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SPETTACOLO
DELLA NATURA,
ESPOSTO IN VARJ DIALOGHI
iCONC ERNENT I
LA STORIA NATURALE
Che fono più proprj a rendere li Giovani
curiofi, ed a formarne lo fpirito.
TOMO PRIMO.
| mi
Edizione quinta rîcorvetta , e nella Traduzione
infinitamente migliorata . \
II VENEZIA,
Presso Francesco DI NIccoLo’ PEZZANA,
DCCLXXXVI vi
Con Licenta delsu G: e Privilegio. — "4 is
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DICHIARAZIONE
DEL.FRONTISPIZIO.
@v\Iccome fra l'altre doti, che la Scrit:
Sa tura prende a encomiare nel Re Sa-
Aa lomone; una fi è il buon genio ch’
egli ebbe, d’applicarfi allo ftudio della na-
tura ; così, volendo noi qualificare con un’
immagine, la più efprefiiva, che folle pof-
fibile , il frontifpizio di quefti noftri Dia-
loghi , concernenti la ftoria naturale , ci
fiam divifati di piantare alla loro tefta il
ritratto d’un taritoRe, il quale non. cefsò
mai di perfezionare il fuo fpitito; fe non
quando tralafciò di ravvifare il fuo Dio nel.
la contemplazione delle di lui opere. Ma
per raccorre in meno fpazio, che fofle pof-
fibile, lo ftudio univerfale; ch’ei fece, fu
sli animali terreftri, fu gli uccelli, fu' pe-
fci; fu gli anfibj, fu le conchiglie, e fu
tutte le piante, ci fiatno ideati di far im-
nanzi a un uccelliera, in atto di confulta-
| re un venerando vecchione fopra la teflì-
tura delle medefime piante, ed in partico-
lare fopra la morte d’ un ‘arbofcello fecca-
tofi a èagion d'un’ intaccatura ftatavi fat:
tà da. un cuor maligno o pucrile attorno
I FASE. af: |;
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attorno alla fcorza , che interfuppe la cir-
colazione dell'umore’. Si vedono da unî
parte parecchi animali del di lui barcò *
e per efprimere ancora meglio là gran cu.
riofità di quefto Re, fi figura, ch'egli ab-
bia ordinato di farfi portare ‘da ‘ogni paefe
checchè vi fi trova di più fingolare .. Un
pefcatore, che abita in fulle {piagge della
marina, gli prefenta un belliffimo dentice
. detto'così per la doppia dentatura , ‘ch’ egli
ha, la qual s'affomiglia a due feghe. con-
siunte infieme. Un Affricano gli: porta un
coccodrillo feccato ; la cui vifta fpaventa
il figliuolo d’ un ‘marinaro , che tiene in
mano uncaneftro pien diconchiglie. Que-
fto fanciullo fi sbigottifce ; gli cade di ma-
no il caneftro con tutte le fue conchiglie :
ed il mefchino fi butta per difperato a’ fian-
chi del fuo genitore. « <*)
PRE:
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PREFAZIONE.
RA quanti mezzi può mai inventare ai !
na indufiria , per aprire la mente de’ gion
. «vanetti, ed avvezzarli a buon’ ora a far ufo
della ragione , il più ficuro , e’! più durevole
fenza alcun dubbio fi è la curiofità . Il defiderio
* di fapere è tanto all’ uomo ‘connaturale, quanto
lo è la fiefla ragione. Quefta ingenitaà. bramosia
lo va. in ogni tempo” fiuzzicando , e folleticando :
ma più che mai nell’ adolefcenza , quando l’ ani-
ma affatto vota di cognizioni, gettafi avidamen»
te a tutto ciò , che le fi prefenta , € lafciandofi
trafportare fenza ritegno dalle attrattive della no-
vità, contrae, fenza punto di sforzo, una dolce
abitudine a meditare, e ad efercitarfi.
da quela bella difpoGz zione. fi ritrarrebbe un
profitto, incredibile , qualor s' impiegaffe intorno
ad oggetti, non meno acconci ad aefcare lo fpi-
‘rito col diletto , che atti a fornirlo di lumi, e
di cognizioni . Or quefta doppia fortuna fi tro-
va di buono. accordo nello fudio della natura ;
o fe ne ‘contempli I uniyerfale vaghezza , e fim-
inetria ; 0 fe n’efamini a parte a parte la bel-
ta; € dilpofizione particolare . Tufte'ciò , che
quivi s' incontra , © valevole a dilettare LIE
iftruire ; concioffiachè non, v' ha parte, che non
ifpiri difegno 3 proporzione ,, e giudizio . Tutti
i corpi, che cis aggiran d’intorno dal più gran-
de fino al più piccolo , e’ ‘informano di qualche
amena verità . Sono .tutti,, per così dire, tante
lingue , che parlano inverfo di soi; anzi non ad-
dirizzano la lor loquela, fe non a noi. La ftrut-
cura partic olare di ciafcheduno ne dice affai: ia
lor
tr
VI PREFAZIONE.
lor tendenza adun fine ci addita l’ intenzion dell’
Artefice : le relazioni , che pafiano fra loro , e
noi, fon tante voci diftinte*,. che ci (tichiamano
a se, e ne offerifcono de’ fervig]; ; e 1 buoni ‘av-
vifi, ch'effe ci danno , ricolman la noftra vita
di comodi , la noftra niente di lumi, e 1 noftro
cuore di gratitudine. In fomma può dirfi , fen-
za pericol di errare, che il libro della natura è
il più dotto , el più petfetto di quanti libri fi
trovano al mondo, e che niun altro è più atto
a coltivare il nofiro PATTO contenendo egli {o-
lo tutti gli oggetti delle fcienze poffibili , e par-
lando in un linguaggio accomodato alla cc Sil
ta, e all'intelligenza di chiccheffia.
Di quefio prezialiflimo libro, efpofto a gli oc-
chi del mondo tutto, e da sì pochi ftudiato , im-
prendo adeflo a compilare un efiratto , affine di
porre in mofira alla gioventù , che vorra com-
piacerfi di leggerlo , de’ tefori , cui polfedeva. -
fenza fervirfene; e ta appreffar a’ lor occhi ciò ,
che la lontananzà; la picciolezza, e la difatten-
zione, non facea loro difcernere. In vece di paf-
fare metodicamente dalle nozioni univerfali , e
dalle idee comunî alle ipotefi particolari, ci fiam
divifati ( imitando in ciò la natura ) d’incomin-
*
ciare di pofta da’ primi oggetti , che ne fi pa-.
ran dinanzi, € che ne cadon tutt’ ora tra ma-
no : cioè a dire da gli animali, e dalle piante .
Quanto a gli animali fi fon prefcelti a principio.
i più piccoli, efempigrazia gl’ infetti, e le con-
chiglie ; riferbandoci a ragionar poi degli uccel-
li, de quadrupedìi , e de’ pefci ., Dopo di aver .
ponderati a parte a pafte i fervigj , che gli ani-
mali ci appreftano, fi tratterà , a tempo e luo-
g0, del frutto , che ricavafi dalle piante , e fi
proccurera d' accoppiar ‘fempre la varietà coll
uti
a PREFAZIONE» VIE
utile. Se, nel teffer quel opera ; non ci fi iamo
fer olofamente obbligati a feguire un cert'os-
| dine, fenza preterirlo giammai ; ciò fi è fatto hi
| perchè trattandofi di guidar l'intelletto alla co-
gnizione del vero, pare, che fia lecito abbando-
nare la ftrada dritta, s ella fi trova troppo {ca-
brofa , e prendere la più dolce*, e più agevo-
le, purchè la medelima ne guidi al termine. da
noi prefifo.
‘Ma concioffiache non bafii rendere curiofo l’in-
telletto , efercitandolo vagamente in cofe piace-
voli ; e faccia meftieri renderlo eziandio cauto e
trattenuto nella fua curiofità : “abbiamo finito
quefto primo Tomo con una breve confiderazione
de’ giufi diritti e de’ limiti neceffarj della ragione
umana , ‘acui fommamente importa il-igr, 10, di
ciò, ch' è in poter fuo , e non gir dietro vana-
mente. alle cofe ad effa negate.
Alla raccolta di tutte quefte varie materie non
fi è voluto preftar il titolo di Fifica de fanciulli
( giufta. il configlio fuggeritoci da principio , il
quale a dir vero non farebbe ftato difconvenevo-
le, dove l’unica noftra mira foffe ffata diretta
a giovare alla tenera età ); nè tampoco fie vo-
luto qualificarla col nome di Fifica univerfale ,
il quale. promette troppo ; dove la nofîra inten-
zione non è di prefentare un fifflema compiuto
per le perfone provette, S' è fcelto dunque il .ti-
tolo di Spettacolo della Natura; conciofliacofachè
un tal termine dinota folamente ciò, che riguar
da l’efterno, el fenfibile, ed efprime s.tanto che
bafia, ciò , ‘ch'è conceffo generalmente ‘ad, ogni
uomo , ch'è intelligibile ad ogni età , e dal cui
| ftudio non v'ha neffuno, che poffa efimerfi al-
meno almeno fin a un certo fegno. Fd in fatti,
Pesi, che non goda dell’ afpetto ,,,€ della fac
4 ENEA fe)
iij bet PA
ia eferiore della natura ? Lo Mario delià
are" è fatto per tutti. Limitandoci a que-
folo.; fi difcopre baffevolmente per ogni par-
te il bello, l’utile, e’l vero. Vi fi ravvifa l’efi-
fienza degli oggetti ; ; fe ne comprende la forma;
fe ne fente il profitto; fe ne calcola il numéro; e
finalmente fe ne difinguono le proprietà, le tela-
Zioni, i difegni, le operazioni. Quivi dunque fion
| manca materia, onde elercitar con profitto la fa-
coltà intellectiva i Ogni nuova notizia ne appre-
fta un nuovo piacere. A mifura delle novelle fco»
perte van pur crefeendo le noftte ricchezze , €
l’ afpetto di tante, e tante beneficenze non può
far:di meno di nog bandire da’ noftri cuori line
gratitudine, e l’ indifferenza. Ma il prefumer di
penetrare gli occulti arcani della natura ; preten-
der di combinare gli effetti colle lor caufe parti*
colarii; volere inveftigar lartifizio , e la virtù
delle'macchine ; e rinvenire i primi elementi,,
ond’ elleno’ fon compofte : ella è un imprefa trop",
po ‘ardua; e troppo incerto fi è l'efito Fo mes
defima . Riferbiamola pure a quell’ anime fortuò.
nate, che Dedali non favolofi , pra aa Vl ali
all'ingegno, fan forpaffare gl’ intrighi de’ labirin=
ti , € vifitarne gli andirivieni, fenza timore di
| rt . Noi dall’ altro lato riconofcendo la no-
È infuBicienza 3 ftimiàmo di non far poco , fe
«ci fertniamo a confiderare la fuperficiale bellezza
della natura, e i puri effetti di quelle Macchine ;
| che ne compongono lo {pettacolo .| Fino a quì
“non n'è interdetto l’ acceffo . Anzi ognun vede,
| che non per altro fu fatto così fpeziolo , fe non
‘per provocare l’ univerfale curiofità + Contenti
dunque d'uno fpettacolo , che appaga baftevol-
mente non meno i fenfi , che l’ intelletto , non
D'SICTEAI ROLE ci fia aperto il gabinetto, "cegl
e
è n e ie e. dei pane tea-
dA
ne 4 pat
che Ra renne. ‘agevolmente. a ftancarle.. RO
d’ un Gerta ioni , apporta=
va: da per ardibario di noja. , s'è e prefcelto lo fil
dialogico , ch' è 1 più femplice, c’l più aécomo-
dato di tutti ad ogni forta di leggitori ..
La prima idea, che ci fifia prefentata al pen=
fiero; rifpetto alla fcelta degl’ Interlocutori , fu
d’ introdurre a parlare de’ celebri perfonaggi : con-
cioMiachè s' ha piacere di veder tinafcere in cer-
_t0 modo gli.uomini grandi , e di fentirli parla= I
re. Con quefta Jufinghiera illufione la perfona
s° immagina di trattare con' efloloro ; e s' inte-
reffa nelle dottrine , |
della lor bocca . Ma. d
ch
‘ non vede , che un così
fatto contegno. avrebbe {concertata l’idea , che
ci eravamo propolta ? Se fi trattaffe di piantar
i maffime di governo , 0 di cenfurare i vizj degli
uomini, fi potrebbe laudevolmente; accattar dalle
ftorie. qualche nome famofo , ed atto a dar mag
e fi figura eflere ufcite,
‘gior pefo al difcorfo . Quefti perfonaggi farebe
bono ben accetti in un dialogo , come aggradi=
{cono in fulla {cena , 4 mifura che i lor carate.
= +
che trafcende le noftre forze, i: 200 di ancora ; s°
ara, alla cefficura dell’ opera ; fè spot
to di i ren nderla mén tediofa, ché folle | poflibile :
onde in vece dun ragionamento continuato ; o
"Hg i Pal una parola ; RS
teri, € fentimenti fi trovaffer conformi a questi
to ne dice la Storia . Ma trattandofi. ‘di nuove,
fcoperte ; 3 € di materie filofofiche, egli non è co=.
‘sì «. Uno fi mette a un gran rifchio, a far pars
tare un Cartefio ; un IV ilebranche , © ounNewton,
per
be PREGA ZI O NE
per la difficoltà di preftare. a quefti grandi uomie
ni quel carattere , e quei fentimenti ;- che lor fi
convengono » È' facile il dire, che fi fara compa-
rire in ifcena il Gaffendi, e?l Robolt ; e che fi
produrranno fentimenti ; e pone proporziona-
te.al loro talento. Ma come poi foddisfare a fo-
miglianti promefle ? Per penfare , e parlar com’
effi, bifognerebbe avere di quei capitali , ‘“ond’
eran forniti quefti grandi uomini . Oltre di che
non fono perfone da poterfì così agevolmente a-
dattare alla nicchia d'ogni forta di leggitori . I
loro ragionamenti;. a volere che ‘avefiero del ve-
rifimile , dovrebbono eflere differtazioni continue
tutte aftratte, e fublimi. In fimile fcoglio s' in
ciamperebbe , a mettere in campo una conferen-
za de’ più celebri offervatori , che noi medefimi
abbiam citati nella noftra opera : ed ho motivo
di dubitare , che 1’ Aldrovandi , il Goedaert , il
‘ Malpighi, il Grew, ilLeuwenhoek, ed il Swam-
merdam non farebbono perfonaggi da prefentarfi.
in così fatti dialoghi. Dall’ altro lato, per quan»
to accreditati effer poffano quefli (oggetti , hon
è il loro nome, quel, che ‘ha da far la fortuna
della mia opera: laddove introducendofi delle per-
fone piuttofto femplici ; avran tuttavia il modo
di farfi baftevolmente intendere, e d’ aggradire ;
sì veramente, che il lor difcorfo fia naturale, e
infieme ancora profittevole .
Alla fine , ficcome quì non fi tratta, fe non
di ammaeftrare piacevolmente per un colloquio
libero ,.e proporzionato alla loro portata, il ta-
lento de’ giovani ,, fenza diftrarlo con certi carat-
teri troppo ricercati, o.con un’ aria troppo biz-
zarra, e per così dir -da commedia; così abbiam
creduto di dovere, fenza tanti apparecchi ,, por-
tar ‘quefta fcena in campagna, come luogo nati
baie
| PrrrAg10onNEe NI
rali mo, € più d'ogni altro adattato a un dia-
logo concernente la i della natura ; ferven-
doci, per ordinare , o per variar le materie , d'
Interlocutori d’ età diverfa , parte de’ quali van
comunicando de lor cognizioni a’ compagni, € par-
te vi s' intereflano ; per appagare la loro cu-
'TIONLA «ulti |
Introducendofi in un dialogo , attenente alle
fcienze , delle perfone triviali, d’ uncarattere, e
d’un raziocinio popolare, cioè a dire de’ galan-
tuomini, adunatifi cafualmente inconverfazione ,.
come tutto giorno fuccede, o fia a titolo d’ ami-
cizia, O fia per fomiglianza di genj; fe ne rica-
va pur anche un altro vantaggio di più rilievo,
che a prima giunta nonfi vedeva: conciofliachè,
quantunque quefte tali perfone non arrivin tan-
tofto a prenderci il fopravvento, come farebbg-
no i nomi di certi autori famofi , ituttavolta 2
lungo andare, ci accomodan meglio; non duran-
dofi alcuna fatica a capirli , ed a feguire le lo-
ro orme. Se poi fi fente per bocca loro qualche
‘cofa di curiofo, o di nuovo, pare, che ciò fac
cia nell' animo nofiro, una maggiore impreflione
di quel che farebbono le dottrine d’ un autor ce-
lebre . Ci andiam lufingando dentro moi ftefli,
quando s' impara una cofa da foggetti fimili a
noi ; perchè fentendoli ragionare , ci riputiamo
capaci d' arrivare. a’ loro penfieri, e di poterla
difcorrere al par di loro : finalmente la fegreta
‘approvazione, che lor fi prefta, diviene, non fo
come , un naturale incentivo ad imitarne l’ e-
fempio . i
Eccovi ora il fifema , FAR Pg ci fiam regolati.
rifpetto alla. (celta. degl’ Interlocutori de’ noftri
dialoghi...
Ua nobile giovanetto ni che fi va approfittane
è,
x»
xÎJ CER
‘o ‘negli ftudj dell’ Umanità , per indi pittài A
quelli della Rettorica , e che chiameremo RL
valier del Broglio , ; fi trova ( coll’ occafion d’ un,
viaggio intraprefo dai fuo Signor Padre, per ac-
cafare il figlio! primogenito ) in una villa d'un
gentiluomo: fuo amico, il quale impiega la mag-
gior parte della folitaria {ua vita nello ftudio
della natura...
Quefto gentiliòmo , nomato il Conte di Gion=
valle, ravvifando nel nobile giovanetto una ca-
‘pacità, e vivezza di {pirito non ordinarie , proc-
cura di feminarvi il buon gufto , ed una fpezie
di filofofia in tutto giovevole , e da per tutto’
corrente . Chiama. a parte delle fue conferenze il
| Piovano del luogo, uomo già accreditato per la
fua gran dottrina, ma molto più accetto per le.
maniere graziofe , e gentili, che in fommo gra-
do | adornano , € LU tutto per la fua gran
pietà... E
E ficcome le materie delle Me conferenze Sage
girano fopra cofe le più comuni , e più femplici ;
ficche per intenderle È non fi richiede un gran
sforzo di mente ; così la gentildonna , conforte.
di detto Conté , riempie il numero RESA Interlo-
cutori.
Tutte le bite ioni! de il giovane Cale
se fente far fopra cofe da lui giornalmente ve-
dute fenza abbadarvi , gli riefcono affatto nuo»
ve: ondé nel fuo ritorno dalla caccia, ovver dal-
la pefca ( nel quale efercizio fuole impiegare È
ultime ore della giornata). va di mano in mano
fcrivendo tutto ciò, che gli relta nella memoria
de’ ragionamenti gia fatti . Pofcia dà a rivedere
giorno per giorno il fuo fcartafaccio al Priore,
affinchè gliel corregga . Può fupporfì , che il con-.
tenuto di quefto medeli Imo fcartafaccio , emenda=
to,
I PREFAZIONE; x117
to, e raggiuftato , come 5° è detto‘, fia la ma-
tria: della prefente opera , che viene oggi alla
1g:
‘Se mai quefti frudiofi noftri pi: 30 frutti del-
le vacanze, avran la forte d’ effer graditi! da’ gio=
vanetti, e ‘{pezialmente dalla noftra Gioventù Noe
bile, che trovandofi {peffo in campagna ; è più
in calò di efaminare le curiofità naturali, avrem
motivo di rinnovare , quando che fia, le medefi-
me. conferenze, e adoperarci fempre più , fecon-
do il nòltro ‘debil talento , 2 propagare fi buon
genio verfo il bello della natura, € verfo l’ amor
della verità ; fradicando via via: la vituperevole
inclinazione alle favole, ed a’ romanzi, che ‘col«
le lor lufinghevoli falficà” in: cento nuove forme
ripullulano, ‘ad onta del difcredito, in cui’! buon
gufto di quel blgimo fecolo le aveva - "fatte ca<
dere.
* Oltre la maggior diligenza, ; che abbiamo avu=
ta d’’informarci da noi medefimi ;. o ‘da altri no-
ftri fedelifimi amici della più parte dell’ efperien-
ze , €d oflervazioni da lorò fatte in ordine alla
natura, per inferirle ne’ ‘prefenti noftri pale 4
non fi è mancato di citare per entro a ciaicun
. foglio gli aùtori più celebri, «che di fimili ne han
Fatte. Sopra di che) ‘non du - creduto di dover far
peo +5 è
materie hanno fcritto; Ta ‘che il favio let»
tore farà | più propenfo a gradire "ciò. , che verra
autenticato dalle teftimonianze degli offervato-
ri moderni , i quali per la loro efattezza ; e pre-
cifione fi fono isquiata la ima del “mondo
tutto . ST
-L' opere , di cui ci fiamo più frequentemente
ferviti ( non meno PE nolira informazione, che
sl per
|
, -
"n.
n raga
Wo. . Pres‘ ZIO NE,
per avvalorare, e comprovare le noftre medefimé
° offervazioni ) fon le feguenti.
L’ infigne Storia; e le memorie dell’ fidi
teal delle fcienze di Parigi; le Filofofiche Tran-
fazioni della Società di Londra , compendiate da
Lowtorpio, e da Iohn: I trattati del Malpighi,
del Redi, del Willughbi, del Leuwenhoek, del
Grew , del Nieuwenthyt ; del Derham ,; del Val
lifoeri (31 of
Spero, che il dedteno lettore ‘non vorrà mai
condannare quell ‘opera, a cagione della baffez-
za delle materie; ch’ ella contiene , hè tampoco
annojarfi della lunghezza delle differtazioni , che
vi fono inferite: imperciocchè tutto quel , ch'è
verità; ha-le fue: attrattive per dilettare , ed ogni
nuova fcoperta può portare dell’ utile. Chi bra-
ma di appagar pienamente la fua curicatà; può
ricorrere alla Storia natural degl’ infetti del Signor
di Reaumur , di cui è già venuto alle ffampe il primo
volume. Lì troveranno delle divifioni efattiflime,
@ le differenze più. piccole , e più minute , che
coftituifcono ciafcuna fpezie: Lì la notomia degl’
infetti; le metamorfofi , le operazioni ; trattate
con un giudizio, con una pulizia , econun’ elten-
fione sì fatta , che non fi può bramare di più.
Ma i lettori, a pro de’ quali ci fiam divifati di
ferivere , non richiedon da noi tanta efattezza :
e fe que opera ha da correr qualche fortuna
nel mondo, lo debbe fare per la. proporzione da
noi offervata nell’ adattar le materie al talento ;
e bifogno de’ giovanetti; e fopra tutto per ave-
sa antepoflo checchè poteva iftruirli, o allettar-
li, a ciò ; che avrebbe loro appreftate delle co-
gnizioni fterili, e languide. Quefta precauzione
potrebbe ancora efler ‘utilealle perfone provet=
te: Pane non v° ha domo al mondo; di qualuns
que
Mad
PREFAZIONE, xv
que età, o condizione fi fia, che non ami di
fentirfi internamente commuovere dalla moftra
delle gran maraviglie, che I’ onnipotente Iddio
va giornalmente operando d’ intorno a noi, e
per noi, tanto nelle menomiffime cofe, quanto
nelle più grandi. Gli oggetti più bafli , e più
mefchini poffon per quefto mezzo acquiftare e
anima, e dignità. Tutto ciò, che ci preme, s°
ha caro d’imparare a conofcerlo. Ma quetti og-
getti medefimi riafumerebbono la lor picciolez-
za primiera , e comparirebbono alla maggior
parte de’ leggitori, più abbietti che mai, qua-
lora fi trovaffer coftretti a farvi fopra uno ftu-
dio o troppo fecco, o tropo proliffo. Si lafce-
rebbe in un cantone il mio libro, ed ognun mi
rimprovererebbe di mal accorto , per aver prefe
a trattare in modo fcientifico delle minuzie .
Il perchè fi è proccurato con ogni ftudio di for-
nirlo del dilettevole, e di rifecarne il fuperfluo.
IN-
XVI
2 Re SR o
bw RAT
Dialogo Primo. Gl’Infetti,
Dialogo Secondo. I Bruchi.
Dialogo Terzo. I Filuselli.
Dialogo Quarto. i Ragni.
Dialogo Quinto. Le Vefpe.
Dialogo Sefto. Le Api.
Dialogo I Settimo. Le Api.
Dialogo Ottavo. Le Mofche.
Dialogo Nono. Le Conchiglie.
pag. I
ar
52
7I
94
113
135
154
185
LO
fr ART
i «MIRI eg DE
> SAPEVO RA.
A AR LIT GRUBER E VOTI VIA]
GL INSETTI.
DIALOGO PRIMO.
Ir CONTE
Ir PrioRE
Ir Cavariere DEL Broccio.
Cont. Nr , fe noi vogliam fare la noftra
DI "RIE UNPREO O) i
folita paffeggiata, non è più tempo di
.. 12 farabada.Ilgiorno abbaffa : andiamo.
Cav. Ecco giufto ’1 Signor Priore , che viene
| ©pportunamente a farne compagnia. I
p Prior: Via, Signori, andiamo a prendere un po-
| co d'aria; e guadagniam paffo paffo il giardino.
. .Bifogna, di@orre il Signor Cavaliere da. quefto ga-
binetto, dove continuamente lo trovo . Sembra
poet che quefto fia un pofto affegnatogli per
. farvi A guardia.
. Cav..;Per vero dire ,. non fo Gaccarmene. Il Si-
gnor Conte |’ ha fornito; infieme colle due ftanze
contigue, di tante cofe rare, e curiofe , che il
. .fempre' Qarvi non reca noja.
Cont. Che domine dite mai, Signor. Cavaliere?
A Parigi bifogna andare, fe volete trovar mate-
| ria, onde a pagare la vifa. Quì finalmente voi
non vedetecnient’ altro , che la unici fari»
ciffima satura.
Tomo I. PRI O cer,
® Go base rina.
Cav. Ah Signore! Quefta è mille volte più bele
fà, che Parigi non è, con tutte le fue pompe ;
e colle fue ’ndorature. Quel rimirar tutto ’l dì
una medefima cofa, è un piacere, che prefto at
tedia; laddove quì voi trovate una varietà d' og-
getti ftupenda. V' ha ( s° io non m' inganno )
quanto producono tutt’ e quattro le parti» del
mondo. Bifogna al certo fra l'altre cofe, chel
Signor Conte abbia adutiate tutte le fpezie degli
animali immaginabili; per collocarveli... Alcuni.vi
fon naturali, begli.e ’nteri, molto bene feccati ,
e confervati perfettamente: gli altri, per lo me-
no, vi fondipinti. Ma quel, che più rm inhamo-
ra, fi è quefta grani moltitudine di vivi anima-
letti; parte de’ quali ftan lavorando al balcone
fotto di trafparenti campane; € parte filando,, o
teffendo (fecondo il’loro mefliere) dentro a va-
fellami diterfo criftallo. Oh quanto. è dilettevole
il dimorare in campagna'! Non paffa mai gior-
‘no; che la medefima non ci prefenti qualche no-
vello fpettacolo .
Cont. Ciafcun l' intende a fuo modo. Io perme
fra le inquietudini dei pubblici fervigj, e fra tu-
multi del mondo ho finalmente imparato a cono=
fcere , quanto vaglia il ritiro. Egli mi è caro ,
ed è oggsimai buona pezza ; ch' io vi ritrovo il.
mio conto. Le differenti fpezie di trattenimenti
‘me lo rendono gradito; e poffo anche dir utile.
Ma un giovane dell’ età vofira non fuol effer mol-
to tentato di far la notomia d’ un infetto. Sono
oggetti per voi troppo melchini farfalle, filugel-
li; formiche, o pecchie . |
Cav. Dappoichè mi facefte vedere cotelli vé-
tri; che ingrandifcon gli oggetti piccoli, horav-
vifato nègl’ infetti delle cofe maravigliofe . La
x
fola tefia d’una mofca è tutta adorna’ ‘di pIOGBS
Hi
\
DraLoco Primo. — 9
di fiori, e di diamanti. L'ala d'un mofcherino,
ché fembra a prima vifta un cencetto bianchic-
cio, fenza bellezza veruna; rimirata con più zt-
| tenzione , fi trova lifcia come. uno fpecchio ;, e
| vaga al pari dell’Iride. Mi muojo di voglia d'
offervare per minuto tutto il reftante. |
Cont. Al vedere , voi volete rendervi un uom
fingolare. Ditemi, Cavaliere, digrazia, trovate
voi uomo al mondo , che fi perda a farneticare.
fopra gl Infetti? E° fi calpeltano, o per lo me-
no; non vi s' abbada . Qualora vi divifafte di
prender norma de’ voftri piaceri da’ miei, v'ap-
piglierefte ad un modello molto cattivo . Dilet-
tarfi del baccano di Parigi; ufar fommo ftudio per
avere appreflo disè un leggiadro equippagio, un
abito di buon gufto , una tabacchiera fuor. dell'
ufo comune; prenderfi di bel mattino la cura di
regolare in ifcritto il fervigio della fua tavola ;
ultimata quefta importante faccenda , -paflar la
giornata, o, in vifite, oal giuoco; andarfene ad
ammirare ‘ora’ gl incanti delle Fate al teatro, ed
ora ifalti.d'arlecchino al mercato, quefti fichia-
mano divertimenti ragionevoli; quefti fono fpai
da galantuomini; quefti finalmente non fon fog-
getti ad alcun rimprovero.» Ma iltrapaffare, co-
me fo io; due terzi dell’anno .in campagna; fif-
fare il fuo diletto nello ffudio de’ varj fenomeni
della natura ; efaminare, per modo d’ efempio, la
firuttura del corpo d’ un animale; tener dietro a
una pianta dal primo fuo nafcimento fino a gli
ultimi fuoi progrefli ; e afficurarfi con replicate
efperienze, na che pofa effer utile: che ne dite,
Cavaliere mio caro? Quefta foggia di vivere non
è ella veramente falvatica 2 Non fente ella del
bisbetico.,, 0° per dir meglio; dello fcemo? |».
Cav. Intendo; Signore. Mi volete far conce»
À = pire,
Gr Insetrr.
| pire, che i giudizj degli uomini fono ffravolti +
che molto apprezzano le frivolezze , e nulla cu-
tano ciò, ch'è bello, ed appaga. ir,
Cont. Orsù, giacchè v’ apponete al mio penfier
gosì bene, vi parlerò fenza cifre. Lo Spettacolo
della Natura è l'oggetto de’ miei piaceri ; e vi
ritrovo ogni dì de’ nuovi allettamenti , eziandio
a riguardo delle cofe più infime, e più minute.
Non fiffiamo di prima giunta i nofîri occhi fuque”
gran globi di foco, che s' aggirano lafsù alto ;
nè tampoco fa quelta terra, che tante ricchezze
ne mette in moftra. Principiamo , fe sì vi pia-
ce, da quanto v' ha di più piccolo. Avrem poi
campo; a grado a grado, di follevarci. La fces
na, che ci fi para dinanzi, è magnifica: ma fic»
come la noftra vifta non può abbracciar tutto
quanto in un colpo j così divideremo le cofe'a
parte a parte, e in cotal guifa le goderemo.
— Cominciamo da queft’infetti, che il mondo fpre-
gia cotanto, e che voi tanto amate. Vi fodire,
ch’ effi mi recano un piacere infinito , e per la
varieta, e pe’ caratteri, e per le affuzie, e per
l’ammirabile -fimetria degli organi loro 3 e per
cent’ altre curiofità, ch'io vi ravvifo. E primie-
ramente , fe Iddio non giudicò difdicevole a sè
Niefflo il crearli , perchè farà difdicevole a noi °l
contemplarli? Oltre di che, rimirandoli con più
attenzione , vi fi fcoprono mille argomenti di ma-
raviglia , Conghietturate, Cavaliere mio caro ,
da quanto di più comune, e di più fenfibile in
effi fi vede, quale flupore ci recherebbe ciò, che
gli occhi noftri, edal noftro intendimento fice=
la, qualora ne fi fvelaffe, NR
Qualunque Infetto, tanto volatile quanto ret-
tile, è un piccolo animaletto, compofto, o di più
anelli, che fidifcoftano, efi raccoftano fra dilo»
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DrarLoco Primo. s.
fo perentro una membrana; o fia pelle comune,
che tutti quanti gli accoglie; ovvero di. più la-
mette tagliate, che fdrucciolando P una full’ al-
tra; fi muovono; o finalmente di dueotre parti
principali, che non s' attengono infieme, fe non
“per un filo; che nodo, o fpezzatura fi noma.
Della prima generazione fontuttiivermi; tane
to quelli, chefon forniti di gambe, quanto quel»
li, che ne fon fenza. Quefti vermi, qualora vo-
glion trasferirG da un luogo all’altro, allungano
la mufcolofa lor pelle, che i primi anelli fepara
da’ fuffeguenti: e portano il primo ; fia quel, che
‘guarda latelta, fia quel, ch'è preffola coda, in
una certa diltanza; e pofcia aggrinzando, € riti
rando dalla medefima banda la pelle, fanno venire
il fecondo; nella fleffa guifa tirano il terzo; e così
| pure dimano inmano tutto il rimanente del cora
po. In coral forma quefte beftiuole , come che
fenza gambe, pure camminano, evanno dove lor
I Ag pia-
È Spiegazione della Figura. »
1: Gli anelli, omufculi diftribuiti in tanti cerchiet=
ti, racchiufi dentro una fteffa pelle. -
è. Le lamette, che farucciolano P una full’ altra.
3. I filetti, 6 ftrozzatàre, o vertebre degl’infetti.
4: I denti, ovvero feghe de’ medefimi.
+ 5. Gl’infetti appefi al lor filo. .
6. Le molle delle cavallette, o locufte.
7. Le antenne degl’infetti..
8. Le antenne pannocchiute; o mazzocchiute »
9- Le ali de grilli. 000
| 10. Le ali degli fcarafagsi. | ==
11. L’aftuccio, ocuftodia dell’ali, che ripara le mes
. defime dagli urti de’ corpi duri, e dall’ umido della not»
te, nel qual tempo ftanno in funzione.
| Quanto a’ grilli, fe ne trovano di varie fpezie ; ma.
molte più ancora forio lerazze degli ftatafaggi, de’ mo-
fcini, e delle cimici. Noi non le abbiamo defcritte
| autre in particolare, psr non attediare il lettore, e peg
non dilunsarci dal fine, che Gi fiamo propotti:
6 Gort:thk sen ri .
piace; sbucano di fotto terra, cad ogni minimo
rifchio vi fi rimbucano; s° avanzano , e rincula-
no, fecondo che richiede il bifogno.* I
Della feconda fpezie fone le mofche, i ronzo-
ni, ed altri infiniti , il cui corpo confife in un
aggregato di varie lamette, che in difpiegandofi
8’ allungano; ed entrando una ‘nell’altra s' accor-
ciano, come appunto facevano i bracciali, € co-
fciali delie nofire antiche armadure.
Cav. Sì, st; ne ho veduti diverfi nella vofira
guardaroba ‘
Cont. Della terza (perte fon le formiche, ed i
ragni, con altri molti, che voi vedete in due i O
tre porzioni divifi; ficchè a pena ci pare, chel’
una all'altra s' attenga. Sembra, che queftoter-
mine Ixfetto, onde tutte generalmente quefte be-
ftiuole fi nomano , fia derivato dalla voce latina
infecare, fignificante tagliare ; ed è appunto cor-
relativa a quefte feparate porzioni , incifioni, ed
anelli femoventi, ©
Prior. La lor picciolezza pare, che autentichi
a prima fronte lo:fpregio, che fe ne fa: maella è
pure un muovo argomento, onde ammirar |’ ar-
tifizio, € la fimmetria della loro firuttura , per
cui fi vedono collegati tanti vafi, tanti umori ,
e tanti moti in un piccolo pusito, il qual foven=
te non può difcernerfi, La comun prevenzione li
riguarda come un effetto del cafo , o come un ri-
fiuto della natura. Ma Tintitafiagli con attenzio-
ne, vififcorge l’idea d’ una fapienza, la qual non
pur non li trafcurò; ma fi prefe anzi un particola-
riffimo penfiero di veftirli , d’armarli, ediprovve»
derli di tutti gli attrezzi bifognevoli al loro fiato «
Ella dunque gli ha veftiti, (e con che diftin-
‘zione! ) profondendo fu le lor giubbe, fulle lor
ale ’ fulle lor acconciature di tefla l'azzurro; il
vers
Diatroto Primo. 7
‘verde ; il roffo, l’ oro, l'argento, e per infinoi
diamanti , le frange i ‘le crefte, e i pennacchj .
Bafta dare un'occhiata alla lucciola, alla cante-
reila, a quell’infetto, che fi chiama la Damina;
cioè il grillo ; alla farfalla, ad un femplice brù-
co; per rimanere di così. farta magnificenza tra-
fecolato .
Ma quella fapienza medefi ima, che s'è diletta-
‘ta di variamente abbigliarli, gli ha ancor arma-
ti da capo a piè, e gli ha pofti in iftato di fa»
per far la guerra, d'offendere , e di difenderfi .
S’ e’ non viene lor fempre fatto d’ acciuffar ciò ,
che ps o d'evitare ciò, che lor nuoce;
fon però corredati di tutti gli firomenti opportu- -
ni, per. arrivarvi. Sono la maggior parte muniti
di forti denti, ovver di due feghe, o d’unpun-
giglione con due frecce, o finalmente di vigorofe
tanaglie. Una corazza di fquame cuopre , e ri-
para tutto quanto il lor corpo. I più dilicati fo-
no d' un folto pelo efteriormente guetniti , che
‘fiacca gli urti , cui potrebbon ricevere, e gli ftro-
picciamenti valevoli a lacerarli .. Trovano quafi
tutti la lor falvezza nell’ agilità per la fuga, e
in cotal guifa fi liberan daogni pericolo; quelli
coll’ ajuto dell’ ale ; quelli coll’ argomento d' un fi-
lo, fu cui fi foftengono, nel buttarfi di punto in
bianco giù dalle foglie, ove albergano, e neldi»
lungarfi dall’ inimico, che ne vaintraccia; ed al-
tri coll’ elaftiche vertebre de’.piè di dietro, il cui
grilletto li lancia inun attimo tanto lontani, che
li trae fuori d’impaccio. Infomma, dove manca
la forza, fupplifce l’arte, e |” aftuzia ; e queta
| guerra continua, che noi veggiamo fra gli ani-
mali, apprefta a molti di loro il cotidiano ali-
mento, e ne conferva nel tempo fleffo di tutte le
fpezie un numero fufficiente a perpetuarle.
A 4: Voi
n I
fi. Gi Inserti.
Voi rimanete, fenz’ alcun dubbio, flordito, £
| weder\la natura così affaccendata nell’ abbigliare ,
e fornire de’ militari attrezzi cotefti infetti , che
noi fprezziamo. Ma più ancora vi ftupirefte, fe
cominciafie ad efaminare minutamente la ftruttu»
ra degli organi, che loro diede, per poter vive-
re, € l’artifizio degli ffromenti, che lorconceffe ,
perchè poteflero tutti , fecondo il lor meftiero,
lavorare. Concioffiacofachè ciafcun diloro ha un
mefliere. Parte fanno filare; ed hanno due roc-
che, e le dita, per ifconocchiare il filato . Parte
fan teflere, e far lereti; e a taloggetto fon cor=
redati di gomitoli e fpole. Ve n’ha di quelli, ch'
efercitan l’arte del legnajuolo ; e fon premuniti
di due roncole, per tagliare il legname . Ve ne
fono taluni, che lavoran di cera, e la loro bot»
tega è ben fornita di rafiere , di meftole , e di
cazzuole. Hanno la maggior parte una tromba,
che più mirabile pe’ vary fuoi ufi della probofcide
dell'Elefante, a chi ferve di lambico, per diftil= ,
lare unfiroppo, acui l’uomo non è arrivato ad
imitare giammai ; a chi di lingua peraflaggiare;
a chi difucchiello per traforare, equafi a tutti,
per fucciare, di cannello. Molti di loro, oltre all’
avere la telta armata, o di fega, o di tromba,
ovver di tanaglie, fi portan dietro un certo fora=
tojo, (4) cui fpingono avanti, e poi lo girano,
e lo rigirano con maeftria, per ifcavare coll’ajuto
di efflo comodi alberghi, onde alloggiare; ed al-
levare la lor famiglia, nelmidollo de’ frutti, fot-
to lacorteccia degli arberi, nel folto delle foglie,
o de’ bocciuoli, e fpeffo ancora dentro il legname
più duro. Radi fon quelli, che oltre all’acutezza . |
della vifta, non abbiano antora due antenne, @
fpezie di corna, lequali mettono iloro occhi al
coper=
Ca) Strumento per forare il legno,
PPS I
Draroco Primo. 9
coperto.; e precedendo nel cammifiare, maffimo
al bujo, tutto il lor corpo, efplorano il terreno,
e mediante una fenfazione vivilima, e delicatifli»
ma s' accorgono di checchè potrebbe oimbrattar=
li; o annegarli, ocozzarli. Se mai le dette corna
in qualche liquore nocivo fibagnano; o fe trovane
do la refiftenza d’un corpo duro fi piegano; l’ani=
- male fat all'erta, e fi fcanfa . Alcune di quefte
corna fon compofte di piccoli nodi, (come quelle,
che voi vedete in fulla telta de’ gamberi); altre
nella loro eftremità dentate ‘2 foggia di pettine;
«ed altre finalmente coperte di piccole piume , o
vellutate, oguernite di peli, per poterfi riparare
dall’umido . Oltre a quefti , e molti altri prove
vedimenti, i quali, fecondo la diverfità delle {pee
zie, fono ancor effi diverfi, la maggior parte de-
gli infetti ha ricevuto eziandio la facolta di vo-
lare. Alcuni, efempigrazia i grilli, fon corredati
di quattro grandi ale, che corrifpondono alla lun»
ghezza del corpo loro: altri poi, perchè le han=
no sì foprafiine, che ogni menomo ftropicciamento
farebbe valevole alacerarle, fon premuniti di due
forti fquame , cui or alzano, ed or abbaffano ,
come fe fofler due altre ale ; ma che realmente
fervono di cuftodia alle vere. Di quefte cuftodie
voi ne vedrete a gli fcarafaggi, a’'ronzoni, alle
.canterelle. Ne troverete moltifimi, che nonhan=
no, fe non due ale; ma fotto dieffle ravviferete
due vefciche , o vafi concavi, che alcuni prendo=
no per martelli, o contrappefi, la cui mercè l’ine
fetto, adonta dell’ agitazione de’ venti; fi regge
an aria ( Derbam Theol. Pbyf. lib.8.), e nelronzare
© foftentafi in equilibrio; come appunto fa unballe=
| rino da corda coll’ ajuto del fuo baftone da amea-
due i capi impiombato; fe purinòn vuol dirfi , che
que due vali incavati fian nacchere , cui gl vg
Vacan
10 GroINSsETTI.
«adan battendo coll’ ale per lor diporto, 0 vee
zamente per riconofcerfi fra di loro ad un cotale
tonzio. o
Cont. Dalla vofirà attenzione, Lewitio mio
caro; argomento , che vi faterno un filofofo . |
Cav. Giacchè avete la bontà di rollerarmi per.
qualche tempo in voftra compagnia , {pero di far»
mi molto ricco avoftre fpele: Vi proporrò , con
voffra buona licenza, cento quiftioni per giorno.
Farò paflarvi fotto, degli occhi in rivifta tutte le
razze degli animali. Mi fermerò ad interrogarvi
fopra ogni fi d’ erba. Nè lafcerò d' importunar=
vi, e conquidervi, fin tanto che non mi farò ac-
comodato di tutto’! voftro fapere.
Cont. Datene pur l’' affalto a voftra pofta, che
noi c'ingegneremo di difenderci .
Cav. In primo luogo, fupplico la voftra genti-
lezza, (dopo terminato il paffeggio, o almeno 2
voftro comodo ) di moftrarmi nel microfcopio que»
fti abiti, quefte armi, e quefti arnefi, di cui mi
avete contate tante maraviglie . Gl’ infetti, a det-
ta vofira, debbono cfier forniti di veftimenta bel-
le al par delle noftre ; ed i loro ftromenti così
ben fatti, come quelli che vengono dalle mani
de’ noftri artefici più eccellenti.
Prior. Gli arnefi; e gli abbigliamenti degl Iné
fetti fi pofiono Den paragonare , come voi dite,
co’ noftri; ma ciò dee farfi, per offervar da una
parte la materialità delle noffre manifatture , e
dall’ altra la preziofità, l'aggiuftatezza , e l’ec-
cellenza, che fpicca in quelle della natura. Of
iervate con una lente (4) la telta di una mofca
ordinaria . Chi può faziarfi di rimirare la gran
profufione d’ oro, e di perle feminata fur una te-
#a di tanto poco'rilievo ? E chi non muovefi a
come
Ca) Occhiale che ingrandifce gli oggetti.
) — Diaroco Primo, tr
compaffione | (4) in paragonandola ad altre te-
fte , che affetcano una confimile acconciatura ;
fenza poterla imitare ? Ciò, che fu detto de’ gie
gli de’ campi, può giuftamente adattarfi alle luc»
ciole, ed a molt' altre fpezie d’Infetti: Salomone
in mezzo della Sua gloria non era abbigliato, co=
me il minimo di coftoro . Ma bifogna rifvegliare
al Signor Cavaliere la memoria di quelle cofe,
che ha già vedute. Vi ricordate voi di ciò y che
vedefte in cafa mia , allorchè mi facefte l’ onor
di venitvi ? Voi defte di piglio al mio microfco=
pio : e che cofa v'aveva io pofle dentro?
Cav. Eravi da una parte. un ago di pecchia ;
incollato fovra un pezzetto dicarta; e dall’altra
un ago da cucire, tanto minuto, che a mala pe-
na fi potea maneggiare.
Prior. Di quell’ago di ostolià;i he ve ne parve?
Cav. Era da un capo all’ pata cotanto lifcio ;
che più non poteva eflere; e ia punta fi Want
va a difcernere. ©
Prior, Ciò nonoftante, affarvaro adeffo una co-
fa; dicui allora non vi feci alcun motto : avvere
zite , che dentro a quell’ago v'è un picciol forame ,
per cui la pecchia fcocca due frecce, le quali fono
d’una fottigliezza indicibile, e non pertanto for-
tifime, ed attiviffime : di modo che, quelche ave-
te veduto; e che ordinariamente fi vede fpuntar
dal corpo dell ape, non è mica l'ago, ma bensì
l’aftuccio dell’ ago, ovvero una forta di fucchiello
da carpentieri, (5) atto a preparare l’ingreflo a'
‘due dardi, per farli penetrare più a dentro. È
dell'ago. da cucire che ve ne parve? I
Cav. Egli mi parve fpuntato, pien di bernoc=
coli,
(2) Spiegazion letterale dell’ Oper. de’ fei giorni ;
(65) Il fucchiello da carpentieri ferve a PITEERAE
a bucare il legno,
sii. Guai en
coli, e fimile ad una verga di ferro ufcita dallà.
fucina d'un magnano. ,
Prior. Il paragone va a pelo. Or faté conto,
‘che in tutte l’ altre cofe accada lo fteilo.. Nelle
manifatture dell’ uomo non troverete; che fcabro=
fità, che fcrepoli, che rozzezza : (2V1/kins relig.
nat. lib. 1. c.6.) in tutte fi fcopre la limitazione
del di lui corto talento, e la materialità degli
firomenti ; che adopera : in tutte fi vede l’ ufo
della falce, e della cazzuola : in tutte finalmente
firavvifa unartigiano inefperto, che non conofce
nè meno i materiali, di cui fi ferve. Laddove nell”
opere ancor più minime—del Creatore fl trova fems
pre la perfezione . Ai di dentro , voi fcorgerete
per tutto una franchezza, «na femplicità, ed una
maniera di molle, la cui ftruttura, artiàzio , e
confervazione a lui folo fon noti. Al dituori in=
-contrerete pertutto i più bei tratti di pennello,
che mai dir fi poffa; per tutto la magnificenza,
la fimmetria , la gentilezza , la grazia.
| Cav. Or bene; ho già rifoluto. A quanti Ino
fetti mi capiteranno dinanzi ; a tanti m' avven=
terò addoflo. Vo’ conofcerli tutti tutti.
| Prior. Ecco fatto; non v'è più remiflione ;
maflimamente per que’ mefchini; il cui colore dà
più nell’ occhio. Guai 2a quante farfalle , e a
quante lucciole s'imbatteranno ad incontrarvi per
iftrada. Ate, microfcopio! Ma giacchè il Signor
| Cavaliere ha tanta curiofità di fapere ciò , che
riguarda gl’ Infetti, fi può agevolmente cavar=
gliela . Informiamglo di mano in mano di tutti i
differenti ftati, per cui fenpafiano, e delle loro.
diverfe generazioni. In quefta guifa farà la,rac-
colta di quei, che gli piaceranno; li porrà me-
glio in ordine, ed imparerà tutto il loro filtema.
Cont. Ben volentieri. Cominciamo dunque Ri dl
a
N
Dratoco Primo. 13
fa Ta nafcita. Tutti gl Infetti (ficcome gli altri
‘animali ) derivan da un germe”, che in piccolo li
conteneva. Quefto germe fta da principio rinchiufo
dentro un invoglio , or femplice, or doppio ; il
| qual non s'apre fin tanto che il feto non ha acre
quiftato un fufficiente vigore per poter romperlo.
Se ’l1 feto rompe il fuo invoglio nel nafcere , e
comparifce alla luce delmondo perfettamente for=
mato, e fomigliante alla propria madre ;. quefta
madre fichiama vivipara. Talifono i centogam»
be, i molcini di molte piante, e le cimici degli
aranci . Se poi la madre depone i fuoi feti rin»
chiufi in un gufcio duro, che dicefi uovo, dove
i medefimi debbono foggiornar tuttavia qualche
tempo, prima di venire alla luce; la detta mas
dre chiamafi ovipara .
L’invoglio de’ germi procedenti da madre vivi-
‘para è morbido ; e dilicato ; concioffiacofachè tro-
.vandofi quefti germi fempre al coperto. nel fen
della genitrice , non han bifogno d'una maggiore
difefa. Ma l'invoglio de' germi, che derivano da
madri ovipare (alquanto prima di venir fuori),
‘fi condenfa in una crofta folida, e dura, affine
di poter refiftere alla gravezza , e all’intemperie
dell'aria, | che intorno adeffo, come fur una vol-
ta, s' aggira , fenza che il feto , che vifta dea»
tro, ne refti offefo.
Tutti el’ Infetti, (anzi tutti aes gli
animali, fenza eccettuarne veruno) provengono
da una madre, che, o nell’una, o nell'altra di
quefte due forme li partorifce . La fpezie ovipa-
ra butta fempre giù le fue uova qualche tempo.
prima, che i figliuoli, coll’ ajuto di uncerto gra-
do di caldo, vengano fuori: e la {pezie vivipara
non ha mancato giammai di dar alla luce i fuoi
parti belli e formati . Quefie leggi fi fon ofler=
vate
Lo
isa Go Dossetti
«vate dal principio del mondo fin a. quell’ oggi;
nè fono ftate foggette mai ad alterazione veruna .
Cav. Come, Signore 2? Un infetto , un rettile.
provien da una madre j come un leone da una
leonefla ? I j
Cont. Egli è infallibile: Un leone ha avuta una
madre; quefta madre ne ha avuta un’ altra; quett”
altra un’ altra, e tutte le predette generazioni
vanno a far capo alla prima leoneffa , che Iddio
creò. Lo fteffo appunto fuccede in ciafcuna fpe-
zie d’ Infetti. Le loro generazioni fono ugualmen=
te fucceffive, regolari, e coftanti.
> Cav. Come mai, per voftra fè, può ‘Aecordarii
ciò , che voi dite, con quanto giornalmente fi ve-
de? Non è egli vero, che tutto giorno fi vedon.
nafcere degli infetti in cento luoghi, dove avan»
ti non n'era niuno? Subito che un corpo fi cor-
rompe, genera qualche forta d’ infetti. Dicefi co-
munemente la corruzione effer quella ; che li pre:
duce.
Cont. Il mondo dice così . Ma, caro mio Ca-
valiere, credete voi, che mentre parlaintal gui-
fa, egli fappia ciò , che fi dice? Che cofa vuol
dire corruzione d’un corpo ? Non altro per cer-
to, che fcioglimento delle fue parti. La carne
( per modo d’ efempio ) il brodo , il vino ec. fi
“ corrompono, allorchè l’aria, e fpezialmente l' a-
ria rifcaldata, infinuandofi da tutte le bande nel=
la carne, nel brodo, nel vino ec. ne fa {vapora-
re le parti più fortili, e non vi lafcia fe non le
più craffe, le men faftanziofe, e le meno atte a
dileticare il palato. Or chi può mai concepire;
che le parti interiori d'un pezzo di carne fvapo-
rate, difunite, ed alterate in tal guifa, fieno più
atte di prima a formare in un iftante un corpo
organizzato, che abbia e occhi, e cuore, ed inv
te-
n
i
«Diraroseo Prim®. Tr
teftini ; ed in una parola tutto.ciò., che compo»
ne un'animale vivente ?
‘Cav. Come, Signore? Credete voi dunque, che
| miri verme y od un bruco abbia tutte quante co-
tefte cofe?. -
Cont. Il più piccolo verme, il più minuto ba-
colino ; che fcorger fi poffa nel cacio ;, la mini.
ma di quelle anguillette, che fcopronfi nell’ ace-
to, il più fottile di quei vermetti, che fi vedon
guizzare in altri liquori, è fornito di tutte quel-
le parti, ch' io v° ho nominate . (2) Egli è un
animale , che vede, che va per un'altra banda,
quando gli viene attraverfata la firada , che.fi
procaccia il fuo vitto; che mangia ; e che dige»
rifce. Egli ; in piccolo ; debbe aver tutto ciò;
che a noi richiedefi in gratide + I
. Prior. Quanto a me, lo ifteffo è dire b; ché le
rupi, o le felve generino de’: cervi , e degli ele-
fanti, quanto che un. pezzo .di formaggio. produ»
ca de' bachi, Ecervi nafcono ; e vivon ne’ bofchi,
‘come i bachi nel cacio. Ma la nafcita de’ primi
è del tutto conforme alla nafcita de’ fecondi...
Cont. 1 microfcopio , e la notomia , che degl’
ilifostì s'è fatta, ne han dimoftrata una tal ve»
rità ad evidenza; «e la loro generazione unifor=
me, € regolare è e fata finora un arcano ; cha ale
ey ‘per fin s'è fvelato.
| Prior. Di queto appunto bifogna. vendi capa»
ce l’ intelletto del Signor Cavaliere. con qualche
nuovo argomento . L’ opinione foftenuta dal vol=
g0, che gl Infetti fian generati dalla. putredine ,
è ingiuriofa al Creatore, e indegna di un’ anima
ragionevole . Imperciocchè 3 qualor vi fi faccia
punto punto di rifleflione;; convien ragionare com
# - get sì :
Ce) V. le tavole di Lecurventoek alla parola pei
malcula è
16 Gu Inserti
#1: o quefli animaletti, fabbricati con tanta maea
‘Ara, e con tanta grazia, forniti contanta pre-
cauzione di tutti gli arnefi s che lor bifognano ,
® che fi vanno perpetuando in un metodo fempre
uniforme , fon prodotti da una fapienza, chetut=
to pliò ; 0 veramente generati dal cafo s e dal
concorfo fortuito di pochi umori alterati, e fcom-
pofti. Ora egli è un affurdo grandiffimo il giudi-
«are, che il cafo operi checcheflia ; e un altro.
mon minore del primo il credere, ch” egli operi
«con difegno, con antivedimento , e con regola.
31 perchè quella fapienza medefima; che fi ravvi»
fa con iftupore nella ftruttura del'corpo umano,
fi trova eziandio nella formazione di quel d’ un
infetto ;j e la corruzione tanto non è madre di
quefti , quanto non lo è degli altri animali, €
degli uomini ftefli. Refta ora a vedere, fe quell
infetti nafcano in virtù d’ una creazione ftraore
dinaria , e fempre nuova , dovunque apparifca-
mo; 0 fe provengan da’ germi, che Iddio fin dal
‘principio del mondo abbia ripofti in ciafcuna fpe=
zie, e dove abbia fin d'allora delineati, e difpo-
<fti in piccolo tutti gli organi degli animali futu-
ri; affinchè col tempo fpuntafiero fuora . Quefta
feconda opinione fembra più conforme alla ragio-
ne, all'efperienza ,, all’ onnipotenza di Dio , ed
alla Sacra Scrittura , (Gen.2.) la qual ne ‘infe-
«gna avere egli fin da principio ordinato, che cia-
fcuna pianta conteneffe in sè il germoglio della
fua fimile, e che ciafcuno animale s' andaffe mol-
tiplicando "fecondo la propria fpezie.
Cav. Comincio ora a vedere, che il fatto fai
“come‘voi dite. Pure fidura fatica a difimprimerfi
dalla mente, che.gl' infetti non fian generati dal-
la putredine : concioffiachè non sì tofto un pez-
zo di legno marcifce., o un carname fi paria»
che
| DiatLoco Primo. 17
che vi fi vedono brulicare de’ vermi. Come dun-
que vi nafcono ? sii
° Cont. La cola non può effere più naturale. Vi
nafcono, perchè altri infetti v’ han depofte lelo=
fo uova,
Cav, Ma, Signore, fecosì è, bifogna dire, che
coftoro ne pongano da per tutto, e che ogni co-
{a fia pieno d’ uova: altramente vi farebbero dé
molti corpi, che marcirebbono , fenza che vi ft
vedeffe apparire alcun verme.
Prior. L’ imbroglio del Signor Cavaliere deri»
va dal vedere , che quefîi vermi comparifcono
per appunto ne corpi, che £ corrompono . Per-
ciò fi da a credere, che l'uova fian feminate per
tutto; comechè poi non frurtifichino, fe nonlà,
dove s* abbattofio in iughi accone: a gontarle ;
ed atenei lor germi re” I I
| Cav. Ho intefo dire dal Signor Conté ; che i
‘piccioli femi delle piante ‘foffero ‘trafpottati dal
vento; che'fi {parpagliafiero da per tutto; e che
finalmente allignaffero folamente in que’ fiti, do
ve trovayano iughi proporzionati a nodrirli . Nor
potrebb' egli medefimamente avvenire, che l' uo=
va degli infetti foflero trafportate per ogni par-
Le 7 e che NI, LI |
° Cont. Non ve l’aveva io detto, che alle noftra
«mani vi farefte fatto filofoto ? Il voftro Signor
Padre, ed il voftro Signor Governatore , al loro
ritorno vi troveranno già divenuto un perfetto
fiico. Ho un gran piacere a fentirvi raziocinare
in tal guifa. Così appunto argomentavano mol-
ti antichi, e così pur la difcorrono molti moder-.
ni. Tuttavia non vogliate vanagloriarvene trop-
po; imperciocchè il paragone del trafportamento
de' femi delle piante con quel dell’uova degl’ in»
fetti , quantunque a prima fronte molto fpezio= .
Tom, I | B {0;
dk. > ANT Insettir
fo, non è però efatto Ne rimetto, il giudizio, 4,
voi ftelfo. Afcoltate.
La. pianta, produgitrice de’ femi,. fa abbarbi=
cata alla terra_, nè può andare a portarli qua;
“e la. La natura dunque ha provveduti quefti (e-
mi di ale ; affinchè non veniffero tutti a cadere
in un luogo. Alcuni fcattano. fuor del cufcio con
impeto ; € fi fparpagliano alquanto alla larga: te
altri poi han veramente delle piccole alette $ me-
diante le quali coll’ ajuto del vento, fon tralpore
tati molto lontani: e non pochi han «di vantag-
gio degli uncinetti, per. cui s' attaccano, ad: on-
ta del vento,, dove che fia. Non fi potea far di
più, perchè chigua ci, fi fcopriffle l’ intenzion dell’
autore della natura. Ma, non, men chiara ci fi pa-
lefa. nella difpofizione dell’ ugva, di quelli infetti,
fe non che la maniera è in.tutto in, tutto diver»
fa.. Dovunque, Vv. ° imbasgerete| 1a trovarne, le ve-
derete 0 appiccate con. una, ‘colla. così. tenace: n
che talora; fenza. romperle , non. è poflibile di-
ftaccarle; 0 veramente rinchiufe dentro a cellet-
te di varie fogge, ma fempre fabbricate con mae=
ftria,o e con favio accorgimento difefe . Dal che
apertamente fi vede, come l'intenzione della na-
‘tura non è; che quell’ uova fi {pargano da per
tutto; ma più tofto, ch’ elle non vadano vaga
bonde, e fi pofino tutte in ua luogo...
Cav. Comparazione mia. cara.;, addio. Non ne
vo' più faper niente.
Cont. Non vi ho però fatta baffevolmente com-
prendere la differenza. , che palla tra la difpofi-
zione de’ femi delle piante, e quella dell’ uova de-
gl’ infetti . Il trafporto de’ primi è rimelo nell’
arbitrio de’ venti.. Dal che. s' arguilce, ch eÈ deb-
bono fpargerfì da per tutto , € non per tanto
non nafcere. in ogni luogo, 3. ‘ma folamente 797
_® =
). DraLocgo Ritmo, | 19
abbattanfi in tughi adattati alla piccolezza de’ lo=.
ro pori. Quanto all’ uova degl'infetti, la cofa è
totalmente diverfa . Quefte non hanno ali ,) da
poter effer traportate: vi fon però i lor genito-
ri, chè le hanno, per poter procacciare alle me-
defime un fito acconcio } dove polarle. Il perchè ;.
fe voi vedete nafcere- degl’ infettiin un corpo nel
punto fieffo, che il detto corpo corrompefi, non
che la corruzione ingeneri degli animali ; nè
che uova degli infetti fieno fparfe per tutto ;
ma ciò unicamente addiviene, perchè. vi fon del-
le madri, le quali fanno, che un corpo guafio,
e corrotto è più PREFETTI d’ un altro ad ali.
mentare i lor parti. L' odore, che alla lontana
n’ efala., le attrae: e quell’ odore medefimo è de»
finato. appunto ad attrarvele. In fomma la fcel-
ta, che fan le madri d’unfito abbondante di paf-
celi proporzionati al bifogno de’ lor figliuoli, per
ivi deporre le lor uova , piuttolto che altrove,
è un argomento , non meno eflicace della firut-
tura medefima. di quefti feti, per comprovare,
che la putredine non genera cofa alcuna; che il'
cafo non opera nulla; e che all'incontro la fitua-
zione, il deftino, ed il mantenimento di tutte le
cole è fegnato nel libro della natura.
Prior. Certo è, che fe il cafo non s impaccia.
in conto alcuno nella fituazione degli infetti, mol-
to manco: avra, mano nella loro generazione,
Cont. Niente quì. s' opera. a cafo . I moti de'
piccoli animaletti ne fembrano capricciofi , e for=
tuiti: ma. tutti per, verità fon diretti ad un fine,
come quei de’ più grandi. La fagacità , che am-.
mirafi in una volpe ; nell’ afficurarfi una buona:
tana; l’ indu@ttia, che offervafi in un uccello, nel.
fabbricarii. un. comodo nido ; fi ravvifa. eziandio!
in un. mofcherino 3 nell’ allogare agiatamente la»
B_x uao
20 Gu InsETTI.
fua famigliuola. Niffuno infetto abbandona I’ use
va fue alla ventura. Le madri non s' ingannano
‘mai: e fe ’1 feto nello sbucare dell'uovo, trova
il fuo nutrimento bell’e ammannito , ne dee fa-
per grado alla madre , che gli ha precifamente
trafcelto quel luogo , che bifognavagli , perchè
avefle, onde vivere. Fare ftemperare un granel-
lo di pepe nell'acqua, vi vedrete ordinariamen=
te nuotare de’ vermicciuoli d* una piccolezza in-
dicibile . La loro madre , che fa, un tal nutri-
mento confarfi a' fuoi parti, non manca mai di
depor la le fue uova. Mirate col microfcopio una
socciola d’ aceto , vi troverete delle minute an- 0
guillette , | e non mai altra forta di vermi. La
ragione fi è , perchè v° ha chi conofce , effer l'
aceto, 0 pur la materia, onde l’accto fi forma,
un alimento proporzionato alla cara fua prole.
Però la pone fu quella materia , ovvero in quel
precifo liquore, piuttofto che altrove, Ne' paefi,
ove il filugello fi pafce liberamente per le came
pagne , fi troveranno le di lui uova fempre in
iul gello, e in altra parte non mai. E' facile in-
devinare qual intereffle vel fpinga . Non trovere-
te giammai fur un cavolo l’ uova de’ bruchi, che
godono il falcio; nè fur un falcio l' uova di quel-
li, che roficchiano il cavolo. La tignuola va cer-
cando gli arazzi, i panni lani, le pelli digraffa-
te, o la carta, per efler fatta di ftracci dilino,
che hanno perduto, col macerarfi nell’ acqua ; O
fotto il maglio della cartiera , la lor nativa vg
rezza . Non la vedrete mica far una pianta , o
entro di legno; nè tampoco in un carname , ina
fi corrompa. La mofca all’ incontro viene a de-
porre i fuoi cacchioni in così fatto carname +.
‘intereffe mai ve la tira ? Non iftarebbona ©
forfe meglio in una bella porcsllana , Ja Pale è
\# x
\
®
Diaroco Primo: 2i
fempre a fua difpofizione ? La feguente fperichzd
vi dara meglio a conofcere , qual fia l oggetto
della fua fcelta.
(4) Prendete un tocco di minzo allora allora
ammazzato; e mettetelo in una pentola difcoper=
ta: Maccatene pofcia un altro, è ponetelo in una
pignatta pulita; coprendola immantenente con ùna
pezza di feta; affinchè |’ aria vi penetri , fenzà
che la mofca vi poffa infinuar le fue uova . In-
travverra al primo pezzo ciò, che fuolé Ordina
riamente accadere : cioè a dire , bacherà ; per-
ciocchè la mofca ha libero campo di deporvi i
fuoi cacchioni. L’ altro pezzo , mediante la pes
netrazione dell’ aria ;. fi corromperà , s° avvizzirà ,
€ fi convertirà per lo fvaporamento anche in pol=
vere; ma non vi troverete mainè uova, nè vers
mi, nò mofche. Quefte al più, tirate dall’ odore”,
s° affolleranno fopra °l coperchio , tenteranno d
introdurfi nella pignatta; e non potendovi entra+
te; fpargéranno pet avventura ful drappo qual=
che cacchione . |
—_. Prior. Per quefti efempli chiaraménte fi vede,
che la corruzione non genera cofa alcuna. Oltre
di che moltifimi infetti di tutt’ altro vanno in
traccia, che di corpi corrotti , per allogarvi; ed
allevarvi i lor parti . Che fe poi fe ne trovano
‘alcuni , che campano quivi Ia loto vita , non è
da maravigliarfi , fe fi vedofi pofat le lor uova
fuf un corpo vicino a corromperfi; come ron res
ca ftupore il veder una madre di famiglia in com=
pignia de’ fuoi figliuoli colla falce alla mano inì
mezzo, a un campo di biade; allor che fono mas
ture . Tutta la macchina dell’ Univerfo è piena
d animali , deftinati , chi a un fiutrimento ; chi
B 3 all I
(a) Ved. Efperienze del Redi d’ Arezzo, e Leeuwîtts
hock Anatom. contemplat. arcan. nati
22 CE Two.
all’ altro. Ciafcuno ha l’occhio aperto al fuo paf-
colo; e nulla fcappa alla loro perfpicacia .
Cav. Mi par di ritrovare al prefente ne’ moti
de' piccoli animaletti più ordine, e più difegno ,
che prima non ritrovava,
Prior. A mifura , che andremo fcendendo al °
particolare ( non oftante la portentofa. diverfità
delle loro generazioni , e maniere di nafcere , e
di fuffere) , ravviferete per tutto l’ iflefla fa-
ienza , che ha infpirato in ciafcuna madre un’
amorofa follecitudine per la fua figliuolanza; ed
ha, per dir così, lavorato fur una fteffa pianta,
richiamando tutte le fpezie ad uno fteffo princi-
pio , cioè a dire alla generazione effettuata per
mezzo dell’uova, o veramente per via de’ femi,
da lei collocati in ciafcheduna di effe.
Cont. Vediamo ora ciò, che contienfi nell’ uo-
vo. Quando la femmina , da cui proviene , non
è itata coperta dal mafchio , non vi fi trovano
dentro, fe non fughi fterili , i quali fi feccano,
ed i{vaporano in breve tempo. Il' mafchîo è que-
gli, che feconda l'uovo; ed allora, oltre alla fo-
ftanza dilicata, che 1 Fa ceh fi entro’. gufcio',
«vi fi Yitrova un piccol feto, per cui formare, e
render fomigliante alla madre non vi voleva di
meno dell’ onnipotente mano di Dio, In virtù d°
una legge , che ogni umana capacità trafcende ,
quefto "feto comincia a vivere. Sotto il riparo
del gufcio fi nutrifce con tutta pace dell’ Sg
in cui nuota. La fua mole fi va ingroffando;
fentendofi finalmente ridotto troppo alle meda
rompe il fuo invoglio, e trovafi, merce il prov-
vido antivedimento della madre, poflo a tiro de
gli alimenti più foftanziofi, i quali allora s' affan» |
no al nuovo fuo fiato.
ini sbucare dell Uovo, alcuni fi stabi neri I
43
x
Diaroco Primo. 33
fa perfetta lor forma ; nè l’ abbandonano,” più,
finchè vivono. Tali fonole chiocciole, che alza
. do dell'uovo colla lor cafa ful dorfo, ieoRiféevino
fempre la fiefla figura, «colla medefima’ cafa:: 5 fe
non che, diventando l’animale più groffo,; ‘s° ag-
‘giungono alla loro fcaglia di nuovi cerchj: ( Lees-
awenbock Arcan. nat. t.3. cpift. 138.) tali pur fono
i ragni, che venendo {lice dell’ uovo compiuta-
mente formati, altro non cangiano , che la pel-
le, e la mole. Ma la più parte degli altri infetti
paffano per iftati totalmente diverfi, e prendono
di mano in mano la forma di due, otreanimali,
che non hanno veruna fomigliariza fra loro.
«Gav. Gome? Come? Un bruco potrà mai ‘effe-
e una cofa diverfa dal bruco? E un’ape è flata.
‘per avventura un animal differente dall’ ape?
‘Cont. Senza dubbio. Ve ne fono infiniti di que-
fi animaletti, che fon compofti di due , o tre
‘corpi in una maniera differentiflima organizzati;
il fecondo de’ quali vien fuora dopo il primo; ed
‘il terzo nafce preflo îl fecondo, Quefte fon vere
metamorfofi. Il Signor Cavaliere avrebbe mai let-
te quelle d’ Ovidio?
° Cav. Sono arrivato per infino alla metà. Que-
file graziofe favole mi piacciono affai : ma alla
“fin fine non fono altro, che favole; quando però
‘fotto ’l velo di effe non racchiudafi qualche ar=
‘cano , il quale avrei molto a caro , che mi ve-
nifle fvelato.
Prior. Avete ragione ; non bivobna moftrarfi
indulgenti con coftoro, che vele fpiegano. Con-
ivien ricavare da cli , non meno le antiche fto-
rie , che fotto la fcorza di quefte favole fanno
ripofte, che ‘gli equivoci delle lingue matrici , on-
‘de fon' derivate le altere. Ma giacchè vi moftra-
"te così ‘innamorato, tanto del vero y quanto del
| 4 mi;
Da)
s4 Gu. Idee rt 1.17
mirabile, fara cura noftra di foddisfarvi. Vi diam
parola di fpiegarvi delle metamorfofi incompara=
bilmente più prodigiofe di quelle del vofiro Ovi-
dio; ed avrem campo di farvi in tutte tocear con
mano, e rimirare cogli occhi proprj la verità.
Cav. Cotelle metamorfofi mi riefcono affatto nuove.
Cont. Or che direfte; s' io vi moftraffi un pae-
fe , dove fi trova una moltitudine d’ animali di
varie fogge, parte viventi fotto terra ; e parte
nell acqua ; i quali ranigiano di mano in mano
la propria forma , venendo ad abitare fopra la
terra, e ftrifciando come i ferpenti pe' bofchi, €
per le campagne? che quefti medefimi in capo 2
un certo tempo coliano di mangiare, e fi fabbri-
cano una ftanza ; o per dir meglio una tomba,
dove ftanno più fettimane fepolti, alcuni ancora
più mefi, e forfe degli anni interi, fenza moto,
fenz' azione, ed apparentemente fenza vita ? che
apprello a tutto quefto rifulcitano ; fi vedon can-
giati in uccelli, rompono la parete del lor fepcl=
ero, {piegano le lor ali, e divengono finalmente
abitatori dell’ aria?
Cav. Avrei ben caro di fapere qual fia cotefto
paefe, e come fi chiamin cotefti uccelli . Stento
però a credere, che....
Cont. La cofa è più che certa. Quefto paefe
è appunto il noftro, e quefti animali fono gl’ in*
fetti, i quali 3hbiara tutto ’l dì fotto gli occhi.
Cav. Ghe colta? Forfe le mofche, i bruchi, le
vefpe, le pecchie?
Cont. Per l’ appunto.
Cav. Ditemi, fe Dio v' ajuti, ché metamorfofi
fara la loro?
Cont. Cotefti infetti; con altri molti, nello sbu-
care dell’ uovo, non fono altro, che vermicciuo-
li, parte fenza gambe, e parte con elle. Quel=
li,
-
Diatoco Primbi... 2%
li, che ne fori\privi, fanno ‘all’afpettò de' geni
tori, iquali fi prendon penfiero di portar loto il
‘mangiare, o di collocarli in tal fito, che li for+
nifca (enza loro difagio del bifogrievole per nu-
trirfi. Quelli poi, che hannò gambé, vatino di per
sè a procacciarfi il lor vitto fu per le foglie dell"
albero acconcio ad alimentarli; ed è appunto quel+
lo, fu cui la madre gli hà collocati. S*ingroffa-
nò inbreve témpo ad occhi veggenti. Moltiffimi
mutan la pelle, e in cotal guifa ringiovanifcono 5
comparendo cinque, o fei volte riveftiti da capo
a piedi di nuovo. Dopo di che tutti quanti ( vi
fovvenga però, ch'io parlodi quelli, che fon fog-
getti a cangiatfi) tutti, dico ; paffano per uno
fiato di mezzo, ché è quel di ninfa, o crifalide.
Quefti fon due nomi diverfi , che vagliono ad efe
primere quafi quafi la fieffa cola; ma fara bene ;
ch'io ve ne faccia la fpiegazione. Il vermicciuo+
lo in capo a un certo tempo refta di mangiare 4
e fi rinchiude in una fpezie di piccola tomba, la
quale, fecondo la varietà de vermi, è divetfa; ma
però fempre nella ela forma compofta . Or qui=
vi appunto dentro un invoglio, che la fua foms
ma dilicatezza da ogni finiftro accidente ripara,
. acquifta un nuovo concepimento, e nuovamente
rinafce. In tale ftato fé gli da il nomedi ninfas
che vale a dire zovella fpofa ; perciocthè allora l'
infetto de’ fubi più vaghi abbigliamenti s’ adorna ,
e prénde la fua ultima forma, fotto cui debbe fa
re la fua compaifa , affine di propagare per mezi*
«z0 della. generazione la propria fpezie . Si chiama
altresi col nomé d’ aurelia , ovveto crifalide, ch'
è quanto dire ninfa dorata‘: concioffiacofachè la
pellicella più, o meno dura, dicui allora fi è ri
veltito, prende ( almeno in molte {pezie d’ infetà
ti) a paro a poco un «Solare più vivo, e più va»
go.
26. Gu AIA DiaLoco Primo. 4
so. Dicefi parimente bozzolo, ogufcio, O fava ;
perocchè egli è allora inviluppato in una ‘pelle or-
dinariamente affai dura, e fommigliante a un gu-
{cio d’uevo, 0 alla buccia d’ una fava. Bifogna
però convenire , che il termin di ‘igufcio , e di
bozzolo prendeli più comunemente per dinotare
quelle pallotte di filo, edi vifchio, fotto] le qua-
li il filugello, ed alcuni altri BRUGHI fanno rin-
chiufi, allorchi cangianfi in ninfe,
Finalmeate il quarto , ed ultimo'loro filato , la fo-
lenne, ed ultima metamorfofi , fuccede allor SEE
do sbucano del fepolcro, e divenuti infetti volatili,
rompono i lacci, che gl’ imprigionano , fpuntan fuo=
siipennacchj; onde illor capo è guarnito , fpiega-
no lelorale, e... Ma riferbiamo quefto prodigio-
fo fiforgimento a domane. Bifogna dar campo al
noftro caro Cavalierino d’andar a fare un giro alla
caccia . Ecco appuntol’ora d’ appoftare la preda .
Cav. Ah! no per Dio, di grazia continuate. Me.
ne ‘furon moftrate più d’.una volta di cotefte crifa-
lidi, oveibruchi ffannofepolti, e mi parevan tan-
te fantocce. Ma io le fupponevà già morte, fenza
fperanza di più riforgere; nè ho trovato neffluno,
che mi difinganni . Mi farete ungran piacere, a
palefarmi in qual nuova forma fi cangino.
Cont. Domane verremo al particolare , Provo
un contento indicibile a fentire, che abbiate
‘tanto gufto a quefle noftre metamorfofi. Voglia
però fornirle d’ un nuovo merito,
Cav. Qual farà mai?
Cont. Quello di farfi bramare, Differiamole ‘ad
un’altra fefione. Ve ne difpiace , nè vero ? lo
per me ne refto incantato. Oh quanti giovani del-
la voftra età giubilerebbono .a veder una volta
venuto a fine un così fatto ragionamento!
Fine del Dialogo Primo .
I BRU-
E RT Cr el 27
W.;.: Bi Radio Hb
DIALOGO SECONDO.
A VAL balti ,
La Contessa. DI GIONVALLE. /
Ir PriorE
Ir CavaLiere DEL BrogLIo.
Conti Ui non fi vede più alcuno. La com-
pagnia della Conteffa , fecondo ‘me ,
s'è appartata. Entriam di grazia fotto quel per-
golato , e profeguiamo la ftoria de noftri infetti.
‘ Prior. Il Signor Cavaliere m'ha letto fflamat-
tina un efatto. compendie» della noftra conferenza
di jeri; e fon ficuro, che anche voi ne refterete
molto contento. Moftra ad evidenza, chela cor-
tuzione parteciperebbe della potenza, e della fa»
pienza , qualora ella aveffe ‘virtù di produrre un
corpo organizzato . Rende parimente buon conte
della fcelta, cui fan le madri de’ differenti fiti ,
ove fi trovano le lor uova; e con uguale efat-
tezza efpone ad uno ad uno i diverfi ftati, per
cui la maggior parte degl’ infetti fen paffano.
Cont. Bifogna. dunque farlo fegretario dell’ ac-
cademia: così yi troverò il conto mio. Impercioe-
chè, quantunque volte le mie faccende m' obbli-
gberanno ad effer altrove, faprò per mezzo dilui
checchè fi farà trattato nelle voftre conferenze .
| Prior. Signor Cavaliere, giacchè voi fiete di gia
‘capace di riflettere da per voi, e d’efpor con chia-
rezza, econgarbogli altrui fentimenti ; farem co-
sì: voi farete il Foxtenelle della noftra accademia .
Cont. Suggeritemi dove jeri reftammo.
Cav. Avevate portati gl'infetti, che fi trasfor
ma-
w
28 i Bruchii.
“mano ; allo fiato di ninfa , e gli andavate tòs
gliendo di la ; con traftautarli; per una fpézie di
rifurrezione in altri animali viventi. Avrei caro
di fapere, fe prima di trasformarfi , effettivameni=
te fi muojano.
Cont. Non fi potrebb' egli abbreviare il difcor=
fo, e dire) alla prima; che l infetto, dopo di ef-
ferfi cangiato in ninfa, aflolutamente fi muore ?
Egli è pure un vero animale, che ha ilfuò cors
po, le fue interiora, le fue gambe, i fuoi écchi;
ed in breve, tutte le fue membra particolari, €
per lo più differenti da quelle dell’ animale vola=
tile, chegli fuccede. Egli medefimo fi disfà della
fua telta, de’ fuoi occhi, e delfuo corpo. Or que-
fto è un morire da vero. Togliete la tefta, el
corpo a qualfivoglia animale , voi gli togliete la
vita. La diftruzion delle patti porta feco la di
firuzion delcompofto. Così finifce il leone , il ca-
vallo, eccetera. Ma quanto a’ vermi, eda’ bru=
chi, ed a molti altri animali cotanto difprezzati;
la loro morte è l’ origine d'un nuovo effere, e
il lor finimento è il principio d'un nuovo ordini |
di cofe. Allorchè 1 verme è diftrutto, ne provie=
ne una mofca; dal bruco una farfalla ; e da als
tri rettili degl’ infetti volatili. È vero, éhe l’ anis
inal precedente ferviva di facco, © vagina ad urì
vivo embrione, che rela ih, sie, e'ifi perfezio=
na dopo la diftruzione del fopraddetto : non nego.
altresì, che quefto embrione (Siwam. Storia degl’
infetti) fia ffato per avventura fcoperto pér en.
tro la pelle del verme primiero ; che gli fervivà
di vagina. Maciò non oftante il primo è un ves
ro attimale, che fi rifecca, e s' annienta per dar
lnogo al fecondo.
Prior, Comunque ciò fia, bilogna però offervas
re, cheil fecondo ha una fretta attenenza col pris
MO j
Diatoce SECONDO. 29
Mo; che quefti lo riguarda, come cofa parteci»
pante del proprio effere, o per dir meglio, come
un altro sè fteffo, in cui deve tornar a vivere.
La premurofa follecitudine, con cui fi fudia di fab-
bricare la tomba , ove dee feppellirfi la falma del
vecchio infetto , è una ben chiara riprova, ch’ egli
afpira a qualche cofa di meglio 3 € di maggiore
importanza. Non fi fpaventa mica a quefio ap-
parato di morte, la quale è e per lui un paflaggio
ad uno flato vie più felice : anzi in vece di sbi-
gottiri all’ afpetto del fuo catafalco , lo profegue
con brio, econ affiduità confuma tutte le fue for-
ze, e la fua propria foftanza per terminarlo ; e
fi può dire, ch'egli muoja; come fa il gran del
formento ; il qual fi difperde fotterra, per pafce-
re il germe, che ne rampolla.
Cont, Lafciam digrazia la tefi generale, e ven=
ghiamo alle fpezie particolari. Vifon degl’ infet-
ti, che d'altro non vivono, che di verzura: al-
cuni campano col roficchiare il legname, ove al-
bergano : fe ne danno di quelli , che trovano il pro-
prio mantenimento nelle fiele pietre : altri poi
non fuffifono, fuorchè nell'acqua, o in qualche
altro liquore : moltiffimi finalmente. fi nutrifcon
della foftanza d’ altri animali. Inun campo così
fpaziofo trafcegliamone alcune fpezie , che ci fono
più famigliari. Il Signor Cavaliere ha già contez-
za de bruchi, e de Alugella, Comincieremo dun-
que da quetti .
Cav. E' un buon pezzo, ch io fon vogliofodi
fapere, qual fia la materia, che ibruchi filano,
e come fia fatta la loro rocca. Ma ecco la Si-
nora Contefla la dietro alla pergola . Andiamo»
le incontro.
Contef. Signori, giacchè nella vofira conferen-
a di ragiona di rocche, e di filato, ho qualche
girit=-
30. I Bnuwcéxi, ali
diritto ancor io d’intrare in aringa. Si può fa»
pere, qual foffe il foggetto dei voftri difcorfi ?
Cont. (a) Si difcorreva de’ filugelli, e degli ale’
tribruchi; le di cui. generazioni a noi conte afcen='
dono a. più, di trecento. Ogni dì fe ne {coprono
delle nuove . Ciafcuna fpezie differifce dall’ altra,
nella corporatura, nel colore, negli iftinti, nel- -
la maniera del vivere, in tutto quanto : quelli.
però d'una fleffa fpezie fono intutto, e per tut=
to uniformi fra loro. Ecco in prima ciò, ch' efla
han di comune. Tutti ( per modo d’efempio, i
filugelli.) fon compofti di più anelletti, che allone.
tanandofi l’ un dall’ altro, e raccoftandofi infieme ,.
portano il loro corpo dovunque fa di meftiere .
Hanno pur tutti un numero determinato di gam=
"DEL
{4) V. Goedaert. Stor. getierale degl’ Infetti , e la
Raccolta di M. Aubriet Difegnatore nel giardino del
Re, e della Libreria Reale. |
Spiegazione della Figura.
A. Bruco del Surinam, che è il diciaffettefimo della.
raccolta della Signora Maria Sibilla Merian
. B. Crifalide del detto bruco. n
C. Farfalla provenuta dalla predetta Crifalide.
D. Altro efempio ricavato dalla medefima raccolta .
E. Antenne, o corna de’ bruchi.
F. Tromba, per fucciare.
Quefta tromba ,' ancorché fottile quanto mai dir fi
yroffa, è nondimeno compofta di due lamette , dentro
alle quali fi trova una rifega , o fiffura ; di modo che
la farfalla nell’ applicare 1’ una full altra: quefte due la-
me per tutta la loro lunghezza, ne forma un bocciuo=
lo, o:cannello, per cui, nel tirare il fiato a gonfiare
1 fuoi polmoni , attrae i liquori , chie vuol fucciare .
Quando. s° abbatte a trovar fughi troppo denfi, verfa pro-
babilmente per quefto cannello un’acqua proporziona-
ta a difciorli: e sì, dopo averli mollificati, e refi lie
quidi, li fuccia comodamente. Allorchè la-farfalla non -
fa più ufo della fua tromba, la ripiega, e 1’ accartoc-
cia.a guifa d’una voluta, ficchè viene a occupare po»
chifimo fpazio.
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DraLoco Srconpo. 3.
be, che lavorano, e fi ripiegano, ‘per via di fot=
tili giunture; e'Toho armate d ùncihi, per poterfi
inerpicare, ed attaccare fu per cortecce degli af=
bori,. {pezialmente. nel tenipo dellora nn Quafi
tutti hanno unfilo; la.cui foftanza. confife in una.
gomma liquida , ch effi i fpremonò dalle foglie, on°
de vivono. Sì.trovan per ‘avventura. in pericolo d’
effer portati Lia da un uccello ? O. vero ammac-
cati dalle rame agitate da' venti? Appiccano alì”
‘albero. di queta gomma, e lafciatidofi cadér giù.
penzoloni; ; fanno gemere la medefima da varie pa-
pille del loro corpo ( Lecwenhock Arcan. nati $.3: )
ficché fe ne forma una malfa di fila', che unite”
infieme” colle lor zampe, €, conglutinatefi, a, ca-
gione del naturale lor vifchio, l'una coll’ altra,
compongono un filo folo ; capaciffimo di foRen=
tare per aria il corpicciuolo. ell'animale,* 0°
i Contel. Parmi di vedere un funajuolo , che, do-
po avere attaccato ilcapo. della fua foppa al roc=
chetto della ruota, fe ne va a paflo a paflo {co-
Bando col rinculate se fi lafcia continuamente fcap-
par dimano più fila , le quali riunifce, e raccozza.
infieme colle fue dita , per formarne una corda fola È
Prior. La fimilitudine è molto giuffa. Non vi
vedo , fenonuna piccola difparità ; la quale fiè,
che ciò, che aduna più fila” infiene fotto le dita.
del funajiolo, è il moto orbicolare. comunicato’
inceffantenaente. dalla ruota a tutta la corda : ; lad=
dove ciò , .che accozza più fila in uno fotto le
{ arro del bruco, è una [pezie di colla.
‘ Cont. Il più (aitabile di.tutto, ‘quello. lavoro è,
ti vedere, che un fluido, , il quale,, allorchè un
bruco è fchiacciato, fi liquefa, prende poi “confi=-
ftenza in quel. momento ; che "1 verme lo mette,
in opera; che, tofto s’ afciuga, che. fi condenfa ,
e sì diventa un forte laccio , fu cui T animale i*
reg=
@
2 Lr Brucxi.
regge lontan dal luogo, ov’ era il pericolo , e fe
pe ferve di fcala per rimpnigie., ;\
Quefto però non è l'unico prefervativo s che
gli fia. ue concelfo . Egli è perlo più fornito d*
un pelo, che fofliene, e ferma l’acqua, onde pos
trebbe reltare annegato , inzuppato , .ed affidera-
to , Il medefimo,, “pel. ripiegarfi ; lo configlia. a
fcapolarfene a baflo, per non rimanere fchiaccia-.
to fotto una rama agitata dal vento : e fe mai
il fuo flo pel diftaccarfi, o ftrapparfi, l' abban-
dona ; lo fteflo pelo, ond' è corredato, il difen-
de, e fa sì, che nel cadere non fi sfragelli,
Signor Cavaliere, crederefte mai, che il colo-
re fteffo di molti bruchi foffe un de migliori pre-
fervativi, che fia ftato loro accordato , per fottrarfi
dalla perfecuzion degli uccelli, (Derbam Tbeolog.
Pbyfic. I, 4. 6.14.) che nontrovano nè più dilicato,
nè più convenevole nutrimento per la lor prole?
Cav. Intenderebbe forfe il Signor Conte d'al=
ludere a quelle mofchette luftre, onde il lot dor-
{o è macchiato? I
Cont. Nongià. Anzi cotefte mofchette vaglio-
no a farli diftinguere con più facilità , fpezial-
mente fe fi rimirino.da vicino, Ma molti bruchi
lianno un fondo di colore particolare. , in tutto
fimile a quel delle foglie » di cui fi pafcono , o
de’ ramofcelli , fu cui fi piantano ; allorchè vo-
glion mutare la pelle. Il bruco, che alberga ful-
la fpinalba, è giulio verde came la fpinalba ; e
quel che vive ul, fambuco, è del color del fam-
buco. Voi ne vedrete di init fu° meli , e fu' bo
d’un certo colore olivafiro , com’ è il legno di
quefle piante . Venuto il tempo del mutarfi ,
hanno un’ avvertenza particolare d’abbandonar le
foglie, e di ritirarifagacemente lungheflo le ra-
me. dn cotal guila vengon confufi col wi
9;
*
tie
f
DraLoco SiconDo; 33:
fo, che li foftiene; fon meno oflervati, e fr fote
traggono per tutto’! tempo del lor lungo forno
agli uecelli, che li ricercano.
|. Cav. Ma, Signore, a che ferve, che DÌ natu-
ra abbia dato agli uccelli ’1 becco per abboccar
la lor preda ; fe quefta preda lia cento aftuzie
per ifchermirfene ? i
Contef. Il Signor Priore non vi ravvifa per ave
ventura una qualche contraddizione ?
' Prior. E’ vero, che quefta fpezie di contraddi-
Zione ci fi prefenta dinanzi in una maniera fen-
fibile; ed è ancor vero , che la medefim& regna
in tutta quanta la natura : ma ‘ella è pure unefs
fetto d’ una fapienza , che non menchiara, e pae
tente fi vede. Quefta apparente contraddizione è
quella, che tiene in moto, ed in efercizio tutta
la natura. Ciafcuno afimnale fta affaccendato per
offendere, e per difenderfi: la natura gli ha pre-
muniti a un per uno d'armi offenfive, e ditfenfi.
ve. Per quefto mezzo fi procacciano il proprio ‘
vitto; e non per tanto ne refta fempre una quan
tità fufficiente a perpetuarne le fpezie . Tutte le
famiglie fono alla giornata nutrite, tutte le ta-
vole fon provvedute, e avanza pur della provvi-
fione per molti giorni. Or non par egli, che vi
fia una fpezie di contraddizione’, a° permettere 2°
pefcatori di prendere il peice, Blentief vuole nel
tempo fteflo obbligarli a non adoperare, fe non
che larghi tramagli, donde vien fuora un diluvio
di pefci piccoli, edimezzani? E pure quefta fi è
» una faggia cautela di buoa governo, la quale non
tanto ha l'occhio alia pretente neceflità ,, quanto.
Ca’ bifogni futuri. Così dunque la natura ha forniti
‘gli animali tutti di reti; a tutti ha permefio il
pelcare, e campare la vita ; ma ha regolata ad
un'ora con favio configlio la larghezza de'] Or tras
Lom da > Di ma-
LOT è cha LC SAMBA "% TA) |
Zid diliizicnn.in
magli... Ozu di relian prefi, di. molti, pefci:; m£
fempre fon più, quelli. che fcappano, che non fon
quelli, che vi rimangono ; 0 fia ch'e’ trapaffino
per, Je maglie o. fra che non v'incappino dentro .
Contel. Ah! Signor Cavaliere; fam molto indie-
va immateria di contraddizione . Allorchè voi aiz-
ate ivofiri cani dietro a una lepre; eche queta
lfpse ta cento, giravolte. per ifchermirfi dalle lor
zanne, vi ravvifate voi contraddizione veruna?
ie. No certo. Anzi non v'è cofa più natu-
rale , nècmeglio, regolata. Se le lepri non difen-
deifero la propria vita, inoftri levrieri non avreb-
bono più che fare.
Cort. Cid, che voi dite della lepre, edeicane,
potete adattarlo agli altri animali, ed agli ftelli
infetti. La natura, nel metter gli uni in arnefe,
per offendere, e per predare, nonba lafciati que-
fi altri fenza difefa.. I più piccoli hanno ilor pre»
fervativi. Voi pur vedete, che i bruchi, per quan-
‘to mefchini fifiano, non ne fonfenza. V'aggiun-
gono ancora delle maliziette , e de’ piccoli ftrata-
gemmi . Per efempio, voi li vedrete. piuttofto a
roder le foglie .dalta parte di fotto., chedifopra;
e ciò, per nonefler tanto offervati. Fanno fpef-
fo {peflo dinanzi all’uccello, come. fa’! topo di-
nanzi al gatto . Il bruco fi finge morto, tien a
bada il nimico, lo rende sbadato; ecoglie il tem-
po, incui lo vede diftratto, per appiattarfi > O
Prior. Ne ho veduti taluni diftenderfi quanto
fon lunghi, flarfene fermi fermi, e far fembian-
te didormire. ( Goedart.) Intanto una quantita
di que’ verdi mofcini, che ranno attaccati a ger=
mogli de’ frutti, trovandofil in que’ contorni , fi
buttavano loro addofio, come fur una preda ficura.
I bruchi fe li lafciavan correre liberamente iul dor-
To, e poi girando brufcamente la tefta, fe gli ab-
bocca=
DiaLogo SECONDO, I.
boccavano., e Passa che facelfer cori em la lor.
merenda i
«Che è quel, che. voi dite; Signore ? Son
eglino tanto ghiotti di carni?
Cont. Quefta razza di. bruchi Ù mentovata dal
| Signor Priore, piuttolto.che il nome di bruco ;
meriterebbe quello di verme carnivoro , mentre®
non campa d'altro; che delle carni de’ predetti
mofeini. Peraltro tutti gl’ infetti hanno una re-
gola, ed un cibo lor proprio, da cui non fi par-
ton giammai; ed i bruchi noù folamente fon de-
. finati a pafcerfi di verzura ;. ma (quel ch'è più).
d'una forta diverzura particolare. Ciafcuna raz:
za ha avuto il precetto di contentarfi d'una pian-
ta determinata: precetto da lei olfervato si fedel-
mente, che fi lafcerebbe piuttofto morir di fame,
che toccare altre foglie; dove non gli fe ne pre=
fenti qualcuna, le cui qualità fiano omogenee 2
quelle del fuo pancotidiano. Bifogna però eccet-
tuare da quefta regola alcune fpezie di men difficil
contentatura; alle quali tutto s'attaglia .
Cav. Signore, nonè egli cotelto un difordine ?
Se la pianta, che fu affegnata ad una certa raz-
‘za di bruchi, viene a mancare, converrà pure ,
che venga meno la detta razza . Pe rche. ridurle
in tali ftrettezze ?
Contef. Signor Cavaliere, voi criticate la natu-
«ra in una cola , dove appunto merita di effere
ringraziata. Se inoltri meli, che al prefente non
hanno, fe non poche fpezie dibruchi, che li per-
feguitino, ne aveflero d'hgerito , o trecento , figu-
g ratevivoi, che pregiudizio ne ‘fentirebbono i no-
ftri pofpatti! Fa dunque con favio atcorgimento
‘vietato a’ bruchi I efenderfi a far de’ danni oltre
a. certi limiti, loro affegnati, e prefcritti.
Cav. Confello d’ aver il torto a lamentarmi d’
Bi, C ‘2 una
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. ®
ig P
»
36 aaa
mna limitazione, che poi ridonda in pro'nofiro.
Doveva ‘piuttofto addimandare , perchè. alcune.
razze fi moltiplichino talvolta sì fattamente , che
difterminan rutto . Non fono ancora molti anni
paffati , che quella generazione di bruchi , che
alligna fu' meli, non vi lafciò nè meno una foglia.
1 meli erano pieni zeppi di pomi; ma fi feccaron
ben prefto , ed andarono tutti a male, In fomma
‘delle fomme che utile fi ricava da’ bruchi ? Pars
mi, che fe ne potrebbe far fenza.
Prior. Egliè unerrorè mafficcio il credere, che
fiano inutili. Togliete ibruchi, edi vermetti dal
mondo , eccotolta la vita a gli uccelli. Quegli uc-
celli tauto guftofi al palato, tanto dilettevoli pel
loro canto, non hanno altfo latte, ohde nutrirfi,
allorchè fon nidiaci . ( P/. 146.9.) Rivolgono e
lora le loro voci al Signore; edegli moltiplica a
pro dieffi l'alimento proporzionato alla lor fom-
ma dilicatezza . Per loro, fibbene, per loro fpar=
ge da per tutto de' vermicciuoli se ‘de biuche.
Cont. In fatti gli uccellini non isbucano mai
dell’ uovo, fe ibruchi non fonò in campagna; ed
i bruchi non isfrattano di campagna, fe gli uccel=
lini non hanno acquiftato tanto vigore, ond’ ab= *
biano di bifogno, o almen poffano contentarfi di
un altro cibo . Prima del mefe d’ Aprile non fi
vela nè bruchi , nè covate d' uccelli : a Agofto,
A Settembre finifcon le covate degli uccelli ,
Rae co’ bruchi . La terra è allor coperta di
femi, e d'altri pafcoli d'ogni genere.
Prior. Gli uccelli dia fino a quel tempo,
hanno avuto la lor provvifione affegnata fu’ bru-
chi: or nonera egli dovere, che quefti ancora 2
veflero il loro affegnamento, per vivere, fu qual
che cofa? Fudunque loro accordato di prenderlo.
dalle piante. Hanno il loro jus, come noi , n
. Verna
sp STA È ha.
”
DiaLoco SEcoONDO-
Wwerzura di quefta terra. Il: loro titolo è. giufto 4
perchè. appoggiato alla permiffione di Dio, il qua-
le accordò (Gene/. 1. 29. e 30. ) fin dal principio
del mondo .a tutti gli animali viventi; e a tutti
i rettili della terra, diricavare il loro vitto dal-
le. piante, ch’ ella produce : ed il loro ftrumen=
to è così autentico, come il noftro, effendo pre-o
cifamente lo feffo .
Quefto. accomunamento degli uomini , e e degli
‘ animali fondato fulla permiffione di Dio, il qual
conceffe agli uni, e aglialtri di fervirfi dell’erbe,
e de’ frutti della terra, riefce talora all'uomo pre-
giudiciofo : ma che? egli è un male di già preve-
“ duto, e decretato. L’uomo non ha foltanto bifo-
gno di vivere; ha ancora neceffità d’ iffrnirfi. Or
Ja di lui.i pgratitudine rela confula , quando fi
vede portar via dagl’infetti ciò, che Dio gli ave-
va liberamente apparecchiato dingugi abbaffa
pur anche. il fuo orgoglio,, quando il Signore fpea
difce i fuoi eferciti vendicatori, e fa marciare cone
tro di effo ilbruco, la locufta, ola mofca, inve-
ce di chiamare i leoni, le tigti. od altri animali
fierminatori.. Per umiliare certuni , che fi tengono
ricchi, grandi, indipendenti, difpotici, fapete di
quali {romenti fi ferve? Di vermicciuoli, e di mo»
fche. Voiben vedete, Cavaliere mio caro, che chi
creò la mofca, ed il bruco è quel medemo Ladin ,
da cui fu creato il leone;ge-la tigre. Egli ha ap-
parecchiato a tutti qua il loro proprio alimen=
to, perchè fa l’ulo, ch’ ei ne vuol fare. Tutto ciò,
che ha fatto Iddio,” è Whono a fuo tempo. ( Ecclef.
3.11.) Ma quando ancora la noftra corta capa»
cità onpeneetaffe imotivi del fuo operare , ab-
s p' per quelto diritto alcuno di levarvi,, 0 d’ag-
giugnervi nè meno un jota?. Ma midirete, ch'io
" Da predica .- Or via, ritorniamo a: Steria
3 è
MIA,
Tui
35 "Role I Re CIRIE
de' nofri btuchi. NH Signor Corite fi \compîace©
rebb' egli di moftrarceli affaccendati nel lavoro
della lor tomba?
Contef. Da me non s* afpetta niente ;. eper quer
fto neflun mi domanda-di ‘niente . Vo’ però far
vedere, ‘chie fo effer'buona a qualche cofa-aficòr
io. PuaterreteHita schio mandi ‘a prendete. rel
mio. gabinetto uncafiettino , il quale farà qui in.
yece mia ‘un dilettevol-ragionamento . Alaseno i
voftri ‘occhi vi troveranno il 'lor pafcalo. Sentia»
fino intanto la fepoltura de” bruchi,
‘ “Cont, Verfo ’l fia della ate, talora ‘anche pri
. ma, i bruchi, trovandofi Ben riflucchi di verzu»
ra, ed avendo di già mutata -più volte la pelle,
ceffano di mangiare , e ft NOREOnE a ‘fabbricar
un ritiro, per lafciarvi Fa vita, o fia'l'effer di
bruchi 3 È Per dar luogo ‘alla nafta della farfal=
la, che in sè conterigono”. Ad ‘alcuni vi: voglio-
‘no “pochi giorni, per paffare-a una nuova’ vita;
altri poi’ ftanno de’ mefi, ed anche degli ‘anni in-
teri nella lor tomba. Ve ne fono di quelli, chè
dopo effer ben fazj s° imbucano ‘alquanto fotter-
ra. Cola' fi divincolanio, e fi ffraccian di doffo là
pelle, la quale, in un colta refla; colle zampe,
e colle interiora s*aggrinza, e $' increfpa, comè
Ud carta pecora fecca., Tutto il lor corpo di-
venta una piccola fava, ; Ovvero una “ep d'a
fiuccio di ‘color brune
a terminare vetfo la.
te più acuta in varj anel-
li movibili, i. quali tantogpiù. vanno impiccolen-
do; quanto più s° È cantgipi verfo la punta . In
queta crifalide fa ‘raéchiufo 1’ embrione della far»
falla , infieme con certi liquori proporzionati a
nuttirla, e perfezionarla , Quando ella è coi
tamente formata, ed‘allorchè l’aria dolcel’in
ta a fprigionarfi > Tompe il {uo afiniccio dalla pa
di figura ovale, che va.
DraLoco SEconDO; To.
te’ più ottufa , che corrifponde mai fempre sa
rip dell'animale; ed è altresì tanto fragile, ‘che
ogni piccolo sforzo fi frange» (38
> altri. bruchi , invece d' "fade: Toallab
ra; vanno a ricoverarfi fotto glifporti delle tet4
toje, ne’ buchi delle. muraglie , fotto le cortecce
degli arborii; e ‘per infino nel: ‘midollo del: legno
Tutti ‘fi fan trovare un afilo per rifugiarvi& nel
| tempo; che han da cangiarti in crifalidi.
le API Ve ne fonotaluni, che s' appiccano a' pal
chi, a gli fcaffali, o al primo arnefe, che lor fi
‘para dinanzi: ‘ed ecco in che maniera. Il bruco
{preme dal proprio corpo un certo ugo appicca»
ticcio, il quale, 2 mifura ch’ ei porta la teftà da.
an luogo all’altro, s'allunga; ficondenfa edi»
venta un filo. Dopo di ‘avere incoliati ;° ca ir
‘crocicchiati diverfi di quelli ‘fili fu qualche ‘ Tuo-
go bernoccoluto , dove intende appiccarii yUinfi=
nua, €d intrica le fue zampe diretane (- Te quabi
vanno a terminare in tanti uncinetti ) fra quel
teffuro : e quello fl È, il primo laccio. Tadi alza
la tefa , e va 2 pofare con effla un nuovo: filò
fu quella parte del legno, che riguarda per fian-
co lil fuo quinto anello ; ed incurvandola ‘adagio
«adagio ‘allo ’ndiecro, fi fa girar quefto flo/iMfor-
“ma id’ arco attorno alla fchiena, e l’ attacca dall’
altra banda a rimpetto. Replica più è più véh
‘te quefto lavoro, portando. Jlo fieffo filo da ‘fini-
‘fira a deftra ; ‘e da delirà a finiGra : e quando
Mesero fecondo laccio, che già foftiene il'fuo:codi-
‘po dal mezzo ’nsù, è fufficientemente addoppia-
‘to, e fortificato, l’animal fi ripofa. Polcia arrà-
battandofi fieramente ; e difcolandofi tutto im fu-
gite? fi Ciraccia di dotio la pelle; la qual fi ri-
C 4 Yira. wii
(4) Ved. Pi opere del Valif(nieri , ftampate 1601, in
"foglio tom. I. a Gar. 20,
PA
di N
40 -J- Br Wen,
tira a poco a poco colà , logie zampe flanno
aggrappate al legname . Quefte medefime zampe
fi van diftruggendo ancor efle , come, il reftante
della fua fpoglia. Ma non per tanto’ la erifalide
non cade giù; concioffiache in vece di dettezam-
pe, che la tenevano falda, fon già gia featuriti
dalla flremità della (fava certi minuti piuoli si 9
fpezie. di bullettine, la.cui teffla.va a terminare
in un cappelletto; fatto a guifa di fungo , 0 di
chiodo. . Quelle telle avanzando fuor delle fila ,
t infeme col laccio, che le attraverfa la fchie-
na.) fono baftanti a- regger la:-fava fin a quel
tempo, che dee nafcere la farfalla.
Ho intelo dire, che alcuni bruchi s' impiaftric-
sialfero da capo a piè di filacciche, e di vifchio,
“«. poi, rotolandofi sù per la fabbia, ne accozzaf-
fero i granelletti; e in cotal guifa fi fabbricafle-
«10, un ftepolcro di pietra. (4) Io per me ho ve-
duto fare quefto lavoro ad altri infetti, oltre a'
bruchi .
Alcune altre generazioni lavorano di falegna-
me. Quefte tagliano , e fminuzzano de’ pezzetti
di falcio , ovver d’ altre piante, cui hanno in ufo;
riducono tutto in polvere; e ne formano col pro»
prio. vifchio una certa poltiglia , nella qual s' im-
‘panicciano; e quetta poi fi fecca addofio cip crie
falide, che v'è dentro.
Tutte le crifalidi; tanto quelle, che fon rico»
verate entro i gufci, quanto quelle, che f: tro-
-vano fotto terra, od altrove alla nuda, e fenza
involture, vedonfi immaftricciate d’ un vifchio; 0
liquore appiccaticcio , induritofi a guifa di crofta ,
© di nicchio ‘attorno attorno alla farfalla , la qual
«viveva, e crefceva nel bruco. Quefto nicchio ha
preso la cima” alquanti bucherelli, per cui la det=
ta
" (4a) Ved. il mirmicoleone.
Draroco Seconpo; 47
va farfalla refpira . Il medefimo le ferve di cufio*
glia e di riparo nel tempo , ch’ ella termina dè
marfi. Vi fi fcorge tuttavia l’orma, e perco=
sì dire l’incaftro delle zampe, delle ali , e della
‘ trornba . Quefta tromba è alcune volte ripofta
dentro ad una proporzionata guaina .-Ma le crox
fe della crifalide fervono alla farfalla di fafcia «
Ella ne prende apprefio. a poco la forma, e feme
bra giufto una milimmia , imitatrice della figura.
del corpo, che in sè contiene, e prefervatrice dè
effo. Di così fatte crifalidi n ho quì appreffo di
me non fo quante. Il Signor Cavaliere avrà ( com”
io fpero } molta foddisfazione a vederle. |
Cav. O che graziofe figure ! Pajono veramen+
te tante bambole, o per dir meglio, puttelli.fa-
fciati. Poffibile , che la dentro fi trovi un prin«
cipio di vita! e che ne debba ufcir fuora una
adarfalla,! Quì tutto ha fembianza di morto.
Cont. Provate a premerle un cotal poco; ché
sì, che trovate un qualche fegno di fenfazione ?
lo non potea darvi meglio ad intendere il loro
flato di crifalidi, o ninfe, che col moltrarvi que-
fie piccole tombe , dove il verme è fepolto , ©
.donde han da ufcir fuora tante farfalle ; le cui
femmine andranno a depor le lor uova in sù la
pianta flefla, che le ha nutrite, ovvero fur una
fimile. Quete farfalle difpongono le dette uova ;
or lungheflo i ramufcelli per linea retta, ora at
torno a’ medefimi in linea circolare , © "fpirale;
ma fempre attaccate con una colla così tenace ,
| che le piogge più rovinofe non fon baftanti a
i portarnele via.
Troverete de’ bruchi, che, non efercitano.nè il
meftiero del muratore, nè l’arte del falegname :
ma filano , e teffono ‘maefirevolmente un buom .
mantello, per ripararfi dalla pioggia. La natura
"e è
“ i
42 I Bk vc. Hi
di queflo lavoro, che è curiofiffimo., ve la farenà
concepire , allorchè tratteremo de’bozzoli del filu=
pello, a cui egli ha una ‘relazione perfetta.
Fra tutte le generazioni de’ bruchi, le più co*
muni, e le ‘più note fon quelle , che fi. trovano
a mucchi full’'olmo , ‘ful'melo , eu’ boffi. La far-
falla, che ‘ne proviene , trafceglie una delte fo-
2lie più belle, e v' applica le fue uova in tem-
po d' autunno; e, di lì «a' poco fl muore colcata,
e attaccata addofto «alla fua cara famiglia. Il
Sole, che ‘ha tuttavia della forza; fomenta quell’
uova; e prima che fopraggiunga l'inverno ( all
oppotto «di ‘tutte ‘l’ altre ‘razze ) ne fcappa fuora
ùun ‘brulicame di vermi , che fenza aver mai ve-
duta la madre, fenz’ aver prefa nè lezione, nè
feuola , fi ‘mettono tutti ‘a gara a filare , e fore
imanfi del loro filato -de’ letti, ed un albergo va-
fliffimo, in cui paflano la Ragion rigorofa , di-
‘ftribuiti in differenti cellette, fenza mangiare, e
fpeflo ancora fenza ufcir mai\di cafa . ‘In tutto
l'albergo non fi ravvifa, che ‘una piccola ‘porti-
cella a ‘terreno , per cui la famiglia prende tal-
volta un paco d'arid fel mezzò dì , quando fan-
‘no belle ‘giornate , ‘e talor anche in tempo di
‘Îmotté; ‘allorchè il ‘Cielo è ‘tutto netto , efereno,
Wolendofi ‘aprire il lor gabinetto, convien far for-
za, ‘per romper il corpo della lor tela., la quale
è dura, come una cartapecora, edimpenetrabile
alla pioggia ,, al vento , ed al freddo . Allora fi
trovan colcati fur una morbidiffima coltrice, ‘e fa-
fciati per ogn’ intorno con effa tela , che ferve loro
di copertoJjo , di cortinaggio, e di fopraccielo.
Cav. Refto ftupefatto di vedere, che animali sì
dilicati trapaflino in cotal guifa tutto P inverno :
ma più ancora mi ftrabilio a con! GEA che sa
“la paffine fenza mangiare.
ih Cont.
| Ì
Dratoco SECONDO. P; 3008
2 "Cont. Moleiffn me fono le fpezie degli uccelli,
de’ rettili ,- e degl infetti, ‘ché dormono , com’ io
diffi, 0'fe ne ftanno così rannicchiati ;. ‘più ‘mefi.
foi: : ma ‘ficcome ‘non fanno ‘punto ‘di 'moto,
e per confeguenza niutia diffipazione di ‘fpiriti
animali ;' così! non han bifogno di refaurare le
roprie ‘forze col cibo,
i “ Contel. “Ho 'offetvata ne! bruchi ‘tina certa biz-
zattia, della ‘quale bramerei d’effetichiarita. Per
avere vità” taccolta di’belle farfalle , ‘ho ‘talora
fatto cercare , ed allevar di que’ bruchi , che le
producono. Ma fpefio fpefio , ‘in vece delle ‘fare
falle, ne provenivano ‘delle mofche. | >
I Pop Io pure 'ho più volte oflervata queta me-
defima bizzarria . ‘Si vedrà, permodo d'efempio,
da un folò bruco ‘ancor vivo fcappar fuora una
moltitudine ‘dl mofchettine , che ‘gli traforan la
pelle : ralvolta una quantità di'vermicciuoli ; (VM.
Valifn. oper. 1.1. èdiz.'în fogl.) tutti ‘avviluppati
marti hl e” fucceffivamente gi vedon cangiati in
‘imofchettine’: ‘e talor anche ho ‘vedute ufcir mo>
fche ‘piccoliffime dell’ uova delle farfalle.
© Cav. Se una fpezie fi cangia in ‘un’altra, bi-
"Rn dite , che ‘la generazion degl infecti non è
regolare, nè uniforme.
Cont. Cotefte. mofche non provengon mica dal
bruco » che’non'n’ha-mai generata nifiuna ; nè
tampoco .dalla farfalla, che bon è capace di pro-
durre, fe non fe uova ‘di fartalle, Il microfcopio
im ha afutato ‘a diciferare quefto miffero . Sull’uo-
va delle farfalle, ond’ erano tfcite alcune piccole
‘Imofche , ho. ravvifati due pertugj; uno ben gran-
de, percui era venuta fuora la mofca ; e l’altro
‘affai piccolo , percui la medefima s'era introdet-
ta nell'uovo fotto la forma delverme, Or quello
Verme provien da un uovo ‘di imolca . Figli becca
, l'uo-
T1Brucni.
uovo della farfalla, per vivere . Quivi depone
la (poglia del verme; e dalla crifalide, che refta
Jìù dentro, fcappa fuora una piccola. mofca. |
Vi fono altresì diverfe razze di mofche., le quali
pungono il corpo de’ bruchi , ed infinuano nella.
puntura molti cacchioni ,, da cui provengono de’
vermicciuoli, delle crifalidi, e delle mofche . Si
fon prefi degli abbagli infiniti, rifpetto all’ origine
degl’ infetti, per non aver certezza del metodo,
cui tengon le mofche, di collocare i cacchioni in
luoghi adattati a fornire. del convenevole nutri=
mento la prole, che n'è per nafcere.
Prior. Vidi, (Goedart. e/per. 53.) non è ancor
molto tempo paffato, un tafano , che punfe un
di que’ bruchi, che roficchianol’olmo. Ne fcappò
fuora una mofca di quelle, che fanno guerra a’ ra-
gnoli de’ giardini. Vorrei aver quì idue predetti
campioni , acciocchè il Signor Cavaliere potefie
goder d’ un sì piacevol divertimento . In primo
luogo lamofca fi lancia conimpeto addofio al ra-
gno , che fta imbofcato nel centro della fua ra-
gnatela ; quefti allora rimane daila gran botta
quafi ftordito, e tuttavia va filando. La mofcg
prevalendofi del di lui ffordimento , gli falta addofe
fo, lo ftrafcina per terra, e gli fcavezza le gambe.
Pofcia s' aggira con gran burbanza attorno di efflo ;
o fia per afferrarlo da quella banda, onde non pof=
fa temere delle di lui morfe; o fia per ringalluz-
zarfi d'aver riportata la vittoria del nimico della
fua flirpe ; e dopo avergli ronzato tre volte in
torno, viene alle prefe, e felo porta peraria.
Cav. Si può dire, che quefto fia proprio l’ A=
chille del mofchajo . Così appunto fu malmenato
dal prode Achille il povero Ettore. Dopo averlo
ribaltato dal cocchio, lo difarmò, gli fece mille
firapazzi, e fel portò nel fuo padiglione. i
Cont.
Dili 60 SECONDO. 45
Cont. Se voi bramate d’imparar a conofcere le’
‘varie razze de’ bruchi , iloro iftinti, e tutte quan-
te le loro proprieta, potrete, quando vi ritrova-
te in campagna , 2fimarne di tutte le forte, e
i cuftodirli in altrettante fcatole , dove avrete la
| diligenza d’ appreftar loro di quella verzura, fo-
pra la quale gli avrere trovati a mangiare, edi
governarli ogni giorno di nuovo . Non potrefle
mai credere; quanto diletto vi recheranno le lo=
ro diverfe, ma fempre regolari , ‘operazioni .
Conte/. Mi pare omai di veder il Signor Cava-
Jiere cogli occhi tefi verfo i bozzoli più maturi,
afpettando con impazienza./il felice momento dell’
accennata rifurrezione. ©
Prio?. Oh Dio! Chi può far di meno di non in-
arcare le ciglia per lo Htupore , in vedendo un sì
bello, quafi diffi miracolo della natura ! Aprafi
una di cotefte crifalidi. Vi ‘parrà di non vedervi
per entro, fuorchè una cotale poltiglia, ovetut»
xo fia alla rinfuta. E pure in quell’ apparente pu»
tredine fi contiene il germe d’un infetto, che dee
pailare ad .una vita migliore della primiera . Ella
confifte in umori nutritivi , che danno corpo ad
un animale vie più perfetto del primo. Vien final»
mente l'ora, ch'egli fi libera dalla {ua prigionia .
Sfonda la carcere, incui fitrova racchiufo; cava
fuor la fua tefta per l’apertura; fpiega le antene
ne; fiende lezampe, e leali; e divenuto farfal=
la; nulla ritiene del primiero fuo fato, e fpicca
«un volo perl’aria. Il brifto cangiato inhinà e
da farfalla, che daeffa ninfarinafce, fon due ani»
mali totalmente diverfi. Il primo non avea nien-
cd che nol qualificafe per unrettile della rerra;
a-gran pena portava il pefante fuo corpo fopra.
di efla: il fecondo è tutto agilità ; non ha più
nulla del terrefre; auzi difdegaa in certo modo
di
46 ‘Lagos 29 dk Lit AI
‘di ‘polare fopra laterra. Quegli , avea il pel rab-
buffato; ed era perlo più d’orrido afpetto ; que-.
tie è tutto adorno di colori viviffimi ..L'uno fili».
itava a pafcerfi ftolidamente di cibi fol groffo-.
lani ;.L: altro vola difiore in fiore, vive dirugia-
da e di mele, cangia adora adora vivanda., go-
de liberamente di tutto il bello della natura, ed
egli medefimo del proprio bello l’ adorna. |
Contef. Signor Priore., quella è, un’ immagine.
molto graziofa della. noflza rifurrezione .. . *
| Prior. La natura è tutta ripiena d’immagini fen-
fibili delle cofe celefti, e fignitficative delle verità
più fublimi. Sifa unguadagno ficuro a ftudiarla.:
e queta è una certa Teologia, che viene appro-
vata, edapplaudita generalmente da chicchefia .
