Skip to main content

Full text of "Lo stato attuale delle conoscenze sulla vegetazione dell'Italia e proposte per la costituzione di un comitato permanente "Pro Flora Italica" per la regolare sua esplorazione : relazione e programma / A. Béginot ... [et al.]"

See other formats


POLTI 
sul 
9 


[e Te eo [fe Ms 
9 ERE TRE SION. i I 
RENATE, PV O 
“ e A) si ” 2% 


"Dottori: A. BÉGUINOT, ADR. FIORI, 


- A PORTI, G. NEGRI, R. PAMPANINI 
1 TROTTER, L, VACCARI, G. ZODDA Ù 
‘Lo stato attuale delle conoscenze sulla vegetazione 
— dell'Ifalia e proposte per la costituzione di un 
— Comitato permanente “ Pro Flora Italica ,, per la 
Pegolare sua esplorazione = Relazione e Programma 
Estratto dagli Atti della Società italiana ‘per 1l progresso delle scienze 
Seconda Riunione — Firenze, ottobre 1908 
Tipografia Nazionale ®@® 5 
Ditta G. Bertero & C. ®© ù 
- Roma - 1909 © © @ ® 
5a a ra age S 
3 LD ARBOR : s 
"i 3° RECEIVED CN 3 
È JUL 27 1950 di 


Î 
SAR 


1° 9A SA; 


Dottori: A. BEGUINOT, ADR. FIORI, 
A. FORTI, G. NEGRI, R. PAMPANINI, 
A. TROTTER, L. VACCARI, G. ZODDA 


Lo stato attuale delle conoscenze sulla vegetazione 
dell'Italia e proposte per la costituzione di un 
Comitato permanente “ Pro Flora Italica ,, per la 
regolare sua esplorazione = Relazione e Programma 


Estratto dagli Atti della Società italiana per il progresso delle scienze 


Seconda Riunione — Firenze, ottobre 1908 


Tipografia Nazionale © 
Ditta G. Bertero & C. © 


Roma - 1909 © © @ 


GARDEN 


anti... 
è î o nr. vata la bio 
ri 0 1 En NAMUNTO TI al dl par: 


04 y b Di Mia À sio capi ii ded 
de è Ci 
bi; Pa RVRAE ca MATO 


ea ul tte o 
CI inviano il (Og MAI vt Pal 
È Nr "e voi dar di, pisa 

i #09 ci È pi: fi LE, ARIE ” 0 di 


- svoa D Pa di 0 
d È d - ‘000 
® a i N a i (a PD. 

TR i di ; Ka ARA E, ilo ye 


k di i Ù , di + Nd 
eo uve”, NERI e È VT 4 e LL 
ia Stieg» . À a A È 
PSN 


(BR: ibis dii 


DA I LAV EN 


VERRERLRERRRLERRRERRERRRE RR 


Lo stato attuale delle conoscenze sulla vegetazione del- 
l’Italia e proposte per la costituzione di un Comitato 
permanente “‘ Pro Flora Italica ,, per la regolare sua 
esplorazione. 


RELAZIONE E PROGRAMMA REDATTI 


dai dottori: A. BàGuinoT, Apr. FiorI, A. Forti, G. NEGRI, R. PAMPANINI, 
A. TroTTER, L. Vaccari, G. Zoppa (*). 


Piante superiori o vascolari. 


INTRODUZIONE. 


Lo stato attuale delle conoscenze floristiche e fitogeografiche del- 
l’Italia non è quello di una terra di recente scoperta o sommariamente 
percorsa ed esplorata da uno o da pochi studiosi. Da oltre tre secoli 
la nostra Penisola e le Isole furono oggetto di un lavoro intenso, per 
alcune regioni si può dire continuo, a cui presero parte studiosi spesso 
di grande valore e dottrina, o di instancabile operosità od almeno di 
singolare fortuna. Frutto di queste indagini è una letteratura straordi- 
nariamente copiosa, consistente in cataloghi di piante, in note o mono- 
grafie floristico-sistematiche, od in lavori più o meno ampi e ben fondati 


(#) Qui avvertiamo che, nel presente programma di ricerche e relative 
proposte, le Alpi occidentali furono elaborate da L. Vaccari (Tivoli), lo cen- 
trali ed orientali da R. PAMPANINI (Firenze), l'alta o la media pianura padana 
dla G. NeGRI (Torino), la bassa da A. BéiGuinoT (Padova), l’Appennino setten- 
trionale e centrale da A. FrorI (Firenze), il meridionale da A. TRoTTER (Avel- 
lino) — al quale spetta anche la presente iniziativa — la Sicilia da G. Zonpa (Mes- 
sina), la Corsica e Sardegna, tutte le isole minori e l’Istria da BéGUINOT. Delle 
crittogame l'introduzione spetta al TROTTER, le Alghe furono trattate da A. FORTI 
(Verona), i Funghi e Licheni dal TROTTER, le Briofite dallo ZoppA, mentre al 
Biauinor devesi pure l'introduzione ed al TROTTER le proposte, 


LIBRARY 
NEW YORK 
BOTANICAL 


4 


ad indirizzo fitogeografico. Preoccupati dapprima a redigere essenzial- 
mente elenchi di piante ed a scoprirne nuove per la regione o per la 
scienza, i botanici italiani risentirono in varia misura i progressi della 
botanica e lo studio critico delle entità sistematiche, come la raccolta 
dei dati topo-e fitogeografici, raggiunsero negli ultimi anni e quindi nelle 
opere più recenti un grado notevole di perfezione. Non è nostro intento 
di recensire o dettagliatamente commentare questa immane e protei- 
forme bibliografia (1), ma soltanto di esporre in un quadro compendioso 
e, per quanto possibile, completo, lo stato presente delle conoscenze in 
materia. È ciò non a scopo dottrinale, ma perchè le future indagini, oppor- 
tunamente disciplinate, procedano sopra una base più sicura, con mezzi 
più adatti e spediti e su di un programma comune ed armonico. In altre 
parole: a che punto trovasi la floristica e geobotanica dell’Italia, quali le 
lacune da colmare, quali i problemi tutt’ora da affrontare e risolvere ? 

Ed incominciamo dai lavori più generali sulle piante vascolari. 

Il bisogno di dotare la nostra Italia di una flora che ne illustrasse 
tutte le piante che in essa crescono o che vi furono segnalate fu inteso 
da un pezzo. I cataloghi del TURRA (2) e del Romano (3), nudi elenchi di 
nomi di piante, sono i primi, ma non molto fortunati, tentativi del ge- 
nere. Con maggiore preparazione e larghezza di vedute, nei primi ven- 
t’anni del secolo decorso, attese a quest'opera il MorETTI. Ma, come 
ebbe a dichiarare nel suo « Botanico Italiano », (4) la difficoltà di con- 
trollare il materiale che aveva già servito alla redazione delle varie 
flore fino allora pubblicate, onde redigere una completa ed attendibile 
sinonimia, lo distolse purtroppo dal lavoro. L’arduo assunto — tanto 
più arduo se si riflette ai tempi nel quale fu concepito e realizzato — 


(1) Proposto per addivenire ad un completo repertorio bibliografico — vivo, 
ma fin qui inadempiuto desiderio degli studiosi tutti della botanica in Italia — 
furono avanzate dai professori MarTIROLO, Come si avrebbe una Bibliografia 
botanica italiana in « Malpighia » XIII (1899), p. 257; NicotRA, Per una storia 
letteraria della Flora italiana in « Bull, Soc. Bot. Ital. », 1901, p. 226; Di una 
biblioteca floristica italiana « Ibid. », 1903, p. 177; GeRrEMIccA, Per un indice 
sistematico della letteratura botanica italiana dalle origini ai nostri giorni in 
« Bull. Soc. Nat. in Napoli », XV (1991), p. 146; Mussa in « Atti Congr. Nat. 
Ital., » Milano, 15-19, IX, 1906. Milano, 1907, p. 54. — A cura del dott. TRAVERSO 
ed a spese della Società Botanica vede la luce dal 1904 in qua un completo 
Bollettino bibliografico : efr. TRAVERSO, Per un repertorio della bibliografia bota- 
nica italiana în « Bull. Soc. Bot. Ital., 1904, p. 42 ». 

(2) A. Turra. Z/orae italicae prodromus; Vicetiae, 1780. 

(3) G. Romano. Oatalogus plantarum italicarum; Patavii, 1820. 

(4) G. MorerTI. // Botanico Italiano ossia discussioni sulla Flora italica + 
Pavia, 1826. 


5 


venne ripreso dal BERTOLONI che, costituitosi un ingente erbario con le 
sue raccolte e con materiale a lui comunicato da numerosi ed alacri 
corrispondenti, potè mettere mano ad una completa Flora d’Italia (5). 
Di essa, come è noto, vide la luce il primo volume nel 1833 e succes- 
sivamente gli altri nove: l’ultimo porta la data del 1854. Opera magi- 
strale, che esercitò una grande influenza sulla floristica del tempo e che 
anche attualmente, nonostante le sue deficienze, resta pur sempre una 
inesauribile fonte di notizie bibliografiche e sinonimiche ed il nucleo delle 
flore delle varie regioni d’Italia. Abbracciando il metodo naturale, più al 
corrente dei progressi della scienza e con più perfetta conoscenza del me- 
todo morfogeografico, il PARLATORE, in base al ricco materiale da lui accu- 
mulato nell’erbario centrale di Firenze, iniziò nel 1845 la pubblicazione di 
una seconda grandiosa flora italiana {6), di cui redasse i primi cinque 
volumi e lasciò inedito il manoscritto di molte altre famiglie, utilizzato 
dai continuatori della sua opera, tutt'ora disgraziatamente incompleta. 
Ambedue i lavori, densi di fatti ed ampi di mole, riuscirono necessaria- 
mente assai voluminosi e quindi non accessibili a tutti gli studiosi. 

Nella seconda metà del secolo scorso sorse l’idea di un manuale 
sul tipo della Sinossi del KocH e di altri lavori consimili, che in mole 
moderata ed in veste modesta riassumesse tutto quanto era noto sulla 
vegetazione d’Italia. Essa ebbe a propugnatori il Rosran (7) ed il 
CaRrUEL (8) il quale, a quel che pare, si accinse al lavoro, che però 
non condusse a termine. L’idea fu invece tradotta in atto dai profes- 
sori CrsatI, PAssERINI e GrgeLLI che nel 1868 distribuirono il primo 
fascicolo di un « Compendio della Flora Italiana » (9) condotto a com- 
pimento solo negli ultimi anni e risultante di un volume di testo ed un 
grosso volume di tavole destinate a ritrarre le caratteristiche principali 
dei generi. Un lavoro anche più compendioso ed alla portata di tutti, 
evidentemente ricalcato sul precedente, fu condotto a termine dal pro- 
fessor ARCANGELI (10) e di esso si ebbero due edizioni largamente dif- 
fuse nel mondo degli studiosi. 


(5) A. BerTOLONI. Mora italica; Bononiao, vol. I-X (1833-1854). 

(6) F. ParLaToRE. Flora Italiana; Fironze, vol. I-V (1848-1875), cont. da 
T. Caruel, vol. VI-X (1884.1894). 

(7) E. Rostan. Proposta e norme per una Flora italiana in « Atti Soc. It. 
Se. Nat. », vol. VIII (1866). 

(8) T. CaruEL. Programma di una Flora d'Italia « Ibid. », vol. VITI (1866). 

(9) V. CeEsaTI, G. PasserINI e G, GIBELLI, Compendio della Plora italiana. 
Milano, 1868-1901. 

(10) G. ArcanGELI, Compendio della Flora italiana, Torino, 1% ed, 1882, 
2° ed. 1894, 


Nel frattempo i progressi irremittenti della sistematica e della geo- 
botanica, la pubblicazione di numerose monografie di generi e di fami- 
glie e l’acquisizione di nuove entità recentemente scoperte o rivendicate, 
facevano sentire urgente il bisogno di un nuovo, più completo e critico 
censimento e di un atlante che ritraesse possibilmente tutte le princi- 
pali specie crescenti in Italia. Onde facilitare la determinazione delle 
varie entità si rendeva opportuna una chiave dicotomica rigorosamente 
costruita sulla contrapposizione di parecchi caratteri differenziali, mentre 
le figure dovevano presentare la pianta nel suo complesso e nei princi- 
pali dettagli. Questo programma fu svolto dai professori FrorI e Pao- 
LerTI nella ben nota « Flora Analitica d’Italia » (11) e nella relativa 
« Iconografia », (12) questa ultimata da un anno, quella, continuata 
dal Fiori e Bfeurnor, ha ricevuto testè il suo compimento. Nella 
prima opera trovansi registrate 13987 entità, con un aumento di ben 
7420 in confronto di quelle comprese nella 2° edizione del Compendio del 
prof. ARCANGELI e nella seconda sono figurate oltre 4000 specie principali. 

Dal punto di vista fitogeografico, l’Italia manca di un lavoro com- 
plessivo sul genere di quelli che, con grande vantaggio degli studiosi, 
furono pubblicati, specialmente negli ultimi tempi, per varie regioni di 
Europa. Il bisogno si manifestò da un pezzo e devesi allo ScHouw (13) di 
avere ideato il primo schema, notevole pel tempo e che è grande di- 
sgrazia non sia stato sviluppato ed altrettanto dicasi di quelli del Tr- 
NORE (14) e del MartENS (15). È pure da deplorarsi che il PARLATORE, 
messosi arditamente nell’arringo, non conducesse a termine il lavoro di 
cui, postumo, vide la luce una piccola parte (16). Un riassunto sulla 
fitogeografia italiana devesi ai professori Frorr e PAOLETTI (17), ed è 
stata testè distribuita, ad opera del primo, una accurata introduzione geo- 
botanica da premettersi al primo volume della « Flora Analitica d’Ita- 
lia »; altro sunto fu redatto dal FiscHER nella sua ben nota « Pe- 


(11) Apr, Fiori e G. PaoLeTTI. Mora analitica d'Italia, cont. da FroRrI e 
BrkaumoT, Padova, vol. I.IV (1896-1908). 

(12) Fiori e PaoLETTI, /conographia Florae Italicae. Padova, 1825-1904. 

(13) Cfr. MoreTTI. Prospetto d'una descrizione geografica delle piante di 
Italia e di Sicilia, con un saggio di monografia delle specie del genere Cam- 
panula indigene d’Italia del sig. prof. G. F. ScHouw in « Giorn, di Fis, Chim. 
St. Nat. », ecc. Pavia, vol. ILL (1824), p. 23. 

(14) M. Tenore. Ricerche sulla geografia botanica ed agraria dell'Italia, in 
« Annali civili del Regno delle due Sicilie », vol. IV, fase. X, p. 71-85. 

(15) G. von MarTRNS. Ifulien, Stuttgart, vol, LI (1844) p. 1.251. 

(16) F. ParLATORE. Etudes sur la géographie botanique de l’Italie. Paris, 1878. 

(17) Fiori e PaoLETTI. La Mora d’Italia in « La Terra » di G. Marinelli, 
vol. IV, disp. 444-446, p. 410. 


% 


nisola Italiana » (Torino 1902, p. 359), nè va dimenticato quanto tro- 
vasi consegnato nella fondamentale « Vegetation der Erde » del Grr- 
SEBACH, nei capitoli riguardanti la regione mediterranea e le Alpi. 

Lo stato delle conoscenze sulla flora d’Italia nel 1885 fu oggetto di 
una interessante nota del CARUEL (18), nella quale PA., constatato che 
essa possiede oramai due grandi lavori generali, quelli del BERTOLONI 
e del PARLATORE — quest’ultimo allora come ora incompleto — passa 
in rassegna le principali opere floristiche comparse in Italia fino a quel- 
l’epoca. E dopo averne messo in rilievo pregi e difetti, il CARUEL scende 
a tratteggiare l’obbiettivo di simili lavori, la maniera di redigerli ed insiste 
sulla raccolta dei dati topografici e fitogeografici e specialmente sulla ma- 
niera di designare la stazione e l’abitazione delle piante: particolari non di 
rado trascurati o maltrattati in parecchie delle opere da lui ricordate. 

Alla perfezione delle quali è noto, a chiunque si sia per poco oc- 
cupato di consimili ricerche, quanto abbia giovato la costituzione di un 
Erbario centrale e quanto avrebbero potuto giovare Società nazionali di 
scambio di piante ed essiccate criticamente studiate. 

Della prima istituzione si fece caldo ed autorevole patrocinatore il 
PARLATORE ed a lui si deve di avere riunito in Firenze il ricco ed im- 
ponente erbario centrale (19) al quale, oltre il fondatore, validamente 
contribuirono quasi tutti i floristi italiani della seconda metà del secolo 
scorso e molti dei viventi. Sebbene, come egli stesso ebbe a dichiarare, 
una siffatta ingente collezione di piante doveva servire principalmente 
allo studio delle flore esotiche ed alla compilazione di monografie, ognuno 
che si è occupato di piante italiane ha potuto apprezzare i vantaggi 
della grandiosa idea Parlatoreana, anche per lo studio della nostra flora. 
Le altre due istituzioni furono caldeggiate dal BraOHT in occasione della 
riunione degli scienziati italiani a Padova nel 1842 (20) e nell’anno suc- 
cessivo a Lucca e sulle colonne del Giornale Botanico Italiano (21), sorto 


(18) T. CarusL. Sullo stato presente delle nostre cognizioni sulla flora di 
Italia in « Atti R. Accad. d. Georgofili di Firenze, 1885 ». 

(19) F. ParLATORE. Sulla botanica in Italia e sulla necessità di formare un 
Erbario generale in Firenze. Parigi, 1841 e Firenze, 1842: Sullo stato attuale 
dell’Erbario centrale italiano, in « Giorn, Bot. It. », vol. II (1846), p. 18 — e 
successive relazioni riassunte nel lavoro: Zes collections botaniques du Musée 
R. de physique et d’histoire naturelle de Florence an printemps MDCCCLXXIV, 
Florence, 1874. 

(20) A. BracHT. Proposizioni dirette alla diffusione ed alla facilitazione dello 
stadio botanico, in « Atti d. Quarta riun. scien. ital. in Padova nel sett. 1842 », 
Padova, 1843, p. 320. 

(21) A. BRACHT. € Atti Quinta riun. scienz. ital., in Lucca nel sett. 1843 ». 
Lucca, 1844, p. 367, ed in « Nuovo Giorn, Bot. Ital. », vol, I, 1844, p. 199 


Dea 


DE 


LIT "SD, SII FP _DR 


8 


proprio in quell’anno ed a lui devesi il merito di avere ideato uno 
schema di statuto, sia per la fondazione di una Società di scambio, come 
per la distribuzione di una « Flora italica exsiccata ». 

Ma le proposte, forse a causa dei tempi, per non dire degli uomini, 
non trovarono seguito. La prima fu ripresa negli ultimi tempi dal 
Ross (22), e negli ultimissimi per iniziativa dell’Istituto botanico di Fi- 
renze (23). La Società stabilita dal Ross ebbe, però, brevissima vita: 
l’auguriamo lunga e prospera alla seconda. 

L’opportunità che anche in Italia vedesse la Juce una « Flora ita- 
lica exsiccata » a carattere generale e con l’intento, non solo di distri- 
buire piante, ma di diffondere notizie, soprattutto fitogeografiche, sulle 
stesse, fu vagheggiata da tempo, ma fu posta in atto solo nell’ultimo qua- 
driennio per iniziativa di tre di noi. Nella prefazione che precede la 
prima Centuria (24) e più diffusamente nel « Questionario geobotanico » (25) 
redatto da uno di noi (B&Gurnot) sono stabilite le norme, non solo per 
la raccolta delle piante, ma per la collezione ben più interessante dei 
dati topo-e fitogeografici destinati a trovare posto, sia nella designazione 
degli habitat, che in osservazioni generali sulle aree distributive. Fin 
qui videro la luce dieci Centurie ed altre sono in preparazione e giudi- 
chino gli studiosi se e fino a qual punto il programma fu realizzato ed 
i vantaggi di una simile iniziativa. Devesi pure ad uno di noi (B£GuINOT) 
un programma (26) per la regolare raccolta dei dati sulle piante avven- 
tizie, naturalizzate o coltivate ed in altre parole sull’elemento esotico 
della nostra flora ed al prof. SAccARDO una nota preliminare (27) su di 
un poderoso lavoro in corso di stampa tendente a stabilire le date della 
scoperta delle piante tutte d’Italia: repertorio dal quale grande profitto 


allo stesso BrAacHT devonsi pure altre due proposte, e cioè quella di un Erbario 
autentico e quella di una Unione itineraria nazionale: ma non ebbero miglior 
fortuna delle due sopra accennate, 

(22) H. Ross. Società Italiana per scambio di piante. Resoconto dell’anno 1890, 
in « Malpighia », a. IV (1890), p. 554: Seconda relazione « Ibid. », a. V (1891), p. 486. 

(23) Società Italiana per lo scambio di Exsiccata, in « Nuovo Giorn. Bot. 
Ital. », n. ser., vol. XI (1904). 

(24) FroRI, BEGUINOT e PAMPANINI. Schedae ad Floram italicam exsiccatam 
in « Nuovo Giorn, Bot. Ital. », n. ser., vol. XII (1905), p. 141. 

(25) BeGunot. Questionario geobotanico per i collaboratori della « Flora 
Italica exsiccata » in « Bull. Soc. Bot. Ital. », 1905, p. 100. 

(26) In. Su/l'opportunità di uno studio metodico e regolare dei cambiamenti 
e delle variazioni a cni va soggetta la flora italiana in rapporto ai fattori d’am- 
biente in « Atti VI Congr. geogr. Ital. », Venezia, 1907; Venezia, 1908. 

(27) P. A. Saccarpo. Sz/la cronologia della Flora italiana in « Atti Accad, 
Scient. Ven.-Trent.-Istr. », classe I, vol. V, 1898. 


i) 


% 


fw 


9 


trarranno le ricerche su vari argomenti e specialmente quelle relative 
alle piante introdotte in epoca storica. Devonsi pure allo stesso i due 
volumi sulla « Botanica in Italia » (28) dove, assieme ai principali dati 
biografici dei botanici tutti, sono raccolti i titoli dei più interessanti 
lavori e che è la base per le future ricerche storiche e bibliografiche su 
quanti si occuperanno della vegetazione d’Italia. 

Dal suo canto la Società botanica italiana, sotto i cui auspici si 
compirono non poche esplorazioni in vari punti della penisola e delle 
isole, e nei cui Atti videro la luce un grande numero di pubblicazioni 
in materia, si fece promotrice, su proposta del prof. PeNZzIG avanzata 
in occasione del Congresso internazionale di botanica tenuto a Genova 
nel 1892, di una Commissione permanente per la regolare esplorazione 
della flora italiana. Commissione alla quale, invitati da apposita circo- 
lare, aderirono parecchi dei botanici più attivi e zelanti e come risulta 
dalla relazione stesa dall’allora presidente della Società, il prof. ARCAN- 
GELI (29), iniziarono l’invio di notizie ed elenchi di piante. Ma questa 
eccellente iniziativa, e forse appunto perchè tale, non ebbe seguito. 

Nel Congresso botanico tenutosi, sotto gli auspici della Società bo- 
tanica italiana e per inîziativa del prof. Borzì, nel maggio 1902 a Pa- 
lermo, fra i temi proposti uno direttamente ci riguarda e cioè: « Sul- 
l’importanza di un’opera sulla geografia botanica d’Italia, e ricerca dei 
mezzi più sicuri per compierla ». Sul tema il prof. Nicotra lesse un im- 
portante discorso (30) riassumente lo stato attuale delle conoscenze in 
materia e facendo il voto che tale opera — cui ci consta attendere 
attualmente il prof. CAVARA per incarico di A. EnGLER — non tardi a 
vedere la luce. Tema e discorso diedero luogo ad una lunga e vivace 
discussione, in seguito alla quale fu nominata, sotto la presidenza di 
S. SommiEr, una Commissione composta dai professori ARCANGELI, B£- 
auINOT, Borzì, CAvara, LEviER e NicorRA: la quale, però, per quanto 
ci consta, non ha mai funzionato. 

Fuori d’Italia molto fu fatto in questa direzione. Ed a parte l’opera 
energica dispiegata da molte Società, Cub e Sodalizi diversi nel promuo- 
vere e disciplinare un regolare studio della vegetazione sotto il loro diretto 
dominio, nonchè l’efficacia di Congressi bene organizzati e di escursioni e 


(28) P. A. Saccarpo. Za botanica in Italia in « Mem. R. Ist. Ven. Sc. Lett. 
ed Arti », vol. XXV (1895); Parte 2% « Ibid. », vol.,, XXVI (1901). 

(29) G. ARCANGELI. Relazione sulle comunicazioni fatte alla Presidenza della 
Commissione per l'esplorazione della flora italiana in « Bull. Soc. Bot. Ital. », 
1893, p. 447. 

(30) LL. NicoTRA, in « Rend, Congr. bot. naz. tenutosi a Palermo nel mag- 
gio 1902 ». Palermo, 1903, p. 202. 


10 


gite sociali, ci piace qui ricordare i due più recenti tentativi che hanno 
maggiori affinità col nostro e cioè quello dovuto all’iniziativa di GoETHART 
e Jonemans in Olanda (31) e di BommeER e Massart (32) nel Belgio. 

Il secondo, che più direttamente ci riguarda, era diretto alla costi- 
tuzione di una Sezione geobotanica nel seno della Società R. di Bo- 
tanica del Belgio. I promotori, partendo dalla constatazione che le ri- 
cerche floristiche potevano considerarsi nel Belgio quasi come esaurite, 
richiamano l’attenzione dei botanici sulla distribuzione geografica delle 
piante belghe, ancora ben lungi dall’essere nota in tutti i particolari. 
A raggiungere questo intento formularono un progetto nel quale rac- 
comandano a tutti gli aderenti l’inventario completo della flora dei vari 
distretti, prendendo come base le carte a grande scala dello stato mag- 
giore belga, la raccolta, mercè fotografie a grande formato, degli aspetti 
diversi della vegetazione e lo studio delle cause tutte e sopratutto di 
quelle attuali, onde giustificare la struttura delle varie formazioni ed 
associazioni. Speciali raccomandazioni sono fatte per le osservazioni fe- 
nologiche sia in natura, sia in speciali stazioni distribuite in varie lo- 
calità e condotte contemporaneamente sopra un certo numero di piante 
coltivate. nell’Orto botanico di Bruxelles e nell’Osservatorio reale di Ucele. 

È pure da tenere presente che molte Società sorsero all’estero allo 
scopo esclusivo di promuovere e disciplinare lo studio della flora di de- 
terminati territori. E modello fra tutte, possiamo citare quella ba- 
varese fondata nel 1891 e tutt’ora vivente (33). Merita tra le molte di 
essere ricordata la privata iniziativa del MAGNIN, che negli « Archives 
de la Flore Jurassienne », accolse e divulgò le più importanti scoperte 
sulla vegetazione del Giura. 

Nè mancarono da parte dei più provetti o dei giovani più animosi 
progetti di ricerche, riassunti di conoscenze floristiche e fitogeografiche 
e designazioni di speciali problemi da risolvere. E tra i più recenti ci 
limitiamo a ricordare quello del BriqueT (34) sulle Alpi in genere e 


(31) GornTHART et Jonamans. Plantenkarties voor Nederland in « Nederl, 
Kruidk. Arch. », 2 Deel, 4 Stak, 1903, p. 1038. 

(32) BommeR et MassarT. Za section de géobotanigue dans la Société royale 
de botanique de Belgique in « Bull, Soc. R. de Bot. de Belg. », tome 41 
(1902-903), p. 243; Projet d'une étude détaillée de la géographie botanique de la 
Belgique, « Ibid. », tom. 42 (1904-905), p. 37. 

(33) Cfr. Berichte der Bayerischen Botanischen Gesellschaft zur Erforschung 
der heimischen Flora, Bd, I-XII (1891-1907); Mitteilangen, ecc. n. 1-40. 

(34) J. BrIiqueT. Le développement des flores dans les Alpes occidentales, 
avec aperga sur les Alpes en général in « Res. scient. Congrès intern. de Botan, 
de Vienne, 1905 », p. 130. 


ll 


specialmente sulle occidentali, in rapporto specialmente all’origine della 
flora; quello del CaRrIST (35) sulla Svizzera ed estendentesi, quindi, anche 
al Canton Ticino che direttamente ci riguarda; quello del TRoTTER (36) 
per l’Avellinese e del BfauInor (37) per la Laguna Veneta e territori con- 
termini. Un accurato e dotto riassunto dello sviluppo e dello stato 
della fitogeografia nel secolo x1x fu redatto da A. ENGLER (88). 

La nostra iniziativa, perciò, se può essere considerata come ardita, 
non ha certo i titoli alla novità e se altri paesi, più avanzati che il 
nostro in fatto di floristita e di geobotanica, utilmente vi ricorsero, è 
sperabile che essa incontri favorevole approvazione e valido appoggio 
presso quanti da noi si interessano a ricerche di questo genere. 


PARTE ANALITICA. 


Ciò premesso, passiamo a vedere quale sia lo stato presente delle 
conoscenze sulla vegetazione dei vari territori della nostra Italia co- 
minciando dalle: 


Alpi e territori alpini. 


Per comodità di trattazione possono essere così suddivise : 


I. — Alpi occidentali. 


La flora del versante italiano delle Alpi occidentali, pur essendo 
stata oggetto di studio da parte di un numero grandissimo di botanici 
fin dai tempi più antichi, non può dirsi ancora conosciuta completa- 
mente. Anzi, ci sono delle vallate intere e persino dei massicci di 
grande importanza che o sono completamente vergini o solo superficial- 
mente esplorati. 

E diciamo ciò non solo nei riguardi della fitogeografia, nel qual 
campo quasi tutto è ancora da fare, ma anche in quelli della topografia 
e della sistematica pura. Valga a conferma il fatto che di tutto l’im- 
menso arco alpino dal Colle di Cadibona al Lago Maggiore solo cinque aree 


(35) H. Curist. Aperga des recents travanx géobotaniques concernant la 
Suisse. Bale-Genève-Lyon, 1907. 

(36) A. TroTTER. Programma di ricerche biologiche, in « L’escursionista 
meridionale », Avellino, anno I, 1905, p. 41. 

(37) A. BéGuinoT. Le attuali conoscenze sulla flora Lagunure ed i problemi 
che ad essa si collegano in « Ricerche Lagunari », Venezia, 1907. 

(38) A. EnGLER. Die Entwickelang der Pflanzengeographie in den letzten 
hundert Jahren und weitere Anfyaben derselben. Berlin, 1899. 


12 


sono state soggetto di studio metodico ed accurato. Sono le Alpi marit- 
time dal Colle di San Bernardo fra Garessio e Albenga (un po’ più ad 
occidente del Colle di Cadibona) fino alla Valle della Stura, studiate 
magistralmente dal BurnaT, la Valle di Susa illustrata recentemente 
dal MarTIROLO, la Valle di Aosta della quale sta occupandosi uno di 
noi (VaccaRI), la Val d’Ossola studiata dal dott. CHIOvENDA e infine 
il Canton Ticino che viene mano mano illustrato da numerosi botanici. 

Le altre o sono vergini, oppure a parte qualche modesto contributo 
recente e le raccolte conservate in molti erbari, ma non ancora rese di 
pubblica ragione, ripetono Ja loro fama dalle antiche opere di ALLIONI 
e dei botanici piemontesi del secolo passato. 

Per comodità di trattazione le distinguiamo in: 

A) ALeI MARITTIME. — La zona fra il Colle di Cadibona e il Colle 
San Bernardo, fortunatamente di poca estensione, non ha avuto altro 
illustratore che il Dr NoTARIS, non potendosi considerare come esau- 
rienti le indicazioni di ALLIONI. 

Il resto della regione fino alla Valle della Stura, può, invece, rite- 
nersi, grazie alle riccrche di 35 anni da parte del BuRrnAT e dei suoi 
collaboratori, come la meglio esplorata di tutto l’arco alpino in questione. 
Non solo l’opera in corso di stampa densa di fatti e di note critiche del 
BuRNAT « Flore des Alpes maritimes » (1893-1906...), ma tutto il corteo 
di monografie speciali dovute alla penna di specialisti di alta fama quali 
il BriqueT per le Labiate, le Centauree, i Citisi, i Bupleurum, le Ga- 
leopsis, ecc., il GREMLI ed i BurNAT per gli Hieracium e le Rose, il CHRIST 
per le Felci, il BurnAT per le Festuche, ecc., spandono vivissima luce 
sulla vegetazione di quella interessantissima regione, non solo, ma anche 
su quelle delle regioni vicine e costituiscono la più preziosa sorgente, cui 
il botanico possa ricorrere nei suoi studi di sistematica o di geografia 
botanica. Pure al BuRNAT (39) devesi l’elencazione critica di tutti i lavori 
che la riguardano ed alla quale perciò rimandiamo. 

B) ALPI Cozie. — A differenza delle precedenti, sono molto meno 
conosciute ed assai più scarsa ne è la bibliografia. Che noi sappiamo, 
esse non furono soggette di un lavoro di assieme, ma solo sì posseggono 
accidentali indicazioni nei vari lavori che riguardano la flora del Pie- 
monte, delle Alpi marittime e del Delfinato. Per tutta la immensa zona 


(39) E. BurnaT. Botanistes qui ont contribué à faire connaître la flore des 
Alpes maritimes (Bibliographie et collection botanignes) in « Bull. Soc. Bot. de 
France », XXX (1883), p. CVII. — Vedi anche BicKnELL, Flora of Bordi. 
ghera and San Remo. Bordighera, 1896, in cui l’autore studia gli interi bacini 
della Nervia e Vallecrosia che salgono a oltre 2000 metri. 


13 


che dalla Valle di Stura giunge alla Valle di Susa, a parte le vecchie 
opere di ALLIONI e dei suoi contemporanei, nulla si è pubblicato che 
metta in luce nuove ricchezze della regione o che s1 adoperi a risolvere 
qualche problema di fitogeografia. Basta dare un’occhiata alle tavole 
del Bat (40) ove a quelle montagne sono assegnate solo tre colonne 
(i numeri 4, 5 e 6) per convincersi della povertà delle nostre conoscenze 
in proposito. 

Gli erbari di Torino, specialmente, come pure quelli di Firenze, di 
Roma e (sopratutto) quello di Rostan (conservato, a quanto si afferma 
dal prof. Momut di Pinerolo, a Torre Pellice al Liceo comunale) con- 
tengono molti esemplari provenienti da quella estesissima regione, ma 
essendo stati raccolti per lo più senza un vero scopo e metodo e da 
più botanici, non sono sufficienti a chiarire lo stato della flora e le que- 
stioni di indole geografica. 

Sappiamo che il collega VALBUSA ha per lunghi anni erborizzato 
sul Monviso, ma non ha ancor pubblicato nulla. In un suo studio re- 
centemente comparso negli Annuari del Club Alpino non è disgraziata- 
mente citata alcuna pianta. 

Il collega dott. PerirMeNnGIN di Malzeville (Nancy) sta studiando a 
fondo il versante francese della grande montagna, ed ha già arricchito 
la flora di Francia di molte entità. Nei non infrequenti sconfinamenti 
che ha fatto, ha avuto anzi occasione di visitare il nostro versante e a 
quanto pubblicò e scrisse ad uno di noi trovò cose bellissime. È dessa, 
quindi, una regione ove il nostro costituendo Comitato potrebbe e do- 
vrebbe rivolgere la sua attenzione. Uno studio accurato di quella parte 
delle Alpi permetterebbe la conoscenza completa dell’arco alpino fino al 
Cenisio, dal momento che la Val di Susa può dirsi abbastanza nota. Ed 
è una regione complicata. 

Importanti vallate scendono da quelle Alpi. Sono la Valgrana, la 
Val Macra, la Val Varaita, la Valle del Po, le Valli Valdesi (Pellice e 
Chisone) e finalmente la piccola Val Sangone. Ivi si deve trovare la chiave 
di molteplici problemi di geografia botanica, primi fra cui quello della 
continuità della flora delle Alpi Graie verso le Marittime e viceversa, dei 
limiti fra le due flore, se pur si possono stabilire, e della influenza del 
terreno su certe specie di piante. 

C) ALPI Graie. — La Valle di Susa, la prima che appartenga, 
almeno pel suo versante settentrionale, alle Alpi Graie è stata abbastanza 
bene studiata. Oltre alle opere di indole generale di ALLIONI e seguaci, 


(40) J. BaLL. 7he distributions of plants on the sont side of the Alps. 
London, 1896. 


14 


ebbe illustratori nel RE (Flora segusiensis; Torino 1805) nel Caso che, valen- 
dosi della collaborazione del Rostan, del NeGRI di Casale e di altri, 
completò, traducendolo in italiano, l’elenco del RE (Re-Caso, La flora 
segusina, 1881) e finalmente nel prof. MaTTIROLO che pubblicò nell’estate 
dello scorso anno uno studio riassuntivo sulle nostre conoscenze floristiche 
in detta valle (Flora segusina dopo gli studi di G. F. Re). In questo 
lavoro vi è anche riportata la storia botanica e la completa bibliografia 
e non è quindi il caso di entrare in ulteriori particolari al riguardo. 

Una vastissima lacuna nelle conoscenze della flora delle Alpi occi- 
dentali è invece rappresentata dal territorio che intercede fra la Valle 
di Susa ed Ivrea. Tutto il versante meridionale delle Alpi Graie è com- 
pletamente ignoto. Le ricerche sulla distribuzione geografica del Semper- 
vivum Gaudini Christ e della Saxifraga purpurea All. (S. retusa Gouan) 
nelle Alpi occidentali, hanno dimostrato al Vaccari che non solo la 
letteratura, ma anche il materiale conservato nei diversi erbarî sono 
straordinariamente scarsi. Ci sono vallate intere completamente vergini, 
e le altre, malgrado mirabili scoperte fatte « en passant » da botanici 
di grandissimo valore quali il LERESCHE, il CHRIST e il BURNAT, senza con- 
tare i vecchi botanici piemontesi, sono state appena sfiorate. Non valse 
a spingere i botanici italiani e stranieri la fama cui assurse il versante 
settentrionale del Gran Paradiso (le Valli di Cogne e di Savaranche). 
Per un tempo lunghissimo si scrisse e si ripetè che Cogne era il centro 
di creazione di uno stuolo notevole di specie alpine rarissime, le quali 
invece devono esservi penetrate dal versante meridionale. La scoperta 
fatta dal LerescHE del Dianthus tener in Val Campiglia (Dianthus rico- 
nosciuto dal BuRNAT come nuovo per la scienza [D. Lereschianus]) e quelle 
del WiLozex di Potentilla grammopetala nelle zone attigue spronarono i 
più zelanti a scendere dalla Val d’Aosta per il Colle dell’Arietta fino alle 
stazioni indicate per ritornare subito dopo sui loro passi, quasi non 
valesse la pena di percorrere la valle. 

Eppure è su quelle valli che si trova la chiave di tutta una serie 
di problemi di geografia botanica, tanto che per risolvere parecchie que- 
stioni relative alla flora della Valle d’Aosta, di cui sta occupandosi uno 
di noi (VAccARI), ha sentito la necessità di fare diverse escursioni nelle 
Valli di Valchiusella, di Piamprato, di Campiglia, escursioni che gli 
hanno dato risultati insperati, sia nei riguardi della sistematica, come 
in quelli della geografia botanica. 

Onde è che il Vaccari ha fermamente divisato di proseguire lo 
studio di tutte le valli che scendono dal Gran Paradiso e cioè quelle di 
Valchiusella, di Piamprato, di Campiglia e di Ceresole. Questo studio 
servirà di complemento a quello che sta facendo sulla vegetazione del 


15 


versante settentrionale del colosso e la famigliarità acquistata sulla vege- 
tazione del distretto gli faciliterà l’arduo còmpito. 

Similmente in corso di studio è il resto della zona fra Ceresole e 
Susa, comprendente le tre valli di Lanzo. Il SANTI « Le Valli di Lanzo ». 
Appunti sulla flora pp. 474-49, Torino 1904 ed A. Mussa « Floru'a del 
Pian Rastel presso Balme », Atti Soc. It. Sc. Nat.. Milano, 1905, vi 
hanno portato in questi ultimi anni un interessante contributo. Uno di 
noi poi (NrGRI) sta raccogliendo copiosi dati per uno studio d’assieme sulla 
regione, pel quale dispone anche del ricco materiale conservato nelle col- 
lezioni torinesi. 

In ben differenti condizioni si trova la Valle d’Aosta. Ivi è stato 
un accorrere in tutti i tempi e da tutti i paesi di botanici, attratti dal 
fascino delle colossali montagne che la circondano. La letteratura è 
quanto mai ricca; le notizie sulla vegetazione di certi punti possono 
dirsi le più complete che si possono desiderare. Basti dire che appartiene 
alla Val d’Aosta il celebre colle del Gran S. Bernardo, che è ritenuto 
come uno dei luoghi più a fondo esplorati del globo. A canto però a 
luoghi divenuti celebri esistevano in Val d’Aosta vallate importantissime 
ancor vergini, ed a queste di preferenza ha rivolto l’attenzione il Vac- 
CARI, di modo che il catalogo che sta pubblicandosi riuscirà a darci un 
quadro abbastanza completo della vegetazione di quella grande regione. 

Siccome però il VaccARI stesso darà alle stampe fra poco la ricchis- 
sima bibliografia e la storia delle scoperte ed esplorazioni botaniche — 
frutto di 12 anni di paziente ed assiduo lavoro — crediamo inutile di 
scendere ad ulteriori particolari. 

