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■Manuali
EIVGICLOPEDIA
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^£e{teraùira
MANUALE
DELLA
LETTERATURA ITALIAJ^A
COMPILATO
DA
FRANCESCO AMBROSOLl
VOL. IV
MILANO
PER ANTONIO FONTANA
iu>ccic.zxxn
PQ4042
MANUALE A J
v4
DELLA
LETTERATURA ITALIANA
SECOLO DECIMOSETTIMO
KOTIZIE STORICHE
k3ÌD dal finire del secolo precedente, il d acato d
Milano e i regni di Napoli e di Sicilia ( oltre alP isola
di Sardegna ed alcuni porti della Toscana) eran sog**
getti alla dominazione spagnuola ^ e vi esercitavano
un potere durissimo magistrati quasi sempre ignoranti
e rapaci, a Napoli ed in Sicilia con titolo di Viceré,
a Milano ed altrove con nome di Governatori. Gli
altri Stali che nelle guerre del secolo XVI non avevan
perduta P indipendenza, e que^ medesimi che avevano
conservata la libertà , in parte attendevano a risto-
rarsi dalle lunghe e rovinose percosse ^ in parte giace-
vano sotto principi loro proprii e nativi, ma non
meno oppressori che gli stranieri: tutti poi cercavano
nelP oscurità e nel silenzio la sicurezza dalla gelo.si<t
o dall'avidità della Spagna. £ non v'ha dubbio che
la Corte di Madrid meditava di trarre a sé il dominio
di tuttaquanta F Italia : né delle potenze dì questa
provincia si. da va oramai gran pensiero^ ma avea roc-
chio alla Fraocia, la quale anch'essa (come nel se-^
colo precedente ) agognava a questo, possedimento.
6 LETTeRATURA ITALIàllA
Iq Francia regnava allora Luigi XIII succeduto
nel 1610 ad Enrico IV^ ma nel vero poi il cardi-
nale Richelieu, sotto nome di ministro, padroneggiava
ogni cosa. Costui, dopo avere sollevata la possanza
reale sulla depressa autorità de^ Vassalli e de^ Parla-
menti, e dopo «vere, prostrata la fazione degli Ugo-
notti, attendeva ad umiliare la Spagna, o piuttosto la
Gasa che regnando a Vienna e a Madrid avviavasi
fin d^ allora a non misurabil potenza. E questa inten-
zione si fece manifesta in Italia nel 16:26, allorché per
la morte di Vincenzo II Gonzraga duca di Mantova
parecchj contendenti se ne dispularono la successio-
lie. ^^— La Casa di Savoja voleva che il Monferrato
(conceduto da Carlo Quinto ai Gonzaga da circa un
secolo ) dovesse ora devolversi a lei. Carlo Gonzaga
duca di Mevers pretendeva che tutta intiera Y ere-
dità di Vincenzo dovesse a lui pervenire. L^ impera-
tor Sigismondo avoca vaia a sé come feudo imperiale
rimasto senza legittimo successore. E la Spagna non
dissimulava di voler cogliere quella occasione per a-
xiire al Milanese quegP importanii domimi che tanto
potevano agevolare i suoi disegni sopra V Italia. E se
questo solo nìotivo già era bastante per muovere
quella Corte a immischiarsi in tale contesa, ve la
sosping^eva poi maggiormeote il desiderio dMmpedire ^
che un principe francese venisse a dominare in Ita-
lia, e in un luogo cosi vicino a^ suoi Stati. B^ altra
parte ai Veneziani spiaceva che la potenza spagnuola
acquistasse nuovo aumento in Italia, dov'era già trop-
pa^ e desideravano anzi che vi mettesse piede una
grande nazione capace di tenerle fronte. Quindi il
Richelieu persuase Luigi XIII a quesl' impresa *, ed
egli e il Re calarono in Italia. La rinascente fazione
degli Ugonotti li obbligò poi a ritornare in Fran«
eia ^ ma il Richelieu passò di. auuvo le À.lpi in qualità
di generalissimo, e prosegui quella guerra. La quale
dopo vari! accidenti (e fra questi fu gravissimo quello
SECOLO DECIMOSETTIMO J
J'aTwe gli Spagftaoli nel i63o pre«a e iaccbeg:giata
Maotova ) fa sospesa per ioterposizioue del pootefice
Urbano Vili ^ e -le varie preteosìoiii dei priocipi si
composero prima nella Dieta di Ralisboaa, poi colla
pace fermata in Gherasco Tanno f63i. Carlo Gon*
zaga d» Nevers ebbe il ducato di Maotova con in-
Testitnra però delP Imperatore, e sotto obbligo di pa-^
lare ai Gonzagbi di Gruastalla un^ annua pensione.
Del Monferrato si lasciò alla Casa di Savoja la città
di Torino con alcune altre terre : e i Francesi eb*
bero in pvoprietà Pineroio , con cbe si apersero duo*
Tsounte la strada aiP Italia.
La gelosa reciproca de^ Francesi e degli Spagnuoli
non permise che qtiesta pace durasse a lungo : ma nel
i635 ruppero a nuova guerra. Vittorio Amedeo di
Savoja, che aveva dovuto aderire alla Francia ed era
itato fatto generalissimo della Lega, mori nel 1637,
lasciando reggente e tutrice de^ figliuoli Cristina sua
moglie , sorella di Luigi XIII. Sotto V ombra di questa
parentela il cardinale ftichelieu si diede tosto a cercar
a ingerirsi nelP amministrazione del Piemonte.. Ma
gli si opposero il cardinale Maurizio- e il principe
Tommaso, fratelli del morto Duca, i quali già prima
d^ allora s^ erano uniti cogli Spagnuoli , P uno risie*
dendo in Roma come protettor delPlmperio, T altro
combattendo fra gli eserciti di Spagna nel Belgio. La
gaerra cbe nacque per questa cagione fu di gran
danno alle province piemontesi ^ perchè alle armi stra-
niere si unirono le civili, parteggiando i cittadini. gli
tini per la duchessa Cristina , gli altri pe' suoi co-
gnati. Pure non alterò punto lo stato delle cose ita«
liane ^ se non che all' ultimo i Francesi, oltre al con-
servare Pineroio, ebbero anche in deposito Casale^
che per la sua posizione e fortezza li fece assai più
potenti di prima in Italia. Il trattato con cui finì
questa guerra fu stipulato a^ 1.4 giugno 164^^ sul
finir del quale auuo mori poi il cardinale ministro
Kichelien.
I
8 LETTERATURA ITALIANA
iVIdAp^a qaesto tratta to, che mise oa termine alle
sventure del Piemonte, non cessò per altro la guerra
tra la Francia e la.. Spagna^ la quale durò fino al
novembre del ifiSp e si compose colP altro trattala
detto la pace de^ PireneL .
Mentre agitavasi questa guerra del Piemonte, erasi
estinta (nel i63i) la. discendenza maschile dei Du-'
chi d^ Urbino. I nipoti > di Urbano Vili avrebbero vo^
luto cb^ ei desse loro quel feudo ^ ma il Pontefice
resistendo a quelle, istanze lo incorporò, secondarle
leggi originarie, ai domìnii della Chiesa. Essi eitora
volsero P animo ad altri acquisti; e, vincendo ]a co-
stanza del Pontefice, assalirono in nome della Ohiesa,
ma. nel vero per loro proprio vantaggio, Odoardò
Farnese di Parma per togliergli i ducati di Castro
e di RoncigUone. Questa guerra (dice il Sismondi)
fu la sola in quel secolo di origine italiana : vi sMm«
mischiarono il Duca di Modena, il Gran Duca di
Toscana e la Repubblica di Venezia : fu agitala con
gran furore pel corso di tre anni (dal i64i al i644)^
e fini lasciando i due partiti nello stato di prima.
Poco dopo morì Urbano Vili. In Francia Luigi XIII
era sopravvissuto sol pochi mesi al Richelieu. Il suc-
cessore alla corona , Luigi XIV , era tuttora fan«
ciullo : però si fece una reggenza ; ma la somma
delle cose fu commessa in qualità di Ministro al
cardinale Mazzarino, il quale, prima di essere in-
signito della porpora , s^ era illostratq. nella Dieta
di Ratìsbona. Questo nuovo Ministro mandò tosto
una flotta contro gli Spagnuoli di Napoli : e sebbene
la spedizione non conseguisse il fine a cui s^ era mos*
sa, i Francesi ne guadagnarono per altro Piombino
e Portolongone neìV isola d^ Elba ^ lamentando così
la loro potenza in Italia.
Il regno di Napoli sotto il governo degli Spagnuoli ,
st^bbene fosse io continua pace al di fuori, sostenne
I Trliauo Vili fu della famiglia dei Barberini.
im^Lo DxqiMOSBTTnio 9
sempre tatti i pesi iDerenti alla guerra, mandando
cootiDuamente uomini e danyiri alla Spagna, Il modo
poi con cui si esigevano i tributi era sì cattivo , parte
per mala istituzione^ parte per rapacità de^ ministri e
de' grandi stessi del Regno, che il popolo si trovò alla
fine necessitato di ricorrere alla forsa. Nel giorno 9 la*
glio 1646 on pescivendolo per nome Tommaso Aniello
( detto comunemente Masaniello ) si fece capo del-
l' oppresso popolo napoletano contro il viceré duca
cP Àrcos. Masaniello aveva animo e ingegno da con*
durre a buon fine V impresa ^ ma riuscì allo Spa*.
gnuolo di screditarlo presso i suoi proprii seguaci,
che nel sedicesimo dello stesso mese lo trucidarono.
Avvedutisi dell'inganno gli soslftuirono don France*
SCO Toraldo d' Aragona , che finì assai presto come
il suo predecessore. L' odio che s era manifestato
da prima contro il Viceré, si volse allora contro la
dominazione spagnuola ; il popolo abbatté le imma-
gini del re Filippo IV , e gridò la libertà.
Il Mazzarino avrebbe voluto approfittare di quella
occasione per togliere il Regno alla Spagna ^ e faceva
disegno- sopra Tommaso di Savoja che di nemico
erasi fatto ligio alla . Francia. Ma si questo Principe,
come Arrigo II 'duca di Guisa non riuscirono a nul-
la^ e Napelli, dopo alcuni mesi d'incerta e tumul-
tuante repubblica, tornò nell' ubbidienza degli Spa-
gnooli >•
Due anni dopo ( nel 1 65o ) le guerre civili di
Francia le fecero perder Piombino e Portolongone ,
e nel i65a anche Gasale^ sicché 1' Italia rimase in
balìa della Spagna. Il Mazzarino, poiché le cose
francesi furono ricomposte, volle tentar di ripigliare
il perduto, e si provò un'altra volta a cacciar di
Napoli 4a potenza rivale : ma non gli venne fatto.
Le due grandi nazioni continuarono per alcuni anni
I Nello «teu» tempo e per le »tesse cagioni si rìLeUò anche il popolo
di Palermo.
IO LETTERiTORA- ITlLlAlfl
una guerra che noa produsse verua notabile effetto
sapra V Italia.^ e che finì poi colia pace già mento*
yata de^ Pirenei V anno 1659.
Tali furono i principali avvenimenti d' Italia nel
secolo XVII ^ quelli almeno che forse potevano por-
tar seco un qualche mutamento nello stato politico
di tutto questo paese. Del resto, e prima e dopo
della pace de^ Pirenei v' ^bero alcuni fatti minori
che desolarono unch^ essi le nostre province. — Nel
2649 ^ pontefice Innocenzo X elesse vescovo* di
Castro una sua creatura contro il voto di Ranuc-
cio II duca di Pai*ma. L' eletto fu ucciso mentre an«
dava alla sua Sede^ e il Pontefice fece distruggere
quella terra e v'alzò una colonna colP iscrizione qui
FU CASTRO. — Nel 1674 i Messinesi si ribellarono,
proclamando re di Sicilia Luigi XIY che aveva tolto
a proteggerli^ Abbandonati poi da quel Monarca y e
caduti di nuovo in balia degli Spagnuoli, perdettero
quel poco di liberali istituzioni che avevano conser-
vale fino allora \ — I Veneziani ebbero lunga guerra
co' Turchi y nella quale mostrarono V antica loro pos-
sanza e bravura, ma nondimeno perdettero l'isola di
Candia. — La città di Genova nel i685 fu bombardata
dai Francesi , e quando si fece la pace bisognò che il
Doge andasse in Francia per umiliarsi a Luigi XIV.-—
Vittorio Amedeo li di Savoja si accostò nel 1690
alla Lega d'Augusta conchiusa cpntro la strabocche-
vol potenza del Monarca francese , pel quale già
stava al di qua delle Alpi con buono esercito il si-
gnore di Gatinat. Questi nella battaglia di Stafiarda
vinse il Duca e i suoi alleati imperiali, occupando
molte parti ragguardevoli dei Piemonte. Un' altra rot-
ta, e molto maggiore, ebbero nel 1693. Tre anni do-
po y Amedeo ingelosito dalla soverchia potenza a cui
erano salite in Italia le Cotti di Vienna e di Ma-
Z La città di Messina arerà un Senato suo proprio»
SECOLO l»CIVOSBTTUIO II
^id , e sollecitato dal Papa e dai VeDeziaoi , ti col*
legò col Re di Francia^ e quando nei 1697 si fece
la pace di Riawick tra le Grandi Potence , riebbe
tolto ciò che i Francesi gli avevano tolto.
Di alcune altre piccole dissensioni, per esempio tra
i Ducbi di Modena e lo Stato di Lucca ^ e nem-
manco di quelle agitate tra Roma e* Venezia per certa
immnnità religiose ^ o di alcune turbolenze state ìq
Roma per cagione degli asili e per certe prerogative
che Luigi XIV voleva . conservare al suo ambascia-
dorè , non è necessario parlare. Quanto fin qui si
è detto dimostra, còme nel secolo XVII gli Stati
d^ Italia, non che potessero rialzarsi alP antico splen-
dore, ebbero a gran ventura il non cader tutti sotto
una sola straniera dominazione. Essi non si brilla-
rono allora di tanto sangue civile quanto ne spar-
sero nelle età precedenti: ma troppo tardi impara-
rono dalle comuni sventure la necessità d^ esser con-
cordi , quando la loro prudenza era divenuta im-
potente. Però Urbano Vili, meritamente lodato per
aver posto freno alla prevalenza degli Spagnuoli^
non seppe trovare a tal uopo altra ìria, fuor quella
di aprire nuovamente ai Francesi le porte d^ Italia,
ridestando- così fra noi T emulazione ed in parte an-
che la guerra di quelle due potenti nazioni. Tanto poi
ad Urbano ^ coùie a quasi tutti i Pontefici del secolo
XVII suole non a torto rimproverarsi una soverchia e
dannosa condiscendenza alP avidità e alP ambizione dei
loro congiunti , conosciuta sotto, il nome di nepoii*
smoj e fonte di molte ingiustizie e di molte sven-
ture italiane >. Tuttavotla non è da tacere che la
ricchezza e lo s&rzo di queste famiglie, e il concorso
dei grandi che di qoe^ tempi mandavansi a Roma
da qnasi tutte le Corti straniere, diedero nel secolo
di cui parliamo a quella Gttà un incredibile «plen-
1 n pontefice Innocenio 331 neU' anao 1693 conobbe la necetiitli di mei-
ter £koo a ^oerto abuso oob una BoUa.
1% LBTTBR1T0R4 ITILIÀRA
dorè. E alcuni Pontefici attesero ad abbellirla di
sontuosi edifizii , ed anche a proteggere le lettere ,
delle quali ( come Urbano Vili , Gregorio XV e
Alessandro VII) furono essi medesimi coltivatori. ' Né
si vuol tralasciar' di annoverare fra le venture di Ro-
ma il soggiorno che vi fece nella seconda metà del
secolo XVII la regina Cristina di Svesia magnifica
proteggitrice delle lettere e delle arti. Del resto è
hen facile immaginarsi che in questa età non po-
terono trovarsi in Italia que' larghi fautori degli
studi, dai quali furono tanto illustrati i secoli pre-
cedenti. Perocché sul finire del Cinquecento alcane
province già erano esauste d^ ogni denaro y il quale
poi nel Seicento si fece sempre più scarso per molte
e ilnrie cagioni. Non diremo delle parti soggette
alla Spagna , d' onde il danaro colava continua-
mente a Madrid : ma il commercio sviatosi dall^ I-
talia dopo che fu scoperto il Capo di Buona Spe-
ranza, e Tesser cessati a cagione della Riforma i
grandi proventi che la Chiesa cattolica traeva da tutte
le parti del mondo cristiano , e V avere la Francia
sotto Luigi XIY' superata V Italia nelle . arti e nelle
manifatture, furono tutte cagioni che inaridirono le
sorgenti dèlie ricchezze italiane , senza le quali poi
i nostri prìncipi non poterono più tenere quelle splen-
dide corti e quelle accademie così cel'ebràte nel se*
colo XVI. La' sola Toiscana vuol essere , sotto que-
sto rispetto , riputata felice anche in quella lagri-
mevolè età. Cosimo U e Ferdinando II furono splen-
didi protettori delle arti e delle lettere^ ma prin-
cipalmente delle scienze le quali essi medesimi colti-
varono con molto amore ^ e come ricchi del pro-
prio , e capi di uno Stato non tributario a nessuna
straniero , poterono sostenere le spese che si richie-
dono a cosi fatta protezione. Le* Università di Pisa, di ,
Firenze, dì Siena, e molte Accadenlie (fra le quali è
celeberrima quella del Cimento), e la Biblioteca Lau-
«SCOLO DECIMOSETTIjda l3
reoKiana , e la Galleria Medicea sodo tutte cose o
istituite o DOtabìlmente accresciute da questi dae
PrÌDcipi , dal cardinale Ippolito fratello di Ferdinau-
do II , e poscia da Cosimo HI. v
ÀDche dalla storia d«l Piemonte' si possono rac-
cogliere alcune prove di protezione accordata allora
agli studi ^ ma interrotta però dalle molte gaerre che
travagliarono quello Stato»
Degli altri principi impoyeriti, come si disse, nel
secolo precedente , ridotti dentro confini sempre pia
angusti, e tenuti in soggezione dalla sospettosa po«
litica della Spagna , non occorre nemmanco parlare.
Avevano T animo desideroso di emular la grandezza
e lo splendore dei loro maggiori , e ne diedero quaU
che prova ^ ma le forze venivano meno al volere. Che
mai potevano fare, per cagione di esempio, gli Esten-
si , dopo avere perduta Ferrara ^ o i Gonzaga già
piccoli prima, e poi fieramente abbattuti dagli Spa-
gnuoli che saccheggiarono Mantova per punirli di
essersi collegati colla Francia ? À questo si aggiun-
gano il terrore che diffondeva da per tutto il tri-
bunale deir Inquisizione ^ la corruttela dei costumi
che doveva naturalmente conseguitare al secolo XVI
in cui la pubblica fede era stata così apertamente
negletta; la mala contentezza dei popoli, e la diffi-
denza dei principi ; e si vedrà quauto fosse possibile
che neir età della quale parliamo fiorissero le lettere
in Italia. GV ingegni o giacquero inoperosi o si vol-
sero alle scienze, nelle quali speravano di potere eser-
citarsi senza destare la sospettosa vigilanza degP In-
quisitori religiosi e politici; e in quanto alle lettere
propriamente dette, si attese piuttosto a raccogliere
materiali ( come già s^ era fatto nel secolo XIV )
che a produrre nuove creazioni. E in ciò non si
debbe dimenticare il cardinal Federico Borromeo
fondatore della celebre Biblioteca Ambrosiana, dove
I.BTTBI\AT. ITJLL. - IV 3
1$ LETTERATURA ITALIilTA
coir opera di molti insigni eruditi raccolse quelgran
tesoro di manoscritti che tutto il mondo conosce.
SCRITTORI DEL SECOLO XVII
Per le cagioni già dette quasi tutti gl'ingegni mi-
gliori si dedicarono in questo secolo alle scienze^ é
non è quindi maraviglia se le lettere , abbandonate
a poco abili coltivatori, degenerarono ad un pessimo
gusto. — I poeti del Cinquecento avevan toccato il
sommo delP eleganza e della delicatezza. Potevano ia
generale esser vinti dai posteri se i tempi avessero
Consentito di applicare ad argomenti di maggiore im*
portanza quelle doti ond' erano stati perfetti modelli ^
ma poiché questo , per la condizione delP Italia , era
impossibile, ogni novità doveva necessariamente tornar
dannosa al buon gusto. Le esagerate metafore , le
sottigliezze , i concetti piglfarono il luogo della sem«
plicità^ e il Seicento fu tutto contaminato. Non fu
per altro {come credettero alcuni) un secolo privo
di buoni scrittori ^ ma insieme coi sommi ingegni che
tanto promossero le scienze , lo illustraron non po-
chi poeti e prosatori di gran valore. .
OTTAVIO RINUCGINI
Fino dal i58o il fiorentino Ottavio Rinuccioi si
era fatto conoscere buon poeta scrivendo cinque in*
termezzi ad una produzione del conte Vernio. Nel
1594 fece rappresentare nella casa del conte Jacopo
Corsi una pastorale, la quale può considerarsi come
il primo V evo dramma per musica. Nel 1600^ per le
Dozze di Maria de^ Medici con Enrico IV dì Fran«
eia , compose T Euridice denominandola tragedia per
musica^ per la quale venne in grandissima tama. Se-
guitò in Francia ia principessa Maria delia quale di-
cono alcuni ch^ ei fu innamorato ^ e vi stette alcun
SECOLO DECIXOSETTIKO iS
tempo come gentiluomo di camera di Enrico. Tor-
nato poi a Firenze vi fece rappresentare nel 1606
un nuovo dramma lirico {Arianna a Nassa )^ che
fa giudicato migliore de^ precedenti. Alcuni altri com-
ponimenti scrisse egli per certo, fra i quali avvi il
Narciso che il professor Rezzi di Roma pubblicò
nel 1829. Fu inoltre il Rinuccini autore di poesie
d'altro genere, e il Tijraboschi ne loda principalmente
le anacreontiche.
LÀ FAVOLA DI lIABCISOw
La bellezza del cacciatore Narciso ha innamorale
tutte le Ninfe, e sopra tutte la bellissima Eco, ac-
cesa da segreto ma cocentissimo ardore* La sventu-
rata fanciulla , sapendo come il giovane è schivo
d' amore e disdegna coloro che gliene muovon pa-
rola, lo seguita a modo di cacciatrice pei boschi;
e paga di bearsi nella vista del troppo avvenente gar-
zone, non gli apre la fiamma che sempre si vien fa-
cendo maggiore. Solo air amica Filli ( perchè il cuore
ha pur bisogno di avere a cui dolersi delle proprie
amarezze ) ha raccontata la storia del suo infelice
innamoramento :
Da indi in qua le notti
Far senza sonno, e i di torbidi e foschi.
Per campagne e per boschi ,
Compagna sì, ma sconosciuta amante,
Uietro le fiere anch* io ,
Anzi dietro al mio mal stanco le piante.
Ma non è sola Eco a dolersi di questo amore sì
mal corrisposto da Narciso \ che per questa cagione
medesima le Ninfe vengono cantando a coro :
Verginelle innamorate,
Sconsolate ,
Per le selre andiam cantando:
]6 LETTEKATURA ITALIAllA
Ma , noD mea cb' i preghi e i ptaoli ^
Nostri canti
Yan dispersi all^ aure errando*
Della cetra i bei coacenti ,
I lamenti ^
Yan con T aara e ì preghi a ?olo;
Bla dal petto innamorato ,
STenturalo ,
Hai non parie angoscia e duolo.
Tutte queste Ninfe ardono di Narciso ^ e chi non
ardesse s^ additerebbe per cosa mirabile e sola :
Se non ardi , sorella ,
Sei bene in qaeste seWe unica e rara.
Però è dolorosa a tutte T altiereaza del giovine^ e
si maravigliano e si sdegnano che Amore gliela cooi-
porti ^ Amore che non sofferse di essere dispregiato
da Apollo.
Poscia eh* in fera guerra
Per man d' Apollo arciera
Smaltò Fiton ' la terra
Di sangue orrido e nero ,
Trionfatore altero
Correa le piagge intorno
II portator del giorno.
Febo sona?a * il lido ,
U aer , la terra e V onda ;
Ma vie più npbii grido.
Ricinte il crin di fronda ,
-Dair Eliconia sponda
Alzar le DÌTe ^ al cielo ,
Cantando Apollo e Delo«
1 Fiione o Pitonej iàmoio seipente ncciio da Apollo,
a Febo ec,. Il lido risonava del nome di Febo.
3 Le Diye, Le Muse. — < Delo poi ^ il luogo dot* Apollo uccìm il ter*
pente Pitone.
ncòLO nvcnofiTTiso tj
Qoal dieéa oooie il lerg»
D* immeiisa piaga apriiat ,
Perebè dal fero albergo *
U alma ool sangae mcisse ;
E qaal^ cantando, disse.
Ch^ al periglioso assalto
Tremar gli Dei aeir allow
lo tanto fasto ascese
L' insaperbito core ^
Ch' a scberoo on. dì si prese ^
Visto con Tarc^, Amerei
Ha di fi felle errore
Ben ratto allor s^acfaorsey
Quando per Dafee*. corse.
Cangiarsi in lotto é in doglie
Ratto gli sdj^erni e '1 riso , "
Quando tra, rami e feglie
Perdeo V amato viso.
E pure il bel Narciso
Sprezza, fanciol mortale,
L' onoipoleiite strale V
Ma qoesta sfchiera dMnnamorate è cojoia e im-
portana a Narciso: tutte 'le fugge y tatto le accom-
miata, fuori Eco, siccome .jqoella cbe., sebbene sia
accesa più fortemi^nte .d^ogoi fitfa., por mai non
osò ragionargli à^ amore. ' ^ . .
Eco , tu cbe non senti .
Come queste. ( oh mescfaiae!
Mii^re s?nsa (ne;! )
Tante fiamm^ d\amor,; tanti «tormenti;
Ma della Dea triferiiie ^ ,
I Dai fav 9&èrg$* Sai ««pò deQa -fieun^
% Dafne amata da Apollo ed inseguìu da Ivi | fa di^i Dti tramutato
ift canne.
3 DtUa Dea ec. . Ditaa^
a»
Voltolle il tergo, M dispietato e fero!
Ghé d* ogni atto iiMimaD tr«pas9Ò il segno ^r.
La buona FiHi, ciò udito , corre sùtP orme della
spregiata contpagtia., desiderosa di prestarie soccor'-
so^ma don guari dopo rttoraa aanuuaiatricé di tri*
sUssamo caso , diceodo :
...,•. Ella ( Eco ) sen Tenne
Là doTe orabroso e fesco
Verdeggia Ira due colli no picciol bosco.
Per (|oel medesmo cllle '
Ratto anch* io giango, e dreto * a lei non molto»
Ha si di frondi è folto
L' aspro senlier de la selvosa Tallè ^
- Che già tra fronde e fronde
Tatta mi si nascoorde.
Indarno ( soggiangè Filli ) , sgombrando colle mani
i rami, apro il cammino allo sguardo: nulla più vedo
uè sento , e fin sul terreno si ò dileguata V orma
del pie fuggitivo. Per cbe, non sapendo più dove se*
guitarla ^ alzo la voce
o Eco chiamando,; ed ella Eco risponde*» .
iBa là correndo donde
ParTemi uscir de la risposta U suono,
Nuir altro riqiirai eh* arbori e frondidl»
Allor più fiate a rkbiamarla presi \
. E ^Q suoQ più .ferie ancora ,
Pur come avanti , la risposta inlesi*
Là torno ; nulla veggio e è chiamo e sento
Pur la medesma voce.
Di tanta nofilà- pseso spareiilo
' AIen venni % trovar voi per dritto calle;
3 Eco risponde. Vuol dira eoa cu che la Ninfa e» fpk itata convertita i»
^elU che Orasio disse immmgin» dttta voct « cioè ia cpiell» rìpercttssioae èk
ftuoifo che noi Gfaiamiamo JEVe»
SECOLO DECiaiOSETTlMO ai
E sempre io colle o io TaHoi
Ovunque Eco chiama va , Eco rispose ;
Kè mai la vidi , e 1' ho sèmpre alle spalle.
Amore fraltaoto ha risoluto di domare T orgoglio
del troppo acerbo Narciso: ed egli che tiene a vile
le più care bellezze , già è fatto amante di sé ine»
desimo ; e piange e delira e consomasi indarno , spec-
chiandosi air acqua di un fonte. Un Nunzio raccon«
tatore della celeste vendetta , soggiunge come Nar*
dso accorto alfine , ma tardi , del proprio errore ,
cadde svenuto suìV erba.
Là con Teloce passo
In un momento arrifo,
E trotolo, oh piotate!
Di color , di caler, di moto privo.
Sol quel tepido rivo *
Che scendea per la guancia scolorita
Darà segno di vita.
Il chiamarlo, il prendergli or questa or quelP allra
mano y lo spruzzargli la fronte ed il seno fu indarno.
'Intanto quel bel volto,
Pallido come nube in ciel sereno ^
Pian pian ne renne meno.
Già r aria de' bellissimi sembianti ,
Gli occhi, le guance e le dorate chiome
Smarrisco , né so come.
Attonito nel duol, cieco ne* pianti
Gli occhi m^ asciugo , e pur m' aflSso e miro.
Ma più noi vidi; solo.
Meraviglia inaudita !
Scorgo un candido fior * sul verde suolo.
I T^ido rivp. lì pianto.
% Un catuUdo JSor. La favola dice che Kaidto fa eoiiTerUto in quel fiore
che porta ora il «no nome.
l.
;I2 LETTBRAT17BA ITALIAlTA
dall' ARIAHRA a RAI so.
Lamento di Arianna abbandonaUu
Ah. O Teseo , o Teseo mio ,
Sì che mio ti to* dir , che mìo par sei ,
Benché t* ìdtoIì, ahi craclo, agli occhi miei !
Volgiti, Teseo mio.
Volgili , Teseo, oh Dio I
Volgiti indietro a rimirar colei
Che lasciato ha per té la patria e il regno ' ,
E in qneste arene ancora,
Cibo di fiere dispietate e erode ,
Lascerà V ossa ignnde.
O Teseo , o Teseo mio.
Se lo sapessi , oh. Dio!
Se la sapessi , oimò , come s' affanna
La poTcra Arianna,
Forse , forse pentito.
Rifolgeresti ancor la prora al lito ;
Ma con 1* anre serene
Ta te ne fai felice; ed io qai piango.
A fé prepara Atene *
Liete pompe soperbe; ed io rimango,
Cibo di fiere , in solitarie arene.
Te r ono e F altro tao Tecchio parente
Stringerà lieto ; ed io
Più non TedrofTì, o madre, o padre mio !
CoB. Ahi , che ^1 cor mi si spezza I
A qoal misero fin correr ti Teggio ,
Sfentorala bellezza !
X Che Idseiato ec. • ArUnna » fif^uoU di Minosse II re di Creta , fuggi eoo
Teseo e cui avea insegnato come uscire del labirinto | ed egli poi 1* abban-
donò tuli* isola di Nasse.
I z Jtene* Teseo fu poi re di questa cit^
SECOLO DEGIMOSETTiaO %i
kit. DoTe , dove è la fède
Che taolo mi giarari ?
Cosi ne r alta sede *
Tu mi ripon degli a? i ?
Son queste le corone
Onde m' adorni il crine ?
Onesti gli scettri sono ,
Queste le gemme e gli ori ? • • •
Lasciarmi in abbandono
A fera che mi strazii e mi dÌTori !
Ah Teseo, ah Teseo mio,
l^ascerai tn morire,
Io fan piangendo , in van gridando alla ,
La misera Arianna,
Ch' a te fidossi , e ti die gloria e vita * ?
Cor. Vinta da V aspro duolo ,
Non s* accor«;e la misera , eh' indarno
Vanno i preghi e i sospir , con 1* aure , a toIo*
Ab. Ahi , che non pur risponde ;
Ahi , che più d* aspe e sordo a* miei lamenti !
O nimbi, o tufbi, o tenti.
Sommergetelo voi dentr^ a qoelF onde !
Correte , orche e balene ,
E de lemeu^bra immonde
Empiete le voragini profonde ^ I
Che parlo , ahi , che vaneggio ? •
Mìsera ! oimè , che chieggio ?
O Teseo , o Teseo mio , .
Non son ^ non son queir io , >
Non son quel!' io che i ferì delti scioline }
Parlò r affanno mìo ,- parlò il dolore ,
Parlò la lingua si , ma non già il core !
1 JVc /' alta ec. . Nel seggio reale de' tuoi avi , coiqp tua sposa.
2 Gloria col trovar modo di uscire del laLirinto j wta perclic ascendo
evitò di essere divorato dal Minotauro.
3 L$ voragini ec* Le vostre gole , i vostri petti.
24 LETTÉRATI7RJL ITALIANA
GABKIELLO CHIABRERà
Nacque in Savona Tanno i552 agi! 8 dì giugno,
quindici giorni dopo la morte del padre. La madre
rimaritandosi lasciò il figliuolo alle cure d^uno zio,
Giovanni , appo il quale stette in Roma fino alP età
di vent^ anni ^ e per la sua mala salute pochissimo
attese allo studio. .Morto quello zio stette alcuni anni
col cardinale Gornaro ca merli ngo. Su^ cinquanta anni
prese moglie., e dopo alcune traversìe visse tranquillo
in patria fin oltre agli ottanta \^
Questo è quanto si può raccontare di Gabriello , come
di comunale cittadino , e poco monta il saperlo. Di lai ,
come di scrittore, forse altri avrii vaghezza d' intendere
alcuna cosa , ed io lealmente dirò in questa maniera :
Gabriello da principio che giovinetto TÌ?ea in Roma ,
abitava in una casa giunta a quella di .Paolo Manuzio,
e per tal vicinanza assai spesso si ritrovava alla presenza
di lui, ed udivalo ragionare. Poi crescendo, e trattando
nello studio pubblico, udiva leggere Marco Antonio Mn-
reto, ed ebbe seco familiarità. Avvenne poi che Sperone
Speroni fece stanza in Roma, e seco domesticamente ebbe
a trattare molti anni. Da questi uomini chiarissimi rac-
coglieva ammaestramenti. Partito poi di Roma, e dimo-
rando neir ozio della patria , diedesi a leggere libri di
poesia per sollazzo, e passo passo si condusse a volere
intendere ciò ch^ ella si fosse , e studiarvi attorno con
attenzione. Parve a lui di comprendere che gli scrittori
greci meglio T avessero trattata, e di più si abbandonò
tutto su loro: e di Pindaro si maravigliò; e prese ardi-
mento di comporre alcnna cosa a sua somiglianza, e quei
»
I Queste notizie sono estiatte dalla Vita del ChiaLrera scrìtta da lui me-
desimo, e della quale riferisco qui alcuni tratti perdiè siano un saggio della
sua prosa.
SECOLO DECI0IOSSTT13IO AS
componimenti niaodò a Firenze ati amico. Di colà fugli
scritto che alcuni lodavano forteoaente qnelle scrittare :
egli De prese conforto, e , non di scostandosi da* Greci y
scrisse alcane caiizont ( per quanto sosteneva ]a lingoa
volgare, e per quanto a lai bastava T ingegno, veramente
non grande) alla sembianza dì Anacreonte e di Saffo, e
di Pindaro e di Simonide. Provossi ancbe di rappresen*
tare Arcbiloco, ma non soddisfece a sé medesimo. In si
fallo esercizio par vegli di conoscere che i poeti volgari
erano poco arditi, e troppo paventosi di errare, e di qni
la poesia loro si faceva vedere come uiiniita; onde prese
risolazjone, quanto a' versi , di adoperare tiitti quelli, i
qaali da^ poeti nobili o vili furono adoprati. Di più, av^
venturossi alle rime, e ne nsò di qoelle, le qaali fini-
scono in lettera da^ Grammatici detta consonante , imi-
tando Dante, il quale rimò Fetori , Orizzon io vece di
dire Fetonte, Orizionte ; similmente compose Canzoni eoa
Strofe e con Epodo air usanza de' Greci, nelle 'quali egli
lasciò alcuni versi senza rima , stimando gravissimo pesò
il rimare. Si .diede aneora a far vedere, se S personaggi
delia Tragedia più si acconciassero al popolo , tolti dai
poemi volgari e noti , che i tolti dalle scrittare antiche ;
e mise Angelica esposta all'orca in Ebuda, quasi a fronte
di Andromeda; ed ancora alcune Egloghe, giudicando le
composte in tolga re italiano troppo alte e troppo gentili
di facoltà ; e ciò fece non con intendimento di mettere
insieme Tragedie ed Egloghe , ma per dare a giudicare
i suoi pensamenti. Similmente ne' poemi narrativi , ve-
dendo che era questione intorno alla favola ed intorno
al verseggiare, egli si travagliò di dare esempio a giudi-
care. Intorno alla favola, stimavasi non pdftsibtle spiegare
un* azione , e che un sol uomo la conducesse a fine ve-
risimilmente ; ed egli si travagliò di moistrare ) che ciò
Care non era impossibile. Qtianto .al venéggiare^ fedendo
Z.STTBSA.T. ITJLL. - IT 3
Z6 ' LETTERiTORA ITiLIAlfà
. " ' . ' i
egli che poèti eccellenli erano stati ed erano in contra-
sto, e che i maestri dì poetica non si accordaTano, egli
adoperò V ottava rima , ed anche versi 'rimati , senza al-
cun obbligo. Stese anche versi affatto senza rima ; prò-
fossi inoltre di far domestiche alcune bellezze de^ Greci
poco usate in volgare italiano, cioè dì due parole fariie
ima, come oricrinìta Fenice , o riccaddobhata Aurora;
parimente provò a scompigliar le parole, come: Se di
bella cK in Pindo alberga Musa, E , ciò fatto , essendo
già vecchio , radunò alcune Canzoni in doe volumi , e
Componimenti in varie materie in due altri; ranno simil-
mente un Tohime di Poemetti narrativi, e si fatte poesie
egli scelse , come* desideroso che si leggessero : il rima-
nente lasciò in mano d' amici. Con si fatto proponimen-
to, e con sì tatta maniera di poetare, egli passò la vita
sino al termine di : lunghissima vecchiezza, ed acquistossi
1^ amicizia d' uòmini letterati che a suo tempo vivevano ,
ed ani;o pervenne a notizia di principi grandi, da'quafi
non fu punto disprezzato.
E nel vero, Ferdinando I granduca di Firenze Io
fece suo gentiluomo di corte con ricca provvisione^
e così fece anche Cosimo suo figliuolo e successore,
Carlo Etumanuele duca di Savoja lo invitò alla prò*
pria corte , e sebbene il Chiabrera non volesse fermarvi
sua stanza, T ebbe carissimo e gli fece molti doni.
Viucenzo Gonzaga duca di Mantova gli assegnò un
onorevole stipendio sulla tesoreria di Monferrato. Ur«
bario Vili Io invitò con un Breve onorevolissimo a
Roma, dove poi gli diede non poche testimonianze
di stima e di amore. Il Senato di Genova nel 1625
Io esentò dai. militari alloggiamenti, e dalle imposte
comandale per la guerra che allora face?asì al Duca
di Savoja^ e ( così dice egli slesso) con queste gra-
zie egli si condusse oltre ottani^ anni '•
1 Morì 4' «noi 86 e mesi 4«
SECOLO DEGiarOSCTTIMO 2^
Fa di comoDale statara, di pelo castagno, le membra '
ebbe ben formate; solamente ebbe difetto d^ occhi, e fé-
dea poco da lapge , ma ^tri non se ne a? Tedea : nella-
sembianza pareva pensoso, ma poi usando con gli amici'-
era giocondo; era pronto alla collera, ma appena ella
sorgerà in Ini, che \ ella si ammorzava: pigliava poeo ci-
bo, né dilettavasi mollo de' condimenti artificiosi; bea
bevea assai volentieri, ma. non già molto, ed amara di.
spesso cangiar vino , ed anco bicchieri : il sonno perder-
non polca senza molestia. Scherzava parlando, hia d'altri
non diceva male con rio proponimento. A significare oh^al*.
cana cosa era eccellente, diceva che ella era poesia greca ;
e volendo accennare che egli di alcuna cosa noo si pren-
derebbe noja , diceva: Non pertanto, non bet^erà Jresco.
Scherzava sul poetar suo in qnesta forma : Diceva che-
e-^ìi segala Cristoforo Colombo suo cittadino, ch^egli fo—.
lea trovar nuovo mondo, o affogare; diceva ancor. cian-
ciando, la poesia esser la dolcezza degli uomini, ma che
i poeti erano la noja ; e ciò diceva riguardando all' ec-
cellenza deir arte , ed all' imperfezione ^ degli artefici , i
quali infestano altrui col sempre recitare suoi coòsponi-
menti: e di ijni egli non mai parlava né di versi, né di
rime, se non era con molto domestici amici, e motto in-
tendenti di quello studio. Intorno agli scrittori egli sti-
mava ne' poemi narrativi Omero sopra ciascnno, ed am«
miravalo in ogni parte; e chi giudicava allrimenle, egli
in suo segreto stimava s'odorasse di sciocchezza. Di Virgilio
prendeva infinita maraviglia o^l verseggiare e ne! parlar
figurato. A Dante Alighieri dava gran vanto per la fbrza
del rappresentare e particolareggiar le cose, le quali egli
scrisse; ed a Lodovico Ariosto similmente. Per dimostrare
che il poetare era suo studio , e che d' altro egli non si
prezzava, teneva dipinta, come sua impresa ', una Cetra,
1 Ata impr^a* Sno stemma.
5o LETTERATURA ITkLìkVA.
Qaal'^uomo i vezzi di Ciprigna ha cari.
Tratti dadi malvagi ;
Ma ^hi diletto ha ne' guerrieri affanni
Non paventi i' disagi:
Costui con aspro legno '
Rivesta il braccio, e di sudor trabocehr,
E de! popolo folto a^ cnpid* ocdii
Divenga altero segno.
Sé rinforzando ne«li assalti dnri;
E minaccia di febbre egli non cnri.
Cintio, sentier di des'fata gloria
Ha passi gravi e forti ;
Dia pena di virtn, siati in meraoriA , *
Non è senza conforti : .
£ ta se *l corpo lasso
Letar ^ desi! , e rinfrescar' fé Tene,
Non ricercar qua giù fonti terrene ,
Figlie d^ alpestre sasso ;
Che a ristorar delle fatiche oneste
Altrui verso di Pindo acqua celeste^.
Deh che promisi? In sul formar gli acceiKi
Qnasi cangio sembianti.
Che darli alla bilancia delle genti ,
E risco a' nuovi canti.
Bla sia vano ri sospetta,
10 sulla cetra vo^ seguir mio stile ;
Esser cosa non può, salvo gentile.
Ove Cosmo ^ ha diletto;
Invidia taci, e le rie labbro serra;
11 Re dell' Arno in sue piacer bob erra.
I QuaL Qualunque.
% Aspro le^no. S* intende il bracciale » o quella q>ecie dì manica di le*
foo dentato, oode arniivanst il braccio i giuocatoii del pallone.
1
3 Levar* Sollevare, istorare..
4 Acqua cfiimte, Metafuricamente detto per significare la poesia. Quindi 1^
Jocuaione tferso acqua di Pindo vale r Cwito porcamente»
& HSmvo. U frandoca Cosimo U de' Medici, a cui il Poeta dà il nome di Rcv
SECOLO DBGIHOSITTnO 3f
Fiwola d* Anone *. .
•
Corte) senti il noodiiero.
Che a far cammin .n^ appdla:
Mira la DaTicella ,
Che par chieda sealiero;
Un aleggiar l^giero
Di remi, io mare osati
A far spume d' argeiito,'
H' addacé io un momeolo
A' porti desiati.
E se 'l mar ooo lieo bàe «
Ha sabito s^ adira ,
Ed io meco ho la' lira ,
Ch^ Eaterpe alma mi diede;
Con essa mosse il piede
Snll^ Acheronte oscuro .
Già rÌTerito Orfeo * ;
E per edtro V Egeo
Arion fu sicuro.
Misero giovinetto !
Per naTÌc;anti' avari
Nel profondo de' mari
Era a morir costretto;
Ma qual piglia diletta
P' affinar suo hel canto
Bel cigno ^ anzi eh' ei mora ^
Tal sulla cruda prora
Yolle ei cantare nlqoanlo.
1 Questa favola , die il PoaU dAscrìre fea qti«tti Tersi, ad nn certo Cort«
(Bo amico, trorasi raccontata da Erodoto » Uh, I , e. ^4*
2 Orf» colla dolcossa del suono e del canto ammansò k poteoae d' À-
Tmo, sicché tì discese sena* alcun danno per liberare Eturidice^ F, ¥ol, lì,
tg* 56 di questa ManMide» f
3 UÀ dgno ec, . Fu antica opinione ( e i poeti la ripetono ancora } cb»
i cigni ùuiansi al morire cantassero con più doleeua del solito.
3z lETTBBiTDJIà ITALIìHA
Sallé corde dolenti
Sospirando ei dicea :'
Lasso! cbe 10 ^1 tejQOQa
E deir oodct 9 dq' Tenti t
Ma^ cbe d' amiche genti,
A' cai pur m' ern o0erto
Compagno a lor e^nforlo.
Esser dot essi morto , .
Già Doii lempa per eerte».
Io nel mio luogo errore ^
Altrùi non nocqui mai ;
Peregrinando andai.
Sol cantando' d^ amore;
Al fin tornommi.in core
Per paesi stranieri
Il paterno soggiorno ,
E facea nel ritorno
Mille dolci . pender!.
Vedrò la patria amata^.
Meco dicea ; correndo
Fiami incontra ridendo
La madre desiata.
Femmina sventurata ! *
Cui noTella si darà
Repente 9* aTvicina;
Ah che saria meschina.
Se adisse, mia sTeotura !
Fosse ella qui presente,
E suoi caldi :if)spiri ,
E suoi gravi martiri '
Facesse udir dolente !
Saria forse possente
Quella pena infinita'
l JSrr^e* Viaggio.
9EGOLO DECIHOSEtTIMO 33
Ad impetrar pietate ;
"Onde più lunga etale
Sì darebbe a mia tUa,
Qui' traboccò ^doglioso
Dentro dèi sen marino^ .
Ma subito uo del6fio '
' A Ini corse amoroso :
Il destriero scpiarooso,
Cbe area quel pianto udito.
Lieto il si .reca in groppa ;
Indi ratto galoppa
Vèr r arenoso lito.
Che da beltà pretto finisce-
La violetta ,
Che iD suIF erbetta
S* apre af mattia noTella^
Di", non* è cosa
Tatta odorosa..
Tutta leggiadra e bella?
Si, certanaente,
*Cbè 4olcementte
Ella ne spira odori;
E D^ empie il petto
Di bel diletto
Col bel de' suoi color j.
Vaga rosseggia,
Vaga biancheggia
Tra i' anre mattutine;
Pregio d' aprile
Via più gentile:
Ma che diviene al fine?
Allibi cbe in brev' ora ^*
Come V Aurora
34 LETTEBàTURÀ. ITA<.lÀ]!rA
Lange da noi sen yola ,
Ecco langaire,
Ecco perire
La misera Tiola.
Ta , cui bellezza
E giovinezza
Oggi fan sì superba;
Soave pena ,
Dolce catena
Di tuia prigione acerba ';
Deh ! con quel fiore
; Consiglia il core
Sulla sua fresóa etate;
Che tanto • dura
L' alta ventura
Di cf^iesta tua beltate.
JRìso di btUa donna
• ■ -f
..-li
Belle rose porporine,
Che tra spine
Suir aurora non aprite, .
Ma ministre degli Amori
Bei tesori
Di . bei denti caslodite ;
Dite, rose preziose,
Amoróse ,
• ~. Dite, ond' è che s' io m' affiso '
• Nel bel guardo vivo ardente,
Voi repente
Disciogliete un bel sorriso?
E ciò forse per aita
Di mia vita ,
•
% Prigione acerba chiama la sua condiaioiie di amare aenu eiwn corrisposto*
2 Tanto ( sottintendasi ) quanto la bellezza deljlcre già detti*
SECOLO DECIMOftXTTIlfO 35
Che DOD regge alle Tostr' ire?
O pnr è , perchè Toi siete
Tutte liete,
* ^ Me mirando fn sai. morire?
Belle' rose, o feritate
• O pietate
Del si«far la cagion sia.
Io tq' dire, io mio?! -modi
YoAre lòdi;-
Ma ridete tattaTia.
Se' bel rio, se. beli' aiiretta
Tra r erbetta
Sol. mattÌB mormorando erra.
Se di fiori an praticello
^i fa bello,
Voi diciam: Ride la terra* • \
Quando aTTien che un Zefiretto
Per diletto
Bagni il piò oeir onde cbiare ,
Sicché r acqua in sali' arena
Scherzi appena,
Noi diciam , che ride il mare.
Se giammai tra fior fermigli ,
Se tra gigli
Veste Falba un aureo Telo,'.
E su rote di zaffiro
MoVe in giro.
Noi diciam, che ride il cielo.
Ben è Ter , quando è giocondo
Ride il m'ondo.
Ride il ciel quando è giojoso,
Beo è Ter v ma non san poi
Come Toi
Fare un ri^o grazIo9Q.
36 LETT^RATCm ITALUNA
Per tfittQria riportata da Giovanni de' Medici
/ contro i Turchi.
Se de r indegno acquisto .
Sorrise d'Oriente il popol crtido,
E 'I buon gregge di Cristo^-
Giacque di speme e di valoi*e tgnodq;
Ecco che ptfr , V empia superbia doma ,
Rasserenan la fronte Italia e Roma.
Se alzar gli empi -Giganti ^ •
Uo tempo al 'ciel F-altere corna J al fine
Di folgori sona'nti
Giacqoer trofeo tra incendi e ^tramine:
E cadde fulminata empia Babelle
■Allor che più vicip mirò le stell^. '
Sembrava al* Tasto regno
Termine angusto omni V Istro e V arene ' i
Nuòvo Titano a sdegno
Già recarsi parea palme terrene;
Posto in obblio quel , disdegnoso , il cielo
Serbi a V alte Tendelte ocribii telo.
Spiega di penna d' oro ,
Melpomene cortese, ala veloce;
E 'n snott lieto e canoro
Per r italiche TÌlie alza la Toce :
RisTegii ornai ne gli agghiacciati cori
Il nobii canto tuo guerrieri ardori.
Alza r Umido ciglio,
Alma Esperia ^, d' eroi madre feconda ;
Dì Cosmo armato il figlio
1 Giganti. La favola dice che i Giganti diedero la scalata ai Cielo. Il
Poeta poi inette qui insieme la mitologia e la storia sacra.
% L' arene, I deserti d* Axabia.
3 Esperia, Italia.
SECOLO BBCiirbsi^Tnfo
Mira, de Y Istro in sa la gelici* onda,
Qoal ne'- regni de V acque 4iaaieBso scoglio ,
Farsi scudo al faror dèi trado orgoglio*
Per rio successo aTferso
1*0 magoaniino cor Tirlù non* laDgae ;
Ha qoal di sangue asperso
Doppia ' leste e furor terribii angae «
O qoal de la^grao madre il figlio altero*,
* Sorge, cadendo, ogoor piò invitto e fiero*
0^ immortal fiamma ardente
Facina è' là so i laminosi campi ' ,
Ch* alto sonar si sente
Con paTentoso tnon , fra nabi e lampi ,
Qnalor di -bassi regni a ara t* ascende
Di mortai fasto, e. l'ire e i fi>chi accende*
Sa r incadì immortali
Tempran l' armi al gran Dio Steropi e Bronli ^«
Itì gli accesi strali
Prende, e fulmina poi giganti e monti:
Ivi, né certo in vano,
S' arma del mio Signor l' inTitta mano*
Qninci per terra sparse
Vide Strigonia ^ le superbe mora :
Quinci ei ne Tarmi apparse,
Qaal funesto baien fra nube oscura;
Cb' alluma il mondo , indi saetta e solre
Ogni pianta, ogni torre in fumo e !n jyolfe»
I DcppU per Radthffpia, AUade a^a lavol* àtW Ìòn » eiii U iMtt ri»
natctnao appena tagliale.
i IlJ^ó ce. . Il gigante Ànteo.^ '
3 Luminasi crni^» Il Cielo.
4 SUrepi e BronU, Minittri di Tukano.
5 Strifptnia o Grovij città dell* Uogherìa.
PiamnàT. iTAi. - IT 4
3S LETTERATURA ITAUaKA
Ob qnal ne^ còri in6dl
Sorse terròr qoel fortunato giorno!
I pareo tosi gridi
Bisanzio udì, non par le valli intorno;
E fio oe l' alta reggia , al sao gran nome ,
Del gran tiranno * inorridir le chiome.
Segni : a mortai sparento ^
Lange non fa già inai mina e danno.
Io di nobii concento
*
Addolcirò de* bei sndor V affanno ;
Io de la palma tna , con le sacr' onda ^
Cnltor canoro, etemerò le fronde. .
Sopra Jmorem \
Del mio Sol * son riceintegli
I capegli ;
Non biondetti,,ma branelli:
Son due rose TermigKiiiM
Le gotazze;
Le due labbra ^ rubinetti»
Ha dal di cb^ io la mirai
Fin qui, mai
Non mi fidi ora tranquillai
Cbè À* amor non mbe Àmote
In quel core
Né pur picciola favilla*
Lasso me 1' quando m^ acoesi 9 •
Dire intesi
Cb' egli altruf. non affliggete
E cbe tutto era suo foco
Riso e gioco ,
E ch^ ei nacque d' una Dea*
I Gran tìranno. Il Gran Signore.
a Del imo Sol» Della donna a me oàca quanto il aolf.
SECOLO DCCniOSBTTIHO 39
Ben fa Dea soa genitrice,
Com* aom dice ;
Nacqae in mar di qaalche scòglio : .
Ed apprese ìd qoeile spome
Il costarne
Di donar pena e cordoglio.
B^n è Ter ch^ ci pargoleggia ,
Ch* ei Tezzeggia ,
Grazioso fanciiilletto ;
Ma cosi pargoleggiando,
Vez^&cggiando ,
Non ci lascia core in petto. ->
Oh qoal ira*, qaale sdegnò!
Hi fa segno .
> Ch* io non dica , e mi minaccia*
Vi peretta , serpentello,*
Dragoncello ,
Qoal ragion tooI cV lo mi taccia ?
Kon sai In che grati affanni
Per tanl^ anni
Ho sofferti in seguitarti?
E che? dunque tagrimoso,
Doloroso ,
Angoscioso, ho da lodarti?
Al signor Francesco GapouL
Francesco, se oggidì tìtcsso in terra
Democrito ■ ( perchè di lagrimare
Io non son vago, e però v taccio il Dome
D* Eraclito dolente ) , or se vifesse
Fra' mortali Democrito, per certo
Ei si smascellerebbe delle risa
t Ikmoerito, Pilotofo che fempre e £ ogni con rìdeva.
40 I^ETTSaàTCBà ITALlJklfA
Guarckindo le sciocchezze de' mortati.
Sfolti De diran molle; io che per uso
.; Parlo assai poco^ tratterò sol d'ana.
10 rimiro le donne oggi far mostra"
Di sua persona avToIte in gonne" tali,
Che stancano le man di cento sarti.
Men ricamato stassi infra le nnbi
L' arco baleno. Io tacerò dell' oro ;
Oro il giubbone, ór le faldiglie ' , ed oro
Sparso di belle gemme i crini attorti.
Negletta fra^ suoi veli appar 1' Aurora
Sórta ^all' Ocèéno. Io già non nego
Che assai solente' la beltà del tiso
Fa tradimento alla mirabll pompa. '
Or si fatta donzella è non contenta
Di sua natura , muterà ta in alto
Sa ire palmi di zoccoli, gioisce
Di torreggiare; e per non dare un crollo,
E non gire a baciar la madre antica *,
Se ne va da man destra e da- man manca
Appuntellata su due ser^i , ed a]za
11 piede, andando, come se U trfiesse
Fuor d^ una fossa ; onde, movendo il passo,
E costretta a contorcer la persona ,
Ed a ben dimenar |atto il codrizzo ^«
O Democrito antico , ove dimori ?
Ove sei gito , a si leggiadre usanze ?
Giungi carrozze da città, carrozze
Per la campagna, seggiole, lettiche.
Staffieri, paggi. Il padre di famiglia.
X Faldiglie, Sottane.
2 La madre antica, t,z terra.
3 Codrìxzo spiegasi dai vocabolaristi Coda rixsaj e qui par che «ignìficlit
le parti posteriori cosi della persona come dell* abito.
SEGOLO DBGIHOSETTIHO - ^1
I golfi passerà per mezzo il Temo
Su frale nave mercaDtando , ovvero
' Coir armi indosso seguirà V iosegoe
Fra mille rischi , e ne' palazzi atteri
Serva farà sua liberlade a cenno
D^ aspro Signor, per adunar moneta;
E poi disperderalia in compir voglie
E soddisfinr vaghezze delia donna ?
La donna -darà legge ? avrà la briglia
D' ogni governo in mano? — Oggi si mangia
Io Belveder : dima» si cena in casa ,
Ove si vegghierà colie compagne* —
Fatto il, comandamento , ecco la casa
Tutta in scompiglio; speoditori attorno,
G>chi in; faccende, saccberi , vivande;
Spese da nozze ' , e non si tosto tolte
Fién le tovaglie che portar vedransi
Per entro tazze 4' àr carte francesi 8
Quivi £insi larghissime primiere.
Resti di doble ^ Ora dich* io, se vivo
Per Italia Democrito n* andasse,
Spalancherebbe la gran bocca in risi?
0 la si chioderebbe? E 'da pensarsi,
Ch' ei fosse muto , rimirando avere .
1 cotanto prodenti Italiani
Hestier di tanto elleboro^? Confesso,
Che a diritta ragione ei riderebbe*
Rida per tanto ; io d^ altra, parte ammiro ^ ,
1 Da nos9Bj àoh: Sootaosiwtiiie.
2 Rutì di doblej cioè : Ciuocando a primiera Gonsumami le doble. - Par
die Teoga d^ modo : Far del resto, per Giuoctre il restante del dantfo»
3 £i2e&oro. ^Rimedio alla paisia*
4 Ammù'ò che ec, • Con opportuna ironia morde la corninone dei eostumi
die itmalmente consefpie alla smodata ambisioneji al giuoco, ec.
4»
4% I.ETTEJUTÙRA ITALIANA
Che raeQaodo la Tifa a lor Jtaleolo
Intra cotanta copia di tesori,
la mezzo delle pompe e de' sollazzi
li* onestà femminil stia salda in: piede. -
Gloria grande all' italiche donzèlle.
Che amor non ne trionfi, e che non aggia
Arme contra i lor petti adamantini;
Che aoa face si spegna e si rintuzzi
Ogni più forte strai di saa faretra.
j4l signor Bernardo Mofaàdo,
Bernardo, in grembo a Lomhard|a famosa
Voi dimorate, colà doTe regna
Cerere ' italiana , e vi rinrersa
Cortesemente I' òr delle sue spiche*
Si fatto favellar non è mentire,
Non è per certo; io contrasldl^non voglio:
È grave infamia fare oltraggio al vero.
Ma chi mi negherà che le midolle
Del terren grasso, e da cotanti fiami
Bene irrigato, non ministri al sole
Vapori grossi a condensar ben l'aria?
Or io potrei narrar che di qni naccjoe
Il Tolgar bìasmo alla città di Tebe * ;
Ma non è d^ aizzar col nudo dito ,
La collerica vespa. I Littorani ,
Qaali noi siamo, abitator di scogli.
Hanno candide aurore , esperi ^ puri ,
Cìel di zaffiri. - Oh non mi s' empion Paje,
I Cerere. Dea delle messi.
3 Tebe. I Tebani , e in generale i Beoti , erano in voce di «tapidi ; di
che soleva incolparsi il clima.
5 Esperij lo stesso che Vespri o Sere»
SBGOI^a DBCmo ATTIMO 4 3
Non sentoosi seoppiarTÌ i coreggiati ' :
Che moDla? Or or della famiglia il padre
Grida per casa ; Si risparmi il paoe;
Val sangae il graoo. Indi ecco correr tooos
Vele, Ta^celli, cH Sicilia nari
Vengono io poppa. - In quel momento vili
Fa nsi le biade , il Granaiio s' impicca ;
E di giorno e di notte il forno coce,
Ed il popolo fa sne goxzofiglie.
• Quale appunto oggidì miriamo il mondo.
Tale usci dalla man del Mastro eterno:
Ciascun paese afea di che pregiarsi,
Di che lagnarsi infino allora. - O bella
Schiera di Pindo*, elle trofaro nn oro.
Onde diedero nome agli anni antichi ,
Con gran consiglio; iii qnei fèKci mesi
Eran di' biondo mei carcbe le selre,
E per gli aperti campi ivano i rivi ,
Altri di poro latte, altri di vino
Isfaviliante, allegrator de' cori.
Le pecorelle si vedean sul tergo
Tinger le lane , ^ colorirsi d' ostro
Per loro stesse; degli aratri il nome ^
Non era noto , che cortesi i solchi
Porgeano in dono al contadin la messe,
E rifiuto facean di sna fatica.
Ma per quella stagiona vedeasi io terra
■
1 Coreggiaio e quello ctrnmentQ con etti si Latte il grana soli* aja. Qui
dunque vuol dire che ne' paesi di marina scarseggiano le biade , sicché quaU
che volta ▼' ha perìcolo di carestia } ma si provvede con grani portati d* iit
tronde , e vien tale ahbondansa , che il Granatino ( cioè V incettatore di grano
die dell* altrui miseria voleva ' arricchire ) per disperasione s' impicca.
2 Schiera di Pindo. Le Muse. — jinni antichi. Il tanto celebrato secai
^ aro,
3 Per gìteSa ec. . Finché dorò quell' età.
44 LETTERÀT0BA ITAtlANà
L*a1ma Giaslìzia, e di caodor Telala
La Fede para; e la dimessa in vista,
E dell' alCrui dolor schifa Pietale '.
Quando poi sorse il minaccioso Oltràggio,
E l' Ira e la si pronta a dar di piglio
Fra noi Rapina ; e che , lascivo arciero ,
Mosse battaglia a mal guardati letti
Lo sfacciato Garzon di Cìterea ,
Subito il mondo ebbe a cangiar sembianza;
Il suol di bronzo, il ciel venne d^ acciaro,
Fe^ vedersi la fame^ e la ria febbre
Dispiegò tra le genti orrida insegna ,
Ed infinili guai trasse in sua. schiera. —
Qui faccio punto, e saldo ogni ragione.
Tal godiam il tenor di nostra vita ,
Pur come fatti son nostri costumi.
GALILEO GALILEI
Fra que^ pochi ai qpali è veramente dovuta la re-
staurazione della buona filosoGa' va collocalo per co*
mune consenso Galileo Galilei , nato in Pisa addì
tS febbraio i564* Studiò gioviuetto in Firenze, dove
suo padre, nobile ma di scarse fortune, dimorava.
À^ diciotto anni fu noandato per apprendere aiedi-
Cina in Pisa, dov^ egli meditando sulle opere di Ari-
stotele, di Platone e degli altri antichi filosofi, si
aperse la strada a quella gloria alla quale poi si
condusse. Quivi un giorno osservando nel duomo
r oscillar di una lampada, trovò come fosse possi-
bile misurare il tempo per mezzo di un pendolo : e
questa fu la prima delle sue invenzioni. Datosi allora
alio studio delle matematiche, nelle quali s'era iai^
t E deW ec., E la PieUi che, non patendo 1* aspetto deli* altmi dolore »
i toccofritiice de* bisognosi.
SECOLO DBCIMOSETTIMO f S
ilato alcun poco sotto Oslilìo > Ricci da Fermo , vi
fece cosi rapidi e così grandi progressi, che nel iSSo
ne fa eletto professore qefP Università stessa di Pisa,
Tre anni dopo , cominciando V invidia d' alcnoi
suoi email a rendergli ingrato quel soggiorno, si tra*
$ferì a Padova nella medesima qualità di Professore}
e quivi, tenilUo carissimo dalla fiepnbblica di Vene*
sia , fece tra Je altre scoperte quella notabilissima del
Telescopio , coU soccorso del quale stromento potè
poi spaziare pe^ campi del cielo, e arricchire il mondo
di tante .utili cognizioni. E Padova dovea veramente
essere la sua dimora: ma nel 1610 desiderò di ri«
condursi a Pisa , dove inflitti fii richiamato con ti«
tolo di Matematico primario^ collo stipendio di mille
scudi, e senza obbligo di leggere nò di risiedere nello
Studio e nem manco nella città di Pisa. L^ anno dopo
andò a Roma ,. dove^ tutti V accolsero con segni di
grande stima, e fu ascritto alP Accademia dt? Lincei '^
la quale, sebbene fosse tuttora recente, era già di*
venuta assai celebre.
Ritornato poi alla patria,, cominciò a provare Pav*
versa fortuna che gli apparecchiavano V ignoranza a
P invidia di coloro ch'egli sfolgorava senz^ avveder*
sene col suo grande ingegno e eolle sue nuove dot-
trine. Contendere di sapere 4f dMngegno col Galilei
non era impresala cui veruna presunzione potesse
arrischiarsi : però i suoi nemici ufcirono ad assalirlo
con armi di ben altra tempra, aocosandole.d^ empie*
tà. Coli' autorità della Scrittura condannarono il si*
stema di Copernici intorno al muoversi della terra ^
e come il Galilei proclamava questa dottrina, lo av*
volsero in quella medesima accusa. Invano egli ritor*
1 Qaest' AccftdemM , fondata nel l6o3 dal («ìiMipe Federico C«sl romaiw'^
ebbe per simbolo un lince , a significar 1* acnteaia eoa cui gli Accademki
H proponevano di penetrare , «todiando^ nei aesreti della natura* E veramente
jsli effetti risposero al proponimento, e quella fu nnfe delle Accadieoiie ^à
celebri e più utili. ^
46 LCTTERATiraA. ITALIìHA
nato nel i6i5 a Roma si stadio di persaadere a^ suoi
accusatori la verità della propria dottrina^ cbè gli fti
ingiunto di abbandonarla. E quando, sedici anni dopo,
egli pubbricò i suoi Dialoghi sopra i due massimi
eterni del mondoy Tolemaico e Copernicano^ fa Òi
bel nuovo chiamato a Roma, e tenuto prigione nei
palazzo deir Inquisizióne , e costretto a ritrattarsi '«
il mondo intiero conosce ora come fosse irragione*
vole di costringere un uomo di tanto senno ad ab^
bj arare y maledire e detestare una dottrina irerissi*
ma : rispetto poi al Galilei , si racconta che dòpo
avere pronunciate le solenni parole a lui conoan*
date , battendo 04)o un piede la terra , dicesse : Ep*
pure si muoi^e. E se noi disse , abbiamo perà' molti
suoi scritti dai quali si raccoglie che , sebbene Fosse
vecchio di settant^ anni e infermiccio, ed in luogo
/dove anche i più coraggiosi solevano impaurire, a
lui per altro non parve dubbiosa mai T abbracciata
dottrina. Alcuni afiermarono che ti Galilei fu git«
fato nelle orrende prigioni delP Inquisizione , e sot*
toposto alla tortura : ma di tutto questo non addu«
cono poi credibili testimonianze \ né sappiamo per-
chè si debba trascorrere in esagerazioni dove anche
il semplice vero è già troppo doloroso a narrarsi.-— -
Uno storico recente , non inclinato per certo a scoU
pare T Inquisizione , disse con verità che «la brut*
Ttezza del fatto fu mitigata «Jalla dolcezza del trat«
lamento n. Da prima stette in casa delP Ambascia-
tore di Toscana , poi , durante il processo , ebbe un
buon quartiere nel palazzo del Sant' Ufficio. Dopo
la sentenza, in luogo di carcere, gli fu assegnato il
X Questi Dialoghi furono ftampati colla licenza del Maestro del Sacro Pa-
laiso, per intercessione specialmente del gran 'tinca Ferdinando di Tosca-
na : ma poi questa Iìc«oia non giovò ne ali* autore né al libro ) e gH WTer-
•aq per nnocergli con più sàeuresia dissero al Papa averlo il Galilei ràffi-
• gurato nel personaggio di Simplicio che in que* Dialoghi sostiene con super-
ttiùosa credulità le peripatetiche opinioni.
SECOLO DECIJiOSBTTIHO ^f
giardìoo della Trinità dei Monti appressò airÀm-
basciatore predetto; poi gli fa permesso di trasferirsi
a Sieoa io casa dell' arcivescovo Piccoloroini suo a«
mico , e fioalmeote si fidasse alla sua villa d' Arceiri.
faor di Firenze. Quivi egli , vecchio e cieco , coo«.
tinuò nel silenzio i suoi sludi fino a^ 19 gennajo 164^
in cui morì.
Sebbene la fama di questo celebre Italiano sia di
filosofo, anziché di scrittore, nondimeno egli con* ]
giunse la purità e T eleganza della lingua colla pro«
fondita delle dottrine^ e i^on di rado la sua esposi*
zione è anche amena e dilettevole. Sotto questo ris«
petto il Saggiatore^ in cui risponde al gesptta Orazio
Grassi, i Dialoghi sui due sistemi già mentovati, ed
alcune Lettere si possono studiare di preferenza ad
C^ni altro suo libro.
Prima però di trascrivere qualche saggio dì questo
insigne filosofo e scrittore , pacmi opportuno di riferir
qui ciò che dell^ ingeguo e del carattere di lui egre*
giamente scrisse Vincenzio Viviani suo scolaro ed
amico.
Fo il signor Galileo di gioviale e giocondo aspetto,
masfime in sua vecchiezza ;* di corporatura qaadrato; dr
giusta statura; di complessioue , per oatara, sanguigna^
flemmatica e assai forte; ma per le fatiche e travagli si
dell^ animo come del corpo , accidentalmente debilitata t
onde spesso ridacevasi in istato di languidezza. Fu esposto
a molti mali accidenti e affetti ipocondriaci-; e più volte
assalito da gravi e pericolose malattie, cagionate in gran
part^ da^continoi disagi e vigilie nelle osservazioni celesti,
per le quali bene spesso impiegava le notti intere. Fó
travagliato per più di qaarantolto anni deUa sua età ,
sino all' ultimo della vita, di aentistimt dolori e pnntìire
che acerbamente lo molestavano, nelle mutazioni de' tempi,
in diversi luoghi della persona ; originate in lui dair e^
48 LETTERATURA ITALfAllA
sersi ritroTato, insieme con due nobili amici saoi, ne' caldi
«rdentissimi d'esUte, in ana villa del contado dì Padova;
dove postisi in^na stanca assai fresca, per Ta^gir Tore più
noiose del giorno, e quivi addorinentatisi tutti, fu inaTrer-
tentemente da un servo aperta una 6nestra per la quale
•olevasi , sol per delizia , sprigionare un perpetuo vento
arti fizioso , generato da moti e cadute d'acque che quivi
appresso scorrevano. Questo vento , come fresco e umido
di soverchio , trovando i corpi loro alleggeriti di veUi*
menti, nel tempo di due ore che riposarono, introdusse
pian piano in loro così mala qualità per le membra, che
svegliandosi , chi con torpedine e- rigori * per la vita , e
dii con dolori intensissimi nella testa e con altri accidenti^
tutti caddero in gravissime inferitila : per - le quali ano
de' compagni in pochi giorni ^e ne morì ^ I' altro perde
l'udito, e non visse gi'an tempo; e il signor Galileo ne
cavò la suddetta indisposisioné, della quale mai non potè
liberarsi.
Non provò maggior sollievo nelle passioni dell' animo ,
uè miglior preservativo della sanità , che nel godere del-
l' aria aperta : e perciò dal suo ritorno di Padova abitò
quasi sempre, lontano dagli strepiti della città di Firenze,
per le ville d' amici, o in alcune ville vicine di Bellosgoardo
o d* Aroetri , dove con tanto maggior ^disfàzione ei di-
morava, quanto che gli pareva che la ciilà fosse in certo
modo la prigione d^r ingegni speculativi, e che la libertà
della campagna fosse il libro della natura, sempre aperto
a chi , con gli occhi delP intelletto , gostava di' leggerlo
e di stodiario ; dicendo che i caratteri e 1' alfabeto con
che era scritto, erano le proposikioni, le figure e~ le ood-
dosioni geometriche; per lo coi solo mezzo potevasl pe-
netrare alcono degr infiniti misteri dell' btessa natura* Era
I Xa torpediM è ciò ch« dicesi' più «petto intarmmtùnento f per rigont
•* intende il brivido ^ ^Qale ti provi in eette feUiri.