Il più eccellente di tutti i maeftri, o per dir me-
glio, l’unico noffro Maeftro;, ne ha. infegnato un:
tal metodo, tirando la Magg ior parte de' fuoi do-
cumenti dagli oggetti più familiari, che la natura
gli prefentava : e così ci.ha additata. fpecifica-
mente l’immagine del frutto apportatoci colla fua .
morte nel grano del formento ; ($. Giov. 12. 24.)
il qual refta inutile ful terreno ; fin che nonè.
morto; ma putrefatto, e morto fotterra, produ»
ce di molto frutto.
Contef. Quand’ anche lo fftudio delle metamor-
fofi degl’ infetti non v' avefle fervito ad altro,
che a fare una comparazione fenfibile , pur non
avrefie gittate alvento le voftre fatiche. Ma ec-
co, che mi fi porta la caffettina , ch'io vi vo».
lea far vedere. Signor Cavaliere, tenete la chia-
ve; aprite, e divertitevi.
Cav. Son eglin bruchi quei, che lavoran quin-
centro ?
Contef. Mainò. Son corpi cifufcitati dalla Rirpe
de’ bruchi: ma certi rifufcitati, a "quali non è ac-
corda-
Diaroco SECONDO, 4T,
cordata; vinun colla nuova vita ,. l’ immortalità P
Ho quì, taccolte È e incollate fu differenti tavolet=
te tutte le. fpezie delle farfalle, che. m' è riufci»
to d'avere: e ficcome nella mia fanciullezza. mi
fu infegnato il difegno , ho dipinte nel fondo di
ciafcuna tavolecta. le .medefime farfalle fotto a
quelle, che vi fon naturali, accompagnandole tut-
te quante col bruco, e colla, crifalide, cui corri»
fpondono , ed Tiirando il colore, ela "farura del.
corpo, delle vere. Quefte tavolette fitiran £ iuora.,
e fi rimetton dentro fenza, levarle dalla lor nic-
chia. Tiratene fuora, una,, com'ella viene.
Cav. Oh che vezzofi colori! Vediamole di. grazia.
tutte auna per volta, e cominciam dalla prima.
Contef. Ho pofte quì in ordinanza fur un rafo
bianco le farfalle notturne. lloro colori; ed om-
breggiamenti fone dolci, e graziofi; ma per lo
più poco chiari; onde han bilogno di prenderri>
falto dal bianco, per effer meglio offervati. Sic=
come tutte quefte farfalle non volan, fe non la
notte ; così le chiamo le mie farfalle nottolone
(4). Eccovele qua dipinte in fondo della tavo-
letta fotto il medefimo ordine. Quelle della prima
fila rapprefentano le tignuole , che rodono i panni .
Cav. Le vedo ripofte in una fpecie di manicot=
. to, fuori del quale fpunta la telta, e la coda.
Contef. ( Memor. dell’ Accad. delle fcienze 1728.
M.de Reaumur ) Quefio manicotto è unalloggio,
il quale fi fabbrican da fe fteffe. Il feto , nello
n
sbucare dell’ uovo; ( che fempre è collocato da
una farfalla fu qualche panno , ovvero fur una
| pelle ben concia, e ben digraffata ) trova fu le
predette materie il fuo vitto, e’! fuo alloggio .
Ro-
Ca) 1 Filofofi naturali danno a quefte forte di far-
falle, che non volano, e non fi bucicano > fe non la
notte, il nomg di Falene
48 Lr FarraLte. o
Rode il pelo , 0 fia cimatura del panno 5 fe ne
pafce; e fe ne forma d° intorno quella trabacca,
che voi vedete, conuna porta davanti, e una di
dietro; attaccandola fortemente con diverfe fla,
@ con un poco di colla in ful medefimo panno .
La tignuola cava fuori la tefta, or da una por-
taj-e or dall'altra; e mon fa. altro, che fpiana-
re, cibandofi continuamente di quanto trova all’
intorno. Ciò, che merita una particolare ofler-
vazione, fi è, che la fua trabacca è fempre del-
lo flefllo colore del panno , che ella roficchia .
Dopo aver roficchiato ben ‘bene tutto il pelo de’
fuoi contorni, ftacca gli ftili, che foftengono la
trabacca, fela porta fopra le fpalle alquanto lon-
tana, € Î appicca co' fuoi laccetti fur un nuovo
terreno. S' egli addiviene , che dopo aver rofic«
chiato un panno roflo, fi trovi all ioggiata fopra
di un verde, la fua tenda, che prima era rofla,
prende, col nuovo accrefcimento, anche la tinta
del color verde, e diviene in tutto fimile all’ er-
ba del prato, ch ella brucò . Campa così a fpefle
moflre, tin che ritucca trasformifi in ninfa, e po=
fcia in farfalla. Ne vi crediate, Signor Cavalie-
re, che quanto vi dico fia qualche favola , da
Mel
Spiegazione della Figura,
A. La tignuola nuda, o fucri della fua vagina.
B. Vagina della Tignuola nella fua naturale gran»
dezza .
C. La Tignuola, e la vagina ig medefima aggrane
dita col microfcopio .
D. I feriti della Tignuola.
E. Panno roficchiato dalla Tignuola.
F. La Tignuola trasformata in crifalide.
G. La medefima voltata a pancia all’aria.
H. La farfalletta provenuta dalla crifalide della Ti
gnuola .
I. Le piume, o foaplieete delle farfalle d’ogni gene»
res ingrandite col microfcopio e
set!
Li Gargallo dotta Lavote a parta all'avtr..
Tomi1.p Lg.
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DraLoco SECONDO: 49
me contata per paffatempo . Io medefima , da
buona madre di famiglia, e per la diligenza, che
ho di confervare le mie fuppellettili , ho voluto
conofcere quefta beftinvola , che le nfalmena cos
‘tanto; e in tale occafione ho proccurato di tro-
‘varvi ‘il {uo rimedio, il qual confifie in far fre=
(gare di quando in quando le tapezzerie , e cor
‘tine con bioccoli di lana non ancor digraflata ;
perciocche fiè offervato, che la tignuola va cer-
cando le pelli, e lelane ben conce, e paflate per
man dell’artefice . Evvi ancora unaltro ripiego,
cioè, sbatter ben bene i panni lani, e lefuppel-
-lettili, prima che le farfalle vi fpargano le loro
uova nel cuor della ftate; e non nf al loro
luogo , fenza aver fatto crepar le tignuole infie-
«me colle farfalle, oconolio ditrementina, o con
fumo di tabacco abbruciato dentro un laveggio.
Venghiamo alla feconda tavoletta . Quì prin»
tipiano le farfalle diurne. Quefte fon la più par-
te maggiori delle notturne, ed hanno per ordina»
rio un colore più accefo . Ho avuta l’ avverten-
za d’incollarle tntte furuna pezza dirafo, ilcui
colore foffe un contrappofto di quello, che in lor
campeggia . In tutta quefta tavoletta , fiecome
Vancora nella feguente, voi non vedrete , fe non
colori femplici, e tutti uniformi, Nella quarta li
troverete mifchiati. Ho contrappofto il bianco al
.roffo, ed il giallo al paonazzo. Così tutti que»
fli coleri rifaltano, econtraftano l’uncoll’ altro,
fecondo le diverfe ‘lor gradazioni.
Nell’ ultime tavolette ho adunate, e colla mi-
. glior grazia , e fimmetria , che ho mai faputo e
porto ;, difpofte le farfalle cangianti, dove fpic-
‘cano inun tempo fteffo diverfi colori. Ve ne fa-
“no delle Francefi, dell'Indiane, delle Americane,
e che fo io? Perciocchè me ne vengono da ogni
dt D pae
50 Loro ea ron p Lim.T
paefe. (4) Ogni clima ne produce delle fpecia=
li; e tutte quante hanno la lor forma partico
jare, e differente l’ una dall’ altra. Nonvwe ne ha.
nè men una, la qual non faccia il fuo fpicco';
dove l'occhio la paragoni con la feguente; e la
più parte a rimirarle fpartitamente , e fenza il.
confronto dell’ altre, rallegrano co’ pàMNaggij de
lor colori , quando fieri., € quando dolci ,: orta:
chiari, e ora fcuri, la vifta. Una cofa però ol-
tre mifura fiupenda fiè la bellezza delle più gran-
di: dove fembra, che la natura fifia prefa.fpaffo
di mettere in molira ; (e d’ intrecciare con arte
quanto ella poffiede di più vezzofo. Voi trove-
rete full’ ale di cotefte il luftro , e il cangiante
della madreperla, gli occhi della coda del pavo-
ne, i ferpeggiamenti delle guarnizioni di feta, i
cannoni, le frange delle mantiglie, li falbala, il
chiarofcuro de’ punti ungheri , e finalmente de'
magnifici: merli attorno attorno a ogni lembo .
‘Qualora m' occorre di dover fare qualche afforti-
mento di mafierizie, o di vefli, qua mi porto a
confulta. Signor Cavaliere, foddisfatevi pure con
libertà : folamente viprego a non maneggiar col-
le dita quefte farfalle ; conciofiachè verrefte a
fiaccar loro le piume.
Cav.Che piume? Signora, non credo già, che
dal corpo delle farfalle fi pofla levar altro, che
delia polvere. Quantunque volte ne ho prefe in
mano, mi fon trovato colle dita piene d' una mi-
nuta farina dello fteflo colore della farfalla.
Contef. ( Leeuwenhboek Arcan. nat. 1.3. Epif.146.)
0°
(4) Quefti quattro farfalloni, che venson rapprefen-
tari nella prefente figura, fono Americani . Htettore
avrà la bontà di difpenfarci dal farne una più lunga
defcrizione. Quella punta, piùo meno ivunsa, chsipor-
ge in fuori dalla più parte delle crifalidi, è l’affuccio
della lor tromba,
L
I Dratoco PRE SI.
Cotelta farina, come n han facto vedere quefi
fignori., è 4n compleflo di piccole piume, che
hanno da una. parte il loro ‘gambo, o cannello,
e dall’alera il lor pennacchio. rotondo; e Ione
di frange. Il perinacchio dell'une cuopre il gam-
bo dell’ altre. Stanno attaccate con BERFocioa
fimmetria, come quelle degli uccelli ;} e quando
per avventura vengono loro fiaccate quelle dell’
ale , non vi ‘rea, fe non una pelle fottile , e
trafparente,. ove fi fcorgon beniflimo le cellette ,
‘0 pertugj; in-cui era incaftrato il gambo, ocan-
nello di ciafeuna piuma. Ma per meglio chiarir-
vi, mirate l’ultima tavoletta, dove fono {parfe,,
ed attaccate fur un fuolo di colla molte di dette
polveri, tolte da farfalle d’ gui generazione. ...
Cont. Signor Cavaliere, eccovi una lente; ella
V' afuterà 2 convertir quelle polveri in tante
piume.
“Cav. Quanto, ‘quela dama diceva, è veriffimo::
non vi ravvifo nè meno un granello di polvere ;
ma bensì delle vaghe piume , i cui colori colla
lor varietà, e vivezza innamorano . |
. Contef. Signore, giacchè le mie ciance non vi
fono difcare, domane vi conterò la floria de’ miei
filugelli. Proverefte un fommo piacere, a veder
quefti operaj in faccende, fpezialmente allorchè
forman la feta. La loro Magione, per nofira di-
| favventura, è pafiata . Bifogna venire a vifitarli
un altr’ anno; € farne grazia di dimorare con ello
Koi; in vece d'un mele, almen tre.
Fine del Dialogo Secondo .
Mor IF 4
I FILUGELLI.
DIALOGO TERZO.
LA Contessa. >» DI Cinrili
Ir PrionE $ à ;
IL CAVALIERE DEL BrogLIo.
Eontel. Ome che il Signor Conte, fia di pate
tenza, per far un piccol viaggio di
due, o tre giorni; ciò non oftante poffiàm con-
zinuare le noftre folite conferenze. Oggi corre il
tema de’filugelli. Quì non vi vuol nè dottrina,
ne libreria . Io, principiando fin da bambina, n°
ho a’ miei giorni allevati tanti, che poffo legger-
ne in cattedra; e render conto, sì del lor lavo-
tìo, come del frutto, ch' eflî ci appreftano Ma
chi fa, che il Signor Cavaliere non n° abbia anch’
egli ‘pieniffima cognizione al pari di me? +
° Cav. Ho fentito qualche volta parlarne. Di
molti miei amici ne allevano per entro a de’ caf-
fettoni. Ma non v'è fiato mai modo d’ impetra-
se la grazia, non dico d° allevarmene ; ma nè
meno di por mente a quelli degli altri quafi che
| quefte beftiuole aveffer la pefle.
Conte]. Pure, e mere prevenzioni. Io in vita
mia ho fempre allevati. de’ filugelli. Da pochi an-
mi in qua ho rinunziato quefto fpaffo alle mie
ragazze. Bifogna governare, nettare , innafpa-.
re: bafta; vi trevan tutto lleni divertimento ;
nè mai n'è nato verun difordine: imperocchè il
| filugello è un animale faniffimo; e quando fiame
mala, fi butta via.
Cav. Signora,, vi refterò fommamente obbli=
puro > fe vi degne infegnarmi la "i 5
€ do
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È xi RARE Meg
A Var vi, MERITA
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VOLL ZIA
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ge
ed
- DraLoco Terzo.,, ti
che dee tenerfi nell’ àllevarli, e qual ufo fi fac=
cia del lor lavoro...
Cont. I Filugelli s' allevano in due maniere. Si
può lafciarli crefcere; e fpaziare con libertà sù
per gli fieffi arbori, delle cui foglie fi pafcono :
ovvero tenerfeli in cafa in una ftanza apparta-
ta, con appreftare a’ medefimi ogni dì nuova fo-
glia. : Il Signbr Priore ha fatta la prova del pri.
mo metodo : onde lo pregherò a palefarci alla
prima ciò ; ch' ei ne fente.
Prior.E' vero, ch'io mi cavai, alcuni anni ad<
dietro, la curiofità di far quefta prova fu gelfi;
che rifpondono fotto i balconi della mia came-
ra ; dove feci porre una quantità di-filugelli ,
che mi fecero una buoniffima riufcita » fen=
| A LIA 13 za
{ Spiegazione. della Figura.
a A. Il filuséllo rapprefentato nella fua naturale gran:
dezza .
B. La tefta del filugello. i. I fuoi occhi. 2, La fua
bocca, colle trafile.
“C. Una delle fue zampe di mezzo. Quelta zampa va
a terminare in un groffo mufcolo, il qual s° appiana,
s'incava, e fi gira in tutte le forme, per poterfi iner-
picare, tanto, quando s’ affonda in qualche buco; quans
to ; allotchè ‘afferra qualunque corpo bernoccoluto .
Quefto mufcolo è corredato d’uncini > ognuno può ine
dovinarne il percliè, /
D. Una delle fue zampe anteriori di queto. infetto , a
che vanno a terminarè in una punta di corno.
E. I rampini, o uncini délle zampe di mezzo aura
dite col mitrofcopio.
F. Il Bozzolo del filugello:. i ì:
G. Il sufcio del medefimo fcarnato.. .
H. La fua crifalide , o bozzolo; cioè la farfalla cir.
coridata da un liquore feccatofi fopra di effa aguifa di
| crofta fquamofa; o fimile a ùn gufcio d’ uovo.
I. La fpoglia del baco da feta. »
K. La farfalla inattodi. rompere il proprio invoglio 4
e di fare sforzo per ufcir fuora;
54 ISF i ue kob' s xh
ea intrigarmene in conto alcuno. Gosì fi prati-
ca nella China, nel Tunchino,-ed in altri paefi
caldi, Le farfalle provenute da’ vermi , o, per
dir meglio, da’ bachi da feta , fcelgon ful gelfo
un fito acconcio, ove depor le lor uova, e vel’
attaccano con quel vifetio , di cui la maggior
parte degl’ infetti fono forniti pe’ vat} loro. bifo-
gni. Queft uova trapaffano in cotal guifa Pl au-
tunno, el’inverno; fenza ricevere nocumento ve=
runo. La maniera, com'elleno f&nfituate, e at-
taccate, le mette al coperto fin di que’ ghiacci,
che talora nonla perdonano nè pure algello me
defimo. ll feto, che fta racchiufo nell'uovo, rac-
comandato alla cura d'una provvidenza tenera,
ed amorofa, non efce fuora, fe prima ‘non gliè
apparecchiato il proprio alimento, e fe la foglia
non principia a {puntare da' fuoi,germogli. Spun-
tata che fia, quette beftinole traforano il loro gu-
fcio, e fi fpandono per la verzura; dove vanno
a poco a poco crefcendo, e pofano ,.in capo 2
qualche mefe, ful medefimo albero certi bozzoli
di feta, che pajono ; in mezzo di quell’ amena
verzura, da cui prendonrifalto, tanti pomi d’oro,
Quefta maniera d° allevarli è perla loro falute vie
più ficura; e ne cofta minor fatica.. Ma un co-
tal metodo, attefa l’ intemperie de’ noffri climi,
è foggetto ad un’ infinità di difordini ; a° quali non
è poffibile riparare. E° vero, che a forza di rc-
zicelle , 0 con qualch' altro artifizio , fi poffon
difendere dalle perfecuzioni degli uccelli : ma i
freddi acuti, c repentini, che fopraggiungono be-
ne fpeflo dopo-iprimi caldi; le piogge, ei ven-
ti furiofi portano via, e fperperan tutto . Bifo-
gna dunque attenerfi al partito d’ allevarfeli in
cafa, come coftuma di far queta Dama. Il perchè
riverentemente la prego a.additarcene la maniera ,
odiato ostile 0a
DiaLoco Terzo. i
Contef. ( Marc. Hieronymi Vida Bombyci Lala ee
prefceglie una camera efpofta all’ aria a)
dominata dal Sole, e. riparata , per mezzo di
buone invetriate , ovvero impannate di fitta te=
la, da’ venti. Si proccura , che le muraglie
fiano bene intonicate», i palchi bene ftuccati ;
e per dir tutto in una parola , ferrato ogni adi-
to agli altri infetti , a topi; e agli wccelli. Si
drizzano in mezzo del folajo o quattro colonne,
o flanghe di legno co' fuoi piediftalli , e fi con-
gegnano in modo tale , che vengano a formare
uno: {paziolo quadrato . Pofcia fi difendono da
“una colonna ail’ altra varj canicci in più ordi-
ni , fetto ciafcuno de' quali fi pone una tavo=
la colla fpalletta ; di modo che tanto i canic-
ci, quanto le tavole pofino fu de’ lifci corren-
ti, e fi poflan tirar fuora, e metter dentro quan-
«do fi vuole.
Allorchè i: bacolini fono: sbucati dell’ uovo , fi
| mettecun ‘poco di foglia ‘della più tenera, che fi
trovi fu'gelfi, in fuila: pezza, o carta ‘della caf-
fetta ,.dove fon nati; la quale allora è capace
di contenerne un grandiflimo numero. Ma quan-
do. quefte ‘beftiuole hanno acquiftato ‘un‘po’ di vi-
gore; convien portarle con tutto il'lIoro letto di
foglia: ne varj falli cel relajo di già piantato nel
‘mezzo: della flanza; attorno al quale deve effere
tanto fpazio, da poter andare innanzi ;, e îndie-
cro iconvlibertaà . I filugelli s'attaccan prima alla
foglia; e dopo averla ben ben brucata , alle ftef-
fe! cannucece» del lor? caniccio . Hanno fin! d'allora
‘un'cérto filo, per cui, in cafo di bifogno fi cion-
dolano ‘; e deftramente fi guardano dal fare una
«precipitofa caduta. Ogni mattina s' ‘apprefta lo-
‘ro di nuova foglia , e.fl proccura di gettaària con
cutta la dilicareeza post ibile , fcompartendola im
D
4 | mo-
cé IFae Uaesmrni,
modo tale, che a ognun ne tocchi la parte fua.
Allora i filugelli abbandonano i rimafugli della fo=
glia vecchia, la qual fi.dee tor via con deftrez>
za, Ofervando di nomlevare con effa anche i
bachi. Per la qual cofa vi vuole una ferva fati-
cante, ed accorta, che abbia fopra tutto la di-
ligenza di far la provvifione a fuo tempo , e di
tenerli ben netti; poichè non v’'hacofa, che tan
to pregiudichi a quefti vermi, quanto l’ umidità ;
e la fchitezza. A volerli prefervar dalle malat=
rie, cui fon fottopofti; il principal penfiero del=
la loro governatrice ha da offere , di brucare a
rempo afciutto la foglia, ed in luogo afciutto
ferbarla, prevenendo fagacemente la pioggia, per
non trovarfi obbligata ad afpettare, che s' afciu-
ghi, e tenere talvolra tutta quanta la lor fami-
elia a digiuno : la qual cofa potrebbe apportare
in brev''ora un sgiulia confiderabile : conciof-
fiachè , dovendo quefie beftiuole aver corta vita,
mettono il tempo a guadagno, e mangiano quafi
di continuo fin all’ ultimo lor mutamento , ap-
preflo il quale campano quafi altrettanto fenza
mangiare. Se mai s' abbatte a mancarne la foglia
del gello, fi può in queftò mentre trattenerli con
t
qualche fronda di lattuga , ovver d’ agrifoglio ;
ma un tal cibo non conferifce lor troppo : la fo-
la neceffità li coftringe a adattarvifij e la feta,
cui formeranno , fentirà del difcapito per quefia
interruzione del lero pafto ‘ordinario i € riufcirà
‘alquanto inferiore .
Un'altra cautela, quafi altrettanto neceflatia s
eigaro la fcelta , e buon governo degli alimen»
, fi.è dare di tratto in tratto un poco d’ aria
san) flanza, quando fanno belle giornate , e te-
nere ben ben pulite, non folamente le tavole de-
flinate a ricevere i rimafugli «della foglia e:
6 16
_——_n"""SI
Piraroco Texe. $$
e le cacature. de’ miédelimi paci 3 MA tutta gene=
salmente la ftanza:
- La nettezza, e» ta bgon aria conferi(cono mole
to alla loro falute. e buona riufcita. Venghiamo
adefio a’ differenti ffati, per cui fen paffano.
Il filugello, allorchè fpunta dall’ uovo; è d’ unz’
piccolezza impercettibile . Il fuo corpo è affatto
nero; ma la telta tanto morata; che fidiftingue
da tutto il refto del corpo. In termine di pochi
giorni principia a farfi bianchiccio ; o di color ce-
nerognolo : pofcia. gli s imbratta, e gli fi fquar-
cia a poco a poco la pelle , fe ne difpoglia. ve
comparifce tutto veffito di nuovo : crefce ; €. s°
ingrafla ; ; e nell’ ingraflare , acquifta un colore
molto più bianco di prima , fe non che la iu&
bianchezza tende alquanto all olivaftro , com è
il color della foglia; di cui #° è impinguato. Di
li a pochi giorni ( quando più ; e quando me-
no, a mifura delcaldo, che fa, e fecondo la qua=
lità del fuo nutrimento, 0 temperamento ) cella,
di mangiare, e dorme ‘appreffo a poco due gior»
ni interi. Quindi fi divincola; € 8 agita fuori di
modò ; ficchè diventa fin roflo da' grandi sforzi,
ch’ e' fa: gli s° aggrinza , e gli s' increipa la pela
le; fe ne disfa un’ altra volta ; e la getta colle
zàmpe da banda. Eccolo già col {uo terzo abito
«nuovo. Or non è ella una bella fpefa in tre iet=
timane; o alla più lunga in un mete? Si rimet=
tea mangiate: voi allora lo prenderefte. per uf
«altro animale; tanto la di lui tefta , il colore;
la formà tutta: del corpo è differente da quella
di prima ‘ Dopo di aver mangiato. ancor. quefta
«volta per lo fpazio d’ alquanti giorni continui.
‘ricade nel fuo letargo ; dal qual rinvenuto , f
muta al folito di. camicia . Quefta a buon conto.
è la terza ‘poglia; ch'egli ha depofto, dopo cls
( cr
i po) (i
\
58 TeEariuoenstar i.
fer venuto fuora dell'uovo . Profesue nuovamen-
ted mangiare per qualche tempo ie finalmente
fi fùfa del mondo, e de’ piaceri; da ‘un addio al-
Te crapule, ed alle converfazioni:} is’ apparecchia
un ritiro, ie fi fabbrica della fua feta una cellet-
ta d'una "Rrattura,, e d'una bellezza, che v' in-
hamora ; Prima però di. lafciarvelo entrare., bra-
merci di faper dal Signor Priore, che tutte que-
file operazioni diligentemente ha offervate, come
fia interiorniente compollo il fuo corpo.; donde
cavi la materia di quella feta, ch'egli ne appre-
ffa:; e in che maniera la fabbrichi. Voi altri let-
terati, coll’ ziuto de’ voftri occhiali arrivate a fco-
prire di quelle cefe che alla vifta d' pani più
oculato offervatore s' involano.
Prior. Madama , eccovi in breve una notomia
del filugello, a'‘cui fi può affiftere con tutto de-
coro: Il baco da feta, non menodegli altri bru-
chi, è compofto di molti foffici, ovvero elaftici
anelli; ed è ben fornito di gambe , e id’ uncini,
da poteriìi attaccare , dovunque gli torna como-
do. Ha pure il fuo cranio, che gli ripara la fo-
fianza del cervello , il qual fi diftonde., e fi co-
munica per via di piccole vertebre da ‘un capo
all’ altro del corpo. ( Leezwenboek Arcan: nat. 1.3.
epif. 146.) Tiene in bocca due.file di denti, ‘che
non lavorano , come i nofiri, di fotto”in sù; ma
per fianco, e gli fervono per iftrignere, ‘per iftrap-
pare, e per fraftagliare la foglia:. Egli la ftrap-
pa, con premerla fempre. alla banda , e-difcen-
‘dendo all’ihgiù; come faremmo noi fteffi., qua-
lor la tagliafimo colle celoje ; ; «adoperandole ; e
facendole lavorare dalla cima di detta foglia per
tino in fondo. ( Malpighi ib.) Sentefi ben difin-
to, e fcolpito. il di lui 'palpitamento' di cuore , iil
qual non potrebbe effettivamente feguire, fe non
i vi
=
Diifocoè Terzo. : da.
vi foffer de' vafi, che faceffero circolare ‘un qual
che umore per tutto ’l corpo. Dalla cima del di.
lui capo fin all’ eftremità della coda fi ftende una
fpezie di cordoncino , 0 di nervo , il quale -hoi
chiameremo la {pina ; poichè racchiude dentro a
gli fponduli,'ond'è compofta | 3 una midolla con:
iimile a quella del cetebro. Cotefta fpina, fitua=
ta nel mezzo del corpo per tutta cdi la fua
lunghezza , foftiene il cuore , “e ?l polmone. Il
cuore éonfifte in un canaletto” so 1 qual fi ftende
per tutto '! corpo del'verme; quant’ egli è lun-
£0o; ed è compofto di varie cellette , larghe nel
mezzo, ed angufte nelle ‘loro efiremità- .y-la dove
fi riunifcono infieme . Il polmone è formato di
due catene, una delle quali fi fiende a deftra, e
l'altra a finifra, Quefte catene fon compofie di
molti anelli, corrifpondenti a' buchi, che fi vedo-
no per di fuori lungo le colte del baco. Per co-
sì fatti pertugj s’ infinua l’aria dentro il polmo-
ne, ed ajuta ‘per mezzo: della fua dilatazione; e
della fua molla, la circolazione del chilo , «0 in
F umor nutritivo del filugello : la qual cofa fia-
mo arrivati a fcoprire per via della feguente ef-
perienza. Mettafi un poco d’ olio ful capo, ful
dorfo , 0 ful ventre di queft’ infetto . Egli non
morra. Ma fate, che fi ponga dell’olio, detbur-
ro, del fevo, o ‘altra materia crafla, e untuofa
fulle di lui colle; ‘ecco turati i pertug), chè me-
navan l’ aria al Valimone , ed eccolo toffamente
caduto ‘in convulfioni, e a mano a mano morto;
fe preflo non fi dilibera da una tal pat con
rendergli l'aria, oi
Tra ”l cuore, e’l patamne fan fituati , ibvena-
tricolo, e gl’ inteltini; dove fi forma la digeltio-
ne. Tutti quefti vafi fon circondati da un fac>
c'e ben lungo, che con vatj ferpeggiamenti ghi
aggio
Vl
Mia
60 TFent'v ehi
aggira; ed in cui fi contiene un certo vifchio di
colore dorè ; del quale il flagello forma la
feta : o
Avrete per avventura vedute. gni gli orefici ;
DI: battiloti di quelle laftre di ferro traforate con
varj buchi d’ineguale grandezza ; per cui fan pafs
fare , ed affortigliano a lor piacere , una verga
d’oro; 0 d’ argento . Cotefte laftre; ficcome fervo-
no a ridurre in filo il metallo; così vengon chia=
mate trafile. Ora ilfilugello ha fotto la bocca una
fpezie ditrafila didue forami ; per cui fa. trapaf-
fare due gocciole di quella gomma ,; onde il fuo
facchettoè tipieno. Sono per così dire due rocche,
le.quali continuamente gli fomminiftrano la mate-
ria; per formare la feta. Egli attacca quefte due
gocciole; dove che fia ; è poi tira indietro la tela ;
o veramente fi pendola giù. La gomma; che geme
da’ due forami, prende da effi la forma ; e s' al-
lunga in due fila, che perdono inun baleno la li-
quidezza. nattiraledel vifchio, ond’ elleno fono for-
mate; ed acquiftano tanta forza da poter fpfiene-
re peraria, ed anche fafciar l’animale a fuo tem=
po . Egli non s' inganna mai mai nello fquadrar
l'apertura, più; o memo grande, ch'ei deve dare
alla fua teania, e la groffezza, che debbe avere
|. il fuo filo: Gli da fempre ùna forza proporziona=
ta alla gravità del fuo corpo . ( Leewenboek Arcani.
nat: tom.3: €p.146.) Accozza, ed unifce infiemé
quefti due fili, incollandoli infieme colle fue zam=
‘pe dinanzi; e. giunta l’ora di dover formare il fuo.
‘bozzolo; adopfa ie dita, onde le dette zampean=
teriori fono fornite; e con effe torce, ed. incolla
le. fopraccennate due fila infieme , ed attacca or
da quefta , or da quella banda la feta. Vi icon@
feflo d' effermi più , e più volte fermato a cons
templare la graziofa. attitudine ; con cui egli fin
la s
| Brateco Terzo. . Gr
2; fiecome ancora l’ingegnofo artifizio , che in
utta quanta la di lui manifattura campeggia.
. Sarei pur curiofo di fapere, come fi faccia/la'
feparazione , o divifion della gomma , onde quelo
filo fi forma’, da’ fughi, onde lanimal'fi nutrifce.
E’ molto probabile, che in ordine a ciò s'offervi
lo fftefo metodo, che firavvifa nelle feparazioni,
o difillamenti d’alcuni umoti del corpo umano .
{Non fon lontano dal credere, che quel lungo fac»
chetto del filugello, di cui ‘abbiam poc'anzi par-
lato, abbia alla bocca delle glandulette , le quali
effendo fin da principio tutte inguppate digomma,
lafcin trapelare nelmedefimo facco quanto ritro=
vafi nelle foglie del gelfo, che fia omogenco alla
predetta gomma, ed impédifcan l’ingreffo a tut-
to ciò, che vi rimane di eterogeneo. Di quanto
poi refta nell’ alimento, la parte più fottile paf+
fa ne' piccoli vafi, che portano il chilo , o fugo
nutritivo al &uore; e la parte piùgroffa, cioè'a
dite la feccia, trova degli altri paffaggi propor-
| zionati alla fua craflizie. Ma fento ,\ che la mir
lunga differtazione v'annoji ; e ben m’ accorgo,
che mentre queta Dama fi tace, è per lo pove-
to Cavaliere tutto tempo perduto. |
Cont. La gentilezza di queta Dama mi permet=-
tera di ribattere , come che fia , la propofizione
avanzata dal Signor Priore. Il di lui ragionare
non m'ha recato maitedio; e fe 2 cafo m'occor-
re di trovar qualche difficoltà nelle defcrizioni ,
ch'ei va facerido , gli fo ripetere un'altra volta
lo fteffo articolo; e refto fubito foddisfatto. Be
è vero , che mi pare ogni ora mille di fentire, come
il filugello, emiolti altri bruchi s* afcondano, 0 s°
imprigionino dentro al loro filato : e come fac»
ciano a fabbricarfi una cafa, 0, per dirmeglio,
una tomba. Te I
C Oft=
/
Go “I Eight |
Contef. (a) Ho raccolti per buona forte tre, 6
quattro bozzoli di filugelli ferotini, e gli ho quit
| ripofti dentro un cartoccio . Signor Cavaliere ,
mirateli .
Cav. Come , Madama ? Dunque la dentro po;
moran de’ filugelli ? sù
Contef. Giufto, come. tanti romiti nel.lor romi-
torio. “Prendiamo un par di celoje , e {druciam
quefti bozzoli .
Offeryate in primo. luogo la borra , o lanugi-
ne, cioè quella maffa di fila matte gettata la a
calo, «che con sì poca materia occupa tanto fpa-
zio. Dietro a quefta fi trova la vera feta, ben fol-
ta , e difpofta con tutta la maggior fimmerria .
Guardatela. In terzo, ed ultimo luogo , ecco ’l gu-
feio ,, il quale è un compollo di feta , e di vif-.
chio , che s' affomiglia ad un fortiffimo drappo +. |
Là dentro fla’l filugello rannicchiato , e trasfor.
matofi in ninfa. Prendetelo pure in mano. |
Cav. E° giufto fatto, come una fava di baccel-
lo, fenza piè, fenza cella , e fenza alcun mem.
bro , che fi ditingua . Vedo però molti anelli ,
che tanto più vanno diminuendo, quanto più fi
accoftano verfo la cima; e che, a premerli, dan
no qualche legnale di moto
Prior. Quefta è la ninfa, incui fla' ancora fer»
rata la farfalla. Là dentro vi fono al prefente le
ali, i piedi, gliocchi, le corna , od antenne, in
fomma tutto quanto: ma in una sì fatta manie-
ra, che nulla ancora fi può difcernere, Tra quin
dici dì fl fvilupperà ogni cofa.
Cav. Ma fe il baco da feta, allorchè fila rego-
larmente, fi fa nafcofto fotto A borra, come mai
fi può
(4) Il bozzolo è quel gomitolo di feta fatto come
un vovo di piccione , dentro al quale isviluppafi. il
fi'usello.
DiaszocoTEirze.; 63
fi può fapere, in che maniera abbia formata ques
fta manifattura?. |
Coatef. Non.iv.è cofa più facile. dlandb if
lugelio fi trova ,beuben pafciuto di foglie, e che
giunta è l'ora. della {ua ultima metamorfofi , fiva
procacciando unluogo, ove poterli applicare als
fa ftruttura della {ua tomba, fenz' effere fraflor-.
nato. Se gli prefentano delle fcope,. o frafche di
gineflra, ovvero un.cartoccio ; ed egli vi fi ritita ,
e comincia a volteggiar la fua teltolina , ora di
qua, e oradila, per appiccare da tutte le bande
il fuo filo. Queito fuo primo lavoro fembra affat=.
to difordinato , ed informe; per altro nonè fen-
«za difegno.. IL verme non difpone per ora le fila,
«con regola ; ne fi cura di concatenarle infieme ;
ma fi contenta di fpargere alla lontana una cer=
ta borra, o cotone, per ripararfi dalla pioggia;
«Imperciocechè effendo fiato deitinato dalla natura
a lavorare al fereno in sù gli alberi, offerva lo
flefo metodo, ancorchè fi trovi al COPErto .
Per vedere: come i filugelli filaffero , e in che
maniera componeflero la vera feta, ne ho prefo
qualcuno inmano, e gli ho levata. di volta in vol.
ta quella borra , con cui proccurava tantofio di
formare la fua primiera coperta. Ma ficcome io
lo veniva a indebolire oltre modo; così flanco di
ricominciar rante volte lo fieflo. lavoro, egli piane
tava finalmente il fuo filo, dovunque 5’ imbatté»
va; efilava regolarmente sù gli occhi miei, ora
abbaffando la tefta, ed orfollevandola.;; or rivole
gendola a delra, edora afiniftra, perdritto, per
traverfo , e in tutte quante le forme. Quindi il
verme s'atteggiava entro uno fpazio molto più
angulto; etrovavafi a poco a poco tutto falciago
di feta. Ilrefo non può vederfi: ma s' indovina .
Termina il fuo gabbano, con ifpremer dal fonda
IDA
12
Y
a I Rituvuerrsiaii ;
| dar accennato facchetto una gomma.,; di cui va
ietiasilp una feta inferiore; e la coftipa concer=
to vifchio tenace, che ferve a collegare , ed at-
taccare infieme l' ultime fila di quetta feta.
Ecco dunque tre differenti coperte , ciafcuna
delle quali gradatamente il ripara. La borra lo
difende dalla pioggia ; la vera feta gli ferve di.
buffola, onde fchermirfi dal vento; le fila conglu»
tinate ond’è compofto quel gufcio denio , che.
rocca il verme, oltre al ripararlo dall'acqua, e
dal vento , rendono ancora l’ interno di quefta
ebituro inaccefibile alfreddo. Dopo effere dimo-
rato entro aldetto ritiro tutto quel tempo, che
, è neceflario, per aver campo di fpogliarfi della
quarta pelle, e cangiarfi in ninfa, e per ifvilup-
pare a poco a poco le corna, le alb; e le zam-
pe , che fon legate , ed imprigionate dentro la
minta, e cangiarfi in farfalla, allora tenta di ve=
nir fuora.
Cav. La vedo molto intrigata . Ha cali per
avventura qualche fega, o qualche poderofo fue-
chiello , da poter venire a capo di trapanare, e
gufcio, e feta, e borra ? Voi ben vedete, che
quefte fon tre muraglie. |
Conte/. Chi infegna al verme a fabbricarf un
quieto ritiro, dove le dilicate membra del nuovo
animale abbian agio di poterfì formare fenza di-
Aurbo, gl’ infegna ancora lafciarvi una porta , per
cui il medefimo poffa aver la fua ufcita. li boz»
zolo è giufto fatto, com’ un uovo di piccione s
cioè dall’ una delle due eftremità alquanto più acu-
to, che dall'altra. @ra il filugello non incrocic»
chia verfo la parte più acuta le fila , non v’ appli-
ca, (come fa in tutto Irefto, piegandofi, e fcon-
torcendofi in mille guife con molta agilità, e defirez:
za) punto punto di colla; e finalmente ron man
(| i
\ " I
LMCg DiraLoco TERZO. 6
ca di portar la fua tefta alla dirittura di effa .
Sentite ora il perchè, Quetta punta non è da lui
immaftricciata, nè chiufa affatto, comeilreftan-
te del bozzolo; perchè fa, che quefta debb' effer
la porta , onde ha da ufcire il nuovo animale ,
che in sè medefimo è incorporato; perciò ha pur
l'avvertenza di non pofar mai la parte acuta del
bozzolo preffo a qualche corpo, che pofla fervir=
gli d’oftacolo, quand’ ei dee fcappar fuora . Als
| lorchè il verme s’ è confumato, e diftrutto per ap-
preftar la materia da fornire si lavoro delle fue
tre coperte, perde la forma delverme, la fua fal-
ima cade addoflio alla ninfa, e la ninfg fta due,
otre fettimane, etalor da vantaggio, a conver-
tirfi in perfetta farfalla. Appena la farfalla fi tro-
è va compiutamente formata, che fpigne le antene ©
e, la telta, e le zampe verio la punta delboze.
zolo ; la quale , non elfendo immaftricciata + VI
a poco a poco cedendo, e a’ di leisforzi s’ arren-
ca Finalmente fpalanca l’ apertura, e vien fuo-
. Le reliquie del premiero fno faro, cioè a di-
sf sila telta, e tutta quanta la pelle del verme
reftano nel fondo delgulcio, a guifa*d’un fagot-
tino di cenci {porchi . Mi dimenticava di dirvi ,
che la farfalla, prima di venire alla lacc, ha per
cofume di Calici dell'umore fuperfluo , il qua»
le, mencre trovavafi nello flato di ninfa , avea
cooperato a formaria , e ad invigorire le di lei
membra. Quefto fpurgo , o poltiglia imbratta °l
bozzolo; e la feta ne refta molto dannificata.
Cav. E della farfalla, allora, che n'è? .
| Contef. Ella fi diluoga posò dal fito della fua
nafcita. ll mafchio è molto più vigorofo , e più
piccolo della femmina: quetta poi, perchè gravi»
ga d'uova, è fempre più groffa. In capo adab
quanti giorni fe ne diigra vada p °elleno fono fe
T on8. LL È 7 cOn»
|
66 I Pio tr,
conde , all'apprefari della primavera, mutati co+
lore; edi dorate, che erano, dtvedilbti paonaz=
ze, e poi cenerine.
Cav. Si gnora, mi pare ogni ora mille di fape-
re, come fi faccia a ricavarne la feta; e come fi
,«pofta adoperarla. Se la farfalla , prima d’ ufcire
| del bozzolo , vi fparge un liquore, che lo marci-
ice, eda vantaggio lobuca; voi ben vedete, che
tutta la feta ficorrompe, e non è buona da niente.
Contef. Certo che sì . Ma quefti bozzoli così
‘bucati non ‘fi mettono inopera: anzi s' ha l’av-
vertenza di premurirfi contro un sì fatto difor-
dine. La femmina del filugello porterà da cinque-
cent' uova, e da vantaggio : sì che un piccol nu-
mero di ninfe è baltante a fornir le caldaje, per
l’anno venturo. Tutti gli altri bozzoli , da cui
fi deflina di ricavare la'feta , s' efpongono al Sol
cocente, il quale ad onta delle lor tante foprac-
coperte penetra fin per entro alla ninfa ,' ed in
manco di fei, o fett'ore la fa morire, prima di
darle agio d' ibrditai nulla. É
Prior. Il Signor Cavaliere non partirà. foddis=
fatto, fe pifima nongli s 'infegna atirar la feta.
Gontef. Quando fi vuol tirare la feta da’ boz-
zoli, in primo luogo fi leva loro la borra : po-
fcia fi buttano con tutta la loro feta neila cal-
daja ; dove fi van rimenando con ramufcelli di
flerpi minuti, per raccapezzarne i bandoli , ov-
vero principj delle fila . Qi fi fan paffare le
dette fila per certi piccoli anelli; affinchè il boz-
zolo:, nell’attaccarle al filatojo, "e nell’avvolger-
le fopra laruota, nonfaltin fuora. Pofcia s' am-
maffan più fila infieme , e fe ne formano tante
mataffine, le quali foglion comporfi di fei ; ma più
ordinariamente d’' otto, 0 anche di più fila , 2
mifura, che £ vuol render più, o meno iper la
Ufo.
\
x
N
; Ia)
DisLoco Tento. 67
feta. Intanto que’ bozzoli rimangon fenipre nell’
acqua , finchè vi rella fu filo. Ma cetona non
afpettano , che 1 gufcio fia tutto carnato ; per-
chè la feta preflo il fine diventa sbiavata, e più
debole. Tuttavia quefte filacciche npn fono affat-
s
‘ to fpregiabili; e filanii a parte. Quanto a’ gufci ,.
fe ne fanno diverfiufi. Vi fono taluni, chelitin-
gono di varj coloti, e he formano de’ foreterat
tifiziati; iquali rieflcono alcune volte belli a ma-
raviglia. Per altro ilcoftume ordinatio fi è di la-
fciarli macerate nell'acqua; finchè abbian perda-
to tutto il lor vifchio; dopo di che fi pe! ano, co-
me s'è detto, della borra, efene/fa un caric
cio, che filafi o°n fu la rocca, ovvero ful ‘fila-
tojc, per poi formarne de’ dtafp: più ordinar] .
Ma quanto foniofcempia; a fpiegarvi tutto que-
fto lavoro! Andate pur a cafa del Signor Priore,
e vedrete un filatojo, da lui fatto fare a un tor-
biere, d'una Gruttura fingolarifima, sù cui am-
erete ivi tirar la feta con altrettanta agevo=
a che pulizia
Prior. Ad unico oggetto d' appagar la cutiofi-
ta della medefima Signora Contelfa , e fapere ap-
puntino quanta lunghezza di filo "ne poteva ap-
, preftare un bozzolo di tilugelio, ho fatro fabbri-
care un piccolo filatojo in croce, ciafcun lato del
quale è di tre oncie. Fatta una volta la prova;
l'F6 lafciato là in un cantone.
Contef. Che coftrutto ne ricavate da quelle tre
oncie? ,
Prior. Eccolo. Le quattro parti del filatojo im»
portano dodici oncie, o fia un piede. Sicchè fon
\ ficuro; che ciafeun giro difil di feta avvolto full’
igno equivale ad un piede, € qualche pelo di
ui et accavallandoGi i giri l'un fopra Pal
vengono adallargari un pochetto, Ciò fupe
i “AE, a
ù
€ IF debe.
pofto, adogni girata del manubrio fo fare al flo
il fuo giro, cioe a dire il valored’ un piede. Ecco
dunque, che contando le volte, che io vo girando
il manubrio fopra d'un folo bozzolo , ‘vengo pre=
cifamente a fapere quanti piedi di filo. mi apprefii.
Contef. Voi dite il vero. Or via, ne avete pur
farta. la: prova , ne’ vero ?
Prior. L'ho fatta fopra due bozzoli . ( Boyle de
Jabtilit. effiuviorune .) Uno m'ha dati novecento
wentiquartro piedi di filo ; e l’ altro novecento
grenta. Offervate però, che quefto filo è addop-
piato, eche le fila fon incollate l'una full altra
per tutta quanta la lunghezza; per la qual cofa
i piedi delfilo ricavato dalbozzolo montano quafi
a due mila.
Contef. Bilogna però contarli per novecento tren-
ta; mentre ilfilo cheneda il verme, è fempre dop-
pio, come voi dite . Per dir vero , non me n' afpet-
tava maila metà; ma fulla voitra parola m' aftido E
Prior. Ho fatta, oltre alla precedente, un’ al-
tra offervazione. Ho pefato li novecento trenta
piedi di detto filato. Il Signor Cavaliere faprà ,
. she una libbra equivale a due marchi, un marca
ad ott’ oncie, un'oncia a otto grofli , un groflo
a otto danari, ed un danaro a ventiquattro gra-
ni ; il qual pelo ogni piccol foffio di vento fel
porta via. Ora li novecento trenta piedi di fe-
ta, pofti fulla bilancia , non pefan più di due
grani, e mezzo.
Contef. Sapete voi quanta differenza vi fia tra
quefto filo, e quello della più brava filatrice del
mondo ?
Cav. Forfe quanta ne pafla tra uno fpago, e
una corda.
Contef. Dite piuttofto tra un fil di refe, e un
grofliffimo canapo . Ma ; Signori, alziamoci ; i prens
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/diamo un poco d’aria, e andiamo afar quattie
pali per divertirci. Ma ditemi in prima , fopra
che avete deftinato diragionare nella voftra con
ferenza di domane?
. Pyior. Sù tutto quello , che più. v ‘aggrada ,
‘Madama. i
Contef. - dirvi la verità, mi fento una tens
tazione A ma di continuar ad intervenire
alle voftre feffioni; Nè fi dirà, che voi m' abbia-
te aggregata alla voftra accademia per femplice
‘cerimonia . Offerverò fedelmente i capitoli della
focietà , ed afifterò puntualmente alle fefioni ,
che fi faranno ; con patto petò; ch'io non fia tes
muta a ufcir fuora de’ limiti della mia sfera. Del-
le riflefioni fopra le cofe a me note, quante mai
‘ne volete. Parliamo pur di materie attenenti al
giardino, di legumi, di frutti, e d’ animali do
meftici; vi feconderò .: Sono mediocremente infa=
rinata di certe bagattelle , che cei fi prefentano
‘tutto 'l dì fotto gli occhi: ma non -mi facefte lam
biccare il cervello intorno 2 cole più alte; pers
chè non vi potrei tener dietro.
Prior. Voi medefima farete la nolira diretri-
“ce, e voip@r difporrete degli argomenti delle no-
fire conferenze.
Contef. Orsù , vi piglio in parola. Non abban=
‘doniamo sì prefto il filato. Voi ne facete alcu-
ni giorni addietro la defcrizion dellavoro del ra-
«gno: avete potuto oflervare con quantà foddis-
.fazione fi flette a fentire il voftro ii
to. Non ci afpettavamo mai di ritrovare in un
animale così abborrevole tanta pulizia, nè tanta
novità . Signor Cavaliere , quefto farà 1 tema del-
da feffion di domane. Ma vi configlio a fare an:
‘ticipatamente una cofa.
Cav. Che cofa?
pi
E ha Contel,
n I FilueziLi. DiaLogo Pelo,
Contef. D'andarvene pafio paflo a cafa di un
tefitore ( giacche in queflo paefe non ne man-
cino ) e d'oillervare minutamente in qual manite .
ra effi teifano lelor tele, per capire più agevol-
inente quanto il Signor Plioré dira intorno alla
fabbrica di quelle de’ ragni. V' afficuro. ;iche |
ana v' ajutera a intendere l'alera. AJp ertatevi di
veder gente aflai povera ; per altro il loro me-
fiere non vi difpiacerà; e come che l' invenzio=/
ne del teffere fia molto antica, pure per voi tiu-
{cira affatto nuova. Vi ravviferete ben dell’ in-
gegno; sì; e vi fo dire, che vi chiamerete con-
tento d'aver dbbrdctta ro il mio cònfiglio, e aver
yeduta una tale manifattura.
Cav. Vi contentate, Signora , ch'io mi pre
valga di qualche fervitore di cala, peraccompa»
gnarmi dove voi dite?
Prior. Quefio è un affunto, che a me s° afperta i
Signor Cavaliere, con vofira buona licenza’, bi-
fogna ch’ io mi trovi cola, per fervirvi d’ inter-
prete. Quefia buona gente parla inun certo lin-
guaggio, che da voi non s'intenderebbe; e temo
«altresì, che nè men efli interderebbono il voftro.
Contef. Signor Cavaliere , prendete quefti due fcu>
di. Forfe non yi troverete addoilo moneta. Ne
farete un cortele regalo a quei lavoranti. Se
prenderete a far parlare la mano, non vi bifo=
gnera altro interprete .
Fine del Dialogo Terze,
PALI i | DI
Re AMT
DI'fE0GO 0UARTO,
La Contessa $ DI GIONVALLE.
IL PriORE fe
Ir CavaLieRE peL BrocLIo.
| Contef. €‘Ignor Cavaliere , prima di venire a’ no-
ftri infetti, avrei caro difentire, che
cofa vi paja del mefliere delteflitore. Difingue-
te voi ora l’ordito (4) dalla trama (6)?
Cav. Son informato di tutto : e vi faprò an>
| che dire qual ufo fi faccia delle calcole, (c) de’
licei , (4) del pettine , (e) della (pol , ($)
Mii A
Contef, ‘Alla fe, ch'e’ fa ’l nome di tutti quan-
ti gli ordigni. Pure midubitava, che quefto me-
fliere vi parefie piuttofto vile, e nojolo.
Cav. Non ho provato mai uno fpaflo più gran»
b.4.° +. de
(2) L’ordito è il filo montato full orditojo.
- (64) La trama, o ripieno, è il filo, che fifa paffare
attraverfo l’ordite per mezzo della fpola.
(e) Le calcole fon certi aficelli, sùculil teffore tie»
(i me i piedi, e abbaffandoli, e alzanioli fcambievolmen-
| te, fa alzare, e abbaffare i licci. |
i (d)I-licci fon fila torte a guifa di fpago , difpafte
tutte quante per ordine , ed appefe a certe girelle, o
carrucele, che; alzandofi, fanno refpettivamente alza=
re, e abbaffare ciafcuna porzione di fila montate full”
erditojo .
(e) Il pettine è un ifrumente di boffo , compofte
di molti denti, attraverfo i quali paffan le fila dell”
ordito: e ferve afar connettere, o ferrare il nuovo filo
della trama col precedente.
(f) La fpola èun piccolo ordigno di baffo, a foggia.
di navicella, nel di cui mezzo è1ì cannello del fil del»
la trama, avvolto in modo, che poffa fcorrere.
/
+ Uto A N. \
de di quefto .. Anzi avrei un defiderio ardentiffi»
mo di vifitar a un peruno tutti i meflieri degli
artigiani. Non fo capire, perchè non ci fia pere
meflo di vederli. Se mai ci fermiamo accidental-
mente 2 guardar un artefice, chelavora, fubito
fr trova un fatrapo ; che ne dice con tuono au-
0 : Via di qua , Signore, dove vi perde-
? Quefto non è un meftiere da pari voftro.
toner. Quanto mi piace a. vederlo così ftizzi-
to! Povero Cavaliere! Che gli s' affegni per prin. .
cipale fuo impiego lo ftudio della lingua latina,
e dell’ altre fcienze neceffarie, l'accordo ancor io:
ma perchè vietargli il divertirfi a imparare le
cofe più comunali, che fpettano al viver noftro ,
edi cui fa fa nuo continuo 7
Prior. Altro, che divertirfi . S' aguzzerebbe in
così fatti divertimenti il fuo ingegno; e s' imbe-
verebbe con piacere delle idee giufte di tutte le
cofe LD infpezione "dell''arti ‘è de’ meftieri ; Ja
‘veduta de lavoranti in ogni genere di profeffio-.
ne , e in ogni loro atteggiamento , ne apprefta
delle fperienze bell'e fatte , le quali fon capaci
d’ iffruirne fenza fpefa, e fenza fatica. Per que-
flo mezzo s'impara, non folamente ciò, che fer-
ye d’ornamento allo fpirito, e di condimento alla
converfazioneì ma quello ancora, che rende l’uo-
mo capace d'inventar degli firatagemmi , e di‘
trovar de’ ripieghi in ogni occorrenza . Il figlinolo
della Signora Contefla, il qual fenza dubbio è un
de’ più giudiziofi, e garbati gentiluomini, che mai
dir fi pofia, è fato allevato sù AUS gufto. Do-
po aver apparate da varj maetfîri le lingue, e gli
efercizj, che al dilui grado ficonvenivano, fi de-
dtinò di farlo viaggiare. Ma il Signor Conte non
. volle permettere, ch'e’ fi partiffe per l’ Allema-
‘.&na; dove al prefente fitrova, fe prima nonebbe
ipefe
I DrtL6co0 QuarTd:. dm...
fpefe per lo fpazio d'un anno intero tutte l'ora
della mattina nello ftudio della fifica , e della mec»
canica; e quelle del giorno dopo pranzo a vede-
re, eimparare, fino ad uncerte fegno, l’arti più
nobili, fenza trafcurare le più comuni. Non paf=
fava mai fettimana , ch'ei non andaffe a fcuola
«da qualche botteghier di Parigi, per apprendere,
non dico fuperficialmente , ma con fondamento,
e con metodo, l’idea , e la maffima principale
d'ogni meftiero. Frequentava la bottega delbat-
tiloro ; dello ftampatore, dell’ oriolajo , del tinto-
re, perdue, o tre fettimane continue; ed altret-.
tante ne confumava in quella del legnajuolo ; del
magnano, e più ancora del carpentiere. Non ab»
bandonava mai 'lfuo maeftro; fe prima nonl'avea
veduto in tutte le attitudini, e maneggi attenenti
lla di lui profeffione. Il veder replicatamente le
fteffe operazioni ; il fentire i difcorfi femplici e
naturali de’ lavoranti; gli applaufi, o lelamenta=
zioni delor maeftri, lefottigliezze, le precauzio-
. ni, l'offervanze de’-compratori, l' ban refo pratico
di qualfifia profeffione; o meftiere ; di modo che
alla giornata fitrova appieno informato di tutto
ciò, che riguarda il commercio, e le bifogne del
«comun vivere, al par de’ manifattori medefimi ,
«che cele appreftano. Sa beniffimo il home, e l’ufo
di tutte quante le maflerizie; conofce le materie,
onde gli artefici le han fabbricate; i paefi da cui
fi fanno venire; i contraffegni della lor buona ; 0
cattiva qualità; il prezzo, che coftano, a com-
prarle di prima mano, e a ricomprarle da’ riven=
duglioli; fa difcerner l'artefice, che le ha fatte;
conofce perfettamente la differenza , che paffa da
nina manifattura mafliccia, e di buon gufto, a4
un'altra, che abbia folo una fpeziofa comparfa;
‘ma fia intrinfecamente fpogliata di corpo. Un ba;
rattie»
i È: Bulk GSAROUA,
rattiere non avrà mica modo ditrappolarle: all’
incontro poi fa render giuftizia al lavorio d’ un
valente maeftro . Che più ? egli medefimo è un
vero artefice ;*e fa fare colle fue mani tutto €iò ,
che vuole.
Contef. Vi permetto di far l'elogio del mio fi-
gliuolo; perchè le lodi, che voi gli date, tutte
ridondano fopra di voi. Ah! Signore, vi profefio
delle obbligazioni infinite . Non faprei dire qual
artifizio vi pratichiate . So bene, che compiacendo-
vi dirubare di quando in quando qualche ora alle
vofre quotidiane occupazioni, per trapaflarla a
palfeggiare col mio figliuolo , gli avete inferita
la voglia difludiare, e d'apprender le fcienze in
una maniera , ch' ci ne menava, per così dire,
le {manie, Il metodo, che per voi fi teneva , non
era tanto (aquel, che ho potuto capire) di far-
gli apprendere a prima giunta alcune cofe con or-
dine, quanto di deliare nel di lui animo il defi»
derio: di faperle. La voftra mira tendeva a ren-
derlo fempre curiofo ; concioffiachè la curiofità è
una pacttane attivillima, € incapace di fiar ozio-
fa . Spuntato un tal palio , tutto 1 refto riefce.
facile , e dilettofo . Ho cento volte offervato ,
che i voftri difcorfi, le vofire condifcendenze, ed
ivoftri fleffi fguardi non tendevano ad altro, che
a ituzzicare la curiofità del giovane alunno. Era
una cofa afiai vaga, il vedere alcune volte fulla
riviera d’ un fune il Curato , ed il fuo piccolo
popolano ftrapparfi fcambievolmente dalle mani
le piaftrelle più lifcie, ed ammaffarne ciafcun la
fua parte , facesidole a gara faltellare a fior d'
acqua; e poi trovandofi flracchi di così fatto e-
fercizio, metterfi a difputare della caduta de’ gra-
wi; del livello dell'acqua ; delle linee, ch' efli
chiamav ano (fe pur non erro) d'incidenza, e di
riflefa
f
DrALo0co Quarto. LT9
rifleffione ; delia preffione dell’aria , e di cento
altre cofe, che ora non mi fovvengono . Ultima-
ro quefto dialogo , al primo piano arenofe, che
fi parava loro dinanzi, eccoli a metter in opera
le canne d' India. Si difegnava la Terra-fanta ,
V-Italia, la Francia, e s' arrivava perfino all’In-
die, e al Canadà. Mancava per avventura l’are-
na? Si dava di mano alle pietre, alle foglie, od
a’ pomi, per dilegnarvi fopra le provincie , le cit-
tà, o le montagne. Ogni giorno fcappava fuora
qualche invenzione di nuovo . Non vi fo dire ,
con che aria, e con chefefia il mio figliuolo tor
nava a cafa, e fi metteva a rifar quefle opera-
zioni dinanzi a me. Tutta la lezione, che aveva
intefa , gli reftava sì benimpreffa, e digerita hel-
lamente, che quanto avea imparato giuocando,
tornava come di rimbalzo addoffo di me in un
perfettiffimo ordine: e così il Signor Priore , fen=
za avvederfene, veniva a dar lezione a due fco-
lari, credendo di darla ad un folo.
Prior, Effendo io fuo paftore , avrei mancato
al debito mio, fe non mi folli prefo qualche pre-
mura di lui. Ma quando un s'abbatte inuna bell’
indole, com’ era quella, fi vuol far di tutto per
addolcirle ogni amarezza, etravaglio. V’ afficu-
10, Signora , che quei pochi momenti, che ho
trapaflati a divertirmi con quel caro figliuolo ,
Ji giudico i meglio fpefi di quanti n° ho mai im
piegati in qualunque altra faccenda .
Contef. Non manca mai gente , la qual proc-
“curi di divertirfi: ma radi fon quelli, che fi di-
vertan con frutto; che ripongan ne’ loro diver
timenti un qualche dilegno , e otivrvino, che l'og-
getto de’ lor piaceri fia la virtù.
Cav. Volete , ch'io vi conti un altro di que»
fti fuoi foliti firatagemmi, praticato di frefco con
cile
Lar
‘76 I. Rival
efio meco? Septitelo. Jeri, dopo avermi berì ben
informate ditutti gli arnefi, attenenti al meftier
del teftore, e moftratomi a che cofa ciafcùn di effi
ferviva; vediamo ( diffe.) chi di noi due fa menar
sueglio le calcole ; e adoperare la fpola. M'’obbligo
@ pagar dieci foldi per ogni filo, ch'io ftrapperò.
Voletelavorare a un tal patto ancor voi? Si bene;
rifpofi. Esì ci mifimo l'un dopo l’altro al lavoro.
Contef. E non ifconquaflafe voi tutto?
Cav. Si pagò più d'una volta la fcommeffa , che
avevamo fatta. Quella buona gente giubilava a
wederci sì gonzi. Ogni filo, che fi rompeva; era
per loro un guadagno : ma nonimporta : nel met-
ter le mani in palta, comprefi benifimo l ufo 4
e l’effetto di tutta la macchina. I
Prior. Orsù fate amio modo . Lafeiam da parte
il Priore, e iTeftori. Parliam della fabbrica di un’:
altra tela, ove non abbifogna nè telajo ; nè fpola .
Suppongo, che la Signora Conteffa non avrà dif»
caro , che prima di venire alla ragnatela, io fac
cia la defcrizione delragno; e de’ fuoi flromenti .
Contef. Perchè no ? Quand’ anche parlafte. di
ferpenti, e di draghi, non per quefto mi farefte
fcorare. La defcrizion degli oggetti più formida=
bili non è capace di ftomacarmi.
Prior. Vi fon cinque forte di ragni. ( Mermor.
dell Accad. delle fcienze 1708. M. Hombers. Leeu-
mwenboek Arcan. nat.T.3: Ep.135. Liffer. de Aran. )
ll primo è il domeftico , che fa la fua tela negli
appartamenti men praticati. ll fecondo è il ra-
‘gno de’ giardini , che fa all'aria aperta una te-
letta rotonda, nel cuicentro dimora intempo di
giorno . ll terzo è il ragno nero delle cantine ,
ocaverne , il quale flanzia entro i buchi de muri
vecchi. Il quarto è il ragno vagabondo , che non
‘tien mai un nid@ fermo, come fan gli altri . Il
o quin»
ri
Diatoce QuaARTO, 77
quiato. è quel di gui) eo che chiamafi per al-
ro nome falangio. Se ne potrebbono annovera-
re degli altri. Ma limitiamoci a quefti foli.
Ciafcuno de’ detti in ha qualche cofa di co»
mune cogli altri; e qua che coia di differenziato è.
Vediamo in prima ciò, ch’ effi han di comune.
Tutti generalmente quefti animali fon compo»
fti di due parti; per così dire flaccate . Quella
dinanzi contien la tela, ed il*petto; ed è fepa-
rata da quella di dietro, ( che ‘confifte nel ven-
tre) per mezzo d'una comprefi ione, 0 di un fot-
tilifimo filo, La parte anteriore, in uncolle zam-
pe; che pur s' attengono al petto, è coperta d'
una duriffima fcaglia : la pofieriore è fafciata d'
"una tenera pelle; e tutto quanto il lor corpo è
corredato di peli. In varie parti della loro tefta
fivedono fcintillare diverfi begli occhi, i quali or-
dinariamente fon otto, comeche alcune velte non
n’ abbiano, fe non fei; due dinanzi, due di die-
tro, e gli altri alle bande. Nefiun diquefti oc=
| ” chi
Spiegazione della Figura.
SE
A. Il ragno degliorti, o giardini. 1.Lefueotto zara
pe - 2.Le fue braccia. 3.1 fuoi occhi, e i due pinzi.
B. Gli ‘occhi, ed i pinzi del medefimo in grande »
C. I pinzi ancora più in grande, uno de’ quali è in
ripofo , e fta colcato in mezzo avarj fpiilett1: 1° altro
è (piegato, ed in atto d’operare. c. Il ‘piccol pertu-
gio, onde ‘il ragno verfa il veleno nella ferita.
D. La punta d’una zampa di ragno, co’ fuoi peli 4
con ambe le fpugne, o torfelli, o o pallotte, e coll’ un-
cino alla banda .
E. Il ragno detto (ata bta con amendue le fue pic»
«ole pennacchiere.
«— F. L’ano, e le poppelline di detto ragno‘,
G. Le poppelline di diverfi ragni.
H. Filo addoppiato, o compofto di più fila unite in-
fieme.
I. Cava della materia sa ond' è formato il filo del
sagng o
A TAI E, ie
58 I RI A» EN;
chi ha palpebre; ma fon difefi da una crofta td
dura, lifcia, e diafana. Siccome i medefimi non.
fon pieghevoli ; così il ragno n'ha in abbondan-
za, per potér vedere da tutte le bande il fatto
Pica Ogni ragno ha in fronte due pinzi, o per
dir meglio due branche fornite di punterelle den
tate a foggia di feghe, nella cui cimaè unram-
pino fommigliante ali’ unghia del gatto. Un poco
fotto alla punta di detto rampino fi fcorge una
papilla, per cui fpruzza un velen potentiffimo .
Non ha un’ arme più terribil di quefta per debel-
lar l’inimico. Egli sfodera, e rinfodera l’ accen-
nate due branche, fecondo il bitogno; é quando
non vuol mettere in opera i fuoi rampini, li ri»
tira, e gl’ incaffa amenduni nelle fue branche ,
come fi farebbe a incafiare una roncola dentro il
fuo manico. Ciafcuno ha otto gambe, articolate
come quelle de’ gamberi; ed in cima di effe tre
unghie uncinate, e pieghevoli i; cioè una piccola ,
che {porge in fuori a modo di uncino, e per cui
s' attiene 2° fuoi fili; e due altre più srandi fal-
cate, e dentate, che gli fervono a ipnerpicarfi ,
dov’'egli vuole; ficcome ancora a camminare, 0°
per fianco, ocolla fchiena rivolta allo *ngiù, ag-
grappandofi acheccheffia. I corpi lifci, come fa-
rebbono i marmi, e gli fpecchi, han perluidel-
la fcabrofità, e degli fcrepoli , che fomminiftran
degli appiccagnoli a’ fuoi rampini . Ma ficcome ia
loro punta; colcamminarvi fempre sù, verrebbe
a confumarfi; così oltre a quetli Famplaio ha an
cora due tonde fpugne, o pallotte, sù cùi cam»
mina con più morbidezza; ecosì rifparmia i det=
ti uncini , ritirandoli dentro ; quantunque volte
ne può far fenza. Ogni ragno, appreflo all’ac=
cennate otto gambe, ne ha pure due altre dalla
parte anteriore , le quali dovrebbonfi chiamare
piute
BriaLroco QuaRrTb. né
piuttofto braccia : mentre, non gli fervono a cane
minare; ma bensì ad afferrare, edaggirar la fua.
| preda. Con tutto quefto fpaventolo apparecchio
| dl ragno n'andrebbe col capo rotto, s' egli nom
foffe altrettanto fornito d’ ordigni, per tender
N
dell’ imbofcate ; quanto è provvifto diarmi, per.
di
batterfi. Egli non ha ener dietro alla fusa
preda; che vola; e la fua preda ne ha, per vo»
lare dinanzi alui,ALe parti farebbon troppo difpa-
ri, fe il ragno son foffe premunito d’un filo, e
non fapefle l’ arte di far con effo delle ragne, e
de’ lacci. Teride dunque le reti in quell’ elemen=
to, per cui la fua preda continuamente s' aggi-
ta; prevede il tempo opportuno di tenderle , ‘e
s'accigne a far la fua tefa , quando la preda è
per nafcere; ed allora, ritirandofi dietro alla re-
te allo fcuro , appofia a man falva il nimico y
fenza efler da lui veduto. pa
: Quanto alla maniera vd’ ordire, e di formar ques
fta tela sì profittevole , adeffo dirò ; come egli
vi fi difpone. ;
© Ciafcun ragnatelo ha nel fondo del ventre cin-
que poppelline , ciafcuna delle quali è coperta da
altre ancora più piccolé; cui apre ;, e ferra con
allargare, e ftrignere i lor capezzoli, comunque
gli piace. Per quefte papille fpruzza, e fa geme-
re di quella gomma vifcofa , onde il fuo ventre
è ripieno. Nel mentre, ch’ei fa colare per una;
O per più papille quel vifchio, proviene un filo N
il quale fi va allungando a mifura , ch’ ei s° al-
lontana dal fito, dove a principio l avea appic-
cato; e allor ch' ei ferra i capezzoli delle fue
poppelline , le fila cefano d'allungarfi, e l'ani-
male riman ciondoloni . Intanto quel medefimo
filo gli ferve di fcala, per rimontare: conciò fa
coia ch' egli lo flrigne fra le fue zampe ; come
"
ci
sà
Le
180 PR a e n a)
farebbe un muratore, o acconciatore di tetti, il
‘qual voleffe falire in alto per una fcala di cor
da, afferrandola firettamente colle fue mani , €
colle ginocchia, Di quefto filo fabbrica pure una
tela, onde ricava uma grandiffima utilità. Senti»
‘ te ora la di lei fabbrica, e l’ufo.
Allorchè il ragnatelo domeftico vuol principiar
la fua tela , fceglie primieramente un fito , che
Abbia qualche angolo, o concavità , efempligra»
«zia il canton d'una flanza, o d’ un arnefe, per
poter avere fotto la fua ragnatela un ritiro, e
un paflaggio, onde correre sù e giù; e fcappar
“via, fe bifogna. Ciò fatto, fchizza ful muro una
gocciolina di vifchio , che fubito vi s’ appicca,
Quindi lafcia gemere per una delle fue piccole
papille il liquore ; e il decto filo ( in tanto ch’
ei paffa dall’ altra banda , deve intende di tirar
la fua rete ) fi va allungando dietro di effo. In
quefto mentre l’ afferra con un rampino, cui tien
difcofto dalla muraglia; affinchè ’l filo non vi re»
ili attaccato, volendolo attraverfare per aria, e
farlo paflare dall’ altra parte . Pervenuto al fe-
gno prefilflo a rimpetto, deve ha deftinato di tere
minar la fua tela, v' attacca coll’ajuto della fua
colla quel primo filo, lo tira a sè, lo tientefo,
lo fa intirizzire; e poi accanto ad effo neattac=
ca un altro, cui correndo, come fa unballerino
sopra la corda, riporta dall’ altra banda. Quivi
oi va ad incollare quefto fecondo per appunto
ful medefimo fito , ond’ era principiato il lavoro;
e quefte due prime fila gli fervono d° ordimen- o
to, per fabbricar tutto il refto. In coral guifa
pafia, e ripaffa diverfe volte, ora firignendo, e
or diradando le fila, com'egli giudica più a pro-
pofito . Non fon lontano dal credere ( attela la
preflezza, con cui conduce a fine il layoro )» ch'
Cell
Da aLoco:Quiarto. 8
egli formi più fila alla volta; è che per: renderlé
equidiftanti; fenza che 1’ una s* intralci coll val
tra, le faccia. paffare per entro:i denti d’un:cer-
to pettine, il quale ho difintamente ofiervato in
ciafcheduna delle unghie maggiori, di cuifon ar
mate le zampe.di tutti.i ragni. Pofcia fiira tut»
ti.i fuoi fili l un dopo l’altro, e colla medefima
induftria gli appicca : ‘ed ecco» il primo ordine del»
le fila di già montate , cioè ,. fe m'è lecito, dir
così ;l’ordito della tela...» |
Cav. Ho intefo: adeflo fi metterà a filare at-
traverfo ; e :quefta fara la trama.
Prior. Per |’ appunto... Ma fra la. 'tela. del ras
gno, e quelle, che facciam noi; paffa: quefiodi+
vario ;-.clie nelle. noftre, tutte le fila dell’ ordito
fon intrecciate per! entro--.a quelle della trama;
laddove nella ragnatela. le fila della trama fono
incollate attraverfo alle fila dell’ orditura 3 ma
mon gia intrecciate infieme., nè l’ une inferite
dentro dell’ altre ..1l ragno, dopo aver fatto que-
fo lavoro, raddoppia ; e triplica le fiba della fua.
tela fu gli orli, dando.l’ apertura a tutte quan-
te le fue taammglle adi un tratto , ed incollando
Je fila nel tempo fieffo l’.une coll. altre. Eglifa,
ch'è neceflario fortificare ,. ed orlare il vivagno
della tela; affinchè non fi poffa, così agevolmen-
‘te ftracciare. Di più rinforza,;; e rifalda i mede-
fimi orli con forti cappietti , »o-fili addoppiati; 2)
| poi gli attacca per ogn’ intorno; affinchè la {ua
ragnatela. non fia fcoila, 0 traportata da’ venti.
| dafav.: Quefta , a dir vero., è ‘un’ opera molto
degna della noftra ammirazione. Ma ho pure una
gran curiofità di vedere la ftruttura di quel riti-
ro, dov’ei.fi mette in agguato...
pia, Il ragno conofce fe feffo , Sa, che. ila-
fciandoî vedere, fpaventerebbe la preda - Perciò.
Tom. 1. CE Sf ap-
$$ (ARI Dro ma ai
fi aunili nei fondo della fua tela unritiroz
dove ftarfene. ‘afcofo ‘e agguatare. Le due aper
ture:; ch’ ei v' ha lafciate; una-in alto; ‘el’ altra
da ‘bafio»; lo mettono in iRaensdi trovarti prati
occorrenze 5 per tutto‘; ficcome ‘ancora di vifita=
re; ectener netto ogni cola. Eglifpazza di quan
do in quando la polvere 3 che’ potrebbe vearicar
di foverchio la propria tela ; dandole una: feoffa
con da:zampa:: ima bada bene ‘a quello ; che fa;
mifura con tanta aggiuftatezza la forza del con
po, ché ‘non rompe mai nulla. i
Per tutta quanta la di lui tela fono (panne dia
verfe fila, le quali ‘vanno a fat :caposmel-centro ;
dov’ ei s° jmbofca se flaffi.in agguato» Fi tenten=
nio di ciafcuna di ‘efle riferifce là , dov':egli cs
appofta ; e sì glitaddita 4 che la preda © nella re=
te: ed'egli fi fa fubito fondi Dal ritiro appre=
‘. ftatofi fotto. la itela ‘ticava ancora quefti altri
‘vantaggi, cioè di mabgiarfi con tutta ficurezza
Ja dencro! la caccia; d'appiactarvi‘i:cadaveri; e
di non lafdiate alcupi: contrafiegno vifibile di fua
crudeltà ;iil qual farebbe capace di render fof=
petto il fuo albergo, e'idi-far sì, che ognuno fe
ne guardafle, e fe ne teneffe lontano.
Cav. Signore; avrei defiderio di fapere; come
. 4 ragni poifan fempre trovar materia ;:onde fila-
le: imperciocchè vedo ; ‘che vengon. molto ‘perfe=
| guirati; e ciò non'oftante ilgiorno di poi fi tro
va fubito rifatta ‘la lor ragnatela.
Prior. Siccome la' Provvidenza fa; che il ragno
è odiato da tutti‘; che. tutti nimicano la di lui
tela; e ch’ella fempre va a rifico di venire fchian=
tata; così l’ ha fornito d’ un magazzino ; onde
efiraer la materia da rifarcirla più volte di fe- |
- gnito; e quefio magazzino; appena vorato , fu-”
bito fi riempie . Contuttacià viene un dae"; che
17°
DriaLoeò Quarto: %
là cava finifce . Quando. il ragno divetita vece
chio; il di lui vifchio fi fecca , e teano pure
i afciutte le fpugne; o polpaftrelli delle fue zampe .
Cav. Ma. come fa a vivere allora ?
‘Prior :-Aguzza l'ingegno : Il ragno vecchio,
wedendo di non aver piu modo di guadagnarfi il
vitto; tie va a trovaré ùn più giovatnie ; gli ef-
pone il fuo bifogno ; e gli manifelta la fua vo-
| Jonta +. Allora il ragno giovane ( fia pet la ve
nerazione; ch’ ei prefta alla vecchiezza ; fia per
la tema di non provare i rigori del di lui pin-
zo ) gli cede il pofto; € va a fabbricarfi altrove
una muova tela. Ma fe il vecchio ; per -inala for=
te, non tiova chi.pet amore; © pet forza gliri»
nunzi la. propria teld:;è cofiretto ( non avendo
altro modo di procacciai. il iuo vitto ) a mo-
pun di famé:
-Contef: Il Signor Priore nor è ahcot potuto arsi
tivare a ticonciliarmi con quefta beftia, E° però
buona pezza ; ch' ei m' ha guarito dalla grande
avvertfione; che aveva; anche a fentirne parla»
re. Ha. fatto ancora di più ; M° ha rela capace
di.ftar a ofiervar per minuto il lavorìo del.ra-
grio de’ giardini; ‘il quale è affatto differente da
glivaltri; Siccome ia manifattura di effo m'è pa-
| ruta.ben fingolare ; ho caro»; che ’l Signor Ca-
| waliere l’ intefida Vi fono roltiffimi che inves.
dendo ;.com' egli. paffa attrtaverfo i rami; etalor
anche gli ftefi alberi; fi danno a credere; ch'ei
voli: ma non è vero, Sentite, per qual manie»
ra vi fr tfafporta. Si pianta: in fulla vetta d'un
ramo; odi qualche corpo ;-che fporga in fuora;
e quivicappicca il fuo filo: Pofcia va premendo
colle. zampe di dietro le fue poppelline , e nefa.
fpillaré ; quando uno, e quando più fili della lune
bozza ‘di. due; o tre ‘{panne, é A lafcia peulo
F ui
84 IR: P ctiani
Tare per aria . Quetti: fili agitati dal vento ; e
tra portati da tutte le bande sù. pe’ corpi all’ in®
torno, s'abbattono a dare, per efempio, in una
cafa, in una pertica, in'un albero, e talor ‘an-
che in un palo, che farà foife dall’ aletati riva d°
un rio; quivi fi pofano, e vi reflano , mediante
il halerale lor vifchio ; attaccati . Allora il:ira-
gno li tira a sè, per provare fe fanno faldi.
Quello fi è il ponte, percui paffa e ripafla li.
beramente da un luogo all’altro. Quindi addop=:
pia, e diftira il detto filo, quanto gli pare, con
attaccarlo più corto: il che fatto , fi trasferifce
verfo la terzeria, o verfo la metà di ei fili, e
quivi ne attacca un altro, per cui fi lafcia an-;
dar ciondoloni ; fin tanto ché fi fcontri in unfaf=
fo, o in uno flterpo ;;jo:in qualche altra materia
folida, dove polarfi : o non ch' altro, fi lafcia:
di nuovo fventolare per aria , finchè ‘trovi fer-
mezza, dove che fia. Rifale per quefto fecondo:
filo ul primo; e poco diftante da quello ne prin=
cipia un altro, attaccandolo , come avea fatto.
degli altri due . Dopo avergli affeftatitutti e tre;.
gli addoppia , e sì li fortifica, e poi proccura.di,
rintracciare l'a dentro una fpezie di quadro : la.
qual cofa gli è facile; poichè dal filo , che pens
dola a deftra, monta ful primo, ch'è inalto; e
da ‘quefto fen paffa a quel, che pende a finiftra.
In tutto queflo viaggio va fempre filando: di poi
accorcia, e ftira quell’ultimo filo , che ciondola.
da man dritta, e l’appicca dalla panda finiftra a
quel fegno , che più gli piace ; e così viene a:
formare un quadro, o almeno una figura confi»
mile. Nel mezzo di detto quadro trovaimodo di.
fare una croce , la cui interfecazione , o punto.
di mezzo diviene un centro, doveriportà da tut=
te le bande degli altri fili, che fembrano tanti
raz-
| DriaLtoèo Quarto. \ 383.
razzi di ruota , i quali vadano tutti a termina:
nel fuo mezzo. Eccovi danque l’ordito, o fia la
pianta dell’opera. Ciò fatto, fi ferve d'un filo
più fottile, per farne la trama. Egli fi pianta 2
principio nel centro, dove le fila dell’ ordimento
8° incrocicchiano tutte infieme , e tira intorno al
medefimo centro un piccolo cerchio; poco diftane
te dal quale ne'tita un altro , e poi un'altro,
profeguendo mai fempre a far paffar quefto filo
orbicolare da un razzo all’ altro, intanto che fi-
nalmente arriva a’ fili maeftri, che reggono tut-
ta l’opera. Dopo aver tefa in cotal guifa la ra»
gna, s' accigne a cacciarè . Si mette nel centro
di tutti i cerchi predetti col capo allo’ngiù; in»
perocchè, ftando in una: pofitura diverfa il di lui
ventre', che non è raccomandato ad altro , che
a un fottilifimo collo, gli peferebbe troppo; lad-
dove in un tal pofizione vien foftenuto dallezam-
pe, e dal petto. Colà egli appofta la preda; nè
gli bifogna ftar molto a bada: concioffia cofa che -
P aria è sì ripiena di mofche , e di mofcherini,
che vanno attorno, che fempre qualcun n° incap-
pa dentro. la ragna. Se la mofca , che vi rima-
me, è piccola , fe la divora ful fatto ; quella è
una colezione, che non richiede apparecchio. Ma
quando s' abbatte, che refli prefa una buona pre=
da, cioè a dire qualche mofca gagliarda, che fac-
cia forza per diftrigarfi da’ lacci, il ragnatelo ag-
girandola attorno attorno l’ incalappia fra varie
fila, l'atcorciglia, la firigne, l’appicca, e fela
porta in un fito , che ha di riferva nel fondo
della fua tela, ed il quale proccura, che flia na-
fcofo , o fotto le foglie, o fotto un tegolo, o
fotto qualche altro afilo opportuno , per poter-
vi trapaffare la notte, e per rifugiarvili, quan-
do PIOY@.
i E 2 ! Cau, /
86 IR arsoRa i
Cav. Ma quefta fabbrica è cn PERE ogni
| piccol foffo di vento fe la dee portar via,
Contef. Il vento non le porta quel” pregiudizio,
che voi fupponete; quefta tela è fatta a reticel.
le: il vento pafia a traverfo delle maglie, e ra-
de volte la ftraccia. Quello, che più la danneg-
gia, è la pioggia: ma ficcome il teluto della ra-
enatela è aliai rado, con poca; {pela fe n° efce,
ed il ragno ha fempre della materia già lefta,
per rifarla , quandunque bifogna Quefto è quan
to vi pollo dire intorno al ragnolo de’ giardini;
e Jeri appunto , dopo aver .prelo da voi conge-
do, mi mifi ad ofiervare, per amor voftro, una
di quelle beftiuole; e le tenni continuamente die»
tro ‘in tutte le fopraddette andate , e venute, 2
folo oggetto di rendervene poi conto. Per quel
lo riguarda i ragnoli delle cayerne ; avrete. la
bontà di difpeniarmi da “RARIODALDE | perchè non
li conoico.
Prior. Il ragno nero , detto altramente Ù lle
caverne, fi contenta d' addobbare d’ alcune fila ill
contorno della fua buca , lafciandovi un ufciolino
nel mezzo, per aver campo d’ entrare, e d' ulci-
re con libertà. Se un infetto, che pali per quel
contorno , fa tentennare qualcun di que fili, che
fi fpandono per ogni verfo, a guifa ditantirag-
gi, il ragno fubitamente è avvertito , e fcappa
fuora del fuo nafcondiglio . Quefta razza di ra-
goateli è la più malvagia di tutte . A_prender-
ne uno con due bacchette, ocome che fia , mor-
de lo ftefflo ordigno , con cui s’ afferra. La di lui
- pelle è ancor più dura di quella di ciafcun al-
tro; e la vefpa; che a cagion del fuo pinzo, e
della fua naturale durezza dà tanto da fare 21
tutti i ragnoli, non gli. mette punto paura. Egli
È ps et al di lei pinzo; € pel contrario 3°
ame
‘
\
DIiaLoco,Quarto. 87
ammacca colle fue fortitanaglie l’ offa ,; ele sea
me della medefima vefpa...... I
Dirò due: fole parole de’ soginoli valina
di quei di campagna y detti altramente print gi
De’ vagabondi ve ne. fono di varie fpezie, e di
diverfi colori, La più parte corrono faltellando :
e ficcome non han filo a baftanza per accalap-
‘.piare la preda, quando bifogna ; e fpecialmente
per fermare lo fvolazzamento della mofca , che
molto gl’ impaccia ; così la natura ha corredate
le loro branché anteriori, (da noi poc' anzi chia-
mate braccia.) di due fagotti di piume , con cui
arreltano il moto, o dibattimento del l’ ali del lor
nimico. Una. ipo più piccola, più nera, e più.
particolare dell’ altre, fi è quella , che tende nel
mefe di Settembre , e d’ Ottobre i fuoi fili per
lungo {ull.erbe de' prati; o fulle floppie, che re-
ftan dopo la mefle ne' campi, Quefta. pure ab-
bandona diverfe fila alla difcrezione de' venti, che
la traportano qua, e la. L’ aria molte volte n°
è piena. Le dette fila s' unifcono infieme, s' al
Jlungano , e s' appiccano da per tutto , I ragni,
che in effe 6 imbattono, fe ne vagliono per con-
giugnerfi con gli altri, e per lanciarfi, quando
fia: d'uopo fulle cime delle torri , e degli edificj
più alti. dl Falangio.,..
Cav. Voi ne avete ora dipinto. il vero ritrat-
to delle grandi fortune , Per arrivarvi , bifogna
trovar il.filo, che vi ci guidi , Trovato, che s°
abbia , la periona fi porta fubito inalto: ma non
s' attiene; che per un filo, Profeguite pur a dif=
correre. del falangio..
Prior. In quefto ragnolo non ravvifo altra co-
fa più fingolare della diforbitante lunghezza , e
dilicatezza di gambe. Siccome la natura l’ha de.
sagra a vivere fra l’erbe minute de’ campi, fens.
\ E 4 | Z2,
88 «9 ARDA 8 eo de r.
za filare; così ogni minima foglia!” anrefierebbo,
s° ei non avefle, come s'è detto, le:gambe lun-
ghiffime , che lo teneffero follevato. fopra l’ erbe
ordinarie, e lo metteflero in iftato di correre ve-
locemente, dove la fua pi ‘eda l’invita.i%.
Ma non bafta, ch’ io v° abbia fatte conofcere
le differenti, o almeno le più comuni generazio-
‘ni de ragni: avrete pur anche curiofità di fape=
‘re, com’ effi alloghino le lor uova; e come fac-
ciano a-propagate la propria fpezie . ( Memorn.
dell’ Accad. delle Scienze . M. de Reaumur 1710.)
Di molte perfone s' aftengono dal mangiar frut-
te; perchè fi credono , che i ragnateli , ed altri
infetti vi fpargan alla peggio le loro uova . H
fofpetto di quelli tali non ha verun fondamento.
L’ uova del ragno fon'allogate con. molto mag:
giore accuratezza, e antivedimento; che un non
s' immagina . Tanto è falfo , che isragnateli le
abbandonino alla ventura, che anzi filano a po-
fa, ( per preparar alle medefime un buono al-
loggio ) una tela , quattro , o cinque volte più
forte di quella , con cui accalappian‘le mofche.
Ella è una tela fatta con tutti ifiocchij una te-
la, dove l’ arte ha impiegato lo sfoggio del fuo
fapere . Di quefta tela formano un facco, che
ferve di cuna alle loro uova; nè fl può .efprime»
re quanti fudori , e quanti travagli cofìi lor la
cuftodia del detto facco . |
Cav. Cotefto voftro facco mi fa rider da fen-
no. Si potrebb' egli vedere?
Prior. Fate bene a non efiere così tolti Se
Ia Signora Conteffa lo permette , pafleggeremo
per un momento lungo i bofli , che forman fie-
pe a quefto terrato. Quivi, dopo di avere anti»
cipatamente fatta la cerca, m'è riufcito di rin-
venire tutto il vofiro bifogno. Mirate la per.en»
tro
iti 7°
"O
DriaALoco Quarto. «8g
tro a quel boffo un di que’ ragni, che nonlavo=
rano la lor tela regolarmente , come fan gli al-
tri. Egli fi porta fotto una grofla pallottola di
color bianco , che voi crederete efler pH del
«di lui corpo.
Cav. Come? Non è egli quello il ventre pofi=
tivo del ragno?
Prior. Mainò . Prendete una bacchetta, e pro»
vate a fcuoterio un docda ; pa fargli ‘cadere la
palla.
Cav. Benni fatto . Ve’ ve : il ragno ie, corre
appreffo..
Prior. Quefto appunto è ‘il facchetto. dell’ uo=
va, che voi bramavate di vedere. Non v' è pe
ricolo s che la madre l’abbandoni . Mirate Per?
fentemente quel; ch' ella fas)
+ Cav. Vedo, ch’ella s'incurva addoffo alla me»
defima palla +:
Prior. Fa ancora di più. Spreme dalle fue pop-
pellinéè un liquore vifcofo ; € con ell torna ad
appiccarfela al corpo.
Cav. Certo sì : ed anche fe Dr porta con eflo feco
Prior. Non fi fermerà mica la . La fua tenerezza
verfo la prole ft dara pur a conofcere con altre
riprove. Argomentatela da quett' altro ragno della
ftefla razza, icui parti fon già fpuntati dall’uovo.
Cav. Dove fon dunque i fuoi pargoletti? Non
vedo, fe non la madre.
Prior. ‘Oflervate ciò, ch° ell’'ha sù la fchiena?
. Cav. Non vi fo veder altro, che una. ipezie di
gobba... vs
° Prior. Dimenate bellamente abbicia di que fi
li, che voi vedere difperfi qua , e là per queta
buca; e badate a quel, che ufciralle da dofio .
Curi Oh. apelta, sì ; ch'è curiola! Ecco., s' io.
è non m'inganno ,° più di mille raguolini ; che fi
flaccan
99 71 R AURON ql
ftaccan dal dorfo della madre; e fe ne vanno dif»
peri lungheffo ciafchedun filo. Ella portava tut=
ti i fuoi parti fopra la fchiena ; «ne avero ?, Che
mai fara di loro?
Prior. Non dubitate, no, Quando las paffata le
burrafca, la famiglia tornerà tutta quanta. a riunirfi.
Cav. Voi dite il vero, Eccoli gia aggomitolati |
fopra le fpalle della lor madre.
Prior. Offervate queft' altro ragno di fog di-
verfa da gli altri due, che ha per coftume di por
le fue uova dentro d’una bolgia, formata a fog-
gia di berrettino ; e poi l’attacca , quando ful
muro , e quando fur una foglia , come appunto
vedete quì, Non è pericolo, ch ella perda giam-
mai di mira il {uo caro depofito: gli fa la guar»
dia dì, e notte, Cova; e rifcalda quell’ uova ,
fenza ftaccarfi un fol momento da loro. Provate
a levar quella foglia , per vedere che cofa mai
faprà fare la madre.
_— Cav. Si lafcia portarvia infieme con effa. Non
mi piace mica punto quella fua vicinanza.
Contef, Non abbiate paura , Eccola gia quat-
tro pafli lontana da voi,
— Prior. Si lafcerebbe piuttofio ammazzare , che
abbandonar il fuo cova. Non è capace di ftac=
carfi di lì, fin tanto che i ragnolini non fonve-
futi alla luce. Ma per entro a quelt’ altro pere
tugio, che cofa vi ravvifate?
ay. Vi fcorgo due borfette;, ofacchetti di co-
lore roffigno appefìi ‘ad'alcune fila ; dinanzi alle
quali vedo un grappolo di foglie fecche ..A che
fervono mai? Non è ‘egli unlavoro. prodotto ace
cidentalmente dal vento?
Prior. Non già. Que” due facchettini, che voi
vedete la appefi, fon pieni d’ uova collocatevi da
ua’ altra fpezie di ragno»
Can
I n
ni ire
«MT 2-4
11 Veipajo. 3
- Tom. 1. Lo 55
NENTAE
»
ni PLL TERA ra
‘» «x DraLoco QuaRTO. gr
Cav. Ma quel grappolo difoglie fecche , il qual
giondola la di fuori, che vi fa? |
Prior. E’ fatto pèr ingannare chi paffa; efpe=
zialmente per le yefpe, e per gliuccelli, che in-
fidiano al ceftino dell’uova, Quel ciondolo di fo-
glie fecche , e rofficce non è capace d’ adefcare
gli uccelli; e mediante ilfuo continuo fventolare,
impedifce , che quefti non facciano oflervazione
a facchetti, che vi fon dietro.
Cav. Chi ha un po’ d’ingegno, non perifce mai.
Prior. Non mette conto andar acercare un ra-
gno ordinario., per informarvi del di lui merito
particolare, Dopo aver vedute tutte le cofe pre-..
dette, vi bafti di fapere, che tutti generalmente
quefti animali allogano nella fleffa forma le loro
uova dentro una tela sì forte, che reca ftupore.
Tutti attaccano la lor bolgia alla muraglia ; e fe
mai fi vedono inqualche pericolo, la apimigionia 3
ch'e’ facciano ; è ftaccare il lor fagotto, € fcap-
par via meglio, che poflono. Eccovi. detto, Ca-
valiere mio caro; tutto ciò , che generalmente ho
offervato in ordine a’ ragni , fenza entrare nelle
particolarità più minute di tutte: quante le loro
razze, de' loro nomi, dellefigure, ‘flature, aftu-
zie, e maniere di tendere, e d'uccellare, le quali
fono infinitamente diverfe. | i I
| Contef. Bifogna almen dir qualche cofa della ta-.
rantola. Quefta generazione di ragno è così &ra-
vagante, che non merita d’effer paflata fotto fi-
lenzio . La tarantola s' affomiglia al ragno do-
meftico ; ma il di lei morfo produce ( maffima-
mente ne' paefi caldi ) degli effetti altrettanto por-
tentoli, quanto funefti. ( Merz. dell’'Accad. delle
Scienze 1708. Mifon viaggi d' Italia. ) Il veleno
di queft’ animale non opera così fubito ; attefo-
chè non ne ha, fe non in pochiffima quantità +.
Ma
9% «dir Ro dA ceci,
Ma però fi fermenta ; èd in capo ‘a quattro ; 0
cinque mefi cagiona di fpaventofi difordini. La
perfona, ch'è morficata dalla tarantola , non fa.
altro, che ridere, e faltare : balla; fi dimena j;
felteggia: ma il fuo fefleggiare è tutto pieno di
frenefie; talora per lo contrario vien aflalita da
‘un umor tetro , e da un’ indicibile malinconia .
Al ritorno deltempoeftivo, fpezialmente in quei
giorni, ch’ ella fu morficata, le fi rinnova la fua
folla. Il paziente parla tutto ’idì d’una ftefla co-
fa; fi credeeffer Re, o paftore, o qualche altro
perfonaggio : nè mai forma un difcorfo filato .
Quefti acerbi fintomi ritornano il più delle volte
per molti anni continui; e talora nonceflano fie
no alla morte. Le perfone, che han fatto il viag» ‘
gio dell’Italia, e fon paffate pelRegno di Napo-
li, raccontàno , che una malattia sì bizzarra fi
guarifce con un rimedio ancor più bizzarro dello
fteffo male. Dicono, che non v’ha altro follievo.
per un di coftoro offefi dalla tarantola ; fuorchè
la mufica; e fopra tutto il fuono degli firomenti
foavi, e penetranti, come farebbe il violino. Colà
« non ne mancano. I profeffori van taftando quel
tuono , che trovan più confacevole al tempera=
mento dell’ammalato : ne provan più d' uno; e
quando s' imbattono a toccar quello,, che fa im»
preffione fopra il paziente, fi può dire bell’ e gua-
rito. Egli fimette tofto a ballare, e a faltare ,
e ad ogni cadenza s' abbiofcia . ‘Profegue queflo
lavoro con tale, e tanta affiduità , che arriva 2
diflemprarfi in fudore , ed a gettare per tin le
bave: così finalmente fi delibera dal veleno, che
il tormentava. Tuttociò, ch'io v' ho detto, mi
fu riferito da un noftro comun amico , il quale |
era ftato Confolo della nazione Francefe «preflo la.
corte di Napoli : ed atteftommi per vali certa ;
aver
\
'
DiaLoco Quarto. |
d'aver veduto cogli occhi proprj più d'un. elem-
pio di perfone motficate dal detto ragno , e poi
penare per cotal mezzo.
‘| Cav. Inquefia benedetta cafa tutti fon virtuo-
fi: non vi fi fente ragionare , fe non di cofe ame-
ne, e fingolari.
| Cortef. O quefta si, ch'è bella. Ae ag poi
> Pal , che farà’, quand’'io vi parlerò de’ miei pul»
cini, e. di tutte le maraviglie fpetcanti. al governo,
conomico di ‘cafa mia: allora sì, che avrete mo-
tivo di farmi applaufo, e didarmi. della dottora.:
Terra, verrà forie undì queft’ occaiione.. Ma ec=.
col Signor Conte ; che torna dal fuo viaggio 9
Ù e fmonta da cavallo. Andiamogli incontra...
Cav. Corro ad abbracciarlo .
Fine del Dialogo Quarto . “00.
DIALOGO QUINTO.
4 PriIoRE DI GIONVALLE ;
Ir CavaLiere DEL BrogLio: )
Prior. (‘Ignore ; la brigata; che giunfe quìjeri;
dee trattenerfì per alcuni intere. Per
oggi non potrete godere in converfazione ; nè il
Signor Conte; nè la Signora Contefla . Sarà dife'
ficile; che iovi pofla riflorare di quefta perdita
Ho petò da darvi una nuova ; che vi farà tra-
paflar il tempo; fenza avvedervene .
Cav. È quale ; Signore ?
; Prior: Se {coperta quì vicino fottetra una cos
fa, la quale non potev'effere piùa ig per
appagate la vofira curiofità.
Cav: Si può ella vedere?
Prior: Maisì; e snch'oggi; fe voi volete. $eris:
tit: prima; che cofa fia. ll Signor Conte m' avea
raccomandato di divertirvi col racconto delle me-
tamorfofi; che accadono a tufte quante le mo=
fche. Stava petifando alla maniera di formarvi un
efatto compendio di tutto ciò; ché fi può dire in
ordine atal materia; quafido ui avvifato da cer=
ti contadini, che ftavano a lavoraré in quefle vi-
‘cinanze; efferfi ritrovata una sì bella manifattu»=
ra, che" ciafcurio 1’ andava a vedere pet iftupore.
Mi buttai dietro alle fpaile le voffre metamor-
fofi; e cotfi ancor io; come gli altri, a veder-
la. La cofa veramente lo meritava ‘ ipercide»
chè la manifattura da lorò fcoperta confifleva in
un'intera Città, nafcofa fotterra ; ma una Cit=
tà, capace a allogare da ùndicii in dodici mila abis
trans
f
‘
Diratoeo: QuinTo/ do
tanti. ; La fruttura della: ‘medefima non può effee
fe' più ingegnofa s. ma però è totalmente diverfa
«da quella, che fi ravvifa. nelle noftre Città... Le
«fue mura non foa mica ‘un femplice recinto; ‘che
la Citcondi attorno ‘attorno; ma bensi una. ‘pa
ziofilima volta., che la ricopre tutta quanta ,
la fafcia da tutte le bande. Dopo aver ben fd
paftinato, non vi fi trovarono; fe non due por-
stese fiecome la detta volta da srenidey® ofcurif=
Nr maj così fe ne {mantellò una particella per di=
i feernere. ‘chiatamente i varj fiti della Città. Ma
‘eccovi ‘un nuovo argomento di maraviglià . Le
‘firade non-fon? già fituate. in uno: flefo piano e
lateralmente, come. le noftre.. Stanno: addodate
“Puna fopra dell’ altra, e fatte a più'palchis i
quali fon feparati da più ordini di colonne . Han
no piuttofto. figura di portici, che di ftrade. Il
primo fta appoggiato alfecondo:, ilfecondo è fo=.
fienuto dal terzo; e così pure dirmano in'mano ;
venendo fempre all’ ingiù . Le cafe fontuttengna-
li; -ed attaccate l'una coll’altra trala groffezza
; delle volte. Tutte quelle; chefon fituate inuno
fiefo ordine; o pofte alivello in.uno fteffo pia=
fo, fon'coperte da un terrazzo, o tetto comu»
ne, perfettamente fpianato, il duale è fatto d'un
faldifimio calteftruzzo; ed è lifcio, come .il pavi-
mento: sl una camera ammattonata . da padrini
ur Spiegazione dell Figuta .
A til lett 0. I
‘“B. La fu pebficie efteriore di detto vefpajo.
‘C..I migoliacci, o torte del vefpajo, cioè le: celle di
cello, che rapprefentano fante torte; o migliacci.
.. D. Le colonne, che feparano usa torta dall’ altra ,
cioè vin appartamento ; o folajo ; dall’ altro appartamen-
to, o folajo, |
| E. L’intervallo 5 0 fpazio voto ; che refta tra leme-
defime ‘celle. dota
96 Loox Vor sor e
van. paffeggiando: sù quefto tetto fra. i spilafiri. hi
che foftengono un’ altra volta, e un altro piane
di cafe. Vi. fono: per fi ada undici portici, o vol-
tetutte compagne, ovefi vede una bellifima fim-
metria, e un siudiziofo difegno. L' unico difet-
to, che fi ravvifi in queft’ opera, .e.l’ ofeurità .
Non vi ho>veduto lrn veltigio di fanale, onè di
lanterna.
Cav. Quefta è. una foggia d’. Py ben
pellegrina .
Prior. Crederete, Signor. Cavaliere: sa dh io vi
«parli. di qualche Città fabbricata innanzi al dilu»
vio; e rimafa accidentalmente fotterra..
sedi Non fo, che mi. dire. i
i Prior. La cofa ha molto più del ioblabile Quel
fa Città è ftata edificata da uno fciame di vefpe .,
Cav. E bene? Non v'è altro; che queflo?,
«Prior. Vi par poco? Se queta Città foffe una
manifattura formata::da uomini, non vi farebbe
motivo di farfene maraviglia . Ma quefto è.il
prodigio, che una, gran volta , iche; portici ., che;
colonne ; e finalmente , che un? intera. Città fia
una manifattura di vefpe.
- Cav. Or via, vediamolo, vediamolo quello ni-
dio di vefpe: farà il noftro divertimento .-
Prior. Eccolo. là dentro la pergola. Mi fon fi-
gurato, che uncosiì fatto fpettacolo foffe per dar-.
vi maggior piacere d'una feria differtazione fo-
pra gl infetti. L'ho confervato quafi intatto, fe
non che miè convenuto fmantellarlo da una ban-
da, per poter vedere, com’ egli è fatto al diden-
trio. Entrate , e [adistacevi ; Troverete tutta
caclo Città collocata fur una panca.
Cav. Quefta è una delle più belle ‘galaniterie ;
che poffan vederfi mai almondo. Viravvifo tut-
ro ciò, che m'avete detto. Ecco qua le colon-
ne,
Diaroco Quinto... 97
tie; ecco i palchi, le cafe, la volta . Ma come
domine avete fatto a raccapezzar quela nido ?
Dove l'avete trovato?
«Prior. Vidirò.. Lemie pecchie m' fa ii man-
Mido: a vifta d'occhio. Il loro numero, ela do-
Fe del mele ogni giorno fcemava . Mi venne’ fo-
fpetto ; che nelle vicinanze s° annidaffe qualche
wefpajo; e che quefti fofle l’ origine di tutto °l
male. Perciò diedi ordine , che , fe mai fi foffe
trovato, fi fperperaffe. Riufcì finalmente di rin-
venirlo, e jeri appunto s' andò a dargli l’ affal=
to, ful far della fera, colferro, col fuoco, e col
zolfo. Quando fifuprincipiato a paftinare ov’ era
il nidio, di dette vefpe; per farle ufcir fuora, e’
sì. bruciarle inel lor paffaggio; mi fu detto, che
v'era un groffo paniere, fatto a undi preflo co-
me una zucca. lo fapeva beniffimo quel, che era.
Mi venne tofto in penfiéro di confervarlo , e di
farvelo vedere . -Quelta dunque è la Città, di cui
| poc'anzi vidifcorreva. Ma lafciamo in buon’ ora
la Città; icolonnati, e l'architettura. Diciam le
‘cofe naturalmente, come ftanno. Non perciò di
meno vi troverem tanto di ammirabile , che fa-
“ra baftante a farvi trafecolare . Parlo di quel
mirabile, che non è frammifchiato colla menzo-
gna; di quel mirabile, che. van cercando le per-
fone di fenno; e fnalmente di quel mirabile ap-
| punto, che piace a voi.
Cav: Qual è l'origine delie vefpe ? E come fan=
no a fabbricare il loro edifizio ?
Prior. Le Vefpe, che ftanziavan nt
‘te in quefto vefpajo , fon di tre forte. ( Mem.
— dell’ Accad. delle fcienze 1718. M. Reaumur 1717. )
Le prime fon femmine, e groffe, ed a principio
‘in pochiffimo numero. "La feconda fpezie è quel-
Ja de’ mafchi, che poco difcadono dalla groflezza
Tom. Z. G set
ag
A
i
pe Loss: VO so so da vl
delle prime; ma fono, alle medefime fuperiori di
mamero » La terza è quella dell’operaje , detreral
tramente bardotte , o baftarde , perchè portano
il maggior pefo del cimitero; e partecipano dell’
uno, e dell'altro fefflo. Quefte: fon molto più pic>
cole; ma molto ancora più numerofe dell’altre è
formano , per così dire il corpo della. nazione .
Le vefpe hanno altresì ‘tre forte d' impieghi. In
primo luogo la fabbrica del vefpajo; fecondaria»
mente la bufca degli alimenti; e per ultimo il
‘parto, 0 produzione dell’ uova., coll’ educazioni
de figliuoli . I
Quanto alla Aruttura del vefpajo ; fi feclgon
primieramente ; verfo il cuor della ftate ,°per lo-
ro albergo qualche fito fotterraneo digroffato da’
topi campagnuoli, o dalle talpe, come che talo-
ra felo formin di pianta da persè fieffe : ma per
lo più proccuran di farlo in qualche terrato , 0
ciglione , (cioè a dire inqualche terren rilevato);
affinchè l’acque fcorran. fotto di loro; hè poffa-
no sa Scelto , che abbiano un cotal fi-
| ua,
Sbiegazione della Fi igura «
A. Una delle piccole vefpe operiere .
- B. Il mafchio della vefpa.
C. La vefpa femmina.
D. Il capo della vefpa.
E. Le fue corna, od antenne.
F. Le fue feghe, o mafcelle ripiegate ; ficome. ftan»
no, quando non operano.
G. Le medefime difpiegate, in atto di lavorare
H. La tromba aperta.
I. 1) verme riftucco, dove fta incorporata la velpa »
K. La vefpa novella quafi formata.
L. Figura del pinzo, che fpunta dal ventre della ve-
fpa. Quefto pinzo conbifte invn aftuccio armato di fpil-
Betti verfo la punta, ed in-vno, o due piccoli verdu-
chi, aricor effi armati di Gpilletti, che fcappan st
del detto aftuccio, o
Le Velp ©, che albergano fottoterra . |
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to; s*accingono a lavorare di buona gana . $ca-
vano, e zappan la terra , gettandola fuora ; ei
tifandola ancora alquanto lontana . Bifogna che
la loro attività fia ben grande ; concioffiachevin
pochi giorni arrivano a farfi fotterra un:albergo
d'un pie d'altezza (fe non di vantaggio ), € d'
altrettanta larghezza. Nel mentre, chel’unezap=
| pano, e fcavano, vanno l'altre in campagna: a:
procacciate i materiali per la lor fabbrica; ed al
mifura del terreno, che ne ritirano, fi va oi
ficando la volta, e 6 *impedifce , che non rovini ;|
immaftricciandola tutta quanta di vifchio . Pofcia!
vi appendono, o raccomandano alla medefima il
principio della lor fabbrica; la qual profeguifco-
no venendo fempre all’ ingiù ; 5; quafi che voleffer
formare una campana , che fode spari 2) gica
a palco dalla parte di fotto .. I
° Cav. Come fan’ elleno a. {gretolare sie gettar
fuora la'‘terraà? Duro fatica "a comprendere, cos
me quefte beltivole , che ‘alla fin fine non fono
altro, che mofche , ap IcavAtt un dc
così profondo A
Priot; Là natura le ha provare a quett® ‘0g
getto di buoni fifrumenti. Hanno alla bocca ‘una
tromba , e allato ad effa “due piccole feghe , che.
lavorano da'dettra a finiftra ; rinéontrandofi } una
coll’ altra: ed oltre a' ciò fon 'premunite di due
gran corna, € di fei zampe. D on fo verametite,,
Va, wi 7 Lido
i Spiegazione della Figura.
A. Il recinto d’un vefpajo tal quale le velpe? gr com=
pongono ne * tavolami delle noftre cafe, o ne? Shea di-
fabitati.
B. La parte di fotto d’ una torta, o) migliac ccio, o
‘appartamento. “”
C. Un. pezzo di torta , 0 d’ appartamento , ove fi
da” per di fopra le celle nella los naturale ‘gran
CAGA è
j
3050 Lie: VoessoBnLEO
ferin.così fatto lavoro fifervano ancor della trom-.
ba: fo bene, ch’effe tritano minutamente la ter-
ra colle lor feghe, e colle zampe la buttan fuora.
"Cav. Sono oitre modo curiofo di. fapere, qual
Sala materia, ond’ è compofto quefto edifizio.
‘Prior. Non è altro, che legno, e vifchio. L’
toperaje van rafpando | impofte, ei telaj delle fi-
meftre, gl’ingraticolati delle fpalliere de’ giardini,
| ovvero i travicelli delle tettoje;; feganoa,.e pot»
tan via una quantità di que’ trucioli; e dopo aver»
li firitolati, e fminuzzati ben bene, gli ammaf=.
fano fra lelor zampe; ene formano tante cata»
ftine, fulle quali verfando alquante gocciole d' un
liquore vifcofo , vengono a far di tutte un pa-
fiello; e col rimenarlo l’indurano, e lo riducono
în palla . Tornate all’ albergo, pofan la detta
"palla in quel fito , dove deftinano d’ allunga=
re, o d’ingroffar l’edificio. Pofcia colla lor trom»
ba, ecolle zampe la fpianano, camminango fem=
pre allo ’ndietro. Quando la detta palla è forni>
ta di fpianar tutta, tornan da capo, la dove prin»
cipia la Mtrifcia; e nuovamente la premono, ela
rifpianano, tincalenmio: fin alla fine: ed in tre,
o quattro volte, che fanno quefto lavoro , ridu»
tono quefta fpezie di falda in un fottilifimo fo=
glio di color grigio, la cui finezza alla noftra car-
ta più fopraffine non può pareggiarfi . Allorchè
la bardotta hameffa inopera la prima palla , tor-
na in campagna a procacciarne una feconda , ed
in appreffo molte altre, delle quali tutte forma
mel modo fteffo altrettante falde, e poil' applica |
a fuolo a fuolo l'una fuli' altra. Vengono pari
mente nuove operaje ad applicarne dell’ altre fo=
pra le prime; e delcompofto di tutte cotefte sfo-
“glie , così incollate , ed unite infieme col mede»
fimo vifchio , formafi la gran volta , che ferve 9)
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— Diatoto Quinto. tes
di coperchio, e di recinto atutta quanta la:fab-
brica. Nelmodo fteffo, e colla: Mella materia fon:
fabbricate le ‘celluzze, e le colonne. 0 eu.
Cav. A giudizio però del tatto, fi fente,; che
le oa fofi molto più dure'della medefima volta è
° Prior. La voftra ofervazione è veriffima.. Egli;
© infallibile; che le vefpe s’ ingegnano d’ indurir;
le colonne. Non fo, fe la materia ; che quivi.
adoprano, ‘fia più noderofa , e di legname ipiù.
dufo ; ofe l'impiaftrino con maggior dofa di col-
la. Peraltro ella è una cofa naturaliffima, che
quel, che deve foftener l'edificio ,, fia più faldo,.
e più forte di tutto’l refto. TE
Cav. Signore, mi faprefte voi dire, perche que-.
fe colonnette. fieno più larghe nelle due eftre-:
mita, dove toccano il pavimento di fopra, e di.
fotto, che nel lor futo? ade
Prior. Fu un-tratto della loro prudenza l’ an-
dar conrifparmio ne’ fufti delle colonne : maque-.
fe non avrebbon potuto attenerfi al pavimento:
di fotto, nè foftener quel di-fopra , fe non fol-
fero ftate dalle notre operaje ben formate, e’n<|
collate. Hanno dunque allargata la mano inam=.
- bedue l’eftremità, perchè venifflero ad abbraccia-
re una maggior fuperficie ; e perchè fornito di.
maggior dofe di colla, aveffe ancor più fermez-
za il fondo, e la cima: poco mancò, ch'io non
difli la bafe, ed il capitello. dott
s RI Cavi
Hi Spiegazione della Figura. !
A. Il vefpajo fmantellato, pet poterlo vedere al di.
dentro, e ravvifarvi gli appartamenti, e le colonne.
B. La parte interiore delle celle d’un appartamento,
C. Le medefime celle nella ler naturale grandezza .
Quelle de i quattro appattamenti di fopra fono un quar-
to più firette dell’ altre, perchè deltinate a ricever 1° uo-
va delle vefpe operiere, che fono più piccole e de’ mas
fchi, 1) delle femmine, n ! g
)
102 Losyr Vo) soda 800
Cad. In buona;fè; che tutto queflo lavoro è
fatto.:con gran giudizio» Ma..a che.fervon quel-
le due buche è. MA La Co SR
Prior. Quefta quì. è la porta. per.venit dentro;
e quella la è un'altra porta per ufcir fuora.. Per
la prima entran le.vefpe ; che tornan cariche ;
per la. feconda. efcon: quelle; che vanno a forag-
giare. Incotal-guifa , nè nell’ andare,, «nè nel ve-
mire nonfi danno Fl une coll’ altre verunimpaccio.
- Cav. Vedo però, ch'elleno poffono andar , e
wenire liberamente in. tutti gli appartamenti di
fotto, ed entrare eziandio per tutte le cafe. Le
porte d'ogni abituro fon fituate nel pavimento;
e quefte fi vedono. aperte, a riferva di alcune ,
le quali trovo effer chiufe con certe buffole, che
pajon fatte di cartapecora. Ve’ ve’: eccone pur
dell’ altre ferrate nella ftefia maniera.
- Prior. Or ora vi dirò 1 perchè . Ma prima dio
venire a quefto , abbiate la bontà -di contare il
numero de’ palchi, che fono , come voi vedete ;
addoffati, a guifa di tanti migliaeci,-l’ un fopra
P-alero di I Noa
Cav. Ne annovero fino a undici.: ma tanto 1°
ultimo, quanto il primo fon più piccoli degli al=
tti; e vedo, che fempre fivan dilatando, quan=
to più s’accoftano alla mezzeria del paniere...
: Prior. Ciò, ch'io vi ravvifo di più fingolare;
fi è, che alcuni di quefti migliacci fon tutti bu-
cherati di celle fpaziofe, ed alcuni altri di cel-
luzze affai frette. Le celle fpaziofe fon deftinate
a ricever l’.uova , da cui debbon nafcere i ma-
fchi, e le femmine; laddove le celluzze più firet=
te fervon per l’uova, donde han da nafcere l’ope-
raje, la cui mole è molto più piccola . Le noftre
architettrici non s' ingannano mai nello fquadrare
le proporzioni : nè una velpa pregna i ria
ans
DIALOGO QuiINITO. 103
d’aridar a deporre in'una celluzza piccola le fue
uom ; fe in effe contengafi il feto del mafchio ;
ovver Vella femmina. Le celluzze dell’ operaje han-
ho da ‘fette, o'otto linee di profondità; e due di
larghezza: le celle deli’ altre ancor effe da fette,
o otto lince di profondita; ma tre, e piùdi lar-
ghezza . Le ‘colonne polfono avere qualche fei li-
rice -d’''altezza .
. Cav: Le colonne frappofte tra un palco, e l’al-
tto. fono ( fe Do non erro ) da trentanove , o
quaranta . ;
| Prior. Alcune® a lv ve'ne troverete ancora dî
più! Ma oflervate- prefentemente la fiitmetria di
quefte celluzze » Giafcuna è compofta di fei lati;
flantechè una sì fatta ‘figura è la più opportuna
per ogni verfo a formare di tutte quante Un comi
pofto; ove non refti ‘punto punto di votò. S' el-
leno foffero tonde, non potrebbon toccarfi infie=,
me > fuorchè in un‘punto ; ‘ed‘ecèo., che tutto
quello fpazio ‘voto farebbe inutile. Se triangola-.
ri} o:quadrate’; fi combacierebborio; a dir'il ven
ro, perfettamente: lune coll’altre; ma gli angoli
interiori farebbon perduti; poichè ILannsale, che
dee farvi , è biftondo . Ora effetido: elleno efa=
gone; cioè a dir di feilati, non fono molto lon-
tane ‘dalla figura rotonda; ogni lato f combacia
sì efattamente coll’ altro, che non Vi refta nè pur
un' atomo di {pazio voto; ed'ognicella ; perquan-
to debole mai fi fia, preride sea 3° € ftabilità
dall’appoggio dell’ altre .