D) ALPI PENNINE. — Dopo la Valle d’Aosta vengono le Valli di 
Graglia, del Cervo, e la Val Sesia. Si aprono tutte sul pendio meridio- 
nale del Monte Rosa o dei suoi contrafforti. 

Nella Valle di Graglia breve e di scarsa importanza non ha erboriz- 
zato alcuno che si sappia, © almeno nulla è stato pubblicato. VACCARI 
vi ha fatto una escursione di un giorno, nell’anno passato, trovandovi 
talune cose interessanti. 

La Val del Cervo nel suo complesso è ignota ai botanici. Vi erbo- 
rizzò il CesaTI il quale pubblicò un opuscolo interessante dal titolo: 
« Sguardo turistico sulla flora della regione Biellese; Biella 1882 ». 

La piccola Valle laterale di Oropa fu recentemente percorsa dal Padre 
Barnabita PrLLANDA che diede alla luce una « Flora estiva di Oropa; 
Torino, 1904 », opera che a nostro parere è di scarso valore. 

La Valsesia fu il campo d’azione dell’Abate CARESTIA, di quel prete 
instancabile che diffuse in tutti i principali erbarî d’Italia e dell’estero 
i tesori botanici della sua patria. Il CAREstIA non pubblicò mai nulla 


16 


sulle Fanerogame delle sue montagne. Solo in collaborazione col BacLIETTO 
diede alcune contribuzioni aila lichenologia, col MAassaLonGO alla epati- 
cologia, col De Noraris alla briologia e col BrESADOLA e SAccARDO 
alla micologia della sua vallata. Non c’è però monografia relativa a 
Fanerogame di quest» angolo delle Alpi in cui il CARESTIA non figuri 
come uno dei più preziosi fornitori di materiale. 

Il suo erbario, che deve essere molto ricco, fu da lui stesso legato 
al comune di Riva, sua patria, e deve certo essere considerato come una 
base preziosissima per uno studio a fondo della flora Valsesiana. 

Lo studio floristico di questa vallata ha grande importanza pel fatto 
che in essa giungono gli ultimi rappresentanti di molte specie orientali, 
come per esempio il Sempervivum Wulfenii Hoppe, o si arrestano altre 
che vengono dalle occidentali. Inoltre l’intercalazione di strati calcarei 
e roccie verdi fra le roccie gneissiche è in questa zona più che mai 
utile a dimostrare l’influenza del terreno sulla costituzione e la distri- 
buzione di molte specie. Sarebbe perciò vivamente da augurarsi che 
qualche botanico potesse utilizzare e completare il lavoro dell’ abate 
CareEstIA dandoci la flora di quella vallata. 

Le valli attigue verso oriente, fino al Lago Maggiore, e civè la Val 
d’Ossola, la Valle Strona, le Valli Intrasche, la Val Canobina, le Valli 
di Onsernone, le Centovalli e la Val Maggia trovarono il loro illustra- 
tore nel dott. EmiLio CHIOVENDA, che vi ha raccolto un ricchissimo 
erbario, in base al quale intende di pubblicare la Flora delle Alpi Le- 
pontine occidentali. Di quest'opera, che porterà una vera luce su molte- 
plici e interessanti problemi di floristica e geografia botanica, è uscita 
fin qui la sola bibliografia (41). Questa e quella redatta dalla BROCKMANN- 
JEROSCH (Geschichte und Herkunft der Schweizerischen Alpenflora; Leipzig, 
1903), ci esonerano di citare le numerosissime opere cui attingere notizie 
su questa interessante parte delle nostre Alpi. 


II. — Alpi centrali ed orientali. 


Come è a tutti noto l’espressione, per quanto assai usitata, di 
« Alpi centrali » ha un significato geografico tutt’affatto convenzionale. 
Dal punto di vista fitogeografico l’area di molte specie a tipica distri- 
buzione orientale, la cui irradiazione, cioè, ebbe luogo da oriente verso 
occidente, si arresta ai limiti delle Alpi occidentali, quali furono da noi 
circoscritte. Checchè sia di questa distinzione, a questa banda dei mas- 


(41) E. CaIovENDA. Flora delle Alpi Lepontine occidentali, ecc. I. Bibliografia. 
Roma, 1904-1906. 


è 


Ù 


17 


sicci alpini appartengono, limitatamente all’Italia, le Alpi Ticinesi (0. Ti- 
cino), le Alpi Lombarde e Trentine e le Alpi Venete. Qui avvertiamo 
che uno di noi (PAMPANINI), essendosi dettagliatamente occupato in un 
suo lavoro sulla distribuzione di numerose specie della catena alpina, e 
specialmente nella parte orientale, ad esso rimandiamo per la dettagliata 
esposizione dei fatti e delle conclusioni fitogeografiche (42). 

E senza entrare in troppe minute suddivisioni geografiche passiamo 
a dare brevemente lo stato delle conoscenze nei distretti sopra nominati. 

A) Avpi Trormesi. — Le indicazioni floristiche sul Canton Ticino, 
che fino al 1900 possono desumersi anche dalla Bibliografia di E. Fi 
SCHER (43), erano fino a pochi anni addietro assai scarse e riguardavano 
principalmente la parte meridionale di esso o qualche territorio ristretto 
e devonsi al ComoLci, PeNnzIo, LuIrseT, FiRLER, CONTI, BORNMULLER, 
LENTICCHIA, ecc. Un solo lavoro, quello del FRANZONI, (Le piante fane- 
rogame della Svizzera insubrica, 1890) dava un’idea generale della vege- 
tazione del Canton Ticino. Ma in questi ultimi anni le esplorazioni si 
intensificarono a merito di molti naturalisti, sopratutto svizzeri, e qui 
devono essere ricordati i nomi di CHENEvaRD, KELLER, BEAUVERD, 
SoHROTER e RicKLIi, ScHROTER e WiLozEcK, CHENEvaRD e BRAUN, 
Ji@GLi, BETTELINI, ece., fra i più benemeriti nell’incrementare le 
conoscenze di questa interessante flora. Però resta ancora molto da 
farsi, soprattutto nel Canton Ticino settentrionale-orientale. Solo al- 
lorchè anche questa parte sarà, insieme alle finitime Alpi e Prealpi 
Lombarde, sufficientemente esplorata si potrà stabilire quanto fondata 
sia la teoria sostenuta dallo CHENEvARD, secondo la quale la vegeta- 
zione del Canton Ticino sarebbe essenzialmente d’origine occidentale e 
l’altra sostenuta da uno di noi (PAMPANINI) sulla lacuna ticinese, che 
le attivissime ricerche dello CHENEVARD attendono, in seguito a fortu- 
nate scoperte, a colmare. Un riassunto su alcune delle questioni più 
importanti e specialmente a proposito della controversa « lacuna tici- 
nese » è consegnato nel recente lavoro del CHRIST sopra citato (35). 

B) Arpi LomBarDE. — Estremamente scarsi ed incompleti sono i 
lavori floristici sulle Alpi e Prealpi della Lombardia. I noti lavori del 
Massara (1834), ComoLLi (1834-57), RorA (1843 e 1853), ZEeRSI (1857) 
RopeGHER e VENANZI (1894) sono più che altro delle enumerazioni 
di piante: materiali da rivedere e completare dai futuri fitogeografi 


(42) R. PaMpANINI. Essai sur la géographie botanique des Alpes et en parti. 
calier des Alpes sud-orientales; Fribourg, 1903. 

(43) FiscHer. Flora Helvetica, in Bibl. nationale Suisse, fase. IV, 5; 
Berne, 1901. 


18 

della regione. In epoca recente le Alpi Bormiensi, la valle di Poschiavo 
e la provineia di Brescia furono oggetto di interessanti contribuzioni da 
parte rispettivamente del BusrR, BrocKxMann-JEROSCH e dell’UGorinI. 
L’ultimo prese di mira in modo speciale la Valsabbia e la Valtrompia 
ed il complicato problema della vegetazione degli anfiteatri morenici, 
portando nuovi dati sulla dispersione delle piante in rapporto soprat- 
tutto alla natura chimica del terreno. Il Monte Barro fu testè illustrato 
dall’Arpissone. Fra le lacune da colmare il CHRIST, nell’opera sopra 
citata, ricorda la Val Livigno nelle Alpi di Bormio con i suoi riattacchi 
floristici con la bassa ed alta Engadina. Un ricco materiale fu negli ul- 
timi anni messo assieme dal Lonca di Bormio e largamente distribuito 
in parecchi erbari, ma per grande parte non fu sin qui utilizzato. In 
generale, però, possiamo dire che l’esplorazione della parte montuosa 
della Lombardia è in grande parte da fare e che ad essa si collegano 
il problema dell’origine della flora del Canton Ticino e la delimitazione 
più precisa delle immigrazioni di elementi orientali e meridionali nel 
gruppo dello Stelvio. 

C) ALpi TRENTINE. — La flora di questa vasta regione è, compa- 
rata a quella delle precedenti, assai bene conosciuta. Ai lavori fonda- 
mentali di HaussMann, Flora von Tirol (1851-55), AmBRrosI, Flora del 
Tirolo meridionale (1854-1857), e di FAccHINI, Zur Flora Tirols (1855), 
vennero ad aggiungersi numerosi altri lavori più o meno importanti 
fra i quali giova ricordare il Prospetto della flora trentina (1893), le 
Aggiunte alla flora trentina (1896-98), ed il Prospetto della piante critto- 
game vascolari del Trentino (1891), del GeLMI. Ma è già in via di pub- 
blicazione l’opera poderosa di DaLtAa TorrE e SARNTHEIN sulla flora 
del Tirolo, Voralberg e Liechtenstein (Innsbruck, 1900-1906...) che rias- 
sume tutti i lavori precedenti (44) ed offre nuove ed ampie notizie 
sulla distribuzione delle piante in questa regione. Allorchè il lavoro di 
DALLA TorrRE e SARNTHEIN sarà interamente pubblicato, sarà facile 
vedere come si sviluppano la discesa di piante settentrionali nel vasto 
sistema orografico del Tirolo centrale e del Trentino e la penetrazione di 
elementi meridionali lungo il bacino dell'Adige. Tuttavia, finchè non 
sarà completata l'esplorazione delle Alpi venete e lombarde e lo studio 
fitogeografico del Tirolo centrale e del Trentino, resterà sempre una la- 
cuna per quanto riguarda le relazioni tra la flora del Vintschgau e della 


(44) K. W. DaLLa TORRE u. LU. Gr. v. SARNTHEIN. Die Liferatur der Flora 
von Tirol, Voralberg u. Liechtenstein. Innsbruck, 1900, ed i supplementi in « Be. 
richt. d. naturw. mediz.- Ver. in Innsbruck, XXVI (1900-1901), e XXIX 
(1904). » 


“ 


19 


Val di Sole e quella del gruppo dello Stelvio, nonchè le relazioni tra 
la Flora del Trentino e quella delle finitime Alpi Bergamasche e Venete. 

D) Aupr Venere. — La flora di gran parte delle Alpi e Prealpi 
venete é ancora assai poco conosciuta (provincie di Vicenza, Treviso, 
Belluno ed Udine), le principali fonti alle quali si possano attingere no- 
tizie su di essa essendo ancora il Catalogo delle piante vascolari del Ve- 
neto di Visrani e Saccarpo (1869), ed il suo Supplemento generale di 
BoLzon (1898), i repertori più completi in materia. Devesi pure al 
Saccarpo un dotto lavoro sulla Storia e letteratura della flora veneta, 
(Milano, 1869), dove trovansi riunite e criticamente esposte ampie no- 
tizie biografiche e bibliografiche sulla botanica veneta fino a quell’anno. 
Venendo ora a parlare dettagliatamente delle provincie in cui si estol. 
lono massicci a carattere alpino diremo quanto segue : 

1. Provincia di Verona. — Ilustrata dalle note opere di C'ALZOLARI, 
Pona, SEGUIER, POLLINI e più di recente dal GorRAN è una delle pro- 
vincie venete — anche per la regione alpestre — tra le meglio studiate 
ed esplorate. A quest’ultimo devesi, in seguito ad un trentennio di con- 
tinue e fortunate ricerche, un lavoro complessivo: Le piante fanerogame 
dell’agro veronese (Verona v. I, 1897, e v. TI, 1897-1904), nel quale tro- 
vansi criticamente riassunte tutte le precedenti indicazioni e le nume- 
rose pubblicazioni dovute al Gorran stesso. E qui ricordiamo che in 
questa provincia cade grande parte del massiccio del Monte aldo, ben 
noto per le sue ricchezze floristiche ed oggetto di molti cataloghi con 
dati fitogeografici da parte di CALZOLARI, PonA, MARTINI, POLLINI, ece.: 
riteniamo, invece, ancora insufficientemente esplorato l’anfiteatro gar- 
dense, reso particolarmente interessante dalla potente espansione medi- 
terranea. 

2. Provincia di Vicenza. — Percorsa da molti botanici, le conoscenze 
floristiche di questa provincia sono tuttora assai scarse e manca di una 
flora complessiva, non potendo ritenersi per tale il catalogo nominale 
redattone dal MARZARI sui primi del secolo scorso. Si pnò anzi dire 
che il più ed il meglio che di essa si conosce trovasi nella Fora italica 
di BERTOLONI per materiale a lui comunicato soprattutto dal PAROLINI 
e dal MontINI. I quali, visitandone parecchi settori, misero assieme due 
cospicue e preziose collezioni che si conservano presso il Museo Civico di 
Bassano e rimaste per buona parte inedite. L’utilizzazione di questi er- 
bari recherà non poco vantaggio ai futuri botanici della regione. Della 
quale negli ultimi tempi il VaccARI pel Monte Grappa (1896) ed il VasoLiv 
per i Monti Toraro e Campomolon (1899) e per l’altipiano di Tonezza 
(1900) redassero cataloghi non: privi di interesse. Qualche indicazione 
trovasi inoltre in alcune delle C'ontribuzioni alla flora veneta del BoLzon. 


20 


3. Provincia di Treviso. — Anch’essa ancora insufficientemente per- 
corsa ed illustrata. Tuttavia possiede un lavoro fioristico d’assieme e 
cioè il Prospetto della flora trevigiana (Venezia, 1864) dovuto al profes- 
sore SAccARDO, che attende tuttora a riprodurlo ed a completarlo, met- 
tendolo al corrente con le posteriori ricerche, dovute soprattutto al 
BizzozEeRro, BoLzon, TReTTER e ad uno di noi (PAMPANINI), che ne per- 
corse il settore montano raccogliendo ricco materiale in grande parte ancora 
inedito. Senza dubbio l’esplorazione metodica di queste Prealpi apporterà 
un notevole contributo alla storia della vegetazione delle Alpi orientali, 
data la loro posizione, orientamento e la natura prevalentemente cal- 
carea del suolo. 

4. Provincia di Belluno. — È una delle meno conosciute, quantunque 
buon numero di raccoglitori vi abbiano erborizzato a varie riprese. 
L’opera dell’Acosti, De re botanica tractatus (Belluni, 1770) ne è il primo 
censimento, che la imperfetta nomenclatura delle piante renderebbe quasi 
inservibile, se non fosse stato scoperto di recente il vecchio erbario 
identificato dal SAccARDO (in Atti R. Ist. Ven., 1903-904, p. 61). Più 
completa ed attendibile è la Enumeratio stirpium phanerogamicarum agri 
Bellunensis (Belluni, 1837) del SANDI, ma non poco giovamento recherà 
l’esame del suo erbario che si conserva a Belluno: esame che il pro- 
fessor Minio ha iniziato. 

Tra i raccoglitori più recenti qui ricordiamo BaLL, HuTER e PoRTA 
(che distribuirono non poche specie nelle loro Ewxsiîccata), TANFANI e 
CarUEL (che stesero brevi relazioni sulle piante raccolte), BoLzon, SAc- 
cARDO e TraveRSO (che riunirono in apposita monografia [1905] quanto 
è noto sulle Alpi Feltrine). Un'importante collezione vi fece pure ii 
VENZO, intercalata nell’Erbario centrale italiano ed ancora per la mas- 
sima parte da studiare. Uno di noi (PAMPANINI) ha iniziato una serie 
di Contribuzioni alla conoscenza della Flora della provincia di Belluno, 
che condurranno ad una Flora della medesima, opera alla quale egli 
lavora. Ci consta pure che il prof. Minro si occupa attualmente dello 
studio della vegetazione dell’alveo del Piave in rapporto alla flora cir- 
costante. 

5. Provincia di Udine. — Contrariamente alla finitima provincia di 
Belluno, essa può considerarsi come bene esplorata e tra le meglio stu- 
diate di tutto il Veneto. Il Florae forojulensis syllabus del PrronA rias- 
sumeva a mezzo il secolo scorso (1855) le conoscenze floristiche della 
regione. Posteriormente essa fu percorsa dal prof. E. De Toni, che vi 
pubblicava parecchie note, dal LORENZI, che redasse una quasi completa 
monografia della Collina di Buttrio (1902-904) e studiò le vicende della 
vegetazione nell’anfiteatro del Tagliamento (1905), dal Minio che si oc- 


\ 


21 


cupò del bacino medio del Natisone (1905), dal CrIiconmuTTI che esplorò 
la Valle di Raccolana ed il gruppo del Monte Canin (1906), ma sopra- 
tutto da Luior e MioHELE GorranI. In un decennio di assidue e co- 
scienziose ricerche questi due botanici perlustrarono quasi tutta la re- 
gione alpestre del Friuli e specialmente le Alpi Carniche, riunendo un 
ingente materiale e preziose osservazioni fitogeografiche. Frutto di queste 
ricerche sono i due recenti volumi sulla lora Friulana con speciale ri- 
guardo alla Carnia (Udine, 1905-1906) contenenti un’ampia prefazione 
fitogeografica, la storia e la bibliografia e l’elenco critico delle piante 
tutte da essi raccolte od osservate in parecchi erbari consultati. È in 
preparazione un supplemento che metterà l’opera al corrente con le più 
recenti scoperte. Sicchè questo dei GorTANI può considerarsi come uno 
dei lavori meglio redatti e completi, che attualmente videro la luce în 
questa regione delle Alpi e sarà di grande giovamento per le ulteriori 
ricerche topografiche e per le questioni fitogeografiche più generali. Ag- 
giungiamo che ad uno di noi (NEGRI) è stato affidato lo studio della 
collezione briologica compiuta contemporaneamente alla fanerogamica, 
dal compianto ing. GorTANI e dal figlio MioHELE; materiale importan- 
tissimo e che sarà pubblicato nel supplemento sopra annunciato. 

La poderosa giogaia delle Alpi, del cui versante meridionale ci ado- 
perammo a mettere in evidenza lo stato attuale delle conoscenze flori- 
stiche e geobotaniche, nasconde una ingente serie di problemi speciali e 
generali. Dei primi, a parte lo studio più critico delle varie entità, 
emerge tra i più importanti, il rilievo topografico e biologico delle varie 
associazioni e formazioni, in base alla natura del suolo, all’esposizione 
dei versanti, all'influenza dell’altitudine, dell’indumento arboreo, ece., 
fatto soltanto per limitati settori ed in maniera per lo più incompleta. 
L’opera dell’EnGLER (45), per quanto assai schematica, deve essere te- 
nuta presente da chi si occupa di ricerche di questo genere. Fra quelli 
d’indole più generale — complicati per lo più con le influenze anteriori — 
ci limitiamo a ricordare la definizione più esatta e rigorosa delle vie di 
emigrazione attraverso la banda calcarea, per lo più periferica, od attra- 
verso i nuclei silicei solitamente centrali: la delimitazione dei massicci 
o territorio di rifugio: le vie vallecolari per il ripopolamento dei mas- 
sicci già investiti dalla glaciazione: le espansioni della flora mediterranea 
negli anfiteatri lacustri, e la penetrazione di elementi meridionali lungo 
i bacini del Piave, Tagliamento, Adige, Adda, ecc.: le cause della discon- 


(45) A. EnGLER. Die Pflanzen-Formationen und die Pflanzengeographische 
Gliederang der Alpenkette, erlùntert an der Alpenanlage des nenen %. bot. Gartens 
an Dahlem-Steglitz b. Berlin in « Notizblatt d. k. bot. Gart. App. VII, 1901 ». 


22 


tinuità delle aree e della localizzazione di determinate specie in territori 
spesso assai ristretti e della ricchezza di alcuni distretti in controppo- 
sizione alla povertà di altri: le variazioni della vegetazione in rapporto 
alla oscillazione dei ghiacciai, al limite delle nevi perpetue, ed all’opera 
lentamente corrosiva e perturbatrice dell’uomo: infine l’origine tutt’ora 
controversa della vera flora alpina. Se distretti determinati delle Alpi 
abbiano funzionato da veri e propri centri di creazione di entità di tipo 


neogenico e se altri abbiano conservato — specie perchè sottratti alla 
devastazione glaciale — elementi paleogenici ad area frammentaria e di 


difficile riattacco e spesso endemici, sarà chiarito da una discussione più 
appronfondita e da materiali più abbondanti e criticamente raccolti e 
vagliati. Ed il riassunto sopra citato del BrIQuUET (34), in quanto contiene 
le linee direttive delle future ricerche, potrà molto giovare a queste in- 
dagini. 

Pianura Padana. 


Interposta fra l’arco alpino, l'Appennino ed il mare, qua e là in- 
sinuantesi nei massicci montuosi che, a guisa di intercapedine, serve a 
congiungere ed increspata da qualche rilievo montuoso o collinoso in 
proprio, la pianura Padana merita di richiamare tutta l’attenzione del 
botanico. È stato asserito che essa è un giardino nel quale non s’in- 
contra una pianta spontanea che possa considerarsi come caratteristica; 
ed in questa opinione, altrettanto diffusa quanto inesatta, è da cercarsi 
la ragione per cui un distretto botanico così importante ha presentato 
e presenta, per un grande numero di naturalisti, attrattive abbastanza 
scarse, perchè gli venga preferita qualunque delle nostre valli alpine od 
appenniniche. Soltanto il nuovo indirizzo delle ricerche floristiche, le 
indagini condotte intelliszentemente in qualche punto e soprattutto le 
nozioni più esatte sulle fasi successive per le quali passò la pianura 
Padana durante la sua costituzione, hanno rivelato il reale interesse 
annesso all’analisi minuta e metodica della sua vegetazione e la neces- 
sità anzi di affrettare le indagini, data l’azione sempre più intensa delle 
culture, che vanno limitando ad aree, d’anno in anno più ristrette, la 
vegetazione spontanea. 

Questa ed altre ragioni spiegano pure come, nonostante la sua 
estensione, la bibliografia sia relativamente scarsa, e poche le opere che 
esclusivamente la riguardino. Nelle pagine precedenti abbiamo avuto 
già occasione di citarne alcune, quelle cioè che abbracciando una intera 
circoscrizione, hanno elencato sia specie alpine od appenniniche, che ele- 
menti planiziari. Fra le opere a carattere prevalentemente floristico ri- 
cordiamo per il Piemonte le flore e gli studi minori di ALLIONI, BALBIS, 


23 


Re (G. F.), BELLARDI, COLLA, ZUMAGLINI, INGEGNATTI, BURNAT (conte- 
nente anche dati sulle pianure di Mondovì e Cuneo), FERRARIS e FERRO, 
Vaccari (dati sull’anfiteatro morenico d’ Ivrea), MarTIROLO (dati sul- 
l’anfiteatro morenico di Rivoli); per la Lomellina e per gli anfiteatri del 
Lago d’Orta e Maggiore di BrroL1; le pubblicazioni di Nocca e Bat- 
BIS; Rora, FARNETI, TRAVERSO, Cozzi pel Pavese; di ComoLLI ed ANZI 
per l’anfiteatro del Lago di Como e l’alta pianura Milanese; di Rota, 
RopeGHER e VeNANZI pel Bergamasco, di Zersi e di UGOLINI pel 
Bresciano; ed una breve nota della signora MorETTI-FoGGIA e del Bf- 
curnor sulla flora del Bosco Fontana presso Mantova. Per il Man- 
tovano poi non può tacersi l'interessante Saggio del PAGLIA. Passando 
sulla sponda destra del Po, rammentiamo ancora gli studi di RE (Fr- 
LIPPO), GIBELLI e PiroTTA, MoRI e Casati sul Modenese e Reggiano; 
di PASssERINI, di AveTTA e CasonI e di Borzon sulla flora Parmig- 
giana ed infine di BraccIFORTI su quella Piacentina. 

Per la bassa pianura Padana non abbiamo un lavoro floristico com- 
plessivo, ma scolo elenchi di piante e flore, non raramente antiquate, di 
alcuni distretti o provincie. Così per la provincia di Padova ricordiamo 
le tre enumerazioni più complete, dovute al Romano ed al TREVISAN 
e la più recente dovuta ad uno di noi (Bf@uIinoT) (46): semplici elenchi 
di nomi. Egregiamente studiato è invece il distretto dei Colli Euganei, 
visitato da un grande numero di botanici ed illustrato da parecchie note 
floristiche (in « Bull. Soc. Bot. Ital. », 1903-1904) e da una completa 
monografia fitogeografica (47) da Bfaurnor. Il quale anche attende 
alla redazione di una Flora della intera provincia, in base alricco ma- 
teriale da lui raccoltovi ed all’esame delle collezioni di cui ha potuto 
disporre e della quale fra qualche mese vedrà la luce la storia e biblio- 
grafia, cui rimandiamo. Questa lacuna sarà così in breve colmata. Come 
sopra dicemmo Ja provincia di Vicenza è tra le meno note, quindi ben 
poco si sa della sua flora planiziaria. Uno di nci (BfavrnoT) attese du- 
rante un intero anno alla perlustrazione dell’ interessante distretto dei 
Colli Berici, dove raccolse un prezioso materiale, mentre da parte del- 
l'Orto botanico di Padova si venne in possesso dell'importante Erbario 
del dott. SARTORI, ricco di piante della regione. Fin qui non fu re- 
datta che una sola nota preliminare riassuntiva (1904), alla quale 
seguirà, ad opera pure del Bfeurnor, una completa illustrazione sullo 


(46) A. BicuinoT. Prospetto delle piante vascolari finora indicate per i Colli 
HEuganei e per la pianura Padovana. Padova, 1905. 

(47) Id., Saggio sulla flora e sulla fitogeografia dei Colli Enganei in « Mem. 
Soc. Geogr. Ital. », vol. XI (1904). 


3-a 


24 


schema ed in confronto di quella che egli pubblicò per i vicini Colli 
Euganei. 

Numerose flore ebbe invece la provincia di Venezia e le note opere 
di DonaTI (1631), ZANNICHELLI (1735), RucHinGER (1810), MorIcaND 
(1820), NaccaRrI (1826-28), von MaRTENS (1838) valsero a farne cono- 
scere le ricchezze floristiche. L'ultimo più completo censimento devesi 
allo ZANARDINI (48) e consiste in un elenco di nomi di piante preceduto 
da una elaborata prefazione, dove sono sobriamente ritratte le princi- 
pali peculiarità della così detta « Flora lagunare ». I due poderosi erbarî 
riuniti dal nominato e dal KELLNER, conservati a Venezia, presso il Reale 
Istituto Veneto, quello del BorTARI presso il Liceo « Marco Foscarini », 
e quello ConTARINI presso il Museo Civico, solo in parte editi, saranno 
con grande utilità consultati dai futuri studiosi della regione. Che an- 
cora non poco resti a fare, specialmente dal punto di vista fitogeogra- 
fico, fu chiaramente esposto da uno di noi (BfieuIrnot) in dettagliato 
programma di ricerche, sopracitato, a cui rimandiamo (37). In base a 
questo programma, già da qualche anno, il BfGuIinor percorre la re- 
gione, dove ha raccolto un ricco materiale e semi di numerose piante, 
soprattutto alofite e calcicole, che coltiva con successo presso il R. Orto 
botanico di Padova. Sicchè fra qualche anno anche questa regione potrà 
dirsi nota in ogni suo particolare. 

Per la parte planiziaria delle provincie di Treviso e di Udine, i due 
lavori già sopra ricordati del SAccARDO e dei GORTANT sono le fonti più 
complete al riguardo. 

Attorno all’estuario padano si stende quella parte della omonima 
pianura compresa nelle provincie di Rovigo, Ferrara e Ravenna. Per 
il Polesine il lavoro più completo resta quello del GricoLato: /2lustra- 
zione delle piante vascolari spontanee nel Polesine di Rovigo, (Rovigo 1854), 
e più recenti contributi vi apportarono il TERRACCIANO ed il BoLzon. 
Nella scorsa estate uno di noi (BfeuinoT) dimorò a lungo nella parte 
più littoranea erborizzando tra la foce dell'Adige e quella del Po di Le- 
vante e tra questa ed il Po di Maestra: settori imperfettamente noti e 
del più alto interesse floristico e fitogeografico, come emergerà dallo 
studio del materiale raccolto. 

La provincia di Ferrara manca di una flora e quel tanto che di 
essa è noto sì ricava in grande parte dalla Flora italica del BeRTOLONI. È 
È in preparazione un interessante contributo da parte del conte dottore 
P. ReveDIN, che vi ha erborizzato negli ultimi anni. Il Ravennate 
ebbe fin dal secolo xvrr una interessante illustrazione nell’opera del 


(48) G. ZANARDINI. Prospetto della flora veneta. Venezia, 1847. 


PRW 
s 


25 


GINANNI, Istoria civile e naturale delle Pinete Ravennati, (Roma 1774), e 
più di recente dal TrsrtA (1897), che pure si occupò della vegetazione 
delle caratteristiche Pinete; ma molto resta a farsi. 

Fra i lavori a carattere più spiccatamente fitogeografico ricordiamo, 
a titolo storico, quello del Bossr (1809), l’introduzione alla Flora Tici- 
nese di Nocca e BaLBIS (1816) ed i cenni nell’opera del LINK sulla geo- 
grafia botanica dell'Europa meridionale (1886). Nel 1844 videro la luce 
le Notizie naturali e civili sulla Lombardia di C. CATTANEO, compren- 
denti un elenco di piante della regione redatto dal CeSsaTI (49) e 
preceduto da un largo schizzo sulla vegetazione insubrica, sulle stazioni 
più caratteristiche delle piante spontanee (riviere dei laghi, torbiere, 
luoghi salati, isole fluviali, ecc.) e sull’influenza dell’agricoltura sulla 
vegetazione originaria, 

Altre notizie fitogeografiche trovansi in un posteriore lavoro (50), pure 
dovuto al CrsaTI e dedicato al territorio compreso fra il Ticino, la 
Sesia, il Po e le Alpi, sulla regione dei laghi insubrici nella classica 
opera del CaRIST (51 e 35) ed in una prefazione ad un elenco di piante 
pavesi del FARNETI (52). Più di recente uno di noi (B£G@uINOT), a pro- 
posito della presenza di colonie di muschi termofili nelle espansioni 
della flora mediterranea ai piedi delle Alpi, ha tratteggiato la storia 
della vegetazione padana dal terziario in poi. Altri settori studiati dal 
punto di vista fitogeografico sono il sistema collinoso di Torino e Crea 
da parte di uno di noi (NEGRI) (53), il cireondario di Alba da FERRARIS 
e Ferro (54), le valli di Sermide ed il bosco Fontana nel Mantovano 
con due colonie eterotopiche, alofite le prime e microtermiche le seconde, 
da parte di Bfaurnor (55), i Colli Euganei, in rapporto sopratutto alle 
colonie meridionali e alle stazioni alofite, in altro lavoro sopra citato 


(49) V. CnsatI. Saggio su la geografia botanica e sn la flora della Lom- 
bardia. Milano, 1844. 

(50) Id., Die Pflanzenwelt in Gebiete zwischen dem Tessin, dem Po, der 
Sesia und den Alpen, in « Linnaea », vol. XXXI (1863), p. 201. 

(51) H. CaRIST. Za flore de la Suisse et ses origines. Bale-Genève-Lyon, 1888 
e II Ed. 1907, p. 33. 

(52) R. FARNETI. Aggiunte alla flora Pavese e ricerche sulla suna origine in 
« Atti Ist. Bot. R. Università di Pavia », n. ser., vol. VI (1900). 

(53) G. NeGRI.. La vegetazione della collina di Torino in « Mem. R. Accad. 
Se. Torino », sez. 2*, tom. LV (1905); Za vegetazione delle colline di Crea, 
« Ibid. » LVI (1906). 

(54) R. FERRARIS e G. Ferro. Materiali per una flora del circondario di 
Alba in « Nuovo Giorn. Bot. It. », n. ser., vol. XI (1904). 

(55) A. Boiauinot. Notizie intorno a due colonie eterotopiche della flora Man- 
tovana in « Atti Accad. Scient. Ven.-Trent.-Istr. », CI. vol, II, 1905, 


26 

pure del BfevIinoT. Le colonie microtermiche della pianura Torinese 
furono oggetto di uno studio da parte del NEGRI (56), il quale pure 
attende ad un lavoro complessivo sul sistema collinoso Torino-Bra-Va- 
lenza, mentre la vegetazione impiantata sui materiali morenici e le sue 
vicende, in rapporto al vario grado di decalcificazione, fu studiato dal- 
l’UgoLINI negli anfiteatri del Bresciano (57) e dal LoRENZI in quello del 
Tagliamento (58). A Bfevinor e TRAVERSO devesi pure il primo lavoro 
completo sulle arboricole (59): stazione, grazie al clima ed all’abbon- 
danza dei soggetti, assai sviluppata in corrispondenza della pianura 
padana. Ulteriori contributi vi apportarono l’UGoLInI ed il Cozzi, il 
quale ultimo pubblicò pure una breve nota sulla flora delle brughiere 
del Ticino (1902). 

Da questa rapida e necessariamente incompleta rassegna bibliogra- 
fica emergono le non poche lacune tutt’ora da colmare e nello stesso 
tempo le linee direttive che dovranno guidare le ulteriori ricerche in 
materia. ; 

La pianura padana, come è ben noto, è costituita da una grande 
coltre di materiale alluvionale di deposizione quaternaria e postquater- 
naria, da cui emergono, ora isolati, ed ora raggruppati sistemi col- 
linosi, per lo più terziari. Poichè, dato il loro debole sviluppo in alti- 
tudine e la loro distanza dai massicci alpini, non furono ricoperti dai 
ghiacciai durante il glaciale, è legittimo il dubbio che in essi vi siano 
superstiti della vegetazione prequaternaria di tipo termofilo, mescolati 
con elementi termofughi discesi in pianura durante il periodo glaciale. 
Essi hanno in altre parole, funzionato da territori di rifugio e di ripo- 
polamento: funzioni le quali devono essere messe in chiara evidenza 
con il confronto con distretti o massicei già sedi di potenti glaciazioni. 
La struttura floristica degli anfiteatri lacustri merita pure un attento esame. 
Questi settori, come è patentemente dimostrato dall’abbondante mate- 
riale morenico, furono teatro di varie fasi glaciali, le quali certamente 
dovettero soppiantarvi ogni traccia di vegetazione termofila. Nell’attua- 
lità, invece, l’azione moderatrice dei bacini lacustri, la protezione contro 


.- (56) G. NEGRI. Le stazioni di piante microterme della Pianura Torinese in 
« Atti Congr. Nat. Ital. », Milano, 1907. 

(57) U. UGoLINI. Nota preliminare sulla flora degli anfiteatri morenici del 9 
Bresciano con speciale riguardo al problema delle glaciazioni in « Comm. At. 
Bresc. 1899 »; Appendice alla flora degli anfiteatri morenici « Ibid., 1900 ». 

(58) A. Lorenzi. Prime note geografiche sulla flora dell’ anfiteatro morenico 
del Tagliamento e della pianura friulana in « Malpighia, 1901 ». 

(59) A. BhbGuinot e G. B. Traverso. Ricerche intorno alle arboricole della 
flora italiana in è Nuov. Giorn, Bot, Ital., » n. ser., vol. XII (1905). 


27 


i venti nordici, l'esposizione a mezzogiorno, ece., hanno favorito l’insedia- 
mento di una flora a facies meridionale e con elementi, non raramente 
ad area molto isolata e saltuaria, spiccatamente termofili. Quale la di- 
stribuzione esatta di questi elementi, quale la loro origine ed avvento, 
quali i presunti territori di immigrazione e quali le vie percorse per 
guadagnare le attuali stazioni? L'ipotesi di un periodo xerotermico sus- 
susseguente all’ultima glaciazione o di più periodi intercalati fra le varie 
fasi glaciali, escogitata a spiegare le colonie steppiche nell’Europa cen- 
trale ed occidentale, regge all'esame della flora meridionale che si stende 
ai piedi delle nostre Alpi? E quali parti vi hanno le cause attuali e so- 
prattutto l’influenza del fattore antropico ? 

Le grandi arterie fluviali che solcano la valle padana e prima di 
tutte quelle del Po, causa l'abbondante accumulo di materiale alluvio- 
nale lungo i fianchi, rappresentano certamente le vie di emigrazione di 
molte specie arenarie e costiere e d’altra parte non è da escludere che 
colonie di piante microtermico-orofile debbano l’abbassamento della 
zona vegetativa all’opera delle correnti, che traggono origine da distretti 
montuosi. Problemi di grande importanza e per i quali s'impone uno 
studio metodico della vegetazione dei terreni alluvionali e delle sue 
variazioni. La flora degli altipiani diluviali a terreno sterile eminente- 
mente decalcificato e quindi ospitante una vegetazione intollerante del 
calcare (NEGRI) di tipo spiccatamente xerofilo (le così dette brugWiere); 
quella delle valli o settori salati, attualmente più o meno lontani dalla 
costa, quella delle torbiere in via di formazione di confronto con i 
relitti fessili delle torbiere quaternarie, quella littorale ad immediato 
contatto degli specchi lacustri, il complesso della flora igrofila ed idrofila 
così caratteristica della pianura padana, quella alofila delle barene la- 
lagunari e delle dune di spiaggia, sonn tra i principali argomenti su cui 
dovranno convergere le future esplorazioni. E grandissimo conto dovrà 
concedersi all’opera dell’uomo e quiadi alla sua influenza distruttiva o 
modificatrice, che è potentissima, specie nella bassa pianura. La raccolta 
metodica e regolare dei dati sulle specie avventizie o naturalizzate, di 
quelle coltivate o sfuggite alla coltura, e comunque di origine esotica, 
sulla traccia del programma redatto da uno di noi (BfeuInoT), recherà 
non poca luce su un gran numero di questioni controverse. Ed a questo 
scopo vivamente raccomandiamo anche la raccolta di tradizioni e di 
documenti storici concernenti la natura e l’estensione delle associazioni 
originarie sostituite dalle attuali colture, non che quella di nomi di loca- 
lità derivati da nomi di piante o da relative formazioni. E chiunque 
imprenderà questo genere di studi sarà cpportuno pure che tenga dietro 
al paleontologo ed alle sue scoperte sulle abitazioni lacustri e sulle ter- 


28 


ramare, ricordando i brillanti risultati ottenuti da simili indagini in 
Svizzera da HeER e NEUWEILER e da noi da STROBEL e PIGORINI, von 
SACKEN, GOIRAN, SORDELLI, ecc. 


Appennino e territori dipendenti. 


Per comodità di trattazione possiamo così suddividerlo : 


I. — Appennino settentrionale. 


Questa parte dell'Appennino si estende, secondo i trattati di geo- 
grafia, dal Passo di Cadibona, ove staccasi dalle Alpi Marittime, sino 
al Passo di Bocca Serriola, a cavalcioni tra la valle del Tevere e del 
Metauro e presenta una importantissima diramazione chiamata Preap- 
pennino toscano. 

Questa delimitazione può essere accettata anche dal lato floristico. 
L’esplorazione della flora di questo tratto di Appennino ebbe come 
direttiva i due versanti in cui si suddivide, dimodochè il crinale, bat- 
tuto dai botanici che salivano dall’una e dall’altra parte riuscì in molti 
punti meglio esplorato di parecchi contrafforti; le provincie sedi di 
Università e quindi di Orti Botanici furono quelle meglio esplorate e 
così pure le località di facile accesso per mezzo di vie rotabili o di 
ferrovie. 

Molti sono i criteri adottati dagli autori e soprattutto dai geografi 
per la sua partizione in settori naturali ed è certo che la geografia bota- 
nica, quando avrà approfondito lo studio di ciascuno di essi, potrà 
proporre una suddivisione in base .a criteri fitogeografici. Per ora adot- 
tiamo provvisoriamente la seguente: 

A) APPENNINO LIGURE-PADANO. — Comprende la porzione più set- 
tentrionale sino al passo della Cisa nel Parmigiano. La porzione ligure- 
padano-occidentale di esso, floristicamente assai bene esplorata nelle sue 
pendici (Riviera ligure), lo è molto meno nella sua parte dorsale o cen- 
trale; ancor meno lo è il versante padano compreso nella provincia di 
AJessandria. La porzione ligure-padano-orientale è stata invece meglio 
esplorata sul versante padano che su quello ligure, eccezion fatta del- 


l'Appennino piacentino. Lasciando da parte le Flore italiane generali ed 


i lavori di minor conto, le migliori fonti alle quali possiamo attingere 
per avere una idea della flora di questa parte dell'Appennino sono, pel 
versante ligure, il Repertorium Florae Ligusticae del De NorARIS (1844) 
e la Florae ligusticae synopsis del PeNZIG (1897), preceduta da uno 
schizzo fitogeografico abbastanza ampio pel versante padano, l’Herba- 
rium pedemontanum del Cora (1833-37), la Flora Ticinensis di Nocca e 


< 


del 


29 


BaLBIS (1816-21), il Prospetto delle piante della provincia di Pavia del 
Rota (1852) e le Aggiunte alla Flora pavese del FARNATI (1900), questo 
ultimo lavoro limitato però finora alle sole Monocotiledoni. Recentemente 
il PavaRINO (Atti dell’lstituto Botanico di Pavia, sez. 2*, vol. 12 e 14), 
ha pubblicato due note intorno alla flora del calcare e del serpentino 
nell'Appennino Bobbiese, ed è in preparazione un lavoro complessivo del 
Gora sulla vegetazione del versante Padano di questa porzione dell’Ap- 
pennino. Segue quindi una notevole lacuna costituita dalla provincia di 
Piacenza, quasi inesplorata, per giungere all’ Appennino parmigiano, la cui 
flora è assai bene nota grazie alla Flora dei contorni di Parma del Pas- 
SERINI (1852) e successive aggiunte di AvettA, CAsoNI e Borzon. Ha 
inoltre carattere fitogeografico la relazione di una Gita botaniva agli Ap- 
pennini Boglelio e Lesine (Puvia 1823), dovuta al BERGAMASCHI. 

