN (cf. CoU. Sant. Calai, n. 4393) : al luogo della
parte destra è un delfino e questo si ripete aU'esergo del
riverso che porta scritto sul toro P04EIAAN ; di più da-
vanti al toro sorge dalla terra un ramoscello di alloro.
16. Qui allato al dio è scritto POSEIAA: né può dirsi che vi
stia per UocfeiSar, non avendosi riscontro di questo dorismo
nelle altre monete, che sempre leggono PO?EIAilN e sempre
PO«EIAANIA(TAN) il nome del popolo, come qui al ri-
verso PO^EIAANI.
17. Quella vocale H o è un segno monetale oppure un'iniziale
di nome proprio del magistrato.
18. È singolare in cotesto nummo la leggenda a destra POMES
e a sinistra ANSA. A me pare che per difetto del conio
manchi il A e di che si hanno altri ese'mpii. Tal è nel di-
drammo al n. 2 Ì3M in luogo di ia/AOH; tale nel n. 4
PO ES dove manca un lA.
19-22. Ho messi insieme i quattro esempii da me veduti del
didrammo che credesi portar scritto il nome del fiume Sole,
quasi che vi si legesse Seila. Or la prima sillaba di Sila
è breve : l'alfabeto delle monete di Posidonia che diciamo
arcaico e dorico distingue costantemente il l^((jàv) dal A/\(,iiii),
dando a questo un piede a sinistra più corto di quello che
è a destra. Però bisognerebbe leggere Meila non Seila: ma v' è
inoltre il lamda che qui non è come nell'alfabeto delle iscri-
zioni arcaiche diMolpa e Palinuro (t. CXVIII, 22) e della vi-
cina città di Lao volto in giù A, ma volto in su -J, la qual let-
tera ha il valore di Y e se si attende alle punte che in qualche
esemplare, come nel mio sono volte in dentro e danno a pen-
sare che siasi voluto scrivere un delta dorico Q, V (v. tav. 118
n. 3), noi avremo un Meida e non un Seila. Dell' I dritto
e non angolare non sono sollecito, perchè anche sulle mo-
nete di Caulonia si vede ora nella forma dorica 5 ora nella
comune e gionica I (v. la tav. CXI n. 20, 22, 26).
Tav. CXXI.
1. Coli. Santangelo (PiorelH Catal. 4339). Nettuno barbato che
lancia il tridente, a d. un delfino e in un esemplare fra le
gambe del dio è un T (Imhoof-Bl. Mann, grecq. p. 6). R. Toro
volto a sin. a pie di una stela sormontata da un'urna.
Nell'esemplare del sig. Imhoof-Bl. l' urna è scannellata
e inoltre sull'imoscapo della stela è un T: di sopra del
toro POSESAANS (cf. Imhoof-Bl. Choix, pi. Vili, 239
pag. 5, 25).
2. Coli. mia. I tipi sono i medesimi al dritto e al riverso : sol-
tanto sulla linea, dove Nettuno poggia i piedi, si legge
3J0n, e al riverso la lettera iota è dritta, POSEIAANI,
e l'urna è a sgusci concavi ; intorno aUa pancia a pie
della stela è scolpito un T che manca nell'esemplare del
n. 1 : neU' esergo è un tonno. A sinistra del dritto è
graffito un H. Pausania narra (L. IX, e. XXX, 8) che ad
una ventina di stadii da Dio verso il monte vedovasi una
colonna e sopra di essa un'urna colle ceneri di Orfeo. Indi
è avvenuto che le colonne con sopra urne fossero consi-
derate quali monumenti funebri. La lettera T, che ora si
vede tra le gambe di Nettuno, ora sull'imoscapo della stela,
178
LUCANIA OCCIDENTALTS
T. cxxr
sembra che non debba appartenere al simulacro, ma sia
un segno monetale.
3. Coli, mia (cf. Coli. Sant. Catal. 4387). Nettuno barbato che
lancia il tridente: davanti POSEIAA, a sin. O. fì. Toro volto
a sin. di sopra ^flA^3MO fra le gambe del toro A. È da
notarsi l'uso simultaneo dei due alfabeti il dorico arcaico,
e il gionico euclideo.
4. Coli. Sant. Testa di Giunone con capelli sparsi e larga mitra
decorata di ippocampi alati posta di fronte, i?. Toro volto
a sin. tra le gambe un polpo, di sopra nOW\EIAA.
5. Coli. mia. Ai tipi soliti nel dritto v' è aggiunto a sin. un ramo-
scello di alloro: l'epigrafe legge POSEI. R. Davanti al toro
che è volto a d. v' è ancor più un ramoscello di alloro e
nell'esergo il delfino.
6. Coli. mia. L'epigrafe nel dritto è HOM : v' è il ramoscello a
sin. coi soliti tipi. R. Sul toro volto a sin. si legge 3/y\0 :
nell'esergo è un acino d'orzo. Non si creda che il T manchi
nella epigrafe del riverso per imperfezione di conio. Esso
è stato omesso dall'incisore del conio, di che avremo ap-
presso esempii non ambigui.
7. Coli, mia coi tipi soliti : il ramoscello d'alloro ha anche
una bacca di lauro : l' epigrafe è POM , ma sul toro del ri-
verso si legge: AQA, sicché pare siasi scritto AaA(/V\) con
la y rovescio, come s'incontra talvolta anche nelle monete
di Sibari, fra le quali è opportuno citare dalla Coli, del
duca de Luynes questa : SAM. Nettuno vibrante il tridente
a d. R. Toro gradiente a d. coronato dalla Vittoria: gr. 1,07.
Nondimeno questa lezione sarebbe illusoria: perchè mi è
venuto alle mani un secondo esemplare, nel quale la leggenda
è chiara MOT retrograda.
8. (Carelli, lav. CXXVII, n. 19). L'epigrafe è !W\ e al riverso
av che facilmente si supplisce flVM: il /\An deve essere
stimato un errore per MOH. Questa confederazione di Posi-
donia con Sibari avrà appresso al n. 17 un altro esempio.
9. Coli. mia. V è di particolare il delfino nel dritto che oc-
cupa il posto del ramoscello, la leggenda è PO^EI e sul
toro del riverso fanno la prima comparsa due O. Tre miei
esemplari pesano gr. 0,76; 0,30; 0,25.
10, 11. Coli. mia. Scelgo questi due pezzi, nei quali oltre ai tipi
e alle iscrizioni che si leggono negli altri v' è di singolare
il numero dichiarativo del valore che consta di due linee
orizzontali ovvero di tre linee orizzontali o verticali. Il peso
è di gr. 1,24; 1,25.
12. Coli. mia. Nettuno che vibra il tridente. R. Toro volto a d.
coronato dalla Vittoria.
13. Coli. mia. Nettuno che vibra il tridente volto a d. R. Lo
stesso tipo ma volto a sin. : in ambedue le facce POM.
14. Coli, mia Nettuno che lancia il tridente a sin. POSEI a d.
un T. R. Toro gradiente a sin. sopra delfino.
15. Coli. mia. Nettuno che vibra il tridente, dinanzi MOH.
R. Toro a sin. sopra PO/A.
16. Coli. mia. Nettuno che vibra il tridente, a sin. PO/y\.
R. Polpo.
17. Coli. Santangelo {Catal. n. 4727) Toro volto a d. sopra OH
nell'esergo Ì3/\A. R. Due patere e fra loro un globoletto:
di sopra V/V\, di sotto ^A. Può essere che le due patere
siano segno di confederazione.
18. Museo di Monaco. Nettuno che lancia il tridente a sin. N\OP.
R. Un globoletto nel centro e intorno POMES (cf. ricreili,
Mon. ined. 11, 10).
19. Museo di Vienna e coli. mia. Nettuno sul ginocchio destro
lancia il tridente. R. OH (cf. Fox, Greek eoins 11, 14; Poole,
Catal. 267, 20).
20. Museo di Napoli. Testa di Nettuno barbato volta a d.
R. Tre lettere che vanno in giro OME (cf. Poole, Ca-
tal. 270, 49).
21. Coli. mia. Testa di Nettuno barbato volta a d. R. La epigrafe
^3MOn in cerchio (cf. Piorelli, Mon. ined. Ili, 9 dal
Museo di Berlino).
22. Coli. mia. Il tipo è lo stesso, ma nel riverso si legge SMOH.
23. Coli. mia. Testa giovanile a d. dinanzi ^3MOn. R. Ferro
del tridente e MflA^(3/r\on).
24. Coli. mia. Mezzo toro a d. 7?. Ferro del tridente.
25. Coli. mia. Mezzo toro volto a sin. R. Ferro del tridente.
26. Coli. mia. Protome del toro a d. R. Tridente.
27. Coli. mia. Nettuno che lancia il tridente a d. dinanzi mi
delfino, a sin. PO«EIAANI. R. Toro a d. di sopra P0«EIAAN1
e sul ventre del toro una mezza luna in contromarca.
28. Lo stesso tipo e a sin. POSEIAAN. R. Toro in rilievo dentro
un quadrato.
29. Coli. mia. Tipo solito, davanti un delfino fra le gambe un A.
R. Toro a testa levata volto a d. dinanzi un delfino, fra
le gambe un P, di sopra PO^EI e nell'esergo AANIATAN.
30. Coli. mia. Tipo solito e POSE R. Toro che cozza, di sopra
un delfino.
31. 32. Coli. mia. Nettuno qual Giove fulminante a d. dinanzi
un delfino, a sin. PO^EIAA. R. Toro cozzante a sin. con
la coda bassa, di sotto un polpo : nel n. 32 l'epigrafe è al
riverso (nO)SElAA.
33. Nettuno che vibra il tridente a d. dinanzi POi. R. Toro
cozzante a d. di sopra un caduceo.
34. Coli. mia. Nettuno che vibra il tridente volto a sin. R. Toro-
cozzante a sin. con la coda bassa di sopra POìEI, nel-
l'esergo un fulmine.
35. Coli. mia. Tipo solito a d. POSEI, a sin. delfino. R. Toro
cozzante a sin. con la coda bassa di sotto un polpo, di
sopra POSEI.