° Cav. Vi giuro, Signore, che il più Bel palaz-
zo ‘del mondo non mi reca tanto ftupore, quan-
to me ne recano quefte cellette. Ma'moftratemi
di grazia qual fia il nutrimento delle velpe. Già
vedo, che fiete bene ‘informato di Cutro c ciò, che,
concerne quefta genia. I
G 4 biso
104 Lou Vi E; born i alt
Prior. Le affolvo da tutti:i torti, liga mihan®
| no fatti, ficcome pure dal mele ; che m' hapso
Nd
imbolato ; a contemplazion del piacere, ‘che ho
avuto , a fpeculare intorno alla.lor maniera. di.
governarfi « Le vefpe flanziano. volentieri: vicino,
all’ arnie dell’api , preflo alle fpalliere de' frutti,
più faporiti , accanto alle vigne, e molto più an-
cora a tiro delle cucine. Quivi trovan fempre. da
lor provvifione bell’ e ammannita . .L’operaje ,
infieme co’ mafchi, vanno alla buica . Si ficcan
profunotuofamente per tutto , ed entrano per infino;
negli alveari dell’api, le quali talvolta hanno il
lor bel. che fare a fchermirfene . :Se per avventura,
non .vitrovano mele, s' avventano alle frutta più,
dilicate; nè sbagliano. mica mai . L’ albicocca,
per modo d’ efempio ; è la lor favorita, la buon-
criliana di flate, la roflellina di Rems, la butir-
ata zucchelina, le peiche piu colorite , l’uve
più mature; e fopra tutto le mofcadelle fono le
lor pietanze ordinarie, fecondo le ftagioni .. Non
e, che le vefpe fian di difficil contentatura:. poi-
che in altri tempi s' adattano a tutto. Fate, ch'
elleno s’ intrudano in una cucina; voi le vedrete
avventarfi al pollame, al (alvaegiume, al lardo,
ed alcarname fteflo del macello .. S'attacegno atut=
to:efevienelot fatto d’accoftarfi a una beccherìa,
vanno tofto al mafficcio, e non s' inoktrampiù’n
la. Arrivan aftaccar pezzi diearne; grofli. quan»
to la metà del lor corpo, e portan'tutto al. vef-
pa]j9 , dove le partorienti il difpenfano a’ lor fi-
gliuoli. I Macellaj, che vedono il loro utile, fi.
compongon con effe, e danno loro regolarmente
un pezzo di. fegato di manzo, o di vitéllo . Le
velpe vi s'attaccan più volentieri, che ad altre
xivande, lequali fieno fibrofe, e per confeguen-
“za più lunghe, e più difficili a ftrapparfi. I ma-
cele
; Diraroèo Quintoi rog
| .tèllaj però nonfiaccordano folamente a pagar Id
ro la dettavrata, per diftornarle dall’altre carni.
Ne ricavano un gran vantaggio; e perciò la lor
| yifita non riefce a’ medefimi punto fpiacevole .
intanto che le vefpe ftanno occupate intorno 2,
un ‘pezzo di fegato, non è pericolo, che le mo-
fche, o altre forte d’ infetti s'accoftino alla bot=
tega;, nè vifacciano verun danno. Le vefpe dan-
mo loro la caccia fenza mifericordia ; vi fanno ,
per così dire, la guardia; e ben petulante farebbe.
allor: quella mofca , che ofaffe di farfi avanti .
Alla più difperata non fann’ altro male, che flrap-
| pare inqua, e'n là qualche pezzetto di carne a
lor difcrezione. Quefto danno non è molto grande ;
poichè la vefpa nonimbratta mainulla; e le feme
mine, che potrebbono farvi del guafto colle lor uo-.
‘va, fi rimangono fempre a cafa: laddove le mo-
. fche cercano appoftailcarname per deporvi i pro-.
| prj-cacchioni, che fon l’efterminio de’ macellaj. .
« Cav. Quefte vefpe, mi vanno agenio. Virav-
vifo del grand’ingegno.
«Prior. Lo vedo, lo vedo, che la loroinduftria,.
è nettezza vi prevengono a favor loro . Ma bi-.
fogna dir tutto. Le lor buose qualità yengon poi
deturpate da certi vizj, che hanno affai del mal-
vagio. Sono golofe, ecrudeli oltremodo. $i pofs
fono dir l' antropafaghe, o divoratrici di tutto 1
popolo delle mofche. Non contente di fvaligiar
glialveari, ammazzano le flefle pecchie: le afer-
rano., le morficano , le malmenano , e giungon.
per fino a mangiarfele. Or quefta nonè una parte
molto lodevole. Dico dunque (fenza pretender di
difcolparle ), che s' afomigliano a molte perfone.
della nora fpezie , ed anche della noftra fpezie
Europea . Le velpe martorizzano , e fi divorano
I altre mofche. Ma quantiuomini fon vere velpe
NE 4 Me di
\
| | |
106 LO Von cats:s,
di prima Sfera contro gli altri- uomini “Non v' è
altra differenza; fe nonche levelpè-fon voraci per
un iftinto naturale; ; che le induce'a efler tali;
laddove l’ uemo e malvagio per fua volonta , non
volendo afcoltare i dettami della ragione, che ‘il
perfuadono al bene . S' arroge a quefto ; che la
golofità delle vefpe è in qualche modo feufabile,
attefa la neceffità', in ‘cui fi‘ trovano' di provve
dere inceffantemente a'° bifogni della-lor numerofa
famiglia . Diftribuifcono poi gli alimenti con un
ordine maravigliofo. Queftà incombenza. s alpetta
alle smadri ; e le bardotte alcune volte accorronò
in loro ajuto . Primieramente fi trova nel fondo
d’ogni celletta un'piccolo uovo: con certa mate-
ria vifcofa , che ve lo ‘tiéne attaccato ; affinchè
«non poffa andar giù . Vi fi vede di quando in
quando entrar dentro la madre; la quale proba-
bilmente vi porta un dolce calore, perchè il paul |
cino ne sbuchi fuora . Da quef»uovo nafce un
vermetto, che vien nutrito con gran premura, €
a poco a poco diventa un verme groffo, ‘e paffuto y
ficchè rienipie colla fua rotonda corporatura tut-
ta la cella. La madre dopo averficevuto, ‘efats
to in pezzi }’ alimento appreftatole dall’ operaje ;
lo ‘va difpenfando di cella.in cella a tutti i fuoi
parti, e gl'imbocca di mano in mano a un per
uno fenza parzialità ; ; «fe non che ‘lo diftribuifce
con più frequenza a’ più groffi}- da cui debbono
generarfi i mafchi , e le femmine. Arrovefciate il
vefpajo., «e date un'occhiata ‘all'imboccatura’ di
quefte cellette. Ghe cofa' vi fcorgete ?
Cav. Vedo di que’ grofli Vermetti‘, di cui mi
facefle pur ora menzione. Eccone la uno, che apre
la bocca, ecrede, che it mio dito fia fua madre +
Prior. Poveretto . E' fato da jeri in qua ioara
mangiare; dee avere gran fame.
Cav.
.DirALO6O Quinto: 107
Cavi Ma vedo la ‘una: 29M rag di celluzze
tutte quante ferrate. .
‘ Prior. Adeflo vi serderà | conto di queto fiécd!
Tutte quefte beftiuole celfano ; in capo a un cer-
to tempo; di dar aggravio alla madre : reftano.
di mangiare; non -accettan più niente; e comin
ciano fin da allora a filaré colla lor bocca una fe-
‘ta-finifima ; appiceando il di lei bandolo ful li-
minare della ‘celluzza .. Portano: ‘poi la tefta ora
di qua; e ora dilà; ed attaccano in varj fiti il
predetto filo, del quale ( allungandofi lore dietrà
nel paffare , e ripafflare da una parte all'altra )
‘formano una teletta , che ferve alla porta della
celluzza , come di chiufura. Rinchiufe danque nel-
la maniera, ch'io v' ho moftrata, fi disfanno del
la lor pelle ; il vermicciuolo fi fecca ; la di lui
fpoglia cade nel fondo; e refta una candida ninfa,
la qual diftriga a poco a poco le zampe, e l’ali,
“ed acquifta infenfibilmente il colore , e la forma
d'una: velpa perfetta. Rompete qualcuna di que-
fte buffolej voitreverete quincentro la detta nin-
. fa, come La fc , fenza fcoprire, ‘che la'metà del-
le tenere imembra d’un animale disfigurato. Egli.
fi fortifica adora adora dentro a quella cuftodia,
che lo ripara da ogni pericolo , fin tanto che,
fprigionandofi le fue zampe , trafora la teletta : >
che il tien rinchiufo . Rompiamo il fondo d' una
di quett' ultime torte. ‘Tenete: Eccovi qua un di
que’ vermi cangiati in ninfa.
Cav. Oh queta sì} ch'è una figura graziofa!
Chi non riderebbe, a'veder quel mento fporto in
fuori ? quella fchiena incurvata î quelle zampe
congiunte infieme ?
Prior. Vifon degl’ infetti; che den in queto
ftato di ninfa degli anni intieri. Ma la vefpa ap-.
pena vi fta dodici, o al più quindici giorni: do-
i po
A
i
208 Lo e Wi 0
spo di che , fentendofi corredata di tutto ’l bifon
sno, fchianta di perisè la chiufura della fua cella ;
ed allora voi la vedete fpuntar fuori con un cor=
no; poi coll’altro; fucceflivamente con una zams
pa; e quindi colla tefta. Il corpo finalmente al-
larga la buca, elavefpa fcappa fuora tutta com=.
piuta , afciugandofi le piccole alette ancor umi-
de, con iftribbiarfele più , e più volte colle Tia
zampe di dietro. Dopo di che {picca all’ improv-
vifo il fuo volo, e fe ne va a foraggiare in came
pagna d’ accordo coll altre, imitandole fin da al-
jora, e nella deftrezza, e nella malignità.
Cav. Come, Signore? Fan tutto queflo, fenza
aver avuta neffuna lezione? I
Prior. Neffuna affatto. Non sì tofto le bardotte
fi fono fviluppate dalla ninfa, che fi mettonoa fo-
raggiare: appena i mafchi fi fono fprigionati dal-
la loro, che dopo un breve traftullo, fe ne vane
no a far corte alla loro Regina: equando le fem»
mine fono ufcite fuora del lor ritiro , comincian
dubito ad accudire a' miniftery domeftici.
Cav. Mi pare, che appreflo quefta nazione la
condizion delle madri fia molto felice : laddove
quella delle bardotte mi muove a pietà. Le me-
fchine, oltre all’avere l’aggravio degli affari di
cafa, portano ancora il maggior pefo del lavorio .
© Prior. B' vero, che le madri fon ben pafciute:
tutti i buoni bocconi fon riferbati perloro, eflé
fon fempre privilegiate in tutte l’altre occafioni.
La civiltà de’ mariti, e di tutta la brigata è una
cofa, che nonha pari. E° però da rifletterfi, che
quefte madri fono in pochiffimo numero ; e che
l'avere fopra di se tutta la guida di cafa è per
loro d’un difturbo incredibile. Tante uova da co-
vare, tanti pargoletti da nutrire , ‘tante gite disù,
e digiù, e di cella in cella; tante vifite, etan-
/ | te
DiacLoco QUINTO. 109
‘te riville ," e dover fempre- ricominciare lo -ftefflo.
meffiero da capo, fenza aver campo d' ufcire un
fol momento di cafa : voi ben vedete, che quefti
non fon piccoli aggravj per una fola velpa . Le
bardotte, cui compatite cotanto, menano in cer
to modo una vita più felice di effe - : vanno alla
bufca; fi divertono col paffeggio; rubano, pap-
pane; dormono, e campano, fenza prenderfi al-
cun travaglio, fu l'altrui fpalle. Io per me ar+
difco dire; che la lor condizione fia più avvens
turofa di quella di tutte l’ altre.
Cau, Ditemi, caro Signore; le vefpe fann' ela
leno la provifione pel verno ? io
Prior. Nè meno pel dì dipoi.
* Cav, O come fanno a pelare la ftagion rigi»
da, ch'è Sì lunga?
Prior, "AID appreffarfi del verno tutta quefta re-
pubblica muta faccia. Appena principiano a farft
fentire i primi freddi, che tanto le mogli, quan
to i mariti ; con tutta la Ep aanez4a , che prima
avevano. pe’ lor figliuoli , gli ammazzan tutti ,
uova, vermi, ninfe, velpe novelle, tutto fi fier-
mina; tutto figetta fuor del vefpajo, e fi ribal-
tane fottofopra per.fin le celluzze.
Cav. Donde mai può derivare un tal cangia
mento 2. E chi fpira nelloro petto cotanta rabbia ?
Prior. Vel dirò io. Le vefpe s' accorgon benil=
fimo, che allora non v' è più tempo di condur
gli embrioni (4) alla perfezione dovuta : onde
non fi vogliono incaricare d’ un pefo inutile, Quel-
le, che reftano nel vefpajo, prendon talvolta un
poco d’ aria, quando fan belle giornate : rea ogni
allegria è già fpenta per loro; ogni cofa langui-
fce; tutto è difperfo; ciafcuna fi rintana dal fred-
do, e fi rincantona meglio, che può. Paffano la
, VAT:
(4)1 parti della vefpa ancora informi.
Oa
tr0 Loret:iVom uso ig]
vernata ‘fenza nè avere, nè procacciarfi alcunci=
bo. Il gielo le affidera ; le aggranchifce , le uc-
cide; e talora d’ otto, o nove mila vefpe, e an-
cor più, che fi trovavano. nel velpajo , non vi
reftano, che due, o tre madri. USA
\ «Cav, Come dunque” può confervarfi ta loro Ipo
zie €
Prior. Le madri fon più robufte dell’ altre e
il corpo loro refile meglio a' rigori del freddo .
Or crederefte, che una vefpa fola foffe fufficiene
te a fornirci d’ uno fciame intero per l’anno fe-
guente ? Ella fi fabbrica due, o tre cellette, le
quali formano, comé un grappolo ; e sì |’ appicca
pel gambo con un poco di vifchio full'orlo d'un
buco da lei abbozzato, o veramentetrovato bell”
e fatto. Quivi rompe due uova di vefpé bardot=
sd e poi fe ne va alla campagna , per procac-
ciare alle medefime il nutrimento. Tutto quefto,
com io vi dico, fa da sè fola. I nuovi vermet=
ti fi trovano in breve riftucchi, e filano in capo
ad alquanti giorni la portiera della lor cella ;
dove reftano poi rinchiuft. Ecco gia due figliuo=
li allogati. La madre non ha più il carico di do-
ver nutrirli. Forma poi due altre cellette, e vi
depone due altre uova. Nel mentre che queft’ uo»
va arrivano a fruttificare, e che i nuovi frutti
vanno acquiftando vigore, i due primi vermetti.
rompono la loro portiera, e fi mettono a fati-
care in compagnia della madre. Sicchè prefente-
mente fon tre di brigata. Nel termin di quindi»
ci giorni i due fecondi vermetti aumentan la fa«
miglia. Principiano allora a slargari1, e comin»
ciano a goder de’ vantaggj della comunità. S' ap=
parecchiano un albergo fpaziofo, ed agiato : fi
vede di giorno in giorno creicere il numero del»
le cellette, dove la madre rompe un uovo di ma
fc 19 3
iù
+DifpiLoceo Qurnròo.:! rit
fchio; e fuffeguentemente un altro . di femmina +
Bifogna dire, :ch’ell'abbia un ordine pofitivo di
dover farecosì: concioffiachè affefta puntualmen+
te la grandezza della cella alla corporatura del
imafchio., o della femmina , ch'è per'nafcere. Il
mafchio divien marito della forella , etofto l’ ins
gravida: e fé.nel mefe di Giugno vi fon due ma»
dri; in capo a tre'fettimane ve ne fono cinquans=
ta; e quefte cinquanta madri: portano ‘prima del
mefe d’ Ottobre, dieci mila, e più vefpe. i
Eccovi, SignorCavaliere, ciò, che ho trovato
di notabile-rifpetto alle velpe. Non ‘vi ftarò ad
attediare colla defcrizione d’ alcune altre razze ;
parte delle quali\appendono il loro nido a’ rami.
degli alberi; e parte ; che fon due, o-tre volte
più groffe delle ‘ordinarie, lo piantano' fotto d°
una tettoja,) ovvero in qualche catafta di legne:.
poichè in tutte le vefpe firavvifa,; poco più, o
poco: meno, da: fteffa) induftria ; °e politica ; e da
quanto vi fio. detto delle comuni , ( delle quali
hò avuto più agio; e più occafion d' itruirmi )
potete formar giudizio dell’ altre 1 Ciò, ch"io non
poflo faziarmi. d’ ammirare in tutte le razze di
quefte. beftitiole.,; fi.'è (in primo luogo la varietà ,
e poi l’aggiuftatezza de’ mezzi, di cui la provvi»
denza fi ferve, per abbigliarle, per nodrirle , e
per difenderle tutte quante. |
Cav. Ma, Signore, non m'avete mica. detto
nulla delle lor armi. Non hann' elleno un pun»
giglione ? FRSSELE
Prior. Capperi! fe l’hanno! Lo fo pur trop=
po; e l'ho provato più d’ una volta. Se voi fa-
pefie quante punture m'ha coftato il volermi ac-
certare di tutto quello, ch'io v’ ho efpofto, non
mi domanderefe , fe le vefpe fieno armate del pun=
giglione. Ma m' efporrci volentieri a pericoli ans.
COT
_
IS
110 Le Vesre. Diatoco Quinto;
€or maggiori, dove fi trattaffe di farvi appren=.
dere con diletto qualche utile verità. I
“Cav. Non è però giufto , cheil piacere fia tut-
to mio; e tutta voftra la pena. i
Prior. Perdonatemi, Signore. La cofa non può
endar meglio a dovere. Ogni ragion vuole, che
le punture, e le fpine fieno tutte di quegli, che
fi prende la briga d'ammaeftrare; e chel piace-
ge ridondi tutto in coloro, che fon volonterofi di
apprendere, Wir |
Cav. E° flata una gran fortuna la mia, 2 ef
fer capitato in sì buone mani. Signore, giacchè
il ragionamento delle vefpe è compiuto, mi gra-
zierefte di paffare alla defcrizione dell’ api?
Prior. Il farò volentieri; ed intale occafione,
fpiegandovi la ftruttura del pinzo di quefte, ver-
rò adichiararvi fufficientemente la forma del pun-.
giglion delle vefpe, che viene ad effer lo fteflo.
Ma rimettiamo-quefto ragionamento a domane .
AI prefente mi farebbe impoffibile. Ecco gente,
che mi viene a chiamare. Per dir vero, fono il.
facchino de’ miei popolani. Compatitemi, Signo»
re; avrei tutto il piacere di trattenermi conefio
voi, ma fon coffretto a lafciarvi. Addio.
Fine del Dialogo Quinto .
/
j «DIALOGO Sad
55 l Lc H
IL Conte. "RE
«%» La Contessa 4. DI GionvaLLE . i.
Ir Priore i
Ir Cavariere DEL BrogLio. | —
Contef. pre, Signore, la brigata ; che
fuor ha interrotte le noftre feffioni, è par-
tita. Il Signor Priore ne ha mandati ad'avvifa-
re, che farebbe venuto a trovarci. In tanto che
lo ‘fiamo afpettando , ne farefie voi grazia di. par
teciparci il tenore della voftra conferenza di jeri ?
Cav.. Sapiate, chel Signor Priore , in vece di
farmi una lunga diceria intorno a’ diverfi filati, e
lavorii delle vefpe, mi portò da cafa fua un ve-
{pajo. bell'e intero .- Mi fece vedere una. volta ,
Posi
un recinto, degli appartamenti, ed una quanti-.
tà di cellette, parte fpalancate , ove non fi ve-
dea, fe non ùn uovo, oun vermetto vivo ; par-
1 ferrate, ov’ erano de lle ninfe inatto proffimo
di cangiarii in vefpe compiute; e parte in fine
«colla portiera principiata a romperti, donde (in
portando nella mia camera tutto ’l vefpajo , che
il Signor- Priore m' ha regalato ) viddi. fcappar
«fuora una vefpa bell’ e compiuta. Vo’ far fare
una cuftodia a pofta, per confervarmelo .
su Cont. Prima di far ciò, avvertite di tenerlo
efpofto per molti giorni alla sfera del Sole ; o
vero al fuoco , per difeccar tutto ciò, che vi
potrebbe effer rimafo dentro di vivo. Voi ben
.medete il perchè. Del reo ho piacere, che ab-
‘biate un'idea del lavorìo delle vefpe . Così vi
Tom. I. farà
rigo LEA wo
{fra più agevole a capir tutto ciò , che fi dità
delle pecchie. 7
Cav. Ecco là il Signor Priore, che s’incammi=
na alla volta nofira. Che diacin porta mai fot-
to’l braccio! State a vedere, che v'è qualche
altra cofa per me. | |
Contef. Sara probabilmente qualche nuova dif
fertazione, da farfi fentire cogli occhi. Non ve
l'aveva io detto? Son favi di pecchie.
— Cav. Di quefti non n’ ho mai veduti. E' un
piacere l'aver da far con queft' uomo. Subito s'
ha tutto ciò, che fi brama.
| Prior. Signore, non m' è convenuto andarlo a
cercare molto lontano. M°ha dato a prima giun»
ta nelie mani. dti
Contef. Via, Signori, affentiamoci. La noftra
conferenza verte fopra un argomento di gran ri-
lievo. Dobbiamo ingolfarci nella politica , e ne'
governi di ftato. e.
Prior. Bifogna ben variare, ed annobilire, co-
me che fia, le noftre feffioni. Jeri non feci fen-
tire al Signer Cavaliere, fe non de’ ladronecci ;
degli afflaflinamenti , e degli omicidj.. Oggi ra-
gioneremo foltanto di ben pubblico, di colonie,
d' economia, di politica, e di voglia di far be»
ne. Quefto è il vero carattere della Repubblica
delle pecchie. Tutto ciò, che fe ne può dire, fi
riduce a due capi. Il primo ègia efpofto alla ve-
duta del mondo tutto ; e gli fteffi contadini ne
fono intefi. Sicchè rifparmierò alSignor Conte la
pena di toccar un tal punto, e prenderò tutta
quefta diflertazione fopra di me. ll fecondo è af-
fai più curiofo ; nè fi può arrivare a compren»
derlo fenza l’ajuto d’ un alvear dicriftallo, e fen-
za aver occhi da vero filofofo . Il Signor Con-
te, ch'è ben fornito dell'uno , € dell’ cp fi
|
ni DiraLoco Sksro. ros
tompiacerà di prenderfi l' affunto d' ammaettrar=
tene Lo |
Cav. Signore, è egli vero, che l’ api abbiano
un Re? | |
Prior. Certa cofa è, che in un alveario fi di»
ftinguon tre fpezie di pecchie fra lor diverfe. ( Fa-
fit dell’ Accad. delle fcienze 1712. M. Maraldi ,
Leenwenboek Arcan. nat. t.3. epiff. 146.) Primiera-
mente vi fono l’ api ordinarie , che formano il
corpo della nazione. Quefte hanno l’incarico di
tutta la fabbrica; nè fi conofce, s' elleno fian fem»
mine, 0 mafchi: fon tutte fornite d’ una tromba
“per lavorare, e d'un pinzo, o pungiglione, per
<combattere co’ lor nimici . In fecondo Huogo vi
fono i fuchi, o pecchioni, che hanno un colore
lionato, e fono un terzo più lunghi, e più grofli
dell’ api; come che fe ne fiano trovati di quelli,
la cui groffezza non eccedeva la mole dell’ api .
Quefli fuchi paffano appreffo. i naturalifti per ma-
fchi. Non fono armati di pungiglione; ed in un
piccolo bugno di fette, cotto mila pecchie fe ne
contano cento, è più; (Mara/di) ficcome in un
alveario maggiore, efempligrazia di diciaffette, ©
diciotto mila pecchie , vi fe n’ annovera il triplo,
ed il quadruplo ‘della fomma predetta. Finalmen=
€e evvi una terza forta di api molto più robu-
fte, e più grofle de’ fuchi medefimi , la quale è
armata del fuo pungiglione, come le pecchie or-
dinarie. ( ELeewwenhoek ibid.) Credefi, che di co-
telte non fe ne trovi, fe non una per alveare ,
© almeno per ogni fciame; cioè a dire per ogni
truppa di quelle pecchie novelle , che abbando-
nano di mano in mano illor bugno, e fe ne van-
no a flanziar altrove. Se poi aquefta pecchia sà
grofla debba darfi il nome di Re, come pretéfer
fgli antichi; o quel di Regina, come vogliono i
hai; H a nate.
116 bi ET A ir
naturalifti moderni, ne lafcio la decifione al Sis
snor Conte. ,
Cont. Coll’ ajuto. dell’ alveario, fatto da me fab-
bricare di laftre di criftallo, congegnate infieme
con certe firifce di piombo, ho diftinte beniffimo
le tre diverfe generazioni di pecchîe , additateci
dal Signor Priore; cd ho veduta più, é più vol-
Spiegazione della Figura
A. La regina delle api.
B. L’ ape, detta fuco, o pecchione.
G. L’ape operiera... >
D. La parte anteriore del capa d'un’ ape. DD. Le ma-
(celle, e la nicchia della fua tromba.
. E. La tromba, onde l’api arrivano a fucciare il ma-
le dal calice de’ fiori. 1. Le due prime branche , che
fanno accoftate alla tromba. 2.Le due groffe branche,
che abbracciano, in un colle prime, la tromba. 3. La
cerniera, 0 piegatura ditutti quefti pezzi, percui ven.
gono ad incaffarfi, ed incaftrarfi da baffo nella cavità
di effa tromba. -
. F. La zampa dell’ ape carica.di cera. Sei
© G. La punta della medefima zampa co’ fuoi peli, co?
fuoi rampini, e Colle fue fpugne, o tortelli. i
H. Il pungigliohe dell’ ape. 4. L’aftuccio del pungi,
glione, ove ftanno racchiufe due frecce. s.Le due frec-
ce, quivi delineate fenza l'aftuccio , per farle vedere
più chiaramente. 6. La gocciola del veleno , che goc+ .
cia nella ferita. A de”
I. Gli alveoli rimirati per l'apertura, coll’ orlo, che
fortifica il loro ingreffo.
. K. Gli alveoli appoggiati. |.
L. L’ uovo fituato nel fondo della celletta, od al-
veolo. i Phi. i abi
‘“M. Il vermicciuolo novello, che vien dall’ ape im-
boccato, e pafciute di mele. cranio
. N. Il vermicciuolo riftucco, e vicino a produr l’ ape,
che fta incorporata dentro.di effo. 00 a
O. L’ape quafi quali formata , la ‘quale, depofta ,
mediante i fuoi sforzi, la fpoglia del verme, è giare È
rivata a perfezionarfi; e trafora il coperchio della cel.. È
la «che um altra pecchia più anziana avea turato di cera. B
Raga .D1ratodo Sesto ASTE
Cè quell'ape grofla; che fi ‘pretende efler il Reg
andar di camera in cameraj é in tal congiuntu-
fa ho offervato ; che avanti d''infinuarvifi coll,
eremità del fuo corpo, la'cella era vota : lad- o
dove, dopo efferne ufcita; v' ho veduto ‘un uo-.
vicino, Da quefto fi può'argomentare , che que-,
fta fiala femmina della razza :‘e ficcome perpiù
reiterate offervazioni non ve n° ho ravvifata in,
tutto uno fciame più d'una, odi due, comeche
rade volte arrivino a tre (le quali fi riconofcon,
benifimò fra tutte l'altre ); così credo , che. fl
convenga loro piuttofto il nome di Regine, che,
quello di Regi. Ma quale è mai l'opinione del,
Signor. Priore , in ordine a que’ pecchioni si Che
con altro nome fi chiamano fuchi? Quefli certo
non fono d'una fpezie diverfa dall’ api; poichè gli.
ho veduti nafcere nell’ alveare, dentro a cellette
fatte a pofa, un poco più fpaziofe dell’ altre. A.
che mai fon definati? Vogliam noi dire, ch' e,
fiano i mariti della Regina ? Il trafparente mio
bugno non'm’ha ancor dati'tanti lumi.; da po.
termene ben chiarire. | js 3)
Prior. Eccovi, Siguore, ciò; ‘ch'io fono arri=,
vato a fcoprité intorno a corefti fuchi. Trovafi
nel ventre di ciafchedurio di effi una vefcica di
mele, fomigliante a quella dell’ api comuni; con
quefta differenza però ; che la vefcica dell’ altre
pecchie ha di più un canalétto , che va fin al
collo è e per mezzo. di detto’ canale fi verfa.il
mele nel magazzino; ed oltre a ciò ; per poco ;
che voi\premiate il corpo diun’ ape, fi vede to-
fo fcaturitne del mele : il che non fuccede ne
fuchi. Quefti pappano , è fi ritengon tutto per
se, fenza riporre mai nulla: nel magazzino . Son
gràffi bracati; non faticano ; nè vanno alla cer-
ca; ma efcono al più al più a prender aria. 3. .€
Ti H 3 pal
118 I L A A I i
pafieggiano fcioperatamente intorno al loro al-
veario. Quanto poi all effere difarmati del pun
giglione , la natura probabilmente ha ciò fatto,
perchè non hanno alcun nimico da temere . Del
refto non poffo credere , che una nazione così
economica, come quella , voleffe tollerare cote-
fti mangiapani, fe non fofiero buoni a qualche
cofa. Si crede , che poffana efler deftinati a fe.
condar la Regina; o per dir méglio,.a popolare
lo fato,
Cont. Una sì fatta opinione vien pur compro=
vata dalle offervazioni anatomiche, per cui fi pre=
tende d’ avere fcoperte nella ftruttura del corpo
loro le parti generative. Non ho mancato di far
> il poffibile per ifcoprire per mezzo del trafparen=
te mio bugno, qual figura facefler coftora appref+
fo la Regina dell’ Api ; ed ecco quel, che mm è
giufcito di ricavarne. La Regina dimora incima
di tutti i favi. Quivi ( fem è permeflo di dir
così ) è fituato il di lei palazzo . Ella non efce
-fuori quafi mai; e rade fono le volte, che faccia
folennemente la fua comparfa ; ma fe talora la
ta, marcia con paffo grave, e maefiofo. Voi ve
la ridete eh ? Sentite il refto. Non marcia mai
fola ; fe alcuna volta non è accompagnata da tut-
to quanto lo fciame, è almeno feguita da molti
pecchioni, o fuchi , i quali apparentemente le fan
corteggio. Siccome le ufcite della Regina fon po-
‘co frequenti, e ftraordinarie ; e tutte tendono,
( per quanto fi vede) al pubblico bene ; così ogni
volta , che ciò fuccede , fl fa gran fefta per lo
paefe; tutta la gente efce fuori ; ognun fa alle-
gria; e per riceverla folennemente, tutte le pec-
chie s' afferrano l’una coll’ altra per le zampe, e
formano in un batter d'occhio un gran velo, at-
traverfo il quale non è poflibile di veder nulla.
Que-
\
dar,
" Diaroco SESTO. £19
Quelto velo farà probabilmente un arazzo , che
lè medefime fpiegheranno , per farle onore , qua nd'
ella palla; o veramente una cortina , che i di lei
Camerieri le. tireranno davanti.
Prior. Signore; voi preftate a quefte beltiuole
dell’ intenzioni molto nobili, o molto caffe.
Cav. Chi fa, che una tal cerimonia non fia un
felino di ballo , apparecchiato in occafion del
corteo della parturiente Regina.
Contef. Un feftino di ballo ? Non faprei: ma
credo , che quefta fara l’ ultima cofa, che il Si-
gnor Priore vorra accordarvi. Egli non è punto
“dedito al ballo.
Cont. Non fo qual altra intenzione poffano ave-
re le pecchie con quefto prenderli fcambievolmen=
te per mano, e col farcoro alla lor Regina, che
| paffla. So bene, ( e quefto l’ ho già veduto piît
volte ) che la medefima fuffeguentemente fi por=
ta di camera in camera ; e dopo aver oflervato
perfonalmente, fe le celle fon libere , vi depone
un uovo. Or mentre s' accovaccia col ventre nel
fondo della celletta, i fuchi del corteggio le for-
“man corona, e ftandofi colla telta rivolta verfo
di lei ‘battono I’ ali , quafi in atto di congratu=
larfi con effla della nafcita de’ nuovi parti. La
, Regina è capace di popolare dieci, dodici, ed an-
che più cafe in una fola covata ; e porterà fino
a fei, o fette mila figliuoli; e vedrà in un anno
| per la generazione di due , o tre pecchie fimili
a lei i figliuoli de’ fuoi figliuoli; e fi trovera ad
effer madre , o nonna di diciotto mila fuoi die
fcendenti in una ifteffa fate,
Prior. Una prova ; che in certo modo compi-
fce di afficurare, che i fuchi fono, come gli ftal-
loni , deltinati a propagar la {pezie ; fiè, che
per tutto il decorfo della ftate fon lautamente
4 E°
\
+20 Lio? Arata
pafciuti. Ma quando le. Berile, fi fono feravida='
taniche fovraftando l'autunno, fi'prevede, che'
non vi può effer nè tempo ,.-nè. calor Miliciene®
per allevare un nuovo fciame , ‘allora i fuchi fon”
maltrattati, e cacciati via. Sifente, che comin-
ciano a efler d' aggravio alla comunità , dove’
non fanno altro meftiero; che pappare. Le pec-
chie non ve ne vogliono ‘di quefti parafiti negli.
alvearj . L’ odio loro fi fcarica per fino addoffo’
a fuchi novelli, ancorchè racchiufi nell’ uovo. Li
tolgon via dalle celle, gli uccidono, e li butta=
no fuor\del paniere . Pofcia fi mettono a dar la
caccig-a’ genitori. Nè vale, ch’ efli s' oftinino a'
volervi rettare :;:che fe ‘gli afferran perl ‘ale; e
per le fpalle , li fofpingono sli Gcoan via e
difcacciano tutti fenza pietà, a riferva, LET, 10°;
di qualcuni, ed anche di razza più piccola, e men
mangiona , il cui mantenimento è di minore dif-
pendio al comune. Quefi fi riferbano pe’ bifogni
‘dell’anno futuro: e ciò s' argomenta dal vedere,
che la Regina ful far della primavera fi trova gra-
vida un altra volta, quantunque non fi vedan fra
loro ; che pochi Bechi , di fatura non molto di-
verfa dall’ api ordinarie .
Cav. E di que’ poveri fuchi che n° è? Mi fan
compaffione .
Prior. Tra per le piogge , tra per eli uccelli ;
e per la fame reftano tutti morti. Tutto il ter-
7eno all’intorno fi vede coperto de' lor cadaveri .
Contef. Al. vedere, i mariti in queta repubbli-
ca non fanno una troppo bella figura .
Cont. Si tien per maflima, che la falute del po-
paia ha da preferirfi a tutte quante le leggi.
‘Prior. Le pecchie intendono di non effer obbli-
gate a nodrire continuamente de’ parafiti, i qua-
li confumerebbono loro inuna fola flagione quan»
, 24 \ to.
| Diratoco Sésto. 0-4 <A
é0 con Bitte) e fudori s'è accumblato per due:
e fpezialmente. in un tempo ; in' cui non poffomi |
trovare, onde vivere . Ella è éosì, Signor Cava:
liere ’ fe! i! fichi vengon forzati a procacciarii di
per sè il proprio vitto ; ciò non fi fa folamente
per economia; ma ancora per eftrema neceffità +
Cav. Bubnot buono. Avete una gran paura y
Signore, ch'io nen formi un finiftro concetto del-
le care ‘voftre api. Si vede bene, che quefto è ici
voftro infetto favorito. sé
Prior. Non nego, ch’ egli mi ceti un NATA
ùtile. Vi fara forfe qualche anno; che le pecchie
in’ avran fruttato più del mio Benefizio. o:
‘ Contef. Non è però quefto il motivo , per cut
ne fiete così innamorato . Voi foftenete a fpada:
tratta il partito dell’api; perchè offervano fedel-
mente la morale , che voi predicate : cioè , che
chi non fatica, non merita di mangiare.
‘Prior. Chi fa? Ma lafciamoda parte ogni com-
| biacenza, e interefle. Per poco, che fi efamini='
no i loro cofîiumi ; o ( fe mi è lecito di dir co-
sì ) le* maffime di queta piccola comunità, f tro»
va degna de’ noftri affetti, non meno per la fua
condotta i che per le fue manifatture .
Cav. I lor coftumi già m' ‘innamorano; ma le
loro manifatture faran pur degne de’ miei ‘tifle@;
Vi prego dunque a difcendere oi pan to
quefio particolare.
°° Prior. Prima di ragionarvi de’ lor lavorii , bi>
fogna, ch'io vi moftri i loro firumenti. Il Signor
Conte, clie gli ha offervati meglio di me co’ fuoi
‘perfetti(imi microfcopj, non potrebbe mai reftar
pago di quanto ne diceffi io fteffo. Egli pit ing
avrà la bontà di rapprefentatveli .
Cont: Accetto di buona voglia l’i impegno . Noti
starò a farvi un’analifi nia minuta del corpo
dell’
12% a A i.
dell’ ape. Bafterà al Signor Cavaliere , ch’ io gli
‘notifichi le parti più principali, di cui la natura
- l’ha provveduta, e l’ufo, ch' ella ne fa.
Il corpo dell’ Ape è divifo per mezzo di due
frozzature in tre corpi , o porzioni ; che fono,
ja tefta, il petto , ed il ventre . La tefta è ar-
— mata di due mafcelle, e d’una tromba. Le ma-
fcelle, o piuttofto le morfe, fanno l'ufficio loro,
con aprirfi, e ferrarfi da deftra a finira , e. da
finiffra a deftra . Quefte morfe fervono loro di
snani, per prender lacera, per rimenarla, e per
ggittar via tutto ciò, che le incomoda. La trom-
ba è un... Ma farà meglio , che io imiti il Si-
ggnor Priore, e che vi parli piuttoflo agli occhi,
che all’ orecchie ; giacchè ho modo di poter far-
lo . Ho quì apprefio di me due di quefte trom»
be, incollate in cima di due ftrifce di carta. Mi-
ratele col microfcopio l'una appreflo l'altra.
. Prior. Non fi potevano fituare in miglior po-
fitura, per farsì, che amendue s' ajutaffero fcam-
bievolmente a farfi conofcere. Signor Cavaliere,
crederefte mai, che fra quefte due figure non vi
paflaffe differenza veruna? E che amendue foffe=
ro affatto affatto compagne?
Cav. Vedo, che una è lunga il doppio dell’ al-
tra; e che la più lunga è alquanto più groffa
da una banda, e va a poco a poco aflottiglian-
dofi verfo la parte oppofta . Vi vedo pure una
rifega o curvità verfo la mezzerìa ; e mi pare
| cerchiata a baffo da quattro branche fcanalate al
di dentro , come quafi i pezzi d’ un zufolo ta»
gliato in quattro. Non ne ricavo neffun co-
Brutto. n PIL gra
. Cont. E pure tutto ciò, chevoidite, vaa pens
nello . Abbiate un po’ di pazienza . Mirate ora
quel’ alcra,
d_ 6av
Diatoco SESTO, 523
«Cav. Quell’altra è più groffa ; ma mozza, e'
{enza le quattro branche. I
Cont. Senza le quattro liana] Lo giurerefte ?
| Cav. Afpettate di grazia , Signore: mi par di.
ravvilarvele. Adeffo le vedo bene . Son tutte e
quattro accoftate infieme.. Bifogna , che quefta
feconda tromba fia incaflata dentro le quattro
branche; e che le medefime le fervan d’ altuccio.
La prima debb’effere una tromba aperta, e fpie-
gata in atto di operare; la feconda una tromba
piegata; e ripofta oziofamente dentro la fua guai-
na. Quefta, a dir vero , Signor Priore , è una
chiara riprova di quanto voi mi dicefte ultima-
mente, cioè: che le più piccole cofe fon deflina-
te, e dirette dalla natura ad un fine particola-
riffimo ; e che la mano di Dio fi ravvifa , non
meno nella firuttura d'una zampa di mofca , che
in quella del Sole fteflo. !
Prior. O bravo! Voi v° avvezzate a conofcere
la certezza d'una sì fatta deftinazione , eziandio
«in quelle cofe, dov’ ella è più occulte; poichè &
ciafcun pafto la ravvifate, dove prima non appa-
riva. E’ dunque ufficio voftro il cercarla, ammi-
‘rarla , e poi glorifcarne il Signore. Fate, che fi
prefenti la tromba di un’ ape a chiccheflia . Egli
dira; quelta è una zampa di mofca : a che mai
può fervire ? E pure quefto ftrumento ha tanta
virtù, che un’ape coll'ajuto di efflo è capace di
metter infieme più mele in un giorno , che non
farebbono cento chimici co’ loro limbicchi in cent’
anni . Ma quella fapienza , che tanto chiara fi
manifelta nel fornir l’ ape d’ uno firumento così
preziofo, non men patente fi vede ne’ mezzi, ch'
ella le ha dati., per confervarlo . Imperciocchè
quefta tromba è lunga ; e appuntata, piegbevo-
le, e mobile per tutti iverfi; affinchè Lanscapla
Y à
duo
Î24 «Li pi A pt ati
fa introdurla ( adito di tutti w intoppi deélle
foglie» è filacciche). nel fondo del calice de’ fios
, fucciar con effa i fughi difperfi, euportar via
;l ) o carico. Ma ficcome cotefta tromba, dove
ftefe mai fempre tefa ., recherebbe non poco in
0; e correrebbe pericolo di fiaccarfi per mil-
le, e mille accidenti; così è compofta di due pez-
si; collegati per mezzo d'una molla, ocerniera :
di modo che, dopo aver fervito al bifogno OCccor=.
rènte., può raceorciarfi, o per dir meglio piegar-.
fis e Setta . Trovafi poi difefa., e da ogni ina
contro finiftro riparata per quattro fortiflime fca*
glie, due delle quali immediatamente la fafciano ;.
e l’altre due, che fon più larghe; e più conca-
ve, abbracciano poi il tutto.
Cont. Venghiamo ora al rimanente > del corpo .
ba parte media del corpo dell’ape, o fia ‘il pet
to, foftien fei zampe, e quattro ale. Due di ques
fle ale fon grandi, ‘e ‘due piccole; e tutte fervo-
no non folamente a trafportarla, dovunque Vilo=.
le; ma a fare ancora un certo ronzio», per cui
S ‘avvifano fcambievolmente del lor partir , (e tor-
nare: e ‘is’ animano luna coll’ altra al lavoro.
Eccovi quì un'ape morta : offervate quel pelo,
ond' ella è tutta coperta : quefio pelo le ferve per
ritenere i piccoli gravi della cera ;'che cadono dal-
la'‘tiîma delle filacciche de’ fiori nel fondo del ca-.
lice : offervate altresì fulla punta delle zampe
que due uncinettij che veduti col microfcopio. vi
compariranno , quafi due roncole procedenti da
uno fteflo manico , e colle punte in fuora dall’
ùna banda, e dall’ altra Quelle due ‘unghie unci+
nate, così opportune, per foftenere la pecchia in
mille incontri, ftanno colcate sù due cufcinetti; 0
tomboli ; O pallottine di fpugne, percui élla può
Camminare più mollemente , econmanco difagio.
si Il
DiaLocò Seretò. is
; «Il ventre dell’ ape è divifo in fei anelletti, cia4
dirin de’ quali 5° alltinga e. s' accorcia , fdruccio=
landofi addoffo lun l’altro. Ma la parte interiore
‘ di effo ventre confifte negl’inteftini, nella vefcica
del mele, ed in quella del veleno, e nel pinzo.
| Gl’inteftini fervono a compier la. digeftione del
be: cOme addiviene in tutti gli ‘altri. animali,
La vefcica del mele e trafparente, come un cri-
fiallo, e contiene quel dolce fugo, che. l'ape va
raccogliendo da' fiori; una particella del quale dee
rimanervi per nutrirla ; e l° altra porzione, che
| ® migliore, vien da efla portata, e verfata nelle
-
cellette del magazzino per confervarla ; e nutrire
con eifa tutta quanta la brigata d'inverno. La
vefcica del veleno è fituata alla radice del pin
zo | per entro il quale la pecchia ne fa paffare
talvolta alquante goccie, «come per un cannel-
lo; affine di fpanderle nella puntura, € inerades
lir la ferita.
$ Il pungiglione finalmente è di tre pezzi compo»
fto; (ITheolog. Pbyf. Derbam.Phtlof.Tranfa#.3673 4
.cioè; d’ un aftuccio edi due faette. L' atuc-
cio va a terminare in una fortilifima punta»; €
nondimeno prefio alla detta punta , è ancor fet+
{o ; affinchè ’l fiele poffa trovarvi il paffaggio.
Le due faette fcappan fuora per uno flefio fora
me. Tutte e due fono fcabre, e coperte di: cer-
te piccole punterelle, a guifa delle barbe, ofpil*
letti degliami, che follevandofi alquanto alla ban
da, rendono la ferita più dolorola; impeditcon È
ufcita delle faette; e tanno, che l’ ape medefima
duri fatica a ricuperarle . Ella non le ricupera
quafi mai; quando vien molefiata, @ fcacciata::.
ma fe s' aveflela fofferenza di farci fermi, quans
«do ella ne ha punti, abbafferebbe , ed appogge
rebbe in fullo ftilo le fue. punte laterali: ,& < De
tal
226 be A +18
tal mezzo ritirerebbe le fue faette fenza fatica,
Dai
vs
e ne darebbe manco dolore. L’ aftuccio è ‘ancor.
egli appuntato ; ed è il primo a ferite. Dietro
alla puntura di eflo vien quella delle faette, col-
lo fpargimento del liquor velenofo ; o fia fiele. ll
medefimo aftuccio fla attaccato a due mufcoli ben
gagliardi, ed atti a poterlo titirare, e ricupera»
re: ma quando fi trova troppo intrigato, i me-
defimi mufcoli fi diftaccan dal corpo dell’ ape, e
reftan con tutto ’l pinzo nella ferita. Il veleno;
che in tal incontro vi fpange , cagiona una fer-
mentazione, e untumore, che dura parecchi giore
ni; ma fi può agevolmente fermare , con tirar
fuora immantenente quel pinzo , ed allargar la
ferita, per darle sfogo, e agevolarl’ufcita al vee
leno. Quefti fon gli ftromenti dell’ ape.
Difcendiamo prefentemente al ior lavorio: j ed
in ifpezie alla firuttura de’ favi.
Cav. Permettetemi, ch'io v' interrompa per un
. momento, e dimandi al Signor Priore, comefifa
a radunar tutte l’ api in una fteffla paniera.
Prior. Supponete , che nella fpaccatura d' un
albero, o nella buca d’ una rupe , o finalmente
in una paniera , da lor trovata per accidente,
fia già annidato uno fciame di pecchie. Quincen=
tro effe allevano i loro parti; e quando quefti
fon gia allevati; ve ne rilevandegli altri. L’ an
ziane, e le giovani vi dimorano tutte infieme d'
amore, e d'accordo; fintantochè v'è luogo da po-
tervi ftare con agio. Ma quando il numero è tan»
.to crefeiuto, che non v'è modo di far più allie-
vi, fenza riftrignerfi, allora le più anziane, che
fon de jure, e di fatto le padrone del pofto, mane
dano un bando ; in virtù del quale vien ordina»
to a tutte le pecchie giovani da una certa eta in
giù, d'andarfi a procacciare altro nido, ric ga
? bras
, “ Dratoco Sesrò. | 13
brare in capo a un certo termin prefilfo il pae=
fe, fotto pena di provare i rigori del loro pinzo.
in cafo di contravvenzione. Potrei veramente ine
gannareîti in ordine a’ precifi termini del detto
bando, il quale non ho mai veduto; ma il fatto
fi è, che la difubbidienza de’ giovani fciami oftie
nati a non volere sfrattare, tira loro addoffo del»
le fanguinofiffime guerre. Per altro s' arrecano il
più delle volte a ubbidire : e così in un certo
giorno ; alla ftefa ora , o per dir meglio nello
fleffo momento, tutto lo fciame dell’ api novel-
le, colla lor Regina alla tefta, abbandona l’ al-
veare, batte la campagna, e va a cercarfi altrà
alloggio. Quefta è una vera colonia. Le pecchie
più anziane reflan fempre in poffeffo del loro nido.
«Cav. Mi par di fentire la Storia de’ Sirj, e de’
Sidon]j, i quali non avendo quafi punto di terre»
Bo , ed efiendo crefciuti in grandiffimo numero,
mandavan delle Colonie a Cartagine , o a Cadi-
ce, e in ogni parte. Ma non voglio interromper
la fioria dell’ api. ;i
“Prior. Allorchè le noftre pecchie novelle haw,
prefo l’ambio, fi vedono andar intorno ronzando
lungo tempo pet l’aria, per procacciarfi un co-
modo albergo, dove ftanziare ; attaccandofi tal-
volta al tronco d'un albero, o ad una tama, 4
guifa d'una ciocca d’uva; che penda dalla fua vi
te . Mi giova il credere , che fi eleggano fra di
o alcune deputate, le quali abbiano l’ incom=
benza d'andar a far la fcoperta per lo paefe; e
‘che trovando qualche buca fpaziofa , ‘0 qualche
&lbero fpaccato, o veramente una paniera appa-
‘recchiata daicontadini, che han l’avvertenza di
prefentarla loro davanti, dopo averla ben ben fre-
gata con timo, con fermollino, e con altr’ erbe
‘odorofe , ne fagcian tofto la relazione alla loro
Re-
28 È E A do et )
Regina; ella allora, ofulla loro #0 o cong
chinsivioni cogli occhi proprjs fi mette iufico in
marcia; il grappolo fi diftacca tutto dall’ albero,
e leva dietro. La Regina s'infinua nella predet-
ta apertura , prende il poffeflo del pofto , e vi
s' accafa con tutti. i fuoi fudditi. Ho veduto più
d'.vina volta , che i contadini , per avvertirle ,
che .v' ha un albergo bell'e ammanito , ove po-
terfi ricoverare, f{uonano un campanaccio , 0bat-
tono qualche ferro fur una catinella dirame. A
così fatto fracaffo reftano tutte quante fofpefe ,
arreftano per un momento!’ il lor volo ; e. forfe
credono, che quello fia un tuono, foriero di fi
immipente tempefta. Comunque ciò fia, in quel.
frangente , ftannofi fofpefe , ed immobili per lo
romore, cuifentono; edofervan più attentamen-
die il: ricetto., che lor fi apprefta: ma han piacere
d'effer invitate ad entraryi per mezzo di qualche
leggier fcotimento , come che alcune volte vi fi
ricoyerino naturalmente fenz' altri inviti. Allora
colui, che ler prefenta il paniere, lo folieva ada»
gio adagio da terra, edeffe filafciano portar via
senza fcomporfi, Pofcia fi pianta il paniere fur un
bugno, o caffetta formata di varie tavole lifce,
€ congegnate infieme a modo di‘ doghe , ovvero
fur uno fcanno di terra; acciocchè gl’ infetti, ed
i vapori, che tramanda la terra , non poflano
‘avervi l’ingreffo. Si lafcia un piccol pertugio nel
fondo: dell’ accennato paniere, e fenza torfì altra
«briga, fi rimette nel loro arbitrio l’ affettarvifi,,
.com’ effe vogliono . Quelo che poi fegue la den-
tro, è più cibo del Signor Conte, che mio.
Cont. Rifpetto al lavorio delle pecchie, fl pof=
fon .confiderare tre. cofe ; la materia, che le me-
«defime adoprano per fabbricare; il fine, a cui è
«diretta la loro fabbrica; c la maniera , 6on cui
viti ! cie=
slo
‘i i. su li
DINAR a Rai. î ì
$ Pad A | Kb
DIAL ‘cò Sesto. 29
efeguifcono lun, e l’altio. ( M.Maraldi LTT
materia, di cui fi {èrvono, non è altro, che vi
fchio , e cera‘; \e la ricavano ‘da varie forte di
fiori, Il fine, a cui è diretta la loro ‘fabbrica ;
è il ricovero di sè medefime, e ‘della ‘lor prole «
Quanto poi alla maniera, con cui l'efeguifcono,
quì conlifte’ una parte della loro politica.‘ To non
fo , in che linguaggio fi parli appreffo dell’ api.
So bene, ch’ elle s'intendono fra di loro} ‘é con
trattano infieme'. Allorchè {i dà principio alla
fabbrica del melario, fi dividono ih quattro claf=
«di : parte vanno a cercare in campagna i mate=.
“go l’edificio; parte li mettono in opera e
‘digroffano tutto il lavoto, abbozzando il fondo,
‘e le porte delle cellette ; e parte ripulifcono il
tutto, vifitano, € riformano gli atigoli, ne levan
‘via la.cera foperchia ‘e perfezionano l'opera. L'
ultimé portan da fciolvere all’operaje; perchè a
loro nonè permeffò d’ abbandonare il lavoro A
‘quelle, che vanno in campagna, non fi dà nulla
‘da maùgiare : fi fuppone, ch’effe piglino il tratto
‘innanzi; ma nè tampocò a quell’ altre, che ab-
:bozzano le cellette. Per verità l'opera di ‘coftoro
è ‘penofa. Sono obbligate a ipianare, a ffendere,
‘a tagliare, ed a manipolare la cera cole mafcel-
“le; ma quelle, che portano un cotal pefo, hann'
ordine , o permiffione di defiffere dal lavorò a.
‘buon’ ora. Vanno poi a procacciarfi il lor vitto
‘in campagna , e fi diffraccano da un impiego sì
‘Taboriolo , per prenderne win altro' di. molto mi-
nore' fatica | Quelle , che fottentrano elle lor ve-
“ci ; paffano , e ripaffano colla lor bocca , colle
"zampe , e colle natiche tutta quafita la fabbrica ;
nè cellan di ticominciare da capo quetto fieffo la-
voro, fintanto che tutta l’opera nou è ben pa-
‘lita, e ridotta suon perfezione . E ficcome
® Tom. I I quell”
i
130 Li xp A EA
queft’ ultime han bifogno. di riftorarf di quando
in quando col cibo , nè, poffono in quefto mentre
tralafciare. il lavoro; così ve ne fono dell’ altre,
che flan lì pronte per appreftargliele 3 quantun-
que volte il dimanda è
Cav. L'avete fi e ‘vedute a fergixiali
Cost. L'ho dun beniffimo. Si parlano a cene
ni. La lavorante, che ha fame, abbaffa la trom»
ba dinanzi alla difpenfiera ; 5 e con ciò le dimoftra
d'aver bifogno di reficiarfi. Allora la difpenfiera
apre la fua fiafchetta delmele, e ne verfa alcu-
ne gocciole, da me diftintamente vedute fcorre=
re per tutta la tromba dell’ altra; ed ho offeryva=
to, che quefta tromba veniva di mano in mano
L gonfiarli, intanto che il mele paffava .. Dopo
*sferfi riftorate con quefto poco di cibo, fi rimet=
‘ono a lavorare , agitandofi colle zampe,, e con
mici d refto del corpo. gl:
Il compimento di quefta fabbrica dee ri
Rica di gran.tempQ. yi »
Cont. Quantunque l’ aggiuftatezza , ele propor-
zioni della medefima fiano prodigiole 3 ciò non
Sftante la follecitudine dell’ operaje è. sì grande,
che un favo a due palchi, drizzati lun iopra l
altro d'un piè di lunghezza , e di fei quarte di
‘arghezza., fi finifce in un giorno: eun cotal favo
‘3 capace di dare alloggio a tre mila pecchie... ‘
Nella ftruttura di. quefti favi fi ravvifa. una
fimmetria , ancor più perfetta, che nella fabbrica
.delVefpajo. Imperciocchè il fondo di quefie cel-
luzze, non folamente va-a terminare in una pic-
cola punta , per dar ricovero all’ uovo vicino, e
far sì, che vificoncentri il calore, (la qual cofa
non avverrebbe, fe il fondo foffe piatto); madi
più è a faccette o; cioè compofto di piccoli lati trim
angolari , i quali fl riunifcono clattamente. negli
Se
|
|
wecchiarfi rovinano ; e quelle quanto più invee-
DiaLoco Sesto. at
afigoli, «e fi combacian perfettamente a un per
uno nell’ eftremità confimili delle camere oppofte i
Rompetene qualcheduna, e troverete la verità di
quanto vi ho detto . Offervate oltre a ciò , che
le pecchie difpongono , e acconciano i loro” favi
in una maniera diverfa dalle medefime aa :
poichè , laddove quei delle vefpe fono fcempj,
compolli di due file dicafe, che vengono a com-
‘baciarfi ne’ fondi; quefti ftanno fofpefi a perpendi=
colo con untramezzo fral'uno, el'altro, non tan-
to ftretto , che l’api non poflano avervi il paf-
faggio, nè tanto largo, clie non vi fi poffa con
i fervare il calore, che lor bifogna.
Cav. Ma, Signore, full’ introito di tutte quefte.
cellette ravvifo una foglia , che rende, la porta
più ftretta:, che effe non fono; laddove nelle ca-
‘mere delle vefpe tanto è largo l’ingreflo, quan-
to le camere iftefle.
Cont. E quefta fiè una precauzione di più. Im
perciocchè ; ficcome l'api campan da fei, o fette
enni, € ancor davvaataggio ; laddove le vefpe
appena arrivano all’ anno (e quiè da aniica ni
la Provvidenza , mai fempre degna de’ noftri ri-
file ) ; vosì l’api fortifican l' ingrefio delle lor
celle con, quefta foglia, la quale unita all’ altre
delle celle contigue , forma un compofio tanto
difficile a rovinare, che la lor fabbrica fi mantie-
ne in piedi per molti anni , ad onta degli ftrofi-
namenti, delle paflate, c ripaffate, e degli urti
‘continui, che vi danno le madri, nell’andarvi a
fi vt l’operaje nel deporvi la cera, ol mele,
Cale ninfe; che icangiandofi in api, s’agitano, €
| fi dibattono fieramente per difrigarfi.
Prior. Avviene di quefte celle tutto il contra-
rio di quel, che fia delle noftre. Quefte nell'in-
ti chia-
s\
| (pi
13% | Lei A- pig
chiano (almen fino la un certo tempo) acquifta-
no più fermezza . RAT RA
Cav. Come mai può effer quefio?
Prior. 1 fondamenti delle nottre cafe avvallano
in un cotal terreno , sù cui fon piantate. Le
mura vanno a poco a poco cedendo; fan grembo ;.
e finalmentè perdono il perpendicolo . 1 Fittuarj
{congqualfan tutto: ed iltempo di giorno in giorno
le indebolifce . Ma le cale dell’api , pato olta
che vengono a foggiornarvi delle nuove affittua-
ric, più fi fortificano. Ciafcun verme, prima di
tratformarfi in crifalide, attacca la propria pelle.
alle pareti della fua camera , e ve l'attacca in
maniera, che la medefima non ifconcerta la figura
degli angoli , e non guafta in conto alcuno la
fimwetria. Una fola cella è capace di fervire 2
tre, o quattro vermicciuoli l’un dopo Paltro; e
la fiate feguente a altrettanti. Ogni verme for-
tifica fempre più le pareti della fua camera, con
applicarvi la propria fpoglia; e quella , che l'è
| contigua , acquifta per la medefima ragione lo:
fiefflo nervo. N°ho vedute talvolta fette, ootto
attaccate l’una fopra dell'altra: ficchè trovando!i
tutti itramezzi forniti difei, o fette pelli dall'una
banda, edall’altra; ed effendo di più ftuccati, €
immaftricciati di tenaciffimo vifchie , la fabbrica.
veniva a efiere fempre più forte, e durevole.
Cav. Ma , Signore , io vi ravvifo un difordi-
ne © concioffiachè può tanto accrefcerfi il nume-
| to di quefte pelli ; che finalmente la cameta di-
venti angufia. { |
‘ Prior. La voftra difficoltà è molto bene fondata .
Ricorro per tanto al Signor Conte; affinchè vela.
fciolga con una ragione, che appaghi.
° Cont. In tal emergente, fapetevoi a qual par-
tito s'appigliano l’ api ? Fan fervire fcambievol=
I mente
DitaLoco Sesto. 133
‘mente 'a un altro officio le celle: allogano i par-
ti, dove ponevano il mele; e pongono il mele ,
eve allogavano i parti. Tal è il fentimento di
alcuni offervatori. Io però non ve nefo ficurta.
Per altro , voi ben vedete , che l’api fon brave
‘artefici; onde potete credere , ch’ elleno fapranno,
a un bifogno, levare il fuperfluo; come che non
pofla negarfi, che ih termine di fei, o fett'anni
le celle comincino a efler angufte , e che tutta
quanta la fabbrica\vada a male. Finora, Cava-
liere mio caro, v' ho fatto vedere quanto perité
fieno le pecchie nell’ arte del fabbricare. Fa d’uo-
po adeflo informarvi della loro economia; e di-
vertire i nofiri occhi in tutto ciò, che concerne
il magazzin della cera, e del mele, la cui mani-
polazione, ed ufo vi riufciranno ugualmente ag-
gradevoli. Primieramente hanno innanzi l’avvers
tenza quefte beffiuole di....
Cont. Oime! Signore, non v'è più fperanza di
profeguire. Ecco cinque , o fei cacciatori , che
fmontano nel cortile ; ed ecco, che i lor cavalli
fon gia guidati alle falle. PA
Contef. Non ci prendiam tanta prefcia , no .
Vedo , che que’ Signori fi fanno cavar gli Rivali :
manderanno, ad avvifarci. Il Signor Priore ci ha
moftrati i migliacci, etutto ciò, che in effi fi con-
‘ teneva; ma noncihafatto vedere quel, che tiene
ripofto ia quella carta. Vediamolo un poco.
Prior. Voi gia conofcete le celle, dove le pec=
chie allogano i lor figlioli : fiete ancora infor=
mati de’ magazzini , in cui ripongono il mele :
or eccovi inquefto foglio di carta bianca un pez-
zo di favo, ov'è il mele.
. Cav. Non ha egli bifogno di qualche purifica»
zione , prima che poffa mangiarfi?
Prior. Mainò. Anzi quefto è il mele nella ves.
I 3 ta -
©
“E
134 Le Apri. Diatoco Sesto.
ra {ua purità . E' molto migliore così , chenonè,
dopo efier contaminato per mati dell’ omo. Mor=
detene un pezzo, e mangiatelo addirittura; fpu-
tate folamente la cera.
Cav. No ho guftato mai in vita mia una cola
più dilicata. Non è maraviglia, fe tutti gli au-
tori, che ho letti, quando pretendon di dire una
cofa graziofa, menzionano fempre il mele. |
Prior. ll mele era il zucchero degli antichi. Ih
| oggi fe ne fa pochiffimo conto; perchè abbiamo
il comodo di far venire dall’ Indie orientali , ed’
occidentali le rimeffe del zucchero .
Contef. Signor Cavaliere, mi pare, che voi fia-
te del gufto degli sttichi i
Cav. Madama, quefto è "1 primo giorno, ‘ch'io
fon arrivato a fapere , che cofa fia unfavo di mele.
Contef. Imparate, imparate in buon’ ora. Voi
lo vedete. ll Signor Priore è fempre lo fieffo .
Tutto ciò, ch'egli fa, ebene afieftato. Quando
farà ufcito di qua , fe n’ andrà ad infegnare la
dottrina Criftiana in qualche capanna: dove per
‘tanto mele non mancherà di portare la fua limofina .
Prior. Godo fommamente , che il mio metodo
di operare uon vi difpiaccia. Quanto alla limo»
fina, il merito è tutto voftro ; ed io; per lo] più,
ne fono il femplice difpenfiere
Cont. Quefti animaletti s' ajutan benifimo fra
di loro ; fl prevengono ancora l’ un l’ altro con
‘una cortefia impareggiabile. E noi avrem cuore
d’ abbandonare il noftro proffimo ne’ fuoi bifogni ?
Io per me fon d’opinione, che il più gran pia-
cere, cui pofla provare un uomo nelmondo, fia
proccurare ; che nonvifieno de poveri; e quefio
e un piacere , che tanto maggiormente può cre-
fcere, quanto maggiori fono le facoltà , che da noi
fi pofliedono . Andiamo a ricevere i nofîri foreftieri .
Fine del Dialogo feffo,
135
tg
DIULOGO SETTIAMO.
I Cani i
“La CONTESSA % DI GIONVALLE ,
“L PRIORE
Ir CAVALIERE DEL BROGLIO.
|
Cav. W7I fovvenga, o: Siatiiti : eLe” oggi ab*
biamo due gran manifatture da vifi-
tare : Loirisella della cera , e quella del mele . lI
Signor Priore ha ofiervata’l’una, el'altra fottil-
mente:. Bramo per tanto , ‘ch'egli mi moftri al
la bélla prima in che. confitta 1a: Cera.
Prior: Le pecchie fanno due forte di cera. (M.
Maraldi, .) L una è più groflolana, e l’altra più fina.
La prima è nericcia; € s'affomiglia piuttofto alla
pania, o veramente a una denfiffima pece . Ella è un
compofto di fughi amari, cui van raccogliendo da
certe piante particolari , efempigrazia dalle pagl ie,
da’ legni marci, o da’ liquori alterati’; e acetofi .
La feconda è una fpezie di manteca naturale, d’
‘olio vegetabile, denfo, e odorofo; che le medefime
| van fucciando da quei grane Hifi, che voi vedete
fulle filacciche germoglianti dal bottone de’ fiori ,
Cav. E quella pania a che mai può fervire?
Prior. Vel dirò io. Quando le pecchie hantio
trovato un paniere , o un alloggio proporziona=
to per loro, la prima cofa, che facciano, è tù»
rare perfectamente tutti i buchi, che in effo-fi
trovano, con quella pania; affinchè i venti non
poflano. avervi. l’ingreflo, nè gl infetti, che vor=
rebbero beccar detta pania, poffan foffrirne l'amaro»
I a Cont.
Là L E A 2 Ù
Cont. A quefto propofito ho, da contarvi und
Qoria; di cui io ftello fui tetimbnio di if
fono ancora molti giorni pallatig: che ur
7. 4 divisò d'introdurfi nel mio ‘alve
lo, cui tengo fempre fulla fineftra», Vi volle del
buono, e del bello, perch ella arrivafle a trova»
re la gretola ; ma tanto s' ingegno, e tanto fe-
ario di ‘criftal+
ce, che finalmente riufcille «d° entrarvi. Le por-.
tiniere le fecero co’ lor pungiglioni un peffimo ac-
cetto. I primi colpi, ch'ella fenti, le fecero ac-
celerar il pafflo. Ma la ftupida beftia , in vecedi
riguadagnare la porta, s' inoltrò vie più avanti,
credendo per coral modo d’ ufcir d’ impaccio . Ec-
cotela dunque nel vero mezzo dell' alveario . Al-
lora una truppa di pecchie le faltò baldanzofa-
mente” alla vita ; e tante gliene diè , che fotto.
alla “furia. delle percoffe in breve tempo fpirò . Li
imbarazzo fu poi a voler liberarfi di quel cada-
vere: non vi dirò altro; bifognò , che fi' facefle
tra le medefime pecchie una generale confulta .
Cav. E il Signor Conte avrà ficuramente fen-
tite tutte le loro opinioni.
Cont. Dalla prima fin all’ ultima. Udite ciò,
‘ch’ efpofero le più fenfate : ,, Che il pretendere
:,y di gettar fuori quella beftiaccia , era un tentar
33 l’impoffibile : la mole era troppo pefante . Ol-
,» tre di che il di lei cadavere ftava gia attacca-
33L0x, mediante il fuo vifchio, al pavimento dell’
di alveare . , Che il lafciarla nel mezzo del folajo,
3, €ra un alleficarvi le mofche'; ed efporla ad in-
s) certo fopra de’ favi, es’ attaccherebbono a’ ver-
< 3, micciuoli nidiaci. Il male era imminente , e ri-
chiedea un pronto rimedio. ,, Non indovinere-
dic mai hi quale afiuzia fi fervirono l’ api per ri-
pa-
\
PA carognirfi, edinverminire. I vermi, dopo aver
s, divorata la carne della Vila ; falterebbono
Dravsoeo SettIMO. 137.
‘pararfi. Ma, fe ho da dirvi la verità, avrei ca-
ro di fentire in quefto propofito il voftro pare=.
re.. Via, Signor Cavaliere, che ripiego fi fareb=.
bé dovuto prendere 2
Cav. Sotto quefta interrogazione cova certo la
furberia. Verrò poi fcorbacchiato, come un mi-
lenfo; e fi dirà, che io non hogiudizio, quanto
una mofca. Via, finitela: come fecero?
Cont. Impiaftrarono di gomma tutta quanta
quella lumaca, e l’ immaftricciarono in modo ta-
le, che non lafciandovi alcun adito aperto , nè
pure alla penetrazione dell’ aria, non poteva a ca-
gione della fua. crofa, nè dar.ricetto al difuori.
all’ uova delle mofche, nè tramandare alcun puzzo
didentro , quando fi fofe incarognita, e corrotta.
Cav. Signore, me la farete pur vedere la tom=
ba della lumaca, ne’ vero ? | A
Cont. Ogni volta ; che voi vorrete. Non vi mane
ca, fe non un epitaffio.
Cav. E quando l’ api han ben bene ftuccato
tutto l’interiore dell’alveario, efiritrovanotut= |
te al coperto, come difpongono le lor cafe?
Prior. Il fondamento del loro edificio s’ attiene .
all'alto del bugno . Colà effe piantano un fuolo
di colla, sù cui attaccano le prime celle de' lo-
ro favi. Profeguon poi l’opera, fcendendo fempre
allo ’ngiù ;:e dilatandofi fin tanto che trovano
fpazio da poterfi allargare . I Favi fono fpartiti
in tre rioni. In uno rifiedon gli allievi; nell’ al
| tro i magazzini, ove fi conferva perle occorren-
ze la cera; nel terzo le difpenfe , ove fi ripone
il mele pel verno.
Quanto agli allievi, non ho niente di partico»
lare da dirvi. Ufano appreffo a poco lo fleffo
fiil delle velpe. Appena il vermetto è ufcito fuo=
ri dell'uovo, che la madre lo va ad ora ad ora
10
\
e
SA
13$ E te: cA pur
imboccando di mele. Paffati ss O SPIE giore
ni, ( in capo al qual tempo fi fuol trovare riltuc=
co) un ape vecchia gli va a ferrare lacella con
una portiera di cera, Il verme, al folito , fi ri-
fecca la dentro; e l'ape novella, che fava inef-
fo racchiufà , prende a poco a poco vigore in
quello ftato di ninfa, e quivi alcun tempo dimo-
ra fenza far nulla. Di-là a quindici giorni rom-
pe la fua portiera; e dopo aver bene afciutte le
fue ali, fe ne va 4 depredare fu' fiori 3 fapendo
far fin d’allora il fuo mefliero.
Rifpetto alla fabbrica della cera , il Signor Con-
te, che n'è informato aflai meglio dime, potrà
più i sEroNmenbe moftrarvela.
Cont. Per dir vero , mi fon dilettato in modo
particolare di farvi fopra una diligente attenzio-
ne . La cera è per l’ api un afiegnamento poco
men neceffario del mele . Con efia fi fabbricano.
il proprio alloggio; e con efla copron gli alveo-
li delle ninfe ; e con effa finalmente ferrano le
| difpenfe del mele, Se mai fuccede qualche difgra»
zia, per efempio qualche frattura, o veramente,
che la famiglia fi multiplichi più. “del confueto ,
vi vuol della cera fempre leffa perrimediare . Per
quefto appunto fe ne fogliono ‘provvedere per
tempo. La van cercando iopra varie forte di ab.
beri, e di piante; ma fpezialmente fulla ruchet-
ta, e ful papavero fcempio ; e generalmente sù
tutti i fiori: e quello, ch'è più mirabile, la rau-
nan co’ peli del proprio corpo . E° un piacere a
vederle rivoltolarfi attorno attorno a que’ granel-
lini gialli, che cadon dall’ alto delle filacciche nel
calice de’ fiori , e venit fuora tutte coperte di
quelle farine , come tante mugnaje . Ma il mi-
glior metodo, ch° elleno fappian tenere per rac»
gorre la cera ( fpeaialmente dove ne fia fcarli»
tà,
@
, DifLoco SETTIMO. 139
ta, ) © è diftaccarla tutta “quanta a un boccon=.
cino per volta colle mafcelle, è colle zampe das.
vanti, e poi comprimerla, ed ammaflarla in pic-
coli fagottini , facendola paffare a brano a brano
coll’ ajuto delle zampe di mezzo in una finuofità,
‘ch’'efe hanno in quelle di dietro. Quetta finuofi-
‘ta è giufto fatta come un cucchiajo , difpofto a
‘riceverla nel fuo grembo; ed il pelo, onde le zam-
‘pe fon ricoperte, ferve all ape a tenerla fretta,
' ed impedire, che non cada, mentre la trafporta
all’ albergo. Quefta loro faccenda x viene ora flur=
| bata dall’ agitamento dell'aria , eduyora dalla dili-
catezza dello ftelo de’ fiori, che fot tto alloto cor-
| po fi piega, e.sì impedifce, che non abballino il
lor bottino. Ma inquetfto cafo fi piantano in qual-
che fito, ove trovin fermezza; e quivi compri-
«mono, e raggranellano intorno alle proprie Zam-
pe la cera; e tante volte tornan fu' fiori a rac-
corne, quante abbifognano per far un carico giu=,
0; il'qual compiuto , fi portano fenza dimora’ ©
all’ albergo . Due uomini in un' intera giornata
‘non fon capaci di raunare il pelo di due lenti di
cera ; e due lenti di cera fono il carico confue=
to , che feco porta in un fol viaggio una pec-
chia. Lefomiere, allorchè tornano di campagna,
trovan fubito, chi le foccorre . Imperciocchè ve
n'ha di quelle, che gia le flanno afpertando al-
la porta, e appena arrivate, le afutano a difca-
‘ricare la foma, fcuotono lord le zampe, e fan ca-
dere dall’ una, e dall'altra banda le balle. Effe
allora tornan di pofta in campagna, e fi procac-
ciano. un nuovo bottino . Ma quelle, che accor-
fero in loro ajuto, s' addoffan la foma già fcari-
cata, e vanno 2 portarla nel magazzino . Vero.
6, che alcune volte mi fon imbattuto a vedere,
che quelle medefime, che tornavan col carico all
I al-
/
140 Lib, A ra
alveare, portavan dasper fe fteffe la cera dentro.
una cella, ed accofciandofi colle zampe di dietro,
facevano {drucciolar a baffo la Va con quelle
di mezzo. Ma quefta debb’effere un’ opera di fu-
pererogazione , a cui nefluna legge le aftrigne.
Le balle della cera già fcaricata reltan per pochi
momenti in quella celletta; conciofliachè "RTAE-
giungono nuove api, le quali han l' incumbenza
d’impaftarla, e indurirla; e dopo averla fpiana-
Wil; E ridotta colle zampe in tante fchiacciate ,
l’ affaldellano tutte quante I’ una full’ altra. . E
quefta è la cera rozza , che fi conofce beniffimo
eflere flata raccolta da fiori di varie fpezie, pet
la diverfità de’ colori, che fi ravvifano in ogni
falda . In capo a un certo tempo , cioè a dire
quando la voglion mettere in opera , la rimpafta=
ne, e la rimenan di nuovo, la purificano, l’im-
bianchifcono, e le danno un colore affatto affat-
to uniforme. Adoperan la detta cera conun rif-
parmio incredibile . Si vede \pofitivamente ,: che
quefta piccola repubblichetta è guidata da una
foprannaturale fapienza ; ftantechè in tutte le co.
fe fue non fi fcofta nè pure un pelo dalle mafli-
me del buon governo. Dove fi tratti del necefla-
rio, tutto 8 accorda; quanto al fuperfluo, tutto
fi nega: Di queflta cera non fe ne manda a ma-
le nè meno un briciolo. E con ragione . Imper=
ciocchè , fe effe la fcialacquaffero , farebbon co-
flrette più d’ una volta,a confumare nella ricer-
ca della medefima tutto quel tempo , che loro
abbifogna , per farfi la provvifione del mele . ll
perchè, quantunque volte fcoperchiano gli alveo=
ii di effo mele , raccolgon tofto tutta la cera,
ond’ eran turati, e la ripongono nel magazzino.
Conghietturate quanto fia grande la loro econo-
mia da quelta nuova fottigliezza , ch’ iò.vi di-
1-4
x
DraLoco PRETE sar
rd. ‘Appena un'ape rovella ha rotta \l’ inceratu='
ra della fua cella, ed è ufcita fuora della prigio»'
ne; eccoti due pecchie anziane , che vengono ‘a
raccorre i refidui della predetta portiera , Tfaccon-.
ciano puntualmente le fponde dell’ apertura ;\ &
“vanno a riporre nella difpenfa le particelle dell£
cera, che avanza. Tanto è vero, che non fe ne
perde nè ‘anche una briciola .
Cav, Ma, Signore, non vorrei
“a quefta economia foffimo nello i
do mi dicefte , che fecer confulta
la lumaca. Manto non quell’ ingegno 3 che. in tute
| te quefte fatture. vo ammirando , fia più ftti=
zio, che vero.,
Cont. Ho attribuito poc anzi quel parlamento
alle pecchie per un. certo trafporto di gioja’, che
m’ ha rapito fuor di me fieffo . Ma , realmente
parlando, quella fapienza , che le ha create , le
induce a fare perla propria confervazione di quel-
le cofe, che meglio affeftate non potrebbono ef=' +
fiere, fe quefte beftiuole foffer dotate d’ intendi-
mento. Quanto al rifparmio , ch'*‘io vi ‘diceva;
um impegno di farvelo vedere cogli pri ii
ogni volta che voi vorrete. .,
Cav. E "1 mele, non mi volete dire, che cos”
è, e come fanno a raccorlo ? ;
3 Cont. Gredevafi anticamente , che il cicli fo e
una iftillazione dell’aria, ovvero una rugiada ,
che cadeffe fu' fiori dal Ciélo ; quafi. ehe ‘quefia.
rugiada aveffe un ordin precifo di ‘pofarfi appun=
to fu’ fiori; e non altrove. Ma alla per fin s'è
fcoperto, che la rugiada , e la pioggia fon con-
trariffime al mele; che Jo fan liquefare ; e che
tolgono all’ api il modo di ritrovarne. Il mele è
| più tolto un diftillamento ; 0 trafpirazione di quan-
i più fottile”, e di più dilicato nel fem
to v'ha di
del=
, che in'ordine”
flo cafo di quan»
er liberarfi dal-
na
Fo
142 date
delle piante; il qual diftillamento, trafudando pe’
pori delle medefime, fi va a condenfare fu’ fiori:
e ficcome tutti i pori fono comunemente più a-
perti, quando fa caldo; che in altri tempi; così
non fi vede mai tanta abbondanza di fugo vifco-
fo, e vermiglio fu’ fiori, nè tanto ardore, e fe-
fieggiamento nell’ api, quanto allor quando il So-
le più fcotta. Suppongo però, che le ftagioni fian
temperate: altramente le pioggie eccefive difper-
"derebbono i migliori fali della terra j ne dilave-
rebbono il fugo%più puro ;. e la foverchia. ficcità
impedirebbe, che il detto fugo non ifcorreffe den-
tro le piante. I I
Cav. Ora che noifappiamo, che cofa è il me-
le, mi pare, che fi potrebbe beniffimo andarlo a
prender fu’ fiori da per noi fiefi. Cf |
Cont. Perchè ‘ho? La cofa è fattibile. Non vi
manc' altro, che un ordigno. Via, Signor Cava-
liere, mettetevi all'opera: fatevi una tromba. Già
‘-fapete, come fon fatte. Jeri ve ne moftrai due.
Cav. Ben mi fta. Con quelta mia rifleffione mi
fon meritato di farmi beniffimo cuculiare. Dovea
iuttofto addimandarvi ,. fe le pecchie fi conteri-
tano foltanto di fucchiare il mele de’ fiori, e poi
portarlo nel magazzino; 0 veramente fe manipo-
lano il fugo de’ fiori a modo loro, e sì lo con-
vertono il mele.
Prior. Io per me fon di parere, che l’ apéè non
preli al mele una modificazione diverfa col ma=
nipolarlor. Credo, ch’ ella raccolga con molta di-.
licatezza quel preziofo giulebbe, per appunto co-
me la natura lo dà ; che ne riempia la fua fia-
fchetta; e poi lovada a votàre nelle bottiglie dele
la fua canova. Mib: pnt
Cont. Io pure fon della vofira opinione; ne ho.
mai veduto, (come pretende, Virgilio ) che de vr
enfi
t x
ì a
DrarocoSETTIMO. dai
Renfi con artifizio , allor ch'egli è troppo ligui-
do. Non dico, che, col riceverlo in corpo, non
| pofla deputarlo,, e dargli una maggior confiften=
‘za: ma tutto ciò, che Ho offervato a propofito
delmele, fi riduce poi qua: che l’ api lo fuccia=
no colla tromba ; che giunte al quartiere lo vota»
no dentro 2 favi deftinati a quell’ ufo: e che del-
le cellette già piene, parte neturano colla cera,
per fervirfene ne’ lor bifogni l'inverno ; e parte
ne lafciano bell’ e fturate., donde ciafcuna fe ne.
va a prendere il fuo bifogno per riftorarfi , con
una parfimonia efemplare . |
Cav. In verità, vv ha più regola fra le api, che
fra noi.
Prior. Caopartii L' alveare È
avrebbon bifogno d’° andar a imparare molte per-
fone. Quivi fi ravvifa la prudenza;, il induftria, la
“arità verfo il profimo, l'amor delben pubblico,
LI
“2 voglia di lavorare; ed in breve; tutte quante.
“e virtù. Dirò di più: vi fi leggono, e vi s' in
legnano»
una fcuola, dove -
Cont. Ciò, che mi fa più impreffione 5 in ordi-
me.a quelle beltinole, fi è il vedere fra loro uno
spirito di focietà, per cui vengono a formare un
-‘orpo politico; perfettamenterconcorde , e felice.
Airate uno "anna di pecchie , ed offervate sù
qual fitema ciafcuna di effe fi regoli nell’ opera-
‘e Tutte faticano pel comun bene; tutte ofler-
vano fedelmente le leg egi, e gli flatuti della pro=
iriacomunità . Non v'è alcun fine particolare , non
“ittinzioni s non privilegy ; eccetto quelli, che la
“natera , O la neceffità de’ loro piccoli pargoletti
«ha fagacemente introdotti. Non le vedete mai
malcontente della lor condizione; non afilitte per
dover abbandonare il nido. natlo; non malinconi»
«che peo trovarti foggette , o prive d’ ogni fufli-
1À dio .
Lie
144 “L E A pi ” |
+ dio. Anzi fi ftimano perfettamente libere, e ric-
che : e realmente lo fono. Sì bene, ch’ elleno sot
libere; mentre non dipendone, ché dalle leggi:
ui che fon ricche ; mentre l’ unanime dici
‘ mento , con cui concorrono tutte quante ad a-
dempier l'ufficio loro, produce con ficurezza un’
‘opulenza sì fatta, che rende ricca ciafcuna. Pa-
ragoniamo un poco la focietà dell’ api alle noBtre/
Quefte ci compariran moftruofe. E' vero, che la
neceffità, la ragione, e la morale filofofia le han
no formate fotto il titolo commendevole d’ aju-
tarfi fcambievolmente l’ un l’altro. Ma i privati
difegni rovinan tutto :.intantochè la metà degli
uomini s' appropria il [Hein e fpoglia I° altra
del neceffario .
Prior. Così è: Quando l’uomo non È ‘guidato
dallo fpirito di Dio, è fenz’ altro il più maligno,
I più perverfo di tutti: gli altri animali.
‘ Cont. Mi fento ferrar il cuore; quand’ io confi-
dro fin a che fegno la nobiltà della noftra con-
dizione arriva a avvilirfi ; {pezialmente per quel
malnato talento ‘di far grande; e di vivere agia-
tamente, fenza volerfi prendere alcuna gn ae
il proffimo ha pur un abito da ricoprirfi , oriun
pane da, sfamarfi. Ma diftolgiamoci da quelo fpet-
tacolo , ‘che rende orrorgg e quantunque in quefti
piccoli animaletti, che vivono con tanta quiete,
e concordia, leggafi la condanna de’ noftri vizioti
coftumi; profeguiam pure ad efaminarli. La loro
infpezione m° alletta oltre modo. Signor Priore ,
| mi ricordo ‘d'aver veduto in cafa voftra un al-
vear di criftallo, ove, mi dicefte, d’ averalloga-
to uno fciame dA api baftarde ; dette altramente
calabroni. Dateci di grazia qualche contezza .
Prior. Siccome io fapeva, che voi facevate fiu-
dio O le pecchie ordinarie; così ho Hg di
ar
Driaroco SETTIMO, 14%
- far bene ad offervare le baftarde , per vede»
re qual differenza paffafle tra i'une e l'altre <
(V.Goedaert, 0 Godart.) Le pecchie baltarde, che
volgarmente]fi chiamano calabroni , fon molto me-
no induftriofe, ed econome delle legittime. Non
la guardono tanto pel fottile; e le loro manifat=
ture fono per tutti i capi inferiori a quelle dell’
altre pecchie. Ciò non oftante vi fi trova un non
fo che di vago, € di bello. Il loro nidio è com-.
poîto di foglie fecche impiaftricciate di cera. La.
piantano il più delle volte ne’ buchi fotterranei ,
abbandonati da’ topi campagnuoli, e lo ricoprona
con una buona volta, per difenderlo dalla. piog=
gia, e per far sì, che non vi cada fopra la ter=
ra. Lavorano dentro il mio bugno, come fe fol».
fero alla campagna : i principj della loro archi»
tettura fon tuttiuniformi. Quefto nidio.è buche-
rato, come una fpugna; ficchè agevolmente fi ve-
de ciò, che quincentgo fi fa. Ciafcun calabrone fi
fabbrica una celletta di cera della grandezza d°
un groffo cecetagliato a mezzo, ritonda, e cons
cava, e fomigliante alla metà d'un gufcio d' uo»
vo. Diqnefti differenti gufci formafi come un grape
polo d'uva, molto vago a vederfi/. Le femmine
che (a fomiglianza delle velpe e dell’ api comu-
ni) fono in pochiffimo numero, depongono le lo-
ro uova ne’ gufci anerti , e tolo fopravvengono
altri calabroni a ferrare le dette cellecon un co-
perchio di cera. I medefimi s' accovacciano fopra
i coperchj; e quivi inceffantemeute fi dibattono),
‘e s agitan fieramente; 0 fia per riicaldare quell
uova; 0 fia per ripararle almeno dal freddo. Sbu<
cati, che fieno i lor feti, tentan di rompere la
porta della prigione : e i calabroni , che flan di
. fuori, gli ajutano,.firopicciando , e moliificande
° da chiufura incerata, chelityattiene. Sopraggius
fizyn, L, K gne
î36 (prete ana
ne dappoi un de’ più grofli fra gli altri, e fi di.
vora tutto quanto il coperchio.
Cav. Come? Si pafce forfe di cera?
Prior. Non gia. Se la fa concuocere dentro lo
ffomaco ch'è affai calorofo; e poi fe ne prevale
per altre faccende. I vermicciuoli gia nati vengon
forprefi da certi moti convuifivi, che li fanno fie-
ramente fudare; e dell’ umore, che dal lor corpo
trapela, PIANI un vifchio , che a poco a poco
congelafi, e diventa una bianca membrana , che fas
fcia in unattimo tutto illor corpo. Quefio fi è il
loro ftato di ninfa . Sembrano allora tanti acini
d’ uva attaccati lun preffo l’altro ; e formano
tutti infieme una picciola ciocca. Pofcia da cia-
fchedun di quegli acini fcappa fuora un calabron-
cino : il qual principia a ftribbiarfi gli occhi co’
fuoi rampini anteriori. Le fue ali, che, median-
te l’ umidità , ftan tuttavia attaccate alla fchie-
na. , a poco a. poco fentende l'aria , s° afciuga-
no; e di lì a wn quarto d'ora fi prova, e s' ar=
rifi ica di correre alla ventura in compagnia de’
fuoi coetanei. Si permette alla fanciulleza il tra-
fiullo; e tutti quei pargoletti, pe’ primi tre gior-
mi non fann’altro, che andar girando sù, e giù.
Danno dell’impaccio notabile al lavorìo de’ mag:
giori; ficche coftor finalmente ftufi delle lor fan-
ciullaggini, fe li levan d’attorno, e li fofpingo-
no abbaffo . Allora quei piceo'i animaletti per
lungo tempo s' aggirano come ubbriachi, e final-
mente fi mettono a lavorare. Portano della ter-
ra nel nidio, per fortificare con effa le falde del-
ta cera, ond’ è compofta la volta ; ipiananla det-
ta terra, e poi la diftendono, camminando fem-
pre allo ‘dietro. Circa alla manifattura della ce-
“ra, nonfen'impacciano, fe non i vecchi: i gio-
vani fervono loro foltanto in qualità di manovali.
Cav.
/
) Bratoco SETTIMO. 147
Cav. I calabroni hann' eglino il loro ui o Re
gina , come le pecchie?
Prior. Io certamente ho veduto fra’ miei (eciò
non una volta , ma mille ) un calabrone molto
più sreffo degli altri rutto fpennacchiato , e' pe-
lato. Egli era nudo , come un uccel fenza piu-
È ime; e nero, quanto una pietra lavagna; o quan-
to un n ben brunito. Honotato, che quefto
' Re andava a vifitare di tempo in tempo i lavo-
ti; entrava per tutte le celle; e parea , che
| fquadraffe , ed efaminaffe , fe le cofe foffer dif-
pofte a dovere. -
Cont. Signore , non fo, fe abbiate ben ponde-
rato tin tal punto: ma dubito fortemente ‘, che
| quefto voftro Re non fia piuttufto una Regina ;
‘\@ che le fue vifite delle cellette non tendano a
i deporvi delle uova. |
Prior. Vi confefflo ingenuamente di non aver
| fatto un efame più, che fuperficiale , fù quefto
i articolo. Voi fiete molto più efatto , e più ac-
curato in tutte le vofire cole di me . Pure pro-
| feguirò a raccontarvi quel, che m'è paruto di
i aver vifto . A voi s * afpecta emendare ciò , che
potrebbe far prendere qualche abbaglio al rofiro
Signor Cavaliere. Ogni volta, che quello Re com-
| parifce pubblicamente , i calsbrodi novelli, che
s'incontrano a vederlo paflare, gli forman tofto
‘corona; battono l’ ale, s' impuntano fulle zampe
I Ufvanti se dopo molti falti, e capriuole l’ac-
compagnaho fino al polto, dov’ ei difegna d’an-
“dare. Quindi il Re s’ apparta, e ciafcheduno ri=
«torna al fuo primiero lavoro . Non vi dirò, che
la voglia di lavorare fia in loro sì ardente, e sì
affidua, come nell’api. Vi vuol altro, per arri-
vare a ‘quel fesno. I calabroni la mattina. fon
pieni d’ infingardìa : provan pene dimorte, a met»
2 terfi
148 Lori fA bt
terf in traino . Ma v' ha uncaporione, che ogni
mattina, un'ora, e mezza dopo lalevata del So-
lol fi porge colla metà del fuocorpo fuori d’ un
buco defiinato propriamente 2 queft' ufo, e ch'è
fituate in cima della città ; e quivi battendo l
‘ali, fa per lo fpazio d’ un quarto d'ora un'inte-
merata, che delta tutta la gente. Quegli è’ fe=
gnale, che chiama ognuno al lavoro: quegli el
tamburo , che fuona a marciata. Ho fatta più ,
€ più volte notare una cotal difciplina a’ mieg
confratelli, che s’ hanno avuto a fmafcellar dalle
rifa. Ve n'è pur un altro , che fa tutto "l gior-
no la fentinella . L'ho veduto cogiiocchi miei in
fazione; ed ho notato, ch'egli faceva il fuo ufe
ficio con un’ attenzione sì grande, che mi recava
fiupore . Provava talvolta ad urtare con qualche
veemenza nell’ alveario ; e tofto vedeva la fenti»
nella ufcir fuora del fuo cafotto , montar fù la
volta con ceraburbera e inquieta; correre di qua,
e di la, per vedere quanto occorreva ; € dopo efs
ferfi ben chiarito, che non v' erano nei nimici, nè
altri pericoli da temere , tornarfene al primiena
fio pofto . Mi fon prefo eziandio la curiofità di
buttare un’ape tarpata d’ un’ ala nel nidio ; edec-
coti la fentinella fcappar fubito fuora; avventarfi
addoffo a quell’ ape, ed ucciderla . (2)
Cav. Adeffo yedo effer vero ciò, che ho letto
nel mio Virgilio, quando dice che preffo l’ api fi
cofuma di fare la fentinella. Ma ditemi in cor=
tefia: qual è il nutrimento de’ calabroni?
Prior. 1 calabroni fi pafcon d’ un mele men di=
licato di quel, che fia quel delle api; nè può ef-
fer di meno; , conciofliacola che lo raccolgono da
cer-
(A) La politica, che il Godard attribuifce a’ calae
broni, viene ‘ad effer comprovata da una fpezie di cor
po di guardia, che vede tutto dì preffo Î velpajeo
- DBraLoco SETTIMO. i49
certi lor fiori , che fon compofti d’ un fugo più
&amaro.
© Cav. Fan eglino le lor provvifioni per lav
venire?
i ‘Prior. Per | sppyneo, come le pecchie . Si fer:
Vono a quefto effetto delle celluzze , donde fono
sbucati i vermetti; e dopo averle ripiene di me-
le; han l' avvertenza di turarle ben bene colla ce-
| rai Sapiate, che fra i calabroni.ve ne fono degl’
i infitigardi; ord è probabile, chel’ accennata cau-
|| tela fia praticata appunto per quefti.
|\ Cav. Come mai avete fatto ad accorgervi del-
\Ia loro loro poltronerìa?
\ Prior. Sentite come. Nel mentre che tutti gli
altri vanno a procacciarfi il neceffario in campa-
gna, fe ne vedono alcuni; che van ronzando pe
contorni dell’ alveario ; fan fembiante di sos e
fe ne tornano dentro ;, fenz' aver moffa una paglia -
Cent. Permettetemi, ch'io ve lo dica , Signor
Priore: l’ abito; che avete fitto; a vedere tante
male operazioni degli uomini; vi rende fofpetto-
fo. Quefti poltroni, di cui parlate , appreflo di
me; han tutta la cera d’elfere i mafchi da come.
addiviéne delle api . $i paga loro ( s' io non m'
inganno ) il fervigio; ciii pretano alle lor femmi-
ne, ton nutrirli per qualche tempo: e forfe for-
fe all appreffarfi del verno fi caccian via.
Prior. Signore, ciò, che; voi dite; ha molto del
verifimile: nè vedo alcun fondamento ; per fofte-
sere; che fra i calabroni non vi fiano ( come fra
le pecchie ) le lor regine ,, ei loro mafchi; nè che
in un'intera comunità non fi trovi alcuna diftin=
zione di feffo: Ma quefto è ua punto ; che mes
rita tuttavia qualche efame. |
Cont: Vi Prego a continuare le voftre offerva-
gioni Pai pi foa puts cofa alcuna. di quanto fegue i if
K3 quei
|
140 du E n7A I,
quel bugno, per farcene pdrte., Tuttequefte fac=
cende rai giungon nuove.
Prior. Ah Signore! Son finite le mie. offerva-
zioni. M' è intravvenuta una gran difgrazia È
Cav. Che fara mai?
Prior. Quattro: giorni fa, la Regina ufà fuori
2 buon’ora; e fi portò tutta tremante, e cafca»
toja per la vecchiezza fin a’ confini del fuo ter=
ritorio. La vidi abbiofciarfi dietro a un picciol
tialro, c dopo aver penato per qualche tempo ,
ahime! . i ‘
Cav. E bene?
Prior. Spirtò . Tutta la città fi trovò in una
fiera colternazione . Per quel giorno non fi fentà
il felito tocco del tamburo. Ogni cofa.era in filen=
zio; tutto fpirava meftizia , e tetra malinconia.
Cav. Ah, Signor Priore! Voi mi date un tor
mento, che mi traffigge l'anima Re poi , che
feguì è
Prior. Bifogna, che fano inloste delle g?an tur=
| bolenze in quella comunità. Il numero degli abi»
bitanti da allora inqua è andato fempre fceman-
do. Jerlaltro feguì, o una guerra, o, perlome-
no una fieriffima mifchia. Un calabrone più ar-
rificato degli altri vilafciò la telta. Lo vidi ufcir
fuora decapitato, e corrér tuttavia fotto la vol-
ta; dove ha indugiato a morire fin aquetl’oggi.
Non v'è più regola; non ilfolito fegno del mat-
tino; nonfentinella; non lavoro con ordine...
Cav. Per queta ‘volta rifparmieremo. le lacri-
se. Quel baftardo decapitato pe’ fuoi misfatti è
per me un oggetto godibile. o
Prior. Ella è fpedita pe’ miei calsbiinda “poro:
che non ve ne fia per reftare neffuno sa Se ’1 Sis
gaor Conte mi vuol concedere per un’,ora } o due il
noftro e ; gli PESO la ftruttura del nidio,
Cont.
#°
DiarLoco SETTIMO. TSI
Cont. Fate piuttofto una cofa. Se vedete, che
non vi fiano più pungiglioni da temere , diftac-
catelo di dov’ egli è; mandatemelo qua; o vera-
mente cediamolo tutti e due al Signor Cavaliere.
Potrà fornirne con eflo il fuo gabinetto , e ac-
compagnarlo col fuo velpajo . "feti
| @ontef. Signori, non mi chiamo naica ben fod-
disfatta, vedete. E’ vero, che ne avete moffra-
ta l’induftria dell’api ; ma nen ci avete bafte-
volmente informati dell’ ufo , che far dobbiamo
del lorlavoro . Signor Priore , a quanto può afcen=
dere il frutto annuo, che da lor fi ricava ?
Prior. Un cofano di pecchie , (quando le fa»
gioni van regolate) può buttare una doppia, e
più di guadagno . Se per ventura fe ne ricavan
duefciami, l’anno avvenire raddoppia il frutto;
‘non oftante che fi faccian morire le prime pec-
chie col zolfo , affine ‘di ritrarne la cera , ed il
mele. Paffati i fette anni, nonfi fanno perlo più
lavorare; concioffiacofa che la vecchiaja le infie—
volifce,y e la lor fabbrica divien foggetta alle ti-
gnuole ;\ ed a'vermini , che trovan finalmente.la
gretola , per infinuarfi dentro le pelli, onde le
pareti delle loro cellette fono addobbate . Trala-
fcio poi di far quì un minuto racconto della ma-
hiera, con cui fi reftaurano gli alveari. Quefte.
fon cofe , che da qualfifia minimo giardiniere fl
poffon fapere; ed il rozzo abituro del buon Lîe-.
baux fta alla requifizione di tutti.
Non v' ha parimente chi oggimai non fia infor-
mato delle fatture infinite, a cui ferve la cera;
sì quella, ch'è vergine ( cioè a dire tal quale
raccogliefi dall’ alveare ), sì quella , che fi è las
vata, macerata, e imbianchita, con efporla pri-
naa alla rugiada, e poi al Sole . Se ne fa , nom
folamente delle torce, delle candele; de’ mocco=
| i "ID lini,
vl
iu La Ì
fini, delle figure , e mille altre cofe già note .
ina impiegafi ancora nelle operazioni anatomiche, ©
dove, imitandofi perfettamente la natura, firif=
parmia atutti coloro, che nofi han bifogno di far+
vi fopra uno ftudio profondo, l’otrore, che in&
fpira l’afpetto d’ un cadavere, 0 d'un carname;
che fi marcifce. lieu di
Il mele, che firaccoglie da’ terreni più graffi,
son è il migliore. Vi fono certe terre magriffi+
eve; le cui frutta, falvaticine, pollami, e gene»
salmente tutto tiò, che vi fanno, racchiude un
fugo più dilicato, ed un fapor più picccante, che
<rove. Quivi il mele è preziofo . Tali fono le
campagne del territorio della Corbiera ; pochele»
ghe lontan da Narbona, con una gran parte del:
da Sciampagna . H mele d’ amendue quefti paefi
‘porta il primo vanto fra tutti. Ne’ cantoni del+
Fa Sciampagna, che fonfituati lungheffo i fiumi;
e’l cui terreno è più graflo di tutto il refto,-s'
offerva una cofa molto particolare. Imperciocchè
le pecchie , che fono quivi annidate , fanno un
lungo tratto di flrada 4 per trasferirfi ne’ paefi cirà
convicini, preferendo i fiori; cui trovano in certi
terreni magri, e fabbionofi ( il più delle volte
molto lontani ) a quei del paefe, ove ftanziano.
Un gentiluomo della riviera d’Aina, col qual m'
accontai , in viaggiando da Scialon fulla Marna
ella volta di Sciarleville, ne fece far quefta offer-
vazione. Eravamo arrivati prefflo a una lega, e
mezzo vicini alla fua Tenuta , la quale è pofia giù
nella valle, adiacente all’ amene praterie d’ Attis
gnì. Nonfivedeva per anche, fe non paefi defer=
ti, fenza unvillaggio di forta alcuna pertutto il
gircuito d'una grofla lega, a rivoltarfi per ogni
*werfo. Vedete voi (ne difs’ egli, additandoci un
campo di faggina, la cui fragranza ei ne)
®
f
tuti.
Dirarocò SETTIMO. — 1353
fa mia famiglia difperfa per quefti campi? Q 1
lavora per mé. Ora; fictome hoi altri non pene=
travamo il miffero di quefto difcorfo : bifogna ( foge
giunte il Cavaliere ) ch'io vi fciolga l'enigma .
| \Quelle api, chie voi vedete ronzare per ogn' intor=
i no fu’ fiori di quefta faggina, vengonqua da un
paefe lontano una lega, odue. Noile veggiamo
i tgni dì ufcire de’ noftri giardini ; attraverfare la
prateria ; porre in noncale le piante fugofe del- .
la voftra valléa, e guadagnar le colline, ele pia=
riure della Sciampagna } perchè vi trovan deltimo”;
dello fpigo , della perfa ; della faggina , e varie
altre piante, piuttofto magre; ma d’ un fugo più
dilicato delle primiere . Per tutto ’l viaggio, che
voi farete di quì a cafa mia, incontrerete fempre
dell’api: ed alcuni offervatori curiofi han trovato,
tom’ elleno fanno per fino a tre volte il giorno una
lega; odue di ftrada; per poterfì cibare a lor gufto.
Contef. Signor Cavaliere mio caro; vovedendo,
che quefte noftre conferenze fi fanno tutte a fpes
fe di quefti Signori : E’ vero, che noi due fiam
mefchini; ma ciò nonoftante bifogna far ful pun<
tiglio. Domane ognun venga all’ accademia col=
la Storia di qualche infetto; € così facciamci vas
lere ‘ancor noi. Metto iv;
Cav. Io per me ricorrerò all’ ajuto del Signor
| Priore.j e sì mi comforto di.non consparire dos
imane in feflione colle man vote.
Fine del Dialogo fettime:
si 194 | |
Lo Big br es
DIALO.G:0 OT TA MO,
IL Conte
La Contessa È DI GIONVALLE.
IL PrioRE |
IL Cavarisre DEL Broetio.
Contef. (‘Ignori, diamo in prima un’ occhiata al-
le noffre ricchezze . Vediamo , come
“ciafcuno è venuto ben provvifto all’odierna feffione.
Cont. Io per me non vi poffo daraltro, chela
mofca , e lazanzara.
‘Prior. Jo vi darò la grillotalpa, e la formicola .
. Cav. Edio’l mirmicoleone; cioè a dire il nimi»
co più capitale della formicola.;
. Contef.Ve' ve’! quanta materia per una fola con-
ferenza! Poffo ben rifparmiar la mia parte adun
altro giorno . Chi è fcarfo di facoltà, fiva via via
| riparando a forza d’ economia. #))
Cont. Principiamo dalle mofcne ordinarie.
Non v' ha quafi fpezie di mofca ( per quanto
mifero, e trifanzuolo ne comparifca quefio: ani-
male), che non fia di cinque , o fei comodi pe’
fuoi bifogni fornita, iquali le appreftano un con-
tinuo , ed efficace foccorfo .. Ella ha degli occhi
brillanti , delle antenne, una tromba, dell’ ali ,
de’ rampini, e delle fpugne, o pallotte . Buona
parte di loro han di più un vigorofo fucchiello, .
o un pungiglione; o una ronca; ed alcune forno
anche armate di due fortiffime feghe.
Gli occhi della mofca, nonmen di quelli degli
fcarafaggi, e de’ grilli, fono d'una Aruttura fin-
golariflima . Ella confifte in due lunette, o femi=
cite
INILICS MAR su
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Mit ;
Dadi EDEL ESCAIABUA LI
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DiaLoco OtTAVO... 155
circoli immobili, che formano intorno al capo:co-
rona y e fon corredati d'una moltitudine porten-
tofa d'occhietti, ofpecchietti, che fembranotan=
| pate i [te
A | Spiegazione della Figura .
A. Crifalide provenuta ‘da un ‘verme acquatico. a. La
fua coda untuofa, che fa a fior d’acqua. mentre che
effa folleva la teltainaria, olafpenzola giù nell’ acqua.
B. La zanzara fcappata fuori della crifalide, che le
fervia di vagina. 1.La fua tefta, e’! fuo ciuffo. 2.Lea.
‘fue corna, od antenne. 3.La tromba, od aftuccio de”
fuoi verduchi. 4.Il medefimo aftuccio, donde efcon fuo- .
%
ra i verduchi per un pertugio, che ‘v’ è alla banda.
5.6.7. Varie figure di verduchi, che fcappan fuori del
detto aftuccio, o tutti infieme, o a un per volta : il
tutto ingrandito col microfcopio. Offervifi, che, oltre
‘alle accennate Zanzare, vi fono molte altre fpezie di
mofcini: ma quefta figura bafterà per tutti.
. C..La lucciola, e la mofca ordinaria ingrandita col
microfcopio.c. La tromba della mofca.
D. Gli occhi degl’infetti.. |
E. La marmeggia ingrandita col microfcopio. .
| F. La formicola ingrandita col microfcopio.
G. La grillotalpa, nella fua grandezza naturale. Sot=
to la fquama di quetto animale fi vedono fpuntare due
. piecole alette. Quella codetta, che arriva fin all’ eftre-
mità. del fuo. corpo, non è altrimenti una coda.; ma
confifte bensì iu due altre alette affaldellate.
H. La pulce ingrandita col microfcopio. a.Itre fpil-
letti, che lefpuntano dalla tefta, fra iquali quello del
mezzo probabilmente le ferve ditromba per fucchiare il
fangue . b. Le lunghe fue zampe, fornite di molle per
|. poterfì lanciare da un luogo all’altro. c.L’uovo della
medefima pulce assrandito col microfcopio. d. Il det-
fo uovo, rotto dal verme, che n'è ufcito fuora. e. Il
verme , onde nafce la pulce. f. La crifalide , che s° è
disfatta della fpoglia di quefto verme, e che refta una
vagina, ove fi vede la figura delle zampe della pulce,
‘che.v’è incorporata. Quefta maniera di formarfi, con-
. fimile in tanti altri animali , ed altrettanto regolare.
Ne’ più minuti, ne moftra adevidenza,, che il cato non
ha alcuna mano nell opera della natura: ; e che tutte
fon fatte con fimmetria, e con difsgno.
a
N
156 L e M os cu;
te lenti pofte in ordinanza sù delle linee, che s
incrocicchiano infieme a foggia di grate. ( Leeys
ewenbock Arcan:nat. 1.3. €p.12.) Sotto: a quefti ocs
chi fi ravvifano altrettanti filamenti, onervi ot-
tici, quante fono le faccette efteriori : ed alcuni
braviffimi offervatori pretendon d’avervène anno-
verate parecchie migliaja (otto migliaja almeno ;
fecondo il Leeuwenhoek negli efperimenti, € con-
templazioni ep. 83. Microgr. by Hooke . ) per banda.
Checchè ne fia circa al numero, certa cofa è , che
tutti fono tanti occhietti; in cui vengono a re-
ftar dipinti glioggetti per ogni parte, come in al-
trettantifpecchietti. ( Leemwenock Arcan. nat. 13.
ep.12. Puget Offervazioni .) Prefentandofi innanzi
a loro un moccolo accefo, vi fi fcorge l immagi»
gine del medefimo raddoppiata infinite volte ; ed
a mifura , che la mano dell’ oflervatore salza ,
o s abbafia, fi vede alzare ; è abbaffare in cia
{cun occhio ‘quel lume .
Cav. A che fervon tanti occhi ? Vedo pure ,
che un’ infinità d' animali fe la paffan beniffimo
con due foli.
Cont. Gli occhi degli altri animali fî moltiplicano ; ;
in certo modo, avoltarfi per ogni verfo. Ma quei
delle mofche nom fon volubili, nè poòffon vedere,
ie non gli oggetti, che fi prefentano loro dinan<
zi. Il motivo dunque; per cui ne fon corredate
în tanta abbondanza ; ; fie, perchè abbian campo
di vedere per ogn’ intorno il fatto loro. La mo
fca ha di molti nimici; ma mediante la moltipli-
cità de’ fuoi occhi, nel tempo fteflo, ch’ ella rin
corre la propria preda; che le fugge dinanzi, ve-
de beniffimo chi la perfeguita per di dietro, per
di fotto, e alle bande : e quel, ch'è ancor più
mirabile, con tutta la moltiplicità de’ fuoi occhi y°
ron ravvifa gli oggetti in confufo; ma chiari, €
ay 8...
Po at
t
. DiaLoco Ottavo. 157
» giftinti, come li vedremmo noi ftefi, che non n°
abbiamo , fe non dué foli.
Del relto vi farò poi vedere nel abi microfco=
pio le teffiture de’ nervi, la lucentezza degli abi»
ti, e le frange dell'ali. Offerverete da fette, è
otto articolazioni, ogiunture; due uncini; e una
quantità di punterelle s onde ciafcuna delle fue
zampe è guernita. Noterste altresì due battuffo=
li, 0 fpugne piantate a baflo, o perdir meglio,
fulla giuntura de’ fuoi rampini. Alcuni fifici ham
divifato ; che quando la molca cammina fu' corpi
lifci, dove' nè î fuoi rampini, nè le fue punterel-
le trovano da attaccarfi, vada: premendo ad ora
ad ora le dette fpugne, e ne faccia fpillare una
certa colla, che la oftiene baftevolmente, perchè
non cada, fenza impedire , che la inedelinà not
profegua il fuo viaggio. A me però fembra più
| verifimile, che quefte fpugne faccian lo ffeffo ef
fetto, che.i polpaftrelli carnofi, onde fon corre»
redate Ie usne delcane, e del gatto; cioè a dire',.
che. ajutin la mofca a camminare più ‘mollemente ,
e a prefervare i. predetti rampini, la cui punta
fi confumerebbe affai prefto, fe non aveffe quefta
«cuftodia. Ma la mofca, oltre alle fpugne accen-
nate, è pur fornita per tutce quante le zampe di
peli, che le fervono di fcopette, per forbirfi non
meno l'ale, che gli occhi our
Cav. Ah! egli è vero sì. Mi fon Dreto più
volte fpaffo di ftar a vederla, quando faceva que-
fio lavora. Ella primieramente fcuote la polvere.
delle fcopette, fropicciandole ben bene infieme :
pofcia fe le fa paffare per l’ali, tanto difotto,
quanto di fopra : ed ‘appreflo fe le va Mrofinans
do per tutta la telta . Ma che bifogno ha ella
mai di rifar tante volte lo fleffo giuoco?
Prior. siae natura le raccomanda caldamente la
pu-
158 Lin Mè0 sc mE
‘pulizia : ed ella ben fa, che, fenza una tale cau>
.'Zione, il fumo;.la polvere, "la pioggia, e le fief=
fe nebbie le appannerebbone gli occhi, le ‘aggra-
verebbone l’ ali, e indebolirebbono il dilicato fuo
corpo. Ma non MIABI NARDO Ar il difeorfo del nie
gnor Conte.
Cont. La tromba delia mofca è di due pezzi :
uno di effi ripiegafi, e va a’ncaffarfi nell’ altro;
e tutti e due fi rannicchiano , e fi ritirano ver=
fo il collo. L’eftremità della medefima s° affila,
come un coltello, per poter trinciare ciò , ch° el-
la mangia : oltre di che forma di effa due lab-
bri per adunare il fuo cibo; e con attrarre a sè
l’aria, che v'è dentro, ne forma un cannello per
fucciare i ignori .
Finalmente diverfe mofche han fotto ’! codrio-
ne un fucchiello. ( Lecuwenboek Arcan. nat. t.3.
cpift.136.0 t. 2: ep. 64. ) talvolta lungo più di
tre linee, con cui traforano checchè lor piace, ‘e
poi lo ritirano dentro le fquame . Quefto ftrumen-
to in certune è compofto in primo luogo di due
teghe guernite d’ acutiffime punte; fecondariamen»
te d'un lungo aftuccio , che ferve lor di cufto-
dia; in terzo luogo di mufcoli, che le fofpingo=
no tuor dell’ affuccio, e di cordicelle , chè le ri-
‘tirano dentro; e finalmente d’ una vefcica ripie-
na di certa poltiglia , che ferve a ricidere , ed
incavar maggiormente ciò , che la fega ha prin
cipiato a tagliare. Così per l’ appunto è .forma-
to il fucchiello di quelle mofche-, che traforan le.
foglie della quercia .
Quelle poi, ch’ han per ufo di pugner le fcore
ze de’ rofaj, fon munite d'un altro fucchiello in
tutto in tutto diverfo . Fgli confifte in un car-
nellino ben lungo , la cui cima è ritorta , come
» una ronca, ed è fornita da capo a piè di varie
«file
de,
|
| JE Drabscoa Ottavo. 15$
file di denti; o punterelle.. La mofca intacca a
principio colla fua ronca la buccia d’ una rama
di rolfajo. Quindi appoggia il mentovato cannel-
lo armato di denti, \o punterelle fulla medefima .
‘intaccatura ; e poi girando, e rigirando tutto l'
‘ordigno , trafora per ogn’ intorno la medefima
fcorza, e vi forma tante cellette; quante fono
le punterelle, o denti del fuo cannellino; sì che,
reftan tutte diftribuite a due a due lungheflo una ‘
‘linea, che le fepara. Per mezzo di detto cannel-
lo depone ancora un cacchione in ciafeheduna cele
letta: e ‘allorchè il verme; a proporzion del ca-
lore, è sbucato dell’uovo; va roficchiando le fo-
glié del rofajo, e a poco a poco diventa grofio ,
come un bruco di prima nafcita. In capo a cin-
que, o fei fettimane ( dopo di aver cangiato di-
verfe volte la pelle ) ceffa di mangiare, difcen-
de a piè del rofajo, e s’ avviluppa dentro un bata
tuffol di filo , cui fi va fabbricando maeftrevol-
mente d' intorno. La mofca , che in quefto ver-
me racchiudefi, proccura con molti sforzi di rom-
per la pelle, che l’ imprigiona ; e a poco a po»
co ne viene a capo . Si lacera dunque la pelle
del verme, e fi ravvolge , in un colla telta , e
colle interiora omai inutili, a guifa d’ un cencio .
La poltiglia , onde la mofca è inondata ( e che
forfe l’ajuta a fepararfi dal verme) le fi fecca d’
intoro, e fi converte in una fpezie dicrofta, ©
di nicchio ; e la mofca par fenza vita , e fenza
moto. A mifura del caldo , che fa , o refla per
breve tempo in quello ftato di ninfa ; o dura 2
ftarvi tutto l’ ‘inverno . Da quefti pochi efempj
potete congetturare quai fieno gli ordigni di tut-
te quante le mofche, e i varj ftati, per cui fen
palano. %
La mofca ordinaria, in vece d’ un fucchiello
i pro-
SOMMA
CI
Ue
1680 Le .Mosetia;:
‘proporzionato a forare il legno , non ha altre;
che un cannellino, per cui depone i fuoi cacchio»
ni entro il carbame divenuto frollo dal caldo, e
in tutto ciò , che ha del fucofo , e del latteo,
purchè non fenta del falfa; concioffiacofa. che 1°
acute punte del fale ferven più tofto a sbranare
1 teneri organi de’ loro parti , che a nutricarli.
Da i cacchioni di quefte mofche fpuntan de’ vere
micciuoli , che fi trasformano fucceflivamente in
crifalidi; e alla per fine divengon mofche. Paflo
fotto filenzio le confeguenze funefte , che dalla
loro ecceffiva fecondità continuamente derivano;
e fol mi bafta accennare , che nè le fauci del
lione, nè le zanne del lupo, nè tutte le corna,
ed artigli di quante beffie feroci fi trovano al
mondo , non portano all’ uomo tanto danno , quan
to gliene reca quel mifero ordigno , per cui la
inofca ordinaria pon giù le fue uova. Non è già
così del fucchiello delle lucciole ; e di molge al-
tre fpezie di mofche. Anzi da quefle fi rifavana
‘de’ vantaggj confiderabili . La più parte di effe
trovan fempre il fuo vitto, ed alloggio fur una
pianta determinata , e particolare: ed alla cura,
ch’ elleno fi prendono di allogarviilor parti, fia».
mo debitori dell’ invenzione, e della materia de’ ‘
più vezzofi colori, che adoprinfi nelle tinture, e
nelle pitture : efempigrazia del nero morato, dell’.
inchioftro comune, della lacca, e dello fcarlatto, |
Contef. Io per me ho fempre fentito dire, che
l' inchiotro è un compofto di noce galla, e di
vitriuolo ; e che la tinta dello fcarlatto è fatta
di cocciniglia, o di grana. Il perchè non fovede- |
ze, com entrino quì le lucciole collor fucchiello.
Cont. Vel dirò io. Havvi una fpezie dimofca,
la qual prefceglie a confronto di tutti gli altri,
i albero della quercia, per collagarvi le fue uo-
| Va »
peg pe: adi ai
_—,;, DiriaArLoco Ottavo. 16:
-wa. Ella trafora collo frumento fopraccennato la.
coftola , o ’l1 gambo delle foglie, ‘e fpefo ancora
à picciuoli tuttavia teneri di detta pianta , e fa
| penetrarvi la fega fino al midollo, Verfa nel tem»
po fteffo fulla puntura una gocciola del fuo liquo-
re amaro; e vi figlia tantofto dell’ uova. Il mi-
dollo di quel picciuolo trevandofi in cotal guifa
intaccato , interrompe la circolazione del fugo,
che lo nutriva; ed a cagione di quell’ umore ve=
nefico, che vi lavora , vi fi genera una fermen=
tazione, oribollimento, ( Me/pigh. de Gallis .) che
abbrucia le parti adiacenti, ed altera nel detto
fito il color naturale della medefima pianta. Ora
il fugo, od umore della medefima s traviato dal
‘ primiero fuo corfo , trabocca da’ vafi ; concorre
intorno all'uovo, fi gonfia, e fi dilata, median-
te le particelle dell’aria, che s° infinuano per en=
tro i pori della fcorza , e penetrano infieme con
eflo ne’ vafi; intantochè finalmente per la preffio=
ne dell’ aria efteriore fi congela al di fuori , cun
cotal poco s'indura; e sì vi forma una fpezie di.
bacca, o nocelia. Quefta bacca fi va nutrendo,
e vegetando ; ed in progreifo di tempo, col cre»
fcer dell’ albero, s’ ingroffa ancor ella : e quefta
appunto è la noce galla. n
Il vermicciyolo già nato fotto quefto fpaziofo
coperto , trova nella foftanza ancor tenera della;
— fua bacca quel nutrimento, che gli abbifogna: la
va roficchiando; e finalmente la digerifce, tanto
ehe arriva a cangiarfi in ninfa , e di ninfa in mof-
ca. Allora il nuovo animale, fentendofi correda-
to del bifognevole, trafora la bacca, e fe ne yo-
da per Varia,
._ Potete agevolmente chiarirvi della verità di quan»
#0 vi ho detto, con offervare le noci galle , che
‘vengon sù in principio di State . Voi le vedrete
du: fi
_ 362 Le Mosca rs.
forate preftiffimo : imperciocchè il tempo caldo
accelera il frutto dell'uovo, la metamorfofi del-
Ja ninfa, e della mofca, Se mai , nell’ aprire una
bacca, vi ritrovafte un qualche ragnolo, non vi
credefie mica; che foffe itato prodotto da un uo-
vo di mofca : Appena quefta abbandona Ja gal-
la, che il pofto è già prefo. Vi fi fuole ordina-
riamente infinuare un ragnateluzzo ; ché trova lì
la fua flanza bell’e apparecchiata. Vi tende poi
delle reti proporzionate alla piccolezza del fito ,
e vi prende de’° mofcherinî; che vanno la a pro-
cacciarfi Ja ‘lor diferazia. .