In complesso però dobbiamo con rincrescimente riconoscere che 1’ Ap- 
pennino ligure-padano, tranne pochi tratti, è appena mediocremente 
esplorato dal lato floristico, e quindi sono vivamente desiderabili delle 
nuove e più estese ricerche, condotte con criteri moderni. 

Infatti, benchè la flora di questo tratto di Appennino, eccezione 
fatta della Riviera, sia monotona, non molto ricca di specie e mancante 
di endemismi, offre egualmente molto interesse dal lato geobotanico 
per poter seguire la probabile migrazione di piante alpine o nordiche 
dalle Alpi giù per l'Appennino e quella delle piante mediterranee verso la 


valle del Po attraverso ai valichi: questioni che sono già in parte trattate 


od abbozzate nella introduzione al lavoro del FARNETI sopracitato, ma 
non convenientemente documentate, causa le scarse indicazioni floristiche. 
È quindi da augurarsi che ulteriori e complete esplorazioni colmino le non 
poche lacune di questo settore e che le ricerche iniziate dal BoLzon e dal 
PAVARINO sulla vegetazione dei serpentini, rispettivamente del Parmigiano 
e del Bobbiese, di confronto con quelle dei finitimi terreni, siano intensi- 
ficate ed estese e che non tardi a vedere la luce una completa Flora 
Ligustica, cui ci consta attendere il prof. PenzIG. La revisione dell’Er- 
bario Ligustico del De NorarISs, completato con quello di contemporanei 
e posteriori raccoglitori e l’utilizzazione dell’ingente ed inedito materiale 
raccolto a cura del marchese G. Dorta e del prof. R. GeESsTRO, porte- 
ranno non poca luce su molteplici problemi sulla genesi della flora di 
questo settore e sui rapporti con quella delle confinanti Alpi marittime 
e della pianura padana. 

B) APPENNINO TOSCO-EMILIANO. — Il suo versante padano com- 
prende tre provincie abbastanza note dal lato floristico in virtù della 
Flora del Modenese e Reggiano di GiseLLI e PrroTTA (1882), coi relativi 
supplementi del Mori e del Fiori, della Flora del Reggiano del Ca- 


30 


SALI (1899) (60), della Flora Bolognese del Cocconi (1883) e delle diverse 
contribuzioni sulla flora della Romagna e più specialmente del Cesenate 
del DeL TESTA (1890-1903};. Hanno carattere geografico le relazioni di 
un Viaggio al Monte Ventasso ed alle Terme di Guara nel Reggiano di 
F. RE (1789), l’Zter in apenninum Bononiensem e le Notizie intorno alle 
piante spontanee dei monti Porrettani dovute a G. BERTOLONI (1841 e 1864). 
Al BaLpacci dobbiamo un breve studio tendente a mettere in evidenza 
il Posto che occupa nella geografia botanica la Flora del Bolognese e del 
Emilia (Bologna 1897): questione che dimanda ulteriori studi e ricerche. 

La flora del versante Toscano è assai nota per le esplorazioni di 
molti botanici, i cui risultati furono riassunti nel Prodromo della Flora 
toscana del CarRuEL (1860) e relativi supplementi del LEVIER e SOMMIER 
(1891) e del BaronI (1897-1902), mancante però quest’ultimo delle Mo- 
nocotiledoni. Del CAruEL abbiamo anche la Statistica botanica della To- 
scana (1871), ch'è un pregevolissimo contributo alla geografia botanica della 
regione. 

Abbastanza ben nota è la vegetazione dei monti attorno a Val- 
lombrosa riassunta dal punto di vista floristico da un lavoro comples- 
sivo del PiccioLI (1888) e da quello fitogeografico di R. SoLLa (in 
< Bull. Soc. Bot. Ital. », 1893). Ad ulteriori aggiunte attende uno di 
noi (FIORI). 

Questo tratto dell’ Appennino costituisce una seconda tappa seguita 
dalle piante nordiche ed alpine nella loro migrazione verso il sud della 
Penisola. Circa 125 specie si arrestano in questo settore ed anzi la 
maggior parte di quelle alpine non scende più al sud del Corno alle Scale. 

Pochi sono gli endemismi paleogevici dell’ Appennino tosco-emiliano 
e tutti in comune colle Alpi Apuane: ciò che, data la struttura geo- 
logica assai più recente dell’Appennino in confronto delle Alpi Apuane, 
farebbe ragionevolmente supporre che il centro di origine di questi en- 
demismi fossero state queste ultime e che da qui, lungo l’arco costituito 
dal bacino del Serchio, si fossero diffusi al finitimo Appennino. Sarebbe 
però desiderabile che questa tesi fosse dimostrata in base ad un mag- 
giore numero di dati e di osservazioni di quelli finora acquisiti. 

Un altro punto che meriterebbe di essere meglio illustrato è pure 
quello della asserita scomparsa, anche in tempi storici, di parecchie 
specie alpine da questo tratto di Appennino. Fatto che unito al ristret- 
tissimo accantonamento di altre specie, vorrebbe significare che la flora 
di alta montagna è andata impoverendosi nell’ Appennino tosco-emiliano, 


(60) Per la bibliografia del Modenese cfr. L. PicaGLIA, Bibliografia bota- 
nica della provincia di Modena, 1889 e 1892. 


bei, 


31 


lasciando in conseguenza intuire che avesse dovuto essere molto più 
ricca durante l’epoca glaciale, in modo che l’area di quelle specie che 
dalle Alpi si ripresentano ora solo nell'Appennino centrale, non aveva 
durante quell'epoca la discontinuità attuale in corrispondenza dell’Ap- 
pennino tosco-emiliano. 

C) PREAPPENNINO Toscano. — È diviso in due parti dalla Valle 
dell’Arno: a nord trovansi le Alpi Apuane ed il monte Pisano, a sud 
la così detta Catena metallifera costituita dalle colline di Volterra, 
Poggio di Montieri, Montagnola Senese, Monte Amiata, ecc. 

Le Alpi Apuane furono esplorate floristicamerte da BERTOLONI, 
Savi, CARUEL, SOMMIER, ROSSETTI, ecc., e le notizie che le riguardano 
sono registrate nei lavori complessivi sulla fiora toscana sopra men- 
zionati. Vista però la speciale costituzione geologica della catena, la 
probabilità che essa sia stata un centro di creazione di specie ed il 
luogo di rifugio attraverso l’epoca glaciale, sarebbe desiderabile che la 
sua flora fosse ancora meglio conosciuta. 

D'altra parte la metereologia delle valli del Serchio e della Magra 
ci denota che esse sono assai piovose e le Alpi Apuane, che a guisa di 
sprone dividono queste due valli spingendosi sin presso al mare, devono 
godere di una piovosità anche maggiore del vicino Appennino: sono 
quindi paragonabili sotto questo riguardo alle Prealpi friulane, tanto più 
che, come esse, sono di natura calcare. Ora, come nelle Prealpi friulane 
e venete in generale si ha un abbassamento dei limiti altimetrici, lo stesso 
fatto deve ripetersi anche nelle Alpi Apuane, ma troppo pochi sono i 
dati che possediamo per mettere in luce questo supposto, Abbiamo 
pure nella pianura che stendesi alla base delle Alpi Apuane e del- 
l'Appennino lucchese delle paludi o torbiere con colonie di piante mi- 
cerotermiche, che in tempi storici recenti erano assai meglio rappresen- 
tate di ora, le quali ci ricordano le colonie analoghe della pianura del 
Friuli e come queste debbono trarre la loro origine dall’epoca glaciale. 
Anche queste cclonie meritano tutta l’attenzione del botanico e d’essere 
meglio illustrate. 

.La flora della Catena metallifera offre un interesse assai minore di 
quélla delle Alpi Apuane, e ciò sta in relazione colla sua minore ele- 
vazione, colla discontinuità dei colli o monti che la costituiscono, colla 
estesa modificazioneche ha subìto per opera dell’uomo. Pochissimi sono 
gli endemismi che le caratterizzano (Bivonaca Saviana, Crocus vernus 
var. etruscus), ma pur tuttavia essi dimostrano dell'antichità della sua 
flora, in connessione con quella della struttura geologica. Il Monte 
Amiata, però, importante mole di origine vulcanica, va studiato separa- 
tamente. Difficile è l’accennare quali siano i problemi fitogeografici che 


el. Le E ARRET 


32 


più meriterebbero di essere studiati nei riguardi di questa regione, la 
cui esplorazione floristica appare ancora assai deficiente. Si può ad 
ogni modo accennare alla speciale flora xerofilo-alofila delle così dette 
crete Sienesi, ai rapporti floristici tra questa regione e l’Arcipelago to- 
scano, la Sardegna e la Corsica, ai confronti tra la flora silicicola del 
Monte Amiata e quella di altri distretti finitimi a natura fisico-chi- 
mica diversa, come argomenti di studio da prendersi in considerazione. 


TI. — Appennino centrale. 


Dal Passo di Bocca Serriola va sino al Passo di Bocca Forlì, che 
dalla valle del Volturno mette in quella del Sangro. Come quello set- 
tentrionale, i geografi lo suddividono in Appennino propriamente detta, 
ripartendolo in Umbro-Marchigiano, Abruzzese e Subappennino laziale. 
Dal lato floristico l'Appennino centrale costituisce invece una sola unità 
fitogeografica, nella quale potremo soltanto delineare dei centri da 
cui le specie si sono irradiate, in modo da avere un nucleo centrale 
costituito dai colossi dell’ Abruzzo e delle propagini che a nord giun- 
gono al Piceno, al sud all’Appennino campano ed al Matese, ad ovest 
al Subappennino laziale. 

Molti furono i botanici che percorsero questo tratto di Appennino, 
ma ad eccezione di quello Marchigiano pel quale abbiamo un notevole 
lavoro riassuntivo recente nella Flora Marchigiana del PaoLUCCI (1891) 
e relativi supplementi del PAoLUCCI e CARDINALI, pel rimanente ab- 
biamo flore già troppo vecchie, quali la Sylloge Florae Neapolitanae del 
TENORE (1831) e la Flora Neapolitana dello stesso (1811-38) per l’A- 
bruzzo e Campania ; pel Lazio ed Umbria, il Florae Romanae prodromus 
del SancuIinErTI (1852-1865), l’ultimo lavoro complessivo sulle due 
regioni, Queste e le posteriori ricerche non presero di mira che deter- 
minati distretti o gruppi di monti, e così per l'Abruzzo possono con- 
siderarsi come abbastanza noti i monti Maiella, Morrone e loro adiacenze 
(CESATI), i monti Velino ed Amaro ad opera del LevieR il materiale 
restò però in grande parte inedito), il Gran Sasso d’Italia, metà di 
un gran numero di escursioni, e oggetto di numerosi lavori riassunti nella 
eccellente monografia fitogecgrafica del CrRUGNOLA : La vegetazione del 
Gran Sasso d’Italia (Teramo 1894), il gruppo del Sirente (GROvES), ecc. 
Dell’Umbria furono sopratutto esplorati i dintorni del Castelluccio di 
Norcia (SAnguINETTI), di Spoleto (Corazza), di Narni (TERENZI), Pe- 
rugia (CicronI) ed i monti Terminillo, Pennino, Subasio, ecc., le isole 
del lago Trasimero furono oggetto di un lavoro di A. TERRACCIANO; 
ma non poco resta a farsi per la completa conoscenza di questo inte- 
ressante bacino. 


33 


Da Ascoli l’infaticabile OrsINI perlustrò le vicine montagne, esten - 
dendosi anche in Abruzzo e nell’Umbria e raccogliendo ingente mate- 
riale che inviava al BeRTOLONI, PARLATORE, TENORE e ad altri botanici 
contemporanei. Una nota a carattere fitogeografico pubblicava uno di 
noi (BfaurnoT) ad illustrazione del Monte Conero di Ancona. 

Quanto al Lazio, dopo la pubblicazione dell’opera del SANGUINETTI, 
continuarono le ricerche e parecchie note o memorie videro la luce ad 
opera del PrrottA, CHIOVENDA, TERRACCIANO A., MACCHIATI, SOLLA, 
BaLDINI, Bf@urnoT, ecc. Sicchè alcuni distretti si possono considerare 
come abbastanza noti. È merito del prof. PrrortA di avere riunito 
presso il R. Istituto botanico di Roma l’ingente e prezioso « Erbario 
della Flora romana » ed è in corso di stampa una completa « Flora 
Romana » in collaborazione col dott. CHIoveNnDA (61), di cui videro 
sin qui la luce parte della storia e bibliografia. Alla quale riman- 
diamo per ulteriori notizie, limitandoci qui a dire che uno sguardo 
complessivo e tutt’affatto preliminare sulla vegetazione Laziale è con- 
segnato sulla « Guida della Provincia di Roma » di E. ABaTE e che 
ricco materiale, per grande parte inedito, vi raccolsero pure il marchese 
G. Doria ed il dott. A. BfavuInoT. 

L’Appennino centrale ha una flora alpina e montana assai più ricca 
di quello settentrionale, possedendo circa 140 specie di primo ordine che 
non si riscontrano in quest’ultimo, ma si ripresentano invece soltanto 
nelle Alpi (circa 85), ovvero in altri paesi della regione mediterranea 
(18 specie) e soprattutto nella Penisola Balcanica; mentre 12 specie sono 
endemiche dell'Appennino centrale soltanto, o talune estese anche a 
quello meridionale. Molte sono le considerazioni geobotaniche che si pos- 
sono fare sui centri di creazione e sulle possibili vie di migrazione se- 
guìte da queste piante e l’argomento fu già trattato in parte dal Cru- 
anoLA nel lavoro sopra citato ed altri dati trovansi nelle pregevoli mo- 
nografie sulle Gentianae e sulle Pedicularis del Gran Sasso dello stesso 
autore. S'impone pure la discriminazione fra l’elemento alpino irradiato, 
attraverso l’Appennino settentrionale e quello balcanico con l’intermezzo, 
secondo una nota teorica, di una « Adria » terziaria o quaternaria che con- 
giungeva il Gargano con la Dalmazia. E merita pure di essere indagato 
a fondo se le lacune di alcune specie in corrispondenza dell’ Appennino 
settentrionale, nel mentre ricompaiono nelle Alpi, siano in rapporto, come 
dimostrò uno di noi (B£@UINOT) a proposito di Drypis spinosa, con la 


(61) R. PrroTTA ed E. Cniovenpa, Flora Romana in « Ann. R. Ist. bot. 
di Roma » a. X, fasc. 1-2, 1900-1901. 


34 


calcofilia delle specie o con la distruzione di stazioni intermedie, anche 
in epoca storica. 

Quanto al Subappennino Laziale, la vegetazione delle propaggini più 
avanzate e prossime presso l’attuale costa ha spiccati caratteri mediter- 
ranei, e solo quella dei distretti più vicini ai colossi dell’ Abruzzo ne ri- ‘ 
sente l’influenza e gradatamente acquista una facies montana. D’onde 
l'opportunità di seguire passo a passo il regredire della prima e l’avan- 
zarsi della seconda: ciò che non può essere fatto che in seguito ad un 
dettagliato esame dei varî e complessi distretti montuosi. L’alternanza 
di territorî vulcanici con altri calcarei offrirà pure un vasto campo di 
studio sulla distribuzione delle piante in rapporto ali’appetenza fisico- 
chimica del terreno, e meritano pure un ulteriore e diligente esame la 
vegetazione lacustre, le colonie eterotopiche a tipo mediterraneo e micro- 
termico, la flora ruderale ed arboricola, ecc. La flora e le sue varia- 
zioni lungo il basso corso del fiume Tevere in rapporto, sia al trasporto 
a mezzo della corrente, di piante orofile in pianura, come alla diffusione, 
attraverso al materiale alluvionale, di specie arenario-littoranee fu stu- 
diata da uno di noi (BfcurnoT) (62): ma merita ne sia estesa la ricerca 
a tutto il corso del Tevere ed ai suoi principali affluenti. 


III. — Appennino meridionale. 


L’ossatura principale dell’Italia meridionale è costituita dell’ Appen- 
nino mesozoico o secondario, prevalentemente calcareo, cui si addossano, 
specialmente sul versante adriatico, le più importanti formazioni terziarie 
della Penisola. Esso si prolunga, nell’estremo lembo d’Italia, con l’Ap- 
pennino primario, costituito in prevalenza da antichissime roccie cri- 
stalline. Vi sono poi i territorî preappenninici: quello tirrenico, medio- 
eremente sviluppato e di gran lunga meno importante del suo corrispon- 
dente dell’Italia centrale, e quello adriatico che si accentra nel Promontorio 
garganico e nelle Murgie pugliesi. Le due grandi pianure quaternarie 
meridionali, e cioè la pianura Campana ed il Tavoliere di Puglia, com- 
pletano il quadro geografico di questa parte della Penisola. 

Abbiamo creduto di premettere questi cenni geologici sommarî, 
poichè, come già una di noi (TROTTER) (63) ha avuto occasione di far 


(62) A. Bhiaunor. Za Flora dei depositi alluvionali del basso corso del 
fiume Tevere in « Nuov. Giorn. Bot. Iral. », n. ser., vol. VIII (1901). 

(63) A. TroTTER. La Fitogeografia dell’Avellinese, in « Congr. Nat. Ital. », 
Milano, sett. 1906. Milano, 1907. 


35 


rilevare, le provincie geografiche dell’Italia meridionale quasi mai coin- 
cidono con quelle amministrative, bene spesso adottate dai floristi. E 
crediamo di dovere insistere anche in questo programma in tal genere 
di distinzione, onde le future ricerche abbiano una base naturale di ope- 
razione e di riferimento. Ma prima di entrare ad esaminare lo stato 
delle conoscenze nei varî distretti del ramo, diremo che l’ Appennino me- 
‘ ridionale, a differenza del settentrionale e centrale, ha due lavori com- 
plessivi, nei quali, fino a quasi tutta la prima metà del secolo scorso, si 
trovavano riuniti la massima parte dei dati acquisiti alla scienza. Sono 
la Flora napolitana del TenoRrE (1811-1838) e la sua SyZloge plantarum 
vascularium Florae neapolitanae (Neapoli, 1831), con quattro notevoli ap- 
pendici uscite posteriormente fino al 1842. Le due opere sono il frutto 
di numerose e fortunate ricerche, in molteplici settori e provincie della 
Italia meridionale, compiute dal TENORE stesso e dai suoi più o meno 
valorosi collaboratori, tra i quali ricordiamo BASELICE, CANONICO, CA- 
SALE, Gravina, MARINOSCI, NOTARJANNI, Rosano, TARSIA-INCURIA, ed 
eminente fra tutti il Gussone. 

Su di un programma prestabilito essi inviarono «rapporti » più o 
meno dettagliati e laboriosi al TENORE, pubblicati tra il 1810 e il 1815 
(in « Giorn. Encicl. di Napoli », vol. I e JI) e riuniti quindi in due vo- 
lumi sotto il titolo: Raccolta di viaggi fisico-botanici effettuati nel Regno 
di Napoli dai collaboratori della Flora napolitana. Ogni collaboratore 
sin dal primo rapporto, aveva stabilito il programma delle escursioni 
che avrebbe dovuto compiere per la conoscenza botanica del territorio 
a lui affidato, da svolgersi nello spazio di circa un decennio di escur- 
sioni. Però i più dei collaboratori si limitarono ai risultati ottenuti dal 
sole primo anno di ricerche e perciò tali rapporti si riferiscono in 
molti casi alla decima parte del territorio che essi avrebbero dovuto 
esplorare. Il programma fu proseguito, quindi, dal TENORE con la 
valida ed intelligente cooperazione del Gussone ed i risultati ottenuti 
dalle varie peregrinazioni sono incorporati nelle due opere citate e 
soprattutto nella SyZloge: le quali chiudono, perciò, ed onorevolmente 
il primo periodo della floristica meridionale nel secolo xIx. Allo stesso 
TENORE devesi il noto Cenno di geografia fisica e botanica del Regno di 
Napoli, Napoli 1827, che restò l’unico lavoro complessivo a carattere 
fitogeografico, che anche oggidì possa essere consultato con qualche 
vantaggio. 

Dal 1850 fino ai nostri giorni, nuovi e non meno diligenti esplora- 
tori percorsero questa o quella regione e contribuirono a farne meglio 
conoscere la flora. Cosicchè tra le vecchie e le nuove pubblicazioni, la 
bibliografia floristica dell’Italia meridionale può dirsi discretamente 


. 


36 


ricca. Fssa fu riunita dal PASQUALE in quattro note speciali (64): bi- 
bliografia la quale è però suscettibile di aggiunte, non solo per recen- 
tissimi lavori, ma anche per altri meno recenti, ma in verità notevoli, 
sfuggiti all’oculatezza del bibliografo. Ad essa, in ogni modo, noi ri- 
mandiamo, senza entrare a questo riguardo in soverchi particolari. 

Ciò premesso, passiamo a sommariamente esaminare lo stato delle 
conoscenze sulla vegetazione delle provincie geografiche sopra accennate. 
Le future ricerche dovranno stabilire sino a che punto tali territori 
possano costituire delle circoscrizioni floristiche. 

A) APPENNINO MES0Z0100. — Può suddividersi in Appennino Cam- 
pano, dal Matese al Sele, compresavi anche la Penisola Sorrentina, ed 
Appennino Lucano, dal Sele al Monte Pollino, compresovi l’impor- 
tante sistema montuoso, un po’ staccato, del Cilento. 

1. Appennino Campano. — È la parte meglio nota di tutta l’Italia 


meridionale. Esso fu oggetto, per quanto riguarda la parte compresa - 


nella provincia di Caserta, delle assidue ricerche di N. TERRACCIANO, 
riassunte nelle pregevoli quattro Relazioni intorno alle peregrinazioni 
botaniche fatte per disposizione della Deputazione provinciale di Terra di 
Lavoro in certi luoghi della Provincia (Caserta 1872-1878), ed in poste- 
riori note dedicate soprattutto alla flora dei dintorni di Caserta e della 
vallata del Volturno. Negli ultimi anni il FALQUI estendeva le ricerche 
nella parte più settentrionale dell'Appennino Campano, ai confini con 
quello Laziale, nel mentre la flora dell’Avellinese e quindi la catena dei 
Monti Irpini, era riassunta in un lavoro complessivo, con la relativa 
bibliografia, dal CASALI, Flora Irpina (Avellino, 1901), e posteriori contri- 
buzioni debbonsi al FERRARIS e soprattutto ad uno di noi (TROTTER) 
che, allargando il territorio di studio ed approfondendo la inquisizione 
sistematica, ebbe la fortuna di trovare non poche entità nuove per la 
regione, potè radiarne altre indicate per errore redigendo anche lo schizzo 
fitogeografico sopra citato, base di un lavoro complessivo che non tarderà 
molto a vedere la luce. Pur visitato e discretamente esplorato fu il gruppo 
del Matese, situato più a Nord, ma possiede una bibliografia sparsa che 
dovrà essere opportunamente riunita, riveduta e lumeggiata con nuove 
osservazioni e con criteri fitogeografici. Al che crediamo voglia accin- 
gersi il prof. ViLLanI che da qualche anno si va occupando di quella 
flora. Un confronto tra la Flora del Matese e quella del Monte Biokovo 


(64) FR. PasQquaLe. Bibliografia botanica riguardante la flora delle piante 
vascolari delle provincie meridionali d’Italia in « Nuov. Giorn. Bot. Ital. », n. ser., 
vol. I, 1894, p. 259. Per le aggiunte cfr. « Bull. Soc. Bot. It. », an. 1896, p. 19, 
an. 1901, p. 238; « Annali di Botanica », v. IVy an. 1906, p. 133. 


Di 


37 


nella Penisola Balcanica (Dalmazia) è dovuto al Prior già ALE- 
XANDER (65), florista inglese, che visitò anche la Sicilia, ed il cui nome fu 
dimenticato in tutte le Bibliografie floristiche italiane. Anche abba- 
stanza percorsa e sufficientemente illustrata fu la Penisola Sorrentina, 
tratto di unione fra i monti Campani e le isole del golfo di Napoli, ma 
è vivamente desiderata una completa illustrazione, cui ci consta atten- 
dere l’ing. M. Guapagno che vi ha largamente erborizzato. Al dot- 
tor MarcELLO devonsi vari e recenti contributi alla flora della penisola 
sorrentina, per il versante orientale prospettante Cava dei Tirreni. 

2. Appennino Lucano. — Discretamente noto, per le ricerche di 
numerosi botanici, ed egregiamente il gruppo del Monte Pollino, sul 
quale N. TrerRAccIANO redasse la pregevole Synopsis plantarum vascu- 
larium Montis Pollini, 1889, e la successiva Addenda (1900). Ulte- 
riori contribuzioni pel gruppo e per altri monti Calabri e specialmente 
per la Valle del Lao, devonsi, negli ultimi anni, al Longo. La recente 
scoperta di Gentiana crispata Vis. fatta dal prof. CAvaRA a Monte Pol- 
lino, sta a dimostrare come vi sia la possibilità di altre interessanti sco- 
perte nella zona montana e subalpina dei monti di Basilicata. Assai poco 
noti sono i monti del Cilento, regione così interessante per la presenza 
dell’endemica Primula Palinuri, non essendovi che alcune notizie for- 
nite in antico dal PeTAGNA, quindi da GrorDANO e più di recente dal 
Longo e dal GuapaGno. Pare sia stato diligentemente esplorato anche 
dal Lacarra, ma il materiale raccoltovi restò fin quì inedito. Della Ba- 
silicata, entro i cui confini si estende la più ampia parte dell'Appennino 
Lucano, il professore A. TERRACOIANO iniziò, preceduta da una interes- 
sante prefazione fitogeografica e dalla bibliografia, la pubblicazione di un 
Prodromo della Flora Lucana (Caserta, 1893), opera arrestatasi disgraziata- 
mente al 1° volume. Ben noto, grazie a due pubblicazioni di N. TERRAC- 
cIano (1876 e 1907), è l’agro murense. Qui da ultimo ricordiamo che la Ba- 
silicata fu largamente percorsa nella prima metà del secolo xrx dal 
GASPARRINI, ed il ricco erbario, tutt'ora inedito, conservato presso il 
R. Istituto botanico dell’ Università di Pavia, potrà essere utilizzato con 
grande vantaggio dai futuri illustratori della regione. Numerose piante, 
raccolte del pari dal GASPARRINI nell'Italia meridionale, trovansi anche 
nell’« Erbario GussonE », al quale ora si accennerà. 

B) APPENNINO PRIMARIO CaLaBRO. — Questa zolla arcaica del- 
l’estremo lembo d’Italia, che s’impernia intorno ai gruppi della Sila 
e dell'Aspromonte, ebbe numerosi esploratori. Tra i primi visitatori 


(65) « Ann. Nat. Hist. », XVII, p. 124, an. 1846; cfr. anche «Jahresber, 
Pollichia », an. 1846, p. 25, e GRISEBACH, « Veget. du Globe», I, p. 515-516. 


38 


dobbiamo ricordare il Gussone, che percorse le Calabrie negli anni 
1823-1824 e ne riferisce nella Plantae rariores; però il materiale più 
ingente fu da lui raccolto nel viaggio del 1827, ma disgraziatamente è 
rimasto inedito. È noto come il manoscritto del lavoro da lui prepa- 
rato sulla Flora delle Calabrie e presentato all'Accademia delle Scienze 
di Napoli, per incuria del segretario del tempo, andò perduto nè fu più 
possibile ritrovarlo. Il GussoneE se ne accorò tanto che non volle più 
rifare il lavoro, non solo, ma da allora non volle dare più altro alle 
stampe negli Atti di quella Accademia. Ciò che egli disgraziatamente 
mantenne, salvo le brevi contribuzioni fatte posteriormente assieme al 
TENORE, forse per deferenza di discepolo e di amico. Perciò l’« Erbario 
GussonE », che si conserva presso l’ Istituto botanico dell’ Università di 
Napoli, contiene inedite le raccolte botaniche delle Calabrie; anzi pos- 
siamo aggiungere essere inedita un’altra parte notevole del materiale 
della Flora meridionale, raccolto o dal GuSSoNE stesso durante le sue nu- 
merose escursioni, od avuto da altri, e che egli forse destinava ad un la- 
voro più ampio sulla Flora napoletana. Tra le molte piante interessanti che 
vi si contengono ricordiamo ad es. l’ Asarum curopaeum raccolto dal Gus- 
soNnE in Basilicata, mentre dai Compendi sulla Flora italiana non pare 
sia mai stata indicato più al Sud del Lazio. Il cartellino che l’accom- 
pagna porta la data 6 giugno 1827 e perciò avrebbe potuto benissimo 
apparire in uno dei supplementi della $y/loge del TENORE. Sta però 
il fatto che nè questa, nè molte altre piante interessanti si trovano in 
quest’Opera : è questo un piccolo problema psicologico nella vita scien- 
tifica del Gussone che potrà essere meglio chiarito nella revisione del 
suo Erbario o dall’esame di altri documenti. L’attività ben nota del 
prof. CavaRrA, lascia sperare che queste ricchezze dell’Erbario generale 
gussoniano possano ben presto esser date alla luce, a vantaggio degli 
studiosi, omaggio al tempo stesso all’illustre quanto modesto botanico 
irpino. 

La Flora delle Calabrie pertanto, tutt'ora da farsi, è sparsa in varie 
pubblicazioni di BROCCHI, GASPARRINI, GussoneE, PASQUALE, BISOGNI, 
PortA e Rico, Fiori, Longo, MIcHELETTI, MOTTAREALE, MACCHIATI, 
PrEDA, SoLLa, Zoppa, ecc., sorte, abbiamo detto, comune alla più 
parte delle regioni in cui può scomporsi geograficamente ed anche am- 
ministrativamente l’Italia meridionale. 

C) PREAPPENNINO ADRIATICO. — Il gruppo montuoso del Gargano, 
una delle regioni floristiche più interessanti dell’Italia meridionale, fu 
campo di numerose esplorazioni a cominciare da MaRANTA e MICHELI 
per venire a BASELICE, Gussone, TENORE, RABENHORST, PASQUALE e 
LicoroLI, PorTA e Rico, MARTELLI, FroRI, etc. Uno di noi (B£GUINOT) 


39 


ebbe occasione, nell’estate del 1902, di farvi importanti raccolte nel 
versante orientale e specialmente nei dintorni di Vieste e si riserva di 
farne quanto prima una completa illustrazione. Raccolte ed osserva- 
zioni, del pari inedite, furono fatte più di recente da ForrI e TROTTER, 
i quali nel luglio 1907 ebbero modo di svolgere un ampio itinerario at- 
traverso il promontorio garganico. È desiderabilissimo — specie a suf- 
fragio dell’invocata ipotesi di una terra adriatica, di cui il Gargano 
sarebbe uno dei relitti che non tardi a vedere la luce un lavoro 
complessivo su quella Flora. Gli stessi Compendi non hanno collazio- 
nato sufficientemente la Flora garganica già edita. Il lavoro del RABbN- 
HORST, ad esempio, ben noto invece ai crittogamisti, fu completa- 
mente dimenticato, crediamo anche per le altre regioni italiane da lui 
esplorate. Le piante garganiche da lui raccolte (circa 750 specie) assieme 
a quelle di Tenore, Porta e Rico e di MARTELLI (quest’ultime in 
parte inedite) costituiscono il nucleo più importante per lo studio della 
Flora garganica. Tra le piante raccoltevi dal RABENHORST ci basti il 
ricordo dell’Apocinum venetum, il cui habitat dai Compendi è limitato al 
solo littorale da Chioggia a Trieste. 

Le « Murge » pugliesi e le « Serre » salentine, regioni del pari assai 
.nteressanti, i cui rapporti floristici con le terre balcaniche non sono 
meno significativi, posseggono pure una bibliografia assai sparsa. I la- 
vori floristici più completi, o per meglio dire più friassuntivi, sono la 
Flora della terra di Bari del defunto PALANZA, opera postuma pub- 
blicata a cura dell’on. JATTA (Trani, 1900) e la /ora salentina del 
Marinosci, la quale risale al 1870, incrementata però, più tardi, dalle 
ricerche di Groves (1877 e 1887). La prima di queste non registra che 
1160 specie e da ciò si comprende come non poco vi sia ancora da 
aggiungere. Mancano poi dati fitostatici e fitogeografici (salvo un breve 
accenno alle due zone floristiche della pianura e della collina) che cer- 
tamente riescirebbero di grande interesse, permettendo di stabilire in 
maniera sicura la struttura di questa flora ed i suoi rapporti con quella 
del Gargano da una parte e con quella dell'Appennino primario, secon- 
dario e terziario dall’altra. 

D) APPENNINO TERZIARIO. — Più scarse e più frammentarie ancora 
sono le notizie che noi possediamo sul territorio ampio che si stende 
tra la regione calcare delle Puglie ora ricordata e l’Appennino meso- 
zoico Campano e Lucano; territorio costituito esclusivamente da for- 
mazioni terziarie in qualche luogo orograficamente ed idrograficamente 
importanti, formando esse lo spartiacque dei due versanti appenninici. 
Lavori floristici speciali per questo territorio, geologicamente individua- 
lizzato, non sembrano esistere. Le notizie sulla sua flora conviene at- 


d-a 


gr ge 


* 


40 


tingerle da quei lavori che, trattando in generale dell’ Appennino meso- 
zoico Napoletano, o del Preappennino adriatico, si sono estesi anche 
tratti più o meno notevoli di queste formazioni terziarie. Possiamo ag- 


giungere che molti dei lavori che riguardano la Basilicata, considerata 


in senso amministrativo, comprendono anche tratti più o meno estesi 
dell’Appenrino terziario. È ad ogni modo una delle regioni meno esplo- 
rate appunto per trovarsi nella parte più centrale della penisola, lon- 
tana perciò dalle grandi vie di comunicazione e dai grandi centri. Il 
Monte di Trevico, il Monte Crispiniano, il Monte Cornacchia, che si 
spingono oltre i 1000 m. e sino ai 1200, costituendo le maggiori eleva- 
zioni della catena terziaria, non furono toccati da alcun botanico, e 
così pure ampie estensioni di colline ed altipiani che si estendono dalla 
provincia di Campobasso, attraverso le provincie di Benevento, Avel- 
lino e Potenza, sino al Golfo di Taranto. La regione del Monte Vul- 
ture, vulcano pleistocenico, circoscritta da queste formazioni terziarie, 
è ancora una delle parti più note di questo vasto territorio. La $Sy- 
nopsis della flora del Vulture di N. TeRRACCIANO, risale però al 1869. 
La vegetazione macro - e microspica dei due crateri laghi del Vulture, 
fu oggetto di uno studio speciale da parte di due di noi (FORTI e 
TROTTER, 1908). 

E) PREAPPENNINO TIRRENICO. — Nelle pagini precedenti avemmo 
già occasione di accennare al promontorio Circeo, abbastanza noto. Meno 
nota è invece la flora del Capo Palinuro (vedi quanto fu detto sopra per 
il Cilento) di cui sarebbe assai interessante redigere un completo censi- 
mento, grazie alla vetustà geologica della regione nella quale affiorano 
larghe zolle di calcari giuresi. 

F) PIANURE MERIDIONALI. — Importanti e perciò degne di parti- 
colare ricordo sono soltanto la pianura Campana, la pianura d’Eboli ed 
il Tavoliere di Puglia. Non studiate fino ad ora quali entità geografiche, 
come si dovrebbe e quali sono, furono solo percorse da varî botanici che 
ne riportarono un maggiore o minore numero di piante, unitamente a quelle 
delle regioni confinanti, botanicamente però e geograficamente diverse. 
Nella pianura Campana erborizzarono TENORE, Gussone e N. TERRAO- 
orano, al quale ultimo devonsi le notizie più importanti consegnate in 
parecchi lavori, cui sopra fu accennato. Più scarse notizie si hanno per 
quella d’Eboli, percorsa da TENORE, GussoneE, PasquaLE e PeDICINO. 
I dati, molto disorganici, come si è detto, sul Tavoliere di Puglia devonsi 
a BasELICE, Gussone, Porra e Rico, TENORE e qualche altro. Uno 
studio comparativo sulla flora delle due srandi pianure meridionali, simili 
per altitudine, latitudine e configurazione, ma profondamente diverse 
dal lato floristico, per diversità di fattori climatici ed edafici, sarebbe 


di e 


4l 


quanto mai desiderabile. |ornirebbe certo una chiara prova, se altre non 
ve ne fossero, come nell’Italia peninsulare, specialmente centrale e me- 
ridionale, la distribuzione delle piante sia forse più grandemente influen- 
zata dagli spostamenti longitudinari che da quelli latitudinari e che ad 
ogni modo il versante adriatico possiede una facies floristica del tutto 


particolare. 
11 Vesuvio, cui per affinità di origine e di suolo si possono unire i 
Campi ed i colli Flegrei — caratteristico e quanto mai svariato settore 


intercalato fra il mare, la pianura Campana e l’appennino mesozoico — 
furono visitati ed illustrati da un grande numero di botanici, tra cui 
ricordiamo i più volte nominati TeNnoRE e Gussone, non che CrrILLO, 
PeEDICINO, PASQUALE, HERBICH, CorNAZ e parecchi dei recenti. Il di- 
stretto vesuviano, di confronto con la vicina isola calcarea di Capri, trovò 
una pregevole illustrazione da parte di E. PasquaLe (1868) e di con- 
fronto con la vegetazione etnea da parte del prof. BACCARINI (1881), 
mentre il De Rosa (1906) ci dà una breve relazione sullo stato attuale 
della flora vesuviana dopo la grande eruzione dell’aprile 1906. Ci consta 
che da qualche tempo sulla flora dei Campi Flegrei — zona del più 
grande interesse — si stia occupando il prof. N. TERRACCIANO e speriamo 
non tardi a renderne noti i risultati. Una esauriente monografia meri- 
terebbe anche il distretto vulcanico di Roccamonfina, fin qui assai imper- 
fettamente noto. 

Da quanto abbiamo esposto si ricava che la bibliografia botanica 
dell’Italia meridionale è tutt’altro che scarsa, sebbene quasi sempre 
trattisi di elenchi ed altre sommarie notizie per lo più disperse in pub- 
blicazioni frammentarie. Manca la coordinazione di tutto questo mate- 
riale, il completamento di non poche lacune, la correzione di un forte 
numero di errori sistematici ed una serie di ben condotte monografie 
fitogeografiche che affrontino e risolvano, od almeno facciano sentire ed ap- 
prezzare i non pochi ed interessanti problemi che essa nasconde. Sarà 
questa la maniera più spedita per addivenire, nel più breve tempo pos- 
sibile, ad una rifusione ed aggiornamento della Sy/oge del TENORE (cui 
il controllo diretto del suo Erbario arrecherà non poco vantaggio) e ad 
un lavoro fitogeografico d’assieme vivamente desiderato. 


* 

» * 
Avendo, sia pure in forma sommaria, accennato a suo luogo ai princi- 
pali problemi fitogeografici della complessa catena appenninica non cre- 
diamo di doverci indugiare in ulteriori particolari. Per quanto concerne i 


criteri secondo i quali devono essere raccolti i dati topografici si rimanda 
a quanto sopra si è detto a proposito delle Alpi e della Pianura Padana. 


cela ‘eee 


42 


Littorale ed isole. 


La regione appenninica ed in piccola parte i territori alpini e pa- 
dani terminano verso la costa in un’orlatura di terreno variamente 
esteso, costituito per lo più da materiali di spiaggia e cioè dalle così 
dette dune, ora recenti ed in via di formazione, ora già costituite ed 
in vario grado di consolidazione. Ad esse si mescolano, in corrispon- 
denza della foce dei fiumi e dei torrenti, sabbie di origine alluvionale. 
Questi materiali, soprattutto dove la spiaggia è pianeggiante, formano 
qua e là barre più o meno estese che ostacolano il pronto deflusso delle 
acque, contribuendo così alla costituzione di stagni, paludi, lagune, ecc. 
In varî settori le ultime propaggini dell'Appennino scendono fino al mare 
ed il materiale di spiaggia manca od è limitatissimo: altre volte, conti- 
nuandosi con quello alluvionale, s'incunea per tratti più o meno lunghi 
nelle vallate, offrendo così una via per la lenta diffusione di specie are- 
nario-littoraneo. Qualche distretto montuoso isolato, come il Circeo e 
l’Argentario, è congiunto con l'Appennino per l’intercapedine di materiali 
di spiaggia, mentre il versante marino è battuto in breccia dal mare. 
In questi territorì, come è ben noto, è tipicamente sviluppata la mac- 
chia mediterranea, ora da sola (almeno nell’attualità) ed ora come sot- 
tobosco di formazioni nemorali a struttura eminentemente xerofila. Fram- 
miste ad essa o negli spazi liberi, dove le arene sono asciutte, s’insediano 
un grande numero di arenarie o psammofile, ora alofile ed ora soltanto 
xerofile: nelle scogliere sotto l’impero dell’onda marina dominano varie 
specie rupestri soprattutto alofile e nei settori umidi — specie in cor- 
rispondenza di terreni argillosi — determinati gruppi di alofile (spe- 
cialmente Chenopodiacee) ed altre igro- ed idro-fite continentali. Dove 
le arene hanno raggiunto un grado notevole di consolidazione od il 
terreno è sassoso si stendono lembi di formazione pratense. 

