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Full text of "Le monete dell'Italia antica"

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LE  MOMITE  DELL'ITALIA  ANTICA 


EACCOITA  «ENEEAII 


DEL 


R   Raffaele  Garrucci 


D.  0.  D.  e. 


PARTE   PEIMA 

MONETE     FUSE 


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ROMA 

COI  TIPI  DEL  CAV.  V.  SALVIUCCI 

1885 


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AI    LETTORI 


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ja  raccolta  generale  delle  monete,  che  l'Italia  antica  fuse  e  coniò  nelle  sue  zecche  è  lo 
scopo  di  questa  mia  opera.  Io  la  imprendo  dalla  origine  quando  le  città  e  le  repubbliche 
erano  indipendenti  e  la  conduco  fino  a  che  Roma  impadronitasi  degli  stati  d'Italia  e  sottopo- 
stili alla  sua  dominazione  o  all'alto  dominio  ne  regolava  le  sorti.  Concessa  poi  la  piena  cittadi- 
nanza a  quei  popoli  insorti,  che  la  domandavano,  il  dritto  di  batter  moneta  con  la  libertà  si  estinse. 

Un'opera  simile  che  contenesse  tutte  le  monete  disegnate  o  descritte  fu  già  intrapresa 
all'esordio  di  codesto  secolo  dal  Carelli,  ma  non  condotta  a  fine:  le  duecento  sue  tavole  con 
l'aggiunta  di  altre  due  videro  la  luce  così  imperfette  come  le  aveva  lasciate   al  1831. 

La  descrizione  di  cotesta  tavola  fu  affidata  ai  Cavedoni,  che  profittò  delle  scoperte  e  degli 
studii  posteriori  al  Carelli  per  emendarle  e  renderle  utili  per  quanto  poteva  agli  studiosi.  Stimò 
anche  opportuno  pubblicare  di  nuovo  in  secondo  luogo  la  descrizione  che  il  Carelli  aveva  fatta 
della  sua  privata  collezione  messa  a  stampa,  e  vi  aggiunse  le  emendazioni  fattevi  dall'Avellino. 

Ma  il  Carelli  aveva  riprodotte  le  stampe  dell' Arigoni  e  del  card.  De  Zelada  e  di  altri  edi- 
tori di  moneta  fusa;  i  PP.  Marchi  e  Tessieri  avevano  messo  un  ordine  nuovo  e  una  novella 
distribuzione  all'oes  grave,  e  pubblicato  il  frutto  dei  loro  lavori  nel  1839  :  il  Kircheriano  ed 
altri  musei  avevano  accresciuto  di  molto  il  numero  dei  bronzi  inedili  nelle  raccolte  loro,  e 
tutto  ciò  bisognava  che  venisse  a  compire  l'impresa  del  Carelli,  conducendola  fino  ai  giorni 
nostri,  dando  luogo  a  quanto  si  era  scritto  e  divulgato  dai  numismatici.  Era  d'uopo  che  final- 
mente prendessero  posto  le  monete  di  aes  rude,  con  le  questioni  che  avevano  destato  e  il  gua- 
dagno per  la  storia  che  se  ne  poteva  cavare. 

Le  settanta  tavole  di  questa  mia  raccolta  comprenderanno  quante  monete  fuse  conosco,  di- 
segnandole di  nuovo  quasi  tutte  dagli  originali  o  almeno  dai  gessi  e  dalle  galvanoplastiche,  e 
togliendo  di  mezzo  i  bronzi  falsi,  alcuni  dei  quali  si  credono  tuttavia  autentici.  Per  fare  ciò 
si  richiedeva  tempo  e  però  passarono  sette  lustri  in  circa.  Le  monete  fuse,  di  questa 
prima  parte,  poiché  nella  seconda  parte  che  ora  si  stampa  sono  raccolte  le  monete  coniate, 
sono  state  da  me  divise  in  tre  classi  :  nella  prima  pongo  l'aes  rude,  nella  seconda  l'aes  signa- 
tum,  nella  terza  l'aes  grave. 

Intendo  ringraziare  tutti  coloro,  che  mi  hanno  aiutato,  i  nomi  dei  quali  non  lascerò  di 
riferire  a  suo  luogo.  Lontano  come  sono  per  professione  e  per  indole  dai  complimenti  con- 
fesso che  questo  mio  lavoro  ha  bisogno  di  molto  per  appagare  tutte  le  brame  e  di  tutti  ; 
a  me  basti  di  aver  cominciato  quando  potevo  aver  l'agio  di  far  disegnare  e  l'opportunità  di 
scrivere  e  di  andar  perfezionando  l'ardua  impresa. 

Ora  farò  qui  seguire  un  breve  indice  dei  luoghi,  donde  generalmente  si  sono  avuti  i 
bronzi  qui  disegnati  e  descritti. 


INDICAZIONE  DELLE  CITTÀ  E  DEI  LUOaHI 

DOVE    SI   SA   CHE   I    BRONZI    DESCRITTI    NELLE   LXX   TAVOLE    SONO    STATI   TROVATI 
E  DELLE  EACCOLTE  PUBBLICHE  E  PRIVATE  OVE  SI  CONSERVANO  E  IN  MANCANZA  DA  CHI  PUBBLICATI 


Albano,  Àlbanum,  Yi,  8. 

Ancarano,  v.  Norcia. 

Ardea,  LSVII,  2. 

Ariccia,  Arida,  1, 1;  X,2;XII,  2;  XIII,  2;  XIV,  1. 

Aiigoni,  XL,  11-13;  XLIV,  11;  LXVI,  16-19. 

-iscoli  di  Puglia,  Ascidum  Aptdum,  LXV,  1-5. 

Atri,  Hatria,  asse  LX, 6; serie;  LXI,  1-4;  LXil,  1-4. 

Belona,   Vulsiniensis  aga;  LXVII,  3. 

Carelli,  XXI,  3;  XL,  10;  LIV,  6. 

Castellani,  t.  Cortona. 

Cerveteri,  Caerae,  I,  2;  II,  1.2;  III,  1-5;  IV,  1; 
V,  2-6;  IX,  2,3;  XXII,  2. 

Cesena,  Caesena,  LXVIII,  1. 

Comete,  Tarquinii,  VI,  10;  XXV,  4, 5;  XXVI  2-6  ; 
serie  XLVI,  1-8;  LXX,  1. 

Cortona,  coli.  Castellani,  LIV,  1. 

Fabbro,  Vuldniensis  ager,  IX,  1;  X  2. 

Fermo,  Fìrmum,  LX,  3-5. 

Fiesole,  Faesulamis  ager,  X,  3. 

Genzano,  Lanioinus  ager,  XV.  1. 

Gobbio,  Iguvium,  tripondio  LVI,  14:  serie  LVII, 
1-7;  LVni,  1-7. 

Lazio,  Latini,  XXXVIII,  1  -7;  XL;  XLI,  5,  6;  XLII, 
3-7;  XLIV,  1-10;  XLV,  1-11. 

Lucerà,  Lvceria,  LXIII 1-3;  serio  LXIV,  1-18. 

Lucerà,  Eoma-Lucera,  XXXII,  2,  3,  asse  moderno 
col  gallo  e  l'epigrafe  LXX,  3;  col  cavallo  e 
l'epigrafe  LXIII,3;  come  imaginata  dal  Ric- 
cio V.  pag.  41. 

Lunghezza,  CoUatia,  V,  1. 

M  in  moneta  ovale  XXVII,  8,  9. 

M  in  moneta  rotonda.  R.  V\  tav.  XLIV,  6,  7. 

Marchi  e  Tessieri,  LXVI,  15. 

Marzabotto,  Bononiensiì  aga;  VIII,  2. 

Metaponto.  Metapontwn,  LXVI,  3-6. 

Moneta  ovale  XXVII,  10-12. 


Montefìascone,  Vulsiniensis  ager,  VII,  1. 
Museo  di  Bologna,  LUI,  4. 

»       Britannico,  X,  1  ;  XI,  2;  XII,  2  ;  XIII,  1  ; 

XVIII;  XXIII;  XXIV,  1;  XLIV,  9. 
»       Kircheriano,  XVI;  XVII,  2;   XXI,   1,  2; 
XXIII:  XXV,  1-3;  XXVII,  1,2;  XXIX,  6; 
XLIV,  2-4.  6,  7,  0,  1 0  ;  XLV,  1 ,  3,  4,  5, 10, 11. 
»      di  Cortona  (Sellari),  XXVH,  13. 
»       di  Firenze,  LIV,  7. 
»       di  Parigi,  XX,  1  ;  XLV,  6;  LV,  1. 
»       di  Pesaro,  XII,  1;  XXXI,  3,.LIII,  5;  LVI,  1. 
»       di  Torino,  XXVII,  3. 
.,     »      Vaticano,  XIV,  2. 

»       di  Vienna,  XLIV,  5;  XLV,  9. 
Nicotera,  campagna  di,  LXX,  2. 
Norcia,  Nursia,  LXVII,  1. 
Oirvieto,  Vulsiniensis  ager,  LXIII,  3.  v.  Fabbro. 
Ossi  in  Sardinia  VI,  li. 

Palestrina,  Praeneslinus  ager,  VI,  1,  3,  6,  7, 10, 14; 
XLI,  1-4;  XLII,  1,  2;  XLIV,  1;  LXIX.  1,  7. 
Passeri,  LVI,  1,  2. 

Pesaro,  Pisaurensis  àger,  XVII,  1;  XXVII  1. 
Pinder,  XLV,  2,  7. 

Ponte    Landolfo  ,   Benevenlanus    ager ,    VI ,    9  ; 
LXVIII,  2.  suppl.  LXVII,  2;  gruppo  di  aes 
rude  e  cusum  VI,  14. 
Quingento,  Parmensis  ager,  sign.  VII,  2. 
Rieti,  Beate,  XXXIII,  1. 
Rimini,  Ariminum,  LIX,  1-6;  LX,  1,  2;  asse  coi 

tipi  romani,  XXVIII,  1. 
Roma,  aes  signatum,  LXVIII,  4;  Romanus  ager, 
XXIV,  2;  XXVIII,  2-4;  Eoma-Lazio,  XXIX, 
1-8;  XXX,  1;  XXXI,  1-3;  XXXII,  4,  5. 
Roma-Luoera    XXXII ,    2,    3  ;    Eoma-Velletri  , 

XXXII,  1. 
Romamm,  XXIII;  XXIV,  e  a  pag.  40  (falso). 


Sabatini  ad  lacum  Sabate,  XXXV,  1-7. 

Sabina,  Sabini,  XXXVI,  1-6,  XXXVII,  1  -7;  XL,  8. 
T.  Nicotera. 

Saura  Faliscohtm  (Monte  Soratte),  XXXIII  2,  3; 
XXXIV  1-6;  LXX,  2. 

Seolca  in  Sardinia,  VI,  12. 

Sutri,  Satrium,  XXXIX,  1-3;  XL,  1-7. 

Tarquinii.  v.  Corneto. 

Telamone,  Telamon,  XLVII,  1,  oncia.  Il  bronzo 
con  l'epigrafe  fl>|t,  è  impostura  moderna  : 
se  ne  ha  il  disegno  alla  tavola  125. 

Teramo,  Interamna  praetuU.  Vili,  1. 

Tivoli,  Tibur,  XLIIL  1-7. 

Todi,  Tudertinus  ager,  XXVII,  2-7;  XXVIII,  1- 
LUI,  2,  3  ;  tutta  la  serie,  LV,  1-8  ;  LVI,  1-11. 

Todi-Chiusi,  VI,  3:  Todi-Perugia,  LIV,  1. 

Toscana,  Etruria,  ruota-ancora  M,  LI,  B  ;  ruota- 
cratere,  D,  LI,  2;  ruota-anfora,  LI,  3;  ruota- 
ferro  di  bipenne,  LII,  1;  ruota-itero,  Lll,  2; 
ruota  etrusca-item,LII,  3;  A,  V,  ruota  etru- 
sca-item,  LUI,  1;  Vì,A,^,  V,  L,  1;  fl^^,  ), 
anfora,  LI,  1-3.  Elruscorum,  testa  coperta  di 
pileo  acuminato  /(  accetta,  coltello,  LIV,  1-6. 

Velecha,  LXVI,  7-14. 

Velletri,  Velilernus  ager,  XXXIII;  LXIX,  2. 

Velletri.  v.  Eoma-Velletri 

Venosa,  Veniisia,  LXV,  6-12;  LXVI,  I,  2. 

Vestini,  Ves{tinorum},  LXII,  5-8. 

Vetulonia,  ruota-ancora,  LUI,  4, 5. 

Vicarello,  Aquae  ApoUinares,  VI,  2,  4, 13,  15,  17, 
19,  22;  XIV,  3;  XXVI,  1  ;  XLV,  8. 

Volterra,  Volaterrae,  XLVII,  2-4  ;  XLVIII,  1-7  ; 
XLIX,  1-7. 

Vulci,  Volcentanus  ager,  XI,  1  ;  XV,  2. 


DESCEIZIONE  E  DICHIARAZIONE  DELLE  TAVOLE 


PARTE  PRIMA 


MONETE    FUSE 


AES  EUDE 

Non  si  è  dubitato  finora  che  in  Eoma  vi  potessero  essere 
fin  dai  tempi  di  Romolo  artefici  clie  lavoravano  Toro  e  l'argento  : 
ma  che  questi  formassero  due  corpi  distinti  lo  apprendiamo  da 
un  passo  di  Plinio  ,  che  a  quanto  so  non  si  è  finora  considerato 
da  quel  lato  che  poteva  giovare  alla  discussione  relativa  alle 
origini  numismatiche.  Il  dotto  antiquario  romano  dopo  aver 
riferito  da  un  libro  di  Timeo ,  probabilmente  da  quello  che 
scrisse  intorno  alla  medicina  che  si  cava  dai  metalli,  de  metal- 
lica medicina  (index  ad  Plinii  H.  N.  1.  XXXIII),  che  i  Eomani 
prima  di  Servio  Tullio  usavano  Vaes  rude  nel  cambio  delle 
merci,  soggiunge  (L.  XXXIV,  1),  che  l'uso  di  questo  aes  si 
dimostrava  col  fatto  anteriore  a  Servio,  perchè  Numa  alle  due 
corporazioni  di  artefici  aggiunse  una  terza  che  fu  dei  fabbri  di 
rame.  Sed  et  alia  vetustas  aequalem  urbi  auctoritatem  eius 
declarat,  a  rege  Numa  collegio  tertio  aerariorum  fabrum  in- 
stituto. 

In  queste  tre  oiScine  lavoravasi  adunque  dai  tre  collegi 
in  oro  in  argento  e  in  rame  a  scopo  monetario  :  ma  non  vi 
s' imprimeva  verun  tipo  sulle  rozze  masse  :  all'  oro  e  all'  ar- 
gento 0  si  dava  prima  o  si  diede  poi  una  figura  quadrata  che 
per  analogia  ai  mattoni  ebbe  il  nome  di  later  come  impariamo 
da  Varrone  {de  vita  Populi  Romani  pr.  Nonio  2,  481  ;  12,  9) 
e  da  Plinio  (H.  N.  XXXIII,  3,  17)  :  ma  quanto  al  rame  la  nostra 
esperienza  ci  ha  dimostrato  che  gli  si  dava  non  solo  una  forma 
di  later,  ma  sì  gli  si  facevano  prendere  ancora  altre  ed  altre 
forme,  almeno  fuori  di  Roma,  come  si  dirà.  Abbiamo  ancora 
appreso  che  Servio  il  quale  segnò  il  primo  con  un'  impronta 
Vaes  rude,  onde  gli  fu  dato  il  nome  di  signatum,  non  pose 
cotesto  segno  sn  d'altra  forma  che  la  quadrilatera  :  e  cosi  deve 
intendersi  Plinio  ove  scrive  (H.  N.  XXXIII,  13)  :  Servius  rex 
primus  signavit  aes.  rudi  ante  usos  romanos  Tirnaeus  tradii. 

Se  in  Asia  prevalse  l'oro  e  in  Grecia  l'argento,  in  Italia 


fu  data  la  preferenza  al  rame  per  la  gran  quantità  che  se  ne 
cavava  dalle  sue  miniere,  sicché  poi  si  diveime  sui  primordi  del 
secolo  quarto  di  Roma  a  fonderne  di  forma  raramente  ovale 
comunemente  rotonda  dividendolo  in  pezzi  coi  propri  tipi  a 
doppio  rilievo  e  d'  ordinario  marcati  con  cifre  numeriche  che 
ne  indicassero  il  valore  legale.  Questo  aes  prese  poi  nome  di 
aes  grave. 

Di  tutto  ciò  che  ci  avevano  tramandato  gli  antichi  noi 
abbiamo  acquistato  esperienza  pei  depositi  qua  e  là  rinvenuti 
specialmente  nella  media  Italia.  Questi  depositi  che  volgarmente 
si  chiamano  tesoretti  contengono  :  1°  solo  aes  grave ,  come 
quelli  di  monte  Mario,  di  Comete,  di  Cere,  di  Amelia  ;  2°  ov- 
vero r  aes  grave  con  aes  rude  ed  aes  signatum ,  come  quello 
scoperto  a  Vulci,  dove  l'aes  grave  era  solo  rappresentato  da  alcuni 
pezzi,  i  pili  sestanti,  di  forma  ellittica;  3°  ovvero  solo  aes  rude  ed 
aes  signatum,  come  quelli  di  Ariccia  e  di  Cere  ;  4°  ovvero 
Vaes  rude  e  V  aes  signatum  con  pezzi  di  spade,  punte  di  lancia 
e  frammenti  di  accetta,  siccome  quello  scoperto  presso  di  Ascoli 
Piceno.  Non  v'  è  poi  dubbio  che  le  tre  specie  di  aes  avevano 
egualmente  corso  non  solo  prima  del  485  quando  si  stabilì  che 
l'asse  fosse  sestantario,  ma  anche  di  poi  :  ed  io  allegai  già 
in  prova  {Diss.  arch.  I,  p.  154)  un  notevole  luogo  di  Livio 
(1,  XXVI)  dove  si  legge  che  i  soldati  di  Annibale,  visto  spo- 
gliato il  tempio  di  Feronia  dei  doni  d'oro  e  d'argento,  tocchi 
da  religione  gittarono  nel  recinto  del  tempio  pezzi  di  aes  rude, 
dei  quali  un  gran  numero  fu  trovato  dopo  la  loro  partenza  :  aeris 
rud,era  iecerunt,  quorum  acervi  post  profectionera  Annibalis 
magni  inventi.  Erano  adunque  cotesti  gli  stipendi  giornalieri, 
neir  epoca  stessa  in  che  si  depose  nel  sepolcro  accanto  ad  un 
soldato  quel  gruppo  di  moneta  rude  e  coniata  che  ho  raccon- 
tato a  suo  luogo  (v.  Dichiar.  tav.  VI,  14). 

Or  ci  conviene  notare  alcune  particolarità  riguardanti  la 
forma  di  questo  aes  rude  che  generalmente  si  chiama  pane 
metallico.  Il  nome  di  pane  veramente  non  conviene  a  tutte  le 


AES  EUDE 


forme,  ma  a  quelle  si  può  dare  che  sono  larghe  e  rotonde  quasi 
pani.  Ma  ho  io  già  avvertito  nelle  Dissertaùoni  (loco  citato)  che 
se  ne  fusero  di  varia  grandezza  fino  alla  mezza  libbra,  e  ne 
allegai  gli  esempì  dalle  scoperte  di  Vicarello  e  Prenestine:  posso 
ora  aggiungere  anche  Belona  dopo  la  publicazione  di  uno  d'essi 
bronzi  fatta  dal  eh.  P.  De  Feis  (lav.  LXVIII,  3),  e  sopratutto 
quello  di  Tarquinia  che  do  nella  tavola  LXVII,  1,  dove  è 
singolare,  che  come  quello  di  Belona,  apparisce  fuso  a  forma 
chiusa ,  essendovi  rimasta  la  verghetta  metallica  formatasi  nel 
getto  del  metallo  all'apertura  della  staffa,  qual  si  vede  anche 
in  un  sestante  della  sei'ie  ovale  recatomi  dagli  soavi  di  Anca- 
rano  e  che  ora  è  nella  mia  collezione.  Ciò  non  di  meno  deve 
tenersi  come  parto  d'imaginazione  ciò  che  scrisse  già  ilMommsen, 
essersi  fuso  Vacs  rude  in  forma  di  cubo  fino  al  peso  di  una  libbra, 
dandosi  poi  a  pesi  maggiori  la  forma  quadrilatera  {H.  de  la  m.  1, 
p.  175  seg.).  Perocché  se  fosse  vero  che  nelle  acque  di  Vicarello 
non  si  sian  trovati  pezzi  di  aes  eccedenti  la  libbra  :  pure  se  ne 
erano  trovati  a  Vulci  di  quei  di  due  libbre.  Ora  poi  più  e  pili 
depositi  sono  venuti  a  dimostrare  mal  fondata  questa  teoria  sopra 
il  pezzo  supposto  libbrale  di  Vicarello. 

Nel  bel  mezzo  dell'antica  Cere  che  oggi  si  chiama  Cer- 
veteri  il  sig.  Filippo  Calabresi  scavando  un  fosso  a  gran  pro- 
fondità s'imbattè  in  un  bel  deposito  di  aes  rude  e  signatum 
accennato  di  sopra.  Brano  ivi  cento  sessantasette  pezzi  di 
varia  grandezza  che  tutti  insieme  sommavano  a  centocinquanta 
libbre  di  rame,  per  buona  ventura  salvate  a  tempo  dalla  fornace. 
Saggiatone  un  pezzo  apparve  di  puro  rame  senza  mistura  di 
stagno  come  a  Villanova,  né  di  zinco  come  a  Vicarello,  ovvero 
di  piombo  come  a  Marzabotto.  Fra  molti  pezzi  di  piccola  mole 
ve  ne  erano  dei  grandi  ohe  richiamarono  il  mio  studio,  ma  vi 
trovai  anche  uno  intero,  quantunque  però  un  po'  difettoso  da  un 
lato  essendosi  arrestato  il  metallo  nella  staffa.  Ben  però  si 
vedeva  che  tendeva  ad  una  forma  rotonda  (vedasi  la  lav.  Il  e,  b). 
Questo  mi  servì  di  guida  onde  studiati  anche  gli  altri  frammenti 
(tav.  Ili,  1-5)  ne  deducessi  che  il  metallo  gettavasi  in  una  sco- 
della, a  fondo  leggermente  concavo,  ovvero  in  una  larga  staffa 
in  forma  di  cono  rovescio  e  a  fondo  mobile.  Ciò  mi  si  fé'  palese 
vedendo  come  intorno  al  fondo  di  cotesti  pani  formavasi  una 
bava  che  prendeva  la  figura  di  una  base  (vedi  la  citata  tav.  III). 
Ora  il  deposito  di  Bologna  ci  ha  dato  pani  di  conica  forma 
rovescia  e  a  fondo  convesso. 

Karl  sono  i  pani  fusi  in  scodelle  ovali  :  di  questi  ho  due 
esempi,  1'  uno  dal  deposito  di  Ariccia,  l'altro  da  quello  di  Cere 
(tav.  I,  1,  2).  A  Cere  anche  debbo  l'unico  frammento  di  un 
pane  in  forma  anulare  (tav-  IV,  2)  largo  tre  centimetri  e  mezzo, 
grosso  cinque  del  peso  di  tre  libbre  e  due  once,  il  cui  intero 
doveva  avere  venti  centimetri  di  diametro  e  pesare  sedici  libbre. 
Il  qual  peso  non  parrà  eccessivo  sapendo  che  dal  deposito  di 
Bologna,  come  mi  scrive  il  eh.  Brizio,  se  ne  ebbe  uno  in  forma 
di  cono  rovescio  del  peso  di  sei  kilogrammi  e  200  grammi. 

Nella  tav.  VI  n.  11  do  l'unico  pezzo  che  si  è  conservato 
di  un  gran  numero  d'  aes  rude  rinvenuto  in  Ossi  di  Sardegna. 
La  forma  ne  è  singolare  perchè  piano  convessa,  rotonda,  e  del 
diametro  di  dodici  centimetri  del  peso  di  gr.  1540.  Dopo  que- 
sta scoperta  divulgata  dal  eh.  canonico   Spano  pare  che   siasi 


cominciato  a  tener  conto  di  simile  aes  rude,  del  quale  si  sono 
raccolti  e  deposti  nel  Museo  di  Cagliari  da  varie  parti  dell'  Isola 
notabili  pezzi  che  serbano  in  varie  proporzioni  la  simile  ro- 
tonda forma  piano  convessa. 

A  Scolca  nell'isola  medesima  fu  trovato  un  deposito  di  bronzi, 
che  si  vedono  ridotti  a  metà  della  loro  grandezza  nella  tavola  dello 
Spano  (v.  la  nostra  tav.  VI  n.  12):  questi  imitano  la  forma  ret- 
tangola dei  quadrilateri.  Con  le  forme  rettangole  vi  erano  miste 
anche  le  tendenti  a  forma  triangolare,  ed  é  notevole,  che  essendo 
i  pezzi  rotondi  trovati  in  questa  isola  di  rame  puro,  questi  in- 
vece sono  di  rame  misto  al  zinco,  ovvero  alla  cadmia. 

Che  Vaes  rude  abbia  avuto  la  forma  di  verga  quadrata 
(tav.  VI,  3-8)  l'abbiamo  imparato  da  alcune  di  cotesto  verghe 
rinvenute  nel  Lazio  e  in  Btruria  messe  a  confronto  con  altre 
simili  verghe,  ma  appartenenti  alla  classe  AelVaes  signatum 
(tav.  XXVII,  13).  Queste  portano  in  rilievo  rami  braceiati  con 
globetti  ripetuti  negli  intervalli  di  un  braccio  all'altro. 

Sui  pezzi  di  aes  rude  si  vedono  talvolta  delle  contromarche 
come  sui  quadrilateri  e  sull'aes  grave  etrusco.  Grli  esempi  che 
ne  abbiamo  sull'nas  rude  lasciano  indecisa  la  questione,  se 
queste  contromarche  s'improntavano  nelle  zecche  prima  della 
emissione,  ovvero,  se  le  repubbliche  le  imprimevano  sui  pezzi 
che  a  tal  fine  avevano  ritirato  dal  corso  per  poi  rimetterle  in  uso-. 
Per  contromarca,  intendesi  un  segno  impresso  sul  metallo  già 
lavorato  e  freddo  :  tali  sono  i  simboli  e  i  nomi  propri  impressi 
a  modo  di  esempio  sulle  strigili.  Di  questa  natura  certamente 
non  sono,  quantunque  fatte  al  modo  medesimo  quei  simboli  im- 
pressi in  incavo  sulle  due  facce  di  un  pezzo  di  bronzo  fuso  trovato 
nell'Orvietano  ovvero  di  una  piastrellina  qual  si  é  quella  recataci 
da  Ancarano,  alla  quale  ora  si  è  aggiunto  un  nuovo  esempio  che 
viene  da  Perugia.  È  a  quanto  pare,  un  aes  signatum  in  incavo. 

Coi  segni  o  lettere  impresse  a  modo  di  contromarca  non  si  deb- 
bono neanche  confondere  i  segni  o  lettere  graffite,  un  cui  esempio 
indicatomi  già  dal  P.  De  Feis  mi  è  stato  di  poi  confermato 
anche  dal  eh.  Brizio,  su  di  uno  dei  pezzi  più  piccoli  del  deposito  di 
Bologna  pesante  solo  260  grammi  che  porta  nella  faccia  con- 
vessa 0  sia  inferiore  la  seguente  sigla  Kf-.  E  il  Brizio  soggiunge  : 
«  che  un  grande  numero  di  fibule  e  di  paalstabs  ohe  erano  in- 
sieme con  i  detti  pani  di  bronzo  è  insignito  di  sigle,  le  quali 
non  ha  trascritte  perchè  non  gli  pare  possano  considerarsi  come 
contrassegni  della  legalità  dell'ae.';  ». 

Dissi  già  altra  volta  che  molti  pezzi  nel  deposito  di  Cere 
si  vedevano  evidentemente  spezzali  e  ciò  contro  taluni  che  non 
se  ne  mostravano  persuasi  :  e  alla  difficoltà  che  si  opponeva  di 
rompere  questi  pani  risposi  sapersi  dai  fonditori  di  metalli  che 
il  rame  detto  da  essi  acre  cioè  non  battuto  né  temperato  ma 
fuso  e  freddo  si  rompe  a  colpi  di  martello  e  viepiù  se  è  collo 
stagno  in  lega.  Osservai  altresì  che  in  alcuni  pezzi  sono  rimasti 
i  segni  dell'accetta  o  tagliuola  adoperate  a  preparare  il  rame 
alla  rottura  (tav.  V,  6)  :  la  quale  osservazione  ho  poi  veduta 
essersi  fatta  anche  dal  eh.  sig.  conte  Gozzadini.  Notai  inoltre 
nel  deposito  di  Cere  un  pane  ridotto  col  martello  a  forma  ret- 
tangola (tav.  V  n.  5)  e  aggiunsi  aversene  un  altro  voluto  ridurlo 
a  forma  quadra  ma  lasciato  a  mezzo  il  lavoro  imperfetto,  ed  ora 
posso  mostrare  un  nuovo  esempio  in  un  quadrilatero  trovato  di 


T.  I-V 


ABS  RUDE 


vecente  alle  rive  del  Tevere  (tav.  LXVIII  di  Suppl.  n.  4).  Non 
mi  pare  di  omettere  in  questo  luogo  quel  frammento  che  mi 
è  stato  recato  or  ora  con  altri  pezzi  proveniente  da  un  deposito 
di  Cesena,  ove  da  un  pane  metallico  in  forma  di  scodella  a 
fondo  leggermente  convesso  si  è  ricavato  col  martello  una  evi- 
dentissima accetta  (tav.  LXVIII  n.  1,  a,  b). 

Al  metallo  greggio  i  latini  diedero  nome  di  raudus  e 
rudus,  e  in  questo  senso  scrive  Livio  nel  luogo  sopracitato 
:ieris  rudero.  Questo  nome  però  si  trova  esteso  anche  ad  oggetti 
artefatti  sani  o  rotti  che  siano,  se  si  hanno  in  conto  o  si  riducono 
a  semplice  merce,  non  altro  considerandone  che  il  valore  me- 
tallico. In  questo  senso  si  legge  nel  Digesto  {frag.  7,  §  7,  de 
auro,  arg.  34,  2),  che,  vas  conflatum  ad  rudein  massa m .. . 
reverti  potest. 

Constando  dalle  prove  allegate  qual  si  fosse  Vaes  che  chia- 
mossi  rude  non  deve  aver  luogo  il  quesito,  se  i  depositi  di 
questo  bronzo  sono  veramente  tesoretti  di  moneta,  ovvero  depo- 
siti di  metallo  destinato  aUa  fonderia. 

È  stato  anche  cercato  se  l' aes  rude  si  ebbe  un  peso  deter- 
minato. A  che  rispondo  non  aversene  esperienza,  perchè  raris- 
simo è  il  caso  di  trovare  dei  pani  metallici  interi,  e  quando 
anche  si  trovassero  non  si  potrebbe  argomentare  dalla  quasi 
parità  dei  pesi  l' intenzione  di  dar  loro  un  valore  determinato, 
potendo  ciò  derivare  dalla  parità  delle  staffe.  In  generale  è  vero 
che  questa  uguaglianza  di  staffe  può  aver  giovato  ad  un  ap- 
prezzo quahmque  che  poi  si  sarà  compiuto  sulle  bilance;  così 
può  tenersi  per  verisimile  che  chi  rompeva  i  pani  e  le  armi  tal- 
volta il  faceva  serbando  una  certa  imiformità  :  ma  sarebbe 
contro  la  esperienza  e  la  natura  delle  cose  il  pretendere  che 
siasi  fatto  sempre  a  disegno.  Le  ragioni  che  si  possono  essere 
avute  per  ridurre  le  armi  ad  rudem  massam  sono  forse  perchè 
spoglie  tolte  al  nemico  in  guerra,  o  perchè  adoperandosi  ornai  le 
armi  di  ferro  per  la  scarsezza  del  bronzo,  tornava  conto  ado- 
perar questo  al  cambio  delle  merci.  Comunque  sia ,  strano 
sarebbe  opinare  che  all' aes  rude  si  fosse  mai  data  la  forma  di 
spada,  di  accetta,  o  di  lancia  perchè  nei  depositi  si  trovano 
queste  armi  intere  o  rotte  insieme  coli'  aes  rude. 


Tav.  L 

1.  a,  b.  Bronzo  proveniente  dalla  valle  dell'Aricela.  Fu  posseduto 
dal  barone  P.  E.  Visconti  dal  quale  seppi  che  i  contadini 
lo  avevano  rotto  come  ora  si  vede  e  lasciato  perdere  quel 
piccolo  frammento  che  ora  gli  manca.  La  sua  apparizione 
coincide  coUa  scoperta  del  deposito  aricino,  che  sappiamo 
non  esser  venuto  tutto  intero  nel  Kircheriano.  Sarà  dimque 
da  credersi  uno  dei  pezzi  componenti  quel  ripostiglio.  E 
faso  in  una  staffa  deUa  singoiar  forma  ellittica  a  fondo  con- 
cavo di  patera  bassa  in  modo  che  la  grossezza  del  bronzo 
fusovi  dentro  supera  i  due  centimetii.  Il  suo  peso  si  ac- 
costa alle  12  libbre  antiche  alle  quali  Varrone  assegna  288 
scrupoli  pari  a  312  grammi,  posto  lo  scrupolo  uguale  a 
gr.  1,12.  L'oncia  romana  di  oltre  a  gr.  27,00  differisce 
di  meno  di  un  grammo  dalla  odierna  oncia  romana  di 
gr.  28,00.  Però  spesso  mi  son  servito  dell'uno  e  dell'altro 


peso  constando  l'antica  libbra  di  gr.  324  incirca  e  la 
moderna  di  gr.  336. 
2  fl,  b.  Aes  oblongo  scavato  dentro  avente  di  fuori  la  forma  di 
una  navicella  trovato  nel  deposito  di  Cere  e  venuto  nella  mia 
collezione.  Pesa  grammi  536,  pari  ad  una  libbra  e  sette 
once  incù'ca.  Chi  ha  piti  volte  vedute  le  lucerne  di  terracotta 
fatte  a  mano  che  si  ti-ovano  insieme  con  le  stoviglie  fime- 
bri  in  Eoma  e  nel  pascolare  di  Castel  Gandolfo  non  troverà 
strano  il  confronto  fra  queste  lucerne  e  il  bronzo  di  Cere. 


Tav.  il 

a,  b.  Aes  intero  come  è  venuto  fuori  dalla  staffa  trovato  nel  de- 
posito di  Cere  ed  ora  nella  mia  collezione.  È  di  forma  rotonda 
tendente  alla  ovale,  ma  difettosa  dal  lato  sinistro  a  motivo 
della  fusione  che  come  pare  è  stata  impedita  nella  forma. 
Il  suo  peso  è  di  libbre  8  e  9  once  e  mezzo.  È  notevole 
quella  sgocciolatura  di  metallo  per  tutta  quasi  la  superficie 
piana:  quanto  alla  parte  convessa  essa  è  tanto  irregolare 
da  fare  meritamente  conchiudere  che  il  metallo  fu  colato 
in  un  fossetto  di  arena. 


Tav.  m. 

1-5.  Ho  riunito  qui  questi  cinque  pezzi  usciti  dal  deposito  di 
Cere,  perchè  ci  danno  un  saggio  dei  pani  metallici  rotondi 
divisi  in  quattro  parti.  Di  più  perchè  vi  si  vede  chiaramente 
come  il  metallo  si  è  aperta  la  via  intorno  intorno  per  un 
fondo  che  doveva  perciò  essere  mobile.  Il  primo  pezzo  pesa 
due  libbre  e  once  due  :  il  secondo  due  libbre  once  otto  : 
il  terzo  libbre  quattro  once  otto  e  mezzo  :  il  quarto  libbre 
quattro  once  tre  :  il  quinto  libbre  quattro  once  otto  e  mezzo. 


Tav.  IV. 

1.  a,  &,  e.  Strano  bronzo  tendente  alla  forma  di  cono  rovescio  pro- 

dotto dal  deposito  di  Cere.  Chiaro  appai-isce  che  le  pareti 
interne  della  forma  pieghettavano  e  però  hanno  impressi 
più  angoli  e  cantoni  ma  non  simmetrici  fra  loro.  Il  peso 
è  di  libbre  quattro  e  due  once  in  circa.  Fu  spezzato  in  più 
luoghi  a  colpo  di  martello  del  quale  rimangono  evidenti  le 
ammaccature.  Le  forme  a  cono  rovescio  hanno  ora  perfetti 
modelli  in  alcuni  bronzi  del  deposito  di  Bologna  (Gozza- 
dini.  Noie  sur  uno  cachette  de  fondeur,  Toulouse  1877,  ed. 
sep.  pag.  11). 

2.  a,  b,  e,  d.  Il  deposito  di  Cere  ci  manda  ancora  questo  bronzo 

singolare,  il  quale  a  tutti  i  segni  dimostra  d'esser  parte 
d'un  grosso  anello.  Esso  prova  che  il  metallo  fu  fatto  scor- 
rere nella  forma  circolare  a  più  riprese.  Il  suo  peso  è  di 
ti-e  libbre  once  due  incirca. 


Tav.  V. 

1.  Questo  bronzo  e  i  seguenti  sono  stati  raccolti  in  questa  tavola 
per  dare  una  idea  delle  spezzature  e  dei  tagli  quando  si 


AES  BUDE 


T.  VI 


dichiararono  da  taluni  a  giudizio  dei  periti,  impossibili,  non 
ostante  le  prove  recate  dal  conte  Gozzadini.  Migliori  esempì 
ne  sono  venuti  di  poi  alla  luce  fra  i  quali  tiene  un  singoiar 
posto  quel  bronzo  di  Cesena  che  rappresenta  un'  accetta 
(tav.  LXVIII  1,  a  b).  Il  diedi  anche  inciso  dalla  parte  del 
dritto  e  del  riverso  nel  quaderno  720  pagg.  718,  718  della 
Civ.  Catt.  Esso  non  viene  da  Cere,  ma  da  Collatia  oggi  detta 
Lunghezza,  e  fu  trovato  insieme  con  altri  sette  pezzi  nel 
mezzo  di  un  sepolcro  rotondo  comune  ad  altrettanti  defouti 
divisi  l'uno  dall'altro  da  un  mnricciuolo  e  collocati  come 
raggi  intorno  ad  un  centro.  Il  suo  peso  è  di  gr.  320.  V'erano 
insieme  con  questo  aes  rude  vasellini  e  tazze  di  buon  la- 
voro :  i  vasellini  a  due  manichi  e  striati  in  pasta  di  color 
nero,  le  tazze  in  color  di  creta  giallognola  dipinte  a  cerchi 
concenti'ici  di  color  nero. 
2,  3,  a,  b,  e.  Vengono  ambedue  da  Cere.  Il  peso  del  primo  è 
di  once  nove  e  mezzo  in  circa,  quello  del  secondo  è  di 
circa  sei  once.  Le  linee  del  taglio  sono  ancor  qui  in  am- 
bedue evidenti,  solo  non  si  saprebbe  dire  se  lo  strumento 
adoperato  fosse  piuttosto  ima  mannaia  che  una  scure.  Oo- 
gidì  nelle  officine  si  adoperano  tagliuoli  coi  quali  s'intacca 
il  rame  che  poi  si  spezza  a  colpi  di  mazza  e  ciò  si  fa  anche 
a  freddo.  Nel  n.  2  si  vede  la  tagliatura  sui  tre  lati  e 
sul  piano  appaiono  i  ripetuti  colpi  di  mazza. 

4.  a,  b,  e.  Ancor  questo  pezzo  che  è  pure  ceretano  è  rajjpre- 

sentato  da  tre  suoi  lati.  Pesa  una  libbra  once  otto  e  mezzo 
in  circa.  Fu  staccato  da  im  pane  della  forma  d' una  patera 
come  appare  dal  fondo  convesso  e  dalla  figura  rotonda  in  a. 
Sono  ancor  qui  patenti  i  colpi  di  mazza  in  e. 

5.  Ai  due  frammenti  2,  3  di  forma  triangolare  piacemi  aggiun- 

gere questo  che  è  stato  ridotto  a  forma  rettangola.  Pro- 
viene da  Cere  e  pesa  due  libbre  e  once  quattro.  Ve  n'è  un 
altro  pezzo  nella  collezione  la  cui  riduzione  a  forma  qua- 
drata non  è  stata  compita  se  non  da  soli  tre  lati. 

6.  o,  h.  Bronzo  ceretano  espresso  in  a  dalla  faccia  inferiore  e 

in  b  dal  lato  sinistro.  V'è  da  notare  in  a  un  evidentissimo 
taglio  e  in  6  la  piccola  massa  cilindrica  confusa  col  liquido 
metallico  e  quegli  sfiati  prodotti  dalla  ineguaglianza  di  tem- 
peratura. Pesa  tre  libbre  ed  once  sette. 


Tav.  vi. 

1.  Dalle  terre  di  Palestrina  nella  collezione  del  bar.  Visconti. 

Pesa  quattro  libbre  once  otto  e  mezzo.  La  sua  grossezza 
è  rappresentata  in  b,  il  bronzo  tende  alla  forma  quadrata. 

2.  Dalle  acque  di  Vicarello  ora  nel  Kircheriano.  Kappresenta  il 

più  gran  pezzo  di  aes  rude  tratto  da  quelle  acque.  Esso 
servì  di  base  al  Mommsen  per  stabilire  che  V  aes  rude  e 
Vaes  quadrilatero  andavano  del  pari,  in  guisa  che  Vaes  rude 
fosse  di  pezzi  inferiori  alla  libbra  e  al  di  sopra  della  libbra 
i  quadrilateri,  ciò  che  ho  dimostrato  nel  prolegomeno  non 
esser  vero.  Notisi  inoltre  che  il  peso  di  questo  bronzo  non 
è  come  presunse  il  Mommsen  di  una  libbra,  ma  sì  di  due 
libbre  e  oltre  ad  un  oncia,  cioè  di  gr.  707,20.  Trovasi  pub- 
blicato dal  barone  D'Ailly  nelle  Recherches  tom.  I,  pi.  1, 1. 
La  sua  forma  è  quasi  quella  di  un  cubo. 


3,  4.  n  n.  3  rappresenta  un  pezzo  di  aes  in  forma  di  verga  quadrata 
colla  sua  base  a  destra  e  a  sinistra.  L'ho  trovato  in  una 
delle  casse  sepolcrali  nella  necropoli  di  Palestrina;  ora  è 
deposto  nel  museo  Vaticano.  A  questo  pezzo  fa  buon  con- 
fronto quello  del  n.  4  cavato  dalle  acque  di  Vicarello  e 
ora  nel  Kircheriano.  Si  riscontrano  assai  bene  anche  per  la 
bava  dai  due  lati. 

5-8.  Nette  per  contrario  da  ogni  bava  si  mostrano  le  quattro 
verghe  quadrate  che  dò  sotto  questi  numeri.  Non  sono  tro- 
vate tutte  in  un  sito  ma  in  diversi.  Il  n.  5  fu  trovato  dal 
eh.  Gamurrini  fra  Todi  e  Chiusi  e  fu  dato  alla  luce  nel 
Periodico  del  march.  Strozzi  (an.  IV,  tav.  1,  2,  2,  6,  p.  16): 
il  n.  6  l'ho  raccolto  io  stesso  nei  miei  scavi  di  Palestrina: 
Il  n.  7  fu  recato  da  Albano  al  barone  P.  E.  Visconti 
il  n.  8  l'ebbe  il  medesimo  barone  Visconti  da  Palestrina  : 
in  esso  sono  evidenti  i  segni  della  tagliatura  a  destra.  Per 
questi  pezzi  e  i  due  precedenti  avrassi  fondata  e  sicura 
dimostrazione  che  in  Toscana  e  nel  Lazio  fu  in  uso  Vaes 
rude  in  forma  di  verghe  quadrate  :  piena  conferma  poi  ce 
ne  daranno  le  simili  verghe  appartenenti  all' aes  signatum 
che  mostreremo  nella  tav.  XXVII'  n.  13,  a,  b. 

9.  Da  Ponte  Landolfo  presso  Benevento  nella  mia  collezione. 

Di  questo  bronzo  del  quale  qui  ho  delineato  la  faccia  piana 
tratterò  di  nuovo  nel  Supplemento  tav.  LXVIII,  2,  a,  b,  dove 
darò  anche  la  faccia  inferiore  che  porta  impressa  la  lettera  ^, 
di  che  non  mi  era  avveduto  prima.  Pesa  once  quattro  scarse. 

10.  Dalla  necropoli  di  Tarquinia.  Pezzo  singolarissimo  fuso  fra 
staffe  chiuse,  di  che  è  argomento  l'esuberante  metallo  del 
canaletto  d'infusione,  quale  si  vede  nell'aes  signatum  e  nel- 
Vaes  grave  e  in  special  modo  in  un  sestante  della  serie 
ovale  recatomi  da  Ancarano. 

11.  Scavandosi  in  Ossi  di  Sardegna  nel  1851  fu  rinvenuto,  scrive 
il  ean.  Spano  {Bull.  arch.  sardo  1860  p.  34),  sotto  un  tronco 
di  quercia  un  gran  numero  di  questo  aes  rotondo  e  piano 
convesso  che  fu  distrutto  e  non  se  ne  riserbò  che  questo 
sol  pezzo  pel  museo  di  Cagliari  ove  ora  si  trova  deposto. 
Pare  che  gli  Ossensi  con  questi  pezzi  di  analoga  forma  ro- 
tonda imitassero  le  forme  di  aes  grave  che  era  allora  in 
uso  in  Italia.  È  ora  saputo  che  in  luoghi  diversi  dell'isola 
si  sono  poi  trovati  simili  pezzi  rotondi  ma  di  peso  mag- 
giore, sempre  però  di  puro  rame  a  differenza  dei  pezzi  qua- 
drati n.  62  che  sono  generalmente  composti  di  rame  e  zinco 
che  diciamo  ottone.  Questo  pezzo  nel  disegno  dello  Spano  è 
stato  ridotto  alla  sua  metà,  come  ora  apprendo  dal  direttore 
del  museo  di  Cagliari.  Pesa  gr.  1540. 

12.  In  Scolca  della  medesima  isola  di  Sardegna  fu  scoperta,  a 

testimonianza  dello  Spano  (  Bull.  cit.  p.  34  tav.  E  n.  1) 
nel  1840  una  pignatta  piena  di  aes  rettangolo  o  tendente 
alla  forma  triangolare  (vedi  BìtW.  arc/ì..  sardo  tav.  E  n.  2-5). 
Cotesto  pezzo  è  ancor  esso  ridotto  nelle  tavole  dello  Spano, 
essendo  di  cent.  6  per  otto  e  mezzo  di  altezza:  il  suo 
peso  è  di  gr.  640.  Gli  fanno  riscontro  il  bronzo  di  Pale- 
strina del  n.  16  di  questa  tavola,  e  il  bronzo  quadrato  di 
Ancarano  che  do  nel  supplemento  (tav.  LXVII,  1). 

13.  È  venuto  nel  Kircheriano  dalle  acque  di  Vicarello.  Non  v'ha 
dubbio  che  sia  frammento  di  una  lastra   ovale  o  rotonda 


T.  VI 


AES  BUDE 


come  l'altro  simile  estratto  dalle  acque  medesime  clie  do 
nella  tav.  XXVI  n.  1,  colla  sola  differenza  che  questo  è 
rude  l'altro  è  segnato  di  un  tronco  marchiato  di  un  glo- 
betto  fra  ciascuna  coppia  delle  sue  braccia. 

14.  Trovato  da  me  in  ima  parte  della  necropoli  prenestina  de- 

stinata alla  sepoltura  dei  soldati.  Accanto  alla"  testa  dello 
scheletro  dal  lato  destro  era  questo  gruppetto  di  metalli 
congiunti  dall'  ossido  di  ferro.  Vi  si  vedono  due  fram- 
menti di  aes  rude,  una  monetina  di  bronzo  napolitano  col 
mezzo  bue  androprosopo  e  la  testa  di  Apollo  al  riverso 
con  parte  della  epigrafe.  V'è  insieme  un  anello  di  ferro,  due 
frammenti  di  bulle  in  rame  e  due  tronche  lamine  dello  stesso 
metallo  (vedi  le  mie  Diss.  archeol.  voi.  1  p.  133  e  la  Civ. 
Calt.  quad.  790  p.  477). 

15.  Dalle  acque  di  Vicarello.  È  un  frammento  di  lastra  che  non 
può  dirsi  se  di  forma  ovale  ovvero  rotonda.  Non  ha  verun 
tipo  ma  è  liscia  e  piana  solo  da  una  parte,  dall'  altra  è 
convessa. 

16.  Anche  Palestrina  come  Ancarano,  e  ora  Perugia,  usò  1'  aes 
rude  di  forma  quadrata. 

17.  Pezzo  triangolare  di  Vicarello  della  qual  forma  ne  furono 

veduti  più  pezzi  nel  deposito  di  Scolca  insieme  colle  forme 
rettangole.  Vedi  avanti  n.  12. 

18.  Dalle  acque  di  Vicarello.  Pezzo  che  simula  la  forma  d'una 

accetta. 
19-22.  Dalle  acque  medesime.  Sono  forme  che  si  accostano  alle 
triangolari,  rettangole,  cubiche,  miste.  Non  sono  le  più  pic- 
cole avendosene  di  quelle  che  pesano  appena  due  grammi, 
un  cui  esempio  è  nella  mia  collezione,  e  un  altro  si  trova 
nel  D'Ailly  {Recherches,  tom.  1  pi.  1,  8). 


AES  SiaNATUM 

Abbiamo  appreso  dall'  esperienza  che  1'  aes  rude  si  fuse 
d'ordinario  in  istaffe  aperte,  e  per  contrario  le  staffe  chiuse  furono 
adoperate  comrmemente  a  fondere  Vaes  signatum.  La  forma  vol- 
gare di  queste  staffe  o  matrici  fu  quadrilatera.  Da  principio  le 
due  matrici  non  si  accostavano  in  guisa  che  combaciassero,  ma 
si  lasciavano  in  qualche  maggiore  o  minore  distanza  di  modo 
che  il  liquido  metallo  che  fondevasi  dal  minor  lato  superiore 
riempiva  anche  i  margini  delle  staffe  e  questa  esuberanza  noi 
sogliamo  chiamar  bava:  si  è  anche  da  notare  che  le  due  staffe 
non  si  vedono  collocate  parallele,  ma  più  spesso  da  basso  in  alto 
oblique,  sicché  il  quadrilatero  con  la  sua  bava  prende  aspetto  di 
cogno.  H  peso  del  metallo  non  è  determinato,  ma  nei  più  recenti 
si  accosta  alle  cinque  libbre.  I  tipi  di  questa  prima  epoca  sono 
tronchi  bracciati,  ovvero  ramoscelli  di  foglie  acute  in  punta  simili  a 
quella  della  Chamaerops  humilis,  e  però  alle  frasche  che  i  maestri 
della  palestra  come  quelli  in  musaico  delle  terme  antoniniane  por- 
tano in  mano  per  far  scuola  ai  giovani  palestriti.  Oggi  è  invalso 
l'uso  di  definire  il  tronco  bracciate  per  ramo  secco  e  la  frasca 
simile  a  quella  deUa  chamaerops  humilis  di  chiamarla  spina  di 
pesce.  La  maggior  copia  di  codesti  quadi-ilateri,  dei  quali  non 
si  è  iìnora  trovato  veruno  intero,  se  ne  sono  avuti  in  qualche 


numero  dagli  scavi  delle  terramare  di  Lombardia.  Le  campagne 
di  Vitorchiano  verso  Montefiascone  ne  hanno  messi  all'  aperto 
due  notevolissimi  esempì,  e  le  terre  di  Ardea  ne  hanno  mostrato 
un  terzo  esempio  per  fabbrica  e  peso  egualissimi  ai  lombardi. 
Dopo  questi  rozzi  ed  assai  arcaici  saggi  porremo  quei  frammenti 
che  sono  di  miglior  arte  e  insieme  di  minor  peso.  Gli  estremi 
confini  di  loro  scoperte  sono  stati  finora  Marzabotto  nel  Bolo- 
gnese e  Teramo  negli  Abruzzi,  ai  quali  si  è  venuto  di  recente 
ad  unire  il  romano  trovato  sulle  rive  del  Tevere  che  traversa 
la  città,  nel  quale  egualmente  che  nel  teramano  cominciano  a 
variare  i  tipi  per  dar  luogo  ai  delfini  che  vi  si  vedono  effigiati 
soli  ovvero  insieme  con  qualche  strumento  del  quale  rimane 
l'asta  e  può  credersi  che  sia  rm  tridente  simbolo  allusivo  al 
mare  del  pari  che  il  delfino.  Agli  estremi  confini  di  questa 
seconda  epoca  o  ai  principi  della  terza  si  possono  assegnare  i 
due  quadi-ilateri  che  devono  essere  usciti  dalle  officine  di  Todi 
e  ci  sono  giunti  interi.  L'un  d'essi  ha  per  tipo  la  clava  e  al 
riverso  la  frasca  della  chamerops  humilis,  l'altro  figm-a  un  bue 
e  al  riverso  il  tronco  bracciate  forse  della  verbena. 

Alla  terza  epoca  della  miglior  arte  si  deve  il  veder  rego- 
lata meglio  la  fusione,  essa  fa  in  prima  sparire  del  tutto  la  bava 
dai  tre  lati,  e  si  studia  che  le  due  staffe  combacino,  onde  non 
avvenga  ciò  che  non  è  sì  raro  a  vedersi  nei  quadrilateri  delle  epo- 
che anteriori,  in  diverso  livello  le  impronte  di  un  lato  da  quelle  dal- 
l'altro. È  da  stimarsi  che  il  metallo  vi  si  adoperasse  quale  si 
cava  dalle  miniere,  ovvero,  siccome  ne  abbiamo  esperienza  nel- 
Vaes  rude,  vi  si  mescolasse  in  poca  quantità  dove  il  piombo 
dove  il  zinco  e  dove  lo  stagno.  Della  provenienza  di  questi  qua- 
drilateri non  si  è  sempre  tenuto  conto.  Nondimeno  sembra  che 
non  se  ne  debba  di  troppo  allargare  la  regione  segnataci  da 
Tarquinia,  Bomarzo  e  Todi  dal  lato  dell'Etruria  e  dell'Umbria 
e  da  Velletri  che  sembra  l'ultimo  termine  dell'altro. 

1  tipi  di  questa  età  non  sono  ancora  figure  d'uomiui  o  di 
Dei,  ma  segni  e  simboli  presi  dalla  natura  animale  e  dagli  stru- 
menti d'uso  nella  vita  civile.  È  cosa  notabile  che  nei  quadri- 
lateri di  questa  classe  finora  conosciuti  non  siasi  veduto  altro 
che  il  bue  quantunque  il  nome  di  pecunia  dicasi  provenuto 
all'  asse,  perchè  con  esso  pagavasi  la  somma  delle  multe  in 
buoi  e  pecore,  multae  dictione  ovium  et  bowm  (CAcr.  de  re  pubi.  II 
e.  9)  ;  e  neanche  può  dirsi  che  siasi  avverato  ciò  che  Plinio  ha 
scritto  {L.  XVIII,  3)  essersi  in  principio  segnata  la  moneta  coi 
tipi  dei  buoi  e  delle  pecore,  ovium  boumque  effigie  e  che  da 
questa  nota  pecudum  fosse  denominata,  uìule  et  pecunia  ap- 
pellata (L.  XXXII1,13).I  quali  due  testi  avendo  citati  il  P.  Eckhel 
{D.  71.  V.  I,  11)  meritamente  soggiunge  che  gli  si  concederebbe 
di  non  sottoscrivere  a  tale  sentenza  a  cui  non  suffragano  le  mo- 
nete. Non  fu  di  fatti  perciò  che  la  moneta  si  disse  pecunia  ma, 
perchè  con  essa  pagavasi  il  valore  dei  buoi  e  delle  pecore  ;  poi 
anche  se  ne  allargò  il  significato,  sicché  ogni  provento  della  terra  in 
grano,  in  frutta,  chiamossi  pecunia,  quia  ex  his  rebus  constai  quam 
nunc  pecuniam  dicimus.  (Paul,  in  Post.  p.  244).  Ognun  vede 
che  l'aquila  ministra  del  fulmine  e  il  pegaso  sono  simboli  l'uno 
di  Giove  tonante,  l'altro  del  dio  marino,  dal  quale  secondo  la 
tradizione  seguita  da  Cornuto  il  pegaso  ebbe  origine  e  nome:  cIttò 
zàv  Ttfffàiv  (òvonaa[iévog  {De  nat.  deor.  e.  22  p.  130  ed.  Ossan.). 


AES  SIGNATUM 


T.  VII 


A  prospera  impresa  sembranmi  alludano  i  polli  augurali  in  atto 
di  beccare  avidamente  la  polenta  e  di  fare  colle  bricciole  di 
essa  cadute  sul  terreno  il  trijmdiuin  solistimum  ;  che  poi  queste 
imprese  siano  di  un'  armata  il  dinotano  quei  due  astri  simboli 
dei  due  gemelli  protettori  della  navigazione,  e  al  riverso  quei 
delfini  che  nuotano  fra  due  rostri  di  nave.  Cercandosi  poi  un 
legame  ohe  insieme  congiunga  la  scrofa  e  l'elefante  africano  si 
troverà  qualora  si  voglia  por  mente  a  ciò  che  si  narra  avve- 
nuto nella  giornata  campale  dei  Komani  contro  Pirro  sotto  le 
mura  di  Ascoli  in  Puglia  :  di  che  vedi  il  commentario  alla  de- 
scrizione della  tav.  XXII  n.  1.  Che  poi  questi  che  chiamo  rostri 
non  siano  stati  finora  ben  definiti  per  tridenti,  lo  dimostra  la  forma 
troppo  diversa  come  già  ho  notato  in  un  articolo  {Civ.Calt.  qu.  726 
pag.  723),  non  vedendovisi  nei  tridenti  quelle  legature  che  so- 
lidamente uniscono  nei  rostri  le  punte  estreme  fra  di  loro,  sicché 
ne  formano  una  sola  massa.  Alcimi  tipi  che  vediamo  sui  nostri 
quadrilateri  separatamente  si  sono  veduti  congiunti  in  altri  bronzi 
ora  smarriti  o  occulti.  Il  Mionnet  vide  l'aquila  col  fulmine  sul 
dritto  e  un  parazonio  sul  rovescio  di  uno  d'essi  {Méd.  rom.  tom.  I 
pag.  1):  nn  tridente  dall' un  lato  e  il  fulmine  dall'altro  ap- 
parve già  in  tre  esemplari  che  si  trovarono  nella  necropoli  di 
Tarquinia,  secondo  la  notizia  confermatami  dal  bar.  Visconti,  il 
quale  anche  me  ne  indicò  i  tipi,  non  espressi  dal  Borghesi,  che 
ne  ricordò  il  ritrovamento.  Ho  detto  di  sopra  che  Tarquinia, 
Bomarzo  e  Todi  sono  i  limiti  settentrionali  della  regione  dove 
si  sono  trovati  finora  i  quadrilateri  di  questa  classe.  Non  pare 
dunque  che  i  Eomani  abbiano  mai  fuso  o  lasciato  fondere  qua- 
drilateri nella  città  di  Rimini,  ovvero  che  i  Eiminesi  che  hanno 
fuso  di  certo  Vaes  grave,  abbiano  emessi  metalli  quadrilateri.  Né 
giova  opporre  i  clipei  di  gallica  forma  ovale  che  si  trovano  im- 
pressi su  di  uno  di  essi.  Perchè  noi  concediamo  che  i  Galli 
adoperassero  scudi  di  questa  forma,  ma  neghiamo  che  siano  stati 
solo  lor  propri,  constando  che  in  certo  tempo  anche  i  Romani 
ne  fecero  uso.  Roma  su  di  una  moneta  di  Locri  si  appoggia 
ad  un  clipeo  elittico  identico  al  gallico  anche  per  l'insegna  che 
porla  simile  ad  un  fulmine  privo  dei  soliti  raggi  :  ne  può  cre- 
dersi che  i  Locresi  rappresentando  Roma  armata  la  volessero  di- 
fesa da  uno  scudo  non  suo.  Della  spada  non  parlo,  perchè  consta 
dai  monumenti  averne  essi  avuta  di  più  d'una  maniera.  L'eb- 
bero a  due  tagli  e  acuta  in  punta  con  una  vetta  traversa  per 
paramano,  come  si  vede  sulla  moneta  fusa  riminese,  e  inoltre  pare 
che  abbiano  adottata  anche  la  romana,  quale  si  rappresenta  sui 
quadrilateri,  siccome  impariamo  dalla  moneta  coniata,  dove  è 
figurato  il  Gallo  armato  di  scudo  di  asta  e  di  un  parazonio  nel 
fodero  desinente  in  tondo  e  munito  della  piastra  di  guardia  che 
diciamo  crespello.  Ai  Galli  Celti  Diodoro  Siciliano  attribuisce 
doppia  spada  una  dritta  l'altra  curva  come  ha  notato  il  Bor- 
ghesi {Oeim:,  1  pag.  337,  338;  Diod.  Sic.  V,  30). 

È  parere  dei  numismatici  che  questi  quadrilateri  siano  al- 
trettanti quincussi  o  quinipondii  e  lo  deducono  dal  peso  che 
sogliono  avere  di  cinque  libbre  a  cui  mancano  talvolta  otto  once 
più  spesso  sole  tre  o  quattro.  Ninno  di  questi  bronzi  porta  il 
nome  del  popolo  o  della  città  se  ne  eccettui  quel  solo  che  reca 
l'epigrafe  ROMANOM.  Niuno  ha  veruna  nota  di  valore,  questa 
cominciò  solo  ad  inscriversi  quando  i  quadrilateri  furono  ridotti. 


La  zecca  di  Todi  ci  aveva  messi  sull'avviso  della  diminu- 
zione avvenuta  nel  peso  dei  quadrilateri,  come  sulla  moneta  lib- 
brale.  Fu  dunque  dato  alla  luce  dal  Passeri  {Chron.nwnism. 
p.  193)  un  quadrilatero  del  peso  di  once  tredici  e  colla  nota  del 
valore  segnata  con  quattro  globetti  sotto  i  piedi  del  bue  che  ne 
era  il  tipo.  Strano  sarebbe  e  nuovo  l'uso  dei  globetti  che  di- 
notano l'oncia  invece  della  linea  verticale  che  segna  la  libbra  : 
ma  v'  è  un  esempio  indubitato  che  possiamo  allegare,  ed  è  il 
decapoudio  di  bronzo  del  Kircheriano  di  sferica  forma  e  piana 
da  due  lati,  suU'  uno  dei  quali  è  il  numero  X  e  suU'  opposta 
faccia  vi  si  vedono  queste  cifre  -ì-  :  :  :  :  :  ;  dove  l'uffizio  dei  glo- 
betti e  della  linea  orizzontale  è  notevole,  non  potendo  spiegarsi 
altrimenti  gli  uni  e  gli  altri  che  per  libras  decem,  come  leggiamo 
distesamente  in  altri  pesi  VNCIAS  VI,  a  modo  di  esempio  ;  inoltre 
il  peso  di  grammi  3581,30  vi  corrisponde,  fatta  l'oncia  di  gr.  28, 
a  dieci  libbre,  otto  once,  grammi  3  :  posto  adunque  che  il  qua- 
drilatero del  Passeri  pesava  tredici  once  e  valeva  quattro  libbre, 
dovrà  dirsi  che  la  libbra  era  ridotta  a  quadrantaria.  Tarquinia 
ci  ha  recentemente  dati  interi  quadrilateri  anepigrafi,  e  dei  fram- 
menti che  portano  notato  il  valore  col  noto  segno  della  linea 
verticale,  che  in  uno  è  tripla.  Or,  poiché  dei  due  interi  l'uno  pesa 
gr.  558  l'altro  545  cioè  once  venti  meno  due  grammi  ed  once  19 
più  gr.  13,  ne  deduciamo  che  gl'interi  dei  quali  ora  abbiamo 
frammenti  colla  nota  II  e  III  debbono  essere  stati  tripondii 
della  riduzione  semissale,  non  essendo  probabile  la  trientale 
più  di  quello  che  sia  l'adoperare  cinque  linee  UHI  invece  d'un  V, 
e  potendo  sempre  supporsi  che  l'intero  peso  fosse  più  o  meno 
di  ventiquattro  once. 

A  cotesta  epoca  di  riduzione  parmi  si  debbano  riferire  quei 
frammenti  di  verghe  quadrate  che  recano  il  tronco  della  verbena 
per  tipo  e  fra  le  braccia  globetti,  i  cui  esemplari  furono  pos- 
seduti in  Cortona  dal  Sellari,  dove  nou  sappiamo  se  i  globetti 
siano  note  di  once  ovvero  di  libbre  ridotte,  o  solo  vi  alludano. 
) 

Tav.  VII. 

1.  a,  b,  e.  Il  frammento  posto  in  primo  luogo  proviene  dalle 
campagne  di  Montefiascone  (o  Vitorchiano)  (');  il  suo  peso  è 
di  gr.  2248  pari  a  libbre  sei,  once  otto  e  altrettanti  grammi. 
Le  due  facce  sono  quadrilatere,  ma  i  lati  minori  colla  loro 
bava  (così  dicesi  il  metallo  trascorso  fra  i  labri  delle  staffe) 
si  vanno  restringendo  in  basso,  sicché  danno  l'aspetto  di  cono 
rovescio.  Un  secondo  frammento  ivi  medesimo  trovato  che 
sembra  tenere  un  andamento  parallelo  delle  due  facce  ha 
la  non  ordinaria  ertezza  di  sei  centimetri,  e,  quantunque 
non  abbia  maggiore  altezza  di  dieci  centimetri,  pesa  non- 
dimeno gr.  2400.  La  notizia  della  forma  e  del  peso  mi  è 
stata  comunicata  dal  sig.  V.  Capobianchi.  Può  credersi  che 
l'intero  quadrilatero  dovesse  pesar  il  doppio  stando  alle 
ordinarie   misure  di  codesti   bronzi.  Quadrilateri   simili  a 


(')  Cotesto  bronzo  fu  comprato  in  Montefiascone  e  n'ebbi  notizia  da 
colui  elle  lo  comprò  e  dal  venditore.  Appresi  di  poi  dal  sig.  Capobianchi 
che  fu  insieme  con  altri  bronzi  da  me  descritti  trovato  nelle  terre  di  Vi- 
torchiano. 


T.  VIII-X 


AES  SIGNATUM 


questi  due  si  erano  avuti  da  Marzabotto  nel  Bolognese  e 
in  qualche  numero  dalle  terre  di  Parma  e  di  Reggio  e 
credevasi  che  fossero  sol  proprie  della  Emilia  e  delle  pia- 
nure lombarde  :  ma  ecco  Montefiascone,  ecco  Teramo,  ecco 
Ardea,  d'onde  abbiamo  dedotto  che  bronzi  di  tal  peso  e 
figura  sono  propri  anche  delle  regioni  del  Lazio,  della 
Etruria  e  del  Piceno.  Si  è  detto  che  il  segno  postovi  so- 
pra sia  un  fulmine  :  ma  può  esser  piuttosto  un  tronco  della 
gramigna  (Targioni  Tozzetti,  Inslit.  botaniche  3  ed.  Firenze 
1813,  T.  I,  tav.  Ili,  n.  89):  poiché  a  volerlo  fulmine  man- 
cherebbe la  punta  al  tronco  simile  alle  due  braccia  late- 
rali: inoltre  nei  fulmini  le  parti  trisulche  sono  alle  due 
estremità,  e  posto  che  l'una  manchi,  mai  non  avrebbero  il 
tronco  sì  prolungato  senza  che  vi  fosse  dove  stringerlo  con 
la  mano. 
2.  a,  b,  e,  d.  In  Quingento,  luogo  del  comune  di  s.  Lazaro  Par- 
mense, furono  trovati  in  una  terramare  dieci  frammenti  di 
aes.  Quell'uno  d'essi  che  ho  qui  delineato  è  venuto  in 
possesso  del  march.  Strozzi:  il  suo  peso  è  di  gr.  2350 
pari  a  libbre  sette.  Esso  porta  in  rilievo  un  ramo  brac- 
ciate senza  foglie,  che  suole  dirsi  ramo  secco.  La  forma 
dei  lati  minori  è  come  quella  del  bronzo  di  Montefiascone 
a  cono  rovescio:  pari  ne  è  la  grossezza  h,  e,  d  con  quella 
del  montefiasconese  predetto  6,  e. 


Tav.  Vm. 

1.  a,b,  e,  d.  Kirch.  Scoperto  a  tramontana  di  Teramo  in  contrada 

detta  dei  Turri  luogo  distante  tre  miglia  dalla  città,  come 
afferma  il  sac.  D.  Giuseppe  Mentori  in  una  sua  lettera  al  P. 
Marchi,  nella  quale  narra  cotesto  trovamento.  Il  suo  peso  è  di 
grammi  1407  pari  a  libbre  quattro  once  cinque  incirca.  Vi  si 
vede  in  rilievo  un'asta  terminata  forse  in  tridente  e  in  mezzo 
a  due  delfini.  AI  riverso  non  appare  che  l'asta  in  campo 
liscio.  Il  profilo  conico  della  bava  al  lato  minore  e  di  molto 
si  assottiglia. 

H  Gennarelli  (ia  moneta  primitiva  p.  17)  trascrive  in 
nota  una  lettera  del  P.  Marchi  che  dice  aver  comprato  a 
caro  prezzo  questo  mezzo  quinipodio  dal  cav.  prof  de  Paolis 
che  rebl)e  dalla  provincia  di  Teramo.  Alla  pag.  109  il 
Gennarelli  torna  a  parlarne  dicendo  che  il  cav.  de  Paolis 
con  lettera  del  29  dicembre  1842  l'assicurò  che  il  fram- 
mento fu  trovato  presso  Nereto  nell'agro  pretuziano. 

2.  a,  b.  Trovato  nello  scoprire  il  principale  monumento  funebre 

di  Misanello  a  Marzabotto  nel  Bolognese  (Gozzadini,  Di 
un'aiìtica  necropoli  a  Marzabotto  1865,  tav.  XVII  n.  5 
pag.  53).  Il  suo  peso  è  di  libbre  sette  meno  undici  grammi 
pari  a  gr.  2157.  Tutta  la  superficie  di  cotesto  bronzo  è  sì 
coperta  di  ossido,  che,  oltre  all'asta  di  mezzo  non  presenta 
allo  sguardo  se  è  liscio  ovvero  se  vi  sono  delfini,  come  nel 
bronzo  teramano  precedente,  a  cui  cotanto  si  assomiglia, 
anche  per  la  grossezza  b  ;  neppure  può  indovinarsi  se  l'asta 
portasse  in  cima  un  tridente,  ovvero  due  serpi  come  caduceo, 
n  bel  confronto  fra  questi  due  pezzi  provenienti  da  re- 
gioni così  distanti  e  nondimeno  di  forma,  di  disegno,  di 


peso  tale  che  sembrano  usciti  dalle  medesime  staffe  ci 
farà  persuasi  ohe  non  vi  fu  diversità  fra  le  genti  dell'alta 
e  media  Italia  fra  Parma,  Bologna  e  Seggio  e  il  Piceno  e 
il  Lazio.  Ce  ne  convinceremo  anche  meglio  considerando 
il  singolare  aes  di  Ardea  che  si  darà  nell'  appendice 
tav.  LXVn,  2,  a,  b,  e,  d,  e. 


Tav.  IX. 

1.  a,  b,  e.  Trovato  a  Fabbro  nella  provincia  di  Orvieto  insieme 

con  altri  pezzi  e  ora  nella  collezione  del  march.  Strozzi.  Il 
suo  peso  è  di  gr.  805  pari  a  libbre  due  e  un'  oncia  in 
circa.  Sulle  due  facce  vi  si  rileva  il  così  detto  ramo  secco, 
ma  che  a  me  pare  possa  essere  invece  un  tronco  bracciate 
della  verbena  (v.  Targioni  Tozzetti,  op.  cit.  tav.  Ili  n.  65). 
Si  noti  ancora  come  siano  mal  accostate  le  due  staffe  più. 
bassa  l'una  a,  piìi  in  su  l'altra  b,  e  e  come  inoltre  il  profilo 
della  bava  b  parallelo  dimostri  che  non  vi  fu  distaccamento 
maggiore  dall'una  che  dall'altra  estremità. 

2.  a,  b,  e.  Dal  deposito  di  Cere  ora  nella  mia  collezione.  Bronzo 

intorno  involto  nell'ossido  di  ferro.  È  un  piccolo  frammento 
di  quadrilatero  ma  di  non  lieve  momento  ;  stantechè  sia  il 
solo  esempio  ohe  si  abbia  della  estremità  superiore,  come 
si  deduce  chiaramente  da  quel  canaletto  e  che  gli  corre  in- 
torno. Il  coperchio  adunque  che  si  assestava  sulle  staffe 
ebbe  una  base  o  piede,  che  il  teneva  fermo  mentre  il  me- 
tallo fuso  si  gettava  nelle  staffe  pel  foro  che  vi  si  doveva 
essere  aperto  nel  mezzo.  Nella  faccia  a  rimane  un  vestigio 
del  ramo  secco  o  tronco  di  verbena,  e  sul  lato  minore  la 
bava  non  ha  sensibile  divaricazione.  Il  suo  peso  è  di  once 
sette  e  gr.  13. 

3.  a,  b,  e.  Trovato  nel  deposito  di  Cere  con  Vaes  rude  e  ora 

nella  collezione  mia.  È  tutto  involto  e  coperto  dall'  ossido 
di  ferro,  come  il  In'onzo  del  numero  precedente  e  qualche 
altro  aes  del  ripostiglio  medesimo.  Quel  tronco  bracciato  e 
la  forma  di  cono  rovescio  data  al  bronzo  e  alla  bava  per 
la  divaricazione  delle  staffe,  ravvicinano  il  bronzo  ceretano 
di  tanto  ai  bronzi  di  Teramo  (tav.  Vili,  2)  e  di  Fiesole 
(tav.  X,  3)  da  farli  credere  gettati  in  una  comune  officina. 
Pesa  gr.  2104  pari  a  libbre  cinque  ed  once  quattro  incirca. 


Tav.  X. 

1.  a,  b-  Frammento  di  quadrilatero  di  forma  convessa  da  am- 
bedue le  facce.  È  nel  Museo  Britannico  e  pesa  una  libbra 
e  dieci  once.  Il  tronco  bracciato  che  v'  è  sopra  di  rilievo 
ha  due  particolarità,  perchè  è  nodoso  e  le  braccia  non  son 
rette  ma  curve  e  sembra  che  si  assottiglino  nelle  punte. 
La  seconda  è  che  vi  si  vede  impressa  una  mezza  luna  per 
contromarca.  Fu  dunque  riconosciuto  la  seconda  volta  dal- 
l'autorità publica  che  lo  legalizzò  perchè  avesse  valore  in 
quella  città  e  territorio,  dove  l'avranno  trovato.  I  numi- 
smatici credendo  che  i  nocchi  del  tronco  fossero  vertebre 
hanno  dato  al  tronco  nome  di  spina  di  pesce,  a  cui  si  ac- 
costa in  fatti  per  la  figura  e  spessore  e  andamento  delle 


ABS  SIGNATUM 


T.  X[-XIV 


braccia.  Ma  di  certo  quei  nodi  uon  sono  vertebre  come  si 
vedrà  di  poi  e  quel  curvarsi  delle  braccia  si  osserva  anche 
nel  bronzo  seguente,  sebbene  ivi  esse  non  si  assottigliano. 
A  me  pare  che  questo  tronco  si  rassomigli  di  molto  ad 
un  ramo  della  pianta  detta  Chamaerops  humilis  (Targioni 
Tozzetti,  op.  cit.  n.  57),  da  cui  tagliavano  una  volta  le  frasche 
pei  maestri  degli  atleti.  Se  ad  alcuno  sembrassero  piuttosto 
nervo  e  fili  di  una  foglia  potrebbe  paragonarne  il  disegno  alla 
foglia  del  Ficus  religiosa  (Targioni  Tozzetti,  op.  cit.  tav.  IV 
n.  152)  :  ma  io  preferisco  la  prima  spiegazione  tenendolo 
per  ramo  della  Chamaerops  humilis,  a  cui  può  ridursi  anche 
la  figura  del  bronzo  di  Fabbro  disegnata  qui  appresso,  seb- 
bene le  braccia  non  siano  acute. 

2.  a,  b,  e.  Dal  rispostiglio  di  Fabbro  nel  territorio  di  Orvieto 

ora  nella  collezione  Strozzi.  Pesa  gr.  1110  pari  a  libbre 
tre,  once  quattro  incirca.  Le  superficie  di  questo  frammento 
sono  piane,  quel  cordone  formato  dalla  bava  fra  le  staffe 
non  è  cuneiforme  avendo  le  linee  di  contorno  parallele. 
Ho  già  notato  che  le  braccia  del  ramo  che  è  espresso  sulle 
due  facce  non  vanno  su  dritte,  ma  s'incurvano,  pur  nondi- 
meno non  sono  acute  in  cima  né  più  larghe  alla  base. 

3.  à,  6,  e.  Unico  avanzo  del  ripostiglio  di  circa  settanta  pezzi 

trovato  nelle  vicinanze  di  Fiesole.  È  serbato  in  Firenze  dal 
doti  Andrea  Carlo  GargioUi.  Pesa  gr.  1344  pari  a  libbre 
tre,  once  otto.  È  questo  il  primo  esempio  del  ramo  con  più 
di  due  braccia  la  cui  distanza  ci  conferma  nell'opinione  che 
sia  tronco  di  verbena.  Le  due  staffe  neanche  qui  combaciano: 
la  bava  tra  di  esse  staffe  riesce  alquanto  cuneiforme. 


Tav.  XI. 

1.  fl,  b.  Trovato  nel  tesoretto  di  Vulci,  ma  ora  nel  Kircheiiano. 

Pesa  grammi  387  pari  ad  una  libbra  e  due  once  e  mezzo 
incirca.  Il  tronco  bracciate  quantunque  assai  guasto  si  con- 
fronta abbastanza  col  ramo  bracciate  di  Fabbro  (T.  X 
2)  dall'  una  delle  facce  e  col  tronco  della  Chamaerops 
(ibid.  n.  1)  dall'altra. 

2.  a,  b.  È  nel  Museo  Britannico  e  se  ne  ignora  la  provenienza. 

Il  bronzo  è  intero  e  di  forma  piano-convessa  :  rappresenta 
dall'una  delle  facce  una  clava,  dall'altra  un  ramo  della 
Chamaerops  a  cui  si  sono  impressi  a  ciascuna  linea  glo- 
betti  che  sembrano  essere  dentro  cerchi  a  guisa  di  anelli 
di  che  avremo  esempi  luminosi  di  poi.  Il  suo  peso  è  di 
gr.  1509,38  pari  a  cinque  libbre  meno  once  tre  incirca. 


Tav.  XIL 

1.  a,  6.  È  nel  Museo  di  Pesaro  e  fu  dato  dal  Passeri  (Parai.  1. 1, 2). 
Passò  quindi  nelle  tavole  del  Carelli  XLI,  2.  Lo  descrive 
il  Lanzi  (Saggio  tav.  II  p.  127  n.  5).  Il  mio  disegno,  se 
ne  eccettui  l'eccedenza  del  metallo  che  ho  copiato  dal  Ca- 
relli, viene  da  un  gesso  che  me  ne  sono  procurato.  I  con- 
torni a  schiancio  ricorrono  anche  in  altri  pezzi,  che  paiono 
usciti  dalle  officine  di  Todi  ponendoli  a  confronto  col  mo- 
dello tav.  XVII.  Rappresenta  da  un  lato  il  delfino,  dal- 


l'altro il  tronco  bracciato  coi  globetti  negli  anelli  di  rilievo 
ai  punti  ove  le  braccia  partono  dal  tronco.  Il  suo  peso  è 
di  gr.  900,  ossia  di  due  libbre  e  otto  once  incirca. 

2.  a,  b.  È  nel  Kircheriano  e  proviene  dal  ripostiglio  dell'Aric- 

cia.  Eappresenta  da  un  lato  due  delfini  e  dall'altro  il  tronco 
bracciato  con  certe  vestigie  degli  anelli  di  rilievo  sul  tronco 
agli  intervalli  delle  braccia. 

3.  a,  b.  Nel  Museo   Britannico    d'ignota  provenienza;    sembra 

però  dell'oiEcina  medesima,  donde  fu  emesso  il  bronzo  del 
n.  1.  Il  Poole  nel  Catalogne  p.  38  lasciò  incerto  il  tipo  del 
riverso  dove  ho  io,  giovandomi  di  un  gesso,  tracciato  il  tronco 
bracciato  cogli  anelli  sui  centri  delle  braccia. 


Tav.  XIII. 

1.  fl,  b.  Dalla  collezione  Guadagni  ora  nel   Museo  Britannico 

e  stampato  nel  Catalogue  pag.  29.  Fu  veduto  e  descritto 
dal  P.  Lanzi  (Saggio  t.  11  pag.  102  2="  ed.).  Il  suo  pesa 
è  di  gr.  1593,691  pari  a  libbre  quattro,  once  nove,  incirca. 
La  nota  del  Mommsen  (Blacas,  H.  t.  1  p.  381)  è  da  emen- 
darsi. Il  Carelli  tav.  XL,  1  non  dà  il  quadrilatero  descritto 
dal  Lanzi,  ma  il  borgiano,  che  fu  veduto  dall'Eckhel  ed  è 
ora  nel  Museo  Nazionale  di  Napoli  (vedilo  a  tav.  LXIX,  2). 
Questi  due  sono  autentici:  ma  non  quello  che  il  Caronni 
comprò  dal  Minervino,  al  quale  vedesi  aggiunta  l'epigrafe 
ROAAANOM,  non  ROMANO  come  scrive  il  Mommsen.  I  qua- 
drilateri che  portano  con  i  tipi  medesimi  questa  iscrizione 
(se  ne  contano  quattro)  sono  tutti  falsi.  Di  quello  che  publico 
qui  ho  la  copia  galvanoplastica,  del  secondo  ho  il  gesso, 
e  da  ambedue  ho  tratto  i  miei  disegui.  Al  Carelli  fu  cer- 
tamente mal  disegnato  quello  che  ora  è  nel  Museo  Napo- 
litano, come  vedremo  a  suo  luogo. 

2.  «,  b.  Dal  ripostiglio   di  Ariccia,  ora  nel  Kircheriano.  Fram- 

mento di  quadrilatero  rappresentante  dall'un  lato  la  spada 
dall'altro  il  suo  fodero,  dove  è  assai  ben  conservato  il  cin- 
golo e  l'orlo  del  fodero  che  si  eleva  nel  mezzo  per  im- 
boccarlo nella  corrispondente  incavatura  del  manico  :  di  che 
abbiamo  avuto  un  esempio  nella  spada  col  fodero  tro- 
vata nel  distretto  di  Huzès,  e  deposta  nel  Museo  di  arti- 
glieria in  Parigi  (Revue  arch.  1866  p.  184,  185  pi.  VI,  Q). 
Il  peso  di  questo  frammento  è  di  gr.  573. 


Tav.  XIV. 

1.  a,b.  Il  tipo  dello  scudo  si  aveva  nell'esemplare  Guadagni  ci- 
tato dal  Lanzi,  ora  nel  Museo  Britannico  (Catal.  p.  2127): 
io  do  qui  inciso  uno  dei  due  esemplari  che  venne  al  Kir- 
cheriano dal  ripostiglio  di  Aricela,  l'altro  passò  al  marchese 
G.  Durazzo.  Cotesto  sopra  delle  sue  facce  porta  la  leg- 
genda DIJIA  tracciata  collo  stecco  dal  modellatore  sulla 
creta  (vedi  la  mia  Storia  d'Isernia  Napoli,  1848  pag.  182). 
Noi  non  possiamo  dedurre  se  questa  epigrafe  fosse  fatta 
per  ozio  0  per  indicare  la  zecca.  Ricordo  ai  lettori  il  nome 
di  Macoluia  graffito  sulla  faccia  interna  di  uno  dei  piedi 
della  celebre  cista  prenestina  del  Kircheriano;    al   quale 


T.  XV-XVlt 


AES  SIGNATUM 


non  fu  prestata  fede  (Ilist.  de  la  monn.  t.  1  pag.  187 
ed.  Blacas),  ma  che  fu  dimostrato  vero  ed  inciso  nelle  Diss. 
archeol.  (voi.  1  tav.  XI,  21).  Il  bronzo  del  Museo  Britan- 
nico pesa  gr.  1623,30  pari  a  quattro  libbre  e  dieci  once, 
il  nostro  ha  grammi  1580,  pari  a  libbre  4,  once  8  e  8  grammi. 
La  forma  dei  due  scudi  è  ellittica  ;  nel  primo  a  v'  è  rap- 
presentato l'umbone  che  si  prolunga  a  destra  e  a  sinistra 
in  forma  di  costola  di  rinforzo.  Simile  a  questo  è  lo  scudo 
usato  dai  Galli  e  noto  per  piti  monumenti.  Il  secondo  scudo 
b  porta  quattro  razzi  di  fulmini  che  partono  da  un  globo 
posto  nel  centro  verso  la  periferia.  Alcuna  cosa  di  analogo 
si  vede  nel  riverso  di  una  moneta  di  bronzo  di  Agyrium 
in  Sicilia  nota  all'Eckhel  e  stampata  dall'Avellino  {Real 
Museo  Borbonico  tomo  XII  tav.  XXIX,  (1,  Napoli,  1839);  il 
quale  avvertì  che  cotesto  simbolo  non  aveva  ricevuta  una 
soddisfacente  spiegazione,  e  che  l'Eckhel  non  ne  aveva  fatto 
motto;  il  Mionnet  {Descript,  t.  1,  pag.  217)  lo  disse  una 
croce.,  e  il  Poole  ruota  a  quattro  raggi  (a  Catal.  Sicilij 
pag.  25),  ma  il  cerchio  della  ruota  manca  nell'esemplare 
edito  dall'Avellino;  e  sul  quadrilatero  non  può  dirsi  che 
sia  ruota,  perchè  ovale. 

2.  a,b.  Nel  Museo  Vaticano.  È  frammento  di  quadrilatero  col 

tipo  dei  due  scudi  ellittici. 

3.  Dalle  acque  di  Viearello;  è  nel  Kircheriano.  A  quanto  pare 

deve  essere  im  frammento  di  quadrilatero  col  tipo  di  uno 
scudo  ellittico  da  cotesto  lato. 

Tav.  XV. 

1.  a,  b.  Trovato  in  Castel  Gandolfo  presso  il  casino  di  campagna 
del  duca  di  Blacas  d'Aulps  che  il  comprò  per  la  sua  col- 
lezione l'anno  1820  (vedi  la  lettera  del  Blacas  nell'in- 
nuaire  Numism.  1882  pag.  284),  ed  è  ora  passato  nel  Museo 
Britannico.  Il  Blacas  figlio  ne  aveva  preparata  la  pubbli- 
cazione nell'appendice  al  voi.  Ili  àelV Histoire  de  la  mannaie 
romaine,  che  è  stato  pubblicato  col  titolo  di  voi.  IV  dal 
barone  de  Witte,  Paris  1875  pag.  5  pi.  I,  II.  Il  suo  peso 
secondo  il  Blacas  {^eltre  cit.)  è  di  54  once  romane,  ma 
si  è  verificato  di  recente  e  conta  grammi  1495,06  pari  a 
libbre  quattro,  once  quattro  e  gr.  10.  Il  mio  disegno  è  preso 
dal  gesso  che  se  ne  conserva  nel  Kircheriano.  Quivi  me- 
desimo si  ha  un  secondo  esemplare  levato  dalle  acque  di 
Viearello  assai  roso.  Eappresenta  da  l'un  lato  il  tripode  su 
zampe  di  leone  e  nel  riverso  l'ancora.  È  assai  di  rado  che 
sulle  monete  italiche  il  tripode  figuri  come  tipo:  se  ne 
eccettui  Crotone  che  ne  fa  solenne  pompa,  come  Metaponto 
della  sua  spiga  di  grano  ;  cinque  sono  le  città  che  talvolta 
se  ne  servono.  Lo  fa  Temesa,  indi  Napoli,  Metaponto, 
Petelia  e  Keggio.  Dell'ancora  è  ancor  più  raro  l'uso;  pe- 
rocché ponendo  da  parte  gli  Etruschi  appena  se  ne  ha  un 
esempio  in  Atri,  uno  in  Taranto,  e  solo  in  Pesto  si  trova 
adoperata  in  quattro  piccoli  bronzi.  Il  veder  dunque  i  due 
tipi  congiunti  nel  Lazio  deve  interpretarsi  per  un  caso  non 
ordinario,  qual  sarà  stato  il  voler  alludere  ad  una  spedi- 
zione a  Delfo,  cosa  che  leggiamo  fin  dai  tempi  più  remoti 
essersi  fatta  dai  Latini  (Liv.  I  a.  56). 


2.  a,  b.  Cotesto  frammento  che  dal  ripostiglio  di  Vulci,  come 
ha  notato  il  Puertas,  passò  nel  Kircheriano,  fu  noto  al  Ca- 
relli che  lo  die'  inciso  alla  tav.  XXXIX,  2  ma  non  esat- 
tamente. Quindi  il  Cavedoni  nella  descrizione  prese  l'avanzo 
del  tripode  b  per  un  vaso  che  chiamò  diota,  e  il  Mommsen 
il  disse  di  poi  anfora  {H.  de  la  monn.  1. 1,  Annexes  pag.  831). 
Ciò  quanto  al  riverso.  Il  mio  disegno  è  cavato  dall'  origi- 
nale e  vi  si  vedono  con  verità  espresse  sul  dritto  quelle 
che  il  Mommsen  (loc.  cit.)  prese  per  linee  oblique.  Esse 
a  me  sembrano  penne  dell'ala  di  un  pegaso  piuttosto 
che  di  un'  aquila.  Il  suo  peso  è  di  once  6,  deu.  7  pari 
a  gr.   177,82. 


Tav.  XVI. 

1.  a,  b.  Trovato  nelle  campagne  di  Bomarzo  e  deposto  nel  Kirche- 
riano. Pesa  grammi  1686,35  pari  a  cinque  libbre  e  gr.  6,35. 
Kappresenta  da  un  lato  il  tridente  dall'altro  il  caduceo  e 
ad  ambedue  è  avvinta  lina  tenia  o  lemnisco.  Di  simili  qua- 
drilateri se  ne  hanno  altri  due  esemplari  uno  nel  Museo 
di  Firenze  del  peso  di  gr.  1628,00  secondo  il  Fontana  (let- 
tera aggiunta  alla  Decr.  della  serie  consolare  n.  23),  cioè  di 
libbre  4,  once  9,  ed  è  descritto  anche  dal  Lanzi  {Saggio, 
11,  27,  8)  e  stampato  dall'Inghirami  (Mon.  etruschi  serie  HI 
pag.  17  tav.  2,  3,  1821-1826),  donde  il  trasse  di  poi  il  Ca- 
relli (tav.  XXXIX,  1).  Il  terzo  nel  Vaticano  e  l'abbiamo 
avuto  dal  comm.  C.  L.  Visconti  (Period.  di  storia  e  diritto 
1880 ,  63  seg.)  di  gr.  1678,00  cioè  cinque  libbre  incirca. 
Un  quarto  esemplare  con  questi  tipi  ma  col  caduceo  alquanto 
diversamente  modellato  si  conserva  nel  Museo  di  Parigi  e 
l'ha  pubblicato  il  Cohen  {Mon.  de  la  rép.  rom.  pi.  LXXIII 
pag.  349):  pesa  gr.  1680,15,  cioè  libbre  cinque  incirca. 
Questo  ha  di  proprio  che  il  cappio  del  lemnisco  annodato 
al  caduceo  esce  a  sinistra  e  non  a  destra  come  nei  tre 
descritti:  vi  sono  state  inoltre  omesse  nel  caduceo  le  due 
foglie  sulle  quali  posano  i  serpenti. 


Tav.  XVII. 

1.  a,  b.  Fu  dell'abate  Mascioli  di  Todi  che  il  tenne  caro:  né 
se  non  dopo  la  morte  di  lui  l'Olivieri  n'ebbe  un  disegno 
dal  parroco  Giovannelli,  che  diede  alle  stampe  {Fondaz.  di 
Pesaro  pag.  28).  Più  compiuta  è  la  narrazione  che  se  ne 
ha  nel  Diario  del  Giovannelli:  la  cui  notizia  debbo  al  march. 
Antaldi  che  me  ne  ha  scritto  da  Pesaro  il  28  ottobre  1880, 
ed  è  questa:  «  Fu  trovato  nel  1745  a  Rosaro  in  quel  di 
Todi;  l'Olivieri  nel  1717  non  ne  aveva  avuto  che  il  disegno 
ed  il  peso  dal  tedino  don  Andrea  Giovannelli ,  del  quale 
abbiamo  il  Diario  in  Olivieriana;  poi  nel  Diario  ridetto 
tom.  2°  a  pag.  108  si  vede  che  da  certo  Valentini  fu  il 
quadrilatero  stesso  donato  al  Passeri  e  da  lui  deve  averlo 
avuto  l'Olivieri  >..  Il  Passeri  lo  riprodusse  {Paralipom.  tab.I) 
e  da  lui  il  trasse  il  Carelli  (tab.  XLI,  1).  Il  mio  disegno 
è  tratto  da  un  gesso  che  me  ne  sono  procurato.  Nel  dritto 
.  è  figurato  un  bue  che  va  a  destra  e  guarda  di  prospetto, 

-2 


10 


AES  SIGNATUM 


T.  xvin  XIX 


nel  riverso  v'  è  un  ramo  bracciate  con  globi  impressi 
a  rilievo  quasi  dentro  anelli  su  dove  il  tronco  germina 
i  rami.  Il  suo  peso  è  di  libbre  quattro,  once  9,  gr.  8 
pari  a  gr.  1436. 

Con  questo  bronzo  non  si  può  confondere  il  quadrilatero 
di  Todi  coi  tipi  medesimi,  ma  del  peso  di  due  libbre  e  dieci 
once,  della  quale  moneta  il  Borghesi  scrisse  il  6  mag- 
gio 1826  al  cav.  Delfico  {Oeuvres  voi.  VI  pag.  307)  «  Ho  con- 
sigliato a  fare  delle  diligenti  ricerche  sopra  la  di  lei  pro- 
venienza, dalle  quali  poi  so  che  è  rimasto  constatato  che 
fu  trovata,  se  non  erro,  un  due  anni  fa  a  Todi  da  un  vil- 
lano che  la  vendè  per  metallo  ad  un  rigattiere,  dal  quale 
fu  rivenduta  per  poco  prezzo  ad  im  onesto  collettore  che 
io  ben  conosco,  da  cui  in  fine  è  stata  ceduta  al  Museo  Oli- 
vieri di  Pesaro  ove  ora  si  conserva  ».  La  qual  notizia  può 
ben  esser  vera,  sebbene  il  bronzo  non  sia  entrato  nel  Museo. 
Perocché  il  soprallodato  march.  Antaldi  mi  scrive  che  per 
quanto  egli  sa  non  vi  è  mai  stato  nel  Museo  Olivieri  altro 
bronzo  che  avesse  questi  tipi,  che  il  sopra  descritto,  e  di  tal 
peso.  Il  Lanzi  (Saggio  2"  t.  II  pag.  102),  novera  tre  esem- 
plari con  questi  tipi  uno  nel  Museo  di  s.  Genoveffa,  l'altro 
del  Pembroke,  passato  poi  in  possesso  del  sig.  Bunbury,  il 
terzo,  del  quale  si  parla,  presso  il  Mascioli.  Può  ben 
essere  che  egli  intendesse  indicare  soltanto  il  tipo  del 
bue  dall'  una  delle  facce,  perchè  quello  del  Mascioli  ha 
dall'  altra  un  ramo  bracciato.  Egli  ancora  novera  un  bronzo 
col  bue  duplicato  nel  Museo  Borgia  (  Saggio ,  2"  ed. 
p.  102  )  :  ma  ivi  non  vi  fu  mai  altro,  che  un  frammento 
con  questo  tipo. 
2.  a,  b.  Frammento  proveniente  da  Vulci,  ora  nel  Kircheriano. 
Un  frammento  simile  è  nel  Museo  di  Napoli  e  pesa  gr.  654,15 
(Borgia,  Catal.  ms.  p.  17).  Questo,  ha  di  sopra  del  gallo 
che  è  volto  a  sinistra  una  stella.  Il  volcentano  pesa  gr.  572,35, 
quello  del  Borgia  once  23,  den.  3  i.  Vedremo  l'intero  qua- 
drilatero nelle  due  tavole  seguenti,  dei  cui  tipi  rimane  qui 
un  gallo  da  un  lato  e  un  rostro  di  nave  con  due  mezzi 
delfini  dall'altro.  Quell'arnese  che  dico  rostro  è  detto  aviron, 
remo,  dal  Mommsen-Blacas  [Hist.  de  la  monn.  1. 1  p.  175, 
cf.  p.  330),  e  ivi  medesimo  1°  trident;  e  così  l'appella  il 
Borgia  con  altri  e  ora  il  Sambon  {Recherches  p.  56  n.  6, 8)  dove 
è  scritto  per  errore  deux  dauphins  et  dewx  étoiles,  invece  di 
deux  coqs  etc.):ma  vedi  appresso.  È  anche  bene  avvertire  che 
nella  indicata  pagina  dove  si  parla  del  ripostiglio  di  Vulci 
dicesi  che  vi  furono  trovati  dei  quadrilateri  in  parte  rotti  e 
che  tre  di  cotesti  frammenti  sono  oggi  nel  Kircheriano  :  indi 
nella  nota  (2)  si  descrivono  come  interi:  ces  trois  pièces  ont 
pour  type  1°  un  boeuf  sur  le  deux  faces;  2°  un  aviron 
avec  deux  dauphins  deux  poulets;  S"  une  haste  sur  les 
deux  faces.  Questo  modo  inesatto  di  esprimere  la  qualità 
dei  pezzi  e  la  parte  del  tipo  che  solo  vi  rimane  dipende  dal 
racconto  di  Melchiade  Fossati  nella  lettera  del  1842,  25 
agosto,  stampata  dal  Gennarelli  a  p.  12  della  Mon.  primitiva: 
dove  si  legge  che  a  cinque  palmi  dal  snolo  fu  trovata  un'  olla 
piena  di  bronzi,  altri  dupondii  o  tripoudii  parallelepipedi  e  ve 
ne  erano  dei  franti,  altri  di  parti  aliquote  di  assi  di  figura 


ellissoide  schiacciata  ed  i  piìi  erano  sestanti.  Il  Mommsen 
mette  ancora  nel  novero  dei  frammenti  con  questo  tipo 
quello  del  Carelli  (T.  XL  n.  2),  che  è  dato  da  me  a 
T.  XII,  2;  nella  quale  opinione  è  stato  anche  il  Cavedoni 
{ad  Carell.  tab.  cit.). 


Tav.  XVIII. 

a,  b.  Nel  Museo  Britannico  (Catal.  64,  65).  I  suoi  tipi  sono 
da  un  lato  i  due  polli  che  beccano,  dall'altro  due  opposti 
rostri  di  nave  con  due  delfini  tra  mezzo  che  si  vanno  in- 
contro. Il  suo  peso  è  di  gr.  1491,70.  Avendo  osservato  nella 
stampa'  del  Catalogue  dato  da  Poole  la  mancanza  dei  due 
astri  nel  dritto  di  questo  quadrilatero,  che  si  hanno  nel- 
r  esemplare  di  Parigi,  ne  ho  dimandato  all'autore,  che  mi 
risponde  non  apparirvene  la  traccia:  ho  quindi  riprodotto 
il  diseguo  dato  da  lui  nel  Catalogue  citato. 


Tav.  XIX. 

a,  6.  Nel  gabinetto  delle  medaglie  in  Parigi.  Lo  hanno  descritto 
il  Lanzi  (Saggio  t  II  p.  10  2''  ediz.),  l'Akerman  (Descript, 
of  rare  roman  coins  t.  I  p.  2  ) ,  il  Eiccio  (  Mon.  delle 
ant.  fam.  di  Roma  p.  250),  il  Lenormant  che  ne  ha  dato 
anche  un  disegno  nel  testo  (Élite  des  monum.  céramogr. 
introd.  1. 1  p.  LVIII,  LIX),  il  Cavedoni  [ad  Carell.  tab.  XL 
n.  2),  il  Mommsen  (H.  de  la  monn.  voi.  I  p.  330,  cf. 
p.  175)  e  il  Cohen  {Mon.  de  la  rép.  pag.  350,  2),  tutti  i 
quali  autori  han  del  pari  scritto  che  dall'un  lato  sono  due" 
polli  e  dall'altro  due  delfini  con  due  tridenti.  Il  tipo  del 
dritto  è  a  parer  mio  una  coppia  di  polli  augurali  fra  due 
astri  in  atto  di  beccare  ;  al  riverso  sono  due  rostri  di  nave 
veduti  di  fianco  e  due  delfini.  Ad  escludere  qui  l'idea  del 
tridente  basterà  notare  che  le  tre  cuspidi  non  sono  libere, 
come  sempre  nei  tridenti,  ma  legate  insieme  dal  metallo 
che  ne  riempie  gl'intervalli  fin  quasi  alle  estreme  punte.  Che 
se  i  rostri  talvolta  mostrano  le  punte  prohmgate  di  modo 
che  paiono  tridenti,  non  avviene  perciò  che  i  tridenti  abbiano 
mai  ripieni  gl'intervalli.  Il  mio  disegno  che  ha  la  prima  volta 
espressa  la  vera  figm-a  di  cotesti  strumenti  è  stato  tratto  da 
un  buon  gesso.  Non  intendo  con  ciò  negare  che  la  identica 
forma  tricuspide  colle  due  punte  laterali  piegate  in  fu«ri  co- 
me foglie  non  siano  perciò  tridenti;  tali  certamente  ce  li  rap- 
presentano i  Tudertini  (tav.  LV,  5;  LVI,  9).  Il  peso  di  questo 
bronzo  è  di  grammi  1525,50  pari  a  quattro  libbre,  once  otto, 
■  gr.  1.  A  mio  credere  fra  i  due  tipi  passa  una  stretta  relazione. 
Perocché  se  nei  due  polli  ohe  beccano  vogliamo  riconoscere 
che  rappresentino  il  tripudium  solistimum ,  augurio  solito 
prendersi  nelle  pugne  anche  navali ,  e  i  due  astri  sono 
quelli  che  proteggono  la  navigazione,  ossia  quelli  che  appa- 
iono sulle  teste  dei  Dioscori,  é  poi  indubitato  che  i  delfini 
simboleggiano  le  acque  del  mare,  come  i  rostri  significano 
le  navi  rostrate. 


T.  XX-XXIII 


AES  SIGNATUM 


11 


Tav.  XX. 

(.',  b.  Nel  gabinetto  delle  medaglie  in  Parigi.  L'ha  pubblicato  il 
Cohen  (op.  cit.  p.  350  pi.  LXXIV)  dopo  altri.  Il  mio  dise- 
gno deriva  da  un  gesso,  e  però  vi  si  vede  il  bue  intero, 
non  mutilo  come  il  fanno  quei  che  l' hanno  dato  in 
islampa  finora.  Il  suo  peso  è  di  gr.  1385,90  o  sia  quat- 
tro libbre,  tre  once  incirca.  Se  ne  conosce  un  secondo 
esemplare  che  fu  già  del  Pembroke  (Num.  ant.  Ili,  119), 
comprato  poi  dal  Bunbury  ;  pesa  gr.  1790,15,  cioè  lib- 
bre cinque,  once  4  meno  due  grammi,  non  sei  once 
qnanto  gli  assegna  il  Cohen  (1.  cit.).  Io  ignoro  adun- 
que ciò  che  si  legge  nella  versione  del  Blaoas  (T.  I 
p.  331)  secondo  la  quale  l'Hussey  (An  essat/  etc.  1836, 
p.  120,  132  )  parie  de  trois  lingots  carrés  du  Musée  Bri- 
tannique  au  type  du  hoeuf,  qui  péseraient  environ  3  li- 
vres  '/4,  ce  qui  équivaut  à  peu  près  à  1703  gr.  89.  Lo 
Spanhemio  (De  praest.  et  usu  numism.  t.  1  p.  22)  e  il  Ca- 
relli (tab.  XXXVII,  1,  2)  hanno  delineato  quello  del  Pem- 
broke. Il  Cai-elli  vi  aggiugne  il  disegno  del  P.  Du  Molinet 
(Cahin.  de  sainte  Geneviève  p.  47  pi.  XIV)  che  lo  ha  ri- 
dotto e  lo  stampa  da  un  sol  lato  :  e  così  è  riprodotto  dal 
Montfaucon  {Ant.  expliquée  t.  III  p.  164  pi.  LXXXVIII). 
Questi  lo  chiamano  quadrusse,  ma  non  ne  riportano  il  peso. 
Di  quello  esemplai-e,  a  cui  si  danno  dal  Riccio  tredici  once 
di  peso,  e  che  ei  dice  essere  stato  nella  collezione  del  Pas- 
seri, poi  nella  sua,  non  posso  dir  nulla  fin  che  non  saprò 
dove  ora  si  conserva.  È  certamente  notevole  che  il  Passeri 
si  trovi  d'accordo  col  Eiceio  in  quanto  alle  tredici  once ,  ma 
non  si  trovi  d'accordo  col  medesimo  in  quanto  ai  segni  di 
valore,  scrivendo  il  Passeri  che  porta  quattro  globi  in  segno 
delle  quattro  libbre ,  e  delineando  il  Eiceio  quattro  linee 
nel  senso  medesimo  (Mon.  delle  ant.  fam.  tav.  LXVIII  2'  ed. 
1843  pag.  250).  Il  bai-one  D'Ailly  {Recherches  t.  I  p.  200) 
scrive  di  averne  visto  uno  falso  presso  un  negoziante  di 
Napoli  nel  1852. 


Tav.  XXI. 

1.  a,  b.  Nel  Kircheriano   non  si  sa  d'onde ,  ma  probabilmente 

da  Vulci.  Frammento  di  quadrilatero  rappresentante  dai 
due  lati  il  toro  italico.  Pesa  gr.  430,39. 

2.  a,  b.  Nel  Kircheriano.  Venne  forse  dalla  collezione  del  mar- 

chese Eecupero  e  rappresenta  i  quarti  posteriori  del  toro 
italico.  Il  suo  peso  è  di  gr.  201,37. 

3.  Dalle  tavole  del  Carelli  (XL,  2),  non  dall'originale  che  non  si 

sa  dove  stia.  Il  Mommsen  cita  negli  Annexes  p.  330  questo 
bronzo  fra  quei  che  portano  per  tipo  al  dritto  due  polli  e  al 
riverso  due  creduti  tridenti  e  due  delfini,  ma  sbaglia  anche 
perchè  lo  strumento  che  è  al  riverso  è  un  vero  tridente 
sempre  così  effigiato  sui  quadrilateri  come  lo  è  questo. 

Tav.  XXTI. 

1.  a,  6.  Dalla  collezione  Guadagni   di   Firenze  passato  ora  al 
Museo  Britannico  e  dato  dal  Poole  (Catalogue  pag.  62,63). 


Io  ne  ho  tratto  il  disegno  da  una  mia  copia  alla  galvano- 
plastica. Eappresenta  da  un  lato  un  elefante  asiatico  che 
va  a  destra ,  daU'  altra  una  scrofa  che  va  a  sinistra.  Il 
Lanzi  lo  vide  e  descrisse  {Saggio  t.  II  p.  102  ed.  sec),  e  il 
Carelli  lo  stampò  nella  sua  tavola  XXXVIII,  dove  il  Ca- 
vedoni  scrive,  che  il  Lanzi  ne  vide  dei  simili,  ma  che  nel 
riverso  v'era  un  sus  ovvero  xm  aper,  non  una  scrofa.  Ma 
la  scrofa  e'  è  e  non  un  sus,  se  non  soltanto  nella  stampa  del 
Carelli.  Del  resto  il  Fontana  {Descr.  di  una  serie  consolare 
p.  3)  aveva  avvertito,  che  il  Lanzi  citando  un  secondo  esem- 
plare del  Museo  di  Firenze  (II,  2  ed.  p.  100)  erra  «  per- 
chè questo  non  ha  una  troia  e  im  elefante,  ma  sì  una  troia 
e  un  bue,  che  non  doveva  citarsi  perchè  opera  di  Weber, 
rotondo  e  falso  ».  Del  terzo  esemplare  che  il  Lanzi  dice  pas- 
sato in  Inghilterra  dalla  collezione  del  barone  Stosch  non  se 
ne  sa  nulla.  Pesa  grammi  1681, 68,  cioè  cinque  libbre  incirca. 
I  Eomani  videro  l'elefante  asiatico  la  prima  volta  nel  474, 
vinto  Pirro  ad  Ascoli  di  Puglia;  videro  di  poi  nel  504 
l'elefante  africano  quando  vinti  i  Cartaginesi  Metello  ne 
menò  pel  suo  trionfo  a  Eoma  centoquattro  (Orosio  IV,  9). 
Non  si  saprebbe  spiegare  qual  motivo  ne  inducesse  i  Eo- 
mani a  congiungere  insieme  sul  medesimo  bronzo  l'ele- 
fante e  la  scrofa ,  se  non  ce  ne  avesse  aperta  la  intelli- 
genza un  curioso  racconto  di  Eliano  (  De  nat..  animai.  I 
e.  38).  L'elefante,  scrive  egli,  teme  il  grugnito  del  porco 
e  si  ha  per  tradizione  che  i  Eomani  con  questo  spediente 
posero  in  fuga  ad  Ascoli  gli  elefanti  di  Pii-ro  l'Epirota 
e  così  ne  riportarono  splendida  vittoria  :  ÒQÓwSeì  S  èXsqiag 
XOiQov  §orjV  .  nVTù)  toIvvv,  (paal,  xcù  'PwficeToi  zovg  avv 
lIvQQm  ròì  rjusiQWTrj  étQÉipavTO  iXstpavtag  xal  fj  vìxtj 
avv  toTg  'Po^iamg  XafiTtgwg  éys'vsTo;  e  si  racconta  che  i 
Megaresi  assediati  da  Antigono  presero  alcuni  porci,  e,  a 
farli  strillare  bene,  gì' impegolarono  e  dato  fuoco  gli  spin- 
'  sere  contro  agli  elefanti  dell'oste  nemica  che  infuriati  la 
misero  in  disordine  (Id.  lib.  XVI  e.  36).  Gli  elefanti  scrive 
Plinio  {H.  N.  Vili,  9),  si  spaventano  ad  un  minimo  gru- 
gnito del  porco:  minimo  suis  stridore  terrentur. 
2.  a,  b.  Dal  deposito  di  Cere.  Frammento  di  quadrilatero  sulle 
cui  facce  rimangono  appena  visibili  le  tracce  di  piedi  d'animali 
dietro  le  ammaccature  della  mazza  adoperata  per  romperlo. 


Tav.  XXIII. 

1.  a,  b.  Dalle  terre  velletrane  trovato  insieme  coli'  altro  qua- 
drilatero che  porta  per  tipo  la  spada  e  il  fodero.  L'Eckhel 
lo  vide  nel  Museo  Borgiano  di  Velletri ,  e  lo  pubblicò 
nella  Sylloge  I  tab.  IX  p.  90  e  lo  descrisse  nella  D.N.V. 
T.  Il  p.  86  e  T.  V  p.  49,  50,  indi  il  Carelli  lo  fé  inci- 
dere nella  sua  tavola  SXXVI.  Non  si  sa  come,  ne  quando 
fu  estratto  dal  Museo  predetto  :  solo  è  certo  che  non  fu  mai 
nel  Museo  di  Napoli,  dove  passò  una  parte  del  Borgiano, 
lo  che  è  dimostrato  dall'Avellino  per  mezzo  del  Catalogo  che 
ne  fu  fatto  al  tempo  della  consegna.  Nel  Museo  Kirche- 
riano, dove  ora  si  trova,  entrò  per  le  mani  del  dott.  Emilio 
Braun  che  lo  comprò  in  Napoli,  e  gli  furono  pagati  300 


12 


AES  SIGNATCJM 


T.  xxiv-xxvr 


scudi,  mi  narrava  il  P.  Marchi,  oltre  un  ammasso  di  aes  grave 
per  giunta.  Il  Mommsen  tutto  ciò  non  Io  doveva  ignorare 
e  fa  perciò  maraviglia  come  abbia  osato  mettere  in  dubbio 
il  modo  dell'acquisto,  scrivendo:  Cette  pièce  apres  avoir 
passée  avec  le  Musile  Borgia  (corr.  une  parile  du  Musée  B. 
perchè  l'altra  parte  fu  deposta  in  Propaganda  di  Eoma) 
dans  la  collection  de  Naples,  est  venne,  on  ne  sait  trop 
comment,  dans  le  Musée  Kircher  à  Rome.  Fu  pubblicato 
di  nuovo  dopo  l'Bckhel  dall'  Instituto  nel  BuUeUino<&.  1844 
pag.  49  segg.:  ma  il  mio  disegno  è  preso  dall'originale 
che  pesa  gr.  1610,  99,  cioè  libbre  quattro  e  nove  once  e 
gr.  14  in  circa.  Kappresenta  da  un  lato  l'aquila  che  vola  di 
prospetto  stringendo  il  fulmine  negli  artigli  e  volge  il  capo 
a  destra;  dall'altro  lato  il  pegaso  che  corre  a  sinistra  bat- 
tendo le  ali;  di  sotto  v'è  la  leggenda:  ROW\ANOM. 


T.U-.  XXIV. 

1.  0,  h.  Dal  Museo   Guadagni  in  Firenze  ove  lo  vide  il  Lanzi 

{Saggio  T.  II  p.  126,  1),  ora  nel  Museo  Britannico.  Il  mio 
disegno  è  cavato  da  un  mio  calco  in  galvanoplastica. 
Kappresenta  come  il  precedente  l'aquila  di  fronte  che  vola 
portando  il  fulmine  negli  artigli  e  al  riverso  il  pegaso  che 
prende  il  volo  a  sinistra.  Vi  si  rivede  l'epigrafe  ROMA- 
NCIA. Peso  gr.  1391  pari  a  libbre  4,  un'oncia  e  gr.  6.  Un 
esemplare  senza  leggenda  l'ho  io  veduto  in  Parigi  presso 
r  Hoffman. 

2.  a,  h.  Trovato  nell'a.  1846  in  ottobre  a  Tor  Maraneia  presso 

le  mura  di  Kóma  e  dato  nelle  Mem.  numismatiche  a  p.  42 
tav.  Vn,  3,  4.  Il  Capranesi  lo  vendette  poi  al  Kircheriano.  È 
un  frammento  di  quadrilatero  con  avanzo  dei  tipi  e  della 
epigrafe  che  si  hanno  interamente  rappresentate  nei  due 
quadrilateri  precedenti.  Pesa  gr.  233,  17,  cioè  otto  once 
e  den.  6.  Nella  versione  dell'  H.  de  la  monn.  1.  pag.  177(') 
si  legge  Vauthenticité  du  lingot  ayant  pour  type  un  Fou- 
dre  et  Pegase  avec  la  legende  ROMANOM,  si  deve  in- 
tendere che  l'aquila  è  perita  del  tutto  e  vi  si  vede  da  un 
lato  una  sola  .parte  di  fulmine  ed  all'  opposto  i  soli  piedi 
del  pegaso  con  la  leggenda  ROM.  Quanto  all'autenticità 
del  quadrilatero  intero  eUa  era  stata  ben  stabilita  prima 
del  1846,  e  però  il  Mommsen  non  doveva  scrivere  che  allora 
soltanto  divenne  incontrastabile  l'autenticità  di  esso  quando 
fu  trovato  il  frammento. 


Tav.  XXV. 

1.  a,  b.  Nel  Kircheriano.    Parte  inferiore  del  tronco  bracciate 

sulle  due  facce:  il  suo  peso  è  di  gr.  302. 

2.  Dalla  collezione  Eecupero  nel  Kircheriano  :  il  suo  peso  è  di 

grammi  111.  I  suoi  tipi  sono  da  un  lato  il  tronco  di  ver- 
bena, dall'altro  il  ramo  di  Chamaerops.  Sul  tronco  in  mezzo 
delle  cui  braccia  sono  impressi  gli  anelli,  ma  non  vi  appare 
il  globo  come  si  è  veduto  nel  bronzo  tudertino,  Tav.  XVII 1,  b. 

3.  a,  b.  Dal  deposito  di  Ariccia  nel  Kircheriano:  il  suo  peso  è 

di  grammi  420  e  rappresenta  da  un  lato  un  ramoscello  di 


olivo  con  in  cima  tre  foglie,  dall'altro  un  segno  incerto 
probabilmente  perchè  ammaccato  da  colpi  di  mazza. 

4.  a,  b.  Trovato  nKlla  necropoli  di  Tarquinia  in  una  cassa  sepol- 

crale di  nenfro  accanto  allo  scheletro  :  ha  di  peso  gram.  558 
pari  a  cii'ca  venti  once.  Kappresenta  da  due  lati  due  mezze 
lune  rivolte  colle  punte  ai  lati  minori.  Io  l' ebbi  presso  di 
me  e  il  feci  disegnare. 

5.  a,  b.  Dalla  necropoli  di  Tarquinia  nel  Museo  Britannico  lo 

ha  dato  inciso  il  Poole  {Catal.  p.  66):  il  suo  peso  è  di 
gr.  35  pari  a  venti  once  incirca.  I  suoi  tipi  sono  i  me- 
desimi che  nel  precedente  numero  4.  Coteste  venti  once 
dei  due  quadrilateri  provano  una  riduzione  nel  sistema 
di  Tarquinia,  lo  che  ci  è  dimostrato  da  simili  pezzi  ohe 
portano  le  note  di  valore. 


Tav.  XXVI. 

1.  a.  Frammento  di  lastra  rotonda  o  ellittica  tratta  dalle  acque 

di  Vicarello  e  ora  nel  Kircheriano.  Porta  per  tipo  il  tronco 
bracciato  coU'anello,  che  qui  è  ovale,  sul  tronco  fra  i  due 
rami. 

2.  ffl,  b.  Dalla  necropoli  di  Tarquinia  nella  collezione  mia.  Fram- 

mento di  piccolo  quadrilatero  coi  tipi  delle  mezze  lune 
volte  colle  punte  ai  lati  minori.  Vi  si  vede  l'impressione 
lasciata  da  un  forte  colpo  di  mazza:  e  la  fusione  del  bronzo 
non  è  ben  fatta,  notandosi  per  tutto  gruppi  e  nodi  di  puro 
stagno.  Il  suo  peso  è  di  gr.  391.  Altri  pezzi  di  cotesto 
aes  quadrilatero  sono  nella  collezion  mia  e  provengono  da 
Tarquinia  :  uno  di  recente  ne  ho  veduto  presso  il  sig.  Stet- 
tiner  a  cui  è  stato  recato  da  Città  della  Pieve  insieme  con 
altri  piccoli  frammenti  di  lastre  quadrate  e  di  quadrilateri. 

3.  a,  b.  Dalla  necropoli    di  Tarquinia   nella  collezione   mia.  I 

suoi  tipi  sono  le  mezze  lune  volte  ai  lati  minori:  ma  di 
singolare  v'è  nel  centro  un  fiore  simile  ad  un  asterisco. 
11  suo  peso  è  di  gr.  441. 

4.  a,  b.  Dalla  necropoli  di  Tarquinia.  11  suo  peso  è  di  gr.  437. 

Ha  per  tipi  dai  due  lati  im  A  di  forma  latina  rivolta  ai 
lati  minori  colla  sua  base,  e  questo  medesimo  A  si  doveva 
vedere  dall'  opposto  lato  minore ,  come  apprendiamo  dal 
frammento  seguente  n.  6.  Nel  campo  di  mezzo  dove  nel 
frammento  n.  3  abbiamo  un  asterisco,  qui  si  vedono  tre 
linee  parallele  perpendicolari  ai  lati  maggiori  che  senza  dub- 
bio sono  la  nota  del  valore,  cioè  libbre  tre  :  ma  non  è  certo 
se  ne  è  perita  alcun'  altra.  Se  il  pezzo  è,  come  pare,  alquanto 
maggiore  della  metà  noi  avremo  un  quadrilatero  di  circa 
ventiquattro  once,  cioè  un  quadrusse  di  diminuzione  se- 
missale.  *' 

5.  a^b.  Dalla  necropoli  di  Tarquinia  ora  nella  collezione  Strozzi 

in  Firenze,  È  del  peso  di  gr.  221  e  s'intende  che  gli  manca 
pili  della  metà. 

6.  a,  b.  Nel  Kircheriano  e   proviene  dagli  scavi  di  Tarquinia. 

Vi  si  vede  un  A  con  due  linee  parallele;  ohe  compie  il 
disegno  del  tipo  dalla  opposta  parte  del  n.  4,  come  si  dimo- 
stra dal  collo  di  getto.  Il  suo  peso  è  di  gr.  343,80,  cioè  di 
una  libbra  e  grammi  sette. 


T.  XXVII 


AES  SIGNATUM 


13 


Tav.  XXVII. 

1.  a,  b.  Nel  Kircheriano.  Eappresenta  un  serto  di  foglie  d'olivo 

sospeso  ad  un  anello  tipo  ripetuto  sulle  due  facce.  Pesa 
gr.  1(57. 

2.  o,  b,  e.  Nel  Eircheriano.  Mezzo  semisse  della  serie  di  forma 

ovale  col  segno  di  valore,  del  peso  di  gr.  98.  È  però  in- 
signe, perchè  ci  rivela  una  serie  di  peso  il  doppio  mag- 
giore della  libbra  semissale  i  cui  spezzati  iìnora  si  cono- 
scevano. Ora  l'intero  cbe  doveva  essere  di  circa  196  gr. 
ci  fa  supporre  un  asse'  di  gr.  396  cioè  oltre  a  quattordici 
once.  I  suoi  tipi  sono  la  clava  da  un  lato  e  la  nota  etrusca 
di  semisse  r\   dall'altro. 

3.  a,  b.  Nel  Museo   di   Torino.   Unico    esemplare   dell'asse  di 

cotesta  serie  preso  a  calco  fin  dal  1854  nel  Museo  pre- 
detto. I  suoi  tipi  sono  la  clava  da  un  lato  e  la  nota  del- 
l'asse I  dall' alti-o.  Pesa  once  sei. 

4.  a,  b.  Nel  Kircheriano.  Unico  esemplare  intero  di  semis  della 

serie  ovale  dove  la  clava  è  il  tipo  del  dritto  e  il  segno 
di  valore  nel  riverso.  Pesa  gT.  84,00    pari  ad  once  tre. 

5.  a,  6.  Nel  Kircheriano.  Frammento   col  predetto  tipo   della 

clava  nel  dritto  e  il  segno  di  valore  :  dall'  altro.  Pesa  gr.  47, 
ma  essendo  mancante  di  una  sua  parte  può  valutarsi  che 
fosse  di  due  once  e  però  del  peso  di  gr.  56.  Il  sig.  L.  Sambon 
assegna  ai  pezzi  a  sé  noti  per  limite  di  peso  dai  gr.  46  ai  37. 
Il  trienle  dovrebbe  pesare  due  once  e  mezzo  per  istare  in 
serie  con  un  semisse  del  peso  di  tre  once. 

6.  7.  a,  b.  Nel  Kircheriano.  Sestante  ad  oncia  non  rari  coi  tipi 

della  clava  e  la  nota  di  valore.  II  peso  del  sestante  è  di 
un'oncia  gr.  28,00:  quello  dell'oncia  è  di  dodici  denari,  ossia 
gr.  14,00.  Il  Sambon  assegna  al  sestante  i  limiti  da  gr.  89 
a  dieci:  il  peso  di  due  miei  esemplari  è  di  gr.  26,00; 
23,50.  Un  terzo  a  cui  è  attaccata  molta  bava  dal  canaletto  di 
fusione  pesa  gr.  34,00.  L'  oncia  secondo  il  Sambon  va  da 
gr.  18  a  ó. 
8,  9.  Dall'  Arrigoni.  (i'aes  grave  tav.  V  incerte  11,12,  pag.  36). 
Sestante  ed  oncia  della  forma  di  una  ghianda  missile  ma 
smussata  alle  due  punte.  Ha  per  tipo  al  dritto  im  M  o 
IH  latino,  al  riverso  la  nota  di  valore. 

10.  Kircheriano   (Olivieri,  Fond.  di  Pesaro  tav  HI,  7).  Piccolo 

bronzo  di  forma  lentieolare.  Ha  per  tipo  il  ferro  della 
lancia  da  una  parte,  la  clava  dall'altra.  Pesa  gr.  7,00. 

11,  12.  a,b.  Marchi  e  Tessieri,  Vaes  grave  pag.  28.  Sestante 

ad  oncia  di  forma  lentieolare  oblunga  come  nella  serie  3-7 
precedente.  Il  sestante  ha  una  clava  per  tipo  dal  dritto  e 
al  riverso  un  ramo  bracciate  colla  nota  di  valore,  l'oncia 
ha  nel  dritto  due  rami  bracciati  uniti  al  tronco  in  con- 
trario come  si  figurano  i  raggi  di  un  fulmine,  ma  di  pili 
vi  si  vede  una  linea  retta  traversa  nel  punto  di  congiun- 
zione; al  riverso  è  la  sola  nota  dell'oncia. 
13.  n  Caronni  vide  questi  due  frammenti  di  verghe  quadrate  in 
Cortona  nella  collezione  del  Sellari  (Ragguaglio  tav.  VI 
n.  48),  quando  erano  stati  dati  già  in  luce  dal  Passeri , 
(  Paralip.  tab.  I  nn.  3,  4,  5).  Li  ha  dipoi  riprodotti  il  P. 
Marchi  [L'aes  grave,  CI.  II,  IV  nn.  5,  6,  7)  ma  nel  testo 
(p.  28)  ha  scritto  che  sono  pubblicati  per  moneta,  ma  che 


non  paiono  moneta.  Il  tipo  di  ambedue  si  è  un  ramo 
bracciale,  il  cui  tronco  è  posto  su  due  cantoni,  mentre  le 
braccia  si  stendono  sulle  quattro  facce  a  destra  e  sinistra: 
negl'intervalli  delle  braccia  sono  dei  globetti  che  forse  allu- 
dono ai  segni  di  valori.  Questa  serie  di  moneta  ovale  si 
è  attribuita  a  Todi  a  motivo  della  clava  trovandosi  che  i 
Tudertini  l'hanno  fatta  tipo  dei  loro  trienti  ;  ma  se  valesse 
questa  ragione  vi  avrebbe  troppo  maggior  dritto  Volterra, 
che  non  nei  trienti  soltanto  ma  ripete  per  tutta  una  serie 
del  suo  aes  grave  il  tipo  della  clava;  si  è  anche  detto, 
che  gli  spezzati  di  questi  bronzi  provengono  dalle  terre 
tudertine  :  ma  essi  si  trovano  per  tutta  l'Etruria,  dove  non 
si  sogliono  trovare  monete  umbre.  Di  recente  ne  .ho  io 
avuto  da  Ancarano  antica  necropoli  di  Nursia  o  di  qual 
altra  città  della  Sabina.  È  per  me  di  gran  peso  che  nel 
deposito  di  Vulci  tutto  composto  di  aes  rude  e  signatwni 
senz'ombra  o  vestigio  di  moneta  fusa  sia  etrusca,  sia  umbra, 
siano  stati  trovati  questi  soli  pezzi  che  appartengono  all'ars 
grave  ridotto.  Ciò  prova  che  se  il  deposito  antecede  il  474 
nel  quale  anno  fu  presa  e  distrutta  Vulci,  era  già  avvenuta 
la  diminuzione  dell'asse  semissale.  Tarquinia  di  certo  aveva 
anch'essa  cominciato  a  fondere  i  suoi  quadrilateri  su  questo 
piede  ridotto.  In  quel  deposito  non  vi  era  aes  grave  etrusco 
ma  questi  soli  spezzati  della'  serie  ovale  che  si  attribuisce 
a  Todi  e  vi  consente  l'uso  che  si  fa  in  essi  della  mezza 
luna  per  nota  di  semisse,  come  pur  fa  Todi  nella  sua 
monetazione  primitiva;  inoltre  la  riduzione  dell'asse  che  è 
propria  di  Todi  e  non  delle  città  etrusche. 


AES  GRAVE 

LATIUM,   SABINA 

Fu  una  volta  cercato  se  presso  gli  antichi  1'  aes  libbrale 
si  dicesse  grave  a  motivo  del  peso  specifico,  ovvero  perchè  non 
si  numerava,  ma  si  pesava.  A  mio  credere  il  nome  grave  de- 
signò il  peso  specifico  originale  dell'asse,  che  fu  libbrale  o  quasi 
libbrale,  ma  di  poi  quel  vocabolo  di  grave  non  si  poteva  dare 
al  numero  dei  pezzi  sibbene  al  peso  di  molti  in  massa  fin  da 
quando  s'introdusse  la  moneta  di  bronzo  nominale  e  fu  abrogata 
l'effettiva. 

Noi  seguiamo  l'esempio  dei  numismatici  che  hanno  dato  il 
nome  di  aes  grave  all'aes  fuso  libbrale  estendendone  il  signi- 
ficato anche  alle  successive  diminuzioni  e  a  tutta  la  varietà  delle 
libbre.  L'aes  gram  degli  antichi  non  comprende  1'  aes  rude  e 
l'aes  signatum,  ma  solo  quell'aes  d'un  determinato  peso  legale 
sovente  espresso  con  globetti  e  linee  rette  e  sinuose. 

Questo  aes  di  peso  determinato  non  è  ben  certo  quando 
ebbe  origine  e  da  qual  popolo.  Si  tien  per  congettura  che  in- 
cominciasse a  Eoma  all'epoca  dei  decemviri,  leggendosi  che  le 
multe  in  bestiame  stabilite  per  legge  Aternia-Tarpeia  del  300 
rinnovata  due  anni  dopo  per  la  legge  Menenìa-Sestia  furono  poi 
nel  324  per  la  legge  Giulia-Papiria  cambiate  in  multa  pecunia- 
ria, nella  quale  per  una  pecora  pagavansi  dieci  assi  e  per  un  bue 


14 


AES  GRAVE 


T.  XXVII 


cento  (Cic.  de  r.  p.  II,  35)  :  levis  aestimatio  pecudum  in  multa 
lege  C.  lulì  P.  Papirii  consulum  constiluta  est.  Cotesta  conget- 
tura si  conferma  da  Livio  (IV,  41)  che  nell'anno  352  fa  la  prima 
volta  menzione  dell'aes  grave  nella  condanna  di  Postumio  alla 
somma  di  dieci  mila  assi:  decem  millibus  aeris  gravis.  E  però 
da  notare  che  prima  si  trova  menzione  dell'oes  e  dell'asse,  inoltre 
del  quadrante  e  del  sestante,  nondimeno  non  si  può  per  ciò  dire 
che  Vaes  fosse  piuttosto  grave  che  rude  e  signatum  ;  e  neanche 
che  Vas  il  qnadrans  e  il  sextans  dinotino  la  creazione  dell' aes 
grave,  cioè  di  una  moneta  di  forma  e  di  peso  determinato. 

L'  epoca  delle  diminuzioni  successive  dell'  aes  grave  ci  è 
ignota  :  e  gli  antichi  scrittori  non  ne  parlano,  È  però  dimostrato 
dalla  nostra  esperienza  che  dall'ssse  di  peso  effettivo  si  passò 
all'asse  semissale,  poscia  al  trientale,  indi  al  quadrantario  e  final- 
mente al  sestantario,  nella  qual  epoca  fu  stabilito  per  legge 
del  485,  che  si  coniasse  l'asse  del  peso  di  im  sestante. 

Coteste  diminuzioni  si  trovano  soltanto  nell'  aes  grave  di 
Eoma,  di  Lucerà,  di  Venosa,  di  Todi  ;  forse  anche  degli  Eugu- 
bini, se  può  dedursi  dal  peso  del  tresse,  che  suppone  l'asse  di 
quattro  once,  mentre  negli  assi  finora  noti  se  ne  contano  sei. 
AUa  serie  ridotta  di  Todi  coll'aquila  manca  l'asse,  ma  questo 
asse  non  manca  nella  serie  ovale  ridotta,  che  si  è  attribuita  ai 
Tudertini. 

La  repubblica  romana  non  emise  multipli  dell'  asse,  cioè 
dupondii,  tripondii,  e  decapondii  nell'epoca  primitiva  dell'  aes 
grave,  ma  quando  era  già  avvenuta  la  riduzione. 

I  tipi  dell'aes  grave  sono  presi  generalmente  dalla  classe 
dei  simboli  e  dei  segni  :  fu  proprio  del  Lazio  e  della  Sabina  il 
prendere  per  tipo  le  imagini  d'uomini  e  di  donne,  simboliche 
ancor  esse.  Atri,  Arimino,  romane  colonie  si  attennero  in  parte 
a  questa  usanza. 

Eoma  ripete  il  tipo  del  rovescio  per  tutta  la  serie,  Ei- 
mini  ripete  il  tipo  del  dritto.  Atri  varia  il  tipo  del  dritto  e 
del  riverso.  Lucerà  segue  un  sistema  suo  proprio  del  quale 
ragiono  nelle  dichiarazioni  delle  tavole.  Il  Lazio  ripete  il 
tipo  del  dritto  pei  primi  tre  pezzi  e  ripete  il  riverso  per 
tutta  la  serie.  La  Sabina,  ora  non  ripete  ma  duplica  il  tipo 
che  è  lo  stesso  nel  dritto  e  nel  riverso,  ora  non  ripete  il  tipo, 
né  lo  duplica. 

II  Lazio  e  la  Sabina  non  usano  dichiarare  il  proprio  nome  ; 
talvolta  è  un  simbolo  ovvero  una  lettera  iniziale  soltanto  che 
vi  si  legge.  Eoma  si  inscrive  soltanto  nella  moneta  che  fonde 
nella  zecca  degli  alleati  con  tipi  non  suoi:  ma  quando  i  tipi 
sono  gli  stessi  essa  indica  la  zecca  se  ad  esempio  è  Lucerà, 
con  U,  se  Velletri  con  V.  Atri  inscrive  il  suo  nome,  e  così  i 
Vestini  e  Fermo.  Venosa  è  incerto  se  abbia  apposto  il  suo  mo- 
nogramma nella  serio  libbrale.  Lucerà  comincia  dalla  serie  ridotta 
e  lo  fa  con  la  sola  iniziale  !.-,  Ascoli  di  Puglia  prende  per  tipo 
la  lettera  A  che  ripete  per  tutta  la  serie.  Questa  A  non  etru- 
sca  ma  latina  appare  inaspettata  sulla  serie  di  Tarquinia  il  cui 
significato  letterale  o  simbolico  è  tuttavia  un  enimma. 

I  coloni  lucerini  sono  i  soli  che  abbiano  inscritti  sugli  assi 
i  nomi  dei  magistrati  monetali  o  eponimi  che  vogliano  credersi. 
Eieti  appone  sul  dritto  le  iniziali  di  uno  o  due  magistrati  e 
pel  riverso  l'iniziale  del  suo  proprio  nome. 


ETRURIA,  UMBRIA 

Quanti  hanno  scritto  intorno  al  primitivo  bronzo  monetato 
dagli  Etruschi  si  sono  dati  per  vinti  al  Mommsen  ohe  tiene 
questa  specie  di  moneta  non  essere  fra  loro  anteriore  al  474  di 
Eoma.  Egli  lo  deduce  da  ciò  che  l'Etruria  trastiberina  soggio- 
gata appunto  in  quell'anno  non  ha  moneta  propria  di  bronzo  : 
ragion  dunque  volere  ohe  neanche  il  resto  della  nazione  etrusca 
se  lo  avesse  fuso  o  coniato.  Ma  questo  argomento  che  parca 
così  solido  ha  oggi  perduto  ogni  valore  dopoché  i  prodotti  degli 
scavi  della  necropoli  tarquiniese  tenuti  in  osservazione  hanno 
rimesso  alla  luce  una  nuova  serie  di  aes  grave  libbrale  nel  ri- 
manente delle  terre  etrusche  e  latine  non  mai  veduto.  Da  questa 
scoperta  è  stata  tolta  ancora  ogni  difesa  alla  opinione  che  l'in- 
troduzione della  moneta  di  bronzo  in  Etruria  datasse  dall'epoca 
della  diminuzione  semissale  romana:  perchè  Tarquinia  insieme 
colVaes  quadrilatero  del  sistema  quadrantario  ci  ha  dato  la 
propria  serie  libbrale  in  assi  di  dodici  libbre  incirca  e  al  di 
là  fino  a  quella  trovata  nel  1875  con  un  astro  a  quattro  raggi 
per  tipo  ripetuto  sulle  due  facce  del  peso  di  gr.  368  cioè  di 
once  13  e  gr.  4. 

La  tradizione  faceva  Numa  autore  dell'  aes  rude,  Servio 
Tullio  dell'acs  signatum  e  coi  nostri  studi  si  è  probabilmente 
stabilito  che  1'  aes  grave  deve  essere  stato  introdotto  circa  i 
primordi  del  secolo  terzo  di  Eoma,  e  non  abbiamo  finora  niun 
argomento  che  seriamente  combatta  queste  tre  epoche,  ovvero 
l'origine  romana  del  bronzo  fuso  monetato.  Ma  neanche  le  mo- 
nete coniate  si  possono  far  precedere  il  quarto  secolo  di  Eoma 
nel  quale  Atene  e  i  Greci  d' Italia  cominciano  ad  usarle.  La 
serie  ovale  fusa  e  la  serie  coniata  incusa  sono  due  singolarità 
che  si  trovano  solo  in  Etruria.  Al  474  circa  allorché  verisimil- 
mente  fu  nascosto  il  deposito  di  aes  rude  e  signatum  presso 
le  mura  di  Vulci  le  monete  ovali  non  solo  erano  in  corso  nel- 
l'Etruria,  perchè  alquante  di  essa  vi  si  rinvennero  fra  quei  bronzi, 
ma,  ciò  che  s'ignorava,  essa  aveane  subito'  già  una  diminuzione. 
Ciò  si  deduce  dal  frammento  di  semisse  di  recente  acquistato 
pel  Kircheriano  il  quale  suppone  un  asse  libbrale ,  mentre  i 
pezzi  della  intera  serie  conosciuti  finora  appartengono  ad  un 
asse  il  cui  solo  esemplare  che  è  nel  Museo  di  Torino  è  di  ridu- 
zione semissale. 

Usano  gli  Etruschi  nelle  monete  fuse  di  ripetere  i  tipi  del- 
l'asse per  tutta  la  serie  :  gli  Umbri  invece  variano  in  due  modi. 
I  Tudertini,  come  i  Eomani,  li  fanno  diversi  nei  cinque  spez- 
zati inferiori;  ma  gli  Eugubini  hanno  per  costume,  a  quanto 
pare,  di  cambiar  tipo  tre  volte,  ripetendo  i  tipi  dell'  asse  nel 
semisse,  del  triente  nel  quadrante,  del  sestante  nell'oncia.  Ee- 
stano  però  alcuni  tipi  fuori  di  serie  ai  quali  attendiamo  che  si 
trovi  il  compagno.  Nelle  note  del  valore ,  è  costante  presso 
degli  Umbri  l'adoperare  la  nota  etrusca  3  dinotante  la  metà  o 
sia  il  semisse:  nel  che  vanno  con  loro  d'accordo  i  Volterrani 
fra  gli  Etruschi  e  quei  che  pongono  la  testa  del  sacerdote  per 
tipo,  e  quei  che  la  ruota  etrusca  al  dritto  e  al  riverso,  e  quei 
che  fondono  le  loro  monete  in  forma  ovale.  Quindi  si  deduce 
che  cotesta  serie  ovale  o  è  uscita  dalle  officine  di  Todi  o  da  una 
città  la  quale  fondesse  in  origine  l'asse  libbrale   e  si  servisse 


T.  XXVIII 


AES  GEAVE 


15 


della  nota  etrusca  D  per  indicare  il  semisse.  Inoltre  la  serie  che 
ha  per  tipo  a  dritta  la  nota  etrusca  e  al  riverso  tre  mezze  lune 
volte  col  dosso  al  centro,  non  ostante  l'epigrafe  dell'asse  cho  lo 
dichiara  tudertino  perchè  adopera  i  sei  globetti  per  nota  del 
semisse,  non  deve  essere  stato  emesso  dalla  zecca  di  Todi.  L'asse 
e  i  suoi  multipli  si  sogliono  trovar  notati  con  l'unilìi  I.  Vi  hanno 
però  esempi  dei  dodici  globetti. 

Gli  Etruschi,  tranne  Volterra,  e,  fra  le  monete  coniate, 
Pupluna,  Fercnas  e  Peithesa,  sogliono  abbreviare  il  loro  nome 
sulle  monete  scrivendo  talvolta  due  lettere  M,  ma  comune- 
mente una  sola  lettera  iniziale,  dove  non  omettono  ancor  questa. 
Yetulonia  adopera  quattro  sole  lettere.  Fall,  sulla  moneta  coniata  : 
in  monete  di  confederazione  la  città  che  ai  suoi  tipi  inscrive 
il  nome  della  città  confederata  il  pone  per  intero  Vetlunva  in 
una  moneta  della  quale  abbiamo  finora  il  solo  asse.  Un  singo- 
larissimo bronzo  coniato  che  si  conserva  nel  Museo  di  Parma 
nomina  le  tre  città  confederate  in  questo  modo  Fufluna,  Felalu, 
Cha,  cioè  Pupluna,  Velulonia  e  Chamars.  Grli  Umbri  amano  far 
pompa  del  loro  nome  sulla  moneta  fusa  e  coniata  scrivendovi 
Tulere  nell'asse  e  semisse  e  sulla  coniata;  Tuder,  Tu  negli  spez- 
zati :  gli  Eugubini  danno  sempre  intero  Icuvini  ovvero  Icuvins. 
È  una  singolarità  della  quale  abbiamo  avuto  esempio  in  Sabina, 
dove  sembra  che  abbiano  notate  con  tre  iniziali  SAF  il  proprio 
nome  nel  solo  bronzo  di  tatta  la  serie  che  rappresenta  l'oncia. 
E  un'  oncia  ancora  si  è  quel  recente  bronzo  venuto  in  possesso 
del  march.  Strozzi  dagli  scavi  di  Telamone,  sul  quale  se  la 
prima  lettera  non  è  chiara  si  legge  però  indubitato  \MA>I  che 
agevolmente  si  compie  Tlo.mun.  Questa  oncia  non  ha  verun  tipo. 
In  altre  poi  pare  che  il  nome  della  città  o  intero  o  in  sole 
iniziali  siasi  impresso  nel  solo  asse  o  nel  suo  multiplo.  Leggesi 
così  Tulere  in  un  asse,  e  A  nel  dritto  V  nel  riverso  di  un  du- 
pondio,  d'ambedue  i  quali  bronzi  abbiamo  la  serie  intera  ma 
anepigrafa. 

Alle  monete  già  fuse  nelle  tre  classi  di  aes  rude,  signa- 
tum  e  grave  o  coniate  si  vedono  talvolta  impressi  dei  segni, 
che  diciamo  contromarche  le  quali  però  non  ricevono  nella  prima 
emissione,  ma  dopo  che  sono  entrate  in  commercio.  Il  supporre 
altrimenti  non  ci  par  verisimile  :  essendo  evidente  che  chi  fuse 
il  metallo  vi  deve  aver  notato  nella  forma  o  staffa  quanto  si 
esige  perchè  abbia  corso  legale.  E  però  diciamo  che  non  occorre 
legalizzarlo  con  altro  marchio.  Sopra  un  frammento  di  aes  rude 
portatoci  dalle  terre  dei  Liguri  Bebiani  presso  Benevento  ve- 
diamo ben  impressa  la  lettera  ^  retrograda  e  di  arcaica  forma, 
e  sopra  un  frammento  di  aes  signatum  probabilmente  trovato 
nella  necropoli  di  Tarquinia  ora  nel  Museo  Britannico  è  im- 
pressa profondamente  una  mezza  luna:  la  mezza  luna  e  un  astro 
si  trovano  impressi  in  altro  frammento  di  quadi'ilatero  prove- 
niente di  certo  dalla  stessa  necropoli,  e  posseduto  dal  marchese 
Strozzi.  SuU'aes  grave  e  sulle  monete  coniate  etrusche  ho  no- 
tato un  >l,  0  r,  ovvero  una  foglia  di  edera,  ovvero  una  mezza 
luna  3;  questi  due  ultimi  segni  impressi  a  solo  contorno. 

Le  monete  di  confederazione  si  riconoscono  come  ho  sta- 
bilito altrove  a  queste  condizioni.  I  due  o  piii  nomi  inscritti 
su  di  una  moneta  che  ha  per  tipi  quei  di  una  d'esse  ;  un  nome 
solo  inscritto  sulla  moneta  che  porta  i  tipi  d'altra  zecca.  Così 


hanno  adoperato  anche  gli  Etruschi  per  significare  la  loro  al- 
leanza di  ohe  è  certissimo  esempio  il  triplice  nome  di  Pupluna 
Vetulonia  e  Chamars  sulla  moneta  coniata  coi  tipi  di  Populo- 
nia.  Non  si  dovrebbe  quindi  trovar  ostacolo  ad  ammettere  almeno 
come  verisimile  che  si  legga  il  nome  di  Vetulonia  su  d'un  asse 
i  cui  tipi  sono  da  un  lato  la  ruota  ad  otto  raggi  e  dall'altro 
l'ancora,  tipi  già  noti  nella  serie  di  Chamars  e  delle  città  in- 
dicate dalle  loro  iniziali  ì,  5,  >J,  A,  serie  però  non  ridotte  e 
aventi  costantemente  per  tipo  la  ruota  a  sei  raggi,  non  ad  otto 
come  quella  che  porta  il  nome  di  Vetlunva.  L'asse  controverso 
che  ai  tipi  della  ruota  etrusca  da  una  parte  e  le  tre  mezze  lune 
dall'altra  congiunge  il  nome  di  Todi  e  non  ha  il  peso,  non  la 
maniera,  non  la  forma,  uè  i  tipi  tudertini,  in  questa  nostra  ipo- 
tesi parmi  che  trovi  la  ragionevole  sua  spiegazione.  Crediamo 
finalmente  degna  di  menzione  la  maniera  di  coniare  il  bronzo 
tenuta  dagli  Etruschi  in  una  loro  serie  che  riesce  nuova  e  sin- 
golare anche  per  le  straordinarie  divisioni  e  il  modo  d'indicarle 
non  con  le  solite  cifre  ma  come  sull'oro  e  sull'argento  coi  nu- 
meri. Essa  pel  molto  che  mi  sono  adoperato  è  riunita  ora  in 
una  serie,  nella  quale  fa  sua  mostra  il  )IC  che  è  seguito  dal  ^ 
e  il  peso  di  entrambi  ne  avverte  del  valore  di  100  nel  primo 
e  di  50  nel  secondo.  Poscia  si  hanno  spezzati  di  XXX,  AXX, 
XX,  XIIC,  X,  A.  Manca  tuttavia  l'unità  minore  e  probabilmente 
il  AX,  il  AXXX,  il  XXXX  e  il  AXXXX,  il  qual  supposto  atten- 
diamo che  si  avveri  come  tanti  altri  per  le  scoperte  ulteriori, 
le  cui  basi  sono  state  con  instancabile  attività  e  consiglio  poste 
dal  sig.  march.  C.  Strozzi,  nome  illustre  che  ricordo  con  sin- 
golare aifezione  e  doverosa  riconoscenza. 


Tav.  XXVIII. 

1.  Museo  di  Pesaro.  Bifronte  barbato  e  coronato  di  lauro:  la 

nota  della  libbra  gli  è  sopra  scritta  ma  il  suo  peso  eccede 
l'ordinario  peso  dell'asse  romano  che  non  passa  i  gr.  312,30: 
questo  invece  ne  pesa  389,50.  Al  rovescio  è  la  prora  di 
nave  volta  a  sin.  e  di  sopra  ripete  la  nota  della  libbra.  11 
Eocchi  nel  catalogo  ms.  di  quel  Museo  ha  notato  l'analogia 
di  questa  libbra  con  quella  di  Atri,  come  apprendo  dal 
eh.  sig.  march.  Antaldi.  A  me  pare  che  sia  stato  fuso  nel 
territorio  di  Rimini,  e  siasi  perciò  ritenuto  il  peso  della  libbra 
locale.  La  prora  volta  a  sin.  appartiene  alla  seconda  emis- 
sione romana,  al  qual  tempo  ovvero  ad  epoca  posteriore 
bisogna  riportar  quest'asse  :  il  che  ci  conferma  nel  parere 
già  dato,  che  nel  peso  si  è  seguita  la  libbra  di  Eimini. 
Del  resto  alla  regola  stabilita  dal  D'Ailly  v'è  qualche  ec- 
cezione. Vedi  appresso  n.  4. 

2.  Kircheriano.   Bifronte  barbato.  R.  Prora  di  nave  volta  a  d.  Il 

barone  D'Ailly  ha  stabilito  {Rech.  I  p.  35,  36)  che  la  prora 
si  trova  costantemente  volta  a  destra uell'asse  primitivo:  ma 
nella  seconda  emissione  che  tende  alla  diminuzione  e  nelle 
serie  già  diminuite  al  pari  che  nei  multipli  essa  si  vede  volta 
a  sinistra;  di  che  mi  è  piaciuto  dare  un  esempio  nel  se- 
misse seguente.  Il  maggior  peso  dell'asse  primitivo  è  come 
fu  detto  di  gr.  312,30  e  discende  fino  a  207,10.  Così  il 
Bar.  D'Ailly,  il  quale  anche  dimostra  che  le  riduzioni  sue- 


16 


AES  GEAVE 


T.  XXIX-XXXI 


cessive  si  fanno  di  metà  in  metà,  creando  prima- 1' asse 
semissale,  poscia  il  quadrantale,  ohe  è  la  metà  del  semisse. 
Ma  avrebbe  dovuto  dire  che  v'era  inoltre  1'  asse  trientale  che 
dimostra  avvenuta  una  diminuzione  al  terzo,  iìno  a  tanto  che 
legalmente  si  stabilì  l'asse  sestantario,  diminuendo  a  metà 
l'asse  trientale.  11  peso  più  elevato  dell'  asse  semissale  è 
stato  stabilito  dal  D'Ailly  a  gr.  178.  Nel  gran  deposito  di 
assi  primitivi  scoperto  a  Cerveteri  vi  si  trovarono  tre  esem- 
plari del  peso  di  gr.  143,90;  147,80;  148,  che  sembrano 
provare  non  essersi  fatto  quel  deposito  prima  dell'  epoca 
dell'asse  semissale. 

3.  Kircheriano.  Testa  di  Giove  laureata  barbata  e  volta  a  destra. 

R.  Prora  di  nave  volta  a  sin.  ;  di  sopra  è  la  nota  del  semisse. 

4.  Kircheriano.  Testa  di  Minerva  volta  a  sin.;  di  sotto  è  la 

nota  del  triente.  R.  Prora  a  d.  e  vi  si  vede  ripetuta  la 
nota  del  triente. 


Tav.  XXIX. 

1.  Kircheriano.  Testa  di  Ercole  giovine  coperta  della  pelle  di 

leone  che  gli  si  annoda  al  collo  ;  dietro  a  d.  è  la  nota  del 
quadrante.  R.  Prora  volta  a  d.  e  di  sotto  vi  è  ripetuta  la 
nota  di  valore.  Un  quadrante  ben  conservato  di  mia  colle- 
zione pesa  grammi  79  che  darebbe  un  asse  di  gr.  316:  ma 
si  è  già  notato  che  gli, spezzati  inferiori  all'asse  sogliono 
riferirsi  all'  asse  di  dodici  once  e  più,  quantunque  tali 
assi  non  si  siano  mai  trovati.  Un  quadrante  di  seconda  ri- 
duzione cioè  appartenente  all'asse  di  quattro  once  è  nel 
Kircheriano.  Il  D'Ailly  {Rech.  I,  129)  stima  che  sia  unico: 
esso  pesa  gr.  25,85. 

2.  Kircheriano.  Testa  di  Mercurio  con  pileo  alato  volta  a  sin. 

R.  Prora  volta  a  d.  di  sotto  è  la  nota  del  sestante. 

3.  Kircheriano.   Testa  di  Koma  galeata  volta  a  sin.    R.  Prora 

di  nave  a  d.  e  di  sotto  la  nota  dell'oncia. 

4.  Coli.  D'Ailly  [Rech.  pi.  XX,  1-2  pag.  77,  80).  Semisse  unico 

nel  quale  la  testa  di  G-iove  è  volta  a  destra  e  la  prora 
della  nave  è  volta  a  sinistra.  Il  suo  peso  è  di  gr.  127,750, 
e  può  appartenere  all'asse  primitivo.  Nella  coli.  Blacas  v'è 
un  triente  rimasto  ignoto  al  D'Ailly,  nel  quale  la  testa 
della  Minerva  è  volta  a  destra  e  la  prora  a  sinistra  (Blacas- 
De  Witte,  H.  de  la  monn.  t.  IV  pi.  VI  n.  2  pag.  8).  Il 
suo  peso  è  di  gr.  81,84  e  però  deve  considerarsi  di  prima 
emissione. 

5.  Coli.  D'Ailly  (Redi.  I  pi.  XXVI,   2).  Asse  del    peso  di 

gr.  154,10,54  e  però  semissale.  Ha  per  tipo  il  bifronte 
nel  dritto,  nel  rovescio  la  prora  volta  a  sin.  e  sopra  di  essa 
la  nota  della  libbra.  Questa  prima  riduzione  non  era  am- 
messa da  alcuni,  ma  il  D'Ailly  ne  ha  dimostrato  la  realtà. 

6.  Kircheriano.  Tripondio  unico  a  motivo  del  tipo  che  è  il  bi- 

fronte. Io  l'ho  veduto  nel  Kircheriano,  ove  ora  non  è;  però 
non  ne  ho  tratto  il  disegno  dall'originale,  ma  dalle  tavole  del 
D'Ailly  (Recherch.,  t.  I  pi.  XXV,  3),  che  non  ben  ritrae 
l'antico.  Il  D'Ailly  ne  dà  il  peso  di  gr.  254,90  ma  sostiene 
a  pag.  193  che  non  è  un  tripondio,  sibbene  un  dupondio. 
Ma  il  peso  di  gr.  254  equivale  a  9  once  e  mezzo  incirca 


di  gr.  27,  che  meglio  si  adattano  alla  diminuzione  qua- 
drantaria  che  alla  trientale.  Poi  rispetto  alla  nota  osservisi 
come  delle  tre  linee  richieste  ad  indicare  il  tripondio,  se 
della  mediana  non  vi  è  rimasta  che  una  traccia,  v'è  però 
una  tale  distanza  delle  due  linee  estreme ,  che  sarebbe 
inesplicabile  se  non  avesse  dovuto  segnarsene  una  nel  mezzo. 
Inoltre  di  essa  linea  media  le  tracce  sono  evidenti.  Deve 
dunque  stimarsi  che  sia  un  tripondio  del  sistema  quadran- 
tale, e  tal  parere  ci  è  confermato  anche  dal  peso. 

7.  Kircheriano.  Asse  trientale  del  peso  di  gr.  102.  Il  dritto  ha 

il  solito  tipo  del  bifronte  barbato,  nel  rovescio  la  prora  è 
volta  a  sin.  e  sopra  v'è  la  nota  della  libbra. 

8.  Kircheriano.  Asse  sestantario   del  peso  di  due   once,  pari  a 

gr.  56,00.  Il  D'Ailly  stabilisce  il  peso  normale  di  cotesti 
assi  a  gr.  54,166  (T.  Ilpart.  I  pag.  117).  È  notevole  nel 
disegno  di  questo  bronzo  il  profilo  del  naso  nel  bifronte 
che  da  sinistra  è  convesso,  da  destra  è  concavo.  Inoltre  si 
ha  da  avvertire  al  modo  di  trattare  i  capelli  della  fronte 
e  la  barba  con  una  doppia  serie  di  globetti  in  Inogo  dei 
ricci.  Il  Caronni  nel  catalogo  del  Museo  Hedervary  ha  già 
notato  che  cotesta  maniera  di  trattare  i  capelli,  la  barba  e 
anche  il  bulbo  degli  occhi  tenevasi  ai  suoi  tempi  come  pro- 
pria delle  officine  di  Gubbio,  donde  provenivano,  dic'egli, 
tutti  questi  bronzi:  Barba  et  coma  oculique  globuli  perpetui 
sunt,  horumque  assium  genus  ex  eugubiana  Etruriae  regione 
proveniunt  omnes,  ita  ut  a  nonnullis  antiquariis  Eugubio 
civitati  tribuantur.  La  quale  opinione,  dice  egli,  si  conferma 
da  un  fatto,  del  quale  ha  tenuto  conto  il  Eeposati  {Zecca 
di  Gubbio),  avvertendo  che  un  ingente  numero  di  assi 
sestantarii  fu  trovato  ivi  insieme  colla  forma  e  che  erano 
conservati  dall'abate  Trombelli:  Eugubii  sextantarios  fusos 
probat  numerus  ingens  cum  ipsa  forma  repertus  et  a  Trom- 
bellio  servatus.  Contemporaneamente  all'  asse  sestantario 
fuso  fu  coniato  in  Koma  l'asse  del  peso  di  due  once  la  cui 
estrema  diminuzione  fu  stabilita  dal  D'Ailly  a  grammi  trenta. 


Tav.  XXX. 

a,  b.  Kircheriano.  Il  Cohen  ha  scritto  di  questo  decusse  che  nel 
Museo  di  Napoli  ve  n'è  un  altro  esemplare  {Monn.  de  la  rép. 
rom.  pag.  349)  :  ma  ivi  non  è  mai  stato,  e  il  nostro  passò  dal 
Museo  Capponi  nel  Collegio  romano,  e  fu  noto  al  Gori,  al 
Passeri,  al  De  Zelada.  Testa  di  Eoma  volta  a  d.  coperta  di 
galea  a  testa  di  grifo  coi  lacci  da  legarla  pendenti  :  di  dietro 
alla  nuca  è  la  nota  del  valore,  X  ;  il  suo  peso  è  di  gr.  1106,60 
pari  ad  once  39  e  mezzo  romane:  donde  risulta  che  questo 
decusse  fu  emesso  nell'epoca  dell'asse  trientale.  Al  riverso 
è  la  prora  della  nave  volta  a  sin.  e  di  sopra  è  ripetuta 
la  nota.  X. 


Tav.  XXXI. 

1.  a,  &,  e.  Kircheriano.  Testa  galeata  di  Eoma  con  eresta  di 
grifo  e  i  lacci  da  legarla  pendenti  :  di  dietro  è  la  nota  del 
tripondio.  R.  Prora  a  sin.  e  di  sopra  la  nota  medesima  del 


T.  XXXII 


AES  GRAVE 


17 


valore.  La  forma  del  rostro  non  è  sempre  la  stessa  perciò 
ho  curato  di  esprimere  la  notevole  varietà  che  si  vede 
nel  rovescio  del  tripondio  e.  Il  peso  di  cotesti  pezzi,  se- 
condo il  D'Ailly,  va  da  grammi  208  a  213;  sono  dunque 
da  riferire  alle  corrispondenti  riduzioni  dell'asse  a  norma 
dei  limiti  assegnati  dalla  esperienza. 

2.  Eirclieriano.  Testa  di  Eoma  volta   a  d.   con  galea   che   ha 

una  codetta  di  crini  per  cresta  e  la  gronda  alla  nuca  assai 
stretta:  ivi  è  anche  la  nota  del  valore.  R.  Prora  volta 
a  sinistra  e  vi  è  di  sopra  ripetuta  la  nota  del  dupondio. 
Il  peso  ascendente  dei  dupondi  va  da  grammi  151  a  200, 
che  però  possono  rispondere  alle  tre  diminuzioni.  In  un 
esemplare  trovato  negli  scavi  di  Santa  Maria  di  Fal- 
leri  veduto  da  me  la  nota  del  valore  mancava  al  rovescio 
di  esso. 

3.  Museo  di  Pesaro.  Testa  della  dea  Uovaa  volta  a  destra  con 

elmo  a  testa  di  grifo  e  larga  gronda  alla  nuca.  Vi  si 
vedono  i  lacci  pendenti  come  alla  Roma  del  tripondio  e  del 
deeapondio  descritti  di  sopra.  Il  segno  X  del  decusse  vi 
si  vede  a  sinistra  e  a  destra,  davanti  al  volto  v'è  per  segno 
monetale  xm  ferro  di  lancia.  R.  Prora  di  nave  volta  a  sini- 
stra e  di  sopra  la  nota  X  del  valore  :  il  ferro  di  lancia  vi 
è  ripetuto  e  si  vede  sotto  la  prora,  stando  al  di  sopra  la 
nota  del  decusse.  Il  suo  peso  è  di  grammi  721,  e  però  può 
corrispondere  all'asse  ridotto  a  tre  once,  cioè  quadrantario. 
Questa  insegna  del  ferro  di  lancia  ha  riscontro  nell'argento 
coniato  anonimo.  II  eh.  march.  Antaldi  che  ha  scandagliato 
il  peso  del  decusse,  mi  scrive  che  a  cotesto  deeapondio  il 
Gori  (Mus.  Eli:  tav.  CXLVI  n.  6)  ha  attribuito  40  once, 
mentre  non  ne  pesa  che  26  e  17  denari.  L'Arigoni  ohe 
l'ebbe  e  il  pubblicò  {Num.  musei  /!ri(7on.  t.  Ili  tav.  21,22) 
lo  rappresenta  assai  male  ;  né  dopo  se  n'  è  veduto  alcun 
altro  miglior  disegno.  A  me  sembra  che  il  peso  sia  al- 
quanto scadente  per  difetto  della  fusione. 

EOMA-VBLITRAE 
Tav.  XXXn. 

1.  Coli.  Depoletti.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  sin.  ed  ha 
di  sotto  la  nota  S  giacente.  R.  Prora  volta  a  destra  sulla 
quale  si  vede  la  lettera  V.  Il  suo  peso  è  di  once  cinque 
e  mezzo.  E.  negoziante  Depoletti  che  il  possedeva  mi  disse 
che  gli  era  venuto  dalle  campagne  velletrane  ;  e  ciò  parmi 
si  confermi  dalla  iniziale  V  della  zecca  veliterna,  dove  ai 
Romani  piacque  di  fondere  la  moneta,  contrasegnandone 
l'ofScina  con  la  iniziale  V,  non  altrimenti  che  fecero  in  Lucerà 
con  la  lettera  U.  Velletri  era  colonia  latina  ed  avrà  potuto 
prestare  cotesto  ufiìcio  della  zecca  a  Roma  prima  del  361, 
nel  quale  anno,  come  narra  Diodoro  (XIV,  102),  o  nel  371, 
come  si  ha  da  Livio  (VI,  20),  si  separò  dalla  romana  con- 
federazione, e  nel  416  perdette  i  suoi  diritti  di  cittadinanza. 
Essa  aveva  in  prima  emessi  probabilmente  dei  quadri- 
lateri, due  certamente  se  ne  trovarono  nelle  sue  campa- 
gne (tav.  LXrX,  2),  e  di  questi  uno  con  l'epigrafe  RO- 
N\ANO/V\  (Vedi  tav.  XXHI). 


ROMA-LUCERIA 

2.  Eircheriano.  Bifronte  barbato.  R.  Prora  di  nave  volta  a  destra, 

accanto  alla  quale  v'  è  la  iniziale  U  della  zecca  lucerina. 
È  moneta  di  riduzione  quadrantaria  pesando  once  2  e  de- 
nari 22  :  nondimeno  la  prora  non  è,  come  vorrebbe  il  D'Ailly 
(V.  tav.  XXVIII,  2),  volta  a  sinistra.  A  Lucerà  fu  dedotta 
una  colonia  romana  nel  440:  donde  il  bar.  D'Ailly  de- 
duce che  la  riduzione  quadrantaria  era  già  avvenuta  in 
Roma  in  questa  epoca.  Ma  ciò  suppone  che  tal  serie  di 
asse  e  semisse  coi  tipi  romani  siasi  emessa  subito  che  vi 
si  condusse  la  colonia,  di  che  non  v'è  motivo.  Lucerà  ebbe 
la  serie  primitiva  coi  propri  tipi  come  vedremo,  e  la  serie 
ridotta  al  peso  delle  tre  once:  è  quindi  ragionevole  che 
la  moneta  coi  tipi  romani  si  stirai  fusa  quando  in  Eoma 
erasi  ridotta  a  quadrantaria.  Notisi  che  qui  il  bar.  De  Witte 
(Op.  cit.  t.  IV  pag.  13  pi.  XVIII)  ha  chiamata  riduzione 
trientale,  o  sia  di  4  once,  quella  che  per  noi  è  quadran- 
taria 0  sia  di  3  once. 

3.  Eircheriano.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  dr.  R.  Prora 

volta  a  destra,  di  sopra  è  la  nota  S  e  dal  lato  destro  è  la 
lettera  iniziale  U.  Il  suo  peso  è  di  un'  oncia  e  mezzo.  La 
legge  del  D'Ailly  che  la  prora  è  volta  a  sinistra  nella  serie 
ridotta,  non  è  neppur  qui  osservata. 

EOMA  E  U 

4.  Eircheriano.  Testa  muliebre  di  prospetto  coperta  dell'  elmo 

a  tre  creste  :  ha  pendenti  agli  orecchi,  e  collana  di  pietre 
preziose  al  collo  :  due  liste  di  capelli  lucignolati  dalla  cer- 
vice le  cascano  sulle  spalle.  R.  Bue  che  va  a  destra  e  guarda 
di  prospetto:  nell'esergo  ROMA.  Sul  dorso  del  bue  si  alza 
un  caduceo.  Niun  disegno  fin  ora  ha  saputo  rappresentarci 
tutti  i  particolari  che  abbiamo  descritti:  il  D'Ailly  che  è 
l'ultimo  editore  ha  pur  omesso  la  collana  e  i  pendenti  (T.  I, 
XLVIII,  2).  Il  peso  di  quest'asse  è  di  once  nove  e  quattro 
denari. 

5.  Eircheriano.  Tipo  simile  al  precedente,  se  non  che  in  questo 

manca  la  doppia  lista  di  capelli  ravvolti,  e  la  collana  pur 
manca  :  però  vi  si  vedono  i  pendenti  che  sono  omessi  nelle 
edizioni,  anche  dal  D'Ailly  (T.  I,  XLVIII,  1).  Sul  bue  al 
rovescio  non  si  drizza  un  caduceo,  come  nel  bronzo  pre- 
cedente, ma  vi  sta  un  U  acuto.  Il  suo  peso  è  di  once  otto, 
imdici  denari  e  mezzo.  Di  cotesto  rare  monete  se  ne  è  tro- 
vato un  esemplare  negli  scavi  di  Veleia  (De  Lama,  Tav. 
Alim.  pag.  57),  uno  nel  Modanese  sulla  via  della  Secchia 
(ivi  pag.  58),  uno  qui  in  Eoma  nel  Campo  Verano,  di  cui 
diedi  già  conto  nella  Civ.  Catt.  (1877  pag.  7,  8).  Ma  in 
Puglia  non  si  sa  che  se  ne  sia  trovato  veruno,  e  nondimeno 
il  Riccio  l'ha  attribuita  a  Lucerà.  Or  le  acque  di  Vicarello 
che  non  ci  hanno  mostrata  neppur  una  moneta  fusa  della 
zecca  di  Lucerà  ci  hanno  invece  dati  sette  di  questi  assi, 
quattro  colla  insegna  del  caduceo  e  tre  con  la  iniziale  U  : 
la  loro  patria  dunque  non  può  essere  cercata  fuori  del  Lazio 
0  della  Sabina  nella  quale  regione,  non  sapendosi  che  vi 
sia  stata  una  città  con  l' iniziale  U,  è  d'uopo  che  ci  vol- 

3 


18 


AES  GEAVE 


T.  XXXIII 


giamo  al  Lazio  che  ci  darà  da  scegliere  Lavinium,  Lani- 
viwn  ovvero  Lahìcum  prima  del  416  o  sia  dell'  epoca  di 
assorbimento  delle  città  latine  nella  cittadinanza  romana. 

EEATE 

Tav.  xxxin. 

1.  Kirclieriano.  Testa  barbata  con  capelli  in  masse  immollate 
d'acqua  e  coronata  di  giimco  palustre  volta  a  sin.  Dinanzi 
vi  ho  letto  UT.  R.  Aquila  piscaria  che  tiene  negli  artigli 
un  pesce  e  vi  poggia  sopra  :  sul  dorso  è  chiara  la  lettera  R, 
che  al  P.  Marchi  parve  un  monogramma,  né  del  resto  si 
avvide  delle  due  lettere  che  sono  chiare  nel  dritto  {Lettera 
al  Gennarelli,  Mon.  prim.  1842,  29  ag.  pag.  22).  Il  Blacas 
{H.  de  la  monn.  I  pag.  392)  annota  che  la  lezione  di  queste 
tre  lettere  non  si  ebbe  prima  che  io  la  pubblicassi  negli 
Annali  deW Instituto  1860  pag.  242.  Ciò  è  verissimo,  perchè 
a  Eoma  ne  furono  recati  insieme  due  esemplari  ma  imo 
d'essi  soltanto  entrò  nel  Kircheriano,  l'altro  l'ebbe  il  De- 
poletti,  sul  quale  non  fu  ravvisata  veruna  lettera.  Il  tipo 
del  dritto  è  manifestamente  di  un  dio  acquatico  a  cui  con- 
viene il  giunco  palustre  e  l'avere  i  capelli  come  lucignoli 
in  umide  masse.  A  ciò  anche  dà  buon  sostegno  il  tipo  del 
rovescio,  l'aquila  piscaria.  Quel  R  dunque  che  si  legge  sul- 
l'aquila può  ben  essere  un'  iniziale  del  nome  di  zecca  che 
emise  questo  asse  ;  delle  due  lettere  del  dritto  dirò  di  poi. 
Considerata  le  circostanze  predette,  e  come  non  può  essere 
guari  lontana  quella  terra,  donde  si  è  recato  il  doppio  esem- 
plare mi  è  sembrato  che  niuna  città  vi  potesse  pretendere 
più  di  Reale.  Era  questa  nei  tempi  dell'asse  primitivo,  a 
cui  dobbiamo  riportarla  pel" suo  peso  di  once  otto  e  dicias- 
sette denari,  era  dico,  presso  un  lago  ohe  si  chiamò  lacus 
veliìius,  e  per  la  città  che  lo  dominava,  lacus  reatinus  e 
palus  reatina.  Il  qual  lago  non  si  cerchi  nell'odierno  lago 
di  Pie'  di  Luco,  perchè  troppo  discosto,  né  in  quello  di  Eipa 
Sottile,  0  di  Lago  Lungo,  perchè  di  loro  non  si  avvera 
ciò  che  del  lacus  reatinus,  il  quale,  scrivono  gli  antichi, 
disseccato  divenne  un  campo  amenissimo,  onde  si  ebbe  il  nome 
della  greca  Tempe  e  perchè  roscido  si  disse  campus  Rosea 
e  campus  roseus,  rosulanus.  I  Eeatini,  scrive  Cicerone  ad 
Attico  (IV,  15),  mi  condussero  a  vedere  la  loro  Tempe. 
Ella  era  prima  il  lago  Velino  che  M.  Curio  Dentato  dis- 
seccò aprendogli  l'uscita  nella  Nera,  sicché  però  il  terreno 
ne  rimase  rugiadoso  :  Reatini  me  ad  sua  Tempe  duxerunt, 
quod  lacus  Velinus  a  M.  Curio  emissus  interciso  monte 
in  Neram  defluii,  ex  quo  est  illa  siccata  et  humida  tamen 
modice  rosea. 

Il  Velino  era  uno  di  quei  laghi  nei  quali,  avverte  Oo- 
lumella  (L.  Vili  e.  16),  erano  stati  portati  semi  di  pesci 
marini  che  tolleravano  1'  acqua  dolce.  Quos  lacus .  .  con- 
vectis  marinis  seminibus  replebanl,  inde  Velinus,  inde 
etiam  Sabatinus  et  item  Volsiniensis  et  Ciminus  lupos  aura- 
tasque  procreaverunt:  ao  si  qua  sunt  alia  piscium  genera 
dulcis  undae  lollerantia. 

Le  due  lettere  LT  che  sono  nel  dritto  con  ogni  vero- 
simiglianza le  dico  iniziali  del  magistrato    che   ordinò  la 


emissione  del  bronzo,  ponendovi  sopra  per  tipo  la  testa  del 
lacus  reali7ius  e  al  riverso  l'uccello  che  viveva  sopra  quel 
lago  e  pascevasi  del  buon  pesce  che  vi  pescava. 

SAUEA  EALISCOEUM 

2.  Kircheriano.  Testa  giovanile  diademata  con  capelli  fluttuanti 

intorno  alla  fronte  e  al  collo,  volta  a  sinistra  ;  di  dietro  alla 
nuca  è  un  S.  R.  Il  tipo  medesimo  del  dritto  ma  qui  la  testa 
è  volta  a  destra  ed  ha  alla  nuca  ripetuto  1'  S  del  dritto. 
Pesa  once  undici,  denari  imo  e  mezzo. 

3.  Museo  di  Pesaro.  Testa  giovanile  con  diadema  occulto  den- 

tro i  capelli  volta  a  sinistra.  Alla  nuca  v'  è  un  grappolo 
d'uva  col  suo  picciuolo  ben  chiaro.  R.  La  stessa  testa,  ma 
coronata  di  raggi  volta  a  destra:  alla  nuca  vi  si  ripete  il 
grappolo  d'uva  ancor  qui  col  suo  picciuolo. 

La  iniziale  S  si  ha  finora  nell'  unico  esemplare  del  Kir- 
cheriano: il  grappolo  d'  uva  era  unico  iu  quello  del  Museo 
di  Pesaro,  ora  vanta  un  secondo  esempio  in  'uu  asse  tro- 
vato nelle  campagne  di  Nicotera  in  Calabria  (Vedi  la 
tav.  LXX  n.  2).  Eccetto  i  descritti  tre  esemplari,  gli  assi 
di  questa  serie  mancano  del  tutto  di  segni  monetali  e  di 
lettere   come  si  vede  nella  tavola  seguente. 

Or  è  qui  luogo  di  cercarne  la  patria.  Cominciamo  dalla 
provenienza.  Il  P.  Marchi  non  fé  caso  dell'  esemplare  notato 
dalla  lettera  S,  che  fu  tardi  indicato  a  me  e  a  lui  dal  sig. 
Gr.  Lovatti,  il  quale  lo  vide  posto  da  parte  coi  duplicati 
nel  Kircheriano.  Il  Marchi  adunque  intese  parlare  della  serie 
priva  di  qualsivoglia  segno  o  lettera  quando  scrisse  dell'asse, 
che  dal  ripostiglio  di  monte  Mario  ne  venne  fuori  un  solo, 
e  degli  altri  pezzi  di  questa  serie  attestò  che  erano  recati 
dalle  vicinanze  di  Eoma  e  piìi  da  quelle  che  toccano  il  mare 
(Uaes  grave  pag.  61).  Dalla  mia  esperienza  ho  che  Cer- 
veteri  ha  dato  un  solo  esemplare  di  questo  asse,  Tarquinia 
ne  ha  dati  tre:  degli  spezzati  poi  qual  pili  qual  meno  se 
ne  trovano  sparsamente  anche  in  parti  lontane  dal  mare. 
Ma  r  argomento  di  molto  valore  si  è  che  di  simili  assi  ne 
abbiamo  raccolti  quattordici  dalle  acqiie  di  Vicarello  e 
dalle  medesime  due  semissi,  dieci  trienti,  dieci  quadranti, 
nove  sestanti,  once  settantatre,  mentre  le  acque  del  Fucino 
hanno  somministrato  un  solo  asse,  nn  solo  semisse,  quattro 
trienti,  sette  quadranti,  quattordici  sestanti,  dodici  once. 
Non  v'  ha  quindi  dubbio  che  la  patria  loro  si  debba  cer- 
care nella  Sabina.  A  determinar  poi  più  particolarmente  il 
luogo  di  origine,  viene  opportuno  il  simulacro  dell'  asse  e 
r  iniziale  S.  Il  culto  dell'  Apollo-Sole  fu  assai  celebre  nel 
Soratte.  A  lui  facevasi  annuo  solenne  sacrifizio  nel  Soratte 
(Plin.  H.  N.  VII,  I,  49):  laonde  Virgilio  invocandolo  il 
chiama  sancH  custos  Soractis  {Aeii.  XI,  785);  e  Silio  al 
Soracte  dà  l'appellativo  àiPhoebeus  {Punic.YIl,  662).  Questo 
Soracte  si  disse  anche  Sauracte  e  così  lo  appella  Catone 
(ap.  Varron.  /?./?.  11  e.  4);  e  così  Saura  si  appellò  la  città 
e  Saurani  si  dissero  da  uu  antico  scrittore  greco  quei 
che  l'abitavano,  nominando  egli  :  i  principali  fra  i  saurani 
(ap.  Steph.  Byz.  s.  v.  2avga  :  2cxvgav(òv  d' al  xogovipaiÓTocroi). 
Cotesti  Saurani  furono  anche  soprannominati  Hirpi  (Plin.  1. 


T.  XXXIV-XXXVI 


AES  GEAVB 


19 


cit.),  donde  è  probabilmente  nato,  che  Stefano  attribuisse 
questa  Saura  ai  Sanniti  confondendo  gli  Birpi  del  Soratte 
cogli  Hirpini  del  Sannio. 


Tav.  XXXIV. 

1.  Kircheriano.  Testa  dell'Apollo  Sorano  diademata  volta  a  sini- 

stra R.  Lo  stesso  tipo  volto  a  destra.  Pesa  undici  once  e 
denari  sette.  L' Erizzo  (Discorso  sopra  le  medaglie  degli 
antichi  p.  249),  dice  di  avere  avuto  im  bronzo  grossis- 
simo  con  la  testa  di  Apollo  dall'  ima  e  dall'  altra  parte, 
il  cui  peso  gli  pareva  che  fosse  di  sei  libbre,  ma  sog- 
giunge che  un  altro  bronzo  di  maggior  peso  di  tutte  le 
suddette  monete  ha  da  un  lato  la  testa  di  Koma  ar- 
mata di  un  elmo  antico  con  n  dietro.  R.  Euota  tra'  cui 
raggi  veggonsi  i  due  medesimi  segni.  Ciò  scrivendo,  io 
dico,  r  Erizzo  dimostra  che  il  bronzo  con  la  ripetuta  testa 
di  ApoUo  non  arrivava  a  sei  libbre,  perchè  a  sua  confes- 
sione era  minor  di  peso  di  questo  secondo  bronzo  il  quale  por- 
ta la  nota  II  dinotante  un  dupondio,  che  è  quello  della 
nostra  T.  XXXIX,  2. 

2.  Kirch.  Pegaso  in  corsa  a  sinistra  e  la  nota  S.  R.  Lo  stesso 

tipo  ma  volto  a  destra  con  la  nota  retrograda  2.  Pesa 
cinque  once  e  cinque  denari. 

3.  Kii'ch.  Protoma  di  cavallo  volta  a  sinistra  e  sotto  al  collo  la 

nota  del  triente.  R  Lo  stesso  tipo  ma  volto  a  destra  e  sotto 
del  collo  la  nota  medesima.  Pesa  once  quattro  e  denari  dieci. 

4.  Kirch.  Cignale  corrente  a  sinistra  :  di  sotto  la  nota  del  qua- 

di'ante.  R.  Lo  stesso  tipo  volto  a  destra  e  vi  è  ripetuta  la 
nota  di  valore.  Pesa  once  tre  e  tre  denari. 

5.  Eareh.  Testa  di   im   Dioscoro  volta  a  sinistra  :  alla  nuca  la 

nota  del  sestante.  R.  La  stessa  testa  volta  a  destra  e 
dietro  alla  nuca  la  nota  medesima.  Pesa  due  once  e 
due  denari. 

6.  Kirch.  Grrano  di  orzo  e  nota  dell'oncia.  R.  Lo  stesso  tipo.Pesa 

denari  ventidue. 

,  SABATIOT 

Tav.  XXXV. 

1.  Kircheriano.  Testa  muliebre  volta  a  sinistra  coperta  di  galea 
frigia  desinente  in  rostro  d'  aquila  e  cristata  con  lacci 
pendenti:  alla  nuca  è  per  segno  monetale  una  clava.  R. 
Lo  stesso  tipo  ma  volto  a  destra  e  col  medesimo  segno  della 
clava.  Pesa  nove  once  e  nove  denari.  La  clava  si  ripete 
per  tutta  la  serie:  ma  v'è  inoltre  una  seconda  serie  che 
non  ho  rappresentato  nelle  tavole,  dove  questo  segno  manca: 
nel  resto  è  similissima,  ed  è  pili  facile  a  trovarsi  che  la 
precedente.  A  determinare  la  regione  vale  non  poco  il  sa- 
pere, che  dieci  esemplari  dell'  asse  si  rinvennero  nel  de- 
posito di  Cerveteri  e  che  dal  ripostiglio  di  monte  Mario 
se  ne  ebbero  con  la  clava  e  senza  (ilarchi,  Vaes  graveiG). 
Per  mia  esperienza  altri  due  esemplari  ma  senza  clava 
vengono  dalla  necropoli  di  Cerveteri  e  questa  città  mede- 
sima ora  ha  dato  cinque  semissi:  che  se  vi  aggiungiamo  il 
bel  numero  degli  spezzati  inferiori  all'asse  rimessici  dalle 


acque  di  Viearello  troveremo  probabilissimo  che  autori 
della  serie  possono  essere  i  Sabatini.  Per  popolo  sabatino 
non  intendiamo  già  quello  che  vi  venne  trasportato  dalla 
Campania  non  prima  dell'anno  543  (Liv.  XXVT,  34)  e  fugli 
concesso  di  prendere  stanza  nelle  terre  di  Sutri,  Nepi  e 
Vai  (Liv.  VI,  5),  ma  coloro  che  abitarono  la  sponda  sinistra 
del  lago  di  Bracciano,  ed  al  367  di  Koma  diedero  il  nome 
alla  tribù  (Liv.  VI,  5),  che  da  loro  prese  a  chiamarsi  Sabatina. 

2.  Kirch.  Testa  giovanile  coperta  di  galea  cristata   omessi  del 

tutto  i  capelli  sulla  fronte  e  sul  collo  :  è  volta  a  sinistra 
ed  ha  alla  nuca  la  clava  :  di  sotto  al  collo  è  la  nota  del 
'  semisse.  R.  Lo  stesso  tipo  ma  volto  a  destra.  Pesa  once 
quattro,  un  denaro,  ac.  18.  Paragona  la  testa  simile  in  moneta 
di  argento  ov'è  anche  il  segno  della  clava  (tav.  LXXVII,  8) 

3.  Kirch.  Fulmine  con  la  nota  del  triente  e  la  clava.  R.  Tipo 

medesimo  colla  stessa  nota.  Pesa  once  3,  4  denari.  Se  ne 
ebbero  due  esemplari  dalle  acque  di  VicareUo,  uno  dal  Fu- 
cino, ne  fu  rinvenuto  uno  in  Civita  Castellana,  uno  in  Grualdo 
Tadino,  uno  inPerfugas  di  Sardegna  [Bull.  Sard.  1860  p.  35). 

4.  Kirch.  Mano  destra  aperta  e  la  nota  del  quadrante  a  sinistra , 

clava  a  destra.  R  Mano  sinistra  aperta  e  a  sinistra  la  clava, 
a  destra  la  nota  del  quadrante.  Pesa  2  once  e  12  denari. 
Di  questo  quadrante  ne  abbiamo  avuto  da  Biccari  in  Puglia, 
da  Eiccia  in  provincia  di  Campobasso,  da  Cortona  e  da 
Arezzo  in  Toscana. 

5.  Kirch.  Conchiglia  del  genere   pecten  veduta  dalla  parte  in- 

terna: di  sotto  la  clava  ai  lati  la  nota  del  sestante.  R  Lo 
stesso  tipo.  Pesa  2  once.  Da  VicareUo  se  ne  sono  avuti 
tre  esemplari  con  la  clava,  due  senza  clava. 

6.  Kù'ch.  Parte  concava  dell'astragalo,  di  sotto  la  clava,  di  sopra 

la  nota  dell' oncia,!  fi.  Parte  convessa  dell'astragalo,  e  la  nota 
e  la  clava  come  al  dritto.  Pesa  denari  19.  VicareUo  ne  ha 
mandati  quindici  senza  clava,  sette  con  clava. 

7.  Kirch.  Ghianda  nel  suo  calice  e  la  nota  della  semoncia  a  d.  R.  Lo 

stesso  tipo  e  la  nota  della  semoncia  a  sinistra.  Pesa  de- 
nari 11.  VicareUo  ne  mise  fuori  18. 

SABINI 

Tav.  XXXVI. 

Ai  Sabini  dobbiamo  attribuire  le  due  serie  seguenti  non  solo 
pel  gran  numero  di  assi  e  di  spezzati  che  ci  hanno  man- 
dato le  acque  di  VicareUo,  ma  sì  pure  per  la  positiva  te- 
stimonianza di  un'  onica  suUa  quale  se  ne  legge  il  nome 
SAF  (Tav.  XL,  8  b).  Un  terzo  argomento  ne  lo  dà  il  ve- 
dervi ritenuto  nel  semisse,  nel  triente,  nel  quadrante,  nel 
sestante,  nell'oncia  \m  tipo  della  serie  assegnata  ai  Sabatini, 
coi  quali  perciò  arguisco  che  ebbero  ima  confederazione, 
espressa  anche  nell'asse  col  tipo  del  bifronte,  imagine  sim- 
bolica dei  due  popoli. 

1.  Kii-ch.  Bifronte  forse  muliebre  coi  capelli  avvolti  intorno  alla 
fronte  e  alle  tempia  e  coronato  di  lauro.  R.  Testa  di  Mer- 
curio coperta  di  petaso  alato  volta  a  sin.  AUa  nuca  v'è  per 
segno  monetale  una  ronchetta,  che  si  ripete  per  tutta  la  serie. 
Pesa  once  9  e  15  denari.  Questo  asse  venne  nel  Kiixhe- 
rìano  dalla  Sabina. 


20 


AES  GRAVE 


T.  XXXVII  xxxviri 


2.  Kireh.  Testa  giovanile  con  galea  cristata  volta  a  sin.,  di  sotto 

è  la  nota  del  semisse.  R.  Testa  nuda  con  capelli  avvolti 
alla  guisa  medesima  che  si  vedono  nelle  teste  del  bifronte  : 
di  sotto  è  la  nota  del  semisse  e  alla  nuca  la  ronchetta.  Un 
esemplare  di  questo  semisse  fu  già  trovato  nelle  terre  di 
Chiusi  (Gori,  Mus.  Etr.  II  p.  426  tab.  CXCVII,  9)  ed  era 
del  peso  di  once  4,  scrupoli  14. 

3.  Kireh.   Fulmine  e  la  nota   del   triente.    R.  Delfino   volto  a 

destra.  Di  sotto  la  nota  stessa,  di  sopra  la  ronchetta.  Tre 
esemplari  furono  trovati  in  un  deposito  presso  s.  Germano  ; 
e  v'erano  insieme  due  quadranti  della  serie  medesima  ed 
un  sestante  (Bull.  Inst.  1878  pag.  30). 

4.  Kireh.  Mano  destra  aperta  ;  alla  sin.  la  nota  del  quadrante, 

a  d.  la  ronchetta.  R,  Due  acini  d'orzo  e  la  nota  medesima. 
Qui  il  modellatore  del  conio  avrebbe  dovuto  porre  la  ron- 
chetta sul  rovescio  della  moneta,  come  fa  in  tutta  la  serie, 
ed  egli  l'ha  posta  invece  sul  dritto. 

5.  Kireh.  Conchiglia  del  genere  pecien  veduta  dall'interno,  e  nota 

del  sestante.  R.  Caduceo,  la  nota  medesima  e  la  ronchetta 
a  destra. 

6.  Kireh.  Astragalo  e  di  sotto  la  nota  dell'oncia.  R.  La  nota 

medesima  e  la  ronchetta. 
La  semoncia  finora  manca. 


Tav.  XXXVII. 

1.  Kireh.  Bifronte  giovanile  con  capelli  corti  e  dimessi  cinto  di 

diadema:  di  sopra  v'è  la  nota  dell'asse  che  manca  al  bronzo 
simile  della  tav.  precedente.  R.  Testa  di  Mercurio  col  segno 
della  libbra  ripetuto.  Pesa  once  undici  e  den.  21.  Di  questo 
asse  le  acque  di  Vicarello  ne  hanno  mandato  sedici  esem- 
plari, e  se  ne  ebbero  quattro  dal  ripostiglio  di  Cerveteri, 
altri  dai  depositi  di  Monte  Mario,  altri  da  quello  di  Ostia. 
Afferma  il  Mommsen  colP.  Marchi  [H.  de  la  monn.  I,  185) 
che  intorno  ad  Ostia  fu  trovato  un  deposito  solo  di  questi 
assi  e  più  copioso  di  quello  di  Monte  Mario  {L''aes  grave  48): 
e  soggiunge  ohe  da  Vicarello  se  ne  ebbero  1109  di  questa 
serie  insieme  con  13  di  serie  romana.  La  verità  è  che  il 
P.  Marchi  conta  solo  13  assi  col  bifronte  sul  dritto  e  la 
testa  di  Mercurio  coperta  di  petaso  alato  sul  riverso,  che 
gli  furono  mandati,  io  qui  e  altrove  aggiungo  ai  suoi 
calcoli  anche  quei  pezzi  allora  sottratti,  che  vennero  poscia 
in  mia  mano.  Nel  luogo  citato  si  nota  dal  Mommsen  che 
nella  vicinanze  di  Trento  fu  trovato  il  triente,  il  quadrante 
e  l'oncia  di  cotesta  serie,  per  testimonianza  del  Giovanelli 
{Dei  Rezi,  p.  81). 

2.  Kireh.  Testa  giovanile  galeata  volta  a  sin.,  di  sotto  la  nota 

del  semisse.  R.  Testa  nuda  con  capelli  avvolti  intorno  alla 
fronte  e  all'occipite  ma  sciolti  e  ricci  sul  vertice  :  di  sotto 
la  nota  medesima.  Pesa  once  cinque  e  den.  18.  Di  questa 
moneta  si  ha  una  imitazione  alla  tav.  XL  n.  9.  Or  si  noti 
che  da  Vicarello  ne  vennero  fuori  quattro,  e  altrettanti  se 
ne  sono  avuti  da  Corneto.  Due  ne  furono  veduti  saltare  in 
aria  allo  scoppio  di  una  mina  accesa  in  una  cava  di  peperino 
sulla  via  di  Genzano  verso  Civita  Lavinia. 


3.  Kireh.  Fulmine  e  nota  del  triente.  R.  Delfino  e  la  nota  me- 

desima. Pesa  once  tre  e  sette  denari.  Di  cotesto  bronzo 
ne  furono  trovati  tre  esemplari  nel  deposito  di  Cerveteri  e 
uno  n'ebbi  già  io  dagli  scavi  di  Tarquinia. 

4.  Kireh.  Pongasi  per  dritto  la  mano  destra  aperta  colla  nota 

di  quadrante  e  al  riverso  i  due  acini  d'orzo  con  la  nota  me- 
desima, messi  qui  al  contrario  per  errore.  Pesa  once  due 
e  den.  19.  Da  Vicarello  ne  abbiamo  avuti  58. 

5.  Kireh.  Conchiglia  pecten  vista  dall'  interno,  e  nota  del  se- 

stante. R.  Caduceo  e  la  stessa  nota  di  valore.  Pesa  un'oncia 
e  19  den.  Dalle  acque  di  Vicarello  ne  furono  estratti  95 
esemplari. 

6.  Kireh.  Astragalo  e  sopra  di  esso  la  nota  dell'  oncia.  R.  La 

stessa  nota  nel  campo  liscio.  Vicarello  ce  ne  ha  mandati  581. 

7.  Kireh.  Ghianda  nel  suo  calice.   R.  Nel  campo  liscio  la  nota 

della  semoncia  §.  Le  acque  di  Vicarello  ne  mandarono  361 
esemplari. 

NEPETE. 

Tav.  XXXVIII. 

Questa  serie  assai  rara  fu  ignota  al  Zelada:  le  acque  di  Vica- 
rello e  quelle  del  Fucino  non  ne  hanno  mandato  alcun  esem- 
plare :  al  Kircheriano  mancava  tuttavia  il  semisse,  il  triente, 
il  quadrante  e  la  semoncia  quando  fu  pubblicato  Vaes  grave. 
Brasi  nondimeno  posto  per  quadrante  il  bronzo  che  è  da 
me  delineato  nella  tav.  XLIII,  n.  4.  Gli  acquisti  posteriori 
hanno  riempita  una  lacuna  dandoci  il  semisse,  che  ora  è 
nel  Kircheriano,  la  cui  scoperta  ha  mostrato  che  gli  autori 
dell'  aes  grave  si  erano  bene  apposti  imaginandone  il  tipo 
conforme  a  quello  dell'asse.  Ulteriormente  si  vedrà  se  il 
paragone  di  questa  serie  con  quella  della  tavola  seguente 
XXXIX  è  ben  fondato  anche  pel  triente,  che  è  tuttavia 
congetturale,  ponendo  il  tipo  della  tèsta  galeata.  Questa  serie 
segna  la  nota  di  valore  solo  nel  rovescio  del  semisse  e  del 
sestante:  v'è  quindi  da  osservare  che  questa  nota  passa 
irregolarmente  sul  dritto  del  quadrante  e  della  semoncia, 
inoltre  che  si  ripete  sulle  due  facce  dell'oncia.  Pare  quindi 
che  siano  una  volta  state,  emesse  piìi  serie  e  .che  degli 
spezzati  di  esse  sia  stata  composta  questa  che  abbiamo 
rappresentata. 

L'  analogia  delle  due  serie  può  servire  di  norma  per 
ravvicinarne  le  zecche,  onde  appaia  verosimile  ohe  questa 
serie  sia  uscita  da  Nepi,  come  siamo  per  provare  che  la 
seguente  ebbe  per  patria  Sutri,  la  quale  città  ricevette 
una  colonia  inviata  colà  da  Eoma  uell'  anno  371,  Nepi 
l'ebbe  nel  381. 

1.  Kireh.  Testa  muliebre  galeata  volta  a  sin.  con  pendenti  agli 

orecchi.  R.  Vaso  a  due  manichi.  Pesa  once  10  e  8  denari. 

2.  Kireh.  Tipo  simile  al  precedente.  E.  Vaso  e  nota  del  semisse 

volto  a  sinistra  2.  Pesa  once  cinque  e  sedici  denari. 

3.  Manca:  ma  per  congettura  si  è  supplito   dal  P.  Marchi.  A 

me  pare  che  si  debba  piuttosto  supplire  con  un  qualche 
simbolo  al  confronto  delle  serie  espresse  nelle  tav.  XXXV- 
XXXVII  nelle  quali  la  testa  umana  non  va  oltre  del  semisse. 

4.  Kireh.  Delfino  che  va  a  sin.  e  intorno  la  nota  del  quadrante. 


T.  XXXIX  XL 


AES  GEAVE 


21 


R.  Vaso  simile  ai  precedenti.  Pesa  cuce  due  e  undici  de- 
nari, n  Capranesi  che  lo  dice  trovato  nella  regione  dei 
Vestini  lo  pubblicò  (.4»?!.  Inst.  1840  p.  253  tav.  P.  2). 
Cesselo  quindi  al  P.  Marchi,  il  quale  gli  diede  nella  serie 
il  posto  occupato  dal  bronzo  predetto. 

5.  Eirch.  Conchiglia  pectcn.  /?.  Vaso  e  nota  del  sestante.  Pesa 

due  once  e  undici  denari. 

6.  Kirch.  Clava  e  nota  dell'oncia.  R.  Vaso  e  di  sopra  nota  del- 

l'oncia. Pesa  17  denari.  La  ripetizione  della  nota  è  un'ano- 
malia, se  questo  pezzo  appartiene  a  questa  serie. 

7.  Kirch.  Caduceo  e  nota  della  semoncia  5.  R.  Vaso  simile  ai 

precedenti.  Pesa  dieci  denari. 

SUTEIUM 
Tav.  XXXIX. 

Il  problema  della  patria  di  questa  serie  si  può  dire  deciso  dall'ap- 
parizione del  tripondio  insieme  col  dupondio  nelle  campagne 
di  Sutri,  colonia  romana  del  371.  Prima  della  scoperta  io 
mi  ero  preparato  a  proporla  per  mia  opinione  indottovi  da 
trovamenti  anteriori.  Consideravo  io  che  la  zecca  donde  si  dif- 
fondevano questi  bronzi  doveva  trovarsi  nel  mezzo ,  fra 
Cerveteri,  Monte  Mario  e  Amelia,  perchè  tre  assi  con  un 
semisse  ci  erano  stati  recati  da  Cerveteri,  due  assi  da  Monte 
Mario,  due  dupondi,  quattro  assi  e  un  semisse  scoperti  a 
distanza  di  sette  od  otto  miglia  dal  confluente  della  Nera  nel 
Tevere  e  dove  essi  erano  riposti  con  27  assi  eSsemissi  romani, 
due  assi  col  tipo  della  testa  galeata  ripetuta  e  un  triente  col 
busto  di  cavallo  similmente  ripetuto  nelle  monete  assegnate 
alla  Sabina.  Ora  viene  in  mezzo  Sutri  città  posta  fra  Amelia 
da  un  lato,  Cerveteri,  e  Monte  Mario  dall'altro,  e  parmi  che 
reclami  a  buon  dritto  per  sé  questa  monetazione. 

1.  Coli.  Vaticana.  Testa  muliebre   coperta  di  galea  cristata  a 

testa  di  grifo  con  lacci  pendenti  volta  a  d.  ;  alla  nuca  la 
nota  del  tripondio.  R.  Ruota  a  sei  raggi  e  la  nota  mede- 
sima =  del  tripondio.  Dalle  campagne  di  Sutri,  insieme 
col  dupondio  della  stessa  serie.  Pesa  libbre  due,  once  sette, 
denari  due.  Edito  negli  Studi  e  documenti,  Roma,  1880, 
dal  comm.  C.  L.  Visconti  pag.  72  sgg. 

2.  Kirch.  Tipo  simile  al  precedente,  soltanto  varia  la  nota  del 

valore  che  qui  è  dupondio  al  dritto  e  al  riverso.  Pesa  22 
once.  L' Erizzo  (Discorso  p.  29)  dice  di  avere  avuto  un 
esemplare  di  questo  dupondio  (Vedi  tav.  XXXIV,  1). 

3.  Kirch.  Tipo  simile   variando  solo  la  nota  che  qui  è  1'  asse. 

Pesa  once  nove  e  imdici  denari.  Di  questi  assi  ne  furono 
trovati  quattro  nel  tesoretto  di  Amelia,  tre  nel  tesoretto 
di  Cerveteri,  due  nel  ripostiglio  di  Monte  Mario.  Il  Mommsen 
opinò  {H.  de  la  monn.  I  p.  187)  che  questa  serie  dovesse 
assegnarsi  ad  Alba  Facente  e  fosse  anteriore  alla  monetina 
di  argento  di  quella  città.  Nella  quale  opinione  indi  a  p.  192 
tolta  ogni  esitazione  stando  fermo  registrò  Alba  fra  le  co- 
lonie latine  che  avevano  emessa  la  moneta  libbrale.  Ma  se 
ciò  fosse  le  terre  albensi  e  il  Fucino  avrebbero  dovuto 
mandarcene  a  quest'ora  almeno  un  saggio.  Or  prima  che 
il  lago  fosse  disseccato  ho  io  percorso  piìi  e  piìi  volte  co- 
teste  terre  e  non  mi  è  mai  venuto  fatto  di  vedervi  verun 


asse  0  semisse,  uè  quando  il  lago  si  è  disseccato  si  è 
veduto  un  qualche  esemplare  venir  fuori  dalle  terre  occu- 
pate prima  dalle  acque.  Trovaronsi  bensì  un  quadrante  con 
sei  trienti  e  tre  quadranti  romani,  e  con  tre  trienti,  due  qua- 
dranti e  un  sestante  della  serie  sopra  descritta  attribuita 
da  me  ai  Sabini  (tav.  XXXVI). 


Tav.  XL. 

1.  Kirch.  Bue  in  gran  corsa  a  sinistra;  nel  campo    di  sotto  è 

la  nota  del  semisse,  talvolta  retrograda.  R.  Ruota  a  sei 
raggi  e  nota  del  semisse.  Pesa  once  4  e  18  denari. 

2.  Kirch.  Cavallo  che  corre  di  galoppo  a  sin.  e  quattro  globetti, 

nota  del  triente.  R.  Ruota  e  la  nota  medesima.  Pesa  once 
due  e  quindici  denari. 

3.  Kirch.  Cane  volto  a  sinistra  che  ha  sospeso  il  passo  e  muove 

la  gamba  destra:  nell'esergo  è  la  nota  del  quadrante.  R.  Ruota 
a  sei  raggi,  e  la  nota  medesima.  Pesa  once  due  e  due  de- 
nari e  mezzo.  Nel  museo  medesimo  si  ha  esempio  di  uno 
dei  quadranti,  ove  il  cane  è  volto  a  destra.  Pesa  once 
due  e  un  denaro. 

4.  Kirch.  Testuggine.  R.  Ruota  e  nota  del  sestante.  Pesa  un'oncia 

e  denari  venti  e  mezzo. 

5.  Kiroh.  Il  tipo  è  lo  stesso  che  al  n.  4,  ma  la  nota  del  se- 

misse è  omessa.  Pesa  grammi  36,6. 

Niuno  ha  finora  vista  l'oncia  di  questa  serie.  Grli  spez- 
zati superiori  sogliono  trovarsi  da  noi   sparsamente. 

6.  Kirch.  Testa  di  un  Dioscoro  volta  a  sin.,  alla  nuca  la  nota 

dell'oncia.  R.  La  stessa  testa  volta  a  destra. 

7.  Kirch.  Mano  aperta,  a  sin.  la  nota  di  sestante,  a  destra  una 

elava.  R.  Lo  stesso  tipo,  ma  la  nota  è  a  destra  e  la  clava 
a  sinistra. 

Questi  due  bronzi  sono  nelle  serie  delle  tav.  XXXIV 
e  XXXV  ma  con  altro  valore  :  ivi  il  n.  6  è  un  sestante  e 
il  n.  7  un  quadrante. 

8.  Coli,  di  zolfi  deirOdelli.  Astragalo  e  di  sopra  la  nota  del- 

l'oncia. R.  La  nota  dell'  oncia  è  nel  mezzo  del  campo 
e  di  sotto  si  legge  chiara  l' epigrafe  5AF.  L'  ho  citata  di 
sopra  tav.  XXXVII  in  prova  che  la  serie  appartenne  ai 
Sabini. 

9.  Coli.  Depoletti.  Testa  coperta  di  galea  frigia  cristata  volta 

a  sin.  e  ivi  la  nota  S.  R.  Testa  giovanile  volta  a  sin.  coi 
capelli  avvolti  intorno  alla  fronte  e  la  nota  S.  Un  secondo 
esemplare  di  questo  bronzo  fu  presso  il  Capobianchi,  ed 
era  del  peso  di  gr.  180,  e  vuol  dire  che  supponeva  un  asse 
di  gr.  360,  cioè  di  once  tredici  incirca.  Ora  se  ne  ha  un 
terzo  esemplare  del  peso  di  gr.  170. 

10.  Dalle  tav.  del  Carelli  LVIII,  6.  Astragalo  ripetuto  al  ro- 

vescio, come  nella  tav.  XXXV,  ma  privo  del  segno  mo- 
netale della  clava  e  senza  la  nota  dell'oncia. 
11-13.  Dall' Arigoni.  (T.  Ili  tab.  Il,  n.  23).  Il  tipo  di  questi 
tre  bronzi  è  l'astragalo  ripetuto  nel  riverso,  ma  con  questa 
particolarità,  che  nel  dritto  del  triente  v'è  di  sopra  un  vaso 
a  due  manichi  e  di  sotto  una  luna  crescente  (id.  ib.  tab.  14 
n.  37):  nel  quadrante  vi  sono  invece  due   clave,  l'una  di 


22 


AES  GEAVE 


T.  XLI-XLIII 


sotto,  r  altra  di  sopra:  nell'  cucia  {ì<\.  ih.  tab.  19  n.  74)  y'è 
la  nota  di  valore  e  la  clava  ri^jetuta  sul  dritto  e  sul  rove- 
scio, simile  per  cib  all'oncia  della  tav.  XXXV  n.  6,  ma  infe- 
riore della  metà  pel  peso  (id.  ib.  tab.  19  n.  74).  Il  March. 
Eroli  narra  (Bull.  Instit.  1881  pag.  221)  di  aver  veduto 
in  Amelia  un  simile  bronzo. 

PKAENESTE 

Tav.  XII. 

Questa  tavola  e  le  cinque  seguenti  rappresentano  parecchi  bronzi 
che  non  si  sono  potuti  finora  assegnare  anche  per  conget- 
tura ad  alcuna  zecca  :  sono  però  da  eccettuare  due  serie  od 
alcuni  pezzi,  a  cui  si  può  attribuire  con  verosimiglianza 
la  patria.  Una  terza  serie  v'è  meno  lacunosa  delle  due  pre- 
dette e  deve  dirsi  di  Tarquinia,  quantunque  non  si  possa 
spiegare  la  nota  A  per  iniziale  di  quella  zecca. 

1.  Coli.  Martinetti.  Testa  di  leone  messa  di  prospetto  in  atto 

di  mordere  un  pugnale  il  cui  manico  è  a  destra.  R.  Busto 
di  cavallo  sopra  base  che  porta  nel  mezzo  un  incavo  ret- 
tangolo a  modo  di  contromarca.  Il  cavallo  è  volto  a  sini- 
stra ed  ha  davanti  per  segno  monetale  un  caduceo.  Pesa 
undici  once  e  tre  denari.  Fu  trovato  nella  necropoli  di  Pa- 
lestrina  con  altro  esemplare  mancante  del  predetto  segno 
ed  incavo.  Il  suo  peso  era  di  gr.  225  cioè  di  sette  once  e  se- 
dici denari.  Vi  fu  trovato  insieme  un  semisse  simile  a  quello 
che  darò  nella  tav.  XLIV,  1.  Ora  si  è  avuto  un  nuovo  esem- 
plare con  l'insegna  della  mezza  luna  trovato  fra  Val  Mon- 
tone e  Montefortino  (V.  la  tav.  LXIX,  1). 

2.  Kirch.  Testa  forse  muliebre  con  capelli  corti  e  intorno  cinti  a 

piti  doppi  da  ima  fascia  a  modo  di  diadema.  R.  Acino  d'orzo, 
di  sopra  un  caduceo,  di  sotto  la  nota  del  semisse.  Pesa 
once  sei  :  un  altro  esemplare  del  Kircheriano  pesa  quattro 
once  e  venti  denari. 

È  parer  mio  che  il  semisse  e  il  quadrante  di  questa 
tavola  siano  da  unirsi  insieme  coll'iisse,  per  l' indizio  che 
me  ne  dà  il  segno  monetale  del  caduceo.  Anche  il  P.  Marchi 
aveva  pensato  ohe  i  due  spezzati  dovessero  stare  insieme 
per  lo  stesso  motivo  {La  stipe  pag.  10). 

3.  Coli.  mia.  Frotoma  di  bue  volto  a  sin.  e  guardante  di  pro- 

spetto col  muso  torto.  R.  Clava  di  nuova  foggia  ad  un  sol 
nodo  nel  mezzo.  Pesa  once  tre,  denaro  imo  e  mezzo.  Fu 
trovata  nel  territorio  di  Gallicano  presso  s.  Pastore. 

4.  Kirch.  Astro  a  sedici  raggi.  R.  Un  clipeo  con  umbone  e  sopra 

di  esso  il  caduceo  o  segno  monetale,  con  la  nota  del  qua- 
drante. Pesa  tre  once  e  mezzo  denaro. 

5.  Kirch.  Caduceo.  R.  Campo  liscio.  Pesa  quindici  grammi.  Di 

questo  bronzo  ne  abbiamo  avuto  quattordici  esemplari  dalle 
acque  di  Vicarello. 

6.  Mus.  Brit.  Grappolo  d'uva  con  picciuolo.  R.  Ferro  di  lancia. 

Pesa  gr.  11,4  (Poole,  Catal.  pag.  60). 

7.  Coli.  mia.  L'ho  io  trovato  nei  miei  scavi  di  Palestrina.  Grap- 

polo d'uva  con  picciuolo  e  foglie.  R.  Campo  liscio,  anzi  spia- 
nato e  pulito  con  la  lima  e  con  forellino  al  di  sopra,  per 
sospenderlo  al  collo.  Sul  campo  liscio  vi  furono  fatte  delle 
linee  doppie  che  sembrano  rendere  lettere.  Pesa  gr.  6,30. 


Tav.  XLII. 

1.  Kii-ch.  Testa  di  leone  che  morde  un  pugnale  il  cui  manico 

è  a  sinistra.  R.  Protoma  di  cavallo  sbrigliato  volto  a  si- 
nistra. Pesa  once  dieci,  denari  quattro  e  mezzo.  Il  Passeri 
n'ebbe  un  esemplare  trovato  a  Perugia  (Parai-  tab.  Vili 
n.  5;  cf  Olivieri,  Fond.  di  Pesaro  tav.  IV,  1). 

2.  Kirch.  Testa  forse  muliebre  con  capelli  corti  e  cinti  da  fascia  a 

doppio  giro.  R.  Acino  d'orzo,  di  sotto  è  la  nota  del  semisse. 
Pesa  once  sei.  Dalle  acque  di  Vicarello  se  ne  ebbero  due 
esemplari. 

3.  Kirch.  Astro  a  sedici  raggi.  R.  Clipeo  con  umbone  nel  mezzo, 

e  la  nota  del  quadrante-  Pesa  circa  due  once  e  mezzo.  Ve 
n'è  un  esemplare  nel  Museo  Britannico  (Catal-  p.  81)  del 
peso  di  quattr'once  in  circa.  Il  Poole  l'ha  attribuito  a  Gub- 
bio :  ma  gli  Eugubini  non  hanno  assi  maggiori  del  peso  di 
sette  once. 

4.  Kirch.  Altro  quadrante  posto  qui  cogli  spezzati  seguenti,  ma 

non  appartengono  alla  serie  prenestina  che  termina  col  n.  3. 
Vaso  a  due  manichi  con  la  nota  del  quadrante.  R.  Grap- 
polo d'uva  con  un  pò  di  tralcio.  Pesa  once  due,  denari  15 
e  mezzo  (Capranesi,  Bull.  Inst.  1835  p.  43). 

5.  Kircli.  Svastica,  ovvero  croce   detta  di  Gaza  R.  Nel  centro 

è  il  globulo  nota  dell'  oncia  e  accanto  una  contromarea 
simile  ad  un  triangolo  aperto  da  un  lato.  Pesa  circa 
un'oncia.  Le  acque  di  Vicarello  ce  ne  hanno  mandato 
23  esemplari. 

6.  Kirch.   Clava  e  nota  dell'oncia.  R.  Pentagono   e  nel  mezzo 

la  nota  stessa.  Pesa  un'oncia  e  un  denaro. 

7.  Kirch.  Esterno  della   conchiglia  pecten.  R.  Pentagono  colla 

nota  dell'oncia  nel  centro.  Pesa  21  denaro. 

TIBUE, 

Tav.  XLIII. 

L'asse,  il  triente  ed  il  sestante  di  questa  tavola  non  si  sa  donde 
provengano,  gli  altri  pezzi  si  sono  trovati  nelle  campagne 
tiburtine:  più  che  altri  l'oncia  e  la  semoncia  in  quattro 
esemplari  ciascuno  e  il  semisse  in  due  ci  sono  stati  man- 
dati da  quelle  terre.  L'asse  ve  l'ho  aggiudicato  io  pren- 
dendone argomento  dal  culto  di  Ercole  che  vi  è  rappresen- 
tato, e  perchè  il  grifo  può  bene  simboleggiare  le  sortes, 
che  si  conservavano  nel  tempio  sontuoso  dedicato  a  quel 
nume,  e  può  ben  anche  alludere  all'oracolo  apollineo,  dan- 
dosi ivi  le  risposte,  per  le  quali  la  sibilla  Albuna  era  salita 
in  tanta  fama  di  sapienza  e  venerata  come  dea. 

1.  Coli.  Santangelo.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  deUa  spo- 

glia leonina  volta  a  destra.  R.  Protoma  di  grifo  volta 
egualmente  a  destra.  Pesa  once  dieci  e  gr.  tre. 

2.  Kirch.  Cignale  volto  a  destra,  sopra   del  quale  v'  è  la  nota 

retrograda  del  semisse.  R.  Vaso  a  larga  bocca  e  a  due 
manichi.  Pesa  quattro  once  e  diciassette  denari.  Tivoli  ce 
ne  ha  mandati  due  esemplari.  Il  Capranesi  (Ann.  Instit.  1840 
tav.  Q  p.  210)  che  possedette  questo  esemplare  dice  che 
il  bar.  D'Ailly  ne  acquistò  uno  in  Napoli  che  poi  smarrì. 

3.  Kirch.  Aquila  stante  e  respiciente  a  destra.  R.  Seppia  con 

quattro  tentacoli  e  nota  del  triente.  Di  questo  bronzo  fu- 


T.  XLIV-XLVr 


AES  GKAVE 


23 


rono  trovati  due  esemplari  iu  àmelia  (Marcili,  lav.  XI  n.  3, 
Bull.  Instit.  ISSI  pag.  221). 

4.  Eircli.  Elmo  frigio  con  guanciali  e  cresta  volto  a  destra  e 

la  nota  di  quadrante.  R.  Vaso  a  due  manichi  con  copercMo 
e  la  nota  medesima.  Pesa  due  once  e  qiiindici  denari.  Io  ne 
ho  veduto  im  esemplare  a  Tivoli. 

5.  Kirch.  Testuggine  e  nota  del  sestante.  R.  Protoma  di  serpe 

barbato  e  con  in  capo  la  cresta,  e  vi  si  ripete  la  nota 
medesima.  Pesa  un'  oncia  e  diciassette  denari. 

G.  Kirch.  Vaso  da  latte  e  nota  dell'oncia.  R.  Pedum  o  sia  ba- 
stone pastorale  e  la  nota  dell'oncia.  Pesa  ventidue  denari  e 
mezzo.  L'oncia  e  la  semoncia  provengono  dalle  campagne 
di  Tivoli. 

7.  Kirch.  Scarabeo.  R.  Fiore.  Pesa  denari  sedici  e  mezzo. 
Di  questa  semoncia  e  dell'oncia  ho  veduto  quattro  esem- 
plari che  tutti  provenivano  dalle  campagne  di  Tivoli. 


Tav.  XLIV. 

In  questa  tavola  sono  uniti  alcuni  pezzi  fuori  di  serie  e  di  pro- 
venienza generalmente  ignota  se  ne  eccettui  il  semisse  e 
il  sestante  n.  4. 

1.  Kirch.  Protoma  di  bue  volta   a   destra  R.  Prora  di  nave  e 

la  nota  del  semisse.  ^Pesa  cinque  once,  un  denaro  e  mezzo. 
Un  secondo  esemplare  ne  fu  trovato  in  Palestrina  insieme 
coll'asse  che  rappresenta  la  testa  del  leone  col  pugnale  fra 
i  denti,  e  al  rovescio  la  protoma  di  cavallo  colla  insegna  del 
caduceo. 

2.  Kirch.  Testa  di  cignale  volta  a   destra  e  nota  del  triente. 

R.  Barbito  a  cinque  corde  e  la  nota  predetta.  Pesa  once 
quattro  e  venti  denari;  in  altro  esemplare  once  3  e  denari 
quindici. 

3.  Kirch.  Protoma  di  montone  volta  a  sinistra  e  nota  del  qua- 

drante. R.  Testa,  parmi,  di  anguilla  volta  a  sin.  e  nota  del 
quadrante.  Pesa  once  due  e  den.  18. 

4.  Kirch.  Ferro  di  tridente  e  nota  del  sestante.  R.  Àncora  e  la 

nota  medesima.  Pesa  un'  oncia  e  22  denari. 

5.  Museo  di  Vienna.  Ferro  di  tridente.  R.  Fascio  di  verghe  e 

nota  del  sestante. 

6.  Kirch.  Acino  d'orzo  nel  mezzo  :  di  sopra  lA  di  sotto  M  e  la 

nota  dell'oncia.  R.  Fiore  ad  otto  petali.   Pesa  17  denari. 

7.  Kirch.  Testa  di  porco  :   di  sopra  v'  è  la  nota  del  sestante: 

Ben  s'intende  che  il  modellatore  ha  trasportato  nel  dritto 
la  V\  al  riverso  perchè  non  rimaneva  posto  dal  rovescio. 
di  sotto  la  lettera  AA  R.  Lo  stesso  tipo,  la  nota  manca, 
di  sotto  alla  testa  v' è  VÌA  retrograda.  Pesa  due  once. 

8.  Museo  di  Vienna.  È  una  crisalide  ovvero  un  bruco.  R.  Lo 

stesso  tipo. 

9.  Kirch.  È  incerto  se  hanno   voluto  porre   qui   una  lumaca 

ignuda,  ovvero  un  òrCcrxog,  porcellino  terrestre.  R.'Nel  campo 
v'  è  la  nota  del  triente.  Pesa  nove  grammi  e  mezzo.  Ve  n'  è 
un  esemplare  nel  Museo  Britannico  nel  cui  dritto  il  Poole 
ha  creduto  che  fosse  rappresentata  la  luna  crescente  {Catal. 
pag.  61). 

10.  Kirch.  G-rappolo  di  uva  con  picciuolo  e  foglie.  R.  Fiore  a 


quattro  petali.  Pesa  un'  oncia  e  due  denari  e  mezzo.  Ve  n'  è 
un  esemplare  nel  Museo  Britannico  del  peso  di  ventiquattro 
grammi  {Catal.  pag.  39). 
11.  Dall'Ai-igoni  (T.  HI,  tab.  18  n.  62,  64).  Luna  crescente 
con  astro  a  sei  raggi.  R.  Sei  globetti  intorno  a  un  settimo 
che  è  nel  centro.  Nella  tavola  LXVI,  17  ne  ho  dato  im 
bronzo  con  simile  tipo,  in  ciò  solo  differente  che  qui 
mancano  sul  diitto  i  tre  globetti  o  siano  astri  attorno  al  sole. 


Tav.  XLV. 

1.  Kirch.  Vaso  a  due  manichi  e  nota  del  triente.  R.  Corno  potorio 

a  testa  di  asino  e  vi  è  ripetuta  la  nota  medesima. 

2.  Coli.  KoUer  (Pinder,  Numism.  ani.  ined.,  1834,  che  erronea- 

mente lo  chiama  quadi-ante).  Testa  coi  capelli  sparsi  giu- 
dicata dall'editore  una  Medusa  :  di  sotto  è  la  nota  del  triente. 
R.  Fiore  a  sei  petali  e  la  nota  medesima. 

3.  Kirch.  Pelle  di  cane  posta  di  prospetto  :  di  sopra  v'  è  la  nota 

del  quadrante.  R.  Testa  di  cane  messa  parimente  di  pro- 
spetto, e  di  sotto  ad  essa  la  not^  medesima.  Pesa  quattro 
once  e  ventitre  denari  :  però  deve  assegnarsi  ad  un  popolo, 
la  cui  libbra  si  elevava  al  peso  di  quindici  once. 

4.  Kii-oh.  Eana  e  nota  del  quadi-ante.  R.  La  triscele  o  sia  le  tre 

gambe  che  partono  da  im  anello  centrale  e  la  nota  mede- 
sima. Pesa  once  due  e  nove  denari. 

5.  Kirch,  Clipeo   con  umbone  sovrapposto  ad  una  piastra  ro- 

tonda che  occupa  il  centro  :  disotto  la  nota  del  quadrante. 
R.  Grano  d'orzo  e  da  lato  ì  tre  globetti  denotanti  il  va- 
lore. Pesa  due  once  e  denari  dieci  e  mezzo. 

6.  Parigi,  Gab.  delle  medaglie.  Euota  a  sei  raggi  e  la  nota  del 

quadrante.  R.  Caduceo  e  la  nota  medesima. 

7.  Coli.  Keller  (Pinder,  op.  cit.  pag.  38).  Testa  muliebre  volta 

a  sin.  R.  Testa  d'aquila  volta  a  destra  e  di  sotto  la  nota 
del  quadrante. 

8.  Kirch.  dalle  acque  di  Vicarello.  Un  secondo  esemplare  si  ha 

nel  Museo  Britannico  {Catal.  pag.  58).  Testa  di  verro  a 
sin.  R.  Vaso  a  due  manichi  e  nota  del  sestante.  Pesa  un'oncia 
e  quattordici  denari. 

9.  Museo  di  Vienna.  La  lettera  C,  e  nel  mezzo  la  nota  dell'oncia. 

R.  Ferro  di  lancia. 

10.  Kirch.  Ferro  di  tridente.  R.  Ferro  di  lancia  e  nota  del  se- 

stante. Pesa  gr.  52.  Dalle  acque  di  Vicarello  se  ne  sono 
avuti  undici  esemplari. 

11.  Kirch.  Astragalo.  R.  Bossolo  da  giuoco,  il  fritillum  dei  latini. 

TAEQUINn 

Tav.  XLVI. 