36. (Millingen, Suppl. pi. 11, 3). Testa di Pallade con elmo at-
tico coronato di olivo volto a d. R. Nettuno che vibra il
tridente e a d. POSEl.
37. Coli. mia. La testa medesima collo stesso riverso, ma quivi
la leggenda è PO^ I E in vece di POi El.
38. (Carelli, tab.CXXIXn.81). Testa di Pallade come nei nn. 35
e 36. R. Ferro di tridente e intorno POiB.
39. (Carelli, tab. CXXIX, 82). Nettuno vibrante il tridente a d.
R. Corona di lauro.
40. Coli. mia. Nettuno vibrante a d. R. Kamoscello.
Non ho veduto il Nettuno in piedi con PO/AE5, e al ro-
vescio il delfino descritto dal Mionnet I, p. 185, n. 623,
del peso di 0,45.
T. GXXII
LUCANIA OCCIDENTALIS
179
PAESTUM
L'antica Posidouia aveva già trasformato il nome greco
nel barbaro Paistum impostole, come pare, dai Lucani, clie
da padroni l'abitavano, allorché i coloni Eomani sottentra-
rono nel possesso di quelle fertili ed amene spiaggie dedotti
nel 481. La colonia latina coniò ai-gento e bronzo colla epi-
grafe PAISTANO equivalente nell'antico latino a Paista-
ìwm, 0 sia Paestanorum.Ma l'emissione dell'argento cessò a
quanto sembra nel 485, soli quattro anni dopo, allor che
Eoma aperse legalmente la sua zecca. A cotesti quattro anni
bisogna adunque limitare l'emissione di quelle monete di
argento e per conseguenza le corrispondenti monete di
bronzo, che sono regolate sul taglio e sul peso degli oboli
e dei didrammi proprii dei Grreei della Campania (ta?. LXXI,
41, 42).
Il sistema analogo al romano fu dunqiie in Paestum in-
trodotto di poi, quando erasi ristretta la coniazione coloniale
al solo bronzo. Le prime monete devonsi giudicar quelle che
si son coniate sul sistema sestantario e ritengono la orto-
grafia arcaica dell'Ai invece di AE. A queste serie apparten-
gono i sestanti e le once e forse anche i semissi. Al si-
stema onciale si adattano le serie seguenti, i cui spezzati
iìnora noti sono i semissi, i trienti, i quadranti, i sestanti
e le once, che ho tentato di distribuire ponendo a profìtto
i simboli nelle une e le sigle dei nomi propri in luogo
dei simboli, come si è fatto, mettendo in ordine la moneta
fusa del Lazio.
Fu un tempo in che il Borghesi come egli stesso con-
fessa seguì il Sestini attribuendo a Pesto le monetine che
recano sul dritto le teste di Augusto e di Tiberio : ma poscia
se ne pentì, giudicando che, caduta la libertà dopo la guerra
sociale non si ebbero più monete municipali in Italia {Let-
tera, 19 dee. 1849; Oeuvr. voi. Vili p. 209).
Ciò sarebbe forse vero, se constasse che tutta l'Italia
si fosse decisa di accettare la piena cittadinanza romana. Or
egli è certo e dimostrato che le predette monetine uscirono
dalla zecca pestana, portando esse l'epigrafe P • S., cioè Pae-
sti signatum; d'altra parte non può cader dubbio sulla ima-
giue di Tiberio, attestando i monetieri L. Celio Clemente
e L. Giulio Felice di essere suoi Flamini-; Augusto anche
è determinato dal lituo di augure, il qual sacerdozio gli fu
decretato dal Seuato sin dal 706 (Ecidi. VI, 73, 74).
Vi ebbero adimque monete e zecche neUe città che
ritennero colla libertà le proprie leggi dopo la guerra sociale
e persino nei primi decenni dell'impero. Del resto non si può
dire caduta la libertà se non per quei municipii che accet-
tarono la piena cittadinanza romana, fino a tanto che si con-
servò un simulacro di republica dai due imperatori. Augusto
e Tiberio. I tipi delle monete sembrano da principio fis-
. sati dal senato di Pesto, poscia lasciati liberi ai magistrati
della zecca.
41. CoU. Santangelo e Museo di Monaco. Testa giovanile dia-
demata volta a sin. dinanzi PAISTANO. R. I due Dioscori
cavalcano correndo a sin. l'un d' essi leva in alto la destra,
l'altro porta un ramo di palma: in alto rifulgono le loro
stelle. È da notarsi la pelle di pardo o di pantera che copre
il dorso del primo cavallo.
42. Testa giovanile coronata di canna volta a sin., dietro la nuca
un simpulo preso finora per un uccello, che il Millingen
chiama cigno {Consid. p. 235). /?. I due Dioscori che caval-
cano a sin., vi si vede una stella, ambedue portano il ramo
di palma. Il Millingen dice che uno di essi porta il ramo
di palma al quale è sospesa una corona. Crede poi che la
testa del dritto sia quella del fiume Sele: tra le gambe
dei cavalli vi si legge MEC in mon. mal letto finora. Il peso
di coleste monete va da gr. 7,18 a 7,01 che però non si
dipartono dal sistema greco campano della antica Posidonia.
43. Coli. mia. Testa di Nettuno laureata volta a d. dietro la
nuca P. R. Eroe che cavalca il delfino volto a sin. por-
tando sulla destra la Vittoria che il corona e nella sin.
un tridente: di sotto PAISTANO.
44. Coli. mia. Museo di Monaco. Testa di Nettuno laureata a d.
dietro la nuca un delfino. R. Erote alato che cavalca il delfino,
a sin. il tridente:, di dietro talvolta A/, di sotto PAISTANO.
Il Mommsen stima cotesti bronzi divisioni dello statere
corrispondenti alle ordinarie divisioni del denaro {H. de
la m. Ili 187).
Tav. CXXII.
1, 2. Museo Kircheriano, n. 2. Coli. mia. Testa di Nettuno dia-
demata: alla nuca la nota delle due once. R. Delfino, di
sopra la nota predetta, di sotto PAIST.
8. Coli. mia. Testa giovanile coronata di canna a d. alla nuca
la nota di un'oncia e mezzo, •?. R. Cane che corre a d.
di sopra la nota medesima, di sotto PAIS.
4. Coli. mia. Testa di Diana eoll'arco e la faretra al collo.
R. Spiga, a sin. la nota dell'oncia, a d. PAIS.
5. Coli. mia. Testa laureata di Nettuno : colla nota S alla nuca
e talvolta anche il tridente. R. Ferro di tridente, a sin. la
stessa nota S, a d. Q: di sotto PAIS. Pesa gr. 4,20; 5,00.
Sembra doversi assegnare ad una maggiore unità del peso
di gr. 9; 9,30.
6. Testa velata di Cerere e la voce PAIS in monogramma.
R. Doppia spiga di grano e l'epigrafe P-ASVI Illj-VIR.
7. Coli. mia. Testa di donna coronata di edera a d. dietro alla
cervice la nota del triente • o d • . R. Cornucopia, la nota
predetta PAIS e il caduceo insegna del magistrato monetale.
8. Coli. mia. Testa di Nettuno diademata e la nota del qua-
drante 9 e • . R. Delfino, la stessa nota, PAIS e il caduceo.
9. Coli. mia. Testa di Cerere, a sin. la nota del sestante » • .
il. Cignale, nota medesima, PAIS e il caduceo.
10. Coli. mia. Testa di Diana con faretra al collo. B. Spiga,
nota dell'oncia PAIS, e il caduceo. Ho insieme unite coteste
monete (un. 7-10) giovandomi della insegna del caduceo.
Do inoltre dal n. 12 al 15 un esempio di nome del magi-
strato che si ripete su tutti gli spezzati della serie seguente
(nn. 12-15), serie, che non si era composta finora da veruno.
23
180
LUCANIA OCCIDENTALIS
T. C5XII
11. Coli. mia. Testa di baccante o di Bacco a d. coronata di
edera : alla nuca la nota del triente. R. Cornucopia e qualche
segno monetale, come qui ramo di palma, a d. PAIS, a sin.
la nota del triente. Al modo medesimo che ho adoperato
per la serie insignita del caduceo, può farsi con altre serie
i cui segni siano ripetuti nelle frazioni inferiori e la epi-
grafe vi corrisponda con la ortografia sempre la stessa che
nella maggiore unità che qui è il triente.
12-15. Coli. mia. Questa serie in luogo del segno monetale
porta il nome del magistrato, che si vede ripetuto per tutti
gli spezzati inferiori. I tipi dei quali sono quei medesimi
che si hanno nella serie insignita di un caduceo. Il ma-
gistrato è Q. 'V^-
16. Coli. mia. Testa di Cerere coronata di spighe a d. /?. Mezzo
cignale con un delfino accostato al ventre nel senso del
taglio verticale: di sopra PAIS, di sotto la nota del sestante.
Questo bronzo è fuor di serie, ma non si può metter dopo,
perchè fra i pezzi che portano i segni di valore non ve n' è
altro che conservi l'arcaismo di PAIS. Il semisse, l'oncia e
mezzo, l'oncia che ho posti in cima (nn. 3, 4, 5) forse corri-
spondono con esso, ma non serbano i tipi delle serie coi
segni monetali, ovvero coi nomi dei magistrati dichiarati
di sopra.
17. Coli. mia. Da cotesto numero al n. 19 si hanno i bronzi
che cangiano PAIS in PAES. Essi sono: Testa di Nettuno
laureata a d. dinanzi al mento S. R. Ancora e AA • AFIMAF
in mon. indi a d. PAES.
18. Coli. mia. Testa di Diana con faretra al coUo. R. Mezzo
cignale col delfino accostato al taglio verticale, di sotto la
nota del sestante, di sopra PAES.
19. Coli. mia. Elefante africano e nell'esergo PAES. R. Cornu-
copia lemmiscato a sin. la nota del triente a d. A\F (VF in
mon).
20. Coli. mia. Clipeo macedonico, dentro un periato, nel cui
spazio circolare si leggono le lettere PAEST e nel basso
v' è la nota del triente. R. Cornucopia e fulmine. Il PAEST
non ha altro riscontro.