Tale a grandi tratti la struttura della vegetazione littoranea nel 
continente e nelle isole, Tranne limitati cataloghi e qualche considera- 
zione fitogeografica in lavori comprensivi, non ci risulta che sin qui sia 
stato redatto un elenco completo od una speciale monografia di una 
flora così interessante. Le cui notizie devono perciò essere attinte nei 
diversi lavori floristici delle provincie o distretti che hanno una zona 
lungo il littorale ed in quelli che riguardano isole determinate. Qui ri- 
cordiamo solamente che la Maremma toscana fu particolarmente esplo- 
rata dal SoMmMIER, le paludi pontine ed in generale il littorale romano 
da FrorinIi-MAzzantI, WARION, GRAVIS, TERRACCIANO, CHIOVENDA © 


43 


più di recente dal Bfaurnor (66). Ben poco invece si conosce della ve- 
getazione della spiaggia che intercede da Ravenna al Gargano, dei laghi 
di Lesina, Varano, Salpi, cce., e quasi nulla della strattura floristica in 
corrispondenza dell’estuario padano. Moito materiale fu raccolto nelle 
isole italiane, ma di studi speciali, a carattere fitogeografico, non sap- 
piamo citarne che uno del Ponzo sulla flora psammofila di Trapani (1905), 
uno del Ross sulla vegetazione delle spiaggie della Sicilia (1899) e due 
del SANNA (1904) e Casu (1905-07) sulla flora delle saline di Cagliari. 
La diffusione delle piante arenario-littoranee lungo le sabbie alluvionali 
de! basso corso del Tevere fu illustrata, come sopra fu detto, dal Bf- 
GUINOT (1901): ma molto ancora resta a farsi al riguardo e specialmente 
sulla grande arteria padana. Vanno pure ripresi in esame i rapporti che 
legano la vegetazione psammofila con quella dei distretti preappenni- 
nici prossimi o lungo la costa (Argentario, Circeo, Palinuro, ecc.) i quali 
— come dimostrano le molte arenario-rupestri in comune — devono aver 
fornito i materiali per la flora delle dune di spiaggia, mano a mano che 
esse venivano costituendosi ed estendendosi. Siccome poi essi apparten- 
gono — tranne quelli di origine vulcanica — a formazioni geologiche 
per lo più assai vetuste, sarà opportuno di sottoporre a nuovo esame cri- 
tico la nota teorica di ForsyrH MayoR che antiche formazioni geologiche 
— come sarebbero i presunti residui insulari e continentali della cosiddetta 
Tyrrhenis — ospitano, a guisa di musei viventi, relitti dell’antica flora 
italica. E poichè è innegabile che la fisionomia e la struttura della 
vegetazione di questi territori — per lo più calcarei, ovvero isolati da 
epoca più o meno remota — presentano differenze con quella insediatasi 
in territori di più recente costituzione, in prevalenza vulcanici — resta 
a vedersi quanto è da attribuirsi all’influenza del fattore geologico e 
quanto all’influenza dei fattori edafici e specialmente alla composizione 
fisiso-chimica del suolo. E passiamo senz’altro a vedere lo stato delle 
conoscenze floristiche e geobotaniche delle isole maggiori e minori. 

A questo pruposito premettiamo che la storia e bibliografia floristica, 
nel primo trertennio dello scorso secolo, furono già fatte per le isole tutte 
dal BerTOLONI (67) e per la Sicilia dal PARLATORE (68): a queste due 
opere perciò rimandiamo per le notizie dettagliate sino a quel tempo. 


(66) Cfr. a questo riguardo: A. Biaumo. Itinerari botanici pontini nell'estate 
del 1898, in « Boll. Soc. Geogr. Ital. », 1900. 

(67) A. BaRrTOLONI. Sopra la storia ed î progressi della botanica insulare 
italiana, in « Ann. di Stor. Nat. ». Bologna, 1829, p. 2 e p. 239. 

(68) F. PARLATORE. Prospetto dello stato della botanica in Sicilia nel prin» 
eipio del secolo xxx, a. 1838. 


i 


RI i 


SN °° I 


44 


Le isole maggiori sono le tre seguenti: 

1. Corsica. — Visitata ed esplorata da un grande numero di bota- 
nici e prima d’ogni altro dai nostri AncUILLARA e Boccone, la storia 
delle scoperte botaniche in questa isola si confonde, in parte con quella 
della storia floristica d’Italia, in parte con quella della Francia, cui 
politicamente appartiene. Sta il fatto che la massima parte delle sue 
specie trovansi elencate ed illustrate, sia nelle Flore d’Italia, come nelle 
Flore francesi di De CAanpOLLE (1805-1815), LorseLEUR (1806-1807 e Sup- 
plementi), GRENIER e Gopron (1848-1856) e le più recenti di Rouy, Fou- 
cAUD, ecc. (1893-1908...) e dell’ab. Coste (1900-1906). Alla sua flora con- 
tribuirono pure VALLE, ALLIONI, VIVIANI e classiche Exsiccata vi hanno 
distribuito SALZMANN, ReQuIEN, SoLEtRoL, KRALIK, MABILLE, REVER- 
cHON, ecc.. mentre il primo abbastanza completo censimento devesi al 
MarsILLY « Catalogue des plantes vasculaires indigènes ou géenéralement 
cultivées en Corse, Paris 1872 ». Più di recente la Corsica fu visitata da 
una pleiade di botanici, soprattutto francesi, tra i quali ricurdiamo 
CHaBERT, DEBAUX, DouMET-ADpANSON, FoucauD, GiLLor, Le GRAND, 
SarenoN, MatrE, BuRNAT, BrIQUET, RicKtI, ecc. Il primo schizzo fito- 
geografico — per quanto assai schematico — risale al 1833 e devesi al 
Saris-MarscHLINS (in « Flora 1833-34 »): ma i due lavori a spiccato 
carattere geografico più recenti ed attendibili devonsi al RicKLI (69), che 
sviluppò soprattutto la parte fisionomica e geobotanica ed al BRIQUET (70), 
che si occupò — dopo avere enumerato ed illustrato le principali sta- 
zioni ed associazioni della regione montuosa — dell’origine della Flora 
orofila e dei vari ed interessanti problemi che ad essa si ricollegano. A 
questi due lavori ed alla biobibliografia redatta dal Bonnet (71) noi 
rimandiamo per ulteriori ragguagli al riguardo. Ci consta, inoltre, che 
il BRIQUET che, insieme al BurNnAT, fece negli ultimi anni due prolun- 
gate dimore nell’isola, e ne redasse un pregevole Spicilegium corsicum, 
(1905), sta ora occupandosi di un lavoro complessivo, destinato per 
certo a riuscire di un grande interesse. 

2. Sardegna. — Anche ir. quest’isola molti botanici erborizzarono e 
con elenchi di piante e distribuzioni di Exsiccata ne fecero conoscere la 
struttura floristica. i 


(69) M. RicKLi. Botanische Reisestudien auf einer Frbhlingsfahrt durch Kor- 
sika. Ziirich, 1903. 

(70) J. BriqueT. Recherches sur la flore des montagnes de la Corse et ses 
origines, in « Ann. d. conserv. et du jard. bot. de Genève », a. 5 (1901). 

(71) Ep.BonneT. Essai d'une bio-bibliographie botanigne de la Corse, in « Assoc. 
frans. p. l’avane. d, sciences ». Congrès d’Ajaccio 1901. 


45 


Come testè dimostrano i professori MattIROLO e BELLI (72), lo studio 
della Flora sarda ebbe un onorevole precursore nel secolo xvur in 
M. A. PLAZZA ; ma solo a mezzo il secolo xrx trovò degna trattazione 
nei monumentale lavoro del MorIs: Flora sardoa, (Taurini 1840-1859), che 
comprende e dettagliatamente illustra tutte le specie raccolteyi dall'autore 
in numerose ed ardite peregrinazioni e non poche descritte come nuove. 
Opera restata disgraziatamente incompleta, ma che è tuttora continuata, 
per quanto concerne le Monocotiledoni, dal MARTELLI che in molteplici 
escursioni vi ha pur raccolto un ingente materiale e scopertovi anche 
qualche interessante specie nuova per la scienza. Dopo la pubblicazione 
della Flora sardoa, molti altri botanici visitarono e dimorarono a 
lungo in Sardegna, contribuendo a farne sempre meglio conoscere la 
flora e tra questi ricordiamo SCHWEFINFURTH, AscHeERsON, BARBEY, BRAUN, 
ForsyTH-MAJOR, GENNARI, MACCHIATI, Binna, MAGNUS, MARCIALIS, ecc., 
ed alcuni vi diedero alla luce cataloghi ed aggiunte, I quali furono cri- 
ticamente riassunti nel Florae sardoae compendium di W. BarBEY, che 
condensa tutta la scienza botanica sarda fino al 1884. Questo lavoro è pre- 
ceduto da un elenco delle specie endemiche o più caratteristiche dell’Ar- 
cipelago corso-sardo — opera del LevIER +- ed è corredato di una briosa 
narrazione di un viaggio geobotanico compiutovi nel 1858 dallo ScaWEIN- 
rvrra. Altre contribuzioni dopo il 1884 devonsi al MarTIROLO (1893), Nrco- 
TRA (1895-99: specialmente sull’altipiano Sassarese), CAVARA (1991: soprat- 
tutto pei dintorni di Cagliari), BfavInoT (1905: riguarda il gen. Romulea), 
FaLQuI (1905 e 1907 : questa seconda dedicata al Gennargentu), CASU, ece. 
Ne] frattempo vi erborizzarono pure ADR. FrIoRI, GesTRO, DORIA e nella 
costa sarda settentrionale A. VACCARI, ma il materiale raccolto restò 
per gran parte inedito. 

Designare le lacune floristiche da colmare è impresa molto ardua; 
ma, in generale, possiamo affermare che, se si eccettuano i dintorni di 
Sassari e Cagliari, il massiccio del Limbara sopra Tempio ed il distretto 
montuoso che si accentra e culmina col Gennargentu, noi conosciamo 
molto imperfettamente la flora di quest’isola. Cosicchè una rifusione e 
revisione dell’opera del Moris e del BARBEY, messe al corrente con le 
più recenti scoperte e con la metodica esplorazione dei distretti ignoti 
o poco noti, s'impone e ci consta che a quest'opera attende da un trien- 
nio in qua il prof. A. TERRACCIANO. 

A differenza della Corsica ed a prescindere da sommarie osserva- 


(72) O. MatTIROLO e S. BELLI. Michele Antonio Plazza da Villafranca (Pie- 
monte) e la sna opera in Sardegna 1748-1791, in « Mem. R' Accad. Sc. Torino », 
ser. 2*, vol. LVI (1906). 


Mn, 


46 


zioni compiute su qualche distretto più facilmente accessibile — fanno 
eccezione le saline di Cagliari illustrate da Cavaga, SANNA e Casu — 
manca alla Sardegna un lavoro biogeografico di qualche estensione e 
profondità. A colmare questa lacuna il prof. L. BuscaLIonI — du- 
rante un triennio di attive ricerche — riunì un cospicuo materiale 
della Sardegna settentrionale, molteplici osservazioni fitogeografiche ed 
una bella serie di fotografie, aiutato in ciò da uno di noi (B£GtuINOT) 
che ebbe occasione di accompagnarlo in varie escursioni durante i mesi 
di luglio-agosto 1905. Sicclè tutto lascia credere che, mercè l’opera di 
diversi studiosi, la Flora sarda sarà tra breve portata all’altezza delle 
conoscenze che vennero accumulandosi per la vicina Corsica E tra i 
molti problemi che saranno sollevati, massimo sarà quello di spiegare 
i tratti comuni e le più salienti differenze floristiche e geobotaniche 
fra le due isole, attualmente solo in parte noti e intravveduti. 

3. Sicilia. — La sua flora, oggetto di continuo studio da oltre tre 
secoli, è tra le meglio note fra le isole italiane, non che di parecchi di- 
stretti e provincie del vicino continente. Possiede, quindi, una assai ricca 
letteratura, che fu testè riunita dal CANNARELLA e ad essa rimandiamo 
per più dettagliate notizie sull'argomento (73). Tra le opere floristiche più 
generali, dove trovasi cioè riunito il maggior numero di dati relativi alle 
piante sicule, qui ricordiamo il Panphyton siculum di CuPANI (1713), la Flora 
sicula di PrESL (1826, arrestatasi al volume primo), il F/orae siculae 
prodromus (1827-1828), con il relativo Supplementum (1832-1834) e la 
Florae siculae synopsis (1842-1845) del Gussone, la Flora sicula di 
TORNABENE (1887), il Syllabus forae siculae del Nicotra e la Flora sicula 
del Loyzacono, di cui videro sin qui la luce 4 volumi (1889-1907), mentre 
l’ultimo è in corso di stampa. Le classiche Exsiccata distribuitevi da 
Hurt, Toparo, Lozacono, Ross ecc. contribuirono non poco a far co- 
noscere ed apprezzare i tesori di questa flora, mentre al Gussone de- 
vesi la costituzione di un MHerbarium siculum, che tutt'ora conservasi 
presso il R. Istituto Botanico di Napoli e che è la raccolta più note- 
vole fatta da un privato in Sicilia. Ricco materiale, riunito soprattutto 
a cura del Toparo, possiede l’Ist. Bot. di Palermo, non che quelli di 
Messina e Catania. 

Se ci facciamo poi ad esaminare dettagliatamente l’opera dei di- 
versi botanici che esplorarono la Sicilia, si nota che alcuni estesero la 
ricerca a quasi tutta l’isola (Gussone, PARLATORE, i fratelli HuET, To- 
DARO, Loyacono, ecc.), senza visitare minutamente ogni singolo distretto: 


(73) P. CANNARELLA. Saggio di bibliografia floristica della Sicilia e delle 
isole adiacenti, in « Nuov. Giorn. Bot. Ital. » n, ser., XV (1908), pag. 93. 


47 


altri fecero oggetto di particolare studio la vegetazione di determinati 
distretti, che conosciamo, quindi, abbastanza, così da non richiedersi 
per ora ulteriori ricerche. 

In generale può dirsi che le esplorazioni floristiche nei dintorni delle 
tre principali città (Palermo, Messina e Catania), pur non potendosi 
considerare come esaurite, possono per ora trascurarsi in vista di altri 
luoghi quasi sconosciuti. 

E per procedere con ordine, incominciamo dai dintorni di Palermo, 
come i meglio esplorati. 

* Grazie alle assidue ricerche di PARLATORE, Toparo, LoJacoNO e 
StROBL, per citare soltanto i maggiori, non solo gl’immediati dintorni 
di Palermo, ma pure il massiccio del Busambra, con la Ficuzza, e le 
Madonie possono dirsi ben note, tanto che del Palermitano solo poche 
contrade meritano ancora ricerche ulteriori, così le alte valli dei Be- 
lice, del Torto, del Pollina e qualche altra. Riguarda questa regione la 
nota Flora Palermitana del ParLATORE (1839 e 1845) — opera disgrazia- 
tamente rimasta incompleta — e la pregevole lora der Nebroden di 
StRoBL iniziata nel 1878 ea ultimata, dopo una lunga interruzione, nel 
1903. Più recenti contributi, per quanto concerne le Madonie, devonsi al- 
l’ArBo (1905). 

La flora del Messinese, oltre che per l’opera di ParLATORE, To- 
DARO, ecc., ci è nota per merito di SEGUENZA, NicoTRA, BorzÌ, ZODDA, ecc.: 
ma dobbiamo convenire che, se discretamente noto è il distretto pelo- 
ritano, cioè quello attraversato dai monti Peloritari, non lo è il ne- 
brodicv. È vero che i suddetti botanici vi hanno fatto delle escursioni, 
ma in numero affatto insufficiente. 

A partire da Montalbano d’Elicona per procedere verso ponente, i 
territorî di molti comuni del Messinese sono quasi sconosciuti ; così nel 
versante tirreno i contrafforti che muoiono nei capi Tindari, Calanà, 
C. d’Orlando, e le valli dello Zappulla, del Rosmarino e del Tusa, e nel 
versante jonico i boschi di Mangalavite e di Capizzi, il Monte Sori e le 
alte valli del Flascio (celebre per la Petagnia) e dell’Alcantara, meri- 
tano ancora accurate esplorazioni. I due lavori più riassuntivi sono, dal 
punto di vista floristico, il Prodromus florae Messanensis del NicorRA 
(1878-1883) e posteriori aggiunte e da quello fitogeografico, quello di 
uno di noi (Zoppa, 1905). 

Una pleiade di botanici visitarono ed erborizzarono sull'Etna, la 
cui flora è così abbastanza nota, travine forse quella dei versanti nord- 
ovest e nord. Due poderosi lavori, l’uno floristico, Flora des Etna, e l’altro 
fitogeografico, Der Etna und seine Vegetation, che dobbiamo allo STROBL, 
degnamente riassumono tutte le conoscenze su questa vegetazione. Pei 


48 


dintorni di Caltagirone si hanno le ricerche, oggidì troppo antiche, di 
Taranto e GeRrBINO e le recenti di BACCARINI e CAVARA. 

Fuoruscendo da queste provincie le conoscenze botaniche vanno 
rapidamente diminuendo. 

Per la provincia di Siracusa può dirsi nota la florula dei dintorni 
immediati di Siracusa; meglio ancora quella di Noto (SiLIPRANDI) e meglio 
di tutte quella di Avola (BrancA): per il resto bisogna ricorrere al Gus- 
sone. È vergognoso che quasi nulla sappiamo della flora del versante 
australe di questa provincia, flora, che dev'essere caratteristica per la 
natura speciale del suolo (banchi calcarei) e per i grandi boschi' di 
carrubo. 

Vien dopo la provincia di Trapani, bea nota per i dintorni imme- 
diati di questa città (Toparo, Lozacono, NicoTRA, PONZO, ecc.) e per 
quelli di Alcamo (Ponzo), come anche per il Capo San Vito e il Monte 
Cofano; ma nel resto pochissimo conosciuta, specialmente per il litorale 
australe. Fra Capo Granitola e Sciacca vi sono dune, alte circa 30 metri, 
rivestite di macchia. Che se ne sa della flura di esse? Nulla. 

In provincia di Girgenti discretamente conosciuta la florula attorno 
a Girgenti fino alle Maccalube, anche quella del Monte Cammarata, 
di Sciacca (FARINA) e di Licata (Ponzo); il resto aspetta il botanico, 
che l’illustri; e particolarmente da esplorare sono le vallate del Verdura, 
del Magazzolo, del Platani e il territorio zolfifero da Comitini e Racal- 
muto a Ravanusa. 

Parrebbe poi che la provincia di Caltanisetta, tranne che dal Gus- 
SONE, non fosse stata calcata da alcun botanico; nessuna pubblicazione 
speciale di alcun territorio pertinente a questa provincia; solo notizie 
sparse in qualche opera generale (Synopsis di Gussone, Flora sicula di 
Loyacono). Fra tutte le provincie siciliane, questa gode del triste pri- 
mato dell’ignoranza in fatto di floristica! 

Dal punto di vista fitogeografico, i due lavori più generali devonsi 
al ToRNABENE (1846) ed al Nicotra nei cui Elementi statistici della 
flora siciliana (1884-1896) ha affrontato e cercato di spiegare parecchi 
problemi di geografia statica e dinamica: pubblicazione, però, incom- 
pleta, causa lo stato delle conoscenze floristiche di parecchi distretti e 


x 


l’esclusione delle isole. Altro lavoro a carattere generale è lo Schizzo 


orografico della Sicilia o itinerario botanico dell’isola del LozAcoNO (1890)," 


quello del LoPrIoRE sulla Flora lacustre (Catania, 1901); e cenni sulla flora 
delle spiaggie marine devonsi, come sopra è detto, al Ross. Limitate alle 
Madonie sono le osservazioni di LomACONO, STROBL ed ALBO ed a questi 
autori, insieme al Nicorra, dobbiamo una approssimativa conoscenza 
geobotanica del distretto. Per il Messinese nel lavoro di uno di noi 


= 


49 


(ZoDpA) (74) sono state abbordate molteplici questioni ecologiche ed 
approfondito lo studio delle formazioni ed associazioni: primo saggio del 
genere in Sicilia. Le variazioni avvenute nell’ultimo mezzo secolo nella 
vegetazione di questa provincia furono testè messe in evidenza dal 
Nicorra (1904). Più fortunato degli altri distretti è l'Etna, alla cui fi- 
togeografia contribuirono PHILIPPI, GEMELLARO, HuPFER, STROBL e Bac- 
CARINI (1901), il quale ultimo ha esteso i suoi studî a tutta la parte 
orientale dell’Isola e cercato di spiegare l’origine della flora etnea, Il 
Ponzo ha poi contribuito con parecchi e pregevoli lavori a far conoscere 
ela ecologia della vegetazione dei dintorni di Trapani, Licata ed Alcamo. 

Numerosi sono pertanto i problemi fitogeografici da risolvere; ma 
diciamo subito che potrà esserne tentata la soluzione solo quando si 
avrà una conoscenza assai meno superficiale della odierna sulla flora di 
ogni distretto siculo e solo allora, data la differenza notevole della ve- 
getazione nelle diverse parti dell’isola, potrà dividersi la Sicilia in di- 
stretti fitogeografici. 

Da quanto uno di noi (Zoppa) ha appreso da osservazioni perso- 
nali e dalla lettura dei pochi lavori fitogeografici degli autori sopraci- 
tati, è arrivato alla distinzione di un distretto peloritano, di un altro 
nebrodico, di uno delle Madonie, dell’vtneo; probabilmente ve ne sarà 
un altro esteso presso a poco al circondario di Modica, ma per il resto 

"sarebbe un’azzardata presunzione pronunciarsi ora, poichè troppo rudi- 
mentali ne sono le conoscenze floristiche. 

In quanto alle origini della flora sicula, verosimilmente esse dovranno 
ritenersi differenti, data la differenza di origine dell’ isola. Il NicoTRA 
molte osservazioni ha fatto su questo argomento e molto ha spiegato; 
egli, per esempio, ha messo in evidenza i legami fra la Sicilia, le ter- 
referme e le isole circostanti, ma per l’imperfezione attuale delle eono- 
scenze floristiche, molto rimane da spiegare. 

Resta pure da studiare la parentela degli endemismi siculi, abastanza 
numerosi, e le forme filogeneticamente simili per potere assurgere a con- 
siderazioni di un certo interesse per le origini della flora sicula. Così, 
tanto per citare un esempio, sarebbe da studiare la parentela della 
Centaurea tauromenitana, quella del Cytisus acolicus, della singolare Pe- 
tagnia, quella della Melitella, ecc., senza trascurare uno studio paleogeo- 
‘brafico non superficiale del suolo, su cui rinvengonsi tali forme endemiche. 
Da siffatto studio potrebbe desumersi quali specie si debbano ritenere per 
immigrate e quali per autoctone. 


(74) G. Zoppa. Salla vegetazione del Messinese. Saggio di ecologia botanica, 
in « Mem. CI, Se. R. Accad. d. Zelanti di Acireale »,3* ser., vol. IXI (1903-1904). 


50 


Se poi si considera come in tempi geologicamente recenti la Sicilia 
aveva colle terre circostanti rapporti differenti da quelli odierni, si scor- 
gerà che lo studio paleogeografico utilmente dovrà estendersi a tutta 
l'isola e alle terre adiacenti. 

Conveniamo benissimo che le cognizioni attuali sono a questo ri- 
guardo superficiali e che forse è prematuro iniziare uno studio generale, 
ma è bene che si cominci da singoli limitati territori. 

In conclusione per quanto concerne la floristica sicula urge racco- 
gliere dati per le provincie e pei distretti meno noti o tutt’affatto ignoti. 
La coordinazione di questi dati e di quelli delle regioni abbastanza esplo- 
rate permetterà la redazione di una serie di monografie fitogeografiche,‘ 
base di un lavoro generale sull’origine e sullo stato attuale della vege- 
tazione sicula. 


Le isole minori possono essere così raggruppate: 

1. Isole liguri — Sono distribuite in due gruppi, il primo compren- 
dente Gallinaria e Bergeggi nel golfo di Genova ed il secondo, con Pal- 
maria, Tino e Tinetto, in quello di Spezia. Notizie devonsi per le prime 
due al DE NoTaRIS, GENNARI, PENZIG, BURNAT, POLLACCI, ecc. e per, 
le altre al VivianI, DE NOTARIS, G. BERTOLONI, BARSALI e BARSANTI, 
PREDA, ecc. Negli ultimi anni il marchese G. DoRrA fece oggetto di nume- 
rose e fruttuose escursioni Gallinaria e Bergeggi. Il materiale messo a 
disposizione di uno di noi (BfGuIinoT) diede luogo ad un lavoro com- 
plessivo: La vegetazione delle isole Liguri (1907), nel quale sono riassunte 
e commentate tutte le conoscenze, sia floristiche, che fitogeografiche, 
su queste isole. Esso è corredato inoltre di una completa bibliografia, 
cui rimandiamo. Ulteriori ricerche sono desiderabili per le isolette della 
Spezia. 

2. Arcipelago Toscano. — Comprende sette isole principali, egregia- 
mente note dal punto di vista floristico, grazie ad interessanti florule 
dovute a P. Savi (Gorgona), Moris e DE NorarIS (Capraia), CARUEL 
(Montecristo), SommieR (Giglio), TANFANI (Giannutri). Manca sin qui 
un lavoro complessivo . sull’Elba e Pianosa, cui contribuirono nei tempi 
più recenti BoLzon e SOMMIER. Un ricco materiale vi fu raccolto durante 
parecchie crociere dal marchese G-. DoRIA € fu utilizzato, insieme a quello 
riunito per proprio conto, dal SoMMIER per un lavoro complessivo com. 
prendente tutte le isole nominate, più il promontorio Argentario e mi- 
nori scogli (Palmaiola, Cerboli, Formiche, ecc.) dal titolo: La flora del- 
V Arcipelago toscano (1902-1903). Altre notizie sulle sette isole principali 
trovansi in una breve relazione di una crociera invernale fatta da DORIA 
e Bfaurnor nel 1907-1908 e pubblicate da quest’ultimo nel 1901. Pur 


61 


non maucando qua e là accenni a questioni e problemi fitogeografici, 
non fu sin qui pubblicato un lavoro d’assieme e di confronto con la 
vegetazione dell’ Arcipelago corso-sardo e del continente Italiano. Ed è 
vivamente a desiderarsi che questa lacuna possa essere, in base ai 
ricchi materiali floristici riuniti, colmata al più presto. 

3. Isolette sarde. — Sono ragruppate o sparse in prossimità della costa 
della Sardegna e più o meno note nei riguardi floristici. Così, nell’ Arcipelago 
della Maddalena, l’isola di Caprera fu oggetto di un'importante lavoro 
del GENNARI (1870) e questa e le altre isole del gruppo furono investi- 

*gate per parecchi anni di seguito dal cap. dott. A. VaccaRrI, cui devesi 
una Flora dell’Arcipelago di Maddalena (1894) e successivi supplementi, 
comprendente tutte le specie da esso e da altri osservate. Pure allo 
stesso dobbiamo le recentissime Osservazioni ecologiche sulla Flora dell’ Arci- 
pelago di Maddalena (1908); lavoro complessivo a carattere fitogeografico. 
Meno nota è la florula dell’Asinara, sulla quale ;l NicorRA pubblicò 
un breve elenco (1906). Le altre isole (S. Pietro, S. Antioco, Tavolara ed 
altre minori) sono ricordate qua e la nella « Flora sarda » del Moris 
e furono visitate di recente dal MARTELLI, VACCARI e da qualche altro: 
ma non ne è stato redatto un qualunque catalogo. 

4. Arcipelago Ponziano. — Poco visitato dai botanici, esso comprende 

nSei isole, quattro delle quali (Ponza, Gavi, Zannone e Palmarola) situate 
nel golfo di Terracina e due (Ventoténe e S. Stefano) in quello di Gaeta. 
Le prime attendibili notizie floristiche sono consegnate in parecchie me- 
morie del prof. A. TERRACCIANO (1884-1885): il quale, però, non studiò 
che una parte del materiale raccolto. Prima di lui fu pure visitato dal 
BoLLE: ma l’elenco delle piante raccoltevi rimase inedito. Esso fu uti- 
lizzato da uno di noi (BfGuINOT), che ebbe occasione di compiervi due 
lunghe crociere nel 1900 e 1901, che diedero origine a tre memorie (75), 
l’ultima delle quali riassume tutte le conoscenze floristiche e fitogeo- 
grafiche su queste isole. Essa è inoltre corredata dalla completa biblio- 
grafia e ad essa rimandiamo per notizie più dettagliate. 

5. Arcipelago Napoletano. — Prospiciente al golfo di Napoli, risulta 
delle isole vulcaniche di Ischia, Procida e Vivara, Nisida e dell’isola per 
grande parte calcarea di Capri, lembo avanzato della vicina penisola 
Sorrentina. La prima e l’ultima, visitate dai botanici sopratutto napole- 


(75) A. BéGuinoT. Notizie preliminari sulla flora dell'Arcipelago Ponziano in 
« Bull. Soc. Bot. Ital. », 1900, p. 290; L’Arcipelago Ponziano e la sua flora. 
Appunti di geografia storica e di topografia botanica in a Bull. Soc, Geogr. Ital. » 
1902; Za vegetazione delle isole Ponziane e Napoletane in a Ann. di Bot. di 
R. PiroTTA » vol. III (1905), p. 181-453. 


52 


tani che ne fecero conoscere le specie più interessanti, hanno una biblio- 
grafia piuttosto copiosa: ma i due lavori più completi e riassuntivi re- 
stano per Ischia la fondamentale /ora inarimensis del Gussone (1854) e 
per Capri la Flora vesuviana et caprensis comparatae di . PASQUALE (1868), 
contenenti anche notizie geobotaniche. Meno nota restò la flora di Fro- 
cida e Vivara, di cui fu redatto un elenco da GeEREMICCA e RIpPA (1897) 
ed un secondo, preceduto da notizie fitogeografiche, da BfauInor (1901): 
ed a questi devesi anche il primo censimento delle piante della iso- 
letta di Nisida (1901) ed un contributo a quella di Capri (1905), di cui 
fu pure redatto un mediocre catalogo dai signori CERIO e BELLINI (1900). . 
Tutte queste memorie furono riassunte e criticamente commentate nel terzo 
lavoro del BécuINOT sopra citato, che è la fonte più completa di noti- 
zie sulla vegetazione di queste isole e sui molti problemi fitogeografici 
che ad esse sì ricollegano. 

| Non ci consta che alcuno abbia mai visitato gli isolotti noti sotto 
il nome di « Li Galli » presso Capri e scarsissime notizie si posseggono 
su quegli di Dino e di Cirella nel golfo di Policastro, di S. Pietro e 
S. Paolo presso Taranto, di S. Andrea presso Gallipoli, ecc. 

6. Isole Eolie o Lipari. — Sono in numero di otto (Stromboli, Pana- 
ria, Basiluzzo, Salina, Lipari, Vulcano, Filicuri ed Alicuri), non compresi 
minori isolotti e scogli. Percorse già dal Gussone che nella Synopsis 
ne fece conoscere le principali specie e visitate in seguito da parecchi” 
altri botanici, furono oggetto di due lavori complessivi del LosAcono: 
Le isole Eolie e la loro vegetazione (Palermo, 1878) e dello Zoppa: Una 
gita alle isole Eolie (Messina, 1904) — questo secondo fatto per incarico 
della Società botanica italiana — nei quali sono condensate il più ed 
il meglio delle notizie floristiche e fitogeografiche sull’Arcipelago. La 
cui esplorazione, sebbene non possa dirsi ultimata, incliniamo a consi- 
derarla abbastanza avanzata, fatta eccezione di Filicuri ed Alicuri. Di- 
gcretamente nota, a merito sopratutto di Gussone e Loyacono, è la 
flora della appartata Ustica. 

7. Isole Egadi. — Situato di rimpetto a Trapani e Marsala, questo 
piccolo Arcipelago risulta di quattro isole principali (Marettimo, Levanzo, 
Favignana e San Pantaleo) e di alcuni minori isolotti e scogli. Spesso 
ricordato dalla Synopsis del Gussone e visitato in seguito da qualche 
altro botanico, non ci consta che sia stato redatto uno speciale censi- 
mento: lacuna che spetta ad essere colmata da ulteriori e diligenti ri- 
cerche. 

8. Isola di Pantelleria. — Facente parte a sè, quest’isola eminente- 
mente appartata, fu percorsa dal Gussone che nella sua Syropsis ne 
ricorda circa quattrocento specie. Visitata quindi dal CaLcara, Ross 


i AA La 


53 


e nel 1906 dal Sommrer, devonsi a questi due ultimi due note (Ross, 
1906 e Sommrier 1907), che fecero conoscere non poche ed interessanti 
entità nuove per l’isola. Manca di un lavoro geobotanico. 

9. Isole Pelagie. — Sono tre e cioè Linosa, Lampedusa, e Lampione. 
Nonostante che molto appartate, esse furono visitate da parecchi bota- 
nici, e cioè dal LA BIiLARDIÈRE, GussonE, CALCARA, Lozacono, Ross, 
V. ZWIERLEIN, SoLLa, Zoppa, alcuni dei quali in brevi relazioni ed elen- 
chi ne fecero conoscere le principali specie. Nel 1873 SommiER ed A1uTI 
ebbero occasione di fare una abbastanza lunga dimora a Linosa ed a 

» Lampedusa, e nel < Boll. del R. Orto Bot. di Palermo » vide testè la luce una 
completa flora di queste e dell’isoletta di Lampione, corredata di una 
dettagliata storia e bibliografia, a cui senz’altro rimandiamo (76). 

10. Isole Maltesi. — Constano di un’isola maggiore, Malta e due 
minori, Gozzo e Comino. Visitate da un forte numero di botanici, s0- 
pratutto italiani ed inglesi e perlustrate da parecchi floristi ivi residenti, 
la vegetazione di queste isole risulta abbastanza nota. Ad essa contri- 
buirono sopratutto ZERAPHA con la Flora Melitensis thesaurus (1827-1831) 
GrEoH-DeELtCATA con altra Flora Melitensis (1853), non che GuLiA, DUTHIE, 
ARMITAGE, CARUANA-GATTO, ecc. A_questultimo devesi anche un lavoro 
riassuntivo: Dello stato presente delle nostre cognizioni sulla vegetazione 

a Maltese. (Genova, 1893). Ricco materiale vi raccolse il SomMmIER nel 1906 
e tra le piante più interessanti da lui trovate ricordiamo la scoperta di 
un nuovo genere (Melitella) descritto nel successivo 1907. È desiderabile 
che tale materiale, destinato certamente ad incrementare le conoscenze 
floristiche di queste interessanti isole, possa tra breve venire illustrato 
e redatta una esauriente monografia fitogeografica. 

Delle isolette più prossime alla Sicilia meritano di richiamare l’atten- 
zione quelle attorno al Capo Passero, quasi ignote nei riguardi floristici. 

11. Isole Tremiti. — Situate dirimpetto al Promontorio Garganico. 
trattasi di quattro isolette (San Domino, San Nicola, Cretaccio e Cap- 
peraia) tra loro ravvicinate, ed una distanziata (Pianosa). Poco visitate 
dai botanici, la loro flora è tutt’ora ben poco nota. Le maggiori notizie 
devonsi al GasPaRRINI che le visitò nel 1837 e ne diede una breve re- 
lazione nel successivo anno e ad A. TERRACCIANO, che nel 1890 pubblicò 
un elenco di specie raccoltevi dal prof TeLrini. Qualche dato fitogeo- 
Brafico, comunicato dal 'ERRACOIANO stesso al TELLINI, trovasi consegnato 
nella pregevole monografia geologica del gruppo pubblicata nel 1890 


(76) S. Sommirr. Le isole Pelagie Lampedusa, Linosa, Lampione e la loro 
flora con un elenco completo delle piante di Pantelleria. Appendice al « Boll. 
R. Orto Bot. di Palermo », vol. VI - VII. Firenze, 1908. 


54 


dallo stesso. Nel 1902 uno di noi (Bfaurnor) vi dimorò per una quin- 
dicina di giorni, raccoglisndovi ricco materiale tutt’ora inedito e che 
insieme a quello riunitovi dal conte U. MARTELLI, dal prof. SQuINABOL 
e dal dott. Croconi ed a lui comunicato, sarà quanto prima oggetto di 
una dettagliata illustrazione floristica e fitogeografica. Al BfGuINoT non 
fu possibile di visitare Pianosa, che resta quindi la meno nota del pic- 
colo, ma interessante gruppo. Meglio conosciuta è la florula di Pelagosa 
situata a mezza strada tra Pianosa e l’isola dalmata di Lagosta. 

Due elenchi, per quanto incompleti, della sua flora devonsi allo STOs- 
stoH (1875) ed al MarcHESETTI (1876), ed altro materiale fu comunicato 
al BfeuInOT, il quale risolse di comprenderla nel lavoro in prepazione 
sulle Tremiti. Tra breve, quindi, questo gruppo di isole potrà dirsi ab- 
bastanza conosciuto nei suoi tratti generali. 

12. Isolette della Laguna Veneta. — In corrispondenza della Laguna, 
presso Venezia, una serie di banchi di sabbia, più o meno estesi e più 
o meno profondamente trasformati dalla coltura ed in genere dal fat- 
tore antropico, entrano a fare parte del caratteristico paesaggio Lagu- 
nare. Molti botanici da tre secoli in qua le hanno visitate e la loro 
vegetazione ci è abbastanza nota attraverso le varie flore venete già 
ricordate a proposito della bassa pianura padana. Per quanto a noi 
consta non esistono — ed è deplorevole lacuna — veri e propri censi- 
menti, che valgano a metterne in evidenza quel tanto che v'è di co- 
mune e di proprio in ciascuna isola. Altrettanto dicasi delle isolette che 
compongeno la città di Venezia ed una flora urbica di paese così 
caratteristico è vivamente a desiderarsi. Uno di noi (Bf@urnoT) che si 
occupa, come sopra dicemmo, da qualche anno della vegetazione Lagu- 
nare, attende a raccogliere dati in proposito : e solo in seguito ad una 
metodica e regolare esplorazione dei singoli territori, compresi gli insu- 
lari, sarà possibile addivenire ad un lavoro fitogeografico d’assieme, 
sintesi di tutte le conoscenze geobotaniche dell’interessante regione. 

In conclusione, quindi, dal punto di vista floristico, delle isole mi- 
nori italiane alcune devonsi considerare come sufficientemente note (le 
Liguri, Toscane, Ponzio-Napoletane e parecchie delle Sicule). Le ricerche 
future dovranno, di conseguenza, volgersi a quelle sulle quali o non si 
possiede alcun censimento o questo è tutt’aftatto incompleto e poco at- 
tendibile. L’interesse che esse hanno destato negli ultimi tempi ed ‘i 
parecchi lavori in preparazione lasciano ritenere che queste lacune sa- 
ranno ben presto ed onorevolmente colmate. 

Dal punto di vista fitogeografico — se si fa eccezione dell'Arcipelago 
ponzio-napoletano, di quello eolico, delle Liguri e delle Pelagie — man- 
chiamo di vere e proprie monografie e d’altra parte molti sono i pro» 


55 


blemi che queste isole offrono allo studioso. A parte lo studio dell’in- 
fluenza dell’isolamento, avvertibile sopratutto in quelle più distanti 
dal continente e dalle maggiori, le isole italiane sono, come è ben noto, 
o di origine vulcanica ed allora per lo più di recente o di recentissima 
costituzione geologica, ovvero risultano di roccie antichissime di origine 
plutonica (graniti, ecc.) o di roccie calcaree ed in questo caso, secondo 
le note teoriche della T'yrrhenis e dell’Adria, sarebbero da considerarsi 
quali frammenti. di continenti in gran parte inabissati. Alcuni degli 
endemismi che le caratterizzano e le specie ad area saltuaria, coincidenti 
con antiche formazioni geologiche, potrebbero e furono interpretati come 
i residui di una presunta flora continentale. Ma a dare validità e veste 
scientifica a queste e simili teoriche, sarà opportuno di procedere a più 
dettagliati e rigorosi confronti con la vegetazione delle isole vulcaniche 
e stabilire così, come già fu detto nelle pagine precedenti a proposito 
dei territori continentali, quale parte è dovuta all’influenza della strut- 
tura fisico-chimica del substrato. A questo riguardo egregiamente si 
offrono quelle isole, come Giglio, Zannone, Capri, ecc. nelle quali sono 
rappresentati substrati silicei e calcarei ed alcune osservazioni già fatte 
dimostrano l’importanza dell’argomento e l’opportunità di essere appro- 
fondito. La presenza di un endemismo, quale Cytisus acolicus nelle Eolie 
e di elementi paleogenici quali Kockia saricola, Woodwardia radicans, 
Pteris longifolia, Cyperus polystachius in isole di recente costituzione, 
come Ischia, sono problemi fitogeografici di primo ordine. D’altra parte 
il recente rinvenimento di Callitris quadrivalvis e Melitella pusilla nelle 
isole Maltesi, sta a dimostrare quali preziosi documenti albergano le 
nostre isole. Degna di particolare attenzione è pure l’influenza — dato 
lo spazio limitato — del fattore antropico il quale ha indotto in parec- 
chie di esse profondi cambiamenti, sia con la distruzione o rarefazione 
delle specie indigene e specialmente dei costituenti la macchia mediter- 
ranea, sia con l’introduzione di soggetti coltivati od avventizi. E sic- 
come di territori limitati è possibile fare censimenti abbastanza completi 
— ed alcuni ne furono già pubblicati — sarà possibile, meglio che nei 
distretti continentali, rendersi conto delle vicende e delle variazioni in 
rapporto ai fattori attuali, che non possono certamente essere trascurati. 
Ricerche tutte le quali devono procedere parallelamente a quelle del 
vicino continente e delle isole maggiori, molto delle minori non essendo 
che dei lembi distaccatisi da epoca geologicamente non molto remota. 
Ed esaurito lo studio analitico dei singoli gruppi, una completa mono- 
grafia che tutti questi sparsi e frammentarî territori comprenda in una 
sintesi armonica ed equilibrata, faciliterà non poco l’intellezione del- 
l’origine e della struttura della vegetazione mediterranea. 