Prima  dei  recenti  scavi  fatti  nella  necropoli  di  Tarquinia,  il  Eo- 
ehette  {Journal  de  Savants  1841  p.  257)  notò  l'assenza  to- 
tale di  moneta  etrusca  negli  scavi  di  Veli,  Cere,  Tarquinii, 
Vuloi  e  Bomarzo,  e  a  p.  259  asserì,  che  negli  scavi  di  Comete 
e  di  Toscanella  non  erasi  trovata  neppure  una  sola  moneta  di 
questa  nazione.  Quindi  si  tenne  che  l'Etruria  transtiberina 
non  avesse  avuto  mai  propria  moneta.  Or  poiché  questa 
parte  della  Etruria  veùne  in  potere  dei  Eomani  l'anno  474, 


24 


AES  GEAVE 


XLVI 


indi  si  dedusse,  che  a  questo  anno  fosse  posteriore  la  mo- 
netazione fusa  degli  Etruschi.  Queste  deduzioni  oggi  non 
hanno  piti  valore  da  poi  che  dalle  tombe  tarquiniesi  ab- 
biamo avuto  un  buon  numero  di  aes  grave  e  signalum, 
suo  proprio,  perocché  solo  ivi  e  non  mai  altrove  si  è  trovato. 
Alla  tre  città  Cere,  Tarquinia,  e  Vai  delle  dodici  ribel- 
late a  Servio  Tullio  (u.  e.  176-219),  dopo  la  vittoria 
per  essere  state  le  prime  motrici  della  rivolta  fu  tolta 
una  parte  di  territorio.  Tarquinia  sostenne  altre  guerre 
con  Roma  fino  al  404,  allorché  ottenne  una  tregua  di  40  anni, 
e  si  sa  che  mantenne  la  fede  giurata.  Le  fu  quindi  accor- 
data la  pace  l'anno  445,  e  rimase  anche  di  poi  fedele,  di  che 
è  anche  indizio  il  sapersi  che  nel  451  l'esercito  romano 
ebbe  libero  il  passo  per  le  terre  tarquiniesi.  Cotesta  città 
ebbe  la  sua  propria  zecca,  ove  certamente  in  questo  secolo 
quinto  fuse  oltre  all'aes  rude,  e  all' aes  signatum,  anche 
Vaes  grave.  BelVaes  signatum  primitivo  si  ebbe  già  un 
bel  saggio  nei  tre  quadrilateri  che  il  Borghesi  credette 
portati  nel  Museo  Vaticano.  Questi  avevano  per  impronta 
un  tridente  da  un  lato  e  un  fulmine  dall'altro.  Di  quello 
che  appartiene  agli  ultimi  periodi  del  secolo  quinto  si  è 
trattato  nelle  dichiarazioni  alle  tav.  XXVI,  XXVII.  Ma  della 
nuova  serie  di  aes  grave  venuta  alla  luce  ai  tempi  nostri 
dàlia  necropoli  di  Tarquinia  dirò  di  essere  stato  il  solo  a 
tener  conto  stando  qui  in  Eoma,  e  a  notare  la  provenienza 
di  quelle  monete  che  si  trovano  oggi  disperse  pei  musei  senza 
indicazione  di  luogo.  Il  primo  asse  che  ho  fatto  delineare 
nella  mia  tavola  fu  poi  successivamente  seguito  dal  ritro- 
vamento di  altri  sei  esemplari,  fra  i  quali  fu  quello  che  ora 
è  deposto  nel  Museo  della  Università  di  Torino  (Fabretti, 
Il  Museo  di  antichità  della  r.  Univ.  di  Tor.,  1872  §  41; 
cf.  J.  de  Witte,  H.  de  la  mannaie  ed.  del  Blaoas,  T.  IV 
pag.  14).  Allora  era  ancor  noto  che  io  aveva  già  potuto 
stabilire  presso  che  del  tutto  la  serie,  a  cui  non  mancava 
che  il  semisse.  Venne  di  poi  ancor  questo  da  quegli  scavi, 
e  lo  dobbiamo  al  cav.  Gamurrini  che  lo  ha  deposto  nel 
Kircheriano.  Il  Fabretti  aveva  avvertito  i  suoi  lettori 
(1.  cit.)  che  si  attendessero  da  me  l' intera  serie  che  ora 
pubblico,  nella  quale  del  resto  v'  è  il  quadrante  e  il  triente, 
che  vi  stanno  per  mia  congettura  fondata  sulle  scoperte 
fatte  ancor  prima  neUe  campagne  e  nella  necropoli.  Non 
devo  qui  omettere  che  ora  abbiamo  un  novello  asse  con 
tipo  di  un  astro  a  quattro  raggi  ripetuto  sul  riverso,  che 
sarà  dato  neUa  tavola  di  supplemento  LXX,  n.  1. 

1.  Coli.  Capobianchi.  Protome  di  cignale  volta  a  sinistra.  R.  Ferro 

di  lancia.  È  il  primo  dei  sette  esemplari  che  ora  si  hanno. 
Pesa  grammi  307.  Ma  quello  del  Museo  di  Torino  ne 
pesa  352  (Fabretti,  Il  Museo  d'ani,  pag.  41).  L'esemplare 
del  Museo  di  Londra  di  gr.  323,28  (Calai,  of  the  Greek 
Cons  p.  149)  è  stato  attribuito  a  Venosa,  non  essendosene 
saputa  la  provenienza. 

2.  Kircheriano.  Testa  di  montone  volta  a  destra.  R.  Verga  pa- 

storale retta.  Possedevasi  dal  can.  Marzi,  che  l'aveva  trovata 
in  un  sepolcro  insieme  col  quadrante  di  questa  serie.  Il  Ga- 
murrini lo  acquistò  e  pose  nel  nostro  Museo.  Pesa  gr.  137. 


8.  Kircheriano.  Luna  crescente  ed  astro  ad  otto  raggi  :  di  sotto 
è  la  nota  del  triente.  fi.  Ruota  ad  otto  raggi.  Pesa  quattr'once 
e  due  denari.  V  è  nel  Kirch.  un  secondo  esemplare  che  pesa 
quattro  once  e  nove  denari.  Se  n'  è  trovato  un  esemplare 
in  Tarquinia  :  oud'  è  ohe  io  l'ho  posto  in  questa  serie. 
Due  se  ne  ebbero  dalle  acque  di  Vicarello.  È  notevole 
che  se  ne  sia  trovato  uno  in  piombo,  che,  per  essere  pos- 
seduto dal  Biancani  in  Lodi,  fu  attribuito  dal  Zanetti  a 
questa  città  (Zecche  d'/toiia,  V,  451).  Oltre^a  questo  triente 
di  piombo  ci  viene  da  Tarquinia  un  sestante  dello  stesso 
metallo,  che  do  qui  al  n.  7. 

4.  Kircheriano.    Delfino   volto   a   d.   e   la  nota  del  quadrante. 

R.  Ancora.  Pesa  due  once,  nove  denari  e  mezzo.  Ne  fu 
trovato  un  esemplare,  come  ho  avvertito  di  sopra  insieme 
col  semisse  nella  necropoli  di  Tarquinia. 

5.  Il  giogo  e  la  nota  del  sestante.  R.  L'aratro  volto  a  d.  Mi  fu 

recato  da  Tarquinia  insieme  con  l'asse  e  l'oncia  di  questa 
serie.  Pesa  gr.  50.  Di  questo  bronzo  si  conservano  nel 
Kircheriano  tre  esemplari  senza  nota  di  valore.  Il  Baz- 
zichelli  che  ce  li  recò  disse  di  averli  trovati  nelle  terre 
di  Tarquinia.  Due  di  essi  sono  di  bronzo,  il  terzo  che  è 
di  piombo,  lo  do  qui  al  n.  7.  Uno  d'essi  pesa  un'  oncia 
e  19  denari. 

6.  Museo  Britannico   (Catal.  pag.  40,   dove    è   assegnato   ad 

Ascoli  e  stimato  portare  i  segni  di  lui'oncia  e  mezzo). 
Venne  in  mia  mano  con  l'asse  predetto  e  col  sestante  dalla 
necropoli  di  Tarquinia;  e  ne  trassi  il  disegno.  Nel  dritto 
rappresenta  la  luna  crescente  e  nel  centro  la  nota  dell'oncia. 
Al  riverso  non  v'  è  altro  che  un  A.  Pesa  ventitré  grammi. 
Questo  A  se  sia  un  sinbolo  o  una  lettera  il  discuteremo 
di  poi. 

7.  Kircheriano.  Sestante  di  piombo  coi  tipi  già  notati  del  giogo 

e  dell'aratro.  Ma  qui  manca  ogni  nota  di  valore.  Può  ben 
essere  che  si  abbiano  qui  come  in  Venosa  due  serie  l'una 
colla  nota  di  valore  l'altra  senza:  perocché  noi  abbiamo 
anche  il  semisse  che  ne  è  privo.  Il  solo  sestante  senza  i 
globetti  non  ne  é  indizio  sufficiente,  avendosi  per  espe- 
rienza che  cotesti  spezzati  sono  stati  emessi  anche  senza 
le  predette  note,  a  modo  di  esempio  in  Lucerà  (tav.  LXIV,  7). 
A  proposito  delle  monete  di  piombo  è  bene  avvertire  che 
la  loro  somiglianza  con  le  monete  di  bronzo  non  basta  a 
provarne  l'uso  monetario:  perocché  si  sa  che  tali  monete 
poterono  esser  fuse  per  saggiare  col  confronto  di  peso  la 
quantità  di  piombo  o  di  stagno  introdotta  nelle  simili  mo- 
nete fuse  di  bronzo.  Il  litro  di  piombo  pesa  11  chil.  352  gr., 
il  litro  di  stagno  invece  ne  pesa  7  chil.  285  grammi.  Po- 
trebbero anche  essere  prove  di  conii. 

8.  Kircheriano.  Bronzo  privo  della  nota  di  valore.  Ha  nel  dritto 

un  caduceo  e  nel  rovescio  un  A.  Sembra  doversi  attri- 
buire alla  zecca  di  Tarquinia  che  si  serve  di  questo  segno, 
0  lettera  A,  non  solo  nell'oncia,  ma  sì  ancora  come  ve- 
demmo nei  quadrilateri  (tav.  XXVII,  4-6),  non  potendosi 
pensare  ad  Ascoli  di  Puglia  che  pur  si  serve  di  un  simile 
segno,  ma  per  iniziale  del  proprio  nome  :  né  si  é  poi  mai 
saputo  che  le  monete   ascolane   siano  state  vedute  in  co- 


T.  XLVII  XLVm 


AES  GRAVE 


25 


testa  Etruria  trasliberina,  ovvero  che  queste  nostre  siano 
apparse  in  Puglia.  Dalle  acque  di  Vicarello  si  sono  estratte 
ventisette  monete  con  l'A  e  il  caduceo,  come  questa  nostra. 
Inoltre  le  acque  medesime  ci  hanno  mandati  quattordici 
esemplari  di  cotesta  oncia  o  semoucia  (sogliono  pesare  circa 
i  due  terzi  di  oncia  elfettiva)  dove  una  faccia  rappresenta 
il  caduceo,  l'altra  è  liscia.  Il  loro  peso  suol  essere  di 
16  grammi  in  circa  (Poole,  Calai.  61,  50,  51). 
9.  Ora  che  si  è  assicurata  la  serie  dell'aes  signatum  coli'  A  e 
dell'acs  yravc  con  lo  stesso  segno  rimane  a  spiegare  questo  A 
preso  per  tipo  dai  Tarquiniesi.  La  quale  se  noi  vogliamo 
che  sia  lettera,  non  sarebbe  certamente  etrusca,  ma  greca,  o 
latina  e  neanche  potrebbe  aversi  per  iniziale  del  nome  Tar- 
quinii.  Livio  conta  Tarquinia  alla  metà  del  secolo  sesto  fra 
i  popoli  etruschi,  che  concorsero  all'armamento  della  fiotta 
romana  prendendo  a  se  di  provvederla  della  tela  di  lino  per 
le  vele  (L.  XXVIII,  4-3):  Tarquinienseiì  Unica  in  vela. 
Non  importa  alla  questione  nostra  che  non  sia  stata  fondata 
dagli  Etruschi  :  questi  occuparono  le  terre  che  si  stendono 
fra  il  Tevere  e  il  mare  nell'epoca  medesima,  in  che  i  Focesi 
si  stabilirono  in  Alalia.  Prima  era  essa  una  colonia  di  greci 
Tessali  (.Justin.  XX,  1):  Midtae  urbcs  adirne  post  lantani 
veluslalein  vestigia  graeci  moris  nslentanl:  in  Tuscis  Tar- 
quinii  a  Thessalis.  Secondo  Dionigi  vi  avevano  approdato 
anche  i  Pelasgi  di  Cillene  (De  sitit,  orbis  v.  347),  che  vi 
abitarono  misti  ai  Tirreni.  Demarato  vi  potè  trovare  re- 
capito l'anno  104  di  Eoma:  egli  è  certo  che  dopo  l'occu- 
pazione etrusca  essa  non  cambiò  mai  nome,  e  sempre  si  è 
detta  Tarquinii,  fìHDIAT.  Sajìpiamo,  che  Caere  si  chiamò 
prima  AgijUa  ;  ma  non  venga,  di  grazia,  in  mente  ad  al- 
cmio  che  la  serie  Tarquiniese  sia  invece  uscita  dalla  offi- 
cina di  Agijlla,  per  trovar  modo  di  interpretare  la  lettera  A 
delle  sue  monete.  Di  più  queste  monete  non  si  trovano 
in  Caere  e  aggiungo  che  neppure  in  Alsittm,  ne  in  Axia 
(Castel  d'Asso),  le  quali  due  città  potrebbero  cercarsi  a 
motivo  della  iniziale.  Axia  inoltre  fu  sempre  etrusca  ed 
Alsium  non  ebbe  una  colonia  romana  se  non  sul  finire  della 
prima  guerra  punica,  quando  erasi  introdotto  in  Eoma  l'asse 
sestantario  e  in  Italia  abolita  la  moneta  fusa.  Esclusa  quindi 
ogni  probabilità  di  antico  nome,  e  del  carattere  greco  o  la- 
tino in  una  città  la  cui  necropoli  è  tutta  etrusca,  rimane 
che  ci  rivolgiamo  a  giudicare  altrimenti  di  cotesta  A,  che 
deve  essere  piuttosto  un  simbolo  o  segno  simile  ad  una 
livella  a  cui  il  piombo  manchi. 

TELAMON 

Tav.  XLVII. 

1.  CoU.  Strozzi.  Trovato  negli  scavi  presso  Telamone.  È  un'  oncia 
fusa  colla  sola  nota  del  valore  che  è  un  globetto  nel  cen- 
tro del  dritto  ripetuto  nel  riverso.  Non  vi  sono  tipi,  ma 
dall'  un  lato  vi  si  leggono  secondo  me  queste  lettere  WA-J 
che  agevolmente  si  compiono  col  nome  della  città  di  Tela- 
mone Tlamu.ìl  Gamurriui  l'ha  veduto  presso  il  march.  Strozzi 
e  l'ha  dato  alla  luce  nel  Supplemento  al  Corpus  inscr.  ilalic. 
del  Fabretti  a  p.  12  n.  70.  Le  lettere  che  anche  a  parer 


suo  sono  discernibili  e  varmo  da  destra  a  sinistra,  secondo 
il  disegno  che  ne  ha  dato  die'  egli  nella  tav.  Ili  n.  70, 
si  leggono  . . .  alata ...  Ma  sembra  che  il  suo  disegna- 
tore non  si  trovi  d'accordo  totalmente  con  lui,  avendo 
espresso  quasi  in  incavo  le  lettere  I  fl  A  +  .A.  La  mia  le- 
zione deriva  da  imo  studio  iterato  sul  bronzo  originale,  clie 
mi  fu  trasmesso  dal  march.  Strozzi.  Un  bronzo  simile  a 
questo,  ma  che  porta  da  un  sol  lato  il  tipo  dell'  astragalo 
insieme  colla  nota  dell'oncia,  è  poi  singolare  sul  rovescio 
per  la  leggenda  S  A  F  che  lo  dimostra  fuso  dai  Sabini  (tav. 
XL,  8  a,  b),  la  cui  serie  anepigrafa  si  ha  nella  tav.  XXXVII. 

VOLATEEKAE 

2.  Volterra,   Coli.   Inghirami.   Bifronte  imberbe   coperto  di  un 

pileo  a  larga  gronda  e  acuminato.  R.  Delfino  volto  a  sin. 
e  intorno  l' epigrafe  NOfl>J3ì  con  la  nota  II  del  du- 
pondio.  Pesa  once  otto  e  quattro  denari.  L' Inghirami 
l'ha  pubblicato  nei  Monum.  Etr.  serie  III  tav.  1  ;  il  mio 
disegno  è  preso  da  un  gesso  che  me  ne  sono  procurato 
dal  possessore. 

3.  Kircheriano.  Bifronte  imberbe  coperto  di  pileo  acuminato  e 

a  larga  gronda.  R.  Delfino  con  1'  epigrafe  NOfì>l3ì  e  la 
nota  dell'  asse.  Pesa  quattro  once,  dieci  denari    e  mezzo. 

4.  Kircheriano.  Semisse  coi  tipi  medesimi  dell'  asse,  tanto  al 

dritto  che  al  riverso  dove  solo  la  nota  dell'asse  si  cambia 
in  lunetta  D,  nota  del  semisse.  Pesa  due  once  e  denari 
quattordici.  Ora  il  sig.  Capobianchi  mi  ha  recato  un 
suo  esemplare  che  pesa  gr.  68,60,  pari  a  due  once  e 
gr.  12,60. 

L'Arigoni  (T.  Ili  tab.  26)  e  il  Dempstero  (tab.  LVI,  I) 
ne  diedero  inciso  un  esemplare,  che  sembra  riprodotto  dal 
Carelli  (tab.  IV,  8),  omessa  però  la  nota  dell'asse. 

Il  territorio  di  questa  città  esteudevasi  fino  al  mare,  le 
cui  spiagge  poi  tennero  il  nome  di  vada  volalerrana,  e 
questo  loro  dominio  sul  mare  vollero  di  certo  significare 
prendendo  per  tipo  di  questa  serie  il  delfino.  Era  fama 
che  i  Volaterraui  avessero  tolta  Populonia  ai  Corsi,  e  v'era 
tradizione  che  l'avessero  colonizzata,  come  impariamo  da 
Servio  (ad  Virgil.  Aen.  J,  172);  Alii  fopuloniam  Volater- 
ranorum  coloniam  tradunt,  alii  Volaterranos  Corsis  eri- 
puisse  diclini. 

Volterra  inscrive  il  suo  nome  intero  sulle  monete,  come 
i  Tudertini  e  gli  Eugubini  dell'  Umbria,  dall'uso  delle  quali 
città  si  dipartono  ripetendo  gli  stessi  tipi  per  tutta  la  serie 
come  fanno  generalmente  gli  Etruschi. 


Tav.  XLVIIL 

1-7.  Kircheriano.  Bifronte  coperto  di  pileo  a  larga  gronda  e 
acuminato  nel  mezzo.  R.  Clava  e  intorno  KOfl-jaì.  La  nota 
di  valore  nei  semisse  è  la  lunetta.  Il  dupondio  pesa  gr.  297 
pari  ad  once  10  e  gr.  17.  L'asse  pesa  gr.  125  pari  ad  once 
quattro  e  dodici  grammi.  Il  semis  pesa  grammi  99  pari  ad 
once  3,  gr.  11.  Il  triente  pesa  gr.  63,  cioè  due  once  e  tre 
grammi. 


26 


AES  GRAVE 


T.  XLIX  L 


T.iv.  XLIX. 

1-7.  Questa  serie  non  ha  verun  tipo  al  rovescio,  ma  soltanto 
l'epigrafe  e  la  nota  di  valore.  I  pesi  sono  quei  della  serie 
precedente,  cioè  di  cinque  a  sei  once  la  libbra.  Non  v'  è 
stata  riduzione,  ma  i  pezzi  maggiori  non  arrivano  al  giusto 
peso,  i  minori  talvolta  lo  sorpassano,  sempre  però  accen- 
nano alla  libbra  di  cinque  a  sei  once. 

Quando  l'Eckhel  scriveva  la  Doclrina  numorum  vele- 
rum  eransi  già  tolte  queste  due  serie  a  Velletri  per  darle 
a  Volterra,  loro  vera  patria.  Nelle  monete  genuine  il  bi- 
fronte è  sempre  imberbe,  il  sestante  dell'  Arigoni  (T.  Ili 
tav.  31  n.  17),  e  l'asse  (ib.  tav.  37,  IV,  2),  dove  il  bifronte 
è  barbato,  non  possono  tenersi  per  veri,  come  li  ha  tenuti 
dopo  il  Lanzi  anche  il  Carelli,  che  li  ha  incisi  nelle  sue 
tavole  (tab.  II,  I,  VI,  19),  ai  quali  ha  fatto  l'aggiunta  d'un 
sestante  (ib.  n.  20).  Falso  è  altresì  il  dupondio  del  Zelada 
(tab.  II)  che  pur  si  vede  riprodotto  nelle  tavole  Carelliane 
(tab.  II,  2).  II  Lanzi  imaginb  alcune  spiegazioni  del  bifronte, 
ora  barbato,  or  in  sembianze  muliebri,  che  furono  giusta- 
mente riiìutate  daU'Bckhel  {D.n.  v.  1,94). 

Il  culto  di  Ercole,  la  cui  insegna  è  la  elava,  era  diffu- 
sissimo per  tutta  cotesta  maremma,  come  anche  dimostrano 
il  portus  Uerculis  labronis  vicino  a  Volterra  e  il  portus  Her- 
culis  presso  Cosa. 

BTKURIA  MEDITERRAISTEA 

T.U-.  L. 

Le  varie  serie  di  aes  grave  nelle  quali  generalmente  domina  il 
tipo  della  ruota,  e  sono  anepigrafi,  ovvero  distinte  da  una 
0  due  lettere,  o  contromarche,  sogliono  aversi  dalle  terre 
di  Arezzo,  di  Cortona,  di  Chiusi  e  della  Valle  della  Chiana. 
11  loro  rovescio  ripete  il  tipo  medesimo  del  dritto,  ovvero 
reca  un  proprio  simbolo  che  giova  a  distinguere  la  serie. 
Io  ne  dò  il  saggio  nelle  tre  tavole  seguenti  delineandone 
solo  le  maggiori  unità;  quanto  agli  spezzati  che  ripetono  il 
tipo  dell'asse  mi  è  parato  sufficiente  di  ricordarli  a  ciascuna 
serie. 

ALLEANZA  DI  CAMARS  CON  l/I  •  ^  •  q  ■  e  V  ■ 

1.  a,b.  Kircheriano.  Fu  in  Arezzo  nel  Museo  Bacci,  ora  se  ne  ha 
un  secondo  esemplare  trovato  nel  1840  su  Falterona  ai  con- 
fini della  Toscana  verso  la  Romagna.  Il  suo  tipo  è  da  un  lato 
la  ruota  a  sette  raggi  con  tre  lettere  1/Hì  separatamente 
scritte  ad  ogni  due  raggi  della  ruota  ;  né  v'ha  dubbio  che 
debbasi  cominciare  da  ì  perchè  fra  questa  lettera  e  la  H 
sono  tre  raggi  coi  due  loro  campi  lisci.  Dall'altro  lato  è 
un'  àncora  sul  cui  ceppo  fra  le  due  patte  è  iscritto  un  V. 
Pesa  gr.  736.  Il  secondo  esemplare  non  pesa  uè  più  né 
meno  di  questo.  Se  l'asse  di  coteste  serie  va  dalle  cinque 
e  mezzo  alle  sei  once,  né  ci  sono  riduzioni,  il  bronzo  che 
abbiamo  davanti  deve  tenersi  per  un  quincusse.  Di  fatto  i  168 
grammi  che  danno  le  sei  once  presi  cinque  volte  sommano 
gr.  750,  che  poco  si  discosta  dal  peso  effettivo  del  bronzo. 
Con  tutto  ciò  non  si  può  decidere  nulla,  prima  che  consti 


se  la  V  sia  lettera,  come  pare  a  me,  ovvero  cifra  A  del  valore 
di  cinque,  come   altri  opina.  Gli  Etruschi  hanno  scritto  il 
numero  cinque,  A,  che  è  la  metà  inferiore  del  X,  e  non  si 
hanno  esempi  che  l'abbiano  mai  volto  in  su  alla  maniera 
dei   Latini.   Gli  V  Etruschi   nel  significato   numerico   di 
cinque  sono  però  giustamente  attribuiti  a  sbaglio  dell'ar- 
tefice  (ef.  Fabretti,    Pr.  Suppl.    pag.  249).   Non  v'  è  poi 
motivo  di  supporre  che  qui  gli  Etruschi  abbiano  figurato 
r  àncora   capovolta,   per  provare   che  la  cifra  A  è  nume- 
rica.   Le  tre  lettere  del  dritto  sono    disposte  da  destra  a 
sinistra,  dovendosi  leggere   interiormente   l'I  'l  ^,  per  l' in- 
clinazione  delle  linee  della 'l  e  della  V\,  e  perchè,  siccome 
abbiamo  notato   di  sopra,  l'epigrafe  comincia  da  1,  fra  la 
qua!  lettera  e  la  i/1  estrema  v'  è  un  duplice  campo  libero 
fra  i  raggi  della  ruota,  e  non  un  solo,  come  fra  mezzo  alle 
tre  lettere. 
Con  tali  osservazioni  essendo  ben  dimostrato  l'ordine  e  l'anda- 
mento delle  tre  lettere  non  resta  che  da  stupire  ricordando 
l'erronee  e  disordinate  lezioni  che  di  queste  lettere  si  rife- 
riscono. Il  Guarnacci  {Oi-ig.  Hai.  p.  173)  e  il  Passeri  (p.  175) 
raddoppiando  gratuitamente  la  lettera  T,  e  aggiuntavi  un  A, 
giunsero  a  leggere  T  P  N  A,  per  aver  l'upluna.  11  Dempstero 
{Etr.  num.  I,  tav.  LXl)  lesse  NA^I.  Il  Gori  (HIus.  Etr.  II 
p.  423)  compose  arbitrariamente  le  tre  lettere  e  lesse  ^VN, 
invertendole  e  cambiando  il  T  in  V,  e  annunziò  che  questo 
bronzo  apparteneva  senza  dubbio  a  Nuceria,  e  vi  si  leg- 
geva Nufceria,  come  sulla  moneta  della  Nuceria  Alfaterna, 
che   scrive  l11VHiq>nVl/l.  L'Avellino   nelle    annotazioni 
alle  tavole  del  Carelli  (Fior.,  .Ann.   numism.   II  p.    75) 
aveva  scritto  :   Tab.  1  Inter  radios  iiìt.  F  V  N,  e  notato  che 
il  Mazzocchi,  presso  de  Attellis  {Civiliszazione  i.  II  p.  19), 
si  vanta  [Tirreniche,  diatr.  VI)  di  essere  stato  il  solo  che 
l'abbia  attribuita  a  Luna:  essendo  una  rota  a  sette  raggi 
con  tre  lettere  etrusche  L  V  N  divisamente  tra  essi  apposte. 
Finalmente  il  Cavedoni  (/n  Fr.  CarelUi  tab.  I)  lesse  esterna- 
mente e  non  pertanto  da  destra  a  sinistra  l/l  <J  ì,  invece  di 
l/l  'l  ì,  e  al  riverso  considerò  1'  àncora  come  capovolta  per 
trovarvi  la  A,  quinipondii  nota,  già  per  tale  giudicata  dal 
Passeri  e  dal  Grotefend  (Blatter  fur  Miinzkunde  t.  I  n.  9). 
Dopo   tutti  ha  parlato  infine  il  Mommsen  per  dire  [H.  de 
la  moivn.  I  p.  381),  che  è  difficile  determinare  dove  si  debba 
cominciare  a  leggere,  perchè  ciascuna  lettera  è  fra  i  raggi  della 
ruota.  Ma  egli  così  scrivendo,  mostra  di  non  aver  badato  al 
doppio  spazio  lasciato  vuoto  a  destra;  mentre  ciascuna  delle  tre 
lettere  non  ha  in  mezzo  piti  di  un  sol  campo  vuoto  tra  due 
raggi.  Non  vi  ha  poi  dubbio  che  coteste  lettere  debbono  essere 
iniziali,  solo  s'ignora  a  quali  città,  evidentemente  in  lega 
fra  loro,  si   debbano  attribuire.   Netuns  e  Nepete  sono  le 
sole  città  etrusche  a  me  note  che  abbiano  per  iniziale  un  V\. 
La  F  è  comune  a  Facsulae,  a  Fercnas,  a  Felathri  (  Volaterrae), 
a  Fati  (o  sia    Vetulonia),  a  Felsna  (cioè  Volsinium),  e  ad 
altre   ancora  se   cambiasi  il  V  consonante  in  F.  Abbiamo 
ancora  esempì  della  iniziale  A  in  Peithesa,  in  Perusia,  in 
Pupiuna  (o  sia  Populonia). 


T.  LI-LUI 


AES  GRAVE 


27 


fìsP,  D.  W\,  /V\ 
Tat.  li. 

1.  Nel  Kircheriano.  È  im  tlupouJio  cou  la  ruota  a  sei  raggi  nel 

dritto  e  l'ancora  nel  riverso  :  dove  è  anche  il  seguo  di  va- 
lore Il  e  la  leggenda  fì-J^.  Di  questa  serie  vi  è  1'  asse,  il 
semisse,  il  quadrante  e  l'oncia  ohe  non  lio  delineato  nelle 
mie  tavole,  bastando  averli  indicati.  La  ruota  che  nei  trienti, 
semissi  ed  assi  ha  sei  raggi,  ne  ha  poi  quattro  nel  qua- 
drante, nel  sestante  e  nell'oncia.  Il  semisse  in  cotesta  serie 
e  nelle  seguenti  (2,  3)  non  è  notato  che  con  sei  globetti  e 
l'asse  si  esprime  con  una  linea  retta  verticale. 

2.  Nel  Kircheriano.  Il  tipo  medesimo  della  ruota  è  nel  dritto, 

ma  nel  rovescio  vi  si  vede  un  vaso  a  due  manichi  di  quella 
classe  che  dicesi  vaso  a  campana  :  la  linea  che  dinota  l'asse 
è  sulla  pancia  del  vaso,  e  sopra  di  esso  vi  si  vede  un  D 
iniziale  del  nome  della  città.  Di  questa  scorie,  che  ad  evi- 
denza si  lega  colla  precedente  e  solo  se  ne  distingue  pel 
nome  della  zecca,  abbiamo  la  libbra  che  si  conserva  nei 
Musei  Kircheriano,  di  Arezzo,  di  Bologna,  di  Pesaro;  il 
semisse  notato  da  sei  globetti  è  pure  nel  Kircheriano;  vi 
hanno  in  altri  Musei  il  quadrante,  il  sestante  e  1'  oncia. 
Dalla  serie  medesima,  variando  solo  il  luogo  della  iniziale  D 
che  è  sul  dritto,  si  ha  la  libbra  nel  Museo  di  Firenze  e 
ivi  medesimo  il  semisse,  il  quadrante,  il  sestante  e  l'oncia 
che  trovasi  anche  in  quello  di  Parigi. 

In  altre  serie  la  iniziale  è  invece  un  W.  Se  ne  ha  un 
esempio  a  Parigi,  rm  altro  a  Firenze  :  ma  di  recente  il  Ca- 
pobianchi  me  ne  ha  mostrato  un  terzo  bellissimo.  Vi  è  anche 
il  quadrante  e  il  sestante. 

In  una  terza  serie  la  iniziale  è  un  AA  ma  in  essa  la 
nota  della  libbra  non  è  sulla  pancia  del  vaso,  sibbene  al  lato 
destro.  Se  ne  hanno  tutti  i  pezzi,  l'asse,  il  semisse,  il  triente, 
il  quadrante,  il  sestante  e  l'oncia. 

3.  Nei  Musei  di  Firenze  e  di  Arezzo.  Nel  dritto  la  ruota  a  sei 

raggi,  nel  rovescio  un'  anfora,  e  accanto  a  destra  la  nota 
del  valore  che  è  la  libbra. 

Di  cotesta  serie  si  hanno  inoltre  il  semisse,  un  cui  esem- 
plare si  è  trovato  di  recente  a  Chiusi,  il  triente,  U  qua- 
drante e  l'oncia. 

ALLEANZA  DI  COETONA  CON  ^  e  V- 

Tav.  LII. 

1.  Nel  Kircheriano.  Nel  dritto  è  il  tipo  della  ruota  a  sei  raggi; 

sul  riverso  il  ferro  della  bipenne,  e  a  sinistra  la  nota  del 
valore  che  è  la  libbra,  a  destra  la  lettera  iniziale  3.  Se 
ne  conosce  oltre  all'asse,  la  sola  oncia  che  è  nel  Museo  di 
Firenze. 

Una  seconda  serie  varia  soltanto  la  iniziale  che  è  ì.  Di 
questa  si  hanno  l'asse,  il  semisse,  il  quadrante  e  1'  oncia. 

La  terza  serie  ha  per  iniziale  del  nome  un  V,  la  cui 
asta  sinistra  è  più  lunga  della  destra,  e  pare  perciò  più 
simile  ad  un  U  che  ad  un  V.  L'  asse ,  il  semisse,  il  qua- 
drante e  l'oncia  sono  conosciuti  e  si  conservano  nei  Musei. 

2.  Nel  Kircheriano.  Euota  a  sei  raggi  ripetuta  nel  riverso,  sul 

cui  orlo  sono  posti  in  giro  dodici  globetti,  nota  del  valore 


che  è  la  libbra.  Di  questa  serie  abbiamo  il  semisse,  il  triente, 
il  quadrante,  il  sestante  e  l'oncia.  In  questa  serie  si  sono 
trovate  alcune  contromarche  ;  mi  sono  note  la  V  che  rive- 
desi  in  tutti  gli  spezzati;  però  il  triente  non  si  è  ancor 
trovato.  Nel  quadrante,  sestante  ed  oncia  è  marcato  un  h. 
e  nel  Museo  di  Firenze  bassi  un  sestante  con  la  lettera  >  ; 
V'è  anche  la  3  con  una  foglia  di  edera  *  parimente  in 
contromarca. 
3.  Nel  Kircheriano.  Euota,  a  cui  fanno  da  raggi  due  semicerchi 
opposti  e  congiunti  da  una  traversa  ;  in  alto  è  la  nota  del  du- 
pondio.  Lo  stesso  tipo  è  ripetuto  nel  rovescio.  Di  questa 
serie  abbiamo  il  semisse,  il  triente,  il  quadrante,  il  sestante 
e  l'oncia.  La  nota  del  semisse  è  una  mezza  luna  ),  come 
in  Volterra,  Todi  e  Grubbio,  e  nella  serie  attribuita  già  a 
Bolsena,  che  ha  per  tipo  una  testa  giovanile  di  prospetto 
coperta  di  un  pileo  acuminato  a  guisa  di  meta  circense. 

ALLEANZA  DI  AEETIUM  CON  V- 

Tav.  LUI. 

1.  Kircheriano.  Simile  al  dupondio  della  tavola  precedente  ha 

però  di  proprio  la  lettera  fì  nel  dritto  e  la  V  nel  rovescio. 
A  questa  serie  manca  tuttavia  l'asse,  ma  v'  è  il  semisse 
nel  Kircheriano  notato  della  cifra  ^  ;  v'  è  il  triente , 
il  quadrante,  il  sestante  e  l'oncia  nel  Museo  medesimo.  Il 
sestante  e  l'oncia  si  trovano  ancora  nel  Museo  di  Cortona: 
la  lettera  fl  sembra  accennare  ad  un  Aretium  rimanendo 
poi  a  sapersi  il  nome  dell'altra  città  la  cui  iniziale  sia  un  V 
vocale.  Tale  si  è  nell'Umbria  VUrvinum  Metaurensé,  che 
oggi  si  appella  Urbania,  VHortense  Drvinum  che  è  l'odierno 
Urbino  è  più  distante,   ma  non  è  perciò  meno  probabile. 

ALLEANZA  DI  CITTÀ  ETEUSCA  CON  TUDEE  UMBEO 

2.  Da   un   calco.    Euota    etnisca    e   fra  i  raggi  in  rilievo  la 

leggenda  3Q3+V+.  R.  Globo  nel  centro  fra  tre  mezze 
lune  opposte  :  intorno  all'  orlo  ,  vanno  dodici  globetti , 
nota  dell'asse.  Fu  già  nella  Collezione  Coltellini  di  Cor- 
tona (Congetture  sopra  Viscrisione  della  torre  di  S.  Marco 
pag.  LXXXIX),  il  quale  ne  fece  dono  al  Sestini,  che  lo 
riprodusse  (tom.  IV  delle  Lettere  e  Diss.  tav.  n.  1  p.  152 
Livorno,  1779).  Dal  Sestini  passò  nella  Collezione  Ainsley, 
come  attesta  il  medesimo  Sestini  (loc.  cit.),  dove  tuttora 
deve  conservarsi,  ovvero  starà  in  Londra  di  certo,  aven- 
done ivi  il  numismatico  sig.  I.  G.  Pflster  cavato  il  calco, 
del  quale  mi  fé'  dono  nel  luglio  del  1857,  quando  visitai 
il  Museo  Britannico.  Il  Sestini  ricorda  di  aver  veduto  \m 
asse  simile  a  questo,  ma  anepigrafo,  nella  collezione  Sellari 
di  Cortona,  e  che  altre  divisioni  di  questo  asse  erano  presso 
l'Ainsley.  Nel  Kircheriano  si  hanno  il  semisse  colla  nota 
del  valore  in  sei  globetti,  e  il  triente  con  quattro  :  questi 
ripetono  gli  stessi  tipi:  ma  poi  il  quadrante  ne  ha  tre  e 
il  sestante  due  in  campo  liscio. 

Assicurata  cotesta  serie  rimane  ora  che  le  assegniamo 
la  zecca  dalla  quale  fu  emessa.  Non  v'è  dubbio,  che  se  do- 
vessimo stare  alla  leggenda  sarebbe  Todi,  ma  per  asse- 
gnarla a  Todi  non  v'è  argomento,  della  leggenda  in  fuori, 


28 


AES  GRAVE 


T.  LIV 


che  non  opponga  uu  ostacolo  gravissimo.  In  cotesto  bronzo 
tutto  è  etrusco:  il  peso,  la  figura  della  ruota,  la  prove- 
nienza, il  sistema  dei  dodici  globetti  per  l'asse,  di  sei  pel 
semisse  invece  della  mezza  luna  usata  in  Todi.  Ma  si  è 
convenuto  generalmente  come  a  cosa  dimostrata,  che  vo- 
lendo gli  antichi  significare  una  confederazione  lo  abbiano  fatto 
talvolta  unendo  insieme  i  tipi  di  una  città  col  nome  di 
un'altra.  Sarebbe  dunque  nel  caso  nostro  espressa  im'al- 
leanza,  ad  esempio,  di  Cortona  con  Todi  mettendo  insieme 
coi  tipi  della  prima  il  nome  della  seconda. 

3.  a,  h.  Kircheriano.  Ruota  etrusca  con  la  singolarità  di  quattro 

lettere  impresse,  le  quali  insieme  unite  sembrano  dire  A3TT 
dove  rV  manca.  R.  Il  riverso  è  liscio,  ma  nel  centro 
v'è  il  globetto  segno  dell'oncia.  Sia  pur  vero  che  fu  erro- 
neamente omessa  l'V  nella  leggenda  che  dovrebbe  essere 
Q3TVT,  ma  sarà  sempre  indubitato  che  clii  impresse  queste 
lettere  ebbe  in  mente  il  nome  di  Todi. 

4,  5.  Museo  di  Bologna.  Asse  i  cui  tipi  sono   da  im  lato  la 

ruota  ad  otto  raggi   con   lettere  divise  tra  gli  otto  raggi, 
che  esternamente  lette  danno  il  nome  FE..U[INkA.  R.  Ancora 
con  la  nota  dell'asse  nel  ceppo  di  congiungimento  delle  due 
marre:  il  campo  è  intorno  chiuso  da  un  cerchio  in  rilievo. 
Non  v'ha  dubbio  che  i  tipi  della  ruota  e  dell'ancora  siano 
della   zecca  di  Chiusi,  la   quale  si   chiamò  Camars   dagli 
Etruschi,  ma  questi  tipi  sono  stati  veduti  ancora  nel  quin- 
cusse  di  confederazione,  dove  la  prima  lettera  è  un  3,  che 
è  pure   r  iniziale  del  nome  etrusco  Fetlun[e]a  inscritto  fra 
gl'intervalli  degli  otto  raggi  di  cotesta  nostra  moneta.  E 
poiché  in  quel  quincusse  manca  il  nome  o  l' iniziale  della 
città  alleata,  indi  si  deduce,  che  il  tipo,  come  si  è  avver- 
tito di  sopra,  vale  a  significare  la  zecca,  che  è  quella  di 
Chiusi.  Il  nome  della  città  che  qui  si  legge  è  Velhmea,  o 
supplendosi  la  terza  lettera  col  confronto  del  secondo  esem- 
plare che  dò  qui  appresso.  Ma  la  penultima  lettera  della  quale 
sono  determinabile  le  sole  linee  inferiori  è  per  congettura 
supplita  per  E,  né  si  può  altrimenti,  se  non  si  vuol  leggere 
Vetlunva,  ovvero    Vellunfa. 
6.  Museo  di  Pesaro.  I  tipi  sono  gli  stessi    del  numero  prece- 
dente :     r  epigrafe    meglio    conservata    si    legge    intera- 
mente CETUCNKA.   Sul   ceppo    dell'  àncora  non   si  lascia 
scorgere  la  nota   dell'asse.   Questo   bronzo  che  pesa  sette 
once  fu  pubblicato  dal  Passeri  (tav.  VI,  1  pag.  183)  che 
vi  lesse,  E..+U..A.  Poscia  il  Lanzi  ripetendo  la  stampa  del 
Passeri  ne  diede  una   lezione  pili  piena  fl(MV)-J+33   {Sag- 
gio 11,  30,  25).  Fu  dunque  per  ambedue  certo  che  la  città 
indicata  dalla  epigrafe  era  Vetulonia  :  e  però  fa  senso  che  il 
Grotefend  scrivendo  dopo  (BMter  fur  Miinzkunde  1837  T.I 
n.  9)   attribuisca  la  moneta  a  Vetuna  città  dell'Umbria 
(cf.  T.  II  p.  70  n.  5).  Ma  il  Fabbretti  avendola  trascritta 
nel  Glossarium  (col.  1959)  dal  Lanzi  attesta  poi  nella  Da- 
acrizione   geografica   1867   pag.  5XSIII  di  aver   veduto 
l'esemplare  del  Museo  di  Bologna  e  di  avervi  letto  CE+UCN8fl. 
La  città  di  Vetulonia  sulla  propria  moneta  s'inscrive  FA+U 
e  sopra  un  bronzo   di   alleanza  con  Populonia  e  Camars 
essa  vi  è  indicata  dal   nome  V>ifl+3^.  In  questo  asse  in- 


vece è  denominata  FE+l-CNkfl,  ove  la  lettera  C  tiene  il 
posto  della  lettera  vocale  V  ;  ma  non  è  certo  come  ho  detto 
se  la  penultima  sia  un  P  od  un  K  ovvero  un  C  o  sia  se 
debba  leggersi  Vetlionea  ovvero    Vdlunfa  oppur  Vetlunva. 

ETRUSCORUM 

Tav.  LIV. 

1.  Coli,  del  sig.  Agostino  Castellani  in  Cortona.  Testa  giova- 
nile di  prospetto  con  capelli  sparsi  coperta  di  un  pileo  di 
forma  piramidale  senza  gronda,  o  piuttosto  con  gronda 
coperta  da  un  velo  che  sembra  involgerla.  Il  pileo  si  vede 
munito  di  fettucce  con  le  quali  é  legato  di  sotto  al  mento. 
Nel  rovescio  v'  è  una  scure  e  un  coltello ,  nel  centro  un 
globo,  a  sin.  la  nota  dell'asse,  a  destra  una  mezza  luna. 
Questi  tipi  si  ripetono  per  tutta  la  serie,  se  ne  eccettui 
la  nota  del  valore,  che  nel  semisse  é  una  mezza  luna 
rovescia  :  manca  finora  il  triente  e  il  sestante,  v'  è  però  il 
quadrante  e  l'oncia.  Il  globo  dell'asse  è  ripetuto  nel  solo 
semisse,  ma  nel  piccolo  bronzo  n.  4  ci  sta  a  dinotarne 
il  valore  che  è  l'oncia:  la  semoncia  altro  non  ha  al  ri- 
verso che  la  scure  e  il  coltello.  Dal  pileo  acuminato  del 
dritto  che  è  tanto  analogo  al  pileo  flaminico  si  poteva 
dedurre  che  la  figura  giovanile  rappresentasse  un  sacer- 
dote, e  vie  più,  perchè  tale  idea  è  confermata  dagli 
strumenti  sacrificali  definiti  dal  Cavedoni  per  Vacidris  e 
la  secespita  [Nat.  dell'aes  grave  pag.  22).  La  opinione  me- 
desima portò  il  P.  Marchi,  il  quale  fu  perciò  indotto  a 
cambiare  la  nota  dell'asse  che  credette  male  espressa  nel 
disegno  in  caipedimctùa.  Io  ne  ho  veduto  l'originale  e  con- 
fermo col  possessore,  che  ivi  è  fuor  di  dubbio  la  nota  del- 
l'unità 0  sia  dell'asse.  È  invalsa  la  credenza  che  i  bronzi 
di  questa  serie  provengano  dai  contorni  del  lago  di  Boi- 
sena.  Io  non  so  di  quali  pezzi  lo  '  abbiano  detto  o  potuto 
dire.  Non  di  certo  dell'asse ,  unico  finora,  probabilmente 
trovato  in  luogo  non  molto  discosto  da  Cortona:  non  del 
semisse,  i  cui  due  esemplari  finora  noti  non  si  sa  dove 
siano  stati  trovati.  Un  quadrante  so  che  è  stato  di  recente 
comprato  a  Chiusi.  Del  sestante  e  dell'oncia  e  semoncia  se 
è  vero  che  sogliono  trovarsi  intorno  al  lago  fa  d'uopo  ri- 
petere ciò  che  abbiamo  altrove  notato  degli  spezzati  infe- 
riori, cioè  ohe  non  si  suole  fare  gran  caso  di  essi,  quando 
si  tratta  di  assegnare  la  patria  ad  alcuna  serie.  Ma  noi 
vediamo  che  essendosi  scavato  molto  intorno  alla  Bolsena 
etrusca  cioè  alla  odierna  Orvieto,  né  questi  né  altri  bronzi 
della  serie  nostra  son  venuti  fuori:  né  io  ricordo  di  averne 
veduti  nella  moderna  Bolsena  in  casa  del  conte  Cozza,  che 
pur  aveva  raccolto  gran  copia  di  svariate  monete,  di  alcune 
delle  quali  piacquegli  farmene  grazioso  dono.  Volendo  poi 
attribuire  questa  serie  ad  alcuna  città  etrusca  farò  notare 
che  l'Etruria  centrale  non  adopera  figure  umane  per  tipo  ; 
nel  che  è  anche  seguita  dai  Tudertini  ed  Eugubini.  Il  Ca- 
vedoni (loo.  cit.)  opinò,  che  ne  fossero  autori  i  Tuscanienses, 
perchè  essi  si  danno  il  nome  comune  alla  nazione,  e  questa 
l'ebbe  dal  rito  sacrificale,  scrivendo  Plinio  (III,  8,  16):  .4 
sacrifico  ritu  lingua  Graecorum  Thusci  sv.nt  cognominati.  11 


T.  LV 


AES  GEIVE 


29 


marchese  Melohiorri  (Bull.  Inslit.  1839  p.  122)  stimò,  che 
si  potesse  dare  a  Luni,  e  il  motivo  iu,  perchè  la  moneta 
reca  per  simbolo  la  luna,  e  il  cacio  di  Luni  ebbe  per 
insegna  patria  la  luna,  come  s'impara  da  Marziale,  ove 
scrive:  Cnscus  ctruscae  signatus  imagine  lunae.  Ma  qui  il 
Melchiorri  passa  per  tipo  patrio  la  mezza  luna ,  che  è 
invece  im  segno  distintivo  di  conio,  un'  impronta  dell'oifi- 
cina  ;  né  l'hanno  adoperata  solo  quei  di  Luni,  ma  altri 
popoli  etruschi,  anche  in  contromarca,  e  si  trova  usata  anche 
dai  latini,  come  se  ne  può  convincere  chi  guarda  l'asse  di 
Palestrina  (Tav.LXIX,  1),  ore  la  mezza  luna  prende  il  posto 
del  caduceo.  Eivenendo  ai  Tuscanienses  cotesti  popoli  non 
figurano  fra  le  dodici  città  etrusche,  e  di  più  nel  loro  ter- 
ritorio non  si  trovano  le  monete  di  questa  sorta,  ne  poi 
si  vede  come  essi  si  potessero  attribuire  i  tipi  comuni  a 
tutta  la  nazione,  almeno  a  parere  dei  G-recij  ai  quali  secondo 
la  tradizione  avevano  di  certo  miglior  dritto  i  Tarquiniesi. 
Dietro  tutto  ciò  io  penso,  che  cotesta  serie  non  si  debba 
attribuire  ad  una  speciale  città,  ma  sia  piuttosto  stata 
emessa  a  nome  comune  dalla  nazione. 

2.  Kircheriano.  I  tipi  sono  quei  dell'asse:  la  nota  di  valore  è 

posta  in  basso  fra  V  accetta  e  il  coltello.  Pesa  tre  once, 
denari  uno  e  mezzo.  L' esemplare  del  Gabinetto  parigino 
delle  medaglie  pesa  gr.  83. 

3.  Kircheriano.  Nel  quadrante  si   ripetono  i  tipi  medesimi:  la 

nota  del  valore  è  posta  fra  il  coltello  e  l'accetta.  Un  esem- 
plare del  Museo  Britannico  pesa  gr.  45,00  {Calai,  p.  24). 
Un  esemplare  che  proviene  da  Chiusi  ha  di  peso  gr.  36,70. 

4.  Kircheriano.  I  tipi  sono  gli  stessi.  La  nota  del  valore  è  nel 

centro.  Pesa  dodici  denari.  Ve  n'è  un  altro  esemplare  che 
pesa  sedici  denari  e  mezzo. 

5.  Kircheriano.  I  tipi  sono  i  medesimi  :  manca  però  al  riverso 

la  luna  crescente.  Non  vi  è  la  nota  del  valore,  ma  è  una 
mezz'oncia  avendo  di  peso  sei  denari. 

6.  (Carelli  tav.  XX  n.  34).  Dopo  la  serie  già  descritta  ho  posto 

questo  bronzo  per  una  certa  analogia  dell'accetta  che  vi  si 
vede.  È  un'  oncia  e  ripete  il  tipo,  cioè  l'accetta  e  la  clava, 
a  cui  non  v'è  niente  di  simile  nelle  serie  che  ripetono  al 
rovescio  il  tipo  del  dritto. 

FIXIBUS  AGEOEUil  PICENI  ET  GALLICI 
ANCON 

7.  Museo  di  Firenze.  Nel  dritto  v'  è  delineata  la  triscele  o  sia 

il  gruppo  di  tre  gambe  umane  che  procedono  da  un  globo 
che  è  nel  centro,  col  ginocchio  alquanto  piegato.  So- 
gliono queste  tre  gambe  seguirsi  ma  qui  con  nuovo  esem- 
pio due  sole  si  seguitano,  non  già  la  terza,  che  ha  un  mo- 
vimento contrario  aUa  seconda.  B.  Ferro  di  im  tridente. 
Pesa  gr.  484,18,  pari  a  diciassette  once  e  gr.  8,18. 
n  Gori  ne  possedette  il  primo  esemplare,  che  passò  poi  in 
Sicilia  e  ora  non  si  sa  dove  sia.  11  P.  Eomano  ne  aveva  una 
copia  in  bronzo.  Cotesto  nuovo  esemplare  l' ha  pubblicato 
il  Gamurrini,  dal  quale  abbiamo  appreso  che  proviene  dalle 
terre  umbre  tra  Todi  e  Perugia  {Perioil.  numism.  del 
march.  Strozzi  anno  IV  p.  B).  È  per  me  probabile  che  l'ab- 


biano fuso  i  coloni  di  Ancona  ;  e  che  la  triscele  faccia  da 
simbolo  del  promontorio  come  per  altro  verso  il  cubito  è 
simbolo  della  città  posta  in  ipso  fleclenlis  so  orae  cubilo  (Plin. 
//.  N.  Ili,  13).  Perocché  così  potrà  trovarsi  anche  da  giusti- 
ficare la  disposizione  nuova  delle  due  gambe,  che  si  vanno 
incontro,  sapendosi,  che  tre  sono  i  promonlorii  del  monte 
Cumerio,  due  dei  quali  colle  loro  estremità  ricurve  s'incon- 
trano chiudendo  in  seno  la  città  di  Ancona,  il  terzo  che  spor- 
ge in  mare  a  settentrione  sta  solo.  Exin  ilta,  scrive  Mela 
(11,  4),  in  angusto  duorum  pyoinontoriorum  ex  diverso 
coeuntium  inflexu  cubiti  imagine  sedens.  I  Siracusani  ri 
vennero  l'anno  347  di  Eoma.  Questo  asse  che  pesa  dicias- 
sette once  non  ha  finora  spezzati:  potrebbe  per  altro  citarsi 
a  confronto  quel  triente,  che  do  alla  tav.  XLV,  3,  il  cui 
peso  è  di  circa  cinque  once. 

UMBRIA 

TUDEE 

Tav.  LV. 

1.  Parigi,  Gab.  delle  medaglie.  Aquila  ad  ali  semiaperte  volta 
a  sin.,  davanti  3Q31-V-}-  e  la  nota  dell'asse.  R.  Cornucopia, 
pieno  di  bei  pomi  tra  i  quali  spiccano  un  grappolo  d'uva 
a  destra  con  una  spiga  di  grano,  il  pisello  a  sinistra,  simbo- 
leggiando le  vigne,  i  campi  e  gli  orti  coi  pomavii.  Pesa  grammi 
255  pari  ad  once  nove  e  due  grammi.  Un  nuovo  esemplare  di 
egual  peso  è  stato  acquistato  di  recente  dal  Capobianchi:  quello 
del  Museo  di  Napoli  pesa  once  quattordici.  È  da  notarsi 
che  la  monetazione  di  Todi  si  distingue  notabilmente  da 
quella  di  Gubbio,  e  si  accosta  di  molto  a  quella  di  Tar- 
quinia e  di  Volterra,  lasciata  da  parte  quella  del.  centro 
dell'Etruria  il  cui  sistema  non  si  diparte  da  un  asse  di  sei  alle 
otto  once.  Il  P.  Marchi  [L'aes  grave  pag.  76)  scrive,  che  l'Oli- 
vieri  fu  il  primo  a  riconoscere  le  monete  di  Todi  ;  era  però 
stato  notato  dal  P.  Lanzi  {Saggio  II  p.  29),  che  il  Passeri  nei 
suoi  Paralipomeni  al  Dempstero,  se  n'era  vantato  scopri- 
tore da  parecchi  anni  (/).  n.  v.  I,  98).  Il  luogo  accennato 
dal  Lanzi,  e  che  il  P.  Eckhel  dice  ivi  di  non  sapere  dove 
l'abbia  scritto,  è  a  pag.  154  dell'opera  citata.  Ivi  narra 
che  avendo  egli  fatto  dimora  per  due  anni  dal  1715 
in  Todi  e  vedute  ivi  ed  acquistate  molte  di  queste  monete, 
dalla  loro  frequenza  cominciò  a  sospettare  che  fossero  tu- 
dertine:  che  poi  ne  fu  pienamente  convinto  allorché  s'im- 
battè nelle  monete  di  Gubbio  pubblicate  dal  Dempstero. 
Fu  egli  dunque  il  primo  a  scoprirne  la  zecca,  e  in  ciò  ha 
ragione  il  Lanzi,  ma  l'Olivieri  di  fatto  dieci  anni  prima  che 
il  Passeri  desse  alla  luce  i  suoi  Paralipomeni  nel  1757  ne 
divulgò  la  scoperta,  e  in  questo  senso  la  sentenza  del 
P.  Marchi  è  vera.  Dopo  l'Olivieri  ne  scrisse  il  Pellerin  e 
quindi  il  Passeri.  Ciò  è  quanto  alla  scoperta  della  moneta 
fusa  di  Todi.  Ma  fa  meraviglia  che  non  siasi  avvertito  aver 
l'Arigoni  fin  dal  1741  già  assegnata  a  Todi  la  moneta  co- 
niata che  porta  la  stessa  epigi-afe  3Q3+V+  (Tab.  XXII 
n.  222).  SuUe  monete  dei  Tudertini  non  abbiamo  per  tipo 
figure  degli  dei,  ma  simboli,  che  ne  rivelano  gli  attributi. 


30 


ABS  GEAVE 


LVI  LVII 


Questa  relazione  che  passa  fra  le  imagini  degli  dei  e  i  sim- 
boli posti  al  riverso  si  vedrà  manifestamente  nelle  due 
serie  della  moneta  lucerina,  la  fusa  e  la  coniata. 

2.  Da  un'impronta.  Cane  alano  accovacciato  in  riposo:  altri  lo 

hanno  detto  un  lupo.  L'epigrafe  è  3Q3+V+  e  v'è  la  nota 
del  semisse.  7?.  Lira  a  tre  corde  e  ivi  è  ripetuta  la  nota 
predetta  del  semisse.  Pesa  once  sette  e  un  quarto. 

3.  Kirch.  Mano  sinistra  armata  di  cesto  atletico  e  nota  del  tri- 

ente.  B.  Il  nome  3Q3+V+  fra  due  clave,  e  la  nota  del  tri- 
ente.  Pesa  gr.  63. 

4.  Kirch.  Kana  e  nota  del  quadrante,  fl.  Ancora  e  la  nota  me- 

desima: inoltre  a  d.  VT.  Pesa  gr.  61,50.  Il  Mazzocchi 
(Tirreni che,  diatr.  VI)  legge  LV  e  attribuisce  questo  qua- 
drante a  Luni. 

5.  Kirch.  Cicala   e  non  locusta;   fra   i  due  globetti  nota  del 

sestante.  R.  Perro  del  tridente,  a  d.  i  due  globetti,  a  sin. 
l'epigrafe  VT.  Cotesto  tridente  ha  piuttosto  forma  di  ro- 
stro quale  si  vede  nel  quadrilatero  della  tav.  XVIII.  L'esem- 
plare che  ora  si  conserva  ha  nel  riverso  1'  epigrafe  Vt  a 
d.  e  i  globetti  a  sin.  e  pesa  gr.  40,60. 

6.  Kirch.  Vaso  a  due  manichi  e  di  sopra  un  globetto,  nota  del- 

l'oncia. R.  Porro  di  lancia,  a  d.  il  globetto,  a  sin.  \J+.  Pesa 
gr.  22,00. 

7.  Kirch.  Kana.  R.  Testuggine  a  sin.  im  globetto,  a  d.  VK.  Pesa 

gr.  17,00. 

8.  Da  un'impronta.  Pana.  R.  Acino  di   grano  a  destra   IV:  la 

nota  di  valore  manca.  Cotesti  due  nn.  7,  8  sono  fuori  di  serie, 
di  che  abbiamo  arrecati  altri  simili  esempi  (tav.  XL  nn.  6,  7). 
I  tipi  della  seconda  si  rivedono  in  un  bronzo  ancor  esso  fuori 
di  serie,  che  si  trova  delineato  nella  tav.  LXIV  n.  7,  come 
luoerino.  Le  monete  libbrali  di  Lucerà  non  hanno  leggenda, 
le  tudertine  invece  l'hanno. 


Tav.  LVI. 

1,  2.  Coli.  Passeri  pag.  203,  205.  Vi  furono  dei  pezzi  di  mo- 
neta tudertina,  nei  quali  non  si  avevano  altri  tipi  che 
l'aquila  al  dritto,  e  il  cornucopia  al  riverso.  Il  Passeri  ne 
conobbe  due,  il  semisse  con  la  nota  "^  e  il  triente  coi 
quattro  globetti,  dove  l'epigrafe  è  tronca  +V+.  Queste  due 
monete  suppongono  iiu  asse  del  peso  di  circa  sei  once, 
pesando  il  semisse  once  tre,  e  il  triente  im'  oncia  e  mezzo, 
secondo  l'Olivieri;  ma  il  Passeri  a  n.  205  gU  dà  il  peso 
di  gr.  42,  e  a  pag.  214  quello  di  gr.  47.  Non  dirò  che 
questi  tipi  abbiano  ad  essersi  ripetuti  per  tutta  una  serie  ; 
perchè  ho  l'esempio  di  Gubbio,  che  ripete  a  coppie  i 
tipi,  come  vedremo  nelle  tavole  seguenti. 

3.  Kirch.  Questa  serie  ha  i  medesimi  tipi  che  la  prima  già  de- 
scritta alla  tav.  LIV,  manca  però  sinora  del  proprio  asse. 

3-11.  Nelle  frazioni  di  questa  serie  è  vario  l'uso  di  scrivere 
e  accorciare  il  nome  della  città.  Perocché  nel  semisse  è 
3Q3+V+  e  si  ripete  anche  nel  riverso:  la  nota  del  valore 
ora  è  a  destra  ora  a  sinistra:  nel  triente  è  intera,  ovvero 
manca  I'  ultima  lettera,  nel  quadrante  ora  è  intera,  ora  vi 
si  vede  scritta  la  sola  prima  sillaba  V+,  la  quale  sillaba  ini- 


ziale si  vede  costantemente  riprodotta  nel  sestante  e  nel- 
l'oncia. V'è  anche  esempio  di  once  che  non  ripetono  al 
rovescio  il  globetto  del  dritto.  Questa  serie  è  ridotta  al 
sistema  dell'asse  quadrantario. 
4,  12,  13.  Ai  pezzi  della  nostra  serie  ho  aggiimto  il  disegno  di 
un  frammento  che  fu  comprato  qui  a  Roma  dal  sig.  conte 
Gir.  di  Colloredo:  di  piìi  vi  ho  aggregato  due  once  soli- 
tarie, in  una  delle  quali,  n.  12,  ohe  è  nei  Musei  di  Pesaro 
e  di  Parma,  si  ha  un  ferro  di  lancia  e  al  riverso  il  glo- 
betto in  campo  liscio  :  nell'  altro,  che  si  ha  nel  Carelli 
(tab.  XX,  38),  è  un  acino  d'orzo  nel  dritto  e  nel  riverso 
un  globetto  parimente  in  campo  liscio. 

IGDVIUM 

14.  Museo  di  Pesaro.  Il  tipo  di  questo  tripondio  è  la  luna  cre- 
scente con  la  nota  del  valore  nel  centro  e  l'epigrafe  al  di 
sopra  che  esternamente  si  legge  II/1I3V>II.  Nel  rovescio  v'è 
il  globo  del  sole  sfolgorante  di  raggi,  che  sono  dieci.  Pesa 
gr.  428,  lo  che  suppone  un  asse  di  gr.  140,  pari  ad  once 
quattro,  gli  assi  di  Gubbio  finora  noti  vanno  dai  grammi  180 
ai  193,  cioè  dalle  sei  alle  sette  once.  Usano  gli  Eugubini, 
ripetere  nei  multipli  i  tipi  dell'asse,  e  però  anche  del 
semisse.  Le  quattro  stelle  nel  dritto  sono  in  questo  tri- 
pondio appena  visibili  per  difetto  di  fusione.  Gli  Eugu- 
bini, umbri  ancor  essi  come  i  Tudertini,  seguono  non 
pertanto  scuole  diverse  nell'arte  monetale  :  perocché  i 
Tudertini  si  accostano  di  molto  all'arte  sabina  e  del  Lazio 
come  i  Tarquiniesi  e  i  Volterrani,  mentre  gli  Eugubini 
stando  piìi  da  presso  al  centro  della  Etruria  ne  imitano 
il  peso  e  la  forma. 


TAf.  LVII. 

1.  Kirch.  I  tipi  di   quest'asse   sono   quei   del  tripondio,   luna 

crescente  fra  quattro  stelle,  nel  mezzo  la  nota  dell'asse  e 
r  epigrafe  5HGV>II  esternamente  letta.  /?.  Globo  del  sole 
sfolgorante  per  quattordici  raggi,  sette  maggiori  e  altret- 
'  tanti  minori.  Pesa  grammi  194  pari  ad  once  sei  e  2  de- 
nari. La  desinenza  del  nome  in  questi  bronzi  è  in  I,  ovvero 
in  l  :  qui  è  in  i,  nell'esemplare  del  Museo  di  Pesaro  è  in  i. 

2.  a,  b.  Kirch.  Globo  solare  con  dodici  raggi.  R.  Luna  crescente 

fra  quattro  stelle,  nel  mezzo  la  nota  del  semisse  e  l'epi- 
grafe S1/1II1V>II.  Nel  museo  medesimo  vi  ha  un  altro  esem- 
plare b,  nel  quale  è  omessa  la  nota  del  valore  e  sono 
omesse  anche  le  quattro  stelle  :  l'epigrafe  è  IMIDV)!!.  Pesa 
gr.  99.  Di  recente  il  Capobianchi  ne  ha  acquistato  un 
esemplare  dalla  collezione  Ranghiasci  di  Gubbio  simile  al 
descritto  2  a. 

3.  Kirch.  Cornucopia  sopra  un  disco  in  rilievo  :  sull'orlo  è  scritto 

iniIIV)!!.  R.  Tanaglia  sopra  un  simile  disco  fra  quattro  glo- 
betti, nota  del  valore.  Pesa   un'oncia  e  denari  21. 

4.  Kirch.  I  tipi  sono  i  medesimi  :  varia  il  segno  di  valore  che 

è  di  quadrante.  Il  suo  peso  è  di  un'  oncia  e  sette  denari. 

5.  Kirch.  Cornucopia  sopra  disco  e  intorno  all'orlo,  5MDV>l'l.  R. 

Ripete  lo  stesso  simbolo  e  aggiugne  la  nota  del  sestante. 


T.  LYiir  LTX 


AES  GEAVE 


31 


Pesa  diciassette  denari.  L'epigrafe  talvolta  è  omessa,  come 
in  un  esemplare  da  me  veduto  in  Cortona. 

tj.  Kirch.  I  tipi  e  l'epigrafe  sono  gli  stessi,  ma  al  riverso  v'è 
la  nota  dell'oncia. 

7.  I  tipi  adunque  iu  questa  serie  eugubina  vanno  accoppiati  di 
due  in  due.  È  quindi  fuori  di  serie  il  sestante  delineato 
in  questo  luogo,  nel  quale  dall'un  lato  è  il  cornucopia  colla 
nota  del  sestante,  dall'altro  è  un  ramo  di  palma. 


Tav.  LVIII. 

1.  Coli.  mia.  Luna  crescente  e  nel  mezzo  l'astragalo,  di  sopra 

esternamente  letto,  SHI1V>II.  R.  Acino  d'orzo  fra  due  stelle 
e  nel  basso  la  nota  del  semisse.  Pesa  gr.  93,  pari  a  tre 
once,  gr.  9.  Fu  trovato  nelle  campagne  di  Sentinum 
(Sassoferrato)  in  distanza  di  venti  miglia  da  Gubbio.  Ora 
se  ne  hanno  altri  due  esemplari,  uno  nel  Earcheriano  e  uno 
nel  Museo  di  Pesaro. 

2.  Kircheriano.  Cornucopia  e  di  rincontro  l'epigrafe  $N13V>II: 

nel  mezzo  v'è  la  nota  del  semisse.  lì.  Elmo  cristato  volto 
a  sin.  Pesa  once  due,  den.  undici. 

3.  Eirch.  Eamo  di  palma  dentro  un  cerchio;  nel  lembo  l'epi- 

grafe $HI3V>II.  R,  La  nota  del  sestante  dentro  un  cerchio. 
Pesa  den.  16,  acini  12. 

4.  Museo  di  Milano.  I  tipi  sono  gli   stessi,   ma  lo  stile   della 

palma  è  diverso  (Avell.  Opusc.  II,    2,  2). 

5.  Museo  di  Arezzo  :  si  ha  pure  nel  Museo  Britannico.  Cornu- 

copia e  nel  mezzo  un  globo  nota  dell'  oncia.  R.  Grappolo 
d'uva.  Nelle  tavole  del  Carelli,  che  copiano  dal  Sestini  (Leti, 
cont.  t.  IV  tab.  I,  1)  il  grappolo  è  delineato  in  modo,  che 
il  Cavedoni  {ad  Carell.  tab.  XXIII,  5)  lo  ha  potuto  cre- 
dere una  ciocca  di  tre  olive  ;  inoltre  il  cornucopia  vi  è  stato 
cambiato  in  due  delfini  e  aggiunta  l'epigrafe  IKVVIN. 

I).  Eirch.  Ruota  a  quattro  raggi  colla  nota  del  triente  :  sul 
lembo  SmilV)!!.  R.  Vi  è  ripetuto  il  tipo  medesimo.  Pesa 
due  once  e  dieci  denari. 

7.  Kirch.  Euota  a  ti-e  raggi:  nel  lembo  SHI3V>II.  R.  Vi  è  ripe- 
tuto il  tipo  medesimo  :  di  più  vi  è  la  nota  del  quadrante 
che  manca  nel  di'itto.  Pesa  un'oncia  e  den.  21.  Questi  due 
spezzati  suppongono  un  asse  di  maggior  peso,  che  non  è  il 
conosciuto  sinora.  Di  piìi  il  tipo  è  copiato  dalla  serie  del- 
l'Etruria  centrale,  che  la  ruota  del  dritto  ripete  sul  rove- 
scio. Per  questi  due  motivi  li  ho  posti  fuori  della  serie, 
nella  quale  figurano  i  semissi  ed  il  sestante  n.  3. 

AGER  GALLICUS 

AEIMINUM 

Allorché  si  è  preso  a  dimostrare  che  le  teste  del  dritto 
di  questa  serie  erano  quasi  ritratti  dei  GalU  Senoni,  che  occu- 
parono questa  parte  dell'Umbria,  fu  supposto  che  non  potevano 
precedere  l'epoca  del  loro  soggiorno  ;  e  però  che  non  furono  gli 
Umbri  che  fusero  queste  monete.  Eesta  ora  a  vedere  se  pote- 
rono fondersi  dai  Eiminesi  dopo  la  partenza  dei  GaUi.  Questa 


serie  è  tanto  rara  che  dell'asse  non  si  ha  finora  se  non  l'unico 
esemplare  del  Museo  di  Pesaro.  Del  semisse  se  ne  contano  ap- 
pena tre  esemplari  e  altrettanti  del  triente.  Non  è  proba- 
bile che  i  Galli  abbiano  emessa  cotesta  serie  di  aes  grave, 
come  tenne  il  Borghesi  (Lett.  1842,  Oeuvr.  VII,  390),  ne  si 
spiegherebbe  come  in  tanti  anni  di  loro  dominio  (v'erano  venuti 
al  piìi  tardi  nel  364)  abbiano  fuso  sì  poco  di  moneta.  Stermi- 
nati i  Galli  dalla  Seuonia  nel  471  i  Eomani  vi  dedussero  una 
loro  colonia,  ma  non  jn'ima  del  486,  nel  qual  anno  cominciò 
in  Eoma  ad  aver  corso  legale  l'asse  sestantario. 

Erano  adunque  passati  quindici  anni  d' indipendenza  nei 
quali  i  Eiminesi  avevano  ordinata  la  loro  republica  e  forse  an- 
che aperta  la  loro  zecca,  se  non  si  vuole  piuttosto,  che  questa 
loro  monetazione  fusa  e  coniata  abbia  a  ripetersi,  come  opina 
il  Mommsen  [H.  de  la  m.  Ili  p.  187),  dai  coloni  latini,  i  quali 
del  resto  non  seguirono  Eoma  (Momms.  1.  e),  ne  i  popoli  vi- 
cini 0  lontani,  in  quanto  al  singoiar  costume  di  non  variare  il 
tipo  del  dritto  e  di  variare  invece  quello  del  riverso  nella  se- 
rie fusa.  Il  Gallo  Senone,  colle  sue  armi  e  costumi,  simbolo 
della  Senonia,  occupa  il  dritto  dei  primi  tre  bronzi,  i  simboli 
allusivi  alla  città  marittima  sono  figurati  sul  riverso  dei  tre  ulti- 
mi. Il  Gallo  armato  è  sulla  moneta  coniata,  dove  si  ha  sul 
dritto  la  testa  di  Vulcano,  nume  tutelare  della  colonia  che  la 
emise. 


Tav.  LIX. 

1.  Museo  di  Pesaro.  Testa  di  un  Gallo  molto  simile  ad  un  ri- 

tratto :  ha  mento  raso,  grandi  mustacchi,  muscolo  adusto, 
capelli  incolti  e  torque  al  collo.  R.  Protome  di  un  cavallo 
sfrenato  volta  a  d.,  insegna  di  alta  nobiltà,  anzi  reale,  del 
Gallo  qui  rappresentato.  Pesa  gr.  395  pari  ad  once  quat- 
tordici. 

2.  Kircheriano.  Nel  semisse  e  per  tutta  la  serie  il  dritto  rap- 

presenta l'imagine  di  un  Gallo,  sul  rovescio  è  lo  scudo 
adoperato  dai  Galli,  che  era  ovale:  a  sin.  cinque  globetti 
dimostrano  la  divisione  decimale  dell'  asse  adoperata  anche 
dagli  Atriani.  Pesa  sei  once  e  ventuno  denaro  pari  a 
grammi  194. 

3.  4.  Museo  di  Pesaro.  Testa  di  Gallo.  R.  Spada  e  fodero.  La 

spada  ha  vetta  traversa  nel  manico,  termina  in  punta  ed 
è  a  doppio  taglio  :  la  lama  è  rinforzata  nel  mezzo  da  una 
costola.  Il  fodero  porta  la  cintura  doppia  raccomandata  a 
due  anelli,  e  nel  mezzo  xm  rilievo  corrispondente  alla  co- 
stola: la  nota  del  triente  sono  i  quattro  globetti  a  sin.  Il 
peso  è  di  gr.  157.  Nel  Kircheriano  si  serba  un  frammento 
di  questo  bronzo  che  ho  rappresentato  al  n.  4  a  motivo 
della  punta  della  spada  che  ci  si  vede  chiara. 

5.  Kircheriano.  Testa  simile  alla  precedente.  R.  Ferro  di  tri- 

dente e  tre  globetti  a  destra.  Pesa  tre  once,  19  denari  e 
mezzo. 

6.  Kircheriano.  Testa  del  Gallo  come  le  precedenti.  R.  Delfino 

volto  a  d.  di  sotto  ha  la  nota  del  sestante.  Pesa  due  once 
e  9  denari. 


32 


AES  GEAVE 


T.  LX 


Tav.  LX. 

1.  Kircheriauo.  Testa  del  Gallo  come  avanti.  R.  Eoslro  di  nave 

e  a  sin.  il  globetto,  nota  del  valore.  Pesa  un'oncia  e  dieci 
den.  Lo  strumento  clie  io  dico  rostro  di  nave  è  da  para- 
gonarsi al  creduto  tridente  della  Tav.  XVIII,  dove  ho 
mostrato  come  i  tre  denti  sono  insieme  congiunti,  lo  clie 
non  si  vede  mai  fatto  nei  tridenti. 

2.  Kiroheriano.  Testa  del  Gallo  simile  alle  precedenti.  /?.  Con- 

chiglia Peclen  veduta  dall'esterno.  Manca  ogni  nota  di  va- 
lore, ma  è  una  semoncia,  e  pesa  sedici  denari.  A  miei  occhi 
non  è  barbato,  quel  Gallo  che  il  Minervini  allega  dal  Mu- 
seo di  Napoli  in  conferma  della  semoncia  che  pubblica, 
appartenente  alla  collezione  Lauria  {Oss.  numism.  p.  10), 
dove  il  Gallo  gli  pare  barbato. 

AGER  PICEXrS 

FIRMUM 

o.  In  Fermo  da  ima  impronta  mandatami  dal  sig.  conte  L.  Mor- 
rone.  Testa  di  donna  volta  a  sin.  di  dietro  è  la  nota  del 
quadrante.  E.  Testa  di  bue  posta  di  i3rospetto:  di  sopra  è 
la  leggenda  FIR.  Pesa  once  tre.  Nel  Kircheriano  se  ne  con- 
serva un  esemplare  rotto  dal  lato  destro  il  cui  peso  è  di 
un'  oncia  e  venti  denari.  Cotesto  quadrante  fu  in  prima  at- 
tribuito dal  Vermiglioli  ad  Hirelum  {Opusc.  voi.  4;  Iscr. 
Perug.  t.  1).  Il  P.  Marchi  lo  die  ad  Hispelium  [L'aes  grave 
tav.  IV,  B.  n.  8  pag.  85  seg.).  Ma  il  De  Minicis  lo  rivendicò 
a,'Fermo{Ce'nni  sturici  e  numismatici  di  Fermo,  p.Iseg.  136); 
lo  che  si  vide  poi  confermato  da  im  secondo  esemplare  che 
se  ne  ebbe  (Le  monete  gravi,  pag.  4).  Questo  pesa  gr.  98. 

4.  Kirch.  Bipenne  e  di  sopra  la  nota  del  quadrante.  R.  Ferro 

di  lancia  e  dal  lato  sinistro  SH.  Il  De  Minicis  ha  dato 
i  due  suoi  esemplari  per  sestanti  {Le  monete  gravi,  1868 
tav.  n.  2,  3):  il  primo,  n.  2,  del  peso  di  gr.  48;  il  secondo, 
n.  3,  di  gr.  37.  Ma  l'esemplare  Kircheriano  ha  tre  globetti 
ed  è  però  un  quadrante. 

5.  Kircheriano.  Aratro  volto  a  destra  e  di  sotto   quattro  glo- 

betti certi,  \m  quinto  è  incerto.  /?.  Aratro  volto  a  sinistra 
e  di  sotto  la  leggenda  FIR  in  parte  logora.  Vidi  cotesto 
bronzo  nel  Kircheriano  fra  gì'  incerti  e  ne  cavai  con  molto 
studio  l'epigrafe  che  il  dimostra  appartenente  alla  serie  di 
Fermo.  Ne  interrogai  per  lettera  il  De  Minicis,  il  quale 
mi  rispose  che  veramente  se  n'  erano  trovati  due  esemplari 
nelle  campagne  di  Fermo,  ma  1'  uno  di  essi,  tuttavia  in 
quella  città,  non  mostrava  di  avere  leggenda.  11  suo  peso 
è  di  once  due  e  ventidue  denari,  o  piuttosto  di  gr.  84  pari 
a  tre  once.  Fermo  ebbe  una  colonia  romana  nel  490  :  ma 
le  sue  monete  forse  precedono  una  tale  epoca. 

AGER  PRAETUTTIANUS 
HATRIA 

6.  L'Hatria  dei  Pretuzziani  credesi  fondata  da  Dionigi  il  vec- 

chio, ovvero  rimpiantata,  se  era  già  prima  colonia  dei  Liburni. 
Il  Milliugen  {ConsiJ.  214)  opina  che  sia  stala  fondata  dal- 


l'Hatria  veneta,  e  ne  prende  argomento  dal  nome  che  porta. 
Ma  la  denominazione  di  mare  Adriatico  passò  dalla  prima 
Hatria,  dove  si  limitava  alla  sola  ragione  che  esso  mare  ba- 
gnava, e  così  si  cominciò  ad  estendere  tal  nome  fino  al 
Gargano,  non  però  si  obliterò  il  primitivo  di  mare  Jonio, 
anzi  fu  la  stessa  cosa  dire  Jonio  e  Adriatico  :  rò  òì  avrà 
'ASgi'ag  èarì  xcà  'lóviog,  scrive  Scilace  (§  27)  fra  gli  anni 
416  a  419,  e  aveva  di  sopra  (al  §  14)  detto  che  il  porto  di 
Otranto  era  all'  ingresso  del  seno  adiùatico,  ovvero  ionio  : 
Xii-irjV  'YÒQOvg  sttI  tm  iov  'AÓ'qi'ov,  ij  reo  tov  loviuv  xò'/.nov 
arójiaK,  e  ohe  i  Japigi  si  stendevano  fino  al  monte  Arione 
pel  quale  intende  il  Gargano;  che  pone  però  nel  golfo  adria- 
tico: 'Icinvyég  daiv  f'di'oc  /it'xQi  'Agtonog  ngovc  tov  sr  rm 
xòXnoì  nò  'Aà'gi'a.  Il  territorio  di  Adria  estendevasi  dal  fiume 
Vomano  al  Matrino  e  vi  si  coltivavano  le  viti  che  davano  il 
Pretuzziano,  del  quale  parlano  con  lode  Plinio  e  Dioscoride. 
Silio  però  chiama  vitiferi  questi  campi  (Lib.  XV  v.  570)  : 

Ttim  qua  vitiferos  doinitat  prnetuttia  pubes 
laeta  laboris  ngros. 

Del  resto  l'agro  pretuzziano  confinava  col  Piceno,  del  quale 
Rufo  Pesto  Avieno  (Descr.  orbis  tcrrae  vv.  500,  501)  scrive: 

Nemnrosi  maxima  cernes 
Culmina  Piceni:  coma  largi  palmitis  ìllic 
Tenditur  ac  fuso  Bacckus  tegit  arva  flagello. 

Di  tale  coltivazione  menano  vanto  anche  gli  Adriani  che 
pongono  sul  loro  asse  l'imagine  di  un  Sileno,  che  venerano 
come  dio  lare,  e  però  gli  appongono  sul  riverso  il  cane. 
Questa  città  ebbe  una  colonia  romana  l'anno  465  passati 
98  anni  dalla  sua  fondazione,  se  essa  fu  colonia  siracusana  o 
più  veramente  occupata  da  coloni  siracusani.  Certamente  Pi- 
listo  nell'anno  I  della  01.  105  comandava  la  flotta  siracusana 
presso  le  acque  dell'Adriatico,  quando  Dionigi  il  giovane  era 
in  Caulonia  e  Dione  occupava  la  tirannide  in  Siracusa  (Diod. 
XVI  n.  3;  Plut.  in  Dione  e.  25,  35).  Non  è  quindi  ohe  si  parli 
della  città,  come  intende  Tzetze,  ma  del  mare.  La  loro  mo- 
neta fusa  non  è  generalmente  rara.  Seguono  il  sistema  deci- 
male e  non  omettono  di  fondere  anche  la  semoncia.  Nell'asse 
e  nel  semisse  adoperano  la  nota  comune  dell'  unità  I,  e  del 
quincunce  •  •  •  •  •,  ma  inoltre  si  servono  anche  della  ini- 
ziale U  che  vale  libbra,  e  del  S  pel  semisse.  V  è  anche 
esempio  della  doppia  nota,  i  globetti  da  un  lato,  il  S  dal- 
l'altro, come  si  vedrà  nel  n.  3  della  tav.  LXI. 
7.  Kircheriano.  Testa  di  Sileno  di  prospetto  coronato  di  un 
viticcio  di  edera  con  tre  corimbi  uno  sulla  fronte  e  due 
sulle  tempia.  È  calvo,  ma  due  ciocche  di  capelli  gli  pen- 
dono dalle  tempia  decorate  ancor  esse  da  un  corimbo.  Il 
nome  della  città  è  appena  visibile,  però  si  legge  senza 
dubbio  TAH:  in  alto  sulla  testa  è  la  lettera  >l  nota  iniziale 
della  libbra.  /?.  Cane  accovacciato  :  di  sotto  HAT:  di  sopra 
la  iniziale  U.  Pesa  gr.  410.  Cotesta  iniziale  che  ninno  aveva 
avvertita  sull'esemplare  del  Kircheriano  ha  poi  avuta  una 
conferma  nell'asse  del  Blacas,  che  egli  ha  dato  inciso  (pi. 
XVI,  H.   de  la   mon.  t.  IV),  il  cui  peso  è  di  gr.  385,  25, 


T.  XLI-XLIII 


AES  GRAVE 


33 


e  dal  medesimo  duca  è  stato  veduto  auche  iu  altro  esem- 
plare presso  l'Hoffraauu  (op.  cit.  I  pag.  355  n.  1).  Un  asse 
del  peso  di  339  grammi  è  stato  di  recente  acquistato  dal 
sig.  Capobianchi. 


Tav.  LXI. 

1.  Kircheriano.  Testa  di  Sileno  di  prospetto  calvo  con  due  cioc- 

clie  di  capelli  alle  tempia  coronato  di  un  viticcio  d'ellera 
con  corimbo  sulla  fronte,  come  si  vede  suUa  moneta  co- 
niata di  Todi.  A  destra  HAT.  R.  Cane  accovacciato,  di  sotto 
è  la  nota  della  unità.  Pesa  once  quattordici  e  dodici  de- 
nari. L'esemplare  che  oggi  si  trova  nel  Kircheriano  pesa 
gr.  198,00  pari  a  sette  once  incirca. 

2.  Kirclieriano.  Testa  di  Medusa  cinta  il  collo  dalle  volute  di 

serpenti  con  capelli  sciolti  e  spinti  indietro  dal  vento: 
di  sotto  è  HAT.  B.  Cavallo  Pegaso  corrente  a  destra:  di 
sotto  è  la  nota  del  quincuuce  in  cinque  globetti. 

3.  Coli.  Sorriechio  in  Atri.  La  testa  di  Medusa  è  cinta  al  collo 

da  due  serpenti,  le  code  dei  quali  si  drizzano  da  due  lati 
della  fronte:  di  sotto  è  la  leggenda  HAT,  a  d.  S  nota 
del  semisse.  R.  Cavallo  Pegaso  a  d.  e  di  sotto  i  cinque 
globetti  che  sono  la  nota  del  quincunce.  È  quindi  dimostrato 
che  per  gli  Atriani  il  quincunce  è  la  metà  dell'asse  e  però 
si  chiama  da  loro  col  nome  di  semisse:  donde  appare 
il  torto  di  chi  ha  voluto  negare  l'asse  decimale  stabilito 
dal  P.  Marchi  (Momms.  H.  de  la  monn.  t.  I  pag.  248 
n.  2),  e  sostenuto  anche  dal  Borghesi.  Il  peso  del  semisse 
Kircheriano  è  di  gr.  168,  quello  del  Sorriechio  n.  3  pesa 
gr.  250.  La  nota  del  semis  S  congiunta  con  quella  dei 
cinque  globetti  non  p\iò  mettei'si  in  dubbio:  inoltre  ce  ne 
assicura  anche  il  sig.  Cherubini  che  a  mia  richiesta  di 
recente  ha  esaminato  il  bronzo  e  me  lo  ha  dichiarato  sicu- 
ramente genuino. 
■4.  Kircheriano.  Testa  giovanile  con  boccoli  di  capelli  lunghi 
alla  cervice  e  avvolti  intorno  alla  fronte  volta  a  sinistra  : 
davanti  è  la  nota  del  triente.  R.  Vaso  a  due  manichi  con 
entro  una  pianta  della  quale  si  vede  solo  il  primo  germo- 
gliare delle  foglie  :  a  destra  si  legge  HAT.  Pesa  sei  once, 
otto  denari  e  mezzo. 


Tav.  LXII. 

1.  Kircheriano.  È  rappresentato  da  un  lato  un  pesce  detto  rana 

plscatrix  degli  antichi,  volto  a  destra,  ed  ha  di  sotto  la  nota 
del  quadrante.  R.  Un  delfino  volto  a  d.  e  di  sopra  HAT.  Pesa 
tre  once  e  ventidue  denari.  L'ho  nella  mia  collezione  ed 
è  del  peso  di  grammi  cento  undici.  Nella  collezione  Sor- 
riechio se  ne  ha  un  esemplare  in  piombo. 

2.  Kirch.  Gallo  stante  volto  a  sin.,  davanti  la  nota  del  sestante. 

R.  Calzare  a  d.,  di  sotto  TAH.  Pesa  un'  oncia  e  ventidue 
denari  e  mezzo.  Ancor  di  questo  si  ha  un  esemplare  in 
piombo  nella  collezione  Sorriechio.  Noi  abbiamo  veduto  e 
spiegato  in  Tarquinia  l'uso  monetale  del  piombo. 

3.  Coli,  di  mons.  Taggiasco.  Àncora  e  dal  lato  destro  un  H  ini- 


ziale del  nome  di  Ilatria.  R.  Globetto  nel  centro,  nota 
dell'oncia,  e  intorno  TAH.  L'esemplare  del  Kircheriano  non 
ha  questo  H  nel  dritto,  e  pesa  un'  oncia   e  cinque  denari. 

4.  Kirch.  Nel  campo  del  dritto  è  un  H,  e  al  riverso  A$  dove 

queir  S  è  segno  già  noto  della  semoncia.  Pesa  dieci  de- 
nari e  mezzo.  Hatria  non  si  è  veduta  mai  priva  dell'aspi- 
rata: fa  quindi  d'uopo  che  la  lettera  H  del  dritto  ed  A 
del  rovescio  si  congiungano  insieme  in  una  sola  voce.  Il 
Mommsen  ha  tolta  la  semoncia  ad  Atri  per  darla  ad  Ascoli 
piceno,  che  non  ha  propria  moneta,  e  ciò  a  motivo  della 
lettera  A  interpretata  da  lui  isolatamente  per  Asndum.  Sta 
però  di  fatto  che  nelle  campagne  di  Ascoli  non  si  è  mai 
trovato  verun  esemplare  di  questa  moneta,  la  quale  invece 
è  frequente  nelle  terre  atriane. 

VESTINOE^TVI 

5.  Kircheriano.  Testa  di  bue  di  prospetto  e  di  sopra  la  nota 

del  sestante.  R.  Luna  crescente  e  di  sotto  VES.  Pesa  tre  once. 

6.  Kirch.  Bipenne  e  la  nota  dell'oncia.  R.  Conchiglia  pecten  ve- 

duta dalla  parte  interna  :  al  Iato  sinistro  VES.  Pesa  un'oncia 
e  undici  denari  (Avell.  Opusc.  II,  2,  3). 

7.  Kirch.  Calzare   volto   a  d.  R.  La  sola  epigrafe  VE5.  È  una 

semoncia  del  peso  di  grammi  ventuno. 

8.  Kirch.  Calzare  a  d.  ed  ivi  la  nota  della  semoncia  l.  R.  La 

sola  epigrafe  VES.  È  del  peso  di  grammi  22,20.  Non  omet- 
terò di  riferire  qui  il  triente  di  questa  serie  descritto  dal 
Riccio  il  quale  afferma  di  averlo  avuto  nelle  mani  in  un 
suo  viaggio  {Vigile,  giornale  di  Chieti,  31  marzo  1841). 
Esso  triente  aveva  per  tipo  del  dritto  l'interno  di  una  con- 
chiglia pecten,  e  al  rovescio  una  clava,  sopra  della  quale 
era  la  nota  del  triente  e  sotto  il  nome  VE^.  Quivi  egli  dice 
che  il  suo  peso  era  di  cinque  once  e  mezzo,  ma  un  dieci  anni 
dopo  il  medesimo  Riccio  {Repertorio,  Napoli  1852  pag.  2) 
gli  assegna  quattro  once  e  un  quarto.  Non  è  probabile  che 
il  tipo  dell'  oncia  figurante  l' interno  della  conchiglia  siasi 
ripetuto  due  volte  nella  serie  medesima  pel  solo  triente 
e  per  la  sola  oncia.  Anche  la  diversa  valutazione  del  peso 
prova  che  il  Riccio  siasi  lasciato  illudere  dalla  poco  fedele 
memoria. 

APULIA 

LUCERIA 

Tav.  LXin. 

1.  Coli.  Santangelo.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  dalla  pelle 
del  leone  volta  a  d.  R.  Busto  di  cavallo  brigliato  volto  a 
sin.  L'esemplai'e  che  è  nella  collezione  Blacas  pesa  gr.  341,23 
{H.  de  la  mon.  IV  p.  11).  Quello  descritto  dal  Sambon 
è  del  peso  di  gr.  348,40  {Recherches,  p.  82).  Quello  pos- 
seduto dal  Cenni  e  pubblicato  dal  Piorelli  {Ann.  numism. 
t.  11  frontespizio)  pesava  gr.  341.  Il  Riccio  scrive  che 
un  esemplare  ne  fu  trovalo  in  Puglia,  ed  era  del  peso  di 
gr.  294  {Zecca  di  Lucerla,  p.  11).  Il  disegno  espresso  da 
lui  aggiunge  la  clava  presso  al  collo  dell'Ercole,  che  non  si 
ha  nei  tre  esemplari  genuini  che  ho  citati:  ben  la  vedo 
in  uno  falso  e  moderno,  stato  già  nella  collezione  Panelli, 


84 


AES  dEAVE 


T.  Lx:iv 


al  riverso  del  quale  il  modellatore  non  contento  della  re- 
dina che  sola  è  espressa  nell'antico  esemplare  vi  ha  ag- 
giunto una  specie  di  oavezzino,  che  consta  del  frontale 
con  sottogola,  dei  facciali,  della  museruola.  11  mio  disegno 
è  ricavalo  dalla  collezione  Santangelo,  dove  ho  avuto  cura 
che  fosse  bene  espressa  la  criniera  che  vi  si  vede  trattata 
in  modo  singolare,  l'occhio  dell'Ercole  non  è  di  profilo,  ma 
intero,  quasi  fosse  di  prospetto,  quale  si  vede  talvolta  nel  bi- 
fronte dell'asse  primitivo  romano:  di  che  ho  un  esempio  in 
imo  della  mia  eoUezioue  appartenuto  al  ricco  deposito  di  Cere. 

2.  Kircheriano.  Testa  di  Apollo  coi  capelli  raccolti  e  legati  in 

un  ciuffo  sul  vertice  volto  a  sin.  e  nota  dell'asse.  R.  Gallo 
stante  volto  a  sin.  Di  assi  con  questi  tipi  se  ne  hanno  nei 
-Musei  e  il  Minervini  due  ne  ha  pubblicato  dalla  collezione 
Lauria  {Oss.  num.  tav.  V,  1,2)  del  peso  di  gr.  241,  ove 
scrive  a  pag.  104  ohe  sono  indubitatamente  della  zecca 
di  Lucerà;  un  terzo  esemplare  l'abbiamo  avuto  dal  Duca 
di  Blacas  che  l'ebbe  nel  suo  Museo  (llist.  de  la  monnaie, 
t.  IV  pi.  XII)  del  peso  di  gr.  202,82.  È  quindi  un  asse  ri- 
dotto a  circa  sette  once,  cioè  a  meno  di  due  terzi.  Il  Lauria 
coi  due  esemplari  predetti  n'  ebbe  anche  un  terzo,  pubbli- 
cato ancor  esso  dal  Minervini,  con  la  singolarità  di  una 
leggenda  al  riverso,  ma  non  ben  riuscita  nella  fusione  e  però 
imperfetta.  Ei  ne  diede  un  supplemento  ed  una  interpre- 
tazione, della  quale  tratteremo  nella  nostra  tavola  LXX  n.  3. 

3.  Nel  Museo  di  Napoli.  Eii  comprato  di  recente  in  Eoma  dal 

comm.  Piorelli  e  trasmesso  al  Museo  di  Napoli.  Eappre- 
senta  nel  dritto  la  testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d.  e 
intorno  vi  si  legge  a  d.  U  ■  PVUO  ■  U  •  F  :  a  sinistra  C  ■  MO- 
DIO  •  GR  •  F.  R.  Cavallo  libero  volto  a  d.  e  saltellante:  di 
sopra  un  astro  a  quattordici  raggi.  Pesa  gr.  396,50.  Cote- 
sto bronzo  l'ho  io  giudicato  una  moderna  copia,  e  questo 
mio  parere  ora  mi  si  conferma  da  ciò  che  del  suo  peso  di 
oltre  a  quattordici  once  mi  ha  scritto  il  eh.  De  Petra,  al 
quale  ne  ho  fatto  richiesta.  Esso  somiglia  in  tutto  al  vero 
asse  pubblicato  dal  Caronni,  che  lo  comprò  e  introdusse 
nel  Museo  Hedervary  {ilus  Hederv.  pars.  I  p.  35  tab.  II 
n.  42)  :  era  di  gr.  307.  Dell'esemplare  che  era  una  volta 
nella  collezione  Lombardi  in  Lucerà  non  si  è  finora  saputo 
dove  si  trovi.  Il  sig.  Prauoesco  Mongelli  prima  del  1848  me 
ne  mostrò  uno  suo,  che  fuori  le  porte  di  Lucerà  aveva  tolto 
di  mano  a  due  pastori,  i  quali  procacciando  di  dividerselo 
lo  avevano  di  già  profondamente  intagliato  e  guasto.  Esso 
nondimeno,  quantunque  si  mal  concio,  passò  di  poi  nella 
Collezione  del  principe  Spinelli,  ove  nel  1855  il  Miner- 
vini attesta  di  averlo  veduto  {Oss.  num.  pag.  105).  Della 
notizia  data  dal  Eicoio  dell'  esemplare  Lombardi  vedi  ciò 
che  dico  nel  Pavergo  a  pag.  41. 

La  doppia  scoperta  fatta  di  cotesto  asse  nelle  campa- 
gne di  Lucerà  ne  ha  dimostrata  la  patria:  prima  il  Maz- 
zocchi seguito  dal  Caronni  Io  aveva  attribuito  a  Pesto,  ma 
non  si  sa  per  qual  motivo.  Del  resto,  quando  si  emise 
dalla  zecca  medesima  l'asse  ridotto,  al  tipo  dell'Apollo  fa 
sostituito  l'Ercole  coperto  dalla  spoglia  di  leone,  all'  astro 
di  quattordici  raggi  quello  di  otto. 


Tav.  LXIV. 

1.  Nel  Kircheriano.  Euota  a  quattro  raggi  priva  dei  quarti  di 

cerchio  :  di  sopra  è  la  nota,  del  quineunce,  ossia  della  metà 
dell'asse  decimale.  R.  II.  tipo  medesimo.  Il  suo  peso  è 
di  quattro  once  e  dodici  denari,  pari  a  gr.  126.  A  ces- 
sare ogni  dubbio  che  in  questo  bronzo  sia  effigiata  una  ruota 
così  rozzamente  espressa,  ma  non  ostante  riconosciuta  anche 
dal  De  Witte  nella  descrizione  della  tav.  IV"  pag.  12  (H.  de  la 
■monn.  ed.  Blacas),  giova  osservare  che  i  tipi  di  questa 
serie  fusa  sono  poi  ripetuti  nella  serie  coniata  coll'ordine 
m^edesimo.  Ivi  dunque  si  ha  una  ruota  a  otto  raggi  mu- 
nita dei  quarti  del  suo  cerchio.  Ed  è  bene  avvertirlo, 
perchè  si  vedrà,  che  questi  tipi  sono  ripetuti  nella  serie 
coniata,  ove  anche  si  apprende  che  sono  simboli  della  divi- 
nità ivi  effigiata. 

2.  Coli.  mia.  Clava  e  nota  del  triente  da  un  lato,  dall'altro  il 

fulmine.  Pesa  grammi  100,50.  L'esemplare  del  Kirche- 
riano è  di  tre  once,  quattordici  denari  e  mezzo. 

3.  Kii'cher.  Delfino  volto  a  sinistra  e  di  sotto  la  nota  del  qua- 

drante. R.  Astro  a  sei  raggi.  Pesa  due  once  e  23  denari, 

4.  Eirch.  Esterna  parte  della  conchiglia  pecten.  R.  Astragalo  e 

di  sopra  la  nota  del  sestante. 

5.  Coli.  mia.  Eaua.  7?.  Spiga  di  grano  e  la  nota  dell'oncia.  Pesa 

gr.  33,50.  L'esemplare  del  Kircheriano  è  di  un'  oncia  e 
denari  sette. 

6.  Kirch.  Luna  crescente.  R.  Tirso  sulla  cui  ferula  svolazza  an- 

nodata una  tenia.  Pesa  un'  oncia,  cinque  denari  e  mezzo: 
un  altro  esemplare  conta  di  peso  diciannove  denari  e  mezzo. 
Questa  tenia  svolazzante  da  due  lati  è  stata  male  inter- 
pretata quasi  quei  svolazzi  fossero  i  tentacoli  di  un  polpo, 
che  per  tale  si  è  tenuto  e  si  tiene  il  mazzo  di  frondi  e 
ramoscelli  del  tirso. 

7.  Mia  Coli.  Ho  qui  posto  questo  bronzo  che  ha  i  tipi  mede- 

simi che  l'oncia.  Kappresenta  da  un  lato  la  ranocchia  e 
dall'altro  una  spiga  di  grano.  Esso  è  privo  della  nota  di 
valore.  Simile  a  questo  è  il  tipo  di  quel  bronzo  che  ho 
rappresentato  nella  tavola  LV  n.  8:  esso  però  ha  la  leg- 
genda nV,  che  ha  esempi  nella  serie  libbrale  di  Todi,  e  non 
in  questa  di  Lucerà.  Il  suo  peso  è  di  grammi  45,50. 

I  Lucerini  hanno  ancora  fusa  una  serie  ridotta  della  loro 
moneta  e  della  romana  ma  in  questa  vi  hanno  adoperata  la 
iniziale  U  distintiva,  onde  si  rafferma  la  serie  precedente 
attribuita  ai  Lucerini.  La  riduzione  appare  fatta  sulla  quarta 
parte  della  libbra. 

8.  Kircheriano.  Testa  di  Ercole  giovane  con  la  spoglia  del  leone 

in  capo  e  la  clava  accostata  al  collo  volta  a  d.  R.  Cavallo 
libero  galoppante  a  d.,  di  sopra  astro  ad  otto  raggi,  di  sotto  U. 
Pesa  due  once  e  14  denari;  un  mio  esemplare  smozzicato 
ih  due  luoghi  pesa  once  due  e  nove  denari  :  il  Eiccio  ne  dà 
uno  di  tre  once. 

9.  Kirch.  Euota  a  quattro  raggi  e  nota  del  quineunce:  nel  basso  U.  R. 

La  ruota  medesima.  Pesa  un'oncia  e  22  denari.  Fno  dei  due 
esemplari  di  mia  collezione  ha  di  peso  gr.  38,  l'altro]31,70. 

10.  Kirch.  Clava,  di  sopra  la  nota  del  triente,  di  sotto  la  let- 
tera iniziale  U.   R.  Fulmine.  Pesa  gr.  33,50. 


T.  XLV 


AES  GEAVE 


35 


11.  Coli.  mia.  In  questo  spezzato  appare  la  prima  volta  un  L 
di  forma  cbe  dicesi  normale  e  quadrata.  Pesa  egualmente 
gr.  33,50. 

12.  Kirch.  Delfino:  di  sopra  è  la  nota  del  quadrante,  di  sotto 

la  lettera  U.  R.  Astro  ad  otto  raggi.  Pesa  denari  ventuno. 

13.  Coli.  mia.  Due  esemplari  del  tipo  precedente  nei  quali 
la  lettera  L  è  quadi-ata  :  l'uno  pesa  gr.  20,  l'altro  23,80. 

14.  Kirch.  Conchiglia  pecten  veduta  dall'esterno.  B.  Astragalo, 

di  sopra  la  nota  del  sestante,   di  sotto  la  lettera  U.  Pesa 
gr.  17. 

15.  Coli.  mia.  I  tipi  e  il  valore  sono  quei  del  n.  14,  ma 
la  lettera  L  è  normale.  Pesa  gr.  17,20. 

16.  Zirch.  Eana.   R.  Spiga   di   grano:   di  sopra   è   il  globetto 

nota  dell'oncia,  di  ^otto  la  lettera  U.  Pesa  nove  denari. 

17.  Kirch.  Luna  crescente.  R.  Tirso  che  porta  avvinta  una  tenia 

svolazzante  :  la  ferula  serve  anche  per  asta  verticale  della 
lettera  L-.  Pesa  sei  grammi  e  20  ceutigr. 

18.  È  uno  dei  tre  esemplari  di  mia  collezione,  nei  quali  la  L  è 

normale.  Pesa  gr.  6,20. 

ASCULUM  APULUM 
Tav.  LXV. 

1 1-5.  Tardi  e  dopo  ricerche  iterate  si  è  deciso,  avuto  riguardo 
alla  provenienza,  che  le  monete  fuse  con  la  lettera  A  in- 
scritta con  la  nota  di  valore  nel  dritto,  e  al  rovescio  un  ful- 
mine sono  della  zecca  di  Ascoli  di  Puglia.  I  pezzi  di  cotesta 
serie  trovati  finora  sono  il  triente,  il  quadrante,  il  sestante, 
l'oncia  e  la  semoncia.  I  pesi  notati  dal  Minervini  {Oss. 
p.  97)  sono  questi:  triens  gr.  46,00;  quadrans  gr.  27,71; 
sextans  gr.  22, 72 ;.wr>CM  gr.  13,30;  semuncia  gr.  6,68. 
Questi  pesi  medesimi  trovo  notati  dal  Sambon  nelle  Re- 
cherches  del  1860  p.  74:  e  di  nuovo  nelle  Recherohes 
del  1869,  dove  anche  li  attribuisce  ad  Ascoli  piceno  e  dà 
al  triente  per  maggior  peso  gr.  53  e  per  minore  gr.  44;  e 
così  dice  del  quadrante  che  discende  da  gr.  27  a  gr.  21 
e  il  sestante  da  22  gr.  a  17.  Cotesti  pesi  dimostrano  che 
la  zecca  di  Ascoli  non  emise  la  sua  moneta  fusa  sul  si- 
stema libbrale,  ma  sul  trientale. 

VE^SrVSIA 

Venosa  gran  città  la  cui  origine  si  fa  risalire  a  Dio- 
mede ebbe  da  Koma  una  colonia  nel  461,  perchè  stando 
sul  confine  della  Paglia  e  della  Lucania  tenesse  quei  due 
popoli  in  soggezione.  Era  in  possesso  dei  Sanniti,  che  ne 
furono  cacciati,  quando  il  console  Postumio  la  prese  di 
assalto;   scrivendo  Orazio  (L.  II  Sat.  I,  34,  segg.): 

Nani  venusinus  arai  finem  sub  utrumque  colonus 
Missus  ad  hoc,  pulsis,  vetus  est  ut  fama,  Sabellis, 
Quo  ne  per  vacuum  Romano  incwreret  hostis, 
Sive  quod  Apula  gens,  seu  quod  Lucania  hellum 
Incuterei  violenta 

E  il  commentatore:  Eo  missus  erat  Romanus  colonus 
eo  tempore,  quo  a  Romanis  Sabini  vieti  sunt,  ut  ne  per 
vacuum  locum,    Sabellis    expulsis,    iter    Lucanis  ad  Ro- 


manos  esset  pervium.  Il  Milliugen  si  maravigliava  come  mai 
una  tal  città  non  avesse  propria  moneta.  Egli  è  vero,  dice, 
che  vi  sono  delle  monete  colla  iscrizione  \f  da  lungo  tempo 
attribuite  a  Velia,  e  ora  si  suppone  che  appartengano  a 
Venosa  ;  ma  talune  sembrano  doversi  assegnare  piuttosto  a 
Veretum  nella  Japigia,  non  avendosi  del  resto  altra  guida 
che  la  iniziale  \E  per  se  incerta  {Consid.  p.  241).  L'Eckhel 
stimò  ancor  esso  clie  cotesto  \E  significasse  Velia,  indot- 
tovi dal  tipo  della  Pallade  e  della  civetta  (D.  n.  v.  I,  166). 
Il  Sestini  non  seppe  contradire,  sebbene  dicesse  non  potersi 
persuadere  che  monete  i  cui  tipi  avevano  tanta  analogia 
con  quei  di  Lucerà  dovessero  essere  date  a  Velia.  Dei  resto 
raccomandava  di  vedere  se  si  potessero  mai  dare  a  Venosa 
{Descr.  pag.  17).  Il  dubbio  fu  tolto  e  la  questione  decisa 
quando  il  P.  Baselice  tornando  a  Napoli  da  Venosa  portò 
seco  alcune  monete  fuse  ivi  acquistate,  e  le  mostrò  all'Avel- 
lino, il  quale  non  trovandovi  alcuna  epigrafe  pur  le  assegnò 
a  quella  colonia  a  motivo  della  loro  provenienza  pubblican- 
done l'asse  {Rull.  arch.  nap.  a.  II  p.  34  Tav.  II  fig.  6). 
Egli  vi  riportò  anche  l' esemplare  del  Carelli  (Tav.  XLV,  2). 
ancor  esso  proveniente  da  Venosa,  ma  dato  come  incerto. 

Ora  possiamo  esser  certi  che  i  Venosini  fusero  più  serie 
della  loro  moneta,  e  nella  prima  omisero  del  tutto  il  mo- 
nogramma \£,  che  inscrissero  poi  nella  seconda.  L'asse 
della  prima  serie  è  del  peso  libbrale,  ma  di  sistema  de- 
cimale, e  non  ha  veruna  nota  di  valore  :  il  quincunce,  o 
sia  semisse  tuttavia  manca,  e  si  può  esser  certi  che 
non  ebbero  il  triente,  perchè  manca  altresì  alla  serie  co- 
niata :  né  ciò  è  senza  esempio.  Le  zecche  di  Puglia  battono 
anche  la  semoncia  ■  e  noi  l'abbiamo  nella  serie  coniata 
di  Venosa:  però  notiamo  che  non  si  è  ancora  trovata 
quella  che  deve  appartenere  alla  serie  fusa.  La  nota  di 
valore  si  trova  segnata  nel  solo  sestante  della  serie  lib- 
brale. Nel  quadrante  venosino  di  diminuzione  semissale 
manca  la  nota  di  valore,  ma  nel  sestante  v'  è  sui  due  lati, 
e  nell'oncia  da  un  lato  solo. 

Ho  riferito  alla  zecca  venosina  un  quadrante  e  im 
sestante  per  sola  congettura  alla  quale  attribuzione  non  sarà 
ostacolo  la  ripetuta  nota  di  valore,  conosciutane  la  inco- 
stanza della  zecca  di  Venosa:  e  neppure  mi  si  opporrà  il 
tipo  nuovo,  avendo  osservato  che  anche  nella  moneta  fusa 
i  Venosini  hanno  due  tipi  nei  sestanti  e  nelle  once.  Si  può 
anche  dire  che  hanno  emesso  il  quadrante  con  due  tipi 
diversi,  di  che  vedi  la  tavola. 

6.  Coli.  Sant.  Protoma  di  cignale  volta  a  sin.  R.  Protoma  di 

cane  da  caccia  volta  a  sin.  Pesa  gr.  330.  Ve  ne  ha  un  esem- 
plare nel  Museo  Britannico  del  peso  di  gr.  338,51. 

7.  Kircher.   Tre  mezze  lune   opposte   dalla  parte  convessa  ri- 

guardante il  centro.  R.  Conchiglia  pecten  veduta  dall'esterno. 
Pesa  tre  once  e  im  denaro.  Se  l'asse  è  libbrale  è  dunque 
chiaro  che  questo  bronzo  non  può  essere  che  un  quadrante. 
La  sua  provenienza  ci  è  ignota,  ma  il  confronto  del  u.  10 
con  simili  tipi  e  il  \E  iniziale  del  nome  di  Venosa  ce  ne  assi- 
cura la  patria.  Noi  siam  privi  adunque  del  semisse,  o  sia 
quincunce,  e  del  triente. 


36 


AES  GKAVE 


T.  IXTI 


8.  Kircli.  Luna  crescente,  e  al  rovescio  il  medesimo  tipo.  Pesa  di- 

ciassette denari.  Il  confronto  del  simile  bronzo  con  la  sillaba 
\E  iniziale  di  Venosa  ci  ha  dimostrata  la  zecca  che  lo  emise. 
Se  fu  semoncia,  noi  manchiamo  del  sestante  e  dell'oncia. 

9.  Kircheriauo.  DeMno  volto  a  sinistra  e  di  sotto  la  nota  del 

sestante,  fl.  Il  tipo  medesimo  del  dritto  con  la  nota  stessa 
di  valore.  V  è  anche  di  questo  bronzo  il  confronto  nel 
sestante  che  vi  aggiunge  il  nome  di  Venosa.  Il  peso  di 
quello  che  è  nella  collezione  Blacas  è  di  grammi  56,  il  nostro 
è  di  gr.  55,53.  Ho  posto  questo  bronzo  fuori  della  prima 
serie  che  è  priva  della  nota  di  valore.  Noi  apprendiamo 
che  in  Venosa  come  in  Lucerà  si  cominciò  ad  apporre  i 
globetti  delle  once  prima  che  l'asse  libbrale  fosse  ridotto. 

10.  Kirch.  Tre  mezze  lune  opposte  dalla  parte  convessa  al 
centro  e  di  sopra  \E.  R.  Esterno  della  conchiglia  peclen. 
Pesa  un'oncia,  nove  denari  e  mezzo.  Se  questo  è  un  qua- 
drante, come  quello  del  n.  7,  abbiamo  adunque  che  l'asse 
quando  fu  ridotto  a  semissale  ebbe  la  leggenda  \F  e  non- 
dimeno i  globetti  del  valore  vi  sono  omessi.  Questa  inco- 
stanza deve  sospendere  il  nostro  giudizio  intorno  alla  serie 
libbrale  che  parrebbe  dover  portare  queste  note,  se  il  se- 
stante di  essa  serie  n.  9  n'  è  fornito. 

11.  Coli  Carelli  (Tav.  LXXXIX,  14)  Mezza  luna  con  l'epigrafe  \f. 

/?.  Lo  stesso  tipo  col  segno  dell'oncia. 

12.  Kircher.  DeMno   che   va  a  sinistra  ed  ha  di  sotto  la  nota 

del  sestante  e  di  sopra  l'epigrafe  \E.  R.  Lo  stesso  tipo, 
e  di  sopra  la  nota  del  sestante.  È  per  me  incerto  a  qual  serie 
ridotta  appartenga,  però  l'ho  dato  separatamente.  Questo 
esemplare  pesa  grammi  23,00.  Altri  ve  ne  ha  di  den.  15,90, 
di  19  e  mezzo,  di  22,40,  tutti  muniti  dell'epigrafe  e  della 
nota  di  valore. 


Tav.  LXVI. 

1.  Kirch.  Civetta  di  prospetto  e  nota  del  sestante.  R.  Testa  di 

cignale  e  vi  è  ripetuta  la  nota.  Ho  qui  delineata  questa 
moneta  in  seguito  alle  serie  di  Venosa,  perchè  potrebbe 
ben  essere  appartenuta  ad  alcuna  di  esse.  Pesa  due  once 
e  due  denari  e  mezzo.  Questi  tipi  si  rivedono  sopra  una 
moneta  coniata  dalla  predetta  Venosa.  Il  Capranesi  {Ann. 
InsUt.  1870,  210  tav.  Q  n.  1)  trasse  in  errore  gli  autori 
dell'aes  grave  ponendo  che  sul  riverso  fosse  una  testa  di 
lupo  e  non  di  cignale. 

2.  Kirch.   Testa    giovanile   di   Ercole    coperta   dalla   pelle   di 

leone  volta  a  d.,  dinanzi  v'  è  il  segno  del  quadrante.  R. 
Protoma  di  porco  a  d.  Pesa  once  due.  Questi  tipi  si  hanno 
anche  sebben  separatamente  sulle  monete  coniate  di  Venosa. 
Di  cotesto  bronzo,  come  del  precedente  ne  è  ignota  la  patria. 

LUCANIA  AUSTRALIS 

METAPONTUM 

3.  Kirch.  Bifronte  imberbe,  a  d.  l'epigrafe  W\ET  (v.  la  tav.)  R. 

Elefante  volto  a  sin.  al  di  sopra  v'  è  una  figurina  incerta,  ma, 
pel  confronto  del  n.  5  può  essere  stata  una  vittorietta.  Nel- 


l'esergo  è  la  nota  del  triente.  Il  suo  peso  è  di  grammi  28,65  e 
suppone  l'asse  ridotto  a  quadrantario.  Si  è  opinato  che  i 
Lucani  giunsero  ad  impossessarsi  di  Metaponto ,  ed  ivi 
fusero  queste  monete  che  in  carattere  osco  s'inscrivono 
tlIET  ;  ma  non  si  è  considerato  che  i  Lucani  non  hanno  mai 
fuse  monete  nelle  città  da  loro  conquistate,  che  non  si 
servono  nelle  loro  monete  che  dell'alfabeto  greco,  anche 
quando  adoperano  il  dialetto  loro  proprio,  e  così  scrivono 
AOYKANO/V\  in  osco,  siccome  AYKIANilN  in  greca  lette- 
ratura. Dicasi  adunque  piuttosto  che  i  Metapontini  trasfor- 
mati dalla  lunga  dominazione  dei  Lucani,  dopo  la  ritirata 
di  Pirro,  resi  liberi  dai  Eomani  emisero  queste  monete. 
Il  lungo  possesso  di  cotesto  popolo  è  indicato  da  Strabene,  ove 
dice  che  i  Sanniti  abolirono  le  feste  dei  Neleidi  r/cfaviadi]  vnù 
.^ayr^rou' (VI, 264).  IlMillingen  [Consid.^.2o,  22)  seguendo 
il  Cluverio  {It.  ant.  p.  1278)  giustamente  tiene  che  qui  per 
Sanniti  debbono  intendersi  i  Lucani. 

4.  Kirch.  Testa  giovanile  forse  coronata  volta  a  d.,  di  dietro  è 

la  nota  del  sestante ,  davanti  il  nome  /V\ET.  R.  Elefante 
gradiente  a  sin.  di  sopra  è  probabilmente  una  vittorietta 
volante  che  l'incorona.  Di  questa  moneta  si  è  avuto  di 
recente  un  secondo  esemplare  trovato  nelle  campagne  di 
Sepino,  e  pesa  gr.  18,70.  Un  frammento  di  nn  altro  esem- 
plare mi  fu  donato  in  Salerno  un  quarantatre  anni  addietro. 

5.  Da  un  mio  calco.  Testa  barbata  a  d.  R.  Elefante  a  d.  coro- 

nato dalla  vittoria. 

6.  Coli.  Lauria.  Testa  barbata  volta  a  d.  ;  alla  nuca  la  leggenda 

/V\ET  (v.  la  tav.)  R.  Elefante  :  di  sopra  la  nota  di  sestante.  Il 
Minervini  (nel  Rull.  arch.  nap.  Ili  e  nelle  Osserv.  numism. 
pag.  74)  credette  esservi  rappresentata  una  cerva  nutrice  di 
Telefo  :  l'unghia  visibile  in  tutti  e  quattro  i  piedi  facendola 
senza  dubbio  determinare  per  cerva.  A  me  però  non  altro 
appare  che  quanto  ho  espresso  nella  tavola.  Nell'esemplare 
del  Museo  Borgiano  e  in  quanti  mi  sono  noti  di  Propa- 
ganda, si  vede  chiaramente  un  elefante  di  barbaro  stile 
ma  con  piedi  carnosi  a  cui  si  possono  supporre  le  tre  o 
quattro  unghie,  non  però  un'  unghia  biiìda  propria  del  cervo. 

•  CAlVrPANIA 
VELECHA 

7.  Da  un  gesso  della  Coli.  Odelli.  Testa  del  sole  raggiante  di 

prospetto  :  a  d.  la  iniziale  D,  a  sin.  la  nota  del  semisse 
significato  con  sei  globetti.  R.  Luna  crescente  ed  astro  a 
nove  raggi  entro  un  cerchio  di  altrettanti  globettini:  nel 
basso  la  nota  del   semisse. 

8.  Kirch.  I  tipi  medesimi  della  moneta  precedente:   a  destra 

il  3  del  quale  si  conserva  l'asta  verticale,  a  sin.  un  indizio 
dei  due  globetti.  R.  Luna  crescente  ed  astro  coi  due  glo- 
betti in  alto.  Pesa  nove  denari. 

9.  Kircheriano.  Testa  del  sole  raggiante  di  prospetto,  al  di  sotto 

v'  è  la  nota  del  sestante.  R.  busto  di  cavallo  volto  a  sin.  e 
ha  davanti  la  nota  medesima  e  di  sotto  le  lettere  CE.  Pesa 
22  denari  e  mezzo.  Se  ne  ha  un  esempio  nel  Museo  Bri- 
tannico {Catal.  pag.  128)  posto  fra  le  monete  osche  incerte. 


T.  LXVII 


AES  GRAVE 


37 


10.  Kiroher.  I  tipi  sono  simili  al  precedente,  ma  la  nota  è  del- 

l'oncia. E.  Busto  di  cavallo  volto  a  d.  che  ha  dinanzi  la 
nota  medesima.  Pesa  sedici  denari. 

Ho  uniti  insieme  questi  quattro  pezzi  appartenenti  a  due 
serie  diverse  ma  usciti  dalla  officina  medesima,  come  di- 
mostra il  nome  della  città  che  comincia  colle  iniziali  C  e  CE. 
Abbiamo  delle  monete  coniate  che  ripetono  i  tipi  mede- 
simi della  testa  del  sole  e  del  busto  di  cavallo  e  portano 
la  leggenda,  quando  è  intera,  CEAEXA.  Se  cotesto  popolo 
ha  fuso  moneta  del  sistema  quadrantario  è  dunque  ante- 
riore in  questo  luogo  alla  prima  guerra  punica.  Ma  quale 
è  questa  Velecha  ?  In  Campania,  dovere  opinione  che  si  tro- 
vino queste  monete  non  vi  è  città  veruna  che  porti  questo 
0  altro  simile  nome.  Solo  un  villaggio  posto  fra  Atella  e 
Napoli  vi  si  accosta  chiamandosi  Pollica,  e  dice  il  Giustiniani 
che  nelle  antiche  carte  si  trova  scritto  Polvica,  Pulbica. 

La  serie  seguente  eh'  è  anonima,  si  crede  campana, 
ma  non  si  è  notato  che  fa  uso  dei  sei  globetti  come  la 
precedente  per  dinotare  il  semisse,  mentre  gli  osci  cam- 
pani si  servono  dell'asse  decimale,  e  però  il  loro  semisse 
è  un  quincunce.  Il  Friedlaender  che  stanziò  i  Velecani  in 
Campania  non  diede  loro  che  le  sole  tre  monete  coniate, 
che  sono  da  me  incise  nella  Tav.  LXXXVIII,  10,  11,  12. 

11.  Kircheriano.  Due  giovani  in  corta  tunica  cinta  e  un  d'essi 

con  clamide  gonfia  dalla  violenza  del  moto  sembrano  esser 
venuti  alle  mani  lottando  colle  pugna  strette.  R.  Due  mezze 
lune  opposte  colla  parte  convessa  al  centro  e  aventi  cia- 
scuna in  seno  un  astro  :  nel  basso  v'  è  la  nota  del  semisse 
in  sei  globetti.  Pesa  un'oncia  e  mezzo.  Se  ne  ha  un  esem- 
plare nel  Museo  di  Pesaro:  il  Zanetti  (Zecche,  pag.  451) 
l'attribuì  a  Luni,  dove  non  sappiamo  che  siansi  mai  tro- 
vati pezzi  di  questa  serie. 

12-14.  Kircher.  I  tipi  di  questi  tre  bronzi  sono  quelli  stessi 
del  semisse  :  solo  ne  differiscono  per  la  nota  di  valore  e 
pel  peso.  Il  n.  12  è  un  triente  del  peso  di  venti  denari  e 
mezzo;  il  n.  13  è  un'oncia  del  peso  di  undici  denari  e 
mezzo;  il  n.  14  è  una  semoucia  del  peso  di  quattro  de- 
nari e  mezzo.  Non  ne  furono  interpretati;  i  tipi  quanto 
alla  zecca,  si  sono  classificati  fra  gli  incerti  (Aes  grave 
Tav.  IV,  A,  .5). 

Ho  qui  poste  alcune  monete,  delle  quali  s'ignora  la 
patria  e  sembrano  provenire  dalla  Italia  superiore,  non 
però  quella  che  pongo  al  n.  15. 

15.  (Aes  grave  Tav.  IV  incerte.  A,  6).  Testa  virile  con  capelli 
ricci  volta  a  sin.,  alla  nuca  la  nota  dell'oncia.  R.  Un  de- 
cusse 0  croce  equilatera. 

16-17.  (L'aes  grave,  incerte,  Tav.  V  dall'Arigoni  nn.  4,  5).  Il 
secondo  bronzo  n.  17,  che  ha  per  tipo  la  mezza  luna  e 
l'astro  con  un  globetto  a  destra,  deve  avere  invece  i  tre 
globetti  come  nel  n.  16  e  però  ve  li  ho  aggiunti.  Essi 
non  significano  la  nota  di  valore,  ma  gli  astri  e  questo  è 
anche  il  significato  di  quei  che  sono  sul  rovescio. 

18-19.  (L'aes  grave  sopra  citato  V  incerte  nn.  7,  8  dalP  Ari- 
goni).  Paragona  il  bronzo  delineato  nella  Tav.  XLIV  n.  1 1 
che  è  d'altro  conio  ma  con  tipi  simili  a  questi. 


APPEXDICE 

SABINI 

NVESIA-ANCARANO 

Tav.  LXVII. 

1.  a,  b.  Coli.  Nardoni.  Neil'  antica  necropoli  posta  presso  Anca- 
rano  dietro  i  monti  di  Norcia,  dalla  quale  oggi  vi  si  va  con 
soli  tre  quarti  d'ora  di  viaggio,  il  Guardabassi  inspettore 
degli  scavi  attestò  di  aver  trovato  trentasei  chilogrammi  e 
mezzo  di  aes  rude  minuto  (Mem.  dei  Lincei  a..  1878).  Unica 
però  è  cotesta  piastrella  quadi-ata  che  porta  per  tipo  in  in- 
cavo una  croce  equilatera  con  un  tondino  rilevato  nel  centro, 
quasi  fulcro  o  piede  del  groma  agrimensorio  veduto  dal- 
l'alto. R.  Cifra  simile  alla  lettera  C  impressa  ancor  essa 
nel  bronzo.  Un  bronzo  della  stessa  natura  del  nostro  si  è 
pubblicato  dal  P.  De  Feis  (Vedi  la  tav.  seguente  n.  3).  Non 
è  però  un  frammento  di  lastra,  ma  im  informe  bronzo 
fuso,  quale  l'ho  fatto  rappresentare  nella  Tav.  LXVIII 
n.  3.  Ma  ora  il  sig.  Stettiner  possiede  nella  collezione  sua 
un  esemplare  pei  tipi  impressi  similissimo  a  quello  di  Anca- 
rano;  è  una  piastrellina  ancor  essa,  come  quella  di  Anca- 
rano,  ma  di  forma  triangolare,  del  peso  di  circa  30  grammi 
con  la  stessissima  croce  su  di  una  faccia,  e  la  mezza  luna 
impressa  sull'  altra.  Esso  gli  è  venuto  da  Perugia. 

Consta  che  gli  antichi  marcarono  Vaes  rude  come  il 
signalum.  Nella  collezione  del  march.  Strozzi  sono  due 
frammenti  di  quadrilatero  trovati  negli  scavi  di  Tarquinia 
che  portano  per  marchio  una  luna  crescente  con  un  astro. 
Intorno  alle  diverse  opinioni  che  cercano  spiegare  i  motivi 
delle  marche  e  contrassegni  può  vedersi  il  Borghesi  (Oeu- 
vres,  l;  212  213).  Niuno  però  dei  bronzi  con  contromarca 
sono  contrassegnati  da  due  facce.  Perciò  io  stimo,  che  que- 
sta sia  una  novità  di  aes  signatum,  portante  i  suoi  tipi 
impressi  in  incavo. 

RUTULI 

ARDEA 

2.  a,  b,  e,  d,  e.  Kircheriano.  Cotesto  insigne  frammento  di  qua- 
drilatero, che  mi  fu  dato  di  vedere  quando  la  stampa  delle 
tavole  di  aes  signatum  era  compiuta,  mi  è  sembrato  pre- 
gio dell'  opera,  che  si  avesse  almeno  nell'appendice.  Io  ne  ho 
fatto  delineare  tutti  i  lati,  perchè  constasse  la  somiglianza 
di  questo  pezzo  del  Lazio  con  quei  delle  terremare  della 
Emilia  trovati  nel  Reggiano  e  nel  Parmigiano.  Il  così  detto 
ramo  secco  è  sui  due  lati  maggiori,  ma  privo  di  quei  glo- 
boli  con  anelli  che  in  alcuni  quadrilateri  si  vedono  impressi 
sul  tronco  ad  ogni  diramazione  delle  braccia,  e  che  è  proprio 
a  quanto  pare  della  zecca  di  Todi.  Il  metallo  scorso  fra 
staffa  e  staffa  nei  lati  minori  ha  quell'andamento  che  ab- 
biamo notato  in  generale  nei  quadrilateri  nei  quali  di 
sopra  si  allarga.  Il  suo  peso  è  di  gr.  2691,00  pari  a 
libbre  8,  gr.  3,00.  Non  è  intero  e  si  vede  dal  colpo  di 
mazza  che  porta  impresso,  letfc.   e,   che   fu   spezzato  nel 


38 


ÀES  GEAVB 


T.  LXVIII  LXIX 


mezzo  :  può  quindi  supporsi  che  l' intero  pesasse  sedici 
libbre  incirca. 

Cessa  quindi  ogni  pretesa  distinzione  di  zecche  da  questa 
parte,  e  solo  si  potrà  dire,  fra  noi  sono  più  rari  questi 
bronzi  primitivi,  e  nella  Emilia  invece  sono  i  più  comuni. 

SUPPLEMENTO    I 

CAESENA 
Tav.  LXVIII. 

1.  a,  b.   Collezion  mia.    Trovato    dal    sig.    V.   Capobianohi   in 

Cesena  presso  un  negoziante  insieme  con  altri  frammenti 
di  aes  rude  e  signatum:  ora  nella  collezione  mia  per  gra- 
zioso suo  dono.  La  sua  forma  è  di  bacino  rotondo  leggermente 
concavo  come  si  vede  nel  disegno,  che  rappresenta  la  gros- 
sezza. È  singolarissimo  non  solo  perchè  apparisce  certissima- 
mente tagliato,  di  che  ora  si  hanno  altri  esempi  sicuri,  ma 
perchè  chi  lo  tagliò  ebbe  intenzione  manifesta  dì  farsene 
un'  accetta,  la  cui  forma  il  pezzo  tagliato  esprime  a  mara- 
viglia. Non  ometterò  di  far  notare  che  fra  i  pezzi  di  questo 
deposito  me  ne  fu  recato  un  secondo,  che  ha  ugual  forma  di 
accetta  ma  non  così  bella  e  finita.  Il  peso  del  frammento 
qui  disegnato  è  di  gr.  351.  Costui  che  da  un  pane  metal- 
lico tagliò  due  accette  non  avrebbe  di  certo  fusa  un'accetta 
per  farne  aes  rude. 

SAMNIUM 

2.  Mia  collezione.  Questo  pezzo  di  aes  rude  mi  è  stato  recato 

da  Ponte  Landolfo  città  posta  a  poca  distanza  da  Campo  Lat- 
taro  nel  Sannio,  territorio  dei  Liguri  Bebiani.  Io  ne  ho  già 
dato  in  disegno  la  parte  liscia  nella  Tav.  VI  n.  9,  ma  allora 
non  mi  era  peranco  avveduto  della  singolarissima  lettera  ì 
impressa  per  contrassegno  sulla  faccia  opposta.  La  forma 
della  lettera  è  arcaica,  l'andamento  è  retrogrado:  ma  non 
ci  è  dato  di  stabilire  che  senso  si  abbia.  Era  con  altri 
pezzi  maggiori  sotto  grosse  pietre  che  si  vollero  rimuovere 
dal  proprietario  avv.  D.  Daniele  Perugini.  Su  di  una  moneta 
di  bronzo  della  collezione  D'Ailly  furono  lette  due  sigle  S  F , 
le  quali  in  altro  bronzo  si  sou  vedute  spiegate  FORTVNAI 
STIPE  (D'Ailly,  fìecherches  sur  la  monn.rom.  1  pl.LIV,  12; 
cf.  la  mia  SijU.  pag.  555,2299).  Il  bronzo  nostro  antecede 
l'epoca  della  colonia  beneventana,  e  del  traspiantamento  dei 
Liguri  Bebiani  nel  Sannio. 

3.  Belona  nell'Orvietano,  ora  posseduto  dal  P.  D.  Leopoldo  De  Peis 

Barnabita  e  da  lui  pubblicato  con  una  dichiarazione,  nella 
quale  è  di  parere,  che  questo  informe  pezzo  con  una  croce 
equilatera  impressa  da  un  lato  e  un'  àncora  dall'altro,  sia 
il  vero  e  primitivo  aes  rude  del  peso  di  un'oncia  divenuto 
per  quei  segni  impressi  aes  signatum.  Ho  già  detto  avanti 
che  dalla  necropoli  di  Anoarano  ci  è  venuto  un  simile  pezzo 
ma  in  piastrellina  quadrata  portante  da  un  lato  la  lettera 
0  segno  C  e  dall'altro  una  croce  equilatera  similissima  a 
quella  di  Belona.  e  anche  da  Perugia  se  ne  è  avuta  una 
seconda  piastrellina  coi  segni  medesimi,  che  porta  quella 
di  Ancarano.  Il  minuto  aes  rude  raccolto  in  quella  necropoli 


montò  a  cento  e  dieci  libbre  incirca,  ma  fra  tanti  piccoli 
pezzi  uno  soltanto  portava  i  due  segni  predetti.  Le  let- 
tere 0  i  segni  impressi  generalmente  si  sono  sempre  tenuti 
e  si  tengono  universalmente  in  conto  di  contromarca:  e  a 
ragione  :  noi  troviamo  di  fatto  questi  marchi  impressi  anche 
sull'aM  uscito  dalle  forme  con  segni  in  rilievo.  Ma  non  v'è 
esempio  che  le  contromarche  occupassero  il  campo  della 
moneta,  uè  che  si  imprimessero  su  l'una  e  l'altra  faccia. 
Eagion  vuole  adunque,  che  questi  segni  impressi  si  riguar- 
dino come  tipi.  Vi  fu  quindi  una  terza  classe  di  aes  che 
portò  i  tipi  in  incavo.  Ma  non  saprei  seguire  il  P.  De  Peis, 
quando  stima  che  Vaes  rude  fu  in  origine  di  un  peso  mi- 
nimo e  determinato. 

EOMA 

4.  Coli.  Pasinati ,  oggi  passato  in  quella  del  sig.  Pietro  Stettiner. 
Frammento  di  quadrilatero  con  un  delfino  di  arcaico  stile 
sulle  due  facce,  il  primo  quadrilatero  che  si  sappia  trovato 
in  Roma  esso  è  stato  levato  dalle  acque  del  Tevere  pro- 
priamente fra  Ponte  Kotto  e  Ripa  Grande,  Pesa  gr.  1460 
pari  a  quattro  libbre,  quattro  once  e  grammi  12.  Prendo 
argomento  dal  posto  dato  al  delfino  per  credere  ohe  un 
simile  delfino  doveva  essere  figurato  nella  parte  mancante. 
Dico,  poiché  fu  tagliato,  perchè  vi  si  vede  una  linea  segnata 
e  poco  sopra  di  essa  il  segno  dell'accetta  per  disporre  il 
bronzo  al  colpo  di  mazza.  Il  quadrilatero  intero  doveva 
quindi  pesare  un  otto  in  nove  libbre.  È  notevole  che  in 
questo  quadrilatero  la  grossezza  della  bava  sporgente  fra 
le  due  staffe  sia  uguale  dall'alto  in  basso,  e  regolare. 
Non  v'è  finora  un  bronzo  di  questa  classe  così  elegante 
e  simmetrico. 

SUPPLEMENTO    II  . 

PRAENBSTE 
Tav.  LXIX. 

1.  Trovato  nelle  terre  che  sono  fra  Val  Montone  e  Monte  Portino. 

Testa  di  leone  di  prospetto  ohe  morde  una  lamina  di  spada 
acuta  a  due  tagli  munita  di  manico  a  destra.  R.  Protoma 
di  cavallo  sbrigliato  volta  a  sin.  dinanzi  alla  fronte  v'  è 
una  mezza  luna.  Pesa  gr,  347.  È  questo  il  terzo  asse  che 
ci  viene  dalle  terre  circostanti  a  Pai  estrina,  onde  ho  preso 
partito  di  assegnarlo  a  quella  insigne  città  del  Lazio.  Gli 
assi  privi  di  segni  monetali  formano  una  prima  serie, 
la  seconda  se  ne  distingue  per  un  caduceo,  del  quale  mi 
sono  giovato  per  mettere  insieme  alcuni  pezzi  che  ripetono 
la  stessa  insegna:  questi  sono  il  semisse  e  il  quadrante 
(Tav.  XLI,  2,  4).  Ora  per  cotesto  nuovo  asse  portante  per 
insegna  la  luna  crescente,  si  dovrà  fare  altrettanto,  e  però 
attenderemo  che  la  terra  ci  rimetta  degli  spezzati  che 
abbiano,  questo  segno  monetale. 

•  VELITRAB 

2.  0,  b.  Museo  di  Napoli.  Quadrilatero  della  collezione  Borgiana, 

finora  descritto,  ma  non  pubblicato  per  disegno.  Il  P.  Eckhel 


T.  LXX 


AES  GEAVE 


39 


lo  vide  il  primo  in  Velletri  e  lo  descrisse  :  poscia  il  Borgia 
r  inserì  nel  rn(o/of/o  del  suo  Museo  trascritto  dall'Avellino  e 
dato  in  luce  dal  Fiorelli  {Ann.  di  numìsin.  Yol.ll  p.  99). 
Ivi  il  Borgia  p.  10  lo  attribuisce  a  Kimini.  Eappresenta  da 
un  lato  la  lama  di  una  spada,  dall'altro  il  fodero  col  balteo 
0  cinturino.  Pesa  gr.  1898,14  pari  a  cinque  libbre  ed  8 
once  meno  6  grammi.  Il  Borgia  gli  assegna  once  60  e  de- 
nari 2.  Fu  trovato  insieme  col  quadrilatero  che  porta  da  un 
lato  l'aquila  sul  fulmine,  dall'  altro  il  pegaso  e  l'epigrafe 
ROAAAMOAA.  Il  Carelli  n'ebbe  forse  uno  schizzo  di  disegno 
ma,  se  è  così,  assai  dift'erente.  Perocché  il  manico  non  è 
ricurvo  di  sopra,  come  lo  rappresenta  il  disegno  del  Carelli, 
ma  termina  in  un  pomo;  non  ha  poi  la  vetta  libera  per 
paramano,  ma  congiunta  di  un  pezzo. colla  lama.  Questa  è  a 
punta  ed  ha  due  tagli  il  cui  trinciante  ai  due  terzi  si  al- 
larga a  guisa  del  ferro  di  una  lancia.  Essa  poi  è  corsa  per 
lungo  da  una  costa  di  forza.  Quanto  al  fodero  questo  è 
baccellato  ed  ha  l'estremità  inferiore  protetta  da  una  larga 
piastra  orlata  in  forma  di  pelta,  che  le  fa  da  crespello.  Il 
cingolo  è  annodato  alla  estremità  superiore  poco  di  sotto 
all'apertura  o  bocca  che  riceve  la  lama,  la  quale  appare 
aver  due  seni  e  sollevarsi  nel  mezzo,  perchè  la  lama,  in- 
trodotta che  sia,  si  tenga  ferma.  Vedi  le  dichiarazioni  fatte 
alla  Tav.  XIII. 

SUPPLEMENTO   III 

ETEURIA . 

.    TAEQUINII 
Tav.  LSX. 

1.  Tarquinia.  Asse  col  tipo  di  un  astro  a  quattro  raggi  ripe- 

tuto nel  riverso.  Il  sistema  di  ripetere  nel  rovescio  il  tipo 
del  dritto,  proprio  della  zecca  sabatina  e  sabina  (Tav.  XXXIV, 
XXXV),  e  di  alcune  città  dell'  Etruria  centrale  (Tav.  LII, 
2,  3  ;  Lm)  si  vede  qui  usurpato  anche  da  Tarquinia.  Di  ciò 
avevamo  avuto  un  indizio  nei  quadrilateri  ridotti  (Tav.  XXVII, 
4, 5;  XXVn,  2,  3,  4,  5,  6),  che  al  pari  dei  quadrilateri  col  tipo 
del  ramo  braeciato  (Tav.  IX,  1.  3  H;  1,  2,  3;  XXV  1,  2)  e 
del  bue  (Tav.  XX),  ripetono  la  mezza  luna  ovvero  la  let- 
tera A  sulle  due  facce.  Di  quest'asse  scoperto  nel  1875  che 
ha  di  peso  gr.  368  non  si  hanno  finora  spezzati.  L'altro  asse, 
che  ci  ha  dato  Tarquinia  in  piìi  esemplari,  pare  che  debba 
stare  a  capo  della  serie  sia  che  pesi  gr.  352,  come  quello 
del  Museo  di  Torino,  0  323  come  quello  del  Museo  Britan- 
nico, 0  307  come  quello  che  fu  una  volta  nella  collezione 
Capobianchi  ed  è  stalo  da  me  disegnato  nella  Tav.  XLVI. 
Questi  pesi  a  bastanza  dimostrano,  che  in  Tarquinia,  più 
che  in  Atri  e  altrove,  non  si  stette  per  nulla  alla  libbra 
romana  effettiva  o  nominale  che  voglia  dirsi. 

FALISGI 
SAURA  FALISCORUM 

2.  Nel  Museo  di  Napoli,  trovato  in  Calabria  nelle  campagne  di 

Nicotera  {Not.  degli  scavi  1882  pag.  285).  E  un  secondo 
esemplare  di  quel  rarissimo  e  finora  unico  del  Museo  Olivieri 


di  Pesaro,  che  rappresenta  sui  due  lati  la  testa  dell'Apollo 
Sorano  (v.  Tav.  XXXIII,  3),  aggiuntovi  per  simbolo  mone- 
tale dietro  la  nuca  un  grappolo  d' uva  che  erroneamente  cre- 
derebbesi  un  1^.  Il  picciuolo  che  qui  non  è  chiaro  ben  si 
vede  espresso  nella  tavola  citata  in  quel  di  Pesaro.  General- 
mente si  tiene  per  lunga  esperienza  che  le  monete  fuse  di 
maggior  peso  non  si  trovano  molto  lontane  dalle  città  e 
regioni  che  le  emisero  :  ma  qui  la  lontananza  è  sì  grande 
che  appena  basta  a  spiegarla  l'analogia  di  qualche  asse  della 
Italia  centrale  ti;ovato,  per  modo  di  esempio,  a  Veleia  o  a 
Trento.  Il  motivo  di  tale  trasporto  non  è  sempre  agevole  che 
si  divini:  pure  per  questo  asse  che  appartiene  ai  Falisci  della 
Sabina  si  può  sospettare  che  i  coloni  dedotti  dai  Komani 
in  Ipponio  verso  l'anno  515  siano  stati  parte  di  quei  Fa- 
lisci,  che  poco  dopo  furono  dedotti  in  Sardegna  (vedi  la 
Sylloge  inscr.  ant.  n.  558). 

APULIA 

LUCERIA 

3.  (a),  h.  Coli.  Lauria.  È  il  riverso  dell'asse  edito  dal  Minervini 

{Osierv.  pag.  104  Tav.  IV,  14)  il  cui  dritto  è  simile  a  quello 
dell'esemplare  seguente.  Qui  poi  ho  riprodotto  da  un  mio 
particolar  disegno  la  faccia  b  soltanto  dove  si  leggono 
i  nomi  dei  due  soprastanti  alla  zecca,  che  credesi  lucerina. 
Il  Minervini  tenne  questo  bronzo  indubbitatamente  genuino, 
io  ne  ho  sempre  difEidato;  però  mi  parve  che  vi  dovesse 
essere  un  originale  antico  dal  quale  il  moderno  impostore 
avesse  potuto  ricavare  la  leggenda  con  tale  paleografia  ed 
ortografia  superiore  a  qualunque  ordinaria  contraffazione. 
La  lezione  del  Minervini  fu:  SE  POS  C  ■  BAB  ed  ■  U  •  , 
spiegando  e  supplendo  Sergius  o  Servius  Postumius,  Pu- 
hlius  Babidius,  Luceria.  Io  lessi  la  prima  volta  U  ■  SExtio 
P  ■  BAB  (Syll  pag.  78). 

4.  a,  b.  Dalle  campagne  di  Campobasso,  ora  posseduto  dal  sig. 

Dom.  Bellini.  A  conferma  dei  miei  sospetti  e  diiBdenze  è 
venuto  alla  luce  dopo  molti  anni  questo  nuovo  esemplare 
apertamente  moderno,  ma  con  leggenda  ben  conservata, 
onde  è  stato  ripreso  da  me  l'esame  del  primo  esempilare 
e  ne  è  risultata  una  lezione  piìi  piena  del  primo  bronzo  mal 
riuscito  nella  fusione.  I  nomi  dei  duumviri  monetali  sono 
stati  qui  diversamente  ordinati,  dandosi  il  primo  posto  a 
Babio,  il  secondo  a  Sestio  :  ecconè  l' epigrafe  SEP  •  BABI  • 
U  •  SEXTI .  Ambedue  i  coni  sembrano  usciti  dalla  medesima 
mano,  che  non  badando  nella  iscrizione  circolare  alle  linee 
paleografiche,  che  fossero  volte  al  centro,  ce  ne  ha  date 
nell'uno  e  nell'altro  bronzo  alcune  d'esse  inclinate  se- 
guendo la  mano  che  modellava  da  sinistra  a  destra  ;  lo 
che  parmi  argomento  di  artefice  moderno.  Se  l'originale 
non  ha  mai  esistito,  colui  che  inventò  questi  nomi  e  li 
somministrò  all'artefice  mostra  di  non  ignorare  la  paleo- 
grafia ed  ortografia  arcaica  latina.  A  me  non  fa  certa- 
mente ostacolo  il  prenome  SEP  per  Seplimus  quantunque 
il  confessi  raro  di  guisa  che  l' Creili  potè  sostenere  per  ben 
fatto  dall' Hagenbuch  il  supplemento  Seplimius,  togliendolo 


40 


AES  GEAVE 


T.  LXX 


così  dalla  classe  dei  prenomi  nella  gruteriana  527,  1,  dove 
si  legge  :  SEP  •  ANICIVS  ■  DAMA  ;  opinione  accettata  anche 
dal  sig.  Henzen,  onde,  nell'  indice  dell'  Orelli  ha  posto 
questo  Septimius  nel  novero  di  quei  nomi,  che  falsamente 
si  credono  prenomi:  nomina  quae  male  prò  praenominibus 
habentur.  Ma  se  è  vero  che  i  pronomi  Quintus,  Sextus, 
Decimus,  notati  da  Varrone,  provennero  dall'ordine  della 
nascita,  qual  motivo  vi  sarà,  dice  il  Borghesi  {Oeuvr. 
VITI  pag.  33)  da  rigettare  quei,  che  Varrone  non  cita, 
mentre  l'analogia  ne  vien  garante  ed  anche  il  fatto.  Var- 


rone dice  (De  L.  L,  IX,  60  ed.  Muli.)  :  In  praenominibus, 
quibus  dlscernerentur  nomina  gentilicia,  ut  ab  numero, 
in  viris  Quintus,  Sextus,  Decimus.  Il  fatto  poi  è  ohe  nella 
Epitome  de  nom.  rat.  (L.  X  Val.  Max.)  è  ricordato  il  pro- 
nome Septimus,  portato  già  dal  primo  re  degli  Bquicoli: 
Ab  aequicoUs  Septimum  Modium  primum  regem  eorurn: 
Ivi  l'annotatore  cita  Livio  (1,  XXV,  37),  che  scrive: 
L.  Marcium  Septimi  fllium  e  i  codici,  che  sono  concordi  a 
dare  questa  lezione. 


PARERaO 

NUOVO  QUADKILATERO  FALSO  COL  TIPO  DELLA  SPADA  E  DEL  FODERO  E  L'EPIGRAFE  ROMANOM 


Comincio  dal  ripetere  ciò,  che  altrove  scrissi  dei  tre  qua- 
drilateri del  Sinistri,  per  dare  un  giudizio  competente  di  un 
nuovo  quadrilatero  recante  gli  stessi  tipi  ma  modificati,  che  si 
è  sostenuto  e  forse  si  sostiene  tuttora  per  genuino  ed  autentico. 

L'ab.  Minervino  prima  del  1804  serbava  in  Napoli  im  qua- 
drilatero che  aveva  per  tipi  una  spada  e  al  riverso  un  fodero, 
accanto  al  quale  era  espresso  in  istrana  guisa  un  fulmine  ;  leg- 
ge vasi  inoltre  dalla  parte  della  lama  l'epigrafe  ROAAANOM. 
Il  P.  Caronni  che  il  vide  se  ne  invaghì  e  ottenutone  a  gran  prie- 
ghi  un  disegno  il  diede  alla  luce  nel  suo  Ragguaglio  (Tav.XIII). 
Potè  dipoi  dall'erede  del  Minervino  acquistare  il  bronzo  ori- 
ginale pel  Museo  Wiczay. 

Ma  rimaneva  al  Caronni  di  apprendere  cosa,  che  gli  di- 
minuì in  seguito  la  gioia  di  quell'acquisto  per  dar  luogo  a 
sospetti.  In  Roma  come  cominciò  a  sapersi  del  quadrilatero 
minerviniano  così  vi  fu  un  tal  Giuseppe  Sinistri,  il  quale  di- 
chiarò pubblicamente  essere  egli  l'autore  di  quello  e  di  due 
altri  quadrilateri  siffatti. 

Il  Caronni  adunque  ebbe  quivi  il  primo  avviso,  che  il  fece 
entrare  in  diffidenza  di  quel  suo  cotanto  vantato  acquisto  :  onde 
nella  descrizione  del  Museo  Hedervariano  stampata  dal  Wiezay 
(tom.  I  n.  387)  ne  mise  in  dubbio  l'autenticità. 

Dal  canto  suo  il  Seidl  {Schwergeld,  pag  64)  die'  per  so- 
spettissimo l'esemplare  identico  conservato  nel  Gabinetto  di 
Vienna  ed  il  sig.  Arneth  ne  confermò  il  parere.  Non  mancava 
dunque  che  di  sapere  ove  si  celasse  il  terzo  esemplare  e  di 
questo  risponderemo  noi,  avendone  avuta  certa  notizia  e  di  pili 
ima  copia  in  gesso  nel  1861  dal  Museo  di  Volterra.  Del  resto 
esso  non  fu  mai  tenuto  per  genuino,  ma  tutto  al  piti  copia 
di  un  originale  antico,  secondo  il  Can.  Gori  prefetto  di  quel 
Museo,  alla  cui  opinione  sottoscrive  il  prof.  Migliarini  nella 
lettera  del  6  aprile  1861,  dove  avvalora  cotal  parere  del  Gori 
colla  testimonianza  di  colui,  che  lo  dette  al  Museo,  il  quale, 
com'  egli  scrive,  lo  qualificò  per  ripetizione  da  antico  originale  : 
e  mi  fa  notare  il  Migliarini  che  in  quel  tempo  vi  erano  in  Volterra 
due  Inghirami  intendenti,  oltre  molti  altri. 

11  Can.  Gori  scriveva  il  16  marzo  di  quest'  anno  al  Mi- 
gliarini: «  La  tradizione  sta  contro  l'autenticità  del  presente 
asse  in  discorso  ».  E  prosegue  a  dire:  «  Dal  calco  che  le  invio 
Ella  potrà  rilevare  qualche  criterio  sulla  natura  di  tal  fusione 


ed  informarne  il  chiarissimo  P.  Garrucci,  il  quale  potrebbe  insti- 
tuire  qualche  utile  disquisizione  sul  vero  originale  ».  Ciò  è  quanto 
scrissi  e  divulgai  nella  Civ.  Catt.  quad.  726  pag.  724,   in  segg. 

Da  queste  tre  copie  che  è  oramai  certo  essere  quelle  di 
cui  il  Sinistri  si  confessò  autore,  bisogna  ora  distinguere  un 
quadrilatero  di  recente  uscito  alla  luce  che  ripete  l'identico 
disegno  ma  con  particolarità  diverse. 

Codesto  quadrilatero  giacque  per  lunga  pezza  ignorato  e 
s'ignorerebbe  tuttavia,  se  un  tal  Bonichi  non  lo  avesse  tratto 
fuori  dalle  tenebre.  Egli  un  bel  dì  mi  si  presentò  al  Collegio 
Romano  col  bronzo  originale  ed  un  disegno  che  serbo  tuttora 
dimandandomi  di  farne  una  illustrazione.  Ma  essendomi  io  ri- 
fiutato, che  il  conobbi  falso,  egli  lo  mandò  a  Parigi  dove  il  Duca 
di  Blacas  lo  acquistò  per  la  sua  collezione,  persuaso  di  avere 
in  esso  trovato  l'antico  modello,  dal  quale  il  Sinistri  aveva  tratto 
le  sue  tre  copie  modificandone  in  alcune  parti  il  tipo.  Perocché 
in  questo  la  testa  di  ariete  posta  per  pomo  della  spada  guarda 
a  destra,  il  fulmine  a  pie'  della  spada  è  omesso,  varia  la  forma 
del  fodero,  acuto  in  pimta,  e  vi  si  vede  aggiunta  la  lettera  N  avanti 
a  ROMANOAA,  che  manca  negli  esemplari  del  Sinistri,  non 
eccettuato  quello  del  Caronni,  contro  a  ciò  che  ne  scrisse  per 
errore  il  Blacas  [H.  dd  la  m.  t.  I  pag.  179,  nota),  e  l'epigrafe 
è  trasportata  da  destra  a  sinistra  del  fodero. 

Or  il  Duca  sostenne  1'  antichità  di  cotesto  bronzo  in  più 
luoghi  della  Histoire  de  la  mannaie,  e  lo  stesso  ha  fatto  di  poi 
il  barone  De  Witte  nella  descrizione  delle  tavole  tom.  IV  del- 
l'opera medesima.  Una  tal  differenza  di  pareri  si  è  ancor  notata 
in  quanto  alle  due  monete  che  portano  la  leggenda  PO/V\A,  KVPI 
e  OVAUAISTEA,  ne  deve  recar  sorpresa  se  si  considera  a  qual 
raffinatezza  di  iniitazione  dell'antico  sono  oggidì  giunti  gl'impo- 
stori; ed  è  ben  ricordare  la  urna  di  piombo,  detta  in  Francia 
di  Domitilla,  conservata  una  volta  nel  Museo  Blacas,  dichiarata 
come  parfaitement  authentique  (Revuearchéol.lSQQ  pag.  20)  e 
come  tale  pubblicata  ed  illustrata  dal  Gerhard  {Ant.  Bildwerke 
pi.  LXXXVII  1-4),  la  cui  forma  di  gesso  ho  io  veduta  in 
casa  del  cav.  Ruspi,  che  me  la  mostrò,  dichiarandosene  l'in- 
ventore ed  artefice.  Un  argomento  di  imperizia  nel  falsario  può 
anche  suggerirlo  l'epigrafe  N  ■  ROMANOM,  che  a  parere  del 
Mommsen  e  del  De  Witte  solo  può  spiegarsi  per  Nummus  Roma- 
ncrum.  Ma  che  i  Romani  nelle  monete  emesse  a  loro  conto  dalle 


1 


T.  LXX 


AES  GEAVE 


41 


zecche  degli  alleati  non  abbiano  adoperato  la  lettera  N  come 
fanno  i  Teatini  e  i  Venosini,  quando  imprimono  il  bronzo  deci- 
male, lo  dimostra  la  monetazione  con  l'epigrafe  ROAAA  e  la  lettera 
U  0  n,  dove  nell'esergo  a  significare  il  sistema  decimale  adoperano 

invece  dell'  N  la  cifra  dell' S signiiìcando  coll'S  le  sei  once  o 

sia  il  semisse  romano  e  coi  quattro  globi  le  altre  quattro.  Inoltre 


è  da  notarsi  che  questo  quadrilatero  non  si  può  esser  fuso 
fuori  del  Lazio,  nel  quale  non  essendo  in  uso  l' asse  decimale, 
sarebbe  stato  fuor  di  luogo  il  denominare  nummus  il  bronzo, 
che  di  piti  dovrebbe  supporsi  di  riduzione  semissale,  pesando 
il  quadrilatero  once  53. 


ASSE  IMAGINAEIO  DI  LUCERÀ 


Asse  Incerino  con  testa  di  Apollo  diademata  volta  a  d.  e 
intorno  U-  PVUiO-  U-  F-  C-  MODIO-  CN-  F.  B.  Cavallo  corrente  a 
destra  e  di  sopra  astro  ad  otto  raggi.  Trovasi  delineato  dal  Riccio 
noi  PoUorama  pUtoresco  (Napoli n.  29),  dal  quale  l'autore  trasse 
e  stampò  a  parte  l'articolo  medesimo  colla  figura  dell'asse,  che  è 
stato  riprodotto  dal  Ritschl  nelle  Priscae  latiniiatis  monumenta 
Ta?.  V,  insieme  con  l'altro  asse  datoci  dal  Caronni.  Il  Mommsen 
poi  ha  dato  confusamente  le  due  descrizioni  del  Riccio  con 
r  Hedervariana  del  Caronni  {H.  de  la  m.  I  p.  344),  riferendo 
la  sola  iscrizione  che  si  diparte  da  quella  del  Caronni,  e 
non  è  la  vera,  come  si  vedrà  dall'esame  che  qui  soggiungo. 
Il  Riccio  nel  Poliorama  afferma  che  questo  bronzo  fu  trovato 
nel  1847  alla  porta  di  Lucerà  detta  di  Troia  e  fu  acquistato  dal 
Lombardi  ed  egM  ne  diede  notizia  al  Cavedoni  (c£  Bull.  Arali, 
dell'  Instit.  1847  p.  159),  attestando  che  pesava  undici  once 
nap.  pari  a  gr.  294.  Ma  il  medesimo  Riccio  dando  alla  luce 
in  Napoli  nel  1852  il  Repertorio  o  sia  descrizione  e  tassa 
delle  antiche  monete  ecc.,  citato  dal  Mommsen  col  titolo 
Monete  di  città  (1.  cit.),  a  p.  29  dà  di  questa  che  pur  chiama 
unica  moneta  del  Museo  Lombardi  una  descrizione  diversa. 
Primieramente  dice  che  la  testa  di  Apollo  è  laureata  e  che 
la  stella  ha  14  raggi,  e  di  piìi  che  sotto  il  cavallo  v'  è  l'ar- 
caica U  iniziale  della  zecca  lucerina.  La  qual  descrizione  non 
si  trova  d'accordo  col  disegno  del  dritto  ohe  ci  mostra  un  Apollo 
diademato  ne  con  quello  del  riverso,  ove  l'astro  è  ad  otto  raggi. 


e  la  lettera  iniziale  U  non  vi  si  vede.  Nel  quale  ultimo  par- 
ticolare della  lettera  U  non  va  neanche  d'accordo  con  la  descri- 
zione, che  egli  ne  fece  al  Cavedoni,  nel  1847.  Il  Riccio  del  Re- 
pertorio che  descrive  l'unico  asse  Lombardi  non  è  dunque  il 
Riccio  del  Cavedoni,  e  il  Riccio  del  Cavedoni  non  è  quello  del 
Poliorama.  Si  può  quindi  con  fondamento  supporre  che  al  Riccio 
mancando  il  disegno  dell'unico  asse  Lombardi  si  sia  servito 
di  un  bronzo  edito  dal  P.  Marchi  e  da  me  riprodotto  alla 
Tav.  XXXIV  n.  1,6,  ed  a  cui  abbia  apposto  un  riverso  tolto  dal  noto 
asse  Ulcerino  ridotto  (Tav.  LXIV  n.  8),  dove  si  ha  l'astro  ad 
otto  raggi  :  abbia  però  omessa  la  lettera  U,  forse  perchè  ne  fu 
avvertito,  ovvero  si  avvide  dell'errore.  E  questa  ipotesi  a  me  sembra 
spiegare  il  fatto  di  un  disegno  che  non  va  d'accordo  coll'unico 
originale  dallo  stesso  Riccio  descritto  al  Cavedoni  e  nel  Reper- 
torio, e  neanche  con  quello  del  Caronni  da  lui  medesimo  citato 
con  dire  parergli  «  quella  moneta  di  Lombardi  essere  la  descritta 
e  delineata  nel  Museo  Hedervariano  sotto  Pesto,  Pars  1  pag.  35 
tab.  11  fol.  42  »  (Repert.  nota  35  a  pag.  6).  Quanto  alla 
iscrizione,  essa  si  diparte  da  quella  del  Caronni  nella  disposi- 
zione è  distribuzione  se  ne  diparte  anche  nel  dettato,  cambiando 
il  GR  ■  F  in  CN  ■  F.  Conchiudiamo  che  questo  asse,  come  è  rap- 
presentato in  figura  dal  Riccio,  non  è  mai  stato  nella  raccolta 
Lombardi,  ne  altrove,  e  però  dovrà  essere  escluso  dalle  opere 
dei  sigg,  Ritschl  e  Mommsen,  e  di  quanti  lo  hanno  citato  e 
trascritto  sulla  fede  di  lui. 


Fine  cella  Pakte  prima  —  Monete  fuse 


ARICCIA 


CERVETE'RI 


T.II. 


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1-    COLLATTA  TlUNGHEZZA  "', 


2-6        CERVETE-RI 


5. ",7.14.16  PAI.E.=;TP1:JA  ?  *.1'.1  S  .  17.19. 22        VICARELLO  5-      FRA  TODI   t.  CHI  I.1 31  S       AI,r.'..-.H' 

"TELANDCLFO  10      TARQUINIA  IJ      OSSI  IN   CARDEOMA  k-    3CULCA  1 N  SAP.DEONA 


T.VII. 


1  a.bc       MONTEFIASCONE- 


2-a,b,cd      OUINCiENTO 


T.VIII. 


1  a.b        TERAMO 


2-a,b.c.       MAB.ZABOTTO 


T.IX. 


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3 
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1  a.b.c.         FABBRO         2-a,b.c.     T-a,b.c.     CERVETE:p. 


T.X. 


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1  a.b.       MUSEO  BRITANNICO 


a-a,b,c:      FABBRO 


3   a. b.c.     FIESOLE 


T.XI. 


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1  a,b..      VULCI       2  a.b.      MUSEO  BRITANNICO 


T.XII. 


1  a.b,     MUSEO  LI  PESARO  2a.b.     ARICCIA  3a,b,     MUSEO  BRITANNICO 


T .  Xlll. 


1  a.b,        MUSEO  BRITANNICO 


-2       ARICGIA 


T.XIV. 


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h 


1  a.b,        ARICCi'A 


2  a.b.      MUSEO    VATICANO 


3        VIGARELLO 


T.XV. 


b 


1  a.b,       GENZANO  2  a,b.       VULCI 


T.-XVI 


a.b.       BOMARZO 


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a.b,       MUSEO  BRITANNICO 


T. 


a.b        VULCI 


T.XX. 


1/  \\     \ 


a,b.       MUSEO  DI  PARIGI 


T.  XXI. 


1  a.b.  2a.b,        MUSEO    KIRCHERIANO  3  a.b,        CARELLI 


T.XXII. 


!       MUSEO  BRITANNICO 


2         CERVETEKI 


T.nm. 


MUSEO    KIRCHERIANO 


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T .  XXIV. 


1        MUSEO  BRITANNICO  2         MUSEO    KIRCHE 


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T.XXV 


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1-3  KIRCHERIANO 


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T.  XXVI. 


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a.b.        MUSEO    KIRCHERIANO 


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T.ini. 


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UMBRIA    PICENUM 


T.LII. 


PICENUM 


T.LII. 


3. 


6: 


8. 


PICENUM-VESTINI 


T.  LXI. 


APULIA 


T.Lll. 


APULIA 


T.in. 


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APU  LIA 


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i6. 


J7. 


jS. 


■19 


LUCANIA 


CAMPANIA 


ETRURIA 


i. 


APPENDICE 


T.   LIVI 


ANCARANO 


AR_DEA 


SVPPLTLXTOI 


2. 


7.  CESENA -^  PONTE  LANDOLFO. J.BELONA  .^.ROMA 


SVPPL.TLXIX 


/. 


7.      PRESSO  MONTE  FORTINO  ^.  MUSEO  DI  NAPOLI 


SVPPL.TLXX_ 


i. 


TARQUINIA 


M. 


LE  MONETE  DELL' ITAIIA  AUnCA 


EACeOlTA   (lENERAlE 


DEL 


R  Raffaele  Garrucgi 


D.  c.  D.  e. 


PARTE    SECONDA 

MONETE     CO  NI AT  E 


■^G)Cg)(a- 


ROMA 

COI  TIPI  DEL  CAV.  V.  SALVIUCCI 
1885 


INDICE  DELLE  CITTA  E  DEI  POPOLI  D'ITALIA 

CHE  HANNO  CONIATA  MONETA 


/;  primo  numero  arabico  indica  il  prolegomeno,  il  romano  la  tamia  col  numero  della  moneta,  l'ultimo  la  pagina  che  lo  dichiara. 


Aesemia  99    XC  17-24    99. 

Alba  LXXXIII 17-19     73. 

Aletium  V.  Balethium. 

AUpha  LXXXYin  20,  21     91. 

Alliba  93    LXXXIX  37-42    95, 96. 

Aminei  144, 145     CTII  36-38     145. 

Ancona  LXXXII 27     76. 

Aquilonia  99, 100    XC  25    101. 

Aquinam  77    LXXXII  30-32     77. 

Ariminam  LXXXH  26    76. 

Arpi  IH     XCm  1-23     112. 

Asculum  Apalum  HO    XCII  32-36     111. 

Atella  LXXXVIII  1-8    90. 

Atìnum  attr.  erron.  CXXV  7  186. 

Atiniom  attr.  erron.  CXXV  11.  186  v.  Valentia. 

Aurunca  78    LXXXHI 2-4    79. 

Azetium  116    XCV  2-4     116. 

Balethlnm  sen  Falethium  122    XCVII  1-3     122. 

Baibarorum  plagia  LXXX  18    80.   —  LXXVII 

27-30     51.  —  LXXVIII  1-13     61,62. 
Barioni  116    XCV  8-14     116. 
Bellum  sociale  102, 103, 104    XCI 1-32    106-107. 
Benventiun  XC  16     99. 
Blera  (Sieda),  aurum  rude  LXXI  2,  3    47. 
Brettii  183  CXXIV  7-31. 
Brundisium  121    XCVI 27-39     121,122. 
Bytontnm  sea  Bytnntum  XCV  5-7     116. 

C,  Testa  di   Apollo   o    di   Pallade    R.   Civetta 
LXXVI  6, 7     59. 

>  ,  ì  ,  W ,  /V\ ,  Testa  di  moro.  R.  Elefante  LXXV 

11-15    58. 
5 ,  ì ,  V,  Enota,  R  Bipenne  LXXVI  11-19    59. 

D,  W1,  M,  Testa  di  Lare.  R.  Cane  LXXVI  8-10  59. 
D ,  Enota.  R.  Ancora  LXXVI  20, 21     59. 
Gielinm  117    XCV  15-32    117, 118. 

Caiatia  LXXXVni  15, 16     90-91. 

CalatiaLXXXVini9-21   89.— LXXXIX  1-3   89. 

Cales  79    LXXXIII  13-18    79. 

Campani  86-87    LXXXVI 13-19    87, 88. 

Can  LXXVI  3    59 

Ca  vel  Ka,  Eoma  v.  Eoma. 

Camars  LXXIV  10     56. 

—  anmm  mde  LXXI  1     47. 

Cannsium  114     XCIV  1-7     114. 

Capna  LXXXVI  22-35  88.— LXXXVII 1-18    89. 

Casarium  153    CXI  1-4    153,  154. 

Canlunia    155,156      CXI  U-30      156,157.   — 

CXXV  16-17.  1S6. 
Clnsìum  T.  Camars. 
Compnlteria  v.  Cubalteria. 


Consa-Populonia  LXXII  18     51. 

Consentia  170    CXVII  33-36     170. 

Copia  144    CVII 27-35    144. 

Cora  LXXXII  22    74. 

Cortona  LXXIII  11     53. 

Cosa  Volcientinm  LXXXII  23-25    74-76. 

Croton  147, 148   CVIH  26-37    149, 150.  —  CIX 

1-39     150, 151.    —    ex  1-44     152, 153.  — 

CXXV  15  185,  186. 
Croton,  attr.  err.  CXXV  8. 
Croto-VeUa  falsa  CXXV  2    47.  188. 
Ct»a  LXXIV  14    57. 
Cubulteria  LXXXVHI  13, 14    90. 
Cumae  80    LXXXIII  20-13    81. 
Echethia  LXXIII  34, 35    55. 
Etruria  13-47. 

^  Euota.  R.  Bipenne  LXXVI  22     39. 
Patluna  =  Vetulonìa  LXXIV  15-9    57. 
Feinat  v.  Venafrnm. 
Felzna,  Felsnna  LXXI  12-14  47,  48.  —  CXXV  13. 

185. 
Fensernia  vel  Sensernia  93    LXXXIX  1-13     93. 
Fercna  LXXIV  13    58. 
Fetalu  =  Vetulonia  LXXIV  10    56. 
Fistelia  93, 94    LXXXIX  14-36     94, 95. 
Frentrum  101    XC  26    101. 
Fuflnna  LXXIV  10.  v.  Pnpluna 
Galli  Cisalpini  v.  Barbaroram  plagia. 
Graxa  119    XCVI  1-12     119-120. 
Gry  =  Grumbestiui  XCV  39-41     119. 
Heraclea  131, 132    CI  16-40     132, 133.  —  CU 

1-19    133.134. 
llipponium,  sive  Iponium  166    CXVI  9-19     167. 
Hydruntnm  122    XCVII  4, 5     123. 
Hyria,  Hyrina  92    LXXXIX  1-8    92, 93. 
Hyrinm  Apuliae  109     XCII  21, 22     109. 
Incertae  sedis  Etmriae  aes  incnsum  LXXV  1-10 

57,  58. 
—  non  incusum  LXXI  21-30    49, 50.  —  LXXIII 

7-10, 12-28     53.  —  CXXV  12     185. 
Imum  97    XC  6-9    98. 
U  Eoma  V.  Eoma 
Larinum  101, 102    XC  27-37     102. 
Latinm  aes  a  latinis  magistratibus  cnsum  LXX^'I 

1-3    59. 
Laus  170     CXVII  1-19. 
Locri  15S,  159     CXII  16-32     159, 160.  —  CXIII 

1-22     160,161. 
Locri  (AO)  attr.  err.  CXXV  12    186, 187. 
Lucani  182  CXXm  26-33.  —  CXXIV  1-6. 


Lucerla  109     XCII  23-31     110. 

W  LXXIV  11, 12    56. 

Malies  98    XC  13-15    98, 99. 

Marsicum  bellum  v.  Bellam  sociale. 

Matiolum  XCV  43-45     119. 

Mesma  165, 166    CXVI  1-8     166. 

Metapontum  134-136    CU  20-35     136, 137.   — 

CHI  1-28    137,138.— CIVl-34   138,139.— 

CV  1-41     139, 140.  —  evi  1-6     140. 
Metlia  LXXIII  6    53. 
Neapolis82,83    LXXIV  18-38    83,84.— LXXXV 

1-19    81-86.  —  LXXXVI  1-14    86. 
Neapolis  ApnUae  118    XCV  33-38     118. 
Nola  91    LXXXVin  22-30     91. 
Nethu  aur.  LXXI  1-6    47. 
—  arg.  LXXI  15-17    48. 
Nuceria  Alfaterna  96    XC  1-5    97. 
Nncria  Brattiorum  168    CXVI  28-33     168. 
Orsentum  CXVII  20, 21. 
Orra  120    XCVI  14-26     120.  attr.  err.  CXXV,  9 

187. 
Oxentam  123    XCVII  6-13    123. 
Paestnm  179  CXXI  41-44.  —  CXXII 1-41.   — 

CXXIII  1-23  179-182. 
Pai  Mol  CXVII  22.  falsa  CXXV  10, 11     187. 
Pallanum  LXXXII  28, 29    77. —CXXV  14  IS-'i. 
Pandosia  154    CXI  5-8     154. 
Peithesa  LXXVI  1-5    59. 
PeteUa  157    CXII  1-19     157. 
Pisae  V.  Teutha. 

Pitanatae  Peripoli  98    XC  11, 12    98. 
Populonia  LXXI  1-11    47.  —  LXXIV  10     56.— 

CXXV  1-11     184,  185. 
Populonia-Consa  LXXn  18    51. 
Pnpluna  =  Populonia  LXXII  1-32.  — LXXIII  1-5 

50-53.   —   LXXIV  1-9    55, 56.  —   CXXV 

1-11     51. 
Posidonia  175, 176  CXX  1-22.CXXI  1-40  177, 178. 
Pnpluna  v.  Populonia  CXXI  1-40. 
Kegium  161, 162    CXIV  1-38     163, 164.  —  163 

CXVl-28    164, 165.— attr.err.CXXVS  186 
Eoma,  nummi  cusi   extra  urbem  62-65    LXXX 

1-22     67, 68. 
Eoma,  nummi  cusi  intra  urbem  62-65    LXXIX 

1-16    65,66. 
Eomanor.   nomine    cusi   a   sociis    LXXVII  4-26 

60, 61. 
Eoma  KA ,  CA  LXXXI17-25.— LXXXn  1-4    71. 
Eoma  L  CXXX  24-34.  —  LXXXI  1-13    68,  69. 
Eoma  P  LXXXI  14, 15    70. 


Koma  S  LXXXI 16    70. 

Eoma  SP  LXXXI  23. 

Soma  Quirit.  falsa  CXXV  10    187 

EomaD.  Famil.  nummi  LXXIX  17-24    66, 67. 

Entastini  115    XCIV  23-33    115, 116.  —  XCV 

1     116. 
Eab,  C-  Eub  LXXVII 1,  2     59. 
S  Eoma  T.  Eoma. 
SaUpia  113    XCIII  24-38. 
Samnites  98    XC  10    98. 
Scylaciam  161     CXm  23-27    161. 
Sidinm  XLV  42    119. 
Signia  LXXXni  20, 21     73. 
Siris  145     CVIIIl-3     145. 
Ser  CXI  9, 10     154. 


S  P  Koma  T.  Eoma. 

Sty  XCVI  13     120. 

Suessa  LXXXII  33-39.  —  LXXin  1    77, 78. 

Sybaris  145, 146    CVIII  4-25    146, 147. 

Tarentum  123-125  XCVH  14-34  125, 126.  — 
XCVIII  1-28  126, 127.— XCIX  1-53  127- 
129.  —  C  1-68     129-131.  —  CI  1-15     121. 

Tarentum,  attr.  err.  CXXV  1    186. 

Telesia  LXXXVHI 19     91. 

Temesa  167    CXVI 27     168. 

Terina  168    CXVH  1-32    168, 169. 

Teutha  =  Pisae  LXXI 18, 19     49. 

Thezi,  Tliezle  LXXm  29-37    54,  55. 

Thurium  140, 141  CVI  7-32  140-147.  —  142 
CVII  1-26     143, 144. 


Tianum  Sidicinum  79    LXXXIII  5-12    79. 

Tiate  Apnlum  107    XCII 1-20    lOS,  109. 

Tla  (Telemon)  falsa  CXXV  1  ISS. 

Trebula  mutuesca  LXXI  35. 

Tuder  LXXV  16-18    58. 

Vrsentnm  v.  Orsentum. 

Vxentum  v.  Oxentum. 

Valantea,  falsa,  CXXV  11  187. 

Valentia  166    CXVI  20-26     167. —  XXV  11. 

Velecba  90    LXXXVIII  9-12    90. 

Velia-Croton,  falsa,  CXXV  3  188. 

Velia  CXVIII  23-49.  —  CXIX  1-39. 

Venafrum  LXXXVIII  17, 18    91. 

Vennsia  114    XCIV  8-22    114, 115. 


A.WTSO 


Il  dare  una  raccolta  generale  delle  monete  coniate  d' Italia 
era  di  per  sé  un'impresa  così  vasta,  che  non  si  sarebbe  potuta 
condurre  a  fine  senza  gli  aiuti  e  il  favore  di  molti,  o  direttori  dei 
musei,  0  privati  possessori,  quando  non  si  fossero  volute  ripro- 
durre le  stampe  altrui,  ma  cominciare  del  tutto  da  capo  a 
far  nuovi  disegni  sugli  originali,  ovvero  sulle  loro  impronte. 
Non  dovrà  fare  perciò  maraviglia  il  sapersi  che  siano  passati 
parecchi  lustri  in  viaggi,  in  ricerche,  in  esami  di  collezioni 
puhliche  e  private,  fuori  e  dentro  l' Italia.  Il  frutto  che  da  questi 
viaggi  e  pervestigazioni  si  coglie,  la  Dio  mercè,  è  destinato  a 
vostro  profitto,  o  studioso  lettore,  e  lo  troverete,  se  meco  andrete 
cercando  in  questi  fogli  ciò  che  di  meglio  e  di  nuovo  ho  potuto 
scoprire  e  mettere  a  profitto  della  scienza. 

Passando  ora  al  metodo  tenuto  nella  Descrizione  e  Dichia- 
razione delle  monete,  dirò,  che  i  numismatici  descrivendo  le 
monete  sogliono  notarne  il  metallo,  il  modulo,  il  peso,  lo  stato 
di  conservazione,  la  rarità  di  ciascuna.  À  tutte  queste  cose  non 
mi  sono  creduto  astretto,  pubblicando  di  ciascuna  moneta  il 
disegno,  dal  quale  risulta  qual  sia  il  modulo  e  lo  stato  di  con- 
servazione. La  qualità  del  metallo  è  stata  iniìiSttaT  sulle  tavole 
con  le  cifre  au.  ar.  ae.  Quanto  alla  rarità,  essa  se  è  insigne 
0  solo  notabile  risulta  e  facilmente  si  deduce  dalla  descrizione: 
ma  in  generale  si  sa  oggi  che  il  valore  dipende  da  cause  varie. 
Del  peso  poi  se  ne  tiene  conto,  quando  pare  che  sia  utile,  oppor- 
tuno, necessario  il  farlo  ;  di  tutti  i  pezzi,  non  è  possibile,  quando 
non  si  su  dove  sono  gli   originali,  o  non  si  è  avuto  l' agio  di 


conoscerlo.  D' altra  parte  sembra  che  troppo  si  dia  oggidì  ai 
pesi  :  ed  io  credo  che  non  di  rado  questa  troppa  fiducia  noccia. 
Ottima  è  la  considerazione  del  Imhoof-Blumer  che  dei  pezzi  fior  di 
conio  usciti  dalla  officina  medesima  delle  buone  volte  difi'eriscano 
fra  loro  da  10  a  15  Vo  per  la  poca  cura  posta  di  certo  nel 
prepai-are  i  tondini  {Le  sistème  euboique,  Paris  1882  5,  note). 
Si  fa  caso  della  così  detta  biografia  di  ciascuna  moneta,  nella 
quale  si  contano  l'un  dopo  l'altro  gli  editori:  e  in  ciò  si  va 
tanto  innanzi  da  imputare  a  colpa  se  una  citazione  per  avven- 
tura si  è  omessa.  E  questo  un  giogo  che  deve  portare  chi  se  lo  ha 
imposto  :  io  non  penso  che  altra  legge  vi  sia,  se  non  di  citare 
se  vi  è  alcuno  del  quale  si  vuol  dare  notizia  utile  a  chi  scrive 
0  a  chi  legge.  Del  resto  quando  si  volessero  citar  tatti,  spesso 
neanche  si  potrebbe  o  per  ignoranza  della  lingua  nella  quale 
sono  scritti  gli  articoli  di  numismatica,  o  per  la  ignoranza  dei 
libri  e  periodici  nei  quali  si  leggono,  ovvero  perchè  quei  libri 
e  quei  periodici  non  sono  mai  pervenuti  a  notizia  o  alla  mano 
di  chi  scrive. 

Per  la  dichiarazione  dei  tipi  non  posso  fare  a  meno  di 
esporre  nettamente  le  ragioni  della  propria  e  dell'  altrui  sentenza, 
cercando  sempre  di  evitare  che  il  lettore  sia  defraudato,  che 
è  atto  di  perfetta  giustizia,  e  non  per  umani  riguardi  lodando 
e  biasimando  chi  che  sia.  Vivi  felice  iv  Kvqìoì  'Ir^aov. 

Infine  resta  che  io  renda  a  tutti  coloro  che  poco  o  molto 
mi  hanno  aiutato  le  grazie  dovute. 


pag 


nel  testo 


62 

rXTKA  VEBEM 

aggiungi 

EXTEA 

70 

sannica 

correggi 

sannitica 

71 

Oralione 

» 

Crotone 

72 

WVITRIT 

» 

mVITNIlT 

73,74 

Lxxxni 

» 

LXXXII 

74 

Jlarsiliam 

» 

Massiliam 

108 

n.  5  VM 

j) 

VAA 

113 

n.  23 

» 

24 

Errata-Corrise 


pag. 


119 
125 


123 


158 


Narvegna  correggi        Nervegna 

n.  22  Falanto  »  Taranto 

n.  24-26  invece  di  lo  stesso  tipo  in  incavo,  si 
riformi  coù:  Il  n.  24  ripete  in  incavo  i  tipi 
del  n.  23  -  i  un.  25,  26  ripetono   il  tipo 
del  dritto  -  indi  invece  di  tutti  e  tre  questi 
didrammi  kggi:  1  due  esemplari  23, 26. 
il  n.  8  e  il  n.  9  vanno  scambiati 
n.  28  Falanto        correggi        Taranto 
n.  198  »  158 


PAETE   SECONDA 


MONETE     CONIATE 


ETRUEIA 

Nel  pubblicare  il  nummo  d'argento  del  Museo  Borgiano 
non  ben  letto  dal  Sestini  e  attribuito  ad  ima  confederazione  di 
Vescia  e  Minturnae  nella  Campania  mi  giovai  di  altri  due  esem- 
plari, scoperti  di  poi,  ancor  essi  monelli  nella  leggenda,  come 
il  primo  e  col  loro  aiuto  potei  ristabilire  la  leggenda  ben  sin- 
golare in  lingua  etrusca,  che  fu  :  Ì3A  :  m\l•\^\l^  :  \W\.  La  notizia 
ne  fu  da  me  divulgata  nelV  Annuaire  numismalique  :  ma  cM 
poteva  allora  prevedere  che  si  sarebbe  trovato  un  esemplare 
dopo  cento  e  piìi  anni  da  che  era  apparso  il  Borgiano  che  rife- 
risse intera  la  leggenda  e  che  mi  facesse  lieto  di  averla  tanto 
prima  indovinata?  Serva  questo  esempio  per  provare  che  riguardo 
alla  monetazione  etrusca  si  è  lavorato  molto  e  tuttavia  si  lavora 
in  raccoglierla  e  nondimeno  siamo  ancora  troppo  scarsamente 
provvisti.  Però  è  duopo  che  io  avverta  i  lettori  che  non  si  aspet- 
tino se  non  poche  e  povere  considerazioni  le  quali  sono  ben 
limgi  dal  corrispondere  all'alta  e  giusta  idea  che  si  ha  di 
cotesta  nazione  e  non  provano  un  gran  commercio  che  pur  si 
faceva  dai  Greci  e  dai  Penicii,  di  Asia  e  di  Africa  nei  suoi  porti. 

n  piìi  antico  argento  ed  oro  dagli  Etruschi  monetato  ha 
tipi  stranieri  :  la  Gorgone  e  il  leone.  La  Gorgone  è  rappresen- 
tata dalla  sua  testa  di  prospetto  con  la  lingua  sporgente  le 
labbra  aperte  e  le  gote  contratte  ;  il  rovescio  è  liscio  ma  piii 
tardi  comincia  a  portare  qualche  simbolo  o  segno,  ed  indi  anche 
il  nome  della  zecca  che  è  fll1V>I'1V'l;  il  suo  peso  da  principio 
superò  gli  otto  grammi,  poi  si  abbassa  agli  otto  grammi  e  di 
sotto.  La  sua  divisione  è  in  metà  e  quarta.  Coteste  condizioni 
convengono  pienamente  col  didramma  Attico-Euboico  di  Solone  e 
però  non  potendosi  riferire  ad  un  caso,  uè  credere  che  gli  Ate- 
niesi prendessero  dagli  Etruschi,  che  come  abbiamo  detto  non 
ebbero  propria  moneta,  ragion  vuole  che  gli  Etruschi  l'abbiano 
presa  da  loro.  Non  può  quindi  darsele  un'  antichità  maggiore 
del  160  di  Eoma.  V  è  solo  questo  di  proprio  che  gli  Ateniesi 
dividono  il  loro  di  dramma  in  otto  parti  che  dicono  oboli  e  gli 
Etruschi  invece  in  dieci  X,  e  quindi  la  dramma  ne  contiene 
cinque  e  la  quarta  parte  due  e  mezzo   che  notano   colle  cifre 


A,  e  IK,  le  quali  talvolta  insieme  uniscono  con  im  tratto  a. 
traverso;  ovvero  adoperano  la  greca  lettera  §  dinotante  del  pari 
che  il  <,  mezza  unità.  Cotesta  forma  di  cifra  supponendo  il  sigma 
di  quattro  linee  e  non  piìi  di  tre  S  come  si  scrisse  in  tempi  piti 
remoti  ci  serve  di  buon  argomento  per  dedurre  che  questi  pezzi 
durarono  a  lungo  almeno  fino  a  tanto  che  la  forma  della  lettera  § 
ebbe  origine  ed  uso ,  lo  che  era  certamente  avvenuto  prima 
del  276  di  Koma.  Dedurremo  di  piìi  che  quando  la  cifra  del- 
l' argento  era  duplicata  sicché  in  luogo  del  X  la  unità  superiore 
portava  col  peso  medesimo  la  doppia  cifra  XX,  le  frazioni  infe- 
riori non  conservavano  più  il  tipo  medesimo.  Ciò  si  dimostra  non 
solo  dalla  cifra  X,  che  recano  i  pezzi  del  peso  di  gr.  4  e  con 
altri  tipi,  ma  dal  validissimo  argomento  che  risulta  dall'esame 
del  deposito  di  Sovana,  dove  sono  stati  trovati  insieme  colle  unità 
a  testa  di  gorgone  del  valore  di  XX  e  peso  di  circa  8  grammi, 
e  le  loro  metà  con  teste  di  profilo  giovanili  laureate,  e  mulie- 
bri diademate  in  buon  numero.  A  questa  serie  devono  quindi 
riportarsi  gli  argenti  con  la  cifra  A  e  HA  e  finalmente  quelli 
che  recano  il  n.  1  ed  hanno  ancor  essi  per  tipo  la  testa  umana 
di  profilo. 

Tutta  questa  monetazione  emana  dalla  officina  di  Pu- 
pluna,  come  dimostra  la  leggenda  che  vi  si  trova  al  riverso. 
In  questa  epoca  si  è  cambiato  anche  il  tipo  della  maggiore 
unità  sostituendo  alla  Gorgone  la  testa  di  Pallade  galeata  posta 
di  prospetto  con  allato  un  delfino  simbolo  di  città  marittima, 
e  il  n.  XX. 

Al  sistema  della  cifra  vicenaria  sono  da  congiungere  que- 
gli aurei  che  recano  teste  umane  di  profilo  con  le  note  di  va- 
lore X  e  del  peso  di  oltre  a  0,50  gr.  e  con  le  note  di  AXX 
del  peso  di  gr.  1,30  ad  1  e  40:  dai  quali  ragionevolmente  dedu- 
ciamo che  ci  manca  tuttavia  l'aureo  colla  nota  1^  e  con  ogni 
probabilità  le  frazioni  inferiori  3I1X,  A,  •!■ 

Ora  ho  da  por  mente  ad  una  serie  di  ori  e  di  argenti  che 
non  ha  niente  di  comune  con  quelle  che  abbiamo  considerate 
finora.  Queste  consistono  di  aurei  a  testa  di  leone  e  rovescio 
liscio  dei  quali  si  sono  finora  trovati  tre  che  portano  le  note 
di  valore  1^,  AXX,  5IIX.  E  in  prima  si  dimanda  a   qual  città 

6 


44 


BTEUEIA 


della  Etruria  appartengono.  Essi  sono  stati  attribuiti  finora  a 
Populonia  ma  non  si  saprebbe  dire  per  qual  serio  motivo.  Pe- 
rocché sulle  monete  sicuramente  populoniesi  non  è  finora  apparso 
il  tipo  della  testa  leonina.  Il  tipo  del  leone  intero  in  argento 
con  lingua  egualmente  sporgente  e  del  peso  di  gr.  oltre  a  16 
attende  la  sua  destinazione  :  ma  questa  non  sarà  di  certo  Popu- 
lonia, sebbene  quella  tal  città  della  quale  si  legge  il  nome 
solito  scolpirsi  in  questi  tempi  sul  campo  liscio  del  riverso. 
È  solo  esso  per  quanto  so  dei  quattro  esemplari  a  me  noti  che 
porti  una  leggenda  e  l'ha  dato  a  conoscere  il  oh.  Poole  (A  Catal. 
of  the  greek  coins,  p.  7  n.  1).  Vistane  l'importanza  ne  diman- 
dai un  calco  ed  è  da  questo  che  fo  dipendere  la  mia  lezione 
alquanto  diversa  da  quella  dell'editore.  Io  convengo  con  la  tra- 
scrizione di  tre  lettere,  ma  mi  diparto  solo  da  queir  una  che  al 
Poole  è  sembrata  im  h  e  a  parer  mio  dev'  essere  un  3  con  le 
appendici  traverse  non  riuscite  nel  conio,  che  ha  lasciato  anche 
una  nappa  di  metallo.  La  voce  adunque  non  può  essere  che 
ìOm  ovvero  =I03I1  voce  non  intera  la  quale  si  accosta  al  nome 
^HV03h.  Questa  città  dove  fosse  non  è  chi  lo  possa  dire:  ma 
non  fa  maraviglia  perchè  neanche  si  sa  dove  fu  AJBOB'I,  dove 
A+3W,  dove  3>JI30,  dove  EYE®,  dove  011513=1,  nomi  tutti  che 
ci  sono  rivelati  dalle  monete  etrusche,  per  tacere  di  quelli  noti 
per  le  sole  iniziali  A,  V,  /V\,  !).  A  questa  unità  maggiore  con  la 
epigrafe  303t1  parmi  corrisponda  quella  monetina  che  porta 
per  tipo  la  testa  del  leone  e  pesa  gr.  1,07  dichiarando  col  peso 
di  essere  la  decima  parte,  e  con  la  nota  X  che  ha  sotto  di  se 
dieci  parti  inferiori. 

Il  tipo  del  leone  è  notissimo  per  le  monete  dei  Focosi  di 
Velia,  che  fondarono  Alalia  in  Corsica.  Può  quindi  stabilirsi 
con  fondamento  ohe  questa  Nethu  sia  una  loro  colonia  mentre 
un'  antica  tradizione  attribuiva  ai  Corsi  la  fondazione  di  Popu- 
lonia (Servius  ad  Aen.  X,  172).  Anche  questo  tipo  evidente- 
mente focose  prova  che  la  monetazione  dell'  oro  cominciò  al  piìi 
presto  verso  il  160  nella  quale  epoca  i  Pocesi  trapiantarono  il 
loro  soggiorno  in  Corsica. 

Gli  Etruschi  ancora  inventarono  una  moneta  d'oro  liscia 
da  ambedue  i  lati  e  per  lo  piìi  di  forma  globulare  schiacciata 
solo  marcando  la  minore  unità  della  nota  ■!■  fra  due  punti,  del 
peso  di  gr.  0,06.  La  serie  di  queste  monete  viene  dall'antica 
Blera,  oggi  Bieda  :  il  pezzo  maggiore  di  gr.  5,24  ce  lo  ha  man- 
dato Chiusi. 

Notilissima  è  l'arte  di  Bolsena,  oggi  Orvieto,  nei  tre  pezzi 
che  ne  abbiamo  con  la  leggenda  Il1flm<l33  che  nella  frazione 
inferiore  è  abbreviato  in  VN3ì  il  cui  intero  darebbe  Felsuna 
ovvero  Felsfia  stando  al  Felznani  della  maggiore  unità,  e  al 
Felsnach  ravvisato  nelle  pitture  vulcenti  {Diss.  archeol.  II  p.  64). 
Questi  pezzi  secondo  che  ha  già  notato  il  Gamurrini  si  corri- 
spondono esattamente  fra  loro  dacché  la  quarta  parte  pesa  un 
grammo  e  quindici  centigrammi  e  l'intero  che  porta  due  de- 
cine XX  ne  pesa  quattro  e  67.  Sono  della  più  bella  e  florida 
epoca  e  però  notabilmente  posteriori  a  quella  degli  aurei  di 
Nethu  il  cui  ^  pesa  grammi  4,25,  ma  si  divide  in  metà  AXX 
e  in  quarti  XIIC,  nei  quali  le  due  frazioni  inferiori  ben  si  cor- 
rispondono, ma  non  ragguagliano  la  maggiore  unità  dandoci 
gr.  2,86  in  luogo  di  gr.  4,24.   Stando   le  proporzioni  dell'uno 


a  16  ben  si  deduce  che  da  gr.  4,24  avendo  per  la  quarta  parte 
gr.  1,06  si  otterrà  una  unità  di  argento  di  gr.  16,96  qual  è 
presso  a  poco  il  valore  del  nummo  coll'intero  leone  :  e  però  si 
può  dir  certo  che  le  due  frazioni  non  si  corrispondono  con  la 
unità  di  gr.  4,24  ma  con  altra  più  debole. 

Dopo  l'argento  e  l'oro  di  Pupluna,  e  di  Nethu  e  l'oro  di 
Felzna  passiamo  ad  altre  città  etrusche.  Non  vi  è  moneta  di 
nobile  metallo  che  porti  il  nome  di  Tarquinia,  di  Vulci,  di 
Telamone,  di  Vetulonia,  di  Volterra,  di  Chiusi  o  d'altra  delle 
piii  note  città  nella  storia,  se  ne  eccettui  Cortona  :  si  può  solo 
congetturare  che  Cosa  ebbe  la  sua,  ed  ecco  in  qual  modo 
si  procede.  Un  nummo  col  tipo  della  testa  di  Gorgone  del  va- 
lore di  due  decine,  XX,  fu  posseduto  dal  dottor  Puertas,  che 
ne  lasciò  memoria  in  una  scheda  conservata  nel  Museo  di  Fi- 
renze. Egli  ne  disegna  il  rovescio  ponendovi  un  pesce  proba- 
bilmente tonno  e  di  sotto  la  intera  voce  KOSM.  Il  Puertas  non 
si  è  mai  citato  fin  ora  che  con  lode,  ne  v'  era  motivo  di  trascri- 
vere in  moneta  ben  nota  di  Pupluna  un  nome  allora  non  inteso. 
Intanto  ai  nostri  studi  questo  nome  ha  un  valor  singolare  :  pe- 
rocché ci  offre  in  greche  lettere  e  in  dialetto  dorico  la  vera  e 
originai  denominazione  di  Cosa,  della  quale  qualche  debole  trac- 
cia se  ne  ha  nei  codici  di  Plutarco  dove  si  legge  (l'ito  Fta- 
min.,  1,  6)  Kàraa;  e  Consa,  Consantts  si  legge  in  parecchi  codici 
di  Livio  (ed.  Draken.  T.  Ili,  250,  512).  È  proprio  del  dia- 
letto cretese  di  mutare  Movaa  in  Móvaa,  vnà^xovaa  in  vTiaQ- 
ypvtìa.  È  quindi  chiaro  che  la  Kàtsa  e  Eóoaa  si  poteva  essere 
detta  Kóvcta,  cambiato  solo  Vco  in  o  nel  manoscritto  di  Plu- 
tarco. Il  tipo  del  rovescio  ricorda  il  Qvvvoaxónstov  che  al  ri- 
ferire di  Strabene  era  fabbricato  presso  di  Cosa  per  la  pesca 
dei  tonni..  Non  meno  evidente  è  il  nummo  del  Museo  di  Fi- 
renze battuto  dai  Cortonesi.  Costoro  come  Etruschi  il  cui  alfa- 
beto rifiuta  la  vocale  o  si  appellano  Curt...  I  tipi  sono  al  dritto 
una  testa  giovanile  a  d.  e  alla  nuca  la  nota  A  del  valore:  al 
riverso  due  tentacoli  di  polpo  e  a  d.  TQV)  con  la  metà  supe- 
riore uscita  di  conio,  ma  che  facilmente  si  compie  Curtuna. 

Meno  agevole  sarà  il  modo  che  si  dovrà  tenere  per  divi- 
nare quale  città  si  abbia  coniata  la  moneta  che  porta  per  tipo 
un  calamaio  detto  loligo  dai  Latini,  e  di  sotto  un  X  :  di  questo 
nummo  si  é  trovato  anche  il  duplicato  con  lo  stesso  tipo  e  di 
sotto  il  XX:  il  peso  del  X  è  gr.  11,5  e  quello  del  XX  di  gr.  22,55. 
Già  sapremo  a  qual  città  si  possano  probabilmente  attribuire 
quei  nummi  che  hanno  di  peso  undici  grammi  :  ma  ciò  che  im- 
porta è  la  provenienza:  perchè  sappiamo  che  il  XX  in  doppio 
esemplare  è  stato  recato  al  marchese  Strozzi  da  Pisa.  Ora  cer- 
cando quale  analogia  passa  fra  il  tipo  del  calamaio  e  Pisa  la 
troveremo  nel  racconto  di  Plinio  che  presso  Servio  [ad  Virq. 
X,  179)  si  attribuisce  a  Catone,  essere  stata  Pisa  in  prima 
fondata  dai  Greci  Teutoni,  detti  anche  Teutones  e  Teutae,  i  quali 
la  loro  città  dissero  Teuta,  il  qual  nome  poscia  i  nuovi  coloni 
cambiarono  in  Pisa.  Non  par  quindi  inverosimile  che  i  Pisani 
alludendo  al  primitivo  lor  nome  si  siano  dati  per  tipo  un  cala- 
maio che  i  Greci  per  l'appunto  chiamano  in  loro  lingua  Tsvdog, 
e  TsvOig.  Così  la  seppia,  (Xì^nid  diede  il  nome  arjnovg  alla  città 
clie  i  Latini  dicono  Sipontum. 

Una  moneta  d'argento   del  peso   di  gr.  22,55  del  valore 


ETRUEIA 


45 


di  XX  unità  la  cui  metà  pesa  grammi  11,5  del  valore  di  X 
non  si  conosce  altrove  liattuta  in  Italia;  non  dai  Greci,  né 
dai  Latini.  Attribuiremo  adimque  al  commercio  coi  Fenicii  del- 
l'Africa e  dell'Asia  i  vari  sistemi  seguiti  e  introdotti  nelle 
città  etrusche. 

B  questa  opinione  sembrerà  piti  verisimile  se  vi  aggiun- 
giamo in  conferma  un  secondo  fatto  che  ci  risulta  dall'esame 
di  altra  serie  etrusca,  che  porta  per  tipo  l'ippocampo. 

I  pezzi  trovati  tìnora  sono 

oro  A    gr.  2,75  (tav.  CXXV,  13). 

argento    C    gr.  2,02  (tav.  LXXI,  28). 

ce  gr.  4,18,  4  (ibid.  27). 

L    gr.  5,35  (ib.  30). 

È  chiaro  che  l'aureo  rappresenta  la  metà  di  una  unità  mag- 
giore, che  deve  avere  avuto  di  peso  gr.  5,50,  il  cui  duplicato 
che  supponiamo,  perchè  il  cinque  rappresenta  una  frazione, 
sai-à  stato  di  gr.  11,00.  Parimente  se  poniamo  la  minore  imita 
dell'oro  in  ragione  del  16  di  argento,  avremo  1 :  16  =  gr.  8,30, 
e  poiché  il  pezzo  di  argento  con  la  nota  CC  pesa  gr.  4,18,  cioè 
là  metà,  dedurremo  che  il  pezzo  di  gr.  8,30  portava  il  valore 
di  ecce  cioè  XXXX  e  progredendo:  il  pezzo  di  gr.  16,60  = 
tXXX  e  quello  di  gr.  20,90  =  DIC. 

Passiamo  al  pezzo  di  argento  col  cerbero  al  riverso  del 
peso  di  gr.  5,35.  Questo  porta  la  nota  della  metà  < ,  adunque 
vi  fa  un  pezzo  di  gr.  10,70  del  valore  di  X,  e  un  pezzo  di 
gr.  21,40  del  valore  di  XX.  Le  quali  divisioni  e  multipli  ci 
portano  evidentemente  al  tridrammo  (vedi  Eeggio)  o  alla  pu- 
nica monetazione  dell'oro  e  dell'argento  in  Sicilia. 

Tra  le  città  di  nome  e  di  sito  ignoto  possono  prendere  il  primo 
posto  quelle  che  troviamo  scritte  Thezi  e  Thezle.  Il  confronto 
della  doppia  e  triplice  maniera  di  scrivere  una  città  Felzna  e 
Felsw,  Pupluna  e  Furlana,  Fati,  Fatalu  e  Fetlunfa  può  in 
certa  guisa  giustificare  la  ipotesi  che  come  la  prima  e  la 
seconda  moneta  che  portano  scritto  0EII  così  anche  la  terza 
sulla  quale  si  legge  OEIUE  appartengano  ad  un  sol  popolo. 
Bisogna  però  far  notare  che  i  pesi  della  prima  gr.  11,12  gr.  11,30 
non  si  corrispondono  col  peso  della  seconda  gr.  8,23  né  con 
quelli  della  terza  gr.  9,91  :  anche  i  tipi  appellano  ad  epoche 
diverse.  Può  darsi  che  i  sistemi  siansi  cambiati  :  v'  è  per- 
tanto da  fare  gran  caso  dei  tipi  della  seconda  moneta:  essi 
sono  al  dritto  la  testa  diademata  di  un  uomo  in  tetro  sembiante 
e  volto  di  terzo  a  sinistra  dalla  qual  parte  sono  volte  le  due 
serpi  che  le  guizzano  intorno  :  al  riverso  poi  v'  è  la  sfinge  che 
siede  a  destra:  nelle  quali  rappresentanze  parmi  troppo  evi- 
dente che  si  abbia  coUa  sfinge  tebana  anche  la  testa  di  Edipo, 
quale  dicevasi  che  si  elevasse  dal  suolo  presso  l'ara  delle  furie 
a  cui  alludono  le  serpi,  per  maledire  di  nuovo  i  figli  suoi.  Come 
poi  la  favola  tebana  sia  divenuta  \m  tipo  della  moneta  di  Thezi 
etrusca  in  tanta  oscurità  di  emigrazioni  e  di  storia  io  non  credo 
facile  il  poterlo  conoscere.  Aggiungasi  nella  moneta  di  Thezle 
la  protome  del  bue  che  non  senza  verosimiglianza  direbbesi  al- 
ludere aUa  Beozia,  mentre  il  mostro  marino  del  riverso  facil- 
mente allude  al  mare.  La  furia  deUa  prima  moneta  sebbene 
pili  vagamente  può  ancor  essa  alludere  al  mito  medesimo. 


Le  medesime  terre  etrusche  ci  mettono  poi  innanzi  la  città 
detta  Echethia  nella  moneta  che  porta  i  tipi  di  una  testa  mu- 
liebre laureata  con  pendenti  agli  orecchi  volta  ad.  e  al  riverso 
un  gufo  con  la  leggenda  3  EtE®  < .  Lasciando  stare  l'insolito  simbolo 
dell'uccello  funesto  che  forse  vi  sta  come  sacro  aUa  ninfa  Orfne 
sua  madre  e  moglie  dell'Acheronte,  diciamo  che  probabilmente 
di  questa  Echethia  parla  Stefano  di  Bizanzio  in  un  luogo  che 
il  Meineke  col  Cluver  ha  creduto  corrotto  sostenendo  che  si 
debba  leggere  "Ex^^qa  città  nota  e  nominata  sol  tre  linee  dopo 
dallo  stesso  grammatico  geografo.  Ma  eglino  dovrebbero  anche 
sostenere  che  il  derivato  'Exénaróg  sia  sbagliato,  il  che  non  fanno 
né  ponno  fare  avendo  contro  l'autorità  dell' Alicarnasseo  Dionigi. 
Niente  pertanto  si  guadagna  intorno  al  sito  di  questa  Echethia 
etrusca.  Resta  finalmente  Metl.Ai-BWi  posta  innanzi  ad  una  testa 
giovanile  laureata  in  moneta  che  ha  il  riverso  liscio.  Che  sia 
Mèlelia  o  Metilia  e  congettura,  ma  del  sito  ove  fu,  non  abbiamo 
nulla  da  dire. 

Non  debbo  qui  omettersi  una  singolarità  che  giova  a  for- 
marsi un  alto  concetto  del  commercio  marittimo  degli  Etruschi 
coi  popoli  di  Oriente.  Ciò  si  deduce  dal  bisogno  che  essi  mo- 
strano di  adoperare  sulla  moneta,  oltre  alle  proprie  cifre  espri- 
menti il  valore,  anche  le  cifre  greche  e  persiane.  Questo  sistema 
che  ora  a  noi  reca  imbarazzo  e  incertezza  non  doveva  recarlo 
una  volta  quando  le  serie  erano  complete  e  le  città  distinte. 
Non  può  però  dirsi  altrettanto  delle  monete  di  Pupluna  dove 
non  pare  che  siasi  mai  coniato  un  pezzo  di  XXX  del  quale 
il  AX  ovvero  il  A  sotto  altra  forma  esprimesse  la  metà  del  tutto. 

Parliamo  ora  delle  nuove  cifre,  e  cominciamo  dalla  greca  § 
che  si  è  veduta  nel  sesterzio  etrusco  scambiarsi  colla  cifra  A 
di  altro  esemplare.  Un  secondo  esempio  l'ho  da  una  monetina 
di  bronzo  rappresentante  al  dritto  la  testa  di  Mercurio  sotto 
alla  quale  è  notato  un  C,  nel  riverso  v'è  la  civetta  con  la  epi- 
grafe A^BOn-l  e  a  sinistra  della  civetta  la  cifra  ^ ,  dinotante 
la  metà  al  pari  della  cifra  etrusca  C  impressa  nel  dritto. 

In  una  moneta  della  quale  si  hanno  due  esemplari  l'uno 
nel  Museo  Britannico,  ma  cosi  guasto  e  coperto  dall'ossido  in 
quella  parte  dove  sogliamo  cercare  la  nota  del  valore  che  al 
eh.  Poole  non  é  riuscito  decifrare:  ma  l'altro  esemplare  che  é  nel 
Museo  di  Firenze  è  cosi  netto  che  ci  fa  conoscere  di  sopra  del- 
l'ippocampo accanto  ad  un  delfino  la  nota  CC  deUa  quale  occorre 
che  qui  ci  occupiamo.  Pesa  gr.  4,18.  Un  nummo  coi  tipi  me- 
desimi del  peso  di  una  metà,  cioè  di  gr.  2,02  del  quale  pure 
si  hanno  due  esemplari  con  questa  varietà ,  che  nel  primo  v'è 
per  cifra  un  X  e  di  sotto  all'ippocampo  un  C  ;  nel  secondo  esem- 
plare fattoci  conoscere  dal  Bompois  l'ippocampo  è  volto  a  sinistra 
e  ha  di  sopra  la  sola  cifra  D,  omessa  ogni  altra.  Ma  ecco  un 
aureo  cogli  stessi  tipi  della  collezione  Strozzi  dove  la  cifra  sot- 
toposta all'ippocampo  è  un  A.  Il  suo  peso  è  di  gr.  2,75. 

Comparando  queste  preziose  monetine  noi  deduciamo  che 
la  cifra  CC  contiene  il  doppio  valore  di  quello  che  ha  la  cifra  D 
corrispondendovi  anche  il  peso  che  è  la  metà  :  ma  in  pari  tempo 
dobbiamo  conchiudere  che  i  C  vale  X,  non  solo  per  questo  con- 
fronto, ma  perchè  vediamo  l'X  scambiarsi  col  D  del  secondo  esem- 
plare. Impariamo  anche  dall'esemplare  Strozzi  che  il  cinque  è 
anche  significato  dalla  cifra  A,  cioè  che  la  C  del  secondo  esem- 


46 


ETRUKIA 


piare  ha  il  valore  generico  di  metà,  e  particolare  di  dieci  : 
lo  che  conferma  la  osservazione  fatta  di  sopra  relativa  alla 
doppia  maniera  di  significare  il  numero  o  in  sé  come  X  o  rela- 
tivamente alla  unità  maggiore  come  A  ovvero  C,  cioè  metà. 
Ci  si  potrebbe  da  taluno  dimandare,  come  si  può  spiegare 
questo  doppio  significato  della  cifra  C  che  ora  dinotala  metà 
ora  il  numero  dieci.  Io  invero  noi  saprei  spiegare  se  non  mi 
si  offrisse  nella  scrittura  orientale  un  buon  confronto. 

Questo  ci  viene  dalla  Fenicia,  che  si  serve  della  lunetta  D 
per  esprimere  il  dieci  e  questa  pei  multipli  raddoppiano  scri- 
vendone due  0  tre  o  quante  ne  abbisognano  (Gesen.  Script,  lin- 
guaeq.  phoenio.  inonum.  pag.  87:  cf.  Pihan,  Exposé  dea  ùgnes 
de  numération,  p.  165)  :  le  quali  cifre  i  Penicii  le  hanno  co- 
muni coi  Persiani  e  cogli  Assiri  che  nell'alfabeto  cuneiforme 
esprimono  con  la  lunetta  ad  angolo  il  daca  <,  e  il  visali  «  cioè 
il  dieci  e  il  venti  (Pihan,  op.  oit.  pagg.  45,46).  Ecco  quanto  si 
può  per  ora  dire  a  fin  di  spiegare  cotesta  nuova  e  ignota  ma- 
niera di  cifre  numeriche  adoperata  dagli  Etruschi,  nel  cui  uso 
volgare  etrusco  la  cifra  D  è  una  variante  del  A,  che  si  scrive 
anche  giacente  or  sull'uno  or  sull'altro  lato  >,  <    e  boccone  r\ . 

L'osservazione  che  sono  per  fare  mi  conferma  nella  sen- 
tenza che  a  spiegare  queste  cifre  bisogna  rivolgersi  ai  Penicii. 
In  quelle  monete  che  in  prima  a  riverso  liscio  poi  di  doppio 
rilievo  si  legge  notato  il  numero  XX  che  gli  Etruschi  sogliono 
dividere  interponendo  or  quattro  globetti  ■  ".  • ,  or  due  :  che  di 
frequente  chiudono  fra  due  linee  parallele  1:1  si  vedono  ancora 
esternamente  a  destra  e  a  sinistra  due  piccoli  cerchi,  che  chia- 
meremo zeri,  perchè  identici  a  cotesta  cifra.  Incerto  è  tuttavia 
che  a  noi  l'abbiano  comunicata  gli  Arabi;  l'uso  però  che  ne 
facciamo  che  è  di  multiplicare  per  dieci  il  numero  dopo  del 
quale  lo  poniamo,  non  si  può  rivocare  qui,  come  è  chiaro.  Bi- 
sogna dunque  rivolgersi  ad  una  scrittura  nella  quale  il  numero, 

0  è  preceduto  o  è  seguito  da  un  zero,  non  perciò  cambia  di  va- 
lore. E  questa  è  la  Fenicia  ove  le  cifre  numerali  che  dinotano 
il  dieci  con  una  linea  retta  orizzontale,  ovvero  con  una  curva  5, 
si  accompagnano  indifferentemente  a  destra  o  a  sinistra  con  un 
zero  (Gesen.,  op.  cit.  p.  87;  Pihan,  op.  cit.  p.  185).  Gli  Etruschi 
usano  di  separare  ima  parola  dall'altra  con  due  punti  vertical- 
mente posti:  il  principio  e  la  fine  dell'epigrafe  adornano  con 
una  lunetta  volta  in  contrario  a  destra  e  a  sinistra:  pongono 
talvolta  due  astri  o  compiono  il  vuoto  se  l'epigrafe  è  circolare 
ponendovi  i  segni  del  sole  e  della  luna.  Le  quali  cose  è  d'uopo 
avvertire  anche  perchè  gli  astri  a  quattro  raggi  non  si  pren- 
dano per  numeri  come  è  avvenuto  al  P.  Eckhel  nel  pubbli- 
care ima  moneta  etrusca  del  Museo  di  Firenze  {Numi  vel.  pag.  10 
tab.  I  n.  9). 

La  più  antica  serie  di  bronzo  coniato  in  Etruria  si  è  quella 
che  ha  il  camp_o  del  dritto  convesso  col  tipo  in  rilievo,  al  quale 
è  congiunto  un  riverso  piano  coi  tipi  incussi.  Non  vi  si  è  letta 
finora  veruna  epigrafe;  e  le  divisioni  e  il  peso  non  dipendono 
per  nulla  dal  sistema  romano  della  moneta  coniata  di  bronzo. 

1  pezzi  che  ne  abbiamo  vanno  dal  cinque  di  gr.  3,07  al  cin- 
quanta e  dal  cinquanta  di  gr.  20,40  al  cento  di  gr.  40,  80. 
Portano  costantemente  sul  dritto  per  tipo  la  testa  di  una  di- 
vinità e  sul  riverso  l'imagine  di  un  animale  a  lei  sacro,  a  cui 


nel  pezzo  di  cinque  si  è  surrogato  un  simbolo.  L'ippocampo 
che  è  sul  riverso  della  maggiore  unità  sembra  riportare  questa 
serie  a  quell'argento  che  ha  per  tipo  cotesto  medesimo  fanta- 
stico animale. 

Alla  classe  delle  monete  fuse  sembrano  doversi  assegnare 
quei  piccoli  bronzi  che  sono  contrassegnati  dalle  due  facce  con 
tipi  incusi.  Tre  sinora  io  ne  conosco,  tutti  però  trovati  in 
luoghi  diversi.  Quello  di  Belona  nell'Orvietano  che  è  fuso  nelle 
staffe,  l'altro  di  Ancarano,  e  il  terzo,  che  è  venuto  in  Roma 
al  sig.  Stettiner  da  Perugia.  Portano  questi  da  un  lato  una  specie 
di  croce  equilatera  e  il  primo  ha  dal  riverso  un'  àncora,  gli  altri 
due  una  mezza  luna;  il  lor  peso  non  è  maggiore  dell'oncia. 

Ad  un  terzo  sistema  riferiremo  quelle  eleganti  monetine 
colla  nota  delle  iniziali  5,  ì,  \M,  AA  battute  verosimilmente  ai 
tempi  di  Pirro,  quando  anche  Todi  e  Peithesa  battono  la  loro 
moneta,  e  quelle  tre  città  che  si  dissimulano  nelle  lettere  5,  ]M,  N\. 
Dalle  quali  si  debbono  distinguere  per  anteriorità  e  per  sin- 
golarità di  tipo  che  è  ruota  al  dritto  e  accetta  bipenne  al  ri- 
verso quella  serie  che  si  rende  singolare  per  le  iniziali  5,  1,  V, 
i  quali  bronzi  constano  della  nota  e  del  peso  che  valsero,  l'unità, 
la  metà  di  essa  e  la  quarta  parte.  Il  peso  delle  maggiori  unità 
non  suole  arrivare  ai  dodici  grammi. 

Le  monete  di  Pupluna  e  di  Patluua  non  mi  paiono  ante- 
riori alla  dominazione  romana.  Il  piii  alto  peso  che  si  abbiano 
non  è  maggiore  della  mezz'oncia  incirca.  La  nota  di  valore  fu- 
rono da  principio  due  globetti  che  pei  Latini  segnano  il  sestante; 
ma  ben  tosto  i  globetti  furono  quattro  e  si  hanno  esempi  della 
moneta  coi  due  globetti  ribattuta  per  quattro.  Di  cotesto  nummo 
col  tipo  di  Pallade  al  dritto  e  la  civetta  volante  al  riverso  coi 
quattro  globetti  conosciamo  una  serie  composta  di  tre  pezzi, 
che  chiameremo  alla  latina,  triente,  quadrante  (or  ora  trovato  e 
posseduto  dal  sig.  Mazzolini)  e  sestante.  Questi  due  spezzati 
minori  non  si  sono  peranco  trovati  ribattuti,  ed  è  però  proba- 
bile che  non  vi  fosse  in  origine  che  il  solo  sestante,  riconiato 
per  triente,  quando  si  creò  coi  tipi  medesimi  e  gli  si  diedero 
i  spezzati  minori  suddetti. 

Populonia  coniò  di  poi  sestanti  con  questi  tipi.  Testa  di 
Vulcano  e  al  riverso  martello  e  tenaglia:  Testa  di  Mercurio  e 
al  riverso  il  caduceo.  Cotesti  bronzi  sogliono  essere  ribattuti 
sui  sestanti  col  tipo  della  Pallade  ;  e  il  motivo  parmi  sia  stato, 
perchè  ne  fu  cambiata  la  nota  di  valore,  da  due  globetti  a 
quattro,  e  vi  si  aggiunse  una  seconda  nota  che  fu  un  X,  dino- 
tandosi così  che  i  quattro  globetti  equivalevano  ad  una  unità 
che  a  guisa  dell'obolo  attico  conteneva  dieci  unità  minori. 

Si  hanno  separatamente  da  tutti  questi  due  bronzi  del  peso 
medesimo  ma  colla  nota  del  sestante.  I  tipi  del  primo  sono  testa 
di  Vulcano.  R.  Tenaglia  e  martello  con  l'epigrafe  attestante 
un'  alleanza  con  Camars  e  Felalu  (ib.  n.  3  Tav.  LXXIII 
n.  10):  quei  del  secondo  sono  testa  di  Ercole  giovane  diademata 
e  colla  clava  presso  al  collo,  al  cui  riverso  sono  l'arco,  lo  strale, 
la  clava  e  la  leggenda  MNMV^  con  due  globetti. 

Questa  Fetalu  è  di  certo  Vetwlonia,  la  quale  separatamente 
batte  piccoli  bronzi  con  la  nota  di  sestante,  e  la  metà  di  esso 
ma  senza  nota  di  valore.  Il  tipo  costante  si  è  una  testa  gio- 
vanile coperta  dalla  spoglia  di  cignale  e  al  riverso  il  ferro  di 


T.  LXXI 


ETEUEIA 


47 


tridente  fra  due  delfini  in  atto  di  sommersarsi  nelle  onde  del 
mare.  Il  nome  della  cittii  e  +Aì,  ovvero  >ltAì. 

Yetulonia  ci  lia  dato  di  recente  due  esemplari  di  uu  bronzo 
che  porta  dalle  due  facce  la  nota  del  quadrante,  e  al  dritto  una 
testa  giovanile  coperta  della  spoglia  a  quanto  si  può  giudicare 
di  un  delfino,  ài  riverso  un'  àncora,  dove  a  rincontro  dei  tre  glo- 
betti  appare  un'epigrafe  fl  a  +3  di  tre  lettere;  fra  le  quali  è  il 
globetto  di  grandezza  eguale  ai  tre  dinotanti  il  valore.  Nuovo 
è  ancora  il  bronzo  che  reca  per  tipo  una  testa  muliebre  galeata 
a  sin.  e  al  riverso  un  mezzo  mostro  marino  a  zampe  collo  e 
testa  fantastica:  il  nome  della  città  è  ^f)H^Q3ì.  Erano  finalmente 
noti  i  due  esemplari  di  un  bronzo  che  pone  per  iniziale  della 
sua  zecca  un  W,  e  per  tipo  ima  testa  giovanile  a  d.  e  al  ri- 
verso un  campo  ornato  di  mezze  lune  e  stelle. 

Questo  è  quanto  si  è  finora  scoperto  e  saputo  del  bronzo 
coniato  dagli  Etruschi. 


BLERA,  CAMAES 
Tav.  LXXI. 

1.  Museo  di  Firenze.  Apre  la  serie  delle  monete  di  oro  etrusche 

una  piastrelUna  rotonda  senza  tipo  e  rilevala  come  gemma 
sul  piano  del  cerchio  che  la  serra.  È  stata  trovata  a  Chiusi  e 
pesa  grammi  5,24.  Il  G-amurrini  che  l'ha  publicata  (Period. 
del  march.  Stro-zì,  an.  VI  pag.  64  Tav.  Ili  n.  10)  opina  a 
pag.  14  che  questo  pezzo  possa  rappresentare  le  cento  litro 
etrusche  assai  scadenti.  Egli  pone  adunque  un  grammo  d'oro 
uguale  a  XX  litro  di  argento,  cioè  le  monete  di  gr.  16 
uguali  a  XX  litre,  e  però  le  Gorgoni  del  valore  di  X  litro 
uguaglieranno  un  mezzo  grammo  d'oro.  DaUe  terre  mede- 
sime provengono  i  seguenti  pezzi  della  collezione  Strozzi: 

1.  Tondino  d'oro  senza  tipo  o  di  forma  globulare  schiac- 
ciata, ma  grossa,  del  peso  di  gr.  0,120. 

2.  Piastrellina  di  forma  parimente  globulare  schiacciata 
di  gr.  0,090. 

3.  Tondino  della  medesima  forma.  Ve  pure  sul  piano 
liscio  rilevalo  il  numero  -l-  fra  due  globetti.  Pesa  gr.  0,060. 
Or  anche  Bieda  ha  mandato  pezzi  d'oro  senza  tipo  che  si  con- 
servano egualmente  nella  ricca  collezione  del  march.  Strozzi, 
alla  cui  cortesia  io  debbo  anche  le  indicazioni  che  seguono  : 

1.  di  forma  globulare  schiacciata  ma  di  molto  spessore: 
pesa  gr.  0,760, 

2.  di  forma  globulare  non  schiacciata:  pesa  gr.  0,530, 
8.  di  forma  globulare  non  schiacciata:  pesa  gr.  0,380, 

4.  di  forma  globulare  non  schiacciata:  pesa  gr.  0,180. 

2,  3.  Di  tutti  cotesti  pezzetti  la  mia  tavola  porta  incisi  due  sol- 

tanto cioè  il  n.  4  di  Bieda  (Tav.  n.  2),  e  il  n.  3  di  Chiusi 
(Tav.  n.  3). 

NETHV 

4-6.  Coli.  Strozzi.  Testa  di  leone  messa  di  profilo  a  d.  con 
lingua  sporgente.  Di  sotto  della  testa  v'  è  la  nota  1^  del 
valore,  che  vuol  dire  cinquanta,  il  suo  peso  è  gr.  4,24.  Nella 
medesima  insigne  collezione  si  trovano  due  frazioni  infe- 
riori con  questo  tipo,  variando  solo  la  noia  che  nel  n.  5 
è  AXX,  cioè  venticinque  :  il  cui  peso  è  di  gr.  1,43,  e  nel 


n.  6  è  Xll>  cioè  dodici  e  mezzo;  il  peso  è  di  gr.  0,72. 
Ora  mi  si  annunzia  la  scoperta  di  im  secondo  esemplare  con 
testa  di  leone  e  il  numero  AXX  trovato  nei  pressi  di  Popu- 
lonia,  il  suo  peso  è  di  gr.  1,50.  Ho  dichiarato  nella  mia 
Sylloge  la  origine  delle  cifre  numeriche:  ivi  dissi  che  il 
cinquanta  '^  è  nato  della  metà  della  cifra  che  dinota  cento  >K, 
e  così  il  cinque  A  dal  X.  Fanno  insomma  gli  Etruschi  l'in- 
tero e  lo  dividono  in  due  parti  servendosi  di  una  d'  esse 
per  esprimere  la  metà.  La  linea  verticale  moltiplica  per 
dieci.  Or  aggiungo  che  il  cinque  A  si  esprime  con  la  metà 
inferiore  o  laterale  del  X  e  però  giacente  su  di  uno  dei 
lati  a  destra  <  di  che  abbiamo  qui  un  esempio,  ovvero  a 
sinistra,  >,  che  vedremo  appresso.  Queste  due  lunette  o  linee 
angolari  volte  di  fuori  fanno  >!<  il  cento,  volte  in  dentro  CD 
fanno  il  mille.  La  linea  verticale  inchiusa  nella  cifra  ha 
il  valore  di  moltiplicare  per  dieci. 