21. CoU. mia. Leone che rugge agognando alla preda, di sotto
v' è la nota del triente. R. Cornucopia e accanto un segno
monetale che qui è un pileo con sopra quattro globoletti di-
sposti a modo di astro. A d. la nota del triente, a sin. PAES.
22. CoU. mia. Seguono quei bronzi che scrivono PAE. Essi sono
cinque. Cignale che porta infisso il venabolo presso l'orec-
chio sinistro, tra le gambe S, nell'esergo PAE. R. Vaso con
un lituo: indi L. ARTVE C. COMIN IT- VIR. Non ho veduto
che un solo esemplare nel Museo di Parma, nel quale come
in cotesto mio si legge ARTVE che compiremo supplen-
dolo Artuenus.
23. Coli. mia. Testa di PaUade con elmo corinzio a d. di dietro S
. nota del valore, a d. PAE. R. Mani in fede fra U- FJO
e L.S^.
24. Coli. mia. Edifizio esastilo sotto al quale è scritto QVI :
a sin. PAE , a d. S nota del valore. L' edifizio può ben
essere un Quirinal o sia edifizio sacro a Quirino. R. Den-
tro corona di lauro si legge CN • COR M • TVC PATR. A
Cneo Cornelio e M. Tuccio patroni della colonia fu affidata
la emissione del bronzo.
25. Coli. mia. Testa muliebre coi capelli annodati in ciuffo sul
vertice e le ali al collo volta a d., ivi PAE. R. Palma e
corona, da basso Q- TRE- II- VIR.
26. Coli. mia. Testa barbata diademata volta a d., alla nuca la
nota del quadrante. R. Delfino e tonno nel mezzo, di sopra
la nota medesima, di sotto PAE.
27. Coli. mia. Comincia di qua il nesso dell' A nel nome deUa
città : v' è da prima di più un S che poi si omette. Qui
il gruppo del PAS è simile a quello che abbiamo nel n. 6
dove r S è congiunto all' A per mezzo dell' I : qui invece
è sovrapposto all' A per mezzo dell'asta orizzontale supe-
riore dell' E. Testa di Ercole con la pelle del leone. R. Clava
fra Q- CEP e PE ■ ili • TOL. Pesto non ebbe che quattroviri
0 duumviri per magistrato supremo. Né poi in Pesto si
trova omesso il VIR dopo il II o il INI. rimane però che
questo 111 sia tertium o tertio e Tol si debba supplire tolit
0 sia tulit, forse perchè per la terza volta gli fu affidata
dal popolo la sopraintendenza della zecca.
28. (Carelli CXXXl 31). Testa di Pallade con elmo corinzio, di
sotto PAS. R. Cigno e di sopra M • SAL C ■ PEL.- Il Kohne
(Funfzig ani. Munz der v. Rausohschen Muntzsammlung
Berlin, 1843 (taf. 1, n. 3) publica un nummo simile che ha
per dritto le teste dei Dioscori, e PA e al riverso il cigno
con le epigrafi hEL..CAL.
29. Coli. mia. Testa di Pallade con elmo corinzio volta a d.
dietro alla nuca S , a d. PAS. R. Timone fra M. OCT UH VIR.
30. Coli. mia. Testa muliebre volta a d. davanti S, a sinistra
QVIN PAS, cioè Quinquennales. Paesti. I nomi di cotesti
quinquennali sono al riverso M- SAL C PEL in corona di al-
loro. A costoro si appartiene l'altro semisse, che ho dato
al n. 28.
31. Coli. mia. Testa di Nettuno laureata volta a d. col tridente
presso al collo e S nota del valore. R. Prora di nave a d.
fra due delfini: di sopra CN-'EV, di sotto PAS.
32. Coli. mia. Due clipei elittici decussati : di sopra C. AX , a
sin. UH, di sotto VIR. R. Cignale che corre a destra a bocca
aperta, di sotto PA. Si è publicato dall'Avellino sull'esem-
plare del Museo Borbonico, ma egli non ne intese l'epigrafe
del dritto.
33. Coli. mia. Grotto fra un ramoscello di lauro e un ramo di
palma. R. Ancora, a sin. PA, a d. S.
34. Coli. mia. Sedia detta faldistorio e PA, nell'esergo quattro
globoletti. R. Fasci con la scure fra le epigrafi L S, M.SS.
35. Coli. mia. Testa di donna a d. dietro quattro globetti. R.
Cornucopia lemniscate, a sin. CN- 'EV, a d. PA. Il Sestini
{Descr. 20, 21) sbaglia trascrivendo EV in luogo di "EV e
figurando la testa di Apollo.
36. Coli. mia. Donna che sedendo a sin. dentro un' edicola
legge: ad. MENS, a sin. BONA. R. Nel mezzo PA e S;
intorno N GAVIL M- MARCI TT VIR.
37. Donna assisa a d. dentro un' edicola che legge in un
papiro svolto: a sin. AAENS, a d. BONA. R. Intorno W\.
MARCI -/V- CAVI HVIR, nel centro PA, S. Di cotesti bronzi
T. CXXITI
LUCANIA OCCIDENTALIS
male interpretati perchè inai letti ho trattato particolar-
mente nella Civ. Catt. (qnad. 716 pag. 203, 204) dove
ho dimostrato l'errore del Gerhard che ha letto BONA DEA
e creduto di redervela figurata. Ora al Gerhard debbo ag-
giungere il Cavedoni, che lo ha preceduto {Saggio 18, 19),
indotto in errore dallo stesso Mionnet (5wpp/. n. 737-45 ecc.),
donde il Gerhard trasse la falsa lezione.
38, 39. Coli. mia. Ancora, in cima S; a d. L- \EbE, a sin. PA. R.
Timone, a d.D. FAD, a sin. EPVL P: nel n. 39 D- FAD EPVL DED.
40. Coli. mia. Cornucopia, a sin. quattro globetti, a d. L. \f .
E. FA POlT.
41. (Carelli, GXXXIV n. 81). Cignale che corre a d. sopra due
globetti, sotto PAES. R. FA) PolST.
tav. cxxni.
1. Coli. mia. Testa di donna a d. E. Maiale volto a sin. di
sopra PA, nell'esergo la nota di sestante.
2. Coli. mia. Testa di donna a d. dinanzi L • A/1 PR. E.
Maiale a d. di sopra PA nell'esergo la rota del sestante.
3. Coli, mia Testa di donna a d., dinanzi PAE. E. Maiale a
d-, di sopra PA, nell'esergo la nota del sestante.
4. (Minervini Oss. p. 128 T. V n. 7). Testa di Ercole giovane
con la pelle di leone. E. Testa di cignale: di sopra la
nota di sestante, di sotto PA. Altra simile, omessa l'epi-
grafe, si è stampata dal Piorelli, Oss. p. 52 t. I n. 23.
5. 6. Collezione mia. (n. 5). Staterà messa e bilicata sulla punta
di xm palo sostenuto fermo da due stanghe opposte : in una
delle due lance v'è il sacco del metallo da pesare, nell'altra
il peso : di sopra vi si legge : Q. LAVR (AVR in mon.) PR, nel-
l'esergo PA. E. Due operai uno che par comandi, l'altro, che
sta in atto di coniare sull'incudine a colpi di martello : di
sopra D S S, a sin. MIL, nell'esergo S. Nel n. 6 v'è la sola dif-
ferenza della formola SPDD invece di (SP)DSS. 11 nome del
pretore Q. Laurenlius non fu bene espresso dal Blacas che
nel frontispizio della Uisloire de la monnaie t. I pose:
Q ■ LAR • PR. La formola suindicata si leggerà Signatum
Paesti Decreto Decurionum, ovvero Signatum Paesti De Se-
natus Sententia e dal conft-onto si dedurrà che il Senato
si è quello di Pesto, i membri del quale più comunemente
si appellano decurioni.
7. Coli. mia. Teste congiunte dei due Dioscori enti-o corona
volti a d. a sin. C ■ LAI. E. Spiga ira due globetti e la
leggenda bEX XXXX. Si è letto finora e si legge tuttavia
LEX, ma sta di fatto che nel mio ben conservato esem-
plare la prima lettera è un b e non un L. La stessa le-
zione chiara e netta mi dà mi esemplare del Museo San-
. tangelo. Pare che siasi battuto questa volta il bronzo col
metallo raccolto per una imposta, che qui si dice la qua-
dragesima, simile in ciò alla tassa detta quadragesima Gal-
liarum. Il monogramma precedente composto di due L deve
dissimxilare una formola, p. e., lege lata.
8. CoU. mia. L-ARTV C- COMI T\ VIR la quale epigrafe è ri-
petuta al riverso. Eicorre qui il L. Artuenus e il C. Co-
minius del bronzo 22 tav. CXXII.
9. Coli. mia. Testa diademata a d., dietro la nuca im globetto
E- Ferro di tridente. Il nome etnico manca.
10. Coli. mia. Delfino. E. Ferro del tridente. Manca il nome
della città.
11. CoU. mia. Ampolla di olio pel bagno o la palestra. E.
Striglie. Manca il nome di Pesto.
12. Coli. mia. Svargah^y-vdov, ossia ampolla e striglie. E. Eamo
di palma e fiore gigliaceo.
13. Coli. Santangelo {Catalogo 4604). Testa di Minerva (P)AE.
E. Caduceo fra due lettere NI.
14. 15. Coli. mia. Testa di donna coi capelli raccolti alla cer-
vice volta a d. e al n. 15 a sin. M!^EIA • W\ ■ F. E. Edi-
fizio con porta finestre e doppia gronda l'una in capo al
piano terreno e l'altra sul piano superiore; a d. e a sin.
P S S C, cioè Paesti signatum Senalus consulto. Comincia
di qua la nuova formola S C senatus consulto, e deve
intendersi che fosse il Senato pestano.