)-*4 


Istria e territori contermini. 


La Penisola Istriana è compresa per antica consuetudine ed anche 
per ragioni fitogeografiche, nell’ambito della flora italiana. Dobbiamo, 
quindi, brevemente occuparcene anche nel nostro programma. Premet:- 
tiamo anzitutto che essa fu oggetto di molteplici ed accurate esplora- 
zioni, a cominciare dallo ZANNICHELLI (1722), ed ha, di conseguenza, 
una bibliografia piuttosto copiosa. Tra i lavori più comprensivi, qui riì- 
cordiamo la Flora von Siidistrien del FREYN (1877) ed il Supplemento 
(1881), la Flora di Trieste e dei suoi dintorni del MARCHESETTI (1896) 
e la Flora des oesterreichischen Kistenlandes del PospicHaL (1897-1899). 
Una completa e critica bibliografia fino al 1895 ne redasse il MARCHE- 
SETTI (77), alla quale più specialmente contribuirono AScHERSON, BART- 
LING, BrasoLETTo, BorBas, FREYN, HoHENBUHEL-HEUFLER, HopPE, 
Host, KERNER, KocH, KRASAN, NEILREICH, SMITH, SoLLA, STOSSICH, 
Tommasini, UnToHY, ecc. AI MARCHESETTI, come al PosPIcHAL, al 
SoLua (si veda soprattutto la recente Contribuzione alla vegetazione del 
Carso, Trieste, 1908) ed al CaLeGARI (cfr. Nuove aggiunte alla flora 
di Parenzo în Istria seguite da un saggio di geografia vegetale nell’agro 
parentino, Milano, 1903) devonsi le principali notizie e dati fitogeografici 
sulla regione. 

Il poderoso erbario riunito a cura del TomMASINI, conservato 
presso il Museo Civico di Storia Naturale di Trieste e notevolmente in- 
crementato dal MARCHESETTI, è l’archivio più prezioso per lo studio di 
questa flora: Ja quale, come è dimostrato dalle numerose colonie di sempre- 
verdi (Arbutus Unedo, Laurus nobilis, Myrtus communis, Phillyrea latifolia, 
Rhamnus Alaternus, ecc.) e dal largo sviluppo della vegetazione medi- 
terranea, specialmente nella parte più meridionale e più prossima alla 
costa, è improntata ad un tipo spiccatamente termofilo. La penetra- 
zione nella regione veneta di molti elementi meridionali-orientali è 
evidentemente avvenuta attraverso i! tavolato dalmato-croatico ed il 
carso istriano, l’altra corrente che bordeggia le coste italiane dell’ Adria- 
tico e le propagini più avanzate degli Appennini essendosi, almeno per 
molte specie, arrestata in corrispondenza dell’estuario padano. D'altra 
parte nel carso istriano — in specialissime condizioni di stazione — non 
sono escluse colonie microterme, mentre nella zona più elevata delle 


(77) C. MaRcHESETTI. Bibliografia botanica ossia catalogo delle pubblicazioni 
intorno alla flora del Littorale austriaco in « Atti del Museo Civico di storia 
naturale », Trieste, vol. LX (1896). 


57 
estreme propagini delle Alpi Giulie ha avuto luogo l’emigrazione di 
specie alpinc-illiriche, per lo più di tipo calcicolo. Problemi fitogeogra- 
fici di grande interesse, già noti nelle loro linee generali, ma che me- 
ritano di essere ripresi ed approfonditi. Frattanto è da augurarsi che 
prosegua il lavoro analitico, specialmevte nei distretti meno noti, che 
si raccolgano tutti i dati sulla distribuzione topografica della vegeta- 
zione del Carso e se ne mettano in evidenza i principali fatti in rap- 
porto con la natura del substrato, nonchè la struttura delle formazioni 
ed associazioni. 
Sarà così più facile stabilire minuti e rigorosi confronti con la 
contermine regione veneta e specialmente col Friuli, con grande van- 
taggio degli studi fitogeografici. 


Piante inferiori o crittogame cellulari. 
INTRODUZIONE. 


Gli studi crittogamici hanno sempre avuto in Italia numerosi e 
forti cultori, cosicchè questo ramo della biologia, salvo le restrizioni 
alle quali sarà accennato a suo luogo, può dirsi vigoroso e fiorente 
.nè soffre al paragone con altre nazioni, dove gli studi sulle piante 
superiori sono pur più progrediti che da noi. Quanto alla corologia 
crittogamica, essa è ancora in Italia e dovunque, ai suoi inizi, cosicchè 
neppur da questo lato possiam dire di trovarci alla retroguardia; purchè 
non si riposi sugli allori, se si vuol conservato all’Italia il posto onore- 
vole che essa occupa attualmente negli studi crittogamici. 

I due primi censimenti generali delle crittogame d’Italia devonsi ai 
già ricordati TtRRA (2) e Romano (3), ma non sono che due elenchi di 
nomi. Spetta al BeRTOLONI il merito di aver posto le basi di una « Flora 
italica cryptogama » (78) dove trovarono adeguata trattazione le critto- 
game vascolari, i muschi, le apatiche e le alghe maggiori; ne restarono 
esclusi le alghe minori, i funghi e licheni i quali solo assai più tardi 
ebbero un completo censimerto ed una perfetta disposizione sistematica. 

Molti e preziosi materiali di crittogame giacciono presso vari Isti- 
tuti e privati, ma manca un vero e proprio Erbario centrale. La Società 
crittogamologica italiana sorta (nel 1858 per opera del De NorarIs ed 
ora estinta) col lodevole intento di intensificarne ed approfondirne lo 


(78) A. BertoLONI. Flora italica cryptogama, Bononiae, fase. I, 1858 et 
1, 1862. 


58 


studio, curò la pubblicazione di un « Erbario crittogamico italiano », 
a cui collaborarono botanici di ogni parte d’Italia e di cui furono di- 
stribuite, con grande vantaggio degli studiosi, 27 centurie (1858-1892). 
Un apposito « Commentario » rese più interessante la raccolta di cui 
è a deplorarsi la prematura cessazione. Fra i temi proposti dalla Società 
crittogamologica al Congresso nazionale di botanica crittogamica tenuto 
nel 1887 in Parma, trovò posto quello riguardante « le condizioni della 
geografia crittogamica in Italia, e quali i mezzi che potrebbero miglio- 
rarle ». Riferirono Borrini, MassaLoNGO, ARDISSONE, rispettivamente 
per i muschi, epatiche, alghe superiori marine (79), mentre i licheni ed 
i funghi non trovarono allora altro relatore. 

Il Laboratorio Crittogamico, istituito a Pavia nel 1870 da SanTE 
GarovagLIo, ora diretto dal prof. BRIoSI, fu istituzione originale, la 
quale ci conferisce un onorevole primato in questo campo e per quanto 
le ricerche crittogamiche si sieno allargate ad ogni parte d’Italia, esso 
è pur sempre un importante focolaio di studi crittogamologici. 

Si vennero così accumulando per vie diverse e con il contributo di 
una eletta schiera di studiosi, importanti dati e materiali, che dovevano 
essere integrati e messi al corrente da un’opera generale destinata a 
raccogliere e criticamente esporre i risultati di un così ingente lavoro. 
Ed è dovere riconoscere che il progetto primo ‘di una « Flora italica 
eryptogama » — basata anche sui ricchi materiali inediti conservati nel 
suo Erbario — sorse in mente al conte V. TREVISAN, ma si arrestò ad 
un modesto saggio sulle Protallogame (80). Esso fu riavanzato in questi 
ultimi anni dal prof. CavaRa (81) in seno alla Società botanica italiana, ne 
incontrò subito il favore, e la Società stessa si fece promotrice ed edi- 
trice del lavoro, affidando a numerosi specialisti la trattazione dei vari 
gruppi di crittogame. L’opera grandiosa, di cui videro sin qui la luce 
le prime puntate sui funghi e sulle alghe e le relative bibliografie, è 
sperabile trovi in breve periodo di anni il suo compimento, e che ad 
essa non manchi un largo appoggio dagli studiosi, ed un doveroso inco- 
raggiamento dallo Stato. Quest’opera colmerà, non v’ha dubbio, una 
grande lacuna nella letteratura scientifica italiana, ma non per questo 
mancherà ai presenti e futuri botanici italiani largo materiale a com- 


(79) Atti del Congresso nazionale di botanica crittogamica in Parma, 5-10 
settembre 1887, fase. I. 

(80) V. TREVISAN. Sy/loge sporophytarum Italiae in « Atti Soc. Ital. Sc. 
Nat. », vol. XVII (1875). 

(81) Fr. Cavara. Voti e proposte per ana « Flora crittogamica italiana », in 
« Bollettino Società botanica italiana », 1900, pag. 268. 


LI 


59 


pletare l’illustrazione crittogamologica del nostro paese, in alcune parti 
ed in alcune regioni deficientissima, come ognuno potrà dedurre dalla 
lettura della parte speciale che qui facciamo seguire. 


Briofite. 


Per le condizioni climatiche in altissimo grado varie, l’Italia è una 
delle terre più propizie allo sviluppo delle briofite; difatti dalla zona 
delle nevi perpetue, si va alla mediterranea calda o quasi subtropica della 
Sicilia australe e delle Pelagie, mentre abbondano le stazioni più diverse. 

È per questo che nel 1885 l’Italia, fra le regioni europee, era quella 
che possedeva il maggior numero di epatiche, 211 specie (82), numero 
che oggi è asceso a poco più di 250 ed, ammettendo che di pari passo 
siano progredite le conoscenze epaticologiche per le altre regioni, è da 
credere che dessa conservi ancora il primato. 

Anche nel campo dei muschi essa non rimane ad altre seconda, 
poichè su circa 1150 specie europee, quante ne dava il RorH nel 1905 (83), 
ne possedeva circa un migliaio. 

Per il numero delle briofite possedute dalle singole regioni italiane, 
crediamo di non errare asserendo che le più rieche debbano essere le set- 
tentrionali e a clima molto vario (Piemonte, Lombardia, Veneto) e le 
più povere, le meridionali e a clima piuttosto uniforme (Puglie) : giacchè 
le prime possono ospitare un numero maggiore di specie, offrendo sta- 
zioni e climi differentissimi; mentre le altre non ospitano che un nu- 
mero limitato, nel caso delle Puglie, rappresentato da specie mediterranee 
e, in massima parte xerofile. Si direbbe una menzogna però, se si affer- 
masse, in base a quanto oggi si sa, che l’Italia sia una terra bene co. 
nosciuta nella sua flora briologica; sventuratamente la patria di MICHELI, 
RappI, DE Noraris, VENTURI, ha avuto ed ha così pochi cultori in 
questo ramo della botanica da potersi contare colle dita.... di una 
mano; e, per quanta cura e tempo essi dedichino allo studio delle briofite, 
non è possibile, che stante la scarsezza numerica di essi, possano ren- 
dersi soddisfacenti, se non complete, le conoscenze briologiche in un 
avvenire non tanto remoto. Urge quindi che in ogni regione italiana 
sorgano cultori, specialmente giovani, che si dedichino con amore e 
assiduità alla raccolta e allo studio di queste graziose piante, e noi ci 
rivolgiamo specialmente agli insegnanti delle scuole secondarie, che in 


(82) MassaLongo. Repertorio della Epaticologia italica in « Annuario Ist. Bot, ». 
Roma, 1886, pag. 87, nota 2*. 
(83) RorH. Die enropaischen Laubmoose, 2 vol., Leipzig, 1904.1905. 


60 


altri Stati grandemente contribuiscono (assieme ai maestri elementari !) 
all’incremento delle scienze naturali. 

Dando uno sguardo alle singole regioni italiane, si osserva che anche 
le meglio esplorate hanno delle provincie quasi intere inesplorate o quasi. 
Che dire di quelle altre, e non sono poche, delle quali nulla si conosce 
di più provincie? Pur troppo può ripetersi ancor oggi ciò, che scriveva 
il MassaLongo nel 1886, che molte terre italiane sono terra virgimis: si 
pensi alle Puglie, alla Basilicata, al Molise, all’Umbria, a gran parte 
della Sicilia e dell'Emilia! 

Procediamo in questa rapidissima rassegna da nord verso sud: 

Piemonte. — Il primo, che abbia tramandato un breve elenco di 
muschi del Piemonte fu l’ALLioNI (1785), nel vol. 2° della sua Flora 
Pedemontana, seguìto dopo pochi anni (1792) dal BELLARDI, BALBIS, 
quindi Re, BrroLIi, SCHLRICHER, CoLca, Lisa, LESQUERREUX, RozE, 
CrsatI, MoLeNDO, BescHERELLE e De MeERcEY ed altri contribuirono 
in varia misura a far meglio conoscere i muschi piemontesi e le ricerche 
di essi, trovansi comprese nell’eccellente opera del De NoraRIs (Epilogo 
della briologia italiana), pubblicata nel 1869. Le ricerche briologiche con- 
tinuarono anche in seguito, ed una schiera di botanici fuvvi fino al 1887, 
in cui si conoscevano 426 muschi piemontesi su 667 italiani (84). In tale 
epoca sono da ricordare BaGNIS, PHILIBERT, HusNnoT, VENTURI, MARCHAL, 
BoRrzi, AMANN, MACCHIATI, PAYOT. 

Da allora il numero delle specie è andato aumentando, sicchè può 
considerarsi elevato intorno a 600 sopra circa 1000 specie italiane. Negli 
ultimi tempi BrIzi, BuRNAT, MOENKEMEYER, LEVIER e altri in misura 
minore, hanno pubblicato nuove contribuzioni per la conoscenza della 
flora briologica del Piemonte. 

Molti dei sopra ricordati autori si sono anche occupati di epatiche 
(ALLionI, BELLARDI, BALBIS, Re, Cocca, Cesati, De NorarIis, Mao- 
CHIATI, Pavor e LEVIER; a questi devonsi aggiungere GAGLIARDI, 
BerNET, MassaLONGO e CARESTIA, STEPHANI; che si sono occupati di 
sole epatiche; per i lavori di tutti questi oggi si conoscono circa 170 
epatiche piemontesi sopra poco più di 250 italiane. 

Di tutto il Piemonte alcuni distretti sono stati più o meno bene 
battuti dai briologi, altri no. E così, mentre i dintorni di Torino e di 
Novara, di Cuneo e di Susa, la Valle d’Aosta col M. Bianco e le Alpi 
Pennine e Graje, il Vercellese, ecc., possono dirsi bene conosciuti, altri 


(84) BorTINI. Quali siano le condizioni attuali della geografia crittogamica, e 
quali î mezzi che potrebbero migliorarla, p. I. Muschi in « Atti del Congresso 
naz, crittog. in Parma », 1887. Varese. 


61 


sono ignoti o pressochè; sono tali il bacino del Toce, il massiccio del 
Gran Paradiso, il territorio valdese, gran parte della provincia di Ales- 
sandria. 

Liguria col Nizzardo. — Le prime notizie sulle briofite liguri de- 
vonsi al VivianI (1804); in seguito BeRTOLONI, BRrIDEL, MiLLER e 
BrucH, BaLsaMmo e DE NorarIs, PiccoNE diedero importanti contributi 
intorno ai muschi, e così gli stranieri BescHERELLE e De MERCEY e 
Lorentz e MoLenDo. Dopo la pubblicazione dell’Epilogo del De No- 
TARIS le ricerche furono continuate dal Procone (1876); nel 1887 OLI- 
vir DU Norpav pubblicò nuove notizie sui muschi del Nizzardo, e 
nel 1892 il Brizi su quelli liguri, e infine nel 1902 MoENKEMEYER, 
BARSALI e BarsANTI anche sui liguri; tali ricerche però non accrebbero 
di molto le cognizioni precedenti. Complessivamente nel 1887 si cono- 
scevano 242 muschi liguri, oggi si possono calcolare a poco più di 250. 
Eppure, data la natura fortemente accidentata e varia e la posizione 
di questa regione, che può ospitare al piano specie mediterranee e al 
monte specie boreali, è da riconoscere che questo numero con ricerche 
ulteriori sarà considerevolmente aumentato. 

Ricordiamo fra quelli, che si sono occupati di epatiche liguri (VI- 
VIANI, BeRTOLONI, Sassi, DE NotARIS, BRIZI, STEPHANI, CAMUS, BAR- 
SALI e BARSANTI. Anche il numero delle epatiche liguri (40) è troppo 
scarso, avuto riguardo a quello delle regioni finitime ed è da prevedere 
che se queste piante non eguaglieranno in numero quelle che riscontransi 
nel Piemonte o in Lombardia, per la maggiore secchezza del clima, pure 
dovranno aggirarsi intorno a un centinaio di specie. 

Possono dirsi più o meno conosciuti i dintorni di Genova, il Niz- 
zardo, la valle della Roja, le isole di Tino e Tinetto; del resto, e spe 
cialmente della Riviera di Levante, poco o nulla. La valle della Vara, i 
promontori, che propendono sul mare, le altre valli dei fiumi liguri, che 
finiscono nel Po racchiudono senza dubbio un ingente numere di brio- 
fite non ancora note per la Liguria. 

Canton Ticino. — Fino a poco tempo fa le notizie briologiche sul 
Canton Ticino erano deplorevolmente scarse; difatti, tranne poche ne- 
tizie dovute a BrineL, MoLENDO, BaLsaMmo, DE Noraris, PFEFFER nulla 
si sapeva. Fra il 1889 e il 1895 apparvero dei lavori importanti sui 
muschi ticinesi, per opera di MARI, BortIN:, KinDBERG e CONTI, per i 
quali il numero dei muschi si elevò a poco meno di 300. Nel 1896 i si- 
gnori KinpBeRrG e RoeLL pubblicarono altro lavoro importante, per il 
quale oltre 60 specie vennero scoperte in questo Cantone; oggi esso an- 
novera circa 380 specie di muschi e perciò può considerarsi come me- 
diocremente esplorato. 


62 


Pochissimi invece si sono occupati di epatiche ticinesi (CESATI, 
VENTURI, BERNET, STEPHANI); per essi se ne conoscono 65 specie, troppo 
poche in confronto alle 170 del Piemonte e alle 161 della Lombardia ! 

Lombardia. — È una delle regioni meglio esplorate. Da molto tempo 
briologi italiani e stranieri l’hanno percorsa in ogni senso, specialmente 
nella parte montuosa, e troppo lungo sarebbe citarli tutti; ricordiamo 
fra quelli, che vi contribuirono maggiormente, Anzi, Nocca, BALSAMO 
e DE NorarIs, MoLeNDO, CesatI, VENTURI. Negli ultimi tempi le ricerche 
sono state continuate da Borzi, FARNETI, RopeGHER, KinpBERG, LE- 
viER, in modn che può calcolarsi ad oltre 600 il numero dei muschi 
lombardi, oggi conosciuti. 

Le ricerche in questa regime sarebbero da estendersi per pochi di- 
stretti: così la Val di Livigno, il bacino del Chiese e la bassa pianura 
lombarda, come ulteriori esplorazioni richiederebbero la porzione cispa- 
dana della provincia di Pavia. 

Di quelli che hanno meglio contribuito alla conoscenza delle epa- 
tiche lombarde sono da ricordare Anzi, Nocca, BaLBIS, BALSAMO, DE 
NorarIs, Cesati, Brizi, FARNETI, RopEGHER, MassaLoNnGO, LEVIER; 
rilevante ne è il numero delle specie note, oltre 160, e poco rimane an- 
cora da aggiungere. Anche per queste piante sono da eseguire ricerche 
negli stessi distretti sopra ricordati per i muschi. 

Trentino. — È la regione italiana meglio conosciuta al giorno 
d’oggi; essa è stata studiata da numerosi briologi tanto italiani, fra cui 
principale il VENTURI, quanto stranieri, fra i quali LorENTZ, MOLENDO, 
MILDE, e negli ultimi anni GANDER, WARNSTORF, MATOUSCHEK, HANDEL- 
MazzeTtTI, ecc. Non v ha, può dirsi, distretto di una certa importanza, 
che non sia stato esplorato più volte e in varie direzioni; è per questo 
che il numero delle specie trentine conosciute di muschi ascende a 
circa 700 (85), il massimo attualmente raggiunto fra le regioni italiane. 

Lo stesso può dirsi per le epatiche; difatti se ne contano circa 180 
specie. Ricordiamo fra quelli che si sono occupati esclusivamente o quasi 
di epatiche di questa regione: STEPHANI, SAUTER, JACK, MASSALONGO, 

Stante lo stato abbastanza soddisfacente, cui sun pervenute le co- 
noscenze briologiche per il Trentino, e in vista di altre regioni italiane, 
che richiedono impellenti ricerche, crediamo che non sia assolutamente 
necessario per il momento farvi ulteriori esplorazioni. 

Veneto. — Tutte le netizie briologiche, riguardanti il Veneto e an- 


(85) DaLLA Torre e SARNTHRIN ne enumerano 731, di cui alcune sono 
proprie del Tirolo tedesco o di altre terre tedesche vicine. (Die Moose von Tirol, 
Vorarlberg und Liechtenstein; Innsbruck, 1904). 


63 


teriori al 1885, trovansi raccolte nell’opera del Brzzozero, Flora veneta 
| crittogamica, parte 2*; notizie, dovute precipuamente all’opera di Zan- 
NICHELLI, RUOHINGER, SEGUIER, SUFFREN, POLLINI, NACCARI, TREVISAN, 
GrIcoLaTo, MoLENDO, VENTURI, MassaLoNnGo, SACCARDO, BREIDLER © 
del Bizzozero stesso e per le quali al 1887 conoscevansi poco meno 
di 350 specie di muschi. Da tale epoca, è doloroso confessarlo, le ri- 
cerche briologiche pare che vi abbiano subìto un arresto. In fatto di 
muschi negli ultimi tempi si hanno non numerose notizie per opera di 
MassaLonao, LeviERr, LimPRICHT e Zoppa. Oggi può dirsi che il totale 
delle specie venete si approssimi a 400; poca cosa, a dir vero, in con- 
fronto alle 600 di Lombardia e alle 700 del Trentino. 

Di epatiche se ne conoscono circa 120 specie, numero, che, certa- 
mente, aumenterà quando si estenderanno le ricerche ai distretti ancora 
non o troppo scarsamente esplorati. 

Fra i distretti veneti meglio esplorati citiamo il Veronese, il ‘Tre- 
vigiano, parte del Bellunese, il Friuli orientale, il Polesine, i dintorni 
immediati di Padova e di Venezia; ma accanto a questi se ne hanno 
di altri poco conosciuti, così il Vicentino, i monti Berici, Je Prealpi bel- 
lunesi, le alte valli del Piave, del Zelline, del Meduna e del Tagliamento, 
il delta del Po e il basso litorale a cominciare dalla Piave fino al con- 
fine politico. 

Ciò è tanto più deplorevole in quanto che questa regione è circun- 
data, tranne che a sud, da altre molto meglio studiate. 

Istria e terre vicine. — Negli ultimi tempi in questa regione ebbero 
valido impulso le ricerche briologiche, scarse invero fino al 1887, in cui 
sì conoscevano meno di 250 specie, e ciò per opera di SENDTNER, 
KrRasan, JURATZKA, BREIDLER e di altri in misura minore; oggi invece 
stante i lavori di SOHIFFNER, RòLL, MATOUSCHEK, GLOWACRI, il numero 
dei muschi istriani si può calcolare a poco più di 350. Rileviamo per- 
tanto che in questa regione non essendo abbondanti le alte montagne, 
i boschi e le stazioni umide o inondate e dominandovi un clima piut- 
tosto secco, il numero delle briofite deve rimanere inferiore a quello 
delle regioni italiane, di cui già si è sopra discorso. 

Il numero delle epatiche, per le quali ai precedenti briologi è da 
aggiungere LortLESGERBER, può calcolarsi fra 90 e 100; numero, che 
riteniamo elevato per le stesse ragioni già esposte per i muschi. 

Tuttavia conveniamo che ulteriori esplorazioni, estese specialmente 
alla parte centrale dell’ Istria, potranno svelarre l’esistenza di altre nuove 
specie. 

Emilia. — Delle regioni dell’Italia settentrionale: questa è la meno 
conosciuta. Pubblicazioni non ne mancano, ma sono troppe scarse e ri- 


64 


guardano pochi distretti. Per i dintorni di Piacenza si hanno alcune 
notizie di BraccIFoRTI; per il Parmense di AveTTA e così di VENTURI, 
Frori, CasaLIi, LevigR per il Modenese e il Reggiano; per il Bolognese 
poche specie furono pubblicate da A. BERTOLONI e un numero mag- 
giore da FarnETI; DeL Tesra ha pubblicato altre notizie sul Cesenate 
e Faentino. Nell'insieme si può calcolare a poco meno di 350 il numero 
dei muschi emiliani oggi conosciuti, troppo scarso confrontandolo colle 
500 specie toscane, e colle 600 lombarde, fra le quali l'Emilia è inter- 
media, onde, certamente devonsi ad essa assegnare non meno delle 500 
specie che ha la Toscana; l'insufficienza delle nostre conoscenze sull’ E. 
milia emerge poi maggiormente dal fatto che nel computo delle specie 
furono incluse, come ha fatto il BorTINI (Op. cit.), anche quelle raccolte 
sul confine tosco-emiliano. 

Ancora più scarse che per i muschi sono le notizie, riguardanti le 
epatiche emiliane, dovute quasi esclusivamente all’opera di BERTOLONI, 
AvETTA, FIoRI, CASALI e LEVIER; con esse si conoscono oggi appena 40 
specie emiliane ! Ognun vede quanto ancora resti da fare per le epa- 
tiche emiliane, che, dal confronto con le regioni confinanti, non dovreb- 
bero essere meno di 150 specie! 

Per la distribuzione diciamo che, in genere, tutta l’Emilia ha bi- 
sogno di ulteriori esplorazioni, ma in particolar modo il Piacentino, il 
Ferrarese, il Ravennate, anzi per le epatiche, tutta la Romagna. 

Toscana. — Bene studiata è questa regione sia se se ne vuol con- 
siderare la terraferma che le isole; anzi addirittura è la meglio studiata 
fra le regioni dell’Italia peninsulare e insulare. 

Il numero delle specie di muschi conosciuto ascende a circa 500, 
numero rilevante se si tien conto dell’influenza del clima mediterraneo, 
poco confacente allo sviluppo di molti muschi. Quello delle epatiche è 
di poco inferiore a 150 e può dirsi che poco vi resti da aggiungere. 

Ricordare il numero degli studiosi di briofite sarebbe troppo lungo; 
basti dire che la Toscana è la patria di MicHELI e di RADDI, e che 
ha avuto in ogni tempo ed ha ancora valorosi cultori in questa di- 
sciplina, così RossETTI, ARCANGELI, LEVIER, BOTTINI, BARSALI ed altri. 
Per l’opera di questi i territori toscani da esplorare sono pochi; ricor- 
diamo il bacino della Cecina, molta parte della provincia di Grosseto, 
i colli compresi fra Val di Chiana e l’alto corso del Tevere. Bene 
esplorate debbonsi considerare le isole Toscane a merito del BorTINI, 
SoMmMIER, BfauInOT, ecc., al quale ultimo devesi la più completa mo- 
nografia al riguardo. 

Marche. — Colle Marche le nostre conoscenze declinano rapida- 
mente, avendosi notizie sufficienti di pochi distretti. Negli ultimi anni, 


65 


dal 1880 in poi, parecchi hanno contribuito a farei conoscere le briofite 
marchigiane così SCAGNETTI, ARCANGELI, Brizi, BaronI, GrILLI, Mam- 
TEUCCI; ma moltissimo resta ancora da fare. Le notizie, che si hanno, 
pur sempre insufficienti per i rispettivi distretti, riguardano per i muschi 
il Piceno, il Pesarese col Monte Nerone e i dintorni di Osimo. Delle epa- 
tiche marchigiane ARCANGELI, GRILLI, BARONI e MarTEUCCI sono i soli 
che si siano occupati e in tutto non se ne conoscono che una quindi- 
cina di specie; meno, con sicurezza, di quante se ne potrebbero racco- 
gliere in un’escursione di un giorno! Le 150 specie di muschi marchi- 
giani conosciuti non possono nemmeno dare un quadro, anche lontanamente 
sufficiente della flora briologica di questa regione così accidentata. 

Lazio e Umbria. — Per questa regione non può, per fortuna, ripe- 
tersi oggi ciò, che scriveva BorTINI nel 1887, che fosse cioè una terra 
poco meno che ignota. I muschi, conosciuti allora, erano quelli pubbli- 
cati da pochi autori (FroRIN1-M \zzANTI, GEHEEB, MaccMari e pochi altri), 
ma da allora il Brizi ha pubblicato stuli importanti per la briologia 
laziale, che avrebbero conseguito importanza massima se non fossero 
rimasti incompleti; anche il Bf@urnor vi ha contribuito. Tali notizie 
riguardano quasi esclusivamente il Lazio e in minima parte l'Umbria. 

Il primo ad occuparsi di epatiche romane fu il MARATTI; le cono- 
scenze epaticologiche però non progredirono che negli ultimi anni per 
opera di Brizi, MAssaLonGo, MACCHIATI; onde se ne conoscono oggi 
circa 60 specie; numero ancora insufficiente, riguardando pochi e limi- 
tati distretti: dintorni di Roma e di Viterbo e monti Tiburtini. 

Restano quindi da esplorare la maggior parte del Lazio, special- 
mente per le epatiche, e, per tutte le briofite, l'Umbria quasi intera ; 
mentre restano da approfondire le ricerche negli stessi distretti, già 
esplorati. 

Abruzzi. — Quanto si è detto per il Lazio può ben ripetersi per 
gli Abruzzi, incelusovi il Molise, terra importante per la propria natura 
grandemente accidentata ed ove si rinviene la vegetazione interamente 
mediterranea e quella prettamente alpina. 

Le prime notizie sulle briofite di questa terra debbonsi a CESATI e 
a PASQUALE; quindi Grorpano, ARcaNGELI, Levier, BorTINI hanno 
contribuito a illustrare i muschi di questa regione; ma gli studî di essi 
sono limitati alla Majella, al Morrone, al Gran Sasso; il resto è una 
terra incognita o quasi; mentre fra quelle profonde e umide vallate 
deve esistere una folla di specie boreali e al mare un buon numero di 
mediterranee. 

Le epatiche abruzzesi, oggi note, sono poco meno di 30, quasi tutte 
della Majella e del Gran Sasso; quantità, diciamolo pure, irrisoria ! 


66 


Napoletano (provincie di Napoli, Caserta. Benevento, Avellino, Sa- 
lerno). — Poco meno infelice è il Napoletano, ove parecchi botanici 
hanno pubblicato notizie sulla briologia di esso. Ricordiamo qui Tr- 
NORE, FIORINI-MAZZANTI, BOLLE, LICOPOLI, PASQUALE, GIORDANO, A.TER- 
RACCIANO; di recente sono apparsi pregevoli lavori di BoTTINI e di 
NeoRI, riguardanti la Campania e le isole partenopee. Le epatiche co- 
nosciute sono circa 45 specie, quasi tutte della Campania e delle isole , 
partenopee; nulla o quasi si conosce dei Principati e delle isole Pon- 
ziane e troppo poco ancora della Terra di Lavoro. 

Pertanto devesi convenire che di questa regione pochi distretti pos- 
sono dirsi discretamente conosciuti, quali Ja Campania, il Vesuvio, la 
penisola sorrentina, la maggior parte delle isole partenopee e un poco 
il Matese; molti invece sono affatto ignoti e fra questi primo il Cilento, 
il bacino del Sele e quasi intere le province di Avellino e di Benevento: 
per quest'ultime però ci consta stia attendendo alla raccolta di mate- 
riale il Prof. TROTTER. 

Puglie e Basilicata. — Terre quasi incognite sono le Puglie e la 
Basilicata, delle quali si hanno alcune notizie per opera di PASQUALE, 
Licopori, GrorpANO, ARCANGELI, MaRINOSCI, BoTrTINI, MASSARI; i mu- 
schi oggi conosciuti ammontano a circa 120 specie. In riguardo a queste 
piante il distretto meglio conosciuto è il Gargano e, per opera del Mas- 
sARI, buona parte della provincia di Bari; sempre, s’intende, in modo 
affatto relativo; del Leccese non si conoscono che 15 specie di muschi. 
Le epatiche sono state ancora più trascurate, non conoscendosene in 
tutto che sole 6 specie! Nessuna epatica si conosce poi delle isole Tre- 
miti, ma solo 9 specie di muschi, dicui 8 per S. Domino, 3 per S. Ni- 
cola, nessuna per Caprara e Pianosa. Le Puglie richiedono perciò esplo- 
razioni estese, le quali, se non daranno un grande contingente di muschi, 
data l’aridità generale del suolo, pure potranno svelare l’esistenza di 
parecchie specie, specialmente xerofile, ancora ignote. D'altronde, se è 
incontestabile che la maggior parte di questa regione non è propizia 
alla vegetazione delle briofite, nondimeno si hanno parti non ristrette, 
che lo sono, come la parte montuosa della Capitanata e il versante occi- 
dentale delle Murge; nè potrebbe mai sostenersi che ulteriori esplora- 
zioni nel Leccese non diano risultati splendidi in fatto di briofite. 

La Basilicata, per il clima più vario, possiede di certo un numero i 
di briofite superiore che non le Puglie, eppure di essa si conoscono meno 
di 10 specie di muschi e nessuna epatica! 

Fra tutte le regioni italiane sono le Puglie e la Basilicata le terre 
meno esplorate e quivi le ricerche sono piuttosto da iniziare che da esten- 
dere, tanto scarse, sono le notizie, anche per i pochi distretti esplorati. 


67 


Calabria. — Fra coloro che hanno pubblicato notizie sulle briofite 
calabre ricordiamo BaLSAMO e DE NorarISs, PASQUALE, GIORDANO, BRIZI, 
BortINI, ARCANGELI e MACCHIATI; per essi oggi si conoscono circa 200 
specie di muschi e poco meno di 50 di epatiche; queste quasi tutte 
dell’Aspromonte e del versante tirrenico della provincia di Reggio, per 
merito di MACCHIATI e ARCANGELI. 

La massima parte di questa regione resta ancora da esplorare ed è 
forse la parte più ricca, così tutta la Sila, la catena tirrena, il versante jo- 
nico della provincia di Reggio e di Catanzaro, i bacini del Maida, del Me- 
sima e del Petrace e gl’isolotti costieri di Dino e Cirella. Quando questi 
distretti saranno bene esplorati, non dubitiamo che il numero delle brio- 
fite calabre, per lo meno, sarà duplicata. 

Sicilia. — Per fortuna le conoscenze briologiche riguardo le grandi 
isole italiane, pur ben loitane dall’essere complete, non sono così scarse, 
come quelle delle ultime regioni, di cui ci siamo occupati. Incominciando 
dalla maggiore, la Sicilia, può constatarsi che dal 1887 (quando si conta- 
vano appena 99 muschi per essa) ad oggi il numero delle briofite conusciute 
si è quasi triplicato. Fra gli antichi briologi che si occuparono della Si- 
cilia, è doveroso ricordare Bivona, Nyman, RarInEsQque, BALSAMO, DE 
Noraris, StroBL; fra i moderri ricordiamo Nicorra, LosAcono, BRIZI, 
BortINI, SoMMIER; i quali ultimi però quasi tutti si sono occupati 
esclusivamente di muschi; le epatiche invece sono state oggetto di studi 
da parte di MassaLonGo, BarsALI, ZopDAa ed oggi se ne contano 71 specie. 

Se dell’isola si hanno distretti più o meno conosciuti (Etna, Mes- 
sinese, Palermitano, Canicattì, ecc.) se ne hanno altri affatto inesplorati 
e questi costituiscono la massima parte. Del Messinese resta da esplorare 
tutta la parte centrale del versante tirrenico, di quella di Catania si 
conosce il solo Etna; quelle di Siracusa, Caltanissetta, Girgenti (tranne 
Canicattì e il capoluogo) e Trapani sono quasi ignote; del Palermitano 
restano da esplorare il versante meridionale e i bacini del Torto, del 
S. Leonardo, del Pollina, ecc. Delle isole sicule le Eolie, tranne Filicuri 
e Alicuri discretamente note, e così il gruppo di Malta, le Pelagie, tranne 
Lampione, e Pantelleria; nulla si sa delle Egadi, di Ustica e delle isolette 
poste attorno al Capo Passero. 

Sardegna. Quest’isola è oggi discretamente conosciuta per opera 
principalmente di De Noraris, Moris, VENTURI, FLEISCHER, BARBEY, 
Massari, Herzoc, BoTrINI. Essa possiede quasi lo stesso numero di 
specie della Sicilia (oltre 250 di muschi e 46 di epatiche) e tale numero, 
specialmente in ordine alle epatiche, aumenterà di sicuro con ulteriori 
esplorazioni, Alcuni distretti però, o per insufficienza delle esplorazioni 
fattevi o per essere inesplorati, richiedono visite di briologi, così la Nurra, 


68 


la Gallura settentrionale, i bacini del Bosa, dei due Mannu, occidentale e 
orientale, del Tirso, quello del Flumendosa, l’Ogliastra ed altri. Anche la 
massima parte delle isole sarde sono inesplorate o quasi dai briclogi, così 
le isole dell'Asinara, di Ma] di Ventre, dei Cavoli, di Chirra, dell’Oglia- 
stra, Molara, Tavolara, Caprera, della Maddalena, dei Razzoli, ecc. 

Corsica. — BuRrMANN fu il primo (1770) a pubblicare notizie sulle 
briofite corse; nel secolo x1xX BaLsAMO e DE NoTARIS, GILLOT, HUSNOT, 
PHuiBerT ed altri in misura minore contribuirono a farne meglio cono- 
scerne la flora briologica; negli ultimi anni CAMS, studiando materiale 
raccolto da MABILLE e poscia da lui stesso, diede un altro valido con- 
tributo a tale flora, che oggi annovera circa 270 specie di muschi e 
oltre 80 di epatiche. In genere perciò quest’Isola può dirsi sufficiente. 
mente nuta per la briologia; vi rimarrebbero da esplorare le isole co- 
stiere e alcuni limitati territorî, specialmente del versante orientale, 
la penisola di Bastia, ecc. 


Da questa rassegna estremamente rapida della briologia delle re- 
gioni italiane risulta che nessuna regione è talmente conosciuta da 
non richiedere ulteriori ricerche; in tutte si rinvengono lacune, le quali 
in talune riguardano pochi e ristretti territori, mentre per altre può 
dirsi che tutta la regione sia una lacuna; ricordiamo fra quest'ultime la 
Basilicata e le Puglie. Generalmente l’Alta Italia è discretamente nota, 
tranne l'Emilia; della media la sola Toscana è bene studiata; della 
bassa nessuna lo è; nelle grandi Isole le ricerche debbonsi estendere a 
molti distretti della Sicilia e della Sardegna. 

Dell’importanza dello studio delle briofite non è questo il luogo di 
parlarne; nè ci fermiamo ad accennare ad alcune questioni d’interesse 
generale per la Flora italiana, perchè comuni alle fanerogame. 

Ci limitiamo a richiamare l’attenzione sopra alcuni problemi d’in- 
dole geografica, che non possono per ora risolversi per l’insufficienza 
delle nostre conoscenze riguardo alle briofite. 

Accenniamo in primo luogo all’endemismo di talune di queste piante. 
Sebbene gli organi di disseminazione siano leggerissimi e trasportabili a 
distanze grandissime, pure si conoscono oggi parecchie specie assoluta- 
mente italiane (Calymperes Sommierii, Tortula Fiorii, Riccia Sommiert). 
Devesi quindi ricercare la distribuzioni di cotali specie sul suolo italiano, 
il che, insieme allo studio morfologico, potrà spiegarci la parentela e 
l’origine di esse. 