7.  Museo  di  -Firenze.  Testa  di  donna  con  collana  volta  a  d. 
Alla  nuca  è  la  nota  AXX.  Proviene  da  Eoselle  e  pesa 
gr.  1,30.  Un  secondo  esemplare  di  cotesto  tipo  viene  dalle 
terre  di  Populonia  ed  è  nella  coli.  Strozzi:  pesa  gr.  1,40. 
Un  terzo  della  coli,  medesima  proviene  dalle  terre  di  Buon- 
convento:  pesa  gr.  1,38.  Un  quarto  è  posseduto  dal  conte 
Mancini  in  città  di  Castello  e  pesa  gr.  1,36  (Vedi  Ga- 
murrini,  op.  cit.  Tav.  Ili,  4,  5,  6).  Un  quinto  è  nella  col- 
lezione Mazzolini  in  Campiglia. 

8-11.  Coli.  Lovatti  (').  Testa  giovanile  nuda  con  capelli  corti, 
volta  a  d.  ha  davanti  la  nota  X  del  valore  e  dietro  la  nuca 
una  mezza  luna  >.  pesa  gr.  0,53.  Nell'esemplare  posto  al 
n.  9  che  è  nel  Eircheriano  la  testa  guarda  la  destra  e  il 
segno  di  valore  sta  davanti  prendendo  la  forma  di  un  for- 
cipe: pesa  gr.  0,52.  Il  Migliarini  me  ne  descrisse  uno 
appartenente  ad  un  suo  amico,  nel  quale  dic'egli  la  testa 
nuda  era  dentro  un  circolo  volta  a  sin.  e  aveva  dinanzi 
un  X:  il  peso  era  di  gr.  0,525.  Il  n.  10  della  nostra  tavola 
è  simile  al  n.  8,  gli  manca  solo  la  mezza  luna  alla  nuca, 
il  n.  11  che  ha  la  testa  volta  a  d.  non  porta  il  numero  X 
davanti  come  il  n.  10,  ma  alla  nuca.  Questi  aurei  non  sono 
cosi  rari  come  gli  altri:  il  Gamm-rini  ne  descrive  dieci  e 
di  tre  ne  dà  anche  i  disegni  (Tav.  cit.  u.  7,  8,  9),  il  loro 
peso  va  da  gr.  0,52  a  gr.  0,60.  Dal  duca  di  Luynes  ebbi 
descritto  quello  della  sua  collezione  così:  Téte  imberbe  à 
gauche:  devant  X,  gr.  0,53. 

PELZNA 

12.  Museo  Britannico.  Testa  giovanile  con  capelli  crespi  coro- 
nata di  mirto  volta  a  sin.  Le  note  XX  di  valore  sono  divise 
l'uua  davanti,  l'altra  alla  nuca.  B.  Toro  che  va  a  sinistra 
sorvolandogli  un  uccello  con  corona  nel  rostro  :  nel  campo 
a  sinistra  è  una  stella  e  nell'esergo  si  legge  \y\(\y\1-\3^. 
Il  suo  peso  è  di  gr.  4,67.  L'ha  pubblicata  il  Friedlaender: 
ma  vi  è  stata  omessa  la  corona  {Beitr.  pi.  V  n.  3),  e  la 
sua  lezione  è  stata  Felzpapi.  Che  vi  si  debba  leggere  Fel- 


{')  Questa  collezione  ora  è  dispersa:  ma  io  qui  e  in  seguito  indico  dove 
si  trovavano  i  pezzi  quando  li  feci  disegnare. 


ETEUEIA 


T.  LXXr 


znani  e  non  Felzpapi  l'ho  detto  la  seconda  volta  nella  Civ. 
Catt.  serie  XI  voi.  11  a.  1880  quad.  720  tessendo  laverà  storia 
di  cotesta  moneta,  veduta  da  me  e  così  letta  nel  Museo  di 
Londra  l'agosto  del  1857;  dove  anche  dissi  a  parer  mio 
doversi  attribuire  a  quella  Felsina,  che  i  Komani  dissero 
Volsinium.  Il  Deecke  ha  trovato  im  argomento  da  riget- 
tare questa  moneta  fra  le  false,  e  questo  è  che  il  toro 
porta  la  coda  alta  come  se  fosse  in  attitudine  d' investire 
mentre  cammina  di  passo.  Gli  si  potrebbe  però  far  notare, 
che  propriamente  non  va,  ne  corre ,  ma  si  arresta.  Poi 
quanto  alla  coda  gli  si  può  far  osservare  che  gli  antichi 
non  ponevano  questa  coda  alzata  fra  le  attitudini  del  toro 
che  si  eccita  :  Plinio  ha  scritto  dei  tori  che  (H.  N.  Vili,  70) 
tota  comminatio  prioribus  in  pedibus:  stai  ira  glisoente 
alternos  repUcans  spargensque  in  alvum  arenam.  Pari- 
mente EMano  se  ha  notato  del  leone  (come  anche  fa  Pli- 
nio H.  N.  Vili,  19,  2)  che  con  la  coda  si  flagella  i  fianchi 
per  eccitarsi  alla  lotta  {H.  Anim.  VI,  1)  :  6  le'cov  ly 
àXxaia  èavxòv  èjisydQsi  fiagTi^oxr,  ciò  che  gli  elefanti  fanno 
colla  proboscide  ;  però  del  toro  non  altro  osserva  che  quanto 
ne  ha  detto  Plinio.  Noi  vediamo  di  fatto  che  non  sempre  i 
tori  cozzanti  sulle  monete  hanno  la  coda  alzata,  ma  talvolta 
dimessa  come  in  un  mio  didrammo  di  Turio,  e  in  un  bronzo 
di  Salpi  (T.  xeni,  13),  però  appuntano  le  corna  e  coi  piedi 
spargono  l'arena  (vedi  la  Tav.  CXXI,  31,  82).  Per  lo  con- 
trario vediamo  quei  tori  che  non  investono  portare  nondi- 
meno talvolta  alzata  la  coda,  di  che  ho  per  esempi  sugli 
occhi  due  monete  fuse  (Tav.  XXXII,  4,  5),  e  im  didrammo 
di  Napoli  col  toro  androprosopo,  e  un  tetrobolo  di  Turio 
(Tav.  CVII,  1).  Non  si  è  poi  ancora  niente  notato  dal  Deecke 
riguardo  alle  code  dei  tori  che  sostano  d'improvviso  nel 
corso,  0  che  piegano  le  ginocchia  per  adagiarsi  sul  campo 
come  l'androprosopo  di  Reggio  (T.  CXIV,  1). 
13, 14.  Il  primo  aureo  stato  già  della  Eegiua  Cristina ,  poi  nel 
Museo  del  duca  di  Bracciano,  indi  nel  Vaticano,  ove  l'addita 
l'Eckhel  {add.  ad  Doctr.  p.  16) ,  poi  nel  Museo  Wicza]' 
(Caronni,  Viaggio  p.  144,  Steimbuchel  in  not.  ad  Eckhelii 
add.),  ora  è  nel  Museo  di  Gotha.  Il  secondo  è  nel  Parigino 
Gab.  delle  medaglie.  Testa  di  donna  volta  a  d.  diademata 
con  pendenti  agli  orecchi;  davanti  è  la  nota  A.  R.  Cane 
pomerano  che  corre  a  destra,  preso  per  leone  dal  Bestini. 
Nell'esergo  del  primo  si  legge  i-Q^  e  di  sopra  del  cane  A  ; 
nell'esergo  del  secondo  V^>l3ì  ;  ed  è  privo  della  nota  A  posta 
nel  primo  di  sopra  del  cane,  al  quale  manca  anche  la  testa 
per  difetto  di  conio.  Quell'A  che  nella  prima  moneta  messa  a 
confronto  colla  seconda  poteva  sembrare  nn'  ultima  lettera 
della  leggenda  Vi<l3ì,  ora  siam  certi  ohe  non  è  se  non  la 
nota  del  valore.  Perocché  un  terzo  esemplare  se  n'  è  tro- 
vato nelle  campagne  di  Monteflaseone,  ora  nella  collezione 
Strozzi,  che  ci  ha  dato  nel  riverso  intera  la  leggenda  Vi•i3^ 
e  non  di  meno  di  sopra  del  cane  la  nota  A  del  cinque 
(v.  la  Tav.  CXXV,  n.,  13).  Il  Millingen  ragionando  (Consid. 
p.  172)  dell'esemplare  pubblicato  dal  Bestini  avverte  che 
cotesto  numismatico  l'attribuì  a  Velia:  poscia  il  Caronni 
lo  die'  a  Telsina  (Bologna).  Ma  l'Hennin  sembra  lodare  il 


Sestini  di  averlo  restituito  aVelia  (^Manuel  de  numism  .11,70) 
L'Avellino  tenne  prima  pel  Caronnni  poi  pel  Sestini  {Op.  11 
pag.  100-106).  Il  MuUer,  {Etruscher.  1. 1  p.  334)  la  stimò 
di  Volsinii.  Il  peso  di  ambedue  gli  esemplari  è  di  gr.  1,15  r 
donde  il  Gamurrini  conchiuse  che  dovessero  tenersi  per  la 
quarta  parte  della  moneta  di  Pelsina,  ed  usciti  dalla  zecca 
medesima.  Ne  pare  a  me  che  debba  fare  ostacolo  la  leggenda 
negli  uni  Felsu  e  nell'altro  Felznani  trovandosi  variate  anche 
altre  leggende  etrusche,  Pupluna,  Fufluna  e  Puplana  ; 
Fetl{una),  Fetalu{na)  e  Fatl{una),  Thezi  e  Thezle.  Questa 
doppia  denominazione  Valso  e  Volsinium  fu  nota  anche  ai 
Eomani  nei  cui  fasti  trionfali  al  460  si  legge  che  M.  Ati- 
lio  Eegolo  trionfò  DE  VOLSONIBVS  ET  SAMNITIBVS  e 
consta  da  Livio  (X,  37)  che  Volsinii,  Perusia  ed  Arretium, 
tres  validissimae  urbes,  furono  vinte  e  si  arresero.  Non 
trovo  che  veruno  abbia  finora  notato  questa  sinonimia. 

NETHU 

15.  Museo  Britannico.  Mostro   a  corpo   di  leone   desinente  in 

coda  0  testa  di  serpente  volto  a  sinistra  che  sembra  stare 
in  agguato.  R.  E  liscio  ma  vi  si  leggono  quattro  lettere  in 
rilievo  disposte  in  due  linee.  L'ha  pubblicate  il  Poole  (Calai. 

p.  7  n.  1)  e  vi  ha   letto  -.^i  nel  gesso    che   ho   davanti 

parmi  che  la  seconda  lettera  sia  invece  un  3,  sicché  unendo 
per  ipotesi  le  quattro  lettere  si  avrà  ì03H  cioè  Nethu  che  po- 
trebbe essere  il  nome  etrusco  di  Nettuno,  JI1V03I1  (Pabretti, 
Lex.  p.  1223).  Se  poi  vale  il  confronto  di  questa  moneta  con 
quelle  di  Pupluna,  che  inscrivono  il  loro  nome  parimente 
sul  campo  del  riverso  (Tav.  LXXII,  12,  15,  16,  17,  30, 
31,  32;  CXXV,  1,  2,  8,  9),  questa  non  sarà  moneta  di 
Populonia,  ma  di  una  ignota  città  denominata  Nethu  (na),  alla 
quale  dovranno  quindi  attribuirsi  anche  gli  aurei  4,  5,  6  e 
l'argento  n.  22  che  portano  per  tipo  la  testa  del  leone,  del 
qual  tipo  non  si  ha  riscontro  nelle  monete  di  Populonia  ('). 
Pesa  gr.  16,653. 

16.  Museo  di  Firenze.  Simile  al  precedente,  ma  a  rovescio 
liscio.  L'  ebbe  il  Millingen  che  il  pubblicò  nei  Supplé- 
ments  ause  considérations,  (1,  11):  il  suo  peso  è  di  gr. 
16,46.  Se  ne  ha  un  terzo  esemplare  che  fu  nella  collezione 
del  Gen.  Fox  [Engraving  of  inpublished,  or  rare  grcek 
coins,  1862  pi.  1.  4)  ed  é  ora  nel  Museo  di  Berlino.  Un 
quarto  é  ora  presso  il  sig.  Alessandro  Mazzolini  in  Campiglia. 

17.  Museo  Vaticano.  Cignale  che  va  a  destra  camminando  sopra 
balze  :  pesa  gr.  15,8.  Il  Mionnet  narra  (Supplém.  1  pag. 
200  n.  17)  di  averne  avuto  un  esemplare  che  fu  il  primo 
ed  é  ora  nel  gabinetto  delle  medaglie:  pesa  gr.  16,117. 
Un  terzo  esemplare  trovato  di  recente  in  Pullonica  é  nella 
collezione  Strozzi.  Altri  tre  esemplari  se  ne  hanno  l'uno 
nel  Museo  di  Pirenze  del  peso  di  gr.  16,67,  l'altro  in 
quello  di  Grosseto,  il  terzo  nel  Museo  Britannico  del  peso 
di  gr.  16,42. 


(')  Facciasi  attenzione  alla  opinione  del  Millingen,  al  quale  pare  che 
Populonia  sia  nome  umbro,  o  romano,  non  dei  Pelasgi-Tirreni. 


T.  LXXI 


ETRUEIA 


49 


TEUTHA-PISAE 

18.  Coli.  Strozzi.  Pesce  chiamato  loligo  dai  Latini  e  da  noi  cala- 

maio, fatto  però  di  strana  foggia  come  di  vaso  a  grossa  pancia 
dal  collo  del  quale  come  se  fosse  testa,  sporgono  gli 
otto  tentacoli  aventi  nel  mezzo  un  bulbo,  che  sarà  forse 
la  pannocchia  di  una  delle  sue  braccia  ritirate  nel  sacco 
intestinale  ;  termina  poi  nel  basso  in  un  bottone  e  porta  come 
di  ordinario  le  pinne  laterali.  Di  sotto  v'  è  la  nota  XX;  pesa 
gr.  22,55.  Fu  recato  da  Pisa  insieme  con  altro  esemplare 
che  è  nella  collezione  predetta  e  si  trova  pubblicato  dal 
Bompois  [Revue  archéol.  1879  pi.  XVIII).  Questo  pesa 
gr.  21,40. 

19.  Museo  di  Volterra.  Lo  stesso  tipo  del  calamaio  che  nel  prece- 

dente, ma  le  pinne  e  le  braccia  non  vi  sono  espresse:  di  sotto 
la  nota  è  X  e  pesa  gr.  11,5.  Io  ne  ebbi  un  gesso  dal  quale 
ho  cavato  il  mio  disegno  :  fu  noto  al  Micali  che  lo  ha  dato 
negli  Antichi  monumenti,  1840,  Tav.  LIX,  4.  Era  tradi- 
zione ricordata  da  Plinio  (III,  Vili,  1)  e  da  Catone  (presso 
Servio  ad  Virgil.  Aen.  X,  169  seg.)  che  Pisa  fosse  in  prima 
fondata  da  Croci  detti  Teulani,  Teutones  e  Teutae  e  che 
questi  chiamarono  la  città  col  loro  nome  Teuta,  che  poi 
dai  Lidi  che  vi  si  stabilirono,  si  disse  Pisa  :  Alii  incolas 
eius  oppicU  Teutas  fuisse  et  ipsum  oppidum  Teutam  no- 
minatum,  quod  postea  Pisas  Lydi  lingua  sua  lunarem 
portum  significare  dixerunt.  Or  queste  monete  col  tipo 
del  calamaio  vengono  da  Pisa,  ed  è  notevole  che  il  cala- 
maio dai  Croci  si  dica  TsvOig  e  Ttvtog.  Ricordo  che  il 
nome  ISìjTiovg  ovvero  ^luoìg,  alla  città  di  Siponto  lo  die- 
dero le  seppie,  di  cui  quel  mare  era  pescosissimo. 

20.  Museo  di  Volterra  (Micali,   op.  cit.  Tav.  LIX,  7  :  Bompois, 

Revue  arch.  1879  pi.  XVIII,  11).  Cane  accovacciato  come 
sulla  moneta  fusa  di  Todi  (Tav.  LV,  2)  :  il  rovescio  è  liscio. 

SEDIS  INCEETAE 

21.  Museo  Britannico  (Bompois,  loc.  oit.  n.  6).  Mostro  con  testa 
zampe  e  corpo  di  leone,  lingua  sporgente  a  coda  di  pi- 
strice  desinente  in  testa  di  drago  nell'esemplare  del  sig.  Maz- 
zoUni,  che  ho  davanti,  ma,  secondo  il  Bompois,  in  testa 
di  gallo.  L'esemplare  del  Britannico  pesa  gr.  10,15,  il  se- 
condo del  Mazzolini  è  di  gr.  10,60.  Abbiamo  appreso  che 
cotesto  statere  si  divide  in  terzi  di  gr.  3,85,  un  cui  primo 
esemplare  è  del  Mazzolini  ed  ha  per  tipo  la  testa,  collo  e 
torace  di  leone  con  lingua  sporgente  volta  a  sin. 

22.  Kircheriano,  indi  è  passato  nel  Museo  Britannico  (CaJaLp.  8 

n.  6}  :  pesa  gr.  1.67.  Testa  di  leone  di  stile  barbaro  volta 
a  sinistra.  Nel  campo  di  sopra  si  ha  la  nota  di  valore  X, 
e  di  sotto  alla  testa  una  linea  quasi  retta  posta  orizzon- 
talmente. Una  simile  linea  si  vede  dopo  il  numero  X  ma 
obliqua  nel  bronzo  di  Populonia  (Tav.  LXXIV  n.  9). 

23.  Museo  Vaticano.  Lepre  volta  a  destra  e  giacente  :  è  del  peso  di 

gr.  4.  Nel  Museo  Britannico  ve  n'è  un  altro  esemplare  e 
pesa  gr.  4,21  {Catal.  pag.  7,  3). 

24.  Museo  Vaticano.  Civetta  posta  quasi  di  fronte:  è  del  peso  di 

gr.  2,10.  Nella  coli.  Strozzi  ve  n'è  un  altro  esemplare. 


25.  Coli.  Strozzi.  Testa  di  montone  volta  a  sin.  Ve  ne  hanno  due 

esemplari  ambedue  guasti  dall'ossido:  il  loro  peso  è  di 
gr.  0,91;  0,72. 

26.  Museo  di  Firenze. Testa  giovanile  a  destra:  alla  nuca  la  nota  X: 

intorno  al  campo  è  un  cerchio  di  grosse  perle.  R.  Fulmine 
fra  due  mezze  lune.  E  une  specie  di  balaustro  che  dico  ful- 
mine. Tale  è  di  certo  il  fulmine  in  un  bronzo  di  Crotone 
(Tav.  ex,  33). 

27.  Museo  di  Firenze.  Ippocampo  volto  a  destra:  in  alto  a  sinistra 

v'è  un  delfino  e  presso  di  lui  la  nota  CC  del  valore:  il 
rovescio  è  liscio  :  pesa  gr.  4,18.  Ve  n'è  un  esemplare  nel 
Museo  Britannico  [Catal.  7,  2),  dove  la  nota  numerica  e 
il  delfino  per  difetto  di  conio  non  sono  distinti,  ma  fanno 
una  sola  massa.  Pesa  gr.  4,53.  Vedremo  ora  che  la  nota 
numerica  deve  valere  il  XX. 

28.  Coli.  Luynes.  I  tipi  sono  i  medesimi  che  nel  pezzo  precedente, 

solo  varia  la  nota  che  qui  è  X  posta  di  sopra  dell'  ippo- 
campo: e  di  sotto  al  medesimo  vi  si  vede  una  mezza  luna  C. 
Il  peso  è  di  gr.  2,02. 

29.  Museo  Britannico.  Ippocampo  volto  a  sinistra:  di  sotto  v'è  il 

delfino  e  di  sopra  la  nota  numerica  D.  Pesa  gr.  2,55  (Bompois, 
Revue,  1879  pi.  XVIII  n.  9). 

30.  Museo  Britannico.  Vi  si  vede  l'ippocampo  volto  a  destra  in 

mezzo  a  quattro  delfini  :  egli  ha  davanti  la  nota  A  del  va- 
lore. R.  Cane  cerbero  a  tre  teste  stante  a  destra  in  un 
campo  quadrato.  Pesa  gr.  5,35  (Bompois,  Revue  cit.  p.  28). 

Non  v'ha  dubbio  che  le  cifre  di  queste  monete  sono 
numeriche  e  quanto  alla  forma  loro  non  sono  nuove:  ma 
è  pur  vero  che  le  due  CC  della  prima  vi  sono  adoperate 
in  modo  nuovo.  Se  la  cifra  C  vale  in  etrusco  metà  del 
dieci  :  dunque  due  CC  varranno  dieci.  Pertanto  invece  della 
cifra  C  si  vede  un  X  sulla  moneta  del  n.  28  il  cui  peso  è  la 
metà  di  quella  del  numero  27.  Adunque  le  due  cifre  CC  non 
valgono  cinque  e  cinque  cioè  dieci,  ma  dieci  e  dieci,  cioè 
venti.  E  questa  deduzione  ci  è  confermata  paragonando  fra 
loro  le  due  monete  28,  29  dove,  essendo  uguale  il  peso, 
troviamo  la  cifra  X  cambiata  in  3,  che  necessariamente  deve 
spiegarsi  per  dieci.  Adunque  la  cifra  5  è  eguale  a  X,  e  le 
due  CC  sono  eguali  a  XX,  mentre  la  cifra  D  in  altre  monete 
etrusche  vale  cinque  e  la  X  vale  dieci. 

Potrebbe  quindi  essere  che  questo  fosse  il  caso  mede- 
simo notato  in  quelle  monete  col  tipo  della  Gorgone,  nelle 
quali  sebbene  il  peso  sia  lo  stesso,  nondimeno  si  vede  il 
numero  X  cambiato  in  XX  (Tav.  LXXII  nn.  1,  2)  e  tal- 
volta in  A  e  in  AX  (ib.  nn.  5,  6). 

Ma  v'è  di  nuovo  e  d'insolito  l'uso  di  cifre  che  ora  si- 
gnificano cinque  e  dieci  come  in  tutti  i  monumenti  etru- 
schi a  noi  noti,  ora  invece  il  dieci  e  il  venti.  D'onde  ciò  ? 
Io  penso  che  dal  commercio  coi  popoli  d'Oriente  cioè  coi 
Penicii  e  per  loro  mezzo  coi  Persiani  e  cogli  Assiri.  Pe- 
rocché sappiamo  che  i  Penicii  oltre  alla  linea  retta  oriz- 
zontale — ,  si  servono  della  cifra  )  per  esprimere  il  dieci  che 
pei  multipli  raddoppiano  (Gesen.  Script.  Hnguaeq.  phoenic. 
monum.  p.  87:  Pihan,  Exposé  des  signes  de  numération, 
Paris,  1860  p.  165).  Parimente  gli  antichi  Persiani  e  gli  Assiri 


50 


ETRUEIA 


T.  LXXII 


che  si  servono  dell'alfabeto  cuneiforme  fanno  il  loro  daca, 
che  è  il  nostro  decem  in  questo  modo  < ,  e  pel  loro  vinati 
che  è  il  nostro  vigiliti  raddoi)piano  le  cifre  <<  (Pihan,  op. 
eit.  pagg.  45,  46)  ;  di  che  non  vi  è  cosa  che  piti  rassomigli 
alla  cifra  CC  della  moneta  (Tav.  LXXI  n.  27),  mentre  il 
daca  <  di  tanto  si  avvicina  al  <  (ib.  n.  30),  la  quale  del 
resto  non  si  distingue  dalla  cifra  che  esprime  in  etrusco 
il  cinque,  che  si  scrive  giacente  ora  a  destra  < ,  ora  a 
sinistra  >,  ora  boccone  A. 

POPULONIA 

Tav.  LXXII. 

1.  Kircheriano.  Testa  della  Gorgone  diademata ,  con  lingua 
sporgente,  e  i  capelli  discriminati  e  sciolti  posta  di  pro- 
spetto: di  sotto  v'è  la  nota  del  valore  X  fra  due  delfini: 
pesa  gr.  8,18.  L'esemplare  del  Museo  Vaticano  è  di  gr.  8,15. 
Il  primo  esempio  fu  noto  al  Micali  (op.  cit.  tav.  LIV,  1)  che 
lo  vide  presso  i  sigg.  Della  Gherardesca.  Io  ne  conosco  altri 
esempi  inEoma,  in  Firenze,  in  Milano,  in  Parigi,  coU.Luynes, 
in  Londra  nella  coli.  Blacas  {H.de  la  monn.T.IVpag.21n.7), 
nel  Museo  Britannico  (Catal.  p.  6,  30).  Non  è  dunque  da 
far  caso  del  Mommsen,  che  il  solo  esempio  da  se  veduto 
nel  Museo  di  Berlino  sentenziò  doversi  tenere  per  uno  sba- 
glio dell'incisore. 

2-4,  5.  Collezione  Lovatti  al  quale  furono  tutti  e  tre  questi  pezzi 
insieme  recati  dalla  collezione  Fanelli  di  Sarteano.  I  tipi 
sono  qui  nel  n.  2  simili  al  n.  1,  se  non  che  mancano  i 
due  delfini  attorno  all'X.  Pesa  gr.  8,10.  Nel  n.  3  la  Gor- 
gone è  priva  del  diadema  e  non  ha  discriminatura  nei  ca- 
pelli: la  nota  del  valore  è  un  A,  e  pesa  gr.  4,10.  Nel  n.  4 
i  capelli  della  Gorgone  sono  discriminati,  il  diadema  è 
omesso,  la  nota  del  valore  è  HC:  il  peso  è  di  gr.  1,85.  Fu 
dunque  una  volta,  e  ciò  non  si  era  saputo  finora,  che  le  zecche 
di  Etruria  emisero  col  tipo  della  Gorgone  il  denario,  il  qui- 
nario e  il  sesterzio.  Ma  cotesti  spezzati  inferiori  sono  oggi 
assai  rari,  ed  io  del  quinario  non  conosco  che  vi  sia  altro 
che  quello  del  sig.  Mazzolini  in  Campiglia,  e  pesa  gr.  4. 
Del  sesterzio  ve  n'è  un  secondo  esempio  nella  collezione 
Luynes  con  le  nota  1 1  §  da  me  inciso  qui  al  n.  5  :  ed  ora 
se  n'è  avuto  un  terzo  che  si  conserva  nel  Museo  Britannico 
{Catal.  pag.  396,  2),  la  cui  nota  di  valore  non  dovrebbe 
avere  nell'originale  la  forma  di  tre  linee  rette,  come  ce  la 
rappresenta  la  stampa  del  catalogo,  e  che  in  ciò  è  anche 
discorde  dal  testo,  che  vi  pone  una  linea  retta  fra  due  lunette 
opposte  C  5  ;  esse  debbono  essere  due  rette  con  la  terza 
curva  volta  però  a  sinistra,  come  ce  lo  fa  indovinare  l'ar- 
tista che  l'ha  quasi  espressa  nella  incisione. 

6.  Nella  collezione  mia.  Il  tipo  è  il  medesimo,  se  non  che  il 

diadema  è  omesso  :  il  peso  è  di  gr.  8,00  ;  ma  ecco  che  la 
cifra  numerica  è  im  A.  È  però  simile  in  ciò  alla  cifra  < 
posta  in  luogo  delle  due  decine  XX,  o  delle  lunette  CC 
nella  moneta  dichiarata  di  sopra  Tav.  LXXI  n.  30. 

7.  Museo  di  Vienna  trovasi  però  anche  altrove  ed  io  l'ho  ve- 

duto in  Firenze  e  a  Parigi  nella  collezione  Luynes  :  inoltre 
tre  nuovi  esempì  sono  a  me  pervenuti  col  ripostiglio  di 


Sovana,  due  dei  quali  del  peso  di  gr.  8,30;  8,00.  Il  terzo 
esemplare  mancante  a  destra  per  difetto  di  metallo  è  di 
gr.  6,60.  Il  tipo  è  la  testa  della  Gorgone  senza  diadema: 
di  sotto  si  vedono  queste  cifre  oA::Xo,  dalle  quali  si 
raccoglie  il  numero  AX  diviso  da  quattro  punti  e  lateral- 
mente chiuso  da  due  zeri  :  dei  quali  sarà  detto  nel  numero 
seguente. 

8.  Museo  Vaticano.  Il  tipo  è  il  medesimo  che  nel  precedente  : 
ma  la  nota  di  valore  è  questa  o  X  :  :  X  o,  il  numero  XX 
diviso  in  quattro  punti  è  terminato  a  destra  e  sinistra  da 
due  zeri.  Pesa  gr.  8,10.  Quattro  miei  esemplari  provenienti 
dal  deposito  di  Sovana  simili  in  tutto  a  cotesto  vaticano 
mostrano  però  la  testa  della  Gorgone  cinta  del  diadema  e 
nel  mezzo  delle  note  numeriche  hanno  solo  due  punti  ver- 
ticalmente disposti  e  fra  due  linee  rette  1  :  j  .  Il  loro  peso 
è  di  gr.  8,15,  ne  più  ne  meno. 

Quel  cerchietto  se  lo  dico  zero,  non  intendo  perciò  di 
metterlo  a  confronto  della  nostra  cifra  numerica,  la  quale 
messa  innanzi  ai  numeri  non  accresce  valore  e  posta  dopo 
è  segno  di  multiplo.  Questa  moderna  cifra,  qual  che  ne  sia  la 
sua  origine  o  araba  ovvero  boeziana  (Vénoent,  Revue  arch.lV 
601  segg.:  Journal  de  mathémat.  de  Liouville,  t.  IV  p.  261) 
non  ha  che  fare  colla  nostra  cifra  etrusca,  la  quale  non  dà 
ne  toglie  il  valore  ai  numeri:  essa  mi  sembra  posta  in- 
nanzi e  dopo  come  nella  numerazione  fenicia,  ove  precede 
la  nota  del  dieci  scrivendosi  — O,  ovvero  segue  O^  ,  senza 
che  perciò  quelle  cifre  abbiano  un  nuovo  valore  (Gesenius, 
op.  cit.  p.  87;  Pihan,  op.  cit.  pag.  165).  E  dovrà  dirsi  lo 
stesso  quando  la  cifra  X  ovvero  XX  si  scrive  dentro  a  co- 
testi zeri  (v.  Tav.  LX-XII  nn.  24,  25).  Il  ripostiglio  di  So- 
vana mi  ha  pure  fornito  un  esemplare,  nel  quale  alle  due 
linee  e  due  punti  di  mezzo  si  vede  sostituita  la  cifra  O 
in  questo  modo:  oXOXo. 

La  questione  dei  numeri  A,AX,XX  di  monete  che  non 
differiscono  nel  peso,  se  non  pareva  innanzi  possibile  a  ri- 
solversi, oggi  si  risolve  al  confronto  della  monetazione  dei 
Fenicii  di  Africa,  il  cui  sistema  è  di  ritenere  sempre  il  me- 
desimo peso  e  di  cambiar  solo  le  note  di  valore  (Miiller, 
Numism.  de  Vane.  Afrique,I'g.  120,  II  pag.  134).  Il  ro- 
vescio di  questa  moneta  finora  liscio  comincia  a  vedersi 
ornato  di  segni,  di  leggende  e  di  tipi  in  rilievo,  dei  quali 
diamo  qui  appresso  gli  esempi,  e  nella  tavola  di  supple- 
mento CXXV. 

9-11.  Museo  di  Firenze.  La  specialità  di  questi  tre  pezzi  con- 
siste nelle  linee  di  rilievo  e  decussate  che  si  hanno  nel 
rovescio.  I  due  primi  esprimono  nettamente  quattro  decussi; 
il  terzo  ha  invece  ima  lista  attraversata  da  due  simili  liste 
parallele  fra  loro.  Già  il  P.  Bckhel  ne  aveva  dato  un  esempio 
nella  Sylloge,  tav.  1, 10  :  io  ne  ho  veduti  dei  simili  nei  Musei 
di  Roma,  di  Parma,  di  Milano,  e  ve  n'è  anche  qualcuno 
presso  il  march.  Strozzi.  Il  Poole  ne  descrive  uno  del  Museo 
Britannico  (Catal.  ■  2,  6).  Quattro  novelli  esempi  me  li  ha 
forniti  il  ripostiglio  di  Sovana. 

12.  Coli.  Lovatti.  La  maschera  gorgonia  non  ha  il  diadema 
come  le  tre  precedenti:  la  nota  del  valore  è  XX,  ma  vi 


T.  LXXII 


ETKUKIA 


51 


si  vedono  tra  mezzo  due  punti  verticalmente  posti.  Il  rovescio 
mal  impresso  si  può  ora  interpretare  per  l'ottimo  confronto 
di  UE  secondo  esemplare  della  mia  collezione  proveniente 
da  Sovana.  Sono  ivi  queste  lettere  V>I0  (v.  Tav.  CXXV  n.  2) 
cioè  Phlu,  le  quali  ritengono  parte  della  leggenda  che  do- 
veva essere  (fll1)V'J0(V({)),  Populonia.  Questo  nome  si  trova 
variamente  scritto,  come  dirò,  ma  sempre  con  lettere  etru- 
sclie  :  qui  però  è  la  prima  ed  imica  volta  che  al  A  si  vede 
sostituita  la  lettera  0,  e  la  prima  sillaba  vi  è  omessa,  non 
però,  a   quanto   pare,  per   difetto  di  conio  o  di  metallo. 
Noi   abbiamo   altri  notevoli   esempì   di   sillabe   o  lettere 
soppresse  a  principio  della  leggenda  alla  maniera  dei  Pre- 
nestini  del  Lazio   che  scrivono  METiO  per   PROMETIO, 
(Sijll.  539),  dei  Fistelini  di  Campania  che  scrivono  §TAIilN 
per  (l)l$TAinN  (Tav.  LXXXIX,  22)  e  dei  Posidoniati,  che 
pongono  0/V\E  per  POME  (Tav.  CXXI,  6,  20).  L'esemplare 
di  mia  collezione  pesa  grammi  8,00. 
lo.  Museo  di  Pii-enze.   Spettro   gorgonio   senza  diadema  :   di 
sotto  XX.  R.  Due  caducei  giacenti  l'uno  in  contrario  dell'ai-- 
tro.  Ve  ne  ha  esempio   nei  musei   di  Parma  e  di  Parigi 
e  ne  posseggo  ancor  io  imo  trovato  nel  ripostiglio  di  So- 
vana, dove  però  l'imo  dei  due   caducei  è  uscito  di  conio  : 
inoltre  vi  si  vedono  di  sotto  chiare  tracce  della  leggenda 
AVA  (Tav.  CXXV  n.  7). 

14.  Dal  Museo  Vaticano.  Larva  gorgonia.  R.  Polpo  a  sette  ten- 
tacoli. Se  ne  ha  esempio  nei  musei  di  Parigi  e  di  Vienna. 
Il  Poole  ha  stampato  quello  del  Museo  Britannico  {Catal. 
2,  4).  Nel  ripostiglio  di  Sovana  ne  ho  trovati  dieci  esem- 
plari, nei  quali  domina  il  polpo  che  occupa  tutto  il  campo 
(v.  p.  e.  CXXV,  3),  ma  talvolta  vi  si  vedono  anche  altri 
polpi  teste  nati  andare  a  nuoto:  in  due  esemplari  è  da  no- 
tarsi un  ferro  di  tridente  figui'ato  due  volte  nel  campo, 
dove  anche  si  distendono  i  tentacoli  del  polpo  (Tav.  CXXV 
n.  4).  n  Micali  publioa  un  esemplare  nel  cui  rovescio  sono 
rappresentati  quattro  piccoli  polpi  (Tav.  LIV  n.  3:  cf.  Ca- 
relli, T.  VII,  6).  Il  Sambon  ne  cita  uno  del  Museo  Bri- 
tannico, nel  quale  si  vedono,  die'  egli,  due  polpi  {Recher- 
ches,  pag.  55  n.  35)  ;  ma  questa  moneta  nel  Catalogne  del 
Poole  non  è  indicata. 

15.  Museo  di  Firenze.  Larva  gorgonia:   di  sotto  la  nota  XX. 

R.  Luna  crescente  e  sopra  di  essa  il  ferro  di  un  tridente  : 
intorno  si  legge  flUfl^l'IV'I  e  nell'intervallG  due  astri  a 
quattro  raggi  divisi  da  due  punti.  Pesa  gr.  7,50.  Il  P.  Bckhel 
lo  stampò  [Numi  Vel.  p.  10  Tab.  1  n.  9)  e  di  nuovo  lo 
descrisse  nella  I).  N.  V.  I  pag.  95  notando  la  singolarità 
del  Puplana:  dove  però  al  riverso  pose  due  XX  invece 
deUe  due  stelle  (cf.  CareUi.Tab.  VII,  8).  Ma  il  Millingen 
{Consid.  pag.  166)  seguito  dal  Cavedoni  {in  Tab.  Car.  p.  2) 
condannò  questo  Puplana  di  errore,  sostenendo  che  sia 
stato  preso  per  un  R  l'V  mal  figurato.  Pertanto  l'Eckhel 
ha  ragione  non  solo  per  l'esemplare  di  Firenze,  ma  di  piìi 
per  un  secondo  del  Gabinetto  delle  medaglie,  e  per  quattro 
nuovi  che  il  ripostiglio  di  Sovana  ha  mandato  alla  mia  col- 
lezione, nei  quali  il  primo  N  di  flIIflvI'IV'l  è  a  chiarissima  forma 
scolpito  (v.  Tav.  CXXV  n.  1). 


16.  Museo  di  Monaco.  Ho  espresso  il  solo  rovescio,  perchè  il 
dritto  porta  la  larva  gorgonia  simile  a  quella  del  n.  se- 
guente. Nel  centro  è  figurato  un  astro  intorno  al  quale 
avrebbe  dovuto  girare  l'epigrafe  che  è  uscita  fuori  di  conio, 
eccetto  la  prima  lettera  A  e  l'ultima  Pi:  nell'intervallo  di 
queste  due  lettere  è  una  mezza  luna  e  accanto  un  globo 
dentro  un  anello. 

17.  Museo  di  Firenze.  Testa  della  Gorgone  e  di  sotto  la  nota  XX. 

R.  Astro  nel  mezzo  fra  globetti  figuranti  le  stelle  e  in- 
torno fll1V<J'IV('1)  :  nell'intervallo  della  leggenda  è  una 
mezza  luna.  Questa  moneta  colla  precedente  ha  di  pro- 
prio il  tipo  del  rovescio  che  non  è  la  mezza  lima  col  ferro 
del  tridente  come  quella  del  n.  15,  ma  l'astro  a  sei  raggi 
fra  sei  globetti. 

POPULONIA-COSSA 

18.  Coli.  Puertas.  Testa  della  Gorgone.  R.  Pesce  tonno  e  di 
sotto  KO^SA.  Il  Migliarini  lucidò  per  me  da  una  scheda 
conservata  in  Firenze  fra  le  carte  del  dott.  Puertas  il  di- 
segno che  qui  pubblico:  la  moneta  originale  non  si  sa 
dove  sia.  Le  lettere  della  epigrafe  sono  precise  e  non  equi- 
voche; laonde  è  d'uopo  che  si  accetti  la  leggenda,  che  è 
greca  di  alfabeto  e  di  lingua.  La  testa  della  Gorgone  fu 
anche  tipo  proprio  della  NeapoUs  di  Macedonia,  ma  questa 
porta  nel  rovescio  un  quadrato  incuso,  e  non  segna  la  nota 
del  valore.  Sicché  la  moneta  è  veramente  etrusca,  ma  la 
leggenda  non  è  Pupluna.  Il  caso  non  è  nuovo  che  ai  tipi 
di  una  città  si  veda  congiunto  un  nome  non  proprio  :  noi 
ne  abbiam  veduto  e  ne  vedremo  altri  esempi.  Non  so  poi 
imaginarmi  verun  ostacolo  dalla  parte  del  nome  greco, 
KOHIK,  che  vedo  regolarmente  formato,  quantunque  in 
dialetto  cretese,  nel  quale  si  disse,  per  esempio,  Móvaa, 
vTtaQxoraa.  Alla  forma  vetusta  del  nome  Kovaa  successe 
la  più  recente  Kuiaa  e  Kóaaai,  nella  quale  per  compenso 
della  V  si  surroga  un  «  in  vece  dell' oi',  ovvero  si  rad- 
doppia la  consonante,  oaa.  Plutarco  però  deve  aver  scritto 
Kóvaa  (v.  Flamin.  I,  6),  le  cui  vestigia  noi  troviamo  nella 
lezione  Kùvaa,  tuttocchè  erronea,  conservataci  nei  mano- 
scritti e  ritenuta  nelle  stampe.  Questa  città  fu  dunque  di 
greca  origine  e  venne  poi  occupata  dagli  Etruschi  di  Vulci, 
di  che  è  argomento  il  vederla  chiamata  Cossa  Volcientium. 
L'insegna  del  tonno  che  è  sul  rovescio  ricorda  la  pesca 
che  se  ne  faceva  in  questo  mare,  al  quale  effetto  vi  fu 
fabbricata  sul  promontorio  una  specola  detta  da  Strabene 
OvvvoaxÓTvsiov  (L.  V,  225  Casaub.),  specola  dei  tonni. 

POPDLONIA 

19.  Museo  di  Parigi  (Luynes,  Revue  nuinism.  1859  pi.  XV 
n.  2).  Testa  d'uomo  barbato  e  coronato  di  lauro  a  tre  or- 
dini di  foglie  volta  a  d.  :  la  lettera  h,  che  si  vede  in  altri 
esemplari,  manca  perchè  uscita  di  conio. 

20.  Museo  di  Parigi.   Testa  d'uomo  barbato   con  lunghi  mu- 

staeci  volta   a  sin.:  alla  nuca  la  lettera  h.  Pesa  gr.  11. 
Non  v'  è  finora  riscontro  di  cotesto  h  solitario  nelle  mo- 

7 


52 


ETEUEIA 


T.  LXXIl 


nete  che  sono  certamente  di  Populonia:  lo  troviamo  invece 
in  quelle  che  portano  i  tipi  e  il  nome  disteso  Peithesa. 

21.  Museo  di  Parigi   (Luyues,   Rcvue  numism.  XV,  3).  Testa 

barbata  con  mustacci  lunghi  e  cinta  di  un  diadema  volta 
a  sin.:  alla  nuca  h.  Pesa  gr.  11,13. 

22.  Museo  Vaticano.  Testa  giovanile  coronata  di  lauro  e  volta 

a  d.  :  alla  nuca  h. 

23.  Museo  di  Firenze.   Testa  giovanile   laureata   con   accenno 

di  basette  alle  gote  volta  a  d.  :  alla  nuca  h. 

24.  Museo  Vaticano.  Testa  giovanile  laureata  con  fior  di  la- 
nugine alla  gota  volta  a  d.  :  alla  nuca  la  lettera  h.  R.  Il 
numero  X  in  rilievo  e  accanto  la  cifra  medesima  entro 
due  cerchi  concentrici.  Pesa  gr.  11,25. 

25.  Museo  di  Parigi.  Simile  testa  giovanile  laureata  volta  a  d.  : 

alla  nuca  manca  la  lettera  h  per  difetto  di  conio.  R.  V  è 
il  numero  X  dentro  due  cerchi  concentrici.  Questa  moneta 
e  la  precedente,  24,  sono  ribattute  sopra  due  esemplari 
simili  a  quello  del  n.  19,  apparendovi  in  uno  il  profilo 
del  volto  barbato  che  guarda-  a  d.  e  nell'altro  tutto  il  ver- 
tice. Da  cotesti  due  pezzi  possiamo  dedurre  che  si  volle 
apporre  ima  nota  numerica,  e  che  un  tal  senso  ci  convien 
dare  aache  alle  note  dei  riversi  nei  nn.  9,  10,  11,  ma  non 
sappiamo  a  qual  fine.  Che  il  numero  X  si  ponesse  tal- 
volta dentro  un  cerchio  o  zero  me  V  ha  confermato  il 
Migliarini  descrivendomi  l'aureo  di  un  suo  amico  simile 
a  quelli  della  Tav.  LXXI  n.  8-11. 

26.  Museo  di  Parigi.   Testa   di  Ercole   giovane   coperta  dalla 

pelle  di  leone  volta  a  sinistra.  Pesa  gr.  8,33. 

27.  Museo  di  Parigi.  Testa  di  Ercole  coperta  dalla  spoglia  di 

leone  posta  di  prospetto.  In  tre  miei  esemplari  che  pro- 
vengono da  Sovana  si  vedono  chiari  i  pizzi  della  lanu- 
gine sulle  guance  e  così  anche  in  altro  della  provenienza 
medesima  di  recente  entrato  nella  collezione  del  marchese 
Strozzi.  L'esemplare  del  Blacas  pesa  gr.  7,20  (H.  de  la 
monri.  pi.  XVIII,  5  pag.  21):  quello  del  Museo  Britannico 
è  di  gr.  8,78  {Catal.  n.  1):  quei  della  mia  collezione 
hanno  di  peso  gr.  7,50;  8,20;  8,30. 

28.  Museo  di  Parigi.  Testa  di  Ercole  giovane  messa  di  pro- 
spetto con  la  pelle-  di  leone  annodata  al  collo  :  da  due  lati 
vi  si  vede  la  nota  XX  di  valore.  R.  Clava  in  campo  liscio. 
Il  suo  peso  è  di  gr.  8,20.  L'Eckhel  in  quello  del  Museo 
Witzay  stimò  fosse  rappresentato  un  volto  di  donna  e  pensò 
ad  Gufale  {D.  n.  v.  I,  93).  Ma  gli  esemplari  venutici  dal 
ripostiglio  di  Sovana  rimuovono  ogni  dubbio  che  sia  Ercole, 
avendogli  espresso  la  prima  lanugine  sulle  guance. 

29.  Nel  Museo  Vaticano.  Testa  di  Pallade  messa  quasi  di  pro- 

spetto e  coperta  del  trifale,  ossia  elmo  a  tre  pennacchi. 
Ha  i  capelli  sparsi  e  un  monile  al  collo  :  la  nota  di  va- 
lore è  XX  divisamente  scritta.  Il  riverso  è  liscio.  I  due 
miei  esemplari  provenienti  da  Sovana  pesano  gr.  7,50;  8,60. 

30.  iSTel  Museo  Borgiano  di  Propaganda.  Testa  di  Pallade  co- 

perta dell'elmo  trifale  quasi  dì  prospetto,  ma  non  bene 
impressa  nel  conio.  /?.  Nel  mezzo  la  luna  crescente  e  dentro 
di  essa  un  astro  composto  di  cinque  globetti  :  intorno  è  una 
leggenda  uscita  in  parte  fuori  di  conio,  non  però  sformata 


per  ripercussione  di  conio  come  scrive  il  Millingen  (Consid. 
p.  206),  della  quale  rimane  ^  :  V  E5  :  NVI  : .  Dal  Bestini  in  poi 
non  so  che  altri  abbia  veduto  ed  esaminato  questa  moneta  : 
io  ne  presi  il  calco  e  ne  feci  trarre  un  diseguo  nel  1846.  Il 
Sestini   che   la  vide   il   primo   ne   die'  la  descrizione  e  il 
disegno   nella   Descr.   num.   vet.   (1796,  Tab.  I,  6).  Ei  vi 
lesse  VES  :  NVI  e  l'attribuì   ad  una  confederazione  di  due 
città  della  Campania,    Vescia  e  Minturnae.  Ma  dipoi  nelle 
Class,  general,  (pag.  12  ed.  2)  tenne  che  il  nummo  fosse 
di  Populonia.   Il  Lanzi  la  die'  ai  Vestini    (Saggio,  T.  II 
p.  641)  nelle  cui  terre,  si  trovano  gli  spezzati  di  aes  grave 
che  portano  la  leggenda  VES  :  ma  noi  persuase  all'Eckhel 
(D.n.  D.  I,  99),  né  valse  a  sgombrare   i  dubbi  al  Millin- 
gen {Consid.  p.  206),  che  si  accostò  alla  seconda  opinione 
del  Sestini,  ma  quanto  alla  leggenda   egli  non  la   spiegò, 
invece  pronunziò  {Considerat.  pag.  206)  che  la  moneta  era 
ribattuta  e  la  leggenda  interamente  svisata.  Il  Sestini  non 
dava  luogo  nel  disegno  che  ne  publicò  a  questo  appiglio  e 
però  il  Cavedoni  non  avrebbe  dovuto  scrivere  {ad  Cavell. 
Tab.  XXX,  1),  che  l'epigrafe  e  il  tipo  erano  del  pari  vi- 
ziati a  motivo  di  essere  stato  il  metallo  piìi  e  piìi  volte 
ribattuto  per  colpa  del  mouetiere:  bis  pluriesque  monetarii 
culpa  percussum.  Pece  però  notare  che  doveva  attribuirsi 
a  Populonia  pel  confronto  di  altro  esemplare  publicato  dal 
Micali  e  riprodotto   dal   Carelli  nella  Tav.  VII  n.  1,  nel 
cui  riverso  è  quasi  intera  l'epigrafe  di  Populonia,  V>i'1V^, 
con  in  mezzo   la  luna  crescente  e  l'astro.  Ma  se  cotesto 
confronto  vale  ad  additarci  la  patria  della  moneta  non 
serve  poi  a  spiegare  e  supplire  la  epigrafe  dell'esemplare 
borgiano  di  Propaganda.  Eesta  quindi  a  noi  di  renderci  conto 
dell'  H  :  l-ES  :  NVI  :  Sul  quale  argomento  perchè  non  perisse 
il  frutto  dei  miei  studi   di   parecchi  anni   addietro  io  mi 
affrettai  di  porli  in  luce  per  mezzo  àelVAnnwaire  de  nu- 
mismatique.  Ivi  io  avvertiva  che  alla  lezione  del  Sestini 
era  d'uopo  aggiungere  quell'avanzo  di  lettera,  che  ho  qui 
espressa  e  mi  è  sempre  parata  un  A,  di  poi  che  per  me  è 
un  U  quella  lettera  che  il  Sestini  espresse  per  V.  L'iscri- 
zione va  da  sinistra  a  destra  e  a  parer  mio  comincia  da  NVI. 
Dico  che  comincia,   perchè   l' imparo  da  un  bel  confronto 
offertoci  da   un   esemplare   del   Gabinetto   delle  medaglie 
espresso  qui  nella  Tavola  al  n.  32. 
31,  32.  L'epigrafe  che  è  monca  legge  NVI  ...  .  NA,  dove  oltre 
ai  due  punti   che   distinguono  i  vocaboli   v'  è   un  astro  e 
vuol  dire  che  la  leggenda  ha  qui  fine.  Questo  supplemento 
ci  è  confermato  dal  riscontro  di  altro  esemplare  che  fu  già 
nella  collezione  Wigan  e  ora  è  nel  Museo  Britannico  (Poole, 
Catal.  396,  1)   dove  si  Jegge  V^J'l  e  accanto   in  un  altro 
cerchio  . . . .  M  che   sarà  stato    (AM)V>I'1(V')  :  l)W  II  Poole 
non  ne  ha  dato  se  non  le  due  prime   linee  e  un  accenno 
della  terza  e  quarta.  Il  \\M,  come  consta  dalle  più  antiche 
iscrizioni    etrusche    ebbe    in    quella  lingua    il   senso   del 
greco  l/V\3,  della  qual  formola  fanno  uso  anche  i  Tarentini 
in  qualche  loro  moneta,  scrivendo   TAPANTINilN  H/V\(l). 
(Minervini,  Bull,  ardi-  n.  s.  1860,  p.  26).  Potrebbe  forse 
citarsi  la  moneta  del  bar.  Behr  descritta  da  Pr.  Lenormant 


T.  LSXIII 


ETEURIA 


53 


(Descr.  des  médailles  du  baron  Behr,  Paris,  1857)  nella 
quale  al  riverso  della  testa  di  Pallade  coperta  di  elmo 
laiu'sato  con  civetta  a  sin.  si  leggeva  •  •  ANO$  sopra  il  toro 
andropvosopo  a  sin.  e  nell'esergo:  N\\  AKIAAOY.  Il'Lenormant 
supplisce  (KAAAP)ANOS  a  me  pare  certo  che  sia  di  Hyrium 
e  si  debba  supplire  YPIANOS ,  e  il  motivo  si  è,  perchè  i 
Campani  non  hanno  mai  posto  la  civetta  sull'elmo  di  Pal- 
lade, come  fanno  i  Nolani  e  gli  Iriani.  È  però  singolare 
la  formula  MI  'JxMoif  adoperata  dall'artefice  del  conio. 
Per  l'ultima  voce  UES  dell'esemplare  borgiano  i  riscontri 
finora  mancano.  Proporremo  a  modo  di  congettura,  che  con 
tal  vocabolo  abbiano  voluto  gli  Etruschi  tradurre  il  greco 
ró,uo^,  dapoichè  il  NO/V\Og  è  UES,  o  sia  la  UEX,  la  qual 
lettera  X  si  trova  scambiata  in  5,  perchè  gli  Etruschi  non 
ammisero  la  lettera  doppia  nel  loro  alfabeto.  Se  cotesto 
parere  si  accetta  si  potrà  dire  di  aver  trovato  il  vocabolo 
adoperato  da  questa  nazione  per  significava  il  nummo  e 
gli  Etruschi  ci  appariranno  ancor  qui  a  contatto  commer- 
ciale coi  Latini,  coi  Greci  d'Italia  e  di  Sicilia. 

Tutto  questo  ragionamento  erasi  da  me  fatto  da  parecchi 
anni,  ed  ora  ci  è  dimostrato  verissimo,  avendoci  la  terra  di 
Sovana  mandato  il  deposito,  del  quale  ho  di  sopra  detto, 
dove  si  trovano  gli  esemplari  col  tipo  al  dritto  di  Pallade  e 
al  riverso  la  leggenda  intera.  Un  quarto  esemplare  del  ripo- 
stiglio medesimo  è  passato  ad  arricchire  la  collezione  del 
marchese  Strozzi.  Debbo  per  altro  avvertire  che  la  leggenda 
delle  monete  31,  32  si  può  solo  allegare  per  la  voce  IW\,non 
però  per  la  voce  UES,  che  non  può  esservisi  scritta.  Le  leg- 
gende adunque  al  riverso  della  Pallade,  sono  tre.  In  rma  che 
ha  nel  centro  la  mezza  luna  con  un  astro,  si  legge  solo 
AIIVnI'IV'I,  ed  offre  un  secondo  esempio  alla  moneta  del 
Micali  ;  negli  altri  due,  nei  quali  l'astro  è  rappresentato  da 
sei  punti  intorno  ad  un  globetto  centrale,  la  leggenda  va 
da  sinistra  a  destra  e  dice:  NVI : hVhUVNA : UES  (Tav.  CXXV 
nn.  1,  2),  come  appunto  nel  monco  esemplare  borgiano  : 
nella  terza  si  ha  soltanto  flhV>l'1V'1  :  WM. 


Tav.  LXXni. 

1.  Testa  di  donna  volta  a  d.  con  pendenti  e  collana,  coronata 

di  spighe:  v'  è  da  sin.  la  nota  del  valore  X,  a  destra  un 
pentagono.  Collezione  Strozzi.  Pesa  gr.  4,00. 

2.  Kirch.  Testa  giovanile  a  sin.  con  accenno  di  peli  alla  guancia 

coronata  di  lauro  :  dietro  a  d.  la  nota  X.  Ve  ne  hanno 
piìi  esemplari:  cotesto  è  del  Kircheriano  e  pesa  gr.  4,36. 

3.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  donna  cinta  di  largo  diadema  con 

pendenti  agli  orecchi  e  capelli  sciolti:  dietro  a  sin.  la  nota  X. 
Pesa  gr.  4,20.  Nel  deposito  di  Sovana  di.  cotesto  monete  del 
n.  2  se  ne  sono  trovate  quattordici,  quattro  di  quelle  del  n.  3. 
Il  loro  peso  è  generalmente  di  gr.  4,00.  Sono  adunque 
da  tenersi  per  la  metà  di  quelle  che  portano  per  tipo  la 
testa  della  Gorgone,  o  di  Pallade,  o  di  Ercole,  tutte  trovate 
insieme  nel  deposito  medesimo. 

4.  Kii'ch.  Testa  virile  con  accenno  di  basette  coronata  di  laurea  e 

cinta  di  un  cordone  al  collo.  Dietro  a  d.  la  nota  X.  Pesa  gr.4,10. 


5.  Eirch.  Testa  giovanile  volta  a  d.  con  capelli  corti  e  ricci: 

la  nota  X  è  a  sin.  :  il  suo  peso  è  di  gr.  2,15,  ma  un  esem- 
plare pili  conservato  pesa  gr.  3,10. 

METLIA 

6.  Coli.  Strozzi.  Testa  giovanile  cinta  di  laurea  volta  a  d.  :  alla 

nuca  v'  è  un  avanzo  della  nota  X  :  a  d.  l'epigrafe  At3VV\. 
L'ultima  lettera  che  è  in  parte  uscita  di  conio  è  proba- 
bilmente un  A.  Il  Gamurrini  ne  ha  data  notizia  nelVApp. 
al  C.  inscr.  ital.  del  Pabretti  pag.  10  n.  54  dove  interpreta 
metallum,  e  gli  pare  che  la  città  siasi  chiamata  Metallia 
0  MeduUia  o  in  altro  modo  somigliante.  DeUa  lettera  A  in 
luogo  di  -J  abbiamo  esempi  nelle  epigrafi,  fra  le  quali  basta 
la  tomba  vulcente  da  me  illustrata,  ove  ho  letto  Larnai 
così  scritto:  \m\(\K. 

SEDIS  mCERTAE 

7.  Coli.  Strozzi.  Testa  muliebre   cinta  di  largo  diadema  come 

quella  del  n.  3:  al  riverso  ruota  a  otto  raggi.  Sul  volto 
si  vede  intagliato  quasi  contromarca  un  X. 

8.  Museo  di  Firenze.   Testa  di  donna  coronata   di  spighe  con 

pendenti  e  collana  come  quella  del  n.  1  e  volta  a  sin.  : 
al  riverso  rm  mostro  a  corpo  umano  con  testa  e  coda  di 
cavallo. 

9.  Nel  Museo  Vaticano.   Testa  giovanile  volta  a  d.  :  alla  nuca 

la  nota  A.  Il  peso  è  di  gr.  2,45,  cioè  della  metà  di  quelle 
monete  che  sono  qui  ai  nn.  1-8. 

10.  Kirch.  Testa  giovanile   coi  capelli  ricci  volta  a  sin.  :  alla 

nuca  ha  la  nota  A  di  metà  del  denaro  predetto.  Pesa  gr.  2,40. 

CORTONA  0  CORTUOSA 

11.  Nel  Museo  fiorentino.  Testa  giovanile,   come  la  9  prece- 

dente volta  a  d.  colla  nota  '\  alla  nuca.  Nel  riverso  sono 
impressi  due  tentacoli  propri  del  polpo  del  qual  partico- 
lare ho  un  buon  riscontro  in  una  delle  monete  di  Sovana 
che  ha  sul  dritto  la  larva  gorgonia,  e  sul  riverso  soltanto 
due  dei  tentacoli  che  si-  distendono  per  tutto  il  campo. 
Sull'orlo  di  questo  rovescio  a  dritta  si  leggono  da  destra 
internamente  i  resti  di  alcune  lettere  uscite  di  conio,  le 
quali  compiendosi  paiono  potersi  leggere  IQVD  e  darei  una 
metà  del  nome  di  Cortona  o  di  Cortuosa  (Liv.  VI,  4),  i 
quali  due  nomi  in  etrusco  si  dovevano  scrivere  Curtvtisa 
e  Curtuna.  Non  ho  nominato  Corythus,  perchè  non  ne  fa 
menzione  la  storia. 

SEDIS  INCERTAE 

12.  Testa  di  uomo  barbato  e  cinto  di  tenia  volta  a  d.  :  dietro 

la  nota  A.  È  nella  mia  collezione  e  pesa  gr.  2,00.  Se  ne 
hanno  esempi  nei  musei  di  Parma,  di  Milano,  di  Parigi, 
nel  Kircheriano  e  presso  il  marchese  Strozzi. 

13, 14.  Testa  giovanile  con  capeUi  corti  e  ricci  coperta  di  pileo 
alato  volta  a  sin.  Quella  del  n.  13  è  presso  di  me  e  pesa 
gr.  3,90,  la  seconda  che  è  nel  Museo  di  Firenze  ha  di 
peso  gr.  3,92. 

15.  Testa  simile  a  quella  del  n.  14  ma  volta  a  d.:  l'orlo  del 


54 


ETEURIA 


T.  LXXIir 


■petaso  non  è  periato,  e  dietro  la  nuca  v'  è  la  nota  5  : 
il  peso  di  cotesto  nummo  che  è  nel  Museo  di  Firenze  è 
di  gr.  0.90,  cioè  la  quarta  parte  dei  due  precedenti.  Non 
pertanto  la  cifra  del  valore  è  quella  che  dinota  metà  D, 
come  il  A  dei  numeri  13,  14.  V  è  inoltre  ivi  medesimo 
un  aljtro  nummo  col  tipo  di  una  testa  nuda  imberbe  volta 
a  d.  che  ha  alla  nuca  un  A  e  pesa  un  grammo. 
16-19.  Testa  giovanile  volta  a  d.  talvolta  a  sin.  eolla  nota 
di  valore  variamente  figurata  IO;  HA;  Ali,  dove  il  A  non  è 
già  la  nota  del  cinque,  ma  vale  come  segno  di  metà  :  e 
però  esprime  colle  due  linee  il  due  e  mezzo  dai  Eomani 
notato  con  due  unità  e  un  S{einis).  Uno  di  cotesti  nummi 
è  nella  coUezion  mia  :  pesa  gr.  0,80  e  porta  la  cifra  11$  . 
Onde  deduco,  che  questa  sia  la  minore  unità  nella  serie 
che  porta  per  tipo  la  testa  della  Gorgone  etc.  della  Tav.  1 
e  la  testa  di  donna  o  d'uomo  dei  mi.  2-5  di  questa  Tavola. 

20.  Nel  Museo  di  Firenze.  Testa  simile  a  quelle  dei  nn.  pre- 

cedenti ed  è  segnata  parimente  dalla  nota  HA,  ma  dimostra 
di  essere  ribattuta  vedendosi  sul  riverso  una  testa  simile 
che  è  in  parte  uscita  di  conio.  ,  Su  di  questo  rovescio  si 
vedono  impresse  a  rilievo  linee  geometriche  decussate  e 
framezzo  ad  esse  un  S  ed  un  O.  Le  monete  della  Gallia 
danno  esempi  di  simili  tipi  (vedi  la  lievue  archéologique 
del  1881  a  pag.  209).  Sembra  però  che  questo  nummo 
sia  stato  ribattuto  nella  Gallia  e  poi  abbia  ricevuto  in 
Etruria  sulla  parte  liscia  l'impronta  che  ho  descritta  colla 
nota  di  due  e  mezzo. 

21.  Coli.  Lovatti.  Testa  giovanile  con  capelli  corti  volta  a  d.: 
davanti  ha  per  segno  dell'unità  una  linea  verticale.  Il  peso 
è  di  gr.  0,90.   Il   Gamurrini  publicandone   un   esemplare 

■  nel  Period.  nitmism.  del  march.  Strozzi  (an.  VI  Tav.  Ili 
n.  11)  del  peso  di  gr.  0,90  ha  dato  un  elenco  dei  pesi  di 
simili  monete,  le  quali  non  portano  la  nota  che  si  vede 
in  queste  due  (op.  cit.  p.  68  nota)  :  nella  Coli.  Strozzi 
gr.  0,72;  0,74;  0,76;  0,82;  0,90:  nel  Museo  di  Firenze 
gr.  0,80;  0,85. 

22.  Nel  Museo  di  Firenze.  Euota  etrusca  di  singoiar  forma  che 

ha  per  raggi  due  semicerchi  opposti  fra  loro  dalla  parte 
convessa  con  una  traversa  che  passa  loro  nel  centro  e  vi 
riceve  il  mozzo  coli'  estremità  dell'  asse  o  sala  su  cui 
la  ruota  gira.  Nel  campo  del  riverso  che  è  liscio  è  espressa 
la  sola  nota  dell'unità.  Il  suo  peso  è  di  gr.  0,82  (Gamur- 
rini,  Period.  cit.  T.  III  n.  12). 

23.  Altro  simile  nummo  privo  però  della  nota  di  valore.  È  nel 
Museo  di  Firenze  e  pesa  gr.  0,85. 

24.  Abbiamo  due  esempi  di  questa  moneta,  l'uno  trovato  da  me 

presso  un  rigattiere  in  Perugia  ed  è  nella  mia  collezione; 
l'altro  fu  del  Lovatti  che  l'ebbe  da  Corneto,  ambedue  di 
peso  poc'oltre  ai  gr.  0,80.  Eappresentano  da  una  faccia  la 
rana,  dall'altra  la  mosca  ambedue  di  finissimo  lavoro. 

25.  Maschera  comica  di  fronte,  e  al  riverso  uno  scarabeo,  colla 

sua  pallottola  che  inchiude  l'uovo.  Pervenne  nella  mia  colle- 
zione da  Chiangiano.  Il  suo  peso  è  di  gr.  0,95. 

26.  Maschera  comica  ripetuta  sulle  due  facce:  l'ho  da  un  calco 

(Fox,  Greek  coins,  pi.  I,  1). 


27.  Nel   Museo   Britannico   (Poole,    Catal.  8,  n.  7).    Maschera 

tragica  di  prospetto:  il  riverso  è  liscio.  Pesa  gr.  0,51. 

28.  Ivi  (Poole,  Catal.  8,  n.  9).  Testa  di  prospetto   coi   capelli 

discriminati  e  ondeggianti,  del  peso  di  gr.  0,38. 

THEZI,  THEZLE 

29.  Museo  Britannico.  Eappresenta  una  furia  che  rapidamente 
va  a  sinistra  e  guarda  di  prospetto  stringendo  in  ciascuna 
mano  una  serpe,  fl.  Euota  etrusca  di  antica  forma  a  cui 
fanno  da  raggi  due  semicerchi  infissi  in  im  legno  bistondo, 
grosso  nel  centro,  dove  riceve  la  testa  dell'asse  attra- 
versata dal  cavicchio.  Fra  i  due  semicerchi  si  legge 
06II:  il  suo  peso  è  di  gr.  11,11.  Fu  trovata  nella  necro- 
poli di  Vulci  e  recata  a  Roma  al  Capranesi,  che  pubbli- 
colla  negli  Ann.  dcWInst.  (1840,  XII  tav.  P  1  pag.  208); 
poi  la  vendette  al  Museo  Britannico.  Insieme  con  questo 
ne  fu  trovato  un  secondo  esemplare  che  fu  acquistato  pel 
Kircheriano  ed  è  qui  espresso  al  n.  31.  Era  esso  coperto 
di  ossido  ma  ripulitone  per  industria  del  Tessieri  apparve 
ancor  esso  scritto  ed  è  quello  che  si  vede  stampato  neWAes 
grave  alla  classe  III,  suppl.  n.  9  :  il  suo  peso  è  di  gr.  9,13. 
Di  coteste  monete  niuna  se  ne  è  trovata  finora  a  Fiesole, 
e  nondimeno  il  Capranesi  (loc.  cit.),  gli  autori  dell' aes  grave 
(p.  37),  il  Duca  di  Luynes  {Ckoix,  1840,  pi.  1  n.  5),  il 
Eochette  (Journ.  des  Sav.  18-41  p.  263),  il  Cavedoni  (Bull. 
Inst.  1842  p.  156)  l'attribuiscono  a  Fiesole.  Ma  l'epigrafe  non 
è  (DEIV  né  ®EIU  come  si  è  fatto  presumere,  sibbene  ©Eli, 
cioè  Thezi.  Il  Luynes  cambiò  poi  di  opinione  {Revue  nu- 
mism.  1859  pi.  XV  n.  4  ed.  sep.  pag.  47,  48),  e  tenne 
che-  la  moneta  fosse  di  Vei,  il  che  otteneva  dando  a  due 
delle  lettere  un  valore  latino,  pel  quale  il  O  diveniva  un  O 
e  r  I  un  F,  considerando  la  ruota  come  allusiva  al  nome 
di  Vei.  Il  sig.  Hennin  la  tolse  a  Faesulae  per  attribuirla 
a  Telamone  {Manuel  de  numism.  t.  Il  p.  70),  come  se  la 
epigrafe  OEII  non  dovesse  valer  nulla. 

30.  Coli.  Luynes.  I  tipi  sono  quei  medesimi  che  nei  due  esem- 
plari precedenti,  l'epigrafe  vi  si  vede  omessa.  Pesa  gr.  11,30. 
Simile  a  questo  è  l'esemplare  che  l'Ecthel  [D.  n.  v.  1,269), 
trasse  dal  Catalogue  raisonné  dello  Schachmann,  1774,  p.  57, 
dal  quale  si  apprende  che  fu  trovato  in  Malta  ed  era  fo- 
derato. Per  lo  che  nasce  il  dubbio  non  sia  quello  che  oggi 
si  ha  nel  Museo  di  Gotha  di  gr.  11,35,  anepigrafo  e  foderato 
ancor  esso.  La  donna  alata  in  lunga  tunica  quivi  espressa, 
che  io  credo  una  furia,  fu  giudicata  dall'Eckhel  (loc.  cit.)  una 
Nemesi,  non  di  certo  a  motivo  della  ruota,  perchè  egli  stimò 
che  fosse  una  tal  sorta  di  clipeo  e  però  inclinò  ad  assegnarla 
a  Camarina.  Una  Gorgone  vi  vide  il  Creuzer  {Symbol,  t.  II 
p.  664),  ma  ravvisò  al  riverso  una  ruota  stranamente  con- 
figurata, ove  anche  affermò,  non  si  sa  come,  che  molti  esem- 
plari di  poi  provennero  da  Cere  e  da  Vulci,  sui  quali  si 
leggeva  OESV.  Gorgone  la  disse  anche  il  Luynes  seguito 
dal  De  Witte  (//.  de  la  monn.  IV  p.  18),  Furia  l'Hennin, 
Faturn,  aiaa,  il  Cavedoni,  attribuendole  le  zanne,  che  non  ha, 
e  talora  anche  la  lingua  sporgente,  della  quale  particolarità 
non  si  scorge  nei  migliori  esemplari  verun  indizio.  Io,  per 


T .  L  XXIV 


ETRURIA. 


55 


me,  la  tengo  per  furia  e  me  ne  couvince  la  favola  di  Edipo 
espressa  nello  spezzato  inferiore,  dove  appaiono  i  due  serpi 
intorno  alla  testa  di  Edipo,  che  emerge  dal  suolo  per  ma- 
ledire i  due  suoi  figli.  Coteste  spiagge  occidentali  dell'Italia 
furono  assai  piti  che  non  si  crede  frequentate  da  colonie  gre- 
che. Sono  citati  e  noti  Tarcone,  Evandro,  Damarato  conduttori 
di  Pelasgi  forse  Tessali,  di  Pelasgi  Arcadi,  di  Corinzii. 
Giustino  scrive  (XX,  1):  Midtae  urbes  adhuc  post  tamtam 
vetustatem  vestigia  graeci  moris  ostentant. .  in  Tuscis  Tar- 
quinii  a  Thessalis  (vedi  l'Alicarnasseo.  Il  geografo  Dionigi 
(De  situ  orbis  v.  347  segg.)  canta  in  versi: 

TvQ^rjvol  ,(tìi'  TTQMz'  ijiì  òé  aqiiBi  (pvXa  IlsXaayiàv 
^  O'ì  TCOTS  Kvi.hjvrj^£  f  s'cp    éaTCSQi'ijv  aXu  (iavzsg 
AvTÓ^ivtj^cai'To  aì'v  àvÓQaOi  TvQQip'oTai. 

Esiodo  ci  ha  conservato  la  tradizione  antichissima  che 
faceva  Agrio  e  Latino  figli  di  Cii'ce  e  di  Ulisse  (').  Nel- 
l'epoca medesima  che  i  Focosi  si  stabilivano  in  Cimo,  in 
Populonia  e  in  Marsiglia  l'anno  104,  una  greca  colonia  fon- 
dava Cessa,  Damarato  approdava  in  Tarquinia  (Paus.  X,  8). 
Dietro  tutto  ciò  non  sarà  riprovevole  il  riconoscere  una 
città  fondata  dai  G-reci  e  detta  da  loro  Thessala,  sulle  spiagge 
occupate  poscia  dagli  Etruschi,  che  vi  batterono  la  moneta 
coU' epigrafe  0EII  e  OEIUE. 

31.  Coli.  Luynes.  Altro  esemplare  del  medesimo  nummo  trovato 
insieme  con  quello  del  n.  29  a  Vulci  privo  di  leggenda. 
Pesa  gr.  11,30. 

32.  Coli.  Luynes.  Fu  recato  a  Eoma  dall'Btruria  trastiberina  e 
per  mia  mano  passò  al  duca  di  Luynes.  Testa  di  terzo 
cinta  da  diadema  e  in  atteggiamente  flebile  posta  fra  due 
serpi  con  intorno  la  leggenda  OEII  :  nel  riverso  è  la  sfinge 
sedente  e  volta  a  destra.  Pesa  gr.  8,23.  Un  secondo  esem- 
plare se  ne  ha  ora  nel  Museo  di  Firenze.  Il  Gamurrini 
(op.  cit.  p.  55,  t)  opina  che  sia  la  testa  di  Esculapio  con 
sopra  un  serpente,  ma  i  serpenti  sono  due,  e  io  stimo  che 
vi  sia  rappresentata  la  testa  di  Edipo  che  dalla  terra  si 
eleva  presso  l'ara  delle  Erinni,  significate  dalle  serpi,  per 
ripetere  le  maledizioni  ai  figli.  La  sfinge  tebana  che  è 
sul  riverso  a  tale  interpretazione  ci  è  di  guida. 

33.  Museo  Britannico.  Protome  di  bue  volta  a  d.:  intorno  inter- 
namente letto  OEIl-E:  da  sinistra  a  destra,  come  in  OEII. 
Nel  riverso  cavallo  marino  volto  a  d.  Il  suo  peso  è  di 
gr.  9,33  (Bompois,  Revue,  pi.  XVI,  8,  Poole,  Catal.  p.  397, 
1).  Cotesto  nome  ThezLe  parmi  il  medesimo  Thezi  con  l'ag- 
giimla  dell'ultima  sillaba. 

ECHETHIA 

34.  Nel  Museo  Britannico.  Testa  muliebre   con  pendenti  agli 

orecchi  e  coronata  di  laurea,  volta  a  d.  Nel  riverso  un 
gufo  e  al  lato  destro  quasi  in  esergo  la  leggenda,  Ef  E®, 


(')  II  sig.  Helbig  ha  voluto  di  recente  sostituire  ad  "Jyqiov  il  nome 
T«p;fmv  (Bull.  Imtil.  18S4)  :  ma  non  si  è  sovvenuto  elle  Licofrone  ha  dato 
Tarcone  e  Tirreno  per  figli  a  Telefo  frigio  (Lycoph.  v.  1248  seg.)  : 

Tuqyuìif  xtà    Tvoaìivòg,   tudliìveg  Xvxoi 

Tiày  Hop.x'/.slùìv  iy.yeyiìireg  Ki^uttov. 


fra  due  lunette  opposte.  Pesa  gr.  3,80.  L' ha  publicata 
il  Bompois  {Revue  arch.  1879  pi.  XVI,  8).  In  Stefano  di 
Bisanzio  è  nominata  una  città  'Exsti'a  nóhg  'hah'ag,  e 
tre  linee  dopo  si  legge  :  'Exéxqa.  nóhg  'IraXt'ag.  Il  Mei- 
neke  annota  'Egeria  ex  'ExérQce  corruplum  vidit  Cluverus.  Ma 
può  ben  essere  che  non  sia  cosi  :  e  di  fatti  il  grammatico 
insegua  che  da  'Exixqa  deriva  'Exsxqaróg  voce  adoperata  da 
Dionigi  d'Alicarnosso,  ma  da  'Ex^iCa  dice  che  deriva  'Exsnce- 
j'óg,  come  da  Kagdia  deriva  Kaqdiavòg.  La  ^Ex^tia  siiriscontra 
colla  'Ex^D  di  Etruria,  se  cambiasi  solo  in  tenue  l'aspi- 
rata 0. 
35.  Coli.  mia.  Testa  muliebre  volta  a  sin.  ornata  di  pendenti 
e  di  una  corona  di  lauro  con  contromarca  di  forma  pira- 
midale: il  rovescio  è  liscio.  Pesa  gr.  2,20.  Mi  fu  recata 
dalle  campagne  di  Monteleone  in  Sabina,  l'antica  Trebula 
Mutitesca. 

PUPLUNA 
Tav.  LXXIV. 

1.  Museo  Kircheriano.  Testa  di  Pallade  volta  a  -d.:  di  sotto  è 

il  segno  del  valore  ....  :  Nel  riverso  la  nottola  che  vola  e 
vi  si  ripete  la  nota  del  valore  :  nel  campo  due  stelle  l'una 
a  d.  l'altra  a  sin.  della  nottola.  Quantunque  cotesto  triente 
non  porti  inscritto  verun  nome  di  città,  nondimeno  esso 
era  già  computato  per  moneta  etrusca:  ora  poi  è  dimo- 
strato di  Populonia  dai  non  pochi  esemplari  che  vengono 
da  quella  riviera  come  ho  appreso  dal  march.  Strozzi.  Nella 
collezione  Mazzolini  trovasi  un  quadrante  di  cotesta  serie 
venuto  or  ora  alla  luce,  dove  i  tipi  sono  gli  stessi  che  quei 
del  sestante,  la  nottola  è  in  riposo,  ma  i  tre  globetti  che 
stanno  sul  dritto,  sul  riverso  non  sono  visibili  per  difetto 
di  conio. 

2.  Coli.  Strozzi.  Testa  molto  svanita  di  Pallade  galeata  volta 

a  d.  R.  Nottola  levata  a  volo,  di  prospetto  e  di  sopra  una 
mezza  luna  decrescente  fra  due  globetti.  A  d.  e  a  s.  della 
nottola  si  trovano  due  ruote  impresse  a  modo  di  contromarca. 
Cotesto  sestante  si  trova  ribattuto  e  senza  contromarche: 
io  ne  ho  veduto  un  esemplare  nella  collezione  Mazzolini, 
dove  i  tipi  sono  del  triente  n.  1,  ma  dietro  il  collo  della 
Pallade  rimane  la  luna  decrescente  fra  i  due  globetti  del  se- 
stante che  fu  il  primo  tipo,  e  al  riverso  di  sotto  alla  not- 
tola che  vola  si  leggono  le  lettere  ■■•'IV'1.  Il  sestante  adunque 
è  anteriore  o  contemporaneo  al  triente  e  ambedue  appar- 
tengono a  Pupluna. 

3.  Nel  Kii-cheriano.  Pesa  gr.   12,20.  Testa  imberbe  di  Ercole 

cinta  di  diadema  e  colla  clava  accostata  al  collo  :  nel  riverso 
vi  si  vede  l'arco,  la  clava,  la  freccia,  i  due  globoletti  segno 
del  valore  e  il  nome  della  città  fll1V>l'1V"l.  Il  Carelli  la  dà 
(Tav.  Vili,  30),  ma  omette  la  clava  nel  dritto,  che  vi  è 
stata  poi  espressa  dal  Poole  (Catal.  5,  24). 

4.  Nel  Kircheriano   del  peso  di  gr.  9,70.  La  coli.  Strozzi  ne 

possiede  un  esemplare  con  quattro  globoletti  in  contromarca, 
I  tipi  sono  :  testa  di  Minerva  e  nota  del  valore  ..  R.  Not- 
tola stante  sopra  due  simili  globoletti  :  a  sinistra  una  mezza 
luna  fra  due  astri,  in  basso  l'epigrafe  flMV>l')V'l.  Abbiamo 


56 


ETRUKIA 


T.  LXXIV. 


dunque  un  altro  esempio  del  sestante  ribattuto  per  triente, 
e  ne  vedremo  altri  nei  nn.  5-9. 

5.  Nel  Eircheriano.  Testa  di  Vulcano  a  d.':  dietro  la  nota  X. 
B.  La  tenaglia  e  il  martello  colla  nota  del  triente  ....; 
intorno  al  lembo  fll1V^J'lV'1.  Pesa  gr.  8,12.  Un  esempio  reca- 
tomi di  recente  da  Campiglia  pesa  gr.  7,50.  Sotto  il  martello 
rimane  la  mezza  luna  fra  due  stelle  del  conio  precedente. 

(3.  Nel  Museo  di  Parma.  Moneta  coi  tipi  del  n.  4  ribattuta  con 
quei  del  n.  5.  Appartengono  al  rovescio  del  primo  tipo  le 
poche  lettere  della  epigrafe  AVA,  e  al  dritto  la  debole  ombra 
della  testa  di  Minerva. 

7.  In  Parigi  nel  Gabinetto  delle  medaglie.  Data  dall'Bckhel  {N. 

vet.  tab.  II  n.  1.5).  Questo  bronzo  ha  i  tipi  del  n.  4  ed  è 
ribattuto  con  quei  del  n.  5.  Del  primo  conio  rimangono  i 
due  globoletti  sul  volto  del  Vulcano  e  uno  dei  due  astri  : 
nel  riverso  è  superstite  l'elmo  della  Minerva.  Uno  di  co- 
testi nummi  ribattuti  si  deve  dire  che  fosse  quello  figurato 
dal  G-uarnaeci  (Tav.  XII,  8)  e  ripetuto  dal  Carelli  (Tab. 
Vni,  28).  Nei  bronzi  5,  6  sono  insieme  unite  due  sorte 
di  cifre  numeriche  e  discordi  nel  rappresentarne  il  valore  : 
perocché  alla  nuca  del  Vulcano  è  un  X,  dieci,  e  fra  la  te- 
naglia e  il  martello  un  . . . . ,  quattro.  Sono  dunque  due  i 
valori  di  cotesti  bronzi  nel  cambio  e  le  dieci  unità  deb- 
bono equivalere  nei  conti  a  quattro  unità.  Abbiamo  veduto 
nelle  monete  di  argento  cambiarsi  la  cifra  del  valore  ri- 
manendo il  peso  medesimo  e  l'abbiamo  spiegato  col  buon 
confronto  della  monetazione  cartaginese,  e  di  altre  grandi 
città  di  commercio  nelle  quali  il  magistrato  faceva  coniare 
insieme  monete  di  sistema  diverso  (Miiller,  Ancien  Afrique, 
voi.  I  p.  120,  Il  pag.  134).  Vedremo  di  poi  anche  in  Roma  il 
denario  con  la  cifra  XVI,  e  in  Puglia  ai  sestanti  con- 
giunta la  cifra  S,  e  nella  moneta  di  Brindisi  la  nota  S  unita 
coi  quattro  globetti. 

8.  Nel  Museo  di  Parma.  Testa  di  Mercurio  :  dietro  la  quale  una 

mezza  luna:  in  basso  due  globoletti  appartenenti  al  conio 
anteriore  che  ebbe  i  tipi  del  n.  4.  R.  Due  caducei  volti 
in  contrario,  ambedue  decorati  di  lemnisco,  nel  mezzo  l'epi- 
grafe flMV>l'lV^  e  la  nota  ^X  del  valore,  dove  appare  una 
linea  obliquamente  posta  accanto  al  numero  X.  Abbiamo 
di  sopra  avuto  un  esempio  di  cotesta  linea  sebben  non  con- 
giunta ma  separata  dall'X  (Tav.  LXXI,  22).  La  sua  giaci- 
tura singolare  può  essere  indizio  che  non  si  volle  con  essa 
indicare  l'unità.  Sarà  quindi  d'  uopo  conchiudere  che  non 
ebbe  valore  numerico,  ma  si  adoperò  per  cifra  di  signifi- 
cato analogo  al  cerchietto O  dopo  le  decine  (T. LXXII,  7,8). 

9.  Nel  Eircheriano.  È  ribattuto  come  il  precedente  ;  di  che  sono 

indizio  certo  i  due  globoletti  e  l'astro  superstiti.  Nel  basso 
del  riverso  è  un  caduceo  lemniscato  ma  in  alto  in  vece 
della  forma  nota  del  caduceo  se  ne  ha  uno  composto  di  tre 
anelli  con  la  estremità  volte  in  fuori.  Ancor  qui  come  sopra 
n.  8,  e  in  un  simile  nummo  del  Museo  di  Parigi  edito 
dall'Bckhel  (iV.  vel.  II  p.  1)  la  nota  del  valore  X  ha  dopo 
di  sé  una  linea  obliqua,  la  quale  come  ho  detto  di  sopra 
vi  starà  come  la  cifra  O  a  significare  il  valore  numerico 
delle  X.  Di  una  simile  linea  obliqua  si  servono  i  Greci  a 


fin  di  determinare  le  lettere  numeriche  a  cui  si  vuol  dare 
il  valore  millenario  (Franz,  El.  epigr.  gr.  pag.  349). 

PUPLUNA-VETULONIA-CAMARS 

10.  Nel  Museo  di  Parma.  Un  simile  nummo  fu  stampato   dal 

Caronni  {Mus.  Vitzai/,  part.  I  p.  16  n.  325),  ma  egli  vi 
lesse  male  V<Ifl^3ì  e  non  altro.  Cotesto  Vetaru  il  Sestini 
l'attribuì  a  Massa  di  Maremma,  Massa  Veternensis,  che 
credette  un'  antica  città  di  nome  Veterna  (Ciass.  Gen.  p.  II 
_  ed.  2);  ma  di  questa  Veterna  non  si  hanno  indizi  prima  di 
Ammiano  Marcellino.  Al  Millingen  parve  che  questo  nummo 
e  i  simili  fossero  ribattuti  e  da  attribuirsi  a  Populonia 
(Consid.  p.  173).  Tale  opinione  fu  anche  del  Carelli,  come 
annota  il  Cavedoni  (in  Carell.  tab.  .  .  p.  2  n.  20);  ma  l'at- 
tribuzione ne  ha  poggiato  finora  sul  falso  :  ivi  si  legge  Fetalu 
che  è  manifestamente  Vetulonia.  I  tipi  soìio.  Testa  coperta 
di  pileo  conico  laureato  volta  a  d.  alla  cui  nuca  vedesi  spun- 
tare una  mezza  nave.  Non  credo  che  l'insegna  della  nave 
possa  cambiare  in  Ulisse  il  Vulcano  dei  Populoniesi,  pre- 
valendo le  insegna  del  riverso  che  sono  le  tenaglie  e  il 
martello.  A  Vulcano  si  è  data  la  prova  per  dinotare  la  città 
marittima  che  faceva  gran  commercio  del  rame  e  del  bronzo 
lavorato,  i?.  Martello  a  sin.,  tenaglia  a  destra,  in  mezzo  due 
globoletti,  nota  del  valore:  intorno  a  sin.  V>lfl+3ì  assai  bene 
impresso,  a  destra  flHV>J8V8,  e  in  cima  esteriormente  scritto 
si  legge  (\-V.  In  altri  esemplari  questi  due  nomi  sono  assai  sva- 
niti. Tali  mi  sono  sembrati  i  due  posseduti  dal  march.  Strozzi, 
in  uno  dei  quali  si  è  letto  ^ISV-I  soltanto,  e  in  altro  AHV>i8V't  ed 
V>)A+3,  di  che  il  Gamurrini  dà  notizia  nell'ipp.  al  C.  inscr.  ìt. 
del  Pabretti  pag.  10  nn.  55,  56  (Tav.  III  n.  56).  È  una  mo- 
neta di  confederazione  dei  tre  popoli  i  Vetuloniesi,  i  Pu- 
plunesi  e  i  Camarti.  Nel  nome  di  Pupluna  é  singolare  lo 
scambio  che  vi  si  fa  due  volte  del  Pe  in  Pi. 

11.  Museo  di  Firenze.  Testa  giovanile  nuda  volta  a  d.  ohe  sembra 

guardare  in  alto.  R.  Due  astri  e  due  mezze  lune  e  nel 
basso  un  terzo  astro  al  quale  probabilmente  era  congiunta 
la  sua  mezza  luna,  e  però  si  può  opinare  che  sia  uscita 
di  conio:  nell'orlo  superiore  vi  si  legge  \N\.  Fu  inciso  dal 
Carelli  T.  Vili  n.  32,  che  non  si  avvide  della  lettera  W, 
né  altri  dopo  di  lui. 

12.  Museo  di  Monaco.  Altro  esemplare  del  nummo  medesimo 

trovato  da  me  nel  Museo  predetto,  ed  era  stato  ancor  esso 
inciso  dal  Carelli  (Tav.  Vili  n.  38) 

I 
FERCNA 

13.  Museo  di  Firenze.  Di  cotesta  moneta  si  hanno  due  esem- 
plari ambedue  scoperti  dal  Gamurrini  e  il  primo  anche 
stampato  dal  medesimo.  Nel  primo  la  leggenda  erasi  con- 
servata per  metà  \(W> ,  e  fu  ragionevolmente  supplita 
if)l/l>(<lflT),  con  quella  verosimiglianza  che  sol  si  poteva. 
Venne  di  poi  fuori  l'altro  esemplare,  che  do  qui,  ove  si 
legge  invece  interamente  JflUXlBì.  I  tipi  sono  :  testa  di 
Pallade  galeata  e  volta  a  sin.  R.  Metà  anteriore  di  un 
mostro  marino  a  testa  di  tigre. 


T.  LXXV 


ETEURIA 


57 


CT«A 

14.  Museo  Britanuico.   Aucor  di  questa   moneta  si  hanno   due 
esemplari  il  primo  nel  Museo  Britannico  datoci  dal  Poole 
Calai,  p.  14  n.  II)  del  peso  di  gr.  14,19:  l'altro  di  re- 
cente scoperto  dal  sig.  Falchi  che  il  possiede  ed  è  di  gr. 
13,(300.  Ha  per  tipo  ima  testa  giovanile  volta  a  d.  la  quale 
porta  sul  capo  a  modo  di  copertura  im  delfino  volto  a  sini- 
stra verso  la  nuca.  Nel  campo  di  sopra  è  la  nota  del  qua- 
drante o  a  • .  R.  Àncora  coU'anello  alla  cui  sinistra  si  ri- 
petono i  tre  giobelti,  e  a  destra  si  legge  fl»+).  In  cotesto 
nome  di  città  v'è  di  singolare  il  globetto  schiacciato  che 
vi  tiene  luogo  di  lettera  alfabetica.  Un  caso  che  può  dii'si 
simile  a  questo  fu  notato  dal  Eiccio  in  un  semisse  della 
Kiibria  dove  l'epigrafe  è   scritta   così    D«S,  cioè,  dice  il 
Borghesi  scrivendone  al  D'Ailly  (25  marzo_  1840  Oeuvers, 
VII  pag.  369),  che  quello  che  sembra  la  lettera  O  è  piuttosto 
una  specie  di  scudo  rotondo  senza  ornati  e  liscio.  Chi  sa  dun- 
que cosa  sarà?  ma  DOS  non  è  certo.  Così  egli.  E  noi  diciamo 
che  più  volte  si  è  veduto  l'O  in  forma  di  piastrella  rotonda, 
per  arte  o  per  difetto  del  conio.  Qui  poi  il  globetto  •  o 
vale  un  Q,  ovvero  è  veramente  un  segno  di  valore  da  pa- 
ragonarsi ad  un  simile  globetto  egualmente  seguito  da  una 
lettera  alfabetica  »S,  che  si  ha  in  un  bronzo  di  Venosa. 
La  strana  inserzione  di  un  globetto  nella  epigrafe  ha  fatto 
credere   al  Poole,  che   la  moneta  fosse  ribattuta.   Il  Gra- 
murrini  che  ne  dà  notizia  nell'/l/)/!.  al  Corpus  inscr.  ital. 
del  Pabretti  pag.  73  n.  848  lascia  incerto  se  questo  ton- 
dino sia  un  globetto  o  un  buco.  Posso  assicurare  che  nei 
due  esemplari  il  tondino  è  in  rilievo  pari  alle  lettere  e  a 
superficie  piana;  però  la  leggenda  non  è  Cati,  come  la  si 
vede  trascritta  dal  Poole  e  in  ciò  ha  ragione  il  Gamurrini. 
Eimane  dunque  che  si  legga  Ct  o  a.  La  testa  coperta  dalla 
spoglia  del  delfino  allude  senz'altro  ai  Tirreni  cambiati  in 
delfini  dal  figlio  di  Semole. 

PATU  (Vetulonia) 

15.  Gabinetto  delle  medaglie  (Monfaucou,  Supfl.  Ili,  XLVIII,  9). 
Testa  giovanile  coperta  della  spoglia  di  cignale.  B.  Ferro 
di  tridente  fra  due  delfini.  La  nota  del  valore  »  • ,  qui  è 
monca,  ma  si  vede  intera  nell'esemplare  del  Kircheriano  e 
nel  Viennese.  L'eroe  che  si  vede  coperto  della  spoglia  del 
cignale  ricorda  probabilmente  Elpenore  uno  dei  compagni 
di  Ulisse  trasformato  da  Circe  in  forma  di  cignale  ;  il  se- 
polcro di  lui  yedevasi  sul  Circeio  cinto  intorno  di  belle 
piante  di  mii-to  (Theopkrast.  H.  V,  9;  Plin.//.  N.  1.  XV  e.  86). 
Il  Mommsen  che  cambia  questa  spoglia  in  pelle  di  leone, 
tiene  quindi  erroneamente  per  Ercole  l'eroe  che  ne  è  vestito 
{H.  de  la  monn.  voL  I  pag.  388). 

16-18.  Apprendiamo  da  questa  serie  che  la  leggenda,  quando  è 
piena,  conta  quattro  lettere  •^■i-f\^.  Sono  sestanti  e  ne  por- 
tano la  nota  ripetutamente  sul  diitto  e  sul  rovescio  ;  il  peso 
ne  è  vario  :  la  collezione  Strozzi  ne  conta  di  gr.  13,750  e 
giii.  fino  a  gr.  5,350.  H  sig.  Falchi  fra  un  gran  numero 
di  cotesti  bronzi  (Ricerche  di   Vetulonia,  Prato  1881)  uno 


ne  possiede  di  gr.  5,050,  che  ha  come  il  nostro  del  n.  16 
i  globetti  sotto  il  collo  della  testa  giovanile. 
19.  Nel  Kircheriano.  Pesa  gr.  3,18  :  ma  ve  n'è  un  altro  esemplare 
di  gr.  5,00.  L'epigrafe  è  qui  sotto  il  collo  e  non  vi  si  vede 
verun  segno  di  valore. 

AES  INCUSUM  SEDIS  INCEETAE 

Tav.  LXXV. 

1.  Museo  Vaticano.  Il  Capranesi  ne  pubblicò  un  esemplare  (Dia- 
milla,  Mem.  numism.  tav.  I  n.  1  pag.  9),  ma  stranamente 
contrafatto,  e  neanche  fu  chiaro  se  avesse  il  riverso  in- 
cuso.  Al  1860  non  si  conosceva  che  wa.  solo  bronzo  a  ri- 
verso incuso,  ed  era  quello  dato  dal  Micali  [Ant.  mon.  pi. 
CXV):  noi  dunque  ne  daremo  la  prima  volta  tutta  una  serie. 
Testa  barbata  e  cinta  di  lawo  volta  a  destra;  dietro  la 
nuca  è  la  nota  del  valore  3IC.  R.  Cavallo  marino  incùso. 
Pesa  gr.  40,80.  L'esemplare  del  Capranesi  non  ben  con- 
servato pesava  gr.  32,00.  Da  cotesto  nummo  appresi  e  feci 
noto  ai  miei  amici,  che  l'hanno  divulgato,  la  forma  e  il  valore 
della  cifra  DIC  presso  gli  Etruschi.  Ora  da  Campiglia  il  sig. 
Mazzolini  mi  ha  recato  un  terzo  esemplare,  ma  roso  nella 
superficie  del  dritto,  e  accecato  dalla  ruggine  nel  riverso.  È 
del  peso  di  gr.  30,80. 

2.  Museo  .di  Torino  (Sambon,  Recherches,  pi.  IV,  26).  Nel  dritto 

testa  barbata  coperta  dalla  spoglia  probabilmente  di  un 
delfino,  dietro  la  nuca  è  la  nota  '^.  R.  Aquila  volta  a  destra 
e  respiciente  a  sinistra,  dove  è  un  serpe  che  par  le  si  drizzi 
contro.  Pesa  gr.  21,25. 

3.  Museo  Vaticano.  Testa  barbata  volta  a  d.  coperta  della  spoglia 

simile  a  quella  del  numero  precedente ,  dietro  T  uscita 
per  metà  di  conio.  R.  Grifo  che  va  a  destra.  Pesa  gr.  19,100. 
Un  esemplare  che  è  del  march.  Strozzi  trovato  in  Val  d'Orcia 
pesa  gr.  19,30  ma  è  alquanto  logoro. 

4.  Nel  Museo  Vaticano.  Testa  barbata  volta  a  d.  e  coperta  della 

spoglia  probabilmente  di  un  cane  pomerano.  Plutone  in 
una  pittura  etrusca  si  copre  con  pelle  di  cane  (Conesta- 
bile,  PUt.  mur.  tav.  XI);  di  dietro  è  la  nota  XXX.  R.  Testa 
di  asino.  Pesa  gr.  13,43.  Ve  n'era  un  esemplare  nella  col- 
lezione Lovatti.  Fra  le  schede  Kircheriane  di  mano  del 
Puertas  si  ha  un  disegno  di  questo  bronzo  e  nel  Museo 
di  Firenze  se  ne  conserva  un  altro  di  mano  del  Sestini, 
dove  si  vede  aggiunta  l'epigrafe  flHV>l')V1  dimezzata  nel 
dritto  e  intera  nel  riverso.  A  me  non  è  avvenuto  di  vederne 
alcun  riscontro  :  penso  che  le  Unee  del  cerchio  di  ornato 
siano  state  trascritte  per  lettere.  Il  Carelli  dà  nella  tav.  Vili 
n.  31  un  bronzo  simile  nel  dritto  al  nostro;  ma  egli  vi 
ha  rappresentato  al  riverso  una  larva  gorgonia  di  rilievo. 
Il  Gamurrini  (op.  cit.  p.  62)  stima  che  vi  sia  nel  dritto  la 
testa  di  Ercole  e  nel  riverso  una  colomba  e  un  serpe  pro- 
babilmente per  equivoco  con  l'altra  moneta  riferita  di  sopra. 

5.  Nella  collezione  Strozzi.  Testa  di  donna  coperta  dì  elmo  a 

destra  ;  davanti  la  nota  AXX.  R.  Gallo  che  canta  volto  a 
sin.  Pesa  gr.  11,20.  Ve  n'è  un  esempio  nel  Museo  Vati- 
cano del  peso  di  gr.  10,72  ;  un  terzo  si  conserva  nel  Parigino 
Gabinetto  delle  medaglie  del  peso  di  gr.  11,60.  L'Arigoni 


58 


ETEDRIA,  UMBRIA 


T.  LXXVI 


l'ha  dato  nel  T.  Ili,  Vili,  9  fra  gl'incerti,  ma  non  lia  in- 
dovinato la  lìgura  del  riverso. 

6.  Nel  Museo  Vaticano.  Testa  barbata  e  cinta  di  corona  volta 

a  d.:  dietro  ba  la  nota  XX.  R.  Aquila  rivolta  a  sinistra 
respiciente  a  d.  con  le  ali  aperte  e  a  doppia  testa,  ma  per 
sbalzo  di  conio.  Pesa  gr.  11,4. 

7.  Nel  Museo  Vaticano  (Micali,  Ant.  mon.  Pir.  1832  tav.  CXV 

nn.  9,  10).  Simile  al  precedente,  ma  nell'  aquila  non  v'  è 
sbalzo  di  conio.  Pesa  gr.  9,3.  Un  esemplare  cbe  se  ne  ba 
nel  Gabinetto  delle  medaglie  pesa  gr.  10,70  (cf.  H.  de  la 
mon.  IV  pi.  XVIII,  9). 

8.  Nel  Museo  di  Firenze.  Testa  cbe  par  muliebre  con  capelli 

richiamati  e  ritenuti  dalla  tenia,  con  monile  al  collo.  Sta 
dentro  un  periato  e  una  laurea  ed  ha  dietro  la  nuca  la 
nota  X,  di  sotto  al  collo  la  nota  ID.  Pesa  gr.  6,40.  R.  Serpe 
con  pelle  screziata  o  più  veramente  punteggiata.  Il  G-a- 
murrini  (op.  cit.  p.  63)  crede  che  la  testa  sia  di  Bsculapio. 

9.  Nella  collezione  Strozzi.  Testa  virile  barbata  volta  a  d.;  dietro 

la  nota  X  dentro  un  periato  e  una  corona  di  lauro.  R.  Pesce 
simile  al  capriscusYolio  a  d.  dentro  una  laurea.  Pesagr.  2,49. 
Il  Gamurrini  (loc.  cit.)  cita  dalla  tav.  CXV  n.  13  del  Mi- 
cali  {Ant.  monwn.)  un  bronzo  nel  quale  è  una  testa  bar- 
bata e  dietro  X.  R.  Quadrato  incuso.  In  altro  simile  bronzo 
assai  detrito  ha  egli  letto  il  numero  V  :  ma  è  chiaro  che 
deve  essere  X,  perchè  se  fosse  V  non  si  sarebbe  scritto 
così  in  etrusco. 

10.  Parigi,  Gabinetto  delle  medaglie.   Testa  probabilmente  di 

donna  coperta  di  elmo  frigio  volta  a  d.;  dietro  >  nota  del 
cinque,  o  metà  di  un  tutto.  R.  Quattro  fiori  simili  ai  gi- 
giiacei  coi  loro  calici  volti  ad  un  centro.  L'  ha  comunque 
pubblicata  il  Sestini  {Museo  Fontana,  III,  XI,  1).  Il  sig. 
Mazzolini  ne  possiede  un  esemplare  del  peso  di  gr.  3,07. 

>,  ì,  M,  /V\  SEDIS  INCEETAB 

11-14.  Museo  Kircheriano.  Testa  di  moro  con  anello  all'  orec- 
chio volta  a  d.  R.  Elefante  asiatico  con  la  squilla  al  collo 
stante,  volto  a  destra.  I  bronzi  che  portano  questi  tipi  si 
distinguono  fra  loro  per  quattro  diverse  lettere  alfabetiche, 
che  vi  si  vedono  al  riverso  e  sono  >,  ì,  141,  /V\:  tre  di 
esse  >  HI  /V\  si  ripetono  talvolta  anche  sul  dritto. 

15.  Nella  collezione  Strozzi.  Questa  monetina  ha  i  tipi  predetti 
.  e  per  lettera  distintiva  un  /V\  al  dritto  e  al  riverso  ;  ma  nel 
dritto  allato  all'WV  vi  sono  due  altre  lettere.  Il  Gamurrini 
ritiene  che  le  lettere  del  dritto  siano  latine  e  dicano  C  •  PISO: 
io  invece  confessandone  la  difficoltà  pure  devo  dire  che  tale 
lettura  mi  pare  impossibile:  io  vi  trovo  invece  C^\^A.  e 
questa  terza  lettera  N\  rivedo  dimezzata  nel  rovescio  dove  il 
Gamurrini  ha  letto  un  5.  La  lettera  M  segna  il  conio  come  al 
riverso.  Il  Cr\  parmi  dinoti  il  due  e  mezzo.  I  bronzi  con 
questi  tipi  si  sogliono  trovare  in  Val  di  Chiana  e  il  loro  peso 
è  di  gr.  2,40  ;  2,80. 

L' imagine  dell'  elefante  non  ci  riporta  al  secolo  sesto 
quasi  che  fosse  di  razza  africana,  sapendosi  che  ai  tempi 
della  guerra  punica  tali  elefanti  furono  veduti  in  Italia; 
ma  essi  invece  sono  gli  asiatici  di  Pirro  mostrati  a  Roma 


dal  censore  Sulpicio  Saverrione  dopo  la  giornata  di  Ascoli. 
Né  deve  far  ostacolo  il  vedere  quivi  ritratto  il  moro  custode 
della  bestia  :  perocché  cotesti  mori  erano  anche  in  Asia,  e 
gli  indiani  insieme  cogli  africani  adoperavansi  per  la  singoiar 
perizia  in  addestrare  gli  elefanti,  di  modo  che  a  ra- 
gione Lelio  trattando  di  costoro  pone  insieme  gli  Indiani 
e  gli  Africani  da  sé  veduti  in  Africa  nel  tempo  che  era 
legato  di  Scipione  (Cic.  De  reputi.  II,  40)  :  Non  et  tibi 
{Scipioni)  cum  essem  legatus  {bello  punico  tertio)  saepe  vidi. 
Ergo  ille  indus  aut  poenus  unam  coercet  belluam  et  eam 
docilem  et  humanis  moribus  adsuetam.  Pirro  a  testimo- 
nianza di  Dionigi  di  Alicarnasso  {Fragm.  LXIX  e.  14 
pag.  134  ed.  medio!.)  si  serviva  di  Indiani,  che  gli  saranno 
stati  spediti  da  Tolomeo  di  Egitto  suo  suocero,  dei  quali 
erasi  giovato  anche  per  ricuperare  l' Epiro. 

TUDEE  (in  Umbria) 

16.  Nel  Museo  Kircheriano.  Testa  giovanile  coperta  di  pileo 
a  doppia  gronda.  R.  Scrofa  con  tre  porcelletti,  'due  dei 
quali  volti  verso  la  madre,  il  terzo  va  di  passo  :  vi  si  legge 
di  sopra  3<13+V+  (Marchi  e  Tessieri,  U  aes  grave,  Suppl. 
ci.  II,  2  ;  Poole,  Calai,  pag.  397,  1).  Pesa  gr.  9,25. 

17.  Kirch.  Testa  di  Sileno  coronata  di  edera  con  un  corimbo  sulla 

fronte  male  espresso  finora  nelle  stampe  come  un  bitorzo  (Ca- 
relli, tav.  XXI,  42).  R.  Aquila  stante  a  sinistra  in  atto  di  pren- 
dere il  volo  e  3"^3tV+  È  di  gr.  3,80.  L'esemplare  di  mia  col- 
lezione pesa  gr.  4,20. 

18.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  fauno  con  orecchi  lunghi  e  affi- 
lati e  corna  di  caprio  in  fronte.  R.  Cornucopia  con  spiga 
di  grano,  grappolo  d'uva,  e  un  guscio  o  baccello  di  legume 
che  par  di  fava  o  pisello  e  leggenda  3'^3+V+.  Pesa  gr.  1,75.  È 
stato  notato  dal  Cavedoni  che  le  corna  del  fauno  furono  omesse 
dal  disegnatore  del  Carelli  (Tav.  XXI,  44).  Ebbe  adunque 
Todi  ima  moneta  coniata  di  gr.  9,  come  l'obolo  greco,  la 
metà  di  esso  e  il  quarto.  Il  tipo  dell'obolo  rappresenta  un 
porcaio  coperto  di  un  pileo  simile  a  quello  che  ha  in  capo 
Eaustolo  sul  denaro  di  Sesto  Pompeo.  Ambedue  cinti  da 
doppia  gronda.  Al  Millingen  pare  {Consid.  p.  169)  che  sia 
un  petaso  di  forma  singolare  portata  forse  da  un  Mercurio. 

PEITHESA  C,  W\,  M,  5 

Tav.  LXXVI. 

1.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  Mercurio  coperta  dal  pileo  alato 

volta  a  d.  R.  Civetta  e  quasi  di  prospetto  e  a  d.  fli30l3'1. 
Il  sig.  Hennin,  scrive  di  Peithesa  {Manuel  de  numism.  Il 
p.  70)  :  Les  pèces  attribuées  à  cette  ville  ont  été  restituées 
à  Veientum  d'Etrurie.  Ebbe  dunque  ragione  il  Millingen 
di  notare  che  questo  nummo  inscritto  ha  fornito  un  ampio 
campo  di  congetture,  avendolo  il  Lanzi  dato  a  Perugia 
{Saggio,  II,  t.  I  fig.  II),  il  Cramer  a  Pisa  {Anc.  Itahj,  vol.I 
pag.  173),  il  Mionnet  a  Veientum  o  Vei  {Suppl.  1. 1  p.  204), 
attribuzione  sostenuta  anche  dal  citato  Hennin.  Ma  cotesti 
piccoli  bronzi  si  sogliono  trovare  in  Val  di  Chiana,  e  perf> 
ivi  deve  essere  stata  una  volta  la  cercata  Peithesa. 

2.  Kirch.  I  tipi  medesimi,  ma  la  leggenda  fliSOB'l  è  sul  dritto: 


T.  LXXVII 


ETRUEIA,  LATIUM 


59 


al  rovescio  invece  a  destra  della  civetta  vi  si  trova  il  se- 
gno g  in  parte  logoro. 

3.  Coli.  mia.  I  tipi  sono  gli  stessi,  ma  sotto  il  collo  del  Mer- 

curio al  dritto  v'è  un  C  :  al  rovescio  vi  si  legge  ftGOGA 
e  inoltre  a  sinistra  presso  l'ala  della  civetta  uu  g  .  Qui 
abbiamo  dunqne  una  prova  novella  che  dimostra  l'uso  si- 
multaneo di  due  segni  iu  due  alfabeti  diversi  l' un  greco 
l'altro  etrusco.  Il  loro  peso  è  di  gr.  incirca  3. 

4.  Kirch.   I  tipi  sono  i  medesimi,   soltanto  la  epigrafe  è  qui 

espressa  per  la  sola  lettera  iniziale  A  che  si  ripete  sul 
dritto  e  sul  rovescio. 

5.  Kirch.  Testa  di  Apollo  cinta  di  laurea  colla  faretra  al  collo 

volta  a  desti'a  :  dinanzi  v'è  la  lettera  h.  R.  Civetta  quasi  di 
prospetto:  a  destra  vi  si  ripete  la  lettera  h  e  sopra  di  essa 
un  po'  logoro  il  segno  g .  È  certo  che  il  $  ancor  qui 
dinota  la  metà  come  nel  n.  3  ;  l' altro  segno  giacente 
che  si  vede  sul  di-itto  e  a  destra  pare  sia  l' iniziale  di 
Peithesa. 
(3.  Coli.  mia.   Testa  di  Pallade   galeata  volta  a  d.  e  di  sopra 

un  C.  R.  Civetta  quasi  di  prospetto  e  a  destra  C. 
7.  Kirch.  I  tipi  sono  gli  stessi,  soltanto  nel  dritto  la  lettera  C 
non  è  posta   di   sopra    dell'  elmo,  ma  davanti   della  Pal- 
lade a  destra.  Qui  il  C  mi  sembra  lettera  iniziale.  Queste 
due  monete  6,  7  pesano  gr.  2,00. 
8-10.  Nel  Kirch.  Testa  giovanile  coperta  della  pelle  di  cane 
pomerano,  la  cui  figura  è  rappresentata  al  riverso  in  atto 
di  correre  a  sinistra,  di  sotto  fra  le  gambe  vi  si  legge  ima. 
delle  tre   lettere  5,  \M,  M.  L'  Eckhel  {D.  n.  v.  I,  95)  e 
ilEochette  {Journal  des  Sav.  1841  p.  24)  la  dicono  erronea- 
mente testa  di  Ercole  coperta  della  pelle  di  leone. 
3,  ì,  V 
11-13.  Nel  Kirch.  Euota  a  sei  raggi  e  nota  dell'oncia.  R.  Ferro 
della  bipenne  e  la  nota  medesima,   inoltre  a  destra  una 
delle  tre  lettere  D,  ì,  V.  * 
14-16.  Nel  Kirch.  I  tipi  sono  gli  stessi  e  cosi  anche  le  lettere, 
varia  soltanto  il  peso  donde  risulta  che  queste  valgono  la 
metà  dell'oncia,  od  unità  maggiore. 
17-19.  Nel  Kirch.  Il  tipo  del  dritto  è  lo  stesso  dei  precedenti 
nn.  11-16:  nel  rovescio  le  lettere  sono  parimente  D,  1,  V 
ma  la  bipemie  è  qui  munita  di  manico.  Ecco  qual'è  il  peso 
dei  nove  pezzi: 

nn.  10  11  12 

gr.  10,70  11,00  8,70 

nn.  13  14  15 

gr.     3,70  2,70  6,70 

nn.  16  17  -    18 

gr.     2,20  1,70  3,40 

20,  21.  Nel  Kirch.  Kuota  a  sette  raggi  e  a  sin.  il  segno  del- 
l'oncia. R.  Ancora,  a  sinistra  il  medesimo  segno,  a  destra 
nel  n.  20  un  D  nel  n.  21  un  1;  la  lettera  V  manca  finora. 
Il  loro  peso  è  gr.  8,00;  8,80. 
22.  Museo  di  Torino,  e  ne  ho  veduto  '  un  altro  esemplare  in 
Parigi  presso  l'esperto  sig.  Hoffmann.  Euota  ad  otto  raggi. 
R.  Ferro  della  bipenne  in  mezzo  a  quattro  globetti  dino- 
tanti un  triente:  di  sopra  un  ì.  Pesa  gr.  25,00. 


LATIUM 

AES   A   LATINIS  MAGISTKATIBUS   CUSUM 

Tav,  LXXVII. 

1,  2.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  Ercole  barbato  cinta  di  diadema 
con  clava  al  collo  volta  a  d.  R.  Cane  cerbero  a  tre  teste 
volto  a  d.  nell'esergo  C-  RVB.  11  sig.  Imhooff-Blumer  [Monn. 
qraecq.  13)  pone  un  S  invece  della  clava  e  la  testa  laureata, 
dove  io  vedo  im  diadema.  L'epigrafe  di  questa  moneta  fu 
letta  dal  Sestini  AARVB  [Class,  gener.  pag.  12)  e  però  at- 
tribuì il  bronzo  a  Marrubium,  capitale  dei  Marsi.  Insorse 
contro  il  Millingen,  che  nell'  esemplare  da  lui  posseduto, 
ed  è  quel  medesimo  che  qui  publico,  n.  1,  vide  un  punto  da- 
vanti a  RVB,  e  un  vestigio  di  lettera  avanti  a  quel  punto 
comunque  non  gli  bastasse  l'animo  di  accertarne  il  valore: 
nondimeno  propose  che  vi  si  dovesse  riconoscere  probabil- 
mente il  nome  di  im  magistrato  della  famiglia  Rubria  [Con- 
siderai, p.  233).  11  parere  del  Millingen  è  confermato  da 
un  simile  nummo  veduto  da  me  nella  collezione  Luynes 
dove  però  il  prenome  è  omesso  e  si  legge  nettamente  RVB 
in  campo  liscio  [Sylloge,  pag.  139)  la  quale  particolarità 
non  è  sfuggita  all'Imhooflì-Blumer  che  ci  dà  un  suo  esemplare 
col  solo  RVB  nell'  op.  cit.  pag.  13.  Ivi  anche  descrive  uu 
triente  del  sig.  Waddington  con  tipi  diversi  da  questi  e 
r  epigrafe  RVB.  Testa  di  Cibele  turrita  e  la  nota  del 
triente  ®  ®  ©  a .  R.  Leone  aggruppato  che  leva  il  piede  si- 
nistro ed  ha  dietro  un  astro  ad  otto  raggi  e  nell'esergo  si 
legge  egualmente  RVB. 
3.  Nel  Museo  di  Parma.  Testa  muliebre  coronata  di  edera  a  d. 
R.  Pantera  che  colla  zampa  sinistra  tiene  l' asta  di  una 
lancia  appoggiata  sulla  spalla:  nell'esergo  CA/. 

Sugli  esemplari  letti  finora  si  è  detto  che  vi  fosse 
scritto  CAP  e  il  Mazzocchi  seguito  dal  Daniele  (Nuin. 
cap.  n.  9  pag.  33),  e  il  Combe  l'hanno  attribuita  a  Capua. 
11  Capranesi  nega  che  vi  sia  mai  stato  scritto  CAP  ed  aven- 
dovi egli  invece  di  poi  letto  CAI  stima  col  Priedlaender  che 
si  debba  attribuire  a  Caiazzo,  che  chiama  Calatia  latina  [Ann. 
dell' Inst.  1843  T.  XII  pag.  214  tav.  d'agg.  Pnn.  5,  6).  Ivi 
nota  che  simili  monete  ma  senza  leggenda  si  trovano  di  fre- 
quente nelle  terre  romane.  Una  di  fatto  ne  è  stata  trovata 
or  ora  presso  Albano.  Il  Piorelli  pensò  che  dovesse  appar- 
tenere a  Sardes  della  Lidia  essendogli  sembrato  che  vi  si 
leggesse  in  lettere  greche  CAP  [Oss.  numism.  1843  p.  80). 
Nell'esemplare  che  qui  esprimo  ho  letto  in  monogramma  CA/ 
che  dà  la  leggenda  CAN.  Con  questi  tipi  ed  epigrafe  è  di 
recente  stata  trovata  una  moneta  nelle  campagne  di  Orvieto, 
l'antica  Bolsena,  donde  altre  9  senza  leggenda  si  sono  in 
pari  tempo  raccolte  e  le  ho  vedute  presso  il  march.  Strozzi 
in  Firenze.  Un  bronzo  coi  tipi  medesimi  ohe  è  nel  Museo 
Britannico  porta  l'epigrafe  S  (Poole,  Catat.  pag.  84  n.  22). 
Per  le  quali  osservazioni  è  d'uopo  convenii-e  che  il  nome 
notato  nell'esergo  non  è  nome  di  città,  ma  di  magistrato  ; 
che  però  la  moneta  non  è  latina  di  Capua  ne  di  Caiazzo  ne 
di  Caieta,  ne  greca  di  2àgóig,  e  può  solo  probabilmente  as- 
segnarsi alla  zecca  della  Bolsena  romana,  se  si  vuol  tener 

s 


60 


LATIUM,  EOMA 


T.  LXXVII 


conto  delle  terre  donde  n'è  venuta  fuori  la  maggior  copia.  ! 
Inoltre  non  è  di  un'epoca  molto  remota  dalla  guerra  sociale, 
avendo  notato  il  sig.  Imhooff-Blumer  (Mon.  graecq.iì.  36  n.  84) 
che  se  n'è  trovato  un  esemplare  ribattuto  sopra  un  bronzo 
questorio  di  Sicilia  portante  sul  dritto  il  bifronte  barbato, 
e  al  riverso  entro  corona  di  lauro  il  nome  OP-PI.  Noi  lo  di- 
remo di  epoca  incerta  della  Eepubblica,  ma  probabilmente 
anteriore  al  664.  Ma  non  sappiamo  chi  sia  quest'Oppio  ne 
come  siasi  prenominato  (Klein,  ,Die  VerwaUungsbeamten 
ecc.  Bonn,  1878  pag.  161). 

NDMMI   CUSI   NOMINE   ROMANORUM   A    SOCIIS 

4.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  Apollo  coronata  di  lauro.  R.  Ca- 

vallo libero  che  corre  a  sin.;  di  sopra  ROMA.  Pesa  gr.  6,77. 

5.  Nel  Kirch.  I  tipi  sono  i  medesimi  che  nel  precedente  :  esso 

però  ne  è  la  metà,  e  pesa  gr.  3,28. 

6.  Nel  Kirch.  Bronzo  coi  tipi  medesimi  che  nel  denaro  e  qui- 

nario precedenti  :  ma  il  cavallo  è  frenato,  l'epigrafe  ROMA 
è  in  basso.  Pesa  gr.  3,70. 

7.  Nel  Kirch.  Testa  di  Marte  con  accenno  di  peli  alla  guancia: 

dietro  clava.  R.  Cavallo  libero  a  d.,  sopra  clava,  sotto  ROMA. 
Pesa  gr.  6,77.  Un  mio  esemplare  pesa  gr.  6,40. 

8.  Nel  Kirch.  Bronzo  coi  tipi  medesimi  del  denaro  precedente. 

Pesa  gr.  3,70. 

9.  Nel  Kirch.  Testa  di  Marte  con  grifo  per  ornato  sulla  cocca. 

B.  Protome  di  cavallo  frenato,  dietro  falcetta,  sotto  ROMA. 
Del  peso  di  gr.  6,77. 

10.  Nel  Kirch.  Quinario  coi  tipi  medesimi  del  denario  del  peso 

di  gr.  3,28.  Un  mio  esemplare  è  di  gr.  3,00  incirca. 

11.  Nel  Kirch.  Bronzo  coi  tipi  medesimi  dei  due  nummi  pre- 

cedenti del  peso  di  gr.  3,20. 

12.  Nel  Kirch.  Testa  di  Ercole  giovane  con  la   clava  al  collo. 

R.  Pegaso:  sopra  clava,  sotto  ROMA.  Pesa  gr.  6,80. 

13.  Nel  Museo  Britannico.  Testa  di  Minerva,  volta  a  sinistra. 

R.  Aquila  di  prospetto  volta  a  d.  stante  con  un  fulmine 
negli  artigli,  da  presso  a  sin.  un  pugnale,  intorno  al  giro 
ROMANO-  Ne  ho  veduto  tre  esemplori  uno  qui  in  Koma 
nella  coli.  Lovattr,  uno  nel  Museo  di  Vienna  e  so  che  ve 
n'è  uno  a  Berlino.  I  tipi  di  cotesto  bronzo  sono  quegli  che 
si  vedono  su  di  un  bronzo  di  Locri,  dove  però  l'aquila  guarda 
a  sinistra  (Tav.  CXIII,  n.  9, 10).  Il  Sambon  ne  descrive  un 
esemplare  {Racherches,  p.  131)  del  peso  di  gr.  17,00.  Il 
modulo,  il  peso,  e  i  tipi  si  accordano  a  farci  argomentare 
che  cotesto  bronzo  si  è  battuto  pei  Romani  nella  Brezzia 
probabilmente  nella  zecca  Locrese. 

14.  Nel  Kirch.  Testa  di  donna  coperta  del  pileo  frigio  a  becco 
di  grifo  coi  lacci  da  annodarlo  al  mento.  R.  Cane  che  va 
a  destra:  nell'esergo  ROMA.  Pesa  gr.  1,10. 

15.  Nel  Kirch.  Testa  di  Ercole  giovane  cinta  di  diadema  con 
la  spoglia  di  leone  e  la  clava  al  collo.  R.  La  lupa  ohe  ha 
alle  poppe  i  due  gemelli,  nell'esergo  ROMANO.  Pesa  gr. 
7,29.  Un  mio  esemplare  è  di  gr.  6,71. 

16.  Nel  Kirch.  Testa  di  donna  coperta  di  elmo  a  becco  di  grifo: 

dietro  ha  l'insegna  di  un'  ala.  R.  Vittoria  coperta  a  mezzo  dal 
pallio  in  atto  di  appendere  una  corona  al  ramo  di  palma 


che  ha  nella  sinistra,  e  il  fa  giovandosi  della  zona  o  lemnisco 
al  quale  la  corona  è  annodata.  Nel  campo  a  d.  sogliono 
essere  inscritte  una  o  due  lettere  ;  qui  è  un  0  ;  a  sinistra 
ROMANO.  Pesa  gr.  6,07,  Dei  due  miei  esemplari  quello 
che  ha  nel  dritto  per  insegna  monetale  un  ferro  di  tri- 
dente e  al  riverso  K  pesa  gr.  6,40  :  l' altro  che  ha  nel 
d.ritto  un  cornucopia  e  al  riverso  T  pesa  egualmente  gr.  6,40. 

17.  Nel  Kirch.  Testa  barbata  di  Marte  a  sin.  dietro  un  ramo- 

scello di  quercia.  R.  Testa  di  cavallo  frenato  posta  sopra 
un  plinto  che  porta  la  leggenda  ROMANO  ;  dietro  spiga 
di  grano.  Pesa  grammi  7,29.  Due  miei  esemplari  pesano 
gr.  7,10,  7,35. 

18.  Edita  dal  Piorelli  (.4nn.  di  numism.  1846  tav.  I,  9).  Testa 

di  Marte  barbato  volta  a  d.  R.  Protome  di  cavallo  frenato 
\olta  a  d.;  nel  campo  a  d.  ROMA,  di  dietro  a  sinistra  è 
una  spiga  di  grano.  Io  stimo  che  alla  leggenda  manchi 
l'ultima  sillaba  NO  uscita  di  conio  e  che  questa  sia  l'unità 
minore  dello  statere  n.  16,  che  porta  i  medesimi  tipi:  il 
suo  peso  non  può  essere  che  di  gr.  0,65  incirca,  parte  due- 
decima della  maggiore  unità  o  se  si  vuole  divisa  in  seste 
una  hemiecte,  rifiCsxTov. 

19.  Nel  Kirch.  Testa  di  Apollo  cinta  di  lauro  volta  a  sin.  da- 

vanti ROMANO.  R.  Cavallo  frenato  che  corre  a  destra,  di 
sopra  è  un  astro.  Pesa  gr.  7,2. 

20.  21.  Nel  Kirch.  Testa  muliebre  volta  a  destra,  talvolta  a 
sinistra,  coperta  di  elmo,  intorno  ROMANO  ovvero  ONAMOJI. 
/(.  Protoma  di  cavallo  frenato  volta  a  destra  o  a  sinistra 
colla  epigrafe  medesima  intorno  Ol/lAMOJl  retrograda.  Nei 
due  modi  se  ne  trovarono  916  nelle  acque  di  Vicarello. 

22.  Era  presso  jil  Depoletti.  I  tipi  sono  i  medesimi  di  quelli 

dei  nn.  20,  21,  però  ambedue  sono  rivolti  a  sinistra,  e 
l'epigrafe  vi  è  soltanto  al  riverso  OHAMOfl.  Inoltre  sotto 
alla  protoma  di  cavallo  vi  ho  letto  SVES  assai  basso  ;  onde 
potrebbe  parere  che  questo'  nome  sia  una  traccia  rimasta 
di  altro  conio  precedente.  Ma  si  osservi,  che  le  monete  di 
Sessa  leggono  sempre  SVESANO,  e  qui  non  vi  è  posto 
per  le  sette  lettere.  La  somiglianza  di  queste  monete  con 
quelle  di  Cosa  dimostra  che  l'una  dell'altra  può  credersi 
copia  :  il  gran  numero,  ohe  se  n'è  trovato  nelle  acque  di 
Vicarello  ne  fa  certi,  che  i  Eomani  1'  hanno  coniato  nella 
zecca  dei  Sabatini.  L'epigrafe  SVES  è  prova,  che  una  moneta 
con  questo  tipo  fu  anche  coniata  per  alleanza  nella  zecca  di 
Sessa  non  prima  forse  del  441. 

23.  Nella  coli.  mia.  Testa  giovanile  diademata.  /?.  Leone  volto 

a  destra  che  morde  il  ferro  abbrancato  colla  zampa  sini- 
stra. Nell'esergo  ROMANO.  Pesa  gr.  14,00.  Un  secondo 
esempio  di  egual  peso  è  parimente  presso  di  me.  Non  è 
stato  finora  osservato  da  veruno  che  si  fossero  battuti  una 
volta  dei  dioboli  o  dei  dilitri.  Ne  vedremo  un  esempio 
anche  nel  bronzo  napolitano  (tav.  LXXXV  29),  la  cui  fabbri- 
cazione deve  essere  contemporanea. 

24.  Nel  Kirch.  dalle  acque  di  Vicarello.  Il  bronzo  è  ribattuto 
su  di  un  tipo  che  tuttavia  vi  si  distingue  :  Testa  di  Net- 
tuno al  dritto,  delfino  al  riverso,  e  di  sotto  U,  tipi  noti  nella 
serie  lucerina;  ma  in  questi  tipi^  l'epigrafe  è  intera  UOVCERI, 


T.  LXXVIII 


LATIUM,  EOMA 


61 


qui  è  la  sola  iniziale  L-  sotto  al  delfino.  Lucerà  ebbe  uua 
colonia  latina  nel  440.  L'epigrafe  del  secondo  conio  non  è 
leggibile,  ma  dal  confronto  si  deduce  che  deve  esservi  scritto 
ROMANO.  Pesa  gr.  6,80. 
25,  26.  Nel  Kirch.  Do  questi  due  esempi,  uno  simile  al  pre- 
cedente n.  23,  dove  però  si  vede  chiaramente  la  zampa  del 
leone  ;  l'alti-o  di  conio  diverso.  La  leggenda  in  ambedue  è 
ROMANO  ;  di  queste  monete  se  ne  sono  raccolte  dalle  acque 
di  Vicarello  1156  esemplari,  e  se  ne  sarebbero  avuti  piìi 
ancora,  se  i  fanchi  di  quelle  acque  fossero  stati  ben  cer- 
cati. Kagione  vuole,  che  ancor  questi  bronzi  siano  usciti 
dalla  zecca  dei  popoli  sabatini,  di  che  è  buona  conferma 
anche  la  testa  dell'Apollo  Sorano. 

XUMMI    CUSI   A    PLAGIANIIS   GALLIS   CISALPINIS 

27,  28.  Testa  di  donna  coperta  di  elmo   volta  a  sin.   R.  Pro- 
toma di  cavallo  frenato  :  dietro  è  scritto  nel  primo  ROMAAC 
nel  secondo  R  0  M  M  0  C. 
29.  Nella  coli.  Lovatti.  Testa  di  donna  coperta  di  elmo  aulo- 
pide  decorato  suUa  cocca  di  un  grifo.  R.  Protoma  di  ca- 
vallo frenato  volta  a  sin.,  dietro  30MA05I.  L'epigrafe  varia- 
mente scritta  è  però  uniforme  nella  ultima  lettera  che  nel- 
l'alfabeto latino  è  un  C;  ma   quel  qualunque  popolo  che 
scrisse  Raomoc,  Rommoc,  Rommc,  non  volle  di  certo  scri- 
vere il  Romano  dei  bronzi  ohe  portano  il  tipo  medesimo. 
Non  v'è  analogia  fra  la  desinenza  in  o  gen.  plur.  e  quella 
in  oc;  egli   ebbe  piuttosto  in  mente    Roma{i)os.   Cerchisi 
dunque  in  qual  parte  d'Italia  si  potè'  usare  il  C  greco  in 
luogo  dell'E  latino,  cioè  una  letteratura  mista  di  elementi 
greci  e  latini,  e  troverassi,  se  non  erro,  la  nazione  dei  Galli 
Celti,  che  nelle  loro  monete  scrivono  AOVKOTIKNOC,  Pl- 
TANTIKOC,  VENEXTOC,  AEIOVIGIAGOC,  BIATEC.  Questa 
confusione  di  due  alfabeti  e  il  C  del  greco  equivalente  all'S 
latino  parmi  sia  dimostrato  da  un  nome  gallico  che  si  legge 
doppiamente  scritto  sulle  monete  dei  Seguanosi  e  degli  Bl- 
vezii.  Perocché  ove  i  Seguanosi  scrivono  in  greco   alfabeto 
KCOlOC  gli  Elvezii  hanno  nel  latino    COIOS   {Revue   ar- 
chéol.  1868  pag.  138).  Noi  adunque  rilegheremo  a  buon  dritto 
al  settentrione  dell'Italia  queste  monete.  I  Oalli  che  imi- 
tavano i  tipi  romani  e  quelli  dei  G-reci  di  Marsiglia,  ne 
introdussero  inoltre  dei  propri.   Ai  tipi  di  Marsiglia  può 
riferirsi  l'aureo  trovato  a  Vercelli  nel  quale  si  vede  la  testa 
laureata  di  Apollo  col  riverso  DIKO  di  sopra  del  leone  (Bruzza, 
Iscr.  ani.  vercellesi  pref.  p.  CVII),  a  cui  si  deve  paragonare 
la  dramma  citata  dal  Robert  [Ann.  numisin.  1879  p.  272) 
con  la  testa  di  Diana  e  al  riverso  DIKO  e  il  leone  a  dritta, 
che  è  stampato  nel  Dici,  archéol.  de  \la  Caule,  fig.  48.  Hanno 
propri  tipi  le  due  monete  d'oro  edite  dal  Promis  (Ricer- 
che sopra  alcune  monete   trovate  nel   Vercellese,  1865),  e 
riportate  nel  Bull,  dell' List.  1866  pag.  187. 
30.  Nel  Museo  Britaimico.  Testa  di  donna  volta  a  destra  e  co- 
perta di  elmo  ;  ha  davanti  un  meandi'O.  R.  Testa  di  cavallo 
frenato  volto  a  destra;ha  davanti  una  stella, dietro  >IOMA  Vili 
ili  sotto  T.  È  troppo  evidente  che  questo  nummo  è  uscito 
dalle  oiEcine  celtiche  cisalpine,  le  quali   copiavano  i  tipi 


delle  monete  greche  e  latine  (V.  la  tav.  LXXII,  12, 13, 15). 
Il  numero  Vili  ne  sia  una  prova  della  gallica  officina,  es- 
sendo gallico  il  costume  di  mettere  queste  cifre  numeri- 
che in  luogo  dei  globettini  indicanti  il  valore.  Inoltre  la 
voce  >IOMA  se  non  vuol  tenersi  per  ROMA  mutando  come 
erroneo  il  >l  in  51,  avrà  un  riscontro  fra  i  nomi  propri  dei 
capi  Galli,  su  di  altre  contraffazioni  galliche,  tra  le  quali, 
seguendo  il  Robert  (1.  e),  nominerò  BRIC,  COMA,  Vili  D  COMA. 


Tav.  LXXVIII. 

1,  2.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  donna  con  capelli  acconciati  e 
ornati  di  lamine  in  modo  da  figurare  un  elmo  con  cresta 
e  pennacchi  laterali.  Porta  pendenti  agli  orecchi  e  una  lancia 
al  fianco  sinistro:  dietro  vi  si  vede  la  nota  del  triente. 
R.  Centauro  raggiunto  alle  spalle  dal  giovine  Ercole  che 
l'ha  preso  pei  capelli  e  lo  minaccia  colla  clava  levata.  Il 
centauro  esprime  il  suo  dolore  con  la  mano  che  si  è  le- 
vata alla  fronte.  Avanti  a  d.  è  la  nota  del  triente;  nel- 
l'esergo  ROMA.  Pesa  gr.  49,50.  Vedi  anche  al  n.  2  la  testa 
della  donna  presa  da  un  esemplare  della  collezione  mia, 
dove  l'acconciatura  dei  capelli  è  più  decisa.  Il  peso  del 
bronzo  è  di  gr.  49,95. 

3,  4.  Nel  Kirch.  Testa  giovanile  son  capelli  corti  e  ricci  co- 
perta dalla  spoglia  d'un  cignale  :  a  sin.  è  la  nota  del  qua- 
drante. R.  Toro  che  corre  a  destra  avendo  tra  i  piedi  un 
serpente  munito  di  cresta  che  strisciando  sul  terreno  si 
slancia  verso  la  destra  medesima.  Di  sopra  vi  è  il  segno 
del  quadrante,  nell'  esergo  ROMA.  Il  primo  (n.  3)  pesa 
gr.  42,00;  il  secondo  (n.  4)  è  di  gr.  41,00.  Un  mio  esem- 
plare pesa  gr.  39,60.  L'Eckhel  (D.  n.  v.  1.  138)  crede 
cosa  difiìcile  spiegare  cotesto  tipo  altrimenti  che  con  la 
favola  di  Giove  trasformato  in  toro,  onde  Cerere  ebbe  Per- 
sefone,  e,  cambiato  in  serpente,  dal  quale  Persefone  ebbe 
un  figlio  tauriforme,  secondo  il  noto  verso:  Tavqog  Sqccxovtoq 
aal  Squ/Uov  xavgov  TrdrrjQ. 

5.  Nel  Kirch.  La  lupa  che  allatta  i  due  gemelli,  nell'esergo  è 

la  nota  del  sestante.  R.  Aquila  che  porta  nel  rostro  un  fiore 
aperto:  a  sin.  vi  è  la  nota  del  sestante,  a  destra  ROMA. 
Tre  esemplari  di  questo  bronzo  si  ebbero  dalle  aeque  di 
Vicarello.  Pesa  gr.  29,70  :  un  mio  esemplare  è  del  peso  di 
gr.  24,20.  Niuno  s'  è  finora  accorto  della  singoiar  coda  che 
porta  la  lupa  nella  moneta  romana  di  questa  epoca,  la  quale 
è  cotanto  simile  alla  leonina  anche  pel  fiocco  di  lunghi 
peli  che  ha  alla  punta.  Una  coda  egualmente  lunga,  spoglia 
di  peli,  e  pannocchiuta  in  punta  ho  notata  sulle  monete 
di  argento  (v.  la  tav.  LXXVII,  19):  e  non  è  perchè  in 
Koma  si  brattasse  così,  ohe  anzi  le  monete  della  Pompeia 
(tav.  LXXIX,  19,  20)  figurano  la  lupa  quale  l'ha  descritta 
Plinio  con  coda  piìi  corta  di  quella  delle  pecore,  ma  al 
pari  vellosa  (//.  N.  XI,  411):  (Caudae  caulis)  vulpihiis  et 
lupis  villosus,  ut  ovibus,  quihus  procerior. 

6.  Nel  Kirch.  Testa  del  sole  raggiante  messa  di  prospetto  con 

accenno  della  clamide  abbottonata  sul  petto:  a  sin.  è  la 
nota  dell'oncia.  R.  Luna  crescente  con  due  astri  e  il  segno 


62 


LATIUM,  KOMA 


T.  LXXVIIl 


dell'oucia  nel  centro  ;  di  sotto  ROMA.  Se  ne  ebbero  quattro 
esemplari  dalle  acque  di  Vicarello.  II  suo  peso  è  di  gr.  35,20. 

7.  Nel  Kirch.  I  tipi   sono  quei  del  quadrante  (un.  3,  4),  sola- 

mente vi  si  Tede  aggiunta  una  spiga  di  grano  al  riverso. 
Pesa  gr.  13  incirca.  Esso  dimostra  una  prima  diminuzione. 
Una  moneta  con  questi  tipi  fu  ribattuta  coi  tipi  al  dritto 
della  testa  di  Cerere  e  al  riverso  Ercole  che  raggiùnto  il 
cervo  l'ha  preso  per  le  corna  :  ma  il  suo  valore  è  dinotato 
al  dritto  con  un  S  che  vale  semis  o  sia  metà. 

8,  9.  Il  n.  8  fu  già  presso  Depoletti.  Tipi  del  quadrante  di  se- 

conda diminuzione  simili  del  tutto  a  quei  della  diminu- 
zione prima,  come  appare  dal  n.  9,  perocché  nel  n.  8  il 
serpente  del  riverso  non  si  scorge  essendo  il  bronzo  ribat- 
tuto sopra  una  moneta  di  Gerone  II,  del  cui  nome  riman- 
gono le  lettere  lEPIl.  Cotesto  principe  regnò  in  Sicilia 
dal  478  :  è  quindi  certo  che  a  questa  seconda  diminuzione 
non  si  venne  innanzi  alla  epoca  predetta.  Il  suo  peso  è  di 
gr.  7,80. 

10.  Nel  Kirch.  Testa  di  donna  cinta  da  corona  turrita  con  pen- 

denti agli  orecchi  e  con  lembo  di  tunica  attorno  al  collo. 
lì.  Fantino  a  cavallo  ohe  corre  a  destra  e  fa  scoppiare  il 
frustino  eccitando  il  cavallo  alla  corsa  :  di  sotto  ROMA.  Il 
suo  peso  è  di  gr.  8,20.  Di  questi  esemplari  se  ne  ebbero 
dalle  acque  di  Vicarello  non  meno  di  31. 

11,  12.  Nel  Kirch.    Sestante  coi  tipi  romani.  Il  sestante   pesa 

gr.  19,80,  la  semoncia  gr.  5,43.  Se  ne  dà  il  saggio  in  prova 
dell'  asse  'trientale. 
13.  Nel  Kirch.  Triente  con  tipi  romani  battuto  sopra  un  bronzo 
anteriore,  del  quale  riman  quasi  intiera  la  leggenda  ROMA 
dietro  la  testa  della  Minerva.  Pesa  gr.  28,00.  È  un  saggio 
che  si  dà  in  prova  dell'asse  quadrantale. 

ROMA 

NUMMI   CUBI   INTRA   URBEII 

L'esperienza  c'insegna  che  il  denaro  pesava  ai  tempi  di 
Varrone  tre  scrupoli.  Or  egli  attesta  ohe  dicevasi  aver  Servio 
Tullio  coniato  il  denaro  e  che  questo  aveva  di  peso  quattro 
scrupoli  sopra  quello  dei  tempi  suoi  (ap.  Charis.  Inst. 
(Iramm.  I  p.  103  ed.  Keil):  Nwinmum  argenteum  flatum 
frimum  a  Servio  Tullio  clicunt:  is  Ili l  scrupulis  maior 
fuit  quam  iiunc.  Patto  adunque  lo  scrupolo  uguale  a 
gr.  1,12  ne  segue  che  i  sette  scrupoli  siano  pari  a  gr.  7,84. 
Ho  notato  altra  volta  il  grave  errore  del  Borghesi  (Oeuvr. 
II  pag.  287)  seguito  dal  Mommsen  [H:de  la  m.  II  p.  26  ed. 
Bl.)  che  facevano  di  quattro  scnipolì  il  denaro  di  Servio, 
quasi  ohe  Varrone  avesse  scritto:  js  1 1 1 1 scrupulis  (constans) 
maior  fuit  quam  nunc  est,  cum  constai  Iribus.  Varrone 
dice  chiaro  che  quel  nummo  valeva  quattro  scrupoli  di 
piìi  che  il  denaro  dei  tempi  suoi,  che  ne  valeva  tre;  e 
quattro  più  tre  fanno  sette. 

Il  duca  di  Luynes  videil  vero  senso  {Le  nummus  de  Ser. 
Tullius,  1859  p.  6  ed.  sep.),  nel  che  fu  poi  seguito  dal  Mom- 
msen (op.  cit.  I  pag.  243  nota),  ma  non  fu  felice  nella  scelta 
del  nummus  di  Servio.  Il  Mommsen  (loc.  cit.)  invece  con- 


dannò Varrone  per  aver  confuso  il  nummvs  greco  d'argento 
la  cui  decima  parte  è  la  libella  d'argento  col  nummus  de- 
narius  romano  che  valse  dieci  assi  di  bronzo. 

Il  duca  di  Luynes  dal  canto  suo  non  trovandosi  bene  ai 
conti,  perchè  i  due  nummi  prescelti  non  pesavano  sette 
scrupoli,  sibbene  undici,  si  volse  alle  monete  di  Alba  e 
di  Segni  che  prese  col  Mommsen  per  le  Hbellae  e  sem- 
lieiiae  d'argento,  dal  cui  peso  di  gr.  1,100  ;  1,115  ;  1,283  ecc. 
dedusse  che  il  nummo  serviano  doveva  pesarne  11,99  (ed. 
cit.  p.  12,  13),  che  è  il  peso  predetto  delle  sue  due  mo- 
nete credute  serviane.  Ma  se  è  vero  che  queste  monete  val- 
gono l'obolo  e  il  diobolo  tarantino,  come  in  altro  luogo 
sostiene  il  Mommsen,  come  potranno  tenersi  per  la  decima 
e  vigesima  parte   della  unità  maggiore? 

Varrone  parla  di  nuovo  del  nummus  argenteus  antico  nel 
libro  V  de  L.  L.  (§  173,  ed.  Muller)  e  dice,  che  la  sua  maggiore 
unità  valeva  dieci  assi  di  bronzo  e  però  dicevasi  denarius, 
la  sua  metà  ne  valeva  cinque  e  denominavasi  quinarius, 
alla  quarta  parte  che  valeva  due  assi  e  mezzo  davasi  nome 
di  sestertius  :  la  decima  parte  si  appellava  libello,  perchè 
valeva  una  libbra  di  bronzo,  e  così  la  metà  della  libella 
avea  nome  scmbella  e  la  quarta  rispondeva  al  teruncius 
(issis,  perchè   valeva  tre  once  di  bronzo. 

Il  Mommsen  dice  impossibile  il  dimostrare  che  queste 
monete  siano  mai  realmente  esistite:  il  est  impossible  de 
démontrer  qu^elles  aient  jamais  léellemént  existó  ;  non 
pertanto  riconosce  che  i  Populoniesi  ebbero  le  tre  divisioni 
dell'argento,  il  denaro  X,  il  quinario  A,  e  il  sestertio  HA. 
Egli  però  non  potè'  dimostrarlo  che  unendo  insieme  tipi 
diversi.  Non  era  ancora  noto  che  vi  fu  una  volta  una  serie 
di  queste  tre  divisioni,  X,  A,  HA,  col  medesimo  tipo,  che 
è  quello  della  Gorgone  (v.  la  T.  LXXII  un.  2-4).  II  Mommsen 
credeva  ohe  il  numero  X  in  luogo  del  XX  non  avesse  altro 
esempio  che  in  una  sola  moneta  del  Museo  di  Berlino,  e 
però  dichiarollo  sbaglio  dell'incisore.  Non  conosceva  la  metà, 
ohe  si  mostra  oggi  anche  nel  Museo  di  Londra,  e  presso  il 
Mazzolini  in  Campiglia;  non  seppe  del  sesterzio  e  ohe  queste 
tre  divisioni  esattamente  si  corrispondono  di  peso.  Inoltre 
che  levavansi,  come  dimostrai  altra  volta,  contro  la  sen- 
tenza di  lui  non  pochi  esemplari  che  se  ne  hanno  nelle 
collezioni  pubbliche  e  private  e  sono  di  coni  diversi.  Ne 
le  frazioni  inferiori  avrebbero  ragione  di  essere,  se  si  trat- 
tasse di  sbaglio  dell'incisore,  il  quale  avesse  scolpito  X 
in  luogo  di  XX.  Vi  fu  dunque  una  volta  un  nummus  ar- 
genteus colle  divisioni  della  metà  e  del  quarto  :  la  serie  è 
anonima,  né  finora  vi  ha  riscontro  di  nummi  denarii  col 
tipo  della  Gorgone  che  abbiano  segui  o  tipi  al  riverso,  come 
li  hanno  i  nummi  dei  due  X.  Diremo  noi  che  sia  questa 
la  moneta  coniata  da  Servio  ?  Se  alcuno  il  dicesse  non  sa- 
premmo ohe  opporre.  Dimostrai  tempo  fa  le  origini  etrusche 
del  re  Servio  Tullio,  messe  fuori  di  controversia  dalla  sco- 
perta delle  pitture  vulcenti.  I  fasti  trionfali  e'  insegnano 
che  egli  fu  di  frequente  in  Etruria  e  la  guerreggiò,  e  ne 
ottenne  non  meno  di  tre  trionfi  negli  anni  182,  186,  190. 
Cicerone  potè'  quindi  con  verità  scrivere  che  Servio  vendicò 


T.  LXXYIII 


LATIUM,  EOMA 


63 


colla  guerra  le  ingiurie  degli  Btrusclri:  Eltuscoriim  iniurias 
Mio  est  V'Itus  (de  rep.  II  e.  21),  e  Livio  narra  ohe  Servio 
mosse  guerra  ai  Veienti  e  ne  mise  iu  rotta  uu  esercito 
sterminato  (Liv.  I,  42),  fuso  ingenti  hostium  exercitu.  Può 
quindi  ben  essere  che  per  le  spese  di  guerra  abbia  in 
Etruria  battuto  l'argento  che  l'antichità  gli  attribuisce. 

Eoma  intanto  non  aveva  propria  zecca  e  Livio  potè' 
asserii'e  che  l'anno  350  non  si  era  ancora  in  questa  città 
battuto  argento  (L.  IV,  60):  nonchim  argcntum  signalum 
erof.  nel  che  pienamente  sottoscriviamo  al  parere  del  barone 
d'Ailly  (Beclìcrches  sur  la  monnaie  romaine,  T.  Ip.  160), 
col  quale  anche  ci  troviamo  d'accordo  per  concedere  a  Roma 
la  propria  monetazione  di  argento  e  di  oro  prima  dell'epoca 
indicata  da  Plinio.  Il  d'Ailly  die'  ragione  ai  PP.  Marchi  e 
Tessieri  sostenendo,  appoggiato  anche  all'autorità  del  Bor- 
ghesi, che  la  serie  di  monete  d'argento  e  di  bronzo  colla 
epigrafe  ROMA  e  ROMANO,  le  quali  si  vogliono  da  altri 
battute  nelle  zecche  campane,  siano  invece  state  emesse 
dalle  zecche  del  Lazio  :  egli  pure  si  attiene  al  parere  già 
da  altri  emesso,  che  i  bifronti  d'argento  col  Giove  in  qua- 
driga e  fulminante  al  riverso  siano  stati  emessi  dalla  zecca 
di  Koma  prima  dell'epoca  additata  da  Livio  (Epìt.  15)  e 
seguita  da  Plinio  (loc.  eit.).  Le  ragioni  da  lui  allegate  ci 
paiono  solide  e  specialmente  notiamo  quella,  che  deriva 
dalle  restituzioni  di  Traiano.  Imperocché  consta  che  Tra- 
iano restituì  le  monete  della  repubblica  battute  in  Eoma  : 
e  non  avrebbe  con  esse  riprodotto  il  bifronte  col  Griove 
fulminante  al  riverso,  e  solo  esso,  se  non  fosse  stato  certo 
che  quella  moneta  al  pari  delle  altre  da  lui  riprodotte  era 
coniata  in  Eoma.  Il  peso  primitivo  della  sua  unità  mag- 
giore è  di .  sei  scrupoli  che  si  divide  in  due  metà  di  scru- 
poli 3  ciascuna  (Tav.  LXXVIII,  18,  22). 

CoU'argeiito  è  d'uopo  dire  che  si  battesse  anche  l'oro: 
ma  noi  non  conosciamo  di  questo  metallo  che  l'aureo,  i  cui 
tipi  furono  poi  riprodotti  dallo  zecchiero  Ti.  Veturio  nei 
primi  anni  del  secolo  settimo  di  Eoma.  Noi  abbiamo  anche 
la  sua  metà  in  oro  e  in  elettro,  e  lo  deduciamo  dal  peso, 
non  portando  segni  di  valore.  La  maggior  unità  pesa  otto 
scrupoli  e  la  metà  ne  pesa  quattro.  È  però  venuto  fuori 
un  esemplare,  che  al  peso  di  scrupoli  quattro  e  ai  tipi 
predetti  congiimge  singolarmente  la  nota  di  valore  :  questo 
è  il  numero  XXX.  Dal  primo  possessore  che  fu  il  nego- 
ziante Sibilio  se  ne  diede  tosto  ragguaglio  al  Borghesi,  il 
quale  vedendo  che  quel  nummo  pesava  una  sestula  o  sia 
la  sesta  parte  di  un'  oncia  opinò  che  nel  numero  XXX  si 
dovessero  ravvisare  trenta  sesterzi!  Egli  però  non  s'avvide 
che  facendo  il  valore  di  quattro  scrupoli  d'oro  uguali  a 
trenta  sesterzi  d'argento  si  abbassava  di  troppo  H  valore 
dell'oro,  un  cui  scrupolo  si  pareggiava  così  a  sette  scrupoli 
e  mezzo,  essendo  noto  che  pochi  anni  dopo  uno  scrupolo 
d'oro  valeva  venti  sesterzi  d'argento,  mentre  egli  il  faceva 
valuto  prima  sette  sesterzi  e  mezzo.  Il  Mommsen  andò 
iu  altra  sentenza:  perocché  considerando  che  il  sesterzio 
non  precedeva  l'epoca  della  nuova  divisione  del  denaro  in- 
trodotto per  legge  del  485,   stimò   che  il  numero   trenta 


dovesse  valere  trent'assi  del  peso  librale.  Ma  egli  non  si 
avvide,  che  così  ammetteva  un  rapporto  incredibile  fra  l'oro 
e  il  bronzo,  stabilendo  che  uno  scrupolo  d'  oro  stesse  in 
proporzione  con  1800  scrupoli  di  bronzo  che  si  hanno  dalla 
somma  di  sette  assi  librali  e  mezzo,  dopo  di  aver  posto, 
quantunque  erroneamente,  che  il  peso  effettivo  dell'  asse 
era  di  gr.  240  ('). 

A  sciogliere  il  nodo  era  d'  uopo  supporre  che  1'  aureo 
fosse  stato  battuto  allorché  l'asse  romano  erasi  diminuito 
fino  a  quasi  un'oncia.  Ma  in  tal  tempo  erasi  già  emesso 
il  sesterzio  e  ragion  vuole  che  le  note  di  valore  dell'aureo 
si  riferiscano  all'argento  quando  questo  vi  è  non  al  bronzo. 
Se  si  vuole  adunque  ritenere  l'alta  età  dell'aureo  e  met- 
terlo al  pari  dell'  argento'  che  porta  il  tipo  medesimo,  si 
dovrà  dire  che  il  XXX  riguardi  la  minore  unità  d'argento, 
che  é  la  metà  del  nummus  col  bifronte  e  il  Giove  fulmi- 
'  nante  in  quadriga,  non  essendosi  in  quella  età  battuta  ve- 
runa frazione  inferiore.  Così  uno  scrupolo  d'oro  varrà  sette 
minori  unità  e  mezzo,  cioè  l'oro  starà  all'argento  come  uno 
scrupolo  a  ventidue  e  mezzo,  essendo  ciascuna  minore  unità 
del  peso  di  due  scrupoli  ;  ovvero  supponendo  diminuito  di 
poco  il  peso  del  nummus,  come  di  fatti  si  trova  per  espe- 
rienza, starà  come  uno  a  venti.  Si  deduce  quindi  che  il 
numero  XXX  segnato  sull'aureo  non  vale  trenta  sesterzi 
come  pensa  il  Borghesi,  e  non  vale  neppure  trenta  assi 
librali,  ma  sì  trenta  minori  unità  del  nummus  argenteus 
diminuito  (vedi  appresso),  che  sono  pari  a  trenta  quinarii 
primitivi  della  romana  monetazione. 

A  parere  del  lodato  barone  d'Ailly  il  denario  e  gli  aurei 
romani  coi  propri  spezzati  furono  emessi  insieme  al  tempo 
'della  nuova  monetazione  assegnata  da  Plinio  al  485;  ma 
egli  stima  che  questa  cominciasse  ad  emettersi  quando  si 
crearono  i  triumviri  monetali,  che  a  detta  di  Sesto  Pom- 
ponio furono  instituiti  insieme  coi  triumviri  capitales  (de 
orig.  iuris.  leg.  Il)  :  constituti  sunt  eodem  tempore  et  trium- 
viri monctales  aeris  argenti  auri  flatores  et  triumviri  ca- 
pitales, qui  carceris  custodiam  haberent;  e  si  sa  dalla  Epi- 
trtmeXl  di  Livio  che  costoro  furono  creati  nel  465:  Triumviri 
capitales  tunc  primum  creati  sunt. 

Ma  Pomponio  assegnandole  il  465  commette  a  giudizio 
del  Mommsen  (pag.  47)  un  errore  manifesto.  E  quale  ?  Egli 
non  lo  ha  detto,  ma  si  può  congetturare  che  sia  di  aver  sup- 
posto i  triumviri  monetales  prima  che  si  fosse  stabilita  la 
zecca  sul  Campidoglio  nel  tempio  della  Griunone  Moneta 
donde  trassero  la  denominazione  di  monetales,  essendosi 
quel  tempio  costruito  quando  erasi  dichiarata  la  guerra  a 
Pirro  e  ai  Tarantini  :  ir  t'ìi  rtoòi  lliSgov  xcà  TaoavTtrovg 


(')  n  Mommsen  suppone  che  l'asse  romano  pesasse  allora  dieci  once 
e  l'oncia  fosse  di  grammi  20  J-  Ma  l'esperimento  preso  dal  barone  d'Ailly 
dimostra  che  gli  assi  di  allora  generalmente  arrivano  a  grammi  312  pari  ad 
once  11  gr.  24.  Una  tale  somma  di  fatti  si  raccoglie  da  288  scrupoli.  Inoltre 
avverte  che  la  maggior  parte  dei  sestanti  e  delle  once  si  riportano  all'asse 
di  12  once  effettive.  Tarrone  ha  pur  detto  che  la  moneta  anteriore  alla  prima 
gnerra  punica  pesava  288  scrupoli  {D.  r.  Tust.  L.  I  e.  10):  Jugermn  habel 
scripula   288,  quantum  as  antlquus  noster  ante   bdium  punicum  pendebai. 


64 


LATIUM,  KOMA 


T.  LXXVIII 


noXs'fKii  (Snid.  v.  ,itoi');T«).  A  noi  non  par  strano  che  Pom- 
ponio possa  aver  nominati  monetales  questi  triumviri  col 
nome  divenuto  dipoi  solenne,  e  niente  osta,  che  sia  stato 
creato  un  collegio  di  tre,  coll'antico  nome  di  collegium 
aerarioruin  fabrum  di  numero  non  definito  per  legge.  Ne 
il  Mommsen  trova  improbabile  che  si  battesse  in  Koma 
l'argento  prima  dell'epoca  pliniana  al  tempo  della  guerra 
di  Pirro  (p.  30):  «  Rien  ne  prouve  que  l'établissement  de 
l'atelier  monetane  dei  Romains  dans  le  tempie  de  Junon  mo- 
neta ne  coincide  pas  avec  l'epoque  de  la  guerre  de  Pyrrhus 
et  par  conséquent  avec  l'émission  de  la  mannaie  d^argent  » . 

Egli  è  certo  che  prima  della  nuova  creazione  la  moneta 
d'argento  e  di  bronzo  erasi  diminuita  di  valore  effettivo, 
l'asse  semissale  era  calato  a  quadrantario ,  il  bifronte  dai 
sei  scrupoli  era  disceso  a  quattro.  Noi  ne  abbiamo  le  prore 
in  quanto  alla  diminuzione  del  bronzo  :  un'  oncia  ribattuta 
sopra  una  moneta  di  Gerone  II  (Tav.  LXXIX,  35;  d'Ailly 
op.  cit.  i.  II  p.  135)  del  peso  di  gr.  5,  61,  22,  la  quale 
non  può  antecedere  il  478,  quando  G-erone  cominciò  a  re- 
gnare, né  può  essere  posteriore  al  485,  allorché  l'asse  era 
disceso  al  peso  di  due  once  e  si  diceva  sestantario.  D'al- 
tronde sono  notissimi  nei  musei  gli  assi  del  peso  di  un 
semisse  e  di  un  quadrante;  di  che  rendono  piena  ed  au- 
tentica testimonianza  le  diligentissime  ricerche  del  eh.  ba- 
rone d'Ailly  (v.  voi.  I  pag.  47,  48  e  155). 

In  quanto  al  nummus  argenteus  col  bifronte  e  il  Giove 
fulminante  in  quadriga  ecco  il  risultato  degli  studi  fattivi 
dal  prelodato  d'Ailly  (op.  cit.  pag.  159).  Il  suo  peso  mas- 
simo, però  eccessivo  per  esuberanza  di  metallo  (pag.  180), 
é  di  gr.  8,03,  il  minimo  è  di  gr.  4,27.  Egli  ne  ha  pesato  99 
colla  leggenda  ROMA  ineusa,  56  colla  leggenda  in  rilievo  ed 
ha  notato  che  i  primi  variano  di  peso  da  gr.  6,77  a  gr.  5,70: 
e  che  i  secondi  stanno  tra  i  gr.  6,82  e  4,27.  La  mia 
privata  collezione  ne  novera  dodici  e  di  questi  sei  con  leg- 
genda ineusa  e  altrettanti  con  leggenda  in  rilievo.  Lo  scan- 
daglio fattone  conferma  i  dati  del  d'Ailly,  in  quanto  che 
sì  gli  uni  come  gli  altri  non  vanno  al  di  sopra  di  gr.  6,60: 
ve  n'è  anche  rmo  con  epigrafe  iuousa  (Tav.  LXXVIII,  21) 
che  pesa  gr.  4,30  poco  più  di  quello  di  gr.  4,27  con  leg- 
genda in  rilievo  pesato  dal  d'Ailly.  Dalla  quale  esperienza 
si  può  dedurre  che  gi'incusi  o  non  hanno  precedenza  di 
tempo  come  ha  opinato  il  d'Ailly,  sugli  inscritti  in  rilievo, 
ovvero,  che  non  si  è  cessato  di  coniarne  anche  quando  il 
peso  era  diminuito  ;  lo  che  si  dimostra  vero  anche  per  altro 
argomento.  Nel  tesoretto  di  Mas  era  si  trova  un  denario  col 
tipo  dei  Dioscori  e  l' insegna  dell'  àncora  orizzontale  (Tav. 
LXXVIII,  25)  ribattuto  sopra  un  bifronte  con  la  leggenda 
ineusa  ;  è  ben  conservato  e  di  buono  stile  ;  il  suo  peso  è 
di  gr.  4,90.  I  denari  coi  Dioscori  e  senza  simboli  di  questo 
ripostino  non  superano  di  peso  i  gr.  4,40  :  dei  75  che  hanno 
simboli,  nessuno  eccede  il  predetto  peso  di  4,40. 

Colla  legge  del  485  fu  determinato  che  da  una  libbra 
di  argento  si  tagliassero  72  denari  e  però  che  il  denaro  il 
quale  risultava  del  peso  di  4  scrupoli  si  divideva  in  qui- 
narii  e  sesterzi!  :  così  denominando  dal  corrispondente  va- 


lore del  bronzo  l'unità  maggiore  d'argento,  la  sua  metà  è 
la  quarta  parte.  L'oro  fu  egualmente  diviso  in  tre  frazioni 
da  tre  scrupoli  ad  uno,  di  modo  che  la  maggiore  unità 
pesasse  soli  tre  scrupoli,  i  due  terzi  2  e  l'un  terzo  1,  va- 
lendo ogni  scrupolo  20  sesterzii  di  argento.  Queste  porzioni 
dell'argento  e  quelle  dell'oro  portarono  il  tipo  medesimo 
dell'un  tà  maggiore;  i  segni  numerici  per  l'argento  furono 
il  X,  il  V,  e  il  US  ;  per  l'oro  il  LX,  il  XXXX,  il  XX.  Ma 
quanto  alla  proporzione  dell'argento  al  bronzo,  questa,  come 
si  è  di  sopra  notato,  sarebbe  incredibile,  se  non  si  dovesse 
supporre,  ciò  che  altronde  sappiamo,  essersi  con  questa 
legge  abbassato  il  valore  reale  dell'asse,  onde  avvenne  che 
il  sesterzio  non  stesse  alle  due  libbre  e  mezzo  di  peso  ef- 
fettivo, cioè  a  gr.  830,  posto  l'asse  di  gr.  336  della  libbra 
effettiva,  ma  a  gr.  224  dell'asse  quadrantario  o  piuttosto  a 
gr.  280  dell'asse  trientale. 

E  possiamo  aggiungere,  che  quando  il  valore  del  num- 
mus  si  abbassò  a  4  scrupoli  gli  si  aggiunse  una  minore 
unità,  della  quale  abbiamo  due  esemplari  l'uno  nella  col- 
lezione Priedlaender  di  peso  ignoto,  l'altro  nel  Museo- di 
Napoli  nella  collezione  Santangelo  del  peso  di  gr.  0,96:  il 
suo  tipo  è  il  bifronte  da  un  lato  e  un  cavallo  sfrenato  dal- 
l'altro colla  epigrafe  ROMA. 

Donde  anche  si  deduce  che  era  impossibile  l'esistenza 
del  sesterzio  prima  del  465  o  del  485.  Noi  abbiamo  di 
fatti  veduto  che  l'argento,  il  bronzo  e  l'oro  altrimenti  si 
corrispondevano,  allorquando  era  coniato  un  nummo  d'ar- 
gento del  peso  di  sei  scrupoli  e  la  sua  metà  di  scrupoli  tre. 

Se  l'oro  fosse  stato  battuto  la  prima  volta  62  anni  dopo 
dell'argento,  come  dice  Plinio,  non  gli  corrisponderebbero 
che  gii  assi  ridotti  al  peso  effettivo  di  un'  oncia.  Or  noi 
abbiamo  aurei  che  portano  per  simbolo  il  ferro  di  lancia 
il  bastone  nodoso,  il  pentagono,  l'ancora,  e  però  si  corri- 
spondono cogli  assi  sestantarii  impressi  coi  simboli  pre- 
detti. Adunque  l'oro  non  si  cominciò  a  battere  dal  547,  e 
viceversa  dopo  il  537  epoca  dell'asse  onciale  non  si  ebbero 
piti  aurei,  non  trovandosene  alcuno  che  ripeta  i  simboli 
impressi  su  quegli  assi  onciali,  o  denari  di  84  alla  libbra. 

Per  tutto  ciò  siamo  certi  ohe  i  magistrati  romani  che 
battono  moneta  non  cominciano  ad  imprimere  i  simboli 
verso  l'anno  553  ossia  verso  la  fine  della  seconda  guerra 
punica,  come  ha  stabilito  il  Mommsen  p.  43;  anzi  è  di- 
mostralo che  e  simboli  e  nomi  in  monogramma  si  hanno 
nell'epoca  dell'asse  sestantario.  Siane  esempio  il  denario 
col  monogramma  A/  e  quello  con  A'E  e  con  PX ,  e  quei  ohe 
portano  una  delle  lettere  Q,  V,  l-  acuto,  per  ometterne  altri 
di  peso  non  ancora  accertato.  Sappiamo  anche  che  Plinio 
confuse  il  tipo  primitivo  del  nummus  denarius  con  la  mo- 
netazione iniziata  al  485,  se  scrisse  che  nota  argenti  fueri' 
bigae  atque  quadrigae.  Le  quadriglie  su  questi  denari  fu- 
rono impresse  verso  la  fine  del  secolo  VI  e  le  bighe  con 
la  Diana  anche  dopo.  I  denari  romani  dal  485  in  poi  eb- 
bero per  tipo,  fino  ad  un  certo  tempo  costante,  i  dioscori, 
e  così  i  quinarii,  e  i  sesterzii. 

Perocché  i  primi  denarii  si  tagliarono  a  72  per  libbra. 


T.  LXXIX 


LATIUM,  ROMA 


65 


come  si  è  detto,  e  però  pesarono  gr.  4,50;  che  poscia  siansi 
diminuiti  a  gr.  3,86  il  proviamo  dal  fatto,  concliiudendo 
che  se  ne  spezzavano  perciò  84  da  ciascuna  libbra.  Questa 
diminuzione  avvenne  con  ogni  probabilità  nel  537  quando 
l'asse  fu  ridotto  ad  un'  oncia  (d'Ailly,  T.  Il  parte  I  p.  114). 

Si  è  cominciato  a  dubitare  della  origine  del  vittoriato 
stabilita  dal  Borghesi  al  527  dopo  il  trionfo  sull'Illirico. 
Questa  regione  batteva  la  dramma;  non  altrimenti  che  Mar- 
siglia: sicché  il  vittoriato  corrispondendo  di  peso  alla  dramma 
deve  essere  slato  consigliato  dal  bisogno  del  commercio  coi 
popoli  confinanti  dei  due  mari  il  Mediterraneo  e  l'Adriatico, 
l  due  depositi  quello  di  Eiccia  e  il  più  recente  di  Maserà 
ci  hanno  dimostrato,  che  quantimque  si  fosse  introdotto  dai 
Eomani  col  vittoriato  il  denaro  e  le  sue  frazioni,  nondimeno 
si  preferì  in  quei  luoghi  il  comodo  uso  del  vittoriato,  sicché  il 
denaro  vi  aveva  poco  o  niun  corso.  Le  monete  dei  primi  100 
armi  sono  state  trovate  in  questi  tesoretti  o  conservate  o 
ruspe  mentre  i  vittoriati  sono  logori  al  maggior  segno.  In 
Ispagna  e  forse  anche  in  Italia  si  coniò  un  doppio  vitto- 
riato che  pesa  6  scrupoli,  quanto  cioè  il  primitivo  num- 
ìiìus  argenlcus  di  Roma.  Il  vittoriato  é  stato  impresso  a 
Corfìi  conquistata  dai  Eomani  nell'anno  525,  e  vi  si  è  bat- 
tuto anche  il  quinario. 

Pare  certo  che  le  "prime  emissioni  di  vittoriati  fossero 
fatte  a  scopo  di  provvedere  in  modo  speciale  e  abbondan- 
temente di  tale  moneta  coloro  che  commerciavano  imme- 
diatamente coi  popoli  dei  due  mari,  presso  i  quali  era  in 
voga  la  dramma.  E  si  conferma  considerando  che  con  co- 
testi vittoriati  non  sono  stati  trovati  quinarii  né  sesterzii, 
ma  0  sono  stati  trovati  soli,  come  a  Taranto,  ovvero  in- 
sieme coi  soli  denarii. 

14.  Nel  Museo  di  Marsiglia.  Bifronte  imberbe  coronato  di  laurea. 

/?.  Due  uomini  armati  di  lancia  e  di  spada  l' uno  senza 
barba  e  in  corazza,  l'altro  barbato  e  in  corta  tunica  feri- 
scono colla  punta  dei  loro  pugnali  una  porchetta  tenuta  sulle 
braccia  da  un  ministro  cho  ha  piegato  un  ginocchio  e  guarda 
l'uomo  che  è  a  destra,  significando  con  ciò  che  è  colui  che 
parla  :  nell'esergo  ROMA.  Ho  prescelto  questo  esemplare  fra 
quei  che  si  trovano  nei  musei  in  memoria  dell'amie  1854  nel 
quale  cominciai  da  Marsiglia  lo  spoglio  dei  musei  numisma- 
tici di  Francia.  Il  suo  peso  è  di  gr.  6,72  cioè  di  6  scrupoli. 

15.  Nel  Kireh.  I  tipi  sono  quei  medesimi  che  nell'aureo  prece- 

dente. Pesa  gr.  3,36  cioè  3  scrupoli. 

16.  Nel  Museo  Vaticano.  I  tipi  sono  gli  stessi  dei  due  am-ei 
precedenti,  se  non  che  sotto  al  collo  del  bifronte  è  segnata 
la  nota  del  valore  XXX.  Pesa  gr.  4,46  cioè  4  scrupoli  meno 
due  centigr. 

17.  Nel  Kirch.  Bifronte  come  nei  numeri  precedenti.  B.  Giove  ful- 

minante in  rapida  quadriga.  Elettro  delpeso  di  gr.  2,60  a  3,20. 
18-23.  I  tipi  di  questa  serie  fino  al  n.  23  sono  gli  stessi  che 
nell'elettro  del  n.  17.  Bifronte  imberbe.  R.  Giove  fulmi- 
nante in  quadriga  guidata  dalla  Vittoria.  Nel  n.  18  solo  si 
vede  aggiimta  una  spiga  di  grano  al  tipo  del  riverso  ;  l'epi- 
grafe ROMA  è  in  incavo  nei  nn.  19,  21.  Nel  n.  22  che 
rappresenta  il  quinario  o  mezzo  denaro  primitivo  la  qua- 


driga è  volta  a  sinistra:  quello  di  mia  collezione  pesa  gr.  3,20. 
11  n.  23  è  un  bronzo  inargentato.  Di  questo  metallo  se  ne 
trovano  in  certo  numero  e  anche  senza  traccia  di  argento, 
di  tal  che  si  è  creduto  che  si  fosse  battuta  una  moneta 
di  rame  con  questi  tipi. 

24.  Coli.  Santangelo.  Bifronte.  lì.  Cavallo  galoppante  a  destra: 
sotto  ROMA  del  peso  di  gr.  0,96.  È  quindi  una  hecte  la 
cui  unità  maggiore  avrebbe  da  unire  al  tipo  del  bifronte 
(nn.  14-23)  quello  del  cavallo  libero,  che  si  ha  nei  nummi 
della  Tav.  LXXVII,  4-8. 

25.  Nella  mia  coli,  dal  deposito  di  Maserà  ora  passato  nel 
Museo  di  Napoli.  Testa  di  Eoma  con  elmo  alato  e  a  testa 
di  grifo,  con  pendenti  e  collana:  dietro  la  nota  X.  R.  I  due 
Dioscori  con  le  lance  impugnate  correnti  a  cavallo  verso 
destra  :  di  sotto  vm'  àncora,  nell'esergo  ROAAA.  Moneta  ri- 
battuta sopra  un  nummo  che  aveva  il  tipo  del  bifronte, 
del  quale  rimane  un  sicuro  vestigio  nel  taglio  e  contorno 
del  collo  sul  riverso,  e  al  dritto  resta  la  metà  della  epi- 
grafe ROMA  incisa  in  incavo  misto  e  retrograda.  Il  peso 
di  questo  denaro  è  di  gr.  4,90.  Il  barone  d'Ailly  ha  pesato 
29  esemplari  con  la  leggenda  in  incavo  ed  ha  notato  che  il 
maggior  peso  è  di  gr.  6,  77,  il  minore  di  gr.  5,70.  Ha 
pesato  anche  56  esemplari  colla  leggenda  in  rilievo  e  scrive 
che  vanno  da  gr.  6,82  a  4,27  (Recherches  voi.  I  p.  159, 
160).  Un  mio  esemplare  (u.  21)  con  leggenda  in  incavo 
pesa  gr.  4,30,  come  ho  già  notato  nella  dissertazione  pre- 
messa, la  quale  gioverà  di  leggere  a  schiarimento  delle 
monete  che  ho  distribuite  e  descritte  in  questa  Tavola  e 
descriverò  nella  seguente. 

Nella  qual  dissertazione  non  trovo  nulla  da  cambiare 
dopo  di  aver  letta  la  nuova  distribuzione  che  se  ne  è  pro- 
posta dal  De  Petra.  Qualche  lieve  differenza  nelle  somme 
parziali  degli  esemplari,  se  vi  è,  può  spiegarsi  per  la  tu- 
multuaria aggiunta  di  quei  denari  e  vittoriati  che  vennero 
rimessi  da  Maserà  quando  si  volle  che  fosse  il  tesoretto 
materialmente  intero. 


Ta^'.  LXXIX. 

1-4.  l  nn.  1,  3,  4  sono  dal  Kircheriano;  il  n.  2  è  dal  Blacas 
(H.  de  la  monn.  IV  pi.  XXIII,  11).  Il  peso  di  questi  aurei 
è  di  due  e  di  uno  scrupolo,  cioè  \^X  di  gr.  3,36;  XXXX 
di  gr.  2,24  e  XX  di  gr.  1,12.  Il  n.  2  porta  per  insegna 
una  clava,  o  bastone  nodoso,  che  si  trova  anche  sui  denari, 
sui  vittoriati  e  sull'asse  che  è  sestantario,  alla  cui  epoca 
debbono  assegnarsi,  mentre  gli  assi  sestantarii  cessati  nel  537 
dimostrano  il  limite  estremo  di  emissione. 

5.  Dal  deposito  di  Maserà.  Testa  di  donna  con  pendenti  e  col- 
lana coperta  di  galea  alata:  dietro  X.  R.  I  due  diosco  ri 
con  lancia  abbassata  corrono  cavalcando  a  destra  :  di  sotto 
ROMA  di  rilievo  sopra  fondo  incavato.  Pesa  gr.  4,30.  Questa 
maniera  di  conio  che  consta  insieme  del  rilievo  e  dell'in- 
cavo e  la  diremo  per  ciò  forma  mista,  è  stata  avvertita 
anche  dal  barone  D'Ailly  (V.  Recherches  pi.  XLIV,  4). 

6-8.  Denaro  quinario  e  sesterzio  primitivo  del  peso  di  quattro, 


66 


LATIUM,  KOMA 


T.  LXXIX 


due  e  uno  scrupolo,  colle  note  del  valore  X,  V,  US  e  l'epi- 
grafe ROAAA. 
9,  10.  Dal  deposito  di  ilaserh,  è  tratto  il  vittoriato  ohe  dò  qui 
inciso,  n.  8  ;  ma  il  semi-vittoriato  n.  9  l' ho  preso  dal 
duca  di  Blacas.  In  ambedue  manca  la  cifra  S  a  destra  del 
trofeo  la  quale  in  due  esemplari  del  Borghesi  appariva 
evidentissima  (Decad.  XVII  ;  Oeuvr.  t.  II  pag.  295  ): 
Il  peso  di  cotesti  due  esemplari  era  di  grammi  1,44,  1,48. 
Ora  non  li  trovo  nel  catalogo  che  di  questa  insigne  col- 
lezione borghesiana  si  è  stampato  in  Eoma  1881  ;  ne  alla 
pag.  112,  dove  erano  da  cercarsi,  uè   altrove. 

11.  Il  Blacas  ne  ebbe  l'impronta  dal  sig.  Zobel  di  Zangroniz, 

e  lo  die'  inciso.  Dopino  vittoriato  del  peso  di  gr.  6,37. 

12.  Dal  Blacas  (ft,  IV  pag.  28  pi.  XXXIII,  4),  comunicatogli 

dallo  Zobel:  vittoriato  nel  quale  la  leggenda  è  incusa,  di 
che  se  ne  conoscono  tre  esemplari  del  peso  di  gr.  2,99; 
3,11;  8,47. 

13.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Apollo  a  destra.  Pezzo  ribattuto 

sopra  il  tipo  di  una  testa  coperta  di  elmo  del  quale  ri- 
mangono le  vestigia.  R.  Vittoria  che  incorona  un  trofeo: 
nell'esergo  ROMA  ;  nel  campo  L.  Nel  650  il  vittoriato  si 
uguagliò  al  quinario,  che  portò  per  tipo  la  testa  di  Giove 
ovvero  come  qui  di  Apollo  sul  dritto,  e  la  Vittoria  sul 
riverso.  A  darne  un  esempio  ho  prescelto  questo  mio,nummo, 
perchè  il  d'Ailly  non  s'imbatte'  mai,  nella  serie  dei  vittoriati 
distinti  con  lettere  monetali,  in  veruno  che  portasse  un  L. 
Questa  lettera  poi  è  di  forma  normale  quadrata;  perchè  tale 
paleografia  si  usava  in  questo  secolo  settimo  di  Eoma. 
14-16.  Al  tipo  costante  dei  Diosoori  succedettero  nei  denari  i 
tre  tipi  che  ho  espressi  qui,  la  luna  in  biga  in  atto  di 
guidare  soltanto,  poi,  n.  15,  in  atto  di  maneggiare  la  frusta: 
in  terzo  luogo,  n.  16,  dove  alla  luna  è  sostituita  la  Vitto- 
ria in  atto  di  sferzare  i  cavalli  che  guida. 

17.  Un  quarto  tipo  succeduto  a  quello  della  luna  fu  la  Diana  in  biga 
di  cervi  colla  faretra  alle  spalle  e  una  fiaccola  accesa  nella 
destra.  Nel  basso  v'è  per  insegua  monetale  l'astro  falcato. 

18.  In  quell'epoca,  che  diciamo  dei  segni  monetali  anteriori  alle 

iniziali  dei  nomi  del  magistrato,  venne  l' idea  del  denaro 
a  contorno  dentato.  Il  magistrato  che  l'emise  vi  pose  per 
insegna  una  ruota  a  sei  razzi. 

Non  è  né  può  essere  nostro  pensiero  di  inchiudere  nella 
nostra  raccolta  i  tipi  delle  monete  introdottivi  dai  magi- 
strati ai  quali  era  commesso  di  batter  moneta.  La  è  questa 
una  branca  di  numismatica  che  per  uso  si  tratta  separa- 
tamente. Nondimeno  dopo  gli  esempi  dei  tipi  introdotti  suc- 
cessivamente dalla  repubblica  ho  voluto  dare  un  qualche 
saggio  dei  tipi  triumvirali  e  a  tal  fine  ho  prescelto  i  primi 
quattro  denari  (nn.  19-22),  e  se  ne  vedrà  il  perchè  nelle 
note  seguenti. 

19.  20.  Testa  galeata  di  Eoma,  dietro  la  nuca  un  vaso  ad  im 
manico  creduto  orciuolo  dei  sacrifizi,  ma  dichiarato  dal  Bor- 
ghesi {Oeuvres,Y,  130)  per  la  mulctra  o  vaso  da  mungere 
il  latte.  Donde  acutamente  il  Borghesi  arguisce  che  Fosthis 
sia  piuttosto  cognome  del  Sesto  Pompeio  autore  della  me- 
daglia che  del  pastore.  R.  La  lupa  che  allatta  i  due  ge- 


melli a  pie'  di  un  albero  sul  quale  si  è  posato  un  uccello 
mentre  il  pastore  Paustolo  guarda  con  stupore  i  gemelli 
alle  poppe  della  lupa:  in  altri  esemplari  si  legge  accanto 
il  nome  FOSTLVS  che  qui  è  uscito  di  conio,  il  nome  del 
magistrato  monetale  è  Secctiis  Pompenos  che  vi  si  è  e.-presso 
nel  n.  17  colle  lettere  SEX.  POM  e  nel  n.  20  con  erronea 
metatesi  SEX-  PMO.  Neil'  esergo  è  ROAAA.  Questa  sigla 
POAA  è  ora  la  prima  volta  che  si  legge  sull'argento.  Brasi 
stabilita  in  fatti  questa  differenza  fra  la  moneta  di  bronzo 
di  questo  magistrato  e  quella  di  argento:  che  il  bronzo 
leggeva  sempre  POW\  e  1'  argento  invece  sempre  PO.  Or 
questa  differenza  non  si  sosterrà  più  per  i  due  esemplari 
del  deposito  di  Maserà,  che  ci  danno  sull'argento  una  volta 
POAA  e  un'  altra  per  errore  PMO.  Al  Cavedoni  v  enne  in 
mente  che  si  potessero  attribuire  queste  monete  alla  fa- 
miglia Pomponia  o  Pompilia  [Saggio  d'osserv.  p.  17  ;  Appena. 
p.  147)  ma  il  Borghesi  rifiutata  la  Pompilia  si  dimostra 
convinto  che  sia  la  Pompeia,  e  assegna  questo  Sexto  che 
crede  figlio  di  un  Pompeio  bisavolo  di  Pompeio  Magno  alla 
prima  metà  del  secolo  VII  [Oeuvr.  II  pag.  129  segg.)  avanti 
alla  legge  Petronia. 

21.  Dal  deposito  di  Maserà.  Il  monetiere  Veturio  adottò  per 
proprio  tipo  un  Marte  nel  dritto  e  nel  riverso  quel  tipo 
di  feda'azione  ohe  abbiamo  osservato  negli  aurei  primitivi. 
Dicono  che  il  facesse  in  memoria  del  suo  antenato  T.  Ve- 
turio Calvino,  nel  cui  consolato  (a.  420)  ai  Sanniti  e  ai 
Campani  fu  accordato  colla  pace  il  dritto  della  città  sine 
suffragio  (Veli.  1,  14):  Campanis  data  est  civitas  partique 
Samniliurn  sine  suffragio;  ovvero  per  la  pace  conchiusa 
coi  Sanniti  alle  Porche  Caudine  nel  333  (Liv.  IX,  1)  :  nu- 
hilis  clade  romiina  Caudina  pax  (cf.  H.  de  la  rnonn.  ed. 
Blac.  II  p.  806).  Il  nostro  denaro  ci  toglie  dall'incertezza 
in  che  ne  lascia  la  descrizione  mommseniana,  dubitando  egli 
se  la  testa  sia  di  Marte  giovane  ovvero  della  dea  Eoma. 
L'accenno  delle  basette  in  cotesto  fior  di  conio  mostra  in- 
dubitato, che  è  un  Marte.  E  tanto  ci  si  conferma  dal  con- 
fronto di  questo  nummo  con  altro  della  guerra  Marsica 
(Tav.  CXI,  21),  che  il  Cavedoni  stima  sia  stato  dagli  Italici 
copiato  (ad  Carell.  tab.  CCII  n.  26),  dove  la  guancia  del 
Marte  è  tutta  fiorita.  È  da  notare  che  qui  i  due  guer- 
rieri del  riverso  sono  in  punta  d'armi,  laddove  nell'aureo 
colui  che  indossa  la  corazza  ha  in  mano  una  corta  lancia 
rovescia  e  nella  sinistra  la  guaina  colla  clamide  o  palu- 
damento: qui  invece  egli  si  appoggia  alla  lancia  e  porta 
la  guaina  del  parazonio  a  tracolla.  Porse  col  tipo  dell'aureo 
si  volle  esprimere  una  federazione  per  la  quale  si  accordò 
ai  Campani  la  cittadinanza  :  e  nel  denaro  di  Tiberio  Vetu- 
rio si  è  inteso  invece  di  esprimere  la  pace  caudina  avve- 
nuta stando  ambedue  i  popoli  sotto  le  armi. 

22.  Dal  deposito  di  Maserà.  È  il  riverso  di  un  denaro  di  P.  Cal- 

purnio,  che  nel  dritto  porta  la  testa  di  Eoma  e  dietro  alla 
nuca  la  nota  del  valore  X.  I  numismatici  non  san  dire 
quale  divinità  sia  quella  che  va  in  biga  e  vi  è  coronata 
dalla  Vittoria.  Pure  si  ha  da  considerare  quell'astro  ad  otto 
raggi    che   un    dei  cavalli  porta  impresso    sul  fianco.    Il 


T.  LXXX 


LATIUM,  EOMA 


67 


Mommsen,  il  De  Witte  e  il  Blacas  [fi.  de  in  monn.  II, 
IV  pag.  41)  lo  hanno  creduto  ed  espresso  qual  nota  del 
denaro,  e  dicono  perciò  che  questa  nota  X  vi  si  trova  due 
volte,  dietro  la  testa  di  Koma  e  sul  fianco  del  cavallo.  Ma 
da  quando  in  qua  si  sono  avute  note  di  denari  ad  otto  raggi? 
Inoltre  appare  ben  chiaro  un  globo  nel  centro:  le  quali 
due  pai-ticolarit^  vietano  che  si  prenda  per  X  nota  di  va- 
lore. Esso  è  dunque  un  astro,  che  definiremo  con  tutta 
verosimiglianza  pel  pianeta  della  dea  Venere,  che  va  in 
biga.  Il  trovarsi  poi  sul  fianco  del  cavallo  ha  buon  riscon- 
tro nelle  monete  di  Napoli,  dove  vi  si  vede  piìi  volte  un 
astro  sul  fianco  del  bue  androprosopo  (Tav.  IXXIX,  14, 
LXXXIII,  1).  A  questa  dea  infatti  sta  bene  la  ricca  treccia 
di  capelli  che  le  scende  sulle  spalle,  cosa  notata  anche  dal 
Borghesi  {Oeuvres  I,  p.  141).  Questi  però  non  ha  creduto 
che  fosse  Venere,  ma  che  con  quella  donna  in  biga  coro- 
nata dalla  Vittoria  si  alludesse  ad  un  trionfo  marittimo  : 
e  di  questa  sua  spiegazione  allegò  per  tutta  prova  il  del- 
fino. Pertanto  questo  delfino  del  Borghesi  non  si  è  mai 
veduto  su  questi  denari,  se  non  è  forse  che  la  coda  di  imo  dei 
cavalli  ha  potuto  sembrare  un  delfino.  Il  Publio  Calpurnio 
non  ci  è  noto:  può  pertanto  proporsi  per  congettura  il  P.  Cal- 
purnio Lanario  che  viveva  nella  seconda  metà  del  secolo 
settimo,  perchè  nel  ripostiglio  di  Maserà  nascosto  certa- 
mente prima  del  630  se  ne  sono  trovati  otto  esemplari  e 
tutti  ruspi.  A  ragione  dunque  gli  si  è  assegnata  un'epoca 
pili  antica,  nella  quale  potè  esercitare  la  sopraintendenza 
della  zecca  solita  darsi  ai  giovani  sui  primordi  della  loro 
carriera  politica. 
2:3.  Dal  deposito  di  Maserà.  Testa  di  Eoma  coperta  di  elmo 
alato  :  dietro  la  cui  nuca  è  un'  urna  senza  manico  con  co- 
perchio terminato  a  cono  dalla  cui  cima  penzola  il  fiocco 
del  nastro  che  serve  a  sollevarlo.  R.  Donna  iu,  quadriga 
veloce  con  in  mano  un'asta  che  ostenta  eolla  d.  un  pileo 
conico  privo  di  gronda.  Nel  basso  C*  CASSI  ;  nell'  esergo 
ROMA. 

24.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  coronata  con  segno  di  con- 
tromarca sul  volto:  a  sinistra  si  legge  LIBERT,  a  destra 
Q.  CASSIVS.  R.  n  tempio  perittero  di  Vesta,  con  dentro 
una  sedia  curale:  nel  campo  a  sin.  una  sitella,  a  destra 
una  tavoletta  colle  lettere  A  C  (Absolvo,  Condemno). 

Questa  moneta  oltre  alla  singolarità  della  contromarca 
che  nelle  monete  dei  Cassii  non  ha  finora  altro  esempio  è 
stata  da  me  qui  incisa  pel  confronto  della  moneta  n.  23, 
la  cui  spiegazione  ho  data  nel  Periodico  dello  Strozzi  e 
nella  Civ.  Cattolica,  dove  dimostro  che  C.  Cassio  nel  tipo 
n.  23  vanta  la  legge  tabellaria  proposta  dal  padre  suo  re- 
lativa alla  libertà  del  suffragio  nei  comizii ,  e  Q.  Cassio 
col  tipo  del  n.  24  mentre  ricorda  questa  medesima  legge 
fa  pompa  insieme  del  celebre  giudizio  delle  Vestali  che 
rese  famoso  il  suo  antenato. 

25.  Nella  coli,  del  bar.  d'AiUy  {Recherc.hes,  t.  I  pi.  XLI,  8). 
Testa  di  Koma  doppiamente  impressa  per  sbalzo  di  conio. 
R.  Prora  di  nave  battuta  sopra  il  tipo  del  tridente  che  suole 
vedersi  nelle  monete  di  Gerone   II:  di  sotto   vi  è  il  glo- 


betto  segno  dell'oncia.  Pesa  gr.  6,70.  Il  lodalo  sig.  d'AiUy 
se  ne  giova  a  dimostrare  che  questa  oncia  non  si  sarebbe 
potuta  coniare  prima  del  regno  di  Gerone,  che  esordi  al  478 
né  dopo  il  486  epoca  dell'asse  sestantario  che  ridusse  alla 
quarta  parte  il  peso  dell'asse.  A  ragione  quindi  si  deduce 
che  vi  fu  in  tal  tempo  una  diminuzione  dell'asse  trientale  a 
quadrantario  o  sia  di  tre  once. 
26-33.  Nella, coli.  mia.  Bifronte  barbato  e  coronato:  di  sopra, 
il  segno  della  libbra,  R.  Prora  di  nave  a  d.,  di  sopra  ramo 
di  lauro,  di  sotto  ROMA.  La  serie  dell'asse  sestantario  non 
ha  in  prima  verun  segno  oltre  ai  tipi  della  repubblica;  indi 
cominciano  i  magistrati  ad  apporvi  alcun  segno,  poi  si  passa 
ad  inscrivervi  i  nomi  abbreviati.  Ho  qui  omesso  il  semplice 
asse  e  sostituito  l'asse  parimente  sestantario  che  porta  per 
segno  un  ramo  di  lauro,  per  dare  così  insieme  \m  saggio 
di  quelle  serie  che  portano  i  segni.  I  tipi  in  questa  età 
mai  variati  del  bronzo  romano  sono  questi:  dopo  1'  asse 
descritto  avanti;  il  semisse  (n.  27)  testa  di  Giove  e  al 
riverso  costantemente  la  prora  della  nave  volta  a  d.  ;  il 
triente  (n.  28)  testa  di  Minerva;  il  quadrante  (n.  29)  testa 
di  Ercole  imberbe;  il  sestante  (n.  30)  testa  di  Mercurio; 
l'oncia  (n.  81)  testa  di  Eoma  galeata:  l'epigrafe  è  ROMA 
con  l'A  ovvero  A,  ovvero  A.  La  mezz'oncia  (n.  32)  senza 
veruna  nota;  ovvero  con  la  nota  della  semoncia,  che  nel- 
l'esemplare del  Museo  Vaticano  da  me  inciso  (n.  33)  è  gia- 
cente boccone  p-)  a  guisa  di  un  i»,  ma  talvolta  è  quasi 
verticale  3  come  in  un  sestante  appartenente  al  sistema 
semissale,  del  peso  di  gr.  23,00  privo  dei  due  globetti  che 
ho  nella  mia  collezione.  La  sua  origine  è  di  certo  il  S 
greco,  del  quale  si  servono  anche  gli  altri  popoli  italici 
a  distinzione  del  segno  del  semisse  S,  5,  che  sogliono  notare 
con  un  s  latino  a  linea  curva  od  angolare. 


Tav.  LXXX. 

1.  Presso  Depoletti.  Moneta  ribattuta  sopra  un  semisse  del  quale 
rimangono  le  tracce  sicure  nella  prora  colla  epigrafe  sot- 
toposta ROM  e  nella  S  nota  di  valore.  Testa  di  Minerva 
con  elmo  corinzio  volta  a  d.  R.  Prora  volta  a  d.  con  un 
delfino  in  rilievo  presso  il  rostro;  di  sotto  vi  si  leggono 
le  due  prime  lettere  di  ROMA,  di  sopra  è  la  nota,  1 1,  del 
valore.  Fu  dunque,  da  semisse  che  era,  battuto  per  dupondio 
Il  suo  peso  è  di  gr.  39,15.  Il  Mommsen  {Rull.  Inst.  1862 
p.  49)  lo  assegnò  all'epoca  dell'asse  onciale  (debole  o  forse 
alla  serie  semonciale,  H.  de  la  monn.  T.  Il  p.  215  n.  1), 
e  soggiunge:  La  moneta  non  è  certamente  un  triente  ri- 
fatto, perocché  i  trienti  coniati  più  pesanti  sorpassano  di 
poco  il  peso  di  grammi  20.  Non  si  avvide  egli  dunque  che 
la  moneta  era  prima  un  semisse.  Dopo  il  Mommsen  l'ha 
pubblicato  il  d'Ailly  il  quale  pensa  che  sia  battuto  sopra 
un  asse  sestantario  (Recherches,T.  II  p.  131).  Si  vede  poi 
riprodotto  dal  Blacas  {H.  de  la  monn.  voi.  IV  tav.  XVI,  3 
pag.  24);  ma  ancor  questa  volta  vi  è  omesso  ogni  indizio 
del  semisse  anteriore.  A  riscontro  di  cotesto  bronzo  ho  in 
questa  tavola  medesima  stampato  al  n.  25  un  altro  semisse 

9 


68 


LATIUM,  KOMA. 


T.  LXXX 


il  cui  peso  è  di  gr.  47,00.  Ambedue  dunque  appartengono 
ad  un  asse  quadrautario,  e  il  dupondio  potè'  essere  battuto 
quando  l'asse  era  onciale. 

2,  3.  Do  qui  per  saggio  delle  diminuzioni  onciali  e  semonciali 
i  due  assi  nn.  2,  3,  e  di  questi  1'  uno  semplice  1'  altro 
con  emblema  della  Vittoria  che  corona  un  ferro  di  lancia. 

4.  Il  semisse  di  questo  numero  pesa  gr.  3.  l'ho  prescelto  perchè 
ignoto  al  d'Ailly.  Esso  appartiene  alla  serie  dell'asse  di- 
minuito ad  un  quarto  di  oncia.  Porta  oltre  alla  nota  del 
valore,  Semis,  ripetuto  un  altro  S  sulle  due  facce,  che  non 
è  altro  se  non  un  segno  distintivo  dei  conii  preso  dall'al- 
fabeto, il  qual  costume  ha  volgari  esempi  nelle  monete  di 
famiglie,  ma  non  è  finora  concorde  l'opinione  dei  numisma- 
tici intorno  al  quando  queste  lettere  sono  da  tenersi  per 
iniziali  dei  nomi  di  città  e  quando  debbono  reputarsi  segni 
dei  fabbricanti  dei  conii.  Può  dirsi  però  generalmente  che 
le  lettere  siano  iniziali  dei  nomi  propri  o  delle  città  o  dei 
magistrati  in  tutte  quelle  classi  di  monete  le  cui  zecche 
non  le  adoperarono  per  distinzioni  di  conii  o  delle  autorità 
che  le  hanno  emesse. 

Segue  ora  una  serie  di  piccolissimi  bronzi  che  portano 
con  tipi  svariati  il  comun  delle  volte  lo  stesso  nome  ROMA  ; 
tutti  di  peso  inferiore  ai  gr.  7,  il  qual  peso  fu  stabilito 
dal  bar.  d'  Ailly  come  ultimo  limite  di  diminuzione  del- 
l'asse semonciale.  Egli  però  crede  che  cotesti  bronzi  siano 
stati  battuti  al  714  quando  cessò  l'asse  semonciale,  per 
tutto  il  715.  Ma  questa  opinione  non  si  sostiene.  Noi  ab- 
biamo a  modo  di  esempio  al  nostro  n.  15  un  bronzo  che 
ha  per  tipo  sul  dritto  la  testa  di  donna  galeata  e  al  riverso 
un  doppio  cornucopia.  L'ha  pubblicato  il  PioreUi  (Mon.  ined. 
Tav.  I  n.  4)  fra  le  monete  urbiche  della  Campania  opi- 
nando che  probabilmente  sia  stato  battuto  verso  il  quarto 
secolo  di  Koma,  forse  in  Napoli  che  emise  un  piccolo  bronzo 
di  peso  uguale  col  cornucopia  nel  riverso  (v.  la  T.  LXXXVI 
n.  10).  Il  Cohen  Mécl.  consul.  pi.  LXXI  n.  16  p.  348 
n.  40)  e  il  d'Ailly  (pi.  LXXVIl,  8)  dietro  la  testa  del  loro 

'  esemplare  vi  hanno  veduto  ed  espresso  un  globetto,  qual 
segno  di  valore.  Se  è  così,  non  si  potrà  questo  bronzo 
annoverare  fra  quei  che  il  d'Ailly  crede  appartenere  alla 
riduzione  dell'asse  al  quarto  di  oncia.  E  neppur  vediamo 
come  si  possano  ridurre  a  questa  classe  quei  pezzi  che 
portano  la  nota  S  (nn.  6,  7,  8)  ovvero  i  tre  globetti  «  «  « 
(n.  9).  Intanto  ne  daremo  la  descrizione: 

5.  Bifronte  barbato.  R.  Prora  di  nave,  AMOJI  (d'Ailly,  LXII,  5). 

6.  Bifronte   barbato.  R.  Prora  di  nave    sopra  C,  sotto   ROMA 

(id.  LVII,  7). 

7.  Testa  di  donna  galeata.  R.  Giovane  nudo  che  si  appoggia  ad 

un  trofeo  colla  sinistra  e  porta  una  clava  :  davanti  S,  dietro 
ROMA  (id.  LXV,  8). 

8.  Testa  con  barba  aguzza  e  capelli  raccolti  intorno  al  diadema 

che  li  lega  in  massa  alla  cervice.  R.  Prora  di  nave,  di  sotto  S 
(id.  LXV,  9). 

9.  Testa  coperta  di  pelle  leonina  che  pare  doppia,  ma  deve  essere 

uno  sbalzo  di  conio.  R.  Prora:  sopra  ROMA,  a  d.  tre  glo- 
betti (id.  LXV,  11). 


10.  Testa  giovanile  galeata.  /?.  ROMA  (id.  LXV,  20). 

11.  Testa  giovanile  coperta  di  pileo  frigio.  R.  Prora  di  nave, 
ROMA   (id.  LXV,   15). 

12.  Testa  radiata  del  sole.  R.  Prora  di  nave   e  sotto  ROMA 

(id.  LXV,  16). 

13.  Bifronte  barbato  colla  nota  della  libra  in  cima  alle  due  teste. 

R.  Vittoria  con  corona  volta  a  d.  (id.  LVI,  111). 

14.  Bifronte  laurealo.  R.  Cornucopia  e  a  d.  ROMA  (id.  LXXVIl,  4). 

15.  Testa  di  donna  con  sparsi  capelli  alla  cervice,  dietro  glo- 

betto.  R.  Due  cornucopie  e  ROMA  (id.  LXXVIl,  8). 

16.  Testa  di  Mercurio  col  petaso  alato.  R.  Doppio  cornucopia 

e  ROMA  (id.  LXXVI,  8) 

17.  Testa  giovanile  nuda.  R.  Cornucopia  e  ROMA  (id.  LXXVIl,  1). 

18.  Bifronte  barbato  in  cerchio  di  perle.  R.  Vittoria  che  corona 
un  trofeo  (id.  LVII,  10). 

19.  Testa  barbata  e  laureata  simile  a  Lucio  Vero.  R.  Lupa  che 

allatta  i  due  gemelli  a  pie'  di  una  palma,  nell'esergo  ROMA 
(id.  LXV,  17). 

20.  Testa  giovanile  diademata.  R.  Prora  di  nave  (id.  LIV,  13). 

21.  Paustolo  appoggiato  al  bastone  solleva  la  destra.  R.  La  lupa 

che  allatta  i  gemelli  a  pie'  di  una  palma.  È  nella  collezione 
mia  che  il  rinvenni  negli  scavi  di  vigna  Velluti  in  Palestrina. 

22.  Bifronte  barbato.  R.  Ercole  stante  che  soffoca  il  leone.  Da 
un  mio  calco  preso  forse  nel  Museo  di  Vienna. 

23.  Al  bar.  d'Ailly  parve  inesplicabile  questo  asse  coi  tipi  ro- 
mani e  con  un  nome  greco  letto  da  lui  per  metà  -VCOC 
(Tav.  CXIII,  13).  È  della  serie  onciale  pesando  gr.  17,34. 
Corfù  potrebbe  esserne  la  patria;  perciocché  nella  sua  mo- 
netazione si  serve  dei  tipi  della  mezza  nave  e  del  bifronte. 
Il  nome  è  per  me  quello  del  magistrato  locale. 

I  Komani  batterono  monete  a  proprio  conto  in  Lucerà 
e  in  Canosa,  lasciando  ad  ambedue  queste  città  di  apporvi 
col  nome  ROMA  anche  l'iniziale  U  e  KA,  ovvero  C,  ovvero  CA. 
Ciò  ò  dimostrato  dalla  provenienza  di  cotesto  monete  fre- 
quenti nella  campagna  di  Lucerà  e  di  Canosa.  Vi  è  però 
una  serie  ohe  alle  lettere  predette  sostituisce  P  ovvero  un  T 
e  questo  or  solo  ora  congiunto  con  un  U  e  così  il  P  che 
si  vede  una  volta  insieme  con  un  S  su  di  un  bronzo  coi 
tipi  del  sestante  romano;  Di  queste  diremo  poi.  Ora  ci  trat- 
tiene la  serie  lucerina. 

24.  25.  Abbiamo  veduto  nella  serie  delle  monete  fuse  di  Lucerà 
coi  tipi  romani  ancora  un  asse  ed  un  semisse  'del  sistema 
quadrautario;  or  qui  abbiamo  posto  in  primo  luogo  un  se- 
stante romano  insignito  della  U  iniziale  di  Lucerà  che  pesa 
10,20  gr.  (u.  24)  e  però  appartiene  al  sistema  dell'  asse 
trientale.  Abbiamo  inoltre  (n.  25)  un  semisse  di  gr.  47,10 
che  appartiene  all'asse  quadrautario.  Questi  due  pezzi  co- 
niati dimostrano  che  in  tali  prime  riduzioni  dell'asse  pri- 
mitivo si  usò  di  fondere  i  pezzi  maggiori  riservando  la 
coniazione  per  gli  spezzati  minori.  Il  primo  pezzo  è  nella 
collezione  mia,  il  secondo  fu  del  Eiccio  {Repertorio,  nel 
frontespizio  cf.  p.  30).  Il  mio  disegno  è  tratto  da  un  calco, 
che  ne  posseggo. 

26.  Dall'Avellino  {Bull.  Arch.  Napol.  T.  III.  tav.  3  n.  3).  Testa 
di  donna  coperta  di  galea  alata  a  becco  di  grifo  e  collana 


T.  LXXXI 


LATIUM,  EOMA 


69 


al  collo  :  dietro  è  il  seguo  (lell'oncia,  di  sotto  al  collo  im  U. 
R.  Prora  di  nave  di  sopra  ROMA,  di  sotto  il  seguo  dell'oncia. 
Pesa  gr.  5,  36.  Il  tipo  del  dritto  è  simile  a  quello  dei  quinarii 
e  dei  sesterzi!  d'argento  battuti  nella  zecca  lucerina. 

27-30.  Coli.  mia.  I  due  quinarii,  il  sesterzio  e  il  vittoriato 
ai  tipi  romani  aggiungono  la  lettera  U,  ora  sul  dritto  ora 
sul  riverso:  è  nel  dritto  ai  numeri  28,  29,  nel  riverso  ai 
numeri  27,  30. 

31-34.  Serie  della  moneta  di  bronzo  coi  tipi  romani  battuta  in 
Lucerà:  l'iniziale  U  trovasi  ripetuta  nel  dritto  e  nel  rove- 
scio, ovvero  da  una  sola  parte,  di  che  si  dà  un  saggio  nel- 
r  asse  e  triente  (nn.  31, 32),  nell'  oncia  e  nella  semoncia 
(nn.  33,  34). 


Tav.  LXXSI. 

1.  Nel  Kirch.  Testa  di  Apollo  laureata,  dietro  U.  R.  I  due  Dio- 

scori  che  hanno  appuntate  le  lance  correndo  a  cavallo  :  dì 
sotto  ROMA  ;  neir  esergo  la  nota  del  quincunce.  Pesa 
gr.  21,20. 

2.  Nel  Kirch.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe.  R.  Vittoria 

che  guida  una  quadriga  :  sopra  U ,  sotto  ROMA  ;  nell'esergo 
$••••,  nota  del  destante,  dove  l' S  ha  il  valore,  che 
nell'asse  duodecimale  romano,  di  significare  sei,  e  non  la 
metà  dell'  asse  decimale,  come  nei  bronzi  di  Atri.  Il  suo 
peso  è  di  gr.  16,85.  Intanto  avremo  imparato  che  i  Lucerini 
a  marcare  il  valore  deU'asse  ebbero  due  modi,  imperocché 
0  si  servirono  dell'unità  (Tav.  LXIII,  23)  ovvero  della  cifra 
dinotante  l'asse  decimale  che  significarono  con  un  semis 
seguito  da  quattro  globetti.  Del  segno  della  libbra,  U,  in 
tal  senso  essi  non  si  servono  mai;  gli  Atriani  sì,  che  fanno 
anche  uso  in  pari  tempo  dell'  S  e  dei  cinque  globetti  a 
dinotare  la  metà  della  loro  lilibra  decimale. 

3.  Nel  Kirch.  Bronzo  coi  tipi  del  sestante  romano  dato  per  qua- 

drante :  sotto  al  collo  del  Mercurio  v'  è  un  U ,  sopra  vi 
sono  i  tre  globetti  ;  e  nel  riverso  ROMA  e  vi  si  ripetono 
i  tre  globetti.  Il  suo  peso  è  di  gr.  10,00.  L'ha  dato  anche 
il  bar.  d'Ailly  {Recherches,  pi.  CIV,  4,  5),  e  l'ebbe  nella 
sua  collezione  il  Lovatti.  Lucerà  si  è  servita  del  sestante 
romano  elevandolo  al  valore  di  tre  calchi  deboli  (cf.  Mul- 
ler,  Anc.  Afr.  voi.  I.  pag.  123). 

4.  CoU.  d'Ailly   {Recherches,   pi.  CIV,   14).   Sestante   coi   tipi 

romani  ed  un  L-  sotto  al  coUo  del  Mercurio:  al  riverso, 
oltre  ai  due  globetti,  vi  è  nel  campo  superiore  un  S.  È  ma- 
nifesto che  le  due  note  di  valore  sono  l'una  dall'altra  indi- 
pendenti. Se  si  voleva  dimostrare  che  il  pezzo  valeva  due 
once  e  mezzo  si  doveva  scrivere  •»$  come  nelle  monete 
di  Venosa,  un'oncia  e  mezzo  si  scrive  «S.  Ma  se  il  tipo 
del  sestante  che  abbiam  veduto  divenire  anche  quello  della 
mezz'oncia,  doveva  qui  essere  adoperato  per  semoncia,  non 
occorreva  la  nota  del  sestante  e  si  doveva  omettere.  Brin- 
disi, a  quanto  pare,  ci  ha  dato  un  simile  esempio  (Tav.  XCVI 
n.  38)  servendosi  del  conio  di  un  triente  sul  quale  hanno 
impressa  la  lettera  S,  lasciando  intatti  i  quattro  globetti 
al  luogo  dell'esergo,  così  nel  dritto  come  nel  riverso  (v.  Tav. 


XCVI,  38).  Conchiudasi  dunque  che  queste  monete,  mentre 
sono  sestanti  e  trienti  nella  propria  lor  serie,  fauno  anche 
parte  di  altra  serie  che  ha  pesi  e  denominazioni  diverse. 
Il  sestante  romano  è  insieme  un  S ,  £,  cioè  una  metà  di 
altra  unità  che  può  essere  probabilmente  1'  obolo ,  la  cui 
metà  è  di  quattro  grammi  e  poco  piti.  In  quel  tempo 
adunque  l'hemiobolo  equivaleva  ad  un  sestante  romano 
ridotto. 

5.  Nel  Museo   di  Vienna  (cf.  la  coli.  d'Ailly,  pi.   CIV,    17). 

n  suo  peso  è  di  gr.  3,43.  Bronzo  coi  tipi  romani  del  se- 
stante, omesse  però  le  note  dei  globetti,  e  sostituitovi 
nel  campo  superiore  il  segno  del  semis  £_:  La  lettera  U 
iniziale  della  città  è  sul  dritto  e  si  ripete  sul  riverso,  dove 
è  anche  ROMA. 

6.  Presso  L,  Sambon  (cfr.  d'Ailly,  pi.  CIV,  18).  Testa  di  Er- 

cole imberbe  coperta  della  spoglia  di  leone,  iiresso  il  mento  U- 
R.  Pegaso  a  d.  sopra  £:  sotto  ROMA.  Nella  Tav.  75  n.  12 
si  trova  un  bronzo  coi  tipi  che  sono  qui  riprodotti.  Lucerà 
se  ne  è  servita  per  tipo  della  mezz'oncia. 

7-9.  Coli.  mia.  Vittoriato  coi  tipi  comuni,  ma  battuto  in  Lucerà, 
della  qual  città  porta  l'iniziale  U;  inoltre  gli  si  vede  nel 
campo  del  riverso  im  T,  ovvero  queste  due  lettere  sono 
insieme  congiunte  in  monogramma  nel  solo  riverso  n.  9.  Il 
peso  del  n.  7  è  di  gr.  3,00;  del  n.  9,  di  gr.  2,75.  Ma  noi  qui 
non  possiamo  acconciarci  al  parere  che  queste  due  let- 
tere siano  iniziali  di  nome  proprio  di  un  magistrato,  perchè 
la  lettera  l-  si  legge  anche  sola  nel  vittoriato  della  Tav.  LXI 
n.  30.  È  notevole  il  riscontro  fortuito  di  un  UT  suUa  mo- 
neta fusa  (Tav.  XXXIII,  1)  che  ho  attribuito  a  Eieti:  ivi 
poi  tengo  per  certo  che  siano  iniziali  del  magistrato  mo- 
netale. Lucerà  può  ben  essere  entrata  in  confederazione 
con  uno  dei  due  Teani  l'Apulo  o  il  Marruccino  e  seguendo 
il  costume  avrà  a  tal  uopo  inscritta  l'iniziale  del  suo  nome 
sulla  moneta.  D'altronde  non  vi  ha  esempio  sulle  monete 
lucerine  d'argento  di  nomi  propri  dei  magistrati  dissimu- 
lati in  sigla.  A  Teate  hanno  pensato  altri  prima  di  me  (pr. 
Minervini,  Oss.  pag.  91),  mentre  il  Cavedoni  stimolli  am- 
bedue nomi  di  magistrato  {Rull.  arch.  nap.  II,  133). 

8.  Nel  Museo  di  Vienna  (cf.  d'Ailly,  pi.  CVI,  7).  Testa  giova- 
nile coperta  di  galea  corinzia  a  d.  sotto  U.  R.  Giovane  a 
testa  nuda  che  cavalca  a  sinistra;  nell'esergo  RoMA,  sotto 
il  cavallo  T  con  la  linea  traversa  assai  logora,  a  sinistra  S. 
L'esemplare  viennese  è  usato  e  pesa  gr.  0,90:  qifello  del 
d'Ailly  pela  gr.  0,98.  La  cifra  S  può  significare  metà,  l'in- 
tero non  si  è  ancora  veduto:  ma  è  certo  che  avrebbe  i 
tipi  propri  lucerini,  e  non  i  romani.  Però  non  dobbiamo 
imaginare  che  questo  S  significhi  mezzo  vittoriato.  La 
moneta  è  dei  tempi  in  che  il  vittoriato  si  sarebbe  ripro- 
dotto in  Lucerà  col  tipo  romano,  come  la  sua  unità. 

Il  Borghesi  tenne  che  nei  semivittoriati  romani  la  cifra 
IS  a  parer  suo  si  doveva  spiegare  per  un  sesterzio  e  mezzo. 
Si  hanno  di  fatto  delle  monete  che  portano  per  tipo  la  Vit- 
toria coronante  il  trofeo  e  nel  campo  di  mezzo  le  lettere  IS  : 
ma  queste  non  hanno  per  tipo  del  dritto  la  testa  di  Giove 
come  i  vittoriati  e  i  veri  semivittoriati  (T.  LXXIX,  9,  10) 


70 


LATIUM,  ROMA 


T.  LXXXI 


sibbene  la  testa  di  Apollo;  e  si  sa  clie  queste  cominciaao 
ad  emettersi  verso  il  650  quando  per  legge  Clodia  si  ri- 
pigliò la  soppressa  fabbricazione  dei  sesterzi!  assimilali  però 
nel  valore  ai  quinarii,  come  ho  detto  a  suo  luogo.  Noi  dunque 
ci  maravigliamo  come  il  Borgliesi  abbia  potuto  essere  se- 
guito dal  Mommsen  in  questa  sua  sentenza. 

Inoltre  la  cosa  è  in  se  assurda.  Perchè  se  la  S  significa  di  per 
se  la  metà,  cioè  un  sesterzio  e  quarto  (cf.  Tav.  LXXXII,  9), 
a  che  le  deve  stare  davanti  quella  unità ,  che  il  Bor- 
ghesi pretende  significare  un  sesterzio  ?  Conchiudasi  che 
queir  IS  ha  quel  valore  d'iniziale,  che  haimo  le  diverse  lettere, 
le  quali  sogliono  trovarsi  sui  quinarii  tra  la  Vittoria  e  il  trofeo. 
Il  Borghesi  anche  attesta  {Oeuvr.  11  29.5)  di  avere  nella  sua 
collezione  mezzi  vittoriati  con  la  S  a  destra  del  trofeo  che 
è  al  riverso,  e  che  una  ripetizione  ne  vide  presso  il  d' Nott, 
che  fu  poi  acquistata  dal  bar.  d'Ailly  (Oeuvr.  t.  Vili  p.  206). 
Ma  se  nel  catalogo  di  vendita  della  collezione  Nott  non  se  ne  fa 
cenno,  giova  però  il  sapere  che  si  è  trovato  anche  altrove.  Che 
se  è  così,  e  la  S  dinota  il  mezzo  vittoriato,  sarà  cotesta 
una  nuova  ragione  di  rigettare  la  spiegazione  di  nota  di 
valore  che  si  è  voluta  dare  alle  lettere  IS. 

10.  Parigi,  Gab.  delle  medaglie.  Testa  di  Minerva,  di  sotto  v'ha 
la  nota  del  valore,  due  globetti  e  U.  i?.  I  due  Dioscori  colla 
propria  stella  sul  vertice,  le  lance  nella  sin.  e  le  destre 
elevate  correnti  a  cavallo  a  d.,  sotto  i  cavalli  T;  nell'esergo 
ROMA. 

11,12.  Testa  di  donna  coperta  di  pileo  frigio  a  becco  di  grifo: 
sotto  U,  dietro  la  nota  dell'oncia.  lì.  Dioscoro  corrente  a 
cavallo  con  lancia  impugnata,  sotto  T;  nell'esergo  ROAAA. 
Il  Fiorelli  stampò  la  stessa  moneta  [Oss.  mon.  rare  Tav.  I 
n.  6)  con  la  particolarità  della  lettera  T-  ripetuta  in  mono- 
gramma al  riverso,  e  il  cavaliere  coperto  di  elmo  cristato, 
la  quale  ho  io  riprodotta  al  n.  12  sulla  fede  di  lui,  l'epi- 
grafe ROMA  vi  manca.  Egli  attesta  a  p.  3  il  monogramma 
sembrargli  incerto,  ma  che  ha  procurato  far  disegnare  con 
la  maggiore  esattezza. 

13.  Le  due  teste  dei  Dioscori  coperte  di  pileo  conico:  dietro  T. 

/?.  I  due  cavalli  dei  Dioscori  con  le  due"  stelle:  nell'esergo  U. 
Quel  T  che  in  tutte  le  monete  di  questa  serie  tiene  il  posto 
del  riverso  cedendo  alla  lettera  U  il  posto  del  dritto  qui 
prende  il  posto  del  dritto,  e  la  epigrafe  ROMA  vi  è  omessa. 
Sarà  pertanto  questa  la  ■  sola  moneta  battuta  indipendente- 
mente dalla  zecca  di  Eoma  e  di  carattere  puramente  mu- 
nicipale. * 

14.  Nel  Kirch.  Testa  di  Cerere  cinta  di  spighe,  dietro  P.  R.  Qua- 
driga guidata  dalla  Vittoria  ,  sotto  ROMA  ;  nell'  esergo 
S****  nota  del  destante.  Pesa  gr.  17,00. 

15.  Nel  Kich.  Testa  di  Apollo  laureata  a  d.  dietro  P.  fi.  I  due 
Dioscori  correnti  a  cavallo  colla  lancia  impugnata,  di  sopra 
brillano  i  loro  astri,  di  sotto  è  ROMA  :  nell'esergo  è  posta 
la  nota  del  quincunce  •••••.  Pesa  gr.  8,00.  Si  è  cer- 
cata la  patria  di  cotesta  serie  la  cui  iniziale  fosse  un  P. 
Il  bar.  d'Ailly  ebbe  l'idea  di  attribuirla  a  Perugia,  ovvero 
a  Paestum,  la  qual  città,  die'  egli,  dista  poco  da  Lucerà.  La  di- 
stanza fra  le  due  città  invero  non  è  poca,  poiché  Lucerà 


è  nell'alta  Puglia  e  Paestum  in  Lucania.  Ma  sia  pure  :  e 
come  si  vorrà  che  in  Perugia  etrusoa  e  in  Pesto  colonia 
romana  si  abbiano  coniate  monete  che  giammai  si  sono 
trovate  in  cotesta  terra  ?  E  poi  come  volere  porre  in  Pesto 
tali  monete,  ovvero  a  Perugia,  che  non  sappiamo  perchè 
dovessero  appropriarsi  coi  tipi  luceriui  il  sistema  dell'asse 
decimale,  del  quale  certamente  in  Pesto  non  vi  è  verun 
riscontro,  e  neanche  in  tutta  la  Lucania.  I  Romani  battendo 
moneta  in  Lucerà  vi  hanno  posta  l'iniziale  U  e  quando  ri- 
produssero queste  serie  di  monete  nella  Peucezia  che  co- 
minciava dal  fiume  Cervaro  dove  terminava  la  Daunia  : 
amnis  Cerbalus  Dauniorum  finis  (Plin.  H.  n.  Ili,  12),  e 
quando  ne  emisero  altra  serie  in  Siponto  città  posta  allo 
sbocco  del  medesimo  fiume,  ovvero  nella  vicina  Salpi  non 
vi  apposero  la  U,  ma  la  lettera  S,  come  vediamo  qui  nel 
numero  seguente.  Apprendiamo  anche  da  Stefano  che  presso 
Argirippa  osia  Arpi  v'era  una  città  di  nome  Paesus  ovvero 
Apaesus  il  cui  etnico  era  Paesius  ovvero  Paesinus  (p.  102 
ed.  Meinek.)  :  eari  xal  Tr^g  Javviag  nóXig  Ilalaog  xal  'Ag- 
yvQiTTjTa,  fjg  rò  iOrixòv  naioiog,  ?^,  oniQ  afietvov,  ncctalvog. 
Potrebbe  quindi  essere  che  fra  questa  Paesus  e  Luccria  vi 
sia  stata  una  lega:  ma  può  anche  proporsi  che  i  Lucerini 
abbiano  fatto  alleanza  coi  Pentri,  che  dopo  la  battaglia  di 
Canne  non  si  diedero  ai  Cartaginesi  come  il  resto  della 
nazione  sannioa  (Liv.  IX,  31:  XXII,  615,  e  poterono  confe- 
derarsi con  Lucerla  loro  vicina. 
16.  Museo  di  Torino,  edita  dal  Fabretti,  e  qui  riprodotta  da 
un  calco.  Testa  di  Cerere  cinta  di  spighe;  dietro  alla 
nuca  un  S:  rimane  la  spoglia  del  cignale  dal  conio  ante- 
riore. R.  Ercole  che  arresta  il  cervo:  v'  èia  clava  da  presso 

e  nel  basso  ROMA  :  rimane  in  alto  la  spiga  e  uno  dei  gio- 
ir 
betti  del  conio  precedente.  La  moneta  è  ribattxita  sopra  un 

quadrante  di  prima  diminuzione  appartenente  alla  serie 
che  rappresenta  la  testa  giovanile  coperta  della  spoglia  di 
cignale  e  al  riverso  il  toro  che  corre,  la  spiga  in  alto  e 
e  la  nota  del  valore  •  o  e .  (Tav.  LXXVIII  n.  7).  Cotesto  S 
è  in  tal  luogo,  dove  suole  scolpirsi  l'iniziale  della  zecca 
ovvero  la  nota  di  valore.  Roma  può  averla  emessa  in  Si- 
ponto  come  ho  avvertito  di  sopra;  ovvero  in  Salapia:  se 
ciò  non  fosse  quel  S  dinoterebbe  il  valore  di  metà. 

17-19.  Coli.  d'Ailly  (Reche.  clies,  pi.  LXXXI,  16, 18;  LXXXII,  1). 
Monete  coi  tipi  romani  battute  iii  Canosa  con  la  epigrafe  K^^ 
ovvero  K.  Nella  classe  delle  monete  romane  coniate  di  bronzo 
portanti  lettere  di  alfabeto  e  credute  rappresentare  iniziali 
di  zecchieri  erasi  ancora  annoverata  cotesta  serie  con  KA 
e  la  seguente  con  la  leggenda  medesima,  scambiato  solo 
il  K  greco  in  C  latino.  Ora  da  questo  novero  si  sono  se- 
parate quelle  che  portano  la  leggenda  predetta,  e  la  loro 
serie  si  è  annoverata,  come  la  lucerina,  fra  quelle  che  no- 
minano per  iniziali  la  zecca.  All'argomento  gravissimo  della 
provenienza  non  vi  è  che  opporre,  ed  io  posso  invece  con- 
fermarla con  la  mia  esperienza. 