Tutt’ altro addiviene della noce 0 che na-
fce d’ Autunno . Sopraggiugne fovente il freddo ;'
prima che ’1 vermeé fi fia trasforinato in mofca;
o.che la mofca fia. ufcita fuori della fua bacca.
‘Al cader delle foglie cafca pure la coccòla ; e
6gnun direbbe, che la mofca annidata quivi en-
tro dovefle perire. Ma egli non è così. La mof-
ca trapafla pacificamente l'inverno ben alloggia-
ta, e ben difefa dal freddo fotto il coperto della
medefima galla ; e fe ne fla di vantaggio fotto
una coltrice , o piumaccetto di foglie, che tanto
più la riparano. Ma quefto alloggio , così ada-
giato pel verno; diviene a primavera una caree=
re. Quindi è, be la mofca s appena che fi fan
fentire i primi caldi , s'° apre un adito per ufcir
fuora., e metterfi \in liberta . Ogni piccol pertu»
gio le ferve # st perchè il di lei corpo è tuttavia
piccoletto ;- e sì ancora perchè gli anelli, che lo’
‘compongono, coll’ a lungarf s' affottigliano, e S°
adattano’ all’ apertura .
Cav. Adeflò vedo il perchè dentro al duro gus
fcio delle avellane ,, o nocciuole fi trovi {peflo
fpefflo un' vermetto . Fgli proviene , fenz’ altro
da un cacchione inferitovi da una mofca ; poni
che
n 3 D'iAvotofOtrarot, -.:; 108
che il frutto era tenero ; e di fatto vi fi ravvi-
‘fa benifimo il buco , per cui la medefima ve |
BETOCate. OT LOR) vin
Cont. Se quefto buco per avventura fi riferra
( come addiviene comunemente alle frutta , alle
orbiglie , e alle fave ; ) ciò deriva dallo fcolar,
che fa il fugo, nella puntura; il qual la fa a po-
co a poco rammarginare . Sotto il gufcio della
| predetta noccitola , 0 veramente dentro il mi-
dollo della medefima il verme già nato trova un
rigiro; dove non è chi l’ inquieti; ed una prov-
vifione di vettovaglie; ch’ egli non ha da fpartir
con nelfuno . Spafleggia; e mangia là dentro a fuo
beneplacito. Diventa graffo bracato i e fihalmen-
to, fentendofi fpuntar l’ ale, l’ amor della, liber-
ta; e del bel tempo glì fa fare un pertugio nel
gufcio ; è l’invita a cercar compagnia. .
:. Cav. Signore ; voi fate fare a quefto folitario
vermetto un perfonaggio molto bizzarro...
, Contef. Queta dichiarazione dell’ origine della
noce galla mi cava d’ùn grand’ imbroglio‘. Era
fmamofa di fapere ; fe le querce , che producon
le ghiande, generaffero un altro frutto differen-
te da quelte . Ma ora comprendo ; che quelle
bacche, onde le querce fon piene , fon vere; e
mere nafcenze , originate dalle punture di qual-
cd cea
;, Cont. Impropriamente fu dato a quella cocco-
la, o galla il nome di noce. E vero, ch' ella è
una fpezie di nocella ; e che fi raccoglie da un
albero ; ma non ha, fe non una falfa apparenza
di noce, © di frutto; fenza effer nè l utnè l'al
tro: Quafi tutte le piante fon così traferate da
qualche infetto , e producono delle galle d’ ogni
fortà di colore, e gràndezza. V° ha degli alberi,
le cui foglié ne fon gremite: ma non fi chiaman
d I Lib col
x64 Les Moscus;
sol proprio nome , perchè non fe he fa verun
ufo .'E fe ci ponefiimo a far, la prova di quelle,
che nafcon ful platano , ful pioppo , ful falcio,
ful boffo, o full’ellera, ferfe forfe fe ne trarreb-
bono de’ colori preziofi.
Contef. Vorrei fapere , fe la cocciniglia ha la
flefla origine della noce galla.
Cont. (4) La cocciniglia non è, nè un frutto,
nè una galla originata dalla puntura d’ alcuno in-
fetto. Ella è l’infetto medefimo , che pugne l' al-
bero della Cocciniglia . Quel albero‘, che chia-.
mafi nella nuova Spagna col nome di Nopal , @
una fpezie di ficaja , (6) le cui foglie fon grof-
te, piene di fugo, ed alquanto {pinofe. I paefa-
ni, che la coltivano, ne tiran via , all’ appref=
farfi della ftagione piovofa , certi piccoli mofche-
rini, fomiglianti alle cimici , che fucciano il fu=
go delle fue foglie. Se li confervano in cafa , e
gli allevano sù per le rame del medefimo arbo-
. Crefciuti i mofcherini , e paffate le piogge,
ne metton da dodici , o quattordici per entro 2
certi ceffelli , che in lor linguaggio fi chiamano |
Paffles; e fon fatti di mufco , o vero di quella
caluggine , onde fon fafciate Je bacche -del coc-
co. Pofan quei ceftellini ful Nopal ; e le coccini-
glie in termin d’ alquanti giorni fi {gravano di
un'infinità di figliuoli . Le madri non fopravvi-
vono guari di tempo al lor parto ; e colla lor
morte ci appreftano la prima raccolta. I piccoli
figliuolini efcon fuor de’ ceftelli, e fi {pandono sù
‘per le foglie del Nopa/, dove in capo a tre mefi
crefcono tanto, da poterne generare degli altri.
Si ferba la feconda covata; e fi diflacca duel
i
(a) Storia naturale della cocciniglia verificata da-
gli atteftati de’ Giudici della Provincia d’ Oaxaca. Am&. È
729: (6) O più tofto d’Opuntia.
=
DiraLoco OTTAve. 165
gi pennelli tutta quanta la prima, la qual fi por=
ta all'albergo, e s' ammazza. Quefta fi è la fe-
conda raccolta. L’ altra covata , che gia rimafe
in full albero, produce ancor ella , in termine di
tre, o quattro mefi, de’ nuovi parti. Ma. per=
chè, col ritorno della ffagione piovofa , fi corre
rifico di vederli tutti perire, fi portan via, col-
le madri, anche i figliuolij; ed ecco la terza rac-
colta. Si ferba un numero fufficiente degli ulti-
mi per propagare la fpezie l’ anno venturo ; €
tutto il refto fi fa morire , o nell’ acqua bollen-
te, o ne’ forni; o veramente dentro le tegghie,
O tegami, dove le donne d’' America han per co-
ftume di cuocere il pane , o focaccie di Maiz.
( Hartfoeker Saggio di Dioptrica a car.52.Pariz.1694.)
Quelle, che muojono nell'acqua bollente, refta-
no di colore lionato; quelle , che s° uccidono in
forno , divengono di color cenerino mifchiato; e
quelle, che crepano nelle tegghie , al di fuori fon
nere, e comparifcono abbrultolate; ma interior=
mente fon piefe d’ una certa polvere roffa mol-
ro bella. Que infetti ci vengon di la diffecca-
ti, € quafi ridotti in polvere. Tuttavia vi fi rav-
vifa ., eziandio fenza microfcopio , la figura del
corpo ovato delle lame , delle zampe ; o almeno
de frantumi delle medefime, e una piccola trom=
ba appuntata.
La lacca , di cui fi forma il roffo più accefo,
è una gomma refinofa, che alcune mofche , © for-
nicole alate , raccolgon da varj fiori ; e poi la--
depongono , o sù le rame degli alberi , o sù le
pertiche prefentate loro dinanzi da chi vuol pre-
valerfi della lor opera . ‘ !
«La grana del Chermisì , e dello fcarlatto , è
una piccola gallozza roffa , che nafce addoffo al
Iolcino ; il qual trafora una pianta fomigliantif-
| RE e
166 L E Moo0.s cont.
fima al leccio , © o allo fmilace . Ses indugia un
po. troppo a raccor le gallozze ; fopraggiungono
certe mofche , che le’ traforano; e v° Infinuano i
lor cacchioni ; donde poi nafcono de’ vermicciuoli ,
e dell e mofchette”, , cui non bifogna confondere col-
la. cimice, ‘o mofcherino predetto , il quale ftan-
ziava co fuoi figliuolini in quella gallozza. (©
© Vi fono molte' altre mofche ; ‘ed infetti che
fan diverfe fatture in sù tutte le piante noftra-
li: ma noi non facciamo {perimento neffuno de
Je lavorii ; e forfe forfe fi va a'cercare. per fin
eli Indie alcune galanterie, che tutto 1 BORG
ci vor prefentano dinanzi agli occhi.
Cav. Signore, le voftre mofche ci RIA reca=
to un fommo piacere . \ ! mofcherini fon eglino
sì curiofi ? x
Cont: JI profitto , che fi ricava dalle zanzare,
non farà forfe sì grande; ma le lor metamorfofi
fono di lunga mano più portentofe . Avanziamo-
ci di grazia verfo le fponde di ‘ quefti foi j ho
gia offervato poco da lungi tutto ’! noftro bifo-
gno . Signor Cavaliere abbiate Ia bontà di chinar-
vi, per veder bene la radice di quefta ‘pianta;
che fporta un poco nell’ acqua. Che è quello, che
voi vedete li a galla rafente alla predetta radice?
Cav. Mi par di vedere un piccol crivello, che
fia attaccato per un manico alla punta di que:
fia radice a).
| Cont. Quel crivello non è altro , che un pez-
zetto di vifchio , che galleggia. in full’ acqua.
( Swam. Stor. degl Infetti + ) Quelli, che voi cre-
dete efler buchi del appalto crivello , fono uo-
va difpofte con.fimmetria fopra ’1 vifchio ; ; affin-
chè il medefimo non ‘vada a fendo'. Il manico,
che ffa appiccato alla radice, impedifce, che tut-
ta quefta materia, non fia traporrata dal vento
% Do i LT gi NdT in i
DiaLOGO Ortayo. | 67
in qualche fito a bacìo, “dove l uova, per man-
canza di Sole, non potrebbon fruttificare, |
Cav. Qual mai è flato quell’ animale sì aftu=
«to, che ha avute tante avvertenze?
‘ Cont. Ella è fattura d’ un mofcherino , detto
altramente zanzara ; animale notorio per lo fuo
acuto ronzìo, € per l’acerbe punture, ch'ei fa.
Cavo quella. sì, ch’ è curiola . Dunque la
Zanzara ) che vive per l’ aria, e fulla terra, de-
pone i fuoi cacchioni nell’ acqua?
Cont. Certo ‘che sì. Non avete mille volte ve-
dute le zanzare andar fvolazzando lungheffo l'
acque ftagnanti? Vi ronzano volentieri d’ intor=
no; perchè quivi appunto rilevano i cari lor fi-
gliuolini. Non dico, che non fi diano delle zan»
Mare, le quali nafcono in grembo alle macchie pi
È forle ancor lontanifime da’ padali . Ma quan-
to a quelle , che a me fon note » adeffo ve ne
conto tutta la ftoria.
Dall’ nova coricate fur un letto di vifchio gal-
leggiante full’ acqua , fpuntan certe beftiuole,,
che paffano per tre ftati diverfi . Da principio.
vivono in acqua : pofcia dallo fato d’ animali
acquatici paffano a quello d' anfibj; e allora vi-
vono nel tempo fleflo in parte per aria., ed in
parte in acqua; finalmente pe vivono a dirietu-
ta nell'aria.
Nel lor primo fato d’ acquatici , fon certi vere
micciuoli , fomiglianti alle cimici, che fi fabbri-
cano dell’ abitazioncelle di maftrice ; ‘(cOn attac-
carle ‘a qualche bronco piantato in acqua:: quan-
do però non vi trovino della. belletta , la. qua-
le effendo più tenera, permette loro di fcavarvi
\ un ricovero , che gli afficura* dal dente de’ pe-
fci ; ma non già dalle morfe de’ ;gtanchi » d. del
gamberi. : I
dà
368 Lx Moscuse.
Quefto vermetto cangia poi forma; acquifla uit
tapo groflo, ed una coda pelofa , ed di iofa , ché
&li ferve, come di fugheto per reggerfi a galla,
e trasferirfi qua, e la, ora colla tefta levata in
aria , ed ora colla medefima tuffata’ in acqua ,
reftando fempte la coda fulla fuperficie . Set o=
. lio, onde quelta è inzuppata , s'afciuga, l’ani-
siate fputa per bocca un umor craflo, ed oliofo;
e fpandendòfelo pér la coda, fi rimette in iftato
di nuotare, e trafportarfi dovunque vuole, fenza
che l'acqua gliela bagni , 6 comeche fia la dan
neggi.
| La zanzara in quefto fecondo fiato d’ anfibio
è veramente nella fua forma di nitifa , per indi
far paffaggio ad una condizione di vita affatto
“affatto diverfa. Non va guari di tempo, ch' ella
fi fpoglia della feconda fua pelle, e perde gli oc-
chi, le torna, é la coda. Ed eccoti, che dalle
reliquie dell’ aniniale anfibio riforge , e fpicca il
volo un animalétto alato , le cui membra fono
‘agili, e fnelle, quanto mai dirfi poffa'. La fua te-
fa è guernita d' un tremolante pennacchio; e tutto
quanto il fuo corpo è ricoperto di fcaglie , e di
peli, che lo riparan dall'umido , e dalla polve-
re. Si (tropiccia intorno al corpoleali, e facen-
dole ripercuotere sù due vaficùpi, ch’ ei dich a
‘fianchi, forma con effe un fufurro. La dilicatez-
za delle minutiffime piume, che formano , come
un falbalà, 0 una frangia al lembo delle fue ali,
& una cofa veramente degna d' ammirazione.
°° Ma il più pregevole della ganzara fi è la fua
tromba. Si può diré, che quefto lieve fltumento
fia un dé miracoli più portentofi della natura .
{ Lecuwenhock Arcan. nat. Experim.& contemplat.
ep. 64. ) Ella è cotanto minuta , chè gli ottimi
microfcopj a mala pena ce ne difcopronò l eltré=
mità +
1)
— BrALoco Oftavo. 163
init. Ciò, che a primo afpetto fi vede , non è
altro , che: uni lungo aftuccio fcagliofo , che fta
attaccato alla gargozza della medefima. Verfola
terzerìa dell’ aftuccio fi ttova un forame, per cui
ella vibra quattro fpade ; e poi le ritira dentro
il fuo fodero . Fra quefte quattro fpade , ve n°
ha una; ché, con tutta la fua acutezza, e fom-
ma attività, fervè pure di nuovo attuccio alle
altre tre , le quali fan coricate ; ed incaltrate
quivi entro in una lunga fillura, che v'è. Le
ultime tre fon fatte a coftole a ‘guila degli ti
letti. Son guernite altrésì verfo la cima ( ch’ è
alquanto ihcurvata, e fottile oltremodo) di cer-
te barboline acutiffime , o denti ben affilati, ché
forano 2 più fon pofto . Allorchè tutte quefte
fpade s' infinuino dentro le carni degli animali ;
€ lavorano di concerto; fpuntando ora l' una do-
po l’altra, ed ora tutte quarite d'accordo, e iri
varie riianiere, È giocoforza , che il fangue, o là
linfa dellè parti contigue trabocchi da’ vafi;, é
cagioni un tumore nella piagà , la cui picciola
apertura fi ràmmargina ; merc ila compreffioné
dell’ aria efteriore..
Siccome la zanzara tafla, e affapora colla puns
‘ta della guaina, che pur le ferve di lingua , le
frutta, le carni, ed i fughi, che più le piaccios
no; così abbattendofi ad un liquor di fuo genio,
lo facdià” fenza adoperare le fue fpade : ma fe
s'incontra in una pelle duretta ; le sfodera tut-
| te, e pugne terribilmente . Quindi lé ritira den»
tro la fiefla guairia , e in applicandola fulla boc-
ca della ferita, ne fucchia, come per in cannel-
lo, l’umo che ve concorfo ;
leto frumento fu dato alla zanzara , per fer-
| wirfene foltafto di ffate. Può far conto d'eflerfi
— bufcata la rita per tutto”l verno ; Mi
aos
»
«70 Le Moscuxe.
+ allora non manga più . Trapaffa la ftagion rigi-
da entro gli. fcrepoli delle pietre , ovvero nelle
caverne : donde poi {cappa fuora ful far della fa-
te., «per procaccia:fi un’ acqua ffagnante, ove pro-
pagare la f{pezie, ed allevare la fua famiglia, che
a dirittura farebbe portata via dal corfo dell’ on-
de., qualora la collocaffe fopra un'torrente . E?
talvolta sì numerofa la prole, che l’acqua mede-
fima a norma delle fpezie, che vi s° annidano, cane
giafi di colore. Se i mofcherini fon verdi , diven-
ta verde , e comparifce” fanguigna sis eglino fen
roffi. Altro non mi refta da dire in ordine a que
fto infetto: ed è ormai tempo, che il Signor Prio-
re venga alla ftoria della fua,zuccajola. ©
Conte. Zuccajuola ! Che diacin di brutto nome
è mai quefio ? Sentite , fe non offende le orec-
chie? Si potrebbe pur trovare un termine un po’
più dolce. Non è egli quell’animale:, che fla là
ne voftro ftudio, entro un fecchion di criftallo,
ntanato dentro una zolla di terra ; appena lun-
A due dita, con due antenne dinanzi, e due al-
tre di dietro; per dillinguer fra quelle tenebre ,
ov è fepolto , tucte le cole a tafione, giufto come
aa gli orbi, che van brancolando col lor bafto-
, per informarfi di quanto è loro dappreflo 2
€ de oltre a ciò ha due ali cortiffime, e due al-
tre ben lunghe, con una larga corazza ful dor-
fo, e, con due branche dentate , come due feghe ?
Cont. Cotefto appunto. i
Contef. Or bene. L'ho fentito altre volte chia-.
mare col nome di grillotalpa; ‘egiuffamente. Ime
perciocchè egli dimora fotterra come le talpe, e
ftrilla per l’ appunto come i grilli. Vorrei dunque
nomarlo così.
. Prior. Voi dite benifimo.. Le Dame hanno un
maggior privilegio , ) che noi , di formare nuove
von.
DiriaLOGO:OTTAVO. 17I
voci ; € la Signora Contella può far la fortu-
na di queflo animaletto . ‘ Così dunque. lo chia»
meremo RAY
‘Cont. Signor Priore, ‘avanziamoci verfo Aliante A
tone di quello giardino . Cola v' ha da eflere un
nidio di gril lotalpe . Son gia informato , eome voi
ben fapete, ‘di tutto ciò, che fegue in quefto re=
cinto. Tutti lavoran per me è Eccoci arrivati al
fito “predetto. DE
© Prior: (V. Godart.) Diamo P mano a, una vane
ga, e paftiniamo qua fotto , per far vedere al
Signor Cavaliere un pezzo di terra conglutinata >
nel cui centro ravviferà una celluzza ; atta a con=
tener due nocelle; e quivi trovera ‘annidate tutte
I’ uova del noffro ‘inferto ; Zappiamo bel bello ;
e guardiamo di non romper nulla. Mirate, Signor
Cavaliere: ecco la quella zolla, ch'io vi diceva «
Quel pezzo di creta, groffo come un uovo, che
voi vedete cacciato La dentro , e attorniato da
una foffetta, giufto è della: Prendetelain mano,
la col coltello pel MEZZO : troverete, che.
l’ introito della celletta è fiato riturato.
Cav. E° veriffimo . Vel ve’! e) quanti uovicini
dentro a queta celluzza , ch’ era nelcentro! La-
fciatemeli contare ..... Sono: SRAFIOLUANFE. Ma
perchè fon ficcatl sì in fondo ? (RE;
Prior. Se quelti uovicini fofflero men riparati ,
o fentiffero punto punto d’ aria , non avrebbono
int calore, che lor bifogna, nè vi farebbe {pe-
ranza. , ‘che’ produceffero i loro frutti. Oltre. di
che, v' ha un'altra ragione , che aftrigne le. gril-
lotalpe a riftoppare con tutta la diligenza le cel-
le, ove han depofte le loro uova : quelta atua
perchè un certo baccherozzolo nero ,' nomato lo
fcarafaggio, nimico capitaliffimo di tutta la loro
genla, va girando fotto terra , ed uccella 7 non
Oa
772 Le Mose use...
folo all’uova 3 ma anche a i parti delle medefi=
me, per divorarfeli. Quindi è , che fempre fe ne
vede qualcuna in fulla fponda della foffetta, che
fta facendo la fentinella ; e quando il baccheroz=
zolo vuol infintatfi fotterra ; per rintracciar la
fua preda, fe gli falta fubito addoflo , e fi cac-
cia via. Se poi la grillotalpa fi trova attaccata
da più nimici alla volta; alloraffa capitale di quei
nafcondigli , e andirivieni, cui s' ha apparecchiatà
X come voi ben vedete ) fotterra , e fi trae fuori
d’ impaccio. Ma il più bel tiro, che fiafi notato in
quefto animale; coll’ afuto d'una campana di ve-
‘tro , dove ne abbiamo allevati parecchi in tanta
guantita di terra , che ci dava il modo di poter
fate le nofîre offervazioni, è quefio , ch’ io vi
dirò .
All’appreffarfi del verno, le grillotalpe trafpon-
gono il ferbatojo dell’uova, e io calano di ma-
no in mano fotterra ; intantochè il nuovo fito ,
dove il ripongono, non fia predominato dal fred-
do. A mifura; che l’ aria addòlcifce., riportano
il nidio più in alto , e finalmente l'accoftan ra-
fente alla fuperfizie; affinchè pofia godere del be-
nefizio dell’aria, € del Sole. Se mai torna il fred-
do , eccoti lo sian abbaffo . Quefio metodo
fi pratica ancora dalle formiche , di cui ora im-
prendo a parlare. Imperciocchè, rifpetto alle gril-
- lotalpe, non ho notizie fufficienti da poterne fa-
vellare più a lungo . Prima però di venire alla
storia della formicola, bramerei di fapere dal no-
ftro:caro Cavalierino , fe s'ha da andare da lei
“in qualità d'.infingardi, per imparare; ovvero in
carattere di curiofi per ammirarla. ©
Cav. V' intendo beniffimo . Ho già iletto ne
proverbj di Salomone, che il pigro dee andare a
icuola dalla formica , per impararare da gi; ad
el-
DiaLoco Orravo: 173
effer provido, e follecito . Io per me crederei dî
non portar la taccia di pigro; mà chi è quegli,
che non abbia bifogno di divenir provido?
Prior. Per vero dire, fi ricava del gran profite
to a contemplar le formicole. Sono ancor effe un
corpo di comunità , ridotto in forma di Repub-
‘blica, a guifa delle api, ed ha, come quelle, le
fue leggi, e ftatuti. (2) Le formicole hanno una
fpezie di cittadella, piuttofto lunga, ma ftretta;
la quale è compofta di varie ftrade fpartite, e
ciafcuna va a far capo al fuo magazzino. Vifom
‘certe razze di formicole, che forman de’ terra-
pieni, e fpandendovi fopra del vifchio, gl’ imma-
firicciano in modo tale, che non poffono rovina«
re. Quelle, che noi veggiamo comunemente, fan
no delle carafte di trucioli; e fe ne fervono , cos
me di travi per attraverfare sù in alto le ftrade,
e per foftenerne il coperto. Garicano que’ palchi-
ftuoli di travicelli ben lunghi; e poi li ricoprono
di giunchi, di fieno, 0 di paglia, formatidovi ita
mezzo un comignolo , e dalle bande un pendio s°
perchè l’ acqua poffa grondare, fenza portar pre-
giudizio a’ lor magazzini; parte de’ quali fon de-
ftinati a ricevere le provvifioni j e parte ad ac-
cogliere le lor uova co’ vermicciuoli, che ne de-
rivano,
Quanto alle provvifioni, ogni cofa fa per loro.
Tuttociò, che fi può dare di comeftibile, le con=
tenta. Sivedranno talvolta tutte affaccendate in-
‘torno a un acino di gualche frutto, ointorno al
cadavere d’ un mofcherino. Si affolleranno molte
d'accordo fopra il carname d’un grillo, odiqua»
lunque altro infetto. Quello , che non poffono
"EA ; : pore
(4) Aldrovand de Formic. Jonfton: Thaumaturg.
) natur. a car. 356. Storia de’ Carfari d° America, detti
Flibufliers, verfo il fine.
) ì
/
174 si Le ForMmicuÙur.
portar via , fe lo mangian ful fatto; e portan nel
loro formicolajo. checchè è capace di confervarfi.
Ma non è mica permeflo à ciafcun membro di que-
fa piccola comunita l' andar vagando , dove gli
pare. V'ha chi ha l’incombenza di battere la cam=
pagna; e andar afar la fcoperta. Sulla relazione
di quelte tali tutto il popolo. fi mette .in marcia ;
e va a dar l’affalto; o ad una pera ben mezza ,
© a un pan di zuchero ; o ad un bacino di con-
fetture / S' arrampica ; per arrivarvi; dal fondo
d’ un giardino fin ad un terzo appartamento. Si
. divifa “di aver trovata una cava di zucchero ; id’.
avere fcoperto un Perù. Ma sì nell’andare, come
nel tornare; fi marcia fempre con regola. Tutte
bann' ordine di andar fchierate per uno fieffo fen-
tiero. Veroè, che quefti ordini non fon tanto ri-
gorofi , quando fi trova da deprédare in campagna .
Allora a ciafcuna è permeffo d’andar vagando a
fuo piacimento . ° Quei mofcherini verdi, che fciat-
tano la maggior parté de’ fiori, e fanno acchioc-
ciolare le foglie de’ pefchi ; e de peri, fono fafcia-
ti diun cérto fugo; o per dir meglio, d’una fpe-
zie di mele; di cui le formicole fon ghiottiffime ;
Ma non è vero, ch'elleno infidiino nè alla pian».
ta, nè alla vita de medefimi mofcherini . Quetti
st; che fan bene fpeffo a 'fioftri alberi tutto quel
danno ; che alle formiche s' appone; e tirano lo-
ro addoffo una perfecuzione non meno ingiufta ,
che vana...
. La grand’ anfia delle fomnighe Gè d' adunar del-
le biade, e delle granella, che poflan ferbarfi :
pei paura; che quefte granella, mediante l’ umi-
dità delle lor fotterranee ile, o come che fia,
non germoglino, roficchiano il germe; che fpunta
da ciafcungrino; eincotal guifa. fe le cautelano ;
Ho veduto delle formiche portare; € fofpigne®
Te
tuta le RIT OTTAVO. 175
fe de’ stdnelli d'orzo, o di formento più groffi di
loro. Ma non ho ancora avuta la forte di rinve-
nire illoro granajo. Tutti gli antichi ne parlano j
e |’ Aldrovando autore moderno attelta di averlo
veduto: Può efferey che ficcome fon varie le fpe-
zie delle formicole ; così pure le operazioni , ed
iftinti di ciafcheduna fieno diverfi Può darfi anco-
‘ra, che le lorocrifalidi; per effere alcune volte di
color bi6ndo ; fiano ftate prefe i in cambio delle gra-
nella; fpogliare del germe ;' e gonfiate d'umido .
Le formiche, dopo aver menatà la ftate in con
tinua agitazione ; e fatica $ fe ne flanno'l’inverno
rinchiùfe ; e nàfcofte ; godendo con tutta pace de’ ©
frutti de’ lor travagli . “‘ Sebbene è molto proba=
bi.e, che inquefta ftagione non mangino; fe non
‘poco ; e che fi trovino affiderate dal freddo, o
‘dormigliofe ; come addiviene della più parte degli
altri infetti. Se cosìè, convien dire j che la loro
anfietà di adunar delle pi ‘ovvifioni ; tenda piuttofto
a fornire in tempo di meffe del bifognevole i pro-
PI) parti ; , che a premunir& per la vernata . In
fatti } appena ufciti dell’ ovo; li governano con
tanta cura D che vi fi trova intereffata tutta quanta
la comunità. L’educazion della gioventù vien con-
fiderata appseflo di loro; comé un affare di Stato.
I figlivolini nella lor nafcita non fono altro ;
che vermicciuoli , niente più grofli d’ un gran d’are-
na. ( Lecwenbock Arcan. natit. t.U 3. epift. 133")
Dopo aver ricevuti per qualche tempo' gli alimens
ti; appreftati loro incomune, e diftribuiti a cia-
fcheduno' in porzioni ‘uguali ;' formanò per sè me-
defimi un filo y di cui van teffendo' una tela , ora
bianéa, e ora gialla , che intorno intorno li fa
fcia ; cellanò di mangiare ; e fi trasformano in nin-
fe. Molti, e molti li prendono, in quefto fato,
der uova di Jormicole ; ma s' ingannano , Cornici
| fias
176 La Formicut;
fiacofachè fono veramente le ninfe, donde han da
mfcire le formiche novelle. Tuttochè i vermicciuoli
predetti reftino di mangiare ; ciò non oftante la
loro educazione colta a genitori di gran fatiche.
( Swammerdam epilog. ad Hiff. Infe&tor.) A mifura
del caldo, o del treddo, deltempo afciuto , o pio-
vofo, ora accoftano le crifalidi alla fuperfigle del=
la terra, ed ora ne le allontanano . Quando il
Cielo è fereno, ve le avvicinano: e alcune volte
dopo la pioggia le efpongono in faccia al Sole; e
dopo un lungo feccore alla dolce rugiada . ( Tran-
fat. philo/. n.23.) Quando poi fi fa fera, e quan-
do il tempo minaccia pioya; ficcome ancora all’
appreflarfi della ftagion rigorofa, prendono i cari
allievi colle lor zampe, e li calano tanto abbaf=
fo , che, per trovare quefte crifalidi, conviene
fcavar più d'un piè fotto terra.
Refterebbono tuttavia molte cofe da dire intor=
no alla maniera, con cui fi fpargono perle cam»
pagne ; intorno al cotume, chehanno, di porta-
re i cadaveri de’ defonti fuor dell’ albergo; intor-.
no al buon tratto, col qual fi prevengono fcame
bievolmente nell'ajutarfi, sì neltrafporto de’ pe-
fi, come nell'attacco de' lor nimici , intorno al
punteruolo, che tengono nelle parti diretane, ac-
compagnato da una vefcica d’acqua mordente, il
cui veleno produce de’ tumoretti. Vi farebbe eziane
dio da difcorrer dell’ali, che fpuntano a’ foli ma-
fchi, quando-fon giunti a una certa età, per aver
più comodo di foraggiare , e fon negate alle fem-
mine; acciocchè fieno più cafalinghe, ed abbiano
maggior cura degli affari domeftici. (4) Ma tan-
to vago è ’| foggetto, che il noftro Cavalier sè .
prc-
(4) Mi pare d’ aver offervato , che tutte le formi.
cole mettano l’ale, ed abbandoninoki fotterranei lor
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TONCO
+ DraLoco. OttAWO: | 177
prefcelto , ‘che farebbe un fartorto alla bairwvonfie!
zione, il differirne più a lungo il piacere. ou! (3
. Cav. Dietro al racconto! della'formica , natu
Milmente ne viene..la ftoria. del griemigoleone:; ani=
male così chiamato , per'effere; nimico capitalifli =
mo , e quafi il leone della formicola. Una bellif
fima delcrizione di quela befinola lefli jeri inca«
fa del Signor Priore; ( M. Aubriet difegnatore nel
Giardino Reale . ;) ed offervai tutti gli lati, per cui
fen pafia.: onde poffo dire .d’aver una fufficiente
contezza : di tutti i fuoi andamenti. Ma ficcome
dubitai di ftancare colle mie efitanze la compa-
gnia , e di fcordarmi di qualche circoftanza im-
portante; così trafcrifi tutto ciò ; che riguarda
quefta : e flamattina. ho dato, a rivedere il mio
eftratto al Signor Priore ; che .v'ha aggiunto di
molte cofe del fuo . Vel dico avanti : acciocchè
ne fiate informati.
| Contef. Sentite, che bel proemio ! Cotella ma-
piera sì femplice , e sì naturale, con cui v° efpri-
mete , val più di quahte bio sii fi trovano
al mondo..,
Cav. Il Mirmicoleone non è più lungo d’ un
centogambe ordinario . ( M. Ponpart.. Meror. dell’
Accad. delle feienze 1704. ) E° però alquanto più
-Fem.iI 118: io: OPPRIOSTII lar=
dii rel della Figura. ; vio
Pia ‘mirmicoleone ingrandito col microfcopio. |»
B. Il mirmicoleone appiattato dentro la fabbia nel
fono del ‘fuo ‘trabocchetto , in atto di gettar dell’are-
na addoffo a una formicola; affinchè la medefima non
“abbia campo di riguadagnare la fponda del detto! tra-
| bocchetto..
C. La tomba, o pallotta fabbionofa, dove il mirmi-
coleone depone la fua fpoglia yè fi trasforma in crifalide.
‘ D. La detta crifalide ingrandita ‘col mictofcopio..
..E. Il grillo; che vien fuora della predetta crifalide.
F. Animale acquatico donde procede un grillo dal.
tra fpezie
ba
_ 1728 I MirmIcortonti.
targo . Ha una tefta anzi lunghetta che no , èd
il fuo corpo è rotondo; fe non che va a termi-
fiare in una coda affilata. Il fuo colore è bigic-
cio; ma tutto ‘piéchiettato di nero. Il fuo corpo
è compofto ‘di vary anelli fchiacciati, e fdruccio=
levoli. Ha fei gambe; quattro delle quali s'at=
tengono al petto; e due alcollo. La fua tefta'è
fotrile , e fchiacciata. Gli fpuntato dalla fronte
due corna lifce, dure; lunghe due linee; e verfo
la cima falcate.-Preffo alla bafe di quete corna
fpiccan./due begli occhietti; neri evivaci; che gli
fervono a maraviglia ; imperciocchè ad ogti mi-
nimo oggetto; che fe gli para dinanzi ; tofto fcans
tona. Gli altri animali fi fervon dell’ ale; o pur
delle gambe, per rincorrere la lor preda. Ma il
Mirmicoleone non fa far altro ; che fuggire ; €
rinculare. Non ‘è pericolo; che corfa mai dietro
alla preda : fi morrebbe piuttofto di fame ; che
muovere un paflo per acchiapparla è Vuol; che
la medefima , per così dite ; gli falti in bocca «
Sa bene il fegreto di farla cafcar nel calappio ;
ch'egli le ordifce. Quefta è l’unica ftrada ; che
la natura le abbia infegnata , per avere ; onde
vivere”. Quì confifte tutto il fuo fapere : e per
dir vero; gli baffa. < ar n
Prefceglie un fito arenofo 4 piè d'un muro; 6°
di qualche altro fporto ; affinchè la pioggia non
gli rovini il lavoro. Ha bifogno di fabbia,; e di
fabbia ben arida : altramente una terra conglu»
tinata; ed anche l’arena umida non s arrendereb=
be a’ fuoi sforzi. Quando egli fi mette a/fcavare
il trabocchetto, dove intende di far cadere la pre.
da ; principia ‘(a incurvare le patti diretane, che
fono in punta taglienti; e le affonda fotterra, 2
2uifa d'un vomere d' aratro, camminando fempre
a ritrofo . In cotal guifa forma in più volte a
forza
|. ;
do DiAatoco OrtAv:io:i | i76
forza di piccole fcoffe un folco orbicolare, ilcui
diametro e fempre uguale alla profondità ; ch'egli.
i difegna didare al fuo trabocchetto. Allato al pri-
ji mo folco forma il fecondo: j e poi’l terzo ;.con
altri molti, proccutando j'che gli ultimi fian fem-
pre minori de’ precedenti . Così va a poco a poco
i profondandofi fotto l’ arena; ed amifura; che vi
i s' interna; lancia colle fue corna la fabbia fulci»
j glio del fofflo, ed anche più oltre , caniminando
i tuttavia per una linea {pirale allo ’ndietro . Col
| reitérato lanciar dell’ arena fuori dell’orlo vota
,& poco 4 poco il trabocchetto, e l’affonda . Più
franco nelle fue .operazioni degl'ingegneri ftefli ,
defcrive un cerchio perfetto, e forma una voluta.
fenza compaffo, dando al terreno il più precipi-
tofo pendio , che mai dir fi poffa; fenza perico-
lo, ch’ ei rovini; Taleè l’induftria; e la condot-
«ta, ch ei tiene, per ultimare il fuo trabocchet-
to; che s'affomiglia perl’appunto adufi cono ro-
vefchiato, 0 per ‘dir meglio, alla figura interio-
re d'un imbuto. RI QUEI A i'OGUIODI
Allorchè il Mirmicoleorie è nato di frefeo:; for=.
ma un trabocchetto affai piccolo. Crefciuto ch'egli
è, ne fa un altro vie più fpaziofo ; laciti fponda
può avere qualche due dita; e forfe più,, di dia-
metro ; ed' altrettante di fondo. Cortipiuto quefto
lavoro , s' acquatta. giù 4 baffo fotto la fabbia ;
di medo che le fue corna ‘toccano appunto il cu-
po fondo dell’imbuto. Col fta uccellando al cen-
togambe ; alla formicola , al mofchetino.; e ad
ogni forta di mal accorti infetti, che pettloro dif»
arizia vengono a roficchiare la fponda del:fuo
rabocchetto , a bello ftudio formato aperidio.
€ circondato di fabbia ; perchè rneceffariamente
\precipiti giù chiunque vi capita . Il mirmicoleo»
he pero fonda le fue maggiori fperanze sù la for-
.* M
2, micos
{
- A /
1:86 1 Mirrim®aoecst;s oh 1.
micola . Ella non ha ali; come la più parte desi
eli ‘altri infetti, per poterfi trar fuora. di. quella
buca: febbehe, ‘anche. gli altri. vi perifcono al par
di lei, mediante |’ aftuzia del cacciatore. Accor=
tofì quefti:; per la caduta.idi qualche grano, d'are-
na , che v'è una prefa da. fare, s accocola un
poco; e fcuote ‘col dimenio d'una zampa:la fab-.
bia: ficche queta fdrucciola abbaflo con tutta la
preda. Se l'infetto incappatovi è agile ; 0 fe s.
affretta di rimontare sù, ino alto ; e foprattutto.s.
s' egli ‘è fornito ‘di;ale; il mirmicoleone lancia .ia.
aria una quantità di. granelli di arena, e fa, che.
nel loro ritorno gli piombino addoffo. Quefta per.
un corpicciuolo sì piccolo , com'è quello d’un mo-
frherino, 0 d'una formicola., è una grandine di
faffi \ Accecato, e foffocato in.tal cuifa ‘dalle pie-
tre, che da pertutto gli piovono addoffo; eftra=
fcinato altresì verfo.il-fondo; dal moto dell’ are-.
ma, che gli fi fgretola fotto. i piedi , cade final-,
mente fra ‘gli artigli dell’inimico , che glieli fica,
nel corpo, lo tira fotto la fabbia, e fe lo, diyo=,
ta. Depo averlo ben ben fucchiato, € fpolpato ,
non vuol, che refi lo fcheletro in cafa fua . L°
afpetto di quel carcame potrebbe impedire ; che,
non vi capitaffero nuovi infetti , e fcrediterebbe.
Y alloggio. Jl-perchè lo afferra colle fue corna. ,,
e con un impeto violentiffimo lo fcaglia un meze
zo piede lontano dall’orlo del trabocchetto .. Se,
mai la fua foffa; per quefta imprefa; fifconcia;
fe viene a riempierfi.; o fe la fponda a propor-.
zione della fua profondità divien troppo larga ,,
nè ferba il primiero pendio, raccomoda il tutto »
ritondando, ‘incavando , e votando fecondo.il bi-,
fogno ; e poi. s' appofta di nuovo, per afpettare
una nuova preda... Hi,
Il mefliero del cacciatore ( come dicefi. comue
di PM. nemen=
°Diràtroco Ottavo. | 181
nemente) è un meftiero ; che richiede pazienza.
Ma il mirmicoleone non è men paziente, che a;
tuto . Pafferà alcune volte le fettimane, e imefi
intieri ; fenza muoverfi }' e quel, ch'è più pors
tentoto, fenza mangiare.
‘La’fua fobrietà è così grande, ch'io n° ho ve=
muti ‘taluni a vivere più di fei mefi in una fca=
tola ben ferrata, dove non era nient’ altro; che
fabbia . E ‘pure facevano il lor confueto lavoro,
(= cangiavano pofcia in ninfe, come gli altri,
a cui avea dato ben ben da mangiare. Vero è;
che quelli ; , che ‘mangiano ; diventan più grofli ,
- più: vigorofi .
Quando") mifmicoleone è ‘arrivato a una ‘cer-
‘ta età, e che fi vuol rinnovellare , e comparire
‘hella fua ultima forma ,' allora non fa più tra-
Bocchetti ; ma fi mette a lavorare la fabbia ; €
v’imprime una moltitudine di folchi difordinati.
Ciò fa probabilmente , per metterfi in fudore :. do-
po di che fi caccia fotto l'arena. Il fudore; che
gli fcaturifce dai pori di.tutto 1 corpo , accoglie
(fecondo me ) tutti i’granelli, ch' ci tocca. Sor.
petto però, che li conglutini con unfilo vifcofo,
e fi formi con effi quella crofta, che tutto quans
to lo fafcia, e ricopre‘; ‘onde l’animale fi trova
fepolto fotto una fpezie di pallottolina di cinque’, |
o fei linee di diametro ; thè perde però la liber-
tà di poterfi muovere. Ma egli non fi contenta
d’albetgar fotto'un muro alla:nuda ; onde po-
trebbe- agghiacciarfi ; ed ‘affiderarfi . Si ferve di
quel filato , la cui. finezza fupera di gran.lunga
la feta del filugello , ad unaltro effetto. durtaca
ca le fila in qualche fito ta .lui comodo»;0e poi
le “porta in un altro , le attraverfa . a ‘È in-
erocicchia in mille modi,.e, nello flefo tempo. le
incolla infieme. Para; cd addobba con AG tela
M 3 futo
a
182 I MirMmicoLeEe@NT,.
futo (che fembra un rafo di color di perla finif»
fimo , e bellifimo ) i penetrali del proprio alber=
go. Tutta la fimmetria , e tutto ’l comodo di
quefto lavoro è al di dentro. Non fi vede al di
fuori , fe non un poco d’ arena . Il fuo albergo
non fi diftingue dal terreno contiguo : e ciò gli
torna ben conto , Concioffiacofachè , non effen-
do ofiervato, fi efime dalle perfecuzioni degli uc-
celli, che lo nimicano, e vive in pace: laddove rav-
vifandofi a qualche efteriore fegnale , farebbe fem=
pre in pericolo della vita. |
| Egli fe ne fta in cotal guifa rinchiufo, quan
do fei, quando otto, e talor anche più fettima-
ne, nel qual tempo fi disfa degli occhi, delle
corna, delle zampe, e della pelle: e tutte le di
lui fpoglie reftano accincignate, a guifa d’un cen-
cio, nel fondo della pallottola. Egli diventa una
ninfa, o una bambola corredata di nuovi occhi,
di nuove zampe, di nuove interiora, e di ale ;
ma tutto fta inviluppato in una pellicola , che
fembra giufto un liquore rifeccatole addoffo; co-
me addiviene a tutte le farfalle, allorchè depon-
gono la fpoglia del verme, per trasformarfi in cri-
falidi. Quando le membra del nuovo animale han-
nd acquiftata la neceffaria durezza, e vigore, egli
Araccia i tappeti della fua cella, e fora il muro
della fua cafa , adoperando a quefto effetto due
denti, fimili a quelli delle locufte. S° affatica, e
fi sforza di slargar |’ apeftura.: sbuca in prima
per metà; e finalmente efce fuora del tutto. Il
fuo corpo, che. ftava attorcigliato a modo di una
voluta ; (4) nè arrivava ad occupare tre linee
di luogo, fi fviluppa, e fi fcioglie , ed acquifta
: 10.
(4) La voluta è un rotolo, ovvero linea attorciglia-
ta, che va dì mano in mano riconcentrandofi in sè
medefima.
.DiaLoco OTtTAve..: | 183;
“in un batter d’occhio quindici, o fedici linee di
lunghezza . Le quattro fue ali, gi ftavano rie
piegate, ed affaldellate dentro l’ aftuccio; nè ab-
bracciano più. di due linee di {pazio , fi (piegano,
e diventano in due minuti più lunghe di tutto?l
corpo. in fomma quel mefchinello,, efcriato mir=
micoleone fi cangia in un grande , e bel grillo,
che dopo efferfi trattenuto per qualche tempo 2
contemplare, come attonito.,.lo fpettacolo della
natura, batte l’ali, @ va a goder d'una libertà,
che fra le tenebre della precedente fua vita non
avea mai conofciuta . Colla falma del primiero
fuo .ftato, depone ancora l'antica gravezza, l’ine
nata barbarie, ed inclinazion fanguinaria. Tutto
in lui fi rinnova ; tutto {pira vivezza, agilità ,
‘ nobiltà, e maeftà.
Si trovano ancora preffo gli ftagni delle a.
fpezie di grilli, quanto alla figura , confimili. ed
fopraddetto; (M. Aubriet difegnatore nel Giardino
Realé .) ma i lor colori fon molto più chiari, e
più accefi. L'origine di quefti ultimi è totalmente
diverfa da quella del precedente. Il grillo prove-
nuto dal mirmicoleone depon l’ uova dentro la
fabbia ; affichè i parti, fubito che fonnati, tro-
vino la, onde vivere, Non già , che quefti ani-
mali vivan di fabbia; ma la fabbia dà loro il mo-
do di trovare il lor vitto . Forman tantofto un
piccolo trabocchetto ben compaffato ; e diventa-
«no in uniftante cacciatori, e geometri, Ma l’al-
tro grillo , che s' aggira lungo gli ftagni , s' ac-
cofcia colle parti diretane nell'acqua, e videpon
le fue uova. Il feto, che poi ne salto) vive per
qualche tempo nell'acqua : fi trasforma. fuccefli=
vamente in crifalide ; ed in fine viene ad abitar
sù la terra . Ma non ho ancora tante notizie ,
che baftino , per additarvi la di lui maniera di vi»
# 40 vere,
r$4 I Gritti. Dràtoco Ortivo.
vere, la fua mirabil: ARRIcRAOHO) cet la diverfis |
ta delle fpezie .
Contef. Vi configlio a far tuttavia GEO! fudio
fopra cotefta. nuova ‘ffotia ; che s'è curiofa ; co-
me quella del mirmiéoleone , non può non dilet=
tare oltre modo :.edio vi ringrazio a nome di tut=
ti dell’ amenifliimo tema , cui prefcegliefte )
divertirci.
Cav. Madama, cotefto complimento S° si tta
al Signor Priore. Tutto cid, ch'io v' ho detto. 3
e farina. del fuo molino.
Contef. E° giuflo, ch'io adempia il mio debito,
come. gli altri. Ma-la materia, che ho da trat*
tare, fraftornerebbe il confueto pafleggio del Si
gnor Cavaliere. Fatemi credito fin a domane +
La nuova feffione fi terra (fe nonv'èd' incomo*
do ) nel mio gabinetto.
Fine del Dialogo ottavo.
LE
"i ve
Rode A, tt.
LE concuigiie.
DIALOGO, NONO. y
ÎL Ad i N
La CONTESSA lai DI GIONYALLE.
Ir Priore
Ir CAVALIERE DEL BROGLIO.
è
Contef. Tla, Signori, paffiamo dbntis? |
Cont. Ché diacin pretende di fare ‘queta
gentildonna con tutti que” vafelami di vetro mefs
fi per ordine Hot
Contef. E Ella © “una colezione apparecchiatavi
colle mie mani .
"Cont. Che farà mai? Quelle; ch io vedo traf+
parire nell’ acqua, fotto alquanto di ghiaja», fo=
no telline, 6 pidocchi di mare ? Pidocchi, inve
ce d oftriche frefche ? Egli è ben un regalo als
la moda.
Contef. Molto migliore , che non: perifate ‘€
fon ficura , che me ne faprete aflai grado. Noti
vedete quel, che accompagna quefti pidocchi?
|. Prior. Eccone qua uno bell'e aperto. Ve’ ve’?
per quanti filetti fta accaccato ad un coccio! Par
iufto una trabacca , colle fue corde; e co’ fuoi
feriti.
Cont. Ne veggo però due ‘altri , appiccati al
medefimo vafo per un numero affai minore di fis
la. Quefta è una cofa ben ffravagante. Che sì,
che la noftra gentildonna. pretende di farne vede:
“re ancor quì delle filatrici.
°° Contef.. L° indovinate . Mi venne Quello | pens
fiero ; e col penfieto la congiuntura , quel gior:
no feto ;» che voi mofirafte al Signor Cavaliere
il
SAT A
186 Le TrxrLrna
il lovorìo de’ bruchi, e de’ ragni . Queffi fono i
flatori della terra; ma non vi crediate , che il
mar ne fia fenza, Me ne furon moftrati acciden-
talmente il predetto giorno; € fubito difegnai di
farli vedere anche a voi.
Cav. O quefta volta , Signora, fiete ufcita ben
fuor del voftro miniftero. Quefte non fon già co-
fe attenenti nè al giardino , nè al ferraglio , ‘o
ferbatojo de’ voftri pollami .
Contef. Ella è ben roba fpettante alla mia cu-
cina. Sarà da fei, o fette giorni, che m° abbat-
tei a vedere il mio maeftro di cafa, che pagava
al pefcivendolo , ( che pafla ordinariamente per
qua ogni fettimana) l’ oftriche , € "l pefce. Mi
fermai per un momento a oflervare una pefcata
di pidocchi marini, non ancor confegnati in man.
del cuoco ; e ftava guardando per iftupore una
moltitudine di matafiette di flacciche . Del che
‘accortofi il pefcivendolo , colla folita civilta del=
le perfone di quel meftiere ,-mi diffe; Veda, Si-
gnora , i pidocchi marini non vanno mai fenza
ilacciche ; concioffiacofache le medefime fervon
loro di corda, per ancorarfi » Mi parve di rav=
vifare in quefti animali materia, da potervi di-
vertire; ed incaricai ’1 pefcivendolo di portarmi
al primo viaggio de’ pidocchi di mare begli e vi-
vi in due mezzine d’ acqua falfa., con un poco
di ghiaja. M' ha veramente fervita con pontua-
lità ,, ed anche più prefto ; ch’ io non ifperava.
Ho fatto diftribuire sì l'acqua, come la ghiaja,
e i pidocchi in più vafidivetro ,, per vedere, co-
me fanno a attaccarvifi: ed eccone già tre, Qquate
tro, che fi fon meffì al lavoro . Certa cola è,
che quelle cordicelle, che voi vedere, fe le filano
da sè fleffi, perchè jer l’ altro non ve n'era men
mina. S'attaccan con quelle fila, 0 ad un coccio a
I o al
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L CL Tei na, O è Padò cceluo, > Pio ila ma cina --
Tom. L.
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DiaLoco Nono. 187
o al corpo fteffo della ghiaja, ‘perl’ abituazione,
cred’ io, che hanno prefa a far ciò , pel fofpet-
to, che T onde non li traportino . Ma non arti»
vo a capire, in che SIE era formin quel flo...
Cont. Signor Priore , diftinguete voi nulla di
quefto lavoro ? I
Prior, Qfervo in quefti primi tre vafi, ché i
‘ pidocchi cavan fuori del nicchio una tromba , o
fia lingua, con cui fi vede, che van tentando,
e taftande, per rinvenire un fito acconcio , ove
attaccare dell’ altre fila . - i
Cont. Aveva ben fentito dire , che le conchi-
| glie. partecipanti della natura del pidocchio, eran
fornite d' una, fpezie di tromba; ( Mem. dell Ac-
cad, delle fetenze compilate da DM. de Reaumuri:711.)
e l ho offervato più, e più volte nelle telline
bell'e corte. Sapeva ancora, che.quefta tromba
ferviva loro di gamba per camminare, € ch’ el-
leno {tendevano la medefima più d’ un dito , €
mezzo fior della fcorza; chel’ attaccavano, non
fo come, fur un coccio, e poi la ritiravano vio»
lentemente nel nicchio, attraendo per quefto mez-
zo il proprio tugurio . "Ma ora vedo, che quefta
tromba ferve pur anche a un altr tir La Con-
tefla, a quel ch'io penfo, l’ha beniffimo indovi-
nata . Non bafta al pidocchio aver trovati di fu
ghi acconci a nutrirfi: ha bifogno eziandio dei fer»
marfi a fucciarli . Or non avendo nifflun fofte-
gno,
| Spiegazione della Fi cl
A. La tellina ;
- _.B. La fua lingua, o tromba.
C. La fteffa lingua allungata per fentire un Iuogo
fermo.
D. La medefima lingua, che forma, come un fifone..
E. Le filacciche da Îei formate. dolla lingua , ed ate
‘taccate ad un coccio, o altro corpo duro.
F. La Pina marina colle fue filaceiche, o fete.
a... Re Perrin
gno, ogni foffio di vento , e l’‘ande Îeffla, che
“‘preffo alla fpiaggia , ove fi va ‘procacciando ì
fuoi alimenti , ‘ffan fempre in moto, lo' trafpor=
terebbero in un'attimo affai da lungi. Quelle fi#
lacciche ( come che fe le: formino ) vagliono ad
ancorarlo, e a fermarlo. Vediamo un ‘poco ,
fi poteffe ravvilar la ffruttura del lor lavoro .
Afpettate: mi° par quafi quafi di trovarne il bans'
dolo. Con un po di pazienza, ecoll’ afuto di ques .
fila lente, fpero di diciferare ogni cofa*. Offervo
“ lungheffo la tromba un certo folco ; o canale;
che arriva da imo a fommo : vedo adeffo , che
gli orli di quefto folco fi combaciano infieme, é
che fi viene a ferrare. Mirate, mirate: ecco la,
che dalla punta della medefima tromba fcaturifce
una goccia di liquore, che tocca il coccio.
Prior. Lo vedo beniffimo : anzi la goccia ha
formato una larga bolla , che ora gia va conge-
lando , e condenfando. Pi
Bon}, Dubito, che tutta quanta i la tromba fia
pieghevole , come una laftra di piombo,
venga rotonda, formando (quando gliorli fi com-
baciano infieme ) ùn cannello voto; ovvero una
doccia ; per cui la gomma, ond’è formata la cor=
da, fi condenfi; giufto come fa ùuna candela di
fevo nella fua forma.
| Prior. Ciò, che voi dite , è Vesiine : ed ecs
co, che la tromba fi IBalaica da'capo a pie, e
s' appiana . Il liquore gia condenfato per entro
al detto canale; coll’appianar della tromba, vien
fuori della fua forma; ed ecco fatta una siuova
corda , che s'attien per tn capo allo ftomaco dell”
anifmalé : e per l’altro Ra attaccata a quel coccio .
Cont. CH vede.,. che quefta beftiuola:non s'è an-
cor bene ancorata. .Imperciocchè.va tuttavia al-
lungando la tromba < e cerca nas dove attacs
care
Diiarogo Npono.i 189:
care una.nuova corda . Offerviamo di mano in.
mano tutti. i foi andamenti; cebgn eda
_g Cav. Cotelta voflra tromba. apprefta al -pidoc=.
chio di molte comodità ..Ella gli ferve di gamba;
per camminare., di lingua per aflaporare , e di;
| ftampa per formar la corda, gon:cui fi vuole an-
RRDTADO i te river gl 3%
| aCont. Non ho più alcun dubbio; chela fabbri»
ca delle fue corde non fia..così fatta., come ab-,
biam divifato: ed ora arrivo.a. capire , come la,
pinna marina, che finalmente :non è altro, che.
un groffo pidocchio di mare, pofa con un ordi-
| gno più dilicato formar delle fila, vie. più pregia+.
te delld feta.; e. come in -Sicilia ft faccian con
efle de’ drappi belliffimi .
©
1900. Lèé Tearirttrintéf.
oftriché. Vorrei poter effere vicino al mare. Eglî
è un mondo nuovo pef noi. A mifura'delle noti>
zie acquiftate per quefta piccola efpétienza, ché
la Conteffa né ha fuggerita, vedo; che fi potreb-
bono difcoprire molte belle cattofeà/
Contef. Se noi'foffimo preffo alle {piagge: do-
ve fan le pinne marine , in vece di filatrici 30
di filatori di canape ; v’ avrei fatti vedere degl
operieri;, che filan la feta . Mi muojo di volle
di-vedere le loro manifatture, ed il profitto , che
dalle medefime fi ticava.. è
Cont. Jo per mé ho° veduti de guanti, formati”
di quella feta. ( Memor. dell’ Accad. delle fcienze
3710. 4Car.386, ibid.1713.) A-Palermo fe ne fan-
no continuamente : nè è cofa impoffibile farve-
ne avere. | I
Prior. Ed io ho veduti de' guanti d una feta
affatto diverfa . /
Contef. E di quale ?
Prior. Di feta, filata da'ragnoli. I Signori Ace
cademici di Monpelieri ne fpedirono-non fo quan-
ti all’ Accademia Reale delle fciénze di Parigi;
acciocchè gli efaminaffe. Dipoi fi fon fatte della.
medefima eziandio delle calze; e delle manopole;
che futon poi regalate a Madama la Duchefla
di Borgogna. è». |
Contef. Giacchè quefta feta è sì comune; per
che non fi prova a rizzar una bottega di così
fatte manifatture ?
Prior: Il Signor di Reaumut, uomo dilettante
di quefte galanterie , e che ogni giorno fa delle
nuove fcopert8, tion men felici ; che profittevoli
fopra certe materie comuniffime ; ima pofte gene=
ralmente in non cale; l'ha già tentato. Provò a
metter infieme un buon numero di quefti infet=
ti, © fece loto appreftar delle mofche , e delle
cime
i PURO Nea.
cime di bordoni ftrappate di frefco da i polla#
firelli, e dai colombini ; perciocchè queftéè piu
«me fon pieneti fangue, edèfacile averne, quan-
tiffimi. Ma guati non andò ; che s'accorfe; com
me quefte beftie | per quanta cura un fi prenda
‘che al loro genio s' attaglino j$ noridimenòo fon
sì cattive’, quando fi trovano infieme‘; che lafcian
‘tutto; per divorarfi l’ una coll’ altra. Vedete; ché
buona gente da mettere in ‘Comunità! Ma quand
“anche ne ritifciffle d’ accordatle infieme a lavora-
re una qualclie manifattura’, vi vorrebbe unfito
troppo fpaziofo; e troppa fatica fi richiederebbe ,
pet allevatne un numero fufficiente. A conto già
fatto vi bifognerebbono da feffantamila ragnate+
li, pet ricavarne una fola libbra di feta : E cori
tutto quefto non fiam ficuri, che il lofo filo or=
dinario fi poteflé mettere in opera. Non s'è fi-
nora provato fe non quel filo ; fra cui itivilup-
pano le loro uova: ma qtiéfto è tre ; o quattro
volte più forte di quel delle ragnatele. In fom-
ma la conchiufione di tutte quefte fperienze fi è y
che non bifogna ffar a bada di quefte manifattu=
re, pet avere de’ buoni guanti. sita
Contefi Già lo vedo; che mi bifognera provve:
dermene per altra parte. o
Cav. Son perfuafo tanto che bafta , che il pis
docchio marino coll’ ajuto della fua tromba pofla
avanzatfi; e fermarfi, come gli piace. Ma que-
fla chiocciola ; che ho trovata fut un pampano
della nofira vite, che rifponde fotto al balcone;
l'ho pur veduta benifimo camminare , fenza aver
ne tromba, nè gambe: or come fa ella a batte
re Atrada:2:.
| Comtef. Ed io vorrei pur fapere, come le chiog*
ciole,
ite fe ne vuole; e fi fa, ché i ragni ne fori'ghiot+
«di nutricatle ; e adefcarle co miglioti bocconi y
192 Le CHItocciose.
ciole, le telline , e tutte quante le conchiglie fi
ISbbrichin quella cafetta, cui portano. fempre con.
effo loro; e dove fi rifugiano, appena un le toce
ca. come che Da ti
«Prior. Ho fatte. già infianzi fopra. le ici
diverifime offervazioni ; ficchè ho tanto capitale,
che bafta , per teffervene tutta la ftoria : rifer-
bando al Signor Conte. la, fola dichiarazione della”
fabbrica. di quel nicchio, 0 fcorza, che fia, di cui
non fono appieno informato n
Nella chiocciola non fi vedono, nè piume, nè
or s nè. bozzolo. Ci fi prefenta un nuovo GNle=
ma di cofe; e vi-fi fcorgono delle mire tutte dif-
ferenti. dall” altre . Ciafcuno animale ha natural-
mente il fuo albergo; e quefto albergo. ha. le fue
bellezze. G.i fuoi comodi particolari, Mai in [a
della chiocciola s' accoppiano due vantaggi a LEhe'
pajono affolutamente incompoffibili ; cioè a dire
un’ efirema durezza , ed una fomma leggierezza . .
Così l’animale fla al ficuro contro tutti i peri- 1
coli; trafporta fenza,. fuo incomodo il proprio al-
loggio, dove gli pare; ed in qualunque paefe c-
gli vada, fi trova mai fempre in cala fua. Av-
vicinandofi la ftagion fredda , fi ricovera in qual-
che buco . (en dell’ «Acad. delle [cienze SI00.)
‘ Quie
POLE della Figura +
A. La chiocciola. — |
B. La chiocciola novella s'tal qual ic fuora dell”
novo.
-C\ Il cbllare, e la pelle mufcolofa ; die; cvi fi i ferve
per. camminare. .
D..I fuoi cansocchiali...
E. Chiocciole di varie lumache rotte in “diverti luo-!
ghi; e poi rabberciate col loro fudore.
°F. Diverfe chiocciole, le cui fcanalature, tubercoli,
e macchie corrifpondono allex{canalature, tubercoli,
macchie del collare , che Je ha formate. s € ciccefliva-
mente accrelciute.
pa indi Pe RBL uindeà
| Ze L onneheglie i
%
Pi
-. DiaLyoco Nono. 193
Quivi fa gemere dal proprio corpo una certa fchia-
ama, che tondenfandofi full’ apertura del nicchio,
ve la tiene faldifima. Ritirato fotto un afilo co-
sì ficuro, paffa, come molti altri, la ftagion' ri-
gida fenza patire, e fenza averbifognodi nulla 2
e quando la primavera rimena le bellei giornate,
«apre da per sè fleffo la porta, e va a cercare
la fua ventura . Gli torna allor appetito , con
tutti gli altri bifogni . Ma ftrafcinandofi , com’
egli fa, colla fua cafa ful dorfo, fe i fuoi occhi
non fi follevaffero fopra”lfuo corpo, non vedreb-
be gli oggetti, cui dee fugire, ocercare; e cor-
rerebbe, nonche altro , pericolo d’ imbrattarli con-
tinuamente di fango . Il perchè la natura l’ ha,
provveduto di quattro cannocchiali, che gli mo-
firano da vicino tutto ciò, che ha dintorno.
Cav. Signor Priore , avete mai veduti i can-
melli di cotefti cannocchiali ?
Prior. Non burlo mica. Quei cannoni, che pa-
jono quattro corna , fono quattro cannocchiali col
loro criftallo in cima j © per dir meglio quattro
nervi ottici, sù ciafcuno de’ quali fcintilla un oc-
chio viviffimo ( Liffer. Exercitat. Anatom. Co»
chlear.). Quindiè, che la chiocciola non folamen»
te alza la telta, per veder di lontano gli ogget»
ti; ma porta ancora più in alto i fuoi quattro
mervi, o cannoni, con gli occhi , o criftalli, che
fono in cima. Ella gliallunga, e li regola a fuo
piacere: e fi può dire beniffimo, che faccian per
lei lo fteffo officiode i telefcopj; mentre li slun-
ga, li gira, celi ferra fecondo il bifogno. Fra que=
fii quattro ve ne fon due , i cui fpecchj fi rav-
vifano agevolmente; ma.gli altri due non fareb-
be fuor di propofito il dire, che fofteneffero l’or-
gano dell’ odorato . Comunque ciò fia , voi ben
wedete, che la chiocciola è già alloggiata, edile
Tom, I, I i lumi»
\
/
$Ò4 Lr CHiocer1oi È.
Juminata : ella fi trova in iffato didifcoprire tate
to ciò ; che l’ accomoda:. Ma'fe ‘la mefchina è
{provveduta di gambe , come farà ad andare 2
procacciarfelo ? Vel dirò io ( Derbam. ‘Theolog.
Pbyfic. l. 9.6.1, Liffer. Ibid.) Invece digambe, è
corredata, di due groffe pelli piene di mufcoli, che
non disfacendofi delle lor grinze , s’ allungano; ed
inerefpandofi nuovamente dalla parte anteriore, fi
tiran dietro le pofteriori, con tutto il pelo, ché
ior foprafla. Ecco però un altro imbarazzo. Stan=
do la chiocciola fempre fempre rafente terra , €
non avendo , nè ale per follevarfi ; nè lacci da
foftenerfi in cafo di qualche caduta ; farà tutt’
ora in pericolo, o di sfragellarfi, precipitando da
qualche altura ; o d’ annegarfi al primo allaga-:
anento, che inforga. Che più? Il folo umido fa-
ia capace di pernetratle il fuo corpo, e d’ ucci-
derta. Ma la natura, per premunirla , e delibe-
rarla da tutti quelli emergenti , l’ ha fornita d’
un certo umore appiccaticcio; ed oliofo, che me-
diante la fua tenacità; la foftiene; ficchè non ca-
da, e turandocolla craffizie dell’ olio i pori tutti
della fua pelle , la rende impenetrabile all’ umi-
do. Ed oh con quanta economia maneggia queft'
olio, per lei sì preziofo ! Si fchiva d’ andare al
Sole , perchè potrebbe feccarglielo ; e pratica i
luoghi umidi, dove agevolmente confervafi, e do-
ve pure le apprefta del grande ajuto.
Ecco dunque, ch’ ella fi trova in ifato d’ an-
darfi a procacciare il fuo vitto. Trovato, che |
abbia, adopera; per trinciarlo , ( Godaert Infe®.
Tom. 1. Liffer. De Cocbleis. Hook Micrograph. ob=
Sor. 40.) due offa armate di denti, e da con effe
talvolta il guafto alle frutta migliori , 2 Sa
germi, ed alle foglie eziangio delle piante do
confervazion delle quali dipende pure E
i Diareco Nowo: 195
fruteo . Or voi vedete; che per quanto miefchind
ne comparifca quefta befiinola ; la natura s' è pe-
rò prefa del gran penfiero per lei; e le ha ap-
preftati de’ comodi molto fpeziali : sed I
Ma quel; ch’ io trovo di più mirabile nella chioc-
ciola, ii è l’eflere un ermafrodito ; ed avere in-
fieme infieme il feffo del mafchio, e della femmina
( Stor. dell’ Accad. delle fcienze 1708. pag. 58.) di
modo che nel tempo ftefio , che l’ una ingravida
fa compagna ; refta ancor ella dalla compagna
medefima ingravidata : Volendofi congiugnere in-
fieme; s'avvifano fcambievolmente in un modo ,
ch'è affatto affatto particolare ( Li/fer de Cocbleis. )-
Una di loro vibra.; ad avventa contio dell’ altra
una fpezie di picciola freccia; o faetta ; fornita
nin cima di quattro gorbie ; o ale taglienti. Que-
Tha freccia .fi facca di netto dal corpo di chi la
fcaglia; e va a ficcarfi in quel dell'altra; o pu-
re ; dopo aver fatto il fuo colpo ; cade per ter-
ra . La chiocciola ferita fcaglia pur effa la fua
contro la feritrice i € quefto duello va prefto pre-
flo a finire in un’ amorevole riconciliazione . Le
frecce di quefli animali fon compofte d' una ma-
teria fimile al corno : N’ hanno fempre apprefio
di loro di pronte; qualora voglion congiugne pil;
sil che fuccede ogni anno ; tre volte in fei fetti-
mane coll’ intermezzo di quindici giorhi da un cons.
ziungimento all’ altro. In capo a diciotto giorni
ciafeuna di effe depone le fue uova fra la terra;
e ve le nafconde con molta cura: Ora vorrei fa-
pere dal Sig. Conte; fe il nicchio delle chiocciole
«fia fermato infieme coll’ uovo ; sì; 0 no; e come
egli vada a poco a poco crefcendo; e refauran-
dofi; quando fi rompe.
Cont. Signore, credo d'avertanto capitale, che
afli per appagarvi, Ho gia fatte fopra di ci®
N. è cin
196 Lx CHIocelLoLE,
cinque, o fei efperienze, che mi fon riufcite bes
niffimo : e di quefto mi prevarrò per dar ritpota
a'voftri quefiti.
La ‘chiocciola viene al “Malin, o sbuca dall’ uo-
vo col fuo rnicchio bell’ e meio ( Malpigb. de
Cocbl. Memor. dell Acc. delle Scienze 1709. ); egli al-
lora è d’ una picciolezza proporzionata al di lei
corpicciuolo , e all’eftenfione del gufcio , ove il
medefimo uovo fi ffava nafcofo . Quefto nicchio
ferve di bafe ad un altro , il qual dee crefcere
a poco a pocoinfieme coll’ animale. Il medefimo,
fenza divenire più grande di quello, che fofe nel=
lo fpuntare dall’uovo , fuffifte fempre nel centro,
dell’ alero nicchio , il qual fi forma col crefcere
della chiocciola, aggiungendofi ad ora ad ora di
nuovi cerchj al primiero; e ficcome il corpo dell’
animale non può allargarfi , fe non dalla parte ,
ov' è l’orificio del nicchio; così il medefimo nic-
chio va crefcendo per quella parte. La materia;
per cui s' aumenta, e fcaturiice dal corpo di eflo,
animale ; paffa per molti, e molti andirivieni fe
© piccoli canaletti, ed arriva per fino a’ pori del-
la fuperficie, o pelle del corpo, ch' è tutta quan-
ta bucherata, come uncrivello. Quefta materia .
trovando tutti i pori ierrati per quella parte, che.
wien fafciata dal nicchio , da di volta, e s' in-
cammina verfo la parte fcoperta , ch’ efce fuor
della fcorza. Così dunque trafpirando quelle pat-
ticole mucilaginofe , e untuofe al di fuori , s' attac=
cano , fi feccano, e fi condenfano intorno all’ ori-
ficio del nicchio: vi formano a principio una {em-
mlice pellicina , fotto la quale ne nafce poi un*
altra, e fotto la feconda una terza: il perchè di
tutte ‘quefte pelliciole unite infieme viene a com.
porfi una fcorza, in tutto fimile al refodel nlc-
chio . Allorchè l’ amimale è tuttavia in iftato di
ere-
)
vi Diaroeeo Noto. : 0 197
&refcete, vedendo, che la fua vefte da’ piedi s' ace
corcia , profegue a fudare ; e nella maniera fo-
| praccennata le fa una giunta. Così fenza dubbio
egli forma, e rallunga il fuo nicchio; e così pur
- lo reffaura; E che fia la verità ; ‘pref un gior-
ino diverfe chiocciole ;} e fchiacciai bellamente
una particella del loro nicchio, procurando di non
ammaccare, 0 ferire l’animale. Pofcia le collocai
fotto ad alcuni vafi di vetro con un poco di ter-
ga, e di erba; per vedere quel, che feguiva. ©f-
fervai di lì a poco ; che quella parte del corpo
loto ; che mediante la frattura del nicchio , era
timafa fcoperta; e fi vedea nuda nuda , fi rico-
| priva beniffimo con una certa fchiuma , o fudo=-
re, che trapelava ad un tratto da tutti i pori.
Notai in appreffo, che quella fchiuma fi fporge=
| va di mano in mano più in fuori; venendo fof-
pinta da un’altra, che fcorrea per di dentro ; è
quanto prima la vidi ridotta a livello della fcor=
22 rimanente. | n
Prior. Signore; potete voi afficurarvi, che quel-
la mucilagine, onde fi forma la fcorza, provenga
dal corpo dell’ animale ; e non piuttofto dall’ e»
(tremità del nicchio adiacente? Dar
_ Cont. Ne fon più che certo. Sentite, come ho
fatto a chiarirmene. Dopo aver rotto un pezzet-
to di quella fcorza, ho tolto da unuovo di gal.
lina quella fottile pellicola; che ffa tra il gufcio,
e l'uovo ; e l’ho infinuata bel bello fra ’Î corpo
. della chiocciola; e l'orlo della frattura. Ora, fe
al nicchio aveffe còntribuito per fe medefimo a
rammarginarfi; il fugo mucilaginofo; che indi fa»
rebbe fgorgato ; avrebbe dovuto fpanderfi fulla
predetta pellicola ; e ricoprirla ; a mifura che il
buco s' andava ferrando . Se poi quella fchiuma fof-
fe fcaturita dal corpo medefimo della chiocciola,
» N 3 ia:
/
198 LE Cuioccilotr,
la pellicola avrebbe dovuto impedire, che non tras
cea al di fuori; ed in tal cafo avrebbe dovu-
to condenfart era la pellicola , ed il corpo-dell?
animale: come appunto addivenne.
Prior. Se così è;' non*ho che replicare.
Cont. Ho fatta aficora un altra riprova. De
| quattro, o cinque. cerchj, ond è compofto il nic-
chio della chiocciola‘, ho rotto !° ultimo., e l’ho
flaccato di netto. Quindi fra la fcorza, edilcor-
po ho inferita una pelle di guanto delle più fot-
tili, che fiano . Ho rimboccata la medefima pel-
le, e l'ho applicata alla fuperficie del nicchio. Or
dico io: fe la mucilagine formatrice di effo foffe
fcaturita di lì, avrebbe dovuto fofpignere, e far-
ne diffaccare la pelle; ma quella flette lilda. Vie
di bensì coperto «d’ un certo fudore appiccaticcio
un terzo, e piùdi lumaca, che, mediante la frat-
tura del nicchio ; eta rimafo [coprirhe e vidi pu
re formarfi di quella mucilagine un nuovo cerchie
di fcaglia, che fi congiunfe perfettameute colla
VERO ; e la pelle del guanto reftò incaftrata
nel mezzo.
Prior. Bramo di veder. dilucidata , più che fi
può, quefta materia; perchè diciferandofi la for-
mazione del nicchio delle chiocciole , fi viene 2
fapere , come fi formino tutti i nicchj delle con
chiglie del mare, e de fiumi.
| Permettetemi dunque in cortefia, ch'io vi pro=
ponga un’ altra difficoltà: fon fi curo, che la me-
defima ne fuggerirà de' nuovi lumi + Se i nicchj
delle chiocciole fon formati in quella guifa , che
il Sig. Conte ne addita, bifogna dire, che lefrar-
ture di quefti nicchj fian racconciate con una ma-
teria, che trapeli dagli fleffi pori, ond’è trafudata
4 antecedente, «che riempieva lo fpazio veto, pri.
ma della rottura: dal che s' inferifce , che la tope
pa
DiaLreco Nono. |. 199
pa reftauratrice del nicchio, debb' effere per l'ap.
punto del colore del pezzo rotto, e di tutto il re-
fto della fcaglia. Ma tutt’ altio addiviene : con-
cioffiacofachè io fteflo ho vedute diverfe chioccio-
le ammaccate racconciar la-fottura inmodo tale,
che la toppa fi diftingueva beniffimo da tutto il
refto; ed era di diverfo colore.
.. Cont. Ciò, che voi dite, non invalida in conto
alcuno la mia propofizione ; anzi mi dà motivo
di dichiarire, donde procedan quei fregj, e rabe-
fchi, che fi ravvilan con iftupore sù pe’ nicchj del-
le chiocciole, e di quafi tutte le conchiglie.
Cav. Avrò ben caro di faperne l'origine. Im-
perciocchè ho vedute moltiffime conchiglie, i cni
fregj erano tutti uniformi , da quel piccolo pun-
to, ch'è fituato nel mezzo, fino al contorno dell’
orificio; ed all'incontro molte altre, in cui leli-
fe erano interrotte, 0 tramifchiate di certi rabe-
fchi, che avean qualche fimilitudine colle nete del-
la mufica. Donde mai può derivare una sì fatta
diverfità ? Lai
Cont. Proviene dalla diverfa difpofizione del col-
lare ; cioè delle ultime parti del corpo di quefto
animale, che fi prefentano alla bocca, o apertu-
ra del nicchio. Sù quefto collare v’ ha molte vol-
te delle life, o macchie , che fon di color diffe-
rente da tutto il refto del corpo: e quefa diver-
fita di colore indica, che la teffitura eziandio del=
x
la carne è in cotal fito diffimile a quella delle
parti contigue. Quindiè, che i fughi, o le fchiu-
me, che vi fi formano , paffando per certi cola-
toj traforati diverfamente da’ cribri contigui, ac-
quifiano in queto fito un colore particolare : e
ficcome la parte, ov'è quella &trifcia , fuda , e ribolle
ancor efla al pari dell’altre parti del foprammen-
tovato collare ; e sì contribuifce in un con efle
N 4 alla
ì #
800 Le Cio'nedita da
Alla formazione ; ed accrefcimento fuccelfi: vo del
nicchio; così que’ punti, che corrifpondono a det-
ta parte, fon tutti d’ uno fiefflo colore; ma fem»
pre diverfo da quel delle parti citconvicine . Dal
che ne fegue; ché quei colori debbono imprimerfi
mella fcorza a fafce, ed a lifte; e continuare co-
sì, fintanto che l’ atilitiale dontinda lentamente a
cargiar fituazione dentro il fuo nicchio ;/e ad ag-
grandirlo, avanzandofi adagio Dn vetfo la par-
te efieriore. ]
Ma per comprendere più chafanientà quefta
fattura, convien fapére, che quando la chioccio»
la fi va ingroffando, rimuove la coda dal fondo
del nicchio, divenuto ofamai troppo angufio per
adagiarvifi; la folleya ; e la pone intorno al fe-
tondo, o al terzo girò di effo, ed aggrandifce il
‘fuo albergo verfo l’ òrificio, o apertura. Ora, ih
facendo quefte mutanze, e falendo fempre di gra-
xo in grado , le parti del fuo collare, che; me- o
diante la diverfita de’ pori, imprimono nella fca-
#lia differenti colori, formano andantemente una
fafcia tutta confimile. Ma quando la chiocciola ,
pel mutarfi di fito, lafcia un intervallo tra il po-
flo abbandonato dalla fua coda, é quello, incui
nuovamente la pone; lafcia pure lo fieflo fpazio
rifpetto a tutto il refto del cotpo ; ed allora le
parti del collare , producitrici delle macchie nel
nicchio , trovandofi fituate alquanto lontane dal
poflo, che avevan primò liftato, ne imprimono
dell’ altre nel nuovo , lafciando fra quefte, e le
precedenti un intervallo ora maggiore, ed ora mi-
nore: ed ecco l'origine delle voftre note di mu-
fica. Diverfe altre caufe poflon contribuire a qué’
fregj, e rabefchi, che tingon tutta la fcorza di.
colori ora vivi, ed ora fmontati. Efempigrazia,
"Ha qualità dg’ cibi , la buona , © cattiva ‘soil
ell
di ‘DIA bdeb'Nowo: LOT
dell'animale ; il cangiamento della compleffions
col cangiar dell’ età; e finalmente le alterazioni,
che poflon fuccedere ne’ varj cribri della fua pel-
le. Mille altri accidentivagliono a cangiare, ea
indebolir certe fpezie di tinte; e a cagionarvi in-
finite diveirfità. i; |
| Ma fe il nicchio della chiocciola prende la vas
rietà de fuoi colori dalla differenza de’ cribri dell’
animale , molto più debbe prender la forma de!
collare, ch'è quello, che ve gl’ imprime . E di
fatto in tutte le conchiglie marine generalmente
«fi vede, che, fe l’animale ha fulcollare qualche
protuberanza , o gonfiezza ; 3° imprime eziandio
ina confimile protuberanza, egonfiezza sù que!s
‘la parte del nicchio, che vi rifponde : e quando
l’animalé muta fituazione; ed aggrandifce il'fuo
albergo, la fteffa bolla , ond’éra di già gonfiata
“la ftaglia nel primo fito, 8 imprime di nuovo in
un altro un po' più lontano: dal che addiviene;
che la medefima protuberanza firavvifa; e cams
mina fur una linea , che cigne intorno intorno
tutta quantà la fcorza . Talvolta le pieghe del
collare ( cioe a dire le bolle, 0 gonfiezze ) fono
«sì groffe, ed appuntate, che, a vederle impreffe
ful nicchio, fembraàno tante corna . La lumaca
riempie ad ora ad ora leparti interiori delle me=
defime, e fpargendo nuovi fudori, fi fornifce di
nuove corna ,. che poi le fervono di difefa contro
le perfécuzioni di alcuni pefci; chè fon golofi del-
la fui carne. Similmente, fe il collare delle cons
chigue è atcanalato ; o ricciuto ; il niechio pus
xe, che lo ricopre, è accanalato, e ricciuto an-
cor egli : e fe il medefimo è ritondo a guifa di
“un cercihe, fi ravvifano nella fcaglia gl’incavi ,
e rifeghe del cercine , che formano , come una
fcala a chiocciola intorno al nicchio , per tutte
o quell’
20% La Concrnietite;
quell’ intervallo, che paffa tra’l fito, ove nafco=
no, e'l margine della fcorza.
Pani Tutto ciò, che il Signor Conte colla {ua
folita efattezza in ordine alla formazione delle cou-
chiglie ne ha detto, trovafi pur confermato dall’
efperienza. Concioffiachè bene fpefio intorno all’
orlo di effe, e lungo i margini d' ambedue i nic-
chj delle telline 3 O pidocchi di mare, fi trova una
piccola pellicella, la quale altro non è, che un
abbozzo, 0 difegno dell’ accrefcimento, cui l’ani-
male vuol dare al fuo albergo. Oltre di che ,. a
gettar qualche nicchio di tellina , di chiocciola ,
o d’oftrica in fuoco, il calore dieflo vi fa rav-
vifare diverfe sfoglie; o perdir meglio, fepara le
varie falde della materia, onde quel ho era
I compofto ; rifeccando , 0 confumando la gomma,
edi fali, che le tenevauo unite,
Cav. Giacchè fiamo ful difcorfo delle conchiglie,
e delle oftriche, bramerei di fapere dal Signor Con-
te l'origine di quelle due piccole perle, che fi tro=
varono jermattina a tavola dentro un'oftrica.
Cont. Per quanto poflo , in penfando , e in iftu-
diando congetturare , conchiudo , che quell’ oftrica
pativa di mal di pietra ( Mew. dell’ Accad. delle
fcienze 1717. M.Reaumur. Atit di Lipfia 1686
Benanni . Lifter. de Cocpl. ) La
Cav. Signore, dite voi da dovero?
Cont. Da abiilauo ;
Cav. Come mai? Dunque le perle, ta Ri
gono in tanto pregio, e fi vendono tosì came; fo=
no effetti d'una malattia di quefto animale ?
Cont. Se la cofa non è certa, è almeno molta
probabile. La mutilagine, o fchiuma , che fcatu-
rifce dall’ ofiriche , e dalle Pinne marine ; e che
poi ferve a formare , ed aggrandire i loro nicchj,
alcune volte trabocca fuori del fuo sniPIcane :
s'adu-
DiaLoeo Nono. Vo 2930
s'aduna agoccia 2 goccia, e ficondenfa in gomi-
toletti , o globetti del colore del medefimo nic-
. .@bio: ed'ecco bell'e fatta la perla I
|_‘’»’Prior. Non può-negarfi , che fra’! color della.
| perla, e quel della fcorza non vi paffi una qual
. che fomiglianza: dal che s’inferifce, che la ma-
© teria dell'una nonè puntodiverfa da quella dell’
altra. Inun viaggio, ch'io feci dodici anni fono
verfo le parti meridionali di Francia, ebbi occa-
fione di vedere i porti di Marfiglia., e di Tolone:
Mi furono moftrate in quel di Tolone delle pine
ne marine , i cui nicchj eran lunghi più di due
, piedi. In aprendole, vi trovai delle perle roffe;
ed altre così cangianti, com'è il color della ma=
dreperla. Ma le roffe eran pofte in quel fito del-
.la conchiglia, ove il collare dell’ animale impri-
« me de’ fregj roîfi fopra la fcorza ; e le cangianti;
da quella parte, onde la fcorza era tinta dico-.
lore di madreperla . Il perchè evidentemente fi
vede la pegggrra identità del fugo, che forma il
nicchio ; edi quel; che formala perla. Delrefto,
fe nel corpo di un’ offrica fitrova per ventura una —
perla ; ‘in quel della conca; ‘o fia madreperla, fe ne”
trovano mille, che pajon giufto tante porrine .
Ma per provare quefio fiflema , mettiamolo fot-
to il crociuolo delle obbiezioni. I granchi, ed i
gamberi: fi fpogliano ognianno della loro fquama;
e in vece dieffa buttan fuora un certo liquore,
che fafcia tutto il lor corpo ; e che feccandofi ;
ed indurandofi diventa a poco a poco una fquama ,
niente men forte della precedente. Appreffandofi
il tempo-di queta mutariza , trovanfi nel corpo
de' gamberi certe pietruzze, che fi chiamano ina-
propriamente occhi di gambero . Or quefig pie-
truzze vanno di mano in mano fcemando ; fa mix
«dura che fi fortifica il nuovo nicchio: e allorchè
O , que-
404 Le Lomceniiaitià.
quefto È interamente formato ; non fi trovan nel
gambero più pietruzze: la qual cofa ha dato mo-
tivo a un famofo Accademico di divifarci , che
quefte pietruzze fofler la cava, o la mafla, on-
de i gamberi tolgono la materia per rifarcire la
perdita delle loro fquame. Ehi fa ; che nofi av-
venga nell’oftriche quel, che fuccede ne’ gamberi ?
È che non fia della perla , come dell'occhio de’
medefimi gamberi? Chi fa finalmente , che le per-
ie non fomminiftrino alla conchiglia la materia ;
“onde formare il fuo nicchio?
Cont. Il paragon ; che voi fate , del samberò
voll’ oftrica, pare a primo afpetto fcabrofo : ma
meditato con più attenzione fa a favor mio. Una
parte coftitutiva dell’effenza di un animale è fem
pre comune a tutti gli altri della fteffa Spezie : nè
è verifimile ; che la natura accordi a chi sì, e a
chi no una cofa ; della quale nifun di loro può
far fenza. All'incontro quel, ch'è puro difetto
di qualfifia animale, horn è comune a ciafcuno ins
dividuo; poichè i difetti non fono mai univerfali .
Ciò fuppofto; le pietruzze de’ gamberi, effendo ;
come fi vede; una parte effenziale , e neceffaria
per reftaurare le loro fquame, fi trovano in tutti
i gamberi , allorchè fon per mutare la fcaglia .
Ma dall’ altro canto vi fono moltiffime oftriche ;
dentro le quali non fi trovan mai perle: dal che
bifogna conchiudere ; che la perla è uri difetto dell’
oftrica; e per confeguenza una cofa particolare,
e non comune a tutte quelle della flella fpezie .
Se le perle foffero la miniera appreftatrice della
materia , onde l’ofîriche rinnuovano ; o rabber=
ciano le loro fcorze, tutte quante farebbon fors
nite di quelta miniera . |
Per altro ho notato in molte salario di viag
giatori (WGemelli.) ; che le fpiagge Marita 3
| ove
;
I BraLoco Nono, — «209 -
dove fi pefcan le perle, fon mal fane: e queflto è un
nuovo argomento , per comprovare, che l’oftriche
quivi allignate non racchiudono in sè medefime del»
le perle, fe non perchè fono inferme. Gli Spagnuoli
hanno abbandonata la pefca delle perle d'America
pur perciò. Egliecertiffimo, chel’aria, el’acque
dell’ Ifola di Baharen ( Ne/ golfo Perfiano),daigua-
di, e fcogli della quale i nuotatori ritraggono le
madreperle, fono infoffribili pel gran fetore, che
efalano, a chi fi porta colà per negoziare di per-
le. 1 paefani fteffi fi fchivano di mangiar le oftri-
che , dovunque le trovino : tanto mal fana eli
tengono la lor carne. Ne' noftri paefi all’ incon=
tro quanto più fquifita è la carne dell’ oftriche ,
tanto più rare fon quelle, in cui fitrovino del-
le perle. Quinci fi può naturalmente conchiude-
re, che le acque, ove nafcono in più abbondan-
za le perle; fieno mal fane; e che all’oppofto ,
l'oftriche annidate nell’ acque falubri, o che fi nu-
trifcon di fughi fani, nongenerino, fe non di ra-
do, o non mai delle perle; perche il loro tempe-
tamento non è nè imperfetto, nè cagionevole.
Prior. M* arrendo. Ciò, che voi dite, mi ap»
paga . I Cr
. Cont. Comeche il Signor Cavaliere abbia contez-
za delle conchiglie; pur nondimeno s’ e’ fi com-
piace di paffare nel mio gabinetto, gli farò ve-
der nelle caffettine del mio ftipo una ferie ordi-
nata di nicchj, ie cui varietà, e vaghezze di co-
lori gli piaceranno. Vedrà in quel piccolo fcara-.
battolo delle curiofità, raunate da tutte e quat-
tro le parti del mondo. Vi fono molti , che ne
fanno raccolta, e li diftribuifcono in varie clai ,
dando a ciafcheduno un nome analogo , ed efpref-
fivo di quella cofa, a cui pare; ch'egli abbia più
fomiglianza. Non vi vuol mical’ aftrolabio a tro-
var
-
206 Le:GOoOheaemie i £,
var un nome a ciafcuna fpezie di conchiglie; mà
non è però inutile : Si evita per cotal mezzo la
confufione ; e s ordina quefta parte della fioria
naturale. Si refta trafecolati a vedere una sì por=
tentofa divetfità di conthiglie ; che fi van gene-
rando mai fempre in una fteffla fofma per tutta
la ferie de’ fecoli . Tutte quarte fon fabbricate
fur uno fleffo piano; e tutte dirette a metter l’
animale al coperto : Quefto difegno è ben fem=
piice; ma oh quanto varia è la forma nell’ efe-
guirlo! Ciafcuna ha lafua perfezione; le fue gra:
zie; ed i fuoi comodi particolati; In tutte fi rav=
vifa un’ indufiria, e una manifattura ; che per
niuno accidente può mai venirmeno. Taluni, po-
co curando ciò ; che riguarda la ftoria naturale
di quefte conchiglie; e tutti intenti a’ varj effet=
ti; ch’ effe producono coll’ aflortimento de’ loro
vaghi colori ; ne adunano di tutte le forte , e
grandezze, per formare colle medefime de’ lavorìi
d’un ottimo gufto. Ne fanno de’ mazzetti di fios-
ri, delle ghirlande; de’ grottefchi; de’ paefi, de’
pezzi d’ architettura; e delle figure d’ uomini; €
d’ animali : e tutte quefte belle galanterie fon
| compofte di foli nicchj;, parte maggiori; e parte
minori. Una tal forta di manifattute richiede una
gran pazienza; ma per lo più il genio; el'atti-
tudine fan far tutto; Quel; ch’ io defidero, col
fatvi vedere le mie, fi è darvi meglio ad inten-
dete; quanto vi ho detto della maniera ; con cui
fi formano. | lo pd,
. Cav. Avrò un piacer fommo di far da me me=
defimo la riprova di quanto m’ avete infegnato,
e d’ applicare a’ nicchj la voftra lezione. Ma mi
dimmenticava di moftratvene tre, o quattro, i qua-
li è un gran tempo; ch'io tengo in tafca. Nos
fono ingratii mirateli. " da
| Cont:
4 | alc
Mt DINLOESINDN 04 ‘Bor
Cont. Quefti quì fono impietriti. |. PI
» Cav. Come impietriti ? Che vuol dir quefto?.
Cont. Vuol dire, che tanto il niechio, quanto
l’oftrica ; che v' era dentro ; effendo fiati inon-
dati dai fughi; che forman le pietre, fon dive»
‘muti della fteffa natura della pietraj tuttochè non
abbian cangiata figura. |
Cav. Non fo capire, di quali oftriche voi vo:
gliate parlare. L’ ofttiche fi trovano in mare; e
quefta l'ho trovata fur una montagna : Poco pri-
ma, che il mio Signor Padre partiffe per Amiens,
fece immaftricciare di fabbia i viali del fuo giar-
dino ; e li fradoni, che menano alla fua villa . Preffo
alla fua poffeffione fon due colline ; da ciafcuna
delle quali ricavafi della fabbia bellifima ; e di
diverfi colori. Ogni volta; ch'io mi pottava co-
Ja , a veder lavorate quegli operaj , che carica:
van l'arena; mi davan di quefle conchiglie ; tro
vandone più ; e più volte de” mucchj . Bifogna
“pur credere , che quelte qua fiano d’ una fpezie
diverfa da quelle del mare. |
Prior: Bene berie, Signori. V’ ho intefo. Nori
vo' più fapef altro, nè d’ infetti, nè di conchi=
glie: a poco a poco v' imbarcherefte in un gine-
preto di materie; accadute prima che veniffe il
Diluvio. Voi ben vedete ; che la ftoria è lunga «
Vi domando congedd. Addio . o
Cont. No, no . Di grazia trattenetevi per uni
momento: Abbiam bifogno dì voi. Una breve di-
greflione attenente alla propofta fattami dal Si-
gnor Cavaliere ; gli farà più profittevole di quan=
te conchiglie, e di quante perle fi trovano al
mondo : Signor Cavaliere; of ora vi farò vedere
nella mia raccolta tre nicchj , che fono preeifas
mente della fteffa fpezie de’ votri. Ma gli uni y
é gli altri fon generati hel mare. ‘gi
Ma i Cav,
%
908 Lek ConcHicLrie,
Cav. E chi dunque gli avra portati in cima d'
una montagna ?
Cont. Il mare fiefflo.
Cav. Come domine può eifer quello ? Ho pur
fentito dire, che il mare non pafla certi fuoi li-
miti, giufta il decreto dell’ Altifimo Iddio , che
sì gli ordinò : Qui fi fermeranno l' orgogliofe tue
orde. Ma quando ancora, per qualche tempefta jo
© come che fia , arrivaffe a inondar le pianure
circonvicine ; non potrebbe però flenderfi per lo
fpazio di venti buone leghe fra terra, ch’ è quan-
to v' ha da cafa noftra alla marina.
Cont. Come, Signor Cavaliere? Non divifate,.
quanto farà , che quefto fatto è fuccefio ? Or che
direte, s' io vi conterò, che nel mezzo dell’ Af-
frica vi fono delle campagne più di trecento le-
ghe lontane dal mare (Stor. e mem. dell’ Accad.
delle fcienze quafi a ciafcun anno.) che fon tutte
piene di conchigiie? E che fe ne trovano a mon»
ti a monti eziandio sù le più alte cime delle Al-
pi? Ecco dunque , che il mare farà falito fulle
montagne . Adeffo come faremo a diftrigarci da
quefto imbroglio?
Cav. Eh! Signore, vi trovo manco difficoltà ;
che non vicredete. Convien dire, che quefie maf-
fe di conchiglie vi fieno ftate portate, o lafciate
dall’ acque, allorchè allagarono tutta la terra, €
s' alzarono quindici cubiti fopra le più labii
montagne. Orsù datemi pur qua le mie conchi-
glie; ch’ elleno fon galanterie da farne gran con-
to, mentre fono più antiche dell’ anno del Diluvio,
| Prior. Egli è certiffimo , che tutte le nazioni
del mondo han confervata la memoria del Dilu-
yio univerfale. I Poeti file non l’ han perduto
di mira, inferendolo nelle lor favole. Tutta quan-
ta la terra è ricoperta di monumenti indelebili,
che
088
DiaLoco Nono; 209
che comprovana in ogni lato, effervi paffate fo=
pra dell’acque: e per quanto incomprenfibile ne
comparifca un tal fatto , o in che maniera fia
fucceduto; tuttavia ne abbiamo ancora a’ dì no-
° ri delle ficure riprove . Dal che ricavo una maf-
fima di granffilievo; e prego nel tempo fleflo il
Signor Cavaliere a tenerfela bene a mente: cioè,
che nella natura ; e nella facra Bibbia fi trova-
no delle cole al corto noftro difcernimento im-
percettibili , le quali tuttavia fon certiffime Hi
come fuol diri, palpabili.
Fine del Tomo Primo.
219 a tobiapsaa a
RED
ALFABETICO DELLE MATERIE
Contenute in quefto primo Tomo dello Spettacolo .
A
Bbigliamenti degl’ infetti. pag. 6
A Ago, 0 pinzo, 0 pongiglione delle api. sa
Albergo, o ritiro, dove il ragno fi mette in aguato .
SUBIE feg . vida ti |
Ali delle iralche. 157
Ali de’ mofcherini, o zanzare. 167
Allevamento de’ flugelli. 53
Allievi delle vefpe. 110
Alveare, o foggiorno delle api. 127
Anelli de’ bruchi. 31
| Api. Principiano. 113 e fig. Loro Resina . 116 e feg.
Loro mafchi, detti altramente fuchi. 118° Loto ftru-
menti. 321 Struttura del corpo loro. 122 Loro ma-
{celle . ui. Loro tromba. ivi. Loro petto. 124 Lo.
ro zampe. ;v7. Rampini, ouncinetti delle loro zam-
. ivi. Loro fpugne, o pallotte . ivi. Loro ventre»
si Loro ago, o pinzo, ‘0 pungiglione. 126 Loro al-
veario, 0 foggiorno. :v:.
Api baftarde, dette altramente calabroni. 144
Api quanto fruttino annualmente. 151
Armi offenfiye, e difenfive degl’ infetti, 7
Aftuzia del mirmicoleone . 179
/
B
Vari
poro del filugello, e ciò, che in effo contienfi .
62
Braccia, o branche del ragno. 709
Bruchi. 30 Loro anelli. 31 Loro zampe. îvi- Loro fi-
lo. 32 Loro colore. îvî. Loro alimenti. 33 Lore
tomba. 38 Loro generazione regolare controverfa,
e poi comprovata. 43 Loro metamorfofi. 45 Lore
tramutamento in farfalle. ivi, e fg.
. Cas
paiia Marstie. , sit
‘ È »
| C
gAlatironi, ovvero api baftarde. 144 E i
C Cavalcavie delle formicole, pet attraverfaré in al-
.. to le fttade. 173, |
° Celluzze, o fotmelle del vefpajo. 102
Cera; che cofa fia. 114 |
Chiocciole. 192 Le medefime all’ appreffarfi del verno fi
* ritirano per entro i buchi. ivi. Le medefime a primave=
ta efcan fuori de’ loro buchi. 193 Loro occhi . iv: . Come
fanno a camminare. 194 Loro mucilagine , o vifchio +
ivi. Loro denti. ivi. Come s° inigravidario fcambie-
volmente. 195 Come fi formino i loto niechj. #05.
Cocciniglia . 164
Colonne del vefpajo. 10t
Colore de’ bruchi. 32 SPAR
Come il pidocchio di mare formi le fue filacciche ; @
cordicelle per aricorarfi. 185. e feg. |
Conchiglie. 185 e feg. Loro pretuberanze s o gonfiez-
i'kze. 201
Crudeltà delle vefpe. 105
Cuore del filusello. 59
TEfinizione ; e divifione degl’ infetti. 4 e feg&»
«IL Defcrizione della chiocciola . 193
Deferizione della grillotalpa , o zuecajuola. 170
Defcrizione del mirmicoleone. 177.
Porca; o firuttura del vefpajo. 100
è duo forta di ragno ; dette delle campagne +
_ 87 e feg» |
Farfalle provenieriti da’ bruchi. 46
Farfalle diutne. 47
Farfalle notturne. iv/.
Fecondità delle vefpe. 110
Filacciche del pidocchio di mare. 188
Filo de’ bruchi. 30 e fes.
Filo; onde i ragni formatio le lor ragnatele. 80 |
Filugelli. 52 Come s'allevino. 53 Loro cibo . 55 Lo»
ro rietomia, 58 Loro fpina; 39 Loro cuore ; € pol.
i O
}
d mo
218 In DE O
mone, ivi. Pertugj delle loro coftole , e loro inte:
ftini. iv:. e 60 Come facciano a filare la loro feta. ‘
ivi. Loro bozzoli, con ciò, che ineff contienfi. 6r
e feg. Come fi faccia a tirar la feta da’ bozzoli de”
filugelii. 66 Quante braccia di fil di feta n ricavi da
«un bozzole. 67
Flemma, o pazienza del mirmicoleonie. 180 e feg.
Formetle, o celluzze del vefpajo. 102
Formicole. 172 Loro magazzini . 173 Cavalcavie pef
attraverfare le ftrade. :vi. Loro provifioni.. ivi.
Fuchi; ovvero mafchi - délle api. 118
G
Gi: e pit origine. 161
Gamberi, e loro fquama . 203
Generazione degl’infetti. 12
Generazione regolare de’ bruchi , controvetfà ; € poi
comprovata. 43
Golofità delle vefpe. 105
Gonfiezze, o protuberanze della conchiglia. 201
Grana. 165 e feg.
Grillo proveniente dal mirmicolcoge 182
Grillotalpa. o zuccajuola, e fua defcrizione. 170 Suo
nidio, o ritiro, 171
IT
Nfetti. Dalla pag.1. fino alla pag. 26. Lòro diffini-
zione, e divifione. 4 e feg. Loto abbigliamenti. 6
Loro.armi offenfive, e difenfive. 7 Loro organi, éd
attrezzi militari. 8 Loro generazione. 13 Loro ge-
merazione regolare controverfa , e comprovata. 14
Loro primo ftato. 16 Loro wova . 22 Loro fecondo
ftato. 23 Loro ffati di mezzo. 25 Loro terzo ftato.
26 Loro ultimo ffato. ivi.
Tnfetti vivipari. 13
Infetti ovipari. 2v?.
Infetti, fe nel paffare da uno fîatò si altro ; vera»
mente fi IONGHDP: 28
L
pres. 165
Lingia, o tromba delle rl; a pidocchi di ma»
È, 106
Lueciole. 160 Vie
Mae-
perrR Marerit. 1483
M
i Magazzini delle formicole. 173
afcelle delle api 12: Lp
Matfchi delle api, detti altramenti fuchi. 118
‘ Mele, che cofa fia. 144
Mele più delicato, donde fi raccolga. 153
Metamorfofli, o trasformazione de’ bruchi. 44
Metamorfofi del mirmicoleone . 182
Mitmicoleoni . 177 Loro defcrizione in compendio :
ivi. Loro ftrumenti . 178 Loro trabocthetti. su.
Loro aftuzia . 179 Loro filemma, o pazienza. 180
e 1eE Loro tombe. ;v:. Loro trasformazione in gril-
Fei n: DATA . i
Mofche. 154 Loro occhi. ivi. Loro ale. 157 Loro fpus
. gnie, opallotte. ivi. Lororampini, ouncinetti. 498 <
Mofche de’ rofaj; 158
| Mofcherini, o zanzare. Vedi Zanzare.
Mucilagine della chioeciola. 193
fi
a TIcchio della chiocciola. 195 Come fi formi: 196
N Come fireftauri. 197 Sue macchie; erabefchi: 199
Nidio della grillotalpa, o zuccajuola. 17%
. Nidio delle vefpe, detto vefpajo. 98
Nutrimento de’ bruchi. 34
Nutrimento de?’ filugelli. 55
Nutrimento delle vefpe. 104
Mitac e tabefchi de’ nicchj. 199
“D pigo contro. la gewerazion regolare degl’ infeté
x ti propofta, e fciolta. 14.
Occhi delle chiocciole. 193
= .- = del ragno. 77 | st
©cchi delle mofche. 154 MT
Organi, e attrezzi militari degl’ infetti, 8
Origine della galla. 161
©risine degl’infetti. 13:
Pal
SM
3i4 È n Di co è
n
P
Alchi, 0 (olaj del vefpajo fatti a PRIEST 102
P Pania formata dalle api. 135
Patte anteriore del ragno. 77
Parte pofteriore del ragno. 77
Pazienza, 0 flemma del mirmicoleone. (80 e feti
Pecchia. Vedi? Ape.
Perle: 20%. I
Pidotchio di mare. 184 è Jeg. Sua lingua, o fia trorii-
ba. 187 Sue filacciche per ancoratfi. 188 Come fot=
«mi le fue filacciche. j0;.
Pinna marina. 189
Pinzi del ragno. 78
Pinzo, o pungiglione, o agò delle api. 126
Pinzo delle vefpe. 111 e feg.
Pinzi, o vertduchi delle zanzare. 169 e fe
Polmone del filugello. 59
Poppelline de’ ragni, co’ loro capezzoli. 79°
Porte del vefpajo - 102. ‘©
Protuberanze, o sonfiezze dei nicchj, o conchiglié, 201
R
Re , 0 macchie de flicchj. 109
Ragnatela formata dal ragno domeffica. 80
Ragno. 71 e feg. Sua parte anteriore. 77 Sua parte pa-
fteriore. ivi. Suoi pinzi. 78 Sue zampe. #0. Suoî
uncini, orampini. ;v:. Sue fpugne, o pallotte. iv:.
Sue braccia. 79 Suo filo, onde forma la ragnatela +
2vi. Sue poppelline, e capezzoli . IVI +
Ragno domettico, e fua ragnatela. 80 Suo rifiro , ove
fi pone in aguato. SI e feg.
Ragno de’ giardini, e fua ragnatela. 83
Ragno nero, detto. altramente rag: no: delle caverne, 86
Ragno vagabondo . 87 Ù
Ragno delle campagne, detto altramtenee falangio. 87
e feg. Sue uova.
Ran detto altramente tarantola, ortagno di Puglia. (#74
Rampini delle api. 124
pia delle mofche - 157.
Rampini del ragno. da |
Raz.
dia
| DELLE MatERIE. 216
mazze di vefpe a noi note fono tre. 101 4
Regina delle api. 116 |
Rimedio contro le tignuole . 49 > $i
“ Caglia, o fquama del gambero. 203 X i
S Sera del filugello, come fi faccia a tirare dal hoze
zolo. 66 e feg. Quanta feta fi ricavi da un bozze-
lo. 68 IRR: ;
Spade, o pinzi delle zanzare. 169
Spina del filugello. 59 Sx
Spugne, o.pallotte, otorfelli delle zampe dell’api. 124
Spugne, o pallotte , o torfelli delle mofche. 157. U
Spugne, 0 pallotte, o torfelli del ragno. 78 mali
Stati diverfi degl’infetti. 16 Stato primo de’ medefimii..
ivi. Loro fecondo ftato. 23 Loro ftati di mezze. 25
Loro terzo ftato. 26 Loro ultimo ftato. svi. ;
Stati della zanzara fono tre. 167 i
Strade, e cavalcavie delle formiche. 173
Strumenti dell’api. 121
Strumenti delle vefpe. 99
Strumenti del mirmicoleone - 178
Struttura del corpo ‘dell’ape. 122
% Jpisacioza , O ragno di Puglia. 97
Tignuola. 47 Trasformazione. 48
+ Tomba ‘del mirmicoleone. 181
Trabocchetto del mirmicoleone. 178
Tramutamento della tignuola. 48
Trasformazione della vefpa in ninfa. 107
‘Trasformazione del mirmicoleone. 182
Tromba dell’ape. 122 Della mofca. 158
Tromba del pidocchio di mare. 187
Tromba fuddetta ferve al pidocchio di gamba per cara»
è minare. /U2.
(
Entre dell’ape. 125
Vermetti, che nafcono dall’ uova della vefpe. 106
Vefpajo.. 98 Di che materia fi formano il vefpajo. 100
in che maniera fia fabbricato. ivi +. Ha due porte ,
102
#r8 = Inpicea peLLe MATERIE» |
302 E' fatto a palchi, e forma una campana. ivi %.
Le celluzze del vefpajo. vr. dato "RR
Vefpe. 94 € feg. Sono di tre forte. 98 e feg. Loro ni.
. dio, 0 vefpajo. 98 Loro trumenti. 99 Di quali ma-
terie formino il lor vefpajo- 1eo In che maniera lo
fabbrichino . iv. E fortifichino le colonne. del lor
vefpajo. 101 Vi lafciano due porte. 102 Loro alimenti.
104 Loro golofità, e crudeltà. 105 Loro allievi. 106°
Loto trasformazione nello ftato di ninfa. i0/, f°
efpe novelle , che cofa facciano appena nate, 108
Quanto campino . 109 Quanto fieno feconde . 110
- Sono di varie fpeziè. It: Loro pinzo. ivi.
Vivipari, perchè fi chiamino alcuni infetti. 13
Uova degl’ infetti. 22 |
Uova de’ ragni. 88° ida
Uova delle vefpe producitrici di vermi - 106
4
pi a de’ bruchi. 3%
f. Zampe de’ ragni. 78
Zampe dell’api. 124.
Zanzara. 166 Suoi tre ftati. 167
Zanzara animale acquatico. VÎ +
Zanzara animale anfibio. 168 )
Zanzara animale aereo, o volatile. 168 Sue ali. svî.
Sua tromba. ivi, e feg. Suoi pinzi, o verduchi. 169
Si cangia di fito; fecondo che fi cangiano le ftagio=
ni. ivi, e feg-
Zuccajuola, o grillotalpa. Ned: Grillotalpa . 170
@ fine dell Indice delle Materie è
pw
DELLA NATURA —"
ESPOSTO IN VARJ DIALOGHI
| CONCERNENTI
LA STORIA NATURALE
Che fono più proprj a rendere li Giovani ©
curiofi, ed a ‘formarne lo fpirito.
TOMO SECONDO.
Edizione quinta ricorretta , e nella Traduzione
infinitamente migliorata .
IN VENEZIA,
Presso Francesco DI Niccolo’ PEZZANA.
MDOCLXXXVE
Con Licenza de’ Superiori, è Privilegie.
I Not £ È
DE:DIALOGHI.
Dialogo Primo. Gli Uccelli. pag. I
Dialogo Secondo. Gli Uccelli. 28
| Dialogo Terzo. Gli Animali Terreftri. 61
Dialogo Quarto. I Pefci. 9I
Dialogo Quinto. Le Piante. I 122
Dialogo Sefto. Le Piante. 173
LO
-Contef.
-
FO SPETTACOLO
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ba) Dt i x È
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o Ne AE OR Ars n
Gb CCEVID I:
DeAL0G:0DRIMO.
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La Contessa ‘. DI GIONVALLE,
“Ir PrIORE I
IL CavaLiere peL BrocLIo.
gd YIgnori , leggo nel voftro afpetto una
% affannofa anfietà di fapere, qual fia,
>. per effer il tema del volîro odierno
trattenimento. Orsù, prendete gli uccelli . Non
fiete ancor fazj d’ andar carpove sù per la terra
co’ voftri rettili, e colle vofire lumache?
Prior. Alto, Signor Cavaliere : ffacchiamci dal
fango; fpicchiamo il volo j} e andiamo a vifitare
. ? » 9 ° Ù bj ®
gli abitafori dell’aria. Tutto l’ Univerfo , come
| voi ben vedete, è pieno di vita: ogni parte del-
% matura vi prelenta un novello fpettacolo ,' ed
na foggia d’ animali particolari. Ad ogni paffo,
che voi formate , vi fi para dinanzi un qualche
parto non più veduto di quella ineffabil fapienza,
| che quanto è doviziofad’ idee, perintavolar nuo-
ve opere; altrettanto è ben fornita di mezzi, d°
abilita, e di franchezza per ultimarle. Date, di
| grazia, un'occhiata a quell’ uccello , che vola
“Egli è un oggetto ben iemplice, a rimirarlo co-
Tom. IL gli.
3 Grin W'ioc sh "0
eli occhi ‘del corpo, già abituati a un così fatto
{pettacolo; ma a contemplarlo colle pupille della
ragione ; Oh quanto vi comparifce flupendo ! Il
gran pafieggio dell'aria s interdetto ad ogni ge
nere d’ animali, non è conceffo , fe noti a lui.
Il fatto € certo : e pute non par peffibile . Un
uccello; che vola; è una macchina ; che fale in
alto; non oftante la refifénza dell’ aria feffa , che
la comprime ; e ad onta di quella péderofa vir-
tù, che predomina tutti i corpi ; e li fofpigne
verfo la terra. Quefta maéchina afcende in aria,
non violentata da alcuna forza eflétiore; ma fol.
levata da un moto fuo proprio; la cui mercè vi
fi foftiene per buona pezza, e con vigore, e con
garbo. Ecco però un nuovo atgomento di mara»
viglia. Vo offervando ad uno ad uno tutti gli
uccelli; nè fo vedere in alcun di loro più di due
ali: e pur ritrovo ; che cialcheduno ha una ma-%
nierà di volare diverfa dall’ altro . Quefti proce
dono a forza di varf lanci; o vanno via. di rim-
balzo; quelii par, che fîrifcino a dirittura per Î'
aria, o che la radano alla diftefa . Patte volano
terra terra 3 e parte fon capaci di follevarf fin
alle nuvole. Ne vedo taluni; che fan variare inf
mille forme il loro volo elevarfi ( per modo di
efempio ) a diritto, a fcancio; e talor anche per
una linea orbicolare arreftarfi di punto in bianco
per aria, e ftar immobili in mezzo d'un elemen-
to, ch'è più leggiero di loro: fpiegar fucceffiva-
mente le ali; e tenza punto agitarle, prendere un
rapidiffimo corfo: girarfi a deftra , o a finiftra :
voltarfi indietro, e ritornare per la fieffa ftrada:
follevarfi di nuovo, e piombare tutt’in in trat
to giù a baffo, come una pietra , che caggia a
terra. Che più? trasferirfi fenza oftacolo, e fen=
za 4ifchio di forta alcuna per ogni dove , ha mi-
ura
can Diatoco Primd.o 3
| fura del lor bifogno.;. od a feconda del lercapric-
cio. Ricoverati nel proprio albergo, ecco che mi
prefentano nuovi oggetti d' ammirazione . Laftrut-
‘tura de'loro nidi m'incanta : la diligenza , con
cui cuftodifcono le lor uova, mi fa flordire: l ar-
tificio delle medefime mi fembra un prodigio : la.
nafcita, e l’educazione de’ loro parti mi rende at-
tonito, e ftupefatto. — < | balla
Contef. ll Signor Priore ; con quefto fuo vago
entufiaflmo ; ne ha già appreftata una belliffima
‘di0ribuzione delle materie, che ognun di noi dee
trattare in que oggi. lo per me prenderò a ra-,
gionare della firuttura de’ nidi , e delle cure do-
meftiche degli uccelli : concioffiachè ancor io vo'.
far la mia parte, come gli altri. Sapete ; dove
(ho fatti i miei fudj?
Cav. Dove? ! |
Contef. Nella mia uccelliera , d' intorno a' miei
-golombi, alle mie tortore, alle mie paffere.
Cont. Cappita ! Signora Conteffa ; cotefti fono
i più autentici libri, che mai potefte confultare
in tal genere. l ritratti , che voi ne farete ( efao
fendo ricavati dal naturale), non potranno efle=
re, fe non fedeli, I Nrct
Cav. La credo ancor io, che Madama avra po-
=
4 Gia: Piera ni
coffa qualche difturbo; ma la varietà degli (pall i
che giornalmente mi apprefta , vale a compenfar
quante pene per lei mi prendo. Il pigolare di quei.
monvini , i lor vezzi, i lor canti, i lor lavorii bi
le carezze, che la più parte mi fanno, quantun-
que volte vo 2 vifitarii, nsi recano nta piacere in-
credibile . Frendo can effomeco il mio compito ;
e lì m'affento a lavorare. Non è pericolo ; ch
io mi ritrovi mai fola: vi paflo l'ore colle ore,
to qualche volta le mezze giornate intere , fempre
in converfazione. Offervo però, che ’1 Signor Ca-
valiere riguarda altresì quelferraglio con più buon
occhio di quante flanze fi trovan nel mio cafino .