SECOLO DECnroSETTIHO 49
perciò provvisto di pochissimi, libri ; ma questi, de* mi»
gliori e di prima cl.isse. LcNlafa bensì io federe qnanto
io filosoBa e geomefria era stato scritto di booao, per
detncidare e sfegltar la veste a siiniR e pia alte speco»
lazioDÌ; ma ben diceta che le prmcipali porte per intro*
dorsi nel ricchissimo erario della nataral filosofia, erano
f osser?azIoni e P esperienze, che per mezzo JiAie chiavi
de^ sensi , da* più nobili e coriosi intelletti si potevano
aprire.
' Qaantanqne gli piacesse la qaiele e la Bolitudioe delia
villa , amò però sempre d* avere il commercio de* firloosi
ed amici , da' qoali era giornalmente visitalo , e con de*
lizie « con regali sempre onorato. Con qncsli piacevagli
trovarsi spesso a conviti: .e con tolto fosse parchissimo o
moderalo, Tolentieri.si rallegrava; e particolarmente prò»
meva nelF esqnisitezza e varietà de' vini d'ogni paese*. E
tdle era il diletto eh' egli aveva nella delicatezza de' vini
e deir ave e del modo di caslodire le vili , eh' egli ste«o
di propria mano le |k>tava e legava negli orti delle ano
ville , eoa osservazione , diligenza e industria più che
ordinaria. E in ogni tempo tr dilettò grandemente del*
r agricoltura ; che gli servita insieme di passatempo , e
d' occasione dr filosofare intorno al nutrirsi e al vegetar
delle piante , sopra la Tirtù prolifica de* semi , e aopra
r altre ammirabili o)>érazioni del Divino Artefice.
Ebbe assai più in odio T avarizia che -la prodigalità.
Non risparmiò a spesa alcuna io, far varie prave e osser*
vazioni per conseguire notizie di noofe e ammirabili con»
segaeoze. Spese liberalmente in sollevare i depressi , in
ricevere e onorare i forastieri 5 in somministrare le co-
modità necessarie a' poveri eooellenli in qualche arte o
professione,. mantenendogli in casa propria, fin che gli
1 Premere in tuta cota diceti dfi dit Je ne A peaiiero , di dlù o* hft de*
sideno.
L&TTBPAT. rtJiU — IV 5
5o lETTEAATURi ITiLUltl
prorTècIesse di tratteniineotó e d' iiii)>i(fgo< E tra quei ch^e^
gli accolse (tralasciando di nominar molti giofani fiam-
mtiighi, tedeschi e d'altroVe, professori dì pittura e sciil-^-
tnra o d^ altro aobite esercizio, o esperti nelle matema-
tlcbe e in ogni altrì> genere di scienza ) farò solo parti*»
colar menzione. di quello die fu F ultimo in tempo, e in
qualità foose il primo , e che già discepolo del P. D^ Be-
nedetto Castelli, ornai <o maestro, fu dal medesimo
Padre inviato e raccomandato al signor Galileo, affinchè
questi gustasse <l' avere presso di se lin geometra eminen-
tissimo, e quegli (allora in disgrazia della fortuna) go«
desse della compagnia e protezione di no Galileo. Parlo
del signor Evangelista Torricelir, giovane e d'.integerrioii
costumi e di dolcissima conversazióne ,^ accollo in casa ,
accarezzato e provvisionato dal signor Galileo , con iscam-
bievol diletto di dottissime conferenze ^ .
JSon fu il signor Galileo ambizioso degli onori del vol-
go, ma di quella gloria che dal volgo differenziar lo po-
teva» La modestia gli fu sempre compagna; in lui mai non
si conobbe vanagloria o jatlanza.. Nelle sue avversità fu co-
stantissimo , « soffri coraggiosamente le persecuzioni degli
emuli. Movevasi facilmente alF ira , ma più facilmente si
placava. Fu nelle conversazioni universalmente amabilissimo:
poiché, discorrendo sul serio, era ricchissimo di senteoze
e concetti gravi; e ne^ discorsi piacevoli, V arguzie e i
sali non gli mancavano. L' eloquenza poi e V espressiva ^
che egli el|^be' nelP esplicare V altrui dottrine e le pro-
prie speculazioni , troppo si manifesta ne' suoi scritti e-
componimenti per impareggiabile e , per così dire, so-
praumana. Fu dalla natura dotato d' esquisiCa memoria^
e gustando in estremo la poesia , avova a mente, tra gli
I Evangelista Torricelli nato in Faenia Panno 1608 fa profondo filosofo
e Miittor <lilig«nt« e non di rado elegante.
a L* efprusiva» La facoltà , il modo di esprimersi.
SECOLO DECniOSBTTIllO 5f
altri autori latini, gran parte di Virgilio, Gridio, Ora*
tio e di Seneca ; e tra i toscani , <pasi tatto il Petrar*
ca , latte le Rime de! Berni , e poco meno che tqitto il
poema di Lodorico Ariosto; che fa sempre il 000 aolor
farorito , e celebrato sovra gli altri poeti , avendogli ia*
torno fatte particolari osservazioni e paralleli col Ta«o ,
sopra moltissiini' laoghi • . • Parlava dell' Ariosto eoo ri^
rie sentenze dt stima e d' ammirazione ; e essendo ricer-
calo del sao parere sopra i due poemi delP Ariosto e del
Tasso, sfuggiva prima le comparazioni come odiose, mn
poi,, necessitato a rispondere, diceva che gli pareva più
bello il Tasso , ma che gli piaceva più V Ariosto , . sog*
ginngeodo che ^egli diceva parole e questi cose *• £
quando altri gli celebrava la chiarezta ed evidente nel*
r opere sue , rispondeva con modestia , che se tal perle
in quelle si ritrovava , la riconosceva totalmente dalle
replicate lettore di quel poema : scorgendo in esso une
prerogativa propria del buono; cioè che quante volte lo
rileggeva , sempre maggiori vi scopriva le maraviglie e le
perfezioni.
0A( DIALOGHI SOPEA 1 DUE MASSIMI SISTEMI DEI. M01I90.
Che anche i maestri di logica possono sragionare,
SiMP. Di grazia, sig. Salviati, parlate con più rispetto
d' Aristotile* E a chi potrete voi persuader già mai che
quello che è sialo il primo , unico e ammirabile esplica-
lor della forma sillogìstica , della dimostrazione , degli
elenchi , dei modi di conoscere i so6smi , i paralogismi ,
e in sojnma di tutta la logica , equivocasse poi sì grave^
mente in suppor per noto quello che è in quistione? Si*
I Fra gli tcrìtti contro U Gerusalemme; ve n* ha imo anche del Galilei ,
compoeto negli anni della ma giovinetta.
52 UBTTBaATOAA ITitLlAtÌA'
gDori , bisogna prima iutenderlo perfettamente, e poi prò*
Tarsi a Tolerlo impugnare. ,
SiLV« Signor Simplicio, noi siamo qui tra noi discor*
rendo familiaribente per infe^ìgaf qualche veri là; io non
arto mai per male che voi mi palesiate i. miei errori , e
qaaodo io non avrò conseguita la mente d^ Aristotile ,
riprendetemi pur liberamente , che io ve ne avrò buon
grado. Concedetemi intanto che io esponga le mie dìf*
ficulta , e eh' io risponda ancora, alcuna cosa alle vostre
ultime parole , dicendovi , che la logica , come benissimo
sapete , è T organo col quale si filosofa : ma si come può
esser, .che un artefice sia eccellente in fa hbricare organi,
ma .indótto nel sapergli sonare ; così può esser un gran
logico , ma poco esperto nel sapersi servir della logica ;
siccome ci son molli che sanno per lo senno a mente
tutta' la poetica , e soor poi infelici nel compor quattro
versi solamente : altri posseggono tutti i precetti del Vin-
ci ^ e non saprehber poi dipignere uno sgabello. Il sonar
r organo non s^ impara da quelli che sanno far organi ,
ma da chi gli sa sonare : la poesia s* impara dalla Goa«
tinua lettura dei poeti: it dipignere s'apprende col cod*
finuo disegnare e dipignere : il dimo^strare dalla lettura
dei libri pieni di dimostrazioni ,' che sono i matematici so-
li > e non i logici.
Che la terra per essere mutabile e alterabile
non è manco perfètta.
Sagr. Io non posso senza grande ammirazione, e dirò
gran repugnanza al mio intelletto, sentir attribuire per
gran nobiltà e- perfezione ai corpi naturali e integratiti *
del r universo questo esser impassìbile, immutabile, inai*
terabile, ec. , e all' incontro stimar grande imperfezione
X Jat^rantì* Componenti.
iECoto DBcnonTTiMo ss
r esser alteràbile , generabile , mutabile , et * t lo per Ine
repnto la terra nobilissima e ammirabile per le tante •
«l direrse alterasiooi, molazioni, generaaieoi, ec, ehn
in lei incessabilmieote sr fiinao; e qaando senta esser ao(?
getta ad alcuna malaaiooe , ella, fòsse tutta qua ratta aor
litndine d'arena ) o una massa di diaspro, o che al tempn
del ditoTiO) diacciandosi > Tacque che la coprivano, fotse
restata un globo immenso di cristallo, dove mai non 0*»
scésse , né si alterasse , o si mutasse cosa veruna , io la
stimerei on corpaccio inutile ai mondo, pieno di oxio^
e, per dirla in breve, superfluo, e' come le non fosse ìm
natvra ; e quella stessa diffierensa ci farei , che tra t a*
nimal vivo e il morto : é ilj medesimo dico della Luna ,
dì Giove e di tutti gli» altri globi mondam. Ma quanto
pia ro^ iolerno io considerar la «vanità dei discorsi popò»*
lari, tanto più gli Iroio leggieri e stolti. E qua! maggior
sciocchezza si può immaginar di quella che chiama cosa
preziose le gemme '^ 1' argento e P oro , e vilissime la
terra e il Tango? E come non sovviene a questi tali, dm
qaando fosse tinta scarsità della terra, quanta è dello
gioje o dei metalli più pregiati, non sarebbe principe
alcuno che volentieri non ispende^se una somma di dia*
manti e di rubini , e quattro carrate d' oro , per aver
solamente tanta terra , quanta bastasse per piantare^ in
on picciol vaso, un geUpmino, o seminarvi un arancino
della Cina, per vederlo nascere, crescere, e produrre al
belle' frondi f fiori così odorosi, e si gentil frutti? E duo»
quo la penuria e \ abbondanza qoella che mette in
prezzo e avvilisce le ccfte appresso il volgo ; il qnab
dirà poi quello esser un bellissimo diamante, perchè as-
simiglia r acqua pura , e poi non lo cambierebbe con
^ieci botti d' acqua. Questi cjlie esaltano tanto. T incorrul-
54 letteratitiìa italiaha
libiKtà , r inakerabilita , ed , credo che si ruliicaiio à
'éìr queste cose, per il desiderio graode di canlpare as-
sai, « per ii terrore che hanno della mòt'te: e non con*
sidefano che quando gli aomini fossero immortali , a loro
non toccala a Tenire al mondo. Questi meriterebbero d^n-
costrarsi in nn capo di Medusa ', ch^ g'^ trasmutasse^ in
istatue di diaspro o di diamante , per diventar più per<*
feUi che non sono.,
SaLt. e forse anche' una lai metamorfosi non sarebbe^
ae non cqu qualche lor vantaggio ; che meglio credo io
che sia ti non discorrere , che discorrere a rovescio.
* Siup.' E non è dubbio alcuno che la terra è molto
più perfetta, essendo come ella è alterabile, mutabile, ec.;,
che se la fosse una massa di pietra , quando ben anco
fosse, un intero diamante duriàsimo e impassibile.
JEsperienza intorno al moto dei proJeUL
'' Riserratevi* con qualche* amico nella maggiore stanfea
che sia sotto coverta di alcun gran navilio , e quivi fate
d' aver mosche , farfalle e simili animaletti volanti : siavf
anco un gran ' vaso d' acqua , e dentrovi de' pescetti ; so-
'spendasi anco in alto qualche secchiello , che a goccia a
goccia vada versando dell'acqua in un altro raso di an«
■gusta bocca , che sia posto a basso ; e stando ferma la
nave, osservate diligentemente,' come quelli animaletti to*
lauti, con pari velocità vanno verso tutte le parti della
stanza; i pesci si vedranno, andar notando indifferente*^
mente per tutti i ver^i, le stille cadenti entreranno tutte
nel vaso Sottoposto; e voi gettando alF amico alcuna co-
sa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella
parte che ^erso questa, quando le Lontananze sieoo egua^
li , e saltando voi , come si dice , a pie giunti , eguali
I Medusa, H capo di qaetU Gorgoot tmuitavm (secondo le favole) in
sasso dii lo guardava. '"
•■COLO . DEcorasimiio SS
^asti passerete^ veno tolte Je parti. Oaienrate cfaa avi^
rde diligenteoMBle tutte qatsie cote , beodiè niaa' dok
bio jà sia, che mentre il vaaodlo sta fenao noe deUiMMi
flooceder cod ^ fate mooTer la nave eoo quaota fi voglia
jelecità; che (pur che il «iota sia naifonna, e non flut»
tuaule io qua e ia là} voi bob rioonoicerate noa mi»
Dima mntaziuoe in tutti li nomioali effetti; né da alcofit
di quelli potrete comprender se la naie eammina, o pare
Ma ferma. Voi saltando passerete nel ta?olato * i medesimi
spazii phe prima ; né perche la nave nr moota tcIocìmì*
mamenle , farete maggior saki verso la poppa che versa
la prorji, henchè nel tempo cìiéfoi atate io aria, il ta^
volato sQttopostofi acorra rerso la parte oaotraria al vo*
ttro saltila e gettando alcona cosa al compagno, non eoo
più forza bisognerà tirarla per arrWarlo, se egli «ara
verso .la prora e toì verso poppa , che se voi foste $>
tnati per l^oppoaito: le gocciole cadranno, come prima,
nel vaso infi^iore , senza cadérne pur una verso poppa ,
benché, mentre la gocciola e per. aria, la nave scorra
molli palmi; i petci nella lor acqua noo con più fatica
noteranno verao la precedente , che verso la sossegaenta
parte del vetro*; ma con pari agevolezza verranno al cibo
posto sa qualsivoflia luogo deir orlo del va'so ; e finale
mente le farfalle « le mosche continueranno i lor voli io»
differentemente verso tutte le parti ; né mai aocaderà che
si riducano verso la parete che riguarda la poppa , quad
che fossero stracche io tener dietro al veloce oorso della
nave, dalla quale per lungo tempo trattenendosi per aria,
saranno state separate i e ae. abbruciando alcona lagrima
d'incenso, si &rà un poco di fumo, vedrassi ascender
in alto, e A guisa di nugoletta trattener visi , e indiSq»
rentemente muoversi non più verso, questa che quella
Ì6 LBTTEIIiTOftA ITAtUtfA
|iarle» e di tntla questa . corrispondeBia A* effetti ne è
cagione r esser il moto biella nave con»aDe a latte le cose
fymtenute ia essa, e alP aria ancora ; che perciò dissi ia^
(che si stesse sotto coTerta ; che quando m stesse di so-
pra ^ e nell' aria aperta , e non seguace del corso della
naie • differenze' pia e men notabili si vedrebbero in aK
GQlù degli effetti nominati*
«
I funamboli ^ tenendo nn' asta lunga in mano , faeil*
«Mmle camminano e ballano sulltf .corda ; p senz' essa eoo
gran difficoltà , e appena et poniOtto eauHminare. Si do*
manda ora che ajuto gli ,' porga la detta asta*
La risoluzione del presente problemii dipende da tra
verissime proposizioni. La prima è tale:Jo ho un pezzo
di ' (rare , e lo drizzò a perpendicolo sopra terra ; dric*
cato che io V ho-, vedo che non Tuol^taré. altrimenti iti
[riedr , ma che comincia a inclinare per cadérsene disteio
in terra; allora se io che lo^ yedo cadere, lo soccorro
tnbito , con ogni picciola forza e lo terrò e lo tornerò
a drizzare, che non^ tada giù; cosa che non cosi facil-
«wnte farej , se lo soccorressi quattdo • ei fosse vicino a
dj^tendersi. in terrii. Da questa prima* proposizione se ne
cava la seconda , che è questa : Uno per passare un fosso
è necessitato di camminare 'sopra uiv pente strettissimo ,
qnal sarebbe un tronco di an albero, o un pezzo^ di ta-
vola larga un quarto di braccio: ora se cosini af^rà qual-
che ritegno o appoggio, benché minimo., spi quale si
possa reggere quando si sente barcollare , facilmente pas*
sera il fossa, perchè (come abbiamo detto nell' esempio
della trave) basta ogni picciola forza e resistenza per le*
oer in piede on9 cosà che accenni * di voler cascare. La
I Gii* k loro.
a Accenta qui Tale quanto Via f it«/cfté iniitkf di 9okr 9C» •
\
IBCOLO DBCiaOSBTTfSO $7
ierza proposjsìone è, clie eoo assai maggiore prettetsa «
velocita si vibra e si scaote un pexao di legno corto colla
mano che non. si fa aa' asta molto langa. » Ora il fanaitf*
bolo, a guisa di quello "cbe ha da passare il fosso pel
ponte stretto, ha da camminare sopra fana corda, sicché
se non avesse qualche appoggio , quando . ei si sente f^^*
ciliare , cascherebbe facilissimamente in terra ; ma egli ha
l'appoggio, e questo glie lo porge Tasta longa che porta
in mano ; perchè quando ei si sente piegare e andar già
da Qoa banda, egli si appoggia e si aggrava dalla me*
desima sali' asta, la quale per esser molto longa con gran
lentezza si moofe alla forza che gli fico fatta ; sicché
non cosi tosto ella comincia a mnotersi-, che il fonaài bo-
lo, ài quale basta ogni minimo appoggio per riaversi, ti
è già riavuto e raddrizzato.
^ * DAL SAG<;i4TOBB. ,
Che la natura produce i suoi ejffitti con grande uarìetà di mani$r€f
le quali noi molte uolte non sappiamo deUrminart.
Nacque già in un luogo assai solitario un uomo dotato
da natura di un ingegno perspicacissimo , e d^pna curio*
sita straordinaria ; e per suo trastullo allevandosi diversi
Qccelli , gustafa molto del lor canto , e con grandissima
maraviglia andava osservando con che beir artifizio cóUa
stess* aria colla quale respiravano , ad arbitrio loro for^
ma vano canti diversi , e tutti soavissimi. Accadde , che
una notte vicino a casa sua senti un delicato suono , nò
potendosi immaginar che fusse altro che qualche oooei-
letto, si mosse per prenderlo; e^ veneto nella strada, trovò
un pastorello, che soffiando in certo legno forato, e mo-
vendo le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo
certi furi che vi erano , ne traeva quelle diverse voci si* |
mili a quelle d*j]n uccello, ma con maniera diversissima. t
Stupefatto é mosso^daila sua naturai curiosità, donò al pa« <
58 LBTTERATDRA ITALIlllA
•tore ali vitello, per aver quello zufolo ; e ritiratosi fa
•è slesso , e conosc^sodo che se non si abbatteva a passar
colui , egli Don^ avrebbe mai imparato che ci erano in
natura due' modi da formar voci e càuti soavi , volle al-
lontanarsi da cash stimando di potere incontrare qualche
altra avventura. Ed occorse* il giorno seguente , che pas»
sando presso a un picccrio tugurio, senti risonarvi dentro
«riìa simil voce ; e per certificarsi se era no zufolo, o pure
un merlo, entrò dentro, e trovò un fanciullo che andava
con un archetto eh' ei teneva nella man destra segando
alcuni nervi tesi sopra oerto> legno concavo, e con la ai-
Distra sosteneva lo stmmeàlo^ e vi andava sopra movendo
le dita, e senz'altro fiato se traeva voci diverse e molto
soavi. Or qual fosse il «no stupore , giudichilo chi parti-
cipa deir ingegno e della curiosità che aveva colui; il qual
vedendosi sopraggiunto da' due nuovi modi di formar la
voce ed il canto, tanto ir»^pinati, cominciò a creder eh' al-
tri ancora ve ne potessero essere in natura. Ma qual fu
la. sua maraviglia , quando entrando in certo Tempio as
mise a guardar dietro alla porta per veder dii aveva so^
nato, e s^ accorse che '1 suono era nicito dagli arpioni e
dalle bandelle * nelf aprir la porta ? Un' altra volta spinto
dalla curiosità entrò in un' osteria , e credendo d' aver a
vedere^uno che coli' archetto toccasse leggermente le corde
di un violino, vide uno -che fregando il polpastrello di
un dito sopra V orlo di un bicchiere ne cavava soavissi-
mo suono. Ma quando poi gli- venne osservato che le ve^
spe, le zanzare e i mosconi, non (come i suoi primi no*
celli) col respirare formavano voci interrotte, ma col ve*
locissimo batter dell' ali Tendevano un suono perpetuo ,
quanto crebbe in esso lo sCo'pore, tanto si scemò T opi*
l arpione ( a Cardine ) e quel ferro sopn il quale ginno le imposte delW
porte. La bandella h quella spranga di lama di f«rro in capo alla quale sta
t ' anello dentro cui wìn il perno e 1* a^ dell* arpiwé^
»àCÒM> DSCIMOSBTTIHO S9
Dione ch'^egli arerà cirea il sapere coma si generi sno>
DO. Né latte V esperieose già vedote sarebbono state Imi-
stanti a fargli comprendere d credere, che i grilli, giac*
che non Tolavado , potessero , non coi fiato ma collo seno»
ter Tali, cacciar sibili cosi dolci e «onori. Ha qnando et
si credeva non poter esser qnasi possibile che vi fussero
altre maniere di formar voci dopo T avere oltre ai modi
narrati osservato ancora tanti organi , trombe , pifferi >
stramenli da corde , distante e tante sorte, e sino a qaelh
liogaetta di ferro òhe, sospesa fra i denti, si serve con
modo strano della cafità della bocca per corpo della ri»
sonanza ", e del fiato per veicolo del soono, quando, dico,
ei credeva di aver veduto il latto, trovossi p(ù che mai
rinvolto neir ignoranza e nello stupore nel capitargli io
mano una cicala,. e che né per serrarle la bocca ne per
fermarle V ali, poteva ne pur diminuire il suo aliissinKi^
stridore, né le vedeva muovere sqaame , ne altra par le ^
e che finalmente alzandole il cassò del petto , e vede1^•,
dovi sotto alcane cartilagÌDÌ dure ma sottili, e credendo
che io strepito derivasse dallo scuoter di quelle , si fi-
dasse a romperle per farla chetare»^ e tutto fu io vano^
sinché spingendo V ago pia a dentro , non le tolse, tra*
figgendola, colla voce la vita; sicché né anco potè accer*
tarsi se ìi canto derivava da quelle ; onde si ridusse a
tanta diffidenza del suo sapere , che domandato come 1Ì
generavano i suoni , generosamente rispondeva di sapere
alcuni modi , ma che teneva per fermo potercene essere
cento altri incogniti ed inopinabili. - Io potrei con altri
molti esempj spiegar la ricchezza della Natura nel prodar
suoi effetti con maniere inescogitabili da noi , quando il
senso e V esperienza non lo ci mostrasse , la qoale anca
talvolta non basta a supplire alla nostra incapacità; onda
I Corpo della risonansa h per etempio la cavità del vioKiio o quella «del
cembalo. — - Veicolo è tntto òò cbe terre a trasportar qualche com.
<
6o LETTBRATCRi ITALIANA.
4ie 10 non saprò precisamente determinar la maniera della
.proda^ion della Cometa , non mi do?rà esser negata la
scusale tanto pin, qiiant^o non mi son mai arrogato di
poter ciò fare , conoscendo poter essere che ella si fac-
cia in alcnn modo lontapo da -ogni nostra iinmaginasio*
Ite ; e la difficoltà dell' intendere come si formi il canto
della cicala 9 inentr^ ella ci canta in mano , scnsa di so*
cerchio Lj noii; sapere , come in tanta lontananza si ge-
neri fa Cometa.
- ^ DALLE LETTERE.
M P, Vincenzo Renierù
'.■ Voi ben sapete. , stimatissimo- Padre Vincenzo , che la
mia vita non è stata finora che nn soggettò d' accidenti
e di casi che la sola pazienza d' un filosofo può riguar-
dare con indifferenza, ctfme effetti neccssarj delle laute
«trane rÌToluzioni a cui è sottomesso il globo che abitia-
mo. I nostri simili , per quanto ci affatichiamo di gio-
varli , 9 diritto e a rovescio procorano di • renderci la
pariglia coIP ingratitudine, coMurti, colle accuse; e tutto
ciò si. trova nel corso della mia ?ita. Ciò vi basti, sensa
più interpellarmi circa le notizie di una causa e di ao
reato che io neppnr so di avere. Voi mi domandate conto
neir ultima vostra 'dei 17 di giugno di quest^anno di ciò
che in Roma mi^è accaduto, e di qual tenore fosse .verso
di me il Padre Commissario Ippolito * Maria Lancio e
Monsignor Alessandro Vitrici Assessore. Questi sono i
nomi de' miei giudici che ho presenti ancora alla memo-
ria, sebbene ora mi vien detto che tanto V uno come
l'altro sieno mutati ,.e sia fatto Assessore Monsignor Pie-
tro Paolo Febei , « Commissario il Padre Vincenzo Ma-
coiani. Mi interessa un Tribunale, in cai per esser ra-
gionevole sono stato riputato poco meno che eretico. Chi
sa , che non mi riducano gli uomini dalla professione di
SECOLO DBClttOSETTIHO 6l
filosofo a qaella di slorico dell' loquuizione ! Me ne firn
tante a fine ch^ io divènti V ignorante e lo sciocco d* I-
talia , che farà d' uopo alla per fine d' esserlo. C^ro Pa»
dre Vincenzo, io non sono alieno di porre in carta i
miei sentimenti sn di ciò che mi dimandate , parche si
prendano le precauzioni per farri giungere questa lettera
che già si preser da me allor qnando mi cooTenne ri»
spondere al signor Lottarlo Sarsi Sigensano, sotto il qaal
nome era nascoso il Padre Orazio Grassi Gesnita, autore
della Libra Astronòmica e Filosofica , il qual ebbe V a*
bllità di punger me unitamente con il signor Mario Gai*
dacci nostro comune amico. Ha non hastaronoìe lettere;
bisognò dar fuori il Saggiatore , e porla sotto V ombra
delle Api ' di Urbano Vili , acciò pensasser esse col loro
aculeo a pungerlo e difèndermi. A voi però basterà qae«
sta lettera ; che non mi sento portato a fare un libro
sul mio processo e suIF Inquisizione , non * essendo nato
per (are il teologo, e mpito meno 1* autor criminalista.
Io aveva fin da' giovane studiato e meditato per pubbli*
care un Dialogo dei due sistemi Tolemaico e Copernica-
no, per soggetto del quale, fio da principio che andai
Lettore a Padova, aveva di continuo osservato e filosofa-
to, indottovi principalmente da una idea che mi sovvenne,
di salvare * co* supposti, moti della terra il flusso e riflusso
del .mare. Alcuna cosa su questo proposito mi usci, di boc-
ca , allorché si degnò di sentirmi a Padova il Principe
Gustavo di Svezia, che da giovane facendo T incognito*
per r Italia , si fermò quivi colla sua .comitiva per molti
mesi , ed ebbi la sorte di oontrarvi servitù, mediante le
ttoove mie speculazioni é curiosi problemi, che veuivan
giornalmente promossi , e da me risoluti ; e volle ancora ,
1 Le Api erano neDo tfemma deDa Caia Barbeiini a cui Uri»aBo Vili
ippaiteneva.
% SdMirt foi vale Sffitgart.
LBTTUIÀT. ITAL. - IT ^
6z tETTERàTURA ITALIANA
chV io gì* insegnassi la lingua toscana. Ma ciò che reae
^bbllci in Roma i miei senlimenli circa il moto della
terra , fa un assai lungo discorto diretto air eccelleotissi*
mo signor Cardinale Orsini ; e fui allora accusalo di scan^
daloso e temerario scrittore* Dopo la pubblicazione de
miei Dialoghi fui chiamato a Roma dalla Congregazione
del Sanf Offizio, dofe giunto a' io di febbra}o i633 fui
aoUomesso alla soouna clemenza di qnel Tribunale e del
Sovrano Pontefice Urbano Vili, il quale non per tanto
mi credeva deguo della sua stima , benché non sapessi
&r r epigramma ed il sonettino amoroso* Fui arrestalo
nel delizioso Palazzo della Trinità de' Monti presso l'Ain-
basciator di Toscana. Il giorno dopo venne a trovarmi il
P. Commissario Lancio, e condottomi seco in carrozza
mi fece per la strada varie interrogazioni, e mostrò dello
(do , acciò riparassi lo scandalo che io aveva dato a tutta
f Italia , col sostenere V opinione del moto della terra ;
e per quante solide ragioni e matematiche gli adducessi,
egli altro non mi rispondeva che : Term auiem in teter^
num stabit , quia terra auiem in teternum siat , come
dÌ5^ la Scrittura. Con questo dialogo giqngemmo al Pa-
lazzo del Sant' U^zio ; questo è situato a ponente della
magnifica chiesa, di S. Pietro. Fui subito presentato dal
Commissario a Monsignor Vitrici Assessore , e seco lui
trovai due religiosi Domenicani. Essi m' intimarono civiU
mente di produrre le mie ragioni in piena Congregazio-
ne, e che si sarebbe dato luogo alle mie discolpe in caso
che fossi statq stimato reo. Il giovedì dopo fui presentalo
alla Congregazione ; ed ivi accintomi alle prove, per mia
disgrazia non furono intese: e per quanto mi affaticassi^
non ebbi mai 1' abilità di capacitare. Si veniva con di^
gressioni di zelo a convincermi dello scandalo, e il passo
della Scrittura era sempre allegato per V Achille ' del mio
X Per P jéehiUe ee.j àoh : Godm la ragione che più fortemente cowpiro*-
ttfH il mio delitto. Bletafon perdonabile al secolo del Galilei.
SÈCOLO vÉùtttònrfimò 63
leVitlo. Sovvenolomi a tempo di ana ragione tcrh(dral0 4
io r allegai , ma con poco saccesso. Io diceta , thè Della
Bibbia ' mi parerà troTarsi delle espressioni che si confiif*
maraD eoo 'ciò eh* anticamente si crederà circa le scieniè
astronomiche '., e che di qnesta natura poteva essere il
passo che contro me si allegava ; poiché^ io soggiunga
TB, in Giobbe al capo By ,- ▼• 18, è detto, che i cieli
sono soHdi e paliti come ano specchio di rame o di bron*
10. Elia è quegli che ciò dice. Qui si vede dunqne cbs
parla secondo il sistema di Tolomeo, dimostrato assordo
dalla moderna filosofia , e da ciò che ha di più solido la
retta ragione. Se si £a dunqae tanto caso della fermala
del sole fatta. da Giosuè, per dimostrare che II sole si
mooTe, dovrà por considerarsi questo passo, ove è detlo
che il dela è ctim^posto di tanti cieli a guisa di specchi»
La conseguenza mi pareva giusta : non ostante fo sempre
trascurata, e non ebbi per risposta che un'alzata di spai*
le; solito rifugio di chi è persuaso per pregiudizio e per
anticipata opinione. Finalmente fui obbligato di ritrattare
come vero cattolico questa mia opinione, e in pena mi
fu proibito il Dialogo $ e dopo cinque mesi licenziato di
Roma -(in 4empo che la città di Firenze era infetta di
pèste ) , vmi fu desti|iato per cai^eare con generosa pietà
r abitazione del mio più caro amico che avessi in Siena ,
Monsignor Arcivescovo Piccolomini, della cui gentilissima
oonversazione io godetti con tanta quiete e soddisfazione
dell* animo mio, che quivi ripigliai i miei studi , troiai
e dimostrai gran parlo 4Ìene conclusioni meccaniche sqpra
la resistenza de^ solidi con altre speculazioni ; e dopo ctn-
qne mesi incirca , cessala la pestilenza llella mia patria,
verso il principio di dicembre di quesl' anno i633, ila
Sua Santità mi è stata permutata la strettezza di qutUa
I Cio^ : Delle e^retsiom aceomodaU alla manien volgata d* ialcp^ff* ^
cote
64 LETTERATURA ITALUllA
casa nella libertà della campagna da me tanto gradita ;
onde me ne tornai alla Vjlla di Bellosguardo, e dopo ia
Arcetri , dove tuttora mi ritrovo a respirare quest' aria
salubre Ticino alla mia cara patria Firenze. State sano.
Arcetri* sulla fine del i633.
Parie di una lettera a Marco VelserL
Quello che Y. S. mi scrire essergli interfennlo nel
leggere il mio Trattato delle cose che stanno su T acque ^
cioè che quelli che da principio gli parvero *paradossi ,
in ultimo gli riuscirono conclusioni vere e manifestamento
dimostrate, sappia che è accaduto qua a molti, reputati
per altri lor grudizii persone di gusto perfetto e saldo
discorso ' : restano solamente in contraddizione alcuni se*
yeri difensori di ogni flainuzia peripatetica, li quali, per
quel che io posso comprendere, educati e nutriti sin dalla
prima infanzia dei loro studi in questa opinione , che il
filosofare non sia , uè possa esser altro che un far gran
pratica sopra i testi di Aristotile, sicché prontamente ed
in gran numero si possano da diversi luoghi raccorrò ed
accozzare per le prove ' di qualunque proposto proble^
ma , non vogliono mai sollevare gli occhi da quelle car*
te , quasi che questo gran libro > del mondo non fosse
scritto dalla natura per esser letto da altri che da Ari*
stotile, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta
la sua posterità. Questi che si sottopongono a cosi strette
leggi , mi fanno sovvenire di certi obblighi , ai quali tal*
Tolta per ischerzo si astringono i capricciosi pittori, di vo-
ler rappresentare un volto umano o altra figura , colP ac-
cozzamento ora dd soli strumenti di agricoltura, ora de'
frutti sólamente, o dei fiori di questa o di quella sta*
gione ; le quali bizzarrie , sin che vengono propóste per
1 P§r§ont di^ saldo dUeorto vale IhuUt di buon rtuiocimo,
2 Per h proy$* Por provacct
«SOOL9 DBClSMKVtWO 63
lerzo, 80D bdk e piacefoU^ e ooitraiio ioaggtor per»
•pìoacStà in questo arlefioe che io quello, tecoado che
egli arerà' saputo più* aooonciaiDeate elegger ed applicar
qnesta cosa o qnella^ alia parte imiuta ; ma se alcaop
per aver forse consamalì laKi 'i suoi siedi io siasi! fbg»
già di dipigoere , rolesse poi aoiTersal mente coecledere 9
ogni altra maniera d* imitare esser imperfetta e biasime-
vole, certo che il Cigoli e gli altri pittori illastri si ri-
derehhono di lui. — Di questi che mi son contrari di opi*
Dione , afcani hanno scritto , ed altri stanno scrirendo ;
io pubblico non si è vedato sioora altro che due scritta-
te, aoa di accademico incognito, e l'altra di oa Lettor
di lingua greca nello Stadio di Pisa, ed ametìdae le in-
vio colla presente a Y. S. Gli amici miei sondi parere,
ed lo da loro non discordo , che non comparendo oppo»
sizioQi piò salde , non sia bisogno di risponder altro ; e
stimano, che per quietar questi che restano ancora -io^
quieti, ogni altra fatica sarebbe tana, non men che sa-
perflaa per i già persuasi : ed io debbo stimare' le mio
conclusioni vere, e le ragioni ralide, poiché senza per-
der V assenso di alcono di quei che sin da principio, ^n-
tirano meco , ho gnadagnato qoel di molti , che erano
di contrario parere; però staremo alteodendo il resto ,
e poi si risolverà quello che parerà più a proposito.
ALESSANDflO TASSONI
Addi 28 settembre i565 nacqae in Modena Ales^
saudro Tassoni di famiglia nobile e antica. Perdette
ameodae i genitori, mentre era tattora bambino^ e
il patrimonio non ricco gli fa notabilmente dimi*
naito da molte liti e dalla poca diligenza o lealtà di
coloro ai quali venne commesso*'
Studiò prima in p£^trla| poi ìa Bologna e in Fer-
6?
66 I^BT'fBllitORA ir4M&1fA
rara con mollo amore, e eoo profitto pari alPiage*»
goo che avea sortito dalla natura forte e ^fervente.
Sai finire del r5g6 o sul principio del 1597 ^^^
a Rorna dove a que' tempi, meglio forse che in ogni
altra parte dMtalia, potevano vantaggiarsi gV ingegoL
Qoivi si pose al servigio del cardinale Ascanio Co-
lonna, col quale andò Panno 1600 in Ispagna. Due
; anni dopo venne in Italia per ottenere da Gleoiea-
te Vili che ^uel Gardins^Ie potesse accettare la carica
di Viceré d' Aragona ; poi fu di nuovo mandalo a
Roma nel i^o3 per sopraintendere agli aflFari del suo
padrone da ciii gVi furono. assegnati 6oa scudi all'anno.
Navigando da Roma alla Spagna la seconda volta
scrisse, lungo il'Yiaggio, un Commento sul Canzoniere
del Petrarca, che poi con più tempo e con più dili«
genza corresse >, .Quanilo. ritornò a Roma e vi si
stabiU, fu ascritto alle Accademie de' Lincei e degli
Umoristi, della qjua)e fu principe; e datosi a studi più
gravi compose jin- pppra intitolata Pensieri diversi ^
dove in dieci libri propone un numero prodigioso di
Quesiti spettanti a tutta la filosofia naturale e civi-
le, alla politica, alla letteratura, e li scioglie eoa
molta erudizione, 'con vivacità di concetti e di stile
non di rado piacevolissima , e soprattutto con una
iodipèudenza di opinioni veramente singolare a quei
tempi 2.
S' ignora fino a quale anao il Tassoni restasse al
servigio del cardinale Colonna ; e credono alcuni che
ne fosse già sciolto sul finire del i6o5. Egli è poi
fuor d'ogni dubbio che quel Cardinale mori nel j6o8,
e che il nostro Autore a cui ( dice il Tiraboschi ) le
anguste sue fortune fucean bramare il servigio di
qualche principe y nel 16 1 3 cominciò a introdursi nel
I Cùnsidenaioid sopra le Rime del Petrarca j pubblicate nel 1609.
% Quest' opera vide la luce prima nel i6o8 sotto U titolo di Varietà A
JTmtitris poi nel 1610 più ampUaU » lotto quello di /Vm iVri diytrsL
«ECOLO DBCniOtgTTIIIO tf
savimo Jet duca di Savoja Carlo Emamtda* Como
neai^o della domioasione spagauola il Tassoni trovò
graffa dapprima presso quel Doca e presso il prio*
dp9 cardinale sao fi.^lio^ ma quando poi la Corte
dot Piemoote si pacificò colla Sps^goa , ciò che pri»i
nm gli aveva giovato gli nocqae, tanto che alla Corte
i|pn godette mai le pensioni che gli erano assegnate^
f se stette per qualche tempo in Roma col Gardina*
le, scontò quel breve favoi*e con molt& persecusiont»
Accusa vanto di avere scritte alcune Filippiche contro
gli Spagnaoli, e un libretto intitolato le Esecfuie della
monarchia di Spagna} e sebbene egli protestasse ch^
que^ libri non erano suoi , ansi apertamente gli at«
triboisse ad altri , nondimeno si volle incolparne pur
lui y ed egli ne perdette la grazia del Duca e del
Cardinale, e dovette soggiacere persino ad un esilio
( per altro ridicolo ) di dieci giorni da Roma >.
Checébè ne sia di queste accuse, nel 1623 il Tas«
soni cessò di essere al servigio del Cardinale di Sa*
voja ,.e visse per tre anni a sé solo , nei quali sì
crede eh' egli terminasse un compendio del Sigonio in
quattro volumi che mai non furono pubblicati. Nel
1626 il cardinale Ludovisio nipote di Gregorio XV
lo diiamò presso di' sé , collo stipendio di 4<^
scudi romani. Nel 1682, dopo la morte di quel Car«
dinaie , si trasferì in Modena alla Corte del duca
Francesco I , dov' ebbe titolo e pensione onorevole j
e dove stette fino alla morte che il colse nel giorno
25 aprile i635.
Fu il Tassoni dotato di molto ingegno, di fan*
tasia vivace e biszarra , d' indole allegra e scherze-
vole , tanto ' che . fiorì di molte facezie fin anco il
proprio testamento. Accrebbe coi lunghi studi , coi
viaggi e colla couversazione degli uomini colti que-
I II ni aratori ed il Tiraboschi portano opinione che due fra le dette ÌU
ippiche, delle ^aali e«n videro l'autografo, «iaao terameaie del Taaaoni. -
69 LBTTBRàTOBA ITIUAHA
ste naturali sue doti; fu «TTerso ai pregtudizii do*
letterati , ed amante delle novità. Però scrisse le
Considerazioni sopra l& Rime del Petrarca ^ cer«
cando di leuar le superstizioni e gli abusi che par*
toriscono mali ejffetUy e confonder le sette de^ Jta^
bini e de^ Badanai indurati nella perfidia delle an^^
ticaglie loro, e di quegli in paìticolare che stimano^
ohe senza la falsa riga del Petrarca non si possa
scriifere diritto. Poi dalla poesia passando a materia di
molto maggiore importanza | impugnò ne^ Pensieri
dh*ersi T autorità d^ Aristotele , e combattè contro
coloro che giuravano con cecità superstiziosa nelle
parole di quel filosofo e de^ suoi interpreti. Di che
poi nacque appo molti un gran dire ; ed egli face*
tamente scriveva a Camillo Baldi, Lettor principale
nelP Università di Bologna : J^oi altri auete ragióne f
die se non i^i serviste di questa superstizione ad qf"
f oscar, gP intelletti della gioventà^ si tornerebbe a fi"
lósofare con P antica libertà^ e ^oi correreste peri-*
colo di perdere i salarii che vi dà il PuijblìcOyper*
che con soffislicherie difendiate la dottrina di jiri^
itotele e tutte le sue chimere • . • . Ma io voglio dir
delle novità^ che questo è il mio scopo} e addimando
parere agli amici^ non perchè mi avvertiscano di
quello che ho detto contra Aristotele^ ma perchè mi
ammendino se ho detto delle scioccherie. Koi altri^
che siete stipendiati da Aristotele, siete obbligati a
difèndere la sua dottrina a diritto ed a torto : ma
io non istò con lui. Nello stesso libro poi de^ Pan*
sieri diversi revocò in dubbio V utilità delle Lettere ^
cou intenzione per altro non di biasimar la natura
stessa della cosa, nia P abuso in che ella s^ è ab'*
bandonata} e come uomo il quale sapeva che le Let»
tere nelle volontà ben inclinate aggiungono agli uo-»
mini perfezione } ma negava però eh' esse facciano
la* buona intenzione j aggiungendo di più , che €igli
anipii mal disposti accrescono malizia.
SECOLO DEGiaioseTTiaio 69
P«r latte queste cagioni si levò cootro il nostro
Antere da tutte le parti una spaventevol battaglia.
Né il Tassoni se ne astenne tacendo ^ né fìi moder
rato nel rispondere alle scritture pubblicate contro
di lui ; ma in prosa e in versi passò, spesso i con^
fini deir urbanità letteraria, e per quelle controver-
sia v^ ebbero persino imprigionarnenti e processi '• 11
nostro secolo 9 cbe non si armerebbe al certo, né per
Ari&toteie né pel Petrarca , annovera il Tassoni fra i
primi che sorsero a liberare la poesia italiana dalla
servilità dei Petrarchisti, e le scuole di tutta quanta
r£uropa dalla dogmatica filosofia degli scolastici. Fin*
che i poeti dovevano essere imitatori , e imitatori
del solo Petrarca^ finché i filosofi dovevano seguitar
ciecamente V autorità d^. Aristo tele e de' suoi Inter*
preti , quali progressi potevano mai sperarsi dagli
studi ? E quando gP iugegui erano per tal modo in<9
ceppati, poca, dignità potevano avere le Lettere^' né
fa allora per certo una strana cosa il metterne in
dubbio r importanza e P utilità. Tuttavolta é da ri*
provare il Tassoni perché non si ristrinse a conside-
rare le Lettere nello stato in cui erano a^ suoi tèm»
pi , ma volle screditarle in sé stesse. Oltreché dice
in qualche sua lettera : Se tutti gli altri le lodano
( le Lettere ) , io amo pia questa singolarità di bia*
situare una cosa non biasimata da aitri^ die il Qon*
correre con la comune in lodar quello che alcuno
non biasima^ ma la materia par troppo grave per*
che questo capriccio di singolarità vi potesse lode*
volmeote aver luogo. Ora poi lutti sanno in che vé-
ramente consista là dignità e P importanza delle Let-
tere^ e se in generale T opera del Tassoni é dimen*
ticata j non è da incolparne quello eh' ei disse con-
tro la Filosofia aristotelica o contro le Lettere, ma da
I Fra le scritture polemiche del Xusoiù ìt> celebre <]ttelU intitoUta h»
Tenda rossa.
70 LETTERlTUai ITALIillA
lodarne il tempo e i progreiisi dello spirito umano
ohe fecero ioutìli quelle sue obbiezionu Di alcuDi
^piloti di queir opera potrebbe forse comporsi an-
che ar di nòstri un volumetto utile e dilettevole, di
che diede un beir esempio Bartolommeo Gamba ri-*
stampando tutto il decimo libro DegP ingegni an'^
iichi e moderni.
E rispetto alle Considerazioni sulle Jtirne del Ps*
trarca^ sebbene V Autore riprovi e metta in deriso
qua e là alcune vere bellezze di quel poeta, non»
dimeno vuol dirsi che fra i molti commenti che ab-
biamo de^ nostri Classici , pochi altri al pari di questo
possono ajutare i giovani a divenire col tempo cri-
tici giudiziosi ed indipendenti dall^ altrui opinione.
Ma r opera sulla quale si fonda la riputazione let«
teraria del Tassoni ai dì nostri è il poema della iSec-
chia rapita : e però egli non ^^ ingannava , allorché
mandandone in dono V originale ar Conservatori di
Modena , scriveva : P avere dopo tanti secoli inven*
tata una nuova spezie di poesia approbata dal mon*
do^ non sarà forse ne^ tempi a venire cosa da di"
sprezzare '. Questo poema fu scritto nel 161 1 dal mesa
di aprile ali- ottobre, siccome dice T Autore stesso in
una sua lettera^ sebbene altrove poi scriva d^ averlo
composto nella sua gioventà^ né cosi soglia general-
mente chiamarsi V età de' 4^ anni in cui era allora
il Tassoni. Quanto poi v'abbia di vero e di storico
nel fatto che dà argopiento al poema , non ' si può
dire : e sebbene conservisi in Modena una Secchia,
non v' ha documento che provi quella essere vera*
mente la Secchia cantata dal Tassoni. Storici invece
I Rispettò alla lode di aver» inventata una 'nuot^a spvUe di poesia ( cMt
fl poema eroioamico ) ce la contendono il Tassoni ed il Bracciolini autoff
del poeoia Lo scherno degli Dei, È probalùle che scriTessefo tutti e due
tenaa che V uno avesse veduta V opera dell* altro i entrambi però erano stati
preceduti da alcuni che atCTano dato gik qualche passo Terso quesia Aa«
aiera di poetace.
■\
SECOLO DECIMOSETTmO fi
sono molti personaggi rappresentati clalP Autore sollo
Boti nomi , e storiche anche molte avventore a coi
egli allude in più luoghi del suo poema. Queste al*
Iasioni poterono certamente contribuire ad accrescere
di que^ tempi V interesse del poema , ma ebbe non*
Hioieno gran torto il Voltaire quando sentenziò che
a queste sole doveva ascriversi tutta la fortuna della
Secdùa^ Rapita.
DALLA SÉCCHIA RAPITA.
Ài tempi di. Federico U i Modenesi entrarono a
fbrsa io Bologna , e giunti ad un pozzo e trovatavi
una Secchia la calarono per attinger acqua ^ essendo
pel lungo combattere stanchi e assetati (Can. i, »t, 4$ ) :
Quand' ecco a un tempo , da diferse strade ,
Fur loro intorno pio di cento spade*
Scarabocchio figlinol di Pandragone,
Petronio Orso, e RnflBn dalla Ragazza «
E Yianese Albergali , e Andrea Griffone
Tenfan gridando innanzi : Ammazza , ammazza. -
Ma i Potteschi ^ già pronti in sulP arcione ,
D^ elmo e di scndo armati e di corazza ,
Strinser le spade, e rivoltar le facce
Air impeto nemico e alle minacce :
B Spinamonte che la Secchia presa
Per bere area , spargendo V acqua in terra ,
E tagliando la fune ond' era appesa ,
Se ne servi contra i nemici io guerra.
Colla sinistra man la tien scispesa
1 / PaUesehL I Modeneii. Pftcbè pok cosi si dùamaiMro lo dict ii 7as«
*6ii stesso ne* seguenti Tersi :
Seriffetuto i Modaneti «tbbreviaio
PoUk per Potestà su le tabelle ,
Onde -per scherne i JBelognesi aUeiUu
L' ofewi tm lor ce/ptominato il PotUu
72 LETTERÀTUBA ITALUffl
Per riparo , e coìV altra il brando afferra*
L' aiatano i compagni , e fangli sponda
G)ntra il furor the d* ogni parte inonda.
Lotto AldroTandi e Campanon Ringhiera
GridaTano ambidue: .Canaglia malta,
Lasciate quella Secchia afe prim^ era ;
O la bestialità tì sarà tratta. -
FateTi innanzi toì (disse il Peschiera );
Notate ' la consegna che v'* è fatta. -
E 'n questo dire , un manro?escio * lascia ,
E taglia a Campanone una ganascia,
Parecchj altri rimasero quivi uccisi. AlP ultimo però
i Modenesi portarono via la Secchia^ e tornali alla
loro patria vi furono accolli epa gran festa : e la
Secchia
Nella torre maggior fu riserrata
Dove si trova ^ancor vecchia e tarlata;
I Bolognesi non volendo patire che restasse ai ne-
mici quel testimonio della loro sconfitta , taè potendo
ottenere sotto oneste condizioni che fosse loro restì*
tuitO) spedirono un messo, il quale affisse al tronco
di un antico pioppo il seguente bando:
Il popbl bolognese
Quei di Módana sfida a guerra e morte
Se non gli torna in termine d' un mese
La secchia che rubò sulle, sue porte*.
tia città di Modena , sebbene vedesse il pericolo
in cui si trovava (Gan. n, st. a6):
Non ristorò le rnfoate mura,
I thtdOe ee.j tàoh : Vedete coma noi vi coasegaianM la ieechU , conit
ci faccian paura It Toatre minacce.
S Mtmrwéttìo o MovetcUmB non h sraspra un colpo dato col rovescio
ddla mano , ma anche ( come qni ) nn colpo dato con qwdsÌToj^ alti%
eosa volgendo il braccio addietro» — • U vetbo kudare poi «qnivalc ^ al
modo più comona lasciar mdm% wi ptignOf • ainiU*
SECOLO DBCiaOSBTTUlO
Non cavò delle fosse il morto letto';
Né di ceder mostrò sembianza alcaaa .
Alla forza nimica o alla fortuna r*
Ma scrisse a Federico * in Alemagna
Quant^ era occorso ; e di suo ajato il chiese*
La milizia del pian, della mootagoa
A preparar- segretamente attese ;
Fé' lega per un anno alla campagna
Col popol Parmigian , col Cremonese ;
Scrisse nelhi ,GÌttà fanti e caTalli :
Indi totta si diede a feste e balli h
La Fama intanto al ciel battendo l'ali, '
Cogli , aTTÌsi d^ Italia arrirò in Corte ,
Ed al re Giove fe^ sapere i mali
Che d' una Secchia era per trar la Sorte.
GioTe che molto amico era ai mortali,
E d^ ogni danno lor si dolea forte.
Fé' sonar le campane^^ del soo Impero,
E a consiglio chiamar gli Dei d^ Omero.'
Da ìe stalle del ciel sabito fuori
I cocch) uscir sovra rotanti stelle,
E i moli da lettiga e i corridori
Con ricche, briglie e ricamate selle.
Piò di cento livree di servidori
Si videro apparir pompose e belle,
1 II tnorto ietto. La terra , e qiiant' altro può cadere col tempo oeUe Ìot$t
abbandonate ed alsame il letto. ^ .
2 A Federico, La storia dice invece che scrìfsaco ad Emo (fifliuolo di
Federico ) , il quale poi mori in qaesta guerra.
3 Indi tutta ec. Per injpnnare (dicono gli ttorìci) gli amatmn, col far
loro credere che non fosaero punto apparecchiati alla difesa. '
4 Fé* sonar ec* . Trasportando dell' Impero di Giove V oso delle campane ,
r Autore gà ci avverte eh' egli adopera h Mitologia come materia di scheno
e come fonte di ridicolo. Ciò poi li fa ancor più manilesto nella descrisione
delle false 'divinità concorrenti al congresso; ma l'Autore discende qualche
volta a cercare il ridicolo in immagini ed espivikioni troppo abbiette.
LBTTEIULT. ITÀU — IV 7
>j^ LETTERATURA ITILUNA
Che coD leggiadra mostra e eoa decoro
SegaÌTano i padroni a concistoro.
Ma innanzi a lotti il Principe di Delo ^
Sopra d' una carrozza da campagna
Venia correndo e calpestando il cielo
Con sei ginnetti a scorza di castagna.
Rosso il manto, eM cappel di terziopelo*,
E al collo area il tosoo del Re di Spagna:
E Tentiqoàttro vaghe donzellette
• Correndo gli teoean dietro in scarpette*
Pallade sdegnosetta e fiera in volto
Yenfa su una chinea ^ di «Bisignano ;
Succinta a mezza gamba , in un raccolto
Abito mezzo greco e mezzo Ispano :
Parte il crine annodato e parte sciolto
Portava, e nella breccia a destra mano
Un mazzo d' aironi ^ alla bizzarra ,
£ legata all' arcion la scimitarra.
Con due cocchj venia la Dea d^ Amore :
Kel primo er' ella e le tre Grazie e 1 figlio ,
Tutto porpora ed ór dentro e di fuore,
E i paggi di color bianco e vermiglio :
Nel secondo sedean con grand* onore
Cortigiani da cappa e da consiglio,
Il braccier della Dea , 1' aio del putto.
Ed il cuoco maggior mastro Prosciutto.
1 II PHttCipe ec.. Apollo. '—* Ginnetto o. Giannetto h un cavallo di Spa-
gna assai veloco.
% Teniopda, Velluto. Ma e voce forastiera. — • Le oentìqugttro dongtUeUe
sono le Ore del giorno che sogliono rappresentarsi intoioo ^ catro.del Sole.
3 Chinea dicesi un cavallo che va d'ambio. Erano poi- in dima al tempo
del Tassoni i cavalli di Bisignano , e però ne dà tino a Pallade , segoitando
cosi il i^aioso anacronismo con cui attribuÌKe vesti , almi • eavelcatiire
moderne agli antichi Dei della Grecia.
4 Amm, Uccelli acquatici.
•BCOfiO DCCIMOSETTIMO
Salarno ch^era vecchio e aceatomio^
E s'avea metto diaosi Un sertuuaie,
Venfa in aoa lettiga riserralo ^
Che sotto la seggetta avea il pitale.
Marte sopra an cafallo era montato ,
Che facea salti faor del * natarale :
fje calze a tagli, e 'I corsaletto iodosfO^
E nel cappèllo afea nn pennacchio rosso.
Ma la Dea delle biade ' e *l Dio del vino
Venner congianti e ragionando insieme*
Nettan si fé' portar da qoel delfino
Che fra Tonde del ciel notar non teme:
Nodo 9 algoso e fangoso era il meschino;
Di che la madre * ne sospira e geme ^
Ed accoda il fra tei di poco amore y
Che lo tratti cosi da pescatore»
Non comparve la vergine Diana ;
Che, levata per tempo, era ita al boKo
A lavare il bacalo a una fontana
Nelle maremme del paese Tosco;
E non tornò, che già la Tramontana ^
Girava il carro ano per V aer fosco.
Venne sua madre a far la scusa in fretta.
Lavorando sai ferri óna ^Izetta.
Non intervenne men Ginnon Lucina ^ ;
Che il capo allora si volea lavare*
1 La Dm delle biade éc.. Cerere e Bacco.
2 La Madre, Rea. Il fratello £ Nettuno h Giore che nelU divisione del
retalo paterno ebbe la parte migliore, il Cielo.
3 LaJhoHontana. L'Orsa o il Cairo di Boote, costeQatione settenlrio>
naie. Soa madre fa Latona.
4 Gimmne dicevasi Lucina ^ considerata come preside ai parti, pasquali
gli nomini vmtg(mo alla luce, L' espressione non intervenne meii per dire non
intervenne nemmeno , né anche e nmiliy h anfibolopea, e non par da
initare.
76 ^ETTERiTORl ITihtkftà.
Meaip'po ' , soTrastante alla cnciaa
Dk Giove, andò le Parche ad ìscaaare,
Che facerano'H pan quella màttiaa ,
lodi^ aveaD molta stoppa da filare.
Sileno caDtiDier restò di fuori,
Per innacquar il nn de' ^erTidori.
Della reggia del ciel s^ apron le porte ^
*- Stridon le spranghe e i chiavistelli d^oro:
*Passan gli Dei dalla superba corte
Nella sala real del concistoro.
Qoift sottratte ai fulmini di Morte
' Spleodon le ricche mura e i fregi loro :
Vi perde il vanto suo qnal più lucente
E più pregiata gemma ha V Oriente.
Posti a seder ne' bei stellali palchi
I sommi eroi de* fortunati regni y
Ecco i tamburi a un ' tempo e gli oricalchi
* Deir apparir del Re diedero segni.
Cento fra paggi e camerieri e scalchi
Yenieno e poscia i proceri^ più degni;
E -dopo questi Alcide colla mazza,
, Capitan della guardia della piazza :
1 Men^!^ ec. . Forse il Tassoni intende sotto questo nome u& filosofo
Cinico introdotto da Luciano in molti suoi Dialoghi. — Le Parch» filavano
la vita degli nomini , e qui il Poeta dà loro per ischerxo anche, 1* incarico
di fare il pane per gli Dei. — Sileno balio e compagno di Bacco fu natu-
ralmente amatore del vino j ma chi lo ama per ah ìo innacqua volen^ri
agli altri.
2 Oricalco h un misto d* oro e di rame. Per oricalchi poi s'intendono
le trombe.
3 Ptocerì sono gli uomini principali di u^a citUi o di una società qua-
lunque. •— Alcide è lo stesso che Ercole , il quale portò sempre la clava
detta qui mazza dal Poeta. Raccontasi poi che Ercole impanasse dopo avere
ucciso Lieo o lolao ; e sebbene dicano le favole che coli* elleboro guari di
quella palila , il Tassoni amò di credere che ne portMiO alcun poco anche
nel cielo a cui fu degnato per le grandi sue geste.
•SGOLO DECtMOSXTTUfO 77
, E come qael eh' ancor deUa panCa
Nqq era ben gaarifo intierameote,
Per allargare innanzi al Re la via ,
Heoava quella mazza fra la gente ^
Cb^ an imbrtaco STÌzzero paria '
Di quei che con Tillao modo Insolente
Sogliono innanzi *l Papa , il di di festa ,
Rompere a chi le braccia, a chi la testa.
Col cappeHo di Gìoto e cogli occhiali
SegniTa indi Mercurio*, e i^.maa tenea
Una borsaccia dote de* moriali ,
Le suppliche e T Inchieste ei raccoglier :
DispensaTale poscia a due pitali
Che ne* saoi gabinetti il padrfr area.^ ,
Dove con molta attenzion e cnra
Tenea due Tolte il giorno segnatura.
Venne alfin Giore in abito di?ino,
Delle sue stelle nuoTe ^ incoronato ;
£ con un manto d* oro ed aziurrioQ ^
Delle gemme del ciel tutto fregiato»
Le calze lunghe avea senza scappino ,
E *1 saio e la scarsella Si broccato :
E senza rider ponto , o far parola |
Andata con sussiego alla spagnola.
Girò lo sguardo intorno, onde sereno
Sì fé* r aer e *l ciel , tacquero i Tenti ;
1 Parla. Parea. ▲Uoda al costume dei Papi di tenersi am guardia sviticra.
2 Col cappello ec. • Merctuio messaggiero degli Dei , e interprete fra le
iMtrimtà e gli uomim, non poieva essere rappresentato i^ modo piùiidieolo
di questo. — Tener ugnatura dicesi di coloro «che mnnis(^no della propria
filma o del proprio sigillo i decreti e simili. Qui poi 1* Aittorf trae il ridi-
colo da tal fonie a cui nella nostra presente civilUi nessun^ scnttore osereb-
be sttingere.
3 Stelle nuoQB. I Pianeti Medicei scoperti dal Galileo.
So LETTEttATURA ITALI AITA
Entra nelP onda il Tascelletto snello.
Spiega la vela un miglio o doe da terra.
Siede in poppa la Dea chiosa d' un Telo
Azzurro e d' oro agli nomini ed al cielo.
TremolaTano i rai del Sol nascente
So?ra r onde del mar purpnree e d' oro * ;
£ in Teste di zaffiro il ciel ridente
Specchiar parèa le sue bellez^ In loro.
D' Affrica i venti fieri e d^ Oriente
Sofra il letto del mar prendean ristoro;
E co' sospiri suoi soavi e lieti
Sol Zeffiro increspava il lembo a Teti *.
Al trapassar delia bella divina
La fortuna d* Amor ^ passa e s* asconde.
L' ondeggiar delta placida marina
Baciando va V inargentate sponde.
Ardon d^ amore i pesci ; e la vicina
Spiaggia languisce invidiando all' onde.
' E stanno gli Amoretti, ignudi, intenti
Alla vela , al governo , ai remi , ai venti.
Quinci e quindi i delfini a schiere a schiere
Fanno la scorta al bei legnetto adorno ;
1 Una varia lezione porta: Su l'onde che parean purpuree é d*oroj «t^res-
sione più vera ma però meno poetica. I raggi del Sol nascente non possono
render purpuree e d* oro 1* onde del mare , ma solo far ai che pajano tali,
il prosatore che parla con filosofica precisione dovrebbe distruggere 1' illu*
sione dei sensi e dir che pareano .* il poeta invece la segue e ne approfitta
per rappresentarci più viva 1* immagine di quelle acque percosse e colorate
dai raggi. Ed ecco uno dei fonti della poesia od almeno del linguaggio poe-
tico , purché il buon giudiiio insegni a fuggir quegli abusi ne* quali caddero
appunto molti contemporanei del Tassoni; anzi vi cade subito dopo il Tas-
soni stesso rappresentando il cielo vestito di saffiro che si specchia in quel-
1* onde.
2 Teti t Dea del mare | e questo é il suo lembo,
3 La fortuna d* jémar ec, . Gessa ogni contrarìetìi » ogni lotta , e tatto ,
soggiacendo all' influsso della. Dea , sente e spira amore*
SECOLO DECUfOSBVTIIIO 8l
'E le Ninfe del mar pronte e leggiere
Corron danzando e festeggiando intorno.
Già la foce del Tebro ora non Inoge;
Qaando si risTegliò Libeochiò altiero ,
Che 'n Libia regna , e dorè al lido giunge 9
Travalca sopra il mar,. superbo e fiero.
Vede r argentea Tela ; e come il punge
Un temerario suo rado pensiero.
Vola a saper che porti il vago legno,
E infende eh' è la Dea del terio regno ' :
Onde orgoglioso e comf5 iufidia il muore,
A Zeffiro si volge, e ^ida 1 O resta ,
0 io ti caccerò nel centro*, dove
Non ardirai mai più d* aitar la testa.
^A te la figlia del superno Giove
Non tocca di condor t mia cura è questa.
Va tu a condur le rondini al passaggio ^ ,
E a fare innamorar gli asini il maggio. -
Zeffiro eh' assalito alP improvviso
Dair emulo maggior quivi si mira ,
"^ Ne manda in fretta al suo fratello avviso,,
Che suir Alpi dormiva, e 'I pie ritira*
Corre Aquilon tutto turbato in viso,
Ch' ode r insulto ^ e freme di. tant^ ira ^
Che fa i tetti cader, gli arbori svelivi
E la rena del mar caocia a le stelle.
. liibecchio che venir moggiando insieme
1 due fratelli di lontano tede,
V
1 Del tana regno. Del torso cielo j^ teda di Tenere , eecoado gli aotichi
mitologi.
2 Nel 'centro , ( sottintendesi ) della Terra, ^
3 Le rontUnL ZefiGbo ^pira nella stagione di priniaTen qvando le rondini
paewno il mare Tenendo % noi, ec. •
tz LETTBRATURi. ITALIàRi
Si prepara ali' assalto; e già non teme
Del Demico foror, dò il campo cede.
Tolte ra^oa le sae. forze estreme ;
E dal lido affrican sciogliendo il piede ^
Chiama io aiato anch' ei di saa follia
Sirocco regnator della Soria.
Vien Sirocco Teloce : onde s^ accende
Una fiera battaglia in meszo alP onde*
Si torba il ciel , si turba V aria , e stende
Densa tela di nubi, e 'I. Sol' nasconde.
Fremono i venti e 1 mar con toc! orrende^
Risonano percosse ambe le sponde;
E par che muova a^snoi fratelli guerra
L^ ondoso Scotitor delP ampia terra '•
Si spezzaiio le nubi, e foco n'esce.
Che scorre i campi del celeste regno*
Il foco e V aria e V acqua e U ciel si mesce ;
Non han più gli elementi ordine o segno*
S^ odono orrendi tuoni : ognor più cresce
De' fieri venti il furibondo sdegno.
Increspa e inlividisce il mar la faccia,
E r alza con tra il ciel che lo minaccia*
Gia.s' ascondeva d* Ostia il lido. b|isse,
E '1 Porto d' Anzio di lontan sdrgea ,
Quando senti il romor, vide il fracasso
Che ^1 ciel turbava e 1 mar, la bella Dea ;
Vide fuggirsi a frettoloso passo
Le Ninfe dal furor della marèa :
Onde tutta sdegnosa aperse il velo ^
E dimostrò le sue bellezze al cielo;
t L'ondoso ee,, JfeUnno. I Gnei lo dissero Enosigeo, cho significa ap<
punto Motìtor tkUa ttmu -^ I woifrtiuUi tono Giore e PlntoOs.
SECOLO OECIMOSETTIMO S3
E minaociaDdo le tempesto algenti,
E le procelle e i tarbini aoDaoli,
Caociò del ciel le nobi, e gli elementi
Tranquillo co' begli occhi e co' sembiaotl»,
DALLE LETTERE.
/Wvre del Tassoni iruomo ad un Poema sul Nuovo Mondo
che acea cominciato a scrivere un sue amico '.
T
Signor mio. — Y* S. mi ha mandati due Canti del tao
Poema, i qoali non sono né i primi, né segnili *. L' ano
contiene la descrizione d^ nna battaglia , e- V altro nn ac»
ddeote amoroso. Quanto al poema io non posso giudi-
care qneMo qh'egli sia per essere, mentre non ne veggo
né principio , né mezzo , né fine* Ha poicb' ella me ne
mostra on braccio e nna gamba , io discorrerò di qjDel
braodo e di quella gamba per quello che sono ; e forse
dalle qualità loro si potrà anche Tenire in qualche cogni-
zione della riuscita di tutto il corpo, come si narra che
già al tempo antico i sa?ii di Egitto, veggendo una scarpa
sola di Rodope , fecero giudizio della bellezza di tutt' il
corpo suo.
La prima cosa adunque , lo stile a me pare assai buono
e corrente , e credo che V uso continuo gitelo farà anco
migliore. Sooovi alcuni pochi luoghi espressi stentatameu«
te, Dna nella revisione V. S. avrà più facile e franca la
vena da poterli mutare in meglio. Le codiparazioni sono
poche, e potrebbono esser alcune di loro più nobilmente
spiegate. L' arditezza de' traslati alle volte ha qualche ^if-
X I poehi Bei di lingua o di stile che potrebbero forse notarsi in questa
lettera , sono un piccolo BMle ifkpetto alEi giustessa delle idee eh* essa com«
prende. — * Gdn questa lettera poi il Tassoni iuTÌava ali* amico il primo
eanto di on suo p6ema intitolato F Oceano , dove appunto intendeva di can-
tare r impresa di Cristoforo Colombo.
a I9h seguUij cio« :. Kè 1* ano di seguito ali* altro.
84 I^ETTEftAflTURA ITALIARA
ficoìtà, e 80DOTÌ alcune tocì e frasi poco toscane segnale
in margine. Ma quello che più importa , V. 8. secondò
r uso moderno ha premuto più ne^ concetti inutili che nelle
cose essensiàli , e seguita ( per quanto io posso giudica-
re J la Tia degli altri che trattano questa benedétta ma*
leria del Mondo Nuoto , che non son pochi. Perciocché
oltre il caT. Stigliani, che n'ha già dati fuori Tenti Can-
ti, e il Yillifranchi , che aTea ridotto a buon segno . il
tuo poema quando morì, io so tre altri che trattano an^
eh* essi eroicamente V istesso .soggetto , e tutti danno in
questo , di Toler imitare il Tasso nella Gerusalemme e
Virgilio netr Eneide ; e niqno si« ricorda dell' Odissea ,
la quale, s' io non mMdganop, do? rebb* essere quella ehm
terTisse di faro a chi disegna di ridurre a poema epico
la naTÌgazione del Colombo air India Occidentale.
Già per pubblica fama , ^e per istorie notissime a tutto
il mondo , si sa che i popoli delV India Occidentale non
areTano, alParriTo del Colombo in quelle parti, ne ferro,
uè cognizione alcuna di lui ' ; e che andaTano lutti nudi,
oltre V essere di natura pusillanimi e tìIì , se ne Toglia»
mo eccettuare i Cannìbali, i quali, benché andassero ignudi
anch* essi , aTe?ano nondimeno più del fiero, e combat-
foTano con archi e saette di canna con punte aTTeleoate.
A che dunque Toler formare un eroe guerriero doTe
oon si potcTa far guerra? o, facendosi ^ si fàceTa conlra
uomini disarmati , ignudi e paurosi ? Non Tede V. S. che
questo è un confondere V Iliade con la Batracopoiomachia,
is introdurre un Achille che diTenga glorioso col far ma*
cello di rane ? V. S. mi risponderà , che i suoi Indiani
li finge armati e braTi : e questo è forse ancor peggio,
perciocché ognuno sa certo che non aTCTano armi , e che
non erano tali ; onde esce apertamente dal Terisimile, e
X Di lui. Di essQ fieno.
SBCOLO DicniMBTTnio SS
f intelletto npo può gnslare di oom sèria eh' abbia fi>ii»
damento di falsità si eTidente; perchè la faotàtia dalle
cose notissime oon estrae fottlasmi diTerfi da qoel che
sono (ragione che intese anche, ma non la disse, A risto*
tele), oltri; che parimenti sa ognono, che il Colombo fa
pin tosto gran prudente che gran guerriero.
Bsseqdo dunque, tutti gli altri popoli di quelle parti
ignudi' e ?ili , a m^ non pare die si possa far combat-
tere ii Colombo eccetto. che eo' Cannibali, i quali benché
andassero anch'essi nudi-, ertfbo noodimeno tanto fieri e
gagliardi , che combattendo con archi grandi e saette con
punte dr pietra aT Telenate, si potetà -dalla 'fittoria acqui-*
star odore. Ma bisognercbbo. afvertire di non tnlrod^nrre ,
. come gli altri ^ il. Colombo con un esercitò ; perciocché
oltre V esser' chiaro ch^ ei non condusse sé non tre cara-*
Tello * con poca gente, mentre si mette in. campo con nn
battaglione di cinque o seimila tra fanti e cavalii armati
con tra una moltitudine di gente ignuda , non gli si pnò
fare acquistar fama eroica , sebbene i nemici fossero cento-
mila ; essendo cosa ordinaria che i pochi armati e braTl
TÌncano i molti disarmati e inesperti. E per questo 1' A-
rtosto quando introdusse il suo ^Orlando contra moltitu-
dine TÌIe , r introdusse solo ^ però anche il Colombo^ se
non sì Tuole introdor solo , si .dee almeno kilrodorre eoo
così pochi compagni , che a quei compagni ed a lui sia
glorioso ed eroicd il ? inqere. ^
Quanto agli amori , ognuno sa parimente che le donna
ritrorate dal Colombo erano brun^ e andarano anch' esse
ignuda : però era Tanità Y andar fingendo in loro bellezca
diTerse dal colore e dal costume di quelle parti. L' intro-
durre poi in India altra gente d' Europa dì? ersa dà quella
del Colombo, che combatta con hii, è il maggior errore.