16. Parigi, Gab. delle medaglie (Mom.-Blac. H. de la mon.
Ili p. 220). Testa di Augusto volta a sin. e ha dinanzi
il lituo augurale. E. Intorno una laurea e dentro in giro
M ■ EGNATIVS • Q • OCTAVI(VS II VIR): nel mezzo PAE2 (PAE
in mon.) S ■ S • C. Il P ■ quindi si è con sicurezza spiegato Pae-
sti e in conseguenza 1' S, si è ben interpretato Signatum.
17. Coli. mia. Testa nuda di Augusto volta a d. dinanzi è il
lituo augurale. E. Cerere assisa con patera nella d. e
groma agrimensorio al quale si appoggia colla sin. intorno
si legge: C ■ LOLLl M- DOI II VIR; nell'esergo PSSC.
Non è stata mai finora definita la natura dell'asta che la
dea ha nella sinistra; ora ben osservata si scorge, che ha in
cima il decusse, ossia groma, del quale rimangono due sole
estremità nel conio. Il Gerhard non ha quindi ragione di
averlo definito per imagine della Bona Dea fAbandl. der
Beri. Akad. 1847, t. II p. 471 segg.).
18. Coli. mia. Testa laureata volta a sin., dinanzi il lituo au-
gurale. E. Lam-ea e dentro Q • OCT /V\ ■ EGN -li VIR ■ S •
P • S • C. In altro mio esemplare il nome del duumviro
M ■ EGN precede quello del collega Q • OCT.
19. Coli. mia. Testa laureata volta a d., davanti il lituo augu-
rale. E. Laurea colla epigrafe del n. 18.
20. Coli. mia. Testa nuda di Augusto a d., dinanzi il lituo au-
gurale. E. Diana con lancia ed arco e faretra sull'omero
sinistro. Intorno C • LOLLl M • DOI iT VIRI (IR in mon.) ITE:
nell'esergo P • S ■ S • C .
21. Coli. mia. Testa di Tiberio laureata volta a d. in mezzo
alle sigle PS SC. E. Vittoria con palma e corona a d.,
intorno L • LICIN(IVS ll)VIR.
22. Coli. mia. Testa laureata di Tiberio a d. e ivi P S a d.
S C. a sin. E. Marte con elmo, asta e parazonio: intorno
A \ERGILI (OP)T II VIR.
28. Coli. mia. Testa laureata volta a sin. fra le lettere a sin.
S C P S. In altro esemplare la testa è volta a d. e le let-
tere sono a sin. P S, a d. S C. R. Marte con elmo, vessillo
militare e parazonio: intorno A ■ \£RGILI OPT II VIR.
24. Parigi, Gab. delle medaglie. Testa laureata di Tiberio a
d. e P S S C. R. Pileo flaminico e intorno L • CAEL • CLEM ■
182
LUCANI
T. CXXIY
FLA TI • CAESAR. Il Borghesi lesse male (Oeuvr. Voi. Vili
p. 239) TI • CAESI • L ■ CAEL • CLEM • FLA e però tenne L.
Celio per flamine di Augusto che vi sottintese; e non po-
tendo ammettere piìi di un flamine, dichiarò doversi an-
che sottintendere che L. Celio con Tiberio Cesio fossero
duumviri.
25. Museo di Napoli. Testa laureala di Tiberio a d. e P S S C.
R. Quadriga volta a sin. : intorno : L ■ IVL • FEL • FLA • TI •
CAESAR • AVG. Al Carelli non riesci divinare il soggetto del
riverso (Tab. CXXXV n. 110) e neppure la iscrizione. Il
Cavedoni ha poi richiamata qui la interpretazione delle
sigle P S, che è Plebi Scito data da lui nel Bull. arch.
napol. II p. 118 ; ma ora sappiamo che P è sigla del nome
della città, e però S non si spiega scita, ma signatum.
LUCANI
La tribti dei Lucani stanziò in prima alle radici del Gar-
gano in quelle terre che poi occuparono gli Atinati (Plin. Ili,
IX, II), notizia dataci dal solo Plinio. Indi mossero guidati,
si crede, da un Lucio (Plin. Ili, X, 1). I Latini dissero la
loro terra LOVCANA {Syll. 889) , i Greci generalmente
li chiamano XavxavoC, essi appellansi XovxavoC e Ivxiavoi.
Fortunati nelle conquiste, erano giunti a Lao nelP anno
328, con che Aatioco siracusano dà termine alla sua storia:
trent' anni dopo, quando nel 359 i Greci della Enotria e
quei del golfo di Taranto conchiudono fra loro un' alleanza
difensiva contro Dionigi il vecchio, vi aggiungono ancora
questi nuovi loro nemici, i Lucani. L'anno 362 i Turii furono
i primi che mossero contro e diedero loro battaglia presso
il sepolcro di Dragone nelle vicinanze di Lao, la quale
città i Lucani intendevano stringere di assedio: Bovló^asvoi,
scrive Diodoro (XIV, 101) Aùov rcòXiv svSai'iiora nolioQxrj-
am. Ma i Turii si ritirarono battuti e i Lucani procedendo
oramai senza ostacoli distesero il loro dominio occupando da
un lato Posidonia circa il 363 e dall'altro allargando le loro
conquiste verso il golfo di Taranto. Questo stato di cose
durò fino al 399, nel quale una parte dell'esercito rivolse
contro loro le armi e guadagnata la battaglia si resero in-
dipendenti e si diedero il nome di Brezzii. I Lucani allora
si volsero alle città greche indebolite pei danni loro fatti
dal vecchio Dionisio e dopo varie vicende di guerra, nelle
quali vennero in loro difesa il re spartano Archidamo e Ales-
sandro il Molosso, nel 429 riuscirono ad impadi-onirsi di
Eraclea, di Pandosia e di Crimissa, avanzandosi fin sotto
le mura di Metaponto, ma ne furono respinti dal valore
di Cleonimo. V'è un didramma che porta il nome AOYKA
(tav. CXXIII, 26) invece di META come in altro simile
di Metaponto (CIV, 18). A cotesta moneta il sig. Imhoof-
Blumer ha stimato che si dovessero aggiungere altre due,
portanti lo stesso tipo (CXXIV, 2, 3), se non che l'elmo
della Pallade è attico e la leggenda AYK in monogramma.
Stando alle note regole, credo, che la prima si debba
considerare quale alleanza con Metaponto, e mi pare che
nelle altre vi abbia parte anche Turio, argomentandosi
dalla Pallade di Tm-io e dalla spiga di Metaponto. Del
resto i Lucani coniano il solo bronzo e a nome della na-
zione dividendo la maggiore unità in quarte e ottave
parti.
26. CoU. Dupré a Parigi. Testa di Pallade con lunghi capelli
annodati coperta di elmo corinzio volta a d. R. Spiga di
grano dalle cui foglie spicca il volo un uccello; a sin.
AOYKA.
27. Testa della Vittoria volta a sin. R. Giove con scettro nella
sin. fulminante a d. : di dietro AOYKANO/V\.
28. Testa della Vittoria coronata di palma coi capelli legati
in ciuffo sul vertice coi pendenti agli orecchi volta a sin.,
dinanzi NIKA. R. Giove con scettro nella sin. fulminante
a d. : presso alla testa lEVS, a sin. AOYKANO/V\. L'at-
titudine del Giove è quale si conviene a chi vuol lanciare
con effetto, e come Omero scrisse di Ettore, che dando
un gran passo, perchè gli andasse bene il colpo, scagliò
la grossa pietra: {II. XII, 458): Ev dia^àg Iva /i-i} ot
ù<favQÓ%SQOv ^éXog ili].
29. Il tipo è lo stesso che nel n. 28 : ma vi si legge soltanto
AOYKANOM.
30. Coli. Sant. (Cato/. 3451). Testa di Minerva a sin. con elmo
corinzio. R. Civetta e intorno AOYKANOM.
31. Nel Kircheriano. Testa di Giove laureata volta a d. R.
Aquila sul fulmine quasi di prospetto e ad ali aperte:
intorno AOYKANOM.
32. Testa di Marte volta a sin. R. Vittoria con palma nella
sin. che corona im trofeo.
33. Testa di Marte con grifo sulla cocca dell'elmo corinzio.
R. Donna in doppio chitone ornata di elmo trifale, imbrac-
ciando un clipeo eoa la lancia rivolta a terra e appoggiata
al braccio sinistro muove il passo a d. e volta di pro-
spetto pare inviti i Lucani a seguirla : a sin. AOYKANOM.
La maniera d'imbracciare lo scudo tenendolo fermo colla
destra dimostra vera la congettura del Cavedoni [Bull.
cit. p. 200) che Pallade voglia spaventare i nemici col
fulgore di quella sua arma (Virg. Aen. IX. 733).
Tav. CXXIV.
1. Mia Coli. Testa di Pallade coperta di elmo munito di ale
e coronato di laurea volta a d. R. spiga di grano e in-
segna di una clava posta sopra una foglia del gambo. Questo
nummo al pari dei due seguenti si danno a Metaponto.
Ma non si è considerato che Pallade metapontina porta
sempre l'elmo corinzio e non v' è finora che un solo esempio
dell'elmo attico, però sul bronzo. Di piìi l'epigrafe etnica
pili 0 meno accorciata non manca mai.
2, 3. Mia coli. I tipi sono i medesimi della precedente, sol-
tanto v' è nella dramma del n. 2 il monogramma AK e in
quella del n. 8 vi si legge un t; ; nei quali sembrano es-
sere aggruppate le lettere AYK che si possono compire col
nome dei Lucani grecizzanti, AYKjkvmv cioè, Avxsiavwv.
E notevole che costoro abbiano trasformato il AOYKANOM
in AYKIANnN confermando così che il loro AOYKOS è
T. CXXIV
BRUTTII
183
lo stesso die il AYKOS dei greci, e che la protome del
lupo tì allude.
4. Testa muliebre diademata coi capelli raccolti e legati sul
vertice: ha due ali intorno al collo. R. Giove nella biga
di cavalli volti a destra e lanciati a gran corsa, avendo
neUa sinistra le guide e lo scettro, fulmina colla destra:
di sotto ai cavalli v' è l'insegna di una testa di lupo, nel-
l'esergo si legge AYKlANilN.