Cav. Per dif vero, non fo capire, perchè non
{{ pratichi da per tutto un {omiglievol diverti
mento , che alla fin fine non cofta unocchio. Ma.
chi c'impedifce, che non andiamo a dirittura alla
volta dell’uccelliera , “per tenere cola la prefente
fefione? Dovendofi ragionar d’ uccelli, non fi può
trovar un luogo più a propofito di quello . Così
potrem. ravvifarli a un per uno; fpezialmente al-
forchè vengono a traftullarfi ; od a bere in falle
iponde- «di quelrigagnolo, che paffla a trayerfo del
ferbatojo . I pi
Contef. O quefio poi no. V*ho pf da
poco in qua (tutto che la ftagione fia molto a-
vanzata ) due nuove famigliuole, le'quali non pof-
fo in verun conto trafandare . Sappiate , che il
corteggio de’ Nobili, e le Vo fite troppo lunghe li
fconcertano fuor di modo , e gl’inducon fovente
ad abbandonar le lor nova. Peraltro, fenza turs
bar
Ca) I lucherîno, i] calderugio , il calenzuolo , con
alcuni altri, fan qualche voltà il lor nidio nel mefe
di Agofto, o di Settembre: ma quefti pochi non diftrus-
son la. regola generale, da noi oflervata a «carte 3%
vetf. 26. del Tom. 1,
\
| Diarozo Frimo.. »
bar la lbr qiliete, e fenza privarli delia lor libere
tà, mi contorto di moftrarvi a puntino là free
Hira de loro nidj; ficelià vi parrà È averli dinane
zi a gli occhi . , i
Virdirò ih primo Miogbi ; Jah io non iti trovo
‘mai fazia d' ammirare la perferca raffomigliànza,
che fi ravvifa in tutti i nidj } formati dael duca
icelli della ffeffa fpezie; e la notabile differenza ;
“che paffa fra quelli, che fon fabbricati da qua-
| Tunque fpezie diverfa : fecondariamente l' indu-
Ntria, la fimmetria , ela precauzione ) che in tut-
ti quanti cattipeggia. Siccome quei piccoli prigio=
fieri nén han libertà di vagare per la campagna ;
affine di procactiarfi quei materiali ’ che alla firut-
tuta de’ loro nidj abbifognano ; così proccurd, che
. fian provvifti di tutto ciò; ch'io mi divifo poter
éflere di lor genio Offervo con attenzione ogni
brufcolo ;. che pofla entrare nella compolizion di
| que nidj, che giornalmente mi portan da tutte
le bande i figliuoli di quefti paefani; e in confe= o
guenza fo buttare fin un canton dell’ utcelliera
€ trucioli; è bricce, e foglie fecché ;-e fieno , e’
paglia, e “nda ; e borra; e cririe, e:cot one, €
lana;'e' fer4; e ragnatele; ‘ eopenne; ecene altre
ciaficiabiftufbole ; che tutto ferve per quella. fac=
cenda. Sganafcerefte dalle rifa ; a veder tutti que’
| monnini tontorrete a quella Fiera; per \provvederfi
‘ del lor bifogno. A quefti s° attaglia vin fl di mu=
Teo; a'‘quegli vna. penna. Uno ha bifogno d’ una
pagliucola : e die fi rincarano infieme un biocco=
letto di lana ; e vi fo dire; che molte volte fuc-
.tedono delle gran quiftioni. Ordinariamente però
fi terminan sù due piedi tutte le lot differenze ;
| perchè ognun fa ‘a tira tira: flrappa quello; che
può , e fe lo porea ditittamente alla volta del
hidio. I “Ru
hi. Cost
6 Gioi Dacia Lr.
Così pure proccuro , che fian ferviti di tutto
°1 bifognevole in ordine a gli alimenti. Per la
qual cofa ho deputato a. pofta a polta un maftro —
di cafa; 0 provveditore , che ha l’incombenza di
formi nifiràre a' medefimi , e vermi, e bruchi, e
mofche, e panico , ed ogni genere di femen:
ficchè ciafeuno fia governato a fuogenio, fecon=
do portano le flagioni . Giova molto l° allevarli
così alla verzura. Si mantengon più fani; operan
con più liberta, e danno meglio a conofcere la
natura de’ loro diverfì gen , € lavorii. Alcuni
‘piantano il loro nidio in vetta in vetta degli al-
beri; ed altri aman piuttofto di collocarlo in pia-
na terra fra l'erba. Tutti però s ingegnandi fab- .
bricarlo in un fito, che fia ben difefo, e coper-
“TO, Van cercando dn l'erba è più iù , lera-
me più fitte, le foglie più doppié; ficchè Ja piog-
gia, {drucciolando al di fopra , come farebbe una
gronda, non pofla penetrare in conto alcuno nel
° nidio, che fia appiattato al di fotto. La fuper-
” ficie efteriore di elfo , dovendo fervire di «fonda»
;
mento, è compofta di materiali più groffolani di
tutto”l reftlo. Ella è formata di pruni , di giun-
chi, di ftoppie, e di foltiffimo mufco. Sù quefta
prima incamiciatura ben dozzinale, ed informe ,
difflendon de’ materiali più dilicati, "che poi ridot-
ti in figura rotonda , e combaciandofi a pelo 2
pelo l'un l’altro, chiudon l’ingrefflo, st a' venti,
come agl’infetti , Ciafcuna fpezie però ha il fuo
genio, e la fua maniera particolare di fabbricarfi
lalloggio, e d’addobbarfelo. Terminato l’ n
cio , l’adornano per di dentro di pennamatta ,
di lina: o di feta; affine dimanteneryi il soon
non men giovevole al proprio individuo , che al
tenero corpo de’ parti loro . In difetto di que-.
fe cofe ftudian tutte le vie per fupplire al bifo=
. gno
Dando Brio. Y)
gno ( Quella fi è una lezione da me imparata
da’ primi pafleroìti ;, che m'ho allevati). Nona-.
veva appreftato a’ lor genitori, fe non del fieno, |
per far il nidio. La femmina, non trovando, nè
cotone, nè feta, prefe un ripiego , che mi fece
trafecolare . Si mife a pelar lo ftomaco del fuo
mafchio , il qual fi lafciava ftrappar le piumefen-
za una minima renitenza; ed ella poi andava ad-
dobbando di quella peluria tutto il fuo apparta-
mento, in una maniera la più graziofa del mondo .
Cav. O quela sì, ch'è curiofa! Chi maiavea
moftra o a cotelta madre’, ch’ella doveva avere
dell’ uova, e de’ figliuoli ? e che quell uova non
potevan fufiAere fenza il calore?
Prior. Oltre alla previdenza, che in anni ma-
dre ammirate, ravvifatevi ancora l'arte, e l’in-
duftria, ambo pur degne della voftra ammirazio-
ne. Che fe poi non volete accordar quefto tanto
alla paffera, attribuitelo almeno a colui, che a-
vendo concefla all'uomo una ragione illimitata ,
che ad ogni.oggetto fi efiende, non ha mancato
di dare agli animali una facoltà imitatrice della
ragione; limitata bensì ad un fol fine; mainor-
dine di quefto fine medefimo prodigiofa. Ed in
fatti, chi può negare , che un uccello , il quai
compone il fuo nidie, non fia diretto da una. ra-
gione foprannaturale? Come può egli fapere, che
fian per nafcere dal fuo corpo dell’ uova ? Come
conofcere , che quell’ uova han bifogno d’un ni-
dio, per-non cadere, e per fomentarf?? Come di-
vifare, cui caldo non potrebbe concentrarfi in-
torno di efle , fe il nidio foffe troppo fpaziofo 2
Che tutti i figliuoli. non avrebbon agio di ringi-
rarvifi., s'e ‘ fofle più angulto? Chi gliha infegna-
to a dargli un’eltenfione proporzionata al-nume-
(To degli uccelletti; che fon per nafcere ? Chi final-
I À 4 mens.
è @uitec Epat,
tnente gli da le regole per far P almandccb , &
rrender la giufta mifura del tempo, în cui debbé
Firavarfi.; ficchè mai non gli acfada di depor |.
“uova; prima d'avere interamente. formato! il {uo
nidio ? ;
Cont: Io per mie offervo , in ordine alla firuts
tura de’ nidj, un'altra particolarità, che mi fem-
bra ancor più dae. Un artefice, che prende
a fare un caneftto, ha le fue dita ; etutti i fuoi
ordigni, per reflerlo . Un muratore , che s' acci=
gne a fare una fabbrica ; ha il fuo truogolo da
ftemperar la calcina; la fua cazzuola, il fuo ar*
chipenzolo , e la fua fquadra., Ma gli artefiti della
mia ucceliiera fan delle fabbriche d'ogni genere,
fenz' é0er forniti d’ altri ffrumenti”, fuorchè del
femplice becco.
Corntef. Permettetemi, ch'io v'efponga un'idea,
che in queto punto :mi viene. Figuriamoci, ché
Dedalo, o qualunquealtro architetto di fimil va»
glia; fia trasformato inuccelio : eécotelo la enza
braccia, fenza ftrumenti , fenza materiali; a ri>
ferva del fuo fapere, e del becco. Che potrà egli
mai fare conquefta fua fcienza, e con quefto bec-
co? E pure gliuccelli, col femplice becco ; fenza
la fcienza, prendono a fare de’ lavorii, in cui fi
fcorge la fimmetria dell’ artefice de’ caneftri, e |
induftria del muratore. Ed in fatti, quanti nidj
fitrovano, dove i peli, i crinî, ed i giunchi fo-
no maéftrevolmente teffuti , e intrecciati; come
in vago caneftro ? Quanti fe ne vedono ; le cui
parti fon puntualmente compaginaté, e connefle
per:via d'un filo (Derbam Theol. Phyf. lib. 8.c. d
rem:3.); che l’uccello fi forma «da persè fleflo, 6
colla bicicrai, o coleanape; o colerine; ma per lo
più colle ragnatele (Rat Synopf. dvium p.74.),
“cui trova fenza fatica , allorchè i ragnoli vaga»
I bondi
“sali . Di ant Pera | i
bondi fi lanciano di qua, e di la, e riempiono Id
campagna difila, per trasferirfi col loro ajuto da
tin luogo all’altro, e pet cercar compagnia? Ok
tre diclie vi fon puf degli uccelli (come le merla;
e la bubbola ) (Villughbi Orniitbolog. paz.140.); che
dopo aver fatto il lor nidiò , l’intonican per di
dentro d’una sfoglia di gefflo, il quale ftucca ; e
preferva tutta la parte di fotto; è poi inneftando=
vi qualche poco di borra , o di mufco ( quande
l’ intonicò è frefcd ) vi formano una parete perfet-
tamente aggiuftata ; o per dir meglio un appar
tamento ben addobbato, ben fornito ; einfieme ace
concio a confervarè il calore. Ho veduta più, e
più volte da’ mieibalconi la rondinella a principia=
fe, oreftauraté il fuo nidip. Quefta manifattura è —
intutto intutto diverfa dall’alfre .*Ella non ado-
pra nè trucioli, nè feppie, ne fila : coftuma bensì
di manipolare un terto terriccio; ofpezie ditufo,
del qual poi forma per proprio ufo, e per la :fua
famigliuola un alloggio, non men vago‘a vederfi 4
the ficuro, ed agiaro perdimotarvi. Voi ben ve-
dete, che la médefima non ha, nè fecchie da atti®
ener l'Acqua, nè barella da trafportare la rena ;
nè badile da rimenarla : Indovinate, com'ella fa?
La vedo andare, e tornare insù la pila della fon-
tana del mio giardino, dove piantata coll ale in
alto , tieng a fior d’atqua lo ftomaco; per bagnarfi
le piume; e poi fpruzzando quell’ acqueregiola sù
per la polvere, ne forma una tenace poltiglia, di
cui compone il fuo nidi tol becco. Ma fento ;che'l
mio proliffo cianciare vi reca fioja. Compatitemi ;
Signor Cavaliere , 3’ io mi diffondo più del dovere.
Gli uccelli fono un ramo delle mie pazzie.
Cav. Ah! Madama, continuate , vi prego. Re.
fto incantato, a fentire quefti difcorfi. Orbene ?
fatto ch'è il nidio, che ne fegueì
. Contef.
10 Giri UcceLkta.
Contéf. Fatto ch'è il nidio, la femmina vide.
pon lefue uova; ‘ora più, e ora meno, fecondo
la qualità degli uccelli. Ve ne fono talune, che
non ne portano più di due alla vol:a ; altre ne
buttan giù quattro, o cinque; ed altre arrivano
a fcaricarne da dicialievie. o diciotto. Venute |”
uova alla luce, tanto ian s quanto la fem-
mina vanno a vicenda acovarle. Ordinariamente
però la femmina è quella, che fe ne prende il pen»
fiero, Oh quì sì, che bifogna a viva forza ammi.
rare la pollentevirtù d'una ragion foprannaturale,
che influifce sù quefte piccole creature! Effe certo
certo non fanno, nè ciò, che contienfi nell’ uo+
va, nè che bifogna covarle, affinchè nafcano ilo-
ro feti; nè in chemaniera s' cffettui tutta quela
faccenda . E wure un animal così fnelio , così in-
-ftabile, così inclinato a volare; fi dimentica inun
fante del fuo ftefo naturale, e fi pianta tenace-
mente in full’uova, fenza Raccarfi di lì pertutto
il tempo, che fa bifagno . La madre in partico»
lare vi s' accoccola fopra per morta; rinunzia a
a tutti i. piaceri; e fe ne fta per qualche venti
giorni continui ferma ferma ful covo , con una
paffione sì grande, che non'fi ricorda nè men di
cibarfi. Il padre dall’ altrolato non manca di par-
tecipare delle di lei follecitudini, e d' ire il
travaglio, Le porta da mangiare; torna, e ritor-
na, fenz' annojarfi, a imboccarla; le pone mer fino
il cibo bell'e ammanito nel becco , ed accompagna
- quefti fervigj con maniere le più obbliganti, che
mai dir fi pofla . Se. poi per breve ora-tralafcia
d'affiferla coll’ attuale fua ‘opera, non manca di
ricrearla colla melodia del fuo canto; emette tan»
to fervore, tanto brio, e tanta grazia nelle fue
andate, c venute per di lei be nefizio, che nonfi
fa, fe più fi debba ammirare, o la penofa afli>
duità
À
Mia Primo, LE
duità della madre, o. l’ officiofa follecitudine. del
marito. Il Signor Cavaliers non avra forfe difca=
ro , ch'io gli racconti quanto colti a’ genitori |°
educazion de figliuoli, Prima però di toccar que»
fio tafto, noù farà fuor di propofito fargli vedere
ciò, che rondbnii nell'uovo; come vi fi formi il
pulcino; e come faccia a dia fuori. L'uovo è
una vivanda molto ordinaria ; ma apparecchiato
con certi ingredienti, ch'io nfi divifo, none un
regalo da difprezzarfi . Via , Signori Letterati ,
chi di voi mi fa dire, che cofa Ga un uovo?..
Cont. S'io ne. prendeli quì a fare una notomia
troppo efatta , potrei per avventura ftancarvi .
Contentiamoci dunque d' una defcrizione alla buo-
na; ma però vera. Dall’ uovo della gallina, le cui
hi: parti fon più fenfibili, potrete Pata giudizio di
tutte l’uova degli uccelli più piccoli ( Ma/pizh; de
ovoincubato. Willughbi Ornitholog. lib.1. cap.3,).
Nell’ uovo della gallina fi fcorge beniffimo una
pallotta gialla , che fla nel mezzo; € vien chia-
mata comunemenie col nome di tuorlo . Que-
fto tuorlo fi vede attorniato dalla prima chiara;
e quefta chiara, infieme con effo tuorlo , nuota.
nel mezzo di un’altra chiara . Vi fi diftinguono
parimente quattro membrane , una delle quali fa-
{cià il tuorlo, un’ altra la prima chiara, e l'ul-
time due tutta lagimaffa . Finalmente fi trova’!
gufcio, che ferve di riparo a quanto s'è detto.
Le parti interiori fon fempre le prime a formarfi:
l’ultimo è ‘'l gufcio, il qual s° indurifce da un giore”
no all'altro, Egli confilte in una diftillazione di
molti fali, che fcaturifcono dagli umori. della ma-
dre; e che filati; e rapprefì dal caldo, formano
intorno all'uovo una crofta; apportatrice di due
vantaggi ( Leeuwenbock Ep. Phyj. 40,). Primiera-
mente metce la madre iniltato di feravarfene fen-
Za
ix Cui Uecetri.
za romperlo:; e in fecondo luogo difende il fer
da qualunque finifiro accidente, che poffa nafcere ,
fintantochè arrivi ad effere interamente formato;
e giunto a fegno di fcappat fuora ( Willughbi ibid.) .
Si può dire altresì, che l'uovo, rifpetto al feto;
faccia lo fteffo effetto, che fa la mammella ; ed il
latte , rifpetto a i parti degli altri animali. Conciof-
fiachè il pulcino quinci entro rinchiufo fi nutre a
principio della chiara dell’uovo ; e fufeguentemente
( allorchè fi e alquanto fbrcifitato.; e quando le:\di
lui «membra principiano ad affodarfi ) s’ attacca al
tuorlo. Sù la membrana, che fafcia quefto mede-
fimo tuorlo ; fi ravvifa benifimo la piccola margi-
ne (4) o cacchetolla di color bianco ; ch'è l'uni-
ca, e vera fede dell'embrione, o del feto tutta-
via informe. Egli fin d’allora è fornito di tutti i
fuoî organi; ma però ihligoseta avviluppati, e
concentrati in unpunto. Se una pitcola particella
di quello fpirito vitale , ch’ è deffinato ad ani-
marlo; arriva a trapelare, come chefia , per le
predette involture ; e a penetrar fino al cuore ,
il feto principia a vivere; e tutte le di lui membra
a brulicare.: E’ vero, che non s'arriva a compren-
dere, che cofa fia quefto fpirito vivificante; ma
un cotal termine vale ad efprimere un fatto pofi=
tivo, ed una palpabile verità : e tanto nebafii.
PAIGr. Sibbene : poffiam valerci di quefto termi»
ne, fenza comprendernela foftanza ; in quella gui-
fa; che ci ferviamo del termin di Sole; fenza fa
pere che cofa fia Sole.
Cont. Ancorchè queto fpitito vivificante non fi
fia infinuato per infino alla predetta cicatrice , do-
ve rifiede; mon pur l embrione, ma talor anche
il feto già organizzato; la madre è pur capace di
{gra-
(4) La Cicatrite ; 50 riacchia ; dlove rifiede il fs6o
della gallina.
DiaLoco Primo... 33
fgravarfi dell’ uovo. Ma in tal cafo fi trova pie-
no di fughi fterili, nè. può in verun conto frut=
tificare. Che fe al contrario una , benchè menoma
particella di quefto fpirito giugne a trapelare pe”.
pori delle membrane, per cui già trovaron l'in».
greffo diverfi fughi nutritivi, allora fi dilatano i
piccoli vafi delfeto; ed il calore infieme con eli.
fughi penetra fin al cuore. La ffruttura di quefto
mufcoletto è così fatta, che può aprirfi, e allar-
garfi , per ricevere da una banda checchè vi s'ine
‘finua , e’ riferrarfi , e riltrignerfi per tramandare
dall’ altra le materie, che ha ricevute. Ne fegue.
allora la palpitazione del cuore, che imita perfet-
tamente le battute delle palette, o de’ pendoli de-
gli oriuoli. Imperciocchè , fiecome muovendofi il
pendolo , tutta là macchina dell’oriuolo cammina ;
così battendo il cuore , tutto il corpo dell'anima=
le fta in moto. Alloda non manca mai di ricevere
per lo canale dell’ ombelico una goccia continua
di nuovi fughi nutritivi, che eramandati fuccefli-
vamente in altri canali, fi diramano per tutto ’l
corpo. Ciafcuno di quefli canali, dove prima era
fgonfio, e fchiacciato , fi gonfia, es'allarga: ogni
parte riceve il fuo nutrimento ;. e sì il pulcino
comincia a crefcere. ,
5 quafi impoffibile ravvifare per entro i liquo-
ri, in cui nuota, la qualità de’ progreflì, e del-
le mutazioni, ch'e? fa di dì indì, fintantachè fia
arrivato a traforare il fuo gufcio . Degna però
della noffra offervazione fi è una, non men vifi-
bile, che ‘prodigiofa cautela , concernente la fi-
> della predetta cicatrice, dave il pulcino
Quefta piccola taccherella/rotonda fta
Situata preffo al centro dell'uovo; e prefenta la
fuperficie al fen della madre, per indi ricevere il
peceffario calore. Siccome il luminello d’ una ng
| pada
L*
24 Giù U certodà.
pada da marinari non mai fi cangia di Îa ito; pet
quanto ondeggi il vafcello, a cagione di que’ mo-
bili ordigni, che la foftengono in alto, e flante
il pefo della lucerna; che fempre gravita a baf-
fo; così il pulcino ( per quantò"l’ uovo traballi )
non fi fcompone giammai . Il tuorlo vien fofte-
nuto da due legamenti ( e ciò aprendofi l’ uovo
chiaramente fi vede ) , i quali ftanno appefì di
qua, e di la a quella membrana comune , ch’ è
attaccata al fuo gufcio. A tirare una linea ret-
ta infra i due legamenti, il tuorlo non reftereb-
be fegato pel vero mezzo; ma bensì in due por-
zioni ‘ineguali s un poco fopra del centro: di neo-
do che la porzione minore ; dove rifiede l’ em-
brione; refterebbe neceffariamente elevata verfo
il ventre della madre ; che cova l'uovo; e la mag
giore; ch'è più pefante , e più groffa; difcende-
rebbe fempre allo ’ngiù, per quanto gliel permet-
teffero i legamenti. Per la qual cofa; fe l'uovo
vacilla ; il feto non fe ne rifente; ma gode in
ogni modo del calore vivificante ; che gli dà l'
anima, e compie a poco a poco di {viluppare ia
di lui membra. Or non potendo fdtucciolar giù ;
fi nutre a principio comodamente di quella chia-
ra , liquida ; e dilicata ; che gli è vicina ; e a
mano a mano crefcendò ; principia”a nutricarfi
del tuorlo, ch'è di maggiore fofftanza. Induritofi
il di lui becco, principia a flufarfi della fua car-
cere, tenta di romperla;, ed in effetto la rompe.
Quindi efce friota col ventre pieno zeppo del det-
to tuorlo .; il qual gli ferve di nutrimento ; fin
tanto che fia capace di foftenerfi in fulle gambe;
per andarfi a procacciate il fuo vitto; oflar af*
pettando, che i genitori gliel portino.
Prior. A propofito degli uccelli nidiaci ; parte.
de’ quali ( come il Signor Conte fabiani ne
ins
%
To
Li
Visa
I DA sto. PBhima Be
infegna ) flanno all’ afpetto de’ genitori, é parte
vanno a cercarfi da per sè sid il lor cibo , mi
viéne ora un penfiero, cha 0
gnor Cavaliete;, per fentiredafua
uccelli; che hanno l’ adesiva soa vali
guafcherini; n’hanno per l' Ordinario pochiffimi :
qui uelli all'incontro ; la cui prole , appena vifcita
la luce ; fi procaccia il fuo vitto da per sè ftef-
fa; n hanno delle fucinate di ditiotto ; o venti
alla «volta; e forfe di più. Tali fono le quaglie }
i fagiani; le pernici; le galline ec. Or vortei fa-
pere, perche le madri; che han da nutrire i lor
parti, fieno sì fterili;. e quelle ; che fe gli alle-
vano; fenz aver briga d' alimentarli ; fian sì fe»
tofde ? Credete voi ; che e ppi divario derivi
dalla prudenza delle madri ? o pùr dal ig
della forte. È
Cav. Eh! che la fotte nons'ingerifce in quelle
faccende . Egli è un gir d’ na fapienza fo-
prannaturale ; nè da altra fonte può fcaturire,
| {e non da quella, che il tutto regola per un buon
fine. In ordine a quelle madri; che hatino l ag-
—gravio di procacciar gli alimenti pe lor figliuolini ;
non allarga troppo la mano; poiche cariéandole
troppo ; i genitori Renterebbono a provvederli
tutti del vitto, e la prole non potrebb' effere beni
nutrita. A quelle poi; ché allevano i lor figliuo-
| li; fenza penfare ad alimeritarli , tant’ è averne
veriti; che quattro. Quéfta è una cofa ; che noti
ta vede chi non ha occhi.
Contef. Voi dite il vero, Signor Cavaliere. Nos
la vede chi non ha occhi . Ma chi è, che abbia
quétti occhi è Giuffo adeflo apro i mici ; per of
| fervare un’ altra verità ; che prima non offerva:
va: Voi dite, che alcuni uccelli nidiaci fono ali
mentati da lor genitori; e che alcuni atei Vane
Ù a bule
Gi 5 \
16 Eri UDegrt cLa..
a bufcarfi da sè medefimi il proprio. vitto . Or
dica io, come fanno quefti ultimi a ritrovare il
loro. bifogno ? Hann'eglin forfe un mercato , do-
ve fieno ficuri d’ aecattare le lor provvifioni ? E
le grida de’ primi see non pofiono andar da sè
a procacciarieli, in che. maniera fon sù due pie-
di efaudite? I lor genitori han forfe in lor balia
una cava , che li fornifca ad ogni ora del bifo=
gnevole, per contentarli ?
Cav. Non dubitate, Signora ida per tutti
un padre comune , che li provvede.
Prior. Così è. Quefto buon padre apre loro la
gran Conferva della campagna , e tutti corrono
ad accomodarfi del neceifario . Quiyi non è care-
flia, nè di bruchi, nè di vermi, L'aria fpezial-
mente apprelta loro , fino ad una convenevole
altezza , delle mofche, e de’ mofcherini a bizzef-
io;.e la più parte invifibili agli occhi nofiri. Che
fe le tenebrie, a le nebbie fan calare i mofcaj,
gli uccelli fi tengon baffi col volo, e fcendono a
tiro della lor preda, Oltre di che la terra li for
nifce ancor efja di icarataggi ; «di,.iumache ,. di
lombrichi, e d’ ogni g re di femenze , che gli
slilagnonda s quando {@, fatti più adulti. Che
più? Le rannocchie , le lucertole, ‘le bifce iicne,
e gli animali più velenofi fono vivande deliziofif-
fime per le cicogne, e per mole’ altre generazio-
ni d' uccelli. In Tfomma © apre Iddio la liberale fua
mano; € tutti rrovan da fatollarfi.
Contef. Sentite di grazia un altro tratto della
Divina beneficenza, il qual riguarda perfonalmen-
te noi fleli. Gli uccelli , che ci danneggiano, e
quelli pure, di vcui poffiamo agiatamente far fen-
a, fono più flerili di tutti gli altri : quelli all’
incontro, la cui carne è più fana, e l’ uova più
foftanziofe , fontanto fertili, che pare un prodi-
gio,
SIL Losi ti.
:. Diaroeo Primo. di,
gio. La gallina, nonch'altio, è per l’uomo una
manna . Ella gli fa ogni giorno un regalo ,' ed
un regalo afiai prelibato . Se mai tralafcia di
i |
|
«guernir la tavola del fuo padrone, lo fa foltan-
‘to, per rendergli più popolato il pollajo : nè al-
| tra ricompenfa addimanda de’ fuoi fervigj, che i
miferi avanzi della di lui menfa , ‘o le mondiglie
del di lui granajo . Sarebbe un’ ingratitudine il
non riconofcere il merito d’ ‘una fervente così
cortefe. Ma lafciam pure da parte ciò , che ri-
guarda il noftro economico; e ripigliamo le cure
domeftiche degli uccelli .
Rotto ch’ è il gufcio, ecco fubito venir fuora
i pulcini . Adefflo sì, che fopraggiungono a° ge-
nitori le furie delle faccende, fintantochè la nuo-
va prole fia giunta a fegno di non aver più bi»
+ fogno di loro. Convien trovar gli alimenti; non
più per due , ma per fette , o otto bocche , Il
capinero; e l'ufignolo fi dan delle mani attorno”
al par degli altri . Addio verfi , addio mufica,
Hanno altro in tefta, che ftar a cantare ; o al-
meno non vi s' adattano -, fe non di rado. Son,
troppo prefiati da’ loro affari. Alla bufca , alla
butca, ora alternatamente:, ed ora d’ accordo.
‘Non è per anche fpuntato il Sole, che li vedete
x
‘«lelti in campagna . Tornano , e ritornano colla
provvifione nel nidio; la diftribuifcono con fom-
ma‘uguaglianza a tutti i lor figliuolini; gl’ im-
boccano ad un per uno; nè maifuccede, che res
plichin due volte di feguito l’imbeccata al mede-
fimo. La lor tenerezza verfo la prole arriva per
fino a termine di cangiare illor naturale . I fiuo-
wi doveri infpirano in loro nuove affezioni. Han -
ì’ impegno, non folo d’ alimentare la lor figliuo-
lanza; ma d'accudire eziandio alla di lei falvez»
za, di premunirla contro i pericoli, di prefervar
bia
La
È
o eni i cembtii.
| la da tutte le infidie; di far tefta a’ di lei nimis |.
ti, €,di Mettere 4 ripentaglio la propria vita,
fe pur fa d'uopo. Di grazia tenete dietro a una
chioccia ; che abbia appreffo di sè i fuoi pulci
ni. Voi la trovate tutta diverfa da quel; ch’ ell’
era. L’ affetto materno la fa cangiar di natura,
e corregge i fuoi primieri difetti. Ella era per
avanti golofa, e infaziabile; adeffo quel, ch' ell’
ha, non è fuo . Se trova un granel di ‘panico,
una bricciola di pane; o qualunque altra vetto=
vaglia abbondevole ; e da poterfì fpartire , non
vi crediate, ch’ella s' avanzi a toccarla. Avvifa
fubito i fuoi pulcini con ua certa fchiamazzo,
che li fa correre a quella volta ; e tutta quella
bazza fi lafcia intatta per loro. La madre all’
incontro fi contenta di reficiarfi ben parcamente
a’ fuoi pafti. Cofei ; pufillanime di fua natura,
e codatda; foleva prima raccomandare la fua fal-
vezza o fuga : ‘ ma ora; trovandofi alla tefta
de’ fuoi pulcini, fa un cuor d’ Amazone; non ba-
da ad alcun rifchio , e falta a gli occhi d' ogni
più fiero maflino. In breve; tanto èilcoraggio,
che queffo nuovo carattere infpira in lei, che non
guarderebbe ad affrontare un leone.
Non fono ancora molti giorni paffati , ch’ i
vidi una chioccia in un atteggiamento il più cu-
riofo, che mai dir fi pofla. Le avea fatte porre
nel hide dell’ uova d° anitra; in vece d’ uova di
gallina . Ella fe le covò , e sì ne nacquero gli
anitrini, conforme avea divifato . Certa cofa è;
che quegli anitriccoli avean le fembianze diver-
fe da quelle de’ fuoi confueti pulcini. La chioccia.
però li credea fuoi figliuoli, e in confeguenza fe
li teneva ben cari. Se li ricoverava fotto dell’
ali; li rifcaldava; fe li conducea fempre appref=
fo, con quell’ autorità, e predominio, che 9 ade
| a
Lo
DiAroco Primo. 19
dice 4 una madre. Gli anitrini. dall’ altro lato lé
‘preftavano quel rifpetto ; fommiflione , e obbe-
«dien2a , che al materno carattere fi conveniva.
La forte portò, che s'imbatterono perifirada in
un rio. Ed ecco quegli anittoccoli buttarii fubi-
to all'acqua. La madre fi trovava in un' agita»
zione sì grande, che ne menava fmanie. Gli ad-
compagnava coll’ occhio lungheffo la riva , gli am-
moniva , li fgridava , li richiamava , dimandava
ajuto, e andava contando le fue afflizioni al mon-
do tutto. Pofcia tornava in fulla fponda delrio,
e non poteva faziarfi di richiamarli , tacciandoli
tuttavia d' imprudenti. Ma gli anitrini, giubilan
do di vederfi nel feno del loro amato elemento ,
le fecero fin d’allora una bella quietanza di tut-
te le cure, che fi era prefe per loro; e fatti gia
forti non vollero più faper nulla di lei. I
Prior. Madama, permettetemi, ch'io v° inter-
| rompa per un momento il difcorfo , e ch’ io di-
mandi al Signor Cavaliere, in quale fcuola que-
gli anitrini avean imparato a conofcere , che l'
. acqua era il loro elemento ? La chioccia ficura-
mente non avea data loro quelta lezione.
Cav. E chi nol vede ? Quefta propenfione per
acqua è inferita naturalmente nell’ anitra dal
Creatore. Egli è un iftinto datole da Dio.
Prior. Cosìè. Una lezioneimparata fenza mae»
firo, e contraria a’ documenti materni, non può
efiere, che un ifiinto proveniente da Dio.
Contef. Per moftrare al Signor Cavaliere ,, quane
to fia grande |’ affanno , che le madri degli uc»
celli fi prendono pe’ parti loro , bifogna ; ch'io
gli racconti una curiofa floriella , di cui io me»
| defima fono fata più, e più volte oculatifima
. teftimonia. Vedraffi talvolta una pollanca co’ fuoi
figlivolini d’ intorno, la quale darà ex abrupto in
I Bi 2 cere
tg»
*
to Giro Ricoh LL Sd
certi urli lugubri, fenza poterfene penetrar la cas
gione. Al rimbombo di quefti fchiamazzi , ecco=
ti tutti i pulcini intanarfi fra qualche fiepe , o
fra l'erba, o dove-che fia, per non effer vedu-
ti: e non trovando verun nafcondiglio, sdrajarfi
quanto fon lunghi per terra , e far fembiante d’
elfer morti. Starannoin quefta tal pofitura, fen-
za muoverfi punto punto , qualche buon quarto
d'ora, e molte volte.ancor più . La madre in-
tanto rimira il Cielo con aria afflitta , e affan-
nata; e va raddoppiando i fuoi dolenti fofpiri,
e rinnovando quello fteffo urlo , che sbigottifce
tutti i fuoi figliuolini. Saravvi taluno , che cu-
riofo di rinvenire il motivo. di quefta fua tanta
inquietudine, e di quefto tanto mirare il' Cielo,
andrà cercando per l’aria, qual poffa efferne la
cagione. Ed ecco fpuntare preffo alle nuvole un
fegno nero, che a mala pena fi può difcernere.
‘Egli è un uccel dirapina, che, per la gran lon+
tananza, all’ occhio noftro s'invola.; ma non giù
può fottrarfi alla vigilanza , e al grande acume
d’ una madre appaffionata-pe’,fuoi figlinoli. Per
quefto {mania , e getta quegli urlida difperata .
Mi fono imbattuta a vederne una a perfiftere
nella predetta agitazione, e i fuoi figliuoli a tar
diffefi immobilmente per terra quattr’ ore conti-
nue, in tanto che l’ uccello aliava ( ora elevan-
dofi, ed ora abbaffandofi ) fopra di loro. Sparito
I’ uccello , la madre principiò fubito a cangiar
tuono. Diede un alto firillo , ma sì giulivo , e
feftofo, che rendè la vita a tutti i fuoi figliuoli»
ni. Li vidi a un per uno correrle intorno , bat-
ter l’ ali dall’ allegrezza, farle feta , e pareva,
che aveffero cento cofe da dirle . Probabilmente
le volean raccontare tutti i pericoli ; che avean
corfi. Terminò quefta fcena con una falya d’ims
pie
Diaròodo Primo. zi
precazioni fcaricate contro l'importuno animale ;
the .... Ma quelta mia‘natrazione principia. a
dare nel buffonefco j onde ;° per non abularmi del-
la voftra gravità, farò fine. a
Prior. Madama, tutto cid , che ne avete det=
to, è deguifiimo de’ noftri rifletti. «Edi in; fasti 5
chi può aver dato a conofcere a quella madre un
nimico, da cui non aveva ricevuto per anche al-
Curi torto ? Un nimico , che non aveva ufato giam=
rai alcun'atto d’oftilità pel paefe ? E come. ha
fatto , ravvifare quel cefio ignoto in tanta di-
ftanza ? O!tre di che , quali lezioni aveva ella
date alla fua famiglia, per diftinguere i differen-
ti fini de’ fuoi fchiamazzi , e per regolari, a te,
riote del fuo HAStAERio? Quefte maraviglie s * han
tutto °l dì fotto gli occhi; e pure non vi;s' ab=
bada . La narrazione , che la Signora Contefla
pur ora ne ha fatta, vale apprefio di me molto
più, che certe differtazioni ; portate con.tutta
guanta la ferietà.
Contef. Bifogna però; che ’l Signor Priore fi
contenti di farcene una , intorno alla CRUERNER
ed al volo degli uccelli;
Prior: Eccomi quì: MP invitate giuto al mio
giuoco .
feci corpo dell’ uccello non è; nè troppo maflic=
| cio, nè ugualmente tozzo per tutto. Egli ha ve-
ramente tutta la difpofizione , che fi richiede a
volare ( Derbam Theol. Phyf:1.7.): Davanti affi
lato, va a poco 4 poco italiani , fin,ranto
che arriva ad acquiftare la giufta fua molé + Co-
sì vien ad effer più atto a romper l'aria, € ad
aprirfi per mezzo di effa la fitada ——
La natura; per porlo in iftato di fa: de’ lun
ghi viaggi; dove fempre pon può trovare le fue
prorvifioni bell'e ammanpite ; e di paffare altresì
dot le
- Pa si
a. Guia r? -
le lunghe notti del verno , fenza guftare alcun
cibo j igli ha collocato fotto °l1 gargozzule una
borla ; che dicefi gozzo, Ov' egli mette il fuo man-
giare in cuftodia. L’umore acido, che in quella
borfa contienfi ; ed in cui nuota il fuo cibo , |
ajuta a farne la prima digeftione : ed il ventri-
glio, dove non entra, che a oncia a oncia, com-.
pilce il refto, cooperandovi per lo più certi pic- .
coli faffarelli ‘bernoccoluti, i quali l’ uccello tran-
ghiotte per iftritolar gli alimenti; e forfe ancora
per tenere ‘aperti i canali.
L' offa degli uccelli, auanesogne ei fian tan-
to tenere, che non abbian forza' di foftenere la
mole del corpo; fon però così vote, e così mil-
ze, che non aggiungono quafi punto di pelo al-
la carne .
Le piume fon tutte fazzonate , e difpofte con
arte; tanto per foftenere in aria l’ uccello; quan»
to per ripararlo dalle firavaganze della medefi»
ma . Il cannello di quefte piume è ad. un’ ora
forte, leggiero, e voto. Forte; acciocchè urtan-
do nell’ aria , abbia campo di romperla . Leggie-
ro, e anche voto ( fpezialmente a mifura che
va ‘ingroffando ); perchè, in vece di follevare il *
di Ini corpo, non l aggravi. In fomma quefio
cannello voto, o almen ripieno d’ un'aria fotti-
le, rarefatta, e più leggiera dell’ ambiente efle-
riore, occupa con poco pefo di molto fpazio; e
mette , per così dire , l’' uccello in equilibrio
coll’ aria . Le piume fon tutte quante rivoltate
allo ’ridietro, e colcate l'una full’ altra: con un
ordine mara vigliofo . La. parte ,..che guarda il
corpo, guarnita d’ una morbida , e calefattiva
lanugine , come quella , ch’ è efpofta all’ aria,
è corredata di due filze di pelluzzi da una ban-
da più lunghi , dall’ altra più corti. Quefti pe-
luzzi confiftono in certe RISO minute > fmil-
mat,
=
N
pi
| DiALoto Primo. 23
ze, ‘è fchidcciate ; le quali s° accoffano , e fi
combaciano a pelo a pelo, come fe la loro eftre-
mità foffe flata tonduta maeftrevolmente col-
le cefoje . Ciafcuna di effe fogliette è di per sè
‘un piccol gambo, o fpezie di telo fotnito di qua,
e di la di nuove fogliette vie più minute delle
primiere , la cui fottigliezza le rende quafi invi-
fibili. Quefta caluggine tura perfettamente tutte
le piccole gretole, per cui l aria avrebbe campo
d’ infinuarfi. Oltre di ciò , le piume fon SEPRIO
con tal fimmetria, che ogni filza de' eluzzi,
fogliette più ‘piccole s° introduce, s° sa accia, e î
fa vedere, più, o meno, tra li fpazj della filza
più grande, che fta di fopra; e un. nuovo ordine
di pennamata ricopre tutti gli fieli delle più grof-
fe. Così l’aria non trova alcun ‘adito, onde paf-
fare; ed ogni urto di dette piume in quel fluido
‘élemiento ha una grandiffima forza , ed attivi...
vità per romperlo, e per refpignerlo.
Tutta quefta bella difpofizione verrebbe foven-
te fconcertata dalla pioggia , fel’ autore della na-
tura non avefle forniti gli uccelli d’ un argomen-
to, che rende le loro piume impenetrabili all’ ac-
qua; come Ja lor medefima fimmetria le rende im-
penetrabili all’ aria. Tutti gli uccelli han preflo
all’ ano (2Villughbi O?gitbolog. }. 1.) un ciccione
pieno dolio, ch'è giuflo fatto, come una mam-
melluccia fornita di diverfi capezzoli . Or non st
tofto s° accorgono , che le lor piume fonb tifec-
che, o fparpagliate, o fcompofte, od in pericolo’
di bagnarfi: premono quel ciccione, o fe lo ftiran
col becco , facendone fcaturire un cert’ olio', o
manteca , ivi racchiufa entro di piccole glandu-
le; e poi fi ftrofinan col medefimo becco qua-
fi tutte le piume ; le umettano , le raffazzona-
mo, le lifciano , e rituran con quella materia
| B 4 vifco=
dA G prliilll eci do. i
}ifcofa tutti gli fpazj, di modo che l’acqua nori
può. far altro; che rotolare fopra l'uccello, ma
non mai) i finnarh nel di. lui. corpo. Il pollame
della noltra pollerìa.,. che {la al coperto; non è
così doviziofo di quell’ umore, come gli uccelli ,
che ftanno al fereno . Quindi è,.che una gallina
bagnata è uno fpettacolo ridicolofo . I cigni per.
lo contrario, e l’oche, el'anitre, e le. folaghé, |
con tutti. gli uccelli acquatici ,-principiano ad ino-
liar le lor D'UNE fin dalla nafcita. Gli otricelli ,
dove quell’ olio confervafi ;. ne fomminiftrano fem- |
pre una, dofe proporzionata a’ loro occorrenti bis
{ogni ..La loro ftelfa carne. ne contrae il fapore,
e ognun può vedere , che quefte razze d’ uccelli
nori fanno mai altro verfo, che lifciarfi le piume.
Ma. fe tanto d' intendimento nella firuttura di
quefte piume fi trova;.non minore è l’induftria,
che fi ravvifa nella difpofizione dell’ ali , e delle.
code; per por gli uccelli in itato di volare. L'
ali:non potevano efler meglio piantate di quel,
che fono. Formano di qua, e di la due contrap-
peli, che foftengono il corpo in bilico; e fanno
altresì l’officio de’ remi , che in trovando la re-
filenza del fluido, a cui s’ appog giano; [pingono
il corpo avanti dalla parte contraria.
L'a coda dell’ uccello ferve a contrappefare la,
telta, ed. il collo; e fe ne vale ancor di timone ;
pet addrizzare il fuo corfo ; mentr egli voga coll’
ale A Willughbbi ibid.). Ma quefto timone non fo
lamente | ajuta a mentener l’ equilibrio del volo;
ma ancora ad alzarlo;, abbaffarlo , e girarlo, CO@
munque gli È ACC: Concioffiachè non sì toto la.
coda fi rivolge da una banda, chelatefta fl por-
ta verfo la banda contraria.
Cav, Quantunque io non arrivi a comprende-
re, come l’ uccello faccia a volare ; ; tuttavia mi
pa.
DixtLoco Primo; ds
pare; che l’uomo potrebbe arrivarvi aticor egli;
* «Gli uccelli di gia gli mofirano, come hada fare.
._* Prior. Certa cofa è, che noi altri abbiàm-tut=
ti quanti ne’ noftri piedi; e nellé noftre braccia il
| principio del moto. Le pennedegli uccelli, le no=
fire tele, e i noftri ol} ci fomminiftran delle ma-
terie apparentemente proporzionate a formare dell’
ali; e ali capaci di romper l’aria, erefpignerla;
fenza effer dalla medefima penetrate. Quanto als
la maniera dell’ operare , gli uccélli medefimi ce
ne danno il modello. Sembra.a prima vita, che
| una tale invenzione ci fi prefénti da sè Beffa fen»
za alcuno sforzo, e che non vi refli da fare, fe
non un paffo; cioè a dire alcune piccole rifleffio-
ni, per venirne a capo. Macredo, chelIddio ot
timo maffimo ; per un effetto di fua provvidenza
inverfo il genereumano ; v'abbia pofto un offaco=
| loinfuperabile; poichè un tal tentativo; per quane
to fi fia in varftempi, e da varie perfone reitera+
.to, nomè mai potuto riufcire. L' invenzion del vos
lare farebbe l’ultimo efterminio dell’ umana focietà ,
Cav. Ed io, tutt'all’ oppofto , crederei , ché
queft’ invenzione ci rifparmiaffe di ran fatiche .
Primieramente fi faprebbon più prefto tutte le
nuove; che fi delidera; e poi; trovata che fi fofa
fe una piccola maechina ; fe ne fabbricherebbe
quanto prima una grande ; ficchè non folamente
s' arriverebbe a viaggiare per l’aria, ma vificar-
| reggerebbono ancora ie mercanzie. Il commercio
per: quella Wiaiate n el.
Prior: Signor Cavaliere ;, ammiro la vofra fa-
gacità. Voi prevedete da vero Statifta tutti i van:
taggi, che fi potrebbon ritrarreda quefta inven-
zione . Ma tutti i comodi da voi divifati . ‘non
warrebbono a compenfare i difordini P che dalla
medefima nafcerebbono;
Cont.
26 GLi Uccritti.
Cont. Per vero dire , fe l’uomo aveffe taccri
di volare, la vendetta, e la cupidigia fcorrereb-
bono a briglia fciolta. per tutto; e le nofîre cafe
diventerebbonòo tanti macelli, e tanti ridotti di
ladri. Chi ci afficurerebbe da’ noftri nimici , che
avrebbon campo d’ affaltarci all’improvvifta, tanto
di notte , quanto di giorno ? Come fi farebbe a
falvare i noftri danari, le noftre fuppellettili , e
le noftre pn dall’ avidità d’ una mafnada di
affaffini, che provveduti di buone armi entrereb-
bono a viva forza nelle nofire cafe , e corredati
di buone ali s° involerebbono col lor bottino alle
noftre tracce? Quefto meftiere farebbe , fenz’ al-
tro, il rifugio di tutti i birbanti , e di tutti gli
fcellerati.
Prior. Dirò ancora di più + L’ arte del volare
farebbe mutare fcena a tutta quanta la tetra.
Non fi potrebbe dimorare altrimenti, nè per le
Città ; nè per le Ville: ed ognuno farebbe coftret-
to a fabbricafi delle fpelonclie fotterra; o a farla
vita dell’ aquile, e degli altri uccelli rapaci. Ci
ricovereremmo, com’ efla, dentro le rocche più i-
nacceflibili, o fulle montagne più dirupate ; e
quindi ci avventeremmo, a’ frutti, ed agli animeli
deftinati al nofiro fervigio: dopo di che fi torne-
rebbe di lungo alle noflre tane , ed a’ nottri ci-
miterj].
Contef. Che domine ditemai, cari Sidtiori? Voi
mi volete far morir di paura con cotefta voftr
artedi volare. Do, fin daora,la mia maledizione
a chi oferà di fognarfela. Deh ! non mi fiate a
parlare, nè di fpelonche, nè di cimiterj. Lo ve-
de te, Signor Cavaliere, a che rifchj voi ci efpo-
nite con cotefle voflre ‘ibvenzioni | ©
Cont. Non dubitate, Signora. L’ arte del vola—
re non vi dee metter paura. Kila è, flo per di-
re,
#
Po
\
DraLoco Prima. to
re, impo@iibile. La natura vi ha pofto un ofta-
colo quafi quafi infuperabile. A voler, che il cor=
po d’ un uomo fi foftentaffe per aria ;, e fi po-
neffe in equilibrio colla medefima , bifognerebbe
idearfi una macchina vota , d’ una grandezza sl
{mifurata, e d'un impaccio così tremendo , che
il governarla, e maneggiarla (a giudizio d’ uomi-
ni favj ( Leibnizio , Borelli ) è una delle cofe
difperate, ed impoMibili all'uomo, al par del mo-
to perpetuo .
Contef. Lodato fia Iddio. Per oggi non mi cu-
ro di faper altro. Domane , chefi farà? Vogliam
noi ripicchiare fopra gli uccelli?
Cont. La materia ficuramente non è per man-
carci. Tutta la difficoltà confifte più tofto in re-
fecare il fuperfiuo. Dove ci fifferemo?
| Prior. Ognun fi feelga quel, che più gli piace,
e ne faccia parte alla compagnia,
| Cav. Se ’l Signor Priore mi vuol far ficurta ,
mi compremettoò di foddisfare al mio debito, co-
me gli altri.
- Contef. Io, per la mia parte, m' obbligo di pre-
fentarvi un uccello, che non alligna , fe non nell’
America, Egli è il più piccolo, e infieme infieme
il più bello di quanti uccelli fi trovino . E fe que-
fio non vi bafta, fupplirò alla mancanza, con ag-
‘giuntarvi lo firuzzo. È
nia
Fine del Dialogo primo.
di GLE
I
G L I UCC ELL Ì.
DIALOGO SECONDO:
IL Conte
La CONTESSA DI Gionrenia i
iL PrioRE |
iL Careess DEL» BROGLIO /
Cav: YErfera me n° entrai quatto quatto nello
| fcrittojo del Signor Conte, e trovai fos
pra’l fuo tavolino un certo libro; intitolato Or4
NIE Willugbbi ; bell'e aperto. Mi mifi i
artabellarlo da capo a piè ; e trafcorfi ad una
ad una quelle diverfe figure d' uccelli, che vi fos
no egregiamente impreffe, e miniate al naturale.
Tutta la notte non ho fatto altro, che riandar
colla mente quelle benedette figure . Ma fopra
tutto m'ha fatto fpezie quel becco fmilurato , e
quella zampa tralunga di taluni ; quando confi=
derava; che gli altri avean unbecco sì corto, èé
fe ne favan st accoccolati , che a mala pena ff
fcergea loro la punta de’ piedi. Or dico io: tan-
to gli uni, quanto gli altri non hanno altro de-
bito, che di volare; e di proccacciarfi il lor vit-
to. Perchè dunque tanta diverfità d’ ale, di bec-
chi, d’'artigli, e di tutte le. parti ? Vogliam nof
dire, che quefto divario provenga dal capriccio
delta natura ? O veramente , che fia un effetto
premeditato, e diretto a qualche fine particolare ?
La differenza , che voi vedete fra’ varj becchî
degli uccelli., non è da paragonarfi con quella si
che fi ravvifa fra’ varj nafi degli uomini. Tutta
la difparitàè, che paffa fra un nafo ;'@ l° altro ;
conlilie folamente nell’ eficre un dito più. lungo ;
o più
\
I DiaLoeo SECONDO] sr
‘ più corto. Del refto la ftruttura , e ufo de-
gli altri. Ma negli uccelli noti è così. La diver-
| fità-, che fi trova ne'loro becchi , _ne'loro arti-
gli, e nelle lor ali, è fempre correlativa al bi-
| fogno di ciafcheduno . Ogni lor membro è uno
| ftramento adattato alla qualità de’ lor lavorii, e
maniere particolari di nutrirfi . La paflera ( per
modo d’ efempio ) colla più parte degli uccelletti,
vive di granelli di panico; od’ altre femenze con=
fimili, cui trova già per le cafe, o per la cam-
pagna. Sicche non ha bifogno di fare alcuno sfor-
zo, nè per agugnare il fuo cibo, nè per abboc-
conarlo. Ed ecco, perch'ella ha il becco piccolo,
e l'unghia corta. La beccaccia all'incontro , il
beccaccino ; la marigiana, e molti altri uccelli di
| quefia fatta, dovendo razzolar ben a fondo trala
terra, e la belletta, perquincieftrarrele conchi-
. glie, ed i vermi, che fono il lor cibo, hanno un
collo lunghiffimo , ed un beccodiforbitante. Que-
fli fono i loro ftromenti, per diverre la terra, e
frugolare tra’l fango , dove ritrovano il lor bi-
9,
fogno.
Il
._ Spiegazione della Figura. —
A. Il piviere in atto di vibrar la fua lingua per en
. tro°i buco d’un ramo.
-B. L’airone. $i
C. La farchetola, detta volsarmente arcazza.
D. La beccaccia.
E. Il cigno.
F. Il pavone. I
G. Il toccano , ch’ è una fpecie di pica del Braf-
je, il cui becco è quafi groffo, quanto il fuo corpo ;
. ma d'una fuftanzia leggieriffima, e porofiffima,, ficchè
non lo incomoda niente affatto.
ì H. Il i O. ì È
5) » { e ® »
L'anguftie del fito non ci han permeffo di delineare
quefte figure con quella proporzione asgiuftata, che ci
farebbe convenuto.
36 Giri Udees bg ti
Il piviere, che fi procaccia il fuo vitto inuna
‘maniera tutta diverfa dagli altri uccelli, è anche
formato in una foggia differentiffima, e totalmen-
te particolare. Egli ha il becco tralungo, efor-
te, e duro oltre modo. La fua lingua è appun=
tata, d’unalunghezza firaordinaria; ed oltre a ciò
premunita di minutiffime punterelle , e verfo l’
efiremità fempre impaniata di vifchio. Ha le games
be piuttofto corte, con due unghie dinanzi, e due
di dietro; l’une, el’altre ben ritorte. Tutto que-
fto apparecchio è relativo al fuo modo di predare,
e di nùtrirfi. Il piviere campa di que vermetti,
o tarli, che ftanno internati nel cuore di certe
(rame, e per lo più fotto la fcorza de’ vecchi le-
gnami . A fcortecciare quei ciocchi navigati ; di
cui ci ferviamo a far fuoco, e lacui fcorza age»
volmente vien via, fitrovan giornalmente le celle
‘ di quetfti tarli, che penetran quafi fino al mi=
dollo. Or queft’ uccello ha bifogno d’ artigli adun=
chi, per aggavignare le rame, a cui s’ attiene.
Le zampe lunghe non gli fervirebbono a nulla ;
perch’ egli non debbe far aitro, che abboccare la
preda, che fta appiattata fotto la fcorza. Ha ben-.
‘sì un’eftrema neceffità d’un becco duro, e appun=
tato, perciò ch’ egli de' taftare a forza di beccate
lungheflo le rame, dove il legno è voto, e tare
lato. Egli s' impianta, dove fente , che la rama
rimbomba , o fuona di voto, € va bucando prima
la fcorza, e poi’l legno; quindi profonda il becco
nel buco fatto, e gettando un grande firillo, o una
ipecie di filchio per entro la crepatura dell’ albero;
rifveglia, emette in moto quei tarli colà addor=
mentati; edallora vibra la lingua nel detto buco,
e coll’ ajuto di quelle piccole punterelle, ond'ella
è fornita, e delvifchio, ond’'è impaniata, attrae
a se quanti tarli vi trova, e fe li mangia.
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« "Diatoco SEconpd., bi:
È’ airone per lo contrario è di fatura affai alta .
Ha lezampe; elecofce lunghifime, etutte quans
te pelate; il fuo collo è purlùngo, il becco {mi
furato, ben auzzo; e in cima dentato. Or qual
credete; che fia la ragione d'una figura così biz-
zarra ? Vel dirò io: L’ airone vive di ranocchie;
di conchiglie, e d'altri pefci; ch’ egli può trovar
verfo le fpiagge delmare, o preflo alle rive del-
le lagune, e de’ fiumi. Effendo durique coftretto
4 camminare per l’acqua ; e pel fango ; non ha
bifogno d’ aver intrighi di piume sù perle cofce.
Gli fon bensì d'un gran comoda le zampe lunghe , .
| per poterfi avanzare più, o meno verfo l'acquà ;
a mifura che la fua preda s'ingolfa; o s’ accofia
«alla riva; affine di procacciatfi il fuo vitto. La
lunghezza del collo; e del becco gli ferve per ria
giugnerla, e per pefcarla giù a fondo. La den-
‘tatura ; o punterelle del roftro; che fono; come
uncini ritotti allo’ndietro ; l’ajutano a tener faldo
il pefce già prelo ; il qual guizzando, fe ne potreb»
be fcapolat via . Finalmente le fue grandi ale ,
tuttochè pajano a prima vifta fproporzionate, ed
incomode ad un uccello di sì piccola corporatura ,
‘com’ è l’ airone; gli fono d’ungran foccorfo; per
far de’ lunghi viaggi per aria, e per portare de’
groi bottini nel nidio, il qual farà alcune volte
. diltante un par di leghe dal fito, in cui pelca .
Un Cavaliere mio amico ; che ha una Tenuta pref.
fo i contorni d' Abbeville , le le cui pofleffioni fi
| fiendono luogo la riva d’un fiumicello ; dové fempre
€ dovizia d' anguille, vide un giorno un airone por=
tarfene una delle più groffe nel nidio, adonta del
| grande impaccio , ch’ ellarecava alfuo volo, collo
{guizzare, e fcontorcerfi, ch’ella faceva . Ciò, che
abbiam detto dell’airone, può fimilmente adattarfi
“ad altre fpezie d’ uccelli di fomigliante natura -
ec. i Contef.
I n”
NL RS TE
# | VOM,
sx Val Heel; i
Contef. Quefta è, fenz’altro ; la prima volta i
ch'io fento far..delle ofiervazioni intorno al rego»
Îjato indirizzamento «di ciafcun becco , ch'io mi
credeva finora efler fatto acafo. Ma ormirav=
vedo del groffo errore , ch'io prendeva; ed offer-
vo, che quante. critiche da noi fi fanno fopra l'
opere delia natura, fono altrettante riprove del-
la noftra ignoranza. lo non arrivo, per modo d'
efempio, a capire, 2 a che fia deftinato quel becco
firavagante della cicogna, Ma da quì avanti mi
oo: rmolto bene dal cenfurarlo .
Prior. Sappiate, che la cicogna va rimuginan»
do con effo la terra, per raccapezzar quivi entro.
le ferpi, e lecicigne , e poi portarle a’ fuoi cico-
gnini, che fe ne cibano a tutto pafto, fenza ri-
cevere alcun nocumento dal lor veleno ».
Contef. Cotefta è una ragione, che appaga. E
fe tanto mi da tanto, non mi farà difficile indo-
vinare, perchè quei cigni, che voi vedete laggiù
in quel rio, abbiano il collo sì lungo, edilbec-.
co sì largo . I cigni, l’anitre ,-e l’oche frugan
continuamente nel fondo dell’acqua; perchè vitro» |
vano, fecondo me, diquegl inferti, o vermicciuo-
Hi, di ‘cui facefte menzione a quefli giorni paffati..
Nuotando dunque a fior d' acqua, e non potendo
ficcarfi fotto, han bifogno d’un becco lungo, per
arrivar fino in fondo. Quanto poi all’effer largo,
e fatto a paletta contro la‘regola di tutti gli al-
tri, fi può dire, che fia deftinato ad abbrancare di
molta melma, obelletta alla volta, per fare una
buona prefa* di vermicciuoli , nel mentre che la
fparpagliano. Può darfi ancora, che -il loro bec-
‘©o fia per di fopra forato, ad oggetto di fpander
fuora per quel pertugio l'acqua , che vi s'infinua
inun col pefce, ediinfetto, che han prefo, nell è
inghiottirlo, Mi divifo altresì, che ficcome gli uc»
celli
} l <%
DiaLroco SEconno. 33
celli di rapina fon forniti d’artigli adunchi, per
ghermire, ed aggavignare la preda , € peraggrap-
| parfi alle rame, sù cui fi pofano ; i cigni, |’ ani-
tre, el’oche abbian le zampe piatte, edintefiute
di tele, odipeili per diftenderle a foggia di pin-
ne, e refpigner l’acqua da una banda, per innol-
trarfi dall’altra. Mirate ,y Sig. Priore, s' io fon fot»
tile! Chi mai avrebbe faputo diciterar tanti arcani?
Prior: Madama y il merito d'un filoiofo ( giacchè
al prefente vi ponghiamo in quefio ruolo ) non
confiffe mica fempre in penetrare le cofe diffici-
li; ma bensì in offervare ciò , che gli altri non
offervano, tuttochè il più delle volte vi zappin.
dentro» co’ piedi , Le perfone meditative , ed gf
fervatrici, fon tanto rare, che nulla più.
Contef. Noi altre donne però fiam efenti. da
quefte brighe . Pare, che il comune degli ‘uomi-
ni non richieda da noi tante fpeculazioni . Pure
chè apparifca nel noftro feflo un poco divezzo,
non cercan d'altro.
Prior. Si può dire , che la loro indulgenza ,
rifpetto a quefio particolare, fia molto grande.
Le donne al certo non han. motivo di lagnarfi
degli uomini.
Conief. Anzi (con vofira buona pace ) abbia»
mo mille motivi di dolercene . Cotelta mal con-
ceputa connivenza ci fa un torto irreparabile .
Ella ci rende vane, oziofe, melenfe , impruden-
ti, evolubili. Che più? A confiderare la lor cone
dotta in ordine a nci, fi vede, ch’ efli fiudian
tutte le vie, per introdurre nel noftro fefflo quel
la piena di vizj, di cui ne accagionano . Ed.in
fatti, non è ella una maffima di lor politica il
non parlarci, fe non d’ inezie? Dal linguaggio ,
— ch'eMfi tengono con effonoi , e dal ri(petto, con
‘© «ui ci trattano , fi vede bene , che fiam tenute
Tomo Il è (Si apprels
% *
34 Gir Di é cali 0
Appreffo di loro in conto di tanti fanciulli, o di
tanti idoletti : Ammefii alle hoftfre converfazioni
non introdlcono altri difcorfi ; che di mode , o di
giuoco, o di cetti cerimoniali} che non montano
un frullo < E° quafi un'miracolò ; fe taluna pre-
ferva il fuo fpirito dall’ univerfale naufragio ue
fe ritiene un poco di fenno ; e di cotafza < Io non
annovero fra le nòftre maggiori difgrazie l’efere
affatto igaare delle lingue antiche ; nè tatnpoco
pretendo ; chefiamo ammefle alle fpecul azioni più
alte, o alle fcienze più altrufe , la cui applicazio=
ne ci renderebbè del tutto inutili all’ umana fo=
cietà . ge chi può non compiagnere La noftra for=
te; in vedendo; che la più parte di noi è tanto po
co informata di ciò; che concetne la noftrà fleffa
Religione ; ; che non “ha vertita contezza della Sto-
ria del geriere umano (ch'è quanto dire del no-
firo efere); e ché nonfa quafi nulla delle Gpera='
zioni di Dio? Quanto a me, mi protefto di non
aver trovato; fe non gente; che parea cofpirata
2 farti perdere quel fior di fenno, che forfe ave-
va. Il Signor Conte è ftato il primo 4 fatmi que-
fta giuftizia 5 di credere, ch'io fentiffi del fagio-
nevole , come gli altri. «Da, difcotfi ; ch'egli mi fa y
ben fi vede, com’ egli mi reputa donna capace di
° meditare. E non è forfe un bell’onore per me;
l’efler riputata degni di afcoltare delle lezioni in-
tosno a cole, che fi prefentan tutt ora fotto i no-
firi occhi, efoné bifognantiffime al viver noftro?
Di faper la ragione ; perchè un albero: fia model-.
lato piuttofo così ; che così ? D'aver contezza de’
var) modi; con cui fi coltiva la terra ? Delle pro-
prietà d'una pianta 3 che, in pafeggiando; ci dà
tra’ piedi? Da che il Signor ‘Conte ha principiato
ad affuefarmi a riflettere, e ad efércitare il mio
| fpirito la mia villa mi i comparilce a dirittura un
para
DiaLoco Seconno.
DI
| ricchezze, onde la natura è ricolma ; e che per
s 0/0
RR TOT LIT
teciparvele ; PN
«1 colibrì è un uccello d' America ; che , me-
diante la fua bellezza; la fua maniera di nutri-
carfi; è la {ua gran piccolezza; può annoverarfi
fra un de’ miracoli della natura ( Bibliot. univerf.
ed iforica Agoffi 1687. Offervazi curiof. T. 2. )..
| G 1 Quan-
36 Gat E ONERI 1
Quanto alla piccolezza, non la cede'; fe non al
molcucello; ma ben io iupera nella vaghezza, e
varietà de’ colori, imitanti l'arcobaleno | Ha ful
collo un fegno di roffo sì accefo , che il prende-
‘ refte per un rubino ; il giallo della fua pancia,
e. del di fotto dell’ ale, par oro ; il verde delle
cofce, uno fmeraldo ; il'nero delle zampe, ‘e del
becco, un ebano ben brunito. Ha poi un par d’
occhi di figura ‘ovale, che brillano come diaman-
ti, e fon del colore dell’ acciajo lufrato . La fua
tefta è verdolina ; ma tutta tempeftata di mac=
chie d° oro . Il mafchio ha ful capo un pennac-
chino , ch'è un complefio di tutti i colori, che
fpiccan per tutto ’l refio del corpo . Quefti uc»
celli volan sì ratti, che un fe li fente paffar di-
navzi, fenza vederli . Campano ( per quanto fi
dice ) di fola rugiada , 0 fugo di fiori ; e fe lo
bombano colla loro linguetta , la cui lunghezza
è maggiore del becco. Quefta linguetta ferve lor
di titone; e la rinchiudono, e la ritirano dentro
il medefimo becco, come in un aftuccio . Il bec-.
co poi, tuttochè fia fottile, quanto un ago, li
rende formidabili a certi uccelli piuttofto grofli ;
cioè a dire a' frifoni, che fi traggono a’ loro par-
ti nidiaci. Al comparire di quefto piccolo uccel-
lo, il frifone fi mette a fuggire, ftrillando a più
non poflo; perciò ch’ egli fa, con che nimico ha
da fare. Il colibrì gli s' avventa alla vita; e fe
eli riefce d’ acchiapparlo, gli ficca i fuoi piccoli
artigli iotto dell’ale, e gli da tante beccate con
quel fuo rofiro appuntato , che lo diftermina. Ec-
covi quì in quefto piccolo fearabartolo due di que”
‘waghi uccelletti, che per eifere ben condizionati,
ferbano in parte la primiera venufla de’ loro ac»
cefì colori . Quefti altri , che voi vedete appelli
per le zampe a un cerchietto d’ oro , fono n
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DiaLoco SEGONDOa > 4
mofcuccelli, de’ quali s'è fatto un par d' orecchi»
ni; e fi può dire con verità, che la bellezza del-
le perle più rare non agguaglia una sì fatta ga
lanteria +
Cav. Mirate, fe quefti uccelli non pajono ves
‘ramente miniati! I colori delle vofire farfalle non
fon mica sì vivi . Bramerei però di fapere , fe
que’ odore, ch’ effi tramandano , fia naturale
sì, 0 no... su alle
Contef. Molti credono , ch' egli provenga dal
fugo de’ fiori , di cui fi pafcono ; ma quel mer-
cante di S. Malò, mi diffe ingenuamente, ch' e'
lo credeva un effetto di quel coton profumato,
o imbalfamato , di cui fi ioglion riempiere , per
confervarli. | |
Cont. La maniera più facile di goderne la vi*
fia, fenza efporli a gl infulti delle tignuole , o
de vermi , è cuftodirli per entro a certe bache-
che, o icarabattoli , compofti di varie laftre di
criftallo, le quali fian congegnate per via di ftri-
{ce di cartapecora, intrifa di colla amara, o fate
ta di vero fpolverizzato. — I
Cav. Certo , che in queta guifa , ne ‘1 dente
della tignuola, nè ’l pungolo d' altri infetti, vi
può trovare l’ingreflo. Ma la Signora Conteda,
* fe mal non mi ricordo, s era efibita di favorirci
delia detcrizion dello ftruzzo.
Contef. Adeffo vi fervo . Lo fruzzo è "1 più
groffo di quanti uccelli fi trovino al mondo. Al
ligna piuttofto in Affrica , che in altre parti. E
alto di flacura al par d' un uomo a cavalio ; €
molte volte l’ avanza. Nelia tefa , e nei becco
fomiglia l’ anitra: nel collo ilcigno, come che È
abbia molto più lungo. I! fuo corpo ha un nofi
fo che del cammello, imitandolo nella diforbitare
ge lunghezza del collo , e nella-gobba, ch egli
3 ha
Gil i DG i.
ha “tal dorfo” LO fue ali fata vigorofe ; j ma per
ellere troppo corte, non hanno forza di' follevar=
lo ‘da: terra Diod. Sic. 1. 3. ). Gli fervon' bensì,
come di vele, e di remi, ‘perrompere , € fpigner
l’aria; e l'ajutano a correre, come di volo. Le
cofce , e le zampe dello” firuzzo. fon giufto fatte
ù ragguagliaramente parlando), , come quelle dell'
airone ; e' fi foftentano fopra tre dita; armatein
cima d' unghia diicorno , che gli agevolano i
camminare s
L' uova di queto uccello fon grofe , quanto
la tefta d'un bambino. Il ‘eufcio è È fereziato, | iu
ftro, e lifcio, come uno fpecchio. Or ora vi fa-
rÒ° ‘veder quelle due, che mi furono regalate. Lo
truzzo ha per coftume d ‘afconderle , alla carlo
na, fotterra, lafciando , fe pur è vero, la cura
al Sole di’ ‘fomentarle . Quetti fuoi” tratti in'ap-
parenza difamorati verfo la prole , non gli han-
no fatto troppo onore . Dovunque s° ha cogni-
_ zione di quello uccello > per moftrar ,0 che. 182
madre ha ‘poco amore 2° proprj figliuoli ,’fuo-
le affomigliarfi allo truzzo ita 39; 16. Era:
Tbr. 44:85) è
‘ Alcuni ‘viaggiatori, per quanto mi diffe il fo-
prammentovato mercante , fi forio ingegnati di dif-
colparlo 5 afferendo , ch’ egli fi prende il pernfiero
di lafciar preffo l” uova una gran ‘copia di vere
mi, affinchè il feto ? “ appena ‘ufcito alla luce;
trovi il fuo cibo bell’ e ammanito ( Derbamo Theo=
dog. i 4.6,25.0 1.7.6. 4. ). Vi fono ancora talu=
ni, che fono: andati” vociferando ‘d’ aver notata
bello firuzzo un’ accortezza ‘quafi divina . ‘Han
detto ( Elian. Hiffor, L. 14.67. Ol. 4. 6. 37-)5 Ch
egli covaffe’ folamente quell’: uova , ch''eran fe-
conde ; nè fi prendeffe vèruna' ‘briga per quelle,
ch erano flerili. ; lafciandole unicamente per gia
ul
PA
A
Dia obilegationn o) 39
bo 2° fuoi figliuoli nidiaci. Ma quefte fon favole
da contarfi ‘a veglia, La verità fiè, chelo firuz-
zo non moftra d’ avere quella prudenza , che fi
ravvifa ne gli altri animali . Egli abbandona |.
uova fue tra la fabbia , a rifico d’ efier icbiac-
‘ciare da’ paffeggieri : queflo a buon conto non è
un piccolo contraflegno della tua mala condorta.
Ma quel, che più f Li vedere, ch'egli non ifta col
cervello a bottega, fi è , che venendo perfegui-
tato dal cacciatore corre ad ‘afconderfi colla te-
fta, e cogli occhi in particolare , dietro al pri-
mo albero, che gli fi fa avanti, e lafcia tutto il
refto del corpo alla {coperta ; inébigufido y perch®
egli non vede chi lo perfeguita va elley ficuro.
| Cav. Signore; è egli vero, che lo ftruzzo, co-
me dicefi comunemente , fi mangi il ferro, e che
il digerifca ? ©
Cont. Lo ftruzzo inghiotte ficuramente qualche
pezzetto di ferro, fiecome gli altri uccelli ingol-
lano fpelle volte de’ faflolini. Ma non credo, che
il digerifca., Quel ferro, o quel rame, ch’ egli
tranghiotte, non gli da alcun nutrimento; l’ aju-
ta bensì a firicolare ,,@ macinare l’ altre vivan-
de, che gli fi pofano fullo ftomaco; ficcome an-
gora a temperare il calor eccefivo , che lo pre-
domina; ed a fturare, mediante il fuo pelo i i ca-
nali, ‘onde il cibo poffa paffare negl’ intellini.
° Conte. Prima d' abbandonare lo truzzo, a cui
s'è data fin ora la quadra » convien pur dargli
quella lode, che per noi fi può . Egli ci appre-
-fta delle belliffime penne, non meno larghe, che
lunghe , parte bianche, e parte nere, le quali fi
poflon beniffimo tignere d” ogni colore, S S' ador-
nan con effe i fopraccieii de’ letti, je cantonate
de’ baldacchini , i berrettoni de’ Fanciulli , edi
cappe! [li de’ cavalieri. Le dame Inglefi fe ne fer-
G #0. Yo*
=
BC) Griiv oe pri
%ono pet far fare delle ‘vaghifime ventole ; e 4
Recitanti delle tragedie ingrandifcono per mezzo
di effe la propria ftatura , la quale altramente
“Comparirebbe in fulla fcena affai gretta , ed in-.
degna di quel carattere, cui foftengono.
Ora ; Signori miei., poffo dire d' avervi dati
due uccelli molto diverfi. Uno è il più piccolo;
e l’altro il più grande di quanti mai fe ne tro-
vano . A voi fta adeffo lo fcerre fra quefti due
eftremi, quelli , che più v'aggradano. Il campo
certamente è {paziofo .
Prior. Egli è tanto vafto, ch’ io mi vi perdo.
L’ abbondanza ftefa m ‘imbarazza .
Contef. Orsù, giacchè tutto v’ accomoda, per»
mettete, ch’ io diftribuitca a ciafcheduno ta {ua
parte. Il Signor Priore, come uomo di buon gu»
flo, avrà la bontà di mettetci in moftra quegli
uccelli, che cia più ftimati, © per la dolcezza
del canto , © per la vaghezza delle lor penne.
Vero è, che noi gli faremo quitanza , s' egli ne di«
ra due parole intorno all’ ufignuolo , e al pavo-
ne . Così non fi potrà lamentare della fua quo-
ta. Il Signor Conte, da buon cacciatore, ragio»=
nera degii uccelli da presa . Il Signor Cavaliere
m'ha zufolato negli orecchi, ch'io gli lafci quei.
di pafiaggio . In quefia guifa mi pare , che ne.
avremo di tutte le forte ; fe pur qualcuno non
vorrà fare a quefta derrata una giunta, con ac-
cordarvi il pipiftrello , ed il gufo.
Prior. Fra quanti uccelli fi trovano almondo, i
piu godibili certamente fon quelli, che han rice»
vuro il dono del canto, e della favella. Ma per.
quanto piacere ciafeun di quefìi nedia; niuno ar-
riva però alla dolcezza dell’ ufignuolo. Egli da
sè folo adegua il valore di tutti gli altri d’ accor-
do. Dopo di aver intefa.una belliffima era
ru-
è.
| Drarogo SEtonDoO. | #1
| Mtrumenti , fi rela, come incantati a fèatire uo
eccellente violino, che fuoni a folo. Figuratevi,
che il Tartini, o il Laurenti in mezzo d’ un ars
monio/o' concerto cominci a fonar da sè folo j-e
fcappi fuora con una di quelle fue botte d' ar
chetto , per cui fi fa far diftinguere da tutti gli
altri. Ognuno allora fi mette inorecchi; e fta a ,
bocca aperta ad afcoltarlo. S' ammira, non men
la forzaimpareggiabile, con cui tocca, e pronun=
‘zia tutte le voci, che la dolcezza infinita , con
cui le accompagna. Voi lo fentite continuamente
diverfificare il fuo fuono. Ogni nuova grazia pren»
de rifalto dalla precedente, ed apprefta un foave
paffaggio a quella, che fegue. Porta le orecchie
di chi l’afcolta d’eftafi in eftafi. La mufica ve-
« ramente ba delle dolci attrattive per tutti; ma #
“i dilettanti della medefima diftinguon beniffimo
tutte quante le confonanze , e fan trovare un’
‘“orcheftra intera in un folo frumento . ©Or così
appunto addiviene del canto armoniofo degli uc-
celli. Dopo che-fi è fentito un bel concento di
voci ;, telebranti a coro pieno l' autore della na-
tura , e preconizzanti le cotidiane, beneficenze di
quel buon Padre ; che li nutrifce ;, fi prova ua
nuovo diletto, fentir l' ufignuolo , che fcappa fuo-
ra verfo la fera con vatj mottetti a folo, e pro-
fegue a folfeggiare quafi tutta la notte. Direfte,
ch'egli conofceffe il valore de’ fuoi talenti; e che
. bramofo di fare all'uomo una cortefe finezza , e
d’appagare ad un'ora sè flteffo, fl compiaceffe di
principiar a cantare, quando tutti gli altri fi tac-
| ciono. Il fuo più belll’ eftfro fi detta, allorchè la
°° natura è tutta quanta in filenzio. Allora gli vien
la gana, e fa fentire il fuo forte sù tutti i tuos
ni. Paff4 del grave all’ acuto , dall’ allegro al pa-
‘tetico ,7da' trilli più gorgoglianti , e i si
of=
43 Wi: IR 10
fofpiri più languidi, e lamentevoli : e quindi ri
piglia il naturale fuobrio. Verrà a talunola fan»
tafia di pur conofcere un ‘mufico tanto, igraziofo ,
che ricrea colla. dolcezzza del canto tutta la gen=
te mattina, e fera. Lo va cercando coll’ occhio,
e il furbertello s'afconde, Così è. I gran talen-
| ri han fempre del capricciofo . A fentir la fua ve-
ce, enon vedere il fuggetto , voi gli darefle ,
fenz' altro, un petto di bronzo; ed organi , per
così dire, ‘d acciajo.. Altramente, come potrebb’
egli mai mandar fuora un'metallo di voce co-
‘sì fonoro , e foftentarlo con tanta grazia, con
ganta forza , con tanti vezzi, e con tanto brio
per più, e più ore? Come mai, perdir tutto in
una ‘parola, intavolare una mufica a tante chia-
vi:E: pur non è altro, che la piccola gorgia d'
un ben minuto uccelletto quella ; che fenza fu
dio, fenza ‘maeftro, e fenz' apparecchio, fa fentir
tutti quefti miracoli . e.
Or quel piacere, che il rofignuolo ne apprefla
all’ orecchie, il pavone l’ apprefta all’ occhio . E’
yero, che il gallo , la marigiana , l alcione , ©
piombino , il calderugio, il fagiano, e molrialtri
uccelli di fimil fatta fono adorni di vaghiffime piu-
me; e che la grazia, e varietà de' loro abbiglia-
menti rallegra la vifta. Ma al comparir del DO
vone, tutti gli altri fi poffono afcondere. Quella
fua'tefta , non men briofa , che altera ; nelle
fveltezza e vita ; quella varietà di colori , onde
il fuo” corpo è “guarnito ; quegli occhi , e quel
cangiante , che fi rimira nella iua coda ;' quell’
oro, e quell’ azzurro, che d° ogn' intorno gli bril-
la ; quella vaga ruota , ch’ ei gira con pompa ;
| guel fuo contegno; che fpira maettà ì quell’ ac-
cortezza ftefla di far vedere le fue più rare pre»
rogative in una piena affemblea, che fpinta dalla
DiaLoco Secondo, ©. 49
euriofità gli fa cerchio per vagheggiarl 0; fon'tut-
te cole fingolari , edallettative. Que uccello for-
ma da Per sè folo ur teatro. E pure, chiil cre
derebbe ? I pavone , con tutti quelti lufinglevoli
allettamenti ole capace e d' annojare , efpiacere. La
converfazione non trova ‘in edo alcun. paicoli dis
Egli non fa, nè cinguettare , ne cantare. La fua
voce è {pa ventevole : urla in una sì fatta manie-
ra, che fiordifce i circoftanti; laddove la paffera ,
il fanello, il capinero x ea Hr perrocchetto , colle
loro maniere più modefte; è più femplici, fon ca-
paci di convivere con effonoi delle quindicine , o.
ventine d’ anni ,, fenza venirci nai a noja. Coftoro
han dello fpirito e della ciarla'; e tanto bafta i
Certi bellimbufti, buonida niente, o vengon poco
graditi ,. O ‘preflo fiufano la convetlazione .
Ma°già ho parlato anche troppo d’ abbiglia-
«menti, e di mufica. Quefte non fon ma cere con
facevoli all’ efier mio. Il Signor ‘Conte avrà aflai
più grazia a difcorrere della caccia dell’ uccello .
Il foggetto e veramente proporzionato al carat-
tere d’un Cavaliere,"
Cont. L' ufo , che fi fa degli uccelli da preda,
e un de più. ‘nobili, e forfe ancora de' più giove-
voli. {pai , che polfa prenderfi un galantuomo .
S'è trovato il fegreto di mettere a fruttola flei-
fa” voracità degli uccelli ; e di ricavarne del pro-
fitto , è dell’ utile, Imperciocchè ( Divertimenti
| della campagna T. 1, ) 0 8° impiegano a ftermi-
nare quegli uccellami, che nonofando far guerra,
fe non'a’ volatili più pulillanimi’, , fi chiaman vi-
gliachi ( come i nibbj , ed'i corvi ; che non fe
la prendono, fe non co' piccioni , e co' polli); 0
s' adoprano a depredare a pro noftro quel fel-
vaggiume s la cui carne è più {quifita a mangi
ber > ma che ci fia alla lontana , ed "i no«
i rei.
44 GLi UecceELLI
fre tracce con ogni ftudio s' invola; efempigrazia
la pernice , e ’l1 fagiano . Per tutte. e, due quefte
cacce fi fa capital del falcone, del girifalco, del
terzuolo ; dello {merlo , dello fmeriglio , dello fpar=
viere, e dell’aftore. Ma ilfalcone, e l’affore fo
no i migliori , ci più ufuali di tutti gli altri.
Il falcone, co’ primi cinque. , che ho nominati ‘di
fopra, volano altiffimi È e s' impiegano in varie
forte di cacce (4) , alcune delle quali ion defti-
nate a prender l’ airone; ed altre 2 far preda del
nibbio, della farchetola, o arcaza , del gufo , e
fimili. Ma quefta forta "di cacce porta della fpe-
fa grande; nè fi conviene, fe non a’ Principi , 0
a’ gran Signori . L’aftore per lo contrario s adatta
alle cacce di baffo volo. Egli è un animale aftu-
tiffimo: uceella per lo più alle pernici j.e forni-
{ce la carniera di fquifitt uccellami. Un gentiluo-
mo prudente lafcia il falcone a’ Principi, e s'at=
tiene all’ ,aftore .
La maniera, con cui tutti quetti animali s’ ad-
deftrano, e fi pongono in ufo, è molto curiofa +
Quei, che s' allevano per un sì fatto efercizio, 0.
fono nidiaci , o fon bofcherecci. Nidiaci , o no-
vellini diconfi quelli, che foniprefi nel nidio, don-
de non fono ufciti mai fuora . Bofcherecci s’ ap-
pellano gli uccelli di libertà , e che fl prendono
alla forefta. Quefti ultimi fon più difacili a farfi
manieri; cioè a dire ad agevolarii. Ma colla pa-
zienza, e coll’ induftria s’ arriva pure (come fuol
dirfi in termine di falconerìa ) a renderli manie=
ri, e farli fare a noftro modo. Se mai foffer trop-
po feroci, s’ affamano; nè fi lafciano mai dormi»
re per tre, o quattro giorni continui, ftandodì,
-€ not-
f
(l2) Una eaccia non è ito che aaa
to di cani, e di uccelli, per far levare la preda ;, €
‘per prendere alcune fpezis di falvassine.
DiaLoco SECONDO: 45
# notte con effo loro; e in quetta guifa s' addo=
meftican col falconiere, ed arrivano a fare tutto
ciò, ch'egli vuoie. La fua principal cura debb'
eflere d’ avvezzarli a ftar faldi in ful pugno , 2
prender l' ambio , quand’ egli da lorola moffa; ed
‘a tornare ad ogni fuo cenno in ful medefimo pu-
gno. Per impedire, che non fuggano, allorchè li
richiama , fi tengono da principio legati per una
cordicelia, 0 fpaghetto, di nove, odieci pertiche
. di lunghezza; nè quefta fi lafcia mai, finchè non
fon ben afficurati , e non mancano più di tor-
mare al richiamo del falconiere . Ma per ridurre
il falcone , e gli altri uccelli da ‘preda a un tal
termine , convien zimbellarli . Sentite ora , che
cofa fia il zimbelloî, e in che maniera s’ ado-
peri.
Il zimbello non fi , che un pezzo di car-
tone, e di legno, fornito di becco , d’ artigli, e
d’ale. A quefto uccello pofticcio s° applica fempre
‘una leccornia, che poffa adefcare il falcone : ed
‘ogni volta che fi vuolrichiamare, ofare, ci egli
torni ’n ful pugno, fi gira, o fi fventola peraria
il zimbello ; fiechè vedendolo, e fentendo ad un’
era il cenno a lui noto, perl’ingordigia della fo-
praccennata leccornìa , toftamente v’ imbrocca .
Col progreflo del tempo la fola voce del falconie-
re è baftante a farlo tornare. Quella maffa di
piume, ond è guernito il zimbello , chiamafi co-
munemente col nome di logoro. Volendofi dunque
avvezzare il falcone alla caccia del nibbio, o dell’
airone , © della pernice , gli fi prefenta un zim»
bello , il cui becco , ed artigli imitino la figura
di detti uccelli, e fi ricopre d’un logoro; cioèla
dire delle penne di effi. Per adefcar poi l’ uccello
alla detta preda , s' applica della carne di polla_
firo , o qualche altra leccornìa al goa ma
; DAI eme
46 Gia Die contra |
fempre s° afconde fotto il. logoro s che vale a di=.
re fotto le piume dell’ animale; che già s'è prefo.
di mira. Si cofidifce dlitre 4 ciò la medéfima lec-
cornìa; 0 con Zucchero; 0 con cannella j o con.
midblla,; 0 con altfi ingrédienti proporzionati ad
incitare Hi falcone più toflo 4 quella preda j che
a un'altra; intantochè a lungò andare, dove fi
tratti di cacciar davero; eglis’ avventa alla detta.
preda con un afdore incredibile ; ‘ Dopo d’ avergli
fattò fare per tre; 0 quattro fettimane di fegui=
to quefio. elercizio dentro una fianza ; o nel fee
cinto d’ un giardino ; s° incomificia a provarlo 2
campo aperto » Gli s° attaccan de’ fona aglivoli a’pie-
di, per effer meglio avvertiti di futti i loro an<
damenti: Si tien SrBpEE imbacuccato ; cioè 4 di
re colla telta; e cogli occhi bendati di pelle ; ac-
ciocchè non veda ur sche fi vuole occultargli :
e tofò che i cani han fermata ; o fatta levare la
preda; di cui fi va in traccia, il falconier lo sba«
vaglia, e gli da l’ambio verfo di efla. Oh! allora
sì; ch'è ùn piacere a vederlo vogare ; ' Mrifciare,
caracollare , ondeggiare; ed elevarfi invarie pet
tate fin alla imezzana regione dell’ aria ; tanto che
2) pocò a poco fi perde ‘affatto di vita | Stando
così a cavaliere; salata i moti della fua preda,
che attefa la lontananza delfuo nimico fi faflicu-
ra; e quando men fe l’afpetta ; le falta addoffo
con tanta furia; ché pare una freccia : l’invefle ;
la ghermilec, l'afferra; e la porta al fuo padro-
ne; che lo richizima ; Si proccura ; in particolar
fu princi pj; di dargli; appena tornato in ful pu
gno , patte della {ua preda ancor calda ; 0 fe non
altsa il ventrigliò, e gl'interiori. Quefle ricom-
penle, accompagnate da molte carezze del falco=
niere, lo confortano a far bene l' ufficio fuo ;' a
non cfier difpettofo j e caparbio ; e fopra tutto
ad non
NA)
vob
ss
dl
Ji
Cm
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. .,.,.. Draroco Se]onpo. 7.
$ fon corfela via, per non tornare mai più; co-
ine pur troppo talora fuccede: har
« Ma fo un gran torto al noftro Signor Ca-
valiere ; a trattenerlo sì a lungo fopra una tace
cia; che avrà veduta infallibilmente più volte.
‘ Cav. Certo; che con mio gran piacere l’ ho già
veduta i ma notiera però informato della manie»
ra; che fitiene a difciplinare cotefte razze d'uc-
celli: ed ‘ora fon. curiofo di fapere ; qual metodo ,
offetvi quel Gentiluomo ; noftro vicino ; che ha
quel fertaglio d’aitoni, per avvezzare i fuoi fal-
chi ad uecellare alle lepri $ a' conigli ; e a tutti
blioalfisanicialijani ppi ve LD i)
" Conti Ciò; ché voi dite ; fuona in termine di
falconerìa metter il falcone al pelo. Vifon però
de’ falconi ; che fi mettono ; tanto al pelo ; quan-
‘to alla penna; cioè a dire s addetrano ad uccel-
lare; tanto allelepti; quanto a’ fagiani, e a ogni
altra fpezie di falvaggina < La .cota. nonè diffici-
le: Quando il falcone s'è di gia agevolato; fi pi-
elia una lepre viva; e le fi fiacca una gamba ;
o veramente una pelle di lepre ripiena. di borta 5
éd applicafidovi un pezzo di carne di pollaftrello:;
o qualche altra leccornìa ;$ che fia capace d' ade=
fcarlo ; s' attacca per una funicella ben lunga al
la cavezza d'un cavallo; e fi fa correre a fpron
battuto . Venendo così trafcinata la detta lepre
(oveta, o pofticcia; che fia) dal éavallo; il fal-
cone la crede. una lepre viva ; che fugga ; e le
s’ avventa alla vita. In quefta suifa egli impara
ad uccellare alla lepre; ed a ricoriofcerla al pelo.
Ma il Gentiluomo ; di cui parlavate , è giunto
ancora più oltre ( I/ Gemelli Carreri T.2. p.253.) «
Egli ha avvezzato' de' falconi alla caccia de’ daini ;
de’ cinghiali, ed anche de’ lupi; il che ne apporta
incerti tempi un grand’ utile ? fpezialmente allors
chè
48 Giur Ve met misi
chè i lupi, moltiplicandofi più del folito , infefta-
no la campagna. Sentite di grazia, com'eglifa.
Avvezza abuon'ora ifuoi falconi novelli 2 ci-
barfi fol di quell’ efca, che ha lor preparata den-
tro la caffa degli occhi o d'un lupo, 0 d’uncin-
. ghiale, o d’un daino. Serba.a tal effetto la pel-
le del primo animale, che gli riefce d'uccidere ;
e facendola riempier di borra, ficchè paja defflo,
non da da mangiare al falcone , fuorchè di quel
cibo , ch'egli ha inferito nella cavità della tefta
di quella fiera ‘pofticcia ; e fa, che fe lo vada a
beccare per la detta caffa, o buco degli occhi +
Quindi principia a far muovere adagio adagio il
smentovato zimbello, mentre ilfalcone vi fta man-
giando. Egli allora non l’abbandona: e sì lav
vezza aftar faldo, ancorchè il faccia correre, 0
rinculare a gran pafli. Sa, che perderebbe il fuo
pafto, s' egli l’abbandonaffe : ond’è , che la fua
fieffa ingordigia lo rende induftriofo , ed attento
a piantari! tenacemente in ful cranio, per aver cara-
| po dificcareiliuo becco dentro la cafla dell'occhio;
‘ruttochè l’ animale fi muova . Terminato quefio
primo efercizio, il noftro Gentiluomo attacca per
una corda quella fiera pofticcia aduna carretta,
tirata da uncavallo, che corra a briglia fciolta .
Il falcone fta pur faldo addoffo alla preda; nè re-
fia mai di.mangiare.. Menandofi poi a caccia ,
non manca d'avventarfi alla prima fiera , che in-
contra, e di pianta:fele tofto in ful cranio , per
poterla beccare ne gli occhi. Così la tormenta ,
e la ferma, e dà agio alcacciatore di forprender-
la,.e d’ammazzarla a man falva; effendo allora
più intenta a fchermirfi dal roftro dell uccello ,
che dalle mani del cacciatore. :
. Cav. Secosìè, firicava maggior profitto da gli
uccelli dirapina, che da quanti cani fitrovano,
Priof.
/
‘
Dixvoco Uve 49
station Si procede ancora più avanti . S' arriva
srt imbandire la tavola dalle fleffe aquile ,
fenz averle addifciplinate ( Membr. della vita del
Signor Ag.de Thowl. 4. cart.157. Rati Synopfis meth.
“avium p.6.). lo per me ho conofciutò un Gentil-
‘uomo , il qual faceva una lautiffima menfa alle
fpalle dun nuovo provveditore, 0 maef/tro di cafa;
‘cioè a dire diun’' aquila. Ella lo forniva delle più
prelibate vivande, che gli veniffero in tavola.
Cav. Cotefto voltro maeftro di cala doveva ave
re un grofio ftipendio.
Prior. Sentite, qual foffe il di lui fervi igio ; ae
quale la ricompenfa . In quel viaggio , ch'io vi
dicea a quefti giorni paffati, m’ accontai con un
Gentiluomo affai dilettante di novità , ii quale,
prima d'arrivar a Marfiglia, volle vifitare tutte
l'anticaglie di Nimes. Si prefe la via) di S. Floro ,
per indi paffare a Menda, ch'è fituata nella Pro-
vincia di Gevaudan, e poi cofteggiare le Ceven-
| ne, Or, come quel nobil uomo avea un'income
benza incaricatagli dalla Corte ; così fu trattato.
per tutto con gran diftinzione . Un Ufficiale di
rango, il quale abitava pocolontano da Menda,
l’invitò a trattenerfi per qualche giorno in cafa
fua, e gli fece de’ fontuofi regali. Nel primo pa»
fto , ch'egli ci appreftò , offervammo non fenza qual»
che atto d’ammirazione ; che tutto il pollame ,
e falvaggiume, che ci veniva intavola, era man
cante; 0 del capo, o d'una cofcia, o d'un’ala,;
o di qualche altra porzione. Il cortefe Ufficiale,
‘ notando il noftro ftupore., prefe graziofamente
«motivo di dirne, che aveffimo la bontà di fcufar
‘l’ingordigia del fuo maftro di cafa , che voleva
fempre effere il primo ad affaggiar le vivande ,
ch' egl'imbandiva. Gli dimafndammo, chi foffe mai
quefto fuo maftro di cafa ? Edegli, vedendo, DR
Tomo II, i D gli
ire Giri Mubiecriniut A
gli fidava la quadra fopra quela nuova moda di
fervire; prefe a parlar così:
In quelli paefi di montagna (i quali peraltro
fono i più fertili di tutto’ Regno) l’ aquile han
per coftume di fare i loro nidj per entro le cre-
pature di certe ‘rupi inacceflibili, dove a mala
pena un fi può inerpicare a forza di fcale , e d’
uncini . Quando ipadloti gli hanno allumati, fab-
brican toftamente delle cafupole , per falvarfi dal-
la gran. furia di quegli uccelli feroci, ‘che portati
la preda a'loro aquilini. Ji mafchio fi prende il
penfiero di nutricarli per lo fpazio di foli tre mefi,;
ma la femmina profegue ad alimentarli con pari
follecitudine , fin che fi trovino in iftato d’ ufcir
fuora della loro tana, si leg ai il lor vitto.
Allora li caccian via, gli addeftrano al volo ; €
quando li vedono in ‘pericolo di eadere , li fo
fiengono; o cogli artigli, o coll’ ale. Per tutto
quel tempo, che gli aquilini ftlanno nel nidio , i
lor genitori vanno alla bufca per le msi vici cire
convicine . I noftri cortili, le noftre fialle , edi
noftri pollaj non fono da’ loro afialti ficuri. Cap-
poni, galline, anitre, agnelli, capretti , porcela
lini di latte, tutto fa per loro. Portan via ciò;
che pofiono , e ne fanno la diffribuzione a’ lor par-
ti. Ma il più forte del lor bottino fifa alla fore-
fta . Quivi fan preda di fagiani , di pernici , di.
ftarne, di marigiane , di lepri, ed anche di teneri.
càpriuoli. Or non sì tofio i paftori vedono ; che
il padre, e la madre fono ufciti fuora del nidio,
che drizzano delle fcale, e inerpicandofi meglio,
che poflotio ;, fulla rupe, portan via quel bottino,
ch'era deflinato per gli aquilini nidiaci, e-vila-
{ciano folamente gl’interiori di qualche animale .
Ma ; ficcome non poffon eflere tanto lefii , che
prima di quefio fatto ;.o i i genitori 3 ‘0 la prole
non
MERE DiAiLoeosPatMo.". 1, «SR,
non n° abbiam decimata qualche porziofie ; così
Quefio difcapito vien però ricompenfato colla feui-
fitezza di dette carni, le quali fon molto più fa-
porite di quelle , che vendonfi in ful mercato .
Diffe, oltre a ciò, il mentovato noftr’ ofpite , che
quando l’aquilotto è giunto a fegno di corfela via
(ilche non fuccede, fe non che tardi, per effer-
gli tolto quel nutrimento ,. ch'era foftanziofo , e
lafciatogli un cibo arido , e poco buono ) i pa-
fiori l’incatenano dentro il nidio, affinche i ge-
nitori ‘abbian motivo di portarvi la folita preda;
finchè alla fine ftufi d'un figlivolo , il qual non
finilce mai di dare a’ medefimi dell’aggravio , e
del difturbo, prima il mafchio, e poi la femmina
I’ abbandonano. Il padre va a piantar le fue tende
in altra parte: la femmina va aritrovare il {uo
fedele compagno ; e sì l’amore de’ nuovi par:i
non fe la portino a cafa per compaflione.,
. Quefto azoto ci affeverò il Gentiluomo fo=
‘praccennato , foggiungendo , che tre, 0 quattro
di quefti nidj eran baftanti a fargli fare ogni dì
una lautifima tavola per tuttol’anno. Quindiè,
che invece di mormorare contro il creatore dell
aquila, e degli avvoltoj, lo ringraziava infinita-
mente, d'aver fatti nafcer quelli animali nel fuo
‘vicinato, annoverando fra le annuali fue rendite
quanti de’ loro nidj fitrovavano nelle fue terre .
Cont. À propofito dell’ aquile: non fapete , Si=
ienor Priore , che noi abbiam quì un aquilotfo ,
che comincia a volar da sè © Parlo ‘del Signor
‘Cavaliere ,/che ftamattina è venuto nel mio ffu-
idio a fcartabellare i miei libri , a far delle ri-
certhe , a confrontare gli autori , 4 {fcrivere 4
I IE ji) ea
que’ paftori non riportan la preda mai intera .
% ae
de —
cancella in loro l'affetto della prole primiera , la,
qual fi muore di fame nel nidio, dove i pafiori.
2 Gii,Decerku.
&d a comporre . Oramai non ha più bifogno dî
difciplina .
Cau. Ah!
ignore, O, piuttoflo aqui»
lino nidifce; poichè non ho veduto mai nulla ...,
Del refto, crà venuto a confultare i vo@tri libri,
per la curjefità di fapere ,, dove , e come fe la
pafafiero/ le rondini, e molti altri be Dia di que |
fia fatta) che {i vedono per alcun tenîpo ne’ no-
ftri paefi \€ poi tutt in un tratto {parifcono «|
Sentite ciò } che ho potuto raccorre in ordine 2 I
quello ppaticolase OY
Tra gli uccelli, che diconfi volgarmente di pate
fo, o paffaggio, ve n'ha di quelli, che amano i
blimi freddi ; e si quelli che cercano i tempe=
rati, e forfe ancora i più caldi. Alcuni poi fi
compiacciono di paffar da un paefe all’ altro, a
norma delle fiagioni, e de’ pafcoli, che gl’ invi-
tano a dimorare ora qua, e ora là . Altri var-
cano. il mare, ed intraprendono de’ viaggi lunghi
{propofitati , Tra quefti uccelli paffeggieri i più
noti fono le quaglie , Je rondini , le marigiane,
i germani, l’accegge, e le grue. Ve ne fono pe-
xò di molti altri.
© Le quaglie nel cuor della primavera paffan
dall Africa nell Europa , per quivi godere una.
fiate più temperata , e più mite, che la non è
{ Bellon.). Verto 1 fin dell'autunno fe ne torna-
no per lo mare Mediterraneo in Fgitto , ed in
-Barberia , dove trovano un dolce clima , ed in
tutto fimile alla temperie del paefe, donde fi par-
tono , allorchè il Sole ivi fi trova nell’ equatore.
Le quaglie fe ne vanno mai fempre a flormi;
ficchè pajono alcune volte tante nuvole, che paf-
fino. 1 vafcelli ne fon fovente tutti coperti, e i
marinari le acchiappano fenza punto di fatica.
Le rondini tengono un metodo differente . Si
a
DriAro6o Secornpoi , sì,
breténde; che la più parte paffino il rhare. Ms
dalle relazioni d’° Inghilterra ; e di Svezia; s' ba
per coia certa, che quafi tutte ; 0 almeno. quel=
le de' paefi più fertentrionali, non efcon fuori dell”
Europa ; ma fi naicondono dentro a certe buche
‘ fottetranee , e s' aggroppanol’ una coll’ altra, in
crociccliando zampa , e becco con becco ( V. Je
el. fatta alla Società Reale di Londra a’ 12. Febr.
3713: Tranf. Filofof. e Giornal. de’ Letterat. 1666. é
1667.) . Se ne ftanno così ammucchiate in certi
luoghi remoti , e fubri di mano , dove talora #
trovano turte allagate, e fopraffatte dall’ acque.
Ma ilccore han l'avvertenza di premunirfi con
tro sì tatti accidenti, coll’ untarfi benben le piu»
e di quell’ olio, che gia fi dille , e d’ aggomi-
olari, come tante pallottole , tenendo la tefta
ppiattata, è 1 dorfo fcoperto ; così vengono 2
ar fieure; non pur fott’ acqua; ma fotto] ghiac=
cio fteilo. Stanno dunque così aggranchiate tute
to l' inverno , fenza muoverfi punto punto . Il
cuore però feguita fempie a palpitare; ed al ri<
torno della primavera , i primi caldi le fanno
fgranchiare . Allora ritornano al confueto loro
albergo , e tutte vanno a trovare illor paefe, il
loro villaggio ; o, la lor città ; ‘ed il lor nidio .
Quanto alle marigiane, e alle gue; all’ apprefs
farfi del verno , vanno àncor effe a cercare un
clima più dolce. S° adurano tutte quante in un
giorno determinato, come le rondini , e come le
x
quaglie : sloggiano di conferva ; ed è una cofa
molto graziofa a vederle volare + Formano per
| Ordinario una ben lungi colonna, che s affomi=
glia alla lettera E; o veramente due linee rette
riunite in un puntò; a guifa d’ un V arrovefcia=
“ta. Quella marigiana; o quella grua; che forma
la punta di quelta lettera , rompel’aria; ed ages
O V ola
Di
54 GLI Ueceatti.
vola il paffo alle fuffeguenti . Ella però non fo.
ftien queto pefo , che per brev' ora. Quindi fe
ne paffa alla coda; ed un' altra fubentra in fha
vece alla tela. Si contano di quetti uccelli molt’
altre aftuzie; ma il Signor Conte n° ha configlia-
to ad aggiugnervi poca fede: così m° ha allevia-
to d'una porzione del mio contingente .
Cortef. Ho tentito più , e più volte rog
pa ‘certi pigmei , niente più alti. d' tin ‘piede’, e
nezzo , i quali fi dice, che muovon guerra alle
dir quando effe approdano lungo le fpiagge del
Mar Roilo. Coftoro fi ici fe mal non mi
ricordo ) monnini.
Prior. Che monnini ? Che pigmei? Sono bertuc-
‘ce ; che fi battono colle grue per difefa de’ lor
bertuccini, a' quali efie uccellano.
Contef. Quantungue io fia ufata a vedere ogni
anno le rondini a raunarfi in un giorno determi-
nato d'autunno per marciar di conferva , ed ab-
bia più , «e più volte offervati diverfi ftormi d°
uccelli in viaggio; ciò non oftante ne refio fem-
pre trafecolata. In vedendoli varcare i mari , e
trapaffare di regno in regno,, non fo, s' io più
mi debba ammirare, o la poderofa lor lena, per
cui reggono a così lunghi viaggi; o vero il me-
todo, con cui fi regolano nelcammino. Chi mai
può aver detto a gli uccelletti novelli, che quanto
prima han da lafciare il lor paele natio, e tras
ferirfi in una terra flraniera ? Per qual motivo,
quei, che fi trovano in gabbia x agitan tanto
pel tempo della partenza, e pare, che s' affliga».
0 ,) per non poter andar via infieme cogli altri?
Chi di loro fi prende il penfiero di raunare il con-
figlio per aggiornare lo sfratto ? Chi fuona la trom-
ba per annunziare al popolo la rifoluzione giù
prefa; afunchè ognuno fimetta all ordine? Hann'
| eglin
DiaLogo SECONDO. s
eglin forfe un lunario ,. che additi lor la flagio»
ne; ed il giorno; che debbon metterfi in volta?
v° ha egli fra loro un qualche maeftrato , il que
foprantenda alla difciplina , che dee oflervarfi;
| che s oilerva con tanta efattezza ? Infatti, babi
ma che l'ordine fia pubblicato , niuno ardifce di
. diloggiare ( Dichiaraz. dell op. ‘de fei giorni. ).
Pafiato il giorno della partenza , non compari
| fce, nè un crafgreffore, nè un defertore . Oltre
cdi che; fon forfe provvifti d’ una carta, dove fia
|. fcritta ‘la regola da tenerfi per iftrada ? Hann
eglin contezza deli’ Ifola , ove Aa per ri-
pofarfi, e per prendere i lor rinfretchi ? Sono per
avventura forniti d'una buffola, onde tenerti in-
fallibilmente verfo la fpiaggia , ove difegnano d’
| nirivare, fenza che le piogge , iventi, le nebbie,
Vetta tenebrofa oicurità di più, e più notti li tra-
viino dall’ intraprefo cammino ? In fomma, fon
eglin dotati d’ una ragione fuperiore all'umana?.
Concioffiacofachè l’uomo non s' arrilica a-fare un
tal paflaggio fenza un mondo di macchine , di
cautele, e di provvifioni.
durano Madama, gli ucceili non hanno, nè
carte, nè buffole, nè intendimento. Sono diret=
ti da Dio, e tanto bafta . Egli è, che infpira
«in loro un metodo particolare , ed una qualità
di fentimenti proporzionati allo flato di ciafche-
duno.
‘ Cont. Chi può negarlo ? Se le loro operazioni
fofler dirette dalla propria ragione ; o fe Iddio
| gli avefìe abbandonati al lor talento zine a
non fi vedrebbe in effi quell’ uniformità di manie»
re fempre coltante, che tanto s' ammira, e tan-
to largamente fi eftende.
Prior. Certa cofa è, che fe tutti gli uccelli d'
una ficlfa fpezie aveflero in sè medefimi un prin»
hi 4 cipio
86 GLi UèeceLrti:,
éipio di taziocinio ; È qua tegolaffe la lor céns
dotta, come l abbiamo noi; per regolare la nos
ras ragionando ciafcan di. “effi a lof mado; cos
me facciamo noi, fi ravviferebbe tra loro quella
diverfità d’ operazioni, che fi ravvifa tra gli uo>
mini. Le rondini della China s’ atterrebbono a un
ordine d’ architettura differente da quello delle
Francefi. Predominerebbe in alcune di loro il gu>
fto Afiatico ; in altre il Greco ; ed in altre il.
Romano. Quelle di Francia; e d’Italia farebbon
l’ uniche a poffedere quefto buon gufto ; e rimi=
rerebbon con occhio varare niente l’ architet*
tura Chinefe . Che più ? Nella fteffa Francia le
rondini Parigine fi recherebbono ad-onta il fab-
bricare., ed il vivere all’ ufo delle rondini Pro»
venzali. Quelle inventerebbono fenza dubbio le
mode: quelle fi fiudierebbono d'’ imitarle; ed al-
lora. verrebbe in tefla all repren) inventarne del-
le nuove, dando ‘la quadra alle vecchie , e tac-
ciandole di ridicole, o di Gotiche. Oltre di ciò;
fe le rondini fofier dotate di raziocinio , fi ve-
drebbe tra loro una fpezie di fupertorità , e di
fubordinazione. Le più nico, e quelle, che
‘aveliero » aggior talento delle altre, aequiftereb-
bono i primi pofii . Quindi avverrebbe , che le
rondini graduate non vorrebbono metterfi a maz=
zo colle interiori, e pretenderebbono di non aver
l’aggravio di lavorare, al pari di loro. Affecte-
rebbono una maggiore dilicatezza dell’ altre : tro-
verebbono qualche affuzia , per lifciarfi con più
vaghezza le piume , e ‘per comparire meglio ab-
bigliate delie volgari . Efle fole ftarebbono , co-
me fuol dirfi, in full’aria: e fempre le più mo-
gra foverchierebbono nella grazia le preceden=
In breve , fe le rondini aveffero una facoltà
iacaliseli) ogni giorno inventerebbono , rifor=
Me.
x
i
{
Ì
li
\
)
Diaroto SECONDO? è 34
‘tnérebbono , perfezionerebbono qualche cola di
nuovo; € farebbono, come noi ; cento almanacs
|. chi, e cento difegni: il che non fi divifano neps
pur per fogno. MI
Contef. Certo; Signor Priore ; che avete grani
ragione di Herlatti delle nofire bizzarrie. L'ope-
|. rar delle beftie è così fempliee, edaffeanato, che
| ognun crederebbe aver elleno 1 ufo della ragione; —
ed il noftro sì capricciofo ;, e sì fiolido ; che pa=
re, fenz' altro, eiler noi irragionevoli.
Priori Giò non offante, fi vede beniffimo, che
non per altro le beftie operan fempre a piè fer-
mo; fe non perchè fon guidate da un’ onnipoten=
te iapienza : e che gli uomini vanno comunemen=
te tafione ; perchè diretti da una ragion limita»
ta, e variabile; e da una libertà fempre volubi-
le; ed ‘incoftanie . Ma noi traviamo dall’ argo“
MENTO i. Torniamo pure a’ noftri uccelli.
Cav. Ve n'ha forfe qualchedun altro; che mes
riti una particolare attenzione?
Prior. Per averne di tutte le forte ; mi i paîe;
che vi reftino folamente gli uccelli notturni. Di-
chiamone dunque quattro parole.
Tutti gli uccelli prevengon col loro “canto. la
levata del Sole; e tutti pure preftano al Sole lo
fiefio omaggio s quando tramonta ( Dicbiaraz.
dell’op. de’ fci.giorni: ). In mezzo al comune ap»
plaufo, che fanno tutti alla luce , i foli uccelli
notturni gli dichiarano aperta guerra ; e come
fua capitale nemica la fuggono . Non vogliono
averla per teftimonia delle loro operazioni; e ins
tantochè la medefima fi fa vedere full’ orizzonte;
fanno appiattati dentro le grotte più tenebrofe +
Quivi afpettano impazientemente ii ritorno della
notte, per .isbucar dalle tarie , ove il giorno gli
avea confinati; ed-allora manifeltano il loro giu
bilo
53 - Gra. Uiceran
bilo per via di certi fchiammazzi , che inducono |
malinconia, coftermazione , e terrore nell’ animo |
di chi gli afcolta. Im fatti ciafcuno di quefli uc-
celli ha una maniera d' urlare fua propria ‘( feron-
do la diverfità della fpezie ); ma in tutti gene-
ralmente è lugubre, e fpaventofé . Il loro ffefflo
fembiante ha un nen fo che di fantaftico, di bur-
bero, di tetra, d'agrefte; e nella loro fifonomia
fi legge l’ odio contro l’uomo, e contro turti gli
animali. Hanno per lo più un becco falcato, con
‘certe feghe taglienti, onde la preda di già affer-
rata in van s' adopera di fcappare . Si vaglion
poi delle tenebre , e della notte per forprendere
gli altri uccelli nelfonno: onde i più forti duran
fatica a fehermirfene, ed ipiù deboli reffan ficu®
re vittime del lor furore. Così dunque , unendo
la foperchieria alla crudeltà , e la malizia alla
forza, dopo d'aver vegliato a publico danno, fi
ritirano finalmente , innanzi chel Sol fi levi, nel
cupo orrore delle lor grotte, inacceffibili alla fua
luce’. Preferifcono per lo più i cafielli difabitati,
e confumati dalla vecchiezza a tutti gli altri abi-
turi; quafi che le rovine de' medefimi , dinotanti
la tratcuraggine de’ lor padroni , o } effinzione
delle famiglie, fieno capaci d’infpirar fentimenti.
di giubilo nel maligno lor genio.
A contemplar tutte infieme quefte lor peffime
qualità , egli è impoflibile non ravvifarvi l’ im-
magine degli fpiriti tenebrofi, e maligni, che fug-
gon la luce della werita, e che amano turtociò,
che la offufca; ches' approfittan del noîtro fonno ,
e della nora balordaggine, per divorare l’ anime.
noftre, aggavignandole, e tenendole firertamente
afferrate con unghie di ferro; che fi pafcon delle
noftre diferazie, e fciagure; e che nonabitan più.
wolentieri , nè con maggiore foddisfazione , che
ne
| DiaLogo SEconDpOo. - ‘49
ne” cuori perverfi , ein certo modo rovinati. Que-
fto paralello de’ Demonj; e degli uccelli notturni
‘viene autorizzato dalla bocca dello Spirito San-
to, il qual ne conferma fempre più nel penfiero ,
che Iddio, la cui fapienza è infinita, ha ripieno
‘ di lezioni ‘infiruttive , e falutevoli lo fpettacolo,
e l'ordine della matura ( Apoca/. 18. ). Babilonia
( dic’ egli nella Scrittura ) è diventata l’ abita-
zion de Demonj, il ricetto di tutti gli fpiritiim-
mondi , ed il ricovero d’ EA uccello impuro, €
\maligno.
Or, ficcome gli uccelli notturni nimicano tut-
ti gli altri; così da tutti gli altri fon nimicati.
Per la qual cofa non sì tofto la civetta , il gu-
fo, il barbagiani, o l’ allocco fi trovano in qual-
che parte fcoperti; o fia, che non abbiano avu-
ta tutta la neceffaria diligenza d’ afconderfi ; ©
ni , che i loro fchiamazzi gli ‘abbiano manifeflta-
, che tutti congiurano a tormentarli. E picco»
Li , € grandi abbajan loro concordemente d’ intor=
no; tutto che rade volte addivenga , che qual-
“«chedun non ne refti a capo rotto . Quefta pub-
blica dichiarazione di nimiffa , e di rancore fer-
ve poi a’ cacciatori ad incalappiarne non pochi,
che concorrendo alla sbadata agli fchiamazzi , ©
veri, o contraffatti di quefti loro nimici reftano
miferabilmente predati. Concioffiachè-1’ uccellato-
re, flando appiattato in una capanna, tutta co-
perta di verdi frafche , e fituata preffo un bof-
chetto , vi pianta di qua , € di la de' paniuzzi,
fu quali diverfi uccelli d’ ‘ogni generazione imbroc-
cando, per efler più a tiro d’ infultar l’ inimico,
che col fuo fchiamazzare gl’ irrita, e cadendo con
tutti i paniuzzi non bene afficurati per terra, s'
invelcano, e s' impiaftricciano le ali; e così per-
dono la libertà , e la vita nelle mani fieffle del
cac-
és Gru Uccrtiti Dixiéeo Skcdiino.
&acciatore, che fta offervando la lorcaduta, è a
approfitta della lor balordaggine , per, predarli .
Contef. Quefta forta d' ucceliagione‘ è molto dilet=
tevole. Signor Cavaliere , l'avete mai provata ?
. Cav: So bene; ch élla fi chiama fa. caccia deli
chiurlo. N° ho fentito più, e più .volte a parla-
re. M’' è ftata pure promefla ; ma fin ora non
ho‘avuto, fe non parole. ©»
Contef. Senz altto ; bifogna cavarvi quefta vo
glia.
Cont. Alla più lunga domane . Vi bafta egli 1°
animo d’ effer ini piedi prima della levata del Sole ?
Cav. Sarò capace di fvegliar quanti fiete.
Cont. Andiamo dunque a ordinaré i preparativi.
. Cav. To mi prenderò l’incarico di raunar cut=
& le gabbie di cafa; tutte quelle del Signor Prios
re; e quante mai fe ne trovafio in quefto vil-
laggio. o
Cont. Non vi pigliate tanti affanni. Vi farà
portato fin qua tutto il voftro bifogno ; ed io
mi comprometto di farvi avere fenapre più gab=
bie, che uccelli.
e
Fine del Dialogo fecinds.
GLI
0°" CARRI MC;
| GLI ANIMALI TERRESTRI...
sp
Sig A È
DTA GO PERE! a
Mc ConTE
LA Contessa DI GIONVALLE,
IL Priore UN.
Ir. GavaLieRe DEL BroeLro,
Contef. F Ntantochè fiiamo afpettando la venuta
« d della noffra compagnia ‘, ditemi , Si
gnor Cavaliere , di grazia: qual de’ due mefiteri
vi piace più? Quel d’ Accademico? o quel d' uc=
cellatore ? | I
Cav. Per me farà fempre più profittevole quel
d' Accademico, i |
—_ Contef. Cotefta rifpofia ha dell’ equivoco. Par-
late fchietto. Se in-quefio punto vi foffe propo
fto., o d’ affiftere ad un Accademia di fifica ; 0
d’intervenire ad un nuovo chiurlo, che cofa fa-
refte? A o
Cav. Me n’ andrei ratto ratto a.preparare i
paniuzzi. I di)
Contef. Adeffo st, ch'io v'intendo. Orvia, in
vece di queta caccia ( che non fi può reicerare ©
sì fpeffo ; perchè gli uccelli già accivettati non
fi fidano di buttarfi in quel luogo, dove han paf-
fata la lor butrafca ; e in confeguenza bifogne-
— rebbe tagliare una nuova macchia, e formare un”
altra frafconaja di pianta ) vi prometto, in quell
©ggi, ed ogni volta, che voi vorrete , il diver»
timento della pefca, che vi dara non minor pia»
cere del chiurlo. Frattanto andiamo un poco alla
caccia delle beftie groffle. Prendiam per tema del
nofiro odierno trattenimento gli animali pRErSo
"i n CATEV,
LI
62 GLi Animati TERRESTRI.
fui. Ma ecco, che fopravviene la noftra come
pagnia .
Signori, non vi farefte già pentiti d’ avermi ace.
cordata la direzione de’ voftri trattenimenti N -
vero? Confermatemela, fe Dio v' ajuti. S' io la-
fcio in voftia mano la fcelta degli argomenti ,
mi potete per avventura portare in certi gine-
preti, donde io nonfappia, come ftrigarmi. Do-
po di aver parlato degl’ infetti , e degli uccelli,
non farà male il difcendere agli animali tertreltri:
verbigrazia alla pecora; al bue, al lione, ed an-
che all’ elefante , fe voi volete . Do a voi altri
Signori piena pieniffima facoltà di trafcerre i più
curiofi , e i più rari. Per me riferbo i più fem-
plici, e comunali.
Cont. Sappiate, o Signora, che i più femplici,
«e comunali fon giufto quelli , che meritan più at-
tenzione degli altri. Non v° è mica bifogno d’an-
dar in Afia, per trovare degli argomenti di ma-
raviglia. N’ abbiam quì d' intorno un' infinità.
Contef. No, no; tenetevi pur per voi l’Afia, e
l’Affrica, ed agg iugnetevi , fe ciò non vi Lala;
l'America (mi par di farvi una bella bazza) ma
non vi venga però tentazione di tormi gli ani-
mali comuni, perchè in tal cafo mi priverefle di
tutto . La voftra Prefidente non faprebbe più ,
che fi dire.
Prior. Non vi fgomentate, Signora. La mate-
ria e abbondante. A farne tante parti ,, quante
fiamo quì tefte , fempre ce n’ avanzerà . I foli
animali dimeftici fon baftanti a fomminiftrarne
degii argomenti per una ventina di feffioni. Via,
Signor Cavaliere, dilucidate la tefi . Col rifpon-
dere ad un quefito , ch’ io vi farò , fateci in sù
due piedi fentire una delle più belle finezze, che
la Divina Beneficenza abbia praticata con effonoi Di
Dite.
DiaALoeo Te dé. 6%
Ditemi in cortefia: fe fi andaffle in un bofco, e.
quivi fi radunafie un centinajo di lupicini, un al-
tro di cerbiacti, ed altrettanti lioncelli , fi po*
trebb' egli venir a capo d'allevarli |, d’ addimefti»
«catli, e poi fpartirli in tre branchi, fecondo le
‘loro fpezie , menandoli ‘a pafcolare per le noftre
PRUpagbe: come fi fa delle pecore, e delle vac-
che ?
Cav. Dico MA ccinctico dimo:, V' accordo,
che fi poteffe arrivare ad ‘allevarli, ed anche in
parte ammanfarli. Ma lo fpogliarli per affatto di
quel naturale feroce , falvatico, etraditore; che.
in quefli animali s' annida , è un impoffibile . A lun=
go andare fl fottrarrebbono tutti alla noftra cu=
ftodia; e molto più, fe fi guidaffero in branco.
I Abbiamo avuti in cafa nofra due lupatti , che
parevano agevoli, come agnelli; ma ce la fecero
molto fporca . I mariuoli una mattina a buon
ora s' azzuffarono con un cane ; e dopo averlo
sbranato, firangolarono due capretti, e fe la col-
fero alla foreta.
Prior. Avrete per avventura créduto, che que=
fti branchi di capre , e di pecore, che van pa=
fcendo concordemente fotto la guida d’ un fol pa-
flore, e talor anche fotto la difciplina d’ un fem»
plice fanciulletto, foffle un effetto d’ induftria u-
‘mana. Ma ora, 'ohe voi vi fate un po' di riflef=
fo, che ve ne pare?