I CaraveUeu ZfaTe rotondt di' pkcoU mole.
LXTTBaAT. IT^L. - IT B
86 ^ t.BTTÉRÀTUA4 ITAtlAllA
<die si possa fare, Teiièndosi centra la* sloria à lefare a
lui fa gloria, della sua ?era azione eroica , che fu d^ es-
sere *sUto il primo senza controversia a leniare e scoprire
li Mondo MaoTO. • . >
. Però qaanlo alle imprdie gloriose ed eroiche del Co-
lombo io mi restringerei ^ teome fece Omero qaand^ egli
canta gir errori di Ulisse, a fbrtane di' mare, a contra-
sti e macchine, di demoni! , a incontri di mostri, a in^
canl.ì di maghi , a impeti dì getati. selvagge , e a discor-
die e' ribellioni de' saoi, che furono ^n parte cose vere;
e negli amori andrei moUo cauto per. non uscire dal Cer-
ri) io , e fingerei^ pio ttostp le Indiane innamorate de' no-
stri the i nostri, di loro , come oelf istoria si legge di
Anacaona. E quanto alF invensione che hanno trovata al-
cuni di trasportare donne, d' Europa io quelle * parti sa
navi del Colombo , io V ho per debole assai. E t^nlo msfg-
giormente , sapendosi che M Colombo a ^tica ritrovò uo-
mini che 1 seguitassero in quel suo primo passaggio*
» ARRIGO CATERINO 6AVILA
Sebbene Arrigo Davìla non sia scrittore purissimo
e in ogni parte imitabile ', giudico noDdimèno di
cloverne dar qualche jsaggiò. Peroccbè , oltre alla
gran fama eh' egli si meritò come storico , quando i
giovani siano avvertiti che sqlP autorità di lui non
si può sempre far fondamento per Pusò delle paro-
le^ può essere piacevole ed utile a leggersi qualche
esempio di quelle suq chiare narrazioni e della sua
somma semplicità.
Nacque addì ;io ottobre 1576 io Pieve del Sac-
co, nel territorio di Padova^ e il padre gP impose
i nomi di Arrigo Caterino in ricordanza della prò-.
X Vegg^si ciò ch« ne dice Pietro Giordani bella ^a di Sfona Pallavicino
in qaesto volarne.
SfiCOLO DEGIMÒSCTTIMO (7
lezione a Io! accordata da Enrico III re di- Francia
e da Caterina de^ Medici sua madre. Stette per qoaU
che tempo alla Corte di Parigi, poi militò con molto
Valore per Io spazio di circa quattro anni. Nel 1599,
ritoruò à Padova^ e, perduto il padre, si mise al
servigio della Repubblica di Veoezia. Nel i6ó6 tro-
vandosi a Parma frequentò T Accademia d^gP /aitio-
mìnatiy e nimicatosi per letterarie opinioni allo Sti*
gllani , ebbe con lui un duello , e Io ferì grsfvementtf.
La Repubblica gli commise «nolti ' incarichi militari
e governi ^\ province ^ ne^ quali si meritò poi di
essere guiderdonato con ricche^ pensioni e colP onore
di sedere presso il Doge ogniqualvolta interveniva al
Senato : onore che i suoi maggiori avevao goduto .
quando erano contestabili del regno di Cipro '.Mori
poi nel i63i, ucciso in un luogo del Veronese detto
San Michele , inentre viaggiava da Venezia a Crema
dove [a Repubblica Ip mandava comandante della
guarnigione. L^ anno precedente egli avea pubblicata
la Storia delle guerre ci^dli di Francia ^ le quali
(com^ egli dice) per lo spazio di qua rant^ anni con*
tipui hanno miseramente perturbato quel Reame.
DA1.LÀ STORIA nSLI.E GCERRB CIVILI DI FRANCIA.
Come Enrico III
Jaùesst uccidere il Duca di Guisa * (Lib. IX ).
• • • «
Era trapelata io alcuni , né si sa, come , la sospizione
di qnesto fatto', di modo che ne pervenne oonfnsanieftte
.1 Perdettero questo grado ijuaudo oel iSjQ i Torchi ttlMrp ^uoll' isoU
alla Repubblica di Yenesia.
2 Questo duca di Guisa» capo della cosi detta tega Santa (U quale al-
l' oltkno combatterà per togliere ad. £nrìco re di Navarra ogni speraoaa di
salir mai sul trono di Francia ), era venato in tanta, fama ed in tant» po-
tere, de discacciò da Parigi il Re stesso e le sue milive. E fona era in
procinto di. levargli anche il trotto , quando Enrico IH negli Stali JiMcUis
in Blois lo lece assasainwe ^ 23 dijìeaibre iSSS*
S8 LETTERAtCRA ITAÙaITA
h notizia sino alP istesso Duca di Gaisa ; il qnale ri*
stretto con il' Cardinale sao fratello e con V ArciTescoto
di Lione ^^ «ionsaltè 8<f fosse da credere a questa dissemi*
tiazione ' 9 e se, credendovi, doTesse egli, per non correre
qoesto pericolo, partirsi dagli Stati. Il Cardinale disse che
si doveva peccare piuttosto in troppo credere che iq troppo
fidarsr^'.e che. era bene appigliarsi al più sicuro partito;
e l'esortò a|la partenza cosi caldamente, cbe'il Duca or»
dine lecose sue per andarsene la seguente •mattina: ma.
V Arcivescovo di Lione oppugnò cosi gagliardamente qae-
^sta sentenza, che la fece. quasi nel medesimo tempo ri-
trattare. Mostrò quanto, fosse leggiera cosa il credere ad
una disseminazione della fama, non- fondata sopra atcaa
indizio sicuro; che poteva essere artificio del Re per
muoverlo a partirsi ed abbandonare gli Stati , acciocché
cadendo tutte le speranze, tutti i disegni e tutte le pra*
tiche in un puQlo, egli restasse libero dal giogo che ve-
deva dal consentiménto degli St^ti essergli apparecchiato.
E partito Ini ^ chi dover reggere e moderare gli afifelti e
le promesse de' deputati? Chi ^ostare agli, arti ficj ed al-
r autorità del Re ? Chi ovviare che gli Stati non sortis-
sero a jSoe * del tutto eoatrario a quello che avevano di-
visato ? Perchè , assente lui , 1 deputati , trovaddosi ab-
bandonati e derelitti , cederebbono all' autorità del Re
ed alla riverenza del nome reale, farèbbooo le delibera-*
Ztotti a modo suo, rivocfaerebbono le fatte, perturbereb-
boBO le cose stabilite, e ridurrebhpno il governo allo stato
di prima , o forse a peggior condizione, con totale ruina
ed ultimo esterminio della Lega : che a ragione si dorreb-
bono tutti quelU del partito ^ di essere stati traditi e vii-
I DUsemiMuioMé Voce , OpioioBe dìffoM e di^oIgaUi.'
a Diciamo Biuse^ mi wafne^ crteto Sbrtirt tinjlaej piattostocii^ «ftr«
Htt ma wnfiM,
3 QutiU dd ponto, Qoalli die Mgnivano la soa parta o la Lega. .
SSGOLO DECUfOSETTIMO 89
mente abbaodosati da lui; ed ognono col tao etempto
penserebbe alP interesse proprio, e ad accomodare i &Ui
soci col Re, di modo che io fine egli solo resterebbe il
derelitto e l'abbandonato: in somma euer meglio, qnanda
il pericolo fosse certo , arrischiar la TÌta sola fermandosi ,
che, partendo 4 perdere sicuramente e la vita e T onore
in an medesimo ponto.
Difieri to il partire , sopra TTenne il Duca d! EIIebo?e %
al qaale conferito V affar^ di che tratta?ano , egli con*
fermò le parole di Monsignor di Lione , i^ggiungendo
molle cose per dim'ostrare il Duca di Guisa essere cosi
ben accompagnalo da amici fedeli e tutti uniti, che non
avrebbe ardilo il Re di sognarsi cosi temerario intrapren*
dimento ; e che si maravigliaTa che s' entrasse in Unto
spaTento di quelle forze, che sino a queli' «ira averano
sempre ▼ilipese e dispregiate: onde ripreso animo il Doca
di Guisa, non solo deliberò d^ aspettare il fine degli Sta»
ti, ma mostrò evidenti segni di non istimare le dissemi*
nationi che correvano per la Corte. Venata la sera do*
ventidoe 9 il Re tsomaodò a Monsignor di Larcbianle , oa«
pitano della sua guardia, che la mattina seguente la . rin-
forzasse: e, dopo entrato il Consiglio, cuslodisse la porta
del salone, ma lo facesse io- modo che il Duca di Guisa
non n'entrasse in sospetto: per la qual cosa egli con ona
gran banda de' suoi soldati la medesima sera , aspettato
che il Duca dalle: sue stanze passasse a quelle del Re,
se gli accostò a mezzo della slrada , e lo supplicò a voler
aver per raccomandati quei poveri soldati che già molti
mesi erano senza paghe; che ricorreva a lui come a capo
deir armi , e che la mattina seguente con l' istessa comi*
tiva gli si sarebbe .{atto innanzi , acciò tenesse memoria
di trattarne in Consiglio. Ed il Duca cortesemente rispo-
se, e promise al capitano ed a' soldati d' aver a cuore
la loro soddisfazione.
8*
90 LETTCRÀTORi ITaLI&Nà ' v
Diede il Re ordine la medesima sera al Gran Priore
di 'Frància suo uipote, che ioTÌIasse il Principe di Gen*
TÌIIa (figliaolo del Duca di Guisa) a giuocare la mattina,
seguente alla racchetta ' , e che lo trattenesse tanto , che
ricevesse qualche ordine da lui.
La mattina il Re Testitosi innanzi giorno, sotto scusa
di passare personalmente io Consiglio e di fermarvisì.
molte ore , licenziò tutti i familiari ,1 e restarono soli
nel gabinetto prima chiamati ^a luì il segretario di Stato.
Re?ol , il colonnello Alfonso Corso , e monsignore dèlia
Bastida Guascone , uomo di grandissimo ardire ; nella ca*
mera San Pris vecchio ajutante; nella guardaroba ilxH>nte-'
di Termes cameriere maggiore e parente del Duca d' E-
pernoné ; é nelP anticamera due paggi , un usciere il quale
attendeva alla porta verso il Consiglio, e Lognac con otto
de* quarantacinque ^ 9 a* quali il Re avea con grandissime
promesse significato il suo volere, e trovatili prontissimi
air operare.
Era nello spuntar dell* alba quando si radunarono i
consiglieri , ed entrarono nel salotie il cardinale Gondi
ed il cardinale di Vandomo, i marescialli di Auraont e
di Retz , il guardasigilli Monteleone , Francesco monsi-
gnor d'O e Niccolò signore di Rambuglietto, il Cardinal
di Guisa e V Arcivescovo di Lione , e finalmente com-
parve il Duca di Guisa , al quale si fece innanzi il ca-
pitano La richian te con maggior turba di soldati che non
aveva fatto la sera , e gli presentò un memoriale per le
paghe ; « con questa scusa 1' accompagnò e lo condusse
sino alla porta del salone , nel quale entrato e chiusa la
porta, i soldati fecero una lunga spalliera giù per la, sca-
la , mostrando di fermarsi per aspettare risposta al loro
1 BacchetUu Quello »tromento con reticella con cui si giucca alla palla.
2 Lognac aveva sotto di se q^arantacin^e uomini , coi quuli promise *à.
Enrica di uccidere il Duca di Guisa.
8BG0LO DSCnfOtBTTIlfO 9!
memoriale ; e nelP istesio tempo Grigliòne maestro M
campo fece chiadere le porte del castello| onde molti io*
spettarono quello cbe doveva succedere, e Pelicart segre^
tario del Daca di Guisa scrisse ao polizzioo con. qaesté
parole: Monsignor, salvaleA; se non, siete ^norto; e len
gatolo in an moeoatojo * « lo diede ad an paggio del Do*
ca, che lo portasse alf asciere del Consiglio sotto scasa
cbe il Daca si fosse scordato Dell* osctre di camera Ai
pigliarlo; ma il paggio da' soldati non fu lasciato passare.
Intanto il Duca, entrato nel Consiglio, e postosi in una
tedia vicina al fuoco si senti un poco di svenimento; o
die allora gli sovvenisse il pericolo nel qual^ si ritrovava,
separato e diviso da tutti i suoi , o che la natura (come
bene spesso avviene ) presaga del mal futuro da se mede»'
sima allora si risentisse • . . Ha essendosi facilmente riavuto ,
entrò per la porta del P anticamera nel Consiglio il secfe-
tario RevoI , e gli disse , che dovesse andare nel gahi**
netto, che il Re lo dimandava. Levossi il Duca, e sai un-
tati con la sua solita cortesia i consiglieri, entrò neH'aQ-
ticamera , che subito fu tornata a serrare ; ove non vide
la frequenza solita, ma i soli otto compagni molto ben
noti a lai : e volendo entrare nel gabinetto , uè essendo-
gli da alcuno, come è solito, alzata la portiera ', stese la
mano per sollevarla, ed allora San Malino, uno degli otto,
gli diede una pugnalata nelle cervici , e gli altri seguirono
a percoterlo per ogni parte. Egli facendo sforzo di mei»
ter' mano alla spada non potè mai sfoderarla più di mez-
za « e dopo molte ferite nel capo e per ogni parte del
corpo, urtato finalmente da Lognac, al quale s^ era im«
petaosamente avventato, cadde innanzi alla porta delb»
guardaroba , ed ivi senza potere profferir parola fini gli
nitiuù sospiri della sua vita*
Il JImoiIo/o per Moecichino, o FtiMMoltUo da muo.
4. La ]iartì0rti» Quella Uadbi ch« lU alle porle o p«v Wllegsa q |^r in*
pedina V VÌA*
92 LETTERATURA ITALtARA
II CardiDale.di Guisa come seati lo strepito nell'anti-
camera, fa cerio eh* erano attorno al fratello; e leTatosi
con Y Arci rescoro di Lione corsero ambidne alla porta
del salone per voler chiamare V ajnto de^ loro familiari ;
ma trovata la porta serrata farooo fermati da' marescialli
d^ Anmont e di Relz , i quali intimando loro ch'erano
prigioni del Re ^ gli condussero sa per ana scaletta io
una stanza saperiore, ove. furono chiosi e diligentemente
guardati * « . • •
Gli altri , che il Re desiderava d* avere nelle mani ,
a che furono felicemente ascosi da' loro ospiti o dagli
amici nella città, o che si salvarono per diverse strade e
con diverse maniere , di modo ch« fuggirono V impeto
della vendetta presente. Il cadavere del morto Duca, in-
volto in un panno verde , fu portato dagli ascieri nella
loggiii posta dietro al gabinetto del Re , ed ivi fino ad
altra deliberazione riposto ....
In questo modo morì Enrico di Lorena doca di Gui-
sa, principe rigoardevole per l'altezza del sao lignaggio
e per il merito e grandezza de' suoi maggiori, ma molto
più cospicuo per la grande eminenza del proprio suo va*^
lore : poiché in lui furono accomolate doti moko pre-
stanti, vivacità nel comprendere, prudenza nel consigliare,
animosità nelF eseguire, ferocia nel combattere, magnani-
mità nelle cose prospere, costanza nelle avverse, costumi
popolari , maniera di conversare amabile, insomma indù-
stria di conciliarsi gli animi e le volontà di ciaschedano,
liberalità degna di grandissima fortuna, segretezza e dis-
simulazione pari alla grandezza de' negozj , ingegno ver-
satile , spiritoso, pieno di risoluzione e di partiti, ed
appunto egnale a qnei tempi ne' quali s' era incontrato.
l Fu poi ucciso anche il Cardinale nel giorno segnente. I cadaveri d* en-
trambi furono posti nella calce viva che in poche ore ite «onsamò tntte. le
ctfm J e r ossa poi vepuero sepolte nascosaiDMUe.. Coti il Da^la stesso.
tCCOLO DKGtHO'^STTIIfO ^S
A qaeste eonclitiooi delP aolmo eraoo àggianli non inl«
nori ornamenti del corpo ; .tolleranza delle fatiche , so*
brìetà singolare , aspetto venerabile insieme e grazioso,
complessione robnsta e militare V agilità di membra cosi
ben disposte, che moite volte ib veduto a nnotare co-^
perto di tutte arme a contrario d' acqua lo rapidissimo
fiume , e- gagliardla maravìgfiosa , per la quale e nella
lotta e nella palla e nelle fazioni militari superava di
gran lunga gli esperimenti d' ogni altro , e finalmente cosi
concorde unione nel vigore dell' animo e del corpo , cbe
non solo si conciliava P^ammirazione universale, ma espri*
Bieva ancora ■ dalli^ bocca de^ P''i?pn suoi nemici il vero
delle ^ue lodi.
Né però restarono tfuésti ornamenti , senza il difetto
della fragilità umana; perchè la doppiezza 'e la simula-
zione furono in lui connaturali , e la vanagloria e P am*
biziòne furono cosi potenti nt^la tetaaperatnra del suo in-
gegno, che da principio gli fecero abbracciare 1* impèrio
della fazione cattolica , . e col processo del tempo dalla
necessità di guardarsi dalle sottili arti del Re, lo fecero
^cilmente precipitare al disino, di pervenire per vie oc-
culte e difficilissime alla successione della Corona; e final-
mente 1' audacia della pròpria natura e lo .sprezzo che
sempre fece d'ogni altro, lo condussero rnavvedutamente
alia^raina.
Caurìna d^ MediQt regina di Francia ( Ivi). -
Le qu^alità di questa donna ^ per lo spazioso corso di
treni* anni cospicua -e celebre a tutta 1* Europa , possono
molto meglio dal contesto delle cose narrate èsser com-
prese , che dalla mia penna descritte , né in breve
giro di parole rappreseli tale. Perciocché la' prudenza sqa
I BsprwMiHi' ancóra «e.i cioii Costringerà «nche i siioi nemici » lodtfV»-
94 LSTTERlTfrAA. ITALUVA.
( piena -sempre ed abbonfTàate ^ À' accomoclati pi^rtiti peìr
t-
riqaedìare a' subili casi della fertana, e per oslare alle
macchioazioDÌ della malizia - iHoaoa ) con ia quale resse
neir eia minore de* figli aoli: il peso' di tante guerre ci?i-
^ li t contendendo in un medesimo tempo con gli afielti
delh religione , con la contumacia db* sudditi , con }e dif-
ficoltà, dèli* erario, con le simulazioni Òe Grandi, e con
U spaventose macchine erette dalP ambizione, è piuttosto
cosa degna d' essere ammirala distintamente in ciascuna
operazione particolare , che -confusamente abbozzata nel«
r elogio nniiersale de* suoi costumi. La costanza e V al-
tézza dell'animo, con la quale, donna e «forestiera , ardi
d* intraprendere contra teste cosi polenti la somma^ del
gof ernó , ed intrapresa^ conseguirla , e consegaìta mante*»
nerla centra i colpi delP arte e della fortuna , fu molto
più pari alla generosità d* un animo virile, assuefatto. ed
indurato ne' grandi affari d^l .mondo , che di una fem-
mina affezza atìe morbidezze della Corte, e tenuta molto
^bassa in vita dal marito. - ^
Ma la pazre'nza, la destrezza, la tolleranza e la' mode-
razióne, con le' quali arti nel sospetto che (dopo tante
proTe).di lei s' area preso il figliuolo, seppe sempre man-
' tenére in sé stessa V autorità' del- goterno, sicché egli noa
^ardiva di operare senza consiglio e senza consentimento
dì lei quelle cose medesime nelle quali là teneva per so-
spetta , fu eminentissima 'prova e quasi V ultimo sforzo
del valor suo.
. A queste virtù, che nel corso delle "sue operazioni
chiaramente appariscono , furono aggiunte molte ^altre
àoXì y con le quali , sbandite le fragilità e T imper-
fezioni del sessa femminino, si reset sempife superiore a
quegli affetti che sogliono far tralignare dal diritto sen*
fiero della vita i lumi^ più perspicaci dejla solerzia nma« ^
na« Perciocché furono io^ lei ingegno elegantissimo ^. ma-
SECOLO DBcraosBTTnio ^5
gbifioema regia, uoiaiiità popoifffe, muoieradi fiifellara
{K>tenle ed xfficaoe; ioclioaxione liberale e fiiforefole ferio
i baooi ^ aperbiuiiDo odio e oralefoleoEa perpetua' verso
i tristi , e temperadiéDio non mai soverchia meote iolerea-
iato nel favorire e oelP esaltare i dipendenti suoi : e noQ«
dimeno non potò ella far tanto che dal' ftsto franceie ,
come Italiana , non fosse la >irtù ana dispregiata ; e che
coloro. che avevano animo di pertnrbare il reame, come
contraria a' loro disegni, non T odiassero' mortaloenle':
onde gU Ugonotti in partitolareu ed in vita ed - in morte
hanno sempre ^con avvelenate pbntore e con- narrazioni
maligne esecrato e dilaceraYa» jl noùie ano ; ed alcano
scrittore., che merita pia il nome di* satirico che d* isto»
rico , s' è ingegnato di far apparire • I' operazioni di lei
molto diverse dalla jèra soatapza, attribuendo bene spesso
0 imperitamente o malignamenle la cagione de' suoi con-
sigli a perversità di. -natura ed a soverchio appetito di
dominare^ ed abbassando *e diniìnuendo la. gloria di que-
gli efielti che nel mezzo di còni certi pericoli hanno ai*
caramente più d^ una volta partorita- la salute ed il ao»
stentamente della Francia* »
J^on è per questo che auco tra tanta eccellenza di virtù
non germogliasse il solito loglio della imper lezione moo«
dana : perciocché fu tenuta di fede fallacissima , condi-
zione assai comune di tutti i tempi , m^ molto peculiare ^
di quei secolo ; avida o piuttosto sprezzante del sangue
umano più assai di queHo che alla tenerezza dei sesso
femitiinile >i convenga ; ed apparve io molte occasioni ,
che nel òonseguire i suoi fini ,. quantunque buoni,- sti-
masse onesti lutti quei mezai che le parevano utili al sua
disegno , ancorché per sé medesimi fossero veramente ini-
qui e perfidiosi. Ola V eminenza di tante altre virtù può
1 Peculiare per Proprio « Particolare h latinismo adoperato qualche -volta
aiiclie ai di nostri da «Icuni.
^6 I^Bl'TSIIATirRA ITALIAITA
•tpuranieale appreséo i ragionevoli estimatori ricoprire ia
gran parte qael diletli che furono prodotti dair oi^eoza
e> dalla Decessila, delle cose. •
"- Morte di Enrico JIl re di Fionda C ^u* X ).
'"■■''• '. .
,Era tu Parigi Era Jacopo Clemente dell* Ordine di saq
Domenico^ che Giacobini li chiamano. Tolgarroente, nato
di basso lignaggio nel villaggio di Sorbona nel territorio
della città diSans', giovane' di fentidae anni, e giadi-
Cito sempre dai sùo^ frati ^ Ha molti 'che Io conosceva-
110 per iscemo di cervello > e piuttosto per soggetto da
prendersi gioco , che' da tendere o sperare dall' ingegno
suo cosa seria e* di qualche momento. A me sovviene
(mentre molte volte visitava Fra Stefano' Lasign a no Ci-
pr ietto vescovo di Liimissà e fì*ate del medesimo Ordine,
.qaando la Corte si riirovjtva in Parigi) averlo veduto e
adito itaentre gli altri Religiosi di lui si prendevano pas-
satempo. Costui « ó guidato dalla propria fantasia , a sti-
molato dalle predicazioni che giornalmente 'sentiva fare
codtra . Enrico di Valois ^ , nominato ÌV persecutore della
Fede ed il tiranno , prese risoluzione di vofer pericolare
la sua vita , per tentare in alcuna maniera d* anomazzar*
lo; né tenne segreto questo cosi temerària pensiero, ma
andava vociferando tra* suoi , che era ^necessario d' ado-
perare Tarmile di esterminare il tiranno: Te quali voci
accolte con le solite risa, era da tutti chiamato pei^ burla
il capitano demente, 'Molti lo stuzzicavano , narrandogli
ì progressi del Re, e com^ égli veniva confra la città di
Parigi; a' quali, mentre T esercito pra lontano, diceva
non esser ancora tempo ^ e non volersi prendere tanta
fiilica; ma come il Re cominciò skà avvicinarsi, ed egli
passando dalle burle a deliberazione «cria , disse ad un
z Enrico III fa V ultimo della Gasa di Valois.
SECOLO DBCIlfOSETTlMO ^y
Padre elei s^oi , che arefa aoa iDspiraxioDe gagliarda di
andare ad ammazzare Enrico di Valois , e che doveste
consigliarlo se la dovesse esegnire. U Padre, conferito il
fatto con il Priore ( il qoale era nno de' principali con*
siglieri della Lega )^ risposero finitamente che vedesse bene
che questa non fosse nna tentazione del demonio , ohe
digiaoasse ed orasse, pregando il Signore che grillami-
nasse la mente dì qnello doveva operare.
Tornò fra pochi giorni cosini al Priore ed all' altro
Padre, dicendo loro che aveva fatto qiianto gli avevano
consigliato, e che il sentiva più spirito che n^ai di volare
intraprendere qnesto fatto. I Padri, come molti dissero,
conferito il negozio con madama di Mompénsieri, ocoma
vogliono quei della Lega, di proprio loro motivo ' l'esorta-
rono al tentativo, affermandogli che vivendo sarebbe stato
fatto Cardinale, e morendo, per aver liberata la città ed
ncciso il persecutore deUa Fede, sarebbe senza dubbio
stato canonizzato per santo. Il Frate ardentemente ' ecci-
tato da queste esortazioni , procurò d^ avere nna lettera
credenziale dal conte di Brienna (il quale, preso a santo
Uvino , era tuttavia prigione nella città ) , assicnrandolo
d' avere a trattare negozio col Re di somma importanza^
e che rioscfrebbe di grandissimo sno contento. Il G>nte,
non conoscendo il Frate, ma sapendo quello correva * nella
dtlà , e che molti trattavano che il Re fosse introdotto ,
credendo esser vero il negozio che costai professava di
trattare, non fece difficoltà di concedergli la lettera; con
la 4]oale partito la sera dell' ultimo di di luglio , passò
dalla città -nel campo reale , ore dalle guardie fa subita-
mente preso: ma dicendo egli di aver negozio e lettera
X Motivo» Pia comunemeate direLbtii Vi proprio loro moto,
a Quello ( che ) correva. Sapendo che iàcevanù pratiche per introdurre En*
rico in Parigi , d' onde il Duca di Gui$a e i suoi partigiani lo avevan cac-
ciato , e credendo che a questo flne tendesse anche il fitte.
LBTTBftJLT. ItAI» — IT Q
p8 . rcTTEnATuai ita li aita.
da comaoicare col Re, ed avendo mostrata la soprascrit-^
la , £a condotto a Jacopo signore della Goiella procara-
tore generale del. Re, che faceva 1* ufficio di anditore del
campo. Il signore della G niella , udito il Frale, e sa-
pendo che il Re era dal riconoscere i posti de' nemici
tornato eh' era già notte, gli disse che quella sera era di
troppo tardi, ma che la mattina seguente T avrebbe senza
fallo introdotto , *e che Ira tanto per sicnresza si poteva
trattenere nella sna casa.
Accettò il Frate P invito, cenò alla tavola della Gniet-
la, tagliò il pane con un coltello nuovo, che col munieo
aero aveva a canto , mangiò e beve e dormi senza peii«
«}ero : e perchè correva un pronostico non solo per il
campo , ma per tutta la Francia , che il Re doveva es-
sere ammazzato da* un Religioso, fu dimandato da. molti
«e per avventura egli era venuto per questo fatto; a' quali
lenza turbarsi rispose, non essere queste cose da trattare
4XMÌ da burla.
La mattina , primo giorno d^ agosto ' , il signore de(la
Gniella passò alF alloggiamento del Re di buon mattino;
al quale fatto sapere V andienza che dimandava il Frate,
dbhe ordine nelf istesso tempo d' introdurlo , bench^ ^li
non fosse ancora interameofe vestito, anzi senza il solito
colletto di dante, che per uso delF armi costumava egli
Mmpre di portare , e con un semplice giubbone di ta^
fetta d^ intorno intorno slacciato.
Introdotto il Fì*ate, mentre si ritirano nmendue a canto
ad ana finestra , porse la lettera del conte di Brienna ; la
qnale letta, avendogli detto il Re che seguitasse a spie-
gargli il suo negozio, egli finse di metter mano ad un' al->
tra carta per presentarla , e mentre il Re intentamente
r aspetta , ei cavatosi il solito coltello dalla manica , lo
X Dell' anno iS^Qt
•SCOLO DBClVOSITTmO 99
ieri a calilo air ambilico dalla parte tioiiira , e latdò
tolto il fèrro* confitto «ella ferita. Il Re seolendoai pew
cosso tirò fuori il coltello, e nel tirarlo dilatò la ferita ^
ed il medesimo fisse sino al manico nella fronte del Fra»
te; il quale neir*istesso tempo dal «gnore della Goiella
passato colla spada dall' un fianco sino fuori dell^ alilo
cadde subito morto : né fu cosi presto caduto , che da,
Mompesat, da Lognae e dal marchese di Mirepois (carne*
rieri del Re che erano presenti al fiitto) fn gettato dalte
finestre, e dal volgo dei soldati lacerato ed abbruciatoli
e le sue ceneri sparse nella riviera.
Il Re ferito fu portalo nel letto, e la ferita non fa
da* medici giudicata mortale : per la qoal cosa chiamati
i segretari , fece dar conto .dell* accidente . per tutte b
parti del r^no, esortando i goTcrnalori a non si sbigot-
tire, perchè sperava fra pochi giorni di poter risanato
cavalcare. Il medesimo officio passò con i capitani e con
i principali dell' esercito; e fatto subito venire il Re di
Navarra, commise a lui la cura del campo e la cont^
n nazione sollecita dell' impresa. Ma la sera senti grave*
mente dolersi la ferita, e gli sopraggionse la febbre; pev
la qoal cosa chiamati i medici e fatta la solita esperien*
sa , trovarono essere perforati gì' intestini , e giudicarono
concordemente che la vita sua potesse estendersi poche ofew
Il Re, il quale volle che gli dicessero il vero, inteso
il proprio pericolo, fece chiamare Stefano Bologna suo
cappellano, e con grandissima divozióne volle fare la eoo*
fessione de* suoi peccati; ma innanzi l'assoluzione aven*
dogli detto il confessore , che aveva inteso essergli sfato
pubblicato centra un monitorio del Papa , e che però
soddisfacesse nel presente, bisogno alla coscienza , egli
replicò clVera vei*o, ma che il medesimo monitorio con«
teneva che potesse essere assoluto in occasione di morte;
che voleva soddisfare alla richiesta del Papa, e che re-
lOp LfiTTERiTORl ITALlAIfA
ligio9amenle prometteva di rilassare i prigioni , ancorché
avesse creduto di perdere la vita e la corona { conila (piale
soddisfazione < il confessore V assolse , e lo mani per via*
tico de^ sacramenti della Chiesa quella medesima sera.
Il Re sentendosi a mancare le forze*, fece alzare le
portiere delle sue camere ed introdurre |a Kobillà*, la
quale con profuse lagrime e con acerbi singulti pubblica*
mente dava segno del suo dolore; e rivolto a loro,.stan«
dogli a canto al letto il Duca d* Epernone ed il Conte
d* Overnia suo nipote, disse con chiara voce che non gli
rincresceva morire y ma che ;gli doleva dì lasciare. il regno
in tanto disordine , e tutti i buoni affiliti, e travagliati ;
vhe non desiderava vendetta della sua morte, perchè fina
da' primi anni aveva appreso nella scuola di Cristo a ri«
mettere V ingiurie, come tante n* avea rimesse per il pa»»
sato; ma rivolto al Re di Navarra , gli disse, che se si
metteva mano a qtiesta usanza di ammazzare i . Re , ne
anco egli sarebbe stalo per conseguenza sicuro. Esortò la
Nobiltà a riconoscere il Re di Navarra ', al quale di ra«->
gione il regno s' apparteneva ; ne guardassero alla diffe-
renza della religione, perchè ed il Re di ^'avarra, uomo
di sincera e di nobile natura*, sarebbe finalmente tornato
nel grembo della Chiesa, ed il Papa, meglio informato^
V avrebbe ricevuto nella sua grazia , per non vedere la
mina di lutto il regno. In ultimo abbraccialo il Re di
Navarra gli disse, replicandolo due volte: — Cognato, io
TI assicuro ^ che voi non sarete m^i Re di Francia , se
non vi fate Cattolico e se non . vi umiliale alla Chiesa *• ->
Z Fu poi Rtt di Francia $otU> il nome di Enrico IV. Come capo degli
Ugonotti era stato lungamente nemico di Enrico III , ma quando questi
( dopo r uccisione del Duca e del Cardinale di Guisa) si vide più che mal-
strétto dalle armi della Lega , Io chiamò a s^ e fece' la pace fon lui. En-
rico IV fu poi ucciso dal Ravaillac addi 14 maggio 161 o.
a Enrico IV si fece infatti Cattolico li 25 luglio x593 , e solo dopo di
ciò fu ricevuto in Parigi.
SECOLa DEGIBIOSITTIHO tOI
Dopo le qaali parole, chiamato il cappellano', recilò pf&-
•enti tatti il sìmbolo della fede alP oso della Chiesa fo»
mana , e fallosi il segno della croce , cominciò il MisB^
rere; qua nelle parole Redde mihi Iteiiiiam saìuiaris tui^
mancandogli la voce, rese placidamente lo spirito, avendo
vissuto treotasèi anni, e regnato quindici e per appunto
doe mesi.
GUIDO BENTIVOGLIO
Guido Bentivoglio nacque di nobil fatnigKa iq
Ferrara Fanno. 1579. Clemente Vili lo nominò
suo Cameriere segreto qnand^ egli non aveva com«
piutì per anco i suoi studi. Dal 1607 al 1616
appartenne alia Nunziatura delle Fiandre ^ poi a.
quella di Francia fino alP anno 1621 in cut da
Gregorio XV gli fu conferito il Cardinalato , e
nel 1644 ^i*^ iD voce di dover suceedere ad Ur-
bano Vili , quando una malattia lo colse da«
rante il Conclave, e lo condusse alla morte nel dl«
ciassettesinio di settembre. Come Cardinale il Bea*
ti voglio fu tra coloro che sottoscrìssero la sentenza
del gran Galilea^ ma lo scusa ( come nota il Cor-
niani ) il tempo in cui visse, e Pavere avuto a co-
mune con molti altri il suo errore. Del resto egli
fu dotalo di beir ingegno^ che lo studio e la pra-
tica grande degli affari gli fecero assai potente. Scrisse
le Relazioni della sua Nunziatura, le Memorie della
propria vita ^ parecchie Lettere^ e la Storia delle
guerre di Fiandra^ cioè la Storia di quella lotta per-
la quale i Paesi Bassi scossero il giogo della domi-
Dazione spagnuola. In tutte queste opere $i fa pa-
lese un ingegno colto congiunto con uno spirito che
sa pen^tr^re nelle cagioni delle cose, e rendere ra-
gione di tutto quello che dice. Non si potrebbe coI«
102 LETTERAT0R4 ITALURA
locai*e per altro né fra gli storici é ì pensatori più
grandi ^ uè fra gli scrittori in ogni parte eccellenti.
> • %
/
DALLA STORIA DELLA GOERRA DI VlkHORk.
r
Descrizione deW Olanda e della Zelanda ( Part. I , lib. JS ).
Giace 1' QDa e V altra di queste provìnce' fra t' asj^elto
settentriooale ed occidentale di Fiandra. In Olanda il
Reno e la Mesa , ed in Zelanda la Schelda si scaricano
neirOceanO) e con bocche si- profonde e &ì spaziose, cbe
perduta la qualità di Gumì, pare allora che portino piot*
tosto al mar nuovi mari. Àlf incontro T Oceano bagnando
prima le medesime due province per lungo tratto , con»
Tertitpsi poi quasi di mare in fiume, penetra in ciascuna
di esse con ?arii' canali , e vi si nasconde con varii seni*
Óoindi unito con le riviere, e fèndendo insieme con loro
in molte parti la Zelanda., viene a smembrarla in molle
isole , e riduce V Olanda similmente in penisola. Oltre
<a' oominati. tre fiumi cbe sono i più principali di tutta
la Fiandra , ne riceve 1' Olanda ancora diversi altri mi-
ot>ri ; e. volendo quasi competere in essa V arte con la
natura, tì si aggiungono infiniti canali a mano, cbe son
fatti per maggior comodità del paese. Uentro i* ba por
anche un buon numero di laghi e di stagni. Onde con-
siderata la situazione dell'una e delT altra provincia, può
restare io dubbio , se più grande sia lo spazio che in
esse dair acqua vien rubato alla terra, oppure dalla terra
all' acqua. Me si può dubitar meno ancora , se più man-
cbino ovvero più abbondino i loro paesi di quelle como-
dità cbe negli altri suol godere la vita nmana. Per ' la
qualità d^l loro sito mancano e di grano e di vino e
d* olio e di lane e di legname e di canape e di lini , e
quasi di tutte V altre o comodità o delizie che s' nsioo
in regioni più temperate e più asciutte. E nondimeno
SECOLO DECIMOSBTTIMO |oS
dalP ishra parte si f«de, che non ^ ha contrada non solo
in qoeir angolo del Settentrione ^ ma nel giro di tolta
Europa , che. abbondi al pari dell' Olanda e della Zelanda
qaafti di tutte le cose nominate di sopra, e di quelle che
sono men necessarie ancora all' ornano sostentamento ! cosi
grande è il ranfaggio che ricevono queste due protince
dal mare e dalle rÌTiere, per afer facile col mezzo della
naTÌgazione il commercio da ogni parte coni tutti gli allri
paesi. E dopo' averlo introdotto specialmente, e reso tanto
familiare nelf Indie , non si può dire quanto in amen«
due sia cresciuta , e la copia delle merci e la frequenza
dei trafficanti. Di qui -nasce^ che tanto abbondino anche
d' abitatY>ri , e' che tanto sia popolalo di* città , di terre
e di viltaggi J uno e X altro pniese. Ha non si feda uiea
pieno i( mar di vascelli, ed ogni sito acquoso di ciascona
altra sorte di legni,. che lutti servono d* albergo ^ parti*
oolarmente ai .marinari ed ai pescatori. A queste due qua»
lità di mestieri s'applica in Olanda e Zelanda an na*
mero grandissimo' di persone. Delle navi fan case, e delle
case poi scuule* Quivi nascono , quivi si allevano e qui? i
apprendono la professione ; «e praticando poi i marinari
specialmente la loro nel correr tante volte e con tanto
ardire da un pukì air altro , e dovunque ai ' mortali si
comunica il sole , ne divengono si periti , che qualche
altra nazione ben può uguagliare , ma ninna già vincere
in quesl^ arte mar inesca la loro. Nel resto quei popoli
generalmente sono dediti al traffico, e soprammodo si
mostrano industriosi nelle cose manuali e meccaniche. Il
maggior piacere che si pigli da loro è fra i con vili e le
tavole. In qaesta maniera temprano la malinconia de' fa-
stidiosi verni che provano ; i quali pprò sono lunghi piut-
tosto che aspri , eccedendo quel clima nelle pioggie assai
più che nei ghi<icci. Sono ben formati ordinariamente di
corpo, candidi non meno di natura che di presenza; pia«
I04 |.ETTERATimA ITALIANA^
oeroli nelPozio, ma fieri altretlanto nelle mdle, e mólto
piik abili io mare che in terra alP esercizio dell' ^armi.
KadriscoQsi per lo più di latticioii e di pescagione , ab*
hondandone in somma copia i loro paesi. Hanno inclinato
sempre a goferno libero, e sempre tenacemente oonser-
▼ali i lor USI antichi ; e dopo che V eresia ' cominciò ad
introdursi fra loro , con? ertitasi a poco a poco in licens»
la libertà , riuscì più facile poi agli autori delle novità
succedute , di fargli sollevar » e ■ partire dalla prima loro
ubbidienza verso la Chiesa ed il Re. £ piena V Olanda
di grosse città , di buone terre e d' infiniti villaggi ; ma
per frequenza di forestieri e per moltitudine d' abitanti
propri i , Amsterdam è stata sempre la città più princi-
pale di quella provincia. Menare fioriva il commerdo io
Anversa, era grande ancora in Amsterdam il concorso de*
fórestieri; ed essendo poi venuta a mancare con le tur*
bolenze dèlia 'guerra la contrattazione in quella città, è
cresciuta air incontro in questa si fattamente, che' oggidì
Amsterdam è la più mercantile piazza non sofo delP O-
landa, ma di tutto il Settentrione. In Zelanda Midelburgo
è la città di maggior .popolo e mercatura. Non può quella
provincia paragonarsi però a gran pezzo con 1^ Olanda
né di circuito né di popolazione uè d' opulenza. 1/ uno
e r altro paese ha deli' inaccessibile per introdurvisi con
la forza ; poiché non solamente 1 luoghi più principali ,
ma i più comuni sono cinti o dal mare o dai fiumi o
dai laghi o da terreno, che non può esser più basso nà
più fangoso.
Elogio di Don Giot/anni d' AusV^ia (Pàbt. I , lib. io >.
Veramente in lui concorsero doti egregie di corpo e
d'animo. Grazia e maestà nelP aspetto, vigor di forze
L La religione protestante.
SECOUf ' DECIXOSBTTIHO 1 oS
per le fatiche , affabilità coi soldati, fi«;ilaDza pari al co*
mando , prùdensa delle piji gravi difficoltà , ma caore
portato però ad incontrarle molto più che a sfnggtrle.
Non pochi foropo che V aTrebbooo desiderato meo tenero
in consentire agli aoiori , e men facile in dare orecchio
a^ rapporti. Mostrò tanta cnpidigia di gloria , che molli
ptoltósto la 'gindicarono cupidigia d' imperio. Onde -arse
al fine V invidi» , e gli armò contro si fattamente il m*
spetlo , che rete dnbbia la soa fede nel serftzio del Re;
cóme s^ egli di Gorernatore aspirasse a diventar Princìpo
della Fiandra;, e che a. tal fine con la Regina d* Inghil-
terra in particolare fosse disceso ad occulte pratiche di
corris|H>ndenza , e* passato più occultamente ancora a ma*
neggi espressi di. matrimonio. £ quindi nacqne I' opinioni
sì diffusa allora , -glie, egli mancasse di m<>rte aiutata ' piut^
tosto che natyrale. 3}.i comunque il fatto seguisse io ma-
teria , nella qnale poteva dalla calunnia restar si adoiu*
brata la verità, egli -morì con fama di valor singolare,
e con applauso ricevuto comunemente di somme lodi. De-
gno senta dubbio di godere più* lunga iuta; e non men
dégno a cui fosse stato permesso dalla fortuna di esercì*
tare i comandi più in termine d^ assoluto Principe , che
in- qualità 3i subordinato Ministro.
'• •
Morte del Principe, d' Oranges e suo eìogio ( Part. II, lis. a).
•
Il caso passò in questa maniera; Con fine determinato
d^ ucciderlo s^ era introdotto alla sna conoscenza , e più
domesticamente a quella de' suoi familiari^ un Baldassarru
Serach della Contea di Borgogna , uomo, più tosto vile
di nascimento ,, ma dotato di qualche spirito dalla natu-
ra. Trovavasi V Oranges alfora nella Terra di Delfi in
Olanda per varie occorrenze pubbliche ,• ed una delle p'ù
• . ■ .
X Vi morte aiutata. Cioè di veleno od duo»
lo6 LBTTERATURA ITlLIANA
gravi era dì ristabilire le cose meglio con T AlaiiiM>De**
Presa dunque 1' opportanità d^l lempo il Serach , e fah>
tosi iDiianzi alP Oranges in camera con finta di. negozio
importante , gli sparò un picciolo^ archibyso in nn fianco,
e r atterrò sobito, senza eh* egli nel morire potesse pr<^
nnoaiare parola d* alcuna sorte. Quindi postosi in fnga^
tonto s* avanzò prima d'essere soprarrivata , che di già
era salilo sol muro d»lla. Terra per gettarsi nel fosso ed
uscirne a nuoto, quando lo ragglunserp quei d)e. lo se-
girìtavano , e lasciatolo viro lo consegnarono in mano della
Giostitia. Con ogni più atroce tormento si - procurò cb^ e*
gii deponesse la verità sincera del fatto. E comunemente
Gvedevasi cbe fosse per confessare d' i| verno ricevuti gli
ordini, e d'averne aspettati li prénui d ali» parte di Spa«
gn«. Ma non usci dalla sua confessione ^ai altro se non
tli* egli aveva ucciso V Oranges di pjropria .sua volontà^
e per meritare molto più con Dio per mezzo di tale
azione, che non aveva fatto .cui Re> Fu egli poi eondan*
oato alla morte , e con tutti i più fieri aupplizii ne fa
veduto succeder X esecuzione; — Gm tal qualità di* fine la-
sciò la vita' Guglielmo- di Nassau, principe d** Oranges ^
odia sua età di cinquantadue apni. Uomo nato a gran-
dissima fama, se coibento della fortuna sua propria noo
avesse voluto cercarn^^fra i precipizii un' altra maggiore.
Ròn 8* ebbe mai dubbio, che V imperatòr Carlo* V , ed
il re suo figliuolo Filippo li , non lo riconoscessero in
grado del primo lor vassallo di Fiandra ; e V uno s' era
Tedpto gareggiar quasi con- V t$hro , a chi più V avesse
favorito e stimalo. Restava nondimeno egli nella con-
dizioip di vassallo; ed all' incontro gli ajti suoi tpiriti
noo potevan lasciarlo quieto se non -col godere sovra*
namente quella di Principe. Aspirò egli dunque a po*-
tere innalzàrvisi fra le rivolte di Fiandra. E portato
«empre più V ardor della sua ambizione dall' ordimento
SECOLO l>feCIH0$BTTIHO ÌOj
m
dei saoì «iisegni ^ arerà «gli ornai si olire condolti qae«
stì 9 che se la morte non gli troncaVa , non si mettevii
più quasi io dubbio , che almeno in Olanda ed in Ze*
bnda egli non fosse sfato per vedergli felicemente ridotti
a fine. Concorsero in Ini del pari la vigilanza , V indo»
stria ^ la liberalità; l» facondia e la . perspicacia in ogni
negozio, con r ambizione , con la frande, con T audacia,
con la rapacità e co) trasformamento in ogni natura; aor
compagna odo queste parti buone e cattive con tutte l' aU
tre che insegna più sottilmente la scuola def dominare*
. Nelle ragananze pubbliche' tid in ogpi altra sorte, ancova
di pratiche, niono specialmente^ più di lui seppe o dispov
gli animi o raggirar 14 opinioni o colorire i pretesti o
accelerare il negozio - o stancarlo ; né laeglia prenderne
insoffiOMl né più artificiosamente in ogni altro modo 1
vantaggi. Fa perciò stimato assai più nel maneggio delle
cose civili , che non fu nella proféssion delle faiìlitari. Vi*
desi Tarlare di religione , * aecondo che variò d' interest*
Da £inciallò in Germania fu Lutecano. Passato in Fiaoi*
dra mostrossi Cattolico. Ài principio dellp rivolte si di*
chiaro iantor delle nuove Sette , ma non professore mar
nifesto d* alcuna ; sinché finalmente gli parve di segnltar
quella de' Calvinisti , come la «più contraria di tutte aUa
Religione cattolica sostenuta dal Re di Spagna».
DALLE LETTERE.
Al signor Cài/aUer Tedeschi
A Vtr0fuu
Che .non può insomma un' ostinata importunila ? Ec-
covi una mia lunga lettera al dispetto delle mie -occupa-
zioni , e più ancora del mio decoro , che non vorrebbe
ch^ io ricambiassi le triviali vostre gazzette di Verona ,
con queste nostre eroiche nuore di Fiandra. Discorriamo
lo8 LETTEBATURA ITJILfAllA
danqne.siil serio. E per 4ri>pondcr.vi prini.1 iotoroo «I*
r armi ci' Italia, noi qui spariamo che le cose in coleste
parli piglieran buona piega' , e che fioaioiente cotesla
gaerra eh' è stata sempre uii^ta di negoziazioni di pape ,
si conTertirà in vera pace. Io per la mia parte cosi ne
giudico. E se ben dico quello che. scinto , confèsso nondi-
meiio che dico ancora quello che vorrei» Vorrei la pace
in Italia , perchè potessero tanto piti restar libere queste
nostre armi di Fiandra, ed essere tanto maggiori i pro-
gressi-che qui si vanno facendo con si gran benefizio della
causa cattolica. Ma ^i quest^«armi e di questi progressi
che si discorre costi fra voi altri? che se ne crede? Forse
che s*^ abbiiT voglia di nuova guerra dailis parte' di Spa-
gna e di qqesli Prii^cipi^? .No veramente.* E crediatelo a
me; il quale, e 'per ragion del carico che maneggio, e
per rispetto della confidenza che* mi si mostra, ho gran*
<d' occasione di toccare il polso alle cos^ , e di saper le
crisi dì questi moti. L^ insolenze degli Eretici non si po-
tevano più soffrire , (JopQ la novità d^ Aqoisgrano e di
Molen., e dopo quest^ ultima di Giuliers e molte altre
non si manifeste , ma non men temerarie. La necessità
dunque ha. fatto muover questuarmi, ed il favor della
causa le ha fatte correr felicemente sin qui. Abbiamo re-
stituito i^ governo a^ Cattolici in Aqnisgrano ; s è disfatta
la fortificazione di Mulen ; e nel medesimo tempo s^ è
entrato in varie Terre dei Ducato di Giuliers. Quindi
poi 8^ è passato il Reno, e dopo alcuni giorni di resi-
stenza s' è preso Vesel ; Terra grossa , e di sito impor-
tante sopra quel fiume ; nido d' Eretici ; colluvie d' ogni
lor setta ; Università dove s* insegna la lor dottrina ; la
Ginevra in soinma del Reno, perch^ quivi ancora i dogmi
di Calvino soo quelli che regnano , e gli abitanti per la
maggior parte son Calvinisti. A questo segno son ora le
cose. E, come dissi, non s^è avuto pensiero qui di tar-
ftScoLo DtcnossmMo 109
barle ^ ma di ridarle ad ona qviela che d>bia ad attera
tanto più darabile, qoanto sarà più oooparole. la tanto
restano attooiti sopramaiodo gli Eretici» E gli ha involti
partìcolarmeole in graodistinii sospetti V aver veduto ut
questa G>rte, so Tnscir dell^ esercito, gli AmlMscbtori do*
gli Elettori eodesiastici di Germania, che rool dirsi qaarf
di tutta la Lega cattolica; ed aver vedoto qoeslo Amba-
sciatore di Spagna , e me ancora , andar con V esercito
lotto Aquisgrano nella presente -spedizion che s^ è fatta.
Hanno temuto insomma , e temono tuttavia che qu^ta
sia ooa oollegaxione di tatto il G>rpo cattolico in favor
di Neobnrg appareAtemento , ma in scMtansa a danno di
tutta la loro fasiane eretica. La verità è , che dal canto
nostro s'è Toloto sostener Neoborg, dopo essersi egli di-
chiarato Cattolico ; e s* è voluto reprimer 1* ardire degli
Eretici , i quali s* livevano di già con la speranza divo*
rato V Imperiò , e posti fra i denti , per cosi dire , gli
Sta'ii eodesiastwi intorno al Reno, e particolarmente gli
Elettorali. In lutti i quali maneggi , quanta sparto abbia
avuta r opera e 1' autorità di Sua Beatitudine , gli altri
suoi Ministri lo sa^no , e ne so a neh* io qualche cosa ,
benché mi confessi il più debol di tutti. Ma non debbo
riputarmi già il men fortunale. Ho avnto occasione ' di
trattare in questa congiuntura cose gravissime , e d' aver
le naaai in varie pratiche ; V une tendenti all' armi , e
r altre alla oonservazion della quiete; ma non discordanti
però fra di loro, poiché s'è preteso- che Tarmi abbiano
a stabilir maggiormente in^ queste parti il riposo. Il che
spero che segnltà col divino fasore. Non debbo ripotar-
mi , dico , il nen fortunato , quand' lo considero , che
oltre alia trattarion de* negozi ho veduto formar qoest^o-
sercito, e vedutob uscire -in campagna e marciare ordi-
natamente, e elle sopra le lancio e le picche, ed in bocca *
del* moschetti e cannoni A portava Peseaizione del Mao*
LnTBSAT. ITÀL. - IT 10
Ito «.ETTERITURA ITALIA1I4
•
d^to imperiale coolro gli Eretici 4* Àquisgrano. Ma non
più ;- che par troppo lunga diventa ormai' questa lettera ,
e troppo mi sodo io diffoso io riferir tanti saccessi di
qaesta nostra arena militare di Fiandra. Ripiglio danqae
la mia persona di Nnnzio , è lascio a ?oi la Tostra di
Gazzettante. E per fine tì prego ogni bene e contento.
Di BrusseUes , li io di Settembre 1614. '
AUa signora Donna Caterina Lit^ia contessa di Firstimberg,
A Brusselles.
Ch^ io non dica mal di Germania ? come no ! Strade
pessime; leghe eterne; montar e scendere del oontioòfo;
spassar mille fiumi con mille pericoli; doti sin al ginoo^
chio; venti che fendon le labbra e le orecchie: e eh' io
ooQ dica mal di Germania? Osterie succide : ostesse che
subito inlordan , non toccan la maoo^; s(ttfe puzzolenti ^
▼ini che tottaTia tirano at mosto ; YÌ?aikde piene di spe»
zierie : e ch^ io non dica mal di Germania ? Alleviare
ora fira 'Calvinisti) ora fra ' Luterani; ìion potere dir Mes-
sa, né udirla nelle feste più principali ; camminar mille
giorni senza trovare alcun luogo di qualità: e chMo non
gridi contro Germania? Non creda però V* S. lilustrissi»
ma , non creda ai facilmente tutto quello che scrivo. La
verità è, chMo non ho voluto dirla quasi in ninna delle
cose che ho scritte. Scherzo è stato il non dirla ; e mi
pareva appunto di scherzar tuttavia fra le conversazioni
solite di Brusselles , e tullaria di far la persola di cor-
tigiano , in luogo di' quella che mi conviene far ora di
viaggiante. Mi disdico dunque. Ho trovalo trattabil cam-
mino , leghe tollerabili ; passai il Reno ed il Danubio Jfer
licemente; osterie molto comode; ostesse amorevoli , e
che, secondo lo stil del pae^, vorrebbono entrar meco a
tavola; stufe tiepide e politissime; vini mollo saporiti del
Reno e del Necare; Calvinisti e Ij«aterani, il cni Calvino
SBCOtO DEGIMOSBTTIMO III
I
e Latero nòo è altro che il mangiare ed il beres questi,
•ooo .qaèi tanti mali che * sinora ho patiti in Germania ^
e che dovrò patire sino al mio arrivo in Italia; bendiè
di già lotto sarà paese cattolico qàello per dove io pas-
serò da qai innanzi. Ora mi trovo in Angusta; e sin qui,
per Dio ì^azia, ho fatto il viaggio prosperamente. Passai
il Reno a Spira; città più nominata che bella. Ho pas-
sato poi il Danubio a Ulma; vaga città invero, e che
molto m^ ha soddisfatto. Ma qaest^ Augusta ha dell' an»
gusto certamente negli edifizii, nelle strade e nel popò-
lo; e per me credo che la Germania non possa aver città
più beila' di questa. Qui mi fermerò dimani , e s^uiterò
poi verso Inspruc il viaggio; intorno al qnale continovero
a dar quel ritgguaglio che debbo a Y. S. Ulnstrissimii.
E le bacio per fine con ogni affetto le mani , ' pregando
Dio che le conceda tigni prosperità pici desiderata*
D^ Augnata , li ii di Gennaro. lóid^
M Duca di Monuleone.
Prima d* ogni altra cosa , per amor di Dio, Y. E. mi
lasci doler del caldo. Oh che caldo crudele I Oh che
caldo di fuoco! Un caldo insomma che ha trasportato il
cielo di Spagna in Francia, e Siviglia a Turs. E vera-
mente io compatisco Y. E. ,se eosti a proporzione ha
fatto il caldo che qui. E questo nostro par tanto più in-
lopportabile, quanto avevamo avuta priiba T estate solo
di nome, perchè i giorni erano riusciti quasi tutti di
primavera , ed il luglio propriamente un aprile. *- Ma
quest' Agosto è una fiamma. Non si dorme la notte; non
si riposa il giorno: e della notte J>isogoa far giorno,
come ^ usa costi. Ed appunto jeri 1* altro il Grande Scn^
diere venne a trovarmi qui all' Abbazia di Marmolier ,
dov'ìo alloggio, ch^era sol far della notte; ed il Duca
112 LETTERATURA ITAMARl^
dt Guisa jermattiim ch^ era sai priactpto qaasi del gior*
no. PasteFà questa faria al fine; ebé ben sa V. E«
quante le passioni qua, eziandio ^egli elementi mederi*
ini 5 soB fugig[ilÌTe. AbbastauBa mi son doluto del caldo ;
trattiamo ora d'aitre materie* - Io mi trovp aL presente
in Turs per oocasion della Corte. E quanto alle cose pub*
Uiche , tutto qui si riduce al negozio della Regina ma*
dre. Ka potiamo ' sperare che pur finalmente lo fèdremo
presto finito, e con quella perfezione cbe tutti i buoni
hanno desiderato. Di già la Regina si risolve di venire
9 trorare^il Re dirittamente qua a Tur-s. Operò molto
invero per ki riconciliazione intiera V andata del signor
Principe di Piemonte ad Aogolemme. Il Poca di Ho[n<-
basone t' è poi stato inviato dal Re due volte , ct^e ha
fatto vedere vànche piò al vivo la sincera intenzione del
signor di Luines suo genero alla Regina; onde Sua Mae»
sta in fine s'è risoluta dt dar bsmda a'' sospetti ^ e di
venire a trovare il Re. Secondo le passioni , tali sono
stati i consigi). Ed anche >l di d'oggi non mancan molti
che la consigliano a non fidarsi. Io confesso che sono
stato di quelli che più hanno procurato di^ persuadere
Sua Maestà a venir»; e per mezzo d«l nostro buon Pa-
dre, Giuseppe Cappruccioo, eh' andò alcun! dì sono aoch^e«
gli ad Aogolemme , io le scrissi e feci dir liberamente
che non doveva nò temer più ^ nò tardar pia ; e ch^ io
aveva grand' occasione d' assicurare la Maestà Sua, che
le cose non poterano esser meglio disposte da questa par«
te. Ho avuta poi una sua lettera benignissima che aggra-
disce il mio coastglio e la libertà da me usata. E v eni-
mente non si poteva veder più chiaro di quel che ho
▼eduto io nel cuore del Re e del signor di Luines. L* at-
tendiamo qua dunque in breve* E si vorrebbe , se fòsse
possibile, che il suo primo congresso col Re seguisse nel
X Possiamo.
«ECOLO BBCiaOMTTtMO ll3
^oróo di San Laigi ; ^r render Uoto piò celebre qae*'
sto giorno eh* è per sé itesio ti celebre io Francia. Da^
questa rianione si poò sperar lensa dnbbio nn gran be*
ne, ficoome dal oonlrario li poterà temere on gran ma»
le ; ed ora spexiaknenle nella eoogiantnra delP Assemblea'
c^ hanno a far gli Ugonotti qaesto mese che Tiene ^ ai'
disegni pertersi de* quali ninna cosa poteva star meglio'
che la continorasione della discordia nella Casa reale. A'
qaestO' termine 'sono le cose della Regina. Memorabile dnnp
qoe sarà ora Tnrs per la tua venuta qna lo tale oec»*
sione , còm' è Biois per la sna foga da quel loogo a* mm
passali. Nel trasferirmi alla Corte io vidi in Blois la fina* '
slra, per dove ella scese di meuanotte, e vidi il resto
(li qael Castello che par riservato agli accidenti più tra-
gici della Francia ; ed in particolare mi feci condarro'
alle camere deli' appartameOto regio, dove fa ammazzalo
il Duca di GoTsa agli Stati generali d* Enrico III. Di qua.
entrò ( mi dicevano ) ; qui ebbe il primo colpo ; qui sfo- '
drò mezza la spada ; qai lo finirono ; e qaa in disparte
stava- nascosto il Re stesso a vederlo mmre '. Più grande '
fa an<^e T orrore che mi cagionò- il luogo dove il di ap-'
presso fa crudelmente ammazzato a colpi d'alabarde il
Cardinal suo fratello. Vidi la camera , dove fu imprigio-
Dato al medesimo tempo il Cardinal di Borbone; e vidi
qoella finalmente, dóve poi otto giorni appresso mori di
dolore la regina Caterina , accorata da successi cosi fu-
nesti , e dalle cotisegaenze anche più funeste^ ch^ ella ne
predisse al morire ; e considerai con grand' attenzione
quelle animate» mnraglie che spirano al vivo le miserie
delle corone in mezzo alle apparenti loro adorate felicità.
JUa torniamo a Turs, ed a questo 4lelizioso paese. Que-
sta veifamenté si potrebbe chiamar T Arcadia di Francia;
X Vengasi la luumiftoae di qiuMi fitttt t pag. 87 dal prtM&U votone
IO»
i
ri 4- IiCTTSRATCftJL ITàLUR^
se i^on cbe ?i ojHiDca nn Saonazzaro francese che la de*
acfiTH. Qui però, se aoo si ebìama questo paese V Àrca->
dia , Tien Dominalo almeno il giardino del regno. E eoa
molta ragione invero ; si- placidamente ri corre tu mezzo
cjnesta belliisima Lojra ; si amene son le sae sponde ; e
n ricche le campagne qna intórno di fmtti e d'ogni vi--
sta più dilettevole. Ma che pare a Y. E. del silo di Tura
con questo borgo air incontrò, dov' è situato qnesto òe^
lebre Monaslerio di Marmotier? Che le pare di quelle
isolette che fanno un^ ponte della natura congiunto a quello
deir arte , per do?e^si passa . il fiume , e s* entra nella
città ? E cbe le pare di tanti arbori cbe sorgono fra le
case dalla parte della città , nel borgo e nelle isoleite
eh' ora udIscoiIo ed ora variano con tanto gusto da tutti
i lati sì vaghe scene ? .Molto meglio^ di me furono osser-
vate forse da Y. E. queste cose medesime 'quand* ella fu
a Tnrs ; ma bo voluto anch^ io rinnovargliene la memo«
ria , e con la memoria il piacere. E tanto basti delle
cose di qua. In Germania i progressi del Conte di Bo«
coj, dopo r arrivo del la^ gente di Fiandra, si sfanno ogni
di maggiori; ed in Francfurt gli Elettori han rÌGODo<->
scinto di già il re Ferdinando per re di Boemia ; ch^ è
per lui una gran caparra delia sna elezione all' Imperio.
Di qua non si può proceder meglio nelle cose di quelle
parti per servizio della religione e per vantaggio di Fer«
dinando. Finirò questa lettera con accusare a Y. E. la
sua delli 27 del passato, e con rallegrarmi quanto più
vivamente posso eon lei , che sia stato promossa al Car-
dinalato il serenissimo infante Don Ferdinando terzoge-
nito di Sna Maestà cattolica. Snccesso invero, che noo
potea essere , né di più grand' ornamento al Sacro Col*
legio, né di maggior riputazione alla Chiesa tutte. E bacie
a Y. E. c;|on riverente affetto le mani.
Di Tnrs, li &o d'Agosto 1619.
SECOLO DICIMOSBTTiaO 11 5
FULVIO TESTI
Piiivio Tesli, nato in Ferrara nell^agosto del tSg^^
aveva già ciato prove di nobile ingegno e di motto
valore poetico nel i6ii. Con tutto ciò si crede che
V anno dopo , entrando ai tervif^io deiia Corte di Mo«
dena , oon ayetse se non 1^ ufficio di copista.
Nel i6i3 il Testi fu a Roma ed a Napoli , nella
prima delle quali città conobbe il Tassoni, nelP al-
tra il cav. Marini^ poi ritornato a Modena, nell'ot-
tobre del i6i49 sì maritò.
Trovasi accennato dhe negli anni seguenti fece un
viaggio a Milano. Nel f6f^ dedicò a Carlo Ema-.
Duele duca di Savoja una nuova edizione delle sue
Blme^ per le qu^li gli convenne poi andar esule, per-
chè il Governo spagnuolo irritato d» alcune sue espres-
sioni si diede a perseguitarlo. Dopo nove mesi scrisse
una supplica in ottava rima al principe Alfonso^ e
ottenne dal duca Cesare la permissione di ripatria-
re. Il Duca di Savoja quando ebbe notizia dell' esi-
lio patito dal Testi in conseguenza delle poesie a
lai dedicate, lo nominò Cavaliere dell' Ordine dei SS.
Maurizio e Lazzaro^ dopo di che il duca Cesare lo
creò suo virtuoso di Camera^ e gli assegnò una pen-
sione.
Questi ed altri favori destarono V invidia degli
emuli ^ ed egli medesimo il Testi, o che la nuova
fortuna lo insuperbisse , o che la propria natura a
questo il traesse, si attirò P inimicizia di molti cosi
iu Modena come altrove , ed a poco a poco si di-
saffezionò anche V animo de' suoi sigQori , dei quali
più volte perdette e riebbe la grazia. Pare soprattutto
che la Corte di Modena gli paresse troppo angusto
campo a' suoi meriti , e che perciò aspirasse a pia
luminoso soggiorno , . vagheggiando ora Roma , ora la
Corte di Savoja.
Dopo il 1629, essendo fatto duca dt Modena
Il 6' IkETTBBÀTUftA ITALIANA
Francesco I, il Testi ebbe moltissimi onori in Carte
e ragguardevoli ufBci presso varii potentati. Quando il
Duca andò a Madrid (nel i638) per levare al fonte
battesimale un figliuolo di Filippo IV , condusse <;oi»
sé il Testi 9 il quale ebbe da quel Monarca una ìvt^
erosa commenda e fu ascritto alP Ordine di S. Ja^o*
Nel 1640 ottenne il governo della Garfagnana ^
governo ( dice il Gorniani ) onorato un secolo pri-
ma dal grande Ariosto ^ ma non seppe al pari di
lui acquistarsi P amore di quegli Alpigiani. Due anni
dopo ritornò alla Corte dove la sua ambizione lo
traeva ^ e vi riebbe tutti gli onori di prima. Ma sul
principio del 164^ fu improvvisamente arrestato, e
addì 28 agosto del medesimo anno morì in prigio-
ne, di morte, secondo alcuni , violenta , secondo
altri , naturale. Si disse cb' ei fosse creduto reo di
delitto di Stato ^ ma il Tijraboschi crede che non
avesse altra colpa tranne quella ^di avere cercato di
entrare al' servigio della Corte di Francia senza nem-« -
manco avvisarne il suo Duca. Forse gli nocque al-
tresì lo sdegno di qualche potente irritato da lui eoa
una delle sue canzoni : al certo poi egli nocque a
sé stesso colla sua troppa ambizione.
U ingegno del Testi fu' senza dubbio forte e no-
bile quanf altro mai. Nelle sue Poesie s^ incontrano
qua e là alcune volte i difetti del secolo in cui vis-
se \ ma vi prevalgono a dismisura le bellezze ed i
pregi. Oltre le Poesie abbiamo di lui molte Lette-
re , scrìtte con nobiltà . e scorrevolezza di stile , e
quasi sempre con brio.
DALLE POESIE.
AWJltezza del Duca di Savoia K
Carlo , quel generoso invitto core ,
Da cui spera soccorso Italia oppressa ,
I Carlo Emannete I fo duca di Savoja da) i58q aX l639 , 9 H soprao»
nouioaU^ 1/ Cnuide,
•SCOI.* DBciaosiTTmo 117
A cbe bada ? a che tarda ? a che più ccim ?
Kostre perdile md le lae dimore.
Spiega r fesegne oniai , le acfaìei-e aduna ,
Fa che le tue TiUorìe il móndo reggia ;
Per te milita al Ciel , per le guerreggia ,
Fatta dei tao valor serva , Portane.
Là Reina del mar *< riposi' il fianco.
Si lisci il volto e s* inoanelli il crine:
E mirando le gaerre .a sé vicine
Seggia oeioso infra le mense il Franco.
Se ne* perigli de I' incerto Marte
Non hai compagno , e la Ina spada è sola ,
Kon len caglia. Signor, e li consola
Ch' altri non ùa de le lue glorie a parie.
Gran cose ^ ardisce , è ver , gran prove tenta
Tuo magnanimo cor , Ina destra forte ;
Ha non innalza i Umidi la sorte,'
E non trionfa mai uoìn che paventa.
Per dirapate vie vassl a là gloria ,
E la strada d* enor di sterpi è piena :
Non vinse alcun senta fatica e pena;
Che compagna del rischio è la vittoria*
Chi fia , se tu non se^ , che rompa il laccio
Onde tant* anni avvinta Esperia ^ giece ?
Posta ne la' tua. spada è la sua pace y
E la sua libertà sta nel Ino braccio.
Carlo , se *l tuo valor qnest* Idra aocide
Che fa con tanti capì al mondo guerra ,
Se questo Gerìon ^ da te s^ atterra
> Ch* Italia opprime , i' vo' chiamarli Alcide.
1 La Mélna ec, Yeneiia.
% Gran cose ee. . Egli h come sa jl Poeta £eeu« :• 3ei^ Vfsggo cbe le im»
prese a cut io ti consiglio , e quelle a cui tu per te stesso gik ti muovi ,
sono ardue e pericolose , ma pensa che npn ec. . .
3 Esperia, Italia.
4 Qeràotte, Mostro di tn corpi » ucciso da Eroole nella Spagna,.
IlS tBTTBRATORl ITAtlÀllA
Non isdegnar frattanto i priegfai e i càrnrt
Che ti porgiamo , e taa bontà o^ ascolti 9
Fio che, di servitil liberi e tciolli,
T^ alziamo i bronzi • ti sacriamo i marmi*
M signor cavaliere Giuseppe FontanellL
Id biasùno deUt tOTerdii* deliiie d«l secolo*
Poco spazio di terra
Lascian omai T ambiziose moli *^
A le rustiche marre , a i corri aratri :
Qaasi che moTer guerra
Del Ciel si roglia agli tlellaoti . poli
S' ergono maosolei , s* alzan teatri ;
E si locan sotterra ,
Fin so le soglie de le morte genti.
De le macchine eccelse i fondamenta
Per far di travi ignòte
Odorati sostegni ji i tetti d^ oro
Si consoman d^ Arabia i bòschi intieri :
Di marmi omai son ròte
Le Ligustiche vene ; e i sassi lorp
Meo belli son , perchè non son stranieri ;
Fama han le pia rimote
Rupi colà de i' Africa diserta^,
Perchè lode maggior II prezzo merla.
Lucide, sontuose
Splendon le mura si che vergognarsi
Fan di lor povertà I' opre vetuste :
ly agate preziose ,
Di Sardoniche pietre ora son sparsi
I pavimenti de le logge auguste.
Tener le gemme ascose
t L'embiUsse se». G^ tdifiaii etetti dall* MobnuoM.
SSCOLO bBcmoiimifo 119
Soa mendlcbe ricchene • vili onoii;
Sì calcano col piede ora i tesori.
CedoD gli olmi e le fili
A V edre, a i lauri ; e fan ielvagge frondi
A le pallide ulive indegni ollraggi.