5. Testa di Ercole coperta dalla pelle di leone volta a d. R. Pal-
lade coperta dell'elmo triphalos in tunica lunga e cipassi
avendo la lancia appoggiata all'omero sinistro e imbrac-
ciando il clipeo mentre muove il passo a destra voltasi a
sinistra e sembra invitare i suoi popoli a seguirla. Ancor
qui si vede ripetuta per insegna una testa di lupo : a si-
nistra si legge: AYKIANilN.
6. Testa di Giove laureata volta a d. alla nuca v' è un ferro
di lancia. R. Aquila ad ali spiegate posta di prospetto e
riguardante a destra intorno è l'epigrafe AYKlANilN.
BEUTTII
Siamo ancora in molla tenebra intorno alla origine dei
Brezzii. Diodoro di Sicilia e Strabene raccontano che circa
il 395 formavano parte dell'esercito invasore dei Lucani ;
ma ribellarono, e dopo un sanguinoso conflitto venuti ai
patti si divisero le terre conquistate, rimanendo essi in pos-
sesso di quelle che erano a mezzogiorno di Lao e si chia-
marono Brezzii, o sia SgansTcct, secondo Diodoro, perchè
in gran parte fugitivi dei loro padroni, i Lucani.
Essi adunque si stabilirono in republica e presero ad
allargare le conquiste cominciando dall'occupare Terina,
Ipponio, e molte altre città fra le quali Diodoro novera
Turium: ma questa città deve invece essersi conquistata
dai Lucani. Capitale di questo nuovo stato fu Cosenza dove
apersero una zecca pei tre metalli che furono coniati a nome
della nazione. Le città di Orsentum, Mesma, Nucria, Hip-
ponium, Petelia, e la stessa Cosentia coniarono nel solo
bronzo e in greca lingua e letteratura, come i loro do-
minanti.
7. Testa di Nettuno barbato e cinta di diadema volta a sin.
di sotto al collo un delfino. R. Teti velata sedente sopra
un ippocampo che va a destra, mentre un amorino stando
in piedi su di una voluta della sua coda saetta a sin.: a destra
è un astro e nel basso l'epigrafe BPETTIIIN. Pesa gr. 4, 31.
8. Testa di Ercole barbata e coperta dalla pelle di leone volta
a sin., alla nuca è la clava. R. Vittoria in biga corrente
a d. in atto di guidarla tenendo in mano la frusta : di sotto
ai cavalli è un serpente che si drizza : nell'esergo BPETTIilN.
Pesa gr. 2,15.
9. Testa d'Ercole giovane diademata e volta a sin. alla nuca
è la clava, e sotto del collo uno scorpione. R. Vittoria
alata stante in piedi con ramo di palma nella sinistra e
fulmine nella destra : dinanzi a sin. è un timiaterio o in-
censiere, a destra BPETTIilN.
10. Mia coli. Testa di Apollo laureata e volta a d. alla nuca
una testa di toro. R. Diana stante in tunica ricinta di pro-
spetto con teda nella sin. e freccia nella d. avendo da
presso il cane da caccia che solleva un piede stando sulle
mosse e la guarda : in alto a sin. un altro, a d. BPETTIilN.
Pesa gr. 2,20.
11. Mia coli. Testa di Pallade coperta di elmo corinzio ornato
di cresta e di un grifo corrente sulla cocca volta a d.
R. Aquila ad ali aperte stante sopra fulmine volta di terzo
a sin., a destra un timone col suo manubrio, a sin. BPETTIilN.
Pesa gr. 2,20.
12. Eircheriano Busti accoppiati dei Dioscori coperti del pileo
nautico coronato di lauro sul quale pende la propria stella
e con la clamide affibbiata sul nudo omero destro. R. I due
gemelli cavalcano di galoppo levala in alto la mano, elata
prospere dextra, e sono accompagnati dai due astri che
rifulgono sul loro capo coperto dal pileo acuminato lor
proprio : nel campo di sotto dei cavalli è un pugnale nudo,
nell'esergo BPETTIilN. Il peso di questo nummo è di
gr. 3,60.
13. 14. Il 14 è nella mia coli. Testa della Vittoria cinta di sfon-
done coi capelli raccolti e legati in ciuffo al vertice, pen-
denti agli orecchi, le due ali presso il collo, e lembo della
tunica, alla nuca è un serpente. R. Pane stante in piedi
dalla cui fronte spuntano due corna. Egli, coUa destra si fa
solecchio : ha capelli lunghi e sciolti, talvolta sparsi, una
clamidetta sul braccio sinistro e in mano un dritto bastone :
nel campo a d. del n. 13 è un incensiere e di sotto la let-
tera r, in quello del n. 14 è invece un serpe e di sotto
un ^: a sin. si legge BPETTIi)N. I due esemplari pesano
gr. 1,10; 1,20.
15. Testa velata di Teti cinta di sfendone con lo scettro allato
al collo e alla nuca un' ape e pendenti agli orecchi volta
a d. R. Nettuno stante in piedi nudo col piede destro
sopra un capitello gionico appoggia il braccio su quella
coscia e la sinistra dalla qual parte vola una colomba por-
tando una corona: a destra si legge BPETTIilN. Pesa gr. 4,70.
16. Testa di Marte barbata e coperta di elmo corinzio ornato
di cresta e di grifo sulla cocca, volta a sin. R. Pallade
che va verso la destra con elmo, clipeo ed asta e attenen-
dosi colla destra all'orlo del clipeo guarda di prospetto:
presso al pie' sinistro è un monogramma A^.
17. Testa di Ercole giovane coperta della spoglia del leone
volta a d. alla nuca un pugnale. R. Pallade con asta, clipeo
ed elmo muove il passo a destra volta di prospetto: nel
campo a d. un aratro, a sin. BPETTIilN.
18. Testa di Giove laureata volta a d. R. Aquila ad ali aperte
sul fulmine volta di terzo a sin.; intorno BPETTIilN.
19. I tipi sono gli stessi del n. 18 ma la testa di Giove è dentro
una corona di lauro e presso l'aquila del rovescio a sin.
y' è una lira : l'aquila non poggia sul fulmine.
20. Testa di Marte barbato coperta di galea corinzia ornata di
cresta e di grifo sulla cocca volta a sin. R. Vittoria alata
con, palma nella sin. che incorona un trofeo composto di
elmo, corazza, gambali, clipeo ed asta : nel campo framezzo
un'ancora: a d. BPETTIHN; in alto una luna crescente.
184
SUPPLEMENTO
T. CXXV
21. Mia coli. Testa simile alla precedente n. 20 e così il ri-
verso nel quale cambia solo l'insegna monetale ponendosi
qui nn cornucopia in luogo dell'ancora. Ma nel dritto tì
si Tede sotto il coUo una spiga di grano, e alla nuca
tì stanno due globetti. Pesa gr. 15,30.
22. Testa di GioTe laureata volta a d., alla nuca un fulmine.
R. Marte nudo armato di galea, clipeo ed asta è in atto
di aTventarsi contro il nemico : da presso il pie' sinistro è
una civetta che vola. Sul clipeo porta per insegna un ful-
mine, a sin. BPETTIilN.
23. Testa della Vittoria coi capelli cinti dalla sfondone raccolti
e legati sul Tertiee da una tenia le cui estremità pendono
sciolte : davanti a sin. vi si legge NiKA. R. Giove con iscettro
nella sin. avventa il fulmine a destra : a sin. vi si legge
BPETTIilN.
24. CoU. Sant. 1 tipi medesimi della precedente: ma la Vit-
toria ha presso il coUo un' ala, e le si legge davanti a sin.
NIKA TiMilN: nel riverso a d. v' è un delfino.
25. Coli. Luynes. Testa laureata di Apollo volta a sin. alla nuca
un tripode. R. Vittoria che guida una biga elevando la
frusta: nel basso un fulmine; nell'esergo BPETTIilN.
26. Testa diademata della Vittoria coi capelli raccolti e anno-
dati sul vertice, pendenti agli orecchi, nastro al coUo, ala
alla nuca volta a sin. R. Gìoto con scettro nella sinistra
guida la biga fulminando a sinistra: nell'esergo BPETTlilN.
27. Mia coli. Testa di Teti coperta dalla spoglia del gran-
chio marino volta a sin. R. Granchio marino e l'epigrafe
BPETTIilV.
28. Mia coli. Testa giovanile con lunghi capelli coronata di
spighe di grano volta a sin., alla nuca spiga di grano.
R. Granchio marino : in alto cornucopia e nel campo
BPETTlilN.
29. Mia coli. Testa di Pallade coperta di elmo corinzio volta
a sin. R. Civetta stante di terzo e intorno BPETTlilN.
30. Mia coU. Testa di Ercole giovane coperta dalla spoglia di
leone volta a sin. R. Arco e clava e intorno BPETTlilN.
31. Avellino, Opusc. Il, tav. TV, 14. Busto di asino, ovvero di
mulo volto a d. R. Aratro e di sotto BPET.
SUPPLEMENTO
Correva già il terzo anno dacché mi erano state incise le
tavole LXXII e LXXIII nelle quali aveva raccolto quanto mi
era venuto alle mani di monete etrusehe coi tipi della Gor-
gone, della Pallade e dell' Ercole, quando venni in possesso
di quasi tutto un deposito di monete d'argento trovate nei
pressi di Sovana dalla parte che guarda Saturnia distante
solo dodici miglia, il quale a quanto mi fu detto da principio
contava 116 monete. Io ne ho avute cento e due ; delle altre
quattordici, otto sono state offerte al march. Strozzi, che ne ha
scelto solo tre. I. Testa di Pallade. 7?. La leggenda ch'è l'u-
guale a quella del n. 9 di questa tavola. II. La Gorgone con
al rovescio l'avanzo della leggenda ^ V ... A che è intera nella
mia del n. 1. III. Testa di Apollo a sin., e al rovescio due
circoli tangenti con lettere in entrambi. Le lettere sono 'IV
in un circolo e A nell'altro e ci si conferma che questi nummi
sono di Pupluna come si può dedurre dall'averi! trovati in nu-
mero di diciotto nel ripostiglio di Sovana, e soltanto essi. Noi
li potremo dunque chiamar dramme, avuta la metà incirca del
tipo di quei che portano per tipo la gorgone, che per analogia
diciamo didrammi.