20.  Kircheriano.  Sestante  battuto  sopra  un  bronzo  di  Gterone  II 
col  tipo  della  lesta  di  Giove  a  sin.  e  il  tridente  al  riverso. 
Ha  la  testa  di  Mercurio   al  dritto  e  al  rovescio  la  prora 


T.  LXXXII 


LATIUM,  KOMA 


71 


a  d.  e  la  lettera  K:  di  sopra  è  la  spiga  di  grano,  di  sotto 
ROMA.  Gerone  II  regnò  dal  478  al  540  e  il  bronzo  pesa 
gr.  8  e  però  accennando  così  all'asse  sestantario ,  non  è 
anteriore  al  486. 

Noi  manchiamo  tuttavia  dell'oncia  ma  invece  abbiamo 
la  semoncia  (d'Ailly,  CXII,  8)  dove  la  testa  del  dritto  che  il 
d'Ailly  ha  rappresentato  per  muliebre  dovrebbe  essere  in- 
vece di  Mercurio. 

21.  Kirch.  Sestante  coi  tipi  romani  e  la  leggenda  ROMA:  inoltre 

accanto  alla  prora  del  rovescio  la  sillaba  KA  in  mon.  e  di 
sopra  la  spiga  di  grano.  Pesa  gr.  5. 

22.  Coli.  d'Ailly  {Recherches,  pi.  CX).  Testa  di  donna  coi  ca- 
pelli raccolti  alla  nuca  volta  a  d.  R.  Prora  volta  a  d.  di 
sopra  la  spiga  di  grano  e  accanto  KA.  La  leggenda  ROAAA 
manca  per  difetto  di  conio.  E  una  semoncia:  stimo  però 
che  la  testa  debba  essere  di  Mercurio,  non  muliebre. 

23.  Coli.  d'AiUy  (16,  pi.  CVIH,  19).  Bronzo  coi  tipi  del  se- 
stante romano  edito  dal  d'AiUy  (Tav.  CVin,  19).  Ha  di  sin- 
golare due  lettere  SP  sotio  la  prora  del  riverso.  È  una  semon- 
cia che  deve  appartenere  alla  serie  di  tipo  romano:  non  par 
Terosimile  che  la  S  così  congiunta  col  P  sia  cifra  del  valore 
e  il  P  si  debba  riferire  ad  una  incerta  zecca  di  Puglia.  Po- 
trebbe invece  pensarsi  a  Spoletium  colonia  latina  del  512. 

24.  25.  Serie  di  bronzi  coi  tipi  romani  e  l'epigrafe  CA.  L'asse 

è  stato  in  prima  da  me  espresso  da  un  esemplare  non  ri- 
battuto edito  dal  d'Ailly  (Tav.  CI,  1).  Poscia  ne  ho  dato 
un  secondo  che  è  ribattuto,  ove  il  conio  non  è  ben  riuscito 
per  dissestamento  del  metallo.  In  ambedue  pertanto  sono 
chiare  le  due  teste  barbate  del  bifronte  e  non  si  dovrà 
concedere  al  Borghesi  {Oeuvr.  VI  pagg.  371,  373  Lett. 
dal  1828)  che  l'un  volto  è  imberbe,  barbato  l'altro.  Il  n.  26 
è  nella  collezione  mia.  È  stato  ribattuto  sopra  un  bronzo 
degli  Oeniadac  portante  per  tipi  la  testa  di  Giove  e  al 
riverso  la  protome  dell' Acheloo  con  l'epigrafe  OINIAAA(N). 
L'asse  descritto  dal  Borghesi  pesa  gr.  25,80  ed  è  perciò 
tenuto  piuttosto  per  onciale,  che  semonciale:  gli  fa  però 
meraviglia  l'A  nel  secolo  settimo  che  dovea  essere  andato 
da  lungo  tempo  in  disuso.  Egli  l'assegna  a  Capua  (p.  372) 
e  cita  l'Avellino  (Giom.  numism.  n.  1  pag.  3)  :  al  Cavedoni 
(ivi  p.  372)  parve  piuttosto  impresso  nella  Puglia  e  sog- 
giunge che  questa  sua  opinione  fu  poi  dimostrata  vera 
dall'opera  del  Eiccio  intorno  alle  monete  di  Lucerà  :  ma  ora 
non  v'  è  numismatico  che  ne  dubiti.  Kiguardo  all'A-  ado- 
perato oltre  al  secolo  sesto  ho  già  notato  nella  Sylloge  a 
p.  42  che  cotesta  forma  è  adoperata  anche  nel  secolo  settimo 
in  nummis  Apuliae,  ed  è  solo  nella  voce  ROMA  della  mo- 
netazione romana  che  ne  cessa  l'uso  dopo  il  610. 


Tav.  LXXXII. 

1-4.  Nella  eoli.  mia.  Segue  la  serie  deUa  tav.  precedente  che 
porta  l'epigrafe  CA.  Di  questa  abbiamo  anche  l'oncia  che 
manca  tuttavia  alla  serie  inscritta  KA,  e  la  semoncia  (n.  4), 
che  ho  avvertito  dover  rappresentare  in  quella  serie  la 
testa  di  Merciuio  e  non  di  una  donna. 


5,  6.  Quinario  e  sesterzio  coi  tipi  romani.  Testa  galeata  nel  dritto: 
i  due  Dioscori  nel  riverso  dove  si  legge  nell'esergo  ROMA 
e  sotto  i  cavalli  M .  Questo  monogramma  si  è  diversamente 
spiegato.  Il  Kiecio  l'attribuisce  ad  una  famiglia  Eomilia. 
Ma  leggendosi  nel  monogramma  un  A  avrebbe  egli  dovuto 
cercare  piuttosto  la  famiglia  Eomania  come  ha  fatto  di  poi 
il  Cohen  nel  supposto  che  la  prima  lettera  sia,  come  è  di  fatto 
un  R.  Può  essere  ancora  che  il  Eiccio  quando  imaginò  la  spie- 
gazione abbia  letto  RoM,  come  fa  supporre  il  Cavedoni,  e  così 
invero  lesse  il  Burton  nel  catalogo  della  collezione  Pembroke 
pubblicato  nel  1848.  Più  singolare  è  Carlo  Lenormant,  che 
vi  ha  trovato  Q  •  MARI.  Le  quali  interpretazioni  avendo  il 
Mommsen  riferite  nella  nota  (')  al  voi.  II  H.  de  la  monn. 
pag.  225,  conchiude  con  rigettarle  tutte.  Il  bar.  deWilte 
nel  voi.  IV  della  stessa  opera  a  p.  29  si  mostra  difllcile 
a  chi  crede  che  si  potesse  qui  due  volte  ripetere  il  nome 
di  Roma.  Questa  interpretazione  parmi  sia  stata  proposta 
da  Fr.  Lenormant,  il  quale  stima  che  ciò  siasi  fatto  per 
attestare  che  questa  moneta  non  è  stata  emessa  in  altra 
zecca  a  nome  di  Eoma,  ma  in  Eoma  stessa.  Or  ciascun  vede, 
che  in  questo  modo  si  sarebbe  dovuto  ripetere  due  volte  su 
tutte  le  monete  romane  battute  in  Eoma  il  nome  stesso  di 
Eoma,  mentre  è  sempre  bastato  dire  ROMA,  perchè  s'in- 
tendesse che  la  moneta  è  stata  emessa  da  questa  città. 
Ma  ecco  un  nuovo  ostacolo  :  perocché  il  barone  d'AiUy 
non  legge  R  la  prima  lettera,  sibbene  O,  ed  ha  così  letto 
anche  il  Cohen  nella  tavola  XLIII  n.  7,  e  similmente  dopo 
tutti  il  Blacas  e  il  de  Witte  nella  tav.  XXIII,  Tom.  V.  H.  de  la 
mannaie,  n.  5,  pubblicando  a  pag.  2  l'esemplare  del  qui- 
nario conservato  nel  Museo  Britannico.  Ma  è  certissimo  che 
la  prima  lettera  si  deve  leggere  R  la  qual  lettera  apparisce 
limpida  e  netta  in  tutta  la  serie  posseduta  dal  sig.  Bel- 
lini, che  ho  davanti;  e  sono  U  denaro,  il  sesterzio,  l'asse, 
il  semisse,  il  quadrante,  e  U  sestante.  Stabilito  adunque 
che  la  prima  lettera  nel  monogramma  è  un  R  non  rimane 
che  di  leggervi  un  nome  o  cognome  nelle  quattro  let- 
tere ROMA  :  le  quali  poiché  abbiam  mostrato  che  non  si 
possono  leggere  Roma,  nome  della  città,  conviene  persua- 
dersi che  sono  un  cognome  forse  abbreviato,  o  forse  si  deb- 
bono invertire,  ponendo  a  modo  di  esempio  il  MA  davanti 
e  così  avremo  Maro,  o  invece  Varo,  se  consideriamo  che  la 
lettera  M  vi  si  trova  apparentemente  piuttosto  che  real- 
mente sciogliendosi  il  nesso  in  V  ed  R. 

Cotesta  serie  appartiene  all'epoca  dell'asse  sestantario  sca- 
dente verso  l'onciale  :  perchè  l'asse  pesa  gr.  34,50  ;  il  semisse 
gr.  18,50;  il  quadrante  gr.  9,00  e  il  sestante  gr.  6,20.  Il  peso 
poi  del  denaro  è  di  gr.  4,45  e  quello  del  sesterzio  è  di  gr.  1,10. 

7.  NeUa  coli,  mia,  dal  deposito  di  Maserà.  Ciò  che  qui  avanti  ho 
detto  della  serie  di  monete  portanti  ROMA  in  monogramma 
si  può  dire  anche  del  CROT  11  Borghesi  stabilì  che  fosse 
un  cognome  di  famiglia  ,  offreudoglisi  un  T.  Metilius 
0  piuttosto  un  Ti.  Maecilius  Croio  luogotenente  di  Appio 
Claudio  pretore  in  Sicilia  l'anno  539  (T.  Liv.  XIII),  31. 
Altri  poi  comunemente  opinano  e  con  essi  il  Momms«n  che 
cotesti  vittoriati  sono  battuti  in  Orabone  e  però  ne  portino 


72 


KOMA,  GALLIA  GIS.,  LATIUM 


T.  LXXXII 


il  nome.  Ma  io  non  sono  di  questo  parere,  e  ragiono  così. 
Se  il  monogramma  di  Corcira,  KoP,  e  il  nome  del  magi- 
strato, Af  e  l'anno  in  che  i  Eomani  occuparono  questa  città 
ne  rendono  certi,  che  quei  vittoriati  sono  stati  hattuti  in 
quell'isola,  per  contrario  non  si  prova  che  in  Vibo  siano 
stati  emessi  questi  nummi  prima  della  colonica  deduzione  ' 
in  quella  città,  quando  solo  le  si  poteva  essere  cambiato 
il  greco  nome  di  CEIB  o  EIPnNION  in  VALENTIA  che 
costantemente  porta  sulle  sue  monete.  Di  piìi  al  565,  epoca 
della  colonia,  i  vittoriati  non  si  battevano  più  e  non  se  ne 
ripigliò  la  fabbricazione  se  non  circa  un  secolo  dopo  al  650, 
quando  si  equipararono  ai  quiuarii  e  vi  si  alternò  la  testa 
di  Giove  con  quella  di  Apollo.  Come  poi  si  spiegherà  il 
lungo  viaggio  di  questi  vittoriati,  fino  nel  Sannio  e  nella 
Gallia  cisalpina  dove  si  sa  che  si  sono  trovati,  e  si  trovano 
tuttavia,  dimostrandoceli  la  recente  scoperta  di  Gambolò 
Lomellina,  dove  è  venuta  in  luce  un'olla  contenente  170 
vittoriati,  con  la  sola  leggenda  ROMA,  e  fra  essi  imo  con 
la  epigrafe  CROT  [Noi.  degli  scavi,  1884 pag.  167),  mentre 
ninno  ha  mai  sentito  che  neUe  terre  di  Crotone  e  di  Mon- 
teleone  in  Calabria  se  ne  trovino,  e  neanche  se  n'  è  trovato 
alcun  esemplare  nel  tesoretto  di  soli  vittoriati  scoperto  non 
ha  guari  nel  suolo  Tarantino. 

8.  Nella  coli,  mia  dal  deposito  di  Maserà.  È  singolare,  perchè  non 

si  è  veduta  finora  la  Vittoria  portare  nella  mano  sinistra 
una  corona,  mentre  un'altra  ne  pone  in  cima  del  trofeo.  La 
leggenda  in  tre  esemplari  di  questo  deposito  è  come  l'ho 
espressa  \B:  la  seconda  delle  due  linee  che  compogono  il  V 
non  è  più  alta,  ma  sono  ambedue  uguali.  Diremo  adun- 
que anche  per  questo  nuovo  riscontro  eselusa  la  congettura 
del  Cavedoni  che  ci  proponeva  di  leggere  VB  {Ripost.  p.  176 
n.  155)  :  non  però  accettiamo  l'opinione  del  Mommsen  che 
riconosce  nelle  monete  dei  n.  7, 8  due  zecche  aperte  dai  Eomani 
l'una  in  Crotone  e  l'altra  in  Vibo.  I  due  vittoriati  CROT 
della  mia  coli,  pesano  gr.  2,70  ;  2,90. 1  tre  con\S  usati  pe- 
sano gr.  2,80  ;  2,90.  Quei  della  collezione  Blaoas  hanno  di 
peso  gr.  3,30;  3,21;  3,00. 

9.  Coli.  Blaeas  {H.  de  la  monn.  T.  IV  fol.  XXIII,  19  p.  30).  Il 

suo  peso  è  di  un  grammo.  Il  Borghesi  ne  ebbe  due  esem- 
plari che  pesavano  gr.  1,48.  1,44.  Se  \B  fosse  nome  di 
Vibone  si  sarebbe  dovuto  con  antica  ortografia  scrivere, 
\EIB  ,  come  si  legge  sulle  monete  antecedenti  CEIB.  Ma  co- 
testo nome  non  si  è  mai  trovato  sulle  monete  di  questa  colonia 
che  portano  costantemente  il  nome  di  VALENTIA,  impostole 
dai  Eomani.  Altri  motivi  si  leggono  esposti  nel  prole- 
gomeno  alla  tav.  LXXIX. 

10.  11.  Coll.D'Ailly  (Recherches,  pi.  CHI,  3,  4).  Quinario  e  vit- 

toriato  coi  tipi  romani:  hanno  inoltre  sotto  i  cavalli  del 
riverso  un  monogramma  «8:  indicante  il  nome  di  Eóqxvqcc, 
ed  un  altro  a  destra  contenente  due  iniziali  Af  del 
magistrato  monetale.  I  Eomani  occuparono  Corcira  nel  526, 
e  come  si  vede  vi  batterono  moneta  lasciando  che  s'indi- 
casse il  nome  della  zecca  locale  e  anche  dal  magistrato. 
Serve  ciò  a  conferma  di  quanto  si  è  esposto  di  sopra  rela- 
lalivamente  al  nome  CROT  che  è  in  lettere  latine,  parendo 


che  quella  città  greca  per  indicare  il  suo  nome  avrebbe  do- 
vuto servirsi  della  greca  lingua  come  fa  Corfù  e  non  della  la- 
tina, se  non  forse  nel  nome  ROMA.  Ora  dopo  quei  nummi  che 
si  tengono  emessi  dai  Eomani  coi  propri  tipi  fuori  di  Eoma 
soggiungerò  alcuni  altri  di  bronzo  e  di  argento  che  hanno 
tipi  romani  senza  il  nome  di  Roma,  ovvero  portano  tipi 
stranieri  col  nome  di  Eoma. 
]  2.  Nel  Museo  di  Firenze.  Testa  giovanile  laureata  R.  Protoma 
di  cavallo  frenato,  sotto  K^  i\0.  La  lettera  X>  vale  A  nel- 
l'alfabeto euganeo ,  e  però  il  nome  si  legge  Kasio.  Il 
Mommsen  ne  ha  descritte  alcune  di  cotesto  rare  monete 
(Die  nordtctrusck.  .ilph.  pag.  213  n.  36,  37  ;  p.  253),  che 
furono  trovate  a  Jonquières  fra  Grange  e  Sorges  insieme 
con  monete  di  Marsiglia.  Ma  la  desinenza  vi  è  sempre  in 
OS  ,  K^^IOS  ,  K/'^  lOon  (Taf  37  A,  B);  talvolta  retrograda 
t\j  Olrj  A>l  (ib.  e),  non  mai  K^<IO,  come  in  questa  nostra. 

13.  D'Ailly  {Recherch.  pi.  LXVI  n.  2).  Testa  di  dorma  diademata 

con  pendenti  agli  orecchi  volta  a.  d.  R.  Vittoria  che  guida 
una  biga  di  cavalli:  nell'esergo  la  epigrafe  COA...  I  tipi  del 
riverso  di  questa  e  della  moneta  antecedente  sono  romani  ; 
ne  mi  par  dubbio  che  ancor  questa  come  la  precedente  sia 
una  imitazione  del  denaro  romano  con  la  Vittoria  in  biga  al 
rovescio.  Il  nome  può  essere  integrato  COMa  (cf  Eobert, 
.innuaire  numism.  1879  pag.  285)  ;  ed  è  ben  verosimile 
che  i  Galli  abbiano  avuto  una  zecca  nella  Italia  cisalpina 
(Bull.  Jnstit.  1866  pag.  187;  cf  Bruzza,  Vercelli,  pref  CVII), 
come  ne  ebbero  nelle  Gallio,  e  fra  gli  Elvezi.  Noi  ne  ab- 
biamo avuto  un  esempio  nella  Tavola  LXXVII  n.  30  dove 
la  moneta  romana  con  la  testa  di  Minerva  e  al  rovescio  la 
protoma  frenata  del  cavallo  si  vede  riprodotta  insieme  colla 
leggenda  >IOW\A  ;,  se  non  che  vi  si  aggiunge  il  numero  VIII, 
la  qual  usanza  di  cifre  numeriche  indicanti  il  valore  dei 
pezzi  ha  esempi  analoghi  nella  monetazione  dell'oro  celtico 
trovato  in  Colombey,  in  Porto  del  Vallese,  in  Val  d'Aosta 
fra  i  Salassi ,  nel  gran  S.  Bernardo  (v.  Mommsen,  Die  ' 
nordtetr.  Alphab.  pag.  202  Tav.  1  un.  1,  2,  3,  4). 

14.  Nel  Museo  di  Vienna.  Testa  di  Apollo  laureata  a.  d.  R.  Mezzo 

bue  androprosopo  con  astro  in  rilievo  sul  corpo  volto  a  d. 
in  alto  PilMAIilN.  Sarebbe  strano  se  Eoma  battendo  ima 
libra  od  obolo  campano  coi  tipi  napolitani  vi  avesse  inscritto 
il  proprio  nome  in  greca  lingua  e  letteratura  PilW\AiAN.  Ben 
però  possono  i  Napolitani  aver  ciò  fatto  a  motivo  di  signi- 
ficare una  confederazione.  Imperocché  questo  è  appunto  imo 
dei  modi  di  esprimerla  adoperando-  una  città  i  propri  tipi  e 
inscrivendo  il  nome  della  città  con  la  quale  ha  stretto  i  patti. 
Vero  è  però  che  in  tal  caso  il  carattere  e  la  lingua  suol 
essere  quello  dell'alleata,  ma  esempi  del  contrario  non  man- 
cano. Così  spiegai  ima  volta  la  epigrafe  osca  l'MVITRIT  in 
moneta  del  Teate  Apulo  e  la  greca  epigrafe  AAPINilM  in 
moneta  del  frentano  Larino,  nei  quali  due  bronzi  i  tipi  sono 
campani.  Quanto  al  bronzo  di  Cirene  che  talvolta  s'inscrive 
KVPA  al  rovescio,  e  tal  altra  IMfll  al  dritto  (v.  Mùller, 
La  numism.  de  Vano.  Afrique,  I  pag.  36;  ef.  p.  29  n.  100), 
esso  mi  pare  analogo  alle  monete  allegate,  nelle  quali  i 
Cirenei  e  non  i  Eomani  hanno  inscritto  in  greca  lingua  il 


T.  LXXXIII. 


LATIDM 


73 


uome  di  Eoma.  Il  Du  Chalais  pensa  che  a  motivo  di  signi- 
ficare la  loro  riconoscenza  a  Koma  (Revue  numism.  1851 
p.  85-87),  rEctliel  stima  che  per  farle  onore  {D.  »7.  v.  V,  4), 
e  così  anche  Locri  scrive  in  greco  PilMH  e  (liSTIs:  in  una 
sua  moneta  coniata  in  segno  di  onore  e  gratitudine. 

15.  Nella  coli,  mia,  da  Pistoia.  Testa  di  Apollo  volta  a  sin.  da- 

vanti l'epigrafe  TAMOA^  e  nel  campo  un  S  davanti  al  collo 
e  un  altro  S  dietro.  R.  Bue  andi-oprosopo  coronato  dalla  Vit- 
toria, tra  le  cui  gambe  uu  T.  La  leggenda  è  RAOMAT  nome 
che  vuol  credersi  equivalente  a  Raomoe  per  ROMAOC 

16.  Nel  Kircheriano  dalle  acque  di  Vicarello.  Testa  di  Apollo 
volta  a  d.  /?.  bue  androprosopo  coronato  dalla  Vittoria:  nel- 
l'esergo  --HAMO.. ,  cioè  Romano. 

LATIUM 
ALBA 

Alba  Pueente  di  origine  marsa,  Albenses  qui  sunt  Marsi 
^enus  (Paulus  in  P'esto  p.  4),  è  sita  sui  confini  degli  Equi  e 
considerata  perciò  come  equa  da  Livio  (X,  1)  e  da  Strabene, 
il  quale  la  pone  a  contatto  coi  Marsi  é^iogovaa  Magooìg 
(V,  111,  13).  Ebbe  una  colonia  romana  l'anno  452.  Si  è 
dubitato  se  abbia  coniata  moneta  prima  di  questo  anno  :  a 
me  pare  che  il  tipo  della  monetina  d' argento  con  l'aquila 
e  il  fulmine  se  non  lo  dimostra,  lo  persuade:  e  così  la 
Minerva.  Agii  Albensi  fu  attribuita  dal  Mommsen  ima  serie 
di  moneta  fusa  di  bronzo.  La  serie  assegnatale  dal  Mommsen, 
non  può  appartenere  a  questa  città,  nelle  cui  terre  non  se  n'  è 
mai  trovato  verun  pezzo  e  neanche  nel  lago.  Gli  Albensi  vene- 
ravano un  dio  tutelare  che  chiamavano  Albensis  Pater,  e  ce  ne 
fa  fede  una  lamina  trovata  in  Alba  con  dedicazione  AL-BSI  PA- 
TRE.  I  Prenestini  veneravano  il  Twpenus  Pater  (SijlL  1491), 
i  Reatini  il  Pater  Beatinus  {/nscr.  vet.  Réat.  pag.  7)  che 
probabilmente  sarà  stato  VAuctor  gentis,  lo  xzidTrig  in  coteste 
città,  come  Enea  fondatore  di  Lavinia,  ivi  venerato  col  nome 
di  Indigens  pater   (vedi  Civ.  Catt.   quad.    778  pag.  467). 

17.  Da  un'impronta  in  zolfo.  Testa  di  Mercurio  a  d.  R.  G-rifo 
che  prende  il  volo  a  destra,  e  AUBA  (Carell.  Tav.  X  n.  8), 
il  qual  riverso  si  vede  in  parte  duplicato  per  sbalzo  di 
conio  in  un  esemplare  già  posseduto  e  fatto  delineare  dal  Pio- 
relli  {Mon.  ined.  Tav.  I,  1).  Il  suo  peso  è  di  gr.  1,  28  e 
in  altri  esemplari,  1,  25;  1, 11;  1,  02.  La  controversia  rela- 
tiva alla  natura  deU'  animale  alato  se  grifo  o  pegaso  sem- 
bra per  questi  due  esemplari  ben  conservati  risoluta  contro 
il  Caronni  e  a  favore  del  Sestini.  Esso  è  grifo  composto 
della  parte  anteriore  di  aquila  e  posteriore  di  leone,  come 
lo  descrive  il  P.  Eckhel  (D.  n.  v.  I  p.  100). 

1 8.  Dalla  coli.  mia.  Un  simile  nummo  si  è  pubblicato  dall'Avel- 
lino (Opuso.  II  num.  11;  R.  M.  Rarb.  t.  II  Tav.  XVI,  8). 
Testa  di  Minerva  a  d.  R.  Aquila  sopra  un  fulmine  volta 
a  d.  Pesa  gr.  0,60. 

19.  DaUa  coU.  mia.  Questa  monetina  è  descritta  dall' Eckhel 

[D.  n.  V.  I  pag.  100).  Testa  di  Minerva  a  d.  R.  AquUa 
(sopra  un  fulmine)  volta  a  d.  e  respiciente  a  sin.:  sopra 
AUBA.  È  nel  Pellerin,  Ree.  pi.  VII,  5  e  nel  Carelli,  Tav.  X 
u.  6,  7.  Pesa  gr.  0,60  e  in  altri  esemplari  0,59;  0,58  e  meno. 


SIGNIA 

Segni  era  città  dei  Volsci  e  i  Komani  vi  dedussero  una 
colonia  l'anno  259  rinnovando  quella  che  dicevasi  in  prima 
dedotta  da  Tarquinio  (Liv.  1,  56)  a  tutela  di  Roma:  prae- 
sidium  urbi  futurum  (id.  11,  21):  Signia  coionia,  quam 
reco  Tarquinius  deduxerat,  suppleto  numero  colonorum 
ìteruin  deducta  est.  Sulla  moneta  prende  per  tipo  Mer- 
curio, a  cui  dà  il  petaso  alato:  ma  in  un  esemplare  di  mia 
collezione ,  gli  si  vede  in  capo  un  pileo  frigio  parimente 
alato  e  inoltre  munito  di  larga  fascia  ricamata  per  anno- 
darlo al  mento,  di  modo  che  viene  dubbio  se  sia  piuttosto 
un  Perseo:  ma  è  certo  che  se  ciò  fosse  non  gli  conver- 
rebbe il  caduceo,  sibbene  la  liarpe,  o  sia  spada  da  ferir 
di  punta  e  di  taglio  con  ronchetta  dall'uno  dei  lati.  Questa 
colonia  ci  dà  uno  dei  primi  esempi  della  lettera  G,  che  nel- 
l'alfabeto latino  comincia  a  distinguersi  dalla  C ,  alla  quale 
fino  allora  erasi  dato  il  valore  della  C  e  della  G.  Fu  dunque 
creata  una  nuova  lettera  e  ciò  si  ottenne  con  ima  virgoletta 
aggiunta  all'una  delle  due  estremità  della  C,  ponendola  di 
sopra,  ovvero  di  sotto:  finì  poi  col  tener  costantemente 
l'estremità  inferiore,  e  fu  adottata  nel  secolo  quinto  in 
Lucerà  e  altrove.  La  testa  calva  del  Sileno  congiunta  ad  una 
protome  di  cignale  a  modo  del  Janus  geiainus,  sono  a 
quanto  pare  simbolo  dei  fertili  vigneti  consociati  alle  sel- 
vose balze  opportune  alla  caccia  del  cignale.  Nota  il  Ca- 
vedoni  [Spicil.  numism.  p.  12)  che  diverse  congetture  si 
sono  fatte  da  altri  su  questo  tipo  [Giorn.  Arcad.  1828 
tom.  XXXIX  p.  244),  ed  egli  ne  propone  una  sua  che  Si- 
leno 0  Marsia  sia  simbolo  frequente  di  colonia  romana,  e 
il  cignale  sembri  alludere  al  nome  Seignia  essendo  una 
delle  insegne  dell'esercito  romano,  onde  deduce  che  Segni 
fu  colonia  militare 

20.  Nel  Kirch.  Testa  di  Mercurio  coperta  del  petaso  alato:  ac- 

costo al  collo  un  delfino,  davanti  un  caduceo.  Segni  ebbe 
una  colonia  romana  nel  259  (T.  Livio  I,  56  e  Dionigi  d'AU- 
carnasso,  IV,  63):  Alba  assai  dopo  nel  451  (Liv.  X,  1; 
Veli.  I,  44).  Questa  coniò  la  sembella  d'argento,  ma  Segni 
emise  anche  la  libella.  R.  Testa  di  Sileno  a  sin.  congiunta 
alla  protome  di  un  cinghiale  a  d.  nel  campo  di  sotto  SEIC 
disoprala  lettera  A,  segno  monetale  di  minutissimo  carat- 
tere e  però  omesso  finora  perchè  non  veduto.  L'ha  inciso 
il  Carelli  e  il  Sestini  ma  ninno  prima  del  Capranesi  vi  ha 
espresso  il  delfino  {Ann.  Instit.  T.  XII  tav.  P,  2).  L'esem- 
plare di  Vienna  è  uno  di  quei  che  leggono  ^EIC,  in  altri 
come  fu  già  notato  dal  Ritsohl  e  da  me  l' ultima  lettera 
porta  un  apice  ora  in  cima,  come  l'esemplare  Kircheriano, 
ora  in  basso  G,  col  quale  si  volle  dai  Segnini  distinguere 
il  C  dal  G  che  circa  il  quinto  secolo  si  introdusse  nell'al- 
fabeto latino  non  essendosi  fino  a  quel  tempo  adoperata  che 
la  sola  lettera  C,  come  ho  notato  nel  prolegomeno. 

21.  Nella  collez.  mia.  Testa  di  Mercurio  ma  in  singoiar  modo 

coperta  di  un  pileo  frigio  alato  e  munito  di  largo  nastro 
pendente,  decorato  di  ricamo.  Il  delfino  e  il  caduceo  vi  sono 


74 


COSA  VOLCIENTIUM 


T.  LXXXIII 


espressi  come  nel  n.  20.  R.  Testa  di  Sileno  a  sin.  congiunta 
alla  protome  di  un  cignale  a  d.  Nel  campo  di  sotto  SEIC, 
di  sopra  la  minutissima  lettera  monetale  omessa  iìnora  dagli 
editori.  Pesa  gr.  0,60  ed  è  però  un  obolo.  Il  pileo  frigio 
alato  si  vede  più  volte  in  capo  a  Perseo  clie  taglia  la  testa 
alla  Gorgone.  Si  sa  che  egli  ebbe  da  Mercurio  i  calzari,  ma 
non  si  legge  che  quel  nume  gli  avesse  dato  anche  il  pileo. 
Adunque  i  Signini  sono  i  soli  fra  gli  antichi  che  facciano 
Mercurio  in  abito  di  Perseo,  mentre  comunemente  a  Perseo 
sono  tributate  le  insegne  di  Mercurio. 

COKA 

22.  Parigi  gabinetto  delle  medaglie.  Testa  di  Apollo  laureata 
volta  a  sinistra.  R.  Eroe  a  cavallo  coperto  di  pileo  arcadico 
vestito  di  clamide  e  di  calzari  a  mezza  gamba  in  atto  di 
lanciare  una  verretta  o  giavellotto  correndo  a  destra.  Pesa 
gr.  6,70.  Il  Carelli  che  possedette  questo  didrammo  lo  die' 
inciso  nella  sua  tavola  LIS,  1.  Il  produsse  di  poi  anche  il 
Millingen  quando  le  tavole  carelliane  erano  ancora  inedite: 
ma  vi  lesse  SORANO,  e  lo  attribuì  a  Sora  {Anc.  coins. 
pi.  I,  1  Consider.  pag.  237).  Poscia  corresse  la  sua  lezione 
e  diede  la  moneta  rettamente  a  Cori  [Suppl.  aux  oonsid. 
pi.  II,  17;  pag.  21,  22).  Io  ne  ho  tratto  un  calco  dall'ori- 
ginale che  ho  fatto  disegnare.  La  epigrafe  CORANO  è  in- 
dubitata; v'  è  inoltre,  ciò  che  nessuno  ha  prima  notato,  che 
l'eroe  porta  calzari  a  mezza  gamba,  la  qual  particolarità 
conferma  l'opinione  del  Cavedoni  che  al  pileo  argivo  vi 
riconobbe  il  Coras  fratello  di  Catillo  e  di  Tiburte  fonda- 
tori di  Tivoli  (Serv.  ad  Aen.  VII,  672).  Cori  era  colonia 
latina  (Liv.  II,  16)  nel  251  e  ribellò  passando  dalla  parte 
degli  Aurunci  :  tornò  quindi  alla  confederazione  latina,  sic- 
ché nel  370  vi  figura  nella  lista  che  ne  dà  Dionigi,  dove  però 
si  legge  Kógvoiv  (V,  61).  Il  Eiocio  descrive  un  suo  bronzo 
coi  tipi  campani  e  la  leggenda  KORANO  (  Repert.  pag.  3). 
Egli  mi  scrisse  di  averlo  venduto  al  barone  Beher  di  Stral- 
sunda  [Lettera  del  28  settembre  1863),  ma  non  dice  in 
qual  tempo.  È  però  certo,  che  in  questa  collezione,  cono- 
sciuta pel  catalogo  del  sig.  Pr.  Lenormant,  Description  de 
médailles  du  baron  Beher,  Paris  1857)  non  era  ancora  en- 
trata nell'anno  in  che  ne  fu  stampata  la  descrizione. 

COSA  VOLCIENTIUM  (ETKURIA). 

Si  sa  di  certo  che  vi  fu  una  Cosa  o  Cossa  presso  Orbetello, 
dove  ora  è  Ansidonia:  i  testi  degli  antichi  scrittori  abbon- 
dano :  tra  i  quali  mi  piace  additare  l' Itiner.  marit.  (ed. 
Partney  n.  514)  dove  si  assegnano  novanta  stadi  di  distanza 
dall'isola  del  Griglio,  Igilium,  a  Cosa:  e  Cesare,  che  nel  (L.  1 
cap.  34  de  B.  civ.)  racconta  di  Domizio  aver  costui  prese 
sette  navi  da  privati  cittadini  di  Cossa  e  dall'  isola  predetta 
e  fattivi  montar  sopra  servi,  liberti  e  coloni  suoi,  li  menò 
seco  ad  occupar  Marsiglia:  Domitium  ad  occupandam 
Marsiliam  navlbus  actuariis  septem  ,  quas  ,  Igilii  et  in 
Cosano  a  privatis  coaotas,  servis,  liherlis  colonis  suis  com- 
pleverat.  A  questi  due  testimoni  aggiungo  una  vecchia  la- 


pide trovata  in  Orbetello,  che  quella  repubblica  dei  Cos- 
sani,  RESP  COSSANORVM  (Or.  971) ,  dedica  a  Gordiano 
terzo.  Ma  im'altra  Cosa  vi  fu  che  Cesare  (de  B.  civ.  Ili  e.  22) 
pone  nelle  terre  dell'antico  Turio,  scrivendo  che  Celio  Vi- 
niciano  simulando  di  andare  da  lui  andò  invece  a  Turio  e  ivi 
tentò  di  sollevare  il  presidio  dei  suoi  Galli  ed  Ispani,  i  quali 
irritati  gli  tolsero  la  vita  nel  tempo  stesso  che  Annio  Mi- 
lone  levati  alcuni  schiavi  dagli  ergastoli  cercava,  dic'egli,  di 
oppugnare  Cosa  nell'agro  di  Turio:  quibusdam  solutis  erga- 
stulis  Cosam  in  agro  Thurino  oppugnare  caepit;  e  aggiugne 
che  Milone  vi  morì  di  un  colpo  di  pietra  lanciatagli  dalle  mura, 
lapide  ictus  ex  muro  periit;  e  Plinio  piìi  particolarmente 
ci  fa  sapere  che  Milone  aveva  cominciato  ad  operare  dal  ca- 
stello Carissano  ma  che  ivi  presso  fu  ucciso  (//.  N.  II,  57): 
Juxla  [Castellum  Carissanum)  T.  Annius  Milo  occisus  est.  E 
parmi  che  non  sia  Cesare  il  solo  che  parli  di  questa  Cosa 
perocché  vedo  stare  a  lei  bene  le  circostanze  della  Cosa  de- 
scritta da  Ecateo  Milesio  presso  Stefano  bizantino,  il  quale 
pone  questa  città  nella  Enotria,  e  dentro  terra  :  Kóogk  nòXig 
OlrmtQav  sv  tuì  p^aoyeù/i.  So  che  Velleio  (L.  II,  68)  scrive 
essere  avvenuta  la  morte  di  Milone  a  Compsa  fra  gli  Irpini  : 
ma  è  un  errore,  perocché  Cesare,  che  ben  sapeva  dov'erano 
di  presìdio  i  suoi  Galli  ed  Ispani,  narra  la  morte  di  Celio 
avvenuta  nel  municipio  di  Turio  e  Milone  tolto  di  vita  a 
Cossa  nell'agro  turino. 

Vendicati  i  passi  che  parlano  delle  due  Cosse,  quella 
dei  Volcenti  e  quella  dell'agro  turino,  resta  ora  che  ve- 
diamo se  si  ha  verun'  altra  Cossa  :  perocché  il  Lessico  fur- 
lanettiano  stampato  in  Lipsia  pone  ima  Cossa  in  sinn 
paestano  Campaniae  prope  Pompeins,  per  la  quale  cita  a 
torto  il  luogo  di  Cesare  che  abbiam  veduto  indicarla  in 
agro  Thiorim.  Nel  che  oltre  alla  confusione  tutta  sua  del  ■ 
sinus  paestanus  col  sinus  puteolanus  e  della  Campania  dov'è 
Pompei,  colla  Lucania  dove  é  Pesto,  quel  Lessico,  dico,  pare 
che  abbia  adottata  la  sentenza  di  coloro  fra  i  quali  è  Lo- 
renzo Giustiniani  {Oizion.  geogr.  tom.  IV  p.  102)  che  pon- 
gono una  Cossa  in  Conca  città  poco  lontana  da  Amalfi;  e 
secondo  cotesti  scrittori  una  delle  cinque  città  che  avemmo, 
dice  Giustiniani,  sotto  nome  di  Cossa.  Egli  non  nomina  quali 
sono  a  suo  credere  queste  cinque  Cossae,  ma  non  é  mala- 
gevole indovinargliele,  ponendo  insieme  la  Cossa  Volcien- 
tium  e  la  Cossa  in  agro  Thurino,  la  Cossa  che  si  preten- 
deva essere  dove  è  Compsa ,  la  Conca  della  quale  qui  si 
parla,  e  la  Cosa  ad  Lirim,  la  quale  si  é  supposta  senz'altro 
fondamento  che  di  un  fiume  chiamato  Cosa  che  per  la  valle 
di  Prosinone  va  a  scaricare  le  sue  acque  nel  Liri.  Di  questo 
fiume  parlano  Strabene  (L.  V  p.  237)  ed  Eliano  in  due 
luoghi  controversi  (Var.  hist.  II,  26;  IV,  17):  ora  tut- 
tavia si  chiama  con  tal  nome.  Premesse  queste  notizie  é 
duopo  che  ci  volgiamo  alla  questione  numismatica  che  ne 
è  stato  il  motivo.  Trattasi  di  saper  da  quale  Cossa  si  è  co- 
niata la  moneta  che  porta  il  nome  Coza,  e  dei  Cosanesi, 
Cosano.  Molti  dicono  che  tali  monete  provengono  dalla  Cam- 
pania, onde  é  stata  forza  trovare  una  città  di  tal  nome  nelle 
terre  campane.  Di  tal  sentenza  fu  il  Carelli  nella  cui  De- 


T.  LXXXII 


COSA  VOLCIBNTIUM 


75 


script  io  si  legge  la  prima  volta  la  supposta  Cosa  ad  Lirim. 
A  lui  si  oppone  l'Avellino  nelle  note  dicliiarando,  che  di 
questa  città  non  si  aveva  notizia.  Egli  però  sostiene  invece 
che  la  Cosa  delle  monete  deve  cercarsi  nella  città  degli 
Irpini  anticamente  detta  Compm,  nomine  vetusto,  e  poi 
Cassa  (ad  Carell.  descript.).  Questo  parere  fu  seguito  dal 
Millingen  [Coìuider.  p.  229,  230).  L'Avellino  non  allegò 
altra  prova  che  una  iscrizione  gruteriana  trovata  in  Compsa, 
nella  quale  si  leggeva  REIP.  COSSANAE  (Grut.  DCCCX); 
Ma  ora  si  è  fatto  noto,  che  questa  voce  fu  inserita  nel  testo 
dell'Apiano,  dal  quale  l'ha  tratto  il  Gruferò  (cf.  hiscr.  r.  n. 
hit.  ed.  Monims.  n./207). 

Abbiamo  dichiarato  che  non  vi  fu  una  Cossa  ad  Lirim, 
né  veruna  Cossa  fra  gli  Irpini  :  diciamo  ancora  che  la  Conca 
in  sinu  paestanu  non  è  mai  stata  Cossa:  non  si  possono 
adunque  assegnare  monete  a  cotesto  Cosse  imaginarie,  sia 
di  Campania  sia  degli  Irpini  che  abbiano  coniate  monete 
con  la  leggenda  COZA  e  COSANO. 

Ma  donde  ebbe  mai  origine  questa  così  ferma  persuasione 
nel  Carelli  e  nell'Avellino  ?  per  quanto  a  me  pare  da  due  mo- 
tivi diversi  :  il  Carelli  perchè  teneva  questa  moneta  di  fab- 
brica campana,  e  però  cercava  loro  uaa  sede,  e  non  tro- 
vandone alcuna,  imaginò  che  accanto  al  fiume  Cosas  ci  do- 
vesse essere  stata  una  città  di  tal  nome:  l'AveUino  poi  si  lasciò 
persuadere  dalla  epigrafe  interpolata  dell'Apiano  e  credette 
che  Compsa  si  fosse  chiamata  anche  Cassa;  negò  poi  alla 
Cosa  degli  Etrusci  tal  moneta,  non  parendogli  possibile, 
che  una  città  etrusca  potesse  emettere  nummi  di  fabbrica, 
di  tipi  e  di  epigrafe  non  etrusca  :  nam  etruscis  Casis  tribui 
non  posse  a  fabrica,  ti/pis,  epigraphe  manifestum.  L'Avel- 
lino, a  quanto  pare,  era  di  parere  che  Koma  spedisse  la 
colonia  non  nella  Cosa  etrusca  sibbene  in  Compsa  degli 
Irpini  ;  e  questa  è  veramente  anche  l'opinione  del  Eunkenio 
e  del  Madvig,  pei  quali  si  è  ultimamente  dichiarato  il  Momm- 
sen,  e  per  le  ragioni  allegate  da  costoro,  e  perchè  stima 
eertissimo,  che  questi  bronzi  sono  coniati  nell'Italia  meri- 
dionale, probabilmente  in  Campania. 

Poi  dice  che  stando  a  Tito  Livio;  dove  scrive  (XX,  VII,  10): 
El  ab  altero  mari  Pontiani  et  Paestani  et  Cosani;  non  si 
può  pensare  a  Compsa  città  mediterranea,  sibbene  ad  una 
città  sita  sulla  costa  occidentale  dell'  Italia ,  ma  non  alla 
Cosa  etrusca,  che  Euhnken  e  Madvig  a  ragione  hanno  riget- 
tata per  due  motivi  :  perchè  Livio  la  dice  dedotta  insieme 
con  Pesto,  e  che  per  lor  giudizio  non  può  essere,  che  si 
deducessero  ambedue  nello  stesso  anno,  e  perchè  verso 
l'anno  481  Koma  non  distese  le  sue  conquiste  verso  l'Etru- 
ria,  sibbene  nell'Italia  meridionale.  {Hist. de  la  monn.  1, 186). 
Egli  dunque  mostra  d'ignorare  che  a  coteste  due  ragioni 
aveva  già  risposto  lo  Zumpt  (Comm.  epigr.  1  pag.  257 
n.  3, 1850)  :  la  prima  non  valendo  nulla,  perchè  vi  hanno 
altri  esempi  di  due  colonie  dedotte  nel  medesimo  anno,  p.  e. 
Eimini  e  Benevento,  anzi  tre  soggiungo  io  (Liv.  XXXIV,  45): 
Coloniae  civiìim  romanci um  eo  anno  (558)  deductae  sunt, 
Puteolos,  Vulturnum,  Liternum.  E  molto  naeno  valore  ha 
la  seconda,  constando  di  fatto  dalla  epitome  di  Livio  (L.  Xin), 


che  i  Eomani  felicemente  guerreggiarono  allora  in  Etruria 
e  nella  Italia  meridionale  :  res  prospere  in  Etruscas  Lu- 
canos  Bruttios  et  Samnitos  gestae.  Infine  consta  da  Plinio, 
che  una  colonia  fu  dedotta  dai  Eomani  nella  Cossa  etrusca: 
Cossa  Valcientium  a  populo  Romano  deducta  {li.  N.  III, 
8,  51):  e  ne  avevano  ben  ragione  di  fortificarsi  sopra  mare 
da  cotesto  lato,  perchè  prevedevasi  xma  guerra  contro  l'ar- 
mata di  Cartagine  che  era  stata  chiamata  dai  Tarantini  in 
aiuto  e  che  di  fatto  venne  in  questi  tempi  medesimi  (Liv. 
epist.  XIV),  Carthaginensium  classis  auxitio  Tarentinis 
venit. 

Eesta  ora  un  altro  argomento,  che  l'Avellino  prudente- 
mente non  tocca,  quello  della  provenienza  di  tali  monete. 
Ne  parla  però  il  Sestini  ove  scrive  di  coteste  monete  ces- 
sane, che  vengono  dalla  parte  d'Italia  che  fu  il  regno  di 
Napoli;  e  il  Eiccio  {Reperì,  p.  19),  che  rinvengonsi  nella 
sola  Campania.  Queste  due  testimonianze  l'una  di  un  nu- 
mismatico toscano  e  di  gran  fama,  l'altra  di  un  gran  col- 
lettore di  monete  e  negoziante  sagace  in  Napoli  avrebbero 
gran  peso,  se  si  potesse  provare  che  essi  parlino  per  espe- 
rienza e  non  per  opinione  preconcetta.  Certamente  i  fatti 
non  provano  che  le  monete  di  Cosa,  delle  quali  conosciamo 
soli  due  tipi,  si  trovino  in  Campania  e  nella  sola  Campania 
ovvero  nelle  regioni  meridionali  che  furono  già  regno  di 
Napoli.  Se  così  fosse  sarebbe  inesplicabile  come  la  colle- 
zione Santangelo  ricchissima  di  monete  campane  non  ne 
possegga  neppure  un  esemplare,  e  come  l'Avellino  pub- 
blicando nel  R.  M.  Borbonico  (voi.  II  tav.  XVI,  XLVII) 
la  serie  di  monete  campane  del  regio  medagliere ,  e  de- 
scrivendole (presso  Eiorelli,  Ann.  di  Num.  II  pag.  4), 
non  ne  abbia  trovato  verun  esemplare  da  delineare.  Il  Ca- 
relli poi  nel  catalogo  della  sua  collezione  si  mostrò  così 
poco  esperto  di  coteste  monete  cosane  che  tenne  per  tale  una 
moneta  sulla  quale  l'Avellino  attesta  che  si  leggeva  RO- 
MANO dall'una  e  dall'altra  faccia  :  Epigraphen  ROMANO 
in  utraque  facie  depi-ehendi,  non  COSANO.  Un  solo  esem- 
plare è  dunque  che  il  Carelli  ebbe  e  descrisse  nella  sua 
lunga  carriera  di  numismatico,  e  questo  col  tipo  di  Pal- 
lade  ;  l'altro  che  ha  per  tipo  la  testa  di  Marte  non  l'ebbe 
e  neanche  il  vide  presso  l'Eckhel  per  farlo  incidere  nelle 
sue  tavole.  Al  Eiccio  fu  parimente  ignoto  il  tipo  della  testa 
barbata  di  Marte:  quello  della  testa  di  Minerva  lo  diede 
Reperì,  p.  19)  si,  ma  erroneamente  trascritto.  Nei  quali 
due  difetti  cade  egualmente  il  Sambon  altro  collettore  di 
Napoli,  ed  editore  {Recherches,  p.  58)  ;  cotanto  estranei  ai 
nostri  numismatici  furono  questi  bronzi  che  pur  dicono 
trovarsi  in  Campania,  e  nella  sola  Campania.  Qui  invece 
nelle  pubbliche  e  private  collezioni  di  Eoma  e  di  Toscana 
le  monete  di  Cossa  quantunque  rare  non  mancano.  L'aveva 
il  Borgia  ai  tempi  dell'  Eckhel  nel  suo  Museo  di  Velletri: 
l'ha  il  Museo  Vaticano,  l'ha  il  Kircheriano,  l'ho  ancor  io 
nella  mia  privata  raccolta  e  mi  proviene  da  Chiusi.  Final- 
mente il  marchese  Strozzi  mi  scrive  ora  così  :  «  Le  monete 
di  Cosa  realmente  si  trovano  come  tante  volte  fu  detto  nelle 
vicinanze  di  Ansedonia.  Dagli  scavi  fatti  dai  signori  Viva- 
io 


76 


ACER  GALLICUS,  PICENtTM 


T.  LXXXII 


relli  a  Talamone  quattro  o  cinque  anni  or  sono  ne  ebbi 
diverse  ». 

Dopo  tutto  ciò  parmi  che  non  si  voglia  tuttavia  persi- 
stere nella  falsa  opinione  che  assegna  tali  monete  a  due 
zecche  ignote  la  Cosa  del  Liri  e  la  Compsa  degli  Irpini. 

23,  24.  Testa  di  Marte  barbala  e  galeata  a  d.  fl.  Protome  di 
cavallo  frenato  volta  a  d.  ovvero  a  sinistra,  col  delfino 
accosto  al  collo  e  l'epigrafe  al  riverso  COSANO,  OMA205 

25.  Mus.  Kirch.  Testa  di  Minerva  a  sin.  e  l' intera  epigrafe 
AZOD.  R.  Protoma  di  cavallo  frenato  a  destra  e  COZAMO. 
Dai  tempi  del  P.  Eckhel  che  publioò  il  primo  i  due 
esemplari  delle  monete  di  Cosa  che  serbavansi  nel  Museo 
Borgiano  l'imo  colla  testa  di  Pallade  l'altro  con  quella  di 
Marte  {Syll.  I.  num.  vet.  pag.  81,  D.  n.  V.  I.  90)  a  quei 
del  Carelli  (Tab.  X,  17,  18,  19),  e  da  quei  del  Carelli  ai 
nostri  non  si  è  ancora  notato  da  veruno  che  le  due  leg- 
gende COSANO  e  COZANO  non  sono  promiscue ,  ma  la 
prima  è  costantemente  così  scritta  nei  bronzi  col  tipo  di 
Marte,  e  la  seconda  è  soltanto  in  quelli  che  hanno  il  tipo 
di  Minerva.  Non  ammettiamo  quindi  l'idea  proposta  dal 
Mommsen  che  il  Z  sparisse  di  buon  ora  dall'alfabeto  ar- 
caico di  Eoma,  per  farvi  di  poi  novella  comparsa  nell'epoca 
tarda.  Sono  i  Cosani  che  l' introducono  e  non  i  Romani: 
Così  il  G  si  vide  prima  tra  i  Palisci,  in  Lucerà  e  in  Segni 
e  poscia  sugli  esordi  del  secolo  sesto  in  Eoma.  Vi  è  di 
piìi  un'altra  distinzione  da  fare:  perocché  le  monete  col 
tipo  di  Marte  non  hanno  finora  sugli  esemplari  a  me  noti 
piii  di  una  sola  epigrafe  e  questa  al  riverso:  quella  invece 
col  tipo  di  Minerva  hanno  sempre  doppia  leggenda  l'una 
dalla  parte  del  dritto  l'altra  da  quella  del  riverso.  Sulla 
moneta  col  tipo  di  Marte  è  COSANO  ovvero  ONAZOD, 
su  quella  col  tipo  di  Minerva  si  legge  al  dritto  COZA, 
al  riverso  COZAHO  e  ancor  questa  talvolta  retrograda. 
Ebbe  quindi  ragione  il  Carelli,  quando  diede  COSA  per 
leggenda  monca  a  riverso  della  moneta  n.  1  della  sua  De- 
scriptio,  non  però  l'Avellino  che  disse  parergli  intera:  in- 
tegra videtur  in  hoc  numo  epigraphe  fuisse  COSA  non 
abrupta  ut  Careltio  visum.  Correggasi  dunque  anche  il 
Cavedoni  che  pone  COSA  due  volte  al  dritto  e  al  riverso 
della  moneta,  col  tipo  di  Pallade.  Avrà  inoltre  ben  notato 
l'Avellino  che  sulla  moneta  incisa  al  n.  2"  dal  Carelli  ove 
è  la  testa  giovanile  coperta  di  elmo  cristato  volta  a  si- 
nistra non  fu  ben  letto  COSANO,  ma  si  doveva  leggere 
RO/\AANO  e  al  riverso  egualmente  ROMANO.  Si  è  ancora 
cercato  se  la  lettera  Z  abbia  il  valore  suo  proprio  ovvero 
sia  una  variante  ortografica  dell'S.  A  tal  questione  parmi 
rispondano  i  Cosani  che  non  le  adoperano  promiscue  ma 
si  servono  della  S  in  quelle  monete  che  hanno  per  tipo 
Marte  e  del  Z  nelle  altre  che  recano  il  tipo  di  Pallade; 
dimostrando  così  il  passaggio   da  una  ortografia  all'altra. 

ACER  GALLICUS 
ARIMINVM 

20.  Testa  barbata  coperta  di  pileo  conico  volta  a  sin.  R. 
Uomo  armato  di  clipeo  elittico,  di  lancia  che  impugna,  e 


di  parazonio  munito  nel  basso  di  larga  piastra.  Ha  nuda 
la  testa  e  quella  parte  del  corpo  che  non  è  occultata 
dallo  scudo,  mentre  va  di  buon  passo  a  sinistra:  nel- 
r  esergo  ARIMN.  In  alcuni  esemplari  il  pileo  di  Vulcano 
si  vede  cinto  di  laurea:  e  il  P.  Marchi  notò  anche  un  torque 
al  collo  del  milite  che  è  sul  riverso.  Il  P.  Eckhel  (fl.  n.  v. 
p.  96)  attesta  di  aver  letto  ARIMNO  in  piìi  esemplari  dei 
vari  musei  di  Italia.  A  me  non  è  avvenuto  di  trovarne 
alcuno  in  verun  museo,  e  neanche  in  quello  di  Pesaro, 
che  di  tali  esemplari  è  fornitissimo,  ne  tampoco  altrove; 
ma  solo  che  in  taluni  esemplari  l' epigrafe  è  ARIM,  e  va 
talvolta  da  destra  a  sinistra.  Eimini  coniò  questo  bronzo 
allor  che  vi  fu  dedotta  la  colonia  romana  nel  486,  come 
fecero  altre  colonie  latine  Benevento,  Isernia,  Cosa,  Copia, 
Valenza  e  Pesto.  Stimò  l' Eckhel  che  l' uomo  barbato  coperto 
del  pileo  conico  fosse  Vulcano  {N.  vet.  anecd.  p.  6),  non 
Ulisse  come  aveva  opinato  il  Khell  e  sul  riverso  riconobbe 
un  soldato  gallo,  non  Diomede.  Al  Millingen  {Considerai. 
p.  222)  non  piacque  Ulisse,  ma  neanche  Vulcano,  perchè, 
die'  egli,  la  testa  non  è  coperta  di  pileo  sibbene  di  un  elmo. 
Conchiuse  quindi  che  vi  si  dovesse  riconoscere  un  eroe  locale. 
A  me  pare  che  i  coloni  latini  abbiano  voluto  rappresentare 
Vulcano,  il  dio  delle  ofBcine  dei  fabbri  erarii  e  nume  tute- 
lare delle  colonie.  Invero  il  Carelli  nella  Descriptio  pone  in 
capo  a  cotesta  figura  un  elmo  con  cresta  :  ma  l'Avellino  il 
corresse  (cf.  Cavedoni  in  tab.  Carell.  p.  7).  Vedo  poi  al 
riverso  un  soldato  Gallo  Senone  nel  suo  costume.  Citasi 
un  nummo  di  Rimini  posseduto  dal  Tanini,  in  doppio  esem- 
plare, dove  in  luogo  del  Senone  oravi  per  tipo  una  rana. 
Se  ne  ha  notizia  dal  Bestini  che  n'ebbe  un  esemplare  e  il  pose 
nella  collezione  Ainsleiana  {N.  vet.  p.  6;  cf  Add.  ad  D. 
n.  V.  Eckhelii,  1826  pag.  12). 

PICENUM 
ANCON 

27.  Nella  collezione  mia.  Testa  dì  Venere  coi  capelli  legati 
in  massa  alla  nuca  e  coronata  di  mirto  :  dietro  M.  R. 
Una  mano  col  braccio  destro  piegato  in  gomito  che  stringe 
un  ramo  di  palma:  in  alto  due  stelle,  sotto  AfKilN. 
Neil'  esemplare  che  do  inciso  appare  assai  certa  l' estre- 
mità svolazzante  della  fettuccia  che  lega  i  capelli  alla 
dea  Venere.  A  fondare  questa  città  vennero  i  Siracusani 
per  sottrarsi  secondo  Strabene  (V,  IV,  2)  alla  tirannia  di 
Dionigi  :  2vQaxo<TÌù)v  xTt'ai.ia  tcòv  (pvyóvTwv  Tr^v  .JmvvaCov 
vvQttvvCSa. 

La  condizione  del  sito  marittimo  che  fa  gomito  suggerì 
loro  il  nome  'Ayxàv,  che  vuol  dire  gomito  e  questo  gomito 
come  arma  parlante  presero  per  tipo.  La  dea  Venere  che 
ebbe  in  questa  colonia  culto  principale  (Catull.  Carm.  37; 
Juvenal.  Sat.  IV,  40)  servì  loro  di  tipo  sul  dritto  della  mo- 
neta: i  due  astri  posti  sul  riverso  richiamano  i  due  gemelli 
che  questo  popolo  marino  prendeva  a  protettori  della  navi- 
gazione. La  lettera  M  forse  deve  essere  un  3  e  dinotare 
l'emiobolo:  una  simile  C  si  trova  sopra  un  bronzo  che  ho 
attribuito  a  Scyllatium.  Il  suo  peso  è  di  gr.  5,70. 


T.  LXSXEI 


PELIGNI,  AQUINDM,  CAMPANIA 


77 


PELIGNI 
PALLANVM 

28.  Nel  Museo  di  Milano.  Testa  di  Vulcano  imberbe  e  coperta 
di  pileo  conico  volta  a  destra,  ed  ha  dietro  la  tenaglia.  R. 
Testa  alata  di  Medusa  posta  di  prospetto  con  bocca  larga- 
mente aperta  :  di  sotto  stanno  due  serpi  che  si  drizzano  in 
contraria  parte:  intorno  si  legge  PALACNVS.  Nell'esem- 
plare della  collezione  Borghesi  (Calai,  p.  3  n.  32  Tav.  I 
n.  32)  invece  è  PALACNVS. 

29.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  donna  coperta  di  un  elmo  sul 
quale  a  modo  di  visiera  è  un  dragone  alato  prominente  : 
sopra  di  esso  è  un  grifo  che  si  leva  a  volo.  R.  Vi  si  legge 
PAL  entro  una  corona  di  quercia.  Fu  del  Millingen  che  la 
fé'  incidere  (PI.  Ili,  13)  e  ne  mandò  un  zolfo  al  Borghesi, 
il  quale  scrisse  al  Cavedoni  (21  dee.  1R43)  che  esami- 
nandolo attentamente  con  una  buona  lente  vi  trovò  lo  spa- 
zio, e,  come  anche  gli  parve,  le  vestigia  di  due  righe  che 
potrebbero  ben  dire  PALA/CINV  [Ocuvr.  voi.  VII  p.  449, 450). 
Il  Cavedoni  senz'  altro  abbandonata  la  lezione  del  Millingen 
la  publieò  secondo  il  Borghesi  (Bull.  ardi.  nap.  an.  II 
Tav.  I,  1).  La  S  finale  si  stimò  che  fosse  nota  del  semisse, 
nella  moneta  del  n.  28.  Questi  due  bronzi  appartengono 
ad  un  popolo  che  si  dà  il  nome  di  Palacno  e  Palacino. 
Non  è  quindi  la  nazione  Palatina  ovvero  Pallantina  che 
abitasse  la  vetusta  città  Palatium.  Il  nome  Palacnus 'può 
essere  un  sinonimo  di  Palanus  come  oprugnus  di  aprunus. 
In  simil  guisa  il  Niebhur  (//.  ro7n.  I,  98)  deriva  Aurun- 
cvs  da  Aurunus.  Una  tradizione  conservataci  da  Festo  (p.  222 
ed.  Muller)  narrava  che  dal  re  VolsimioLucullo  nacquero  due 
nepoti  Pacinus  e  Pelicus,  dai  quali  ebbero  origine  due  popoli  i 
Pacinates  e  i  Peligni.  Questi  in  principio  si  debbono  essere 
appellati  Paligni  e  Palini  come  gli  appellano  Diodoro  ed 
Appiano,  naXriVoi',  naXirioC  e  naXiyrol,  al  quale  i  moderni 
editori  hanno  sostituito  l' e  ed  hanno  anche  voluto  correg- 
gere il  TtaXiroi  (Diod.  XX,  90)  in  'Ardyrioi,  (Niebhur,  V, 
363  ed.  Golb.),  e  così  il  padre  della  loro  gente  si  sarà  chia- 
mato Palicus  non  Pelicus. 

L'ordine  alfabetico  serbato  da  Pesto  che  pone  Paeana- 
Peligni- Pales-Partus  dimostra  che  Verrio  avrà  dovuto  scri- 
vere Paligni,  come  sopra  non  avrà  scritto  Pellices  ma  Pal- 
laces  (cf.  Svetonio,  Vespas.  21,  e  gli  annot.).  Ma  neanche 
da  Palicus  ovvero  Palignus  può  derivarsi  Palacnus,  se 
non  nel  supposto  che  vi  fosse  anche  la  forma  Palanus, 
Questa  v'  è  di  fatto  nella  denominazione  che  nelle  terre  dei 
Peligni  si  diede  al  monte  di  Palena  sul  quale  era  il  campo 
detto  oggi  di  Giove  dove  si  venerava  il  Jovis  Palanus: 
e  alla  città  Pallanum  nei  Prentani.  Prevale  però  la  odierna 
.  forma  Palena  e  così  abbiamo  Valle  Palena  con  tre  grosse 
borgate  dette  Palena,  Gesso  Palena,  Letto  Palena.  Del  Paci- 
nus non  si  sa  nulla:  e  a  me  viene  in  mente  che  forse  fu 
Palacinus  e  non  Pacinus  questo  nipote  di  Lucullo.  Così 
lasceremmo  in  pace  i  Paligni  o  Peligni  e  ci  appiglieremmo 
al  Palacinus  per  attribuirgli  la  moneta. 


AQUINVM 

'Axovìvov,  scrive  Strabone  (V.  237),  fiaydXrj  nóXtg,  zag' 
ov  ó  Mt'Xnig  gù  Troraftóc.  Si  sa  che  fu  uno  dei  municipii 
volsco-latini  più  popolosi  e  però  ingens  Aquinum  è  detto 
da  Silio  (Vili,  405):  ma  dei  suoi  fasti  municipali  e  della 
sua  storia  primitiva  non  ne  sappiamo  nulla  :  né  poi  la  mo- 
neta ha  un  proprio  tipo.  Aquino  si  vede  che  entrò  in  al- 
leanza con  Napoli  e  coi  mimicipii  e  colonie  di  Sessa,  Calvi, 
Caiazzo,  Venafro,  Telese,  Tiano  sidicino  le  quali  tutte  im- 
pressero una  moneta  col  tipo  del  gallo  che  canta.  La  sua 
ortograiìa  scambia  il  QV  col  CV,  e  scrive  AQVINO  e 
ACVINO  come  i  Latini,  MIRQVRIOS  [Syll.  536)  e  MERCV- 
■  RIVS,  PEQVNIA  e  PECVNIA,  AQVTIVS  e  ACVTIVS.  Singo- 
lare si  è  la  forma  aperta  del  Q  nella  paleografia  degli 
Aquinati,  che  non  ha  finora  verun  altro  riscontro.  11  peso 
di  questi  bronzi  è  di  gr.  6,15-6,61. 
30-32.  Testa  di  Pallade  coperta  di  galea  corinzia  volta  a 
sin.  R.  Gallo  che  canta  volto  a  sin.  dietro  un  astro  e  la 
lettera  C,  davanti  AQVINO.  Trovasi  ancora  scritto,  n.  31, 
OHI  Vi)  A  ed  ACVINO  (mia  coli.),  n.  32,  dove  il  gallo  è  volto 
a  destra.  Aquino  città  volsea  non  fu  colonia  avanti  alla 
guerra  marsica,  ma  di  certo  deve  annoverarsi  fra  le  città 
che  ebbero  un  trattato  di  alleanza  con  Roma,  come  il  fa 
supporre  l'uso  che  gli  Aquinati  fanno  della  lingua  latina 
nella  moneta,  al  pari  dei  Teanesi,  dei  Caiatini,  di  Calvi  e 
Sessa  colonie  latine,  che  battono  un  simile  nummo  col  tipo 
del  gallo. 

CAMPANIA 

SUESSA 

Suessa  cominciò  a  dirsi  aurunca  od  auruncorum,  quando 
accolse  nelle  sue  mura  gli  Aurunci  salvatisi  fuggendo  da 
Aurunca  che  fu  distrutta  dai  Teanesi.  Le  sue  monete  e 
quelle  di  Calvi  non  adoperano  altra  lingua  che  la  latina 
quantunque  siano  osche  ambedue  non  meno  di  Teano  sidicino. 
I  Suessani  veneravano  Apollo,  e  vantavano  il  giuoco,  dei  de- 
sidtores,  0  sia  di  coloro,  che  cavalcando  tiravano  seco  un  altro 
cavallo,  sul  quale  saltavano  nella  corsa,  della  qual  loro 
prodezza  davasi  spettacolo  al  popolo  e  se  ne  premiava  il 
vincitore  con  un  ramo  di*  palma.  Ebbero  anche  in  onore 
Mercurio  a  cui  davano  im  pileo  tessalico  rotondo  alato  e 
leggermente  acuminato  nel  centro.  Appropriaronsi  ancora 
il  tipo  campano  del  toro  androprosopo  e  coniarono  la  mo- 
neta di  alleanza  col  gallo.  Figurarono  di  più.  Ercole  in  atto 
di  soffocare  il  leone.  La  leggenda  PROBOVi  è  loro  comune 
coi  coloni  beneventani,  se  ne  eccettui  lo  scambio  del  B  in 
P,  scrivendo  i  Beneventani  PROPOM.  I  Eomani  si  resero 
padroni  di  Sessa,  come  ebbero  disfatta  la  lega  latina  a  Tri- 
fano,  e  vi  mandarono  una  colonia  nell'a.  441.  Si  ha  una 
moneta  di  particolare  alleanza  fra  Sessa  e  Napoli  coi  tipi 
campani. 
33,  34.  Nella  collezion  mia.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a 
d.  dietro,  n.  33,  il  Palladio,  preso  dal  Carelli  e  dall'Avel- 


78 


CAMPANIA 


T.  LXXXIII 


lino  per  trofeo  {Catal.  Suesa,  1,  Avell.  Suppl.  p.  8  n.  28) 
e  "un  indeciso  segno  monetale,  n.  34,  astro.  R.  Fante 
desultore  che  cavalcando  trae  seco  l'altro  cavallo:  egli  è 
coperto  di  pileo  conico  e  porta  nella  destra  un  ramo  di 
palma  lemniscate,  che  appoggia  alla  spalla.  Neil'  esergo 
SVE5AN0.  Sessa  Aurunca  fu  colonia  nel  441  e  pare  che 
molto  si  applaudisse  dei  giuochi  equestri  fra  i  quali  era 
quello  del  desultor  che  essa  prescelse  a  rappresentarla. 
35-38.  Testa  di  Mercurio  coperta  di  petaso  alato  volta  a  sin. 
Davanti  n.  35  nROBO/V\,  n.  36  PRBOM,  n.  37  PRBOVW, 
n.  38  PROBVM.  R.  Ercole  di  prospetto  con  la  clava  fra 
i  piedi  strozza  il  leone  e  a  sin.  SVESANO.  Si  è  cercato  il 
senso  del  vocabolo  Probom  variamente  scritto  sul  dritto  di 
questo  bronzo  e  che  sembra  dover  essere  lo  stesso  del  PRO- 
POAA  inscritto  sulla  moneta  di  Benevento.  È  mia  opinione 
che  con  questa  singoiar  voce  si  voglia  significare  essersi  quella 
moneta  coniata  a  norma  di  legge  e  come  tale  riconosciuta  ed 
approvata;  e  paragono  la  legge  puteolana  {SylL  017  vers. 
32, 33):  Quod  eorum  qui  in  Consilio  esse  solent  viginti  turati 
probaverint,  probum  esto;  quod  ieis  improbarint,  im- 
probum  esto.  Stimo  per  ciò  che  probum  valga  lo  stesso 
che  proba  moneta,  come  per  opposito  dicesi  moneta  reproba 
quella,  che  non  è  approvata.  Inoltre  che  il  probum  non  indichi 
il  peso  debitum  pondus,  ma  la  qualità  del  metallo,  speciei 
probae  (Dirksen,  Manuale  fontiu,m  iuris  civ.  rom.  1837 
p.  760  V.  probu.s);  sicché  potrebbe  esservi  sottinteso  aes, 
metallum,  non  pondus.  Le  quattro  maniere  di  scrivere  il 
vocabolo  probum,  notate  di  sopra,  sono  le  sole  che  ho 
trovate  sinora.  L'Avellino  corresse  l'ARBO,  ARBOV/Vi  letto 
dal  Carelli  (Descr.  21,  22,  24)  attestando  che  nei  nn.  20,  21 
si  leggeva  •  ■  OBVM  e  nel  n.  24  P-  BOV/V\.  Egli  ammise  tre 
lezioni  PROBOM,  PROROM  o  ilROBOVM  e  aggiunse  che  l'AR- 
BOVM  del  n.  22  si  doveva  a  parer  suo  emendare  PROBOO/V\('). 
Le  lezioni  niKEOVM  data  dal  Pellerin  Recueil,  IX,  49), 
e  AAOSTAS:  (Hunter,  p.  287  n.  3,  Carelli  tab.  LXV,  19) 
non  hanno  riscontro:  il  PROROM,  PROBOM,  ohe  ci  trascrive 
l'Eckhel  [Catal.  M.  Caes.  p.  6  pag.  19)  è  mal  trascritto. 
Queste  monete,  mi  scrive  il  sig.  Kenner,  direttore  del  Museo 
Cesareo,  sono  tuttavia  nel  Museo  imperiale  e  vi  si  legge, 
n.  21,  PROBOVM,  n.  25,  PROBOM.  Non  ometterò  che  la 
greca  leggenda  AAOSITAS:  è  ammessa  come  possibile  dal 
Mommsen  (H.  de  la  m.  Ili,  f.  180,  nota),  stante  che  i  mone- 
tieri  si  servono  talvolta  delle  lettere  greche,  come  segni 
monetali.  Egli  inoltre  vede  non  so  qual  mistero  nel  PRBOVM, 
ove  scrive  (C.  I.  L.  voi.  I,  9):  Ut  Leucios,  Oscorum.  Luvk, 
Graecorum  ytevx  respondet,  ut  noundinum  ex  novem  deri- 
vatum  est,  ita  in  prboum  sane  aliud  latet  ac  simplex  voca- 
bulum  probom.  A  me  par  strano  cercare  un  senso  ignoto  nel 
prboum  ove  è  evidente  dal  confronto  di  PROBOM  PROBVM 
di  altri  conii  che  sia  una  semplice  varietà  ortografica  del- 
l' O,  V,  OV.  Ed  è  ben  altra  cosa  il  servirsi  di  lettere  greche 
come  segni  monetali  ;  e  però  sorprende  che  siansi  allegati 


(')  Stimo  che  il  fi  e  l'OO  in  queste  lezioni  JcH'Ayellino  si   debbano 
attribuire  ad  erruri  di  stampa. 


questi  confronti  per  giustificare  l'uso  della  greca  lingua  di 
una  città  non  di  certo  greca  sopra  mi  pubblico  monumento 
ai  tempi  della  colonia  latina. 
39.  Testa  laureata  di  Apollo  volto  a  d.  dietro  O.  R.  Bue  an- 
droprosopo  coronato  dalla  Vittoria  :  nell'  esergo  SVESANO. 
In  altri  esemplari  si  legge  is:  o  P  fra  le  gambe  del  toro, 
e  dietro  la  testa  di  Apollo  alcune  di  queste  lettere  K,  N,  T 
notate  già  dal  Carelli. 


Tav.  LXXXIII. 

1.  Nella  mia  collezione.  Testa  di  Minerva  coperta  di  galea  aulo- 
pide  volta  a  d.,  ha  nella  massa  dei  capelli  inserto  un  gio- 
iello in  forma  di  rosaceo,  e  al  collo  una  larga  zona  per 
collana.  R.  Gallo  che  canta  volto  a  d.  dietro  astro,  davanti 
SVESANO.  Fra  gli  esemjDlari  che  portano  questo  tipo  ho 
prescelto  questo,  perchè  più  ornata  vi  si  rappresenta  l'ima- 
gine  della  dea,  e  dà  fondamento  di  credere  che  siasi  ri- 
tratto un  principal  simulacro  venerato   in  questa  colonia. 

AURUNCA 

Grli  Aurunci  a  nome  dei  quali  è  battuta  la  moneta  di 
bronzo,  in  osca  lingua,  sono  quei  popoli  che  abitarono  Au- 
runca capitale  degli  Ausoni,  che  dicevasi  fondata  da  Auson 
figlio  di  Circe  e  di  Ulisse  (Fest.  pag.  18).  Questa  città  le  cui 
mine  oggi  si  mostrano  sul  monte  santa  Croce  di  Eocca  Mor- 
fina, piccola  terra  distante  quattro  miglia  da  Tiano  egual- 
mente che  da  Sessa,  ebbe  dunque  la  propria  moneta,  la  quale 
fu  dai  numismatici  per  lunghi  anni  attribuita  a  Marcina  città 
annoverata  da  Strabene  fra  le  campane  (V,  251).  Il  motivo 
si  fu,  perchè  vi  leggevano  che  una  sola  epigrafe  quella  cioè 
che  è  posta,  non  quella  che  sta  di  sopra,  e  questa  che  sta 
di  sotto  al  delfino  del  riverso,  la  quale  dice  in  osca  lingua 
^II51>INW,  ovvero  JII>I>INI41,  ovvero  ^1I>1>IRRH1  il  qual  Macdes 
nome  del  magistrato  traducevasi  MarrAna  non  Madcina, 
quando  non  si  era  ancora  inteso  il  valore  della  lettera  51 
nell'osca  letteratura.  Questa  attribuzione  durò  fino  ai  giorni 
nostri,  e  solo  il  Millingen  non  se  n'era  mostrato  persuaso 
e  aveva  pensato  invece  che  il  bronzo  fosse  di  Arpi  ovvero 
di  Salpi  (Consid.  p.  195). 

Nel  1847  studiando  la  collezione  del  Kircheriano  vitroyai 
un  esemplare  di  questa  rara  moneta,  e  avvedutomi  della  iscri- 
zione quantunque  assai  logora  che  pur  v'  era  di  sopra  del  del- 
fino, la  presi  meco  per  determinarne  la  lezione.  Avvenne  dun- 
que che  dopo  lunghe  e  ripetute  prove  vi  leggessi  la  voce 
mOUd^^^N,  confermandomi  due  esemplari  l'uno  del  pr.  di 
s.  Giorgio  l'altro  del  cav.  Santangelo.  La  notizia  ne  fu  di- 
vulgata da  me  nel  Bull.  ardi,  napol.  1852  tav.  IV,  4  pag.  65). 
La  moneta  fu  dunque  d'allora  in  poi  assegnata  ad  Aurunca, 
e  il  Macdes  ovvero  Macces  apparve  dover  essere  nome  di  un 
magistrato  monetale. 

I  cittadini  di  Aurunca  erano  socii  del  popolo  romano, 
ma  essendosi  messi  a  predare  nelle  terre  vicine  diedero  ai 
Romani  indizio  di  meditata  ribellione,  e  però  fu  mandato 
lor  contro  M.  Furio  Camillo,  che  nel  409  li  disfece.  L'anno 


T.  LXXXIII 


CAMPANIA 


73 


seguente  il  console  Tito  Manlio  li  accettò  per  deditizii.  I  Si- 
dicini  mossero  poi  loro  guerra  con  l'aiuto  dei  Caleni:  e  gli 
Auninci  ebbero  ricorso  a  Roma:  ma  tardando  di  troppo 
l'aiuto  implorato  dai  Komani  essi  abbandonata  la  città  si 
rifuggiarono  in  Sessa  e  iri  si  fortificarono  (Liv.  Vili,  15). 
La  cittìi  abbandonata  fu  quindi  presa  e  disfatta  dai  Sidicini  : 
moenia  antiqua  eorum  urbemque  ab  SUlicinis  deletam. 
Così  ebbe  fine  Aurunca  e  cominciò  Sessa  a  darsene  il  so- 
prannome ;  quae  nunc  Aurunca  appellata,  scrisse  Livio. 
2-4.  Sono  qui  rappresentati  tre  esemplari,  il  primo  è  nel  Kir- 
cheriano,  il  secondo  nel  Museo  Britannico,  il  terzo  nel 
Museo  Santangelo.  Tutti  gli  esemplari  cbe  si  conoscono 
finora  sono  logori. 

Nel  dritto  v'  è  la  testa  di  Apollo  coronata  di  lauro  e 
Tolta  a  sin.  dietro  ha  una  patera.  B.  Delfino  nuotante  a 
sin.  di  sopra  mi>ll/lNqNN  di  sotto  ^ll>l>INNW.  Nel  secondo 
esemplare  la  leggenda  è  WV>ll'IN^NN  dove  sembra  che  vi 
sia  l'I  in  monogramma  coll'Ud.  Nel  terzo  il  nome  del  ma- 
gistrato è  ^IIJDIRUI  dove  l'N  non  si  raddoppia  come  nel 
numero  2,  e  il  secondo  >l  è  scambiato  erroneamente  in  Jl  [Mac- 
diis).  lì  magistrato  è  Maccius,  nome  sì  raro  che  io  non  ne 
ricordo  più  che  un  solo  esempio  ed  è  in  una  lapida  trovata 
di  recente  in  Pompei  (Giorn.  degli  scavi,  1881  p.  141), 
la  quale  correttamente  a  pag.  324  si  legge  così: 

C  •  TILLIVS  C  •  F  •  RV  •  ITER 

r  •  MACcivs  ■  r  ■  F  •  selas 

II  •  VIR  ■  IVR  •  DEIC 
EX      D ■ D  •  FAC  •  COER 


TIANUM  SIDICINUM 

Una  splendida  prova  dell'arte  osca  di  Campania  ci  viene 
dalle  monete  di  Teano  sidicino.  Veneravano  essi  Ercole 
e  Apollo  e  li  rappresentarono  sulla  moneta  ponendo  nei  ri- 
versi dell'argento  la  triga  come  i  Caleni,  e  nel  bronzo  po- 
sero Mercurio  col  toro  androprosopo  dei  Campani.  È  sin- 
golare che  il  loro  Mercurio  porti  un  pileo  largo,  acuminato 
e  che  pare  intessuto  di  paglia,  le  ali  che  si  vedono  nel 
pelaso  del  Mercurio  di  Sessa  vi  sono  omesse.  Questa  città 
venne  in  potere  dei  Eomani  dei  quali  aveva  implorato 
l'aiuto  contro  i  Sanniti  e  i  Greci  ;  e  nella  guerra  annibalica 
essa  ne  era  la  prinoipal  piazza  d'arme:  finalmente  vi  fu 
dedotta  una  colonia  da  Augusto.  In  tutte  le  monete  i  Tia- 
nesi  fanno  uso  della  lingua  osca,  se  ne  eccettui  soltanto 
quel  bronzo  che  ha  per  tipo  la  testa  di  Minerva  e  al  riverso 
il  gallo,  dove  ancora  l'epigrafe  è  latina  TIANO.  Cotesto 
tipo  si  vede  comune  ad  altre  città  fra  le  quali  Napoli  vi 
adopera  l'argento,  e  ritiene  la  propria  lingua,  che  è  la  greca, 
Telese  e  Venafro  la  osca,  Caiazzo,  Calvi,  Sessa,  Aquino 
la  latina.  Teniamo  come  verosimile,  che  Napoli  stesse  a  capo 
di  questa  alleanza  che  ci  si  rivela  dalla  comunanza  del  tipo, 
e  che  mancando  a  Napoli  la  corrispondente  moneta  di  bronzo 
con  tal  tipo,  sia  avvenuto  che  si  confederassero  ad  uno 
scopo  nell'epoca  in  che  non  si  coniava  piìi  l'argento  in 
Sessa  e  Calvi.  Sembra  anzi  che  Aquino,  Telese  e  forse  anche 


Venafro  e  Caiazzo  abbiano  avuto  di  qua  l'impulso  di  co- 
niare moneta. 

5.  Nel  Museo  Santangelo.  Testa  di  Ercole  imberbe  coperta  dalla 

spoglia  di  leone  SVUNkT.  /f.  Vittoria  che  guida  una  ti-iga 
I  di  cavalli;  nell'esergo  SVUDIIJIR  (Minervini,  Bull.  arck.  nap. 

an.  IV  tav.  IX  n.  4). 

6.  I  tipi  non  sono   diversi   da   quei  della  moneta  precedente, 

manca  però  l'epigrafe  nel  dritto  e  solo  si  legge  nell'esergo 
del  riverso  SVMflhT. 

7.  Testa  di  Apollo  laureata  e  volta  a  d.  ivi  JIVI/IFil-T.  B.  Bue 

androprosopo  a  d.  sopra  lira  nell'esergo  SVUDIIJIR. 

8,9.  Testa  di  Mercurio  volta  a  d.  dietro  un  astro  e  il  caduceo, 
davanti  JIVUNIT.  B.  Bue  androprosopo,  astro  di  sopra, 
}IVHI>II51I(^)  nell'esergo.  Nella  mia  collezione  vi  è  un  esem- 
plare con  due  tagli  profondi  di  contromarche  sul  volto  del 
Mercurio,  che  io  qui  rappresento  (n.  9). 

10,11.  Testa  di  Apollo  volta  a  sin.  davanti  9MV\WT.  R.  Bue  andi-o- 
prosopo  a  d.  coronato  dalla  Vittoria,  la  un  mio  esemplare 
conservatissimo  si  legge  >IVHRiT.  Lo  do  inciso  (n.  11)  per 
conferma  di  cotesto  scambio  del  >l  e  del  51  il  quale  s'in- 
contra come  ho  detto  anche  in  ^IIJDINWI  talvolta  scritto  in 
luogo  di  ^ll>l>INkM. 

12.  Testa  di  Minerva  coperta  dall'aulopide  volta  a  sin.  R.  Galla 

che  canta  a  d.,  dietro  astro,  avanti  TIANO. 

CALES 

Calvi  dopo  di  aver  combattuto  e  distrutto  Aurunca 
nell'anno  419  mosse  guerra  ai  Eomani,  e  fu  vinta,  presa 
e  predata  dal  console  M.  Valerio  Corvo.  Vi  fu  inoltre  la- 
sciato a  guardia  un  presidio  fin  che  non  vi  si  collocò 
nell'anno  420  una  colonia  {Veli.  1,  14),  che  prese  il  nome 
di  Cales  Ausonum.  Dei  fatti  e  del  governo  di  Calvi  libera 
la  storia  è  muta.  Della  sua  prosperità,  ci  fa  fede  Livio, 
ove  nota,  che  i  Romani  vi  fecero  ima  preda  ingente:  ma 
dell'epoca  in  che  fu  colonia  parlano  le  sue  monete  e  i  suoi 
fittili  donde  apprendiamo  l'alto  grado  di  coltura  a  che 
era  giunta.  Mentre  le  famiglie  dei  Canulei,  degli  Atilii  e 
dei  Gabinii  erano  venuti  in  tanta  fama  pei  loro  lavori  di 
creta,  quanta  ce  la  rivelano  il  gran  commercio  che  se  ne 
faceva  per  tutto  il  Lazio,  in  Etruria  e  in  Sabina,  la  zecca 
coniava  quei  didrammi,  che  fanno  oggi  così  bella  mostra 
nelle  raccolte  numismatiche.  La  Pallade  è  di  stUe  perfetto, 
e  la  Vittoria  in  triga  lanciata  a  gran  corso  ben  sostiene 
il  confronto  dei  bassirilievi  del  Partenone.  Il  bronzo  sembra 
più  antico  dell'argento,  nel  quale  solo  s'incontra  spesso 
la  lettera  U  non  acuta  ma  media  forma.  I  due  metalli 
sono  tagliati  sul  sistema  della  Campania,  come  quei  dì 
Sessa  e  Tiano,  ma  non  si  conoscono  frazioni.  È  nota  una  mo- 
neta di  confederazione  fra  Calvi  e  Napoli  (Tav.  LXXXV,  32). 
In  un  bronzo  napolitano  di  mia  collezione  che  è  ribattuto 
sono  tuttavia  visibili  alcune  lettere  della  leggenda  in  greco 
alfabeto  KAAE  (Tav.  LXXXV,  30). 

13.  Nel  Ejrcheriano.  Testa  di  Minerva  coperta  dell'aulopide 
con  corona  in  rilievo  sulla  cocca  volta  a  d.  sotto  al  collo  0, 


80 


CAMPANIA 


T.  LXXXin 


dietro  ferro  di  lancia.    B.  Vittoria  che   guida  una  biga, 
nell'esergo  CAUENO. 

14.  Mia  collezione.  Lo  stesso  tipo  che  al  n.  13  suU'aulopide  è  un 
grifo,  sotto  al  collo  un  B  dietro  un  pentagono.  L'epigrafe  è 
uscita  di  conio.  La  lettera  U  d'ordinario  è  della  forma  detta 
media  cioè  né  acuta  né  normale. 

15.  Testa  di  Apollo  Tolta  a  sin.  dietro  uno  scudo  dittico.  R.  Bue 

androprosopo  coronato  dalla  Vittoria,  nell'esergo  CAI'ENO. 
La  lettera  I'  nel  bronzo  è  sempre  acuta. 

16.  17.  Testa  di  Minerva  volta  a  sin.  davanti  (n.  16)  CAl'ENO, 
dietro  A.  7?.  Gallo  che  canta  a  d.  dietro  astro,  davanti 
(n.  16  A),  A^EN^  (n.  17).  È  opinione  del  Minervini  {Oss. 
p.  23,  24)  che  quell'A  del  riverso  e  del  dritto,  maggiore 
delle  solite  lettere,  dinoti  l'iniziale  di  Aqicinum  e  però  che 
sia  questa  moneta  di  confederazione. 

18.  Nel  Museo  di  Vienna.  Testa  giovanile  volta  a  d.  coi  capelli 
annodati  alla  nuca.  R.  Gallo  che  canta  volto  a  d.  dietro 
astro,  davanti  CAUEUO.  Parmi  che  sia  una  contrafazione  in 
argento  della  litra  od  obolo  di  rame,  a  cui  si  è  cambiato 
il  tipo  del  dritto:  ne  fo  autori  i  Galli  cisalpini. 

CUMAE 

I  Calcidesi  di  Eubea  dopo  aver  rifabbricata  in  Asia  la 
eolica  Cuma  vennero  nelle  nostre  terre,  e  in  prima  si  stan- 
ziarono in  Aenaria,  detta  da  Omero  Inarime  e  dai  Greci 
d'Italia  Pithecusa,  oggi  è  Ischia:  ma  non  guari  dopo  abban- 
donata l'isola  presero  stanza  in  terra  ferma,  e  vi  fondarono 
Cuma.  Loro  colonie  furono  Dicaea,  detta  anche  Dicaear- 
cliia,  Palaepolis  e  Neapolis.  Fondarono  anche  Zancle  in 
Sicilia  l'anno  primo  della  Olimpiade  XIII  che  è  il  tren- 
tesimo dalla  fondazione  di  Roma  (Tucid.  VI,  4).  Sosten- 
nero gli  attacchi  dei  Tirreni  e  li  respinsero  con  l'aiuto  di 
Gerone  I,  non  pertanto  soggiacquero  all'ambizione  di  uno 
dei  loro  prodi  generali  Aristodemo  il  Malaco,  che  ne  usurpò 
il  governo.  Tarquinio  Superbo  vi  prese  soggiorno  dopo  la 
disfatta  al  lago  Eegillo  e  vi  morì  l'anno  259.  I  Sanniti  in- 
vasa Campa  nel  319,  e  impadronitisi  di  Volturno  nel  331, 
presero  Cuma  d'assalto  nel  335,  e  vi  fecero  massacro  dei 
cittadini  costringendone  molti  a  trasferire  la  loro  stanza 
in  Napoli.  Essi  però  vi  dominarono  per  pochi  anni  essen- 
done stati  scacciati  nel  342.  Dal  confronto  di  due  nummi, 
l'uno  dei  quali  coi  tipi  campani  congiunge  l'epigrafe  Cume- 
nis  (T.  LXXXIV,  6)  e  l'altra  di  simil  fabbrica  (T.  LXXXI,  14) 
che  cambia  l'epigrafe  in  Fiscinis,  possiamo  dedurre  che  ci 
fu  un'  alleanza  f^ a  i  Cumani  e  i  Pistelini,  e  troveremo  an- 
cora il  motivo  della  conchiglia  marina  dei  cumani  presa 
per  tipo  dei  Fistelini,  popolo  mediterraneo,  come  è  dimo- 
strato appresso.  Un  nummo  veduto  solo  dal  Mionnet  rap- 
presentante da  un  lato  mezza  ranocchia  e  dall'  altro  una 
conchiglia  con  l'epigrafe  KVAAE  (Mionnet,  I  p.  114 
u.  139)  del  peso  di  gr.  5,44  è  sembrato  al  Mommsen 
battuto  sul  sistema  eginetico.  La  loro  moneta  è  lo  statere, 
che  dividono  in  sesti  e  dodicesimi.  Coniarono  l'oro  e  l'ar- 
gento non  però  il  bronzo  :  la  moneta  di  questo  metallo  che 


le  si  attribuisce  non  si  è  mai  trovata  in  Campania  :  si  cerchi 
nella   Brezzia  fra  le  locresi.  Nel  Museo  di  Parigi  vi  fu 
una  moneta  d'oro,  della  quale  ebbi  dubbio  che  fosse  d'argento 
indorato  :  il  Cohen  interrogatone  da  me,  presente  il  sig.  Cha- 
bouillet,   non  volle  dare  il    suo  avviso.    Ora  la  monetina 
messa  in  luce  dal  Poole,  della  quale  non  possiamo  dubi- 
tare, se  non  ne  dubita  l'editore,  ha  posto  fuor  di  contro- 
versia che  in  Cuma  fu  una  volta  battuto  l'oro.  L'alfabeto 
e  il  dialetto  del  quale  si  serve  Cuma  è  quello    primitivo 
dei  Calcidesi  nel  quale  la  lettera  sigma  è  a  tre  aste  l  : 
però  vi  fu  introdotto  anche  il  più  recente  alfabeto  nel  quale 
questa  lettera  ha  la  forma  cosidetta  dell'arco  scitico  5.  Fra 
i  tipi  delle  monete  è  singolare  quello  che  esprime  tre  teste 
di  fiere,  l'una  di  fronte  che  sta  nel  mezzo  e  le  due  laterali 
di  profilo.  Al  Millingen  [Anc.  coins  pi.  I  p.  4,  ConsuL  p.  121) 
parvero  tutte  e  tre  teste  di  cinghiali  e  ricordò  l'antica  pre- 
tensione dei  Cumani  di  possedere  nel  tempio  di  Apollo  i 
denti  del  cignale  di  Erimanto.  Ma  è  certo  che  la  fiera  di 
mezzo  è  un  leone.  Par  quindi  chiaro  che  i  Cumani  hanno 
messe  insieme   queste  tre   fiere   di  natura  discorde    quasi 
in  domestica  compagnia  per  rappresentare  un  mito,  qual  si 
è  quello  delle  stalle  di  Circe,  donde  ancora  hanno  presso 
le    rappresentanze  di  Scilla  cambiata  da  Circe  in  mostro 
marino  e  vi  hanno  figurato  Glauco,  per  le  relazioni  sue  con 
Scilla  che  provocarono  la  vendetta  di  Circe  e   perchè  era 
favola  Euboica  donde  i  Cumani  traevano  origine  (Serv.  ad 
■•     Virg.  Ed.  VI,  74):  Glaucus  deus  marinus,  dum  ipse  amare- 
tur  a  Circe  et  eam  contemneret:  illa  irata,  fontem  in  quo 
Soylla  solebat  se  abluere  infecit  venenis  ;  in  quem  cum  de- 
soendisset  puella  inedia  sua  parte  in  feram  mutata  est. 
Per  tal  motivo  accetto  ancor  io  che  sia  Glauco  col  Cave- 
doni  {Spie,  numism.  p.  14  e  301),  col  Luynes  {Ann.  In- 
sti!. 1830  p.  806)  e  col  Millingen  {Sìjll.  p.  13),  il   quale 
prima  {Recueil,  p.  3-6)  aveva  stimato  che  fosse  Aegeon,  ac- 
cetto, dico,  che  il  mostro  sia  Glauco.  Il  Cavedoni  (1.  oit.) 
aggiunge,  che  Glauco  tenevasi  padre  di   Deiphobe,  Sibilla 
cumana.  Gli  Allibani  che  abitarono  le  stesse  spiagge  cu- 
mane  rappresentavano  Scilla  in  atto  di  portare  colla  sini- 
stra un  delfino  e  colla  destra  un  polpo;  le  protome  dei  cani 
latranti  si  levano  dalle  spalle  soltanto,  ovvero  anche  dal- 
l'inguine, essa  talvolta  ha  il  torace  coperto  di  marina  lanu- 
gine, e  Glauco  ha  il  mento  vestito  di  peli.  Eitornando  al 
tipo  del  leone  in  mezzo  ai  cignali  è  d'uopo  avvertire,  che 
il  Millingen  l'ha  poi  tacitamente  riconosciuto  a  p.  231,  232, 
dove  riporta  una  novella  spiegazione  del  Cavedoni  {BuUett. 
Instit.  1840  p.  9),  che  nel  leone  vorrebbe  trovare  una  re- 
miniscenza della  Dicaearchia,  fondata  dai  Samii,  e  di  più 
una  loro  alleanza.  Ma  il  Cavedoni  non  ha  considerato  che 
col  leone  simbolo  dei  Samii  vi  sono  due  cignali,  che  per 
ciò  dovrebbero  dirsi  simbolo,  se  non  adoperato  dai  Samii, 
almeno  dei  Cumani,  ciò  che  non  sappiamo  come  si  possa 
provare.  Però  fa  senso  che  il  Millingen  abbia  considerato 
questa  congettura  non  solo  come  ingegnosa,  ma   come  la 
più  verisimile  di  quante  si  erano  proposte. 
19.  Parigi,  nel  Gabinetto  deUe  medaglie  preso  da  me  a  calco. 


T.  L5XXIV 


CAMPANIA 


81 


Testa  della  Cuma  volta  a  d.  i?.  Conchiglia  e  intorno  3AAV>I 
ìndi  O.  Una  moneta  simile  fu  da  me  veduta  anche  nel  Mu- 
seo di  Torino  e  ne  presi  il  calco.  Ora  fattane  ricerca  per 
conoscere  il  peso  e  prenderne  esperimento  se  di  puro  oro, 
i  direttori  dei  due  Musei  mi  hanno  fatto  sapere  che  ivi  piìi 
non  si  trovano.  Il  Cohen  prima  non  volle,  interrogatone  da 
me,  dire  che  ne  pensava.  Nella  collezione  Santangelo  se  ne 
ha  una  con  la  testa  di  Minerva  coperta  di  aulojjide  sul 
dritto.  Questa  come  ha  ben  avvertito  il  Fiorelli  nel  Catalogo 
è  dorata  di  recente.  Forse  le  due  monete  saranno  state 
riconosciute  per  tali  e  sottratte. 

20.  Nel  Museo  Britannico.  Aulopide  volta  a  sin.  R.  Conchiglia 
e  intorno  3AAV>I.  Il  Poole  (Catal.  85,  1)  attesta  che  è  d'oro 
del  peso  incirca  di  0,32. 

21.  Nel  Museo  Britannico.  Testa  di  Cuma  con  monile  al  collo 

e  tenia  intorno  ai  capelli.  R.  Conchiglia  sopra  della  quale 
sorge  una  palma  e  intorno  vi  è  scritto  KVAAE.  Pesa  gr.  7,58 
(Poole,  Catal.  p.  85,  2). 

22.  Nella  collezione  di  Luynes.  Testa  di  Cuma  a  d.  coi  capelli 

sollevati  alla  nuca  dal  nastro  che  cinge  il  capo;  davanti 
KV/V\E.  lì.  Protome  di  leone  di  mezzo  a  quelle  di  due  ci- 
gnali. Il  Millingen  vi  ha  veduto  invece  la  testa  o  spoglia 
di  un  cignale  fra  le  spoglie  di  due  fiere  domate  da  Ercole 
(Considerai,  pag.  126,  127). 

23.  n  disegno  che  ho  inciso    deriva  da  un  zolfo.  La   protoma 

del  leone  e  dei  due  cignali  stanno  qui  sul  dritto  rimanendo 
sul  riverso  la  solita  conchiglia  e  con  essa  un  turbine  ma- 
rino: intorno  si  legge  due  volte  per  isbalzo  di  conio  KV- 
MAION. 

24.  Da  un  zolfo.  Testa  di  Cuma  a  d.  R.  Conchiglia  e  sopra  di 

essa  il  mostro  Scilla  cinta  intorno  di  cani  che  latrano  e 
desinente  in  coda  tortuosa  di  pistrice,  in  alto  MOIA/V\V>l. 

25.  Nel  museo  di  Milano.  Testa  di  Cuma  volta  a  d.  R.  Con- 
chiglia e  sopra  di  essa  un  busto  d'uomo  barbato  desinente 
in  coda  di  pistrice;  di  sotto  KV/V\(AIO)N. 

26.  Da  un  zolfo.  Se  ne  ha  un  esemplare  nel  museo  Britannico 

[Catal.  p.  89,  27).  Testa  di  Cuma  volta  a  sin.  R.  Conchi- 
glia e  sopra  di  essa  il  mostro  Scilla  con  indosso  una  corta 
veste  tessuta  di  lunghi  velli  ed  epigrafe  KVMAIOld  NI. 

27.  Nel  Museo  di  Napoli.  Testa  di  Pallade  coperta  di  galea 
laureata  e  volta  a  d.  R.  Conchiglia  e  sopra  di  essa  un  serpe 
e  MOIAW\V>l. 

28.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Pallade  coperta  di  galea  laureata  e 
fregiata  della  civetta  volta  a  sin.  R.  Conchiglia  e  sopra  di 
essa  un  acino  di  grano,  sotto  OMOIAWV)!.  Torna  qui  quel- 
rO  che  abbiamo  veduto  nel  n.  1  il  cui  valore  egualmente 
che  quello  della  sillaba  NI  ci  è  ignoto. 

29.  Nel  Museo  Britannico.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo 

laureato  volta  a  d.  R.  Conchiglia  e  sopra  di  essa  un  cane 
pomerano  che  va  a  sinistra  camminando  sopra  una  linea  con- 
cava: intorno  KV/V\AION. 

30.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Pallade  coperta  dall' aulopide  volta 
a  d.  intorno  KWVAION.  R.  Granchio  marino  che  sostiene 
colle  due  chele  la  conchiglia.  Questo  tipo  si  spiega  dal 
Millingen  come  un  apologo  tolto  dall'istinto  del  granchio 


che  per  divorare  la  conchiglia  gitta  dentro  alle  aperte  sue 
valve  un  sassolino,  e  cita  per  ciò  Oppiano,  Halieut.  II, 
ver.  169-180. 


Tav.  LXXXIV. 

I.  Testa  di  Cuma  volta  a  d.  R.  Conchiglia  e  sopra  di  essa  un 

Cerbero  a  due  teste:  intorno  KYN\AION.  Il  Millingen  dà  al 
Cerbero  tre  teste  (Syll.  of  ano.  Greek  Coins  p.  10  pi.  1 
n.  4;  Considerat.  pag.  126).  Egli  ricorda  il  Cerberium  e 
cita  Scimno  (v.  340,  ed.  Muller),  che  lo  dice  oracolo  sot- 
terraneo, vjzoyfiòviov  navTEÌov,  dove  Ulisse  si  recò  ritornando 
da  Circe.  Non  mi  par  probabile  il  sospetto  del  Letronne  e 
di  altri  che  si  riferisca  all'impresa  di  Ercole. 
2-4.  Testa  di  Cuma.  R.  Conchiglia  e  acino  di  grano.  L'epigrafe 
è  n.  2  l/i01A/V\Y>l,  n.  3  (KV)/V\AION,  n.  4  KVMAION.  Questo 
n.  4  è  della  collezione  mia  e  si  rende  singolare  per  la 
lettera  5  alla  nuca  della  testa  nel  dritto.  Ve  n'è  un  esempio 
anche  nel  Museo  Britannico  [Catal.  87,  116). 

5.  Mia  collezione.  Il  Minervini  l'ha  da  un  altro  esemplare  [Bull. 

ardi.  nap.  Ili  tav.  Vili,  3).  Ve  n'è  un  terzo  nella  col- 
lezione Luynes.  Testa,  di  Cuma  a  d.  /?.  Bue  androprosopo 
coronato  dalla  Vittoria;  nell'esergo  KYCOAION  ripetuto  due 
volte  per  sbalzo  del  conio. 

6.  Nel  Museo  di  Napoli.  L'ha  pubblicato  il  Fiorelli  [Ann.  di 

numism.  1876  Tav.  Ili,  5)  dall'esemplare  medesimo  che 
-porta  nel  dritto  la  testa  di  Cuma  e  al  riverso  la  conchi- 
glia e  sopra  un  acino  di  grano  eolla  epigrafe  che  io  leggo 
IW\  B'I'IV!)  precedente  una  linea  che  sembra  improvvidamente 
staccata  dal  D  col  quale  doveva  unirsi  e  formare  il  >l. 

7.  Testa  di  donna  volta  a  d.  R.  Conchiglia  e  sopra  un  sorcio: 

di  sotto  KVUAI. 

8.  Nel  Museo  di  Firenze.  Testa  di  donna.  R.  Conchiglia  e  sopra 

una  testa  d'uomo  barbato:  intorno  è  l'epigrafe  KV((0AI)ON, 

9.  Testa  di  uomo  barbato  coperta  di  aulopide  e  volta  a  d.  R.  Con- 

chiglia e  sopra  KV. 

10.  Collezione  Santangelo.  Testa  giovanile  imberbe  coperta  di 
aulopide  e  volta  a  d.  R.  Conchiglia  e  sopra  KV.  Questo  esem- 
plare è  dorato. 

II.  I  tipi  sono  simili  a  quelli  del  n.  10:  v'è  di  piìi  nel  riverso 
una  conchiglia  pecten,  sopra  la  solita  conchiglia  è  l'epigrafe 
intera  KVCOE. 

12.  Nel  Museo  Britannico  [Catal.  p.  88  n.  17).  I  tipi  sono  gli 

stessi  che  ai  nn.  10  11,  ma  l'epigrafe  del  rovescio  è  re- 
trogada  e  tronca  AAftV)!.  Sul  corpo  della  conchiglia  v'è  scol- 
pito un  AA.  Pesa  gr.  0,77. 

13.  Avell.  Op.  11,  tav.  Ili,  13.  Elmo  aulopide.  R.  Conchiglia 

e  (KV)M. 

14.  Avell.  Op.  II,  tav.  Ili,  3.  I  tipi  medesimi  che  nel  n.  13. 

L'epigrafe  è  FV.  Pesa  gr.  0,10. 

15.  Kuota  a  tre  razzi  con  tre  globetti  negli  intervalli.  R.  Del- 
fino e  sotto  V>l  (Poole,  Catal.  89,  24).  Pesa  gr.  0,12. 

16.  Elmo  aulopide.  R.  Conchiglia  e  V>l  (Id.  Catal.  89,  25).  Pesa 

gr.  0,06. 

17.  Elmo  aulopide  volto  a  sin.  R.  Conchiglia  (Minervini,  Bull. 


82 


CAMPANIA 


T.  LXXXIV 


ardi,  napol.  Ili,  XH,  4  ;  Oss.  IV,  4).  Nel  Museo  Britan- 
nico ve  n'è  un  simile  esemplare  del  peso  di  gr.  0,32  con 
l'epigrafe  KV63E.  Il  Minervini  {Oss.  p.  34)  osserva  che  po- 
trebbe essere  anche  di  Napoli  :  ma  i  tipi  della  galea  plu- 
tonica e  della  conchiglia  del  Lucrino  sono  cumani. 

NEAPOLIS 

I  Cumani  avendo  presa  terra  all'  occidente  del  promon- 
torio di  Miseno  mandarono  tre  loro  colonie  a  pigliar  stanza 
a  mezzodì  del  medesimo  lungo  la  riviera  del  cratere  e  furono 
Dieaearchia,  Palepolis  e  Parthenope  detta  anche  Neapolis 
quando  vi  si  stabilirono  i  Calcidesi,  coi  Pitecusani  e  cogli 
Ateniesi,  dice  Strabene  (V.  IV,  7),  o,  come  scrive  Lutazio, 
quando  i  Cumani  gelosi  del  concorso  dei  popoli  a  quella 
loro  colonia  essendo  venuti  in  deliberazione  di  distruggerla 
e  lavorando  a  tal  fine  ebbero  ordine  dall'oracolo  di  aumen- 
tarne gli  abitanti  ciò  che  essi  fecero  e  col  nuovo  nome 
v'  instituirono  feste  solenni  (ap.  Philarg.  in  Virgil.  Georg. 
IV,  562).  Questo  avvenimento  data  dall'  anno  307  in  circa 
di  Roma.  Essendo  poi  nati  tra  gli  abitanti  dissidii  e  stando 
divisi  da  partiti  furono  costretti  ad  accogliere  anche  i  Cam- 
pani in  civil  società  e  affidarsi  piuttosto  ad  essi  che  ai  loro  pro- 
prii  concittadini  :  onde  è  che  fra  i  demarchi  si  trovano  nomi  di 
osca  origine  (Strab.  loc.  cit.).  Questa  ammissione  di  coloni  di 
versi  è  dimostrata  dal  dialetto  ora  cuboico,  ora  gionico  nei 
nomi  NEOPOAITAS:,  NEOPOUitEilN,  NEHP0H2:.;La forma 
del  sigma  è  doppia:  essi  adoperano  il  5  che  durava  tut- 
tavia allorché  fu  introdotto  l'alfabeto  euclideo,  stante  che 
gli  Ateniesi  furono  piìi  lenii  dei  Dori  ad  accettare  la  forma 
dell'arco  scitico  S.  Così  abbiamo  NEOPOUITHJ,  NEOPO- 
UITHS  e  NEHPOUS  .  Al  429,  erasi  già  cambiato  il  primitivo 
U  in  A,  se  il  Carilao  della  moneta  è  quel  medesimo,  che 
aprì  le  porte  di  Palepoli  ai  Eomani,  e  per  altra  via  mise 
fuori  la  guarnigione  sannitica  e  rimandò  la  nolana.  Allora 
fu  anche  rinnovato  il  foedus  noapoUtanum,  del  quale  parla 
Livio  (VIII,  26).  Credevasi  che  una  delle  Sirene  di  nome 
Partenope  gittatasi  dall'  alta  roccia  dell'  isola  da  lei  abitata 
nel  mare  sottoposto  approdasse  alle  foci  del  Sebeto  e  quivi 
poi  fosse  sepolta,  a  cui  i  Napolitani  fabbricarono  un  tem- 
pio e  instituirono  feste  e  sacrifizii.  Il  fiume  da  Lieofrone 
è  chiamato  Glanis  il  quale  anche  nomina  la  torre  di  Palerò, 
dove  dice  che  abitò  la  Sirena,  e  dove  ebbe  la  tomba. 

Ci  sarà  facile  assegnare  alcune  monete  all'  epoca  di  tran- 
sizione nella  quale  si  vede  una  testa  muliebre  coi  capelli 
sparsi  e  diademata  di  prospetto  e  al  riverso  il  bue  andro- 
prosopo  che  va  a  destra  o  a  sinistra.  Queste  adoperano  in 
pari  tempo  l'alfabeto  antico  e  il  pivi  recente  inscrivendosi 
NEOPOUITES,  ovvero  NEOPOUITH5,  ovvero  NEOPOAlTHg  . 
Ad  epoca  posteriore  si  debbono  assegnare  quelle  dove  il 
bue  androprosopo  mentre  va  a  destra  o  a  sinistra  volge 
la  testa  di  prospetto  sorvolando  una  vittorietta,  che  lo  inco- 
rona. In  queste  monete  l'alfabeto  è  sempre  il  pivi  recente, 
dove  sono  le  lettere  H,  il,  e  la  A  e  la  $ .  Ma  questa  epoca 
è  di  certo  anteriore  alla  cessazione  della  zecca  degli  Iriani  : 


perchè  noi  abbiamo  una  moneta  napolitana  con  tali  tipi  e 
tale  letteratura  ribattuta  dalla  zecca  d'  Hyrium  (  tav. 
LXXXIX,  6).  Vi  ha  una  monetina  da  me  letta  presso  il 
sig.  Eiccio  e  illustrata  nel  Bull.  Arch.  Napol.  fnnova  se- 
rie, 1852  n.  3)  i  cui  tipi  sono  da  un  lato  una  testa  gio- 
vanile sulla  cui  fronte  spunta  un  piccolo  corno  vitulino, 
ed  ha  intorno  la  leggenda  SEPEI0OS:  nel  rovescio  è  una 
donna  alata  sedente  accanto  ad  un  monumento,  ed  ha  da 
presso  un'urna  giacente  al  suolo.  Quel  fiamicino  che  i  latini 
costantemente  scrivono  Sebethus  e  fra  i  Greci  Teognosto  (58) 
il  chiama  ^éfiidog  voluto  cambiare  dal  Lobeck  (PathoL 
pag.  365)  in  ^e'iSrjdoc,  si  è  poi  finalmente  appreso  da  que- 
sta moneta  che  si  appellò  IsTteidog.  I  latini  fecero  sempre 
lunga  la  prima  sillaba,  sembra  però  che  i  Greci  fra  i  quali 
è  il  citato  Teognosto  abbiano  serbato  1'  s  in  quel  luogo. 
La  radice  e  il  significato  di  questo  nome  ci  è  ignoto. 

La  Sirena  Partenope  non  fu  ninfa  acquatica:  ben  però 
il  Sebeto  ebbe  una  figlia  che  fu  madre  di  Ebaio,  e  questa 
è  che  Virgilio  chiama  Nympha  Sebeihis  (Aen.  VII,  735). 
Io  ravviso  la  Sirena  Partenope  in  quella  donna  alata  che 
siede  accanto  al  suo  monumento.  Essa  è  tenuta  per  la  for- 
tuna della  Città  la  n'x»;  nóXsoic,  come  la  Serena  Ligoa, 
che  però  prende  ivi  anche  il  nome  di  Terina.  È  loro  attri- 
buto r  idria,  nella  quale  raccolgono  acque  salubri  e  perenni, 
che  rendono  lieta  e  felice  la  città  lieti  e  fecondi  i  campi. 
I  Napoletani  avevano  drizzata  una  statua  alla  Sirena  Par- 
tenope e  la  sua  testa  posero  sul  dritto  della  moneta,  ovver 
quella  di  Pallade  attica.  V  è  anche  l'Apollo  sia  il  Cumano 
sia  il  Delfico,  per  ordine  del  quale  i  Cumani  ripopolarono 
la  città  che  volevano  distruggere. 

Se  Palepoli  e  Napoli  erano  due  città  l'una  presso  del- 
l'altra e  come  afferma  Livio  (Vili  e.  22)  abitate  da  un  sol 
popolo,  duobus  urbibus  populus  idem  habitabat,  non  per- 
tanto ai  Palepolitani  solo  i  Eomani  attribuirono  i  danni  fatti 
nell'agro  campano  e  nel  Salerno  e  contro  essi  soltanto  rivol- 
sero le  armi.  I  Palepolitani  aveano  chiamato  a  difesa  della 
loro  città  Sanniti  e  Nolani.  Carilao  e  Ninfio  che  erano  prin- 
cipi di  quella  città  e  parteggiavano  pei  Eomani  ve  gì' intro- 
dussero mettendone  fuori  Sanniti  e  Nolani.  Si  venne  quindi 
ad  una  nuova  alleanza  con  Eoma.  Ma  Livio  non  l'appella 
foedus  Palaepolitanum,  sibbene  Neapolitanum,  mentre  a 
Eoma  si  trionfò,  de  Falaepolitanis.  Tutte  queste  partico- 
larità dimostrano  che  Palepoli  altro  non  era  che  un'acro- 
poli, una  cittadella  di  Napoli,  e  però  ivi  erano  le  forze 
militari  e  a  lei  sola  si  attribuivano  i  guasti  fatti.  Carilao 
e  Ninfio,  se  sono  quei  ohe  si  leggono  sulla  moneta,  avremo 
indi  conosciuto  quando  furono  emessi  questi  didrammi.  Po- 
tremo anche  opinare  che  la.  moneta  di  bronzo  inscritta 
Pil/V\AlilN  fu  impressa  all'occasione  del  foedus  neapolita- 
num ad  onore  dei  Eomani  e  a  dichiarazione  del  patto. 
Della  società  coi  Tarentini  fanno  prova  le  monete  coi  tipi 
di  quel  popolo,  sebbene  quando  agli  aiuti  che  i  Palepolitani 
se  ne  attendevano,  si  sa  che  furono  delusi  (Liv.  Vili,  25,  27). 
Abbiamo  anche  dei  bronzi  col  doppio  nome  di  Napoli  e  di 
Sessa,  di  Napoli  e  di  Calvi:  e  una  confederazione  fu  fatta 


T.  LXXXIV 


CAMPANIA 


83 


con  queste  due  città  e  iaoltre  con  Compulteria,  con  Piste- 
lia  e  con  Isernia,  non  prima  però  del  491,  la  cui  espres- 
sione io  ravviso  nella  sigla  1$ ,  nome  dissimulato  dal  capo 
di  essa.  Sulla  qual  sigla  di  significato  così  controverso,  che 
fu  da  un  tale  detta  perciò  enimmatica,  io  non  posso  ravvi- 
sare, che  r  iniziale  di  un  magistrato  della  natura  medesima 
che  i  tanti  nomi  accorciati,  talvolta  solitarii,  talaltra  in- 
sieme con  uno  o  due  colleghi.  Trovansi  di  fatti  questi 
esempi:  IS,  Piì;  IS  lE;  1$,  OS,  KE  veduti  e  trascritti 
dal  Carelli  e  dall'  Avellino.  I§ ,  XA  (in  monogr.)  di  mia 
collezione  non  ben  letto  ISX  dal  Carelli,  1$,  XA  yvt  in 
altro  mio  esemplare.  Nella  carelliana  Descr.  pag.  26  n.  185 
abbiano  l§ ,  NS,  non  ben  letto  JVB  dall'Avellino. 

Cotesto  IS  se  è  nome  di  magistrato,  come  ho  proposto 
rimane  a  spiegare  come  si  trovi  con  tanti  colleghi.  Pu  già 
sospettato  dal  Cavedoni  {Bidl.  iììstii.  1850  p.  197)  che  la 
sigla  le  si  riferisse  ad  una  moneta  convenzionale  di  quelle 
regioni  che  avesse  lo  stesso  peso  e  valore  per  tutte  le 
città  e  però  dovesse  spiegai'si  'I^ódooTrog  'I-ririi.(og  'I—6vo!.ioi 
0  in  simile  modo.  Ma  in  tal  caso  panni,  non  si  sarebbe 
dovuto  vederla  confusa  con  altre  cifre  e  non  interamente 
scritta. 

L' elefante  asiatico  messo  per  insegna  su  di  un  didramma 
e  sulla  corrispondente  dramma  c'insegna  che  anteriormente 
agli  appresti  per  le  guerre  annibaliche  si  era  cominciato  a  bat^ 
tere  la  dramma.  Allora  anche  dovettero  imprimere  quella  mo- 
neta di  bronzo  che  ha  per  tipo  una  testa  di  ritratto  coi  capelli 
corti  e  ricci,  e  quell'altra  che  porta  un  personaggio  caval- 
cante coperto  di  un  pileo  a  larga  falda  e  con  un  para- 
zonio  sotto  l'ascella  sinistra,  avendo  pur  la  destra  elevata. 
Non  è  un  Dioscoro  che  non  avrebbe  portato  il  parazonio 
sub  axilla,  ma  la  lancia  in  pugno:  ha  però  un'attitudine  non 
propria  di  uomo  privato,  la  destra  in  alto.  Io  vi  riconosco 
una  statua  equestre  ad  onore  di  Pirro  venuto  nel  473  in 
soccorso  delle  colonie  greche  di  Italia.  Egli  è  rappresentato 
come  nelle  monete  siracusane  (Eaoul  Rochette  Mem.  de 
numism.  Il,  pi.  1  n.  16):  ma  la  elevazione  della  destra 
dimostra  che  viene  a  liberare. 

È  una  singolarità  fra  le  colonie  greche  della  Campania  il 
diobolo  di  bronzo  o  dilitro  che  voglia  dirsi,  di  cui  ora  cono- 
sco più  di  un  esempio.  L'hanno  battuto  anche  i  Eomani 
coi  tipi  deUa  testa  di  Apollo  e  il  leone  al  riverso  :  il  suo 
peso  è  di  gr.  12,00.  I  magistrati  pongono  i  loro  nomi  in 
sigla,  anche  sul  bronzo  come  si  è  veduto,  ovvero  intera- 
mente. Di  questi  nomi  io  non  ne  conosco  sull'argento  che  sei: 
APTEMIOV,  TNAIOY,  AIO(l)ANOYS  ,  XAPIAEil ,  TAV- 
Klill,  OAVMPIS  :  onde  appare  che  fu  libero  inscriverli  in 
caso  retto  ovvero  in  obliquo,  genitivo  e  dativo.  QuelF'J^irf- 
tiiov  è  stato  trascritto  finora  ARTEMIA,  e  così  si  è  letto 
XAPIAEilS  :  i  vari  esemplari  da  me  veduti  leggono , 
XAPIAEil,  come  ho  attestato. 

Napoli  è  la  prima  che  introduce  in  Campania  il  tipo 
del  toro  androprosopo  e  lo  rappresenta  in  seg^iito  coronato 
da  una  vittorietta  sospesa  a  volo.  A  spiegare  questo  tipo 
simbolico  i  numismatici  si  sono  divisi  in  due  schiere,  l'una 


di  essi  coi  quali  è  l'Eckhel  {D.  n.  v.  I,  138  segg.)  tenendo 
che  così  fosse  rappresentato  il  Bacco  soprannominato  Ebone 
dalla  barba  ;  l'altra  che  vi  si  volesse  rappresentare  l'Ache- 
loo  fiume  dell' Acarnania,  il  cui  culto  fosse  trapiantato  in 
Campania  col  prendervi  terra  la  salma  della  Sirena  Parte- 
nope,  ima  delle  figlie  di  lui.  Questo  culto  non  si  potè  in- 
trodurre in  Napoli  se  non  quando  ebbe  un  tal  nome,  rimessa 
in  piedi  dai  Cumani,  e  ciò  dovette  accadere  avanti  al  319 
0  sia  alla  occupazione  sannitica  di  Campa,  anzi  prima  che 
cotesta  città  fosse  dominata  dagli  Etruschi.  Perocché  i  Cam- 
pani allora  coniarono  col  tipo  del  toro  androprosopo  e  greca 
epigrafe  in  pari  tempo  che  i  Napolitani,  siccome  ci  dimo- 
stra U  somigliantissimo  tipo  ed  arte  delle  monete  dei  due 
popoli.  Non  si  sa  se  fu  un'alleanza  o  qual  altro  motivo  che 
inducesse  i  Campani  ad  adottare  il  tipo  napolitano.  Allora 
fu  ricevuto  anche  in  Hyrina  ed  Alife,  poscia  lo  copiarono 
Cuma  e  Nola,  e  vi  aggiunsero  la  vittoria  coronante  il  toro, 
che  però  deve  credersi  già  introdotta  dai  Napolitani  in  segno 
e  memoria  dei  giuochi  instituiti  in  onore  deUa  Partenope. 

18.  Collezione  Luynes.  Testa  di  donna  cinta  da  ima  filza  di  perle 
ai  capelli  e  al  collo  con  pendenti  di  perle  all'orecchio  dentro 
una  corona  di  olivo,  volta  a  destra.  R.  Mezzo  bue  andro- 
prosopo che  nuota  cinto  ai  fianchi  di  zona  gemmata,  intorno 
NEHPOUS.  Pesa  gr.  7,60.  Al  costume  di  cotesto  cingolo 
bullato  intorno  al  corpo  allude  Calpurnio  Nemesiano  {Bucol. 
Ed.  VI,  40,  41): 

a  doiso  quae  totnra  circoit  alvum 
Alternai  vitreas  lateralis  cingala  buUas, 

dove  cingula  nom.  sing.  è  detto  il  cingolo  degli  animali,  no- 
tando s.  Isidoro  che:  cingula  homìnum,  cingulas animalium 
diciinus.  Il  Minervini  attesta{ Oss.  p.  67),  che  un  tridi'ammo  con 
questi  tipi  ed  epigrafe  fu  posseduto  dallo  Spinelli  principe  di 
S.  Griorgio.  L'esemplare  che  qui  pubUco  è  quello  appunto,  che 
daUa  collezione  Spinelli  passò  a  queUa  del  Luynes,  ma  è  di- 
dramma. Questa  moneta  porta  il  nome  della  città  NsrjTvoXic, 
non  degli  abitanti  che  si  dicono  NsomlÌTut.  Al  Ner/TTohg 
fa  riscontro  IIulm'TzoXig  non  nalaiónoXi^.  Strabene  scrive 
Nsàjioh:  e  NsccTiolTrca  in  comune  dialetto,  e  così  general- 
mente gli  scrittori  greci.  Pa  senso  che  il  Berkelio  nelle 
note  a  Stefano  bizantino  (pag.  584)  citi  lo  Spanemio  che 
attesta  aversi  d'ordinario  presso  i  negozianti  monete  inscritte 
NEAnOAITilN,  ma  anche  in  alcune  leggersi  NEOnOAE.TilN. 
Perocché  altra  leggenda  di  questa  epoca  non  si  ha  che 
NEOnOAITilN,  e  di  rado  NEOnOAlTEilN. 

19.  Da  un'  impronta  in  zolfo.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  lau- 

reato a  d.  R.  Bue  androprosopo  a  d.  che  ritira  indietro  il  pie'  si- 
nistro anteriore,  e  leggenda  di  sopra  NEfOUT,  a  destra  9  nel- 
l'esergo  5  e  a  sin.  un  delfino.  Un  esemplare  del  Museo  Britan- 
nico legge  egualmente  [Catal.  92, 1)  NEPOUIT,  a  destra  3  nel- 
l'esergo  S  e  a  sin.  un  delfino. 
20-22.  Pongo  tre  riversi  di  altrettante  monete  a  motivo  del 
confronto,  che  ne  porge  l'epigrafe,  la  quale  nel  n.  20  è 
rEOnOAIT,  in  fine  HS  ,  y.iovr^dóv,  nel  n.  21  è  reti'Ograda  al 
pari  del  n.  22  e  (Sovatqo(fi]Sóv,  come  ai  nn.  23,  24,  26,  29, 

n 


84 


CAMPANIA 


T.  LXXXV 


e  leggendosi  boccone  nei  nn.  21,  22  invece  di  § ,  che 
si  ha  nel  numero  20.  Dai  quali  esempi  si  può  dedurre 
che  la  finale  S  si  rappresenta  talvolta  giacente  come  un  M. 
Colla  medesima  giacitura  scrivono  i  Campani  il  S  or  boc- 
cone or  su  di  un  fianco,  e  quindi  anche  couchiuderemo 
che  mal  ci  siamo  apposti  finora  credendo  doversi  leggere 
KAAAnANO/V\  in  genitivo  plurale  di  osco  dialetto.  Ivi  è 
KAMPANOS   tutto  greco. 

23.  Museo  di  Napoli.  Testa  di  donna  messa  di  prospetto  coi 

capelli  sparsi  e  il  capo  cinto  di  larga  fascia.  R.  Bue  andro- 
prosopo  volto  a  sin.  e  sopra  NEOPOUI  ;  nell'esergo  iET. 
L'introduzione  della  vocale  lunga  H  non  trasse  seco  dunque 
il  cambiamento  del  lambda  U  in  A  :  perocché  noi  troTÌamo 
l'antico  U  congiunto  colla  ortografia  più  recente  dell' H 
euclidèo. 

24.  Coli.  Luynes.  Testa  simile  alla  precedente.  R.  Bue  volto 
a  sin.  e  (NE)OnOH;  nell'esergo  ^HT.  La  lettera  i  anteriore 
alla  §  si  trova  qui  e  nei  nn.  23,  25,  26  congiunta  colla 
L  e  colla  E  per  H.  Ma  si  è  già  avuto  esempio  del  §  con- 
giunto ad  H  ed  U  in  NEHPOUIS    del  n.  18. 

25.  Museo  Britannico  (Catal.  92,  3).  Testa  di  donna  cinta  di 
larga  benda  dalla  quale  presso  alla  fronte  spuntano  due 
foglie  e  dimostrano  una  corona  probabilmente  di  lauro. 
R.  Bue  androprosopo  a  d.,  sopra  una  conchiglia  pecteti  e 
l'epigrafe  NE)OnOL.ITES. 

26.  Museo  Britannico  {Catal.  93,  4).   Testa  di  donna  volta  a 

sin.  dietro  alla  nuca  A.  R.  Bue  androprosopo  e  sopra 
NEOPOH{T)  tra  le  gambe  del  bue  iA.  Questa  desinenza 
in  as  notata  già  dall'Ecthel  ci  è  confermata  anche  da  altri 
esempi  (V.  il  Catalogue  cit.  pag.  97,  98  nn.  39,  40,  41). 

27.  Coli.  Santangelo.  Testa  di  donna  cinta  di  diadema  volta 
a  d.,  davanti  IAOTOEU.  R.  Bue  androprosopo  volto  a  sin. 
sopra  n031/l  ;  nell'esergo  un  serpe  marino  ideale  a  testa 
di  cavallo  (cf.  tav.  LXXIII,  33). 

28.  Testa  di  donna  volta  a  d.  R.  Bue  androprosopo  a  sin.  sopra 

NEOPO.  In  questi  due  numeri  27,  28  i  capelli  corti  e  la 
omissione  dei  pendenti  e  della  collana  sono  singolari.  Era 
pertanto  tradizione  che  Partenope  approdando  a  Napoli  si 
tagliasse  i  capelli. 

29.  Avellino,  Opuso.  II,  3,  5.  Testa  laureata  di  Apollo  volta  a  d. 

R.  Bue  androprosopo  a  sin.  sopra  n03(M);  nell'esergo  THS. 
80.  Collezione  Santangelo.  Testa  di  donna  cinta  di  diadema  volta 
a  d.  R.  Bue  androprosopo  e  sopra  MEOI. 

31.  Collezione  Luynes.  Testa  di  donna  di  prospetto  coi  capélli 

sparsi  e  decorata  d'alta  stefane  con  palmette  e  pegasi  e 
una  filza  di  perle  intorno  al  collo.  R.  Bue  androprosopo  co- 
ronato dalla  Vittoria,  tra  le  gambe  fAVZIill;  nell'esergo 
leggenda  di  carattere  cieco  per  difetto  di  conio  preso  a 
torto  per  fenicio. 

32.  Collezione  mia.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  ornato  di 
laurea  e  di  una  civetta.  R.  Bue  androprosopo  volto  a  sin. 
e  coronato  dalla  Vittoria:  nell'esergo  NEOPOAIT. 

33.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  ornata  di  pendenti  e  di  una  filza 
di  perle  intorno  al  collo  volta  a  sin.  dietro  la  nuca  un  ele- 
fante.  R.  Bue  androprosopo  coronato  dalla  Vittoria  :  tra  le 


gambe  81,  nell'esergo  NEOPuAITilN,  L'insegna  dell'ele- 
fante dinota  che  cotesto  didramma  fu  battuto  dopo  l'ar- 
rivo di  Pirro. 

34.  Coli,  mia  fior  di  conio.  Testa  di  donna  diademata  con  pen- 
denti e  collana  volta  a  d.  /?.  Bue  androprosopo  coronato 
dalla  Vittoria  :  nell'esergo  NEOnOAITHg . 

35-38.  Coli.  mia.  I  tipi  di  questi  didrammi  sono  simili  ai  due  pre- 
cedenti: i  simboli  e  le  epigrafi  sono  i  seguenti:  n.  35.  Die- 
tro la  testa  della  donna  coperchio  forse  di  un' ara  accesa, 
forse  della  incudine  su  cui  si  conia  la  moneta,  sotto  al 
collo  APTEMIOY.  R.  OE  nell'esergo  (NEOP)OAIT;  n.  36. 
Dietro  la  testa  una  giovinetta  daduca  con  due  fiaccole  nelle 
mani,  sotto  il  collo  APTEMI.  R.  Tra  le  gambe  del  bue  N, 
neir  esergo  NEOHOAITilN  ;  n.  37.  Dietro  la  testa  della 
donna  un  grappolo  d'uva,  sotto  il  collo  A10(1)AN0Y§. 
R.  Nell'esergo  NEOPOAITilN  ;  n.  38.  Dietro  la  testa  della 
donna  una  daduca,  sotto  al  collo  PAPME.  R.  Tra  le  gambe 
del  bue  un'ape,  nell'esergo  NEOPOAITIIN. 


Tav.  LXXXV. 

1,2.  Le  due  monete  rappresentate  qui  dalla  sola  parte  del  dritto 
compiono  la  serie  delle  monete  insignite  di  nomi  o  inte- 
ramente scritti  ovvero  in  piti  di  una  sillaba  e  solite  citarsi 
da  coloro  che  trattano  definire  se  questi  siano  nomi  di  ar- 
tefici dei  conii  ovvero  di  magistrati.  In  primo  luogo  vi  è 
XAPIAEil  si  vorrebbe  che  costui  fosse  quel  Carilao  che  con 

V 

Ninfio,  a  cui  si  attribuisce  la  moneta  col  N  aprì  le  porte 
di  Palepoli  ai  Romani  escludendone  con  arte  la  guarnigione 
sannitica.  In  secondo  luogo  pongo  il  NionoXir  che  si  legge 
in  un  esemplare  al  quale  non  manca  sul  riverso  il  nome 
NEOnOAITilN.  Si  hanno  anche  qui  nelle  mie  tavole  monete 
di  popoli  che  vi  si  inscrivono  ripetutamente  sul  dritto  e 
sul  riverso  ;  ma  è  notabilissimo  che  questo  Nsonahr  abbia 
preso  posto  dove  si  sogliono  leggere  i  nomi  proprii  di  per- 
sone. 

3-5.  Si  danno  esempi  di  piìi  nomi  inscritti  sul  dritto  n.  3  §  TA,  X  : 
0  veramente  insieme  sul  dritto  e  sul  riverso  n.  4  OA, 
OAYM(PI§  ).  Al  n.  5  v'  è  un  esempio  di  nome  OYIA,  che 
non  è  di  greca  origine. 

6.  Coli.  Santangelo.  Testa  muliebre  cinta  di  largo  diadema  ri- 
camato a  meandro  e  annodato  sulla  fronte,  con  orecchino 
a  tre  pendenti,  TQiyhjvr],  volta  a  d.  R.  Bue  androprosopo 
volto  a  d.  coronato  dalla  Vittoria:  nell'esergo  AOIPYiiNA. 
La  publicò  il  Minervini  (pag.  71),  che  vi  lesse  un'  epi- 
grafe di  carattere  punico  nei  due  esemplari  allora  noti 
(Oss.  num.  t.  Illn.  4;  VII,  3,  pag.  54).  Un  terzo  esemplare 
nitidissimo  si  possiede  ora  dal  sig.  Dom.  Bellini  in  Campo- 
basso. Osservati  attentamente  i  caratteri  di  coteste  monete, 
ecco  il  parer  mio. 

Non  v'  è  dubbio  che  talune  lettere  espresse  dal  Minervini 
siano  fenicie,  o  meglio  puniche,  e  però  non  avendo  consultato 
l'originale  si  poteva  solo  discutere  sul  valore  del  senso.  Il  duca 
de  Luynes  se  mai  ebbe  una  volta  questi  caratteri  per  fe- 
nicii,  come  al  Minervini   scrisse   il  Eochette  {Oss.  p.  56), 


T.  LXXXV 


CAMPANIA 


85 


certo  parlandone  meco  tenne  un  contrario  linguaggio.  Ora 
considerata  l'originai  moneta  il  parer  mio  è  che  l'epigrafe 
tuttoché  barbara  e  retrograda  ostenta  nuUadimeno  elementi 
greci  e  tali  che  si  possono  interpretare  per  Nsvnoh,  erro- 
neamente scritto  Nsi'TTiol.  Dove  l'italico  II  prende  il  luogo 
di  E,  r  O  si  vede  cambiata  in  Y,  di  ohe  abbiamo  altri  esem- 
pi nel  greco  dialetto  di  Napoli  che  però  pare  fosse  l'eolico 
quando  fu  coniata  questa  moneta.  Anche  l'Ahrens  ha  no- 
verato et'  per  eo  come  eolico  (de  dial.  aeol.  pag.  103). 
Il  novello  esemplare  recatomi  dal  sig.  Bellini  dà  la  chiara 
leggenda:  AOPYiM. 

7.  È  un  simile  esempio  di  erronea  leggenda  iiE/vTOii  in  moneta 

di  bello  stile.  Nel  Museo  di  Marsiglia  lessi  già  in  moneta 
di  Napoli  chiaramente  NEOAHO. 

8.  Collezione  Santangelo.  Testa  di  ApoUo  cinta  di  laurea  con 

capelli  ricci  ;  volta  a  d.  davanti  NEOPO.  E.  Cavaliere  nudo 
con  clamide  svolazzante  che  armato  di  elmo  corre  vibrando 
un  giavellotto. 

9.  Esempio  della  dramma  che  reca  i  tipi  comimi.  Testa  di  donna 

volta  a  sin.  dietro  un  cornucopia.  R.  Bue  andi'oprosopo  co- 
ronato dalla  Vittoria  ;  fra  le  gambe  l§  :  nell'  esergo  NEO- 
POMTflN.  Le  lettere  1$  si  trovano  ancora  nei  didrammi. 
10,11.  Nel  Museo  di  Napoli.  Testa  giovanile  del  fiume  Sebeto 
con  corno  sulla  fronte  e  cinta  di  diadema:  intomo  nel 
n.  10  si  legge  5EP..QOS  e  n.  11  SEPEI..5  onde  io  inver- 
tendo anche  l'erroneo  0OSSEPE  che  si  era  letto  dal  Eic- 
cio,  ti-assi  la  intera  leggenda  5EPEI005.  R.  Donna  alata 
sedente  con  ramo  di  lauro  nella  sin.  ed  ha  da  presso  im'urna 
giacente.  Essa  è  seminuda  ed  in  atto  di  volgersi  indietro 
e  guardare  in  alto.  Nel  n.  10  la  donna  alata,  porta  la  dèstra 
ad  un  monumento  di  forma  incerta  e  non  le  si  vede  il 
ramo  nella  sinistra.  E.  peso  delle  due  monete  è  di  gr.  0,61 
cioè  di  un  hemiecta,  pesando  allora  lo  statere  di  Napoli 
gì'.  7,40  in  circa.  Questa  imagine  non  fu  ben  interpretata 
finora  nelle  due  edizioni  che  se  ne  sono  fatte  fra  noi. 

12.  Testa  giovanile  con  capelli  corti  cinti  di  laurea,  volta  a  d. 

R.  Testa  di  prospetto  del  bue  androprosopo,  di  sopra  è  la 
stessa  cifca  X. 

13.  CoUezion  mia.  Testa  giovanile  coperta  di  pelle  leonina  volta 
a  d.  intorno  NEOPOAITH^ .  R.  Donna  alata  sedente  e 
volta  a  sinistra. 

14.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  laureato  volta 

a  d.  R.  Mezzo  bue  androprosopo  a  sin.,  sopra  NEOPO, 
pesa  gr.  0,61. 

15.  Nel  Museo  Britannico  (Catal.  104,  97;  AveUino,  Opusc.  U, 

3,  6;  Eiorelli,  Ann.  di  Numism.  tav.  3,  6).  Testa  di  Pal- 
lade con  elmo  alato  volta  a  d.  R.  Mezzo  bue  androprosopo 
volto  a  sin.  sopra  NEoft. 

16.  (Minervini,  Rull.  arch'.  napol.  VI  tav.  VII,  5).  Testa  di 
Pallade  coperta  di  elmo  laureato  volta  a  d.  R.  3M  inse- 
rito dentro  la  nota  H  che  dinota  l'emiobolo. 

17.  Testa  di  PaUade  coperta  di  elmo  volta  a  d.  R.  Conchiglia 

e  sopra  NEO. 

18.  Nel  Museo  Britannico  {Catal.  p.  96  n.  24).  Testa  di  donna 

cinta  di  diadema  volta  a  d.  R.  Conchiglia  e  NE. 


19.  Nel  Museo  Britannico  {Calai.  95,  21).  Testa  nuda  con  grosso 

gruppo  di  capelli  alla  nuca  e  lettera  A.  R.  Mezzo  bue  an- 
droprosopo a  d.  sul  cui  dorso  stassi  una  civetta:  intomo 
è  la  leggenda  NE(0)P(0)A. 

20.  Nel  Museo  Britannico  {Calai.  95,  17).  Testa  di  Pallade 
coperta  di  aulopide  volta  a  d.  ed  epigrafe  0(3)1/1.  R.  Mezzo 
bue  androprosopo  e  intorno  03H. 

21.  Museo  Britannico  {Calai.  95,  18).  Testa  di  Pallade  e  nella 

collezione  mia  coperta  di  aulopide  volta  a  d.  intorno  0(3H). 
Nella  coli.  Luynes  là  leggenda  è  intera  NEO.  R.  Protome 
del  bue  androprosopo  volto  a  sinistra. 

22.  (Fiorelli,  Mon.  ined.  I,  3).  Elmo  aulopide.  R.  Conchiglia  e 
sopra  N. 

23.  24.   Testa  di  Apollo  coi  capelli   corti  volta  a  d.  :  sotto  al 

mento  API  in  mon.  R.  Ercole  sulle  ginocchia  che  strozza 
il  leone;  sopra  (NEOP)OAITilN.  Nell'esemplare  n.  24  dove 
la  leggenda  è  intera,  manca  il  monogramma,  e  v'è  al  ri- 
verso la  clava  dietro  di  Ercole. 

25,  26.  Testa  laureata  di  ApoUo  coi  capelli  lunghi  e  ondulati 
volta  a  d.  R.  Vittoria  che  guida  una  biga  di  cavalli  a  d. 
Nel  n.  26  v'è  sul  dritto  l'epigrafe  NEOPOAITilN,  e  nel- 
l'esergo  del  riverso  TA.  la  Vittoria  guida  a  sinistra. 

27,  28.  Testa  di  Apollo  coi  capelli  lunghi  coronata  di  lauro,  a 
destra.  R.  Gallo  che  canta.  Nel  n.  28  v'è  al  dritto  l'epi- 
grafe NEOPOAITilN  e  al  riverso  l'astro  del  mattino  su  in 
alto  dietro  del  gallo. 

29.  Bronzo  del  Museo  di  Arezzo.  Testa  di  Apollo  coronata  di  lauro 
volta  a  d.  e  NEOPOAITilN.  R.  Bue  androprosopo  volto 
a  d.  sopra  astro,  tra  le  gambe  03  nell' esergo  E.  Pesa  gr.  12,00, 
Nel  Museo  Britannico  {Catal.  110,  158)  se  ne  ha  un  esem- 
plare che  pesa  gr.  14,00.  Ho  già  notate  trattando  delle 
monete  battute  dai  Eomani  nelle  città  del  Lazio  che  ve  ne 
sono  di  quelle  che  raggiungono  come  cotesto  napolitano 
nel  peso  il  doppio  obolo  o  litra  di  bronzo  che  si  debba  dire. 

30.  Nella  collezione  mia.  Testa  di  Apollo  volta  a  sin.  davanti 

NEOPOAlTilN.  R.  Bue  androprosopo  coronato  dalla  Vit- 
toria: tra  le  gambe  12.  Moneta  ribattuta  sopra  una  di  Calvi 
deUa  quale  si  è  conservato  abbastanza  il  nome  che  è  in 
greca  lingua  senz'altro  esempio:  KAAH(NflN). 

31.  Bronzo  del  Museo  di  Vienna  simile  pei  tipi  al  precedente 
n.  30.  V'è  di  proprio  soltanto  un  astro  nell'esergo  del  ri- 
verso, e  sul  corpo  del  bue  l'impronta  VESA  della  moneta 
di  Suessa,  donde  deduciamo  che  questi  bronzi  sono  con- 
temporanei 0  posteriori  a  quelli  di  Sessa  fatta  colonia  romana 
nel  441. 

32.  Dalla  collezione  mia  passata  al  parigino  Gabinetto  delle  me- 

daglie. I  tipi  sono  gli  stessi  che  nei  due  bronzi  precedenti: 
v'è  di  proprio  il  P  dietro  la  nuca  di  ApoUo  e  l'epigrafe 
desinente  in  Sì..  Nel  riverso  è  un  astro  fra  le  gambe  del 
toro,  e  nell'esergo  si  legge  CAUENO. 

33.  Questo  secondo  esemplare  deUa  confederazione  di  Napoli  e 
Calvi  si  ha  nel  Museo  di  Vienna;  la  lezione  del  dritto  è 
NEOPOAITilN  nel  riverso  il  bue  a  volto  umano  non  è 
coronato  dalla  Vittoria,  in  cui  vece  è  in  quel  posto  una 
lira,  fra  le  gambe  vi  si  legge  un  C  e  nell'esergo  CAUENO. 


86 


CAMPANIA 


T.  LXXXVI 


34.  Nel  Museo  di  Napoli  (MineiTini,  Ois.  tav.  VI,  11).  Sul  dritto 

è  come  nei  nn.  30,  31,  33  nel  riverso  v'è  la  leggenda  l§ 
fra  le  gambe  del  bue  omessa  dall'  incisore  del  Minervini 
e  nell'esergo  5VESAN.  In  Andria  presso  D.  Lorenzo  Troya 
ne  ridi  molti  anni  addietro  un  altro  esemplare.  Testa  di 
ApoUo  volta  a  sinistra  e  ivi  SVESANO,  dietro  alla  nuca  N. 
R.  Toro  a  volto  umano  coronato  dalla  Vittoria  volto  a  d. 
tra  le  gambe  ig    e  intorno  a  sin.  (NEO)nOAIT. 

35.  Nel  Museo  di  Napoli.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d. 
avanti  NEOPOAITCON.  R.  Bue  androprosopo,  sopra  il  busto 
raggiante  del  sole  di  prospetto  fra  le  due  lettere  <t)l  :  tra 
le  gambe  del  bue  si  hanno  due  monogrammi  TA63  AE. 

36.  I  due  esemplari  dati  dal  Minervini.  Testa  di  Apollo  lau- 
reata a  d.  NEOPOAITilN.  R.  Bue  androprosopo  a  d.  Sopra 
astro  ad  otto  raggi  :  nell'esergo  MA...  /V\A0..,  sono  segnate 
coi  punti  come  monche.  Un  mio  esemplare  col  MA  non 
lascia  dubbio  che  la  leggenda  è  intera. 

37.  Dalla  collezione  mia.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin. 

innanzi  un  N  e  alla  nuca  P.  R.  Bue  androprosopo  volto  a 
sin.  sopra  del  quale  è  un  cratere  a  due  manichi  e  nel- 
l'esergo MIA. 

38.  Nel  Museo  di  Napoli  (Avellino,  R.  M.  Rorhon.  IL  48,  5). 
Testa  di  Apollo  volta  a  d.  R.  Onfalo  e  lira  verso  la  quale 
una  Vittoria  vola  portando  la  corona  nella  destra  e  nella 
sinistra  la  tenia:  Cuin  corona  et  taeniis.  Nell'esergo  NEO- 
nOAITilN.  La  tenia  fu  omessa  nel  disegno  che  ne  trasse 
l'Avellino.  Di  sotto  NEOPOAITilN. 

39.  40.  Do  qui  due  bronzi,  nei  quali  alla  testa  di  ApoUo  si 
vede  congiunto  al  riverso  la  lira  e  la  cortina  di  lui  :  nella 
prima  v'è  di  più  un  ramo  di  lauro  a  cui  è  annodato  un 
nastro  svolazzante  e  nella  seconda  un  bucrauio,  supplendosi 
poi  il  lauro  da  ramoscelli  che  intorno  cingono  la  rete  della 
cortina.  L'epigrafe  del  dritto  è  nel  primo  bronzo  3PA  nel 
secondo  IP  :  inoltre  nell'esergo  del  primo  è  NEOPOAITIIN 
con  \m  fulmine,  in  quello  del  secondo  (NEO)PO  AI(T....) 


Tav.  LXXXVI. 

1.  Testa  di  Apollo  volta  a  d.  coi  capelli  che  gli  cascano  lisci  alla 

nuca  e  sono  cinti  di  un  ramo  di  lauro  con  foglie  e  frutti 
che  diconsi  bacche.  R.  Mezzo  bue  androprosopo  con  un  astro 
a  quattro  raggi  in  rilievo  sul  fianco. 

2.  Testa  di  ApoUo  laureata  e  volta  a  d.  R.  Mezzo  bue  andro- 

prosopo nuotante  sulle  onde.  Ho  inciso  questo  bronzo  per 
dimostrare  che  non  è  come  si  credette  dal  Eiccio  [Reper- 
torio pag.  VI  p.  27  e  n.  30)  e  dal  Minervini  (Oss.  tav.  I 
n.  4  p.  48)  a  bocca  aperta  sgorgente  im  grosso  zampillo  di 
acqua  quale  anche  il  disegno  lo  rappresenta.  Io  ho  avuta 
nelle  mani  cotesta  moneta  e  non  vi  ho  trovato  che  un 
apparente  zampillo  formato  dall'ossido  e  a  bocca  chiusa, 
disotto  alla  quale  e  di  mezzo  alla  barba  comincia  questo 
illusorio  filo  di  acqua.  La  lira  descritta  ed  espressa  dagli 
editori  a  sinistra  non  l'ho  disegnata,  perchè  non  1'  ho  po- 
tuta scoprire.  L'epigrafe  legge:  NEOPOAITI... 

3.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d.  con  capelli  lunghi  e  av- 


volti alla  nuca.  R.  Mezzo  bue  androprosopo  ed  epigrafe 
NEO(PO)ACTEnN.  Sul  collo  del  bue  è  notabilissima  la 
figura  dell'ala  di  sparviere  o  scarabeo  che  pur  si  trova  di- 
pinto sugli  Api  di  Egitto,  non  meno  che  l'astro  sul  fianco  di 
essi  [Ailièn.  frane.  1855  pag.  54).  Il  Mariette  avrebbe  potuto 
pensare  a  decorazioni  dipinte  su  quell'animale  sacro,  delle 
quali  sembra  essersi  fatta  imitazione  dai  Greci  di  Napoli. 

4.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  R.  Mezzo  bue  andro- 

prosopo volto  a  d.  con  un  §  inscritto  nel  campo  a  sin.  e 
(N)EOPOAITE  di  sopra. 

5.  Bronzo  simile  al  precedente  n.  4  ma  la  lettera   nel    campo 

a  sin.  è  un  P. 

6.  Testa  di  Apollo  volta  a  sin.  davanti  NEOPO.  R.  Mezzo  bue 

androprosopo,  sopra  delfino,  nel  campo  a  sin.  §  .  A  togliere 
il  sospetto  che  questo  §  nei  due  nummi  4  e  tì  avesse  un 
valore  di  cifra  dinotante  metà,  ho  dato  questo  n.  6,  nel  quale 
ricorre  l'S ,  quantunque  il  pezzo  sia  la  quarta  parte  del 
nummo.  Collo  stesso  intento  ho  hato  il  n.  5,  dove  in  luogo 
della  lettera  S  è  un  P,  e  nondimeno  ancor  questo  bronzo 
pesa  la  metà  dell'intero  nummo. 

7.  Nel  Museo  Britannico  {Catal.  398,  1).  I  tipi  sono  gli  stessi 

dei  nn.  4,  5,  6,  l'epigrafe  è  NEOPOAi  a  cui  è  soprascritta 
la  sillaba  finale  TilN.  Nel  Catalorjue  non  è  stato  notato 
il  peso,  ma  pare  dal  confronto  di  altro  simile  bronzo  di  mia 
collezione  che  sia  la  parte  quarta  del  nummo.  Queste  fra- 
zioni appartengono  ad  un'epoca  nella  quale  non  si  batteva 
il  mezzo  nummo  col  bue  androprosopo  coronato  dalla  Vit- 
toria, che  si  vede  espresso  nel  n.  seguente. 

8.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  R.  Bue  androprosopo 

coronato  dalla  Vittoria  volto  a  d.,  nell'esergo  NEOPOAITilN. 

9.  Testa  giovanile  con  corti  capelli  diademata  volta  a  d.  R. 

Cavallo  libero  che  corre  a  d.  sotto  fra  le  gambe  un  ful- 
mine, sopra  NEOPOAI... 

10.  Testa  di  Diana  coronata  di  lauro  volta  a  d.  con  pendenti 

agli  orecchi  e  una  filza  di  perle  al  collo:  dietro  la  nuca 
spunta  l'arco  e  la  faretra.  R.  Cornucopia  e  intorno  NEO- 
POAITilN;  nel  basso  AP  in  mon.  e  un  astro. 

11.  Testa  giovanile  nuda  con  capelli  corti  volta  a  d.  dietro  la 

nuca  un  astro.  R.  Cavaliere  coperto  di  pileo  conico  con 
clamide  svolazzante  che  galoppa  a  sinistra  elevando  al  cielo 
la  destra;  sotto  nell'esergo  N)EOPOAI  tra  le  gambe  del 
cavallo  PO.  In  altro  esemplare  AY. 

12.  Simile  tipo  nel  dritto,  ma  il  cavaliere  del  riverso  porta 
un  parazonio  sotto  l'ascella  sinistra  e  la  clamide  vi  è  omessa; 
di  sotto  è  scritto  A§  ,  e  nell'  esergo  NEOPOAIT.  Non  si 
può  dire  che  questo  personaggio  sia  uno  dei  due  Castori. 

13.  Nella  collezione  mia.  Elegantissimo  nummo  con  testa  di 

riti-atto  in  formam  Afollinis  volta  a  sin.  e  coronala  di 
alloro.  R.  Tripode  ed  epigrafe  NEOPOAITilN. 

14.  Testa  di  ApoUo  laureata  e  volta  a  sin.  dietro  la  nuca  una 
cornucopia.  R.  Tripode  ed  epigrafe  NEOPOAITUN. 

CAMPANI 

T.  Livio  dice  che  la  città  di  Volturno,  la  quale  ora  s  i 
chiama  Capua  fu  (nel  352)  presa  dai  Sanniti  (IV,  37)  Voi- 


T.  LXXXVI 


CAMPANIA 


87 


liirnuin,  Etrtiscoruni  urbeiìi,  quac  nunc  Capua  est,  ab 
Samnitibus  caplam.  Ma  egli  si  sbaglia;  perchè  la  città  di 
Volturno  omonima  al  fiume  fu  dodici  miglia  distante  da 
Capua,  ove  ora  è  Castel  Volturno,  cioè  alle  foci  del  fiume 
e  la  città  dei  Campani  deuomiuossi  Campa  fin  dal  309,  nel 
quale  anno  secondo  Diodoro  Siculo  la  gente  campana  co- 
minciò ad  aver  vita  civile  e  proprio  nome  (L.  XII,  31); 
stì-i'og  ràr  Kaf.i7iavwv  avriOTrj.  11  nome  di  Capua  non  è 
anteriore  al  319  nel  qual  anno  fu  occupata  dai  Sanniti  che 
nel  332  cacciarono  gli  Etruschi  da  Volturno. 

La  moneta  campana  deve  chiudersi  fra  due  limiti  il  309 
e  il  319.  I  Campani  hanno  comuni  coi  Napolitani  1'  arte, 
il  tipo  e  la  paleografia,  se  non  che  i  Napoletani  fanno  uso 
promiscuo  deU'i  e  S ,  i  Campani  non  già,  che  adoperano 
costantemente  il  secondo  sigma.  U  peso  ordinario  di  cotesto 
monete  campane  è  simile  a  quello  degli  stateri  di  Cuma  e 
di  Napoli.  L' alfabeto  dei  Campani  è  il  greco  gionico,  la  orto- 
grafia è  queUa  degli  osci  grecizzati.  Essi  scrivono  il  loro  nome 
in  più  modi  KAMPANOS ,  KAPPANOS ,  HAMPANOS , 
APPANOS ,  non  mai  KaTTvavóg:  la  loro  città  non  si  chiamava 
dunque  Kanva,  ma  Kàiina,  come  anche  dimostra  il  KA/V\- 
PANUN  ritenuto  dai  Campani  di  Sicilia,  e  per  assimilazione 
KarrTru  ('),  e  la  lettera  iniziale  nella  loro  pronunzia  si  affievo- 
liva cambiandosi  in  aspirata  e  però  anche  si  ometteva.  I 
Eomani  dovevano  sapere  che  una  colonia  falisca  prese  una 
volta  stanza  in  Capua  perchè  la  porta  che  menava  a  Capua 
r  appellarono  Porta  Capena  (").  Grli  Osci  erano  sabini  di 
origine  come  i  Ealisci  :  la  città  capitale  di  costoro  si  disse 
Capena  presso  alla  quale  v'era  un  campo  che  chiamavasi 
stellate  e  un  altro  campo  stellate  si  trova  nella  campagna 
di  Capua.  La  notizia  viene  da  Verrio  Placco  (Pest.  p.  343): 
Stellati{na  tribus  dieta  non  a  campo)  eo  qui  in  Campania 
est,  sed  eo  qui{prope  abest  ab  urbe  Ca)pena,  ex  quo  Tu- 
sci  profecti  st(ellatinuìn  illuni  campum  appeilaverunt). 
Nel  qual  passo  è  necessario  intendere  per  Tusci  gli  Osci 
Tirreni,  perchè  i  Tusci  non  sono  di  origine  sabina,  né  Pa- 
lisea.  Questi  Tusci  secondo  Plinio  possedettero  anche  la 
campagna  dove  i  Eomani  allogarono  poscia  i  Picentes  fra 
Nocera  e  il  Sele.  Alla  voce  patronimica  KAAAPANOS  fu 
sostituita  EuTivcaói  nome  derivato  dall'osco  sannitico,  HHR)!, 
nella  qual  lingua  come  nella  etrusca  il  vau  fa  anche  le 
veci  di  u  vocale  come  WVHIci>lìVH  equivale  a  Novxgiraiv. 
I  Sanniti  osci  di  Capua  ristabilirono  tardi  la  loro  zecca, 
cioè  alla  metà  incirca  del  secolo  quinto  di  Koma:  il  loro 
argento  pesa  gr.  5,90  ;  5,49,  il  bronzo  è  decimale  :  l'unità 
maggiore  del  peso  di  due  once,  analoga  all'asse  sestan- 
tario  romano.  La  serie  di  questo  bronzo  porta  le  stelle  per 
nota  di  valore  e  vi  fu  anche  una  emissione  posteriore  ana- 
loga all'asse  onciale.  In  questa  serie  adoperano  i  globetti 


(')  Non  fo  conto  del  passo  di  Ecateo  (fr.  27),  nel  qnale  si  deriva  da 
KÓTiv;  il  nome  di  Kdnvcc  {Ap.  Slepli.  s.  v.).  Essa  è  un'aggiunta  poste- 
riormente fatta,  la  quale  suppone  accettata  la  tradizione  del  frigio  Ca- 
pijs.  che  prese  vigore  dopo  l'anno  417,  quando  Capua  divenne  prefet- 
tura dei  Eomani. 

(')  Stefano  la  chiama  Kàniyytc 


per  nota  di  valore.  La  prima  non  ha  che  sestanti  ed  once, 
la  seconda  corre  intera  dall'asse  all'oncia:  ambedue  però 
seguono  il  sistema  decimale  usitato  nelle  regioni  transap- 
penuiue.  Emisero  anche  contemporaneamente  monete  sul 
sistema  delle  città  greche,  oboli  ed  emioboli. 

15.  Nel  Museo  Britannico  {fiatai,  p.  75,  3)  forse  quel  medesimo 

esemplare  che  fu  del  Sambon  (Minervini,  Oss.  tav.  IV  n.  3). 
Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  attico  volta  a  d.  E.  Bue 
androprosopo  gradiente  a  sin.  :  di  sotto  del  listello,  dove 
poggia  le  zampe,  un  doppio  ramo  di  lauro,  in  alto  KA/V\- 
PANOA'.  L'ultima  lettera  non  è  compita;  pare  però  che 
si  debba  leggere  col  Minervini  e  col  Poole  KA/V\PANON. 
Negli  esemplari  da  me  finora  esaminati  non  ho  trovato 
esempi  del  KA/V\PANOW\  :  ben  ve  ne  ha  di  quelli  che  re- 
cano KAN\PANO  sopra  del  toro  e  un  /V\  fra  le  gambe  dove  il 
Millingen  [Cons.  p.  14)  ammette  im  W\  o  un  N.  Io  non  ne 
conosco  esempi,  tutti  quelli  che  ho  veduti  danno  costantemente 
un  M  tra  le  gambe,  e  di  rado  davanti  a  destra.  Si  è  fatta 
questione  se  qitell'M  debba  cougiungersi  col  KA/V\PANO  o 
no.  L'  Eckhel  {Doct.  n.  Vet.  I  p.  108)  ha  opinato,  1'  Avel- 
lino vi  assente  (Ital.  num.  I,  32)  e  dietro  di  lui  il 
Cavedoni  {ad  Carell.  tab.  LXIII,  7),  che  debba  separarsi  : 
a  me  pai'e  il  contrario.  I  Campani  scrivono  interamente  in 
greca  ortografia  KAMPANOS,  e  forse  KAW\PANON.  Que- 
sto nome  è  tutto  in  linea  retta  di  sopra  del  bue,  ma  tal- 
volta seguono  i  Napolitani  che  scrivono  in  linea  retta  segui- 
tamente,  ovvero  di  modo,  che  le  ultime  lettere  girano  quasi 
sparse  e  disseminate  nel  campo  e  anche  neU'esergo.  Nel 
qual  andamento  circolare  si  vede  la  $  da  un  lato  e  tal- 
volta giacente  in  guisa  di  /V\  tra  le  gambe  del  bue.  Siano 
esempi  i  nn.  21,  22  della  tav.  LXXIV.  Oseremo  noi  di  as- 
serire che  i  Napolitani  hanno  scritto  NEOPOAITHM  ?  ov- 
vero NEOPOAITH  e  staccare  così  l'ultima  lettera?  certo 
che  no.  Tal  è  il  caso  delle  monete  campane.  Dicasi  dun- 
que che  in  cotesti  luoghi  la  lezione  è  KA/V\PANOS ,  quan- 
tunque paia  KAW\PANO/V\.  Un  simile  scambio  di  giacitura 
della  è ,  si  può  notare  in  un  didramma  di  Turio  del  mu- 
seo di  Vienna  dove  si  legge  suUa  base  del  toro  MOAO$  - 
§  0/V\  in  luogo  di  MOAOS  2  Og  . 

16.  Nel  Museo  di  Napoli.  Testa  di  Pallade  coperta  di  semplice 

elmo  attico  volta  a  d.  R.  Bue  androprosopo  tra  le  cui  gambe 
una  cicogna,  sopra  KAPPANO  e  separatamente  l'ultima  let- 
tera N\  ossia  $ .  Il  Cavedoni  non  si  è  apposto  giudicando 
che  l'uccello  possa  essere  del  genere  dei  falconi  {Bull.  Inst. 
1850,  198).  Egli  anche  ammette  col  Friedlaender  KA/V\- 
PANON  e  KAPPANON. 

17.  Nel  Museo  di  Monaco.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  lau- 

reato volta  a  d.  R.  Bue  androprosopo  e  leggenda  retrograda 
gOUAHXA.  Questa  è  la  tanto  celebre  moneta  data  dall'Avel- 
lino ad  Arpi  (Opwsc.  Ipag.  151  tav.  I,  4),  perchè  vi  lesse 
^OUAHSA-  Ma  contro  ad  attribuzione  così  nuova  sorsero 
i  numismatici,  fra  i  quali  furono  il  Priedlaender  e  il  Momm- 
sen,  il  Eochette  e  il  Lenormant  nei  luoghi  citati  dal  Mi- 
nervini  {Oss.  pag.  92  nota  8).  Nondimeno  il  Cavedoni  la 
sostenne  {Bull.  inst.  1853  p.  125).  Il  didi-ammo  veduto  da  me 


CAMPANIA 


T.  LXXXVI 


ha  veramente  50MAn>IA,  che  si  può  ridurre  a  §OHAmA>l 
trasposta  la  prima  lettera,  ovvero  ad  §OHAmA  omessa 
la  iniziale  K,  come  nei  due  didrammi  dei  nn.  19, 20.  AlFried- 
laender  parve  un  abbaglio  dell'Avellino  questo  JOKIAnflA 
invece  di  KAPPANOS,  la  qual  condanna  sembrò  al  Cave- 
doni  acerba  di  troppo  e  cotale  abbaglio  stimò  quasi  incre- 
dibile in  quel  numismatico  {Bull.  cit.  p.  204).  Il  Momm- 
sen  ritrattò  poscia  la  sua  condanna  e  scrisse  (G.  de  la 
m.  I  p.  255),  che  prima  dell'  Avellino  l' Ignarra  avea  detto 
di  veder  APPANOS  e  l'Avellino  ARPAN05,  retrogrado: 
ma  si  potrebbe,  die'  egli,  credere  errore,  se  non  vi  fosse 
l'esemplare  in  Monaco  che  ne  giustifica  la  lezione  del- 
l'Avellino. «  MM.  Ignarra  et  Biccio  (Mon.  di  eiltà  p.  37) 
ont  cru  voir  la  legende  APPANOS  et  Avellino  [Opusc.  II 
p.  151  pL  /n.  4)  ARPANOS  retrograde.  Le  type  campanien 
et  une  legende  qui  se  rapproche  tellement  de  KAPPANOS 
pourraient  faire  croire  à  uue  erreur  et  (aire  hésiter  sur 
l'attribution  qui  en  a  été  faite  à  Arpi,  mais  Vexernplaire 
de  Munich  justifie  complètement  la  lecon  d'Avellino  ».  Ma 
è  pur  troppo  vero,  che  cotesto  esemplare  legge  §  OHfn>IA 
che  però  deve  dirsi  un  errore  dell'  incisore  del  conio  in  luogo 
di   SOl/lAmA. 

18.  Questo  didrammo  simile  pei  tipi  al  precedente  n.  17  se 
ne  distingue  pel  eambio  del  K  in  H  nel  nome  ^Ol/IAn/V\AH.  Lo 
pubblicai  quando  era  nella  collezione  mia  (Bull.  arch.  napol. 
p.  66,  t.  IV  n.  6)  e  allora  lessi  HVR  sotto  il  collo  della  Pal- 
lade.  L'esemplare  che  ora  posseggo  non  ha  questa,  né  veruna 
altra  leggenda  nel  luogo  indicato.  La  cicogna  che  abbiamo 
notata  nel  n.  16  qui  è  davanti  al  bue  androprosopo  e  le 
ravvicina  ambedue.  Scrivevasi  adunque  contemporaneamente 
KAPPANOg    e   §01/lAnfV\AH. 

19,  20.  I  tipi  di  codesti  due   didrammi   sono  testa   nuda  ma 

diademata  incerto  se  di  uomo  o  di  donna  volta  a  d.  R.  Bue 
androprosopo  e  un  serpe  che  gli  striscia  fra  le  gambe  :  im- 
porta però  il  vedere  che  si  ha  nella  seconda  intero  il  nome 
APPANOg . 

CAPUA 

21,  22.  Proviene  il  primo  esemplare  dalla  collezione  del  Luynes 
(gr.  5,90),  il  secondo  dalla  collezione  di  Santangelo  (gr.5,49). 
Testa  di  Giove  laureata  e  volta  a  d.  R.  Aquila  sopra  un  ful- 
mine come  per  prendere  il  volo  e  a  d.  IHWÌ.  L'Amaduzzi 
{in  Passera  pici.  vasc.  t.  Ili  pag.  LXXVIII)  cita  un  si- 
mile nummo  d'argento  con  la  t.  di  Giove  al  dritto  e  l'aquila 
al  riverso,  ma  vi  legge  tutere  e  l'attribuisce  a  Todi  :  Cime- 
lio tam  singulari  quae  sit  habenda  fides,  scrive  l'Eckhel 
{D.  n.  V.  I,  97),  ignoro,  viderint  eruditi  Itali.  A  me  non 
par  dubbio  che  sia  stato  letto  il  nome  BOa+Vt  invece  di 

23.  Coli.  Sant.  Testa  di  Giunone  diademata  volta  a  d.  con  iscet- 
tro  presso  la  nuca.  E.  Fulmine  alato,  tripode  e  I1PN>I. 

24.  Museo  di  Vienna.  Testa  slmile  alla  precedente.  R.  Due  busti 

coperti  da  un  velo  e  posti  sopra  due  piedistalli  decorati  di 
drappo:  una  larga  tenia  si  stende  sopra  le  due  teste,  a  sin. 
un  tripode,  a  d.  UflR)!  di  gr.  6,26.  Il  Gerhard  credette  di  ve- 


dere su  questa  moneta  due  matrone  sedenti  e  velate  dal 
manto,  Agathe-Cerere  e  la  Bona  Dea  {Aband.  der  Berlin. 
Akad.  1847  p.  471  tav.  II,  6).  Al  Cavedoni  sembrò  che  fos- 
sero due  simulacri  analoghi  al  Palladio,  fatto  doppio  per  dif- 
ficultarne   il  rapimento  del  vero  (Bull.  Inst.    1850,  197). 

25.  Da  un  mio  calco.  Testa  simile  alla  precedente  n.  24.  R.  Spiga 

di  grano,  a  d.  un  tripode  per  tale  giudicato  anche  dal  Cave- 
doni  (L  cit).  e  dal  Minervini  (Oss.  p.  26).  A  sin.  IVX^X 

26.  Museo  di  Vienna.  Testa  di  Giunone  velata  e  diademata  a 

d.  dietro  la  nuca  lo  scettro.  R.  Spiga  di  grano,  tripode  e 
DPRDi  3,84. 

27.  Coli.  mia.  Testa  di  Apollo  laureata  a  d.  R.  Barbito  e  3PR>I, 

gr.  4,61. 

28.  Da  un  mio  calco.  Testa  di  Ercole  giovane  diademata  e  volta  a 

d.  dietro  la  nuca  sporge  la  clava.  R.  Cane  a  tre  teste,  nel- 
l'esergo  DHN)!. 

29.  Mio  disegno.  Testa  di  Ercole  nuda  colla  clava  presso  al  collo 
volta  a  d.  R.  Cerva  che  allatta  Telefo:  nell' esergo  lV\f\)\.  In 
questo  bronzo  e  nei  due  seguenti  i  Capuani  hanno  rappre- 
sentato il  frigio  Telefo  figlio  di  Ercole,  re  dei  Misi  e  padre  di 
Tareonte  e  di  Tirreno.  Licofrone  racconta  che  Enea  e  cotesti 
due  figli  di  Telefo  s'incontrarono  con  Ulisse  in  Italia  e  vi 
fecero  alleanza.  Il  Minervini  (Oss.  p.  29,  30)  ha  richiamato 
un  tal  racconto  per  ispiegare  il  motivo  di  questi  tipi  su 
monete  capuane,  e  cerca  trarre  alla  stessa  favola  i  due  giu- 
ranti espressi ,  anche  dagli  Atellani  e  di  più  il  rito  del 
porchette  tenuto  dal  ministro  che  è  ginocchione.  Indi  de- 
duce che  Capua  vanta  le  origini  frigie  al  pari  di  Eoma. 

30.  Mio  disegno.  Testa  di  Telefo  coperta  di  pileo  frigio.  R.  Cerva 

che  allatta,  nell'esergo  HflN)!. 

31.  Museo  Britt.  (Catal.  85,  21).  Testa  di  Telefo  coperta  di  pileo 
frigio.  R.  Trofeo  di  armi  con  corazza,  gambali,  parazonio, 
elmo  e  clipeo   rotondo  :  nell'esergo  DPN)!. 

32.  Museo  Britt.  (Catal.  84,  21).  Testa  di  donna  coperta  di  elmo 
volta  a  d.  fi.  Elefante  africano  con  campanello  appeso  al 
collo:  nell'esergo  DPRX. 

33.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  dietro  due  astri  messi 
per  nota  di  valore.  R.  Aquila  ad  ali  aperte  sul  fulmine: 
nel  campo  due  astri;  di  sotto  IVHA. 

34.  Testa  di  Giove  simile  alla  precedente  e  i  due  astri.  R.  Diana- 

luna  che  guida  una  biga  di  cavalli  che  corrono  a  d.  nel 
campo  due  astri,  nell'esergo  1VH>\.  Le  ruote  della  biga  sono 
munite  di  raggi  e  non  a  timpano,  come  parve  che  fossero 
al  Cavedoni  nei  tre  sestanti  del  Museo  Estense  (Bull.  Inst. 
1850,  197). 

35.  Da  un  calco.  Moneta  ribattuta  sopra  un'oncia  romana  della 
quale  rimane  il  globetto  che  ne  è  il  segno,  e  un  po' del 
collo  della  Boma.  R.  La  Diana-luna  in  biga  impressa  sopra 
la  prora  della  nave.  La  moneta  osca  del, valore  di  due 
once  è  battuta  sopra  l'oncia  del  sistema  semissale  romano. 
Il  Minervini  (Oss.  p.  25,  26  tav.  IV,  2)  ne  pubblica  una 
simile,  ove  conferma  alla  dea  del  dritto  il  nome  di  Giu- 
none ;  non  è  però  egli  alieno  dal  crederla.  Vesta  a  ri- 
guardo dei  Penati  che  riconosce  nei  due  simulacri  velati 
del   riverso.  Egli   ricorda   a   tal   riguardo  il  culto    degli 


T.  LXXXVII. 


CAMPANIA 


89 


dei  Penati  introdotto  in  Italia  dal  frigio  Enea,  e  che  Capua 
dicevasi  fondata  da  Capys  ancor  esso  frigio  di  nazione.  Che 
i  Penati  solessero  tenersi  velati  il  Minervini  lo  prova  (n.  28) 
con  un  passo  di  Licofrone  e  commentato  dal  suo  scoliaste. 


Tav.  LXXXYII. 

1.  Carelli,  LXIX,  19.  Testa  di  Capua  cinta  di  corona  turrita  sulla 

quale  è  scolpito  in  rilievo  il  fulmine.  È  volta  a  d.  e  dietro  ha 

due  astri,  che  sono  la  nota  del  valore  :  di  più  uno  strumento 
incerto,  secondo  il  Friedlaender,  ma  che  si  può  dire  secondo 
il  Cavedoni  (Bull.  Instit.  1850, 197)  una  cornetta  da  caccia. 
Ivi  anche  opina  che  il  fulmine  scolpito  sulla  corona  turrita 
alluda  ai  campi  flegrei,  ove  Giove  fulminò  i  giganti.  R.  Ca- 
valiere armato  di  corazza,  di  elmo  e  di  clamide  che  corre 
a  destra  con  la  lancia  abbassata;  dietro  al  cavallo  i  due 
astri,  di  sotto    un  turbine  maiiuo;  nell'esergù  DIIN)! 

2.  Coli.  Sant.  I  tipi  medesimi  e  il  medesimo  turbine.  L'astro 

dinota  che  vale  un'oncia;  nell'esergo  UHN)!. 

3.  Carelli,  tav.  LXIX,  7.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  dietro 

due  astri  segno  del  valore.  lì.  Due  giovani  in  tunica  cinta, 
clamide  e  alti  calzari,  che  insieme  sostengono  una  porchetta 
e  levano  alto  al  paro  i  pugnali  pronunziando  insieme  la 
formola  del  giuramento  ;  a  sin.  i  due  astri;  nell'  esergo 
DDR)!.  L'Avellino  {Op.  11,  3,  1)  ha  stampato  un  esemplare 
con  tre  astri,  credo  per  errore. 

4.  Calco.  Testa  di  Giove  simile  alla  precedente,  dietro  l'astro 

indice  del  valore.  B.  Vittoria  che  coronali  trofeo;  a  d.  l'astro; 
nell'esergo  DnR>l. 

5.  Calco.  Testa  di  Pallade  coperta  di  aulopide  volta  a  d.  B. 

Vittoria  che  ostenta  una  corona  volta  a  sin.,  nel  campo  ivi 
un  astro;  nell'esergo  DilR)!. 

6.  Calco.  Due  teste  congiunte  l'una  di  Giove  e  l'altra  di  Giunone 

alla  quale  in  altri  esemplari  si  vede  aggiunto  lo  scettro 
dietro  il  collo.  /?.  Giove  con  in  mano  lo  scettro  fulmina  tratto 
in  rapida  quadriga;  nell'esergo  HflR)!.  11  peso  è  di  gr.  57,  43. 

7.  Mus.  di  Napoli.  Bifronte  imberbe  coronato  di  lauro.  R.  Giove 

in  quadriga  guidata  da  una  vittorietta  stringe  lo  scettro  neUa 
sinistra  e  fulmina  colla  destra:  nell'esergo  UflN)!.  Fu  noto 
dai  tempi  del  Micali  {Italia  av.  Rom.  tav.  LIX,  14).  Se 
ne  hanno  due  esemplari  nel  Museo  di  Napoli  e  un  terzo 
è  nella  collezione  Luynes.  E.  peso  del  nostro  è  di  gr.  45,  38. 

8.  Testa  giovanile  coperta   di   elmo   a    due  fall  e  nel  vertice 

crestato,  ha  i  capelli  divisi  in  liste  lucignolate  e  guarda 
a  d.  R.  Pegaso  in  atto  di  volare,  tra  le  sue  gambe  DflR)!: 
disotto  la  nota  del  qaùncunce  •»••». 

9.  Testa  di  Giove  volta  a  d.  R.  Fulmine  e  nota  del  triente  •  •  o  • . 

10.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe.  R.  Bue  volto  a  destra 

che  guarda  di  prospetto  ;  nel  campo  di  sopra  la  nota  del 
quadrante  •••  nell'esergo  HflR)!. 

11.  Testa  di  Ercole  giovane  volta  a  d.  colla  clava  dietro  l'oc- 

cipite. R.  Leone  che  stringe  colla  zampa  del  pie'  sinistro 
una  lancia  appoggiandola  al  collo;  nel  campo  di  sopra  è  la 
nota  del  sestante  ••,  nell'esergo  HflN)!.  Non  vale  la  os- 
servazione del  Cavedoni,  a  cui  parve  che  il  venabolo  fosse 


infranto  nella  estremità  dell'asta  e  ricordò  il  luogo  di  Vir- 
gilio (Aen.  XII,  8)  impavidus  frangit  tdum  {Bull.  Inst. 
1850,  p.  197). 

12.  Testa  di  Diana  diademata  volta  a  d.  coll'arco   e  la  faretra 

presso  alla  nuca.  R.  Cignale  che  va  a  destra;  nel  campo  di 
sopra  la  nota  dell'oncia,  nell'esergo  DDR)!. 

13.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Diana  coronata  di  salcio  volta  a 
d.  dietro  la  nuca  è  l'arco  e  in  luogo  della  faretra  v'è  una 
lampada  accesa.  R.  Simile  al  n.  precedente. 

14.  Coli.  mia.  Testa  giovanile  diademata  volta  a  d.,  dietro  l'arco. 

R.  Cignale  a  destra,  nell'esergo  HflR)!,  nel  campo  di  sopra 
la  nota  dell'oncia. 

15.  Testa  di  fauno  con  due  corna  che  gli  spuntano  sulla  fronte: 

dietro  ha  una  verga  ricurva  e  nodosa.  B.  Cignale  che  corre 
a  destra,  sopra  nota  dell'oncia,  nell'esergo  DHIN)!. 

16.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  B.  Aquila  sul  fulmine, 

di  sotto  :nR>l:  è  di  gr.  22,  173. 

17.  I  tipi  medesimi  ma  il  suo  peso  è  di  gr,  11, 14  e  pare  che 
la  lunetta  che  si  vede  a  destra  dell'aquila  sia  la  nota  del 
valore,  che  è  la  metà  della  precedente,  sia  essa  un  asse 
ridotto  ad  onciale,  come  stima  il  Kochette  {Fonili,  de  Capue 
p.  90),  ovvero  un  triente,  come  pensa  il  Mommsen  (pr.  il 
Minervini,  Oss.  p.  22). 

18.  Museo  di  Vienna.  Testa  di  Ercole  giovane  diademata  e  volta 

a  d.  con  la  clava  presso  la  nuca.  R.  Cavallo  senza  freno 
che  corre  a  d.,  nel  campo  di  sopra  la  nota  del  quadrante  •  •  •. 
È  ribattuta  sopra  una  moneta  romana  della  quale  rimane 
sul  dritto  la  leggenda  EOMA  e  parte  dalla  prora  di  nave. 

CALATI! 

19.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  dietro  la  nota  del  se- 

stante in  due  astri.  R.  Diana  che  guida  la  biga  di  cavalli 
sopra  i  due  astri  nell'esergo  ITR>IR>I. 

20.  Coli.  Luyn.  Testa  di  Giove  volta  a  d.  R.  Vittoria  che  co- 

rona un  trofeo:  nell'esergo  ITN>1N>I,  nel  campo  un  astro. 

21.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  dietro  la 

nota  del  triente  •  •  •  » .  B.  Giove  con  lo  scettro  nella  si- 
nistra montato  in  rapida  quadriga  scaglia  il  fulmine:  sotto 
è  la  nota  del  triente;  nell'esergo  ITR>IN>1. 


Tav.  LXXXVIII. 

1.  Manca,  finora  il  quadrante.  H  sestante  ha  per  tipo  la  testa 

di  Giove  laureata  volta  a  destra:  dietro  i  due  globetti  •  • . 
R.  Giove  fulminante  in  quadriga  volta  a  d.  dietro  i  due  glo- 
betti, nell'esergo  KNURT. 

2.  Millingen  Anc.  coins.  I,  3.  Testa  barbata,  giudicata  essere 

di  Nettuno  asfalio  dal  Cavedoni  qui  e  nella  moneta  se- 
guente {Bull.  Instit.  1850  p.  198),  e  ne  allega  per  motivo 
i  frequenti  tremuoti.  È  volta  a  d.  e  dietro  ha  un  globetto. 
R.  Ferro  del  tridente  e  l'epigrafe  T1Q>llfl>l. 

3.  Nel  gabinetto  parigino  delle  medaglie.  Testa  barbata  laureata 

volta  a  d.  R.  Cavallo  senza  freno  che  corre  a  destra  :  fra  le 
gambe  im  globetto,  nell'esergo  l'epigrafe  ITR>)N>I. 


90 


CAMPANIA 


T.  L  XXXIII 


ATELLA 

4.  Nel  Museo  di  Napoli  (Avellino,  Opusc.  II,  2,  9).  Testa  del 

sole  coronata  di  sedici  raggi,  a  sinistra  uu  astro.  R.  Ele- 
fante africano  volto  a  d.  nell'esergo  (<JQ)3JiR. 

5.  Nel  Museo  di  Firenze.  Testa  di  Giove   laureata  volta  a  d. 

dietro  la  nota  del  triente  •  o  •  o .  R.  Giove  fulminante 
in  quadriga  guidata  da  una  vittorietta  ;  sotto  i  piedi  dei 
cavalli  >l<]3511fl,  nell'esergo  la  nota  del  triente.  Pesa  gr.  29,  60. 

6.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.,  a  sin.  la  nota  del  sestante. 

R.  Due  giuranti  sulla  porchetta  che  sostengono  insieme 
avendo  levate  le  destre  armate  di  pugnali,  a  sin.  la  nota 
del  sestante.  ••,  nell'esergo  >)Q3}!N.  Ve  ne  ha  un  esem- 
plare (fl.  M.  Borb.  11,  XVI,  13)  ribattuto  sopra  un  bronzo 
dei  Eomani,  (Cf.  tav.  LXXVH,  n.  13).  Testa  di  Pallade 
volta  a  s.  e  ROMANO.  R.  Aquila  sul  fulmine  e  ROMA  NO. 

7.  Simile  testa  di  Giove  e  globetto  segno  dell'oncia.  R.  Vittoria 

che  corona  un  trofeo  di  armi  composto  di  una  corazza,  elmo 
trifale,  lancia,  clipeo  e  gambali,  a  d.  la  nota  dell'oncia,  nel- 
l'esergo >ia35IR. 

8.  Coli.  Sambon  (Minervini,   Oss.  num.T.  III  1  pag.  21).  Testa 

di  Giove  laureata  a  s.  R.  Aquila  e  a  d.  >I^3{IN.  Il  Mi- 
nervini  è  di  parere  che  l'aquila  dovesse  avere  un  fulmine 
negli  artigli  ed  opina  che  la  monetina  abbia  perduta  la 
sua  foglia  d'argento:  nondimeno  non  intende  opporsi  a  chi 
la  crede  una  riduzione  minima  del  bronzo  (ib.  in  nota). 

VELECHA 

Le  monete  che  recano  l'epigrafe  CIEAEXA  or  piìi  or  meno 
tronca  si  tiene  che  siano  della  Campania,  perchè  tale  è  la  pro- 
venienza assegnata  loro  dal  Priedlaender.  Se  ciò  non  fosse  ci 
saremmo  probabilmente  volti  alla  città  dei  Volcei  sugli  estre- 
mi limiti  della  Lucania  verso  la  Campania,  corrispondente  al 
moderno  Buccino,  il  qual  nome  non  può  negarsi  che  abbia 
grande  affinità  con   Velecha. 

Or  si  dimanda,  come  e  quando  si  è  potuto  stanziare  questo 
nuovo  popolo  in  Campania.  Il  nome  che  i  suoi  abitanti  si 
danno  li  manifesta  di  osca  origine,  ma  grecizzanti,  servendosi 
qui  del  greco  alfabeto.  Sono  pertanto  estranei  al  sistema  mo- 
netario dei  Campani,  che  usano  l'asse  decimale,  mentre  costoro 
si  servono  dell'asse  duodecimale.  Sembra  poi  che  non  abbiano 
aperta  la  loro  zecca  prima  della  seconda  metà  del  secolo  quinto 
di  Roma,  siccome  fanno  palese  le  loro  monete  fuse  di  ri- 
duzione quadrantale.  Inoltre  per  dinotare  il  semisse,  non 
adoperano  la  cifra  S,  come  fanno  quei  del  Lazio,  ma  i  sei 
globetti,  che  è  un  costume  proprio  in  Sicilia  degli  Agra- 
gantini,  dei  Camarinesi ,  dei  Leontini ,  dei  Mamertini,  dei 
Misistratesi  e  dei  Liparesi.  Dalle  quali  osservazioni  risulta 
che  cotesto  popolo  Velecano  si  è  traspiantato  in  Campania 
dalla  Sicilia  circa  l'epoca  medesima ,  che  i  Campani,  Oschi 
ancor  essi,  occuparono  Messina  e  si  chiamarono  Mamertini  dal 
loro  nume  principale  Mamers.  JPorse  costoro  si  saranno  de- 
nominati Velecani  dal  loro  Dio  Volcano,  nume  venerato  per 


dio  supremo  in  Creta,  e  detto  ZEYS:  CEAXANOS  ,  e  qui 
probabilmente  assimilato  a  Vulcano,  il  cui  simulacro  colla 
leggenda  VOLCANOAA  vediamo  dedicato  qual  nume  pro- 
tettore nella  loro  moneta  dai  coloni  latini  d'Isernia.  I  tipi 
delle  prime  loro  monete  sono  la  testa  raggiante  del  sole  con 
la  luna  e  le  stelle,  e  il  busto  di  cavallo  e  di  poi  l'elefante. 
Pare  quindi  che  sia  un'  accozzaglia  di  mercenarii  al  ser- 
vigio dei  Cartaginesi,  che,  essendo  costoro  cacciati  di  Sicilia 
dalle  armi  di  Pirro,  siano  venuti  seguendo  i  loro  commi- 
litoni oschi  a  stabilirsi  nella  fertile  terra  campana.  Proba- 
bilmente vennero  con  essi  dei  Mamertini ,  le  cui  monete 
vediamo  ribattute  dai  Velecani  e  vennero  dei  Cretesi  che  in- 
trodussero il  culto  del  dio  Vulcano.  I  Campani  avevano 
occupata  Messina  nel  472  (Polyb.  XX)  e  vi  si  erano  nomi- 
nati Mamertini. 

9.  Nel  Museo  di  Monaco  (Avell.  Opiisc.  II  p.  4  tav.  II  n.  11). 

Bronzo  ribattuto  due  volte  sopra  una  moneta  romana  che 
portava  la  prora  sul  riverso.  Testa  del  sole  di  prospetto 
e  due  globetti  del  sestante.  R.  Elefante  e  sopra  l'epigrafe  FÉ 
omessa  dall'Avellino:  nell'esergo  il  segno  del  sestante:  al 
lato  destro  IE  residuo  del  primo  conio  /.laMEourcav. 

10.  Bronzo   ribattuto   sopra   una   moneta   dei  Mamertini   della 

quale  rimane  la  traccia  della  testa  e  il  nome  MAAAE  nel 
riverso.  I  tipi  sono  gli  stessi  che  nella  moneta  precedente, 
il  nome  pero  è  piìi  intero  CEAEXA  (Priedlaender,  Ann. 
InstiLlSiG  T.  XVIII  pag.  150  seg.;  Piorelli,  Ann.  di  nu- 
raism.  I). 

11.  Testa  del  sole.  R.  Busto  di  cavallo:  sopra  CEAEXa.  (Pried- 
laender, 1.  cit.;  Piorelli,  1.  cit.  n.  2). 

12.  Testa  del  sole.  R.  Busto  di  cavallo  sopra  CEAEX;  sotto  la 

testa  del  cavallo  O...  Questo  bronzo  fu  ribattuto  col  tipo 
del  cignale  che  corre  a  destra  e  la  leggenda  ROM  (Pried- 
laender, 1.  cit.;  Piorelli,  1.  cit.  n.  3). 

I  Campani  occuparono  Messina  nel  475  e  cioè  alquanto  dopo 
emisero  la  moneta  a  nome  dei  Mamertini,  MAMEPTINjCIN,  cioè 
dei  Campani  che  si  erano  dato  un  tal  nome  (Eckhel  D.  n. 
V.  I,  XXXI)  dal  patrio  loro  dio  Marte  in  osca  lingua  Mamers. 
Alcuni  di  cotesti  bronzi  furono  ribattuti  dai  Velecani,  i  quali 
prima  si  erano  fusa  la  moneta  coi  tipi  del  sole  e  del  busto 
di  cavallo  e  colla  leggenda  3D.  (V.  la  tav.  LXVI  nn.  3-10). 
La  monetazione  fusa  di  questa  città  può  appartenere  al- 
l'epoca di  Pirro  ;  ma  la  coniata  ohe  ha  tipi  africani  dovrà 
riportarsi  al  tempo  delle  due  guerre  puniche. 

CUBULTERIA 

13.  14.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  R.  Bue  andi'o- 
prosopo  coronato  dalla  Vittoria.  L'epigrafe  osca  si  legge  nel 
dritto  come  nel  n.  13,  l41VHq3T>l3nV>l,  ovvero  nell'esergo  del 
riverso  è  talvolta  erronea  come  in  questo  n.  14,  ove  1'  U  è  volto 
a  d.  In  altri  esemplari  del  n.  13  v'è  anche  l'O  o  altra  lettera 
alla  nuca  dell'Apollo  e  ri§   fra  le  gambe  del  bue. 

CAIATIA 

15.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  dove  rimangono 
le  tracce  della  leggenda   NilA  relativa  al  tipo  anteriore. 


T.  LXXXVIII 


CAMPANIA 


91 


/?.  Bue  androprosopo  coronato  dalla  Vittoria;  uell'esergo 
VAKV\\Tfìtfly\. 

16.  Testa  di  Pallade  coperta  dell'aulopide  volta  a  sin.  R.  Gallo 

che  canta  a  sin.  una  stella,  a  d.,  CAIATINO.  Al  1841  quando 
il  Milliugen  die'  alla  luce  le  Considerations  non  si  distingueva 
la  Caialia  campana  dalla  Calatia  osca,  e  però  è  che  egli  attri- 
buisce a  Caiazzo  le  monete  osche  appartenenti  a  S.  M.  delle 
Galazze  {Consid.  n.  191,  192). 

VENAPKUM 

17.  Coli.  mia.  Testa  di  Apollo  laureata  a  sin.  davanti  WVQìNNa. 

R.  Bue  androprosopo  a  d.  coronato  dalla  Vittoria;  tra  le  gambe 
K.  Sul  volto  dell'Apollo  furono  impressi  due  glohetti  in  con- 
tromarca. Questo  bronzo  appartiene  ad  un  deposito  trovato 
sulla  montagna  di  Prosolone  nel  Sannio. 

18.  Nel  Museo  della  Università  di  Glasgow.  Testa  di  Pallade 
volta  a  sin.  R.  Gallo  a  d.  che  canta,  a  sin.  l'astro,  a  d.  FEINAF 
Un  secondo  esemplare  fu  già  nella  collezione  Willenheim 
(Ca«ai.  n.  503)  così  descritto:  Téte  de  Pallasadr.  R.  ■  ENAF 
coq  a  dr.  /E  2 1  :  Nelle  tavole  Hunteriane  si  legge  FEINAF, 
ma  nella  impronta  che  ho  davanti  quel  I  non  misura  quanto 
le  altre  lettere  della  epigrafe.  Il  Milliugen  sentenziò  {Consid. 
p.  206)  che  la  moneta  Himteriana  era  di  Calvi,  con  leg- 
genda alterata  dall'ossido.  Un  esemplare  è  ora  venuto  da 
Fiesole  nella  mia  collezione  nel  quale  la  leggenda  è  FE'NRF 
come  nell'esemplare   di  Hunter. 

TELESIA  (SAMN.) 

19.  CoU.  Santangelo  (Minerv.  Oss.  p.  20).  I  tipi  sono  simili  al 
n.  precedente,  l'epigrafe  è  5I513T  nei  due  esemplari  che  se  ne 
hanno.  I  Latini  dicono  Telesìa.  È  noto  lo  scambio  del  d  in  l 
nelle  voci  latine  (Varrò,  R.  R.,  Ili,  87),  e  così  i  Eomani  dal  san- 
nitico  fllHHV5IV>IR  fecero  Aquilonia.  Un  terzo  esempio  di  que- 
sta moneta  si  avrebbe  se  veramente  il  Keynier  avesse  letto 
come  stampa  in  una  moneta  frusta  ..513...  che  potrebbe  sup- 
plirsi con  JIJ13T  ;  ma  i  tipi  sono  atellani  e  però  deve  essere 
slato  ivi  scritto  ..  .351 . ..  La  moneta  del  Eeynier  è  citata  dal- 
l'Avellino (Op.U  p.  31);  il  Minervini  (Oss.  p.  21)  la  stima 
di  dubbia  attribuzione  per  la  monca  epigrafe. 

ALIPHA  (SAMN.) 

20.  Testa  di  PaUade  coperta  di  elmo  attico  cinto  di  laurea  sulla 

quale  poggia  una  civetta.  R.  Bue  androprosopo  volto  a  sin. 
sopra  AL-l-o-HA.  Questa  moneta  fu  scoperta  da  Benigno  Tuzi 
in  s.  Germano  ed  è  questa  che  si  conserva  nella  collezione 
Santangelo.  Poi  se  ne  ebbe  un  secondo  esemplare  ma  fo- 
derato ed  entrò  nella  collezione  medesima.  Ma  un  esem- 
plare anteriore  si  aveva  già  nella  collezione  del  card.  Ste- 
fano Borgia,  donde  era  passato  nel  Museo  di  Propaganda. 
La  forma  delle  lettere  che  ne  compongono  il  nome  è  figurata 
assai  meglio  che  nei  due  esemplari  della  coli.  Santangelo 


in  questo  modo  ALI-O-HA.  Il  confronto  che  possiamo  fare 
di  questa  leggenda  con  la  seguente  AUlSfl  ne  guida  a  con- 
chiudere che  le  due  lettere  -O-H  sono  adoperate  per  un 
semplice  0.  È  dunque  la  -o-  una  nuova  forma  del  $  greco, 
e  l'alfabeto  è  greco  con  la  sola  particolarità  della  ridon- 
danza dell'  aspirazione  H.  La  lettera  o  con  le  asticelle 
orizzontali  erasi  già  veduta  in  una  epigrafe  di  Corinto,  ma 
con  le  asticelle  verticali  ^  {C.  inscr.  gr.  I,  26).  Gli  Etrusci 
scambiano  ancor  essi  il  't  col  8  e  ne  abbiamo  esempio  in 
fll1V>l'1V-1  scritto  egualmente  che  AHVnISVS.  Credeva  il  duca 
di  Luynes  di  avere  un  esempio  di  cotesto  didrammo  nella 
sua  collezione  {Bull.  Ins.  1858  pag.  50)  ed  è  pure  citato 
dal  Minervini  {Bull.  arch.  nap.  FV,  144;  Osserv.  p.  11). 
Tal  moneta  l'ho  veduta;  essa  non  porta  che  qualche  lettera 
della  sua  leggenda  e  questa  non  può  essere  AUl-o-HA,  ma 
AI/IEQY  coli'  E  volto  a  d.,  come  io  leggo  su  di  una  conserva- 
tissima  moneta  del  Museo  di  Campobasso. 
21.  Testa  di  leone  volta  a  destra.  R.  AH8R  scritto  in  seno 
deU'  H,  segno  di  valore  dinotante  la  metà  sia  di  un  obolo 
sia  di  una  libra.  Il  Cavedoni  tiene  questo  seguo  della  metà 
per  simbolo,  del  quale  cerca  il  significato  nel  óàra^  la- 
conico H,  quantunque  si  abbia  una  sola  traversa  dinotante 
l'amor  fraterno  dai  Dioscori  {Bull.  Ins.  1850, 1,  98).  A  Be- 
nigno Tuzi  si  deve  la  scoperta  di  cotesto  due  monete  e 
l'attribuzione  che  è  poi  stata  seguita  quasi  da  tutti  :  peroc- 
ché il  duca  di  Luynes  prese  per  fenicia  la  leggenda  AUI8A. 


NOLA 

Se  si  ha  da  ammettere  per  genuino  un  testo  di  Ecateo 
trascrittoci  da  Stefano  di  Bizanzio,  Nola  con  questo  nome 
esisteva  già  all'  epoca  in  che  egli  scriveva,  cioè  alla  ol. 
LXXI,  1  (253  u.  e.)  ed  era  città  osca,  Tróhg  Avaóvuiv. 
Nola  di  fatti  porta  im  nome  che  ne  dinota  la  origine  osca  ; 
e  tale  la  dichiarò  Catone  (VeU.  I,  e.  7).  Pu  poi  occupata 
dai  Calcidesi,  che  la  trasformarono  in  greca  (Justin.  XSl  ; 
Sii.  It.  XII,  151).  Allora  dunque  e  non  prima  cominciò 
la  sua  monetazione  qhe  è  tutta  in  greca  lingua  ed  alfabeto, 
quale  si  osserva  in  Campania  dopo  che  ebbe  ricevuto  la 
gionica  letteratura.  È  però  certo  che  ella  era  tuttavia  osca 
nel  429  scrivendo  Dionigi  {Exc.  legai,  cf.  Livium,  VII,  22) 
che  i  Nolani  erano  grandemente  affezionati  ai  greci  EUeni 
confinanti  colla  loro  republica:  òiióoun'  ovton'  xcà  aipódga 
■covg  èUSjvag  àGTia^onévair.  La  signoria  dei  Calcidesi  non 
durò  che  pochi  anni,  quando  i  Nolani,  presa  d'assalto  la 
città  e  l'acropoli  nel  441,  passarono  sotto  il  dominio  dei 
Eomani,  e  gran  parte  del  loro  territorio  fu  diviso  all'eser- 
cito vittorioso  (Diod.  Sic.  XIX,  101).  Dalla  breve  notizia 
di  Nola  risulta  mancare  ogni  fondamento  alla  opinione  di 
coloro  che  vogliono  fondere  insieme  Irina  e  Nola,  o  che 
questa  città  si  chiamasse  una  volta  Irina,  e  coniasse  con 
tal  nome,  ovvero  che  Irina  fosse  l'acropoli  di  Nola.  Le 
monete  di  Nola  sono  rare,  maggiore  però  si  è  la  rarità 
delle  monetine  di  argento,  che  si  possono  paragonare  alle 

12 


92 


CAMPANIA 


T.  LXXXIX 


hemiectae:  estremamente  rari  poi  sono  i  bronzi.  L'epigrafe 
quando  è  intera  non  è  altro  che  NilAAIOS  ovvero  Nil- 
AAIiiN.  Una  sola  volta  si  è  letto  NilAAljaiN  e  nel  de- 
posito di  Castellini  in  provincia  di  Campobasso  recente- 
mente esaminato  da  me  e  descritto  in  vece  del  primo  Sì. 
sono  adoperati  due  OO,  NOOAA.. 

22-25.  Di  due  tipi  si  servono  i  Nolani  nei  loro  didi'ammi,  la 
Pallade  coperta  di  elmo  attico  cinto  di  laurea  sulla  quale 
posa  la  civetta  e  al  riverso  il  bue  androprosopo  con  l'epi- 
grafe NHAAlilN,  ovvero  Testa  di  donna  diademata  volta 
a  d.  con  al  riverso  il  bue  androprosopo  coronato  dalla  Vit- 
toria e  l'epigrafe  NilAAlilN,  NilAAlillN,  NIIAAION,  NO- 
AA10$  e  NOOAA...  Del  magistrato  monetale  non  v'  è  altra 
iniziale  clie  il  monogramma  /ìl  fra  le  gambe  del  bue;  il  peso 
di  tre  miei  esemplari  è  di  gr.  7,00. 

26.  Un  mio  didramma  simile  a  quello  del  n.  23  ha  una  epi- 
grafe in  carattere  minuto  sotto  al  collo  della  donna  dia- 
demata che  si  può  leggere  >IOIAOY  cioè,  a  quanto  pare, 
KoCXov. 

27  Minervini,  Oss.  nuniism.  T.  Ili,  4  p.  71,  72.  La  testa  del 
dritto  somigliantissima  a  quelle  di  Nola  consigliarono  al 
Minervini  di  dare  a  questa  città  la  moneta  singolare  dove 
il  bue  ha  la  testa  di  sua  specie,  non  la  umana.  Nella  serie 
delle  monete  napolitane  rassomigliano  al  tipo  del  dritto 
quelle  che  hanno  epigrafi  sbagliate  (tav.  LXXXV,  6,  7). 
Non  ho  pertanto  rimossa  questa  moneta  dalla  serie  delle 
nolane.  Dice  il  Minervini  che  il  toro  può  essersi  sostituito 
al  bue  androprosopo  dai  Sanniti  che  occuparono  per  breve  ora 
Nola  come  insegna  della  terra  Italia.  A  me  pare  che,  se  ciò 
fosse,  il  toro  non  si  sarebbe  dovuto  vedere  coronato  della 
Vittoria,  la  quale  invece  nelle  monete  della  guerra  marsica 
corona  l' Italia.  Nondimeno  il  toro  rappresenta  ancor  esso 
r  Italia  quando  corre  rapido  ovvero  calpesta  la  lupa  o 
riposa  tranquillo  allato  del  guerriero  sannita ,  o  gli  è 
imposta  la  mano  sul  capo. 

28-30.  Da  questo  sistema  si  dipartono  le  monetine  d'argento 
che  nel  tipo  del  dritto  rappresentano  la  testa  di  Apollo 
laureata  e  volta  a  sinistra  colla  leggenda  davanti  ND.AAI, 
e  nel  riverso  il  bue  androprosopo  coronato  dalla  Vittoria 
volto  a  destra.  Sono  quindi  contemporanei  al  bronzo  al  pari 
di  essi  assai  raro  che  ha  i  medesimi  tipi.  Le  particolarità 
sono  nel  bronzo  un  A  dietro  la  nuca  di  Apollo  e  im  MI 
tra  le  gambe  del  bue:  nei  due  esemplari  dell'obolo  che 
soli  conosco  l'uno  n.  26  in  Vienna  l'altro  n.  27  in  Napoli 
v'  è  questa  differenza,  che  nel  primo  si  ha  un  M  tra  le 
gambe  del  toro  (Carelli,  tav.  LXXXIII,  12,  13)  e  nell'altro 
un  X  ivi,  e  un  MI  nell'esergo  (Avellino,  Giorn.  numism. 
T.  I  tav.  IV,  3).  Pesa  gr.  0,58  e  devono  considerarsi  come 
due  hemiectae. 

HYKIA  0  HYEINA 
Tav.  LXXXIX. 

Della  città  Hyria  o  Ihjrina  in  Campania  non  si  ha  verun 
antico  scrittore  che  ne  additi  il  sito,  e  se  non  altro,  il 
nome.  Credette  il  Cavedoni  (ad  Carell.  tab.  pag.  31)  di  tro- 


varne menzione  in  Igino  {de  lim  consl)i.  tav.  24  fig.  197 
ed.  Lack.)  dove  si  nominano  i  Jines  Hirrensium  sulla  via 
consularis  che  da  Napoli  va  a  Capua,  poco  prima  di  arrivare 
aWoppidum  Alette.  Questo  passo  era  stato  citato  dal  Fio- 
relli  {Ann.  numism.  I  p.  83) ,  e  certamente  la  vicinanza 
di  Atella  farebbe  accettare  la  proposta,  e  trovare  così 
meno  improbabile  la  mutazione  di  Hirrensium  in  Hyrien- 
sium  0  Hyrinensium  e  di  iltilenatium  in  et  Atellanatium 
derivandolo  -da  AteUanas,  come  da  AbeUinas  si  deduce 
Abellinatium.  Ai  tempi  dell'  Bckhel  (Zi.  n.  v.  I,  141)  non 
si  era  ancora  deciso  nulla  intorno  alla  sede  di  questi  Hyri- 
nenses,  se  in  Campania,  ovvero  nel  Sannio,  o  altrove,  e  l'Avel- 
lino pensò  alla  Hyrium  di  Puglia,  poi  al  ^vqqsvtov,  detto 
SvQaiov  in  alcuni  codici  di  Strabene  {Op.  XI,  105),  la 
qual  sua  opinione  egli  poscia  abbandonò.  Ma  il  sig.  Adriano 
De  Longpérier  in  ima  dissertazione  sul  tipo  della  famiglia 
Hosidia  (Paris  1852,  pag.  14)  dolendosi  che  l'Avellino 
avesse  rigettata  la  prima  sua  che  chiama  eccellente  attribu- 
zione della  moneta  di  Hyrina  a  Sorrento  se  ne  dichiara 
partigiano  col  sig.  C.  Lenormant  e  sostiene  che  l' aspirata  i 
siasi  potuta  cambiare  in  H  dai  Greci  e  ripigliarsi  poi  dai  La- 
tini, i  quali  anche  abbiano  aggiunta  la  n  che  in  YPIETES  si 
vede  omessa.  Ora  taluni  si  sono  decisi  per  Salerno  presso  il 
fiume  Imo,  altri  opinano  che  abbia  a  cercarsi  in  Nola,  la 
quale  talvolta  si  sia  appellata  con  questo  nome,  tal  altra 
con  quello  di  Hyrina;  e  il  Cavedoni  avverte  di  essere  stato 
dubbioso,  che  Note  ed  Hyrina  fossero  nomi  di  una  stessa 
città  abitata  da  due  popoli  diversi  e  soggiugne  {Bull.  In- 
stìt.  1850  p.  199)  che  il  Priedlaender  rese  vie' piìi  proba- 
bile cotale  opinione  con  più  argomenti  del  tutto  nuovi. 
Altri  si  limitano  a  dire  che  questa  Hyrina  era  la  Palaeopo- 
lis  di  Nola  (Priedlaender,  Osk.  Miinzen  p.  37  ;  Momms.  H. 
de  la  monn.  I  p.  162).  Il  popolo  Iriese  declina  variamente 
il  proprio  nome  sulle  monete.  Esso  è  Hyrietes,  Hyrinaeus, 
Hyrianus,  tutti  i  quali  derivati  nascono  da  un  Hyria  od 
Hyrium  omonimo  zìVHyrium  del  Gargano  e  all'  'Yqia  della 
Calabria.  La  lingua  della  quale  si  servono  è  greca,  il  loro 
alfabeto  è  parimente  desunto  dai  Greci,  ma  vi  si  vedono 
introdotti  dei  punti  sulle  lettere  V  e  I  che  talvolta  gli  ha 
di  sotto  1  ;  r  Y  è  ancor  fatto  in  guisa  da  avvicinarsi  al  chi 
0  psi  Y.  Essi  adoperano  in  prima  la  forma  del  sigma  a  tre 
linee  S,  poi  a  quattro  i,  prima  l'V  e  la  r,  t>,  poi  la  Y  e 
la  P;  prima  lo  spirito  aspro  H  avanti  alPV,  che  poi  omet- 
tono: il  loro  ^^  è  arcaico.  Cotesto  doppio- alfabeto  non  si 
scorge  nelle  monete  nolane,  e  ciò  dimostra,  che  non  furono 
contemporanee,  ne  che  gli  Iriani  stessero  mai  insieme  in 
una  città  medesima  coi  Nolani,  e  molto  meno  può  dirsi  che 
essi  successero  ai  Nolani. 
1.  Nel  Museo  dell'  Università  di  GlasgOTv.  Testa  di  Pallade 
coperta  di  elmo  laureato  volta  a  dr.  R.  bue  androprosopo 
a  d.  tra  le  gambe  A  5  ■4'  di  sopra  HVPIETES.  Ne  vidi  un 
esemplare  nelle  mani  del  sig.  Sambon  e  vi  lessi  AS^',  al 
riverso  :  ma  nelle  Recherches  a  p.  165  ne  sono  da  lui  de- 
scritti due,  nel  primo  dei  quali  l'editore  legge  A  e  a  dritta 
vede  una  sorta  di  arpione,  espi;ce  de  harpon,  nel  secondo 


T.  IXXXIX 


CAMPANIA 


93 


riconosce  soltanto  le  due  lettere  AS.  Io  fin  da  principio 
vi  aveva  veduta  la  leggenda  ohe  bo  riferita.  Il  direttore 
del  Museo  di  Glasgow  prof.  Joung  mi  fu  cortese  di  un 
buon  calco,  clie  ora  pubblico.  Pare  che  cotesto  popolo  fosse 
vago  di  appellarsi  in  piìi  modi.  La  città  se  denominossi 
Hyria  ovvero  Ht/rium  indi  si  poteva  ben  dedurre  il  patro- 
nimico HYPIETE5  ossia  'Yqu]vì]ì  ed  anche  'YQiàrag  in  dorico 
dialetto.  Ma  essi  ne  derivano  'l'Qiavóg  e  ^YQìrog,  donde  ha 
origine  il  più  frequente  ^YqCvu  e  il  suo  derivato  ^YQivcàog. 
2-i5.  Le  due  prime  nn.  2,3  scrivono  YPINAI,  AhllY  la  terza  n.  4 
Ahiqy  (v' è  anche  esempio  di  flUNY),  la  quarta  n.  5  YPiA- 
IMO?.  L' aspirata  non  si  vede  che  nel  n.  1  HV,  ove  si  usa 
il  sigma  5,  poscia  si  scrive  sempre  Y  ed  S ,  quando  i 
Napolitani  hanno  cambiato  il  loro  alfabeto  e  invece  di 
E,  L,  $,  P  scrivono  H,  A,  i.,  fi,  come  dimostra  il  n.  6 
dove  un  didramma  di  Napoli  con  (NE)OnOA(ITHS)  è  ri- 
battuto per  (A)HI(qY).  Il  tipo  della  Vittoria  che  corona  il 
bue  androprosopo  non  fu  mai  adoperato  dagli  abitanti  -di 
Hyrina  come  da  quelli  di  Nola. 

7.  Testa  di  Giunone   posta    di   prospetto    coi    capelli  sparsi  e 

fluttuanti  coperta  di  corona  cilindrica  ornata  di  palmette 
nel  mezzo  di  due  cavalli  marini  R.  Bue  androprosopo  a 
d.  sopra  AhiqV. 

8.  Lo  stesso  tipo  della  precedente  n.  7:  ma  il  bue  va  a  sini- 

stra v'  è  inoltre  un  f  segno  di  zecca  ripetuto  al  dritto  a  d. 
e  al  riverso  tra  le  gambe  del  bue  e  l'epigrafe  superiore 
nei  due  esemplari  che  ho  davanti  è  appena  visibile:  della 
epigrafe  poi  che  si  legge  nell'  esergo  rimangono  deboli 
tracce  ma  certe  come  se  fosse  stata  martellata  di  proposito. 
Un  novello  esemplare  venuto  fuori  da  un  deposito  in 
provincia  di  Campobasso  porta  la  leggenda  F1HE1Y  che  è 
una  buona  conferma  della  mia  sentenza  su  d'  altro  esem- 
plare attribuito  dal  Luynes  ad  Alipha.  Vedi  ciò  che  ho 
notato  sopra  questa  moneta  nel  proleg.  di  Alipha. 

FENSEENIA  o  SENSEENIA 

Pochissimi  si  noverano  gli  esemplari  di  Pensernia  :  ma  in 
tutti  la  leggenda  è  uniforme.  Quello  della  collezione  Luynes 
edito  dal  MiUingen  {Ano.  coins,  n.  8)  reca  M  Vlia3^H38.  Con- 
corda con  esso  quello  del  museo  di  Panna,. .VMQ3^I13X,  il  terzo 
è  queUo  della  collezione  Panelli,  ora  mia,  dal  quale  l'Avellino 
ritrasse  mAHC]UT3<]8,  ma  la  vera  lezione  dopo  studio  maturo 
mi  si  è  mostrata  esser  la  stessa,  che  si  ha  in  tre  degli  esem- 
plari allegati,  I41VHQ3^M38,  dai  quali  si  discostano  i  tre  se- 
guenti, ove  la  lettera  iniziale  si  vede  cambiata  in  k.  Due  di 
questi  esemplari  si  trovano  nel  Museo  di  Napoli,  Coli.  San- 
tan gelo,  e  leggono  ?ENSEP;  il  terzo  è  nel  Museo  Britan- 
nico ove  si  legge  egualmente  tEN^EP  (cf.  Poole,  Catal. 
p.  128).  Ciò  dimostra  che  la  iniziale  8  era  considerata  come 
un'aspirata,  e  però  Fensernum  e  Sensernum  valsero  lo  stesso. 
L'  Eckhel  {D.  n.  v.  I,  171)  conobbe  il  primo  questa  moneta; 
ma  eUa  era  forse  logora  se  gli  parve  vedervi  l' epigi-afe  KPO, 
e  la  diede  a  Crotone.  Questa  attribuzione  le  rimase  sin 
a  tanto  che  l'Avellino  in  altro  esemplare  credette  di  leg- 


gere Frelernum,  come  si  è  detto,  e  fu  di  avviso  che  si  do- 
vesse assegnare  ad  una  città,  che  diversamente  si  leo'o'e 
detta  nei  codici  di  Livio  Cerfennia  o  Censennia.  Poi  non  ne 
fu  pago  e  si  rivolse  a  Tifernum,  [Bull.  arch.  nap.  1846  p.  25), 
che  stimò  essere  Q>hsQvov  come  si  legge  nei  codici  di  Tolo- 
meo la  quale  Piterno  pose  a  Termoli.  Fu  parere  del  Millingen 
{Considerai,  p.  205)  che  cotesto  Fensernum  fosse  campano 
e  alle  radici  del  Vesuvio,  dove  Livio  nomina  il  fiume  Ve- 
seris  (L.  VIII  e.  19).  A  me  piace  cotesta  proposta,  e  credo 
ohe  possa  accettarsi  avuto  riguardo  al  nome  del  fiume  che  sì 
bene  si  riscontra,  e  singolarmente  ancora  al  tipo  della  moneta, 
che  sembra  alludere  al  prossimo  monte  Vesuvio,  del  quale 
era  antica  fama,  dice  Strabene,  che  una  volta  ardesse  ;  alla 
qual  circostanza,  penso,  vollero  alludere  gli  antichi  quando 
posero  la  chimera  ttvq  nvéoiau  (Pindar.  01,  Xni,  128  ed. 
Heyn.)  combattuta  e  domata  da  Bellerofonte.  Non  lascerò  di 
avvertire  la  grande  somiglianza  che  passa  fra  i  nomi  delle 
due  città  sannitiche  la  Aisernia  e  la  Fensernia. 
9-13.  Della  città  che  batte  questa  moneta  si  hanno  esemplari 
creduti  anepigrafi,  onde  il  Kiccio  che  uno  ne  riporta,  ha  opi- 
nato della  leggenda  che  fosse  una  perfetta  visione  {Repert. 
n.  7);  ma  poscia  confessa  a  p.  14  che  in  quella  del  Kochette 
da  lui  veduta  e  giudicata  senza  leggenda,  v'  era  e  si  leggeva 
5EN5EP  a  testimonianza  del  duca  di  Luynes.  Questa  città 
quando  le  leggende  non  sono  uscite  di  conio  si  chiama  dop- 
piamente come  ho  di  sopra  detto  Fensernia  e  Sensernia  :  della 
prima  epigi-afe  ci  sono  garanti  gli  esemplari  9,  10,  della 
seconda  i  nn.  11,  con  l'epigrafe  13S\A35  e  il  12  dove  si 
legge  q3^NA3^.  Non  ha  dunque  l'Avellino  creduto  di  vedere 
un  S  in  luogo  di  im  (})  (Opusc.  II  p.  134,  IV  p.  81)  come 
gli  appone  il  Millingen  {Consicl.  pag.  205).  Alla  quale  Sen- 
sernia l'Avellino,  cercò  per  altro  paragonare  la  Censennia 
sannitica  secondo  alcuni  codici  (Liv.  IX  e.  44):  gli  venne 
quindi  alle  mani  quell'  esemplare  del  Panelli  nel  quale 
erroneamente  lesse  Freternum  e  aggiudicollo,  come  ho  detto, 
a  Fiternum.  I  tipi  sono  la  testa  della  Giunone  Lacinia  po- 
sta di  prospetto  R.  Bellerofonte  sul  Pegaso  che  combatte 
la  chimera.  Questa  ha  due  teste  l' una  di  leone  e  l' altra 
di  capra,  il  corpo  è  di  leone  e  la  coda  termina  in  testa  di 
serpente.  È  notevole  la  lettera  f  ripetuta  sul  dritto  e  sul 
riverso  dell'esemplare  di  Parma  n.  13  perchè  ricorre  nella 
moneta  del  n.  8.  La  moneta  di  Pensernia  fu  dunque  incisa 
contemporaneamente  a  quella  di  Hyrium  e  dall'  incisore 
medesimo  che  marcò  il  conio  colla  lettera  f. 

PISTBLIA 

La  città,  che  sulla  propria  moneta  s' inscrive  in  primo 
e  sesto  caso,  di  lingua  e  carattere  sannitico,  W>IT^18,  ^IV>IT^I8, 
sopra  le  piccole  monete  che  sono  bilingui  dicesi  in  greco 
(J)I$TEA1A.  Niun  antico  ha  lasciato  memoria  di  lei  che 
sia  pervenuta  a  noi  e  però  la  prima  dimanda  si  è  dove 
fosse  questa  città.  Il  Mazzocchi  (Tab.  Heracl.  p.  590)  e 
rignarra  {De  palaestra  neap.  p.  261),  che  lo  segue,  si 
lasciarono  guidare  dalla  analogia  dei  suoni  quando  proposero 


94 


CAMPANIA 


T.  LXXXIX 


Paestum.  Il  Friedlaender  a  cui  sottoscrive  il  Sambon  {Re- 
cherches  pag.  46,  47),  a  quanto  pare  slette  per  Puteoli  credo 
pel  motivo  medesimo  della  vicinanza  di  suono  dai  due 
nomi,  egualmente  che  l'Avellino  allorché  die'  queste  monete 
ad  Histonium  {Bull.  nap.  an.  IV  p.  27).  Finalmente  il 
Minervini  {Osserv.  numism.  p.  13)  ce  lo  fissò  in  provincia 
di  Campobasso  in  quel  luogo  che  dioesi  Campo  Laureili, 
comune  di  Toro,  preso  argomento  dalla  scoperta  di  quaranta- 
tre esemplari  che  misti  a  monete  diverse  si  trovarono  negli 
scavi  fatti  in  un  antica  necropoli  :  e  pensò  che  questa  Tiste- 
lia  potesse  essere  la  Fulfulae  di  T.  Livio.  A  tale  opinione 
si  attennero  il  De  Petra  [Condizioni  delle  città  ital.  p.  86 
seg.),  e  il  Von  Duhn  {Bull.  Instit.  1878  p.  31,  163),  il 
quale  anche  scrive  che  «  le  monete  fistelline  non  hanno  a 
che  fare  con  questa  città  (di  Pozzuoli)  ».  L'argomento  alle- 
gato dal  Minervini  avrebbe  valore  se  la  indicata  scoperta 
avesse  qualche  riscontro  locale.  Perocché  altro  è  che  le 
dette  monete  siansi  trovate  in  quella  regione  del  Sannio, 
altro  che  ne  sia  ordinaria  la  provenienza.  Il  caso  è  diverso. 
Scavandosi  una  necropoli  in  Campo  Laureili,  fra  le  monete 
di  città  raccolte  ivi,  le  piìi  numerose  sono  state  queste  di 
Fistelia.  Ma  né  prima  né  dopo  questo  scavo  si  é  udito  che 
monete  simili  ci  fossero  recate  sovratutto  da  quella  regione. 
Le  fistelie  si  trovano  specialmente  in  Campania.  Il  Millingen 
l'aveva  appreso  per  esperienza:  «  Des  monnaies  nombreuses 
sur  les  qvelles  on  Ut  Phistltiis,  scrive  egli  {Considerai. 
p.  199),  oìi  Phistelia,  que  leurs  types  et  leurs  provenance 
indiquent  apparterJr  à  la  Campanie  ».  Keeentemente  da 
una  tomba  di  Capua  ne  furono  estratte  alcune  con  alquante 
napolitano.  Io  paragono  questa  scoperta  di  Campo  Laureili 
ad  un'altra  avvenuta  nella  stessa  provincia  sulla  montagna 
detta  Prosolone.  Ivi  erano  monete  osche  di  Tiano,  Com- 
pulteria,  v'era  qualch'una  di  Koma  col  bifronte  e  il  Giove 
fulminante  in  quadriga  :  v'  erano  le  napolitane,  e  quelle  di 
Arpi  in  Puglia,  ma  in  gran  numero  vi  si  trovarono  quelle 
di  Sessa  e  di  Calvi  :  queste  sommavano  a  circa  sessanta. 
Nel  Sannio  dove  non  fu  costume  di  batter  moneta  si  com- 
merciava colla  moneta  di  Campania,  di  Puglia  e  della 
Magna  Grecia.  Frequenti  sono  oggi  le  monete  d' Irina,  che 
si  trovano  nelle  terre  di  Campobasso,  e  di  recente  ho  esa- 
minato un  ripostiglio  trovato  in  Castellini  fra  Campobasso 
e  Larino,  che  si  componeva  di  monete  della  Magna  Grecia  mi- 
ste alle  campane  in  guisa  che  fra  le  trentasei  tutte  di  argento 
tredici  erano  d' Irina,  sette  le  nolane,  cinque  le  napolitane, 
ma  una  soltanto  di  Pistelia.  Le  monete  raccolte  in  Campo 
Laureili  le  conosco  tutte  dalla  relazione  che  ne  fece  l' in- 
caricato sig.  Trotta  il  di  5  maggio  1855,  e  le  ho  pure  ve- 
dute io,  che  dimoravo  allora  in  Benevento.  Ve  ne  erano 
parecchie  di  Taranto,  altre  di  Metaponto,  altre  ili  Caulonia, 
altre  di  Napoli  :  v'erano  le  fisteline,  e  con  esse  due  dei  Pi- 
tanati. 

L'altra  opinione  che  assegna  a  Puteoli  queste  monete 
fisteline,  e  che  il  Millingen  {Consid.  p.  291)  chiama  con- 
gettura la  più  ragionevole,  non  si  sa  donde  sia  nata.  Do- 
vrebbe almeno  potersi  provare   che   nelle  terre  puteolane 


si  trovano  più  che  altrove  frequenti  tali  monete:  ma  que- 
sta pruova  parmi  manchi  finora,  e  nondimeno  si  afferma  che 
le  fisteline  sono  di  Pozzuoli.  Ho  fatto  interrogare  a  mio  nome 
il  sig.  Sambon  che  mi  sembrava  potesse  avere  un  qualche 
argomento,  perocché  il  padre  le  aveva  attribuite  a  Pozzuoli, 
ed  egli  mi  fece  rispondere,  che  da  Pozzuoli  non  vengono 
le  monete  di  Pistelia,  le  quali  del  resto  si  trovano  nella 
Campania  e  per  lutto. 