^ Sol cari e sol gradili
Son gli ombroii cipressi e gP iofeeonA
Platani e i mai non maritati faggi.
Da gli arenosi liti
Trapiaotansi i ginepri , ispidi il crine ;
Che le delizie ancor stan ne le spine.
Il campo ove matura
Biondeggiare la messe or tutto è pieno
Di rose e gigli e di ^iole e nirti. .
La feconda pianura
Si fa novo diserto ; e 1 prato ameno
Boschi a forza produce orridi ed irti.
Cangia il loco natura ;
E del moderno ciel taP ò T influsso.
Che la sterilità diventa lusso.
ITon son , non son già queste
Di Romolo le leggi, e non fur tali
O de* Fabrizi o de' Caton gli osenpli*
Ben Toi fregiati a?esle ,
0 de Talma Città Nomi immortali,
Qnal si doTca , d' oro e di gemme i Templi ;
Ma di fìl canna inCeste I
Le case furo, onde con chiome incolte
1 Consoli di Roma uscir pia folte» |
Oh ! quanto piò contento |
Vive lo Scita , a cui natio ooslnme '
Insegna d^ abitar città f agenti.» i
Van col fecondo armento . .
Ofe.più /fresca è V orba e diiaro è^ fiume ^
/
laO , LBTTKaATUttA ITALI A1I4
t)ì tiete piagge i cktadiai errasti ;
Dan cealo tende a cenlQ
Pop9li albergo; ed è delizia iiutnensa
Sdccbìar rasticù Jatte a ;parca mensa*
Noi, dlJrarbara gente
Più barbari e più folli ^ à gioflo sdegno
La Ratara moviàoio., it Mondo e Dio;
E ne Fozio .presente
Instnpidito, è sì T incanto ingegno,
Cbe lotto ha 1' aTTenir posto ìt\ obblio %
Quasi cbe riferente
Longe da i tetti d' or Morte passeggi ,
E ^1 Cìel eoa noi d^ eternità patteggi.
E por , Gittseppe , è fero
Cbe di fragile vetro è nostra vita ,
Che più si spezza allor che più rispleode.
Tardo. sì 9 ma severo
Panisce il Ciel gli orgogli; e la ierita^
Cbe da Ini viene inaspettata offendei
Non con stii menlogoer9
'Atticbe fole ora mi sogno 'o fingo:
Le giustizie di Dio qni ti dipingo.
In aureo trono assiso
Coronato di gemme a mensa altera '
Stava de V Asia il Re superbo e folle ;
Il crin d^ odori intriso
Piovea sul ^olto effenàinato ; ed era
Pien di ùaìo e lascitia il vestir moQe;
Mille di vagb viso -
Paggi vedeànsi a on solo ufficio inlenti
Jlinistrar lauti cibi in tersi argenti*
Tutto ciò che di raro
la ciel vola , in mar guizza , in terra vive
' Del convito rea! m scelse a gli osi.
SECOLO DEcnionrnao * ^ i a i
YiDi che lagrrmiro
Le Tfli già sn le Crelensi rire
Far con prodiga man sparsi e diffiisi ;
Né soave né caro
Il frutto fa cui doo giagne8S# grido ' ,
0 contraria stagione o stranio lido.
Scaltro garzone intanto
Per condire il piacer de la gran cena
Temprò con saggia mano arpa dorata ;
E sì soave il canto
Indi spiegò, cbe in Elicona appena
Febo formisr paò melodia più grata.
Yér lai sorrise alquanto
L' orgoglioso Tiranno ; e mentre disse ,
^ Non fu chi battess' occhio o bocca aprisse.
O beata , o^ felice
La fila di colo! che *l Fato elesse
A regger scettri , a sostener diademi :
Vita posseditrice
Di tatto il ben che ne le sfere islèsse
Godon lassù gli Abitatola supremi :
Ciò eh' a Giove in ciel lice
Lice anco in terra al Re ; con egaal sort« ^
Ambo pon dar la vita , ambo fa morte.
Se regolati move
1 sooi viaggi it Sol ; se V ampio Cielo
<]on moto eterno ognor si voi ve e gira ;
Se rugiadoso piove,
S* irato freme, o senza nube e velo
Di lucido seren splender si mira ,
Opra 8oV è di Giove y
l Cui non ee, . Quel frutto a cui noa aecMsceife lina^c pM|U» V tutrt
0 fiior di ttagioiù o tenuto da lontani paasi.
LITTBBAT. nàlm — * 1? Il
122 |«ETTERATCR1 ITiUilfl
QaelP è sao Regno , e trìbatarie belle.
A lo sguardo di vin corron le stelle.
Ma se di bionde Tene
GraTÌdi i monti sono , e se di gemme
Ricchi ha^ r India felice antri e 'spelonche ^
Se da le salse arene '
Spuntai! coralli , e ne T Eoe * raarecnme
Partoriscono perle argentee conche ;
Son tue , Signor. Non tiene
Giove imperio quaggiù: questa è la* legge ;
Il Mondo è iu tuo poter : il Cielo ei regge.
Sa dunque , o fortunati
De I' Asia abitatori , al JVnme vostro
Vittime ofTrite e consacrate altari s
Fumino d^ odorati
Incensi i sacri Templi, e'I secol' nostro
Terreno Giove a riverire impari ;
E tu, mentre prostrati
Qui i* adoriam , Signor , de^ tuoi divoti
Avvezzati a gradir le preci e i voti. —
Lusingava in tal guisa
Onesti il Tiranno , e festeggi a n ti e liete
D* ogn*^ intorno applaudian le turbe ignare;
Quando mano improvvisa-
Apparve , io non so come , e la pareta
Scritta lasciò di queste note amare e
Tu che fra canti e risa ,
Fra lascivie e- piaceri ora ti stai ^
Superbissimo Re , diman morrai. •>
Tal fu 'I duro messaggio ;
Nò guari- andò che da I' ondoso vetro '
X Sdse arene. Il letto del mare.
2' Eoe» Orientali.
3 Ondoso vetro. Metafora da non imitarai per dire U mare.
SECOLO DECIMOSBTTIBIO ' f a3
Uscì Febo a cacciar V ombra ooUoma*
lofelice passaggio
'Da real trooo ire a mortai feretro ,
Dal pranzo^ al rogo ^ e da le tazze a V ama !
Cosi Ta chi mai saggio, .
Volgeodo il tergo al. Ciel , sna speme fenda
Ne^ beni di quaggiù lieti qaal fronda '•
Jl sifftor conte Gio$wmi BaUiOa BondtL
Soli* Età ina corrotU dall* oiio.
Ronchi , tu forse a pie de V ÀTentino
O del Celio * or^f aggiri. Ivi tra V erbe .
I Molte bellesM di p«nrieri e di etile cono in qneita cuuoim; iìccImi
n(fa sensa motÌTo si troya in quasi tntte le ooitie Àntolo^e* Woadiiweno io
confèsso di averle dato qui luogo priacipalmeate perche i gioTaoi dalla o0ii-
sidsratione' di que*-difetti che si firanunischiano file kellesse di questo compo*
nimento potranno bastevolmenfe conoscere in cbè consistessero i vini' della poe-
sia italiana nel secolo XTII. ^ Il 'concetto principale d%, questa cantone •
tolto da un* Ode di Orasio , e molli pensieri ne sono anche più particolar-
mente imitati j ma la bellessa e 1* eflBcacia del latino si perdono qui sotto
r ingombro dette aunplificasioni e degli ornamenti. Oramai (dice Orasio) ia
repe moli lascenvmo pochi Jugtri all' aratro f e 'questa breve psoposisione oe-
eupa tre intiere strofe del Testi. Kon dico che ogni ornamento, ogni spie-
gaiione aggiunta a quella sentensa sia da riprovarsi; ma quando , ove OìPI*
aio dice aW aratro, leggiamo nel Testi aUé rustiche marre, ai carvi aratri ^
ben può affermarsi che qui non v' ha - guadagno di sorta, leggio poi saremo
costretti, di confessare qualora guardiamo alla strofa quarta , dove riprovasi
il lusso delle piante infruitupse e straniere , e dove tutto h toìco da Orasio , |
tranne 1' immagine dell* ìspido crine dei ginepri , e queir epiibnema si inu-
tile Che le delizie ancor son nelle spine» — Orasio poi si contenta di citare |
tontro la mala usansa del troppo lusso V esempio istorico ed opportunissimo
de* suoi antichi Ronuni. Il Testi v* aggiunge- queUo degli Scili; esempio né
lodevole ne imitabile , con cui , a mal grado di ogni ornamento poetico , non
può aggiungere nessiua autoritli -al suo assunto. Citando poi la storia di
Baldassarre fa dire al cantore di un Re babilonese molte cose desunte dalla j
greca mitologia che quei popoli non conobbero , e non gli attribuÌMe nh '
anche una parola che dipinga i costumi di qnell* etiu £gli si ricorda di
Otaeto e di Orasio, e non del profeta Daniele da cui la storia di quel su- I
pecbo OMMiarca è descritta con tanta ricchessa di stMÙ t dipoMÌa*
a L' Aventino e il Ce/to sono colli di Roma.
124 UTTEIUTURi ITALIANA
Cercando i grandi avanzi:^ le soperbe
Reliquie yai de lo splendor Latiao,
E fra sdegno e pietà, mentre che miri
Ore Ufi tempo s' alzar templi è teatri
Or armenti muggir , strider aratri ,
Dal profondo del cor teco sospiri.
Ma de r.antiqa Roma incenerite
Ch^ or sian le moli a V età ria ^ s' ascriva :
Nostra colpa ben è cV oggi non viva
Chi de r antica Roma i figli imite.
Ben molt* archi e colonne in più d\uo segno
Serban del Talor prisco alla • memoria ;
Ha non si vede già per propria gloria *
Chi i* archi e di colonìie ora sia degno. ^
Italia, i tuoi si generósi spirti
Con dolce inganno ozio e lascivia han spenti :
. E non. t^ aTTedi , misera ! e non senti
.C!he i lauri tuoi degeoeràro in mirti ^ ?
Perdona addetti miei. Già fùr tool studi
Durar le membra a la palestra, al salto.
Frenar coraieri e in bellicoso assalto
Incurvar archi , impugnar lance e scodi. '
Or éonsigliata dal cristallo amico ^
Nutrì la chioma e te V increspi ad arte ;
E ne le vesti di grand' or. consparte
Porti de gli avi il patrimonio antico» •
A profumarti il seno Assiria manda
De^ la spiaggia Sa bea gli odor più fini ;
E, ricche tele e preziosi lini
Per fregiartene il collo intesse Olanda.
I Aìt§tà ria. Ai tempi d«Ile baiinridM iavMiQui. .
a Far pro/niu «e., ai eostfuiaca: Non M 9ed» ehi, />«f propri^ gbNm tim
3 In mirti* It mire» ttfa mci» ad Amor». Del Imtro fuefaaii U c^tcmm
agli noi.
4 Or eontigUttUi ee» • Ora pardaodo il teinpo imuuui allo specchio ec. .
lECOtO PECmOSITTlllO IftS
Spaman nelle tae meue in tazze aarate
Di Scio pietrosa i peregrini amori ■ ;
E del Falerno in in gli estiTÌ ardori
Doman l'annoso orgoglio onde gelate.
A le saperbe tue prodigbe cene'
Mandan pregiati aogei Nnmidia e Fasi;
E fra liquidi odori in' aurei Tasi
Foman le pesche di lontane arene.
Tal non fosti già tn quando vedesti -^
I Consoli aratori in Campidoglio ,
E tra ruvidi fasci in nmil soglio
Seder mirasti i DittA»ri agresti.
Ha le rustiche man che dietro il plaustro *
Stimolajan pur dianzi i lenti buoi
Fondarti il .Regno , e gli stendardi UM
Trionfando portar dal Borea a V Austro.
Or di tante gfandezze appena resta
Vira la rimembranza ; e mentre insulta
Al valor -morto , alla virtù sepnlta .,
Te barbaro rigor preme e calpesta.
Ronchi ! se dal letargo in cui si giace
Kon SI scuote ¥ Italia , aspetti un giorno
( Cosi menta mia lingua ) al Tebro intorno
Accampato veder il Perso o 'I Trace*
M signor cavaliere linea VainL
Che la vùrtn h più riguardevole della nob<ìi.
Superba nave a fabbricare intento
Dal Libano odorato i cedri tolga
Industre fabbro , e sciolga
I / peregrini ec. . I Tini IforesUeri. Il Falerno fa un viào famoio del re-
S»o di Napoli.
a 11 plamslro. Il carro* L* antica storia di Roma racconta che molti pai*
savane dall* aratro alla dittatura , e da questa nuovamente ali* aratro ; e ciò
aeeadde quando Roma fondò con tante vittorie il »uo grande imperio.
li*
ia6 LETTERATURA ITALiAIVA.
Lucida Tela di tessuto argento;
Seriche ' siao le fuoi , e con. ritorto .
Deote ràocora d^ òr s'affondi in piprlo:
Non per tanto avTerrà che meno ondose
TroTi le fie de' tempestosi regni ;
E a' prettqsi legni
Le procelle del mar sian più pietose; .
He che forza maggior V argentee Tele .
Abbian contro il furor d' Austro crudele.
Che giova a 1' uom Tantar per anni e lustri
De gli avi generosi il sangue e *1 merlo ;
E in lungh^ ordtJi#e certo
Mostrar sculli o dipinti i Tolti illustri ,
Se ^1 nobile e 'I plebeo jcon egual sorte
Approda a i liti de V oscura Morte ?
Là dove * i neri campi , di sotterra
Stige con zolfo liquefatto .inonda ,
E con la fetid^ onda
De r inferna città T adito serra ,
Stassi nocchier che con sdruscita barca
La morta gente a V altra sponda Tarca.
Iti il guerrier del rilucente acciaro.
Si spoglia : itì il tiranno umìì depone
- Gli scettri e le corone ,
E r amato tesor lascia T a Taro : '
Che 'I passeggier de la fatai palude
Nega partir se non con 1' ombre ignude.
O tu , qualunque se^ , che gonfio or Tai
Più degli altrui che de^ tuoi fregi adorno ,
Dopo V estremo giorno
Più cortese nocchiej: già non aTrai ;
1 Seriche. Di seta.
2 Là dwe ec.. Descrix* il passaggio da questo, all'altro mondo coi co-
lori- della Bfitologia.
IBGOLO DECIHOIBTTIMO I^J
Ha Dado spirto , oiDl>ra meodica e metta ,
Varcar tr oonrerrà V onda fanesCa*
Orgoglioso paTone, a che li rante
Del cicco onor de le gemmate piarne?
Gira più basso il lume
De* tuoi fastosi rai ) mira le piante :
Coprirao brete èàuo , angosla fossa
Le loe superbe si ma fracid' ossa»
Da preziosa fonte' il Tago ascendo
Semina i campi di dorata arena i
Ma qoal ruscel eh' a pena
Vada con poche stille il saol lambendo
Sen corre al mar ; né piò fra i salsi amori
Raffigurar si pon gli aippi tesori*
De i ' 'trranni . a le reggie , ed a' tuguri
De' rozzi agricoltor con giusta mano
Picchia la' Morte. Insano , ''
£ chi spera sottrarsi a i colpi duri.
Grand^ urna i .nomi- nostri agita e gira ,
E cieca è quella man che fuor .li tira.
Sol la Tirtù del tempo infido a scherno
Toglie r nòm dal sepolcro e '1 serba jn ?ita.
Con memoria gradita
Yife del grande Alcide il nome eterno,
]^on già perchè figliool fosse di Giote ,
Ma per mille eh* ei fece illustri prove.
Ei gioTinetto ancor in doppio calle
Sotto il pie si mirò partir la via,
A sinistra s* apria
Agevole il seotier giù per la valle ;
Fiorite eran le sponde , e rechi e Jenti
Quinci e quindi scorrean liquidi argenti.
Rapida 1' altra via , scoscesa , alpestra
Salia su per un monte, e bronchi e sassi
Rilardavano i passi.
ia8 LETTERATURA tTALIARA
Generoso le piante ei Tolse a destra ,
E ritrofò il seotier de l'erto colle
Quanto piò s' inoltrara , ^ognor più molle*
Onda fresca , erba ?erde , aura 8oa?e
Godean V eccelse e fortunate cime :
Qaifi tempio sublime
Sacro a V Eternità con anrea chiaTe
Virtù gli aprio : quindi spiegò le penne ,
E luogo in Ciel fra gli altri Numi ottenne.
Enea , s' a lo splendor de gli aTi egregi
DÌ tua propria virtute àggiogni il raggio.
Al paterno retaggio
Accrescerai di gloria incliti fregi.
Io da lungi t' applaudo , e riverente
Adoro del tno crin 1' ostro nascente.
M signor conte Raimondo MonUeuccolL
la biasyno de* GMndi supeibi ^ .. n
Ruscelletto orgoglioso ,
ChVignobir figlio di non chiara fonte
Un natal tenebroso
A Testi intra gli orror d' ispido monte ,
E già con lenti passi ^
PoTero d^ acque isti lambendo i sassi ,
Non strepitar cotanto ,
Non gir si torvo a flagellar la sponda,
Che, benché maggio alquanto
Di liquefatto gel * t^ accresca 1' onda ,
SopraT Terrà ben tosto
Essiccator di/ tue gonfiezze agósto»
1 È i(snoto qaal foue veramente il pwsoiiaggio contro -cui il Poeta direese
questa forte e bella allegoria | alla .quale poi recano i biografi V improTTÌsa
fi? entura a cui soggiacque.
X Di liquefatto ec. . Le nevi liquefatte dai primi caldi dell* estate sogliono
ingrossare per qualche tempo anche i piccioli torrenti, che p«i nell* agosto
inaridiscono» Non cosi i veri e grandi fiumi» come il P«k
SECOLO DBCiaOSETTiaiO 1^9
Placido in leoo a Teli
Grao* re de* fiami il Po ditcioglie il corto |
Ma di Telati abeti
HaoehiBè eccelso ognoc tostien lol dono,
Kè per arsura estiva . -
In più breve coofia ttrigae saa rira«
To le gregge -e t pastori
Hinaociando per 'fU spomi' e ribolli-,
E di BOB propr} aoMri
Posaesaor moneataBeo il corno estolli '
Torbido obliquo, e qoesto
Dei tuo sol bai'; lotto alieao è il resto.
Ma fermezza non tiene -
Riso di cielo , e sue ficende ba V aimo i
In nude aride arene
A terminar i tuoi dilav) andranno ,
E con asciatto' piedo
Un giorno ancor'' di calpestarti ho- lede.
So che 1'. acque son sorde,
Raimondo, e cb' è follia garrir col rio ;
Ma sovra aooie corde
Di si cantar talor diletto ba Clio * ^
E io mistiebe parole
Alti sensi al tiI volgo asconder mole*
Sotto ciel non lontano
Por dianzi ìnlnn^idir torrente i* vidi ,
Che di tropp' acqne insano
Rapita i boschi e divorava i lidi;
E gir credea del pari.
Per non darabil piena , a* più grao mari*
Io dal' fragore orrendo
Lungi m^ assisi a romit* alpe in cima ,
1 // oorÀo. I fiumi rappresentavasù sotto la forma di un toro.
2. CUoj cioè ; La M«sa ) o in. general« : I poeti.
l3o LETTERATDBA ITALUHA
In mio cor rivolgendo ,
Qoarera il fiome allora e qual fa prima.,
Qaal facea d«J passaggio
Con non legiuim' onda a i campì - oltraggio.
Ed ecco il crin ▼aganle
Coronalo di lauro e pia di lume
Apparirmi davaote
Di Cirravil biondo re Febo il mio nome:
E, dir: Mortale orgoglio '^
Lubrico ha il regno, e rovinoso il soglio.
Mutar vicende e Toglie , ■
^ D^ instabile fortunf è slabiP arte;
Presto dà , presto toglie , ^
Viene e t'abbraccia, indi t^ abborre' e parte:
Ma quanto sa si cange ;
Saggio cor poco ride e poco piange.
Prode è '1 noccbier che '1 legno
Salva tra fiera aquilonar tempesta ;
Ma d* egual lode è degno
Qael eh' al placido mar fede non presta ,
E deir aura infedele*
Scema, la turgidezza in scarse vele '•
Sovra ogni prisco eroe ^
Io del grande A-gatode * il nome onoro ,
Che delle vene eoe
Ben su le mense ei folgorar fe^Toro^
Ma per temprarne il lampo.
Alla creta paterna anco die campo.
t in écarse velej cioè t Saggio h iX nocchiero che non dispiega iutte le
vele al Tento > benché so£f) a seconda. JB faor di metafora • Saggio . « colui
éhe non si -abbandona totalmente alla fortuna propizia.
a Agatocìe figliuolo di un vasajo diventò re di Siracusa, e si dice che
▼olle sempre avere alla, sua mensa fini gli utensili d* argento qoidcba vaso
di terra che gli ricordasse T umiltà del suo pnmo stato.
SEGOLO DECIMeSETTiaO l3f
Parto vii della terra
La bassezza oocaltar de^ saoi natali
Non poò Tifeo ■ : par gaerra
HoTC air alte del ciel soglie immortali.
Che fia? Sott'Etna cólto
Prima che morto ì^ì riman sepolto*
Egaal fingersi tenta
Sa Imeneo * a Giove ali or che tanna ed arde ;
Fabbrica nnbi, inventa
Simulati fragor,, $amme bugiarde ,
Fulminator 'mendace
Fulminato da senno a terra giaee. ^
Mentre Y orecchie i' porgo '
Ebbro di maraviglia al Dio facondo ,
Giro lo sguardo e scòrgo
Del rio superbo inaridito il fondo*,
E conculcar per rabbia
Ogni armento più vii la secca sabbia/'
DALLE LETTERE
M Serenissimo Duca di Modano.
Dopo che VA. y. m'onorò del titolo di sao servitore
io non le ho mai chiesta alcuna grazia, che riguardi Ta-
vanzamento e comodo mio personale ; si perchè sapeva
die la generosità del suo animo non aveva bisogno di
stimoli, si perchè la riverenza della mia volontà non
aveva ardire di presentarsele d' avanti con alcuna sorte
di pretensione. Ora T angustie in cui sono ridotte le cose
della mia casa, e ^1 desiderio di vedere in qualche parte
1 Tifeo «DO dei giganti figliuoli della Tenra che diedero V assalto ali* O-
limpo, e fialminato da Giove fu scbiaedato sotto TEtna.
a Salmonto , figliuolo di Eolo re dell' Elide , volle conlrafl&r la possama
di Giove, e mostrarsi agli nomìiii come padrone del fulmine. Ma Giove lo
ftthttiiiò davvero.
igli, M 6hm» é Boa seoza
V. A.^ ed esporre agli
MK ■■Maaae avppiicazioni.
* a^B^^r liBipo Spniai è liceszìato dal
di « • ^ 9 od io aaoBg^HBOB dbe il Govemo
A ^oeslo aspi-
I mtBÈ pOHKn BMHbr Efla mm mt npolaMe me*
VaUkà o irffeieKm io bm io |olMii che possa
o 1. A.» So kao dbe F appGcaiiooe al suo
ck' EBT ko aeapre potolo
_ io hì aia stalo. Hoo
« Ko di 6nBÌ oaaBer obvoKbìv; bo procorato
£ iHuMJ in
lio
3 Rieri, gowcroatore
I, cy fii ««fi? Toeoo d'olaoi altri
di pnemm 3 aio ^mU^g^ eoo al-
Im wam ■■« aaoo ■die; e lo alalo io cai
di
S^i^diT. JL;oa
torio eoi |fcWìi|,noa durai^
dd
k
^ tvMiOMROM «Ipfel o dik
«ritoioii <( aKC^ìSbro «dna io
#MUie
SECOLO DBCIMOSBTTIHO ]33
irebbe farsi con* eseinpia del già signor conte Gio?aniti
Battista Roachi , che si fermò più di tre anni alla Corte
eatloIi<:a , perchè coll^ esempio del medesimo e per gra*
zia speciale di V. A. io potessi godere anche 'di lontano
qnegii alili ed emolamenii che il detto signore fa solito
di g€>dere mentre st trattenne in Ispagna. Non ho volato
ricorrere ad alena mezzo d'aatorità per disporre TA. V.
a qoesta grazia.; perchè siccome non devo angastiare Ta*
nimo sao con alcnna violenta impertanità , cosi non vo-
glio da altra mano che dalla saa riconoscere i miei solle-
▼anaenti. Sappiico ainilissimamente PA. V. a perdonarmi
r ardire cagionato dalla necessità , ed a persuadersi che 9
col Governo e senza ,.io sia per chiamarmi sempre bene-
ficato e rimuneralo da lei : alla quale con profondissima
riverenza m' inchino.
>l Roma li ^6 loglio 1634.
Dopo i discorsi .^narrati a V. Altezza nell' altra mia ,
il Papa ' levatosi da sedere s* è messo a passeggiare per
la camera, e con viso ridente m' ha dimandato che fào-
ciaDO le mie Hase. Io colla rooltiplicità delle occupazioni
ho procarato di scasare la mia negligenza; ma Sua San-
tità ripigliandomi ha soggiunto: E^noi pure abMamo qua!-
die n^ozio ; e con tutto ciò per nostra ricreazione fac^
ciamo alle volte qualche componimento. Ci sono nltima-
meote asciti dalla penna alcuni versi latini, e vogliamo
che T. S. li .senta ; «^ e cosi tirandosi nell* altra camera
dove dorme, ha dato di piglio a nn foglio, e m*ha letta
an' Oda fatta a imitazione d^ Orazio che veramente è
bellissima. Io T ho lodata ed esaltata fino alle stelle, per-
chè cerio nei componimenti latini il Papa ha pochi o
UrrSSAT. ITÀL. - IV id
l3a LBTTERàTURl ITALlAlTjL
solleTata la fortuna de' mìei figli , mt Taono^ é non senza
rossoYe, rompere il silenzio con V. A.^ ed esporre agli
occhi della sua benignila le mie umilissime sopplicazioni.
Intendo che il signor Xicopo Spaccini è licenziato dal
servigio di V. A. , ed in cesseguenza che il GoTcrno
della Garfagnana di nnoTO r.esta vacante. A questo aspi«
rerebbero i miei pensieri mentr' Ella me ne riputasse me-
ritevole. Di fede e di divozione io nod cedo a chi che
sia. D'abilità e sufficienza, io non se quello che possa
promettere a V. A.. So bene che V applicazione al sao
servigio sarebbe quella stessa db' EH'-' ha sempre potato
conoscere in ogni quAlooque luogo io mi sia slato. Noa
è piaciuto a Dio di farmi nascer cavaliere; ho procurato
Dondimeiro colle mie onorate operazioni di mettermi io
posto e credito tale, che per questa parte io non ho
molto da dolermi della fortuna» Mia il Ricci, governatore
della slessa provincia, chi fu egli? Taccio d^ alcuni altri
per non mostrare di procurare H mio vantaggio con al-
trui discapito, Le mie mani sono nette; e lo stalo in cai
mi ritrovo dopo tant^ anni di servitù e con una carica
della quale altri forse avrebbe sappto molto bene appro»
fitlarsj , ne può rendere hidubitata testimonianza. In co-
iesla ritiratezza potrei risarcire le cose mie ; e in cosi
fatta solitudine potrebbe la mia penna mostrarsi grata
alle glorie di V. A. ; e se non dubitassi di parer teme-
rario nel paragone direi , che V Ariosto ancora fu dalla
grand^ anima del duca Alfonso I onorato di quel Go-
verno. Io non posso sapere se Y. A* abbia pensiero
di rifermarmi qui o di richiamarmi a Modana ; so- che
oeir una e nelP altra guisa io son prontissimo aò ubbi-
dire : ma che oell' uno e nell* altro luogo il mio stato
ha bisogno di qualche sua benigna riflessione. Se Y. A.
mi facesse mercede del suddetto Governo., e volesse poi
anche per qualche tempo tenermi in Roma, ciò pò*
SECOLO DECIMOSBTTIHO 1 33
irebbe farsi coìY eseiopio ilei già iigaor conte GioTanni
Bfttliita RoBchi^che si fermò pili di Ira aoni alla G>rle
eatlolica , perchè coll^ esempio del medesimo e per gra«
zìa speciale di V. A. io potessi godere anche 'di lontano
qnegli utili ed emolumenti che il detto signore fa solito
di godere mentre si trattenne in Ispagna. Non ho volato
ricorrere ad alcnn mezzo d' autori là per disporre V A. V.
a qaeata grazia.; perchè siccome non devo aognstiare i'a*
nimo ano con alcuna Tiolenta impertanilà , cosi non vo-
glio da altra mano che dalla sua riconoscere i miei solle-
vamenti. Supplico umilissimamente PA. V. a perdonarmi
r ardire cagionato dalla necessità , ed a persuadersi ch<*,
col Governo e senza ,.io sia per chiamarmi sempre bene-
ficato e rimuneralo da lei s alla quale con profondissima
riverenza m' inchino.
Di Roma li %6 luglio 1634.
JUo iUSMO,
Dopo ì discorsi /"narrati a V . Altezza nell' altra mia ,
il Papa * levatosi da sedere s^ è messo a passeggiare per
la camera , e coji fiso ridente m* ha dimandato che fac-
ciano le mie Hase. Io colla rooltiplicità delle occupazioni
ho procurato di scusare la mia negligenza; ma Sua San-
tità ripigliandomi ha soggiunto: E- noi pure abbiamo qual-
che negozio ; e con tutto ciò per nostra ricreazione fa(^
clamo alle volte qualche componimento. Ci sono ultima-
mente asciti dalla penna alcuni vèrsi latini, e vogliamo
che T. S« li .senta ; -^ e cosi tirandosi nell* altra camera
dove dorme, ha dato di piglio a un foglio, e m'ha letta
un* Oda fatta a imitazione d^ Orazio che veramente è
bellissima. Io Tho lodata ed esaitata fino alle stelle, per-
chè certo nei componimenti latini il Papa ha pochi o
LsrrnAT. itàIn - iv id
l34 LETTERATURA ITALIAHA
nissDDO che ragguagli. E toroala Sua SaDlità a sedere,
e diffondeodocì ameodoe, cioè il Papa nel compiacimento
delle lodi ed io Dell' iograDdimento degli eDcomj, è tor-
nato un^ altra Tolta a levarsi in piedi, e menaodomi nella
atessa camera m' ha fatta Tederé nn' altr' Oda por latina
oontra gì' Ippocriti , graziosa m rero e bella al paragone
dell* altra. Messosi poi a passeggiare per la camera m* ha
detto d* avere molte composizioni toscane fatte da poco
tompo in qaa , e di Tolere eh' io le vegga nna per una.
Ha. rese a me le lodi che ho date alle cose sue, ed ha
parlato della mia persona in forma che a me non istà
bene di riferire. M'ha dimandato in ultimo se V. A. si
diletta di poesia , sapendo molto bene che ha studiato
da giovane. Ho risposto che si; e non ho mentito in que-
sto : ma per secondare Tumore di Sua Santità colf adu-
lazione, vi ho subito aggiunta una grandissima bugia, cioè
c^e V. A. tiene del cootintio sopra la sua tavola il libro
delle sue Poesie latine , e che ne sa alcune alla mente.
y. A. stupirebbe se sapesse quanto Sua Santità si sia
rallegrata di questo , ed io gliene do conto perchè si
compiaccia d* autenticare la mia bugia con farsi ritrovare
su la tavola il suddetto libro quando verrà Marzerino e
Stonsignor 1' Arcivescovo di Santa Severina ; ed abbia
memoria ancora di farne loro qualche motto, perchè que-
sta bagattella può giovar, infinitamente. Se V. A* non ha
il libro, comandi che gli sia cercato nel mio gabinetto
della Segreteria, perchè vi dovrebb* essere., se la memo^
ria mal non mi serve; ed in ogni caso il Vescovo mio
fratello Taverà in casa. Riverisco umilissimamento l'A. V»,
e prego Dio benedetto che le conceda il colmo d' ogni
grandezza e prosperità.
Di Roma li zi agosto i634.
•BCOtO DBCmOSBTTlBIO l35
DANIELLO BARTOU
U Italia ha pochissimi prosatori che nèlki purità
delle voci e nelb varia elegansa delle frasi uguaglino il
P. Daniello Bartoli gesuita. Imitarlo non sarebbe font
utile quando bene (bike possibile; perchè quella sua
squisitezza di stile è spesso > troppo lontana dalla po«
pokrità ) e dopo.. la lettura di alcune pagine stanca
non di rado anche coloro che eono capaci d^ inten-
derla e d^ apprezzarla : propqrsi di conoscere tuita
la grande ricchezza d^l nostro idioma , tutte le ri«
poste bellezze delle quali esso può vestire ogn* ideai
e non leggere i volumi del* Bartoli , sarebbe un la-
sciare in disparte ciò che può condurci al fine de-
siderato con pia speditezza e comodità.
Egli nacque in Ferrara nel 1608 : entrò di quio*
dici anni nell^ Ordine de^ Gesuiti in Novellara : de--
siderò di dedicarsi alle missioni nelle Indie, ma per
ubbidire a^ sqoi superiori dovette invece dapprima
insegnare per alcuni anni Rettorica , e poi consa«
<;rarsi alla predicazione^ nella quale, si procacciò mol«
tissima fama. Nel i65o fu chiamato a Roma, dov^
ebbe incumbenza di scrivere la Storia della Compa-
gnia; e quivi mori aM3 génnajo del i6$5. Il graa
numero de^ volumi che il Bartoli ci ha lasciati &
manifesto che quella poltura di stile a cui altri non
saprebbe pure accostarsi senza uno 'studio continuo j
era a lui divenuta famigliare e naturale.
La Storia della Compagnia di Gesù^ alla quale
premise la vita. del fondatore san tMgnazio, fu da lui
divisa secondo i paesi nei quali que' Padri si spin-
sero a predicar P Evangelio, e sono l'Asia (cioè le
Indie orientali, il Giappone , la Gina) ^ rioghilterra
e r Italia : dal qual diségno gli venne un ordine più
chiaro , ed anche il vantaggio di arricchire i suoi
l36 LBTTBBATITBA ITAtlAllA
libri con molte ootizie sni luoghi e sui costumi de-
gli abitanti.
Scrisse poi alcune Vite d^ illustri Gesuiti, e molte
opere di vario argomento , fra le quali se ne con-
tano alcune spettanti alle scienze , altre spettanti alla
lingua ed alla gramtìoatica ^ e tutte con somma ric-
chezza e purità di lingua '• Ma^ per essersi tròppo
attenuto alla filosofia peripatetica .cb^ i Religiosi fu-
rono ultimi ad abbandonare , una gran parte di
que' suoi volumi non si potrebbe leggere senza vero
perdimento di- tempa. Anche dal. lato dei concetti
egli ( fuorché nelle Storie ) è spesse volte riprove-
vole, e cade nelle sofistiche sottigliezze e nei falsi
ornamenti del suo secolo ^ dei quale* potrebbe dirsi
che di qualche odore anche quel suo studio, per-
pètuo di voler dire ogni cosa in modo peregrino e
con eleganza inusata. Alcuni poi appuntarono certe
voci e frasi da lui usate^ e perchè le condannavano
con quella solita formola: questo nan si può cUre^
egli scrisse contro costoro una singolare operetta ,
intitolata : // Torio e il Diritto del non si può ^ dato
in giudizio sopra molte regole della lingua italiana.
Del qual libro disse benissimo il'Fontanioi, che i^a
preso con discernimento ^ per insegnarsi in esso a
difendere gli errori di lingua^ i quali è meglio non
fare che avergli ostinatamente a difendere.
DALL* ASIA.
San Francesco Saverio rìiUMCÙa un fincwOo.
Stava il SaTeriov in nna chiesetta dedicata al santo
Protomartire Stefano, parato per celebrare, quando udì
appressarsi ?oci di gran lameoto e pianti aHa disperata ;
e chiestane la cagione , fogli detto , quella essère una
infelice n^adre , che coi parentado e i Ticini , veniva a
I 11 SfaisuccbeUi annovera diciassette opere.
8BCOLO DBC1H0SETTÌH« lì']
seppellir quivi oo suo .figlinolo , cadalo disgrasiaUmente
ìa QD pozzo , e aonegato?!. lateaerìssi il Saoto alla scia-
gura del figliuolo e al dolor della madre; e, come sta*
▼a , IQ abito sacerdotale , fattolesi incontro per conso-
larla , poiché ella il .vide , venoe sobito in isperanxa
die riavrebbe, per suo niezzo il figlinolo : e prostesaglisi
innanzi , e abbracciatigli strettamente i piedi , più col
pianto che con le parole, il pregò a risuscitarglielo:
dicendo , che ben poteva farlo , tanto sol che il volesse «
^li che appresso Dio poteva ogni cosa: non le negasse
una sì giusta domanda*, che ^ lui non costava pici che
una brieve preghiera ; a lei e al suo figliuolo Importava
la vita. Non furono sparse in vano quelle lagrime e quei
prieghi, non della madre sola, ma ancora de* circosta»^
ti, che piangendo con lei, ad .alte voci il pregavano
della grazia. Si. pose' il ^anto ginocchioni, e orò breve^
mente ; indi levatosi , e preso per la mano il fanciullo ,
gli comandò, che, in nome di Gesù Cristo, si alzasse
e vivesse. Incontanente ne seguilo V effelto ; e grldanda
tutti, miracolo I vollarono i lamenti in voci di giubilo,
e il pianto di dolore in lagrime d' allegrezza.
Opposizióne dei Cristiani di Ternate ^ che san Ft'ancesco
ebbe a sincere per passare neW Isola del Moro^
Già V antica e la nuova cristianità del 9f oloco era
in isia^o da fidarsene tanto, che parve al Santo .Padre
poter sicuramente recar ad eflfetto quello, di che, fin da
quando stava* in AmbóLoo *, avea conceputo un accesissimo
des^lerio; e in parte, per adempierlo, quivi di colà si
era condotto. Ciò era , di passar oltre a portar la Fede
e il nome di Cristo alla tanto temuta nazione del Moro.
Ma sul primo mettersi in procinto di quel pericoloso pas*
I Ternate è U prìncipak dtlla ùol« Moluecha ne\ man deil* lodUt.
s AfnbòiHO* Una delU ìm1« Moluccbet
lai*
' 1 3S LCTTERATUBl ITALIlNA*
saggio , anzi al solo dirne che fece , tanti e si gagliardi
incoiitri si atlraTcrsàroDo al tao disegno, che fuor che an
caore, anti an zelo apostolico come il suo, non sarebbe
riuscito bastevole a saperarli. Navigare a quelle isole,
pareva a^ Cristiani di Ternate quanto andarsi a cercar
da sé stesso la morie , per mano di gente , la quale , se
per gola di carne umana , di che 'sono ingordissimi , a
quegli del proprio sangue non la perdona; quanto mcitoo
ad un forestiere, di paese incognito, di religione contra-
ria , di nascimento , appresso que' barbari , barbaro , e
non difeso dal timore delle armi de' Portoghesi ; i quali
colà pòco usavano , dovef non eran mantenimenti per vi-
Tere, non che mercatanzie per trafficare. Se altro non
.fosse , che V infelicissima condizion del paese , in certo
modo maladelto dalla natura ; si povero é d^ ogni bene ,
e in acconcio più di fière che d^ uomini , tutto dirupi e
balzi di monti e selve impraticabili , acque salmastre ,
aria gravosa , oltre alle spesse piogge di penere e di fuo-
co , e alle tempeste di sassi , che con orrèndi tremuoti
dalle voragHii , sia della terra* o dell' inferno , si scaglia-
no : il mettersi per colà , non èra un gittarsi a morire
alla disperala ? Ma nulla fòsse di ciò. Che poteva spe-
rarsi da uomini divoratori denomini, privi d'ogni altro
ingegno , che da lavorar veleni , e senza uso. d' altro di-
scorso , che da ordir* tradimenti , di che sono eccellenti
maestri ? Tra ladroni poi , che hanno per arte da so-
stentarsi il rubare T altrui, chi il manterrebbe del suo?
Chi il guiderebbe aUe selve e alle caverne , dove tanti
di loro a guisa di fiere s' annidano , quivi addestrando
i piccoli figliuoli a saettare i cignali , perchè da quella
scuoia più ammaestrati, escano alla caccia degli 'uomini?
Come innesterebbe principi ,di legge divina in petti ,
che parca non avessero uè pur quegli del primo istinto
della natura ? Gli converrebbe prima recarli ad essere di
8BC0LO DBGIMOSBTTIHO ì3^
bestie oomini, poscia d' oomini farne Cristiani;' e a tal
•fine 9 divellerne la fierezza , la disonesti^ , la barbarie , "e
mille altri viz) , trartti dal nascimento , cresciuti seco con
gli anni, e con V oso fatti natura. Era ciò da sperarsi ?
E fosselo non pertanto. Cambiasseli fino a. recarli a co-
stami d' nomini , a legge di Cristiani. Quanto ci si ter-
Tebbono fermi? DQrei;ebbono in tal essere ', se non quanto
egli dorasse bon loro? E chi di poi soltentrerebbe in sua
▼eoe a mantenerli ? Chi avrebbe un cuor , come il suo ,
per ardire ; e ono spirito , come il suo , per poter tan-
to ? Non era ancor secco il sangue di Simon Yaz sacer-
dote , che in onta e in compagnia de' Portoghesi , am-
mazzarono a tradimento. Né il movesse desiderio di mo-
rire colà martire di Gesù Cristo; che il loro uccidere,
era fierezza di genio bestiale , non odio di religione che
non conoscevano. Mancavano quivi intorno isole a miglia-
ia , dove non era ancor giunto il primo conoscimento di
Dio, e vi si porterel^be.con frutto? À che gitlare la pro-
pria vita e la salute altrui , per una speranza incerta ,
anzi per qua certa disperazione? - Queste ragioni non me
le ho io lavorate da me medesimo. Furono veramente
quelle che ! Cristiani di Ternate ( i quali tenevano il
Saverio in queiP amore che padre * , /s in quella reverenza
che santo ) , per estrema pietà che d' ogni suo male ave*
vano , gli uni a vicenda degli altri , gli dissero ; aggiun-
gendo poscia alle ragioni, efficacissimi prieghi e lagrime,
per distornarlo e svolgerlo dal suo proponimento.
Ha poiché videro , che di niun prò riusciva quanto
essi ado|>eravano per impetrare che si rimanesse da quel-
la andata , passaron più avanti ; e dalle ra^gioni si volsero
alla forza , fiuo ad indurre il Capitan di Ternate » far
•evero divieto, pena fa nave e-T avere ^, niun marinajo
1 In tal esserti cioè : Nella qualità di Crìstiani.
a in que^ ec, . In quell* amore in cai tuoi teneni il padre.
3 Pena la na»e ec.» Sotto pena di perdere la nave # le •o»tanie*
I40 LETTEHATnBA ITALIANA
fosse ardito di navigare 'il P. Francesco a ^ual si. fosse
delle isole del' Moro. Egli allprà si risenti , e forte do^
Jendosi del poco veder che facevano nelle cose di Dio ,
«ali in pergamo ; e sopra P abbandonanento di qaella
misera gentilità , orò con tal veemenza di spirito , che
non solamente gì' indusse a rivocare il divieto, e non di-
sdirgli r andata,' ma giunse fino ad. accendere nel cuor
di molti , desiderio e proponimento di seguirlo , e d* es^
tergli, senza niuti risparmio della vita , compagni della
navigazione , coadiatori nelle etiche , e consorti , biso**
gnandolo, nella morte. E chi erano essi (^ disse il Save-
rio ) , che uléttevano termine alla potenza di Dio , e si
cortamente sentivano delia sua grazia ? Quasi vi fosse
durezza di cuori si ostinati , che non bastasse a rammol-
lirla ;«o rozzezza d' aoime sì selvagge, che non fosse va-
levole a domesticarla quella soave, ma incontrastabile
virtù deir Altissimo , che può far ffottare le verghe
aride e morte, e suscitar dalle pietre i figliuoli d"* A-
hramo. Poveri di- cuore e 'ciechi di mente che erano 1
Chi avea convertito il mondo alla' sua Fede, e soggettate
le nazioni, d^gli nomini alf imperio della sna legge, man-
cherebbe ofa in un palmo di terra ? Sole le isole del
Moro sarebboDO sterili a) coltiva'mento della mano di Dio,
e non potrebbe egli farvi allignare, e dar frutti d'eterna
salute , la Croce del Salvatore ? E quando il suo Padre
offerse a Cristo in eredità tutte le genti , soli se. ne ec-
cettuarono i Morotesi ? Soiìo incolti-, sono selvaggi, sono
bestiali.. Sieno anche peggiori. E per questo medesimo,
ch^egli non àyea che sperare nella propria virtù per tras-
mutarli , maggiormente lo sperava ; tutto affidandosi a.
Dio, dal cui solo potere deriva quanto, nella conreirsione
delle anime , le umane forze , a si grande opera da sé
in tutto sproporzionate, ricevono. E se per esser costoro
I Nariffu^j in significato di Condurre po' awe*.
SBGOLO DECIHOSBTTHIO l^'I
A barbari ., e si malagevole V addimetticarli , ftoa v* era
cbi ardisse di prenderli a odiivare, preoderali egli a sao
rìschio* Ad altre naBioni , o piii colte , o meo barbare 9
altri non maocberebbono : queste fofsero soe, perchè noil
sarebboQo di niono. lUò doTeao perciò dargliene biasimo
di temerità. Se le isole del Mord avessero seire d'aro»
mati , montagne d^ oro e mari di perle ^ bc^ avrebboa
coore da navigar colà, e vìncere ogni pericolo, per farvi
loro incetto e lor commercio 1 Cristiani : or che non v' è
altro che anime da guadagnare, non v*è nulla che me-
riti? E la carità. ne^ figlinoli di Dio, non ha da aver
tanto animo , quanto n' avrebbe V avarizia ne' figlinoD de)
secolo? M^ uccideranr, /dite voi, di veleno odi ferro« IloD
ve ne diate pensiero ch^ io non merito tanto '• Questa 000
è grazia da uomini , come me» Ma ben vi dico ( sono
parole sue proprie ) , che .non sono tanti i tormenti e lo
morti che mi possono dare , che più non ' sia apparep»
chiato di riceverne per la salute anche solo d* un' ani*
ma. E che gran cosa è, che un uomo mooja per salvar
quegli, per cui è morto Iddio? E forse, quando por
cosi avvenisse, a convertir quelle genti sarà più possente
il mio sangue che la mia voce. , Cosi , fin dai primi so*
coli della Chiesa , è nata e cresciuta la sementa delP E*
vangeKo nelle incolte terre del gentilesimo, più al rigo *
del sangue de* martiri , che del sudore de* predicatori.
Fini , dicendo , che non v' era qui che temere aUro che
il propri<^ timore. Iddio il chiamava culà : per uomini
non si rimarrebtie d' andarvi.
Marte dèi R Antonio Criminale in Remanancor,
Seimila tra Saractni e idolatri , •* adonarono in cam*
pò, tutti bene in punto d^ armi in asta , d*«rchibosi, e
X Non merito tanU>$ cioè : H on marito U gtoria del martirìo.
3 Bi^ Bìto.
142 LBTTBRITUHA ITALUICA
d*^ogni maniera dì saetlanie alla moresca ; e levate le io*
•egae , senza batter tambaro , s* aTvtarono io Verso Re-
manancor si chetamente , che i Portoghesi non ne sep-
pero, se non in qael medesimo che li si videro sopra*
Ma perchè i barbari Tenivano non tutti in corpo^» e con
ordinanza , ma spartatamente e scatenati , a più e meno
insieme , e chi più tosto , e chi più tardi , convenne a^
primL far atto , sin che sopraggi ungessero i più lontani :
e intanto, mentre ingrossaTano , i Portoghesi ebbero agio
da recarsi insieme , spiar de^ nemici , e prétider consiglio;
benché quanto al consiglio non ?Ì fu che dibattere ', si
ooDcordemente si stabili di ritirarsi al mare , e abbando-
nar quello che non si poteva difendere. I nemici, essere
oltre numero molti : quaranta eh* essi erano ^ non fàv
corpo da sostener contro a tanti \ e i paesani da non.
fidarsene in tal estremo, come più destri a pescare die a
combattere: il Forte, male in difesa, e da non tenersi
ad assalto': sopra totU>, le armi da fuoco, inutili 4- per
mancamento di polvere. ^ Il P. Antonio Criminale , che
^ivi appresso ammaestrava ne* Divini Mister} un viila§»
già da lui poco avanti battezzato ,: intesa la- venata de'
Badagi verso Sedala e Remanancor, subitamente v' ac»
oorse, e trovati i Portoghesi in punto di metterai in ma-
re ^ increscén dogli de^ Cristiani di quelle Terre^ che. privi
di difesa e di scampo, rimaneano allo strazio de^ nemici,
pregò il Capitano, di cercar se v*era luogo a patteggiare
e comporsi co' Badagi, salve almeno le vite loro e de*
paesani: ma egli, fermo d* andarsene, non caro altro che
i suoi; ì terrazzani si procacciassero quello scampo che
m^lio sapevano. E già essi vedutisi in abbandono f co-
minciavano , chi ne aveva , a rifuggire alle loro barchet-
te, con quel tutto che poteva portarsi della famiglila e
1. Al 0011 teaert( «e./ Tale da qòb poter réiiilero ad ttit aualtqt
SECOLO bECIHOSETTIMO 1^3
del povero avere : i più Talenti , a gittarsi a nnòto verto
gli scogli di Cilao eh' erano i più vicini , laogl a meo
di- due miglia di rnare.^ Il maggior pericolo era delle
donne e de' fanciulli , che in gran numero rimanevano ;
e vedutisi lasciati alle mani de* barbari, empievano Paria
di grida e di pianti, con no miserabii discorrimento,
senza- saper dove assicurar la vita e la libertà. Il Crimi-
nale , che dalla jisposta del Capitano , vedute le cose in
perdizione , era ito alla Chiesa qui vicina , a piangere
innanzi a Dio la sciagura di quella innocente Cristianità:
indi, tornato a soccorrerla, in rappresentarglisi quel mi-
serabile spettacolo di tanti abbandonati, che chiedevan
per Dio mercè e non la trovavano , fortemente s* into>*
neri ;, non per quel solo danno temporale che , perdendo
la libertà o la vita , ne avrebbono ; ma per 1' eterna sa-
lute che in mano de' Badagi andavano a gran rischio di
perdere : donne e fanciulli la maggior parte , e troppo
deboli a sostener le minacce e i tormenti che . loro, d»-
rebbono , per tornarli al Gentilesinow Perciò , facendola
da buono e leal pastore , che dà V anima sua per la soa
greggia , dove fuggendo anch* egli co* Portoghesi che V ••
sortavano a non tras^rare la sua. vita per quella degFIo-
diani , avrebbe potuto sicuramente camparla , volle anti
rimanerne in pericolo, e salvare quanto per lui si potes»
le anime commesse alla sua fede*. Così rimaso, e dandosi
da per tutto , dov* erane di que* meschini , a raccordar
loro con parole .di spirito , quale a si gran bi&ogncK- si
richiedeva, la costanza nella Santa Fede fino alla morte,
e la mercede della vita eterna, con che' Iddio ia ricam*
bierebbe , . in un medesimo ' aiutava 4i rifuggire alle navi
quanti più fanciulli e donne poteva* E perchè buon nu-
mero se n' erano adunali nella fchiesa , colà ^i rivolse :
l In UH medeHmoi cioi : Ilei medeiimo tenpo che diva «pwili lìeoxdi >
•joUnra ec«-
t44 lETTERiTORA IT ALIALA
(jfaando i Baciaci , che già erano in quanlilà da non temer
de* nemici, calaron battendo; aftri Jid attraversare i pas*
si , altri in cerca de' nascosi , i più al mare , dov^ era la
pressa dfrVfuggenti >. Ne i Portoghesi fnron si presti a rac-
oorsi| o a dilungar dal Kto le oa?t, che sei di loro non
ne fbsser feriti di sì mal colpo, che tre qaasi ioconta-
nente, indi a poco altri dae, ne morirono. Intanto il
P« Antonio s* ddl appresso nn gran calpestio, e fólto in-
dietro, poiché Tide esser nemici che gli venivan sopra ^
•t mise con le ginocchia a terra, e con le braccia e con
gli occhi alzati terso il cielo, in atto non tanto d^aspet*
tar la morie, come d'invitarla. Ha i barbari, fermatisi
nn poco a > mirarlo , con istopore di qnell' atto che loro
parve da nomo d^ animo forte, non solo non gli nocque*
ro , ma ono d' essi il rilevò in piedi , e passarono. Indi
a poco, ,nna nuova tarba di Badagi il sepraggioi^; ed
egli nel medesimo atto di prima si presentò incontro alle
loro armi: e qnesti altresì, còme i primi, il passarono;
je non che uno d' essi gli tolse di capo la berretta e
non altro. Pareva che Iddio godesse di veder replicare
più volte al suo servo quella sì pronta offerta che gli
faceva della sqa vita. Ed era egli non molto Ipntano dalla
chiesa , quando i terzi gli furon sopra ; ed egli la terza
▼oka ginocchioni, e nelfatto di prima, si acconciò. Al-
lora nn certo, che ad un cotal velo che portava avvolto
al capo , in guisa di turbante , si crede che fosse Sara-
cino, gli Cbcdò un'asta per to fianco* sinistro; e intanto
i compagni ^ tagliarono in pezzi un ferventissimo Cristiano
che gli veniva appresso , battezzato da lui , e adoperato
in ammaestrar ne* Mister] della Fede i fanciulli. Altri fu-
rono sopra il Padre, e in guisa di ladroni si diedero a
spogliarlo-; ed egli, senza né risentirsi della ferita ^ né
I Ihv^ era «e. . Dovt Ì (aggeliti enno ia nagiglor foUs*
tECOtO DECIX0SETT1MO 14^
CDrbarsi di quella Tioteoza, come dì propria voioDlà desse
loro la saa veste in dooo, eoa le soe medesime mani so
la sfibbiò dal collo , e ajotolli a trargliela. Poscia gli
stracciarono la camicia in dosso, e portandone t pezzi,
e schiamazzando per allegrezza , se ne andarono. Egli
così ignodo e ferito , riinessosi in pie , prosegui Terso la
chiesa , ma ^on andò molti passi avanti , che si senti
dietro naove grida d^ nn Badaga ; verso il quale rivolto^
si , il barbaro gli die d* ana me^z' asta nel petto , e la-
seiatarela dentro fitta , trascorse dove il furore il portava
ad altre parti. Il Sant' nomo s* inginocchiò, e con le soe
mani si trasse quell* arme fuori dei petto; e pur bramoso
d' oflèrire il sacrificio della sua vita , dove la mattina di
quel medesimo dì avea nella Messa offerto a Dio quello
del suo FigKoolo , tutto* grondante . di sangue , e a pass»
deboli e scarsi , perchè oramai mancava , si ravviò verso
la chiesa. Ma non gli fu conceduta quell' ultima conso-
lazione , a cagion d'altri nemici che il raggiunsero, e il
ferirono di due lanciate , V una sopra le spalle , V altra
per mezzo le coste. Egli allora si cadde sulle ginocchia,
e traboccò da un lato; e i barbari, ancor palpitante, il
finirono , spiccandogli con un colpo di scimitarra la t»*
sta ; la quale levata in on^ asta , insieme co' brani della
camicia insanguinata che dicevamo , inalberarono sulla vetta
(chi scrive del Tempio, e chi del Forte abbandonato),
a veduta e sdierno de' Portoghesi.
Impostura di un Bramane Giogue smascherata.
Mi par singolarmente degno d' essere ricordato un Bra-
mane Giogué , il quale uscito dell' eremo , dove era vi*
voto alquanti anni in solitudine e in penitenza, cominciò
a farsi vedere fra* suoi ^ a predicare , e dir di se , eh' e*
gli era il tale, morto tanti anni prima, anzi prima d\al-
fera vivuto e morto più volle , ma sempre, grazia degli
LITTBRÀT. tILU -—IT I^
/
I46 LETTEBATURA ITALIANA
Iddii , risascitato; non seaipliceroente perchè egli avesse
la vita (che una beata e perpetualmenle dare?ole in pa-
fadiso non glie ne mancava , se non avesse voluto risa-
scitar^), ma perchè tornasse a riprenderli e correggere i
loro costumi; ad esortarli a penitenza; ad avvisarli d'es*
sere più riverenti a^ Pagodi , più costanti nelP antica re*
llgiooe, più liberali co* Bramani e co^ Giogni. Con que-
sto dire trovò tanta fède nel credulo e semplice popolo,
che ▼' avevano di quegli che davano certissimi indie), che
in verità egli era morto , e ne dicevano il dove , il co-
me, il quando : e perchè il ribaldo raccordava avveni-
menti di parecchj anni addietro , tutti ( diceva egli ) ac*
caduti lui vivo e veggente; trovato il quando intervenne-
ro ', si fermò per indubitabile ch^ egli era in età d* oltre
a trecento anni. Or, come il miracolo era sì nuovo e si
grande , ne andò prestamente la fama per tutto intorno
il paese , e si veniva in processione a vederlo e a udir-
lo, non altrimenti che se dal cielo fosse calalo in terra*
Scandalo e confusione ne avevano i Cristiani , a cagioa
de^ continui rimproveri che loro facevano gP Idolatri , di-
cendo: Dove potevano essi mostrare un uomo vivoto tre
secoli, e più che venti volte risuscitato? Parer gran cosa
a dire che i Padri * , per ammaestrarli , navigando ve-
nissero fin d* Europa ; or , quanto più era, risuscitando ,
venir un de* loro maestri fin dair altro mondo ? E il
persuadevano a non pochi : sì fattamente , che essendosi
ardito il Giogue a venire in Bembar , terra de* Cristia-
ni, vi fu accolto con qualche dimostrazione di riverenza.
Ma quanto prima ne intese il P. Enrichez, allora infermo
in Pnnicale, lungi da Bembar una giornata, gl'invio su*
bitamente un messo , che da sua parte gli desse il ben
1 Trovato il quando ec,j cioè : GooiMeiando* U tempo in cui tptnU cose
Énuio arrenate.
2 / Padri. I Gefvltì.
IBCOLO OBCtMOSKTTtHO I4f
feonto, e caMamente il pregane a non gravani * di paa*
sar olire fino a Panicaie , che non Terrebbe sensa tao
grand' olile. Egli malato , non estere in forze da mettersi
in Ttaggio, e par bramare federlo, conoscerlo e goder
d' nn tant* nomo , quanto a ini fosse in piacere conce»
dergli. 1/ infilo fa si cortese , che il Giogne il tenne ,
sperando , come ingordissimo di denari , che il Padre il
rimeriterebbe di qoel riaggio con alcon ricco presente,
colio dal pubblico di qne* Cristiani che erano i pia doti*
uosi di tolta la Pescheria. Afviossi donqne con gran pò»
polo addietro, e io Panicaie entrò con solennità e pom*
pa , a maniera di trionfante: schiere d' nomini e di fin*
dalli inghirlandati , cori di musici e trombettieri che
SQonarano alla disperata ; egli , in meno di tolti , iotor^
niato di nobiltà; e beato chi gli era più da ficino I Coti
il falso profeta non iodovinava , che tanto più fitupere*
Tole e ignominioso gli doterà essere, indi a tre giorni,
r uscir di PuDÌcale, solo e negletto, quanto più fastoso
e superbo ora f'^entrara. Il ricetimento con che il P. Ar*
rigo *, nel primo Tncontrarlo, raccolse, fu un infilo che
gli fé' a foce alta , perchè ognun V intendesse : Di man-
tenere in dispaia , coram populo, quella sua dottrina che ^
tanto importafa al. mondo che si sapesse, che si era fatto
in Ini quel non mai più inteso miracolo, di risuscitar
tante folte, e tornare a rirere, per dirolgarla : non pò*
tersene ritrarre per dubbio di non restar sicuramente al
di sopra : che la rerità è inrincibile ; ed egli , maestro
di trecento anni , V arerà a sostenere contra nn nomo
ordinario. A cosi impror f iso annunzio , il Giogne , a coi
la sua coscienza dicera il fero, amarri; ma pure, ansi
*
S ji non grmwiL Tal quanto din t JÌ «o» itueUrH rineru€trt di te, .
A 11 P* Arrigo, 12 Enrìcbes predetto.
3 Che, La quale. La eognisione della quale «fa UotaimporUnto» che per
divulgarla ti era £iUo ec.
\
14^ LETTBRÌT0RA ITALIANA,
per rergogoa che per animo che gFi bastasse a tanto ^
fattosi cuore, disse: Che volentieri; e il di' appresso ^
amendue furono in campo. Spettatori e testiraonj ioter—
Tennero i più riguardevoli d' amendue le parti, e popolo
oltre numero, curiosi, più che nnlP altro, di veder chia-
rito il si o il no di quella stupenda e tanto celebrata re—
•urrezione : a cui poiché si venne , il misero Giogue che
già in più articoli era convinto dì falsità, non ebbe cuore
di sostenersi : e ' còme per dar fede alle tante volle che
diceva esser morto e risuscitato in occulto, gli convenisse
ora qui, almeno una volta , morire e risuscitare in pale«>
se, non si volle arrischiare ' alla prova dell' arvenire, né
alla difesa del passato^ e si spacciò dalla dispula, dicendo
a! P* Enrichez , che forte si maravigliava che un qoido
di senno come lui , non sapesse che punto non rilieva ,
che finto o vero sia qualunque detto o fatto è tale che
lion nuoce a veruno, e se ne trae bene per sé , e me-
rito per altrui. E intendeva delle grandi limosino , che
quella sua fintione gli rispondeva * : onde ed egli ne stava
bene, e i di voti che glie l'offerivano ne acquistavano
merito ; e con questo , difesa una falsità con 00' altra ,
rizzossi , *e se ne andò. Ma non già il P» Enrichez , che
•opra il punto che il Giogue gli lasciava in mano , prò»
segui a dire in discrédito della fallace .dottrina de' Bra-
maoi e de* Giogui ; a* quali , non la verità , ma 1' inte>
resse , insegna a dire ciò che. divulgano al popolo , mi*
racolooi e mister] da credersi tanto meno, quanto hanno
'di più del maraviglioso e del grande. E sopra ciò disse
tanto , che si levò fra* Gentili questa voce : Che in falli
non si procede con sincerità, se non nella legge critlìana
che va col lume della ragion natarale; e -con indubitati
principi discorrendo, conduce a segreti di più allo cono-
I Gli rispoHdwa» per QU prvduem^a*
SECOLO ]>ECtMOSBTTlHO 7^9
ici mento. — Gmì la disputa terminò : i Cmtiaoi, con in»
comparabile giubilo trimifarono , e il Giogne Sfergognato,
lenza tronJie ne seguito di femno^ ansi oocaltamenle
da tutti se ne andò: fermo di non tornarsi a ^ seppellire
Dell' eremo, poiché osoendone ,- non poteva piò fingersi
rbaacitato. ;
Usanza d^ Ciappomsi,
I Signori di titolo che si aitano contro i proprj Re,
nsaasa de' Giapponesi è, che scoperti che siano, se mae-
ohinaTano tradimento, o rotti * , se movevano guerra, il
Re mandi lor denunziare la morte, per lo tal di: né in
tanto si guardano in carcere, né da' famigli della giusti*
lia si custodiscono , ma passeggiano liberi : ed é nna tal
grandigia de'* Principi % «mostrare d* averli in pngno, an^
eorchè vadano sciolti* Il * sentenziato , all' annunzio della
morte, se ha Cuore da nobile, dimanda d' uccidersi, di
tua mano : e dove il Re gliel consenta ( ed é grazia sin«
golare ) , quel di appunto si veste , come in solennità ^li
nozze, pomposissimamente; e convitati, quanti può aver»
ne, amici e parenti, veggènte ognuno, con la sua me-
desima catana^ si sega il ventre <son due gran tagli in
croce, e perde in un medesimo la vita e l'infamia: che
appresso quella superba nazione che si' pregia di genero-
sità pili che niun' altra del mondo, quell'-aver cuore da
uccidersi , massimamente coinè il fanno , senza mutar
sembiante, né dar voce o gemiti di dolore, si repula
gloria , che. ogni passato disonore cancella : né resta il
nome del morto in memoria di traditore ,- anzi di ma-
gnanimo e forte : onde né anche a' suoi figliuoli , uè ai
1 Rotti, Vinti, Superati in battaglia.
3 JSd è una tal ec,j cioè^ E,i prìndpi considerano come una prov9, una
dimostrazione della loro grandezza e superiorità, mostrare ee. .
3 Le catane ( dice il Bartoli^ stesso ) sono spadt a guisa di scimitatre,
i3*
l5o tETTERAT0R4 ITiLUlCA
( beni che possedeva , come fra sol Be* delittf d* offesa
Maestà , si nuoce. Che se il Principe il ?aol morto a.
forza di mano altrui ^ il oondannato adoAa quanti pici
ne può arere , servidori e parenti , e prima di tutti i
saoi figliuoli 9 e nella propria casa si apparecchia a di-
fèndersi dal giustiziere del Re 9 che con gran soldatesea
si presenta a combatterlo; acciocché ripugnando egli ,
muo)a da nemico. Uccisi che siano, si mette fuoco alla
casa , è quanto v^ è dentro d* nomini e d' averi , s^ in»
cenerà. t
Alle bocche di quel seno di mare ch'entra fra l'Ara*
bia Felice e la Persia , dov' elle più si ristringono , è pò*
sta Gerum ' : isolelta in forma triangolare; d^ appena se-
dici miglia di circuito; lungi da terra ferma versola Per-
sia 9 lina sola , verso V Arabia , alquanto piò di dieci le-
ghe. Luogo per natura più infelice e più sterile di que-
sto non è in Oriente. Perocché quasi tutto e niontagne di
zolfo e di mordacissimo sale : dj cui quantunque * ne trag-
ga» le navi , che se ne carican per zavorra , sempre , co-
me da miniera vi^a, ripullula , e si rifa. La pianura anco
essa é terren magro e morto , da non potersi addomesti-
care per qualunque colti vamento si adoperi a migliorar-
lo. È fama che tutta- Pisola ardesse una tolta sette anni
continuo ,- per fuoco che sbacò di sotterra; e ne rimasero
in segnò le montagne di cenere , che tuttavia biancheg-
giano alla cima. Acque ^ive e sorgenti non v' hanno , se
non solamente alcun pezzo ; e questo anche di vena pò*
ferissima e di reo sapore : ma quanto d* acqua dolce ^i
1 Conranemeiite h d«tU OrmuSm
a Quantunque. Lo stesso che Ptt qtuaO^» — Dieesi poi MMrrM quella
natene pesante che meUesi nel fondo delle navi affinchè » inmergeBdosi nel
mare , aoqwstino maggiore stdnUtà.
SEGOLO DECiaiOSETTIHO |5l
SI adopera , si conduce da terra ferma , o dalle isole ili
colà iatoruo. Perciò ia lalto il paes^ non v'è né filo di
erba oè arbore ebe spontaneamente vi nasca « o cbe Ira»-
piantatovi tosto non raaoia< Sopra cbe il P» Goosalo
Rodrigaes, che quiti stette alcon tempo, motteggiapdo
soleva dire , che quella infelice isola a Tea peggio che la
maladizione a che Iddio condannò tolta la terra in pena
della disobbidienza d' Adamo , dicendo che ne germoglìe»
rebbono triboli e spine; perocché quivi né pure un gef*
moglie di colali saitaticbe erbacce area licenta di nascere,
ma solo vene di zolfo e miniere da fare nn inferno a
qae' demouj di carne che ti abitano. Benché senza ar-
dere ponto la terra , il cielo stesso , cinque mesi deU
r anno , tì £ei un inferno di caldo insofferibile 4 attrae»»
dosi ia respirare , non fresco d^ aria per refrigerio , ma
come vampa di .fornace per tormento del caore. Uccelli
poi, né altro animai lerresire, mai in lutto Fanno non
TI si vede: che non vi troverebbono né acqua né pa«
scolo da mantenersi. Solo , sol far dell' aurora , vi cade
ogni mattina una rugiada , che si congela e granisce;
e per lo sapore dolcissimo che ha, ia chiamano manna.
Or non perciò che qoest^ isola sia cotaolo sterile per
natara , era disabitata d' uomini , e ( qnal dovrebbe es*
lere ) una solitndioe, un deserto. Anzi era popola tissi ma ^
e aveva una sì bella e ricca città ( questa era Ormoz ,
oggidì in gran^ parie disolata d' abitatori e di fabbriche )||
che correva proverbio in Oriente, che se tutto il mondo
fosse stato un anello , Ormuz ne sarebbe la gemma. Ca-
gìon di ciò ne fu la postura déìV isola , piantata su le
porte del seno Arabico, come vogliam chiamarlo, o Per-
siano; e il porgere ch^ ella fa in mare una delie sue tre
ponte sì acconciamente, che curvandosi con dae braccia,
due porti vi forma, fólti l'uno a levante, l'altro a po«
nenie; ampi a ricevere ogni quantunque numeroso navi*
1 5a LCTTSaATURA ITALIANI
lio) e sicari sì, che nob istanno a fortuna d! Vernn Vento
che ìa alcana parte vi possa *• Or qaivi faoeddo scala i
mercatanti d' Arabia ^ di Persia , d^ Armenia , dell' an» e
l'altra India, deli» Cina , d^ Etiopia, si fabbricò, e pò*
•da più folte rifacendosi, si condusse Qrmuz a tale am-
{Mezza e beltà , eh* ella andava * fra le più famose e rio
che. di tatto Levante. Le vie e le piazze ampie e magni-
. fiche ^ e gli edifici di bello stile alla moresca, scialbati ^
di smalto bianco , e molto vaghi a vedere. E perchè tì
fanno caldi stamperatissimi , più che nella Ghinea e nel*
V isola di San Tomaso (che è suggella alla linea equino^
siale ) , infocandosi quelle pietre di sale, e accendendosi le
secche esalazioni che ne svaporano, le case non finiscono,
come le nostre, in tetti a colmo rilevante, ma in terrazzi
piani I ove la notte, a cielo scoperto, dormono, stesi, e
(trattone il capo) immersi nell'acqua, dentro a grandi cod*
che di legno. Ben v' è un cielo salutevole alla vita; e rare
vi corrono le malattie ; a cagione , dicono , del continuo
sodare , che spreme da' corpi ogni umore corruttibile e
soperchio. Né è da tacere, ciò che ragionevolmente si ha
per un de^più strani miracoli della natura, di due venti
contrari che vi fanno ; F uno caldissimo , I' altro freddia-
simo (quello è I' este, o, come noi diciamo, il levante;
questo il nordeste, cioè il grecale ) ; ma ciascun di loro
con effetti per accidente opposti al temperamento delle
loro qualità. Perocché il caldo raffredda i corpi e le acque,
eziandio scoperte'; il freddo, gli uni e le altre riscalda*
E i paesani quando spira il caldo , vestono come noi qui
la vernata; e quanti più panni s'addossano, tanto se ne
truoran più freschi. De* venti poi più temperati , si va-
1 Vi posta. Lo stesso che Fi sqfff. Ma e modo elegante il dire di un
ijualche luogo , che noit ci può il sole , non vi può U vento e simili*
2 Andava fra ec. j cio& : Era tenuta fra ec. .
3 Scialbati, Intonacati.
SEGOI^ DBCIIKMETTIHO l53
^iono a ristorarsene negli eccessivi calori della state, che
colà è per la maggior parte dell* anno ; tirandoli , per
ingeono di cèrti condotti ', a spirar nelle t»mere, e do*
Tanqae altro ior piace per tutta la casa s con che miraf-
btlmente le rinfrescano. Degli abitanti , il minor numero
si è qaello de^ paesani ; il più , di gente aTfenitiocia ,
mercatanti d' ogni parte del mondo. Perciò t' ha di tutte
le fatte linguaggi : come cho pur il Tolgar corrente sia
V arabo.
DAL X.IBR0 PELLI POTERTI CONTENTA.