I didrammi col tipo della Gorgone o sono lisci al rovescio
ovvero hanno iscrizioni simboli e segni.
Sono lisci trentotto, sono inscritti dieci : in quattro vi stanno
linee decussate, dieci hanno il polpo, uno il caduceo, uno il pa-
pavero, uno il cornucopia, tre hanno segni non ancora certi.
I didrammi lisci col tipo della Pallade sono due, sette hanno
iscrizioni. Di quei col tipo di Ercole uno solo ha la clava al
riverso e un'altro una fistula o siringa pastorale.
Le diciotto dramme sono tutte lisce, quattro di esse hanno
per tipo la testa muliebre, dodici la giovanile.
Tutte le iscrizioni di cotesto monete portano il nome di
Populonia : intanto la provenienza dimostra che ebbero corso in
Sovana e probabilmente in agro Caletrano: perocché la colonia
Saturnia fu in quel campo dedotta dai Romani nel 519 (Liv.
L. XXXIX): Saturnia colonia civium romanorum in agrum
caletranum est deducta. L'antica città che occupa il luogo dove
i Eomani l'impiantarono, e doveva essere stata distrutta, se il
suo territorio era stato aggiudicato ai Caletrani. Pu città abitata
dagli Aborigeni e dai Pelasgi (Dion. Halic. L. I), indi cesse agli
Etruschi e poi ai Eomani. Non è certo se i Eomani risusci-
tassero il nome primitivo, ovvero se essi glie lo imposero come
pare a me : solo sappiamo che chiamavasi Aurinia e fu poscia
appellata Saturnia.
Da tutto cotesto deposito etrusco, il maggiore e piìi ricco di
quanti si sa essersi scoperti nei tempi andati, ho scelto quei
pezzi che mancavano alla mia opera ovvero non vi erano sì bene
rappresentati e ne ho composto il supplemento con piccola
giunta di altre monete, che mi sono venute quando erano già
incise le taTole, dove si sarebbero dovute porre. Di poi ho giu-
dicato di dare un saggio di monete omesse nell'opera perchè
male attribuite nei cataloghi e nelle opere di numismatica alle
città d'Italia, ovvero perché foggiate da moderni e per qualche
tempo citate e commentate come genuine, ovvero che tuttavia
si tengono per tali.
Tat. CXXV.
1. Populonia. Testa della Gorgone veduta di prospetto coi
capelli sciolti e a lingua sporgente : di sotto è la nota del
valore XX. R. Nel centro una luna crescente con un ferro
di tridente: intorno AMA (>l'l)V'l e nell'intervallo due stelle a
quattro raggi che hanno tramezzodue globetti verticalmente
posti. Pesa gr. 7,50 ed è alquanto usato. Questo nummo
fu già pubblicato dall'Eekhel che ne trovò un esemplare nel
Museo granducale di Firenze: Num. vet. p. 10: ma non
vi notò che un solo X al dritto e pose un simUe X al ri-
verso, dove è invece un astro a quattro raggi ; il resto man-
cava per difetto di conio. Il CareUi lo riprodusse tab. VII, 3,
al qual luogo il Cavedoni annotò che l'ultima lettera fu forse
T. CXXY
SUPPLEMENTO
185
un V e cilò il Millingen il quale scrisse (Coiisidérat. p. 166)
che « l'Eckhel s'era inganaato quanto alla quarta lettera che
aveva presa per un A, ma che era un V mal figurato ».
L'Eckhel non si ingannò, e il Museo di Parigi conserva un
secondo esemplare non conosciuto finora e da me pubblicato
nella tav. LXXII n. 15. A cotesti due esempiine aggiimgo
un terzo : avverto inoltre che nella mia collezione ne serbo
altri due con tale leggenda: fll/lfl>l'1V'1.
2. Testa simile alla precedente : di sotto vi si conservano le
due decine X:X, con in mezzo i due punti verticali. R.
\A\/-i(t> nel mezzo in lettere di rilievo. Pesa gr. 7,80. La
leggenda dice Phtun dove l'ultima lettera non è compita.
È notevole la sostituzione del (J) al 8 ovvero al A in questa
voce.
3. Testa simile alle precedenti, ma porta in capo una corona
composta di un diadema con in fronte sei foglie articolate.
fì. Polpo a sette tentacoli: in alto a destra sono indicati due
piccoli polpi e a sin. il manico di un ferro di tridente: pesa
gr. 7,70.
4. Testa simile alla precedente: di sotto le due decine ser-
bate dal conio. R. Polpo e di sopra due altri polpi ma
piccoli: a sin. vi hanno tra mezzo due tridenti. Era noto
il polpo sui rovesci delle monete di Populonia e ne aveva
ancor io dato un saggio nella tav. LXXII n. 14: ma il
deposito di Sovana ce ne ha dato dei migliori e ornati
dei tridenti che mancano in quelli. Viene qui opportuno
il dire, che per questa scoperta dei piccoli polpi si può
spiegare il rovescio di una moneta pubblicata dal Mieali
Ital. av. i Rom. Tav. LIX n. 3 e riprodotta dal Carelli (Tab.
VII, 6), sul cui rovescio sono rappresentati quattro piccoli
polpi. Il nostro deposito ha inoltre dato altre sette monete
con questo simbolo in ciò notevoli che talvolta del grosso
polpo mancante, perchè uscito fuori di conio, rimangono
due soli tentacoli che occupano tutto il campo. Il peso di
questa moneta è di gr. 8,10.
5. Testa simile alla precedente, ha però un semplice diadema
intorno ai capelli. R. Papavero silvestre e tracce di og-
getti incerti. Pesa gr. 8,35.
6. Testa simile a quella dei nn. 3, 4. R. Cornucopia in ri-
lievo assai basso. Pesa gr. 8,10.
7. Testa simile ai nn. 1, 2 : di sotto al mento le due decine
stanno in mezzo a due delfini. R. Vi si vede un caduceo.
I didrammi con al riverso due caducei ci erano noti (Tav.
LXXII n. 13), ma qui inoltre vi si vedono delle tracce di
epigrafe 'ìY-l appartenenti al primo conio. Pesa gr. 8,20.
8. Testa di Pallade posta di terzo a sinistra coperta di elmo
triphalos con l'aggiunta di due penne sulla cocca allato
alla cresta di mezzo. Ha i capelli sparsi e porta orecchini
e ricco monile al collo. A sin. v'è un delfino e le due decine
dal lato destro. R. Luna crescente e dentro un astro a
quattro raggi: intomo vi si legge in cerchio fMV>l'lV'1.
Pesa gr. 7,70. Questa leggenda si ha per metà in altro
esemplare.
9. Testa che dovea essere simile alla già descritta n. 8 se fosse
riuscita ben espressa dal conio : ma invece guadagniamo ima
nuova leggenda del rovescio, un cui preludio si è avuto finora
nella monca epigrafe del nummo borgiano da me dato e per
congettura supplito nella Tav. LXXII n. 30. Vi si vede
in mezzo una luna crescente con un astro nel centro for-
mato di sette globetti intorno ad uno centrale: l'epigrafe
si legge: ^NI:^V^UVNfl:^E5. La stessa intera leggenda si
ha sopra altri due esemplari di mia collezione e sopra
un quarto del medesimo ripostiglio acquistato dal March.
Strozzi : per metà poi in altri due miei. Il peso di questa
che do incisa è di gr. 8,30.
10. Testa giovanile di Ercole posta di fronte con la prima la-
nugine alla guancia e coperta dalla pelle del leone. R.
Pistula pastorale composta di canne decrescenti a destra.
Pesa gr. 8,30. Tre esemplari simili a questo si sono avuti
dal ripostiglio. Un esemplare di recente acquistato dal
March. Strozzi, ma a rovescio liscio, pesa gr. 8,38.
11. Testa giovanile di Ercole coperta dalla pelle di leone : la
contrazione della bocca rassomiglia quella delle Grorgoni,
ma non ha la lingua sporgente : invece sul mento si legge
di rilievo la lettera retrograda 3. R. Clava in campo liscio.
Pesa gr. 8,20. Due simili lettere in rilievo sono state os-
servate e diligentemente notate dal sig. Imhoof-Blumer sui
corpi degli animali, alle quali si aggiunga la E sul corpo
del mezzo leone di Velia (Tav. CXVIII, 25) : ma è nuovo
del tutto il vedersi ora sul mento di Ercole. Gli Eretriesi
di Eubea sul campo delle monete segnavano una 3 iniziale
del loro nome.
12. Coli. Strozzi. Faceva parte della collezione del Can. Andrea
Iorio in Napoli : indi si possedette fin dal principio di questo
secolo da una illustre famiglia fiorentina; mi scrive il
sig. marchese Strozzi. Ippocampo a d. sotto A, intorno
giro di puntini. R. Quattro astri in gruppo appena visibili
nel resto forse liscio, di gr. 2,75. Il peso che è maggiore
del doppio dei due quinari! di Pelsina (LXXI, 12, 14) e
del terzo esemplare edito qui al num. seg., darebbe un
intero di grammi 5,50 e un multiplo di gr. 11,00. Al qual
sistema si accosta quello degli aurei dei Cartaginesi in
Sicilia, la cui unità maggiore è di gr. 10,94, - 10,14, e
si divide in seste.
13. Coli. Strozzi, trovata fra Orvieto e Bieda. Testa di donna diade-
mata con pendenti e collana volta a d. dinanzi al collo A.
R. Cane corrente a destra, nell'esergo \/^<J31, di sopra del
cane A. Pesa gr, 1,140.
14. Coli. Borghesi (Cato/., MiL 1881 tav.). Simile al nummo
publicato qui (tav. LXXXII, 28), ne differisce solo nella epi-
grafe aggiungendo un I in PALACINVS, che manca in PA-
LACNVS. Kimane quindi che Palacnus sia per sincope nato
da Palacinus, stando poi fermo che ambedue equivalgono
a Palanus.