Altro quesito da risolvere è l’affinità fisico-chimica di queste piante 
per il suolo; la quale potrà conoscersi esattamente dopo che si sarà 
raccolto un elevato numero di indicazioni relative, riguardanti diverse 


69 


regioni italiane. Avvertiamo che non sempre si può affermare con sicurezza 
per queste piante la natura fisico-chimica del sostrato ; certo che quando si 
tratta di una roccia semplice o di una affatto compatta 0 decomposta, 
la natura fisica e chimica di essa può conoscersi ; ma in certi casi (gneiss 
superficialmente decomposto, arenarie, ecc.) non lo è ed allora è bene 
indicare la specie litologica, aggiungendo qualche particolarità riguar- 
dante lo stato fisico di essa. Valga un esempio: sulla medesima roccia 
(schisto cristallino) crescono spesso Z'ortula muralis, ritenuta come cal- 
cicola e Bartramia stricta ritenuta come silicicola; questo fatto si veri- 
fica spessissimo sulle rocce composte e facilmente sfaldabili o alterabili ; in 
tali casi è evidente l’errore, in cui si cadrebbe, se si indicasse la roccia 
come silicea o calcarea, come compatta o disgregata; poichè in essa 
si contengono tanto elementi silicei che calcarei, mentre essa in un 
punto è disgregata, in un altro è compatta. Nè devesi trascurare l’indi- 
cazione dell’età geologica del suolo. 

Un altro quesito geografico da risulvere è la distribuzione generale 
delle singole specie ; quesito, che noi italiani da soli non possiamo sempre 
risolvere, implicando la sua soluzione ricerche simili in altri paesi; però 
noi dobbiamo contribuirvi almeno per quanto riguarda l’Italia. Come 
fra le piante superiori, così fra le briofite, si hanno specie mediterranee, 
eurasiatiche, paleoartiche, ecc.; or mentre per le fanerogame le nostre 
a conoscenze sono molto progredite, per le briofite si sa ancora troppo pooo. 

Dal lato briogeografico l’Italia è ben lontana dal possedere le notizie 
che si sono venute altrove accumulando (Francia, Europa settentrio- 
nale, ecc.). Osserviamo però che in parecchi lavori e soprattutto in alcuni 
redatti dal MassacLonco, BorTINI, BrIzi, BfGuINOT, NEGRI e ZODDA, 
gli autori hanno affrontato anche interessanti questioni fitogeografiche. 
Le quali opportunamente vagliate e completate in base alle ulteriori ri- 
cerche floristiche ed in confronto con quanto si è fatto in finitimi terri- 
tori extraitaliani, permetteranno di darci un’idea adeguata sopra pro- 
blemi di indubbio interesse scientifico. 


Alghe. 


Omettiamo d’occuparci di quanto riguarda il plancton marino e 

® ciò non senza rincrescimento, perchè in Italia questo ramo di studî si 
può dire appena sfiorato. Prendendo in mano le due principali opere di 
bibliografia ficologica, redatte dal CrsATI (86) e dal PiccoNE (87), si può 


(86) Saggio di una bibliografia algologica italiana, Napoli 1882. 
(87) In « Nuovo Giornale botanico Italiano » (1883), pag. 13. 


70 


scorgere come, ancora in quei tempi, i materiali per uno studio delle 
alghe in Italia si riducessero a ben poca cosa, per le alghe d’acqua dolce 
principalmente. Negli anni successivi, altre ricerche seguirono, ma sempre 
slegate e senza un coordinato indirizzo; sicchè, pur potendosi talvolta 
ritenere contributi notevoli, ben di rado assurgono al valore di un’illu- 
strazione abbastanza completa. Moltissimi dati di questa produzione 
cosi sparsa trovansi riuniti nella monumentale « Sylloge Algarum » di 
G. B. De Toni. Certo che, per la vastità stessa dell’opera non si può 
pretendere la completezza dei riferimenti. 

Liguria. — Dal lato dell’esplorazione marina si può ritenere come 
una delle regioni meglio studiate d’Italia. Non tenendo conto delle prime 
ricerche del BERTOLONI (1818-1832), un forte contributo portano, dieci 
anni dopo, le opere del De NoraRIS e del Risso seguite, a breve di- 
stanza dallo studio di G. G. AGaRDH redatto sui medesimi materiali che 
ebbero a servire ai predetti Naturalisti, aggiuntivi altri pochi da lui 
stesso raccolti durante un suo viaggio in Italia. Succedono alcune note 
del Durour, pubblicate nel Commentario della Società crittogamologica 
italiana e del De Noraris negli Atti del Congresso di Scienze Naturali 
in Milano nel 1844, tutte riassunte nel Prospetto della Flora ligustica 
del medesimo autore. Una nota dei signori WITTROCK e NoRDSTEDT enu- 
mera alcune Cloroficee d’acqua dolce, raccolte a Villa Pallavicini (1876), 
seguita l’anno dopo da una esposizione riassuntiva quasi completa di 
tutta la flora ficologica della Liguria (88). Prima ancora, peraltro, compa- 
rivano un elenco d’alghe della Spezia (1865) redatto dal CaLpEsI ed 
alcune diagnosi di specie nuove descritte dal BomearRD (Hedwigia 1867); 
poi alcune note di critica e di supplemento, stese principalmente dal 
PicconE (1885-1901) e dal Vinassa (1891), le quali in ispecial maniera 
si riferiscono ai nuovi lavori più estesi che l’ARDISSONE da poco aveva 
pubblicati ed infine una nota del PREDA (1904) che riassume quanto si 
conosce intorno alle Floridee del golfo della Spezia (89). Le diatomee 
marine del golfo del Leone ebbero un’accurata illustrazione dalle ricer- 
che dei signori H. ed M. PeRAGALLO (1884-1908); spesso per altro 
tali ricerche si estendono fino ai paesi limitrofi della riviera di Ponente 
ed anche perciò, a località più ad est di Nizza; sicchè riuscirà assoluta- 
mente necessario consultarne le opere per chi volesse proseguire le ricerche 
lungo tutta la riviera. Anche le Peridiniee marine ebbero ormai illustra- 


(88) ARDISSONE F. e STRAFFORELLO J. Enumerazione delle Alghe di Liguria, 
Milano, 1877. 

(89) Del Sargassum lunense CALDESI, uno strano pseudoendemismo della 
Spezia, trattò pure di recente ANTONIO De Toni rapportandolo a S. HoRn- 
SCHUCHII, 


71 
zioni accurate, sulle coste francesi; ne fanno fede i lavori del Povonet 
e del GourrET, che son classici, nonchè i recentissimi e non meno ap- 


prezzati del PaviLLARD. In tutta questa letteratura non predomina che 
l’intento di completare il più possibile l'elenco delle forme già cono- 
sciute per questa Flora; solo in qua ed in là trovansi accenni ad idee 
fitozeografiche e questi, in modo speciale, nei proemii ai grossi lavori 
dell’Arpissone nonchè nelle note del Piccone e del PreDA di questi 
ultimi, il primo interessandosi particolarmente dell’influsso della natura 
del supporto sul crescere e sul distribuirsi delle alghe, l’altre accennando 
pur lui alla distribuzione regolare delle alghe nel golfo di Spezia, se- 
condo zone delimitate da profondità costanti. 

Con molta minor cura venne finora illustrata la flora algologica 
d’acqua dolce, la cui letteratura si riassume nelle poche specie che già 
si dissero elencate da ARDISSONE e STRAFFORELLO, riportate in parte dal- 
l’opera del Rrsso, perla regione di Nizza; in un elenco di una trentina 
di Desmidiee, raccolte nelle vicinanze di Genova e determinate dal 
prof. S. SquinaBoL (1886) in poche specie elencate dal MartEL (Nota- 
risia 1887) ed infine in un cuntributo alla ficologia di Multédo del 


dott. EmanvEeLE Morto, redatto con criterî fenologici, accurato per 


quanto riguarda le determinazioni (1904). Dello stesso anno è pure una 
piccola contribuzione dello ScHMIDLE (90) che illustra poco materiale 
raccolto dallo KnEUCKER a San Remo nel 1902, durante un suo viaggio 
attraverso all’Italia superiore. 

Piemonte. — Le ricerche più antiche sulla Flora ficologica piemon- 
tese si posson far risalire al 1818, con il breve elenco redatto dal BALBIS 
per la Flora ticinese (ora forme d’incerta nozione) perchè di certo non 
è attendibile quanto vien riportato dall’ALLIONI (1757-89) di specie ri- 
trovate sulle rive del golfo ligure e che evidentemente appartengono alla 
Flora oceanica. 

Non tenendo niun conto delle poche specie elencate da G.F. Re (1827) 
nella Flora torinese, si giunge al 1861 in cui V. CesaTI pubblica un 
breve ‘elenco di circa trenta alghe, insieme con una enumerazione d’altre 
crittogame raccolte nel Biellese e nel Vercellese. Tra esse vien notato 
l’interessantissimo Scytonema Notarisii Menegh. (Porphyrosiphon Auct. 
recent.) riconosciuto indi identico allo Scyt. sanguineum Ces. e già distri- 
buito dal RaBENHORST al n. 533 del suo essiccato. Questi materiali, in 
gran parte, vennero raccolti dal MALINVERNI e furono anche, per lo più, 
distribuiti nell’Erbario Crittogamico Italiano. A breve distanza di tempo 
seguono le più accurate ricerche desmidiologiche che si vennero finora 


(90) Cfr. Allgem. Botan. Zeitschr. 1-2, 1904. 
(PIC: 


72 


facendo in Italia (91) e cioè la descrizione ed illustrazione delle specie 
raccolte in Valle Intrasca dal De NoraARIS (1867) e lo Specimen Des- 
midiacearum subalpinarum, di G. B. DeLPONTE (1869-71). Quest’ultima 
opera, in modo speciale, è da ritenersi quale lavoro classico, sia per le 
splendide illustrazioni di cui è corredata, sia, e tanto più, per il note 
vole contributo di forme non descritte che illustra e che resistettero 
anche alla critica più moderna. In essa sono, in forma particolare, con- 
template le specie raccolte nel lago di Candia, in torrenti dei dintorni 
di Valdieri ed in pochissime altre località soltanto. Ancor nel 1865 com- 
pariva la prima contribuzione alla conoscenza della flora diatomologica 
pedemontana e fu per merito di F. CASTRACANE DEGLI ANTELMINELLI, 
che studiò alcuni materiali di Valle Intrasca, dietro instigazione special- 
mente del De NOTARIS. 

Dallavoro di G. B. DeLPONTE al primo studio biologico del BoNARDI, 
che illustra una cinquantina di Diatomee raccolte nel lago d'Orta (1885), 
decorrono a un dipresso quindici anni, in cui gli studi algologici si pos- 
son dire del tutto arrestati. Solo qualche alga raccolta dal MALINVERNI 
c Cesati compare nell’ Erbario Crittogamico Italiano e nulla più. Le 
diatomee elencate dal RonARDI, sebbene siano state dragate dal PAVESI 
nel Characetum, sono quasi tutte specie neritiche. 

Ancora nel 1857 il DeLPONTE descrisse una Leptothrix Valderia che 
poi si riconobbe per una delle più caratteristiche mixoficee termali del 
mondo. Il Gomonr la ridescrisse poi nella sua classica monografia delle 
Oscillariee sotto la denominazione di Phormidium Valderiae (Delp.) Gom. 
Di essa poi ne ebbero a trattare ancora PERRONCITO e VARALDA (1887), 
in occasione della descrizione delle sue proprietà terapeutiche. 

Questo fu il principio degli studî d’algologia termale in Piemonte 
che raggiunsero finora la loro espressione più completa con la memoria 
del BuscaLioNI sulle « Muffe di Valdieri » (1895) in cui 1’ illustre au- 
tore cerca ricostruire l’intera storia biologica dell’Hapalosiphon laminosus 
Hansg, giovandosi perciò della lunga sinonimia che già n’ebbero a sten- 
dere i signori BoRNET e FLAHAULT. 

Fino a questi ultimi anni poi la ricerca rimase ferma e gli studî 
che videro la luce di recente sono ben lontani dal porgere l’interesse 
dei primi. Il MaRrEL (1888) elenca centoquindici alghe da aggiungersi 
alla Flora di Valle Intrasca. L’ab. CASTRACANE, nello stesso tempo, pub- 
blica un breve elenco di diatomee, raccolte nelle muffe di Valdieri, tutte 


(91) Non tenendo conto della classica Syropsis Desmidiacearam del MENB- 
GHINI (Linnaea 1840) che ha un valore sintetico enorme, ma non ne ha nessuno 
per la flora italiana in particolare, mancando di qualsiasi riferimento geografico, 


73 
volgarissime; ADRIANO GARBINI (1900) nota alcuni planctonobii vegetali 
de! lago Maggiore, raccolti presso la sponda piemontese, AoHILLE Fort 
(1901) dà l’elenco delle diatomee riscontrate in dodici saggi di fondo 
dei laghi intermorenici del Canavese (161 specie in tutto); il Lanzi 
elenca circa una quarantina di specie di diatomee trovate nel conte- 
nuto enterico di Leuciscus muticellus preso a Domodossola (1903). Alla 
conoscenza della biologia dei laghi alpini inoltre contribuirono princi- 
palmente gli studî della signora Rina MontI-SrEeLLA le cui ricerche, 
(1903-1906) sebbene rivolte per lo più a scopo faunistico, comprendono 
spesso anche notizie di flora. Finalmente anche la provincia di Ales- 
sandria ricevette da poco (1907) un piccolo contributo e fu il dott. F. 
Mortro che s’occupò delle diatomee del torrente Orba, elencandone una 
quarantina di specie su campioni raccolti durante l’inverno. 

Lombardia. — Primi ad occuparsi della Flora ficologica lombarda 
furono il BaRBIERI (1828) (92) che studiò le Caracee dei laghi di Man- 
tova, descrivendone alcune specie in modo rudimentale ed occupandosi 
della circolazione del protoplasma (già osservata da G. B. AMrcri mode- 
nese e prima ancora da BonaventURA Corti (1774) di Scandiano) non- 
| chè il BaLsamo CriveLLI che elencava alcune specie d’alghe nel capi- 
tolo risguardante la botanica, pubblicato nel grande lavoro statistico di 
CarLo CATTANEO (1844) sul territorio e la regione lombarda. Segue un 
lungo periodo di arresto, giustificabile con la tensione degli animi per 
le vicende politiche e per la perplessità in cui si trovavano gli scien- 
ziati in quei tempi di grandi scoperte nel campo istologico che tende- 
vano a rivolgere gran parte delle opinioni fino allora invalse; finchè 
con la scuola del MacGI che derivava per via diretta da quella del 
BaLsaMo CRIVELLI e che suffragava l’ipotesi p'astidulare, si ricoordi- 
narono gli studi sui Protisti che ben presto con lo stesso MaaGI a 
capo ebbero rapidamente a rifiorire. 

Nel frattempo gli studî si ritirarono sulle Alpi ed i soli contributi 
interessanti si ebbero dal BruEGGER (1863) in occasione delle sue ri- 
cerche algologiche nei Grigioni, dall’AnzI, con le sue comunicazioni al- 
l’Erbario Crittogamico Italiano e con un Catalogus algarum aquae dulcis 
Longobardiae et Aetruriae rimasto, per quanto si sa, inedito. Alla flora 
termale poi contribuiva, oltre Anzi, anche il LEvIER, allora medico alle 
terme pliniane presso Bormio. Egli pure contribuì all’Erbario Crittoga- 
mico Italiano; anzi al n. 713 pubblicava un’Oscillaria terebriformis, che 


(92) Del rifiorire degli studi sulle Caracee in Lombardia e nell'Emilia in- 
torno a quell’epoca trattò G.G. BaLsamo CRIVELLI. Storia dei principali lavori 
sulle Charae. Bibliot. Ital. Milano, 1840, 


A SRD PT 


74 


poi fu riconosciuta dal GomoxT per una specie autonoma e nomata 
Osc. Grunowiana Gom. 

A contribuire vieppiù al risveglio di queste ricerche, concorsero la 
scoperta della fauna pelagica anche nei laghi italiani (PAvESI 1877) ed 
alcuni lavori preliminari del CASTRACANE (1882 Lago Como) e del Maggi 
(1880-82 Lago Maggiore, ecc.) tendenti ad illustrare sotto vari punti di 
vista lo splendido tema della limnobiologia. Da questo punto una certa 
ripresa si manifesta subito col comparire di un primo elenco d’alghe 
della pianura pavese redatto dal Dott. AcHILLE CATTANEO (1880); una 
centuria in tutto di specie, tra diatomee, cloroficee e coniugate che si 
sperava dovesse dar adito ad una continuazione che non ebbe più luogo. 
A questo studio, fanno seguito gli elenchi di diatomee di Valtellina 
(1883) e di Valle Intelvi del BonARDI, che sebbene non sono che nude 
enumerazioni di specie, quasi sempre volgari, pure assurgono per quel- 
l'epoca ad una certa importanza, per la novità che allora porgevano 
siffatti studi. Nello stesso tempo il Pavest pubblicò il suo maggior la- 
voro di limnologia, opera molto accurata e che godette di vera cele- 
brità, sebbene alcune delle teorie che vi si propugnano non siano oggi 
più accettate. Segue, dopo breve termine, la fortunata incursione del- 
l’Imnor in Jtalia che gli dette modo d’iniziarvi o, per lo meno, d’es- 
sere uno dei primi ad iniziare le ricerche rotiferologiche (1886); egli 
colse occasione per istudiare la distribuzione corologica di qualche Pe- 
ridiniea. Segue, in ordine d’epoca, un breve elenchetto di diatomee rac- 
colte sul S. Bernardino (Grigioni) e nel lago di Moesola dal DE NoTARIS 
(1887), scarso avanzo del grande disegno che quell’animoso maturava 
per una Flora diatomacea italica. Indi le ricerche - sul lago d’Idro (1889) del 
BonARDI, quelle sui laghi di Deglio e di Piano (Canton Ticino) del Pa- 
veEsI e del BonARDI (1889) e, subito dopo, del CoRTI che fino allora erasi 
occupato di ricerche micropa'eontologiche ed attratto dall’affinità degli 
studî, dette alla luce due brevi elenchi di diatomee raccolte nei laghi 
di Palù e di Poschiavo (1891) e, nell’anno successivo, un terzo sul lago 
di Varese in collaborazione col FIORENTINI (1892). Tutte queste ricerche 
peraltro, esclusion fatta per quella del CATTANEO, condotta, con note- 
vole serietà d’intento, meriterebbero, da parte di chi contasse compiere 
un lavoro di sintesi qualsivoglia, un attento esame, essendo state com- 
piute con evidente scarsezza di mezzo bibliografico, onde, non sempre, 
l’acume dell’osservazione risponde alla più scrupolosa modernità. Questi 
studî peraltro preludiano alla più completa esplorazione della Valtellina 
che successe quasi subito appresso. PAOLO PERO, con non comune co- 
stanza, imprese a percorrere, facendo centro in Sondrio, tutta quella 
valle, tanto in direzione dello Spluga (Valle del Liro) quanto in quella 


‘A 


Ss 


I 1 


page rali 


76 


dello Stelvio (Valle d'Adda) e furono ben quarantasei i laghetti esplo- 
ratì più o meno perfettamente (1892-95) a seconda glielo concedeva la 
comodità d’accesso od i mezzi di trasporto sopra di essi. Per ciascuno, 
oltre a varie considerazioni topografiche e fisiche ed alcune osservazioni 
sulla fauna, egli fa seguire dei lunghi elenchi di diatomee; base delle 
sue determinazioni furono i libri del VAN HeuRCK, onde, almeno per la 
massima parte, sono da ritenersi attendibili. 

Nella seconda parte dell’opera inoltre (Valle del Liro). egli estende 
la sua ricerca alle Desmidiee di cui, per tal maniera, riesce ad elencarne 
una sessantina. Ma i lavori più accurati in questo argomento son quelli 
del dott. L. MonTEMARTINI (1894, 1898), il primo dei quali si occupa delle 
alghe della regione pavese ed illustra un materiale raccolto in parecchie 
località della provincia da lui stesso, dal prof. F CavaRA o conservato 
da parecchio tempo nelle raccolte dell’Orto botanico di Pavia. In questi 
anni peraltro, anche il PERO proseguiva nelle sue esplorazioni diatomo- 
logiche ed incominciò quella sul fiume Adda e sugli stagni e sorgenti 
nei dintorni di Bormio, di Ponte, di Castione, di altre località valtelli- 


| nesi (1893), e per ultimo sul lago di Mezzola (1895). 


(9) 


Un breve elenco di diatomee veniva altresì pubblicato dal CortI per 
il lago di Montorfano in Brianza (1896) mentre il K1RCHNER, nell’illustra- 
zione biologica del lago di Costanza (1896) riferendo sulle alghe, adduce 
a confronto parecchi materiali da lui raccolti nel Benaco alcun tempo in- 
nanzi e che poi servirono per un suo lavoro algologico successivo. Questo 
fino ad ora si può ritenere per la più completa enumerazione d’alghe 
che sia stata pubblicata per il Benaco. Nell’anno 1897 compare un piccolo 
lavoro sul plancton vegetale del lago di Como, seguito a breve distanza 
dagli interessanti studî lacustri del CHopaT, che, per lo più, ebbero ad 
oggetto l’illustrazione del plancton di alcuni laghi svizzeri e francesi ma 
si estesero altresì a considerare alcuni saggi provenienti dai laghi Mag- 
giore, di Lugano e di Varese. Intanto l’OvertoNn esplora le Cloroficee 
dell’alta Engadina e l’anno successivo il MontEMARTINI pubblica una 
centuria di Cloroficee di Valtellina facendole precedere da un breve 
riassunto storico su tali ricerche in quella regione. Nel 1899 compare 
uno studio del GARBINI sul plancton del lago di Mantova (1899), pre- 
ceduto da varie considerazioni sul planeton dei laghi in generale e, tra 
l’altro, da una classificazione dei planctonobii secondo la loro conforma- 
zione, eseguita in base a quella che già qualche tempo innanzi ebbe a 
proporre lo ScHROEDER (1897). Segue un breve contributo alla diato- 
moflora bentonica del Sebino per opera di AcHiLLe Forti (1899), una 
quarantina di forme, raccolte viventi dal prof. G. De AGostINI tra Clu- 
sone e San Giorgio a 25 metri di profondità. Il 1900 segna purtroppo 


76 


l’ultima data dell’operosità scientifica del Corri che chiuse la sua pro- 
duzione con una brevissima nota sui laghi briantei e sul Segrino; l’anno 
dopo compare lo studio del GARBINI sul planeton del Lago Maggiore, 
cui si accennò già prima, a proposito delle ricerche algologiche in Pie- 
monte; una contribuzione alla conoscenza del plancton nei laghi svizzeri 
del BacHMANN, cui aggiunge nuovi elenchi di specie raccolte nei laghi 
Maggiore, di (omo e di Lugano, a complemento di quelli già prima re- 
datti dal CopaT (93) ed un opuscolo del LEMMERMANN in cui vengono 
descritte aleune forme di Dinobryon, mentre su altre vengon fatte osser- 
vazioni o mutamenti, d’ordine sistematico. Il materiale gli venne fornito 
dall’ing. G. BesANA e proviene dai laghi di Varàno e di Monàte. Segue 
nel 1902 un lavoro del GaRBINI sul plancton del lago di Monàte in cui 
egli descrive una nuova specie di Peridiniea ed aggiunge altresi un breve 
elenco di specie a complemento di quelle già conosciute. Nel 1903 com- 
pare uno studio di 0, AmBeRa sul lago di Muzzano: in esso più che 
tutto vengono illustrati dei saggi di plancton raccolti in varie epoche 
dell’anno e l’elenco delle alghe vi è considerevole; seguono inoltre altre 
osservazioni di natura fenologica. L’anno seguente il dott. OrToNE ZaA- 
CHARIAS, passando per la Lombardia, raccolse varî materiali di planeton 
nei laghi Maggiore, di Lugano, di Como, nel Benaco, nella Lanca Rot- 
tone presso Pavia e nel lago di Varàno e li illustrò in una sua deseri- 
zione di viaggio, stampata l’anno seguente (Ploener Berichte, 1905). 
Nel 1206 in occasione di un’interessante ricerca fisica sul lago Deglio, 
compiuta dal dott. FRANco BIANCHI, venne eseguita dal FortI un’analisi 
di alcuni saggi di plancton e di un campione di fanghiglia del fondo 
raccolti dallo stesso BrancHI. Interessante osservazione fu quella di 
Stenopterobia anceps Lew., una diatomea che non erasi giammai ritrovata 
in Italia e la mancanza, assoluta di Ceratium Hirundinella nel plancton 
dove, per l’ordinario, non manca mai. Chiudono la serie degli studî algo- 
logici di Lombardia, un elenco di 138 diatomee ritrovate nei laghi inter- 
morenici benacensi del ForTI (1907), un notevole lavoro caraciologico 
dei dottori Bfauinor e FoRrMIGGINI in cui si parla, in modo speciale, 
di specie raccolte nel lago di Mantova (1907) ed un nuovo studio inte- 
ressantissimo e dettagliato del LEMMERMANN (1908) sul plancton dei laghi 
di Varàno e di Monàte su materiali raccolti da G. Besana tra il 1897 
ed il 1900. In quest’opera, oltre ad una notevole ricerca sull’avvicendarsi 


(93) Anche altre volte questo autore ebbe a trattare occasionalmente del 
plancton dei laghi lombardi: Cfr. perciò Das Speziesbegriff. in e Verhandl, der 
Schweiz. Naturf. Gesellsch., 1905 »; Vergleichende Studien neber das Phyto- 
plankton von Seen Schottlands und der Schweiz in « Archiv. fiir Hydrob. und 
Planktonk., 1907 ». 


Le 


re 


77 


delle specie, durante le varie stagioni dell’anno, vi son molte osservazioni 
d’indole sistematica e tra esse l’identificazione di Perid. Willei H. K. (1900) 
con il P. alatum Garb. (1902). 

Veneto, Trentino, Istria. — Gli studî algologici nelle provincie Ve- 
nete, Illiriche e Trentine fiorirono fino dai tempi più remoti della siste- 
matica e nel DonatI (1750), nel GinanNI (1755), nel VanpELLI (1758) 
nello Scopori (1772), nell’OLivi (1793), nel RucHINGER (1818) ebbero i 
loro primi illustratori per la fiora marina, mentre il PoLLINI (1817) ed, 
ancor. prima di lui, il ManpruUzzato (1804) e, poco dopo, l’ANDRE- 
JEWSKY (1831) ed il Bragrato (1833) esordivano nelle ricerche sulle 
alghe termali aponine che poi, senza interruzione, dovevano servir di 
tema ad acutissimi ricercatori fino in questi ultimi tempi. Siccome 
peraltro, a differenza di quanto successe nelle altre provincie, l'abbondante 
produzione scientifica riguardante questa nostra regione veniva di mano 
in mano riassunta, così delle prime e delle successive epoche fino al 1885, 
che coincidono col maggior fiorire delle ricerche, basterà un brevissimo 


, cenno, seguito dalla indicazione delle opere sintetiche in cui tal lunga 


letteratura trovasi compendiata. Il primo contributo scientifico, che 
va circa fino al 1830, è riassunto dunque dal Naccari (1829-31) e, su- 
bito appresso, incomincia il periodo più fortunato dell’esplorazione algo- 
logica nella Venezia. Le alghe marine ebbero ad illustratori per il Veneto 
C. A. AGARDH (1823-28), il MartTENS (1824), il NARDO (1834-53) e prin- 
cipalmente GIOVANNI ZANARDINI (1834-76) e G. G. AGARDA (1842-1886), 
che lasciarono impronta indelebile nella storia degli studî ficologici. In- 
tanto il Tommasini (1837), il BrasoLEerTo (1832-75), il GRABOWSKI, il 
LoBARZEWSKI ed il FRAUENFELD e, quasi contemporaneamente, e con 
molto maggior acume critico, e coltura, il MENEGHIN\ (1837, 1848), ela- 
borando i materiali raccoltigli dal Vipovica, lo ZANARDINI su materiali 
del BorrERI e di altri, nonchè il GruNnow (1860-64), specialmente su 
raccolte fatte dal Lorentz ed il LORENTZ (1863) stesso, durante la sua 
accuratissima esplorazione del Quarnero, con vigore contribuivano alla 
ricerca di quella meravigliosa costa illirica che nello sviluppo delle sue 
rive, fronteggiate da isole litoranee e da scogli innumerevoli, nasconde 
veri tesori, forse in parte ancor inesplorati. Nello stesso mevtre il ME- 
NEGHINI ed il TREVISAN (1840-1875) riprendevano in varie pubblicazioni 
le ricerche sulle alghe termali degli Euganei ed ABRAMO MassaLonGO 
le iniziava a Caldiero (1855) con l’aggiunta d’altri nuovi studî sulla fico- 
logia d’acqua dolce veronese. Non furono del resto queste le prime ricer- 
che in proposito d’alghe d’acqua dolce, perchè il TREVISAN nel 1848 ne 
pubblicò una nota per il Friuli ed, alcuni anni prima, il BrasoLErTO ebbe 
ad occuparsene per la regione Istriana; anzi questi proseguì nell’impresa 


78 


e nell’ultimo dei suoi studi algologici, ora di poco conto, trattò perfino di 
diatomee freatiche. P. Trrrus ed il KALCHBRENNER (1875), gli infaticabili 
raccoglitori di crittogame, intanto pubblicavano nella raccolta dello HoHE- 
NACKER varie alghe dell’Adriatico; mentre l’ArpISSONE (1867, 1869-71) 
riportava nei suoi varî lavori monografici su generi od ordini diversi di Flo- 
ridee le copiose osservazioni che oramai si andavano sempre più accumu- 
lando spesso aggiungendovi osservazioni sue originali.Fu soltanto rel 1871 
che L. L. von HoHENBUHEL HEUFLER pensò di ricapitolare ciò che fino 
allora era stato fatto, inspirandosi a quanto per l'Adriatico (1841) alcuni 
anni innanzi, aveva tentato di fare lo ZANARDINI. E ne risultò invero un 
libro prezioso per tutta la crittogamologia, anche per la copiosa e diligentis- 
sima bibliografia che vi è premessa. Subito dopo ricominciarono le ricerche ; 
e furono le bellissime esplorazioni per le alghe marine del golfo di Trieste e 
del litorale illirito di F. HAavcK (1875-77) riepilogate nel volume, ancor 
classico, per le aighe marine stampato nella Flora cryptogama del RaBEN- 
HORST (1885) e furono gli studî diatomologici del CAsvRACANE e del SyRSKI 
(1873-1881) diretti anche a spiegare lo strano fenomeno del « Mare Sporco » 
nell’Adriatico e fu il principio degli studi per la flora ficologica d’acqua 
dolce e terrestre con mezzi ed intenti moderni, specialmente per opera di G. 
B. De Tonr. Appaiono i brevi studî sulle Oedogoniacee dei signori Wir- 
TROCK e NorpsTEDT (1873) poii molti e svariati contributi alla cono- 
scenza delle alghe inferiori dei fratelli De Toni, del Levi, del PAOLETTI, 
di F. DeL TorrE e d’altri. Tutta questa produzione aggiungendosi ad 
un razionale riordinamento dell’ A/garium Zanardini con un commentario 
relativo (1888), ad una ripresa degli studî sulle acque termali, alle prime 
esplorazioni limnologiche, (1889-1892) resero necessaria un’altra opera 
di sintesi che fortunatamente non si fece attendere troppo. 

Infatti nel 1885 comparve l’opera di G. Bizzozrro in cui si com- 
pendiavano tutte le conoscenze risguardanti la flora crittogamica nel 
Veneto e, nello stesso anno, incomincia quella Flora algologica della 
Venezia, finita di stampare tredici anni opo e dove, sono compen- 
diati tutti gli studî fino allora compiuti nel ramo della ficobiologia 
per cura di G. B. De Tonr e D. Levi. In questi lavori di sintesi, 
peraltro non si tenne mai conto di quanto, eccezione fatta per quello 
dello HEUFLER, veniva fatto per l’illustrazione della vicina regione triden- 
tina. Un primo contributo apparve nel 1892 per parte di A. HANSGIRG, 
con ispeciale riguardo alle specie terricole e d’acqua dolce raccolte nel 
‘Tirolo meridionale e nel Trentino fino ad Ala (94). Nel 1893 G. B. Da Toni 


(94) Invero le prime contribuzioni, almeno in parte, algologiche si debbono 
al prof. L. Maggi e risalgono a circa dieci anni prima; confronta perciò: Primo 


di 


79 


enumerò poche Diatomee prese nel lago di Fedaja; dopo circa tre anni, il 
Corti pubblica un succinto resoconto sulla composizione delle flore dia- 
tomacee di dieci laghetti trentini: i materiali gli pervennero per mano 
del prof. TARAMELLI e le specie elencate sono in tutto settanquattro. 
L’anno precedente B. SoHROEDER, illustrando alcuni saggi raccolti da 
R. Auras in Tirolo, elenca poche specie prese alla Mendola, presso 
Madonna di Campiglio ed in altre località prossime. Tutte queste note, 
insieme con alcune altre, comparse da quell'epoca fino al 1901, per opera 
principalmente del LaRGAJOLLI e del FortI, vengono riassunte in forma 
mirabile, nella dilingentissima sintesi dei Sig." DALLA 'l'ORRE e SARNTHEIN, 
pubblicata ad Innsbruck (1901). D’allora in poi, l’esplorazione limnologica 
nel Trentino, continuò e sèguita tuttora attivissima per opera del LaRGA- 
JoLLI, del Burra e del FortI, sicchè ora si può ritenere questa bella 
regione già come una di quelle che posson vantare una certa base sta- 
bile per una completa e razionale esplorazione ficologica. 

Riprendendo ora, a grandi tratti, la rivista bibliografica per il Veneto 


| propriamente detto — dal punto in cui rimase con la Flora algologica 


della Venezia — si osserva che l’anno stesso in cui venne pubblicato l’ul- 
timo volume (Bacillariee), vien pubblicato per opera del FortI un elen- 
chetto di Diatomee raccolte nelle sorgenti e nei pozzi in Valpantena (1898) 
di poco preceduto da una nota del GARBINI (1897) sulle Diatomee ben- 
toniche del lago di Garda. Questo studio veniva di lì a poco continuato 
con una seconda nota supplementare (1898) e con un lungo elenco 
d’alghe neritiche benacensi (1899). Qualche notizia staccata rilevasi 
ancora negli scritti contemporanei di OLinTo MARINELLI e del LORENZI, 
in occasione particolarmente delle esplorazioni fisiche sul lago di Cavazzo 
e sugli altri minori bacini friulani. Iutanto nel Veronese si riprendevano 
le ricerche algologiche, con principale oggetto l'Adige (1898, 1900) e le 
alghe bentoniche del Benaco (FortI 1899). Si pubblicò poi l’analisi diato- 
mologica di alcuni campioni neritici dei laghi Fadaltini (1899) e fu nello 
stesso anno che comparve l’opera riassuntiva de! KIROARNER, riguardo a 
quanto concerne la ficologia benacense. Nuove ricerche diatomologiche, 
illustranti saggi provenienti dal lago di Cavazzo e dal lago di Mediana. 
raccolti da O. MarInELLI durante le sue esplorazioni orografiche nelle 
Alpi orientali, comparvero nel 1900 e, nello stesso mentre, nell'occasione 


? dello scandaglio dei principali laghi Carsici, per opera del GavazzI, tre- 


esame protistologico dell’acqua del lago di Loppio in «Boll. Scientif. di Pavia», 1881, 
n. 2. — Zsame Protistologico dell’acqua del lago di Toblino $n « Bollett. Scientif. di 
Puvia », 1881, n. 1. 

E per le Desmidiee, alcuni dati sono raccolti nell'opera già citata di Wir. 
TROCK e NORDSTEDT (1876). 


È 


80 


dici saggi bentonici venivano analizzati per il loro contenuto in Dia- 
tomee (FoRTI). In occasione poi della raccolta di altri materiali sulle Alpi 
orientali, per opera del MaRINELLI e dell’analisi dei saggi bentonici pe- 
scati anni addietro dallo stesso nei laghi Fadaltini, risultò un nuovo 
elenco di 178 Diatomee, delle quali parecchie non mai viste nella regione 
(Forti 1903). Intanto proseguivano gli studî anche nella regione illirica 
ed assai attivamente. Nel 1900 compariva uno studio del BRUNNTHALER 
sul plancton del lago Prosce; lo ScammLe illustra le alghe d’acqua dolce 
raccolte dal Gross e dal KnEUCKER attraversando l’Istria e la Dal- 
mazia (1901), mentre lo STEUER ed il CorI espongono alcuni risultati di 
ricerca intorno al plancton del golfo di Trieste (95). Geza EnTZ, nel 1902, 
enumera le Peridiniee del Quarnero, mentre lo STEVER, nel 1903, scopre 
le Coccolithophorae anche nel golfo di Trieste, esaminando il contenuto 
del filtro delle Appendicularie. L’anno successivo, il LARGAJOLLI riprese 
l'esplorazione del lago di Cepig e, poco dopo, il Gavazzi dava alla luce 
il suo bel lavoro sui laghi del Carso, dove, in appendice, riferisce su 
quanto riguarda la biologia di quei bacini, esponendo in succinto il risuì- 
tato degli studî eseguiti sui materiali da lui stesso raccolti. |, 

M. FosLie (1904) descrivendo le specie di Litotamnii dell’ Adriatico 
e del Marocco, accenna pure ad alcune forme raccolte ad Orséra, a Ro- 
vigno, presso l’isola di Cherso ed in altre località dalmate. Nel 1905, 
essendo riapparso il fenomeno del mare sporco, parecchi ebbero ad oc- 
cuparsene e tra essi il NaLaTO, il Levi-MoRrENOS, il Corr ed il FortI. 
Conelusero con certezza che questo fenomeno dipende dalla prolifera- 
zione anormale di molte alghe microscopiche, forse a cagione della di- 
minuita salsedine per inusitata copia d’afflusso fluviale. Lo STADLER 
infine reca pure un contributo all’algologia d’acqua dolce della Dalmazia 
con l’illustrare alcuni materiali raccolti dal BEcK von MANNAGETTA e 
fa seguire il suo resoconto con l’elenco di tutte le alghe d’acqua dolce 
finora conosciute per la Dalmazia. 

Null’altro in questi ultimi anni sembra esser comparso sulla flora 
Veneto-Trentino-Istriana fuorchè alcune notizie sulla flora termale apo- 


(95) Alghe Dalmatiche ed Istriane sia d’acqua dolce che marina in varie 
riprese vennero enumerate dallo Hanserra, Cfr. Beifraege zur Kenntniss der 
Quarnerischen und Dalmatinischen Meeresalgen. in « Oesterr. botan Zeitschr. 
(1889) » et passim. 

Negli ultimi anni poi ebbe ad occuparsene il TacHET: Cfr. Veber die Ma- 
rine Vegetation des Triester Golfes. in « Abhand]. der K. K. Zool, bot. Gesellsch. 
in Wien», III. 3 (1906) ove si riassumono varì risultati già comparsi in lavori 
precedenti dello stesso autore. — Nuovi contributi si hanno poi ora da J. SCHILLER 
ma, più che tutto, questi hanno interesse biologico. 


NA 


81 


nina del dott. R. IssEL, quattro brevissime note sul plancton lacustre, tre 
di BREHM e ZEDERBAUER che s’occupano dei laghi alpini delle Alpi orien- 
tali, e tra essi alcuni laghi Cadorini, i laghi di Caldonazzo e di Garda; 
l’altra di K. von KeIssLER sul plancton d’agosto del Benaco. 

Nelle opere di sintesi per gli studi algologici, non si tenne giammai 
menzione delle Characeae, se non da parte dello HoHENBUHEL HEUFLER 
e del Brzzozero. Nel Veneto, sebbene in misura assai scarsa, ebbero 
pure qualche illustrazione. Oltre gli studî del LronHARDI (1864) e del 
prof. P. A. Saccarpo (1869), riassunti poi nel catalogo di VisIaNnI e 
SaccarDo e di là riportati nelle opere del Brzzozero e dello HoHEN- 
HUnEL HrUFLER, niente, fino a questi ultimi tempi, s'è aggiunto di 
nuovo. 

Solo di recente alcuni dati, desunti in special maniera dagli erbarî, 
vennero raccolti e resi di ragion pubblica dai signori Bf@uInoT e For- 
MIGGINI insieme con altri, riguardanti regioni diverse d’Italia (1907); dal 


| secondo pure venne pubblicato uno studio critico riassuntivo (1908) ed 


è in preparazione, in collaborazione del Bf@vinor, il lavoro generale 
sulle Caracee italiane, di cui nei giorni scorsi vide la luce un’ introdu- 
zione storico-bibliografica (1909). 

Emilia: — Questa regione, sebbene debba essere tra le più interes- 
santi, tanto per l’esplorazione marina, quanto per quella d’acqua dolce 
è assai male esplorata. 

Nessuna ricerca infatti venne finora compiuta sull’estuario padano 
nè sul corso inferiore del Po (96) nè degli influenti. Pochissime notizie 
soltanto furon raccolte per opera del PeGLION (1908) sulla flora algologica 
del Ferrarese, in relazione specialmente al danno che l’accumularsi delle 
alghe induce nelle risaie. Contributo insufficiente del tutto per una re- 
gione ricca d’acque d’ogni specie. Un po’ meglio vennero illustrate le 
provincie vicine di Modena e di Parma. 

Le Caracee modenesi vennero già illustrate, in parte, dall’Amtci fino 
dal 1818; anzi, nella sua opera pubblicata nel 1827 (Descrizione di alcune 
specie nuove di Chara, ecc., Modena) accenna di frequente a specie rac- 
colte in località modenesi ; il prof. C. AveTTA (1898), segnalò nelle acque 
del Modenese la esistenza di una nuova specie, che descrisse col nome 
di Chara Belosiana. 