Diverse maniere di pescagione*
Quattro diverse maniere di pescagione si usano in mare,
secondo la varietà degli slraitoenti che per tal fine s' adope»
rano^ e sono Tamo, la fiocina *, la rete e M fuoco. Vi si
pesca con Temo: e sta nn tal pescatore sopra una punta
di scoglio^ al sole e al vento, immobile si che pare la
stalna d^un pescatore, anzi che un uomo che peschi. Ia
silenzio e speranza , con gli occhi al mare e cui cuore
pendente dal filo della sua canna. Quando egli vede
tremolare il su vero, o la penna che galleggia sopr' acqua,
ed è la spia che gli dà avviso del ladro ^, con una forie
strappata il tra fuor dell': acqua,, ed {afferratolo con la
mano il fa suo. Un mare è la corte in cui si pesca con
ramo coperto, per la simulazione che vi bisogna, secon-
do il primo precetto del decalogo delP ambizione. Gran
pazienza ci vuole, lungo aspettare e intollerabil patire,
[per giungere una volta a far preda: che bene spesso sarà
d' on menomo pesciolino , che varrà meno dell* esca con
eoi si comperò. - Pescasi con la fiòcina : e il lanciatore sto
ritto in pie su la punta d'un leggerissimo burchielletlo,
» TV ingegno ee.i cio^: ?er mtuo di eérti spinali fatti ad arte.
a Fiocina. Sp«cie di forca eoa moke punte.
^ Del laA^j àok s Del pesce che tento rapir 1' e»c« dall' amo. ^ ;
l54 LBTTERàTCftl ITÀLUlTa.
quasi no Rellano col tridente sospeso io pngno ta atto
di fulminare. Intanto un de' compagni spruzza sol mare
alqune stille d' olio che dilatandosi e stendendovi sopra no
▼elo^ rintuzza il riflesso dell^ acqua , onde lo sguardo tatto
le penetra al fondo: l'altro con due remi sottili va len-
tamente movendoci , finché il pescatore, veduto il pesee ,
gli lancia incontro la 6ocina, e^l fulmina dentro alle acque.
Un mare sono i ehm pi di guerra in cui si pesca col ferro ^
ferendo ed uccidendo. E non è questa pescagione da prede
minute e di piccola levatura. Città , fortezze , proviocie e
regni, saccheggiamen ti e gran bottini. -^ Pescasi con la rete ,
e si entra un gran tratto entro mare, e dalla barca git"*
tando la sciapica si pianta nell' acqua un gran ricinto di
mura, e vi si fabbrica una prigione. Fondamenta sono
i piombi che radono il fondo, le cime ne** su veri che
stanno a galla si compiono. Indi dal lido se ne tirano
i capi, e si raccoglie la prigione insieme e i prigionieri.
Un mare è la mercatanzia : quanto vi si entri per riem*
pirsi la rete, miratelo daNiaggi di quindici e più mi«
gìiaja di miglia; che tante si contano ne' tiaggi che por*
Caao da Europa fino alle Indie d'Oriente. Gittata con si
lunga navigazione la rete, si torna al porto di prima ; e
quivi la preda delle perle , degli ori , de* diamanti , de*
balsami , delle sete cinesi si espone. — Pescasi finalmente
col fuoco , e sporgesi per ciò una facella fuor della punta
delia barchetta, il cui lume i pesci che non chiudono mai
pupilla, lèggendo, come farfalle v^ accorrono: e mentre
lo stan mirando, da sé stessi incautamente s\ insaccano
nella rete*
OALLA GEQGI^àFll TRASPORTATA AL MORALE.
» * *
Usanza degU abitanti di Ostiiia,
Vita non irovo , né con più oi^io più occupata , ne con.
pi^ stabilità più vagabonda , né con più innocenza più
SECOLO DECIMOSBTTiyiO l35
ifida e predatrice de' beni allrai, di qaella che laoga
parte dell' anno meoa? ano gli abitatori d^ Ostllia ( raccor-
data da Plinio, Lih*%i^cap. 12.); terra aotichiasima wa
le rive del Po. Questi, al primo maoTcre e fiorir della
primavera, tratte fbori certe loro ampie barche e piatte 9
raccoociavante a graa cara, spalmavaole ', e con odorosi
profanai spealoDe ogoi paizo, ogoi reo fiatore, le fornifaiio
dì ciò cb' era mestieri ad on longo viaggio : il che fatto,
lopra esse , cariche di oalP altro , che per tatto in sa l' orlo
alle sponde no beli' ordine d'alveari, con entro a ciascano
il suo sciame, metlevansi terra terra , a remi lento lento
batiali per sa il Po conlr^acqaa: e le api ia calca, via
da' lor Tooti nielarii gettandosi sopra • le campagne , che
air nna e all' altra sponda di quel tatto delisioso re dei
fiomi soggiacciono, nscivano a foraggiare: e quindi al l^no,
per lo sno poco andare non mai guari lontano , torna vansi
cariche delle innocenti loro prede, in ottima cera e mele.
Dove io prati erbosi, in giardini, in-pomieri, in campagne
rarianiente fiorile si avvenivano, il nocchiere dava fondo
longo esse, e tallo in pensier di nulla, stavasi al rezio
di quelle annose querce, di quegli allissiini pioppi che
rìvestooo e ombreggiano le belle rtve del Po : e le valenti
pecchie per latto intorno spargevansi a predare, tanto nel
laTorio più allegre ) quanto più v'era che lavorare. Poi
stanche, ivi medesimo in su Torlo dell' acque imbagnarsi,
ibrattarsi , pulirsi com^ elle sogliono, aoimaluccio uiondis*
simo : e aU' imbrunire tutte ricogiiersi dentro a' loro alvei
fino a passato il freddo e V oscurila della notte. Coȓ andate
le navi delle giornate a lor piacsere contr' acqua, prendean
la volta indietro, e lasciavansi giù per la contraria riva
portare passo passo, fino a veder le foci del Po: indi
ripigliavano il montar come . ^diaozi : e ciò fino a tanto
che dal carico delle cere e dèi mele ,. che le mettea più
xS6 LETTERATURA ITàLlAllÀ
soU^ acqna , gli sperimentati nocchieri aTTisavano , gli alveari
oramai cssef pieni : e allpra fei^teggianti tornaransi alla lor
terra, ricchi di quella .dolce mercatanzia, che il goadagoarla
era costo * loro non altro che nn sollazzevole diportarsi.
SFORZA PALLAVICINO ••
Sforza Pallaricioo fa grande filosofo, e grande scrli-
lore italiano; e fu esèmpio delle più amabili Tirtù: il che
stimiamo alquanto meglio che F essere originato da prin-
eipi e avere Teslita la porpora de' cardinali. Nacqde nel
novembre del 1607; e nacque in Roma, perchè il mar-
chese Alessandro suo padre spogliato degli Stati dal suo
parente Alessandro duca Farnese, erasi là ricoverato, va-
oamente implorando giustizia. E i signori Pallavicini an«
ticamente principi in Italia, e di potenza simili agli
Estensi e ai Malaspina , ritornarono privati nel i584 ;
per avere avuto 00 vicino forte ,e cupido : ina il primo-
nato di Alessandro Palla? icino si acquistò quella pia da-
rabile grandezza che i regnanti non- possono dare né lo-
gliere.
Sin dalla prima giovinezza mostrò ingégno eccellente
e amore agli studi infinito , e ne divenne caro a Roma
e famoso. Fiorivano allora gli stadi, perchè i nobili se
ne pregiavano, e nelle accademie romane si adunava la
primaria nobiltà. Nella filosofia cominciava il vero ad osar
di combattere la tirannia de' ve^hi errori : nella poesia
ed eloquenza una insolènte e falsa e barbàrica eleganza
trionfava di aver cacciala in fondo Fantica^e nobile sem-
plicità: e tanto poteva, che tra' primi letterati d'Italia ;si
1 Costo* Costalo.
2 In luogo delle solite Notixie Biografiche stampo il Discorso di Pietro
Giordani Sulla Vita a sulle Opere del carenale Sforza PaUwicino, eh* t
senta dubbio una delle prose pia colte e più el^jgianti de' nostri ■ gipmi.
SECOLO DECI»O9£TTI3f0 l57
ssaltaTa ano zio del nostro PallaTicioo, il marchese Vir-
gilio MaNezzi bolognese , le cui scrinare oggidì ninno
legge; se fossero lette, sarebbero derise. Ciò nondimeno
in qne' tempi , comunque si ttndiasse non bene , si 8ta«
diava molto e da molti; e, che sommamente importa, da'
ligoori.
Il Palla ricino abbracciò colla mente Tasta la poesia ^
la filosofia, la teologia, la ginrisprndenza nella quale fa
addottorato : e avea vent* anni quando gli scrittori pia
Cimosi lo celebravano come ornamento illnslre , non che
speranza d* Italia. Se non che agli studi sovente lo to«
glieTano le cure domestiche; poiché il padre prosegoiva
da molti anni la sua lite infelice col Duca di Parma , e
tatto il suo ajnto era in questo figliuolo. Il quale colla
fama delP ingegno e del sapere aveva guadagnata la he*
oevolenza dei Barberini e di Urbano pontefice ; protét*
lore pericoloso de^ letterati coi quali professava emula*
zione più aperta , anzi astiosa , che a principe non si
eoDveoga. La giovinezza e la modestia del Pallavicino
acquistò grazia e fuggì i pericoli. Non così Giovanni
Ciampoii , riputato il primo poeta e un de^ migliori spi-
riti del suo tempo; accarezzato parzialmente da Urbano,
e perciò riverito dalla Corte • adulato : ma per la solila
incostanza della fortuna o per libertà di animo e di pa-
role , divenuto fastidioso al dominante, fu dagli amici della
prosperità abbandonato e schernito. Un solo amico gli
rimase , il Pallavicino ; che osò amarlo e lodare e visi-
tare pubblicamente, e consolarlo neiresiglio, e nella po-
vertà sovvenirlo. Niente ,mi maraviglio che sì rara co-
stanza e fede fosse odiosa ai cortigiani, spiacevole al prin*
cipe : ma è grande infamia del genere umano ,' che un
professore di cristiana sapienza, nato cavaliere, fatto ge-
suita , Giulio Clemente Scotti piacentino , quando volle
divenire ingiusto nemieo al Pallavicino «oo confratello ,
LBTTBllAT. ITAL. • JY l4
t58 tBTTÉRiTURA ITlLUlTA
ardisse Yiloperarlo colle stampe e riniproTerargli , qciatfi
fcellerata ingratiindie contro il Pontefice, la carità verse
V amico ioDocente e sfortunato. Tanlo è impossibile alla
virtù evitare le calnnnie !
Un sincero amatore degli studi non paò esser Taga
J' ambizione e briga civile. Onde ammiro che Sforza ,
vestito r abito de^ cherci , si sottoponesse a governare ì
popoli; perocché lo trovo governatore in Jesi, in Orvie-
to, in Camerino. Vero è che le fatiche moleste del reg-
gimento non gr impedirono cosi gli studi ch'egli in que*
tempi non cominciasse , e molto innanzi conducesse un
lavoro di poesia affatto nuovo e nobilissiàso. Ciò furono
i Fasti Cristiani, ch^ egli dispose di cantare in ottava
rima, e di comprendere in quattordici libri, dandone uno
a ciascun mese delPanno, per celebrarvi i Santi ad ogni
giorno del mese assegnati : negli altri due libri aveano
iede le Feste mobili dell' anno , e la speciale religione
di ciascun giorno della settimana. Già ne aveva compiuti
sette libri , già dedicati al Papa regnante , già finito di
stampare due libri ^ quando, risoluto di porre finalmente
ad effetto un suo pensiero antico più volte ripigliato «
rifiutato , non volle acquistarsi titolo di poeta mentre
stava per togliersi dagli occhi e dalla memoria del mon-
do. Interruppe la edizione , e cosi disperse tutto ciò che
n* era stampato, che il ritrovarne, in Parma, non sono
molti anni , un esemplare parve miracolo. Già era ne*
trentanni, già esperto e disingannato delle cose umane;
delle quali niente gli era piaciuto fuorché gli studi ; nò
a questi ricovero più opportuno che una quiete solitudi-
ne. La vecchiezza del padre, gP interessi della casa rac-
comandò al minore fratello. Egli con istupore dei più ,
con approvazione dei savi , si rendè Gesuita : dove si prò*
poneva di condurre a perfezione quel tanto che aveva
acqQistàto e negli studi e nella cristiana pietà.
SECOLO DEGIMOSETTIMO l59
Primi offizi nella religione a lai furono insegnare la
filosofia di qae' tempi , e la teologia a' giovani Gesaiti*
In quella età i niollissimi trattavano teologicamente la
filosofia ; e pef Aristotele combattevano feroci , come per
f?a ETaDgelio. Una setta sorgeva in contrario, e pigliava
animo e forze ; la quale impngnava quel maestro impo*
tandogli anche gli errori infiniti e le stoltezze óe* saoi
ianamerabili ed oscori commentatori. Il Pallavicino ai
accostò alla nuova sapienza migliore , che gli scolastici
odiavano tanto più fieramente, quanto meno ragionevol-
mente: ma serbò riverenza ai massimo savio delia anti-
chità, e seppe giovarsi di lui.
Voleva trattare ampiamente e profondamente tutta la
lapieoza Biorale : e ne gitflò le fondamenta ne' quattro
libri che in lingua italiana scrisse Del Bene, in forma
di dialoghi ; sottilissimamente investigando quale sia il
verace Bene della natura umana : e quelle sottigliezza
veramente fidissime , e spesso fuggevoli aó intelletti doq
assuefatti, seppe incorporarle e adornamente vestirle eoa
eleganza erudita e molto dilettosa di. stile. Lo stile era
qq' arte a lui cara molto e molto studiata , e però nel
loedesimo tempo aveva condotta una bellissima operetta
che intitolò Trattato dello Stile e del Dialogo: nella
quale , non menò da sottile filosofò che da esperto ret«
torico, si propose d' insegnare quale forma di' scrivere spe-
cialmente convenisse alle materie scientifiche : e dimo-
itrolle capaci di venustà ed eleganza ; ed affatto esciuse
la barbarie , da lui chiamata incivUe, che adoperavano
gli scolastici; ostinati non solamente a scusarla come dap*
pochezza dello ingegno loro, ma a difenderla e lodarla
come legittimo e necessario dettato nelle opere dotte. E
ne' dialoghi Del Bene fece con vivo esempio vedere di
quanta grazia e amabilità possa un valente scrittore ab-
bellire anche le questioni più aspre: e nel Trattato della
l60 LETTEHATURi ITALlÀlfi
Stile si allargò Teramente a dar precelti utilissimi per
iscriver bene di qaaluoqae materia. I quali precetti do*
Trebberò anche oggidì trovare molti lettori. Non così corn*
porta il secolo che molti leggano quel suo filosofare sulla
morale ; benché uno scelto numero di lettori dovrebbe
anche ai nostri giorni dilettarsene grandemente.
Egli pare che la filosofia e le lettere fossero soprattiillo
care al Pallavicino : ed era desiderabile air Italia che
queir acutissimo ed elegantissimo ingegno non fosse mai
frastornato da' suoi più diletti studi. Ma la Compagnia lo
torse a comporre per le sue scuole un compendio di teo-
log̣|. Poi lo fece suo difensore e combattitore nella bat*
taglia dalle accuse de' nemici che già moltiplicavano cen-
tro i difetti e le virtù e la soverchiante. fortuna de* Gè-
sorti. Ciò che di tali quistioni scrisse io latino non è più
chi voglia leggerlo; perchè quella materia è morta, ne
la ravviva lo stile. Ben vive e durerà la Storia che fece
del Concilio di Trento; non meno in servigio della pro-
pria Compagnia, che della romana Corte; alle quali pa-
rimente era odiosa la storia di Paolo Sarpi : conciossia*
che oltre le guerre teologiche, le quali il nostro secolo
ha seppellite in eterna quiete , hanno gran campo in
quella lunga opera molte quistioni di Stato; e vi trionfa
l' eloquenza italiana , se non purissima , certo maestosa.
1/ autore fu sommamente studioso della lingua, e ne fa-
ceva solenne professione : e manifestaroefite desiderò di
essere tra gli scrittori che V Accademia fiorentina ricere
per esempi dell'ottimo favellare ; e trattò con molta ef-
ficacia , perchè tal onore fosse renduto alla memoria del
Tasso; e due volte limò la storia,, perchè gli riuscisse
di lingua pulitissima. E tanto bramò di procacciare molli
lettori a quelP opera , e pur ebbe fiducia di allettarne
colla grazia dello scrivere, che poi la divulgò in altra
forma , sotto nome del suo segretario, mondata dalle
\
SECOLO DECIVOSETTIMO l6l
«pinose coDtroTersie teologiche, e ridotta a quello cbo ha
di piaceTole e carioso la narrazione. Yerameote , qaaolo
a** vocaboli , pare che diqq aomo lo possa mai ripreodt*
re : tatti son baoni e proprj , anzi eletti e belli* Se di
copia , di finezza , di varietà , di splendore lo vince il
suo coetaneo e confratello^ Daniele Bartoli , ò da conside»
rare che pari o somigliante a quel terribile e stupendo
Bartoli non abbiamo nessano* Il quale nelle Istorie volò
come aquila sopra tatti i nostri scrittori ; e tanto corse
lontano dalla consueludine del sno secolo, che niun cri-
lieo sagacissimo potrà mai in quella forma di scrivere
trovare minimo indizio o sospetto della età. Di Paolo
Segneri che fu scolare al Pallavicino si potrà dire che
vincesse il, maestro nelP abbondanza dello stile , nella
scioltezza , nella Tarietà, nel configurarlo ai diversi sob-
bìetti, neir atteggiarlo quasi amico schiettamente parlante
a* snoi lettori ; ma di squisitezza , di gravità gli è infe-
riore; e per una singolare maestà non può venirgli in
paragone. Giambattista Doni tolse ogni testigio di arti-
fizio a quel suo stile si puro e candido, e ifi tanta sem-
plicità , grazioso e lucido ; e àpparte ànica e migliorala
immagine del secolo preceduto. Al sommo Galileo sorrab-
bondò la mente, ma parve quasi mancare lo studio nìd-
V opera di scrivere ; io quella sua copia dfffuso e so-
verchio, talora languido, talora confuso. Arrigo Devila,
misritamente lodato per felice industria nello esporre eoa
assai ordine e chiarezza i fatti e le cagioni di essi ; con*
tento a una dicitura pianamente scorrevole, non cercò
faina di fino scrittore né di alto: nel prendere le parole
e le frasi , nel collocarle e più nel condurre i periodi ,
e in tutto V ordinamento del discorso, fu si lungi dalla
sollecitudine , che spesso lo direstì andare abbatfdonato*
fiòn furono mai di negligenza i difetti, del ' Palla? icino ;
il quale più che nelle altre opere patì le colpe del suo
l6z &ErrBRATUR4 ITAUAlTà
aeeolo nella storia» I traslati, dove taoto delirò il seiceo»^
lo , SODO ìd lai poche volte viziosi^ né mai pazzamente;
ma i contrapposti e troppa frecpienii, e con palese fatica
cercati. Evvi di più nna manifesta afieltazione di spes*
feggiare nelle sentenze, e di- farle spiccare dal discorso;
laddove i perfetti nelP arte studiano anzi a dbsimularle ^
e mezzo nasconderle. Anche il giro delle clausole, oltre*
éhè troppo uniforme, procede sorerchiamente misurato e
quasi forzato con ostentazione di simmetria discaccia tricè
d'ogni libero andamento, ^è però giunse di funga a quet»
I* eccesso che è tanto saiievole e molesto, quasi direi odiose
« intollerabile , in Guido Bentivoglio» K a nonostante t
difetti , la Storia del Concilio è dpera da pregiarsene
grandemente Telocfiieoza italiana; e mostra uno scrittore
di aittf ingegno , di molta dottrina, di grave facondia e
di costarne nobilissimo. Anzi fra tutti che hi Italia scris*
aero vedo nnicamenle 3 Pallavicino avere impresso nello
iftile un sno singolare carattere, che sabito fa immaginare
la prosapia e la édocazione nobilissima àeiP antore. Le
quale finezza e dignità, si dei 'concellì, si delle fìrasi^
non pure gli abbondò ne' libri che inditizsava al pubblicò
e alla posterità, ma anche nelle lettere che mandava a^fi
amici , scritte d' altrui mano perchè la sua non era leg^
gibile. E ne abbiamo a stampa on yolume ; ài quale fk
ingiuria la non curante di questo secolo. '^
G>me diAnisore della Compagnia e come istorico de!
Concilio , incontrò il Pallavicino fieri nemici ; non pur
villani ma atroci a scagliargli svergognatissime contuinelte*
Di costoro seppe far vendetta memorabile ed esempla»
re: non rispose mai. Anzi, resistendo costantemente a^ più
eari degli amici e dei confratelli , rrcnsò pur di leggere
quegli ** oltraggi ; affermando che il magnanimo silenzio,
come avvenne, e sempre suole, avrebbe dato loro e più
presta e f^ iieórà morte. I contrari della Corte romana
^i
SECOLO DÈJCiuoBzrrm^ j63
to 8o6iisaf|ino die lei afeite troppo « e eoo pregioditia
del Tero , faYorita nella istoria ^ lo taMavano di' Insila
ghiero , di ambisioao ^ di falso. Io ne posso, né torre!
^mdicare tali contese. Ben sono fermissimo a credere che
Sforza PallaficÌDo, si leal ca?aliere, si grave filosofo è
rdigioso tanto modesto , potesse per aTYeotora ingannar^
si ; ina adulare e mentire non potesse mai* E poi con
<{Qali cupidità ? con cpiali speranze ? Aveva slncerissima^
mente abbandonato, faorcbè gli studi, tutto; e fritto non
lieve gèttito e magnanimo rifiuto di mondane grandezze
qoaado si cbiase nèif abito de' Gesuiti ; né pensò mai di
potersi tollerare dolila celia ti eoneistero: dove non credo
die sarebbe mai pervenuto, quantunque più d* ogni *at-
iro io meritasse , se non cadera il pontificato alle man!
di un. suo amico. Ha per quanto fosse fiilso ed ingiusto
eocosare di perverta ambizione questo veto sapiente, vo^
^io (incedere che- gli nomini ne credessero natóratniente
capace dit ntfsceva di principi , e gli emuli ne rifiutassero
&ciliuente compreso nn Gesuita : questo è ben da Stu-
pirne e da parere incredibile, che un Pallavicini, fior
de^ cristiani e degli uomini dabbene , un Gesuita , fosse
pubblicamente accusato come empio e calunniatore delta
romana Sede. Quando nella istoria venne al pontificata,
per tante calamità memorabile, di Paolo IV, vide che
di lai né si doveva tacere , né si poteva dir bene : e
s' ing^nò quanto sapeva , senza troppa ingiuria del vé-
ro , perdonare all' odiosa memoria di quel Principe. Ala
la moderazione e iti prudenza del buon Gesuita parve rea
ad un Teatino, che volendo scolpare ed esaltare uno
de'ponteBci meno propizi alla cristianità, caricò d'ogni
infamia uno de' più rispettabili scrittori ecclesiastici. Il
quale serbò tuttavia la dignità del suo silenzio, e ricosò
di nulla rispondere al furioso calunniatore. Solamente él
'mflrobeae Oarazzo, nobilissimo genovese e amico su<^-cbe
1 6^ . XBTTBBATUft^ ITAtUlf.A
diiiioraYa in Parigi 9 provò con langa lettera quanta ofi
fesa, al vero e quanto danno alP onore di Paolo facesse
queir ignorante fanat^oo ; al quale non avrebbe mai fm
u^osto , per non isvergognare con pubblico scandalo d|
temerario, e non aggiognere ignominia al nome del Ca«j
rad, se avesse mostro quanto dì lui aveva nella sua sto»
ria dissimulato. La quale opera ( poiché . presto cessò il|
▼ana< strepitare degli sciocchi invidiosi ) durerà con gloria,
^mortale dell* autore.
Ed egli , oltre la fama, ne colse premio di fiirtana.
non aspettato : e dov^tt^ essergli ben caro dì rtceverlo da
no amico. Perciocché ad Innocenzo X, fu eletto soccea*
sore Fabio Ghiai senese , di costumi dolci • ornato di lefc«
fere latine , amantissimo delle italiane ; col quale aveva
il Pallavicino antica atàlcÌEÌa. Né il Ghrgt salito a tanta
altezia sì mostrò dimentico , cioè indegno , di tale ami*
co : anzi gli diede si eflBcaci e pubblici segni di beuevo^
lenza, che tutta la Corte rivolse gli occhi al Gesuita coma
ad arbitro di quel pontificato^ Ha egli prudentissimo , e
hen risoluto di mai non voler ingannare il Principe suo
amico, provvide a non . dover essere facilmente ingan«
nato egli stesso : e rimanendo -fedelmente affettuoso agli
amici sino a quel tempo provati, preie cautissima guardia
delle amicizie che dopo la esaltazione di Alessandro VII
concorrevano ad oflerirsegli. E sebbene col Papa egli po«
tesse tanto, che ottenne, qualora volle, di fargli cassare
i propri decreti , non volle mai cosa che non fesse di
poore del Principe , cioè giusta e savia. Ed Alessandra
▼olendo dare al Pallavicino quel pia che possa un papa
ad un amico, e saviamente consigliandosi che la porpora
fumana , per non essere vilipesa ed abborrita , ha biso-
gno di rivestire talvolta uomini grandi e buoni, nel 16S7
lo fece cardinale*
' Nella quale fortuna mantenne il Pallavicino quella mo«
SECOLO DECmoSETTIMO l65
desila e fragalhà e soarità di costumi , che ni:Ila yiU
privala lo faceTaDo da lutti riferire ed amare. Kè altro
tolse dalla graodesza palatina , che il più spesso e più
f^Racemente adoperarsi in aiuto altrui. E questo adein*
p]^ con dimostrazione di tale animo cl^e non meno ap«
parisse egli contento di poter fare i benefizi che altri di
TÌceTcrli. Di che bella e degna testimonianza gli rendefa
r amico Pontefice., spesso dicendo : // cardinal Palladcino
è tutto amore. — Dalla semplicità della vita domestica si
poco mutò , eh* egli soleva coi famigliari dire scherian*
do, Dion altro comodo avere dal cardinalato, che il po-
tere liberamente nelP inverno accostarsi al cammino : ciò
che la disciplina severa non concedeva a* Gesuiti; e grande
benefizio pareva a lui, di complessione delicata, e tanto
Qpo paziente del freddo, che lo motteggiavano i più in-
limi per la grande quantità di panni onde si teneva non
ooperto ma carico. Del cibo e del sonno fu parchissimo
e senza delicatezze: le sue delizie sempre negli studi.
Ultimo frutto de^ quali , e da lui con più cura matn«
rato, fu r jirte della perfezione cristiana, eh* egli gran*
demente si compiacque di scrivere negli anni estremi
della vita, la quale fini nel giugno del 1667, e per la
profonda saviezza di filosofia cristiana e per la nobiltà
di stile pnrgatissimo , ci pare lavoro da ogni parte per-
fetto e stupendo. Nel quale avendo posti i fondamenti ,
col provar saldo ciò che la religione insegna di credere ,
viene alzando un compiuto edifizio di virtù, e disegnando
la forma del vivere che al Cristiano è richiesta. Opera
veramente delle più insigni e rare che abbia la religione
e la nostra letteratura, opera che molte maniere diverse
di persone possono leggere con egual profitto e diletto.
Ije anime pie vi trovano la religione trattata con tanta
sapienza e dignità, che i divoti l'amino, e i non dÌTotS
la riveriscano, I filosofi vi ammirano un ragionare prò*
|66 LETTEAATORA ITALlAllA
fondo ed esalto, e ordinatamente da chiari e fermi pria*
crpj dedotto. Gli amatori delle lettere italiane v^ impa*
reno proprietà elettissima ed efficacissima dì pesati voca-
boli^ temperata vaghezza d'immagini, precisa chiarezza di
frasi , nobile e comodo giro di eia asale , stile eoa ele-
ganza dignitoso ; vero esempio di perfetto scrivere cbe
non. fu moderno allora né mai diverrà vecchio.
* E si preziosa opera giaceva per più di cento anni ne*
gletta dagP Italiani, superbi nelF ignoranza. Poche stampo
e brattissìme se ne fecero nel seicento : nel secolo appresso
e nel nostro ninna. Noi abbiamo volalo che la nostra edi*
zione ' rappresentasse esaltamente la romana del i665 ;
la prima e la migliore di latte, e falla dal proprio au*
tore.. Del quale vorremmo che le minori opere italiane j
già sopra descritte | alcun prendesse a ristampare tutte
insieme; che sarebbero lettura grandemente profittevole e
dilettosa a chi ha gusto del buono e del bello. Certa-
mente s^ in Italia non si diffonde V amore degli oltiaii
libri , e lo studio de^ nostri egregi scrittori troppo inde-
goameple abbandonali, non è da sperare che risorga tra
l|oi la gloria del generoso pensare e dare a^ forti peii«
sieri vita perenne.
DALL* ARTB DELLA PERFEZIORB GRISTIAIf A.
f
Quid arU ci abbùp di purgar V immaginazione dalla falsa stima
delle cose terrene.
Scrisse un profondo ed acuto ingegno , che '1 più Io-
felice fra' mortali sarebbe chi fosse giunto a conseguir tutti
i beni di questo mondo ; come colui che per l' una parte
noQ troverebbe vera felicità e vero appagamento in quello
cbe possedesse; e per V altra non gli rimarrebbe da spe-
rar .dò in quello cbe non avesse ancor posseduto. Io per
' 1 Qaella cbe ne fece il Silvestri ia Milaao V anno iSao.
SECOLO DEGlVOSETTIIfO 167
c^nlrario, ma ia altro senso, affermo che costai sarebbe
il meglio disposto di tnlli a difenir felicissimo. Imperoo*
che 9 né aTeodo nò sperando egli qoiete nelle cose mon*
dane , cercherebbe il sno diletto nella speranza delle ce*
lesti : onde porrebbe ogni stadio di concepirle vi f amente
per Tere e per grandi , e di tener qoeila via per cai
potesse confidarsi di procacciarle.- £ cbi ha questa viTa
fede e questa ben fidata speranza , è , per mio avviso ,
il più felice che &ia in terra , godendo egli qai d' nna
gran porzione del paradiso. Io qnando , lasciati i pascoli
di qnesto mondo che non danno in verità se non fieno,
abbracciai nella religione- la croce di Cristo, che per lui
fu albero di morte, ma per noi è albero della vita, an«
che secondo il saper de' fratti che ci fii mangiare in ter-
ra, dissi a' miei giovanetti compagni del noviziato, ch'io
invidiava loro il poter essi offerir a Dio qael bene che
riputavano ^* aver rinunziato per lui , e che da lai gli
era pagato secondo la loro estimazione : laddove io con
aver fatta la prova innanzi , non poteva essere scritto al
libro del cielo per creditore ; anzi si per debitore in
comnautazione sì vantaggiosa eziandio secondo il piacer
omano. - Ciò dissi loro : ma non meno essi potevano invi*
diar a me V agevolezza che quindi mi risultava d* inna-
morarmi totalmente del cielo, da poiché sotto di esso
non erasi da me trovata cosa degna d^ amore. Pure alla
mediocre mia condizione restavan vari creduti e non espe*
rimentati beni per chiarirmi di questa universalità ^ e per
afiermare dì certo senso ciò che affermò indubitatamente
quel re sforti^nato per la sua somma fortuna ; che tutto
il ben di qua giù è vanità e afflizione : vanità perch' è
simulalo come ombra ; afflizione perch^ è un' ombra tutta
circondata di lappole e di sterpi '. Ala chi può esser pari
1 Lappole, La lappola ( dice il Crescenzio ) è un* erba che nella sua eora-
mitade ha certi capitelli , li quali molto i* appiccano alle vestimenta, —
Sterpo (dice il Buti) è legno bastardo non fruttifero.
l68 LETTfiRATORà ITILIAHA
ad un Salomone , ch^ essendo sialo posseditor di fante
grandezze e delizie , intendea queste verità per prova ? A
me bisognano argomenti persuasivi per uomini d^ ogni
fortuna, quando a nomini d'ogni fortuna è indirizsato
questo mio libro per procurarne la lor salute.
La macchina dunque efficace ed acconcia a tutti per
Incominciar ad al>batter nella fantasia la slima de' beni
mondani e dello stato corporale, è il rammemorar la pre-
sta jaltura * degli uni , e ''l presto corrompimenlo delP al«
tro , cioè il presto fin della vita. Questo argomento parve
il più poderoso agli stessi sapienti Gentili , insegnando
essi , che la vera filosofia per moderare gli affetti era la
meditazion della morie; e asaronlo si gli oratori come
i poeti a fin di persuadere che si dovessero affrontare i
travagli e i rischi nella guerra , perchè ivi ultimamente
si tollera un male , e s' arrischia un bene fragile e corto
per acquistar T eterna vita del nome. E con #iffalta farra
d^ eternità , come sopra fu detto , che non è vera élér*
nità , ma solo una durazione alquanto estesa oltre alla
Tita corporale ; e che non è vera vita nostra , non fa-
cendo sopravviver noi, ma solo un ritratto di noi dipinto
neir altrui memoria, indosserò gli animi alquanto più
sollevati da questa vile e caduca paglia comune a* broli,
ma non saliti con le penne della fede sin in cielo, a fa-
re, a soffrire tanto d* arduo e diaspro, che assai^ meno
sarebbe stato lor sufficiente ad entrar come santi nel pa«
radtso. E finalmente la stessa via di condurre i nostri
pensieri ci è additata dalia infallibii guida , eh* è Iddio ,
là ove ci avvisa. Memorare novissima iua, P ultimo del-
l' esser tuo , cioè la morte ; perchè in tal modo t' aster-
rai di peccare. E non meno 1' esperienza ce '1 conferma.
Se abbiamo davanti agli occhi un cadavero contraffatto,
pazzolento, verminoso , ricordandoci che pochi dì prima
I Jattura. Perdita.
SECOLO DECtMOSETTIHO 169
quei corpo era bello , giocondo , e talora anche serTifo
da nobìl gente , carezsato con esqaisiti piaceri , riverito
e teosato da innnmerabili persone; e consideriamo che
per certo fra pochi anni, ma forse tra pochi giorni, sa-
remo anche noi al medesimo slato, questo pensierose nna
salati fera tramontana che smorza tutto il bollore de' no«
stri mondani aflFetti '• E non altronde a??iene che Tuomo
carnale tanto ha in orrore il veder cadaveri, il parlar
di morte ; e che si condanna per non ci vii costume il
Domioar i defonti alla mensa , quasi con ciò a colui che
mangia s' intorbidi qoelP allegria ch^è propria di tal gio-
conda operazione; e questo benché i nominati defunti
nulla appartengano a Ini , né però V attristino per tene-
rezza d* amore.^ Vien , dico , un si fatto abborrimento
dair abborrimento di quella cenere c^e spargon tali ri-
menabranze sopra il sapor de^ piaceri , onde si nutre
r nomo carnale.
Vero si è, che talvolta questo sol ribordo della morte
non è bastevole a distaccar ì* affezione della volontà dalle
deline detta carne. Anzi alcun poeta gentile * usuilo a
contrario effetto, stimolando gii nomini a non trascurarle
finché dura la vita , e con essa la possibilità di goder-
ne; la quale assai tosto finisce. E in tal concetto dice-
vano que^ sensuali rammemorati nella Scrittura : Corone*
mus nos rosis antequam marcescant \ Interviene altresì di
questo pensier della morte come di tutti gli altri per loro
natura veementi; cioè, che fada pian piano ammansan-
dosi ad usanza de' leoni e delle tigri addomesticate ne'
serragli : onde V uomo per vedere che sono morti cotanti
1 JJ autore, sebbene sia in generale cattigatissimo, cade qualche volta nelle
metafore ^acinte tanto al suo ié^ikt. Tale è questa ; e tale è pure 1* altra
che YÌen poeo appresso della emere sparsa tapra il sapvr de^ piaceri.
a GeatHem Pagano.
3 Coroniamoffi di rosa innansi di' eiaa Baaiaseand.
(«TTiaAT. ITAX. -—tf l5
170 LETTERATURA ITALUHA
altri e noù egli già mai, la per an certo moclo ingan-
Dando la sua fantasia , quasi la morte, noo sia fatta per .
lui. E di ciò che io dico, si ha T esperienza primiera-,
mente nei soldati; i quali nelle prime battaglie sono co-
stretti da naturale spavento a gittarsi per terra qualora
odono lo scoppio d' un archibuso , né- s' espongono nel
conflitto alla morte temporale senza sottrarsi col sagra-
mento al pericolo ^ dell' eterna : e di poi entrano nella
mischia carichi di peccati , e camminando fra le stragi
si de' nemici , si de^ compagni , non più si commaoTon
da esse, che da^ cadaveri delle bestie appesi alla becche-
ria, come sian eglino d' ana spezie superiore che non
soggiaccia a quel macello. Secondariamente il proviamo
in coloro che servono agli spedali de' tocchi • da pestilen-
za ; \ quali serventi assuefacendosi prima a non tremare,
indi a non temere, finalmente a disprezzare queir immi«
nente ed orribii rischio , si danno quivi ad ogni vizioso ■
piacere più che non fanno i giovani dbsoluti e spensie-
rati tra le feste e le licenze del carnovale : e sì bruttano
di si enormi peccati come se la morte avesse dato loro
un lunghissimo Non grai^etur '•
Convien però cercare qnalch' altro aiuto perchè questo
pensier della morte scuota a sufficienza la nostra imma-
ginazione , sicché non avvenga di esso come talora d' al-
cune medicine alle quali a poco a poco Tassi abituando
lo stomaco, e le converte in nutrimento»
Facil maniera di soUet^ar lo spirito dalia tema
aUa speranza.
In tutte r arti 1' agevolezza delf opera nasce principal-
mente dal cooperare , e non contrariar alla natura della
materia. Il medico fa prospera cura , se porga qnelP n-
I Non grapetur. Forinola con cui davasi a qualcuno il privilegio di non
poter essere per un certo tempo citata in giadisio dù creditori.
^SEGOLO DECIUOSETTIMO I7I
more cV è già concolto e matoro , e però nataralraeate
disposto a separarsi dal corpo. Quel terreno rende buoa
fratto in cai si sparge semenza acconcia alle natie qua-
lità del suolo. Allora con V aiuto de' remi si solca gran
mare in brev^ ora, quando si uaTÌga a seconda della cor-
rente. Il padre trae molto profitto dallo studio del figlino-
lo , ove r applichi a tal professione a cui natura incli-
nollo. Ed universalmente, non solo ha molto più di facilità,
ma d^ effetto il promnoTer con V arte V innata condizion
del soggetto , che '1 contrastarvi. Tanto che il medesimo
Iddio , a coi tutta la materia e tntta la natura ubbidi-
sce 9 in far questo maraviglioso edificio del mondo , usa
per istramenti tutte le proprietà naturali che sono in
qualunque sostanza senza alterarle. Anzi nelle stesse opere
della Grazia solleva egli bensì la natura, ma non la vio-
lenta ; e le dà ciò che da lei non è potato, ciò che a
lei non è dovuto , ma non ciò che a lei è odioso.
La stessa regola dee tenersi nel gran lavoro delPuomo
spirituale, e. per esecuzion di esso convien avere in me-
moria una proprietà delf attimo umano : la quàl è , che
ove egli ha determinato di far nn' azione , e d^ andare
per ana vìa , lascia persuader a sé di buon grado che in
queir azione e in quella via si contengano molli beni: al
che, prima della determinazione non si agevolmente né
fermamente avrebbe prestata credenza. Di questo ci ha
due ragioni , ambedue fondale nelP amor di sé stesso.
Ciò sono, perocché gli è caro e di concepire in quella
deliberazione quel più. eh' ei può di sua prudenza, e dì
attignerne quel più ch^ ei può di suo godimento.
Adunque , siccome avanti che 'i cuor deil' uomo si pie-
ghi ad abbandonare i piacer terreni , fa mestiero , ad
■ espugnarlo , gran forza , [>er la ripugnanza della natura
- corrotta ; onde vi bisognan per macchine da batterlo e
per esercito da assalirlo tatto V inferno e tutti i diavoli^
l^Z LETTERATURA ITALIARA
i quali , loro malgrado , guerreggiano in questa pugna a
iàfore del paradiso; cosi da poi che f animo fu atterrato
dal forte impeto del terrore, folentieri lascia sollevarsi
dalP aura soave della speranza ; e divien pronto a confi-
darsi che la> presa deliberazione gli (^iovi non solo a in-
dennità , pia insieme a guadagno. Onde quel bene cbe
avanti , siccome superiore a' sensi e all' immaginativa ,
poco movea T intelletto, allora, siccome grato alP orecchie
delPamor proprio, trova facile si T udienza , si la cre«
denza. Non del misero solamente , di cui pronnnziollo
quel tragico ; ma del felice altresì è vero , che agevol-
mente crede ciò che intensamente brama. Prova di che 9
sia la fede cbe porgesi air adulatore , il qnal pure non
si raggira intorno a' miseri , ma solo a* felici : tanto che
è qualche felicità della stessa miseria il viver esente da
una tal peste. Non nego io già, che. quel detto non ab-
bia luogo più ne* miseri che ne* felici ; ma questo avviene
perchè in essi ha luogo più di brama; essendo più bra-
moso il misero d' uscir di miseriar, che il felice di cre-
scer in felicità : onde il misero più di leggieri crede quel
ch'ei desidera, perocché più forte il desidera. Pietro Fa-
bri , un de* primi compagni di sani* Ignazio Lojola , e
un de* precipui operai cbe nel secolo passalo servissero
alla chiesa nel Settentrione a salvare e a purgar que*
popoli dalla inondante pestilenza dell* eresia, die fra 1* al-
tre questa regola a quei che pigliavano la stessa impre-
sa : che prima s' argomentassero d' indarre le genti a ri-
putar per tollerabili i mandati ■ della nostra religione ;
indi si ponessero a persuader loro , che 1* ubbidienza di
tai mandati è di necessità per salvarsi. F*iochè alcuno
( discorreva egli ) è fermo di condescendere alla libidine
ed alla gold , chiuderà eoo mille serragli le porte dell* in-
telletto ad ogni argomento per cui si. provi, che U coa-
1 / mandati, I precetti.
SBCOCa BEfinìoSETTIIflO it3
tenersi dalia fornicazione e ^1 digiunar ta qaaresiaia sia
di Dccessità .per non etser dannalo; non volendo comin-
ciar a patir P inferno prima 'del tempo, col credere d^ a-
Terlo'a patire fra pocq tempo. T40 stesso gli uomini tì-
liosi farebbooo inverso la morte, se potessero tòrtasi dalla
credenza ^ ma se ne schermiscono a loro possa con tòr-
lasi dalla memoria. £ per contrario san ^Francesco ne
pasceva il pensiero ad ogni momento; perchè in tal modo
potea cantare qne'snoi giocondissimi yerseiiì i E sì grande
il ben eh* aspetto — Cht ogni pena m* è dileito.
Raccogliendo le molte in poche; chi già b* è proposto
d'osservar la divina legge per timor delP inferno, è sag-
getto acconcia ad accettare dall' osservazione di essa la
speranza -del paradiso ; e con tale speranza si fa in lai
appieno volontario, e' però 'costante, qqel proponimento
che .innanzi era volontario dimezzato, e però vacillante»
Onde allora che V animo è in tale apparecchio , si vo-
gliono seminarvi quelle ragioni che ci muovono a cre-
dere con fermezza. la verità dei premi celesti , e per coq«^
seguente a sperarli.
DALLA STORIA DEL COIIGIUO DI TREIfTO» .
Ritratto del pontefice Giulio JIL
Fa Giulio di nascimento ordinario , d' intelletto pii»
che ordinario , migliore a trpvar nuovamente Jl buono
eh' a fermarsi nel' già trovato. Passò per molti gradi al
supremo. Ed oltre a' mhiort uffici , intervenne al Concilio
di Lateraoo e vi orò solennemente*. Fu arcivescovo di
Uaufredonia , due V4>lte governator di Roma ed anche
udilòr delia Camera. Nel tempo del sacco, essendo con-
segnato per un degli ostaggi a^ vincitori, videsi in grave
rischio d' ignominiosa morte fra la bàrbara loro ingordi-*
. 1 Vi ora ec, . Arìngp..
174 ErrTEltàTCRl italuwa
gM» ìa «plorila iTi cardinale resse le principali provinole
Jello Stato ecclesÌa»tico e s'illtjstrò còme nomo di sarpere
e di coraggio nella presidenza lunga e torbida del Con*
cilio. Fa tenero nttir amare ^ presto alF adirarsi-,- m& non
meno al placarsi. Aperto pernalnra, ma coperlo qnan^
Itegli YoleTa per arte» Prono alle ricreazioni, ma di pari
anche al negozio. Le instrnzióni* date a^ ministri nel sno
pontificato , che sono la maggior parte dettate da luf ^
come* per pòco tdUe le lettere di grave affare, mostrano
sottile ìngeg^iK) e fina priidenim di Stato, né minor, zelo
del ben pubblico e della religione \ ma* vi si scorgono
alcune forme di più efficacia che maestà,. le quali fanno
arguir mancamento d^ una perfetta gravità *e moderazio-^
ne.' Eblx; animo benefico, m A' talora senza scelta;. non la-
sciando egli già irremaneratr i più degni, ma beneficando
con essi ancora i men degni. Portò grand^ affezione al. suo
sangue, distribuendo varie porpore trasparenti; alcuni
àe* quali divennero poi meritevoli delP onore non meri*
tato quando ottenuto VE specialmente nel cardinal De' No*
bili la tenerezza degli annf, aggiugnendo ammirazione
alla santità, parfe aggiu^nere e non tórre decoro alla
dignità. Ma sopra tutti amp e sollevò uno fuar del suo
sangue, non degno né prima ne poi, èhe fu il cardinal
Innocenzo del Monte. S' astenne d^ alienare ne' suoi ' i beat
àeììa Scelta Apostolica; onde solo a vita donò ad Aseanio
della Cornia un castello presso a Peru-o^ia , e al proprio
fratello suo' Baldaino die lo Stato di Camerino similmente
a vita , levatogli poi dal successore y cbe lo risarei del*
l'entrate. Raccontano che H mentovato fratello il combattè
fin air ultimo per impetrarne a favor di tutti i suoi di-
scendenti il feudo ; e che 'i Pontefice ne fu ritenuto dal
1 Quando olienuttk Quando l*'otteiuiero.
2 yilieaare ne* suoi «cv . S* attenne dal trasfeiire ne* suoi congiunti il do^
minio dei Leni «pettanU. alla Sedia Apostolica..
SECOLO I>EC|MO»ETTf»0 tjS
liberi consigli del cardinal Cervino. Mo\if> più »i manleDDe
ìotiillo da legarsi a' potentati per grandezza de' parenti*
Solo dal Duca di Firenze , signore del monte san SaTÌDo
sua patria, accettò 1* investitura di esso in persona AA
fratello, non sapendo rattemperarsi dal diletto di teder»
ì suoi dominar fra quelli con coi s'erano allcTati egDalt»
Uó simile allettamento per «fventara il trasse rultim^anno
a stabilir matrio^onio tra Fabiano BsMuol naturale «m
nnico, del fratello ( dopo la morte di Giambattista ) ed
atva figliuola dei duca Cosimo,. che fu poi collocata ad
Alfonso duca di Ferrara. Di che die .contezza al. Conci«-
fttoro*, assicurandolo che'qi^l maritaggio niente avrebbe
pr&giodfcato al ben 'comttne« Il pontificato tuo rimase di
po^o gloriosa memoria per V infortunata impresa di Par-^
ma , per la dissolozion del Concilio e per V accordo di
Pa'ssavia. Tutto . ciò {Pareva ricompensato dal racqoisto
deh* Inghilterra-, s'egli ne avesse còlto pur altro che t
fiori, o se'l frutto Ibsse stato durevole' per la Chiesa. Mori
con tenue estimazione aè con maggior benivolenza ; per*
ciocché certa sua 'libertà e domestichezza che nelf equa-
tità di privato l'avevano altrui rendalo più amabile, nella
maggioranza di principe il rendettero men venerabile;
sema la. qual prerogativa il prìncipe , non essendo ripa-
tato buono in sua condizione, ne ancora saol essere ama-
to. Conlnttociò r opinione gli fu ingiusta; perocché i suoi
difetti, erano di'maggior vista si che i suoi pregi , ma
BOA forse di maggior peso. In somma eziandio V onore ^
come Ittili i beni umani , saifo 1' unico vero bene ^ eh' è
la firtù, sta io arbitrio d'ella fortuna.. ^ ^
PAOLO SEGNERI '
Nacque V SDQO iGss^ i° Nettuno , castella delb
campagna di Roma : fa educato dai Gesuiti) « ìnyo^
176 LETTCBITCRA ITlLljfclTA
gliatosi di appartenere alla Compagnia, ne iWenne
col Pallavicino e, col Bartoli uno de^ più begli oraa-
nienti nelPelà sua. Egli attese a coltivar T eloquenza
*del pulpito, e ne colse la prima palaia^ la quale poi
gli è conservata tuttora dal consenso di qu^ medesimi
cbe san ravvisare ciò che gli manca aa essere, per-
fetto. Dal lato della lingua , egli ne fu tanto studioso
e v^ ebbe dalla natura tanta attitudine j che V Italia
Io annovera fra*^ suoi miglioii esemplari, e T'Acca-
demia della Crusca lo cita nel suo* Vocabolario. «^^
Sebbene poi le Prediche e i Panegirici siano )e opere
del Segneri più comunemente lodate, ìneriterebbero
forse ai dì nostri di essere preferiti alcuni altri suoi
libri , dove P eloquenza è meno pomposa , ma perciò
appunto più popolare , più imitabile e'd anche più
accomodala alla diffusione della verità. Oltre alla
Manna deW anima ^ il libro del Cristiano istruito
potrebbe somministrare tanti begli articoli di morale
pratica da farne un volumetto prezioso sì per la
materia e sì per lo stile.
DAL GRISTIiKO ISTRUITO.
Sopra la debita educazione de^ figliuoli.
Io dico io primo luogo che la baooa educazione im*
porta sommamente al "htn de' figlinoli. Si accordano in
questa proposizione tanto le divine ieltére , quanto le
umane; il che è grande argomento della sua eTÌdenza. l
Sa?i umani hanno creduto che senza questa cura solle*
cita di alleTarbene i figlinoli, sieno vane tutte le leggi ^
insufBcipnll i decréti, inutili i documenti ; e ch^ essa sola
senz^ altra ordinazione ancor sia. bastante a mantenere ne*
popoli la giustizia. Però i Lacedemoni , istruiti dal più
celebre* legislatore tra gli aniichi, cioè da Licurgo, erano
tanto fermi su V importanza di questo affare , che *ne*
delitti occorrenti non gastigdTano i figliuoli ^ ma i padrt
SEGOLO DECmOSfiTTIHO fjf
Onde ana volta fra V altre coadadoarono dne padri a
pagare aoa grossa somma di danaro , perchè i loro gio-
va ni erano tra sé Tenuti aHe roani ; scusando i giovani
per r inconsideraziou deli^ età , e accusando i vecchi pef
la mancanza nel loro ufficio : tanto era loro 6s$o neW a«
nimo , che dalla sopraintendeoza de^ maggiori dipendea ,
come da radice, il buono o cattivo fruito che pullula tra
i minori » . • • ^
Qnal pianta pra dolce d' indole che la* vite ? Ep«
pure si è trovato modo^, con avvelenarne le barbe, di
far eh* ella produca de* grappoli avvelenati. Per centra*
rio 9 macerata nel latte i semi ,'e proverete che i fratti
nasceranno sempre più amabili. Bisognerebbe la sera ^
quando la famiglia è insieme adunata , ripetere spesso a
lei quelle belle parole del santo vecchio Tobia eh' io
voglio qui riferirvi. Ed oh , che soave latte per lei sa«
rebbonol Io vi dico, che n'apparirebbe la dolcezza dopo
molti anni ne* costumi de* vostri giovani. -^ Ricordati, di-
ceva egli al suo figliuolo, riccrdati di Dio tulli i giorni
della tua vita, e guarda di non consentir mai al peccato
di modo alcuno ; o commettendo quel male che Dio li
vieta, o pretermettendo quel bene che ti ricerca. Impara
a benedire il Signore di tutti i tempi, e pregalo a^ coa«
durre tutte le tue azioni e tutti i tuoi disegni con la
regola della sua divina volontà. Quello che tu non vote-
resti, o figlioplo, eh' altri facesse con esso te, non lo
far mai tu con veruno. Riguarda con occhi compassione-
voli i poveretti , e Dio riguarderà con occhi compassio*
nevoli ancora te. Sii limosiniere in quella maniera che ti
è possibile. Se sarai ricco , dona al povero abbondante-
mente; e se sarai povero, dona al povero quel poco che
ti trovi ,' ma donalo con prontezza ; e se in tal caso la
mano sarà stretta, sia largo il cuore. Fuggi la conversa-
tboe pericolosa de' cattivi compagni, e consigliati eoa le
'rSa - USTTBBATUBA ITAUkìlk
Sopra la maldicenza*
Se Toi lodate aiia persona, ìndi a pòco talli si dimen*
ticano della lode che toì le deste; ma se toì la biasi-
mate, quél biasimo non si dilegua mai dalle menti: par^
ticolarmente se fa biasimo di persona tenuta già in qnal-
die stima per la bontà. Non è credibile la facilità eoa
cui queste ricevon ddnno da una lingua caltira; e danno
senza rimedio. Nella cicatrice di un carallo nascono age«
Tòlmente ì peli cbe la ricnoprono; ma non cosi nella ci-
catrice di un Qobao. Altrettanto e quel che interTiene
quando la persona non è di fama perduta : ogni ferita
che sopraTYcngale nella riputazione , lascia il sno segno ;
ed nn tal segno, oh quanto è dipoi difficile a dileguarsi !
Dicea colui: Di* pur male del tuo nimico; perchè quan-
tunque un di si scoprisse ch^ egli è innocente , luttavia
rimarrà sempre in esso, se non la piaga, almeno la ci-
catrice. - Non si vorrà mai finir di discredere quello che
si credè tanto Tolentieri. Vi son de' fulmini che non ab-
bruciano, ma, se non altro^, anneriscono: e simile a
questi è la lingua mormoratrice; che quando non giunga
a incenerire il buon nome delK infamato, almeno rofiusca.
DALL^ IlfCREDULO SEITZA SGDSA.
Provvedimenti degli animali per difendersi dai loro nemici f
o per assalirlL
Senza avere appresa giammai V arte militare , sanno
i bruti conoscere a maraviglia i vantaggi loro di posto ,
e gli sanno prendere. I msignuoli, per assicurarsi dagli
sparvieri, soggiornano ii^ra le macchie. L'airone, per
assicurarsi da' falchi , si aggira intorno alPabque da lor
temute. £ Talee, bestia per altro si paurosa, che a qua-
lunque ferita, nei mirar che ella faccia il sangue gron-
SECOLO DCGIMO^ETTIHO iSl
dante V cade sóbito a terra di raccapriccio; tottavia «ince
i lupi, scegliendo contro di essi per campo di battaglia
i fiami gelati : sopra de^ 4]naif può tenersi' l>en ella £er^
ma 9 con 1' unghia acuta e biforcata che eli' ha^ ma noD
posson leoerTÌsi fermi i lupi. * ^
Oltre il vantaggio -del posto , sanno i bruti conoscere
quel delle armf. Quindi è, che ^ aquila tiene una cura
grandissima dè^ suoi artigli : e se ella è ferma , par che
sempre gli miri; arrotandogli su la pietra quando hanno
perduto il filo, e risparmiandoli, qnando sono affilati ^ col
Don camminare tra J sassi. I cervi, i cavrii *" ed i tori
armotano aoch^ essi ;ai tronctii le loro corna , e le prò*
vano e le riprovano , prima di venire a duello- con gli
avversari. U àrdea si rivolta col becco all' in so tra V a«
li, e riceve intrepidamf;nte T impeto de' falconi; che ca«
landole sopra forìosameote per farne preda, vi rimangono
morti. E il pellicano, per non venire sorpreso dagli altri
nccelii assassinatóri , io -una simile positura ancor egli pi**
glia i suoi sonni ; addormentato ed armato. >
Dove manchi la (orza, suppliscono con T unione. Cosi
fanno gli storni ; volando sempre a schiere numerosissi-
me, e procurando in quelle il posto di mezso, per mag-
gior cura di sèJ Gli armenti si fanpo forti dal lupo, adu-
nandosi insieme in àn cerchio. fitto, con le leste rivolte
centra il nimico : e i giumenti , con somigliante ordinaU'»
za , Tolgono al lupo , non le tèste , ma i piedi , dove
hanno il loro valore; e si difendono bratamente cor calci.
Che se non è pronto il soc<!òrso, jaono anche i bruti
richiederlo con la voce. Cosi T ùpupa * ravvisando la volpe
ascosa tra 1' erbe , con inusitato e con importone strida
r addila ai cani. Cosi i cigni, cosi le cicogne, cosi T a-
nalre sollecitano le compagne da loro assenti, alla difesa
1 / cavriit I capriaoB. .
a It* ùpupa, Dicen aaclM SwbhcUU
URTBRÀT. ITAL. - IV l6
iSl LETT^RITURA ITALIANA
cornane '/contro delPaqiiiki, E cosi le berlacoe * , nelle for
selre , fanno conlra i -aiedesimi cacciatori , gridando for-
te,-come se gridassero i|l ladro.
,^ Se non -che a schermirsi da questi , tanto gli animali
più -imbelli 9 quanto i più forti , son destri al pari.. La
lepre salta di lancio nella sna tana ; per non lasciare quivi
impresse Testigia , che la rivelino a chi la cerca. L^ orso
v^ entra a ritroso ; per mostrare d' esserne uscito quando
V* entrò. Ed il leone medesimo (a guisa .di guerrìer pro-
de, non meno attento ad iscoprir.gli andamenti deli* ini-
mico , che a coprire i' proprj ) stampa insieme ' V orme ,
passando sopra V, arena, insieme le. guasta; perchè non
diano sentore de' suoi viaggi.
In una parola , lutti gli animali iianno qualche dote
lor propria per la difesa : quali con la destrezza , come
le scimie, pur anzi, dette, che giungono ad afferrare eoo
la mabo per V aria quella saetta che loro voli alla vita ;
quali con la generosità, come il leone, che mai non fug-
ge , se non che mostrando la faccia , per dar terrore ;
quali con la .timidhà, conie i cervi, a cui la paura me-
desima, è sicurezza ( tanto son ratti alla foga); quali col
divenire quasi invisibili , come si rendono le seppie * nella
lor tinta; quali con T appparir quasi trasformati, come
Sk il polpo , che piglia tosto il colore di l|uellò scoglio
cui sta aggrappato, e così, delude ogni guardo: senza che
fira io stuolo ai numeroso degli animali , o terrestri o
acquatici go aerei , pur un si trovi che , o con la forza
datagli. o con F ingegno, non sia bastantemente armato a
suo schermo.
Né minore hanno l'arte per assaltare', di quella che
possegganoli ripararsi. Xa donnola quando si Tuole ci-
* - . ' ■
l Le bertucce. Le scimie.
a Le seppie. Pesci di mare | die diffondono m WBor nero i d* onde ti
dispero anche Calamé^, • . ^ .
SECOLO DCèfMOSETTIHO 1^3
menlar co^ serpenti il sì apparecchia ^ot mangiare tonanti
la rota; erba a. questi dr odor troppo • intollerabile. E
r icneumone quando tuoI pugnare con gli aspidi, si ri*
Tolge tutto nel fango, e se' ne fa come lina corazza^ con
assodarlo prima ai raggi solari, perchè non tema -alcotf
morso. La tigre, per assicurare le altre fiere a cibarsi
delle sue carni , si finge morta ; e^ dipoi sobito è loro
sopra a man salva, e ne fa macello* La volpe è slata ve-
data» riroltoUrsi dentro la creta rossa, fino a tanto ch'ella
apparisca quasi un cadavero senza pelle; per invitare i
volatili men accorti a on solenne pasto; che poi di loro
fa ella, non di lei essi. E la' torpedine, con un miracolo
più losueto , sa fin rendere stupido chi la tocca , e pri-
varlo di moto , non che di audacia.
DAL ^DARESlUALfi.
Un funestissimo annunzio son qui a recarvi , o miei
riveriti uditori ; e vi confesso, che non senza una estre-
ma difficoltà mi ci sono addotto, troppo pesandomi di
avervi a contristar si altamente fio dalla prima mattina
cfa^ io vegga voi, o che voi conosciate me. Solo in peo^
Bare a quello che dir vi devo, sento àgghiacciarmisi per
grand' orrore' le vene. IMa che^ gioverebbe il tacére ? il
dissimular che varrebbe? Ve lo dirò. Tutti, quanti qai
siamo, o. giovani o vecchi, o padroni o servi, o nobili
o popolari, lutti dobbiamo finalmente morire. Slaiutam
ett hominibur, semel mori ( ffebr, 9 , 27 ). Ohimè , cho
Teggo ? Non è tra voi chi si riscuota ad avviso si fermi*
dabile? nessuno cambiasi di colore? pessimo si muta di
Tolto? Anzi già m'accorgo benissimo,' che in cuor Tostro
»TOÌ cominciate alquanto a ridere di me, come di- colui
che'qili vengo.a spacciar per nuovo un avviso si rican-
tato. E chi è,*mi dite, il quale oggimai non sappia che
lotti abbiamo a morire? Quis est homo, qui vivet , £i
lS6 UTTtS^TVRA ITALIANA
tcfaiolta io h Irasfondd oel Cuore de* miei titlltori ^ qiial
ella asci da* segreti delle tue viscere. SproTfedoto veogo
io d' ogni altro Mstegoo , fuorché di una yÌTlssima con-
fideoza nel faTor tuo. Però tu illustra la mente, tu guida
la lingua, tu reggi il gesto, tu pesa tutto il mia dire
di lai J29aniera che riesca di lode e di gloria a Dio, sia
di edificazione e* di utile al prossimo, ed a me serTa per
acquisto di merito , non si oonrerta in materia di daa-
nazione.
FRAPfCESCO REDI
Questo msigqe naturalista, e scrittore non manca
insigne di prose e 41 versi , naeque di nobii famiglia
in Arezzo b? iS febbre jo 1 6ti6 , e dopo essersi ini-*
ziato alle belle lettere in Firenze, studiò Qlosofì^ e
medicina nelP Università di Pi$a. La fama del suo
ingegno e del suo sapere mosse i Prìncipi Coloqnesi
a invitarlo di trasferirsi a Roma / do^^ egli andò ed
aperse una cattedra di ret lorica nel palazzo di que'
Signori. Il granduca Ferdinando II lo richiamò poi
é Firenze , nominandolo medico della sua Corte e
dove r ingegno , e le maniere gentili , e l' ingenuità
deìV animo gli conservarono , anzi gli acci*ebbero
sempre Ja grai^ia cosi di Ferdinando , come di Co*
«imo^ III che gli successe j e però egK stette poi sem-^
pre in quella Corte onorato e careggiato da tutti.
Negli ultimi anni della sua- vita fu molestato dal-
l'epilessia j e ritrattosi in Pisa, forse sperando che
la salubrità di quel cielo potesse giovargli, quivi
fu trovato morto la mattina del primo giorno di
marzo 1698. La nera Morte, {dice it" Sai vini) te-
fnendo per v^entura tP assalire a fronte aperta chi
infinite scolte in altri Jugata P avex^a e sconfitta^ pre*
selo con agguato^ e idi furto il fece passar^ dal sonno
alP eterno ripòso.
U Redi erasi propoi^o, nel &ito ddle sciense^ di
McoLo DiaiiQSBTTiaia 187
non dar fiMle te non a quello che vedaTa cogli oc»
chi suoi propri! ^ e però i «uoi studi forooo conti*
Doe esperienze che veaoe poi pabUicaodo. Nella
medicioa prepose V ippocratica sepiplicità alla coin«
posizione ed alla mpUiplicità de^ rimedii, o (cornee*.
gli diceva ) di quei guazzabugli di medicamenti che i
medici sogliono per i^era ciurmerìa ordinare agli aU
triy ma per sé medesimi non gP ingozzano mai. Nelle
lettere amene fu coltissimo, poeta ricco di belle im*
magini , prosatore purissimo, ^ elegante , lontano da
ogni affettazione. Lo sue Esperienze naturali e i Cbft-
sulti poterono somministrare ad Andrea Pasta nn
Vocabolario ad uso ^i IVI«dici : la Lettere^ le Poe'»
sie e principalmaale il Difirambo colte Note ch^egli
ne scrisse si annoverano fra le produzioni più belle
della nostra lingua. Egli fu ascritto a varie delle
Accademie di che allora Tltalia era piena, ma s^iU
lustrò massimamente in quella della Crusca coope*
rando assaissimo all^ edizione del Vocabolario che si
pnbblicò nel 1691.
DàLLB I.ETTBRE.
Jl Padre Gio. Tdaria Baldigìani della Compagnia di Gesù.
10 ho afota sempre ania profoodissima ?eoerMÌQae ^1
merito del Padre Cvottigaes, e mi sono sempre dispiaeiate
fino air aoima lo Buofe della vati fastidiosa ostinatissima
infermità ; e mi creda , amatissimo Padre Baldigiaai y
che gitelo di<;o dii fero cuore, e da booo amico sincerisi
afmo. Con sincerità dliiìifae di buon amico, e no» con
ciurmerla di Medic^ozolò, risponderò a' tre quesiti , che
da V. Ret^enza mi son fatti per sertiaio del medesimo
Padre Gottigoes.
11 primo quesito si è : Se io abbia cura o rimedio da
prescrifergli , a fine di soUetarb in tutta o in parte da
quella infermità ^ neUa quale presentemente si trota t ^
tM LKTTÉRATORà ITALIAHA
che ndla saa lettera da V • B^erereiUB eoo tanta pònloa*
lità è stala descritta. '
Rbpondo, confessando ingennamente la mìa ignoranza,
che io non ho medicamento rerano da potergli prescri*
vere. Che se «pure dofessi prescritergll qualche còsa , gli
prescriverei , che da qai avanti si astenesse da tatte le
sorte di qaei medicamenti che si cavano da* vasi degli
speziali; e tanto più, che ha provato a valersi di essi
medicamenti , essendosi altimaroente purgato per . mano
de' medici , i quali olire le preparazioni ' universali $ gli
hanno dato ancora dei decotti , e gli hanna fatto anco^
usare gli archetti ' de* sudalorj. E per tutte qoeste opera*
zioni il Padre non ha ricuperata interamente la sanità,
ma solamente è tornato in quello stato, nel quale si tro*
vava prima che gli venissero gli ultimi peggioramentr.
Ed intorno a ciò V. Reverenza discorre più che da me«>
dico nella sna lettera: ed io non voglio replicarlo.
Il secondo quesito si è : Se io abbia qualche consiglio
da somministrargli almeno per .premunirlo e preservarlo
da peggio, e per allungare più 'che- sia possibile la vita*
Rbpondo , che in questo secondo quesito io sono uomo
più trattabile assai , ed il consiglio lo bo., e voglio dar*
glielo , ed è un consiglio bnooo e sicuro , ed il più si-
curo , che sia ia tutta quanta la medicina. Iddro , che
ne. sa molto più degli nomini , e che è discreto più di
tutti gli uomini , pel vitto di san Paolo primo eremita ,
non gli mandava altro che un mezzo pane , non {lortato
da un cammello, ma da un piocold -corvo ^ e con questo
fitto di ogni giorno così parco , lo mantenne^ vivo e sano
molte e molte dozzine di anni : e per mostrare che eoo
questa stessa parsimonia potevano vivere ancora gli altri
Cristiani , quando sani* Antonio abate fu commensale di
san Paolo, Iddio solamente raddoppio la dose di aa
t Archetti §e,, AltroTO il Kedi un Vnpntàom ^ *tit/è sudalaHei^
SECOLO DECIMOSCTTinO' fSf
mezzo phne , portato pare dal medesimo corvo. Che to«
glie ioferire ? Che se ii Padre Got Lignes tqoI cnmpara
più luDgaoieole che sia possibile, sia parco pnrchissi ni <}, é
quanto mai si può dir parchissimo nel mangiare. Lo dico
di Tero coore.' Oh se potessi far vedere a V. Referenza le
esperienze, che tante e tante e Innga niente ho fatte in cpie*
sto affare, ella si slopirebbe! Si TÌ?e pare col poco ! si fife
pavé col poco, e si vive lungamente, e si vive sano! Faccia
conto il Padre Gottignès d' intraprendere per qualche tempo
nn grande 'medicamento nella seguente forma.. Prenda la
mattina a buonora sei o sette once di, .brodo di carne
sciocco ', e non raddolcito con veran giulebho, e ne meno
con zùcchero ordinario. Il suo desinare' sia una buona
minestra^ talvolta maggiore e talvolta minore , secondo
r appetito maggiore 0 minore : oltre 1» minestra , come
te fosse un Dpminicaoo, ^ì facci» cuocere on par -d* oo^
va ', e di più prenda no fr|itto secondo là stagione. La
cena della sera sia una minestra e no solo uovo. E tanto
la mattina, quanto la sera , beva sempre acqua, e mai
non beva vino, già che il vino è il maggior nemico che
possa atere la sua vita e la sua sanità. Se bene egli
vada naturalmente di corpo, contnttociò non tralajci di
farsi frequentemente de^ cristieri composti non d' altro ,
che di puro e semplice brodo di carne raddolcito eoi zoo*
chero , molto più copioso di quello òhe si mette "nel brodo
della mattina a buonoi^a. Non è dovere oonlrastargli il
muoversi ed il camminare, perchè il fare esercizio gli paò
esser sèmpre di "iommo giovamento , siccome gli può es-
ser sempre di danno lo stare eternamente a sedere in
oqa seggiola , o in letto. Exerceri imhecillis pdrtihus bo*
num, ci hanno lasciato scritto \ più' antichi e migliori
maestri della- medicina. Ceppita ! io ho fatto da liiedico
daddovero, mentre ha eitato mia senteasa latina; •.di
I Sciocco, Non salato. / . ; ; ,i
190 ^ tETTERATURA ITALfiHA
piò ho falto da buon economo, mentre rispoDdendo al
secondo quesito, ho risposto ancora al terzo. Caro Padro
Baldigiani , non ne so più ; e se più ne sapessi , più ne
•criverei. Accetti \\ mio buon animo*, è saluti cordialissi-
mamente il Padre Gottignes in mio nome , e gli dica ,
die se Torrà caraparet , potrà campare. Prudenti e giu-
diziosi mi pajono que' medici, i quali per primo «prin-
cipale scopo si prendono quello del mantener vili i loro
a DO mala ti ; e per secondo scopo si prèndono quell'altro del
•ana'rgli dalle loro infirmità. Quei- medici che scambiano
qoeit* ordine, non fanno . mai bene. Non più di questo. •
Supplico y. Reverenza umilmente a Toler rassegnaro
il mio umilissimo e reverentissimo osseqoio al gran Padre
Pallavicino , insieme con le; mie grandissime obbligazioDi
pel favore che vuol farmi coir esemplare del suo nnovo
libro che mi aarà gradissimo , ancorché da nie^non meritato»
Io non avrei mai avuto tanto ardire di mandar a
V. Reverenza la mia medaglia , che fu fa Uà fare dal
Serehissimo ^Granduca mio Signore*; ma ora che com-
prendo,, che ella la vuole, io gne ne* manderò tre in
una scatoletta per. la prima occasione che avrò; e V. Re»
verenza ne prenderà due per bò , ed una la prego pre«
•entarla al Padre Pallavicino ; se però le pare a propo*
silo; se no, sia per non detto, e ne faccia cpiel che lo
pare e te piace. La riprego di nuovo a rassegnarmi sèrvo
al Padre jQottignes, siccome mi rassegno oon ogni pili
Tera sincerità ec. - ^
Firenze io Agosto 16^8.
M signor doUor Lorenzo Bellini
A PUa,
Feci an sonetto alla maniera greca ^ scherzando aopta
Amore ladrone alla strada. Le due ^ quartine per avven»^
I Gm ne. On li tcriTe GU« ne.