Fra  tante  opinioni  delle  quali  ninna  si  sostiene  mi  sia  per- 
messo di  proporre  una  mia.  V  é  una  città  fra  le  nominate 
da  Livio,  che  meritava  più  che  ogni  altra  essère  ravvici- 
nata a  Fistlus,  Fistelia;  questa  è  Plistia,  che  le  edizioni 
del  1472  romana  e  parmense  concordemente  chiamano  Phi- 
listia:  i  eodici  di  Diodoro  L.  XIX  la  dicono  JlXifSvixì'iv,  e 
così  anche  alcuni  codici  di  Livio.  Questa  città  non  fu  guari 
lontana  da  Saticola,  e  però  sui  confini  del  Sannio  verso  la 
Campania,  e  quindi  occupata  or  da  Sanniti,  ora  dai  Greci, 
ora  dai  Eomani,  come  Saticola.  Oggi  i  geografi  pongono 
Saticola  che  Servio  chiama  popolo  della  Campania  {ad  Virg. 
Aen.  VII,  729)  a  s.  Agata  dei  Goti  e  Plistia  a  quattro  miglia 
nel  luogo  detto  Pletia  (Lor.  Giustiniani,  Diz.  geogr.  T.  Vili 
p.  250).  Livio  narra  che  l'anno  489  avendo  i  Sanniti  per- 
duta la  speranza  di  ritenere  Saticola  misero  l'assedio  a  Pli- 
stia socia  dei  Eomani  (L.  IX,  21):  spe  abiecta  Saticulae 
tuendae,  Plistiam  ipsi,  socios  romanorum,  circumsidunt  ; 
e  che  l'esito  fu  (e.  22),  che  Saticola  si  arrese  ai  Eomani 
e  i  Sanniti  presero  per  forza  Plistia:  Saticula  Romanos 
per  dedilionem,   Plistia  per  vim  Samnis  potitur. 

Or  intenderassi  anche  il  motivo  per  cui  Fistelia  conia 
le  sue  monetine  in  doppia  lingua,  sannitica  nel  dritto,  greca 
ner riverso:  perchè  stando  essa  sui  confini  del  Sannio  e 
della  Campania  fosse  agevole  alle  due  nazioni  leggere  il 
nome  nelle  patrie  loro  lingue. 

14.  Nel  Museo  di  Milano.  La  pubblicò  l'Avellino  {Opusc.  T.  II 

p.  '  56  n.  13)  e  mostrossi  disposto  a  crederla  di  Vescia  e 
combatté  quei  che  la  davano  a  Picentia.  Altri  però  la  da- 
vano a  Fistelia  che  identificavano  a  Picentia.  Il  Millingen 
la  tiene  per  moneta  imitata  dai  barbari  e  non  par  che  sia 
convinto  che  vi  si  legga  veramente  FI5K1NIS  {Consid.  p.  144)  : 
«  sur  la  quelle  on  a  cru  lire  FISKINIS  en  lettres  osques  ».  Il 
Fiorelli  dubitò  che  fosse  di  Fistelia  {Ann.  num.  I,  82). 
Testa  di  donna  volta  a  sin.  R.  Conchiglia  e  sopra  di  essa 
im  sorcio  volto  a  sin.  con  la  leggenda  ^INN^I'I.  La  moneta 
cumana  col  sorcio  al  riverso  è  nella  Tav.  81  n.  7.  Questa 
epigrafe  Pislinis  é  da  paragonare  a  Cumenis. 

15.  Coli,  di  Luynes.  (Fiorelli  Ann.  numism.  II  tav.  1).  Testa 
di  donna  messa  di  fronte  coi  capelli  sparsi  e  cinta  di  dia- 
dema. R.  Bue  androprosopo  a  sin.  e  sopra  ^IV>JTil(8. 

16.  17.  Testa  di  donna  coi  capelli  sparsi  e  diademata  posta  di 

fronte  con  una  filza  di  perle  attorno  al  collo.  R.  Bue  an- 
droprosopo a  sinistra,  nell'esergo  un  delfino,  sopra  n.  16 
8UTUVU,  n.  17  81STUV5. 
18,  19.  Testa  di  donna  con  pendenti  agli  orecchi  e  monile  al 
collo  volta  a  destra  ovvero  n.  19  volta  di  fronte  e  coi  ca- 
pelli sparsi  come  nei  n.  15-17.  R.  Bue  androprosopo  a  si- 


T.  LXXXIX 


CAMPANIA 


95 


lustra,  uell'esergo  un  delfino,  sopra  SISTUVU.  Può  dirsi  clie 
SISTUVS  sia  nomiuativo  plurale  81STUVI/1  sia  genitivo  e 
31STUV15  sia  locativo  {Fistli,  Fistlon,  Fistiis). 

20.  Nella  coli.  mia.   Testa  di  Giunone  con   diadema  cilindrico 

sul  capo  ornato  di  palmetta  nel  mezzo  e  di  ippocampi,  ha 
i  capelli  sparsi,  collana  di  perle  e  sta  di  fronte.  E.  Bue  an- 
droprosopo  che  guarda  a  destra  coronato  dalla  Vittoria.  È 
foderata  e  priva  di  epigrafe  ma  è  dello  stile  delle  fistelie. 

21.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  diademata  volta  a  sinistra. 

/?.  Bue  audroprosopo  che  guarda  di  prospetto  coronato  dalla 
Vittoria;  neir esergo  (ST)AYilN. 

22.  23.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  davanti  ^TAIilNT. 

B.  Bue  andropirosopo  a  destra  che  guarda  di  prospetto  co- 
ronato dalla  Vittoria  fi-a  le  gamhe  1^  nell'esergo  /y\TV^R 
nel  n.  23  DIAATVAI.  A  buona  ragione  ho  messo  insieme  que- 
ste monete  nelle  quali  il  nome  di  Pistelia  è  variamente  tra- 
dotto: ciò  che  più  importa  si  è  la  emissione  della  prima 
sillaba  in  Stliont  dei  n.  22,  23  ai  quali  perciò  ho  stimato 
dover  aggregare  la  moneta  n.  21  il  cui  Ujon  superstite  mi 
dà  fondamento  a  dedurre  che  deve  esservi  stato  scritto  stlyon. 
Fisleliont  pare,  un  genitivo  del  patronimico  Fisteliontes  o  sia 
Fisteliotae ,  che  si  può  stimar  possibile  nel  barbaro  dialetto. 
Un  nuovo  esemplare  di  cotesta  moneta  trovata  di  recente 
nelle  campagne  di  Tiano  è  posseduta  dal  sig.  Marchese  di 
Campodisola  nella  quale  moneta  l'epigrafe  del  rovescio, 
perchè  fuori  di  conio. 

24-27.  Testa  di  donna  volta  di  prospetto  coi  capelli  sparsi  e 
bella  collana  di  gioie  in  forma  di  ghiande.  R.  Leone  volto 
a  sin.  e  talvolta  n.  25  respiciente  a  destra.  V'è  nell'esergo 
un  serpe  n.  24,  25,  27,  nel  campo  di  sopra  di  raro  un  elmo 
frigio  n.  25,  un  astro  n.  26.  Il  tipo  del  leone  al  riverso 
ha  fatto  attribuire  cotesti  oboli  ad  Eraclea:  io,  avuto  ri- 
guardo alla  testa  del  dritto,  gli  aveva  aggregati  alle  mo- 
nete di  Fistelià,  quando  mi  è  occorso  di  trovarne  nella  coli, 
mia  una  con  una  metà  di  leggenda  iV^,  che  facilmente  si 
riduce  a  W>JTJI8. 

28,  29.  H  n.  28  è  nella  coli,  mia,  il  29  in  quella  di  Santangelo  e  fu 
già  pubblicato  dal  Piorelli  {Ann.  numism.  I,  pag.  11  tav.  1, 6) 
dopo  la  notizia  datane  dal  Lenormant  (Revue  numism.  1844 
pag.  249).  Testa  di  donna  coperta  di  elmo  triphalus  volta 
di  prospetto.  E.  H  segno   della   metà,  e  intorno  num.  28 

N  8  A  -V  '  '^^  ^^  81  5T  ■  "'^'  •'^^fillino  dopo  altri  pensò  che 
questa  fosse  moneta  di  Histonium.  [Bull.  arch.  «ap.  1846,25). 

30-34.  Testa  imberbe  con  capelli  discriminati  a  guisa  di  coppi  dei 
tetti.  Nelle  tavole  del  Carelli  è  inciso  ct)I^TVAlA,  che  non  fu 
corretto  dall'Avellino  e  neanclie  dal  Cavedoni  [ad  Car.  tab. 
LXII,  5-8).  La  greca  epigrafe  nelle  due  prime  è  OlìTEAIA. 
E.  Conchiglia,  delfino,  acino  d'orzo  e  leggenda  osca  variamente 
scritta  n.  30  IV>JT^I8;  31  ^IV>JT^I8,  indin.  32  1/V\V\AVI0,  33 
^VVT^IS,  34  yVTWIS.  Avvertasi  che  il  Millingen  ha  preso 
per  acrostoUum  la  conchiglia  che  in  cotesto  monetine  si 
rappresenta  [Coìisid.  p.  201). 

35.  Testa  a  quanto  pare  diademata,  messa  di  fronte  e  la  lettera  V. 
E.  H  segno  del  semis  e  5IVn'T^I8  (Fiorelli,  Ann.  num.  I,  5). 


36.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  attico  ornato  di  laurea 
e  della  civetta  volta  a  sin.  E.  Mezzo  bue  audroprosopo  volto 
a  d.  in  alto  5IV>JT5I8  (Minerviui,  Bull.  arch.  nap.  Ili,  XII,7). 

ALLIBA 

L'Avellino,  anche  dopo  che  il  Cavedoni  ebbe  citato  Esi- 
chio,  tenne  che  questa  città  non  fosse  mai  stata  ricordata 
dagli  antichi  e  a  ragione.  Perocché  quel  tratto  di  Esiehio 
che  il  Cavedoni  additò  e  trascrisse  {Spicil.  p.  13  an.  1838) 
non  parla  di  'Ali^ag  ma  di  'AXv^ag  e  dice  così:  'AXv§ag 
OQog  nccgà  2o(poxXsT,  rj  nólic,  •  ol  oh  XC/xrrj  iv  'IxaXia  xaì 
€i>  Troice.  Quanto  ad  'AXi^ag  scrive  Suida  che  vale  morto, 
ovvero  un  fiume  dHnferno,  ovvero  l'aceto  :  'Ali^ag  ò  vsxqog,  ^ 
Tvorafuòg  év  àSov.  léystai  tj  d)J§ag  xaì  rò  o^og.  Per  la 
qual  menzione  dell'  "ASr^  avvertì  l' Avellino,  approvato 
perciò  dal  Millingen  {Consid.  1841  p.  141),  che  questa 
città  poteva  essere  stata  vicina  a  Cuma,  e  presso  l'Averne, 
cioè  in  una  regione  sacra  a  Plutone;  ea  in  regione  quaa 
Plutoni  maxime  sacra  habetur  (Suppl.  ad  Ital.  numism. 
pag.  12),  e  forse  dove  scorreva  un  fiume  di  nome  Alibas. 
Quanto  poi  al  monte  Alibas  si  è  allegato  per  riscontro  un 
monte  nella  regione  puteolana  che  oggidì  si  chiama  Ole- 
vano,  e  credesi  che  si  dicesse  'AXC^ag.  Tiensi  anche  per 
dimostrato  che  Alliba  non  è  Alife  ed  è  questo  il  parere 
del  Minerviui,  il  quale  giustamente  dichiara  di  greco  carat- 
tere AH  (J)  HA,  ond'  è  che  le  due  denominazioni  essendo 
diverse  non  si  possono  adattare  ad  im  linguaggio  mede- 
simo {Oss.  p.  131).  Aggiungasi  che  quando  gli  Allifaui 
hanno  voluto  trascrivere  il  nome  della  loro  città  in  carat- 
tere osco  r  hanno  chiamata  ASMA,  non  ASM-JA.  Indi 
segue  che  quando  gli  agrimensori  latini  ci  parlano  del- 
l' ager  Allifanus  non  si  deve  intendere  che  parlino  di  Al- 
liba, ma  di  Alife.  Né  osta  che  Silio  Italico  nomini  Alife 
fra  Calvi  e  Casino  [Punic.  L.  XII,  526)  e  poi  fra  Ndìa  ed 
Acerra  (L.  VIII,  537)  per  dire  che  si  parla  di  due  città 
che  il  poeta  se  non  distingue  di  nome  le  fa  però  distin- 
guere dalla  località  diversa.  Il  quale  argomento  non  può 
sostenersi,  se  non  si  suppone,  ciò  che  non  si  può,  che  i  poeti 
debbano  seguire  l'ordine  geografico  quando  descrivono  le 
città,  che  in  caso  di  guerra,  o  per  altro  motivo  sono  da  loro 
poeticamente  nominate  e  descritte.  Alifa  ed  Alliba  hanno 
sulle  loro  monete  tipi  diversi  :  quei  di  Alife  non  adoperano 
simboli  marini,  come  gli  Allibani,  che  prendono  il  mostro 
Scilla  per  propria  insegna  e  le  teste  di  Grlaueo,  di  Apollo, 
di  Pallade. 

Alifa  per  contrario  non  pone  sui  suoi  didrammi  che  i 
soliti  tipi  della  Campania,  testa  di  Pallade  e  al  riverso  il 
toro  androprosopo.  Pone  anche  la  testa  di  leone  allusiva 
alle  sue  origini  forse  dai  Samii  che  abitavano  le  spiagge.  Gli 
Allibani  non  seguono  altra  tradizione  che  quella  sostenuta 
anche  dai  Cumani  della  magica  verga  e  della  potenza  dei 
veleni  di  Circe,  onde  avveniva  che  si  popolasse  di  mostri  e 
di  belve  feroci  la  terra  e  il  mare  circostante. 

37.  Mia  collezione.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d.  intorno 


9G 


CAMPANIA 


T.  LXXXIX 


tre  delfini.  /(.  AAAIBANON.  Il  mostro  Scilla  con  turgide 
mammelle  e  due  teste  di  cane  che  le  si  spiccano  dalle  spalle 
ha  nella  destra  un  polpo  e  nella  sinistra  un  delfino  creduto 
dal  Cavedoni  (Spie,  numism.  15)  il  pesce  Glauco,  la  sua 
coda  è  munita  di  cresta:  nel  campo  di  sotto  è  una  con- 
chiglia del  genere  pinna.  Pesa  gr.  0,70. 

38.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  davanti:  AH^IBAN. .. 
R.  Mostro  marino  bicipite  e  desinente  in  coda  di  pesce  ar- 
mata di  creste  :  due  protome  di  cane  si  slanciano  dalle  sue 
spalle  abbaiando  :  esso  porta  sulla  sinistra  un  delfino  e  un 
polpo  nella  destra  ed  è  accompagnato  da  due  cigni  che  le 
aleggiano  intorno.  Parmi  evidente  che  gli  Allibani  abitas- 
sero sul  mare.  La  doppia  testa  del  mostro  credo  che  sia 
simbolo  di  sua  confederazione  forse  con  Cuma,  la  quale 
in  una  singoiar  moneta  prende  per  impronta  del  riverso 
una  Scilla. 

39-40.  Testa  di  Apollo  laureata  fra  delfini  volta  a  d.  R.  Mo- 
stro marino  ad  una  testa  simile  però  nel  resto  al  prece- 
dente: nel  basso  una  conchiglia:  l'epigrafe  è  AAAIBANON 
più  0  meno  compiuta. 

41.  Nella  coli.  mia.  Testa  barbata  e  laureata  volta  a  d.  R.  Si- 

mile ai  tre  precedenti. 

42.  Museo  di  Berlino.  Conchiglia.  R.  H,  segno  della  metà  e  in- 

torno I3AAA  od  AAAEI  (Piorelli,  Annal.  di  numism.  1846 
pag.  82  tav.  Ili  n.  4).  Il  Priedlaender,  Osk.  Munzen, 
pag.  25)  la  attribuisce  ad  Alife  persuaso  che  .alliba  ed  Alife 
sono  due  nomi  della  medesima  città.  Io  non  sono  di  questo 
parere  e  attribuisco  col  Piorelli  (Mon.  ined.  p.  19)  e  col 
Minervini  {RuU.  arch.  nap.  Ili,  53;  IV,  145)  cotesta  mo- 
neta ad  Alliba  città  greca  e  marittima,  non  mediterranea 
ed  osca,  come  Alife. 

NUCEKIA 

Nocera,  scrisse  Cenone  citato  da  Servio  {ad  Aen.  VII,  738), 
è  rma  delle  molte  città  fondate  dai  Pelasgi  e  dai  Greci  del  Pe- 
loponneso, i  quali  diedero  al  fiume  della  contrada  il  nome  patrio 
di  Sarno  e  presero  per  se  il  soprannome  di  Barrasti.  Le  monete 
di  Nocera  appartengono  tutte  all'epoca  in  che  essa  era  occupata 
dagli  Osci  e  questi  si  denominano  Sarasneis  e  s' inscrivono  a 
distinzione,  pare,  di  altri  Nucerini  coli'  appellativo  di  Nucerini 
Alafaterni.  È  facile  rimuovere  dal  Sarasneis  la  lettera  S,  e  sa- 
ranno però  i  Sarani,  popoli  del  Sarano  o  Sarno.  Altre  monete 
portano  il  nome  dei  Decuini,  altre  dei  Decuini  Ranì  popoli  a 
noi  ignoti,  ma  che  dimostrano  di  aver  fatta  alleanza  coi  Nuce- 
rini Alafaterni.  Pompei,  città  osca  e  la  più  vicina  d'ogni  altra 
a  Nocera,  era  posta  sulla  riva  del  Sarno,  rjV  naQaq^sT  6  JÙQvog 
notajxóq  (Strab.  V,  170),  potrebbe  essere  ima  delle  multa  o-p- 
pida  fondate  dai  Greci  del  Peloponneso  ;  certo  è  che  fu  in  ori- 
gine greca,  siccome  dimostrano  alcune  fabbriche  superstiti  di 
antichissimo  dorico  stile  ;  ma  finora  non  ci  si  è  rivelato  nulla  che 
aiuti  ad  interpretrare  il  tipo  delle  monete  nucerine,  cioè  la  testa 
giovanile  munita  di  corna  d'ariete  e  il  giovane  eroe  nudo  che 
frena  colla  destra  un  cavallo  e  porta  nella  sinistra  una  lunga 
asta  con  un  fiore  in  cima.   L'Avellino  {Num.  anecd.  22)   ad- 


dusse il  racconto  serbatoci  da  Svetouio  (De  dar.  rhct.  e.  4)  di 
un  nucerino  di  nome  Epidio  che  dicevasi  aifogato  nella  fonte 
del  Sarno,  e  dopo  alcuni  giorni  fattosi  vedere  colle  corna  uscir 
dalle  acque  e  dileguarsi;  onde  poi  gli  furono  tributati  gli  onori 
divini.  Cotesto  Epidio  contavasi  fra  i  suoi  antenati  da  queU'Bpidio 
ohe  fu  maestro  di  Antonio  e  di  Augusto.  Hic  Epidius  ortum 
se  ab  Epidio  Nuncione  (')  praedicabat,  quem  ferunt  olim  prae- 
cipitatum  in  fontem  fluminis  Sarni  paulo  post  cum  cornibus 
extitisse,  ao  statim  non  comparuisse,  in  numeroque  deorum 
habitum.  La  spiegazione  dell'Avellino  fu  seguita  dal  Millingen 
ed  ebbe  da  sua  parte  il  Minervini  (Osserv.  p.  45):  ma  il  Millin- 
gen eambiò  poscia  di  avviso  dichiarando  di  credere  che  sia  la  testa 
dell'eroe  Sarnus,  dal  quale  prese  nome  il  fiume,  e  il  popolo  si 
appellò  Sarraste  {Consid.  pag.  198). 

Ma  il  racconto  serbatoci  da  Svetonio  quantunque  non  dica 
di  quali  corna  era  munito  Epidio,  quando  uscì  dalle  acque,  non- 
dimeno ce  lo  descrive  apertamente  qual  novello  nume  acquatico  : 
edjè  ben  noto  che  ai  fiumi  non  si  davano  corna  convoluta  in  anfra- 
cluni,  come  sono  le  arietine,  bensì  infesta  come  ai  tori:  le  corna 
arietine  davansi  invece  ad  Ammone  e  al  suo  figlio  Dioniso,  perchè 
custodi  ambedue  delle  pecore  così  rappresentati  da  quei  popoli,  i 
quali  traevano  la  lor  ricchezza  dalle  mandre  di  questo  bestiame. 
Noi  non  abbiamo  alcun  indizio  del  culto  di  Bacco  libico  in  No- 
cera 0  dell'Apollo  Carneo  voluto  sulla  nostra  moneta  dal  Du 
Chalais  (Rev.  numism.  1850  pag.  394-404),  il  quale  gratuita- 
mente ancora  gli  ha  attribuite  le  corna  di  ariete  (Muller,  Monn. 
de  Vane.  Afr.  I  pag.  104).  Né  poi  ci  è  possibile  il  concedere 
che  i  Nucerini  ponessero  una  volta  la  loro  miglior  fortuna  nel 
commercio  del  minore  armento,  come  farebbe  supporre  il  Dio- 
niso di  Libia,  tipo  principale  delle  loro  monete.  Kesta  quindi 
ohe  alla  imagine  siano  state  attribuite  le  eorna  d'  ariete  per 
motivo  a  noi  ignoto,  ma  verosimilmente  per  un  racconto  analogo 
a  quello  di  Carano  fondatore  di  Aegae,  che  fu  rappresentato  con 
corna  di  capro,  perchè  traforatosi  in.  città  con  un  branco  di 
capre  invase  il  regno.  Non  sapendo  trovare  alcim  rapporto  simile 
a  quello  che  fé  dare  ad  Alessandro  Magno  e  ad  alcuni  suoi  suc- 
cessori le  corna  arietine,  pare  che  ragionevolmente  c'inchiniamo 
ad  un  mito  locale  qual'  è,  per  esempio,  quello  dei  Romani  che  rap- 
presentarono sulla  porta  raudusoulana  Genucio  Cipo  con  le  corna 
(Val.  Max.  V,  6,  3,  pi.  XI,  45). 

Quanto  al  tipo  del  riverso  il  Cavedoni  vuole  {Bull.  Instit. 
1850,  198)  che  il  giovane  nudo  sia  un  Dioscoro  che  frena  il  ca- 
vallo colla  destra  ed  abbia  nella  sinistra  una  verga  per  reggere 
ed  eccitare  alla  corsa  il  eavallo.  L'è  un  errore  :  il  giovane  non 
tiene  in  mano  una  verga  (e  dovrebbe  essere  una  frusta,  come 
sulle  monete  tarantine)  ma  un'  asta  con  alla  cima  un  fiore  in- 
torno al  pomo,  nel  qual  modo  suole  figurarsi  lo  scettro,  di  che 
abbiamo  esempi  sulle  monete  di  Eoma  e  di  Capua.  Cotesto  gio- 
vane adunque  è  un  eroe  deUa  città  e  lo  scettro  fa  arguire  che 
ne  fu  una  volta  capo  o  dinasta  e  conduttore. 

I  Nucerini  venerarono  ancora  Apollo  e  i  Dioscori  che  rap- 
presentano sulla  maggiore  unità  di  bronzo  ;  Apollo  e  Diana  caccia- 


(')  Questo  vocabolo  è  diversamente  scritto  nei  codici  e  nelle  stampe, 
Nuncione,  Nuncino,  Mancino;  donde  i  critici  hanno  fatto  Nucerino. 


T.  XC 


SAMNIVM 


97 


itrce,  la  quale  figurano  per  mezzo  del  suo  simbolo,  il  cane  le- 
vriero, al  riverso  della  unità,  minore. 

Le  epigrafi  osche  sogliono  essere  spesso  scorrette  fuor  di 
dubbio  per  ignoranza  degli  artefici  di  zecca.  Nocera  venne  in 
potestà  dei  Komani  nel  456  (Liv.  IX,  41):  (Fabius)  profectus 
ad  Nuccriam  Alfaternam,  tum  pacem  petentes,  quocl  uti  ea, 
quum  daretur,  nohiisserìt,  aspernatus,  ohpugnando  ad  dedi- 
tìonem  mhegit. 


Tav.  XC. 

1-3.  Testa  giovanile  con  lunghi  capelli  diademata  e  munita  di 
corna  arietine  volta  a  sinistra  di  raro  a  destra  come  nel  n.  3. 
Alla  nuca  nel  n.  1  è  uu  delfino,  intorno  si  legge  n.  1  :  NVV3N 
3n>lN  WWM)  n.  2. /V\Vl/ia3TI/18Nx|N  W\Vl/!iai>|]  e  all'esergo 
del  riverso  JIBH^NQRJ  n.  3.  NYPKPlNVNVi<lUfl8flTCtlNV 
e  al  riverso:  KlIIDIl  R.  Giovane  nudo  con  scettro  nella 
sinistra  tiene  per  la  briglia  un  cavallo  che  muove  il 
passo. 

4.  Testa  di  Apollo  volta  a  sin.;  davanti  WNmiTMf\  WNY\miyy\ 

B.  I  due  Dioscori  nudi  a  cavallo  che  corrono  verso  la  sinistra 
alzando  la  destra;  uell'esergo  mVI/lRNQ  WV1/1G>I35Ì 

I  Nucerini  conosciuti  sotto  il  nome  di  Alfaterni  si  danno 
di  .fatto  questo  appellativo  sulle  loro  monete,  ma  negli 
eserghi  di  esse  aggiungono  altri  nomi  nel  caso  genitivo 
plurale  ovvero  nel  nominativo,  e  sono  probabilmente  loro 
alleati  che  si  appellano  Decuini,  Decuini  Raani  e  Sarasnei. 
Koi  possiamo  nel  Sarasnei  riconoscere  i  Sarani  ma  dei 
Decuini  e  dei  Decuini  Raani  non  troviamo  che  dire.  Il  Poole 
{Catal.  121,  7)  pone  una  lacuna  davanti  W1VHN. 

5.  Coli.  mia.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  R.  Cane  le- 

vriere in  agguato  a  destra  e  intorno  l'epigrafe  H1Vl'lia>l=lVH 
kMVHQ3TN8fì>IR  In  altri  esemplari  non  si  vede  la  laurea 
ma  invece  il  segno  di  un  diadema. 

lENVM 

Non  ha  molti  anni  che  in  due  sepolcri  oschi  di  Pompei 
si  rinvennero  due  monete  di  Imo  coi  tipi  dell'Apollo  e 
il  bue  androprosopo  al  riverso,  e  l'epigrafe  IDH®H  (/Jwrn. 
degli  scavi  1874  n.  21).  Altronde  era  noto  che  simili  mo- 
nete provenivano  dalla  Campania  :  era  dunque  facile  il 
dedurre  che  in  Campania  vi  fu  una  città  chiamata  Irnum. 
La  Campania  dal  lato  di  mezzodì  aveva  per  confine  il 
fiume  Sele  prima  del  463  nel  qual  tempo  i  Komani  tra- 
sportarono in  Campania  i  Picenti  e  li  allogarono  nelle  vaste 
terre  che  dal  Sele  si  distendono  fino  a  Salerno.  Quivi  dunque 
e  propriamente  presso  Salerno  scorre  un  fiumicino  che  oggi 
si  appella  Irno  e  sembra  persuadere  che  vi  stanziasse  sulle 
sue  rive  quel  popolo  che  si  chiama  col  nome  medesimo, 
costume  notissimo  dell'antica  età. 

È  oscurissimo  come  e  quando  cotesto  popolo  venisse  a 
collocarsi  o  se  vi  fosse  trapiantato  dai  Romani  insieme  coi 
Picentini.  La  loro  moneta  è  di  bronzo  e  del  più  barbaro 
stile  e  sebbene  i  tipi  imitano  le  monete  di  bronzo  di  Napoli, 


nella  testa  laureata  di  Apollo  coi  capelli  alla  nuca  retro- 
cessi ed  il  semplice  loro  a  testa  umana  al  riverso,  pure 
l'alfabeto  e  l'ortografia  non  è  di  osco,  né  di  latino  puro,  ma 
si  avvicina  al  più  vetusto  di  Lucerà  e  al  comune  di  Larino, 
nei  quali  si  nota  la  lettera  D  che  prende  il  luogo  della  R 
latina  contrariamente  al  dialetto  osco  nucerino  e  di  Aurunca, 
che  ritiene  la  9.  Essi  adoperano  anche  un  altra  let- 
tera di  forma  assai  nota  negli  alfabeti  greci  e  nell'etrusco 
arcaico,  ma  in  senso  a  parer  mio  diverso.  Questa  è  la  let- 
tera ©  che  nella  monete  da  me  attentamente  trascritte 
ha  questi  esempi:  IDNffi,  IDffiN,  IDN®D,  ma  si  trova  an- 
che figurata  cosi:  1DH®I,  IDNOlrj.  L'evidente  confronto 
che  possiamo  fare  di  1DN012  con  8I$TUVR  ne  convince 
che  essa  è,  come  parve  all'  Eckhel  una  variante  dell'  o 
(D.  n.  V.  I,  19),  anche  quando  imita  la  forma  del  th 
nelle  voci  soprascritte.  Ed  è  notabile  l'esempio  di  un  © 
dove  la  linea  verticale  che  è  nel  centro  prende  il  posto  di 
un  punto,  il  quale  si  trova  usato  non  solo  per  la  lettera 
th  ma  anche  per  la  lettera  o  nel  greco  alfabeto.  Sicché  si 
vede  che  quanto  a  ciò  v'è  anche  un  analogo  scambio  di  que- 
ste due  lettere  presso  i  Greci  :  sarà  poi  nuovo  in  un  alfa- 
beto che  ha  origine  dall'  osco  frentano,  dove  si  legge: 
SDENTDEI  e  UADINOD;  Frentrei  e  Larinor,  ma  la  o  è  nor- 
male. 

6-8.  Testa  di  Apollo  laureata  coi  capelli  lisci  e  quasi  rivolti 
alla  nuca.  R.  Bue  androprosopo  a  sin.,  sopra  la  leggenda 
che  varia  nel  caso  ora  locativo  plurale,  ora  singolare  : 
IDNOU,  1DN®D,  IDN®. 

9.  Testa  di  Apollo  simile  alle  precedenti  6-8.  R.  Conchiglia  in 
mezzo  a  tre  delfini  che  le  guizzano  intorno.  Non  ha  epi- 
grafe, ma  la  somiglianza  dello  stile  ha  persuaso  i  numis- 
matici di  aggregarla  alle  monete  di  Irno. 

SAMNITES 

Non  fu  costume  dei  Sanniti  di  batter  monete,  ed  io 
non  posso  citare  che  una  sola  eccezione,  il  raro  bronzo  di 
Aquilonia  nel  Sannio  Pentro,  la  quale  del  resto,  stando  ai 
confini,  deve  aver  imitati  i  popoli  circostanti,  come  le 
città  sannitiche  che  confinano  colla  Campania.  E  però  venuta 
alla  luce  in  due  esemplari  una  monetina  d'argento,  in- 
scritta del  nome  retrogrado  ^AYNITAN,  né  può  dirsi  che 
sia  moneta  di  alleanza,  perchè  i  tipi  non  sono  di  alcuna 
delle  città  greche  d'Italia,  ma  simbolici  della  nazione.  A 
me  pare  che  sia  stata  coniata  dai  Tarantini  :  la  lingua  della 
epigrafe  è  dorica  appunto  come  quella  dei  Pitanati,  e  pos- 
sono assegnarsi  all'epoca  medesima.  La  testa  muliebre  co- 
perta di  un  ricinium  a  piii  ripieghe  deve  rappresentare  il 
costume  delle  donne  sannitiche,  e  la  punta  di  lancia  al 
riverso  deve  ritenersi  pel  craiU'tov,  peculiare  arma  della 
nazione  sannitica. 

Era  tradizione  che  i  Greci  avessero  dato  nome  di  ^av- 
vlrai  a  quella  tribìi  di  Sabelli  che  adoperavano  per  asta 
il  saunium;  i  Latini  li  dissero  Samnitae.  Ma  non  si  sapeva 
qual  particolare  forma  avesse  quest'asta,  e  il  Dacier  seguito 


98 


SAMNIVM 


T.  XC 


dal  Muller  {ad  l'eUum  ^.  326)  l'aveva  confuso  con  quel 
giavellotto  in  forma  di  spiedo  che  Virgilio  (Aen.  VII,  665): 
chìltma,  veru  sabellum  ove  scrive:  tereti pugnant  mucrone 
veruque  sabello.  Il  Muller  poi  nel  luogo  citato  opina 
clie  i  G-reci  avessero  voluto  spiegare  così  la  versione 
^avvitai  data  al  latino  Samnitae.  Ma  quanto  siano  andati 
lungi  dal  vero  lo  fa  ora  manifesto  questa  monetina,  dove 
è  messo  in  bella  evidenza  clie  il  saunium  non  ebbe  forma 
di  spiedo  e  mal  si  è  confuso  col  veru  dei  Sabelli,  e  che 
i  G-reci  diedero  loro  i  primi  il  nome  di  ^avvitai  dalla 
singoiar  forma  della  loro  lancia,  e  per  arma  parlante  l'hanno 
rappresentata  sulla  moneta.  Questa  sorta  di  punta  a  larghe 
ale  non  riconosciuta  prima  nelle  collezioni  pel  oavvtov  ha 
ora  un  insigne  esempio  recatoci  dalle  campagne  di  Pietrab- 
bondante,  l'antica  Bovianum  Yelus  dei  Pentri,  che  fa  l'orna- 
mento del  Museo  municipale  di  Campobasso. 

10.  Testa  di  donna  con  ricinio  in  capo  piegato  in  modo  del  tutto 
locale,  e  leggenda  HATIHYA?.  R.  Ferro  di  lancia  dentro  una 
corona  di  lauro. 

PITANATAB 

Il  Millingen  ricorda  {Consicl.  p.  117)  di  aver  dato  alla 
luce  [Anc.  coìns  1831  p.  13)  la  monetina  dei  Pitanati  che  si 
davano  il  soprannome  di  Peripoli.  Prima  di  ciò  essendosi  la 
moneta  letta  dal  P.Khell  soltanto  per  metà  erasi  attribuita  al 
castello  deiLocresi  detto  IIsQinóliov  (Thucid.  L.  Ili,  e,  99); 
ma  il  P.  Eckhel  l'aveva  posta  fra  l'incerte  {N.  v.  anecd. 
p.  308).  Il  Millingen  tenne  adunque  che  la  moneta  essendo  dei 
Pitanati  Peripoli  fosse  battuta  dai  Tarantini  per  cotesti  Pila- 
nati  0  venuti  da  Pitana,  ovvero  così  detti  in  memoria  della 
origine  tarantina,  chiamati  Peripoli,  o  sia  guardie  a  difesa 
dei  confini.  Ma  cotesti  confini  non  sono  a  mio  avviso  quei 
dei  Tarantini;  se  così  fosse,  a  che  coniare  per  loro  una 
moneta  speciale?  Essi  adunque  stavano  sopra  altri  confini 
e  questi  erano  dei  Sanniti,  pei  quali  si  era  dai  Tarantini 
procurato  quel  presidio  a  tutela  d'ogni  invasione  straniera 
e  conferma  del  patto  di  alleanza  che  si  era  stretto  fra  i 
due  popoli.  Nel  tempo  medesimo  i  Tarantini  coniavano  una 
moneta  a  nome  dei  Sanniti  (il  che  grandemente  convalida 
il  parer  mio),  di  recente  scoperta  in  soli  due  esemplari 
passati  ambedue  nella  collezione  del  Luynes.  I  tipi  della 
moneta  dei  Pitanati  sono  tarantini,  quei  delle  monete  dei 
Sanniti  sono  proprii  e  singolari. 

Di  questo  antico  impianto  dei  Pitanati  nel  Sannio  per 
opera  dei  Tarantini  era  giunta  la  notizia  a  Strabene  (V,  250), 
ma  egli  non  vi  prestò  fede,  giudicandola  una  invenzione  dei 
Tarantini  per  conciliarsi  i  Sanniti,  avendone  sperimentato 
il  prò,  quando  spedirono  in  loro  soccorso  ottantamila  fanti 
e  ottomila  cavalli  (Strab.  V,  1.  cit.). 

11,  12.  Testa  di  donna  diademata  volta  a  sin.  alla  nuca  "E.  R.  Er- 
cole che  strozza  il  leone  :  intorno  FllTANATAN  nEPinOAHN 
Il  monogramma  dell'altro  esemplare  n.  12  è  /E  (cfr.  Poole, 
Catal.  398,  4),  al  riverso  del  quale  1'  Ercole  che  strozza 
il  leone  è  volto  a  sinistra. 


MALIES 

Si  è  cercata  la  patria  di  cotesti  bronzi  assai  rari,  e,  da 
Mdes  di  Livio  creduto  l'odierno  Molise  dove  il  posero  da 
principio  il  Millingen  [Anc.  coins  p.  3)  e  l'Avellino  (Suppl. 
ad  II.  vet.  niom.  p.  48),  si  è  opinato  di  trasportarli  a 
Malventum  detto  poi  dai  coloni  latini  Beneventwm.  Della 
identità  di  cotesta  Malies  delle  monete  con  Maleventum 
degli  storici  sono  incerti  il  Priedlaender  {Osk.  Mun.  67), 
e  il  Mommsen  [H.  de  la  monn.  Ili  p.  187),  non  è  per- 
suaso il  Rochette  (Journ.  des  Sav.  1854  p.  243,  1),  non  è 
sicuro  il  Minervini  {Osserv.  p.  19).  Il  Mommsen  ora  tiene 
che  la  leggenda  /V\AHES  non  è  puramente  latina, 'come 
aveva  opinato  altra  volta  (Unterit.  Dial.  p.  192),  ma  vi 
riconosce  con  quei  che  il  Minervini  chiama  ultimi  numi- 
smatici (1.  cit.)  una  mistione  di  greco  e  di  latino.  Io  non 
sono  però  di  questo  avviso,  e  corrette  le  false  o  imper- 
fette lezioni  dichiaro  che  la  leggenda  AAAUES  unica  vera, 
non  dà  fondamento  alla  mistura  pretesa  di  elementi  greci 
e  latini  ;  ella  è  perfettamente  greca  non  meno  della  moneta 
napolitana  dove  si  leggono  insieme  adoperate  le  due  let- 
tere l  ed  i  (Vedi  la  Tav.  LXXXIV,  18).  Il  MALIE  letto 
dall'  Avellino  è  imperfetto,  e  nel  MAllE?  già  citato  dal 
Millingen  {Comid.  224  not.  1)  è  verissimo  che  si  legge  I 
in  vece  di  L,  probabilmente  per  difetto  di  conio.  La  MAUIEZA 
e  la  MAHES  non  si  sono  mai  riscontrate  ai  tempi  nostri, 
e  il  Minervini  ha  lodevolmente  stimato  che  nella  moneta 
del  Lauria  che  egli  pubblica  la  inferiore  asta  dell'?  è  ri- 
masta fuori  del  conio. 

Stabilitala  vera  lezione  MAL-IE?  potremo  ormai  dire  che 
l'è  una  colonia  greca  stabilitasi  in  quel  luogo  medesimo  che 
fu  poi  occupato  dai  Sanniti  ed  era  in  loro  possesso  nel  442 
(Liv.  IX  e.  26,  X  e.  15),  sotto  nome  di  Maleventum  nato  da 
Mah'sg  per  anadrome  del  caso  quarto  Mah'evzor.  Paolo,  cioè 
Pesto  0  sia  Verrio  Fiacco  aveva  scritto  di  Benevento,  che  i 
Greci  suoi  abitatori  così  la  chiamarono  (Fest.  p.  39,  ed.  Muli.): 
Earii  urbein  antea  Graeci  incolentes  Malóev%ov  appellarunt, 
dove  soltanto  dovrà  correggersi-  MAUIFENTON  e  per  sincope 
MAUFENTOÌVJ,  sostenendo  la  vocale  O  le  veci  del  digamma 
eolico.  Il  nome  MaXi'eg,  messo  evidentemente  per  MaXCsig, 
come  Jlv'^ósg  per  Ilv'gósig,  ha  un  buon  riscontro  in  MaXisvg 
nome  della  città  dei  Malli  insieme  e  del  popolo  che  l'abi- 
tava (Steph.  642,  sub  v.).  Dalle  cose  dette  deriva  che  la 
moneta  non  fu  battuta  dopo  1'  occupazione  romana  come 
opinai  nelle  Iscr.  di  Bencv.  (pag.  18,  19),  uè  quando  era 
dominata  dai  Sanniti,  ma  nell'epoca  in  che  l'abitavano  da 
padroni  i  Greci,  quantunque  con  loro  vivessero  insieme  fa- 
miglie osche  numerose,  e  certamente  nobili  e  ricche.  Il  de- 
sumo dalla  famiglia  dei  Fabii  che  si  apparentò  cOn  quella 
degli  Otacilii  di  Malevento,  fin  dagli  ultimi  periodi  del 
secolo  terzo  di  Eoma,  dal  qual  connubio  nacque  il  N.  Fabio 
Vibulano  che  fu  console  nel  333  (Borghesi,  Oeuvr.  T.  IX 
pag.  99,,  100). 
13.  Testa  giovanile  volta  a  d.  B.  Bue  androprosopo  la  cui  testa 


T.  XC 


SAMNIUM 


99 


è  uscita  (ili  couio;  di  sopra  uu  elmo  con  i  guanciali,  uell'esergo 
MAUIE^.  L'ha  pubblicato  ilMinerriui  {Bull.  ardi,  nap.lll, 
XII,  9). 
14,  15.  Testa  di  douna  diademata  coperta  di  una  cuffia  con  fiocco 
pendente  dal  vertice;  davanti  MAL-IE^  (Sestini,  M.  Fon- 
tana III,  12).  E.  Bue  androprosopo  volto  a  d.  e  guarda  di 
prospetto,  sopra  una  testa  di  fauno  barbato.  L'epigrafe  del 
secondo  esemplare  è  MAIIE?.  Il  llillingen  {.incicns  coins 
pi.  1,  2)  ha  ben  letto  MAIIE?  e  ben  giudica  nelle  Con- 
sid.  a  p.  224  che  la  linea  orizzontale  dell'L  non  è  visibile. 
Egli  primieramente  attribuì  questo  bronzo  a  Mela  e  ovvero 
Melos  nel  Sannio,  quando  altri  lo  giudicarono  di  Malvcn. 
tum;  poi  si  attenne  a  cotesto  parere.  Questo  nome  MaXdc 
deve  supporsi  scritto  come  Jlv^ófc  in  vece  di  MaXutg, 
llv^ósig  omesso  il  iota  soggiuntivo.  Indi  siccome  dall'  ac- 
cusativo Jlv^ósig  si  è  per  auadrome  creato  dai  Latini  Bu- 
xentuin,  così  da  MalUrza  si  è  formato  il  caso  retto  Ma- 
lientum  e  inseritovi  il  digamme,  Maliventum.  I  Eomaui 
cambiarono  il  Maliventum  in  Bcniventura  e  omessa  la  vo- 
cale i  Benventum.  La  fondazione  primitiva  di  codesta  città 
si  appartiene  adunque  ai  Greci.  In  altri  esemplari  il  Ca- 
relli {Dsscr.  p.  10)  trascrive  MALIEM  ,  la  qual  lezione  a 
]-agione  non  si  trovò  buona  dall'  Avellino,  che  esaminò 
l'esemplare  descritto  dal  Carelli  {Descript,  p.  15);  e  nean- 
che da  me  che  ho  studiato  le  originali  monete  nella  colle- 
zione Santangelo  e  nel  Museo  di  Vienna.  La  lettera  t  è 
costantemente  così  scritta  non  mai  S  ne  i.  Il  Mommsen 
scrive  (H.  de  la  monn.  Ili,  187),  che  la  leggenda  non  è 
puramente  latina  com'egli  l'aveva  creduta  prima,  trattando 
dei  dialetti  dell'Italia  inferiore  pag.  102. 

BENVENTUM 

16.  Testa  di  Apollo  laui-eata  volta  a  sin.  e  intorno  BENVEN- 
TOD.  R.  Cavallo  senza  freno  correndo  a  d.  intorno  PRO- 
'  POM.  n  Millingen  erra  opinando  che  Benventod  sia  nomi- 
nativo neutro  e  Propum  sia  Probom  nome  di  un  magistrato 
{Consid.  p.  225).  Il  cavallo  libero  ricorda  l'antica  tradi- 
zione che  riferiva  a  Diomede  le  origini  della  città. 

AESBENIA 

Questa  colonia  dedotta  nel  491  prese  per  tipo  la  testa 
di  Pallade  nume  custode  e  personificazione  della  città  non 
senza  allusione  al  Palladium  e  porge  al  riverso  1'  aquila 
che  combatte  il  serpente  segno,  SioarjUiìov,  ostentunt,  del  dio 
supremo.  Il  dio  di  Lemno  prese  il  secondo  posto  fra  i  pro- 
tettori e  vi  fu  espresso  al  riverso  Giove  fulminante  con 
quell'arma,  cioè,  che  gli  fu  fabbricata  da  Vulcano.  Copiò 
in  fine  i  tipi  campani  col  bue  androprosopo.  La  novità  del- 
l'aquila che  combatte  il  serpe  serrato  fra  i  suoi  artigli,  del 
qual  tipo  non  v'è  in  tutta  la  numismatica  d'Italia  che  un 
solo  riscontro  neUa  lontana  Crotone,  induce  il  sospetto  che 
sotto  il  simbolico  óioariinTov  si  asconda  una  allusione  rela- 
tiva all'impianto  di  una  colonia  romana  nel  cuore  del  Sannio. 


Cotesti  coloni  sembrano  ancor  nuovi  al  dialetto  del  Lazio  : 
già  variano  le  arcaiche  inflessioni  del  genitivo  plurale  che 
esprimono  in  tre  modi  diversi:  AISERNIM,  AISERNIOM,  Al- 
5ERNIN0M  e  omessa  la  M  finale  AISERNIO,  AISERNINO  : 
danno  inoltre  la  desinenza  dell'accusativo  al  nome  del  dio 
Vulcano,  e  scrivono  VOL-CANOM ,  singolarità  che  oggi  si 
suole  scusare  richiamandola  all'uso  greco  di  esprimere  nel 
tipo  l'imagine  di  una  statua  dedicata,  dove  il  verbo  àviO-r^xs 
e  il  nome  del  popolo  è  sottinteso. 

17,  18.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  corinzio  con  cresta: 
davanti  (AI)SERNIOM  e  nel  n.  18  AISERNIM.  R.  Aquila  che 
combatte  un  serpente  serrato  fra  i  suoi  artigli.  Due  sono 
le  leggende  che  si  dipartono  nelle  monete  con  questi  tipi 
dalla  comime  AISERNIOM  ed  AISERNIM  ambedue  vedute 
da  me  in  due  esemplari  che  furono  già  del  barone  Oliva. 

19,  20.  Testa  di  Vulcano  coperta  del  pileo  laureato  volta  a  sin. 
dietro  la  nuca  la  tenaglia,  davanti  VOUCAiMOM.  R.  Divi- 
nità fulminante  in  biga,  talvolta  come  nel  n.  20  sorvolando 
la  Vittoria  che  reca  la  corona.  Neil'  esergo  AI5ERNINO. 
Il  Millingen  dice  {Consid. 2,19)  essere  difficile  rendersi  conto 
di  questa  desinenza  in  OM,  in  Volcanom  che  non  può  pren- 
dersi per  accusativo. 

21.  Coli.  mia.  Testa  di  Vulcano  con  l'epigrafe  e  la  tenaglia 
come  nei  nn.  19,  20.  7?.  Vittoria  in  biga,  nell'esergo  AI- 
SERNIM. Un  esemplare  simile  fu  pubblicato  dal  Piorelli 
{Ann.  di  num.  1846,  tav.  Ili,  2). 

22.  Testa  di  Vulcano  con  l'epigrafe  surriferita.  R.  La  Vittoria 

che  guida  la  biga,  nell'esergo  lATINO.  La  stampai  già  in 
altre  isernine  nella  Storia  d'Isernia  (Nap.  1847),  ma  ivi  non 
bene  interpretai  la  I  per  L,  per  la  persuasione  nella  quale  era 
che  si  dovesse  leggere  Calatino:  ora  invece  stimo  che  vada 
supplito  calATINO. 

23.  Nella  collezione  Santangelo.  Alla  lezione  .4iscrnionì  contra- 

detta dal  Mommsen  dà  solido  appoggio  Aiserninorn,  non 
meno  oppugnata  da  lui.  Essa  è  conservatissima.  Testa  di 
Apollo  laureata  a  sin.  R.  Bue  andoprosopo  coronato  dalla 
Vittoria,  tra  le  gambe  \i,  nell'esergo  AISERNINOM. 

24.  Nella  coli,  mia,  trovata  in  Roma   sull'  Aventino.  Testa  di 

Apollo  come  nel  n.  23  davanti  AI2ERNINO,  alla  nuca  una 
stella.  R.  Bue  androprosopo  coronato  dalla  Vittoria  tra  le 
cui  gambe  T. 

AQUILONI! 

Il  bronzo  con  l'epigrafe  51RIM1/IV51V>IN,  quando  si  leggeva 
Acurunniar,  erasi  dal  P.  Eckhel  {Stjll.  1)  attribuito  ad  Ace- 
reuza,  detta  dai  latini  .icherontia  (/).  n.  v.  I,  140),  ma  dacché 
fu  avvertito  che  il  51  in  osco  valeva  il  D  latino,  e  si  lesse  Am- 
duìiniad,  per  conseguenza  fu  dal  Carelli  assegnato  ad  Aqui- 
lonia,  oggi  detta  Lacedogna.  Tutti  i  numismatici,  a  parere  del 
Minervini  {Bull.  ardi.  nap.  IV,  1856,  p.  146),  tengono  ora- 
mai questa  Lacedogna  come  patria  della  moneta.  Fra  costoro 
non  era  però  da  contarsi  il  Eiccio  {Reperì,  p.  5  nota  6)  che 
nel  1852  aveva  scritto  {Reperì,  p.  5  nota  6)  volersi  rico- 
noscere questa  Aquilonia  nei  ruderi  di  Pietrabbondante  vicino 


100 


SAMNIUM 


T.  XC 


Agnone.  Ma  i  geografi  con  la  tavola  Peutiugeriana  pongono 
Aqnilonia  dopo  Aedanum  fra  Subromula  e  il  Pons  Auficli, 
Tolomeo  la  colloca  fra  le  lonivòiv  jtoXeTg  e  Plinio  nomina 
gli  Aquilonii  in  secunda  regione  Hirpinorum  {H.  N.  Ili 
0.  XVI,  6).  Tutto  parebbe  deciso,  ma  pur  non  è  così.  Per  ac- 
cettare questa  attribuzione  è  d'uopo  sapere  se  "v'  è  un'altra 
Aquilonia,  e  se  le  monete,  quantunque  rare,  vengono  a  noi 
recate  da  Lacedogna,  lo  che  non  consta.  Imperocché  vi  furono 
nel  Sannio  due  Aquilunie,  come  due  Boiani,  ed  è  errore  del 
Cluverio  seguito  in  ciò  dall' Harduiuo  e  dal  Cellario  (Nnt. 
orb.  ani.  p.  699-700)  e  dai  vecchi  commentatori  di  Livio 
di  aver  confusi  i  testi  che  distintamente  li  nominavano.  Il 
loro  torto  è  di  non  aver  badato  che  T.  Livio  parla  )iel 
L.  X  e.  38,  30,  41,  44  di  un'  Aquilonia  che  sta  nei 
Pentri,  alla  quale  il  console  menò  l'esercito  passando  per 
Atina,  mentre  silV Aquilonia  di  Plinio  sita  nella  regione  irpina 
ci  si  va  T^er  Aedanum  e  Subromula,  e  però  involgono  nel  me- 
desimo errore  anche  il  Bovianum  dei  Pentri  con  altro  Bovia- 
num  ambedue  nello  stesso  Sannio,  è  vero,  ma  in  luoghi 
distanti,  ambedue  nominati  da  Plinio  ove  scrive  (III,  17), 
Samnitium  qxios  Sabellos  et  Greci  Saunitas  dixere,  colonia 
Bovianum  velus  et  allerum  cognomine  Undecimanorum. 
Dì  questo  secondo  deve  intendersi  che  parli  Livio  (IX,  44). 
Vano  è  dunque  riprendere  lo  storico  (vedi  la  pag.  1021  , 
1022  del  T.  II  ed.  Drakenboroh)  ohe  dopo  aver  detto  nel 
e.  31  che  Boviano  fii  presa  torni  al  e.  44  a  dire  che 
Boviano  fu  presa.  Parassi  anche  ragione  a  Frontino  che 
di  Boviano  fatta  colonia  parla  a  p.  231  nell'elenco  delle 
colonie  di  Campania,  e  poi  a  p.  259  nomina  di  nuovo  la  co- 
lonia Boviano  fra  le  civitates  regionis  Samnii.  Il  Bovianum 
Undecimanorum  tuttavia  dicesi  Boiano  ed  è  sito  presso  il 
fiume  Biferno;  ma  del  Bovianum  vetus  sarebbe  stato  arduo 
assegnare  l'antico  sito,  se  una  insigne  scoperta  dovuta  al 
si5.  Fr.  Sav.  Cremonese  non  l'avesse  additata  in  Pietrab- 
bondante  presso  il  fiume  Trigno.  Di  questa  notizia  egli  mi 
è  stato  cortese  rispondendo  alla  dimanda  che  io  glie  ne 
feci,  cercando-sapere  dove  fosse  quell'Anglona,  nella  quale 
l'Avellino  e  altri  sull'autorità  di  lui  collocavano  il  Bovianum 
vetus  appellandosi  ad  una  antica  lapide  scoperta  ivi.  Il  Cre- 
monese dunque  scrive  così:  Agnone,  23  ott.  1880.  La  lapide 
di  che  Ella  mi  dimanda  proviene  sicuramente  da  Pietrab- 
bondante.  E  ciò  le  dico  francamente,  perchè  fu  scoperta  da 
me  nel  1840  dentro  l'abitato  di  Pietrabbondante  in  mezzo 
ad  altre  pietre  destinate  ad  uso  di  fabbrica  e  provenienti 
con  la  lapide  medesima  dal  sito  dell'antica  città,  propria- 
mente dov'è  il  teatro. 
Ora  stabilita  in  Pietrabbondante  l'antica  sede  del  Bovianum 
vetus  dobbiamo  far  osservare  che  Livio  parla  di  cotesto 
Boviano  nel  L.  IX  e.  31  (a.  u.  e.  443),  dove  lo  chiama  ca- 
put Pentrorum  Samnitium,  ma  non  nel  e.  44  dello  stesso 
libro  IX  (a.  u.  e.  449),  come  pretendono  i  critici.  Mercecchè 
in  quest'anno  occupando  e  devastando  i  Sanniti  il  campo 
Stellate  di  Capua,  i  consoli  Postumio  e  Miuucio  entrarono 
nelle  terre  del  Sannio  e  presero  a  combatterli  nella  valle 
del  Biferno  e  a  forze  congiunte  li  disfecero  presso  Bovianum 


che  fn  preso  e  saccheggiato.  Questo  Boviano  ohe  sta  presso 
il  Biferno  non  è  dunque  il  Bovianum  che  sta  presso  il 
Trigno,  ma  è  quello  degli  Undecimani,  come  poi  si  disse, 
e  si  è  detto  da  Plinio.  Ben  è  però  vero  che  il  Bovianum  vetus 
ritornò  in  potere  dei  Sanniti  la  seconda  e  forse  anche  la 
terza  volta.  T.  Livio  il  dice  chiaro  descrivendo  le  gesta 
dell'anno  456  (L.  X,  11,  12)  :  ivi  attesta  che  i  due  consoli 
Cornelio  e  Fulvio  riuscirono  a  riconquistarlo;  e  che  si  tratti  di 
questo  Boviano  il  dimostra  l'impresa  condotta  subito  dopo  da 
Fulvio  che  conquistò  Alfidena:  Fulvius  Bovianum  aggressus, 
nec  ita  multo  post  Aufidenam  vi  cepit.  Ho  detto  che  forse 
la  terza  volta,  perchè  all'anno  461  nella  splendida  giornata 
presso  Aquilonia  dice  Livio  (X,  38)  che  l'avanzo  dell'eser- 
cito sannitico  corse  a  chiudersi  negli  accampamenti  presso 
Aquilonia,  e  ohe  i  nobili  aquiloniesi  e  la  cavalleria  fuggendo 
dalla  battaglia  si  ricoverarono  in  Boiano;  ciò  che  fa  arguire 
che  allora  questa  città  era  tornata  in  possesso  dei  San- 
niti. Peditum  agmen  quod  superfuit  pugnae  in  castra  ad 
Aquiloniam  compulsum  est,  nobilitas  equilesque  Bovianum 
perfugerunt.  Ora  diciamo  dell'  antica  sede  di  Aquilonia. 
Sulla  riva  del  Trigno  non  molto  lungi  da  Agnone  a  mez-  . 
zodì  di  Pietrabbondante,  dalla  quale  dista  un  cinque  miglia 
in  circa  è  un'  antica  città  deserta  cinta  tuttora  di  mare,  la 
chiamano  la  Civitavecchia.  In  questo  luogo  è  mio  parere 
che  fosse  l'antica  Aquilonia.  La  poca  distanza  da  Pietrab- 
bondante ora  riconosciuta  per  Bovianum  spiega  assai  bene 
ciò  che  scrive  Livio  (X ,  41)  gli  avanzi  dell'  esercito  san- 
nitico incalzati  e  spinti  dai  Eomani  essersi  rifugiati  negli 
accampamenti  che  erano  presso  Aquilonia  ,  ma  i  nobili  e 
i  cavalieri  aver  cercato  colla  fuga  di  salvarsi  in  Bovianum. 

Questa  Aquilonia  esser  poi  discosta  un  venti  miglia 
(Liv.  X,  39)  da  Cominio  assediato  dal  console  Carvilio  sicché 
Papirio  vi  potè  mandare  un  messo  dal  campo  che  fu  a  lui 
di  ritorno  nella  notte.  Cominio  era  in  quel  luogo  che  ritiene 
tuttavia  l'appellazione  di  Val  di  Comino. 

Provato  che  due  fnrono  le  Aquilonie  sorge  la  questione  a 
quale  di  esse  spetti  la  moneta,  cosa  cotanto  insolita  al  costume 
sannitico  ove  la  vicinanza  o  il  dominio  di  città  greche  noi 
consigliassero.  Il  bronzo  di  Aquilonia  è  assai  raro,  pur  non- 
dimeno, interrogato  il  Cremonese  mi  risponde,  «  di  averne 
acquistati  in  diversi  tempi  ben  due  conservatissimi  esem- 
plari da  un  mercante  di  Agnone,  il  quale  ne  accertava  di 
averle  avute  nei  paesi  di  Agnone  e  contorni ,  ai  quali  si 
estendeva  il  suo  piccolo  commercio  ». 

L'esame  dei  tipi  (testa  di  Pallade,  dietro  alla  nuca  una  pa- 
tera da  libazione.  B.  Personaggio  militare  in  corazza  elmo 
e  scudo  con  patera  nella  destra  e  corto  bastone  nella  sinistra) 
parmi  si  accomodi  assai  bene  a  rappresentare  la  principal 
parte  del  rito  chiamato  antichissimo  della  nazione  dal  sa- 
cerdote Ovio  Pactio  presso  Livio  (X,  381.  L'imperatore,  ben 
determinato  per  tale  dal  corto  bastone,  fa  la  libazione  previa 
al  sacrifizio  esigendo  da  ciascun  soldato  che  giurasse  di  non 
abbandonare  i  suoi  duci  e  di  far  fronte  e  non  cedere  al 
nemico.  La  patera  posta  dietro  alla-  nuca  di  Pallade  è  un 
nuovo  segno  che  conferma  la  spiegazione  data.  Lo  strata- 


T.  XC 


SAMNIU.M 


101 


gemma  del  giiirameuto  uoii  riuscì  è  vero  a  bene,  ma  il  rito 
non  cessò  per  questo  di  essere  in  rispetto  ed  osservanza 
dei  Sanniti:  solo  siamo  incerti  se  la  moneta  sia  stata  co- 
niata prima  della  giornata  fatale  alle  armi  sannitiche. 
25.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  Pallade  coperta  di  galea  corinzia 
con  cresta  volta  a  d.  davanti  5!RIMHV/)V>li'3,  alla  nuca  una  pa- 
tera, li.  Personaggio  militare  armato  di  corazza,  galea  corin- 
zia, clipeo  ed  asta  in  atto  di  stendere  la  destra,  con  la  quale 
tiene  una  patera,  accennando  così  all'  atto  della  libazione. 
Negli  esemplari  da  me  veduti  di  questa  rara  moneta  non 
appare  la  punta  dell'asta  di  dietro  al  collo  del  guerriero, 
come  crede  il  Uavedoui  {Dwlt.  Inst.  1850,  199).  Né  poi 
deve  esservi,  stante  che  l'asta  è  pura,  qual  si  conviene  al- 
V Imperalor,  duce  supremo  (Borghesi  Oeuvr.  VI,  106).  Vedo 
poi  dietro  la  nuca  di  Pallade  una  patera  convessa  nel  mezzo, 
non  già  un  clipcits  aereus,  come  il  numismatico  modenese 
la  definisce.  _^ 

PRENTKUM 

Il  locativo  Frcnlrei,  come  Loucrei  e  Larinci,  ci  prova,  che 
vi  fu  una  città  di  nome  Frentrum,  la  quale  doveva  essere  la 
capitale  dei  Prentani  e  sulle  rive  del  Frento,  oggi  Fortore. 
Ai  tempi  dell'Eckhel  non  s'era  letto  che  BQTHa.i  e  davasi 
il  bronzo  ai  Pentri  (D.  n.  v.  I,  102),  1'  Eekhel  sospese  il 
suo  assenso  attendendo  che  un  nummo  con  intera  epi- 
grafe insegnerebbe  a  dover  piuttosto  assegnare  questa  moneta 
ai  Prentani  (ib.  p.  119).  Stefano  bizantino  nomina  una  FreiUa- 
nwm  (cf.  Cavedoni,  Bull.  laslit.  1850  p.  199),  come  città  d'Ita- 
lia ;  ma  egli  cita  il  quinto  libro  di  Strabene,  e  in  ciò  sbaglia, 
perchè  il  geografo  non  parla  ivi  di  città,  bensì  del  popolo 
frentano  (L.  V  e.  4  §  2).  Frenter  egualmente  che  Fren- 
taivus  derivano  dalla  medesima  voce  che  ha  denominato  il 
fiume  Frento.  Cotesto  frentanus  trovasi  talvolta  per  colpa 
dei  copisti  trasfigurato  nei  codici,  e  però  non  è  stato  sempre 
ravvisato  dai  critici.  Fra  questi  luoghi  parmi  che  si  debba 
noverare  quello  che  si  legge  in  Livio  (t.  IX,  16),  ove  narra 
che  il  console  Aulio  Cerretano  l'anno  435  combattè  i  Fe- 
rentani,  la  città  dei  quali  gli  si  arrese:  Aulius  cum  Feren- 
tanis  uno  secundo  praelio  dehellavU  urbemque  ipsatn, 
fjuo  se  fusa  contulerat  acies,  obsidibus  imperatis  in  dc- 
ditionein  accepil.  Li  riconosceremo  ancora  nel  nome  della 
città  Ferentimi,ra  conquistata  nel  432  dal  console  Postumio 
Albino  (L.  X,  34),  luogo  corrotto  variamente  nei  codici, 
che  danno,  Feritram,  Fortoriam,  Foreirium  in  vece  di  Frcn- 
trum:  dove  non  può  pensarsi  che  si  parli  di  Ferenlum  o 
Forentum  di  Puglia,  come  in  Diodoro  di  Sicilia  (L.  XIX,  65), 
il  cui  passo  si  è  citato  a  torto  insieme  con  quello  di  Livio 
(IX  e.  16,  20)  dal  Millingen  {Consid.  e.  181),  confondendo 
Forentum  con  Frentrum.  Livio  dice  che  Postumio  da 
llilionia  città  del  Sannio  Pentro  menò  l'esercito  a  Frentrum  : 
Milionìam  oppugnare  aggressus  . .  .  inde  Frentrum  ductae 
legiones  (non  Ferentinum  come  le  stampe). 

La  città  di  cui  parla  Diodoro  si  è,  anche  detto,  Ferenlum 
della  Puglia,  che  Orazio  nomina  insieme  con  Acerenza  e  Bau- 


zia,  ambedue  poste  al  mezzogiorno  di  Venosa,  alla  quale  il 
Millingen  nel  luogo  sopra  citato  attribuisce  il  bronzo  di 
Frenter  bronzo  del  quale  parliamo.  Non  è  possibile  che 
Aulio  menasse  l'esercito  taut'oltre  nella  Puglia  lasciandosi 
i  nemici  alle  spalle  in  Teate  apulo  e  in  Canosa ,  le  quali 
città  non  si  arresero  che  un  anno  dopo  nel  436  (Liv.  IX, 
20;  Diod.  XIX,  10)  al  console  L.  Plauzio.  Le  imprese  nar- 
rate da  Diodoro  debbono  riportarsi  al  consolato  di  C.  Giunio 
Bubulco  dell'anno  437,  quando  anche  Livio  racconta,  che 
Perento,  ovvero  Perento,  nei  quali  due  modi  si  disse  questa 
città,  fu  da  Giunio  presa  (1.  o.  e.  20):  nam  Forenlo  quoque 
valido  oppido  iunius  potitus  eral:  e  ciò  sta  bene  dopo  aver 
egli  domata  la  Pnglia,  Apulia  pcrdomita.  È  da  notarsi  in 
conferma  che  la  lezione  cum  Fientanis  si  trova  almeno 
nel  codice  di  Lej'da:  questi  sono  i  Frentrani,  gli  abitanti 
di  Frentrum,  che  si  dicono  FrentcMi,  come  il  rimanente  della 
nazione,  che  occupava  le  terre  poste  tra  il  Fortore  e  il 
Biferno. 
26.  Mia  coli.  Testa  giovanile  coperta  di  petaso  alato  volta  a 
sin.  davanti  I3<5TH3Q8.  R.  Cavallo  alato  che  corre  a  sin.  tra 
le  gambe  im  tripode  nell'esergo  I3QTH3<Ì8. 

LAEINUM 

Questa  Larino  confinava  colla  Puglia  Daunia  e  però  dagli 
antichi  è  attribuita  ora  aiDaunii  ora  ai  Frentani.  I  Larinati  si 
servono  dell'alfabeto  latino,  nel  quale  però  danno  al  D  il 
valore  dell'  R  :  trovasi  anche  una  moneta  con  AAPiNUN  in 
lingua  e  alfabeto  greco  e  coi  tipi  della  Campania.  Ma  co- 
testa  moneta  non  meno  che  quella  che  porta  il  nome  di 
ItlViTRIlT,  0  Teate  apulo  in  osca  lingua,  di  cui  abbiamo  detto 
a  suo  luogo,  sono  per  me  monete  di  confederazione  e  deb- 
bono essere  state  coniate  nella  Campania,  della  quale  por- 
tano i  tipi:  come  in  Napoli  fu  di  certo  battuta  quella  che 
ai  tipi  napolitani  congiunge  in  greca  lingua  l' epigrafe 
'Foì^icdav.  Larino  conia  oboli  e  ima  serie  di  sistema  deci- 
male: sugli  oboli  è  scritto  L-ADINEI  e  UADINOD  la  quale 
seconda  leggenda  è  constantemente  adoperata  nella  serie 
decimale.  Questa  ha  per  tipo  nel  dritto  del  quincunce,  non 
avendo  emesso  l'asse,  una  testa  galeata  con  capelli  corti  e 
ricci  e  i  pizzi  alle  gote,  particolarità  da  ninno  finora  os- 
servata, se  ne  eccettui  il  sig.  Imhoof-Blumer.  Il  Cavedoni 
ovvero  la  definisce  un  Marte  giovane,  ma  sol  per  la  chioma 
breve  e  rannodata  e  la  penna  o  ramoscello  che  orna  la  galea 
[Bull,  lnst.it.  1850,  199),  la  quale  del  resto  non  si  è  mal 
da  me  veduta.  Quello  che  parve  al  dotto  numismatico  mo- 
denese una  penna  o  un  ramoscello  altro  non  è  che  una 
lamina,  talvolta  ornata,  sulla  quale  si  vedono  in  un  mio 
esemplare  due  capocchie  di  chiodi  ohe  rattengono  la  cresta 
dell'elmo.  È  anche  da  notarsi  la  serie,  a  capo  della  quale 
è  la  testa  di  Pallade,  perchè  queste  due  serie  si  distin- 
guono anche  per  la  lettera  V  che  si  vede  al  riverso  della 
prima,  e  non  della  seconda.  Si  avverti  già  dal  Cavedoni 
{Bull.  Insta.  1.  e.)  sembrare  che  i  tipi  del  dritto  si  cor- 
rispondono con  quei  del  rovescio.    Le   relazioni   di  Giove 


102 


SAMNIUM 


T.  XC 


col  falmine  ,  di  Ercole  col  centaui'O  ,  di  Teti  col  delfino, 
del  Genio  col  cornucopia,  di  Diana  col  cane  da  caccia  sono 
evidenti.  Non  faremo  quindi  caso  di  ciò  che  il  lodato  nu- 
mismatico aveva  scritto  prima  che  si  avvedesse  di  cotesta 
corrispondenza  dei  tipi,  essere  il  delfino  in  città  mediter- 
ranea forse  allusivo  al  larinus  nome  di  un  eerto  pesce, 
secondo  Bsichio  {Spicil.  p.  13).  A  me  sembra  che  anche 
nel  quincunce  così  la  Pallade  come  la  testa  del  giovane 
eroe  debbono  avere  una  relazione  col  cavaliere  armato  del 
rovescio  ,  tipo  comime  ai  due  del  dritto.  Questo  cavaliere 
porta  un  elmo  acuminato  che  il  dimostra  apulo  non  meno 
che  il  clipeo  rotondo.  Quanto  al  V  l'Avellino  {Bull.  nap. 
a.  IV  p.  71)  crede  che  sia  l'iniziale  del  nome  del  valoroso 
larinate,  che  lanciandosi  ferocemente  contro  il  re  Pirro 
nella  battaglia  al  Liri  turbò  in  modo  le  file  nemiche  che 
costrinse  il  re  a  sottrarsi  dalla  pugna  (Fior.  1,  18):  Apud 
Heradeaui  et  Campaniae  fluvmm  Urini,  Levino  consulo 
(a.  474)  prima  pugna  quae  tam  atrox  fuit  ut  Frenlanae 
praefect'iis  Obsidius  invectus  in  regeni  turbaverit  coegc- 
ritque  proiectis  insignib^is  praelio  excedere.  Ma  cotesta 
spiegazione  suppone  che  in  Larino  si  pronunciasse  Ulsiniiis 
come  lo  scrive  Dionigi  d' Alicarnasso  (XVIIl ,  2)  e  non 
Obsidius,  né  Opsidiiis  come  si  legge  nei  testi  di  Floro  e 
di  Orosio.  Inoltre  non  dà  ragione  perchè  questo  V  si  ripeta 
sugli  spezzati  inferiori,  parendo  che  dovesse  bastare  di  ap- 
porlo  sul  quincunce  dove  Obsidio  è  rappresentato  non  al- 
trimenti che  il  0  sulla  moneta  romana  dinota  che  in  essa 
è  rappresentato  Filippo  il  macedone.  A  mio  credere  adunque 
queir  V  non  è  che  un  segno  monetale  appartenente  alla 
distinzione  dei  conii.  E  questa  spiegazione  sembra  anche 
convalidarsi  dal  confronto  di  altre  simili  monete  sulle 
quali  all'Avellino  parve  che  questo  V  fosse  preceduto  da 
una  unità  IV  {ad  Carellii  Description.  pag.  14,  4).  Se  poi 
si  avvera  che  questo  V  scambiasi  non  di  rado  con  l'U, 
come  il  Cavedoni  vuole  [in  Cai  eli.  tab.  1.  e),  quell'V  do- 
vrebbe dirsi  iniziale  etnico  ,  ma  è  probabile  che  siasi  da 
lui  preso  per  U  im  V  arcaico  nel  quale  talvolta  l'una  delle 
due  aste  è  poco  più  breve  dell'altra. 

27.  Mia  coli.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  con  la  cresta  volta 

a  d.  B.  Fulmine  e  sopra  I-ADINOD,  sotto  un  caduceo. 

28.  Mia  coli.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  aulopide  con  la 

cresta  volta  a  sin.  R.  Cavallo  libero  corrente  a  d.,  sopra 
astro,  sotto  L-ADINEI.  Come  Frentrum  così  Larinuni  ado- 
perano il  genitivo  singolare  in  cotesto  due  monete. 

29.  Testa  di  Apollo  laureata   volta    a   sin.   davanti  AAPINilN. 

B.  Bue  androprosopo  coronato  dalla  Vittoria.  Il  tipo  e  l'epi- 
grafe in  greca  lingua  sembrano  dimostrare  che  la  moneta 
è  battuta  in  Campania,  come  quella  che  ai  tipi  campani  ac- 
coppia la  leggenda  Pi^tMAIHN,  ovvero  W1VITNIIT.  Quando 
son  due  le  epigrafi  e  rendono  i  nomi  dei  due  popoli,  è  general- 
mente usato  di  inscrivere  ciascun  nome  nella  lingua  sua 
propria.  Così  leggiamo  NEOPOAITilN  e  CAUENO,  SVESANO. 
Ma  quando  l'una  città  alla  moneta  propria  pone  solo  il 
nome  dell'altra  il  fa  in  lingua  e  carattere  proprio  suo. 

30.  Mia  coli.  Testa  giovanile  coi  pizzi  di  barba  nascenti  sulle  gote 


coperta  di  elmo  aulopide  cristato  volta  a  d.  Il  sig.  Imhoof- 
Bl.  [Mann.  gr.  p.  5  n.  5),  che  pur  si  è  avveduto  di  coteste 
gote  fiorite  sembra  volere  che  in  altre  simili  vi  sia  la  testa 
di  Pallade.  Egli  crede  la  prima  una  testa  di  Marte.  B.  Ca- 
valiere armato  di  elmo  acuminato  e  munito  di  cresta  con 
clamide  svolazzante  alle  spalle  che  va  di  gran  galoppo  a 
sin.  egli  porta  lo  scudo  rotondo  con  l'insegna  probabilmente 
di  un  fulmine  ed  ha  la  lancia  abbassata  nella  d.  nel  campo 
è  im  V,  tra  i  piedi  del  cavallo  si  legge  UADINOD ,  nel- 
l'esergo  la  nota  del  quincunce. 

31.  Mia  coli.  Testa  di  Pallade  coi  capelli  lunghi  e  sciolti  coperta 

dell'aulopide  cristato  volta  a  d.  B.  Il  cavaliere,  l'iscrizione  e 
la  nota  di  valore  è  la  medesima,  che  nel  precedente  n.  30  ; 
manca  solo  la  lettera  V,  la  quale  si  ha  in  altri  esemplari 
e  si  ripete  sul  triente,  sul  quadrante,  sul  sestante  e  sull'oncia. 

32.  Testa  di  Giove  coronata  di  'quercia  volta  a  d.  B.  Aquila 

col  fulmine  negli  artigli:  nel  campo  V  e  UADINOD;  nel- 
l'esergo  la  nota  del  valore  che  è  un  triente. 

33.  Testa    di   Ercole    barbato    coperto    della   spoglia  di  leone. 

B.  Centauro  che  corre  a  d.  portando  un  ramo  di  albero  sul- 
r  omero  sinistro  :  di  sotto  L-ADIMOD,  nell'  esergo  la  nota 
del  quadrante. 

34.  Testa  di  Teti  coronata  e  velata   a  d.  B,  Delfino ,    di  sotto 

UADINOD  e  la  nota  del  sestante. 

35.  Testa  di  Apollo  coi  capelli  corti   laureata   a  d.  dietro  V. 

R.  Cornucopia,  UADINOD,  e  globettino,  segno  dell'oncia. 

36.  Testa  nuda  di  Diana  eoi  capelli  legati  in  ciuffo  sul  vertice: 

dietro  al  collo  l'arco  e  la  faretra.  B.  Cane  levriere  "che 
corre  a  d.,  sopra  una  clava  e  LA,  compito  di  sotto  DINoD; 
nell'esergo  L  segno  della  metà.  L'Avellino  pone  di  sopra  uno 
spiedo  da  caccia,  e  di  sotto  qualche  cosa  incerta  (Opusc.  II, 
23)  e  così  il  Cavedoni;  il  Sambon  lascia  il  campo  vuoto. 

37.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  R.  Luna  crescente  con 

dentro  l'astro  del  giorno,  sotto  LA.  Il  suo  valore  è  quello 
del  nummo  precedente. 

BELLUM  SOCIALE 

Le  monete  degli  Italici  insorti  confederatisi  contro  Soma  furono 
battute  nella  zecca  di  Corfinio  scelta  da  loro  per  capitale  e  deno- 
minata singolarmente  VN3TI-D  e  ITALIA  nelle  due  lingue  dei 
popoli  confederati.  Per  Italia  intendevasi  allora  quella  parte 
della  penisola  che  dai  Bruzzii  della  Enotria  erasi  propagata  fino 
al  Kubicoue  e  comprendeva  quei  popoli  ohe  dimandavano  di  es- 
sere incorporati  alla  romana  cittadinanza.  Il  rimanente  della  pe- 
nisola fino  alle  Alpi  era  Gallia  togata  e  governavasi  a  modo  di 
provincia  da  un  pretore,  magistrato  romano.  Poscia  i  triumviri 
a  nome  di  Giulio  Cesare  che  ne  aveva  fatto  il  decreto  l'aggre- 
garono al  resto  della  Italia.  Alle  antiche  tradizioni  toccanti  l'ori- 
gine di  questo  nome  sembra  che  i  Sanniti  sostituissero  le  proprie, 
secondo  le  quali  il  giovane  toro  sabino  che  dicevasi  in  loro  dia- 
letto vitello  aveva  guidata  la  gioventù  sabella  a  stanziarsi  nelle 
terre  osche  e  costituiva  ivi  il  Sannio  :  ond'  è  che  dal  vitello  essi 
vollero  dare  un  nuovo  nome  alla  loro  capitale.  E  questa  tradi- 
zione del  vitello  sembra  che  essi  abbiano  voluto  esprimere  sulla 


T.  XG 


SAMNIDM 


103 


moneta  osca  dove  si  vede  im  vitello  che  riposa  da  presso  ad  un 
militare  armato  di  parazonio  e  di  lancia,  il  quale  ne  ha  rivolta 
la  pimta  a  terra  e  stando  in  piedi  poggia  il  pie'  sinistro  sopra 
un  elmo,  od  altro  arnese.  Il  Cavedoni  credette  che  costui  fosse  il 
conduttore  della  gioventù  sabina,  Comio  Castronio  {Bull.  ardi, 
napol.  T.  V  p.  6,  7),  che  si  sia  voluto  rappresentare  (Sisenua 
ap.  Non.  V.  ver  sacrum,  Fest.  pag.  326).  Ebbero  adunque  il 
loro  senato  e  'crearono  gli  annuali  loro  consoli  ai  quali  affi- 
darono l'amministrazione  della  guerra.  Ai  consoli  come  a  magi- 
strato sommo  e  capo  supremo  militare  era  anche  concesso  di  batter 
moneta.  Abbiamo  quindi  da  distinguer  i  nummi  che  conia  la 
nuova  repubblica  da  quelli  che  sono  impressi  a  nome  dei  consoli 
e  che  ne  portano  i  nomi. 

Nel  primo  anno  664  furono  consoli  C.  Papio  Mutilo  forse 
sidicino,  ma  sannita  d'origine  (Diod.  Sic.  XXXVII,  2)  e  Q.Pompedio 
Silone  marso.  A  costui  toccò  la  regione  settentrionale  e  occiden- 
tale ove  erano  i  Marsi,  i  Peligni,  i  Testini  e  i  Picenti,  a  Mu- 
tilo la  regione  orientale  e  meridionale  dove  avevano  stanza  i 
Marruccini,  i  Sanniti,  gli  Apuli  e  i  Lucani.  Sono  questi  gli  otto 
popoli  dei  quali  fa  specialmente  ricordo  la  storia.  Pajjio  si  servì 
della  lingua  sannitica,  Silone  della  latina  che  era  la  lingua  dei 
Marsi.  La  zecca  della  capitale  battè  nelle  due  lingue.  Tutte 
queste  classi  pongono  indistintamente  otto  congiurati  al  riverso, 
ma  le  monete  dei  due  consoli  battono  ancora  coi  quattro  che 
rappresentano  i  popoli  alla  difesa  di  ciascuno  assegnati. 

I  successi  felici  delle  loro  armi  furono  pomposamente 
figurati  sulle  monete,  dove  l'Italia  residente  sopra  una  con- 
gerie di  arme  è  coronata  dalla  Vittoria,  ovvero  alla  sua  testa 
coperta  di  elmo  sta  per  imporre  la  corona  una  vittorietta  sospesa 
a  volo.  Koma  è  anche  allegorizzata  dalla  lupa  e  l'Italia  dal  vitello, 
che  r  ha  sotto  i  piedi  e  l' investe  colla  corna.  Il  vitello  figura 
eziandio  come  simbolo  determinante  allato  ad  un  personaggio 
armato  stante  col  pie'  sinistro  poggiato  sopra  un  elmo  o  altro 
arnese  giacente  sul  terreno.  I  numismatici  hanno  cercato  finora 
d'interpretare  che  cosa  fosse  quell'oggetto  in  verità  mal  fatto 
che  l'uomo  armato  preme  col  piede,  e  chi  l'ha  creduto  un'insegna 
romana  e  chi  un  sasso,  e  chi  una  corazza.  V  è  stato  anche  ta- 
luno al  quale  non  è  sembrato  strano  che  premesse  \m  piede  del 
toro  giacente.  Le  diverse  monete  con  questo  tipo  attentamente 
esaminate  da  me,  fanno  cotesto  oggetto  simile  ad  un  piccolo 
sacco  pieno  legato  nel  mezzo,  del  quale  due  sono  le  parti  gonfie 
e  tondeggianti.  Potrebbe  quindi  rappresentare  la  primitiva  in- 
segna militare  romana  che  consistè  in  un  manipolo  di  fieno  posto 
in  cima  di  una  pertica;  perticas  manijmlis  foeni  varie  fonnatis 
in  summo  iunctas  (Aur.  Yict.  Orig.  gent.  roin.  22),  allusivo  però 
alle  origini  dell'esercito  romano  rinfacciate  per  dileggio  dagli 
Italici. 

Ifel  secondo  anno  655  i  due  consoli  dell'anno  precedente 
ritennero  il  comando  militare  come  pur  facevano  i  Komani  quando 
era  d'uopo  :  e  inoltre  furono  creati  i  due  nuovi  consoli.  Questi 
sono,  secondo  me,  Lucio  e  leio  i  cui  nomi  si  leggono  impressi 
sulle  monete  coniate  da  loro. 

In  quest'anno  piegando  male  le  spedizioni  e  gli  scontri  dei 
due  consoli  i  Marsi  e  i  popoli  vicini  si  diedero  ai  Piomani  e 
però  gl'Italici   abbandonata  Corfinio   andarono   a   fortiiìcarsi  in 


Iseruia.  Ivi  elessero  cinque  pretori  a  capo  dei  quali  posero  Silone. 
Questi  ricomposero  l'esercito  che  divenne  forte  di  cinquantamila 
uomini  e  mille  cavalli  (Diod.  Sic.  L.  XXXVII,  11,  9).  Si  com- 
battè con  varia  fortuna  da  ambedue  le  parti,  ma  scemando 
sempre  piìi  le  forze  degli  Italici  si  pensò  di  sollecitare  Mitri- 
date re  del  Ponto  che  venisse  in  loro  aiuto.  A  tal  fine  man- 
darono legati  che  furono  ben  accolti  dal  potentissimo  re,  il  quale 
promise  loro  che  domata  l'Asia  approderebbe  in  Italia  col  suo 
stuolo  (Diod.  fragm.  11,  L.  XXXVII).  d  óì  MitgiSatrjc  cmóxqiaiv 
ài'Scoatv  a^siv  Tctg  Svvdusig  sìg  rijv  'IxaXiuv,  STtsiSàv  avruì  xara- 
OTr[arj  Tifjv  'Aaiar,  loìno  yÙQ  xal  sTiQaTTe.  A  SÌ  lieta  novella  gli 
Italici  ripresero  coraggio  e  Jeio  per  sollevare  gli  animi  dei 
confederati ,  cred'  io,  fece  battere  una  moneta,  sul  cui  riverso 
esjjresse  due  personaggi  militari  in  atto  di  stringersi  le  destre 
avendo  Pun  dessi  cioè  Mitridate  alle  spalle  lo  stuolo  delle  navi 
promesse.  Coniò  ancora  l'oro  coi  simboli  di  Bacco  forse  allu- 
sivi alle  spedizioni  asiatiche  e  trionfi  di  quel  nume,  col  quale 
poneva  così  in  glorioso  raffronto  il  re  del  Ponto  ambizioso  oltre- 
modo di  tale  gloria,  ond'  è  che  si  faceva  chiamare  réog  Jiówcro; 
come  impariamo  da  Ateneo  {Dipnos.  V,  49),  il  quale  anche  fa 
menzione  della  legazione  italica  e  cartaginese  loc.  cit.  30:  ngt'- 
Ojiitg  ov  iióvov  ix  ràv  'hcchxon'  ì'Oviin'  àXXà  xal  ttccocc  Kaoyj- 
Sorioìv  cviiiiuxiTv  ci'Siovyrfg  stiì  tìjV  Tijg  'Poiiirig  àrccioediv. 

Volse  l'anno  665,  Mitridate  non  si  era  ancora  veduto  e  le 
perdite  dei  confederati  crescevano;  gli  Italici  si  perdevano  d'animo: 
Siò  TTcevTSÀoig  ol  diToatùtca  Tsranaivaijitvoi  àjtsyivtoaxov.  Già 
Gneo  Pompeo  aveva  sottomessi  i  Vestini  e  i  Peligni,  i  Marsi 
si  erano  arresi,  allorché  Pompedio  Silone  avuto  uno  sconti'O 
con  Emilio  Mamerco  presso  Boiano,  vi  cadde  estinto.  La  guerra 
potea  dirsi  finita  se  non  che  i  Sanniti  si  ostinarono.  Papio  Mu- 
tilo proscritto  da  Siila  e  perciò  messo  fuori  di  Nola  dai  San- 
niti per  paura  che  si  venisse  all'assedio,  non  essendo  neanche  in 
Teano  voluto  ricevere  da  sua  moglie,  innanzi  alla  porta  di  casa 
si  uccise  (Licinian.  Ann.  p.  43  BeroL  1857  ;  Livii  Epil.  LXXXIX; 
Appian.  B.  C.  I,  40,  42,  51).  L'ultimo  crollo  ai  Sanniti  lo  die 
la  battaglia  guadagnata  da  Siila  nel  672  su  Ponzio  Telesino 
loro  duce  a  porta  Collina  (Liv.  Epit.  LXXXIX). 

Gli  ultimi  casi  della  vita  di  Papio  Mutilo  si  sono  ricordati 
avanti  :  ma  il  Millingen  condannando  l'Olivieri  [Mém.  dell' Acad. 
de  Cortona  t.  II  p.  59)  perchè  aveva  supposto  Papio  morto  in 
qualche  fatto  d'armi,  cade  poi  in  altro  errore  appoggiandosi  ad 
una  correzione  dal  Vesselingio  introdotta  nel  testo  di  Appiano 
{de  Bl'U.  Civ.  e.  25)  dove  si  leggeva  Slatius  ed  egli  vi  pose 
Papius,  dando  così  per  fatto  storico  che  Papio  Mutilo  vivendo 
in  Eoma  nell'anno  711  come  si  udì  proscritto  dai  triumviri  aprì 
la  casa  al  saccheggio  ed  egli  dandole  fuoco  vi  morì  dentro  con- 
sunto dalle  fiamme.  Noi  abbiamo  dimostrato  che  Papio  morì 
in  Teano  Sidicino. 

Ciascuno  avrà  notato  che  non  poche  monete  appartenenti  alla 
zecca  degli  Italici  sono  copiate  dalle  monete  della  zecca  di  Eoma. 
L'Avellino  {Opusc.  Il  p.  18)  l'ebbe  avvertito  e  il  Borghesi 
(decade  XVI)  ne  ha  noverate  alcune,  e  dopo  di  lui  anche  il 
Cavedoni  ne  ha  allegati  i  riscontri,  e  cercati  i  motivi  {Bull. 
Instii.  1850  pag.  201)  e  il  Millingen  {Conskl.  p.  187)  ricorda 
i  tipi  della  famiglia  Sulpizia. 


104 


SAMNIUM 


T.  XC 


Kimaue  ora  che  diamo  ragione  della  uosti-a  interpretazione 
relativa  ad  una  delle  monete  di  ootesta  guerra  della  quale  il 
Borghesi  portò  una  opinione  diversa,  in  forza  della  quale  essa 
dovrebbe  rigettarsi  dal  numero  di  quelle  che  furono  coniate 
dai  collegati  ed  essere  attribuita  ai  fatti  di  Siila  con  Mitridate. 
Io  adunque  convengo  che  si  tratti  di  un  accordo  preso,  ciò  che 
mi  significa  il  congiungere  le  destre  :  ma  mi  pare  che  la  prora 
armata  vi  stia  a  determinare  ciò  di  che  si  è  trattato  fra  i  due 
personaggi,  cioè  di  im'  armata  di  soccorso  ohe  l'uno  dei  due  di- 
manda e  l'altro  promette.  Serve  anche  a  rettamente  interpre- 
tare l'asta  che  è  data  soltanto  al  personaggio  a  sinistra,  e  che 
può  ben  significare  l'arma  propria  dei  Sanniti,  il  saunioii,  donde 
ebbero  presso  i  Greci  il  nome  di  Saicnitar.  Il  personaggio  a  destra 
visibilmente  di  miglior  taglia  sembra  anche  sull'esemplare  del 
Vaticano  cinto  di  alta  corona  e  porta  le  anassinidi,  ma  l'uno  e 
l'altro  particolare  sta  bene  a  chi  rappresenta  il  re  del  Ponto: 
l'asta  per  contrario  mal  si  attribuirebbe  a  Siila  generale  romano, 
la  cui  arma  fu  la  spada  che  cingevasi  ai  fianchi  e  perciò  chia- 
mavasi  parazonio. 

II  Borghesi  fa  plauso  ad  E.  Q.  Visconti  ohe  stimò  trat- 
tarsi qui  del  colloquio  di  Siila  con  Mitridate  in  cui  fu  con- 
chiusa fra  loro  la  pace  {Oss.  numism.  Dee.  Vili  1;  Oeuvr.  I 
p.  374,  375).  È  però  da  notare  che  il  Visconti  prende  per  Mi- 
tridate il  personaggio  a  sinistra  che  porta  la  lancia  e  per  Siila 
colui  che  è  a  destra,  nel  che  è  seguito  dal  Borghesi,  il  quale 
poi  quanto  alla  nave  nega  che  possa  significare  il  viaggio  di 
Siila,  stante  che  andò  per  terra  a  Bardano  ove  seguì  quell'abboc- 
camento, e  opina  che  la  nave  voglia  alludere  ad  uno  dei  princi- 
pali articoli  della  pace  che  fu  la  cessione  di  settanta  o  ottanta 
triremi:  che  però  conchiude  che  acconciamente,  dopo  ricevute  le 
navi,  stringe  la  destra  del  re.  Dietro  tutto  ciò  gii  è  forza  dire 
che  la  medaglia  sia  stata  fatta  coniare  nello  stesso  anno  669 
0  nel  seguente,  e  appartenga  a  Siila,  onde  converrebbe  esclu- 
derla dal  numero  di  quelle  che  furono  coniate  dagli  Italici. 

Il  Cavedoni  annota  quivi  che  egli  fu  già  di  altro  avviso 
opinando  che  si  trattasse  del  colloquio  di  uno  dei  legati  italici 
con  Mitridate  e  in  ciò  fu  approvato  e  seguito  dal  Friedlaeuder 
e  dal  Mommsen.  Nondimeno  il  Borghesi  avendo  conosciuto  le 
ragioni  del  Friedlaeuder  tuttavia  sostenne  la  interpretazione  del 
Visconti  e  sua  in  una  lettera  che  il  Cavedoni  stampò  nel  lìu'L 
JeW  Insl.  1S51  pag.  61-63.  Né  pertanto  il  Cavedoni  trovò 
che  opporre,  anzi  in  conferma  del  parere  che  queste  monete 
le  abbia  battute  Siila  nelle  zecche  degli  Italici  pose  in  riscontro 
a  p.  63  l'aureo  di  M.  Antonio  il  quale  vedendosi  aver  un  doppio  II 
invece  di  E  nelle  parole  DIISIG  ITIIH  UT  TIIRT  mostrasi,  dice, 
impresso  in  qualche  città  della  Campania.  Ma  un  tal  argomento  in 
vero  non  ha  valore  alcuno;  in  prima  perchè  ora  conosciamo  pa- 
recchie lapidi  romane  che  usano  l'ortografia  ristretta  alla  Cam- 
pania dal  Cavedoni,  e  perchè  non  si  tratta  di  ortografia  ma  di 
lingua  che  nelle  monete  predette  si  deve  supporre  sannitica, 
adoperandosi  in  esse  monete  le  note  numeriche  dei  conii  sol 
proprie  di  questa  nazione. 

Al  Borghesi  non  pare  soddisfacente  la  spiegazione,  che  si  rap- 
presenti l'udienza  data  da  Mitridate  ai  legati  dei  Sanniti.  «  Dio- 
doro, eh'  è  il  solo  a  farne  cenno,  ci  dice,  scrive  il  Borghesi,  che 


essi  non  ne  riportarono  che  delle  ciance  e  delle  vane  promesse 
per  cui  rebelles  spe  atque  opihus  dciccti  animos  despondcrunt  », 
e  soggiunge:  «  Bel  risultato  invero  di  questa  ambasceria  per 
meritare  che  se  ne  menasse  vanto  sui  nummi  »  !  Cosi  egli  :  e 
veramente  se  la  cosa  fosse  raccontata  cosi  da  Diodoro  non  sa- 
prei trovar  ragione  da  giustificare  gl'Italici  che  avessero  voluto 
conservare  la  memoria  di  un'  ambasciata  per  loro  cosi  desolante 
e  funesta.  Lo  storico  afferma  invece  che  Mitridate  promise  agli 
ambasciatori  che  si  recherebbe  collo  stuolo  in  aiuto  degli  Italici 
tosto  che  avesse  assestato  l'impresa  ohe  aveva  allora  da  com- 
piere, l'assoggettamento  dell'Asia.  Queste  promesse  poi  egli  non 
mantenne.  Ciò  è  vero,  ma  è  anche  vero  che  i  legati  tornarono 
in  Italia  con  le  promesse,  e  però  gl'Italici  non  dovevano  trovar 
male  che  a  incoraggiare  gli  alleati  si  promulgasse  questo  risul- 
tato felice  dell'ambasciata  e  se  ne  facesse  pompa  sulla  moneta. 
Ma  donde  mai  ha  appreso  il  Borghesi  che  costoro  invece  ripor- 
tarono agli  alleati  che  Mitridate  aveva  date  delle  ciance  e  delle 
vane  promesse  ?  Che  queste  promesse  di  Mitridate  fossero  vane 
non  si  poteva  subito  presumere,  ben  si  cominciò  a  diffidare 
quando  si  vide  trascorrere  il  tempo  in  che  si  lusingavano  che 
approderebbe,  e  le  cose  della  lega  andavano  assai  male.  Lo  sco- 
raggiamento sopravvenne  e  allora  sì  che  non  saprei  approvare 
chi  pretendesse  che  delle  vane  promesse  si  menasse  vanto  :  seb- 
bene taluno  potrebbe  anche  supporre  che  si  cercasse  rianimare 
la  speranza  col  far  rappresentare  sulla  moneta  labboccamento 
e  da  presso  una  delle  navi  che  avrebbero  recato  il  soccorso  bra- 
mato: ma  ciò  è  poco  probabile:  è  per  contrario  assai  naturale 
che  si  stampasse  sulla  moneta  la  consolante  promessa  subito 
che  i  legati  furono  di  ritorno.  Mitridate  dall'altro  lato  come 
uomo  accorto  e  che  aveva  dichiarata  inimicizia  ai  Komani  colla 
strage  fattane  e  colla  cattura  del  proconsole  non  doveva  farsi 
sfuggire  la  bella  occasione  che  gli  si  offriva  di  portare  la  guerra 
in  Italia  con  si  felici  auspicii,  specialmente  perchè  non  erano  i 
soli  Italici  che  lo  avrebbero  aiutato  e  sostenuto  ma  gli  Africani 
altresì  ancor  essi  bramosi  di  veder  distrutta  Koma  e  però  uni- 
tisi cogli  Italici  a  sollecitare  il  potentissimo  re  del  Ponto.  Co- 
testa  notizia  che  non  vedo  essersi  avvertita  da  niuuo  ci  vien 
data  da  Ateneo  là  dove  riferisce  l'aringa  che  Atenione  tenne 
agli  Ateniesi  reduce  dall'Asia,  dove,  die'  egli,  sonn  presso  del,  re 
i  legati  degli  Italici  non  solo  ma  anche  dei  Cartaginesi  ohe 
gli  dimandano  alleanza  per  portar  la  guerra  di  sterminin 
sopra  Roma  (Athen.  Dipnos.  V,  1).  Abbiam  veduto  come  il 
passo  di  Diodoro  allegato  dal  Borghesi  non  faccia  ostacolo  alla 
nostra  interpretazione,  ora  è  duopo  vedere  come  ella  si  presti 
a  spiegare  tutta  la  composizione  di  questo  tipo  singolare  a  cui, 
parmi,  non  si  è  bene  atteso  forse  per  mancanza  di  originali 
ben  conservati,  o  per  non  avervi  fatto  uno  studio  più  attento 
e  minuto.  La  nave  che  è  a  destra  non  è  di  Siila,  perchè  egli 
andò  al  colloquio  viaggiando  per  terra,  neanche  si  può  dire  che 
rappresenti  una  delle  triremi  che  Siila  dimandi  gli  si  cedessero 
dal  re  Mitridate,  perchè  se  ciò  fosse  non  si  mostrerebbe  essa 
armata  di  soldatesca  orientale ,  il  cui  simbolo  evidente  sono  i  due 
fasci  di  strali  che  vi  si  vedono  dentro  insieme  cogli  scudi  ;  calamis 
orierUis  popidi  bella  conpciunt,  scrive  Plinio  [H.  N.  XVI,  65).  La 
figura  prossima  alla  nave  non  è  di  chi  la  cerca  ma  di  quei  che  la  pos- 


T.  XCI. 


SAMNIUM 


105 


siede.  Questi  non  èSillamaJMilridateacui  stanno  bene  le  nuassiridi 
e  la  mano  sul  pomo  della  spada  :  ma  quella  figura  a  cui  egli  stringe 
la  mano  che  in  qualche  esemplare  è  di  minor  taglia  e  vigor  militare 
assai  piìi  si  appressa  a  figura  muliebre  che  virile,  il  che  anche  ci  si 
conferma  dall'esemplare  del  Museo  Vaticano  ove  pare  chiaro  il 
rilievo  del  petto.  Questa  figura  mostrasi  ancora  o  coronata  ov- 
vero col  capo  cinto  da  largo  diadema  e  porta  oltre  al  pugnale 
anche  una  lancia.  Per  tutte  queste  ragioni  non  si  potrà  mai 
ravvisarvi  un  Siila,  ma  o  l'Italia,  o  alcuno  dei  legati  spediti  a 
Mitridate  dagli  Italici.  La  corta  gonna  non  sarebbe  un  ostacolo 
a  reputarla  figura  muliebre,  perchè  in  simile  assetto  si  vede  effi- 
giata Venere  armata  nei  denari  di  M.  Mezzio  e  L.  Buca  monetieri 
di  Cesare  (Blaeas,  //.  de  la  mon.  voi.  II  pi.  XXXII,  5,  6  pag.  71). 
Parimenti  la  Spagna  e  la  Gallia  in  un  aureo  di  Gall)a  edito 
dal  D'Amecourt  vanno  ancor  esse  in  corta  gonna  {Aanuaire 
numisiu.  1879  pi.  Ili,  1).  La  lancia  che  non  si  adatta  ad  un 
pacifico  congresso  vi  può  essere  stata  espressa  per  l'Italia  dai 
Sanniti,  il  cui  stemma  è  il  aavrioi;  come  ho  dimostrato  trat- 
tando della  moneta  dei  Sanniti  (Tav.  XC  n.  10). 


T.iv.  XCI. 

1-3.  Testa  di  donna  laureata  con  orecchini  e  filza  di  perle  al 
collo  volta  a  sin.  dietro  ITALIA.  R.  Otto  armati,  che  il  Cave- 
doni  chiama  Impcratores  sago  indutos,  e  non  vestono  che 
semplice  tunica  cinta,  coi  ferri  nudi  nella  destra,  le  cui 
punte  sono  rivolte  ad  una  porchetta  tenuta  da  un  ministro 
a  pie  di  im'  insegna  conficcata  al  suolo  ;  nelP  esergo,  INI. 
Avendo  gì'  Italici  chiamato  Itaiia  la  città  di  Corfiuio  scelta 
per  capitale  della  lega  l'hanno  poi  personificata  ponen- 
done la  testa  nel  dritto  con  la  epigrafe  ITALIA,  ovvero 
come  in  lingua  saunilica  la  dissero  VI>J3TI-3.  Neil'  esergo 
del  n.  1,  è  notato  il  novero  dei  conii  con  cifre  numeriche, 
in  quello  del  n.  2  è  indicato  lo  stesso  con  lettere  alfabe- 
tiche, e  questa  è  un  P  :  la  terza  ci  ha  dato  un  dieci  X. 

4,  5.  Nella  coli.  mia.  Busto  di  uno  dei  due  Castori,  coperto  di 
pileo  acuminato  cinto  di  laurea,  ma  v'  è  inoltre  una  stella 
in  alto,  non  avvertita  come  pare  dal  duca  di  Luynes,  che  l' ha 
definita  per  testa  di  Vulcano  (Ann.  Instit.  t.  XIII,  p.  129). 
Veste  una  clamide  abbottonata  sull'omero  destro  ed  è  privo 
di  tunica,  li.  Donna  armata  di  elmo,  scudo  e  lancia  che  guida 
ima  biga  a  dritta,  sotto  la  quale  nel  n.  4  è  la  testa  di  un  bue 
di  prospetto  con  due  globetti  accanto.  Nel  n.  5  invece  è  un 
semplice  T  e  non  altro. 

6.  Da  un  calco.  Busto  di  donna  galeata  volta  a  sin.  con  corazza  de- 
corata di  gemme.  Essa  è  coronata  da  una  vittorietta,  e  però 
a  me  pare  che  rappresenti  una  personificazione  della  città 
detta  dagli  Italici,  Italia.  R.  Personaggio  stante  in  piedi  e 
di  prospetto  coperto  di  elmo  crestato  con  largo  paludamento 
alle  spalle,  che  raccoglie  davanti  colla  sinistra  decorata  da 
duplice  armilla  sostenendo  il  parazonio  nella  vagina,  e  ap- 
poggiando la  destra  ad  un'asta  che  ha  la  punta  rivolta  in 
basso,  calca  col  pie'  sinistro  un  oggetto  nel  quale  si  distin- 
guono due  prominenze  globose.  Dal  lato  destro  si  vede  il 
toro  italico  lanciato  a  gran  corsa  e  dal  sinistro  un  tronco 


d'albero  dal  quale  pendono  quattro  scudi:  nelPesergo  vi  si 
legge  il  numero  HA.  Tutto  è  chiaro  in  questo  rovescio,  solo 
rimane  incerto  l' oggetto  che  il  personaggio  armato  calca. 
L' Avellino  stimò  che  fosse  ima  insegna  militare  romana, 
{It.  nuìii.  suppl.  p.  5),  e  trasse  il  Cavedoui  in  questa  opi- 
nione. 

7,  8.  11  primo  esemplare  è  preso  da  un  calco,  il  secondo  è  di 
mia  collezione.  Testa  di  donna  laureata  n.  7  con  pendenti 
agli  orecchi,  u.  8  con  collana  al  collo,  volta  a  sinistra,  a 
destra  vi  si  legge  il  nome  della  città  VNBThl.  R.  Il  per- 
sonaggio medesimo  descritto  al  n.  6,  se  non  che  non  gli  si 
vedono  al  braccio  le  due  armille.  Manca  a  sinistra  il  trofeo 
e  il  toro,  che  nel  n.  6  si  è  impetuosamente  lanciato  al  corso, 
qui  invece  riposa  accanto  al  guerriero  stando  di  prospetto  : 
nell'esergo  vi  è  la  lettera  3.  È  stato  detto  che  il  guerriero 
aveva  posto  il  piede  sulla  zampa  del  toro  giacente;  e  il 
Cavedoni  scrisse  che  il  toro  era  posto  tra  le  fiamme,  e  queste 
gli  divampavano  il  petto.  Cotesta  idea  è  falsa:  si  sono  cre- 
dute vampe  le  rozze  pieghe  della  pelle  pendente  dal  collo 
del  toro  che  dicesi  pagliolaia  e  giogaia.  Di  questa  composi- 
zione si  serve  la  sola  zecca  sannitica  di  Corfinio  e  dei  capi 
sannitici.  Il  Cavedoni  credette  di  vedere  in  questo  perso- 
naggio militare  la  persona  reale  di  Comic  Castronio  duce 
della  gioventù  sabellica  nel  suo  primo  impianto  nel  cuore 
del  Sannio.  L'oggetto  che  calca  sembra  un  vaso  a  larga 
bocca,  ed  è  forse  un  elmo. 

Una  rappresentanza  simile  alle  qui  descritte  fu  veduta 
e  narrala  dall'Avellino  in  una  moneta  della  collezione  Zurlo 
[Opusc.  II  p.  16  n.  19),  la  quale  mi  si  dice  oggi  posseduta 
da  persona  privata.  Vi  era  da  un  lato  la  testa  galeata  del- 
r  Italia  volta  a  sin.  e  al  riverso  un  uomo  in  pelle  leonina 
armato  di  spada  in  atto  di  appoggiarsi  ad  un'asta  e  di  sten- 
dere la  destra  verso  il  toro  che  vi  si  vedeva  da  quel  lato 
in  mezza  figura. 

9.  (Millingen,  Sijll.  I,  3).  Testa  di  donna  diademata  coi  capelli 
raccolti  in  massa  alPoecipite  e  filza  di  perle  al  collo,  volta 
a  d.  R.  Vittoria  alata  e  assisa  a  d.  con  un  ramo  di  palma 
nelle  mani  :  nelP  esergo  ITALIA. 

10, 11.  N.  10.  Testa  di  donna  laureata  a  d-,  dinanzi  è  la  nota  X 
del  denario.  R.  L'Italia  sedente  sopra  una  congerie  di  clipei, 
col  parazonio  nella  sin.  che  si  appoggia  colla  d.  all'asta, 
ed  è  coronata  dalla  Vittoria  che  le  sta  alle  spalle:  nel- 
Pesergo ITALIA.  N.  11  (Coli.  Luynes).  Testa  laureata  di 
donna  volta  a  d.  dinanzi  X,  a  sin.  ITALIA.  R.  Lo  stesso 
tipo  del  n.  10,  ma  nelPesergo  è  un  A. 

12, 13.  CoU.  Luyn.  e  Museo  di  Parma.  Testa  laureata  di  donna 
con  filza  di  perle  al  collo  volta  a  d.,  a  sin.  ITALIA  a  d.  XVI. 
/(.  L'Italia  assisa  su  di  un  cumulo  di  clipei  armata  di 
parazonio  e  di  asta  è  coronata  dalla  Vittoria  :  nelPesergo  D. 
È  un  buon  esempio  di  due  conii  in  pari  tempo  usciti  con 
la  medesima  nota  alfabetica  D. 

14.  Coli.  Lujm.  I  tipi  sono  i  medesimi  dei  due  conii  precedenti  : 
soltanto  la  lettera  dell' esergo  è  qui  un  G. 

15, 10.  Da  calchi.  Testa  di  donna  coperta  di  elmo  volta  a 
d.  e  coronata  dalla  Vittoria.  Veste  una  clamide  decorata  di 


100 


SAMNIUM 


T.  XCI 


un  gioiello,  lì.  Due  personaggi  che  venuti  a  colloquio  strin- 
gono la  destra  ambedue  in  tunica  corta,  cinta,  e  sago  mi- 
litare: colui  che  è  a  sin.  è  cinto  di  parazonio  e  porta  una 
lancia  con  la  punta  in  alto  ma  volta  indietro,  l'altro  con 
la  sinistra  sul  parazonio:  alle  spalle  di  lai  a  d.  vedesi  una 
prora  di  nave  con  entro  il  vessillo  lemniscato,  due  scudi 
e  due  fasci  di  dardi  :  nell'  esergo  del  n.  15  è  il  num.  A 
e  in  quello  del  numero  16  il  numero  IIIIA  in  alfabeto  san- 
Qitioo.  L'Avellino  {Opusc.  II  p.  16  n.  17,  18)  non  dice 
nulla  della  nave,  ma  descrive  invece  una  piccola  Vittoria 
che  corona  alle  spalle  il  personaggio  a  destra  e  il  Riccio 
{Reperì,  p.  8)  ha  scritto  «  che  una  figura  militare  con  asta  e 
scudo  dà,  la  destra  ad  altra  figura  militare  che  le  sta  di- 
rimpetto e  che  appoggia  la  sinistra  sul  parazonio.  Presso 
questa  seconda  figura  vi  è  una  base  dalla  quale  sorge  una 
piccola  Vittoria  che  la  corona  e  in  altra  moneta  evvi  una 
figura  discesa  or  ora  dalla  nave  che  le  sta  dietro  carica  di 
istrumeuti  bellici  ».  Il  Riccio  ha  di  certo  preso  per  scudo  la 
clamide  militare  del  primo.  Quanto  poi  alla  distinzione  dei 
due  conii,  in  uno  dei  quali  la  vittorietta  corona  il  militare 
a  destra,  nell'altro  v'  è  invece  la  nave,  è  evidente  che  egli 
ha  voluto  dar  luogo  alla  descrizione  dell'Avellino,  e  a  ciò 
che  vedeva  coi  propri  occhi,  la  nave,  non  la  vittorietta, 
che  però  parmi  sia  uno  sbaglio  da  addebitarsi  all'Avellino, 
a  cui  si  appoggia  ancora  la  descrizione  della  moneta  Zurlo 
riferita  di  sopra.  L' Orsino  pubblicò  il  ])rimo  una  moneta 
coi  tipi  medesimi  da  me  descritti,  cioè  con  la  Vittoria,  sopra 
ima  base  che  incorona  il  militare  a  destra,  ma  nell'esergo 
del  riverso  invece  del  numero  IIIIA  lesse  l'epigrafe  SVLLA  IW\P. 
Vediamo  ora  le  spiegazioni  che  si  sono  date  dai  dotti. 
Il  Borghesi  ammise  (Oeuvr.  I  pag.  374  segg.,  II  p.  273) 
la  moneta  dell'Orsino  (pr.  il  Morelli  tav.  V  n.  2)  e  quella 
del  Zurlo  (Avellino  Opusc.  t.  II  p.  16  n.  17,  18)  e  siilla 
fede  della  prima  stabilì  doversi  seguire  la  spiegazione  che 
ne  aveva  di  recente  proposta  il  Visconti,  che  si  trattasse 
ivi  del  famoso  abboccamento  di  Siila  con  Mitridate,  in  cui 
fu  conohiusa  tra  loro  la  pace.  Solo  una  cosa  notò  non  poter 
essere  che  la  nave  fosse  di  Siila,  da  poi  che  egli  si  era 
recato  per  terra,  ma  ohe  sia  uua  delle  trenta  ovvero  ottanta 
triremi  di  Mitridate  cedute  a  Siila,  come  uno  dei  principali 
articoli  di  quella  pace.  Pone  quindi  Siila  a  destra  e  Mi- 
tridate a  sinistra.  Siila  armato  di  parazonio  e  Mitridate  co- 
ronato del  diadema,  avente  un'asta  sotto  il  braccio  sinistro 
colla  punta  rivolta  all' indietro.  Da  ciò  deduce  che  la  me- 
daglia è  stata  coniata  nel  669  in  cui  avvenne  questo  fatto, 
0  tutt'al  più  nell'anno  seguente.  Quanto  poi  alla  moneta 
del  Zurlo  dice  parergli  probabile  che  siasi  in  essa  voluta 
rappresentare  la  pace  conchiusa  nel  667  da  Ponzio  Telesino 
col  vecchio  Mario,  della  quale  ragiona  Appiano  {B.  vìe. 
1.  e.  90).  Ma  già  sin  dal  1850,  {Bull.  Instit.  p.  201)  il 
Cavedoni  mise  in  sospetto  l'epigrafe  dubitando  che  l'Orsino 
prendesse  il  numero  IIIIA  per  nome  proprio  e  ne  facesse 
SVLLA  aggiuntovi  poi  IMP  e  il  Mommsen  dichiara  di  parergli 
certo  che  tale  iscrizione  sia  del  tutto  dall'Orsino  foggiata. 
Noi  invero  ne  abbiamo  un  esempio  non  dissomigliante  nel 


Garelli  (iJescr.  pag.  118  u.  29  ed.  Caved.),  che  assegnò 
alla  guerra  marsica  il  nummo  della  famiglia  Vibia,  omessa 
l'epigrafe  del  riverso,  e  cambiato  nel  dritto  il  genitivo  LIBER- 
TATIS  nel  nominativo  LIBERTAS.  Può  dunque  accettarsi,  che 
l'Orsino  abbia  sbagliato.  Quanto  poi  alla  opinion  mia,  che 
risolutamente  rifiuto  la  spiegazione  del  Visconti  applaudita 
dal  Borghesi,  si  veda  ciò  che  ne  ho  scritto  nel  prolegomeno. 

17.  Coli.  Blacas  (//.  De  la  monn.  T.  II  531,  1).  Testa  di  donna 
coronata  di  ellera  volta  a  d.  a  cui  corre  d' intorno  una  co- 
rona di  lauro.  B.  Toro  che  ferisce  di  corno  la  lupa  già  sotto 
i  suoi  piedi  :  nel  campo  Pi,  nell'esergo  VIn|>I3TH.  Ve  ne  ha 
un  esemplare  nella  collezione  Santangelo  (Fiorelli,  Catal. 
n.  509).  Ma  il  Riccio  {Repert.  p.  9)  sbaglia  attribuendole 
al  dritto  la  leggenda  della  moneta  posta  al  n.  26  e  al  ri- 
verso la  leggenda  VITELIA  in  luogo  della  osca  predetta. 

18.  Coli,  di  Luynes  (Avel.  Opusc.  II,  2,  7).  Imitazione  del  de- 
naro primitivo  di  Roma,  del  quale  porta  i  tipi.  Nell'esergo 
del  riverse  si  legge  VI43TI-I1  nel  campo  del  dritto  L,  del 
riverso  A.  Il  Cavedoni  trova  che  questo  nummo  siasi  imi- 
tato dai  denarii  dei  triumviri,  M.  Atilio  Serano,  Q.  Marcio 
Liboue,  L.  Sempronio  Pizione,  specialmente  per  la  forma 
Tot'yXijVog  dell'  orecchino. 

19.  20.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  laureata  a  d.  R.  Otto  giuranti 

attorno  alla  porchetta  tenuta  dal  ministro  a  pie'  del  ves- 
sillo militare.  Nell'esergo  rimane  un  O.  È  questa  una  delle 
due  monete  a  me  note  che  portino  gli  otto  giuranti  al 
riverso  e  la  testa  del  dritto  volta  a  destra  (Car.  tav.  Ili,  13); 
e  però  l'ho  posta  accanto  alla  celebre  ed  unica  moneta  di  Q. 
Silone  n.  20.  In  essa  dietro  la  testa  della  donna  si  ha  l'epi- 
grafe ITALIA  che  non  è  stata  impressa  dal  conio  neln.  19 
e  al  riverso  si  legge  intero  Q  •  SILO.  Pu  sogno  del  Mé- 
rimée  {Bevue  num.  t.  X  p.  93, 103)  che  il  vessillo  abbia  in 
cima  un  toro  di  prospetto  che  si  slancia. 

21.  Coli.  mia.  Testa  virile  con  fior  di  lanugine  sulle  guance  coperta 

di  elmo  pinnigero  dalla  cui  cima  pende  sulle  spalle  una 'filza 
di  perle  che  gli  fa  da  cresta.  Egli  guarda  a  d.  ed  ha  alle 
spalle  l'epigrafe  VI-J3T1-II.  R.  Quattro  armati  giurano  sulla 
porchetta  tenuta  da  un  ministro:  nell'esergo •>-linflKin>.  Il 
Millingen  {Consid.  p.  185  n.  5)  descrive  questa  moneta 
come  se  la  testa  del  dritto  fosse  di  donna;  al  Cavedoni  parve 
invece  che  fosse  testa  di  Marte  {Bull.  Instit.  1837  p.  199). 
Oramai  non  occorre  che  si  esaminino  e  si  confrontino  gli 
esemplari  per  decidere  la  questione,  se  è  possibile,  come 
brama  il  Millingen,  pag.  253,  avendola  bella  e  chiara  de- 
cisa il  doppio  mio  esemplare  conservatissimo. 

22.  Testa  di  donna  coperta  di  elmo  pinnigero  con  cresta  e  ra- 
beschi volta  a  sinistra  davanti  <]VTi^<iai413->li-T\/m.  B.  Due  ar- 
mati in  atto  di  giurare  ferendo  la  porchetta  sostenuta  dal 
ministro.  Il  vessillo  appare  soltanto  nel  tipo  degli  otto  ar- 
mati: nel  riverso  •>-inNNn->.  L'epigrafe  dunque  comincia 
dal  riverso  e  termina  al  dritto  della  moneta. 

28.  Testa  di  donna  coperta  di  elmo  alato  volta  a  d.  intorno  fra 
due  cerchi  di  perle  >lhTVltl  •>-inRNn->.  R.  Uomo  armato  di 
lancia  e  di  parazonio  che  pone  il  piede  sopra  un  oggetto  in- 
certo: ivi  presso  è  un  bue  in  riposo:  a  sin.  VI<J3TI-3. 


T.  XCI 


SAMNIUM,  APULTA 


107 


24,  25.  Testa  di  douna  coperta  di  elmo  come  nel  n.  22:  davanti 
^liTypII  R.  Uomo  armato  col  toro  accanto  come  nel  u.  23  in 
alto  a  d.  n.  24  8,  n.  25  fl,  a  sinistra  WIHISNi.  Il  Millingeu 
opina  [Consid.  p.  187)  che  questa  moneta  sia  stata  coniata 
dai  Sanniti  rimasti  soli  a  continuare  la  guerra,  e  però  in  luogo 
di  Italia  si  è  scritto  Saphùiìm,  nome  del  Sannio:  ma  non 
pare.  Quella  che  oggi  diciamo  lupa  fu  creduta  un  coccodrillo, 
ma  questo  errore  il  corresse  lo  Scklichtegrolle  (ap.  Avell. 
/{.  vet.  num.  T.  I  p.  96,  97).  L'  unione  di  una  leggenda 
in  latina  lingua  col  nome  sannitico  di  C.  Papio  è  spiegata 
dal  Cavedoni  col  gaudio  dei  Marsi  e  dei  Sanniti  insieme 
per  la  morte  di  Q.  Servilio  Cepione  o  piuttosto  di  C.  Ser- 
vilio  proconsole  {ad  Carelli  Tab.  CCII  n.  30).  Ma  il  n.  27  coi 
tipi  del  deuario  romano  di  C.  Servilio  figlio  di  Marco,  e  la  sola 
epigrafe  latina,  dimostra  che  C.  Papio  lo  riprodusse,  e  così 
vi  appose  il  suo  nome  in  lingua  e  carattere  sannitico. 

26.  Testa  coronata  di  ellera  volta  a  d.  davanti  qVTNqait13  •>IITVIt1. 
E.  Toro  che  ferisce  di  corno  la  lupa  come  nel  n.  17:  nel- 
l'esergo  iriNRn-).  V'è  un  esemplare  nel  Museo  di  Berlino 
ove  il  toro  e  la  lupa  sono  volti  a  sinistra. 

27-29.  Imitazione  del  denaro  di  C.  Servilio:  nell'esergo  del  riverso 
n.  27  ITALIA  e  un  astro;  n.  28  •>  IDlNirvin-)  e  dalla  parte  del 
dritto  sotto  il  collo,  >lhTVH1  e  un  astro.  Nel  n.  29  si  leggono 
unitele  due  leggende  del  rovescio  dei  n.  27,  28,  una  però 
al  riverso  •>-inNNn->  l'altra  al  dritto  ITALIA  preceduta  da 
astro  a  sei  raggi 'da  non  confondersi  colla  nota  del  denaro. 
In  tutta  cotesta  monetazione  marsica  non  si  vede  usurpata 
la  nota  ^  ovvero  * ,  se  ne  eccettui  i  nn.  28 ,  29  copiati 
dal  denaro  romano  di  Servilio. 

30,  31.  I  tipi  di  queste  due  monete  sono  simili  a  quelli  dei 
n.  7,  8  vi  si  vede  soltanto  aggiunta  la  nota  X  nel  dritto 
e  nell'  esergo  del  riverso  n.  30  Jl.  La  epigrafe  del  riverso 
è  nuova:  ^H1  l>IDV>|-IH,  Niumeres  Lmci{es)  M{a)r(as),  (Nu- 
merìus  Lucius  Marii  filius).  Nel  nummo  del  n.  31  si  era 
letto  Luvius,  e  così  è  di  fatto:  ma  il  primo  I  si. è  di  poi 
veduto  che  deve  essere  un  »  mal  espresso:  onde  se  ne 
scusano   gli   editori  anteriori   alla  scoperta. 

32.  Coli.  Liiynes.  Questa  moneta  tenuta  prima  in  sospetto  di  mo- 
"  derna  fu  poi  data  per  falsa.  Ma  essa  è  certamente  vera  a 
mio  giudizio  e  del  Luynes  che  la  comprò  ed  aggiunse  alla 
sua  insigne  collezione.  Il  Priedlaender  l'ha  pubblicata  {Die 
Osck.  Miin.  73).  Testa  di  donna  coronata  di  edera.  R.  Istru- 
menti  del  culto  di  Bacco,  cista,  nebride,  tirso  che  qui  è 
lemniscato:  nell'esergo  si  legge:  im-^IK3l-im.  Quest'aureo 
finora  unico  pesa  gr.  8,47  quanto  uno  statere  ateniese,  e 
im  am'eo  di  Mitridate.  Lo  credo  battuto  dal  console  Minazio 
leio  figlio  di  Minazio  a  fin  di  sollevar  l'animo  dell'eser- 
cito e  dei  confederati  colla  promessa  del  re  Mitridate,  e  pro- 
babilmente coll'oro  portato  dall'Asia.  Il  Priedlaender  prima 
e  poi  il  Cavedoni  hanno  scritto  che  il  tirso  termina  in  testa 
di  montone,  ma  è  un  errore,  che  si  vede  corretto  dal  Blacas 
nella  edizione  dell'//.  De  la  monn.  T.  IV  pi.  XXX,  11,  quan- 
tunque siasi  sbagliato  prendendo  per  cappio  di  tenia  la  se- 
conda deUe  tre  foglie  d'edera  che  coronano  l'estrema  ferula, 
n.  30. 


APULIA 
TIATE  APULUM 

Gli  Apuli  Dauni  tennero  la  regione  confinante  coi  Prei- 
tani  a  settentrione  il  cui  limite  fu  il  Biferno  :  ma  le  terre  poste 
fra  il  Biferno  e  il  Fortore  appartennero  in  parte  ai  Frentani  di 
Larino,  in  parte  agli  Apuli  di  Teano  :  Larinatium  Clitórnia,  Tea- 
num  Apulorum,  scrive  Plinio  (//.  N.  Ili,  16)  e  Strabene  (VI,  11): 
SI'  i^iscfoyaia  rò  "AttovXov  Tsccvov  Ò!.id»'i\itov  ti[>  2idtxh<o>.  Le 
monete  che  oggi  si  attribuiscono  a  questo  Teano  furono  lunga- 
mente credute  del  Teate  Marrucoinum  al  quale  l'Avellino  {Bull, 
arca.  TMp.  IV,  25)  assegna  la  moneta  con  l'epigrafe  WVITRIIT 
e  i  tipi  campani.  Io  la  credo  battuta  in  Campania  del  pari  che 
quella  di  Larino  che  porta  la  leggenda  greca  coi  tipi  medesimi. 
L'alfabeto  osco  estraneo  alla  Puglia  mi  ha  indotto  a  stimarla 
coniata  dagli  Osci  campani,  non  però  il  tipo  campano:  perchè  i 
Teauesi  oltre  alle  monete  coi  proprii  tipi  ne  hanno  battute  anche 
coi  tipi  di  altre  città,  e  vi  si  distinguono  quelle  di  Taranto,  di  Ve- 
lia e  di  Brindisi,  le  quali  stando  alle  leggi  stabilite  si  potrebbero 
dire  monete  di  confederazione.  Il  Teate  Apulum  fu  anche  detto 
Teanum,  e  così  Io  nomina  Strabene  nel  luogo  citato  rò  "AnovXov 
Téarov  éfiióvofiov  zoj  2i6ixh'(g.  Gli  antichi  marmi  chiamando  Tia- 
tini  gli  abitanti  del  Tianum  Apulum  danno  la  miglior  prova  della 
verità  del  parer  nostro,  perchè  da  Tianum  si  può  dedurre  Tianen- 
sis,  ma  Tiatinus  necessariamente  deve  nascere  da  Tiate.  Tianum. 
Apulum  non  fu  dunque  in  origine  il  nome  piìi  volgare  di  questa 
città  :  essa  chiamossi  Tiate,  e  così  anche  la  denominano  gli  Osci. 
Ma  cotesta  sinonimia  non  fu  capita  da  Livio  (IX,  20),  che  pose 
due  popoli  in  Puglia  l'uno  in  Teanum  e  l'altro  in  Teate  (v. 
Niebhur,  III,  261;  Momms.  negli  Ann.  di  numism.  del  Pio- 
relli,  1846  p.  105  e  106).  Perocché  così  egli  si  esprime:  Ex 
Apulia  Teanenses  Canusinique  popwlationibus  fessi,  obsidibus 
L.  Plaulio  consuli  datis,  in  deditionem  venerunt...  Inciinatis 
semel  in  Apulia  rebus  Teates  quoque  Apuli  ad  novos  consules 
C.  lunium  Bubulcum,  Q.Aemiliam  Barbulam  foedus  petitum  ve- 
nerunt, pacis  per  omnem  Apuliam  praestandae  populo  Romano 
àuctores.  Ma  non  deve  far  sorpresa  questo  equivoco  di  T.  Livio 
dove  distingue  i  Teanenses  dai  Teates,  coi  quali  due  modi  nei 
loro  monumenti  doppiamente  si  appellano.  Tiate  è  voce  intera, 
e  così  pensa  anche  il  Cavedoni  {Bull.  Instit.  1850,  199),  non  già 
tronca,  e  deriva  dal  neutro  Teate,  che  è  adiettivo.  Può  darsi  adun- 
que che  il  TIA  di  qualche  didrammo  e  di  qualche  obolo  non  sia 
tronco,  ma  il  proprio  nome  primitivo.  Su  qualche  altro  obolo 
insieme  con  ITAIT  retrogrado  si  legge,  secondo  il  Minervini 
{Oss.  num.  1. 1,  5-8)  lfll>lfH  lAAIS  la  cui  prima  lettera  i  è  im- 
perfetta, perchè  in  altro  esemplare  è  3.  È  nome  di  alcun  di- 
nasta Bidaeus  Haciaeus,  in  apulo  dialetto  che  forse  in  latino 
risponde  a  Vedius  Accius.  L'obolo  coi  tipi  campani  e  l'epigrafe 
osca  è  divenuto  celebre.  Esso  era  apparso  fin  dai  tempi  del 
Pellerin  {Suppl.  Ili  p.  95),  ma  Ietto  a  rovescio  fu  dato  a  Mur- 
gantia  città  del  Sannio.  Questa  lezione  ed  attribuzione  furono 
accettate  dal  Lanzi  {Saggio  II  p.  601)  e  dal  Caronni  {Mus. 
Hederv.  p.  20),  il  quale  anche  s' illuse,  vedendovi  per  tipo 
un  leone  invece  del  bue  androprosopo.  L' Avellino  il  primo 
trovò  erronea  la  leggenda  e  falsa  l'attribuzione  illustrando  un 

14 


108 


APULIA 


T.  XCII 


simile  nummo  del  r.  Museo,  sul  quale  lesse  WVlTRilT,  ma 
l'aggiudicò  a  Teate  Marruecino.  In  jiari  tempo  avveniva  che  io 
ne  trovassi  in  Koma  nel  Museo  Borgiano  di  Propaganda  un  esem- 
plare novello  e  senza  sapere  del  Pellerin,  ne  tenni  discorso  nel- 
TAccademia  Ercolanese,  l'anno  1847,  e  lo  dichiarai  di  fahbrica 
campana. 

I  Teatini  nei  primi  tre  spezzati  della  propria  serie  pongono 
per  tipo  in  prima  G-iove,  poi  Minerva,  poi  Ercole:  nei  tre  rimanenti 
ripetono  laPallade.  Il  loro  sistema  è  decimale,  e  la  maggiore  unità 
la  dicono  nummus,  signiiìcandolo  colla  iniziale  N.  Nel  sestante 
l'Avellino  veduto  a  destra  un  i  di  maggior  taglia  delle  let- 
tere TIATI  stimò  che  fosse  un  monogramma  da  sciogliersi  in 
VM  e  da  unirsi  al  TIATI,  onde  si  leggesse  TIATIVM  ;  ma  in  altri 
esemplari  si  è  in  quel  luogo  trovato  un  K,  o  una  corona,  e 
l'oncia  porta  talvolta  un  T.  Sembra  quindi  che  queste  lettere, 
come  la  corona,  siano  talvolta  sesui  monetali. 


Tav.  XCII. 

1,  3.  Testa  di  donna  diademata  volta  a  sin.  R.  Fantino  che  ca- 
valcando corona  il  suo  cavallo  tra  i  cui  piedi  è  un  delfino: 
r  epigrafe  è  TIATI  nel  n.  1,  TIA  TI  nel  n.  2  e  vi  si 
vede  nel  campo  un  A  di  maggior  dimensione:  non  può  ap- 
provarsi perciò  che  si  legga  seguitamente  TIATIA  come 
sembra  proporre  il  Minervini  (1.  cit.  pag.  112  nota  2).  Nel 
n.  3  si  legge  soltanto  TIA  (cfr.  Minervini,  Oss.  tav.  VI  n.  6). 
I  tipi  di  cotesto  monete  sono  tarantini. 

4.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  attico  decorato  di  gemme 

a  modo  di  fiori.  E.  Ercole  in  ginocchio  con  la  clava  nella 
sinistra  soffoca  il  leone  :  sopra  TIATI  (Sambon ,  Recher- 
ches,  XV,  14). 

5.  Testa  di  Pallade    coperta  di  elmo  aulopide  con  cresta.    R. 

Ercole  in  piedi  volto  a  sinistra  soffoca  il  leone,  dietro  di 
lui  è  la  clava  :  davanti  TIATI.  Questi  due  nummi  (4,  5) 
sono  una  imitazione  di  altrettanti  tarantini. 

6.  Testa  di  donna  con  corti  capelli  volta  a  d.  R.  Civetta  sopra 

\m  ramo  di  olivo  volta  a  destra:  davanti  dalla  sin.  TIATI. 
Ancor  questa  moneta  porta  i  tipi  non  propri  ma  tolti  dai 
Veliesi.  L'ebbe  data  alla  luce  il  pr.  di  s.  Giorgio  {Monu- 
menti inediti  tav.  8  n.  1  pag.  109).  Il  Priedlaeuder  {Osk. 
Miinz.  1850  pag.  50)  crede  che  la  testa  sia  d'uomo  a  mo- 
tivo dei  capelli  corti  e  della  mancanza  di  pendenti  alle 
orecchie.  Altri  numismatici  l'hanno  rifiutata,  ma  senza  mo- 
tivo. Essi  avrebbero  dovuto  considerare  lo  studio  di  cote- 
sti Teanesi  d'imitare  i  tipi  di  altre  città,  e  inoltre  l'antico 
modo  di  esprimere  un'alleanza  aggiungendo  il  proprio  nome 
ai  tipi  altrui.  Or  se  si  vuol  tenere  che  la  testa  sia  virile 
avremo  da  confrontare  questa  moneta  con  una  di  Crotone 
(tav.  ex  n.  2),  se  muliebre,  le  metteremo  accanto  una  di 
Velia  (tav.  CXIX  n.  7). 

7.  8.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  crestato  volta  a  d.  R. 

Civetta  stante  e  volta  a  destra  :  l'epigrafe  nel  n.  7  è  TIAT 
nel  n.  8  è  TIA. 
9.  Testa  di  Apollo  laureata  a  sin.    davanti  ItlVITRIlT   che  il 
Pellerin  lesse  MVRTA/VTIA  e  attribuì  a  Murganzia  nel  San- 


nio.  R.  Bue  audroprosopo,  di  sopra  un  fulmine.  Che  la  le- 
zione del  Pellerin  fosse  erronea  ne  aveva  dato  avviso  il 
Millingen  {Consid.  pag.  180).  Egli  cercata  la  moneta  del 
Pellerin  nel  Gabinetto  Parigino  delle  medaglie  vi  scorse 
chiaro  WV  e  si  avvide  che  erano  le  ultime  lettere  della 
desinenza  di  un  nome,  qual  è  quello  di  Nuceria,  Compul- 
teria  e  di  altre  in  osco  dialetto.  Ma  si  arrestò  qui.  Dipoi 
nel  1845  il  Piorelli  {Mon.  ined.  pag.  21)  sostenne  ohe  in 
due  esemplari  del  Museo  di  Napoli  era  chiarissima  la  leg- 
genda MVRTANTIA,  e  ne  citò  un  terzo  del  Museo  Santan- 
gelo,  inedito  pel  simbolo  che  recava  sul  toro  del  riverso. 

10.  Protome  di  eavallo   col  freno  volto   a  d.  a  sinistra  IflAlS 

IAI>IAH.  R.  Cavallo  gradiente  a  sin.  sopra  ITAIT  (Minervini, 
Oss.  numism.  I,  5).  Dico  cavallo  e  non  leone,  perchè  tale 
il  manifestano  nel  disegno  le  unghie,  la  coda  e  la  criniera. 

11.  Testa  di  Giove  coronata  di  lauro  volta  a  d.  R.  Aquila  stante 

sul  fulmine  ad  ali  spiegate  :  ad.  N  e  TIATI. 

12.  Testa  di  Minerva  coperta  ài  elmo  corinzio  a  d.  R.  Civetta 
di  fronte,  a  sin.  TIATI,  a  d.  fulmine,  nell'esergo  la  nota  del 
pentoncio  •••••. 

13.  Testa  di  Ercole  barbato  e  coperto  dalla  spoglia  di  leone  a 

d.  R.  Leone  ohe  va  a  destra,  sopra  la  clava  e  TIATI  tra 
le  gambe  un  astro,  nell'esergo  la  nota  del  triente  ••••. 

14.  Testa  di  Minerva  coperta  di  aulopide.  R.  Civetta. 

15.  16.  I  tipi  sono  i  medesimi  che  nel  n.  14  solo  nel  n.  16 
a  destra  della  civetta  vi  si  vedeva  un  sigma  greco  di  propor- 
zioni superiori  alla  forma  del  TIATI  .  L'Avellino  {Opusc. 
Ili  pag.  115  tav.  VII,  8)  opinò  che  fosse  un  monogramma  e 
dovesse  congiungersi  al  nome  della  città  e  formar  così  un 
genitivo  TIATIW,  dove  quel  W  valesse  le  due  lettere  VM. 
Alla  quale  opinione  mi  pare  che  faccia  ostacolo  la  novità 
leggendosi  in  tutta  la  serie  costantemente  TIATI  ove  il  voca- 
bolo non  è  accorciato,  in  TIA,  TIAT:  poi  la  taglia  maggiore 
del  creduto  monogramma.  Altri  hanno  stimato  che  questa 
fosse  una  M  e  citano  altre  lettere  che  diconsi  monetarie  ; 
come  p.  e.  il  K  di  un  triente  notato  in  un  catalogo  di  monete 
stampate  a  Milano  nel  1881  (pag.  27  ai  nn.  310,  311).  Il 
Kiccio  vi  pone  un  U  {Reperì,  p.  21)  ed  è  ripreso  dal  Eried- 
laender  perchè  omette  d'indicare  dove  {Osk.  Miinz.  p.  52) 
se  a  destra,  se  a  sinistra,  se  nel  dritto  o  nel  riverso  e  in 
quale  frazione  della  serie.  Io  del  resto  non  mi  oppongo  a 
chi  credesse  che  le  monete  teatine  abbiano  talvolta  lettere 
monetarie,  come  di  fatti  mostrano  altri  segni  fra  i  quali  è 
anche  una  corona  in  loro  luogo  a  destra  del  riverso.  Solo 
mi  pare  si  debba  fare  eccezione  della  i,  per  le  sue  pro- 
porzioni, e  perchè  non  pare  a  me  una  lettera  latina  né  un 
monogramma,  ma  un  sigma  greco.  Il  sestante  dove  è  il  S  ^ 
pesa  grammi  4,50. 

17,  18.  I  tipi  sono  i  medesimi  che  nel  sestante,  solo  a  destra 
della  civetta  nel  n.  17  vi  è  una  corona.  Nel  n.  18  l'oncia 
porta  a  destra  del  riverso  un  T. 

19.  Nel  Museo  di  Vienna.  Testa  di  Nettuno  laureata.  R.  L'eroe 
Taranto  a  cavallo  al  delfino  coronato  e  barbato  con  un  tri- 
dente nella  sin.  e  in  atto  di  porgere  un  vaso  colla  destra: 
in  alto  TIATI,  presso   il  piede  sinistro  la  nota  del  qua- 


T.  XCII 


APULIA 


109 


cbante.  Il  Carelli  T.  LXXXVIl,  15  conta  cinque  globetti 
nel  suo  esemplare,  imagiuando  che  uno  di  essi  globetti 
stesse  occultato  dal  piede  dell'eroe,  il  ohe  non  gli  si  può 
concedere.  Prende  inoltre  per  globetto  il  pie'  destro,  che 
però  non  si  vede  nel  suo  esemplare.  Giulio  Sambon  nel 
Calai,  della  collezione  Borghesi  n.  314  ne  conta  quattro 
al  riverso  e  altrettanti  al  dritto  di  quell'esemplare,  e  cita 
le  Recherches  del  padre  p.  218,  15.  Ma  il  Poole  nell'esem- 
plare del  Museo  Britannico  [CataL  pag.  147  n.  16)  ne 
conta  tre  soltanto  nel  dritto,  e  tre  ne  ha  riconosciuto  anche 
il  Piorelli  nel  dritto  e  nel  riverso  dei  due  esemplari 
della  collezione  Santangelo  {Calai,  mi.  2109,  2110).  lo  non 
ho  iìuora  veduto  che  gli  esemplari  di  Vienna  e  di  Napoli 
e  mi  par  certo  che  se  in  altri  esemplari  hanno  contati 
quattro  e  cinque  globetti  ciò  è  stato  perchè  hanno  preso 
per  tali  anche  i  piedi  di  Taranto. 
20.  Coli.  Imhooff-BI.  Testa  di  donna  laureata  e  velata  a  d.  die- 
tro due  globetti.  R.  Colomba  a  volo  a  sin.  TIATl,  e  a  d.  i 
due  globetti.  Un  altro  esemplare  ma  non  così  compiuto 
erasi  già  da  me  preso  a  calco  nel  Museo  di  Parma. 

HYEIUM 

A  settentrione  del  monte  Gargano  vi  fu  una  città  di 
nome  Hyrium,  ultima  della  lapigia  (Dionys.  de  situ  orbis 
V.  379),  presso  alla  quale  mostravasi  su  di  im  colle  di 
nome  Joiov  il  sepolcro  di  Calcante,  che  domati  i  Lucani 
prese  soggiorno  in  quelle  terre  (Strabo,  VI,  3,  9),  che  ai 
tempi  di  Plinio  {H.  N.  Ili  e.  16)  erano  abitate  dagli  Atinati; 
quae  loca  nunc  tenent  Atinates.  Altro  è  il  colle  additato 
da  Scilace  che  il  chiama,  non  è  ben  certo,  'AqCiov,  il  qual 
vocabolo  dal  Muller  si  vuole  cambiare  in  'SìqCwv,  rivo- 
cando  a  tal  fine  la  favola  di  Orione  della  Hi/ria  beotica, 
0  la  tradizione  che  fa  venire  i  Beoti  nella  lapigia  con  Mes- 
sapo,  dal  quale  la  Messapia  ebbe  nome  [ad  Scylacis  Peripl. 
pag.  23  ed.  Didot).  Le  monetine  che  ci  vengono  da  quei 
lidi  chiamano  quei  popoli  'Yqucvivoì,  forma  patronimica,  che 
deriva  da  'YQiàxì]c.  (Millingen,  Consid.  p.  119),  ma  Plinio 
li  appella  Hyrini,  derivandone  il  nome  da  Hyrium.  Hyria- 
tini  è  forma  insolita,  come  notò  l'Bckhel,  ma  parmi  ana- 
loga al  Tiates,  che  si  dicono  Tiatini  e  così  anche  gli 
abitanti  dell'  Hyrina  campana  diversamente  si  appellano 
Hijriatae,  Hyriani,  flyrinaei,  sulle  loro  monete.  Strabene  è  il 
solo  che  dà  alla  città  il  nome  di  Ovqhov.  Incontro  al  Gar- 
gano si  hanno  le  isole  di  Tremiti,  in  una  delle  quali  detta 
di  Diomede,  Diomedis  insula,  si  venerava  il  sepolcro  di 
cotesto  eroe,  ad  inombrare  il  quale,  circa  il  364  vi  si  era 
trapiantato  un  platano,  la  cui  coltivazione  poi  si  diffuse  in 
Sicilia  e  fu  poscia  da  Dionigi  il  vecchio  trasportata  in  Ita- 
lia (Plin.  H.  N.  XII,  3)  :  Platanus  haec  est  mare  ionium 
in  Diomedis  insulam  eiusdem  tumuli  grafia  primum  in- 
vecta,  inde  in  Siciliam  transgressa,  atque  inter  primas 
donata  Italiae. 

Nel  citato  passo  di  Plinio  è  notevolissima  la  notizia  che 
ci  dà  di  Lucani  e  di  Atinati  sul  Gargano,  dei  quali  due  po- 


poli non  so  che  altri  ci  parli.  Noi  abbiamo  un'  Atina  nei 
Volsci  e  un'  altra  Atina  nella  Lucania  ambedue  mediter- 
ranee. A  cotesti  Atinati  che  vivevano  sul  mare  pensai  una 
volta  di  assegnare  il  bronzo  del  Museo  Borgiano  di  Pro- 
paganda (Tav.  CXXV,  3)  con  il  busto  di  Pallade  sul  dritto 
e  la  leggenda  ATlNilN  e  al  riverso  una  intera  nave  :  ma 
me  ne  sono  ritratto  considerando  che  nelle  monete  d'Italia 
non  v'ha  esempio  di  busti,  se  non  del  solo  Ercole  così 
espresso  dai  Venosini  e  non  da  altri:  in  figure  muliebri 
è  poi  senza  esempio. 

21.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  aulopide 

crestato.  R.  Timone  e  delfino,  VPlATINilN 

22.  Da  un  mio  calco.  Testa  di  Giove  laureata  a  d.  R.  Fulmine 

e  YPIATlNilN. 

LUCERIA 

La  serie  coniata  della  moneta  lucerina  si  vuole  porre  a 
confronto  colla  serie  fusa  che  ho  data  a  suo  luogo.  Nella 
fusa  se  ne  eccettui  la  maggiore  unità  sono  simboli  e  non 
imagini  degli  dei  :  queste  invece  si  vedono  impresse  nella 
serie  coniata  e  portano  per  riverso  uno  dei  simboli  espressi 
nella  corrispondente  moneta  fusa  :  donde  risulta  che  in  tal 
senso  quei  simboli  si  sono  da  principio  figurati.  Dopo  le 
prime  tre  monete,  che  appartengono  alla  serie  degli  oboli 
tagliati  sul  sistema  greco,  comincia  la  serie  decimale  dal 
quincunce  i  cui  tipi  sono  Pallade  e  la  ruota.  Segue  Ercole 
con  le  sue  armi,  indi  Nettuno  col  delfino,  poi  la  Teti  con 
la  conchiglia  e  Apollo  con  la  rana  e  Diana  con  la  luna  cre- 
scente. Eimangono  il  fulmine,  l'astro,  l'astragalo,  la  spiga 
di  grano,  il  tirso  simboli  assai  noti  di  Giove,  di  Apollo- 
Sole,  di  Venere,  di  Cerere  e  di  Bacco.  Non  pare  dunque 
che  si  verifichi  l'allusione  quasi  armi  parlanti  della  luna 
e  dell'  astro  al  nome  di  Lucerla,  come  congetturavano  il 
Cavedoni  (Saggio,  16)  e  l'Avellino  {Op.  11,  64).  Hanno  da 
considerarsi  come  singolari  la  ruota  e  la  ranocchia.  Ma  si 
avverta,  che  codesti  dei  sono  distribuiti  sulla  moneta  a  cop- 
pie. Minerva  ed  Ercole,  Nettuno  e  Teti,  Apollo  e  Diana, 
donde  può  venire  qualche  luce.  Perocché  se  Minerva  si 
trova  insieme  con  Ercole  ciò  è  perchè  gli  fu  compagna 
costante  in  tutte  le  sue  imprese;  era  la  sua  Nemesi,  la  sua 
Tyche.  La  rana  poi  può  considerarsi  come  un  simbolo  fa- 
tidico; perocché  tenevasi  che  col  suo  gracidare  più  forte 
e  pili  chiaro  del  solito  presagisse  le  imminenti  fecondatrici 
pioggie  (Aelian.,  de  nat.  anim.  IX,  e.  13):  oTav  ^àTQuxoi, 
ysyiovÓTSQov  (f&ayyoìVTai,  xal  Tpjg  ffvvrj-S-sCag  Xa[i7TQÓT£Qov, 
inidriniav  S-^Xavaiv  veroìi,  e  Plinio  (H.  N.  XVIII,  85,  87) 
scrive:  Est  et  aquarum  significatio  . .  praesagiunt  et  anima- 
malia.  .  Ranae  quoque  ultra  solitum  vocales.  V'è  però  un 
altro  Iato  dal  quale  se  si  considera  la  rana  apparirà  una 
novella  relazione  simbolica  col  dio  al  quale  qui  si  riferisce. 
Questo  è  il  molto  uso  che  fé'  della  rana  la  magica  super- 
stizione a  guarire  parecchie  specie  di  morbi.  Chi  ne  ha  brama 
legga  il  citato  Plinio  che  diffusamente  ne  parla  (L.  XXXII 
e.  18).  Non  deve  omettersi  di  far  considerare  il  bel  riscon- 


110 


APULIA 


T.  XCII 


tro  che  a  questa  serie  lucerina  porge  la  serie  delle  monete 
larisati,  nelle  quali,  come  si  è  notato,  il  riverso  porta 
un  simbolo  della  divinità  rappresentata  nel  dritto.  Luceria 
fu  anche  oiHcina  della  moneta  romana  che  riprodusse  in- 
dicandovi la  zecca  lucerina  colla  sola  iniziate  U. 

23.  Nel  Kircheriauo,  moneta  ribattuta  trovata  nelle  acque  di  Vi- 

carello.  Testa  di  Nettuno  a  d.  R.  Delfino  a  d.  e  sotto  U.  Que- 
sti tipi  divennero  poi  propri  del  quadrante  Incerino  v.  n.  28. 

24.  Coli.  Lippi  in  Biccari.  Testa  barbata  a  d.  R.  Leone  ohe  si 
arresta  a  d.,  di  sopra  un  caduceo,  nell'esergo  U. 

25.  Nel  Museo  di  Napoli.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  della 
spoglia  di  leone.  R.  Arco  e  clava  UOYKDEI.  La  desinenza 
di  cotesto  nome  lo  ravvicina  al  simile  13QTI/13Q8.  Nella 
collezione  Lombardi  in  Lucerà  vidi  anche  e  trascrissi  un 
esemplare  con  l'epigrafe  UOVKEDOV,  sicché  il  nome  pro- 
prio di  questa  città  fu  Lucerwm  che  i  Latini  dissero  Lu- 
ceria. La  lettera  D  vale  r  nell'alfabeto  osco  ed  etrusco  nel 
pari  che  nel  greco  arcaico.  La  moneta  di  Lucerà  non  iscrive 
in  veruno  di  questi  alfabeti,  ma  in  uno  tutto  suo  proprio 
che  gli  è  comune  con  quello  dei  Frentani ,  di  Larino,  e 
di  Irno. 

26.  La  serie  dei  nummi  od  assi  decimali  emessa  dai  Lucerini  ado- 

pera l'alfabeto  latino.  L'asse  o  unità  maggiore  manca,  il 
quincunce  o  semisse  che  pesa  circa  mezz'oncia  ha  per  tipo 
la  testa  galeata  di  Minerva  con  la  nota  e>  o  »  a  »  e  al  riverso 
la  ruota  fra  i  cui  razzi  si  legge  UOVCERl.  Il  Cavedoni 
(Sar/gio,  16)  tenne  contro  il  Bestini  che  cotesto  simbolo 
non  fosse  ruota,  mancandole  il  giro  dei  quarti.  Egli  lo  para- 
gona ai  legni  decussati  sulle  tede  o  fiaccole,  e  queste  schegge 
riconosce  coli' Avellino  (Op.  Il,  13,  175)  nelle  monete  me- 
tapontine,  le  quali  non  sono  ivi  a  parer  mio  né  razzi  di  ruota, 
né  schegge  di  fiaccola,  sibbene  il  groma  agrimensorio.  Ma 
nelle  monete  di  Luceria  è  di  certo  così  espressa  la  ruota, 
come  si  dimostra  dal  confronto  della  moneta  coniata  por- 
tante i  medesimi  tipi  che  la  fusa. 

27.  Testa  di  Ercole  giovane   coperta  della  pelle  di  leone.    R. 

Arco,  clava  e  faretra,  i  segni  di  triente  sono  ripetuti  sulle 
due  facce. 

28.  Testa  di  Nettuno  diademata  volta  a  d.  dietro  la  nota  del 

quadrante.  R.  Delfino  a  d.,  sopra  un  ferro  di  tridente,  sotto 
UOVCERl. 

29.  Testa  di  Teti  laureata  e  velata,   dietro  la  nota  del  sestante. 

R.  Conchiglia  e  UOVCERl. 

30.  Testa  di  Apollo  laureata  a  d.  dietro  il  globetto  dell'oncia. 

R.  Kana  e  intorno  UOVCERl. 

31.  Testa  di  Diana  col  pianeta  crescente  sulla  fronte,  l'arco  e 

la  faretra  dietro  il  collo.  R.  Mezza  luna  e  UOVCERl.  As- 
sai di  buon'  ora  e  sin  dal  secolo  quinto  di  Roma  cominciò 
in  Lucerà  a  scambiarsi  l'U  acuto  col  normale,  come  ho  di- 
mostrato altrove  {Ann.  deWInstituto  1860,  pag.  232,  233). 

ASCULUM 

Di  Ascoli  della  Puglia  si  ha  memoria  fin  dal  475  (Pron- 
tin.  Stmtag.  1.  e.  3)  allor  che  nei  suoi  campi  Pirro  diede 


aspra  battaglia  ai  Romani  che  nondimeno  ne  riportarono 
vantaggio  (Fior.  1,18):  In  Apulia  apiiid  Asculum  melius 
dimicatum  est  Curio  Fabricioqua  consulibus.  1  Greci  la  di- 
cono "Affxlog  e  "AaxXov,  le  monete  AYCKAA.  La  qual  voce 
fu  letta  AVCKAA  dal  Pellerin  onde  attribuì  la  moneta  a  Dus- 
celado  dell'Illirico.  Trovasi  anche  una  moneta  che  reca  per 
tipo  la  protome  del  cavallo  frenato  e  sul  rovescio  la  spiga 
ripetendo  sulle  due  facce  la  leggenda  AYhYSKAI.  Il  Se- 
stini  in  prima  lesse  AYPYfKilN  {Leti.  t.  II  p.  3  lav.  V,  1) 
e  l'attribuì  agli  Aurunci  ;  ma  vi  aggiunse,  ut  videtw,  non 
essendo  certo  {Catal.  gen.  Ainsley)  che  si  dovesse  così  leg- 
gere :  poi  gli  parve  che  vi  fosse  scritto  AYCKAlilN  [Lett. 
tom.  V  p.  38)  e  la  diede  ad  Ascoli.  Nel  1814  l'Avellino 
avendone  veduto  un  esemplare,  sul  quale  lesse  AYPYfKHIVl 
da  un  lato  e  AYPY...  dall'altro,  ne  fissò  l'antica  attribuzione 
agii  Aurunci,  onde  il  Bestini  per  tal  motivo  ritornò  in- 
dietro al  parere  di  prima  {CI.  gen.  p.  5),  e  così,  anche  il 
Reynier  dichiarando  di  esservisi  condotto  per  l'autorità  del 
numismatico  napolitano  {Précis  d'une  coli,  de  méd.  p.  II). 
Intanto  l'Avellino  tornò  ad  esaminare  la  sua  lezione  e  gli 
parve  che  dovesse  essere  AVPYSAi  :  per  la  qual  cosa  cercò 
a  qual  popolo  potesse  attribuirsi  e  gli  parve  {Op.  t.  III 
p.  119-121)  che  dovessero  essere  gli /lj-wsj?it,  il  qual  nome 
traeva  dai  codici  di  Ploro,  di  Frontino  e  di  Orosio,  dove 
sono  chiamati  Aiirusini  quei  campi  che  Livio  chiama  campi 
Taurasini.  A  tutte  queste  false  attribuzioni  pose  termine 
il  Millingen  ohe  conobbe  il  primo  quale  fosse  il  vero  va- 
lore della  terza  lettera  presa  per  un  P  dal  Bestini  e  dal- 
l'Avellino e  dichiarò  che  era  invece  uno  spirito  posto  tra- 
mezzo a  questi  due  Y  scrivendosi  AYhYSKAl,  dove  poi 
sivscrisse  AYCKAl.  Ciò  che  si  è  qui  dimostrato  per  l'obolo 
si  deve  anche  stimar  detto  per  l'emiobolo,  che  il  Carelli 
(tab.  LXVI,  2  Catal.  p.  II)  diede  agli  Aurunci  e  l'Avel- 
lino agli  Aurusini.  Il  Priedlaender  assegnò  di  poi  ad  Ascoli 
anche  un  bronzo  che  davasi  ad  Arpi,  avendovi  letto  AY- 
CKAIN  retrogrado  in  un  suo  esemplare.  Alla  città  di  Ascoli 
si  deve  anche  attribuire  la  serie  fusa  di  sistema  semissale, 
donde  abbiamo  il  triente,  il  quadrante,  il  sestante,  l'oncia 
e  la  semoncia,  di  che  vedi  la  dichiarazione  della  Tav.  LXV. 
Gli  Ascolani  hanno  per  tipo  una  Vittoria  che  porta 
nella  destra  una  corona  pendente  da  un  nastro,  o  lemniseo, 
e  sembra  volerla  legare  ad  un  ramo  di  palma  che  ha  nella 
sinistra.  Il  Cavedoni  credette  che  con  ciò  si  alludesse  alla 
giornata  di  Pirro  contro  i  Romani  presso  le  mura  di  Ascoli, 
onde  nacque  il  proverbio  Oscularla  pugna,  qua  significa- 
tur  vietos  vincere.  Ma  io  non  capisco  come  legando  la  co- 
rona alla  palma  si  possa  esser  voluto  alludere  al  signifi- 
cato di  chi  vinto  vince.  Il  legare  la  corona  alla  palma  con 
lungo  lemniseo,  vuol  dire  tutto  al  piti  addoppiare  il  pre- 
mio della  vittoria.  Quanto  poi  al  significato  di  Osculana 
pugna  mal  si  è  afRdato  il  Cavedoni  a  Verrio  Placco,  che 
disse  presso  Pesto  (s.  v.)  essersi  chiamata  Osculana  pugna 
quella  battaglia  dove  i  Romani  battuti  da  Pirro  ad  Eraclea 
nel  474  vinsero  nel  475  ad  Ascoli.  Ma  strana  è  tale  spie- 
gazione di  un  fatto  che  dovea  essere  stato    singolare  per 


T.  XCII 


APULIA 


111 


dar  luogo  ad  uu  iiroverbio,  mentre  è  comuue  a  molte  gior- 
nate campali  che  chi  vince  in  una  possa  perdere  in  altra. 
Verrio  adunque  non  conobbe  il  fatto  singolare  di  Ascoli 
che  ci  è  narrato  da  Dionigi  Alicaruasseo  (Exc.  ex  1.  XX 
ed.  Didot  ad  calcem  Josephi  Hebr.  p.  |9).  I  Eomani  erano 
già  vinti  da  Pirro  ad  Ascoli,  quando  sopraggiunsero  i  Darmi 
ausiliarii  da  Arpì,  ma  troppo  tardi  e  però  costretti  alla  fuga 
si  volsero  al  campo  di  Pirro  e  trovatolo  senza  difesa  lo 
saccheggiai'ouo  :  il  che  cambiò  ad  un  tratto  la  fortuna,  e 
coloro  che  da  un  lato  erano  costretti  a  fuggire  dall'altro 
raccoglievano  le  spoglie  del  nemico:  Qui  in{de)  fugere 
polsi,  hinc  spolia  collicjunt,  scrisse  Titinio  (ap.  Festum  in 
ùscv.1.  pugna  p.  197  ed.  Muli.). 

32.  Protome  di  cavallo  frenato  volto  a  sin.  sotto  il  collo  AYl-Y? 

B.  Spiga  di  grano  e  AYhYSKAl. 

33.  Cane  levriero  volto  a  d.  nell'esergo  AYhYSKAl.   R.  Spiga 

di  grano  e  AYHY. 

34.  Cignale    in    corsa  a  d.,  sopra  ferro    di   lancia,  nell'esergo 
r«JlA>l)YA.   R.  Spiga  di  grano. 

35.  Testa  di  Ercole  giovane  volta  a  sin.,  dietro  il  collo  la  clava. 

R.  Vittoria  che  sospende  una  corona  pendente  da  un  lem- 
nisco  ad  un  ramo  di  palma,  dietro  AYCKAA 

36.  I  tipi  sono  i  medesimi  in  minor  modulo,  l'epigrafe  manca. 

(Friedlaender,  Osk.  Miinz.  pag.  56,  Taf.  VII).  Fu  nella 
collezione  di  Onofrio  Bonghi. 

ARPI 

Strabene  dedusse  dall'ampio  recinto  delle  mura  di  Arpi  e 
di  Canosa  che  l'antica  loro  grandezza  doveva  vincerla  su  tutte 
le  città  italiche  (VI,  3,  9).  Oggi  di  Arpi  non  rimane  altro  che 
la  non  molta  copiosa  monetazione  dell'argento  e  del  bronzo, 
dalla  quale  apprendiamo,  qual  è  il  suo  vero  nome.  Strabene 
afferma  (1.  cit.  6,  7)  che  essa  in  origine  si  chiamò  "J^yog  mrciov, 
poi  'Agyi'QiTTTca,  e  infine  ai  suoi  tempi  "Aqtioi:  ^ExciIsìto  d'è'§  ciQxfjg 
"A^yog  TnTxiov  sIt  'AgyvQcuTia,  sìzavvv  'Aqtzoi.  Stefano  di  Bizanzio 
aggiunge  (v.  HgyvQiTiTTa),  che  innanzi  tutto  si  chiamò  Acéfint]: 
avTr^  AckijiTTì]  sxaì.sÌTo.  La  qual  voce  il  Berkelio,  seguito  ora 
dal  Meineke,  ha  voluto  cambiare,  sostituendovi  'Aqtzoì,  senza  ri- 
flettere che  così  contradicono  a  Strabene  e  a  Dionigi  {Exc.  L.  XX), 
i  quali  dicono  che  "Aqtcoì  fu  il  nome  piìi  recente. 

Nondimeno  gli  scrittori  greci  quando  nominano  questa  città 
amano  di  chiamarla  'AgyvQiTrna  (Licophr.  v.  592;  Polem.  fragm.  20, 
Strabo,  1.  cit.  ;  Dionjs.  Halic,  Exc.  vai.  20,  6)  ;  Appiano  poi 
le  dà  il  nome  di  "Agyog  senz'  alti'a  aggiunta  (De  reb.  syriac.)  : 
tÒ  (Agyog)  év  rm  'loi'ioì  Xayòixsvov  olxiaca  Jioi-irjSrjV  àXcó/jisvov. 
Narravasi  adunque  che  Arpi  era  ima  delle  città  fondate  da  Dio- 
mede vagante  dopo  la  guerra  troiana,  che  venuto  in  soccorso 
del  re  Dauno,  essendo  allora  queste  terre  abitate  dai  Monadi  e 
dai  Dardi,  prese  e  distrutte  due  loro  città  Apina  e  Trica,  fab- 
bricò quest'Argo  presso  una  città  che  si  chiamava  Filarne  (Plin. 
H.  N.  ni,  16,  5;  Serv.  ad  Aen.  VI,  246);  e  la  soprannominò 
Tuniov.  Egli  dopo  morte  vi  ebbe  gli  onori  divini,  e  Polemone 
scrive  (ap.  Schol.  Pìnd.,  Nem.  X.  12)  di  aver  veduto  un  tempio 
a  lui  sacro  in  essa  città. 


Ad  onta  di  tutti  cotesti  nomi  che  si  leggono  negli  scrit- 
tori greci,  Arpi  nelle  sue  monete  non  si  dà  altre  nome  che 
di  APRA  ed  APHANUN.  Dico  APflA,  perchè  mi  pare,  vedendolo 
pili  volte  ripetuto,  debba  essere  intero  e  non  tronco,  siccome 
è  per  contrario  APHAN.  La  vece  cìgna  di  apule  dialetto  è  in 
lingua  comune  lo  stesso  che  ccqttìj,  uncino,  il  quale  strumento 
il  Carelli  stimò  essere  un  harpago,  quasi  arma  parlante,  parago- 
nandone la  figura  ad  un  simile  uncino  espresso  in  su  d'una 
moneta  dei  Brezzii  (tav.  CLXXII,  40). 

Gli  Arpani  dividono  la  maggiore  unità  in  metà,  in  terze  e  in 
seste  parti,  ai  quali  spezzati  danno  per  tipo  la  spiga  di  grano  sem- 
plice, doppia  e  tripla.  Hanno  inoltre  coniate  monete  di  alleanza, 
ponendo  il  loro  nome  con  quello  della  città  alleata,  e  talvolta 
omettendolo,  probabilmente  perchè  il  tipo  lo  indicava  a  bastanza. 

Il  Minervini  mise  in  luce  cinque  monetine  {Oss.  tav.  VII, 
6-10  pag.  87)  tre  delle  quali  ho  riprodotte  nella  mia  tavola. 
Il  tipo  comrme  a  tutte  si  è  la  testa  di  Pallade  al  dritto  e  l'Ercole 
che  soffoca  il  leone  al  riverso.  La  leggenda  nella  prima  è  CEP 
al  dr.  e  APflA  al  riverso:  nella  seconda  si  legge  soltanto  nel 
dritto  APPACEPT  :  nella  terza  è  parimente  al  dr.  CEPA. . .  Dal 
confronto  ohe  possiamo  fare  risulta  indubitato  che  sono  due 
nomi  ora  divisi  ora  uniti  e  l'uno  di  essi  è  sicuramente  Arpi, 
l'altro  è  Vert  preposto  e  messo  dopo  quello  di  Arpi.  Rifiutata 
la  prima  idea  (e  a  ragione)  che  sia  queste  nome  di  magistrato, 
il  Minervini  fu  di  opinione  che  in  CEPT  si  ascondesse  il  nome 
di  llerdonea  tramutata  in  Lsqrwvia  (p.  89)  per  la  durezza  della 
pronunzia  messapica  ed  epicoria.  Mette  però  da  parte  gl'Ir- 
tini  della  Japigia  di  un  marmo  trovato  sul  monte  Irso,  e  i 
Vertini,  Ovsqtìioi,  della  Lucania  memorati  da  Strabene  (VI,  2, 8). 
Nuove  scoperte  mi  hanno  pei  convinto  che  alla  Vertina  di  Stra- 
bene fu  d'uopo  cedere  il  poste  e  accordare  la  preferenza.  Delle 
due  monete  che  io  aggiungo  alle  tre  del  Minervini  la  prima  di- 
mostra che  dopo  il  t  seguiva  nel  nome  meno  dissimulato  un  I, 
leggendosi  ivi  CEPTi,  la  seconda  poi  ci  dà  piena  e  certa  l'appella- 
zione cercata:  questa  è  CEPTIENA,  vocabolo  assai  poco  lontano  dalle 
OvsQzhai  di  Strabene.  Questa  Verliena  può  essere  la  odierna 
Verzina,  come  piace  al  Barrie,  città  posta  ai  confini  della  Lu- 
cania verso  Venosa,  discosta  circa  due  miglia  dal  Bradane  in 
diocesi  di  Acerenza. 

Seguono  due  monetine  della  collezione  di  Luynes  coi  tipi 
della  testa  di  Minerva  da  un  lato  e  un  cavallo  brigliato  dall'altre: 
ma  nella  prima  v'  è  per  leggenda  KA,  nella  seconda  seno  tre 
lettere  sparsamente  scritte  e  retrograde  H  A  >l:  il  nome  di 
Arpi  manca  in  ambedue  e  v'  è  invece  il  tipe  che  le  fa  assegnare 
alla  zecca  di  Arpi.  Cercando  ora  nelle  città  d'Italia  una  che 
cominci  con  queste  iniziali  siamo  necessariamente  condotti  a  de- 
ciderci col  duca  di  Luj-nes  per  Cliternia,  non  quella  degli  Equi- 
celi,  ma  sì  dei  Larinati  (Plin.  Ili,  XVI,  4):  Larinatium  Cli- 
ternia, scrive  Plinio,  e  Mela  {de  situ  orb.  II,  4:  Danni  (hahent) 
Tifcrnum  omnem,  Ciiterniam,  Larinum,  Teanum,  oppida,  mon- 
tcmque  Garganuin. 

Due  sono  i  dinasti  e  magistrati  che  inscrivono  il  loro  nome 
sulla  moneta,  Dazo  e  lemano.  Cotesto  secondo  si  è  letto  male 
finora  su  di  una  delle  due  monete  che  lo  recano.  Il  Minervini 
credette  che  fosse  scritto  EihAAAN  e  giudicò  per  tal  motivo  che 


112 


APULTA 


T.  xeni 


la  terza  lettera  fosse  uu'  aspirata  anclie  nell'altro  nummo  dove 
è  internamente  inscritto  EIHMAN  (op.  oit.  p.  79).  Ma  consta 
che  dove  fu  ricevuto  l'alfabeto  euclideo  e  però  la  rj  e  la  o>, 
lo  spirito  si  espresse  con  la  metà  della  lettera  I-:  se  dunque 
nell'alfabeto  di  Puglia,  che  il  Minervini  chiama  messapico,  v'  è 
la  h  non  può  avere  ugual  valore  la  intera  H.  Sta  però  di  fatto 
che  questa  I-  nel  nummo  non  v'  è,  come  io  medesimo  ho  veri- 
iìcato  pili  volte. 

Arpi  nel  tempo  in  che  i  Sanniti  sostenevano  lunga  ed 
aspra  guerra  contro  Koma,  deliberò  di  darsi  ai  Romani  e  riuscì 
loro  di  gran  soccorso  somministrando  opportunamente  grano,  e 
ciò  fin  dal  428.  Li  aiutò  anche  colle  armi  nel  475  nella  disa- 
strosa guerra  contro  Pirro  combattuta  presso  le  mura  di  Ascoli 
Apula.  Furono  quattromila  i  fanti  e  quattrocento  i  cavalli  che 
ella  spedì  all'esercito  romano  e  avrebbero  preso  parte  alla  gior- 
nata campale  se  non  fossero  giunti  troppo  tardi.  Costretti 
quindi  a  fuggire  coi  Eomani  già,  rotti  e  sgominati  dal  nemico, 
pensarono  rivolgersi  al  campo  di  Pirro  che  presero  e  diedero  alle 
fiamme,  il  che  die'  vinta  la  battaglia  ai  Eomani,  onde  poi  passo 
in  proverbio  la  oscularla  pugna  con  che  significavasi  che  i  vinti 
vincono.  Avvenne  dipoi  che  la  fatale  giornata  di  Canne  travolgesse 
la  mente  degli  Arpani  ed  essi  prestarono  orecchio  a  Dazo  Altinio 
"uno  dei  loro  due  dinasti  accostandosi  nel  .537  alla  parte  oartagi- . 
nese  che  accolsero  nelle  loro  mura.  Ma  quattro  anni  da  poi  quel 
Dazo  medesimo  che  gli  aveva  condotti  a  dar  la  mano  ai  Carta- 
ginesi rivolse  il  popolo  di  Arpi  a  favorire  di  auovo  i  Eomani. 
Della  qual  versatilità,  gli  fu  fatto  meritamente  pagare  il  fio, 
stante  che  i  Eomani  presa  Arpi  il  mandarono  in  libera  custodia 
a  Calvi,  come  impariamo  da  Livio  (XXIV,  45). 

Tav.  xeni. 

1.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  volta 

a  sin.:  davanti  APriANjClN,  alla  nuca  ima  spiga  di  grano. 
R.  Cavallo  libero  che  corre  a  sin.  tra  le  gambe  AAIOY, 
di  sopra  un  astro. 

2,  3.  (Avell.  Opusc.  Ili  1,  4).  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo 

attico  decorato  con  un  grifo  volta  a  d.  R.  Cavallo  libero 
che  corre  a  sin.  sopra  APPA  e  tra  le  gambe  del  cavallo 
NilN.  Un  simile  nummo,  ove  però  la  galea  di  Pallade  non 
ha  ornato,  è  nella  collezione  Luynes  :  la  epigrafe  legge  APPA 
e  conferma  la  lezione  dell'Avellino  (loc.  cit.) 
4-6  Testa  di  Pallade  a  sin.  coperta  di  aulopide  con  la  cresta 
volta  a  sin.  R.  (n.  4).  Tre  spighe  opposte  ai  gambi  ed  APPA; 
(n.  6)  una  spiga  sola  ed  APPA.  11  numero  delle  spighe  si 
crede  esprima  il  valore,  e  veramente  la  monetina  con  una 
spiga  pesa  gr.  0,616;  0,51  negli  esemplari  della  coli,  di 
Santangelo  e  di  L.  Sambon;  ma  quella  di  due  spighe  presso  i 
medesimi  ha  di  peso  gr.  2,104  ;  1,43  :  e  quella  di  tre  spighe 
ha  gr.  2,053;  1,38.  Né  poi  il  Mommsen  da  tre  esemplari 
pesati  ha  ottenuto  che  gr.  1,78;  1,83  pari  a  40  e  41  acini 
napolitani.  Noto  che  un  esemplare  con  la  testa  di  Pallade 
e  CEPT  e  al  riverso  l'Ercole  con  l'epigrafe  APOA  di  sopra 
e  A  di  sotto  è  stata  attribuita  ad  Eraclea  dal  Poole  (Catal. 
pag.  221  n.  24).  A  me  pare  che  in  luogo  di  APOA  sia  ivi 
scritto  APPA. 


7.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d.  R.  Lira  e  intorno  HAHQA. 

8.  Cavallo  frenato  corrente  a  d.  sopra  A  R.  Eampino  con  grosso 

anello  e  a  d.  A 
9-12.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  attico  ornato  di  un  grifo 
volta  a  d.  davanti  CEP;  n.  10  APPCEPT;  n.  11  CEPA..;  n.  12 
CEPTI.  R.  Ercole  ginocchioni  con  clava  nella  d.  soffoca  il 
leone:  davanti  APPA  e  nel  campo  A;  n.  11  nel  campo  b 
forse  B;  n.  12  APPA  e  nel  campo  A  come  nel  n.  9. 

13.  Nel  Museo  di  Parma.  Testa  di  Pallade  coperta  da  elmo 
attico  senza  ornato  volta  a  d.  davanti  CEPTIENa.  R.  Ercole 
stante  che  strozza  il  leone.  Il  nome  CEP,  CEPT,  CEPTI 
congiunto  senza  intervallo  col  nome  di  Arpi,  che  ora  pre- 
cede APPCEPT  ora  segue  CEPA,  ci  si  mostra  intero  in  co- 
testa  ultima  monetina  CEPTI EN A,  dove  anche  si  omette 
il  nome  di  Arpi  sul  dritto  che  doveva  forse  essere  scritto  nel 
riverso  su  quella  parte  della  moneta  che  per  rottura  manca. 
Cotesta  Vt^rtiena  di  certo  piìi  si  accosta  alla  Vertina  della 
estrema  Lucania  verso  Venosa  di  Puglia  ohe  non  ad  Her- 
donia  e  trattandosi  di  una  confederazione  non  vi  è  motivo 
di  volere  che  le  due  città  siano  vicine.  Herdonia  fu  di- 
strutta ed  arsa  da  Annibale  nella  seconda  guerra  punica 
e  i  cittadini  mandati  in  Metaponto  e  in  Turio  (Liv. 
XXVII,  1). 

14.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  attico  ornato  di  un  grifo  volta 

a  sin.,  sotto  al  mento  la  lettera  J  normale  e  retrograda. 
R.  Ercole  ginocchioni  con  la  clava  nella  destra  in  atto  da 
soffocare  il  leone:  nell'esergo  (P)YAAOY. 
15, 16.  Collezione  Luynes.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  attico 
volta  a  d.  ovvero  (n.  15)  a  sinistra.  R.  Cavallo  frenato 
corrente  a  destra:  sopra  n.  14  KA;  nel  n.  15  HA>I.  Manca 
il  nome  di  Arpi  e  vi  si  legge  Kl  o  KXì],  donde  è  nata 
l'opinione  che  queste  due  monetine  siano  state  emesse 
dalla  zecca  altronde  ignota  della  frentana  CUternia. 

17.  Dalla  collezion  mia  di  una  volta  (Minervini,  Oss.  pag.  78 
n.  4  tav.  I  n.  9).  Testa  di  Pallade  coperta  di  aulopide 
crestata  volta  a  d.  R.  Grappolo  d'uva  e  intorno  APHANOY 
e  XA  iniziale  del  magistrato.  11  Minervini  ha  stampato  S 
in  vece  di  AP,  ma  io  ho  sempre  letto  e  trascritto  questo 
nome  come  qui  senza  monogrammo. 

18.  Coli.  Santangelo.  (Minervini,  Bull.  arch.  nap.  11,  IX).  Testa 
di  Apollo  laureata  volta  a  sin.,  davanti  APPAISI.  R.  Leone 
gradiente  a  destra  ;  sopra  il  pentalfa  ;  nell'esergo  APPANIiN. 

19.  Museo  di  Vienna.  (Avell.  Opusc.  II,  Tav.  V,  7;  Minervini, 

Oss.  pag.  78  tav.  II  6,  7).  Testa  di  Diana  volta  a  d.  alla 
nuca  l'arco  e  la  faretra:  davanti  APPAIVI.  R.  Fulmine,  sotto 
ma  sopra  /V\AN  cioè  EIH/V\AN,  nome  del  magistrato.  11  Mi- 
nervini  legge  qui  come  l'Avellino  H/QAAH13,  e  dal  veder  co- 
testo I-  ed  H  davanti  una  consonante  deduce  doversi  loro 
dare  il  valore  di  un  V. 

20.  Testa  di  G-iove  laureata  volta  a  sin.  davanti  AAIOY.  R.  Ci- 
gnale che  corre  a  destra,  sopra  un  venabolo,  nell'esergo 
APPANniM. 

21.  Testa  di  Giove  laureata  volta   a  sin.  R.  Cavallo  libero  in 

corsa  a  destra,  sotto  APPA. 
22,23.  Toro  cozzante  a  destra,  tra  le  gambe  PYAAO.    R.  Ca- 


T.  xeni 


APULIA 


113 


vallo  corrente  a  destra:  sopra  APflA  sotto  NOY.  lu  un  esem- 
plare di  mia  collezione  n.  21  vi  si  legge  tra  le  gambe  del 
toro  Dq  e  AYFATOY  nel  riverso. 

SALAPIA 

Vitruvio  afferma,  che  Salapia  fu  fondata  da  Diomede, 
mentre  altri  «  dice  »  la  stima  fondata  da  Elpia  di  Kodi. 
Egli  non  dichiara  chi  sia  l'autore  di  questa  notizia  :  ma  è 
certo  che  non  è  Strabene,  il  quale  ha  scritto  (L.XIV  e.  2, 10), 
.  che  i  Eodii  con  quei  di  Coo  fondarono  Etpiae  nella  Daunia, 
e  non  già  che  Elpia  fondò  Salapia:  sy  Javrioig  nsrà  Krpcov 
(Bxiiaav)  'Elniag.  Stefano  di  Bizanzio  riconosce  una  'Elma 
fondata  dai  Eodii,  il  cui  patronimico  è  'EXmavóc,  ma  di 
Salapia  si  tace,  forse  perchè  i  Greci  dicono  'Elnlu  o  'Elniag 
quella  stessa  città  che  gli  Apuli  denominano  2aXaTiia,  ed 
avrà  ragione  il  Coray  di  aver  qui  emendato  ^alniag.  Del 
resto  il  derivato  etnico  di  cotesta  Salapia  non  è  Salpianus, 
sibbene  ^aXamrog;  conchiuderemo  dunque  che  'Elicla  non 
è  Salapia.  Salpi  fu  emporio  di  Arpi,  però  situata  sulle 
rive  del  mare  fra  l'Aufido  e  una  palude;  ma  l'aria  ne 
era  pestilente  e  però  circa  il  547  i  Salapini  si  rivol- 
sero ai  Eomani  dimandando  dal  senato  per  mezzo  di 
I.  Ostilio  Tubolo  di  cambiar  loro  sito.  Ostilio  ottenne  che 
si  comprasse  il  suolo  a  quattro  miglia  di  distanza,  dove 
trasportarono  le  loro  abitazioni.  Li  provide  inoltre  di 
un  buon  porto  scavando  un  canale  che  ponesse  la  palude 
in  comunicazione  col  mare  (Vitruv.  L.  I,  4,  dove  Lucio 
Ostilio  è  prenominato  Marco).  Questo  porto  è  da  Lucano 
messo  a  confronto  per  capacità  coi  porti  di  Otranto,  di 
Taranto  e  di  Leuca  (Phars.  V,  377):  iubel  cunctas  revo- 
care rates,  quas  avius  Bi/drus,  antiquusque  Taras,  se- 
cretaque  littora  Leucae,  quas  recipit  Salapina  palus.  Sa- 
lapia battè  monete  di  bronzo,  nelle  quali  è  singolare  che 
ometta  talvolta  il  proprio  nome  sostituendovi  quello  del 
magistrato  monetale.  Uno  di  costoro  è  Dazo  omonimo  a 
quel  Dasio,  del  quale  si  narra  (Liv.  XXVI,  38  ;  Val.  Mas. 
Ili,  8,  cfr.  7)  che  nel  544,  tenendone  il  dominio  Annibale 
indotto  dal  collega  Biasio  a  restituir  Salpi  ai  Eomani 
riuscì  di  rimetterla  a  Marcello  con  i  cinquecento  Numidi 
che  v'erano  stati  posti  da  Annibale  in  presidio.  Le  divinità 
che  ebbero  culto  in  Salpi  furono  Giove,  Apollo  e  la  Pa- 
lude divenuta  lor  porto.  I  nomi  dei  magistrati  sono  in  no- 
minativo come  Trosantios,  in  altri  bronzi  si  legge  Tro- 
dantios  e  anche  Trodantos,  se  non  è  questo  un  genitivo 
dal  nome  Trodas  accorciato.  Al  caso  genitivo  parmi  si  debba 
assegnare  Troadiu,  al  dativo  Damaìre  Dazeni,  come  Caisie 
Eoumentei  e  all'ablativo  Vnuentod.  Cotesto  magistrato  Caesia 
Burnente  l'ho  collocato  qui  perchè  vi  prende  luogo  invece  del 
nome  della  città,  quantunque  i  tipi  siano  piuttosto  ana- 
loghi a  queUi  degli  Azetini.  Nel  loro  alfabeto  i  Salapini 
adoperano  l'alfabeto  greco,  ma  vi  hanno  in  singoiar  modo 
figurato  l'omega  4'. 
22.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  sin.  davanti  (l/lilHin)AAA?. 
i?.  Cignale  corrente  a  d.,  sopra  ramo  di  salcio:  nell'esergo 
TPilAA'OY. 


23-25.  Testa  giovanile  coronata  di  canna  palustre  volta  a  d., 
davanti  ^AAAniN(ilN).  fl.  Cavallo  libero  corrente  a  d.,  tra 
le  gambe  DYAAOY,  ovvero  n.  24  TPn?ANTIO$  e  sopra 
il  cavallo  un  ramo  di  salcio  lemniscato:  ovvero  n.  25  si 
omette  la  epigrafe  nel  dritto  e  al  riverso  si  ha  un  astro 
sopra  il  cavallo  e  tra  le  sue  gambe  ^AAfl. 

26,  27.  Testa  giovanile  coi  capelli  lisci  e  lunghi  alla  cervice 
con  l'orecchia  aguzze  e  due  corna  sulla  fronte  volta  a  d. 
lì.  Cavallo  corrente  a  d.  sopra  un  ramo  di  salcio  sotto 
TPil«(A)NTIO?,  ovvero  TPOAANTIO^  e  TPOAANTIOY 
(Coli.  Sant.  cf.  Catal.  2047-48)  ovvero  n.  27  TPfìAANTOS 
nel  Museo  di  Vienna.  Il  Minervini  tiene  l'imagine  del  dritto 
per  quella  del  fiume  Aufido  {Oss.  pag.  411). 

28,  29.  Il  n.  28  è  nel  Museo  di  Vienna.  Cavallo  andante  a  destra, 
sopra  (C)AAniNIlN.  /?.  Delfino  volto  a  d.  EAAMAIPE 
AAIE(NI)  e  una  mezza  luna  volta  a  sin.  (cf  Sambon,  Re- 
cherches  tav.  XV,  18).  Il  n.  29  che  è  nel  Museo  di  Londra 
aggiugne  nel  dritto  Bil  e  inverte  le  iscrizioni  nel  riverso 
ponendo  di  sopra  del  delfino  volto  a  d.  (E)AA/V\AIPE  e  di 
sotto  AAIENi. 

30.  Moneta  ribattuta  sopra  un  bronzo  di  Pesto,  del  quale  rimane 

l'epigrafe  PAIS,  un  avanzo  del  delfino,  e  sul  riverso  parte 
della  testa  di  Nettuno  (v.  Tav.  CXXI  nn.  43,  44).  Cavallo 
andante  di  passo  a  d.  tra  le  gambe  AK  in  mon.  R.  Del- 
fino che  nuota  a  d.  sotto  OHIH. 

31.  Nella    coUezion  mia.    Cavallo  andante    di   passo   a  destra 

(C)AAn(l)NilN.  R.  Delfino  che  nuota  a  sin.  e  ?A(AP1)NLAN. 

32.  Nel  Museo  di  Vienna.  Cavallo  andante  di  passo  a  d.  R.  Del- 

fino che  nuota  a  sin.  sopra  VNV,  sotto  ENT^-A,  forse  Vnu 
entod,  come  AOMVAAQ  d'altro  esemplare  del  Museo  di 
Berlino. 

33.  Da  un  calco.  Nella  collezione  Hunter  della  Università  di 

Glasgow.  Testa  di  Pallade  coperta  di  aulopide  crestata  volta 
a  d.  cinta  di  un  periato  che  ne  restringe  il  campo  alla 
metà  di  quello  del  riverso.  R.  Fulmine  ed  astro,  sopra 
KAI^IE  sotto  EOVAAENTHI.  Al  nome  della  città  che  ha 
emesso  questo  bronzo  supplisce  il  nome  del  magistrato 
Cesia  Eumente.  Io  l'ho  noverata  fra  le  monete  di  Salpi  non 
sapendo  a  qual  zecca  si  debba  attribuire.  Il  dialetto  è  apulo, 
l'omissione  del  nome  della  città,  a  cui  è  sostituito  il  nome 
di  un  magistrato,  ha  esempi  in  Arpi  e  Salpi. 

34.  Testa  giovanile  diademata  volta  a  d.  dietro  alla  nuca  una 

cornucopia,  davanti  ^AAAniNUN.  R.  Uccello  simile  al 
pappagallo,  volto  a  d.  stante  sopra  base,  in  alto  un  astro, 
innanzi  PYAAO. 

35.  Nel  Museo  di  Vienna.  Testa  di  fauno,  o  simile  ad  esso,  con 

corna  caprigne  suUa  fronte  ed  orecchi  aguzzi  alla  nuca 
il  bastone  nodoso  e  ricurvo  proprio  dei  pastori,  davanti 
^AAAPIINilN.  R.  Uccello  stante  sopra  base  volto  a  d.  in 
alto  è  un  ramo  di  pianta  palustre. 
36-38.  I  nn.  36  ,  38  da  calchi ,  il  37  è  nella  mia  colL  Del- 
fino al  dritto  e  al  riverso.  La  leggenda  che  al  n.  36  è 
SAAAPINilN:  quella  del  n.  37  è  WVAPNil  con  le  due 
prime  lettere  capovolte,  e  vi  si  vedono  al  riverso  quattro 
globoletti;  quella  del  n.  38  è  NiHAA).  Il  Cavedoni  diman- 


114 


APULIA 


T.  XCIV 


dava  che  si  verificasse  o  dileguasse  uq  suo  sospetto,  ed  era,  che 
"uno  dei  due  pesci  fosse  una  salpa  (Saggio  p.  16).  I  pesci 
delle  monete  di  Salapia  sono  sempre  delfini. 

CANUSIUM 

Di  Canosa  non  sappiamo  altro  se  non  che  dicevasi  fondata  da 
Diomede  e  che  era  ima  città  assai  grande  e  ricca.  Se  ne  fa  men- 
zione onorevole  nel  disastro  dei  Komani  a  Canne  (a.  438),  perchè 
accolse  dentro  le  sue  mura  fino  a  dieci  mila  superstiti  dalla  strage 
e  con  essi  anche  il  console,  e  si  ricorda  con  gran  lode  la  ricca 
matrona  di  nome  Busa  che  fu  liberale  con  loro  di  frumento  e 
di  vesti  (Liv.  XXII,  52)  :  Eos  qui  Canusium  perfugerant  mulier 
Apula  nomine  Busa  genere  darà  ac  divitiis,  moenibus  tantum 
tectisque  a  Canusinis  acceptos,  frumento,  veste,  viatico  etiam 
iuvit:  prò  qua  ei  munificentia  postea  bello  perfecto  ab  senatu 
honores  habiti  sunt  (cfr.  Val.  Max.  IV,  e.  8,  1).  Erano  allora  i 
Canusini  alleati  dei  Eomani,  e  loro  si  mantennero  fedeli  nella 
rivolta  dei  Pugliesi  del  437,  e  tali  si  mostrarono  di  poi  fino 
alla  guerra  sociale  ;  allora  fu  che  fecero  causa  comune  cogli  Ita- 
lici. Canosa  coniò  moneta  nei  due  metalli,  ma  non  fu  in  prima 
riconosciuta  dai  numismatici  e  le  si  negò  1'  obolo  d'argento  dal 
Combe,  che  vi  lesse  ZA  in  vece  di  KA  e  lo  diede  a  Zacinto.  Il 
Sestini  che  vi  lesse  rettamente  KA  lo  concesse  prima  a  Canosa 
{Letter.  II  p.  35  Tav.  II  n.  17)  poi  cominciò  a  dubitare  non 
si  dovesse  dare  piuttosto  a  Cassope  [Adcl.  p.  584).  Il  Magnau 
(T.  IV  tab.  18)  e  l'Eckhel  che  vi  fu  indotto  daUa  autorità 
dello  Chaupy  (1 ,  191)  le  attribuirono  il  bronzo ,  nel  cui 
dritto  è  una  testa  nuda  giovanile  e  sul  rovescio  un  cavaliere 
nudo  protetto  solo  dall'elmo  e  con  lancia  abbassata  in  atto  di 
assalire  il  nemico  ;  di  sotto  KANYSlNii.  Nota  ilMillingen  [Con- 
sid.  pag.  152)  supporsi  che  questi  tipi  si  riferiscano  a  Diomede. 
Il  triente  di  Canosa  variamente  stampato  dall'  Avellino  KAAY 
quasi  AY  fosse  nome  di  magistrato,  e  dal  Fiorelli,  che  trovò  nel 
dritto  una  testa  galeata  {Oss.  sopra  monete  rare  Tav.  II,  5 
pag.  6  n.  10)  invece  della  testa  di  Ercole  coperta  della  spoglia 
leonina  è  stato  dal  Minervini  (p.  100)  rappresentato  come  si  vede 
nella  mia  tavola  e  vi  ha  congiunto  il  sestante  con  la  epigrafe 
medesima  che  ne  ha  data  una  conferma.  A  riguardo  degli  oboli 
di  cotesta  città  io  stimo  che  il  triente  e  il  sestante  siano  piut- 
tosto once  di  rame  nelle  quali  i  Canusini  abbiano  diviso  l'obolo 
d'argento. 


Tav.  XCIV. 

1,  2.  Vaso  a  due  manichi  fra  un  orciuolo  e  una  patera  con  un 
globoletto  in  mezzo  e  otto  simili  globetti  intorno  che  gli 
fan  corona.  R.  Lira  fra  due  lettere  KA.  In  im  mio  esem- 
plare là  lettera  \f  è  capovolta. 

3.  Lira.  R.  Corona  di  lauro  e  in  mezzo  KA. 

4.  Testa  giovanile  volta  a  sin.  R.  Cavaliere  armato  di  lancia  che 

va  di  galoppo  a  destra:  di  sotto  KA/VY^INil 

5.  (Minerv.  Oss.  Tav.  II  n.  8).  Testa  di  Ercole  giovane  coperta 

della  pelle  di  leone  volta  a  d.  R.  Clava  fra  quattro  glo- 
boletti  e  l'epigrafe  KANY. 


6.  (Id.  ib.  IL  9).  Testa  di  Mercurio  col  petaso  alato  volta  a  d. 

R.  Clava  fra  due  globolettì  e  l'epigrafe  KANV. 

7.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  R.  Corona  di  lauro  dentro 

alla  quale  una  clava  fra  le  due  lettere  KA. 

VENUSIA 

Cotesta  colonia  fuse  da  prima  la  sua  monetazione  poi 
la  coniò.  Della  fusa  vedi  ciò  ohe  ne  ho  detto  nella  descri- 
zione della  Tav.  LXV,  qui  dirò  della  coniata.  I  Venosiui 
alla  maggiore  unità  della  serie  coniata  danno  nome  di  Num- 
mus,  come  i  Teatini  Apuli,  ma  essi  battono  di  piti  il  doppio 
nummo  N.  II,  al  quale  danno  per  tipo  il  busto  di  Ercole 
e  i  due  Dioseori.  Nel  nummo  che  è  onciale  pongono  la  testa 
di  Bacco  giovane  coronato  di  ellera  e  sul  riverso  l'intera 
figura  del  nume,  che  siede  tal  volta  accanto  ad  una  cesta 
di  vimini  poggiando  il  pie'  destro  ad  un  sasso  e  reggendo 
il  tirso  nella  sinistra,  poiché  solleva  colla  destra  un  bel  grap- 
polo d'uva.  Egli  è  vestito  della  corta  tunica  riointa  ed  ha 
calzari  ai  piedi.  Il  quincunce  ha  per  tipo  Giove  e  l'aquila 
ministra  del  fulmine:  poi,  omesso,  a  quanto  consta,  il  triente, 
ha  il  quadrante  doppio  ;  doppio  è  anche  il  sestante,  il  primo 
col  tipo  dei  due  delfini  al  riverso,  il  secondo  con  quello 
della  civetta.  Simile  a  questo  è  l'esemplare  recato  a  me  di 
recente  :  è  ribattuto,  sopra  un  sestante  di  Brindisi  del  quale 
serba  la  nota  di  semisse  nel  dritto  e  al  riverso  la  gamba 
del  Taranto  che  cavalca  il  delfino,  e  il  braccio  con  la  vitto- 
rietta  che  lo  corona.  Doppia  è  l'oncia:  seguono  quindi  due 
bronzi  l'uno  col  tipo  di  Mercurio  segnata  di  un  S  l'altro  col 
tipo  della  civetta  che  ha  per  nota  di  valore  un  i.  Questi 
sembrano  appartenere  a  due  sistemi  diversi,  nei  quali  la  S 
e  la  ?  valgono  la  metà  di  un  tutto;  e  forse  troverassi  un 
sestante  di  Venosa  che  porti  un  $  analogo  a  quello  di  fiate 
descritto  di  sopra  (T.  XCII  n.  15).  Gli  ultimi  due  bronzi, 
u.  21,  22,  che  si  conoscono,  sono  privi  della  nota  di  va- 
lore. Oltre  a  questi  pezzi  i  Venusini  coniano  anche  la 
sescuncia,  o  sia  l'oncia  e  mezzo,  che  segnano  con  un  glo- 
betto  seguito  da  un  S  accanto  al  quale  pongono  il  mono- 
gramma \f  iniziale  del  loro  nome,  lo  che  ha  indotto  in 
errore  il  barone  D'Ailly  che  leggendo  ©  5\E  ha  dato  questo 
bronzo,  che  chiama  oncia,  a  Suessa. 

8.  Busto  di  Ercole  giovane  con  pelle  di  leone  e  clava  nella  d. 
appoggiata  all'omero  volta  a  d.  dietro  \E,  dinanzi  N.  II. 
R.  I  due  Castori  con  le  lance  abbassate  corrono  a  destra: 
di  sotto  CAQ  iniziali  del  nome  del  magistrato. 

9, 10.  Testa  di  Bacco  coronata  di  edera  volta  a  destra,  dietro  W. 
R.  Bacco  diademato  sedente  con  un  pie'appoggiato  ad  un  sasso 
avendo  da  presso  una  cista,  in  stivaletti  e  corto  chitone, 
col  tirso  lemniscate  nella  sinistra,  un  grappolo  d'uva  nella 
destra.  Alla  cista  è  affìsso  un  fiore  a  quattro  petali:  a  destra 
N.  I.  La  testa  di  Bacco  nel  n.  10  è  inoltre  cinta  di  dia- 
dema e  al  riverso  la  cista  è  intessuta  di  vimini. 

11.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  sin.  dietro  la  nota  del  quin- 

cunce.'i?.  Aquila  sopra  un  fulmine  e  a  siaistra  \E. 

12.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  sin.  dietro  la  nota  del  qua- 


T.  XCIV 


APULIA 


115 


drante.  E.  Tre  lune  falcate  con  entro  un  astro  a  ciascuna 
aggruppate  dalla  parte  convessa. 

13.  Testa  di  donna  diademata  e  velata  volta  a  sinistra,  davanti  \E, 

alla  nuca  la  nota  del  quadrante.  /?.  Simile  al  precedente 
numero  12. 

14.  Testa  di  Pallade  con  aulopide  crestata  volta  a  d.  in  alto  la 
nota  del  sestante.   R.  \£  fra  due  delfini  die  soppozzano. 

15.  Testa  di  Pallade  con  aulopide  crestata  volta  a  sin.  in  alto 

la  nota  del  sestante.  B.  Civetta  sopra  un  ramo  di  palma 
volta  a  sin.:  a  d.  \E. 

16.  Kircheriano.  Busto  del  sole  volto  di  prospetto  con  clamide 

aifibbiata  sul  petto.  R.  Luna  crescente  con  dentro  un  astro: 
di  sotto  ©S  (cf.  CatoL  Poole,  pag.  152)  segno  della  sesqui- 
oncia  0  sesqrdobolus  e  \E.  Cotesta  moneta  vagò  incerta 
come  altre  di  questa  zecca  che  per  la  leggenda  \E  si  at- 
tribuivano a  Velia.  Quando  il  Millingen  pubblicava  nel  1841 
le  sue  Considérations,  si  era  già  convenuto  che  dovessero 
alcune  di  esse  darsi  a  Venosa  sulla  proposta  dell'  Avellino 
e  del  Sestini,  e  il  Millingen  a  pag.  241  vi  dava  il  suo  as- 
senso (cf  p.  93).  Nondimeno  soggiugneva  che  per  alcune  altre 
v'era  tuttavia  incertezza  non  avendosi  altro  argomento  che 
l'iniziale  \E:  anzi  una  di  esse  sembravagli  piuttosto  della 
lapigia,  dove  vi  fu  una  città  di  nome  Veretum.  Fra  le 
monete  non  comprese  dal  Carelli  nella  sua  DescripUo,  dove 
il  \E  sta  per  Velia,  ve  ne  è  una,  la  quale  si  trova  da  lui  ag- 
giunta alla  Tav.  LXXXIX  n.  16,  ed  è  questa  nostra.  Sul 
disegno  datoci  si  vede  del  .tutto  omesso  il  globetto  prece- 
dente le  lettere  S\E.  L'Avellino  invece  vi  ha  letto  un  O, 
notando  innanzi  qualche  cosa  d'incerto  (0/)m.sc.  II,  tav.  II 
n.  12)  "OS.  Dopo  tutti  il  barone  D'Ailly  non  altro  lesse 
che  S\f .  Il  Sambon  posposta  la  S,  W  •  S  {Rech.  pag.  96) 
la  die  per  semoncia  fra  le  fuse. 

17.  Busto  di  Ercole  giovane  con  la  spoglia  del  leone  e  la  clava 
appoggiata  all'omero  destro  volto  a  d.,  davanti  il  globolo 
segno  dell'oncia.  R.  Leone  aggruppito  in  atto  di  stringere 
tra  le  unghie  del  piede  destro  nna  lancia  e  appoggiarla  al 
collo:  davanti  \E  (cf.  Imhcoff-BL  Choix  pi.  Vili  n.  253; 
monti,  gr.  1,  1  di  gr.  3,30). 

18.  Testa  di  Ercole  barbato  e  cinto  di  laiirea  volto  a  sin.  dietro 

la  clava  e  sotto  il  collo  la  noia  dell'oncia.  R.  Il  riverso 
è  simile  al  precedente  n.  17. 

19.  Busto  di  Mercurio  colla  clamide  affibbiata  sull'omero  destro 

e  col  petaso  alato  volto  a  d.  R.  Calzare  alato,  caduceo,  S 
segno  della  semoncia  e  \f . 

20.  Civetta  sul  ramo  di  olivo  e  \E.  R.  Protoma  di  cignale  volto 

a  sin.  e  i  segno  della  semoncia. 

21.  Testa  di  bue  messa  di  prospetto  e  \E.  R.  Protoma  di  aquila 
volta  a  destra. 

22.  Granchio  e  \E.  R.  Kana. 

EUBASTINI 

I  Eubastini  ebbero  origine  da  'Pvnai  dell' Achaia,  essi 
però  usarono  un  doppio  patronimico,  ritenendo  il  "Fvìp  degli 
Achivi  e  rifiutarono  il  derivato  'Pvjiaiog  (Steph.  Biz.  s.  v.), 


formandosene  uno  tutto  proprio,  'Pv^aareìrog,  che  dedussero 
da  un  supposto  'Pv^darr/g,  come  gli  Hi/riatini  che  dichia- 
rono  discendere  da  xm  VgicxTr^g.  Battono  nei  due  metalli 
copiando  per  l'argento  i  tipi  di  Taranto,  di  Metaponto,  di 
Canosa;  ne  hanno  però  anche  dei  propri.  Quei  delle  monete 
di  bronzo  si  corrispondono  coi  tipi  del  riverso:  perocché 
pongono  l'aquila  con  Giove,  la  clava  e  l'arco  e  la  faretra 
con  Ercole,  la  tv/jj  nóXeoig  con  Pallade.  Questa  zecca  fu 
riconosciuta  dal  Magnan,  a  cui  assentì  anche  l'Eckhel  {D. 
n.  I,  142),  sebbene  con  qualche  difficoltà;  piir  facile  mo- 
strossi  il  Sestini  (Class,  gen.  II  pag.  10  ed.  pr.).  Lorenzo 
Giustiniani  aveva  intanto  scritto  nel  Dision.  geogr.  T.  Vili 
a.  1814  p.  8) ,  che  «  nelle  private  collezioni  ruvesi  del 
cel.  D.  Domenico  Cotugno  e  dell'ab.  D.  Ciro  Minervino 
se  ne  conservavano  e  una  ne  aveva  pubblicata  il  Miner- 
vino (Etim.  del  monte  Vulture  Tav.  3  n.  6)  ».  La  epi- 
grafe PT,  stimata  dal  Mola  (Giorn.  encicl.  di  Napoli  1794 
p.  82)  nome  di  magistrato  fu  rettamente  dal  Millingen 
spiegata  per  nome  del  popolo  [Consid.  p.  101).  Le  mo- 
nete ruvesi  hanno  altre  sigle  che  sono  nomi  di  magi- 
strati, v'è  il  AA,  che  è  facile  spiegare  col  confronto  di 
alcune  dove  si  legge  interamente  AAIOY  :  e  a  me  pare  pro- 
babileche  anche  ^1  creduto  dall'Avellino  nome  di  città  2CXov- 
lov  e  dal  Minervini  sospettata  sigla  di  2movg,  Siponto  (Oss. 
p.  110),  sia  nome  di  magistrato,  nel  che  mi  accordo  col  Se- 
stini, ma  non  lo  spiegherò  con  lui  2Cix7tXrj^.  Si  legge  ancora 
in  un  terzo  bronzo  fPoECoE,  nome  di  apulo  dialetto  forse 
Grò.  Evoe.  L'Avellino  in  altro  esemplare  lesse  TPaCEaK. 

23.  Testa  di  Pallade  coperta  di  aulopide  decorata  di  un  astro. 

R.  Spiga  di  grano,  cornucopia  e  PY. 

24.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato  del  mostro  Scilla 

volta  a  destra.  R.  Ercole  in  ginocchio  che  strozza  il  leone 
a  sin.  ^1  a  destra  in  altri  esemplari  PY  qui  uscito  di  conio  : 
neir  esergo  AAIOY(Minervini,  Bull.  arch.  nap.  Ili,  XU,  3.) 

25.  Vaso  a  due  manichi  fra  un  creinolo  e  un  cornucopia,  e  le 

due  lettere  AA.  R.  Lira  e  PY. 

26.  Testa  del  sole  messa  di  prospetto.  R.  Due  mezze  lune  oppo- 

ste sopra  AA  ai  lati  PY  e  due  globettini.  «  Avellino,  scrive 
il  Mommsen  [H.  de  la  va.  I,  255)  a  suffisamment  prouvé 
(dans  sa  belle  dissertation  :  Epistola  de  argenteo  Rubastino- 
rum  nummo,  Nap.  1844,  in  4°)  que  la  pièce  des  Ruba- 
stini  au  lype  du  la  téle  du  soleil  a  élé  frappée  à  la  suite 
d'un  traile  d'alliance  entre  cette  ville,  Alexandre  roi  d'' Epire 
et  Tarenle  et  par  conséquent  vers  Van  420  ». 

27.  Bucranio  con  vitto  pendenti  dal  collo.  R.  Fulmine  alato  e  PY. 

28.  Bucranio  come  nel  n.  precedente  e  sopra  PY.  R.  lira. 

29.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  davanti  mezza  luna.  R. 

Aquila  sul  fulmine  volta  a  sin.  a  destra  mezza  lima  a 
sin.  PYt. 

30.  Testa  di  Ercole  giovane  laureata  a  d.  R.  Clava,  faretra,  arco 

e  sopra  PY^  con  mezza  luna  in  corona  di  laiu'o. 

31.  Testa  barbata  semicalva.e  laureata  volta  a  d.,  intorno  fPoECoE 

E.  Donna  con  cornucopia  nella  sin.  e  patera  nella  destra, 

dietro  PY.   In  altri  esemplari  l'Avellino  attesta  di   aver 

letto  rPaCEoK;   in   tal    caso   fa  d'uopo  considerare  quel 

15 


116 


ABULIA 


T.  XCV 


rPoECo  come  caso  analogo  a  flYAAO,  che  si  legge  scritto 
al  pari  di  DYAAOY  sulle  monete  di  Salpi.  L'  E  e  il  K 
saranno  segnacasi. 

32.  Testa  di  Pallade  con  aiilopide  crestata  volta  a  d.  R.  Vit- 
toria stante  con  ramo  di  palma  nella  sin.  e  patera  nella 
d.  dietro  PVy. 

33.  I  tipi  sono  i  medesimi  del  n.  32  ma  l'epigrafe  è  PYBA. 


Tat.  XCV. 

1.  Testa  di  Pallade  con   aulopide  crestata  volta  a  d.  sopra  K 

R.  Civetta  sopra  ramo  di  olivo  e  a  sin.  PYBASTEIN^N  a 
d.  A.  Nel  Zeitsclirift  fiir  Numism.  t.  VII,  1881,  si  dà,  noti- 
zia di  una  simile  moneta,  nel  cui  diritto  è  di  sopra  della 
testa  la  voce  HAATVA  (cf.  Bull.  Arch.  Instit.  1878,  7, 
173  dalla  coli.  Jatta)  e  sulla  civetta  PY  LAAilAwC,  ma  a 
p.  357  è  stato  letto  hOAAillOL,  mentre  nel  disegno  è 
invece  KAAMOC. 

AZETIUM 

Quantunque  Plinio  ovvero  i  suoi  copisti  possono  aver  omesso 
gli  Azetini,  nondimeno  io  stimo  che  il  Millingen  ben  siasi 
apposto  in  riconoscerli  negli  Aegetini  di  cotesto  scrittore  e 
nelV  Ehetium  della  Pentingeriana.  Esclusi  adunque  gli  Aze- 
tini dell'Attica,  imaginati  dal  Froelioh  a  motivo,  pare,  dei 
tipi  attici  (Eckhel  D.  n.  v.  I.  222),  ed  il  pago  Azanio  del- 
l'Attica credutone  autore  dal  Pellerin  {Peupl.  et  villes,  1, 
148)  e  dal  Proelich  (Eckhel,  loo.  cit.),  anche  perchè  non 
se  ne  può  indi  dedurre  AIETINAN,  teniamo  col  Wal- 
chenaer  {Méin.  de  l'Acacl.  des  Inscr.  et  fi.  L.  t.  VII)  che 
quell'H  in  Ehetium  vi  stia  in  luogo  del  I;  precipuamente 
perchè,  come  ha  già  avvertito  l'Eckhel,  in  qaella  carta  Vh  è 
più  volte  sostituito  al  z  [D.n.v.  1,149),  leggendovisi  Cyhico, 
per  Cizico,  .4/iotonper  Azoton.  Questo  Azetium  è  segnato  nella 
citata  carta  Pentingeriana  dopo  la  città  di  Caelium  apula 
verso Polignano,  che  oggi  sappiamo  essersi  detta  Neapolis-.non 
può  quindi  confondersi  con  la  JStjtiov  di  Strabene  (VI,  3,  7), 
che  stette  in  opposta  parte  fra  Ceglie  e  Canosa.  Hanno  però 
torto  il  Millingen  che  pone  i  NrjTÌi'ot  fra  Ceglie  e  Neapolis 
{Consid.  p.  148),  e  il  Kramer  nelle  note  a  Strabene,  ohe 
crede  VElielium  della  carta  essere  il  ISiqTiov  del  geografo. 

2.  Il  tipo  medesimo  che  nel  precedente  n.  1,  ma  la  civetta  col 

ramo  di  lauro  poggia  sopra  un  capitello  gionico:  la  leg- 
genda poi  è  AIETlNilN. 

3.  Aquila  sopra  fulmine  con  ali  aperte.  R.  Spiga  di  grano  e  sotto 

AIETlNilN. 

4.  Conchiglia.  R.  Delfino,  sopra  tridente  e  framezzo  A,  di  sotto 

al  delfino  AIETl. 

BTTONTUM 

5.  Testa  di  Pallade  come  le  precedenti  dei  nn.  1,  2.  R.  Spiga  di 

grano  e  leggenda  BYTONTlNilN. 

6.  Conchiglia.  R.  Giovane   nudo  che   cavalca  im  delfino  volto  a 


sin.  e  porta  nella  sin.  una  clava,  nella  d.  un  vaso  a  due 
manichi;  di  sotto  BYTONTINilN. 

7.  Civetta  sopra  un  ramo  di  olivo.  R.  Fulmine  a  BYTONTINilN. 

BARIUM 

Due  città  nella  lapigia  ebbero  nome  di  Baris,  quella  che 
era  sita  negli  estremi  confini  dei  Salentini  e  chiamavasi  ai 
tempi  di  Strabene  con  altro  nome  Ov&qìjtóv  (VI,  281),  e  la 
Baris  di  lapigia  che  si  chiamò  prima  Japyx.  Questa  è  posta 
sul  mare,  però  prende  per  tipo  Nettuno  e  pone  sul  riverso 
una  mezza  nave  rostrata,  sulla  quale  sta  un  Cupidine  in  atto 
di  scoccare  un  dardo  e  fa  riscontro  al  Cupidine  della  moneta 
dei  Brezzii  che  stando  sul  dorso  dell'ippocampo  di  Teti 
saetta.  Pensa  il  Millingen  (Consid.  p.  149)  che  la  nave 
baris  alluda  al  nome  Barium  :  ma  non  è  così.  Questo  nome 
straniero  alla  greca  lingua  si  trova  usato  in  Egitto  e  in  Siria. 
Il  nome  Baris  si  dà  dai  Siri  ai  palagi  dei  grandi  edificati 
con  mura  e  torri  a  guisa  di  castelli,  onde  s.  G-irolamo 
scrive  in  Ps.  XXIV,  10  :  Bdoig  verbum  est  'Etilxwqiov  Pa- 
laestinae  et  usque  hodie  domus  ex  omni  parte  conclusae  et 
in  modum  aedificatae  turrium  et  moenium  publicorum 
BaQstg  appellantur.  In  tal  senso  la  sua  radice  è  m''^  ca- 
stello, palazzo.  Lo  stesso  nome  Bagic  significa  in  Egitto 
una  barca  tessuta  di  palma  e  di  papiro  e  la  sua  radice  è 
coptica  Bai  Qi,  cioè  cosa  fatta  di  palma  (Peyron,  Leoo.  Un- 
guae  copticae,  pag.  25).  Indi  si  può  dedurre  che  il  nome 
baris  non  si  attaglia  ad  una  gran  nave  rostrata,  ma  ad  una 
barca  fluviatile,  che  però  fu  da  Properzio  messa  in  contra- 
posto per  dispregio  delle  navi  di  Cleopatra,  ove  scrisse  es- 
sere essa  venuta  quasi  sopra  le  zattere  del  Nilo  che  si  spin- 
gono innanzi  con  lunghi  pali  ad  inseguire  le  liburne  ro- 
strate dei  Eomani  : 

Baridos  et  contis  rostra  liburna  sequi. 

8.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  dietro  alla  nuca  due  astri 

segno  del  valore.  R.  Prora  di  nave  dalla  quale  un  erote  saetta  : 
intorno  BAPINCON,  di  sotto  alla  prora  un  delfino. 

9.  I  tipi  sono  i  medesimi  che  nel  n.  8,  ma  il  segno  dì  valore 

è  una  sola  stella;  manca  al  riverso  il  delfino  e  la  leggenda 
è  BAPINilN.  V  è  di  notabile  la  contromarca  sul  volto  di 
Giove  fatta  per  impressione  e  a  fondo  concavo. 

10.  I  tipi  sono  i  medesimi  che  nel  n.  9  ma  in  luogo  di  due 
astri  vi  si  vedono  due  globettini  dietro  la  testa  di  Giove, 
0  piuttosto  di  Nettuno. 

11.  Museo  di  Napoli.  I  tipi  sono  i  già  detti;  al  riverso  si  legge 

BAPl,  e  a  d.  /E. 
12-14.  Il  tipo  è  sempre  lo  stesso,  che  nel  n.  11,  ma  nel 
n.  12  vi  si  vede  anche  il  rostro  tricuspide,  e  non  così 
basso  come  nel  n.  11;  nel  n.  13  colla  epigrafe  BAPl  è  un 
U  latino  di  forma  acuta,  che  in  altro  esemplare  pubblicato 
dal  Minervini  {Bull.  arch.  nap.  VI,  111,  13)  ha  forma  lunata, 
dal  cui  centro  parte  una  linea  orizzontale  €  che  pare  si  abbia 
il  valore  medesimo  dell' U  sopradetto,  d'indicare  cioè  una 
metà.  Si  paragonino  le  monete  di  Eoma  in  Lucerà  (LXXXI,  6), 
di  Brindisi  (tav.  XCVI,  27)  e  di  Larino  (tav.  XC,  36) 


T.  XCV 


ABULIA 


117 


CAJELIUM 

Quella  città  della  Puglia  che  dicesi  Ceglie  di  Bari  è 
nominata  da  Stratone  sul  ramo  dell'Appia  che  da  Brindisi 
va  a  Canosa  passando  per  Egnatia  e  Netium  (VI,  282). 
Nei  codici  però  si  legge  K^h'cc  a  differenza  delle  monete 
che  portano  inscritto  KaO.ia.  Dopo  Strabene  è  il  libro  De  Co- 
loììiìs  dal  quale  impariamo  che  Vespasiano  mandò  suoi  ofSziali 
a  limitare  le  terre  della  Puglia  e  della  Calabria;  Vager 
Caelinus  tì  è  nominato  fra  il  Bitontino  e  il  Genusino  {De 
Col.  pag.  262).  Ceglie  è  mediterranea  e  vi  si  va  da 
Bari  per  quattro  o  cinque  miglia  (Holsten.  p.  276).  «  Nel 
suo  territorio,  scrive  il  Giustiniani  (Dizion.  t.  Ili  p.  419) 
si  sono  scavati  molti  pezzi  di  anticaglie  e  la  sua  necro- 
poli è  nella  vasta  pianura  di  Canneto  piccola  terra  posta 
fra  Ceglie  ed  Acquaviva».  L'egregio  sig.  cau.D.  Carlo  Ku- 
biai  mi  ha  due  volte  scritto  dandomi  notizie  dei  vasi  che 
ha  trovato  nelle  sue  possessioni  di  Canneto,  e  deUe  monete 
di  Ceglie  che  serba  nella  sua  collezione,  e  me  ne  indica  i 
tipi  citando  i  numeri  della  tavola  mia  15,  22,  25,  28. 
Alcuni  anni  or  sono  fu  venduta  in  Eoma  una  collezione  di 
monete  provenienti  da  Bai'i  e  v'erano  in  buon  numero  quelle 
di  Ceglie  con  Euvo,  Canosa  e  Bari  e  ne  acquistammo  in- 
sieme il  sig.  G.  Lovatti  ed  io.  Il  Sambon  {Rech.  p.  76)  copia 
probabilmente  il  MiUingen  {Considèrat.  149),  quando  scrive, 
che  la  sola  notizia  storica  che  si  ha  di  questa  Caelia  è  in 
Diodoro,  ove  dice  nel  libro  XIT,  C.  10 ,  che  fu  presa  dai 
Komani  nell'a.  312  av.  G.  C.  :  La  seule  notice  historique 
qui  nous  en  reste,  dice  il  Millingen,  est  celle  de  sa  prise  par 
le  Romaitis  sous  le  dictateur  Fabius  dans  la  guerre  Sam- 
nite  u  e  312  (Diod.  Sic.  lib.  XIX  e.  101).  Il  Millin- 
gen e  il  Sambon  non  hanno  torto,  solo  si  ari'erta  che  Fabio 
fu  dittatore  nel  315  (n.  e.  439),  e  che  nel  312  lo  era 
Sulpicio  Longo.  Ma  io  giudico  che  lo  storico  siciliano  deve 
rigettarsi  del  tutto,  posto  a  confronto  con  T.  Livio  :  la  lezione 
forse  deriva  da  corruzione  di  codici,  che  invece  di  Kuj.axiu 
della  Campania  hanno  Eeh'a,  che  è  nella  Peucezia  in  Puglia. 
Questo  paese  era  stato  già  sottomesso  interamente  fin  dal  487, 
Apulia  domita  (Liv.  IX,  20),  e  le  armi  romane  nel  441  erano 
volte  a  combattere  i  Sanniti ,  che  dopo  il  disastro  romano 
di  Gaudio  e  la  pace  ignominiosa  sperando  un  movimento  in 
Capua,  distolti  dalla  proposta  impresa  deUa  Puglia,  erano 
tornati  indietro  nella  città  di  Gaudio,  da  poi  che  da  quel 
lato  della  Campania  occupavano  Pregelle,  Nola  ed  altre 
città,  fra  le  quali  è  nominata  Atina  e  Calatia.  PeteUio  creato 
dittatore  volse  le  armi  a  ricuperar  Fregellae:  ciò  fatto  e 
lasciandola  munita  di  forte  presidio  tornò  in  Campania  a 
respingerne  i  Sanniti,  lo  che  fece  egli,  o  come  altri  vogliono  il 
console  C.  Giunio,  essendo  egli  richiamato  in  Eoma  per  fig- 
gere il  chiodo  ai  primi  sentori  della  peste,  al  quale  Giunio 
anche  attribuiscono  la  presa  di  Atina  e  di  Calatia:  qui 
captae  decus  Nolae  ad  consulem  Irahunt  adiiciunt  Atinam 
et  Calatiam  ab  eodera  captas.  Quasi  le  stesse  cose  conta 
Diodoro,  se  non    che  le  pone  accadute  sotto  il  dittatore 


Q.  Fabio  e  i  codici  gli  fan  dire  che  costui  prese  a  viva  forza 
Ceglie  e  Nola  colla  sua  rocca  :  Ksh'av  xcà  np'  JScolàvmv 

àxoÓTTohv    i^STTof.lÓoxI^OS. 

Eettificata  l'erronea  citazione  mi  rimane  di  togliere  dalla 
mente  dei  miei  lettori  il  dubbio  se  veramente  queste  mo- 
nete appartengono  alla  Celia  della  Peucezia  e  non  piuttosto 
alla  Ceglie  della  Calabria,  che  è  una  seconda  città  di  tal 
nome  a  circa  dodici  miglia  di  distanza  da  Brindisi,  medi- 
terranea ancor  essa  e  dove  dicono  essersi  trovate  ghiande 
missili  colla  leggenda  KAl  (iVof.  degli  scavi,  1878,  p.  75,  76), 
e  mi  attesta  il  sig.  Nervegna  di  avere  ivi  comprata  una 
monetina  d'argento  con  la  stessa  epigrafe  KAl.  Di  cotesta 
città  v'è  un  solo  scrittore  che  la  nomini,  e  questi  è  Plinio 
in  quel  luogo  nel  quale  novera  le  città  della  Calabria  poste 
sul  mare  Ionio  con  quest'ordine  (III,  161)  Lwpia,  Bale- 
sium,  Caelium,  Brundisium.  Escluso  Capo  Cavallo  dove 
il  Mannert  stanziò  questa  Cae/ràm,  e  Cellino,  dove  l'edi- 
tore piemontese  di  Plinio  pensa  che  si  debba  collocare, 
noi  diremo  che  fu  dove  oggidì  è  la  ben  popolata  Ceglie 
che  si  distingue  col  soprannome  di  Messapica  ovvero  di 
Ceglie  di  Brindisi  (Lor.  Giustin.  Dizion.  Ili  p.  418); 
ma  avvertiremo  che  il  Cellario  l'ha  erroneamente  confusa 
con  Ceglie  di  Bari  noverando  Caelium  di  questo  luogo 
fra  le  testimonianze  della  Ceglie  Barina  (Geogr.  I  p.  715). 
A  risolvere  la  questione  della  zecca  se  di  Puglia  e  dì 
Calabria  noi  ci  gioveremo  della  esperienza  di  negozianti 
attestandoci  il  sig.  Luigi  Sambon,  Recherches  (p.  76),  che 
le  monete  di  Ceglie  vengono  giornalmente  dalla  Puglia. 
Citeremo  inoltre  im  signore  di  Acquaviva  amico  del  sig. 
can.  Eubini,  che  ci  scrive  aversi  nella  sua  collezione  molte 
monete  di  Ceglie  acquistate  tutte  in  questi  nostri  paesi  e 
non  punto  in  Ceglie  Messapica.  Indi  passa  a  nominarle  ci- 
tando i  numeri  della  mia  tavola,  e  sono  :  36  corrispondenti 
ai  nn.  15  e  16  argento,  9  al  n.  21,  6  al  n.  28,  5  al  n.  29,  4 
al  30.  Inoltre  ve  ne  hanno  di  non  corrispondenti  per  sim- 
boli e  segni  altre  19.  Sicché  cotesto  solo  collettore  ne  ha 
messe  insieme  la  non  piccola  somma  di  settantanove  da 
opporre  a  quell'unica,  che  il  sig.  Nervegna  dice  di  aver 
comprate  in  Ceglie  di  Brindisi.  Bimane  quindi  dimostrato 
che  coleste  monete  sono  della  Ceglie  di  Puglia  e  non 
della  Ceglie  Messapica;  e  così  veramente  si  era  fin  ora 
attestato  dai  numismatici. 

Questa  discussione  intorno  alla  zecca  della  Ceglie  di 
Bari  mi  è  stata  imposta  da  chi  bramava  vedere  decisa  la 
controversia.  Potrebbe  ancor  essere  che  la  Ceglie  di  Brindisi 
abbia  coniato  la  propria  moneta.  Lo  che  noi  accetteremo 
quando  sarà  dimostrato. 
15,  16.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato 
di  im  grifo  volante  volto  a  d.  R.  Ercole  in  ginocchio  strozza 
il  leone;  dietro  di  lui  è  la  clava:  l'epigrafe  n.  15  è  KAl 
e  neU'esergo  Al  iniziale  del  magisti-ato  ;  nel  n.  18  è  solo  KAl. 

17.  CoU.  Lauria  (Minerv.  Oss.  tav.  12).  Testa  di  bue  messa  di 
prospetto  con  infule  pendenti  dalle  eorna:  sopra  KAl.  R.  Lira. 

18,  19.  Da  calchi.  Testa  giovanile  coperta  di  elmo  conico  lau- 
reato acuminato  in  cima  con  di  sopra  una  cresta  sfoggiata. 