La provincia di Modena fu specialmente illustrata dal MACOHIATI, 
il quale, più che tutto, si occupò di Missoficee. Incominciò con lo studio 


(96) Esiste un « /fer ad urbem Ravennam » del BerTOLONI in cui il grande 
botanico nota il Pueas salicifolius (Sargassam) come raccolto su quelle spiaggie 
(Cfr. Amoenitates Italicae, pag. 213-46, Bononia, 1819). 


82 


delle Diatomee raccolte nel lago Santo (1888) dal prof. PANTANELLI, 
stendendone un elenco di ventisette specie. Succede un’altra brevissima 
nota di specie rinvenute nella fontana dell'Istituto tecnico di Modena. 
L’anno dopo enumera alcune forme raccolte in una fontana a Sassuolo 
e, tra esse, descrive una Synedra pulchella var. abnormis con uno degli 
apici leggermente uncinato (probabilmente una forma teratologica). Nei 
fossi intorno a Castelfranco Bolognese (97) trova circa trenta specie di 
Diatomee, alcune delle quali interessanti. Nello stesso mentre, occu- 
pandosi degli inviluppi cellulari delle Missoficee, coglie occasione per 
descrivere una Lyngbya Borziana, che egli stesso riconobbe non essere 
che uno stadio di sviluppo di Phorm. Retzii (1889.1894). Nel 1891 pub- 
blicò un elenco di Diatomee raccolte nel laghetto artificiale del giardino 
pubblico di Modena ed alcun tempo dopo, uno studio sulle Diatomee 
terrestri della stessa regione (1892). Nel 1894 ritrova quattro specie di 
Phormidium ed una di Oscillatoria non ancor note in Italia. Nel 1896. 
nella stessa città di Modena, scopre la Symploca muralis Kuetz. Ben 
poco, oltre questo, si venne facendo negli auni successivi. Compare 
uno studio dello ZANFROGNINI sull’algologia dei dintorni di Modena (1894), 
circa settantacinque specie, escluse le Diatomee che non vi sono con- 
siderate. Infine il dott. O. ZAcHARIAS raccolse alcune pochissime forme 
nella vasca del R. Orto botanico, durante il suo viaggio in Italia (98). 

Nella provincia di Parma le prime ricerche furono eseguite dal pro- 
fessore G. PASSERINI, sebbene egli non ne traesse motivo a veruna pub- 
blicazione. I materiali da lui raccolti furono peraltro in tale quantità 
da poterne eseguire parecchie comunicazioni all’Erbario Crittogamico 
Italiano. Molte delle specie da lui proposte ebbero interesse particolare, 
anzi certune, descritte dal De NorARIS. resistono ancor oggi. Dopo lui, 
occorre venire fino al 1885 ed al 1887, quando il MARTEL incominciò 
la pubblicazione dei suoi contributi algologici. Il DE TonI, nei due anni 
consecutivi, in varie brevissime note, contribuì ad aggiungere specie in- 
teressanti alla Flora dell’agro parmense, quali Trenteporlia lagenifera 
(Hildebr.) Wille, Aphanochaete repens Berth., Palmella miniata Leibl., 
e Sphaeroplea annulina (Roth) Ag. Tutto il poco pubblicato in propo- 
sito fino al 1893, venne riassunto dal compianto P. MAcH (1892-3), 
in un suo breve lavoro preliminare sulla ficologia parmense, in cui 
anch’egli aggiunge qualche forma alle già note per la regione, come 


(97) Questo è l’unico contributo di una certa entità alla ficologia di Bo- 
logna. Poche specie di Desmidiee, nel 1876, vennero elencate dai signori Wir- 
TROCK e NORDSTEDT. 

(98) P/oener Berichte, 1905. 


83 


il Gloeotaenium Loitlesbergianum Hansg. che osservava colà per la se- 
conda volta dopo la sua scoperta. 

Per le Characleae abbiamo la indicazione, fornita dal De Ton, di 
Nitella mucronata R. Br. 

Màrche e Romagna. — Notizie antiche, anche sporadiche, sulla flora 
algologica di questa regione, quali si hanno nelle altre provincie prima 
“considerate, sembra non ce ne siano o, se ce ne sono, risultan tutte di 
valore così scarso, da sfuggire anche facilmente all'osservazione; ad 
esempio, nel secolo XVI il GrinI ebbe la sua Androsace (= Acetabularia) 
anche da Rimini. Perciò quando sì enuncia che l’intera letteratura fico- 
logica, prima del 1866 si riduce ad un appunto del MENEGHINI per de- 
scrivere una C'occochloris Orsiniana dell’ausculano, a qualche scheda di 
L. CaLDESI, con la località di Ancona, pubblicata nell’Erbario crittoga- 
mico italiano ed a sapere che Elachista Rivulariae Suhr venne raccolta 
sul molo di Ancona, come riferisce l’ArEScHOvG nel 1842, di ben poco 
sì falla dall'aver enumerato per intero quanto fino a quell'epoca veniva 
conosciuto. Nel 1866 pertanto, compare il primo contributo importante 
alla Flora ficologica marchigiana, con lo studio sulle alghe della marca 
d’Ancona dell’ArpIssone. In questo elenco l'autore enumera tanto pa- 
recchie specie d’acqua dolce, quanto parecchie di quelle d’acqua marina; 
sono in tutte oltre duecento; notevole contributo per quel tempo, tanto 
più che le determinazioni, severamente controllate, secondo l’abitudine 
dell’ARDISSONE, ne fanno ancor oggi un documento d’una certa im- 
portanza. Aggiunte alla Flora anconitana trovansi qua e là nelle opere 
maggiori dell’ArpIissone. Tutto peraltro egli ebbe a riassumere nella 
Phycologia mediterranea (1883-87). 

A questa prima contribuzione alla ficologia marchigiana, ne fanno 
seguito altre due, pur esse risguardanti tanto le alghe marine quanto 
quelle d’acqua dolce; sono due brevissimi elenchi di specie raccolte 
ad Urbino ed a Pesaro (1869, 1871). Seguono gli studi sparsi, 
quantunque spesso accurati ed interessanti del CastRACANE. Sono 
numerosi, disseminati in vari periodici, ma specialmente si trovano 
inseriti. negli Atti dell’ Accademia dei Nuovi Lincei. Nel 1872 fu 
tratto anch’egli ad occuparsi della natura del mare sporco, anzi può 
disputare al SyRsKI la precedenza nella spiegazione meglio accetta ancor 
° oggi di quel flagello. Nel 1878 descrive quel nuovo genere di Diatomee 
Cyclophora, che poi, undici anni più tardi, cercò indebitamente di riti- 
rare (99) anch’esso raccolto lungo il liturale di Fano. Due anni appresso 


(99) Egli, in un lavoro successivo, ritenne per errore che si trattasse di 
una forma craticolare di Navicula famelica. Da poco tempo, invece, si ritiene 
per certo trattarsi d'un genere, finora monotipo, assai ben caratteristico. 


84 


ripete le osservazioni sul mare sporco, essendosi il fenomeno ancora una 
volta mostrato nell'Adriatico. Il resto degli studî del CASTRACANE, non 
consiste se non in brevi elenchi di forme litorali o pelagiche, (1891, 1892, 
1897, 1898, ecc.), nella descrizione di qualche interessante specie nuova, 
giammai peraltro vi si intravvede l’intenzione d’eseguire una ricerca or- 
dinata, si può dire perciò che sono le osservazioni di un fortunato di- 
lettante. 

Eppure le belle spiaggie declivi dell’Adriatico debbono prestarsi 
singolarmente bene allo studio delle Diatomee, molto meglio che non 
per la ricerca delle alghe superiori, essendochè la maggior parte di que- 
ste sarà data dalle forme rigettate alla spiaggia dal maroso, laddove 
molte Diatomee — non essendo fissate ad alcun supporto — vivono 
egregiamente bene, anche su una spiaggia sabbiosa lentamente declive. 
Poche nozioni si ebbero per l’algologia d’acqua dolce, dopo quanto ebbe 
a fare l’Ardissone, solo il GrILLI (1897), stese un breve elenco di alghe 
della regione Picena. 

Umbria. — A quanto risulta, questa regione figura del tutto ine- 
splorata, almeno per quanto riguarda la ficobiologia; tutto ciò mal- 
grado il suo vasto Trasimeno, gli altri parecchi laghi minori, i suoi 
fiumi e le sue cascate. Pochissime forme della cascata delle Marmore 
vennero già elencate dal MaRrTtEL (1885). 

Toscana. — Fino dai principî dello scorso secolo, trovansi accenni 
a studi ficologici in Toscana. Ancora nel 1833 G. B. Amicr descrive 
un’oscillatoria termale vivente a Chianciano, mentre, già da parecchi 
anni, il CORINALDI (1818), s'era occupato di ficologia valdarnese. Intanto 
essendosi questi legato in amicizia col MENEGHINI, dava principio a quella 
corrispondenza scientifica che doveva riuscire così feconda per gli studi 
algologici del Tirreno. Fu nel 1839 che il MenEGHINI pubblicò la prima 
lettera diretta al CoRINALDI in cui descrive nove specie, fino allora sco- 
nosciute. del mar ligure e toscano. Tanto il CoRINALDI quanto MENEGHINI, 
continuarono ad occuparsi poi di questo argomento in altre brevi 
comunicazioni che vennero pubblicando fino al 1843. 

Pertanto anche gli studi di algologia termale si iniziavano con 
alacrità. 

Il TARGIONI-TozzemrI descriveva un’oscillatoria ferrifera delle acque 
dei bagni di Vignone, poi ancora ritrovatavi da F. Tassi. Due anni ap- 
presso il MeNEGHINI pubblicava l'elenco delle alghe termali di San Giu- 
liano presso Pisa, descrivendo cinque specie come nuove. Da quest’epoca 
fino al 1882, in cui l’ArcANGELI pubblicò i suoi studi sulle specie di 
Batracospermi delle terme pisane, si può dire che gli studi algologici 
non subirono nessun impulso; comparvero bensì gli studi dell’ AROAN- 


- 


» 


85 


GELI sulla struttura delle Celoblastee (1874) o sulla teoria algo-lichenica 
(1874-1875-1877) in cui egli si schiera col TuLASsNE e col NYLANDER tra 
gli oppositori alla teoria stessa, da poco sorta per merito dello SCHWEN- 
DENER e del BorNET; ma furon opere d’indole prettamente anatomica- 
e che non contribuirono affatto alla ulteriore esplorazione algologica 
toscana. Poche Desmidiee soltanto furono elencate da WirTROoK e 
NorpsteDT (1876). Nel 1882, l’ARCANGELI descrisse dunque un Batracho- 
spermum moniliforme var. pisanum n. var. (= B. ectocarpum Sirod.) ed 
un Batrachospermum Julianum (Menegh.) Arcang. (= B. virgatum (Kuetz.) 
Sirod.). 

Ed ora devesi rimarcare come il gruppo d’alghe che singolarmente 
fu trascurato in Toscana furono le Diatomee. Tutto quanto si sa, si 
riduce ad una nota del Marcucor (1865) per segnalare il 7'riceratium 
pentacrinus nel golfo di Livorno ed a un brevissimo elenco di specie di 
acqua dolce, raccolte presso Fiesole e pubblicate dal dott. M. LANZI (1875). 

Nel 1888 il PicHI pubblica un lavoro riassuntivo per quanto riguarda 
le Floridee toscane note fino all’anno della pubblicazione. Questo studio 
provocò una ripresa di ricerche che fu abbastanza feconda di risultati, ma 
che per disgrazia tornò ad estinguersi in questi ultimi anni. Il VinASssA, 
nel 1892, studia le Coralline è le Dictyote mediterranee, sia sui mate- 
riali ch’egli stesso raccoglieva, sia su quelli lasciatigli dal MENEGHINI 
(1892). Intanto FraminIio Tassi imprende la ricerca delle alghe del ter- 
ritorio senese, ricominciando altresì le osservazioni sulle alghe termali 
(1895, 1898) ed è spiacevole il dover affermare che con lui si arrestano 
le ricerche ficologiche d’acqua dolce, perchè salvo un brevissimo elenco 
di fitoplanctonobii raccolti nel giardino Boboli dal dott. O. ZAacHARIAS 
(Ploner Berichte, 1905) nulla più comparve per l’algologia di questa regione. 

Infine anche le ricerche sul mare vengono riprese prima con segna- 
lazioni d’alghe rare per le coste labroniche, a merito specialmente del 
De Toni (1896) e del PrEDA (1897), poi con l’elenco e lo studio rias- 
suntivo dell’intera flora ficologica di quella regione, redatto dal PREDA 
medesimo, aggiuntivi pure gli elenchi d’alghe inediti del De TonI e del 
PicconE su materiali raccolti dal DarrARI e dal CHERICI (1897) e in- 
fine con l’appendice a questo, pubblicata da AncELO Mazza nel 1905. 

Lazio. — È invero rimarchevole in qual modo, per questa regione 
®niun contributo importante venne giammai pubblicato prima del 1900, 

per quanto in ispecial modo riguardi la flora marina, (100) sebbene nel- 


(100) Alcune alghe peraltro trovansi elencate in lavori antichi. efr. MA- 
RATTI G. F. De plantis zoophytis et lithophytis in mare Mediterraneo viventibns. 
Romae, 1776. 


86 


l’Erbario dell'Orto botanico romano ed in quello della contessa E. Fio- 
rini Mazzanti, si rinvengano materiali parecchi, esattamente studiati e 
raccolti dal SAncuinETTI, dal MauRI, dal De Noraris e dalla FrorinI 
Mazzanti medesima. In maggiore considerazione furon prese le alghe 
delle acque termali e minerali. Fino dal 1856 la signora contessa FIORINI 
MazzanTI incominciò a far ricerche sulle Diatomee e Missoficee di Ter- 
racina (1863-1867-1868); trovò tra l’altro un Colletonema bullosum che 
poi ascrisse al genere Amphora. Nuove alghe scoperse nelle Acque Al- 
bulae (1857), nelle saline di Corneto (1862, ecc.), quali Calotàhrix janthi- 
phora, Hydrurus Aquae Albulae, Oedogonium Montagnei,Scytonema Asphalti, 
Microcoleus stratificans, ecc., tutte o quasi tutte oggi specie di diffi- 
cile identificazione o già riconosciute quali sinonimi di altre forme già 
note. Lo Hrrn (101) peraltro, riporta come valida specie 0. Montagnei 
F. M., sebbene il WirTtROcK accennasse, con dubbio, all’idea non trattarsi 
che di una varietà di Oed. rRodosporum. Del resto queste specie merite- 
rebbero d’essere studiate di nuovo sui materiali autentici dalla FIORINI 
Mazzanti confrontandole con alghe di fresco raccolte. Poche Desmidiee 
ed Edogoniee venivan pure elencate come raccolte nel 1876 in Roma 
da WirtRocK e NorpsTEDT (1876). 

Le prime contribuzioni un po’ rimarchevoli alla ficologia laziale com- 
paiono nel 1878, quando il LanzI cominciò a pubblicare il suo notevole 
elenco di Diatomee (circa un centinaio) raccolte in Ostia, specie d’acqua 
dolce e salmastra, con prevalenza delle prime sulle seconde. 

L’anno medesimo il CASTRACANE, a proposito di aleune osservazioni 
biologiche sulle Diatomee (Brébissonia, 1878) descrive una var. latialis 
della Pinnularia stauroneiformis. Nel 1881 il LanzI elenca le Diatomee 
delle fonti urbane dell’acqua Pia Marcia e, l’anno dopo, le analisi di una 
raccolta planctonica e di alcuni saggi neritici presi nel lago di Brac- 
ciano (1882). 

Comparve poi (1885) uno studio algologico del prof. E. MaRrTEL 
con l’intento principale d’illustrare le alghe dell’Orto botanico di Panis- 
perna, non tralasciando peraltro di notar forme umicole, di stillicidii 
od anche idrofile, prese a Villa Corsini, sui Colli Albani, sulle roccie 
umide adiacenti o nelle Acque Albule, presso la Cascata delle Marmore, 
nel lago Trajano, nelle fontane di Roma, di Villa Borghese ed altrove. 
Alcune altre brevi notizie vengono dall’autore riassunte in un lavoro sue- 
cessivo esse non sono però che supplementi a quanto egli già espose in- 
torno alla flora ficologica dell'Orto di Panisperna (1887). Le alghe delle 


(101) Monographie und Iconographie der Oedogoniaceen in « Act. Soc. Scient. 
Fenniae », Helsingfors, 1900. 


STAR 


87 


Acque Albule ricevono un nuovo contributo alla loro descrizione per 
parte del dott. BeneDETTO CoRrtI che elenca nel 1893 alcune specie di 
| Diatomee ivi raccolte. 

Nel 1894 vien pubblicato un altro studio importante per la diato- 
mologia laziale ; è un elenco del Lanzi di Diatomee del lago Trajano e 
dello stagno Maccarese, Anche qui, come nel caso precedente delle specie 
osservate negli stagni d’Ostia, si rileva la stessa miscela di forme d’acqua 
salmastra e d’acqua dolce e la medesima quantità di specie diverse, me- 
rito, in special maniera, del'’accuratezza dell’osservatore. Lo stesso anno 
UMBERTO RizzarDI segnala alcune specie di Diatomee raccolte nel lago 
di Nemi, in calce al resoconto della sua esplorazione biologica di quel 
bacino e cinque anni dopo l’argomento veniva ripreso dal Fort! (1899) 
per l’illustrazione dei saggi bentonici prelevati durante lo scandaglio 
eseguito dal prof. O. MARINELLI in questo ed anche nel vicino lago di 
Albano. Nel 1900 vien pubblicato il primo e, finora disgraziatamente, 
unico contributo d’una certa quale importanza alla flora algologica del 
litorale del Lazio, per opera di A. CoLozza; in esso sono compendiate 
tutte le descrizioni delle raccolte locali, conservate negli erbarî dell’isti- 
tuto botanico romano e della contessa FIoRINI-MAZZANTI. Peccato che la 
ricerca è ristretta alle sole alghe rosse. Nel 1902 compare una breve 
notizia sulle Diatomee del lago di Cotronia di M. Lanzi, purtroppo uno 
degli ultimi contributi allo studio che tanto lo appassionava. Nel 1905 
il dott. OrroNE ZACHARIAS, passando per Roma, coglieva l’occasione per 
raccogliervi qualche saggio di plancton nel vivajo all’ Acquario Romano, 
nel laghetto di Villa Borghese e, durante un’escursione fuori città, nel 
lago di Bracciano ma con lo scopo principale di studiarne la fauna non 
trascurò peraltro di notare anche qualche specie vegetale. 

Abruzzo. — Sebbene sia una regione ricca d’acque per i considere- 
voli nuclei montani che possiede, pure, a quanto risulta, essa si trova 
finora del tutto inesplorata. 

Campania. — Il mare incantevole del Golfo di Napoli attirò gli 
studiosi di tutti i tempi e di tutti i paesi, sicchè, fin dai principî del 
secolo scorso, cominciarono a comparire opere cospicue ad illustrarne le 
bellezze naturali; accenni ad antichi materiali comunicati a varii fito- 
grafi del suo tempo da FERRANTE ImPERATO non mancano nelle opere 
“degli scrittori dei secoli xvr e xvm (LoBEL, BAuHIN ece.). Negli ultimi 
anni poi, la ricerca, disposta e disciplinata nella forma più comoda e, 
nello stesso tempo, più severa, per opera specialmente della stazione 
biologica di Napoli, contribuì a rendere questa zona una delle meglio 
esplorate del mondo e dette agio al sorgere di molti lavori, anche fico- 
logici, che resteranno quali monumenti per gli studî sistematici del 


” 


7-a 


88 


mare. Le prime notizie d’una ricerca dettagliata sulle alghe del golfo 
d’argento, si hanno, fino dal 1829, nella grande iconografia di ST. 
DeLLE CHIAJE (1829). Alcuni anni appresso giungeva nell’Italia meridio- 
nale Grorgio DE MARTENS (1836), che si diede ad illustrare alcune tra 
le specie più rare che gli riuscì di raccogliere; anzi, nell’occasione in cui 
descrisse Amphiroa pustulata von Mart. (= Amph. Beauvoisii Lamk.) 
ne diede l’elenco (in Flora 1836). 

Nel 1842 incominciarono le ricerche nelle acque termali dell’isola 
d’Ischia, per opera del NicoLucci, che in ispecia! maniera si oecupò 
delle Missoficee ; ricerche proseguite con crescente alacrità venticinque 
anni appresso dal PepIcino che rivolse il suo studio a quanto riflette 
le Diatomee. Alcuni anni innanzi anche l’EHRENBERG (1860) si era 
occupato delle medesime ricerche ed avea rinvenuto fra le Oscillariee 
quella forma particolare di Denticula thermalis, chiamata var. valida dal 
PepIcino (= Eunotia Sancti Antonii Ehr.) a circa 80°, che poi non 
venne più riosservata dagli autori successivi a così elevate temperature. 
Il lavoro del PeDICINO, ancor’oggi, riesce oltremodo importante, sia per 
la speciale acutezza di critica sistematica che tutto lo informa, sia per 
l’accenno che già vi si riscontra allo studio della variabilità nelle specie 
diatomologiche, ricerca che solo in questi ultimi anni ebbe a riprender 
vigore per opera principale di Ortone MUELLER. Dal 1867 occorre venire 
fino al 1870 per trovare un altro lavoro del PEDICINO di morfologia algo- 
logica marina. Accenna in quell’occasione ad una stazione ormai classica 
di Chrysymenia varia. L’anno seguente il LicoPoLi, elencando parecchie 
crittogame crescenti sulle lave vesuviane, nota tra esse alcune alghe, Il PE- 
pIcino /1873) riprende lo studio sulle terme d’Ischia, concludendo — in 
concordanza con i risultati ottenuti dal NicoLvoci — che il limite di resi- 
stenza delle alghe si aggira tra i 55 ed i 67°, contrariamente a quanto 
supponeva l’EHRENBERG che lo riteneva di molto più elevato. Col 1878 
incomincia l’esplorazione sistematica del mare per opera della stazione 
biologica. Il FALKENBERG riassume i risultati della sua biennale ricerca, 
nel mentre che F. ScHMmIrz inaugura gli studî planctologici con la deseri- 
zione dell’elegantissima cenobiea Ha/osphaera in breve tempo poi ritro- 
vata di preferenza in tutti i mari della zona temperata. Il REINKE fa 
la storia dello sviluppo delle Dictyotacee e delle Cutleriacee; opere 
magistrali che possono, ancor dopo trent'anni, servir di modello ad una‘ 
ricerca biologica moderna. 

Nel 1881 il conte Sorms LauBACcH studia le Corallinee del Golfo, 
intendendovi compresi anche i Litofilli e le altre alghe calcaree, mirabile 
opera che riassume in sintesi acuta la morfologia e la sistematica di tutti 
questi esseri fino allora noti per il Mediterraneo. 


€ 


89 


L’anno medesimo lo HuBERSON segnalava due alghe d’Ischia trovate 
dal prof. ArpISSONE, Crouvania Schousboei Born. e Lygistes vermicularis. 
L’anno dopo, il BertHoLD pubblica i suoi studî sulle Sifonee e sulle 
Bangiacee che terminano con la monografia delle Bangiacee, mentre nello 
stesso anno, compare quel suo studio corologico sulle alghe del golfo 
napoletano, in cui, pur avendo preso a modello l'esplorazione del LoreNTZ 
‘per il Quarnero, opera invero classica, precorritrice dei sistemi oggi in 
uso, aggiunge merito con la. sua ricerca a simili studî, adottando un 
programma che — almeno per buona parte -— sarà degno d’essere se- 
guìto in una ricerca ordinata e fondamentale del nostro mare, quando 
si potrà organizzare in avvenire. 

+ Quasi contemporaneamente, vien pubblicata a Roma la monografia 
delle Cistosire (1882-83), del VALIANTE, illustrata da belle tavole ed in cui si 
descrive, sebbene dubbiosamente, una nuova forma, 0, dubia Val., ancor 
oggi ritenuta quale specie incerta (102). Nel 1884 compare la monografia 
delle Criptonemiacee del BeRTHOLD ed allo stesso anno data il primo con- 
tributo del BaLsamo alla ficologia d’acqua dolce, costituito da un elenco 
di Diatomee. Non erano però queste le prime che venissero notate nel 
Napoletano; fino dal 1843 il NicoLuoci elencava trentuna specie d’alghe 
raccolte nel Liri e nel Fibreno; alcune poche altre notizie sui dintorni 
di Napoli e sull’isola di Capri trovansi nel già molte volte citato lavoro 
*di Wirrrock e NorpsTEDT (1876). Nel 1885, nelle « Reliquie Cesatiane » 

vengono raccolte per cura dello stesso BALSAMO pochissime notizie sulle 
alghe d’acqua dolce dell’orto botanico napoletano, subito seguite dal 
più forte contributo finora comparso per la ficologia d’acqua dolce na- 
poletana, in cui si enumerano centotrentaquattro specie raccolte in dif- 
ferenti località intorno a Napoli. Alcune piccole aggiunte a questo flora 
porta nel 1887 anche il MARTEL ed una più rilevante ne fa il BaLsAaMo (1892) 
e con questo, per ora cessano le ricerche d’acqua dolce intorno a Na- 
poli. Continuano invece in provincia ; A. DE GASPARIS ed A. MASTROSTE- 
FANO (1896) pubblicano un elenco di Diatomee delle acque di Teano; 
fanno rilevare notevoli teratologie riscontrate durante l’esame delle loro 
preparazioni; (*. CasaLI enumera pochissime alghe dell’Avellinese (1901) 
Nel 1905 il TrorTER nel suo lavoro biologico sul lago Laceno, elenca 
pure varî fitoplanctonobii e varie Diatomee osservate nel limo del 


(102) Nel 1883 lo stesso Autore ebbe a rilevare delle protuberanze galleformi 
sulla Oystoseira opuntioides Bory — Le riconobbe opera di una feoficea che 
chiamò Stfreblonemopsis irritans n. gen. n. sp. — Ora, per altro, questa fu tro- 
vata identica ad Zufonema penetrans Reinsch (1875) — (Cfr. De Toni G. B in 
« Ber d. Deutsch. bot, Gesellsch, », Bd. IX (1891) p. 129). 


o” 


90 


fondo. Alle ricerche sulle alghe termali, che sino dal bel lavoro del 
PepIcINO rimasero stazionarie, si viene riaccennando nell’altima opera 
sopra citata del Barsamo, il quale, tra altre notizie ed altre alghe rac- 
colte in condizioni diverse, nota un Protococcus vulcunicus Ces. ined., 
che è forse la stessa cosa con il Protococcus sulphurarius raccolto e de- 
scritto dal GALDIERI nel 1899 preso sull’orifizio della solfatara di Pozzuoli a 
circa 40-60°. L'esplorazione del mare, durante gli ultimi anni, perdette 
molto della sua importanza. Il CastRAcANE descrive il Pleurosigma 
Thumii scoperto in un intestino di Oloturia presa nel golfo di Napoli 
dal prof. DoRRN (1889). Di questo argomento, per quanto riguarda le 
specie di Diatomee trovate insieme a quella già descritta ed intorno 
ad una raccolta di fanghiglia pescata dal BARBÒ, in cui si riscontrarono 
numerosissime forme, lo stesso CASTRACANE forma iltema di un altro suo 
lavoro comparso circa all’epoca stessa. Durante l’anno seguente furono 
pubblicati gli studî dello ScHROEDER sul fitoplancton del Golfo; contri- 
buzioni interessantissime, anzi fondamentali che riuscirono tra le prime 
notizie per la conoscenza del planeton marino delle zone temperate. 
Queste ricerche nin vennero proseguite che nel 1906 con l’illustrazione 
dei materiali raccolti ogni 15 giorni dal LoBranco e studiati da O. Za- 
OHARIAS. 

Durante il 1902 poi si verifica un momentaneo risveglio con la 
comparsa della cnlossale monografia delle Rodomelacee, immenso lavoro 
di un trentennio di fatica, eseguito sul modello di tutte le monografie. 
precedenti, ma forse con un concetto più esteso, sicchè si può ritenere 
opera fondamentale per la flora di tutto il mondo. Ne! 1903 compare 
un’enumerazione delle Diatomee marine fino allora conosciute per il 
golfo napoletano del Barsamo e, quasi contemporaneamente, si pubbli- 
cano tre contributi d’aggiunta alla Flora marina napoletana per opera 
del Mazza. Nell'anno seguente il BACHMANN riferisce alcune sue impres- 
sioni sulla corologia ficologica del golfo di Napoli, riportate durante una sua 
escursione; mentre l’ErnsT chiude Ja ormai gloriosa serie della letteratura 
ficologia della regione campana con la descrizione di una nuova specie 
di Udotea e con una revisione monografica di tutto questo genere di 
Sifonacee. 

Questa rapida scorsa attraverso alla letteratura ficologica del golfo 
di Napoli è ben lontana dal non presentar lacune e spesso considerevoli. « 
Infatti in moltissime opere d’indole generale, anzi in quasi tutte, si 
posson trovar citate alghe provenienti da località napoletane. Alghe 
napoletane poi furon raccolte da molti ricercatori e non furono mai illu- 
strate. Il BoLLE, ad esempio, oltre alle celebri sue raccolte algologiche alle 
isole Canarie, preparò molte specie d’alghe superiori d’Ischia ed i suoi 


Mia 


“ 


9] 


esemplari, determinati con tutta cura dal MonTAGNE, trovansi dispersi 
negli erbarî più noti sia pubblici, sia privati; a quanto risulta, però, non 
ricevettero giammai un’illustrazione speciale. Così pure, in opere d’indole 
generale, si possono trovare elenchi di specie raccolte nel mare napole- 
tano, notizie fenologiche spesso anche importantissime, od anche osser- 
vazioni sopra località, in generale, non molto esplorate. 

Così G. G. AGARDH nelle sue alghe mediterranee ed adriatiche, spesso 
enuncia delle forme come raccolte ad Amalfi ; il REINKE nel suo studio 
monografico sulle Caulerpe, descrive alcune osservazioni ch’egli potè 

» compiere sulla fenologia di C. prolifera nel golfo napoletano. Lo ScaMmITZ 
si valse d’alghe napoletane nei suoi celebri studî sul nucleo delle Tal- 
lofite ed infine i signori TEMPÈÀRE e PeRAGALLO e quindi i fratelli 
PeRAGALLO, in molte delle loro opere diatomologiche, nonchè il Traum ed 
il MòLLER ed altri in numerosissime preparazioni microscopiche messe 
in commercio, contribuirono e contribuiscono, in forma spesso originale, 
ad incrementare lo studio di questa flora, già meravigliosamente esplo- 
rata, ma che si addimostra come una vera inesauribile miniera di specie, 
spesso interessantissime ed anche sconosciute. 

Apulia, Basilicata, Calabria. — Altrettanto incerte e sporadiche 
sono le conoscenze algologiche che finora si hanno sul resto delle nostre 

» Tegioni meridionali. 

Poche specie, in parte raccolte dall’ORsINI, in parte da lui stesso 
ci vengono riferite come trovate sul Gargàno dal RaBENHORST, insieme 
con altre poche di Brindisi, Terra d’Otranto e di località vicine (1850). 
Alcune di esse peraltro, come il celebre Calodiscus superbus, sebbene 
non si ebbero più a rivedere, dovevano essere interessantissime (103). 
Unico contributo d’una certa entità in riguardo dell’algologia marina 
si ebbe per parte di A. PrcconE (1897) che enumerò venticinque specie, 
dragate a 30-40 m. di profondità, alla Secca di Amendolara, nel golfo 
di Taranto, dal capitano GARTANO CASSANELLO. 

Un ultimo breve studio sulla ficologia pugliese si ebbe per parte di 
Trro BenTIvoGLIO (1903), il quale, cogliendo occasione da un’insolita 
comparsa in gran copia di Galazaura adriatica Zanard., tra le alghe 
rigettate sulla spiaggia di Taranto, ne espone dettagliatamente la di- 

, 8tribuzione sulle coste del Mediterraneo. 

La Basilicata e la Calabria si possono finora ritenere come del tutto 

inesplorate. È apparso però da poco uno studio di TRorrER e FORTI sui 


(103) Oltrechè nel quasi sconosciuto opuscoletto pubblicato nel 1850 (//ora), 
alcune specie vennero nominate nell'opera Suesswasser Diatomaceen: Leipzig, 


1853. 


92 


laghi cacuminali vulcanici del Vàlture, che si può dire un primo ten- 
tativo di monografia limnologica su quegli interessantissimi bacini, ed 
in cui, di necessità, buona parte della trattazione venne diretta anche 
alla illustrazione delle alghe. 

Sicilia. — Se l'esplorazione ficologica di questa regione, specialmente 
per quanto riflette la parte marina, ormai si può dire compiuta in 
modo abbastanza soddisfacente, non così si può ripetere per quanto 
riflette l’algologia d’acqua dolce. Notizie d’alghe marine, raccolte in 
Sicilia, si hanno fin dal 1822 par parte del Bivona BERNARDI; ma il 


primo lavoro interessante si è quello del prof. R. A. PrHILIPPI (1837) 


in cui vengono illustrate le alghe calcaree raccolte da HoFFMANN, 
EscHER von DER LintA e ScHuLTZ durante il loro viaggio compiuto 
negli anni 1830-32 attraverso l’ Italia. Una Porphyra Martensiana Suhr. 
viene descritta nel 1840 (Flora); ora per altro questa forma viene 
ascritta qual sinonimo alla Bangia ciliaris Carmich. 

Nel 1861 compare il primo studio fondamentale sulla ficologia sici- 
liana e lo si deve all’ArDISSONE che percorse in modo diligentissimo quel 
tratto di costa, compreso tra Catania e Messina, facendo anche ricerche, 
sebbene incomplete, sulle acque dolci; ne risultò un elenco di circa due- 
cento specie, tra le quali certune d’interessanti come la Schimmel- 
mannia ornata Schousb., che, allora soltanto, veniva scoperta per la se- 
conda volta dopo l’originale di Tangeri. Quattro sono le contribuzioni 
dell’ArDISSONE e comparvero, tra il 1861 ed il 1867, negli atti della 
Società crittogamica italiana. Cinque anni dopo, il prof. L. Kny, risie- 
dendo in Palermo, si diede a ricercare attivamente quella parte di costa 
adiacente alla città, ma nulla pubblicò intorno a quanto rinveniva; 
i suoi materiali invece, venivano descritti dal LANGENBACH, insieme con 
quelli che egli stesso raccolse sulle spiaggie più occidentali ed a Pan- 
telleria. L'elenco del LANGENBACH è già molto lungo, ammontando a 
ben 263 specie ; di esse ben cinquanta vi son notate come non mai 
raccolte sulle sponde dell’isola e cinque come nuove per il Medi- 
terraneo. Le determinazioni del LANGENBACH sono assai avvalorate dal 
controllo del KuerZzING. 

Nel 1875 il TORNABENE elenca tre alghe trovate nelle acque solfo- 
rose di Santa Venera, presso Acireale, e nello stesso anno, il CASTRA- 
CANE enumera alcune Diatomee rinvenute nel contenuto gastrico di una” 
Salpa pinnata, presa nello stretto di Messina. Un’altra cospicua nota 
di una sessantina di specie pescate nello stretto, viene pubblicata dallo 
stesso autore nel 1880, mentre, in quegli anni, il Borzì, pubblicando 
le sue ricerche sulla morfologia e biologia delle alghe ficocromacee, nota 
in qua e in là qualche specie raccolta in Sicilia. Alcune forme d’alghe 


ti ata 


93 


d’acqua dolce, raccolte nell’Orto botanico di Palermo, vengono elen- 
cate dal MaRTEL in promiscuità d’altre di Parma e di Roma (1887). 

Un anno prima il Borzì descriveva un Nitophyllum carybdaceum 
n. sp. trovato in unico esemplare. Elencava pure Callophyllis laciniata 
e Polysiphonia Brodiaei, come specie non mai osservate in Sicilia. Due 
anni dopo, il Prccone illustra un pugillo di sei alghe raccolte dall’Ay- 
viso « Ischia » alla Secca della Barra a m. 100di profondità (1889). Fra 
esse Peyssonnelia rubra J. Ag., Delesseria lomentacea Zanard. e Litho- 
phyllum expansum Zanard. sono nunve per l’isola. Dopo questo breve 
studio (1900) ne compare un altro dello stesso autore su materiali rac- 
colti da P. Baccarini ed A. FicHERA; in esso vengono elencate 
Rodriguezella Strafforelli Schmitz e Dictyota ligulata Kuetz., nuove per 
la Sicilia. Nel 1901 A. Mazza, commentando le varie località in cui 
venne rinvenuta la Laminaria Rodriguezii Borm., trova come quella 
specie che l’ARDISSONE non ritenne essere se non una forma di L. sac- 
carina, comunicatagli dal VicaRI di Siracusa, fosse invece da ritenersi 
identica alla L. Rodriguezii. L’anno stesso compare un primo studio 
sulle alghe siciliane del prof. VentURINO SPINELLI, in cui egli enumera 
ben trentasette alghe marine nuove per la Sicilia (1901). Il Mazza, nel 
1903, nel preparare un manipolo d’alghe siciliane vi rinvenne il Nito- 
phylum tristromaticum Rodrig., un’interessantissima specie bentonica. 
Poec tempo innanzi egli aveva ritrovato ed illustrava ancora una volta 
Schimmelmannia ornata ch’egli rinvenne ancora alla famosa stazione 
della Scalazza, presso Catania. Infine, nei due anni successivi, egli 
esponeva complessivamente i risultati delle sue ricerche in Sicilia. In 
quest’ultimo lavoro si elencano diciannove alghe non mai segnalate 
nell’isola. 

Tre di esse (Callith. tripinnatum Ag., H. dichotoma J. Ag., Pterosi- 
phonia parasitica (Huds) Falkenb., erano già state segnalate per l’isola 
dallo SPINELLI e Dictyota ligulata dal PrioconE. 

Nel 1905 vien pubblicata una nota di Caracee sicule, raccolte in 
parte nel lago di Pergusa dal Ross e determinate da L. HoLrz; in 
parte in altre località, specialmente prossime a Palermo; sono otto 
specie in tutto con parecchie varietà, di cui una nuova. Alcun tempo 
dopo il FORMIGGINI riassunse diligentemente l’intera letteratura caracio- 
logica siciliana, controllando il materiale autentico conservato negli erba- 
rii di Palermo, Roma e Genova (1908) e riportando i pochi dati del 
BraUN, del TORNABENE ecc Nell’anno 1906 lo SeineLLI dà alla luce un 
suo contributo alla conoscenza delle alghe sicule, in cui si limita a 
descrivere le specie che vegetano sulle coste della Sicilia orientale. Ri- 
ferisce specie da lui stesso raccolte e specie già elencate dal TORNABENE ; 


ba 
E. “re 


94 


fa qualche interessante aggiunta alla flora ficologica locale, come quella 
di Halymenia ligulata Zanard. È però un lavoro molto affrettato e 
spesso scorretto. 

Così terminerebbe la rapida rassegna degli studi ficologici siciliani ; 
pure qui, da chi si accingesse allo studio dettagliato, sarebbero a veri- 
ficarsi notevoli lacune specialmente originate dalla presenza di molte na- 
tizie sporadiche incastonate in altri lavori di natura diversa, o d’indole 
generale. 

In mente ricorrono subito parecchie notazioni per la Sicilia, che 
trovansi nei lavori successivi dell’ARDISSONE, i quali dovrebbero venire 
compulsati minuziosamente da chi volesse imprendere lo studio mono- 
grafico. Parimenti negli « Studi algologici » del Borzî, trovansi spesso 
enumerate alghe siciliane ; esempio ne sia il Chlorothecium Pirottae Bzì. 
(1894) raccolto sui Potamogetoni nel fiume Ciarre a Siracusa e l’Ophio- 
cytium gracillimum Bzi. preso sulle alghe, ad Ortona, presso Messina, e 
così via. Èd infine sia qui ricordato per l’eccezionale sua importanza, 
lo studio monografico sulle Coccolitofore del LOHMANN eseguito in 
gran parte, con materiali del Mediterraneo, un cui genere si chiama 
appunto Syracosphaera, perchè raccolto nel mare di Siracusa e lo studio 
di aleune raccolte di plancton marino, illustrate dallo ZACHARIAS nel 1906. 

Sardegna. — Le prime notizie di flora algologica sarda sono date dal 
Moris (1829), il quale enumera sessantotto alghe marine di questa isola. 

Indi occorre venire fino al 1864 per trovare una descrizione di una 
nuova interessante specie epizoa vivente sulle penne di un Phalacro- 
corax Desmarestii (Payr) per parte del prof. PretRo Savi (104). 

Il 1880 venne pubblicata la principale opera riassuntiva finora esi- 
stente per questa regione, la « Florula algologica della Sardegna » del 
PicconE, che comprende in tutto 330 specie d’acqua dolce o marina. 
Questo lavoro, d’indole essenzialmente sintetica, riporta, dopo un ma- 
turo esame, gli elenchi e la revisione critica dei materiali del GRUNOW, 
del Marcucci e del De NorarIs, specialmente in rispetto alle alghe 
inferiori; del Moris, DE NoraRIS, GENNARI, MARCUCCI, CANEPA e 
GesTtRo. specialmente per le alghe superiori. Nel 1884 segue un'altro 
interessante contributo per parte del PiccoNE, originato dall’illustrazione 
dei materiali raccolti dal Marcuoci lungo la costa nord ed orientale 
di Sardegna, nonchè sulle rive delle isole Maddalena, Asinara, Tavolara 
e Caprera ; sono 86 specie, di cui ben 21 non erano state incluse nello 


(104) Savi Pietro. Descrizione dell’Ulva involvens n sp. - Catalogo degli Uc- 
celli di Sardegna di T. SALVADORI, pag. 118-119, 1864. - Cfr. PIOCCONE. Appen- 
dice al saggio di una bibliografia algologica italiana di V. CESATI, p. 324. 