SECOLO DEGIMP9ETTIM0 19!
tara oacqoero sollo benigna stella , nla le Òne (èrzine
loro sorèlle sbucarono daH'.atero del mìo t^erfeilaccio sollo
una stella reramente cattiva e maligna; perchè qaaDton*
qoe io le abbia più e piò volle raffazzonate e rinfronzite
e rabberciale S ® co° .lutto' ciò sempremai mi soq riuscite
brulle, lerce * e svenevoli, e quel che più importa, sema
spirito e melense* Come una mamma amorosa, che iote^
Derita di quella sua 6gliuola gobba e seiancata, vorrebbe
pure ch'ella comparisse con le altre, a una' fèsta, e per*
ciò s' affaoaa * a farle raddoppiare i tacconi aita scarpa
del piede zoppo, e le rimpinza guancialetti' e.bataflbli^
di cenci intorno affianchi ed intorno alle spalle ;ìcosi ho
fatto io di njaovo intorno a quelle terzine, una di queste
ootti cosi gelate mentre 'mi tribolava che non poteva dor-
mire/Ma penso che sarà avvenuto come accadde a quel
gobbo da Perelola , il quale, avendo Tedoto che un altro
gobbo suo vicino^ dopo un certo suo viaggio, era tornalo
al paese bello e diritto, essendogli gentilmente stata se^
gala la gobba, lo interrogò ehi fosse stato il medico, ed
in qual paese foue aperto lo spedale dove si facevano
cosi belle cnre* Il buon gobbo, che non era più gobbo,
glie la confessò giusta giusta, e gli disse: che essendo .io
viaggio smarrì una notte la strada , e dopo lunghi aggi*
ramenti si / trovò per fortuna alla Noce di fienQvento , in«
torno alla ^uale stavano -allegramente ballonzolando mol-
tissime streghe con una infinità di stregoni e di diavoli ;
e che fermatosi di soppiatto a mirare il tafferuglio/ di
quella tresca, fu scoperto, non so come, da una strega,
la quale lo invitò al- ballo, in cui egli si portò con tanta
S lUAperciar»» lUcconcitn**
a Zieree, Suicide.
3 Battanoli, GBsdnetti e nauti. JUmffùuùr» dicesi pei Empitn un vóto,
><m a ipnnde ftndio quanta materia n può.
4 r^0ir«yfta. Qoi vale J^ wt^utimm, U tMnmUo.
K^an LETTERITDRJ^, ITàLICffA
grazia e maestria, che -taf li quanti se ne maravigliarono,
e gli presero perciò così gninde amore che messoselo bal-
danzosamente in mezzo, e fatta porfare aaà certa sega di
butirro, gli segaron con essa, senza veran suo dolore, la
gobba , e eoo un certo impiastro di marzapane gii sana-
rono subilo subito la cicatrice , e lo rimandarono a casa
bello e gnarttp. 11 buon gobbo da Peretola, inteso que*
sto ; e ftfcendo lo gnorri ' , se ne stette zitto zitto ; ma il
giorno seguente si mise in viaggio, e tanto ricercò, e
tanto rifVnstò * che potette capitar una notte al. luogo della
desiderata Mooe, dove con dirersità di pazzi strumenti
f|uella ribaldagfia delle streghe e degli stregoni trescava
ai solito in compagnia dei diavoli , dèlie diavolesse e delfe
▼ersiere. Una versiera , o diavolessa che si fosse, faeen-
dogli un grazioso inchino la invitò alla danza ; ma egli
▼i si portò con tanto mal garbo e con' tanta svenevolag*
gine, che stomacò tatto quanto quel notturno conoiliabo*
lo; it quale poi mettendosegli attorno, e facendo venire
iir uji -bacile quella gobba segata al primiero gobbo, eoa
certa tenacissima pegola dMnferno la appiccò nel petto di
questo secondo gobbo; e cosi questi, che era venuto qui
per guarire del gobbo di dietro, se ne tornò vergogno-
samente al paese, gobbo. di dietro e dinanzi : conforme
sifol quasi sempre avvenire a certi ipocondriaci cristiane!»
li, che volendo a tutti i patti, e a dispetto deh mondo,
guarire di qualche lor mate irremedìabile, ingolfano a
crepapancia gli strani hevei^ni di qualche credulo , ma
fitmoso medicastro; e^di un sol male, per altro compor*
tabiia che hanno, incappano per io pia dolorósamente In
tre o quattr' altri più dolorosi del prhno, i quali pfesto
presto gii mandano' a Patrasso, cb' è nn oscoro paesello
j Fareh ^arri dicevi di clii finge d* ignorure quello di« M^ o di non
pencare a quello che pensa e simili.
2 Bi/rustar$ è il COrtre qua « ìà invutigiuuh»
«CCOIlO PECIMOSETTimO " 19?
lontano da Firenze delle miglia più di millanta. Or ?oi ^
caro Bellini, applicale questa frottola alle terzine del mio
sonetto. Leggetele, ridetevene, boriatemi', coculiatemi * ,
de me lo merito ; e se non ho potuto rabberciarle io ^
fate la gran carità di rabberciarle voi ^
ÀI signor Cestoni.
Oh TOi mi stimate ben gonzo^ e ben melenso , mentre
credete che io non mi sia per ancora accorto di qaegli
acddenlf ^ che mi molestano da più di nn ^nno io qua*
Che io non me ne accorgessi le prime ?oUe, Io confesso*
Ha ora oh,, oh; in quel primo moto non me ne accor«
go, ma poi mi accorgo benissimo che ho afoto il irafp*
glio e 1' accidente. Ma che Tolete eh' io faccia ? Egli è
più di on nofese.che sono in villa all'Imperiale e non ho
mai mai mai visitato nò pdre nn infermo. Anzi non son
mai nscito- dal palazzo se non a fare un poco di esercii
zio. A tuttr quelli che^ mi chiamano a visitare infermi
dico che non posso ^ perchè sono lOTecchialo e infermo*
Vorreste eh' io mi medicassi. Fo regola di ffta aggiusta*
tìssima; e questo è e ^arà il mio medicamento. Oh mes«
aer Francesco tu morirai! Eh! e ^he hanno fatto gli al*
tri ? E che faranno quegli che verranno dopo -di me ?
Quando la mctrte verrà 4 - avrò una sémta paziènza ^ e ce^«
tamente non nu farà paura , perchè aon cerio ^ più eh#
certo che lo aver paura note è cagione che ^la morte si
ritiri* .Io resto però infinitamente ma infinitamente ohbli*
gato al vostro amore per le amorevoli e gentili espres-t
sioni che mi fate. £ ve lo dico di cuore e da buono
amiico e servitore. — « Vogliatemi bene. Addio.
Firenze, dalla Villa Imperiale, 18 giugno .1689.
^ « •
. I Cuculiatemi, Beffatemi ^ Deridetemi.
2 11 Bellini, a cui ^esta lettera è iudimzaU, fu» come il Bedi« molto
valente lielle sciente naturali del pari che nella poesiar
3 Questi accidenti, L' epilessie > come |i d^se nella Vita dell* JUitore.
LBTTBBÀT. ITÀLi •— ir O
/
19/1 LETTBBITURI ITlLIAHAr
Al signor Pier Maria BaldL
r
Buffalmacco fò pittóre faiuosissitno de^ saoi tempi , ed
a mio giadizro , die por non sono affatto affatto uno zoc-*
colo , teneva il vanto neUa pittura , e meriterebbe pre-*
sentemente d^ essere anteposto a Tiziano ed al divino MI-
cbelagnolo, che non si può dir più in là. Se voi Toleste,
o signor Baldi ^ saper Je ragioni ed i niotÌTÌ ' di questa
Olia sentenza ji iion ▼.* aspettata che io ri dica che Bof*
faknacco fosse quel solenne maestro che. seppe Insegnar
le fiaesie maggiori dell'arte pittoresca in fi no ad uno seim*
miotto che per suo passatempo era tenuto dal Vescovo di
Arezzo^; ma vi dirò bene che Boffalmaoco Tur cohiì che
trovò quella nobile e sempre memoranda e sempre lodata
invenzione di stemperafe i colori non coitae^ua di pozan^
ma bensì con la più brillante vernaccia ^ che sapessero
produrre i più- celebrati magliuoli delle collinette', éoren'»
tine. Avanti che Buffalmacco trovasse questa inveuzionCf
egli faceva le sue pitture che , fate vostro conto , si ras*
somigliavano al vostro viso; cioè a dire, erano scolorite',
pallidacce é muffale, ed in 'molte parti di e%i& mi pap
di riconoscere il mio proprio ritratto, con an tìso di
mummia , sparntello, secco, smunto, allampanato *, e di-
steso con un certo eolorito di crosta di pane o di pera
eotogna cotta in forno \ e cosi malinconico , che farebbe
piagnere qnalsisia che avesse voglia. di ridere. Ha quando
questo gran Biaestroae colnincid.ad usar tra' suoi color»
la vernaccia,
&' dipignéva i santi nelle mura
Con certi visi tutto sangue e latte;
ed erano tulli condotti di buona maniera , giovialoni , al-
1 Vernaccia, Sorta di vìn bianco. SriUttnte: comttneittente diciamo spumante.
2 Allampanato. Magrìsiimo.
SECOLO DEciHOsvrriifo 195
legrocci, pastricciani % che «e ne dioe^ fino alle porte di
Parigi: e le donne di Faeasa, che erano certe Monache
sacciote *, le quali aveano il lor convento do?e è oggi la
Fortezza di basso, lènean più fèdef in Bafialmacco , che
in qnanti Apelli o in qaanli Protogeni furon mai fn cre-
dito appresso gli antichi Greci. Or che foglio io dire con
questa filastrocca ? Io voglio inferire che , CKendomi' voi
la cortesia di disegnarmi quelle figure per quel mio li-
bro , se non {stempererete i colori oon la vernaccia o con
altro prezioso \TÌnq , voi darete in cenci', e non farete
cosa che abbia garbo. E perchè non è dovere che per
questo mio bisogno voi mettiate 1' unguento e le pezze;
perciò vi mando un saggio di vei'aaecia di Seracusa, ac-
qompagnata da alcuni altri saggi di vin9 donatomi dal
Serenissimo^ Granduca nostro signore, coi quali, se stem-
pererelé i vostrF colori , non sólamente .làr^te far buon
tìso alfe vostre pittura , nià ancor voi racquislerete la
-vostra antica buona cera , a dispetto di quegli ostichi ^
2>everonacci che vi fanno ingozzare ogni mattina que^ due
inedie! vostri amici. Provale' questa uoova ricelta , e sa-
rete sano.
DITIBAUBO.
Sacco in Tosèana, '
Deir indico oriente ^
Domator glorioso, il dio del vino
Fermato avea F allegro suo soggiorno
Ai colli etruMhi intorno;
»
1 Pastricciano dkefi di na uomo alla dooiu e di baona 'lode « ebe suole
anche amr viso lieto e beue ia canie. _
- 9 Sacciuto per Saecenie.
3 Darete ec, . Mon faivt^ cosa che valga, Non risponderete ali* a^ttasione.
4 Ostichi» Disgustosi f Spiacevoli. '
5 Deli^ imUeo^ec* • Bacco è celebralo per con^iistatore delle Indie.
19^ LEttERlTXmA ITALIANA
E colà dofe imperlai palagio *
L* anglista froote itfvér le nubi ionalsa ,
Sa Tcrdeggiante prato
Colla vaga Arianna * on di sedea; .
E bevendo e cantando ,
Al beir idolo suo così dicea t
Se dell' ufe il sangue amabile^
Non rinfranca ognor le vene ^
Questa vita è troppo labile ,
Troppo brefe^ e sempre in pene.
Sì bel' sangue è un raggio acoeso
Di quel sol che in ciel tedete}
E rimase afrinto e preso
Di pia grappoli alla rete.
Su, sa. donqoe, in questo sangue
RinnoTiam V arterie e i muscoli ;
E per chi s' inrecchià e langae^^-
P^epariam vetri majuscoli ^ :
Ed in fèsta baldanzosa.
Tra gli schermi e tra le risa ,
Lasciam pur, lasciam passare
Lui che in numeri e- in misure
Si .ravvolge e èi consuma,
E' quaggiù Tempo si chiama ;
E bevendo e ribevendo^
I pensier mandiamo in bando.
Benedetto
Quel Claretto
Che si spilla^ in Avignone:
1 Imperiai ec, . Villa detta il Poggfd ImperiaU preMO Pimise.
2 Ariaima, abbandonata da Teseo , fu «posata da' Bacco.'
3 Vétri moftuèoàj cioè : Vasi o bicchieri assai grandi.
4 Si spUUu Si trae dalla botte per lo spillo , eh* fc un piccolo Ibro btto
oclU botte.
SBCOI^O . DEfi|«9»ETTIHO 1 9 7
Questo Tasto bellicoDe *
10 De verso entro il mio petto*
Ma di qoel che sì poretto
Si Tendemmia in ArtimiDO*,
To' Iriocarne più d' uo tino:.
Ed io 81 dolce e nobile laracro
Mentre il polmone mio tatto t' abbefera ,
Arianna, mio nome, a te consacro
11 lino, il fiasco, il botlicin, la pevera.'.
Or che stiamo in festa e io giolito ^ ,
Bei di qnesto bel crisolito^
Ch' è figlinolo
D' nn magliuolo ^
Che fa TÌ¥er più del solito.
Se di questo" tu berai ,
Arianna mia bellissima ,
Crescerà si toa vaghezza ,
Che nel fior di giovinezza
Parrai Venere stes^issjma*
Beverei prima il veleno ,
Che un bicchier che fosse pieno
Deir amaro e reo cafle :
I BdU&me, Bicchiere grande. Il Redi dedusse questa voce dal tedesco,
a Animino^ Villa , allora , dei Grauduchi di Toscana.
3 La pevera. Specie di grande imbuto di legno che lervtt quando si versa
il vino nelle botti.*
4 //> giolito. In riposo. Dicesi principalmente delle galere quando si trat-
tengono nella darsena o nel porto.
5 BM, Bevi. — Crùo&to (. pietra .preaiosa) dice qui il vino» per significare
ch* esso h del color di questa pietra.
6 MagUuolo h quel sermento o quella parte ch« si spicci dalla vili per
fame una nuova pianta.
•7"
198 I.ErrBRJiTIWA ÌTALIàHA
Colà tra gli Arabi
E tra i Giannifieri *
Liquor si ostieo *,
Si nero e torbido
Gli schiavi iogollino :
Giù nel Tartaro ,
Giù Dell' Èrebo
L' empie Belidi ^ l' iDrentarono ,
E Tisifooe e V altre furie
À Proserpi oa il mipistrarooo :
E se in Asia M Musulmano ^
Se lo cionca ^ a precipizio ,
Mostra aver poco giudizio*
Han giudizio e non son gonzi
Quei toscani bevitori
Che tracannano gli umori
Della vaga e della bionda.
Che di gioja i cuori inonda.
Malvagia di Montegonzi \
Allorché per le fauci e per l'esofago
Ella gorgoglia e mormora,
Mi fa nascer nel petto
Un in distinto incognito diletto.
Che si può ben sentire.
Ha non si può ridire.
Chi la squallida cervogia ^
Alle labbra sue congiugne,
Z Giatmixzeri erano le guardie dePGnn Signore, da poclù anni distrutte.
2 Ostico, Spiacente*
3 L* empie Belidi. Le cinqoanU figlie di Danao le quali tutte , fuorcb' una ,
ttcciiero i loro mariti.
4 Cioncare e Trincare Talgono Bere avidamente,
5 Montegonzi. YiUa nella diocesi d* Areuo.
6 Cervogia, Birvt.
SBOOtiO DECIM09BTTIM0 I99
Presto muore Y o rado gingne
Air età f eccfaia e barbogia '•
BeTa il sidro * d'- Inghilterra
Chi vaol gir /presto sotterra :
Chi Tuol gir presto allaiDorte^
Le befande osi del Norte.
Fanno i pazzi beferonl
Quei Norvegj e quei Lapponi:
Quei Lapponi son pur tangheri «
Son pur sozzi nel lor bere:
Solamente nel federe ,
Mi f ariano uscir de' gangheri.
Ma si restio eoi mal die ^
Sì profane dicerie ;
E il mio labbro profanato
Si puri^ciii , s'immerga.
Si sommerga
Dentro un peccherò ^ indorato ,
Colmo in girò di qoel Tino
Del ?i tigno
Si benigno.
Che fiammeggia in Sansafino.
* • • • •'• • • •'•' •'• '• •
La rugiada di robino.
Che in Valdarno i colli onorii.
Tanto odori! 9
Che per lei suo prègio perde
La brunetta
Mammolelta
* Quando spunta dal suo rerde.
I Età barbogia h quella, ia cui V uomo, rimliaiiììwtc».
a // sidro. Bevanda fatta di teele ec. •
3 Col mal die. Col mal di. Vadano alla malora^.
4 Pec^itro, Vaso da bere^ Bicdùere pm..grviae de|li ordinarii.
400 I/BTTERATURA. mtiUlRi:
S^ IO De bevo ,
Mi solJefo •
Sofra ì gioghi di Permesso * ^
E ne! canto si m' accendo ,
Che pretendo e mi do Tanto
-Gareggiar con Febo istesso.
Chi r acqua beve,
Mai non riceve ' {
Grazie d« me.
Sia pur 1' acqua o bianca o fresca ,
O n^' tonfani sia brona ^ , -
Nel suo amor me non infesca
Questa sciocca ed importuna ;
Questa sciocca che sovente ,
Fatta altiera e capricciosa ^ . •.
Riottosa ed insolente ,
Con furor perfido e ladro
Terra e ciel mette a soqquadro .:
Ella rompe i ponti e gli argini
E con sue nembose aspergini
Su i fioriti e verdi margini
Porta oltraggio ai fior più vergini;
E r ondose scaturigini
Alle moli stahslissioie ,
Che sarian perpetuissime,
Di rovina sono origini. ->
Lodi pur r acque del Nilo
Il soldan de' Mammalucchi ,
Né r Ispano àiai si stucchi
D' innalzar quelle del Tago ;
Ch' io per me non ne soa ?ago;
1. Permesso* Monte sacro alle Muse»
a Ton/ani diconsi qae* ricettacoli dove l'acqua delle correnti -% più proi<
fonda e jperciò « a vedersi ^ pia bruna.
éBCOLa DBCiaròsKTTiuo 20 f
r
E se a sorte alcaa de' miei
Fosse mai cotanto' ardito , .
Che befessene an sol dito,
Di mia man lo strozzerei
Qbali strani capogiri
D^ improvviso mi fan gaerra ?
Pami proprio che la terra
Sotto i pie mi si raggiri :
Ma se la terra comincia a.tremare,
E traballando minaccia disastri.
Lascio la terra , e mi salvo nel. mare*'
Vara , rara ' quella, goadpla
Pia capace e ben foi:nita ,
Ch^è la nostra favorita»
Sa questa* nave
Che tempre: ha di cristallo,.
E par non pavé
Del mar cruccioso il ballo ,
Io girmen voglio
Per mio gentil diporto ,
Conforme io soglio.
Di Brindisi nel porto;
Porche sia carca
Di brindisevoi ' merce *
Questa mia barca
Sa voghiamo ,
• »
f • • «
Navighiamo^ . . >'
Navighiamo^ infino a Brindbi;
Arianna, Brindis, Brindai.
Oh beir andare
Per barca in mare
•t '
1 Fara^ varaj cio^ : Tira la nate da t/em te 'acqÌM.
2 Brindis9vol imro9 h il Tino col qitaU sì fanno i Bfllldisl.
ZOZ LETTER4TVRA .ITALU9A
VefsQ la sera ,
Di prima vera ! '
Venticelli e fresche aurelte,
Dispiegànclo ali cf argento,.
Sall'azzarro pavinient»
Tessoo danze amorosctte;
E al mornaorto de' iremuli cristalli *
Sfidano ognora I naTtganti ai hani.
Si] roghiamo ,
Nai;ighiamo,
Navighiamo infino a Brindisi t
Arianna, Brindis, Brindisi. ^
\ Passavoga , arranca , arranca * f
Che la cinrroa ^ non si stanca ,
Anzi lieta si rinfranca
Quando arranca inverso -Brindisi.
Arianna , Brindis , 'Brindisi ;
E se a te Brindisi io fó ,
Perchè a me faccia il bnon pro^,
Ariann uccia vaguccia\ bellaecia ,
Cantamt an poco, e ricantami la
Snlla mandola la cuccurocà-.
La caccurncù,
La cuccnrocù;
Sulla mandola la caccòrtìcìi.
Passa ••'••vÓ4.«« .
Passa -»^ « • « vo .. • • •
Passavoga, arranca , arranca 9
€hè la ciurma non si stanca ,
Anzi lieta si rinfranca
1 2>emuH eHsUtOi. V onae.
2 Passwogare ^ il fiir agire tutti i remi da poppa a pma. — Arrm-
cere significa afBrettani quanto h pici poMÌbiltf.
3 Qumuu I tematori » o La paiione che •ennmt •vUa. nave*
S£CObO DECIMOSVTTiaiO Zoì
Qaaiido arranca*,
Quando arranca inverso Briòdisi;
Arianna , Brindi) , Brindisi :
E ae a te ,
E se a le brindisi io fo;
Perchè a me,
Perchè a me faccia il buon prò,
11 buon prò ,
Ariannuccia leggiadribelluccia ',
Cantami un po^ • • • • '
Cantami un po^ • . • #
Cantami un poco^ e ricaniami tu.
Sulla ito . % *.
Sulla viola la cuccurucù ,
La cuccurucù; •
Sulla viola la cuccurucù.
Or qual nera con fremiii orribili
Scatenossi tempesta fiérissfma.
Che de* tuoni fra gfi orridi sibili
Sbuffa nembi di grandine asprissima?
Su , nocchiero ardito e fiero ,
Su, nocchiero, ad opra ogn'^arte
Per fuggire il reo periglio.
Cile la nave se ne va
Colà dove è finimondo,
E fors^'anoo un pò* più in là.
Io non sor quel eh* io mi dica ,
£ néir acque io non son pratico;
Parmi ben che il ciel predica
Un evento più rematicò ' ;
- • - •
X ZeggUidtibeUmoeiM,' Il Redi amò anclie negli altri ^uoi scritti di foggiar
nuoT* voci,.a«} che fa asaai felice. H Ditirambo poi paro che ricliieda que-
sto ardilo onameiUo.
2 Pia remotico. Più malagevole e fiulidiosoi
S04 LETTBR4T0RÌ ITÀLIARà
ScendoD sìoni ' dalP aerea chiestra
per ridForEar coli* onde un nuovo iifsallo;
E per la lizza * del ceruleo smalto
I cavalli del mare artao!si in giostra.
Ecco , ohimè ! eh' io mi mareggio ^ :
E m* avveggio
Che noi slam tutti perduti' t
Ecco, ohimè! chMo faccio getto
G>n grapdiftsimo rammarico
Delle merci preziose,
Delle merci mie vinose;
Ma mi sente un po' più scarico»
-, >
• SatirelH
Ricciutelii ,
Satirelli , or chi di voi
Porgerà più pronto a noi >
Qualche nuo¥o smisuralo
Sterminato calicioué,
Sara sempre il mio mìgnone i
INè m' importa se un tal calice
Sia d^ avorio , o sia di salice ^ ,
O sia d^ oro arciricchbslmo ;
Purché sia mollo .grandissimo.
Chi s' arrisica di bere
Ad un piccolo bicchiere,
Fa la zuppa fieì panìefre 4 :
4 4$ÌMVif« Le trombe di mare.
2 Lizza dicesi il luogo doVe tonotko ctnraìli in |(lojrtn. Qui | cavalli del
mare sono i gonfiamenti dell* onde detti marosi e eavaUonij e il cemleo
smalto è il mare istesso.
3 Mi marcio. Sento ^el travaglio di stomaco che molti ricevono da)
mitigare.
l^ Fa la zuppa ee» . Perde il suo tempo , come lo perderebb* cbi facesse
la cuppa in un pMiiere o cesto che non tiene il brodo.
SECOLO DECinoseTTiiio 2o;>
Io quel Tetro che chiamasi il tonfano ' ,
Scherzan le Grazie, e fi trionfano:
Ognàn colmilo, ognun fóiilo;
Ma di che si colmerà ? ^
Bella Arianna , con bianca roano
Versa la manna di Montepulciano;
Colmane il tondino , e porgilo a me.
Onesto liquore che sdrucciola al core,
Oh come V ugola e baciami e mocdemi !
Oh come in lacrime gli occhi disciogliemi f
Me ne strasecolo, me ne strabilio,
E fatto estatico, to in^jHsfhilio.
Onde ognun che di Lieo * ,
Riverente il nome adora ,
Ascolti questo altissimo decreto
Che Bassareo pronunzia , e gli dia tè :
Montepuiciano ft ogni vino è il re.
Sonetto.
Donne gentili , defole d' Amore ,
Che per la TÌa della pietà passate ,
Soffermatefi un poco, e poi guardate
Se ▼' è dolor che agguagli il ni^io dolore.
Della mia donna risedea nel core.
Come in trono di gloria, alta onestate;
Ideile membra leggiadre ogni bel tate,
E ne' begli occhi angelico splendore.
Santi costumi , e per virtù baldanza ,
Baldanza umile ed innocenza accorta,
E, fuor che in bene oprar, nulla fidanza;
Candida fè che a ben amar conforta
Area ne! seno, e nella le costanza:
Donne gentili; questa donna • morta.
S tn fml vetro che ec./ cioè : In nn vetro o bUchiero the lia largo •
proCojndo corno un ton&no.
a Liee ( o poco dopo Beuarto ) è lo fttsf o cko Baeeo»
MTTIBAT* ITA!» •— IT l8
ao6 LETTERATURA ITALIAHA
CARLO DATI
Compagno del Redi nel ricercare le origini della
lingua toscana e nel promovere il Vocabolario della
Crusca fu Carlo Dati fiorentino, nato Tanno 1619.
Scrisse un Discorso deW obbligo di ben parlare la
propria Ungua^ e parecchie operette di argomento
scientifico , oltre ad un buon numero di Lettere^
Orazioni e Jiagionamenti accademici^ ma sopra tutto
^li è lodato per le ìTitc dei Pittori antichi scritte
con bella semplicità, e corredate di note, ridondanti
di erudizione d^ ogni maniera.. Fu inoltre il racco-
glitore delle Prose Fiorentine, le quali , se non sono
tutte eccellenti , pur somministrano uh' utile let-
tura agli studiosi del nostro idioma. — Invitato da
Luigi XIV, e da Cristina di Svezia protettrice al-
lora degli uomini d^ ingegno , non volle cambiare
né con Parigi uè con Roma la sua Firenze, dove fu
professore di lingua greca fino alla morte, avvenuta
r anno i6j^.
DALLE VITE DEI PITTORI ANTICHI.
Dwtni gradi nelV Iiwenzione,
Ninna cosa più chiaramente palesa la simiglianza del'
l'aomo con Dio, che T iuTenzione ; ponendo ella quasi
in buon lume la bellezza e la virtù deir anima nostra.
E la cieca gentilità fa molto da compatire , la quale
agr inventori di cose o necessarie o comode al vivere
umano decretò sacrifici ed onoranze divine; attentamente
considerando come V inventare sia prossimo e quasi suc-
cedaneo di quell'ammiranda e incomprensibii maniera che
nel creare usa ad ogni momento V Onnipotenza. Ben è
vero, che provvidamente dalla bontà dell' Altissimo fnron
conceduti alla nostra fiacchezza molto limitali e bassi i
SEGOLO OBGiaiOSETTIHO A07
▼oli ieW inTentiTa , metteoclo H freno ali' alterezza mor^
tale :. onde chi prima inventò , sempre fu rozzo e imper-
fetto ne' sooi principi ; chi sacceclette , i trofa menti mi^
gliorò de passati., molto lasciando da migliorare; chi ri«
dusse le arti men loogi dalla perfezione , ottenne pregio
di accuratezza più che di novità ; e per molto ch^ altri
poi si avanzasse, non restò mai da ninno occupato impo-
sto eminente della suprema eccellenza. Stando adunque le
cose io tal guisa disposte , non perdettero i primi , tut-
toché superati da' susseguenti , l' onore delP inv^enzione' ;
e a' posteri restò la speranza di yincer tutti i passati ^
senza tòr loro il Tanto d' essere stati i maestri. Questa
-diversità di principj, di progressi e di gradi più che in
altro magistero ben si ravvisa nellA-pìtlura, di cui vera-
mente io non so se r ingeigno .e la mano potessero uni*
lamente immaginare e formare per ornamento del mondo
opera più galante e più degna. Oh quanto fu ella, a dir
▼ero, rozza e imperfetta, e por maravigliosa nel nascer
tuo ! Quanto lentamente sali , dilungandosi dall* antica
goffezza ! e pure in tolti i suoi pAssi ebbe compagni gli
applausi e lo stupore. Quanto si fu ella finalmente stn*
penda nella sua più sublime perlèziooe , se però creder
Togliamo che alcuno de' professori più eccelleqti ascendesse
a quella sommità , aopra di cui più non è da salire !
Gloriosi adunque sempre resteranno i- primieri inrentori
•della pittura , che la messere ' al mondo ; nò meno glo-
riosi saranno coloro , i quali anzi quest^ arte per^iona-
rono, che alcuna cosa inventassero; scodo il- campo della
gloria cosi spazioso, che ben può passeggiarlo francamente
ciascuno senza recare sconcio al compagno.
Contro i crìtici troppo severL
Io vorrei qui presente uno di coloro, i quali si fanno
a credere che il traslatare i buoni autori nel folgar no*
I Muserò, Mis«ro.
A08 LETTERATURA ITALIANA
atro sia impresa da faoclolli , come quegli che noo saoDo
e non capiscono, che per guadagnar talvolta il fero sen«
timento d' aoa parola , si perdono molti giorni , ponen-
do , ie? àodo , malandò e fantastjcando , e poi né anche
ai colpisce nel segno ^ come credo certo che sia a? venato
a me, parendomi d^ esser sicuro di non a fere indovinato
qael ch^abbia voluto dir Plinio in quelle parole; argutias
Julius, Poveri scrittori! de' qnali si vede il lavoro quando
sono superate le difficoltà , e che tutto è aggiustato e
posto a suo luogo, restando occulta la maggior parte
della fatica e dello studio speso in fuggire gli errori. In
quella guisa che Teggendòsi una fabbrica quando è bella
e terminata , non si considerano le malagevolezze, gP in-
toppi e le «pese nel fare gli sterri ', nel cavar I' acque,
ne! gettare i fondamenti , nel condurre i materiali, nel
collocar* le porte , nel pigliare i lumi , nel situar' le sa-
lite; né altri si ricorda delle piante , de' disegni , del
modelli, degli argani, de' ponti, delle centine *, e di mille
altri ordigni e lavori oecessarj. Ma pur pure questi tanto
o quanto si veggono , perchè s' opera in pubblico. Cosi
fossero Tedute ie preparazioni , gli ammanimenti , 1 re-
pertori, gli spogli, i luoghi imitati, le ponderazioni, le
correzioni, i riscontri, i Tolgarjzzamenti degli autori, le
bozze, le cancellature, le cose prima elette e poi rifiu-
tate ; che per avventura sarisbbe più compatito chi inette
in luce le sue fatiche da certi .severi e indiscreti censo-
ri , che non facendo mai cosa alcuna , le fatte dagli al*-
tri sempre tengono a sindacato.
Elogio di Jpelle,
Vivendo sempre V nomo fra cose imperfette e finite,
maraviglia non è che con intelletto difettoso ed angusto
I
1 Gii stari. Gli sterramenti.
2 Centine. Arcate di legno sopra le quali ai fabbricano le vòlte.
SECOLO D.ECIM09ETTIH0 •209
non comprenda uè quel perfetto che non si paò miglio^
rare , ne 4)iieir infinito che non paò crescere. Di qui è
che bene spesso egli crede e chiama ottime quelle cose,
delle quali mai non giunse a Tederne migliori; e immense
qoelle che a sua Uf^tizia son le più grandi. Ma poi Te-
nendogli sotto T; occhio qualche oggetto opiù eccellente
o maggiore, è sforzato a mutar concetto e credenza della
perfezione e delP immensità ; accorgendosi per le replicate
esperienze , ch^ ogni cosa mortale può sempre Ticevere
miglioranza e grandezza , senza mai giugnere a quelF e*
stremo termine incapace d' aumento , che solamente in
Dio si ritroTa. Àveano la- natura e T arte in diversi sogf
getti fatto ogni loro sforzo* per sollevar la pittura a quella
aoprema altezza di perfezione, alla quale airivar pptesso
la mano e V ingegno delP uomo. E se avessero In Zeusi
e in Parrasio e in Timante fermati i progressi loro, eia*
•chednno senza dubbio avrebbe stimalo che meglio di co*
itero non si potesse operare. Ma quando ambedue ii|
Apelle s' unirono , dotandolo d' uno spirito e d^ nna gra<?
zia che pareva trascender V umanità , e con lungo , assi**
duo e diligente esercizio Io corredarono d* una pratica o
d' un amore che franchissimo -lo rendevano e indefesso ^
e che per terza a favorirlo s* aggiunse la fortuna di qndi
felicissimo secolo, io cui furono in tanto pregio le scienzot
e Partì più nobili; chiaramente si. vide che tutti gli al«
tri , i quali senza questo paragone apparivan perfetti ,
erano stati studi ed abbozzamenti per disegnare e colo^
rire qpesto vivo ritratto della perfezione,, celebrato q
magnificato dagli scrittori, à\ tutti i secoli : perchè non,
ebbe V antichità , bench* egli pur fosse in verità supera-
bile, ninno che giammai T agguagliasse.
Nobil gara/ra Jpelle e Protogene,
E eelebre ravTeiumento e la gara d' Apelle e di Pro-
j8*
2IO LfiTTERATUnA ITALURA
logene. Dimorava questi in Rodi; dove sbarcaodo Apelle,
ansioso di vedere colai , il quale ood allìrimeali ceoosoeva
che per faftia ^ di presente s* inviò per trovarlo a l>otte«
ga '. Non v^era Protesene, ma solamente nna vecobia cbe
alava a guardia d^ una grandissima tavola messa sa per
dipignersi. Costei da A pelle interrogata , rispose che 'I
maestro era fuori ; indi soggiunse : £ cbe debbo io dire
cbi lo cercbi? — Questi, replicò Apelle: - e preso un pen-
nello, tirò di colore sopra la tavola una sottilissima lì-
nea. Raccontò la veccbta tatto il seguito a Protogené ; e
dicesi cbe egli tosto, considerata la sottigliezza della li-
nea , affermasse easervi stato Apelle , perchè nian altro
poteva far cosa tanto perfetta; e cbe con diverso colore
tirasse dentro alla medesima linea au* altra più sottile,
ordinando nel partirsi che fosse mostrata ad Apelle se
ritornasse, con aggi ngnere che questi era cbi egli cerca*
va. Così appunto avvenne ; perciocché egli tornò , e vcr«
gognandosi d* essere superato , segò e divise le due linee
con un terzo colore, non lasciando più spatzio a sotti-
gliezza vernina: laonde Protogene chiamandosi vinto, corse
al porto , di lui cercando per alloggiarlo. Io tale slato ,
«enz'' altro dipignervi, fu tramandata questa tavola a' po-
steri, con grande stapore di tutti , e degli' artefici mas*
siniamente. Abbruciò ella in Roma nel pfimo incendio
del palazzo cesareo , dove per avanti ciascuno vide avi-
damente e considerò queir amplissimo spazio , altro non
contenente cbe linee quasi invisibili. E pure collocata fra
tante opere insigni , tirava a sé gli occhi di tutti , più'
beUa e più famosa perch' era vota.
Il calunniatore. Quadro di, Jpelle,
Dipinse (Apelle) nella destra banda a sedere un uo-
mo con orecchie lunghissime, simiglianti a quelle di Ali«
1 Ora , tratuùdosi di artùti , «Uciaiaó ^dio»
•SCOLO O^IMOSBTTIMQ .3 LI
.d« , in atta di porger la maoo alla Calunnia che di lon«
tane 5^ inviava verèo di lui. Sca?angli attorno due clou-
niccifiole; ed erano , s' io lion erro, l'Ignoranza e la So*'
spezione. Dall' altra parie venia la Calunnia Intta adorna
e liscfatà , che nel fiero aspetto e nel portamento della
persona lien palesava lo sdegno e la rabbia ch'ella chiù*
deva nel cuore. Portava nella sinistra una fiaccola , e con
1* altra mano strascinava per la zazzera un giovane , il
quale, elevando le mani al cielo, chiamava ad alta voce
gli Dii per testimon) della propria innocenza. Facevate
«corta una figura squallida e lorda , vivace ed acuta nel
guardo, nel resto aimiglianlissima ad un tisico marcio; e
faeiimente ravvisavasi per T Invidia. Poco meno die al
pari della Calunnia eranvi alcune femmine, quasi damigelle
e compagne, il cui ufficio era incitare e metter sn ' la
itgnora , acconciarla, abbellirla ; e s' interpretava che fos-
sero la Doppiezza e P Insidie. Dopo a tutti veniva il Pen*
timcfiilo colmo di dolore , rinvolto in lacero bruno , il
quale, addietro volgeiìdosi, scorgeva venir da lungi la
Verità non meno allegra che modesta, né menu modesta
che bella.
BENEDETTO MENZJNI
Benedetto IMeazioi scrittore elegante, cosi io ila-
liaoo come in latino, nacque io Firenze a 29 di
marzo delPauno j646. La povertà avrebbe forse im-
pediti i suoi studi, se il marchese Giaoviucenzo Sal-
tiati noo toglieva a proteggerlo.
Egli èra ancor giovinetto quando fu nominato
professor di eloquenza io Firenze : ma non avendo
poi ottenolo di essere promesso ad una cattedra nel-
r Università di Pisa ^ nel i685 andò a Roma presso
Cristina di Svezia.
I Meti^r su per AUu^» è modo anche del dìnletto.
%IZ LBTTfiEATURA ITALUHÀ
Quattro anni dopo , mòrta quella celebre protég*
• gitrìce, il Manzini si trovò di bel nuovo nella po-
vertà^ dalla quale fu necessitato di logorare malamente
r ingegno, scrivendo a prezso per tali che si facevaa
poi belli delle sue fatiche. Finalmente il cardinale
Gianfrancescó Albani ^li ottenne un luogo tra i fa*
migliar! d^ Innocenzo XI , un canonicato e V uficip
di coadjutore nella cattedra d^ eloquenza nella Sa«
pienza di Roma , dove mori addì 7 settembre 1 708*
Gredesi che il Menzini scrivesse la maggior parte
delle sue opere in Roma sotto il favore della Regina
di Svezia ^ e sono Poesie liriche d' ogni metro e
d^ogni genere; tre libri di un Poema epico intito-
lato il Paradiso terrestre^ un^ imitazione delP Arca*
dia sotto il nome di Accademia Tusculana^ una
Poetica in terza rima, ed alcune Satire nello stesso
metro. Queste ultime due sono generalmente pre*
giate sopra tutte.
POESIE VARIE.
I JW Imddia.
Per pitf d' uà angae al fero teschio altorlo
Veggio eh* atro Teleao iotorno spiri ,
Mostro crudel , che 'I lividi' occhio e Iorio
Su lo splendor de P altrui gloria giri.
II perverso tao cor prende conforto
Qoalor più afflitta la virlù rioairi ;
Ha se poi della pace afferra il porto ,
Ti s' apre uo mar di duolo e di sospiri.
Deh ! se giammai ne V im mortai soggiorno
Le mie ' preghiere il Ciel cortese ndille ' ,
Oda por queste , a cai sovente io torno :
I UdiXU, il pronome le, iffiMtt al V6(1m} H4t ^ UB sampUif pltoaumo,
cht in proM swebbc. difetloio.
iECOtO DECIMOSETTIHO ài 3
Coronata di lucide fatille
Splenda Tirtnte; abbia letizia intorno,
Abbia la gloria ; e tu mill' occhi e mille '.
1 Sogni
Uentr^ io donnea sotto qneir elee ombrosa ,
Rarfemi , disse Aloon , per V onde chiare
Gir na? igando d' onde il soie appare ,
Fin dorè stanco in grembo al mar si posa.
E a me , soggiunse Elpin , nella fumosa
Fucina di Yulcan parte d' entrare,
E prender armi d' artificio rare,
Grand' elmo , e spada ardente e fulminosa.
Sorrise Uranio , che per entro fede
Gli altrui pensier col senno; e io questi accenti
Proruppe , ed acquistò credenza e fede :
Siate , o pastori , a qaella cura intenti ,
Che '1 giusto Ciel dispensator tì diede ,
£ sognerete sol greggi ed armenti.
V AUoro.
Dianzi io piantai un ramoscel d' alloro,
E insieme io porsi al Ciel preghiera umile ,
Che si crescesse V arbore gentile ,
Che poi fosse ai cantor fregio e decoro ;
E Zeffiro pregai , che V ali d* oro
Stendesse su^ bei rami a mezzo aprile ;
£ che Borea crudel, stretto in sertile
Catena , imperio non avesse in loro.
. Io so che questa pianta , a Febo amica * ,
1 3ÙW occhi «e. . E tu abbi mille occhi p«r Tcdere la proapcritk citi bnoni
ed cuame aflOitU.
% A Febo «e*. Dell* alloro coronataiui i poeti , il cui Dio era Febo od
Apollo.
A 1 4 LETTERATCRA ITALIillA
Tardi , ah beo tardi ! ella s* innalza al segno
D* ogni altra che qai stassi in piaggia aprica ;
Ma il suo longo tardar non prendo a sdegno ,
Però che tardi ancora e a gran fatica
Sorge tra noi chi di corona è degno.
DALLA POETICA.
Quanto possa lo studio — Del Sublime — DeW Entusiasmo.
Oh' della gloria laminoso calle !
Felice quei che in te vestigio imprime,
Kè a' rai del tuo bel Sol Tolge le spalle.
Or chi brama che ^1 grande e che U sublime
Risplenda ne^ suoi scritti , e si consiglia
Correr di Pindo in vèr le palme prime;
Giammai non torca da V onor le ciglia ,
Mai da la nobiltade; e i suoi pensieri
Servano a lei qual sìgnorii famiglia ••
E co' suoi spirti geoerosi e altieri
P^on mai s* abb^Msi a qnel che a V alma oltraggio
Può far co' suoi vapor torbidi e neri.
Tenga, lungi dal volgo, erto il viaggio;
£ le nebbie importune alto saetti
Dal suo bel ciel col laminoso raggio;
E poi ben giusta inclita laude aspetti
Da quegli che verranno. Ah sì , verranno *
Migliori al coro ascreo giudici eletti.
E quei che forse or aconosciuti stanno ,
Sin da gli elisii campi eccelso e forte
Di benché tarda gloria il saono udranno.
1 Qnid se, . Come i domeitid lenrono al loro tignore. -
xVsrrmno ec.. Vbol din cbe i poftori sanumo giudici migliori e più
impaniaU. -« Coro ascreo, I poeti.
SECOLO DEGIUOSETTIHO 21 5
Yer è che al Ciel la lor beata sorte
Debbon spirli soblimi ; e questo è il pregio
Che sol per grafia è fatto altrui consorte '.
Esser r injgegno io nobiltate egregio
Mai poò per arte; e sol del Ciel cortese
E qoesti e di Natara ooico fregio.
Elia da prima in le grànd^ alme accese
Ud gentil foco; ed eila i semi sparse 9
E a lieto germogliar pronti gli rese.
In sterile terreo non Yedi aliarse
Pianta meschina; e del sa' aprii si doole.
Che sol squallide froodi in lei cosparse:
Anch' ella pur vorrebbe in faccia al sole
Spigar florida chioma a' suoi verd' anni ;
Ha ritrosa Natura osta, e noi Tuole.
Pur non fia che del tutto ioran si aflfanni
L' ingegno umile, allorché anela e suda
Pur di Natura a risto^^are i danni..
E non fia che del tutto a lui si chiuda
Il si diffidi Tarco, e che del tutto
D' effetto lòto il buon voler s^ escluda.
Che quel cne parve orrido campo asciutto ,
Per onda * si discioglie , e a chi 'I coltiva ,
Dolce promette in sua stagione il frutto.
Non l' accorar se v' ha talon che scriva ,
Che io van si tenta ogni arte: e por per arte
La piccola barchetta al porte arriva.
Nelle chiare di Febo eterne carte
Mille vedrai indite forme e mille,
Qie potran del sublime esempio fitirte \
I E fatta tt. . È conceduto ali* nomo,
s Per onda te, , Per meuo dell* acque eoa cui i* irriga.
3 Farla per Farti g e il modo Fara esempio dei subìima. Tale Essere
esempio» o Servire ^esempio*
ai6 LETTEBATURA ITALTARA
E nel tuo cuor le tacite faville
A poco a poco sfeglieransi ; e poi
Per tutto vibrerai lampi e scintille.
E al grande oprar de^ gloriosi eroi
Vedrai Io spirto in te farsi maggiore,
E gli angusti sdegnar confini suoi.
Questo tuo! dir che a ciaschedun nel cuore
Avvi il talento : ma non sempre eguale ;
Che grande è in altri, e forse è in te minore.
Slira qoal splende il cielo, e mira qnale
ArdoQ gli astri diversi ; e la chiarezza
-.Spesso de I' ono al suo vicin prevale.
E pur son paghi de là lor bellezza
: Ciascun , benché diversi ; e 'I guardo umano
Traggo d* entrambi una gentil vaghezza.
Ha perchè a- te chiaro ^ si faccia e piano
Qua! sia 'I Sub! ione, or via T orecchia appresta ,.
Kè forse a i detti ibchinerassi in vano.
Sublime è quel eh' altri in leggendo desta
Ad ammirarlo , e di cui fuor traluce
Beltà maggior di quel c^he M dir non presta.
Ond' è che 1^ alma a venerarlo -ìndace ,
E r empie di se\>tesso, e ìa circonda
• D' una maravigliòsa amabii luce.
E quanto il guardo in lui più si profonda,
Più e più diletta ; e per vigore occulto
La ménte del lettor fassi foconda '.
So- ben che punte anche in sermone incnlto
Chiudersi un gran pensiero ; e si appresenla
Talvolta in creta anche un gran Nume insculto.
E v*ha talon eh' ebbe la cura intenta
Solo al concetto ; e V ornamento esterno
Spezzò la mano e neghittosa e lenta.
I Fossi fteonda. Cioè trota sempre più nuove belleue a mìinm the me-
dita tttU* iauBagiae concepita. '
SECOI.0 DBcmosETTiaia ^17
Qnindi «^0oti» ao tal fiostanM io scerpfi
Id quei { cb« • iitip imMagmnndQf fi fielo
Wd» Ur di tre ^ifi pn gÌF4 etii|:||f|.
Ma la d* iiD dpppiq e.'fieperoso spio
Vorrei pbe ardessi t e c^e le grandi \ÌP^
Ricco afesièr per te pouipQ»P iplo. ^
Chi non ha T aqro , p ') ^rde , è vfE^ pl)p. bee
Il Cfaiaoti ^ io f e(rfl ; me piit lieti) in vista
Spargeria di rqbìo gemme ei^itree*
È ver che io inaMe eacnr fsegCufe P m^H .
Ha sQo piceayo V arg^otP ; e gaf nmf^
Ud' artefii:» man gjfiàm g|i ^qsi^tq?
È Ter fi^ grez^p è Y adàm^nfq > ^ i» (W^Uf
Bavide spogli^ è prie^iQip; ^ pHf^
Alla feri ifi» rpole ei pii| Jt' ^^l^eUec;
Così |e besi^ fornw? P ?> T 9^PP«:? '
Fflggir l« dèli , ^ ft l? af le , ^ r c^^gipnto
Volger r ing^Qfi p >e sagaci epfp^
E far che ^p)eqd^ «I li©» tftlgV l4«Rte
He* gr^i» *B|?si iipn v>! * "ft^ }^ Vi^h «ncora
Onde si s|^ieg.i| ^u po}?i|p afjgpm^Rffj.
Che se r q?» »fi ri^^rbi , e 1' fn^rq %f^ ^
La dpppi« palw opde \<f 3^jl ;^' ppofjf.
Ooiodi Tarassi f |e l«!a «^l^nlfi ^RI^I^B
Qa^|>i4 1 cojjlr^FÌp d^l .^pbllrap, if) fpi
4lf»^ np« P diB f rfetfj prfgj ipsef{^.
Talvolta udrai dentro gli scritti altroi
, AUo rimbombo , e. strepitose^, il sgono :
Ma Te' 4ì» J^app^i « RP» è %àR ^ m !ft'-
s /n quei che ee,> pi Baou.
a // CAmiUì. Il Tiii di Clnaiiti.
3 Non i /ondo* Non ha fondamento di pensieri e di idee dalle quali sol--
tanto nasce il SnLUme.
I.BTTBBÀT. ITAI». - IT ig
21^ LETTERATtHIÀ. ITALff&llA
Perchè V alta del graode oHig[iii sono
I grao pensieri, « di fet>èa ùrètra
Falnknie i aeosi , e le parole il Uioimk
Alpestre' e duro Cranoo^ orrida pietra
Or tioD adkti gni dal giogo alpiao
Trarsi ia ^rtù dell' opoUinea cetra?
Ed iodi farsi ai grau «autor ticìso
tjB froiidota famiglia , aprirgli afai»le
Vaga «etfofa aeeBa il «erro e il |>ijM?
Tal di fa?òleggiar la Grecia ancaii^e
Fiòfse le altere mara figlie noow
Nelle 'Seguaci ed aoifiiale piante.
Ìj anren cetra , che i tronchi e i tassi nraote ,
E il naturale Eotosiasmo , ei aolo
S' b» da natara , e non s* imprende aitrore.
In ogni altro per arte aitar * dai snolo
Potrai; ma non d* altronde a?er le penne
Per qnestt> , tli ah* io parlo , etereo toIo.
E basterà che «ol di Ini ti accenno ,
Ch' egC è quél che rapisce, e quei che inspira
L' alma gentil ehe a |»6etar aen Tonnef '.
E poscia in sna ▼ irtate anco a sé tira
Gli animi altra!; e i «ott in loro, alterna
Per varie tempre d^l' 'tornea lira.
E si soavemente egli a* interna
Neir intelletto , die ubbidir oon^riene
A ini 9 tftie r alme a toò- piacer goreroa.
X jilpestré fc, . Non udisti ciò che si racconta ài Orfeo » cioè che al mono
della voa cetra traevasi diètro le piaitte e i naMagm ì
2 JlUar (- s' intende ) il volo.
3 Sèn venne ( sottintendesi ) al mondo$ NtOM éHa poMAk ^ ■
SEGOLO DECIHOSBTTUIO ^ 3-19
VINCENZO FIUCAJA.
Lo splendore delle poesie di Pindaro non fa mai
forse emulalo cosi bene da nìun moderno «onie dal
fiorentino Vincenzo Filicaja. A'sqoi teiUpi la città
di Vienna fa assediata dai Torchi, e T Europa guar-
dava spawotata a quella guerrt cKe potew con-
durre la barbarie ottomana nette sóe belle contrade.
Finalmente Giovanni Sobieski re di Poboia scon-
fisse gli »8«edia»fi. Allora il Filieaii , aeceso da un
alta inipiw««ie poetica e dal •éntimonlo religioso,
scrisse alcune canaonl che divolgarono il «no noole
e la sua lode non pure in Italia , ma faon. L im-
peralore Leopoldo, il Re di Polonia e il Duca d»
Lorena gli significarono per lettela Tammirazione in
cui erano del suo nobile ingegno. Cristina di Svezia
si assunse di educarne a proprie 'spese i figliuoli.
11 Granduca di Toscana oltre alla catrìca di bena-
tore gli commise anche il governo dì akune pro-
vince; dov'egli seppe acquetarsi Vamove de suddU.
e la stima del principe. Morì a' «5 di settembre
del 1707 in età di settanlaciBqo^ ano*.
C4JIZ0QI.
Ptr P assedio di fìenna , fatto dai TVciti hd |68J.
E fino a quanto inuUi
Fiai^» Signore, i Miai 3e»n? E fino « quanto
Dei barbarici insulti
Orgo^jlipsa « ^J*à r wipta baldanza?
Dot' è , dov' è , gran Dio , l' antico tanto
Di tu' atija possanza ?
Stt' cwpi ^i» ^^ <?««N[W *»** P*" ^^^*^ '
Semina atragi e morii
yÀiT pompi ec., W'paesi dove la reHgione h piik coUìt^U..
120 ttVf ^ittfftlà ITAtnilà
Barbaro ferro , e te destar noo pooQo
Da si profotitld idtafatì
Le gravi antiche offese e i no?i torti ?
£ tu ^1 Tedi , é M comporti r
ia destra di folgori non armi,
O pur gli avf enti agì' insensati marmi r
Mira, oiaiè, ^ual crudele
Neiàbò 4\tirflii e dVarmati , e qoal torrente
|>'.«g«rcllD infedéle
ÒdfAl i' Austria a inoadaf ! Mira che il loei»
A laAV étti^lb teénea i é a UMa fftaié
. . 'Pai^ chfe r lélW »ia ptìco • 4
£ di imV hìié h\V bmhtà il ili si tfàe t
Tutte son qui lé spade
Deir ultimo Òrfenie^ è àìià gl'air luttd
L'Asia 8 .nnfo qdi tutta,
E quei che 'l Tanal * solca 1 e quei die ràde
Lu saf maliche biade,
£ quei ehfe calca la bistonia nefe,
E qUei uhe '1 Milo e ehè V Oronte b«;RC«
Di crisiiuft sangue ilntu
Mira deir Austria la città reìna ,
Quasi abbattuta é ttutà ,
jQlUl^ (0 niìile raccór nel fianoo infermo
Fiilmin temprali all^ infernat fucina.
Mira che frale schermo
-'' l^on per lèi l^àlt^ ttidra , Oùd* ella é tinta;
Mira le palpitanti ^
Sue rocche ; od! , od! H sOoiI th« a morte sfida ;
l Par che ^ Istrò ( // Danubio } non baiti per sommiiiùtrar 1* acqua ne*
cessaria a tanto esercito. — Si cele, 5i celi , 6i nasconda.
a Tonai. Ora Donj Sattte «btt inette foee ael bmm d* Àaot — > Sarmazia
e Bistonia son nomi antichi di provincie Tenute poi in potere dei Turchi.
3 Le palpitanti rocche sono un' imnM§[ine appena perdonaliile al tecold
dell* Autore.
SEGOLO DEClfllOSSTTIVO 221
Le disperate strida
Odi, i singulti, le querele e i pianti ^. .
Delle donne tremaiiti ,
Che , al fiero aspetto dei comaa perieli ,
Stringonsi al sene i vecchi padri e i figli.
L^- onnipotente braccio.
Signor, dehi stendit e sappian gli emp} ornai,
Sappian che vetro e ghiaccio
Son lor armi a^ tuoi colpi , e the sei Dio :
Di tae giuste vendette ai caldi rai
Stradasi''! popol rio.
Qoal porga il collo al ferro, quale al laccio;
E come fuggitiva .
Polve avvien che rabbioso Aostro disperga,
Cosi persegua e sperga
Tuo sdegno i Traci, e sall^ augusta riva
Del Danubio si scriva t
Al vero Giove V ottomaa Tifeo ' .
Qui tentò di far guerra, e qui cadeo. -
Del Re superbo assiro *
Gli aspri arieti di Sion le mura
So pur che invan colpirò;
E tal poi monte d^ insepolti estinti
Alzasti tu , che inorridi Natura.
Guerrier dispersi e vinti
So che vide Betulia ; e 'I Duce siro
Con memorando esempio
Trofeo pur fu di femmiaetta imbelkt
Sulle teste rubelle
*
X jybo. Uno de* Gisanti che diedero 1' auaho al delo«
a SennadierU» ce d* ÀMÌna mandò un ei ercHo di lS5ooo uomini ad ai-
iediare Genualemmei e Dio spedi tan Àngdk> che in una fola notte li
aterminò tutti. — Oloferne , generale di Nabuecodonotor re d* Àstiria , as-
sediò Betulia y. ma fu ucciso da Giuditta. •— • Giaele uccise ^Sisara.
«9'
222 LBTTBBATORA ITALURA
Deh ! rioDOTeila or ta V antico scempio :
Non è di lor meà empio
Quei che servaggio or ne minaccia e morte;
Né meo fidi slam noi , né tu meo forte.
Che ft' egli è pnr destino 5 '
£ ne' volumi eterni ha scritto il Fato * ,
Che deggia dn di air Eusino
Servir V ibera è V alemanna Teti ,
E 'I suol cui parte i' Appennin gelato,
A* tnoi santi decreti
Pien di timore e d' umiltà m^ inchino.
Vinca, se cosi vuol «
Vinca Io Scila , e 1 glorioso, sangue
Versi r Europa esangue
Da ben mille ferite. I voler tuoi
Legge son ferma a noi :
Tu sol se^ buono' e giusto ,' e giusta e buona
Queir opra é sol, che al tuo voler consuona.
Ha sarà mai ch^ io veggi a
Fender barbaro aratro alP Austria il seno ,
E pascolar la greggia
Ove or sorgon cittadi , e senza tema
Starsi gli arabi armenti in riva al {leno?
Nella riH'na estrema
Fia che deir Istro la famosa i^eggia *
D^ ostile incendio avvampi ,
E dove siede or Vienna abiti V Eco
In solitario speco,
X II Falò pnò iotendeni detto per 1* eterna colonia di Dio : ma 1* espres-
sione di Ted ibera ed alemanna per dire i mari di ^>agna e di ^iemagna
par ^oppo mitologica in questo luogo» L* Eusino h il Mar Nero dor* k Co-
suntinopoli. Il Poeta tuoI dire : Se tu hai fermo nel tuo volere che i Kao*
meltani prevalgano sopra i paesi cristiani.
1 He/T fetro ee, . Vienna.
SeCOLa DKGIHOSETTIXO .2aS
Le cai deserte arene orma non stampi ?
Ah DO , Signor ! troppo ampi
SoQ di taa gvazia i fonti ; e tal flagello
Se in cielo è scritto, a taa pietà m* appello.
Ecco d' inpi defoti
* Risonar gli alti templi; ecco soave
Tra le preghiere e i voli
Salire a te d' arabi fumi ' nn nembo.
Già i tesor sacri , ond' ei sol tien la chiave 9
Dair adorato grembo
Versa il grande Innoceóiio^, e i non mai vóti
Erari apre e com parte.
Già i Cristiani regnanti alla gran lega
Non por com move e piega,
Ma .in on raccoglie le milizie aparte
Del teutonico Marte ;
E se tremendo e fier, piò che mai fosse,
Scende il fultnin polono ^, ei fu che U mosse.
Ei da ir esqnilio col le ^
Ambo in mina delF orrìbil Geta ^,
Mosè novello , estolle
A tè le braccia, che da un lato regge
Speme, e Fede dair altro. Or chi ti vieta
Il ritrattar tua legge,
E spegner V ira che nel sen ti bolle ?
Pianse e pregò 1' afflitto
S D* arabi fumi. D* incento.
S Innocensio XI , pontefice.
3 Jl fulmin polono. Giovanni So1>ieski re di Polonia liberò pòi VWnns.
4 EsquiUo ec, . L* Esquilino , uno dei tette colli di Roma.
5 Geta. I Geli furono un popolo delk Scisia; e qui lUnno pei MaÀmet-
la^f^ .» Moib lul monte Orelibe impetrò da Dio la db&tU degli Àmaleeiti
soDeTaodo al cielo le braccia , che Aronne ed il figlio di Caleb gli sosfen-
t^^aao} per esserti osservato, che quando egli, itanco, cessava dal tenerle
levate , la vittoiia abbandonava gì* Israeliti.
/
%Zf§ I*STT£BATUBA ITALUVA
Bqod Re di Giuda * , e gli crescesti elafe;
Lagrime d^ amiltale
Nioite sparse , e si cangiò '1 prescritiò
Fatale iofansto editto:
Ed esser può che *1 lao Pastor dimoio
Non ti sforzi , prega àdo , caDgiar voto ?
Bla seQto , o sentir parme ^
Sacro furor che di se m* empie. Udite 9
Udite V o Toi , che V arme
Per Dio cingete: al tribunal di Cristo
Già decisa io prò* ?ostro è la gran lite.
Al glorioso acquisto
So su pronti mofete : in lieto carme
Tra Toi canta ogni tromba ,
E '1 trionfo predice. Ite, abbaUete,
Dissipate, struggete
Quegli empii ; e V Istro al finte stool sia tomba*
D' alti applausi rimbomba '
La terra omal : che piti tardatjg? aperta
^ E già la strada, e la fittorta è certa*
Per la lìlferazione di Vienna daW assedia.
\
Le corde d* oro elette
So su, Musa, percoti, e al trionfante
, Gran Dio delle vendelte
Compon d^ inni festosi aurea ghirlanda,
i Chi è che a Ini di contrastar si Tante * ,
A lui che in guerra manda
Tuoni e tremuoti e turbini e saette?
I. I Buon Me d| Giuda. Esocbia , a evi il proleU iMÌa aveiw predetta ia
natte » ottenne , pregando , qvindki altri anni di vita ( F", . £Ab* IV Re ,
\ Kb. IV, e. 20). — Il profeta Giona predice la diatraaione di NinÌTti ma i
t cittadini rivoltisi a Dio ottennero il perdono {Jlon*^ e 3).
2 Si yante. Si vanti.
£i jfti die 1 Jtfdcb studici >
Rappe, atterrò, dis|ièi*àé^ é il Hadffftrto,
Stra^gério , diìsipàrib ^
E faroe poUe , e |)àfcfggiilrl() al sìiolo ,^
Fa ud porito, ao paiìto sdlo.
Ch' eì può tatto ; e dtià èciótà èì teUfa
È chi fedii ha in sé stesso ^ e Dio fadti cora.
fli arédferOD qa^li ébpj
Con raiDoso turUtte di gbefrà
Abbdhei* torri è teiilpj ,
E svér da stia madide ii Sàeto ìtiìpWé»
. Empiei* péb&flfofì di trdfèi ìà ilStrÈ'i
Ed oscarar crederò
Con più illustri memòrte i fUCMJbl ttempj.
£ dJsèers V Aofttrla doiua^
Domerem poi 1' ampia Geridania ; é ail^ Ebr^ *
Fallo tassallo i4 Tébrd ,
A turco ceppo il |»lè ^ risa la chioma'.
Pòrgerà Italia e Rdttla.
Qoal Dio , qual Dld delld nostr* armi Isiir onda
Fid ehe d' oppor ài taoll argine e spónda ? -
bl . i tanerarii accenti ,
Qoal tenue fuuo, altifirdnii • svieitlira^
E ne fér preéa ì venti 9 «
Che sebbeu di Val d' Ehrb atlraive Marte ^
Vapor , che si fér nuvoli e s^ aprirò ,
£ piovver drogai parte
1 II tracio stuolo, I Maomettani.
» iAto, fì\ÙA<e deìhl iMcil , d«ttO OCa Mof^U- ili* ttUàsa )!i* poeti ,
I* AhtOb» nòaUba tilné Kuml tiite<!ft éi dfle nailbtti, é Iratti llbéil f^ttofioiti
t pò^li Stimai ki M^Mi di lAkootfttb.
3 Rasa la chioma. Indialo di tchlavitÀ.
4 AMm m« . 8«bb«ne il ftiror guenierd ( Jlfìl»*ar ) mosse dftt |MMbì Infe»
èMt «a Btt<K>l« ^ atmatl ti dAbnl dell* AoBlHii > ttt pittò | ò tU||ROfto > non
iiiMsfosti ee. . - . , ■ . .«. .
4^6 LETTERATORA ITALIANA
Aspra tempesta soir ^iiHriacbe genti.
Perir la taa diletta
Greggia , Signor , non io perà laaciaatt ;
E ali' empietà uKMtrasU ,
Che arriva e fere, allor che men s' dspelta ,
Giostissiina Yeodelta*
Il laniio i finmi che aangoìgni tanno 5
E *l san le fiere, e le campagne il saona
Qua! corse gel per V otM
Air arabo Profèta e ^ sotzo Anabi',
Quando l'ampia ina possa
'Tatto fé' scender le sue furie alirici
Solle penne dei tenti e aalle nnlù?
L' orgogliose cerviei
Chinò Bisanaio, e tremò Peiio ed Osa *;
E le s4}oatbre rubelle,
AI ciel rivolta la saperba Iroole,
Videro atarsi a fronte .
Coir arco teso i nembi e le proeeUe|
E guerreggiar le stelle.
Di queir aeciar vestile , onde a* armano
Quel di che contro ai Cananei pugnerà^*
Tremar T insegne allora ,/-
Tremar gli scodi e palpitar le spade ^
Al popol deU' Aurora
1 AlP arabo Profeta. A Maometto. — L* Amtbi poi era aaa Divinitli egisia
adorata sotto ìa forma di cane. E 1* Egitto » come soggetto ai Turchi e ere-
siente in: Maometto , mandò soldati anch* esso contro Vienna.
2 Pelio ed Ossa, Monti della Grecia.
3 «Hel sottrarsi ( i Cananei ) colla foga 9? figliuoii. 4* bnele » il Signore
pioivwa BOpra di loro dal cielo delle grandi pietra fino ad Aaeca i e moki
più perirono per la grandinato de* sassi, die pe' colpi ddléanadja de^ figjUwali
d* Israele ». Gios.^ e. x, ii; trad* del JtfirfiitU.
4 ^Vo'nw «>(•• Le insegne e gli acodi poasono fri—are n«l}e unnici un
esercito atterrito ; ma il palpittr delie spade h una metafora assolntuiante
villosa* — Il papoìo deU^ Aurora significa i Mnsulmani venati .dall' Ockote.
/
SEGOLO DECIMQSETTinÒ 2^7
Vidi : e qual di salir V egro tal? olla
Sognando b^o^qh , e nel salir già cade ;
Tal ei sente a sé lolla
Ogni forza, ogni lena; e la poco d^ora
Sbaragliato e disfatto ,
Feo di sé monti , e rìempeo le TalH
D* uomtiìi e di cavaili
Svenati e morti, o di morire io atto.
Del nemorabil. fatto
Chi la gloria s' arroga ? Io già noi taccio :
Nostre far T'armi; e tao, Signor, fa\ braccio.
A te dnnqne de' Traci
Debella lor possente, a le che in ana
Vista distruggi e sfaci
La barbarica possa, e a! cai decreto
Serve snddito il Fato e la Fortuna ,
Io trionfo SI lieto
Alzò la voce, e i secoli fugaci
4
A darti lode invito.
Saggio e forte sei tn ; pugna il robusto
Tao braccio a prò' del giusto ;
Né indifesa Umiltà, né folle ardito
Furor lascia impunito :
Milita sempre al fianco tuo la Gloria ,
E al tuo soldo arrolaeta è la Vittoria '*
Là dove V Tstro hee
Barbaro sangue, e dove alzò poc' anzi
Ttirca empietà moschee ^
ErgQw^ a te ielubri ; a te ^ cui piaapie
fialrar di Bosira epe<Utà gii avanzi.
Fan plauso i ▼enti e ]' acque;
E difiOAo in Iqr Uc^iia« A Dìo, ai dee
1 M Juo soldo ec^ • Ciapcuno si apcQji^e che cpii i* e^preuioiie mal cor-
ritponde «H* altesM del concetto.
t^I^ L«TTEflATI7P4 ITALfillA
Deg)i a«sa|li, Fapresai
Il rqequorandp ^fer«®J A Pw Iff cura
Dell* assediate muf% ,
Ilispo^clpii gli pqlfi, e |i faq pl9<»P anc*^' ««"i
Veggio i macigni ^ef^j
A te iochinar T qf s^qi^fosf» ffojf^th
Ma jd pof 4pc9 lice , :
Raddoppiar ?oli , e gingfffF priPgl^i a prieghi ;
Stirpe recidi , o fa cl^e 'I iqoljp pjpghi
A . sejrvif^ J?§p iijegna }
Pria , Signor , de|li| Jrpnqi ^f^ ìqk\k^
F^jM^onif^ * ì O^Q^bri #cppz^ ,
E rjt^oifjj 71I papq lor ti pjapci^,
Ah! no, non più soggi^ccif
A doppio gÌ.9gOa ip se |}ivÌ9§ p poQi^^
Regnò , regnò la so^za
.Cfepte^ fjii^ pur trpppoj .e |er)[}pq è Qmai iche deggia
Tutta tofpa;e a4 iJii JPa^Jojr {a gfeggi^
Non chj vjtl.orj^ pttjene^
Ma chi ben 1' a9>a ^ 1) 5)9^19^9 ^ofpe
Dj jrjncjtqr fì\iene,
Ji^^9 flafal grian pugp^ , p^^e di^e^Qe
Lepanto * illustre, e per ci^i rotte e d^iye
I Pannonia, L* Ungheria. Negli iniù 1680 e l^i .^qu.eyto paese per reli-
giose dissensioni erasi iri parte sottrailo all' imperatore Leopoldo , ed aveva
ottenuta fai pgroteaione dei Torchi col pagar loro un tributo.
X Lepanto , cijlà n^l (&o]|b che porta il ^ no nonae , h celehiìp per la vitv.
tona che quivi ottenner9 i yeneaian/ coptro i Turchi , accennati dal Poeta
sotto il nome cU antenne fUonie, da atonia, provincia della Tj^acia. À mal-
grado poi di quella famosa vittoria, Cipro rimase in potere d^' Turchi che
nel iSto 1* avevano tolta ai Yeneaiani. •»- Le idumee catene significano i7
giogo musttlmanoj àà ldumea,^^dt\jt dei possedimenti turchi neU*Asia.
SECOLO DECmOSBTTItfO -229
Far le sitonie anlenne,
ViDcemmo, è ver; ma V idamee Galene
Cipro Doo ruppe unqaaaco :
Vincemmo , e nocqae al vincitore il rintd.
Qaal fia dunque, che scinto
Appenda il brando, e ne disarmi il fianco?
Oltre , oltre scorra il franco
Vittorioso esercito , e le vaste
Deir Asia interne parti arda e devasle*
Ha la caligin folta
Chi dagli jocchi .mi sgombra ? Ecco che 1 tergo
Dei fuggitivi a sciolta ' >
Briglia , Signor, tn incalsi; ecco gli arresta
Il Rahbe ' a frontei, ed han la morie a lergo^
Colla gran lancia in resta
Veggio che già gli atterri e metli in volta;
Veggio eh* orti e fracassi
Le sparse torme, e di Bisanzio ai danni
Stendi si ratto i vanni.
Che già i venti e 1 pensiero indietro lassi ;
E tant' oltre trapassi ,
Che vinto è g^ià del mio veder T acume,
E allo stanco mio voi m^ncan le pinmeu
A Giovanni SobiUki^ re di Polonia,
Non perchè re sei In , si grande tei ;
Ha per te cresce e in maggior pregio sale
La maestà regale.
Apre sorte al regnar* più d' nna strada :
Altri al merlo de gli avi, altri al natale,
Altri^ *i debbe a la spada :
1 // JRabòe, Il fiume Raab.
a Jpr9 sorte ec. . La lorte apre pi& d' naa itxada al jwgaait*
BBTTIBAT. ITAJb — rv 30
23o LCTTER&TURA ITALIANA
Ta a te ineclesino e^B taa virtiite il dèi *.
Chi è che god lai passi al sogUo ? ada ?
Nel di che fosti eletto^
Voto Fortana a tao favor non diede ^
Non pallia tra fède ,
Non timor cieco ; ma Torace affetto ,
Ma fero merto e schietto.
Fatto avean tue prodeKse oecallo patto
Q)l regoo; e fosti re pria d^ esser fatto.
Ha che? Stiasi lo scettro ora io disparte:
Non io col fasto del tno regio trono,
Teco bensì ragiono;
Né ammiro in te qnel eh' anco ad altri è dato.
Dir ben può qnante in mar le arene sono
Chi paò, di rime armato,
Dir quante in guerra e quante in pace hai sparte
Opre ammirande , in cui non ha V alato
Yécchio * ragion veruna.
Qnal è a le vie del Sol si aseosa piaggia,
Che contezza non aggia
Dì tue vittorie, o dove il giorno ha cuna,
O dove Faere imbruna-^
O dove Sirio latra, o dove scuote
Il pigro dorso a* suoi destrier Boote ^ ?
Sallo il Sarmato infido, e sallo il crudo
Usorpator di Grecia ; il dicon V armi
At>pese a i sacri marni ,
E tante a lui rapite insegne e spoglie,
Alto soggetto di non bassi carmi.
Non m^i costà le soglie
l A te medesmo ec, . Giovanni Sobieskt fu fatto re di Pokmia nel 1674
pel tuo gran valore.
a L* alato Vecchio* Il Tempo.