Cav. Dico, che quefia loro concordia è opera
del folo Iddio : ; e ch'ella è una delle grazie più
fegvalate, ch'egli ci-abbia fatte.
Prior. Voi dite il vero . Quand’ anche s° arri-
(valle ad ammanfare i leoni , gli orfi, e l’ altre
fiere felvagge; non fi potrebbon però avvezzare,
«ne a lavorar la terra , nè a portare la foma ,
Voglio ancora atcordarvi , che ciò fi potelle fa=
re,
E a
fo
ETA
\
ii Uri Animati Terrestri.
‘re. Ma chi potrebbe ridurle a pafcer l'erba de
campi, per foftentarle? L'educazione non ha for=
za di cangiar la natura : e dove ne conveniffe |
alimentarle , fecorido il lor genio licenziofo, e vo=
race, in cambio di darfollievo al proprio padro-
ne, lo manderebbono prefto prefio in rovina. Ma
la più parte degli” animali domeflici ci portano
poca fpefa, e ci fervon d’un grande ajuto . Son
più affezionati alla cala del lor padrone, che alla
loro fteffa libertà, Son pieni di forza; 6 non’ ado=
pran., fe non per lui . Lo fervono , come fuol
dirfi, a bacchetta: ogni fuo minimocenno è per
loro un autorevol comando. Vediamo ora, qual
fia la ricompenta,; che afpettano-de’ lor fervigj .
Un poco d'erba, ed anche della più fecca; o un
po dimondiglia de’ noftri granaj li contenta. Le
vivande più dilicate non adefcano il lor palato;
anzi le fuggono, e le abborrifcono , come veleni.
Or quefte inclinazioni si fobrie , sì. parche , sì
vantaggiofe per l’ uomo, donde procedono? Son
ellen dovute alla noffra induAiria? Siam noi capaci
‘@&’infinuarle ? Certo no : ed il Signor Cavaliere
nion potea meglio qualificarle, che quando le an»
noverò tra le grazie più fegnalate , che Iddio
abbia potuto fare al genere umano.
Contef. Sarebbe un cieco , o un ingrato , chi
ofaffe di controverterlo. Concioffiachè tutti quefli
‘animali, non folamente fon docili di lor natura,
e piacevoli; ma infieme infieme benigni, e ci of-
ferifcono fpontaneamenteilor diverfi fervigj, fen-
za ftaccarfi dal noftro fianco giammai . I primi
‘all'incontro ; fiecome non fon dellinati a parte-
cipare de’ nofiri travagli ; così fi contentano di
non farci del male (purche non vengano provo-
cati ) e fi ritirano nel cupo fen delle macchie,
e de bofchi, acontemplazione dell'uomo, lafcians
| I doglà
Maia? |
(cal
Braroeo Terzo. I pu
dogli il «ioa libero per tutto ’l refto di quelta |
terra (P/alm. 103. 25.).
Cav. Le maniere cortefi , e benigne de' nofri
animali domeftici fono evidenti riprove della in-
finita bontà di Dio, che fempre veglia a pro no-
ftro .. Ma come ni può conciliare quefla infinita
bontà di Dio co’ barbari iftinti delle fiere felvag-
ge? Il lupo , che s' avventa alle noftre greggi ,
non fa mica troppo onore alla Divina Provvi=
denza.
Prior. Sì bene , che gli fa onore; mentre fe-
conda le mire , ch’ ell’ ha formate fopra di lui,
Iddio ha creati alcuni animali, per conviver coll”
uomo , € per affifterlo ne’ fuoi bitogni. Altri poi
ne ha creati, ad oggetto di povolare le macchie,
e i deferti; di riempiere l’univeriodi creature vi»
venti; di efercitare l'umana DASIPORA, e di pu-
mire i peccatori, e i malvag). La di lui Provvi-
denza non fi rende tanto ammirabile nella doci-
lità, ch'egli infpira in que’, che vivono per no-
| ftro bene, e per noftro vantaggio ; quanto nella.
conlulianione di tutti gli animali ferofi ( Dichia=
raz. dell’ op. de fei gioni ) i quali vengon da
lui nutriti nelie bolcaglie, e nelle folitudini, fen-
za capanne , fenza pafiori , fenza fienili , fenza
fuflidio di forta aleuna per Parte: noftra ., o per
dir meglio ad onta di tutti gli sforzi, che noi
facciamo , per ifterminarii ; e non pertanto fon
meglio provvifti di tutto, fon più agili al corio ,
più poderofi di forze, piùgrafli, più viftofi, più
vaghi di pelo: e finalmente inegliomodeliati della
più parte diguelli, che fon governati dall'uomo,
Contef. Signor Cavaliere , voi lo védete : la
Provvidenza {picca,. £ rifalta ‘per ruttà, Spezial-
mente però efige, non che Te noftre cesfure ;. le
nofire adorazioni in quelle cole) che l'umana cas
VM. Tom. 1, È paci»
tè:68 =’ GLr Animali TERRESTRI» ;
Mc trafcendono. Ma torniamo di grazia a’ no
ftri-animali domeflici. Parliam di cofe, che 5° a=
dattino alla mia nicchia .- Il Signor Conte, per
modo d'efempio , ne faccia l’ ‘elogio del fuo ca-
vallo. Il Signor Cavaliere ci tela le lodi del fuo.
. buon cane ( giacchè alcune ‘volte ce n° ha decane
tata la bellezza , e l’aftuzia). fo, da buona e-
conoma , «prenderò a comimendare la eregpia, €
la mandra.; ‘ed il Signor Priore fi "00. tutto il
refio .
Cont.:Io per me, mi” chiamo più, chie ‘conten-
to della parte, che m'è toccata. Eccomi va fod?
disfarvi. Se fa moda , o l’ufanza non ave We di
gia appropiato il titol di-Re deglianimali al lio-
ne, la ragione , fecondo me , ne inveflirebbe il
eavallo. Tanto è falfo, che il leone ff meritiun
coral titolo , che anzi dovrebbe dirfi il loro ti-(
ranno; mentre non fa/altro , che divorarfeli , o
fpaventarli . Il cavallo all’ oppofio non fa alcùn
oltraggio all’altre beflie, nè perfonale , nè rea-
le. Egli non ha alcuna parte da' farfi sdiale
Le fue qualità, non folamente non'fon cattive ;
ma tutte buone. Non fi trova in altro animale,
nè una taglia sì bella , ne un'indole sì genero»
fagcnè una fervitù sit cortefe , nè una bocca sì
parca , come la fua'. Rimirateli tutti quanti: Vi
ravvifate «voi un’ altra tefta così briofa ? un oc*
chio‘così vivace ? ‘un portamento di collo così
impettito, e bizzarro? un corpo così ben fatto?
un crime , che ondeggi al vento con tanta gra-
zia? una arnie che fi pieghi con tanta leggia-
dria ®O. il rimiriate in atto di far’ efercizio fot-
to la“difciplina deli cavalcante; o in tempo, che
fciolto, € sbrigliafo paffeggia liberamente per la
campagna; fempre vi troverete la ‘nobiltà del
porramento sedi una cert’ aria briofa ; che fi fa
dna en-
A sa ,k
À* DIAt©, cri ERZO ! - 67%
fenfibilmente difiinguere ‘anche a colate’ che noli
si ° intendono. di cavallerizza. A
«Ma il pi EFARIOIO di quefto animaic ela
bontà delle LE inc! nazioni . Egli non ha i percas
sì GRA altro genio, chè di far fervizio al padre-
ne. O ch'egli l' attacchi all’ aratro ; 0 che gli
metta la foma , s' adatta a tutto . S'arzechera
più toffo a languire foce to. .il usio addoffatogli
cic rinculare. Se poi fi tra rta i ii dor ver po: Date; ol
doriniliuo pad: rone 3 pare; ch egli: s' accorga d'una
tale nose, € che incerta maniera fe ne paoneg-
gi, Scudia tutte le vie di contentarlo : ad. ogni
{uo cennò muta paffo; e moftrafi fempre pronta
adallentarlo, a raddoppiarlo, cea precipitario, a
mala Sp che conofce il di lui volere. Nè la lans
| ghe 228 TI: viagg) se a fcabrofità delle itrade ,
ine gi intoppi de’ folli, e de’ fiumi fono baftanii a
Pifanimario. Sfanga per tutto; guizza, comeu.
pelee ; ne ve alcuna remora , “che l'arrefti« Ma
quello è poco, rilpetto al refto. Se mai giò ec-
corre. "i ver a difendere il fuo padrone , o anda
re con effo fuldorfo ad affrontar l’inimico ,' pres
fenta coraggiofamente la faccia agli uomini ar-
mati, fi ride d’ un tal cimento , e ‘non conofce
paura. Che più? (70539. 20.) Il fuon delle trom-
be, e de tamburi, ed il fegno della battaglia gli
rilveglian gli fpiriti; el a{petto delle (pade nude
non è capace di sbigottirlo.
Contef. Cappica! Sig gnor Conte : quelo © un ve-
ro panegirico .
Cont. Vi refterebbono cento cofe da dira i intor=
no al fuo ‘zampettare , ballare», . caracollare , e
| maneggiarfi in varie attitudini tutte graziole .
. Ma giacchè avete voluto dar la quadra a quetta
mia prima parte d’elogio, tutto che portata fem-
Plicemente, e alla foldata; tralafcerò la feconda»
È A voi;
i *i sO).
8$ GLi alici ana
A voi, Signor Cavalier®, venite fuora col vofro
cane. Sentiamo ie iue prodezze. si.
Cav. Dio volelie 9, ch "0 È ave quì appreilo |
di me. So, che la fua mreienza vi darebbe aflai
più piacere di tutto quello, ch'io vi dirò.
Il mio cane ha nome Mufti . Egli e il Re di
tutti i barboni. La fua figura è un compleflo di
quante bellezze canine fi trovano. Bei pelo; gran
cufiia; bafette alla (gherra ; palatina, e manichet-
ti bianchi di neve. Non gli manca rulla. Alle
vato poi in una maniera particolare , e addifci-
plinato all’ ultima perfezione . Sa cacciare, balla-
re, far capitomboli, e mille altre leftezze di vita.
Fra l'altre cote, fe inuna compagnia di quaran-
ta perfone un gli nomina una carta da giuocare,
la porta beniffimo a quella talperfona, che glie-
VP ha chiefta. Iv
Contef. Come mai può ridurfi un animale, che
non ha intendimento, a un tal fegno?
Cav. Bifogna almen dire, ch'egli abbia una fpe=.
zie di memoria. Conciofiache un cane impara a
‘portare a colpo ficuro ciaicun de’ quattro affi, e
a difcernerli l'un dall’ altro, Vi dirò, comefifa,
Si prende un mazzo di carte nuove, e gli fi met-
te adora adora il mangiar fur una di efle. Po-
{cia fi manda a cercar quella carta fra tutto il
mazzo. La raccapezza beniffimo ; perciocchè cilen-
do già ufato a trovarvi il fuo conto, e ad effere
accarezzato ogni. volta che la riporta, la va fcer»
nendo a poco 2 poco dall’ altre , e la confegna tut-
to feftofo in man di colui , che gliela romina .
In fatti non è una cofa più ftravagante a vedere
un cane, che fappia feerre una carta da quarant'
‘altre, di quel chefia il vederlo diflinguere in una
ftrada la porta del fuo padrone dall’ altre porte
contigue ? Ma il più curiofo del mio Mutti DoS
LG
Fi
I Dratoco Terzo. 69
fe ne’ naturali fuoi atti comici , e in certe fue mali
ziette , veramente godibili . S° io prendo la mia fac-
chetta de’ libri per andar a fcuola, il mefchinel-
lo, fapendo, ch’ egli debbe tar da tre ore fenza ve-
dermi, s'intriflifce, ed imbroncia ; quafi che gli
| veniffe fatto un gran torto. Pofcia fi pianta di-
nanzi alla porta; e quivi afpetta il felice momen-
to di rivedermi . Se poi invece di prendere i li-
bri, mi cingo lafpada, o gli fo un femplice mot-
‘to di andare a fpafio , corre per tutta la cafa
falrando , felteggiando , e decantando la fua ven-
‘tura; fa cento volte le fcale; s aggira di qua ,
e di Ia, com'un arcolajo; e fi mette talvolta a
guajolare in una sì fatta maniera , che farebbe
ridere unmorto. S'iotardo per avventura a ufcir
fuora, par;ch’ egli fi metta in fofpetto , ch’ io non
lo voglia coneffomeco, e fe ne va ad afpettarmi
«da trenta pafli lontan da cafa , alla prima crocia-
ta, dove più vie fanno caro, sù la fperanza d'
effer graziato. Ma s' io gli accenno di non voler-
la
lo, fa da principio tutti 1 fuoi sforzi, pér vede-
re, fe gli riefce di rivocare un talordine: ed al-
lorchè gli fo intendere netto e fchietto, ch' e' tor-
ni a cafa, prende un'aria sì addolorata, ed af-
flitta, che muoverebbe a pietà un cuor di faffo.
All incontro non vi fo efprimere le grancarezze,
e la gran fefta, ch'egli mi fa, quando gli dico,
ch’ egli venga. Il più mirabile ancora fi è il vedere
le eran finezze, con cui m'accoglie, quando fono
flato parecchi giorni lontano . Par , ch'io torni
appofta appofta per amor fuo . Da in mille fre
nefie; e per lo più un'ora, o due non gli bafta-
no, per palefarmi tutti i fuoi fentimenti.
L’ affetto di queffo cane paffa ancora più oltre.
| Diretle, ch'egli veglia dì, e notte per impedire,
ehe non mivenga fatto alcun torto. Afcolta tut-
ti URI to;
Z3 Gui AxiMpaLi L'ERRESTRI.
fiv; m' avvifa di tutto . Sta fempre cel dente in
Lt Dix per avventarii alla vita di chi noti conofee i.
ma.nor l’adopra fenza mio ordine. Legge negli
occhi miei la mia volonta; e fe taluno savanza.i
ad affrontarmi , una fpada feuainata ‘non e ba
fiante a trattenerlo . Sono parecchi mefi , chio
principiai a prender lezione di fcherma. Appena
il mio maeftro fi mife in guardia, per prefentar-.
mi il fioretto, che il mio Muftìi gli s’ attaccò al-
le polpe delle sambe ; e poco mancò , che non
‘gliele sbranalfe” a dirittura. Da allora ib qua non
f: fon potuti mai rappattumare. Bifogna ten erli
fempre iepatani .
Cont. Certa cofa è, che tutte le-bizzarrie più
ingegnofe , che poffa apprendere un cane , non
fono in verun conto PAFARORARTI a quell’ amore
sì vivo, e sì forte, ch’ egli ferba verfo il padrone:
e ben fi vede, che iddio l’ha meffo al fianco dell
uomo , per affilierlo, per foccorrerlo , e per di-
fenderlo. 1 fervigj, che i noftri cani ci apprefla-
no, fono tanti, e tanto diverfi, quante fono le
‘loro fpezie. Il maflino, e l’alano guardan le no-
‘fire cafe in tempo di notte, e ferban tutta la lo=
ro ferocia, e malignità in quelle congiunture, in
cui fi corre pericolo di effere aflaffinati AL cdu
da paftore fa ad un'ora far tefta a'lupi, e tene- |
re a freno la greggia. Tra i cani da caccia v'è
in prima il bracco, che ha le zampe oltre mifura
cortiffime; affine di poterfi intrudere infra l'erba,
infra le fiepi, ed infra lemacchie. V’è parimen-
te il levriere, che oltre allo avere il mufo affila-
to, e la vita fottile, pereffer più atto a romper
P aria, ha le zampe ben lunghe , e bene fcarne;
fiechè mon ingombra molto terreno, ed'avanza nel
corfo la velocità della lepre, la qual ripone la fua
fiducia , e falvezza nell’ agilità delle membra, e
i nella i
x DiaLoco Tea: ) 7a
nella deltrezza «della fua fuga . Il levriere è. un:
contrappofio del bracco; sì nella firuttura del cor-
po, come nelle funzioni ,. ch’ egli fa. Il bracco, ha
Ja via aflai corta, ma un acutiffimo nafo; per-.
ciocche , A ai a adora adora fotterra , ed.
intanandofi fra le macchie, ha più bifogno d'un
buon odorato, che d'un buon occhio. Il levriere
all’ incontro; ficcome va fempre per lofpianato,
così ha poco buono odorato; ma un’ ottima vifta,
E sì difcopre ben di lontano la preda, per quanti
andirivieni ella faccia . Il can da fcoperta la fer-
ma; e a mala pena l’ha fcorta, s' acquatta per
terra, ‘per avvifarne ilcacciatore. Di quefie raz-
ze ve.ne fon molte; eciafcheduna ha il fuo nome,”
particolare , giufta la funzione , cui fa. Tutti pe-
i rò fono ugualmente bravi, edattenti alfervigio,
ch'è loro impofto ( Dichiaraz. litter. dell” opere de'
feci giornî .). Il Padrone rade volte fi trova pago
de’'fuoi compagni, e del lor metodo di cacciare;
ma rimane foddisfattiffimo dell’ attenzione, ed abi-
lità de’ fuoi cani. Terminata la caccia , ed otte-
nuto lo fcarfo premio d'una corata ( che non s°
accorda lor fempre) tornano tutti quanti al co-
vile, e al guinzaglio-; fi fcordano della primiera
fierezza; fanno un facrifizio vo lonterofo della lor
liberta; eficontentano fenza repliche, e fenza rim-
brotti d'un mefchinifimo nutrimento . L'unico
| lor.conforto , e piacer fl è , aver proccurata al
lero padrone una buona preda.
In fomma fra tutti quefli varj ferventi, checi
ftanno così foggetti, e che ci affiftono con tanto
amore, non ne trovo pur uno (fenza eccettuare
ne meno le razze Spagnuole, le Danefi, e quelle
| ancora, che fon più piccole), ilqual non fi ren,
da; © benevolo pel fuo vezzeggiare, o caro per
la fua vigilanza; o talor anche giovevole per un
i B 4 » fem
N
»” GLi AnimaALI TERRESTRI.
femplice a avvifo; ch’ eglidia opportunamenté al pas
drone affonnato » fe chiccheffia gli batte alla por=
ta; o tenta di forprenderlo , mentr egli dorme . Del
refto (generalmente parlando) di tante fpezie d’.
animali, che fi ritrovano al mondo, non fa vede-
‘re, qual fia più capace di cattivarfi l’umana be-
nivolenza del cavallo, e del cane. E ben fi dice
in proverbio: che l'uomé, il cavallo ; ed ilcane
Narebbon fempre in amichevol converfazione ; tene
annojarfi l'un l'altro giammai.
Contef, È vero, che il cavalio prefia all’uoma .
un bel comodo, colportario fuldorio, e coltras*
feri:gli da un luogo all altro ie metci . E° veto
altresì , che ‘il cane gli ferve di guardia fedele ;
e che amenduni s' adoprano fempre a fuo pro .
Ma tutti quefti fervigj non fon tanto neceflarj ;
quanto il vitto, SI veltito. In mancanza di que=
fti due requifiti, l'uomo non i più vivere ; e
quelli due requifiti non può trovarli, fuorchè nel=
le beftie pecorine, e bovine. La carne di così fat-
ti animali è fugofa, e perfetta; ficchè 8’ abbane
donano le vivande più prelibate per quella , nè
ce ne‘'troviamo mai ftufi . Per tutto ’!1 tempo,
che fi lafciano invita, dove mai impiegano i lo<
o giorni? Voi lo vedete. La vacca;la capta ,
e la pecora non'’vivon con efionoi , fe non per
‘ farci del bene. Col ricevere per parte nofira un
po d'erba, ocolraccorre da se fiefli i più inutili
firami della campagna, vengono a prefentarci o*
gni fera de’ rufceili di crema, e di latte. Nonè
ancor paffata la notte ; che ci pagano anticipa=
tamente lo fcotto pel dì avvenire. La fola vac=
ca fomminiftra al povero , quanto gli bafta per
mantenerfi, fslvo il pane: e fornifce le menfe de’
ricchi di varie, e pro pate vivande . La pecora
poi, contenta d’ andar veflita l'inverno, do
sù
);
Dad re blo Terzo. | 93
ftal ufo dellefue lane in tempo ditftate. In bre
ve daquefti, efomiglianti animali, ancorchè foza
zi, e {pregevoli ; fi ricavan cent’ altri comodi ,
i quali non è poffibil ritrarre da quante fiere fel-
vagge fi trovano. Quefie non ci s ‘appreffano mai;
fe non per rubarci : quelli ci flan fempre intor=
no, per regalarci: E fe i regali, ch'eflì cî fan
ino, non fi valutano il giufto prezzo , ciò addi-
viene, perchè gli abbiamo troppo trequenti. Nom
vi fi pone. più mente . La facilita , che fi trova
in averli; li rende vili. E pure ;'a dir vero ,
quefia medefima facilità dovrebbe accrefcerne il
merito . Una liberalità , -che mai non fi tane
.ca ; e che ogni giorno torna da capo a benefi-
carci, merita una cotidiana, è fempre muova ris
— conofcenza. Il meno , che pola farfi, quando fi
riceve del bene, è degnarfi di riconofcerio.
Quefti animali s° han tutto ‘1 dì fotto gli occhi 5
è nondimeno vi fi ravvifa ogni giorno un quale
che tratto novello di favia condotta, e di bene=
fica provvidenza . S' io mi pongo a confiderare una
madre, trovo in lei una tenerezza verfo la pros
le, che va all’ eccefio. Quefia prole non s'inten=
de di nulla; nè può far nulla. Mal’affetto mas
rerno fupplifce a tutto, e la provvede di tutto.
Se poi mi fermo a contemplare il figlimolo , ec+
coti un altro oggetto parimente degno d’ ammi»
razione in tutti i fuoi vatj progrefli . Egli non
ha ancora aperti gli occhi, e trova pur la mam»
mella, per allattare: nonfa, che, fenza premere
la, non può fcaturirne il fuo latte ; } e ciò non
oftante fi manéggia bravamente colle fue zampe
dinanzi, per efprimerne (impiegandovi or l'una,
or l’altra ) il fuo nutrimento . Ghe fe mai per
brev' ora vien feparata la madre dal fuo figliuo=
lo, tucti edue fivancercando a vicenda ; e giunti
a ti
"4 GLi ANIMALI TeRRESTRI.
a tiro di poterfi fentire, s'avvifano fcambievol®
mente col lor belato, coi bendibiagunie da tutti
gli altri, Così è I La a_pecora difcerne fra mille
agneili il belato del fuo agnetino.; ; e l’agnellino
IRE fra mille pecore quel difua madre, che
gli rifponde. Il paflore s' inganna; ma ne la ma-
dre, nè il figliuolo s'ingannano mai; e dopo ef
(ul dati il vicsndevole avvifo del loro arrivo
corrono a riunirfi con molta fefta.
Invigoritsfi finalmente la prole, e giunta a fe-
gno di nutricarfi da. per sè ftella, è bendovere,
che la madre refti fgravata del di lei pefo : ed
ecco , che la medeftina proccura di levarfela to-.
fio d' attorno , giugnendo fin a termine di mal.
trattarla, s ella /s° oftina ad accoftariele. La tene-.
rezza dell’ una non dura più del bifogno dell’ altra +
Il figlinolo, vedendofi a ilora privo del confue-
to fuo latte, s' adatta per neceffità ad altri ali-
senti più groffolani. impara a brucar l'erba, e
le foglie , e a dizrumare la notte ciò , che ha
brucato, e meito in cuftodia nel giorno . S’ av-
| vezza a poco 2 poco.a diftinguere le ftagioni,
ed a governarfi fecondo itempi. La flate, ficco-
me i giorni fon lunghi, non s affolta gran fatto,
a mangiare; ma fi ripofa di quando in quando;
meriggia, e digruina , conofcendo di poterlo fare
fenza difcapito. Ma nell'inverno, che le giorna-
te fon brevi, non folamente s’ infuria a mangia-
re; ma ingolla buona parte dicibo, fenza mafîi-
carlo, riterbandofi a ruminarlo, e a digerirlo con
più fuo agio in tempo di notte.
Vi farebbono tuttavia mille cofe da dire intor=
no alle diverfe qualità di quefti animali dometîi-
ci. Ma mi pare ognora mille d’ arrivar a-fapere
ciò, che! Signor Priore ha deftinato di prefentarci.
- Prior. L animale, di cui fon per farvi l’enco-
mio ,
&
Lc I CIO Mai rd Maida:
Vi UST \
x
DL Elopante cmmanfato BII Cammello carico. CAI Cammello inclinato.
per dar agio al vetturale de JCAricarto. — Tim. aL 75
somtiunni lita
sato:
roche
mi. va. Pro 75
MO 172
-”
tar? te
Y7
14.LE
A
2
|
|
|
|
ioni
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pe o
> rito
.DrAaLoco Terzo. 15
mio, ha delle prerogative in tutto in tutto par-
ticolari. L uomo non fuol fervirfene in ogni luo-
‘80; ma però ne fa un ufo grandiffimo , ed uti-
Mifimo. Crederete, ch'io voglia parlarvi dell’ ele-
fante , che:s ° accoltuma ( fe pur fi vuole) a flar
fotto l’ubbidienza d'un femplice fanciulletto; ed
a portare ful dorfo delle torri cariche di combat-
tenti , fenza punto sbigottirfi , nè al fraftuono,
nè alle percolie dell’armi: o veramente del cam-
mello, la cui lena refifte.alla lunghezza de’ viae-
8» che porta da mille libbre di pefo ; che tra-
pa fa i deferti fenza mai bere ; ; e che, arrivato
finalmente al luogo prefiffo , piega con maniera
obbligante le fue ginocchia , abbafandofi fino in
‘terra, per dar agio al vetturale di fcaricarle fue
balle. Quefti animali han tutti e due il merito;
ma non mai tanto, quanto è quel della beltia,
bahia wiodifO)i
Cav. Via dunque: fi può egli fapere, come fi
chiami ? | | |
Prior. L’ afino ; giacche volete , ch' io ve lo
nomini.
Cav. Oimè! Che diacin d' siae fiete anda-
to a trovare!
Contef. Si può dir di più? Non v° er' altro da
prefentarci, che quefta bella gioja £ ° Perchè non
ifceglier piuttofto il gatto, ch’ è un animale tan=
to ferviziato? Egli, non che altro, ha un par d’
occhi, che v’innamorano. Ma quante cofe vi fa-
rebbon da dire, e quante allnfioni da fare sù
quella fua cera da fpigolifiro ? Sù quelle zampe.
sì morbide, tuttoche armate di rampini? Sù le fue
aftuzie ? Su' fuoi rigiri? E finalmente sù quella fua
andatura fempre tortuofa , e pieghevole ? So be-
. ne, che la voftra facondia vi troverebbe un bel
|» «campo da efercitarfi.
Prior.
56 Giri Animati Terkestrr.
Prior. Povero afino! Tutti ti vilipendono : vo-
glio ben io pigliar le tue parti . In fatti, a ri
mirar quefta beftia per un certo verfo, mi piace:
molto: anzi {pero di farvi vedere , ch’ ella non
folo non merita fpregj, e cenfura; ma bensì giu-
fte lodi, ed encom] .
| L’ afino ( io non lo nego ) non ha qualita, che
diano nell’ occhio: l’ ha però buone. Se gli altri
animali ci preftano de’ fervigj più riguardevoli ;
quefio però ci fornifce de’ più necelfar) . Egli non
ha, nè una bellifima voce, nè un aria nobile ;
nè un certo brio, che ne alletti. Ma non impor=
ta. Un bel metallo di voce è una prerogativa
ben fievole preffo le perfone di fenno. ll difetto
dell’ aria nobile viene in lui‘compenfato da un
dolce; e manfueto contegno. La mancanza final-
mente di quello fpirito bizzarro , e vivace, che
regna nel cavallo , e che reca fpefle volte più
incomodo, che piacere , fi trova in lui contrac=
cambiata da un tratto il più femplice , e natu-
rale, che dir fi poffa. Non v è caricatura, non
v'è baldanza, non profunzione. Se ne va pel fuo
viaggio fenza voltarfi mai indietro . Non ha un
palio molto veloce; ma feguito, e durevole. Ter-
mina tutti i fuoi affari fenza fufurro ; vi ferve
con perfeveranza ; e non fa conto della fua fer-
vità ( ch’ è una delle più buone parti, che pof-
fa avere un fervente ). Per quel , che fpetta al
di lui mantenimento, non vi porta nè iuggezio-
ne, nè fpefa, Il primo cardo ; che fe gli para
dinanzi » l’appaga. Non pretende mai nulla ; non
fi trova mai difgufiato , ne malcontento : tutto
ciò, che gli date, vien da lui gi volentie-
ri. 5’ intende beniffimo di quel, ch’ è più gufto-
fo, € migliore ; ma fi contenta modeftamente di
ciò, ch'è più infipido, ed inferiore. Sc". padro-
ne
\
DiaLoco Terzo.
ne fe ne dimentica , o pur lo lega in un fito;
ch' egli veda l’ erba, fenza potervi arrivare , lo
piega con un ragghio il più patetico , che mai
dit fi poiia, a fomminiftrargli il fuo bifogno.
Ancor io ho da vivere( par, ch'eglidica). Que»
fta è la folfa , che gli va cantando ; quivi im»
piega tutto lo sforzo della fua rettorica. Termi-
nata la fua perorazione , fta pazientemente afl-
pettando , che gli fia portato un pugno di femb=
la, © un faftelluccio di foglie inutili , il qual fi
mangia in caccia, e ’n furia ; e poi ripiglia il
fuo carico, e fi rimette in cammino , fenza re>
pliche , e fenza rimbrotti di forta alcuna . Que-
fte a dir vero fon tutte parti molto lodevoli, Ve-
«diamo ora il fuo impiegò,
Il miniftero dell’ afino partecipa della viltà del-
le perfone, che il mettono in opera. Ma il baf-
fo credito, in cui vien tanto il fomiere, quanto
il padron del fomiere , non ha punto di fonda-
mento, L'impiego del giudice, del fattore e dell’
appaltatore, è in apparenza di più rilievo , che
non è quello del contadino. Le ricche vellimen-
ta, onde cofioro vanno abbigliati , li qualifica-
no: laddove la fordidezza dell’ abito, e il mifero
fato dell’ agricoltore avvilifce il di lui meftiero.
Ma, fe fi vuole fenz’ animofità giudicare, il fat-
to fta tutto all’ oppotto . li meftiere del contadi-.
no è più nobile di qualunque altro; ed è l' uni-
co, che pofla dirfi neceilario. A Di ferve , che
l appaltatore fe ne vada coperto d’' oro da capo
a pie? Il fuo ufficio non ci porta verun vantag-
gio, Quanto 21 giudice , e all'avvocato, difficil=
mente ne poffiamo far fenza; ma le noftre fcioc-
chezze ce li rendono neceifary. Se I° uomo avefle
più giudizio, non ve ne farebbe bifogno. All’ in»
contro gli agricoltori, e gli artifli ci fono sì bi.
fo
Ve
58. Giri AntmaLi TERRESTRI. (
fognevoli > che l'umani' genere non fe ne può, nè
in alcun modo, nè in-alcun tempo ; nè a verun
patto difpenfare . Quefta gente è quafi il nervo
della repubblica, ed il foftegno del viver nofiro.
Eflì ci fornifcon tutt'ora di qualche noftro bifo-
gno . I materiali delle noftre cafe ,- i noftri ar-
nefi, il noftro vitto, é veflito , proviene gene-
ralmente da loro. Ed oh! come male intrigati fi,
troverebbono i vignajuoli, gli ortolani., i mura-
tori; € fa più parte de’ campagnuoli; cioè a di- ‘
re due terzi del genere umano, fe. foffer coftret-
ti a fervirfi d'altrivomini, odi cavalli, per traf-
portare le Ipro merci , e i materiali, di cui fi
fervono /‘L’afinofupplifce ‘a tutto”. Egli è, che
Porta le frutta; gli erbaggi, le pelli , il carbo»
e degna, ‘tegoli x i mactoni 3 gello , la
clin, la paglia, il concime. Le fome più vi-
li, e più fordide toccano tutte a lui. Ora egliè
un bel vantaggio pertutti quefti bperieri, e per
noi, l'avere al noftio comando 'un animal sYpia-
cevole, sì robufto, sì inftancabile, che ne forni.
fca fenza fpefa, e fenza baldanza i noftri villag-
gi, e le nofire città di tanti comodi. Ma per
darvi meglio a conofcere il frutto , che fi ricava
‘da’ fuoi fervigj, e metterli un po’ più in chia-
ro, mi fervo della feguente fimilitudine , e poi
finifco .
Il cayallo può affomigliarfi a certe nazioni biz-
Zatre , e 1DcCOlE, Cile fempre faltano, o ballano;
che impiegano tutto il lor forte half apparenza.
efteriore , e metton del brio in ogni cofa . Co-
fioro fi rendono ammirabili in certe congiunture
più fingolari, e improvvife. Ma il più delle vol
te il loro fadcò è un falò. Si fnervano, fi con-
fumano, e perdono le lor più belle prerogative,
per mancanza di economia, € di rifparmio .
L' afi
.DrALoco Terzo, 93
« L'afino per io contrario può paragonarfi a ghe”
popoli i di lor natura mogj, e pacifichi |, i quali
( prefcindendo dal lor meftiero , ‘0 commercio )
non s intendono d’alero : badano, come fuol dit- \
fi, al-telonio , fenza diftrarfi ; e profeguono fe-
rtiamente, e con portanza quell affare, che Bani”
no. > alii ;
Contee Sentite ; {e non par vero ciò, ch' 6g: ne
dice, e fe non colorifce le cole’ in maniera ; da
farle credere ?
Conti Certo , che il fuo parlare ha più del fe-
rio, ‘che del giocolo . Ma l'aver prefo a enco-
mfate un animale si abbietto., è una cofa trop*
po TAlofftibile @ troppo pregiudica al decoro del =
la noftra’ Accaiinia: . Egli-@ un avvilirci : HS
| gli altri faranno del mio parere, il Signor Prio-
ré fi reftera colla taccia'di‘ non aver corrifpofto
colla” fua quota ; e verrà condannato 'a pagar l’
“ammenda it mapicra CRE ‘ci potfiam chiamar
foddisfatti.
Cav. Via, Signor Priore ; wi fiete gia in vo
ga di ragionare . lo per me-non'vi condanno a
intavolare un elogio di nuovo: ve ne prego ben
sì con ogni caldezza.
Contef. Ed io ; non tanto ‘per fecondare 1° o
pinione degli altri ; ma per pievalermi di quell”
autorità ‘, che gia m'è fata ‘accordata , come
a Prefidente dell’ Accademia 3. ‘dichiarò , che 1
Signor Priore fia fehuto a tefierci ùn altro elo=
gio più accettabile: ed in cafo, ch'egli non giu-
dichi di doverfi appigliare a gli animali dome-
ftici, gli permetto il ricorrere anche alle fiere
falvatiche.
Prior. Chi fa le leggi , ha pur diritto d' inter-
petrarle . Volete voi , ch'io vi prefenti un ani-
mal pellegrino ?
5 \ Contel.
fo Gui PENSA TERRESTRI.
Contef. Laicio in vofira elezione (quanti ani-
mali fi trovano nelle quattro parti del mondo . *.
Ma.... afpettate di grazia. Volete voi prender
quello ..? oh Dio ! a/piatomelo a dire... quel-
lo.... ch è sì valente architetto , Il fuo nome
m'è ufcito di mente, i |
, Prior. lo non neconofco alcun altro, che fap-
pia meglio fabbricare fotterra il proprio abituro,
della donnola , ch’ è una fpezie di topo campa-
FRuob, e-che fi va apparecchiando diverfe ftan-
ze fotterranee, comunicantil’ una coll altra; par-
te delle quali ‘fervono a confervare le provvifio-
ni (che confiftono in frutta d' ogni ftagione ; ma
per lo più in noci , ed in varie granella di più
durata , ed atte ad ammonticarfi:) ; e parte fon
definate per alloggio della famiglia; e a tal og-
getto fon fornite di vary letti dilana, e di bor-
ra; ed una, ch'è fituata ‘in fondo in fondo all’
albergo , ferve di iterquilinio, o di falla , dove
fi portano tutte l’immondezze dell’ altre fanze ,
che fi tengono fempre nette, come fpecchi.
Contef. Tutto quefto va bene; ma. l'animale ,
che ho nella mente, non è cotel Gaio
Prior. Sarà forfe il porco fpino , od il riccio .
Quetti fon due animali diverfi;. ma s' affomigliano
molto. Di quefti ricci , o fpinofi fe ne trovano
di due forte . I più comuni fon fatti a grugno
di porco ; ed i più rari a mufo di cane. Tanto
l’ uno , quanto l’ altro è un piccolo animalet-
to, tutto coperto di {pine langhe un dito e
mezzo , € in tutto fimili a quelle de\.ricci,,;0
cardi delle caftagne. Se talun li molefta , ritira-
no in dentro la telta, e le zampe; fanno del lo-
ro corpo una palla, e tengono i loro fpini tal-
mente iIntirizziti , \che trifto.a quel.cane 5. 0a
quell’animalè, che ofa aliora toccarlo. n
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Diaroco Terzo..: © 81
Il porco fpino è molto più groflo del riccio. La
fua lunghezza eccede talvolta i due piedi. E° tut-
to quanto fafciato di peli duri , e di fpine ine-
guali ; ficchè alcune non fon più lunghe di due
dita, ed altre paflan le dodici . Quefte {pine pa-
jon giufto tanti cannelli di corno : il lor colore
è tramifchiato di bianco, edi nero; e principian-
do ad affottigliarfi dal mezzo in sù , van final
mente a terminare inuna fottilifima punta, cor=.
redata di due coftoline taglienti . Il porco fpino
prefenta l' ifpido fianco al nimico ; arriccia fiera-
mente i fuoi fpini, e li profonda ‘alle. volte sì a'
dentro nelle carni dell’ animale, da cui vien mo-
letato, che la più parte gli fi difaccan dal cor-
po, fenza poterli ricuperare, € reftano nelle me-
defime carni del fuò nimico. Ne rimette però de’
. nuovi, i quali a poco a poco crefcendo, diven-
tano uguali a’ primi.
Il riccio , o fpinofo ricava dalle fue fpine un
altro vantaggio . Si ruotola sù per le mele , sù
per l’uve, e sù per tuttelefrutta, ch'egli trova
a piè degli alberi; edinfilzandole in quelli fpun-
toni, fe ne porta via più, che può. Mangia fpe-
ditamente quelle , che non durano; e ferba le no-
ci per la ftagion più remota . Nei cuor dell’ in=
“verno non fa altro, che dormire.
Contef. Cotefto pure ha il fuo merito ; ma io
n’ ho in tefta un altro di maggior pregio . Non
poffo efprimervi, quante belle cofe ce ne diffe ‘un
| giorno quel mio mercante di S. Malò.
©. Prior. Non può effer altro, che il caftoro.
Contef. Per l’ appunto.
Prior. Ma, non farebb' egli meglio , che ne fa-
cette la defcrizione voi ftefla? Vi s' avverrà più,
che a me. i
Contef. Eh! lore ; che cofcienza è la vo= 0
Tom. IL @ E < fra?
8 Gri AwimALi Terrestri ‘
fira? V'addoffate una ‘detta; e poi volete, che
un altro la paghi?
Prior. Cimè! quì non v' è modo di ed polarà |
la : bifogna metterfì 1 animo in pace ; € foddif=
farvi. A
Nel caftoro fi betfoli nare due’ con 2 Ti
ufo, che noi facciamo della fua pelle; e l’artis
fisio , con cui egli medefimo fi fabbrica. il 300 |
‘prio albergo. "1
(4) Quefto animale può avere qusiche tre ;-05
quattro piè di lunghezza , e dodici , o ‘quindicti
pollici di groffezza . Il fuo pelo ne’ Dr fetten= |
trionali fuol effler nero; ma quanto più ci acco-
ffiamo verfo la zona temperata , tanto più lo
troviamo sbiadato, e più chiaro . Ha due forte
di peli: la prima confifte nel pelo lungo; la fe-
conda nella lanugine. La lanugine è (opraffine ,
e foltiflima, niente più lunga d’undito; e ferve
a tener caldo il caltoro . Il pelo lungo preferva
la detta lanugine dal letame, e dall’ umido.
Il calloro ; fia mafchio , o.fia femmina , ha
fotto gl’inteftini quattro bifacce , ripiene d' una
materia fluida, edappiccaticcia che fubito uicità
fuori fi condenfa. Orora fi vedrà l' ufo, ch'egli
nefa. I Medici chiaman quefta materia cafforcurm ,
e la danno per un efticace rimedio contro i ve-
leni, contro ie vertigini, ed altri mali, Ma una
tal medicina nell’invecchiare, fi corrompe , e Ss
anberifce ; ed allora diviene un micidiale veleno.
Strappafi dalla pelle del caftoro il pelo lungo j_
e fi fa capitale sua lanugine, per far degli fti-
va-
du
(a) Memoria dell’ Accademia delle fcienze 1704. Let-
tera di M. Sarrazin Medico del Re, inviato ai Cana»
dà. Viagg. del Baron de Ja Honta pre per la Stor
egli animali della fap Re
La
I DiraLoco Terzo. 83
waletti, delle calze, de’ berrettoni, e talor anche
de' panni; ma quefti fon fottoppofti a indurirfi , ©
come il feltro , ficchè oggimai fon quafi andati
in difufo. Il caftoro non s' adopera quafi più, fe
non a far de' cappelli, de’ guanti, delle manopo-
le, e delle borfe. Vi dirò una particolarità, che
durerete fatica ad accordarmi; ma pure è verif=
fima'; cioè, che le pelli del caRoro fon più pre-
giate, € migliori , quando i paefani , che l'han
raccolte, vi fono ftati lungo tempo fopra a dor»
mire. Per queflo mezzo fi fpoglian del pelo lun-
go; e la lanugine, che virimane , condenfandofi,
ed ‘umettandofi, mediantela trafpirazione, divien
più atta a fodarfi nella gualchiera , ed a mani
polari.
Ma vedo , che il Signor Cavaliere fi muor di
voglia di fentire, come fia fatto l’ albergo del
calioro. Eccomi a foddisfarlo.
Cav. Volete voi farmi grazia di: princivnae j
come facefte in ragionando delle api; dagli flro-
menti, di cui fi ferve, per fabbricare?”
Pro Volentieri . Gli li fframenti, orde il cattd
ro fi ferve per fabbricare , fono i fuoi denti, le
«zampe, e la coda. I fuoi denti fono. vigorofiffi=
x
mi: la lor radice è lunga , e ritorta; e fta pro-
fondamente abbarbicata alla matcella . Strappa
con effivarie foite di legnami, parte per fabbri-
care, e parte per mangiare. Le fue zampe an-
teriori imitano quelle degli animali, che fi dilet=
tan di roficchiare ; e tengono in mano il lor-ci-
bo, come le icimie, i topi, gli fcojattoli ;-e fis
Mili . Il cafforo fe ne va ale pur ‘anche a forbirfi,
“a grattarfi ro e ad ammollire ,' ed impiaftrare la
)
ghiaja, di cui -fa un ufo grandiffimo . Le zampe
diretane di quefto animale fono inteflute ne’ tra-
mezzi delle dita di larghe pelli, o membrane ; 2
a
o) fomi
{
PRA
C4 GLi AnimaLi TERRESTRI.
fomiglianza de’ piè dell’ anitra, e di tutti gli uc=
celli da acqua. Dalche fi di chiaramente , che
l' autore della natura l' ha deftinato a vivere,
parte in acqua, e parte fopra la terra. La fua
coda è lunga , (chiacciata, fquamofa, mufcolofa,
e fempre fempre bifunta. Siccome quefto anima
le è nato architetto ; così fi ferve-della fua co-
«da, come di truogolo, per tenervi la malta , ©
la ghiaja; e fucceflivamente di cazzuola, per dis
ftenderla, erimenarla. Le fcaglie della imedefima
la riparano dal freddo , e dall’ umido delle pre-
dette materie; ed un cert’olio, di cui.il caftoro
va premunito , difende la coda con tutta la fca-
glia dall'aria, e dall’ acqua, untandofela ad ora.
ad ora col due. Le borfe , o vefciche , di cui.
v'ho parlato, faranno probabilmente le conferve
‘dell’ olio predetto .
I caftori vivono in camerata dentro uno fteffo
albergo; purchè i gran caldi, o gli ftrabocchevo-
li allagamenti, o le perfecuzioni de’ cacciatori; ©
finalmente la foverchia moltitudine de’ figliuoli non
li conftringano a fepararfi. Prima però d’ accafar-
fi, proccuran di trovar un luogo abbondante di
|’ viveri, adacquato da Vba rio, edatto ad ap-.
preftare un lavacro, o una pozza, dove poffano.
andare a bagnarfli. Prive iano dunque a fabbri»
care un terrato , o ciglione , che vaglia a tener
l'acqua a livello del primo appartamento del lo-
xo albergo. I
Cav. Del primo appartamento? Vene fon for:
fe due, o tre, come nelle noftre cafe?
| Prior. Certo, che sì. Ma efaminiamo in prima
il ciglione di quefto lavacro, che fa ftar l’acqua
al predetto livello. La di lui” bafe può avere qual-
che dieci, o dodici piè di larghezza. Dalla ban-
da dell ie è fatto a fcarpa , 0 a pendìo; ed
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da DiALroeo Terzo. 54
a mifura; che l’acqua crefce , vi monta fopra ,
e lo fofpigne per quanto può verfo la terra. Dal
: la banda di dietro è fatto a perpendicolo , co-
me le mura delle noftre cafe : e la fcarpa , che
nella fua eftremità è groffa da dodici piedi , quan-
to più s' alza, tanto più s’ affottiglia , ed in cima
|l non è più groffa di due. La materia , ond' ella
© formata, non è altro, che legno, e ghiaja. I
caftori tagliano con una facilità grandiffima de’ toc-
. chi di legno, parte groffi , quanto il noftro brac-
cio; e parte, quanto una cofcia, la cui lunghez-
za 4° eftende-da i due fino a i quattro , 2/i cin
que , ed anche i. fei piedi , e da vantaggio , fe-
condo che intendon di alzare il pignone . Ficcan
la punta di quefti pali fotterra , fituandoli un
| preflol’altroj e poi v’intreccian degli altri pez-
zi di legno più piccoli , e più pieghevoli. Ma
perchè l’acqua non vi paffi a traverfo, e la poz-
za non fi fecchi, vi tramifchiano della ghiaja, e
riempion coneffa tutti i vacui, tanto al di den»
tro, quanto al di fuori ; ficchè l’ acqua non'ha
più efito. Profeguono ad alzare la contrafcarpa a
mifura che I acqua monta , e che la pozza s°
ingrofla . Sanno molto bene , effer più facile il
‘trafportare i materiali per acqua, che perterra,
e s approfittano del crefcimento dell’ acqua me-
. defima, nuotando allora colla malta in sù la co-
da, e col legname tra’ denti, per portar l'un, e
l'altro, dovunque richiede il bifogno . Se mai |’
impeto dell’ acqua, o le perfecuzioni de’ cacciatori
fconcertano il lor lavoro, o vi fanno qualche rot-
tura, riturano quanto prima la buca; vifitan da
capo a piè l'edificio, e lo reffaurano intieramente
con una diligenza incredibile. Ma quando i caccia=
tori gl’ infeftano troppo fpeffo, lavorano folamente.
la notte, o abbandonano per affatto 1’ imprefa «
E (3 Ten
|
DA
26: GLi ANIMALI TERRESTRI.
Terminata li contrafcarpa, o l’argine del ba-
gno, principiano a fabbricarfi lelor capanne} che
confifiono in certe ftenze, ora tonde, òra bifton-
de; ma ii divife in tre folaj, piantati l'un
fopsa l'altro. Il più baflo fla fituato fotto il col-
hl: delia fcarpa, ed è per Jo più allagato. dall’ac-
qua; gli altri due flan. di iopra all’afciutto. Le”
fondamenta di quefte piccole. fabbriche fon pian-
tate con gran fermezza full’orlo della pozza ; e
fempre a palchi, per poter, fe l'acqua monta,.
ricoverare più in alto. Se .s incontrano a trovare
un’ ifoletta vicina alla pozza, vi fabbrican volen-
ul il loro alloggio, effendo quivi più flabile ,
e trovandofi meno infeffati dall'acqua, dove non
| poffono intertenerfi lungo tempo. Se poi non han
quefto comodo , ficcan co loro denti fotterra de’
pali, e si difendono l’edificio dall’ acque ; e da’
venti. Vi lafciano a baffo due buche , ciafcuna
delle quali mette nell'acqua j, ma una conduce
appunto in quel fito, dove fi bagnano ( e quelio
fito fi tien fempre paio, l’altra mena in una
fogna, 0 clpaca , dove fi fcaricano tutte le im-
mondezze degli appartamenti di fopra. Evvi al.
tresì una terza Luis su .‘inalto; cho ferve lor di
pafiaggio, quando le due predette vengon ferrate
dal ghiscgi io. Ma icaftori piantano alcuna volta
tutto l'albergo interraferma all’ afciutto, facen-
dovi ‘delle fofle cinque, o iei piedi profonde, per
potere fcendere fino all’ acqua . Si fervono degli
fief materiali, e dello fteilo artifizio, tanto rif
petto alla fabbriche , quanto rifpetto alle altezze.
Le pareti delle lor cafe ftan tutte a perpendico-
lo, ed hanno due piè di groflezza. Siccome i lor
denti lavorano molto meglio, che le fleffe feghe,
mozzan con effi tutto il legname, che fporge in
fuori; ficche la parete fia tutta unita : e fram>
Mie
)
IALOGO Terzo. 37
— mifchiando dell ‘erba fecca con della ghiaja forman
di quefto mifto (4) una {pezie di calceftruzzo; e
fe ne fervono a intonicare , coll’ ajuto della. lor
coda, interiormente, ed efteriormente tutto quan-
to l'albergo. Il di dentro dell’ edificio è tutto 2
volta; ma un poco fchiacciato , e per lo più di
figura ovale. L’efienfione è fempre proporziona-
ta al numero degli abitanti. Per otto, o diecica-
fiori non vi vuol meno di dodici piè di lunghez-
za, e otto, odieci dilarghezza. Crefcendo ilnu-
mero, fi va pur dilatando a. proporzione la fab-
brica. Perfone degne difede atteftano di aver ve»
duti più di quattrocento caftori a dimorare in dif-
ferenti capanne, ciafcuna delle quali comunicava
coll’ altra. Ma quefte gran compagnie fon troppo
tumultuoie , e inconfeguenza atiairare. Icaftori
comunemente fan fare le lor camerate con più giu»
dizio . S' unifcono infieme da dieci , o dodici., 0
pochi più, tutti buoni amici , e conofcenti , da
poterli compromettere di paflar allegramente l'in-
verno in converfazione . Hanno un’ aritmetica na-
turale, per cui afieftano puntua!mente l’efteniio=
ne delfito, e la quantità delle vettovaglie al pu=
ro bifogno della famiglia : e ficcome fra di effi è
un ufo di ftarfene fempre a cafaloro, fenza an-
dare allo fcrocco in cafa d'altri; così non fi fa
mai alcuna fpela fuperfiua per quelli, che poffon
fopravvenire i
V'ha poi de’\caftori, che chiamanfi volgarmen-
te terragni. Quetti-dimorano nelle caverne, fore
mate da lor medefimi in unterren rilevato rafen
te l’acqua, o poco diftante dalla medefima. Fab=:
E. 4 brican:
(a) Vale a dire un cemento limofo, civ è compofto
di tufo, di fieno, e di paglia. I i muratori l’adoprano
a far dei foffitti, delle barricate.
> $i GLi Animati TERRESTRI.
brican fotto terra certi condotti, che ménan dallé
caverna per fino all’acqua , e fono alcune volta
profondi da cento piedi. Per entro a quetti cons
dotti fi trovan di mano in mano delle cafelle ,
parte più alte, e parte piùbaffe, in cui fi ricos
verano, per iftare all’ afciutro , a-mifura che l'
acqua monta . I letti, ove dormono , fon com
polti di paglie, che fervon loro di facconi ; e d'
erbe , che vagliono di coltrici .
Tutta quella manifattura ( fpezialmente ne’ paefi
freddi) fuoleffer terminata nel mefe d’Agofto, o
di Settembre: ed allora principiano a fare le prov
vifioni per vivere. La ffate mangian di tutti i frut-
ti, edi tutte le piante della campagna . Ma l'invera
no campan di legno di fraffino, di platano, e fie
mili, facendolo ammollire nell'acqua, di mano in
mano che n'han bifogno. La natura gli ha cor-
redati di due fomachi per poter fare 'la digeftio-
ne d'un cibo sì duro in due volte. Segan de’ toc
chi di legno, che arrivano dai tre fino a i dieci
piedi. 1 più groffi vengono ftrafcinati al lor ma+
gazzino da più caftori alla volta. I più piccoli fe
li trafcina da sè un fol caftoro ; ma tutti fanno
un differente cammino . S'affegna a cialcheduno
la ftrada , ch’eglidee tenere, per paura, che gli
opera; non s'imbarazzino l’ un coll’ altro . Si re-
gola la groffezza della catafta fecondo il numero
degli abitanti; e per le offervazioni già fatte, fi
è trovato, che a dieci caftori abbifogna una ca-
talta di legne , larga per ogni verfo trenta pie»
di, e alta dieci. Quefto legname non fi Buira
tutto in; un fafcio ; ima ciafcun tocco s' incrocic».
chia coll’ altro , ficchè vi reftino de’ tramezzi ,
onde poterne trar fuori il bifogno , con decimar-
lo fempre giù a baffo , dove fi va co tg
DE: psi ne
\
Dc Diactoeo Terzo. $$
nell'acqua . Cavano dunque , come s è detto ;
quello , ch'è in fondo , e fe lo portano alla ca-
panna, dove tutta la famiglia viene a roficchiare
né la parte fua. Talora felvanno a prendere al-
la fordita , € prefentano a’ lor figliuoli una vi
vanda ‘novella . I cacciatori , fapendo , che il
caltoro preferifce il legname di taglio frefco a
quello | ch'è navigato , gliene prefentano fpefle
volte dinanzi all’ albergo, e nel venirfelo a pren
dere l’ attendono al varco , e lo predano . Nel
cuor dell’ inverno , quando l’ acque fi gelano ,
rompon talora il ghiaccio , che li rinchiude ; e
mentre il caftoro s’ affaccia alla buca; per refpi»
rare; l uccidono con delle accette ; o veramente
applicano alla detta buca una rete ben forte, ed
arrovefciano la capanna; ficchè icaftori, creden=
do al folito di falvarfi nell’ acqua, e di fcapolare
per l'apertura del ghiaccio, incappano nella re
te, e vi reftan predati. AR |
Cav. E’ un peccato a ribaltare la fabbrica dî
quefte povere beftie. Non ho vifto mai un altro
edificio sì artificiofo, come cotefto. i
Cont. Si dice , che il topo mofcato , ch'è un
animale d'America, abbia appreffo a poco le ftef-
fe inclinazioni, e faccia lo fteffo lavoro de’ ca-
ftori.. In fatti egli è in tutto , e per tutto un
piccol caftoro : onde non occorre fermarfi a pare
larne più a lungo.
Contef. Ehi, Signor Cavaliere Non vedete quel,
che fi va facendo celà lungo il foffato? Si lavo»
| ra giufto per voi.
Cav. Che diacin pretende di far quella gente
con quelle pertiche, e con quelle reti? Che sì ;
che quefto è il divertimento della pefca , che Ma-
dama m'ha promeffo ? Signori , mi farete pur
«compagnia ,tn' e’ rero?
f Cont.
“90 Gui Animati Terrestri. Diat. IT. ì
Cont. Non dubitate, Signor Cavaliere : non vi
abbandoneremo, no . Il voftro piacere farà fem-
pre il noftro.
Prior. Compatitemi ; Signor Cavaliere . Voi
già fapete, ch'io fon pefcatore di uomini. V° an-
guro una Dica pefca ;3 ma , con voftra buona
licenza, vado ancor io a far la mia. -
Fine del Dialogo Terze. $
ssaeÈ
gr
e
-
pedi
e —
DIALOGO QUARTO.
IL CONTE
La Contessa DI GIONVALLE .
IL Priore
IL CavaLiere DEL BrocLiIo.
Conte/. 4 Ignor Cavaliere , che andate voi arzi-
gogolando intorno a cotefto ftagno ?
| Sarà un'ota, epiù, che vivedo colcato fu vere
di cefpi, che gli fan ripa, tutto penfofo, e per-
pleffo . Si può egli fapere, qual fia l'oggetto di
sì profonda attenzione?
Cav. Era venuto a vifitar quefti lucci, eque-
fti carpioni , ch'io mi falvai begli e vivi dopo
la pefca diferi; e poi ripofi in quell’ acqua. An-
dava gettando loro del pane; e vedeva, che fel
venivano a manicare con golofità. Quindi mi fon
meflo a contemplare tutti i loro andamenti ; e
mi s ingombra la tefta di mille penfieri, e que-
fiti, fopra cui deftinava di confultare quefti Si-
gnori . Primieramente ;, non ho potuto mai in-
teridere., come l’acqua, che tutti gli animali fof-
foga , non faccia a quefti alcun danno . In fe
condo luogo vorrei fapere, di che campino tutti
i pefci ; e ultimamente, come facciano ( non a-
vendo, nè piè, nè indecia y nè artigli, nè trom-
ba, nè pinzo), come facciano, dico, afar viag-
gio, ed acchiappar la lor prosa è ,
Contef. Se ivoftri arzigogoli vi fuggerifcon tutt’
ora quefiti sì giudiziofi , arzigogolate pur fem-
pre ;, Cavaliere mio caro , che arriverete a fare
di belle fcoperte . Niffuna di cotefte ricerche _
ch'io
Chi TP sen Wa
ch'io fento farvi, m' era paffata mai per la men
te; ma ora fon ben curiofa d'intendere le rifpo=
fte, che vi daranno quefti Signori.
Prior. Quanto al refpiro , e quanto al nutri-
amento de’ pefci nell’ acqua , fpero di darvene qual-
che lume; ma a dichiararvi, com’ effi facciano a
« camminare, nuotare, o guizzare, firichiede una
fifica molto più fottile, e fpeculativa della mia.
Quefto è un arcano da diferarfidal Signer Conte.
M' accingo intanto 2 ripigliare a uno a uno i
fantaftici anfanamenti del noftro caro filofofo. Ec=
co, ch'io mi torno a coricarein sù la fponda dî .
quefta pila. Non fono altrimenti il Prior di Gion=
valle: mi fon trasformato nel Cavaliere del Bro-
glio. Sentite i penfieri , che mi s' aggirano per
la mente.
.Sinora :m’ è flato fatto vedere un milione di
creature viventi per tutto l’ univerfo. Ho ravvi=
fato nell’ aria un diluvio d’ animali di cento , e.
cento generazioni. Parte n° ho vedutia girare per
le campagne ; e parte a brancolare sù per la ter-
ra. Ho fcoperte delle numerofe famiglie immac-
chiate ne’ bofchi; ed altrettante intanate, o nel
fen delle foglie , o fotto la fcorza degli alberi.
Molte ne ho ritrovate per entro le crepature de’
muri; e molte nel fondo delle fpelonche, e delle
rupi. Che più ? Le Mteffe vifcere della terra fon
tutte crepolate , e abitate. Offervo però , che
tutti quefti animali, come che diverfiffimi fra di
loro, e di natura, e di genio, han purdi comu-
ne una cofa; cioè, che trovan tutti il lor refpi-
ro nell'aria, e tutti parimente lo perdono, fe un
li fommerge nell’ acqua . Ora che vuol dir que-
fto ? Sarà egli impoffibile refpirare nell’ acqua?
Nell’ acqua, dico, che abbraccia più della meta
della terra, mon regnerà un animale pai Non
mi-
/ i \
Draroco Quarto. DI
è mica vero. Anzi ve ne trovo un’ infinità ; ; ed
offervo nel tempo ifteffo, che ficcome gli anima-
ii, che vivono fopra la terra , a tuffarli fott'
acqua , perifcono ; così quelli , che vivon nell’
acqua} a portarli fopra la terra, fi muofono , non
potendofi in verun modo privare di quell’ elemen=
to, che fu loro affegnato per propria ftaaza. Ecs
co però un altro imbroglio . Io non fo intende-
re, come il lor fangue ( imperciocchè anche i pe=
fei hanno fangue ) poffa mai circolare; nè come,
al gran freddo dell’ acqua , non fi coaguli, enon
fi fagni. Gli animali, che vivon fopra laterra,
fon veftiti, o di penna, o di borra , o di lana;
- © di buone peli, che li difendono da’ rigori dell’
aria, che alcune volte fono eccefivi . Ma ne’
pelci fon trovo niuno di così fatti ripari. Or co-
me fanno a i a un elemento , ch'è ancor
più freddo dell’ aria? Rammentiamoci un poco di
ciò, che altre volte abbiam offervato nel palpeg-
giare, o nello ftar a vedere fventrar un pefce.
La prima cofa, che fi prefenti a palparlo, è una
certa mufcofità, che c' impiaftra tutta quanta la
mano. Quindi fi trova una pelle tutta ricoperta
di fquame; e prima d' arrivare alla carne, s' in-
contra un’ altra fpezie di manteca , o di lardo,
che fafcia il di lui corpo da capo a piè. lo non
capifco, nè come vi fi formila detta fquama, nè
come vi crefca, nè come vi fi confervi ; non fo
nemmeno , qual fia la cava , o la vena , onde
|. fcaturifce quella manteca, e quel moccio . Vedo
però , che la fquama , mediante la fua durezza,
el untuofità,, mediante l’antipatìa, che ha coll’
acqua , fono materie molto proporzionate a con*
fervare il calore dell’ animale, e ad agevolargli
il refpiro . In fatti non fe gli poteva dare un
mantello, che fofe ad un ora così leggiero , e
i così
da Por die £ et.
così impenetrabile . Ed ecco , che ovunque mi
volgo, per tutto ravvifo una fapienza , fempre
fecondi di nuove idee : una fapienza ; che ha
tutta la cognizione de’ materiali , che adopera,
e che li trova fempre ubbidienti , e arrendevoli
alle fue voglie , L'ad imo volte li mette in
‘opera.
Cav. M' ACCOrgo ; ch’ io fogno, e farnetico ben ‘
bene! Me ne compiaccio fra me ‘medelimo; e fo
anche conto di tontinuare .
Prior. Continuiamo pure , ch’ io ne ho piace»
re. Ma leviamoci da queita pila , e portiamoci
| col penfiero verfo le fpiagge del mare . Piantia-
moci in fulla cima di un’ alta rupe , per aver
campo di rimirare alla larga quello ditmifurato
piliere fabbricato per man d' Iddio . Le acque fal-
fe, ch’ egli contiene , debbon eflere molto fieri-
li: o s' elleno appreftano qualche pafcolo a gli.
animali, che vi dimorano, le carni di quefti ani-
mali non pofion effere , nè fuftanziofe , nè atte
a nutrirci. Ma no; che la parola di Dio non è
vana . Egli non avrebbe accordata all’ uomo la
facoltà di cibarfi de’ pefci del mare, al*par degli
animali di quefta terra, fe i peici non fofler at-
ti a nutrirlo, Oltre di che vedo la una fucinata
di barche pefcherecce ffaccarfi da tutte. le sive
circonvicine, per andar a raccorre i faporiti frut-
ti del mare ; ed altrettante tornar al lido piene
zeppe di vettovaglie, non meno varie , che dili-
cate. Oh! quìsì, che mi fi raddoppia la maravi»
glia. L'uomo ha tentate tutte le vie, per difla-
lare l’ acqua marina , e per ridurla in iftato di
poterfene prevalere nelle lunghe navigazioni, ove
non trovafi da dare a terra , e gli è ancor riu-
fcito di fcemarle la 'fua falfedine; ma ciò non
oftante ella non è buona a bere . L’ acqua del
ma
” Diatec QuaRto. 9
mare (a) attrae dal terreno, cui inonda, de’ ni
tri, e de bitumi, che in agitandoli perpetuamen-
te ‘'infieme con ella, s'infinuano, e s' racorpara”
no di sì fatta manîerà nelle di lei ‘particell e, che,
nea feltrarla , ne a Rilarla , nè a modificarla
‘come che fia , s'è ancor potuto venite a capo di
levarle la fua amarezza. E pure ( ch'il eredereb>
be? ) in quel’ acqua sì difguftofa al palato , sì
«naufeante allo fomaco, Iddio ingraffa, e purifi-
ca le carni de’ pefci i che preferifconfi da’ golofi
agli uccellami più faporiti. Quefte, a dir vero;
se fono
(a) Quanto al bitume del mare; non abbiam volu-
to dipartirci dal fentimento comune degli altri Filo-
| fofi, per non fare una troppo lunga difsreffione . Del
| relto, è molto più verifimile, che quel bitume, edolio-
fità, ‘ond’ è incorporata tutta la maffa dell’acqua ma-
rina, vi fia ftata diffeminata findal principio; accioc-
ché foffe, in un coll’ acqua, e col faie, una perpetua
materia d’efalazioni. Le particelle del fale affottiglia-
to, € le ramificazioni del? olio attenuato non vi fi
fcorgono; ma però vi fono: e raccozzandofi maggiot-
‘mente nelle. piante, e negli animalìi, vi cagionano,
per mezzo de’ lor mifcugli quel fapore, e quell’ odore,
che vi fi fente. L'acqua, che poile difcioglie, le traf-
porta di nuovo nella gran pila del mare , per comin-
ciar da capo la {tela circolazione.
Spiegazione della Figura.
A. La paffera<
B. Il rombo.
C. Lo fquadro,
D. La fogliola,
«E. Il baccalà.
. F. Il pefce ragno, ch è una fpezie di razza, armata
) d’una coda terribile.
G. La razza-
H. Il granchio.
1. Il granciporro.
L. Il gambero, o fquilla.
M. Il Coccodrillo,
N. La tartaruga.
sl IP a a.
fon cofe , che fembrano a prima giunta incredi=
bili; ma fon sì certe, ch'io non le poffo in ve-
run conto negare . Il perchè , dovunque mi ri-
volto ( o fia in materia. di religione, o fiainor-
dine alla medefima fifica) per tutto offervo, che
lddio m'obbliga a credere per infallibile ciò, ch
egli non giudica bene di farmi intendere ; e che
contento di palefarmi l’ efiftenza, e la realtà del-
le maravigliofe fue opere, richiede da me un cie-
co facrifizio dell’ intelletto in ordine a tutto ’l re-
fto; nè vuol , ch’ io prelfuma d’ inveftigarne la
matura, nè l’artifizio.
Profeguiamo di grazia a fcorrere la marina; ed
accoftiamoci a qualcheduno di quefti pefcatori,
per veder la fua preda . In un elemento , dove
non nafce nulla, gli abitatori non ‘poffon eflere,
nè troppo numerofi, nè troppo fecondi . Ma oh
Dio! Quì pure mi perdo. Quì pur la ragione fi
trova in contrafto coll’ efperienza. Ecco qua, cen-
tr’ ogni mia afpettazione, una mano di pefcato-
ri, che mi prefentan dinanzi un formicolajo di
relline, di gamberi, di granchi, e di grancevole
crafmilurate con monti d'oftriche d’ un candore 15
e d'una graffezza, ch’ eccitan l’ appetito . Ec-
cone pur degli altri, che tiran fuori delle lor re
ti, e mi parano avanti a gli occhi con compia-
cenza e rombi, e {quadri , e tagni,.€ pafieto,
e paflerini, ed ogni forta di pefce piatto, e bi-
itondo , la cui carne è sì flimata , e preziofa .
Vedo da un’altra banda una flotta intera di bar-
che, che tornan cariche di vive aringhe . Quetfta
appunto ne’ noftri mari è la loro flagione ( Rui,
Theatr. anim.T. 1.) . In altri tempi vedrei, in
vece d’ aringhe, de’ nafelli, o merluzzi; i quali
verrebbono a. prefentarfi fpontaneamente sù le
frontiere de’ noftri lidi in tanta copia, chela lor
Per,
emfevare
Diaroco Quarto. |
‘pefca d'un giorno folo varrebbe a faziare , e
rovvedere baitevolmente le intere Provincie . Non
par poffibile , che il mar contenga tanti tefori,
quanti ne infanta . A primavera fi vedono in
marcia delle legioni di barbj , e di porcellettes
che principiano ad imboccare ne’ fiumi . Le'chep-
pie prendono anch’ cile la fieffa via, per purga-
re le loro carni nell’ acqua dolce . 1 fermoni:fi
metton pure in viaggio , e' profeguono ‘a ralle- .
. grtare colle lor vifite i pefcatori , da feffanta, o
‘ottanta leghe lontani dal mare, fin a tutto Lu=
glio paffato. Ogni nuova ftagione ci porta nuo-
ve delizie, fenza privarci delle ordinarie ; confi-
fienti in lamprede, in aguglie, in barbj, in tri-
glie, in tonni, in orate (4), inmerluzzi, info-
gliole, in'razze, ed in altri infiniti , che forni»
fcon le tavole, ed appagano il guflo di chicche-
fia in ogni tempo. Oh Dio! Quanta dilicatezza ,
“e quanta dovizia fi trova mai nel feno di quefio
ricco elemento! Ma che? Quefta tanta dilicatez-
za torrà per avventura ogni fperanza di provve-
derfene a chi è povero di facoltà; e quefta tan-
ta abbondanza farà cagione, che, fe non tutti,
almen la più parte vadano a male, prima di po-
terli contumare. Nulla meno. Un poco di fale
rimedia all'uno, e all’altro difordine. Vedo la î
| noftri petcatori tutti applicati ‘ad imbottare le
loro aringhe falate, per ifpedirle ne” più remoti
(— paeft. Vedo altresì fpuntar da alto mare una fu-
| cinata di groli vafcelli, che ci portanda Terra-
«nova ( che vale a dire da mille leghe lontan di
| qua ) un diluvio di grofiffimi baccalà , aficura-
ti collo fiefflo prefervativo. Ed ecco, che il ma-
| re non contento di compartirci le fue ricchezze,
Tomo II. G ci
#CaY)t Tonni, e le Orate fon pefci più tomuni nel
mar mediterraneo , che altrove. Bello, de aquatitib.
68. I... db dalia
Fi SE ; r Ci ° ) ‘n 26 e. CA
gi dona da vantaggio anche il fale, la cui virtù
te ne facilita la comunicazione , e ce ne afficu=
ra il trafporto. Per quello mezzo anche il pove-
ro, benche diftante dalla marina; partecipa delle
fue grazie, e ne partecipa con poca fpefa. Ah!
ch io non trovo éfpreffioni ; che vagliano 2 di-
chiarare la mia maraviglia , e gl’ interni fenti»
menti della mia gratitudine. In quetta liberalità
de! mare ravvifo una nuova finezza ; per cui la
trovo vie più pregiabile in se medefma ; e più
benefica verfo di noi. 1 peici , la cui carne è
più ifana ; e più confacevole al noflro flomaco, .
fono fecondi all eccetio ; e quelli, cne fon meri
fani; o che non s' attagliano aÌ noftro tempera»
mento, 0 che mediante la lor mofiruofa natura ;
metton timore a’ primieri ; fon quafi tutti vivi-
pari , ch' è quanto dire; mettono al mondo i
lor parti begli e formati; e monne infantano più
d'uno, o di due alla volta. Tali fon le balene;
i delfini, i porci, ed i vitelli marini. Ma quels
la fteffa fapienza; che ha regolata con tanto fens
no la loro fecondità , tien lontani da’ noftri li-
di tutti que’ pefci, di cui poffiamo comeodamens
te far fenza ; e conduce nelle noftre reti ( per
non dire nelle nofire mani ) quei , che ci fan di
bifogno. |
Le balene , le foche ; e tutti i pefci moftruos
fi > il cui afpetto fpaventerebbe , e porrebbe in
ifcompiglio quegli altri; onde noi ci nutriamo;
fi buttano in alto mare, per paura di non arre»
nar fulle fpiagge , dove lia bafiezza dell’ acque
non farebbe valevole a foftenere lo fmifurato lor
corpo. Una mano invifibile li fofpigne verfo le
parti difabitate da gli altri; e li provvede d' un
pafcelo , fin ora ignoto, cola nel mar gelato del
Nord ; o ne’ golfi confinanti alle ‘Piagge. della
(4 Sad
di DiiLoco Quarto. 39
‘Terra-verde ( La Groenlandia ) inviandoli a quélé
la volta per riftoro di que’ mefchini, cui non ha
cuor di lafciare in un totale abbandono : EM fi
cibano delie lor carni ; bevono il lor gtaflo dis.
ftrutto ; e fi fervono delle lor offa., e delle lof
pelli per fabbricare ; e rabberciate le peflcherecs
cie lor barche: IRR si
Ma le altre fpezie di pefci vengono tutte 2
{chierarfi in fulle fpiagge de’ nofri mari . Alcu-
ne tornano ogni anno a farvi la caravana . Si fa
«il teapo dei lor paffaggio ; fi fa la firada; cui
tengono ; e fi fa ancor prevalerfi della notizia +
| Dai paflaggio delle aringhe, e de’ baccalà fi può
| formar giudizio delle caravane di tutti gli altri.
La capitale della nazion dell’ atinghe può dirfi;
‘che fia in quel feno dî mare, ch'è fituato frala
punta di Scozia, fra la Norvegia, ela Danimar-
ca. Di la fi fa ogni anno un diltaccamento di
‘colonie Darefi, le quali imboccando in varie ri-
prefe nel canal della Manica , dopo aver rafens
tata l'Ollanda, e la Fiandra , vengono a calaté
nella Neuftria. Quefte però non fon mafnade di
corfari; che vadan bordeggiando ora qua; e ora
la a capriccio . La loro marcia 8° imprende ogni.
‘anno con un ordine regolatiffimo . Il tempo del=
la partenza è già fifo; e cade appunto tra "1 me-
fe di Giugno; e d’ Agofto . La ftrada, che han,
‘da tenere, è prefcritta; e la regola della lor mare
‘cia è pretiffa. Non v'è privilegiati, non fuggiti»
vi; non defertori. Profeguono tutte d° accordo il
loro viaggio fin al termine deftinato . Il popolo
è numerofo ; ed il cammino è ben lungo . Ma
‘paffato , che fia il groffo dell’ armata ; è finita
tutto : non fe ne vede più una fin all anno fes
«guente . V° è chi ha cercato di rinvenir la ca-
(gione, per cui l’ aringhe fi compiacciano di viag?
I G z gia=
i {ele -, dl Pi eee Vis
giare, ed il motivo di quefta politica .. I nofrf:
aU
n
NI
Ù
tI
4
ù
pefcarori, e quelli pure d' Ollanda, hanno offer=
vato , che lungo il canal della Manica alligna |
‘un'infinità di vermetti; e di piccoli pefciolini, di
cui le aringhe fon molto ghiotte ( Leeuwenboek
x
Ep. Phy/.'"42.). Quefta è una manna, cui vengo-
no fedelmente a raccorre, fenza preterire giam-
SA
mai. Dopo aver raccolto -tutto ; tra. per la fta-
te, e l'autunno, verfo le parti Settentrionali d°.
Furopa, s incamminano alla volta di mezzo gior-.
no, trovando allora colà nuovi pafcoli. Se a ca-
fo non ve ne trovano, vanno a bufcarfi altrove
îl lor vitto . Allora il lor paflaggio termina più
a buon ora, e la pefca è mefchina.
I baccalà non frequentano troppo le nofire ma-
fine. La lor raffegua generale fi fa a Terranuo=
v2: cola tutti quanti paffan la banca; cola ten-
. ( Pia b) È
gono la lor refidenza , ed. il concorio de medefi-
mi vi è sì grande ( Savaris Diction. de comm.)
- che i pefcatori quivi adunati da tutte le bande
pon fann' altro , che gettar la canna , e tirarla
sù; fveetrare il baccalà gia prefo, ed attaccarne
all’ amo gl’ interiori, per prenderne un altro.
Un uomo folo è capace da pigliarne da trecen=
to, 0 quattrocento in un giorno. Dopo aver ri-
finito tutto il pefce , che ve gli aveva adefca-
tic, fi sbaragliano in qua , e 'nla; e vanno 2
far guerra a’ merluzzi., di cui fono molto golofi
( Leenwenbock ib. ). 1 merluzzi fi danno alla fu-
ga: i baccalà li perfeguitano ; € quefta fuga de-
gli uni , e caccia degli altri fa sù, che i primi
vengano a vifitare bene fpeffo le fpiagge de’ no-
Ari mari.
A propofito di quefta guerra , mi fovviene d'
aver 'intelo , che tutte l' altre fpezie de' pefci fil
mimicano , e fi divorano fra di loro . La foglio=
1% la,
n;
\
Di \
i Diaroco Quarto. 16680
ta, colla più parte de’ pefci ‘piatti, s' afconde fra
la belletta ( il cui colore imita appunto quello
della fua fchiena ) e Ii fta offervando con atten-
zione , dove le femmine de’ pefci groffi fanno. il
I lor nidio , ‘per ivi deporre le proprie uova ; €
| quando î mafchi fon già venuti a collocarvi i lor
latti per fecondarle , {cappa fuora dell’ imbofca-
‘ta, & s' avventa a quel dilicato alimento , che
dà alla. medefima una graffezza, ed unfapor pre-
libato .! Le fogliolette novelle fervon pur effe di
cibo a’ granciporri : e ficcome le medefime non
ceffano mai di rivoltar la ghiaja , per cercare
dell’uova di pefcij così non v ha, nè granchio,
nè gambero, a cui non fervan di pafcolo; nè fe
n’ apre quafi neffuno, che non gli fi trovi in cor-
po una piccola foglioletta , fe non due. Dubito
parimente, non le fquille, che fi trovano bell’. e
vive dentro le orecchie delle telline , o pidocchi
‘di mare , accorgendofi della propria imbecillità +
“proccurino di falvarfi la dentro dal dente degli
altri pefci voraci. | S
Del retto tutti quanti ( dal più groffo fino al
più piccolo) ffanno fempre in azione, ed inguer-
ra. Non vi fi vede altro, che trappole, che fu-
ghe, che agguati, che aflalti. Si depredano fra
di loro; fi divorano l’un coll’ altro fenza vergo-
«gna, e fenzaritegno. Inuna parola, i pefci fans
“come gli uomini ; nè fo perchè. non vi fia fiato
“a quell'ora chi abbia tentato d’ attribuire anche
a loro l’ ufo della ragione. Ma ora mi viene un
| penfiero di più importanza . Se i pefci lan fem-=
pre alla pofta , per divorarfi fcambievoimente L
uova, ed i latti, e per mangiarfi l' uno coll’ al-
‘tro, non andrà guari, chel’ eiemento dell'acqua
refterà fenza pefci : anzi dovrebbe efferne rima-
fo fpopolato già da gran tempo. I pefci piccoli,
| fai t3 ves
bd m-
AI
N
|
roz PR: ostato |
venendo di mano in mano: mangiati da' groffi;.
avrebbon dovuto venir a fine ; ed i groffi , non,
trovando di che cibarfi , morirfi tutti di fame.
Ma oh quanto fon frivole le cenfure, che |’ uo.
mo ofa fare fu le operazioni di Dio ! Egli ha.
preveduto , e rimediato a un così fatto difordi=
ne; prima col preftare a gli unila forza , e agli
altri la deftrezza , e l'aftuzia ; e poi col multi»
plicarli tutti in una maniera sì portentofa ( Di-
chiaraz. dell’ op. de' (ei giorni ) , che la loro fe-
condità fupera l’ ardor naturale di divorarfi ; e
così la quantità , che fe ne confuma , è fempre.
minore di quella , che fi rinnuova per ufo no-
firo . Per quanto grande fia il numero dei bac-
cala, che fi fon confumati in queft' anno da gli.
uomini, o divoratiin mare dagli altri pefci; tut=
tavia ve ne refta più del bifogno, per averne al-
trettanti un altr’ anno, e gli altri appreflo . Ec-
cone la riprova . Allorchè mi portai a vedere il
porto di Dieppe , mi fu prefentato un belliffimo
baccalà bell’ e vivo ; ma molto più piccolo di.
quelli, che ci vengono di Terranuova. Mi ven-
ne curiofità di contare quante uova tenefle in
corpo. Ne pefai una dramma , € ci mifimo in
tre perfone ad annoverare la quantità , che con-
renevaii in queta dramma ( Leeuwenboek Ep. Ph.
10.). Pofcia unimmo infieme i tre calcoli , e fi
fermò la tomma, a cui afcendevano. Succefliva=
mente fi pesò tutta la maifa dell’ uova , la qua-
le pefava ott’ oncie . Multiplicammo dunque lg
prima fomma per otto ( poichè otto dramme.
fanno il valore d’ un’ oncia ) ; e dall’ addizione
di tutte quefte fomme fi fece il computo, che la
maffa dell’ uova fommate afcendeva a nove mi-
lioni, e trecento quaranta quattro mila.
© Contef. Signor Priore, non mi farò a dicem
po SS | n'e
I
I DraLoco Quarto. 1030
‘Fare co’ voftri conti. €Eredo benifimo ciò } chè
voi dite; quantunque la cofa a prima fronte paja
incredibile. Un carpione ordinario non porta a un
| pezzo tante uova ; quante ne porta un groflo
baccala. Ciò nonoftante la lor quantita è sì ec-
ceffiva (anche a dar loro un'occhiata così alla
groffa ) che il voftro calcolo non ha punto dell’
| inverilimile . Quefto voftro farneticare mi piace
molto: mi vien fantafia d’imitarlo ; cioè a dire
di filofofare. Volendofi bene fcrutinare il motivo,
e il difegno di quefta sì prodigiofa fecondità , fi
vede chiaramente, ch’ella non è deftinata a for-
nire i fiumi , ed il mare di tanti pefci, quante
fon l’uova: altramente quefta immenfa pefchiera
non farebbe, cred’io, capace di contenerli . Bi-
-fogra dire , ch'ella tenda a due beni : cioè ; a
confervare ciaicuna fpezie , per qualunque acci-
dente, che pofia nafcere; ed a fomminiftrare un
nutrimento abbondevole, e iuftanziofo al pefce ,
che vive. P
Cav. Vedo prefentemente una parte di ajuti ,
che contribuitcono a fare, che il pefce pofia vi»
vere, e foftentarfi nell’ acqua . Vi vedo un’ infi-
nità di vermi, di conchiglie , d'uova, di latti,
e di pefciuoli minuti ; ficche non mi metto più in
pena del fornimento della lor tavola. Le loro pie-
tanze fon lefie. Ma quefte fiele pietanze s’afcone
dono , e tuggon loro dinanzi ; e i pefci intanto
non hanno altro, che una tefta, un corpo gre-
‘ve, che non può muoverii , ed una coda. Con
quetti pochi ordigni, come fanno mai a trafpor-
tarfi da unfito all’altro; a nuotare, a calare 4
fondo, € a rimontare sù in alto ? Ma écco un’
altra cofa, ch'io non intendo, Prima di gettare
l'ultimo carpione nell’ acqua, tirai fuora le mie
cefoje , € mi preli gufio di ragliargli le pinne .
G 4 Sup»
$04 TT, Prede det
Suppofi , ch egli non poteffe altramente nuotaré fo ©
ma vedo beniflimo , ch’ egli nuota ;, e che fale i
e fcende al par degli altri ; fe non che va fem» |
pre.a orza, O a pancia all'aria; imp iagy, altri
nuotano tutti boccone. |
- Contef. Il povero Cavaliere non avrà , nè po»
fa, nè quiete, fe voi non gli fpiegate tutti que= |
fi enigmi.
Cont. Sentite, com’ io m' immagino ; che poffa
andar la faccenda. Siccome la tefta di tutti i pe»
ici è alquanto affilata; così è capacifima di at=
traveifare un corpo fluido . La coda poi , coll
a)uto de fuoi mufcoli può ripiegarfi; e ritoreerfi
in mille modi . Ella è fortifima, ed agilifima è
fi piega, per modo d'efempio , da deftra a fini»
ftra, Pradirizzango”, come prima , foipigne l’ac=
qua, che l’è di dietro : fi rivolta tantofto dalla
finifira alla deftra, € per mezzo di queffe fpinte
alternate, che dà inquelfiuido, porta avanti la
telia con tutto il fuo corpo molto meglio ; che
non-fa.un remo , il qual fia legato ella forcella ©
d'un battello; e che lavorando ora a deftra, ed.
ora a fipiftra fpin ga avanti la barca. Le pinne,
o alette, che flan fotto il ventre del pelce, «aju-
tano pure, come che ha, a reg Parali, 2)
portar avanti il fuo corpo; e a Hienieaee
arrefiario, allorchè le tien diftefe, edoziote. Ma
la funzione più principale di quefle pinne confifte
nel dirigere, e regolare il moto del di lui corpo,
tenendoio fempre in equilibrio; di modo che ado=
peiandoii dall’ animale le pinne del lato defîro ,
ed appoggiando fulcorpo quelle del finifiro, tut-
to il moto fi determina ver la finiftra; come una
barchetta a due remi, fe cefia l'agitazione d'un
remo, la barca pende tantoffo da quella banda,
onde il remo nons impunta nell’ acqua. Toglie»
te
Diatoco6 QuarRTO, 109
re 4° pefci le pinne; eccoli fubito piegar adorza $
od a poggia, o veramente voltarfi a pancia all’
arià , ftante che il dorfo , ch'è più pefante del
‘ventre, fa loro perdere l’ equilibrio: come fuece=
de nel ‘pelce morto , che torna a galla colle pin»
ne rivolte verfo il Cielo.
. Cav. Signore, mi par di capire baftevolmentes
come la coda del pefce, nel piegarfi, e nel rad=
drizzarfi, fofpigne l'acqua , or a poggia, e ora
a orza; e che in cotal guifa fi porta avanti. Ma
quetta coda, efflendo graciliffima , non può aver
forza di {pigner l'acqua allo’nsù; nè allo’ngiù,
Il perchè non arrivo a comprendere, come il pe=
{ce pofia falire, e fcendere a fuo piacere. sù
Cont. Aveva gia preveduta la voftra difficoltà $
ed eccovi la foluzione quì in quefta carta . Co-
nofcete voi, che cofa fia quefta roba? .
Cav. Non vi vuol mica le fcale di feta pet arri»
vare aconofcerla. Ella è una vefcica di carpione .
Cont. Or bene: tutti quali i pefci fon corredati
d'una sì fatta vefcica, o d'altro ordigno confimi-
le. Ella ffa efpofla agli occhi d’ognuno ; ma il
nome , che le viendato, è molto equivoco; e l°
ufo, che ne fa il pefce, ben differente da quel,
che. (i crede (Borell. de mot. anim.). Quefta pre
tela velcica è una boccetta ripiena d’aria; ed a
mifura che il pefce la gonfia , o la sgonfia 30
monta in alto, o cala abbafio.
La cofa non è punto difficile a capirfi. Ogni
poco d'attenzione, che voi vi ponghiate, baffterà a
capacitarvene ( Tranfaît. philojoph. n.114. 115.)
Primieramente tenete per principio infallibile , e
| comprovato non men dalla fperienza , che dalla ra»
gione, che un corpo. fempre galleggia fopra dell’
acqua, quando non è più grave di quel volume
d'acqua, il cui polte egl'ingombra . Se una ta=
vola,
Ù
\
106 T° Por 904 |
wola, che abbia un piè di larghezza, e undilun=
ghezza, con due dita di profondità , fi trovi ugua=
le di pefo ad altrettanta eftenfione d' acqua , la.
fuperficie di quefta tavola ftara fempre a fior d’
acqua . Se poi la tavola fia una volta men pe-
fante, che una ftefla mifura d’ acqua, la tavola
reftera mezza fott' acqua , e mezza fopra : e fe
all'incontro, la tavola mediante la fua fpeffezza
fia più pefante d'una mole confimile d’acqua; la
detta tavola’ anderà a fondo,
In fecondo luogo , convien fupporre per cofa
certa, che uncorpo tanto è più pefante, quanto
men porofe fon le fue parti, e quanto mend’aria.
contiene in sè : così pure un corpo tanto è più
leggiero, quanto è più porofo, e quanto più d’aria
racchiude dentro fe telo. Laonde una boccia ri-
piena -di qualche liquore affonda fempre nell’ ac-
qua; perchè il pefo della medefima boccia unito
al pefo del liquore in lei contenuto gravita mol-
to più, che non fa l’eftenfione dell’ acqua , che
ingombrava quel medefimo fpazio. Ma fe. la boc-
cia predetta fia piena d’aria, galleggia fopra dell
acqua; perché il compleflo dell’ aria, e della boc-
cia pefa meno di quella dofe d'acqua, la cui e-
fteniione egli ingombra . In una parola, ogni cor-
po va a fondo, quando non trova in una quan-
tita d’acqua confimile alla fua eftenfione tanto
pelo, quanto n’ ha egli. I
Or ciò fuppoflto, il corpo del pefce , ch'è più
pefante d' una dofe d’ acqua confimile alla fua
eftenfione , dovrebbe neceflariamente affondarii ,
nè potrebbe in effetto far altro, che andar car-
pone, © ftrafcinarfi, come le ferpi, sù perl’are=
na, s egli nog avefle nelle fue vifcere un vafo ri-
pieno d° aria , che il fofteneffe in quella linea ,
o fito d’acqua, in cui fi vuol reggere .. Quella
( boc=
DiaLogo Quarto, 107
boccetta lo gonfia alquanto , e lo fa crefcer di
mole, fenza aggiugnerli punto di pefo : il che bi»
fogna oilervare . Per quefto mezzo il detto pefce
ingombra ‘uno fpazio maggiore di quello ne ingom:
brerebbe fenza la fuppofta boccetta; e così viene
a metterfì in equilibrio colla matîa dell acqua , il
gui pofto egli occupa. Sicchè, fe il pefce, fenza
la boccetta, pefaffe fedici once; e l’acqua, ilcui
pofto egli ingombra, non ne pefafle fe non quin=
dici , il pefce dovrebbe a viva forza affondarfi .
Ma fe dentro al medefimo pefce voi ponete una
boccetta piena d’aria, la quale non aggiunga nien-
te alfuo pelo, ma folamente lo gonfi, e l’ingrof=
fi; eccoti, ch’ egli occupa col fuo medefimo corpo
uno fpazio maggiore di prima; edecco , che fe 1°
acqua, nel cui pofto fitrova, arriva in tal cafo
a pelar fedici once, egli fla con quefta libbra° di
più in un perfetto equilibrio coll’ acqua; ed al-
lora potrà ioflenerfì in qualunque fito , ch’ egli
fi trova.
Cav. Tutto quefto va bene fin quì . Il pefce —
può nuotare, e può tenerfi altresì, in camminan-
do, fur una ftefia linea . Ma io non vedo però,
com’ egli poffa falire, e difcendere.
Cont. Se il peice foife padrone di gonfiare , e
ingrofiare la fua boccetta, quant’egli vuole, che
ne ieguirebbe ? Penfateci un poco.
Cav. Allora fi farebbe più groffo, fenza pefar
più di prima. Ah ah! Sono a fegno , Signore .
Occupando in tal guifa una. mole d’ acqua mag-
giore di prima , verrebbe a eflere più leggiero di
| quell dCqQua; e COSÌ... i.
Cont. Ci vuol tanto a conchiudere? S'egli è più
leggiero, verrà fubito a galla. E feil pefce fgon»
fia la fua bottiglia , che ne avverrà?
Cav. Si ne più piccolo : occuperà manco fpa=
Do; zio
208 ab Bali ae
zio di prima; e refterà dello fteflo pelo. Così fan.
rà più greve di quella mole d’acqua, ilcui pofto
ora egli occupa; e per confeguenza ‘anderà a fon=
do. Ma, Signore; non fo vedere alcuna ragione,
per cui un pelce pofla a ogni momento firignere,
ed allargare la fua boccetta ; fecondo il bifogno,
ch’ egli ha, di fcendere, e di falire.
Cont. E pur fa così. Quefto è un fatto già com=
provato da molte , e molte incontrafiabili offer=
vazioni. i Rr,
Cav. Se il pefce fi fta nell alone ,, come. può
avere dell’aria al fuo comando?
Cont. L'acqua è tutta piena di patrigello d'aria,
diffeminatevi per ogni parte. Quella, che voigar-
mente fi dice orecchia del pefce , è una fpezi È di
polmone , o di trachea, che da lui s apre, pro-
‘babilmente per provvederfi di aria ; effendo tab-
bricata con tal fimmetria, che forfe è capace di
ricevere l’aria fola; fenza dell’acqua, come che
apprefti fempre l’alcita all’ aria fuperflua , che io
rigonfia, quando fe ne vuole difcaricare. L’ aria
dunque trapafla. per quefto mezzo nella boccetta ;
e lo folleva sù in alto. Il pefce riftrigne la iua
bocca, e l’aria rifaglie fin alle orecchie, e vien
fuora . Così lo fieffo pefce fi fgontia ; ed a mi-
fura del fuo maggiore, o minore fgonfiarfi, più,
o meno difcende . Bifogna però confefiare, che,
quantunque da più, e più fatti appariica , che il
pefce può refpirare, e ricevere in sè alcunebolle
d’aria, e fuccefivamente gettarle fuori; ciò non
oftante quell’ aria non è così facile ad introdurfi
nell’ accennata vefcica, nè lo può fare con tanta.
prontezza. Il perchè crederei , che i mufcoli del
medefimo pefce contribuifero per lo più a farla
gonfiare, e fgonfiare. Dilatandofi i mufcoli, l'a-
ria, per lo fuo naturale claterio , fi dilata nt
Ca ;
DiriLoeo Quarto: rod |
ella, e sì la boccia figonfia. Riftrignendofi que»
fili Miuicali it Ro fi sg i se la boccerta:
fi fgonna o è
Cav. Ciò, che il Signor Conte' ne ‘Hibe y' mi rice
fce nuovo; ma nèh dubito punto, che le fue af-
ferzioni non fiano tutte autenticate dalla fperiehe
za. Conturtociò ho difegnato di chiarirmene da’
me flteflo, con far forare dal cuoco la vefcica d'
un di quefti carpioni , e levargl® l’aria . Il car-
pione non morirà così fubito ; ed allora fi vedrà,
s' eva a fondo. I
Cont: ‘Farete bane. Non poflo primati, quan
to' piacere mi diano que’ giovani, clie fi ftudiano
di fare a buon’ora dell’ efperienze, e delle ofier-
vazioni. Quefta è la vera maniera di formar del-
‘ le cole un retto giudizio; e fpezialmente in ma-
teria di filofofia, dovenon v' ha mezzo più ficu-
10, che vederle cogli occhi propij . Ma quefta
efperienza , che voi "difegnate di fare , ‘l’ ho' pià
fatta un’altra volta per me medefimo . Avrete
veduto nel mio ftudio. una macchina, cre volgar-
mente fi chiama ia Macchina delBoile, la quale
ferve a levar l’aria di dentro il vafe di ‘criftallo,
od altra forte di recipienti‘, ond’ ella fi copre .
Vi pofi un giorno un carpione vivo . Attratta
per mezzo d’ uno ftantuffo., e levata via tutta
l aria dalla campana, ov'era ilcarpione, m'im-
maginai, che quella porzione, ch’ era cimafa nel-
la velcica deldetto pefce , ‘dovelle. dilatarfi. Con-
cioffiachè |’ aria è un fluido , che cerca fempre
di allargarfi, nèv' era alcun corpo efteriore, che
la potefle comprimere . Il fatto andò , come io
avea divifato. L'aria fidilatò, e la vefcica fece
gonfiare di tal maniera il carpione, che gli oc-
chi gli fchizzavano fuor della tefta; e alla perfi-
ne la detta vefcica gli crepò in corpo . Il peice.
| i non
iso Î Poe s ci.
non morì mica. Lo ripofi ben toflo nell'acqua?
e mi campò ancora un mefe. O
Cav. Cotefto carpione non dovette certamente
venir più a galla.
Cont. No certo: reftò nel fonlo dell’ aqua, do<
ve andava tependo; e ftrifciando, come una bi-
fcia ( Borell. de inot. anim. propof. 209. Pbilof. Tran»
Saf. abrig'd by Lowihorp. T.2.p.845.)
Contef. Cotefta boccetta ; o vefcica produce
degli effetti veramente maravagliofi . Bifogna pe-
iò , che i voftri pefci fian molto bravi filofofi ;
mentre fanno a puntino, quanto debbon gonfiar-
la, o fgonfiarla , per poter falire ; e difcendere
quanto bilogna; per aprire s @ ferrare a propo-
fito la fontanella dell’ aria; e per allentare, e ffis
rare i lor mufcoli, a mifura che vogliono folle=
varfi; o abbaflatfi siell’acqua 4
Cont. Il noftro raziocinio dee fempre cedere all’
efperienza. Ma ciò, che bafta a rifolvere la pre
fente difficoltà , è il confiderare, che i pefci fans
no tutte quefte operazioni, fenza faperlo. Oltre
di che la maniera sì efatta , con cui le efegui-
fcono;, moftra chiaramente ; che in tutta quefta
faccenda non ha alcuna parte, nè la cognizione;
nè l'accortezza dell’ animale; ma che dipendono
unicamente dall’ ineffabil Capienza di quell’ artefice
onnipotente, che ha create tutte le cofe .
Prior. Gli uomini pure, che fon dotati da Dio
dell’ ufo della ragione, pet poter regolare le pro=
prie azioni, quante cofè giornalmente fann' egli<
«no, a cui non danno per parte loro veruna mas
no ? Noi refpiriamo ; non ch’ altro, fenza fapére;
nè la firuttura ; né l’ufo de noftri polmoni . E
chi fa, quanti non fi fognano nemmeno d’ averli ?
Cont. Noi pure faltiamo , eballiamo, e andiami
facendo delle Nena ; de balanzè ; de' pafli di
nec
|
Bikkote cita iii
sménilet , o di rigadon, fenza fapere , nè itendini;
che ne conviene fara s Hei mufcali , cui dobs
biamo!, o gonfiare , 0 allentare , per far quelta
paio, o pur quello °
Contef. To non mi fento di difputare : Quefto
è un mefliere, che ha dell’ odiofo. Ma, Signeri ;
compiacetevi almeno di dichiararmi una cofa, la
quale mi pare; che non s' accordi con ciò , che
avete detto finora. Poffo metterci pur la bocca; ;
perchè quefte fon cofe , che mi cadono tutto 11
dì iotto gli. occhi . Chi ha mai vilto una fimil,
boccetta ne’ gamberi , che albergan nell’ acqua ?
Chi l'ha trovata ne’ granchi, e nelle teffuggini ;
the vanno, e vengono liberamente in quefto ele»
mento î lo per me non credo ; che fia poffibile
ravvifarla; nè pur nelle fogliole; nè nelle pafles
té, nè in ‘qualunque altra forta di pefce piatto +
Cont. Non occotre ne men cercarvela. Cotelte
tazze di pefci non l'hanno , nè lor fa d’uopo |
averla ( Lowsbors1ib.). I gamberi d’acqua dolce ;
: le oftricne, le grancevole ; e le locufte , ficcome
ancora le fogliole , con gli altri pefci piatti, ftans
no quafi iempre nel fondo dell’acqua ( Ronde/. li
1.6.10.). Tuttavia ficcome il pefo del corpo los
ro non eccede gran fatto il pelo d’ altrettanta mos
le d’ acqua ; così nuotano qualche poco , ancore
chè non abbiano la predetta velcica . Così pure
latartaruga; per mezzo de’ fuoi polmoni può im:
pregnarfi d’ aria, e gonfiatfi ; e in cotal guifa
metterfi in equilibrio coll’ acqua, come fan le ran»
nocchie. Quefti animali; e con effi tutti gli ans
fibj poffon mettere in opera le lorozampe, e ora
fpignendole; or ritirandole a sè , navigare . Del
. reito fi contentano per lo più di andar carpone &
Cav. Egli è veriffimo ; ed in prova di ciò ef=
fervo, che quefte teftuggini, che fon quì dentro;
Ù dove
0 TTIPE Sedi
dove ho, pofto il mio pefce , non nuotano mai 5
ma fempre brancolano, come i rettili , tanto in
terra , quanto in acqua . Le vedo falire sù per
una tavola dal fondo di quefta pila; venir a fpaf=
feggiare sù per l’erbetta, che loro è d’ intorno ;
e poi tornarfene lemme lemme nell’ acqua. Que-
fto animale è un anfibio tutto diverfo da gli al-
tri. Di grazia , Signor Conte , additatecene al-
men di paffaggio, tutte le fpezie; onde fi ritrae
qualche vantaggio diflinto. Moftrateci, per mo? |
do d' efempio, fe quefte fono di quella razza, del
la cui crofta fl forman le tabacchiere , e gli a-
flucci .
Cont. Potrebbon danni beniffimo; ma fon trop-
po piccole, e troppo ordinarie. Ve n'ha di tre, o
quattro forte . Le più ftimate però fon due ; le
gorime fi chiaman comunemente teftuggini; l’ altre
tartarughe. La fcorza della teftluggine non è trop-
po bella ; ma la di lei’carne , e le di.lei uova:
fon molto preziofe ; e firicercano a più potere da”.
marinari, che non trovano miglior riftoro , nè
medicina più efficace nelle lor malattie, quando |
son trovan da dare a terra. Una fola teftuggine:
è capace di dare fia a dugento libbre di carne ,
che
Spiegazione della Fi bo .
A. La fogliola.
B. La merla marina.
C. Il pefce cane.
D. La teffa del pefce. cane, veduta di fotto in sù la
gola aperta.
. E. La foca.
F. Il Narwal, dette volgarmente pefce fpada, olio«
corno di mare.
* G. Il vitello marino.
H. La teftuggine.
I, Il coccodrillo.
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. Dialoto Quart. si.
«che pur fi fala, e fi ferba; e quafi trecento uo-
va ben groffe, e durevoli.
La tartaruga è un’ altra fpezie di teftuggine,
non meno groffa della predetta ( Savaris Diftionar.).
La di lei carnenon è veramente sì dilica” , come
‘quella della vera teffuggine ; ma ne ©. meno
vien ricercata con grande anfietà pf crorza,
\Ja qual riducefi in pafta ; e fi rinodr. 0, Ame fi
vuole, con intenerirla coll’ acqua ca efotthre.
la dentro una forma, dove prende. sula Gtbino |
"quella fteffa figura, che v'è imprentata, purchè,
{i calchi/con un buon torchio di ferro. Pofcia fi
ripulifce, e s' adorna di varj rabelchi, o d’oro,
o d’argento, o di qualche intaglio galante.
Cav. Prima di laiciar le tefluggini, e i-gam-
beri, vorreifapere, come quefti animali facciano
a vivere .S' e nuotano così poco , la loro preda do»
vra agevolmente involarfi alle loro tracce.
Cont. Ilgambero, sì di fiume, come di mare,
è armato di due fortiztanaglie , onde afferrare le
grofle prede, che per loro difavventura gli capi»
tano dinanzi. Vanno parimente a cercare fra la”
belletta, e la ghiaja di quei vermicciuoli, che vi
ftanno comunemente ricoverati. Li tiran fuori ,
per. mezzo delle predette tanaglie , del lor ripo-
fiiglio , e trovano il loro pafîo bell'e ammanni-
to (Ifor. de Elibuffiert). Quanto alle tartarughe,
i pafcono d'erba, sìnell’acqua, come in terra.
La ‘loro ftanza ordinaria è incerte praterie fitua-
te nel fondo del mare , lungo diverfe Ifole dell’
America , le quali appreftano loro il mangiare :
Dopo efferfi bene sfamate , vanno a imboccare
nelle foci de’ fiumi, per ivi prendere un po’ di re-
fpiro; e poi ritornano a fondo. Quand’ effe non
mangiano , foglion tenere la tefta follevata fuor
dell'acqua; purchè non vedano brulicare qualche
Tom. II, gti Lo caco
ira iPod og
*acciatore ; o uccel di rapina ; ; nel qual cafo fi
buttano immantenente giù a fondo. Vengono o-
gni anno in terra a fare i lor nidj sù perlafab. o
bia, e a deporvi le loro uova ; ma proccurano
di Gogarth in un pofio , che non poffa eifer bat-
tuto da: !inde. Le ricoprono leggiermente ; affine
chè il Sot » rifcaldi; e faccia nafcere‘i loro fe-o
ti. Affaticìndofi a propagare la lor pui © ;
vengono ad appreflare una provvifione copiola ,
non meno a gli uomini; che agli uccelli | Con-
cioffiachè artivano a fgravidarfi ogni quindici gior»
ni tre volte; e fempre depongono da ottanta, o
novanta uova ; e di più. In capo a ventiquat=
tro , o venticinque giorni fi vedono venir fuora
della fabbia tutte quelle piccole tartarughe; che
fenza maeftro , e fenza guida vanno bel bello 2
ricoverarfi nell’ acqua s Ma i cavalloni pe’ primi
giorni refpingono le mefchinelle verfo la terra
(a): gli uccelli s avventano loro addoffo ; e fe
ne portano. via la maggior parte ; prima d'aver
acquiftato tanto vigore da poter refiftere alla for-
za dell’ onde, e calarfi giù a fondo . Quindi è ;,
che di trecento uova appena fe ne falvano VISA,
e. talor anche niffuno.
|» Cont. Pare a prima vifta, chela natura in que=
fo conto faccia una .{pefa inutile; och’ elia man-
chi eziandio al fuo dovere. Ma , col riflettervi
maturamente ; fi vede tofto la falfità, e l' ingiu-
ftizia d'una sì fatta cenfura. Noi non ci fognia-
mo gia di criticarla in ordine alla fecondità della
gallina : e pur fovente ci fa da trecent’ uova in
un anno, fenza che fe ne lafci nafcere ua fol pul=
cino . Ognun vede ; che l’intenzion dell’ autore
della natura, con n quéfta portentolfa fertilità, non
fola-
(a) I Gavaliohi Sa onde del mare 9 che f Acca:
YVailano una addofio all'altra;
Sarai
DiaLoco Quarto. rg
‘ folamente tende ad agevolarne la propagazione ;
‘'ma- ancora a dare all’ uomo-, ed agli altri ani-
mali, un fuftanziale nutrimento . Ed ecco , che
nell’ opere della natura non trovafi pulla di di-
fettofo, o d’ig@utile: Ne volete di più? L’ifleffa
lentezza della teftuggine è profittevole.: Imper-
ciocchè ; fe la medefima accelerafle più il paffo,
un mofido d’ animali. non avrebbe ; onde vivere.
| Prior. Profeguiamo a trafcorrere i vatj utili ;
che fi ricavano, or da una’ [pezie, or dall’ altra.
Per tutto ci fi prefentéranno de’ nuovi motivi ,
onde benedire il Signore; che s'è compiaciuto di
ricolmare; non meno l'acqua ; che l’aria:; e la
terra, di mille Torte di benefiz) »
. Cont. Quei pefci Bei, la cui carne è meno gu-
fiofa, recano agli uomini qualche vantaggio. Ab-
biamo di gia veduto; chei pefci del Nord, i qua»
cli a cagione del loro ‘oliofo fapote , non piaccio-
no/a noi; fervon di nutrimento ad altri popoli
al cui temperamento ; e bifogno maggiormente s'
attagliano .. Che più? Le loro flefie fpine; le lor
bafette , le loro fauame fervono a varie nazioni
per ricavarne dell’ utile. Nel mare di Groenlanda
fi trova un pefce ; le cui fpine fono sì forti, che
que’ paefani fe ne fervono in cambio d' aghi, per
cucire le pelli degliorfi, onde forman le lor ber-
rette, e vefliti ; con infilarvi ; in vece di refe,
delle budella feccate.
Quefli medefimi popoli forman gli fcheletri; od
offature de’lor baflimenti d’ offa di balene , e poi
le fafcian di pelli di foche , o vitelli marini ; €
talor anche delle effe balene. Adoprano ancora
delle batchette di legno, nel concavo delle quali
un uomo affonda colla metà del fuo corpo ; e
ftandovi affifo a gambediflefe, tura perfettamen-
te coi proprio corpo fafciato di dette pelli queta
I Hoz, pu
/
16 SI. Por oasi
buca rotonda, dov’ egli fi fla imprigionato, Qui:
vi tenendo +0Ua finifira un piccol remo da due
palette, e colla deftra un arpione, corre veloce-
inente ful mare; fi ride in tal pofitura delle tem-
pefte ; e va ad attaccar le balene!, e le foche,
delle cui carni fi pafce . La foggia di queftebar-
che è più comoda, più agile, e più ficura delle
noftre, purchè fi fappiano governare .
Cav. Oh! perchè dunque non tono in ufo anche
Îra noi?”
Conief. Oh buono! Volete voi, che fi dica, Ue
gli Europei prendano fcuola da’ Groelandefi ? Sa-
pete molto bene, che noi diam regola a tutto ‘l
mondo .
«Cont. I Mofcoviti han trovata la maniera di
manipolare gl’ interlori d'un certo pefce, chein
lor linguaggio fi chiama Belugo; nè fi trova , fe
non negli ultimi confini del Nord :- e di formare
con effo una colla, onde ricavano diverfivantage
gJ. Ella fa chiarire i noftri vini, fenza alterarne.
per modo alcuno la qualità; eila ferve a gli ar-
tefici di flucco per fortificare, e ftuccare l° ordito
delle manifatture; e fpefo ancora s'impiega con
buon efito in quelle coie , dove la noftra colla
più forte non arriva a far prefa.
I Dànefi, e gli altri popoli del Nord vanno a.
caccia d’ un groffiffimo pefce , da loro detto
. Narwal, i cui denti fon piùftimati di quelli dell’
Elefante , per elîer d’un avorio bianchiffimo , e
non foggetto a ingiallire. Quefio peice è purats
mato alla mafcella finiftra d'un cornotutto quan:
to d’avorio, che può effer lungo, quando quat».
torcici , quando quindici , e quando dedici pie-
di. E quete fono di quelle corna, che fi trova»
no nelle galerie de’ Curiofi; e che Gi fono fpac=
, ciate sì lungo tempo per corna di liocorno
(4)
|
|
DiaLoco QuarTD. = 117
(a) animale chimerico, o almeno non mai vedu-
tofi a' noftri tempi; fe pure è flaro mai conofgiu-
to da gli antichi.
«Ma fra tutti i pefci; le cui carni comunemen-
‘te non mangianfi, il più utile fenza dubbio è la
balena ; animale trafmifurato ; che fuol avere da
centotrenta , o cesfeffanta, ed anche dugento piè
di lunghezza;.e porta‘un ‘buon provento a. colo>
ro, che il pelcano. f. i
| Qua: Come mai; per voflra fe fi PAR ATIVAE
re a far prigioniero un animale sì mofiruofo ?
Egli dee certo fracaffare ; e fconquaflare ogni
cola . /
Prior. La pelca della balena è molto curiofa +
Ve la defcriverò in manco parole, che fia pofi-
bile : Ella fi fa verfo le parti più fettentrionali
d'Europa : S° adunano infieme moltiffime barche
( Savaris ) deftinate propriamente 2 que” uio :
e quando la balena comparifce fopr acqua , un
pefcatore de’ più coraggiofi, ed atanti della per-
fona prende uno fpuntone, ch’ è un' arme in for=
ma d'alta; ben acciajata , e lunga cinque o fei
piedi , dov'è attaccata una corda di cento brac=
cia; ed’'avanzo: S'egli arrivaa ferire collo {pun
‘tone il graffo, o la carne della balena, la piaz-
za è già prefa: l’animale s' avvilifce, e cala fu=
bito a fondo: i pefcatori allentan la corda, e la
lafciano fcorrere abbaffo. Quando la cordà | che
il pefce fi itrafcina dietro nell’ allontanarfi, è in
troppa quantità, attaccano al capo della_medefi-
ma una zucca vota; ma ben turata; edofferva-
no il di lei moto, per fapere dove fia il capo
di detta corda, e dove ritrovifi la balena . Que-
AH 3 ! fto.
(4) Il Liocorno, di cui fa menzione la Volgata; è
un animale diverfo da quel; che noì ci divifiamo + Ves
di Hierozovic. Sa. Bochari
e
118 TXPTD aa
fio animale , dopo aver verfato il fuo fangue ,
torna da fe medefimo a galla; o fe noù altro fi
tira sù per mezzo di quella corda . Allora fi proc»
cura d’ ucciderlo; e d’ impadronirfene . Si firafcis
na alla fpiaggia, od a terra, e fi fquarta.
Cav. Ma fe la carne della balena non fimans
gia, che fe nefa? I
Prior. Del graffo d’un.balenotto , niente più
lungo di feflanta , o fettanta piedi , fe ne rica-
van talvolta cento barili d'olio: e da una balena
di dugento piedi , fino a fedici tina, e anche venti.
Cav. E queft’ olio a che ferve? i |
Prior. Se ne fa un ufo incredibile. Serve a con-
ciar de’ corami; a fat della pece greca per iftuc-
care i vafcelli; a ugner le lane, onde fi formano
alcuni panni; e fe ne fa ancor del fapone. S'ado-
pera parimente a dipignere , ed a comporre delle
‘medicine . Ma il maggior ufo ; e confumo; che
fe ne faccia , è per far lume là nelle parti del
Nord, dove le notti fono lunghifime .
Conte]. Quella balena, che fi compra da’ mer-
canti, vien ella da una di quefte grofle beflie )
che avete detto?
— Cont. Vi fono que forte di pefci, che chiamanfi
comunemente col nome dibalene. Unafiè la'ba-
lena piccola. , che chiamafi in altra maniera bale-
notto, e ’l cui cervello ferve a far quelbelletto,
di cui le donne fan tanto capitale ( Savaris. Pomet.).
L’ altra è la groffa, che non ha denti ; ma certe
barbe lunghe da dedici , o quindici piedi tra le ma-
{celle , le quali barbe da alcuni fi prendono per le
orecchie ; o polmoni della balena ( Savaris ); da
altri per raftrelli , onde adunar l'erba, di cui fi
fofpetta, ch’ ella fi pafca; mentre a {ventrarla fe
ne trova mai fempre nel dilei fomaco . Di quefte
barbe tagliate a trifce fi formano quelle ftecche
| forti,
\
DraALotgo Quarto. IT9
| forti, e pieghevoli, dicui una volta fi corredavano
î bufti delledonne, e che fi vendono appreffo i mer-
canti fotto il femplice nome di balena; maoggi-
dì non s' adoprano quafi in altro , che in quelle
‘ faldiglie a tregiri, dettevolgarmente guardanfan-
ti, ornamento fenza grazia, e fenza ordine , cui
le noffre dame s' oftinano di confervare , perchè
non le ftringono, e nonleincomoda tanto, quan-
to fa il bufto, l’ ufo delquale è oggimai affatto
affatto difmeffo.. 0 |
Contef. Che volete ? In materia di mode, le te»
fte più fceme danno regola alle più favie. Ma
non traviamo dal noftro argomento. Cotefte grof=
fe balene mifanno tornar a memoria un certo an-
fibio, lungo più di cento piedi, del quale , non
ha gran tempo, mi facefte menzione,
x .
Cont. L' animal, che voi dite, è il coccedrillo
d'America (Ved. il Leviathan di Sam. Bochart. Hie-
rezoic. lib.). Non. vorrei moltrarmi troppo corri-
vo; col preftar fede alle relazioni portateci dagli
antichi viaggiatori Spagnuoli . Il coccodrillo del
Nilo, del Nero, e di alcuni altri fiumi dell’ Afri-
-
ca non è lungo a un gran pezzo, com' effi dico-
no. Ve ne fono de lunghi da quindici, da diciot-
to; e da venti piedi; ma rari fonquelli, che pafs.
fino i venticinque . Tanto però bafta , per ren-
dere un animale moftruofo; e fpaventevole .
Cav. Non è egli quell'animale fatto a foggia
d’ una groffa lucertola, che ha una bocca arma=
ta didenti, fatti come quei delle feghe; che ha ’!
corpo, e la coda tutta {quamofa ; e che fi dice
aver tanto prurito, e tanta furberìa a forprende-
re i fanciulli, che van paffeggiando lungo la ri-
va, dov'egli fimetteinaguàto? N’ ho veduto un
piccoletto, appefo alla foffitta del voftro ftudio.
| Conì. E° giufto dello.
G 4 “ Prior.
135 (PO ste fi
‘ Prior. Se quefto animale foffe troppò fecondé;
farébbe l’ eflerminio del genere umano . Ma Id-
iii
dio gli ha pofli al fianco due fieri nimici , .mai
fempre intenti a difiruggerlo; cioè l'ippopotamo;
e l’icneumone.
L’ ippopotamo, ofiacavallo marino, è un grof-
fiffimo antibio, che alberga nel fondo del Nilo, e
del Nero, equinci fiporta a terra, non già nuo-
tando, ma ca RESO con tutt "e quattro i fuoî
piè, per cerca: I fuo pafcolo sù pe’ prati, € talor
anche sù per le montagne. Egli vi mangia Vera
ba, € poi ritorna a foggiornare nell’ acqua; ove
fempre fta in guerra col coccodrillo ( V. 1/ Bee-
motb di Sanz. Bockart. Hierozotc. l. 4. c.15. 616.).
L’ icneumone è un forcio , o faina acquatica ,
ch'è il terrore del coccodrillo. Alcuni viaggiatori
ne attetano, che, mentreilcoccodrillo fi dorme,
l icneumone gli entra in gola, e gli rode le‘in-
teriora, lo fa morire difpafimo; e poi felo man-
gia a bell’ agio . Altri dicono di non avere con-
tezza alcuna di quefto fatto; ma di avere offer-
vato, che l icmeumone s° attacca all' uova, che il
coccodrillo abbandona dentro la fabbia, e ‘che {e
ne pappa quante più può.
Cont. Signor Cavaliere, fe mai avefte curiofità
di vedere le figure del coccodrillo, dell’ ippopota-
mo , e dell’icneumone fcolpite infieme , bafia ,
che andiate alle Tuiglierie,
Cav. In che fito?
Cont. Non avete mai offervaca quella fiatua. 5
che rapprefenta il Nilo, co’ fuoi quattordici fi-
gliuolini ?
Cav. L'ho veduta mille volte; ma nen ne ho
capito mai nulla. Ditemi digrazia, che fignifica-
no tutti que’ fanciulli , e quelle fgure 3 che fon
fulla fponda del piedefialio ?
Cont.
DiaLoco QuaArRTÒ. izi
Cont. Quei quattordici figliuolecti del Nilo , pars
te piantati più a bafio, e parte piùin alto, fim
boleggiano le diverfe efcrefcenze del Nilo, che
| prefagifcono una gran fertilità nell’ Egitto ( Pla.
Lib. s. c.9.), quand elleno afcendono all’ altezza
di quattordici perticlié; e quando non arrivano 4
tanto, minacciano careltia. Montando l’acqua fim
alle dodici , l abbondanza è ficura , ed aggiugnen-
do fin alle fedici, molto più. Ma le quattordici
fon per l'appunto la mifura adeguata al bifogno .
Sotto la ffatua di quella falfa deità , che fa appog-
giata fulla fua urna, evvi un granletto di mar-
mo bianco, attorno al quale voi vedrete in baflò
rilievo intagliati gli oggetti più particolari d’ E-
\gitto; cioè il trifoglio, pianta , di cui que’ popoli
fanno una forta di pane , o di focaccette : l’ibis,
“ch'è una fpezie di cicogna , che purga il paefe
da’ ferpenti: e l’icneumone, el’ippopotamo, che
vanno alle prefe del coccodtillò .