118 


APULIA 


T.  XCV 


R.  Vaso  a  due  manichi  e  intorno  KAIAINON  sojjra  la  bocca 
del  vaso  IT.  Nel  n.  13  manca  IT  e  l'epigrafe  è  retrograda 
HOHIAIA>l.  Il  Cavedoni  pensa  che  IT  voglia  essere  \TaXia, 
il  Minervini  (Oss.n.  99)  che  sia  Tiazi.  U  duca  di  Luynes  mo- 
strandomi la  moneta  del  n.  15  ohe  ei  leggeva  seguitamente 
KAIAI  diceva  che  per  questa  epigrafe  erasi  assicurata  a  Ceglie 
anche  l'altra  (n.  18)  dove  si  legge  solo  KAI  :  ma  non  è  così, 
ed  altri  esemi3lari  dimostrano  che  quel  Al  al  pari  che  l' IT 
non  va  congiunto  col  KAI.  La  collezione  Santangelo  che  ha 
pur  due  esemplari  con  questo  Al  (fiatai,  nn.  1795,  69),  ne 
possiede  un  terzo,  ove  si  legge  Ilin  (ib.  1797)  e  dimostra 
che,  come  ho  io  stabilito,  questo  Al,  TI,  sono  iniziali  di 
magistrati  monetali. 

20.  Coli,  Sambon  (Minervini,  Oss.  t.  IV,  13).  Testa  di  bue  con 
le  infnle  o  sia  vitte  pendenti  dalle  eorna.  R.  Vaso  a  due 
manichi  e  leggenda  KAIAIN. 

21-24.  Testa  di  Pallade  con  aulopide  crestata  volta  a  d.  R.  Trofeo 
di  armi  e  accanto  un  fulmine,  e  nel  n.  21  due  astri,  nel  n.  22 
un  solo:  l'epigrafe  al  riverso  in  ambedue  è  KAIAINilN. 
Ho  prescelto  questi  due  numeri,  dove  non  vi  sono  ornati 
come  in  altri  esemplari,  nei  quali  si  vede  aggiunto  all'elmo 
di  Pallade  un  grifo  volante  e  un'insegna  sul  clipeo  del  ri- 
verso che  in  un  mio  esemplare  n.  23  è  una  Medusa,  in 
altro  n.  24  è  un  astro;  di  piìi  nel  trofeo  è  posto  anche  uno 
degli  stinieri.  11  simbolo  dello  zecchiere,  che  qui  è  un  ful- 
mine, varia,  e  vi  si  vede  invece,  ad  esempio,  una  clava,  un 
ramo  di  palma. 

25.  Testa  simile  alla  descritta  n.  21  e  due  globetti.  R.  Vittoria 

tropeofora  che  cammina  a  sinistra  in  atteggiamento  di  de- 
porre oifrendo  una  corona:  nell'esergo  KAIAINilN.  È  pro- 
babile che'  il  tipo  del  riverso,  che  è  nel  sestante  non  si 
ripetesse  d'ordinario  nell'oncia,  come  vediamo  essersi  fatto 
del  trofeo  nei  due  numeri  precedenti. 

26.  Testa  di  Pallade   come  al  n.  23  e  un  globetto  segno  del- 

l'oncia. R.  Aquila  stante  sul  fulmine  volta  a  sin.  sopra 
(KA)IAEINnN. 

27.  Testa  di  Pallade  volta  a  d.  come  nei  nn.  precedenti.  R.  Tre 

mezze  lune  con  dentro  a  ciascuna  un  globetto  volte  dalla 
parte  convessa  e  negli  intervalli  KlAAINilN.  Può  ben  essere 
che  questo  numero  sia  un  tricalco,  e  in  cotesto  modo  si 
spieghino  in  tre  globoli  e  le  tre  lune. 

28.  Testa  di'  Giove  laureata  volta  a  d.,  sul  vertice  due  globo- 
letti.  R.  Pallade  armata  di  elmo,  di  scudo  e  di  lancia  che 
corre  a  sinistra:  intorno,  KAIAINUN 

29.  Testa  simile  alla  prec.  dietro  un  K  e  un  globoletto.  R.  Pul- 

mino e  KAIAINfì.N.  In  altro  esemplare  manca  il  globoletto 
e  la  lettera  K  e  vi  si  legge  al  riverso  KAIAINCON. 

30.  Testa  di  Pallade  con  aulopide  come  nei  nn.  precedenti.  R. 

I  due  Diosoori  correnti  a  cavallo  verso  la  d.,  nell'esergo  KAIAI. 

31.  Testa  di  Pallade  come  la  precedente  ma  v'è  di  più  sopra 

un  globoletto.  R.  Araldo  stante  con  borzacchini  ai  piedi,  pallio 
sulle  spalle  a  pileo  in  capo  in  atto  di  mostrar  volto  a  si- 
nistra un  ramoscello,  accanto  KAI. 
82.  Testa  simile.  /?.  Araldo  con  ramoscello  nella  d.  dietro  KAIAI- 
NON  a  sin.  fulmine.  Questo  nummo  dato  per  errore  a  Pe- 


telia  fu  giustamente  dal  Cavedoni  (in  Carell.  tab.  pag.  101 
n.  17;  e  dal  Marineola  (Opusc.  di  st.  patria,  Catanz.  1871 
p.  139)  concesso  a  Ceglie. 

NBAPOLIS 

Al  Komanelli  prima  che  ad  ogni  altro  venne  fatto  di  addi- 
tarci in  Polignano  una  nuova  zecca,  che  ne  portava  l'antico 
nome,  Neapolis.  Egli  lo  dedusse  dalla  provenienza  delle  mo- 
nete, ma  volle  confermarlo  allegando  un  passo  di  Polibio 
{H.  Ili,  e.  108),  nel  quale  nomina  una  xaCrrjv  nóhv.  II 
Bestini  se  ne  mostrò  persuaso,  ma  non  l'Avellino,  il  quale 
osservò  {Op.  11,  50),  che  se  Polibio  voleva  intendere  di 
una  città  chiamata  allora  Neapolis  non  le  avrebbe  cambiato 
il  nome  sostituendo  a  NsÙTiohs  la  xcdvrj  nóXig.  Gruari  però 
non  andò  che  nuovi  scavi  praticati  a  Polignano  ebbero  messo 
fuori  altre  monete  col  nome  NEAPO  [Bull.  arch.  nap.  VI, 
72),  al  qual  fatto  l'Avellino  si  arrese.  Questa  ritratta- 
zione sfuggì  al  Cavedoni,  non  ricordando  egli  (ad  Carell. 
tab.  pag.  39),  che  la  sola  opposizione  fatta  al  Romanelli  con 
le  parole,  obloquente  Avellinio.  Pu  dunque  bandita  l'erronea 
attribuzione  alla  Neapolis  di  Macedonia,  la  quale  del  resto 
era  mal  fondata,  non  riscontrandosi  i  tipi  e  il  metallo  della 
Neapolis  di  Macedonia  coi  tipi,  colla  epigrafe  NEAP  e  col  me- 
tallo di  quella  Neapolis  di  Puglia,  che  sono  di  solo  bronzo 
(Minervini,  Om.  pag.  107,  108).  Polignano  vanta  nei  tipi  delle 
sue  monete  le  fertili  vigne  e  i  campi  frugiferi  :  ma  fa  d'uopo 
confessare,  che  la  coltivazione  di  quei  terreni  oggi  sia  del 
tutto  cambiata,  stante  che  il  vino  non  primeggia,  e  i  campi 
sabbiosi  non  si  prestano  gran  fatto  al  grano:  essa  invece 
abbonda  di  olivi.  Venerarono  Bacco  e  Cerere,  Diana  cac- 
ciatrice  e  il  Genio  della  città  marittima,  a  cui  diedero  per 
insegna  il  tridente  come  a  signore  del  mare,  dove  ora  pe- 
scano in  buona  copia  le  sarde.' 

33.  Mia  coli.  Testa  di  baccante  coronata  di  oliera  con  lembo  di 

tunica  attorno  al  collo  volta  a  d.  dietro  ha  un  tirso  a  punta 
di  lancia,  a  d.  NI.  R.  Grappolo  d'uva  con  due  foglie  :  di 
sotto  NEA. 

34.  Dal  Carelli   (Tab.  CI,    4).  Maschera  di  Bacco  coronata  di 

pampini  messa  di  prospetto.  R.  Grappolo  d'uva  con  viticci 
e  sopra  NEAP. 
85.  Nel  Museo  di  Napoli.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe 
e  velata  volta  a  d.  R.  Spiga  di  grano  sulla  quale  è  im- 
presso un  caduceo  in  contromarca  e  NEAP.  Una  simile  a 
questa  ma  senza  contromarca,  fu  pubblicata  dal  Minervini 
[Bull.  arch.  nap.  Ili  tav.  VII!  n.  10). 

36.  Mia  collezione.  Testa  di  Cerere  con  acconciatura  di  capelli 
diversa  dalla  precedente  n.  34  coronata  •  di  spighe  di  grano 
e  velata.  R.  Spiga  di  grano  e  NEAPO. 

37.  Nel  Museo  di  Vienna.  Testa  di  Diana  laureata  volta  a  d., 

alla  nuca  la  faretra.  R.  Arco,  faretra  e  NEAP. 

38.  (Milliugen,  Suppl.  II,  14).  Testa  giovanile  con  corona  me- 
tallica orlata  di  gemme  volta  a  d.  R.  Ferro  di  tridente  e 
NEAnOAI.  Il  Cavedoni  (ad  Carell.  CI,  5)  dice,  che  è  chioma  a 
foggia  di  corona  composta:  coma  in  suinmo  vertice  in  co- 


T.  XCVI 


APULIA 


119 


ronae  formam  composita  e  cita  una  testa  in  moneta  di  Napoli 
(Car.  T.  LXXII,  15),  clie  dice  avere  una  acconciatura  simile 
a  questa:  lo  che  io  non  gli  concedo,  e  neanche  che  sia 
chioma  nella  moneta  di  Neapolis.  Il  Poole  (Catal.  p.  142) 
vi  vede  una  testa  di  donna  coronata  ;  il  Millingen  una  testa 
singolarmente  ornata.  Io  non  altro  vedo  che  una  corona. 

Nel  giornale  numismatico  {Zeitschr.fiir  Nuinismatìk,  VII, 
1880  p.  2)  si  trova  descritto  da  Von  Duhn  un  hronzo  del 
Museo  di  Carlsruhe  col  delfino  al  dr.  e  al  riverso  un 
timone  NEADoA 

GRUMBESTINI 

39.  Museo  di  Vienna.  Testa   di  donna  con   capelli  legati  alla 

nuca.  R.  Cavallo  che  corre  a  d.  e  sopra  TPY.  L'ha  publi- 
cata  l'Avellino  {R.  Mus.  Borii.  Voi.  IV  tav.  XV  n.  10). 

40.  Coli.  Santangelo  (Mmervini,  Oss.  T.  VII  n.  U  pag.  117). 
Testa  giovanile  con  capelli  ricci  diademata  e  volta  a  d.  R. 
Toro  che  investe  volto  a  d.  sopra  rPY.  Il  Minervini  {Oss. 
117)  novera  coloro  che  hanno  riferita  questa  moneta  a  Gru- 
menlum  e  annota  non  farsi  ormai  più  difficoltà  dagli  ar- 
cheologi sulla  patria  di  queste  medaglie.  Ma  io  non  so 
spiegarmi  come  sulle  piìi  alte  e  fredde  montagne  della  Lu- 
cania si  voglia  collocare  la  sede  di  cotesta  zecca  lascian- 
dosi indurre  a  ciò  da  una  immaginaria  etimologica  origine 
di  fgv,  quasi  da  Egufiosig.  Il  Minervini  pensa  che  i  tipi 
del  toro  cozzante  e  del  cavallo  confermino  la  congettura 
che  fosse  colonia  di  Turio:  solo  non  vede  doversi  seguire 
assolutamente  l'etimologia  proposta  dal  Niehhur  seguita  dal 
Corcia,  quantunque  non  ripugni  che  f  siasi  cambiato  in  K. 
V'è  però  anche  da  considerare  che  i  Greci  scrivono  Fqov- 
/.lavTor,  non  FQVfisvT.ov.  Plinio  (H.  III,  11)  fa  menzione 
dei  Grumbestini  nell'antica  Calabria,  ovvero  non  molto 
lungi,  e  sui  confini.  Ivi  fu  Fqu  e  Pv  ivi  Mar  e  Km,  che 
similmente  accorciano  le  loro  denominazioni. 

Può  credersi  che  da  Grumo  si  è  derivato  Grumbestinus 
come  da  Euvo  Rubastinus.  Del  resto  im  altro  Grumo  è  in 
Puglia  distante  solo  12  miglia  da  Bari,  i  cui  cittadini, 
scrive  il  Giustiniani,  fanno  industria  di  vacche,  pecore  e  giu- 
menti. A  questa  Grumo  il  Carelli  attribuì  le  monete  con 
l'epigrafe  PPY:  e  i  tipi  di  cavalli  e  di  tori  non  che  la  con- 
dizione del  suolo  confermano  tale  opinione. 

41.  Coli.  Narvegna  in  Brindisi.  Testa  di  donna  volta  a  sin.  con 

pendenti  agli  orecchi  e  coronata  dì  canna  palustre.  R.  Toro 
che  investe  volto  a  sin.  sopra  TPY. 

SIDIUM 

42.  Da  un  calco.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  R.  Ercole  stante 

in  piedi  facendosi  puntello  della  clava  sotto  l'ascella  sinistr-a 
dal  qual  lato  pende  la  spoglia  del  leone,  ha  la  destra  sulle  reni 
come  l'Ercole  di  GUcone  che  porta  i  pomi:  a  sia.  ^lAINilN. 
Se  ne  ha  descrizione  nel  Catal.  del  M.  Britannico,  dove  si  con- 
serva la  moneta ,  che  qui  è  messa  a  stampa  la  prima  volta. 
Questi  Sidini  dei  quali  s'ignora  il  sito,  sono  degni  per  altro  di 


prendere  il  posto  dato  a  Silvium,  a  spiegare  quel  i\,  che  si 
legge  sopra  alcune  monete  di  Euvo,  quasi  iniziale  di  città 
confederata.  I  Sidini  possono  credersi  originati  dalla  Side, 
-iSìj  del  seno  beotico  (Pausan.  Lacan.  III.  22  n.  265), 
Un'  altra  2i'Sì]  colonia  dei  Comani  era  nella  Panfilia  e  Des- 
sippo  la  pone  nella  Licia  (fragm.  ad  calcem  Josephi  ed.  Di- 
dot  p.  15)  il  cui  patronimico  è  SiórjTrig. 

MATIOLUM 

43.  Nella  coli,  mia  (Millingen  SijU.  Ili,  5).  Testa  di  Pallade 

con  elmo  corinzio  volta  a  d.  :  sopra  due  globoletti.  R. 
Leone  aggruppito  volto  a  d.  con  la  zampa  sinistra  regge 
ima  lancia  appoggiata  sul  collo;  a  destra  MAT  in  mon. 
Lo  stesso  gruppo  di  lettere  da  alcuni  si  scioglie  in  NAT 
ovvero  in  TMA,  da  altri  in  MAT,  e  con  essi  opino  ancor 
io  parendomi  che  il  T  si  deve  posporre  come,  per  esempio, 
l'O  nel  monogramma  ■ft  di  Kógxvoa. 

44.  Testa  di  Pallade  come  al  n.  41.  R.  Ercole  appoggia  l'ascella 

0  falce  colla  clava  e  stassi  così  in  riposo  avendo  la  destra 
rivolta  sulla  schiena  come  l'Ercole  di  Glicone:  a  sin.  W\AT 
in  mon. 

45.  Testa  come  la  predetta  n.  42.  R.  Cornucopia  e  MAT  in  mon. 

GKAXA 

Tav.  XCVI. 

Se  cerchiamo  quale  località  si  accosti  al  suono  di  questa 
antica  Graxa,  ci  si  offre  Grassano  in  terra  Basilicata  distante 
da  Matera  diciotto  miglia  :  ma  le  monetine  con  la  leggenda 
Tqa  si  trovano  in  buon  numero  nei  contorni  di  Pasano 
e  nel  suo  territorio  :  io  le  ho  vedute  uscir  fuori  ai  primi 
colpi  di  zappa  presso  S.  M.  di  Agnazzo.  Non  si  creda  per- 
tanto che  Gra  sia  equivalente  a  Gnatliia,  o,  come  scrive 
Strabene  'Ey varia.  Questa  città  si  chiamava  una  volta 
Gnathia,  i  suoi  cittadini  Gnathini,  come  abbiamo  appreso 
dalla  epigrafe  di  un  suo  caduceo  inscritto  TNAGlNilN.  Né 
può  dirsi  che  di  poi  cambiasse  nome,  perchè  ai  tempi  di 
Orazio  dicevasi  tuttavia  Gnatliia.  La  distanza  di  S.  M.  di 
Agnazzo  da  Pasano  è  di  quattro  miglia  in  circa  ed  io  credo 
che  in  Pasano  si  debba  cercare  l'antica  sede  dei  Graxani, 
da  poiché  in  una  delle  sue  monete  in  luogo  del  monco  fPA 
è  stato  letto  TPAHA.  Cedano  dunque  il  Crastus  della  lapigia,  e 
la  Graia  urbs  a  cui  successivamente  il  Millingen  (Recueil, 
p.  19;  Consid.^.  146,  148)  volle  attribuire  la  Gra  delle  no- 
stre monete  ;  errore  notevole,  quasi  che  fosse  nome  di  città 
l'appellativo  di  greca,  che  Mela  dà  a  Gallipoli  (11,  4):  urbs 
graia  CallipoUs.  Cotesta  Graxa  fu  nella  Peucezia  che  comin- 
ciava una  volta  dai  confini  di  Brindisi,  e  si  chiamò  terra  dei 
Salentini,  dove  Plinio  stanzia  la  Egnatia  Salentina  (//.  N. 
II,   140)  :   In  Salentino  oppido  Egnatia. 

1.  Fulmine,  sopra  una  stella,  sotto  FRA.  R.  Conchiglia. 

2.  (Minerv.  Bull.  ardi.  nay.  II,  IX;  Oss.  pag.  102).  Testa  gio- 

vanile che  par  coperta  di  pileo  laureato  volta  a  d.  R.  due 
aquile  stanti  e  volte  a  d.  neU'esergo  TPASA 


120 


APULIA,  CALABEIA 


T.  XCVI 


3.  Nella  collezion  mia.  Testa  giovanile  laureata.  R.  Due  aquile 

stanti  sopra  un  fulmine,  di  sotto  fPA  e  tre  globetti. 

4,  5.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  i?.  Due  aquile  stanti 

sopra  un  fulmine,  sotto  fPA  e  in  contromarca  -X-  fra  due 
glotetti.  In  altro  esemplare  n.  5  che  è  nella  collezion  mia 
la  contromarca  ha  due  linee  parallele  -^^  in  luogo  dell'-X- 
Goteste  linee  parallele  pare  debbano  significare  due  cinque 
e  così  la  cifra  sarà  equivalente  all'X  ohe  dinota  le  dieci 
once. 

6.  Testa  d.  Giove   laureata   volta  a  d.  sotto  tre  giobettini.  R. 

Un'aquila  sopra  fulmine  e  di  sotto  FPA. 

7.  Testa  simile  di  Giove,  dietro  tre  astri,  segni  del  quadrante. 

R.  Aquila  sopra  fulmine  volta  a  d.  davanti  KPH,  sotto  FPA 
(Minervini,  Bull.  ardi.  nap.  II,   IX,  11). 

8.  9.  Aquila  ad  ali  aperte  sopra  un  fulmine,  davanti  a  d.  una 

mezza  luna  con  piccolo  globettino,  sotto  FPA.  R.  Conchi- 
glia. In  im  mio  esemplare  n.  9  v'è  impresso  un  cerchio 
in  contromarca. 

10.  Aquila  stante  volta  a  d.  dietro  FPA,  davanti  un  astro.  R.  Con- 
chiglia (Minervini,  1.  cit.  n.  13). 

11.  Aquila  e  sopra  FPA.  R.  Conchiglia. 

12.  Delfino  sopra  una  serie  di  giobettini  che  diminuiscono  gra- 
datamente di  volume,  sotto  FPA.  R.  Conchiglia. 


STT 


13.  Aquila  ad  ali  aperte,  sopra  un  fulmine,  sotto  ^TY.  R.  Con- 
chiglia. Cotesta  moneta  davasi  dall'Hunter  a  Sti/ra  in  Eubea, 
ma  l'Eckhel  vi  riconobbe  lo  stile  delle  monete  della  Magna 
Grecia  (D.n.v.  11  pag.  325). 

ORBA 

La  fondazione  di  Orra  da  Erodoto  si  attribuisce  ai  Cre- 
tesi che  avevano  accompagnato  Minosse  in  Sicilia.  Strabene 
si  mostra  dubbioso  se  di  questa  città,  che  egli  chiama 
OvQi'a  ed  Erodoto  'F^h'k,  si  debba  intendere  ovvero  di  Ovsqi]- 
róv,  Vert'tum.  Ma  un'altra  tradizione  erasi  suscitata  un  treu- 
tasette  anni  or  sono  proponendo  il  Mommsen  un  testo  di 
Varrone  che  narrava  di  una  Orra  fondata  dai  Locresi.  La 
falsa  lezione  della  quale  moneta  sarà  dimostrata  nella  ta- 
vola CXXV,  n.  9,  dove  tratterremo  delle  monete  mal  lette 
e  male  attribuite. 

Basti  per  ora  dire  che  il  testo  di  Varrons  con  tanta  pompa 
allegato  dal  Mommsen  in  prova  di  una  Orra  fondata  dai 
Locrosi  erasi  già  allegato  dal  Romanelli,  là  dove  anche  in- 
tese di  provare  che  cotesto  popolo  di  Orra  erasi  da  Livio 
additato  sotto  nome  di  Uritae  (L.  XLIF,  48).  Ma  lo  sbaglio 
è  manifesto.  Trattasi  ivi  di  navi  imprestate  ai  Romani,  una 
trireme  dai  Regini,  due  dai  Locresi  ;  Orra  poi  ne  avrebbe 
date  quattro,  non  essendo  città  marittima,  né  avendo  porto 
0  navale  sul  mare.  Quel  testo  di  Livio  dove  si  legge  che 
i  Romani  dagli  Uriti  ebbero  quattro  triremi  deve  emen- 
darsi ab  Siritibus.  Sono  i  Siritae  gli  abitanti  dell'antica 
Siri  divenuti  per  opera  dei  Tarantini  emporio  e  navale 
degli  Eracleesi  fin  dalla  Olimpiade  LXXXIV:  Ab  Siritibus 


quatuor  (triremibus)  acceptis,  praeter  oram  Italiae  super- 
veclus  Calabriae  extremum  proinontoriwm.  Dove  anche 
si  noti  che  trattasi  di  un  popolo  stanziato  nel  gonfo  taran- 
tino, perchè  s'incontrava  prima  di  superare  il  capo  di  Leuca, 
cioè  l'estremo  promontorio  della  Calabria  antica. 

Gli  Orrani  venerarono  in  sommo  grado  l'eroe  fondatore, 
Marte,  Venere  e  Ercole.  Coniarono  il  bronzo  coi  propri 
tipi  in  quattro  serie;  nella  prima  mostrano  di  aver  avuta  una 
certa  comunanza  di  forma  con  gli  elmi  della  Coglie  di  Bari, 
che  sono  acuti  in  cima  e  su  quella  punta  pongono  la  cresta. 
Nella  seconda  serie  manca  l'unità  maggiore:  si  ha  soltanto 
la  metà  e  il  quadrante  :  della  terza  abbiamo  soltanto  il  quin- 
cunoe  e  il  triente:  della  quarta  possediamo  parimente  il 
quincunce,  manca  poi  il  triente  e  si  ha  il  quadrante  e  il 
sestante.  Il  carattere  da  loro  costantemente  adoperato  si  è 
il  messapico. 

14.  Testa  giovanile  coperta  di  pileo   conico  con  piccola  cresta 

quasi  fiocco  in  cima,  dietro  OA.  R.  Aquila  sopra  fulmine  e 
in  alto  ORRA. 

15,  16.  Testa  simile  alla  precedente,  sotto  al  collo  AA.  R.  Aquila 

sul  fulmine:  sopra  OR:  nel  n.  16  si  cambia  il  nome  del 
magistrato  che  è  E/V\. 

17,  18.  I  tipi  sono  gli  stessi,  soltanto  nel  n.  18  l'aquila  volta 
a  destra  è  respiciente  a  sinistra.  Questa  serie  non  porta 
veruna  nota  di  valore,  se  non  che  la  leggenda  è  OR,  pro- 
babilmente ad  indicare  la  metà  dell'intero. 

19,  20.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  della  spoglia  di  leone 
volta  a  d.  sotto  al  collo  ?"  non  avvertito  dal  Gorelli  (tav. 
CXVI,  14).  R.  Fulmine,  sopra  ORRA,  sotto  del  fulmine  FOR. 
Il  n.  19  pesa  gr.  9,  5  ;  il  n.  20  gr.  4. 

21,  22.  Testa  giovanile  con  elmo  ornato  di  tre  fali  e  di  una 
penna:  sotto  al  collo  AR.  R.  Aquila  sul  fulmine  volta  a  d. 
davanti  ORRA,  di  sotto  al  n.  22  cinque  globoletti  nota  del 
quincunce,  al  n.  28  quattro  globoletti  nota  del  triente.  Il 
n.  21  pesa  gr.  10,7;  il  22  gr.  5,9,  v'è  anche  il  sestante 
del  peso  di  gr.  3,4. 

28-25.  Testa  di  donna  laureata  a  d.  con  lancia  a  sin.  R.  Erote 
alato  che  cammina  a  destra  suonando  la  lira  :  dietro  cinque 
globoletti,  davanti  ORRA.  Pesa  gr.  5,4.  Il  tipo  dei  due  qua- 
dranti è  il  medesimo,  soltanto  l'erote  porta  in  mano  il  cesto: 
il  n.  24  ha  di  peso  gr.  4,7  ;  il  n.  35  gr.  3,4.  Il  triente  non 
si  è  finora  vedato.  Quello  che  il  Carelli  (Descr.  17)  ha  dato 
per  triente  col  tipo  del  Cupido  che  porta  una  fiaccola,  ed 
è  accettato  dal  Mommsen  {H.  de  l.  m.  t.  III  pag.  386),  deve 
essere  stato  im  quincunce,  se  il  Cupido  tenne  invece  in 
mano  la  lira,  come  giudicò  l'Avellino,  ovvero  un  qua- 
drante, se  ebbe  un  cesto.  È  bene  notare  qui  le  descrizioni 
dei  tipi  dati  dal  Mommsen  {II.  de  la  monn.  III  pag.  365, 
366).  La  testa  giovanile  dei  nn.  21,  22  è  detta  lete  de  Pal- 
las.  Quella  di  Venere  nn.  23-25  si  dice  téle  d^un  jeune 
homme  couronné,  e  il  cesto  n.  25  si  prende  per  un  ban- 
deleite.  Finalmente  nel  n.  19  la  pelle  di  leone  legata  alla 
gola  di  Ercole  si  prende  per  un  fulmine  e  si  attesta  che 
manca  il  seguo  di  valore:  téte  sur  un  foudre  sans  indication 
de  valour. 


T.  XCVI 


APULIA,  CALABRIA 


121 


26.  Testa  di  donna  simile  alle  precedenti.  R.  Colomba  che  vola 
portando  una  corona  cogli  artigli  ;  di  sotto  due  globoletti. 
L'oncia  non  si  è  finora  veduta. 

BRUNDISIUM 

Gli  antichi  non  erano  concordi  sulla  origine  di  Briudisi. 
Alcuni  dicevano  che  era  colonia  di  Cretesi  di  Guosso  condotti 
in  Italia  da  Teseo.  Altri  narravano  che  lapige  figlio  di  De- 
dalo e  di  una  cretese  l'aveva  popolata  coi  Cretesi  venuti 
seco  in  Sicilia  per  vendicare  la  morte  di  Minosse,  scrive 
Erodoto  (VII,  170),  ovvero  per  cercare  Glauco,  come  atte- 
sta Ateneo  (XII,  e.  5).  Non  pertanto  lapige  tenevasi  per 
fondatore  perchè  i  primi  Cretesi  eransi  partiti  per  Bottièa, 
e  nuovi  seguaci  di  lapige  erano  sopravvenuti  (Strab.  VI, 
282).  Un'altra  tradizione  è  riferita  da  Giustino  (XII,  2), 
secondo  la  quale  la  fondazione  di  Brindisi  deve  riferirsi 
agli  Etoli  seguaci  del  celebre  Diomede:  Eral  urbs  Apulis 
Brundisium,  quam  Aetoli  seculi  lune  oh  famam  rerum  in 
Troia  yestarurii  clarissimum  ac  nobilissimum  ducem  Dio- 
medem  condiderunt.  Ma  dicevasi  insieme  che  costoro 
erano  stati  di  poi  scacciati  dagli  Apuli. 

I  Brindisini  erano  governati  da  un  re  in  quel  tempo,  nel 
quale  Falanto  cogli  Spartani  conquistò  molta  parte  del 
loro  territorio.  Ciò  non  ostante  lo  accolsero  quando  fu 
mandato  fuori  da  Taranto,  e,  morto,  lo  onorarono  di  splen- 
dida sepoltura.  Poscia  divenuti  colonia  romana  lo  scelsero 
a  tipo  delle  loro  monete,  quasi  patrio  eroe,  figurandolo  sul 
delfino,  come  la  vicina  Dalctium. 

Coloro  che  credono  ohe  la  monetazione  delle  colonie 
seguisse  il  peso  e  la  riduzione  legale  della  vecchia  Roma 
non  potranno  mai  spiegare  come  dopo  il  510  i  Brindisini 
battono  una  moneta  la  cui  maggior  unità,  è  di  circa  venti 
grammi,  mentre  porta  la  nota  di  sestante,  lo  che  suppone 
un  asse  di  quattro  e  più  once. 

Noi  stimiamo  che  i  globetti  in  questi  bronzi  non  siano  sol- 
tanto segni  di  once  locali,  ma  anche  di  altri  sistemi,  ossia 
che  i  Brindisini  abbiano  insieme  seguito  il  proprio  sistema 
e  quello  della  regione  vicina.  Però  non  rigettiamo  come  er- 
roneo ed  impossibile  il  pezzo  del  peso  di  grammi  quattro 
notato  di  quattro  globetti  e  insieme  della  nota  di  sewis, 
perchè  interpretiamo  i  quattro  globetti  per  quattro  unità 
equivalenti  alla  metà  di  peso  di  altro  sistema,  significata 
con  l'altra  cifra  S.  Quei  che  vogliono  ritenere  i  globetti  per 
segno  di  once  debbono  anche  accettare  che  la  colonia  non  ha 
seguito  Roma  nel  valore  della  libbra,  e  quanto  al  pezzo 
n.  38  udiremo  come  spiegheranno  che  quattro  globetti  sono 
la  metà  di  un  tutto,  o  sia  di  un  sestante,  o  di  altra  unità 
maggiore  che  noi  non  conosciamo.  Dovranno  ancora  soste- 
nere che  Brindisi  continuò  a  coniare  il  suo  bronzo  dopo  la 
guerra  italica  sul  sistema  del  66-5,  ossia  della  legge  Pa- 
piria  per  cui  l'asse  era  legalmente  ridotto  a  semonciale. 

Venosa  ancor  essa  colonia  romana  coniava  un  bronzo 
del  peso  di  grammi  7,60  con  la  nota  del  S,  quando  Brin- 
disi lo  improntò  dal  suo  tipo,  notandovi  la  nota  di  due  glo- 
betti 0  sia  del  sestante. 


27.  Vittorietta  con  palma  lemniscata   e  corona  volta  a  d.  lì. 

Delfino  volto  a  sin.  sotto  BRVN,   sopra  L-,  segno  di  metà. 
Pesa  gr.  1,18. 

28.  Coli.  Sant.  {Calai.  2224;  Avellino  Op.  11,  V,  11).  Conchi- 
glia. R.  Delfino  e  sotto  un  tridente  e  BRVN.  Manca  ogni 
segno  di  valore. 

29.  (Carelli,  tav.  CXX  n.  8).  Testa  di  Nettuno  laureata  volta  a 
d.  sotto  due  globetti  nota  del  diobolo.  /?.  Genio  nudo  a 
cavallo  del  delfino  con  cetra  nella  sin.  e  porta  un  vaso  a 
due  manichi  nella  d.,  sotto  BRVN  e  la  nota  del  sestante 
ripetuta. 

30.  (Car.  ib.  n.  6).  I  tipi  sono  i  medesimi  soltanto  vi  hanno  sim- 
boli e  segni  che  variano  in  ciascuna  serie,  delle  quali  si 
danno  qui  soltanto  dei  saggi.  Nell'oncia  che  do  qui  al  n.  30 
Nettuno  è  coronato  da  una  Vittorietta  sospesa  a  volo  e  il 
genio  porta  nella  sin.  un  cornucopia  e  nella  d.  la  Vitto- 
rietta che  si  leva  sulle  ali  per  coronarlo.  Nel  campo  a  destra 
è  una  clava. 

31.  (Carelli,  tab.  CXX  n.  4).  La  testa  del  Nettuno  sempre 
laureata,  ma  non  è  coronata  dalla  Vittoria,  in  quella  vece 
v'è  qui  il  tridente.  Al  riverso  il  tipo  è  lo  stesso  dei  due 
numeri  precedenti:  di  sotto  al  delfino  vi  si  legge  l'epi- 
grafe BRVN,  ma  la  nota  del  valore,  creduta  dal  Carelli  es- 
sere quella  del  semisse,  è  della  metà  di  un  intero,  che  forse 
fu  un  obolo,  forse  fu  una  semoncia.  Il  pezzo  di  fatti  pesa 
gr.  4,03  mentre  l'oncia  n.  30  ne  pesa  gr.  9,70. 

32.  Nel  Kirch.  Testa  di  Nettuno  a  d.  coronata  dalla  Vittoria: 

di  sotto  la  nota  del  sestante.  R.  Giovane  nudo  che  cavalca 
il  delfino  portando  la  lira  nella  sin.  e  la  Vittoria  che  lo 
corona  colla  d.,  di  sotto  è  la  nota  del  sestante  e  l'epigrafe 
BRVN  :  di  sopra  del  delfino  un  nome  greco  in  monogramma 
NAr,  0  APN.  Cotesto  sestante  suppone  una  prima  riduzione 
del  sestante,  quando  non  si  era  coniato  ancora  il  trienle  e 
il  quadrante. 

33.  (Carelli,  ib.  n.  14).  Alla  testa  di  Nettuno  coronato  dalla 
Vittoria  si  vede  aggiunto  il  triente:  di  sotto  v'è  la  nota 
del  triente.  R.  Giovane  nudo  che  cavalca  il  delfino  recando 
la  cetra  nella  sin.  e  la  Vittoria  che  lo  corona  nella  d.,  di  sotto 
BRVN  e  la  nota  del  triente.  Pesa  gr.  8,6 

34.  Nel  Kirch.  Manca  nel  dritto  la  Vittoria  e  il  tridente:  il  tipo 

del  rovescio  non  differisce  dal  precedente  :  la  nota  è  sulle 
due  facce  quella  del  quadrante. 

35.  Nel  Kirch.  Il  tipo  sulle  due  facce  è  il  medesimo,  qui  però 

vi  si  vede  sul  dritto  aggiunta  la  Vittoria  che  corona:  il 
suo  peso  è  di  gr.  4,3  :  e  però  dimostra  una  serie  di  questa 
riduzione,  dove  questo  nummo  era  il  quadrante.  I  trienti 
e  i  quadranti  si  cominciarono  a  coniare  in  Brindisi  prima 
deUa  terza  riduzione.  In  questa  riduzione,  nella  quale  il 
triente  è  del  peso  di  grammi  4,30  la  zecca  emise  ancora 
il  semis  del  peso  di  grammi  7,60.  Ne  ho  qui  davanti  un 
esempio  ribattuto  dai  Venosini  per  sestante  o  sia  pel  valore 
di  due  globetti.  Porta  nel  dritto  la  testa  di  Pallade  e  al 
riverso  la  civetta,  la  cifra  S  è  benissimo  conservata  con 
al  riverso  la  vittorietta  sulla  destra  del  genio  cavalcante 
il  delfino. 


122 


APULIA,  CALABKIA 


T.  XCVII 


36.  (Carelli,  ib.  7).  Il  Nettuno  di  quest'oncia  è  coronato  dalla 
Vittoria,  ed  ha  a  sin.  il  tridente  e  sotto  il  collo  la  nota  del 
valore.  Il  riverso  è  simile  al  precedente,  ma  la  nota  è  del- 
l'oncia: pesa  gr.  1,7. 

87.  (Car.  ib.  2).  Questo  nummo  differisco  dal  precedente  in  ciò 
che  il  giovane  al  riverso  non  reca  la  cetra,  ma  in  suo  luogo 
una  patera.  Manca  la  nota  del  valore,  ma  il  peso  è  di 
gr.  1,33. 

38.  (Car.  ib.  n.  30).  Questo  triente  coi  tipi  medesimi  del  triente 
n.  33  ha  però  di  peso  una  metà,  cioè  gr.  4,9.  Vi  si  legge 
inoltre  a  sin.  del  riverso  MA  nome  del  zecchiere,  e  sulla 
coda  del  delfino  la  nota  S  indicante  semis.  È  dunque  uno 
di  quei  nummi  che  si  vedono  forniti  di  doppia  nota  e  dovrà, 
dirsi  che  in  un  sistema  era  computato  per  triente  e  in  altro 
per  metà,  di  un  tutto,  forse  un  obolo,  ovvero  alcun  altro 
peso,  che  ignoriamo. 

39.  (Car.  ib.  23).  Testa  di  Nettuno  laureata  e  coronata  dalla 
Vittoria  :  dietro  la  nuca  il  tridente,  di  sotto  al  collo  la  nota 
del  semisse.  R.  Giovane  nudo  sonante  la  cetra  portato  da 
un  delfino  a  d.  e  coronato  dalla  Vittoria:  di  sotto  BRVN,  a 
sin.  ARR,  a  d.  la  nota  del  semisse.  In  quest'epoca  sono 
frequenti  i  nomi  dei  magistrati  monetali. 

BALBTIUM 

Tav.  XCVII. 

Non  ha  molto  che  si  è  scoperta  questa  nuova  zecca  in 
monete  di  argento  colla  epigrafe  k.l\®M9r\ ,  e  furono  pubbli- 
cate dal  duca  de  Luynes  [Bull.  ardi.  nap.  I  p.  169),  che  l'at- 
tribuì al  Valetìum  di  Mela,  il  Balesiwn  diPliuio  (III,  16),  che 
taluni  hanno  emendatoi^e*mm,ed  è  chiamato  'Alriria  da  Stra- 
bene (VI,  282),  Valentia  nell'itinerario  gerosolimitano  (609). 
Il  Minervini  si  volse  invece  ad  Àletium  detto  Balelium  nella 
Peutingeriana.  Ma  la  Foie*ÌM'm  del  Luynes  è  da  cercarsi  presso 
il  fiume  Pactius,  fra  Brundisiurn.  e  Lupine,  donde  proven- 
gono i  due  esemplari  che  ora  ne  possiede  il  Nervegii;;  ;  VAle- 
tium  0  Baletium  del  Minervini  è  dalla  sponda  di  mare  ad 
occidente  lolla,  penisola  idruntina;  Bah-jdàg  è  contratto  ed 
ha  innanzi  un  B  che  vi  fa  le  veci  del  F  ;  tolto  il  qual  digamme 
rimane  Aletium.  Sarebbero  adunque  due  ^ieiwtm  nella  p-e- 
nisola  ;  ma  già  il  Cluverio  p.  1351  ha  mostrato  che  in  luogo 
del  secondo  Aletium  fa  d'uopo  leggere  Saltentium,  città, 
mediterranea  dei  Sallentini  ad  occidente  della  Messapia  fra 
Neretum.  oggi  Nardo,  e  Uhintmn  la  moderna  Ug?nto  :  il  Ba- 
letium  0  piuttosto  Baldhium  è  sinonimo  di  Falethium.  Co- 
testi Faletini  prendono  il  nome  dall'eroe  che  cavalca  il 
delfino,  sia   egli    Taras  ovvero   Folanllm.i. 

1.  Coli.  Nervegna.  Taranto  a  i.avullo  del  delfino  volto  a  d.,  di 

sotto  un  piccolo  delfino  e  l'epigrafe  iR®BAR1.  R.  Mezza 
luna  0  delfino  volt(>  »■  fin.,  e.  nel  centro  un  globetto  con 
le  lettere  3h:  intorno  la  medesima  leggenda  cambiata  sol- 
tanto il  digamino  =1  in  B:  if^®3Afì8. 

2.  Coli.  Luynes  (Minervini,  Bull.  ardi.  nap.  VII,  II,  3).  Simile 

al  n.  precedente,  anche  nella  E  posta  fuori  del  giro  asse- 
gnalo alle  altre  lettere. 


3.  Coli,  Luynes  (Miuerv.  1.  oit.  Vili,  II,  4),  ora  se  ne  ha  un 
secondo  esemplare  nella  coli.  Nervegna.  Delfino  volto  a  d. 
e  l'epigrafe  intorno  i/<lffi3Afl3  ,  hE  e  h,  nota  della  metà.  S, 
che  non  è.  stata  finora  notata.  R.  mezza  luna,  di  sotto 
i/^®3Aflfl,  di  sopra  hE.  La  lettera  E  ancor  qui  è  fuor  di 
linea;  ciò  dimostra  che  fu  aggiunta  nei  due  conii  dall'in- 
cisore, il  quale  ha  sbagliato  inoltre  collocando  sul  dritto 
della  moneta  l'aspirazione  H  dopo  la  vocale  E. 

HYDIiUNTUM 

Hi/drus  non  sra  ancora  fabbricata  quando  in  quelle  spiagge 
ove  ora  è  Otranto  approdarono  alcuni  Cretesi  e  ivi  presero 
stanza,  scrive  Stefano  (s.  v.  Bisvroi)  :  olxfj'jat,  Sé  tivag 
^YÓQOVVta  Trjg  'huXiaq  ov/rco  nsTioXu/fisvov.  I  Latini  la  dis- 
sero Hi/dru7Uum.  Si  è  cercato  se  questa  città  piccola  sì, 
ma  provista  di  buon  porto,  avesse  mai  battuto  moneta.  Il 
Carelli  pubblicò  tre  piccoli  bronzi  e  glieli  attribuì.  Due  di 
essi  (tav.  CXXIII,  1,  2)  hanno  per  tipo  la  testa  di  Ercole 
giovane  e  al  riverso  le  armi  di  lui,  arco,  clava,  faretra.  L'epi- 
grafe è  inscritta  fra  il  nervo  teso  e  l'arco,  YAP  e  AY  :  un 
terzo  (ib.  3)  ha  per  tipo  la  conchiglia,  e  al  riverso  lo  armi 
predette  e  fra  l'arco  e  la  corda  l' epigrafe  YAP.  Ma  bisogna 
considerare  che  in  queste  monetine  cogli  stessi  tipi  variano 
le  leggende.  Ve  ne  ha  per  es.  di  quelle  che  leggono  AY  e 
altre  che  in  vece  portano  per  .?pigrafe  AE.  Queste  di  certo  non 
appartengono  ad  Hijdrus,  ma  le  prime  a  Dyrradiium,  le 
seconde  a  Leucas.  Era  Leucade  di  contro  ad  Otranto.  Da  Leuca 
ad  Otranto  scrive  Strabene  v'hanno  150  stadii:  'Eh  Sé  rwv 
Aavxòìv  dq  ^Yd-Qovvca  Ttah'xrrjV  graSiot  PY;  e  p)rima  di  lui 
Scilace  §  27  :  'Eni  'jrSQÓsi'za  nóXiv  iv  ty  'lanvyia  dnò 
xmv  xsgavviiav  ffraóia  tov  StavXov  mg  (f.  Plinio  dice 
brevissimo  il  tragitto  di  miglia  19  che  pone  i  termini 
al  mare  Jonio  ed  Adriatico  (Plih.  L.  Ili  e.  Il)  :  Hi/drun- 
tum  decem  ac  novem  niillia  paasuum  ad  discrimen  .fonti 
et  Adriatici  maris,  qua  in  Graeciam  hrevisHnm,^  tran- 
situs.  Quando  il  Millingen  scriveva  le  Considératinns  non  si 
erano  impresse  le  tavole  del  Carelli.  Egli  attesa  la  descrizione 
dei  tipi  letta  nella  Desoriptio  sospettò  che  una  moneta  di 
Alessandro  con  NAPO  superstite  si  fosse  trasformata  in 
YAPO  (p.  122).  Or  la  monetina  da  me  incisa,  in  primo 
luogo,  è  nel  Museo  di  Vienna,  e  dice  chiaramente  YAP. 
Stefano  Bizantino  in  questo  articolo  di  VSQoiJg  è  eviden- 
temente monco.  Il  testo  dice  :  'yS(>ovg  (pqovoiov  àqqsvixwg- 
tò  f&vixóv  'YSgovvTiog  cóg  2sXivovvTiog.  fa%ì  xal  nókig 
'haXiag.  to  i&vtxóv  'YSgovffceìog  xal  'YSQOvfftog.  Il  Meineke 
addita  invero  una  lacuna,  ma  la  pone  fra  qgovqmr  e  A^ae- 
vixwg.  A  me  pare  che  una  lacuna  vi  debba  essere,  ma  non 
ivi,  ove  non  ce  n'  è  bisogno.  Perchè  'YSgoimog  non  può 
essere  etnico  di  'YSgovg,  al  quale  anche  è  stato  già  assegnato 
'YSgoiivTwg.  Fa  quindi  d'uopo  ricordare  che  Stefano  ha 
scritto  alla  voce  "Axga  che  questa  città  per  alcuni  era  sino- 
nima  di  'YSgov<Ta:"AxQa  'laTTvyìag  nóXig  xarci  Tirag  'YSgovaa 
XsYoi.i,6vrj.  Ciò  posto  è  chiaro  che  la  vera  lacuna  è  dove 
manca  il  nome,  dal  quale  deriva  'YSgovaaTog.  Però  bisogna 


T.  XCVII 


CALABEIA 


123 


supplire  così  :  aatt  xcà  nóhg  ^haXiag  'Ydqovaa  :  quindi 
gli  si  poti'ìi  far  seguire  l'etnico  che  ne  deriva:  xà  èdvtxòv 
'ySQovaceìog  xcà  Y^Qotaiog.  Pone  adunque  Stefono. per  sino- 
nimo deir«xo«  'IccTTvyia  una  città  T(fgofio'a,  e  tiene  ^YSqoìk 
per  \m  castello,  (fgovQior.  Ecco  il  passo  come  si  deve  leg- 
gere: 'yàQoì'g  tpQOVQior  àgaerixàg;  rò  idrixòr  "^yiQovvnog 
àg  ^sXirovìTiog.  ì'ari  Sé  xaì  'ì'Qàovffa  nóXig  'Itah'ag,  rò 
i&nxor  'VSgovacùog  xcà  ^YSqovaiog.  Non  osta  che  la  mo- 
neta di  Otranto  sia  sconosciuta  nella  terra  d' Otranto , 
ove  il  Nervegna  che  vi  fa  da  più  anni  raccolta  di  monete 
e  risiede  in  Brindisi  attesta  che  non  l'ha  nel  suo  copioso 
medagliere. 
4  Museo  di  Vienna.  Testa  di  Ercole  difesa  dalla  spoglia  del 
leone  a  sin.  R.  Arco,  faretra,  clava,  fra  l'arco  e  la  sua 
corda  vi  si  legge  netta  l'epigrafe  YAP.  Un  bronzo  simile 
fu  descritto  dal  "Wehl  (Calai,  della  coli.  Welzl  de  Wel- 
lenheim,  Vienne,  1844  al  n.  580),  però  vi  è  supplita  in 
mezzo  la  lettera  A. 

5.  (Carelli,  t.  CXXII,  3).   Conchiglia    B.   simile  al  precedente 

con  le  stesse  tre  lettere  YAP 

OXENTUM 

La  città  che  ora  si  chiama  Ugento  fu  già  dai  Latini  detta 
0::a,  dai  Greci  'O^cig,  il  cui  quarto  caso  òiccevra  die'  per  ana- 
drome  Ozentum  come  IIv'§àg  die'  Buxentum.  Questo  nome 
nella  tavola  del  Peutinger  è  trascritto  Uhintum,  in  To- 
lomeo OvSsrToi;  nelle  monete  AOIEN(ir[i'Mi').  I  moderni 
seguono  Tolomeo  e  scrivono  Vxentum,  ma  i  Messapi  la 
dicono  Aótevxov,  se  pui-e  questo  elemento  I  non  ebbe  an- 
che il  valore  di  greco  ^T.  Plinio  trattando  delle  città  di 
codesta  penisola  ealabra  in  un  passo  corretto  dall'  Harduino 
sui  mss.  scrive  Senum,  (al.  Saenum)  Callipolis,  quae  nunc 
Anxa.  E  se  ciò  è,  vuol  dire  che  ne'  tempi  di  Plinio  Cal- 
lipoli  si  denominò  Anxa.  Ma  vi  deve  essere  una  erronea  tra- 
sposizione, perocché  Callipolis  ohe  tuttavia  si  chiama  con 
questo  nome,  Gallipoli,  non  può  credersi  che  ai  tempi  di 
Plinio  si  chiamasse  Anxa.  Io  imagino  che  quell'ina;»  si 
debba  emendare  Aoxa  e  leggo  :  Aoxa  quae  nunc  Oxenlum, 
Graia  urbs  Callipolis:  Così  si  sarà  trovata  la  propria  sede 
a  quell'ignotissimo  Senum  o  Saenum,  supponendolo  in  luogo 
di  Oxenlum. 

6,  7.  Testa  di  Pallade  con  elmo  corinzio  crestato  volta  a  destra. 

R.  Ercole  giovane  stante  appoggiato  alla  clava  con  cornu- 
copia e  pelle  leonina  nella  sin.  I  tipi  sono  simili  ma  nel 
bronzo  n.  6  si  legge  AOIEN,  nel  n.  7  AO  (cf.  Milling. 
Swppl.  pi.  11,  29).  Talvolta  la  linea  ti-asversa  dell' A  è 
omessa,  come  nei  due  numeri  seguenti. 

8,  9.  Aquila  sul  fulmine  a  destra.  R.  Vaso  a  due  manichi  e 
nel  basso  a  destra  e  a  sin.  due  astri  (Mill.  Suppl.  11,  10). 
Nel  n.  9  l'epigi-afe  è  retrograda  AO  e  sta  a  destra,  i  due 
astri  mancano.  L' Avellino   ne  diede   imo  senza   epigrafe 
{Bull.  T.  Vni  n.  13). 

10.  Nella  coUezion  mia.  Testa  di  Pallade  come  quella  del  n.  8. 
R.  Civetta  di  prospetto  e  a  destra  OI 


11.  Testa  di  Pallade  come  al  n.  8.  R.  Ercole  giovane  colla  spo- 
glia di  leone  avvolta  al  braccio  sinistro  e  in  atto  di  appog- 
giarsi alla  clava  che  ha  nella  destra;  intorno  OIANTlNfliN 
e  presso  Ercole  ZH,  nome  di  magistrato,  forse  Zi^vóSoùQog. 

12.  Bifronte  imberbe  coperto  di  galea  con  pennacchio  per  cre- 

sta. R.  Ercole  stante  con  cornucopia  e  spoglia  del  leone 
nella  sinistra,  clava  nella  destra,  dal  qual  lato  una  Vitto- 
rietta  volando  l'incorona:  a  destra  OIAN 

13.  Testa  di  Pallade   con   elmo    corinzio    ornato  di  un  serpe 

volta  a  d.  davanti  una  lancia.  R.  Ercole  barbato  con  cor- 
nucopia e  spoglia  di  leone  nella  sin.  clava  nella  destra:  a 
sinistra  un  S  nota  del  semisse  e  un  ramo,  a  d.  OIAI  così 
non  OIAN 

TAEENTUM 

I  barbari  discendenti  da  lapige  figlio  di  Dedalo  condus- 
sero in  Italia  una  colonia  di  Cretesi  ai  tempi  di  Minosse  II, 
e  la  città  da  loro  costrutta  al  fiume  vicino  denominarono 
Taras  in  onore  di  un  eroe,  dice  Strabene  (VI.  2,2),  di 
tal  nome.  Questo  eroe  aggiunge  Pausauia  (X  e.  10)  cre- 
devasi  figlio  di  Nettuno  e  di  ima  ninfa  locale:  Tàqavza 
tÒv  ìjgooa  Iloasidtòvóg  (fcccfi  xcà  imywqiag  vviiBcpr^g  naXSa 
elvcti,  ànò  Sh  zoì  iJQCoog  xe&rjvai  rà  àvójiara  ry  nòXsi  ts 
xcà  TCj)  TTorafif^  •  xccXsXtcii  ycco  órj  Tdqag  xarà  rà  avrà  zy 

nólsi  xaì  ò  7T0Tai.ióg.  La  ninfa  madre  di  Taranto  chiama- 
vasi  Satira,  scrive  Celio  {Hisl.  L.  V  ap.  Schol.  Leijd.  ad 
Virg.  Georg.  II  v.  197),  il  qual  nome  le  era  comune  col 
luogo  che  abitava  detto  Satirio  (Steph.  Byz.  s.  v.)  :  ^azv- 
Qiov,  yaqu  7th]aiov  TaQavtog.  In  queste  terre  venne  di  poi 
ima  colonia  di  Spartani  dalla  piccola  città  di  Amicle  cele- 
bre pel  culto  di  Apollo  soprannominato  Giacinto.  Cotesta 
colonia  era  condotta  da  Palante  Amicleo  al  quale  l'oracolo 
di  Delfo  aveva  mandato  a  dire  pei  messi  degli  Epeunau- 
tae,  che  non  andassero  ad  abitare  le  terre  poste  fra  Sidone 
e  Corinto,  ma  invece  quelle  del  Satirio  e  di  Taranto, 
dove  le  onde  bagnavano  il  tragus  (Diodor,  fragm.  L,  Vili 
n.  16  ed.  Mai.). 

2ccTVQiov  (fQci^ov   Tccqavxóg  ts  àyXaóv  vóoìq, 
Kal  Xijxévtt  ^xaióv,  xcà  ortov  TQÓyog  àXjXvqòv  ol'àjxa 
'Afiipayanà  ikyyiùv  axQov  noXioTo  ysvEtov, 
"Evdoc  Tdqavca  noiov  sui  2atvQiov  ^s^ccóòra. 

Cotesto  tQciyog  doveva  intendersi  essere  la  piantolina  detta 
da  noi  salsola.  La  quale  significazione  riuscendo  oscura  fu 
allora  che  il  dio  disse  a  Palante  :  io  ti  ho  dato  ad  abitare  Sati- 
rio e  Taranto,  popolo  dovizioso,  e  tu  farai  danno  ai  Iapigi.  Le 
parole  dell'oracolo  omesse  da  Pausauia  si  leggono  in  Stra- 
bene (VI,  279): 

^arvQióv  101  dwxa   Tàvavcàrs  mova  drjfiov 
oìxfjdai,  xcà  Tcrjjia  'lanvyaaai  ysvs'a&ai 

Postosi  in  mare  coi  Partenii  di  Amicle  fé  vela  verso  il  golfo 

di  Crissa,  spinto  dal  vento  ;  ma  naufragò  e  fu  un  prodigio 

che  si  salvasse ,  preso  in  dorso  da  un  delfino  che  lo  con- 

16 


124 


CALABEIA 


T.  XCVII 


dusse  al  porto  (Paus.  X  e.  IS).  Falanto  ripreso  il  mare 
giunse  finalmente  al  lido  delle  salsole,  ivi  combattè  e  vinse 
i  barbari  Iapigi  e  s'impadronì  di  Taranto,  la  più  grande  e 
la  più  ricca  di  quante  barbare  o  sia  non  elleniche  città 
abitavano  sul  mare  (Paus.  X,  50)  :  Tàgarza  tcòv  ^ao^d- 
Q(ov  ilXe  nsyi'OTi.v  xal  £v6aij.iov&aT(ÌTip'  Tcòv  ini  daXocaOij 
nólscov.  Vinti  e  cacciati  i  Iapigi  gli  Spartani  di  Amicle 
ebbero  a  combattere  i  Messapii  e  i  Peucezii  uniti  in  lega 
coi  Iapigi.  Kiusciti  ancor  qui  vittoriosi  mandarono  doni  a 
Delfo  cbe  li  riconobbe.  Furono  questi  per  la  prima  impresa 
cavalli  di  bronzo  e  donne  messapiche  prigioniere  (Paus.  X,  10); 
ma  per  la  seconda  contro  i  Peucezii,  che  erano  stati 
aiutati  da  Opi  re  dei  Iapigi,  commisero  un  gran  lavoro 
a  due  scultori  Oneta  di  Egina  e  Caneto.  Questi  fecero 
il  re  Opi  morto  disteso  in  terra  presso  del  quale  posero 
l'eroe  Taranto,  lo  spartano  Palante  e  non  lungi  da  lui 
il  delfino  che  lo  aveva  salvato  (Paus.  X,  13):  ot  dì  aìmf 
xsiHév(-)  i(f£atrjxÓT£g  ò  riQiag  Tàgag,  iati  «al  <PaXàv6og,  ò 
ix  AaxsSaìixovog  xal  ov  ttoqqùì  iov  <PaXdv&ov  deXtpig.  Qui 
è  luogo  da  dimandarsi  come  Aristotele  abbia  scritto  che 
tipo  solenne  del  nummo  tarantino  è  l'eroe  Taranto  figlio 
di  Nettuno  che  cavalcali  delfino  (Pollux,  IX,  80):  'ÀQiazo- 
TéXrig  iv  Tjj  TagavTsCt'cov  noXizsCa  «aXalOdaC  cpì]Oi  vóp,iaj.ia 
nad  aixoXg  vovi-ii-iov,  ftp'  ov  èvrszvnàad-ai  Tagavra  tòv 
IlotìsiSàvog  SsXqiìvi  Ì7io%ovnsvov.  I  Tarantini  certamente 
nel  donativo  mandato  a  Delfo  non  posero  il  delfino  accanto 
a  Taranto ,  ma  presso  Palante ,  e  la  tradizione  che  narra 
di  Palante  salvato  dal  naufragio  per  opera  d'un  delfino  non 
racconta  dell'eroe  figlio  di  Nettuno  che  approdasse  a  Ta- 
ranto cavalcando  un  delfino.  Bisogna  però  dire  che  i  Ta- 
rantini attribuissero  a  Taranto  quell'avventura  ohe  si  nar- 
rava di  Palante,  forse  anche  volendo  alludere  all'oracolo  di 
Delfo. 

I  Partenii  trasportarono  seco  da  Amicle  il  culto  di  Apollo 
Giacinto,  e  a  costui  costruirono  un  sepolcro  (Polyb.  fragni. 
L.  Vili,  30,2)  foggiato  verisimilmente  ad  imitazione  di 
quello  che  in  forma  di  ara  serviva  di  base  in  Amicle  al 
colosso  di  Apollo.  Instituirono  anche  in  suo  onore  feste 
solenni,  tolsero  inoltre  a  tipo  nelle  monete  incuse  l'Apollo 
G-iacinto,  che  rappresentarono ,  come  ben  l'intese  il  Duca 
de  Luj-nes  (Ann.  Instit.  t.  II  p.  340  pi.  M,  3),  con  la  lira 
nella  sinistra  e  in  atto  di  elevare  il  fiore  del  giacinto  (ib. 
pag.  24-26).  Il  Bocchette  ammette  Apollo,  ma  gli  vorrebbe 
porre  nella  destra  la  pianta  satt/rion  [Mém.  de  numism. 
pag.  192),  come  per  alludere  al  campo  satjjrion,  dove  il 
suo  oracolo  aveva  ingiunto  che  Taranto  si  edificasse.  Ma 
si  osservi  che  l'oggetto  tenuto  da  Apollo  colle  due  prime 
dita  e  che  appressa  agli  occhi  non  è  una  pianta  quale  il 
satyrion,  e  la  cynosorchis,  il  cui  valore  è  nella  radice,  sib- 
bene  im  fiore  della  specie  dei  giacinti. 

Non  sappiamo  qual  forma  di  governo  introdusse  Palante  in 
questa  colonia.  Possiamo  però  credere  che  si  servisse  di  quella 
degli  Spartani,  e  probabilmente  vi  stabilisse  un  magistrato 
supremo  col  nome  di  BaaiXevg  e  i  cinque  ispettori  od  efori, 
'come  gli  ebbe  di  poi  Eraclea ,  colonia   tarantina.  Uno  di 


cotesti  efori,  dava  il  nome  all'anno  e  dioevasi  perciò  epo- 
nimo. È  parere  dell'Avellino  che  il  nome  inscritto  sulle 
monete  sia  di  quest'eforo  eponimo,  ma  di  ciò  non  abbiamo 
prove  :  invece  io  osservo  che  il  costume  di  inscrivere  i  nomi 
dei  magistrati  sulle  monete  siasi  introdotto  quando  si  tolse 
a  tipo  la  milizia  equestre,  e  questo  mi  pare  che  appar- 
tenga all'epoca  del  governo  militare  :  allora  lo  ffTQarijyóg  era 
sostituito  al  BaaiXevg  ;  lo  che  avvenne  prima  della  guerra 
di  Pirro.  Questa  opinione  si  convaliderebbe  se  constando 
che  sulle  monete  s'inscriveva  l'eponimo  si  potesse  ricono- 
scere alcuno  degli  strategi;  ma  noi  finora  non  ne  cono- 
sciamo più  di  tre  :  questi  sono  Dinone,  Juvmv,  Archita,  'Ag- 
%vrag,  e  Agide,  '''Ayig,  che  non  si  sono  ancora  letti  sulle 
monete.  Spesso  non  uno  ma  due  o  tre  sono  i  nomi  abbre- 
viati, e  un  di  essi  talvolta  è  disteso,  che  si  leggono  sui 
campi  della  moneta.  Ciò  vale  a  provare  che  sono  nomi  di 
magistrati  monetali ,  ma  non  è  chiaro  se  la  diversità  del 
numero  sìa  apparente  o  reale.  L'Avellino  c'invita  a  considerare 
se  possa  cavarsi  alcun  partito  dalle  tavole  di  Eraclea,  dalle 
quali  si  rileva  come  ha  notato  il  Mazocchi,  ohe  di  ciascun 
personaggio  è  notata  la  tribù  (ò'/Sag  detta  dagli  Spartani), 
poi  lo  stemma,  poi  il  nome  personale:  e  però  quando  due 
sono  i  nomi  personali  l'un  d'essi  deve  spiegarsi  per  nota  ge- 
nealogica dell'altro.  Per  esempio  CE  TPinOYS  (t)lAnNYMO$ 
liiriYPISKil  dovrà  spiegarsi  così:  LE  (nome  della  tribù), 
stemma,  un  tripode,  nome  Philonymus  figlio  di  Zopyri- 
scus,  posto  perciò  in  genitivo  di  dorico  dialetto.  HE  KA- 
PYKEION  AnOAAUNIOS  IHPAKAHTA:  HE  (nome  della 
tribù),  stemma  caduceo,  nome  ApoUonius  Heracleti  etc. 
Ma  cotesta  considerazione  potrebbe  valere  se  le  sigle  dei 
nomi  fossero  insieme  unite  con  certa  dipendenza  e  non 
separate  e  sparse  pei  campi  del  dritto  e  del  rovescio. 
La  monetazione  di  Taranto  può  distribuirsi  in  tre  epoche  : 
la  prima  arcaica  coi  tipi  dei  fondatori  della  città  ;  la  se- 
conda nella  quale  domina  il  tipo  del  popolo  di  Taranto,  SijfjLog, 
la  terza  nella  quale  campeggia  la  milizia  equestre,  mentre 
sugli  aurei  sono  rappresentate  le  imagini  del  culto.  Le  fra- 
zioni inferiori  al  diadrammo  e  la  moneta  di  bronzo  portano 
queste  ed  altre  particolarità  della  città  e  delle  campagne. 

I  Eomaui  condussero  nel  631  una  colonia  a  Taranto,  città 
federata ,  e  questa  colonia  fu  ,  come  dicevasi  allora,  con- 
tributa (Plin.  Ili  n.  99),  o  sia  attribuita  e  assegnata  di 
modo  da  comporre  ima  città  sola,  che  denominarono  Nepl/u- 
nia  Tarentum. 

Le  prime  monete  dei  Tarantini  appartengono  ad  un'epoca 
di  transizione,  siccome  si  fa  palese  dall'uso  promiscuo  dei 
due  alfabeti,  l'arcaico  nel  quale  è  la  lettera  3  con  la'  i,  ed 
il  più  recente  dove  si  trova  la  1  e  la  ?. 

I  tarantini  chiamano  vóf-wg,  lex,  ovvero  voìi/.i^uog  la  mag- 
giore unità  di  argento  :  questa  da  principio  ebbe  di  peso 
grammi  otto,  nei  tempi  più  recenti  sette  e  anche  sei.  La 
metà  del  i'ó,«oj  in  vece  della  nota  di  valore  si  riconosce  al 
mezzo  ippocampo,  che  ne  è  il  tipo  e  che  si  vede  intero  nel 
rói.iog  predetto.  Ogni  mezzo  vóiiog  si  suddivide  in  quattro 
parti  ohe  si  dicono  oboli,  ogni  obolo  ha  sotto  di   sé  dieci 


T.  XCVII 


CALABRIA 


125 


uuilà  iuforiorì,  che  si  dicono  once  :  il  vòftog  adunque  vale 
ottanta  once.  Sappiamo  che  in  Siracusa  la  maggiore  unità 
dividevasi  doppiamente  ;  v'era  VhcinUUrion  e  il  pentoncion, 
e  vuol  diceva  che  v'era  doppio  sistema,  quello  della  litra  e 
quello  degli  oboli:  ciascuna  litra  si  suddivideva  in  dodici 
parti  e  ciascun  obolo  in  dieci:  la  metà,  della  litra  con- 
stava di  sei  parti  e  dicevasi  hemilitrion  e  la  metà  del- 
l'obolo constava  di  cinque  parti  che  dicevansi  once  e  il  suo 
nome  era  pentoncion.  Tutto  ciò  l'abbiamo  daAristotele,  il 
quale  nomina  anche  gli  spezzati  inferiori,  ma  non  il  tetranle 
che  però  abbiamo  imparato  da  Esichio  :  sono  adunque  que- 
sti i  loro  nomi  e  i  segni:  rsTgàg  ::  TQ(àg  .-.  sSàg  {^i'ìdrTiof  ):, 

e  òyxi'a  ■  la  litra  si  calcola  a  gr.  0,87,  l'obolo  a  gr.  0,73.  A 
conoscere  il  valore  di  cotesti  spezzati  fa  d'uopo  guar- 
dare i  globetti  che  sono  le  note:  e  però  i\  jjentoncion  ha 
cinque  globetti,  V hemilitrion  ne  ha  sei.  Questo  è  sicuro  : 
che  quanto  al  peso  non  è  da  fidarsene,  variando  in  guisa 
che  non  si  può  talvolta  esser  certi  se  una  monetina  sia 
litra  od  obolo.  Però  io  sostengo  che  non  vi  sono  prove  si- 
cure della  litra  tarantina  voluta  dal  Mommsen,  fino  a  tanto 
che  si  trovi  un  hemilitrion  o  sia  una  monetina  notata  di  sei 
globetti,  come  si  trova,  e  si  è  trovato  il  pentoncion.  La 
moneta  tarantina  o  sia  il  rovi.ifios  sia  d'argento  ovvero  di 
oro  si  divide  earualmente.  L'unità  masafiore  u^uagrlia  il  di- 
dramme  attico  gr.  8,73  la  sua  metà,  o  dramma,  ha  gr.  4,34: 
indi  il  tetrobolo  gr.  2,91,  il  triobolo  gr,  2,18,  il  diobolo 
gr.  1,46,  l'obolo  gr.  0,73.  Le  prime  monete  serbano  l'ima- 
gine  di  Satyra,  ninfa  locale,  e  di  Taranto  o  Palante  sul  del- 
fino: poi  l'Apollo  di  Amido  soprannominato  Giacinto.  A 
questi  che  possono  chiamarsi  fondatori  o  yaiarcd  succede  il 
SfjHog  or  vecchio  or  giovane  non  senza  ima  allusione  a 
nuova  forma  di  governo  :  la  conocchia  di  lana  e  il  cratere 
di  vino  significano  i  vantati  prodotti  del  suolo  tarantino. 
É  ancora  indizio  di  una  nuova  forma  di  governo  il  ve- 
dere cangiato  il  tipo  del  (fj;,«os,  in  quello  della  milizia 
equestre.  Sapevamo  da  Eliano  (  Taci.  43)  e  da  Suida  (s.  v. 
ÌTziziy.r-),  che  doppie  furono  le  armi  dei  cavalieri  tarantini, 
lo  scudo  e  la  lancia,  e  due  o  piuttosto  tre  i  modi  di  com- 
battere. V'erano  dei  cavalieri  armati  di  aste  e  di  scudo 
(tav.  XCYIII,  8,  17,  20),  e  costoro  portavano  le  aste  dal  lato 
deUo  scudo,  come  osserva  l'Hermann  (Aesch.  VII  ad  Teb. 
V.  605  p.  321.  Lips.  1852).  V'erano  di  quelli,  che  portavano 
soltanto  l'asta,  e  questi  propriamente  dicevansi  dooavoffÓQoi, 
assalendo  il  nemico  e  combattendo  da  vicino.  Altri  porta- 
vano soltanto  giavellotti  da  scagliare:  ol  'xh-,  dice  Suida, 
dooaTiov  xoòivTui,  oì  xaJ.ovyruL   Taouvrìvoi  (ib.  18):  costoro 

combattevano  da  lontano  o  chiamavansi  dy-go^oAtozcd;  e 
quando  erano  a  cavallo  dicevansi  InnaxovTWzaC,  scrive  il 
sopranominato  Suida,  ot  éè  fióvov  àxovTi^ovaiv,  slg  ystqag 
Sé  ToTg  no),six[oig  ovf_  ioyovxai,  y.al  y.aXovOiv  iTrnccy.ovTi- 
avcd.  Costoro  propriamente  si  appellavano  tarantini,  ló((og 
TccqurvTivoi.  V'erano  inoltre  di  quei  che  portavano  due 
giavellotti  che  scagliavano  da  lontano  ;  ma  venuti  da  presso 
prendevano  a  combattere  coll'asta.  Di  queste  maniere  ab- 
biamo esempi  sulle  moneta  (ib.   13,  16,  17).  È  probabile 


che  vi  avessero  anche  arcieri  a  cavallo  iTtnoxo^óxcci,  l'uso 
dell'arco  e  deUe  frecce  è  certo ,  vedendosi  queste  armi 
nelle  mani  dell'eroe  cavalcante  il  delfino  (ib.  7,  13).  La 
corsa  con  un  cavallo,  rò  Inmxóv,  ha  piìi  esempii  sui  num- 
mi (ib.  1,  4)  dove  anche  si  vede  quella  che  si  faceva  con 
due  cavalli  a  cambiamento  da  quei  cavalieri  che  dicevansi 
cqitfiJTTToi,  desultorii  (ib.  25).  Questi  montavano  sui  cavalli 
a  bisdosso  e  li  menavano  alla  corsa  legati  insieme  :  xcà 
ànifiTcnoi  /.ih'  ol  ini  SvoTv  cIqtqo'ìtoiv  OviSsSsixs'riai'  ó^oi'- 
,(tsj'o(  (Suid.  V.  ÌTrjrixij).  Le  corse  a  cavallo  nelle  quali  i 
cavalcanti  correndo  di  galoppo  si  passavano  le  lampade 
accese  e  dicevansi  Xaiunccóoógófioi,  si  vedono  accennate  in 
quel  solo  cavaliere  che  porta  la  fiaccola  accesa  (ib.  13).  Sotto 
questo  governo  cominoiossi  a  coniare  la  dramma. 

14.  Nella  collez.  mia.  Taranto  sul  delfino  va  a  destra;  dietro 
TAPAi  sotto  conchiglia.  B.  Euota  a  quattro  raggi  simi- 
lissimi  a  quelli  dei  carri  dipinti  sul  vaso  chiusino  detto 
del  Francois  (vedine  il  frammento  dato  dairHeydemann(/lnn. 
Instit.  1868  tav.  d'agg.  D). 

15-16.  Nella  collezion  mia.  Taranto  a  cavallo  del  delfino  va  a 
destra  e  si  reca  un  polpo:  di  sotto  n.  15  MQAT,  n.  16  TAPA^. 
R.  Cavallo  marino  alato  volto  a  d.  di  sotto  una  conchiglia  : 
nel  n.  15  l'epigrafe  M^AT  è  cosi  scritta  al  riverso. 

17.  Testa  di  donna  diademata  volta  a  d.  coi  capelli  annodati 
alla  estremità  in  forma  di  pomo  :  dietro  la  testa  è  un  globo- 
letto,  lì.  Taranto  sul  delfino  a  d.  stende  la  mano  sinistra 
e  appoggia  la  destra  al  delfiuo  :  dietro  TAPA?  ili  sotto  un 
turbine  marino. 

18.  Testa  giovanile  tosata  a  s.;  alla  nuca  un  globetto.  R.  Ta- 
ranto sul  delfino  colle  braccia  protese  a  s.,  TAPA?  a  d., 
di  sotto  conchiglia. 

19.  Testa  giovanile  diademata  a  s.  chiusa  come  la  precedente 

in  un  cerchio  rilevato.  R.  Taranto  sul  delfino  protende  am- 
bedue le  mani  andando  a  sinistra,  dietro  TAPA^ 

20.  Testa  di  donna  coi  capelli  raccolti  in  massa  sul  vertice  e 
diademata  volta  a  d.  dietro  AT.  R.  Mezzo  ippocampo  alato 
volto  a  d.  sotto  conchiglia  e  l'epigrafe  iM 

21.  Nella  collezion  mia.  Testa  di  donna  coi  capelli  lunghi  alla 

cervice  e  '  desinenti  in  un  globetto  volta  a  d.  R.  Mezzo  ip- 
pocampo alato  volto  a  sin.  sotto   conchiglia  ;'  a  d.  TAPAS 

22.  Museo  di  Milano.  Testa  di  donna  coi  capelli  ripiegati  alla 

nuca  e  cinta  di  diadema  volta  a  d.  entro  una  corona  di 
lauro.  R.  Giovane  nudo  Palante  sul  delfino  colle  mani  pro- 
tese andando  a  destra,  di  sotto  una  conchiglia,  dietro  MJIAT 

23.  Nella  collezione  Luyues.  Taranto  sul  delfino  a  destra:  die- 
tro ^flJIflT  retrogrado.  R.  Lo  stesso  tipo  incuso,  dove  Ta- 
ranto va  a  sinistra,  e  la  leggenda  TAPAS  va  da  sinistra 
a  destra. 

24-26.  Giovane  nudo  genuflesso  diademato  volto  a  sin.  con  lira 
nella  sin.  in  atto  di  accostare  im  fiore  aperto  agli  occhi, 
davanti  5AJIAT.  R.  Lo  stesso  tipo  in  incavo.  L'esemplare 
24  è  nella  coli.  Luj'nes,  il  25  in  quella  del  Dupré,  il  26 
è  nel  gabinetto  delle  medaglie  a  Parigi.  Tutti  e  tre  que- 
sti didrammi  hanno  presso  la  mano  desti'a  a  minutissime 
lettere  nro  dal  Kochette  supplito  mohoì'xog. 


126 


CALABRIA 


T.  scvm 


27.  Uomo  barbato  coi  capelli  lunghi  vestilo  di  semplice  pallio 
alla  esomide  sedendo  ha  nella  sin.  una  conocchia  di  lana 
nella  destra  un  vaso  a  due  manichi  volto  a  d.  dietro  TAPA5 
R.  Taranto  sul  delfino  stende  le  mani  a  destra,  sotto  la 
conchiglia  a  sin.  ^AQAT 

28.  Uomo  barbato  sedente  volto  a  sin.  e  sdraiato l'a- 

scella sinistra  col  bastone  :  veste  un  semplice  pallio  che  lo 
involge  lasciando  nuda  la  metà  superiore:  ei  solleva  la 
destra  mostrando  la  conocchia  di  lana:  intorno  al  campo 
è  una  corona  di  lauro.  B.  L'eroe  Palante  come  nei  nn.  27, 
28:  l'epigrafe  è  Idni/IITl/lAqAT 

29.  Giovine  involto  a  mezzo  nel  pallio  sedente  a  d.  in  atto 
di  appoggiar  la  destra  ad  un  bastone  e  tenere  colla  d. 
un  vaso  a  due  manichi  :  dietro  logoro.  R.  Taranto  sul  del- 
fino protende  le  mani  a  sin.  sotto  la  conchiglia,  dietro 
TARA5 

30.  Giovane  sedente  con  bastone  alla  s.  e  conocchia  di  lana 
nella  d.  B.  Taranto  sul  delfino  va  a  d.  e  protende  la  mano 
sinistra  appoggiando  al  delfino  la  destra,  sotto  la  conchi- 
glia, intorno  TAPANTINilN 

81.  Giovane  sedente  involto  a  mezzo  nel  pallio  con  nella  de- 
stra protesa  un  vaso  .e  il  tridente  nella  sinistra.  R.  Taranto 
sul  delfino  che  va  a  destra  portando  nella  destra  un  polpo: 
di  sotto  al  delfino  è  una  conchiglia;  l'epigrafe  manca  (Hun- 
ter,  Tav.  LV  n.  7). 

32.  Nella  collez.  mia.  Giovane  nudo  sedente  sul  pallio  gittate 

sulla  coscia  destra  alla  bestiuola  che  è  forse  un  gatto 
e  si  è  levato  sulle  due  zampe,  mostra  per  giuoco  e  tra- 
stullo un  bastoncello  coi  lucignoli  di  lana  intorno  avvolti 
aizzandolo  alla  presa,  mentre  nella  sinistra  pendente  perla 
il  ^uaTQoXì'jxvdor,  ossia  un  vasellino  di  olio  insieme  con 
una  striglie,  strumenti  da  bagno  e  di  palestra.  /?.  Taranto 
sul  delfino  a  sin.  con  in  capo  un  elmo  cristato,  una  parma 
nella  sin.  e  una  pianta  nella  destra  :  di  sotto  è  un  tonno, 
intorno  al  campo  TAQAUTINil.  Quella  bestiuola  che  ho 
dubitativamente  chiamato  gatto  si  è  da  me  procurato  col- 
r aiuto  di  altri  esemplari  che  fosse  bene  espressa:  a  me, 
come  sembrò  al  sig.  Lenormant,  pare  un  gatto. 

33.  Giovane  sedente  sul  pallio  come  quello  del  n.  32  ;  ma  sul 
dorso  della  destra  porta  un  uccello  e  nella  sin.  dimessa 
una  conocchia  di  lana.  R.  L'eroe  sul  delfino  a  sin.  imbrac- 
cia uno  scudo  beotico,  la  destra  è  fuor  di  conio  :  sotto  vi 
è  la  conchiglia. 

34.  Parigi  gab.  delle  med.  (Raoul-Eoch.  Meni,  numism.  p.  1, 
IV  n.  34).  Giovane  sedente  involto  a  mezzo  nel  pallio 
poggia  il  pie'  destro  sull'imbasamento  di  un  sepolcro,  il  cui 
coperchio  è  di  forma  piramidale.  R.  Taranto  sul  delfino  e 
va  a  sin.  con  un  aplustre  nella  destra  e  la  sinistra  appog- 
giata sulla  fiera  che  cavalca. 


Tav.  XCVIII. 

1.  Taranto  sul  delfino  e  vi  appoggia  la  sinistra  portando  nella 

destra  ima  pianta  a  tre  foglie  e  breve  stelo  (Plin.  H.  N. 

XXVI,  19,  62,  63)  qual  è  il  Satyrion  ;  di  sotto  TAPA«.  R. 


Giovane  nudo  a  cavallo  di  gran  galoppo  volto  a  d.  di  sotto 
al  ventre  del  cavallo  I 

2.  Taranto  sul  delfino  a  sin.  con  un  vaso  a  due  manichi  nella 

d.  sotto  TAPAS.  R.  Giovane  nudo  che  agita  il  frustino 
esercitando  il  cavallo. 

3.  Taranto  sul  delfino  volto  a  sin.  scorrendo  sui  flutti  con  un 

ramo  nella  sin.  R.  Giovane  equestre  con  frusta  nella  d. 
della  quale  si  vede  chiaro  il  mozzone  già  quasi  ultimo  sver- 
zino, che  serve  a  fare  gli  schiocchi:  i  suoi  capelli  son  le- 
gati in  un  ciuifo  sul  vertice  alla  xÓQVfi^og. 

4.  Collezione  Sant.  Taranto  sul  delfino  in  mare  tempestoso  va 

a  d.  protendendo  la  sinistra.  R.  Giovane  equestre  che  va 
a  d.  appoggiando  la  d.  sul  dorso  del  cavallo. 

5.  Nella  collezion   mia.  Taranto    sul  delfino  va  a  sin.  recando 

nella  d.  un  vaso  a  due  manichi,  di  sotto,  TAPA5  R.  Pan- 
tino  a  cavallo  coi  capelli  legati  in  forma  di  pennacchio  sul 
vertice  :  davanti  a  destra  v'è  un  erma  d'uomo  barbato,  fra 
le  gambe  del  cavallo  sono  due  spighe  di  grano  sui  loro 
gambi. 

6.  Taranto  assiso  sul  delfino  in  attitudine  mesta,  di  sotto 

R.  Giovane  sul  cavallo  che  va  di  passo  a  sin.  Egli  è  nudo 
ed  imbraccia  un  clipeo:  tra  le  gambe  del  cavallo  A. 

7.  Nella  collezione  mia.  Taranto  sul  delfino  volto  a  destra  con 

arco  e  freccia  nelle  mani:  sotto  un  elefante,  sopra  TAPA$ 
R.  Giovane  nudo  che  stando  davanti  al  cavallo  colla  sin. 
ne  ritiene  le  briglie  e  al  fantino  ohe  lo  cavalca  parla  col 
dito  disteso,  come  chi  prescrive:  tra  le  gambe  del  cavallo 
API^Tin  dietro  al  fantino  TV. 

8.  Taranto  sul  delfino  che  scorre  sulle  onde  del  mare  porta  un 

tridente:  a  d.  TAPA^  sotto  al  delfino  K.  R.  Giovane  a  ca- 
vallo armato  di  galea  crestata,  di  clipeo  e  di  lanciotto. 

9.  Taranto  sul  delfino  con  una  conchiglia  in  mano,  di  sotto  TA 

e  TAPAS.  R.  Fantino  nudo  con  parma  e  lanciotto  in  atto 
di  saltar  giti  dal  cavallo,  sotto  P. 

10.  Nella  coli.  mia.  Taranto  sul  delfino  con  parma,  sulla  quale 

è  l'insegna  di  un  ippocampo  e  due  lanciotti  nella  sin.  so- 
stiene sulla  destra  una  Vittorietta  che  l' incorona,  dietro 
TAPA5,  a  sin.  FY.  R.  Due  giovani  nudi  a  cavallo  con  semplice 
clamide  svolazzante  sugli  omeri;  uno  ha  la  clava  nella  sin.: 
nel  mezzo  (JJY  in  mon.;  fra  le  gambe  dei  cavalli:  KAAAIN 

11.  Nella  coli.  mia.  Taranto  seduto  a  sin.  del  delfino  nuotante 
con  parma  e  tridente,  dietro  TAPAS:,  sotto  al  delfino  A. 
R.  Cavallo  stante  volto  a  d.  con  un  giovane  nudo  che  sta 
per  montarvi  sopra  ed  è  armato  di  elmo  crestato,  di  cli- 
peo e  di  lancia  a  cui  si  appoggia:  a  destra  è  un  h. 

12.  Da  un  calco.  Taranto  sul  delfino  con  capelli  lunghi  che 
gli  cadono  sull'omero  sinistro  con  conocchia  di  lana  nella 
sin.  e  grappolo  d'uva  nella  d.  sull'omero  destro,  di  dietro 
a  destra  ANO,  di  sotto  al  delfino  TAPAS.  R.  Giovane  a 
cavallo  con  elmo  crestato,  due  lanciotti  e  un  clipeo  deco- 
rato di  un  astro,  dietro  /V\,  sotto  al  cavallo  l-l  e  presso 
all'orlo   inferiore  ADOAA... 

13.  (Carelli,  tav.  n.  151).  Taranto  sul  delfino  col  capo  coperto 
di  una  causia  recando  frecce  nelle  due  mani:  a  destra 
TAPAS,  a  sin.  XP  in  mon.,  sotto  al  delfino  un  vaso  a  due 


T.  XCIX 


CALABEIA 


127 


manichi  e  A.  7?.  Giovane  nudo  che  corre  a  cavallo  por- 
tando una  fiaccola  accesa  nella  d.  sotto  hHPAKAH. 

14.  Nel  museo  di  Vienna.  Taranto   sul  delfino,  coronato    con 

tridente  nella  sin.  e  porta  un  vaso  a  due  manichi  nella  d. 
allato  S,  sotto  TAPAS.  R.  Due  giovani]  a  cavallo  coperti 
di  elmo  e  con  clamide  aifil>biata  sull'omero  vanno  di  ga- 
loppo a  destra,  nel  basso  NIKYAOS. 

15.  Taranto  sul  delfino  con  tridente  appoggiato  all'  omero  de- 

stro e  parma  nella  sin,  insignito  di  un  ippocampo  alato  : 
■  avanti  01  dietro  TAPA^  :  sotto  conchiglia  turbine.  E.  Gio- 
vane a  cavallo  armato  di  elmo  cristato,  di  scudo,  di  due 
lanciotti  e  in  atto  di  scagliare  un  terzo  lanciotto  va  di  ga- 
loppo a  destra  :  sotto  AAl. 

16.  Nella  coli.  mia.  Taranto  sul  delfino  a  sin.  con  conocchia  di 

lana,  nella  d.  Un  ciuffo  dei  lunghi  capelli  egli  porta  ele- 
vato sulla  fronte  :  dietro  TAPAS,  di  sotto  vi  è  la  prua  di 
una  nave.  R.  Giovane  nudo  a  cavallo  con  clipeo,  due  lan- 
ciotti e  in  atto  di  scagliarne  un  terzo  :  sotto  TA. 

17.  Nella  coli.  mia.  Taranto  sul  delfino  a  d.  con  in  mano  una 

galea  fornita  di  visiera,  paraguatidi  e  ad  alta  cresta  e  die- 
tro TAPAS,  sotto  01.  R.  Giovane  nudo  a  cavallo  con  cli- 
peo, due  lanciotti  e  in  atto  di  scagliarne  un  terzo.  Nel 
campo  AA,  sotto  al  cavallo  KAA  e  $1. 

18.  Nella  coli.  mia.  Taranto  sul  delfino  volto  a  sin.  con  un  cor- 
nucopia nella  sin.  e  un  vaso  a  due  manichi  nella  d.  nel 
campo  a  d.  un  tripode,  sotto  TAPA^.  R.  Giovane  a  ca- 
vallo armato  di  corazza  in  atto  di  scagliare  un  giavellotto, 
dietro  ima  corona  di  lauro,  sotto  OAYMPIS. 

19.  Taranto  sul  delfino  nuotante  a  sin.  eleva  la  destra  con  un 

oggetto  a  destra  1AT,  sotto  una  conchiglia.  R.  Giovane 
a  cavallo  con  in  capo  un  elmo  a  larga  gronda  e  acumi- 
nato vestito  di  tunica  esomide,  che  lancia  un  giavellotto. 

20.  Coli.  Luynes.  Taranto  sul  delfino  nuotante  con  clamide  svo- 

lazzante, con  tridente  sull'omero  destro  volto  a  sin.  coro- 
nato dalla  Vittoria:  sotto  al  delfino  A  a  d.  TAPA^.  B. 
Giovane  a  cavallo  armato  di  elmo  crestato,  e  di  clipeo, 
e  di  un  lanciotto  che  porta  nella  destra,  ha  indosso  la  cla- 
mide, sotto  al  cavallo  AA. 

21.  Taranto  sul  delfino  nuotante  con  elmo  trifale  in  capo  e 
tridente  appoggiato  sull'omero  destro  solleva  colla  sinistra 
la  sua  clamide:  di  sotto  è  un  polpo  a  sin.  TAPA^  a  d. 
Sii  in  monogramma.  R.  Giovane  a  cavallo  volto  a  destra 
va  di  trotto  :  è  armato  di  elmo  trifale,  di  corazza,  di  para- 
zonio  sotto  l'ascella  sinistra,  di  clamide  e  solleva  in  alto 
la  destra:  dietro  TK  in  mon.  e  un  campanaceio  di  sotto 
SENOKPATHS:. 

22.  Taranto  sul  delfino  col  tridente  nella  sin.  è  coronato  dalla 
Vittoria:  alato  ^E,  sotto  TAPAS.  R.  Uomo  barbato  a  ca- 
vallo armato  di  corazza  e  clamide  andando  di  galoppo  a 
destra  si  volge  di  fronte  e  spande  la  destra  mentre  è  co- 
ronato dalla  Vittoria,  ^disotto  KAAAKPATHS  (cosi)  e  in  mi- 
nutissimo carattere,  a  sin.  vi  si  legge  EFIKPA  in  un  mono- 
gramma sul  quale  è  una  luna  crescente. 

23.  Taranto  siede  di  prospetto  sul  delfino  volto  a  d.  e  dà  un 

colpo  di  tridente  ad  un  pesce  che  guizza  sulle  onde:  a  d. 


TAPAi.  a  sin.  C  e  una  lamina  quadrata.  R.  Giovane  nudo 
che  rattiene  il  cavallo  del  fantino  il  quale  è  coronato  dalla 
Vittoria:  sotto  il  cavallo  I 

24.  Nella  coli.  Lippi  in  Biccari.  Taranto  siede  sul  delfino  che 

nuota  a  sin.  e  porta  una  parma  nella  sin.  e  nella  d.  un 
vaso:  a  d.  TA,  sotto  il  delfino  P.  R.  Fantino  che  corona 
il  suo  cavallo  mentre  un  giovanetto  in  ginocchio  cava  l'xm- 
ghia  del  pie'  sinistro  anteriore  :  davanti  (j). 

25.  Nella  coli,  mia  Didrammo  foderato.  Taranto  sorto  in  piedi 
punta  un  ginocchio  sul  dorso  del  delfino  nuotante  e  te- 
nendo nella  sinistra  la  parma  e  due  lanciotti  stende  a  sin. 
la  mano  :  ivi  TAPAS  e  lOP.  R.  Una  vittoria  alata  con  ciiiifo 
di  capelli  legato  sul  vertice  fattasi  incontro  al  cavallo,  il 
trattiene:  il  cavaliere  che  vi  sta  sopra  è  armato  di  galea 
crestata,  e  di  parma  con  due  lanciotti. 

26.  Taranto  sedente  di  prospetto  sul  delfino  scaglia  un    colpo 

di  tridente  ad  un  pesce  che  nuota  fra  le  onde,  a  sin.  TA- 
PAS,  a  d.  A.  R.  Due  cavalli  volti  a  sin.  con  un  fantino 
desultor  che  cavalca  ed  è  coronato  dalla  Vittoria,  sotto  01. 

27.  Taranto  sul  delfino  volto  a  d.  con  tridente  nella  sin.  e  cor- 

nucopia nella  d.  dietro  un  oggetto  simile  ad  un  suggello 
in  lamina;  sospeso  per  un  manico,  sotto  TAPAS.  R.  Pan- 
tino  a  cavallo  volto  a  d.  coronato  dalla  Vittoria:  davanti  EYN, 
sotto  AAMOKPIT 

28.  In  mezzo  ai  flutti  del  mare  dai  quali  è  tutto  intorno  cinto 

il  campo,  Taranto  siede  sul  delfino  volto  a  d.  egli  di  pro- 
spetto ferisce  di  un  colpo  di  tridente  un  pesce  :  a  destra 
TAPAì.  R.  Fantino  corona  il  cavallo  che  trotta  a  destra 
mentre  egli  è  coronato  da  ima  Vittorietta  sospesa  a  volo, 
tra  le  gambe  del  cavallo  AP. 


Tav.  XCIX. 

1.  Taranto  sul  delfino  volto  a  sin.  con  una  conocchia  di  lana  nella 

sin.  ha  capelli  lunghi  e  scendenti  sugli  omeri,  e  stivaletti 
ai  piedi:  dietro  ANO  di  sotto  al  delfino  TAPA?  R.  Giovane 
nudo  sul  cavallo  che  va  di  trotto:  ei  si  corona:  dietro  i.Sl 
sotto  il  cavallo  SAAO  e  un  capitello  gionico  sul  collarino 
della  colonna. 

2.  Mia  coli.  Taranto  sul  delfino  volto  a  sin.  in  atto  di  lanciare 

un  colpo  di  tridente  avendo  la  sua  clamidella  sul  braccio 
sinistro  disteso:  dietro  ha  una  civetta,  nel  busto  TAPA$. 
R.  Fantino  che  andando  di  trotto  a  sin.  corona  il  suo  ca- 
vallo :  dietro  EY  tra  le  gambe  del  cavallo  AYKINO^ 

3.  Taranto  sul  delfino  a  sin.  con  tridente  nella  sin.  e  nella  d. 

ivi  E  e  a  destra  un  erma  barbato;  sotto  il  delfino  TAPAS 
R.  Vittorietta  che  corona  il  fantino  nel  mentre  egli  corona 
il  suo  cavallo  ohe  trotta  a  destra  :  davanti  K  tra  le  gambe 
APl«TOKPATH? 

4.  Coli.  Sani.  Taranto  sul  delfino  a  sin.  con  vaso  nella  d.,  die- 

tro MY  in  mon.  R.  Giovine  nudo  a  cavallo  con  palma  lemni- 
scata nella  d.,  dietro  S,  in  basso  APISTIP,  di  sotto  TAPAì. 

5.  Nella  coli.  mia.  Dramma.  Taranto  sul  delfino  a  sin.  con  tri- 

dente nella  d.  e  Vittorietta  che  l' incorona  nella  sin.  da- 
vanti EflIK  in  monogramma,  nel  basso  TAPA^.   R.  Fantino 


128 


CALABKIA 


T.  XCIX 


che  va  di  trotto  sul  suo  cavallo  verso  la  destra  e  tenendo 
nella  sin.  un  ramo  di  palma  lo  incorona  :  tra  le  gambe  del 
cavallo  KPITO$ 

6.  Dramma  di  mia  coli.  Taranto  sul  delfino  nuotante  a  sin.  con 

vaso  a  due  manichi  nella  d.  e  tridente  nella  sin.  :  dietro 
un'  aquila  che  spiega  le  ali,  nel  basso  TAPAS.  R.  Cava- 
liere armato  di  corazza  e  d'elmo  con  palma  lemniscata  nella 
destra  va  di  trotto  verso  la  d.  fra  le  gambe  del  cavallo 
^nKAIMNA^ 

7.  Nella  coli.  mia.  Dramma.   Ilaranto    sul    delfino    a  sin.  con 

cornucopia  nella  sin.  e  Vittorietta  che  l'incorona  nella  d. 
nel  basso  TAPA^  R.  Fantino  che  incorona  il  cavallo  che 
va  di  trotto  a  sin.  a  d.  IH  tra  le  gambe  ^SHFENHl 

8.  Dramma  di  mia  coli.  Taranto  sul  delfino  a  sin.  con  oggetto 

incerto  nella  d.  e  tridente  nella  sin.  dietro  HPA  nel  basso 
TAPA^  R.  Fantino  che  corona  il  suo  cavallo  stante  fermo 
e  volto  a  d.  a  sin.  KAH  tra  le  gambe  del  cavallo  SHPAMBOS 

9.  10.  Testa  di  donna  diademata  a  sin.  e  al  n.  9  con  pendenti  agli 

orecchi.  R.  Fantino  che  corona  il  cavallo  andando  di  trotto 
a  d.  tra  le  gambe  TA  e  nn  delfino  ;  e  al  n.  10  un  cornu- 
copia a  sin. 

11,  12.  Testa  barbata  e  cinta  di  diadema  ornato  di  un  ramo 
d'ellera  volta  a  d.  R.  Civetta  di  fronte  e  lettera  A  a  d. 
nel  n.  12  vi  si  aggiugne  a  d.  INVANII! 

13.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  insignito  del  mostro  Scilla 
a  sin.  R.  Civetta  a  sin.  iQ.  a  d.  KNVANin 

14-19.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato  del  mostro  Scilla 
volto  a  d.  R.  Civetta  stante  sopra  un  ramo  di  olivo  ed  ha 
a  sin.  NEYMHNIOS,  da  destra  POAY;  nel  n.  15  è  H?TIA- 
PXO?  La  civetta  sta  sopra  un  fulmine  ed  ha  a  destra 
EY  e  un  bel  grappolo  d'uva;  nel  n.  16  sta  sopra  un  ca- 
pitello gionico  ed  ha  a  destra  TAP  ;  nel  n.  17  ha  sotto 
gli  artigli  un  serpe,  in  alto  l'epigrafe  (TA>PA(NTI)NilN  e 
a  d.  iSl,  essa -ha  le  ali  aperte;  nel  n.  18  ove  la  nottola 
ha  davanti  un  ramo  di  olivo  vi  si  legge  TAP  e  a  d.  lOP 
nel  n.  19  al  dritto,  che  solo  si  rappresenta,  essendo  il  ri- 
verso simile  al  n.  18,  la  Pallade  sta  quasi  di  fronte,  qual'è 
nel  Carelli  (Tav.  CXY),  l'elmo  è  TQi'cfa^.oc,  e  a  d.  il  mon.  \E. 

20-24.  Testa  d'uomo  ovvero  di  donna  talvolta  coi  capelli  tagliati 
corti  e  volta  or  a  destra  ora  a  sinistra.  R.  Conchiglia. 

25.  Testa  di  Ercole  coperta  da  pelle  di  leone.  R.  Delfino. 

26.  Coli.  Luynes.  Pennecchio  di  lana  attorno  ad  un  bastoncello 
dentro  corona  di  lauro.  R.  Clava  ed  arco  (Avellino,  RuU. 
arch.  nap.  1,  Vili,  2). 

27.  Ippocampo:  di  sotto  una  mezza  luna  (Avellino,  RuU.  arch. 
nap.  1,  VII,  10).  R.  Aratro  e  sopra  una  mezza  luna. 

28.  Coli.  Luynes.  Delfino  volto  a  sin.  coronato  dalla  Vittoria. 

R.  Conchiglia. 

29.  Coli.  Luynes.  Delfino  volto  a  d.  e  di  sotto  un  Palladio  e  A 

R.  Conchiglia. 

30.  Museo  Britannico.  Conchiglia.  R.  Ruota  (Poole,  Catal.  p.  168 

n.  58). 
81.  Vaso  scanellato  ad  un  manico.  R.  Aquila  di  prospetto  ad 

ali  aperte  dentro  una  corona  di  lauro  (Carelli,  n.  372). 
32.  Conocchia  di  lana,  di  sotto  AT.  /?.  Conchiglia  (Carelli,  n.  76). 


33.  Museo  di  Londra.  Kuota  a  quattro  raggi  ripetuta  nel  ri- 
verso (Poole,  Catal.  p.  168  n.  68). 

34.  Museo  di   Londra.   Conchiglia.    R.  Ruota  a  quattro   raggi 

(Poole,  Catal.  p.  168  n.  69). 

35.  Coli.  Luynes.  Delfino,  conchiglia,  M51AT  R.  Ippocampo 
alato  e  MSfltT.  a  sin. 

36.  Delfino  a  d.,  di  sopra  MSAT,  di  sotto  conchiglia  R.  con- 

chiglia. 

37.  Coli.  Luynes.  Taranto  sul  delfino  volto  a  d.  con  in  mano 
la  conocchia  di  lana,  sotto  TAPA^  R.  Cavallo  frenato  che 
corre  ad.  sopra  TA  (Carelli,  tav.  CXVH  n.  324);  cf.  Mil- 
lingen,  Ano.  coins,  1,  18). 

38.  Taranto  a  sin.  con  corno  potorio  nella  d.  e  ramo  di  palma 

nella  d.  R.  Conchiglia  pecten  (Carelli,  tav.  CXVII,  288). 

39.  Coli.  Luj'nes.  Taranto  sul  delfino  volto  a  sin.  con  vaso  nella 
d.  e  conocchia  di  lana  nella  sin.  ad.  S  R.  Conchiglia 
(Carelli,  n.  287). 

40.  Testa  di  donna  volta  a  d.  R.  Delfino,  pesce  e  TA  (cf.  Raoul 

Roehette,  Méin.  de  nwmism.  'pl.  I,  10). 

41.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  con  chioma  alla  nuca,  cinta 

di  laurea  volta  a  d.  R.  Ruota  a  quattro  raggi. 

42.  Dalla  coli,  mia,  ora  nel  parigino  gabinetto  delle  medaglie. 

Testa  di  Ercole  giovane  coperta  dalla  spoglia  del  leone  volta 
a  d.  R.  Pallade  armata  di  elmo  e  di  clipeo  in  atto  di  tirare 
un  colpo  di  lancia  volta  a  sin.  davanti  DK  in  mon.  Questa 
monetina  mi  fu  mandata  da  Gallipoli.  Il  Millingen  ne  incise 
un  altro  esemplare  nella  tavola  non  illustrata  pl.  Ili,  n.  5. 

43.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  volta  a  d.  R.  Ercole  fan- 

ciullo strozza  i  serpenti,  a  sin.  MY  in  mon.  (cf.  Millingen, 
Recueil.  t.  I,  13),  nell'  esergo  un  fulmine. 

44.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  quasi  di  prospetto.  R.  Er- 

cole che  lottando  con  Anteo  l'ha  sollevato  da  terra  e  lo 
stringe  alla  vita  colle  robuste  braccia:  a  d.  (J)l  (Carelli, 
tav.  CXVI,  282). 

45.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  coperta  di  aulopide  crestata 

con  lacci  pendenti.  R.  Ercole  che  doma  i  cavalli  di  Diomede  : 
nel  campo  TA,  ed  MY  in  mon.  (Carelli,  tav.  CXVL  283). 

46.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Minerva  con  elmo  corinzio  volta 

a  sin.  R.  Ercole  ritenendo  il  leone  per  la  coda  gii  dà  un 
colpo  di  clava  e;  a  d.  l'epigrafe  TAPA? 

47.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  di  prospetto  coperta  del 
trifale  ornato  del  mostro  Scilla.  R.  Ercole  che  ritenendo  il 
leone  per  la  coda  e  puntandogli  il  ginocchio  sul  fianco  gli 
dà  un  colpo  di  clava:  nel  campo  a  destra  un  tripode. 

48.  Nella  eoli.  mia.  Testa  di  Pallade  di  prospetto   coperta  da 

un  aulopide  con  due  creste  laterali.  R.  Ercole  di  prospetto 
strozza  a  destra  il  leone;  nel  campo  a  s.  è  la  clava  e  di 
sotto  im  oggetto  simile  ad  ima  pelta,  fra  le  gambe  AP  in 
mon.  a  d.  TAPA.. 

49.  Testa  di  Pallade  con  aulopide  crestata  volta  a  sin.  R.  Ercole 
stante  che  soffoca  il  leone,  a  d.la  clava,  a  sinistra  l'epigrafe 
TAPANTl(NilN) 

50.  Testa  di  Pallade  coperta  di  semplice  elmo  attico  volta  a  d. 

R.  Ercole  di  prospetto  soffoca  il  leone;  a  d.  TAPANTINnN 
tra  le  gambe  di  Ercole  f  a  sin.  la  clava. 


T.  C 


CALABEIA 


129 


51.  Tesla  di  PaUade  con  elmo  attico  ornato  di  un  ippocampo 
alato.  R.  Ercole  che  col  braccio  sinistro  soffoca  il  leone  e 
coUa  destra  mena  la  clava:  a  sin.  arco  e  faretra  (Carelli, 
t.  CXVI  n.  244). 

52.  Testa  di  Minerva  simQe  alla  precedente  :  di  sotto  al  mento  A 

R.  Ercole  coronato  che  soffoca  il  leone  :  a  sin.  TAY  in  mon. 
e  la  clava. 

53.  ìfeUa  coli.  mia.  Ercole  quasi  di  fronte  coperto  dalla  pelle 
di  leone  e  con  la  elava  da  presso  a  sin.  R.  Simile  al  n.  51: 
di  sopra  (T)A,  tra  le  gambe  d'Ercole  (p 


Tav.  C. 

1.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  a  d.  coperta  di  elmo  attico  or- 

nalo del  mostro  Scilla.  R.  Ercole  aggruppato  che  posata  la 
clava  coUe  braccia  soffoca  il  leone.  Sul  dorso  di  lui  si  legge 
in  carattere  minutissimo  A$XO.  Una  civetta  posa  sul 
tergo  del  leone  (cf.  Carelli,  tab.  CXVI,  276). 

2.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  attico  coronato  di  olivo  volta 

a  sin.  R.  Ercole  coronato  in  ginocchio  con  la  elava  nella  d. 
soffoca  colla  sin.  il  leone. 

3.  Testa  di  Pallade  a  d.  coperta  di  elmo  sul  quale  sono  distri- 

buiti tre  fiori  e  nel  basso  presso  la  gronda  Ve  im  A  i?.  Er- 
cole come  nel  n.  2  a  sin.  (TAR)ANTlNilN. 

4.  Testa  di  Pallade  a  sin.  con  elmo  ornato  d'un  dragone  :  dietro 

la  nuca  K  R.  Ercole  in  ginocchio  e  di  fronte  con  la  clava 
nella  d.  soffoca  il  leone. 

5.  Testa  di  Pallade  coU'  ippocampo  alato  sull'elmo  volta  a  d. 

R.  Ercole  deposta  la  clava  con  ambe  le  braccia  soffoca  il 
leone. 

6.  Testa  di  Pallade  con  l'aulopide  crestata  volta  a  d.  fl.  Ercole 

stante  in  piedi  e  di  prospetto  con  ramo  pomifero  si  ap- 
poggia alla  clava,  avendo  la  spoglia  del  leone  suUa  sinistra: 
a  sin.  i 

7.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato  di  un  grifo  volta  a 

d.  R.  Ercole  sedente  sulla  spoglia  del  leone  appoggia  col 
ginocchio  destro  la  clava:  a  sin.  si  legge  TAPANT 

8.  Gambaro  o  locusta  fi^a  due  opposte  lettere  >i-  R.  Conchiglia. 

9.  Mensa,  o  sedia  e  tra  i  piedi  un  K  e  un  ramoscello.  R.  Simile 

mensa  o  sedia.  Il  Minervini  avverte  che  in  altra  monetina  si 
lesse  dall' AveUino  TA,  che  confermò  l'attribuzione  da  lui  fatta 
della  prima  {Oss.  pag.  113).  Or.  il  sig.  Imhooff-Bl.  (ilonn. 
gr.  I,  3)  ne  descrive  un'altra,  dove  sotto  alla  mensa  o 
sedia  v'è  un  -T-  e  nel  riverso  di  sopra  la  sedia,  TAPA,  di 
sotto  T,  nei  lati  T — E,  e  nell'esergo  I. 

10.  Lira.  R.  Sedia  o  mensa  fra  i  cui  piedi  TA  e  un  uccello  che 
batte  le  ali  (cf.  Imhoff  Bl.  Monn.  gr.  I,  2  81  gr.  0,98). 

11.  Conocchia  di  lana  fra  due  astri,  una  mezza  luna  e  TA  R.  Sedia 

forse  sacra,  cioè  votiva,  vedi  la  nota  alla  Storia  deW  arte 
cristiana,  voL  I,  t.  216.  Il  sig.  Imhooff-Bl.  descrive  que- 
sto nummo  (J/onn.  gr.  p.  2,  4)  dal  Museo  di  Berlino,  e 
gli  dà  di  peso  gr.  0,81,  e  nota  che  il  Sambon  ha  preso  quella 
sedia  che  è  al  d.  per  letto;  U  Minervini  ed  altri  per  una 
mensa. 

12.  Testa  di  donna  volta  a  d.  R.  Lanterna  che  ha  di  sopra  in 


13. 

14. 
15. 

16- 


19. 
20. 


21. 

22. 


23. 


2.5. 

26. 
27. 

28. 


29. 


31. 


32. 


33. 


cima  al  coperchio  un  fiore  a  tre  foglie  sormontate  da  un 
uccello  ;  a  sinistra  una  massa  pendente  di  grossi  fili  a  guisa 
di  fiocco  (cf  Minervini,  Oss.  tav.  V,  4  a). 
Vaso  a  due  manichi  tra  le  lettere  Yi  R.  Lettera  f  entro 
corona  di  lauro. 

Vaso  a  due  manichi.  7?.  P  in  mezzo  ad  una  corona  di  lauro. 
Vaso   ad   un  manico.  R.  Lettera  P  dentro  una  corona  di 
lauro. 
18.  Due  protome  di  cavalli  accoppiate  nel  dritto  e  nel  ri- 
verso. Queste  sono  invece  accollate  nel  n.  16  e  al  dritto 
vi  si  vedono   aggiunte  due  mezze  lune  unite  dalla  parte 
convessa  di  sopra  e  di  sotto  delle  due  protome,  nel  riverso 
n'è  un  N  di  sotto.   11  n.    17   pone  al  dritto  le   due  pro- 
tome accollate,  al  riverso  le  medesime  accoppiate. 
Protome  di  cavallo  frenato  ripetuta  al  riverso  dove  ha  a 
destra  un  Palladio. 

Protome  di  cavallo  libero  al  dritto  e  al  riverso  :  ma  i  crini 
del  collo  variano  rabbuffati  e  svolazzanti  sul  dritto,  dimessi 
sul  riverso. 

Vaso  a  due  manichi.  R.  Verghe  decussate  e  K 
(Minerv.  Oss.  T.  VI,  5  pag.  116).  Vaso  a  due  manichi  ri- 
petuto al  riverso:  nel  dritto  vi  si  legge  KA:  nel  riverso 
si  hanno  tre  globoletti  segno  del  valore.  Di  qui  comincia 
la  serie  delle  monete  portanti  segni  di  valore. 
Testa  di  bue  posta  di  fronte  a  sin.  X  R.  Vaso  a  due 
manichi  fra  quattro  globoletti.  Nel  n.  23  vi  ha  un  globo- 
letto  sulla  testa  di  bue  e  i  globoletti  del  riverso  sono  cinque. 
Vaso  e  due  manichi  fra  cinque  globoletti.  R.  Ancora  lau- 
reata fra  ciaque  globoletti. 

Vaso  a  due  manichi  fra  cinque  globoletti  ripetuto  al  riverso. 
Vaso  simile  ripetuto  fra  tre  globoletti. 
Vaso  simile  al  dritto  e  al  riverso:  ma  al  dritto  è  in  mezzo 
ad  un  globoletto,  un  astro,  e  tm  cagnolino  :  al  riverso  sta 
fra  tre  globoletti. 

30.  Tipo  simile  al  precedente  ;  ma  nel  n.  29  sta  il  vaso  fra 
due  globoletti  e  un  tripode,  nel  riverso  fra  due  astri.  Xel 
n.  30  al  dritto  ha  un  globoletto  e  un  ramo,  al  riverso  è 
privo  d'ogni  segno. 

Testa  di  donna  posta  di  profilo  e  rappresentata  come  cinta 
di  serpenti.  R.  Vaso  a  due  manichi  in  mezzo  a  tre  glo- 
bettini  dei  cinque  che  avrebbero  dovuto  essere  a  conio  intero. 
Testa  di  donna  volta  a  destra  entro  una  corona  composta 
di  segmenti  di  c.erchio  che  di  certo  debbono  significare  la 
pelle  di  capra,  aegis.  R.  Vaso  a  due  manichi  in  mezzo  a 
cinque  globoletti  e  sormontato  da  un  € 
Testa  di  donna  volta  a  sin.  in  mezzo  a  cinque  globoletti. 
R.  Lanterna  con  lacci  da  portarla  sospesa  :  sta  in  mezzo  a 
cinque  globoletti.  Il  Minervini  (^Oss.  Tav.  V,  4)  ne  pub- 
blica una  simile,  dove  però  alla  testa  del  dritto  volta  a  sin. 
spunta  un  corno  sulla  fronte  e  vi  sono  quattro  globetti. 
Nel  riverso  è  una  piccola  torre  e  vi  apparisce  un  solo  glo- 
betto.  n  Minervini  (Oss.  pag.  114)  ravvisa  sul  dritto  l'ima- 
gine  del  fiume  Taras:  e  dove  si  vede  una  testa  di  donna 
stima  che  sia  Satura.  Vede  al  riverso  una  torre,  o  un  fero  ; 
ma  non  intende  a  che  le  tenie  (p.  116)  se  non  sono  segnali. 


130 


CALABRIA 


T.  C 


34.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  coi  capelli  alla  nuca  rac- 
colti sotto  la  così  detta  opistosphendone.  R.  Torre  con  lan- 
ternino acuminato  sul  quale  poggia  un  uccello  :  dal  muro 
pendono  lacci.  Simile  a  questa  è  la  monetina  data  dal 
Minervini  {Oss.  tav.  V  n.  4(3),  nel  cui  tipo  riconosce  una 
torretta. 

35.  (Minerrini  Oss.  tav.   Il,  14, 16).  Testa  di   Pallade  cinta  di 

diadema,  col  quale  ritiene  raccolte  alla  nuca  la  massa  dei 
capelli,  posta  sopra  la  sua  egida.  R.  Clava  ed  arco  fra  cinque 
globoletti.  Nella  collezione  del  principe  Spinelli  vi  si  leg- 
geva TA.  Il  Millingen  nel  Suppl.  pi.  1,  6,  e  il  Poole  nel 
Catal.  p.  227,  228  n.  33,  26  l'attribuiscono  ad  Eraclea. 
Il  Minervini  che  l'aveva  prima  dato  ad  Eraclea  (1.  cit. 
p.  120)  la  concesse  poi  a  Taranto  a  motivo  dell'esemplare 
del  principe  di  S.  Giorgio  che  reca  l'epigrafe  TA.  Nondi- 
meno, ove  l'epigrafe  manca  gli  pare  che  si  possa  dare  anche 
ad  Eraclea.  Ma  egli  non  considera  il  sistema  tarantino  dei 
globetti,  che  non  ha  riscontro  in  Eraclea. 

36.  Testa  di  donna  simile  alla  precedente.  R.  Cinque  globoletti. 

37.  38.  Due  mezze  lune  accostate  dalla  parte  convessa  fra  quattro 

globoletti.  R.  Lo  stesso  tipo:  nel  n.  39  i  quattro  globo- 
letti  si  cambiano  in  quattro  astri. 

39.  Conchiglia.  R.  Euota  a  quattro  raggi  con  quattro  globoletti 

(Eiorelli  Mon.  ined.  1,  14). 

40.  Due  mezze  lune  opposte  fra  quattro  globoletti.  R.  Àncora 

fra  due  mezze  lune  e  uno  dei  quattro  globoletti  del  conio 
non  intero  (id.  I,  19). 

41.  T  fra  tre  globoletti.  R.  Conchiglia  (Carelli,  tav.  CXVIII 
n.  393). 

42.  T  fra  tre  globoletti  ripetuto  al  riverso  (id.  n.  394). 

43.  Due  mezze  lune   opposte  e  due  globoletti.  R.  Conchiglia. 

44.  Conchiglia.  R.  Globulo  nel  centro  e  tre  globoletti  intorno 

(Avellino,  Rull.  II,  11,  9). 

45.  Faretra,  clava  e  T.  La  Descriptio  del  Carelli  n.  806  aggiunge 

un  H  a  sin.  e  legge  insieme  W:  ma  cotesto  H  è  omesso 
nella  tavola  CXVIII,  onde  ho  io  tratto  il  mio  disegno  R. 
Due  mezze  lune  opposte  e  due  globoletti  (Carelli,  383). 

46.  Clava  fra  due  mezze  lune  e  due  globoletti.  7?.  Faretra  fra 
due  mezze  lune  e  due  globoletti  (Carelli,  ib.  n.  304). 

47.  Mia  collezione.  Due  mezze  lune  in  contrario  ed  un  globo- 

letto  al  dritto  e  al  riverso  del  peso  di  gr.  0,20  (Car.  ib.  487). 

48.  Tutti  cotesti  aurei  sono  stati  presi  da  me  a  calco  in  varie 
collezioni.  Testa  di  Nettuno  coronata  di  lauro,  volta  a  sin.; 
alla  nuca  N<  R.  Aquila  che  con  ali  aperte  poggia  sul  ful- 
mine volta  a  d.  davanti  vi  si  legge  TAPANTlNflN,  e  vi 
si  rappresentano  due  stelle  e  due  anfore:  di  sotto  al  ful- 
mine NIKAP 

49.  Testa  di  donna  ornata  di  sfondone,  di  orecchini,  e  di  col- 
lane con  legger  velo  gittatole  sopra.  È  volta  a  d.  ed  ha 
davanti  un  delfino  e  alla  nuca  un  E  R.  Nettuno  velato  a 
mezzo  del  pallio,  sedente  con  in  mano  il  tridente  ha  da- 
vanti il  piccolo  Taranto,  che  leva  verso  di  lui  le  mani: 
è  volto  a  sin.  ed  ha  davanti  l'epigrafe  TAPANTINUN  a 
destra  una  stella  sotto  la  sedia  K  e  fuori  un  h  Taranto  è 
nudo,  salvo  un  piccolo  pallio  tragittato  dietro  le  spalle. 


50.  Testa  di  donna  simile  alla  precedente,  ma  volta  a  sin.  con 

intorno  tre  deliìni  e  davanti  TAPA  R.  Fantino  volto  a  d. 
che  cavalcando  corona  il  suo  cavallo,  mentre  egli  è  coro- 
nato da  una  vittorietta  volante  :  davanti  è  un  delfino,  .tra 
le  gambe  del  cavallo  ^A  e  un'astro:  nell'esargo  TAPA$ 

51.  Testa  di  donna  uguale  a  quelle  dei  numeri  49,  50  volta 

a  d.  ha  davanti  un  delfino  e  TAPA,  alla  nuca  lOP  R. 
Fantino  nudo  che  cavalcando  corona  il  cavallo,  fra  le  cui 
gambe  è  un  tripode. 

52.  Testa  di  donna  in  tutto  simile   alla  precedente  anche  pel 

TAPA  e  il  delfino  che  ha  davanti  a  d.  R.  Cavaliere  che 
galoppa  a  d.  imbracciando  un  clipeo  e  con  la  sin.  armata  di 
due  aste,  mentre  ne  lancia  ima  terza  :  davanti  a  d.  è  un  ful- 
mine, sotto  al  cavallo  l'epigrafe  APOA 

53.  Testa  di  donna  fra  due  delfini  volta  a  d.;  sotto  al  collo  vi 

si  legge  AY,  e  davanti  TAPA  R.  I  due  Dioscori  che  caval- 
cano a  sin.  sono  nudi  e  accompagnati  dal  loro  astro:  nel- 
l'esergo  ^A 

54.  Testa  di  donna  simile  al  n.  53  volta  a  d.  sotto  al  collo  vi 

si  legge  AIKOAA  chiaramente  in  luogo  di  NIKOAA  R.  I  due 
Dioscori,  che  cavalcano  a  sin.  l'uno  pone  una  corona  in 
capo  al  cavallo,  l'altro  porta  un  ramo  di  palma  lemniscate, 
dal  quale  pende  una  corona:  in  alto  v'  è  il  loro  nome 
AlOSKOPOl 

55.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  dalla  spoglia  di  leone  volta 

a  d.  R.  Taranto  con  la  clamidetta  gittata  sull'omero  sini- 
stro e  il  tridente  in  mano,  che  montato  in  biga  di  cavalli  li 
guida  a  destra:  di  sopra  TAPANTINilN,  fra  le  gambe 
dei  cavalli  SI,  di  sotto  ai  piedi  un  fulmine 

56.  Testa  di  Ercole  giovane  volta  a   d.  coperta  della  spoglia 

di  leone  R.  Taranto  nudo  montato  in  biga  di  cavalli  con 
tridente  nella  sinistra:  di  sopra  EPPO,  di  sotto  ai  piedi 
dei  cavalli  (TA)PANTIIMilN 

57.  Testa  di  donna  a  sin.  con  capelli  legati  sul  vertice  cinta 

di  tenia,  ha  pendenti  agli  orecchi  e  filza  di  perle  al  collo  : 
dinanzi  un  delfino  e  AIAT,  alla  nuca  iA 

58.  Testa  di  donna  volta  a  d.  con  capelli  raccolti  intorno,  e 

cinti  da  sfondone,  ha  pendenti  agli  orecchi  e  filza  di  perle 
al  collo:  davanti  si  legge:  TAPANTlNilN  R.  Taranto 
cavalca  il  delfino  a  sin.  portando  il  tridente  nella  s.  e  un 
delfino  nella  d.;  a  destra  TAPA^,  di  sotto  hK 

59.  Testa  di  Pallade  coperta  di  aulopide  crestata  e  ornata  con 

grifo  volta  a  d.  R.  Taranto  con  pallio  svolazzante  e  tri- 
dente nella  sin.  montato  in  biga  di  cavalli  va  a  d.,  in  alto 
una  stella. 

60.  Testa  di  Pallade   come    al  n.  59,  davanti  TAPANTINilN 

R.  Taranto  su  biga  di  delfini  a  d.  dietro  le  spalle  i  in 
alto  TA 

61.  Testa  laureata  di  Apollo  volta  a  d.,  dietro  la  nuca  N<  R. 

Aquila  sul  fulmine  ad  ali  spiegate  volta  a  d.,  intorno 
TAPANTINAN,  a  d.  S,  di  sotto  al  fulmine  lA 

62.  Testa  laureata  di  Apollo   a  sin.  davanti  un  delfino  e  ^A, 

a  d.  TAPAè  R.  Ercole  che  combatte  il  leone  a  colpi  di 
clava,  arco  e  faretra  a  sin.  e  in  basso  h 

63.  Testa  di  donna  descritta  al  n.  58  volta  a  d.;  alla  nuca  K 


T.  C[ 


LUCANIA  AUSTEALIS 


131 


B.  Taranto  sedente  di  fronte  con  rocca  nella  d.,  sulla  quale 
è  avvolta  la  lana,  e  un  cerchio  forse  di  lana  filata  nella 
sin.;  in  basso  un  delfino,  a  d.  TARA?. 

64.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  dalla  spoglia  di  leone  a  d. 

R.  Taranto  con  tridente  nella  sin.  e  orciuolo  nella  d.  cavalca 
il  delfino  a  sin.  di  sotto  TAPA^. 

65.  Testa  di  Pallade  come  al  n.   60  volta  a   d.,  davanti  N(. 

R.  Civetta  ad  ali  spiegate  sul  fulmine  e  a  destra  APOA. 

66.  Testa  di  donna  coi   capelli  raccolti  in  ceroMo  volta  a  d. 
davanti  KA.  7?.  Vaso  a  due  manichi  e  intorno  TAPAN. 

67.  Testa  del  sole  di  fronte  coronata  di  raggi.  R.  fulmine  e  TAP 

di  sopra,  AP  di  sotto. 

68.  I  tipi  medesimi,  ma  l'epigrafe  di  sopra  TAPAN,  di  sotto  APOA. 

Notò  già  il  Millingen  la  somiglianza  di  questi  tipi  con 
quelli  di  una  monetina  pur  di  oro  del  re  Alessandro  di 
Epiro  {SuppL  aux  Considerai,  pi.  11  n.  56  pag.  7). 


Tav.  ci. 

1.  Testa  di  G-iove  laureata  volta  a  d.  R.  Vittoria  volta  a  d.  por- 

tando un  fulmine:  TAPANTINAN. 

2.  Simile  testa,  di  dietro  un  grano  di  orzo.  R.  Vittoria  con  in 

mano  una  corona  va  a  d.  :  ivi  TAPANTINilN. 

3.  (Carelli  n.  398).  Simile  testa.  E.  Vittoria  che  adatta  un  pli- 

peo  ad  im  trofeo  di  armi:  a  sin.  TAPANT. 

4.  Testa  simile.  R.  Vittoria   che  incorona   un  trofeo    di  armi 

stando  a  pie'  di  esso  il  clipeo  :  a  sin.  TAPANTINillM. 

5.  Taranto  sul  delfino  con  vaso  a  due  manichi  nella  d.  e  cornu- 

copia, nella  sin.  va  a  sin.,  di  dietro  TAPAN.  R.  Conchiglia. 

6.  Testa  di  PaUade  con  aulopide  crestata  volta  a  d.  R.  Ercole 

che  volto  a  sin.  soffoca  il  leone:  a  d.  la  clava  e  TAPAN. 

7.  Testa  simile  alla  precedente,  dietro  spiga  di  grano.  R.  Ercole 

assiso  sulla  pelle  del  leone  appoggiando  la  sin.  alla  clava 
stende  la  destra  con  im  bicchiere  [foculum)  senza  ma- 
nico :  a  sin.  TAPANTINilN,  e  IK,  forse  Ixaìog  (=:  Elxaìog 
nel  dorico  dialetto  (Ahrens,  De  dor.  dial.  184). 

8.  Nella  coU.  mia  Testa  simile  alla  precedente  n.  6,  ma  sul- 

l'elmo è  ima  sfinge.  R.  Ercole  assiso  sulla  pelle  del  leone 
con  clava  nella  sin.  e  pocolo  nella  destra,  a  sin.  TAPAN- 
TiNAN. 

9.  Tipo  simile  a  quello  del  n.  8,  vi  sono  però  ben  espressi  i 

lacci  che  annodavano  la  galea  sotto  al  mento.  R.  Ercole 
come  al  n.  8,  ma  l'epigrafe  è  scritta  di  sotto,  TARANTI, 

10.  (Avellino,  Bull  arch.  nap.  1,  Vili,  11).  I  tipi  sono  simili 
a  quelli  del  n.  9,  ma  al  riverso  manca  l'epigrafe  TARANTI, 
e  disotto  ad  Ercole  si  legge  IKAIOS,  che  può  tenersi  per 
iatero  vocabolo  le  cui  due  prime  iniziali  si  sono  lette  nel  n.  7. 

11.  Nella  coli.  mia.  Vaso  a  due  manichi  e  da  piedi  TA  a  sin. 

e  a  d.  un  bucranio.  R.  Vaso  simile  a  quello  del  diitto, 
ma  in  mezzo  a  due  astri. 

12.  (Fiorelli,  Osserv.  numism.  11,  12).  Polpo.  R.  Conchiglia. 

13.  Nel  Museo    di  Parma.  Metà  del  Pegaso.    R.  Pro  toma  di 

cavallo  frenato  e  davanti.  T. 

14.  Museo  di  Vienna.  Coppia  di  delfini  che  vanno  a  d.  di  sotto 

TA.  R.  Conchiglia. 


15.  Coli.  Imhoof-Blumer.  Fulmine  fra  due  mezze  lune  e  TA. 
R.  Clava  fra  due  mezze  lune  e  due  astri. 

HEEACLEA 

Nella  ol.  LXXXIV,  4.  (u.  e.  316)  il  popolo  di  Siri  misto 
di  Tarentini  e  Turini  si  stanziò  fra  i  due  fiumi  Siri  ed  Aciri 
in  quel  luogo  dove  nella  ol.  LXXXVI  (u.  321)  fu  fondata 
dai  Tarentini  e  Turini  una  colonia  che  chiamarono  Eraclea 
e  le  diedero  per  emporio  e  navale  l'antica  Siri  situata  a  sole 
tre  miglia  (Diod.  sic.  XII,  36  ;  Strab.  VI,  264  ;  Liv.  Vili,  24). 
Plinio  potè  perciò  credere  che  Eraclea  fosse  una  volta 
chiamata  Siri,  mentre  Antioco  presso  Strabene  scrive,  che 
Siri  non  solo  cambiò  di  nome  chiamandosi  Eraclea,  ma 
anche  di  sito  (Plin.  H.  N.  Ili,  11):  Heracha  aliquando 
Siris  vocitata.  (Strabo,  VI,  264):  ^HqàxXeiav  S^votsqov 
xhjBTp'ai  f.ista^aXovGciv  xccl  rovroj.iK  xal  ròv  tÓtiov.  Gli 
storici  non  dicono  quale  dei  due  popoli  trasportati  da  Siri 
inEraclea  predominasse,  ma  le  epigrafi  e  i  tipi  delle  monete 
eracleesi  dimostrano  che  se  negli  oboli  primitivi  vi  dominò 
il  dorico  dialetto  dei  Tarentini  col  tipo  di  Ercole,  vi  fu 
poi  preferito  nella  maggiore  unità  il  culto  di  Pallade  im- 
portatovi dai  Turini,  che  erano  Ateniesi  di  origine  ;  sicché 
la  testa  di  Pallade  figura  sul  dritto  nei  tetradrammi,  di- 
drammi e  dramme,  Ercole  nei  didrammi  soli;  e  vi  tiene 
il  posto  del  rovescio.  Nelle  dramme  vi  si  vede  la  civetta 
che  è  l'uccello  di  Pallade.  Il  nome  dorico  degli  Eracleesi  è  in 
pili  modi  scritto:  vi  si  legge  l-HPAKAEnN,  FHPAKAElilN 
1-HPAKAHIilN  :  il  che  si  spiega  dai  grammatici  nel  primo 
esempio  per  la  soppressione  della  soggiuntiva,  negli  altri 
due  per  mezzo  della  dieresi  in  ^HgaxXsiog  e  della  ectasi  in 
'HQaxhjiog  (Theognost.  11,  57).  Questo  esempio  non  fu  noto 
all' Ahrens ,  laddove  raccoglie  i  dorismi  degli  Italioti  (De 
dial.  dor.  pag.  192).  Nella  epoca  primitiva,  dal  321 
al  351,  Eraclea  emise  soli  oboli  d'argento  sul  cui  dritto 
pose  la  testa  di  Ercole  o  di  Pallade  nel  riverso  poi  l'Er- 
cole che  soffoca  il  leone.  Questi  oboli  si  distinguono  per 
l'alfabeto  anteeuclidèo  dove  la  lettera  H  ha  valore  di  spi- 
rito e  però  si  legge  HE  iniziale  di  HEPAKAEIA:  di  che 
nella  seconda  epoca  non  v'è  esempio  nei  didrammi  e  negli 
spezzati  inferiori,  che  sono  dramme,  dioboli  ed  oboli  e  nel- 
l'unico aureo.  Le  monete  di  bronzo  hanno  inoltre  alcuni 
tipi  che  dinotano  la  fertilità  del  suolo  in  grano  e  in  vino  : 
vi  si  è  anche  significata  la  potenza  marittima  rappresen- 
tando un  Trifone  armato  di  scudo,  di  lancia  e  difeso  dal- 
l'elmo (tav.  CU,  12),  ovvero  di  tridente  in  luogo  della  lancia 
difeso  dallo  scudo  e  a  capo  nudo  (ib.  11).  Credette  il  Mil- 
lingen, che  l'uno  fosse  Glauco  e  tenne  per  muliebre  l'altro 
e  lo  disse  Scilla  [Considér.  n.  114,113)  e  ricordò  la  favola 
cretese  e  gli  amori  di  Glauco  con  Scilla,  e  la  magica  tra- 
sformazione di  costei  operata  da  Circe:  ma  io  sostengo,  che 
la  riputata  differenza  di  sesso  fi-a  i  due  mostri  non  v'è  per 
nulla.  Al  Eochette  parve  pure  quel  mostro  di  sesso  fe- 
minile,  ma  opinò,  che  in  esso  vi  fosse  personificata  Eraclea 
{Mém.  numism.  pag.  230).  Io  ne  ho  davanti  ambedue  gli 

17 


132 


LUCANIA  AUSTKALIS 


T.  CI 


esemplari  di  mia  collezione  ben  conservati,  e  non  iscorgo 
in  essi  quella  differenza  di  sesso  che  dovrebbe  cercarsi  nel 
petto  rilevato.  Il  Carelli  pertanto  così  lo  ha  figurato  nelle 
sue  tavole.  Quando  le  città  greche  fecero  alleanza  contro 
i  Lucani  e  i  Messapii  in  questa  città  fu  stanziatala  sede 
delle  assemblee:  ma  Alessandro  il  Molosso  nel  423  ne 
trasferì  il  seggio  alle  rive  dell'Acalaudro,  o  sia  sui  confini  di 
Eraclea  e  di  Turio:  I  Lucani  possedettero  Eraclea  dal  427 
fino  al  481,  nel  qual  anno  la  protezione  dei  Eomaui  ne  la 
liberò,  ed  essa  rimase  loro  di  poi  fedele  nelle  varie  vicende. 

Eraclea  nel  sistema  monetale  seguì  la  divisione  dello 
statere  in  seste,  poi  del  didramma.  Alla  dramma  che  ha 
per  tipo  la  testa  di  Pallade  e  al  riverso  la  civetta  si 
assegnano  gr.  3,72;  3,11.  Le  monetine  ambedue  con  l'epi- 
grafe HE,  pesati  dal  Carelli  (Descriptio  nn.  37,  83)  di  gr. 
0,72  ;  0,92  appartengono  alla  prima  emissione  e  possono 
tenersi  per  oboli  battati  in  quella  emissione  piti  recente 
nella  quale  per  brevissimo  spazio  di  tempo  si  adottò  il 
sistema  del  didramma,  della  dramma,  dell'obolo  e  dell'emio- 
bolo  (Poole,  A  Calai.  230,  44).  Della  dramma  abbiamo  notizia 
dal  Mionnet,  gr.  3,72  e  dal  Thomas,  gr.  3,11  {Hist.  de  la 
monn.  I,  p.  298).  Il  Sambon  ne  cita  uno  soltanto,  del 
quale  anche  ignora  il  peso. 

L'arte  che  è  la  piìi  bella  tra  le  monete  della  Magna 
Grecia  ne  invita  a  conoscere  i  nomi  degli  artisti,  ma  in- 
certe ne  sono  le  regole.  Il  sig.  Alfredo  Von  Sallet  (Die 
Kunsllerinschriften  auf  Griechischen  il/wnseji,  Berlin,  1871) 
ritiene  per  tali  EY(t)P  ed  APIST03EN0?,  il  primo  scritto 
sul  listello  dove  poggia  Ercole  leonticida  (Tav.  CI  n.  35), 
l'altro  inciso  ivi  medesimo  e  al  dritto  sulla  cresta  del- 
l'elmo di  Pallade  (ib.  n.  34).  A  questi  nomi  parmi  si  possa 
aggiungere  APISTOAAAAOC  scolpito  in  due  nummi  sotto 
il  braccio  destro  di  Ercole  (ib.  38,,  39).  Sembra  che  i  ma- 
gistrati monetali  abbiano  preso  d'ordinario  posto  alla  nuca 
della  Pallade,  o  sul  campo  del  riverso,  e  che  da  costoro  siano 
diversi  quei,  che  non  in  monogrammo,  né  in  sigle,  ma  piìi 
distesamente  si  inscrivono,  APl^TOFE  (ib.  40);  AFASl- 
AAMI  (Milling.  Syll.  suppl.  I,  4),  pare  piuttosto  nome  di 
un  eroe;  A0ANA,  è  invece  nome  della  dea  innanzi  aleni 
volto  si  legge,  come  AAAAATHP  nelle  metapontine  sta  di- 
nanzi al  volto  di  Cerere  ;  e  come  sogliono  inscriversi  altri 
ed  altri  nomi  degli  dei. 

16.  Testa  di  Ercole  barbato  con  la  spoglia  di  leone  volto  a  d. 

E.  Leone  che  va  a  d.  sopra  3H. 

17,  18.  Coli.  mia.  Testa  di  Ercole  giovane  con  la  spoglia  di  leone. 

R.  Leone  che  va  a  d.  sopra  HE  ovvero  EH  come  nel  n.  18. 

19.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato  di  \m  grifo.  R.  Er- 

cole che  soffoca  il  leone  avendo  la  clava  nella  d.,  sopra  HE. 

20.  Coli.  mia.  Tipo  predetto.  R.  Ercole   aggruppato  soffoca  il 
leone,  sopra  HE. 

21.  Da  un  calco.  Testa  di  Ercole  barbato  come  al  n.  16.  R. 
Ercole  che  soffoca  il  leone  avendo  allato  la  clava  :  intorno 

mPAK. 

22.  Testa  di  Ercole  giovane  volta  ad.  R.  Leone  che  corre  a  d. 
sopra  3H. 


23.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato  del  mostro  Scilla. 

R.  Ercole  che  avendo  allato  la  clava  soffoca  il  leone  :  a  d. 
hHPAKAHIilN. 

24.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato  di  un  ippocampo.  R. 
Ercole  ginocchione  colla  clava  nella  d.  soffoca  il  leone: 
sopra  a  sin.  HPA,  a  destra  EY. 

25.  Testa  di  Pallade  di  prospetto  con  elmo  trifale  ornato  del 
mostro  Scilla  armata  di  lancia.  R.  Ercole  stante  colla  pelle 
leonina  sul  braccio  sinistro  armato  di  arco  e  di  clava  :  in- 
torno hHPAKAHlilN. 

26.  Testa  di  Pallade  simile  a  quella  del  n.  25.  R.  Ercole  stante 
di  prospetto  appoggiato  alla  clava  con  cornucopia  e  leon- 
tèa  nella  sin.,  vaso  da  bere  nel  campo  a  sin.  e  la  leggenda 
hHPAKAEinN  a  destra. 

27.  La  dea  Pallade  simile  a  quella  del  n.  23.  E.  Ercole  stante 
armato  di  clava  e  di  arco  come  nella  moneta  del  n.  25  è 
coronato  dalla  Vittoria. 

28.  Nel  Museo  Britannico  (Poole,  Calai,  p.  230  n.  44).  Acino  di 

grano  sul  quale  poggia  una  civetta.  R.  Aratro  e  sopra  hHPA 
pesa  gr.  2,  26. 

29.  Parigi,  nel  G-ab.  delle  medaglie.  Testa  di  Pallade  con  elmo 

corinzio  ornato  di  un  grifo.  R.  Ercole  sedente  volto  a  d. 
appoggia  la  sin.  alla  clava  e  recasi  la  destra  al  mento  in 
atto  di  pensare:  davanti  OlA,  a  sin.  HHPAKAHlilN.  Pesa 
gr.  2,  14. 

30.  Testa  di  Pallade  con  galea  attica  trifala    ornata  di  bella 

cresta,  messa  quasi  di  prospetto.  R.  Ercole  armato  di  clava 
soffoca  il  leone  :  a  sin.  FHP. 

31.  Coli.  Liiynes.  Testa  di  Pallade  volta  a  d.  con  elmo  at- 
tico ornato  di  un  grifo.  R.  Ercole  ginocchione  armato  di 
clava  strozza  il  leone,  sopra  HPAKAElilN,  fra  le  gambe 
di  Ercole  EY,  nell'esergo  una  spiga  di  grano. 

32.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato  del  mostro  Scilla 

volto  a  d.  davanti  A0ANA.  iì.  Ercole  deposta  la  clava 
soffoca  il  leone  :  fra  le  gambe  di  lui  vi  sta  una  civetta,  a 
d.  hHPAKAHinN. 

33.  Mus.  di  Firenze.  Testa  di  Pallade  simile  a  quella  del  n.  30. 

R.  Tipo  simile  a  quello  del  n.  32  ;  l'epigrafe  è  hHPAKAEilN. 

34.  (Imhoof-Blum.  Griech.  Miinz.  p.  2  Taf.  LIV  n.  2).  Testa  di 
Pallade  coperta  di  elmo  attico  crestato  e  adorno  del  mostro 
Scilla:  sulla  base  della  cresta  si  legge  il  nome  API4T03E- 
NOi  dietro  alla  nuca  A.  R.  Ercole  di  fronte  strozza  il 
leone:  sulla  base  dove  poggia  è  di  nuovo  scritto  APIS:T03E 
e  a  d.  HPAKAElilN.  Il  Millingen  ne  descrive  uno  di  sua  col- 
lezione dove  nel  dritto  si  leggeva  AFASIAAMI.  (Consid. 
pag.  Ili),  e  ne  dà  il  disegno  nel  Supplément.  pi.  1,  4). 
Cotesta  moueta  passò  di  poi  a  quanto  pare  nel  Museo  Bri- 
tannico, ma  l'editore  (Catal.  321, 45)  vi  ha  letto  AfASlAAM. 
La  testa  del  dritto  rassomiglia  nelle  fattezze  giovanili  a 
quella  di  QaQQayÓQag  dei  Metapontini. 

35.  (Imhoof-Bl.  Choix,  pi.  Vili  n.  2,  54;  Mon.  gr.  p.  2,  5).  Testa 
di  Pallade  a  d.  sull'elmo  è  un  grifo,  sotto  il  mento  è  un  ?. 
E.  Ercole  soffoca  il  leone  avendo  da  presso  la  clava  :  fra  i 
piedi  si  legge  EY(t)P,  a  sin.  Hni3A>IAqH.  I  sigg.  L.  Sambon 
(Imhoof-B.  1.  cit.)  e  von  Sallet  in  altro  esemplare  hanno 


T.  GII 


LUCANIA  AUSTKALIS 


133 


letto  EYctA  e  il  Sallet  tiene  che  questo  EYcl)P  sia  nome 
di  artista  (Die  Kunsterlinscliriften,  1871  pag.  53). 

36.  Testa  di  Pallade  con  elmo  crestato  e  adorno  dell'ippocampo. 

7?.  Ercole  strozza  il  leone  avendo  deposto  a  sin.  la  clava 
e  l'arco:  a  destra  si  legge  HPAKAElilN. 

37.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  corinzio  ornato 

di  un  grifo  volta  a  d.  dietro  la  nuca  UH.  R.  Ercole  presso 
un'ara  accesa  con  spoglia  di  leone  e  la  clava  nella  sin.,  un 
pocolo  nella  d.  Nel  campo  a  d.  un  fulmine. 

38.  Simile  pei  tipi  alla  precedente  e  per  l'epigrafe  APISTO- 
AAMOS,  ma  divisa  in  tre  linee  ;  della  leggenda  l-HPAKAElilN 
rimane  soltanto  KV. 

39.  Testa  di  Pallade  di  prospetto  con  galea  trifala  e  il  mostro 
Scilla  sulla  fronte  :  al  lato  sinistro  HPA  in  mon.  R.  Ercole 
stante  presso  un'  ara  accesa  con  la  spoglia  di  leone,  il 
cornucopia  nella  sin.  e  il  pocolo  nella  d.  avendo  da  presso 
la  clava;  da  sin.  API^TOAAMO?,  in  due  linee,  da  destra 
Hi5.HA>IAim.  Il  cornucopia  piuttosto  che  rappellare  la  vit- 
toria di  Ercole  su  di  Nesso,  come  stima  il  MUlingen  {Con- 
sider.  p.  113, 114),  parmi  dinoti  quella  che  portò  dall' Ache- 
loo  a  cui  ruppe  il  corno  che  le  Ninfe  raccolsero  e  riempi- 
rono di  pomi  e  di  frutta.  L'Avellino  pubblicò  (Opus.  t.  II 
tav.  11,  4)  un  simile  nummo,  sul  quale  gli  parve  fossero 
espressi  cinque  E  in  quincunce,  dove  io  fra  l'ara  e  il 
braccio  di  Ercole,  ho  letto  il  nome  di  Aristodamo. 

40.  Testa  di  Pallade  volta  a  destra  coperta  di  elmo  corinzio 
adorno  di  un  grifo  e  crestato:  alla  nuca  KAE  in  alto 
API^ToHE.  R.  Ercole  di  prospetto  con  cornucopia  e  la  pelle 
leonina  nella  sin.  appoggia  sulla  clava  la  destra  ed  ha  a 
sin.  un  bucranio  e  l'epigrafe  hHPAKAElilN. 


Tat.  cn. 

1.  Mia  coli.  Testa  di  PaUade  con  elmo  corinzio  ornato  del 
mostro  Scilla  :  alla  nuca  K.  R.  Ercole  di  fronte  appoggiato 
aUa  clava  con  arco  e  pelle  di  leone  sul  braccio  sinistro  : 
a  sin.  il  pocolo  e  accanto  alia  clava  AOA,  a  d.  hHPAKAHlilN. 
In  altra  simile  moneta,  ove  alla  nuca  di  Pallade  si  legge 
HPA  in  mon.  al  riverso  a  sin.  di  Ercole,  che  si  corona, 
v'è  un  cornucopia,  e  sopra  APNiAS:,  e  il  sig.  Imhoof-Bl. 
(Monn.  gr.  p.  2,  10)  avverte  che  fu  dal  Sestini  {Mus. 
Fontana,  III  tav.  I,  11)  letto  erroneamente  (1)A-PY0AC 
e  dalKochette  {Lettre  au  due  de  Luynes  p.  41  et  »  M. 
Schom,  p.  88),  EVcfìAC,   e  posto  fra  gli  artisti  dei   conii. 

2.  Testa  di  Pallade  a  d.  come  la  precedente,  ma  il  nome  che 

vi  si  legge  è  hHPAKAElilN.  R.  Ercole  di  fronte  come 
nella  moneta  precedente,  ma  il  pocolo  è  a  d.  e  dalla  si- 
nistra una  vittorietta  levatasi  a  volo  lo  incorona. 

3.  Testa  di  Pallade  simile  alle  due  precedenti,  ma  l'elmo    è 

di  più  decorato  da  una  corona  di  olivo.  R.  Ercole  di  fronte 
con  la  pelle  di  leone  sull'omero  e  sul  braccio  sinisti-o.  Egli 
si  appoggia  alla  clava  con  la  mano  sinistra,  mentre  colla 
destra  da  se  medesimo  si  corona:  a  sin.  HPAKAEIIIN:  a 
d..  NEilN:  di  sotto  fra  il  piede  e  la  clava  0.  I  nomi 
AEilN  letto  dal  sig.  Lnhoof-Bl.  [Monn.  gr.  3,  li),  e  AKilN 


dal  Sambon  [Monn.  de  la  presqu'  ile  ital.  1870  p.  287,9) 
non  mi  sono  finora  occorsi.  La  testa  della  Pallade  è  di  fronte 
e  a  sin.  vi  si  legge  APlf  in  due   linee. 

4.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Pallade  con  l'egida  annodata  al  collo  ma 
.sollevata  dal  vento  di  modo    che  le  fa    quasi    da  nimbo. 

Ella  è  coronata  di  lauro,  come  ci  dimostrano  le  foglie  al- 
terne e  guarda  a  d.  R.  Ercole  volto  a  sin.  assiso  sulla 
pelle  di  leone  appoggia  la  sinistra  alla  clava  ed  ha  il  po- 
colo nella  destra  distesa,  non  sempre  espresso  dagli  editori;  • 
a  s.  HPAKAÉlilN.  L'hanno  pubblicata  il  Eochette,  il  Luynes, 
il  Millingen,  il  Miuervini,  il  Poole.  Ninno  però  ha  finora 
notato  che  l'egida  è  annodata  attorno  al  collo,  onde  si  leva 
spinta  dal  vento  e  gli  fa  da  nimbo.  Il  Poole  (A  Calai. 
p.  226,  15)  le  dà  una  corona  di  olivo,  ma  l'Avellino  che 
descrive  una  monetina  del  E.  M.  Borb.  nel  Catalogo  la 
cinge  di  alloro,  ed  alloro  è  sul  mio  disegno,  dove  si  ve- 
dono chiaramente  le  foglie  alterne  non  opposte  come  sono 
quelle  dell'olivo.  Sono  dunque  due  conii  diversi.  Eimane 
quindi  sodisfatto  il  dubbio  del  Minervini,  che  per  altro 
la  dice  coronata  di  foglie  quantunque  poi  noti  che  il  lauro 
e  l'ulivo  sono  piante  convenienti  alla  dea  delle  arti,  della 
guerra  e  della  pace. 

5.  Testa  di  Pallade  di  prospetto  con  in  capo  il  trifale  e  sulla 
fronte  il  mostro  Scilla.  R.  Civetta  sopra  ramo  di  olivo  volta 
di  prospetto;  a  d.  clava  con  NI  di  sopra  ed  l-HPAKAHIilN. 

6.  Testa  di  donna  diademata  volta  a  sin.  R.  Spiga  di  grano 
e  a  d.  (l-H)PAKAEinN. 

7.  8.  Coli.  mia.  Pallade  appoggiata  all'asta  avendo  da  presso  il 
clipeo  sta  davanti  un'ara  accesa  con  patera  nella  d.,  presso 
lo  scudo  è  il  groma  agrimensorio,  del  quale  l'Avellino  scrive 
(fl.  M.  Borb.  IV,  XXX,  2),  che  è  un  simbolo  il  quale  deve 
indicare  una  face.  R.  Due  Ercoli  con  clava  e  pelle  di 
leone  nella  sin.  e  pocolo  nella  d.  volti  a  sin.,  nell'esergo 
mPAKAElilN.  Quivi  stesso  l'Avellino  afferma,  che  di  que- 
sti Ercoli  ninno  ha  detto  che  siano  due.  Ne  parla  di  poi 
nella  Epistola  de  numo  Rubastinorum  p.  5 ,  6  opinando 
che  la  duplice  figura  dinota  il  doppio  valore,  lo  che 
si  prova  dal  peso  di  gr.  7,80  paragonato  al  bronzo  n.  9 
dove  l'Ercole  è  xino  e  pesa  gr.  3,66.  Questo  è  ancora 
il  parer  mio.  Ne  il  Cavedoni  fu  cauto  abbastanza  quando 
oppose  {ad  Carelli  tab.  p.  68)  che  il  nummo  della  Descriptio 
n.  72  inciso  nella  Tab.  CLXIII  n.  53  con  un  solo  Ercole 
era  della  stessa  grandezza  di  quello  che  aveva  due  Ercoli  : 
perocché  doveva  insieme  notare  che  il  Carelli  gli  assegna 
il  peso  di  gr.  3,69,  che  è  incirca  la  metà  dell'altro  col 
doppio  Ercole  il  quale  pesa  gr.  7,80.  Il  parere  del  Ca- 
vedoni fu  che  questi  due  Ercoli  fossero  due  simulacri, 
perchè  il  vero  tenuto  in  conto  di  Palladio  non  si  discer- 
nesse. 

9,  10.'  Testa  di  Pallade  con  elmo  corinzio  cinto  da  corona  di 
olivo  volta  a  d.  R.  Ercole  con  pelle  di  leone  e  clava  nella 
sin.  e  pocolo  nella  d.,  intorno  HHPAKAElilN.  Il  n.  10  nella 
coli,  mia  con  tipi  simili,  ove  Pallade  ha  un  elmo  attico 
laureato  ha  pari  la  leggenda  l-HPAKAElilN  e  dietro  la  testa 
di  Pallade  uno  scudo  che  ha  nome  di  pelta. 


134 


LUCANIA  AUSTEALIS 


T.  cn 


11.  Testa  di  PaUade  con  galea  corinzia  volta   a  d.  R.  Nel   n. 

16  tritone  armato  di  clipeo  e  di  tridente:  di  dietro  è 
una  luna  crescente.  Nella  collezione  mia  in  luogo  del  tri- 
dente porta  la  lancia.  Nel  n.  11  veste  corazza,  si  copre 
coU'elmo,  porta  scudo  e  la  lancia.  Di  sotto  questo  mostro 
Ti  si  legge  hHPAKAElilN.  11  Millingen  stima  che  sia 
Scilla  (Consid.  pag.  114>.  Vedi  il  proleg.  p.  131. 

12.  CoU.  mia.  I  tipi  sono  gli  stessi,  ma  nel  riverso  il  mostro 
marino  (dal  Mill.  creduto  G-lauco  1.  cit.)  è  coperto  di  elmo 
crestato  e  porta  lo  scudo  e  la  lancia. 

13.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  PaUade  posta  di  fronte  con  pallio 

abbottonato  sul  petto,  coperta  di  trifale  e  armata  di  asta. 
B.  Trofeo  di  armi,  corazza,  elmo,  gambali,  clipeo  e  pugnale; 
intorno  IHPAKAElilN. 

14.  Carelli,  tab.  CLXIII,  60,  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  dalla 
pelle  di  leone  volta  a  d.  R.  Clava,  faretra  ed  hHPAKAElilN. 

15.  Nella  coli.  mia.  Mezzo  cavallo  volto  a  d.  R.  Civetta  sopra 
fulmine  e  in  alto  HPA.  Non  par  dubbio  clie  la  civetta 
e  U  cavallo  alludano  a  Nettuno  e  Minerva. 

16.  Nella  coli.  mia.  Vaso  ad  uso  di  mescere  e  però  ad  un 
manico  ba  grossa  pancia  e  striata.  R.  Spillone  con  diadema 
0  mitella  e  con  cilindro  desinente  alle  due  estremità  in  altret- 
tanti cappi,  per  adattarla  ai  capelli.  Per  questo  cilindro  si 
paragoni  la  mitella  e  il  cilindro  d'oro  trovato  nella  ne- 
cropoli di  Cere  (Canina,  Etruria  mariUima,ta.Y.  LIV  fig.  1). 

17.  Coli.  Imhoof-Bl.  Clava  fra  le  lettere  IHPA.  R.  Fulmine 
fra  due  stelle. 

18.  Testa  di  Apollo   laureata  volta  a  d.    R.  Faretra,  clava  ed 

arco  ;  di  sopra  un  avanzo  di  leggenda  UH.  In  un  esemj)lare 
della  coli.  Santangelo  vi  si  legge  IHP. 

19.  Coli.  mia.  Testa  di  Ercole  coperta  dalla  pelle  di  leone  an- 
nodata al  collo.  R.  Arco,  clava  e  faretra  con  l'epigrafe 
IHP  di  sopra  dell'arco. 

METAPONTUM 

Le  origini  di  Metaponto  sono  incerte.  Dioevasi  fondata 
dai  Pilli  reduci  con  Nestore  dalla  guerra  di  Troia;  a  loro 
si  attribuiva  il  XqvOovv  Osgog  mandato  a  Delfo.  Allega- 
vasi  per  novella  prova  la  pompa  funebre,  èvayiaanóg,  che 
i  Neleidi  celebravano  in  Metaponto  :  il  cui  nome  primitivo 
dicevasi  essere  stato  Alybas  (Sleph.  s.  v.)  che  pare  essere 
ricordata  anche  da  Esichio,  ove  scrive,  "AXv^ag  ogog . . .  ìj 
Ttàhg.  Ma  altri  fra  i  quali  è  lo  storico  Antioco  dicevano  che 
era  stata  fondata  da  Metabo  il  quale  le  diede  il  uomo  di 
Metaponzio  e  costoro  additavano  il  sepolcro  di  lui  r^Qcòov, 
che  si  vedeva  nella  città.  Eforo  scrive,  che  Metaponto  deve 
la  sua  fondazione  aDaulio  tiranno  di  Crissa  (ap.  Strab.  1.  cit.). 
Altri  l'attribuiva  ad  Epeo  di  Foeide  (Aristot.  Mirab.  116; 
lustin.  XX,  2,  1).  I  Metapontini  seguitavan  la  tradizione, 
che  li  diceva  dedotti  da  Leucippo  (Strab.  VI,  263),  la  cui 
imagine  essi  di  fatti  rappresentano  sulla  loro  moneta.  Ma 
eglino  fanno  pompa  anche  di  Tarragora  e  di  Agesidamida,  che 
però  è  d'uopo  supporre  che  siano  stati  altri  conduttori  di 
colonie  rivelatici  dalle  monete  e  rimasti  ignoti  alla  storia. 


Ciò  pure  dimostra  che  non  si  tratta  di  prima  fondazione 
ma  di  rimpianto  ;  e  così  potranno  interpretarsi  e  comporsi 
i  dissensi  degli  antichi  scrittori. 

I  Metapontini  erano  certamente  in  fiore  nella  cinquantesima 
olimpiade,  quando  avendo  stretta  alleanza  coi  Crotoniati  e  coi 
Sibariti  oppressero  e  distrussero  Siri,  appropriandosi  il  suo 
territorio,  a  tal  ohe  Stefano  potè  scrivere  che  fu  un  tempo 
in  che  Metaponto  denominossi  Siri  :  MstanóvTiov  fj  nqÓTe- 
Qov  2ÌQig.  Sorse  quindi  l'idea  nei  moderni  che  vi  furono 
una  volta  due  Metaponti,  e  così  nella  edizione  Aldina  di 
Strabene  si  trova  corretto  in  tmi'  MszanovTiùiv  un  luogo 
che  nei  ms.  è  tov  Mstcittovtwv.  Ma  quel  testo  è  giunto 
a  noi  lacunoso,  e  altro  non  deve  dire,  se  non  che,  essere 
state  due  le  città,  l'una  più  vicina  a  Taranto,  cioè  Meta- 
ponto, l'altra  piìi  lontana,  cioè  la  Siritide  (v.  Cramer  ad 
Strab.  VI,  264).  Metaponto  nell'anno  I  della  olimpiade  LXIX 
accolse  Pitagora  (lustin.  XX,  4):  ma  dopo  fu  distrutta 
dai  Sanniti  (Strab.  VI,  264),  i  quali  ne  lasciarono  il  terri- 
torio in  abbandono:  onde  nella  ol.  LXXII,  1  Temistocle 
poteva  minacciando  dire  ad  Euribiade  ,  che  .  andrebbe 
cogli  Ateniesi  a  ripopolar  Siri  la  quale  era  degli  Ateniesi 
ab  antico,  perchè  1'  oracolo  aveva  detto  che  doveva  essere 
fondata  da  loro  (Herod.  Vili,  62)  :  rj/^ieìg  . .  xof-usv/jisd-a  sg 
2i'gtv  ifjV  sv  'iTciXia  fJTrsq  i^i.isTSQr]  ré  èati  ix  TiaXaiov  sn 
xal  tÙ  lóyia  Xéyei  xm  rjixéonv  avxi]v  Stiiv  xria&ìjvai.  Del 
resto  i  Sibariti  la  rimpiantarono  chiamando  gli  Achei  circa 
l'olimpiade  LXXXH,  (Diod.  Sic.  XI,  90;  XII,  16,  Antio- 
ch.  ap.,  Strabon.  1.  cit.  VI,  264).  Di  questa  piìi  recente 
Metaponzio  dicevano  essere  originario  quel  Metaponto,  che 
dalla  serva  Menalippe  ebbe  un  figlio  di  nome  Beote. 

La  "monetazione  metapontina  conferma  questi  fatti,  peroc- 
ché dopo  le  monete  incuse,  la  cui  fabricazione  precede 
l'ol.  LXIX,  non  si  hanno  monete  di  stile  arcaico,  ma  della 
pili  bella  arte  simile  a  quella  di  Turio,  città  fondata  presso 
che  all'epoca  di  cotesto  novello  rimpianto,  e  a  quella  dì 
Eraclea  dedotta  dai  Turii  e  dai  Tarentini  all'uscire  della 
ol.  LXXXVI.  Qua!  fosse  l'alfabeto  dei  Metapontini  nella 
prima  epoca  il  fan  chiaro  le  monete  ed  ora  anche  le  due 
epigrafi  di  recente  scoperte  nel  suo  territorio  {Not.  degli 
scavi  1882  p.  119,  120).  L'alfabeto  posteriore  è  il  comune 
euclidèo.  La  colonia  di  Achei  aiutata  dai  Turini  capitanati 
da  Cleandride  Tanno  313  sostenne  una  guerra  cogli  Enotrii 
e  coi  Tarentini  al  termine  della  quale  fu  stabilito  che  i 
Turini  coi  Tarentini  abitassero  insieme  in  Siri,  ma  questa 
fosse  tenuta  per  colonia  tarentina.  All'epoca  del  vecchio 
Dionigi  possiamo  assegnare  la  moneta  di  recente  venuta 
nelle  mie  mani,  che  ci  rivela  una  confederazione  di  Meta- 
ponto con  Caulonia,  della  quale  terremo  conto  parlando  di 
questa  città  dal  tiranno  Dionigi  distrutta.  Il  confine  di  Meta- 
ponto fu  dal  lato  orientale  il  Bradano  :  i  Tarentini  fabbricata 
Eraclea,  le  aggiudicarono  Siri  come  suo  navale  ed  emporio 
(Diod.  XIV,  100).  Intanto  i  Lucani  fra  l'ol.  LXXXIV  e 
LXXXVI  (u.  e.  309-317)  si  mostrarono  ai  confini  dell'agro 
turino  e  guadagnate  alcune  battaglie  ne  invasero  in  parte 
il  territorio.  Fu  allora  che  i  Metapontini   avranno  stretto 


T.  CU 


LUCANIA  AUSTEALIS 


135 


alleanza  con  loro  e  coniata  la  moneta  colla  leggenda  AOYKA; 
l'avranno  anche  fatta  con  Turio,  di  che  fan  fede  le  due 
monete  coi  tipi  delle  due  città  e  l'epigrafe  AYK  in  mon. 
(t.  CXXIV,  n.  1-3). 

S' ignora  quando  Metaponto  cadde  in  potere  dei  Sanniti, 
ma  è  certo  che  costoro  vi  dominavano  ai  tempi  della  guerra 
di  Pirro.  I  Koniani  s' impadronirono  di  questa  città  fin 
dal  482.  ma  essi  la  trovarono  trasformata  in  sannitica,  sotto 
la  cui  dominazione  deve  essersi  introdotto  l'uso  dell'ars 
grave  con  l'alfabeto  sannitico,  del  quale  abbiamo  un  saggio 
nella  moneta  fusa  di  sistema  semissale  con  l'epigrafe  MIETA, 
H1ET,  di  che  vedi  la  tav.  LXVI  3-6,  ove  gli  elefanti  sono 
di  certo  gli  asiatici  da  Pirro  mostrati  in  Italia  la  prima 
volta  nel  473  (Plin.  N.  H.  Vili)  ;  di  modo  che  e  per  questo 
motivo  e  per  riguardo  al  peso  ridotto  se  ne  può  approssi- 
mativamente fissar  l'epoca.  Qui  ebbe  fine  la  zecca  di  Meta- 
ponto. 

Or  di  quanta  utilità  siano  le  sue  monete  s'intende 
se  consideriamo  che  non  vi  sono  rappresentate  soltanto  le 
imagini,  ma  di  piìi  alle  imagini  vi  si  vedono  spesso  dati 
i  nomi  proprii  di  esse,  e  vi  si  leggono  talora  quei  degli 
artisti  che  le  hanno  incise.  Quanto  alle  tradizioni  si  conferma 
ciò  che  Antioco  siracusano  scrisse,  quantunque  Strabene  non 
se  ne  mostri  convinto,  (VI,  265)  essere  stato  Metabus  il  primo 
nome  della  città,  eambiato  poscia  in  Metapontum,  e  si  suol 
citare  qualche  moneta,  che  scrivendo  METABO  ne  conserva 
memoria.  Joxiìó''  'ArrCoxog  tì]v  nòXiv Ms-canóvTiov  eiQtja&ai 
Trgórsoor  MsTcciSov,  nceoioro^ào&m  S'yarsgov.  Stefano  (s.  U.) 
dice  che  i  barbari  cambiarono  il  Msrànovcov  in  Méta^oc,  ma 
pare  il  contrario  e  il  Salmasio  (in  Plin.  exercit.)  dà  ragione  ad 
Antioco,  dove  anche  deriva  Metabus  da  Mevajìà,  cioè  Meva- 
^ai'vio  e  tiene  che  Melapontum  non  è  greco,  ma  Metapon- 
tion.  Nel  che  parmi  s'inganni:  perocché  è  certo  che  vi  fu 
un  greco  uomo  di  nome  Metaponto  (Strabo,  1.  cit.).  Non 
dobbiamo  con  tutto  ciò  passar  [tanto  innanzi  da  dire  con 
alcuni  che  in  su  quella  moneta  si  rappresenta  la  testa 
dell'  eroe  fondatore.  Ciò  non  può  esser  vero,  se  si  avverte 
che  in  tal  caso  il  nome  avrebbe  dovuto  leggersi  accanto 
alla  testa  non  sul  riverso  della  moneta,  ove  si  legge  il  nome 
della  zecca  :  poi  in  altra  moneta  (Carelli  .tav.  CL  n.  40)  la 
testa  è  di  donna. 

Il  Millingen  credette  Metaponto  di  origine  etolica  e  tentò 
trasformare.  Metabo  nella  etolica  Metapa,  allegando  perciò 
i  giuochi  celebrati  in  onore  dell'Acheloo  (Considérat.  p.  19). 
Ma  ciò  può  stare  senza  una  tal  derivazione.  Perocché  se  i 
Metapontini  ne  fossero  derivati  avrebbero  effigiato  questo 
fiume  come  si  vede  nelle  monete  degli  Acarnani  e  degli 
Eniadi  in  forma  di  bue  a  testa  umana  :  essi  invece  il  figurano 
da  uoiQo  con  testa  munita  di  corna  bovine:  e  inoltre  il 
culto  dell'  Acheloo  era  diffuso  per  tutto  e  i  Metapontini  ne 
avevano  special  motivo  possedendo  vastissimi  campi  frugi- 
feri. Poi  da  Metapo  o  Metapa  non  si  derivò  che  Msia- 
ncào:  e  Msranusvc,  uè  si  poteva  derivare  MetuTiuvciog  0 
MercijTovTtvog  II  Giove  EAEYOEPIO?  ci  fa  dedurre  che 
anche  Metaponto  festeggiasse  la  cacciata  da  Siracusa  di 


Dionigi  il  giovane  per  opera  di  Timoleonte  (01.  CIX,  2 
a.  u.  411),  e  ben  a  ragione,  sapendosi  che  cotesto  Dionigi 
vessò  ed  oppresse  le  colonie  greche  dell'  Italia,  fra  le  quali 
dovette  di  certo  essere  anche  Metaponto.  Ma  il  culto  prin- 
cipale era  quello  di  Cerere  e  di  Apollo  di  ohe  si  hanno 
più  prove  nelle  monete. 

La  bella  sua  imagine  è  sempre  distinta  dalla  corona  di 
spighe  e  vi  si  legge  talvolta  il  nome  AAMATHP  di  dorico 
ed  eolico  dialetto.  Sui  rovesci  di  alcune  monete  si  vede 
l'intera  imagine  di  Apollo  coll'arco  nella  sinistra  abbas- 
sata e  un  ramo  di  lauro  nella  destra  accanto  ad  un  ara. 
È  questa  un'imìigine  della  statua  di  Apollo  Pizio  ohe  ebbe  ■ 
un  tempio  in  Metaponto  (Plutarc.  de  Pythiae  oroc);  prima 
però  era  posta  in  una  della  piazze  framezzo  ai  lauri, 
quando  lo  spettro  di  Aristeo  Proconnesio  dimandò  che  gliene 
fosse  drizzata  una  accanto,  e  l'ebbe  (Hend.  IV,  13)  avendo 
risposto  l'oracolo  che  all'apparizione  prestassero  fede.  Que- 
sta imagine  di  Aristea  mi  pare  si  possa  raffigurare  in  una 
moneta  (tav.  CIV,  3),  che  sembra  ritrarne  il  volto.  Posero 
inoltre  da  presso  ad  Apollo  un  lauro  di  bronzo,  che  vi  si 
vedeva  circa  la  olimpiade  CVI  (Athen.  Dipnoscph.  XIII,  83). 
Aristea  vi  era  venerato  col  nome  di  Giove  Aristeo,  Zsìig 
'ÀQKTzaìog  (Pindar.  Pyth.  IX  v.  110-116),  come  fra  gli 
Arcadi,  e  Servio  ne  assegna  il  perchè  {ad  Georg.  1,  14)  : 
Apud  Arcades  prò  love  colitur,  quod  priinus  ostenderit  qua- 
liler  apes  reparari  debeant,  e  questo  culto  durava  tuttavia 
al  tempo  della  dominazione  romana,  attestando  Celso  il  filo- 
sofo epicureo  che  v'era,  quantunque  scemato  di  molto,  a 
tal  che  ormai  nessuno  il  riconosceva  per  Dio  (ap.  Origen. 
e.  Cels.  L.  HI,  26):  tovtov  ovSsìg  ì'ti  vo^witfi  dsóv.  Pal- 
lade  ed  Ercole  non  mancano  sulle  sue  monete,  essendo  le 
divinità  piii  comuni  nelle  città  Achèe:  ma  una  epigrafe 
metrica  di  recente  trovata  nel  territorio  metapontino  dà  ad 
a  questo  eroe  il  glorioso  appellativo  di  re,  FANAX  (Not. 
degli  scavi  1882  p.  119,  120). 

La  Pallade  onoravasi  precipuamente  in  riguardo  alla  ■ripar- 
tizione dei  campi  e  però  le  si  dà  per  simbolo  al  pari  di 
Cerere  (tav.  CV,  14,  15)  il  groma  agrimen^orio  (tav.  CVI,  I). 
Il  dio  Ammone  e  il  figlio  Dionisio  protettori  della  pasto- 
rizia sono  figurati  sulle  monete  e  dovrà  forse  perciò  essersi 
dai  Metapontini  mandata  l' imagine  di  Endimione,  al  tesoro 
di  Elide  (Paus.  VI,  19,  8),  piuttosto  perchè  pastore  che  per 
aver  egli  insegnato  il  corso  della  luna.  Metaponto  ebbe 
da  un  lato  il  fiume  Casuento  dall'altro,  però  più  discosto, 
il  Bradano.  Il  bue  androprosopo  che  vi  si  vede  su  due  sue 
monete  non  è  l'Aoheloo,  il  quale  in  Metaponto  fu  figurato 
da  uomo  con  le  sole  corna  bovine  ;  deve  dunque  dirsi  che 
sia  il  Casuento.  La  monetazione  di  Metaponto  si  rende  anche 
singolare  per  le  epigrafi  apposte  alle  imagini,  che  le  dichia- 
rano, come  si  è  detto,  ma  anche  perchè  ci  conservano  i 
nomi  degli  artisti  incisori  dei  conii.  Sono  nomi  degli 
dei  EAEY0EPIOÌ,  AAMATHP,  APOAAilN,  degli  eroi  condut- 
tori del  popolo.  AEYKIPPO^,  OAPPArOPA?,  AfASlAAAAI- 
àag  sono  personificazioni  NIKA,  hOMONOIA,  YflEIA,  sono 
nomi  dei  magistrati   ASKAAPIOC,  BilClOC,  degli  artisti 


136 


LUCANIA  AUSTRALIS 


T.  CU 


API^T03E(ras),  KI/V\nN,  HPAKAEIAH?.  Sulla  testa  di  Ce- 
rere loosta  eli  prospetto  si  legge  in  un  didramma  ^ilTHPIA, 
che  pare  dovesse  indicare  publiche  feste.  Il  Cavedoni  opinò 
poter  essersi  detto  in  forma  dialettica  invece  di  SilTEIPA 
e  allegò  in  confronto  il  KoQia  per  Kóga  negli  inni  di  Cal- 
limaco :  ma  il  parallelo  non  mi  sembra  giusto.  Su  di  un 
didi'amma  con  la  testa  di  Cerere  di  prospetto,  in  alto  fra 
i  gambi  delle  spighe  che  la  cingono  si  legge  FOSIA.  È 
dubbio  se  la  dea  fosse  così  venerata  in  Metaponto,  ov- 
vero si  vogliano  in  tal  modo  indicare  i  suoi  misteri  che 
tenevansi  dalla  gentilità  per  i  più  sacrosanti  e  venerabili 
sulla  terra. 

Il  sistema  monetario  di  questa  città  nella  età  prima  è 
quello  delle  colonie  achee,  che  si  compone  della  unità, 
gr.  8,20,  del  terzo,  gr.  2,70,  del  sesto  gr.  1,36,  del  dodi- 
cesimo, gr.  0,68.  Coniò  di  poi  il  distatere  o  tetradrammo 
del  peso  di  gr.  15,81,  e  lo  statere,  che  può  considerarsi 
come  un  didramma,  trovandosi,  sebbeu  tardi,  dei  pezzi  di 
tre  grammi  e  frazioni,  i  quali  perciò  sono  la  metà  dello 
statere  e  quei  di  gr.  1,94;  0,77  che  ne  fanno  perciò  la 
sesta  e  ottava  parte. 

Il  Minervini  {Oss.  p.  126)  opinò  che  l'O  sia  iniziale  di 
o^oXog  in  una  monetina  d'argento  della  collezione  Sambon. 
Ma  il  Sambon,  che  nelle  Recherches  1863  pag.  138  n.  21  le 
dà  il  peso  di  gr.  0,82  :  non  definisce  poi  qual  nome  le  si 
debba.  Ben  però  il  figlio  di  lui  nel  Cat.  Borghesi  (1881 
p.  39  n.  443)  la  dice  un  obolo,  e  cita  il  padre  (tav.  XIX 
n.  8)  nelle  seconde  Recherches.  Ma  poi  in  altro  Catalogo 
stampato  in  Eoma  (1883  pag.  8  n.  69)  la  dichiara  dio- 
bolo, e  vi  omette  ogni  segno  di  O,  mentre  il  Sambon  padre 
gliene  dà  ben  due:  Téle  de  taureau  entra  deux  O.  È 
dunque  chiaro  che  i  due  OO  non  possono  in  una  mone- 
tina di  gr.  0,82  dinotare  il  diobolo,  e  però  l'O  neanche 
può  dirsi  iniziale  di  ojìoXog. 

20.  Coli.  Santangelo.  Spiga  di  grano  in  rilievo  e  /^ETAHONTS 

R.  Spiga  incusa.  È  quell'esemplare  sul  quale  l'Avellino 
lesse  META  e  POnS  e  stimò  che  fosse  moneta  [di  alleanza 
fra  le  due  città  Metaponto  e  Posidonia. 

21.  Coli.  Borghesi.  Gli  stessi  tipii,  ma  l'epigrafe  è  META  e 
vi  è  inoltre  una  locusta  in  rilievo  e  al  riverso  lo  stesso 
insetto  egualmente  in  rilievo,  ma  a  solo  contorno. 

22.  Coli.  mia.  Gli  stessi  tipi  dei  due  numeri  precedenti,  ma 
l'epigrafe  è  TETAP  con  l' I^  di  singolare  forma  arcaica. 

23.  I  tipi  medesimi,  con  l'epigrafe  /^ETA,  sul  lato    sinistro. 

24.  Coli.  mia.  Coi  tipi  medesimi  vi  è  al  dritto  una  testa  di 
montone  in  rilievo  a  sin.  e  ATS'A  a  d. 

25.  (Carelli,  tab.  CXLVII  23,24;  Descr.  27,28).  Spiga  in  rilievo 
fra  due  cerchi  R.  Acino  d'orzo  fra  due  cerchi  in  incavo 
(cf.  Carelli,  tab.  CXLVII,  23,24,  Descriptio  n.  27,28). 
Questa  monetina  pesa  da  gr.  0,667  a  693  {Car.),  da  67  a 
74  (Samb.).  Il  Cavedoni  dice  che  i  due  cerchi  possono  di- 
notare gli  oboli,  ma  vedi  appresso. 

26.  Coli.  mia.  Spiga  di  grano  in  rilievo  e  /v\ETA.  R.  Testa  di 
montone  incusa.  Dei  miei  due  esemplari  uno  pesa  gr.  1,10 
l'altro  gr.  1,20. 


27.  Coli.  mia.  Spiga  di  grano  in  rilievo.  R.  Spiga  di  grano 
incusa.  Pesa  gr.  0,35. 

28,  29.  Il  n.  28,  Coli.  Dupre';  il  29  Coli.  Luynes.  Aoheloo  in  figura 

d'uomo  a  testa  barbata  con  corna  ed  orecchie  bovine,  nudo  e 
di  prospetto,  porta  una  clamide  richiamata  dalle  spalle  sulle 
braccia  e  pendente,  la  canna  nella  sin.,  una  patera  nella 
destra:  intorno  si  legge  N0A03A  AvPEAOIO.  R.  Spiga  di 
grano,  a  d.  AT3W\,  a  sin.  locusta.  Nell'esemplare  del  Luynes 
il  Millingen  {Anc.  coins,  pi.  1  n.  21  ;  Suppl.  aux  consid. 
p.  1  n.  2  p.  5),  che  l'ebbe  prima,  e  lo  die'  inciso,  prese 
per  delfino  la  lettera  E  di  H0AO3A  e  lesse  H0A<3>A 
come  aveva  letto  il  Luynes  (Metap.  pi.  I  n,  13).  Non  è 
pertanto  ivi  che  una  imperfezione  di  conio.  Però  il  verso 
itifallico  additatoci  da  Pr.  Lenormant  come  composto  di 
tre  trochei  (Revue,  1866  p.  96,  97),  trova  un  ostacolo 
nuovo  e  non  previsto.  Il  Minervini  {Oss.  p.  123)  cita 
la  moneta  pubblicata  dal  Fiorelli,  ove  il  fiume  è  rappre- 
sentato col  corpo  umano  e  la  intera  testa  taurina  (Man.  ined. 
tav.  I  n.  10  p.  8),  e  ricorda  quella  simile  del  Carelli 
(t.  CLYIII  n.  149).  Ma  uè  il  Fiorelli,  uè  il  Carelli  videro 
mai  una  tal  moneta.  Essa  è  stata  così  pubblicata  dal 
Magnan,  e  da  lui  l' ha  presa  il  Carelli.  L' Eckhel,  che 
perciò  vi  riconobbe  il  Minotauro,  non  altri  cita,  che  il 
predetto  Magnan. 
30,  31.  Il  n.  80  da  un  zolfo  di  Odelli.  Testa  barbata  coperta  di 
aulopide  volta  a  d.,  sopra  AEYKIPPOS:,  alla  nuca  un  cagno- 
lino sedente  e  volto  a  sinistra,  a  sin.  R.  Spiga  di  grano,  a  d. 
META  a  sin.,  uccello  colle  ali  aperte  sopra  una  delle  foglie 
della  spiga  a  d.,  sotto  AMI.  Nel  n.  31  ohe  è  nella  coli,  mia, 
vi  è  omesso  il  cane  e  invece  dietro  alla  nuca  di  Leucippo  si 
legge  AMI,  e  al  riverso  è  MET  a  sin.  e  a  d.  im  fulmine.  Il 
Eiccio  dice  di  aver  avuta  una  moneta  simile  a  questa,  ma 
col  nome  «che  ei  crede  del  magistrato,  HPAKAEIAOY  al 
lato  della  lesta  e  META  al  riverso. 

32.  (Carelli,  115).  Testa  di  Leucippo  coperta  di  aulopide  volta 
a  s.  R.  Una  spiga  di  grano  e  sopra  META.  Al  lato  sinistro 
v'è  un'altra  spiga  per  sbalzo  di  conio  impressa  in  parte 
fuori  del  cerchio;  su  di  essa  fu  poi  impressa  una  clava 
per  contromarca.  Il  Carelli  ha  stampato  n.  115  un  didramma 
con  due  spighe  uguali  e  parallele  al  riverso.  11  Eiccio 
{Reperì,  p.  72)  scrive  di  aver  posseduta  una  moneta  del 
modulo  10,  sul  cui  dritto  era  la  testa  di  Giove  barbata  e 
laureata  ad.  e  al  riverso  due  spighe  e  da  ciascun  lato  un 
Dioscoro  a  cavallo  e  META.  A  me  non  è  avvenuto  di  tro- 
vare né  l'una  né  l'altra  nei  musei  da  me  visitati. 

33.  CoU.  Santangelo  (Imhoof-Bliimer,  Mann.  gr.  p.  5,  21,  pi. 
A,  2).  Testa  giovanile  con  accenno  di  peli  alla  gota:  è 
coperta  di  aulopide  e  volta  a  sin.,  il  suo  nome  vi  si  legge 
accanto,  OAPPArOPAS,  dietro  la  nuca  K.  R.  Spiga  e  META: 
nel  basso  ONA.  Il  sig.  Imhooff-Bl.  nota  che  le  sigle  K  ed  ONA 
si  ripetono  su  quelle  monete  che  portano  la  testa  di  Leucippo, 
che  però  sono  contemporanee  :  stima  inoltre  che  1'  uno  e 
l'altro  nome  si  appartengano  alla  testa  che  accompagnano. 
Egli  anche  ha  data  la  vera  lezione  di  questo  nome  mal 
trascritto  nel  Catalogo,  OAPPA?  APE^? 


T.  CHI 


LUCANIA  AUSTKALIS 


137 


34.  Coli.  Odelli.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  davanti 
EAEYOEPKOS).  R.  Spiga  di  grano  a  sin.  sulla  foglia  una 
ranocchia  a  d.  META.  In  altro  esemplare  si  ha  la  testa  di 
Giove  laureata  volta  a  d.,  alla  nuca  un  fulmine,  al  riverso  è 
la  spiga  a  d.  e  in  alto  un  ramo  di  laui'O,  e  KAA  ;  a  sin. 
METAPOIM.  n  Carelli  (tab.  CLIII,  94)  cinge  la  testa  di 
Giove  di  una  corona  di  quercia  e  legge  a  d.  KA  :  il  Pio- 
relli  {Moti.  ined.  tav.  Ili,  5)  opina,  che  i  Metapontini  così  co- 
ronato rappresentino  Giove  a  riguardo  delle  origini  loro  eto- 
liehe  e  il  Cavedoni  annota  che  può  riferirsi  anche  alla  alleanza 
con  Pirro  e  Alessandro  di  Neoptolemo  {ad  tab.  Carell. 
CLIII,  94). 

35.  Parigi.  Gah.  delle  medaglie.    Testa  di  Cerere    coronata  di 

spighe  volta  a  sin.  davanti  una  lucertola  e  AAMATHP 
R.  Spiga  di  granerà  sin.  sulla  foglia  un  granchio,  di  sotto 
la  foglia  APXIP  e  a   destra  granchio,  APXin  a  d.  META. 


Tav.  CHI. 

1.  Museo  di  Vienna.  Testa  di  Cerere  cinta  di  una   corona    di 

spighe  volta  a  d.  R.  Spiga  di  grano  sulla  cui  foglia  riposa 
un  uccello:  a  sin.  METAPON. 

2.  CoU.  Dupré.  Testa  di  Leucippo  coperta  di  aulopide  cristata 

e  adorna  del  mostro  Scilla  volta  e  d.  :  davanti  AEYKIPPO$. 
R.  Due  spighe  di  grano,  a  d.  E,  nel  mezzo  SI. 

3.  Nella  coli.  Luynes    se  ne  conserva   im  esemplare  che  reca 

sul  dritto  la  testa  di  Leucippo  simile  a  quella  del  n.  2. 
R.  Due  spighe  di  grano,  sopra  META,  sulle  foglie  a  sin. 
una  formica  "a  d.  una  locusta. 

4.  Coli.  mia.  Testa  di  Cerere  posta  di  fronte  con  capelli  sparsi 

e  coronati  di  spighe.  R.  Spiga  di  grano:  a  sin.  META,  a 
destra  bucranio  sulla  foglia  e  di  sotto  AoA. 

5.  Nella  coli,  mia  foderata.  Testa  di  Cerere  velata  e  coronata 

di  spighe  con  pendenti  e  collana.  Innanzi  AAMATHP.  R. 
Spiga:  a  d.  META  e  in  basso  KAA. 

6.  Testa  di  Cerere   di  prospetto  coronata    di    spighe:    in    alto 

SlilTHPiA.  i?.  Spiga,  e  a  s.  META. 

7.  Da  mia  impronta.  Testa  simile   alla  precedente,    ma   l'epi- 

grafe sembra  essere  :  hOSIlA.   R.  Simile  al  n.  6. 

8.  Testa  di  Cerere  messa  di  prospetto  e  di   assai  bello    stile, 

alla  d.  AM.  R.  Spiga  di  grano,  a  sin.  META  a  d.  testa 
di  bue. 

9.  Museo  Britannico    {Catal.  p.  244,591).  Testa  di  donna   coi 

capelli  cinti  da  ima  tenia  sottile,  ha  pendenti  agli  orecchi 
e  monile  al  collo,  è  volta  a  s.  e  le  si  legge  davanti 
hOMONOlA. 

10.  Museo  Britannico  {Catal.  p.  245,62).  Testa  di  donna  volta 

a  d.  coi  capeUi  cinti  da  stretta  tenia  rialzati  e  legati  alla 
cervice  :  sotto  il  taglio  del  collo  si  legge  hVriEIA.  R.  Spiga 
di  grano  e  META  a  d.  Il  sig.  Von  Sallet  dubita,  se  Hygiia 
sia  nome  di  dea,  tale  essendo  VAthena  Hi/gia  (Pausan.  I, 
29,  1;  Vin,  358),  ovvero  se  nome  di  una  donna,  come 
APISITH,  che  abbia  inciso  il  conio  {Die  Kunsterlinschriften 
p.  53).  A  me  pare  strano  un  tal  supposto,  e  vie  più  perchè 


presume  che  il  nome  APISiTH  sia  intero,  mentre  può  assai 
bene  compirsi  API4THTOS. 

11.  Testa  di   donna   con   opistosphendone    fregiato    di    gemme 

con  pendenti  e  collana  volta  a  d.  Dinanzi  al  volto  vi  si 
legge  A>IIH.  R.  Spiga  di  grano  e  a  sin.  un  pomo  granato, 
a  d.  METAP0NT10(N.)  (Cf.  Poole,  CotoL  256,141). 

12.  Coli,  Imhoof-Bl.  {Monn.  gr.  16).  Testa  di  donna  cinta  di 
un  diadema  sul  quale  sono  le  foglie  di  olivo  ed  è  le- 
gato con  nodo  alla  cervice:  sul  taglio  del  collo  è  l'epi- 
grafe NIKA.  R.  Spiga  di  grano  :  a  sin  META,  a  destra 
una  pera. 

13.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  diademata  con  pendenti  in 

forma  di  calatisco,  ma  non  così  intesi  nel  disegno,  e  monile 
al  coUo  volta  a  sin.  A  destra  vi  si  legge  il  nome  dell'artista 
che  ha  figurata  l'iniziale  A  assai  grande  e  il  rimanente  delle 
lettere  in  minuto  Pl?To(HENOS).  R.  Spiga  di  grano  e 
META  a  d. 

14.  Nella  coli.  mia.  Testa  simile  alla  precedente:  sul  taglio 
del  collo  vi  si  legge  il  nome  medesimo  APISTO(SEN02:). 
R.  Spiga  e  a  d.  META. 

15.  Nel  museo  britannico  {Catal.  247,  74).  Terzo  conio  dell'arti- 

sta medesimo,  il  cui  nome  AP12:T03E(N0S)  si  legge  sul 
taglio  del  collo.  Sulla  fronte  della  donna  qui  espressa 
rimane  un  M  da  un  altro  conio  insieme  con  alquante  ari- 
ste della  spiga:  onde  è  facile  dedurre  che  sia  l'iniziale  di 
META.  R.  Spiga  e  a  d.  META. 

16.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  diademata  volta  a  d.  dietro 

al  collo  si  legge  KIMilN  nome  di  artista.  R.  Spiga  e  a  d. 
(M)ETA.  Un  artista  di  nome  Eifiav  si  ha  su  di  alcune 
monete  nobilissime  di  Siracusa  (Poole,  Catal.  Sicihj  p.  175 
n.  199,  p.  176  n.  201,  p.  177  n.  208). 

17.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  a  d.  R.  Spiga:  a    sin. 

META,  a  d.  astro. 

18.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Cerere  coronata  di   spighe  volta 

a  sin.  R.  Spiga  a  sin.  META  a  d.  il  Mantis,  insetto  vol- 
garmente detto  cavallo  delle  streghe. 

19.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  volta 

asin.  davanti  HA.  R.  Spiga,  a  d.  META  ed  YA,  a  sin.  pis- 
side, 0  frilillum  da  giuoco. 

20.  Testa  di  Cerere  con  collana  e  pendenti  volta  a  sin.  ;  davanti 

il  groma  agrimensorio  e  AAM(ATHP).  R.  Spiga  e  a  d.  MET. 

21.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  coi  ca- 

pelli sciolti  e  fluttuanti  alla  cervice  ;  a  d.  AaI.  R.  Spiga, 
a  sin.  META,  a  d.  aratro  sulla  foglia  e  di  sotto  MS. 

22.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  volta 

a  sin.  R.  Spiga,  a  sin.  META,  a  d.  uccello  sulla  foglia, 
forse  aquila. 

23.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Cerere  volta  a  d.  cinta  di  largo 
diadema  e  velata  a  mezzo,  davanti  ha  il  groma  agrimen- 
sorio. R.  Spiga  e  a  d.  META  che  continua  a  sinistra  scri- 
vendo erroneamente  PIONT  in  vece  di  PONTI. 

24.  Nella  coli.   mia.  Testa  di  donna  diademata  con  pendenti 

all'orecchio  a  sin.  R.  Spiga  e  a  sin.  METAPONTINHN, 

a  d.  foglia  di  oliera. 

25.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna   cinta  da  stretto  diadema 


138 


LUCANIA  AUSTEALIS 


T.  CIV 


legato  alla  cervice,  con  orecohino  a  tre  stalagmi  o  sia  gocce 
volta  a  destra  E.  Spiga,  e  a  destra  META. 

26.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  cinta  da  sottil  nastro  più 
volte  fino  al  vertice,  ove  sono  raccolti  i  capelli  in  un  gruppo 
a  guisa  di  xQÓ^vlog.  R.  Spiga,  sulla  foglia  che  è  a  sin. 
la  cima  di  un  frutice,  a  d.  METAPON. 

27.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  coi  capelli  raccolti  nell'opi- 

stospliendone  volta  a  d.  R.  Spiga,  a  sin.  METAPON,  a  d. 
una  foglia  di  quercia. 

28.  Nella  coli.   mia.  Testa   di   donna   cinta  di  largo  diadema 

volta  a  d.  R.  Spiga,  a  sin.  (M)ETAPO,  a  d.  foglia  di  vite. 


Tav.  CIV. 

1.  Maseo  Britannico  [Catal.  pag.  250,  92).   Testa  coronata  di 

lauro  volta  a  d.  Sul  taglio  del  collo  v'è  scritto  POA  e 
nell'esemplare  parigino  della  coli.  Luynes,  POAV;  dietro 
la  nuca  v'è  un  i..  R.  Spiga  di  grano  META  a  d.  e  a  sin.  una 
civetta  che  vola. 

2.  Coli.  Luynes.  Testa  giovanile  con  lunghi  capelli  cinta  di  un 

diadema  ricamato  a  meandro  e  decorato  da  foglie  dilauro  : 
sotto  al  collo  fn  R.  Spiga  e  META  a  sinistra. 

3.  Coli.  Santangelo.  Testa  giovanile   volta  a  sin.  di  terzo  con 

capelli  crespi  e  coronata  con  foglie  di  edera:  a  destra  vi 
si  legge  MOA,  forse  UOhOitOi.,  artefice.  Il  Minervini  vi 
ha  letto  invece  KAA  [Oss.  num.  pag.  123  tav.  VII  n.  13). 
R.  Spiga  e  sulla  foglia  un  serpe,  di  sotto  01. 

4.  Coli.  mia.  Testa-  cinta  da  doppia  corona  di  olivo  volta  a  s.: 

alla  nuca  ^T.  R.  Spiga  e  MET.  Il  Minervini  (Oss.  p.  124), 
dice  rilevarsi  ad  evidenza  che  non  è  già  corona  di  foglie, 
ma  una  o  due  trecce  di  capelli  che  si  ravvolgono  intorno 
al  capo. 

5.  Coli.  Luynes.  Testa  giovanile  coronata  di  laurea  volta  a  d. 

R.  Spiga.  Un  esemplare  simile  del  Museo  Britannico  (Ca- 
tal. 250,  94)  ha  sul  taglio  del  collo  PAP,  e  sotto  t.  Il  Poole 
nel  testo  legge  ^PAY.  Sul  riverso  a  d.  si  legge  META.  Que- 
sto dissenso  dell'editore  dal  disegno  ne  avverte  che  nulla 
si  può  decidere,  e  neanche  se  veramente  vi  sia  ivi  scritto. 

6.  Da  un  calco.  Apollo  sedente   in  atto  di   sonare  la  cetra  ha 

di  dietro  l'epigrafe  APOAAHN,  assai  logora,  dinanzi  un 
alhero  di  lauro.  R.  Spiga,  a  sin.  META,  a  d.  locusta. 

7.  Apollo  stante  in  piedi  con  un  ramo  di  lauro  nella  destra  e 

l'arco  nella  sin.   R.  Spiga  e  AT3M  a  s. 

8.  Apollo  come  è  descritto  al  n.  7  ma  oltre  all'arco  ha  in  mano 

ancora  una  freccia  stando  davanti  ad  un'ara.  R.  Spiga,  locu- 
sta e  META.  L'ara  è  più  intera  in  un  esemplare  del  pari- 
gino gabinetto  delle  medaglie. 

9.  Testa  giovanile  con  lunghi  capelli  coperti  di  aulopide  senza 

cresta  volta  a  d.,  alla  nuca  i.  R.  Spiga,  civetta  sopra  la 
foglia,  A0A,  e    sin.  META. 

10.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  della  spoglia  del  leone  volta 

a  d.  R.  Spiga,  a  sin.  mosca,  a  d.  META. 

11.  Ercole  stante  nudo  con  la  clava  che  appoggia  all'omero  de- 

stro. R.  Spiga  e  META  (Magnan,  Misceli,  t.  III  tah.  26). 


12.  Nel  Museo  Britannico  (Catal.  p.  243,  51).   Ercole   stante 

coperto  dalla  pelle  di  leone  si  appoggia  alla  clava  facendo 
colla  patera  libazione  sopra  un'ara  che  è  a  sin.,  m  alto  è 
posto  un  teschio  di  montone.  R.  Spiga  e  META. 

13.  Testa  del  Dioniso  figlio  di  Ammone  con  corna  di  ariete 
volta  a  d.  R.  Spiga  e  META.  È  singolare  il  Duchalais  che 
prende  questa  testa  imberbe  per  effigie  di  Arne  ninfa 
trasformata  in  pecora  da  Nettuno,  suo  amante  {Revue  num. 
fr.  1852    p.    340,  341). 

14.  Nella  coli.  Borghesi.  (Catal.  tav.  I  n.   423).  (Catal.  tav.  I 

n.  423).  Cinque  acini  di  grano  intorno  ad  un  globetto: 
negl'intervalli  /«ETAP.  R.  Spiga  e  META.  Nella  coli.  San- 
tangelo bassi  un  esemplare  di  cotesto  nummo  edito  dal 
Minervini  (Oss.  num.  t.  VII  n.  12):  questo  differisce  dal 
nostro  in  ciò  che  l'epigrafe  del  dritto  è  retrograda  HATB  '^. 
Un  esemplare  simile  a  quello  del  Borghesi  è  nel  Museo 
Britannico  (Catal.  p.  242  n.  45). 

15.  Nella  coli.  Borghesi  (Catal.  tav.  I,  n.  423).  Testa  di  Er- 

cole simile  a  quella  descritta  n.  10.  R.  Spiga,  a  d.  locusta, 
a  sin.  /^ETA. 

16.  Simile  testa  di  Ercole  del  n.  15.  R.  Spiga  e  META.  Sulla 
foglia  è  un  insetto. 

17.  Coli.  Santangelo.  Apollo  con  l'arco  nella  sin.  e  la  destra 
appoggiata  alle  reni  :  porta  i  capelli  raccolti  e  legati  nel  ver- 
tice e  guarda  a  d.  stando  fra  due  rami  di  lauro  che  si  pie- 
gano come  per  fargli  corona.  R.  Spiga  e  a  d.  /y^ETA. 

18.  Testa  di  Pallade  con  galea  corinzia  volta  a  d.  R.  Spiga,  a 

d.  META,  a  sin.  civetta  sopra  la  foglia  della  spiga  con  le 
ali  aperte.  Una  moneta  pei  tipi  similissima  a  questa  è 
incisa  da  me  nella  tav.  CXXIII  n.  25,  perchè  invece  di 
META  porta  il  nome  dei  Lucani,  AOYKA.  Ma  essa  può 
ben  essere  coniata  dai  Metapontini  confederati,  prima  che 
cadessero  in  potere  dei  Lucani. 

19.  Civetta  sopra  un  ramo  di  olivo  volta  a  d.;  dietro  Ì.Ì.  R. 
Spiga  a  sin.  META  a  d.;  sulla  foglia  il  groma  agrimensorio. 

20.  Spiga  e  papavero  che  porta  la  capsula  sullo  stelo  priva  dalle 

sue  foglie.   R.  Spiga  e  groma  agrimensorio  :  nel  basso  M. 

21.  Testa  di  Apollo  laureata  a  sin.  R.  Tripode  e  a  sin.  spiga 

di  grano:  fra  mezzo  META. 

22.  23.  Testa  di  Cerere  coronata  di   spighe.  R.  Due  siHghe  e 

a  sin.  META.  Il  u.  23  ripete  il  medesimo  tipo,  ma  se  ne 
distingue  per  una  sola  spiga. 

24.  Testa  barbata  con  corna  arietine  volta  a  d.  R.  Spiga  fra 
xm  vaso  a  due  manichi  e  una  civetta  che  poggia  sopra  la 
foglia. 

25.  Testa  giovanile  con  corna   arietine   volta    a  d.  R.    Spiga 

e  META. 

26.  Nella  coli.  mia.  Tipo  descritto  al  n.  25  ma  volto  a   sin.  R. 

Lo  stesso  tipo  META,  e  sulla  foglia  una  locusta. 

27.  Lo  stesso  tipo  ohe  al  n.  26.  R.  Ercole  strozza  il  leone  avendo 

dal  lato  sin.  la  clava.  II  Millingen  (Supplem.  11,  2  pagi  6), 
avverte  che  Metaponto  è  la  sola  città,  cui  sia  piaciuto  ono- 
rare dì  culto  il  dio  Ammone. 

28.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  aulopide  senza  cresta. 

R.  Spiga,  a  sin.  META,  a  d.  cornucopia. 


T.  CV 


LUCANIA  AUSTEALIS 


139 


29.  I  tipi  sono  i  medesimi:  ma  al  dritto  è  aggiunta  la  epigrafe 
METAPONTI  ;  al  riverso  v'è  a  d.  il  cornucopia  (Milliugen, 

Suppt.  pi.  11,  1  pag.  5). 

30.  Mia  coli.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  volta  a  d.  R. 

Spiga,  sulla  foglia  un  aratro,  a  siu.  META. 

31.  Museo  Vaticano.  Protoma  di  cavallo.  R.  Acino  di  orzo  e  ME 
dentro  un  quadrato. 

32.  Coli.  Sambon  (Minerv.  Oss.  tav.  VI  n.  7  pag.  124  seg.).  Testa 

barbata  del  bue  androprosopo,  davanti  O.  R.  Spiga  e  d.  sim- 
bolo incerto  a  d.  (Minerv.)  e  ME.  Il  Millingen  {Suppl.  pi.  6 
u.  2)  ne  ba  stampata  una  simile  ove  manca  l'O.  Ma  L.  Sam- 
bon {Recherch.  1863,  p.  138  n.  21)  attesta  cbe  nel  suo 
esemplare  ve  ne  sono  due  e  pesa  gr.  0,82. 

33.  Coli.  mia.  Tre  lune  opposte  ad  un  giobetto  che  è  nel  centro 
aventi  ciascuna  nel  mezzo  il  proprio  giobetto.  R.  Spiga  e 
AT3M. 

34.  Coli.  mia.  Testa  di  montone  in  rilievo.  R.  Spiga  e  META. 


Tav.  CV. 

1.  Nei  Musei  di  Milano  e  di  Venezia.  Testa  di  Cerere  coronata 

di  spighe  volta  a  sin.  R.  Spiga  e  sopra  la  foglia  un  forcipe. 

2.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  volta  a  d.  ivi  META.  R. 

Spiga  e  a  sin.  OBOAO^. 

3.  Ercole  coperto  dalla  spoglia  del  leone  appoggia  la  sinistra 

alla  clava  e  ha  il  pocolo  nella  destra;  a  d.  una  spiga.  R. 
Spiga  e  META. 

4.  Testa  di  donna  eoi  capelli  ripiegati  alla  cervice  e  cinti  da  im 

diadema  volta  a  d.  R.  Spiga  fra  le  due  lettere  M  E  a  sin. 
un  erma  itifallico. 

5.  Figura  nuda  con  semplice  stretto  pallio  sulle  spalle,  coronata, 

con  caduceo  nella  sin.  e  patera  nella  d.  davanti  ad  un  can- 
delabro: a  destra  EY  e  un  O.  R.  Spiga,  a  sin.  OBO^OS, 
a  d.  ME.  Questa  figura  non  ha  verun  simbolo  o  segno  che 
la  caratterizzi  per  un  Mercurio,  come  la  dichiara  il  Cave- 
doni  {Saggio,  18).  Né  poi  vale  il  solo  caduceo,  che  pur  con- 
viene ad  altre  immagini  simboliche.  A  me  pare,  che  que- 
sto giovane  che  sembra  far  libazione  suU'ara,  mentre  porta 
il  caduceo,  simbolo  della  pace,  sia  il  Srjixog  di  Metaponto. 

6.  Museo  di  Vienna.  Testa  diademata  di  uomo  barbato  volta  a 

d.  R.  Spiga  e  a  sin.  l'epigrafe  META. 

7.  Mezzo  bue   androprosopo   volto  a  sin.  e  METAP.   R.  Spiga. 

Questo  tipo  l'hanno  anche  battuto  i  Turii,  a  testimonianza 
del  De  Dominicis,  che  ne  possedette  l'esemplare. 

8.  Leone  corrente  a  sin.  nell'esergo  IT3,  che  mi  pare  si  possa 

supplire  HT3n  onde  si  abbia  da  riconoscervi  un'alleanza  di 
Metaponto  con  Petelia.  R.  Spiga  e  a  d.  AT3M. 

9.  Testa  di  Panno  con  corna  caprigne  sulla  fronte  volta  a  d.  R. 

Spiga  e  a  sin.  META. 

10.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  R.  Spiga   e  tripode: 

fra  mezzo  META. 

11.  Coli.  mia.   Testa  di  Bacco  coronata  di  edera  volta  a  sin. 

E.  Spiga,  a  sin.  META,  a  d.  il  groma  agrimensorio.  Questo 
groma  è  un  X  (decussis)  adoperato  ad  indicare  il  cardo  e 
il  deeunianus  per  la  ripartizione  e  terminazione  dei  eampi. 


12.  Coli.  Santangelo.  Testa  di  Apollo  coronata  di  lauro.  /?.  Spiga 
a  e  sin.  META,  a  d.  TEIM,  forse  TsifioxqetTìjc,  perchè 
TIMilN  qui  è  scritto  col  iota. 

lo.  Coli.  mia.  Testa  di  ninfa  acquatica  quasi  di  prospetto  con 
capelli  sciolti  e  sollevati  intorno  al  capo  a  svolazzo.  R. 
Spiga  a  sin.  locusta  e  META. 

14,  15.  Testa  barbata  e  coperta  di  aulopide  crestata  a  d.  R. 
Cerere  in  piedi  di  prospetto  nell'atto  di  appoggiarsi  al  groma 
agrimensorio:  a  d.  META. 

16,  17.  Pallade  armata  di  elmo  corinzio  e  di  clipeo  nell'atto 
di  scagliare  un  colpo  di  lancia  a  d.  R.  Civetta  su  di  una 
spiga  di  grano  volta  a  destra:  dietro  META.  In  altro  esem- 
plare Pallade  è  pur  volta  a  d.  ma  veste  la  tunica  corta 
sopra  la  talare. 

18.  Coli.  mia.  Pallade  ornata  di  elmo  corinzio,  e  di  clipeo 
in  atto  di  fulminare  a  d.  R.  Civetta  su  di  una  spiga  di 
grano  volta  a  sin.,  dietro  META. 

19.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  frigio  volta  a  d.;  di  sotto  Oo 

R.  Spiga  e  a  d.  ME. 

20.  21  Coli.  mia.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  R.  Due  spighe 

e  un  grifo  a  d.  ;  di  sotto  META.  Nell'esemplare  n.  20  v'è 
una  sola  spiga  e  un  groma  agrimensorio  sulla  foglia  a 
sin.,  a  d.  AT3M  :  in  altro  esemplare  del  n.  20  si  vede  a 
sin.  un  simile  grifo  che  vola  a  d. 

22.  Museo  Brit.  (Catal.  pag.   262   num.  190).  Aquila  volta  a 

sin.  ove  in  un  mio  calco  si  vede  una  corona  lemniscata. 
R.  Spiga,   a  sin.  META,  a  d.  fulmine. 

23.  Aquila  sopra  fulmine  a  d.  R.  Spiga,  a  d.  fulmine,  a  sin  ME: 
nel  predetto  calco  è  invece  più  intera  la  leggenda,  META. 

24.  Coli.  mia.  Testa  velata  di  Cerere  coronata  di  spighe.  R.  Spiga, 
a  sin..  EY  in  mon.,  a  d.  META. 

25.  26.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  volta  a  d.  R.  Due 
spighe,  nel  mezzo  META:  nell'esemplare  n.  25  una  sola  è 
la  spiga,  e  META  sta  a  sin.  Un  esemplare  n.  26  dato  dal 
Carelli  (tav.  CLVIII  n.  165)  porta  a  destra  della  spiga 
META  e  un  tripode,  a  sin.  il  nome  TlMilN. 

27.  Coli.  Santangelo.  Testa  di  Apollo  laureata  a  sin.   R.  Spiga 

di  grano,  a  sin.  TiMilN,  a  destra  META. 

28.  Coli.  mia.  Testa  di  Ercole  volta  a  d.  coperta  dalla  spoglia 

di   leone  annodata  al  collo.   R.  Spiga  e  a  sin.  META. 

29.  Testa  di  Pallade  di  prospetto  con  galea  trifala.  R.  Spiga, 

META  a  sin.,  groma  agrimensorio  a  d. 

30.  Coli.  mia.  Spiga  e  MET    R.  Tripode  e  a  sin.  grano  di  orzo, 

a  d.  cigno.  R.  Spiga  e  META.  Il  Minervini  {Oss.  n.  143 
tav.  Ili,  14])  ne  pubblica  un  esemplare  con  la  epigrafe 
META  al  dritto  e  solo  un  tripode  al  riverso  a  motivo  del 
quale  la  dichiara  moneta  di  confederazione  con  Crotone. 

31.  Testa  laureata  di  Apollo  volta  a  d.  E.  Tripode,  a  sin.  ME 
a  d.  TA. 

32.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Diana  con  faretra  ed  arco  al  collo  volta 
a  d.  R.  Vaso  a  due  manichi,  a  sin.  META  a  d.  spiga  di  grano. 

33.  Testa  di  Ammone  colle  corna  arietine  volta  a  sin.  R.  Spiga, 
a  d.  groma  agrimensorio  e  a  sin.  META  (Carelli,  tav.  CLIX 
n.  164). 

34.  Testa  di  Fauno  con  corna  caprigne  ohe  gli  spuntano  sulla 

18 


140 


LUCANIA  AUSTKALIS 


T.  evi 


fronte,  coronato  di  canna.  R.  Spiga  a  d.  pisside  bossolo  e 
a  sin.  META. 

35.  Testa  di  Sileno  coronata  di  edera.  R.  Spiga  e  a  sin.  META. 

36.  Mia  coli.  Testa  di  Cerere  volta  a  d.  R.  Spiga,  a  d.   grap- 

polo d'nva,  a  sin.  META  quasi  perduto. 

37.  Testa  giovanile  coperta  di  pileo  conico  volta  a  d.  R.  Acino 

di  orzo. 

38.  Testa  di  donna.  R.  Grano  d'orzo,  ME  e  di  sotto  TEI. 

39.  Testa  di  uomo  barbato.  R.  Grano  d'orzo  fra  le  due  lettere  AA  E. 

40.  Testa  di  Fauno.  R.  Grano  d'orzo  e  /V\E. 

41.  Museo  Britannico  {Catal.  p.  261  n.  176).  Maschera  comica. 

R.  Grano  d'orzo  e  ME. 


Tav.  evi. 

1.  Testa  di  Pallade  con  elmo  corinzio  volta  a  sin.  R.  Tre  acini 

di  orzo  uniti  al  centro  della  moneta  per  una  delle  loro 
estremità:  negl'intervalli  ME  e  un  groma  agrimensorio. 

2.  Testa  radiata  del  sole   di  prospetto.  R.  Simile  al  n.  prece- 
dente ;  varia  il  simbolo  che  è  una  fiaccola  accesa. 

3.  Testa  di  Mercurio  con  petaso  alato  volta  a  d.  R.  Simile  al 

n.  preced.  eccetto  il  simbolo,  che  qui  è  il  caduceo. 

4.  Nella  coli.  mia.  I  busti  dei  due  Dioscori  coperti  del  pileo 

conico.  R.  Simile  ai  precedenti;  solo  varia  il  simbolo  che 
è  quello  dei  due  astri,  insegna  dei  Dioscori;  le  due  let- 
tere ME  del  nome  sono  insieme  unite. 

5.  Testa  giovanile  con  diadema  alato  volta  a  d.:  di  dietro  TI. 

R.  Tipo  simile  a  quello  dei  nn.  1-4;  diverso  però  n'è  il 
simbolo,  che  qui  è  un  fiore  :  donde  si  deduce  che  la  testa 
alata  è  quella  del  vento  Zefiro. 

6.  Testa  simile  alla  precedente  n.  5,  ma  le  ali  sono  sulla  fronte, 

non  alle  tempia.  R.  Simile  al  n.  preced.  se  non  che  il  sim- 
bolo è  un  caduceo. 

THVRIVM 

Fra  gli  storici  antichi  che  trattano  di  Turio  daremo  la 
preferenza  a  Diodoro  Siciliano  che  ne  narra  le  origini  e  i 
fatti  pili  a  minuto  e  meglio  che  gli  altri,  fra  i  quali  sono 
da  porsi  quei  che  dicevano  averla  fabbricata  Filottete  e 
ivi  serbarsi  il  suo  sepolcro  e  nel  tempio  di  Apollo  essere 
riposte  le  frecce  di  Ercole  da  luì  possedute  (lustin., 
L.  XX,  1):  Tliurinontni  urbem  condidisse  P/iiloctetem 
ferunt,  ibique  adhuo  monumentum  eius  visilur  et  Herculis 
sagittae  in  Apollinis  tempio,  quae  fatum  Troiae  fuerunt. 
Cotesto  Filottete  ebbe  culto  anche  in  Sibari  e  in  Macalla 
e  vedremo  che  gli  si  attribuiva  anche  l'impianto  di  Siri 
e  di  Petelia.  Diodoro  dice  (1.  XI,  90;  XII,  16),  che  avendo 
i  Sibariti  coll'aiuto  dei  Tessali  rimessa  in  piedi  nella 
ol.  LXXXin,  2  la  loro  Sibari,  indi  cinque  anni  dopo 
ne  furono  espulsi  dai  Crotoniati.  Ebbero  essi  allora  ricorso 
agli  Ateniesi  i  quali  nel  terzo  anno  della  olimpiade  pre- 
detta (u.  e.  308)  fecero  una  spedizione  in  loro  favore  e 
ricondussero  in  Sibari  i  nobili  Sibariti.  Capo  di  cotesta 
spedizione  fu  il  retore  Dionisio   (Plut.  in  Nicla   p.  526) 


soprannominato  Xalxsvg,  perchè  aveva  consigliato  agli 
Ateniesi  la  moneta  di  bronzo,  la  quale  fu  del  resto  dopo 
poco  tempo  abolita  (Athen.  XV,  669).  Gli  Ateniesi  stan- 
ziarono in  Sibari,  mentre  i  Sibariti  si  erano  messi  alla 
ricerca  del  terreno  per  fabbricarvi  una  novella  città,  dove 
secondo  la  prescrizione  dell'oracolo  abbondar  dovesse  pili 
il  pane  che  l'acqua.  Conducevano  seco  dieci  indovini  ate- 
niesi diretti  da  iin  tal  Lampone,  che  però  fu  detto  fidvrig 
s^ì]yrjTrjg  e  pfoiyff.ttoAóyog  (Schol.  ad  Aristnph.  Nub.  v.  331)  : 
a  tutti  questi  dieci  i  posteri  diedero  il  soprannome  di 
BvQiofiàvTfie,  yV Indovini  di  Turio.  Lampone  e  Senocrito 
giunti  ad  un  luogo  dov'era  una  fontana  chiamata  OovQia 
dissero  essere  quello  il  terreno  inteso  dall'oracolo  :  e  però 
fu  ivi  fondata  la  città,  che  chiamossi  Turio,  e  i  due  indo- 
vini ne  ebbero  il  nome  di  xTictvai,  fondatori  (Diod.  Sic. 
XII,  10).  L'anno  quarto  della  ol.  LXXXIII,  u.  e.  309,  i 
Sibariti  e  gli  Ateniesi  condotti  da  Lisia  vi  presero  stanza. 
Sibari  intanto  rimase  soggetta  a  Turio  come  suo  emporio, 
e  così  si  può  spiegare  come  Stefano  abbia  potuto  scrivere 
che  Turio  si  chiamò  prima  Sibari,  e  Varrone  {de  R.  R.  107), 
che  Sibari  si  chiamava  a'  suoi  tempi  Turio  :  Sybari,  qui 
nunc  Thuril  dicunlur.  Essa  non  ne  distava  gran  fatto, 
perchè  da  Turio  vi  si  vedeva  una  quercia  che  non  perdeva 
mai  la  foglia,  come  qui  attesta  Varrone  e  dopo  di  lui 
Plinio  [H.  N.  XVI,  33)  ove  scrive:  In  thurino  agro,  ubi 
Sybaris  full,  ex  ipsa  urbe  prospiciebatur  quercus  una 
nunquam  folla  dimitlens.  Cominciarono  i  nobili  Sibariti 
a  usurpare  le  prime  magistrature  e  le  migliori  terre 
(Aristot.  Polit.  V,  2  ;  Strabo,  VI,  1),  donde  avvenne  che  gli 
Ateniesi  insorgessero,  e  messili  a  morte  (Strab.  VI,  263) 
v'introdussero  nuovi  coloni  che  vi  approdarono  l'anno  310 
(ol.  LXXXIV,  1).  Sarse  pertanto  nella  ol.  LXXXV,  3  un 
nuovo  dissidio  fra  gli  Ateniesi  di  Turio  e  cotesti  greci 
da  loro  condotti  a  prendere  il  luogo  dei  Sibariti,  a 
quale  dei  due  popoli  toccasse  l'onore  di  quel  rimpianto, 
e  allora  fu  mandato  a  Delfo  perchè  l'oracolo  decidesse. 
Apollo  fece  loro  dire  che  voleva  egli  essere  tenuto  per 
fondatore,  e  la  lite  ebbe  fine.  Turio  era  situata  fra  i  due 
fiumi  il  Grati  e  il  Sibari,  ma  il  territorio  suo  si  estendeva 
al  di  là  del  Sibari  fino  al  fiume  Hylias,  dove  confinava  coi 
Crotoniati  (Thueid.  VII,  35.)  Ippodamo  ne  fu  l'architetto 
e  questi  divise  la  città  in  sette  quartieri,  quattro  per  lo 
lungo  e  tre  per  lo  largo,  con  una  piazza  in  ciascuna  d'essi 
denominata  da  un  dio  o  da  un  eroe,  a  cui  perciò  era  fab- 
bricato un  tempio  e  vi  si  preslava  culto.  I  nomi  furono 
(Diod.  1.  cit.)  ^Hqàxlsia,  'A(fqodiaiag,  'OXv/imiag,  Jiovvaiag, 
"Hoc-ia,  QovQia,  @ovQira.  Non  pertanto  vano  sarebbe  cer- 
care una  conferma  di  qiieste  divinità  dalle  monete,  le 
quali  ne  sono  mute,  se  ne  eccettui  la  fontana  Thuria  rappre- 
sentata su  di  un  bronzo.  Ercole,  Afrodite,  Giove  Olimpio, 
Dionisio  non  vi  sono  rappresentati.  Eppure  il  vino  di 
Turio  era  rinomato;  ó  &ovqh'og  twv  èv  6vó/.iaTi,  oivwv 
sarCv,,  scrive  Strabene  (IV,  164). 

Turio  fu  in  seguito  rinforzata  da  nuovi  coloni.  All'anno 
343  u.  e.  v'erano  Ateniesi  e  Spartani  insieme,  non  sempre 


T.  evi 


LUCANIA  AUSTRALIS 


141 


perì)  iu  pace  fra  loro:  onde  avvenne  che  gli  Ateniesi  avuta 
la  peggio  nella  guerra  di  Sicilia  ne  fossero  cacciati  e  l'ari- 
stocrazia si  cambiasse  in  dinastia  (Aristot.  Polii.  V,  6,  8). 
La  città,  prosperò  per  tutto  il  secolo  quarto  e  quinto,  de- 
dita al  costume  spartano  di  nutrire  la  chioma  (Philostr. 
V.  Apoll.  Ili,  15),  come  i  Tarentini.  Nel  386  avanzandosi 
i  Lucani  contro  le  colonie  greche,  i  Turini  mossero  loro 
contro  (Polyaen.  Strat.  11,  10,  I),  ma  vi  furono  battuti. 
Se  non  che  le  orde  dei  barbari  Lucani  e  Brezzii  sollevatisi 
coi  Sanniti  contro  i  Eomani  nel  472  capitanati  la  seconda 
volta  da  Stazio  Statilio  recaronsi  allo  sterminio  di  Turio, 
la  quale  come  pare  erasi  aiSdata  ai  Eomani  (Liv.  Epit.  XI). 
Strabene  sembra  dire  che  i  Lucani  ridussero  Turio  in 
schiavitù  e  che  i  Tarentini  ne  li  sottrassero.  Ma  egli  in- 
tende dire  dei  Brezzii  che  saccheggiarono  Turio  circa  il  395. 
Però  i  Turini  mal  volentieri  stando  soggetti  ai  Tarantini  si  vol- 
sero ai  Komani  (Strab.  VI,  263):  ond'è  che  il  console  Pa- 
brieio  Luscino  ne  prese  a  grande  studio  la  difesa  e  venuto 
alle  armi  disfece  i  nemici  facendone  prigionieri  cinquemila 
colloro  supremo  duce  Statilio  (Val.  Max.  I,  Vili,  43).  I  Turini 
furono  grati  al  tribuno  della  plebe  Elio  Tuberone  che  pro- 
pose e  fece  sancire  la  legge  che  dichiarava  Stazio  Statilio 
Lucano  nemico  e  gli  mandarono  in  dono  una  statua  e  una 
corona  d'oro  :  e  una  statua  altresì  donarono  a  Luscino,  che 
gli  aveva  liberati  dall'assedio  (Plin.  H.  N.  XXXIV,  15). 
Il  console  pose  un  presidio  a  guardia  dei  Turini  protetti  da 
uno  stuolo  che  stanziava  nelle  acque  vicine.  I  Tarentini  ne 
ebbero  dispetto  e  gittatisi  addosso  all'armata  in  parte  la 
distrussero,  poi  mandarono  loro  gente  contro  il  presidio 
che  non  essendo  più  protetto  dalla  fiotta  abbandonò  Turio 
ai  Tarentini.  Seguirono  quindi  i  fatti  di  Pirro  e  di  Anni- 
bale che  a  testimonianza  di  Appiano  vi  traslocò  gli  Atel- 
lani  (VII,  49).  Terminate  le  guerre  cartaginesi  i  Romani 
dedussero  nel  561  una  colonia  nel  territorio  di  Turio  in 
Thurinum  acjrum  (Liv.  XXXV,  9)  :  cotesta  colonia  prese 
nome  di  Copia. 

Le  monete  di  Turio  non  hanno  nulla  di  arcaico  stile," 
esse  cominciano  al  secolo  quarto  di  Eoma,  né  portano  nel 
dritto  altro  tipo  che  la  Pallade  attica  ;  il  toro  che  vi  si  vede 
costantemente  al  rovescio  non  è  il  respiciente  dei  Sibariti, 
dei  Sirini,  e  degli  Aminei  di  queste  spiagge,  può  però  cre- 
dersi che  ne  conservi  la  tradizione,  avendo  preso  il  posto 
della  civetta  ateniese.  Il  significato  della  voce  dovqiog, 
impetuoso,  non  è  sì  proprio  del  toro  che  ne  potesse  mai 
fare  da  arma  parlante  come  è  sembrato  ai  numismatici.  Ne 
poi  è  vero  che  cotesto  toro  sia  sempre  impetuoso  cozzante, 
perchè  noi  il  vediamo  non  di  rado  andar  calmo  e  talvolta 
al  passo  (v.  i  nn.  15-17,  19-21,  24),  ed  è  anche  respiciente 
(ib.  n.  29).Iltetradrammo,  se  ne  eccettui  Reggio  e  Metaponto, 
non  usato  in  Italia,  fu  dagli  Ateniesi  introdotto  in  Turio. 
Questa  moneta  offrendo  un  campo  più  largo  fu  sovente 
insieme  coi  didrammi  lavorata  da  insigni  maestri  che  vi 
hanno  inscritto  il  proprio  nome,  Istore,  Molosso,  Nicandro. 
Su  di  un  raro  didrammo  è  impressa  la  testa  laureata  di 
Apollo  col  toro  sul  rovescio  :  questo  Apollo  è  ripetuto  sul 


bronzo,  ma  porta  sul  rovescio  la  lira,  come  nelle  monete  di 
Reggio,  donde  pare  sia  stato  imitato,  se  non  è  da  stimarsi 
un  indizio  di  confederazione.  In  un  secondo  bronzo  vi  si 
vede  invece  al  riverso  Diana  in  abito  di  cacciatrice  con 
fiaccola  nella  destra  e  due  giavellotti  appoggiati  alla  spalla 
sinistra  in  atto  di  montare  su  per  le  balze  accompagnata 
dal  cane. 

Né  il  Giove  'OfWQioc,  e  forse  neanche  il  Borea,  se  non 
è  al  n.  6,  si  vedono  sulla  moneta.  Noi  sappiamo  da  Polibio 
(L.  Il  e.  39)  che  all'  'Oi.wQwg  i  Turii  con  altri  popoli  innal- 
zarono an tempio;  ed  Bliano  {Var.  hist.  XII,  61)  scrive,  che 
essi  al  Borea  dichiarato  loro  concittadino  fabbricarono  una 
casa  e  gli  assegnarono  porzione  di  terreno,  dandogli  il  sopran- 
nome di  benefattore,  eveQyaTrjg,  e  gli  facevano  sacrifizii, 
perchè  aveva,  spirando,  mandato  in  conquasso  l'armata  di 
trecento  navi,  che  Dionigi  il  vecchio  menava  per  assalirli 
(ol.  XCVII,  3,  u.  e.  364).  Hanno  però  tenuto  conto  della 
fonte  Turia  che  rappresentano  coronata  di  canna  palustre. 
V  è  un  bronzo  con  testa  giovanile  laureata  e  a  capelli 
corti,  creduta  muliebre  dal  Sambon,  ohe  l'ha  forse  veduta 
nel  Carelli  (CLXIX,  95)  così  rappresentata.  Questa  ha  nel 
rovescio  un  cavallo  libero,  che  saltella.  Penso  che  sia  Dio- 
mede, che  ebbe  una  statua  in  Turio  {Sckol.  Pinci.  New..  X,  2), 
a  cui  è  consecrato  il  cavallo  libero.  Ad  Alessandro  il  Molosso 
i  Turini  innalzarono  un  mausoleo  in  attestato  di  gratitudine, 
essendo  egli  venuto  in  Italia  per  sostenerla  contro  i  Lucani. 
Il  ritratto  di  questo  re  può  forse  ravvisarsi  su  quel  bronzo 
di  Metaponto  (CV,  6),  che  figura  un  uomo  barbato  e  col 
capo  cinto  da  largo  diadema. 