17) 


and 


95 


studio precedente. Tutti questi contributi poi, aggiuntavi ancora qualche 
altra scarsa notizia, sono compendiati nella più recente opera riassuntiva 
del BarBEY (1885). Meritano infine menzione i recentissimi studi di 
F. CavaRra eseguiti sopra alcune alghe delle saline (Microcoleus, Duna- 
liella ecc.) malgrado che non siano diretti a fine di ricerca sistematica. 

Corsica (105). — In nessuna regione, compresa nei confini naturali 
d’Italia, trovasi una più completa sproporzione tra la ricerca che si 
venne col tempo facendo sulle alghe d’acqua dolce e su quelle d’a- 
cqua marina. Le prime non furono, si può dire, neanche lontanamente 
illustrate, sebbene alcune pochissime specie sub-marine fossero per 
incidenza annoverate a fianco delle marine; queste invece si possono 
dire abbastanza note e specialmente quelle che trovansi verso la parte 
più settentrionale dell’isola. Poche specie (circa una ventina) senza indi- 
cazione di alcuna località, sono enumerate nel 1835 da RoBIQUET in un 
lavoro statistico sulla Corsica ; è un contributo di nessuna importanza. 

Altre alghe, raccolte dal LfveILLÉÈ, pure senza precisa indicazione 
di località, enumera J. G. AGAaRDH nella sua opera sulle alghe del Me- 
diterraneo e dell’ Adriatico (1842). Alcune ancora ne cita il MonrAGNE 
nella sua Flora d’Algeria (1846), quale commento geografico alle 
descrizioni delle specie ivi riferite. 

Ma l’unica contribuzione, finora d’una certa importanza, si è quella 
del DeBFAUX (1874) che illustra tutte le categorie d’alghe, specialmente 
marine, fuorchè le Diatomee, di cui non elenca che quattro sole forme. 
Egli aggiunge alla flora mediterranea C/ladophora (Siphonocladus) mem- 
branacea e le sue determinazioni sono spesso riconfermate dal LEBEL, 
dal BornET, dal LENORMAND, onde risultano attendibilissime. A pro- 
posito, per altro, delle lacune che si manifestano nella sua enumera- 
zione, per la mancanza d’illustrazione delle Diatomee, egli dice : « Mais 
M. De BréBisson les a comblées en partie » alludendo al suo lavoro 
sul muschio di Corsica. Tale affermazione, peraltro, sembra non do- 
versi prendere alla lettera, se si nota come il BRÉBISSON stesso dica per 
definire quel materiale : « ..... un méèlange d’Algues ..... qui furent 
peut-ètre détachées dans le principe ..... des còtes de la Corse, mais 
dont la récolte s’est étendue plus tard sur tous les bords de la Médi- 
terranée ..... ». 


(105) Sotto il nome di « Muschio di Corsica » o di « Corallina di Corsica » 
va un medicamento vermifugo, in uso costante fino alla metà del secolo pas- 
sato, ora giù di moda, A. costituirlo contribuiscono alghe marine mediterranee 
delle località più svariate. Perciò le opere che ne trattano non possono di ne- 
cessità ritenersi come facenti parte della flora corsa. 


RP. a È 


96 


Isole Minorîi. — Procedendo in maniera da seguire da ponente ad 
oriente il giro delle coste d’Italia, si può notare come l’arcipelago to- 
scano sia stato sclo parzialmente esplorato; infatti, per la Gorgòna non 
si sanno raccolte che poche alghe di mare dal prof. G. ARCANGELI, ri- 
ferite poi dal PrcH1 nel suo elenco (1888); per la Capraia sono elencate 
un’ottantina di specie in calce all’illustrazione floristica che ne dettero 
il Moris ed il DE NorarIs (1839). L'isola d’Elba fu appena visitata da 
Marcucci e dalla marchesa VITTORIA TOSCANELLI, che vi raccolsero pure 
alcune alghe. Di esse, alcune comparvero nell’Erbario Crittogamico Ita- 
liano, poi con altre aggiunte vennero dall’ ARDISSONE riferite nella « Phy- 
cologia mediterranea ». Illustrazione più completa ricevette l’Zsola del 
Giglio dai professori Piccone e DE Toni (1900) in occasione dello studio 
monografico che ne fece il SOoMMIER ed avrà l’isola di Pianosa per opera 
di Mazza e FoRtI, parimenti su materiali raccolti dal Sommer. Meglio 
di tutte però vennero esplorate le isole minori del gruppo sardo. Già 
dalla prima volta (1879) che vi approdò il cutter « Violante » nella sua 
crociera per il Mediterraneo, vennero raccolti molti materiali intorno @ 
Caprera, presso alla Maddalena ed all’isola Tavolara, ma poi, special. 
mente la flora di Caprera, ebbe a subire notevoli incrementi (Piccone 1883, 
1884, 1890, 1891, 1901). Del gruppo Ponziano non è nota che la Zonarta 
flava (Clem). Ag. raccolta dalla marchesa ToscaNELLI a Ponza, riferita 
dal Mazza. Di /schia s'occuparono, come s’è già accennato, il NicoLuecI, 
il PepIcino e l’EHRENBERG, per quanto riguarda le terme, laddove il 
BoLLe vi raccolse alghe marine senza iilustrarle. Delle isole Lipari, sol- 
tanto Stromboli ricevette qualche illustrazione; infatti l’esemplare di 
Lamin. Rodriguezii Born., che fu comunicato al Mazza la prima volta 
dal FERRARI, proveniva di là (1901); altre alghe, pure ivi raccolte, gli 
pervennero con lo stesso mezzo ed egli le illustrò nel 1903 e 1904 uni- 
tamente a nuovi materiali siciliani. Delle Egadi non si conosce che una 
descrizione di un nuovo genere di cloroficee « Hauckia » (1880) per 
opera del Borzì, raccolto a Favignana. Di Pantelleria si ha la interes- 
sante comunicazione del LANGENBACH (1873). A Malta raccolse alghe il 
GestRo, durante la crociera di E. d’ALBeRTIS sul Violante (1883), e 
furono studiate dal Prccone. Altre specie vi furono raccolte dalla mar- 
chesa ToscANELLI e vennerc riferite spesso dall’ ARDISSONE nella sua 
« Phycologia mediterranea » (1883-1885) nonchè talvolta distribuite nel- 
Erbario Crittogamico Italiano. Il MorBIUS (Notarisia di D. Levi 1892) 
stende un notevole elenco di alghe melitensi (72) di cui aleune rinvenute 
abbastanza di rado. Il materiale fu raccolto dal dott. A. CARUANA GATTO, 
il quale, da parte sua, ne comunicava un breve elenco al Congresso Inter- 
nazionale di Genova (1893). Delle isole Pelagie trattarono il PioccoNE su 


Lu 


97 


materiali presi dal cutter « Violante », il SoLLa in un lavoro che data 
dal 1885 ed infine il Borzì con la descrizione di un nuovo genere di 
Croolepoidee raccolte a Linosa sulle roccie umide (1907) e con un certo 
numero di nuovi generi di Stigonemacee di cui sono già pubblicate le 
diagnosi e di cui si aspetta la descrizione più ampia (1907). L’anno 
scorso poi, in occasione dello splendido lavoro monografico del SomMIER, 
su queste isole e su Pantelleria, uscì il riassunto accuratissimo della flo- 
rula ficologica fino allora nota, aggiuntevi alcune descrizioni di nuove 
forme per opera del Borzì. Alla flora Dalmata si aggiungono i non brevi 
elenchi d’alghe marine di Brazzà, Lesina, Curzola, Cazza, Lagosta e Me- 
leda, e di alcune località lungo la terra ferma, raccolte dal « Violante » 
per opera del PrcconE. 

Concludendo. — Specialmente manchevoli risultano le illustrazioni 
dell'Umbria, dell'Abruzzo, della Basilicata e della Calabria, come op- 
portunamente ebbe già ad osservare l’Arpissone (106). Lungo il mare 
poi le alghe superiori si può dire abbian ricevuto già le basi di 
una descrizione sistematica ormai razionale, non così le inferiori ed 
il planeton in cui le nozioni, più che rudimentali, si possono dire quasi 
mancanti. Basterà per questo prendere a modello i lavori che i francesi 
vennero recentemente compiendo lungo le spiagge dei golfo del Leone, 
prendere esempio dalle opere magistrali del PovucHET, del GouRrRET dei 
PrRaGALLO, di PAVILLARD, e di tanti altri per trovare in parte spia- 
nata la via e segnato un programma grandioso di ricerca avvenire. In 
quanto poi riguarda gli studî d’acqua dolce, sebbene per certe regioni, 
in modo particolare, si possa dire che non siano stati del tutto trascu- 
rati, occorre si estendano all’intera Penisola e specialmente per i laghi 
e per i fiumi assumano quel carattere di ricerche continuate, senza cui 
ogni ricerca sistematica non si riduce che a nuda enumerazione di tipi 
e nulla più. 


Funghi e licheni. 


Fra le crittogame cellulari, i Funghi furono indubbiameute i più stu- 
diati in Italia, per quanto questa migliore conoscenza derivi più che 
altro dal contributo delle regioni settentrionali d’Italia e, tra queste, 
sopratutto dalla regione veneta. 

Al BeRTOLONI devesi una succinta esposizione (107) fatta in seno 


(106) Atti del Congresso nazionale di botanica crittogamica in Parma, 5-10 
settembre 1887, fase. I. 

(107) A. BertoLONI. Sopra lo stato attuale della Micologia italiana e sulla 
necessità di nuovi studî in « Atti VIII Riunione Scienz. it. in Genova nel 1846 », 
Genova 1847, p. 538. 


98 


alla Riunione degli Scienziati italiani tenuta in Genova nel 1846, dello 
stato delle conoscenze dei Funghi fino a quell’epoca, con sommario 
cenno ai Javori di Viviani, VirrADINI, DE NOTARIS, ecc. fino allora com- 
parsi, ed all’opportunità di estenderne ed intensificarne lo studio. Ma il 
primo generale censimento, consistente nella sola enumerazione delle 
specie riscontrate in Italia fino al 1883, è opera dei professori SACCARDO 
e BERLESE (108). A] primo, in unione ai professori PENZIG e PIROTTA (109), 
devesi la prima bibliografia fino ai 1882. rifusa e completata dal Tra- 
vERSO (110) fino al 1904 ed alla quale ora v’è alcun poco da aggiungere 
per recenti contributi e per qualche inevitabile ommissione. Essa è la 
più bella dimostrazione della parte larghissima che ha avuto l’Italia nel 
progresso degli studî micologici, oltre l’opera monumentale del SAccaRDO, 
Sylloge fungorum, (19 volumi), la cui influenza si esercitò e si esercita 
oltre i nostri confini, dovunque gli studî sui funghi hanno suscitato iu- 
teresse nel campo scientifico e pratico. Varie « Exiccata » micologiche, 
oltre l'Erbario crittogamico già ricordato, resero più facile in Italia lo 
studio dei Funghi, pubblicate in varie epoche, da P. A. SAccaRDO (111), 
SPEGAZZINI (112), BrIosI e CAVARA (113), CavaRA (114), D. SaccaRDO (115) 
oltre le analoghe pubblicazioni straniere nelle quali i Funghi italiani 
hanno talora largo posto, come, per citarne solo alcune, l’Unio itine- 
raria, i Fungi europaeì di RagERHORST, la Mycotheca universalis di 
THUMEN, ecc. 

Il censimento dei Funghi italiani già ricordato, dava per l’Italia, 
sino al 1883, il numero di 6403 specie. Non andiamo errati affermando 
che dopo un venticinquennio di incessanti ricerche questo numero 
debba essere notevolmente aumentato, così da oltrepassare le 8000 specie, 
cifra la quale, a nostro credere, non sarebbe raggiunta da alcur’altra 
nazione a pari od anche a maggior territorio. La « Flora italica erypto- 
gama » darà a tali ricerche un nuovo e più vigoroso impulso; mostrerà 


(108) P. A. Saccarpo ed A. N. BerLEse. Catalogo dei funghi italiani in 
«Atti Soc. critt. it. Milano » a. XXIV, ser. 2*, vol III, disp. 2*, anno 1884, 
pag. 261. 

(109) SaccarDO, PeNzIG, PiroTTA. Bibliografia della Micologia italiana in 
Michelia, v. IL, a. 1882, p. 177. 

(110) G. B. Traverso. Zlenco bibliografico della Micologia italiana, con un 
Supplemento, in « Flora italica cryptogama », anni 1903, 1905. 

(111) Mycotheca veneta, 16 Centurie, 1874-1881. 

(112) Decades Mycologiae italicae, 12 Decadi, 1879, 

(113) / funghi parassiti delle piante coltivate od utili, 17 fascicoli di 25 sp. 
tutte figurate e descritte, 1888-1908. 

(114) Zungi Longobardiae exsiccati, 5 fasc. di 50 .sp., 1892-1894. 

(115) Mycotheca italica, 15 Centurie, 1897-1908. 


99 


le lacune esistenti nella studio di taluni gruppi, come ad esempio gli 
Imenomiceti (116), i Ficomiceti, ecc.; mostrerà le innumerevoli deficenze 
topografiche (117), agevolerà infine il compito per una futura corologia 
micologica. 

Ancor migliori ci sembrano le condizioni della lichenologia italiana 
con una sintesi topografica che è di già un fatto compiuto. La ,SyZloge 
Lichenum italicorum del JaTTA, con 1482 specie, preceduta da una in- 
teressante introduzione e da una bibliografia sino al 1899, la sua nuova 
Monografia dei licheni italiani, elaborata per la « Flora italica erypto- 
gama » già sotto stampa e prossima ad uscire, aggiornata perciò sino 
allo scorso anno, ci dispensano quindi per questo gruppo di crittogame 
da una più larga trattazione. Aggiungeremo solo che 1’ Italia meridionale, 
la quale nello studio dei funghi offre un’ampia lacuna, per i licheni in- 
vece può dirsi sufficientemente nota, a merito soprattutto del JATTA, 
il quale non solo riunì i numerosi, ma sparsi documenti della licheno- 
logia meridionale, ma ne incrementò anche la conoscenza con proprie ed 
ampie ricerche. Il tutto è consegnato nella sua pregevole Monografia 
Lichenum Italiae Meridionalis (1889). Essa prende in considerazione i 
licheni sino a quel tempo noti, non solo di tutta l’Italia meridionale 
continentale, a cominciare dall’ Abruzzo, ma anche quelli di Sicilia, Sar- 
degna ed isole minori. 

Come fu fatto per gli altri gruppi di crittogame, diamo anche per 
i Funghi uno sguardo attraverso la penisola, rapido e sintetico, sembran- 
doci che la bibliografia del TRAVERSO, già in distribuzione, sia di per 
sè la guida migliore per una tale inchiesta. Perciò ci limiteremo a quanto 
non può facilmente desumersi dal suo sussidio. Avvertiamo poi che fonti 
importanti per la distribuzione dei funghi in Italia sono le « Relazioni » 
o «Rassegne » che quasi annualmente vengono pubblicate dalla R. Sta- 
zione di patologia vegetale di Roma e dal R. Laboratorio crittogamico 
di Pavia, con materiali giunti da ogni parte d’ Italia e riguardanti soprat- 
tutto i parassiti di piante coltivate od utili. 

Veneto. — È noto soprattutto per le ricerche del SacoaRDO e dei 
suoi allievi, tra i quali il Birzzozzero, la cui Flora veneta cryptogama (1885), 


(116) L'Inghilterra che nel numero totale dei Funghi ci è molto al di sotto 
enumerava però, sino al 1883, circa 1400 specie di Imenomiceti, contro i 1267 
che figurano nel censimento italiano sino alla stessa epoca. Il Tirolo ne 
enumera circa 1160, sino all’anno 1904, pur avendo un’estensione notevolmente 
più piccola e condizioni topografiche più uniformi. 

(117) Vi hanno tutt'ora in Italia delle estese regioni, poco o punto esplorate, 
le quali, diverse per latitudine, per clima e per vegetazione, lasciano sperare 
una larga messe di nuove o comunque interessanti aquisizioni, 


100 


disposta in chiavi analitiche ed accompagata da brevi diagnosi, è stata 
di grande ausilio a quanti si sono iniziati posteriormente allo studio dei 
funghi in Italia, essendo essa l’opera manuale più accessibile e più com- 
pleta per la loro determinazione. Essa fu aggiornata sino al 1902, prima 
con un Supplemento del dott. D. SAccARDO, uscito nel 1899, quindi con 
un posteriore contributo dello stesso, apparso nel 1902 (118). Nè possono 
dimenticarsi le indefesse ricerche del prof. C. MassaLoNGO (119) intorno 
ai funghi veronesi, le quali valsero ad accrescere notevolmente il con- 
tingente dei funghi veneti, che raggiungono oggidì il notevole numero 
di circa 4600 specie! Cifra rilevantissima anche se paragonata con le 
statistiche che sin qui possediamo intorno alla flora micologica di 
altre nazioni. Valgano alcuni esempi: il Belgio, con una superficie di 
29,457 kmq. (120), sino al 1907, secondo il Prod. de la Flore de Belgique, 
t. I, di DE WILDEMAN e DURAND, conta 5779 specie; l’Olanda con una 
superficie di 33,000 kmq., fino al 1904, secondo il Catalogue raison. d. 
Champignons d. Pays-Bas di OUDEMANS, contava 4400 specie; l'Inghilterra, 
con una superficie di 131,628 kmq., sino al 1892, circa 5040 specie; l’ Austra- 
lia, nella porzione sin qui esplorata, sino al 1894, specie 2284; il Tirolo, 
26,690 kmq., aggiuntovi anche il Vorarlberg ed il Lichtenstein, secondo il 
censimento di Manus (in Flora Tirols Vorarlb. u. Lichtenst.: Pilze) e sino 
a] 1904, specie 3528. Perciò il Veneto, potrà servirci ottimamente di para- 
gone per apprezzare il grado di conoscenza delle altre regioni italiane. 

Littorale austriaco o Venezia Giulia. — Comprende i territorî di Go- 
rizia, Gradisca, Trieste e l’Istria. Questa regione non possiede una spe- 
ciale flora micologica. Sino al 1885 le contribuzioni più copiose erano 
quelle di BoLLe e THUMEN, alle quali alcun poco fu aggiunto soprat- 
tutto per le recenti ricerche di H. e P. Sypow. 

Trentino. — La Flora der Tirol, Vorarlberg u. Lichtenstein, edita da 
v. DALLA TORRE e v. SARNTHEIN, è l’opera più recente e più completa 
per la conoscenza floristica del Trentino. I funghi, elaborati con la 
valida cooperazione e con la ben nota competenza dal prof. P. Ma- 
GNUS, ammontano in quest'opera e per l’intiera regione a 3528 specie. 
Aggiunte o contributi posteriori di qualche importanza devonsi all’ HrIm- 
ERL (Verh. k. k. zool. bot. Ges., Wien, 1905, 1907) ed ai signori BuBàÀK 
e KapaT, pubblicati nelle ultime annate dell’ « Oesterr. bot. Zeitschr. ». 


(118) D. Saccarpo. Aggiunte alla Flora veneta micologica e nuove specie di 
fanghi per la Flora italiana, in « Atti R. Ist. Ven. » t. LXI, an. 1902. 

(119) Riassunte ecompletate, sino al 1906, in due pubblicazioni elencate nella 
Bibliografia del TRAVERSO ai nn, 745 e 755 ed in una terza apparsa in « Mal. 
pighia », 1906, p. 159. 

(120) Il Veneto ha una superficie di 24,548 kmq. 


101 


Lombardia. — Questa regione, classica negli studî micologici, per 
la quale il CEsATI ancora nel 1861, tratteggiava il programma di una 
futura crittogamologia insubrica (121) ha avuto da poco da parte del 
TuRrconI (122) un completo censimento della sua flora micologica, arric- 
chitasi in questi ultimi anni specialmente per gli studi compiuti nel 
Laboratorio crittogamico di Pavia. Vi sono però elencate solo 1970 specie, 
numero assai scarso, anche tenendo conto del lieve aumento che può 
giungere per le recentissime ricerche del BrancHI nella provincia di 
Mantova e per le specie che vi si potrebbero annettere in seguito ad 
una più diligente compulsazione delle pubblicazioni svizzere, in quanto 
possono racchiudere specie raccolte nel Canton Ticino e Bassa Engadina, 
regioni da doversi certamente annettere al territorio lombardo. 

La bibliografia riferibile a queste zone, oltre il nostro confine 
politico, può ricavarsi, oltre che dal lavoro del TRAVERSO, soprat- 
tutto da quello del FiscHER già citato (43) aggiornato per le Uredinee 
sino al 1904 dallo stesso FiscHER nella sua monografia (123), per i 
Mixomiceti sino al 1906 dallo ScHINZ (124); da tenersi poi conto di un 
piccolo e generale contributo micologico pubblicato posteriormente da 
JaaP (125). 

Piemonte. — Trovò siu qui vari illustratori; anzi alcune provincie, 
come Torino, Novara, Cuneo, possono dirsi abbastanza note per varie 
contribuzioni di BresaDoLA, Cavara, FayoDp, FERRARIS, GABOTTO, 
NoreLLI, Saccarpo, VogLINO, ecc., talune delle quali suscitate dalla 
opera indefessa di raccoglitore, spiegata dal compianto ABATE CARESTIA, 
Manca però al Piemonte un completo censimento dei suoi funghi, opera 
quanto mai desiderabile, specialmente se congiunta ad una più larga 
esplorazione delle numercse ed interessanti sue valli subalpine. 

Liguria. — Il censimento più completo dei funghi liguri, con 
930 specie, è dovuto al PoLLacci (1897). A questo lavoro è da aggiun- 
gersi un contributo del MagGnAGHI (1902) ed un altro più recente del 
MarrEI, che pure uniti ad altre notizie, sparse in pubblicazioni di mi- 
nore rilievo, non eredo facciano ammontare i funghi liguri oltre le 
1200 specie; cifra assai limitata, se si tien conto della ricchezza della 


(121) Commentario della Soc. critt. it., n. 1, febbr. 1861, pp. 7, 16, 47, 72. 

(122) Intorno alla Micologia lombarda. Memoria prima, in « Atti R. Ist. bot. ». 
Pavia, N. S., v. XII, an. 1908, p. 57, 284. 

(123) Die Uredineen d. Schweiz, in Beitr. z. Kryptogamenfl, d. Schweiz Bd. II 
Heft 2., an. 1904. 

(124) Die Myxomyceten oder Schleimpilze der Schweiz, in « Mitth. Naturw 
Ges. ». Winthertur, an. 1906, 129 pp. e 45 fig. 

(125) Beitr. a. Pilzflora d. Schweiz in « Ann. Mye. », V, an, 1907, p. 246. 


102 


sua flora fanerogamica, della forte accidentalità del suolo, cifra quindi 
capace di notevolissimo incremento. 

Emilia. — La regione appenninica emiliana è meglio nota nel tratto 
che comprende le provincie di Parma, Reggio, Modena, Bologna, per 
le ricerche di Cocconi, Mori, MorINI, TrAavERSO, ma soprattutto di 
PassERINI. La sola provincia di Modena possiede un censimento recente 
e generale, pubblicato nel 1903 dal TrRavERSO, con 403 specie; alla pro- 
vincia di Bologna crediamo possano attribuirsi non più di 500-600 specie. 
La pianura emiliana, nel tratto limitato dalla provincia di Ferrara, 
possiede una illustrazione da parte del MassaLonGo, la quale però non 
contiene che circa 200 specie. Con molta probabilità l’intera regione 
emiliana, malgrado il forte impulso giuntole dal PASSERINI, non arriva 
forse ad enumerare 2000 specie. 

Toscana. — Anche per questa regione manca un censimento gene- 
rale. Le località più note sono Vallombrosa per le ricerche e pubblica- 
zioni di CAvaRA, MarTIROLO, SAccaRDO, SoLLa; la provincia di Siena 
della quale si conoscono circa 1600 specie a merito di Tassi Fl.; le pro- 
vincie di Pisa e Livorno per le illustrazioni di ARCANGELI, BARSALI, e 
qualche altro; la Lunigiana per il lavoro del PELLEGRINI; la provincia 
di Lucca per due centurie pubblicate dal ToGNINI; infine è da ricordarsi 
un Pugillo di funghi fiorentini del BerLESE ed un altro contributo di 
circa 300 specie, provenienti da varie località della Toscana, dello stesso 
BeRLESE con la collaborazione del PEGLION. Può ritenersi che, con Pag- 
giunta di altre indicazioni frammentarie o di minor importanza, i funghi 
toscani, quantunque la loro ricerca sia stata iniziata dal MicHELI sino 
dal 1729, superino di poco le 2000 specie. 

Marche. — Manca per questa regione un contributo di una qualche 
importanza. A stento sfogliando numerose pubblicazioni, si potrebbe 
riunire un centinaio di specie. 

Umbria. — La recente contribuzione del SEVERINI, la quale però 
non registra che 162 specie dei dintorni di Perugia, può dirsi la pubbli- 
cazione più ricca intorno alla micologia di questa estesa regione, floristi- 
camente così interessante. 

Lazio. — Manca un censimento od una catalogazione completa. I 
funghi del Lazio furono però egregiamente studiati da numerosi bota- 
nici, tra i quali benemeriti LANZI, BAaGNIS, BrIZI, P. A. SAccaRDO e 
qualche altro; le specie sin qui riportate non crediamo superino di molto 
il migliaio. Il più recente lavoro per questa regione è quello del Sao- 
carpo D., Aggiunte alla Micologia romana (1904), nel quale trovasi pure 
registrata parte notevole della bibliografia micologica della regione. 

Abruzzo. — Il contributo speciale più copioso è quello del CESATI, 


103 


in seguito ad una escursione ai monti Morrone e Majella, ma non con- 
tiene che una cinquantina di specie e risale al 1873. 
Italia meridionale. Questa estesissima regione, che comprende sì 
larga parta d’Italia, può dirsi, salvo qualche piccoio tratto, quasi ine- 
i splorata. Del Molise, Puglie, Basilicata, Principato Citeriore, Terra di 
Otranto, Calabrie, mancano quasi del tutto notizie di un qualche rilievo 
ed a stento si potrebbero riunire per l'insieme di questi territori poche 
decine di specie. 

Le zone discretamente note sono solo la Campania (dintorni di Na- 
poli, di Caserta), ma soprattutto la provincia di Avellino, la quale può 
enumerare circa 700 specie, ed il Gargano intorno al quale possediamo 
un copioso elenco del RABENHORST (quasi 200 specie), in seguito alla sua 
importante esplorazione botanica compiuta poco prima del 1850. 

Sicilia. — La parte meglio nota è la costa orientale, a merito dello 
ScaLra il quale nei suoi vari contributi segnala circa 700 specie. Meno 
esplorate sono le altre parti di Sicilia intorno alle quali abbiamo dei 
contributi più modesti da parte di InzENGA, BELTRANI, PASSERINI, 
PeNnzIG e qualche altro. 

Sardegna. — Fino al 1884 esisteva un elenco generale nell’opera di 
BarBEY, Florae Sardoae Compendium, il quale però non contiene che 
181 specie. Esistono vari contributi posteriori, di SAccARDO e TRAVERSO, 
di VogLINO e due recentissimi della signorina Eva MAMELI, nei quali 
trovasi pure registrata tutta la precedente bibliografia sino al 1907; quindi 
un altro più recente contributo del BeLLI (1908) coi quali le specie di 
funghi note per l’isola non ascendono però che a circa 600 specie. 

Corsica. — Per quest’isola abbiamo invece un lavoro sintetico nel 
Prodrome d’une flore mycologique de la Corse dei signori MAIRE, DUMÉE 
e Lurz (1903), nel quale sono registrate 746 specie, cosicchè con qualche 
piccola posteriore aggiunta possiamo attribuire a quest’isola circa 800 
specie di funghi. 

Isole minori. — Mancano contributi di una qualche importanza, 
trattasi solo di notizie molto succinte quali esistono per l’isola del Giglio 
(SaccarDO) per Capraia, (Moris e De NoraRIS), per Malta (Boccone ete.), 
avendosi per ognuna non più di una qualche decina di specie. 


Le nostre proposte. 


Se l’aver dimostrato quali sono le condizioni della floristica italiana 
all’alba del secolo xx, specie di fronte ai notevoli progressi raggiunti 
dalle nazioni finitime nel campo della sistematica e della fitogeografia, 
fosse sufficiente ad eccitare gl’italiani a seguire, con maggiore alacrità, le 


8-a 


104 


vie gloriosamente aperte dai botanici vissuti nella prima metà del se- 
colo scorso, noi saremmo ben paghi dell’opera nostra, la quale perciò 
avrebbe in tal modo conseguita quella pratica attuazione che è in cima 
ai nostri pensieri ed è scopo precipuo di questo scritto. Siamo però do- 
lorosamente convinti che senza un impulso vigoroso, da darsi ad una 
iniziativa concreta, le cose saranno domani quali le lasciammo ieri e le 
abbiamo trovate oggi! 

Le file, purtroppo, dei naturalisti in Italia non sono così ben nu- 
trite, così serrate come in altri paesi d'Europa : forse per il temperamento 
intellettuale degli italiani meno proclive agli studî biologici (126). Non 
dobbiamo però nasconderci che questo giudizio pecca forse in parte di 
patriottismo qualche poco pietoso. Sarebbe stato sufficiente al progresso 
degli studî biologici in Italia il contributo dei soli laureati in scienze 
naturali; i quali invece troppo spesso alla patria non hanno recato che 
l’onere del loro titolo accademico. Presso altre nazioni vi sono meno 
dottori ma più naturalisti! I professori di scienze naturali delle scuole 
medie, che altrove, non meno dei professori universitari (e degli stessi 
maestri elementari) cooperano validamente al progresso della scienza, 
qui in Italia invece, salvo poche ed onorevoli eccezioni, partecipano in 
misura inadeguata al movimento scientifico. Il loro soggiorno nei punti: 
più diversi della penisola e delle isole avrebbe valso, in più di sette 
lustri di vita italiana, a portare un notevole contributo alla conoscenza 
biologica del nostro paese, talora più curato dai biologi stranieri che 
dagli italiani. Quante volte difatti non dobbiamo dolorosamente con- 
statare che le nostre ricchezze naturali ci sono note attraverso le pub- 
blicazioni d’oltralpe e che ad esse per ciò dobbiamo spesso necessaria- 
mente ricorrere ? ! 


(126) A titolo di curiosità e desumendole dalla recente edizione del Botaniker 
Adressbuch di DORFLER, riportiamo qui alcune cifre sul numero dei botanici 
esistenti in aleune nazioni europee, queste elencate secondo l’ordine decrescente 
della loro popolazione: 


Abitanti Bot. Abitanti Bot. 
Germania . + +. . (60,637,859) 2129 | Spagna . . . . . (18,617,956) 137 
Austria-Ungheria . (45,475,259) 987 | Belgio. . . . +. ( 7074;910) 187 


Gran Bretagna. . (43,735,793) 1164 | Olanda. . . .. + ( 5,509,659) 982 
Francia . . +. . . (38,961,945) 2078 | Svezia... .. . ( 5,260.811) 477 
Italit . +. + + + + +(32,470,203) 469 | Svizzera. . . . . ( 3,325,023) 301 


Dal che si deduce che la densità dei botanici, proporzionatamente alla po- 
polazione, nelle dieci nazioni elencate va decrescendo nel seguente ordine: Sviz- 
zera, Svezia, Francia, Olanda, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Austria 
Ungheria, Italia, Spagna. 


105 


A che attribuire questa sensibile decadenza degli studi botanici, 
che in Italia, può ben dirsi, ebbero la loro culla ? All’imperfetta organiz- 
zazione degli studî superiori? Alle condizioni dei nostri Istituti d’istru- 
zione secondaria ? All’orario gravoso al quale i professori sono costretti ? 
Non è còmpito nostro cercare le cause del male per opporvi i rimedî; 
a noi basti l’aver constatato un fatto: che cioè i botanici attivi sono 
in Italia troppo scarsi e che i laureati in scienze naturali non dànno, 
come altrove, quel contributo che sarebbe da attendersi. 

{ periodici Congressi delle nostre Società scientifiche non sono poi 
quasi mai occasione, come succede ogni anno in Francia, in Svizzera, 
in Austria, ecc., di esplorazioni metodiche, nelle regioni meno note, con 
quel vantaggio per coloro che vi partecipano e per la conoscenza del 
paese che ognuno può facilmente immaginare. 

Quindi riteniamo che se si vuol raggiungere in modo più pronto 
un reale progresso nella conoscenza botanica dell’Italia, ammesso che 
una semplice inchiesta come la presente, non può praticamente raggiun- 
gere lo scopo, è necessario, ripetiamo, dare senz’altro una propria orga- 
nizzazione all'esplorazione botanica dell’Italia. È necessario nuovamente 
concretare un qualche organismo che, con potere proprio, si sostituisca 
alle iniziative individuali, troppo scarse e spesso disarmoniche. 

Perciò noi proponiamo che senza indugio venga istituito un Comi- 
tato permanente per l'esplorazione della flora italiana e per lo studio 
dei problemi ad essa relativi. 

Compito di tale Comitato sarà quello di stabilire definitivamente il 
piano generale ed il metodo delle esplorazioni, di fissare d’anno in anno 
i luoghi da esplorarsi, gli itinerari da percorrersi, l’epoca delle esplora- 
zioni. Dovrà scegliere la persona o le persone, adatte secondo i luoghi, 
affinchè dall’esplorazione stessa sia da ricavarsi il miglior frutto possi- 
bile. Coloro poi che volonterosi vorranno assumersi l’onere e l’onore 
delle esplorazioni, i quali potranno anche non appartenere al Comitato, 
saranno rimborsati solo delle spese effettivamente sostenute nel percor- 
rere l’itinerario stabilito dal Comitato. Còmpito suo sarà anche quello 
di definire, a priori o volta a volta, la destinazione delle piante raccolte, 
la persona o le persone alle quali se ne potrà affidare lo studio, il quale 
però, nel maggior numero dei casi ed in gran parte dovrà esser fatto 
dai raccoglitori stessi. Questi si assumeranno anche, in linea generale, 
l’incarico di riunire le osservazioni necessarie per una piccola monografia 
geo-botanica della località esplorata, monografia la quale poi sarà data 
alle stampe a vantaggio universale. 

Altro còmpito del Comitato sarà anche quello di avvisare 
ai mezzi onde riunire i fondi pecuniari indispensabili per le esplorazioni, 


106 


Non ci nascondiamo che quì sta in gran parte il nodo della questione, 
nodo non facile a sciogliersi, specialmente qui in Italia, ma del resto, 
con la buona volontà di tutti, non del tutto insolubile. Noi crediamo 
che qualora si potessero riunire, d’anno in anno, dalle 500 alle 1000 
lire, impresa potrebbe dirsi riescita : con le quali sarebbe pur possibile 
effettuare in qualunque parte d’Italia un paio di . diligenti esplorazioni 
se condotte in economia. Molte sarebbero le fonti alle quali poter attin- 
gere un contributo, anche modesto, per raggiungere tal somma. Senza 
entrare in dettagli a questo riguardo, noi riteniamo che anche l’ostacolo 
finanziario potrà essere rimosso dall’opera indefessa del Comitato per- 
manente, congiunta al buon volere ed al patriottismo dei botanici ita- 
liani e degli istituvi scientifici. Se l’impresa da noi progettata conseguirà 
la sua pratica attuazione, siamo ben certi che un decennio d’esplorazioni 
potrà condurre gli studî geo-botanici in Italia ad un livello ben diverso 
dall'attuale. Se l’impresa poi, come tant’altre, dovrà tramontare, prima 
ancora di nascere, saremo sì dolenti che lo sforzo da novi fatto abbia 
avuto un tale esito negativo, ma potremo anche confessare che l’Italia 
è ancora impreparata a comprendere la necessità di imprese vantaggiose 
al suo decoro scientifico. 


Il Comitato permanente, 


Abbiamo voluto lasciare integralmente le nostre proposte quali fu- 
rono da noi formulate parecchi mesi prima che il nostro progetto fosse 
reso di pubblica ragione. Qui aggiungiamo, per la cronaca, che il Comi- 
tato provvisorio credè opportuno di presentare il progetto nella Sezione 
botanico-agronomica al 2° Congresso della Società per il progresso delle 
scienze di Firenze ed ha incaricato uno dei membri, il BfeuInor, di 
esporre succintamente le linee direttive del programma di studio e di 
richiamare su di esso la benevola attenzione e l’appoggio morale dei 
numerosi botanici ed agronomi convenuti a Firenze (Vedi i verbali della 
Sezione X, pag. 388). BfauInoT, premesso che di tanto in tanto si sente 
il bisogno di fare un po’ di bilancio delle conoscenze acquisite e special 
mente in quei capitoli della scienza attorno ai quali si è venuta costi- 
tuendo una ricca e spesso dispersa bibliografia, afferma che la floristica e 
fitogeografia d’Italia trovansi appunto in queste condizioni. Bilancio, ag- 
giunge, il quale può essere fatto o con l’elencazione critica della letteratura 
o con l'esposizione dello statu quo delle conoscenze, con rimando alle fonti 
scientifiche o bibliografiche più autorevoli. Il Comitato provvisorio pre- 
ferì, opportunamente ripartendosi il lavoro, questa seconda via, anche 
perchè rispondente più direttamente allo scopo, quello cioè di mettere 


107 


in chiara evidenza il sin qui fatto e quanto resta a farsi, secondo de- 
terminate direttive ed in base ad un piano di lavoro prestabilito e bene 
organizzato. 

Da questa inchiesta, necessariamente sommaria, risultò che le re- 
gioni d’Italia, sotto questo punto di vista, potevano classificarsi nei 
quattro tipi seguenti: 1° regioni floristicamente e fitogeograficamente 
bene esplorate; 2° regioni relativamente poco note, ma nelle quali consta 
per iniziativa privata o di Istituti scientifici si siano raccolti materiali 
tutt'ora in via di studio; 3° regioni, e sono la massima parte, delle 
quali si possiede il solo inventario floristico, spesso antiquato e fram- 
mentario e perciò insufficiente alla sintesi fitogeografica: 4° regioni tut- 
t'affatto ignote o solo assai imperfettamente esplorate. 

Dopo avere recato esempi dei quattro tipi e fatto conoscere come 
l’iniziativa individuale si sia addimostrata insufficiente, specie nei di- 
stretti distanti dai centri scientifici, BicuIrnor aggiunge che l’opera del 
Comitato effettivo deve rivolgersi prevalentemente ai due ultimi tipi di 
regioni, quelle cioè nelle quali una metodica e regolare esplorazione ri- 
veste, per così dire i caratteri dell’urgenza od almeno dell’opportunità. 
Termina augurandosi che l’iniziativa incontri favorevole accoglienza, non 
soltanto presso gli specialisti, ma presso quanti, pure occupandosi d’altri 
capitoli della scienza amabile, non disdegnano di interessarsi ai progressi 
della patria flora. 

Sull’argomento prendono, con vive parole di plauso, la parola i 
professori PrrottA, Borzi, CAVARA, BaccarINnI, DE Toni, MACOHITATI 
ed altri, riconoscendo l’importanza e l'opportunità dell’iniziativa e pro- 
ponendo la stampa del programma di lavoro. Su proposta del prof. Pi- 
ROTTA, appoggiata da altri, il Comitato provvisorio diventa effettivo. 


Facendo seguito a questa discussione, nell'adunanza della Società 
Botanica del 22 ottobre, il presidente prof. Borzì invita l'Assemblea a 
riconfermare, come rappresentante della Società Botanica, il voto di 
plauso per questa utile iniziativa ed a fornire alla stessa il suo appoggio 
morale e materiale. Con la più ampia fiducia pei componenti il Comi- 
tato permanente, il prof. PrrorTa propone che esso sia da considerare 
quale una diretta emanazione della Società e rimanga collegato col Con- 
siglio direttivo per tutto quello che possa giovare a meglio estrinsecare 
il suo programma. E l'Assemblea approva. 

Il Comitato permanerite « Pro Flora Italica » resta così costituito 
nelle persone dei dottori A. BfievInoT, Apr. Fiori, A. Forti, (i. NEGRI, 
R. PAMPANINI, A. TrotTER, L. VaccaRrI e G. ZoDDA. 


i 


INDICE DELL’APPENDICE 


Piante superiori o vascolari: 


5 Introduzione (A. Béguinot). 


Parte analitica: } 


Alpi e territori alpini: 

Alpi occidentali (L. Vaccari) 5 

Alpi centrali ed orientali (R, Pampanini), 
Pianura Padana (G. Negri ed A. Béguinot) 
Appennino e territori dipendenti : 

App. settentrionale (A. Fiori) 


App. centrale (A. Fiori) 
App. meridionale (A. Trotter) 


Littorale ed isole: (Sardegna, Corsica e minori (A. Béguinot) . 
î Sicilia (G. Zodda). 
Istria e territori contermini (A. Béguinot) 


Piante inferiori o crittogame cellulari: 


Introduzione (A. Trotter) 
Briofite (G. Zodda) 
Alghe (A. Forti) SE 
Funghi e licheni (A. Trotter) 
Le nostre proposte (A. Trotter) . 


Il Comitato permanente (A. Béguinot) 


. pag. 


“fi TT 


3 5185 00110 


LT