3 BooU* Il carro di Boote è una costellaxione settentrionale: come il Sàio
mennonato poc' ansi lignifica i paesi del Hesaogiomo.
SECOLO PEGIMOSITTIVO ^3 I
S* aprir di Giano ' , che ta spada e scado
De U Earopa ooo fossi. Or chi mi toglie *
Tue palme aotiche e naofe.
Dar tolte io goardia a le casl«lie dive?
Fiacca è la man che scrive.
Forte è lo spirto, che a più alte prove
Ognor la iosliga e muove ;
E quei ^ che a^ venti le grand* ale impenna ,
Quei la spada a te regge , e a me la penna*
Sveno! e gelai poc* anzi , alior eh' io vidi
Oste si orrenda tutti i fonti e tutti
Quasi de V Istro i flutti
Seccar col labbro, e non bastare a quella
Del frigio suolo e deli' egizio i frutti.
Oimè! vid* io la bella
Bega! donna de T Austria in van di fidi
Ripari armarsi ; e poco men che ancella ,
Porger nel caso estremo
A indegno ferro il piede. Il sacro busto
Del grande impero augusto
Parca tronco giacer, del capo scemo.;
'E '1 cenere supremo
Volar d* intorno; e gran cittadi e ville
Tutte fumar di barbare faville..
Da V ime sedi vacillar già tutta
Pareami Vienna ; e in panni oscnri ed adri
Le spaventate madri
Correre al tempio; e detestar de gli anni ^
7 Gùuto ebLe in Roma un tempio che quando l' Imperio era in pace stava
chiuso , e quando era in guerra si apriva. E questa dunque una figurata
espressione per dire: Non si fece mai guerra cosdì, die tu'noft fossi ec.
8 Chi mi topAe. Chi mi vieta , Chi m' impedisce. Le castaUe DWe sono
U Muse. Chi mi vieta di eternare coi versi tutte le tue grandi imprese t
9 E quei ec. . Dio.
i E detestar ec. . B doleni t vecchi di non essere morti prifiia.
23a LKTTERATimA ITALfàlTA
U iDgiarToso dono i ?eochi padri,
1/ onte mirando e i danni
De la misera patria arsa e distratta,
Veì coman' latto e ne i comani affanni.
Ha se miserie estreme
P incendi e sangae e gemiti e raioe
Esser doTeano al fine.
Invitto Re , di tne vittorie il seme ;
Di tante accolte insieme
Parie , ond^ ebbe « crollar de V Austria il soglio
(Soffra eh* io '1 dica il Ciei), più non mi doglio.
l)e la taa spada ^ al riverito lampo
Abbagliata , già cade e già s' appanna
L' empia lana ottomanna.
Ecco rompi trinciere *, ecco t'aftenti;.
E 9 qaal fiero leon che atterra e scanna
Gì' impauriti armenti ,
Tal fai macello sn T orribii campo,
Che *l saol ne trema. L* abbattale genli
Ecco spergi e calpesti ;
Ecco spoglie e bandiere a un tempo logli ,
E ì doro assedio sciogli:
Ond* è eh* io grido , 'e griderò : Giogoesti ,
Goerrreggiasti e vincesti '.'
Si si , vìncesti , o campion forte e pio :
Per Dio vincesti , e per te vinse Iddio.
Se là dunqae ove d* inni allo concento
A Lui si porge, spaventosa e atroce
Non taona araba voce;
Se colà non atterra impeto folle
Altari e torri ; e se empietà feroce
Da i sepolcri non lolle
I GiugnuU ee* . AUade a quella espreinom di G.'GeMn'fwim« vidi, vinsi»
SEGOLO DEcmoaiTTivo ^ ^33
Il oener' sacro, e non lo sparge al tento;
Sbigottito arator da eccelso colle
Se diroccate ed arse
- Moli e rocche giacer tra sterpi e dami ^
Se correr sangue ì fiumi ,
Se d' abbattati, eserciti e di sparse
Ossa gran monti alzarse
Non Tede intorno ; e se de P Istro io rifa
Vienna in Vienna non cerca ^ , a te a* ascriva.
S* ascriva .4' le se'l pargoletto in seno
A la svenata. genitrice esangue,
Latte non bee col sangue:
> y ascriva a te se inviolate e caste
Vergini e spose né da morso d* angue
Viola tor son guaste,
Kè in sé puniscon Taltfui fallo osceno^.
Per te sue faci Aletto ^ e soe ceraste
Lungi dal Ren trasporta :
Per te, di santo amor pegni veraci.
Si danno amplessi e baci
Ginstisia e Pace: e la già spenta e morta
Speme è per te risorta:
E , tua mercè, V insangninato solco
Senza tema o periglio ara il bifolco*
Tempo verrà ( se tanto lungo io scorgo )
Che fin colà ne^ secoli remoti |
Mostrar gli avi a i nepoti
Vorranno il campo a la tenson prescritto.
I FiMfui im Vimna wm ea^aj cio^ i Se Tienmi non fa diitrotta ptt
modo die pia non si posu troYare se non a stento fra le sue rodine.
a 2V2 in sk ec,. JSdk tono costrette ad uccidersi per sottrarsi agli osceni
insoiti dei vincitori.
3 AUUoj una delle tre Futie rappresentata dai poeti con faci e eoa ce*
re#fe o aerpi.
ao»
2Ì^ LETTERATURA ITàLURA
Mostrerao lor donde, per calli igooti,'
Scendesti al gran conflitto;
Ove pugnasti; ore in sanguigno gorgo
L* Asia immergesti. - Qoi , diran , V infitta
Re polono accampossi ;
. Là ruppe il Tallo ' , e qua le schierò aperse ,
Vinse , abbattè , disperse ;
Qua monti e Talli , e là tori^ènti e fossi
Feo d^ uman sangue rossi ;
Qui ripose la spada, e qui s* astenne
Da r empie stragi , e 'I graù destrier ritenne. -
Che diran poi , quando sapran che i fianchi
D' acciar Teslisti non per tema e sdegno,
Ifon per accrescer regno,
Non perchè eterno inchiostro a le la Tori
Fama eterna , e per te sudi ogn' ingegno ;
Ma perchè Iddio s' onori ,
E al suo gran nome adorator non manchi?
Quando sapran che, d^ogni esempio fuori,
Con profondo consiglio.
Per saUar T altrui regno, il tuo lasciasti?
Che 'I capo tuo donasti
Per la fé, per 1' onore , al gran periglio ?
E il figlio, istesso , il figlio ,
De la gloria e del rischio a le consorte
Teco menasti ad affrontar la morte ?
Secoli che Terrete, io mi protesto
Che al Ter fo Ingiuria, e men del Tero è quello
Ch' io ne scrivo e favello.
Chi crederà l'eroico dispregio
Di prudenza e di te , che assai più bella
Fa di tue palme il pregio?
1 II 90UO, Lo steccato dei nemici.
SEGOLO OECIXOSETTIM» 23 «
, Chi iToderà ehe , a te medesmo tofesfo,
E a té oegaado il tuaestevoj regio
Tilol , di mano iQ mano
Sia ta in battaglia a i maggior rischi accinto,
Kon da gli altri distinto.
Che' nel vigor del .senno e de la mano?
Nel comandar , sovrano ;
Ne r eseguir , compagno ; e de! possente
Forte esercito ino gran braccio e mente?
So sa 9 fatai gnerriero ; a te s' aspeMa
Trar di ceppi V Europa, e '1 sacro ovile
Stender da Battro a Tile ^
Qfial mai di starli a Fronte avrà baUa
Vasta bensì, ma vecchia , inferma e vile,
Cadente monarchia ^ ,
Dal proprio peso a rninar costretta ?
Se M ver mi dice un^ alta fantasia,
Te V usurpala sede
Greca , te ^1 greco iocònsolabii suolo
Chiama ; te chiama solo ,
Te sospira il Giordano; a te sol chiede
La Galilea mercede;
A te Betlemme, a le Sion si prostra,
E piange e prega, e U servo pie ti mostra ^.
ALESSANDRO GUIDI
Uno dei più illustri lirici italiani , ÀlessaDdro
Guidi, nacque in Pavia Panno i65o. Da princìpio
1 Chet Fuorché.
2 Da Battro a Tile, È qaesU un' espressione usitata dagli antichi , e ri-
petuta poi anche dai nostri poeti , per dire da un estremo all'altro della terra.
-3 Cadente Monarchia, Quella dei Turchi.
^ E*l servo pie ec. . E ti mostra le catene de' suoi piedi , iudixio del
•ervaggio a cui è soggetu , pregando di esser&e liberata.
236 LETTERATURA ITALIA9A
mostrò piuttosto ingegno cfae buon giudizio, piutto-
sto ppetica inspira sione che gusto educalo alla scuola
dei grandi esemplari. Ma venuto a Roma, dove i più
b^gli ingegni di ouella età erano accolti dalla Regina
di Svezia e da Clemente XI, si volse ad una strada
migliore. Le sue Poesie si accostano grandemente
allo splendore ed alla nobiltà di Pindaro ch^ egli
s^era proposto a modello: e perchè la fantasia fosse
più libera , e il pensiero potesse venirgli sempre si-
gni6cato in tutta la sua pienezza, ricusò spesse volte
di sottoporsi al giogo di un metro uniforme, com-
ponendo le strofe delle sue canzoni di un ' numero
disuguale di versi. ^Questa usanza , sconosciuta a
quanti lo avevano preceduto, non trovò poi se non
pochissimi imitatori. Fra le altre poetiche produ-
zioni del Guidi abbiamo una traduzione delle Ome-
lie di Clemente XI ^ e mentre appunto andava da
Roma a Castel Gandolfo per presentarle al Pon-
tefice, morì improvvis9mente in Frascati aM 2 di
giugno 17 12.
cauzohi.
Sopra le deprat*aztoni che aut^engono aW indate e ai cosUuni
degli uomini
Io non adombro il fero
Con lasÌDghieri accenti :
La belte età de V oro acqua non TenDe.
Nacqae da nostre menti ,
Eotro il fago pensiero ;
E nel nostro desio chiara difenne.
Spiegò sempre le peone
La gran ministra alata *
A i fochi d^ Etna intorno ;
Ove per proveder Tira di Giove
1 £a gran ministra «e.. La Morte.
SEGOLd DECIBfOSETTIMO iìf
Sempre di fiamme nore.
Stancò i giganti ignadi
Sa fq fatali iocadi ;
E per le vìe del ciel corse e ricorse ,
Intenta sempre a^ suoi severi affici.
Or se del fato ' io Fra i tesor felici
Il secol d'or si serba,
Certo so beo che tton apparve ancora
Un lampo sol de la sua prima aurora.
Chiude nostra natura
In mente gli aurei semi ^
Onde sorger potrian V età beate s
Ha il sno desir , che è cieco ,
£ incontro al -ben s' indura ,
Da còsi bel pensiero la diparte.
Io non invan su questo colle istesso
Al popol di Quirino
Un giovanetto Cesare rammento ^ ;
Quel che si vide impresso
Del bel genio latino ,
£ che nn lustro regnò placido e lento;
Quello che. poscia spense
Ogni sua bella luce, e il ferro mise
Entro il materno seno ,
E guardò le ferite, e ne sorrise ;
Quel che la pàtria infra le fiamme ilccise,
^cchè squallido il Tebro usci de V onde ,
E di Roma in veder V orrida immago
Stesa per-i' ampia valle ,
i A del Fato eo,. Se e, dettino che una «jaalche rolla abbia il mondo
HU secolo d* oro ec. .
3 G& aura semi. Le virtù che sole possono dare ali* aomo felicita.
3 (fa giovanetto ec. . Nerone che ne* primi cinque anni del suo regno fu
de^no della verace lode di molti scrittori.
a38 LETTERATURA ITALURl
Sospirando gridò : Giuoto è Annibalìe ' ,
Tatto di sangue e di ruine vago.
Su i selle colli a Tendicar Cartago, -«
Non perchè il Tiver nostro
Giace lootan da le città superbe,
E siede a le belPoiBbre e in riva a i fonti;
E non ancor si è mostro
Caldo de V ire acerbe,
E non cerca fregiar à* oro le fronti ;
Già nói sarem men pronti
O impotenti a turbar nostro costarne.
E qnal pattor fra noi tanto presume,
Che- pensi di poter entro le selve
Menar i giorni suoi lieti e ridenti,
Come le antiche favolose genti ?
Il violento e torbido sospetto
Anche in noi desta i suoi pensier feroci.
Che si vedrian di sangue e d' ira tinti ;
Se non che sotto mansuete veci
Yelan le ^am.me in petto,
Però che povertà gli tiene avvinti:
Ha da soverchio arder potrian sospinti ,
Anco recarsi in mano 11 ferrose 11 tosQO,
E funestare il bosco.
E se Fortuna con sereni angari
Per le nostre campagne un di passasse,
E lampeggiando entrasse
Lieta ne' nostri poveri tagari ;
Avrian da noi ( chi '1 crederla ? ) rifinto
Le pastorali Muse ; e quei diletto
Che abbiamo in acquistar gloria da i carmi
Sorgerebbe da 1' armi;
I JnnibaUe, Annibala carUgineie.
SECOLO DECIMOSETTIMO 2 39
E diverrebbe del eaooro ragegoo
Tolto l'ardore, alto desi'q di regno*
Fa par Romolo anch' ei pastor del Lazio ;
E come noi reggeva armenti e gregge ,
E si Tesila di queste spoglie irsalé,
Qaando , de' boschi sazio ,
Mosse r aratro a qael terribii solco
Donde fur le gran mura uscir fedate.
Allor la mansaela sua virtnte
Cangiò spirto e colore;
E tanto bebbe del fraterno sangae^^ ,
Ed orma tale di furore impresse.
Che r acerba memoria ancor non langae ,
E ancora offende e oscura
Il gran natal . de le romane mora*
La Fortuna.
Una donna superba al par di Giono ,
Con le trecce dorale all'aura sparse,
E co^ begli occhi di cerulea luce
Nella capanna mia poc' anzi apparse:
E , come suole ornarse
In sair Eufrate barbara refna ,
Di bisso e d' ostro si copria le membra ;
Né Terde lauro o fiori,
Ha dMndìco smeraldo alti splendori
Le fean ghirlanda al crine.
In sì rigido fasto ed uso altero
Df bellezza e d'impero.
Dolci lusinghe scinlillaro al fine; «
E dair interno seno
Uscirò allor maraTigliosi accenti,
I B tanto ec* . E noto che Romolo uccise Reno suo fintello
24 P L^TERATCRà. ITiLUnA
t
Che lutti erano intenti
A tòrsf in mano di ni-ia mente il freno.
Pommj 9 disse , la destra entro la chioma ,
E Tedrai d^ ogn* intorno
Liete e belle ventare
Venir con aureo piede al tuo soggiorno :
Allor Tedrai eh' io -sono
Figlia di Giove, e che, germana al Fato,
Sovra il trono immortale
A Ini mi siedo a lato.
Alle mie Toglie V Oceàn commise
Il gran Nettupo, e indarno
Tent2^ r Indo e i Britanno
Di doppie àncore e vele armar le navi, .
S* io non governo le volanti antenne ,
Sedendo in sulle penne
De* miei spirti soavi.
Io mando alla lor spde
Le sonanti procelle,
E lor sto sopra col sereno piede ;
Entro r eolie rupi ,
Lego r ali de' venti ,
E soglio di mia mano
De' turbini spezzar le ròte ardenti ;
E dentro i proprii fonti
Spegno le fiamme orribili inquiete,
Avvezze in cielo a colorir comete*. .
Questa è la man. che fabbricò sul G^nge
I regni agP Indi , e sulP Oronte avvobe
Le regie bende dell' Assiria ai crini, >x
Pose le gemme a Babilonia in fronte;
Recò sul Tigri le coronei al Perso,
Espose al pie di Macedonia i troni '•
^ t Alpik «€*• AleMandro Ma^po fece soggetti alla Mftcedooia i wg»t dal-
r Asia.
SEt:OLO DECIMOS ESTIMO 2.^ f
Del mio poter fiu*. doni
I triotifali gridi
Che ài giovine Pelleo ' s' alzare intorno ,
Quando dell' Asia ei cor^e,
Qaal fero turbo , i lidi ;
E corse .meco vineitor ^in dorè
Stende gli sguardi il Sole.
Allor dinanzi a lui tacque la Terra ,
E fe' r alto Monarca
Fede agli uomini allor d' esser celeste * ;
E con eccelse ed ammirabii prove
S' aggiunse ai Numi , e si fe^ gloria a Giove.
Circondaro più volte
miei Gemi reali
Di Roma i gran natali ,
E r aquile ^ superbe
Sola in prima avvezzai di Alarle al lume.
Ond' alto in sulle piume ,
Cominciato a- sprezzar T aure vicine 9
E. le palme sabine,
Io senato tli regi
Sui selle colli apersi ;
Uè negli alti perigli
Ebbero scorta e duce
. I romani coosigli.
Io coronai d' allori
Di Fabio le dimore^,
X Al gioitine Pelieo. Ad Alessandro Hagno nato in Fella,
a Zy esser celeste. E neto che Alessandro , invanito 'dalle sue grandi Vitlo-
rie 9 volle esser creduto figliuolo di Giove.
3 L' aquile ec. . Le insegne romane. Anche Polibio e Plutarco' furoiio
à* opinione che la gvandessa- di -Roma fosse dovrai principalmente alla Fór«
tona. Yeggasi sa questo proposito nel voi. Ili, p. 393 di questo Manuale.
4 IH Fabio ec. . Fabio Massimo , il quale indugiando e schivando di
venir* a battaglia sottrasse Roma al pericolo in cui la kettevaiio le cottlinue
LBTTBnAT. ITAL. - lY 31
24% LETTERATURA ITALIAIU
E tli Marcello i tiolenli ardori.
Africa trassi ia sul Tarpeo cattiTa ', *
E. per me corse il Nil sotto le leggi
Del graD fiume latino.;
Né si schermirò i Parli
Di fabbricar trofei
Di lor faretre ed archi.
Id sulle ferree porte iufraosi i Daci ;
Al Caucaso ed al Tauro il giogo imposi.
AI J6n tutte de' TeoU *
£e patrie tìdsì ; e quando
Ebbi sotto a' miei piedi
Tutta la terra doma»
Del finto mondo fei graa dono a Rom«.
So che De' tuoi pensieri
Altre figlie di Giove ' .
Ragionano d' imperi ,
E delle voglie tue fansi reìne :
Da lor speri venture alte e divine.
Speran per loro i tuoi superbi carmi
Arbitrio eterno in suW età lontape ;
E già del loro ardore ^
Infiammata tua mente,
Sì crede esser possente
Di destrieri e di vele
Sovra la terra e V onde , ^
vittorie di Annibale. — • Marcello comLattè con gran valore contro i Galli %
centro i Cartaginesi.
1 Cattìva. hsiiiahmo per .^re Pr^mtra, •— Tarpw diceva» una rupe
faniocain Roma. — Il gran^ume latino e il Tebro , nominato qui invece.^
della potenia romania » a cui il Kilo ( ciob T Egitto J soggiacque.
2 2'utU dt^ ideati ec., £ 1* espressione comune dei quaUro vtntì nobilita-
ta f per significare 1* universo.
3 Aitrè^giie ec Le Muse^ dalle quali viene all'uomo la speransa di
un nome immortale.
•8CÒLO DFXlMOSETTfMO ^43
Qoando ta giaci in pastorale albergo ^
Deatro V inopia e sotto pelli irsute ,
Né t' è chi a tua salute
Porga soccorso. Io soia
Te chiamo a doto e glorioso stato :
Segolmi dunqae , è T alma
G>1 peosier non contrasti a tanto invho;
Che neghittoso e lento
Già non può star sull' ale il gran momento. ~
Una felice donna ed immortale ' ,
Che dalla mente è nata degli Dei •
( Allor risposi a lei )
Il sommo impero del mio cor si tiene ;
E questa i miei pensieri alto sostiene,
E gli aTvolge per entro H suo gran lume.
Che tutti i tuoi splendori adombra e preme.
E sebben non presume
Meritare il mio crin le sue corone 9
Pnr sull'alma io mi sento
Per lei doni maggiori
Di tntti i ripgni tuoi;
Ne tu recargli né rapirgli puoi»
E co aie non comprende il mio pensiero
Le splendide Tentnre,
Cosi il pallido aspetto ancor non scorge
Dette misere cure,
L' orror di qnesle spoglie
E di qpesta capanna ancor non ?ede.
Vite fra 1' auree Muse,
E i fiiforiti tuoi figli superbi
Allor sarian felici.
Se avesser merto d ascoltarsi on giorno
L' eterno snono de*^ miei tersi intorno. -
l VnafiUێ donna* La Poesia.
244 LETTERATURA ITAMAflA
Arse a' miei delti e fiamine^iò ,..fticcone
Suole atella crudèl , chVabbia di&ctolte
Le sa Dguìoose chiome.
IdJi proruppe ia miaaccievol suono :
Me teme ii Daco, e me 1* errante Scita $
Me de' barbari regi
PaTentan V aspre madri,
E slanno in mezzo ali* aste'
Per me ia timidi affano»
I purpurei tiranni ;
E negletto pastord^ Arcadia tenta
Fare insin de' miei doni anco rifiuto ? ;
II mio furor non è da Ìi»i temuto ?
Son forse l'opre de' miei, sdegni ignote ?-
Né ancor si sa che 1'. Oriente corsi *
Co^ piedi irati, e alle pro.YÌncie impressi
Il petto di profonde orme di morte ^
Squarciai le bende imperiali e il crm .
Alle gran donne in fronte,
E le commisi alle station funeste.
Ben mi sorvien che il temerario Serse .^'
Cercò deir A^ia colla destra armata
Si^l forniidabjl ponte
Deir Europa aflferrar la man tremante^ ^
Ma sul gran dì 4elle battaglie il giunsi , ,
E colle stragi delle turbe perse ,
Tingendo al mar di Salamioa il folto ,
Che ancor s' am.nura sanguinoso e, bruno,
I Im mezzo aWaite, In meteo alle armate schiere dei loro «oMati.
a L* Oriente corsi ec . Distruggendo le antirhe monarchie 'Àstira , Balit-^
Ifoete , Meda e Persiana , accennate sotto 'V espressione di grah dorme,
3 ^se cosasse un ponte di navi sull* Ellesponto , ora Stretto dei Dar-
danelli » minacciandq di farsi ^chiaTa 1' £uropa. —^ Ifella halUKlia navale di,
9l^flpttna ( or«' Colui ) i Persiaoi furono intieramente fconfitU^
SÉCÓLobÈCiaOSETTIMO ar^Z
Io teòdicài 'V tasuFto
Fatto suir Ellesponto a! grnn Nettano ■•
GmtsI sdì fTilo, e delr egizia Donna *
Al bé! coffo appressai V aspre ritorte >
E gemino veléno'
Implacafcifie porsi
Al bel candido seno';
£ pria nell^'ant'ro afea
Cooibattota è confusa
L* africane virfnte,
E al Punico feroce *
Recale di mia man l'aire cicote.
Per me Roma avTentò le fiamme in grembo
Air emula Cartago ,
Ch* andò errando per Libia orba sdegnata,
Sin che per me 'poi vide
Trasformata V immaso ^
Della sria gran' nemica ;
E allor placò i desirt
Della feroce sna vendetta antica , '
E trasse anche sospiri
Sovra I* ampia ruì'na
Dell' odiata maestà latina.
Rammentar non vogP io T orrida spada,
1 Mendicando, te. . I.' ardimento di formare il ponte pvedetto sul maire
•]>l*e anche dal Petrarca il nome di temerario e di oÙragffio alla marina, -<»
Aggiunge poi una tradixione , che per avere 1^ onde sgominato quel ponte »
S«rse le fece flagellare da un gran numero de* suoi soldati.
a Egizia Donna.. Cleopatra che si uccise accostandosi al seno un aspide.
3 Punico feroce* Annibale che si arvelenò per non eadere ìm man dei
Romani.
4 Trasformata P immago ee. . Geminato V aspetto di Roma che ^ rapulb*
hlica si fece imperio j con che ( dice ) si placò 1* ombra di Cartagine do*
lente- fino allorar che la sna distruf^itrice godesse netta lH)crtà il fswa&n dftl-
r ottenuta nttoria.
ai»
Zi6 LBTTBIIÀTirRA ITAUAKA
Con cai fui sopra il Garalivr Irnjito *
Sai menfitico lite ; : ,
Ne Ja cradel che il duro Gito ticasa^
Né il ferro cbe de^ CeMri le mciBbni
Comiaciò a violar per man di Bc«lo«.
Teco Don Iratlerò V allp furore ^
Stermi nalor de* regni ;
Che capace non sei . de' miei |;ran sdegni y
Come non fosti delle gran venture:
A^rai deir ira mia piccioli segni*
Farò che il suono altero .
De* tuoi fertidi carmi
Lento e. roco rimlmmbe,
E che V umil siringhe *
Or sembrino. ngnaglìar anca k tromlte. —
Indi levossi furiosa a ?olo^
E chiamati òb lei
^ Sulla capanna o^ia Tennero i nembi»
Venner turbini è tuoni ^ ^
E con ciglio sereno
Dalle grandini irate allora ? vidì«
In fra baleni e lampi ».
Dimorarsi la speme
D^ miei poveri campi.
A monsiffior Atarcello éf} Aste.
Pìsr ta morte dei JSaron d! Aste , ucciso suUa breccia di Buda:
r anno 16Q&
Vider Marte e Quirino
Aspro tanciolio altera
i tt eàvttUer trmtUoi, Pompeo fatto- Wcideie ft tn£JDìiento da Tolomeo t*
Jt* Egitto.— Citta o Cmione si uccise in Utiea per non sopravvivete alla U-
ftertk della patria. — « ^uto lu uno degli occisorì. di G« Gesatf » dopo del
fOale poi molti altri imperatori furono trucidai..
9 Sirif^e*. Stromeoti muiieali di eanile. Qon ^esti versi S Poeta ai dttol»
«àe 1^ touetù anteposti alcuni alta eh' egli ttimava miooii di sb» -
SSCOI.O DBClVOSETTfVa ^^J
Per eslro il suo peosiera
Teoer oonsiglta col valor latino;
Poi vider le faville
Del sao primiero ardire
Suir Istro alzarsi, e far meo b^Ue Tire*
Del procelloso Achille»
Come nòbe che splenda
Infra baleni e lam^pi ,
E poscia avvien che avvampi,
E latta, in ira già dal ctel disceoila;
Tale il Romano invitlo
Venne a tonar sul Trace ,
E nel vibrar sdegnoso ^asla pugnace
Fe^ il grande impero afiliUo»
Alto giocondo orrore
Area Roma sul ciglio
In ascoltar del Bglio
_L' aspre battaglie e il- coraggioso ardore:
Sulla terribii arte
Ammiravan gli Dei
Lai c^ ingombrar solca d' ampi trofei
Cotanta via di Marte.
Oh t se per Ini roen pronte
Giungean 1* ore crudeli y
Sotto a^ tragici veli
L* ardir delf Asia celeria la (n
Soffrirebbe dolente
L' alte leggi di Roma ,
E di lauri orneria V eccelsa cbioma
Air italica gente.
Oggi a ragion seo vanno
Sui germanici lidi
1 Far man belle ec . Fare imprtte dep» di ewere celebraU più'di qT»elW
the fece Aclùllt»
«4' tzTrUkkT^màtTimàtà
I trionfali gridi, ' - v) * ^
Tutti GotiTerst ib fdei dite d* affaono't
Dare Tittorie ingrate, •
Dì sì bel sangae asinerie !
Qnal ria Tetolara mUì scotanfs oflbnv
Ai cor doglia e pietatc ?- * -
Flebil pompa a mirarsi
I flncitor famosi < '
Gir taciti e pensosi, . ^
E eo' proprii trofei talor édegltarif. ' '
Ah! non per certo intano
D' alta mestizia è pieno
li ba far ̀o duce e. il fier Loreniv
Sul buon sangue romauo.
11 sì bel lame è spento
Della stagìon guerriera;
Alla milìzia altera
E tolto il suo feroce alto talento r
Sperava esser soggiorno
Roma air antica gloria ,
E funesta, di pianto aspra memoria
Le siede ora d^ intorno;
Oh ! quante volte xorSe
In vèr le palme prime
II Cavalier sublime ,
E i più bei rami alla Germania porse f
Ma alle grand* opre ardite
Qual corona si diede ?
Non mai sì tìcK» dispensar mercedVs
A sue belle ferite.
Sol del valore amica,
L' immortale Cristina *
Al chiaro Eroe destina
% Cristina di SvezìA^
.:;
j
SÈCOLO DE CIMO SETTIMO ^4^
Schermo falAl contro air età «emica :
Voole, degli ano! a seberoo,
Che delFe belle lodi
I poteoti di Febo eterni modi '
Prenda» eara e governo.
lYoo mentirà mia voce ;
. Vedrete, Angusti e Regi,
Carche de* suoi gran pregi
Mie vele uscir fnor dell* aooia foce * ;
£ mentre voi sarete
Di meraviglia grairl ,
Col romano guerriero andran le navi
Oltre ai gorghi di Lete.
Per la morte di D. Luigi della Cerda,
Eran le Dee del mnr liete e gioconde
Intorno al pin del giovinetto Ibero,
E rider si vedean le vie. profonde .
Sotto la prora del bel legno altero.
Chi sotto r elmo V aaree chiome bionde
Lodava, e chi il real ^ciglio gnerriero:'
Solo Proteo K non sorse allor dalP onde^
Che dei Fati scorgea V aspro pensiero.
E ben tosto apparir d' Iberia i danni ,
• £ sembianza cangiar I' qnde tranquille^
Yisto troncar da morte i suoi begli annu
Sentirò di pietade alte faville *
Le fie del 1^.1 re, e ne* materni affanni
"Teli ^ tornò , che rammentossi Achille^
1 / pot9nU ec, . I yersi , le poesie.
a Yao) dire che pòetandor in lode di questo eroe dar& cagione di ' mera-^
viglia,, e soitrarrìi iX nome di lui ali* oblìo {Lete): ma V immagine p^i^
l*Autoire ba informato questo pensiero sente il visio del secolo.
3 iVo/ée. Dio maiitto fatidico e nralliforme»
4 Tea, Dea del mare e madri di Aohi^e p il quide Mgnitande la gletÌA
poli Rovine ancjb* esso.
130 LETTERATURA ITALIAHA
ANTON MàFJA SALVINI
Questo celebre letterato, sì benemerito della no-
stra lingua, nacque in Firenze ai la gennajò i65}.
Per secondarie i desidek-j del padre studiò Giurispru-
denza ueir Università di Pisa: ma poi si diede alle
lingue antiche e moderne, ed alle Lettere amene ^
a cui Io traeva la sua propria natura ; e vi fece si
grandi progressi , che fra i migliori dèi suo tempo
fu tenuto piuttosto ^1 prinio che il secondo. Colle
motte traduzioni ch^ei fece di classici greci e latini
ed anche d^ autori moderni, arricchì di non po6he voci
e di molti bei modi la lingua itaKana, nella quale
meritò di essere giudicato autorevole mentre tol«
torà viveva : e in parecchj de' suoi Discorsi Acca^
demici trattò con profondo sapere e con sicuro buon
gusto molte quistioni appartenenti all'erudizione ed
alla letteratura. Può essere hondimeno proposto alla
gioTentà come scrittore colto e purgato , piuttosto*
che come mente filosofica , o come esemplare ài
eloquenza propriamente detta; e molti saoi libri dei
quali potranno giovarsi i eompilatori del FocabcJa'
rio italiano^ non sarebbero una lettura né piacevole
né utile molto ai nostri giovani. La più bella delle
sue prose ò , per consenso di molti , la traduzione di
Senofonte Efesio. Il Salvini cooperò grandemente alla
compilazione del Vocabolario della Cruscai e mori
nella sua patria li 17 maggio 17^9.
OALLB PROSR. i
La cultura deW ingegno gìoya alla cultura deW animo.
Sodo due cose tanto congiante , lo spirito delP ooiòo ,
o vogiiaiu dire T ingegno , o per altro nome ancora Tio-
tendimento o F intelletto \*e V animo ^ ovvero il talento
e la volontà; che l' una parte necessariamente influisce
SECOLO, DECfMOSBTTiHO %5ì
neW altra : è chi ie separa e le divicle rende V anima
in nn certo modo tronca e imperfetta , che in tutte due
ugualmente tutta e4 intera si scorge. L' ingegno o V in*
teUetto ha per oggetto il vero , e intorno a questo , come
a silo centro , si aggira ; F animo o la volontà ha per
oggetto il bene , e in traccia di quello se ne va tatta*/
▼ia , e deir amore di qnello si accende* ^1 sommo vero
e il sommo bene, fonte e principio di tutti i veri e di
tatti i beni , si è Iddio , al quale dovrebbe il nostro
coore mai sempre sospirare , prr avere in esso il com*
pimento deUe sue perfezioni , e la pienezza della sua fé*
licita. Ora, siccome il vero in Dio è una stessa cosa col
bene, e il iiéne una stessa cosa col vero, cosi quanto più
qoesti doe oggetti del vero e del bene nelPanima nostra
a' identificano, e V intelletto s' accorda colla volontà, e-
la retta opinione col buono appetito s^ unisce, più ven-*
ghianio noi a Dio somiglianti, in cui è lo stesso il vero,
die il bene, il conoscere che V amare. E in quanto a*
Dio qoanto più ci rassomigliamo , tanto più perfezione
acquistiamo; non essendo altro la nostra perfezione, che
ana rassomiglianza di Dio, per quanto è possibile ali* no-'
mo. Diedeci egli e e* inspirò , come particella del suo •
spirilo , l'anima ;'e coli' anima I' ingegno e T animo, o
Yogliam dire l' intelletto e la volontà ci donò ; non per-
chè noi , qoali servi inutili , tenessimo sotterrati qoesti
lalenti', ma perchè ad onor sno coltivati ed impiegati
fruUificassero/ Sgrida però piacevolmente il buon vescovo
Siniésie^ nella vita di Dione il Boccadoro, quei monaci
che tntliv intenti a coltivare T animo, lasciavano sodo * ed
incako r ingegno \ quasi gli studi e le scienze , per le
quali V uomo veramente dà a credere d* a^eie un non
1 Sodo dicesi va terreno , che per non essere tUto mai tocco cU arttro .
conserva la sua naturale dureisa. l)i qui poi il nodo diiwdare un UrrtM ^
in senso di cotiivurh per Ut ptinta vohiu
^iS% LETTERATÙBA ITALI AffA
SO che in sé deli* ioimortale ^ d^ll* immateriale e Jè( di-^
▼ino 9 in Tèce di contribuire al ben ? irere e alla vita de-
vota e contemplativa, più tosto fossero per essere al loro
sublime instituto di rovina o d* inciampo. Ora ( dice egli
a quei buoni, ma semplici e rozzi) non si puote seoapre
drare, né sempre contemplare comunemente dagli nomi-
bi ; facendo alla natura nòstra mestiere di^ convenevole
riposo di quando in quando \ è di onesta ricreazione. Ma
do^e si puote ella più onesta ritrovare e più acconcia è
più bella, che negli studi ?« Che se per ingannare irtempo
e fuggire r oziosità , madre di tutti i mali, quei buoni
monaci aveano per costume di trattenersi in tessere spor-
te, in fare stuoie, e in altri simili lavori di mano; come
non dovranno àntiporsi a questi, e servire* di nobile e
utile passatempo i lavori d' ingegno ? Giuliano apostata ,
pieno di livore e di maltalento contra i Cristiani , che
egli per dispregio chiamava Atei e Qalilei; non seppe
ritrovare cosa pio velenosa e più mortifera, per distrug-
gere (come egli, stoltamente superbo, credevasi ) la nostra
religione , che la proibizione degli stodi e delle buone
lettere, dicendo che era vergogna a un uomo evangelico
studiare le favole, e, lasciando Cristo suo maestro , spie-
gare Omero ed Esiodo. A questa persecuzione fieramente
e coraggiosamente s'opposero i santi Padri del tempo suo,
i quali io gran copia, come mandati dal Cielo, fioriro-
no; tra' quali san Gregorio NaziaQzeno più che mai in-
tese agli studi oratori! e poetici ancora ; per mostrare che
la cognizione delle lettere , non di pregiudizio , anzi di
aiutò era allo stabilimento e al buono incam'miaaoàento
di nostra fede. Dell' inclinazione di Giuliano , se bene
con diversa fine e intenzione , si trovano molti de^ Cri-
spiani , a tempo del medesimo santo vescovo san Gregorio;
ì quali, come idioti , biasimavano ta letteratura, come i
saati Padri chiamano , secolaresca e forestiera , che dai
SEGOLO DECIMOSETTIVO ^53
libri de* Gentili , e non' dalla Sacra Srittara si tragge ,
come cosa insidia trice e pericolosa , e che ci alioDtaiia e
ci dilunga da Dio. Ma ( dice il Santo ) questi che cosi
sentono , hanno cattivo conoscimento. Perciocché , non
perchè alcuni si siedo serTiti male del cielo e della terra
e dell'aria, collo stimare tutte queste cose Iddìi, e come
tali adorarle\, per questo dobbiamo sprezsarle e abborrir*
le, potendo nof prendere da loro quei di boooo che esse
gì porgono , fuggendo ciò che ci è di pericolo ; non fer*
ibandoci ia loro, ma ordinandole a Dio. Non si dee adun-
que (segue egli) disonorare laerudizioue, ma beo tenere
per istolti e per male ammaestrati coloro che vorrebbero
fatti conformi a loro , acciocché nella comune Ignoranza
là propria loro yenisse a nascondersi, e fuggissero il rim«
proverò de! poco loro sapere. - La parola di Dio, bene
intesa e con amiltà di cuore ricefatà, quanto frutto fac-*
eia neir anime de* maestri di quella ^ e poi in quelle de*"
loro ascoltatori , niuno ,é che non confessi ; ma alP Intel*
ligenza delle sacre lettere quanto importante sia la co-
gnizione delie profane, oltre agli esempi innniti dei grandi
lami della Chiesa greca e latina , sant* Agostino a pieno
lo dimostra e lo *nsegna ne* suoi difinissimi libri inti-
tolati: De Doctrina Christiana; ne\ secondo de* quali li-
bri dice francamente : Che se i savi de' Gentili , e mas-
simamente i Platonici , hanno detto cose per arfentara
yere e alla fede nostra accomodate, non solo non si deona
temere, ma come da ingiusti posseditori è da toglierle e
da tornarle in nostro pso ; e siccome gli Ebrei nell' oMir
dell* Egitto portarono con esso loro idoli e Tasi d' oro e
d* argento e robe degl* Idolatri , per comandamento d* Id-
dio ; cosi le dottrine de* Gentili, come cavate dalle mi-
niere della divina Provvidenza, dee il Cristiano utilmente
è con sao frutto osare e adoperare.
LKTTBIUT. ITÀb •— rr 33
A 5 4 LETTERATURA IT ALI AHA
DALLE LETTERE.
Jd Antonio Montanti scultore Fiorentino.
Io noD ho mai stimato buono economo qnello che non
ìspende, perchè è nna economia che può riuscire, a toU
ti. Come non si spende , ognuno sa ayanzare ; nim ci è
gran virtù, anzi 'ci è U mio della miseria, della sudice-
ria e deirafarizia. Buono economo stimo quello che spende
e risparmia: spende dove va speso, e risparmia dove va
risparmiato; spende con vantaggio; la sua lira la fa va*
(ere ventiquattro soldi ; spende nelle spese utili e neoes*
larie , leva le. superflue; in somma sa spendere e . $a ri-
sparmiare; che qui consiste la virtù della economia, non
già nel non ispendere punto, come molti fanno. Cosi non
bo mai stimato buon galantuomo quello che de' fatti suoi
non parU punto e non gli dice a nessuno, ma quello
<he sa quali fatti sono da dire e quali da non dire, e
che distìngue le persone a chi si può dire , a chi no ;
che il dirgli a tatti è nna infermità di lingna e di giu-
dizio. Sentii dire una volta a quo uomo, tanto grave che
spiombava, che non bisognava (diceva egli) mai discor-
rere di sé a nessune. Per esempio : Io- sono stato, oggi
fino al Poggio imperiale a spasso. Questo, secondo lui ,
^oxk si poteva dire , è teneva questa regola di .tkon par-
lare di se iur nessuna vanieraf Questo» eh' io dico,. è di-
yeotato magro » spento, sparuto; e credo che questa sti*
ticheria col tempo V ammazzerà. Ho conosciuto due amici
che per essere tanto cupi e oon sì slargare a nulla acoo
morti prima del tempo |^ e ano di questi, coQie dispera»
to, il quale era Lucchese, e diceva. alla sua usanza: Che
bisognava comprare e non vendere e e k prima sillaba
della parola vendere proflferiva coir e aperta, e non istrelta
come usiamo noi Fiorentini. Ci sono poi di quelli, come
V SECOLO DECIMOSBTTIMO 255
alconi de^ Lombardi , che aprono il loro coore a talli ,
fanno scoprire subito le loro inclioazioni, il loro genio
al primo , per dir cosi , che incontrano per la strada;
Questo è un altro estremo, ed è da fuggirsi, perchè po-
chi galantuomini si IroTano , e lo scoprirsi a genie garga *
e sciocca , come i più delle persone -sono , è pericoloso*
Io somma non dir nulla de^ fatti snoi è regola utile e
dannosa; il dire ogni cosa e a tutti senza distinzione, è
simplicità e sciocchezza che rovina e fa danni grandissi-
mi. Sraailmènie il discorrere degli amici è cosa gioconda,
ma bisogna ?edere con chi si parla , e sfuggir^ quanto
Ii^ peste i rapportatori, e quelli che fanno il mestiere di
mettere zeppe * tra un amico e V altro. I segreti di cose
confidale e di cose importanti, o che sapute possono tor-
nare in grave pregiudizio dell' amico , non si debbono
mai dire a nessun del mondo , e debbono marcire in
corpo. Altre minùzie di piccole imperfezioni dell' amico ,
o di cose che non importano , può uno, senza pregiudi-
care air amicizia, talvolta aprire nel discorso; e ci la sem^
p'ré il -giudizio che regola il tutto: Che cosa si dice, a
chi, e come. Cosria virtù delia segretezza, ch^ è l'anima
dell'amicizia, non consiste nel non dir nulla, ma consi-
ste nel tener segreto quel che va tenuto segreto. Voglia*
temi bene.
Di casa • • • luglio 1707*
M medesimo.
Signor mio. A propormi di scrivere sopra certe di-
l^spute è un grattare ,. come si dice , il coi'po alla: cicala.
Yengo adunque a trattale come io so. nelle angustie del
X Gargu, Malitiosa.
a Zeppa 0 Sietta e quel conio di legno o di ferro che d* ordinario si
mette nella fenditura di un legno per aprirlo del tutto. E qui 'per tnilato
vale Calunnie t xìKsanie, • simili, con cui si dividono gli amici.
S56 LBTVBaATCAA ITALIAHX
tempo in cai mi troTp , « deotro agli slrelli confini 4i
nna lettera , una sì ampia materia , qnale è quella : Se
nelle professioni si abbia de gaardare solamente il bno-
no, o non far conto punto né poco del mediocre e del
cattivo. Se si tratta di studiare e d' imitare^ certo che
il principiente e lo studiente sempre si dee porre innanzi
le cose degli autori più insigni, e studiare gli ottimi ori-
ginali; ma quando s'è assuefatto a imitare T ottimo , e
die si è fatto una tal quale bugila maniera, allora può
▼edere molti autori , che se non sono gli otlimi^^ pure
fooo buoni , e si posson dire ancora ottimi nel loro, ge-
nere. Ella sa molto bene che ci sono più maniere; e .tnt«
te, benché diversissime tra loro, pure posseggono le loro
bellezze particolari. Dopo tanti e tanti pittori famosissi*
mi, pure si trovò un ^uido Reni , che abbandonando la
inaniera del suo maestro Caracci , si diede a fare le sue
pitture come a lume di piazaa. Venne un Caravaggio che
mostrò una maniera di forza. Così nelle scultore , chi è
andato dietro alla grazia e dii s'è compiaciuto della for*
la; chi il facile, chi ha ritrovato il difficile; chi ha pHi
della natura, chi più dell'arte* E nella poesia, e , nella
musica, e io tutte in somma le professioni, ci soqo diffe*
renti maniere , e tutte produzioni d^ iogegno degne della
nostra considerazione. Or perché confinarsi in uno o in
due soggetti di più fama, e lasciare tutti gli altri in di-
sparte; che tutti sono andati a un medesimo fine dMmi*
lare ìt Tero e di migliorare e perfezionare la natura col*
V arte ? Si dee ( diceva nn antico ) conoscer molli , ed
nTere notizia e conoscenza di molte persone , ~ mar tener
uno o pochi per amici: conoscenza in molti, amicizia in
pochi. Così ammirare e imitare T ottimo, ma non isgra«
dire gli altri, e degnar tutti. A principio Fuomo non ha
tanto discernimento ; però bisogna che creda al maestro
che gli dee proporre modelli squisiti. Ma quello che ha
SECOLO D£CHfOtfiTTI«a «57
fatto qaalcho progresso, bisogoA cLe vegga rarie manie*
re, e che £iccia le. fae^ riflessioni, e s'eserciti nel .discer*
lìere il baooò dal caUivq; polche le firCù soa sempre
raaenle al vizio che somiglia '^ le medesime : così la irerità
e la semplicilà sta allato alla seochezza;.la fona si goa»
ata io caricalara^ it troppo delicato^. tien debole f il troppa
fièro- si. fa orrido, e cose- sioirrii. ^Uoo finisce tròppo k
piarli a nna a una , e poi nel lotto e nell' insieme è io«
felice. Or come sì pósson fare -tuf te qoeste riflessiooi ne»
ceàaarie a formare il giudizio, se non si veggon molte e
moitar opeiìe, e iion sì riconoscono a parte, a parte tanto
le Tirtà, qnatito !' difetti ? Quello che insegna, si dice
che . impara cofP insegnare. E perchè? perchè vede il cat**
Ilvo del discepolo 4' lo correggente gli dice -dove ha fallo
male, e fa ragione, perchè;' e gli fa vedére come si fii
a far> l)ené ,, e gli dipe .ancora la ragione di questo. . Io
leggo.Virgitio e T ammiro*, ^ se avessi da comporre ,ia
verso latino, non dovrei scambiare stile; ma. non per
questo Stazio bizzarro lysll' espressione, Lucano fiero nelie
acDienze', Claudìàno dolce nella misura e corrente, non
Tanno degnali d' uno* sguardo ,, benché non arritina alla
maestà di VirgUio*, Orazio lo disse de* poeti greci , che
no9 bi forza, che Omero sia il primo poeta e perfettiasi*
mot ee ile sono (dicff) degli altri, che sebbene non sono
Ooieri^ ad. ogni mddo possono, .tenere i Secondi e terzi
luoghi. Vi voglio dire le parole steste ialine, perchè nella
siui lingua Qr«^ parla non .piò enfasi : * • ,
ffoi%.si, prioKes Maeordus ienei
Sedes Hgmerus.^ Pindartcùe laient,
" Coeaéfquè, et Alcei minaces
Siesicerique grdves Camàenae..
Ciol.} Q\^Q 1^ *i ^oeta Omero Jha il primo posto,
. ^, . Non per questo di. Pindaro e Simonide
Son nascose le Muse , né d' Alceo
I fieri versi, e i gravi di Stmcoro.
aa*
a58 LCTTEBATORA ITALIANA
Che invidia è qoesla mai ? Tolere impoferire il jdoimIo
di virtaosi, e non gabellare ' se non dtt»o tre? Toler peu»
di cielo , e V come dfoera qaetr altro , na colóre che non
ci sia, dtt^ idea che nion è al mondo? Noi siamo qoa po-
Teri . meschini , posti' in* questo gnazzabaglio di cose, e
non si possono avere le cose tutte fine ; ci è sempre della
lega; anzi se tutti fossimo perfi^ti , non sarebbe bello il
mondo , anzi- non snssislerèbbe. Che stato è piìk perfetto
deHa castità religiosa? Pure se lutti folessero essere per
questo modo perfetti, mancherebbe il mondo; I Galilei,
i Yespocci . che trovin nuofe stelle e scnoprano noo?i
mondi, non son robji da ogni gioriio, i quali ,hani»ò fatto
(siccome dicea il signor Averani mio maestre di gloriosa
memoria ) che uno non possa alzare- gli ec^i al cielo-,
né abbassargli alla terra,. che noti si sorvenga deHa glo-
ria de' Fiorentini. L* iuTentare da sé è il primo posto
degl' ingegni; ma non per* quésto sono esclusi' i tradnl»
lori , i 'comtraialori , i correttori de' buoni libri, da qual-
che posto nella via delle lettere, "e quelli che il piglialo
k fatica di rirederè le cose <l^ altri , bencBè cattive, per
farle manco eattive ì ^eé esercitare nUa tal opeira d^ amore
nniTersàle, il qaate^ debbo l'uomo aU' altre uomo. -Io
somma bisogna avere il cuore più ampio ,' né tanto ri-
stretto colla massima del non si mescolare. Amici ( torno
a dire J quei 'pochi gloriosi ; familiari i più eecelienli \
ma la conoscenza eia- noiikia di tutti. Questa svogKo-
lura , questo fastidio, questo disprezzo 'di tutte ciò che
non è, o che non pare perfetto; questo non ammirare,
questo non lodare , questo criticar tutto , questo sfatare * ,
1 Gabellare» Una merce gabellata, o che pofò l» gtbeHa, \ «minam •
approrata. Per metafora 'dunque -gabàlare uno serittare Vaisi gìudtcarìo «at*
totet^le, pigliare 'ésentpj da, lui, — Il modo poi «enaente^ volar pesti di
«ie/b^ va)e voler P impossibile,' * '
2 baiare. Spregiare; Mettete ia diicndite. r .si
SECOLO ftECItfOSBTTIXO tfS^
oltreché è cosa forlemeote odiosa e poco omana , è noo
•corameitto de* gìovaoi ^ è aoa tirailoia d* no cèrto bnoa
gusto alla moda sopra le professioni , che se uno aresse
messo le roani in pasta, e aresse penetrate bene, adden-
tro le difficoltà delle arti^ non parlerebbe così. Se poi i
professori fossero ttilti perfetti, terrebbero ad essere coso
ordiolirie, e le città non sarebbero felici, percbè noo
•piccherebbe qtieli* ano, o que* (tochi, cfaesoo quelli >d>€f
fanno .onore, alfe 'città. Ci roglton de^ pittori di sgalielli,
e de' pittori di boccali perchè quelli altri spicchioo. Tntl^
le eoso-'si stimano per rapportò K Non ci sarebbe il grando
te non ci fosse il piccolo; sènza il confronto del poco^not»
CI sarebbe -Passai. Che farebbe Ù i^ic^co senza il povero,'
il priiicipé senza i sudditi , e va discorrendo^ E 11 Yir<^
lliosò non Sarebbe stillato; uè farebbe la sua figura at'
tutti (bslero rirlAosi alta pari ;. e se non ci fossero degli
sciatti * e degl*' ignoranti , sarebbe, come noi diciamo, un:
bel minchione. Io per me^ veggo d^ ogni ' sorte di Jibri di
tutte le lingue cho io- so , e se più ne sapessi ,•• meglio
airebbevnott per le lingue,* che per sé slessesono .qìc^
chetti di parole, dia per gli untori die scrivono in essa
i l4>r pensieri. Riveggo o^i sorta di' coi»f^sialooe> 'mi
a^iprofitlo per me'^ «si obbligo, ^per cosi dire, ingenera
umanOk Non mi citrod^ essere tatto 'sopraffinò dì* gusto:
aoao .noiao grossolaoo, e ia consegòenàiapiii acconcio alla*
repnbblica. lelieraria^ Mi dispiace che la vita è breveV
e*l foglio è fi«ito«> •. '^ ' , * r' •>
iCapannoliy dà Éoveaifera* 171S.
1
1 Per, èappttùj tM t. GanOroiCuidiil* ^oa altr«.
a Sdattì» Roiti, Incolti. >
«..<
.• ,f * \ '
3^6o LSTT«fli4T0BA ITAtÙlU
«
I
DALIA TBAOOIIÓHB M SBHOFORTB EFESIO.
jinzùi neceiiUata di j/ioihr Perikio , pgr non .romper fide al mo
Abrocomtj a cui uivo e morto at*era giurato di ccfuservarsi ^ de^
■ Ubera di morire* E chiamato a §è H medico Eadosso gli ^Uces
Se tùsak possibile che io,, viva Vricof crassi vìvo Àlfroco-
ve* 0 foggissi, oascosameote di qal, di ciò delìltererei ;
iga$ poiché quegli è morto, e fuggive è i io possibile , e
dqh ci è caso che io mi • sottopooga alle ibtofe Boxxe ,
perciocché qqd ^ trasgredirò i palali falli eoa Absocome,
Bè spregerò il gifirameblo; ia aduo'qae vieni ip mio aoc-
Qorso, Irovando in x|aalcfae modo dna medicina, che me
io&licjtt tragga d^affaiini* Di* ciò 4De sarai meriuto > an«
Qpr dagli Dei, i qoali io oeHa mie fine molto pregherò
per te , ed io stessa ii darò danaro , ,e li ■ forairò mesti
per la dipertenta; sicché potrai ^ prima che dò da al«
cane si sappia « imbarcato sopra 4ina nav^, navigare verso
Efeso.. E . quivi giunto , Hcercaii i geiiitori Qlegamede ed
Evtppe, avvisa ì(Ht9 Ui mia morte, e tutti i particolari
della mia assenta , e di^ che Abroeoipe é morto* •*-
,ikppresèa queste parole, si gettò* vollòbndoìM a^SQpi^
ftedl,'e'pregava che egli non le contraddicesse nulla, e
dessde il veleno* E tratte foodL venti mine d'^arieoto, e
anoi vezti *, e colbne (cbè-iie avea in abtKmdtttxa ,. poi»
ijiò tenea in suo potere lulti i beni di Perfiao),.dà tutto
questo a Eudosso. Egli consultate' molte ^ Qose^ e eompa*
feudo |a fanciulla dello inforti|uieT<B dB^i^r^tldOidi tor*
Dare a Efeso, e vinto dalf argento e da^ regali, prométte
di dare il veleno, e partesene per rucallò* EU# io .t|iie*
alQ medtre fa molti rammarichii, lamentandosi della sua
età; e dolente d' avere prima del tempo a morire , molto
1 Meritato, Rimeritatd , Ricompensato, •« IMla mia /ne. ITel morirOp
X Vesti per Omamenti io geocre.
SECOLO DECIMOSBTTIHO ^ 26 1
chiamaTa a nome Abrocome , come presente. In x|nesto ,
dopo breve tempo ^ ritorna Eudosso, portando medicina
mortìfera no , ma sonnifera ; acciò non patisse alcana
jcosa la donzella ; ed esso , conseguita la provvisione pel
viaggio,. si salvasse. Prendendola Ànzia, e sapendogliene
molto grado, lo licenzia. Egli subito messosi sur una na«
wcy si pose in viaggio. Quella, cercava tempo a proposito
per bere il veleno. Era ornai notte, e si preparava la
camera degli sposi, e vennero gli ordinati sopra ciò' a
levare Ànzia. Ed essa centra sua voglia^ e lacrimante,
«e n'esoe, occliltando in mano il veléno ; e qnan do viene
presso del talamo , quegli della casa acclamavano 1' Ime*
neo \ Ed ella di nuovo si lamentava e piangeva : — Co-^
sì , dicendo , io prima fui menata ad Abrocome sposo ,
e ci accompagnò il fuoco d^ amore , e si cantava Imeneo
^pra nozze felici. Ora, che farai, Anzia ? Oltraggerai
Abrocome lo sposo, V amato, quello cb' è morto per le?
Non cosi io sono poco virile, né nelle miserie codarda.
Già è risoluto ; bevo il veleno. Abrocome esser dee mio
marito. Lui, ancqi mqfio, io voglio. — Cosi disse, ed era
condotta al talamo, e sola quivi si dimorava; perciocché
àncora Perilae con gli amici era a convito.- Togliendo
pretesto d^ essere, nella smania, presa da sete, comandò
ella stessa ad alcuno de* servi di recar dell' acqoa , coma
per bere ; e portato il bicchiere , prendendolo , non vi
essendo alcuno di casa presente ,' vi getta il "^ veleno, e
hgnmando: — Oh anima, dice, del mio amatissimo Abro*
come ! -ecco. che io I* attengo la parola , e m'avvio per
quella via che ména a te; sfortunata bensì, ma neces-
saria. Ricevimi vofeuiieri ^ è porgimi fi tuo felice con»
vitto costì. — Detle^ queste parole bevve la medicina ; e
1 Gii ordinati ee» . Quelli ai quali era stato commesso tale «IScio.
a Jcelmuwano ee, . Intaoiiavaoo le -cviuodì consttete a cantarsi negr imenei
0 nelle nosae.
a62 Z.ETTER&TI7R1. ITALUllA
iubito il soono la prese , e cadde in terra , e la medi*
cÌDa operò quanto polè.
Qaaodo venne entro Perilao, sobito Tedcfndo Anzia
caduta , stupì , e gridò. Fa assai il bisbiglio e 1 tamolto
di qaei di casa , e passioni rimescolate , aria , paara ,
•balordi mento. Alcani compativano quella cbe pareva es-
tere spirata ; altri si condolevano con Perilao ; tatti poi
piangevano I* accidente. Ma Perilao squarciandosi la Te-
tte , caduto sul corpo : — Oh ^ carissima mia donzella ,
dice ! oh , avanti le nozie lascianle ' l' amante , pocbi
giorni stata sposa di Perilao, in qual talamo! nel sepol-
cro ti metteremo I Fortunato colui , chiunque si foste
Abrocome*'! Beato quegli veramente) che cosi grandi re«
gali * dall' amata ha ricevuti 1 - Sfogavasi costui in tai la-
menti, s'era intorno a lei tutto abbandonato, e le ab«*
bracciava e carezzava le braccia e le gambe, -^ Sposa,
. dicendo , infelice ! femmina pia miserabile ! — L' assettò
cestendola di molti abiti, e molto oro mettendole attor-
no. E non più sopportandone la vista, appresso lo spun-
tar del giorno , ponendo nel catilettc^ Anzia ( ella era
tcnza sentimento ) , la condusse a^ sepolcri presso della cit-
,tà ; e quivi deposela in • una stanza y scannando molte
▼ittime, e molte vestimenta e gli altri ornamenti bm-
ciando. Egli) fatti gli estremi nffizj, fa da' suoi ricondotto
in città. *
Ma Anzia lasciata nel sepolcro, rinvenutasi , e aocor*
tasi che il veleno non era stato mortale, gemendo e la*
erimando: -O veleno che mi hai burlata, dice, o proi-
X Lasciante «e.. La 'cottnxrione è; Oh tu lasdante (che lasci) PauuuUe
mfOttU le nozze t Bla questo participio , quando bene non vi fosse la cacofonia
die tutti sentono , non panni da imitare. I Greci e i Latini n* ebbero molti
• molto efficaci per dare e fona e ijraxia al discorso : la lingua italiana oe
^ £i un uso assai scarso.
2 CoA grandi rc^oA^ qual fu, che via giovane facesse per lui il lagti*
ficio della propria vita«
SECOLO DECIMOSfiTTIMO 203
benle me di Yiaggiare ad Àbrocome per ana fia forln-
nata ! Ho sbagliato danqoe. Tatto nel mio caso è nuovo !
non riesco neppure nel desiderio della morte! ma. si poò,
stando nel sepolcro, eseguire l^operazion del feleno colla
fame. - Per lo che non fia che alcuno di qui mi levi ,
ne io miri più il sole, né venga a luce. - Detto questo,
indurò nel proposito, attendendo la n^orte ^enerosamen'*
te. Sopravvenuta in questo la notte, certi ladri sapendo
che una donzella era stata seppellita riccamente, e mollo
ornato femminile con essa è riposto, e argento molto ed
oro ; vennero al sepolcro , e spezzando V uscio del monu*
mento , entrati , tolsero quel che v' era di pregevole ; e
Anzia veggiono viva; ed estimando esser questo un grosso
guadagno , la fecero rizzare , e voleanla menar via. Elia
buttatasi a^ loro piedi , molto gli pregava dicendo : - Uo-
mini, chiunque vui vi siate, questi ornameùti tutti, quali
e' sieno , e tutte quante le altre robe consepolte , porta-
tevi con voi; ma risparmiate il mio corpo: io sono sa-
crata a due Deità , la Morte e V Amore. Lasciatemi va-
care ' a queste. Deh ! per gli Dei della patria vostra ,
non mostrate me al giorno, me, le cui sventure di notte
e di tenebre sono degne. — Disse; ma i ladroni non per-
suase : e trattala del sepolcro , la fecero scendere al ma-
.re , e imbarcandola sur uno schifo , pigliarono la via di
Alessandria*.
SCRITTORI VARII.
Saltato» Rosa nacque » Napoli nel i6i5. Fa pittore e poeta satirico a'
foot tempi assai chiaro j e mori in Roma V anno 1673. Scrisse la sua vita
Filippo BaMinacci fiorentino , prosatore elegante , ed autore di molte opere
•olle arti» assai stimate per la dottrina del pari che per lo stile.
Sopra la imiiazione tendile degli icriuori
Torno, o poeti, a voi. Dentro un biennio,
I Vacare. Attenderei Gobmcfuidì. Ma qui non pare molto lodevole l'tuo
di ^lesia parola.
Z64 LETTERATURA ITALIANA
Benché avTezzo con Verr^, i farti vostri
NoD conterebbe il corretlor >d^ Erennio '•
Oh vergogna , oh rossor de' tempi nostri !
I snghi espressi da ì* altrui fatiche
Servon oggi di balsami e d' inchiósirt.
Credonsi di celar queste formiche,
Ch' bau per Febo e per Clio seggio e caverna ^
II grani f rubato a le raccolte antiche: '
E senza adoperar staccio o lanterna.
Si' distiogne con breve osservazione
La farina ch^ è vecchia , e la moderna.
Raro è quel libro' che non sia un centone
Di cose a questo e quel tolte e rapile ,
Sotto il pretesto de T imitazione.
Aristofano, Orazio ! ove siete ile ,
Anime grandi ? ah per pleiade oo poco
Fuor de* sepolcri In questa luce ascile.
Oh con quanta ragion vi chiamo e invoco ! -
. Che se oggi i furti recitar volessi,
Aristofano mio , verresti roco.
Orazio, e lo se questi autor Ingessi,
Oh come grideresti : Or si che a i panni
. Gli stracci illustri son cuciti spessi.
Che, non badando al variar de gU anni.
Con la porpora greca e la Ialina
Fanno Testiti da secondi zanni ^.
GP imitatori in quest'età meschina.
Che battezzasti già pecore serve ^,
Chiameresti accellacci di rapina.
1 II eerrettor te, . Cicerone , il quale scmse le biliose Onsiòni «ontro t
lìirti di Terre.
a // scigli. Il {raso.
3 Zumi, Baffoni nelle Commedie.
4 Che baUeuasU ec. . Allode alle parole di Orasio: O smvil greggia <fe-
g^imiiaUri*
SECOLO DECIMOSETTIMO a6S
De le cose già dette ognaò si serre $
Non già per imitarle; ma di peso
Le IrascrÌTòD per sue penne proterve.
K questa gente a travestirsi ha preso ,
Perchè ne' proprj cenci ella s'avvede
Che io Pindo. le saria V andar conteso.
Per vivere immortai , dansi a le prede,
Senza pena temer, gì' ingegni accorti t
€hè, per vivere, il furto si concede*
Né senza qaesto ancor Jian tutti i torli :
Non s^ apprezzano i vivi , e non si citano ;
E passan sol le autorijtà de* mortl^
E se; citati son, gli scherni irritai^o:
Ne s' han per penne degne , e teste gravi
Quei che su i testi vecchi non s* aitano.
Povero mondo mio! sono taoì bravi
Chi svaligia il compagno , e chi produce
Le sentenze furate a i padri, a gli avi.
E ne le stampe sol vite e riluce
Chi senza discrezion trn£fa e rubacchia,
E chi le carte altrui spoglia e traduce.
Quindi taluno insOperhisce e gracchia.
Che , s' avesse a depor le penne altrui ,
Resterebbe d^ Esopo I^ cornacchia.
V ìnuidia.
Quella sei tu, che solo affanno e doglia
Senti del bene altrui : quella che tenta
Detrarre a i fatti onde l'onor germoglia.
Ogni stato maggior, di te paventa :
Che , quasi tuoni , annunziano i tuoi ragli
Che la fortuna è a fulminare inlenta.
LBTTnÀT. ITAfi. - IT ^3
:|66 tBTTI^RATÌJRA ITALUlfA
"" Quella sei tu , che per le reggie agguagli
Al piì^ vHe il maggior ; perocché furo
L* altezze , a 1' ire tue sempre i bersagli.
, Dof' è senno e saper celebre e puro , '
Colà ti volgi sol; perchè tu brami
Con* le imposture tue di farlo impuro.
Quella sei tn^ che a la bilancia chiami
U anime eccelse ; e allor- godi e guadagni ,
Che aggravando ogni error., le rendi infami.
Con la Yirtù nascesti ^ e V accompagni ;
Ha per tenderle insidie e darle il guasto:
E se non ti riesce ^ nlnli e piagni.
Quella sei tu, che non comporta il fasto,
Perchè non può veder se non bassezza
Il genio tuo 9 che fu sempre da basto.
Il paragon tu sei de la fortezza ,
Per pnbblicarnct i nei , non già per rendere,
Col cimento , 'maggior la sua bellezza.
Quella sei tu, che fai chiaro comprendere
Che il bene è dove vai ; poiché s' è visto
Che per tutto ore egli è, io cerchi offendere.
Ami r accidia ; e di far grand' acquisto
Pensi ove il ^empo- inutilmente scorre;
Ma dove ben s' impiega , il cote hai tristo.
GliMBATiSTA Doni. Mori in Firense sua patria il primo del dicembre 1647
in etk di 53 anni. Dopo avere visitata la Francia più volte e la Spagna ,
• dopo essere stato lungamente in Roma , fu nella sua patria professore di
eloquensa e accademico deUa Crusca. DoUto di beli* ingegno , e insUn-
cabile negli studi , lasciò un gran numero di opere , .principalmente intomo
alla musica ; .e un numero molto maggiora ne cominciò, die poi la mort«
non gli permise di terminare. i
DALb' ORAZIONE FDR^^LB PER LA CRISTIAIflSSIBlA AkBlA
REGIIIA pi FRaUGU e DI IfATARRA.
• . .Divulgatasi per il Cristianesimo T infausta nuova del-
l'avere la cristianissima Maria regina di Francia la vita
SECOLO OECIMOSETTiaiO 267
joa terminato , con gran dolore e rammarico fu sentita
per tutlo : e maggiormente in questa sna nobilissima pa^
tria che la produsse; e jn questa fioritissima Corte, dote
con tanta cnrafn allevata: ed in particolare dalPAIteKia
Vostra , Serenissimo Granduca , a ' coi per la prossimità
del sangue, sì grare perdita piò singolarmente appartie*
ne. Ma poiché cosi è piaciuto a quello che il tntto maoYe
e dispone a suo senno; e ch'nna delle piò Tere consola-
zioni che ci restino è V onorare con quelle maggiori di-
mostrazioni che si può la sua eccelsa memoria; con sag-
gio* a vredi meo lo ordinò Vostra Altezza (conforme alla sua
aolita pietà e all' inveterato costume della sua religiosissima
Casa) che con questo non men. divoto che mesto appa-
rato, e con questa funebre pompa a qnetP anima gloriosa
ai renda omaggio e tributo; e che. in solleT^meuto e re-
frigerio di lei, s^ oflferisca all' altissimo Dio P immacolato
sacrifizio , e quei pietósi snffragj , che in simili occasioni
dalla Chiesa Santa furono con giudizio non errante salu-
tiferamente iostJtuiti. Ma l'avere imposto a me, che d'o-
gni sorte d' eloquenza mi trovo sprovvisto, impresa cosi
difficile di rammemorarvi, per maggior . gloria di lei e
conforto vostro , le sue sovrane lodi , forte mi sgomente-
rebbe , se non -mi fi>sse caduto in' pensiero, che nelPe-
leggere me fra tanti altri, che molto più degnamente
sostenere potevano qnesto carico, abbia voluto fiirse T Al-
tezza Vostra che ognun- comprenda ^ che essendo cosi
grandi ed illustri le azioni di questa Serenissima Regina^
poco faceva' di mestieri T andar ricercando- chi' con arti*
fiziosa testura di parole , e copiosa facondia le aggran-
disse* La sovrana ed eminente*^ virtù , adorna d'illustri
raggi di magnifiche operazioni , non ha bisogno , come
qualche piccola ed oscura luce, d* essere rappresentata ed
esposta BgV occhi delle meóli umane, quasi in uno spec-
chio d*nn pulito discorso; ma a guisa d'un fiamnieg-
a68 LETTERATURA ITALUlffA
giaiite sole , io od tratto si scorge e s' ammira. Più te*
ilo temo io che si fallameDte m^ abbaglino la fistia gli
Splendori insieme raccolti di tanti saoi gloriosi meriti^
che la mia ^eboleiza non sia bastante a capirli e discer-
berli tutti. Onde per qneslo rispetto, e per non attediar
di soverchio chi m' ascolta, con la prolissità d* on mai
tessuto Discorso , m' ingegnerò d' esser breve , con rap-
presentarvi solamente quelli che più spiccano d^li altri,
e che in più eccellente maniera manifestano la saa gran-
dma. Aggiagnesi eh' io non a vero di mestieri , come il
più de' dicitori sogliono fare ne^ 'soggetti anca per sé
■lessi lodevolissimi , d'estendermi nelle lodi de' snòi fa-
mosissimi progenitori : poiché quando bene io non favel-
lassi dove favello , ma in qualche contrada delle più re*
mote della terra, chi è che non abbia contezza de' glo-
riosi titoli della sua Real Prosapia , da cui son usciti
tanti segnalatissimi persÓBag«[i nelP opre di pace e di
guerra; tanti Grandachi ; tanti Sommi Pontefici; on^ al-
tra Regina di Francia cosi- celebre e memoranda t che *
La resuscitalo in Italia tutte le più illustri scienze , e
r altre più ncJijli e pregiate professioni, per P addietro
p<i€o meno che estinte e sepolte: che oggi signoreggia, con
tanta quiete e contentezza de popoli, cosi bella, ricca,
nobile e poderosa Provincia ? Vive poi ancor fresca nel
mondo Ja memoria del granduca Francesco suo genito-
re ; principe di tanta saviezza e generosità dotato, che
non ebbe pari al tempo suo: e parimente della, grando-
7 chessa Giovanna sOa genitrice ; la quale noh tralignando
punto da quella bontà e religione che suol esser propria
deir Imperiai Casa d' Austria fu d^ ogni più rara virtù
specchio ed esempio, e con gran fama di santità a qùetia
celeste patria fece rilorno. Laonde, perchè non suol de-
X Che ha te*» Questo cheti riferiice alla reai prost^a^
i ■ ■ " -^ ■ '
SECOLO DECIMOSETTlOfO 269
generare la prole da dae Tirtuosi genitori nobilmente di»
scesa ^ degno sarebbe d^ ainroirazione, se la regina Maria
cosi prode , religiosa e savia Principessa non fosse . • • •
Ed era ben ragionevole , cbe alla piti saggia , alla * pia
bella Principessa deU\EQropa toccasse In sorte il più for-
te, il più valoroso Re che mai cingesse spada ', o in te-
sta portasse corona : acciò rasserenatosi con la sna vennta
qael potentissimo Regno , agitato ancor in parte dalle
turbolenze civili, da cosi fortunata coppia ne nascesse bea
tosto qoel gioslissimo Re , cbe espugnando le città e le
rocche all' espugnarsi giudicate impossibili ; ed estirpando
le radici alla rebelliune e alf eresia, più che mai il ren*
desse glorioso e felice. Stabilitosi dunque con festa ed
applauso indicibile d^.amendue gli Stati, di Francia e di
Toscana, sì desiato maritaggio; e celebratisi qui in Fi*
renze solennemente gli sponsalizj con l' intervento del Le-
gato apostolico, fu con regal magnificenza e con splen-
didissima comitiva accompagnata e condotta in Francia
questa real Donzella : dove con tanto giubilo e letizia
fu ricevuta, come annunziatrice ed apportatrice di pace^
e d'Ogni altra più compiuta felicità, che non si potrebbe
immaginare. Ma sopra tutto quelP invitto e magnanimo
Re per sì fatta maniera rimase stupito al suo arrivo, ve-
dendo che la saviezza e beltà di lei sormontava quel gran
concetto eh' egli n' aveva formalo di prima , che ne re*
sto pienamenie contento ; e poi t^nto più soddisfatto^
quando giornalmente se gli appalesarono i tesori delle
sue più pregiate e interne virtù • • . • Fu la Serenissima
Maria oltremodo zelante dell' onor di Dio e religiosa;
X // pia vdoroso ec,, Enrico IV re 4i Fradcia nel!' anno 1600 fece «!<•
nullare il suo malrìmonio con Mar^erita di Valois , e sposò Maria de* Me-
dici ^ alla quale però gli storici non confermano quelle lodi che qui le sono
date dair oratore. Il figliuolo che nacque da questo matrimonio fu poi
Luigi XIII.
a3^
Z'JQ ISTTEBlTOai ITALUIU.
d'incredibii bontà e piacevolezza d^aoimo, che demensa
propriameote ne' Principi s' appella ; dì molta pradeoza
e maturità di giudizio , oh^e la coodizion del aesao do*
tata; di costanza e intrepidezza nelle avversità siiig<dari;
e finalmente di cnor cosi generoso, magnanimo e iibe*
rale, che fra tante famose Regine, onde nobilmente si
fregia cosi lunga ed antica desceodenza , ninna paà pa-
ridonarsele in. questa parte. E la Religione fondamento di
tnite l'altre virtò: vincolo deir umana società: principio
ed origine d'ogni sapienza che ha fitte nel ciek» le sue
ràdici, che all'onnipotente Dio ci rende simili e grati,
e finalmente degni deir eterna ineomprensibii felicità. La
qnale perchè molto meglio da' fatti e da ir opere,, che da
certa esterna ed affettata apparenza si riconosce, per
dimostrarvi qnanto ella sia stata religiosa e pia, basterà
chMó vi dica che nell'uso frequente de' sacransenti ; nel-
r ascollar volentieri e spesso i sacri ragionamenti, cosi
pabblici come privati; nel riverir le persone a Dio con-
segrate; e in tutte quelle funzioni ed opere, che ad una
cristianissima Regina erano dicevolr, non lasciò che cosa
alcuna in lei desiderar si potesse giammai • • . • Perchè
più evidentemente si conosca quanto ella sia stata abbon*
dantemente fornita di quél senno e prudenza , che per
governare popoli e regni necessariamente si richiede, se
non basta in prova di ciò 1' avere saputo adattarsi cosi
bene al costume e maniera francese; T aver sotto il suo
reggimento mantenuto V antiche' leggi del regno nel suo
vigore., e dove n* è stato di bisogno , eoa nuove ordina-
zioni , provvisto a tutti i casi emergenti ; 1' aver pronta *
e largamente sovvenuto nelle guerre di Cleves i collegali
della Germania : V aver con tanta cnra e diligenza invi'
gilato sempre alF ottima educazione de' figliuoli ; col man-
I Pronta, iwrece dì Phmt(0Haie, p«r evitare la cacofonia dei àw ar*
veH>Ì d* ugual destneosa»
•SGOLO DBCiaroSETTIUO Zfì
tenergli * appresso di continao personaggi d* esqaisilo va^
lore e safiezta : se lotte queste cose, dico, non b^lstano ,
testimonio ne renda il grand^ Arrigo medesimo , il quale
4|.aanto in lei cooGdasse, e qnanta stima ne facesse, da
qael che racconterò, chiaramente conoscere si potrà. Do*
Tendo a quella grand^ impresa * accingersi che tutta V Eo-
ropa fece star sospesa ed attonita^ e con un poderoso e
IbrmidabiJ esercito oscir^ fte^ confini del Regno, non solo
volle renderle prima pubblica testimonianza del sno espe-
rimentato Talore , con la più solenne , la più lieta , la
più magfiifica e pomposa incoronazione che mai si face»>
se; ma a lei medesima tutta la mole appoggiar disegnò
di si gran Monarchia, con dichiararla nnica Rogante e
governatrice di quella , non pure per tutti i casi che
«nanamente gli potessero succedere; ma eziandio, lui vi-
vente, per tutto quel tempo che di stare assente gli con-
fenisse. O giorno yerameote lietissimo e felicissimo per
la Francia ! Ma , ohimè , giorno che da un' infausta e
tenebrosa notte poco appresso fo seguitato ! Imperocché
quando appunto quel chiarissimo e risplendentissimo sole,
era al meriggio delle sue glorie asceso , in nn sobito
s^ oscurò. Quel fortissimo campione; qneirinvincibit eroe;
quei temuto, riverito e amato insieme da tutti, per mano
d' un Tilissimo parricida improvvisamente è ucciso ^ Che
cuore, che sembiante, che animo fu allora il rostro, o
Reclina , quando da si acerba , da sì crudel nuova tra-
fitta , ?i sentiste ad un tratto priva d' ogni vostra spe-
ranza , d* ogni vostro bene e conforto? Volentieri mi sa-
rei astenuto, uditori, da si lacrimoso passo, per non con-
distare con si amara rimembranza le vostre orecchie; ma
poi che da cosi funesto caso maggiormente si scopre la
1 Mantenergli ec. . Mantenere appresso a lofo.
2 j4 quella ce . La guerra eh* egli apparecchiava contfu la Casd d^Austidtt.