15. Museo di Catanzaro. Tripode e a d. 9PO. R. Gallo e di
sopra la leggenda IM. Nella tav. CIX n. 21 ho dato un
nummo con questi tipi ma nel rovescio la leggenda si è
VVI. Nelle monete di Imera dalMionnet si è letto VUI
{Suppl. pi. IX, 36), altri vi ha letto VU, quasi sempre
scritto V>l, e in un esemplare del Museo Britannico VAV
186
SUPPLEMENTO, ATTKIBUZIONI
T. CXXV
{Catal. p. 77 n. 20). Questa leggenda crede il Mommsen
{H. de la monn. I, p. 280) non sia stata ancora spiegata.
Ma si è pur detto che con tal nome sono indicati gli
hyllenses, gente illirica denominata seconda Apollodoro, da
Hyllus figlio di Ercole (Eustatli. ad Dionys. v. 384 (cf. Ste-
phan. byz. s.T.) Da questa nuova moneta dove la leggenda è
IM apprendiamo che la citata moneta con VVI deve leg-
gersi esternamente IM, appartenendo ancor essa ad alleanza
di Crotone con Imera.
16. Coli. mia. Le due simili monete del gabinetto di Parigi
publicate dal Kochette (Mém. numism. pi. I, 3, 4) mi hanno
indotto a far incidere questa mia, perchè meglio conservata.
È a doppio rilievo, ha un 3 fra le gambe del giovane nudo
che agita la frasca, e a sin. le iniziali ••A>l di Caulonia.
Sul rovescio il OE fra le gambe del cervo è iniziale del-
l'artista del conio: sul labrum o vasca d'acqua, simbolo
noto di una fonte, v'è un'oca che batte le ali, creduta cigno
dal Kochette (p. 20). Un recentissimo acquisto di un se-
condo esemplare simile al già, inciso dal Kochette n. 3,
dove a destra del giovane si vede che quel garbuglio di
linee dell'esemplare parigino è ima sedia forse votiva, al
riverso pare che sia venuto a dissipare le tenebre che re-
gnano intorno alla spiegazione del tipo. Io me ne sono
giovato nel testo modificandolo a seconda della iscrizione
KOKIN. . che si legge sul capo del giovane agitante la frasca,
nel quale parevami dover riconoscere la personificazione
del fiume che scorre per la valle di Caulonia, ed ora vedo
che in quella vece mi si rivela la personificazione del pro-
montorio Cocinto che col soccorso dello Zefiro agitando
la frasca purgano l'aria soifocante e mal sana della valle
[avXcSv), nel cui mezzo Caulonia era sita. Il cervo sacro
a Cocinto e la fonte di acqua sono episodii convenienti al-
l'azione del nume e a quella quasi lustrazione della valle.
17. Mia coli. Il tipo di cotesta moneta è quel medesimo, che
d'ordinario si ha sopra le monete incuse di Caulonia : la
figura che agita la frasca è diademata e il figurino che
corre sul braccio disteso di lei agita due frasche ciascuna
in ima mano : dal piano dove posa il cervo spunta un
germe di piantolina che sembra di lauro. Sopra tutto però
importa la leggenda a minutissimo carattere intorno alla
testa che esaminata a doppia lente sembra dire IKETESI(A)
(= IKETHPIA) col qual nuovo vocabolo mi pare che i Cro-
toniati volessero esprimere le solenni supplicazioni allo
scopo di ottenere quel benefizio dal Cocinto di purgare e
rinfrescare l'aria insieme col Zefiro. L'S messa per P in
Caulonia non deve recar più sorpresa che l'O per £1 in
KavXoi'iàTìjs di alcune sue monete.
ATTRIBUZIONI EKRONBE 0 INCERTE
(Tav. CXXV).
1. Carelli, tab. CV n. 80, 31. Testa di arcaico stile volta a
d. a rovescio incuso. Il- mio disegno è tratto da un esem-
plare della coli. Lovatti. Trovato in terra d' Otranto, e
però attribuito a Taranto ; ma cotesta città non ha moneta
incusa.
2. Museo di Vienna. Busto nudo muliebre galeato a sin. da-
vanti tre globetti. lì. Cornucopia tra le lettere AO in co-
rona di lauro. Si atti-ibuisce alla Locri epizefiria : ma forse è
di Aoyytiivri in Sicilia, o di altra città che cominci da Ao:
certo non è di stile e di arte italica.
3. Museo di Propaganda. Busto di Pallade coperta di elmo
corinzio e volta a d.; davanti in lettere ben conservate
ATJNilN. i?. Nave a remi priva di alberi e senza ro-
stro, con le due estreme parli della poppa e della prora
ritonde e volte in dentro. In Italia vi furono due città di
nome Atinum, l' una volsca, l'altra lucana, ma ambedue
rimote dal mare: vi furono gli Atìnates Vauni, dei quali
parla Plinio, dove scrive che di tre generi erano gli Apuli,
i Danni, cioè, i Teani e i Lucani, e che costoro furono
soggiogati da Calcante il cui luogo tengono ora gli Ati-
nati: Lucani subaoii a Calchante, quae loca nunc tenent
Alinales. Ai tempi di Strabene (p. 233) mostravasi il se-
polcro di Calcante sulla collina Dryon del G-argano (VI, 3. 9).
Ma i busti di Pallade sono ignoti alla numismatica del-
l'Italia e la forma della nave non vi ha verun confronto.
4. Testa di donna coi capelli rivolti e legati alla cervice dalla
tenia o diadema. R. Testa di leone ruggente volta a d.
Cotesta moneta non ha che qualche analogia coi tipi ve-
liesi, nei quali del resto non la sola testa della fiera si è
finora mai veduta di profilo, e neanche v'è esempio della
epigrafe omessa, se non nelle sole incuse, alla qual classe
essa non appartiene per essere a doppio rilievo. Lo stile
è anche superiore in finitezza a quelle solite coniarsi in
Velia. Si trova invece una moneta di tal foggia publicata
dal Duchalais e attribuita a Guido {Recherchen sur guel-
ques points de Vhist. numism. de la ville de Guide, pi. VIII,
n. 3, 4, 4): Egli è vero che, come anche il sig. Poole mi
scrive, lo stile di essa è diverso da quello della moneta
di Guido : ma non perciò lo daremo a Velia che ha piìl
gravi ragioni da non accettarla.
5. Coli. Hunter, tab. 44, XV, nella Università di Glasgow.
Testa di leone veduto di faccia di stile rozzo. B. Quadrato
incuso e diviso in quattro triangoli dalle diagonali decus-
sate. L'ha il Carelli nella tav. CXCII, 6 , dove l'attribuisce
a Reggio di Calabria. Essa invece pare a me moneta di
Panticapeo, dalla quale sono state emesse monete che hanno
il tipo e lo stile simile a questo. Reggio non ha mai co-
niata moneta con quadrato incuso, e senza il proprio nome.
6. Testa barbata laureata, forse di Nettuno volta a sin. B. Ca-
vallo a d. fra le gambe un T; credesi che sia di Taranto, ma
non ve ne ha certezza.
7. Coli. Hunter. Testa di Pallade coperta di elmo corinzio
volta a d. B. Civetta di prospetto e a d. un vaso e i glo-
betti del triente ; a sinistra poi la leggenda VALENT(IA), la
quale internamente letta da destra a sinistra fu data per
niNlTA e assegnata ad Atina in Lucania. Ne ho già parlato
nella Civ. Catt. (Quad. 750, pag. 737, 738).
8. Carelli, tav.CLXXXV, 59. Testa giovanile con florida chioma
coronata di oliera volta a d. : con corna bovine che gli
spuntano dalla fronte; davanti niXO. B. Clava in mezzo a
T. CXXV
SUPPLEMENTO
187
due serpenti e intorno K. . . TilNI. Cotesto riverso è letto
così, dal Carelli, supplito e attribuito a Crotone, lo para-
gono questo nummo ad uno simile del Museo Santangelo,
coniato dagli Ippouiati (tav. CXVl, 11), dove invece della
leggenda niXO si ha AlPEilN: al riverso poi la clava è dalla
parte del manico stretta da una tenia le cui estremità pen-
dono a svolazzo, intorno vi si legge il nome EIPilNIEilN:
in un secondo esemplare della coli, medesima la tenia vi
è omessa e la leggenda comincia da sinistra EIP.ilN'l
Può essere, che gli Ipponiesi abbiano fatto lega coi Croto-
niati, e che questa moneta ne sia l'espressione, ma sta di
fatto, che la moneta carelliana non si è mai veduta, ed
invece della santangeliana si hanno già due esemplari, ohe
ne differiscono solo per la leggenda monca nella carelliana
e pei due serpenti, che nella nostra sono tenia, differenze
facili a spiegarsi in un esemplare solo e mal conservato.
9. (Car. tab. CXCI, 56). T. di Pallade a d. con galea crestata.
R. Grappolo sopra OPA, intorno AOKPXIN. Su questa mo-
neta in luogo di (|)PA è stato letto OPPA e si è attribuita
ad una colonia dei Locresi epizefirii dall'Ignarra {De pa-
laestra neap. p. 253), dal Magnan [BruUia numism. p. 9),
dall'Arditi {IH. di un ant. vaso trovato nelle mine di Lo-
cri Nap. 1791 n. 2), daU'Eckhel {D. n. v. I, pag. 183),
e dal Romanelli {Topogr. del regno parte I, pag. 145).