Gli  artisti  di  Turio  non  iscrivono  i  loro  nomi  sull'  elmo 
della  Pallade  come  i  Veliesi,  ma  sulla  base  del  toro,  due 
di  essi  in  genitivo  "idroQog,  NixàvÓQo,  uno  in  caso  retto 
Móloaciog,  e  fra  le  gambe  anteriori  Evdv{Saiiog);  fra  le 
quattro  gambe  AC§vg.  Sono  nomi  di  magistrati,  o  di  alcun 
dinasta,  Jàiion-,  KQsiav"In7tó(!zQu{tog).  Battono  l'unità,  mag- 
giore e  il  doppio  di  essa  e  questa  unità  dividono  in  terze 
e  in  seste  parti.  La  monetina  di  argento  n.  31  del  peso 
di  gr.  0,47  ha  dato  da  pensare  sin  a  tanto  che  il  eh.  Im- 
hoof-Bliimer  ci  ha  additato  qual  valore  si  abbiano  i  carat- 
teri del  riverso.  Consta  dunque  che  i  Turii  dividevano  l'e- 
miobolo  in  cinque  once,  ciascuna  delle  quali  pesava  gr.  0,10 
incirca.  Il  lodato  editore  confessa  di  non  avere  un  vocabolo 
che  esprima  queste  frazioni  e  rifiuta  l'opinione  del  Sam- 
bon, che  loro  attribuisce  la  voce  triletartemorion  colla  quale 
gli  Attici  denominavano  tre  quarte  parti  dell'obolo.  Ma  si 
deve  notare  che  l'obolo  dei  Turii  è  doppio,  l'uno  pesa 
gr.  0,60,  l'altro  94;  il  primo  si  divide  in  sei  parti,  il  secondo 
in  dieci.  Questo  T  si  rivede  nel  bronzo  (T.  CVIl  n.  23)  del 
peso  di  gr.  1,11-0,97  e  forse  dovrà  riconoscersi  anche 
nella  cifra  H  in  mon.  (nn.  14,  15)  del  peso  di  gr.  4,10, 
valendo  di  fatto  un  emiobolo  in  bronzo. 

Il  Sambon  conobbe  {Rxherch.'Q.  170)  le  due  terze  e  la 
duodecima  parte  ;  la  sesta  è  anche  nella  mia  collezione.  Una 
delle  unità  maggiori  (n.  21)  di  barbaro  stile  e  foderata 
porta  la  leggenda  OOVRIil   con   desinenza  arcaica  latina 


142 


LUCANIA  AUSTEALIS 


T.  evi 


del  genitivo  plurale  in  o  e  due  lettere  parimente  latine  VR. 
Dovrà  dunque  attribuirsi  e  ne  saranno  autori  i  Campani  di 
AteUa,  0  di  Erdonia,  che  furono  trasferiti  da  .Annibale  in 
Turio  (App.  VII,  49). 

Il  bronzo  ha  in  prima  per  base  l'obolo  e  il  doppio  e 
quadruplo  dell'obolo,  non  che  le  divisioni  inferiori  fra  le 
quali  è  notevole  quella  che  porta  sul  rovescio  un  T  ini- 
ziale parmi  del  tricalco  o  sia  della  quarta  parte  di  obolo. 
11  mezzo  toro  è  figurato  pome  il  mezzo  bue  androprosopo 
di  Napoli  in  atto  di  nuotare  nelle  acque. 

7.  Museo  di  Napoli  (Avellino,  R.  Mas.  Borb.  V  tav.  XLV,  I). 

Testa  di  Pallade  sul  cui  elmo  è  il  mostro  Scilla,  che  leva  la 
sinistra  facendo  solecchio  :  sulla  gronda  è  un  grifo.  R.  Toro 
cozzante  volto  a  d.  di  sopra  OOYPIilN.  Chiamo  questo  toro 
cozzante  :  non  intendo  perb  che  si  lanci  a  tutta  forza  contro 
il  rivale,  ma  che  corneggi  come  fa  a  modo  di  esempio 
sulle  monete  della  guerra  sociale  ferendo  di  corno  la 
lupa  che  ha  sotto  i  piedi.  Il  Minervini  {Oss.  p.  48)  dice 
ovvio  nelle  nostre  monete  di  ritrovare  il  toro  con  le 
anteriori  zampe  ripiegate  verso  il  corpo  e  col  capo  abbas- 
sato, ovvero  con  una  sola  delle  zampe  anteriori  piegate.  Il 
primo  atteggiamento  non  so  in  quali  monete  si  trovi,  del 
secondo,  che  è  solenne  sulle  monete  di  Turio,  dico,  che 
non  è  atteggiamento  di  un  quadrupede  che  nuota:  ben  è 
proprio  del  nuotante  il  muovere  alternamente  le  gambe 
nell'acqua  e  poi  l'averle  piegate,  ma  in  tal  attitudine  la 
testa  è  alta.  II  toro  di  Turio  pare  si  atteggi  alla  pugna 
dando  dei  colpi  all'aria. 

8.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato  del 
mostro  Scilla,  e  sulla  gronda  dinn  grifo.  R.  Toro  cozzante 
volto  a  d.  sopra  0OYPIÌ1N:  sul  listello,  dove  il  toro 
poggia,  15TOPOC:  sulla  coscia  del  toro  è  scolpito  in  mono- 
gramma EY  veduto  la  prima  volta  ed  espresso  dal  sig. 
Imhoof-Blumer,  al  quale  ne  debbo  l'avviso.  Può  essere  letto 
EY  piuttosto  che  YE  e  tenersi  per  nome  di  magistrato. 
L'artefice  del  tipo  è  Histor  altronde  ignoto.  Qui.  il  sig. 
Imhoof-Bl.  (Monn.  gr.  pag.  7)  raccoglie  alcuni  esempi  di 
lettere  stampate  in  rilievo  sul  corpo  dell'  animale  che  è  posto 
sul  riverso.  Tali  sono  H  ed  E  sul  delfino  di  Taranto,  P  o 
K  sul  leone  di  Lycceius,  A  sulla  vacca  di  Durazzo,  M,  A,  0 
sulla  vacca  di  Carcyra,  A  sul  Pegaso  di  Ambracia,  ai  quali 
esempi  si  può  aggiungere  I'  3  sul  leone  di  Velia,  nella  col- 
lezione mia  (tav.  CXVIII,  24). 

9.  Museo  di  Napoli  (Avellino,  R.  Mus.  Borh.ì.  V  tav.  XLV,  3). 

Testa  di  Pallade  volta  a  d.  coperta  di  elmo  attico,  sul  quale  è 
il  mostro  Scilla  che  scaglia  una  pietra.  R.  Toro  simile  al 
n.  8:  sopra  GOYPIilN  ed  EY(t)A:  in  un  esemplare  della 
coli.  Santangelo  si  legge  EV(1)E  forse  per  EVctiP  che  ha 
qualche  altro  esempio. 
10.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  col  mostro  Scilla  sull'  elmo  che 
lancia  una  pietra,  sulla  gronda  di  esso  elmo  Slil.  R.  Toro 
cozzante  come  quello  del  n.  10,  e  fra  le  gambe  anteriori 
EYOY,  di  sopra  R  :  la  leggenda  OOYPI0N  è  uscita  di  conio. 
Nell'esergo  è  un  pesce.  Il  Cavedoni  congettura  {Saggio,  19) 
del  mostro  in  atto  di  gittare  un  colpo  di  pietra,  che  par- 


rebbe piuttosto  un  gigante,  e  potrebbe  dirsi  OovQiog.  Ma 
ai  giganti  che  gli  antichi  finsero  anguipedi  non  si  sa 
che  abbiano  aggiunti  all'  inguine  come  a  Scilla  cani  latranti. 

11.  Testa  di  Pallade:  il  mostro  Scilla  sull'elmo  porta  un  remo: 

dietro  la  nuca  di  Pallade  è  E.  R.  Toro  simile  ai  prece- 
denti; sul  listello  MOAO^SOM;  di  sopra  OOYPlilN  :  nel- 
l'esergo un  pesce:  la  estrema  lettera  M  mi  sembra  un  i 
rovescio. 

12.  Testa  di  Pallade,  sul  cui  elmo  il  mostro  Scilla  alzala  sini- 
stra verso  la  fronte.  R.  Toro  cozzante  simile  a  quello  dei 
nn.  7,  10  di  sopra  OOYPIIÌN;  di  sotto  al  toro  entro  una 
zona  AAOAO^^O^;  nell'esergo  nn  pesce. 

13.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  simile  alla  precedente  n.  12.  R. 
Toro  simile  a  quello  dello  stesso  n.  12  ma  il  nome  N\OAOÌ- 
i.Oi  in  carattere  minuto  è  scritto  sul  listello  dove  poggia 
il  toro  :  di  sopra  OOYPlJClN  :  nell'esergo  un  pesce. 

14.  Nel  Museo  di  Berlino  (Friedlaender,  Arch.  Zeitung,  1847  ' 
p.  119  tav.  VIII,  6).  Testa  di  Pallade  sul  cui  elmo  il  mostro 
Scilla' porta  im  remo,  ed  un  grifo  è  sulla  gronda.  R.  Toro 
cozzante:  di  sopra  OOYPIilN;  sulla  base  dove  poggia  il 
toro  NIKANAPO:,  tra  i  piedi  del  toro  una  locusta.  Nel- 
l'esergo un  pesce. 

15.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  coronato  di  olivo.  R. 
Toro  andante  a  sinistra  fra  i  cui  piedi  è  scritto  AIBYS: 
di  sopra  OQYPlilN  ;  nell'esergo  un  pesce. 

16.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  simile  alla  precedente  n.  18: 

davanti  alla  fronte  un  0.  R.  Toro  andante  a  sinistra,  sopra 
OOYPlilN;  tra  le  gambe  un  uccello  che  batte  le  ali, 
nell'esergo  un  pesce. 

17.  Museo  di  Napoli  (Avellino,  R.  Mus.  Borb.  t.  V  tav.  XV, 
12).  Testa  di  Pallade  sul  cui  elmo  è  un  grifo.  R.  Toro 
gradiente  a  sin.  di  soiH'a  OOYPljQN  ;  nell'esergo  un  pesce. 

18.  (Carelli  t.  CLXVII.  27).  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  alato 
volta  a  d.  /?.  Toro  cozzante  coronato  dalla  Vittoria:  nel- 
l'ergo  GOYPljQN. 

19.  Testa  di  Pallade  con  elmo  coronato  di  olivo.  R.  Toro  an- 

dante di  passo:  sopra  GOYPIilN,  nell'esergo  due  pesci. 

20.  Coli,  mia  :  moneta  foderata.  Testa  di  Pallade  con  elmo  co- 
ronato di  olivo.  R.  Toro  andante  a  sin.  :  di  sopra  OOYPIIIN, 
tra  le  gambe  A,  nell'esergo  un  polipo. 

21.  Nel  Museo  di  Vienna.  Testa  di  Pallade  con  elmo  coronato 

di  olivo  volta  a  sin.  e  di  barbaro  stile.  R.  Toro  andante 
a  sin.,  di  sotto  nell'esergo  im  pesce,  di  sopra  OOVRlil 
con  alfabeto  misto  e  flessione  del  genitivo  plurale  in  12, 
come  l'arcaica  latina. 

22.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  ornato  del  mostro  Scilla. 

R.  Toro  cozzante  a  sin.  Sopra  OOYPIilN  è  OPA  (OP  in 
mon.),  tra  le  gambe  SAT:  nell'  esergo  una  spada  nel 
fodero,  che  è  in  basso  munita  di  larga  piastra  a  modo  di 
crispello.  La  spina  del  manico  termina  in  pomo  :  ha  una 
vetta  per  paramanico,  e  al  fodero  si  vede  annodato  un 
laccio  che  fa  da  balteo  per  sospendere  l'arma  dall'omero 
a  traverso  del  petto  e  per  cingerla  ai  fianchi. 

23.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  sul  cui  elmo  è  il  mostro  Scilla 
con  capelli  sciolti  ed  irti:  è   di  forma  umana  fino   all'in- 


T.  CVII 


LUCANIA  AUSTKALIS 


143 


guine,  donde  si  spiccano  due  cani  terminanti  in  una  sola 
coda  di  pistrice.  R.  Cotesto  pezzo  aveva  ricevuto  in  incavo 
l'impronta  di  una  testa  galeata  quando  le  si  stampò  in 
rilievo  il  toro  cozzante  volto  a  d.  :  di  sopra  OOYPIilN, 
nell'esergo  un  pesce. 

24.  Nel  Museo  di  Monaco.  Testa  di  Pallade  con  elmo  coronato 
di  olivo.  E.  Toro  gradiente  a  sin.,  sopra  OOYPION,  nel- 
l'esergo un  pesce. 

25.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d.  R.  Toro  cozzante:  nel- 

l'esergo (O)OYPIXIN  e  fra  mezzo  un  tripode  (Avellino,  R. 
Mics.  Borb.  V  tav.  XLV,  1). 

26.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  attico  cinto  di 
laurea  volta  a  d.  R.  Toro  gradiente  a  sin.  di  sopra  0OYP1, 
fra  le  gambe  T,  nell'esergo  pesce  a  d. 

27.  Testa  di  Pallade  simile  a  quella  deln.  26.  R.  Toro  coz- 

zante volto  a  d.  sopra  OOYPlilN,  nell'esergo  HPA. 

28.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  alato  volta  a  d.,  da- 
vanti il  groma  agrimensorio.  R.  Toro  cozzante  a  d.  coronato 
dalla  Vittoria  ;  nell'esergo  OOYPlilN. 

29.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  coronato  di  olivo. 

R.  Toro  andante  a  d.  e  respiciente  a  sin.,  sopra  OOY  (Ve- 
dine una  simile  data  dal  Minervini  Bull.  ardi.  nap.  Ili,  9). 

30.  Coli.  Imhoof-Bl.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  cinto  di 

una  corona  d'olivo,  volta  a  d.  :  sopra  questo  tipo  è  scol- 
pito in  rilievo  un  T.  R.  La  cifra  P  dentro  alla  quale  un 
T,  indi  di  sotto  OOY.  Pesa  gr.  0,47. 

31.  Da  un  mio  calco.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  volta 
a  d.  R.  Nel  mezzo  la  cifra  P  con  dentro  un  T,  di  sopra 
MY,  di  sotto  OOY.  Il  sig.  Imhoof-Bl.  ha  dato  al  rovescio 
di  queste  due  monetine  30,  31,  questa  spiegazione  [Zur 
Miinzkunde  Boeotiens,  und  des  Pelopon.  Argos,  1877,  p.  57). 
La  cifra  P  col  T  significa  cinque  T,  ma  da  quel  T  non  trova 
per  ora  un  vocabolo  proprio  nelle  divisioni  frazionarie,  MY 
è  iniziale  del  magistrato,  OOY  il  nome  della  città. 

32.  Nella  coli.  mia.  Due  mezze  lune  accostate  dalla  parte  con- 
vessa e  intorno  OOYP.  R.  Lo  stesso  tipo  delle  due  lune  ma 
con  quattro  globettini  (cf  Piorelli,  Mon.  ined.  tav.  11,  14), 
che  probabilmente  dovrebbero  esser  cinque,  essendo  uno  dei 
globettini  uscito  di  conio. 

Tav.  CVn. 

1.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  volta  a  d.  coperta  di  elmo 
attico  adorno  del  mostro  Scilla.  R.  Toro  che  va  a  destra  e 
guarda  di  prospetto  :  di  sopra  OOYPI.0.N  :  tra  le  gambe  del 

.  toro  AAMXIN,  nell'esergo  una  fiaccola  acoesa.  Pesa  gr.  34, 50. 

2.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  ornato  del  mostro  Scilla. 

R.  Toro  cozzante  ;  di  sopra  OOYPIilN,  nell'esergo  un  pesce. 

3.  (FioreUi,  Ann.  di  numism.  11).  Testa  di  Giove  coronata 
di  laurea  volto  a  d.  R.  Aquila  ad  ali  spiegate  sopra  il 
fulmine:  a  sin.  OOYPIHN. 

4.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  decorato  del 
mostro  Scilla  volto  a  d.  Su  di  questo  bronzo  si  ripete  in 
contromarca  la  imagine  di  Pallade  che  serve  di  tipo.  R. 
Toro  cozzante,  fra  le  cui  gambe  posteriori  sono  le  lettere 
in  iniziali  di  un    nome    (cf.    IriTioarou,  CVII  n.  12,):  in 


alto  si  legge  OOYPIXIM,  nell'esergo  è  un  pesce.  Questo 
magistrato  Ifl  battè  ancora  un  nummo  d'argento  che  reca 
le  medesime  due  lettere. 

5.  Museo  di  Napoli  (Avellino,  R.  Mus.  Borb.  V  tav.  XXX,4Ì. 
Testa  laureata  di  Apollo.  R.  Toro  cozzante  volto  a  sin.  di 
sopra  QOYPIilN,  nell'esergo  un  pesce. 

6.  Nel  Museo   di  Monaco.    Testa  di  Apollo    cinta  di    laurea. 

R.  Diana  cacciatrice  con  due  giavellotti  appoggiati  alla 
spalla  sinistra,  e  una  fiaccola  nella  destra  ;  ha  corta  gonna, 
stivaletti  ai  piedi  e  la  faretra  sull'omero  destro  andando 
con  celere  passo  accompagnata  da  un  cane  :  a  d.  OOYPlilN 
(cf  Avellino,  R.  Mus.  Borb.  V  tav.  XXX,  8,  dove  la  fa- 
retra è  omessa).  Cotesto  bronzo  è  citato  a  torto  dal  Cavedoni 
nei  Ripostigli  (p.  234)  e  nelle  note  alle  opere  del  Borghesi 
{Oeuvr.  VI,  401)  per  esempio  di  tipo  simile  a  quello  della 
Diana  àiitpCnvQog,  ossia  che  porta  una  fiaccola  in  ciascuna 
mano  ed  è  in  veste  lunga,  quale  si  vede  sulla  moneta  di 
P.  Clodio  figlio  di  Marco,  onde  conferma  l'opinione  sua, 
che  il  cognome  Turinus  indichi  essere  egli  originario  di 
Thurium,  mentre  il  Borghesi  lo  dice  di  patria  ignota. 
Certamente  la  Diana  di  Turio  non  ha  che  far  nulla  con 
quella  di  Clodio. 

7.  Coli.  Santangelo.  Testa    della   fontana   Turia   coronata    di 

canna  e  con  pendenti  agli  orecchi  volta  a  sin.,  a  d.  OOYPIA. 
R.  Toro  cozzante  a  sin.  in  alto  ISTI  nell'esergo  un  pesce. 
In  altro  esemplare  il  campo  è  cinto  da  una  corona  e  sul  toro 
si  legge  il  nome  fi  ARME. 

8.  Nel  Museo  di  Napoli  (Avellino,  R.  Mus.  Borb.t.  Vtav.XV,  11). 

Testa  di  Pallade  con  elmo  ornato  di  un  ippocampo.  R.  Toro 
cozzante  a  d.,  di  sopra  OOYPIilN,  nell'esergo  un  pesce. 

9.  Testa  laureata  di  Apollo  a  sin.,  dietro  i?.  R.  Lira  e  intorno 

OOYPIilN,  di  sotto  s:nH  iniziali  di  due  nomi  Sm,  H 
(cf.  il  n.  14). 

10.  Simile"  testa  di  Apollo.  R.  Tripode  e  intorno  OOYPlilN. 

11.  Coli.  Sant.  Testa  di  Diana  a  d.  con  faretra  alle  spalle  e 
pendenti  all'orecchio.  E.  Apollo  stante  con  lira  nella  sin.  e 
patera  nella  d.,  a  sin.  KAEilN,  a  d.  OOYPIilN. 

12.  Coli.  mia.  Testa  di  Diana  coi  capelli  allacciati  sulla   cer- 

vice e  faretra  al  collo.  R.  Lo  stesso  tipo  della  precedente, 
ma  a  sin,  si  legge  OOYPIDN  a  destra  IPPOSTPA. 

13.  (Minerv.  Oss.  1,  11).  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico 
cinto  da  una  corona  di  olivo.  R.  Toro  che  va  a  destra  e 
volge  indietro  la  testa,  di  sopra  OOY.  Il  Cavedoni  ha 
notato  che  questa  moneta  fu  attribuita  dal  Carelli  a  Sibari 
(tab.  OLXIV,  20).  Essa  è  invece  di  Turio,  come  si  mani- 
festa dalla  epigrafe,  ohe  non  fu  potuta  leggere  dal  Carelli. 

14.  Museo  di  Napoli  (Avellino,  R.  Mus.  Borb.  V  tav.  XXV,7). 

Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  corinzio  volta  a  d.  R. 
Toro  cozzante  a  d.  di  sopra  OOYP,  nell'esergo  fflSSilOI, 
iniziali  di  quattro  nomi  Aq,  Icr,  Sm,  $(. 

15.  Museo  di  Napoli  (Avellino,  R.  Mus.  Borb.  V,  XXX,  11). 
Testa  laureata  di  Griove  volta  a  sin.  R.  Fulmine  alato:  di 
sopra  OOYPlilN  di  sotto  Th  in  mon. 

16.  Museo  Kircheriano.  Testa  di  Apollo  laureata   volta  a  sin. 

R.  Fulmine  alato;  di  sopra  OOYPIilN  di  sotto  Th. 


144 


LUCANIA  AUSTRALIS 


T.  CYII 


17.  (Fiorelli,  Mon.  ined.  II,  2).  Testa  di  Apollo  laureata  volta 
a  sin.,  dietro  la  nuca  S.  R.  Cornucopia,  a  sin.  2X1  a  d. 
(J)l  e  0OY. 

18.  Testa  di  Apollo  laureata    volta  a  d.  R.  Cavallo  libero    in 

corsa  a  d.,  di  sopra  0OY,  di  sotto  AS"""  in  mon.  (Avel- 
lino R.  Mus.  Borb.  V  tav.  XX5,  9). 

19.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  volta  a  d.  R.  Mezzo  toro 
nel  n.  19  volto  a  sin.  e  intorno  OOYPIIiN. 

20.  11  tipo  medesimo  che  nella  precedente,  ma  il  mezzo  toro 
è  volto  a  d.  e  intorno  gli  si  legge  OOYP. 

21.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  dalla  spoglia  del  leone.  R. 

Mezzo  toro  volto  a  d.  In  simile  nummo  edito  dal  Piorelli 
{Mon.  ined.  Ili,  8)  vi  si  legge  GOY  e  ^D.. 

22.  (ricreili,  Mon.  ined.  II,  13).  Testa  di  Pallade  con  elmo 
attico  volta  a  d.  R.  Due  lune  opposte  e  nel  campo  OOY. 

23.  Coli.  Imlioof-Bl.  (Zur  Munzkunde  Boeotiens  und  des  Pelo- 

ponn.  Argos  18-77  p.  58).  II  dritto  è  simile  a  quello  del 
n.  22.  R.  La  lettera  T  nel  mezzo  delle  due  epigrafi  EHI 
di  sopra,  OOYP  di  sotto  alla  linea  traversa.  Il  peso  è 
di  gr.  1,11-0,97. 

24.  Testa-  di  Pallade  con  elmo  attico  volta  a  d.  R.  Testa  di 
bue  di  prospetto  con  le  infulae  pendenti  dal  collo  :  di  sopra 
OOY,  di  sotto  astro. 

25.  Simile  alla  precedente  ;  ma  al  riverso  le  infulae  del  bucra- 
nio  sono  omesse:  di  sopra  si  legge  OOY,  di  sotto  EP. 

26.  Testa  di  Pallade  a  d.  con  elmo  coronato  di  olivo,  R.  Pro- 
toma di  bue  a  d.  ed  epigrafe  OO. 

COPIA 

Da  Strabene  apprendiamo  che  i  Romani  mandarono 
iuTuriouna  loro  colonia  che  denominarono  Copia  (Strabo, 
VI,  263).  Questa  asserzione  conferma  il  testo  ricevuto  di 
Livio  che  dice  essersi  decretato  nel  560  di  dedurla  (t.  XXXIV, 
53)  in  agrum  thurinum,  ma  fu  dedotta  nel  561  in  caslrum 
Frenlinum.  (Liv.  1.  XXXV,  9).  Il  Mommsen  pensa  così  {H.  de 
la  w.  Ili,  188)  e  il  Millingen  opina  che  Copia  non  fu  dedotta 
nella  città  di  Turio,  ma  nell'agro,  e  ne  dà  per  motivo  il  vedere 
che  Turio  è  sempre  nominato  dipoi  (Considérat.  pag.  229). 
Io  stimo  che  non  sia  stata  dedotta  a  Turio,  e  inoltre  che 
cotesta  Copia  non  abbia  avuto  lunga  vita,  e  però  che  Turio  si 
sia  ripreso  colla  vita  il  suo  nome.  A  così  opinare  m' induce 
non  solo  il  vedere  che  si  parla  di  Turio  dopo  il  56 1  ma  che 
dagli  antichi  si  tace  di  poi  di  questa  Copia.  Plinio  non 
ne  fa  parola,  e  neanche  l'autore  del  trattato  de  coloniis: 
e  neanche  l' itinerario  di  Antonino  (n.  114  pag.  52).  Ma  Ci- 
cerone e  Cesare  nominano  Turio  nell'agro  turino  e  Cosa  in 
cui  vece  Plinio  scrivendo  di  Milone  pone  Castellum  Caris- 
sanum  (11,  57);  onde  si  potrebbe  dire  col  Cellario  [Geogr. 
p.  719,  che  il  nome  di  Copia  fosse  andato  in  dimenticanza. 

La  moneta  che  si  ha  di  Cop  ia  è  di  bronzo,  rara,  e  del  sistema 
semonciale  ;  l'oncia  manca  tuttora.  La  sua  paleografia  ritiene 
dell'  alfabeto  arcaico  la  U  acuta,  che  adopera  insieme  con  la  L 
normale,  il  che  è  stato  già  notato  da  me  sulle  monete  del 
secolo  sesto  [Sylloge,  pag.  42  can.  9).  La  prima  emissione 
che  termina  col  semisse,  non  ha  nomi  dei  magistrati  ;  questi 


si  vedono  inscritti  soltanto  nella  seconda.  Sono  tutti  notati 
con  lettere  solitarie  ;  né  si  saprebbe  dire  se  uno  o  due  siano 
le  persone,  e  se  vi  si  è  aggiunto  anche  il  grado  e  la  qua- 
lità di  magistratura.  Par  proprio  il  caso  dell'asse  semonciale 
romano,  sopra  cui  trovasi  l'epigrafe  L  ■  P  ■  D  ■  A  -P  (Borghesi, 
Oejtur.  I  pag.  878;  Oss.  III).  Qui  però  ce  ne  apre  l' intel- 
ligenza il  trovarsi  una  volta  la  tronca  voce  AID,  cioè  Aedi- 
lis  che  giova  anche  a  confermare  l' interpretazione  dell'A  P 
proposta  dal  Borghesi.  Di  qui  ci  spieghiamo  anche  il  Q 
che  deve  indicare  il  Quaestor.  Che  poi  siano  due  gli  edili 
e  due  i  questori  quantunque  indicati  col  solo  nome  di 
famiglia,  si  fa  manifesto  dal  vedere  lo  scambio  di  sito  delle 
due  lettere,  ora  leggendosi  U  •  C  ora  C  •  L.  Dagli  spezzati 
passiamo  agli  assi  che  ci  danno  due  epigrafi  Q  •  P  •  L  •  L  ■  N 
eAA-C-M-D-L-Q-,  dove  il  confronto  ne  fa  accorti,  che 
nella  seconda  ugualmente  che  nella  prima  il  Q  vale  Quae- 
stores.  Il  sistema  simile  al  semonciale  non  prova  come  taluni 
falsamente  si  sono  apposti,  che  queste  monete  sono  poste- 
riori al  665  :  perchè  quanto  al  peso  della  libbra  le  colonie 
erano  libere  di  adottare  quel  che  loro  fosse  opportuno.  I  tipi 
del  dritto  ritraggono  quei  di  Roma,  eccetto  il  semisse,  che 
porta  r  imagine  della  Copia  in  luogo  della  testa  di  Griove. 

27.  Bifronte  barbato  laureato  col  segno  della  libbra  sul  vertice. 

R.  Cornucopia;  a  sin.  COPIA,  a  d.  mezza  luna. 

28.  Museo  di  Vienna.  Testa  di   donna  a  d.  coperta  di    velo  e 

coronata  :  dietro  S  segno  del  semisse.  R.  Cornucopia,  a  d. 
COPIA,  a  sin.  il  segno  S  del  semisse. 

29.  Coli.  Sant.  Bifronte  barbato  laureato  col  segno  del  valore, 
che  è  la  libbra,  sul  vertice.  R.  Cornucopia  a  d.  COPIA  e 
un  segno  monetale,  a  sin.  Q  •  P  •  L  •  U  •  N  (11  Catal.,  5179, 
in  fine  legge  M). 

30.  Coli.  Sant.  Bifronte  simile  al  precedente  n.  29.  R.  Cornu- 
copia fra  una  clava  a  s.  e  un  ramo  di  lauro  a  d.;  COPIA  a 
sin.  AA-C-/V\.D.L--Q. 

31.  Testa  di  donna  velata  e  coronata  volta  a  d.  dietro  alla  nuca  S 

R.  cornucopia  a  d.  COPIA,  a  sin.  U  •  C  •  Q. 

32.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  corinzio  volta  a  d.  Dietro 
i  quattro  globetti,  segni  del  triente.  R.  Cornucopia  a  d. 
COPIA  a  sin.  coi  quattro  globetti,  l'epigrafe  C  •  L-  ■  Q.  In 
altro  esemplare  si  legge  come  sopra,  n.  SI,  U  •  C  ■  Q. 

33.  Testa  di  Ercole  con  la  pelle  di  leone  volta  a  d.,  dietro 
tre  globetti.  R.  Cornucopia  a  d.  COPIA  a  sin.  U  ■  I-  •  AID, 
in  basso  i  tre  globetti. 

34.  Testa  di  Mercurio  col  petaso  alato,  dietro  due  globetti.  R. 

Cornucopia,  a  d.  COPIA,  a  sin.  C  •  U  •  Q  e  i  due  globetti. 

35.  Testa  di  Mercurio  col  petaso  senz'ali.  R.  Cornucopia,  a  d. 

COPIA,  a  sin.  U-U-AID. 

AMINEI 

Niun  dubbio  che  la  seconda  lettera  '*'\  sia  un  mu,  non  un 
M,  san  dorico.  Però  rimane  fermo  che  si  debba  pensare  ad 
un  popolo,  il  cui  nome  cominci  dalle  iniziali  Ami:  ed  io 
penso  che  siano  questi  gli  Aminei,  dei  quali  Filargirio 
dice  sull'autorità  di  Aristotele,  che  erano  Tessali  e  ven- 
nero in  Italia  dove  trasportarono  le  viti  che  da  loro  ebbero 


T.  eviri 


LUCANIA  AUSTEALIS 


145 


uome  di  aminee  (Yirg.  Georg.  II,  97):  Amineos  Aristotelcs 
ni  Pohjticis  scrtbit,  Thessalos  fuisse,  qui  suae  regionis 
vites  in  Jtaliam  transtìilerint,  atque  illis  inde  lìomen 
imposìtum.  Che  cotesti  Aiuinei  prendessero  stanza  nella 
Magna  Grecia  si  può  argomentare  da  Esichio  p.  74  : 
'Aniraìoc  di'  éròg  v  ozrog,  »J  ycig  IlsvxsTia  'Afiiraìa  Xsyi- 
Tcti.  Indi  si  dissero  aminee  tutte  quelle  vigne  nelle  quali 
la  vite  aminea  si  coltivava  (cf.  Plin.  H.  N.  XIV,  4).  In  questo 
senso  si  chiama  Aminea  la  vigna  di  un  cittadino  di  Petelia 
il  quale  nel  suo  testamento  lascia  l'usufrutto  di  essa  agli  Au- 
gustali  (Or.  S67S):  QVA/V\  VINEAW\  VOBIS  AVGVSTA- 
LIBVS  IDCiRCO  DARI  VOLO  QVAE  EST  A/V\1NEA.  Gli  anti- 
chi non  son  concordi  ad  assegnare  il  luogo  ai  Peucezii: 
questa  regione  scrive  Plinio  (III,  16)  si  chiamò  poi  Mes- 
sapia  e  Calabria  in  Salentino  solo  ;  altri  però  la  pongono 
fra  Bari  e.  Taranto.  Perecide  addita  i  Peucezii  nel  seno 
ionio  sr  ìoviro  zó/rrm,  ed  Ecateo  attesta  eie  confinarono 
cogli  Enotrii  ì'droQ  roTg  Oi'tor gioie  noodexé:.  Può  quindi 
opinarsi  che  la  città  degli  Aminei  stesse  fra  Metaponto, 
Bari  e  Taranto  piuttosto  che  fra  Taranto  e  il  capo  di  Leuca, 
dove  secondo  l'Harduino  li  pone  Macrobio,  se  si  corregge 
Salentum  in  luogo  di  Falenium.  Ma  credo  che  Macrobio 
veramente  intendesse  Falernum  dove  si  coltivava  la  vite 
aminea  a  suoi  tempi  {Satwn.  II,  46):  e  dove  egli  perciò 
stima  che  abitarono  ■  gli  Aminei:  Uva  aminea  scilicet  a 
regione:  nani  Aminei  fuerunt,  ubi  nunc  Falernum  est:  e 
ad  ogni  modo  i  Peucezii  non  oltrepassarono  i  confini  di 
Brindisi  ed  è  piuttosto  vero  che  il  loro  suolo  si  chiamò 
in  parte  Salentino,  ponendo  Plinio  la  Egnatia  in  Salen- 
tino (II,  140). 

36.  Coli,  del  Luynes.  Toro  in  rilievo  che  andando  a  sinistra  si 
volge  indietro  e  par  che  guardi  una  cavalletta  che  gli  si 
è  posata  sulla  groppa  :  nell'  esergo  ^  '^/Q.  R.  Lo  stesso  tipo 
incuso  con  l'epigrafe  stessa  in  rilievo  nell'esergo.  Il  Luy- 
nes nell'elenco  che  mi  mandò  delle  sue  monete  l'attribuì 
per  congettura  ad  Aminula  Apuliae  vel  Amiternum.  Essa 
è  quel  medesimo  esemplare  che  fu  una  volta  visto  in  Koma 
nel  1845. 

37.  Museo  di  Vienna.  Il  tipo  è  lo  stesso  che  nel  nummo  pre- 
cedente, e  la  epigrafe,  quantunque  logora,  pure  studiata 
bene  si  legge  l'^/K  dai  due  lati.  Il  P.  Eckhel  la  publicò 
e  descrisse  (D.  n.  v.  I,  161)  citando  anche  il  Magnan.  Ma  la 
epigrafe  non  fu  da  lui  ben  letta  VAA,  e  la  moneta  si  attribxiì 
erroneamente  a  Sibari.  La  quale  attribuzione  è  durata  e 
dura  tuttavia  (Fiorelli,  Mon.  ined.  II,  12). 

38.  Museo  di  Xapoli.  Terzo   esemplare  della  moneta  descritta 

n.  36.  Ancor  qui  l'epigrafe  è  i'^f\.  È  stata  publicata  dal 
De  Petra,  come  se  fosse  della  città  di  Asia  nei  Bruzii. 
Ma  vedi  ciò  che  ne  ho  detto  nella  Civ.  catt.  quad.  698 
pag.  226  segg. 

SIEIS 

Era  fama  che  nelle  terre  della  Enotria  abitate  dai  Caoni 
e  dai  Grioni  e  bagnate  dal  Siri  e  dal  Sibari  fosse  approdato 
Pilottete  coi  Troiaui,  come  in  Sibari,  e  vi  avesse  fondata  alle 


foci  Siri  città  omonima  alla  troica  Siri  e  al  patrio  fiume  (Arist. 
de  p.  VII,  10  :  Strabo,  VI,  264).  Questa  tradizione  è  ricordata 
da  Ateneo  (Dipn.  Xlil,  523):  ^Toiv  ìjì'  ttqòìzoi.  xaxrjayov  oi 
ànù  TQdi'ag  èXd-óvTsg.  In  Siri  presero  di  poi  stanza  circa  l'ol. 
XXIV  i  Colofonii  di  Lidia  fuggendo  la  dominazione  del  re 
Gige  (Strab.  L  cit.  ;  Herod.  I,  lA):  rrjv  Av3mv  àgz'}''  f^vvovai. 
Cù'ca  la  ol.  L  i  Sibariti  coi  Metapontini  e  coi  Crotoniati  le 
mossero  guerra  e  guadagnando  la  distrussero.  Essa  tuttavia  era 
deserta  quando  Temistocle  ricordava  l'oracolo  che  aveva  ab 
antico  ingiunto  agli  Ateniesi  di  condurvi  una  colonia.  Siri  batte 
moneta  incusa  divisa  in  quarta  a  proprio  nome  e  in  confedera^ 
zione  di  Bussento.  Questa  Buxentum  non  è  la  fondata  da  Smieito 
nell'  anno  2  della  ol.  LXXVII,  283  u.  e.  (Diod.  Sic.  L.  XI 
e.  48,  50),  0  tutto  al  più.  tardi  nell'anno  287,  cioè  un  103  anni 
dopo  la  distruzione  di  Siri.  Convien  quindi  dedurre  che  Smieito 
non  fondasse,  ma  conducesse  una  nuova  colonia  in  quella  città, 
ovvero  che  il  nummo  di  Siri  non  precede  l'anno  287  come 
conchiuse  l'Eckhel. 

In  T.  Livio  è  detto  che  ai  Romani  furono  date  quattro  navi 
dagli  Uriti,  ab  Uritibus.  Si  è  cercato  chi  siano  cotesti  Hi/rites, 
così  potenti  in  mare.  Il  mio  parere  si  è  che  siano  questi  i 
Siriti  e  che  fa  d'uopo  correggere  Uritibus  in  Siritibus,  dai  quali 
i  Komani  poterono  avere  le  navi,  perchè  Siri  rimessa  in  piedi 
dai  Tarantini  nella  ol.  LXXXIV,  serviva  di  navale  agli  Eracleesi. 


Tav.  CVIII. 

1.  Museo  di  Napoli.  Toro  che  andando,  si  rivolta  indietro,   nel 

campo  di  sopra  ilW.  R.  Lo  stesso  tipo  incuso.  Pesa  gr.  2,57. 

2,  3.  Coli.  Luynes.  Il  tipo  già  detto  al  dritto  e  al  riverso  incuso, 

l'epigrafe  è  doppia:  nel  dritto  si  legge  MOM^I^M  e  in  qualche 
esemplare  MO^jqW:  nel  riverso  PVtOEM  ovvero  tVT 
come  nel  n.  2.  Suole  eccedere  di  peso  i  gr.  8,00. 

STBAEIS 

Quanti  hanno  scritto  delle  città  d'Italia  attestano  (dice 
Pausania  VI,  19,  6),  che  vi  fu  una  Sibari  dove  è  ora  Lupia: 
'Onótìoi  TtsQÌ  'Ivaliag  xal  noXéiav  STTQayfióvrjffav  zàv  év 
avzfi  AovTtCag  (faci  xsiiisvrjv  BgsvTsaiov  zs  fisza^v  xal 
'YSqovvtog  jiszalls^XrjXsvai  rò  ovoi^ia,  ^v^agtv  ovaav  tÒ 
c(Q%càov.  Antonino  Liberale  {Metam.  e.  3)  attribuisce  ai 
Locresi  la  fondazione  di  una  Sibari  presso  Temesa  :  AoxqoI 
nóliv  iv  'iTaXia  2vflccQiv  sxtidar.  La  terza  Sibari  che  è 
quella  della  quale  trattiamo  dicevasi  che  l'avessero  fondata 
i  compagni  di  Pilottete  (Schol.  luvenal.  VI,  296)  :  ma  essa 
sorse  nell'anno  4  della  ol.  XIV,  u.  e.  33,  fondata  dai  Tre- 
zenii  e  dagli  Achei  (Arist.  Polit.  V,  3  ;  Solin.  e.  18)  con- 
dotti da  un  Is  (nome  forse  intero)  di  Elice  (Strabo,  VI, 
263).  Essa  era  sita  fra  due  fiumi,  l'uno  denominato  Sibari, 
l'altro  Grati  omonimo  al  fiume  di  Aegae,  donde  si  erano 
partiti  (Herod.  1 145).  Dopo  pochi  anni  gli  Achei  cacciarono 
i  Trezenii  (Arist.  Polii.  V,  3).  Sibari  prosperò  lungamente 
e  crebbe  in  potenza  di  modo  che  si  assogettò  quattro  po- 
poli e  venticinque  città.  V'erano  però  tali  discordie  inte- 


146 


LUCANIA  AUSTEALIS 


T.  CVIII 


stine  fra  la  plebe  e  i  nobili,  che  questi  furono  costretti 
rifugiarsi  in  Crotone  e  chiedere  a  quei  cittadini  aiuto. 
Fu  dunque  dai  Crotoniati  fatta  una  spedizione  nella  ol. 
IXVn  an.  3,  ovvero  nella  LXVIII  an.  2  (u.  e.  243  ovvero 
247).  Sibari  era  sì  vasta  che  toccava  per  cinquecento 
stadi  le  rive  dei  due  fiumi  il  Crati  e  il  Sibari.  Essa  fu 
presa  e  distrutta  e  a  farne  perdere  la  memoria  vi  fecero 
passar  di  sojjra  il  Crali. 

Quei  'Sibariti  che  ne  furono  supei-stiti  andarono  a  pren- 
dere stanza  in  Lao  e  in  Seidro  loro  colonie  (Herod.  VI, 
21):  il  Millingen  aggiunge  Posidonia  {Consid.  p.  7)  e  cita 
Erodoto  :  di  che  non  vi  è  cenno  in  questo  scrittore.  Di  un 
tanto  infortunio  toccato  alla  celebratissima  Sibari  i  cittadini 
di  Mileto  sentirono  profondo  dolore  e  ne  fecero  un  gran 
lutto,  non  solo  perchè  erano  al  par  di  loro  Gioni  di  origine 
(Herod.  1.  cit;  Diod.  exc.  Vat.  p.  llDind.),  ma  anche  per- 
chè erano  in  gran  lega  commerciale  provedendosi  da  Mi- 
leto di  quelle  sottilissime  lane  (Tim.  ap.  Athen.  n.  XII 
p.  529  Schweig.)  tanto  celebrate  (Plut.  Aì.cib.  p.  197  segg.). 

Intanto  i  nobili  Sibariti  che  erano  in  Crotone  andarono 
a  rimettere  in  piedi  la  loro  patria  condottivi  da  un  Tes- 
salo (Diod.  XI,  90),  0  da  Tessali  (id.  Xtl,  10),  cinquan- 
totto anni  dopo  che  la  loro  città  era  stata  distrutta  (ol. 
LXXXII,  1:  u.  e.  301).  In  questa  Sibari  erano  stati  appena 
cinque  anni,  ed  ecco  che  i  Crotoniati  li  costrinsero  a  par- 
tirne. Allora  essi  implorarono  aiuto  dagli  Ateniesi,  che 
mandarono  una  colonia  l'anno  terzo  della  ol.  LXXXIII 
(Diod.  XII,  10),  la  quale  prese  precariamente  stanza  in 
Sibari,  dovendo  andare  in  cerca  di  un  terreno,  che  fu  quello 
dove  fabbricarono  Turio  (ol.  LXXXIII,  3  u.  307;  Diod. 
XII,  10),  e  vi  si  stabilirono  chiamandovi  a  parte  i  nobili 
Sibariti.  La  condotta  di  costoro  in  Turio  fu  tale,  che  ob- 
bligarono gli  Ateniesi  a  disfarsene  un  anno  dopo  (Aristot. 
Polit.  V,  6,  6):  allora  i  Sibariti,  o  soli,  ovvero  secondo  al- 
cuni (Strab.  VI,  I,  14)  insieme  coi  Eodii,  si  trasferirono 
alle  sponde  del  Traente  oggi  detto  Trionte,  dove  fonda- 
rono una  Sibari  che  fu  la  terza  di  tal  nome  in  Italia. 
Questa  durò  fino  a  che  i  Brezii  con  molte  altre  greche 
colonie  la  distrussero  nell'ol.  CVI,  1  (u.  398). 

Questo  brano  di  storia  dove  i  Sibariti  ricevono  in  Si- 
bari  una  colonia  ateniese  è  sfuggita  all'Ecthel  e  al  Mi- 
nervini  (0$s.  pag.  130),  l'uno  dei  quali  vorrebbe  che  i  Si- 
bariti ritennero  l'antico  lor  nome  prima  di  assumere  il  nuovo 
di  Turio  e  batterono  col  toro  sibarita  e  col  nome  di  Sibari  : 
e  l'altro,  che  i  Turini  ritennero  da  principio  il  tipo  sibarita  e 
batterono  colle  monete  di  bronzo  e  d'argento  col  toro  sibarita 
e  l'epigi-afe  GOY  appartengano  a  Turio.  Sibari  coniò  col 
suo  proprio  tipo,  ma  sul  dritto  pose  la  testa  della  Pallade 
attica  e  adoperò  la  paleografia  più  recente  SYBAPl. 

Questo  racconto  deve  servirci  a  distribuire  le  monete 
sibariti  in  due  serie  assegnandole  a  due  epoche  diverse. 
Alla  prima  serie  assegneremo  le  incuse  e  quelle  a  doppio 
rilievo  che  serbano  l'antico  alfabeto:  alla  epoca  seconda 
che  comincia  dalla  olimpiade  LXXXII,  1  (u.  302)  attri- 
buiremo quelle  monete  che  portano  per  tipo  del  dritto  la 


testa  della  Pallade  attica  e  adoprano  il  più  recente  alfa- 
beto (Tav.  C.  Vili  un.  23-26).  Pare  quindi  che  fin  da 
questo  anno  gli  Ateniesi  non  siano  stati  estranei  alla  co- 
lonizzazione di  Sibari,  quantunque  Diodoro  parli  solo  di 
uno  0  più  Tessali  che  l'abbiano  rifondata. 

Le  monete  di  confederazione  di  Sibari  con  Lao,  ovvero 
di  Posidonia  con  Sibari  appartengono  alla  epoca  prima 
che  termina  coll'ol.  LXVII  a.  3,  ovvero  LXVIII  a.  3  (u. 
244-248).  Le  monete  incuse  sono  anteriori  alla  ol.  L, 
nella  quale  fu  distrutta  Siri,  che  le  sole  incuse  ha  coniate  : 
ma  Buxentum  che  si  legge  sulla  moneta  di  Siri  non  può 
essere  la  Buxentum  da  Micito  fondata  l'anno  2  della  ol. 
LXXVIT,  quando  cioè  Siri  non  era  stata  rimessa  ancora 
dagli  Ateniesi,  che  vi  si  recarono  nella  ol.  LXXXIV,  o 
dovrà  dirsi  che  la  fondazione  di  Micito  o  Smicito  fu  solo  una 
nuova  colonia  che  vi  fu  dedotta. 
Il  sistema  monetario  di  Sibari  nelle  due  epoche  della 
moneta  incusa  e  della  moneta  a  doppio  rilievo  è  lo  stesso. 
Battono  i  Sibariti  lo  statere  e  i  terzi  e  sesti  dello  statere. 
Il  gran  commercio  che  facevano  i  Sibariti  con  Mileto  non 
ha  per  nulla  influito  a  far  sì  che  battessero  la  loro  moneta 
d'argento  secondo  le  divisioni  inferiori  alla  maggiore  unità 
che  in  Mileto  ebbe  gr.  10,59  a  10,90,  dividendosi  poi  in 
metà,  in  terze  e  seste  parti,  laddove  Sibari  nel  sistema  a 
doppio  rilievo  egualmente  che  in  quello  della  moneta  incusa 
batte  l'unità  maggiore  di  gr.  8,  21,  29  a  7,  22,  e  divide 
questa  in  terze  e  in  seste  parti. 
4-6.  Coli.  Santangelo  (Minervini  Bull.  arch.  I,  VI  tav.  HI 
n.  1).  Il  tipo  è  lo  stesso  che  quello  degli  Aminei  e  dì 
Siri,  il  toro  respiciente.  R.  lo  stesso  tipo  incuso.  La  leggenda 
nei  didrammi  è  VM,  e  si  vede  nell'esergo  ovvero  nel  campo 
di  sopra  del  toro.  Ma  nel  n.  4  vi  si  legge  di  sopra  scritto 
NSKA,  che  mi  sembra  vi  sia  invece  della  Vittoria  volante 
in  atto  di  coronare  il  toro.  Il  nome  della  città  è  omesso. 
Nel  mio  esemplare  che  ho  espresso  al  n.  5  si  legge  sul 
toro  il  nome  MWA  grafBto  a  linea  raddoppiata. 

7.  Coli.  Luynes.  Toro  gradiente  a  sinistra,  nell'esergo  VM  e 
nel  campo  di  sopra  del  toro  BAPS.  Il  Luynes  nel  Catalogo 
di  alcune  monete  della  sua  collezione,  che  ho  di  sua  mano, 
continua  la  leggenda  bustro  feda  IIAflVM,  ma  ivi  è  in 
fine  la  parte  inferiore  dell'  S  angolare. 

8.  Eitorna  il  toro  respiciente  che  ha  nell'esergo  la   leggenda 

VM.  11  peso  di  questo  n.  8  è  di  gr.  2,67  e  si  hanno  gli 
spezzati  inferiori  corrispondenti. 

9.  10.  Questi  due  nummi  portano  al  riverso    un'anfora  incusa 

e  il   primo  pesa  gr.  1,32  ;  il  secondo    0,66,   cioè   la    sua 
metà. 

11.  Coli.  mia.  Toro  respiciente  a  d.,  di  sopra  VM.  R.  Ghianda 
col  suo  calice,  e  a  sin.  AAS.  È  una  confederazione  di 
Sibari  con  Lao,  il  cui  tipo,  la  ghianda,  si  vede  nell'esergo 
della  moneta  di|Lao  (Tav.  CXVlII,  4).  Questa  moneta  può 
essere  stata  coniata  al  più  lardi  nei  cinque  anni  che  de- 
corsero dopo  il  rimpianto  di  Sibari  (301-306  u.  e). 

12.  Di  cotesto  nummo,  che  non  si  era  veduto  dopo  il  Magnan 

se  non  dal  Minervini  {Bull.  arch.  nap.  t.  VI,  III,  5),  io  ne 


T.  CVIII 


LUCANIA.  AUSTRALIS,  BRUTTLA 


147 


deserÌTerò  i  due  esemplari  a  me  noti.  Il  primo  che  ho  qui 
inciso  è  nella  collezione  Luynes.  Toro  a  sinistra  respiciente 
a  d.,  nell'esergo  V/V\.  R,  La  prima  lettera  del  nome  in 
grande  formato  M  a  cui  è  inscritta  la  seconda  V  :  in  cima 
nel  campo  è  un  K.  L'altro  esemplare  è  nel  Museo  di 
Vienna,  ma  non  vi  si  legge  il  K,  e  neanche  in  quello  che 
è  descritto  dal  Poole  {Catal.  284  n.  13). 

13.  CoU.  Luynes.  Toro  volto,  a  d.  di  sopra  Aav/V\.  R.  Lo  stesso 
tipo  del  toro,  ma  volto  a  sin.  (Minervini,  B.  arch.  nap. 
1.  cit.  p.  3). 

14.  Coli.  Santangelo.  Nettuno,    che   movendo  il   passo  scaglia 

im  colpo  di  tridente:  un  uccello  gli  vola  dinanzi:  a  sin. 
AflVM.  R.  Toro  volto  a  d.,  nell'esergo  ASV/A  (Minervini, 
Bull.  arch.  nap.  VI,  III,  3). 

15.  Nettuno  che  scaglia  un  colpo  di  tridente  a  d.  dietro  di  lui 

aVAA.  R.  Toro  volto  a  d.  coronato  dalla  Vittoria. 

16.  II  tipo  medesimo  del  n.  15  ma  a  sin.  del  dritto  vi  si  legge 

VM  e  l'epigrafe  stessa  è  soprascritta  al  toro  del  riverso. 
È  nella  coli.  mia.  La  terra  sulla  quale  il  toro  cammina 
è  rappresentata  da  una  serie  di  glohetti,  che  però  non  sono 
da  prendersi  per  segni  di  valore. 

17.  I  tipi  sono  i  medesimi  del  n.  16:  ma  nel  dritto  fra  le 
gambe  di  Nettuno  si  vede  scritto  VAA  e  nel  riverso  la 
serie  di  glohettini  che  figurano  il  suolo  non  è  sovrapposta 
alla  Unea  come  in  altre  monete,  sibbene  vi  è  sottoposta. 
È  nella  coli.  mia. 

18.  Nettuno  lancia  U  tridente  a  d.  nel  campo  sono  vestigia  di 
leggenda.  R.  Uccello  dentro  una  corona  di  lauro.  Simile 
a  cotesto  nummo  si  è  quello  dato  dall'Avellino  con  leg- 
genda I/KIB'JA  intorno  alla  quale  ho  perduto  il  tempo  nel 
primo  mio  lavoro  del  1844  credendo  si  potesse  leggere 
HO^JA  che  spiegai  per  arcaico  nome  di  Alern.  (Salernum). 

19-21.  Simile  nummo,  ma  nel  dritto  del  n.  19  la  leggenda  è 
svanita,  nei  nn.  20,  21  si  legge  flVM  a  d.  di  Net- 
tuno, e  nel  riverso  la  corona  è  omessa.  A  qual  classe  ap- 
partengano gli  uccelli  che  vi  si  vedono  figurati  di  carattere 
diverso  non  è  facile  il  definire.  Perciò  mi  è  sembrato  utile 
apporre  le  varietà,  dove  le  loro  forme  sono  più  distinte. 

22.  Testa  di  Pallade  con  élmo  attico  volta  a  d.  R.  Toro  a 
d.  respiciente,  a  sin.  nell'esergo  SYBAPl  (Carelli,  T.  CLXIV 
n.  12). 

28.  Nel  Museo  Britannico.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico 
volta  a  d.  R,  Toro  volto  a  destra  col  capo  basso  :  di  sopra 
SYBAPI  nell'esergo  pesce  (Catal.  p.  280  n.  32). 

24.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con    elmo  attico  volta  a 

d.  R.  Toro  a  d.  respiciente,  a  sin.  nell'esergo  SYBA. 

25.  CoU.  Santangelo  (Minervini,  Bull.  VI,  HI,  4).  Testa  di 
Pallade  con  elmo  attico  laureato.  R.  Testa  del  toro  volta 
a  d.  intorno  SYBA.  Se  ne  ha  un  esemplare  nel  Museo 
Britannico.  {Catal.  p.  280  n.  35);  pesa  gr.  0,19. 

GEOTONE 

La  tradizione  diceva  che  Crotone  dinasta  di  Corcira  fu 
il  primo  fondatore  della  città,  a  cui  diede  il  suo  nome  :   fu 


anche  detto  {Schol.  Theocr.  id.  IV,  32)  che  dei  due  figli  di  Eaco, 
Alcimo  fondò  Corcira,  e  Crotone  la  città  omonima.  Narra- 
vasi  ancora  di  Ercole  che  venuto  nell'Enotria  ai  tempi  di 
questo  Crotone  ed  ospitato  da  lui  un  giorno  inavveduta- 
mente lo  uccise.  Indi  a  conforto  della  desolata  famiglia 
predisse  che  sorgerebbe  ivi  ima  città  la  quale  porterebbe 
il  nome  di  Crotone. 

La  storia  poi  racconta  (Strab.,  VI,  262;  Vili,  387)  che 
l'anno  terzo  della  ol.  XVII  gli  Achei  condotti  da  Miscello 
vennero  a  stabilirsi  in  questa  terra  per  oracolo  avutone 
dall'Apollo  di  Delfo  :  alla  quale  fondazione  prestò  mano  Ar- 
chia  che  era  andato  coi  Corinzii  a  fondar  Siracusa  (Strabo, 
VI,  262;  Pausan.  Ili,  2;  Suid.  sub.  v.  'Agxt'ag,  MiaxsX'log). 
Grli  Achei  della  Laconia  espulsi  da  Polidoro  re  di  Sparta 
e  condotti  da  Miscello  cercavano  stanza  ;  però  Pausania  (1. 
cit.)  attribuisce  a  Polidoro  codesta  spedizione  insieme  con 
quella  dei  Locresi  Epizefirii. 

Questa  città  crebbe  rapidamente  in  potenza  e  ricchezza, 
battè  copiosa  moneta,  sulla  quale  prese  per  tipo  il  tripode 
fatidico,  richiamando  così  la  tradizione  storica,  e  nondimeno 
riferì  ad  Ercole,  che  perciò  chiama  OIKISTA^,  i  suoi  na- 
tali. Fu  famosa  pei  suoi  atleti  e  prosperò  facendosi  gover- 
nare dai  sinedrii  pitagorici.  Sopravvenne  l'epoca  del  lusso 
e  portò  seco  la  decadenza  nel  costume  o  nella  forza. 

Tornando  ora  all'epoca  di  sua  grandezza,  ella  sin  dalla 
prima  età  quando  batteva  moneta  incusa  ebbe  alleate  le 
città  che  notò  con  queste  iniziali:  TE,  MV,  lA,  PANAO, 
DA,  ME,  KAVA,  9, 1/V\,  VUI,  OP.  Chiare  e  indubitate  sono 
Pandosia,  Sibari  e  Caulonia  :  può  dirsi  altrettanto  di  VU  ed  l/V\ 
perchè  il  nome  e  l'insegna  del  gallo  le  fa  assegnare  ad  Imera. 
Ma  quanto  alla  sigla  TE  non  sono  concordi  i  numisma- 
tici, dandola  alcuni  a  Temesa,  altri  a  Terina.  Pare  a  me  che 
il  TE  sia  iniziale  di  Terina,  perchè  Temesa  si  accorcia  in 
TEW\,  non  in  TE.  Né  vale  che  sulla  moneta  di  Crotone  si 
trovi  per  tipo  un  elmo  corinzio,  il  quale  anche  è  preso  per 
tipo  da  Temesa:  perchè  il  crotonese  è  privo  di  cresta,  e 
queUo  di  Temesa  l'ha  :  poi  nella  moneta  della  tav.  CIX  n.  6 
se  il  TE  fosse  stato  inteso  per  Temesa  era  naturale  che  si 
soscrivesse  all'elmo  del  riverso  e  invece  ivi  si  vede  ripetuto 
il  9PO  del  dritto,  assegnandosi  al  TE  insieme  col  9PO 
un  posto  del  dritto;  il  che  non  riuscirebbe  agevole  di  spie- 
gare, se  veramente  l'elmo  e  TE  fossero  l'uno  segno,  l'altro 
simbolo  di  Temesa.  Le  iniziali  DA  sono  state  lette  PA  dal 
Minervini  che  però  non  trovando  veruna  città  che  potesse 
portarle  si  è  volto  a  dirle  iniziali  del  nome  di  un  magi- 
strato. Ma  Crotone  in  questa  epoca  e  sempre  di  poi  non 
ci  dà  esempi  di  magistrati  inscritti:  onde  deduciamo  che 
il  ^ilTHP  di  un  bronzo  posto  sopra  un'  aquila  che  si  fa  pasto 
di  un  serpe  sia  nome  di  Zevg  (Cf.  AIO^  ^XITHPO^  in  num. 
Agrigen.,  pr.  Eckhel,  D.  n.  v.  I,  193).  Quanto  al  delta 
di  questo  alfabeto  esso  è  talvolta  assai  somigliante  al  rho, 
ma  suUe  monete  di  Crotone  ben  se  ne  distingue  prolun- 
gandosi l'asta  verticale  del  rho  di  sotto  oltre  alla  curva 
che  dicono  riccio.  Così  è  di  fatto  specialmente  nella  mo- 
neta di  9PO  non  nAN-0<  ;  come  appunto  lo  rivediamo  nella 

19 


148 


BRUTTIA 


T.  CVIII 


epigrafe  recata  sulla  tav.  XI  delle  Notizie  degli  scavi  1881. 
Il  DA  è  fuor  di  dubbio  Dande  che  si  disse  Zancle  sin  a 
tanto  che  nella  ol.  LXXIII,  3  Anassilao  non  le  cambiò  il 
nome  in  Messina.  Notizia  la  è  questa  di  molto  pregio  per- 
chè da  essa  deriva  la  determinazione  di  queste  prime  con- 
federazioni crotoniesi  malamente  finora  confuse  con  quelle 
di  età  posteriore.  V'è  una  moneta  coi  tipi  del  tripode  in 
rilievo  che  nell' esergo  inscrive  lA  ovvero  AI  (34,  35).  È 
opinione  del  Minervini  che  debba  supplirsi  "lagóv,  e  però 
significhi  un  didrammo  coniato  per  offerta  sacra.  Ma,  per- 
chè cotesto  lA  possa  ammettere  un  tal  supplemento  e  senso, 
dovrebbe  essere  munito  del  suo  spirito  aspro  HA,  e  poi 
r  esempio  dell'  HAPON  TO  APIO  inciso  a  mano  in  altro 
didramma  dimostra  che  simili  consecrazioni  erano  avven- 
tizie e  non  sottoposte  al  conio  della  zecca.  Non  è  poi  ar- 
duo conoscere  qual  città  sia  dissimulata  nelle  due  lettere 
lA  se  vuoisi  cercarla  fuori  della  penisola  nella  vicina  Si- 
cilia dove  sarà  cosa  agevole  trovare  lATON,  oggi  Pati,  sopra 
un  didrammo  colla  leggenda  lATON  (Poole,  Catal.  Sic. 
p.  77  n.  23),  confermandoci  nelle  proposte  relazioni  delle 
due  città  la  epigrafe  IM  di  un  altro  nummo  che  aperta- 
mente ci  addita  IMEPA  (Tav.  Suppl.  CXXV,  15)  il  qual 
nome  doppiamente  si  scrisse  or  collo  spirito  or  senza  {Ca- 
tal. cit.  79,  32-34).  Non  dobbiamo  omettere  il  nummo  che 
alla  leggenda  9PO  cougiunge  sul  riverso  VUI  (n.  21)  nome 
portato  per  un  certo  tempo  dalla  predetta  Imera,  né  quello 
che  accoppia  al  9PO  l'epigrafe  retrograda  OP  la  quale  a 
motivo  del  tipo  che  è  il  granchio  potrebbe  dirsi  punica  di 
Sicilia  0  di  alcuna  isola  fenicia  del  Lilibeo  (MuUer,  Num. 
afr.  Il,  181,  182).  Altra  confederazione  si  è  quella  che  in 
un  didramma  si  legge  espressa  colle  iniziaK  AAE.  Crede  il 
Minervini  che  questa  sia  Mesma:  io  invece  son  convinto  che 
essa  è  Metaponto  pel  confronto  che  le  posso  fare  di  altro 
didrammo  dove  alla  sinistra  del  dritto  si  legge  9PO  alla 
destra  META  (Tav.  CXI,  1,  2).  Deve  in  questa  età  mede- 
sima collocarsi  la  lega  di  Crotone  con  Sibari  e  con  Pan- 
dosia  lucana  (Tav.  CIX,  1,  2),  e  quella  con  Caulonia  (Tav. 
CIX,  6),  la  quale  moneta  a  parer  mio  ha  perduta  la  la- 
mina d'argento  che  la  copriva  ed  essendo  sfoderata  è  stata 
ed  è  tuttavia  creduta  della  età  in  che  Caulonia,  a  cui  si 
attribuisce,  coniò  il  bronzo. 

La  lega  con  queste  città  deve  essere  cessata  nella  ol. 
LXX  insieme  coi  sinedrii  pitagorici.  Altra  poi  se  ne  fece 
nella  ol.  LXXXII  (u.  e.  302)  nella  quale  a  Crotone  non 
fu  accordata  la  preminenza  esclusiva  rjysi.iovia,  come  nella 
prima,  ma  fu  un'  alleanza  limitata  ai  soli  Cauloniati  e  Si- 
bariti (Polyb.  H.  II,  39).  Questa  ebbe  gran  simiglianza 
colla  arcaica  e  si  stabilì  al  tempio  di  Giove  termine  ò[iÓQiog 
(lambì,  in  vita  Pythag.  261).  Ma  non  abbiamo  finora  tro- 
vata veruna  moneta  che  porti  i  nomi  dei  due  confederati. 
Non  si  può  pertanto  richiamare  a  questa  epoca  la  lega  con 
Sibari  che  è  espressa  sopra  una  moneta  incusa  la  cui  ces- 
sazione data  dalla  ol.  LXX,  allorché  ancora  Sibari  era  stata 
distrutta.  Nel  quarto  secolo  quando  si  era  stabilita  la  lega 
a  modo  degli  Achei  nella  quale  a  vicenda  tenevano  il  co- 


mando le  tre  città  Crotone,  Caulonia  e  Sibari,  questa  Si- 
bari  non  potè  essere  altra  che  la  fondata  alle  sponde  del 
Traente.  In  questo  secolo  quarto  vi  saranno  state  altre  le- 
ghe ma  noi  non  ne  troviamo  la  memoria  sulle  monete,  se  ne 
eccettui  soltanto  quella  itarata  coi  Metapontini  attestataci 
da  un  didrammo  inciso  nella  tav.  CIX  n.  37. 

Ora  però  sono  in  possesso  di  un  nuovo  didrammo  coi  tipi 
metapontini:  testa  di  donna  diademata  R  tripode,  a  d. 
spiga  (cf.  la  tav.  CIV,  21),  a  sin.  9PO.  È  quindi  una 
confederazione  di  Crotone  (facendo  i  tipi  Metapontini  e  in 
parte  crotoniesi  le  veci  del  nome)  con  Metaponto.  I  Cro- 
toniati  non  usano  di  inscrivere  il  nome  del  magistrato 
sulla  monetadi  argento  ond'  è  che  1'  unico  nome  che  vi  si 
legge  BOI,  BOlìKOY  dev'essere  dell'artista  incisore  de- 
conio (Tav.  CI,  12, 28):  al  numero  dei  conii  attribuiremo  l'ini- 
ziale B  (ib.  n.  36),  che  si  è  letto  su  di  uno  di  essi.  Fra  i 
tipi  dell'argento  v'é  quello  dell'aquila.  Si  sa  che  il  tripode 
stava  fra  due  aquile  d'oro  di  grandezza  non  comune  :  onde 
Pindaro  dice  che  la  pitonessa  di  Apollo  sedeva  fra  gli 
uccelli  di  Giove  :  x^vaéu>v  Jiòg  ÒQri%(or  tzccqsSqoq  come  ha 
ben  notato  il  Millingen  (Consid.  p.  17).  Quell'aquila  vola  or 
a  destra  or  a  sinistra;  e  ciò  anche  si  spiega  richiamando  la 
tradizione  ricordata  dallo  Scoliaste  di  Pindaro  {Pyth.lY,  6,  7) 
delle  due  aquile  lanciate  a  volo  da  Giove  in  parti  opposte 
intorno  alla  terra  con  pari  celerità,  le  quali  essendosi  scon- 
trate a  Delfo  dimostrarono  che  ivi  era  il  medio,  e  perciò 
posero  nel  tempio  una  bianca  pietra  con  sopra  di  essa  i 
due  uccelli  (Strabo  IX,  419,  Schol.  Pind.  Pijth.  IV,  6)  e  le 
diedero  nome  di  o/ixpaXog.  Il  fiume  Esaro  vi  è  rappresen- 
tato con  chioma  lunga  e  inanellata  alla  cervice.  V'è  una 
monetina  con  testa  giovanile  a  cui  spuntano  due  corna 
dalla  fronte  ed  è  cinta  di  una  corona  d' ellera.  Davanti  vi 
si  legge  niXO:  io  l'ho  rilegata  alla  tav.  CXXV  fra  le 
monete  di  attribuzione  erronea. 

Crotone  nella  prima  età  segue  il  sistema  delle  colonie 
achee:  non  divide  l'unità  maggiore  in  due  parti,  ma  in  terza, 
sesta  e  dodicesima:  nella  seconda  età  quando  ebbe  mutato 
in  K  il  9  primitivo  conia  una  maggiore  unità,  che  divide 
in  metà  e  in  seste.  Si  è  opinato  che  i  Crotoniati  segnas- 
sero, e  così  anche  i  Metapontini  e  i  Locrosi  il  loro  obolo 
di  argento  e  di  rame  per  mezzo  della  iniziale  O.  Indi  si 
è  dedotto  che  i  due  O  dinotassero  due  oboli.  Io  posseggo 
due  monetine  coi  tipi  del  tripode  da  un  lato  e  l'epigrafe 
9PO  dall'altro  :  al  riverso  un  Pegaso  che  vola  e  di  sotto 
il  9  del  peso  di  gr.  1,20.  Da  questa  differisce  la  seconda 
soltanto  in  ciò  che  il  Pegaso  vi  è  figurato  per  la  sola  metà 
anteriore  :  e  nondimeno  ha  di  sotto  i  due  O  :  il  suo  peso 
è  di  gr.  0,61  :  onde  si  vede  che  a  riguardo  del  peso  e  del 
mezzo  Pegaso  deve  questa  essere  una  metà  dell'altra.  Or  se 
la  O  è  l'iniziale  di  obolo  noi  avremmo  due  oboli  che  a 
motivo  del  mezzo  Pegaso  o  del  peso  di  gr.  0,61  fareb- 
bero la  metà  di  una  unità  maggiore  che  sarebbe  perciò  un 
tetrobolo  di  gr.  1,20,  e  però  l'obolo  dovrebbe  pesare  gr.  0,30. 
Inoltre  Locri  ci  dà  in  una  monetina  una  diota  con  O  e  al 
riverso  la  testa  di  aquila  di  gr.  0,41  ;  e  in  un'altra  il  fui- 


T.  eviri 


BKUTTIA 


149 


mine  tra  due  O,  e  al  riverso  l'aquila  e  due  O  di  gr.  0,66. 
Avrebbesi  adunque  di  qui  da  dedurre  un  obolo  del  peso 
di  gr°,  41  e  un  obolo  di  gr.  0,33.  Indi  risulterebbe  che 
anche  la  monetina  della  tav.  CIV  n.  32  del  peso  di  gr.  0,87 
non  potrebbe  aver  avuto  un  solo  O  come  si  vede  nell'unico 
esemplare  ora  noto.  Nella  monetazione  posidoniate  vi  è  un 
pezzo  coi  tipi  da  un  lato  di  Nettuno  e  ROSEI,  dall'  altro  col 
tipo  del  bue,  sul  quale  sono  due  O.  Nei  tre  miei  esemplari  il 
peso  è  di  gr.  0,75  ;  0,50  ;  0,25.  La  quale  dottrina  avrebbe 
la  grave  conseguenza  che  l'obolo  in  Crotone  e  in  Metaponto 
e  in  Locri  pesasse  mia  metà  del  peso  comune  e  di  più  che  la 
unità  maggiore  consterebbe  di  grammi  quattro.  Ma  la  mo- 
netazione di  questa  città  dandoci  l'un  pezzo  il  doppio  piti 
pesante  dell'altro  e  nondimeno  tutti  segnati  dei  due  O  ne 
convince  che  l'opinione  dell'o  iniziale  di  o^oloq  non  ha  come 
sostenersi. 

Vi  hanno  delle  monete  di  Crotone  che  portano  una  nuova 
cifra  e  l'hanno  comune  colle  monete  di  Turio.  Queste  sono  di 
argento  e  di  rame.  L'argento  ha  la  testa  di  Pallade  e  al  ri- 
verso un  P  con  entro  un  T  (Tav.  CX,  13).  Una  simile 
moneta  di  Turio  nota  a  me  da  parecchi  anni  non  si  era 
spiegata  fra  noi:  ma  il  oh.  Imhoof-Bliimer  ne  ha  dato  di 
recente  una  buona  interpretazione  {Zur  Munzkunde  Boeotiens 
und  des  Pploponnesisches  Argos  1811  p.  57,  58)  propo- 
nendo che  ivi  siano  indicate  cinque  T  come  valore  delle 
monete,  quantunque  poi  confessi  che  non  sa  dire  qual 
sia  il  nome  greco  corrispondente  alla  cift-a  T:  il  suo  peso 
è  di  gr.  0,47.  Parimente  nel  bronzo  si  ha  una  monetina 
con  un  astro  da  un  lato  e  dall'  altro  una  clava,  un  arco 
e  a  d.  tre  T  uniti  alla  base  loro  (vedi  la  tavola)  :  pesa 
gr.  3,65.  Di  qui  impariamo  che  anche  il  piccolo  bronzo  di- 
videvasi  in  più  T  e  al  confronto  che  possiamo  fare  con  una 
monetina  d'argento  di  Turio  che  al  riverso  ha  questo  tri- 
plice T  e  pesa  gr.  0,28  deduciamo  che  vi  dovette  essere 
ancora  in  Crotone.  Or  essendo  l'obolo  d'argento  in  Turio 
ordinariamente  di  circa  gr.  0,60,  indi  si  ricava  che  il  tri- 
plice T  è  realmente  un  emiobolo;  e  però  che  l'obolo  ne 
valse  sei.  Questa  deduzione  mena  a  eonchiudere  che  la  mo- 
neta con  cinque  T  riguardi  una  unità  divisa  in  dieci  parti 
e  però  un  obolo  diviso  in  dieci  once  d' argento,  e  poiché 
cotesta  metà  di  cinque  pesa  gr.  0,47,  la  sua  unità  ne  do- 
vrebbe pesare  0,94. 

n  bronzo  cominciò  ad  essere  monetato  in  Crotone  al- 
l'estremo periodo  che  precedette  il  cambiamento  dell'alfa- 
beto, del  quale  non  se  ne  hanno  che  tre  soli  esempi  in  tre 
tipi  diversi,  del  peso  da  7,00  grammi  incirca. 

Comincia  indi  la  serie  del  bronzo  che  porta  il  nuovo  al- 
fabeto e  questo  è  tuttavia  onciale,  ma  sembra  dividersi  in 
metà  e  quarti,  indi  in  ottavi  la  cui  unità  inferiore  pesa 
gr.  1,40.  In  cotesta  serie  si  ha  la  moneta  descritta  di  so- 
pra che  reca  i  tre  T  e  pesa  gr.  3,67  facilmente  riducibile 
a  riguardo  del  peso  a  considerarsi  come  l'emiobolo  di  bronzo, 
il  quale  risulterebbe  in  Crotone  composto  di  sei  once  di 
meno  o  sia  calchi. 

n  sig.  Imhoof-Bl.  ha  rimesso  a  nuove   scoperte  il  fis- 


sare qual  senso  si  abbia  cotesto  T.  Nelle  tavole  calcolato- 
ne greche  il  T  ha  doppio  senso,  secondo  il  luogo  dove  è 
collocato,  e  ora  significa  Tcà.arrov,  ora  TszaoTrjLiÓQior,  sup- 
posto l'obolo  attico  di  argento  del  valore  di  otto  calchi,  ovvero 
di  dieci.  Ha  il  valore  di  quarta  parte  di  obolo  nella  tavola  cal- 
colatoria  greca  (vedi  il  Bull,  napol.  a.  11,  tav.  6,  e  ivi  HCTX). 
Nei  pesi  romani  lo  trovo  in  senso  di  uncia,  TIMI,  cioè  un- 
ciae  quatuor  e  forse  capovolto  j_  in  segno  di  semoncia  ana- 
logo alla  cifra  dell'  L  che  ha  tal  significato.  Ma  la  miglior 
prova  che  il  T  non  sia  una  iniziale  di  vocabolo,  ma  una 
cifra  di  valore  mi  viene  dal  confronto  delle  monete  di  Ca- 
merina,  nelle  quali  l'analogo  segno  delle  tre  unità  si  esprime 
con  tre  globetti  congiunti  per  mezzo  di  linee  in  questo 
modo  :  ,  j.,  consta  poi  altronde  che  la  linea  retta  è  un  equi- 
valente del  globetto  nella  espressione  di  un  valore.  Ne 
siano  esempio  i  campioni  dei  pesi,  dove  dieci  globetti  val- 
gono dieci  libbre,  e  dove  le  tre  once  sono  significate  con 
tre  globetti  e  insieme  con  tre  linee  dimostrando  il  peso 
che  si  tratta  di  once. 

26.  Nella  coli.  mia.  Tripode  e  a  d.    9^0.  R.  Lo    stesso    tipo 

ma  incuso. 

27.  ColL  Tirelli  Tripode  e  a  d.  9i>0.  B.  Elmo  aulopide  senza 
cresta  incuso.  Il  Minervini  (Bull.  IV  tav.  V  n.  1  p.  49)  stimò 
che  l'elmo  indicasse  Temesa,  e  però  fosse  questa  una  moneta 
di  confederazione  con  quella  città. 

28.  I  tipi  medesimi  che  nel  n.  26  ma  nel  dritto  a  sin.  v'è  un 
granchio,  a  d.  01?.  Nel  riverso  che  è  incuso  a  d.  OI9 
a  sin.  TE  in  rilievo. 

29.  CoU.  Luynes.  Moneta  incusa  col  tripode  e  la  leggenda  019 
a  d.  una  cicogna  ribattuta  sopra  un  didrammo  di  Agri- 
gento a  doppio  rilievo.  La  cicogna  ricorre  più  volte  nelle 
monete  di  Crotone,  perchè  col  suo  crocidare  fa  il  suono 
della  prima  sillaba  di  Croio.  Publio  Siro  la  chiamò  crota- 
listria  (Petr.  Satyr.  55)  come  se  imitasse  il  suono  del 
crotalo,  e  Ovidio  [Metam.  VI,  97)  scrisse  di  Antigona  cam- 
biata in  cicogna,  che  si  fa  plauso  col  crepitare  del  suo 
rostro:  Ipsa  sibi  plaudit  crepitante  ciconia  rostro. 

30.  Nella  coli.  mia.  Il  tipo  è  quello  del  n.  29  :  vi  è  nel  dritto 

anche  il  granchio  a  sin.  e  019  a  d.  Ma  nel  riverso  a 
sin.  si  ha  0^9  e  a  d.  un  delfino. 

31.  Coli.  mia.  I  tipi  medesimi,  col  granchio  e  delfino  che  al 
n.  31:  nel  dritto  ove  si  legge  910  e  nel  riverso  dove  è 
scritto  9f9.  Pesa  gr.  2,50. 

32.  I  tipi  medesimi  del  n.  29  colle  epigrafi  (^PO  TE:  nel 
riverso  mancano  il  simbolo  e  l'epigrafe  che  sono  nel  dritto 
del  numero  predetto. 

33.  Parigi,  Gab.  delle  medaglie.  I  tipi  sono:  Tripode  fra 
ima  cicogna  e  l'epigrafe  9PO.  R.  Tripode  incuso  ed  in- 
torno impressa  una  monca  epigrafe  HAPON  TO  AflO. 
Il  Eaoul-Eochette  {.Mém.  de  numism.  p.  34  tav.  III  n.  24), 
spiegò  'Isoov  Tov  'AjióXXuirog.  L'  Avellino  [Bull.  an.  VI 
p.  91  T.  IV,  1)  lesse  incuso  sopra  alti-a  moneta  e  supplì 
haPOS  0  AflOlNog,  sacro  riscatto. 

34.  35.  Museo  di  Vienna.  Tripode  9PO    e    nell'esergo   Al.  B. 

Tripode  in  rilievo  e  9?0.  Un  nummo  simile  fu  stampato  dal 


150 


BEUTTIA 


T.  CIX 


Minervini,  il  cui  dritto  n.  35  io  riproduco.  È  una  confe- 
derazione fra  Crotone  e  lA.  Ma  qual  sarà  questa  lA  ?  Non 
v'è  città  nella  Magna  Grecia  che  cominci  con  queste  ini- 
ziali; in    Sicilia,  sì,  dove  le  monete    portano  la    epigrafe 
lATON  col  tipo  del  gallo  proprio   degli  Imeresi   (Poole, 
A  Catalogne  of  the    greek  coins  in   tho    British    Museum 
Sicily,  London  1876  p.  77,  23)  e  col  tipo  di   una  donna 
che  sta  per  fare  la   libazione  su  di   un'ara   accesa:  nel- 
l'esergo  ATON.  R.  MOIA13M1  e  un  giovane  che  smonta  da 
un  cavallo  in  corsa  (ib.  pag.  79,  35).  Cotesto  due  monete  sono 
citate  dal  Salinas,  ma  egli  non  vi  ha  letto  nella  seconda  che 
TOM  (Revue  numism.,  nouv.  serie IX,  1864).  Terone  sconfitti 
i  Cartaginesi  chiamati  in  aiuto  da  Terillo  lasciò  Imera  al 
suo  figlio  Trasidio.  Questo  dedusse  ivi  una  colonia  di  Dori 
nel  278  di   Eoma,  ol.  LXXVI,   che   vi  si   mantenne   per 
cinquantotto  anni,  cioè   fino  a  che  nel  845,  ol.    XCII,  1, 
fu  distrutta  dal  cartaginese  Annibale  e  mai  piti  non  risorse. 
In  sua  vece  i  Cartaginesi  un'altra  città  edificarono  due  anni 
dopo  in  sito  poco  discosto,  e  credesi  che  costoro  l'abbiano 
denominata   in   loro  lingua   io.   Questa    credenza   fondata 
sulla  epigrafe  lATON  congiunta  col  tipo  del  gallo  si  tiene 
da  coloro  che  leggono  su  di  alcune  monete  le  lettere  pu- 
niche  tzitz  che  stimano  corrispondano  ad  Aia.  Altri  però 
e  sono  i  più,  hanno   dimostrato  che  la   lettera  presa  per 
un  aleph  è  invece  un  tzade  e  la  epigrafe  deve  perciò   leg- 
gersi tzitz  (Muller,  Ancien  Afrique  Suppl.  pag.  50,  3). 
Omessa  pertanto  questa  aia  o  ia  che  è  stata  supposta,  io 
stimo,  che  nella  moneta  con  doppia  leggenda    di  Imera  e 
di  lata  citata  di  sopra  sia   da   riconoscere    un'alleanza  fra 
Imera  e  lata,  e   però  lungi  dall'ammettere   sulla   moneta 
un  doppio  nome  di  cotesta  città,    giudico  lata  essere    da 
Imera  assai  diversa.  Il  tipo    del  gallo,  osserva    il  Muller 
(loc.  cit.),  se  è  principale  di  Imera,  si  trova  anche  imitato 
da  altre  città:  senza  di  che  il  nome    lATON  sostituito  a 
quello  di  Imera  sopra  una  moneta,  che  ha  i  tipi  di  Imera 
può  ben  spiegarsi  per  una  confederazione  fra  questa  città 
e  quella  dei  'Iszai',  che  doricamente  si  può  essere    detta 
'laraL  Di  questa  città  il  Cluverio  ne  parla  in  due  luoghi 
{Sicilia,  pag.  270,  331),  e    cita  il  Pazello,  il  quale    nota 
ohe  questa  città  serba  oggi  il   suo    nome:   latum    hodie 
dictum  oppidum:  onde   si  deduce  che  dovette  una    volta 
essersi   scritto   "^laraf,   come  il  fiume   che    le   scorre    da 
piedi,   detto  da  Tolomeo,  ^adic,  o  come  stima  il  Cluverio 

(loc.   cit.)  'lari'g. 

36.  Tripode  e  a  d.  9POTOK.    E.  Aquila  che  vola  a  destra  la 

cui  figura  è  a  contorni  rilevati  su  di  un  fondo  incuso. 

37.  Tripode  e  a  d.  OP9.  R.  Aquila  che  vola  a  sinistra  su  fondo 

incuso  a  contorni  rilevati. 


Tav.  CIX. 

1.  Coli.  Luynes.  Tripode,  e  a  sin.  9P0.  R.  Toro  a  d.  respiciente 

a  sin.  incuso  nell'esergo  VM. 

2.  Coli.  Santangelo.  Tripode  e  a  d.  9P0.  R.  Toro  a  d.  respiciente 


a  sin.  in  rettangolo  incuso,  e  l'epigrafe  divisa  PAN  di  sopra 
Oq  di  sotto. 

3.  Coli.  mia.  Tripode  a  sin.  la  cicogna  a  d.  9P0.  R.  Tripode 

in  rilievo  a  d.  Vi  è  graffito  in  carattere  arcaico  retrogrado 
AIXOA. 

4.  Museo  di  Napoli  e  nella  mia  coli.   Tripode   a  sin.,  vaso  a 

due  manichi  a  d.  9PO.  R.  Tripode  in  rilievo,  a  d.  cande- 
labro a  sin.  bA  nome  di  Dande  o  sia  di  Zancle  anteriore 
alla  ol.  LXXI  allorché  fu  da  Anassilao  denominata  Messana. 
Questo  bA  si  è  dal  Minervini  [Oss.  num.  p.  140)  letto  PA, 
e  però  gli  parve,  che  vi  si  dovesse  ravvisare  il  nome  di 
un  magistrato  ,  sebbene  non  sia  facile  trovare  confronti.. 
Ed  ha  ragione ,  anzi  nella  età  a  cui  appartiene  la  mo- 
neta non  usano  i  Crotoniati  nominare  il  magistrato  mone- 
tale. A  me  che,  pel  facile  scambio  in  questo  alfabeto  del 
rho  col  delta,  pare  si  debba  qui  leggere  invece  Da,  non  è 
arduo  il  trovarvi  un'alleanza  di  Crotone  con  Dande,  3>I>IMAQ. 

5.  Coli.  Imhoof-Bliimer.  Tripode  e  a  sin.  OP9.  R.  Aquila  che 

vola  messa  di  prospetto. 

6.  Coli.  Sant.  Tripode  a  sin.  Oq9,  a  d.  3T.  R.  Aulopide  senza 

cresta  e  di  sotto  OQ9. 

7.  Coli.  mia.  Aquila  sopra  un  capitello  ionico  con  un   monile 

al  collo  indizio  di  consecrazione,  sopra  9POT.  R.  Tripode  a 
sin.  acino  d'orzo  a  d.  9POT  :  nell'esergo  ME.  L'Aquila  non 
è  da  metter  al  riverso  del  nummo,  perchè  al  pari  del  tri- 
pode dai  Crotouesi  è  tolta  per  stemma  rappellaute  la  loro 
origine,  gli  animali  che  dedicavansi  agli  dei  erano  lasciati 
liberi  negli  atrii  dei  templi  e  nei  boschi  sacri,  e  perchè 
ninno  li  portasse  via  o  li  uccidesse  erano  distinti  con  al- 
cuni segnali  che  ne  dinotassero  la  consecrazione.  Gli  è 
perciò  che  dal  collo  dell'aquila  pende  un  nastro.  ' 

8.  Coli.  Santangelo.  Tripode  e  a  sin.  Oq9  a  destra  forse  un 

acino  d'orzo.  R.  Giovane  nudo  che  va  a  d.  agitando  un 
ramo  :  ha  davanti  a  sé  un  cervo  che  sta  fermo  e  di  dietro 
l'epigrafe  OAYfìD.  Moneta  di  confederazione  fra  Crotone  e 
Caulonia.  Da  cotesto  nummo  di  bronzo  argomentò  il  pr.  di 
s.  Giorgio  che  Caulonia  non  fosse  distrutta  del  tutto  dai 
Campani  {Med.  italo  greca  illusi,  pag.  1  seg.):  a  questa  sen- 
tenza si  attiene  il  Marincola  {Opusc.  di  St.  patria  pag.  48). 
Io  considero  cotesto  bronzo  come  sfoderata  moneta  d'ar- 
gento :  m'induce  il  periato  o  granitura  che  cinge  la  moneta, 
della  quale  sono  privi  del  tutto  i  bronzi  di  questa  Crotone. 

9.  Da  un  zolfo.  Tripode,  e  a  sin.  una  foglia  di  ellera  a  d.  9P0I 

R.  Aquila  a  sin.  sopra  la  testa  di  un  cervo  e  respiciente 
■         ad.  (cf.  Poole,  Catal.  68). 

10.  Museo  Britannico  {Calai,  n.  67).  Tripode  a  sin.  9P0  a  d. 

un  ramoscello  di  lauro.  R.  Aquila  a  sin.  posta  sopra  una 
testa  di  montone,  e  respiciente  a  d. 

11.  Museo  Britannico  {Catal.  n.  70).  Tripode,  a  sin.   9P0,   a 

d.  ramoscello  di  lauro.  R.  Aquila  a  d.  respiciente  a  sin. 
stante  sopra  un  architrave,  ed  ha  davanti  a  d.  una  testa 
di  capro. 

12.  Coli.  mia.  Tripode  dal  quale  pendono  le  sacre  infule  ;  e  da 
piedi  gli  sorge  accanto  un  ramo  di  lauro.  R.  Aquila  che  si 
erge  a  volo  e  porta  da  presso  scritto  BOl(ZKOY).  V  il  n.  28. 


T.  ex 


BEUTTIA 


151 


13.  Tripode  e  a  sin.  091  a  d.  una  spiga  di  grano.   R.  Polpo. 

14.  Coli.  mia.  Tripode  a  sin.  foglia  di  edera  a  d.  9PO.  /?.  Polpo. 

15.  Da  un  zolfo.  Tripode  a  sin.  9PO.  R.  Pegaso  a  sin.  e  di  sotto  9. 

Nella  coli,  mia  pesa  gr.  1,10.11  Siimhon  {Recherches  ^.  193) 
confonde  di  certo  questo  pezzo  col  seguente,  allorché  gli 
assegna  due  OO. 

16.  Coli.  mia.  Tripode  e  019.  R.  Mezzo  pegaso  volto  e  sin.  di 
sotto  due  O  pesa  gr.  0,80  di  questa  metà  del  Pegaso  non 
parla  il  Sambou  e  neanolie  il  Mommsen  H.  de  la  m.  Anno 
X,  1  p.  308). 

17-19.  Tripode,  g;.  Lepre  che  corre  a  d.  fra  due  cerchi  O  O. 
pesa  gr.  0,01  nel  n.  17,  che  è  nel  Museo  di  Vienna,  a  sin. 
del  tripode  sono  tracce  di  lettere  P9,  nel  n.  18  a  d.  del 
tripode  v'è  una  spiga  di  grano.  In  un  simile  nummo  del 
Museo  Britannico  v'è  a  sin.  del  tripode  una  foglia  di  edera 
a  d.  9P  (Calai,  p.  348,  60).  Nel  n.  19  i  due  cerchi  mancano. 

20.  Tripode  e  9PO.  R.  Aulopide  crestata. 

21.  Tripode  e  9PO.  R.  Callo  gradiente  a  d.  in  alto  a  sin.  l'epi- 

grafe VVi  ovvero  lAA.  Il  nome  UV  ovvero  NV  od  VkV  si 
trova  sopra  le  monete  che  hanno  per  tipo  il  gallo  :  talvolta 
sono  insieme  due  nomi  Imera  e  a  d.  Hyl,  come  in  quella  del 
Museo  Britannico  (Poole,  Calai.  77, 20)  che  legge  3MIH  e 
di  sotto  in  due  linee  V>IV.  Ma  questi  due  nomi  dinotano, 
un'alleanza  fra  gli  Himerei   e  gli   Hylienses   dell'Illirico. 

22.  Tripode  e  a  sin.  9PO.  R.  Granchio  che  ha  di  sopra  due 
cerchietti  e  di  sotto  le  lettere  '\0.  Coteste  due  lettere  ri- 
corrono sotto  il  medesimo  tipo  del  granchio  in  monete  fe- 
nicie di  bronzo,  che  non  si  sa  a  qual  città  si  debbano  asse- 
gnare (Muller,  Ancien  Afrique.  11  p.  178, 181,182).  Sene 
trovano  ancora  di  quelle  ohe  portano  per  tipo  un  toro  gra- 
diente (116  nn.  13, 14).  Può  del  resto  anche  darsi  che  questo 
<IO  sia  scritto  nella  moneta  crotonese  invece  del  solito  019. 

23.  Museo  Britannico.  Calai.  348  n.  59).  Tripode  e  a  d.  0^9. 

R.  Vaso  detto  crater,  con  due  serpi  che  si  elevano  da  piedi 
in  contrario. 

24.  Tripode.  R.  Aulopide  senza  cresta  di  sotto  9. 

25.  26.  Tripode.  R.  Fulmine  fra  due  anelli  o  piuttosto  due 
patere, 

27.  Tripode.  R.  Aquila  che  vola  a  d. 

28.  Coli.  Luynes.  Tripode  dal    quale  pendono    le  saere    infule 

a  sin.,  9PO  a  destra.  R.  Aquila  sulla  sua  preda  che  è  im 
lepre:  nell'esergo  parte  della  leggenda  B012:K0Y. 

29.  Coli.  mia.  Tripode  e  a  sin.  KPO,  a  d.  un  A  e  di  sopra  di 

essa  la  cicogna.  R.  Aquila  che  ha  predato  un  lepre. 

30.  Coli.  mia.  Tripode  dal  quale  pendono   a  d.  le  sacre  infule 

e  vi  si  vede  un  A,  a  sin.  KPO.  R.  Aquila  sopra  un  ramo 
di  lauro  in  atto  di  ergersi  a  volo. 

31.  Museo  di  Napoli.  Tripode  coperto,  a  d.   il  serpe  pitone,  a 

sin.  una  spiga  di  grano.  R.  Aquila  stante  sopra  un  ramo 
di  lauro  per  ergersi  a  volo:  di  sopra  KPOTilN. 

32.  Coli.  mia.  Tripode  a  sin.  A,  a  d.  KPO.  R.  Aquila  stante 
sopra  ramo  di  lauro,  di  sotto  Al. 

33.  Testa  laureala  di  Apollo.  R.  Tripode,  a  sin.  KPO,  a  destra 

un  ramoscello  lemniscate  di  lauro. 

34.  Testa  di  Apollo  laureata,   a  d.   davanti   KPOTilNIATAS:. 


R.  Ercole  fanciullo  di  fronte  che  strozza  i  due  serpenti. 
I  giornalisti  di  Trevoux  in  un  loro  esemplare  (Mai,  1710) 
lessero  KPOTOMIS  (Eckhel,  D.  n.  v.  I  p.  171),  proba- 
bilmente in  luogo  di  KPOTilNIA  come  si  legge  in  un  mio 
esemplare.  Il  KPOTilMI  che  riporterò  nella  tav.  IXXV 
venne  in  mente  all'impostore  per  aver  forse  avuto  notizia 
del  KPOTOMIS:  predetto. 

35.  Apollo  a   sinistra  del   suo    tripode    saetta  il  pitone,    sotto 

KPOTON.  R.  Ercole  seduto  sulle  spoglie  di  leone  appog- 
giando la  sinistra  alla  clava  solleva  un  ramo  infoiato  sul- 
l'ara accesa  che  ha  dinanzi;  nell'esergo  sono  due  pesci. 

36.  Testa  di  Giunone  di  prospetto  con   largo  diadema    e  filza 

di  perle  al  collo  :  a  d.  B.  R.  Ercole  siede  sulla  pelle  di 
leone,  e  appoggiando  la  sinistra  alla  clava,  porge  il  proprio 
pocolo  colla  destra:  intorno  KPOTONIATAS. 

37.  (Minervini,  Oss.  p.  141;  Rull.  t.  Ili,  15).  Testa  di  Giunone 
ornata  di  nobile  diadema  con  palmetta  in  mezzo  a  due 
grifi  e  con  splendida  collana.  R.  Ercole,  come  il  descritto 
al  n.  36,  ma  con  la  sinistra  in  riposo  :  v'è  però  a  sin.  sospeso 
l'arco,  la  faretra  e  la  clava,  e  l'epigrafe  KPOT  intramezzata 
transversalmente  da  ME.  Il  Minervini  stima  [Oss.  p.  142) 
indicata  così  una  confederazione  con  Medina  o  Metaponto. 

38.  Testa  di  Giunone,  come  la  già  descritta  al  n.  37.  V'è 
però  a  sinistra  l'epigrafe  KPOTil.  R.  Ercole  simile  a  quello 
del  n.  predetto. 

39.  I  tipi  sono  quei  medesimi  già  descritti.  Testa  di  Giunone 

decorata  di  largo  diadema  a  cui  dan  pregio  le  palmette. 
R.  L'Ercole  è  come  quello  del  n.  36,  l'epigrafe  è  KPOTO- 
NIATAS.  Il  signor  Imhoof-Bl.  la  crede  di  tempo  ante- 
riore all'adozione  dell'alfabeto  euclideo  [Monn.  gr.  pag.  81) 
a  motivo  posto  dell'O  invece  dell'H. 


Tav.  ex. 

1.  Coli.  Luynes  (Imhoof-Blumer,  Monn.  grecq.  pi.  A  n.  5 
pag.  7).  Testa  di  Giunone  volta  a  d.  cinta  di  largo  dia- 
dema con  due  grifi  che  si  riguardano  :  ha  pendenti  agli 
orecchi  e  un  monile  al  collo:  intorno  KPOTilNIATAN. 
R.  Ercole  sedente  sopra  un  sasso  coperto  dalla  spoglia  di 
leone  con  un  pocolo  nella  d.  Nel  campo  di  sopra  l'arco 
e  la  clava. 

2.  Gabinetto  delle  medaglie.  Testa  di  Ercole  imberbe  diade- 
mata volta  a  d.  R.  Civetta  volta  a  sin.  stante  sopra  una 
spiga  di  grano  :  a  d.  KPO. 

3.  Gabinetto  delle  medaglie.  Fulmine,  a  d.  KPO,  a  sin.  tri- 
pode. R.  Cavallo  frenato  in  corsa  a  d. 

4.  Testa  del  fiume  Esaro  laixreata  dinanzi  AlìAPOì.  i?.  Pegaso 

in   corsa  a  d.,  di  sotto  KPO  (Avoli.  Op.  t.  I  tav.  I,  3). 

5.  Nella  coli,  mia  (Kohne,  Finfzig  ani.  Miinzen.  Taf.  1  n.  14). 
Testa  di  Pallade  coperta  di  aulopide  crestata  volta  a  d.,  di 
sopra  KPOTil.  R.  Ercole  con  indosso  la  spoglia  di  leone 
volto  a  d.  si  appoggia  alla  clava  :  dinanzi  si  legge  OIKISTAS: 
nel  campo  a  sin.  A  .11  Cavedoni  (Spie.  num.  p.  21)  opinò 
che  la  testa  figurata  in  questo  nummo  fosse  di  Crotone 
fondatore  della  città;  ma  non  si  avvide  che  i  lunghi  ca- 


152 


BRUTTIA 


T.  ex 


pelli  alla,  nuca  sono  annodati  da  nn  nastro,  che  è  solo 
proprio  delle  donne. 

6.  Coli.  Giorgi  in  Ferentino.  Testa  nuda  forse  di  G-iunone  di 
fronte  con  capelli  sparsi  e  ricca  collana.  R.  Spiga  di  grano  e 
KPO(T)nH. 

7.  (Piorelli,  Mon.  incd.  11,5).  Testa  di  Pallade  con  aulopide 
volta  a  d.  R.  Clava  in  mezzo  a  K  P  e  a  due  stelle. 

8.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  con  pendenti  e  monile,  volta  a  d., 

dinanzi  KPOTH,  alla  nuca  un  ramoscello  di  lauro,  del 
quale  rimane  una  foglia.  R.  Ercole  fanciullo  che  strc^zza  i 
due  serpenti. 

9.  (Minorvini  Bull.  arch.  V,  IV,  11).  Testa  di  Ercole  coperta 
della  spoglia  del  leone  volta  a  d.  R.  Clava,  a  d.  una  fiac- 
cola accesa,  a  sin.  KPO. 

10.  Testa  di  Ercole  simile  a  quella  del  n.  9.  R.  Clava  ed  arco 

KPO  e  due  astri  (Carelli,  tab.   CLXXXIII,  29). 

11.  Testa  di  Sileno  volta  a  sin.  R.  Tripode  e  cicogna. 

12.  Da  un  mio  calco.  Museo  di  Monaco.  Lira.  R.  KPO  in  co- 

rona di  lauro. 

13.  Museo  di  Catanzaro.  Tripode  fra  due  lettere  K  P.  R.  Due 

lettere  P  T  in  mon.  Pesa  gr.  0,47. 

14.  Tripode  (KPO).  i?.  Segno  della  metà  H  (Minervini,  V,  IV,  10). 

15.  Coli,  mia  (cf  Piorelli,  Mon.  ined.  II,  4).  Testa  di  Pallade 

con  elmo  attico  volta  a  d.  R.  Gallo  volto  ad.  e  di  dietro 
9PO. 

16.  Museo  di  Monaco.  (Piorelli  Mon.  ined.  tav.  I,  se  cf.  Poi, 

Greek  coins  1862  pi.  Ili  ,  23).  Tripode  e  a  d.  9PO,  a 
sin.  una  foglia  o  pomo.  R.  Polpo. 

A  cotesti  tre  bronzi  emessi  in  tempo  del  primo  alfabeto 
deve  aggregarsi  quello  ohe  il  Valentini  stampa  nel  gior- 
nale detto  il  Calabrese  (Cosenza  1843,  pag.  50)  ed  è  de- 
scritto dal  Marincola  (Opusc.  di  st.  patria  p.  119)  così: 
Galea  crestaia  con  visiera  a  d.  e  ivi  9PO.  R.  La  lettera 
K  in  mezzo  ad  un  quadrato.  Br.  8.  Non  saprei  sottoscri- 
vere al  Marincola,  che  questo  K  sia  iniziale  di  Crotone; 
perocché  essa  in  questa  moneta  medesima  si  scrive  col  9, 
e  nella  moneta  precedente  conserva  la  medesima  ortografia 
anche  al  riverso.  Piuttosto  la  dirò  iniziale  di  Caulonia. 

17.  Calco  trasmessomi  dal  Marincola  Museo  di  Catanzaro.  Tri- 
pode e  a  d.  9PO.  R.  Lepre  che  corre  a  d.  di  sotto  un  9. 

18.  Museo  di  Catanzaro:  calco  del  medesimo.  Coli.  Santangelo. 

Testa  di  Ercole  con  la  spoglia  di  leone  volta  a  d.  dinanzi  KPO. 
R.  Tripode  e  a  d.  EY.  L.  Sambon  (pi.  XXIV,  32)  legge  in- 
vece TPI,  il  Riccio  TEM.  II  Minervini  ne  stampa  un  esem- 
plare dalla  coli.  Oliva  dove  manca  EY,  che  fu  veduto, 
die'  egli,  dai  primi  editori. 

19.  Da  un  calco.  Testa  di  Pallade  galeata  volta  a  d.,  dinanzi  KPO. 

R.  aquila  volta  a  sin.  respiciente  a  d.  posata  sulla  preda 
che  è  una  testa  di  cervo:  a  destra  sull'aquila  TPI.  Pesa 
gr.  25,  86. 

20.  (Carelli,  dal  Magnan  tab.  CLXXXV,  52).  Tripode  e  a 
sin.  KPO.  R.  Aquila  sopra  un  ramo  di  lauro. 

21-  (Dal  Magnan  il  Carelli 49).  Testa  di  Ercole  barbato  con 

spoglia  di  leone  volta  a  d.  R.  Civetta  e  intorno  KPOTH- 
NIATAN. 


22.  (Dal  Parisis  il  Carelli  tab.  CLXXXV,  50).  Testa  di  Ercole 
giovane  con  la  spoglia  di  leone  e  di  sotto  al  collo  un  ramo 
di  lauro.  R.  Colonna  corinzia  fra  una  clava  e  una  patera  : 
intorno  KPOTilNIATAN. 

23.  Nel  Museo  di  Catanzaro  (cf.  Carelli,  tab.  CLXXXV,  55).  Clava 

e  a  d.  KPO.  R.  Arco  e  a  sin.  TE.  È  un'alleanza  con  Terina. 

24.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  volta  a  d.  R.  Tre  mezze 
lune  accostate  dalla  parte  convessa  con  ciascuna  delle  tre 
lettere  KPO  nella  parte  concava. 

25.  26.  25.  Museo  di  Vienna,  26.  Coli.  Imhoof-Blùmer.  Astro 

ad  otto  raggi  maggiori  e  altrettanti  minori.  R.  Clava 
ed  arco,  KPO  e  nesso  di  tre  T.  In  un  bronzo  di  Came- 
rina  (Poole,  Catal.  Sicily  p.  89  ai  tre  tau  sono  so- 
stituiti tre  globetti  parimente  insieme  congiunti  dalle 
linee.  Se  questo  confronto  è  ben  fatto,  noi  avremo  da  de- 
durre, che  anche  il  T  è  una  nota  di  valore  e  non  una 
iniziale.  Certamente  nei  pesi  romani  l'oncia,  duodecima 
parte  della  libbra,  si  trova  significata  con  un  T  (vedi  il 
mio  articolo:  Pesi  di  bronzo  e  di  piombo  nella  Civ.  Catt. 
quad.  810,  1884).  Il  primo  n.  25  pesa  gr.  3,67;  il  se- 
condo n.  26  gr.  3,15. 

27.  Coli.  Sant.  Testa  giovanile  diademata  volta  a  d.  davanti 
KPO.  R.  Fulmine  in  mozzo  a  due  patere. 

28.  Coli.  mia.  Testa  di  Ercole  giovane  colla  spoglia  di  leone: 
di  sopra  AION,  dinanzi  H.  R.  Aquila  che  ha  fra  gli  ar- 
tigli un  serpe:  dietro  KPO:  in  altro  esemplare  il  serpe 
le  si  rivolta  contro  a  bocca  aperta.  L'Eckhel  con  tutta 
ragione  ha  scritto  (0.  n.  v.  1,260)  che  questo  AION  è 
nome  di  magistrato  e  non  del  tiranno  Dionisio.  In  un  esem- 
plare del  M.  Brit.  vi  si  legge  il  nome  AYKilN  {Catal. 
356,   113). 

29.  Tripode  e  cicogna.  R.   Aquila  volta  a  d.    e    respiciente    a 

sin.  e  ivi  KPO. 

30.  Testa  di  Ercole  giovane  con  spoglia  di  leone  volta  a  sin. 

R.  Granchio  e  sotto  KPO. 

31.  32.  Coli.  mia.  Testa  diademata  del  fiume  Esaro.  R.  Ful- 
mine astro  e  KPOTilNIATAN.  Nell'uno  e  nell'altro  esem- 
plare vi  si  legge  il  nome  del  fiume  AI^APOS:. 

33.  Aquila  stante   sopra  una  testa    di  montone    volta  a  d.    di 

dietro  KPO  e  un  astro.  R.  Fulmine  fra  due  mezze  lune. 

34.  Coli.  Santangelo.  Testa  di  Ercole  giovane  volta  a  d.  R. 
Aquila  con  un  serpe  fra  gli  artigli  che  le  si  leva  contro. 

35.  Coli.  Sant.   {Calai.  6448).  Testa  d'Ercole   giovane  coperta 

della  spoglia  di  leone  a  d.  R.  Aquila  e  K . . .  T. 

36.  Museo  di  Catanzaro.    Testa  d'Ercole  a  sin.   davanti    KPO. 

R.  Aquila  che  si  fa  pasto  di  un  serpente,  di  sopra  SlilTHP. 
A  cotesto  nummo  fa  confronto  uno  di  Agrigento,  nel  quale 
sull'aquila  che  poggia  sul  fulmine  è  scritto  AIOS  Zil- 
THPOS:  (Eckhel,  D.  n.  v.  I,  193).  Di  modo  che  par  certo 
che  il  2:P.THP  della  moneta  di  Crotone  sia  nome  di  Giove 
(cf.  la  moneta  dì  Galaria,  Poole,  Catal.  p.  64  51370?),  il 
quale  vi  è  rappresentato  iiiìVostentum,  o  apparizione  prodi- 
giosa dell'aquila  che  divora  il  serpente. 

37.  Coli.  Santangelo.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  volta 
a  d.  n.  Civetta  e  KPOT. 


T.  CXI 


BRUTTIA 


153 


38.  Collezion  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  come 
nel  n.  33.  R.  Due  mezze  lune  congiunte  dalla  parte  con- 
vessa e  negli  intervalli  KPOT. 

39.  Testa  di  Ercole  barbata  e  coperta  dalla  spoglia   di    leone 

a  d.  R.  Clava  fra  due  stelle. 

40.  Coli.  Santangelo  (Catal.  6452).  Testa  di  Ercole  giovane 
coperta  della  spoglia  di  leone.  R.  Aquila  volta  a  d.  e  re- 
spiciente  a  sin.  dietro  KPO,  davanti  T. 

41.  Minervini,  Oss.  tav.  VII,  15,  pag.    141.   Polpo    e  KP.    R. 

Concbiglìa.  Era  già  pubblicata  dal    Piorelli    ma  priva  di 
leggenda  {Oss.  tab.  II  n.  12  p.  67). 

42.  Fulmino  e  due  astri.  /?.  Clava  e  T01N. 

43.  Testa  di  Ercole  giovane  volta  a  d.  B.  Clava,  astro  e  a  sin. 
KPO  piinervini,  BuU.  a.  V  tav.  lY  n.  12). 

44.  CoU.  mia.  Simile  testa  di  Ercole  giovane  colla  spoglia   di 

leone  annodata  sotto  al  mento.    R.  Clava  e  a  sin  KP. 

CASAKIUM 

Sotto  il  nome  Casarium  pongo  una  moneta  cha  ha  per 
tipi  da  un  lato  l'astragalo,  dall'altro  il  deliìao.  L'epigrafe  dalla 
parte  dell'astragalo  nelle  monete  più  antiche  è  KA  ovvero  K, 
nella  più  recente  si  legge  interamente  OIJIA^A)!.  Il  Cavedoni 
(in  Carellii  tab.  CV  pag.  43)  lasciò  incerto  se  dovesse  leggersi 
KASARIO  ovvero  RIO  KASA,  ma  corresse  l'Avellino,  che  lesse 
(/*.  vet.  num.  p.  77  n.  302)  RIO  KAIA.  Secondo  il  parer  suo  il 
vocabolo  si  compone  di  KAS  pel  cui  significato  si  rimette  al 
Boeck  {C.  i.  gr.  I  pag.  613),  e  di  APIH  nella  qual  voce  crede 
si  occulti  il  nome  di  Arione  il  citaredo,  vissuto  lungamente  in 
Taranto  (cf.  Eckhel.  I,  148),  alla  qual  città  par  che  egli  at- 
tribuisca il  nummo  con  l'epigrafe  KASAPIO  che  lascia  incerto 
se  debba  leggersi  A^fl>l01S  ovvero  OIJlA^fl)!.  Alla  città  medesima 
il  Eiccio  riporta  una  moneta  con  leggenda  e  tipi  in  parte  di- 
versi {Reperì,  p.  52)  :  ostrica  o  frutto  di  mare  e  intorno  AZAKKIO. 
R.  Uomo  a  cavallo  al  delfino  a  sin.  con  tridente  davanti  TAPAS:. 
Dove  si  vede  che  l'astragalo  fu  da  lui  giudicato  un'  ostrica,  e 
lesse  erroneamente  AZAKKIO.  Ma  egli  medesimo  poi  registra 
altre  due  monete  che  descrive  così  {Repert.  1.  di.)  :  ostrica  o 
frutto  di  mare  ed  intorno  OI5IA^A>l.  R.  Delfino  e  cerchio  con 
ricamo  elaborato  ed  A.  E  cita  il  Carelli,  dal  quale  la  toglie. 
Indi  descrive  la  seconda  {Repert.  p.  100).-  allesso  od  oggetto 
ignoto  simile  a  quello  attribuito  a  Taranto  col  0|{1A^A>I.  7?. 
Tripode.  Questa  seconda  moneta  è  da  lui  assegnata  a  Crotone. 
Il  Valentini  pubblicò  una  dissertazione  su  questa  moneta,  in- 
titolandola: De  astragalo  medio  irter  voees  KlO-AZAK  in  nume 
TarentìnorvAn  coelato.  Questi  dunque  lo  attribuì  ai  Tarentini,  e 
divise  il  vocabolo  in  due  voci,  le  quali  stimò  che  non  ne  dimo- 
strassero la  zecca.  Nuova  del  tutto  è  poi  stata  la  opinione  del 
Piorelli,  che  pubblicando  il  Catalogo  della  Coli.  Santangelo, 
dove  si  conserva  l'esemplare,  che  fu  di  mons.  Capecelatro  arciv. 
di  Taranto,  ed  è  dato  in  disegno  dal  Carelli  (Tab.  CV  n.  45), 
a  pag.  58  lo  assegna  a  Crotone  e  quanto  alla  epigrafe  sostiene 
che  la  lettera  dopo  il  >l  sia  un  A  e  il  >  per  errore  dell'inci- 
sore sia  stato  mal  frapposto,  in  terzo  luogo  dovendosi  leggere 
KAAR:0S  soprannome  di  Apollo  (Paus.    II,  2,  8)    distributore 


delle  sorti,  a  cui  alluda  l'astragalo.  Aggiunge  ancora  che  l'Avel- 
lino e  il  Carelli  non  videro  il  tripode  sopra  del  quale  vi  è  ri- 
percosso un  delfino  con  tracce  di  lettere  svanite:  né  le  solite 
iniziali  9PO,  ed  indicarono  per  A  quello  che  è  l'angolo  destro 
del  lebete.  Tali  sono  i  pareri  dei  numismatici  intorno  alle 
monete  che  portano  per  tipo  del  dritto  l'astragalo  e  il  nome 
Casarium.  Ora  dirò  il  parer  mio  intorno  ai  due  esemplari 
veduti  e  studiati  da  me,  e  delineati  ed  incisi  nella  tavola  n.  1,  2. 

n  Piorelli  ha  ben  veduto  e  notato  che  l'esemplare  della 
Coli.  Sant.  era  ripercosso,  apparendo  ivi  il  delfino  soprapposto 
al  tripode:  ha  saputo  anche  leggere  la  pressoché  svanita  leg- 
genda 019,  aggiungerò  io  dal  lato  opposto  l'epigrafe  AT3IV1, 
il  cui  ultimo  elemento  si  legge  in  uno  dei  due  esemplari  assai 
chiaro  e  certo,  e  però  fu  ritratto  nel  disegno  inciso  dal  Carelli.  Le 
due  leggende  appartengono  al  conio  anteriore  e  vanno  congiunte  col 
tripode  ;  abbiamo  dunque  una  moneta  di  alleanza  di  Crotone  con 
Metaponto.  Qual  tipo  il  dritto  della  moneta  abbia  avuto  prima 
di  ricevere  l'astragalo  col  nome  Casario  finora  non  possiamo 
indovinare  :  non  essendone  rimasta  veruna  traccia  nel  campo  : 
ma  probabilmente  sarà  stato  ancor  ivi  il  tripode.  Certo  è  che 
l'epigrafe  appartiene  al  secondo  conio,  che  da  un  lato  figura 
l'astragalo,  dall'altra  il  delfino.  È  dunque  un  Casario  città 
che  ribatte  una  moneta  di  Crotone,  e,  se  il  Eiccio  ha  ben  ve- 
duto, anche  una  moneta  di  Taranto,  ma  non  è  ne  di  Crotone 
né  di  Taranto.  Eitengo  il  nome  OI51fi^A>l  per  genitivo  sin- 
golare della  seconda  declinazione  in  dialetto  dorico  od  eolico. 
Il  vocabolo  greco  che  più  gli  si  accosta  è  un  derivato  di 
Kàoa,  EaGavQci,  scortum,  cioè  KaawQsTov  e  Kaaavqior.  Te- 
nendosi a  questo  ultimo  non  troveremo  altra  differenza  che 
di  dialetto  mercè  del  quale  Vav  si  scambia  con  Va  e  coII'kv 
e  ambedue  con  l'o),  come  Avkog  ed  ^iìXog,  nqàxog  e  nQàrog  (cf. 
Ahrens  de  dial.  dar.  p.  185;  de  dial.  aeol.  pag.  102-104).  Stefano 
di  Bizanzio  ha  notato  per  nome  di  luogo  il  EaGaosTov  e  cita 
Aristofane,  nei  codici  del  quale  si  legge  Kaaavqioiai  (v.  Berkel. 
in  notis  p.  450).  Che  il  nooreìov,  luogo  di  prostituzione,  abbia 
dato  nome  ad  una  città,  possiamo  crederlo.  Casoria  e  secondo 
le  carte  citate  dal  Giustiniani  Casauria  {Bis.  geo^r.  HI  pagg. 
271,  272)  città  a  tre  in  quattro  miglia  distante  a  settentrione 
di  Napoli,  può  aver  avuto  probabilmente  la  stessa  origine. 

Oltre  a  queste  monete  ribattute  Casarium  ha  propria 
moneta  cogli  stessi  tipi  e  l'epigrafe  KA  da  un  lato,  mentre  vi  si 
legge  dall'altro  FIM.  Il  duca  di  Luynes  lesse  male  KAR  e  PIN  e 
l'attribuì  a  Carbina  nel  citato  catalogo  che  posseggo.  Il  nome  FIM 
è  a  parer  mio  l'iniziale  di  Himera  scritto  col  digamma  eolico  in 
luogo  dell'aspirata  H.  Crotone  ebbe  ancor  essa  un'alleanza  col 
popolo  di  Imera.  Quest'alleanza  delle  due  città  con  Imera,  e 
l'alfabeto  eolico  del  quale  fa  uso  Casarium,  persuadono  a  porre 
Casarium  nelle  vicinanze  di  Crotone  e  a  rimuoverla  da  Tai'anto. 


Tav.  CXI. 

1.  Museo  di  Vienna.  Moneta  ribattuta  sopra  un  didramma  di 
Crotone  del  quale  rimane  nel  riverso  la  traccia  del  tripode 
e  dell'epigrafe  9F'0.  Il  proprio  suo  secondo  tipo  si  è  lo  astra- 
galo e  intorno  OI5IAM>l.  R.  Tripode,  primo  tipo,  e  al  lato 


154 


BRUTTI! 


T.  CXI 


sin.  AT3M.  È  quindi  chiaro,  che  il  primo  tipo  dimostra  ima 
confederazione  fra  Crotone  e  Metaponto  e  che  questa  mo- 
neta fu  poi  ribattuta  da  una  ignota  città  di  nome  Casarium. 

2.  Coli.  Sautangelo.  Simile  alla  già  descritta  n.  1.  Nella  leg- 
genda del  riverso  si  vede  chiaramente  la  lettera  A,  che 
sola  è  delineata  nella  edizione  anteriore  (Carelli,  tab.  CV,  45). 

3.  Coli.  Luynes.  Astragalo  e  KA.  R.  Delfino  e  di  sotto  FIM. 
È  un'alleanza  di  Gasarlo  con  Imera,  nel  qual  nome  l'aspi- 
rata H  ha  ceduto  il  posto  al  digamma  eolico. 

4.  Coli.  Luynes.  .astragalo.  R.  Delfino  e  di  sotto  K.  Il  Mionnet 
deve  aver  avuto  un  nummo  simile  nel  cui  dritto  vide 
l'astragalo,  e  nel  riverso  un  quadrato  incuso  informe  {Recueil, 
pi.  XL,  6)  dentro  corona  di  olivo. 

PANDOSIA 

Ai  confini  della  Lucania  verso  la  Brezzia  fu  una  città 
sul  fiume  Aciris  indicataci  dalle  tavole  di  Eraclea  che  ebbe 
nome  Pandosia  (Mazzocchi,  Tab.  Heracl.  p.  104). 

V'è  una  moneta  di  confederazione  tra  Crotone  e  Pan- 
dosia dove  questa  città  è  rappresentata  dal  loro  respiciente 
(Tav.  ex,  2).  Cotesto  tipo  non  si  sa  che  fosse  usato  dai  Pan- 
dosini  della  Brezzia,  come  appare  dalle  mie  tavole  ;  sembra 
quindi  che  la  Pandosia  della  Lucania  presso  VAolris  sia  quella 
colla  quale  i  Crotoniati  fecero  lega  espressa  nei  due  nomi  e 
due  tipi  della  moneta.  Ma  vi  fu  un'altra  Pandosia  sul  fiume 
Crati  e  presso  il  fiumicino  Acheronte  oggi  detto  Arcinti,  che 
Livio  e  Plinio  dicono  essere  dei  Lucani,  chiamando  così  cogli 
autori,  dai  quali  trascrivevano,  i  Brezzi  che  dalla  ol.  CVI 
la  possedevano.  Questa  è  la  Pandosia  piantata  dai  Plateesi 
in  Beozia,  detta  però  JIXaxcuiwv  àitoixia,  dove  a  detta  di 
Plinio  (H.  N.  Ili,  15)  Teopompo  lasciò  scritto  che  era 
morto  Alessandro  il  Molosso:  Pandosiam  Lucanorum 
urbem  fuisse  Theopompus  (auctor  esl),  in  qua  Alexander 
Epirotes  occubuerit.  Livio  aggiunge  che  le  membra  di  lui 
furono  raccolte  da  una  Cosentina  e  sepolte  in  Cosenza,  le 
ossa  furono  mandate  a  Metaponto  al  suo  esercito  che  ivi 
stanziava  e  indi  trasmesse  in  Epiro  (Liv.  Vili  e.  14);  se 
non  che  Giustino  scrive  (Vili,  6),  che  i  Turii  ne  com- 
prarono il  corpo  e  gli  diedero  sepoltura  :  Corpus  eius 
Thurii  publice  redemptum  sepuUurae  tradiderunt.  Fu  Pan- 
dosia la  capitale  dei  re  Enotrii  e  ben  munita  sulle  tre 
colline  dove  era  situata.  Strabene  perciò  la  chiama  (fQovqiov 

ÌqVIJ^vÒv    e    TQlxÓQl'ffOV. 

Della  Pandosia  posta  sul  Crati  abbiamo  certezza  che 
batte  la  moneta  che  ne  porta  il  nome  e  rappresenta  il 
Crati  nel  rovescio.  Essa  precede  l'occupazione  lucana  (ol. 
XCVII,  XCVIII)  e  l'insurrezione  dei  Brezzii.  I  Pandosini 
si  servono  dell'alfabeto  dorico:  hanno  però  di  proprio  che 
davanti  al  P  non  adoperano  il  9  ma  il  K.  Battono  nei 
tempi  della  piii  bella  arte  e  fanno  pompa  della  imagine 
di  Giunone  Lacinia  e  del  dio  Pane,  che  veneravano  entro 
le  loro  mura. 

Il  Crathis  dice  Erodoto,  fu  denominato  dal  Crathis  di 
Acaia  presso  Aegae,  così  detto   perchè    si    formava    dalla 


mistione  di  due  fiumi  (Strabo,  L.  Vili)  òtto  tov  xìqvaoXa. 
Col  fiume  Sybaris  presso  Busa  di  Acaia  fu  denominato  il 
fiume  d'Italia  (Strabo,  ibid.).  Era  opinione  che  il  Crati 
a  chi  ne  beveva  colorisse  in  biondo  i  capelli  (Aristot.). 
Eliano  dice  invece  che  il  Gratis  fa  di  color  bianco.  Anti- 
gono (e.  140)  e  Teofrasto  dicono  che  i  quadrupedi  di  neri 
e  rossi  che  sono  diventano  bianchi  (Aelian.  XII,  36). 

I  Pandosini  rappresentano  la  dea  Pandosia  sul  dritto 
e  al  riverso  il  fiume  Crathis  in  forma  giovanile,  privo  però 
delle  solite  corna  bovine,  che  porta  nella  sinistra  un  al- 
bero di  lauro  ed  ha  davanti  a  sé  probabilmente  un  pesce, 
difformato  dal  conio,  che  doveva  vivere  nelle  sue  acque. 
Non  è  di  certo  la  capra  della  quale  narrano  Eliano  {Hanim. 
VI,  42)  e  Proto  (ad  Virgil  Georg.  I  v.  20)  che  ebbe  un 
figlio  della  natura  di  Silvano. 

5.  Museo  Britannico    {Calai,    p.    370,  I).  Testa  di  Pandosia, 

coi  capelli  rivolti  e  sospesi  alla  cervice  da  doppio  giro  di 
diadema:  v'è  intorno  l'epigrafe  PANDOMSA.  E.  Giovane 
nudo  stante  di  prospetto  con  ramo  di  lauro  nella  sin.  e 
patera  nella  destra:  ai  piedi  sembra  vi  stia  un  grosso 
pesce  ma  è  mal  riuscito  nel  conio  :  a  d.  è  la  leggenda 
KPAOSM,  donde  apprendiamo  che  questa  è  la  Pandosia 
lucana,  cioè  brezzia,  posta  sul  fiume  Grati. 

6.  Museo  Britannico  (Catei.  n.  870,  2).  Testa  di  Giunone  ric- 

camente cinta  di  alta  stephane  ornata  di  una  palmetta  fra 
due  grifi,  con  pendenti  agli  orecchi  e  collana,  fì.  Pane 
nudo  sedente  sopra  un  sasso  al  quale  appoggia  la  sinistra 
tenendo  due  aste  nella  .destra:  il  suo  cane  gli  giace  da 
presso  :  innanzi  a  lui  è  un  erma  barbato  itifallico  con 
caduceo  infiliate  accanto  e  sulla  stela  si  ha  la  leggenda 
MAAYZ,  nome  forse  dell'artista:  a  d.  (nAN)AOs:iN(aN). 

7.  Museo  Britannico  {Catal.  p.  371,  3).  Testa  della  Giunone 
simile  a  quella  del  n.  6.  fi.  Pane  volto  a  sin.  sedente  su 
di  una  rupe  fra  due  cani  che  gli  giacciono  dappresso, 
stende  la  d.  avendo  allato  un'asta:  a  d.  HANDOS:!  a  sin. 
NIK. 

8.  Coli,  della  Zecca  di  Londra.  T.  di  Giunone  simile  alle  pre- 
cedenti. R.  Pane  sedente  su  d'una  rupe  coperto  della  sua 
clamide  volto  a  d.  solleva  il  pie'  sinistro  su  di  una  roccia, 
ed  ha  nella  sin.  due  aste:  a  d.  PANAOSIN. 


SEK 


9.  Museo  Brit.  Catal.  395,  1  I.  Da  un  gesso.  Uomo,  nudo  bar- 
bato con  capelli  lunghi  alla  cervice  che  porta  sull'omero 
sinistro  un  lungo  tralcio  di  vite  con  foglie  e  grappoli,  soste- 
nendo nella  destra  un  cratere  a  due  manichi.  Egli  è  volto 
a  sin.  ed  ha  dinanzi  la  leggenda  MEP.  R.  Tralcio  di  vite 
con  foglie  e  un  bel  grappolo  d'uva. 

10.  (Sambon,  Recherches  tav.  XXII,  8).  Testa  barbata  simile 
a  quella  dell'uomo  descritto  al  n.  9  volta  a  d.  dinanzi  MEP. 
R.  Grappolo  d'uva. 

Ho  dato  luogo  a  cotesto  due  monete  o  piuttosto  alla  prima 
a  riguardo  della  seconda,  la  quale  mi  è  stato  assicurato 
essersi  trovata  in  Italia.  Ma  coloro  che  sostengono  essersi 


T.  CXI 


BRUTTIA 


155 


la  prima  trovata  sempre  in  Italia  mostrano  di  non  aver 
mai  letto  nell'Eckhel  {D.  n.  v.  IV  p.  163),  che  conserva- 
vasi  nel  Museo  del  barone  Astuti ,  ove  la  vide  il  Sestini 
(Letti:  t.  VII,  p.  7),  e  che  il  Easche  avutone  il  disegno  dal 
principe  di  Torremuzza  la  stampò  nella  prefazione  al  t.  Ili 
pars.  II  p.  Vili,  del  suo  Lessico.  Eiggetta  l'Eckhel  le  attri- 
buzioni proposte  da  chi  la  voleva  di  Meroe  della  Lidia,  di 
Merope  di  Coo,  di  Mezaca  in  Sicilia,  nate  da  falsa  lettura,di 
cui  neanche  egli  si  avvide,  prendendo  la  prima  lettera  per 
un  mu.  Nel  quale  errore  era  caduto  anche  il  Sestini  (Let. 
t.  VII  p.  7)  che  la  volle  assegnare  a  Merusium  di  Sicilia. 
L'epigrafe  comincia  con  un  M,  come  ben  avverte  il  duca 
de  Luynes  (Les  nummus  de  Servius  Tullius  ed.  sep.  p.  29 
note,  pi.  n.  4),  che  la  diede  a  Sergentium  di  Sicilia.  Noi 
non  sappiamo  qual  posto  attribuirle,  e  se  in  Italia  o  in  Si- 
cilia; sarà  però  sempre  certo  che  la  prima  sillaba  è  Ser  non 
Mer,  come  i  primi  editori  hanno  letto  e  interpretato. 

CAULONIA 

n  poeta  geografo  che  va  sotto  nome  di  Scimno  di  Ohio 
e  scrisse  il  suo  poema  circa  il  664  u.  e.  dove  chiamò,  v.  233, 
la  potentissima  Koma  astro  di  tutto  il  mondo  ci  ha  con- 
servata la  tradizione  accettata  dal  Niebhur  {H.  tom.  1,224) 
che  attribuisce  a  Crotone  la  fondazione  di  Caulonia.  Stra- 
bene aggiunge  che  vi  vennero  gli  Achei  e  però  la  chiama 
'Axataiv  xvitìfia,  nel  che  trovasi  appoggiato  da  Pausania  che 
ci  addita  anche  il  nome  del  conduttore  che  fu  un  Tifone 
(VI,  3)  EuvXmvCa  Sé  àjto^xia&n  /.ih'  ig  'IzaXiav  vnò  'AxccTcov 
olxKjzrjg  Sé  iysvero  avrrjg  Tv(pcov  cdyievg.  Il  SUO  nome  primi- 
tivo fu  AiU.còv  e  poi  si  chiamò  KavXàv  (Scimn.  v.  322)  : 
^i.szooroi.uca&t]  ng  xQÓvig  KavXoivCa.  Entrò  in  quella  lega 
con  Crotone  e  Sibari,  nella  quale  vicendevole  vi  fu  il  ri- 
corrimento  dell'ufficio  di  presedere.  Poi  divenne  preda 
del  vecchio  Dionigi,  che  nel  365  ol.  XCVII,  4  la  disertò 
e  mise  in  rovina.  Ma  eUa  deve  dirsi  risorta  per  opera 
dei  Locresi  poiché  nel  397  ol.  CV,  4  vi  faceva  il  suo 
soggiorno  il  giovane  Dionigi  (Diod.  XVI,  21,  8;  Plut.  in 
vita,  26)  e  cosi  spiegherassi  ancora  rimpianto  che  loro  si 
attribuisce  da  Stefano  di  Bizanzio,  che  riconosce  una  Caulonia 
dei  Locresi  :  ìoti  Si  ulXrj  Aoxqwv,  e  dallo  pseudo  Servio 
{ad  Virg.  Ili  v.  546),  dove  però  confonde  il  Caulon  monte 
deUa  Brezzia  col  monte  Aulon  della  Calabria  antica,  del 
quale  parla  anche  Orazio. 

Nella  guerra  di  Pirro  che  durò  dal  474  al  478  Caulonia  fu 
presa  dai  mercenarii  campani  e  distrutta  (Pausan.  L.VIp.  349). 
Nondimeno  la  troviamo  riedificata  nel  543,  e  al  tempo  della 
seconda  guerra  punica  assediata  dai  Eomani  -che  erano  di 
presidio  in  Eeggio,  e  se  Plutarco  dice  il  vero  l'anno  545 
presa  d'assalto  da  Fabio  console  [in  vita  p.  187):  è^iXaìv 
xazà  xQÙTog,  ma  liberata  da  Annibale  (Liv.  XXVII  a. 
241-243).  Dopo  le  guerre  puniche  entrò  nel  dominio  di 
Eoma  ma  non  riaperse  la  sua  zecca  e  Strabene,  allora  che 
egli  scriveva,  la  dice  deserta.  H  Marincola  negli  Opu- 
scoli di  storia  'patria  a  p.  25  ne  addita  il  luogo  dove  fu 
ima  volta  a  quattro  miglia  distante  ad  oriente  di  Castel- 


vetere  alle  falde  del'  monte  Caulone.  Il  fiume  che  le  corre 
da  presso  nelle  carte  di  Eizzi  Zannoni  è  detto  Alare,  e 
par  proprio  Vtlaoog  notanóg,  che  Diodoro  (XIV,  104) 
pone  all'occidente  di  Crotone  fra  questa  città  e  Caulonia; 
l'altro  fiume,  che  è  ad  occidente  di  Castelvetere,  chiamasi 
oggi  Musa,  e  credesi  corrisponda  all'antico  Sagra. 

Non  può  cader  dubbio  ohe  tutta  la  zecca  di  Caulonia 
anteceda  la  monetazione  del  rame  che  le  manca  del  tutto. 
I  numismatici  hanno  proposto  diverse  spiegazioni  del  tipo 
singolare  sempre  il  medesimo  sulle  monete.  Alcuni,  scrive 
il  Millingen  {Consid.  pag.  27,  hanno  veduto  Apollo  nella 
figura  virile  nuda  che  ha  nella  destra  un  ramo  e  sul  braccio 
sinistro  una  figurina  che  cammina  tenendo  un  ramo  in  cia- 
scuna mano,  e  stando  davanti  un  cervo  (Muller,  Dorians 
II,  3,  7):  altri  Apollo  con  Aristeo  (Luynes,  Nouv.  ann. 
de  Vlnslit.  ardi.  1837,1,420):  altri  Bacco  (Avellino,  Oss. 
1883,  II  pag.  108-116).  Il  Millingen  crede  che  sia  di  dif- 
ficile soluzione,  perchè  dipendente  da  tradizione  locale  a 
noi  ignota.  Il  Minervini  (Osserv.  num.  p.  133-138)  tra- 
lasciando le  opinioni  piìi  antiche,  ricorda  quella  dell'Avel- 
lino, che  vi  scorgeva  un  Bacco  flagellifero,  quella  del  Muller 
(1.  cit.)  e  del  Eaoul  Rochette  (Mém.  de  num.  p.  24  segg.) 
che  vi  ravvisarono  Apollo  espiatore  di  Oreste,  quella  dello 
Strober  (Abhandl.  derkoen.  Bayerischen  Acad.  1838  p.  709), 
che  pensò  ad  Ercole  reduce  dagli  Iperborei:  e  rappella 
che  in  questi  ultimi  tempi  il  Panof ka  ravvisò  Apollo  Hilates 
(Archeol.  Zeit.  1843  p.  166  seg.)  :  il  Cavedoni  [Bull.  arch. 
nap.  dell' Avell.  III,  p.  58)  e  Samuello  Birch  (Num.  chron. 
XXX,  p.  167segg.)riconolibero  ApoUo  persecutore  di  Mer- 
curio, indottivi  dai  talari  notati  pel  primo  dal  medesimo 
Minervini  :  da  ultimo  il  Cavedoni  non  osò  far  la  scelta  fra  le 
tante  spiegazioni  proposte  {in  Carelli  tab.  pag.  107).  Patta  una 
tale  rassegna  il  Minervini  aggiunge  una  sua  congettura  fon- 
data sul  diligente  esame  della  medaglia,  ed  è  che  sia  Ila, 
secondo  Properzio,  percotente  col  ramo,  ramo  submovet, 
uno  dei  due  boreadi,  che  svolazza  intorno  a  lui  per  dargli 
baci,  ferentem  oscula,  e  se  ne  allontana,  rimosso  da  Ila 
che  a  tal  fine  agita'  la  fraschetta.  Or  vediamo  se  questa 
poetica  finzione  di  Properzio  si  attagli  ai  personaggi  e 
all'azion  loro  espressa  nella  moneta.  Un  giovane  nudo  che 
va  a  destra  ed  è  in  atto  di  vibrare  un  ramo  fogliato  è 
parte  principale  del  soggetto  rappresentato.  V'è  inoltre  un 
cervo  che  quasi  sempre  fermo  e  il  più  delle  volte  guar- 
dando indietro  a  lui  gli  sta  dinanzi,  e  un  figurino  che  par 
cammini  sul  braccio  sinistro  disteso  del  giovane,  portando 
le  ali  ai  talloni,  e  talvolta  una  clamide  piegata  sugli  omeri 
e  sulle  braccia,  come  si  suol  figurare  Nettuno  dai  Posido- 
niati;  ma  ciò  che  importa  egli  si  reca  due  rami  che  agita 
colle  due  mani  guardando  indietro  al  giovane  nudo  che  va 
con  lui  agitando  pure  la  sua  frasca.  Alla  maggior  figura 
si  vede  talvolta  da  presso  una  vasca  di  acqua  or  a  destra 
ora  a  sinistra,  e  vi  si  scorgono  sacre  infule  or  sospese  al 
corno  di  un  bucranio,  ora  pendenti  dal  braccio  disteso  dal 
giovane  nudo  :  il  cervo  medesimo  porta  una  collana  in  segno 
di  consecrazione. 

20 


156 


BKUTTIA 


T.  CXI 


I  due  rami  sono  chiari  nel  mio  esemplare  (tav.  CXXV,  17)  ma, 
in  altri  or  sono  due  (tav.  CXI,  12)  or  uno  soltanto  (ib.  14)  : 
però  ben  s'intende  spesso  dall'atteggiamento  che  anche  l'al- 
tra mano  doveva  esserne  fornita.  Il  giovane  nudo  ha  stretta 
relazione  anche  colle  acque  del  mare,  come  dimostrano  i 
.  due  delfini  che  gli  guizzano  dintorno  ;  e  a  quella  delle  sor- 
genti e  dei  iìumi,  di  che  danno  indizio  le  fonti  coi  leon- 
tocasmi  talvolta  dietro  di  lui  tal  altra  davanti,  ovvero  di- 
nanzi al  cervo  tipo  costante  nel  riverso  dei  didrammi,  che 
comunemente  sta  fermo  volto  a  d.,  di  rado  a  sin.,  talvolta 
però  va  di  galoppo  a  d. 

Or  è  ben  chiaro  che,  tranne  1'  allusione  alle  acque  della 
fonte,  niun  altra  circostanza  trova  una  giusta  spiegazione  nel 
mito  di  Properzio,  e  quel  boreade,  che  pare  aver  suggerita 
al  M.  una  tale  ipotesi,  1'  è  invece  apertamente  contrario. 
Inoltre  Ila  avrebbe  dovuto  portar  in  mano  il  vaso  da  attin- 
gere l'acqua:  e  così  di  fatti  si  vede  nei  monumenti  che 
lo  rappresentano  rapito  dalle  ninfe;  o  almeno  averlo  da 
presso.  Di  modo  che  neanche  quésta  favola  può  dirsi  qui 
rappresentata,  almeno  come  la  espose  nei  suoi  versi  Pro- 
perzio. Però  conviene  procedere  in  altra  maniera.  Tengo 
per  concesso  che  la  figurina  coi  talloni  alati  del  giovane 
che  agita  la  frasca  sia  un  aereo  precursore  che  accompagna 
l'azione  del  giovane  che  agita  la  frasca,  portando  ancor  esso 
ed  agitando  frasche:  non  vi  è  idea  di  contrasto  tra  le 
due  figure.  Né  il  cervo  può  tenersi  estraneo  del  tutto  alla 
composizione:  egli  volgesi  indietro  a  guardare  il  giovane 
e  lo  precede,  occupando  poi  come  tipo  il  riverso.  La  fonte  or 
al  dritto  ora  al  rovescio  rappresentata  significa  di  esservi  a 
riguardo  tanto  del  giovane  che  del  cervo,  e  formare  perciò 
uno  dei  determinativi  requisiti  alla  spiegazione  del  mito.  La 
mia  ipotesi  è  che  nel  giovane  figura  principale  sia  espresso 
un  nume  e  che  quella  frasca  non  sia  da  lui  vibrata  per 
allontanare  il  piccolo  fantino  :  ma  che  questi  invece  cam- 
mini d'accordo  con  lui  o  meglio  gli  vada  innanzi  per  l'aria 
agitando  ancor  esso  le  frasche  e  compiendo  con  lui  il  rito 
di  lustrazione,  e  paragono  a  questa  scena  il  sileno  dello 
specchio  di  Palestrina  che  col  piccolo  satiro  presso  un  vaso 
di  acqua  danza  agitando  una  frasca.  Quel  fantoccino  a  mio 
parere  non  è  che  il  vento  e  tutto  questo  agitare  e  vibrare 
di  frasche  si  fa  per  allontanare  e  cacciare  la  pestilenza 
purgando  l'aria  con  quella  frasca  che  par  di  lauro  presso 
di  un  tempio  che  è  significato  dal  bucranio.  È  insomma 
il  dio  locale  del  promontorio  Cocinto  cinto  dal  mare,  e  però 
in  compagnia  dei  delfini,  che  gli  guizzano  intorno,  che  chia- 
mato in  aiuto  il  Zefiro  del  promontorio  zefirio  purifica  l'aria 
pestilente  della  stretta  valle  del  monte  Aulon,  dove  era  si- 
tuata Caulonia.  Narra  Igino  {Peet.  astron.  2,  41)  che  Apollo 
insinuò  ad  Aristeo  di  chiedere  a  G-iove  questo  vento,  perchè 
temperasse  i  calori  della  canicola  perniciosi  agli  uomini 
e  agli  animali,  e  anche  ai  campi.  Ma  vedi  ciò  che  scrivo 
nel  commento  alla  tav.  CXXV,  n.  16,  17. 
11-14.  Coli.  mia.  Giovane  nudo  in  lunghi  capelli  alla  cervice, 
e  raccolti  in  due  corimbi  sulla  fronte  va  a  d.  in  atto  di  sfer- 
zare l'aria  con  un  ramo  fronzuto,  portando  disteso  in  avanti 


il  braccio  sinistro,  sul  quale  sembra  che  rapidamente  corra 
per  l'aria  un  fantoccino  che  talvolta  ha  le  ali  ai  piedi  ed 
agita  simili  ramoscelli  fronzuti  colle  due  mani,  guardando 
indietro  il  giovane  descritto:  a  d.  è  il  più  delle  volte  un  cervo 
stante,  ed  ancor  esso  si  volge  al  giovane  agitatore  della  fra- 
sca :  a  sin.  KAYU.  R.  Lo  stesso  tipo  ma  incuso. 

Il  n.  13,  coli.  Luynes,  è  singolare  perchè  legge  EAVA, 
e  al  riverso,  AVfl3.  Di  qui  può  spiegarsi  l'altra  singolarità 
del  3  in  luogo  del  >l  di  altra  moneta  (t.  CIX,  8).  H  K 
va  posto  innanzi  al  nome  primitivo,  AYAilN  si  scambia  dai 
Cauloniati  in  digamme  fc  come  notò  il  Piorelli  nel  Catalogo 
del  Museo  Santangelo  p.  60  la  qual  moneta  del  resto  è  bat- 
tuta in  Crotone,  e  cambiasi  in  E,  come  in  questo  nummo  co- 
niato nella  patria  zecca.  Queir  O  che  si  vede  nel  campo 
separatamente  al  n.  14,  è  d'uopo  che  si  congiunga  al  nome, 
leggendo  KAVr  O.  Il  fantoccino  ha  nel  n.  12  una  clamidetta 
spiegata  distesa  sulle  spalle  e  pendente  dalle  braccia. 

15.  Allato  al  giovane  agitatore  della  frasca  è  un  bucranio  dal 

cui  corno  sin.  pende  un'infula  :  ivi  è  anche  un  erma  bar- 
bato :  a  sinistra  alle  spalle  del  giovane  è  un  leontochasma, 
ossia  una  bocca  di  leone,  che  versa  acqua  nella  sottoposta 
vasca  sostenuta  da  una  elegante  colonnetta  scanalata.  R. 
Cervo  volto  a  d.  in  rilievo  :  intorno  vi  si  legge  KAYAHNI  : 
ATAS.  Dei  due  punti  inseriti  nella  leggenda  non  so  dar 
ragione. 

16.  Coli.  mia.  Il  giovane  agitatore  del  ramo  fronzuto  sta  in 
mezzo  a  due  delfini  che  scorrono  pel  campo  in  senso  op- 
posto. Cervo  in  rilievo  tra  le  cui  gambe  è  un  A  e  intorno 
KAYAn(NI)ATAS:. 

17.  Cotesto  nummo  ha  di  singolare  l'oca  a  sin.  e  l'essere  ri- 
battuto sopra  un  nummo  coi  tipi  corinzii  della  Pallade  da 
un  lato  e  dal  Pegaso  alato  volante  dall'altro. 

18.  19.  V'è  di  speciale  che  il  cervo  del  riverso  vi  si  vede 
decorato  di  un  serto  intorno  al  collo,  e  nel  n.  19  che  a 
sin.  dietro  al  giovane  è  im  bucranio. 

20.  Il  dritto  ha  un  albero  forse  di  lauro  in  vece  del  cervo,  e 

al  riverso  ci  dà  un  esempio  del  cervo  che  corre:  l'epì- 
grafe è  in  carattere  dorico  KAYhONSATAM. 

21.  Qui  è  di  certo  omesso  il  fantoccino:  v'è  poi  di  singolare 
che  la  pianta  forse  di  lauro  si  vede  dinanzi  al  cervo  del 
riverso  :  l'epigrafe  è  retrograda  al  riverso. 

22.  Coli.  mia.  Dietro  al  giovane  agitatore  della  frasca  è  scritto 
TfllHilAV(fì>l);  da  destra  a  sinistra:  nel  riverso  con  sin- 
golare esempio  il  cervo  è  volto  a  sinistra  :  ha  poi  davanti 
una  foglia  di  vite. 

23.  Coli.  mia.  Dal  braccio  sinistro  del  giovane  pende  l'infula, 
che  al  n,  15  pende  dal  corno  del  bue.  Dietro  di  lui  vi 
si  vede  quell'arnese  che  si  è  notato  sulla  moneta  di 
Eraclea  tav.  CU  n.  16. 

24.  Coli.  mia.  È  un  esempio  della  dramma  dove  anche  si  ha 
nel  riverso  un  altro  esempio  che  il  cervo  guardi  a  sinistra. 

25..  Omesso  il  cervo  nel  dritto  si  ha  un  secondo  esempio  della 
pianta  dinanzi  al  cervo  del  riverso  :  l'epigrafe  è  ancor  qui 
doppiamente  scritta,  sul  dritto  da  sinistra  a  destra  e  sul 
riverso  in  senso  retrogrado. 


T.  cxn 


BRUTTIA 


157 


26.  Coli.  Luynes.  Testa  giovanile  con  capelli  ricci  e  un 
corno  bovino  che  spunta  dalla  tempia:  intorno  è  scritto 
KAV>IONIATAM.  R.  Cervo  volto  a  destra.  Nella  figura  del 
dritto  vi  ravvisai  altra  volta  l'immagine  del  fiume  Sagra  s 
e  se  ne  persuase  il  Minervini  {Oss.  p.  44);  ma  potrebbe 
pur  essere  e  a  miglior  dritto  1'  Eloro. 

27.  Testa  giovanile  con  capelli  lunghi  alla  cervice  coronata  di 
lauro.  R.  Cervo  e  KAV. 

28.  Giovane  agitatore  del  ramoscello.  R.  KAV  (Avellino,  Giorn. 
nmn.  II.  24  tav.  I,  9). 

29.  Coli.  Luynes.  Cervo.  R.  AVA  (Eaoul  Kochette,  Ann.  Instit. 
I,  418;  Mém.numism.  1840,  II,  11  pag.  183). 

30.  Triscele  aggiuntesi  attorno  ad  un  desco  ombelicato.  R.  OAVAN. 

PETELIA 

Era  tradizione  che  Filottete  profugo  da  Melibea  fosse  ve- 
nuto coi  Troiani  nella  Enotria  e  vi  avesse  fondata  Siri  e  Pe- 
telia:  se  ne  mostrava  peranco  il  sepolcro  in  Metaponto  e  le 
fatali  frecce  di  Ercole  poste  nel  tempio  di  Apollo.  Stava  Pe- 
telia  presso  il  fiume  Neeto  e  non  lungi  dal  promontorio  Cri- 
misso.  Stimò  il  MiUingen  dopo  il  Coray  che  il  suo  primo  nome 
fosse  Cone  una  volta  metropoli  dei  Caoni  (Milling.  Considér.  p.  88). 
Ma  cotesta  opinione  è  contradetta  dal  testo  di  Strabene  che  la 
dice  metropoli  dei  Lucani  (cf.  Marincola  Opusc.  di  st.  patria 
p.  141,  142).  Vennero  i  Troiani  con  Filottete  e  approdarono  in  riva 
del  fiume,  dove  le  tre  figlie  di  Priamo  Aethylla,  Astioche  e  Mede- 
sicaste  noiate  e  stanche  dal  viaggio  persuasero  i  Troiani  di  pren- 
dere stanza  in  quella  spiaggia  e  posero  però  fuoco  alle  navi.  Nar- 
ravasi  che  di  tal  avvenimento  si  conservasse  la  memoria  nel  nome 
che  allora  diedero  al  fiume  chiamandolo  Neaetlius,  Néca-3-og,  quasi 
NavaiOog,  dalle  navi  bruciate.  Questo  racconto  si  legge  nei  com- 
mentarli di  Tzetze  a  Licofrone.  Petelia  non  ha  moneta  che  di  bronzo 
e  però  non  aprì  la  zecca  prima  della  occupazione  lucana  del  361. 
Cesse  poi  ai  Brezzii  nel  riparto  delle  terre  conquistate  avve- 
nuto nel  398.  Dopo  la  disfatta  dei  Eomani  a  Canne  insorgendo 
i  Lucani  coi  Brezzii  i  soli  Petelini  mantennero  la  fede  a  Eoma. 
Intanto  convenne  loro  difendersi  dai  Cartaginesi  che  assediavano 
la  città  :  ma  le  donne  peteline  uscite  di  soppiatto  posero  fuoco 
alle  macchine  d'  assedio  e  le  incendiarono.  Esse  ben  altri- 
menti emularono  il  coraggio  delle  donne  troiane  che  diedero 
alle  fiamme  le  navi.  Di  un  fatto  sì  nobile  parmi  che  i  Pete- 
Uni  abbiano  voluto  perpetuare  la  memoria  ponendo  sulle  loro 
monete  per  tipo  una  donna  che  con  rapida  corsa  portando  una 
fiaccola  a  destra  e  la  sinistra  involta  nel  piccolo  pallio  va  di 
gran  passo  stando  di  prospetto  alquanto  a  sinistra  dello  spet- 
tatore. Essa  porta  talvolta  sull'  omero  destro  una  faretra  e  per 
tal  motivo  e  per  la  fiaccola  i  numismatici  l'hanno  finora  presa 
per  Diana.  Ma  si  considerino  le  circostanze,  che  sono  ben  di- 
verse da  quelle  che  riguardano  la  notissima  Diana,  quando  colla 
fiaccola  nella  destra  e  con  due  giavellotti  sulla  spalla  sinistra, 
neUa  moneta  di  Turio,  prende  la  via  dei  monti  accompagnata 
dal  cane  di  caccia.  La  faretra  che  talvolta  si  vede  sull'  omero 
della  donna  peteUna  ben  si  spiega  con  lo  stato  di  assedio  nel 
quale  anche  le  donne  prestavano  la  loro  opera  alla  difesa  della 
patria.  Le  monete  del  re  Ballèo  recano  sul  rovescio  un  tipo  somi- 


gliante al  riverso  della  moneta  di  Petelia  (Èckhel,  IV,  167), 
una  donna  e  talvolta  un  uomo  che  porta  la  fiaccola  accesa 
nella  destra  e  va  di  fronte  verso  la  sinistra:  se  ne  ignora  il 
motivo. 

Del  resto  Petelia  dopo  undici  mesi  di  assedio  si  rese  per 
fame  e  perchè  di  molto  assottigliata  di  combattenti.  I  Cartagi- 
nesi entratine  in  possesso  ne  affidarono  il  dominio  ai  Brezzii:  ma 
saputosi  da  Annibale  che  i  Petelini  avevano  segretamente  invocato 
l'aiuto  dei  Eomani  vi  mandò  Asdrubale  che  devastò  la  città  e 
dei  cittadini  fece  macello.  Ma  i  Eomani  deplorando  un  sì  lut- 
tuoso avvenimento  a  mostrare  quanto  ne  avessero  tenuta  in 
pregio  la  fedeltà  mandarono  in  Petelia  loro  magistrati  che 
raccolsero  i  pochi  superstiti  e  rimisero  la  loro  republica,  la 
quale  riprese  colle  altre  sue  costumanze  anche  quella  di  batter 
moneta,  che  fu  di  bronzo  e  seguì  il  sistema  divisionale  dei  Eo- 
mani battendo  quadranti,  sestanti  ed  once. 


Tav.  CXII. 

1.  Testa  ammantata  di  Cerere  coronata  di  spighe.  R.  Giove  con 

scettro  nella  sin.  scaglia  un  fulmine  a  destra  :  ivi  è  un  B 
e  a  sin.  flETHAINilN  e  un  astro. 

2.  Testa  laureata  di  Apollo  volta  a  d.  R.  Tripode  e  dalle  due 

parti  HETHAINilN. 

3.  Testa  di  Marte  barbato  con  elmo  aulopide  volto  a  d.  R.  Vit- 

toria con  corona  nella  d.  e  flETHAINilN. 

4.  Testa  di  Pallade   con  elmo   corinzio  volta  a  d.  R.  Vittoria 

con  corona  e  HETHAINilN. 

5.  Testa  di  Marte  simile  a  quella  del  n.  3.  R.  Vittoria  che 

porge  una  corona:  a  sin.  PETHAINilN. 

6.  Testa  radiata  di  Apollo.  R.  Tripode  e  intorno  flETHAINUN. 

7.  Testa  di  Diana  con  faretra  al   collo.    R.  Cane  in   rapida 

corsa:  intorno  FlETHAINilN  e  quattro  globetti. 

8.  Testa  barbata  di  Ercole  e  diademata.  R.  Clava  e  flETHAINilN. 

9.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  ;  a  sin.  tre   globettini 

segno  del  quadrante.  R.  Giove  fulminante  con  lo  scettro 
nella  sin.:  intorno  HETHAINnN. 

10.  Testa  di  Giove  laureata:  dietro  due  globettini.  i?.  Fulmine 

e  HETHAINilN. 

11.  12,  13.  Testa  di  Apollo  laureata:  a  d.  di  dietro  due  glo- 
betti. R.  Donna  che  viene  innanzi  quasi  di  prospetto  a 
gran  passo  portando  nella  destra  una  fiaccola  accesa  e  un 
panniUno  nella  sinistra.  Essa  ha  talvolta  una  faretra  sul- 
l'omero destro  n.  10,  ovvero  sul  sinistro  n.  11,  e  tal'altra 
ne  è  priva  n.  12:  intorno  vi  si  legge  flETHAINilN.  Nel 
n.  12  v'  è  di  piìi  al  riverso  TA  in  mon.  e  la  faretra  è 
omessa. 

14.  Testa  di  Apollo  laureata  e  nota  del  sestante.  R.  Cerva  e  a 

sin.  un  fulmine,  a  destra  bucranio:  intorno  flETHAINilN. 
Dal  Giornale  degli  scavi  1881  p.  67,  appare  che  un  tal 
Nicola  Volante  abbia  trovata  una  moneta  di  Petelia  col 
tipo  della  Vittoria  al  dritto  ed  una  clava  al  riverso.  Non 
avendone  l'impronta  dimandata,  basti  averne  data  notizia. 

15.  Testa  di  Marte,  come    al  n.  5.  R.  Vittoria  con  palma  e 

corona,  timone,  flETHAINU'N. 


158 


BEUTTIA 


T.  cxn 


LOCRI 

I  Locresi  sono  venuti  in  Italia  dalla  Locride.  Questa 
era  abitata  da  due  popoli  omonimi,  i  Locresi  Epicnemidii 
così  soprannominali  dal  monte  Cnemis  detti  anche  Opuntii, 
che  erano  collocati  incontro  alla  isola  di  Necroponte,  Eubea, 
e  gli  Ozolae  che  toccavano  il  seno  di  Corinto  avendo  da  un 
lato  l'Etolia  e  dall'altro  la  Pocide.  Eforo  li  fa  venire  in 
Italia  dalla  regione  degli  Opuntii,  Strabene  riprende  Eforo 
e  segue  Timeo  ed  Aristotele  che  li  dicono  venuti  in  Italia 
dalla  regione  degli  Osolae  condottivi  dà  Evante  (VI,  259). 
Convengono  però  tutti  che  approdarono  nella  Enotria  l'anno 
secondo  della  ol.  XXIV  (s.  Hier.  in  Chron.  Eus.).  Ma  una 
tradizione  seguita  da  Varrone  e  da  Verrio  Placco,  a  cui 
fanno  eco  Virgilio  ed  Ovidio,  dice  che  Locri  era  città  forte 
ai  tempi  della  guerra  troiana.  Varrone  narrava  che  alcrmi 
Locresi  cacciati  dalle  loro  sedi  s'imbatterono  per  mare  in 
Idomeneo  che  menava  seco  Cretesi  e  Illirici  in  cerca  del 
suolo  dove  fabbricare  una  città  e  si  unirono  con  essi  con- 
ducendoli però  nella  patria  Locri  che  trovarono  deserta, 
perchè  i  cittadini  per  paura  dei  nuovi  coloni  n'erano  fuggiti. 

Locri  adunque  già  esisteva  quando  Idomeneo  vi  arrivò 
coi  nuovi  coloni.  La  Locri  di  che  si  parla  qui  si  dice  da 
Varrone  e  seguaci  fondata  nelle  terre  le  quali  ebbero  allora 
la  prima  volta  nome  di  Salentine  ;  e  furono  divise  in  tre 
parti  e  date  a  dodici  popoli  che  indi  si  chiamarono  Salen- 
tini:  fra  questi  furono  quei  di  Uria  ossia  Orra  e  quei  del 
castello  di  Minerva.  Noi  sappiamo  di  certo  che  Orra  e  il 
Castrum  Minerva  e,  furono  in  Calabria  nelle  terre  che  si  chia- 
mavano prima  Salentinae,  ma  ivi  non  vi  è  stata  mai  una 
Locri,  che  invece  si  trova  fra  i  Salentini  della  Brezzia  e 
della  Lucania,  che  estendevasi  dal  fiume  Neeto  chiamato  Sal- 
lentino da  Ovidio  {Metam.  lib.  XV,  51)  a  Turio  detto  Sallentino 
da  Livio,  ove  scrive  di  Cleonimo  (L.  X,  2,  ed.  Drak.)  :  Thurias 
urhem  in  Sallentinis  cepit.  ..col  suo  territorio:  Thuriae 
reddilae  veteri  cultori  Sallentinoque  agro  pax  parta.  I 
commentatori  ed  interpreti  che  non  hanno  saputo  di  questi 
Salentini  della  Magna  G-recia  hanno  corretto  il  Neaethum 
di  Ovidio  in  Neretum,  come  fa  il  Burmanno,  ed  hanno 
cambiato  Thurias  in  Hyrias  urbem,  ovvero  Vriam  urbem; 
ma  non  bastava,  essi  avevano  da  riporre  anche  Locri  nella 
Calabria,  e  non  l'hanno  fatto,  ovvero  cambiare  Locros  in 
Sallentinum  con  Servio  [Aen.  Ili,  40):  ibique  in  Calabria 
Sallentinum  condidit.  Questo  è  il  testo  di  Varrone  come 
è  riferito  da  Nonio  {ad  Ed.  VI,  31)  e  trascritto  dal  Mommsen 
sull'  apografo  del  Keil  (ap.  Piorelli,  Ann.  di  numism.  I, 
p.  124)  :  Varrò  in  tertio  Rerum  Humanarum  refert  : 
Gentis  Salentinae  nomen  tribus  e  locis  fertur  coaluisse 
e  Creta,  Ilhjrico,  Italia.  Idomeneus  e  Creta  oppido  Blanda 
pulsus  per  seditionem  bello  Magnensium  cum  grandi 
manu  ad  regeni  Divitium  ad  lUyricum  venit  ;  ab  eo  item 
accepta  manu  cum  Loorensibus  plerisque  profugis  in 
mari  coniunctus  amicitiaque  per  similem  causani  sociatus 
Locros  appulit,  vacuala  eo  metu  urbe.   Ibidem  (con)sedit 


(et)  aliquot  oppida  condidit  in  queis  Uria  et  castrum  Mi- 
nervae  nobilissimum.  In  tres  partes  divisae  copiae  in  po- 
pulos  duodecim  Salentini  dicti  quod  in  salo  amicitiam 
fecerint.  Verrio  Placco  (Pesi  p.  329):  Salentinos  a  salo 
dictos  Cretas  et  Illyrios  qui  cum  Locrensibus  navigantes 
societatem  fecerint ,  eius  regionis  Italiae,  in  quam  d{eve- 
nerint).  Dal  qual  luogo  si  raccoglie  che  il  terreno  occu- 
pato dai  Locresi  fu  chiamato  Salentino,  ma  non  si  conferma 
che  Uria  e  il  Castrum  Minervae  fossero  fondati  da  loro. 

Tornando  ora  alla  colonia  della  ol.  XXIII  anno  2,  i  Lo- 
cresi condotti  da  Evante  e  coadiuvati  dai  Siracusani,  che 
s'  erano  già  fin  dalla  ol.  XVII  stabiliti  in  Sicilia,  posero 
le  fondamenta  in  Italia  della  colonia  che  prese  nome  di 
Locri  e  fu  soprannominata  Zephyria  dal  promontorio  sul 
quale  da  principio  quei  coloni  fermarono  la  loro  stanza. 
Ma  dopo  tre  o  quattro  anni  essi  cambiarono  sito  impian- 
tandosi coi  Siracusani  sopra  il  ciglio  di  un  monte  detto 
iaàrtiq  alquanto  discosto  dal  capo  Zefirio  e  chiamaronsi 
perciò  ijvi^ecfVQiot,.  Il  loro  territorio  confinava  con  quello 
dei  Begini,  che  ne  era  diviso  dal  fiume  Alex:  ivi  essi  co- 
struirono un  castello  e  lo  diedero  a  giovani  soldati  neglTtoloi, 
che  ne  formavano  la  guarnigione;  e  però  il  castello  si 
chiamò  TreQirtóliov.  Pu  un  tempo  che  a  questo  castello  si 
attribuì  l'obolo  di  argento  che  porta  laleggenda  flITANATAN 
riEPinOAilN,  ma  ora  si  è  meglio  stabilito  che  cotesti  Pi- 
tanati  peripoli  appartengono  al  Sannio,  e  che  vi  furono 
posti  in  guardia  dai  Tarentini  confederati,  come  si  è  detto 
dichiarando  quelle  monete.  Locri  crebbe  in  ricchezza  e  po- 
tenza per  le  istituzioni  di  Zaleuco  onde  potè  far  fronte  con 
diecimila  soldati,  fra  Locresi  e  Keggini,  ad  un  esercito  dei 
Crotoniati  forte  di  cento  trenta  mila.  Questa  guerra  fu 
combattuta  alle  sponde  del  Sagra.  I  Crotoniati  volevano 
vendicarsi  dell'aiuto  prestato  dai  Locresi  a  quei  di  Siri. 
Narra  Griustino  che  nel  tempo  della  pugna  apparve  una 
aquila  che  non  cessò  di  volare  intorno  ai  combattenti  fino 
a  tanto  che  ebbero  la  vittoria,  e  che  furono  veduti  alla 
testa  loro  due  giovani  nobili,  di  alta  statura,  con  cavalli 
bianchi  e  con  clamidi  di  porpora  che  finita  la  pugna  di- 
sparvero :  onde  poi  loro  fu  dai  Locresi  edificato  un  tempio 
alle  sponde  del  fiume  (lustin.  L.  XX):  Pugnantibus  Locris 
aquila  ab  ade  nunquam  recessit  eosque  tamdiu  circum- 
volavit  quoad  vincerent.  In  cornibus  quoque  duo  iuvenes 
diverso  a  caeteris  armorum  habitu  eximia  magnitudine 
et  albis  equis  et  coccineis  paludamentis  pugnare  visi 
sunt,  nec  ultra  apparuerunt,  quam  pugnatum  est. 

Ad  Anassilao  venne  il  pensiero  di  conquistar  Locri,  ma 
non  gli  riuscì,  essendosi  essi  validamente  difesi  cogli  aiuti 
di  Gelone  re  di  Siracusa:  onde  poi  seguirono  le  parti  dei 
Siracusani  mentre  le  città  della  Magna  G-recia  favorivano 
gli  Ateniesi.  Dionigi  il  vecchio  ampliò  il  territorio  dei 
Locresi  donando  loro  le  città  di  Caulonia,  Mesma,  Hippo- 
nium  e  ferina.  Di  Scylletium,  lasciata  ai  Crotoniati  quella 
parte  di  territorio  che  possedevano,  l'altra  la  diede  ai  Locresi. 
Ma  questo  ampio  terreno  loro  durò  poco,  essendo  soprag- 
giunti i  Lucani  ohe  occuparono  in  gran  parte  quelle  terre: 


T.  CXII 


BEUTTIA 


159 


Locri  fu  salvata  dal  giovane  Dionigi,  che  però  essendo  stato 
cacciato  da  Siracusa  vi  si  ricoverò  e  vi  stette  sei  anui, 
fino  a  tanto  cLe  ne  fu  richiamato  da  quei  del  suo  partito. 
Ma  la  sua  condotta  crudele  ed  immorale  in  Locri  addusse 
i  Locresi  alla  vendetta,  che  alla  sua  partenza  misero  a  morte 
atrocemente  la  moglie  e  le  figlie;  e  sarebbe  egli  venuto  a 
punirgli  ;  ma  la  rivolta  di  Timoleonte  nel  409  mise  termine 
al  suo  regno  e  ai  suoi  abusi, 

I  Locresi  liberati  ancor  essi  dal  tiranno,  al  quale  i  magistrati 
loro  finché  stette  in  Locri  avevano  ceduto  il  comando,  nel  407 
trucidarono  la  guarnigione  che  vi  aveva  lasciata.  I  magi- 
strati ripresero  il  governo  e  rimisero  in  vigore  le  leggi  e 
cercarono  riformare  i  costumi.  Così  risorse  Locri  e  fiori 
fino  alla  guerra  di  Pirro,  quando  stanchi  del  Prefetto  e  del 
presidio  di  Pirro,  se  ne  disfecero  e  cercarono  l'amicizia  dei 
Eomani.  V  è  una  moneta  di  bronzo  coi  tipi  di  Locri.  Testa 
di  Pallade  volta  a  sin.  e  in  alto  ROMA  (t.  CXIII,  8).  Que- 
sta parmi  battuta  dai  Locresi,  dei  quali  porta  al  riverso 
l'epigrafe  AOKP,  alleati  dai  romani.  Ma  vi  è  un  altro  bronzo 
che  ha  la  simile  testa  con  la  epigrafe  ROMANO  di- 
nanzi a  sin.  e  al  riverso  l'aquila  sul  fulmine  e  di  nuovo 
l'epigrafe  stessa  ROMANO  ;  la  forma  e  il  peso  la  rendono 
simile  alla  moneta  loerese.  Mi  penso  che  l'abbiano  battuta 
i  Locresi  a  nome  di  Eoma  e  dei  Komani,  o  i  Eomani  stessi 
a  conto  loro.  Locri  dipoi  seguendo  la  sorte  dalle  armi  dopo 
la  disfatta  dei  Eomani  a  Canne  si  diede  ad  Annibale 
(Liv.  XXII,  61  ;  XXIII,  30;  XXIV,  1)  :  della  qual  loro  defe- 
zione poscia  li  punì  Scipione,  quando  ebbe  ricuperata  la 
città  col  favore  del  partito  che  era  rimasto  fedele  ai  Eomani 
e  del  popolo  esacerbato  omai  dell'  orgoglio  e  della  avarizia 
dei  Cartaginesi.  Ai  principi  diede  in  possesso  le  facoltà  dei 
condannati  e  uccisi  dalla  fazione  cartaginese  (Liv.  XXIX,  6, 8): 
Bonaq.  eorum  alterius  factionis  principibus  ob  egregiam 
fidem  adversus  Bomanos,  concessU.  Di  che  essi  furono  a 
Eoma  grati  e  riconoscenti  coniando  anche  una  moneta,  nella 
quale  posero  il  Giova  probabilmente  VoQxtog  nel  dritto  e 
al  riverso  Eoma  armata  sedente  e  coronata  dalla  fedeltà 
dei  Locresi  (u.  t.  CXH,  21,  22). 

Furono  essi  adunque  socii  e  federati,  senonchè  trovossi 
un  uomo  che  calpestò  ogni  dritto  umano  e  religioso  per 
amor  dell'  oro  pili  che  non  aveva  fatto  Dionigi  il  giovane 
e  il  presidio  cartaginese.  Questi  fu  Pleminio  romano  pro- 
pretore che  mise  a  sacco  U  tesoro  del  celebre  tempio  di  Pro- 
serpina,  onde  l'armo  551  furono  spediti  dai  Locresi  i  loro  le- 
gati a  Eoma,  perchè  ottenessero  dal  Senato  che  si  restituisse  al 
tempio  di  Proserpina  ciò  che  Pleminio  coi  suoi  satelliti  aveva 
rubato  (Liv.  XXIX  e.  18).  Essi  ne  imploravano  la  fedeltà 
dicendo:  Ad  vos  vostramque  (idem  suppUces  coiifugimus. 
Fu  dunque  ordinato  che  Pleminio  e  i  suoi  legati  raccoglies- 
sero  e  restituissero  al  tempio  il  danaro  sacro,  e  fu  fatto 
solenne  decreto,  col  quale  il  Senato  e  il  popolo  romano 
rendeva  ai  Locresi  la  libertà  e  le  patrie  leggi  (id.  e.  21): 
di  che  i  Locresi  resero  grazie  al  Senato  e  al  popolo, 
condannando  Pleminio  e  gli  autori  dei  forti  e  dei  sacrilegii 
commessi  su  quei  loro  soci,  che  eransi  afBdati  all'  amicizia 


e  lealtà  loro.  Il  P.  Eckhel  ben  a  proposito  ha  citato  l'inno 
dei  Calcidesi  {D.  n.  v.  ì,  176),  conservato  da  Plutarco  {Vita 
T.  Flamininl,  pag.  378)  che  per  essere  utilissimo  al  con- 
fronto sarà  bene  riprodurlo  qui  : 

niaiiv  Si  'Pwfiai'oùv  at^oiiav 
ràv  ^sTccXsvxotàiav  ooxoig  (pvXàtftìnv 
MeXnsTs  xovgai  Zfjva  fisyav  'Pd/iavzs 
Thov  T£  afia  Qoi/^iaioìv  niffriv'Itjte  Ilaiàv 

cÒTÌTS  GtùTìjQ. 

Vi  si  acclama  il  Giove  oQxtog  che  vediamo  personificato 
sul  dritto  della  moneta  di  Locri  e  la  niang  "Pafialoìv  ana- 
logo alla  nCaTigAoxQwv.  Tito  Plaminino  vi  è  chiamate  ^(ot^q. 

Le  monete  ci  hanno  conservata  l'imagine  della  Proser- 
pina tanto  venerata  dai  Locresi  (v.  la  tav.  CXIII,  4,  5). 

11  pugile  Eutimo  ebbe  due  statue  una  in  Locri  e  l'altra  in 
Olimpia,  le  quali  perchè  fulminate  il  giorno  stesso  ottennero  a 
parere  di  Callimaco  gli  onori  dei  sacrifizii  (Plin.  H.  N.  VIII,  47): 
Consecratus  est  vivus  sentiensque  oraculi  (delphici)  iussuet 
lovis  deorum  summi  obstipulatu,  Euthymus  pycta:  Patria 
eius  Locri  in  Italia.  Ibi  imaginem  eius,  et  Olijmpiae  alteram 
èodem  die  tactae  fulmine  Callimachum,  ut  nihil  aliud,  mira- 
tum  video,  adeumque  iussisse  sacri  fica/ri,quod  et  vivo  factum 
et  mortuo.  Eutimo  morì  affogato  nel  fiume  Calcino  e  ne  fu  però 
detto  figlio,  ma  il  suo  padre  si  chiamò  Asticles.  Costui  non  si  è 
veduto  finora  sulle  monete;  vi  figura  però  il  Zsvg  oqxiog  sedente 
appoggiato  allo  scettro  con  la  destra  aperta  (t.  CXIH,  13)  : 
sul  dritto  della  stessa  moneta  si  vedono  le  teste  dei 
due  Castori,  dei  quali  ho  di  sopra  notato,  che  apparvero  e 
combatterono  contro  i  Crotoniati  al  Sagra  e  vi  ebbero 
perciò  im  tempio  alle  sponde.  La  Giunone  Lacinia,  o  La- 
cunia  che  debba  dirsi,  non  è  certo  che  sia  figurata,  ma 
ben  può  riferirsi  a  cotesta  tradizione  l'Ercole  che  si  vede 
in  pili  di  un  bronzo. 

Una  nota  in  un  codice  di  Valerio  Massimo  di  Brandeburgo 
citato  dal  Vorstio  pone  (L.  lei)  che  il  tempio  della  Giu- 
none di  Locri,  a  cui  Fulvio  Placco  tolse  le  tegole  di  marmo, 
non  fosse  della  Giunone  Lacinia,  ma  sì  Lacunia  e  in  prova 
narra  che  v'  era  un  famoso  ladro  di  nome  Lacuno  e  Giu- 
none impose  ad  Ercole  di  ucciderlo  e  però  quella  Giunone 
prese  il  soprannome  di  Lacunia  :  Oh  quam  causam  Lo- 
crenses  in  honorem  Junonis  aedificaverunt  templum  Ju- 
nonis  Lacuniae. 

La  monetazione  di  Locri  non  è  anteriore  al  quarto  se- 
colo di  Eoma;  nondimeno  il  peso  della  maggiore  unità 
d'argento  e  la  divisione  in  seste  avrebbero  fatto  credere 
che  cominciasse  a  battere  moneta  prima  dei  Pisistratidi  ossia 
del  194  di  Eoma.  Il  Leake  {Num.  hall.  Europ.,  Greci  p.  63) 
seguito  dal  Mommsen  {H.  de  la  monn.  I  p.  310,  ed.  Bl.) 
rimuove  da  Locri  gli  stateri  che  portano  tipi  corinzii  :  ma 
cotesti  nummi  non  si  trovano  nelle  terre  degli  Opunzii  a 
cui  gli  attribuiscono,  e  il  sig.  Imhooff-Bl.  mi  fa  notare  una 
differenza  di  fabbricazione  che  corre  per  gli  stateri  d'Italia 
coi  tipi  della  Pallade  e  del  Pegaso  e  quei  di  fuori,  essendo 
i  nostri  piani,    concavi   gli   stranieri.  I  tipi    medesimi    si 


160 


BEUTTIA 


T.  CXIII 


hanno  anche  nel  bronzo  e  ninno  ha  mai  veduto  questi  bronzi 

venirci  dagli  Opunzii. 

n  Magnan  {Bruttiae  numismaticae,  tabula  67  n.  2, 
Eoma  1773)  decrive  un  aureo  da  lui  solo  veduto.  Testa  di 
Giove  laureata  a  s.,  intorno  AOKPilN.  R,  Aquila  a  d.  con 
lepre  fra  gli  artigli,  di  sopra  un  fulmine,  intorno  AOKPiiN. 
L'aureo  dei  Locresi  veduto  dal  P.  Eckhel  presso  il  marchese 
Tenuti  è  inciso  qui  al  n.  16. 

16.  CoU.  mia.  Testa  di  un'  aquila  che  ha  predato  un  serpe  ; 
di  sopra  OA.  E.  Fulmine  alato.  Aureo  una  volta  unico 
prima  della  scoperta  di  alquanti  esemplari  rinvenuti  in 
questi  ultimi  anni  nella  terra  di  Tiriolo  nei  Brezzii.  Nel- 
l'esemplare del  Venuti,  che  è  questo  mio,  veduto  e  publi- 
cato  daU'Bcthel,  la  lettera  O  per  sbalzo  di  conio  è  ripetuta 
in  modo  che  da  un  lato  si  vede  congiunta.  All'Eckhel  questa 
nuova  lettera  parve  un  enimma,  non  avendo  osservato  che 
ripetevasi  l'O  per  difetto  di  conio. 

17.  Coli.  Sant.  Aureo  simile  al  precedente,  dove  però  non  v'è  sbalzo 

di  conio  nella  lettera  O. 

18.  A  quest'aureo  che  è  nella  stessa  coU.  Santangelo  manca  il 

serpe,  e  l'epigrafe  sta  di  sotto  della  testa  di  aquila. 

19.  Museo  di  Vienna.   Monetina  di  argento    data    dall'  Eckhel 

{St/Hoge,  tab.  I,  16).  Aquila  volta  a  sin.,  ha  davanti  una 
spiga  di  grano,  di  sopra  AO.  E.  Fulmine,  fra  due  cerchi. 

20.  Aquila  stante  volta  a  d.  davanti  A.  E.  Fulmine  di  sopra  AOK, 

di  sotto  due  cerchi. 
21-23.  Ve  ne  ha  un  esemplare  anche  nel  Museo  di  Catanzaro, 
come  mi  scrive  il  Marincola.  Testa  di  G-iove  coronata  di 
alloro  volta  a  destra,  ovvero  come  nei  nn.  22-24  a  sinistra. 
Dietro  alla  nuca  nel  n.  21  ha  un  fulmine.  R.  Aquila  che 
si  pasce  di  una  lepre:  intorno  AOKPnN.Neln.22  {AOK)PIlN 
è  sul  dritto,  sul  riverso  poi  a  sin.  im  fulmine,  a  d.  AP 
in  mon.  e  retrogrado.  Nel  n.  23  il  fulmine  è  sul  riverso 
a  d.  e  sotto  alla  lepre  si  vede  un  globetto  e  un  S. 

24.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  Aquila  stante  volta  a  sin. 

e  intorno  AOKPHN. 

25.  Aquila  che  si  pasce  di  una  lepre.  E.  Fulmine  di  sopra  AOKPilN, 

di  sotto  caduceo. 

26.  (Carelli,  tab.  CLXXXIX  n.  12).  Aquila  stante  sopra  una 
lepre  che  ha  predato  :  intorno  è  una  corona  di  lauro.  E. 
Fulmine  dentro  una  simile  corona  e  AOKP^N. 

27.  Testa  di  Pallade  con  l'aulopide  senza  cresta.  B.  Pegaso 
volante  a  sin.  tra  le  gambe  AO. 

28.  Simile  testa  di  Pallade  ma  volta  a  sin.  dinanzi  AOKPilN.  E. 
Pegaso  e  di  sotto  un  fulmine. 

29.  30.  Coli.  Santangelo.  Testa  laureata  e  barbata  di  Giove 
volta  a  d.,  di  sotto  ZEY?.  E.  La  pace,  EIPHNA,  sedente  su 
di  un'ara  ornata  di  un  bucranio,  volta  a  sin.  ostenta  un 
caduceo  :  l'insegna  della  Pace,  a  d.  si  legge  AOKPilN.  Nel 
secondo  esemplare  n.  30,  l'epigrafe  EIPHNA  non  vi  si  legge 
forse  perchè  uscita  di  conio. 

31,  32.  Il  n.  32  è  nel  Museo  di  Parigi.  Nel  dritto  è  la  testa 
barbata  e  coronata  di  Giove  volta  a  sin.  E.  Eoma  indicata 
dalla  leggenda  PiiMA  assisa  e  volta  a  destra  è  coronata 
dalla  fedeltà  flISTIS  :  nell'esergo  si  legge  AOKPnN.  Eoma 


è  in  tunica  senza  maniche,  abbottonsrta  sull'omero  e  appog- 
gia la  d.  ad  un  clipeo  dittico,  che  porta  per  insegna  un 
fulmine,  ed  ha  sotto  l'ascella  sinistra  due  pugnali.  La  Fe- 
deltà, mentre  corona  si  attiene  colla  destra  ad  un  lembo 
del  pallio  che  l'involge.  Al  dritto  e  al  riverso  si  ripete  la 
epigrafe  NE  in  mon.,  che  il  Cavedoni  vorrebbe  spiegare 
NEfisraiQ  in  riguardo  a  Giove  vindice  del  giuramento  e  della 
data  fede  {Saggio,  22),  e  dice  di  preferire  questo  supple- 
mento, anziché  crederlo  nome  di  magistrato  (insolito  in 
monete  locresi).  Nel  che  parmi  siasi  ingannato. 


Tav.  CXIIL 

1.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  sin.  E.  Aquila  stante  sul  ful- 

mine a  sin.  AOKPilN. 

2.  Testa  di  donna  diademata  volta  a  d.  dietro  ha  una  fiaccola 

accesa.  E.  Aquila  stante  sul  fulmine  a  sin.  AOKPIIN  ed  AP 
in  mon.,  a  d.  un  ramo  di  lauro. 

3.  Nella  coU.  mia.  Testa  di  donna  cinta  di  stephane  con  pen- 

denti e  collana  volta  a  d.  E.  Pallade  stante  in  piedi  armata 
di  elmo  corinzio,  di  lancia  e  di  clipeo,  a  cui  si  appoggia: 
a  sin.  AOKPilN,  a  d.  due  stelle. 

4.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  volto  a  sin.  E.  Proserpina 

assisa  con  fiaccola  nella  sin.  avendo  a  sua  destra  una  colonna 
gionica  e  davanti  alcune  spighe  germogliate  dal  suolo. 

5.  Testa  di  Pallade  con  aulopide  cristata  volta  a  d.  E.  Proser- 

pina assisa  fra  due  astri  con  capsula  di  papavero  nella 
sin.,  e  patera  nella  d.,  davanti  a  sin.  AOKPilN. 

6.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  dinanzi  è  AIO^.  E.  Ful- 

mine fra  mezzo  alla  voce  AOKPAN. 

7.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  aulopide  volta  a  sin. 

alla  nuca  XAP  in  mon.  E.  Pegaso  volante  a  sin.,  di  sopra 
un  astro,  tra  le  gambe  un  tirso  lemniscate,  in  basso 
AOKPilN. 

8.  (Carelli,  tab.  2  n.  46).  Testa  di  donna  volta  a  sin.  coperta  da 

aulopide  :  sopra  si  legge  chiaro  ilMA,  che  facilmente  si  compie 
PUMA,  della  quale  epigrafe  che  niuno  parmi  si  è  finora  avve- 
duto. R.  Pegaso  volante  a  sin.,  di  sotto  fulmine,  in  basso 
AOKP.  Un  esempio  analogo  al  nostro  di  Locri  ci  è  offerto  dai 
Cirenei  che  ad  un  loro  bronzo  danno  per  tipo  la  testa  galeata 
di  Eoma  volta  a  sin.  e  vi  scrivono  di  sopra  IMÌ19.  (Muller, 
Num.  de  l'ancien.  Afrique  I,  pag.  29  e  77),  onorandola  a 
motivo  dell'autonomia,  che  godevano  sotto  la  romana  do- 
minazione. 

9.  Testa~  di  Pallade  con  aulopide  laureata  volta  a  sin.  alla  nuca 

una  patera.  E.  Aquila  sul  fulmine  e  a  sin.  AOKPilN  a  d. 
s:nP  in  mon. 

10.  Mia  coli.  Diminuzione  del  bronzo  n.  12  coi  tipi  di  Pallade  e 

dell'  aquila. 

11.  12.  Diminuzione  del  bronzo  n.  3  coi  tipi  della  testa  di  Pro- 

serpina e  Pallade  armata  di  lancia  e  scudo  sul  riverso.  Qui 
nel  n.  11  vi  hanno  due  astri  e  un  cornucopia;  dietro  alla 
testa  di  Proserpina  al  n.  11  vi  hanno  tre  piccoli  astri  fra 
un  astro  maggiore  e  un  cornucopia  :  nel  n.  12  v"  è  una 
spiga  di  grano. 


T.  CXIII 


BRUTTI! 


161 


13.  Coli.  mia.  Due  test,'  dei  Dioscori  coperte  di  pileo  conico 
laureato  e  sormontato  dalle  stelle.  R.  Giove  sedente  a  sin. 
appoggiato  allo  scettro  colla  destra  distesa  :  davanti  AOKPilN. 
Il  Magnan  gli  pone  un'  aquila  nella  destra  :  e  il  Carelli 
(Descr.  p.  144,  74)  ima  iìala:  niente  di  ciò  né  nel  mio  esem- 
plare e  neanche  in  quello  del  Museo  Estense,  tenendosi  il 
Cavedoni  a  dire  non  vedersi  che  cosa  il  Giove  abbia  nella 
destra.  Egli  anche  fa  notare  (praef.  ad  Car.  tab.)  che  l'inci- 
sore del  Carelli  tramutò  Giove  in  una  Pallade  (tab.  CXCI,  57). 

14.  Diminuzione  del  bronzo  n.  8  coi  tipi  della  testa  di  Pallade 

e  del  Pegaso  volante  che  qui  è  volto  a  d.  di  sotto  AOKPJ^N. 

15.  Mia  coli.  Testa  di  Ercole   giovane    coperta    dalla  pelle  di 

leone  a  d.  dinanzi  AION.  R.  Pegaso  volante  volto  a  sin.  di 
sotto  AOKPilN. 

16.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  R.  Aquila  a  d.  e  ivi  pro- 

toma di  pesce  e  AOKPilN. 

17.  Testa  di  Pallade  con  elmo  corinzio  volta  a  sin.  di  sopra  EY. 

/?.  Fulmine  framezzo  alla  voce  AOKPilN  e  ad  un  cor- 
nucopia. 

18.  Testa  di  Ercole   con  la  spoglia  di  leone  volta  a  sinistra. 

R.  Pegaso ,  tra  le  cui  gambe  è  un  fulmine  :  di  sotto 
AOKPilN. 

19.  Simile  al  n.  18:  sul  rovescio  manca  il  fulmine  e  vi  si 
legge  EY. 

20.  Diminuzione  del  bronzo  n.  9  coi  tipi  della  testa  di  Pallade 

e  dell'  aquila  stante  sopra  un  fulmine  che  qui  è  volta  a 
destra,  e  ha  davanti  un  astro  e  a  sin.  AOKPilN. 

21.  Testa  nuda  di  dorma  volta  a  d.  coi  capelli  annodati  alla  cer- 

vice. R.  Eukniiie  framezzo  a  AOKPilN. 

22.  Museo  di  Berlino.  Vaso  doUum.  R.  Grappolo  d'uva  e  intorno 

AOKPilN.  Le  prime  lettere  sono  molto  consumate.  Il  Pel- 
licano {Coiai,  delle  inorìete  locresi)  ne  descrive  a  pag.  46, 
nn.  276,  277,  278  tre  esemplari  uno  dei  quali  fu  trovato 
l'anno  1820  nel  pavimento  dell'antica  città,  contrada 
Strivò. 

SCTLACIUM 

Era  le  città  conquistate  dal  vecchio  Dionigi  si  novera 
anche  Squillace  ^xvD.ì^tiov  già  colonia  degli  Ateniesi  con- 
dotta da  Meneste,  2xvXdxiov  l'appellarono  i  Greci  Scyla- 
ceum,  Scolacium  i  Latini.  Dionigi  ne  divise  il  territorio  in 
due  parti  e  lasciando  l'una  ai  Crotoniati  che  ne  erano  in 
possesso,  l'altra  la  donò  ai  Locresi.  Lo  Scylacium  vorrebbe 
dire  un  luogo  ovvero  un  covo  di  piccoli  cani,  ma  la  tra- 
dizione locale  riferita  da  Servio  e  da  Cassiodoro,  che  vi 
ebbe  i  natali,  voleva  che  Ulisse  avesse  qui  naufragato  e 
si  fosse  servito  delle  tavole  di  sue  navi  rotte  per  iniziare  la 
costruzione.  Virgilio  le  dà  l'appellativo  di  navifragum 
Scylaceum.  A  cotesta  Scylaceum  parmi  si  possano  attri- 
buire i  bronzi  anepigrafi  dati  finora  da  alcuni  a  Cuma, 
da  altri  ad  Alliba  ;  essi  rappresentano  da  l'un  lato  la  testa 
di  Ulisse  dall'altro  un  mostro  ora  uomo,  ora  donna,  desi- 
nante in  corpo  di  pistrice,  dal  cui  tronco  dove  comincia 
ad  essere  busto  umano  si  lanciano  due  cani  latranti.  È  una 
personificazione  del  luogo  analogo  in  ciò  al  mostro  Scila, 


^xvXXa,  dal  cui  ventre  si  spiccavano  cani  latranti.  Ai  detti 
bronzi,  che  il  sig.  Sambon  pel  primo,  seguendo  la  mia 
opinione  a  lui  comunicata,  diede  a  Squillace  penso  si  debba 
unire  il  bronzo  che  fu  del  general  Fox  e  si  è  publicato 
dal  medesimo  (Greek  coins,  8  pag.  10),  ed  attribuito  ad 
Alliba.  Ecco  la  descrizione. 

23.  Coli.  Fox.  Testa  di  tritone  barbato  volta  a  d.  R.  Mostro 
marino  a  metà  uomo  e  metà  pistrice  con  timone  nella  sin.  e 
la  destra  elevata:  di  sotto  piuttosto  A  che  A. 

24.  Nel  Museo  Britannico  (Catal.  p.  74,  8)  si  conserva  un  simile 

nummo,  del  quale  ho  espressala  testa  del  dritto:  pel  riverso 
v'è  il  mostro  medesimo  :  però  di  sotto  l'editore  vi  legge  A. 

25.  Nel  Kirch.  Testa  imberbe  coperta  di  pileo  conico  laureato 

volta  a  sin.  di  dietro  la  lettera  %.  R.  Mostro  marino  bi- 
forme coi  due  cani  al  ventre  e  con  clava  ricurva  neUa  sin. 
■    e  la  destra  distesa. 

26.  Da  un  calco.  Testa  simile   alla  precedente,  al  rovescio  il 

mostro  ha  capelli  annodati  sul  vertice  e  sembra  femineo: 
manca  ogni  lettera. 

27.  Da  un  calco.  La  testa  è  simile  alle  due  precedenti,  il  pileo 

conico  è  un  po'  piti  basso.  R.  Il  mostro  marino  che  è  gio- 
vane nel  n.  25  qui  è  barbato  e  semicalvo  e  gli  si  vedono 
le  due  pinne  discendenti  dai  due  lati  estremi  del  busto 
umano,  quasi  due  ale. 

Il  signor  Màrincola-Pistoia  (Opusc.  di  st.  patria  pag.  367) 
descrive  un  bronzo  del  modulo  5  di  fabbrica  a  parer  suo 
bruzziano,  nel  quale  si  ha  la  testa  di  Ercole  giovane  co- 
perta della  pelle  di  leone,  volta  a  dr.  e  al  riverso  una  prora 
di  nave  a  dr.  con  tracce  di  lettere  di  sopra,  e  nell' esergo 
un  avanzo  di  leggenda. . . .  AAKI. ...  È  sua  opinione  che 
debba  supplirsi  ^KYAAKION.  Egli  però  cita  il  Golzio,  IV 
tab.  58  n.  5,  che  produsse  un  bronzo  di  prima  grandezza,  ove  la 
testa  di  Mercurio  e  la  lettera  0  sono  nel  dritto,  e  una 
prora  di  nave  con  la  leggenda  SKYAAATIilN  è  al  riverso. 
I  tipi  di  ambedue  le  monete  sono  romani. 

EEGIUM 

Si  narrava,  che  alla  terra  bagnata  dal  Tauricino  o  dal  Lumhone 
approdassero  Cretesi  condotti  da  Giocaste  figlio  di  Eolo  (CalUm. 
pr.  Tzetze  ad  Lycoph.  v.  45)  ;  dicevasi  ancora  che  vi  fosse  una 
volta  venuto  Oreste  a  purgare  il  suo  delitto  lavandosi  nei  sette 
fiumi  che  scorrono  presso  Reggio  :  e  sene  conservasse  la  memoria 
nel  portvs  Orestis  presso  il  Metauro.  Confermavasi  poi  la  tra- 
dizione attribuendogli  la  fabbrica  del  tempio  di  Apollo  (Varrò 
ap.  Prob.  ad  Virgil.  Bucol.)  e  il  parazonio  che  vi  si  conservava. 
Ma  le  vero  origini  storiche  di  questa  città  sembrano  datare 
dall'arrivo  dei  Messenii  e  dei  Calcidesi.  Strabene  scrive,  che 
Reggio  fu  fondata  da  quei  Calcidesi  che  consecrati  per  oracolo 
ad  Apollo  si  recarono  a  Delfo,  dove  appresero  il  loro  destino, 
e  Antioco  attesta  che  i  Messapii  si  congiunsero  per  oracolo  di 
Apollo  ai  Calcidesi  spediti  a  fondare  Reggio  dai  Zanclei  sotto 
il  comando  di  Antimnesto.  Ai  Messenii  comandava  Alcidamida, 
scrive  Pausania,  e  vennero  dopo  la  espugnazione  di  Itome  nella 
Messene  e  quando  Aristodemo  era  morto.  Impariamo  poi  dallo 


162 


BEUTTIA 


T.  CXIII 


stesso,  che  a  cotesti  due  popoli  uniti  in  ima  sola  città  coman- 
darono da  principio  i  principi  Messemi  fino  ad  Anassilao,  quarta 
successore  di  Aloidamida  (Paus.  1.  IV  e.  23).  Bisogna  però 
guardarsi  di  confondere  con  Pausania  questo  Anassilao  della 
ci.  XXIX  con  quello  a  cui  si  attribuisce  la  occupazione  di 
Zancle  e  il  nuovo  nome  che  le  diede  di  Messina.  Questa  città 
chiamavasi  tuttavia  Zancle  nella  ol.  LXXII,  quando  vi  venne 
Cadmo  di  Coo  (Herod.  VII,  164)  contemporaneo  di  Epicarmo 
(Suid.  a.  V.),  e  vi  approdarono  i  Sammii  fuggiti  dal  dominio  dei 
Persiani  i  quali  poi  Anassilao  cacciò  fondando  la  nuova  città 
Messina  (Tucid.  L.  VI,  4,  6,  ol.  LXXI). 

A  questo  racconto  si  conforma  tacitamente  anche  Pausania, 
quando  narra,  che  Smicito,  il  quale  fu  poi  servo  e  ministri 
di  Anassilao,  andò  a  Zancle  che  non  chiamavasi  ancora  Mes- 
sina (V.  XXVI).  Di  cotesto  Smicito  poi  sappiamo  da  Erodoto 
che  Anassilao  lo  spedì  in  soccorso  dei  Tarentini,  che  erano 
combattuti  dai  Messajiii  (Herod.  VII,  170),  e  che  morto  Anas- 
silao dopo  l'ol.  LXXVIII,  2,  passò  in  Tegea,  e  più  statue  de- 
dicò in  Olimpia  (id.  ibid.). 

Anassilao  mori  nel  278  (Diod.  Sic.  XI,  43)  cinque  anni 
da  poi  che  aveva  dominato  nelle  due  città:  gli  successero  i 
due  suoi  figli  che  se  ne  divisero  il  principato  e  vi  imperarono 
fino  al  quarto  anno  della  ol.  LXXIX,  quando  i  loro  sudditi 
ribellatisi  li  cacciarono  e  si  costituirono  in  repubblica. 

A  questo  cangiamento,  cred'io,  presero  parte  i  due  legisla- 
tori di  Locri,  Zaleuco  e  Timarete  invitati  dai  Keggini,  il  cui 
risultato  si  fu,  che  si  costituirono  due  forme  di  governo,  la 
yviivaaiaaxixì]  e  quella  che  non  si  sa  bene  se  prendesse  nome 
da  Epitocle,  ovvero  da  Empedocle  (lambì.  Vita  Pythag.  p.  123, 
ed.  Arcer.  1598). 

I  Reggini  nel  321,  ol.  LXXXVI,  fecero  alleanza  cogli  Ate- 
niesi vedendosi  minacciati  dai  Siracusani  insieme  colle  città 
gioniche  fondate  dai  Calcidesi  in  Sicilia  e  in  Italia.  Quando 
Dionigi  il  vecchio  nel  376,  ol.  XCVIII,  a.  2,  cinse  Reggio  di 
assedio  e  dopo  lunga  resistenza  -la  prese  e  spogliò  delle  sue 
ricchezze,  dice  Aristotele,  che  a  compenso  dei  furti  sacrileghi 
fece  coniare  una  moneta,  che  pesava  la  metà  del  suo  valore: 
essa  è  probabilmente  la  dramma  che  ha  per  leggenda  PHflNON, 
a  cui  si  può  sottintendere  AIAPAXMON,  e  non  il  nome  del 
suo  peso  effettivo  APAXMH. 

r  Reggini  furono  difesi  per  opera  del  giovane  Dionigi  dai 
tentativi  dei  Lucani.  Costui  un  cent'anni  dopo  le  depredazioni 
del  vecchio  Dionigi  rimise  in  piedi  la  città  con  tale  splendore 
che  ne  fu  denominata  cfoi'fìi],  la  splendida. 

Ma  eccoli  osteggiati  dai  Brezzii,  dai  Cartaginesi  e  dal  re 
Agatocle,  a  tal  che  fu  loro  mestieri  rivolgersi  alla  protezione 
di  Roma.  Questa  mandò  loro  un  presidio,  e  fu  una  vera  scia- 
gura, perchè  di  stipendiarli  campani,  i  quali  oppressero  la  città 
e  so  ne  fecero  signori  tiranneggiandola  per  dieci  anni,  alla  fine 
dei  quali  venne  loro  la  giusta  punizione  dal  Senato,  e  Reggio 
fu  tranquilla  di  nuovo.  La  varia  moneta  di  cotesta  città  nei 
suoi  stati  diversi  ci  sarà  di  buona  istruzione. 

Essa  batte  un  tridrammo  e  un  didrammo  del  sistema 
eginetico  e  in  pari  tempo  una  dramma  incusa  del  sistema  me- 
desimo se,  come  si   dice,   la  lega    delle  città  acaiche    d'Italia 


introdussero  la  monetazione  incusa,  essa  però,  come  qui  si  vede, 
non  si  limitò  alle  sole  città  della  lega,  ma  fuori  di  essa  ebbe 
imitatori.  I  Reggini  ritengono  il  loro  alfabeto  calcidese,  quan- 
tunque la  lingua  dorica  parlata  dimostri  in  essa  il  predominio 
dei  Messenii.  Prendono  poi  per  tipo  un  bue  androprosopo,  solita 
personificazione  del  fiume,  che  per  Reggio  sarà  stato  il  Tauri- 
cino,  detto  anche  Calopinace  ovvero  il  Lumbono,  che  è  alla 
città  pili  vicino.  Considerata  l'attitudine  del  bue  che  è  quella 
di  star  per  coricarsi  e  prender  riposo,  come  l'Amenano  di  Ca- 
tania (Poole,  Catal.  41,  I,  2)  può  congetturarsi,  che  così  ab- 
biano voluto  significare  le  sue  acque,  che  divise  e  diramate 
scorrevano  pei  campi  e  vi  stagnavano  per  beneficio  dell'agricol- 
tura. La  locusta  che  si  vede  nel  campo  della  moneta  ne  avvisa 
del  prato  e  della  campagna  dove  queirjinsetto  si  nutre  e  fa 
sua  dimora.  I  tridrammi  o  tetradrammi  contemporanei,  tutti  a 
doppio  rilievo,  hanno  per  tipo  la  testa  di  leone  e  al  riverso 
la  testa  di  vitello,  i  quali  tipi  essendo  comuni  a  Messina  pro- 
vano che  non  furono  emessi  prima  della  mutazione  del  suo 
nome  primitivo  di  Zancle  che  avvenne  circa  il  270.  Del  tri- 
dramma  si  hanno  gli  spezzati  inferiori  di  due  terzi  e  di  un 
terzo  ossia  della  dramma,  che  è  l'eginetica,  pesando  i  due 
terzi  gr.  11,70,  e  la  dramma  gr.  5,85:  in]  tutti  questi  pezzi 
la  leggenda  è  HOND35I,  ma  nella  dramma  si  legge  soltanto 
H0D3JI. 

Anassilao  introdusse  nelle  due  città  da  sé  dominate  un 
nuovo  tipo  del  quale  abbiamo  la  interpretaziene  dataci  da  Ari- 
stotele (Polit.  V,  12,  75).  Egli  vi  si  rappresentò  sul  carro  tratto 
dalle  mule  col  quale  aveva  trionfato  nei  giuochi  olimpici,  e 
al  riverso  pose  una  lepre,  per  averne  introdotta  la  razza  in 
Sicilia.  Doppia  è  la  serie  di  questa  moneta;  perchè  come  tri- 
dramma  ha  sotto  di  sé  i  due  terzi,  e  come  tetradramma  ha 
il  didrammo,  la  dramma,  il  tritemiobolo,  l'obolo  e  l'emiobolo, 
che  ha  per  tipo  la  mezza  lepre,  e  al  riverso  un  R  cinto  in- 
torno di  cinque  globetti  indicanti  le  cinque  once  d'argento, 
però  dicesi  anche  nsvTÓyxiov  ccqyvQÌov,  dacché  l'obolo  ne  con- 
tiene dieci.  Il  sig.  L.  Sambon  ha  trovato  anche  una  monetina 
con  la  sola  testa  della  lepre  e  al  riverso  RE,  del  peso  di  gr.  0,11, 
cha  egli  stima  essere  il  sesto  dell'obolo.  Dopo  il  293  la  re- 
publica,  aboliti  i  tipi  di  Anassilao,  rimise  pel  tipo  del  dritto 
la  testa  di  leone,  e  al  riverso  mise  la  personificazione  del  po- 
polo libero,  il  Srjfiog.  Egli  è  assiso  e  si  appoggia  ad  un  ba- 
stone ;  talvolta  ostento  un  vaso  quasi  a  dinotare  uno  dei  pro- 
dotti che  rendono  nobile  la  città,  la  ceramica  (Plin.  H.  N.  XX 
2,  V,  12)  :  Nobilitantur  his  fvasUJ  oppida  quoque  ut  Regium. 
La  leggenda  è  sempre  la  stessa,  RECINON,  o  RECINOS  retro- 
grada :  non  v'è  esempio  del  REGIMO  attestato  dalPEckhel  (D.  n.  v. 
p.  178, 180),  nel  quale  Pestrema  lettera  S  gli  sarà  sfuggita  perché 
confusa  con  le  pieghe  del  pallio  pendente  dalla  sedia  del  Sijfiog. 
In  un  esemplare  che  ho  sott'occhio,  del  peso  di  gr.  15,05,  vi 
si  legge  a  d.  HD35I.  sotto  la  sedia  O,  davanti  al  demos  la  S, 
ohe  per  poco  isfugge  allo  sguardo,  confusa  colle  foglie  della 
corona  di  lauro  che  gira  intorno  al  campo.  In  questo  sistema 
manca  il  didrammo.  V'è  però  la  dramma  colle  sue  frazioni 
inferiori  :  il  pentonoion  si  trova  notato  tuttavia  con  cinque  glo- 
betti, ma  vi  é  anche  significato  dalla  iniziale  H,  in  una  mone- 


T.  CXIV 


BKUTTIA 


163 


tina  malamente  attribuita  ad  Eraclea,  che  ha  la  testa  di  leone 
per  tipo  del  dritto. 

In  questo  tempo  Eeggio  coniò  anche  il  bronzo,  ma  in 
scarso  numero  e  di  valor  nominale;  l'epigrafe  intera  è  ancor 
qui  RECINON. 

Intanto  cambiavasi  l'antico  alfabeto  e  ne  abbiamo  la  prova 
in  uno  statere  appartenente  allo  stile  di  transizione  dell'arcaismo 
al  pieno  sviluppo.  D'accordo  col  nuovo  alfabeto  che  è  quale 
fu  ofiScialmente  ricevuto  in  Atene  nel  351,  l'imagine  del  tf/],(ios 
da  barbata  e  senile  che  era,  si  cambia  in  imberbe  e  giovanile. 
A  questo  tetradramma  mancano  gli  spezzati  inferiori,  la  sua 
epigrafe  PHflNO^,  anche  retrograda,  gli  destina  quel  posto 
che  gli  abbiamo  assegnato. 

Già  erasi  fatta  la  lega  con  Atene  nel  321,  della  quale 
abbiamo  avuta  notizia  dal  Foucart.  che  ne  ha  pubblicato  il 
testo  (Revwe  archéol.  1877  p.  387);  piacque  altresì  adottare 
lo  statere  di  Corinto  con  la  testa  di  Pallade,  e  al  riverso 
il  Pegaso,  credo,  per  utilità  di  commercio.  Entrò  anche  nei 
Eeggini  la  brama  di  primeggiare  nella  eccellenza  dei  conii, 
e  ne  ebbero  di  bellissimi,  come  quello  al  quale  lavorò  Cra- 
tesippo. 

In  questa  età  dell'arte  la  piti  bella  si  ridestò  il  senti- 
mento di  riconoscenza  _  all'oracolo  di  Delfo,  e  la  memoria  del 
ramoscello  di  lauro,  che  i  Eeggini  avevano  in  costume  di  stac- 
care dal  bosco  sacro,  quando  si  recavano  all'oracolo,  il  quale  una 
volta  aveva  ammoniti  i  loro  concittadini,  i  Messenii,  di  met- 
tere a  parte  della  loro  riconoscenza  anche  la  dea  Diana,  che 
li  aveva  sottratti  alla  rovina  della  loro  patria  Messene.  Co- 
minciò quindi  Apollo  a  prendere  il  primo  posto  nella  moneta 
e  tosto  gli  si  aggiunse  Diana:  indi  parve  doversi  serbare  una 
qualche  memoria  dell'alleanza  Ateniese.  Alla  protezione  di 
Apollo  dovettero  anche  riferire,  se  erano  campati  dai  replicati 
tentativi  dei  loro  nemici  il  cui  simbolo,  il  lupo,  essi  posero  sul 
riverso  della  loro  moneta,  rappresentante  Apollo  sul  dritto. 
Finalmente  qualche  pubblica  calamità  gli  avrà  consigliati  ad 
onorare  Esculapio  e  Igia  le  cui  rappresentanze  si  hanno  in 
ispecie  sulla  moneta  di  bronzo.  Al  commercio  poi  ampliato  e 
fiorente  per  terra  e  per  mare  panni  si  debbano  riferire  i 
Dioscori  e  Mercurio,  a  cui  danno  in  mano  anche  un  ramoscello 
di  lauro  del  loro  bosco  sacro  come  a  loro  guida  dei  frequenti 
devoti  viaggi  a  Delfo.  Pare  anche  che  su  talune  monete  assai 
rare  abbiano  espresso  Oreste  col  suo  parazonio  in  memoria  di 
averlo  egli,  come  n'era  tradizione,  deposto  nel  tempio  da  sé 
consecrato  ad  Apollo,  quando  peregrinò  in  Italia  per  lavarsi 
nei  sette  fiumi  delle  terre  di  Eeggio.  la  moneta  di  bronzo  è 
di  due  specie,  la  primitiva  manca  di  ogni  nota  di  valore,  la 
seconda  ne  ha  di  due  sorta,  servendosi  essa  egualmente  dei  glo- 
betti  e  delle  linee  verticali  per  indicare  le  once.  Nella  prima 
classe  non  ha  che  tiùenti  e  quadranti  notati  dai  quattro  o  tre 
globetti,  nella  seconda  ha  quadranti  e  trienti,  ma  inoltre  anche 
la  metà  dell'obolo,  che  significa  colla  iniziale  fi,  ed  è  il 
Txavróyxiov.  Non  v'è  indizio  di  semisse  onde  pare  che  la  mo- 
netina col  numero  XII  non  si  possa  riferire  a  questo  sistema: 
però  il  Cavedoni  {ad  Carell.  tab.  p.  11  n.  117)  ha  creduto  che 
dinotasse  le  dodici    once    della  libbra   romana,    il   Mommsen 


(//.  de  la  monn.  I,  130)  le  dodici  libbre  di  bronzo,  quinta  parte 
delle  120  libbre  di  bronzo  uguali  ad  una  libbra  d'argento. 


Tav.  CXIV. 

1.  Coli.  Dupré  (Longpérier,  Revue  numism.  1866,  p.  265. 
Bue  androprosopo  in  atto  di  porsi  a  giacere  in  terra  volto 
a  sin.  nell'esergo  HOHD351  :  in  alto  una  locusta.  /?.  Eiverso 
iueuso  col  medesimo  tipo:  è  di  gr.  5,64  ma  logora  e  coperta 
di  ossido.  Il  eh.  Imhoof-Bl.  perciò  la  riporta  al  sistema 
eginetifio,  nel  quale  essa  è  ima  dramma,  essendo  la  mag- 
giore unità  di  gr.  12,51  {Le  système  EubOique  extr.  de 
VAnnuaire  numism.  1882  pag.  11). 

2.  Testa  di  Leone  posta  di  fronte.   /?.   Testa  di  vitello  volta 

a  sin.,  intorno  MOHD351,  del  peso  di  gr.  17,33. 

3.  I  tipi  medesimi  al  dritto  e  al  riverso  che  nel  n.  2,  ma  il 
peso  è  di  gr.  5,85.  Vale  cioè  un  terzo  del  tridrammo  o 
statere  di  Corinto  che  voglia  dirsi  (Imhoof,  op.  cit.  p.  8). 

4.  Testa  di  leone  di  fronte.  R.  RECI  in  corona  di  lauro  del 
peso  di  gr.  0,93  obolo,  sesta  parte  della  dramma  di  Egina 
(Imhoof,  1.  cit.). 

5.  Mia  coli.  Testa  di  leone  di  fronte.  R.  531  del  peso  di 
gr.  0,85. 

6.  Biga  di  muli  guidata  da  un  uomo  barbato  involto  a  mezzo 
in  uno  stretto  pallio,  nell'esergo  una  foglia  di  lauro  con 
una  bacca.  R.  Lepre  in  rapida  corsa  a  d.,  intorno  H0WD3JI. 
Statere  o  tetradramma  del  peso  di  gr.  17. 

7.  Simile  biga  con  ugual  foglia  di  lauro  nell'esergo.  R.  Lepre 
in  rapida  corsa  a  d.,  intorno  la  leggenda  è  MER^ENiON. 
Pesa  gr.  17. 

8.  Tipo  simile  a  quello  del  n.  6,  ma  nell'esergo  in  luogo  della 
foglia  v'  è  la  traccia  di  RECINON.  R.  Lepre  corrente  a  d.  e 
intorno  MOHD35I.  Dramma  del  sistema  euboico:pesa  gr.  4,36. 

9.  Lepre  corrente  a  d.  R.  D3JI  del  peso  di  gr.  0,68  una  sesta 

di  dramma  del  sistema  euboico. 

10.  Testa  di  leone.  R.  Segno  della  metà  H:  il  peso  è  di  gr.  0,32 
cioè  della  metà  di  un  obolo,  e  però  si  nota  con  l'aspirata 

11.  Testa  di  leone.  R.  Cinque  globoletti  attorno  ad  un  51  ini- 

ziale della  città.  Il  suo  peso  è  di  gr.  9,32  e  però  si  deve 
attribuire  alla  serie  euboica  ed  attica,  nella  quale  la  dramma 
è  di  gr.  4,36.  L'obolo  valse  gr.  0,72  e  il  mezz'  obolo 
gr.  0,31.  L'obolo  attico  si  divide  in  dieci  calchi,  cinque 
dei  quali  fanno  Vhemioholus. 

12.  Testa  di  leone  veduta   di  fronte.    R.  Uomo  barbato  assiso 

e  involto  a  mezzo  nel  pallio  che  recatosi  la  sinistra  al  fianco 
appoggia  la  destra  ad  una  verga,  intorno  si  legge  20HD35I  : 
il  tipo  e  l'epigrafe  è  cinta  intorno  da  rma  corona  di  lauro. 
È  del  peso  di  gr.  17,24.  Un  esemplare  di  mia  collezione 
acquistato  di  recente  rappresenta  il  Sr^iiog  barbato,  assiso, 
volto  a  sin.  colla  destra  appoggiata  alla  verga  e  la  sinistra 
alla  sedia;  intorno  da  destra  si  legge  SOHI535I;  l'O  è  tra  i 
piedi  della  sedia,  la  S  davanti  a  sin.  Pesa  gr.  15,20. 

13.  Tipo  simile  al  precedente,   ma  l'uomo  assiso  appoggia  la 

fronte  alla  mano  destra  in  atto  di  meditare.  L'epigrafe  è 

■21 


164 


BEUTTIA 


T.  CXV 


HOND35I.  Il  peso  di  questo  nummo  è  di  gr.  4,00  perchè 
un  po'  logoro  :  i  più  conserrati  vanno  ai  gr.  4,35  cioè  alla 
quarta  parte  del  nummo  che  porta  i  tipi  medesimi  ed  è 
però  il  suo  tetradrammo. 

14.  Tipo  simile  al  precedente,  ma  l'uomo  assiso  guarda  di  pro- 
spetto appoggia  la  sinistra  alla  sedia  ed  ha  dietro  di  se  l'epi- 
grafe RECINON:  il  peso  è  di  gr.  17,24. 

15.  Coli.  Imhoof-Bl.  (Carelli,  tav.  CXCIV,  n.  23).  Bronzo  del 
peso  di  gr.  7,10.  Porta  nel  dritto  la  testa  di  leone  e  al 
riverso  la  leggenda  RECINON  circolare  e  inoltre  un  globolo 
nel  centro. 

16.  17.  Spezzati  inferiori  col  medesimo  tipo  nel  dritto  e  al 
riverso  il  primo  REC,  il  secondo  R'E. 

18.  Testa  barbata  e  coperta  di  pileo  conico  volta  a  d.;  in- 
torno vi  si  legge  RECIN.  E.  Ercole  che  soffoca  il  leone. 
È  un  bronzo  che  il  Carelli  riproduce  dal  Museo  Hedervar. 

19.  Testa  di  leone.  R.  Giovane  sedente  colle  gambe  accaval- 
late e  appoggiando  la  destra  al  bastone:  intorno  è  l'epi- 
grafe 50Hn  HI  e  tutto  dentro  una  corona  di  alloro. 

20.  (Imhoof-Bl.  Mon7i.  grecq.  pi.  A  n.  9).  Testa  d'Apollo  in 
capelli  hmghi  e  laureata  con  triplice  serie  di  foglie  volta 
a  sin.,  davanti  (PHQINilN  alla  nuca  EY  in  mon.  R.  Testa 
di  leone  di  fronte.  Pesa  gr.  16,85. 

21.  (Borghesi,  Catal.  n.  619).  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d. 

davanti  PHflNON,  alla  nuca  ramoscello  di  lauro.  R.  Testa 
di  leone  messa  di  fronte. 

22.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d.  dietro  la 
nuca  un  ramoscello  di  alloro,  davanti  a  d.  PHflNOZ  e  sotto 
il  mento  innOKPATHS,  ovvero  KPATHSinnO.  Il  genitivo 
è  in  O  come  NIKANAPO  in  Turio,  EYAINETO  in  Siracusa. 

23.  (Imhoof-Bl.  Mann,  grecq.  pi.' A  n.  10).  Testa  di  Pallade 
coperta  di  aulopide  volta  a  sin.  R.  Pegaso  volante  a  d. 
tra  i  piedi  PH  in  mon.  Il  monogramma  si  trova  usato  anche 
quando  la  voce  è  intera,  come  in  alcuni  esemplari  del  n.  5, 
Tav.CXII  H^INilN. 

24.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Apollo  coronata  a  triplice  serie 

di  foglie  d'alloro  volta  a  destra,  dinanzi  PHriNON  :  alla  nuca 
ramoscello  d'alloro.  R.  Testa  di  leone.  Pesa  gr.  4,05. 

25.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  R.  Leone  che  va  a 

sin.,  di  sopra  la  clava;  nell'esergo  PHriNAN.  Pesa  gr.  3,28. 

26.  Testa  di  leone.  R.  Lira  e  intorno  PHflNON  :  questo  nummo 

si  ha  in  argento  e  in  bronzo.  L'argento  pesa  gr.  3,05. 

27.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  leone.  R.  Due  foglie  di  lauro  in 

un  ramoscello  con  due  bacche  d'olivo,  e  in  mezzo  PH  in  arg. 
e  in  br.;  l'argento  pesa  gr.  2,00. 

28.  Testa  di  Apollo  volta  a  sin.  e  ivi  PHriNUN.  R.  Bifronte 
muliebre  desinente  in  collarino  di  colonna. 

29.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d.  dietro  l'arco  dinanzi 

PHriNilN.  R.  Testa  di  leone.  Pesa  gr.  12,00. 

30.  Testa  di  Apollo  laureata  a  d.  davanti  PHFINilN,  alla  nuca 
un  erma.  R,  Testa  di  leone.  Pesa  gr.  9,85. 

31.  Coli.  Imhoof-Bl.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  fra 
due  lettere  PH.  R.  Testa  di  leone 

32.  (Imhoof-Bl.  Monn.  gr.  11,  14).  Testa  di  Apollo  volta  a  d. 

dinanzi  PHflNH.  R.  Testa,  di  leone.  Pesa  gr.  1,72. 


33.  Coli.  Sixs   (Imhoof-Bl.   op.   cit.  11,  43).   Testa   di  Apollo 

volta  a  d.  dinanzi  PHflNON.  R.  La  lettera  H  dentro  una 
laurea.  Pesa  gr.  7,05.  Questo  H  vale  un  'HiiihtQor  o  'He^àg, 
cioè  sei  once,  e  però  il  piccolo  bronzo  n.  33  colla  epigrafe 
PHflNH  ha  sottinteso  ovyxCa,  valendo  esso  appunto  un'oncia, 
perchè  pesa  grammi  due  incirca.  Ora  il  sig.  Imhoof-Bl. 
ha  proposto  che  al  PHflNH  si  sottintenda  nóXig,  invece  di 
ovyxi'a  proposto  dal  Brandis,  e  rende  probabile  tal  supple- 
mento col  paragone  di  altre  leggende  greche  p.  es.  'A^a- 
xairi'i'a,  Kcc/.iaQti'aìa,  JUaia,  MevSai'ij,  Aagidma,  fu- 
Xita,  etc. 

34.  Testa  di  leone.  R.  PH  entro  una  laurea.  Pesa  gr.  6,16  cioè 

un  Hemilitron. 

35.  (Imhoof-Bl.  Monn.  grecq.  pag.    10  n.  46).   Testa  di  leone 

e  in  cima  un  O.  R.  Astro  a  quattordici  raggi.  Pesa  gr.  4,50. 
Se  queir  O  vale  ovyxt'a,  come  opina  l' Imhoof,  si  avrà  un 
esempio  della  libbra  di  rame  del  peso  di  grammi  54  cor- 
rispondente all'oncia  di  gr.  4,50.  Se  cotesto  O  valesse 
0|5f  Aoc  avremmo  invece  un  obolo  della  metà  incirca  di  peso, 
perchè  gli  oboli  di  Metaponto  pesano  fra  i  sette  e  gli 
otto  ed  anche  nove  grammi. 

36.  Testa  di  leone.  R.  Tripode  e  a  d.  PHflNON.  Pesa  gr.  3,08. 

37.  38.  Due  teste  accoppiate  di  Apollo  e  di  Diana  volte  a  d. 

R.  Tripode  e  intorno  l'epigrafe  PHf  INilN.  Questi  due  nummi 
sono  unità  inferiori  della  serie  che  porla  le  due  teste  egual- 
mente accoppiate,  di  che  vedi  la  tav.  seguente  n.  9. 


Tav.  CXV. 

1.  Testa  di  Apollo  laureata  a  sin.  davanti  PHflN.£lN.  i?.  Tripode. 

Pesa  gr.  9,50. 

2.  I  tipi  sono  gli  stessi,  ma  nel  dritto  v'è  di  più  un  ramo  di 

palma  dietro  la  testa  di  Apollo,  l'epigrafe  è  al  riverso  nel 
n.  3.  La  testa  di  Apollo  è  volta  a  d.  ed  ha  sotto  il  collo  un 
n  e  al  riverso  a  sin.  P,  a  destra  un  H. 

3.  Coli.  Imhoof-Bl.  Testa  di  Bsculapio  coronata  di  lauro  volta 

a  d.  R.  Il  medesimo  Esculapio  sedente  si  appoggia  al  ba- 
stone e  porge  la  patera  da  libazione  colla  destra  avendo 
dinanzi  a  sin.  un'ara  o  candelabro.  Egli  è  a  mezzo  involto 
nel  pallio;  intorno  si  legge  PHf  INilN. 

4.  Testa  di  Diana  con  arco  e  faretra  dietro  al  collo.  R.  Leone 

gradiente  a  d.  e  PHflNilN. 

5.  6.  Testa  simile  di  Diana,  sulla  quale  è  l'impronta  di  una  con- 

tromarca. R.  Lira  e  PHf  INilN. 

7.  Testa  di  Diana  simile  alla  precedente.  R,  Griovane  Sijfiog  nudo 

stante  di  prospetto  con  ornata  corona  in  capo,  un  bastone 
al  quale  si  appoggia  nella  sinistra  mentre  stende  la  destra 
con  un  ramo  di  lauro  e  un  uccello  si  è  posato  sopra  il  dorso 
della  mano  volto  verso  di  lui  :  alla  sin.  v'è  un  cornucopia 
e  intorno  alla  figura  PHflNilN. 

8.  Testa  di  Apollo  laureata  e  di  Diana  cinta  di  stephane  volte 

a  d.  R.  Tripode  PHflNAN  e  nota  del  triente.  Pesa  gr.  12,52, 
e  però  appartiene  al  sistema  della  libbra  di  grammi  incirca 
trentotto,  ossia  di  sistema  sestantario. 

9.  Testa  di   Apollo  laureata  e  volta  a  sinistra,   dietro   a  de- 


T.  CXV 


BEUTTIÀ 


165 


stra  è  una  martellina,  ossia  una  chiave  da  accordare  stru- 
menti, come  la  lira.  B.  Tripode  come  nei  un.  1-3  e  a  d. 
quattro  globetti,  la  nota  del  triente.  Ciò  dimostra  che  Reggio 
si  è  servito  della  doppia  maniera  di  notare  le  once  ora  coi 
glohetti,  ora  colle  linee  verticali.  Cotesto  triente  pesa 
grammi  7,90  e  però  suppone  una  libbra  di  grammi  27,  ossia 
di  un'oncia. 
10, 11.  Teste  accoppiate  dei  Dioscori  coi  pilei  conici  coronati  e  la 
stella  loro  caratteristica.  R.  Mercurio  nudo  e  stante  di  pro- 
spetto con  clamide  affibbiata  sull'omero  destro,  caduceo  nella 
sinistra,  petaso  in  capo  e  ramoscelli  di  lauro  nella  destra 
guarda  a  sin.,  ivi  si  ha  un  FI  nota  del  valore  di  pentoncìo. 
Questo  bronzo  è  nella  mia  collezione.  Nel  n.  11  Mercurio 
ha  nella  destra  una  patera  e  il  il  è  di  sotto  di  essa  :  in 
ambedue  alla  d.  del  riverso  è  la  leggenda  PHriNn.lM.  Il 
peso  di  cotesti  pentoncii  è  di  gr.  16,50,  il  che  suppone 
una  libbra  di  circa  trentaciuque  grammi.  Questo  pentoncio 
è  stato  ribattuto  su  di  un  gran  bronzo  portante  i  tipi  dei 
Brezzi!  :  testa  di  Marte  e  Vittoria  colla  palma  :  di  che  sono 
rimaste  le  tracce  vedendosi  su  di  uno  dei  berretti  dei  Dio- 
scori, l'ala,  il  braccio  e  la  palma  della  Vittoria,  mentre  al  ri- 
verso rimane  un'ombra  della  testa  di  Marte. 