Contef. Signori, in quell oggi v' ho lafciato di-
re tutto ciò, che avete voluto . Da quì avanti
non farà così: Vo' prevalermi un po’ più del di-
ritto accordatomi di Prefidente, e aftringnervi a
ragionare di cofe;, che mifian note. Il tema del»
la proflima moftra feffione ha da verfare sù le
piante , coloro fori, e co frutti. A riferva de'
miei uccelli, non v'è argoménto, che fia più fas
miliare di quefto.
Fine del Dialogo Quarto.
i È
123
LE PLAN Pb
DIALOGO QUINTO.
Ir Conte RI
La Contessa DI GIONVALLE.
IL Priore "ao |
| Ir Cavaniere “DEL BrogLIo.
Contef. CIgnor Cavaliere, noi v' andiamo appoco
>} appoco addottrinando in tutte l’arti,
e meftieri. A buon conto v’ abbiam fatto caccia-
tore, teftore, uccellatore, e pefcatore . Adello vi
vogliam far giardiniere ‘ |
Cav. Oh! perchè tralafciar così prefto la materia
degli animali ? Ce ne reftano cutravia tanti , &
tanti da divertirci ; e non fe n'è formata nè pur
parola. E° vero; che’l Signor Conte nonfa gran
cafo del Teatro degli animali del Ruifchio; tutta+
via mi permette d’ andarlo qualche volta a {cars
tabellare , per vedere quelle tante figure , che vi fon
imprefle . Jeri appunto mi prefi gufto di trafcor-
rerle ad una aduna: nè mi fi prefenta dinanzi al-
cun animale novello, ch'io non bramaffi di fape-
re, qual nome avelle, dove abitaffe, e qual foffe
il di lui meftiero. Mi pare, che farebbe una bella
cofa , fe fi potefle arrivare a conofcerli tutti.
Ca Cotefta appunto è la brama , ch’ io ho
fempre cercato d’infinuarvi . Ciafcuno animale
merita un efame, ed uno ftudio particolare . La
fola probofcide dell'elefante varrebbe a fommini-
flrarne materia per molti, e molti ragionamenti.
Ma non ii vuol dirvi tutto , nè difcendere alle
particolarità più minute, per non iftancarvi . Ci
balla
P,
f
DiaLo6o QuiNnTO. 223
balla foltanto di rifvegliarvi il gufto con additar®
vi la ftrada; affinchè vedendo quanto più avanti
fi poffa andare, v ingegniate da per voi fteffo di
far viaggio.
Contef. ‘Ma che ? Credete voi, Signor Cavaliere;
che, a ragionar delle piante, fi tralafci la materia
degli animali ? Anche le piante fono animali : R
avvegnachè non camminino , mangian però molto
bene; e generano una numerofifima van ,
al par di quei, che camminano, |
Prior. Ciò, che Madama dice beffando, s'acco-
fta più al vero, che noncredete. La radice della
pianta fi può beniffimo dire, chefia lo fomaco di
quefto pretefo animale ; mentre ivi faffi la digefione
degli alimenti. La (corza può prenderfi per la pelic;
mentre ricopre tutti i fuoi vafi . Il fufto denota
il corpo: e l'umore, che afcende dalla radice al-
le rame, e dalle rame torna a difcender nella ra-
dice, imita. la circolazione del fangne.
Cont. Ditemi ingenuamente la voftra opinione.
Credete voi da dovero, che nelle piante fi dia que-
fla. circolazione di umore , o fugo nutritivo, come
prèrendefi comunemente ?
Prior. À me pare, che tutto cofpiri a perfua=
dercene . Prima però di efaminar quefio punto
ftimo bene offervare , qual fia l'origine generale
di tutte le piante; e ferutinar in appreflo , qualg
fieno le loro parti effenziali ; per poi venire all’
efame della maniera, con cui fi nutrifcono.
— Cont. Nonci partiamo da quefto metodo , ch egli
mi quadra . Signor Cavaliere , vi ricordate’ voi
‘ dell'origine univerfale di ciafcuna pianta ?
Cav. Me ne ricordo beniffimo . Efle nafcono
tutte da un feme. I
Cont. Come dire, ? Non credete , che "1 calot
, Rella terra; in un co fughi, ch’ ella contiene , fia
capa-
\
124 L'EUBIANTE: !
capace di formare di punto in bianco una pian
ta, fenza l’ajuto del feme?
Ca v. Non credo, ch’ ella poffa produrre nem-
meno un fil d' erba . Mi fovvengo beniffi mo di
ciò; che dicefte altra volta in ordine agli anima-
li; cioè, che la terra fomminiltrava a tutti quan-
ti il lor nutrimento ; ma non avea pofianza di
formare niflun corpo organizzato. Or nonfi tro-
va men di difegno , e men di fimmetria nella {trut=
tura delle piante , di quel che fia in quella de-
gli animali . Donde inferifco ; che il iugo della
terra poffa al più al più alimentarle ; ma non
mai generarle;
Cont. Certa cofa è, che, fe ? umor della tera
ra avefie forza di produrre una pianta, partici»
perebbe dell’ onnipotenza del Creatore ; mentre
varrebbe a formare di punto in bianco , e radi
ci, e canali, e fibre, e vefciche, onde ricevere;
e tramandare per tutto i fughi nutritivi, con fel-
trarli, e adattaîli alla fottigliezza de vali 3 DEE
cui debbono trapaffare: oltre alle trachec; o ref
piri,' onde attrarre, e diftribuire sì l’aria, come .
le linfe; ed oltre a tanti altri fornimenti , come
la fcorza , il legno, il midollo, i rampolli , i fio-
ri, ed i frutti. Participerebbe eziandio della Di-
vina fapienza ; mentre faprebbe diverfificare in
tanti modi le di lci parti, e far.nafcere fur uno
ftelo arbore de’ bocciuoli , e de’ frutti di varie
fpezie.,
Cav. Io per me non fo petfuadermi, come pof=
| fa darfi un cervello sì fframpalato , il quale ar-
rivi ac immaginarfi, che la terra abbia virtù di
formare una pianta. Mi parrebbe giufto di dire,
che la medefima ha formato l’ uomo , la Luna ;'
ed il Sole.
| Prior. Quantò mi piace a fentire; che voi Ria
vi de”
\
miti Quinto. rst
vifiate per tutto la neceffità di ricorrere all’ on-
nipotenza di Dio! Egli è in sè medefimo i incom-. .
preffibile; ma fenza di lui non s' arriva a com-
prender mai nulla . Suppofta la mediazione della
Divina fua mano in checchefia , fubito fi cagîi-
fce ; che tutto 'era fattibile. Egli folo ha potuto
crear la materia di tutti i mifti. Egli folo ha
faputo di quefla materia ricavare diverfi elemen=
ti, che fempre reftano nel primiero lor effere;
© quantunque da’ loro varj accozzamenti , e com-
binazioni rifulti quell’ infinita varietà di compo-
fti, che noi vediamo. Ma non baffava l’ aver
creati quefti elemeriti . Per quanto fi foffero ac-
cozzati , e tramifchiati fra loro , non avrebbon
potuto produrre , che zibaldoni. Non vi fi ravvi-
ferebbon, nè organi, nè vita, nè anima. E che
fia la verità; ; lupponghiamo , che quefta terra fia
creata pur ora di pianta. Ella refterà fempre nu-
da, e infruttuofa , fe Iddio non la rivefte 3.
non la feconda . Egli folo è ffato capace d’ or-
ganizzare alcuni corpi , € dopo organizzati vivi»
ficarli; come ha fatto degli RIT a e delle pian-
te. Ogni minimo cefpo d' acetofella, o di cerfo-
glio è formato fur un difegno particolare ; ed è
un effetto precifo del fuo divino volere, non me.
no che il mondo tutto.
Quavto poi alla maniera di DErpetare le fpe-
zie di quelti animali, e di quelte piante , pore-
va, dopo averli creati, o riferbarfi a crearne iem-
pre de nuovi, ogni qual volta o l’ uno, o l'al
tro folle venuto a niancare; 0 veramente crear-
li tutti in un colpo, incorporando la lor futura
progenie nel piccol feme del primo ceppo, di mo
do che ciafcuna fpezie doveffe fucceffivamente
produr la fua Simile, fenza che la terra avelle a
dar altro, che darle il latte per allevarla ; e |
uUmo»
126 Le RrIARTR i
umore, per agevolare lo £vilappamento de’ ger-
mi: e queto appunto fi è il metodo ( metodo ve-
ramente. degno della fua fomma magnificenza ),
ch'egli s'è, compiaciuto di fcerre. La fantafia fi
fpaventa a veder raccolti in un piccolo punto tan-
ti milioni di germi. Ma la ragione non fi fgo-
menta; mentre riflette , che al Creatore niuna
gt è impoffibile.
ont: Signor Cavaliere ; mettetevi pur in guars
dic ch'io vengo a darvi un fieriffimo affalto. V°
ha certe piante ( come i funghi , la felce , ce ff
mili ); dove non fi ravvifa alcun feme ; e non-
diméno germogliano tutto giorno ; e nafcono in
var] luoghi: Quì bifogna dire, o che Diolecrei
di pianta; o che l'umor della terra meffo in mo-
to vaglia a produrre de' corpi organizzati. .
Cav. Non fo, fe ’1 Signor Priore fia Profeta.
Vi fo ben dire; che quattro giorni fono, quafi
prefago dell’ imbroglio ; in cui doveva oggi tro-
varmi in propofito della felce, mi fuggerì la rif
pofta; ch’ io v' ho da dare . Mi fece orecchiare
una carta; dove a principio non vedea nulla . Po-
fcia cominciai a fentire un certo piffi pifi, e un
bisbiglio , che mi fece offervar quella carta più
er minuto. Allora vi ravvifai alcuni minutiffimi
granellini; che andavano ruzzolando |’ un fopra
l’altro ( Raîi Hift. pl.); come fanno i bachi del
cacio. Diedi tofto di mano al ge e coll
ajuto di effo fcoperfi qualche cos’ altro. Quei gra
nellini erano tanti gufci tutti pieni di femenze.
Quefte femenze, per la loro aridità andavan cre-
pando, e fi fparpagliavano per ogn' intorno ». E
quefte , Sighor mio ; eran giufto femenze della
felce. Oh! vedete, s' ella non nafce dal feme.
Cont. E de’ funghi, come va? Non me ne fa-
pete dir nulla?
Cav.
DraLoco Quinto: ‘127
io ve lo dica *: voi fiete un uomo incontentabile .
za del fungo (4); direi nondimeno; ch'ellav’è:
ma che la fua picciolezza non ce la lafcia difcer-
nere ; é la fua leggierezza dà agio al vento di
| poterla traportare qua, € la.
Cont. Ciò , che voi dite, è sul : Dalla
| condottà, che tiene Iddio in dieci mila altre fue
| opere; fi può conchiudere ficuramente, ch’ egli pra-
tichi lo fiefio metodo ancora in quefla.;
Conte. Orsù ogni pianta proviene da un feme.
Quefta è una verità gia cotoprovata dalla fpe-
rienza. Vediamo pure; che cofa fia quefta femen-
«za; € ciò; che in effa contengafi . Voi altri Si-
gnori; che avete fatto il vi/urmz; & reperium coli”
occhialetto alla mano; faprete darcene buon tag-
puaglio .
Cont. Cominciamo dalle fue parti efteriori . Tute
ti i femi delle piante fon premuniti di varie fo-
praccopette ; che li riparano da ogni finiftro ac-
cidente, fifitantochè fian ripofti fotterra: Si tra-
mutano; fi fe&mbuffolano ; fi mifurano; s'° ammaf=
fano ; fenza pericolo di danneggiarli : tanto fori
ben fafciati ;s e difefi! Alcuni ( come quei delle
mele; e delle pere ) ftanno internati nel centro
delle frutta; la polpa delle quali fi vede chiara»
mente effer deftinata a due fini: cioè j a fervir
di cuftodia alle femenze tuttavia tenere i € di ci»
bo a' mortali; ; quando le dette femenze fon bene
fiagionate; nè han più bifogno di fopraccopérta «
° Altri poi nafcono dentro un baccello, come le or-
biglie, le fave; le lenti, i papaveri ; ed il cac-
cao, Ve n'ha pur di quelli; fo oltre alla pol-.
| pa
(a) La femenza del fungo fi è già trovatà. V. Mi
chelîo mOva generet, Floren, 1728, pags 133» |
Mi
Cav. Compatitemi , Signor Conte; bifogna ch'
Quand’ anche non fi attivafie a trovare la femen= us
138 MR ERA du |
pa delle lor frutta, fon guerniti di foprappiù d’
un certo gufcio di legno , quando più'duro , e
quando più teneto, che chiamafi volgarmente noc-
ciolo, come le noci, e le mandorle , e i femi del. .
le albicocche, delle fufine, delle pefche , eccete-.
xa. Ve ne fono finalmente parecchi , che , oltre
all’ avere il detto nocciolo , o gufcio di legno,
han da vantaggio il mallo, cioè una buccia craf-
fa, ed amara, come vedefi nella noce ; o una
foprasberga di pungentiffime fpine, come appari»
(AP ice
Spiegazione della Figura .
A. La fava aperta. 1, 1. I due lobi, eve contienfi
il primo alimento del germe , o fia la pianta, ch’ é
per nafcere. 2. 3. La barbolina del germe. 4, 4, 4, 4.
I capellamenti delle due fibre ramofe , ‘che vanno a
portare il nutrimento alla barbolina.
B. La ghianda della quercia incaftrata nel fuo ca-
ftone . > |
C. La barbolina della ghianda, che fpunta fuora dal-,
la parte acuta; e dopo efferfi follevata alquanto verf
îl cielo, fi fpiega, e tende verfo la terra. |
D, La barbolina del germe forzato a principio , per
l’intoppo, o refiftenza d’ alcuni corpi duri, a follevarfi
wetfo il cielo, e poi rivoltatofi verfo la terra, come fi
vede nella figura E. |
F. Un feme di zucca. 5. I due lobi appiccati infieme
a foggia di due nicchj, dove contienfi il germe, in at-
to di fpuntare la fua barbolina. 6. Quetti lobi s' allun-
. ano , e fi convertono in dus foglie feminali , che a
poco a poco fi fpalancano , come fi vede al num.7. e
mum.8. 9. La barbolina fortificatafi in atto di ftendere
a fuoi capellamenti tra la terra. 1o. La pianta nafcen-
te, che comincia a buttare ‘il fuo fogliame per entra
Je foglie feminali, una delle quali s°è abbaffata, come
wedefi al numero 11. | i
. G. Seme d’ arancio, che conteneva due germi, e ora
ha buttati due fteli. 12. Le prime foglie, dove ffanno
inviluppate, e cuftodite le altre. 13. I lobi di dettò
feme rinanfi inutili, e imputsiditifi fra la terra.
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SUANICI PANE
DiaLrocoe Quinto. 129,
Tee dalle cafagne, e marroni : tutti nuovi pre-
fervativi del feme, che v'è racchiuto.
Cav. Oh! vedete quante cuftodie per certe frut=
ta, che finalmente non hanno un fapore gran co-
fa buono! La pefca , ch' è sì prelibata, dovreb-
be averne molte di più , e ftarfi racchiuta den=
tro una buona cafla di legno.
Prior. Iddio, Cavaliere mio caro , in tutte le
fue operazioni, non è men libero, che liberale.
| Egli ha voluto dare un riparo di legno alla più
parte delle femenze ; ma non gli è piaciuto di
| corredare di una sì fatta cuftodia la polpa delle
frutta, ch’ è una fopravvefte, ed un nuovo pre-,
fervativo delle medefime femenze. Parte di que-.
fle frutta ha veftite d'una fottilifima buccia ; e
| parte d’ una duriffima fcorza . Eglifa le leggi; nè
dee-render conto delle fue azioni a veruno. Ma,
| quantunque fia debito noftro il commendare alla
cieca tutte le di lui operazioni, fenza fcrutina=
| re, per qual ragione fi fia compiaciuto di fcerre
piuttofto quel metodo, che quell’ altro; contut=
tociò non fi disdice l’ andar talvolta: fpeculando
‘ con tutta modefiìia i motivi della fua fcelta: Le
pefche , e le fufine fon deftinate a refrigerarci
\.verfo "1 fin della ftate . L’ inverno ci farebbono
affiderare ; e in altre ftagioni fcapiterebbon di
credito , per la gran dovizia dell’ altre frutta.
Sicchè , dovendo elleno fare una molto breve com-
| parfa , non han bilogno d’ una coperta troppo
mafficcia. Una femplice tunica è baffante a co»
prirle. Le mele poi, e le pere, che han da ve»
inire dopo di loro , e durare tuttol’inverno, han
ricevuto uha vefte un po’ più appannata . Per
. quelta ftefia ragione le caftagne , i marroni, e
® le noci ; che han da ferbarfi da un anno all’ al-
tro, fono ancor meglio addobbate delle medefime .
Tom, II TA pe-
ITANA Ri vii; -
130 «LER9 sprn
pere, è delle mele . Le caflagne foftentano delle}
intere nazioni . Ma, fe la natura non le avelfe:
premunite al di fuori d’un riccio fpinòfo, e pun-
gente, gli uccelli avrebbon potuto agevolmente ;?
quando fono ancor tenere ,.f{gretolarle ‘. E poi,
chi fa, che quel riccio non fia deltinato ‘a qual»,
che fine di più rilievo. La noce altresì apprefta;
di molti comodi all’ uomo; e ierve di nutrimen-
to, non meno a'lui , che agli animali. Se ne
fpreme dell’ olio da ‘metter. nelle lucerne, da con
fervar le pitture , e le ‘mafierizie , ed anche da
rendere il cuojo più morbido , e più paftofo ; e
più forte. ll fapore di quefta frutta, quando el»
la è frefca, è tanto fquifito, che può ftar inta-
vola a competenza delle pefche più faporite. Una
pietanza sì prelibata , un frutto , che porta all”
uomo cotanti comodi, come fi farebbe potuto fal-
vare dalla golofità degli uccelli , fe l° amaro del
fuo mallo non li naufeaffe , allorchè v° appreffa-
no il becco? Oltre a tutti quefti prefervativi, in
certo modo efieriori, ogni feme ha una fpoglia ,
ed una vagina, ch’ è la fua pelle, dove ffaracs ©
chiufa Ja polpa col germe.
Da un granello d’ orbiglia, o di fava, o da un
feme di popone, potrete conghietturare, quali fia-
no tutte le altre femenze. La ftruttura è appref=
fo a poco fempre la fleffla . Sbucciate una fava,
© qualunque altra femenza, vi reftano ordinaria=
mente in mano due pezzi feparabili , che chia<
Mmanfi propriamente i lobi del feme, La materia
di quefti lobi non è ‘altro, che un paniccio , @
farina impafiata col fugo nutritivo , o fia umor
della terra, che forma una poltiglia, od un lat»
te proporzionato ad alimentare il germoglio .
Il germe è inchiodato in fulla cima de’ lobi, e
ffavvi alquanto internato , come un chiodo. Egli.
ali I È Fed
af fia
DrAro@eoò Quinto. — 1931
È tomifolto d'un piccolo ftelo, o gambetto cp
dee poi effere il fufto , 0 corpo della pianta.),
d’ ùna barholina , 0 ‘codetta', che ha da cangiar
in radice. Il gambetto ( Malpigh. Anat. plant. ia
alquanto internato nel feme; ela codetta, obar-
bolina D affaccia colla punta al pertugio ‘del a
fcio , in'atto di fprigionarfi la prima; ©
Quefta barbolina , © gambetto della» pianta na-
fcente s’ attiene a’ Poi. ‘per due filamenti , o fibre
raniofe , le cui branche vi fi fpatpaglian per ens
tro, Pr ‘d’ efprimerne il fugo neceflatio, e cos
municatlo' Tucceffivamente alla pianta.
Il gambéetto , che vale a dire il corpo ella
medefima , fta inviluppato dentro a due foglie}
che il fafcian da capo‘a'‘piè; e. il 'tefigono tine
| chiufo , come in una gambiera , 30 ng gir meglio
inffa due fcaglie. lg 0383
Quefte due foglie fono Te prime a- AD oceiviséi] j
a fviluppatfi dal feme, ed a fpuntare fuor dels
la terra. Le medefime fanno ‘largo al''picciùolo j
per prefervare la di lui fotnma'dilicatézza dalle
confricazioni dannevoli; fe pur non gli'apporta=
no qualche altro vantaggio di maggior confeguen=
za. E ficcome quefte due foglie in moltifMfine piana
te fon d’ una fpezie diverfa dalle vere-foslie dell’
albero, e fon le primé'a sbocciar del tere a pro
della pianta nafcente; 83 chiamanfi da’ Sempli®
cifti foglie Teminali. Vi fotperò molti femi:, i
Cui; lobi ;. {puntando fuor de tn terra, e follevana
dofi in aria, fanno lo fleffo” efetto dell e Reni
« te due foglie.
La barbolina, dopo elfetti beni impregnata de’
fughi Ypremuti da lobi È , trova’ nel'‘guféio') 6° lol
la del'feme un piccol Perggeto 15che ‘corrifponde
a pennello alla fottiglitzza della fua-punta'( ‘e
che fi fcorge col microfcopio ; notr che fiella dote
I:
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13% Ls Piantr.A ia
la del grano, anche nel duro: gufcio dell’ avella=
ne ); e quinci efce fuora , ftendendo per entro la
terra diverfi filetti, o capellamenti, che fono al-
trettanti canali , onde il {ugo trapaffa nella ra-
dice; e quindi fale sù per lo felo, per farlo a-
Scendere in alto. Se _lo.fielo s imbatte in unter»
reno tenace , e agglutinato., non avendo poffa
di sfondarlo, fi ripiega, e s° incurva , e alcune
volte {coppia , € perifce s per non poterfì dila-
tare. Se poi s'incontra in una terra tenera, e
molle ( qualità , che il Giardiniero proccura di
darle, col diveltarla ( Hoc imitamur arando Vir-
gil. Geor. 2. ), fale in alto a dirittura . I lobi,
dopo eiferfi confumati , e difrutti a pro della
pianta novella, avvizzifcono , e fi difeccano.
Così pure le foglie feminali, dopo aver comuni-
cato alla pianta tutto quell umore, € fugo nu-,
tritivo, che avean ricevuto pe’ loro pori dall’ a-
ria, ammortifcono . Allora la pianta novella at-
traendo, tra pe fuoi capellamenti s e per la ra-
dice , de fughi più forti, e più copiofi , che pri
ma non riceveva da’ lobi , fi va ad ora ad ora
corroborando , e comincia a fpiegare le varie fue
membra, che fe ne ftavano prima aggrottate , e
agglomerate , come un gomitolo . Adefio ve le
delcrivo a una a una. Frincipiamo dalle più in=
terne.
Ii midollo, che ali ffle in una filza, o catena
di cellette, feparate }’ una dall’ altra per via di
tramezzi, o chiufure d una 4 pn aflai floftia,
rifiede nel centro del fufto, e delle rame.
. «VAttorno..al midollo camminano certe fibre fi-
tuate in fila in fila l’ una appreffo l’ altra, che
fembrano -per appunto tante mataffine di refe.
Tutti quefti capellamienti camminano lunghelfo
Ja pianta; e vENEONA a collegarfi infieme per via
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LInterno delle Piante.
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di alcune altre fila , le quali paffano a fchimbe»
fcio da una mataffa all'altra; el più delle volte
s'incrocicchiano infieme , come le maglie delle re-
ti, e delle ragne . Quindi è, che tra le maglio
predette rimangon fempre degli fpaz} voti , ora
|. romboidali , ed ora quadrati ; ma quafi fempre
più lunghi, che larghi. ‘L’ adunamento di quelli
PATO hi 113 lun-
Spiegazione della Figura .
A. I filamenti, o vene del legno. ©
B. Le maglie, a traverfo alle quali paffano i plichi
degli otricelli, o facchetti.
2. 1 plichi degli otricelli , o facchetti colcati oriz-
zontalmente. n | .
D. Le trachea, ordinariamente vote, e talora ripie-
ne d’acqua, forfe forfe infinuatavifi perlo veicolo dell?
aria. Quefte trachee, parte fon più grandi, e parte più
piccole; ina tutte fon compofte di fibre, fatte a fpira.
E. Fibre trafverfali , che rendono il legno duro, e
difficile a fpaccarfi, e vanno a terminare ne’ nocchi ,
nelle bocce, e ne’ picciuoli delle foglie, e delle frutta.
.F. Tronco d’un albero novello, che non ha paffati
i due anni, tagliato orizzontalmente. 1. La tunica, ©
cuticola efteriore. 2. La corteccia. 3. Il perioftio , 0
pellicola, che fafcia immediatamente il legno . 4. Il
tenerume , o legno nuovo fopraggiunto all’ albero il.”
fecondo anno. s. Legno duro d’ un anno, dopo efferfà
| già ftagionato , ed avere acquiftata la fua confiftenza +
$. Gli otricelli del midollo. 7. Gli otricelli, che cam-
minano dalla fcorza fino al midollo. |
G. L’interno d’ un bronco di vite tagliato orizzon-
, talmente, ove fi vedono gli orificj delle ramificazioni,
diffeminate tra la fcorza, e’! midollo . 8. Sito , dove
la foorza è sbucciata. 9. Tre file d’otricelli , due del»
le quali arrivano fino al predetto midollo. 10. La ter-
za fila, ch'è quella di mezzo , fi perde nel folto delle
fibre. 11. Notifi, che gli otricelli del midollo fon più
grandi degli otricelli orizzontali . 12, Gli orificj delle
fibre, de’ vali proprj, e:delle trachee troncati. Gli ori-
ficj delle trachee fono i più larghi .eTutti quei vai
eccedono la lor grandezza naturale. |
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134 ‘Le ti si N PE ma
fanghi canaletti,. che van falendo ca al ce
dollo ; compone < quella parte dell’ albero, che pro».
priamente dicefi dl legno ; e il loro uficio fi è;
trafportare l’ umor nutritivo .
Giacciono intorno al legno certi altri cavi Mila!
menti, fituati in linea ia gni e difpolli ap
preffo a poco. nella medefima forma., i quali com»
PORRO quella parte, che noichiamiamo la fcor=
. Quivi però convien diftinguere cre fafce di-
Gabi , ciafcuna delle quali e di per se una fcor-
za. La prima, cioè la/piùintima se quella, che
fafcia immediatemente il legno» La feconda, cioè
lglientore è quella tunica , o cuticola , che edi
pre da capo a piè tutta la fuperficie dell’ albero,
La terza finalmente è quella groffa corteccia, che
fta nel mezzo delle due precedenti «+ La fcorza
fottile. fa negli alberi un certo effetto, che. ha
molto del fingolare . Si vede; ch'ella nonè, che
una congerie di pellicine , o reticelle fibrofe col-
legate infieme, di cui la più intima fi diftacca a..
primavera dallegn of e fa och ur torni a fafciarfi
da capo 4 piedi d una nuova pellicola ..
Gli alberi ( a guifa degl’ infetti, e de' rettili) i
fon'corredati di varie pelli applicate P una sù |
altra : fe non.che gl’ infetti , ed i rettili fi fpo-
gliano' a-dirittura delle primiere ior pelli ,. e la=
fcianle per affatto, affine di comparire ad. ora ad
ora fotto una nuova forma, o con un abito nue=
ENZO La
vo: laddove gli albeti mutano ogni antiola pelle.
di fotto, e niCeOEORE: la: cuticola , che ferve loro
di fopetittodbs . E ‘tanto èrvero , che quella (Bteile
membrana , ft tocca il legno, apprelta all’ ‘albe=
to di nuove fafce fibrofe , “onde ogni anno fl va
ingroffando , che a fcorzarlo: dove che fia , ed p:
levargli in un. colla: grofla corteccia 4 anche a
fcorza interiore, di modo. che il legho cin
i DU |
te LR
ta eri rego 13 $
fiudo, non v° è fperanza di vederlo in cotal fite
ingroffare . Il leto , e la fcGrza travagliano in
‘que’ contorni., quanto più poffono ; ma quivi re-
fta fempre un incavo., il quale non è capace di
‘riempierfi, ‘fe non col tempo, per’via delle pro»
tuberanze; che poi vi forman le fibre circonvici»
ne; col dilatarfi. -
E' facile a dilvagrice nell’ albero il nuovo au-
mento ; ch’ egli va acquifando‘d’ anno in anno
per mezzo di quelle tele, che dette abbiamo. A
fegare orizzontalmente il fuo tronco, o una del»
le fue rame più groffe ; vi fi ravvifan beniffimo
tutte le fafce cilindriche i’ quando più fpeffe ; e
quando meno; le quali circondano il legno, e ne
additano ficurmente:; quanti anni può aver quel»
la pianta; fecondo il ‘novero de’ cerchi, che vifi
trovano . Le ultime fafce fori fempre più frali
dell’ altrei e compongono quel tenerume ; che i
Legnajuoli rifiutano ; come troppo fragile ; e in
confeguenza non atto a metterfi in opera : Ma
quefto pure fi va da un anno all’ altro induren=
do; acquiffta corpo, e diventa del tutto fimile ai
legno vero. Così l’ albero di mano in mano for-
tificandofî, e crefcendo fempre di mole, coftrins.
ge le: Glre della fua fcorza a sbarattatfi; e dila-
tatfi; e qualche volta le fa fcoppiare al di fuori
con gran fracafo . Ed ecco l' origine di quelli
fcrepoli ; che fi vedon di mano ‘in mano multi
. plicare in fulla fuperficie della fcorza ; a mifura
che l'albero va ingroffando 4
Abbiamo di gia veduto ; che tutte le fcorze
( principiando dalla più fottile fino alla più gref-
fa ); e che il tenerumé, ed il legno fon compo»
fi di varj filamenti, o vene ; O fibrette , parte
delle quali van falendo a diritto sù per la pians
ta, e siga camminano a traverfo.; congiingens
14 4 doîi 4
#
136 sE e Por gwrità)
dofi ; € collegandofi fcambievolmente iper ioni
co; onde vi lafcian per forza degl’ intervalli, @
{pazj voti nel mezzo. Or tutti quefti inzio
vengon ripieni da certi otricelli, o facchetti di
figura ovale, da amendue |’ eftremità forati, i
quali fi combaciano l'un coll’ altro, come i co-
ralli, o paternoftri delle corone ; e fon difpofti .
‘altresì in fila in fila gli uni accanto agli altri,
tantochè partendofi a dirittura dalla fcorza efte-
riore, trapalfano tutte l’ altre, ed il legno; ed
arrivano infino al midollo . Quetti otricelli fono
comunemente pregni d'umore.
Oltre alle fibre , che fpuntano dalla radice , e
formano il legno, e la fcorza , havvi degli altri
vafi, o canali, difpofti nella medefima forma , i
quali giacciono lungheffo le fibre, e fi diramano
di tratto in tratto per tutta la grofiezza del le-
gno. Quefte fon le trachee, o.afperarterie, ond’
è compofta quella parte dell albero, che MARI
vafo proprio. |
Le trachee, o afperarterie fon certe vene fat=
te a vite, 0 ‘attorcigliate a guifa d' una fpira 7
che co bronchi delie loro ramificazioni van da +
parte a terminare fuor della fuperficie dell albe
ro; e dell’ altra fi fiendono, e dilatano fino alle
indi di effo. Quefti canali fon tutti voti.
Il vafo proprio è un altro canale pregno d'
olio; e fituato per lungo tra le vene del legno,
il qual cammina (come s è detto delle trachee )
per molti; e molti aadirivieni , dalla radice del-
la pianta fino alla vetta; e fporge anche in fuo-
ri. Lo chiamo vafo proprio j perche l'olio, ch'
egli contiene , fecondo la diverfità delle piante,
è fempre diverfo; e perchè ciafcuna fpezie ha un
bivio fuo proprio, e particolare . Quindi è , che
il vaio PImprio in alcune piante è ripieno di tre-
mene
Diatoco Quinto. 13)
mentina ; in aicre d' una ragia fomigliante alla.
pece; in quefte d'un orichico , che imita la gom»
ma; in quelle d'una fpezie dis latte; qua d’ un
vero olio; la d’un vero mele; e»talora d'un fia
toppo, o d'una manna.
Refta pur a dir qualche cofa de’ nodehè , e de
bocciuoli, che ftfanno incaffati ne’ nocchi . Preffo
la vetta dell’ albero , e talor anche in qualche
parte del tronco, e delle radicî,, vedonfi pullu*
“lare delle niatafline di fila ramole maeitrevolmen=
te collegate ; e intrecciate , che partendofi dal
centro del legno trapatiano il legno , il teneru-
me; e tutte quante le fcorze, e fpuntano alquan=
to in fuori. Quefte mataffine fon compofte di fis
bre, di vafi proprj; e fopra tuttodi tracchee
afperarterie. L’'accozzamento di tanti vafi diverfi
genera una gonfiezza, 0 un tumore in quella pars
te della fcorza , ove tutti vanno a riunirfi , il
qual tumore, o gonfiezza, dicefi nocchio , ch' &
deltinato al fervigio ; ed avanzamento delle boc»
ce‘, 0 bottoni . Quefti bocciuoli fono di' per sè
tante piccole piante , che in sè contengono tut=
ti i vafi, e tutte le parti componenti dell’ albe=
ro; ma affaldellate, e aggomitolate , ben dife-
fe al di fuori da molte cufiodie , e incaffate ne’
‘ nocchi dell’ albero, onde trarne gradatamente #
foccorfi neceflarj per isbocciare + Dili gradata»
mente ; imperciocchè ne’ bocciuoli delle piante
fi cammina per via di fucceffione, come ne’ gere
mi degli animali; ficchè alcuni sbocciano pri=
ma , ed altri poi, profeguendo così a perpetua=
re, in certo modo s la pianta in infinito. E
quì rifalta, non men la prudenza, e la pietà del
Creatore, ‘che la fua fomma potenza ; mentre ,
nel provvederci di fq ifitiffime frutta l’ anno , che
corre , ce ne ferba nel tempo fiefio una saccol-
tà,
138 Le fa IAN OT. Erg
ta, noti men copiofa per lo vegnentei e col tea.
ner quefte indietro, e'promuover quefì” altre, af-
ficura le notre menfe , ci noftri cammini di prov=
vifi oni perenti. sea
Ciò, che fi è detto finora ; riguarda folaten- 1] si
te le parti; che compongono il corpo dell’ albe- .
ro. Venghiamo adetio alla tefta, e alla radice. La | |
radice; per quanto fi vede, non djaltro, che una |
continuazione di quelle parti ; che abbizin nba
‘anzi oflervate nel gambo; edicapellamenti; che |
ne pullano da tutte le bande ;s fono probabiliffi=
mamente un prolungamento di tutte quelle fibret=
te; che trapaffano obliquamente pel legno; e pel.
.tenerume ; e terminano nella fcorza ; doxic for=
mano colla loro riunione diverfi nocchi ;.per far
getminare la pianta; noti meno abbaflo , che in
alto: Inalto; quando le fi mozzan lerame: ab-
baffo ; quando per qualche accidente le fi sbar=
bano le radici. Tutti quefti piccoli filamenti ne
racchiudono in sè degli altri d’ una rotula
impercettibile ; che hanno pùre i lor nocchi ;
bottoni; con altri mezzi infiniti, per murnlivi
la pianta, e perpetuarne la fpezié.
Chi vuol chiatirG.di queta ammirtabil manifat=
tura; pongafi ad offervare un piantoncello , ©
una propaggine. Un piantoncello di falcio; o d’.
uva fpina , altro non è , che una: implice vere
mena dell'una ; o dell'altra pianta; che; a.fic
carla fotterra, torna a rimettere la radice.
Similmente a piegare un ramo divite, e pians
tar la fua vetta dentro la terra, getta delle ve-
ne capillari per li nocchi, che vi refian fepolti;
e tagliandofi il legno; ch'è collegato al magli-.
uolo, il capo del ramo, che sbuca fuor della ter-
ra per l'altra banda; diventa ancor egli un nu
vo magliuolo. . i #9 00
n |
Draroco Quinto. 136
det fragole gettano per. ‘fe: fleffe «da tutte lé
bande de' viticchi, o fermenti; che hanno de’ nocé
chi. Quefti poi Gola i loro ta pellamenti per
‘| entro la terra; e diventano altret anti piedi , «0
getti di fragola. L'acqua, il fale; il bitume, |
aria, ed il fuoco, che fan germogliare la nuova.
pianta ; non hanno, nè ingegno , nè abilità da
difegnare; fotmare ; difporre , e far giucare gli
ordigni, che debbon vivificarla ««Palche fi vede,
che cutte quefie novelle radici ( il più delle vole
‘te invifibili ) ; che fcappan fuora da’ nocchi de’
piantorcelli, e delle propaggini; gia v’ erano ins
corporate di prima; nè»fono altro, che uno fira=
fcico delle ramificazioni} che componevano i nog
di del pedale ; fprigionatefi dalla lor carcere, e
indirizzatefi a poco a poco fotterra, fecondo che.
lFumore vi s andò introducendo per le aperture.
.. In ordine a’ nocchi ; o bocciuoli ; che forman
la tefta dell’ albero , e lo coronian di rame , di
foglie ; di fiori; di frutta; e di femenze, chi vo-
lefle individuarne ‘tutti i loro fucceflivi fviluppa»
menti, s'ingolferebbe in un pelago da non poter
ne sì fagilmonte ufcir fuora . A noi bafterà folo
ofervare, che tanto le rame, quanto il picciuo-
| lo delle foglie; e de’ fiori; fon nuovi allungamen-
ti ; e nuove ramificazioni de’ canali di già notati
\ nel gambo ; che quefti canali van maggiormente
allargandofi per tutta |’ eftenfion delle foglie ; che
le fibre del legno vi fi van diramandoancor effe ;
e vi forman quelle rifeghe ; che noi chiamiamo
le coftole ;che' quefte fibre fon compofte di tra-
‘chee ; e di vaft proprj ; che gli orificj delle tra-
chee + e de’ vafi proprj rifiedono da quella parte
della foglia ; che fta rivolta allo ’n sù; e che fie
rele attraverfo le’ maglie di dette fibre se
per entro: il corpo delle foglie, e de’ fiori fa ine
ca-
\
249 (MR arene
cafirata una moltitudine d’ otricelli , 0. lsecuetti
fituati. ‘orizzontalmente , i quali a mifura della
quantità, e varietà degli tp onde fi trovan
ripieni, danno sì a’fiori, come lle foglie, più,
© meno vigore, e vi cagionano quelle varietà sal:
fapori, e di colori, che vi fi fente.
Quetto è quanto (Cavaliere mio caro) n' è riu
fcito di raccapezzare, in facendo più, e più vol=
te le noftre offeyvazioni coll ajuto de’ microfcopj 3
rifpetto alle piante. Ma tutto ciò, che s'è det-
to, è come lo fcheletro, o l° oflarura delle me=
defime: Bifognerebbe adeffo animarle, e farvi ve
dere la circolazione de’ fughi , e dell’ umore lor
proprio . Ma fe tanta difficoltà. generalmente s°
incontra, a ravifare la minutezza di tutti quelti
vafi ; molto più malagevole farà il difcoprire l’
ufo di ciafcun vafo , e la circolazion degli umo*
ri. Mi fon meflo più, e più volte a fpeculare ,
qual potefs’ effer l'origine del loro moto. Giufta
le mie offervazioni, credo ineffetto, che il fugo
circoli per la pianta; e mi pare d'avere {coper-
to, come s effettui queta faccenda . Ma sù tal
particolare non ofo ancora dir nulla di pofitivo.
Cav. Il Signor Priore avra forfe più coraggio
di voi.
Prior. Io per me avventurerò una mia conghiet-
tura. Ma fofpendete frattanto il voftro giudizio,
qualora non la troviate conforme alla ragione +
ed autenticata dalla fperienza. Ame pare, che l'
impulfo dell aria fia valevole a far circolare |’
umore ne’ vafi , che il Signor Conte ne ha già
defcritti j «e che il medefimo impulfo poffa pro='
durre que’ varj progreffi, e quelle varie vicen-
de , che vedonfi giornalmente accadere negli al-.
beri.
‘Ampercioccliè ( dico io ) fe le piante hanno dele
e
DiaLoco diva. 0 der
lettachee, quefte trachee debbono ‘effere deftinae
te a dar loro il refpiro; e fe le piante refpirano ,
convien che l’ aria produca in loro (almeno im
parte) gl'ifteffi effetti, ch' ella produce negli ani-
mali. L'aria ficuramente è l’ origine della circo»
lazione «del fangue , e degli umori nel corpo de*
gli animali; concioffiachè a privarli dell’ aria ,
ecco fubito, che il loro fangue fi condenfa, e fi
‘coagula, e fi muojono. Dal.che inferifco, che \°.
aria Mate ma fia il principio del moto , e della
circolazione degli umori nelle piante ; e che in
loro produca quefto medefimo effetto per due ra-
gioni. Una fl è la fua forza elaflica, per cui fi
sbaraglia , e s° allarga a proporzione del caldo 4
che fa; e dello fpazio, cui trova da dilatarfi, L”
altra è la ftruttura-ftefla delle. trachee., i cui
fpirargli fono in tal maniera formati, che poffon
- beniffimo affottigliarfi ; e poî gonfiarfi , o allar-
garfi , e in confeguenza comprimere., e mettere
in moto i corpi all’ intorno.
Quefto termine di forza elaffica non dee porre
il Signor Cavaliere in ifcompiglio . Egli è unfat-
to già noto, che l’aria comprimefi al freddo ; è
dilatafi al caldo . Le vicende delle ftagioni ce "lo
fanno toccar con mano . Ma per averne così di
| paflaggio una qualche idea , bafteràa paragonare
le falde dell’ aria, che ci circondano, a molte giu»
melle «di lana . Premete colla mano cotefle giu
melle; la lana fubito avvalla, e fi coftipa . La»
fciatele in libertà; ecco, ch’ alla torna a dilatare
fi, e ad ingombrare più fpazio. Lo fteffo appun-
to addiviene dell’aria , con quefta differenza pe-
rò , che le fibre della lana hanno pochiffima for-
«za : laddove quelle dell’ aria fon sì forzofe , ed
attive, che , quando fi trovano fprigionate dal
carcere ;. che le teneva rinchiufe , fcattano con
| veemen-
14% » L'è: Pa a NP E:
veemenza, € fconquafiano alcune volte tutto cid}.
che fi para loro dinanzi. Applichiamo ora la fore
za di quefie molle alle piante. |! ©» ai
‘Un Giardiniere fcafla la terra colla fua vanga;
Prete aratro., e la rivolta diligentemente foffo=
pra, In facendo. ques lavoro , viene a fotterrar=
vi molte , e ‘molte particole d’ aria . Quefte, ak
ritorno della’ primavera, allorchè i raggi del So+
le principiano a rifcaldar l'emisfero, e a dilata=
re; follevare, e aflottigliare la mala dell’ aria'3
élié per lo freddo del verno ‘gravitava fopra di
noi , partecipan pure della medefima impreflio=
me, e fi rarefanno qualche poco ancor effe. Ora 4
in ‘proccirando di fprigionarfi dalla lor carcere;
s'arroventano a più potere, urtano, e fpingono
tutti i corpi all intorno; ficche mettono in mos.
to tutti gli umori, e fali, e bitumi; cui trova=
no fotto terra. Quefti elementi così agitati s' ins
finuano nel piccol pertugio delle femenze, e pe-
netran tutti i pori del'loro gufeio. Gli otricelli,
onde il feme è ripieno , effendo altrettanti fac-
chetti voti ; colla. bocca fempre aperta fe ne
riempiono agevolmente } ed effendo bucati da a°
mendue l’ effremità ii fmioré trapaffa fucceffiva-
mente da' primi a' fecondi, e tutti quanti gl'im-.
pregna ; e poi circolando per quelle fibre ramo-
fe, che pulluiano per ogni parte da’ lobi , arri-
va , in manco fpazio di ventiquattr’ ore, alla bar
‘bolina del germe , dove le dette fibre vengono
‘tutte a far capo. La barbolina , lo fielo ; e le
‘due foglie feminali, onde lo ftelo. è falciato ; fon
pur ripieni d’otricelli voti, che s' imbevono fuc®
ceffivamente ‘del medefimo fugo derivante da’ lo-
bi; e sì, dal vedere; e non°vedere , ff gonfiano”
Tutti quefti lucchetti così gonfiati follevanio sie
‘slargano lab rita le fibre ; per ‘cui un "da
onde
un Contadino femina la terra, vedo pure; ch'egli
Diaroco QUINTO. |’ ragl
onde ancor effe s' impregnano dello fteffo umore ;:
e sì s allungano, e fi dilatano. La barbolina al+:
lungata, ufcendo fuora per.quel pertugetto , cui
| trova nel gufcio del grano, va a ricevere per gli
| orificjede' fuoi capellamenti de’ nuovi fughi dalla
| terra. Le foglie feminali, e’l gambetto gonfiati,
e animati per lo medefimo impulfo , venendo di
giorno in giorno nutriti, e promofli per opera
de’ nuovi fughi , s’ affacciano finalmente alla fus
| perticie della terra j e IL #i,
Contef. Piano un poco, Signor Priore. Quando
va fpargendo quel feme alla forte; e così un ors
tolano; allorchè pianta le fave, o i pifelli, non
ifta a guardare, fe il gambetto del grano è ri-
volto verfo il Cielo , o verfo la terra, ©Or dica
io, fe quefto granello fi trova a capo allo?ngiù,
di modo che il gambetto del germe retti al di
fotto, e:lacodetta, o barbolina al di fopra, chi
infegna ‘allora al gambetto a rivoltarfi verfo il
Cielo ? O chi moftra alla barbolina , ch'ella non
fondarfi fotterra? pivii
Prior. La cofa va certamente così. Queflo è
lo ftile, cui pratican tutt’ e due, fenza preterir-
dee montare in alto, ma rimanere, ed ahche pros
. lo giammai ( Mem. dell’ Accad. Reale 1700,e 1701.
Nicuwentit, Grew.). Se la'femenza fitrova a ca»
po allo’ngiù, quand’ anche la coda abbia princi*
piato ad inoltrarfi un pochetto ‘verfo la fuperficie
della terra; tuttavia torna indietro , forma un
arco, e fempre fi profonda dentro la terra.. Si»
milmente il gambetto, anche dopo efferfi alquan»
to’ profondato fotterra ; fi rivolta allo ’n.sù ) e
afcende finalmente fopra la terra. Spuntato, che
fia; s'alza per ordinario dritto dritto, come un
fufo; fenza pendere più da ‘una: parte; che una
ui AA ; gie
Ual
»
144 Le PrantEe..
altra; a riferva di quelle piante , le cuni vene ;
per effer fenza nervo, e fenza forza; fi torcono
per ogni verio, come la vite, l’ellera, illupolo,
la vainiglia, e molte altre: nel qual cafo la na-.
tura le ha corredate di cordicelle, di tralci , di.
‘branche , e d’ altri amminicoli , per cui s’ attac-.
cano a ciò, che in loro s'imbatte , e vi s'iner=.
picano , per foftenerfi . Del refto , generalmente.
parlando, la radice di tutte le piante fi profonda.
fempre fotto laterra; ed il gambo fla rivolto al-
lo’nsù , elevandofi dritto dritto verfo il Cielo +.
©gnun vede, che la bifogna porta così . Ma la.
ragione di quegli sforzi, cui par, che facciano,
per fuperare tutti gli oftacoli, che s' attraverfa-
no al loro iftinto, nonè così facile a ripefcarfi,
“Quefta faccenda non può certo attribuirfi; nè al-
la loro volontà, nè al loro intelletto. Io per me
credo, che una tal direzione sì ben intefa fia un
effetto naturalmente derivato dal detto impulfo
dell’aria. Le particelle di quefto elemento, prin-
cipiando 2 primavera a difcioglierfi, e a fprigio- .
narfi; e trovando nel fondo del terreno già col-
tivato tutta larefiftenza di quella maffa dura, e
tenace, che le comprime , proccuran di fcappar.
fuora per quella banda, ove la terra è più dol»
ce; equinci fofpisgono, e mettongin moto tutti
gli umori. Il fugo venendo dalle medefime urtato,
e refpinto, fcappa via perdove trova l’ufcita ; ed
imboccando drittamente nel picciuolo, o obliqua-
mente nella barbolina, e ne capellamenti, cottri-
gne tutte quefìe fibrette arrendevoli , ed ubbidienti
a’ fuoi sforzi a prender la direzione accennata ;
ficche, non oflante che la barbolina {i fia incammi».
nata verfo la fuperiicie della terra, contuttociò la
travia dall’intraprefo fentiero, e la fa .a poco &
poco voltare verfo il fuo centro, Similmente l’u»
more
È
/
Draroco Quinto. 145
| mofe infinuatofi nel gambetto , e refpinto di ma-
ino in mano dall’ altro fugo ,. che gli vien dietro,
fi lancia di fotto insù, e porta naturalmente in
alto le foglie feminali del germe, le quali, nel
follevarfi ; non penan tanto a traforare al di fopra,
qualche giumella di terren tenero, porofo , e leg-
giero, quanto farebbono a Sfondate il terreno al-
le bande , o.al di fotto;
° tanto vero, che la direzion degli umori, che
falzono inalto, fa piegar le radici verfo il centro
della ‘terra, che molte volte fi fon vedute delle
ghiande, o altre femenze germogliare ne’ luoghi
n
umidi fopra la terra } e dopo avere a principio.
foilevata la lor radice inverfo ’! Cielo, tornare a .
poco a poco ad abbatlarla, incurvandola , e fot
terrandola, tuttochè fofle afceta molto in alto .
Quefte radici prendevano da principio la lor dire
zione vela il Cielo; perchè il feme fi trovava a
capo a lo'ngiù, e l'avete de'lobi le fpigneva ne=
celfariamente allo’n sù. Ma profciugatofi l'umore
‘de' lobi, e principiando a ricevere immediatamen-
te il lord fugo nutritivo dall’ efalazioni della tera
ra; quelto fugo lavorava di fotto’n sù; infinuan-
dofi nella barbolina; e così l’obbligava a difcen=
«dere a poco a poco alla volta fua . Un giorno la»
fciai accidentalmente alcuni granelii dib tormento
ful mio calamajo. L' lannilinà della fpugna, cond’
era fafciato il {uo vafo. pien d’acqua, fé germo-
gliare quelle granella , eh eran di fotto . Allun-
gatafi la barbolina nonfi curò per allora di attac-
carfi almargine delcalamajo per andar a trovare
il fuo centro; ma follevandofi verfo il Cielo tra
la fpugna, e’l,vafo predetto ; s' incamminò alla
volta del buco ; onde. l’acqua ftillava sù per la
. fpugna: e tanto fece, che alla perfine arrivò fin
all'acqua. Or dico io; aveva forte quella codeta
«domo II, <> Ri i. ta
146 Lor (Piega rai
tà intenzione d’arrivare colà? Certo no, Ma il
| vapore, o umidità , ch'efalava dalla fpugna ; €
| principalmente dall’ orificio del vafo , infinuandofi
‘nel corpo della medefima, le facea prendere una
direzione contraria, ed aticanvala a sé. Dalche
fi vede, che fe la radice delle piante inchina fem».
pre verfo la terra, e vi fi profonda; ciò proviene
dall'attività degli umori, che ve la tirano. © .|
Contef. Cotefta fpiegazione mi quadra. Ma non
fo poi, come farete a moftrarmi, che la direzion
del gambo verfo del Cielo, e quella difpofizione,
che hanno quafi tutte le piante di ffarfi impetti-
te, con un'aria altrettante nobile, quanto gra*
ziofa , che abbellifce tutta la natura , provenga
dall’impulfo dell’ aria .
Prior. Spuntate , che fiano le due foglie femi»
sali fuor della terra , ed arrivate felicemente a
godere dell'aria efteriore, è fatto tutto. A ftrap
par quefie foglie dal germe , la pianta ficuramen» |
te ammortifce. A lafciargliele, la medefima quane
to prima fi folleva verfo il Cielo; e vi fi folleva
per linea retta. Diffi quanto prima; perciocche , |
infinuandofi l'aria efteriore, colla rugiada, oumi» |
do della notte, per gli orificj delle trachee , che
le fi prefentano in fulla fuperficie di dette foglie ,
al caldo del Sole fi dilata per entro la pianta, fa.
gonfiare i canali delle trachee , e fofpigne tutto
ciò, che lei! para dinanzi. Tutta quell'aria, che
trapela ne’ lobi, fornifce difpremerne gli otricel
li pedi profciugarli , per impinguarne il picciuo-
lo; e quella, che s'infinua nella barbolina , fpi-
e l’umor radicale sù pel corpo della pianta, e
Ya riempiendo di giorno in giorno del proprio ak
go nuovi filari d’otr:celli , ofacchetti. Or quefti
facchetti, venendo di mano in mano a gonfiarfi;
comprimono , e fanno alzare le fibre; e sì la fcor=
i 4%
. Birateeo Quinto. 147
22 viene a allargarfi, le foglie ad aprir; eturie
' acquifta vigore. Ma queîto impulfo dell'aria, non
folamente fa follevare il pedale; ma il fafalire a
colonna, cioè a perpendicolo. Insperciocchè, ima
È boccando queff'aria nelle trachee per glifpiragli,
î che il picciuclo comincia a prefentarle, vilavora
dall'alto albaffo; ricerca per ogn' intorno la nuo
va pianta; e, col premerla a cavaliere per ogni
lato, va gonfiando tutte del pari le fue trachee ,
e tutte ne fa intirizzire le fibre ; onde il pedale
non può mai pendere più da una parte, che dall’
altra (quando però non v° intervenga qualche al-
tra caufa/ffraniera , che lo coftringa a piegarfi).
Allora , tanto i lobi, quanto le foglie feminali
diventano inutili, e ceffan di dar foccorfo alla
pianta . Le fue foglie appreftano degli ajuti più
| efficaci, e più forti, per quella gran moltitudine
di nuove trachee, chele fi prefentano; onde l'aria
efteriore, col mettere in moto ciò, che vi trova
per entro, fa pullulare dalle radici molti altri {u>
ghi novelli, iquali riempion le fibre, i facchetti,
e i midolli, e fan faccedere alla fua dilicata ,\e
cagionevole infanzia una robufta , e vigorola
adolefcenza. Que’ fughi, che falgono allora sù per
la pianta, fontantocraffi, che letenere fibre delle
foglie feminali non hanno più agio, nè di ricever-
li, nè di tramandarli alla pianta. Si procacciano
degli altri paffaggj più comodi , e vi fi portano
per altre vie. Quel poco d'umore, che relia ne-
gli otricelli delle predette due foglie , o termina
di fcaricarG nel pedale, o fvapora per l’aria, nè
suefti fi riempiono più. e
Ora, che s'è cavata la pianta fuor delle fafce ,
echel'abbiamo, per così dire, slattata , vediamo ,
com’ ella fa a nutrica:fi.
Cont. Vedo beniffimo , qual pofla effer l'oripi»
Fa
% Du
EST
]
di I Lx Pianre. |
ne delm oto de' fughi nutritivi, e della discolzsioì |
ne degli umori nelle piante. Impercioechè » fe Fanti
ria; che noi refpiriamo, coll’infinuarfi nelno@tro.
corpo per una fola trachea, è valevole a mettere
in moto glialimenti, e cagionare la circolazione
del fangue; molto più dovra farlo nel corpo degli;
alberi, dove s'infinua per molti, emolti canali,
e penetra fin nelle barbe, che ftan fepolte fotter-
‘ra, affine di procacciare, e introdurre ne’ mede- |
fimi i fughi nutritivi. Si può agevolmente capi |
re, come l’aria agita ra dal caldo del Sole , ed |
inclinata per sè medefima, mediante la fua forza |
elaftica, a dilatarfi , fofpinga i fughi ; chele fi |
paran dinanzi, e gl'introduca nelle fibre delle ra=
dici. Ma tutta la mia difficoltà confifte adeffo in |
fapere, come il calore del Sole, .e l'impulfo dell’
aria poffano incamminare, e introdurra..in ciau
na piapra que’ fughi preci , che le abbifognano.
Contef. Giufto qua v’ afpettava, Signor Priore,.
Ogni pianta fia aggavignata alla terra pertanti.
‘upcini, quante fono le barbe, ch'ell' ha. Sicchè
| bon può muover nè meno un paffo, per andarfi
a procacciare il fuo bifognevole . Come dunque |
l’aria calefatta può provvedeHa, di quegli umori,
ehe fanno precifamente per lei: Imperciocchè cia=
fcun albero ha il fuo gufto particolare gx e.. vuol
utrirfi a fuo genio. Quelli ama un fale piccan-|
te; quegli un altro fale più dolce; uno richiede |
del latte; un altro dell'olio; e così via difcorren»
do di tutti gli altri. Or come dunque foddisfarli |
tutti, fenza sbagliare giammai: N
Prior. Certa cofa è, che fel’aria prendeffe mai |
sbaglio, eintroduceiie de’ fughi acidi in una pian-
ta, che vuol cibarfi d' uniori oliofij; potrebbe con
una fola mineftra fconciarne io . Ma quefto .
«calose, satendia aria non hanno ALE RR +
CHE
TI Re zi AR, I
PR ERRE SR e ea lun
I II II
x
DiaLoco Quinto. 149
dle di mettere in moto ‘gli umori, ed appréltari î
salle piante; acciocchè fi fcelgano da per loro quelli”,
alimento , che lor fa d' uopo .
Cav. Che è quel} che voi dire, Signor Beigraii
afigue le. piante fanno difcernere ciò , che fa per
loro ; e' ciò, che lor nuoce?
Prior: Cappita, fe lo fanno! Non potrefte mai
credere fin dove arrivi la lor finezza , in ordine
a quefto punto. Per farvela in qualche modo ves
dere, paragoniamo il terreno d'un orto coltiva»
to, con tutti i fuoi fughi diverfi , ad un vafo,
ove fia un guazzabuglio d'olio , di acqua , e dî
vino. Pigliate tre pezzette di lino, e tuffate un
lembo della prima nell’ acqua; della feconda ‘nell’
olio; e della terza nel vino. Pofcia mettete que»
fte tre pezzette nel vafo fopraccennato, dimodo
che i lembi diciafcheduna impregnati di ‘differenti
liquori refiin fommerfiin quel guazzabuglio.; e
gli altri lembi, che fono afciutti , fian foftenuti
sù in alto fopra gli orli del vafo, e calino a po-
ce 2a poco giù a baffo, ficchè vengano a bagnarfi
«n tantino in quel zibaldon di liquori. Vedrete,
che la pezzetta, ilcui lembo era inzuppato d'ac-
qua, s'impregnerà tutta d’acqua: quella, il cui
dembo era fiato tuffato nell'olio, s' inzuppera tut»
ta d'olio ; e quella, il cui lembo era pregno di
vino, verra a poco a poco a arroffirfi, e fara groa-
dantedì vino. Non è pericolo, che aicuna prea-
da sbaglio. Or adattate quelta parita alle nofire.
piante; che vitroverete qualche analogia. Colui,
che le‘ har ereate ved. oltre a ciò le ha fornite de’
vafi neceflatj alloro mantenimento , e propagazio-
ne, nonha mancato di collocare nel fondo di que-
fi vafi certieribri vl ngn pertugj dian L
adito ‘a’ fughi, che fan pertoro, e tengano indie-
tro tutti.gli altri. Il vafo proprio in ‘particolare
K..3 fi vee
Le Pramte.
f sele effere fato verfo il fondo imbevuto di
quell’ umore precifo, che dee dare l'odore , e il
iapore alle frutta della fua pianta; e nonmai d°
altri fughi. Quindi è, che i redetti canali non
daranno mai l’ingrefio, fe non acerte linfe, e a
certi fali determinati; e il vafo proprio non la=
{cera pailare, fuorchè i bitumi omogenei al natu-
rale fuo olio. Tutti gli altri fughi troveranno le
porte, chiufe , e piglieranno altra ftrada. rerque-
fia fieila ragione viene a raffinarfi il fucchio d’ un
piantoncello falvatico, allorchè giunto all’ imboc=
catura d'un ramo domeflico , che vi fia ftato
incalmato. Quel fucchio trova de’ cribri, 0 boc»
che di canali tanto firetti, che non vi può infi-
finuar le fue fecce ; ma folamente introdurvi il
fuo umore più dilicato. Similmente, trovando full
‘ introito delvafo proprio alcune ‘gocce d'un cert’
olio particolare ; ; cio, ch'egli contien omogeneo
alla dilicatezza di quel bitume, viè bene accol-
to; ed il refio trovandofi refpinto s prende altra
firada, e vaa fcaricarfi dentro le rame, che fi com-
piacciono di riceverlo. Ed ecco la ragione, per cui
una fiefla pianta produce talora de’ frurti di di-
verfa natura, e fapore. Noi non veggiamo queft'
artifizio, che per barlume ; ma ci accorgiamo be-
nifimo, che realmente egli v@a:
Cav. Reflo trafecolato , a veder quanto fempli-
ci, e quanto fecondi fino ad un'ora que mezzi,
di cui Dio fi ferve nell’ operare.
Psior.. Parmi d’ aver in parte, fe non intutto,
fpiegato, come le piante di differente natura pof-
fan trovare (fenza affaticarfi, e fenza muoverfì )
in uno fiefio terreno i fucchi ed umori , che al
loro flato abbifognano «+ Vediamo ora, fe ci rie=
(colitii invii rodi, rs do; della leto circolazione ,
e d' arrivare a fapere, fe il fucchio monti i ela
radi=
DiraLoGo Quinto. 161
radici alle Fame ; @ poi ritorni dalle rame nelle
| radici, o s' egli tenga altra ffrada. |
Io per me non crederei, che il fucchio porettà
| camminare, nè sù pel midollo; nè sù perla fcor-
«za. Laragione, percui noncredo, ch'egli afcen-
| da sù pel midollo, fiè; perchè quefta parte noti
| ha vafi proprj , onde poter circolare , ma fola-
mente delle vefciche, o facchetti da potervifi ri=
coverare . In fomma egli è un ricettacolo gene-
rale del fucchio; ma non già un canale, percui
pofla fcorrere . ‘Dico “altresì ;, che queto fucchio
non può circolar per lefibre della corteccia; per»
ciocche quel, che fi trova dentro la fcorza di pa-
recchi alberi ( efempigrazia de’ ciriegj) è colorito
d'un roflo piuttofto accefo: qualità, che la terra
mon gli da certo, e che non può aver acquiftata
col mefcolarfi con quel delle foglie, e delle frut-
ta. Convien dunque dire, ch'egli afcenda per li
filamenti del legno, e quindi fi porti verfo tutte
l eftremità . In prova diche, trovafi per appun-
to: in quei filamenti , proporzionati quafito mai
dir fi poffa a far circolare gli umori , un certo
fucchio dilavato fenza colore, e fenzafapore, fe.
pur nonè (come il più delle volte addiviene} un
grande acido. Or quefto fucchio ; nel circolare per
tanti canali , che vanno fempre intrecciandofi ,
«nè lafcian paffare, fe non gliumori più dilicati,
‘e i-fali più fottili, fi va dimano in mano puri&»
cando»; Gnrantochò arriva alle foglie , dove -for=
nifce di perfezionarfi : perciocchè , ricevendo ‘elle
no/inceffantemente dalla parte , che guarda il Cie»
lo, per molte trachee tutte aperte , dell’ acqua ,
o altro retrigerio, con nuova aria, nuovi nitti,
‘nuovi vapori, e nuovi faghi nutritivi , viene 3
mefcelarfi con efli; e sì s' aflotriglia , e fi riduce
iniftato di poterli infinuare ne’ fiori, e ne’ frutti,
k 4 Mi
/
Po
Pd
te cLie: Ord x ni
Migiova pur credere: ‘che il vafo proprio ’ cop
diramarfi, ch'egli fa, pér tutte lefoglie, pe’ fio-
ri; e-pe frutti vivi (patti certo mele, od un-
suento, le cui parti ballamiche vadanfis cadi ce |
do coll’ aria, .col-fale; e coli acqua, è v' impri*
‘-mane quell’ odore ; ‘e fapore; che in lot fitrova
Quefta mia idea è conformiffima all’ efperienza .
Conciofiachè non v° ha negli alberi parte piùv‘olio»
fa, ne più luftra delle fogli ie; e de':fiori;eril-più
delle volte la qualità dell' tini « onde le foglie fo.
no impregnate; è confimir.al fapore»del frutto;
o: del feme, come wedefi nel noce is e nel:ipefco è È
Queil amaretto ; che f{enteft nel feme delle man
dorie, s imprime anticipatamente nelle foglie dell’
albero; e. poi;fi comunica.per mezzo loro: anche
al frutto, e alla mandorla »\ che nè per nafcere.
li fucchio depuratò , earomatizzato: dentro de fo-
glie viene ad affotvigliarfi-in maniera tale, cliè può
beniffimo infinuarfi. per picciuplo: de’ fori ., ‘o de’
frutti circonvicini; e«quetta (fecondo égni: appas I
renza) è la &rada , ch’ egli prende: concioffiachè,
fe a. primavera , allorehe! gli alberi fonovin ua !
chio; vengon brucate da) vermi le loro foglie, o
fe perqualche altro accidente le perdono:,:le frut-
ta, che principiavano ‘a sbocciar fuora ; fi feccan
tutte. ; non mica per mancanza d'umore; poichè
la doicezza della ftagione ne fomminiftra ‘allora in
gran copia; ma per mancanza d’'umor: prepara=
to, e adattato alla nicchia de’ vali, onde oa
Satibta fon corredate...
«Il fucchio , che mediante la fua ctefiivià non.
ha potuto introdurfi per. entro le véne capillari
delle. foglie, e delle frutta , va.probabilmente 4
- difcaricarfi nella fcorza ; quello poi, che perla fua.
iottigliezza ha potuto trovar l’ ingreflo nelle fo-
glie, e ne frutti, dopo aver circolato per le ve-
sa ne,
A Pad Qi int.
‘me, per glicotricelli, e pel midollo dell’ able P)
| fi divide in due parti: una delle quali rigurgità.
per la feorza; e l'altra, trafpitando de’ pori. dell’,
I Npiderniai, (o) pelle efteriore , fvapora + n 4001
dI fudcliie: fottile ; che rigurgita. dentro la rez«
“a, dà il colore al bitume più craflo,-che-vi ria
gurgita ancor egli; ed il: mefcuglio'.di quefti due
i fucchi. produce nella fcorza. quel. ‘mirabile effetto ;
| che il-Signor Conte ne ‘ha poc* anzi moftrato.;
cioè il ftaccar dal legno la prima fafcia, ed ape
plicargliene .tofto una nuova, per farlo crefcer di
i mole.. Ma queftafucchio, che:va nelle» fibre della.
; corteccia ;, fa: ancora di. più:s:ba parte più dilica».
| ta, e fottile s'infinua negli otricelli; la più:grofs
fa, o men pura difcende alla.volta delle radici ,
per poi rifalire sù in alto, escribrarfi. di nuovo.
Gli umori. gia infinuati per:entrovi facchetti tra» .
paffan tutte le*fibre del legno; e:penetrano fino
al midollo; e quivi van rinfrefcando , enutrendo.
da capo a piedi il medefimo legno . Quefti fteffi
umori paffan da gli otricelli nelle fibre trafvera
fali; che formano i‘nocchi..Quindiè, cheibocci+
‘oli ivi entro rinchiufi ricevono un. fugo perfet=.
tamente. preparato:, e proporzionatiffimo alla fom=
ma dilicatezza delle loro fibre. Che fel’ albero fia
incalmato ;, gli otricelli impregnandofi di maggior
fugo;. inondano i nocchi, e.buttan fuora più bot
toni. Quefto travafamento del fucchio, ch'io ars
gomento farfi dalla fcorza. ‘negli otricelli , da gli
otricelli nel midollo, e quinci nelle fibre de’ ‘noce
chi; è comformifimo alla difpofizione de’ vafi j e.
tanto più è verifimile , quanto che le piante |,
che han di molti bottoni, o di molti fiori , o di,
molti frutti, hanno altresì molto midollo , come
fr vede nel fambuco; e quelle all incontro , che’
4' hanno pochi, o niffuno ; non hanno punto dî.
mi-
ia AI
154 Lr PIANT mal
midollo , come addivien ne’ pedàli delle fave , €
de’ formenti.
Quanto all’ altra parte del fucchio fottile, che
fvapora per la rezza delle foglie, ede’ frutti, e-
gli trafpira a proporzion dell’ apertura de’ pori,
che vi ritrova. Ill caldo temperato da un dolce
frefco mette in fucchio tutte le piante; né lafcia
{vaporarne in gran copia. E quefto è’l motivo,
per cui a ir Forni i e verfo’l fin della ftate fon
piene zeppe di fugo . Ma alcune volte fa tanto
caldo , che s' apron notabilmente i pori delle fo-.
glie, e di-turte l'altre parti delle piante ; e al-
lora il fugo deglivotricelli, che ftendefi orizzon=
tzimente fin alla rezza efteriore, trapela fuori, @
prefto prefto fvapora'.. Allora gli otricelli , per
dendo più fugo di quello , che non ricevono , è
giuocoforza , che tutti diventin fiofti , e fchiac=.
ciati , cometanti facchi voti. Le fibre altresì, , che.
s' attengono a gli otricelli, per mancanza d' ap-
poggio , infiacchifcono , e vedonfi allora tutte le
foglie, e le fteffle rameinchinar&i, e quafi in at-
tod'ammortire. A quefti caldi ecceflivi l’ albero
acquifta più la notte, che’l giorno; anzi la not»
te gli reftituifce più umore; che il giorno non
gli avea tolto .
Ma la natura, oltre al refrigerio della notte,
ha preparato a quefto male un altro rimedio ,
che giova fempre eziandio ne’ caldi meno violere
ti. Il vafo proprio, in cui contienfi un certo u-
more untuofo , e particolare a ciafcuna pianta,
| non è folamente deftinato a perfezionare il fuc»
chio, el fapore delle frutta, o a riempierl’aria
di foavifli Imi odori; 0 2 colortre , tanto lefoglie,
quanto le frutta, di quel vermiglio , che le ren
de sì vaghe, o a fomminiftrare ‘alle "pecchie quel
dolce mele , che vi raccolgono , o a dare a noi
i tane
i:
DiAcLoco QUINTO. 155
tanti olj giovevoli, efalutari; che fe ne fpremo=
no. Egli fa ancora di più. Spande sù per le fo-
“glie una piccola dofa del fuo olio; ficchè non ars
| rivi a ferrar gli orificj delle trachee , per cui l’
acqua, el aria debbono infinuarfi; ma bafti nel
empo ftefflo a turare gli altrui pertugj più pic»
coli del perioflio, e degli otricelli, onde non POM
fa farfene una foverchia evaporazione .
E quefta probabilmente è la ragione, perchè
le piante, ove abbonda quetfî' olio, e dove è più
craifo, e più difficile a {vaporare, fr mantengono
‘fempre verdi, come fa il boffo, l'alloro; l’arar»
cio, e molto più ancora il pino», l’ abete, ed il
taffo, i quali adornanocolla loro ‘inceilante ver-
dura i luoghi più freddi, e men battuti dal Sole.
Quetti alberi crefcono molto adagio; perchè din I
vono meno aria degli altri, ma confervano me
«glio quella, che lianno ; perciocchè trovano lol
loro olio, 0 bitnme un prefervativo; che li difen=.
‘de al di fuori, ed impedifce , che il caldo , le
piogge, e gli fcirocchi non portin via il loro fu
go, e non gl'infiacchifcano .
Verfo la fin dell’ Autunno , i primi freddi ce-
minciano a riferrar efteriormente le foglie , e il
loro fucchio non ha quafi più campo di fvapora=
re. Gli umori dall'altro lato , profeguendo tut-
tavia a circolare per entro, € in confeguenza a
concorrervi, fanno impinguare le ‘dette foglie; e
allora, tra per lo pefo lor proprio ) e tra per
tn pesi ii de’ venti, cafcano tutte; o fe non altro
confumandofi a lungo andare tutti i lor olj, ed
umori, fenza rimborfarne de’ nuovi , ingiallifco-
no, e reftano, come tante reticelle piene di fac+
chetti ben fiofci, e dicoftoline rifecche. L’ inver-
no poi termina d' intorpidir la natura. Tutto al-
lora par morto; finchè il Sole non torna a prensa
dere
di (Free Pià a ns]
Qere nuova forza, e col mettere in. moto l arias
e gli umori, non ravviva colla virtù del fuoi rage
si la terra il ;< .
| Cont. Nella voftra alaib ioni trovo’ dae cofe.
da efaminarfi diftintamente».èL’ ‘uha è la manie=
ra, concui pretendete; che facciafi la circolazio= |
ne del fucchio ; l altra è la caufa , a cui late;
tribuite . È
Quanto al primo c$par, fondi parere, che nel-
le piante non fegua ,\fe non un moto alternativo /
de’. vapori della terra; che afcendano il giorno sù
pel legno; e.sù per la fcorza; e de fughi, ova-.
pori dell’aria, che difcendano infieme col fucchio;
particolarmente la notte, perglifteffi canali, Ciò.
nonvoftante trovo molte. efperienze , le quali par,
che giuftifichino.la vofira opinione. a,
Se «voi fate uno fcalfitto orbicolare attorno alla »
fcorza:d’' un ulivo ,.egli getta in quell’anno dop-
pie foglie, e il doppio de' frutti degli altri anni;
ma .col progreffo del tempo tutta quella parte ,.
chè refta al di fopra a poco a poco languifce, e
finalmente fi fecca ( Mem. dell’ Accad. real:1799. ) .
Lia: ragione probabilmente. five, perchè il fucchio
fermatofi nel fuo ritorno verfo il margine ‘della
calteritura , viene di primo lancio a caricar fover=
chio le rame; e poi vi'!fi condenfa; e fi Magna.
_ Ho veduto eziandio: certe piante molto tene=
re, € piene zeppe di latte , le quali vengono a
comprovare la voftra opinione. A legarle ftretta-
«mente verfo la metà del pedale con qualche firin-
ga ,, o ritorta; vedonfi a poco a poco. nel fito
della legatura gontiare , e quafi in atto .di.crepa-
res.il.che non può proceder da altro, fe non dal
fugo latticinofo , che afcende dalle idiri sù pel
pedale; e poi difcenderebbe giù perlafcorza, per
ritornare nella radice, dove non yeniffe impedito
Cai
®
DraLoco Air do #7
dal ‘quel legame . Così appunto nel corpo umano
i il fangue. fcorre per certi canali fegreti da’ vali ins
‘teriori; chefon le arterie, ne vafiefteriori, cio@
a dir nelle vene, etorna di nuovo: al cuore; pur=
chè il fuo corfo non venga interrotto da ‘una le=
gatura, preilo alla quale ficondenfa, efi flagna ;
e fa gonfiare fenfibilmente le vene. è
Egli è un fatto di gia notorio , che gl’ India-
ni, col fare una tacca a piè della fcorza de’ lor.
| palmizj, e.coll’inferirvi un-fufcello ; ne cavano
| un liquore'copiofiffimo , e guitofifimo , detto da
loro vino di palma , il qual fi converte di li &
pochi giorni in aceto. Ora fuppofto, che il fue=.
chio torni a difcendere giù per la fcorza , com’
io diceva, fi può beniffimo render ragione di que»
fto fatto. Se poi egli montafle dalla terra sù per
la fcorza, com'è l’ opinion più comune, ‘in. che
‘maniera potrebbe egli aver contratto quel fapo-
re aromatico:, o vinofo , che vi fi fente ?- Più
probabile certamente fi è dire; che quello fuc=
chio falga per le vene del legno fino alle foglie;
che quivi fi feltrî , e fi perfezioni , mefcolandofi
‘coll’ umore del vafo proprio dei palmizio; e che
finalmente quella porzione , che rigurgita dalle
foglie, ed entra nella fcorza., congiungendofi; è
incorporandofi con quel, che fcendevi dalle ra»
me, produca un liquore copiofo , e partecipante
del fapore del vino . In capo a qualche giorno
fvaporati i fughi volatili, e dolci, che corregge»
vano ‘in quel liquore l’acrimonia de’ fali, e l'a
marezza del bitume fecciofo , gl’ Indiani non vi
«trovano , fuorchè un liquor groffolano co’ fuai
fali difciolti, ch’ @ quello , ch effi chiamano
aceto.
In ordine poi all’ origine della circelazione ; che
| yoi attribuite , parte al caldo ; e parte all’ im»
pul-
158 nette: PO dote rt 000)
iu dell’ aria , le prove ci fi prefentano a bale
le. Le piante fon sì foggette all’ influffo dell’ a-
ria, che feguono fedelmente tutte le di lei varia»
zioni, o vicende. A privarle dell’ aria , perifco=.
no; avendone poca, languifcono ; cofiipandofi l'
aria, ammortifcono;; rarefaceridofi, e atfoctigliarg
dofi, fi ravvivano. |
Feci una volta intorno aciò , che voi dite, un
efperienza sì vantaggiofa per voi, che vi farei un.
gran torto a non comunicarvela. Seminài ‘del fee
me di lattuga in una ajuola eipofta all’ aria , e
nello flelo tempo ne feminaiinun' altra, la qual
coprii colla macchina deita del Boile; e immane
tinente le tolfi l’aria. La prima femenza germo=
gliò fubito, ed inc termine d’ otto giorni era già
afcefa all’ altezza d’ un’ oncia , e mezzo: quella
poi, ch’ era dentro alla macchina , non fi vedea
nè meno fpuntare. Feci allota rientrarl’ aria nel
recipiente; e quefta mife fubito inmoto tutti gli
umori , e in manco d' otto dì la femenza ger=.
È sr
mogliò , ed afcefe all’ altezza di due once tra-
boccanti.
Mi fi prefenta eziandio un altro effetto di que-
flo impulfo dell’aria, che mettele piante in fuc-
chio; mentre vedo tutto dì, che l'orzo germina=
to, di cui fo comporre la birra per la mia gen
te, e ch’ io foglio tenere in una canova fcura,
volge, e addirizza tutti i fuoi germi alla volta
dello fpiraglio. L'aria, che non ha campo d' in-
finuarfi per altra banda; imbocca ne' pori di tut-
ti que’ germi , e li tien rivolti verfo di sè. E
quefta pure è una nuova, ed efficace riprova di
ciò, che avete detto, in ordine alla direzion del-
le piante.
Quefto medefimo effetto fi ravvifa in tutti gli
alberi, che fon feminati, o piantati nelle caver»
ne,
Diatroto Quinto, 759
ne, dove tutto il loro fogliame guarda lo fpiraa
glio, .0 la bocca, per cui entra l'aria.
‘In fomma , è tanto vero, che le piante diven=
Wiitio, o deboli, o vigorofe , fecondo la debolez=
za, o vigore dell’aria, che vi s' infinua, quan»
to che, lafciandofi efpofti all’ aria .il radicchio , il
cardo, od il felano, vengon sù verdi verdi, e il
‘loro fugo è amariffimo: laddove a fafciarli attor=
no attorno con qualche ritorta, e farne tanti co-
| voni, ficcome l’aria non ha più campo d’ intro»
i durfi nelle loro trachee , fe nonaffento, nè può
fornirli, fe non di fughi deboli, e proporzionati
alla picciolezza delle lor fibre j così tutto quel
cefpuglio di foglie nafcenti , che voi vedete per
entro a'predetti covoni, vien sù adagio ; e non
| potendo dilatar le fue fibre, ferba fempre un' aria
bambinefca , che fpira per sogni lato tenerezza, e
.dilicatezza. Il fuo fapore è dolciffimo , € dl {uo
“colore pallido pallido .
Cav. Dimandai una volta il perchè al noffro
| Giardiniere di cafa; nè mi feppe rifponder altro,
fe non che a lui s' afpettava fafciare i cefti del
la cicoria; e a me l'andar cercando, perchè di-
ventafle bianca.
Cont. Se l’ aria da forza, € virtù di sbocciare
alle piante, a mifura dell’ infinuenze, ch’ ella vi
porta col proprio impulfo , ecco fciolta una que
fiione, per cui s'è contato mille volte, fen=
za poterfi mai a verun patto accordare . Signor
Cavaliere, mirate quella collina. La fua piaggia
rminare sù in alto in una bella pianura.
Ecco la\in sù quel piano un groflo noce; edec-
cone un\altro in sù le china del poggio , Nota-
te di grazia, come le rame del primo noce , ch’.
è fituato in alto ful piano della collina; fon tut=
te da pie parallele alla terra ; cioè a dire per
I ogni
160 Èon:Pi e eso .
ogni parte equidiftanti alla medefima. Notate al
tresì, come quelle del noce; ch'è piantato in fuls
la china del poggio , ferban pure la fiefa rego-
da; tanto che l’ albero ; per arrivare a una cos
tal fimmetria, ha dovùto buttar più polloni dalla
parte di qua , onde la piaggia dichina , che da.
quella di là, onde fale. Un cotal metodo ravvi».
ierete mai fempre in tutte le rame degli alberi, .
che fi lafcian crefcere a lor capriccio; pifi tro».
werete, che la lot bafe ferba fempre il livello del.
terreno, cui adombra, formando una linea, orà.
obliqua, ed ora orizzontale , per trovarfi tutte.
parallele, o equidiftanti alla terra. La ragione
d’ una sì fatta € per dir così ) affettazione , ci
wiene additata dal Signor Priore; ed è una con-
feguenza naturale della fua conghiettura.
Il pedale del noce impiantato fulla china del.
poggio forma colla bafe , o terreno di fopra un.
angolo acuto, e colla bafe ; O terreno di fotto |
un angolo ortufo: ficchè tra l'albero, e la bafe.
alcendente paffa di mezzo uno fpazio minore, che.
non fa trà ?l medefimo ‘albero, e la bafe difcen- |
dente: Heperche fo tra È albero s e ’l terreno,
che monta ( cioè dalla parte dell’ ch acuto )
paffan di mezzo fei colonne d’ aria; tral’albero,
e.’l terreno , ‘che fcende ( cioè dalla parte dell’) |
angolo ottufo ) ne pafleranno di mezzo nove, 0
dieci. Or dove regna. un egual quantità d' aria
libera, e attiva, la pullula egual quantita di
polloni, o di rame; e pre cl incontro fl tro-
. va più copia, e più impulfo d’ aria, la sbocciano
neceffariamente più bottoni, e germoglian. più
rame. Sicchè, formando il noce-piantato ful pic-
col piano della collina col fuo pedale,, ecolla ter=
ra, che gli {erve di bafe, per ogni verio due an-
goli retti , riceve per ogni parte'un pgugle pen
\ pu CI
là
n Diatoco QuinTO.
qpullo dall'aria, che v'è di mezzo; ed ecco, sche
31 numero delle rame, che ne srngipglient, È è giu:
| fto uguàle per tutto, Siccome i polloni della ban-
da finiftra abbracciano per appunto lo fieflo fpa-.
zio, che i polloni delia de@tra; così la lor bafe è
appreflo a poco parallela all’ orizzonte , e quaîi
per tutto equidiftante alla terra . Per la ftefla ftef-
fifima ragione , fe il noce, ch’ è fulla china del
poggio, butta dalla. parte. fuperiore , mediante l'
impulfo di fei colonne d’ aria, feicento bottoni,
dovrà buttarne dalla banda di pipa mediante 1”
impulfo di dieci colonne ; un migliajo . Per la
qual cofa ; buttando infallibilmente più bocciuo-
li, € più foglie dalla parte inferiore , che dalla
fuperiore, le rame, che proverranno dalla banda
di fotto, ingombreranno più fpazio di quelle di
fopra; e così, dilatandofia proporzione, s' acco-
fteranno alla terra al pari di ele. Egli è dun-
que altrettanto naturale, che la bafe delle rame
che naicono fur un albero piantato in un terre=
no ripido, e montuofo, fecondino il pendio del-
la terra., quanto che la bale°delle frafche ger-
moglianti fur un pedale piantato in pianura fi
fiendano in linea orizzontale, e fecondino il pia
no del lor terreno.
Prior. Quante ‘più poi faranno le confeguenze ,
e le applicazioni femplici , e naturali , che noi
tireremo dalle nofître promelle, tanto più verrà
autenticarfi la noftra teli. S Signor Cavaliere, ve-
dete voi que’ due alberi morti colà full’ ingreflo
di queli' ortale? Può effere, che ci riefca di rin»
venire, giufa le noltre premelle s il motivo del
lero Sg i e della lor morte. Uno diloroè tut
to fafciato di.mufco ) ch'è. una ,cert' erba; la
quale. nafce sù gli alberi, evi piansa una quati»
tira innumerabile di radicerte, e di ba arboline . Ja
Tom. II, pi ale
163 «dò e 1: L'AS Pa I
litro ba cominciato a patire; ed è mortò, dopé
efferfi trovato fepolto fotto i rovinacci d’ una mus
raglia caduta a terra. Or dico io, che male han
potuto fare a quefti alberi il mufko.; - quei ros
winacci? |
Cav. Ognuno vede, che le barboline; e i fru-
ticelli del mufco, col falciar l’ albero quafi da cas
po a piè, han potuto ferrare tuttele fue trachee; |
e così torgli il reipiro. Quindi è, che non avens
do più aria, che. lo provveda di bieumé, edu
more, fi è inaridito, ed è morto.
Contef. Per la flefia ragione , dovendofi far lo
fvaporamento de’ fughi fuperflui per le fibre del+
la fcorza_, nè potendo effettuarfi , mediante la.
terra, che gliele ha ferrate, albero ha dovuto
neceffariamente perire, per lo condenfamento de
i detti fughi arreftati È ed intorpiditi..
Prior. Se quelo po di barlume, che noi abbia:
mo dell’ ufo, e relazione delle parti interiori del-
le piante, È capace di ricolmarci di maraviglia ;
qual mai fara il noffro ffupore; quando verremo
a contemplare la fecondità! Elle fon corredate pi
infiniti germogli, e fulle radici, e ful pedale,
sù tutti i lor ramicelli, e fulla più parte de’ fo
ri; e finalmente sù tutte le loro femenze. Un
albero folo ( ma che diffi un albero folo? ) una
fola rama, un fol feme € capace di fomminiftrat
la fua fpezie a tutta la terra per tutti i fecoli.
Quefta fecondità ha veramente del prodigiofo : e
fe degna di gratitudine è la Divina beneficenza
per la fingolarità de’ favori, ch’ ella ci ha fatti;
non men degna di ringraziamenti lo è per quel-
la gran largità , con cui s'è compiaciuta di com
partirceli . Ella non s° è contentata' di far, che.
l uomo potefie partecipare di quella. tal pianta;
Che più gli folle piaciuta; ma ha voluto, e de=-
“IRA
Diiatoco Quintò. 64
cretato, che. fofe quafi impoffibile, ch’ ella arri»
cwalffe a' mancargli , ad onta di qualunque acci*
dente, che foffé potuto mai nafcere.
Contef. Fu quì da noi , non Èè ancora molto
| tempo paflato, un Gentiluomo di fottiliffirmo in-
gegno , il qual fi mife a calcolare, quante femen=
ze conteneffe una fola trama d'un olmo giovane,
che più non aveva di dodici anni. Pofcia sù que»
fio piè facendo il computo delle femenze , che
dovean effere in altre otto rame maeflre ; e dal
prodotto d’un anno argomentando quello di cene
to, vi trovò de’ milioni, e delle migliaja di mi»
lioni di femenze ( Mem. dell’ Accad. delle (cienze.
|M. Dodart 1704. e Nieuwentit. Exif.). Contò pari-
mente i bocciuoli vifibili , onde potean germo=
gliare di nuove rame in un anno ; e fommando
fucceffivamente i bocciuoli, che farebbono germi-
«nati in cent’ anni , computati ancor quelli, che
rimanevano inutili per tutto l' albero per man-
canza de’ neceflarj preparativi, e aperture, vene
ne a formare un calcolo , che ci fece ftordire;
conchiudendo da par fuo, che in tuttel’opere di
Dio , non folamente fi vedeva improntato il ca-
rattere della fua fommafapienza, e potenza; ma
( fe pur è lecito il dirlo ) l’ifeffo carattere d'
infinito +.
Prior. Quefte verità efigon da noi tutta lame
mirazione, venerazione ; ‘€ rifpetto . Elleno ci fpa-
ventano ; perchè fiam limitati. Per altro è be-
ne, che le vediamo in qualche modo, per poter
meglio comprendere la noftra mefchinità. Ma do-
ve non troviam noi occafione di riconofcerla ? La
noftra fantafia non refta folamente confufa a con-
fiderare quefta portentofa quantità di germogliin
un albero. Un femplice fiore rimirato così fuper-
ficialmente , allorchè la mattina fpunta, e la fera
I RA ama
164 Lx. \PtiAN:TE:
ammortifce , ci prefenta ‘un oggetto lavorato per
mano d'una fapienza, che, nè il no ro occhio,
nè I noftro intelletto può mai arrivare ‘a com-
prendere . Iddio a bello fiudio ha voluto fopraf-
farci con quefta fpezie id’infinità, che fi ravvifa —
per tutto; affinchè il nofiro fpirito impari a fog- |
gettarfi a quell’ infinita , che realmente fi trova
| nella fua effenza ,, ne fuoi attributi , nella fua prov-
videnza, nelle fue opere, ne’ fuoi mifferj....
Contef. Egli è infallibile, che un fiore, il qual.
fi confidera , come un oggetto dozzinale , e co-
‘mune , non folamente racchiude in sè delle bel-
lezze fiupende; ma ci apprefta eziandio de’ van-
taggi, e de prefervativi ammirabili. Io per me;
in contemplando una volta la vaghezza d’ un fio-
re, il confiderava, comeuna bella pitturina, at-.
ta a rallegrare co’ fuoi vivaci colori la vita , e.
talor anche colla fua-foave fragranza l’ odorato.
Non vi ravvifava. nient’ altro ( Samuel Morlan.
Tranfat. Pbilof. n.287. Raii Hift. pl. Memor. dell
Accad. delle fcienze. M. Geoffroi îl giovane 1711.)
Ma il mio computifta mi fece reftar.di. faffo,,
quando mi mofirò , che il fiore , non folamente;
era la vagina, e la cuftodia del frutto ; ma che.
tutte le di lui parti erano neceflarie, e concor-
“revano tutte d'accordo alla formazione, e firut=.
tura del frutto. Non mi fcorderò mai Y ingegno-
fa dichiarazione, ch’ egli mi fece, di tutte que»
fle parti. A noi altre donne , che non fiam av»
vezze ad imparar nulla, fe vien contata qualche
bella novità, fa maggiore impreffione , e refta più
agevolmente fcolpita nella memoria, che non fa-
rebbe a voi altri Letterati, che avete mille altre
cognizioni, che v'imbarazzan la mente.
Vi fon certi fiori ( mi diceva il foprammento»
gato Gentiluomo ) che hanno il lor calice ,.@
D'il'idcs QUINTO. 165
fottocoppa efterioré, come i papaveri, i garofa-
ni, ecceter4; ed alti che non l’ hanno, come i
«tulipani, gli anemoli , eccetera . Ma in tutti i
fiori, o almen quafi in tutti, fi trovano ordina-
riamente le parti feguenti; cioè le foglie , le fi-
lacciche , le polveri granellofe in cima delle filao-
ciche; edi piuoli . Le foglie del fiore fono, per
dir così, il lor parapetto ; poiche, oltre all’ in-
ghirlandarli, all’ occorrenze li coprono . Quefte
foglie , appena fpuntato il Sole , fi fpalancano,
per accogliere il di lui calore; e al fopraggiugne-
re della notte, parte più , e parte meno, fi ri-
ferrano. Direfte , che la cuffodia del feme foffle
ftata confidata alla loro cura; e ch’ elleno avefl-
fero ingegno , per confervare il To aclor
commeffo. Producono poi nel fiore gli flei ef
fetti, che quelle delle piante nelle medefime pian»
«te. S'infinua pe loro poril’aria, l’acqua.:; il fuo-
co, ed il fale , e tutte le quintellenze j'checivà
interno s' aggirano.
Il feme fta racchiufo, quando in uno, equane
do in più piuoli , che fono tanti facchetti yi per
fo più fituati nel centro del fiore. Le filacciche
fono altrettanti nervetti, o colonnette, le quali
afcendono fino all’ altezza del piuolo, e foflengo=
no le polveri graneliofe . Quefte granella foftenu-
te da gli additati nervetti fembrano tanti grap-
‘poli d° uva , o gufci di formento ripieni d’ una
minutiffima polvere appiccaticcia . Quando elleno
fono mature , lafcian cadere le dette polveri per
varj cribri nel vafo , € particolarmente in fulle
vette de’ piuoli. Per queffo appunto i piuoli fo-
no tutti forniti di groppetti , o di punterelle, el
impiaftricciati d'un umore yifcofo , etraforati mi-
nutamente ; perchè debbon ricevere , e ritenere
| quelle polveri granellofe. Le punterelle, i grope
L
3 pets
166 Le. PiANTE,
petti, ed il vile le fermano, ed i pertugj dacei
do lor adito di portarfi per fino al feme ; o, fe
ogliam dire , che i cribri del piuolo fian tanto
sogni , che le polveri non poflano trapaffarvi,
convien credere, che quefti granellini fieno per
loro fieffi tanti globetti di cera; che contengano
dentro di sè , e buttin.fuora tina materia ezian=
dio più minuta...
1 giobetti, o granellini di detta cera refan for-
fe tutti attaccati attorno al piuolo , e al fondo
de’ fiori; fintantochè l’ umore, @ fpirito, ch’ eli
contengono , trapeli pe cribri del detto piuolo, .
ed arrivi fino alle femenze , per fecondarle. Non.
fi fa ancora di certo , fe le polveri contengano
in sè de germi, deftinati a portarfi nelle femen=
ze; o fe ciafcun feme racchiuda dentro fe fieffa
uno, 0 più germi; ficchè il più vicino alla boc=
ca del facchetto refti prima di tutti inondato, e
fecondato dallo fpirita vivifcante, che fcaturifée
dalle polveri fopraccennate. Non voglio intrigar-
mi in quefie difpute de’ Botanici. Ciò, che in que»
fto propofito s'ha di ficuro, fi è, che il fore non
s' apre ad altro oggetto, fe non a fine di matu-
rare le polveri; e che le polveri fono il principio
della fecondità delle femenze. Se mai a primave-
ra fopraggiungono de' rovinofi rovefci d’ acqua,
non v' è più fperanza di vedere in quell’ anno
{puntar fiori. Similmente , quando la detta fta-
gione è incoftante, ficchè 0 la pioggia porti via
quelle polveri, o i] freddo riferri le aperture del-
le cafelle, ove rifiedono le femenze : ficcome al-
lora non entra quafi punto di quefta materia pre=
ziofa, ne in dette cafelle, nè ne’ piuoli; così la
più parte de’ femi reltano inutili, e non ne por=
tano, che pochi fiori. Quefta medelia i difgrazia
accade ancora ne fiori della vite , e del formen=
to,
MESETTO
Le d
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Driatoco Quinto. 167
| to, e in quelli pure degli arbori, e degli erbag=
gi. Se poi “la flagione è benigna ; e le polveri.
fon ben mature, fe ne infinua una piccola parti-
cella nel pertugio di ciafcun feme, e il feconda;
e sì l'annata è fertiliffima . Gli altri granelli di
quefta polvere, che fono innumerabili, non fi dif>,
perdono mica. Le pecchie forman con efli la lo-
ro cera, e moltiffimi infetti fe ne nutrifcono ; 0
fe ne approfittano per qualche altro lor fine , che noi
non fappiamo.» Per. meglio dare ad intendere tut=
Li: 4 te
Spiegazione della Figura,
1.Albero piantato in pianura. 2. Angolo retto. 3. Al
bero piantato fur un terreno declive. 4. Angolo acuto,
o minore del retto. 5: Angolo ottufo, o maggiore del
retto... |
A. Un fiore apetto. 1. Le foglie del detto fiore. 2.
: Il piuolo, la cui parte fuperiore è un lungo cannello;
e la bafe, o parte inferiore, che pullula dal bottone,
è un bocciuolo , dove ftan racchiufe le femenze. 3. È
erano ilgufcio, ove contienfi vna certa polvera
ranellofa, ed appiccaticcia. Quefti granellini -ftanvo
EP lo più in cima a certi filetti 4 ‘0 colonnette ji che
bean filacciche .
B. Il tulipano colle fue &lacciche n parte eccedenti
l’ altezza dello ftilo, o piuolo; e parte uguali gal me-
. defimo.
| CI fiore imperiale - 4: I fuoi granellini. <. ‘I
fuo ftilo , 0 Peo } svoglfine Ja lunghezza delle fi-
lacciche.
D. Il giglio, o fiordalifo col fuo piuolo più lunga
delle filacciche.
E. Un piuolo di girafole , che copre il fuo fondo .
Verfo la bafe di quefto piuolo fi trova una fola fement=
za. 6. Quefto piuolo è quafi un lunga facchetto di color
bruno, ripieno di polveri gialle. 7. Quefto facchetto è
tutto quanto forata ., e va a terminare in una bocca
biforcuta, i.cui labbri fanno ala, e s° abbaffano un di
qua, e un di là. 8. Parte della eampana, 0 boccivolo,
ove fa incaltrato da baffo lo ftilo del fiore: Quetta fi-
gura è delineata in grande, come ce la rapprefenta ib
micgofcopio .
T68 hecPhAwtg ii
te quelle faccende ‘al Signor Cavaliere , o bifogne=
rebbe ; che ‘foffimo a. primavera . o
Vedrebbe: per modo d’ efempio , nel elfo:
. let eu foglie. nello sbocciare 8° addirizzano verfo
il Cielo; :che le filacciche forpaffano 1’ altezza deb
piuolo; affinchè i granellini delle lor cimè lo pof=
fano! fpolverizzare , lafciando cadere»abbaffo , 0
trafportare da’ venti folamente le polveti minute.
-Vedrebbe all’ incontro nel fioreimperiale, le cui
fogl ie fono arrovefciate:; e così pure nel giglio, eu
nel vera , icuifiori fon fatti a voluta, ocar-
toccio , che il piuolo è ti più lungo delle filac-
ciche ; perché altramente le polveri, che ftanno in ci-
ma, caderebbono tutte per terra; nè il feme, che
ita CaCcRisio dentro il piuolo, vibo campo d’ ap-
profittarfene : laddove effendo egli più lungo del-
le filacciche, e ffando a pendio , riceve beniffimo
>
tutte quelle ,, che nel cadere s' imbattono a ur=
tate nella fua bafe , dove effe operano più. age-
volmente ; nè ad altro fine ha la natura preftato.
a i detti fiori una sì fatta difpofizione .. ®
Cav. Madama, ecco là.un girafole : fatemi di
grazia vedere tutta quella roba, che avere detto.
Contef. Volentieri. Mirate quì . Quefti fiori han-
no altrettanti piuoli, quante contengon femenze .
Spunta, da ciafcheduna femenza un calicetto ; nel
cui centro fi trova un bottoncirio tutto ripieno
di farina gialla . Ogni bottoncino ferve al feme,
che fia lì fotto , di filaccica , e di fpolverizzo.
Sorge, fa quefto bettone un piuolo. , che trapaf-
fandolo banda a banda; va a terminare colla fua
toda nella femenza, e fpunta fuora con ‘una:te@
fla TAgTuppata di peli, onde arreftare le polveri.
Quetfto' piuolo è verfo la cima biforcuto , ed aper-
to per poterle ricevere . Dopo aver fatta la fua
funzione, «amensue quelle punte fi rear in
s diotgleorzic
LI
‘DrAtoeo QuiINTO. 163
alto; e poi fi ripiegano una di qua, e unadilà, 4°
I guifa di due grucce; oritorte, volte per Ja {chie
«na. Finalmente reftano ioditili e fi difeccano.
[i # Proto alcune piante, ch’ efcono fuor della
| regola univerfale; come. appunto fuccede in ques
fta ( detta latinamienite palma Cbriffi); le cui fo"
glie fono larghiffime , e onde nafce una femenza
molto purgante , chiamata Caffe baftardo . Ap=
prefiamoci alla medefima , ‘per meglio vederla .
Mirate y come le rappe de’ piuoli risaangono al di
fopra delfiore; e le polveri reftan tutte al di fot-:
to. Quando ‘quefti gruppetti di polveri fon ma+
turi } fcoppiano tutti , e buttan fuora un pr
fumo polverofo , che fi folleva per aria, efifpan+
de per ogni lato . Quelle rappette role, che fo=
no in cima d’ogni piuolo , s' allungano per c
corre quel polverizzo; e per tal mezzo il tante: ;
“che in lui fta racchiufo, fi feconda... o
Vi fono poi certe piante, che producono i frute
ti, fenza buttare i fiori. Tal è il fico ; nel cui
frutto’ fono inferite, infieme co’ granellini,/le fi-
lacciche, e il polverizzoj ed il tutto ffa invilups
pato dentro a una ftefla fafcia.
Vedonfi pure dell’ altre piante, corredate di due
forte di fiori., Maccati l'un dall’ altro , e deri-
vanti dallo fieffo ftelo , come il cocomero, ed it
popone. Gli Ortolani chiamano fior vero ‘quel ;°
che racchiude le frutta; e-danno il nome di fal
fo a quell altro; nel cui centro fta il facchetto,
o botton delle polveri , che fcappan fuora per
certe aperture molto vifibili . Quindi è, che fo-
vente fpoglian la pianta di tutti que’ fiori , cui
danno il nome di falfi; e sì le apportano un gran
riftoro ( quando però il frutto è già afficurato; e
compiuto di farfi ) mentre le rifparmiano tutto
quel fugo, chei detti fiori le avrebbon tolto . ng
reb-
[|
170 Lis Pian vg
gebbe però molto male a ftrappargliele a princie
pio; imperciocchè priverebhonoi fiori fruttiferi di
quelle polveri, per.cuifi fecondano; nè produrreb-
bono verun frutto. In. prova di che abbiamo a-
vuto in cafa noftra unOrtolano, che, a forza di
sefecare a principio a un per uro i falfi fiori,
sidufle finalmente il noftro cocomerajo a non pot»
tarci alcun frutto.
Il foprammentovato Gentiluomo , per la CUI
bocca ora parlo, mi fece toccar con mano tiitte
quefle particolarità; e mi moftrò, che molte pian»
te, a fomiglianza de’ cocomeri, producevan dallo
{telo ftelo due forte di fiori, dandomeli a dive»
dere in que’ pochi giorni, che ftette coneffo noi,
ful noce, fulla quercia, ful nocciuola, fultafo,
ful gelfo, e ful platano.
Egli pure ci moftrò , come cert’ altre. piante
producevano i fiori fruttiferi fur uno flelo , e i
fiori delle filacciche fur un altro; efempigrazia la
palma, la fpiganardi, l'ortica, il luppolo, ec.
— Cav. Tutto ciò, che Madama fin ora ha det-
to, ha molto delmaravigliofo. Duro però fatica
a perfuadermi , che le femenze poflano flare fur
uno ftelo; e i fiori, e le polveri fur un altro.
Contef. Eh! via, Signor Cavaliere, non vogliat’
‘ effere tanto incredulo». Quefta è una cofa , che
fi vede giornalmente,
Cav. Oh! perchè dunque ci facciam beffe di co-
loro, i quali dicono eflervi delle piante mafchie ,
e femmine?
Contef. Varchiamo il ponte, e paffeggiamo dals
la banda di là, dov*è quella gente, che termina
di raccorre il canape. Quefta fola pianta bafterà
a capacitarvi dell’ altre difimil natura. Ecco quì
due forte di canape efpofte al Sole. Una; come
voi vedete, ha i fiori tutti fecchi; ed è Ere P
ch' è
\ x di
Da rr
DiaLoGo Otto: 171
| eh'è flata colta già tempo, L’altraè ancor vere
de, ed ha fotto le foglie una quantità di femen»
ze. Lo flelo del canape, che ha e ce , era da
| principio più alto di quel, che ha le femenze j
affinchè le polveri nel cadere de’ fiori poteflero.
| infimuarfi nelle medefime , ch’ erano allora fur
uno ftelo più baffo. Ma li fteli de' fiori, avendo
gia fatta la lor fonzione,; fi fonfeccati, e fi fon
colti feparatamente da gli altri; per non iftare
in ozio, intantochè fi ftava afpettando la raccolta.
degli fteli fruttiferi.
- Cav. Madama, fon convertito.
Contef. Ditemi adelfo la voftra opinione . A
qual delle due piante credete , che fi convenga
il nome di mafchio ? E quale all'incontro chia»
merefte la femmina ?
Cav. lo per me chiamerei canape mafchio quel,
che porta i fiori, e che al prefente è molto PIÙ
corto dell’ altro, ed è il primo a feccarfi: e da+
rei il nomedi feramina alcanape, che porta i fe
mi. Mi pare almeno, che dovrebb’ effer così +
Contef. La cofa veramente andrebbe pe’ fuòi
piedi, e li chiamerefte col loro vero nome . Ciò
non oftante, è piaciuto alla più parte de’ Campa-
gnuoli di chiamare. canape femmina il primo fle@
jo, che porta i fiori, e che fi fecca più prefto ;
e di nominare canape mafchio il fecondo, che por
ta ‘il feme. L' unica lorragione fi è, perchè il fis
lo, che fi ricava da’ primi fteli è più gentile ; @
quello, che provien da' fecondi, è molto più fot»
te. Se mai vi trovafie a parlare con efloloro, con»
verrebbe sù quefto propofito adattarfi alloro lin-
guaggio; altramente intenderebbon tutto l’ oppo-
fto di quel, che voi dite. Al Filofofo però ( Si-
gnor Cavaliere, parlo di voi ) è tempre pesano
il penfare diverfamente dal volgo .
Cav.
x
192 Lr Piante. Diatoco Qunro.
‘Cav. Oh! vedete, che bel Filofofa fonio! Notì
fo nè meno; qual ufo fi faccia di quefta pianta .
Non vi ravvifo una menoma analogia con quel
canape , che ho veduto filare; eteffere mille volte .
Di grazia, Signora, datemene qualche contezza.
Contef. Orsù, Signori, v’ invito per domane 2
Bivertire il Signor popo colla. deferizione del=
le piante più curiofe , e più rare ; che fiano a
voflra notizia: Imperciocchè di tante ; e tante ,..
che ce ne fono , bifogna pur far la fcelta delle
migliori. So, che qualcenn di voi non mancherà ;
d’ andar fruftando l’ Afia, e l'America, per rin-
tracciare le più fingolari , e le più pellegrine .
Quanto a me , non mi fento d'allontanarmi dal
recinto del mio giardino . Vi faprò ben trovar
qualche cofa di più mirabile , che non vi daran-
no tutti i paefi firanieri , con tutte le loro più
rare galanterie. Il canape, e il lino han da dar
la fefta. Non vo' partirmi da quefte piante; e il
noftro craftino trattenimento ha da tornar a ca-
dere fopra la rocca.
|
Fine del Dialogo Quinto . i
ie MM
te
dr
DA Lai tv,
DIAÈEOGO SESTO,
Ir Conte de
La Contessa > DI GIONVALLEA,
IL Priore
ir CavaLiere DEL BrocLio.
Contef. Gino: Cavaliere , non crediate, ch’ ia
) ve lo dica per cerimonia. Vi giuro da
Dama d'onore, che quefta nuova così improvvi=
fa della voftra partenza mi paffia l’anima. So ù
che l’ accafamento. del voftro Signor fratello vi
richiama neceflariamente alla patria; e vedo mol-
to bene, che non potete a verun patto difpenlar
vi dall'affifere a una sì fatta funzione . M* an>
dava lufingando di potervi godere ancora ancora
per tutto queflo mefe: edecco tutte le mie fpe-
ranze andate in fumo, Addio pefca : addio cac-
cia ; addio nuova Accademia .
Cav. Oh! Dio , Signora! Quef'ultimo punto
mi cuoce più di tutto . Da pefcare , e da cac-
ciare, fi trova anche altrove . Ma dove troverò
io mai una converfazione sì...? I De
Cont. Ah! ah! Signor Cavaliere : noi cominciamo:
a dare nell’ affettato. L’adulazione convien ban-
dirla, come la pefte, dalla nora Accademia.
Contef. Bravo da vero. Adeffo, ch’ella\t fini=
ta, volete cominciar a farne i capitoli.
. Cont. Come finita? Anzi fo conto , che ciufio
adefio principj; e che ogni anno di quefio tem-
po s'° abbiano a ripigliare le noftre folite confe=
renze. Che ne dite, Signor Cavaliere? Siete pur
del mio parere, n'è vero è,
Cav.
7 : . Y,
394 Le Pià k Tk
|
Cav. Mi difpiace folamente una cofa.: cioè si
che per tutto ’1 difcorfo d' undici mefi” non farò
altro, che bramare quefto benedetto mefe di Seta |
tembre.
Cont. La voftra indole mi promette, che tutto |
ciò, che farete , fara ben fatto, e congufio. Lo |
fiudio delle belle lettere ; che ‘debb’ efler quell
anno la vofira principale occupazione , non ha .
meno allettativi, nè porta men utile della fioria .
naturale: Anzi quefta pet ora vi è men neceffa: |
gia delle lettere umane. Ve la propongo folamens ,
te, come un femplice divertimento pe’ giorni delle
vacanze. Intanto che fiiamo afpettando il voftro
ritorno; s' abbozzetà tra ’l Signor Priore ., e me
la materia de’ nofiri futuritrattenimenti. Quanto
alla fcelta, la rimetto inlui: fo, cheme ne pofe
fo fidare. o |
Cav. E’ una bella felicità il dimorare in cam
pagna; mas’ io poteflì trovare in Città quel, ch'
io trovo quì in cafa vofira; non mi parrebbe di .
perder nulla.
Prior. Via , Signor Cavaliere, offerviamo di gra»
zia con più fedelta i capitoli della noftra Accade«
mia. Mettiam da parte i complimenti , € le ces |
rimonie. Gli Accademici pari noffri non s' aduna»
no, per darfi l’allodola l’uncoll’ altro. Non fia*
mo quì ad altro oggetto; che per fentire la fto-
ria promeffaci jeri dalla Signora Contefla.
Contef. Bifogna pur ‘condonare al Signor Cava»
liere quefto piccolo sfogo del fuo buon cuore. E |
poi che premura avete di fentir le mie ciarle? Al-
la fin fine non han da confiflere in altro, «che in
canape, e in filo.
Prior. Piano, Signora Conteffa ; noi non ten-
ghiamo cotefte materie per ciancie . Abbiam più.
bifogno d' efter intorpagti di giò è che ese
ufo
Merida SESTO, 175
tifo noftro , che di quanto palla nel globordella
Luna, o di Giove, Le fpeeulazioni più bizzarre;
e gli argomenti più remoti della noftra sfera non
fon mica più vantaggiofi per noi delle matetie
triviali, e comuni. Ho più gufto a vedere il Si-
gnore di Reaumur (Memorie dell’ Accad. delle fciens-
1728.) tutto affaccendato a uccidere le tignuole
fterminatrici delle noftre fuppellettili col fuo olio
di trementina; o le cimici d’ un appartamento col
fummo del tabacco ; che il Signor Bernoulli ins
| golfato nella fua algebra , o il Signor Leibnizio
tutto occupato a combinare i vantaggi , e i dis
fordini de’ Mondi poffibili. Bifogna dunque ; pet
farfimerito, e nome di letterato, edi dotto; te-
«nérfi da mille leghe lontan da gli altri ? Io per
ime giudico tutto il contrario j e credo ; che 12
più bella filofofia fia quella appunto ; che tocca
l’îuomo più da vicino; e che gli da chiaramente
a conofcere, o gli oggetti; che più gli premono;
o quelli almeno ; ehe han qualché correlazione
con effolui.
Contef. Sentite , con che bella grazia il Signor
Priore m' afcrive a dirittura al ruolo de’ Filofofi ;
e come pretende di fpacciare per una lezion di
filofofia ciò; che ho da dirvi fopra il mio cana=
pe, dopo averlo apprefo da quefti villani, che
in cotal genere fono i noftri maeftri. Ciò non o*
ftante, non mi tiro indietro. Vi fovvenga però;
che queta e una filofofia da vacanze.
Il canape fi può accomunare col lino; tutto che
il lino fia molto più corto ; e più fine . Quetti
due erbaggj fon quafi quafi della fleffa natura 3
fe non che di queft' ultimo fi fan de’ lavori più
belli; che del primo. Fatta-la raccolta del lino;
e del canape ( che fi frappano colle mani dalla
terra ) s ‘efpone quell’erba alla sferza del Sole;
sig
178 di £ Proa 8 tg:
»finchè le femenze finifcan di ftagionarfi . Poe.
fcia fi sbatacchian ben bene per terra, perfarne
cadere le dette femenze. Se ne formano fucceffi=.
vamente tanti fafcetti, ocavoni; e quefii fi met-.
tono a marcire nell’ Avana flagnante, che quanto
è più chiara, tanto è migliore . Quivi fi racco-
mandano a var) pali , e vi fi lafciano ftare una
PA gia di giorni. Allorche la parte legnofa
dell’ erba è ben corrotta ; € marcita , fl cavan, |
fuora dell’ acqua i covoni , e fi metton tantofto
a feccare. Seccati, che fiano , in vece di mace-
rarli a forza di marra ; s' efpongono notte per
motte , € giorno per giorno alla rugiada , ed al
Sole ; che così fanno più bella moftra , Quando.
il canape, o’l lino fi fono internamente macera=.
ti; e feccati s fi prende un fafcetto per volta di.
quegli fteli , e fl maciullano fulla gramola ( ch’
è un ordigno compofto di due legni, uno de’ quali
ha un canale , in cui entra l’ altro) e quivi a.
forza di percofie, edi firette fi dirompono. Tutto.
il capecchio , ch’ è la parte legnofa , o per dir
meglio la polpa dello ftelo, fi ditacca, e vavia;
nè refta in mano del gramolante, fe non la fcor=
za nuda nuda, convertita infilacciche altrettanta .
lunghe, quanto era lungo lo ftelo. Quindi fi po-. |
ne quella brancata di fila fur una tavola perpen- .
dicolare., e fi percuote più , e più.volte per lo.
lungo con una fcotola; cioè a dire con ua pezzo.
di legno, o di ferro fatto a coltello , ma fenza
taglio, per farne cadere quella poca di lifca ‘più
minuta, che vi può efler reftata. Ed ecco levato
dallino, o dal canape tutto quel legno .0 quella, ‘
parte più groffa , che v'era. Le filacciche. della
{corza rimafe in mano del linajuolo fono, oramai
auafi nette . Ma per meglio mondarle., e. perfe:
zioparle , fi pettinano, con farle paflare per certi
car-
—
kb
Draroco SESTO. We
cardi , o denti di ferro, prima più groffi ;\ e poi
più minuti; affine di (ceverare il vero fiore dalle
parti più groffolane, e più rozze. Quefîo rifiuto:
è quello, che noi chiamiamo la ftoppa , che poi
s’ adopra per far gli Mtopacci delle artiglieriej; ed
anche fi fila , per far delle tele da facchi , e da
balle, la cui utilità è infinita , fervendo a con
fervare, e coprire le mencanzie , che f: trafpor=
tano da un luogo all’ altro.
Il canape, dopo effer. paffato fotto tutti quelli
martorj, dove fi voglia. adoprare a far corde, ft
mette in un viloppo; e s’egli è fine , fico ie.
ne poffa far refe, 0 Hlla. fi di&fribuifce in tante
conocchie .. Eccoci finalmente giunti alla. coca? .
ed al fufo. Ve la ridete eh? Orsù vi vo’ far ve-
dere quanto pregiabile fia quefto erbaggio , che
voi {pregiate cotanto. Figuratevi per breve mo=
mento d' effer tre Americani, o tre Irocchefi;
fe più vi piace, tre Chinefi, che ciò non nm im-
porta. Quale ffupore farebbe il voftto , s' io vi.
dicei , che nella noftra Europa fi trova un er*
baggio , la cui femenza è buona ad alimentare
molti uccellami; a far del paniccio da ingraflare
le beftie bovine; ed a fpremerne dell’ olio da far
lume: a un numero innumerabile di famiglie ? Che
le donne Europee, più comunemente, che gli uo»
mini , fl prendon la briga di Huctua quefto er-
baggio , e di prevalerfi della fua ‘fcorza per far
delle vele, la cui merce i nori vafcelli vanno a
portare le mercanzie di quefti paefi fin a gli ul
timi confini del mondo; e di là ne riportano al-
trettante, che quì non li trovano ? Che con que=
ftla medefima fcorza fi fan delle gomene per fo-
ftenere le ancore ; delle corde , degli ftraccali ,.
degli fpaghi; tutte cofe ufuali , e necefflarie per
la navigazione, pelcommercio, per le botteghe,
Ton. Il Mii 6 per
=
Dic,
178 Le Pila vNTE.O
e per le ca afe? Che quefta fcorza fervea far delle.
tende , per dar ricovero alle noftre: foldatefche 2
Ch'ella ci fomminifira le tovaglie; ed i tovagli+ -
uoli; che fono il più bello ornamento delle noftre
tavole ? Ch' ella ricopre} tanto di notté, quanto
di giorno, le noffre carni 5 ed òltre al tenerci
nettiffimi ; e pulitiffimi.; conferifce eziandio alla
faluce de’ nofiri corpi, al pari de' bagni, che co-
ftumavanfi anticamente, ed oggi fono in difufo;
prevalendoci in quella ‘vece delle camicie formate
di quefto erbaggios che fono di mala Largo yi
enon richiedono tanti apparecchi ? Che finalmente
diquèfta fcorza ; modellata in varie fogge da gli
Europei fi forma il più vago abbigliamerito. de’
Monarchi; ed anche l'abito ; onde ricòprefi cori
poca fpeia il villano; e il paftore? Tutte quefte
cofe fi fanno col lino 5 o col canape lavorato da >
noi altre donne Europass ;: Che ne dite , Signori
del Mondo nuovo? Noi vi pare, che il noftro fia
fortunato, dove fon tante femmine, che fan mas.
meggiare la rocca, ‘edilfufo; e modellare in mil
le mafiere quello prezio!ifimo erbaggio?.
Prior: Madama, io per me da buono Itocchefe.
prenderò a difender | onore. della mia America +
Voi altri Europei millantate la voftra canapa « Io
non ia biafimo « Ma quì da noi vi fon tre albe=
ri; che non la cedono a coòteft’ erba ( Savaris
Did.) . MH primo va ferpeggiando come una vite:
ii fecondo è folto di foglie; quanto un boffo: il
tetzo è alto comeunarovere: e tutti e tre, do<
po aver buttati de’ bellifimi fiori, producono un
frutto’ groffo., come utia noce ;, la cui fcorza è
nera morata. Maturatofi quefto frutto aprefi un
cotal poco , e fa .vedere per quelio fpiraglio una
certa lanugine bianca, quanto una neve; che chia
«mafi propriamente cotone. Quefta lanugine fi pers
| > cuo=
)
7 DD
DraLoeo Sesro. o 179
tuote con ùna fcotola; e fifa cadere la femènza da
una banda, e il cotone dall’ altra; e poi fi fila,
per far con ‘elfo mille lavori belliffimi ; ; come calze,
camiciuole; coperte da letto ; tappeti; portiere ,
ed altri abbigliamenti d'ogni genere. Di quelto
frutto così preparato ; € filato formafi quella mor-
| bida tela’; che noi chiamiam muffolino i Si tra=
mifchia alcune volte colla lana; colla feta; e ta-
lor:anche coll’ oro. Ora che .ve ne pare? Oferete
tuttavia di difprezzare la noftra America?