Questo esemplare dal Museo del duca di Noia passò a quello
di Napoli, ma l'Avellino dimostrò che non era stato ben
letto e male interpretato. Un secondo esemplare, che il
Fiorelli chiama conservatissimo {Ann. di numism. 1876,
pag. 124, 124), fu poi comprato in Napoli dal Friedlaender
e deposto nel Museo di Berlino. Videlo il Mommsen, e vi
lesse come l'Ignarra e l'Arditi OPPA AOKP^N, della quale
scoperta scrisse una dissertazioncella negli Annali predetti,
dove a provare la esistenza di questa Orra dei Locresi,
allegò il passo di Varrone già adoperato dal Romanelli e
divenuto perciò celebre. Ma il Friedlaender, interrogato
da me, se tuttavia riteneva che in quella sua moneta si
leggesse OPPA AOKPHN, mi scrisse il 16 giugno 1883:
« Ho l'onore di rispondere che ho sott' occhio l'identico
esemplare della moneta di Locris, comprata da me in Na-
poli nel 1846 per questo r. Medagliere. Mi rincresce di
dover dire, che l'iscrizione è (J)PA AOKPIIN non OPPA,
come fu letto dall'editore. Due altri esemplari migliori
mostrano ugualmente (fiPA. Tutto ciò è affatto sicuro, e
il eh. Avellino {Opuscoli II p. 114) l'ha già detto parlando
dell'esemplare del Medagliere di Napoli.
« Di più la moneta ha nessuna somiglianza colle monete
di Orra, ma appartiene alla Locris della Grecia, dove ce
ne sono molte altre somiglianti, anche alcune che hanno
invece di (J)PA altro nome abbreviato di magistrato » .
Con ciò è tolto ogni credito dell'Ignarra e del Mommsen, e
di piìi rimane dimostrato, che la moneta col (jlPA o altro nome
di magistrato, appartiene alla Locride di Grecia. D Millingen
{Consid. p. 10) non ha dunque sciolta la questione quando ha
scritto, che la moneta OPPA AOKPilN non era di una co-
lonia dei Locresi epizefirii, ma sì dei Locresi epicnemidii,
perchè non OPPA ma la vera lezione era EflIKNA... Vero è
(})PA e vero ETIKNA, però ambedue sono nomi di magi-
strati.
10, 11. Fra le monete la cui genuinità è controversa per alcuni,
per altri è negata del tutto, ho stimato di fare qui mostra
delle due monete di argento poste sotto i un. 10, 11. La
prima di esse n. 10 fu della coli. Luynes, la seconda in quella
del Blacas, di cui posseggo una copia in galvanoplastica:
ambedue poi furono publicate in prima dal duca di Luynes
nella Rev-ue numism. 1839 pi. XIV, 1, 2, e fatte incidere
di nuovo dal bar. de Witte, H. de la man. t. TV, 1870,
pi. XVIII, 2, 3 : accuratamente, come egli attesta, pag. 120.
Furono ambedue tenute per autentiche del duca de Luy-
nes: il duca Blacas e il bar. de Witte si mostrano indecisi
per le considerazioni epigrafiche del Mommsen: false, fal-
sissime e di moderna invenzione le giudico io, che le ho ve-
dute a tutt'agio. Nella prima n. 10, leggiamo KVPl e POMA,
nella seconda n. 11, 0VAUANTE: V (NT in mon.) pel de
Witte, OVAI-ANTE: A pel Blacas; a me è sembrato OV A-
LANTE:A, cioè Valanted. È poi agevole indagare che cosa
avesse in mente l'inventore del tipo e della leggenda : il ton-
dino può essere di antiche monete ribattute.
Altre monete si sono da me dimostrate nel corso della
dichiarazione erroneamente lette e attribuite, e però non era
qui da riprodurle. Tali sono quelle di Asia nella Magna Gre-
cia {Cw. Cali. Quad. 698 pag. 226-229), di Marrubium nella
Marsica, di Marciva nei Picentini, di Murgantia o Murlantia
nelSannio (Lanzi, Saggio II p. 601 ; CaronniMus. Hedervar.
p. 20). Fra le monete male attribuite si noveri la Locri epize-
firia del Carelli (tab. CLXXXIX, 23): Testa di donna coi ca-
pelli sparsi e collana al collo, volta di terzo a d. R. Pegaso a
d. e di sotto A. Questo bronzo dal Carelli è dato a Locri.
Il Millingen lo dichiara di fabbrica evidentemente italica
{Consid. p. 69) ; ma il sig. Imhoof-Blumer è d'altro avviso.
Io ne ho veduto un esemplare nella collezione Baselice
in Biccari, ove anche appresi che si era trovato presso
Mottola. Simile a questo è il piccolo bronzo del Museo di
Vienna, ove la donna guarda di terzo a sin., ha i capelli
sparsi, e la collana che è solo piìi ricca. Inoltre ai due lati
del collo si legge divisa l'epigrafe A^IT, che riscontriamo in
un altro nummo attribuito ancor esso alla Locri epizefiria,
(cf Car. Descr. 18 tab. CLXXXIX, 29) invece della greca.
Nel riverso il Pegaso è volto a sin. ed ha parimente la A
fra le gambe. Ho anche escluso per avviso del sig. Imhoof-
Bliimer dalle monete italiche quella del Museo Hederva-
riano data dal Carelli (tab. CLXIII n. 59) ad Eraclea, che
non è la nostra d' Italia. È poi impostura moderna quella
incusa del Museo di Firenze : Cignale che va a destra e la
medesima fiera incusa al riverso : ove nell'esergo del dritto
si legge AAR e sul riverso AOM. La genuina è da me in-
cisa nella tav. CXVin, 22. In questa di Firenze che vedo
citata dal Fabretti, il falsario imitò bene l'imagine del ci-
gnale, ma non seppe poi intendere e copiare, come spesso
accade, le forme paleografiche della epigrafe, e diede al T
la strana forma di un quadrato con linea verticale a de-
24
183
SUPPLEMENTO
T. CXXT
sti-a, e la lettera ^{mu), cambiò nella dorica M(sa»i). Inoltre
il cignale noi fece camminare sulle balze ma su piana terra.
MONETE FALSE
1. Nel Museo Olivieri di Pesaro. Triente fuso e non coniato,
come ha creduto il Mommsen (//. delam. I, 388). Ha un
bifronte imberbe nel dritto fra quattro globetti, nota del
valore, e al riverso la mezza nave, in alto si legge f1>Jt.
Pesa un' oncia e un ottavo. L'Olivieri eie il pose nel suo
Museo non ci fé sapere come e donde l'avesse; publicandolo
l'attribuì a Telamone {Foncl. di Pesaro p. 85). Il Passeri lo
riprodusse (Parai, p. 181 tav. Ili, 4), ma omise due dei
globetti e il diede per sestante. Il Guarnacci diede poi
jbando ancbe ai due globetti lasciati dal Passeri [Orig.
Htal. I, tav. 5VII, 9) e fu perciò d'inciampo al Lanzi, che
il prese da lui [Saggio t. Il tav. VI n. 4), senza alcun segno
•di valore. Il P. Eckhel lo ripetè dall'Olivieri e però lo de-
scrisse per triente (D. n. v. 1, p. 94). I PP. Marchi e
Tessieri ai quali importava moltissimo uà bronzo così sin-
golare, ne domandarono ed ottennero una copia che tuttora
si conseiva nel Kircheriano e si vede delineata nelle ta-
vole dell'^es grave (1839), ma fra le monete incerte, tav. V
n. 19 : nel testo il P. Marchi non ne fece motto. Vedendo
il Millingen, che non ostante la chiara sua iscrizione erasi
dagli editori rilegato fra le monete incerte, giudicò che la
epigrafe fosse moderna {Considérat. 1841 p. 173), e però
l'attribuzione ne fosse incerta, perchè fondata, sur des lé-
gendes supposées. Il Mommsen credette che il bronzo me-
ritava fiducia di genuinità, e ve ne fossero due esemplari
possedendone uno il Museo Olivieri di Pesaro, un secondo
il Kircheriano {H. de la m. 1, p. 388).
Vedendo io e non intendendo perchè un bronzo di Tela-
mone si fosse dato per incerto, e perchè non se ne fosse
parlato nel testo in niun modo, ne scrissi al Tessieri, dal
quale ebbi per risposta il 23 Agosto del 1865, che il
bronzo originale di Pesaro era stato giudicato da lui una
impostura, nondimeno per soddisfazione di tutti l'aveva
messo nelle tavole dell' Aes grave, però fra le monete incerte,
e fattolo perciò disegnare anche in grossezza, perchè si
vedesse ad occhio, ciò che si sarebbe dovuto far riflettere
collo scritto, affine di confermare il giudizio d'impostura;
« e per ciò nel testo nulla se ne dice ». Dalle quali mode-
ste parole chiaro si deduce, che il P. Marchi autore del
testo non volendo confermare la sentenza del Tessieri, né
contradirle, preferì di non dirne nulla.
. Coli. Hunter, tab. XXII. I tipi sono notissimi nelle monete di
Crotone, e di Velia ai quali si sono aggiunti i nomi delle due
città, non però come si leggono su i nummi sinceri. L'incisore
che imitò sì bene i tipi non seppe regolarsi nelle epigrafi.
L'Eckhel esclama [D. n. v. 1 p. 173) : Qui litteras MI et KIl
additas expediverit magnus hercle is mihi Apollo sit.'Egli fu
lontano dal pensiero che fosse opera di un falsario, ma lo
argomentò dalla eleganza dell'arte, e perchè in altra moneta
di Crotone si leggeva KPOTOMI2. Ora è dimostrato, che il
numus illustris (Eckhel, 1. cit. p. 165) di concordia fra le due
città Crotone e Velia è moderna falsificazione : né Velia ne
Crotone hanno mai battuto il tetradrammo. Nondimeno il
Eiccio lo accetta nel suo Repertorio p. 88, citando il Mion-
net e gli dà il valore di 70 ducati. Né si sovvenne ohe il
Triedlaender nell'opuscolo sulle monete osche lo aveva di-
chiarate falso, e che quel giudizio era stato approvato dal
Cavedoni [Bull. Instit. 1850 p. 146)
Con la speranza di meglio riuscire nella frode, il falsario
si è giovato di un tetradrammo di Siracusa per coniare
sulla sua moneta i tipi di Velia, a quel modo che il fal-
sario di Ascoli Piceno si é servito delle ghiande missili
antiche, per imprimervi sopra le leggende e darle a credere
genuine. Questa moneta fu nella collezione del Thorwaldsen
(L. Mùller, Descr. des monn.ant. du Musée Thorw, Copenh.
1851, p. 150) ed é stata ricordata come falsa dal Miner-
vini [Bull. ardi. nap. n. s. VI, 96).
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