12.  Bifronte  decorato  di  stephane  e  desinente  in  su  in  un  col- 
laiino  di  colonna.  R.  Esciilapio  involto  a  mezzo  nel  pallio 
siede  appoggiando  la  destra  ad  im  bastone:  dal  suo  lato 
sinistro  si  spicca  un  serpente,  iii  era  anche  la  nota  di  quiu- 
cunce  n,  a  d.  vi  si  legge  PHFINXIN.  È  un  bronzo  ribattuto 
sul  tiiente  n.  8  del  quale  rimangono  i  globetti  e  al  riverso 
il  contorno  delle  teste. 

13.  Bifronte  simile  al  precedente.  R.  Esculapio  sedente  involto 
nel  pallio  col  bastone  nella  destra  :  ha  davanti  un  tripode  e  la 
nota  n  :  il  serpe  qui  è  omesso. 

14.  Testa  di  Diana  con  faretra  al  collo.  R.  Apollo  nudo  sedente 
sul  pallio  che  copre  Tonfalo  reticolato  :  egU  ha  l'arco  nella 
sinistra  e  ve  l'appoggia,  lo  strale  nella  destra  ed  è  volto 
a  sin.  dove  è  posta  la  nota  fi  del  valore  :  a  destra  si  legge 
PHriNilN. 

15.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  fregiato  di  un  grifo  volta 
a  sin.  R.  Pallade  stante  con  una  vittoria  tropeofora  nella 
d.  e  n  clipeo  nella  sinistra  sul  quale  si  appoggia.  In  altri 
esemplari  sul  clipeo  è  di  rilievo  rappresentata  la  testa  gor- 
gonia:  a  sin.  fi:  a  d.  PHflNilN.  Il  peso  di  cotesto  pen- 
toncio è  di  gr.  6.16  che  suppone  una  Libbra  di  gr.  12. 

16.  CoU.  Santangelo.  Testa  di  ApoUo  laureato  a  d.  alla  nuca 
ima  foglia  di  lam'o.  R  Vittoria  stante  con  palma  nella 
sin.  e  corona  nella  d.  a  sin.  PHflNilN  e  la  nota  III  delle 
tre  once. 

17.  Testa  laureata  d' Esculapio  volta  a  d.,  dietro  è  un  ba- 
stone pastorale.  R.  Igia  ossia  la  salute  stante  con  tazza 
nella  d.  nella  quale  dà  a  bere  ad  un  serpe  :  a  sin.  Ili,  a  destra 
PHriNIlN. 

18.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d.  dietro 

una  palma.  R.  Lupo  volto  a  sin.,  PHFINilN  e  III.  Il  peso 
di  questo  bronzo  è  di  gr.  6,50.  Vi  rimane  nel  riverso  il 
volto  di  Giove  e  nel  dritto  parte  dell'  aquila  cioè  del  ro- 


stro, dell'ala,  e  del  simbolo,  la  cetra,  con  un  ilN,  parte 
della  leggenda  BPETTinN  (tav.  CXXIV,  19).  Il  lupo  può 
essere  qui  un  simbolo  dei  Lucani,  che  gli  antichi  scrittori 
derivano  dal  lupo  detto  in  greco  ).vy.og,  e  più  generalmente 
significare  i  nemici.  L'Apollo  dei  Eeggini  è  il  deliìco  non 
il  licio  al  quale  era  sacro  il  lupo.  Altri  antichi  scrittori 
però  stimano,  che  i  Lucani  dicendosi  Lyciani  derivino  da 
un  loro  condottiere  Lucio  il  nome  che  portano:  ma  vedi 
appresso  ove  si  parla  dei  Lucani. 

19.  Teste  dei  Dioscori  coi  berretti  conici  laureati  e  sormontati 

dalle  loro  stelle  volti  a  d.  R.  Cerere  stante  con  asta  nella  sin. 
e  due  spighe  di  grano  nella  destra  :  a  sin.  una  mezza  luna 
e  di  sotto  llll  a  d.  PHriNilN.  Pesa  gr.  3.88. 

20.  Lo  stesso  tipo  nel  dritto  che  nel  n.  20:  al  riverso  v'è  Mer- 

curio colla  clamide  e  il  caduceo  nella  sin.  il  petaso  in  capo 
e  un  ramo  di  lauro  nella  d.  volto  a  sin.  ;  ivi  è  la  nota  llll 
e  di  sotto  un  cornucopia  :  a  d.  PHriNHN.  Pesa  gr.  3,  68. 

21.  Teste  accoppiate  di  Esculapio  e  di  Igia  volte  a  d.  R.  Diana 

stante  in  tunica  corta  e  in  borzacchini  da  cacciatrice  con 
arco  nella  sin.,  la  faretra  sugli  omeri  e  la  fiaccola  accesa 
neUa  d.  e  il  cane  ai  piedi,  che  a  lei  si  volge;  a  d.  vedi 
una  spiga  di  grano  e  di  sopra  la  nota  llll  :  il  peso  è  quello 
dei  nn.  precedenti. 

22.  Eitornano  le  due  teste   dei  Dioscori  come  nei  precedenti 

nn.  20,  21.  R.  Giovane  Sr^aog  nudo  stante  di  prospetto  con 
bastone  nella  sin.,  a  cui  si  appoggia,  l'uccello  sulla  destra, 
colla  quale  tiene  un  ramoscello  di  lauro  :  di  sotto  llll  e  infe- 
riormente una  sedia,  a  d.  PHflNnN. 

23.  Testa  di  Esculapio  laureata  volta  a  d.  R.  Igia  come  l'ho  de- 

scritta al  n.  18,  a  d.  PHriNilfvj. 

24.  Nella  mia  coli.  Testa  di  Apollo  laureata  con  capelli  volti 
a  d.  R.  Lira  e  a  d.  PHFINilN  a  sin.  IH. 

25.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe.  R.  Lira,  a  sin.  llll,  e  un 

cornucopia,  a  d.  PHriVilN. 

26.  (Carelli,  ce.  117).  Testa  laureata  di  ApoUo  dietro  Xll.  R. 
I  due  Dioscori  a  cavallo  in  rapida  corsa  verso  la  d.  con  le 
lance  abbassate,  nell'esergo  PHriNiiN. 

27.  28.  (Carelli,  CXCVIII,  96,  9).  Testa  di  Diana  a  d.  dietro 

una  mezza  luna  e  una  verga.  R.  Giovine  nudo  con  corto  ba- 
stone nella  d.  e  parazonio  nella  sin.,  a  destra  PHflNON,  a 
sin.  una  corazza.  Il  n.  29  rappresenta  Diana  con  l'arco  e 
la  faretra  al  coUo  :  al  riverso  è  il  medesimo  giovane  con 
lungo  bastone  nella  destra  e  il  parazonio  nella  sinistra  ; 
nel  campo  a  sin.  vi  si  vede  una  corazza  come  nel  bronzo 
precedente. 

MESMA 

Ecateo  Milesio  viaggiando  nella  Enotria  prima  della  ol.  LXVI 
(=  262  u.c.)  vide  e  designò  la  città,  che  chiama  Mf^.u?; 
(fragm.  41)  così  denominata  da  una  fonte:  MsSfirj  dirò  Médfir^c, 
xQrjvrfi  tivo^. 

Se  dunque  Scimno  di  Ohio  (v.  338)  e  Strabene  (v.  256)  la 
dicono  fondata  dai  Locresi  :  Midjxav  t'óxiaav  AoxqoC;  Ms'à^ia 
TTÓXig  Aoxqwi\  essi  non  pai-lano,  che  della  Medma  rimpiantala, 
e  però  non  anteriore  al  366,  quando  i  Locresi  ebbero  in  dono 


166 


BEUTTIA 


T.  CXVI 


da  Dionigi  il  vecchio  cotesta  città  allora  deserta.  Dopo  il  rim- 
pianto cominciò  Medma  a  batter  moneta  che  fu  di  bronzo,  ma 
il  nome  che  ella  si  dà  è  J/^'cr.i»;,  e  così  l'appellò  Apollodoro  nel 
terzo  delle  Croniche,  come  impariamo  da  Stefano  di  Bizanzio, 
al  qual  nome  ben  corrisponde  quello  del  fiume  Mesima  presso 
del  qual  era  situata.  Le  monete  vedute  da  me  nei  musei  di  Europa 
e  quelle  raccolte  dal  Capialbi  non  leggono  mai  altrimenti  che 
MESMAIilN;  le  due  descritte  dalMionnet  [Sicppl.  1, 1034,  1035) 
con  l'epigrafe  MEAMAIilN  non  sappiamo  dove  siano  deposte. 
La  gran  fonte  Mesma  omonima  alla  città  si  vede  figurata  sulle 
sue  monete.  Se  Strabene  chiama Miifjuo;  la  città  e  lafonte  (VI,  256): 
MéSfia  Ttóhg  Aoxoàv  ói.ióì'i\uog  xgip'ìj  neyuXrj,  può  ben  essere 
che  abbia  copiato  Ecateo,  ovvero  Scimno,  quantunque  ai  suoi 
tempi  fosse  prevalso  di  appellar  Mesma  la  città  insieme  e  la 
fonte.  Il  Pacifico  in  una  lettera  citata  dal  Capialbi  (Mesma  o 
Medama,])Sig.  11, 12)  lesse  in  un  esemplare  MESMAIilN  AilPON, 
la  qual  epigrafe  fu  giudicata  erronea  dal  Capialbi,  che  la  emendò 
sostituendo  AilKPnN  a  AilPON. 


Tav.  C5VI. 

1,  2.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  d.  dinanzi  MESMAIilN. 
B.  Testa  della  fonte  Mesma  posta  di  prospetto  :  ella  è  co- 
ronata di  canna  palustre,  ha  una  larga  collana  al  collo  e 
una  elegante  idria  dal  lato  sinistro.  Nel  n.  2  due  pannoc- 
chie di  canna  riescono  sulla  fronte  di  lei,  come  le  spighe 
di  grano  nella  corona  di  Cerere.  Fu  quindi  per  errore  che 
a  Sestini  le  prese  per  spighe  di  grano  e  ravvisò  in  quella 
figura  Cerere  [LeU.  coni.  VI  p.  10-14),  e  trovò  analogia 
fra  il  nome  della  città  e  la  Misma  che  portò  da  bere  alla 
Dea  (Ant.  Liber.  Melam.  XXIV). 

3,  4.  Testa  di  Apollo  volta  a  d.  come  la  precedente  e  nel  n.  3 
l'epigrafe  MESMAIIIN,  dietro  alla  nuca  v'è  un  pilastrino  in 
forma  di  pigna  sulla  sua  base  rotonda.  Il  Sestini  (Lett.  e 
diss.  numism.  T.  6,  p.  10)  ne  descrive  una  dal  Museo  di 
Monaco,  ove  si  legge  sul  dritto  ìilTHP  MElMAlilN  attorno 
alla  testa  di  Apollo.  /?.  Pane  nudo  sedente  sopra  un  sasso 
con  da  presso  il  cane.  Egli  appoggia  al  sasso  la  sinistra 
ed  eleva  la  destra  con  un  frutto  simile  nella  forma  ad  una 
pigna.  Nel  n.  4  si  legge  solo  ME^  e  al  riverso  vi  si  vede 
in  alto  una  stella,  di  sotto  il  cane  è  più  discosto  dal  gio- 
vane, ma  egualmente  gli  è  rivolto  :  Pane  ha  la  destra  di- 
stesa in  ambedue  i  bronzi  ma  nel  primo  le  quattro  dita  sono 
ripiegate  alquanto. 

5.  La  testa  della  fonte   Mesma  posta  di  prospetto.  R.  11  dio 

Pane  assiso  sopra  una  rupe  sembra  additare  un  oggetto 
a  destra  ove  guarda  il  suo  cane. 

6.  Coli.  Santangelo.  Testa  di  Apollo  volta  a  d.  dinanzi  ME?MAIX1N. 

R.  La  fonte  in  tutta  figura:  è  alata,  va  a  sinistra  solle- 
vando il  lembo  della  sua  veste  e  porta  una  corona  nella 
destra. 

7.  Il  tipo  della  testa  muliebre  di  prospetto   è  ripetuto  anche 

al  riferso. 

8.  Coli.  Sant.  Testa  di  Apollo  volta  a  d.,  dinanzi  MESMA  lilN. 

R.  Cavallo  libero  che  corre  a  destra,  di  sopra  è  un  astro. 


La  pubblicò  il  Capialbi  {Mesma  o  Medama,  terza  ed.  Nap. 
1839  p.  6). 

HIPPO,    VALENTIA 

Hippo,  scrive  Plinio  {H.  n.  Ili,  5)  è  quella  città  che 
ora  chiamiamo  Vibone  Valenza  :  Hippo,  quod  nuno  Vibo- 
nem  Valentiaiii  appellamus:  e  prima  di  lui  Mela  (II,  4): 
Hippo,  nunc  Vibon.  1  Greci  la  denominano  'Itcttcóviov,  e 
Strabene  (VI,  256)  la  dice  fondata  dai  Locresi  ;  Aoxqàv 
xtiaixa.  Al  328,  nel  quale  Antioco  terminò  la  sua  storia, 
quel  seno  di  mare,  sul  quale  giace  Ipponio,  non  si  chiamava 
ancora  Hipponiate,  ma  Lametino  (Strab.  VI,  1,  4).  Al  366 
{ol.  XCVIII,  1)  il  vecchio  Dionisio  conquistata  Ipponio  ne 
trasportò  gli  abitanti  in  Siracusa  (Diod.  XIV,  107)  e  ne  donò 
la  terra  ai  Locresi,  i  quali  debbono  averla  ripopolata,  se 
questa  città  dioesi  loro  colonia.  GÌ'  Ipponiati  che  erano  in 
Siracusa  fm'ono  rimessi  in  patria  dai  Cartaginesi  l'anno  375 
(Diod.  XV,  24).  Un  ventitré  anni  dopo  nel  398  (ol.  CXI,  1) 
i  Brezzii  non  ancora  ribelli  ai  Lucani  invasero  Ipponio  e 
Terina  (Diod.  XVI,  151).  Lascio  intatto  il  luogo  di  Livio 
(Vili,  24)  dove  i  critici  in  luogo  di  Sipontwnque  vorreb- 
bero sostituire  Hipponiumque,  per  far  dire  allo  storico,  che 
Alessandro  il  Molosso  sottrasse  dalla  dominazione  dei  Brezzii 
questa  città.  È  poi  certo  che  Agatocle  se  ne  impadronì 
l'anno  437,  e  fortificate  le  mura  (Diod.  XXI,  agi.  8),  le 
costruì  un  porto,  che  tuttavia  si  chiama  il  porto  di  Bivona 
e  sta  presso  il  capo  Zambrone  :  onde  poi  il  seno  di  mare 
cominciò  a  chiamarsi  Ipponiate.  Gelone  II  l'adornò  di  un 
bosco  irrigato  dalle  acque,  a  cui  fu  dato  nome  di  Corno  di 
Amaltea  (Athen.  XII,  20).  Finalmente  se  ne  resero  padroni 
i  Komani  e  vi  dedussero  una  colonia  nel  515  o  piuttosto 
deliberarono  di  condurvela  (Veli.  I,  14),  ma  deve  credersi 
che  ve  la  collocassero  di  poi  terminate  le  guerre  puniche 
nel  565  come  attesta  Livio  (XXXIV,  53  ;  XXXV,  40),  se 
non  piuttosto  la  rinnovellarono  e  la  denominarono  Valentia. 
Le  monete  battute  dagli  Ipponiesi  sono  tutte  di  bronzo  : 
però  non  possono  aver  cominciata  la  loro  monetazione 
prima  del  366,  nel  qual  anno  la  loro  città  da  Dionigi  fu 
distrutta. 

Deve  quindi  stimarsi  che  la  sua  monetazione  dati  dal  375 
ossia  dal  ritorno  degli  Ipponiati  :  essi  allora  se  non  più 
tardi  sotto  i  Brezzii  comiuciano  colla  serie  che  ha  per  tipo 
Mercurio  e  l'epigrafe  CEI.  La  seconda  serie  si  deve  asse- 
gnare all'epoca  nella  quale  era  essa  signoreggiata  dai  re  di 
Siracusa,  e  allora  omesso  il  digamma  la  dicono  moneta 
degli  Ipponii,  ElflilNIEilN  :  onde  deduciamo  che  il  caso 
retto  è  Elnwvisvg.  La  terza  serie  è  quella  coniata  dalla  co- 
lonia romana,  nella  quale  essa  non  si  nomina  mai  Vibo 
ovvero  Vibon,  ma  sempre  e  soltanto  Valentia.  Il  Cavedoni 
Bull.  Instit.,  1850  p.  200)  scrive  «  parere  ora  indubitato, 
che  CEI  sia  osco,  e  sospetta,  che  Pandina,  nome  di  una  dea 
che  si  legge  sulla  moneta,  si  possa  derivare  da  Panda,  che  è 
similissima  alla  'Hf.ttQa  del  celebre  calamaio  borbonico, 
perchè  lumina  pandit  ».  Ma  cotesta  Pandina  nelle  monete 


T.  CXVI 


BRUTTIA 


167 


degli  Ipponiati  brandisce  un  flagello ,  onde  mi  pare  che  il 
suo  nome  derivi  piuttosto  da  ósiróg,  terribile,  e  quindi 
nàiSeirog,  che  fa  gran  paura,  e  la  Uardira  sarà  colei, 
che  spaventa,  si  fa  temere  come  la  Griustizia  ohe  prende 
vendetta  della  colpa,  e  che  i  Latini  dissero  Pocna. 

9.  Testa  giovanile  con  in  capo  un  pileo  tessalo  che  si  è  allac- 

ciato sotto  il  mento  ed  è  volta  a  d.  R.  Aquila  che  si  pasce 
di  un  serpente,  di  sopra  CEI. 

10.  Testa  simile  alla  precedente  ma  il  pileo  è  allacciato  dietro 

aUa  cervice  dove  si  legge  CEI.  R.  Anfora. 

11.  Testa  simile  a  quella  del  n.  16  e  CEI.  R.  Caduceo.  Cotesto 
monete  furono  erroneamente  date  a  Siri  dal  Pellerin 
{Suppl.  Ili  pi.  Ili,  IV,  8-10),  seguito  dal  Cavedoni 
(Saggio  19).  Il  Millingen  poi  le  attribuì  a  Ipponìo,  come 
avrerte  il  medesimo  Cavedoni  {ad  Carellii  tab.  p.  105). 

12.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  R.  Dolio  e  al  lato  sin. 

EinfìNIEilN. 

lo.  Coli.  Imhoof-Bl.  Testa  di  Giove  volta  a  sin.  e  intorno  AIO? 
OAYMPIOY.  R.  Aquila  sul  fulmine  di  prospetto  e  ad  ali 
aperte,  intorno  ElflilNIEilN  (Imhoof-Bl.  Monn.  grecq.  pag.  8 
n.  30  pi.  A  n.  6). 

14,  15.  Coli.  Sani.  Testa  giovanile  con  corna  vitelline  coronata  di 
canna  volta  a  d.  ivi  si  legge  AlPEilN  non  PEilN,  come  presso 
Imhoof-Bl.  Monn.  gr.  p.  8).  R.  Clava  di  Ercole  con  tenia 
legata  in  cima  e  pendente  da  due  lati  :  intorno  vi  si  legge 
EiriilNIcilN.  Nel  n.  15  manca  il  lemnisco  alla  clava,  e  la 
leggenda  è  logora  in  fine. 

16.  Testa  di  Pallade  con  galea  aulopide  fregiata  di  un  grifo,  di 

sopra  2:ilTEIPA.  R.  La  dea  Pandina  alata  con  scettro  nella 
sinistra  e  corona  nella  destra  :  davanti  ElfiilNIEilN  (cf. 
Imhoof-Bl.  op.  cit.  p.  8  n.  34)  ove  si  legge  accanto  alla 
donna  alata  il  nome  AHIAHAn. 

17.  Testa  ed  epigrafe  del  dritto,  imagine  ed  epigrafe  del  riverso 

simili  alla  precedente  n.  10,  ma  la  dea  Pandina  porta  un  fla- 
gello in  luogo  della  corona  nella  destra  e  una  lancia  nella 
sinistra.  Al  sig.  Imhoof-Bl.  (1.  cit.  p.  9)  è  sembrato  che  por- 
tasse in  mano  forse  un  caduceo. 

18.  Testa  di  Apollo  laureata  colla  epigrafe  APOAAilN  soprascritta. 

R.  La  dea  Pandina  col  flagello,  e  con  la  lancia  come  neUa 
precedente  del  n.  17  e  con  le  due  epigrafi:  alla  sinistra 
un  astro.  Emmanuele  Paparo  publicò  nel  frontespizio  della 
sua  Epistola  a  Vito  Capialbi  (Nap.  1826  p.  12,  13)  una 
simile  moneta  di  Ipponio.  N"el  suo  dritto  dinanzi  alla  testa  di 
Apollo  lesse  NIS  e  giudicò  che  fosse  testa  di  Bacco  Nisèo, 
corresse  in  HANAIMA  il  nome  letto  da  altri  AANAINA  ; 
ma  pose  in  mano  alla  dea  due  papaveri.  Il  sig.  Imhoof-Bl. 
ha  invece  letto  NYM  e  osserva  che  gli  Ipponiati  non  inscri- 
vono i  nomi  dei  magistrati,  ma  delle  divinità;  e  però  egli 
supplisce  Nvix(fa.yéTriC,  soprannome  di  Apollo. 

19.  Testa  diademata  giovanile  ad.  E.  La  dea  Pandina  con  pileo 

tessaUco  in  capo,  l'asta  nella  sin.  e  il  flagello  nella  destra  : 
dinanzi  è  una  stella  e  a  d.  l'epigrafe  EIPONIEilN  a  sin. 
PANAiNA. 

20.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.,  dietro  la  cervice  v'è  la 

nota  I  del  valore.  R.  Fulmine,  e  a  s.  una  vittorietta,  che 


dovrebbe  recare  nella  d.  la  corona  e  nella  sinistra  la  palma; 
v'è  la  nota  dell'asse  !,  e  a  d.  VALENTIA.  Pesa  gr.  10-12. 

21.  Testa  muliebre  diademata  volta  a  d.  dietro  alla  cervice  è 

l'S  nota  del  valore.  R.  Due  cornucopie,  a  d.  la  nota  S,  e  un 
vaso  a  due  manichi,  a  sin.  VALENTIA.  Pesa  gr.  4,74. 

22.  Testa  di  Pallade  con  elmo   corinzio   volta  a  d.,   dietro  la 

nota  •  o  e  ©  del  triente.  R.  Civetta  volta  di  fronte,  a  sin.  VA- 
LENTIA a  d.  la  nota  del  triente.  La  stessa  moneta  riprodotta 
dalla  collezione  hunteriana,  è  data  dal  Combe  per  moneta 
di  Atinum.  Egli  la  lesse  internamente  da  destra  a  sinistra. 
Vedi  la  tav.  CXXV  n.  7. 

23.  Testa  di  Ercole  con  la  pelle  di  leone  :  a  sin.  la   nota  del 

quadrante  ©  o  o  /?.  Due  clave,  a  d.  VALENTIA,  a  sin.  la  nota 
del  valore  e  un  astro.  Pesa  gr.  2,60. 

24.  Testa  laureata  di  Apollo  a  d.  dietro  la  nuca  la  nota  »  « 

del  sestante.  R.  Lira,  a  d.  mezza  luna  e  la  nota  •  • ,  a  sin. 
VALENTIA. 

25.  Testa  di  Diana  con  la  faretra  al  collo.  R.  Cane  di  caccia,  di 

sopra  un  globetto,  segno  dell'oncia,  di  sotto  VALENTIA. 

26.  Testa  di  Mercurio  col  petaso  alato  volta  a  d.,  dietro  la  cer- 

vice la  nota  t  della  semoncia.  R.  Caduceo,  a  sin.  la  nota  % 
della  semoncia  e  di  sotto  una  mezza  luna  :  a  d.  VALENTIA. 
Il  Carelli  ne  die  inciso  l'esemplare  (tav.  CLXXXVI  n.  7) 
e  il  Cavedoni  credette,  sulT  esemplare  edito  dal  Piorelli 
{Mon.  ined.  tav.  II,  10),  dove  la  nota  i  manca  nel  riverso, 
che  il  Carelli  avesse  errato  prendendo  per  i  la  finale  lA 
della  detrita  leggenda  VALENTIA.  Ciò  è  possibile,  perchè 
la  i  sta  dove  avrebbe  dovuto  essere  l'epigrafe  :  ma  è  certo 
che  questo  bronzo  porta  ripetutamente  la  nota  della  se- 
moncia sull'esemplare  deUa  coli.  Santangelo,  donde  l'ho  tratto 
in  luce. 

TEMESA 

La  questione  che  agita  vasi  una  volta  intorno  alle  due  Tamaso 
0  Tamese,  e  Temesa,  della  quale  si  dovesse  intendere  aver 
scritto  Omero,  se  della  cipriotta,  ovvero  della  italica  non  si  po- 
teva sciogliere  coll'argomenlo  di  Strabene  (VI,  255),  che 
presso  di  Temesa  italica  v'erano  miniere  di  rame  una  volta  pro- 
duttrici, ma  a  suoi  tempi  abbandonate  ;  perchè  della  Tamese 
di  Cipro  poteva  dirsi  altrettanto,  come  nota  Stefano  di  Bi- 
zanzìo,  che  anzi  nella  cipriotta  il  rame  era  eccellente,  Tàfia- 
aog,  Tcóhg  Evnoov,  6ia(fiOQov  Ijpvoa  xalxóv.  L'avrebbe  però 
potuto  decidere  Omero  stesso,  se  invece  del  metallo  avesse 
parlato  delle  armi  che  si  fabbricavano  dalla  italica,  di  cui 
fanno  pompa  i  Temesei.  Fu  fondata  dagli  Ausoni  :  però  la 
lingua  parlata  era  diversa  da  quella  dei  Tafii,  ossia  dei 
Teleboi  dell' Acai-nania,  che  vi  venivano  a  provvedersi  del 
rame.  In  seguito  da  coloni  focesi  ed  etoli  fu  cambiata  in 
città  greca  e  cominciò  a  coniare  la  moneta.  In  questa  con- 
dizione obbedì  una  volta  ai  Locresi,  che  ne  presero  pos- 
sesso ,  probabilmente ,  a  parere  del  Marincola ,  dopo 
la  giornata  del  Sagra  (u.  e.  303).  Ma  nel  336  i  Brezzii, 
che  tuttavia  militavano  pei  Lucani  la  soggiogarono  cac- 
ciandone i  Greci.  Essa  nel  riparto  delle  terre  conquistate  dai 
Lucani   rimase  ai  Brezzii.    Ma   dopo  le  guerre  puniche  i 


168 


BEUTTIA 


T.  CXVII 


Eomani  se  ne  impadronirono,-  e  nel  558  vi  dedussero  ima 
colonia  (Liv.  L.  XXSIV,  45);  Tempsamis  ager  de  Bruiiiis 
captus  erat.  Bruttii  Graecos  expuli'.rant .  Tempsam  L.  Cor- 
nelius  Morula  et  C.  Solonius  deduxerunt.  Ve  un  luogo  di 
Ovidio  nel  quale  i  campi  di  Temesa  sono  chiamati  campi 
di  lapige.  Non  v'è  tradizione  che  i  Iapigi  si  fossero  recati 
in  queste  terre  :  è  però  saputo  per  testimonianza  di  Eforo 
che  i  Iapigi  prima  dei  Greci  abitarono  Crotone  (ap.  Stra- 
bon.  VI,  262);  ond'è  che  tre  promontori  presso  Crotone  si 
dissero  dei  Iapigi. 

Ho  detto  della  moneta  d'argento  che  si  attribuisce  a 
Temesa.  Questa  reca  la  leggenda  TEM.  Vi  sono  però  delle 
monete  di  bronzo  che  taluni  numismatici  assegnano  a 
questa  città,  sulle  quali  si  legge  l'epigrafe  TE.  Io  non 
sono  di  questo  avviso,  ma  le  stimo  di  Terina:  l'epigrafe 
TEM  sui  bronzi  non  ha  finora  esempio  sicuro. 

27.  .iulopide  a  d.  e  di  sotto  TE/V\.  R.  Tripode  fra  due  ocree. 

NVCRIA 

Cotesta  Nucria  della  Enotria  non  fu  ignota  agli  antichi 
Pilisto  citato  da  Stefano  di  Bizanzio  ne  parlò  nei  tredici 
libri  (così  Diodoro  XV,  89),  che  scrisse  delle  storie  siciliane 
anteriori  all'anno  387  u.  e,  ossia  alla  morte  del  vecchio 
Dionisio,  ove  fece  menzione  di  Terina  e  di  Caulonia  con- 
quistate da  quel  re.  Il  Millingen  non  vi  badò  e  tenne 
{Consid.  p.  196),  che  avesse  nominato  la  Nuceria  campana 
Questa  Nucria  non  fu  dunque  fondata  da  Annibale  dopo 
che  ebbe  distrutta  Terina,  come  opinò  il  Millingen  (op.  cil. 
p.  59),  giustamente  perciò  condannato  anche  dal  Marincola 
{Opusc.  p.  305,  seg.  Catanz.  1871).  Ma  neanche  v'è  motivo 
di  opinare  che  Annibale  abbia  mutato  in  Nucria  il  nome 
di  Terina,  come  stima  il  Minervini  {Chiodo  magico  p.  25) 
e  però  che  «  le  monete  di  Nucria  ormai  si  debbano  attri- 
buire alla  stessa  Terina  con  tutto  fondamento  »;  il  quale  non 
vi  può  essere  se  non  nel  supposto  che  altra  Nocera  non 
esistette  se  non  la  fondata  da  Annibale. 

Di  Nucria  o  di  Nuceria  degli  Enotri,  ossia  Tirreni  come 
la  denomina  Stefano  di  Bizanzio,  seguendo  probabilmente  i 
Greci  Elioni  (Dion.  Alicarn.  I,  29),  parlò  Pilisto  nel  libro 
undecime  delle  storie  Siciliane  :  perocché  ivi  trattò  del  vec- 
chio Dionisio  e  gli  fu  mestieri  far  menzione  di  Terina  con- 
quistata da  quel  re,  dalla  quale  la  Nucria  fu  sì  poco  di- 
stante. Non  pare  dunque  che  abbia  ragione  il  Millingen 
sostenendo  (Consid.  pag.  196),  come  ho  detto,  che  ivi  no- 
mini la  Nuceria  campana. 

28.  Coli.  mia.  Testa  laureata  di  Apollo   volta  a  sin.  davanti 

NOYKPlNilN.  R.  Testa  di  leone  posta  di  fronte. 

29.  Coli.  mia.  Testa  laureata  di  Apollo  volta  a  d.  R.  Cavallo 
libero  stante  volto  a  sin.,  intorno  NOYKPINilN,  tra  le  gambe 
un  pentagono. 

30.  Coli.  mia.  Testa  di  Apollo  laureata  volta  a  sin.  B.  Cavallo 
libero  stante  e  volto  a  sin. 

31.  Da  un  mio  calco  (Carelli,  p.  100,  22).  Testa  giovanile  dia- 

demata volta  a  d.   R.  Aquila  a  d.  dal  lato  sin.  NOYKPIN, 


dal  destro  TAYROY.  L'Avellino  {Opusc.  II,  V,  17)  lesse 
rXlYlOY;  il  Fiorelli  {Catal.  n.  6847)  CA«IOY;  il  signor 
Imhoof-Bl.  {Monn.  gr.  35)  chiama  falsa  la  lezione  FAYPOY 
data  dal  Carelli. 

32.  Simile  testa  diademata.  R.  Aquila  con  la  leggenda  NOYKPIN, 

e  a  d.  STATIOY. 

33.  Mia  coli.  Testa  giovanile  diademata  a  d.,  alla  nuca  E  e 
sotto  VP,  di  sotto  al  collo  l'Eckhel  {Syll.  tab.  1 ,  3)  lesse 
KPA  e  omise  il  monogramma  hP  che  nell'  esemplare  dì 
Vienna  è  certo  più  che  non  è  nel  mio.  R.  Fulmine,  di  sopra 
NOYKPI,  di  sotto  5TATIOY.  L'Eckhel  lesse  di  sotto  al 
fulmine  IVH,  poscia  nella  D.  n.  v.  I,  114  non  diede  che 
KOVKPI.  Il  sig.  Imhoof-Bl.  {Mann.  gr.  n.  36)  in  luogo  di 
KPA  riconobbe  KEA  ovvero  KEM.  11  mio  esemplare  con- 
ferma KPA,  ed  assicura  2:TATIOY. 

TEEINA 

Ai  tempi  di  Pirro  la  prima  città  della  Magna  Grecia  che 
s'incontrava  venendo  giìi  pel  mare  Tirreno  era  Terina,  colonia 
dei  Crotoniati  presso  il  fiume  da  Licofrone  detto  òxCvaQog  e  per 
allegoria  della  veemenza  del  suo  corso,  Bovxsgwg  "AQrjg.  Ebbe 
questo  fiume  di  rincontro  alle  sue  foci  una  isoletta  che  secondo 
alcuni  e  con  essi  Licofrone  si  denominava  ancora  Terina.  Ivi 
dicevasi  che  fosse  sepolta  Ligèa  una  delle  tre  Sirene.  Vorrebbe 
Stefano  di  Bizanzio  che  anche  il  fiume  si  appellasse  Terina, 
ma  è  piuttosto  la  fonte,  la  quale  si  vede  rappresentata  sulle 
monete,  come  la  fonte  di  Napoli  a  riverso  della  imagine  del 
Sebeto. 

Di  cotesta  colonia  non  sappiamo  altro  se  non  che  fu  di- 
strutta nel  360  dal  vecchio  Dionigi,  che  ne  donò  il  territorio 
ai  Locresi.  Come  poi  e  da  chi  si  rimettesse,,  egualmente  ci  è 
ignoto,  ma  ella  era  risorta  se  fu  occupata  dai  Lucani  nel  389, 
ai  quali  poi  nel  434  la  tolse  Alessandro  il  Molosso.  Morto 
costui  ella  obbedì  ai  Brezzii,  che  ne  tennero  il  possesso  fino 
481.  Nella  lunga  guerra  tra  i  Cartaginesi  e  i  Eomani  Terina 
dagli  uni  e  dagli  altri  ebbe  a  soffrire  gravi  danni  e  finalmente 
l'anno  552  fu  data  alle  fiamme  da  Annibale  per  timore  che 
venisse  in  mano  dei  Eomani. 


Tav.  CXVII. 

1.  Mus.  Britannico   {Catal.    385,  n.  1).    Testa  di  donna  cinta 

di  diadema  che  sostiene  anche  la  massa  dei  capelli  ri- 
chiamati alla  cervice;  di  sopra  TEP'ES/VA.  R.  Donna  con 
in  mano  un  ramo  di  alloro,  che  stando  di  prospetto  guarda 
a  sin.,  a  d.  A>liM,  intorno  corona  di  lauro. 

2.  Testa   di   donna  simile,    i   capelli   però   sono   annodati   in 

globo  alla  cervice,  di  sopra  TEPSNA.  R.  Donna  alata  di 
prospetto  che  guarda  a  sin.  portando  una  corona  nella 
destra. 

3.  Testa  di  donna  coronata  di  lauro  a  d.,  davanti  TEP.  R.  Donna 

alata  di  prospetto  che  guarda  a  sin.  e  sostiene  con  ambe- 
due le  mani  un  serto  che  le  fa  cerchio  sul  capo. 

4.  Testa  di  donna  con  capelli  accomodati  a  modo  di  conchiglia 


T.  CXVIl 


BEUTTIA 


169 


striata,  e  collana  al  collo,  volta  a  sin.  ;  intorno  gira  nna 
corona  di  lauro.  lì.  Donna  alata  sedente  presso  un'idria 
giacente  ed  ha  corona  nella  destra  e  caduceo  nella  sinistra  : 
intorno  TEPINAION. 

5.  Testa  di  donna  volta  a  d.  dentro  corona    di    lauro,    dietro 

la  nuca'cl).  R.  Donna  alata  che  sedendo  su  di  un  piedistallo 
raccoglie  in  un  dolio  l'acqua  che  spiccia  dalla  bocca  di 
leone  sporgente  fuori  di  un  muro  di  pietra  quadrata  :  essa 
ha  nella  sinistra  il  caduceo  e  dinanzi  una  vasca  nella 
quale  nuota  un  oca  :  sull'  alto  del  muro  si  legge  TEPl- 
NAIHN,  sul  dado  del  piedistallo  HHA  che  sembra  monco 
da  un  nome  proprio  per  esempio  'Jnrjnoirj'ATn'jij.avTog,  nome 
forse  dell'artefice. 

6.  Testa  di  donna  simile  alla  precedente  n.  5.  R.  Donna  alata 

sedente  sopra  un  dolio  giacente  volta  a  destra  con  un  ca- 
duceo nella  d.  e  un  uccello  nella  sin.,  a  d.  TEPINAION. 

7.  Testa  di    donna   coi  capelli   raccolti   e   legati   sul   vertice 

cinta  il  capo  di  una  larga  fascia.  R.  Donna  alata  stante 
volta  a  sin.  col  pie'  destro  sollevato  sopra  un  sasso  e 
reca  un  caduceo  nella  d.,  davanti  TEPINAION. 

8.  Coli.  Hunter.  Testa  di  donna  col  capo  cinto  di  larga  fascia 

volta  a  d.  :  davanti  TEPINAION.  R.  Donna  alata  stante 
volta  a  sin.  e  appoggiata  ad  una  colonnetta  con  un  caduceo 
nella  d.,  dinanzi  a  lei  è  un  uccello  che  poggia  sopra  un 
piedistallo;  sul  campo  a  d.  un  T. 

9.  Testa  di  donna  cinta  di   larga  fascia  a   d.,    alla  nuca  TE. 

R.  Donna  alata  sedente  sopra  un  piedistallo  o  ara  con  ramo- 
scello di  lauro  nella  destra. 

10.  Testa  di  donna  diademata  volta  a  d.  coi  capelli  alla  nuca 
raccolti  nell'  opistosphendone  e  laccio  intorno  al  collo,  di- 
nanzi TEPINAIilN.  R.  Donna  sedente  su  piedistallo  con  pa- 
tera nella  d.  coronata  dalla  vittoria:  davanti  a  sin.  TERINA. 

11.  Testa  di  donna  volta  a  d.,  dietro  la  nuca  TEPI.  R.  Donna 

alata  sedente  su  piedistallo  a  base  circolare  e  ornata  in 
basso  di  doppia  filza  di  globoletti.  Essa  solleva  la  destra 
con  corona  sostenendo  sul  dorso  della  mano  un  uccello  che 
batte  le  ali. 

12.  Mia  coli.  Testa  di  donna  dentro  corona  di  lauro  volta  a  d., 

alla  nuca  ff.  R.  Donna  alata  assisa  sopra  una  sedia  in  atto  di 
sostenere  sul  dorso  della  mano  destra  una  piccola  sfera  come 
se  giuoeasse  lanciando  in  aria  la  sfera  colla  vola  della  mano 
e  ripigliandola  sul  dorso,  il  che  in  toscana  si  chiama  giuocare 
a  ripiglino.  L'epigrafe  è  mezzo  fuori  di  conio  TEPINAIO(N). 
È  moneta  foderata  e  serba  vestigia  di  antica  doratura. 

13.  Testa  di  donna  con  pendenti  e  collana  volta  a  d.,  dinanzi 
ThPINAinN.  R.  Donna  alata  sedente  nella  medesima  at- 
titudine che  la  precedente  nel  n.  11,  ma  l'uccelletto  che 
batte  le  ali  è  volto  verso  di  lei,  il  piedestallo  è  senza 
ornati. 

14.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  con  pendenti  agli  orecchi  e 
collana  al  collo  volta  a  d.,  alla  nuca  TEPI.  R.  Donna  alata 
sedente  sul  piedistallo  decorato  di  un  serto  ed  è  in  atto 
di  sostenere  sul  dorso  della  mano  destra  un  uccello,  che 
sembra  batter  le  ali  essendo  a  lei  rivolto.  A  sinistra  si 
legge  nel  campo  liscio  sottilmente  graffito  AAXNA,  lasciva. 


15.  Testa  di  Pallade  con  aulopide  volta  a  d.,  dietro  TE  in  mon. 

R.  Pegaso  volante  a  sinistra  (Imhoof-Bl.  Moìin.  grecq. 
pi.  A  n.  12). 

16.  I  tipi  sono  gli  stessi  che  del  n.  12,  ma  è  omessa  la  corona 
nel  dritto  e  ivi  a  sin.  v'  è  l'epigrafe  TEPI  :  Vale  inoltre  una 
dramma. 

17.  In  questa  monetina  che  è  ancor  essa  una  dramma,  la  testa 
è  simile  a  quella  del  n.  14  :  nel  riverso  la  donna  alata  ha 
la  destra  libera  e  fa  gesto  di  felice  augurio:  dinanzi  si 
legge  il  nome  del  magistrato  con  un  T  capovolto  :  OIAISII. 

18.  (Imhoof-Bl.  Mann.  Qrecq.  pi.  A  n.  11).  Testa  di  donna 
volta  a  sinistra.  R.  Donna  in  tunica  podére  e  manto  stante 
presso  un'ara  con  la  patera  nella  d.  in  atto  di  fare  liba- 
zione, mentre  colla  sinistra  solleva  un  lembo  del  pallio: 
ivi  a  d.  3T. 

19.  Testa  di  donna  coi  capelli  raccolti  intorno  al  capo  volta  a 

sin.  :  dietro  alla  nuca  un  astro  R.  Donna  alata  che  vola  a 
d.  con  la  sin.  abbassata  ritenente  una  corona,  e  levando 
in  alto  la  destra. 

20.  Testa  di  donna  a  d.  coi  capelli  ritenuti  dalla  opistosphendone  ; 

dietro  TE.  R.  Donna  alata  volante  con  corona  nella  si- 
nistra, di  sotto  è  un  ramo  di  lauro. 

21.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  coi  capelli  raccolti  intorno  al  capo 
volta  a  sin.  R.  Donna  alata  volante  a  sin.  con  un  lungo  serto 
pendente  dalla  destra. 

22.  Testa  simile  a  quella  del  n.  17.  volta  a  d.  fl.  G-ranchio  ed 

epigrafe  scritta  di  modo  che  pare  la  seconda  sillaba  pre- 
ceda, ma  si  dovrà  leggere  TEPI. 

23.  Testa  di  donna  volta  a  d.  coi  capelli  raccolti  intorno  al  capo, 

come  al  n.  21.  R.  granchio  e  la  leggenda  T  di  sopra,  ed 
1E  di  sotto,  cioè,  TEP. 

24.  Testa  di  donna   che  guarda  in   alto  a  sin.   R.   Donna   se- 

dente con  uccello  sulla  mano  destra  che  batte  le  ali  che 
riguarda  e  con  collana  di  globetti. 

25.  Testa  di  donna  simile  a  quella  del  n.  17,  davanti  vi  si 
legge  PANAI/VA.  R.  Donna  alata  sedente  su  piedistallo 
con  uccello  sulla  mano  destra,  che  batte  le  ali  volto  verso 
di  lei,  che  pone  la  d.  sopra  una  larga  patera  appoggiata 
al  piedistallo  o  aralibazione,  ed  innanzi  l'epigrafe  TER, 
che  vi  ha  letto  il  Millingen,  prima  del  quale  il  nummo 
si  era  dato  ad  Ipponio. 

26.  Testa  di  donna  coi  capelli  raccolti  in  treccia  sul  vertice  e 
il  capo  coperto  da  larga  ed  ornata  pezzuola,  ovvero  lamina 
probabilmente  di  oro  :  dietro  TER.  R.  Ippocampo  volto  a  d. 

27.  Testa  di  donna  volta  a  sin.  con  pendenti  all'orecchio.  B, 
Granchio  con  luna  mancante  fra  le  branche  :  di  sotto  TEPI. 
Vediamo  i  bronzi. 

28.  Testa  di  donna  a  d.  R.  Lepre  che  corre  a  d.  e  TEPI. 

29.  Testa  di  donna  dentro  corona  di  lauro  volta  a  sin.  R.  Donna 

alata  sedente  con  corona  nella  destra;  ha  da  presso  un 
dolio  a  due  maaicbi  giacente  :  a  .sin.  TEPINAIilN. 

30.  Testa  laureata  di  Apollo  a  sin.  davanti  TEPINAIilN.  R. 
Testa  di  leone  posta  di  fronte.  I  tipi  di  cotesto  bronzo  sono 
reggini  ;  e  però  vi  è  luogo  a  pensare  che  sia  una  moneta 
di  alleanza  con  Eeggio. 


170 


BKUTTIA 


T.  cxvir 


31.  Testa  di   donna  con  pendenti    e    collana  volta  a   sin.    R. 

Granchio  e  TEPI. 

32.  (Imhoof-Bl.  op.  oit.  pi.  A,  13).  Testa  laureata  di  Apollo  e 

davanti  l'epigrafe  TEPINAIilN.  R.  Pegaso  volante  a  sin.  di 
sopra  del  quale  e  a  quanto  pare  nn  parazonio. 

CONSENTIA 

KilS  in  lettere  grecite  e  in  lingua  dei  Brezzii,  dei  quali 
fu  capitale  (Strab.  VI,  1,  3)  segue  l'ortografia  comune  ai 
latini,  di  omettere  la  N  davanti  alla  lettera  i,  come  si  vede 
fatto  in  COSENTIONT,  COSOU,CESOR  (Vedi  l'indice  gram- 
matico della  mia  St/lloge  p.  580).  Fu  presa  da  Alessandro 
di  Epiro,  (Liv.  Vili,  24)  e  al  536  da  Annibale  (Appian. 
de  Bello  Ann.  e.  56)  ma  ricuperata  dai  Eomani  nel  540 
(Liv.  SXX,  19).  La  sua  moneta  è  di  bronzo  e  assai  rara: 
fu  in  prima  attribuita  a  Consilinum  dall'Avellino,  a  mo- 
tivo della  epigrafe  Ki22:i,  che  gli  parve  di  leggere  sopra 
l'esemplare  che  die'  alla  luce  :  ma  poi,  lasciata  fra  le  in- 
certe, dal  Piorelli  fu  assegnata  a  Cosenza,  seguendo  il  pa- 
rere del  Marincola,  del  quale  ebbe  il  bronzo  con  chiara 
leggenda  Kils:,  che  die'  alle  stampe.  Quest'attribuzione  è 
confermala  dalle  scoperte  posteriori  di  altri  bronzi,  nei 
quali  non  si  è  mai  letto  altrimenti  che  KilS.  Quel!'  O, 
che  si  vede  sui  bronzi  dei  nn.  33,  35,  sembra  che  voglia 
significare,  o[ìoloi;,  o  altro  segno  di  valore. 

33.  Testa  d'uomo  barbato  e  coperto  di  aulopide  crestata  volta 

a  d.  in  alto  O.  R.  Fulmine  e  di  sotto  tre  lune  come  man- 
canti: di  sopra  KilS. 

34.  Testa  giovanile  laureata  volta  a  d.  R.   Il  medesimo    tipo 

del  n.  33. 

35.  Testa  giovanile  coronata  di  canna  con  corno  che  le  spunta 
sulla  fronte:  dietro  la  nuca  P:  sul  capo  O.  R.  Granchio 
fra  le  cui  branche  sono  due  mezze  lune  opposte  dalla 
parte  convessa,  nel  basso  Y.ù.'^.  Su  queste  monete  cre- 
dette l'Avellino  che  vi  si  leggesse  K.O.SI  e  le  attribuì 
tutte  a  Consilinum  {Opusc.  II  p.  132).  Poi  parve  deci- 
dersi per  Cosenza  (Opusc.  Ili  p.  141-45)  :  ma  nelle  ad- 
dizioni a  p.  322  sembra  tornare  addietro. 

Il  Millingen  ohe  nel  1831  (Anc.  Coins.  Il,  7  p.  26) 
aveva  attribuito  il  n.  33,  allora  noto,  a  Cosso  della  Lucania, 
poscia  nelle  ConsidJrations  pag.  86,  a  riguardo  della  leg- 
genda Knsi,  dichiarò  difficile  la  questione.  Ninno  però, 
non  il  Kiccio  [Reperì,  n.  169),  non  il  Marincola  (Oss. 
di  St.  patria,  1871,  Catanz.  pag.  338),  hanno  mai  veduto 
in  alcun  esemplare  il  KilZI.  Il  Piorelli  (Mon.  ined.  p.  15 
n.  14)  pubblicò  nel  1845  l'esemplare  del  Marincola  e  lo 
attribuì  a  cotesla  città  riconoscendovisi  nella  figura  gio- 
vanile con  corno  bovino  sulla  fronte  il  fiume  Grati:  indi 
ancor  io  diedi  una  tale  interpretazione  e  attribuzione  alla 
moneta  nel  Bull.  ardi.  vap.  n.  1  p.  19. 

36.  Testa   di    donna   diademata  a   d.   coi    capelli   raccolti    in 

cima  al  vertice  :  di  sotto  Kiis:  in  uno  dei  due  esemplari 
da  me  veduti  che  ho  qui  espresso,  non  essendo  sì  chiaro 
l'altro.  R.  Arco  nel  mezzo  di  tre  lance  due  delle  quali  di 


sopra  la  terza  di  sotto  tutte  e  tre  rivolte  colle  punte  in 
fuori  verso  la  periferia,  donde  pare,  che  debbono  valere  a 
significare  le  tre  fasi  del  pianeta. 

LAUS 

Lao  fu  fondata  dai  Sibariti:  Strabene  (V,  I)  la  dice 
loro  colonia,  anouog  Jv^agiToòr,  e  quando  i  Sibariti  nel 
244  (ol.  LXVII,  3)  furono  costretti  ad  abbandonare  la 
loro  patria,  i  Laini  e  quindi  Scidro  loro  colonia  gli  ac- 
colsero. I  cittadini  di  Mileto  piansero  la  loro  caduta  e 
quel  lutto  fu  generale  fra  loro.  Però  Erodoto  giustamente 
rimprovera  quei  di  Lao  che  nel  256  quando  Mileto  fu 
distrutta  dai  Persiani  non  abbiano  essi  pure  preso  il  lutto 
(Herod.  VI,  21).  V'è  una  moneta  d'argento  di  confedera- 
zione fra  Sibari  e  Lao  che  deve  precedere  la  olimpiade 
predetta,  e  però  l'anno  244  u.  e.  Lao  coniò  insieme  mo- 
neta incusa  e  a  doppio  rilievo  col  tipo  del  toro  Sibarita, 
androprosopo  ripetuto  sulle  due  facce  con  la  sola  differenza 
che  in  uno  dei  due  tipi  in  rilievo  il  toro  è  respiciente  ;  se  ne 
deve  però  eccettuare  l'obolo,  nel  quale  il  tipo  delle  due  facce 
è  identico.  Questo  toro  androprosopo  è  sempre  barbato,  non 
mai  imberbe,  come  è  rappresentato  e  descritto  nelle  ta- 
vole del  Carelli.  Né  mi  si  citi  l' esemplare  parigino  al- 
legato dal  Sambon  :  io  l'ho  davanti  e  ve  lo  vedo  colla  barba. 
Sibari  nella  moneta  di  confederazione  pone  per  tipo  di 
Lao  una  ghianda  col  suo  calice,  il  qual  simbolo,  che  è 
del  prodotto  di  quel  suolo,  ha  un  confronto  nella  ghianda 
posta  a  modo  di  esergo  nella  monetazione  locale.  Il  toro 
androprosopo  di  Lao  ha  di  speciale  un  diadema  che  gli 
cinge  la  fronte  scambiato  a  -torto  dal  Magnan  e  da  altri 
editori  in  elmo.  Nella  moneta  incusa  la  scrittura,  per 
metà  retrograda  è  hAFINOM:  onde  risulta  che  essi  scri- 
vevano ^AFOM  il  nome  della  città  e  del  fiume,  e  l'ap- 
pellativo ^AFIOM,  al  pari  che  ^AFINOM.  Nella  moneta 
a  doppio  rilievo  si  legge  AA^NDM,  ovvero  lAOKM.  II 
'i  insieme  con  la  forma  piìi  recente  A  si  legge  in  un  obolo 
di  mia  collezione,  che  ha  sul  dritto  iAA,  al  riverso  5AA. 
Il  Muller  ha  creduto  che  Lao  fosse  fondata  dai  Sibariti 
0  dai  Turii  dopo  l'eccidio  della  loro  patria  (in  Scyl.  Cariand. 
§  12  pag.  20  ed.  Did.)  ;  ma  ciò  è  opporsi  apertamente 
ad  Erodoto.  Egli  è  certo  che  queste  spiagge  erano  prati- 
cate dai  Sibariti  prima  del  loro  eccidio.  Ne  è  prova  Po- 
sidonia,  la  quale  del  resto  non  si  deve  porre  insieme  con 
Lao  e  Scidro  che  ricevettero  i  Sibariti  fuggiaschi,  perchè 
se  così  fosse  Erodoto  l'avrebbe  nominata  insieme  con  quelle 
due  colonie.  La  confederazione  di  Sibari  con  Posidonia 
ammessa  dall'Ecthel  [Doctr.  n.  v.  I,  154)  sulla  fede  del 
Magnan  che  lesse  da  un  lato  MA  e  OH  dall'altro,  non 
si  accetta  perchè  par  certo  che  quel  OH  fu  letto  male  in 
vece  di  MOM.  II  Muller  vorrebbe  anche  attribuire  la 
fondazione  a  quei  di  Turio  ;  ma  erra  ;  perchè  quando 
Turio  ebbe  origine  le  monete  incuse  erano  cessate.  Lao 
batte  lo  statere  di  gr.  8,70  -  7,80  diviso  in  terzi,  in  sesti 
di  gr.  1,50  e  in  dodicesimi  di  gr.  0,72  che  il  Sambon  descrive 


T.  CXVIII 


BRUTTIA-LUCANIA  OCCLDENTALIS 


171 


così  ;  Toro  a  volto  umano  di  profilo  a  sin.  nell'esergo  iAA  e  in 
alto  MOM.  R.  Due  cerchi  ;  di  sotto  AA  e  di  sopra  k.  Essendo 
i  Lucani  giunti  presso  Lao  l'anno  328  i  Greci  dell'Enotria 
nel  359  fecero  lega  difensiva  contro  di  essi  e  ancora 
contro  Dionigi.  Però  i  Turini  vennero  in  aiuto  di  Lao 
che  i  Lucani  mostravano  voler  cingere   d'assedio   e  darle 

sacco  (Diod.  XIV,  101)  :  §oi'X6i.isvoi.  Aàov  nóXiv  evSaiixora 

nohoQxì':acci..  Ciò  avvenne  nella  ol.  XCVII,  3.  a  u.  362: 
ma  i  Turini  furono  battuti  presso  il  sepolcro  di  Dragone 
e  i  Lucani  s'impadronirono  di  Lao.  Circa  il  medesimo 
tempo  avvenne  che  anche  Posidonia  cadesse  nelle  mani 
di  cotesti  barbari  e  allora  cessarono  ambedue  le  città  di 
battere  l'argento.  Nel  riparto  del  399  fra  i  Lucani  e  i  Brez- 
zii,  il  fiume  Lao  ne  segnò  i  confini.  Cominciò  indi  la  serie 
delle  monete  di  bronzo  nella  quale  Lao  cambiò  del  tutto 
i  suoi  tipi,  e  colla  epigrafe  etnica  in  greca  lingua  inscrisse 
in  sigla  il  nome  del  magistrato.  Al  toro  androposopo  barbato 
succede  l'imagine  giovanile  del  fiume  Lao  solo  munita  di 
corna  bovine:  vi  s'introduce  il  culto  del  Dioniso  figlio 
di  Ammone  con  corna  arietine:  si  aggiungono  gli  iddii 
Venere,  Bacco  ed  Ercole  e  sui  rovesci  fassi  luogo  ad  un  uc- 
cello di  rapina,  che  par  corvo,  probabilmente  locale  ;  spesso 
sono  due  questi  uccelli,  che  o  si  riguardano  l'un  l'altro, 
ovvero  incrociano  i  loro  coUi  rappresentando  forse  la  ini- 
ziale AA  con   tale  attitudine. 


tat.  cxvm. 

1.  CoU.  Luynes.  Bue  androprosopo  con  diadema  gemmato 
sulla  fronte  volto  a  d.  e  respiciente  a  sin.  Sopra  vi  si 
legge  rflF5  la  qual  epigrafe  si  compie  congiungendo  MOM 
scritto  al  riverso,  che  è  incuso  col  tipo  medesimo  del 
dritto. 

2.  Didramma  a  doppio  rilievo.  Sul  dritto  il  bue  androprosopo 

volto  a  sin.  e  respiciente  a  d.,  sul  riverso  il  bue  mede- 
simo volto  a  dritta  :  l'epigrafe  comincia  dal  riverso  iM  e  si 
compie  al  dritto  M^ni  nel  n.  2,  dal  dritto  AAi  NOIA;  nei 
nn.  1,  3  è  tronca  e  si  ripete  nei  tre  seguenti  numeri  4,  6,  7. 

3.  IL  tipo  è  lo  stesso  che  nel  n.  2,  ma  l'epigrafe  qui  comincia 

sul  dritto  AAi  e  si  compie  sul  riverso  NOM. 

4.  Coli.  Sant.  Bue  androprosopo  a  sin.  e  guarda  a  d.  di  sopra 
?AA.  R.  Lo  stesso  bue  che  è  volto  a  destra:  di  sopra  MA, 
nell'esergo  del  dritto  ghianda  col  calice  suo  e  picciuolo. 
Nella  monetina  di  alleanza  fra  Sibari  e  Lao  la  ghianda 
occupa  tutto  il  campo  del  riverso,  facendo  ivi  solo  da 
simbolo  della  città  di  Lao. 

5.  Dramma  coi  tipi  medesimi  del  n.  1,  ma  la  leggenda  è 
svanita.  Non  vi  è  moneta  di  Lao  senza  leggenda,  né,  se 
ne  manca,  si  deve  credere  omessa,  ma  obliterata. 

6.  Nella  coU.  mia.  Bue  androprosopo  volto  a  sin.  e  respiciente 

a  d.  di  sopra  kAA.  R.  Lo  stesso  bue  ma  volto  a  d.,  sopra 
è  ripetuto  5AA  col  ^   retrogrado. 

7.  Bue  androprosopo  volto  a  sin.  e  guardando  a  d.  sopra  iA/\. 

R.  Il  bue  medesimo  volto  a  destra,  sopra  5AA. 

8.  Museo  Brit.  {Catal.  236,  12).  Testa  di  donna  con  capelli  lun- 


ghi alla  cervice  fra  quattro  delfini  e  l'epigi-afe  AAINilN. 
R.  Corvo,  di  sopra  astro  fra  /V\l  e  BE,  davanti  una  testa 
di  cervo. 

9.  Coli.  Sant.  Testa  di  donna  coi  capelli  raccolti  intorno  aUa 

fronte  e  alla  nuca,  a  sin.  l'epigrafe  EY  notata  pel  primo  dal 
sig.  Imhoof-Bl.,  che  la  supplisce  EY  Svfiog  {Monn.  gr.  13, 14). 
La  medesima  epigrafe  si  legge  in  altro  bronzo  che  ha  per 
tipo  al  riverso  una  testa  di  bue  davanti  al  falco  (id.  4,  15). 
R.  corvo  a  d.  ed  ivi  testa  di  ariete:  di  sopra  AAINUN  e  in 
seconda  linea  SflEA. 

10.  Testa  di  donna  coronata  di  edera.  E.  Corvo,  davanti  testa  di 

ariete,  di  sopra  STA  OT. 

11.  CoU.  mia.  Testa  di  donna  a  d.  R.  Corvo,  e  davanti  la  testa 

di  cavallo,  di  sopra  AAINilN. 

12.  Da  un  mio  calco.  Testa  di  donna  cinta  di  diadema  con  ca- 

pelli raccolti  alla  cervice,  e  pendenti  agli  orecchi  volta  a  d. 
R.  Due  uccelli  che  si  riguardano  :  fra  mezzo  ad  ambedue  Si, 
di  sopra  a  sin.  /\AO,  la  epigrafe  a  destra  è  svanita. 

13.  Testa  di  donna  di   prospetto  fra   due   lettere  AA  iniziali 

della  zecca:  a  d.  fiaccola  accesa.  R.  Il  medesimo  tipo  di 
due  corvi,  ma  di  modo  che  i  loro  colli  s'incrociano:  fra 
mezzo  la  lettera  M. 

14.  Testa  del  fiume  laino  giovanile  con  corna  bovine  che  gli 

spuntano  sulla  fronte.  R.  Due  corvi  incrociati:  di  sopra 
STA  OH'\. 

15.  Testa  giovanile  volta  a  sin.  R.  corvo  a  sin.  che  ha  dinanzi  un 
granchio,  di  sopra  una  corona  fra  TI  e  Bl. 

16.  Testa  di  donna  diademata  volta  a  d.  dentro  un  cerchio  di 

globetti.  R.  Corvo  a  d.,  di  sopra  un  delfino  e  AAINillM,  da- 
vanti a  d.  un  candelabro. 

17.  Testa  di  donna  diademata  eoi  capelli  legati  sul  vertice  e  l'e- 

pigrafe AA.  R.  Corvo  a  d.  fra  KO  e  MO. 

18.  Testa  di  Ercole  a  d.  coperta  dalla  pelle  di  leone  che  gli  si 
vede  annodata  al  collo.  R.  Corvo  a  d.  e  di  sopra  STA. 

19.  Testa  di  Dionisio  con   corna   arietine  volta  a  d.  R.  corvo 

volto  a  d.  stante  davanti  ad  un  ramo  di  palma  lemniscato, 
che  ha  di  sopra  DA  e  MO,  di  sotto  AA  e  COX. 

OESENTUM 

Al  Cluverio  (pag.  1317)  non  furono  note  le  monete  di 
Orsentum.  Egli  solo  corresse  Plinio  (III,  e.  11)  che  ricorda 
gli  Ursentini  fra  i  popoli  della  Lucania,  mostrando  che 
cotesti  popoli  si  dovevano  attribuire  alla  Brezzia,  non  alla 
Lucania.  Il  nome  di  questa  città  pare  di  greca  origine  e 
che  derivi  da  ógaóg  germe,  onde  òqaàaig  òqaàq-  av^og  terra 
germinante,  prolifica,  feconda,  iadi  per  anadrome  oqaavzov, 
e  òqaavTtvog.  Grli  Orsantini  onoravano  di  special  culto  Ce- 
rere il  che  dimostra  qual  fosse  U  germe  principale  delle 
terre  loro  ubertose. 

20.  Nel  Museo  di  Vienna.  Testa  coronata  di  alloro  e  volta  a  d. 

dietro  al  coUo  XPY  in  mon.  R.  Cerere  stante  col  gi-oma  agri- 
mensorio  nella  d.,  un  manipolo  di  spighe  nella  sinistra,  e  sul 
campo  un  ferro  di  lancia:  a  d.  OPZANTINilN. 

21.  Testa  di  donna  coi  capelli  legati  in  massa  alla  cervice.  R. 

22 


172 


LUCANIA  OCCIDENTALIS 


T.  cxvni 


Giovane  nudo  col  capo  coperto  da  un  petaso  e  armato  di 
un  parazonio  a  tracolla ,  sul  quale  appoggia  la  sinistra, 
stendendo  la  destra  con  una  patera:  intorno  è  la  leggenda 
OPSANTINilN. 

PAL....MOL 

Si  è  convenuto  dai  Numismatici  di  chiamare  Palinuro 
la  città,  accennata  nelle  lettere  ARI,  dal  promontorio  che 
si  chiama  tuttavia  con  tal  nome  :  e  nel  AO  ^  vogliono  si 
riconosca  una  città  omonima  al  fiume  Molpa  o  Melpa  detto 
Melphes  da  Plinio.  La  città  moderna  che  è  vescovile  trovasi 
detta  Melfis  in  Brkemperto.  Io  non  ho  visitato  quei  luoghi. 
22.  Coli.  Luynes.  Cignale  in  rilievo  e  al  riverso  in  incavo  con 
la  epigrafe  'lAT  nel  dritto  e  '10'A  nel  riverso.  La  paleografia 
è  simile  a  quella  di  Posidonia,  di  Lao,  di  Temesa.  Di 
questa  moneta  si  ha  nel  Museo  di  Firenze  un  conio  mo- 
derno; lo  avverto,  perchè  il  vedo  citato  dal  Riccio,  (Repert. 
agg.  e  con:  p.  14) ,  ed  è  anche  prodotto  dal  Pahretti  {Gloss. 
lab.  LVI,  2912),  non  ostante  la  strana  forma  della  lettera 
fé  e  l'aver  posta  un  san  in  luogo  di  un  m  in  mol. 

VELIA 

•  H  Millingen  fa  debitamente  plauso  al  Carelli  per  avere 
egli  assegnato  a  Velia  in  Italia  le  monete  che  hanno  per 
tipo  il  mezzo  leone  sul  dritto  che  divora  la  preda  e  al  ro- 
vescio un  quadrato  incuso  e  quadripartito. 

Velia  fu  fondata  nel  180  u.  e.  dai  Pocesi,  che  fuggendo  la 
dominazione  persiana  si  erano  dall'Asia  traslocati  in  Cor- 
sica dove  un  venti  anni  prima  quei  di  loro  nazione  avevano 
fabbricata  Alalia  (Herod.  I,  165).  Questi  secondi  cacciati 
di  là  dai  Tirreni  e  Cartaginesi  cinque  anni  dopo  traspor- 
tarono le  loro  famiglie  e  sostanze  in  Marsiglia  ;  ma  non  ri- 
coverati dai  Marsigliesi  (Antioch.  ap.  Strab.  VI,  253),  si 
trasferirono  in  Eeggio  dei  Brezzii.  L'oracolo  che  li  aveva 
prima  mandati  in  Cimo  (cosi  chiamano  i  G-reoi  la  Corsica) 
(Diod.  Sic.  V,  13,  4),  di  nuovo  impose  loro  che  cercassero 
di  fabbricarsi  una  novella  città  in  un  luogo,  dove  fosse  una 
palude  denominata  Cimo  :  Tòv  Kvqvov  xzCaai  klog  covra  (il 
testo  ha  ^qiov  Sovra,  ma  vedi  il  Benedetti  ad  Herod.  1, 167), 
àXK ov  rfjv  vT^aov;  colle  quali  parole  li  avvertiva  dell'er- 
roneo scambio  dell'isola  detta  Cimo,  con  la  palude  che  por- 
tava lo  stesso  nome. 

Nella  olimpiade  LS,  LXI,  (u.  e.  217-219)  mossero  co- 
testi Pocesi  di  Eeggio  in  cerea  della  Cimo  additata  loro 
dall'oracolo,  e  s'imbatterono  in  un  uomo  di  Posidonia,  che 
mostrò  loro  la  palude;  la  quale  essi  stimando  essere  la 
Cimo  loro  prescritta  dall'oracolo  si  posero  all'opera  di  dis- 
seccarla e  poterono  averne  tanto  di  suolo  ove  fabbricare. 
Questa  città  essi  chiamarono"BA7;,  'Yélrj,  derivandone  il  nome 
dalla  fonte  (Strab.  VI,  252),  ovvero  dal  fiume  i^sì]g,  che  le 
scorreva  d'appresso,  anteponendo  alla  voce  un  T,  che  ebbe 
forza  di  aspirata,  o  piuttosto  di  digamma,  poiché  fu  tra- 
scritto per  V  consonante  dai  Latini.  Le  prime  loro  monete 


portano  per  tipo  il  mezzo  leone  e  al  rovescio  un  quadrato 
incuso;  il  suo  peso  è  di  un  terzo  degli  stateri  focesi.  Otto 
esemplari  della  mia  collezione  danno  ipesi  seguenti  3  gr.  70; 
8,75;  3,80;  3,80;  3,90;  3,95.  La  moneta  focese  col  tipo 
della  foca  e  a  rovescio  incuso  che  è  nella  mia  collezione 
pesa  gr.  3,75,  ma  è  un  po'  logora.  Quanto  alle  frazioni  in- 
feriori della  moneta  vellose  il  Carelli  ne  ha  inciso  una 
(tab.  CXXXVI,  3),  ma  non  l'ha  descritta.  Il  Mommsen  ha 
raccolto  dall'  Hunter,  dal  Mionnet,  e  dal  Museo  Britannico, 
i  tre  esemplari  che  hanno  il  tipo  di  Velia  e  pesano  da 
gr.  0,50  a  0,55  :  in  fine  L.  Sambon  una  ne  descrive  a  p.  175 
della  quale  dà  il  peso  di  gr.  0,40.  La  mia  collezione  potrà 
sopperire  a  tale  scarsezza  ;  darò  il  peso  di  tutti  e  ventotto: 
di  questi  quattro  pesano  gr.  0,50  ;  sette  0,45  ;  otto  0,40; 
tre  0,35;  uno  0,32;  due  0,25;  uno  0,18;  due  0,15.  Di  qui 
possiamo  dedurre  che  l'unità  maggiore  si  divise  in  ottave 
(=  0,50  —  0,40),  in  sedicesime  (=  0,35  —  0,25),  in  tren- 
tesime (=  0,18  —  0,15)  della  dramma  veliense.  In  questa 
prima  epoca  avvenne  ohe  Velia  si  legasse  in  confederazione 
con  Eeggio  la  qual  cosa  noi  impariamo  da  una  di  queste  fra- 
zioni che  in  due  cellule  del  quadrato  incuso  ha  scolpito  in 
rilievo  un  P  di  sopra  e  un  YE  in  mon.  di  sotto,  l'uno  e  l'altro 
iniziali  dei  nomi  di  Velia  e  di  Eeggio.  Qual  sia  la  preda  che 
il  leone  si  vede  rodere,  ninno  ha  finora  definito;  solo  il  Carelli 
ha  scritto  che  ferinam  tibiam  devorat,  divora  la  tibia  di  una 
fiera.  Or  da  un  mio  esemplare  si  apprende  che  questa  è  tutta 
una  gamba  di  un  cervo:  lo  che  ci  giova  a  spiegare  quel 
tipo  posteriore,  dove  il  leone  morde  il  cervo,  che  ha  atter- 
rato. Un'  altra  novità  ancora  ci  si  presenta  ed  è  la  lettera  E 
di  rilievo  sul  corpo  del  leone.  Simili  lettere  sono  state  av- 
vertite dal  sig.  Imhoof-Blumer  sui  corpi  degli  animali  nelle 
monete,  la  cui  spiegazione  sarà  forse,  che  servir  debba  di 
segno  monetale  come  le  altre  lettere  alfabetiche  d'  epoca 
posteriore.  Eicordo  un  simile  3  volto  a  sinistra  scolpito  in 
rilievo  sul  mento  inferiore  dell'Ercole  di  una  delle  monete 
etrusche  del  deposito  di  Sovana  (tav.  CXXV,  n.  11). 

I  Vellosi  abolita  la  dramma  focese,  e  le  frazioni  della 
prima  epoca  introdussero  il  didramma  degli  Achei  a  doppio 
rilievo  e  vi  posero  per  tipo  la  testa  di  una  donna  i  cui  ca- 
pelli sono  ripiegati  e  legati  dal  diadema  alla  nuca:  e  al  ri- 
verso l'intero  leone  che  si  avventa.  Due  esemplari  deUa 
mia  collezione  pesano  gr.  7,50  :  un  terzo  che  è  foderato  pesa 
gr.  7,00.  La  metà  loro  o  sia  la  dramma  ha  nel  dritto  la 
testa  di  donna  con  l'acconciatura  medesima  dei  capelli  ri- 
piegati alla  cervice,  ma  cambia  il  tipo  del  riverso  ponendo 
ivi  una  civetta  col  ramo  di  olivo.  Questa  dramma  nei  primi 
otto  esemplari  pesa  gr.  3,60,  3,65,  3,70,  3,75.  V'è  anche 
la  terza  parte  di  essa  coi  tipi  medesimi  e  pesa  gr.  1,20  ; 
v'è  la  quarta  parte  e  pesa  0,95  ;  v'è  la  quinta  del  peso  di 
gr.  0,70  ;  0,55  :  v'è  finalmente  la  sesta  che  pesa  gr.  0,35. 
Il  Sambon  non  conobbe  che  un  esemplare  della  quinta  parte 
di  gr.  0,51,  e  non  altro.  Con  questa  seconda  serie  comincia 
a  Velia  l'emissione  del  bronzo,  di  che  abbiamo  soltanto  due 
rari  esempii  uno  nella  mia  collezione  del  peso  di  gr.  1,50  : 
l'altro  nel  Kircheriano:  in  ambedue  l'acconciatura  dei  ca- 


T.  cxvin 


LUCANIA  OCCIDENTALIS 


173 


pelli  è  quella  della  dramma  e  la  civetta  non  poggia  sul  ramo 
di  olivo.  Comincia  quindi  un'arte  più  sviluppata,  nella  quale 
cambiasi  anche  l'acconciatura  dei  capelli  che  fanno  massa 
alla  nuca,  la  civetta  sta  sul  ramo,  e  allora  si  deve  essere 
emesso  il  bronzo  coi  simili  tipi.  Nella  mia  coli,  ve  n'è  sol- 
tanto uno  del  peso  di  gr.  2,90.  Succede  di  poi  una  dramma 
sottile,  di  contorno  spesso  irregolare,  ove  la  testa  del  dritto 
ha  una  nuova  acconciatura  :  i  capelli  sono  solcati  per  tra- 
verso come  le  strie  di  ima  conchiglia  pecten  e  sulla  fronte 
si  vedono  cinti  di  un  diadema  ;  il  taglio  del  collo  è  talvolta 
adorno  di  una  filza  di  perle.  Dei  miei  sei  esemplari  tre 
hanno  di  peso  gr.  3,70,  uno  gr.  3,75,  uno  gr.  3,85,  uno  final- 
mente gr.  3,35.  Con  questa  dramma  pongo  la  rara  moneta 
a  testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  attico,  il  qual  tipo  si  ripro- 
duce nei  bronzi  della  ultima  epoca. 

Fin  qui  non  ho  detto  nulla  del  didramma  del  Museo 
Britannico  edito  dal  Poole  (Calai,  p.  304)  tra  le  monete  di 
Velia.  Ha  da  un  lato  la  testa  di  donna  coi  capelli  ripie- 
gati e  stretti  dal  diadema  e  al  riverso  la  sola  testa  del 
leone  che  rugge:  non  vi  è  leggenda  e  pesa  gr.  8,10.  Intorno 
alla  quale  avendo  io  dimandato  al  eh.  editore  per  qual 
motivo  l'avesse  data  a  Velia,  mentre  il  Du  'Chalais  l'aveva 
attribuita  alla  città  di  G-nido  (Recherch.  sur  quelques  points 
de  VHistoir.  numism.de  la  ville  de  Cnide,  pi.  Vlln.  3,4,4), 
egli  mi  rispose,  che  lo  stile  di  queste  monete  di  Guido  è 
del  tutto  diverso.  Or  è  certo  che  una  moneta  con  la  sola 
testa  di  leone  non  si  è  finora  vista  fra  noi,  di  più  che  i 
Veliesi  nella  epoca  della  monetazione  a  doppio  rilievo  non 
omisero  giammai  d'inscrivervi  il  proprio  nome.  Per  le  quali 
ragioni  e  ancora  per  lo  stile,  che  è  men  raffinato  nelle  ve- 
liesi, non  ho  creduto  inserire  questo  didramma  in  cotesta 
zecca  d'Italia. 

Venne  poi  l'epoca  della  bella  e  nobile  arte  anche  per 
Velia  come  per  le  città  achee  della  Magna  Grecia,  nella 
quale  età  la  Pallade  domina  sopra  la  ninfa  locale  che  si 
vede  rappresentata  neUe  epoche  anteriori  insieme  colla  fonte. 
Il  MiUingen  opinò  [Consid.  p.  91)  che  su  tutte  le  monete 
fosse  sempre  figurata  Pallade  ora  con  elmo  or  a  testa  nuda  : 
ma  è  certo  che  la  fonte  vi  è  stata  posta  almeno  dove  è  co- 
ronata di  canna  palustre  ed  è  definita  dall'appellativo  YEAHTH 
(zgjjiTy).  Quando  poi  le  si  legge  da  presso  e  di  sopra  della 
testa  il  nome  YEAH  io  penso  che  sia  la  città.  Viene  poi  in 
moda  Pallade,  sia  che  i  Pocesi  di  Velia  l'abbiano  fatto  in 
memoria  della  spedizione  di  Asia  dove  erano  giunti  colla 
scorta  di  due  ateniesi,  Pilogene  e  Damone ,  onde  Strabene 
potè  dichiarar  Foeea  una  colonia  di  Ateniesi  (XIV,  633): 
0coxaiav  ol  jxsrà  ^iXoyévovg  'Adnfjvaìoi,  sia  che  abbiano 
ricevuto  in  Velia  un  rinforzo  di  coloni  ateniesi.  Le  mo- 
nete del  più  bello  stile  non  sono  che  didrammi.  Ora  però 
è  entrato  neUa  mia  collezione  un  nummo  coi  tipi  deUa  testa 
di  Pallade  volta  a  sin.  e  al  riverso  il  leone  gradiente  e  di 
sopra  $1  con  un  ferro  di  tridente  in  mezzo  e  nell'esergo 
YEHTilN,  vedesi  però  aUa  gamba  sinistra  dell'H  aggiunta 
la  A  in  minutissimo  carattere.  È  del  peso  di  gr.  0,70  e  dimo- 
stra che  coniarono  anche  l'obolo.  Eara  è  la  dramma  coi  tipi 


della  PaUade  galeala,  e  al  riverso  la  civetta.  La  sua  terza 
parte  che  rappresenta  la  testa  di  donna  con  la  civetta  al  ri- 
verso, diviene  simbolo  comune  anche  al  bronzo,  se  ne  eccet- 
tui poche  monete  di  barbaro  stile  che  portano  al  riverso 
il  tripode  in  memoria  a  quanto  pare  dell'  oracolo  delfico, 
dal  quale  fu  loro  ingiunto  che  fabbricassero  Cimo,  come 
ho  detto  di  sopra. 

I  Veliesi  trassero  dalle  buone  instituzioni  di  Senofane  e 
Parmenide  fondatori  della  scuola  eleatica  quella  costanza 
e  forza  che  valsero  loro  a  tener  lontano  il  flagello  dei  bar- 
bari Lucani  :  essi  cercarono  ed  ottennero  l'alleanza  coi  Eo- 
mani,  allorché  le  città  greche  si  unirono  per  far  loro 
guerra  con  Pirro.  Una  sacerdotessa  vellose  soleva  essere 
prescelta  dai  romani  pel  culto  della  greca  Cerere  (Cic.  prò 
Balbo,  24). 

23,  24.  Nella  coli.  mia.  Metà  di  leone  che  divora  la  gamba  di 
un  cervo.  Ve  n'è  uno  singolarissimo  n.  24  per  un  ir  a  rilievo 
sul  corpo  del  leone,  che  è  volto  a  destra.  E.  Quadrato  incuso 
diviso  in  quattro  o  meno  quadrati  minori,  perchè  alcuno 
di  essi,  talvolta  non  è  impresso,  vi  ha  esempio  dei  qua- 
drati minori  suddivisi  talvolta  :  questi  incusi  prendono  la 
forma  di  foglie  larghe  in  cima  strette  al  centro  di  con- 
giunzione. 

25-32.  Nella  coli.  mia.  I  tipi  sono  gli  stessi  delle  unità  mag- 
giori. Unico  forse  è  il  caso  in  questa  serie,  di  lettere  in  rilievo 
scolpite  nel  campo  dei  quadrati  minori.  Così  nel  n.  26  a 
destra  v'è  un  P  e  di  sotto  im  YE  in  mon.  Unico  è  anche 
l'esempio  di  una  testa  galeata  nel  campo  del  quadrato 
maggiore,  come  nel  n.  25.  Quanto  al  peso  alcuni  di  essi 
sono  di  gr.  0,50  (n.  27),  altri  di  0,40  (n.  28,  29),  altri  di 
0,25  (nn.  30,  31),  altri  finalmente  di  grammi  0,15,  come 
il  n.  32. 

33.  Testa  di  donna   coi   capelli   dalla  fronte  alla  nuca  o  co- 

perti da  filze  di  perle  insieme  congiunte  a  modo  di  rete 
seguendo  l'andamento  di  essi  che  sono  rivolti  alla  nuca. 
R.  Leone  in  agguato  che  rugge:  di  sopra  civetta  che  vola: 
nell'esergo  YEAHTEHN. 

34.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  coi  capelli  rivolti  e  legati 

alla  cervice  e  cinta  il  capo  e  il  collo  di  una  filza  di  perle. 
R.  Leone  in  agguato  che  rugge  :  di  sopra  vola  una  civetta: 
nell'esergo  YEAHTEIIN. 

35.  Nella  coU.  mia.  Testa  di  donna  con  acconciatura  simile  al 
n.  36  ma  essa  è  cinta  di  una  tenia,  e  non  ha  al  collo  la 
filza  di  perle  :  di  sotto  al  coUo  e  intorno  è  liscio.  E.  Leone 
simile  ai  nn.  precedenti,  di  sopra  A,  nell'esergo  YEAH. 

36.  Nella  coli.  mia.  I  tipi  sono  simili  a  quelli  della  moneta 
precedente,  ma  la  testa  della  donna  è  decorata  da  una  filza 
di  perle  che  le  cinge  intorno  il  capo  :  non  però  il  collo, 
che  è  nudo:  intorno  si  legge  (YE)AHTflN.  Nel  riverso  l'e- 
sergo  è  liscio  e  solo  di  sopra  al  leone  è  un  3  retrogrado  : 
il  leone  non  leva  in  alto  la  coda,  e  non  solo  l'ha  abbas- 
sata come  nel  n.  33,  ma  di  più  l'ha  ripiegata  tra  le  gambe. 

37.  Nella  mia  collezione.  Testa  di  donna  di  arcaico  stile  cinta 

il  capo  e  il  collo  da  filza  di  perle.  R.  Civetta  sopra  un  ramo 
di  olivo  a  sin.  YEAH,  a  d.  A. 


174 


LUCANIA  OCCIDENTALIS 


T.  CXIX 


38.  Testa  di  donna  a  d.  con  capelli  rivolti  alla  cervice  e  stretti 
da  diadema  che  la  cinge,  di  sotto  al  collo  YEAH.  fì.  Leone 
anelante  alla  preda  a  d.  di  sopra  B,  nell'  esergo  una  civetta 
sul  ramo  di  olivo. 

39.  Testa  di  donna  come  la  precedente,  e  al  modo  medesimo, 

sotto  al  collo  l'epigrafe  YEAH.  R.  Leone  come  il  precedente, 
nell'esergo  la  civetta. 

40.  Coli.  Luynes.  Testa  di  donna  volta  a  d.  coi  capelli  raccolti 
intorno  alla  fronte  e  alla  cervice:  di  sopra  YEAH:  dinanzi  un 
tralcio  di  vite,  e  sotto  il  mento  0-  R-  Leone  anelante  alla 
preda:  nell'esergo  civetta  e  accanto  TA. 

41.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  diademata  coi  capelli  rivolti  alla 
cervice  a  d.  R.  Civetta  sul  ramo  di  olivo,  e  a  sin.  YEAH. 
H  peso  di  questo  «  dei  simili  pezzi  è  di  gr.  3,25;  3,70; 
3,77;  3,85. 

42-46.  Coli.  mia.  La  testa  di  donna  in  queste  monetine  ha  sem- 
pre la  stessa  coltura  di  capelli  rilevati  e  sospesi  alla  nuca: 
nel  riverso  la  civetta  è  talvolta  senza  il  solito  ramo  di 
olivo:  e  una  volta  il  nome  della  zecca  pare  omesso,  ma 
deve  essere  uscito  di  conio:  il  peso  loro  si  è  n.  42,  gr.  1,20; 
n.  43  gr.  0,95  ;  n.  44  gì-.  0,70  ;  n.  45  gr.  0,55  ;  n.  46  gr.  0,85. 

47-49.  Coli.  mia.  Coteste  monetine  appartengono  all'epoca  della 
pili  heUa  arte:  la  testa  della  donna  ha  i  capelli  raccolti  intorno 
alla  fronte  e  sulla  nuca  :  ancor  qui  una  volta  il  nome  della 
zecca  si  vede  mancare,  ma  è  perchè  la  monetina  è  logora. 
La  civetta  al  riverso  o  ha  le  ali  aperte  o  vola  :  nelle  ultime 
due  a'  suoi  piedi  v'è  un  I:  il  peso  del  n.  47  è  di  gr.  1,00 
e  così  parimenti  quello  del  n.  48:  il  n.  49  invece  pesa 
gr.  0,80. 


Tav.  CXIX. 

1.  Coli.  Santangelo.  Testa  di  donna  coronata  di  canna  palustre: 

dinanzi  HTHA3Y.  R.  Leone  che  si  avventa  :  di  sopra 
YEAHTEnN. 

2.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  con  acconciatura  di  capelli  singo- 

lare, aUa  nuca  H.  R.  Civetta  sul  ramo  di  olivo  volta  a  sin. 
che  guarda  di  fronte  :  dietro  a  d.  HA3(Y).  Cotesta  iscrizione 
fu  letta  male  dal  Comhe,  AEYK,  e  la  moneta  fu  perciò  at- 
tribuita a  Leuca  in  Calahria  :  nel  quale  errore  ha  tratto  U 
P.  Eckhel  (fl.  n.  v.  I,  244). 

3.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  di  stile  semiarcaico  coi  eapelU  ri- 

volti aUa  nuca  e  stretti  da  un  laccio.  R.  Civetta  sopra  ramo 
di  olivo,  e  dietro  a  sin.  YEAH. 

4.  5.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  con  acconciatura   di  capelli 

striati  come  conchiglia  e  con  filza  di  perle  al  collo  volta 
a  sin.  R.  Civetta  stante  sopra  il  ramo  di  olivo  :  l' epi- 
grafe al  n.  5  è  YEA.. 

6.  (Carelli,  tav.  CXXXVI,  8).  Testa  di  Pallade  coperta  di  sem- 

plice elmo  attico  crestato  volta  a  d.  R.  Civetta  sopra  ramo 
di  olivo  volta  a  d.  e  alla  sin.  l'epigrafe  YEAH. 

7.  Nella  coU.  mia.  Testa  di  PaUade  con  elmo  alato  volta  a  d. 

R.  Leone  gradiente  a  sin.  e  volto  di  prospetto  :  nel  fondo 
sorge  un  albero  di  palma  fra  le  lettere  (p  1  :  nell'  esergo 
YEAHT. 


8.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  cinto  di  corona 

d'ulivo  volta  a  sin.  R.  Leone  volto  a  sin.  in  atto  di  ruggire 
e  sollevare  la  zampa  del  pie  destro:  nell'esergo  YEAHTilN. 

9.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  insignito  di  un 

delfino  e  sulla  gronda  della  lettera  (j).  F.  Leone  gradiente  a 
d.  di  sopra  un  ferro  di  tridente  fra  le  lettere  (J)l  nell'esergo 
YEAHT^N. 

10.  Nella  coU.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  fregiato  di  un 

grifo  volta  a  sin.  R.  Leone  gradiente  a  d.  come  nel  n.  8  : 
di  sopra  YEAHTUN  :  nell'  esergo  una  civetta  che  vola. 
rXav^  ìrcTUTai,  dicevano  i  Greci  in  senso  di  buona  ventura. 

11.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  frigio  sul  quale  è  scol- 
pita una  centauressa  corrente  a  sin.  eoi  capelli  sciolti  e 
lunghi  alla  cervice  e  una  breve  clamide  agitata  dal  vento 
sul  braccio  sinistro.  R.  Leone  che  divora  la  testa  di  un 
toro:  tra  le  gambe  un  serpe,  nell'esergo  YEAHTilN. 

12.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  cinto  di  corona 

d'olivo  volta  a  sin.  dietro  la  nuca  KC  in  mon.  R.  Leone  a 
sin.  nell'atto  di  levarsi  dal  pascere  la  lesta  di  montone  che 
ha  davanti  negli  artigli  e  guardare  ruggendo  a  destra  :  tra 
le  gambe  KC  :  in  mon.  nell'esergo  YEAHTilN. 

13.  Nella  coU.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  frigio  ornato  dì 

una  cresta  di  grifo  con  la  stessa  fiera  volta  a  sinistra, 
dietro  al  collo  0.  R.  Leone  volto  a  destra  che  pasce  la  testa 
di  un  montone  :  di  sopra  una  locusta  fra  le  lettere  $  I,  nel- 
l'esergo YEAHTilN. 

14.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade    volta  di  prospetto  co- 

perta di  elmo  frigio  alato,  sulla  cui  parte  convessa  si  legge 
KAEYAHPOY:  i  suoi  capelli  sono  sciolti  e  ondeggianti: 
ha  collana  con  monile  pendente  sul  turgido  petto  velato 
dalla  tunica.  R.  Leone  divorante  una  testa  di  toro  come  al 
n.  10  ;  di  sopra  A,  tra  le  gambe  KC,  nell'esergo  YEAHTil(N). 

15.  16.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  fregiato  di 
corona  di  olivo  e  di  un  grifo  volta  a  sin.  R.  Leone  che  ha 
atterrato  un  cervo  :  e  il  morde  sul  dorso,  intorno  YEAHTEilN. 
Nel  n.  16  è  il  tipo  medesimo  del  riverso,  ma  l'elmo  della  Pal- 
lade nel  dritto  non  ha  la  corona  d'olivo  che  sulla  gronda 
e  dietro  la  nuca  porta  in  una  tavoletta  quadrata  inscritto  lE. 

17.  Museo  di  Monaco.  Testa  di  Minerva  con  elmo  ornato  di  un 
grifo  volta  a  sin.  R.  Leone  che  avendo  atterrato  un  cervo 
lo  assanna  al  collo.  L'epigrafe  è  svanita  e  solo  le  tracce  vi 
rimangono,  YEAHTON  (cf  Carelli,  tav.  CXIII,  75). 

18.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  PaUade  con  aulopide  crestata:  è 

assai  adorna,  in  prima  sulla  base  della  cresta  del  nome  del- 
l'artefice (J)IA12:TIÌ1N(0S)  ,  poi  sulla  cocca  porta  una  Vit- 
toria che  guida  una  quadriga,  indi  sulla  gronda  è  posto  un 
grifo.  R.  Leone  che  sta  sulle  onde  del  mare  e  morde  il  ferro 
di  una  lancia  che  ha  abbrancata  in  alto:  la  Vittoria  vola  con 
una  lunga  tenia,  nelle  mani  per  coronarlo,  e  a  d.  (1)1  :  nell'e- 
sergo è  scritto  YEAHTilM. 

19.  Nella  coli.  mia.  I  tipi  sono  simili  al  n.  18,  manca  soltanto 

di  sopra  del  leone  la  Vittoria  che  vola  e  il  01  :  il  nome 
dell'artista  sembra  non  ben  riuscito  nel  conio. 

20.  Coli.  Luynes.  Testa  di  Pallade  con  elmo  attico  adorno  deUa 

quadi'iga  guidata  dalla  Vittoria  e  dal  nome  dell'artista  (J)IAI- 


T.  CXIX 


LUCANIA  OCCIDENTALIS 


175 


2:Tin.N0S  inscritto  a  pie  della  cresta.  R.  Leone  gradiente  a 
d.,  di  sopra  YEAHTilN,  nell'  esergo  tralcio  di  vite  in  mezzo 
alle  lettere  $1. 

21.  Testa  di  Pallade  con  elmo  alato  cinto  da  una  corona  di  olivo  : 
alla  nuca  Al.  /?.  Leone  gradiente  a  d.  di  sopra  spiga  di 
grano,  tra  le  gambe  P,  nell'esergo  YEAHTilN. 

22,  23.  Nella  mia  coli.  Testa  di  Pallade  con  elmo  frigio  cinto 

di  olivo  a  sin.  R.  Mezzo  leone  giacente  e  intento  al  pasto 
di  una  testa  di  ariete,  in  alto  (J):  neU'esergo -EA- 
24,  25.  Nella  coU.  mia.  Testa  di  Ercole  giovane  volta  a  sin. 
coperta  dalla  pelle  di  leone.  R.  Civetta,  a  sin.  YEAH,  a  d. 
foglia  di  vite.  Nel  n.  25  la  foglia  è  omessa  e  in  quel  luogo 
si  legge  YEAH. 

26.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Ercole  con  la  pelle  di  leone  volta 

a  d.,  di  dietro  Tt/\n.  R.  Civetta  in  corona  di  ulivo  fra  le 
quattro  lettere  YEAH. 

27.  NeUa  coli.  mia.  Testa  di  donna  a  d.  coi  capelli  rivolti  alla 

cervice  e  cinti  da  diadema.  R.  Civetta  a  sin.  YEAH,  a 
d.  Af  in  mon. 

28.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  coi  capelli  alla  nuca  rivolti  e 
legati  col  diadema  volta  a  d.  R.  Civetta  volta  a  d.  e  alla 
sinistra  YEAH. 

29.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  donna  volta  a  d.  R.  Civetta  volta 

a  sin.  su  di  un  ramoscello  di  olivo  a  d.  YEAH. 

30.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  G-iove  laureata  a  sin.  R.  Civetta 

di  fronte  colle  ali  aperte:  di  sopra  $1  di  sotto  YEAHTilN. 

31.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Giove  laureata  a  d.  R.  Civetta  colle 

ali  aperte,  di  fronte,  di  sotto  YEAHT. 

32.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Ercole  giovane  a  d.  R.  Civetta  a 

sia.  sopra  ramoscello  di  olivo,  a  d.  YEAH. 
33,34.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  corinzio  a  d.  R.  Ci- 
vetta di  fronte  colle  ali  aperte;  nel  n.  34  si  legge  YEAHTilN. 

35.  Testa  di  Bacco  coronata  di  edera  a  d.,  sotto  al  collo  un 
tirso.  R.  Civetta  ad  ali  aperte  e  di  sotto  YEAH  (Cai-elli, 
tav.  CXLirr  n.  98). 

36.  Nella  Coli.  mia.  Testa  laureata  di  Apollo  a  sin.  R.  come 

al  n.  35. 

37.  NeUa  coli.  mia.   Testa  di  Ercole  giovane  con  la  peUe  di 

leone  annodata  al  coUo  a  d.  R.  Civetta  colle  ali  aperte  a  d. 
e  intorno  YEAHTilN. 

38.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Giove  a  sin.  R.  Civetta  coUe  ali 

aperte  di  fronte,  sotto  YEAH. 

39.  Nella  coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  cristato  a  sin. 

R.  Tripode  fra  le  lettere  YEAH. 

POSroONTA 

n  Kochette  {Hist.  des  col.  gr.  HI  p.  245)  seguito  dal  MuUer 
{Dor.l,  103)  e  dal  Gerhard  (Griech.  Myth.  p.  S12,  1,  6)  opinava 
che  la  città  di  Posidonia  fosse  fondata  dai  Trezenii.  Il  motivo  che 
ebbero  quei  che  ne  fecero  autori  i  Trezenii  si  è  perchè  Trezene 
lor  patria  fa  sacra  a  Posidone,  di  modo  che  ne  portò  un  giorno 
anche  il  soprannome  (Strabo,  VIII,  6,  14)  :  TQoitfjv  Sé  Isqù  san 
HoaaiSmog,  utfov  xal  IloasiSaivia  nozè  iXéyszo.  Il  qual  riscon- 
tro se  non  giunge  a  dimostrare  che  da  Trezene  sono  venuti  i 


Posidoniati  è  nondimeno  da  considerarsi,  perchè  consta  che  i 
Trezenii  che  si  fanno  autori  deUa  colonia  di  Posidonia  abita- 
rono Sibari;  e  può  ben  essere  che  fossero  traspiantati  dai  Si- 
bariti in  cotesta  colonia.  Strabene  sembra  farlo  sospettare  in 
un  passo  oscuro  dove  afferma  che  i  Sibariti  dedussero  una  co- 
lonia in  cotesto  luogo  e  fabbricarono  il  muro  della  città  presso 
il  mare,  ma  quei  che  vi  furono  da  loro  collocati  trasportarono 
la  loro  stanza  pivi  dentro  terra  (Strabo,  V,  251):  Jv^aQìtai  fièv 
ovv  Ì7il  za?.dTTrj  zsìyfig  i'S-svzo,  oC  di  olxiad^évzeg  àvmzéqai 
^laréazìpav.  Cotesta  colonia  non  fu  qui  dedotta  dai  Sibariti,  che 
quando  Sibari  non  era  ancora  distrutta,  il  che  avvenne  l'anno  3° 
della  olimpiade  LXVII.  Nel  qual  anno  avrebbero  i  Sibariti 
potuto  venire  a  Posidonia  ;  ma  non  si  sa  se  siano  allora  andati  a 
Lao  e  Scidro.  Non  consta  dunque  l'anno  nel  quale  fii  fondata 
Posidonia  ;  ma  si  può  esser  certi  che  era  in  piedi  nell'anno  2° 
della  ol.  LX  (di  Eoma  217-219),  dapoichè  un  suo  cittadino 
detto  però  da  Erodoto  Posidoniate  interpretò  l'oracolo  ai  Eocesi 
di  Keggio  additando  la  palude  Cimo  dove  dovevano  fabbricare 
la  città  che  denominarono  Velia.  Il  dialetto  di  che  si  serve 
Posidonia  nelle  monete  non  è  dorico  genuino,  non  dicendo  essi 
Horidavia,  bensì  Iloaiióavia,  che  nasce  dalla  forma  eolica  Ho- 
Gsi'óav  (Ahrens,  de  dial.  aeol.  p.  123),  dove  invece  le  monete  danno 
nO?EIAfl.N  in  dialetto  comune.  Non  può  negarsi  del  resto  che 
dori  fossero  tra  i  coloni  di  Posidonia,  del  qual  dialetto  si  servì 
colui  che  scrisse  suUa  laminetta  d'  argento  dedicata  a  Proser- 
pina:  io  sono  della  figlia  della  Dea  (C.  i.  gr.  n.  3778):  TAM 
OEO  T/y\  PA^^OM  E/y\i.  Diremo  che  vi  si  parlava  più  di  un 
dialetto,  di  poi  una  lingua  mista  come  abbiamo  avuto  esperienza 
nel  decreto  dei  Keggini  a  favore  di  Aufidio.  Non  sono  i  Posi- 
doniati dori  di  origine  ma  achei.  Nelle  monete  incuse  il  Net- 
tuno è  sempre  in  atto  di  vibrare  il  tridente  e  questo  tipo  me- 
desimo si  trova  ripetuto  sulle  monete  a  doppio  rilievo.  Le  in- 
cuse sono  dramme  e  didrammi  la  cui  leggenda  è  PO/y\,  PO/y\E, 
PO/y\ES.  V'è  inoltre  presso  il  nume  l'epigrafe  FSSM  e  A50. 
Si  è  stimato  che  la  prima  fosse  nome  del  fiume  Tg  ricordato 
da  Licofrone  e  dai  grammatici  Erodiano  ed  Esichio.  Partace 
storico  citato  da  Erodiano  scrive  che  Ercole  giimse  in  Posido- 
nia e  ivi  era  un  gran  fiume  chiamato  tg  {Dict.  solit.  p.  19, 4): 
'Emi  de  àcpixszo  slg  zrjv  HoffsiScoviav  o  'HgaxXfjg .  sazi  àè  rto- 
zafjiòg  "Ig  xa2.oi\asvog  [.is'yag.  Ma  quel  lloastdcoria  può  prendersi 
per  territorio  e  così  troverassi  Partace  d'accordo  con  Licofrone, 
che  pone  questo  fiume  presso  il  promontorio  dicontro  l'isola 
Leucosia,  oggi  Licosa,  dove  morì  e  fu  sepolta  la  Sirena  di  questo 
nome.  Presso  il  capo  Posidio  detto  oggi  punta  della  Licosa 
scorre  un  fiumicello  che  ha  nome  di  rivo  Lavis  e  ivi  mede- 
simo vi  sono  due  altri  rivi,  quello  detto  dell'arena  e  l'altro  che 
dicesi  rivoscello.  A  niuno  però  di  questi  tre  sta  bene  l'appel- 
lativo di  ns'yag  dato  all'  Tg  da  Partace.  Comunque  sia,  par 
certo  che  non  abbiano  voluto  indicare  il  Sele  di  Posidonia  fiume 
grande,  ma  non  rapido,  Xd^gog,  anzi  paludoso  e  stagnante:  di 
più  è  distante  dalla  punta  della  Licosa  un  sei  miglia.  Siavi  pure 
stato  un  fiume  grande  e  rapido  ;xs'yag  e  Id^gog  di  nome  "Ig; 
or  si  domanda  se  di  esso  si  deve  intendere  il  FS5M  della  mo- 
neta di  Posidonia.  L'esperienza  ci  ha  insegnato  che  quando  gli 
antichi  vollero  rappresentare  un  fiume  ne  figurarono  l'imagine 


176 


LUCANIA  OCCIDBNTALIS 


T.  C51X 


e  talvolta  yì  apposero  il  nome:  non  abbiamo  finora  esempio 
che  l'abbiano  fatto  col  solo  nome.  Ne  mi  si  può  citare  contro 
il  nome  del  Sele  su  di  una  moneta  pure  posidoniate  :  perocché 
ho  già  dimostrato  altrove  che  è  stato  finora  letto  erroneamente 
5EIAA,  in  vece  di  MEIAA.  Questo  MEIAA  io  lo  considero  come 
il  OEMISTOKAEOS:  {Revue  numism.  1856  p.  46  pi.  IH  n.  2) 
a  cui  è  sottinteso  xófi/ice,  ùqyvqsov,  me  nelle  monete  di  Sente 
ove  leggiamo  SEYOA  KOMMA  (Num.  Chron.  t.  XX  p.  151), 
STEYOA  APrYPIO:^  (Luyn.  Num.  des  Satrap.  pi.  VI  p.  45), 
che  sono  i  nomi  di  principi  dai  quali  sono  state  coniate  quelle 
monete. 

Quanto  all' F$$M  e  all' A50  posti  ambedue  presso  Nettuno 
pare  a  me  che  debbano  essere  presi  qui  per  soprannomi  dati 
al  nume  di  Posidonia ,  l' uno  in  caso  retto,  l'altro  in  obliquo. 
Il  FSS/y\  vi  sta  per  FSM  che  è  spiegato  da  Esichio  per  forza, 
F\i...lijxvg,  la  lettera  5  vi  è  raddoppiata,  perchè  lunga,  scrivendo 
Erodiano  {de  monas.  p.  19)  che  tutte  le  voci  monosillabe  in 
ig  sono  lunghe  ià  slg  ig  nàvxa  ixTsCvstai.  Quando  al  ASO  sap- 
piamo che  il  nome  di  ^evg  davasi  dagli  antichi  a  quei  numi  che 
si  ebbero  il  principal  culto  :  qui  prò  Jave  colebaiUur. 

Prima  di  passare  piìi  oltre  farò  notare  una  particolarità 
che  ignoro  essere  stata  finora  avvertita.  Perocché  avviene  talvolta 
che  la  lettera  iniziale  P  della  città  sia  omessa  leggendosi  OME 
ed  OME5  in  luogo  di  POME  e  P0ME5.  Nel  Museo  di  Napoli 
si  conserva  una  monetina  che  io  pubblico  qui  al  n.  20:  essa  è 
collocata  fra  le  monete  posidoniati  dal  Piorelli  pel  tipo  e  per 
la  fabbrica,  ma  non  per  l'epigrafe  che  non  si  è  ninno  attentato 
a  spiegare.  Consta  di  tre  lettere  scritte  in  cerchio,  delle  quali 
non  si  è  saputo  trovare  il  capo.  Ora  io  posso  dimostrare  che 
bisogna  cominciare  da  O  fa  d'uopo  leggere  OME,  cioè  PO/y\E 
essendosi  omessa  la  iniziale  P.  Al  n.  6  di  questa  tavola  CXXI  sul 
toro  del  rovescio  sono  le  medesime  tre  lettere  e  retrograde  3MO  e 
non  è  che  la  prima  lettera  manchi  per  difetto  di  conio,  perchè  vi 
è  espresso  il  contorno  del  campo.  In  un  didrammo  parimente 
della  mia  collezione  si  legge  OMES  e  neanche  qui  si  può  du- 
bitare che  fu  omessa  la  iniziale  P,  perchè  la  epigrafe,  comin- 
cia d'in  sul  collo  del  piede  di  Nettuno  e  va  fino  al  braccio  si- 
nistro. Eustazio  notò  già  (Comm.  1647,  63)  l'uso  dei  Gioni  e 
degli  Eoli  di  omettere  la  lettera  o  sillaba  iniziale,  costume  che 
si  vede  essere  dei  nostri Prenestini  che  scrivono  METIO  per  PRO- 
AAETIO  {Sijll.  n.  539)  e  dicono  CONIA  per  CICONIA  (Plaut.  Truc. 
Ili,  2,  29).  Noi  vediamo  che  gli  Achei  di  Posidonia  fanno  al- 
trettanto, sia  pure  che  un  tal  costume  a  torto  siasi  attribuito  agli 
Eoli  come  pensa  l'Ahrens  {de  dial.  aeol.  p.  78).  Quel  Nettuno 
sovrannominato  PUS  ora  in  nominativo,  trovasi  poi  con  pro- 
prio nome  detto  JloasCScov  in  una  piìi  recente  moneta,  nella 
quale  a  quanto  so  non  è  stato  finora  avvertito.  È  quella  me- 
desima che  l'Avellino  trasse  dalla  collezione  Fanelli,  ora  mia. 
Quivi  dunque  davanti  a  Nettuno  (tav.  CXX  n.  12)  è  scritto 
POSEIAilN.  Il  qual  nome  fu  notato  dal  Piorelli  in  altro  di- 
drammo che  è  pure  nella  mia  collezione,  ma  con  la  tronca  leg- 
genda ■•SEIAft" 

È  singolare  la  moneta  di  confederazione  fra  Posidonia  e 
Sibari,  dove,  omesso  Nettuno,  si  è  ritenuto  per  tipo  il  toro 
sibaritico  e  i3MOn  e  al  rovescio  si  ha  AflVM  con  due  patere 


simbolo  della  lega  sanzionata  col  sacrifizio.  Miei  sono  quei 
bronzi  dove  Nettuno  privo  della  clamide,  che  ripiegata  porta 
sempre  sugli  omeri  e  pendente  dalle  braccia,  è  in  atto  di  sca- 
gliare un  fulmine,  come  il  Giove  dei  Lucani.  Ne  do  qualche 
esempio  nei  nn.  27,  29,  31,  82.  I  Lucani  conquistata  Posido- 
nia ne  erano  in  possesso  l'anno  868  :  i  Eomani  se  ne  impadro- 
nirono l'anno  481,  e  dedottavi  una  colonia  la  denominarono 
Paeslum  probabilmente  lo  stesso  che  Posidonia,  nome  corrotto 
dai  Lucani. 

Abbiamo  detto  dell'argento  incuso  che  non  ha  se  non  di- 
drammi e  drammi.  Ecco  intanto  il  peso  de'  miei  tre  didrammi 
7,30;  7,25;  7,00:  un  quarto  esemplare  ove  il  dio  è  barbato 
venuto  ora  nella  mia  collezione  pesa  gr.  7,50  :  in  cotesto  il  Net- 
tuno è  barbato.  Ora  darò  i  pesi  delie  nove  dramme  parimente 
di  mia  collezione  gr.  8,00  (due  esemplari)  gr.  8,20  ;  3,30  ;  3,40  ; 
3,45 ,  8,50  (due  esemplari)  3,60.  Dell'argento  a  doppio  rilievo  la 
cui  unità  maggiore  non  è  certo  che  sia  stato  diviso  in  due  metà, 
r  esempio  che  si  cita  di  gr.  4,568  è  solo  veduto  dal  Carelli.  Certa- 
mente rum  può  citarsi  una  unità  che  pesi  nove  grammi,  invece  è 
comune  quella  di  gr.  7,90,  e  i  dieci  esemplari  di  mia  collezione 
scadono  da  gr.  8,00  a  7,70.  Però  la  moneta  del  Carelli  può  consi- 
derarsi del  peso  scadente  dei  due  terzi,  dacché  si  hanno  unità 
maggiori  del  peso  di  gr.  6,40,  6,50,  anche  presso  di  me.  Eai-o 
si  è  lo  spezzato  che  è  presso  di  me  del  peso  di  gr.  2,00,  del 
Mionnet  di  2,89,  del  Sambon  di  2,65,  che  si  possono  tenere 
per  terzi  delle  unità  predette.  Dopo  questi  porremo  i  sesti  del 
peso  di  1,00,  1,15  gr.  i  quali  per  essere  notati  del  n.  III  ci 
fanno  conchiudere  che  ciascuna  sesta  parte  si  suddivida  alla  sua 
volta  in  terze  parti,  ossia  che  ogni  terza  parte  constava  di  sei 
parti  minori.  Noi  difatti  nella  serie  troviamo  di  quelle  monetine 
che  pesano  gr.  0,30,  e  inferiormente  di  quelle  che  pesano 
gr.  0,15,  0,10,  che  contengono  perciò  due  parti  di  hectae, 
ovvero  una  terza  parte  di  esse.  Cosi  l'unità  maggiore  si  divise 
in  tre  terze  parti,  la  terza  parte  in  sei  hectae,  la  hecte  in  tre  parti 
minori,  cioè  in  18  hectae,  in  trentasei  hemiehctae,  in  cinquan- 
taquattro terze  parti  di  hectae.  Pu  anche  battuta  una  divisione 
di  terze  parti  in  quattro  minori,  se  consideriamo  che  alcuni  pezzi 
portano  il  numero    —  invece  del  n.    =. 

Posidonia  é  la  sola  che  esprima  con  linee  parallele  orizzon- 
tali ovvero  verticali  le  frazioni  dell'argento.  In  queste  monete 
a  doppio  rilievo  se  escludo  la  dramma  e  per  conseguenza  non 
do  il  nome  di -didrammo  alla  unità  maggiore  devo  escludere 
anche  il  nome  di  obolo  che  si  dà  alla  decima  parte  della 
dramma.  Egli  è  questo  un  argomento  per  provare  che  gli  OO 
sopra  i  riversi  di  alcune  monetine  posidoniati  di  più  recente 
alfabeto  non  abbiano  valore  di  significare  due  oboli.  Ma  v'è 
un  altro  motivo  che  deriva  dal  peso  di  queste  monetine.  Nella 
collezion  mia  me  ne  trovo  tre  esemplari  che  recano  sul  toro 
del  riverso  questi  OO.  Or  esperimentandone  il  peso  trovo,  che 
il  primo  è  di  gr.  0,75;  il  secondo  di  gr.  0,50;  il  terzo  di 
gr.  0,25.  Qual  sarà  dunque  il  peso  dell'obolo?  Sono  tutti  e 
tre  di  eccellente  conservazione  e  portano  sul  dritto  accanto  al 
Nettuno  la  leggenda  P02:EI.  Una  monetina  di  Lao  con  due 
0  descritta  del  Sambon  del  peso  di  gr.  0,72,  può  servire  di 
novella  prova  che  la  O  non  è  iniziale  di  obolo. 


T.  CXX-XXI 


LUCANIA  OCCIDENTALIS 


177 


Tav.  CXX. 

1.  Nettuno  barbato  coi  capelli  lucignolati  e  lunghi  alla  cervice 

portando  attraverso  le  spalle  e  le  braccia  un  leggier  pallio 
scaglia  un  colpo  di  tridente,  a  d.  PO.  R.  Lo  stesso  tipo 
incuso.  Di  recente  ho  aggiunto  alla  mia  collezione  un  esem- 
plare con  questo  tipo  del  Nettuno  barbato  dove  l'epigrafe 
è  POM  e  il  peso  è  di  gr.  7,50. 

2.  I  tipi  medesimi  :  ma  i  capelli  alla  cervice  sono  meno  pro- 
lissi, il  dio  stringe  un  polpo  nella  destra  e  l'epigrafe  è 
pili  intera  S3/V\0n. 

3.  I  tipi  sono  gli  stessi,  l'epigrafe  è  POM  e  Nettuno  non 
ha  barba. 

4.  Nella  coli.  mia.  Nettuno  è  imberbe  e  nel  campo  a  d.  è  un 

delfino  di  rilievo. 

5.  Nella  coli.  mia.  Nettimo  è  imberbe  ed  ha  davanti  nel  campo 
un  delfino  a  contorni  in  rilievo  :  nel  riverso  si  nota  uno 
sbalzo  di  conio. 

6.  Nettuno  è  imberbe:  a  sin.  l'epigrafe  POM,  a  destra  \m  del- 

fino in  rilievo  che  poi  si  rivede  in  incavo  nel  riverso  che 
è  incuso. 
7-10.  Quattro  dramme  coi  tipi  descritti:  l'epigrafe  è  PO/y\, 
POME,  POMES  :  nella  dramma  del  n.  7  è  un  dragone  ma- 
rino davanti  a  Nettuno  :  al  n.  8  edito  dal  Imhoof-Blumer 
sul  dritto  a  d.  è  scritto  [>50  ed  è  verosimile  che  vi  si 
debba  supplire  ayaXixa  11, 12.  In  altri  esemplari  a  sin.  del 
dritto  e  del  riverso,  in  alti'i  invece  a  destra  delle  due 
facce  si  legge  MJ^ì,  il  qual  nome  dal  Barthélemy  e  dall'Avel- 
lino si  crede  appellativo  del  fiume  l?  (Minervini,  III, 
p.  44)  :  ma  il  MiUingea  credette  probabile  che  fosse  l'ini- 
ziale di  Fistelia  confederata  con  Posidonia  [Consid.  p.  43). 
11-22.  Coli.  mia.  Il  tipo  costante  di  cotesti  didrammi  a  doppio 
rilievo  è  sul  dritto  Nettuno  barbato  o  imberbe  e  al  riverso 
il  toro  che  va  a  destra  o  a  sinistra.  Il  nome  della  città 
0  del  popolo  è  accorciato  d'ordinario  variamente,  talvolta 
però  e  intero.  Oltre  a  ciò  vi  sono  alcune  particolarità,  che 
si  noteranno  cominciando  dal  numero  seguente. 

11.  Il  delfino  che  segue  il  Nettuno  nel  dritto  si  ripete  nell'esergo 
del  riverso. 

12.  Fu  publicato  dall'Avellino  e  dal  Millingen:  ma  essi  non 
videro  la  testa  dei  pistrice  volta  in  su  ;  l'aveva  però  prima 
veduta  e  comunque  espressa  il  Carelli  (tav.  CXXVIII,  40) 
con  la  sola  leggenda  POZEIAANIA  al  riverso:  ma  essi 
non  conobbero  nella  leggenda  del  dritto  il  nome  del  dio 
POZEIAilN. 

13.  Il  pisti-ice  appare  ancor  qui,  ma  col  capo  volto  in  giù:  v'  è  inol- 

tre a  sin.  del  dritto  un  ramoscello  di  alloro  (cf  Carelli, 
tab.  CXXVIII,  42,  omessa  però  ogni  leggenda). 

14.  Le  due  lettere  5A  che  si  leggono  fra  le  gambe  di  Nettuno 

si  ripetono  fra  le  gambe  del  toro  al  riverso.  Conosco  un  se- 
condo esemplare  di  questo  didrammo  che  è  nel  Museo  di 
Vienna.  La  sua  significazione  qui  è  di  nome  proprio  di  un 
magistrato,  non  del  nume  e  neanche  di  una  città  confe- 
derata. 

15.  Il   nome   del   dio    si   legge   dal   lato    sinistro    del   dritto 

PO«EIAilN  (cf.  CoU.  Sant.  Calai,  n.  4393)  :  al  luogo  della 


parte  destra  è  un  delfino  e  questo  si  ripete  aU'esergo  del 
riverso  che  porta  scritto  sul  toro  P04EIAAN  ;  di  più  da- 
vanti al  toro  sorge  dalla  terra  un  ramoscello  di  alloro. 

16.  Qui  allato  al  dio  è  scritto  POSEIAA:  né  può  dirsi  che  vi 
stia  per  UocfeiSar,  non  avendosi  riscontro  di  questo  dorismo 
nelle  altre  monete,  che  sempre  leggono  PO?EIAilN  e  sempre 
PO«EIAANIA(TAN)  il  nome  del  popolo,  come  qui  al  ri- 
verso PO^EIAANI. 

17.  Quella  vocale  H  o  è  un  segno  monetale  oppure  un'iniziale 

di  nome  proprio  del  magistrato. 

18.  È  singolare  in  cotesto  nummo  la  leggenda  a  destra  POMES 

e  a  sinistra  ANSA.  A  me  pare  che  per  difetto  del  conio 
manchi  il  A  e  di  che  si  hanno  altri  ese'mpii.  Tal  è  nel  di- 
drammo al  n.  2  Ì3M  in  luogo  di  ia/AOH;  tale  nel  n.  4 
PO  ES  dove  manca  un  lA. 
19-22.  Ho  messi  insieme  i  quattro  esempii  da  me  veduti  del 
didrammo  che  credesi  portar  scritto  il  nome  del  fiume  Sole, 
quasi  che  vi  si  legesse  Seila.  Or  la  prima  sillaba  di  Sila 
è  breve  :  l'alfabeto  delle  monete  di  Posidonia  che  diciamo 
arcaico  e  dorico  distingue  costantemente  il  l^((jàv)  dal  A/\(,iiii), 
dando  a  questo  un  piede  a  sinistra  più  corto  di  quello  che 
è  a  destra.  Però  bisognerebbe  leggere  Meila  non  Seila:  ma  v'  è 
inoltre  il  lamda  che  qui  non  è  come  nell'alfabeto  delle  iscri- 
zioni arcaiche  diMolpa  e  Palinuro  (t.  CXVIII,  22)  e  della  vi- 
cina città  di  Lao  volto  in  giù  A,  ma  volto  in  su  -J,  la  qual  let- 
tera ha  il  valore  di  Y  e  se  si  attende  alle  punte  che  in  qualche 
esemplare,  come  nel  mio  sono  volte  in  dentro  e  danno  a  pen- 
sare che  siasi  voluto  scrivere  un  delta  dorico  Q,  V  (v.  tav.  118 
n.  3),  noi  avremo  un  Meida  e  non  un  Seila.  Dell'  I  dritto 
e  non  angolare  non  sono  sollecito,  perchè  anche  sulle  mo- 
nete di  Caulonia  si  vede  ora  nella  forma  dorica  5  ora  nella 
comune  e  gionica  I  (v.  la  tav.  CXI  n.  20,  22,  26). 


Tav.  CXXI. 

1.  Coli.  Santangelo  (PiorelH  Catal.  4339).  Nettuno  barbato  che 
lancia  il  tridente,  a  d.  un  delfino  e  in  un  esemplare  fra  le 
gambe  del  dio  è  un  T  (Imhoof-Bl.  Mann,  grecq.  p.  6).  R.  Toro 
volto  a  sin.  a  pie  di  una  stela  sormontata  da  un'urna. 
Nell'esemplare  del  sig.  Imhoof-Bl.  l' urna  è  scannellata 
e  inoltre  sull'imoscapo  della  stela  è  un  T:  di  sopra  del 
toro  POSESAANS  (cf.  Imhoof-Bl.  Choix,  pi.  Vili,  239 
pag.  5,  25). 

2.  Coli.  mia.  I  tipi  sono  i  medesimi  al  dritto  e  al  riverso  :  sol- 
tanto sulla  linea,  dove  Nettuno  poggia  i  piedi,  si  legge 
3J0n,  e  al  riverso  la  lettera  iota  è  dritta,  POSEIAANI, 
e  l'urna  è  a  sgusci  concavi  ;  intorno  aUa  pancia  a  pie 
della  stela  è  scolpito  un  T  che  manca  nell'esemplare  del 
n.  1  :  neU'  esergo  è  un  tonno.  A  sinistra  del  dritto  è 
graffito  un  H.  Pausania  narra  (L.  IX,  e.  XXX,  8)  che  ad 
una  ventina  di  stadii  da  Dio  verso  il  monte  vedovasi  una 
colonna  e  sopra  di  essa  un'urna  colle  ceneri  di  Orfeo.  Indi 
è  avvenuto  che  le  colonne  con  sopra  urne  fossero  consi- 
derate quali  monumenti  funebri.  La  lettera  T,  che  ora  si 
vede  tra  le  gambe  di  Nettuno,  ora  sull'imoscapo  della  stela, 


178 


LUCANIA  OCCIDENTALTS 


T.  cxxr 


sembra  che  non  debba  appartenere  al  simulacro,  ma  sia 
un  segno  monetale. 

3.  Coli,  mia  (cf.  Coli.  Sant.  Catal.  4387).  Nettuno  barbato  che 
lancia  il  tridente:  davanti  POSEIAA,  a  sin.  O.  fì.  Toro  volto 
a  sin.  di  sopra  ^flA^3MO  fra  le  gambe  del  toro  A.  È  da 
notarsi  l'uso  simultaneo  dei  due  alfabeti  il  dorico  arcaico, 
e  il  gionico  euclideo. 

4.  Coli.  Sant.  Testa  di  Giunone  con  capelli  sparsi  e  larga  mitra 
decorata  di  ippocampi  alati  posta  di  fronte,  i?.  Toro  volto 
a  sin.  tra  le  gambe  un  polpo,  di  sopra  nOW\EIAA. 

5.  Coli.  mia.  Ai  tipi  soliti  nel  dritto  v'  è  aggiunto  a  sin.  un  ramo- 
scello di  alloro:  l'epigrafe  legge  POSEI.  R.  Davanti  al  toro 
che  è  volto  a  d.  v'  è  ancor  più  un  ramoscello  di  alloro  e 
nell'esergo  il  delfino. 

6.  Coli.  mia.  L'epigrafe  nel  dritto  è  HOM  :  v'  è  il  ramoscello  a 

sin.  coi  soliti  tipi.  R.  Sul  toro  volto  a  sin.  si  legge  3/y\0  : 
nell'esergo  è  un  acino  d'orzo.  Non  si  creda  che  il  T  manchi 
nella  epigrafe  del  riverso  per  imperfezione  di  conio.  Esso 
è  stato  omesso  dall'incisore  del  conio,  di  che  avremo  ap- 
presso esempii  non  ambigui. 

7.  Coli,  mia  coi  tipi  soliti  :  il  ramoscello  d'alloro  ha  anche 
una  bacca  di  lauro  :  l' epigrafe  è  POM ,  ma  sul  toro  del  ri- 
verso si  legge:  AQA,  sicché  pare  siasi  scritto  AaA(/V\)  con 
la  y  rovescio,  come  s'incontra  talvolta  anche  nelle  monete 
di  Sibari,  fra  le  quali  è  opportuno  citare  dalla  Coli,  del 
duca  de  Luynes  questa  :  SAM.  Nettuno  vibrante  il  tridente 
a  d.  R.  Toro  gradiente  a  d.  coronato  dalla  Vittoria:  gr.  1,07. 
Nondimeno  questa  lezione  sarebbe  illusoria:  perchè  mi  è 
venuto  alle  mani  un  secondo  esemplare,  nel  quale  la  leggenda 
è  chiara  MOT  retrograda. 

8.  (Carelli,  lav.  CXXVII,  n.  19).  L'epigrafe  è  !W\  e  al  riverso 
av  che  facilmente  si  supplisce  flVM:  il  /\An  deve  essere 
stimato  un  errore  per  MOH.  Questa  confederazione  di  Posi- 
donia  con  Sibari  avrà  appresso  al  n.  17  un  altro  esempio. 

9.  Coli.  mia.  V  è  di  particolare  il  delfino  nel  dritto  che  oc- 
cupa il  posto  del  ramoscello,  la  leggenda  è  PO^EI  e  sul 
toro  del  riverso  fanno  la  prima  comparsa  due  O.  Tre  miei 
esemplari  pesano  gr.  0,76;  0,30;  0,25. 

10,  11.  Coli.  mia.  Scelgo  questi  due  pezzi,  nei  quali  oltre  ai  tipi 
e  alle  iscrizioni  che  si  leggono  negli  altri  v'  è  di  singolare 
il  numero  dichiarativo  del  valore  che  consta  di  due  linee 
orizzontali  ovvero  di  tre  linee  orizzontali  o  verticali.  Il  peso 
è  di  gr.  1,24;  1,25. 

12.  Coli.  mia.  Nettuno  che  vibra  il  tridente.  R.  Toro  volto  a  d. 
coronato  dalla  Vittoria. 

13.  Coli.  mia.  Nettuno  che  vibra  il  tridente  volto  a  d.  R.  Lo 
stesso  tipo  ma  volto  a  sin.  :  in  ambedue  le  facce  POM. 

14.  Coli,  mia  Nettuno  che  lancia  il  tridente  a  sin.  POSEI  a  d. 
un  T.  R.  Toro  gradiente  a  sin.  sopra  delfino. 

15.  Coli.  mia.  Nettuno   che  vibra  il  tridente,   dinanzi  MOH. 

R.  Toro  a  sin.  sopra  PO/A. 

16.  Coli.  mia.   Nettuno   che  vibra    il  tridente,   a  sin.  PO/y\. 

R.  Polpo. 

17.  Coli.  Santangelo  {Catal.  n.  4727)  Toro  volto  a  d.  sopra  OH 
nell'esergo  Ì3/\A.  R.  Due  patere  e  fra  loro  un  globoletto: 


di  sopra  V/V\,  di  sotto  ^A.  Può  essere  che  le  due  patere 
siano  segno  di  confederazione. 

18.  Museo  di  Monaco.  Nettuno  che  lancia  il  tridente  a  sin.  N\OP. 

R.  Un  globoletto  nel  centro  e  intorno  POMES  (cf.  ricreili, 
Mon.  ined.  11,  10). 

19.  Museo  di  Vienna  e  coli.  mia.  Nettuno  sul  ginocchio  destro 

lancia  il  tridente.  R.  OH  (cf.  Fox,  Greek  eoins  11, 14;  Poole, 
Catal.  267,  20). 

20.  Museo  di  Napoli.  Testa  di   Nettuno  barbato   volta    a   d. 

R.  Tre  lettere  che  vanno  in  giro  OME  (cf.  Poole,  Ca- 
tal. 270,  49). 

21.  Coli.  mia.  Testa  di  Nettuno  barbato  volta  a  d.  R.  La  epigrafe 
^3MOn  in  cerchio  (cf.  Piorelli,  Mon.  ined.  Ili,  9  dal 
Museo  di  Berlino). 

22.  Coli.  mia.  Il  tipo  è  lo  stesso,  ma  nel  riverso  si  legge  SMOH. 

23.  Coli.  mia.  Testa  giovanile  a  d.  dinanzi  ^3MOn.  R.  Ferro 

del  tridente  e  MflA^(3/r\on). 

24.  Coli.  mia.  Mezzo  toro  a  d.  7?.  Ferro  del  tridente. 

25.  Coli.  mia.  Mezzo  toro  volto  a  sin.  R.  Ferro  del  tridente. 

26.  Coli.  mia.  Protome  del  toro  a  d.  R.  Tridente. 

27.  Coli.  mia.  Nettuno  che  lancia  il  tridente  a  d.  dinanzi  mi 
delfino,  a  sin.  PO«EIAANI.  R.  Toro  a  d.  di  sopra  P0«EIAAN1 
e  sul  ventre  del  toro  una  mezza  luna  in  contromarca. 

28.  Lo  stesso  tipo  e  a  sin.  POSEIAAN.  R.  Toro  in  rilievo  dentro 

un  quadrato. 

29.  Coli.  mia.  Tipo  solito,  davanti  un  delfino  fra  le  gambe  un  A. 

R.  Toro  a  testa  levata  volto  a  d.  dinanzi  un  delfino,  fra 
le  gambe  un  P,  di  sopra  PO^EI  e  nell'esergo  AANIATAN. 

30.  Coli.  mia.  Tipo  solito  e  POSE  R.  Toro  che  cozza,  di  sopra 

un  delfino. 

31.  32.  Coli.  mia.  Nettuno  qual  Giove  fulminante  a  d.  dinanzi 

un  delfino,  a  sin.  PO^EIAA.  R.  Toro  cozzante  a  sin.  con 
la  coda  bassa,  di  sotto  un  polpo  :  nel  n.  32  l'epigrafe  è  al 
riverso  (nO)SElAA. 

33.  Nettuno  che  vibra  il  tridente  a  d.  dinanzi  POi.  R.  Toro 

cozzante  a  d.  di  sopra  un  caduceo. 

34.  Coli.  mia.  Nettuno  che  vibra  il  tridente  volto  a  sin.  R.  Toro- 
cozzante  a  sin.  con  la  coda  bassa  di  sopra  POìEI,  nel- 
l'esergo un  fulmine. 

35.  Coli.  mia.  Tipo  solito  a  d.  POSEI,   a  sin.  delfino.  R.  Toro 

cozzante  a  sin.  con  la  coda  bassa  di  sotto  un  polpo,  di 
sopra  POSEI. 

36.  (Millingen,  Suppl.  pi.  11,  3).  Testa  di  Pallade  con  elmo  at- 
tico coronato  di  olivo  volto  a  d.  R.  Nettuno  che  vibra  il 
tridente  e  a  d.  POSEl. 

37.  Coli.  mia.  La  testa  medesima  collo  stesso  riverso,  ma  quivi 
la  leggenda  è  PO^  I  E  in  vece  di  POi  El. 

38.  (Carelli,  tab.CXXIXn.81).  Testa  di  Pallade  come  nei  nn.  35 
e  36.  R.  Ferro  di  tridente  e  intorno  POiB. 

39.  (Carelli,  tab.  CXXIX,  82).  Nettuno  vibrante  il  tridente  a  d. 

R.  Corona  di  lauro. 

40.  Coli.  mia.  Nettuno  vibrante  a  d.  R.  Kamoscello. 

Non  ho  veduto  il  Nettuno  in  piedi  con  PO/AE5,  e  al  ro- 
vescio il  delfino  descritto  dal  Mionnet  I,  p.  185,  n.  623, 
del  peso  di  0,45. 


T.  GXXII 


LUCANIA  OCCIDENTALIS 


179 


PAESTUM 

L'antica  Posidouia  aveva  già  trasformato  il  nome  greco 
nel  barbaro  Paistum  impostole,  come  pare,  dai  Lucani,  clie 
da  padroni  l'abitavano,  allorché  i  coloni  Eomani  sottentra- 
rono nel  possesso  di  quelle  fertili  ed  amene  spiaggie  dedotti 
nel  481.  La  colonia  latina  coniò  ai-gento  e  bronzo  colla  epi- 
grafe PAISTANO  equivalente  nell'antico  latino  a  Paista- 
ìwm,  0  sia  Paestanorum.Ma  l'emissione  dell'argento  cessò  a 
quanto  sembra  nel  485,  soli  quattro  anni  dopo,  allor  che 
Eoma  aperse  legalmente  la  sua  zecca.  A  cotesti  quattro  anni 
bisogna  adunque  limitare  l'emissione  di  quelle  monete  di 
argento  e  per  conseguenza  le  corrispondenti  monete  di 
bronzo,  che  sono  regolate  sul  taglio  e  sul  peso  degli  oboli 
e  dei  didrammi  proprii  dei  Grreei  della  Campania  (ta?.  LXXI, 
41,  42). 

Il  sistema  analogo  al  romano  fu  dunqiie  in  Paestum  in- 
trodotto di  poi,  quando  erasi  ristretta  la  coniazione  coloniale 
al  solo  bronzo.  Le  prime  monete  devonsi  giudicar  quelle  che 
si  son  coniate  sul  sistema  sestantario  e  ritengono  la  orto- 
grafia arcaica  dell'Ai  invece  di  AE.  A  queste  serie  apparten- 
gono i  sestanti  e  le  once  e  forse  anche  i  semissi.  Al  si- 
stema onciale  si  adattano  le  serie  seguenti,  i  cui  spezzati 
iìnora  noti  sono  i  semissi,  i  trienti,  i  quadranti,  i  sestanti 
e  le  once,  che  ho  tentato  di  distribuire  ponendo  a  profìtto 
i  simboli  nelle  une  e  le  sigle  dei  nomi  propri  in  luogo 
dei  simboli,  come  si  è  fatto,  mettendo  in  ordine  la  moneta 
fusa  del  Lazio. 

Fu  un  tempo  in  che  il  Borghesi  come  egli  stesso  con- 
fessa seguì  il  Sestini  attribuendo  a  Pesto  le  monetine  che 
recano  sul  dritto  le  teste  di  Augusto  e  di  Tiberio  :  ma  poscia 
se  ne  pentì,  giudicando  che,  caduta  la  libertà  dopo  la  guerra 
sociale  non  si  ebbero  più  monete  municipali  in  Italia  {Let- 
tera, 19  dee.  1849;  Oeuvr.  voi.  Vili  p.  209). 

Ciò  sarebbe  forse  vero,  se  constasse  che  tutta  l'Italia 
si  fosse  decisa  di  accettare  la  piena  cittadinanza  romana.  Or 
egli  è  certo  e  dimostrato  che  le  predette  monetine  uscirono 
dalla  zecca  pestana,  portando  esse  l'epigrafe  P  •  S.,  cioè  Pae- 
sti  signatum;  d'altra  parte  non  può  cader  dubbio  sulla  ima- 
giue  di  Tiberio,  attestando  i  monetieri  L.  Celio  Clemente 
e  L.  Giulio  Felice  di  essere  suoi  Flamini-;  Augusto  anche 
è  determinato  dal  lituo  di  augure,  il  qual  sacerdozio  gli  fu 
decretato  dal  Seuato  sin  dal  706  (Ecidi.  VI,  73,  74). 

Vi  ebbero  adimque  monete  e  zecche  neUe  città  che 
ritennero  colla  libertà  le  proprie  leggi  dopo  la  guerra  sociale 
e  persino  nei  primi  decenni  dell'impero.  Del  resto  non  si  può 
dire  caduta  la  libertà  se  non  per  quei  municipii  che  accet- 
tarono la  piena  cittadinanza  romana,  fino  a  tanto  che  si  con- 
servò un  simulacro  di  republica  dai  due  imperatori.  Augusto 
e  Tiberio.  I  tipi  delle  monete  sembrano  da  principio  fis- 
.  sati  dal  senato  di  Pesto,  poscia  lasciati  liberi  ai  magistrati 
della  zecca. 
41.  CoU.  Santangelo  e  Museo  di  Monaco.  Testa  giovanile  dia- 
demata volta  a  sin.  dinanzi  PAISTANO.  R.  I  due  Dioscori 


cavalcano  correndo  a  sin.  l'un  d'  essi  leva  in  alto  la  destra, 
l'altro  porta  un  ramo  di  palma:  in  alto  rifulgono  le  loro 
stelle.  È  da  notarsi  la  pelle  di  pardo  o  di  pantera  che  copre 
il  dorso  del  primo  cavallo. 

42.  Testa  giovanile  coronata  di  canna  volta  a  sin.,  dietro  la  nuca 

un  simpulo  preso  finora  per  un  uccello,  che  il  Millingen 
chiama  cigno  {Consid.  p.  235).  /?.  I  due  Dioscori  che  caval- 
cano a  sin.,  vi  si  vede  una  stella,  ambedue  portano  il  ramo 
di  palma.  Il  Millingen  dice  che  uno  di  essi  porta  il  ramo 
di  palma  al  quale  è  sospesa  una  corona.  Crede  poi  che  la 
testa  del  dritto  sia  quella  del  fiume  Sele:  tra  le  gambe 
dei  cavalli  vi  si  legge  MEC  in  mon.  mal  letto  finora.  Il  peso 
di  coleste  monete  va  da  gr.  7,18  a  7,01  che  però  non  si 
dipartono  dal  sistema  greco  campano  della  antica  Posidonia. 

43.  Coli.  mia.  Testa  di  Nettuno  laureata  volta  a  d.  dietro  la 
nuca  P.  R.  Eroe  che  cavalca  il  delfino  volto  a  sin.  por- 
tando sulla  destra  la  Vittoria  che  il  corona  e  nella  sin. 
un  tridente:  di  sotto  PAISTANO. 

44.  Coli.  mia.  Museo  di  Monaco.  Testa  di  Nettuno  laureata  a  d. 

dietro  la  nuca  un  delfino.  R.  Erote  alato  che  cavalca  il  delfino, 
a  sin.  il  tridente:,  di  dietro  talvolta  A/,  di  sotto  PAISTANO. 
Il  Mommsen  stima  cotesti  bronzi  divisioni  dello  statere 
corrispondenti  alle  ordinarie  divisioni  del  denaro  {H.  de 
la  m.  Ili  187). 


Tav.  CXXII. 

1,  2.  Museo  Kircheriano,  n.  2.  Coli.  mia.  Testa  di  Nettuno  dia- 
demata: alla  nuca  la  nota  delle  due  once.  R.  Delfino,  di 
sopra  la  nota  predetta,  di  sotto  PAIST. 

8.  Coli.  mia.  Testa  giovanile  coronata  di  canna  a  d.  alla  nuca 
la  nota  di  un'oncia  e  mezzo,  •?.  R.  Cane  che  corre  a  d. 
di  sopra  la  nota  medesima,  di  sotto  PAIS. 

4.  Coli.  mia.  Testa  di  Diana  eoll'arco   e  la  faretra  al  collo. 

R.  Spiga,  a  sin.  la  nota  dell'oncia,  a  d.  PAIS. 

5.  Coli.  mia.  Testa  laureata  di  Nettuno  :  colla  nota  S  alla  nuca 
e  talvolta  anche  il  tridente.  R.  Ferro  di  tridente,  a  sin.  la 
stessa  nota  S,  a  d.  Q:  di  sotto  PAIS.  Pesa  gr.  4,20;  5,00. 
Sembra  doversi  assegnare  ad  una  maggiore  unità  del  peso 
di  gr.  9;  9,30. 

6.  Testa  velata  di   Cerere   e  la  voce  PAIS  in  monogramma. 

R.  Doppia  spiga  di  grano  e  l'epigrafe  P-ASVI  Illj-VIR. 

7.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  coronata  di  edera  a  d.  dietro  alla 
cervice  la  nota  del  triente  •  o  d  • .  R.  Cornucopia,  la  nota 
predetta  PAIS  e  il  caduceo  insegna  del  magistrato  monetale. 

8.  Coli.  mia.  Testa  di  Nettuno  diademata  e  la  nota  del  qua- 
drante 9  e  • .  R.  Delfino,  la  stessa  nota,  PAIS  e  il  caduceo. 

9.  Coli.  mia.  Testa  di  Cerere,  a  sin.  la  nota  del  sestante  »  • . 

il.  Cignale,  nota  medesima,  PAIS  e  il  caduceo. 
10.  Coli.  mia.  Testa  di  Diana  con  faretra  al  collo.  B.  Spiga, 
nota  dell'oncia  PAIS,  e  il  caduceo.  Ho  insieme  unite  coteste 
monete  (un.  7-10)  giovandomi  della  insegna  del  caduceo. 
Do  inoltre  dal  n.  12  al  15  un  esempio  di  nome  del  magi- 
strato che  si  ripete  su  tutti  gli  spezzati  della  serie  seguente 
(nn.  12-15),  serie,  che  non  si  era  composta  finora  da  veruno. 

23 


180 


LUCANIA  OCCIDENTALIS 


T.  C5XII 


11.  Coli.  mia.  Testa  di  baccante  o  di  Bacco  a  d.  coronata  di 
edera  :  alla  nuca  la  nota  del  triente.  R.  Cornucopia  e  qualche 
segno  monetale,  come  qui  ramo  di  palma,  a  d.  PAIS,  a  sin. 
la  nota  del  triente.  Al  modo  medesimo  che  ho  adoperato 
per  la  serie  insignita  del  caduceo,  può  farsi  con  altre  serie 
i  cui  segni  siano  ripetuti  nelle  frazioni  inferiori  e  la  epi- 
grafe vi  corrisponda  con  la  ortografia  sempre  la  stessa  che 
nella  maggiore  unità  che  qui  è  il  triente. 

12-15.  Coli.  mia.  Questa  serie  in  luogo  del  segno  monetale 
porta  il  nome  del  magistrato,  che  si  vede  ripetuto  per  tutti 
gli  spezzati  inferiori.  I  tipi  dei  quali  sono  quei  medesimi 
che  si  hanno  nella  serie  insignita  di  un  caduceo.  Il  ma- 
gistrato è  Q.  'V^- 

16.  Coli.  mia.  Testa  di  Cerere  coronata  di  spighe  a  d.  /?.  Mezzo 
cignale  con  un  delfino  accostato  al  ventre  nel  senso  del 
taglio  verticale:  di  sopra  PAIS,  di  sotto  la  nota  del  sestante. 
Questo  bronzo  è  fuor  di  serie,  ma  non  si  può  metter  dopo, 
perchè  fra  i  pezzi  che  portano  i  segni  di  valore  non  ve  n'  è 
altro  che  conservi  l'arcaismo  di  PAIS.  Il  semisse,  l'oncia  e 
mezzo,  l'oncia  che  ho  posti  in  cima  (nn.  3,  4,  5)  forse  corri- 
spondono con  esso,  ma  non  serbano  i  tipi  delle  serie  coi 
segni  monetali,  ovvero  coi  nomi  dei  magistrati  dichiarati 
di  sopra. 

17.  Coli.  mia.  Da  cotesto   numero  al  n.  19  si  hanno  i  bronzi 

che  cangiano  PAIS  in  PAES.  Essi  sono:  Testa  di  Nettuno 
laureata  a  d.  dinanzi  al  mento  S.  R.  Ancora  e  AA  •  AFIMAF 
in  mon.  indi  a  d.  PAES. 

18.  Coli.  mia.  Testa  di  Diana  con  faretra  al  coUo.  R.  Mezzo 
cignale  col  delfino  accostato  al  taglio  verticale,  di  sotto  la 
nota  del  sestante,  di  sopra  PAES. 

19.  Coli.  mia.  Elefante  africano  e  nell'esergo  PAES.  R.  Cornu- 

copia lemmiscato  a  sin.  la  nota  del  triente  a  d.  A\F  (VF  in 
mon). 

20.  Coli.  mia.  Clipeo  macedonico,  dentro  un  periato,  nel  cui 
spazio  circolare  si  leggono  le  lettere  PAEST  e  nel  basso 
v'  è  la  nota  del  triente.  R.  Cornucopia  e  fulmine.  Il  PAEST 
non  ha  altro  riscontro. 

21.  CoU.  mia.  Leone  che  rugge  agognando  alla  preda,  di  sotto 
v'  è  la  nota  del  triente.  R.  Cornucopia  e  accanto  un  segno 
monetale  che  qui  è  un  pileo  con  sopra  quattro  globoletti  di- 
sposti a  modo  di  astro.  A  d.  la  nota  del  triente,  a  sin.  PAES. 

22.  CoU.  mia.  Seguono  quei  bronzi  che  scrivono  PAE.  Essi  sono 
cinque.  Cignale  che  porta  infisso  il  venabolo  presso  l'orec- 
chio sinistro,  tra  le  gambe  S,  nell'esergo  PAE.  R.  Vaso  con 
un  lituo:  indi  L.  ARTVE  C.  COMIN  IT-  VIR.  Non  ho  veduto 
che  un  solo  esemplare  nel  Museo  di  Parma,  nel  quale  come 
in  cotesto  mio  si  legge  ARTVE  che  compiremo  supplen- 
dolo Artuenus. 

23.  Coli.  mia.  Testa  di  PaUade  con  elmo  corinzio  a  d.  di  dietro  S 
.  nota  del  valore,  a  d.  PAE.   R.  Mani  in  fede  fra  U-  FJO 

e  L.S^. 

24.  Coli.  mia.  Edifizio  esastilo  sotto  al  quale  è  scritto  QVI  : 
a  sin.  PAE ,  a  d.  S  nota  del  valore.  L' edifizio  può  ben 
essere  un  Quirinal  o  sia  edifizio  sacro  a  Quirino.  R.  Den- 
tro corona  di   lauro  si  legge  CN  •  COR  M  •  TVC   PATR.  A 


Cneo  Cornelio  e  M.  Tuccio  patroni  della  colonia  fu  affidata 
la  emissione  del  bronzo. 

25.  Coli.  mia.  Testa  muliebre  coi  capelli  annodati  in  ciuffo  sul 
vertice  e  le  ali  al  collo  volta  a  d.,  ivi  PAE.  R.  Palma  e 
corona,  da  basso  Q-  TRE-  II-  VIR. 

26.  Coli.  mia.  Testa  barbata  diademata  volta  a  d.,  alla  nuca  la 
nota  del  quadrante.  R.  Delfino  e  tonno  nel  mezzo,  di  sopra 
la  nota  medesima,  di  sotto  PAE. 

27.  Coli.  mia.  Comincia  di  qua  il  nesso  dell'  A  nel  nome  deUa 
città  :  v'  è  da  prima  di  più  un  S  che  poi  si  omette.  Qui 
il  gruppo  del  PAS  è  simile  a  quello  che  abbiamo  nel  n.  6 
dove  r  S  è  congiunto  all'  A  per  mezzo  dell'  I  :  qui  invece 
è  sovrapposto  all' A  per  mezzo  dell'asta  orizzontale  supe- 
riore dell'  E.  Testa  di  Ercole  con  la  pelle  del  leone.  R.  Clava 
fra  Q- CEP  e  PE  ■  ili  •  TOL.  Pesto  non  ebbe  che  quattroviri 
0  duumviri  per  magistrato  supremo.  Né  poi  in  Pesto  si 
trova  omesso  il  VIR  dopo  il  II  o  il  INI.  rimane  però  che 
questo  111  sia  tertium  o  tertio  e  Tol  si  debba  supplire  tolit 
0  sia  tulit,  forse  perchè  per  la  terza  volta  gli  fu  affidata 
dal  popolo  la  sopraintendenza  della  zecca. 

28.  (Carelli  CXXXl  31).  Testa  di  Pallade  con  elmo  corinzio,  di 
sotto  PAS.  R.  Cigno  e  di  sopra  M  •  SAL  C  ■  PEL.-  Il  Kohne 
(Funfzig  ani.  Munz  der  v.  Rausohschen  Muntzsammlung 
Berlin,  1843  (taf.  1,  n.  3)  publica  un  nummo  simile  che  ha 
per  dritto  le  teste  dei  Dioscori,  e  PA  e  al  riverso  il  cigno 
con  le  epigrafi  hEL..CAL. 

29.  Coli.  mia.  Testa  di  Pallade  con  elmo  corinzio  volta  a  d. 

dietro  alla  nuca  S ,  a  d.  PAS.  R.  Timone  fra  M.  OCT  UH  VIR. 

30.  Coli.  mia.  Testa  muliebre  volta  a  d.  davanti  S,  a  sinistra 
QVIN  PAS,  cioè  Quinquennales.  Paesti.  I  nomi  di  cotesti 
quinquennali  sono  al  riverso  M-  SAL  C  PEL  in  corona  di  al- 
loro. A  costoro  si  appartiene  l'altro  semisse,  che  ho  dato 
al  n.  28. 

31.  Coli.  mia.  Testa  di  Nettuno  laureata  volta  a  d.  col  tridente 
presso  al  collo  e  S  nota  del  valore.  R.  Prora  di  nave  a  d. 
fra  due  delfini:  di  sopra  CN-'EV,  di  sotto  PAS. 

32.  Coli.  mia.  Due  clipei  elittici  decussati  :  di  sopra  C.  AX ,  a 

sin.  UH,  di  sotto  VIR.  R.  Cignale  che  corre  a  destra  a  bocca 
aperta,  di  sotto  PA.  Si  è  publicato  dall'Avellino  sull'esem- 
plare del  Museo  Borbonico,  ma  egli  non  ne  intese  l'epigrafe 
del  dritto. 

33.  Coli.  mia.  Grotto  fra  un  ramoscello  di  lauro  e  un  ramo  di 
palma.  R.  Ancora,  a  sin.  PA,  a  d.  S. 

34.  Coli.  mia.  Sedia  detta  faldistorio  e  PA,  nell'esergo  quattro 
globoletti.  R.  Fasci  con  la  scure  fra  le  epigrafi  L  S,  M.SS. 

35.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  a  d.  dietro  quattro  globetti.  R. 

Cornucopia  lemniscate,  a  sin.  CN-  'EV,  a  d.  PA.  Il  Sestini 
{Descr.  20,  21)  sbaglia  trascrivendo  EV  in  luogo  di  "EV  e 
figurando  la  testa  di  Apollo. 

36.  Coli.  mia.  Donna  che  sedendo  a  sin.  dentro  un'  edicola 
legge:  ad.  MENS,  a  sin.  BONA.  R.  Nel  mezzo  PA  e  S; 
intorno  N  GAVIL  M- MARCI  TT  VIR. 

37.  Donna  assisa  a  d.  dentro  un'  edicola  che  legge  in  un 
papiro  svolto:  a  sin.  AAENS,  a  d.  BONA.  R.  Intorno  W\. 
MARCI -/V- CAVI  HVIR,  nel  centro  PA,  S.  Di  cotesti  bronzi 


T.  CXXITI 


LUCANIA  OCCIDENTALIS 


male  interpretati  perchè  inai  letti  ho  trattato  particolar- 
mente nella  Civ.  Catt.  (qnad.  716  pag.  203,  204)  dove 
ho  dimostrato  l'errore  del  Gerhard  che  ha  letto  BONA  DEA 
e  creduto  di  redervela  figurata.  Ora  al  Gerhard  debbo  ag- 
giungere il  Cavedoni,  che  lo  ha  preceduto  {Saggio  18, 19), 
indotto  in  errore  dallo  stesso  Mionnet  (5wpp/.  n.  737-45  ecc.), 
donde  il  Gerhard  trasse  la  falsa  lezione. 
38,  39.  Coli.  mia.  Ancora,  in  cima  S;  a  d.  L-  \EbE,  a  sin.  PA.  R. 
Timone,  a  d.D. FAD,  a  sin.  EPVL P: nel  n. 39  D-  FAD  EPVL  DED. 

40.  Coli.  mia.   Cornucopia,  a  sin.  quattro  globetti,  a  d.  L.  \f . 

E.  FA  POlT. 

41.  (Carelli,  GXXXIV  n.  81).  Cignale  che  corre  a  d.  sopra  due 
globetti,  sotto  PAES.  R.  FA)  PolST. 


tav.  cxxni. 

1.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  a  d.  E.  Maiale  volto    a  sin.  di 

sopra  PA,  nell'esergo  la  nota  di  sestante. 

2.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  a  d.  dinanzi  L  •  A/1  PR.  E. 
Maiale  a  d.  di  sopra  PA  nell'esergo  la  rota  del  sestante. 

3.  Coli,  mia  Testa  di  donna  a  d.,  dinanzi  PAE.  E.  Maiale  a 

d-,  di  sopra  PA,  nell'esergo  la  nota  del  sestante. 

4.  (Minervini  Oss.  p.  128  T.  V  n.  7).  Testa  di  Ercole  giovane 
con  la  pelle  di  leone.  E.  Testa  di  cignale:  di  sopra  la 
nota  di  sestante,  di  sotto  PA.  Altra  simile,  omessa  l'epi- 
grafe, si  è  stampata  dal  Piorelli,  Oss.  p.  52  t.  I  n.  23. 

5.  6.  Collezione  mia.  (n.  5).  Staterà  messa  e  bilicata  sulla  punta 

di  xm  palo  sostenuto  fermo  da  due  stanghe  opposte  :  in  una 
delle  due  lance  v'è  il  sacco  del  metallo  da  pesare,  nell'altra 
il  peso  :  di  sopra  vi  si  legge  :  Q.  LAVR  (AVR  in  mon.)  PR,  nel- 
l'esergo PA.  E.  Due  operai  uno  che  par  comandi,  l'altro,  che 
sta  in  atto  di  coniare  sull'incudine  a  colpi  di  martello  :  di 
sopra  D  S  S,  a  sin.  MIL,  nell'esergo  S.  Nel  n.  6  v'è  la  sola  dif- 
ferenza della  formola  SPDD  invece  di  (SP)DSS.  11  nome  del 
pretore  Q.  Laurenlius  non  fu  bene  espresso  dal  Blacas  che 
nel  frontispizio  della  Uisloire  de  la  monnaie  t.  I  pose: 
Q  ■  LAR  •  PR.  La  formola  suindicata  si  leggerà  Signatum 
Paesti  Decreto  Decurionum,  ovvero  Signatum  Paesti  De  Se- 
natus  Sententia  e  dal  conft-onto  si  dedurrà  che  il  Senato 
si  è  quello  di  Pesto,  i  membri  del  quale  più  comunemente 
si   appellano  decurioni. 

7.  Coli.  mia.  Teste  congiunte  dei  due  Dioscori  enti-o  corona 
volti  a  d.  a  sin.  C  ■  LAI.  E.  Spiga  ira  due  globetti  e  la 
leggenda  bEX  XXXX.  Si  è  letto  finora  e  si  legge  tuttavia 
LEX,  ma  sta  di  fatto  che  nel  mio  ben  conservato  esem- 
plare la  prima  lettera  è  un  b  e  non  un  L.  La  stessa  le- 
zione chiara  e  netta  mi  dà  mi  esemplare  del  Museo  San- 

.  tangelo.  Pare  che  siasi  battuto  questa  volta  il  bronzo  col 
metallo  raccolto  per  una  imposta,  che  qui  si  dice  la  qua- 
dragesima, simile  in  ciò  alla  tassa  detta  quadragesima  Gal- 
liarum.  Il  monogramma  precedente  composto  di  due  L  deve 
dissimxilare  una  formola,  p.  e.,  lege  lata. 

8.  CoU.  mia.  L-ARTV  C- COMI  T\  VIR  la  quale  epigrafe  è  ri- 
petuta al  riverso.  Eicorre  qui  il  L.  Artuenus  e  il  C.  Co- 
minius  del  bronzo  22  tav.  CXXII. 


9.  Coli.  mia.  Testa  diademata  a  d.,  dietro  la  nuca  im  globetto 

E-  Ferro  di  tridente.  Il  nome  etnico  manca. 

10.  Coli.  mia.  Delfino.  E.  Ferro  del  tridente.   Manca  il  nome 

della  città. 

11.  CoU.  mia.  Ampolla  di  olio  pel  bagno  o  la  palestra.  E. 
Striglie.  Manca  il  nome  di  Pesto. 

12.  Coli.  mia.  Svargah^y-vdov,  ossia  ampolla  e  striglie.  E.  Eamo 

di  palma  e  fiore  gigliaceo. 

13.  Coli.  Santangelo  {Catalogo  4604).  Testa  di  Minerva  (P)AE. 

E.  Caduceo  fra  due  lettere  NI. 

14.  15.  Coli.  mia.  Testa  di  donna  coi  capelli  raccolti  alla  cer- 
vice volta  a  d.  e  al  n.  15  a  sin.  M!^EIA  •  W\  ■  F.  E.  Edi- 
fizio  con  porta  finestre  e  doppia  gronda  l'una  in  capo  al 
piano  terreno  e  l'altra  sul  piano  superiore;  a  d.  e  a  sin. 
P  S  S  C,  cioè  Paesti  signatum  Senalus  consulto.  Comincia 
di  qua  la  nuova  formola  S  C  senatus  consulto,  e  deve 
intendersi  che  fosse  il  Senato  pestano. 

16.  Parigi,  Gab.  delle  medaglie  (Mom.-Blac.  H.  de  la  mon. 
Ili  p.  220).  Testa  di  Augusto  volta  a  sin.  e  ha  dinanzi 
il  lituo  augurale.  E.  Intorno  una  laurea  e  dentro  in  giro 
M  ■  EGNATIVS  •  Q  •  OCTAVI(VS  II  VIR):  nel  mezzo  PAE2  (PAE 
in  mon.)  S  ■  S  •  C.  Il  P  ■  quindi  si  è  con  sicurezza  spiegato  Pae- 
sti e  in  conseguenza  1'  S,  si  è  ben  interpretato  Signatum. 

17.  Coli.  mia.  Testa  nuda  di  Augusto  volta  a  d.  dinanzi  è  il 
lituo  augurale.  E.  Cerere  assisa  con  patera  nella  d.  e 
groma  agrimensorio  al  quale  si  appoggia  colla  sin.  intorno 
si  legge:  C  ■  LOLLl  M-  DOI  II  VIR;  nell'esergo  PSSC. 
Non  è  stata  mai  finora  definita  la  natura  dell'asta  che  la 
dea  ha  nella  sinistra;  ora  ben  osservata  si  scorge,  che  ha  in 
cima  il  decusse,  ossia  groma,  del  quale  rimangono  due  sole 
estremità  nel  conio.  Il  Gerhard  non  ha  quindi  ragione  di 
averlo  definito  per  imagine  della  Bona  Dea  fAbandl.  der 
Beri.  Akad.  1847,  t.  II  p.  471  segg.). 

18.  Coli.  mia.  Testa  laureata  volta  a  sin.,  dinanzi  il  lituo  au- 
gurale. E.  Lam-ea  e  dentro  Q  •  OCT  /V\  ■  EGN  -li  VIR  ■  S  • 
P  •  S  •  C.  In  altro  mio  esemplare  il  nome  del  duumviro 
M  ■  EGN  precede  quello  del  collega  Q  •  OCT. 

19.  Coli.  mia.  Testa  laureata  volta  a  d.,  davanti  il  lituo  augu- 
rale. E.  Laurea  colla  epigrafe  del  n.  18. 

20.  Coli.  mia.  Testa  nuda  di  Augusto  a  d.,  dinanzi  il  lituo  au- 

gurale. E.  Diana  con  lancia  ed  arco  e  faretra  sull'omero 
sinistro.  Intorno  C  •  LOLLl  M  •  DOI  iT  VIRI  (IR  in  mon.)  ITE: 
nell'esergo  P  •  S  ■  S  •  C . 

21.  Coli.  mia.  Testa  di  Tiberio  laureata  volta  a  d.  in  mezzo 
alle  sigle  PS  SC.  E.  Vittoria  con  palma  e  corona  a  d., 
intorno  L  •  LICIN(IVS  ll)VIR. 

22.  Coli.  mia.  Testa  laureata  di  Tiberio  a  d.  e  ivi  P  S  a  d. 
S  C.  a  sin.  E.  Marte  con  elmo,  asta  e  parazonio:  intorno 
A  \ERGILI  (OP)T  II  VIR. 

28.  Coli.  mia.  Testa  laureata  volta  a  sin.  fra  le  lettere  a  sin. 
S  C  P  S.  In  altro  esemplare  la  testa  è  volta  a  d.  e  le  let- 
tere sono  a  sin.  P  S,  a  d.  S  C.  R.  Marte  con  elmo,  vessillo 
militare  e  parazonio:  intorno  A  ■  \£RGILI  OPT  II  VIR. 

24.  Parigi,  Gab.  delle  medaglie.  Testa  laureata  di  Tiberio  a 
d.  e  P  S  S  C.  R.  Pileo  flaminico  e  intorno  L  •  CAEL  •  CLEM  ■ 


182 


LUCANI 


T.  CXXIY 


FLA  TI  •  CAESAR.  Il  Borghesi  lesse  male  (Oeuvr.  Voi.  Vili 
p.  239)  TI  •  CAESI  •  L  ■  CAEL  •  CLEM  •  FLA  e  però  tenne  L. 
Celio  per  flamine  di  Augusto  che  vi  sottintese;  e  non  po- 
tendo ammettere  piìi  di  un  flamine,  dichiarò  doversi  an- 
che sottintendere  che  L.  Celio  con  Tiberio  Cesio  fossero 
duumviri. 
25.  Museo  di  Napoli.  Testa  laureala  di  Tiberio  a  d.  e  P  S  S  C. 
R.  Quadriga  volta  a  sin.  :  intorno  :  L  ■  IVL  •  FEL  •  FLA  •  TI  • 
CAESAR  •  AVG.  Al  Carelli  non  riesci  divinare  il  soggetto  del 
riverso  (Tab.  CXXXV  n.  110)  e  neppure  la  iscrizione.  Il 
Cavedoni  ha  poi  richiamata  qui  la  interpretazione  delle 
sigle  P  S,  che  è  Plebi  Scito  data  da  lui  nel  Bull.  arch. 
napol.  II  p.  118  ;  ma  ora  sappiamo  che  P  è  sigla  del  nome 
della  città,  e  però  S  non  si  spiega  scita,  ma  signatum. 

LUCANI 

La  tribti  dei  Lucani  stanziò  in  prima  alle  radici  del  Gar- 
gano in  quelle  terre  che  poi  occuparono  gli  Atinati  (Plin.  Ili, 
IX,  II),  notizia  dataci  dal  solo  Plinio.  Indi  mossero  guidati, 
si  crede,  da  un  Lucio  (Plin.  Ili,  X,  1).  I  Latini  dissero  la 
loro  terra  LOVCANA  {Syll.  889) ,  i  Greci  generalmente 
li  chiamano  XavxavoC,  essi  appellansi  XovxavoC  e  Ivxiavoi. 
Fortunati  nelle  conquiste,  erano  giunti  a  Lao  nelP  anno 
328,  con  che  Aatioco  siracusano  dà  termine  alla  sua  storia: 
trent'  anni  dopo,  quando  nel  359  i  Greci  della  Enotria  e 
quei  del  golfo  di  Taranto  conchiudono  fra  loro  un' alleanza 
difensiva  contro  Dionigi  il  vecchio,  vi  aggiungono  ancora 
questi  nuovi  loro  nemici,  i  Lucani.  L'anno  362  i  Turii  furono 
i  primi  che  mossero  contro  e  diedero  loro  battaglia  presso 
il  sepolcro  di  Dragone  nelle  vicinanze  di  Lao,  la  quale 
città  i  Lucani  intendevano  stringere  di  assedio:  Bovló^asvoi, 
scrive  Diodoro  (XIV,  101)  Aùov  rcòXiv  svSai'iiora  nolioQxrj- 
am.  Ma  i  Turii  si  ritirarono  battuti  e  i  Lucani  procedendo 
oramai  senza  ostacoli  distesero  il  loro  dominio  occupando  da 
un  lato  Posidonia  circa  il  363  e  dall'altro  allargando  le  loro 
conquiste  verso  il  golfo  di  Taranto.  Questo  stato  di  cose 
durò  fino  al  399,  nel  quale  una  parte  dell'esercito  rivolse 
contro  loro  le  armi  e  guadagnata  la  battaglia  si  resero  in- 
dipendenti e  si  diedero  il  nome  di  Brezzii.  I  Lucani  allora 
si  volsero  alle  città  greche  indebolite  pei  danni  loro  fatti 
dal  vecchio  Dionisio  e  dopo  varie  vicende  di  guerra,  nelle 
quali  vennero  in  loro  difesa  il  re  spartano  Archidamo  e  Ales- 
sandro il  Molosso,  nel  429  riuscirono  ad  impadi-onirsi  di 
Eraclea,  di  Pandosia  e  di  Crimissa,  avanzandosi  fin  sotto 
le  mura  di  Metaponto,  ma  ne  furono  respinti  dal  valore 
di  Cleonimo.  V'è  un  didramma  che  porta  il  nome  AOYKA 
(tav.  CXXIII,  26)  invece  di  META  come  in  altro  simile 
di  Metaponto  (CIV,  18).  A  cotesta  moneta  il  sig.  Imhoof- 
Blumer  ha  stimato  che  si  dovessero  aggiungere  altre  due, 
portanti  lo  stesso  tipo  (CXXIV,  2,  3),  se  non  che  l'elmo 
della  Pallade  è  attico  e  la  leggenda  AYK  in  monogramma. 
Stando  alle  note  regole,  credo,  che  la  prima  si  debba 
considerare  quale  alleanza  con  Metaponto,  e  mi  pare  che 
nelle  altre  vi  abbia    parte    anche    Turio,    argomentandosi 


dalla  Pallade  di  Tm-io  e  dalla  spiga  di  Metaponto.  Del 
resto  i  Lucani  coniano  il  solo  bronzo  e  a  nome  della  na- 
zione dividendo  la  maggiore  unità  in  quarte  e  ottave 
parti. 

26.  CoU.  Dupré  a  Parigi.  Testa  di  Pallade  con  lunghi  capelli 
annodati  coperta  di  elmo  corinzio  volta  a  d.  R.  Spiga  di 
grano  dalle  cui  foglie  spicca  il  volo  un  uccello;  a  sin. 
AOYKA. 

27.  Testa  della  Vittoria  volta  a  sin.  R.  Giove  con  scettro  nella 
sin.  fulminante  a  d.  :  di  dietro  AOYKANO/V\. 

28.  Testa  della  Vittoria  coronata  di  palma  coi  capelli  legati 
in  ciuffo  sul  vertice  coi  pendenti  agli  orecchi  volta  a  sin., 
dinanzi  NIKA.  R.  Giove  con  scettro  nella  sin.  fulminante 
a  d.  :  presso  alla  testa  lEVS,  a  sin.  AOYKANO/V\.  L'at- 
titudine del  Giove  è  quale  si  conviene  a  chi  vuol  lanciare 
con  effetto,  e  come  Omero  scrisse  di  Ettore,  che  dando 
un  gran  passo,  perchè  gli  andasse  bene  il  colpo,  scagliò 
la  grossa  pietra:  {II.  XII,  458):  Ev  dia^àg  Iva  /i-i}  ot 
ù<favQÓ%SQOv  ^éXog  ili]. 

29.  Il  tipo  è  lo  stesso  che  nel  n.  28  :  ma  vi  si  legge  soltanto 
AOYKANOM. 

30.  Coli.  Sant.  (Cato/.  3451).  Testa  di  Minerva  a  sin.  con  elmo 
corinzio.  R.  Civetta  e  intorno  AOYKANOM. 

31.  Nel  Kircheriano.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  R. 
Aquila  sul  fulmine  quasi  di  prospetto  e  ad  ali  aperte: 
intorno  AOYKANOM. 

32.  Testa  di  Marte  volta  a  sin.    R.  Vittoria  con   palma   nella 

sin.  che  corona  im  trofeo. 

33.  Testa  di  Marte  con  grifo    sulla   cocca  dell'elmo  corinzio. 

R.  Donna  in  doppio  chitone  ornata  di  elmo  trifale,  imbrac- 
ciando un  clipeo  eoa  la  lancia  rivolta  a  terra  e  appoggiata 
al  braccio  sinistro  muove  il  passo  a  d.  e  volta  di  pro- 
spetto pare  inviti  i  Lucani  a  seguirla  :  a  sin.  AOYKANOM. 
La  maniera  d'imbracciare  lo  scudo  tenendolo  fermo  colla 
destra  dimostra  vera  la  congettura  del  Cavedoni  [Bull. 
cit.  p.  200)  che  Pallade  voglia  spaventare  i  nemici  col 
fulgore  di  quella  sua  arma  (Virg.  Aen.  IX.  733). 


Tav.  CXXIV. 

1.  Mia  Coli.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  munito  di  ale 

e  coronato  di  laurea  volta  a  d.  R.  spiga  di  grano  e  in- 
segna di  una  clava  posta  sopra  una  foglia  del  gambo.  Questo 
nummo  al  pari  dei  due  seguenti  si  danno  a  Metaponto. 
Ma  non  si  è  considerato  che  Pallade  metapontina  porta 
sempre  l'elmo  corinzio  e  non  v'  è  finora  che  un  solo  esempio 
dell'elmo  attico,  però  sul  bronzo.  Di  piìi  l'epigrafe  etnica 
pili  0  meno  accorciata  non  manca  mai. 

2,  3.  Mia  coli.   I  tipi  sono  i  medesimi  della  precedente,  sol- 

tanto v'  è  nella  dramma  del  n.  2  il  monogramma  AK  e  in 
quella  del  n.  8  vi  si  legge  un  t;  ;  nei  quali  sembrano  es- 
sere aggruppate  le  lettere  AYK  che  si  possono  compire  col 
nome  dei  Lucani  grecizzanti,  AYKjkvmv  cioè,  Avxsiavwv. 
E  notevole  che  costoro  abbiano  trasformato  il  AOYKANOM 
in  AYKIANnN  confermando   così   che  il  loro  AOYKOS  è 


T.  CXXIV 


BRUTTII 


183 


lo  stesso   die  il  AYKOS  dei  greci,   e  che  la  protome  del 
lupo  tì  allude. 

4.  Testa  muliebre  diademata  coi  capelli  raccolti  e  legati  sul 
vertice:  ha  due  ali  intorno  al  collo.  R.  Giove  nella  biga 
di  cavalli  volti  a  destra  e  lanciati  a  gran  corsa,  avendo 
neUa  sinistra  le  guide  e  lo  scettro,  fulmina  colla  destra: 
di  sotto  ai  cavalli  v'  è  l'insegna  di  una  testa  di  lupo,  nel- 
l'esergo  si  legge  AYKlANilN. 

5.  Testa  di  Ercole  coperta  dalla  pelle  di  leone  volta  a  d.  R.  Pal- 
lade  coperta  dell'elmo  triphalos  in  tunica  lunga  e  cipassi 
avendo  la  lancia  appoggiata  all'omero  sinistro  e  imbrac- 
ciando il  clipeo  mentre  muove  il  passo  a  destra  voltasi  a 
sinistra  e  sembra  invitare  i  suoi  popoli  a  seguirla.  Ancor 
qui  si  vede  ripetuta  per  insegna  una  testa  di  lupo  :  a  si- 
nistra si  legge:  AYKIANilN. 

6.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  alla  nuca  v'  è  un  ferro 
di  lancia.  R.  Aquila  ad  ali  spiegate  posta  di  prospetto  e 
riguardante  a  destra  intorno  è  l'epigrafe  AYKlANilN. 

BEUTTII 

Siamo  ancora  in  molla  tenebra  intorno  alla  origine  dei 
Brezzii.  Diodoro  di  Sicilia  e  Strabene  raccontano  che  circa 
il  395  formavano  parte  dell'esercito  invasore  dei  Lucani  ; 
ma  ribellarono,  e  dopo  un  sanguinoso  conflitto  venuti  ai 
patti  si  divisero  le  terre  conquistate,  rimanendo  essi  in  pos- 
sesso di  quelle  che  erano  a  mezzogiorno  di  Lao  e  si  chia- 
marono Brezzii,  o  sia  SgansTcct,  secondo  Diodoro,  perchè 
in  gran  parte  fugitivi  dei  loro  padroni,  i  Lucani. 

Essi  adunque  si  stabilirono  in  republica  e  presero  ad 
allargare  le  conquiste  cominciando  dall'occupare  Terina, 
Ipponio,  e  molte  altre  città  fra  le  quali  Diodoro  novera 
Turium:  ma  questa  città  deve  invece  essersi  conquistata 
dai  Lucani.  Capitale  di  questo  nuovo  stato  fu  Cosenza  dove 
apersero  una  zecca  pei  tre  metalli  che  furono  coniati  a  nome 
della  nazione.  Le  città  di  Orsentum,  Mesma,  Nucria,  Hip- 
ponium,  Petelia,  e  la  stessa  Cosentia  coniarono  nel  solo 
bronzo  e  in  greca  lingua  e  letteratura,  come  i  loro  do- 
minanti. 

7.  Testa  di  Nettuno  barbato  e  cinta  di  diadema  volta  a  sin. 
di  sotto  al  collo  un  delfino.  R.  Teti  velata  sedente  sopra 
un  ippocampo  che  va  a  destra,  mentre  un  amorino  stando 
in  piedi  su  di  una  voluta  della  sua  coda  saetta  a  sin.:  a  destra 
è  un  astro  e  nel  basso  l'epigrafe  BPETTIIIN.  Pesa  gr.  4,  31. 

8.  Testa  di  Ercole  barbata  e  coperta  dalla  pelle  di  leone  volta 

a  sin.,  alla  nuca  è  la  clava.  R.  Vittoria  in  biga  corrente 
a  d.  in  atto  di  guidarla  tenendo  in  mano  la  frusta  :  di  sotto 
ai  cavalli  è  un  serpente  che  si  drizza  :  nell'esergo  BPETTIilN. 
Pesa  gr.  2,15. 

9.  Testa  d'Ercole  giovane  diademata  e  volta  a  sin.  alla  nuca 

è  la  clava,   e  sotto   del  collo  uno  scorpione.  R.  Vittoria 
alata  stante  in  piedi   con  ramo   di  palma  nella  sinistra  e 
fulmine  nella  destra  :  dinanzi  a  sin.  è  un  timiaterio  o  in- 
censiere, a  destra  BPETTIilN. 
10.  Mia  coli.  Testa  di  Apollo  laureata  e  volta  a  d.  alla  nuca 


una  testa  di  toro.  R.  Diana  stante  in  tunica  ricinta  di  pro- 
spetto con  teda  nella  sin.  e  freccia  nella  d.  avendo  da 
presso  il  cane  da  caccia  che  solleva  un  piede  stando  sulle 
mosse  e  la  guarda  :  in  alto  a  sin.  un  altro,  a  d.  BPETTIilN. 
Pesa  gr.  2,20. 

11.  Mia  coli.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  corinzio  ornato 

di  cresta  e  di  un  grifo  corrente  sulla  cocca  volta  a  d. 
R.  Aquila  ad  ali  aperte  stante  sopra  fulmine  volta  di  terzo 
a  sin.,  a  destra  un  timone  col  suo  manubrio,  a  sin.  BPETTIilN. 
Pesa  gr.  2,20. 

12.  Eircheriano  Busti  accoppiati  dei  Dioscori  coperti  del  pileo 
nautico  coronato  di  lauro  sul  quale  pende  la  propria  stella 
e  con  la  clamide  affibbiata  sul  nudo  omero  destro.  R.  I  due 
gemelli  cavalcano  di  galoppo  levala  in  alto  la  mano,  elata 
prospere  dextra,  e  sono  accompagnati  dai  due  astri  che 
rifulgono  sul  loro  capo  coperto  dal  pileo  acuminato  lor 
proprio  :  nel  campo  di  sotto  dei  cavalli  è  un  pugnale  nudo, 
nell'esergo  BPETTIilN.  Il  peso  di  questo  nummo  è  di 
gr.  3,60. 

13.  14.  Il  14  è  nella  mia  coli.  Testa  della  Vittoria  cinta  di  sfon- 

done coi  capelli  raccolti  e  legati  in  ciuffo  al  vertice,  pen- 
denti agli  orecchi,  le  due  ali  presso  il  collo,  e  lembo  della 
tunica,  alla  nuca  è  un  serpente.  R.  Pane  stante  in  piedi 
dalla  cui  fronte  spuntano  due  corna.  Egli,  coUa  destra  si  fa 
solecchio  :  ha  capelli  lunghi  e  sciolti,  talvolta  sparsi,  una 
clamidetta  sul  braccio  sinistro  e  in  mano  un  dritto  bastone  : 
nel  campo  a  d.  del  n.  13  è  un  incensiere  e  di  sotto  la  let- 
tera r,  in  quello  del  n.  14  è  invece  un  serpe  e  di  sotto 
un  ^:  a  sin.  si  legge  BPETTIi)N.  I  due  esemplari  pesano 
gr.  1,10;  1,20. 

15.  Testa  velata  di  Teti  cinta  di  sfendone  con  lo  scettro  allato 
al  collo  e  alla  nuca  un'  ape  e  pendenti  agli  orecchi  volta 
a  d.  R.  Nettuno  stante  in  piedi  nudo  col  piede  destro 
sopra  un  capitello  gionico  appoggia  il  braccio  su  quella 
coscia  e  la  sinistra  dalla  qual  parte  vola  una  colomba  por- 
tando una  corona:  a  destra  si  legge  BPETTIilN.  Pesa  gr.  4,70. 

16.  Testa  di  Marte  barbata  e  coperta  di  elmo  corinzio  ornato 

di  cresta  e  di  grifo  sulla  cocca,  volta  a  sin.  R.  Pallade 
che  va  verso  la  destra  con  elmo,  clipeo  ed  asta  e  attenen- 
dosi colla  destra  all'orlo  del  clipeo  guarda  di  prospetto: 
presso  al  pie'  sinistro  è  un  monogramma  A^. 

17.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  della  spoglia  del  leone 
volta  a  d.  alla  nuca  un  pugnale.  R.  Pallade  con  asta,  clipeo 
ed  elmo  muove  il  passo  a  destra  volta  di  prospetto:  nel 
campo  a  d.  un  aratro,  a  sin.  BPETTIilN. 

18.  Testa  di  Giove  laureata  volta  a  d.  R.  Aquila  ad  ali  aperte 

sul  fulmine  volta  di  terzo  a  sin.;  intorno  BPETTIilN. 

19.  I  tipi  sono  gli  stessi  del  n.  18  ma  la  testa  di  Giove  è  dentro 
una  corona  di  lauro  e  presso  l'aquila  del  rovescio  a  sin. 
y'  è  una  lira  :  l'aquila  non  poggia  sul  fulmine. 

20.  Testa  di  Marte  barbato  coperta  di  galea  corinzia  ornata  di 
cresta  e  di  grifo  sulla  cocca  volta  a  sin.  R.  Vittoria  alata 
con, palma  nella  sin.  che  incorona  un  trofeo  composto  di 
elmo,  corazza,  gambali,  clipeo  ed  asta  :  nel  campo  framezzo 
un'ancora:  a  d.  BPETTIHN;   in  alto  una  luna  crescente. 


184 


SUPPLEMENTO 


T.  CXXV 


21.  Mia  coli.  Testa  simile  alla  precedente  n.  20  e  così  il  ri- 

verso nel  quale  cambia  solo  l'insegna  monetale  ponendosi 
qui  nn  cornucopia  in  luogo  dell'ancora.  Ma  nel  dritto  tì 
si  Tede  sotto  il  coUo  una  spiga  di  grano,  e  alla  nuca 
tì  stanno  due  globetti.  Pesa  gr.  15,30. 

22.  Testa  di  GioTe  laureata  volta  a  d.,  alla  nuca  un  fulmine. 

R.  Marte  nudo  armato  di  galea,  clipeo  ed  asta  è  in  atto 
di  aTventarsi  contro  il  nemico  :  da  presso  il  pie'  sinistro  è 
una  civetta  che  vola.  Sul  clipeo  porta  per  insegna  un  ful- 
mine, a  sin.  BPETTIilN. 

23.  Testa  della  Vittoria  coi  capelli  cinti  dalla  sfondone  raccolti 

e  legati  sul  Tertiee  da  una  tenia  le  cui  estremità  pendono 
sciolte  :  davanti  a  sin.  vi  si  legge  NiKA.  R.  Giove  con  iscettro 
nella  sin.  avventa  il  fulmine  a  destra  :  a  sin.  vi  si  legge 
BPETTIilN. 

24.  CoU.  Sant.  1  tipi  medesimi  della  precedente:  ma  la  Vit- 
toria ha  presso  il  coUo  un'  ala,  e  le  si  legge  davanti  a  sin. 
NIKA  TiMilN:  nel  riverso  a  d.  v' è  un  delfino. 

25.  Coli.  Luynes.  Testa  laureata  di  Apollo  volta  a  sin.  alla  nuca 
un  tripode.  R.  Vittoria  che  guida  una  biga  elevando  la 
frusta:  nel  basso  un  fulmine;  nell'esergo  BPETTIilN. 

26.  Testa  diademata  della  Vittoria  coi  capelli  raccolti  e  anno- 

dati sul  vertice,  pendenti  agli  orecchi,  nastro  al  coUo,  ala 
alla  nuca  volta  a  sin.  R.  Gìoto  con  scettro  nella  sinistra 
guida  la  biga  fulminando  a  sinistra:  nell'esergo  BPETTlilN. 

27.  Mia  coli.  Testa  di  Teti   coperta  dalla  spoglia  del  gran- 

chio marino  volta  a  sin.  R.  Granchio  marino  e  l'epigrafe 
BPETTIilV. 

28.  Mia  coli.  Testa  giovanile  con  lunghi  capelli  coronata  di 

spighe  di  grano  volta  a  sin.,  alla  nuca  spiga  di  grano. 
R.  Granchio  marino  :  in  alto  cornucopia  e  nel  campo 
BPETTlilN. 

29.  Mia  coli.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  corinzio  volta 

a  sin.  R.  Civetta  stante  di  terzo  e  intorno  BPETTlilN. 

30.  Mia  coU.  Testa  di  Ercole  giovane  coperta  dalla  spoglia  di 

leone  volta  a  sin.  R.  Arco  e  clava  e  intorno  BPETTlilN. 

31.  Avellino,  Opusc.  Il,  tav.  TV,  14.  Busto  di  asino,  ovvero  di 
mulo  volto  a  d.  R.  Aratro  e  di  sotto  BPET. 

SUPPLEMENTO 

Correva  già  il  terzo  anno  dacché  mi  erano  state  incise  le 
tavole  LXXII  e  LXXIII  nelle  quali  aveva  raccolto  quanto  mi 
era  venuto  alle  mani  di  monete  etrusehe  coi  tipi  della  Gor- 
gone, della  Pallade  e  dell'  Ercole,  quando  venni  in  possesso 
di  quasi  tutto  un  deposito  di  monete  d'argento  trovate  nei 
pressi  di  Sovana  dalla  parte  che  guarda  Saturnia  distante 
solo  dodici  miglia,  il  quale  a  quanto  mi  fu  detto  da  principio 
contava  116  monete.  Io  ne  ho  avute  cento  e  due  ;  delle  altre 
quattordici,  otto  sono  state  offerte  al  march.  Strozzi,  che  ne  ha 
scelto  solo  tre.  I.  Testa  di  Pallade.  7?.  La  leggenda  ch'è  l'u- 
guale a  quella  del  n.  9  di  questa  tavola.  II.  La  Gorgone  con 
al  rovescio  l'avanzo  della  leggenda  ^  V  ...  A  che  è  intera  nella 
mia  del  n.  1.  III.  Testa  di  Apollo  a  sin.,  e  al  rovescio  due 
circoli  tangenti  con  lettere  in  entrambi.  Le   lettere    sono    'IV 


in  un  circolo  e  A  nell'altro  e  ci  si  conferma  che  questi  nummi 
sono  di  Pupluna  come  si  può  dedurre  dall'averi!  trovati  in  nu- 
mero di  diciotto  nel  ripostiglio  di  Sovana,  e  soltanto  essi.  Noi 
li  potremo  dunque  chiamar  dramme,  avuta  la  metà  incirca  del 
tipo  di  quei  che  portano  per  tipo  la  gorgone,  che  per  analogia 
diciamo  didrammi. 

I  didrammi  col  tipo  della  Gorgone  o  sono  lisci  al  rovescio 
ovvero  hanno  iscrizioni  simboli  e  segni. 

Sono  lisci  trentotto,  sono  inscritti  dieci  :  in  quattro  vi  stanno 
linee  decussate,  dieci  hanno  il  polpo,  uno  il  caduceo,  uno  il  pa- 
pavero, uno  il  cornucopia,  tre  hanno  segni  non  ancora  certi. 

I  didrammi  lisci  col  tipo  della  Pallade  sono  due,  sette  hanno 
iscrizioni.  Di  quei  col  tipo  di  Ercole  uno  solo  ha  la  clava  al 
riverso  e  un'altro  una  fistula  o  siringa  pastorale. 

Le  diciotto  dramme  sono  tutte  lisce,  quattro  di  esse  hanno 
per  tipo  la  testa  muliebre,  dodici  la  giovanile. 

Tutte  le  iscrizioni  di  cotesto  monete  portano  il  nome  di 
Populonia  :  intanto  la  provenienza  dimostra  che  ebbero  corso  in 
Sovana  e  probabilmente  in  agro  Caletrano:  perocché  la  colonia 
Saturnia  fu  in  quel  campo  dedotta  dai  Romani  nel  519  (Liv. 
L.  XXXIX):  Saturnia  colonia  civium  romanorum  in  agrum 
caletranum  est  deducta.  L'antica  città  che  occupa  il  luogo  dove 
i  Eomani  l'impiantarono,  e  doveva  essere  stata  distrutta,  se  il 
suo  territorio  era  stato  aggiudicato  ai  Caletrani.  Pu  città  abitata 
dagli  Aborigeni  e  dai  Pelasgi  (Dion.  Halic.  L.  I),  indi  cesse  agli 
Etruschi  e  poi  ai  Eomani.  Non  è  certo  se  i  Eomani  risusci- 
tassero il  nome  primitivo,  ovvero  se  essi  glie  lo  imposero  come 
pare  a  me  :  solo  sappiamo  che  chiamavasi  Aurinia  e  fu  poscia 
appellata  Saturnia. 

Da  tutto  cotesto  deposito  etrusco,  il  maggiore  e  piìi  ricco  di 
quanti  si  sa  essersi  scoperti  nei  tempi  andati,  ho  scelto  quei 
pezzi  che  mancavano  alla  mia  opera  ovvero  non  vi  erano  sì  bene 
rappresentati  e  ne  ho  composto  il  supplemento  con  piccola 
giunta  di  altre  monete,  che  mi  sono  venute  quando  erano  già 
incise  le  taTole,  dove  si  sarebbero  dovute  porre.  Di  poi  ho  giu- 
dicato di  dare  un  saggio  di  monete  omesse  nell'opera  perchè 
male  attribuite  nei  cataloghi  e  nelle  opere  di  numismatica  alle 
città  d'Italia,  ovvero  perché  foggiate  da  moderni  e  per  qualche 
tempo  citate  e  commentate  come  genuine,  ovvero  che  tuttavia 
si  tengono  per  tali. 


Tat.  CXXV. 

1.  Populonia.  Testa  della  Gorgone  veduta  di  prospetto  coi 
capelli  sciolti  e  a  lingua  sporgente  :  di  sotto  è  la  nota  del 
valore  XX.  R.  Nel  centro  una  luna  crescente  con  un  ferro 
di  tridente:  intorno  AMA (>l'l)V'l  e  nell'intervallo  due  stelle  a 
quattro  raggi  che  hanno  tramezzodue  globetti  verticalmente 
posti.  Pesa  gr.  7,50  ed  è  alquanto  usato.  Questo  nummo 
fu  già  pubblicato  dall'Eekhel  che  ne  trovò  un  esemplare  nel 
Museo  granducale  di  Firenze:  Num.  vet.  p.  10:  ma  non 
vi  notò  che  un  solo  X  al  dritto  e  pose  un  simUe  X  al  ri- 
verso, dove  è  invece  un  astro  a  quattro  raggi  ;  il  resto  man- 
cava per  difetto  di  conio.  Il  CareUi  lo  riprodusse  tab.  VII,  3, 
al  qual  luogo  il  Cavedoni  annotò  che  l'ultima  lettera  fu  forse 


T.  CXXY 


SUPPLEMENTO 


185 


un  V  e  cilò  il  Millingen  il  quale  scrisse  (Coiisidérat.  p.  166) 
che  «  l'Eckhel  s'era  inganaato  quanto  alla  quarta  lettera  che 
aveva  presa  per  un  A,  ma  che  era  un  V  mal  figurato  ». 
L'Eckhel  non  si  ingannò,  e  il  Museo  di  Parigi  conserva  un 
secondo  esemplare  non  conosciuto  finora  e  da  me  pubblicato 
nella  tav.  LXXII  n.  15.  A  cotesti  due  esempiine  aggiimgo 
un  terzo  :  avverto  inoltre  che  nella  mia  collezione  ne  serbo 
altri  due  con  tale  leggenda:  fll/lfl>l'1V'1. 

2.  Testa  simile  alla  precedente  :  di  sotto  vi  si  conservano  le 

due  decine  X:X,  con  in  mezzo  i  due  punti  verticali.  R. 
\A\/-i(t>  nel  mezzo  in  lettere  di  rilievo.  Pesa  gr.  7,80.  La 
leggenda  dice  Phtun  dove  l'ultima  lettera  non  è  compita. 
È  notevole  la  sostituzione  del  (J)  al  8  ovvero  al  A  in  questa 
voce. 

3.  Testa  simile  alle  precedenti,  ma  porta  in  capo  una  corona 
composta  di  un  diadema  con  in  fronte  sei  foglie  articolate. 
fì.  Polpo  a  sette  tentacoli:  in  alto  a  destra  sono  indicati  due 
piccoli  polpi  e  a  sin.  il  manico  di  un  ferro  di  tridente:  pesa 
gr.  7,70. 

4.  Testa  simile  alla  precedente:  di  sotto  le  due  decine  ser- 

bate dal  conio.  R.  Polpo  e  di  sopra  due  altri  polpi  ma 
piccoli:  a  sin.  vi  hanno  tra  mezzo  due  tridenti.  Era  noto 
il  polpo  sui  rovesci  delle  monete  di  Populonia  e  ne  aveva 
ancor  io  dato  un  saggio  nella  tav.  LXXII  n.  14:  ma  il 
deposito  di  Sovana  ce  ne  ha  dato  dei  migliori  e  ornati 
dei  tridenti  che  mancano  in  quelli.  Viene  qui  opportuno 
il  dire,  che  per  questa  scoperta  dei  piccoli  polpi  si  può 
spiegare  il  rovescio  di  una  moneta  pubblicata  dal  Mieali 
Ital.  av.  i  Rom.  Tav.  LIX  n.  3  e  riprodotta  dal  Carelli  (Tab. 
VII,  6),  sul  cui  rovescio  sono  rappresentati  quattro  piccoli 
polpi.  Il  nostro  deposito  ha  inoltre  dato  altre  sette  monete 
con  questo  simbolo  in  ciò  notevoli  che  talvolta  del  grosso 
polpo  mancante,  perchè  uscito  fuori  di  conio,  rimangono 
due  soli  tentacoli  che  occupano  tutto  il  campo.  Il  peso  di 
questa  moneta  è  di  gr.  8,10. 

5.  Testa  simile  alla  precedente,  ha  però  un  semplice  diadema 

intorno  ai  capelli.  R.  Papavero  silvestre  e  tracce  di  og- 
getti incerti.  Pesa  gr.  8,35. 

6.  Testa  simile  a  quella  dei   nn.  3,  4.  R.  Cornucopia  in  ri- 

lievo assai  basso.  Pesa  gr.  8,10. 

7.  Testa  simile  ai  nn.  1,  2  :  di  sotto  al  mento  le  due  decine 

stanno  in  mezzo  a  due  delfini.  R.  Vi  si  vede  un  caduceo. 
I  didrammi  con  al  riverso  due  caducei  ci  erano  noti  (Tav. 
LXXII  n.  13),  ma  qui  inoltre  vi  si  vedono  delle  tracce  di 
epigrafe  'ìY-l  appartenenti  al  primo  conio.  Pesa  gr.  8,20. 

8.  Testa  di  Pallade  posta  di  terzo  a  sinistra  coperta  di  elmo 

triphalos  con  l'aggiunta  di  due  penne  sulla  cocca  allato 
alla  cresta  di  mezzo.  Ha  i  capelli  sparsi  e  porta  orecchini 
e  ricco  monile  al  collo.  A  sin.  v'è  un  delfino  e  le  due  decine 
dal  lato  destro.  R.  Luna  crescente  e  dentro  un  astro  a 
quattro  raggi:  intomo  vi  si  legge  in  cerchio  fMV>l'lV'1. 
Pesa  gr.  7,70.  Questa  leggenda  si  ha  per  metà  in  altro 
esemplare. 

9.  Testa  che  dovea  essere  simile  alla  già  descritta  n.  8  se  fosse 

riuscita  ben  espressa  dal  conio  :  ma  invece  guadagniamo  ima 


nuova  leggenda  del  rovescio,  un  cui  preludio  si  è  avuto  finora 
nella  monca  epigrafe  del  nummo  borgiano  da  me  dato  e  per 
congettura  supplito  nella  Tav.  LXXII  n.  30.  Vi  si  vede 
in  mezzo  una  luna  crescente  con  un  astro  nel  centro  for- 
mato di  sette  globetti  intorno  ad  uno  centrale:  l'epigrafe 
si  legge:  ^NI:^V^UVNfl:^E5.  La  stessa  intera  leggenda  si 
ha  sopra  altri  due  esemplari  di  mia  collezione  e  sopra 
un  quarto  del  medesimo  ripostiglio  acquistato  dal  March. 
Strozzi  :  per  metà  poi  in  altri  due  miei.  Il  peso  di  questa 
che  do  incisa  è  di  gr.  8,30. 

10.  Testa  giovanile  di  Ercole  posta  di  fronte  con  la  prima  la- 
nugine alla  guancia  e  coperta  dalla  pelle  del  leone.  R. 
Pistula  pastorale  composta  di  canne  decrescenti  a  destra. 
Pesa  gr.  8,30.  Tre  esemplari  simili  a  questo  si  sono  avuti 
dal  ripostiglio.  Un  esemplare  di  recente  acquistato  dal 
March.  Strozzi,  ma  a  rovescio  liscio,  pesa  gr.  8,38. 

11.  Testa  giovanile  di  Ercole  coperta  dalla  pelle  di  leone  :  la 

contrazione  della  bocca  rassomiglia  quella  delle  Grorgoni, 
ma  non  ha  la  lingua  sporgente  :  invece  sul  mento  si  legge 
di  rilievo  la  lettera  retrograda  3.  R.  Clava  in  campo  liscio. 
Pesa  gr.  8,20.  Due  simili  lettere  in  rilievo  sono  state  os- 
servate e  diligentemente  notate  dal  sig.  Imhoof-Blumer  sui 
corpi  degli  animali,  alle  quali  si  aggiunga  la  E  sul  corpo 
del  mezzo  leone  di  Velia  (Tav.  CXVIII,  25)  :  ma  è  nuovo 
del  tutto  il  vedersi  ora  sul  mento  di  Ercole.  Gli  Eretriesi 
di  Eubea  sul  campo  delle  monete  segnavano  una  3  iniziale 
del  loro  nome. 

12.  Coli.  Strozzi.  Faceva  parte  della  collezione  del  Can.  Andrea 
Iorio  in  Napoli  :  indi  si  possedette  fin  dal  principio  di  questo 
secolo  da  una  illustre  famiglia  fiorentina;  mi  scrive  il 
sig.  marchese  Strozzi.  Ippocampo  a  d.  sotto  A,  intorno 
giro  di  puntini.  R.  Quattro  astri  in  gruppo  appena  visibili 
nel  resto  forse  liscio,  di  gr.  2,75.  Il  peso  che  è  maggiore 
del  doppio  dei  due  quinari!  di  Pelsina  (LXXI,  12,  14)  e 
del  terzo  esemplare  edito  qui  al  num.  seg.,  darebbe  un 
intero  di  grammi  5,50  e  un  multiplo  di  gr.  11,00.  Al  qual 
sistema  si  accosta  quello  degli  aurei  dei  Cartaginesi  in 
Sicilia,  la  cui  unità  maggiore  è  di  gr.  10,94,  - 10,14,  e 
si  divide  in  seste. 

13.  Coli.  Strozzi,  trovata  fra  Orvieto  e  Bieda.  Testa  di  donna  diade- 
mata con  pendenti  e  collana  volta  a  d.  dinanzi  al  collo  A. 
R.  Cane  corrente  a  destra,  nell'esergo  \/^<J31,  di  sopra  del 
cane  A.  Pesa  gr,  1,140. 

14.  Coli.  Borghesi  (Cato/.,  MiL  1881  tav.).  Simile  al  nummo 
publicato  qui  (tav.  LXXXII,  28),  ne  differisce  solo  nella  epi- 
grafe aggiungendo  un  I  in  PALACINVS,  che  manca  in  PA- 
LACNVS.  Kimane  quindi  che  Palacnus  sia  per  sincope  nato 
da  Palacinus,  stando  poi  fermo  che  ambedue  equivalgono 
a  Palanus. 

15.  Museo  di  Catanzaro.    Tripode  e  a  d.  9PO.  R.  Gallo  e  di 

sopra  la  leggenda  IM.  Nella  tav.  CIX  n.  21  ho  dato  un 
nummo  con  questi  tipi  ma  nel   rovescio  la  leggenda  si  è 

VVI.  Nelle  monete  di  Imera  dalMionnet  si  è  letto  VUI 

{Suppl.  pi.  IX,  36),  altri  vi  ha  letto  VU,  quasi  sempre 
scritto  V>l,  e  in  un  esemplare  del  Museo  Britannico  VAV 


186 


SUPPLEMENTO,  ATTKIBUZIONI 


T.  CXXV 


{Catal.  p.  77  n.  20).  Questa  leggenda  crede  il  Mommsen 
{H.  de  la  monn.  I,  p.  280)  non  sia  stata  ancora  spiegata. 
Ma  si  è  pur  detto  che  con  tal  nome  sono  indicati  gli 
hyllenses,  gente  illirica  denominata  seconda  Apollodoro,  da 
Hyllus  figlio  di  Ercole  (Eustatli.  ad  Dionys.  v.  384  (cf.  Ste- 
phan.  byz.  s.T.)  Da  questa  nuova  moneta  dove  la  leggenda  è 
IM  apprendiamo  che  la  citata  moneta  con  VVI  deve  leg- 
gersi esternamente  IM,  appartenendo  ancor  essa  ad  alleanza 
di  Crotone  con  Imera. 

16.  Coli.  mia.  Le  due  simili  monete  del  gabinetto  di  Parigi 
publicate  dal  Kochette  (Mém.  numism.  pi.  I,  3,  4)  mi  hanno 
indotto  a  far  incidere  questa  mia,  perchè  meglio  conservata. 
È  a  doppio  rilievo,  ha  un  3  fra  le  gambe  del  giovane  nudo 
che  agita  la  frasca,  e  a  sin.  le  iniziali  ••A>l  di  Caulonia. 
Sul  rovescio  il  OE  fra  le  gambe  del  cervo  è  iniziale  del- 
l'artista del  conio:  sul  labrum  o  vasca  d'acqua,  simbolo 
noto  di  una  fonte,  v'è  un'oca  che  batte  le  ali,  creduta  cigno 
dal  Kochette  (p.  20).  Un  recentissimo  acquisto  di  un  se- 
condo esemplare  simile  al  già,  inciso  dal  Kochette  n.  3, 
dove  a  destra  del  giovane  si  vede  che  quel  garbuglio  di 
linee  dell'esemplare  parigino  è  ima  sedia  forse  votiva,  al 
riverso  pare  che  sia  venuto  a  dissipare  le  tenebre  che  re- 
gnano intorno  alla  spiegazione  del  tipo.  Io  me  ne  sono 
giovato  nel  testo  modificandolo  a  seconda  della  iscrizione 
KOKIN. .  che  si  legge  sul  capo  del  giovane  agitante  la  frasca, 
nel  quale  parevami  dover  riconoscere  la  personificazione 
del  fiume  che  scorre  per  la  valle  di  Caulonia,  ed  ora  vedo 
che  in  quella  vece  mi  si  rivela  la  personificazione  del  pro- 
montorio Cocinto  che  col  soccorso  dello  Zefiro  agitando 
la  frasca  purgano  l'aria  soifocante  e  mal  sana  della  valle 
[avXcSv),  nel  cui  mezzo  Caulonia  era  sita.  Il  cervo  sacro 
a  Cocinto  e  la  fonte  di  acqua  sono  episodii  convenienti  al- 
l'azione del  nume  e  a  quella  quasi  lustrazione  della  valle. 

17.  Mia  coli.  Il  tipo  di  cotesta   moneta  è  quel  medesimo,  che 

d'ordinario  si  ha  sopra  le  monete  incuse  di  Caulonia  :  la 
figura  che  agita  la  frasca  è  diademata  e  il  figurino  che 
corre  sul  braccio  disteso  di  lei  agita  due  frasche  ciascuna 
in  ima  mano  :  dal  piano  dove  posa  il  cervo  spunta  un 
germe  di  piantolina  che  sembra  di  lauro.  Sopra  tutto  però 
importa  la  leggenda  a  minutissimo  carattere  intorno  alla 
testa  che  esaminata  a  doppia  lente  sembra  dire  IKETESI(A) 
(=  IKETHPIA)  col  qual  nuovo  vocabolo  mi  pare  che  i  Cro- 
toniati  volessero  esprimere  le  solenni  supplicazioni  allo 
scopo  di  ottenere  quel  benefizio  dal  Cocinto  di  purgare  e 
rinfrescare  l'aria  insieme  col  Zefiro.  L'S  messa  per  P  in 
Caulonia  non  deve  recar  più  sorpresa  che  l'O  per  £1  in 
KavXoi'iàTìjs  di  alcune  sue  monete. 

ATTRIBUZIONI  EKRONBE  0    INCERTE 

(Tav.  CXXV). 
1.  Carelli,  tab.  CV  n.  80,  31.  Testa  di  arcaico  stile  volta  a 
d.  a  rovescio  incuso.  Il-  mio  disegno  è  tratto  da  un  esem- 
plare della  coli.  Lovatti.  Trovato  in  terra  d'  Otranto,  e 
però  attribuito  a  Taranto  ;  ma  cotesta  città  non  ha  moneta 
incusa. 


2.  Museo  di  Vienna.  Busto  nudo  muliebre  galeato  a  sin.  da- 
vanti tre  globetti.  lì.  Cornucopia  tra  le  lettere  AO  in  co- 
rona di  lauro.  Si  atti-ibuisce  alla  Locri  epizefiria  :  ma  forse  è 
di  Aoyytiivri  in  Sicilia,  o  di  altra  città  che  cominci  da  Ao: 
certo  non  è  di  stile  e  di  arte  italica. 

3.  Museo  di  Propaganda.  Busto  di  Pallade  coperta  di   elmo 

corinzio  e  volta  a  d.;  davanti  in  lettere  ben  conservate 
ATJNilN.  i?.  Nave  a  remi  priva  di  alberi  e  senza  ro- 
stro, con  le  due  estreme  parli  della  poppa  e  della  prora 
ritonde  e  volte  in  dentro.  In  Italia  vi  furono  due  città  di 
nome  Atinum,  l' una  volsca,  l'altra  lucana,  ma  ambedue 
rimote  dal  mare:  vi  furono  gli  Atìnates  Vauni,  dei  quali 
parla  Plinio,  dove  scrive  che  di  tre  generi  erano  gli  Apuli, 
i  Danni,  cioè,  i  Teani  e  i  Lucani,  e  che  costoro  furono 
soggiogati  da  Calcante  il  cui  luogo  tengono  ora  gli  Ati- 
nati:  Lucani  subaoii  a  Calchante,  quae  loca  nunc  tenent 
Alinales.  Ai  tempi  di  Strabene  (p.  233)  mostravasi  il  se- 
polcro di  Calcante  sulla  collina  Dryon  del  G-argano  (VI,  3.  9). 
Ma  i  busti  di  Pallade  sono  ignoti  alla  numismatica  del- 
l'Italia e  la  forma  della  nave  non  vi  ha  verun  confronto. 

4.  Testa  di  donna  coi  capelli  rivolti  e  legati  alla  cervice  dalla 

tenia  o  diadema.  R.  Testa  di  leone  ruggente  volta  a  d. 
Cotesta  moneta  non  ha  che  qualche  analogia  coi  tipi  ve- 
liesi,  nei  quali  del  resto  non  la  sola  testa  della  fiera  si  è 
finora  mai  veduta  di  profilo,  e  neanche  v'è  esempio  della 
epigrafe  omessa,  se  non  nelle  sole  incuse,  alla  qual  classe 
essa  non  appartiene  per  essere  a  doppio  rilievo.  Lo  stile 
è  anche  superiore  in  finitezza  a  quelle  solite  coniarsi  in 
Velia.  Si  trova  invece  una  moneta  di  tal  foggia  publicata 
dal  Duchalais  e  attribuita  a  Guido  {Recherchen  sur  guel- 
ques  points  de  Vhist.  numism.  de  la  ville  de  Guide,  pi.  VIII, 
n.  3,  4,  4):  Egli  è  vero  che,  come  anche  il  sig.  Poole  mi 
scrive,  lo  stile  di  essa  è  diverso  da  quello  della  moneta 
di  Guido  :  ma  non  perciò  lo  daremo  a  Velia  che  ha  piìl 
gravi  ragioni  da  non  accettarla. 

5.  Coli.  Hunter,  tab.  44,  XV,  nella  Università  di  Glasgow. 
Testa  di  leone  veduto  di  faccia  di  stile  rozzo.  B.  Quadrato 
incuso  e  diviso  in  quattro  triangoli  dalle  diagonali  decus- 
sate. L'ha  il  Carelli  nella  tav.  CXCII,  6 ,  dove  l'attribuisce 
a  Reggio  di  Calabria.  Essa  invece  pare  a  me  moneta  di 
Panticapeo,  dalla  quale  sono  state  emesse  monete  che  hanno 
il  tipo  e  lo  stile  simile  a  questo.  Reggio  non  ha  mai  co- 
niata moneta  con  quadrato  incuso,  e  senza  il  proprio  nome. 

6.  Testa  barbata  laureata,  forse  di  Nettuno  volta  a  sin.  B.  Ca- 
vallo a  d.  fra  le  gambe  un  T;  credesi  che  sia  di  Taranto,  ma 
non  ve  ne  ha  certezza. 

7.  Coli.  Hunter.  Testa  di  Pallade  coperta  di  elmo  corinzio 
volta  a  d.  B.  Civetta  di  prospetto  e  a  d.  un  vaso  e  i  glo- 
betti del  triente  ;  a  sinistra  poi  la  leggenda  VALENT(IA),  la 
quale  internamente  letta  da  destra  a  sinistra  fu  data  per 
niNlTA  e  assegnata  ad  Atina  in  Lucania.  Ne  ho  già  parlato 
nella  Civ.  Catt.  (Quad.  750,  pag.  737,  738). 

8.  Carelli,  tav.CLXXXV,  59.  Testa  giovanile  con  florida  chioma 

coronata  di  oliera  volta  a  d.  :  con  corna  bovine  che  gli 
spuntano  dalla  fronte;  davanti  niXO.  B.  Clava  in  mezzo  a 


T.  CXXV 


SUPPLEMENTO 


187 


due  serpenti  e  intorno  K. . .  TilNI.  Cotesto  riverso  è  letto 
così,  dal  Carelli,  supplito  e  attribuito  a  Crotone,  lo  para- 
gono questo  nummo  ad  uno  simile  del  Museo  Santangelo, 
coniato  dagli  Ippouiati  (tav.  CXVl,  11),  dove  invece  della 
leggenda  niXO  si  ha  AlPEilN:  al  riverso  poi  la  clava  è  dalla 
parte  del  manico  stretta  da  una  tenia  le  cui  estremità  pen- 
dono a  svolazzo,  intorno  vi  si  legge  il  nome  EIPilNIEilN: 
in  un  secondo  esemplare  della  coli,  medesima  la  tenia  vi 

è  omessa  e  la  leggenda  comincia  da  sinistra  EIP.ilN'l 

Può  essere,  che  gli  Ipponiesi  abbiano  fatto  lega  coi  Croto- 
niati,  e  che  questa  moneta  ne  sia  l'espressione,  ma  sta  di 
fatto,  che  la  moneta  carelliana  non  si  è  mai  veduta,  ed 
invece  della  santangeliana  si  hanno  già  due  esemplari,  ohe 
ne  differiscono  solo  per  la  leggenda  monca  nella  carelliana 
e  pei  due  serpenti,  che  nella  nostra  sono  tenia,  differenze 
facili  a  spiegarsi  in  un  esemplare  solo  e  mal  conservato. 
9.  (Car.  tab.  CXCI,  56).  T.  di  Pallade  a  d.  con  galea  crestata. 
R.  Grappolo  sopra  OPA,  intorno  AOKPXIN.  Su  questa  mo- 
neta in  luogo  di  (|)PA  è  stato  letto  OPPA  e  si  è  attribuita 
ad  una  colonia  dei  Locresi  epizefirii  dall'Ignarra  {De  pa- 
laestra  neap.  p.  253),  dal  Magnan  [BruUia  numism.  p.  9), 
dall'Arditi  {IH.  di  un  ant.  vaso  trovato  nelle  mine  di  Lo- 
cri Nap.  1791  n.  2),  daU'Eckhel  {D.  n.  v.  I,  pag.  183), 
e  dal  Romanelli  {Topogr.  del  regno  parte  I,  pag.  145). 
Questo  esemplare  dal  Museo  del  duca  di  Noia  passò  a  quello 
di  Napoli,  ma  l'Avellino  dimostrò  che  non  era  stato  ben 
letto  e  male  interpretato.  Un  secondo  esemplare,  che  il 
Fiorelli  chiama  conservatissimo  {Ann.  di  numism.  1876, 
pag.  124,  124),  fu  poi  comprato  in  Napoli  dal  Friedlaender 
e  deposto  nel  Museo  di  Berlino.  Videlo  il  Mommsen,  e  vi 
lesse  come  l'Ignarra  e  l'Arditi  OPPA  AOKP^N,  della  quale 
scoperta  scrisse  una  dissertazioncella  negli  Annali  predetti, 
dove  a  provare  la  esistenza  di  questa  Orra  dei  Locresi, 
allegò  il  passo  di  Varrone  già  adoperato  dal  Romanelli  e 
divenuto  perciò  celebre.  Ma  il  Friedlaender,  interrogato 
da  me,  se  tuttavia  riteneva  che  in  quella  sua  moneta  si 
leggesse  OPPA  AOKPHN,  mi  scrisse  il  16  giugno  1883: 
«  Ho  l'onore  di  rispondere  che  ho  sott'  occhio  l'identico 
esemplare  della  moneta  di  Locris,  comprata  da  me  in  Na- 
poli nel  1846  per  questo  r.  Medagliere.  Mi  rincresce  di 
dover  dire,  che  l'iscrizione  è  (J)PA  AOKPIIN  non  OPPA, 
come  fu  letto  dall'editore.  Due  altri  esemplari  migliori 
mostrano  ugualmente  (fiPA.  Tutto  ciò  è  affatto  sicuro,  e 
il  eh.  Avellino  {Opuscoli  II  p.  114)  l'ha  già  detto  parlando 
dell'esemplare  del  Medagliere  di  Napoli. 

«  Di  più  la  moneta  ha  nessuna  somiglianza  colle  monete 
di  Orra,  ma  appartiene  alla  Locris  della  Grecia,  dove  ce 
ne  sono  molte  altre  somiglianti,  anche  alcune  che  hanno 
invece  di  (J)PA  altro  nome  abbreviato  di  magistrato  » . 
Con  ciò  è  tolto  ogni  credito  dell'Ignarra  e  del  Mommsen,  e 
di  piìi  rimane  dimostrato,  che  la  moneta  col  (jlPA  o  altro  nome 
di  magistrato,  appartiene  alla  Locride  di  Grecia.  D  Millingen 
{Consid.  p.  10)  non  ha  dunque  sciolta  la  questione  quando  ha 
scritto,  che  la  moneta  OPPA  AOKPilN  non  era  di  una  co- 
lonia dei  Locresi  epizefirii,  ma  sì  dei  Locresi  epicnemidii, 


perchè  non  OPPA  ma  la  vera  lezione  era  EflIKNA...  Vero  è 
(})PA  e  vero  ETIKNA,  però  ambedue  sono  nomi  di  magi- 
strati. 
10,  11.  Fra  le  monete  la  cui  genuinità  è  controversa  per  alcuni, 
per  altri  è  negata  del  tutto,  ho  stimato  di  fare  qui  mostra 
delle  due  monete  di  argento  poste  sotto  i  un.  10,  11.  La 
prima  di  esse  n.  10  fu  della  coli.  Luynes,  la  seconda  in  quella 
del  Blacas,  di  cui  posseggo  una  copia  in  galvanoplastica: 
ambedue  poi  furono  publicate  in  prima  dal  duca  di  Luynes 
nella  Rev-ue  numism.  1839  pi.  XIV,  1,  2,  e  fatte  incidere 
di  nuovo  dal  bar.  de  Witte,  H.  de  la  man.  t.  TV,  1870, 
pi.  XVIII,  2,  3  :  accuratamente,  come  egli  attesta,  pag.  120. 
Furono  ambedue  tenute  per  autentiche  del  duca  de  Luy- 
nes: il  duca  Blacas  e  il  bar.  de  Witte  si  mostrano  indecisi 
per  le  considerazioni  epigrafiche  del  Mommsen:  false,  fal- 
sissime  e  di  moderna  invenzione  le  giudico  io,  che  le  ho  ve- 
dute a  tutt'agio.  Nella  prima  n.  10,  leggiamo  KVPl  e  POMA, 
nella  seconda  n.  11,  0VAUANTE:  V  (NT  in  mon.)  pel  de 
Witte,  OVAI-ANTE:  A  pel  Blacas;  a  me  è  sembrato  OV A- 
LANTE:A,  cioè  Valanted.  È  poi  agevole  indagare  che  cosa 
avesse  in  mente  l'inventore  del  tipo  e  della  leggenda  :  il  ton- 
dino può  essere  di  antiche  monete  ribattute. 

Altre  monete  si  sono  da  me  dimostrate  nel  corso  della 
dichiarazione  erroneamente  lette  e  attribuite,  e  però  non  era 
qui  da  riprodurle.  Tali  sono  quelle  di  Asia  nella  Magna  Gre- 
cia {Cw.  Cali.  Quad.  698  pag.  226-229),  di  Marrubium  nella 
Marsica,  di  Marciva  nei  Picentini,  di  Murgantia  o  Murlantia 
nelSannio  (Lanzi,  Saggio  II  p.  601  ;  CaronniMus.  Hedervar. 
p.  20).  Fra  le  monete  male  attribuite  si  noveri  la  Locri  epize- 
firia  del  Carelli  (tab.  CLXXXIX,  23):  Testa  di  donna  coi  ca- 
pelli sparsi  e  collana  al  collo,  volta  di  terzo  a  d.  R.  Pegaso  a 
d.  e  di  sotto  A.  Questo  bronzo  dal  Carelli  è  dato  a  Locri. 
Il  Millingen  lo  dichiara  di  fabbrica  evidentemente  italica 
{Consid.  p.  69)  ;  ma  il  sig.  Imhoof-Blumer  è  d'altro  avviso. 
Io  ne  ho  veduto  un  esemplare  nella  collezione  Baselice 
in  Biccari,  ove  anche  appresi  che  si  era  trovato  presso 
Mottola.  Simile  a  questo  è  il  piccolo  bronzo  del  Museo  di 
Vienna,  ove  la  donna  guarda  di  terzo  a  sin.,  ha  i  capelli 
sparsi,  e  la  collana  che  è  solo  piìi  ricca.  Inoltre  ai  due  lati 
del  collo  si  legge  divisa  l'epigrafe  A^IT,  che  riscontriamo  in 
un  altro  nummo  attribuito  ancor  esso  alla  Locri  epizefiria, 
(cf  Car.  Descr.  18  tab.  CLXXXIX,  29)  invece  della  greca. 
Nel  riverso  il  Pegaso  è  volto  a  sin.  ed  ha  parimente  la  A 
fra  le  gambe.  Ho  anche  escluso  per  avviso  del  sig.  Imhoof- 
Bliimer  dalle  monete  italiche  quella  del  Museo  Hederva- 
riano  data  dal  Carelli  (tab.  CLXIII  n.  59)  ad  Eraclea,  che 
non  è  la  nostra  d' Italia.  È  poi  impostura  moderna  quella 
incusa  del  Museo  di  Firenze  :  Cignale  che  va  a  destra  e  la 
medesima  fiera  incusa  al  riverso  :  ove  nell'esergo  del  dritto 
si  legge  AAR  e  sul  riverso  AOM.  La  genuina  è  da  me  in- 
cisa nella  tav.  CXVin,  22.  In  questa  di  Firenze  che  vedo 
citata  dal  Fabretti,  il  falsario  imitò  bene  l'imagine  del  ci- 
gnale, ma  non  seppe  poi  intendere  e  copiare,  come  spesso 
accade,  le  forme  paleografiche  della  epigrafe,  e  diede  al  T 
la  strana  forma  di  un  quadrato  con  linea  verticale  a  de- 

24 


183 


SUPPLEMENTO 


T.  CXXT 


sti-a,  e  la  lettera  ^{mu),  cambiò  nella  dorica  M(sa»i).  Inoltre 
il  cignale  noi  fece  camminare  sulle  balze  ma  su  piana  terra. 

MONETE  FALSE 

1.  Nel  Museo  Olivieri  di  Pesaro.  Triente  fuso  e  non  coniato, 
come  ha  creduto  il  Mommsen  (//.  delam.  I,  388).  Ha  un 
bifronte  imberbe  nel  dritto  fra  quattro  globetti,  nota  del 
valore,  e  al  riverso  la  mezza  nave,  in  alto  si  legge  f1>Jt. 
Pesa  un'  oncia  e  un  ottavo.  L'Olivieri  eie  il  pose  nel  suo 
Museo  non  ci  fé  sapere  come  e  donde  l'avesse;  publicandolo 
l'attribuì  a  Telamone  {Foncl.  di  Pesaro  p.  85).  Il  Passeri  lo 
riprodusse  (Parai,  p.  181  tav.  Ili,  4),  ma  omise  due  dei 
globetti  e  il  diede  per  sestante.  Il  Guarnacci  diede  poi 
jbando  ancbe  ai  due  globetti  lasciati  dal  Passeri  [Orig. 
Htal.  I,  tav.  5VII,  9)  e  fu  perciò  d'inciampo  al  Lanzi,  che 
il  prese  da  lui  [Saggio  t.  Il  tav.  VI  n.  4),  senza  alcun  segno 
•di  valore.  Il  P.  Eckhel  lo  ripetè  dall'Olivieri  e  però  lo  de- 
scrisse per  triente  (D.  n.  v.  1,  p.  94).  I  PP.  Marchi  e 
Tessieri  ai  quali  importava  moltissimo  uà  bronzo  così  sin- 
golare, ne  domandarono  ed  ottennero  una  copia  che  tuttora 
si  conseiva  nel  Kircheriano  e  si  vede  delineata  nelle  ta- 
vole dell'^es  grave  (1839),  ma  fra  le  monete  incerte,  tav.  V 
n.  19  :  nel  testo  il  P.  Marchi  non  ne  fece  motto.  Vedendo 
il  Millingen,  che  non  ostante  la  chiara  sua  iscrizione  erasi 
dagli  editori  rilegato  fra  le  monete  incerte,  giudicò  che  la 
epigrafe  fosse  moderna  {Considérat.  1841  p.  173),  e  però 
l'attribuzione  ne  fosse  incerta,  perchè  fondata,  sur  des  lé- 
gendes  supposées.  Il  Mommsen  credette  che  il  bronzo  me- 
ritava fiducia  di  genuinità,  e  ve  ne  fossero  due  esemplari 
possedendone  uno  il  Museo  Olivieri  di  Pesaro,  un  secondo 
il  Kircheriano  {H.  de  la  m.  1,  p.  388). 

Vedendo  io  e  non  intendendo  perchè  un  bronzo  di  Tela- 
mone si  fosse  dato  per  incerto,  e  perchè  non  se  ne  fosse 
parlato  nel  testo  in  niun  modo,  ne  scrissi  al  Tessieri,  dal 
quale  ebbi  per  risposta  il  23  Agosto  del   1865,  che  il 


bronzo  originale  di  Pesaro  era  stato  giudicato  da  lui  una 
impostura,   nondimeno   per   soddisfazione  di  tutti  l'aveva 
messo  nelle  tavole  dell'  Aes  grave,  però  fra  le  monete  incerte, 
e  fattolo  perciò  disegnare   anche  in   grossezza,    perchè  si 
vedesse  ad  occhio,  ciò  che  si  sarebbe  dovuto  far  riflettere 
collo  scritto,  affine  di  confermare  il  giudizio  d'impostura; 
«  e  per  ciò  nel  testo  nulla  se  ne  dice  ».  Dalle  quali  mode- 
ste parole  chiaro  si  deduce,   che  il  P.  Marchi  autore  del 
testo  non  volendo  confermare  la  sentenza  del  Tessieri,  né 
contradirle,  preferì  di  non  dirne  nulla. 
.  Coli.  Hunter,  tab.  XXII.  I  tipi  sono  notissimi  nelle  monete  di 
Crotone,  e  di  Velia  ai  quali  si  sono  aggiunti  i  nomi  delle  due 
città,  non  però  come  si  leggono  su  i  nummi  sinceri.  L'incisore 
che  imitò  sì  bene  i  tipi  non  seppe  regolarsi  nelle  epigrafi. 
L'Eckhel  esclama  [D.  n.  v.  1  p.  173)  :  Qui  litteras  MI  et  KIl 
additas  expediverit  magnus  hercle  is  mihi  Apollo sit.'Egli  fu 
lontano  dal  pensiero  che  fosse  opera  di  un  falsario,  ma  lo 
argomentò  dalla  eleganza  dell'arte,  e  perchè  in  altra  moneta 
di  Crotone  si  leggeva  KPOTOMI2.  Ora  è  dimostrato,  che  il 
numus  illustris  (Eckhel,  1.  cit.  p.  165)  di  concordia  fra  le  due 
città  Crotone  e  Velia  è  moderna  falsificazione  :  né  Velia  ne 
Crotone  hanno  mai  battuto  il  tetradrammo.  Nondimeno  il 
Eiccio  lo  accetta  nel  suo  Repertorio  p.  88,  citando  il  Mion- 
net  e  gli  dà  il  valore  di  70  ducati.  Né  si  sovvenne  ohe  il 
Triedlaender  nell'opuscolo  sulle  monete  osche  lo  aveva  di- 
chiarate falso,  e  che  quel  giudizio  era  stato  approvato  dal 
Cavedoni  [Bull.  Instit.  1850  p.  146) 
Con  la  speranza  di  meglio  riuscire  nella  frode,  il  falsario 
si  è  giovato  di  un  tetradrammo   di    Siracusa  per  coniare 
sulla  sua  moneta  i  tipi  di  Velia,  a  quel  modo  che  il  fal- 
sario di  Ascoli  Piceno  si  é  servito   delle   ghiande  missili 
antiche,  per  imprimervi  sopra  le  leggende  e  darle  a  credere 
genuine.  Questa  moneta  fu  nella  collezione  del  Thorwaldsen 
(L.  Mùller,  Descr.  des  monn.ant.  du  Musée  Thorw,  Copenh. 
1851,  p.  150)  ed  é  stata  ricordata  come  falsa  dal  Miner- 
vini  [Bull.  ardi.  nap.  n.  s.  VI,  96). 


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CAMPANIA 


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CAMPANIA 
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