Contef. So ben grado all’ America del favore ,
ch’ella ci fa; a fomminiftrarci il cotone. Ma che?
Son eglin forfe ‘i voBri drocchefi quelli } che lo
lavorano ? Convien;. che‘ricorrano alle dita ihgen
gnale di noi altre donne Europee.
Cont. Giacchè il Signor Priore s° svellito del
carattere d’ Irocchefe ; per farl’ re del co-
| tone ; io mi veftirò di quel di Chinefe , per far
vedere , che il vanto di quefto frutto con più
giufto titolo debbefi all’ Afia, dov’egli nafce co-
munemente ; come la gramigna ; e vi fi lavora
affai meglio, che nella voftra Gaio 1 DE fpezial-
mente per decantarvi una pianta ) ancor più pre=
ziola dello fteffo cotone, ‘ch’ è r aloè. Voi non,
me avete in tutta quanta la vile Europa niffu-
nai, che pofia ftarle a confronto ( Diffionar. Sa=
«varis «)Pomet. Iftor. delle droghe. Lemerì). Non
bifogna mica confondere il noftro aloè della China
con quella pianta dalle foglie lunghe , e appun=
tate; che i voftri Speziali mettono in moftra per
ornamento delle lor botteghe, e onde fi ricavano
certe filacciche .proporzionate a far della tela ;
come che il fuo maggior merito fia l appreftarvi
un certo fuzo , ché fi condenfa , ed è d’ un ufo
grandiffimo nella. medicina . Il noftro aloè. è un.
nigi sel altezza , e della figura dell ulivo. Sot+
L è» LO
180 L e Pra were!
to la fcorza di eflo trovanfi ‘tre forte di .legno è
il primo de quali è nero , denfo ,‘e pefante; il
feeondo\tanè, c leggiero, come il legno*marcio;
e il terzo,-cioè il più interno, ha un odore acu-
tifimo, e infieme infienie foaviffimo. ;
Il primo legno chiamafi legno d° aquila, eque- |
fto è rariffimo: il fecondo dicefi legno di Calem-.
bue, il qual fi trafporta nella voftra Europa }e°
fi tiene per una droga preziofa. Egli s’ abbrucia, ©
come la cera, e mefio in fuoco getta un odore
aromatico . Il terzo poi:, che chiamafi quì nell’
Afia Calambac, e da.voi altri Tombaca, è nell
Indie più caro, che l’orofteflo. S*adopera a pros
fumare le vefti , e gli appartamenti ; e ferve di
cordiale a chi patifce di deliquj, o di paralifia .
Serve altresì d’ armadura , ocaftone alle gioje più
preziofe, che fi lavoran nell’ Indie. Oltre a tutti
quefti vantaggi, ch*io v' ho contati, fe ne rica-
van dall’ aloè pur degli altri. Le foglie di quetta:
pianta fervono d’embrici , onde coprire le cafe ,
Si modellano parimente a foggia di piatti; e di
tondini ; e dopo averle ben ben feccate , fe ne.
° fanno delle ftoviglie, e de’ vafellami . A ftrapparne
{ quando fon frefche ) le fibre , e i nervetti, fe |
ne forman delle matafle di filo, il quale fi mette
inopera, come fuol farfi delvoftro canape. Delle
fpine poi delle rame fe ne fanno de'chiodi, delle
frecce, e delle lefine, colle quali gl’ Indiani fi fo- |
ran le orecchie, quando vogliono onorare il Diae ‘|
volo con qualche penitenza fitraordinaria. Se; a=
fciandofi l' albero, fi viene a ftrappargli i bocci=
uoli, ne cola un copiofiffimo umore vifcofo , ed
inzuccherato , di cui fi fa una dolce bevanda, che
in capo a un certo tempo fi converte in prezio=
fiffimo aceto. Il legno Mleffo delle rame è buono a
snangiare, ed ha lo fteflo fapore del mast cana
I , AS
Draroco Sesto. 3$D.
dito: Se ne può fare eziandio delle cotde : e( per
dir tutto in una parola ) l aloè apprefta il vitto;
l'alloggio, e’l veftito alle ihtere famiglie . 7
Contef: Non nego , che l’ aloè fia una pianta
molto pregevole . Beato, chi ne può avere! Ma
a quel} ch'io fento, fe ne vede molto poco. Del
refto, a metter inifleme tutti i voftri aloè ,.e ad
aggiuntarvi eziandio tutti i datteri, e cocchi dell’
Indie , di cui fi contano tante maraviglie , non
arriverete a formare ur capitale , ch’ equivaglia
al noftro ‘canape. Imperciocchè cotefti grandi al-
beri ftanno molto tempo a venir sù; nè riefcono.
in ogni terreno ; nè fi poffon mettere in opera
fenza di&ruggerli.: laddove il canape fa prova per
tutto; e, in feminandòfi ,, e ‘raccogliendofi ogni
anno, viene ad effer, non men pregevole per le
fine: inf igni. prerogative, che per quella prodigiola
‘abbondanza ; ch'è il ricreamento, dé’ ricchi, e il
più ficuro conforto de’ poveri. DA
Prior. Signor Cavaliere, conviene a buona equità
confeflarlo . Madama ha prefcelta una pianta sche,
con.tutta la fua poca apparifcenza ; erarità, è in
effetto la più utile, e la più ndceffaria di quan»
te mai fene trovano, a riferva del folo formento .
Contef. E voi Signor Cavaliere, qual pianta pren»
«lerete.a encomiare? Sarà ella domeftica ? o pur pel-
legrina? A voi altri Filofofi tutto il mondo è paefe .
Cav. To inclinerei a proteggere quela pianta,
che porta il zucchero .
Contef. Avete ragione . Imperciocchè cotelta
pianta, che noi non abbiamo, arricchifce il pae-
fe, dov'ella fa; e fornifce di mille comodi tutti
que’ popoli , 2 cui vien portata.
Cav. Vorrei almen fapere ; come fia fatta; e
in che maniera fe ne ricavi'l zucchero.
Contef. A dirvela ingenuamente , non ne raf
EI la e
e Le Piranmtre,
la. Dimandatelo quì a’noftri Americani, Effi fenz®
alcun dubbio ve ne daranno qualche contezza. i
Prior. Il zucchero } propriamente parlando; al-
tro non è; che quel fale', che trovafi dentro il
mollame, o midollo di certa canna ; che nafce nell’
Indie Orientali, e molto più ancora in America è
La canna del zucchero fotterrata a piacere in un
folco butta da ciafchedun de’ fuoi nodi altrettan-
ti rampolli , che poi falendo all’ altezza d’ otto
piedi, e di vantaggio , Producono un gruppo di
foglie fomigliantilime all’ Ireos , con una gor-
bia imitante a preflo a poco la punta de’ noftri
canneti . Ma le canne de' noftri paefi non fer=
vono ad altro , che a fare delle. bellifime roc-
che ; la dove la cafna del zucchero contiene in
sè un giulebbe faporitiffimo , Quei poveri fchia-
vi, che da certi mercanti, i quali s° arrogano. il
nomé di Crifliani , fi comprano in fulle fiere:del
Senegal , o del Regno delia Guinea, ed’ Angola ;
come fe todtero tanti cavalli, 0. purmanzi: s' ate |
taccano alla ftanga della mola ; e lì a forza di
braccia fi fan maciullare le canne, per ifpremer»
ne il fugo. Quindi fi fa paffar quelto fugo per
“tre differenti caldaje; e mediante le varie modi
ficazioni , che gli fi danno, s' arriva a feparare il
giulebbe dal fale , ch’ eravi incorporato . Una
volta non fl coftumava di perfezionare. nell’ Indie
Ja fopraddetta feparazione; ma fi fpediva fol di-
rozzata a Roano, e ad Orlean$, perchè quivi fi
terminafle. "Ma al giorno d' oggi ci vien trafmef=.
fo il zucchero in pani, benraffinato, e purifica-
to. Eccovi dichiarata r origine di quefla droga, |
che da noi fi preferifce fenza comparazione al
mele dell’api, tanto Rinfato da tutti gli antichi.
Adeffo non ci prendiam più faflidio degli acciden-
ti, che pofion nafcere alle api; onde il mele ven
ga
55
= Saia.
trees nre
$4
«L i
Diaroeo Sasto. 183
ga a mancarci . Concioffiachè nel cuor della zo4
na torrida v° ha delle vafte campagne e delle Ifo- |
le intere; che fi rivelono ogni anno di folrifime
canne, donde fi fpreme il giulebbe , c fuccefiiva»
mente quel dolce fale; ch'è tanto in ulo; sì per
confervar quelle frutta , che non fon di durata;
e sì ancora per condir quelle, che di loro*natu-
ra farebbono infipide ; fenz' ajutarle con quetto
leccume ;.0 d’'.un fapore troppo piccante , {ex
condiflero» col fal comune; (0 acide; o forti vd
amare; fe non fi Arg della lor natural
proprietà col zucchero.
© Cav. Voi mi fate reftare attonito ‘fa dirmi
che in una pianta fi trovi del fale. 0» Lu
‘Prior. Tutte le piante , Cavaliere mio carò; e
quel, ch'è più; tutti i corpihannoilorfali, AE
lorchè i Chimici disfanno un: corpo a forza di fuo-
«co, dal più al manco; trovan fempre de''fali nel
le reliquie , che avanzano dopo la diftillazione.
Le ceneri; che cadono dalle legna, che noi bru-
ciamo , non fon altro, chele parti terree , edi fa»
li delbéi ‘pianta, tormentati col fuoco. ©
© Cont. Di grazia rimectiam quei. fali., e que=
fta chimica all’ anno futuro; nè ci curiamo tama
poco di trattare metodicamente delle qualità da
ciafcuna pianta in Lance Potremo ui ‘giore
no fcandagliare le viante medicinali prole piante
aromatiche ; e quelle\pure , che fono acconce ad
appreftarci delle bevande artitiziate, come colti»
. mafi alla‘ giornata . Per quelli pochi momenti,
che ci rimangono , sfioriamo foltanto quelle, di
cui fi: ‘parla: più comunemente, e la notizia delle
quali ci può apportare maggior vantaggio,
° Cav. lo per me non vorrei maiaveravuto oc-
cafione' dizconofcere, nè la manna, nè VI riobarm.
baro, ud ipecacuana , ne la China . So beviffia
DA M 4° “00
Lal
154 Lo aP: ra er e) .
mo le operazioni; che fanno quefte medicine 3 ma i
non fo, donde vengano. . i
Cont: La manna è unizucchero, 0 pat Bin ime- |
glio, una fpezie di mele naturale , che fcaturi» ©
ice dalle foglie “del fraffino di Calabria, ch’ è |
nell’ efirema parte meridionale d’ Italia:( Savaris
Diftion, Lemerì. ). Quefie maniere di fcoli fon ©
frequentiffime. Il vato proprio di ciafcuna pian=.|
taene fomminiftra, 0 più, o meno, ad ogni al- .
bero. Ma fpezialmente i noftri tigli, ed i noffri
pioppi fono a primavera tutti coperti d’ uncotal.
fugo vifcolo ; il qual trafuda pe?’ pori delle lor fo-.
glie, e getta un odore foaviffimo; volendoci per
avventura additare coft ciò, ch’ egli potrebbe ap>
portarci qualche utile, che ancora non s è fco-
perto. Forfe che un giorno la fperienza c’ infe-
gnera a prevalercene. Egli è un affioma divenu-
to, quafi comune (febbene non tanto; che fia ab-.
baftanza.), che Dio ha ripofti in ciafcun paefe i
zimedj proporzionati alla qualita delle malattie%. |
«he vi predominano ; e che noi ftefli abbiamo in
pronto moltiffime piante , in cui fta racchiufo il
noftro bifogno, fenza faperlo ; ficchè., qualora vi
s' uiaffe più attenzione, e più pazienza., ci. rif
parmieremmo la pena di ricorrere a certi medica-
menti ftranieri; fempre cariffimi, il più delle vol-
te falfificati dall’ avarizia de’ mercatanti; o alme»
no almeno invietiti , e in confeguenza corrotti,
per effer troppo ftantìi. Adeffo però, che non fi
fono ancor fatte?le neceffarie efperienze, nè fi è
per anche fcoperto il valore di quefte piante no-
«ftrali , convien confeffare , non effervi medicine
migliori di quelle, che ne ha nominate poc' anzi il
Signor Cavaliere. Dalle riprove, che ne fontatte
in varie forte di malattie, fi può conchiudere,;
che il loro effetto fia gia ficuro, ti
: 0 Berbenno)
“I riobatbato è una radice.d’ un arbofcello, ‘cha !
mon alligna ;;fenon nell’ Afia ; efi perialmente. nelle
parti di Tartaria. Quello dell’ America ; che cres
defi della Refla natura, non fi è per anche ben
i provato. i, i
L’Ipecacuana\è pur la radice d'un altro sile
fcello, ‘che prova foltanto el Brafile. |
via ‘ehiffachira è la fcorza d’ una pianta , che
altrove non nafce, che nel Perù. In molti pacfi
chiamafi polvere, de’ Gefuiti; perchè da quefti Pas
dri fi è avuta la notizia del valore, ed efficacia
d’ un sì preziofo febbrifugo. Il Cavaliere Talbot
medico Inglefe ha. renduto l’ ufo di quefta droga più
. ficuro; e più familiare, che prima non era;, pel
‘nuove modo, ch'egli ha trovato, di prepararla »
«In oggi principia a prender ivi la fcorza d'un
albero di Cayezze ; detto ivi Simaruba.. Dicefi
per cofa certa, ch’ ella fermi coli ara le sad
fenterie più inveterate.
Tutt'e quattro quefti rimedj., così eFigacil, e
con tanta ragione celebrati, non fono altro; ché
fcorze; o radici di cette piante. Oltre ai fucchio
proprio; ch’ effe debbon contenere, non faprei di-
vifarmi, che vi poteffe efler altro; fe non vefck
che, fibre ; e trachee; cioè piccioli vafi deftinati
a cribrare, o a lafciar paffare de’ fughi fortilifit»
mi, € delicati imi. Dubito parimente; non que»
fle feonsieo, e radici ridotte in polvere; e ricevu»
te ne poftri corpi; operino, come tante {pugnet=
te, i cui pori, e pertugj fiano adattati all’ eftre=
| ma picciolezza degli acidi , che lacerano , © che
travagliano |’ ammalato; e che ricevendoli, e be-
vendoli tutti per mezzo “de loro. medefimi pori, i
quali non debbon eflere, nè tanto firetti; ficchè
non poflan riceverli; nè tanto larghi , ficchè non
}
poffano ‘ritenerli ; ne fpoglino a poco a poco il
pa
IE.
196 L e PrANTE:
paziente, e con dileguarfi ancor effe per pioaletii
via, lo rifanino affatto. Quefta mia. conghiettu=
ra, la quale non e affatto inverifimile , ‘me ne
fuggerifce ora un’altra; cioè, che ne ‘noffri: paefi |
potrebbe trovarfi tale fcorza , 0 radice, che pro= ».
ducefle io flefio effetto.
sa radice della. noftra genziana non la cede;
per dir così, alla chinachipa nella virtù di fugas
re le febbri terzane, e quartane: e quefta pùre; |
come voi potete notare, è una radice.
Cav. Se tanto mi da tanto, mi giova pure f{pe=
rare; che, facendofi dell’altre ‘efperienze, fi verra
maggiormente in cognizione delle;noftre:ricchezze A
- Cont® Signori; coteflo è un vero difcorfo di me» Î
dicina. Vi fon certe piante , il:cui ufo può di- |
vertirci con ‘più piacere. Ditemi di grazia, done
de mai vengono ate bevande, che in oggi fon
tanto alla moda? Efempigrazia iltè, il caffe, la
cioccolata , eccetera, | —. |
Il tè non è altro, che la foglia d’ un ban
al qual crefce sì di lunghezza , COME di. groffeza
za; più, e meno, nella China, e nel Giappone .
La foglia del tè infufa nell’ acqua bollente ; ed
ajutata con un poco di zucchero, il qual correg-
ge la fua amarezza , vi fpira un odore di viola
mammola , e vi (pande un certo fale volatile È che
tifveglia un tantino il cervello ; oltre di ciò an-
moverafi comunemente fra i rimedj aperitivi.
— Il caffe è una bacca , o femenza, che fi tro-
va per entro una frutta roffa , la qual fi coglie
da un arbofcello dell'Arabia Felice, colà verfo il
cantone d’ Aden , e di Mocha. Adeffo fi princi»
pia a coltivare ne’ contorni di Batavia ; e nell’
Hola di Borbone, appartenente alla Francia , in
vicinanza di Madagafcar.
| La cioccolata ( che fi tempera parimente nell’
acqua
. DiaLoeò Sesto. — 187
acqua bollente, e fe ne fa un beveraggio fatand
ziofiffimo ) è una pafta, la cui bafe , o corpo prins'
cipale è la mandorla del caccao fpolverizzata , la
qual mandorla fi cava da un gufcio lungo , co=
me un cerriuolo ; ed alla” quale mefcolano altre
| droghe. Gli abitanti del Meffico, appreflo de’ qua=
li nafce più che altrove il caccao (Savaris) pi»
gliavano quelle mandorle , e le mefcolavano col
maiz; e col zucchero così greggio ; come levafi
dalle canne ; ed inferendovi alquanti granelli d*
ùurucù ( il cui colore è un vermiglio 7 Che ho
ha pari ) macinavano quefto mefcuglio infra due
pietre , e ne formavano una pafta; di:cui fi ci-
bavano così ‘afciutta , quando avean fame.;. €@
fiemperandola nell’ acqua calda, fe ne fesvivano
‘di bevanda per ‘cavarfi Ja fete,
Gli Spagnuoli, che trovarono una sì fatta com-
pofizione giovevole, ben intefa, e fopra tuttodi
grande fpaccio , s° applicaron talmente a perte-
zionarla, ed a metterla incredito, che oggigior-;
no un orticello mediocre di caccao rende al pro=.
prietario più di ventimila fcudi l'anno. La cioc-
colata però sich’ eli manipolano , non è molto.
gradita , pel coflume , che hanno di caricare il
caccao di troppi gherofani. » di troppa cannella,
e d'àltre innumerabili droghe. Ne’ noftri paelinon
vi fi frammifchia nifuna di quefte coie ; e mol-.
to men fi coftuma di darle l'odore col mufchio ,
e coll’ ambra grigia, i quali aromati offendono a
molti , e molti la tefta . Si prefcieglic il caccao
più ‘perfetto , ch’ è quel di Caracca ;” nominato cos
sì, perchè fi raccoglie dal territorio di Carracos,
Città fituata in terraferma; € vi fitramiichia an
‘po’ di cannella ; e una porzione aggiufiata divai-.
niglia recente, con zucchero fino, e con qualche y
gherofano ; ; € in quella guila ‘fiamo arrivati di
com-
®
r
&
a
“
138 i. 8% Pira ninett'
| &Bmporre una cioccolata famofa , edi Apprezzatà, |
fin fupremo grado per tutto.
Cav. Cotefta.vainiglia, che avete pur ota nomina-
ta, nonfo, che eofa fi fa; e nelia ftefla ignoranza
mi trovo rifpetto-«alla èannella , e al gherofano.
Coxt. La vainiglia è un baccello pieno d’un fu
go melato, con certi femetti neri, che fpirano una
fragranza foaviflima.. Ella nafce in America , e. |
| fpezialmente. nella nuova Spagna ; fur un frutice,: |
‘il qual s' inerpica fin alla cima degli alberi, co+
me fa l’ellera.
La cannella è la icorza d’un albero, che fi tro-
va più, che altrove, nell’ Ifola di Dalas (Sava:
sis Dittion. Lemerì).. Gli Oliandefi fono arrivati a
flerminarla per tutte le altre parti , ed a farne
mercato efli foli. A far bollire il frutto di quefta
pianta nell’ acqua, ne fcaturifce un cert' olio, il
quale, a mifura che l’acqua fiva raffreddando , fi
condenfa 5 e fi quaglia (Giorni de’ Legter. 5 6841
x1.Genn. vi Se ne fanno delle candele bianchiffi-
me, le quali fon riferbate per ufo del Re di Cei-
lan. V’'ha pure un’ altra forta di cannella bianca;
detta di S. Domenico, e dell’ Antille; ma quefta
non è in molta bisi
Il gherofano , o bulletta del gherofano, è ilbot-
tone fiorito d'un frutto aromatico, il quale è fatto a.
foggia di chiavello colla fua punta; colla tefta fpar-
tita in quattro parti ( Savaris ib.). Nafce nell’Ifola
di Ternate (4). Queft albero era una volta comu»
niffimo nell’Ifole Molucche; e tutte le Nazioni ans
davan cola a provvederfi di gherofani liberamente +.
Ma gli Ollandefi, che, per quanti oftacoli fi fieno
attraverfati a’ loro difegni , non fi fon perduti mai
di corABBIO è hanno indotti; o forzati gli abitatori
; delle
Ca) Ifoletta Gtuata dalia parte d’ Occidente di Gi»
lolo, una delle c Molucche,
DiaAaLoeo Sesto. 189
‘delle Moluche a fradicare tutti quei frutti, fer+
bandoli folamente nell’Ifola di Ternate, dicui effi.
fono i padroni. Poffiedono parimente i migliori ca#
pitali di que’ paefi, che fono il pepe, la nocemo»
fcada, e il macis; ch'è la fpoglia diquefta NOCE 3
fituata tra?l mallo, ed ilnocciuolo, aromato più
flimato della medefima nocemofcada ( Savaris ib.)
ficchè al prefente tutta l'Europa i, e la maggior
parte dell’ ‘Afia, inordine a quetta fpezie di mercan=
zie, è coftretta a paflare per le lor mani. Eccovî
detta inpoche parole l'origine delle bevande alla
moda, e delle noftre droghe migliori. LI
Cav. Due cofe mi dan faftidio in quefti beveraggi
Turchefchi , ed Indiani, che ora fi vanno introdu»
cendo ne’ nofîri paefi. L'una è la neceffità di mani=
polarli di frefco infrefco ogni volta’, che un vuol
fervirfene ; e l’altra la difficolta di confervar quel
le droghe, concui fi preparano, Tutto fvanifce ;
e fempre bifogna fare delle provvifioni di nuovo.
Cont. Queflto ,. all'incontro, è il privilegio delle
noftre più prelibace bevande , che fi confervano
‘ lungo tempo. Il vino di Borgogna s' è mantenuto
perfetto per fino in Perfia, dove un ofte ne fece
bere al grani Soffi , che il preferì al fuo vino di
Sciras;. E quello di Sciampagna , che il Signore dî
S. Euremond , buon giudice in materia di gulfti ;
chiamava il miglior vino dell’Univerfo , fi confer=
va nelle bottiglie da nove, o dieci anni, ed an-
che più; purchè s' abbia l'avvertenza di non pren»
derlo in cambio, e di fvinarld”a fuo tempo.
‘Prior:Se:le noftre bevande Europee fi conferva=
no meglio de’ liquori dell’Afia , i nofri formenti
mantengono molto più della radice del magnoc ,
‘onde gli Americani fanno le loro torte , o focac»
ce; e a paragone della midolla del Sagù; di cui
fi fa pane per tutte l’Ifole Molucche; e finalmen-
RT te
‘te a confronto di tutte le piante di varj. paefi Ri
per mezzo delle quali fi è proccurato di Me sliceli
al difetto de’ formenti.i Quando il formento fi fa
ame 7 IS at
ben cuftodire , è capace di durar cent’ anni; e |
più, fe fl vuole, pad
«Cav. Cent'anni ! N’ ho vedita gercar > via di
quello , che avea prefo il fuoco prima de i tre.
Come durique fi fa a.farlo durar tanto?
Cont. Bifogna a principio trambuftatlo ogni quir»
dici giorni; e continuar quefto lavoro, almeno al-
meno per fei mefì di feguito ( Mem. dell Acc: delle
Scienze1708.). Pofcia fi principia a fcombuflolarlo I
nella forma predetta di mefe inmefe, ed anché più
di rado: Si tramuta da un luogo all’ altro, fpar-
pagliandolo colla pala; affinchè la polvere; lino»
mondezza; edilfuoco racchiufo nelle granella ab=
bian campo di venir via, e dileguarfii Quandoil
formento ha gettato tutto il fuo fuoco; fi potrà
ferbare fin che fi vuole; purchè la fofitta del gra
najo fia alquanto alta; nè poffa entratvi l’ umi-
dità, Ma; per difenderlo ficuramente gote impref=
fione dell’ aria (che fempre è peticolola ) e dalle
perfecuzioni de’ tonchj; che vi concorrono a muc-
chj amucchj; € prendono ciafcun grano per pro*
prio alloggio; fi getta in fulla maffa tn poco di
calcina viva; e vififtende pertutto; e quindi vi
fi fpruzzola fopra un poco d’acqua: Il fuoco; che
fa racchiufo in quefta pietra calcinata nella fors
nace, {cappa fuora per li pertugj; che l’acqua vi
forma; e sì lacalcina fiflempera, ediventa; cos
me una candidifima pappa. Allora fiva infinuane
do per ogn intorno tra le granella , ed arriva a
penetratle giù a fondo; quanto importa la grofa
fezza di due dita. Quefto paniccio , 0 mefcuglio.
di granella; e di calcina già liquida vi forma fua
persicialmente ungz spola, » mediante la. a il
rs
Saf! .
è « “— Ditiflodo:Sesté:, \ . 19
fformento non può, nè fvaporare, nè prendere il ,
Sibo:i nt geroabgliare gi Jai ip siga”
. Prior. Nell'anno 1707. fu aperto nella cittadel-
la di Metz un granajo,, ch' era ftato fatto nel1578:
(Mem: dell’Accad. delle Scienze 1708.) . Il paneriu=
fcì perfettiffimo. Allorchè il Sig. Abate di Logvork.
fece il viaggio dellè frontiere della Sciampagna P
ficcome era uri uomo verfato in ogni genere di
dottrina; e bramofiffimo d’iftruirfi in tuttg ciò;
che riguarda le fcienze ; e l’arti; così volle vifitar
tutto, € glifufatto vedereciò; che voleva. Tra
l’altre cofe , gli fu moftrato neîla cittadella di Se=. .
dan un monte di formiento ; che aveva cento diecî.
anni; eche vi sera confervato beniffimo ; adon=
ta dell’umido; ond’era foggetto quel fito ; il quale’
avea da ‘principio fatte nafcere attorno attorno
tutte legranella fino a uri piè di profondità. Le
foglie; è igermogli diciafcuno ftelo ; dopo eflerfi
alquanto alzati; s'erano; per mancanza d’ aria;
marciti; é poi piegati, ecolcati fopra lelorora-
dici; e diquel paniccio conglutinato ; € rifeccato
infieme colle granella di fotto; era venuta a for
marfi una crofta ; che avea confervato tutto il refto
della maffa. Il pane; che fu fatto di quel forménto;
fu fpedito ‘alla Corte, e fu trovato buòniffimo .
Cav. Se cosìè; nonfidovrebbe mai aver paura
della fame. Quando la raccolta è abbondante; fî
pottebbono fare di quefti monti di grano ; e ferbars
li pet l’antiate fcarfe: e così non fi farebbe be.
bligati di andare a comprarlo ne' paefi fltanieri;
Cont. Così fanno gli Ollandefi , i quali fempre
fe ne provvedono anticipatamente per l’anno di
poi: Per unRegno sì vafto; com'è la Francia ;
quefta imprefa diverrebbe un poco difficoltofa ;
Convien però confeflate ; che una volta:; che fi fof«
fe fatta quelta fpefa,, ipoveri non farebbono più ,
co
NAPR
E
quer || La Pian;
,
«ofretti a fcarfeggiare di pane , ed'iricchi fitro«
werebbono al coperto d’ ogn' infulto . Tolta per:
quefto mezzo la carefiia , fi porrebbe un riparo
al maggior di tutti i ‘mali ; poichè la fame non
manca mai di privarci d’ una parte di Cittadini,
e di tirare addofio agli altsi tutti i pericoli del-
le fedizioni, e delle malattie contagiofe .
‘Prior. Cotefta precauzione/, non folamente ci.
liberebbe dal male; ma ne dileguerebbe eziandio.
il fofpetto, che alcune volte è funefto al pari deb |
male. Per far ferrare tutti inuntratto i granaj, |
e far nafcere la careftia,, ancorchè realmeute vi fia.
‘4 abbondanza, bafta, che fopraggiungano due, o
tre lune poco benigne a’ frutti della terra; poichè
fubito tutto’! mondo fi mette in uno {compiglio ,
e in una confufione terribile, a cui non è pofli-
bile, nè colfenno, nè colla politica rimediare, nè
por "parco Un magazzino di formento apparec»
chiato ), e diftribuito con regola per ogni canto= |
ne del Regno , refecherebbe la radice di tutte que» |
fte difgrazie.
Cont. Quetti lufinghieri progetti fon facili a farfi |
in teorica da chi non è punto informato degli af-.
fari di Stato . Sono di già propofti. mille volte ;
fon fempre piaciuti; ma fi € trovato fempre de-
gli oftacoli, che hanno impedito il metterliin pra- |
tica . A noi fi conviene accompagnarli foltanto |
col defiderio; e ripofarci fopra la faggia pruden- |
za di chi ci governa. Meglio è per noi attendere
alla ftruttura delle piante, da cui ci fiamo; con
quetti epifodj, fcoftati, che intrigarci. negli affa-
ri di Stato.
Contef. Vi configlio ancor io a far così . Ma
per mettere il Signor Cavaliere in iftato d' acqui-
ftarne maggiorcontezza, che non può mai averne,
quì in quefti pochi momenti , ch’ egli è per di»
mo=
i nil; Sr3To. 193
iorafe con effonoi, vo dargli unavvifo, che gli
potra efiere di gran profitto: cioè che tornato 2
Parigi vada di quando in quando A far corte a'
Signori fopratendenti , e ingegneri del; Giardino
Reale, dove i fuoi occhi, e le fue orecchie tro-
veranno fempre da pafcolarii. Fra tutte le occu»
pazioni s che può, mai prenderfi 1un pan, , non v
è, nè la più femplice.,, nè la piùcivile, nela più.
dilettevole, della coltivazione delle St io per
gne ne fon tanto innamorata, che ronlafcio paf-
far un giorno, fenza fare la ronda intorno. al mio
giardino, e al mio ortale. Vi icopro fempre qual-
che bella cofa di nuovo. Un così fatto efercizia
giova ad un'ora all’animo, e alcorpo. Ora per
fat sì , che l Signor Cavaliere vi pofla prendere
affetto, fa d'uopò fargli vedere , che la col Itivazion
delle piante è un efercizio, non manco nobile, che
dilettevole . Egli ha avute fempre delle attrattive,
per adelcare così i Monarchi,, come le perione vol
gari; e alla giornata vec donfi comunemente ; sì in
Francia, come in SRBRiI" etra ;. i Cavalieri: , edi
perfonagg| di più alto rango, applicati alla colti»
vazione de lor giardini, e poderi; fiimando tut
ora :di perfezionare. al poffibile la cuitura degli
uni, e degli altri LA
Prior, } Egli è ilvero, che le AAA più qualifi
cate, e più affennate attendo: no giornalmente alla
cultura de' loro giardini; non tanto per puro {pal
fo, quanto per pofitivo efercizio. L'arte., non
ch' altro , di regolare un ortale,, è giunta oggi-
giorno a una perfezione sì grande, che {upera di
lunga mano tutti gli ammaeftramenti ; e artificj
de' nofiri antichi..Sivedono alcune volte degliorti,
.la cui fimmetria non da minor pafcolo ali occhio,
di quel che facciano i più afieRati giardini; edo
ove mediante le nuove scoperte di mille, e mille
Tomo IL 0° pei {e-
|
254 DEPORRE: Ù
fegreti, che rendon le piante vieppiù feconde , @ ©
forfe ancora le loro fpezie più varie, fi prova una
foddisfazione incomparabi. mente maggiore , .che
non recavaci per avanti la taglia regolare d' un
taffo, o d'un bofflo. Quefio buon gufto fa unbell”
onore al nofiro fecolo. Facciam. vedere ; che noi
non fiam propenfi a fprezzare quel, ch'è impors |
tante, eche psico neltempo fleflo acconpiare
il diletto aila ragione. Vorrei però, che la cultura
delle piante fotie incerto modo confimile al vero.
culto della pietà; cioè a dire fcevra affatto da va=.
ni fcrupoli, e fpogliata d'ogni vituperevole fuper= i
fiizione. Ma oh deplorabile cetita! Siam più che
mai oftinati a preltarfede agl’influffi della Luna,
e de' Pianeti cala coltivazione de campi, e de-
sliortali. Siofferva tuttavia fedelmente l ufo di
0h (cininaral e di non piantare, tagliare alcun
albero a Luna fcema. Siguardano a tale oggetto
alcuni giorni determinati : : e la cognizione di ques
fle inquiete oflervanze è fovente il maggior forte; »
che abbianocerti noftri, piuttofto Ciarlatani, che
Giardinieri. E pure la falfità ditutte leloro vane
fuperftizioni fi va adora adora manifeftando per
mille, e mille efperienze, la cui mercè dovrebbono
i Giardinieri oramai difcrederfi, e difingannarfi .
Ma quando una pianta fa buona prova, fi ringal-
luzzano dentro sè fleffi, per avere fcelto a piane
tarla quel punto di Luna , cui trovan fegnato
nel loro taecuino. E ie mai la medelima pianta ;
feminata , o pofta da un fuo vicino in un tem@
po tutto diverfo, fa riufcita miglior della loro 3
dan fubito la colpa al terreno, all’ aria , od a'
venti: nè in quefto fo condannarli; ma non pofl-
fo tollerare, che profeguano tuttavia a idolatra=
re Ja Luna. i |
Cont. Adeflo voi venite a riparare allo (gi
o;
Biat'ocoòo Srsro. »- t9Y
lo, che poc'anzi n'avete dato, quando dicelte ,
che due , .0 tre Lune poco benigne a’ frutti del»
la terra, mettono inconfufione, e in irgriganiati
tutte le genti.
Prior. Mi fonfervito in tale occorrenza del lin«
guaggio del volgo; ma lemie idee erano affatto.
diverfe. Del relto, ficcome la durazione de’ ven»
ti, i quali influifcono ,. tanto ne frutti della ter
\ra, quanto ne’ noftri corpi, fi mifura comodamena
te ‘da i quatiti della Luna (4) e inconfeguenza fa
dice, che il pritno quarto è ftato piovofo ; il fecondo
afciutto, ec. così fi attribuifce alla virtù della Luna
«ciò, che ‘realmente deriva dalle influenze dell’ aria .
Cont. Cotefta medefima , ed iftefifima offerva-
zione mi fece ultimamente vedere inuna fua lette-
ira il Sig. Normand Direttore, e Ingegnere degli
orti, e verzieri di Sua Maefta. Egli s' efpreffe in
quefli precifi termini, che tuttavia tengo a memo»
ria: © che di mille efperienze dalui già fatte con
», Ogni efattezza , per molti; e molti anni in»
3) torno a ciafcuna operazione attenente alla cul-
a» tura delle piante, nonn'avea trovata menuna,
0») la qual Eivorifle la fcrupolofa feggezione, che
=="
di fi prendevano i noftri predecelfori, dibadare a’
, var] afpetti della Luna.,, L'autorità d’ un uo-
mo sì accreditato in talgenere, ed il quale, ol
tre alle cognizioni più fingolari , ed oltre al gufto
più raffinato, ha un’ efperienza già confumata , e
perfetta , mi fa più imprefficue., e più forza di
quante chiacchiere van facendo cent’ altri faccen-
ti, che la fpacciano da maeftri. Quefto pure era
il fentimento del Signor della Quintinia fuo pre-
deceffore , il quale foleva dire, non effervi cofa più
infulfa, che perderfi ad offervare il giorno della Lu»
na) quando fl vuol porre , otagliare una pianta :
no «do-.
(a) Le diverte faccie, © apparenze della Luna.
419€ Le Pramtes
Boverfi ben fare ogni cola nella fua. fiagione ; feed
glier, perquanto fi può, il tempo propizio ; ed af
pertarne iucceffivamente il buon efito , non dal
giorno , che fiè prefcelto; ma dalle influenze del
Sole e dalle difpofizioni dell’aria , edell’atmosfera.
Cav. Se l’ipfiufio del Sole, e de venti è tanto.
Re TEO TI
chiaro; perchè -oflinarfi ad attribuire tanti effetti
alla Luna > la ‘cui attività non fi fa, nè fentires
ne ofiervare?
Prior. Ella-e una prevenzione derivata da’ no- |
firi progenitori, ed una vera reliquia. dell’ antica
idolatria. I primi' ‘uomini, che régolarono dopo il .
diluvio, fi ferviron:d’un mezzo comodiffima , ed
elpotto agli occhi del mondo tutto ,. con affeftare le
‘warie parti del medéfimo anno alle faccende di cia-
fcheduna fiagione.. Prefer di mira le facce della Lu-
ma: eficcome rictorrevano fempre a quello Pianeta |
‘per fifiare il tempo delle loro faccende; così s'in= |
trodufle a poco apeco guefta falfa opinione, che
la Luna infiuife nelle loro operazioni. Quindi at=
tribueado alla medefima nuove. .virtù.,. a mifura
H
«ch’'ella s'andava avanzando verfola quintadecima , so
dla. gente cominciò a perfuader, che le femenze
getcate fopra la terra a Luna cretcente, edalLuna
piena, acquiftafiero maggior vigore ; e quelle all’
incontro, che fi feminavano a Luna.fcema, ve
‘ miflero men rigogliofe , partecipando l’une., ce l'ala
tre della pretefà rabufiazza, o fiacchezza della mes.
defima Luna . E ficcome vert il pieno della Luna i
fu ofiervato , che.i granchi, € l'ofiriche fon ben
igrafle, e ben nutrite; così fl fuppole, che la Lu»
‘na piena contribuifte alla loro E TRA CHA: onde poi
‘è nato un proverbio 3,0. una regol a ia), che la.
{pe-
£4) In Italia” corre un proverbio affatto contrario a
ciò, ‘che ferive ? Autore; dicindofi comunemente: Gba
ba da far la Lana co * granchi?
1 Diaroeo Sesto. - Ir
{perienza ha mille.volte fmentita; ma fempte in
wano. © ; ! Roi ve;
Similmente ; perchè alcune volte è accaduto ,
che nello fcemar della Luna fi fian levati de’ venti.
nocevoli, tanto è baftato per torre alla Luna fce-
ma tutto il fuo credito ; ficchè ancora oggidì le
e ha pochiffima fede. i NOI,
Cont. Ma che direte voi delle Stelle ? Per qual
iotivo fuloro attribuita.tanta virtù, e tanta ine
fluenza fopra di noi; ficchè eziandio a’ di noftri
'
s' apponga loro tutto il bene , é tutto il male y
che c'intravviene? |
| Prior. La cagione di quefto abbaglio è intutte:
confimile alla precedente. Le.diverfe pofiture del:
Sole, dra fottopofto a-certe Stelle, edora acert
altre, han fatto sì, che s'attribuifca alle medefi-
me Stelle quel caldo ecceffivo, o quella pioggia,
o quel vento, che fotto a quefti varj congiugni-
menti $ ed afpetti ci fi prefentano . Ne volete di più?
Siè andato per fino acercare nelle diverfe fitua-
zioni de’ Pianeti, e ne' fenomeni di quella Stella, @
di quell’ altra, la caufa, e’! deftino di tuttociò,
che accade nel Mondo. Ed ecco, perchè fi trova
ne’ libri antichi, e fpezialmentein quelli, che trat=
tano d’agricoltura, una sì granfarragine d'offer-
‘wazioni vane, e di filemi tutti falf. Le Georgi-
che di Virgilio, che poflon dirfi un capo d’ opera
de’ più perfetti , che n abbia lafciati i’ antichità
| pagana , fon tutte disfigurate per cento frivole
| oflervazioni., che vi s'incontrano , intorno alle
buone, o ree qualità di certi giorni della fettima=
na, ovver della Luna ;'e fopra le varie vicende
dell’ aria, attribuite contutta franchezza dal men-
‘tovato Poeta, ora all’ afpetto della Canicola, ora
. al tramontar delle Plejadi, edora allevard'Orio-
ne, o del Capricorno; nonoftante che pur allora
3 accas
accadelfe tutto il contrario, come addiviene a’ dì |
noftri. Ciò, che fi può dire in fua difcolpa, fiè,..
che non fipotevano mai efprimere in più bei vertili
le falfe idee, ma popelari, ond era imbevuto fin
da fanciullo, ed alle quali la educazione fieffa ì°
avea foggettato. i i.
Cav. Giacchè fiamo in ful difcorfo degli ani- |
mali celeli, i quali fu fuppofio influire con tan- |
ta forza negli animali terrefiri , e nelle piante , |
permettetemi , ch'io vi dimandi, perchè fiano fta-
ti attribuiti a certe ftelle i nomi, e le immagini |
di varj animali. Donde mai è derivato il Monto- .
ne, il Tauro, etutti gli altri, che mi fono ftati.
moftrati attorno al zodiaco ? I miei maeftri m° |
hanno infegnati i lor nomi, e le loro fituazioni;
ma non m' han renduto altra ragione di quefte cofe Ri
Per verità mi pajon tutte firavagantiffime, quan- |
tunque ne fenta difcorrere tuttodi.
Prior. Non è così facile giuftificare con una ra ‘
gione, che appaghi, quefto bizzarro linguaggio , |
introdotto (come fi vede) fino ab antico fra gli.
uomini . Contuttociò bifogna far quì una diftin= |
zione; e offervare, che i nomiaffegnati a' dodici .
fegni del zodiaco non derivano dalla fteffa fonte , |
onde fon derivati i nomi dell’ altre coftellazioni..
della sfera. I Letterati convengono a credere, che /
i dodici fegni del zodiaco abbiano ricevuto il no».
me di dodici differenti animali dagli Egizj. Que=
{ti popoli, avendo in coftume di rapprefentare le
cofe più notabili per via di fimboli , o figure di
qualche animale, fi ferviron di quefto ftile anche
gui. Per. da qual cota mi fento inclinatiffimo 2.
credere, ch’ elli voleffero rapprefentare , fotto il
fimbolo del Sole , Iddio con tutti i fuoi attribu-
gi; efempigrazia la fua immenfità , la fua onnipo=
genza; la fua fecondità , o finalmente la fua purezr
za:
ig | La Pra gr
Diaroco SESTO. 199
. za ? e che fotto l’ immagine della Luna preten»
| deflero di fimboleggiar la/natura, o la materia,
‘ che riceve tutto il fuo effer da Dio, e che fi fa
ognora vedere fotto diverfi afpetti; in quella guifa
i appunto, chela Lunaricevetutto il fuo lume dal
Sole, ed ogni dì muta faccia. Echifa, che que-
fto non fia ftato un de’ principali motivi dell’ ido-
latria ? E che gli uomini non fian finalmente ar»
rivati a dimenticarfi d'Iddio perla foverchia cone
templazione del fimbolo; cioè a dire del Sole, fot»
to la cui immagine fel rapprefentavano . PARTA
que ciò fia , certa cofa è , che gli Egizj erano
molto attaccati a quefti geroglifici, e che le do-
dici parti del ‘zodiaco portano in tutto l’ anno i
nomi di differenti animali , giufto giufto fecondo
il genio, e fecondo lo flile di quetti popoli \ Si
potrebbe anche dar ad effe la loro fpiegazion ve»
rifimile. Ma, quanto all altre cofiellazioni rap-
prefentateci nella o celefte, la maggior parte
han ricevuto da’ Greci il loro nome a capriccio ;
ond’ è fuperfluo! L andarne*a cercare la mitolo»
gia. La Grecia, ad imit nd ion dell'Egitto, diede
alle Stelle il nome di qualche uomo, odiquaiche
animale; con quefta differenza però , che i primi
Egizj denominavano alcune ftelle così, ed altre ca» ‘
sì, per qualche analogia, che paffava tra’l fim»
‘bolo; e quella tale cottellazione : laddove i Gre-
ci, che ignoravano una sì fatta analogia, edam-
miravano la fapienza degli Orientali, toediante il
depravato lor genio verfo le favole, s' idearono,
rifpetto all’ origine degli animali del zodiaco, cene
to ghiarabaldane, che non fi poffono fehtir fenza.
naufea ; ed applicarono nelle lor ridicole meramor-
fofi all’ altre Stelle il nome degli Eroi più famofi,
e degli animali più celebri.,
tati Lafciamo dunque i Greci colle lor favole.
# NO 4. Ma
500 Lr Pra NTÈ: Di
Ma quali mai poffono effere ftati i motivi , ché@
induffer sil Egizjadarea un accozzamento di Stel- |
le il nome di Cancro , a un altro di CONTA a un DI
altro di Wersine: di Libra, di Pefci, eccet.?
Prior. Gli antichi Egiziani, dopo avere offers: |
vate le quattro parti dell'anno naturale, videro, . i
| che il Sole in ciaicheduna disquefte quattro flagioni |
fi trovava di manoinmano fituato fotto a diverfe
telle. Ora, per partir l’anno con una maggiore ;
clattamioli e in una maniera fempre ‘coftante , e
più comoda, divifero ciafcheduna di quefte quattro |
flagioni in tre fefiieri abitati da Stellé diverfe, e |
tutto l'anno in dodici cafe, o alberghi del Sole; a |
cui diedero îl nome*di dodici diventi animali, tutti |
correlativi alle funzioni, che fi facevano in terra i
in ciafcun uo dell’ anno |
Se
ate)
Il Sole, a primavera 5-11 icolma, là terra di beni.
Quelli, di cui gli antichi eran più avidi, e di cui l
facevano più capitale, eranle pecore , le*vacthe , .il
elecapre. Sicchè , per dinotare quelli beni, eques |
fia fecondità, ondela primavera tornava 2 fornirli |
«aflegnarono Sr tre cofiellazioni, ieri il Sole in |
detto tempo cammina , il nome di quefle tre {pes |
zie d'ammali. La prima di quefte coftellazioni ,
che il Sol trafcorra ; fubito ch'è finito l'inverno, f
fu da loro chiamata col nome d’ Ariete, perche l’ |
apri Illo, il cui padre è !' Ariete ; cioè 4 dire il. |
viontone , fuol efiere il primo animale, chenafca,
quatto principia la primavera. La feconda coflel-
‘lazione ebbe il nome di Tauro; perchè le vacche.
comunemente foglion andar in amore d’ Aprile .
® Siccome le capire han per collume d’ andar al
faito il Novembre » € portano i loro feti cinque
mefi, enon più, partorendoli piuttoflo 4 coppia,
che ad un per volta; così la terza coftellazione fi
denomina i Gemini, cioè i fpe capretti o”
i nelle
\
Si
%
Dtaroeo Sesto. 20Î.
sselle cui veci la Grecia foftituì allo {propofito 1°
due fratelli; Caflore, e Polluce.
Quando il Sole è arrivato al folfiizio. eftivo , I
cefla d’ avanzarfi verfo il Polo; e -principia a came
minare a ritrofo alla volta dell FEquatore, e incers
to modo a tornare indietto. Quindiè, che gli E+
‘gizj fi divifarono di dover dare alla coftellazione ;
fotto alla quale egli allora fi trova ,.il nome di
Cancro, cio&;Granchio. Ognun vede, come quefto
pefce cammina fempre a ritrofo; e come bene a-
dattata è l'analogia del fuo moto al moto retro=
wado di quel Pianeta : Paffato il folfizio, fopprag=
cerano ci ecceflivi ; ficchè vedendo, che ale
lora .il'Sole è nel fuo più forte vigore, $ ° idearo-
no d' attribuite alla coftellazione , in cui allora fi
‘trova, il nomedi Leone, ch'è il più forte di tutti
gli alcri animali. Vien poi nel felto mefe la mie-
titura; e quella fu da loro fimboleggiata fotto la
fg gura ; d’una donzella mietitrice , iche porta-în
Pes una fpiga. Jifimbolo è prefo da quelie fan=
- tiulle, che ‘campavano la lor vite a rafpellare le
{pighe trafandate da’ mietitori; nè meglio poteva
qualificarfi quel tempo dell anno , in cui la Divi-
na provvidenza apprefta, sia poveri, comea' ric<
chi, il loro bifogno. Il Signor Cavaliere avrà la
bontà di notare , che quella fpiga , cui tiene in
mano, s' appella in lingua Ebraica Sbibbolet; e in
lingua Arabica Sibbul, o Siabula. Uh! uh! Dell’
Fbraico, edell’ Atabico! Che diacin. d' Accademia
è mai queta! Or via, non vi flarò più a ftordi-
re. Riferbiamo. quefti difcorfi all'anno venturo.
Contef. Di grazia, Signore, tirate avanti. Ve
do, che woi volete additarci l’ origine delle Sibil-
le. Ho tanta curiofità di faperla , che non potre=
fle mai immaginarvelo.
Prior. "i nome della Spiga, © di Sibithe; fuate
tris
Ni
208. Le PrantE.
tribuito a quella Vergine fieffa, che Ia porta in
mano . L’ origine di quefto nome non può efler
più naturale. Ma che? Son poi venute le favo=
le, e d'un fimbolo n° hanno formata una ftoria.
Si è pretefo, che quefta Sibilla foffe ftata tralpor-
tata di terra inCielo; e per ajutarla a far que-
fiovolo, fi è dipinta coll’ale. Siè foggiunto, ch*
ell'avefle lo fpirito di profezia ch’ ella prediceffle
di volta in volta l'abbondanza, e la fterilità; e
che a taloggetto teneffe la fpiga in mano. Di là
pure è venuta la floria della Sibilla Eritrea; e di
la finalmente fon nate le dicerie, che fi contano
della Sibilla Perfiana, e Cumana. Quindi tutte le.
donne, o facerdoteffe, che fi fono applicate a pro-
fetare; o che han compilate le profezie tanto an-
tiche, e veraci, quanto moderne, ebugiarde, fon
diventate tante Sibille. Ma quella predica va trop-
po alla lunga. Torniamo pure alle noftre coltel-
lazioni. i | |
Per dir vero, non fi poteva trovare un fimbo-
lo, che meglio efprimeffe quella coftellazione, che
accade nel tempo dell’ equinozio (quando le notti
fono equilibrate col giorno ) della Libra, o bilan-
cia. Le malattie, che il Sol cagiona, quand’ egli
fi va ritirando (il che fuccede verfo la metà dell
Autunno ) han fatto dare alla coftellazion fufie-
guente il nome di Scorpione. Concioffiachè quelto -
animale porta nella punta della fua coda una ve-
fcica di veleno; e punge, ed attoffica nel tempo
flefo, fuggendo. li Sagittario, od arciero , che
viene appreflo , fi riferifce pofitivamente alla cac-
cia, la quale , più che in altro tempo , è felice
dopo il cafcar delle foglie . E fe il Granchio col
fuo camminare a ritrofo diede occafione agli Egizy
di fimboleggiare il folftizio elivo , flantechè il Sole
24 imitazione di lui va rinculando alla volta dell
6qua=
VARIARE RR SANT BEER
ae e
Praga
I o I ati
.
ha scond Sesto. 0 203
‘equatore i il Capricorno all’ oppofto , che ha per
coffume' d’ inerpicarfi per c3ui luogo » dond' egli
paffa , e di continuar a falire fempre pafcendo; y
fin che fia giunto in fulla' cima delle colline , e
delle rupi, fu prefo da’ medefimi popoli per gero-
glifico del foltizio vernale, quando il Sole comin=
“cia a montare, € profegue la fua falita. DI finchè
fia giunto all’ altro tropico. L’ Aquario può pren=
derfi benifimo per un contraffegno delle piogge 4
delle nevi, e della ftagione malinconiofa del ver=
no, che allor fi trova nelfuorigore. Finalmente
i due pefci legati infieme per una firinga , fi pof-
fono riferire alla generazione , e congiunzione. di
quetti animali, che verfo’l fin dell’ inverno comin-
cia a prender voga ; o veramente alla pefca, che
allor principia a farfi buona.
| Signori , perdonatemi , s io m' avanzo 2 fpac-
ciarvi con quefta franchezza le mie conghiettu=
re. Ben m accorgo, che tutte nonappagheranno
il voftro intelletto .
Cont. Le voftre interpretationi hanno tutte del
verifimile. Ma quand’ anche non camminaffero tut»
te a pelo, bafta, che ve nefiaqualcheduna, che
corra naturalmente , fenza effere (tiracchiata : per
far vedere, che così fatte analogie han dato luogo
agli antichi di dar quel nome , o quell'altro a°
dodici fegni del zodiaco ; la qual cofa diftrugge
tutt® in un colpo |’ aftrologia giudiciaria , e le
fuperftizioni , che regnano, in materia d’ agri»
coltura.
| Cav. Adeffo men Va di pofta ad aggiugnere
tutte quefie dottrine al compendio , che ho fat-
to, deli' altre voftre differtazioni . Prego il Si-
gnor Priore a dar tra oggi , e domani una rivi»
fta a tutti i miei fcritti, prima ch'io faccia
partenza . Ho difegnato di comunicare 2° miei
ami.
I
la .
20% de Prawre « Diatoco Sesto. i
mici ciò , che ho pene nella mia * enigpgiana:
wiita dba i i
di Contel. Se voi tornetete a trovarci “quelle fa-
si ture vacanze , vi prometto di darvene un ‘al-
“.. . tro. tomo.; sb veramente , che il ‘Signor Prio=
ced. I ‘Signor Conte vogliano entrarmi mata
tevadori,
Fine del Dialogo Sefioè
e rn a
LET.
e ngn
RAVE she n° SR GA
CAVALIERE DEL BROGLIO
AL SIGNOR I V;
PRIORE DI GIONVALLE.
Sicnork,
"On ho' mancato: di Biel #1 Signor Cone
di Gionvalle, ed ‘alla Signora Conteffe' fas
Eri conforte ; pet ratificare «ll’uno, eVall’ ale
tra la mia più diflintarriconofcenza del cortefife
fimo accog stimento» che mi bànno fatto; e fopra
"tutto degli améni , e profittevoli trattenimenti ,
che mi hanno dati. Mia: ragion vuole; ch'io nos
‘omettardi profentare anche” à voi, Signor Priore
mio caro ; qualche ficurobatteftaro della imià par
ticolariffima. gratitudine ; Non ho goduto in vita
mia i più bei giorni di quelli, che ho crapalfaci. |
an voftra. compagnia . Polo dire , che voi mjave»
te menato tin un altro mondo ; in un mondo ine
cantato . Perl’ innanzi avea mirate tutte le cos
fe, come fanno i bambini. Ma yoi m' avete in-
fegnato ad approfittarmi degli occhi ; a ricono»
fcere: ciò ch è fatto per me; ‘ed ‘a godere)0de
miei diritti. He voluto partecipare i frutti delle
mie vacanze: 2 mio fratello , ed alla novella fua
fpota. Visto dire, chequantifiamo quì in cafa,
«diventiamo. tutti Filofof. Ci porighiamo a fpecu»
| lare sù tutto: tutto ci dà motivo diefercitare il
noftro italento. Ci iopraggiungono cento cofe da
dire.fur ogni brufcolo , che s'incontra nell’ anda»
re a {pafio; eisù quante vivande ci vengono in
tAVOGE Ii gufcio di un'ofirica; 0 diuna noce ci
e 1 tie»
5 de ;
- i
\ PRAGA
|
306 TETTRRÀ DEL ‘Sidior
tiene occupati l’’ore colle ore . Di tutto î vuol I
fapere l'origine, la Rruttura , e l’ ufo. Jeri giu-
fio s' attaccò in quefto propofito una calorofiffi=
ma difputa tra ’l Signor Commendatore noftro
vicino, e tra mio fratello, e me. Pretendeva que-
fo Cavaliere , che il noftro ftudio della ftoria na-
turale non foffe altro; che un perdimento di tem
po. Diceva ; che tutte le nofire cognizioni eran
piene d’ abbagli, e d’incertezze: accordava , per
modo d' efempio ; che noi poteffimo pervenire a
fcoprire alcuni canali de’ più groffi, e de’ più vi-
fibili; che fervono a nutrire il corpo d’ un ani
male; ma fofleneva, che non così avremmo po-
tuto fare degli altri, che fervivano a foftentar
quefti primi; e molto meno penetrare la teffitus.
ra de’ più minuti, l'ignoranza de' quali, median=
te Ia concatenazione degli uni, e degli altti, ve-®
niva a-torci la conofcenza di tutti. È così cons
chiudeva efier inutile il principiare un’ imprefa,
o uno fludio, cui vedea chiaramente non poterfi
mai terminare . Come che le ragioni del Signor
Commendatore non aveffero appreflo di noi mol-
to pelo; tuttavia avrei voluto, che mio fratel»
lo avefle prefo a ribatterle . Gli domandai , fe
quefti difcorfi faceffero nel di lui animo qualche
impreffione; e s'egli credeva di voler abbandonare
que' lumi , che una piccola nuvoletta ci aveva
offufcati . Soggiunfi, ridendo, chel primo anno,
ch'io era a Parigi, dimorava, in un appartamen=
to, i cui balconi rifpondevano in faccia alla cu-
pola dello Spedale degl' Invalidi ; e che, quando
fopraggiugnea qualche nebbione , ftava in ‘pena;
per non fapere , che flrada aveffe prefa quella
cupola. Concioffiachè , rion vedendola, midivifa-
«va, ch'ella non vi foffe più. Allora mio fratello
meftofi in puntiglio, per quela mia parità, riat=
tac=
CAVALIERE DEL BrocLio. 209
taccò la difputa, e provò al Commendatore, ché
le fue difficoltà non ci toglievano, nè la Sienza
di quelle cofe, che*noi pofitivamente fapevamo;
sl la facilità d'acquiftate delle cognizioni di nuo-
: foggiunfe, effervi veramente delle cofe, che
“i erano occulte ; ma che l’ ignoranza di quelle
non impediva , che non ve ne foffer dell’ altre
chiare, e palpabili, o almeno almeno ficure : non
doverfi l’uomo ‘applicare. a quelle fpeculazioni;
ch’ eccedono il fuo talento ; ma a quelle fole;
che s' adattano al proprio calibto . Quefta rifpo+
fta, che fu giudicata faviffima ; è in tutto con-
fivile alla propofizione , ch'io mi ricordo d’ aver
| intefa per bocca voftra ;. allorchè in una certa
differtazione prendefte a moftrare , quali fieno î
diritti, equali, ilimiti della ragione. Tutto ciò;
che vi compiacefte di. dire in “unette propofito ;
fece nell’ animo mio una gagliardiffima breccia;
-
ed ora vi refterei infinitamente obbligato, fe vos”
lete graziarmi di metter quelle medefime dottri»
ne in carta, € fpedirmele con veftro comodo. Voi
già m'avete infegnato a penfare: infegnatemi ans
cora a penfar giufio . Mio fratello , che m° era.
alle fpalle, quand’ io feriveva , e che ha voluto
metter mano in quefta mia lettera, fpezialmente
rifpetto a ciò, che concerne lui ftefflo, vi manda
mille faluti, ed unifce le fue preghiere alle mie;
per impetrare da voi una dilucidazione dell’ ims
portante materia, ch'io vi propongo.
| Nol facciam mica ad oggetto di convertire il
Commendatore. Le noftre fatiche farebbon' tutte
gettate al vento. Si cerca folo di premunirci con
tro fimili abbagliamenti. Addio. Vi fovvenga, ch'
io fono, ecceta
Ta
R. Ir < P o ‘So T
ie 6 1 EL "S'I GCM0R- Li...
artoni did ionvarie
DR da AL SIGNORO di
"CAVALIERE DEL BROGLIO,
Conicesneitti l ofienfione ,. ed i limiti della righi):
* a)
Sicwoxe/
On fa più dii 0po ingrandire dinanzi a’ vos
flri scchi il merito delle fcienze, e dell’ are
Pa nè tampoco affaticarfi per rifvegliare la vo=
lita curiofità . Quefta è una faccenda già fatta;
e ben m' accorgo ; che il defiderio di fapere vi
predomina. a più non»poflo. Refla fol da oflere.
vari, che quefta paffione, per fe medefima one=
fila, e feconda di-buoni effetti ( dov” ella fia re-
golata ) può divenire .viziofa al par dell’ altre,
quando ella da negli eccefli . Si vedono certi Let-
terati, che in vece d° aflodarfi ;-e-quietarfi , fi
genfiano, e fi pavoneggiano del lor fapere, fen-
za trovar mai fermezza. Di quefti tali fi può di-
fe con tutta giuffizia., che meglio farebbe fiato
per loro l'effer rimafi nelle tenebre dell’ignoran-
za , che avere avuti de lumi., .per, valerfene in
mala parte ,.e per abufarfi del dono fieffo del-
la ragione. |
Egli è bene, effer curiofo; pig io hesa: : ma
convien effer cutolo con moderagiliiio è e per te-
pere, la curiofita dentro i doverofi fugi limiti, bi-
fogna faperli. Or quefto appunto , @ tenor dell’
iftanza, che voi mi fatè, è ciò, ch'io prendo ad
«faminare. Quella materia , Cavaliere. mio caro;
vi
i aatiten.*
| Risros. par SrePrior DI Gionvarie. 209.
vi fembrerà. un poco ‘aftratta;' 0 almetior nona:
to fenfibile; come. quella. de’ noftri trattenimentit. -
Ma: trafcorretela: ‘perla prima volta ;-fenza. filo-
fofarvi:fopra:, e fenzà lambiccarvi ilbcervella9o iper
ben capirla , conie fi farebbe a leggere»naturale
mentesina fioria .. ornate poi a. rileggerla:un”
altra volta; e sì ‘vedrete .; ijche:le colei. riufci=
ranno. molto più!intelligibili:o ,calla:più difpe-
rata; potete applicar quefta) lettera dietro ano
Atri. ragionamenti: acerdemici! da. vob: ‘compilati nel
confaputo giornale: ; e dopo averla comunicata
al. voftro:. Signor fratello ; indugiarvacleggetla,
quando: v° applicherete con più prodinni allo su
diò sdella «Filofofia ssnmobstis i Oni
sb limiti della curiofità» ob g rif” allea db
bio; cuaiformi a que limiti; che furon»prefetieti
allabragione ‘umana: ip: generale ;. edvallo: ftafordì
"eiafcunoiia particolare + Ma noi per non | fa pera
il più: delle volte conofesre.i fin:idove :s’reftenda;
edera che. fia definita la noflrà ragione, “preadia*
mo;de' granchi ‘a fecco ; st\mella fcelta delle man
gerie ; set ‘quali affetciàmo di fapere ; ; ‘couigine’
gradi: della: ichiarézza»; 0 sagiaizioni aicui pres.
tendiamordi pervenire . }
«Bis ‘pure non poffo sefprimervi; quantvi pi prec il \
gion inganonarfi sù quefto. propofì to eiquanito: ita
porti. eiaminare il valore della nollra propria fa=
gione; per, vedere», (dovecpudearrivaresilie dove
no» Gonofcendofi ; - dov ellacpuò giugnere ;«ci gni»
miamoa. portarla fio la; eoslfapendoin dove’ la
medefima non può arrivare ; ci ritparmiamo :ides
gli sforzi. ivani,.ed.inutili.Ma:quetta ce la difs
grazia comune di noi mortali: ( e.fpezialnente
della gioventù ), che ,:0. non. fi iconoice il valoa
re, ed abilita del.proprio.taientoj o fen'haùn?
idea fuperiore al fuo merito. Quindi è ,ichero
gioni. IL. (0 08 trafa ?
Da 14°
Sis
356 Risposta DEL SicNoR Aa
trafcurafi-per affatto ; 0 fi vuol guidave più ifi
là, che non comportano le proprie forze.
A’ adolefcenza in particolare fi trova inun maf
di fcogli . La leggierezza del temperamento , il
contraggenio all'applicazione ; 1 allettamento de*
piaceri; la feduzion de” compagni , e mille altr!
motivi, ch'io quì tralafcio, vaglion pur troppo.
ad appanarle la vifta, e far, che ravvifi il pros
prio talento più mefchino, ch' egli nonè; éfras
lafci: di trafficar quel teforo ; in cui confifte tut=
ta la gloria; e felicita d’ un uomo . Dall’ altra
parte la Di uola di fapere; le avventurofe pafs
fate di alcuni Letterati; gli onori, ei vantaggi;
che vanno anneffi alle fcienze; il piacere, che fe
co porta. lo fludio; il talento di ciafcheduno ; la
facilità, con cui la perfona fi lafinga di appren=
der tutto; fenza conofcere, fin dove s'eftenda la
propria abilità , fon tutte cofe capaci d' ingolfare
la gioventù in certi labirinti, da non poterne in
verun conto ufcit fuora ; e d’ indurla alla fine;
dopo molti inutili sforzi , a mormorare iniqua=
mente della debolezza dell’umana natura.
Che più? Le perfone ancor più fcienziate , al-
la cui direzione con piena fiducia ricorre la gio
‘ventù, per efiere ammaeftrata, e pervalerfene,
come di guide in una carriera più neta a loro;
che a sè, fono talvolta le prime ad abbagliarci.
Concioffiachè buona. parte di coftoro , attaccati
alle maffime del Pirronifmo, piùuttofto ingombran
la noftra mente di dubbj , e d° incertezze , che
non la illuminano di principj veraci ; e ondeg-
giando continuamente fra le loro, perlo più uni>
verfali, perpleffità , in vece d’ animare il giova-
ne alunno alla ricerca del vero, lo fconfortano,
e lo fcoraggiano; ficchè in vedendo nello fpirito
«spieio di lui già accreditato tante difficoltà , e
Ean=
|
Priori DI EIonvaLLE. 211
tante dubbiezze , difpera di poter-arrivare a fa>
per qualche cofa di certo ; e in confeguenza fi
dà in preda al libertinaggio, edall’ozio: e quel
che importa , al libertinaggio delle opinioni, il
qual fovente è più irreparabile della licenza ftef-
fa de’ coftumi. Altri poi, lufingando la gioventù
con promefie troppo avanzate, follevano l’ uman
talento oltre i limiti della fua sfera; fottometto=
no tutto lo fcibile al loro efame; nè tirovan re-
mora; che poffa arreftare il loro corfo. Chi def-.
fe retta alle loro millanterie, fentirebbe , ch’ e'
| fono appieno informati del mondo corporeo , ed
incorporeo; che in men -di niente poffono fpezza-
re in cento bricioli la materia; e poi rappezzar-
la a lor piacere. Creatori, o fautori d' un Sifte=
ma d’ immaginazione ; il quale abbraccia tutto l'
univerfo, vi fanno dire , quai fieno gli organi,
che fanno muovere il mbndo; e qual la firuttu-
ra delle più piccole parti , che lo compongono.
In breve la difcorron di tutto ; -e di tutto pure.
decidono con franchezza . |
Ma oh! quanto riprenfibili , e malfondate fon
quefte loro orgogliofe pretenfioni . A dirla fince-
ramente, com’ ella fta , convien confeflare, che
la natura ci fa vedere il folo profcenio del fua
teatro j ma non ci moftra le macchine , che lo
compongono . Le operazioni, e le manifatture di
quegli ordigni particolari, ond’è formata la fce-
na, ci fono ignote. Noi vegghiamo folamente il
di fuori, e del di fuori ci approfittiamo ; ma la
cognizione chiara; e diftinta dell’interna fua tef-
fitura è una grazia, che al mortale effer noftro
‘non è concefla. |
Noi fiamo adeffo tanti pellegrini, che viaggia»
mo al lume dell’ alba d’ una giornata ferena. Un
vago bagliore principia a difcoprirne gli oggetti;
O 32 | c CA
*
‘219 ‘Risposta DEL Signor.
e ci fa {[pezialmente diftinguere i più propinquiè
Si difcerne beniffimo la fponda dal fiume;.e tan
to ci bafia per andar avanti. Ma il giorno chia-
ro non è ancor venuto,
'Sesnori prendeffimo. modeftamente a cercare,
qual fia ‘il motivo, per: cui ci fu difpenfata una
sì piccola porzione di luce, &i troverebbe , che
n" cotale mifura fu regolata prudentemente fe»
condo i nofiri bifogni : ‘che i noftri lumi fon ni
fo adattati alla nicchia del noftro fiato .preten=
te; e che s'e fofer maggiori, ci travierebbono,.
come che fia , da quel fine: s per cui fiamo ftati
collocati fovra la terra. E che fiala verità ;:non
fiamo quì fe non per effere virtuofi .»L' anima noftra
è collegata co’ fenfi; e per mezzo de' fenfi riceve line
formazione di tutto ciò, che. concerne al governo di
nmoftra vita, di cuiella è lafoprantendentea Queft”
anima diperde attualmente dal corpo. Egli ècor-
redato di piedi, e di mani; nè quefti ‘organi. gli
fono fiati conceffi per contemplare; ma bensì per
faticare , per operare , e per occuparfi in ogni
forta di eferciz) buoni, e'falutevoli. Quefto è l°
unico fine dell’effer noftro in quefta vita. Made
l’anima foffe fata fornita di maggior copia di lu
mi, avrebbe ficuramente:traviato dal retto fuofine ,
Il pellegrino ., per aver comodo di viaggiare,
ha bifogno di diflinguete tutti gli oggettiy che gli
fl paran dinanzi per ifirada: altramente,;» nè po»
trebbe:prevalerfi de i neceffarj., nè; vitare;i no»
cevoli. Or che bifogno' hasegli mai di conofcere.
a fondo la natura delterretio 3 cui calca 7. O. quela
la del fiùme, ch'egli vede lupgo la via? Egli.nof
‘ha da far altro, che andar avanti , e-che fcan-
farfi dall'acqua. Ma chi non.vede, che, s° egli
aveffe maggiori lumi, la fua fiefla curiolità io
Arittalezente ‘a fermarti a ogni pallo , per contim»
, pe
Priore DI GIONVALLE . DI
plare:a una a una tutte le varticolatità di quel
fiume ? Vorrebbe certamentè indagarne la, vena;
l'origine, la prima caufa . Si perderebbe a.cer= -
care. i rufcelli , che il fanno ingrofiare; le razze
de’ pelci , ch'egli contiene; ed a fare la notomia
di tutti gli alberi, che eli fan rp . Pafferebbe
di mano in mano d oggetto in oggetto; e il fuo
‘viaggio non verrebbe mai a fine . Adattiamio la
parità; e vedremo; che quefta appunto è la im»
magine di noitra vita.
Lo ftudio , e la contemplazione del vero fon.
due cofe in quella vita necefiariflime . V° han\da
effere delle guide ‘,, le quali fi prendan la briga
di riconofce: le firade ,, edi metter de’ fegni,
de’ limiti a’ paffi diffigili, o inacceffibili ; 3; finché
le loro fcoperte fervan di regola a chi vien die-
tro. Tal è il fervigio, che ad altrui preftano le
perfone Licia alla ‘cui direzione , e difcipli-
na ci riportiamo noi altri, per ifiruirci. Ma que-
gli Bud. ;, che non ci recano verun utile, e quel-
le fpeculazioni; che-non fervono, nè a: perfezio-
mare l'animo nofiro, nè a regolare i nofiri co-
flumi; nè.a giovare al noftro proffimo; fon fati-
che gettate al vento; e perdimenti di quel.tem-
po preziolo , che impiegar fi dovrebbe nelle cure
giovevoli, e neceffarie...L’ altifimo Iddio, che il.
tutto opera con retto configlio, ci ha tilparmia»
te quefie vituperevoli difirazioni, con limitare la
nofira capacità ; poichè, dov” egli ci avelle dati
più lumi; ci faremmo vie più applicati a conte
plare, che adoperare . Nè vi farebbe uomo al
mnondo; che fi degnaffe di brancolare sù per la
terra , s egli aveffe ali da poterfi follevare fo-
pra le sfere...
Per farvi. meglio capire una sì fatta verità,
mi ferviròo d'un cfempio fentibile. Fermiamoci di
3 6535
e
Ì
254 Risposta DEL SIGNOR
grazia a contemplare un villano. Il fuo perfona=.
le, confiderato per un certo verfo , e paragonato
agli altri uomini, vi fa compaffione . Il fuo na-
turale è rozzo, ed incolto : la fua vita è labo=
riofa, e flentata:; la dolcezza de’ piaceri non ha
per rai «alcun fenfo ; ; il lufro della gloria , dell’
oro, e delle gemme fon cofe affatto aliene da’ fuoi
penfieri. Che vuol dir quefto ? Forfe la provvi-
denza, che fi è moftrata sì generofa verfo degli
elcri, ‘fifarà affatto dimenticata di quell" infeli-
ce, quafi ch’ egli non foffe al mondo? AR! che
I’ occhio noftro non dee rimirarlo per quefto ver-
fo . Offerviamo un poco queft' uomo fecondo il
difegno, che di lui formò, nel crearlo, la prov-
videnza. Ella lo mife al mondo , per applicarfi a
un maneggio il più neceffario , che mai fi trovi
fopra la terra; cioè per attendere all’ agricoltu-
ra. Pofto dunque , che la medefima l’ abbia for-.
mito di tutti que’ lumi, che al dilui fato d’ agri»
coltore abbifognano , gli ha dato quanto gli ba=
fla. Se il contadino n° aveffe di più, non adem=.
pierebbe quel fine, per cui fu creato . Se i pia-
ceri, e gli onori aveffer per lui quelle attratti-
ve, che hanno per gli altri, fi recherebbe a ver=
gogna il vivere nell’ ofcurità, e negli ftenti del-
la fua condizione. Oltre di che l’ autore della na-
«tura, non folamente |’ ha voluto rozzo € idio=
ta, per proprio fuo bene; ma molto più ancora
per comun benefizio dell’ uman genere . In fatti
fe il villano avefle fpeculativa , dilicatezza , e buon
gufo, come potrebbe mai adattarfi a badar quo=
tidianamente alle pecore? Gli parrebbe di degra*
dar dal fuo fato , a prenderfi tutte quelle bri-
ghe, non men penofe, che abbiette., che fi ri-
richiedono a governare quefìi vili animali. Man-
cando dunque il governo al beftiame, e la coltie
Ya
Priore DI GIONVALLE + 213
vazione alla terra , ecco già pervertito tutto l'
ordine dell’ umana focietà ; ed eccoci pur ridotti
a non avere, nè vitto, nè veftito. Sicchè la roz-
zezza del contadino è per noi vantaggiofa : e noi
dall’ altro lato ci moftriamo verfo di lui non me-
no ingiufti, che ingrati, a rinfacciargli la fua ru»
fticita. Ma l’immagine di quell’ uomo fi potreb-
be applicate a molte altre perfone. Il contadino
abbraccia tutto l’eifer dell’uomo; perchè ognun
di noi è un contadino. Tutti quanti fiamo ftati
pofti fopra la terra, per coltivarla , per abbellir-
la, e per impiegarvi la noftra abilità, La diver-
fità de’ meftieri richiede, a dir vero, qualche di-
ftinzione di talenti, e di lumi; ma quefti talen»
ti, e quefti lumi han pure i loro limiti; fuori de”
quali non ci è permefflo trafcorrere : chi preten»
deffe di rrapaffarli, verrebbe a ufcir fuora della
fua sfera. A che fervelambiccarfi il cervello, per
ifcandagliare il fondo degli enti? Perrinvenire la,
teflitura più intima degli organid’ uncorpo? Per
indagar, come ivafi, ond'egli riceve lavita (la,
cui minutezza è invifibile agli occhi noftri ) pol-
fan fuffifere, e foftentarfi? Perindovinare, qua&
fieno gli elementi di quefti vafi; e quali poi gli
elementi di quefti elementi, fino a volere fcavar
l’ infinito? Siamo ftati fatti pèr altri fini. L'ab-
bandonare le verità; che ci fi prefentan dinanzi,
per tener dietro alle cognizioni, che da noi.s' al-
lontanano ; fpeculare , od affettar di fapere, in
campio d'adoperare , è un lafciare la via mae»
ftra della virtù , per intrigarfi a bello ftudio in
fentieri {cabrofi, dove s' intoppa ad ogni paflo in
qualche fiepe, da non poterfi mai fuperare. Egli
è altresì un opporfi diametralmente a i decreti
della Divina Sapienza, la quale s'è compiaciuta
bensì di fornirci d’ un coral lume albeggiante ,
0 4 per
vré «Risposta der: Sienor”
per poterci avanzare vero la metà della moffra.
eterna beatitudine ; ma (nonchas voluto! perrarche
dilegubrch-afarto: le ombrecerShe: fe. al:bagliore
della, ragione» ha Pe aggiunta la guida !dellefue
Divinearivèlazioni, l'ola firlio , per saddivarci da
vera:firdday: che. noi dobbiamo: tenere j ma.inon
per rorci quel velo, clié appanna i neofiti occhi,
e.iche «non ki -laicia vedere -pienamente»le «cole.
Quefia è una grazia , ‘che ad altro dbbcite ci. L
silerbata. i
'Madfe.giuflo!, e tnscilbiDi smi è pure 3 rico»
nofcere; l’ incita della noftra ragione; e fot»
tometterci, fenza rimbrotti; alla legge autorevo=
le-di:colui:;' che il tutto. ha. regolato fecondo il
fuo «rerto configlio; non è men dovere; che rico»
nofcafi ili pregio di quefta. fieffa ragione.; é che
fi traffichi uno sì pregiato talento ; a mifura. del»
la fualiellenfione.,.e valore.. Dopo il dono della
fede, il cui;lume, fenza foliRicare coll intelletto;
ci imoftra tutto. ciò; che' s'ha: dà:credere , opera
re} e fperare,, il più preziofo teforo, a abbia»
mo, è laoragione. S' ella non'arriva a penetrare
2: fondo. la natura degli oggetti; fa però ricono
ficine il merito: fa difineuere lun dall altro ;
ne ravvifa | efierno ; ne {perimenta l’ azione» e
gli efecti; ne difcerne le relazioni; ne annovera
la quantità; ne ravvifa le proporzioni , la fimme»
tria;;di utilità. In fomma, fela maniera; con cui
1. concepifce., non è chiara, e diftinta; vede pe-
7Ò beniffimo 5come poterfene approfittare., ed
‘attualmente fe n° approfitta. Partecipa di tutti
quei diritti, e fi prevale di tutte quelle caute-
le , di cui gode un viandante:; il quale oflere
va di pallaggio checchè. v° ha di particolare in
ciafcun paete ; che ne riconofce i fentieri , gl’
incomodi ».€d i vantaggi; j. € iche , fenza I
CES
PA
(
\ }
— PrIORESDI Gionvaniz. 04
fermarti ; nòta tutto ; e s' approveccia. di «tULCO 4
e Ma per. meglio capitarci dell'eccellenza di ques
fta noftra ragione; e dello firest? obbligo ,. che ci
corre ;.di periezionarla , paragoniamola agli entî
più attivi, e. più.fcaleri , chef rittovino fopra
la terra .; e confideriamo l'alto rango, ch ella
vi.tiene, e.le funzioni; ch' ella viselercitaa so {
Se .noi ci fermiamo. a contemplare cutta la gran
farragine degli animali, che.popolan 1° Univerfo ;
troveremo in. ciafcuno una certa, indufiria.,, e pruè
denza: ben manierofa nel prefciegliere i mezzi; ché
lor bifegnano afoftentarfi, e adallevare ilor pars
ti... Pare; che abbiano un non fo qual fentor di
ragione; mentre fi vede, che, quanto eli fanno ,
tutto tende ad unfine. In tutte le loro azioni. f&
ravvifa chiarifimamente l' infiufto d’una fapienza ,
% d’una potenza, foprannaturale yiche ha faputo,
e voluto variare. le, lor maniere di governarfi ; ed
ha impreflo,, rifpetto 2 ciò , inciafcuma fpezie un
metodo particolare, da-cui non fi parton giame
mai. Ma nonfipuò prefiar loro il dono della r2-
ne «Gli animali non hanno in fefte(fi intelletto »
Quella fapienza., .che inloro influifce, e che dirige
tutti i loro andamenti ; rifiede abextra. Chefeefla.
l’aveffero dentro di se; fe penfafero; fe raziocinf=
{ero., non fi vedrebbeno sì iconeergati , sì fiupidi, e
sì difadatti ’ qualora fi tolgono dal lor confueto
tenore ; cioè .da quel metodo particolare , onde
ciafcuna {pezie fuol governarfi. Se il ragno, per
modo d'efempio, avelfe quel principio! Vi intelli=
genza, che ha'l teffitore, faprebbe faraltro,, che
ragnatele. Così pure la. Landing. qualora avelle la
capacità del muratore , faprebbe fabbricare, altri
nidy, che difemplice creta. Accordatafi agli ani»
mali la facoltà intellettiva, non fi riftrignerebbono
dentro limiti 60gì angulu nfperso al lor metodo di
ope=
à
218 Risposta DEL SIGNORO
operare , fenza variarlo giammai. Il loro ingegno
Yi fabbricherebbe adogn: ora di nuove idee; nè la
ragione fi ftarebbe quivi infeconda , edoziofa. El»
da fi manifefterebbe di quando inquando con qual-
che tratto di curiofità; farebbe fempre de’ nuovi
sforzi; produrrebbe de’ nuovi parti, e la varietà
de’ penfieri, che pafferebbono perla mente, fareb-
be sì , che s' ingegnaflero di diverfificare le loro
manifatture. Tutt'altro addiviene nell’ induftria
dell’uomo. Ella nonè, come negli altri animali,
an iftinto, che influifca inlui l'abilità , e facoltà
di produrre un'azione determinata , e fempre uni-
forme, pervia degliorgani refpettivamente difpo=
fîi a quell’atto. Laragione dell’uomo è un prin
cipio attivo, e fecondo, che intende; ch'è fempre
volonterofo d’ aumentare le fue cognizioni j che
penfa; che vuole; ch'è libero; che opera; e che
crea , in certo modo , tutt'ora di nuove cofe
Quefta ragione ha portato l’uomo ad imitare per-
fin la fabbrica dell’ Univerfo con una sfera artifi-
ciale, incui fi efprimono regolarmente tuttiidilui
fenomeni, ifuoi moti, e le fue rivaluzioni . Ella,
oltre a ciò, procaccia all'uomo un nonfoche di
più vantaggiofo, eimportante . Fa , ch'egli conofca
la bellezza dell'ordine ; che l’ami; e lo gufti; ‘e
fi fudj altresì di porlo in tutte le fue operazio-
ni. In fomma ella lo rende un imitatore d’Iddia
fleffo; e fa, che vedafi fopra la terra nell’ uma-
na creatura la vera immagine del Creatore.
| Dirò ancora di più. La ragione, non folamen=
te fa conofcere all'uomo la faccia efteriore di tut-
te le cofe, la lor bellezza, illor pregio; ma glie-
‘ne apprefta il godimento reale . Ella il coftitui=
fce Signore, e Sovrano di tutte le creature del-
la terra ; e lo mette attualmente in poffeflo del
fuo. dominio , ed imperio . i
Gerto
Priore nr GroNvALLE. 219
Eerto è; che l’uomo nonha l’agilità dell’uccello ,
il qual fi porta inunbatter d'occhio, mercè il foc-
‘ corfo dellefueali, molto di lungi . Non ha tampo-
co la forza dicerti altri animali, che fono armati;
o di corna; odi zanne, adi denti mortiferi. Mol- I
to meno poi è abbigliato , come addiviene ditutti
gli altri, per mano della natura . Non porta dalla
fua nafcitaà, nè penne , nè pellicce , nè fquame, che
io difendano da’ rigori dell’aria + Or come mai ,
dira taluno, una tal nudità fi conviene al Re del-
la terra? Come? Egli ha ricevuto il dono della ra»
gione. Gosì egliè ricco , potente, e ben fornito
di tutto. La ragione gli fa vedere, che tutte le
ricchezze degli animali s' appartengono alui; che
quefti fontutti fuoi veri vaffalli ; e ch’ egli può
difporre a fuo talento del lor fervigio , de’ loro
averi:, e della lor vita. S' egli abbifogna falvag»
giume per pafcerfi, fpedifce i fuoi cani, 0 i fuoi
falconi fatti manieri, ed addeltrati alla caccia; e
| fenza prenderfì alcunabriga, gli vien portato ciò,
ch’egli defidera . Se al fopraggiugner d’una ftagione
vuol mutarfi di veftito, la pecora gli offerifce le fue
lane, el. filugello gli ordifce una ftoffa più leggie-
ra, c più vaga. Glianimali ilnutrifcono ; gli fan»
no la fentinella alla porta; combatton per lui; gli
arano le fue terre; e gli ‘trafportan le:fomse,/*.
Ma la ragione, non folamente fa prevalerfi dell’
agilta, e della forza degli animali; ma ricava e
ziandio giovamento dalle creature infepfibili . Ella
fa fardifcendere iroveri dalle più alte montagne j:
e fa sbucare le pietre dalcupo fen della terra , per
appreftargli l'alloggio. E fe mai gli vien voglia di
cangiar clima, e valicare dilaà da’ mari, per traf-
portarvi le merci, che gli avanzano, eriportarne
quelle, che gli mancano, gl’ infegna a fervirfi del
fluido dell’acque, e delfoffio de' venti, perotte-
nere
220 Risposta ‘DEL. SicNoR®
mere. il fuointento + Ip:fomma la ragione fa fog
gettare. gli elementi. s (cimetalli. al. tenore ide? fuoî
bilogni- ;, DEV ha creatura. fopra-la terra, che
non obbedifca a’ fuoi ordini, e alle fue voglie ..
‘. Così piccolo, con egliè, ftende il. fuo.- braccio
fin agli ultimi confini della terra :.i fuoi defiderj
s'adempiono dal polo artico fin all’antartico: ac-
cozza, per dir così, quefte due eftremità , ogni
qualvolta gli piace; e fa, ché amendue tengan reci-
proca corri(pondenza fra: loro ;. fenza muoverfi di
cafa fua. Mette incarta il fuo penfiero; e que
Na carta, fi pone in viaggio, e, fenza ch’ egli fi pren=
da, veruna briga, attraverfa mille paefì, pafia per
inano di mille, ‘erille foggetti, e va ad annun-
ziare. la dilui dea a perione, che ftanuno.da due,
o tre mila leghe di lungi da lui. Difpenfa. i fuot
fentimenti a tutta quanta laterra, e li tramanda
eziandio dopo morte alla poRerità più rimota. E°
impofli bile annoverare le maraviglie, che quefta
ragione tutto dì va operando. Ella articchifce, e
abbellifce tutti gli Stati; nè fi rende men forpren-
dente in fulla punta delle dita d’un artigiano, ov°
ella diviene una forgente di: galanterie, e di co-
modità, che ne’ fermoni, e. negli fcritti. de’ Lette-
rati; ov ella è una fonte perenne. di documenti ,.
e ‘di on! di confolazioni , e di divertimenti...
Oltre a tutte quefie, sìrare, sì profittevoli ; sì
preziofe prerogative ,, ella ha ancora certi diritti,
che la nobilitano di vantaggio . fà ragione. ia
pi il centro di tutti gli enti da Dio creati ;
ella n'è il fine ;.ed ella ne compone l'armonia.
Togliete la ragione.dal mondo, e inpponete , che
non vi fia, nifunuomo. Ecco pervertite tutte le
opere di Dio; ed ecco tutto indifordine. Il Sole
illuminera certamente la terra ; ma quefta terra
non avrà occhi, onde noa ka Lifogno di Lupe è
"Priori DI 1 GrovvAit. di E
si calorè di-quefto' riobil' Pianetà }$ la. rugiada’, &*
le pioggie. faran Zermogliar le fetenze Mo Veftirane
o le campagne di'biade; “edi frutta; ma non vil
fara chi ‘raccolga, nè quette biade” ‘nè quefti pos
mi; nè tampoco"chi gli conifumi. La terra nutri=.
rà gli animali j ‘io ‘ve Patcordo;. ma ‘quetti anima="
li, fenz' avere un ‘padrone’, che fi vaglia. della lò=
rovabilità, e che concentri ; “per così dire, ‘i Toro”
fervigj, not Yàran buoni a ‘nulla. TI cavallo; 0.
il bue ‘hanno; ‘la Dio merce”, una tal' forza, "che.
‘ gli abilita a firafcinare "i od) 2° ‘portare ful dorfo
de' pefantifiimi carichi ; e i loto piè fono armati
di un unghia capace di refificre ATI più ‘{cabroft
| cammini’; ma queta. forza , € quefte tnghie fa
rebbon :fuperflue , ‘9’ egli ‘non “doveffe far ‘altro NI
che: calpeftat l’erbe de’ prati, dove ftaÀno' per pa-
fturarfi. L'a pecora © aggravata dal pefo delle fue.
fucide lane. La vacca, ela capra fi trovano in-
comodate ‘dalla foverchia abboridanza del proprio
latte . ‘Per’itutto ‘({ravvifa ; 61° inutilità , 0 la
contraddizione! Ta tetra racchinde nelle fue vifce-
re-delle pierre buone a fare degl i edificj, e de me»
‘talli acconti’ ‘a fabbricare osni forta ‘di vafellami <
Mia ella non ha ofpiti all bggiare, nè artefici”,
che poffan st quel metalli: La fua {uperfi»
cie è un ampio, ‘e wago giardino; ma nòn v'è chi
lo goda.; Tutta: ta natura è uno fpettacolo ‘ame
no; ma-non?v ha chilo miri“ Renidiamo ora l'
uomo allanaturs3 e #fponghimò 1a ragione fopra
la terra. Eccoti: fabito campeggizre’ per tutto, il
difegno',; la: proporzione , la' fimmétria!. Che -più?
Quelle: cofe: tele; che’ non parevan create in con-
go alcuno ‘per i?’ Uomo; ma immediatamente per
gli animali; 0 per le piante: non lafciano di ri-
dosidare ‘in: fuo behefizio, mediante i fervig]; che
quefti animali';-e ‘quefie piante gli preftano . ‘Il
mos
232 Risposta DEL Sicnor Ì
mofcherino depon le fue uova nell'acqua ; eivers
micciuoli , che indi nafcono , vivono lungo tem=
po nell’ acqua, prima di volare pet l’aria . Or
quefti vermicciuoli fono il cibo quotidiano de’ pe»
fci, i quali fon fatti per l’uomo. Ed ecco, ché
i mofcherini vengono a ridondare in benefizio dell’
uomo . Così tutti gli enti creati fi concentrano
in lui, e tendono tutti a lui. Egli è un nodo ;
ove s'accozzano tutte infieme le parti fegregate
dell Univerfo, e fi fa di effe un tutto, Egli in
breve è l’anima di tutte le cofe.
Ma l’uomo mediante la fua ragione; non folo è
il centro dituttelecreature;-ma ancora il lor fas
cerdote. Egliè il minitro, el’ interpetre della loro
riconofcenza. Per bocca fua pagano al lor fupremo
Creatore, che l’ ha formate per propria gloria ;
quel tributo dilodi; che gliè dovuto. Il diamante
non riconofce il fuo pregio, nè fa da chi abbia ri»
cevuto quello fplendore , che in lui campeggia . Gli
animali non han contezza di chilivefte, nè di chi
li pafce. Il Sole fteffo, contutto il fuo lume; è
allo fcuro delfuo Creatore. Inmezzo a tanti cie=
chi la ragione è l’ unica ad aprir gliocchi, perri-
conofcerlo . Frappofta tra Dio; e le creature infen=
fibili, fa, che valendofidicoteftoro; lecorrel’ obs
bligo di ringraziarlo, di glorificarlo, ed’ amarlo +
La natura, fenzadilei, è tutta muta; ma tutte
all'incontro le creature van celebrando per mezzo
di effa le glorie di colui, ond' hanricevuto il lor
effere, e la loro abilità. La fola ragione s’ accorge
d’ averlo fempre prefente : ella fola vede ciò; che
riceve da lui; edella fola ha fortito l’ impareggia»
bile onore di poterlo adorare, e glorificare in tutto
ciò, che fi trova dentro di lei, e attorno a lei.
Ed ecco perche dee regnare foprala terra la Re-
ligione; perchè fi trova fopra la terra l' anima ra»
gios
5, Priore DI Gionvitie. — — 333.
#ionevole. L'uomo dunque dee coltivare :la Religios.
ne a mifura del fuoraziocinio: dalche ne fegue;
che intanto fi va indebolendo la {ua Religione; in
quanto che la fua ragion s' avvilifce, e fl perver=
te; il che fuccede maifempre, allorch'egli s'ofti-
na, o adimpiegarla in quelle cofe, che le fue forze
trafcendono ; o in trafcurar tutto ciò, ch'è ftato
fatto per fua iftruzione, o per fuo efercizio.
Eccovi, Cavaliere miò caro, un femplice abboz»
zo de’ privilegj; e vantaggidella ragione. Efli cers,
tamente fon tali, che l’uomo, nob folamente noti
ha motivo dilagnarfi della fua forte; ma piuttofto
di ammirare quella portentofa varietà di cognizio=,
ni, € di ricchezze; ch'egli poffiede. E quanto più.
arriva a conofcere la dignità , e l eccellenza del
| proprio talento; tanto più gli corre l’ obbligo di
coltivarlo; e di prevalerfene. Ma il punto fta, ch'
‘egli l’efetciti del continuo intorno a quelle eofe;
‘che noneccedono il fuo calibro; e che poffano ren=
«derlo o più felice, o migliore. ME
. Per poterciregolare intorno all’ufo; che far fi
dee della noftra ragione inordine a tutte lecofe,
prendiamone di mira una fola. Non v'ha ùun oggetto
più bello della luce : il noftro talento non può me-
glio efercitarfi, che nella contemplazione dijun tale
oggetto, che abbellifce tutta quanta la natura +
Proccurifi dunque di faperne almeno in parte quel
tanto; chefi può; ma fopra tutto vediam d'’ iftruir=
cene per nofiro profitto. |
Ma per meglio dichiarar quefto punto, ferviamo=
ci d'un’ immagine molto familiare, e fenfibile.
Mi trovo in una carrozza a vettura incompa=
gnia di due Filofofi, i cui pareri fon quafi tutti
diametralmente oppofti fra loro. Abbiam fatto una
buona levata , e ci fiam partiti dall’ albergo molte
Orc primg dsl giorno .'$' è avuto tutto il rempe
I)
SIA Pusposta DeL Sfenor:
‘di fonnaechiare ; odi sbadigliare. Alla fine {punta
È aurora; | ‘e’tuitti ci deliamo . Prodottefi perl una!
parte, e: pet” T'altra alcune rilefli oni intorno ‘alla.
luce, e a’ colori, idue.Filofofi s° accapigliano in.
fieme ; e piglian'miotivo di ragionare-della qualità.
dellaluce. ll primò pretende di fpiegare, non fola=:
fvente ciò, ch'ella è per sè ftefla ;, cha vale ‘a. dit:
la {ud ellenzà ; ma ‘ancora cid; ch'ella è rifpetto
a noi ; ch'è quanto dire la fenfa zione ch’ ella pro-
ducé ‘in noi ffeflì. «Il fecondo (ofienes che l’ ufio0,”
el'altro punto‘ © im percettibile ; ‘eva a'terminare
in una offervazione ; moftrando; come la fiatura:
d’iuomo non arriva a fei piedi di altezza”, e a due»
di latzhezza; e -ciò f0n oftante Sapone! d’ avere:
inse la fenfazione reale'di nove ; di dieci} di cento.
piedi; edi tutta l'eflenfione d’ una gràn ate
e della flerminata diffanza da noi fin'alle ftelle
Da-che' inferifce , ‘che, effendo un affurdo lashifiaa
ftovil' dire, I die un ente poffa avere: in'sè flelò.
la fenfazione reale; e la mifura‘d’ uh ‘ente» mago.
giore: di' sè.,‘non'è poftibile, ch' egli veda, e ch’
effettivamente non vede; che tutte: ‘fe\cognizioni
del ‘mondo fonò'fallaci: i edi incerte ; e ‘che nem-
merio egli fa di effere quì: con noi in'ùna catroz-
aa vettura . To intanto fto ad afcoltàr Paso,
e Paltrò 1 ed'effi!;; dopo efferfi‘ben bene sforati
a‘portare le lor tapioni , mi-prefidoni per giudice
delta lor difputa . Petmettetemi. ( dico allora) Si
gnori mici , ch’ io vi palefi con tuttarfincerità i
fetitittenti dell’'znimo:mio. Da una'queftion fem-
pliciffima; ed in'elictrattavafi degli avvantaggii,
e de' fini dellailuee £ esde’ colori; ‘sbaleftrandotue
ti e due a più potereentrate in certi ginepreti di
difficoltà, che non. han punto che. fare col merito
della caufa:. Uno: di:voi, ‘affuefatto a trovarori-
piego a ogni cola, pretende {piegare l° Pi
A Pe A:
n) Priore DI GIONVALLE. 235
Ta luce, e la fenfazione, che quefta luce medefi=
na produce in noi. L'altro, effendo ufaro a du
bétare di tutto, foffiene di nonefler tampoco fi-
curo di vederla. Voi, Signore, volete fapere quel ,
che fotfe non v.è permeflo; e voi, Padron mio,
volete ignorare ciò, che fi tocca conmano. Ap-
pigliamoci più tofto al partito d’informarci, e di
‘approfittarci di quel, che abbiamo , fenza correr
dietro a quello, che non può averfi, e lafciar in-
fruttuofo ciò, che fi poffiede. Voi altri Filofofi mi
parete giufto tanti lavoranti d’ un artefice d’ ori-
noli, che , dopo aver ricevuto dal padrone dell’
oricalco, e degli ordigni, per fare una ruota per
uno , voleffero trapaffar la giornata a difputare
calorofamente della natura dell’ ottone, e dell’ ac-
ciajo. La luce, e i colori , che fono il foggetto
della voftra quiftione, non ci fono ftati dati per
‘iferutinare, qual fia la loro natura, nè per fer-.
‘wire d'argomento di difputa ; ma bensì per poter-
ci-regolare nel hofiro viaggio. Noi vorremmo pe-
netrarne l’ellenza, perchè fiamo troppo curiofi ;
o negarne l’ efiftenza , perchè non arriviamo a ca-
pirne l'effenza . Tutti e due quetti ellremi fonò
wiziofi. Attendiamo adapprofittarci di quefta lu-.
ce, e di quefti colori, fenza fermarci a fcanda-
gliare, qual fia la natura dell'una, e degli altri:
© fe vogliamo in ogni modo efaminarla , proccu-
“riamo , che il noffroefame\non pafli i limiti della
noftra cavacità i, c che ci polfa portare qualche
vantaggio . E così , fenza fapere in che conlilta
la luce, nè qual fia la natura del vetro, attra-
vero del quale ella paffa, poffiamo modellar que-
fio verro, e modificare il pafaggio di derta luce
per cio ; ficchè quefo verro ferva d' ajuto alie
pesfone , che han corta vifta ; avvicini al noftr
acchio gli oggetti lontani ; e c'iogranditca quel
Tom. Il, É P di;
226 RiIsPOSTA DEL Sicmor
li, che per la lor ‘picciolezza ci fi. rendono imme
diatamente invifibili. Queffa è la vera maniera
d' efercitare il noftro talento , e la noftra mano
con frutto, rifpetto alla luce, Che fe poi vogliam
pafcere folamente lo fpirito di fpeculazioni, e co
raziocin], facciamolo pure; ma la noftra (pecula-
tiva fia fempre diretta ad arricchire il noftro in-
telletto di maffime certe , e ficure ; cioè a dire
dell’ eterne verità, mediante le quali ‘polliam dive
nire migliori, e più riconofcenti di quelle grazie,
che il noftro Divino benefattore ci ha compattite.
‘. Ponghiamoci, per modo d’ efempio, a confice-
rare praticamente l’ufo di quefta luce, di cui poc”
auzi fi filofofava teoricamente. Non wifi ravvifa
egli un difegno, una magnifcenza , ed un’ urilità
fi ngolare? Son pochi momenti, che la natura era
stutta quanta fepolta fra le tenebre; affinchè l uo-
mo, fenz'aver chilo fraflornafle, potefie prendere /
il tuo ripofo. Allora tutti gli oggetti vifibili erano.
divenuti per lui affatto inutili. Si può dire, che |
foffero tutti morti 5 poiché le tenebre gliene to-
glievano l' ufo. Al comi parir della luce, eccoli tutti |
quanti riforti. Si può dire , che la medefima gli
abbia cavati per nei dal loro niente; mentre ce
n ha reflituito quell ufo , che avevam perduto .
Ma non baftava, che quefti oggetti foffero illu-
minati, erenduti vifibili; poichè , fe tutti foffero d'
uno fleffo colore, l'occhio noftro non li faprebbe
difcernere l’ un dall’ altro. Ed ecco, che ciafcuno
è veftito d’ una affifa particolare, per cui fi fa di-
ftinguer dagli altri; o per dir meglio , porta in fron-
ne, un pellanino, dove fi legge a dirittura il fuo no-
. Perquefto mezzo arrivandofi a prima fronte
vr gi , fi può agevolmente approfittarfene; e
ci rilparmiamla briga di farne una lunga perqui-
dizione, e di lohliicare , come pur troppo fi de”
C;
Ho Priore PI Gionvatte. din.
“\e, intorno alla loro natura , per non confonderii!
'un coll’ altro. Ma parte di quelli colori fon dol*
ici, e confortan la vifta, ‘come fa ilverde: parte’
fono lugubri, e patetici, come lo fcuro , ed il ne-
ro: e parte finalmente fon vivi, ed abbagliano l
‘acchio, come il bianco; e il ponzò . Or fe l’af-
petto. di ‘quefta terra. foffe foverchio carico di co-
or bianco, o ponzò, la noftra vifia ne refterebs
be defatigata s Se poi la natura fofie troppo ‘in-
tarfiata di color nero , ne fembrerebbe un morto»
rio. Efendo dunque generalmente fnaltata di vera
de, la vifta (eziandio fenz’ accorgerfene) viene ad
un'ora a confortarfi, eda rallegrarfi. Dal che fi
vede, che quello fleffo art tefic ce , che ha formato
l occhio, ha pure fparfa sù i colli , e ful piano;
e da per tutto quefta dolce, e graziofa verdura ;'
ch'è tanto omogenea, e tanto confortativa dell’.
occhio. Ma prevedendo, che uti verde troppo tini:
forme avrebbe potuto impedire il fuo generale di-
fegno di fardifiinguer gli oggetti; s'è compiaciu-
to di dare all’ erbe de’ prati una verzura differente
dal verde de i campi; ecosì pure a ciafcun albe-
so, e a ciafcuna pianta un certo fuo verde par-
son te ; fiechè uno fieffo colore , coll’ efier più
chiaro, o più fcuro;, diverfificaffe.talmente la di-
wifa di ciai ‘cunoggetto, ché fi potefiero tutti age=
volmente riconofcere , e rafigurare. Tali fono i
penfieri, che mi vengon così all’ improvvifo intor-
no alia luce , per ditora l'uno de’ miei compa-
gni dalla fua proiunzione; e l’altro dalle fue in-
certezze, per guidarli amendue alla ricerca delle
verità ficure, e palpabili, Tali fono altresì quei,
che fi prefentano a tutti noi, inordinea qualune
que oggetto vifibile , ‘ perfuadendoci ad attaccarci
mai fempre al femplice, all’utile, al neceflario ;
ed a guardarci, non meno e. brancolare du
À 2
%
2328 Risp. neL Sia. Prior DI Gronvarte.
la terra, quando conofciam d°aver ali da poterci
follevare più in alto, che dal fare una precipitofa
‘ caduta, per voler volare fenz'ali.
«Tutto ciò, che fi detto , fi pùò ridurre a una
maffima, nonmeno facile a ritenerfi, che a pra-
ticarfi; cioè, che in ordine a tutte le cofe crea
te, che fi prefentano a gli occhi noftri, non fi
può prendere altri partiti, fuorchè uno di quefti
tre: o non curarfi di faper nulla: o affettare di
faper tutto: o proccurar di fapere quel , che fi
può, ed approfittarfene . Il primo è da flolido
il fecondo da temerario : il terzo poi da uomo ac-
corto, e prudente, che non ambifce di follevarfi
fopra la sfera dell’ effer fuo ; ch’ efercita il fuo
talento colla dovuta moderazione ; e che fi vale
di ciò, ch’ è fatto per lui, con riconofcerlo dal
fuo Divino Creatoré. Con che augurandovi ogni
vero bene, e vantaggio mi confermo, eccet.
1) fine del Tomo Secondo +
IN-
%
I A, Colle i, Lita
SRI
ALFABETICO DELLE MATERIE
Contenute in quefto fecondo Tomo dello Spettacolo.
/
| A i,
A elemento. deltinato per propria ftanza a tut-
4A ti i pefci. prg.94. e fog. GR
Airone. 28 a» i dn
Albero, e fuo midollo. 132 Suo legno . 134 Sua fcor-
za. tu. Suo perioftio, o buccia interiore. .125 Sua
rezza, o cuticola eiteriore. ivi. Sva corteccia, 0
buccia di mezzo. 126
Albero, rceve gran pregiudizio dal mufco, che va fer-
peggianlo sù pel fuo futto, e sù per le rame. 132
Alette, o pinne de’ pefci. 104
Ale degli uicelli. 2400
Animali ternitri. GI
Animali domftici. 62.6 feg.
Animali del zqdiaco hanno tutti il lor fimbolo. 198
Anitra. 32 La
Acquario; undecimo fegno del zodiaco. 203 I
Arciere, o Sagittrio, ottavo fegno del zodiaco. 202
Aria, influifce nele piante. 158 |
Ariete, primo fegn del zodiaco. 200
Afino, e fuo elogio 76 e feg.
Arte del volare a né impoffibile. 25
Afperarterie, o trache delle piante; cioè i pori, onde
ricevono gl’influffi e]l’aria. 136
Aftrologia giudiciaria,+ fua vanità. 198
i i B:
YAlena. 117 Sua caccì., jwj. e /es.
Balenotto. 118 | "a leg |
Barbolina del germe. 131 Wsfta barbelina fi converte
in radice- ‘v/. Sua diteine, 193 e feggi + Lic
Bafi delle ranae diciafcun alico fempre equidiftanti al-
la terra. 159 a o
Beccaccia: 29».
Becco della cicogna. 32
Beftie pecorine, e bovine. 72 bi Uh teder)
Bpccetta, o vefcica dell’aria, dira valsarmente nota»
! 1.3 ta-
236 È, x. pP.i cc
tojo, che fa falire i pefci a galla, ocalare a fondo,
fecondo che fi gonfia, o fi (gonfia, 105. e fes.
Bocciuoli, 0 A delle RIAD 137. è Se
ali del Chivrlo, in ai confifta. 54
Caccao. 187
Caduta delle foglie degli alberi. 152
Cz effe ae 86
Cammello, e fue proprietà. 75
Cane, € ino elogio. 68 e /eg. toa)
Cancro, quarto legno del zodiace. 2of.
Canna, che produce il zucchero. 182
Canapa. 171; € 175 i
LI
Cannella. 188... ci agli
Cannocchiali, e loro ufo. Co
Capellamenti delle radici delle piante. ne
Capricorno, decimo fegno del'zodiaco. 205
Caprifoglio. 168
Caffore, e Polluce. V. Gemini..
Caftoro:; ectno elogio . ;81 e feg.
Cavallo, e fuo elogio. 66. e /eg. »
Cavallo marino, detto volgarmente. I.popotamo . 126
Cheppjeo 287. |
Chinachina. 185 13 lia
Chinccia, madre tenerifima. de fuo pulcini. SC
Chiurlo, e ina defcrizione. sore /R.
| Ciccione, o tubercolo degli goceli fituato presto il lo-
ro ahos a che ferva. 25
Cicegna, e fuo becco. .32
Cigno. 34
Circolazione del fucchio del de siante, 140
Cocometo . 1603. (a)
Coda degli uccelli, 24 dh 290,
- Coda-de pelci. I64 tì SIDE di
Colibrì , e fua:fforia, 34/010 03 + LAO I
GaUR di ipeice.. 116.) 04 LI
Conchiglie, o pefci ig 96
Corteccia, 0 buccia di ;Zz0 degli alberi. 134
Covatura ‘deg! ì vecelli JO |
Cribri delle foglie Prppiianano il fuechio delle piafi-
te è I 3 x
De;
DELLE Materie. 331
D
Efcrizione del porcofpino, e "del riccio . Bo, e fg.
d Defcrizione del Caftoro. 81 e feg.
Direzione del gambetto , e della barbolina del germe. 143
Donnola, fpezie di topo campagnuolo. 80
Dovizia dell’ uova de’ GHIL 103
prrftto del mufeo fulle piante. 263.
Elogio del rofignuolo. que feg. a
Flogio del pavone. 43 e feg* I
Elogio del cavallo : 66 e feg.
Elogio del cane. 68 e feg.
Elogio dell’ elefante. 75
Elogio del cammello . ivi.
Elogio dell’ afino. 76 e Ss cd
Abbrica del cafforo. 85 e.fegi
Fecondità, e fterilità degli uccelli ; ) | regolate dalla
Wiivina provvidenza a pro ig i
Fecondità delle ‘piante. 162 È p:
Feto degli uccelli. re
Fibre del legno di ciafcuna pianta;'e. loro Pai ISÌ
Fico. 169
Figura, o forma del corpo degli rigitinett an
Figura della paffera. gii.
| Figura del piviere. 30
Figura dell’ airone. 31
Figura del corpo de’ pefci. 104 Ì
‘Fine, o deftinazione della gran dovizia d’ nova, che fi
| trova nel corpe de’ pefci. 103
Fiori a che fervono. 164 Loro foglie. 16a pere feme.
îvi. Filacciche. ivi.
Foglie feminali d’ alcune piante. 131.
Foglie dtgli alberi, perchè caggiano + 156
Foglie del Fiore. 16g
Formenti. 189 e feg.
Frifone, 36 ©
Fragole, E poro viticchi, o fermenti 139
G.
Gamberi, e loro nutrimento . 113
Gambetto del germe. 131 Sua direzione , 143
Gatto, e fue proprietà. 75
Gersini terzo fegno del sodiaco . 290 e felt
Gee
23% Fiat Dl ea
Generazione de’ pefci», 101
Genziana. 186.
- Germe. 130 Sua barbolina . 131
pr droga. 8a
Giglio.
Girafole. ivi. | f Pago;
Gozzo degli Uccelli. i
Guerre, ed ottilità: de? pu 100 e foga
Gufci “delle femenze.. 1270 ; vi
Cneumone, o fia forcio acquatico. 120
Imperiale, Fiore. 168
Influenze. 194 e feg: |
Influffo dell’ aria nelle piante. 168.
Influffo della Luna nelle piante, fe abbia alcun fonda=
| mento, 194
Infiuffo dea Stelle nelle piante so fe abhia; alcun fou-
“ damento. 197° fi
Ipecacuana. 185
ippopotamo, o fia cavallo marino. 120
La o laccetti, che foftengono il tuorlo dell’
uovo. 14 I
Leone, quinto fegno del zodiaco. 201
Libra, fettimo fegno del zodiaco. 202
Lino. 175 i)
Lobi delle femenze. 130
Logoro. 45
Luna, fe infinifca nelle dagli 194 Simbalo della me=
defima. 198
M ,
Acis. 189
Manna. 184
Microfcopj. 225 e feg.
Midollo dell’ albero. 133
Modo di far manieri gli uccelli da lano: 43 € feg.
Mufco ferpeggiante sù per gli alberi. 102.» .
N da
Met:, pefce de el Nord, detto Satie pe {ce fpa-
Nidio degli uccelli.
Nidio delle rondini. pi
Nocchi delle piante. 137 ad:
Noa
7
DELLE Marsare. .. 988
Nocemofeada.. 189 VOTA
Notat09j9, 0 vefcichetta dell’ aria, la cui tenfione , è
préffione fa venir il pefce a galla; 1.0 calarlo a fon-
do +. da | | n
O: 320
Occhiali. 225
Origine delle piante. 124 ..
Origine degli odori, e fapori nelle piante. 152 i
Origine de’ nomi affeghati a NOAnck, fegni del zodiaco »
198
Offa degli uccelli. 22
Otriccili, 0 vefcichette delle piante. 136
P
SAffera. . 29 o ; i.
4 Pavone, e fuo elogio. 42 € feg.
Pecore , e befie bovine. 72
Pelo del ro, 81 e eg
Pepe. 189 |
Pefci. oI e feg.
Pefci del mare deftinati per nutrimento dell’uomo. 94
Pefci armati. 95
Pefci piatti, e romboidali. 96
Pefci di paffaggio.. 09 1 tb 4
Peici ,:e loro elemento ,. 0. “bitaz zione affegnata loro.
per propria ftanza . 93 Loro mucofità. ivi. Squa-
me. iu. Graffo. ivi. Mantello. 96 Ottilità . 100.
Generazione. rot Figura. 104 Coda. ;v:. Pinne ,. 0
allette. su2. Vefcica , o boccetta piena d’aria, det-
ta altramente' notatojo. 105
Pefci bellughi, di cui fi fa la colla di pefce. 116
Pefci fpade detti Narwel. ivi.
Pefci, undecimo fegno del zadiaco. 203
Piante. 122 Loro origine . 1122 Foglie feminali. 13t
Midollo . 132 Tiglio. 134 Scorza. ivi. Periottio -
‘cioè quella pellicina, che fafcia immediatamente il
legno. ivi. Rezza, o cuticola efteriore | ivi. Cor-
teccia , o fcarza. di mezzo - ivi. Tenerume . 135
Otricelli, o vefcichette. 136 Trachee o afperarterie.
svi. Vafi propri. iv/. Nocchi, 0 bocciuoli. 137 Ra-
‘ dici. 138 Capellamenti delle loro radici» di
1a
di |
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234 ; E e de ea
Piante nafcenti. 131 Loro gambetto. ivi.
Piante, come acquiftino il loro odore, e fapore. 152
‘ Come il loro fucchio fi perfezioni. iv).
Piante fempre verdi. 155 Come ricevono el’ influffi
dell’aria. 158 Come le Stelle, e laLuna non infiui-
fcon nelle piante. 197
Piante, che fanno a cotone. 178
Piante mafchie, e femmine. 170
Piantoni. 136
Piviere. 30 “dh
Piume degli uccelli. 22 a
Polveri granellofe, che ftanno in cima delle filacciche
«del Fiore. 165 » | Lo Piu
Popone. 169
Porcofpino - 80 A ;
Primo ufficio del vafo proprio delle piante. 152
Propaggine. 138 | | DR a ET
Proprietà dell’ elefante. ‘75 n "WIN
Proprietà del cammello. ivi. Lo
Proprietà del gatto. (05. i ti
Pulcini, e feti di tutti gli uccelli. i2i0
Quarti della Luna. 195 ;
Adice delle piante. 138 Suoi ‘capellamenti. iui.
sRagione umana, e il vero profitto, che dalla me-
defima dee ricavarfi. 241 METOREO
Ramo gentile , inneitato in-una' pianta falvatica ; fa
‘ ingentiliria. 150 - ; | noi
Rezza, o cuticola efteriore dell’ albero. 134 |
Riccio, animal quadrupede , detto altramente fpinofo . Se
Ricoveri delle rondini in tempo di verno. 53
Rondini, e loro nidj. @ srt
Rofignuolo. 40 e feg. 2%
4 e dis
go, nono fegno del zodiaco. 202. dA
Scaricamento del fucchio delle piante nella fcor=
za. 152 e feg. sia
Scorpione, ottavo fegno del zodiaco. 202
Scerza dell’ albero. 134. tate,
Secondo uffizio del vafo proprio di ciafcuna pianta. 154
Segni del zodiaco, 198 |
Sg°
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e
lrn mi me ita GO
" REA,
DELLE MatERIE.. 13%
Semenze , ec. 127 Loro gulcion o lolla. svi.»
Sermenti delle fragele. 139.
Sermone 3; ‘pefce di mare , che va purgarfi nell’ acqua
‘dolce » 97 SD.
Simbelo della Luna - 199 «da
Sorcio acquatico, detto vulgarmente icneumone. 120
Spiga interpretata pel fepno della Vergine, 199
Squama de’ pefci. 91
Stelle, non infuifcono nelle piàrite. 197 |
Succhj delle piante circolano alternativamente , une
falendo, e altro fcendendo. 132
Succhio delle. piante, e fua circolazione. 140
Succhio della pianta fi raffina, e fi perfeziona nel tra-
- paffare pe’ cuibri delle foglie. ISno
Succhia, che fi fcarica nella fcorza delle piante - 132
Sterilità, e fecondità degli uccelli , regolate dalla Di
— vina provvidenza a pro nbfîro. 15.
gone onde il caftoro fi ferve per fabbricare . 93
e_Se& 330 K
Struzzo, e fue proprietà. 37
T
"quartarga. 113
Tauro, fecondo fegno del zodisca 200
Tenerume delle piante. 135
Tefta, o corona delle piante. 139
Teftuggine + 113
Tiglio «elle piante, cioè la parte legnofa, e più dura
di tutto 1 refto. 134
Topo mafcato. 89
Trachee, onde le piante ricevono l’ influffo dell’ aria . 138
Tuorlo dell’ uovo, foftenuto da due legamenti , o lac»
cetti. 14
de, e pecore. 72
Vainiglia. 188
Vanità, e falfità dell’aftrologia giudiciaria. 190
Vafo proprio delie piante , e {uo preprio ufficio. 135
Suo fecondo ufficio . 154 Uccelli, 1 Loro nid) -.
Covatura. 10 Uova, con ciò, che sa effe sp
112 Tuorlo foftenuto. da due legamenti attaccati alla
fcorza. 14 Sterilità, e fecondità regolata dalla Di-
vina provvidenza a pro nofîro. 15 Figura. 21 Goz-
zo. 22 Ventriglio. /v7. Offa. ivi. Code, 24 Piume,
e di-
V
| Si. 6 OI
636 TNDICE peLte Materie.
e difpefizione delle medefime . ivi. SCR o tu-
bercolo preffo l’ano. 23 Ale.-24
Uccelli nidiaci, parte fi pafcono per sè ffeffi; e parte
‘fon nutriti da’ genitori. 15
Uccelli da preda . 43 Come fi rendano manieri . 45
Come fi faccia a metterli al pelo, e alla penna. 47
Uccelli di paffo . 92
Uccelli notturni. 57
Vergine, fefto fegno del zodiaco , interpretata per la
fpiga 201
Wefcica, o boccetta dell’aria, di cui i pelci fon corre-
dati, pet poter calare a fondo, e montare a galla ,
fecondo il bifosno. 104
Vefcichette, o otricellî delle piante. 136 \
° Vino di palma. 157
Vino di Borgogna. 189°.
Vino di Sciampagna ivi.
Volare impoflibile. all'uomo. 24
Uova degli uccell Hi, con Ciò, che in effe contienfi. tz
Uova de’ petci, perchè sì abbondevoli .103 Di
, Z
Odiaco', e origine de’ nomi dati 2° fuoi dodici fe-
gni. 198 Simboli de’ (u0i dodici fegni. sv.
N fine deli Indice delle Materie»
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