3 Eiuico IV fu ucciso a tvadìmeato nel giorioio i4 M«gg^ l6lo.
A^A LETTEBA.TURA ITALU91
sua gran costanza e valore; acciò nìun possa dubitare
quanto gran parte ella abbia avuto in sì rara , sublime
ed anzi virile che donnesca virtù, ho! bisognato pure di
farne menzione. Assalita la Regina da cosi fiero e ina-
spettato accidente, fra T angoscia el dubbio chMn strana
guisa le ingombrava la mente, non punto si sbigotti, o
si perse ; ma provvisto opportunamente , col consiglio de'
suoi più grandi ed autorevoli «ministri , a quanto biso-
gnava per la salvezza del giovinetto Re, per la sicurezza
di Parigi , per la quiete de* popoli ; senza dimora com-
parve in queir augusto Senato, con una faccia e sem-
biante, nel quale restava dubbio se maggior si scorgesse
il duolo, o la maestà. Dove con stupore e maraviglia di
tutti, in si fatta guisa consisto sopra i più iroportaoti ed
argenti affari del reame , che pareva quasi discesa dai
cielo, per disgombrare dagl* afflitti e smarriti cuori ogni
nube di temenza e d' orrore. Quivi concordemente di*
chiarata ed acclamata con piena possanza suprema Regi>
gente dellia Monarchia francese, intrepidamente pigliò le
redini del governo; e quelle, come universalmente è no«
to,;^in tutta la minorità del Re, con somma sapienza e
contentezza de' popoli , amministrò : e per molti anni
appresso, partecipando .seco de* più alti affari, grandis-
simo sollevamento ed ajuto gli diede. In questo tempo,
quante gran cose elF abbia operato in tutti i generi di
yirtù, non che ne 11' accennate di sopra; quanti singolari
effetti si siano veduti della sua eccessiva liberalità , e
d' una veramente regale magnificenza , né la mia lingua
è bastante a narrarlo, né il tempo prefisso al mio ragio-
namento è sufiicienté a comprenderlo. , . . Basterà ch'io
dica che chi Toleìse effigiare al vivo il ritratto della ma-
gnificenza , non altra immagine che quella della Regina
Maria deverebbe proporsi : conciossiachè non albergò mai
io lei alcun pensiero che grande , magnifico , e vera-
SECOLO DEGIMQSETTIMO 27 3
mente regio non foste. Per questa medesima grandetta
d animo, coogianta con an altissimo sentimento delle cose
celesti , quando a quelf ultimo e formidabil passo per*
Tenne, si mostrò rassegna t issi ma iiei divin volere; e con
molta compnnzion di cuore e devotissimo affetto ricevè
per mano di due NunzJ apostolici, prelati di cooosciata
ix>nlà e Talore , tutti i sacramenti della Chiesa Santa.
Testificò con particolàr 'modo il materno e sviscerato af-
fetto ch'.ella portava al cristianissimo Re suo figliuolo:
disponendo a favore di Ini delle sue piò principali facoU
là. Kon si scordò d^ onorar similmente con preziosi do-
nativi gP ^Itri suoi serenissimi figli, ed i Principi di qne«
sta serenissima Casa , da cui meritamente riconosceva il
suo essere e grandezza. Non si dimenticò de* servigi pre-
statile in ogni tempo ed occasione da^ suoi familiari e
domestici , con remunerargli largamente , e dimostrare
sino ati^ ultimo , non so s^io mi dica la sua ordinaria o
straordinaria beneficenza. Ed in somma hon tralascio cosa
che a sì alta e -cristiana Principessa si convenisse. Cosi
è ragionevole, serenissimi Principi, Uditori nobilissimi,
che noi altresì grata memoria tengbiamo di cosi gmn
Regina : la quale , come da* snoi illustri fatti , benché
per bocca d^ un infacondo dicitore rappresentati , com-
prendere potete, il presente secolo, non che questa soa
chiarissima patria , singolarmente nobilitò.
Laasirzo Lippi , fiorentino , nacque 1' anno 1606 , e fu , come il Rota «
pittore e poeta. Il Baldiaacci che ne scrisse la vita racconta che passando
mi giorno il Lippi dal castello di Malinantile « vennegli capviccio, di
comporre una piccola leggenda io istile burlesco, la quale dovesse es-
sere, come sogliamo dir noi, tutto il rovescio della medaglia della Ge-
rusalemme Liberata , bellissimo poema del Tasso : e dove il Tasso , elet-
tosi un alto è nobilissimo soggetto per l<f suo poema , cercò di abbellirlo
eo* più sollevati concetti e nobili parole , che gli potè suggerire V eruditis-
sima mente sua ; il Lippi deliberò di mettere in rima certe novelle , di
quelle che le semplici donnicciuole hanno per uso di raccontare a* ragac»
si: od avendo falla raccolta delle più basse similitudini^ « de' più^ volgari
JI74 LETTEKàTURA ITALUtVA
proverbi e idiotismi fio^ntini , «U essi tetsb tutu V opera sua , ftiggeodo
al possibile quello voci , le quali altri ( a {^uisa di quel rettorìco Atticista ,
ripreso da Luciano ne* suoi piacevolissimi Dialoghi ) affettando ad ogni pro-
posito 1* antichità ' della toscana favella , va ne' suoi ragionamenti sensa scelta
inserendo. Fb sua particolare intenaione il far conoteere la facilita del par-
lar nostro } e che ancora ad uno , che non aveva ( come esso ) altra elo-
quensa che quella che gli dettò la natura , non era impossibile il parlar
bene. Ora , perchè spesso accado , che anche le grandissime cose , da basso
e talvolta minutissimo cominciameato , traggono i loro principi j egli , che
da prima ( non avendo altro fine , che dare alquanto di sfogo al suo poetico
capriccio, e passar con gusto le ore della veglia) aveva avuta intensione di
imbrattar pochi fogli, de*qtuli anche già si era condotto quasi al ■'destinato
segno , fa necessitato partire per Germania ài semsio della Serenissima Arùf
duchessa : e con tale sua gita venne ad incontrare congiuntura più adeguata ».
per dilatare alquanto' l' opera sua. Perchè essendo egli colà forestiero e sensa
1* uso di quella lingua , e perciò non avendo con chi conversare , talvolta j o
stanco dal dipingere , -a attediato dalla lungbessa de* giorni o delle veglie , si
serrava nella sua stansa , e si applicava alla leggenda , fincliè la condusse a
quel segno che gli pareva abbisognare , per dedicarla alla- Serenissima sua
Signora , siccome fece. Tornatosene poi alla patria , ed avendo fatto assaporare
agli amici il suo bel concetto , gli furono tutti addosso con veementi e vivo
persuasioni^ acciocché egli dovesse darle fine, non di una breve leggenda,
come egli si era proposto , ma di iin intero e bene ordinato poema . . . •
U allegoria del suo Poema fu , che Jktalmantile vuol significare in nostra
lingua toscana, una cattiva tovagtia da tayoiat e che chi la sua vita mena
fra r allegria de' conviti , per lo più si riduce a morire fra gli stenti. Ne h
vero ciò che da altri fu detto , che egli per beffa anagrammalicamente vi no*
minasse molti gentiluomini ed altri suoi confidenti ; perchè ciò fece egli per
mera piacevolessa , con non ordinario gusto di tutti loro, i quali con non poca
avidità ascoltando dall' organo di lui le proprie rime , oltre modo goderono
di sentirsi leggiadramente percuotere da* graziosi colpi dell' ingegno suo ».
Mi è sembrato opportuno di trascrìvere intomo al Malmantile queste no>
tisie del Baldinucci per far conoscere anche questo scrittore.
k dar poi un saggio delle bissarre invencioni del Lqipi ed anche del suo
stile, basti la seguente novella, estratta dal Canto, o (com'egli disse) Con-
tare settimo , st. 27.
Faro OD tratto udb Dama e no CaTaliefo,
Mogjie e marito ^ in baóno e ricco stato ,
Che fatti vecchi contro ógni pensiero,
Dopo di a?er qnalche anno litigato
La grìoKa pelle cpn on cimitero ,
Convenne loro alfin p'erilere lì piato * ,
1 Perdere il pìùio. Convenne loro pèrdere la lite , • cotitentarsi di dai«
se stessi in deposito ^ Vociandosi seppe Uire^
SECOLO DECIMO SETTIMO 27S.
E senza appèllo aver, a far proposito
Di dar per sicorrà V ossa in deposito*
Lascfaron due figliuoli , i più compiti
Che ^I mondo atesse mai solle sue scene;
Perch^ essi arevao tatti i requisiti
' Dovuti a un galantuomo e a un aom dabbene :
Aggiunto , che di soldi eran gremiti '
(Che questo in somma è quel che vale e tiene):
Stavan d^ accordo, in pace ed in amore,
Ed ei'an pane e cacio * , anima e cuore*
Cosa , che fare io oggi non si suole ,
Perchè i fratelli s' han piuttosto a neja :
E se lor han due cenci o terre al sole ,
Air un,miiranni par che T altro moja.
E questo è il ben , che a' prossimi si TQoIe !
E .siam di cosi perfida cottoja ^ ,
Che sebben fosser anche al Jomicìno ,
E' non si so?Terrebbon d^ un lupino ;
Perch^ e^ sono una man di mozzorecchi ^p
Al contrario cosi or , di chi io favello,
•I quai di cortesia furon due specchi,
E tratlavan ciascun da buon fratello,
S' avrebbon portai' acqua per gli orecchi ^ ,
E si serrian di coppa e di coltello ;
I CremitL ^ieni , AbbondeTolifaini.
a Pane e cacio. Diceti che due sono pane e cado a sigmCcart che si
amuo assai e sono d' indole e di nmore fra loro conTenienti.
3 E Siam ec. . Dicesi che' un legume od allro h eU eatti9a cottoja, quan-
do , per esser reccbio o di mala qualità , difficilmente può cuocersi. Qui pei
traslato vale siamo di sì per/Ida natura, — Il modo essere al lumicino signi-
fica csMre alt estremo della vita, costumandoli in molti Ino^ di accendere
tilt lame accosto ai morìhondi. — Il lupino poi k un legame di nessnn pre-
gio j ncdifc , pei indicate 1* estremo dell' avariiia e deU' indifferema , dite
che 1* uno non darebbe per soccorso dell' altro un lopino. ^ ■
4 HoasotecchL Scaltri , maligni , che offendono gli altri t non si laidano
oflendere , come i cani a coi furono mosai gli orecchj.
5 S^ avrebòono ec, . Tutti i seguenti modi si adoperano a fìgniflcaia un'e-
strema eompiacensa di ano verso un altro.
276 LETTERATITRÀ fTALUHA
E per cercar detr uno il bene stare.
L'altro Toloto arrebbe indo?inare.
Essendo an giorno insieme ad on conTito,,
Qaand' appunto aguzzato hanno il mulino * ,
E maogian con bonissimo appetito ^
Non so come il maggior , detto Nardlno,
Neir affettare * il pan tagliossi un dito ,
Sicch' egli insanguinò il toTagliuoiino ,
E parregli si bello b quel mo* intriso ,
Ch* ei si pose -a .guardarlo fiso fiso. -
E resta a .seder li tutto insensato ,
Ch' ei par di legno anch' ei come la sèdia :
Può far ( tanto nel viso è dilavato )
Colla tovaglia i simili in- commedia :
E mirando quel panno insaogiunato ,
Ormai tant' allegria muta in tragedia ;
Mentre nel più bel suon delle scodelle
Si vede ognun riposar le mascelle.
E tutti quei, che seggon quivi a mensa,
I servi , i circostanti , ed ogni gente , •
Corrongli addosso , che ciascun si pensa
Che venato gli sia qualch' accidente :
Né sanno die il suo male è in quella rensa ^,
Com' appunto fra Ferba sta il serpente;
Rensa non già, ma lensa , onde il suo cuore
Preso all' amo col sangue aveali Amore. .
^ Che gli par di veder, mentre in quel telo^
Contempla in cautpo bianco 1 fior vermigli,
* 1 Quando ^ec, . Quando tono ia sul più bello del mangiare.
% affettare qui e usato nel suo proprio e primitivo senso di ù^fitart a
/ètte, — • j^ quel mo* intriso. Intrìso , bagnato di sangue à quel modo.
3 Mensa, Tela .di lino fatta nella cittl^ di Rens in Francia ; Il tovagUuolo,
diveDiito ( dice il Poeta ) quasi una Unsa (cordicella di. crini di cavallo
o di s«ta a cui legasi 1* amo ) con cui Amore aveva preso NardinOé
4 Ttlo, coli' e stretto, vale Peuio di ielat coli' e largo vale Z>«r^. Jfar-
SfiCOLO t>£Gt3I0SETTIM0 ft^J
Un carnato di qualche Dea di cielo.
Composta colassà di rose e gigli :
E si gii piace,, é tanto gli va a pelo'^
Che finalmente, mentre eh' ti non pigli
• Una moglie d' on tal componimento.
Non sarà de' suoi dì mai più contento.
( E già se la figura nel pensiero ,
E hiapca e fresca , -e rabiconda e bella ,
Co*- suoi capelli d^oro, e F occhio nero,
Che più né men la mattutina stella ;
E come eh' ei la ^eggst daddovero,
Divotb se le inchina e le favella ,
£ le promette , •' egli nnk moneta ,
Dì pagarle la fiera all' Impruneta *•
"Et Tuoi mandarle il cQore in nn pasticcio.
Perch'iella se. ne serva a colezione;
. E .gli s'interna si cotal capriccio^
E tanto Ab ne va in contemplazione,
Che il matto s'innamora come oh miccio^.
D'un* amor che non ha conclusione,
Ma eh' è fondato , come udite , in aria ,
D' una bellezza finta e immaginaria*
m
4iiio «dnnqn» Tsdffndo il TermigUo del proprio sangue sul bianco del tova-
glìaolo s* immaginò di scorgervr un bellissimo volto , e ne fu ibnamorato.,—
Carnato sta qni^per Incarnatoj e il Borgbini nel Riposo definisce cosi que-
sta pairola : L* incarnato , che è molto simile alla rosa > è colore vago e bel'
lo, siccome le .vermiglie guance di giovane donnaj è composto di rosso e ' di
bianco,
I Gli va a peto. Gli va a geniOé «• Una mof^ ^ un tal ec.» Una mo-
flie cosi bella come questa donna cbe a lui par di vedere.
a L' ImprunOa- è aUa chiesa vicino a Tircnse , dove a* i8 d* ottobre si ce-
*
lebia una fiera i nel qnal |;ioreo forse » come »uole asani ia simili occasio-
ni , gli amanti regalano le loro donne.
3 Com» un miccio. Come un asino.
fclTTIKÀT. ITAt* 2— IT 24
27 S LETT£niTUR4 ITALIAHA
Il firalello Bran«Uo , redeadolo in quello stato , manda pel medico ; e poi-
rliè nulla vale a guarirlo , gU ri pone ricino «1 Iettò , e lo prega s volergli
dir la cagione di quel suliito mutamento. £ Nardino risponde ,
Dicendo: Fratel mio, se ta mi vuoi
Quei ben , che la dicéi volermi «^ sacca ,
Non mi dar ooja , va pe^ 'fatti tiiot,-
Perchè il mio mal non è male da biacca ',
Al quale , ad ogni mo^ trovar non paoi
Un xiniedio che vaglia una patacca ,
Perch^ egli é stravagante ed Jilla moda ^
Che non sé ne rtnvien capo né coda. —
Vedi, soggiunse T altro, e ch'io m'adiro,
O pur fa conto ^ eh' io lo vo^ saper»:
Hai tu quistione? iiai In qualche rigiro?
Tu me Y hai a dire in tutte le maniere. —
Mardin rispose, dopo un gran sospiro:
Tu sei importuno poi più del dovere \
Ha da^.chMo devo dirlo, eccomi pronto: —
Cosi quivi di tutto fa im racconto*
Brunetto , sdito if caso , e quanto o^ sia
Il suo cordoglio , anch' ei dolente resta ;
Sebben , per fargli cuor, mostra «U^ria ,
Ma , come io dico, dentro è chi la pesta * :
Perch' in veder si gran malinconia ,
Ed un umor si fisso nella testa.
In quanto a Ini gli par che la succhielli^.
Per terminare il giuoco a' pazxerelli.
1 Aon ^ imi/e da hitteea. Non ^ uno dì quei mali da nu^ln die ri gnari-
scono eoli* unguento fatto di biacca* -— Non pale wia paÙKoa diccri and»
comunemente in senso di Non vai» nk punto né poco» ed ^ un modo deri*
vato da Pataeon, moneta portog^se di pochi quattrini.
a Dentro e ec. . Nel suo animo è ciò che gli dk martello , cioè il timoie
di non poterlo guarire.
3 Par che la succhieilù Dicesi succhiellare una carta quel levarla che si
fa qualche volta dal tavolo o di sotto ad un' altra a poco a poco« Yale an-
che per traslato : Intemarri col pensiero iir qualche cosa.
SECOLO DEGiXOSETTiaiO • 279
E conoscenda, eh* a ridurlo ìq sesto.
Ci Tooi altro che il medico o il barbiere * ;
Vi si spenda la vita e tada il resto.
Vuol rimedìarTi in {otte le maniere :
£ qaivi^si risol?e presto presto
D^ andar girando il mondo , per vedere
Di trovargli una moglie di sao gusto ^
Cora' ei glief ha dipinta giusto giusto.
Perciò d* abiti e soldi si proTTede,
E dà buone speranze al suo Nardino:
E preso un buon cavallo e un uomo a piede ,
Esce di casa , e mettesì in* -cammino ,
Sbirciando* sempre in qua e in là, se vede
Donna di viso bianco e chermisino:
E se ne ineoAUa mai- di quella tinta,
"Tool poi chiarirsi s' ella é vera o finta*
Perch' oggidì non ne va una in fallo ,
Che non si minj o si lustri la cuoja ^ :
E dpv^eirha un mostaccio infrigno e giallo,
Ch* ella pare il ritrattò delf Ancroja ,
Ogni mattina innanii a un suo cristallo
Quatti # dita vi lascia sa di loja ^ :
E tanto s' inveraleia, impiastra e stucca.
Ch'ella par proprio un Angiolìn di Lacca*
-Di' mrodo eh' ei non voel restarvi colto ^
Jilà starvi lesto, e rivederla bene:
1 // barbiere a qne* tonipi faceva gli uffidi de' chirnrglii uinorì o flebotomi,
a «S&irclore^ lignifica il socchiudere alena poco gli occhi pei: accrescere la
foraa irisiva; guardare attenUmente.
3 Xa cuo§a. La pelle. — Injrifpu^. q lSnJri§niia%, vale Grinmeù , tncrtsfttt^
(o« — ^ jijwroja è il nome di uua regina celebre in un antico lonwmao : qui
dunque h eome . se dicesse pare la SUtilla, per duaotaire una grande vecchicua»
4 Lùja, Sudiciume ; e qui è la materia con cui le donne usavano dipin».
gersie imbellettarsi, — È noto poi che anche a* di nostri a Locca si iann*
hfgU angioletti di ceitt p di geiso.
z9^ LerrcRiTcntA f taluna
E per qoesto nna spagna seco ha tolto ^
E sempre in molle accanto sé la tiene ,
Con che passando ad esse sopra il rolt» ^
Vedrà s' il eplor veggo» ò se rioTÌene • ;
Ma gira gira , in fatti ei non ritrova
Soggetto che gli occorra fame prova.
■ , t *
Fiaaloiciite arma aHa starna di Pigolone , romito ; gli dice la cagioiie dei
suo viaggio , e sente da lai eh* ivi presso h un oerto neijprémairte detto Ma»
gorto , il qaale , fra 1* altre maraviglie , lia in un .«no giardino cocdoB^ri di tal
sorta, che chi ne parte qualcuno vede uscirne una ragassa hellissinui. Costei
( soggiunge ) tosto come sar^ uscita del cocomero ti pref^er^ di darle d« Bere s
ma •• tA la compiaci ,
Tu puoi far conto allor d' averla vista ,
Perchè mentr' ella beve un* iv^qua tale ,
Ti fQggtrà in oq subito di svista,
E. ki resterai ..qnivi uno stivale :
Se tu noor T ubbidisci, ella,' cb^è trista*,
Vedendo olie il pregare e il dir noli valo^
latornoìi farà'pfer questo fine
Vja Diiiion di forctie e di oio¥ne\
E se di compiacerla poi ricusi ^
Dirà, che tu buon cavaliér non sia,-
Mentre', conforme air obbligo , v« a usi
Servitù colle dame e cortesia ;
Ha lascia dire , e tiea gli orìecehi chiusi ,
Non ti piccar di ciò, sta pure al- quia ^^
Gracchi a sua posta , fu non le dar bere y
Acciò non fugga , e poi ti stia il dovere*
Con questa , che sarÀ fìitta a pennello^
Come tu cerchi , le vaerai dal cuore
- 1 Se rinvime. Se nnitaai , Issciando veder di nuovo il color naturale*
s ^SMsta, Maliaiosa. . - 1 . v ■
'*■ 3 Forche e ntùìlne si dicono quelle affc'itale careaae che uno fa ad uà al-
tro per re«wlo alU propria votontlk
4 ^^^ ^ piecar di ciò. Non adirartene. -*« Sia pure id quia. Pensa , badn
a ciò che più imporU, -^ Ti #<i<r il doyefé. Ti succeda ^uel chó tu noTìik
sBcoLa DBasxosETTiaio aSi
Ogni doglia , ogni aflfanno a! Ina fratello ,
Ed io ten' entro già malleTadore*
Yientene dnnqae meco , e sta in cerTelfo y
Camtniaa piano , <e fa poco romore ;
Che se e' CI sente a sorte, o scnopre il cane,
Non occorr' altro, noi abbiam fatto il pane'.
Con questi arrisi , Brunetto e il sno servo seguitando Pigolone avvia-
roDsi alla casa di Magoito : il quale , stando come aolera all' erta , si accorse
della loro veAuta , e preso il vecchio romito lo cacciò in un sacco , e Io
sospese al palco d* una sua starna ; poi luci cercando un bastone per farne
vendetta. Brunetto allora entrato col servo liberarono -il romito , e chiusero
nel sacco il cane di Maj|orto , con alcuni piatti e vasi di terra , e con due
fiaschi di via 'rosso. Postisi poi tutti e tre in agguato, come videro rientrare
nella stanati Magorto, col chiavistello ch'era di fuori lo serrarono dentro; dov«
egli, credendosi percuotere il* romito, martellò i fiaschi del vino ed il cane.
Brunetto in qtiesto mentre col suo fante
Avéa dì già, scorrendo* pel giardino.
Il luogo ritrovato, e quelle piante,
. Ov' è colei che chiede il sno Nardino :
E già 1* ha tratta fuor beli' e galante ,
Che non si fedde *, mai il più bel sennino ;
E con un sno bocchi n da sciorre aghetti ^
Chiede da ber^ ma non già se 4* aspetti.
' Perch* ei del certo , in quanto a contentarla ,
Non ci ha ne meno un minimo pensiero t
E però quante Tolte ella ne parla ,
Mata discorso , e là riduce al zero ;
Ma perch^ella è moizÌQa^i e colta ciarla
Le monache trarrìa del monastero,
1 Abbiam fatto il-pane e un modo proverbiale che significa Non y* hm
spUrtmia pia di riutctre a quel éhe ^cérehiimto,
a Si v€3Sie» Si vide. -— Sèmidnà, da senno , diceli per vesso ad una gio-
vane bella , graziosa e prudente.
3 As^^ti soào €^ii^ jfuntaH di ottone o di latta in cui finiscono le cor-
dicelle o stringhe per alKiceiar Busti e simili. iMCesf bocchino da seionit
éghetti di quelle donne che , credendosi p^rer héìé , tengono la bocca più
strttta del naturale , cerne fa chi vuole co* labbri e co* denti sciogliere un sodo.
4 tossina» Malisiosa. ^l"^
iSa i.Emm4TiniA italuiij[
VeJef che «'elia buda troppo a diref
Si lascerebbe forte conrerlire.
(Però per doq oadere in cfoesto errore.
La piglia a ao tratto e se la porta ili strada y
Ed al vecchio * fii dir pel servitore ,
Cbe piò tempo non è di stare a hada«
E cli^ ei De venga , db' ei V aspetta fuor^ i
Acciò con essi apeb^ egli se ne vada ,
Cbe li non vQol lasciarlo nelle peste ^ «
Ha condarlo al paese alle lor feste.
Cosi di Jà poi tQ(ti fér partita.
Ha pili é* ogn^ aKro allegra la fancinlla ;
perchè non prjopia in ddl' orto uscita ,
Ch^ ogni incantp , ogni voglia in lei s'annuita:
Anu a^ lor preghi in sai cavai salita f»
Senta pici ragionar il ber né nulla.
Va sempre innuoti agli altri un trar di mano,
' Fiera e biuarra come un capitano.
/
Hagorto intanto fiofflroente stracco
Di menar il , randello a (|uel partito ^ ,
Sciolto ^ed apertQ avendo ornai cfuel saoea ,
Per cucinar la farne del Romito ;
Ed in quel cati^bio vislovi il suo bracco ,
Tra coccia e vf(ri macolo e basito,
Resta maraviglialo in una forma ,
Cb' ei. bon sa s! fi sia desio o s^ ei si dorma.
1 jit vecchi; AI romito i. liiiiMl» a ytàa» qntl clie fiieew* Mafoit^k
Z ^feile p^sU* Kel pexieolo. la ^piest» cigiaificato il {irìmo e di pule si
proauiMÌA stretto, — JUe larfiste. Alle fette dì» $i farebbero per Iv aone*
3 // ruHdeUo, Il bMtaa». — • ji ^uel pariUo. A quel modo che si disie
l^k coiuro il sacco in cui credeva die fosse ancora il romite,
4 Cwci, l rottami dei t«iì» •— Macola e òmUo*. Makoneio e motto daJU
tscoLC» i>iGniDSETTtMo a83
S lo peroossi quel Teccbio inariiio|.o^^ v ^
Com' ho io faUo ( disse ) un eaotciclìó ?
So, ch'io lo presi, e lo «errai qua solo.
Che gQOD > potea Teflerint o dar fastidio :
Jfon so^ »* io sono il Grasso LegQajuolo ^ ^
A queste meta morfosj d* Ovidio ,
Che SODO in Ter meravigliose e strane j.
Poiché un Romito mi diventa' un cane« .
Cane infelice, povero Mela m pò !
Che netto qoa^tenéi qnanto si scerne!
Chi pili farà la guardia al mio bel cnmp#
Adesso , che l^lrni chiuse le l.mtern^.^?
Io ho una rabbia addosso eh' io avvampo ,
Con qoel veochiaccio, barba d' Olofei'.De,
Che al certo fatto m^ ha cosi bel ginoco:
Che du|>bio? metterei le maa..nel fiiopoi.
Ohimè! le inie stoviglie e il vin di Chianti,
Ch'io tolsi in dar la caccia a un vetturale,
A cagioD di quel (risto graffiasanti ^ ,
In an tempo e .versatole ito male.
Giaro al ciel , .Ch"* io npa vuo' ch^ ei se ne vanti :
E, s^ei non vola, può far capitale ^
Ch! ip voglia ritrovarlo : e a' ^i e' incappa ,
- Che mi venga la rabbia s' ei mi scappa.
. Jéù troverà bensì , perch^ io vno' ire
Qua intorno , per veder s' io Io rintraccio. -
Cosi corre. alla porta, per uscire;.
Ma el non può farlo, perch'e^ v'è il chiavaccio ^:
I élniM per Ifiwif ^ Toce del disdetto.
a II Grasso ec* Que«u> Grauo fa uà Ugoajitolo. fioi«ntioo «ht parila
iva grando «implicita si penoase di esser diveinito un aItro«
3 Le lantèrne* Gli occhi.
4 Grt^asantì. Bacchettone , Ipocrita.
^ Pu(i far capitale. Può essere certo.
% Il chiavaccio* Il cbìavislello.
284 LBTirEKATOlUL ITAUjiVl
Lo scaote e' sbatte, per mièr aprire 9
Ed or ▼' altaeca V odo , or T altro braccio:
Nojato alfine Taone e corre ad alto,
E da' balconi io strada fa ob salto*
Accortosi poi , alla tìsU dal cocomero diviso , delta fànciiilla cba (ti
baBDo rapita, monta ia maggior foton. Ma intanto la fanciulla co^li altri è
f insta doT* à Nardinp.
Entra la Donna , col Romito appresso ,
E coininciaro a pianger ambedoi t
Entra i! .famiglio , e aneh^ egli fa lo stesao ,
Senza saper perchè, ne meo per cai:
Troyan Nardino ancor di male oppresso «
E sbìetolar ' lo veggono ancor lai :
L'Astante*, che porgeTagli l'orzala.
Pur ne facera la sna qnattrinata.
Ràrdìn vede colòi beli' é vezzosa ^
Cora' appunto V ajeva nel pensfero ,
E dice : Ben venata la mia sposa ,
Voi mi piacete a fè da cavaliere ;
Ma voi piangete? Ditemi una cosà '
Voi ci venite a malincorpo ^ , è vero ?
Non vogliate risponder eh' et non sia,
' Perchè voi mi diresti nna bagia. •*
Mettete pur cosi le mani innanzi^
( Rispond' ella ) Signor, per non cadere;
Ment-e, temendo ch'io non mi ci stanzi ^,
Specorate si ben , eh'* egli è un piacere:
I Sbietolare. Piangere scioccamente.
£ £' Jstante, V infermiere. —- Dicesi poi Fort una quattrinàta di pianta
'o d* altro , in senso di Piàngere assai per poca o niuna cagione,
3 A malincorpo ed A malincuore valgono , Cantra genio , Mal volentìetr.
4 Mettete pure ec, . Dite pure a me quello eh' io dovrei dire a ▼ci.
5 Temendo eh* io ec. . Temendo di vedermi fermare la mia stanca , la
mia dimora, pressQ di voi, specorate, cioè piangete belando come una pe-
cora ec. . . ;
SECOLO DEGIHOSETTIHO ' ^tS
Ch'io mi TI levi 9 ditemi^ dinanzi,
Chè^ Yoi non mi potete pia vedere,
Senza darmi la burla; ch'io m' acquieto,
E senza replicar -do yolta a drelo. ,
Ffè-sossopra la man non volterei *,
Cbè r andare e Io star mi son" tntt* una:
E bench'ai mondo io sia come gli Ebrei,
Che non han terra ferma o patria alcuna;
Aiidrò fSensando intanto a' fatti miei ,
Per veder di trovar miglior fortuna ;
Perchè, come diceva mòna Berta,
- Chi non mr vuol , sego* è che non mi merla* --
Ed -ei risponde: Ohimè, Signora mia!
Non vi levale in bacca * cosi presto:
f S* io non v' ho detto o' fatto villania ,
Perchè venite voi a, dirmi questo?
Abbiate un pò* più flemma io cortesia, ^
Ch' ogni cosa andrà bene in quanto al resto:
Yoi siete bella , ed anco di più sposa ;
Però non voglia!' esser, dispettosa. »-
Ella soggiunge , ed egli ribadisce ^ : :
Ella non cede , ed ei risponde a tnono :
Pur gli acquieta Brunetto, e alfin glj finisce,
Sicché I' an 1'. altro ehiedési . perdono);
Ma noi» ^ér questo il lagrimar finisce,'
Ch'» -ognora in casa, e, fuora , ovuhqne sono
(perchè sempre si smoccica^ e>si cola),
Hanno a , tenere^ agli occhi la pezzuola.
I Jfh sostopra ec. • E an proverbio per sigiitficare : Ne farei pvire uà passo
per far si cbe la cosa andasse altriinenti , giacche ec. •
3 Non vi levate «e.. E un altro proTerbio: Non montate in eollera.
3 Ribadisce, Kepllca.
4 Si emoccica. Si manda escrementi dal naso , come succede a ahi -pianfe.
286 LCTTEB4TUBÀ ITlLlAfiÀ
Vivono in somma in an contiotio piando , '
Piangono i servi , e piangoo gli animali ;
Onde il guazzo per terra é tale a tanto.
Che e' portan tatti qaanti gli stivali.
Ma torniamo a Magortp , che frattanto y
Pe^ saper qael che sia di questi tali «
E dove la saa figlia si ritrovi.
Ha fallo al consueto incanti nuovi.
E veduto , eh' eli* è tra buona gente ,
Moglie d* nn ricco e nobil bacila lare * «
E che giammai le poò mancar niente ,
Perch'ella è itf una casa come an mare*;
Kon vi so dir, s^ei gongola^, e ne sente
Contento grande e gusto singolare,
Di modo eh' ei si pente , affligge e duole ,
Di quanto ha fatto , e risarcir io mole#
E il rUarctmeiito fii qaetto , die raecobe da mi sAo albero ima gvaa qiuuit
tHk di pomi 4* oro , e U mcò per dote alla fimaiilla. •
Gli sposT allor brillaDdo con Brunekto
Gli Irendon- grasie, e fan grata acceglienia ;
Ed ordinato un grande e bel banchetta.
Reiterar le none, in sua presenEai
Ed egli poi al fin con ogni aflfetto
Riveri tutti , e voHe far partenza ^
Lodandosi del fprlo del Romito ,
Che si ^raod' allegrezza ha partorito.
1 Bacealare dicevaai per Uono di graa conto j aa poi k divenuta voee
ivopria soltanto dello stile burlesco.
2 Come un marej cioè: Sempre piena di roba.
SECOLO DECtMO»ETTiaiO 28)
BxxrsDKTTO BroMUATTBÌ prete fiorentino fu lettore in Pisa di lingua t&§ea»
9ut , della qnale poi si ^se assai benemerito colle sue Opere. Dopo il Beai*
bo» «sl> 0 il Cinonio (ilP.JtfamLelli) cpntribuirono più di tutti a ridurre U
nostra lingua sotto leggi grammaticali. Nacque addi 9 agosto l58i> e mori
nel gennajo del 1647*
, « *
DtW autorità del popolo^ e di quella de^ tcriuori^
nella nuUeria delle lingue,
A me pare cbe per bene Apprendere una liogaa tien
necessari non meoo gli scrittori che il popolo, pè qoeslo
meno di qaelli. Ma, siccome io piglio per popolo, wnt
la sola feccia d^lia plebe, ma il corpo tutto della citta*
dinansa noita iasleme ; cosi per isorittori ' rateodo , non
og;ni "fatko composilor di leggende, ma quelli che scrifon
regolarmente, e intendon ia proprietà delia lingua. Qaè*
sti e quegli (dico) seno, al parer mio, necessari per
bene apprenderla ; perchè il popolo è quel che forma le
lingue e le sue regole, almeno materialmente; gli scrit<4
tori sen que' che le raccolgono e stabiliscono. £ se la
graoamaliea non è altro che una scienxa di parlar per US04
potremo dir che quest' uso si debb' apprendere dal pò*
polo , come da autore e padrone; e -la scienza si rcon^
Tenga pigliar dagli scrittori, come da maestri e iRterpetrL
Ma foiose che questo è un poco lasciarsi intendere. Dico
perciò che nelle lingue si consideran principalmente cin-
que cose.: i corpi de* focaboli, le passioni o accidenti di
essi, i modi dell'accoppiargli insieme, le Sunne del di-
re , e la pronunzia.
I Tocaboli sono o naturali , cioè originari di quella
lingua doT* e* si parlano ; o sono traslati ; o forestieri ; o
composti^ I naturali, stimo eh* e' bisogni prenderli donde
e* sono. Perchè molti se ne forman dal popolo tutto dì,
che ancora non sono stati registrati dagli scrittori; e molli
se ne trojan negli scrittori , che già sono andati in di-
menticanza del popolo. A tal che il Tolersi ristringer su-
%%% LETTERàtOni ITALlÀlfà
perstìiiosa mente a questi solo, o solo a quelii , non sa<*
rebbe altro cbe an privarsi a bella posta di buona parie
di significanti vocaboli. Il medesimo si potrebbe qaasi dire
de^ vocaboli traslati , o forestieri , o composti : perchè e il
pòpolo e gli scrittorr unitamente concorrono ad arricchirne
la lingua. Ma percnè gli scrittori ne compongono alla
giornata , e ne trasportano da altre lingue , e ne caTano
da fari significati in più abbondanza del popolo, |iare
ehe in questo si deb)>a a loro la preminenza ,r e non al
popolo*
Ha quanto alle passioni e accidenti di essi vocaboli, e
quanto alle accoppiature, dette scolasticamente concordane
se, egli non ha dubbio che gli scrittori seri von più' pen-
satamente, e sono più accorati ; dove il popolo parla più
à caso, e perciò, bisogna eh* eVrie^ca meno accurato. A
tal che e* sarà meglio ricorrer nel primo luogo agli scrit-
tori; e da: essi apprender le regole del. variare. e.delFac-
coppiare i vocaboli, ^a dove queste regole ùon si veggan
negli scrittori così piene , o. non cosi ehiare e .stabili ,
o^me si vorrebbe , allora si può ricorrer alla voce viva
del popolo per supplì mento o dichiarazione ; perchè gli
scrittori non dicon tutto; perchè tutto loro non sovven-
ne, « loro non -bisognò, o non si.curaron di scrivere*
Quanto poi alle forme del dire, io rispondo il mede-
simo che de' vocaboli. Perchè se, il popolo avrà una o
altra forma di dire bella e' graziosa, non meno che espli-
cante , non la.dubbiam ricosare perchè, gli scrittori, non
r abbian usata ; che questo sarebbe un riprender tutti
gli scrittori, che avessero primi usata quella o queir altra
frase : e così , poiché lutte sono state usate prima da
uno ' , di tutte bisognerebbe cbe ci privassimo. Né meno
ce ne dobbiamo astenere perchè il popol non V osi) o
X J>a MAC. Dft 00 solo fcrìttor* > quando niim altro le aver» vsaU.
— 1
SEGOLO DCCiaiUS£TTiaiO ^8^
noa V abbia usate giammai: perchè ciò verrebbe a pri»-
Tare gli scriUori del }>ot«r con la lor« radasi ria arricchir
di DU9ve frasi le Uogoe; e cosi lasciarle sempre in un'afi
Ama^a iniseria.
Egli è beo vero cke pelle bocche degli aomini si hanoo
le materie. tulle io generale e io confuso; nobile e pie-
bléa ^ grave e burlesca, tragica e civile, slorica e orato-
ria , negoziati va e dottrinale ; e queste , cosi spezzate e
a miauio^ e bene spesso cosi alla sfuggila, che altri bob
può sentire in molt' anni tutto quel che gli fa bisognò
per beoé apprenderla ' ; uè lutto quel che ha sentito, si
può mandar a naemoria eosi facilmente , né tolto si è
potuto osservare. Dove, oe^ libri «i hanno' le mat^ie pia
distinte in ispe^ie; p nobile. o plebea, o. grave o burle-
sca, o tragica o civile, e slorica o oratoria, o negozia*
ti va o dottrinale; e tutte, cosi, unite e eoplosameo^, che
ciascuno ai può in non molto tempo spedire di q^el che
gli fa bisogno; tanto più che leggendo le cose con più
quiete, alt:ri l'osserva più, e pia facilmente se ne ricor-
da. Onde, eoo accostarci, al. popolo, si può aver quella
cognizioo della liogua, che hanno coloro della tetta, che
vaooo personalmente visitando or questa or quella pro«
vincia ; vera sì , ma spezzata e poca ; perchè non si può
veder se non una cosa per .volta , né quella si vede mai
tolta. E U ricorrer agli scrittori ce la farà aver come
i' hanno coloro che sjtodiao la cosmografia su* mappamon-
di; dove veggendo riposatamente tutto a un tratto, e
potendo riconsiderarlo quante volle par loro, vengono a
cavarne , se non più certa , almeno più ferma e più sta*
bil dottrina.
La pronunzia finalmente non si può cavar ne ben né
presso * degli scrittori. Perchè tutte le cose si scrivono a
X Per bene apprenderla. Per bene apprender la lingua.
a CÌMt Me iMne nò ia«diocrtaiaBtVy ^è del tittto ne. per la più parVB.
LSTTIftAT. ITÀL. ^ IV a5^ -
.2C)0 LETTEnATUItA ITALU94
un modo , né si posson pidiunneiile. accennar csolP orto-
grafia. Onde per esM bisogna «Uà fine ricorrere alla tìts
voce del popolo: come «ncbe per €»rte proprietà, le qnalj
non si troran ne^ libri, né si posson esplicar con la peona
jda qnalstsia benché dotto e JAigeDle scrittore.
' GiÀMBATiSTA MAaiKi nacque in N«poU nel l5^, e morì in Roma l'aoao
162^. Ebbe molto ingegno , ma Iraviò dal buon gwrtó , e fu di coloro che
pivi coiruppero la nostra poesia. Molte bèlle inspiraalòvi s* incotitnuio qiu e
ìk nelle sue opere espresse con grande cestigatena di iianagini • di siile:
ma h doloroso che trovinsi quasi sempre frammiste a cose 4i cattiro gnsto,
e spesso anche immorali. La principale ira/ le sue Opere è wa poema inti-
tolato V Jdone^
Sonetto,
Il Murtola è un aom di trent' otto anni ,
Bello e diritto , come Voi vedete ;
Solo in guardarlo subito direte s
« Costui dovrebbe afer nome Giovanni.
Egli fa il montrnbanco, e non è sanni ' ,
Né semplicista , e scrive delle biete ;
Porta la veste lunga , e non é prete;
Ha le fischiale , e non è barbagianni.
Fn calato nel mondo con V uncino ,
Fu dottorato in mes2o ad un bottaccio,
E canta da pitocco Spoletino.
Scrisse anco di baie un volomaccio.
Volse * un giorno discorrer col Marino,
Ed ebbe del buffone sul mostaccio.
Carlo IMaria Maggi , segretario del Senato di Milano sua patria , e pio*
fessore di lingua greca nelle scuole Palatine, mori di settantanove anni nel
1699. Scrisse molte belle poesie anche in dialetto milanese.
SonettL
Mentre aspetta l'Italia i venti, fieri,
E già mormora il tuon nel nnvol cieco,
ì Fa il ec. . Vuol dire che non sa fior bene nemmaaco il bufibne.
2 FoIm. Volle.
SBGOLO DECI3rOS£TTf»0 29 I
In chiaro slil fieri presagi io reco,
E por anco non desto i suoi DocebierK
La misera ha beo anco i remi io ter i ' ,
Ma forliiDa e valor non son più seco;
£ tuoi r ira cradel del destia bieco
Ch* ognap prevegga i mali , e ognuo disperi.
Ha parche V altrui oave il reoto oppriora ,
Che poi mioacci a aoi, questo si spreiza ,
Qaasi sol sia perire il perir prima.
Darsi peosier de la coma a salvezza
La moderaa viltà periglio stima ,
E par teotara il noa aver fortezza*
Laogi vedete il torbido torrente,
Ch* urta i ripari , e le campagne ioonda ,
E de le stragi altrui gonfio e crescente ,
Torce su i vostri campi i Scissi o^ V onda.
E pur altri di voi sta qegligente
Sa i disarmati lidi, altri il seconda*.
Sperando che io passar 1' onda Docente ,
Qualche sterpo s' accresca a la sua sponda.
Apprestategli pur la spiaggia, amica;
Tosto piena infedel fia che vi guasti
I nuovi acquisti , e poi la riva antica*
Or che oppor si dovrian saldi contrasti.
Accusando si sta sorte nemica,:
Par che nel mal comune il pianger basti !
Giace r Italia addormentata in questa
Sorda bonaccia , e intorno il ciel si oscura ,
I / remi ec. . Per tvaslato •* intondono anni, ricchene e ^ixanl'. altro oc-
corre alla difesa delle nasioni.
% li Seconda, Seconda il torrente , ciob le discordie ^ le guerre , lo in-
vaàoni ec. .
Skf^X LETTEHATOftA ITALIAÌfA
£ p«r eHa si sta chela e sicura ,
E , per itaolto che tuoni , ùom non si desia.
Se pur ulano il palrscalmo appresta,
Pensa a sé stessa , e <fel vieto non- cura 9
E ral sì lieto è dèi!' ahrui Sfentui^a;
Che non Tede ifi^ altrui la slia tempesta.
Ma che? Quest* altre tavole ^ minate.
Rolla V anleniia ^ e'^ pòi soaarrito il polo ,
Yedrem tutte ad un tempo andar perdute.
Italia, Italia miai quest*é il niio duolo*: ^
Allor siam giunti a disperar isniute-, '
Quando spera ciascan di campar ìolp. ^
G. B, FxEicx Zappi da Imola nacque nel 16Q7 t morì nel l'J^^
• i
SgnetiQ. • ì
AlBn còl teschio d' atro sangue intrisa
. ' . . r i • ' > . l
' Torpò la gran Giuditta '; e ognun di^ea:
Viva r eroe : - nulla di donna avea , -,
Fuorché il tessuto inganno e il raso TJsd.
Corser le verginelle al lieto aVviso;
/ Chi il pie,, chi il maqto di baciar gojea:
La destra no, che ognpn di Jei temea ,
Per la memoria di quel mostro anciso*
Cento profeti alla gran donna intorno, .
Andrà ( dicean ) chiara di te memoria .
Finché il sol porti e ovunque porti il. giorno.
t ^ Forte ella fu nelF immortai vittoria;
Ma fu più fòrte allor che fe^ ritorno,
I Standosi tutta umile in (anta gloria,
Fau«t»a IdABATTi, moglie del Zappi a c^i «opr^vvi&sf^
Sonetto,
Scrivi, 4dI dice un generoso sdegno
Che in cor mi siede armato di rasibne «
1 Giuditta che uccise Qloferqe,
SECOLO DECIMOSBTTnifO ^93
Scrivi V iniqua del ttro mal cagiene ,
E scopri pur T altrui. li ?or« indegno*.
Mi scuoto oHur qoal della' tromba al segno
NubiI destrier che non attenda sprone :
Ma sorge un peosier nno?o e al cor si oppone ;
. Ond* io fo di me stessa a me ritegno.
Ko 9he a vii nome e ad opfe rie non TOglio
. Dar vita : e lascio pur che il tempo in pace
Cangi r asprez7.a d^ ogni mio cordoglio*
Cosi del Yolgo reo vendetta face
Chi , piena 1' alma d^ onorato orgoglio ,
Sea passa altier sopra V offeso ; e tace*
ÀLXSSAifDRo Marchetti nacque a Pontormo nel i63i , e mori profenort
di matematica a' Pisa Tanno 1714* L'opera che veramente lo illustra « la
l>cUa versione di T, Lucrezio Caro pubblicata dopo la sua morte dal RolK
ia X,oiMdra.
Sonetti
Tremendo Re, che ne' passati tempi
De V infinito tuo poter mostrasti
Si chiari segni , e tante volte agli empi
L^ altere corna a un cenno. sol fiaccasti;
Di quel popol fedel, clie tanto amasti,
' Mira , pietoso Dio , mira gli seempi i
Mira de l'Austria in fieri! inceudi e vasti
Arsi i palagi e desolati i. tempi.
Mira il tracio furor ^, che intorno cinge
La regal Donna del Danubio, e tenta
Con .mille e mille piaghe aprirle il fianco.
Tremendo Re , che più s^ indugia ? Ed anco
Neghittosa è tua destra ? Or che non stringe
Fulmini di vendetta , e non gli avventa ?
1 QtMsto sonetto h scrìtto contro uno che avoTa gettaU villanamente
in Tolto alla 'Maratti un* ampolla piena di liquor nero.
2 // tracio ce. . I Turchi che assediavano Vienna.
a5*
9L9'| fcBTTBIIArVIlA ITALUKA
Amor> eo^teS che ia forma alta e perfètta
Ne mostra «a raggio di Iteìik celeste >
E con. le rare sae maniere oneste
1/ aloM gealiii a ben amave alletta ^
Certa cred' io y cbe da te fosse eletta ,
Perch^ ella eccelse ia me virtudi iooeste »
Ondalo ratte al bea far quindi m^appreste^
Seguendo ler che terso M ciel s* afiretla.
Poiché se gii occhi , o?' è *l tuo proprio alhergo ,.
Ver me ritolge , indi gP inchina a terra ,
Ogni basso desio del cor mi sgombra*
Allor de* scasi miei pace ha la guerra :
Allor, voltando al cieco mondo il tergo ^
Stimo ciò eh^a lui piace un sogno, un'ombra.
PsAKCMCo LsMiVK Bachile di nobU luaif^ia in Lioàk V «ima 1,63^ Morì
Odèsa Tei^inella^^
Piangeodo il sue destino^
Tutta dolente e bella y
Fu cangiata da Gìotc in aogellhio.
Che canta dolcensenle, e spi^a il volo &
^ questore r usignaolo.
In verde colle udì con sqo diletta
Cantar un giorno Amor quelP augetlelto;
£ del canto Javagh ito ,
Con miracol gentil prese di Gieve
Ad emular le prove*
Onde, poi ch'ebbe udito
Quel musico usignuol, che s) soare
Canta, gorgheggia e trilla,
Cangiollo in verginella t e questa è Lithh-
\
SECOLO DEcmosETTiaro 295
Madrigale,
Tirsi, qael pastoreUo
^ ' Che la rosa a Maria già data area,
Plcciol pomo ma caro in man strtngea*
Dammi , disse Maria , pomo si bello ;
Ma «chiro, rilroselto
La man ritrasse al petto.
Allor disse Maria t Guarda che core!
O- dammi il frutto, o eh' io non curo il fiore^
JkMmatÀ. BAtijUxA» MMtor boIogMse, bm^ nel I66&
Sonetto.
StigltaBo mio, quei tuoi Tersacci sciòcchi
Sodo ^osi scipiti e così stracchi ,
Che iodarno puoi sperar che lu gli attacchi
Ad alcua che vi spenda due baiocchi.
U alice e 1 cavSai ' giocano a tocchi
Chi da quel libro tuo più carte slacchi,
E le bottéghe n'^incaparran^acchi
Per adoroarsen poi di frange e fiocchi.
Tutti gli amici tuoi son stracchi e stucchi
Di quei strambotti sciagurati e goffi,
C hanno infangato il foot^ d* Aganippe \
Io tei fo^ dir, né occor che sbuffi e soffi.
Se incontravi l' età de' Vari e Tocchi , .
T' incoronavan di saracche e trippe.
Gio. Lbosjb SxHPBOKio da 1Jj[l>in0 > autore d^ un poema ìntUolato ii Soe"
tnotuh^ mori nel i6^6^
Sonetto,
Canta il nocchier su la spalmata nave,
E men dora gli par V alta fatica ;
I L'àUce ee.. Vuol dire che dei libri dello StigUani facevansi carte per
vender ^pe$ei.
a Fontana delle Muse.
Z^6 LETTEKATUBA ITALIANA -* SECOLO XTII
Canta il bifolco io sa la spiaggia aprica,
E il sao caldo sador reod^ soave.
Canta il prigione, e men molesta e grate
Sente la stretta sua custodia antica;
Canta il viilan su la. recisa spica,
E r ardente ^del sol face non pare.
Canta il calloso fabro ; e in su 4' aurora
Più licfi.i colpi snoi rende col canto.
Su r incade sudando aspra e soBora.
Così, non per a Ter gloria ne Ta^to , •
Ma per temprare il duol , con cui m^ accora
Quinci Fortuna e quindi Amore , io canto.
FI9rs DEL SECOLO DEGIXOSETTUIO
SECOLO DECIMOTTAVO
INOTIZIE STORICHE
f La storia italiana dei secolo XVIII somiglia al-
l' uhimo atto di mi lungo dipamma. Tutto quello
«he ancor rioiancVa dell'antico sistema si eslinse ,
|>er dar luogo ad un ordine affatto nuovo di cose.
DalP:aooQ 1700 al 1748 agitaroosi qoàUro guerre
io Italia y nelle cfuali (come noi tempi d| Carlo Quinto
è di Francesco I ) nuaMjro&i eserciti forestieri veni-
«ero a disputarsi il possésso' delle nostre più belle
f>ravinoe. A queste guerre . successero quarant »»ut
di pace : poi . sorse la rivoluzione francese a metter
JLì nuovo n«ir arbitrio delle. &rmi cosi i destini d' I-
4alia.corae quelli di tutta r Europa. - ,
Gli Spa^n noli avellano ( comp s? è iredulo ) già
da UD secolo e mezzo la signoria di Napoli > di pil-
lano e. di parecchie terre della Toscana. Sul finire dd
ne divisero, lui vivente, T eredità^ perchè (dicevano^
:8arebbe stato pericoloso alla sicurezza comune il pci;-
mettere che gì' immensi domioii spa^nuoli si «Sg»^*
•gesserò tutti ai possedimenti di una sola corona. Ma
Cario II, morendo nel novembre dell'anno 1709,
^fcce suo crede. universale Filippo, d' Angiò^ il quale
sotto il nome di Filippo V si mise subitamente in
possesso dejla Spagqa e di quanto a quella nmQ^^
ubbidiva in Italia, ^
29^ LETTERATURA |TALUIf4
LMmperatore Leopoldo, e eoa la! Tlnghilterra e
V Olanda , farooo tosto io arme contro Filippo e
contro Loigi XIV suo parente e alleato '^ e la prima
scena ( dice il Maratori ) di questa terrìbil tragedia
toccò alla po\fera Ebmbardia, I xasi di quella guerra
non hanno una vera e immediata relazione col fine
a cui tendono queste Notizie Storiche^ donde parmi
di poterli passare io silenzio. Dirò solo che le mi-
lizie imperiali furono comandate dal principe Eu«
genio di Savoja^ che Vittorio Amedeo II d.*ja di Sa*
▼oja fu generalissimo degli eserciti franco*ispani fino
bIP anno 1703, in cui, mutando cobsiglio , strinse
lega coirimperafore ^ che Luigi XIV per vendicar-
sene assali il Piemonte , e costrinse quel Duca ad
abbandonare la sua Capitale, finché poi nel set-
tembre del 1706 il principe Eugenio , uccidendo
sotto Torino ventimila Francesi, non gli restituì il
possedimento de^ suoi Stati ; e che il duca di Man*
tova Carlo Gonzaga, per avere nel 1701 ricevuta
una guarnigione francese , fu posto al bando del-
r Imperio. Del resto, la guerra fini eoi trattati di
Utrecht e di Rastadt (1713-1714)9 p«i quali Mi«
lano, Napoli, la Sardegna, il ducato di Mantova
e le città della Toscana già possedute da Filippo V
Tennero in potere della Gasa d* Austria ^ ^ il Mon-
ferrato e la Sicilia toccarono a Vittorio Amedeo^
e gli Spagnuoli furono esclusi dalP Italia.
Non durò lungamente quello stato di cose: per-
chè neir agosto del 17 17 il cardinale Alberoni, mi-
nistro della Corte s pagnuola , fece approdare una
flotta improvvisamente alla Sardegna e la tolse agli
Austriaci^ poi nelP anno^ seguente conquistò la Sici-
lia : e cosi in mezzo alla pace tornando impensata-
mente alla guerra, si proponeva di restituire a Fi-
I Ali* impentora Leopoldo cf*ao mecednti GiiiMpp« I nel IJoS > t p«
Carlo VI nal 171X.
SBCOLO DECIMOTTifO 299
lippe V la potenza già avula in Italia. Ma la Fran-
eia ^ r Inghilterra , V Olanda e V Austria forma-
rono allora la cosi detta (juadrupUce lega contro la
Spagna^ e la guerra fini nel febbrajo del 1720,
stipulandosi che la Casa d^ Austria avesse la Sicilia,
in càmbio della quale Viltorio Amedeo II dovesse
contentarsi di ricevere la sola Sardegna , colla spe-
ranza di succedere nel trono di Spagna qualora il
ramo dei Borboni colà si eslinsuesse ^ e che a Ooa
Carlo , figliuolo di Filippo Y e di Elisabetta Farnese ,
sì devolvessero gli Stati di Toscana e quelli di Parma
e Piacenza , prossimi a rimanere vacanti perchè la
famiglia Farnese e quella de^ Medici non avevano pia
speranza di successione. Cosi in questa guerra la
Gasa d^ Austria si vantaggiò unendo al regno di Na«
poli quello della Sicilia ; la Spagna* soddisfece io
parte alla sua ambizione ed al desiderio di riavere
qualche possedimento in Italia ^ e si trasferi anche fra
noi 1' usanza già tanto dannosa alla Spagna di con*
siderare come vadanti gli Stati le cui famiglie re*
gnanti eran vicine ad estinguersi. £ da notarsi però
che 9 invece di aggiungerli come province alla Spa«
gna , Al deliberato di farne un paese indipendente.
Ma ben lungi dalP effettuarsi le rimote conse-
guenze di quel trattato, anche questa nuova condì*
zione di cose si perturbò dopo non molto. NelP an*
no 1733 la Francia e F Austria si ruppero guerra
per P elezione del Re di Polonia ^ e P Italia fu nuo^
vamente corsa e turbala. La guerra ebbe un esito
infelice per Carlo YI, tanto che nella pace fermata
in Vienna a^ 18 novembre 1738 cedette a Don Carlo
di Spagna Napoli e la Sicilia, che per tal modo
formarono un regno indipendente ' ^ al Piemonte
si aggiunsero Novara e Tortona ^ alla Casa d^ Au-
stria rimasse il restante del Milanese coi ducati di
1 Don Carlo di Spts^i* dìTtnlando it di HtpoU MaaPM il aont di Carlo IV .
3<lO LETtBRtTURA IT.ILIiflIL
Mantova e dì Parma e Piaoensa. RUpetto alla To*
scana si stabilì' che alla morte del granduca Gian
Gastone passasse nel dominio di Francesco duca di
Lorena, maritò di Maria Teresa, in ricompensa Ad
suo ducato di Lorena ch^ egli cetdéva alla Francia.
Finalmente nel 1740, essendo morto T imperatore
Carlo VI, nacque T ultima delle quattro gnerce da
eui dicemmo che fu travagliata P Italia cella» prima
metS del secolo XYIII. Cario VI pensò di sottrarre
i suoi sudditi ai mali sofierti dalla Spagna per la cod«
tesa successione a quel trono, e pose (nel 17 13) ima
legge detta prammatica samdone^ dela*mioando che
tutti i possedimenti della Casa d^ Austria passassero
sempre indivisi al maggiore dei maschj, e dove questi
mancassero, alla ma{>giore delle figliuole. Con molta
sollecitudine adòperossi poi a ottenere da.tutte le Corti
europee la guarentigia della prammatica sanzione^ ma
oon per questo Maria Teresa sua unica eredcL potè
succedergli senva una Innga e pericolosissima guerra
combattuta in molte parti d^ Europa ed anche io
Italia con' varii successi. AH' ultimo , nel 1^]^% ^ (\x
eonchiuso un trattato in forza del quale Maria .T«t
resa, riconosciala unica erede di Carlo VI , cede
( rispetto all' Italia ) al Re di Piemonte ^ parte dello
Stato milanese fra il Po e il Ticino ^ ed all' infante
Don Filippo di Spagna , i ducati di Parma e Pia*
éenta , con questa ì^ondizione che ricadessero alla
Casa d' Austria qualora Don Filippo o passasse al
regno delle Due Sicilie , o morisse prima d' aver
figliuoli.
Questo trattato non potè mandarsi ad efi*^tto se
non dopo qualche tempo, con grave danno dei po-
poli, dilapidati dagli eserciti forestieri. Finalmente ,
il febbrajo dell'anno 1749 disserrò (dice il Mora^
turi) le ^ porte alP allegrezza de^ ^^rU paesi.' e i'e^
% X Vittoii» AiDedeo II era muc^mo mI I73a Gwlo Svmwiuele. ^
SECOLO DEGIUOTTATO 5ot
Silo di tante guerre fu molto più avventurato che
non poteva sperarsi.* Roma , il Piem.oote , le Due
Sicilie, gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla^
il ducato di Modena ^ le repubbliche di Venezia^
tìenova é Lucca, ebbero -governi propri! e principi
indipendenti: Questa prerogativa aVeva anche la To«
scana'^ dove fino dalP dnno 17.37 era succèduto aU
P ultimò de' Medici il duca Frapcesco di Lorena: ma
distratlo dalle guerre di Maria Teresa sua moglie , e
poi fatta Imperatore (nel 174^) ^oo risiedette mai
in quei principato. Là Lombardia , cioè lo Stato di
Milano a coi; s' era aggiunto i) ducato di Mantova ^
fi] la sola parte, d' Italia che pel trattato di Aquisgraaa
rimanesse provincia dipendente da Un altro Stato.
Alla morte di Maria Teresa., avvenuta Tanno 1780,
tutti i pa^i ereditari! della Casa d' Austria tocca*
rono a Giuseppe IL Egli era sacceduto già nelPim*
perio fino dalP anno 1765, ed allora aveva rinun*-
ciato al proprio fratello Leopoldo il granducato /di
Toscana: l'uno e 1^01 tro attendevano a introdurre
nei loro Stati utili riforme ; ma .Giuseppe II , vo-
lendo forse affrettare ciò che il tempo non aveva
ancor matur^ttOi, non conseguiva iptieramente l'effetto
che s' era proposto.
Nel 1790 egli morì. Leopoldo gli successe nel-
r imperio pel corso di soli due anni^ dopo i qualj,'
ebbe a successore Francesco felicemente regnante.
Frattanto maturavasi in Francia quella grande ri«
▼oliizione che doveva poi metter di nuovo sossopra
tutte le cose d' Italia. Nel 1796 Bonaparte calò dallb!
Alpi con un esercito francese, che ^ddi i4 maggio,
entrò in Milano^ e tra per la fortuna delle armi e,
per la grande inclinazione degli animi alle dottrine
che andava spargendo , gli riusci facile il rovesciare^
non solo i piccoli Stati d^ Italia j ma ben anche la
Repubblica di Venezia. Nell'aprile dell'anno seguen*
te , col trattato di Campo Formio là Ga$a d' Austria
ZItTBItàT. ITAL. <« IV a6
30A LBTTERlTUnA ll'At^lAlIA
cedette la Lombardia alla Francia , riceTendone ia
cambio Venezia , V btria e la Dalmazia. La Lom-
bardia assunse allora il nome di Repubblica Cisalpina,
E già V* erano state nelP anno precedente le jRepub^
btiche Traspadana e Cispadana : y^ ehh^ro poi-aocbe
una BepubbUca Ligure ed , una Repubblica Romana)
alle quali successe nel i8oa la Repubblica Italia"
na^ à\ cui Bonaparte fa Presidente, « MeUi Vice"
presidente. Cosi i Francesi padroDeggiay.aQO ogni parte
d* Italia , tranne il Regno di Napoli * e il paese ve«
neto tuttora in potere dell* Austria. I domìnii del
Re di Piemonte in parte furono assegnali alla Re*
pubblica Italiana y in parte furono inoorporati alla
Francia.
Nel i8o5 poi Bonaparte^ già fello imperatore
de* Francési , si coronò re d* Italia ia Milano , la«
sciandovi come viceré Eugenio Bèauharnais, fig^liaolo
di Giuseppina sua moglie.
Prima che spirasse quel medesimo anno, Booa«
parte ridusse sotto il proprio dominio ancbe lo Stato
▼enetó e la DaUnazia.- . .
Poco stante infimo la guerra al Re di Napoli ; e,
cacciatolo ) vi pose il proprio fratello Giuseppe , al
quale sostituì poi suq cognato Murai ^ .quando nei
1808 trasferì Giuseppe dal trono ài Napoli a queih)
della Spagna.
La Toscana ^ data da prima al figliuolo del Duca
di Parma con nome di Re' delP Etruria, fu poi ag->
giunta air Imperio francese. Lo stesso accadde anche
degli Slati del Papa. e della città di Roma; In som-
ina, quella mutazione di dominatori e di sorti, alla
quale vedemmo die andaron soggette le province ita*
liane in conseguenza delle quattro guerre avvenute
nei primi cinquanta anni di questo secolo, fu rin-
novata da Bonaparte e dalle sue imprese, con molto
' X k Carlo IV ej» succeduto adi* anno i^Bq Fardinado IV.
.^--1
SECOLO DECIMOTTATO 3o3
tnaggióre varietà ^ io uno spazio molto minore di
tempo. Ma nel 18149 prostrata la grande potenzi
(li Bouaparte , r Italia si ridusse a (Quello stato d\
cose in cui ora si trova*
Di tutte le antiche repubbliche una volta ecces*
sìvamente gelose dèlia loro libertà , non n^ riniaso
pur una* Gli Stati più potenti e più floridi caddero
rovinati dalle , mutue, gelosie che loro impedirono di
uoirsi per la comune salvezza ^ rovinati dal credere
cUe la neutralità comandata dalla debolezza potesse
esser santa in un^ eia in cui tutto poneasi^ nella forzaw
G di questa maniera, come già si è detto^ nel se<^
€3olo XVlIi il gran dramma delle sorti italiane giunse
al suo acioglimento.
Nella. prima metà di questo secolo, in cui le prò*
▼ince d^ Italia furono agitate da tante guerre e da
tante politiche mutazioni, senza che i popoli ita«
liani partecipassero punto né in queste né in quelle^
ZBal potevano trovar luogo le 4etlere. Mance va ao per
nutrirle e gli agi della pace ,e le passioni dei tempi
burrascosi. Dopo la pace deiranno 174^9 i nuovi
dominatóri videro Ja necessità di sottrarre questi
paesi ai pregiudizii , agli errori , alle ingiuste disu«
guaglianze iotrodatte dal Governo spagnuolo e dalla
spensierata indolenlBa degli ultimi eredi dei principi
italiani ^ e favorirono massimamente gli studi delU
giurisprudenza e delia pubblicai economia. Quindi le
opere del Filangieri , del Genovesi, di Mario Pagano,
dei due Verri, dei Carli, del Beccaina, e di tant^s^ltri,
i quali 0 rappresentarono ai principi i bisogni dei
popoli prima d^ allora non mai profferiti all' orec-
chio dei re^ o, invitandoli a ciò i principi ste&^i ,
proposero utili innovazioni nella giurisprudenza ci«
vile e criminale , nel censo , neir amministrazione
delle rendite pubbliche , nel commercio e nelP istruì
aione. Ciò che i Governi di quella età fecero per
le lettere non somiglia punto a quella splendida pro«
3o4 LBTTEniTllftA ITAUAffA
tezione che loro prestavano le nostre Corti ée\ se-
colo XVI ^ ma gli leflkUi, considerati dal lato della
pubblica utilit^j ne furono sensa dubbio maggiori.
jNè, a dir vero, mancava allora in Italia qualche
Corte emulatricc di Quelle del Cincjaecenlow A Par-
ma, oltre r abate di Condillac precettore' del Onca,
fióri uu^ Accademia a cui appartennero il Cesa-
volti e il Frugoni: a Modena, H Tiraboschi ed il
Muratori ravvivarono i buoni studi e le belle arti
sotto la proteaiooe dei principi che dominavano in
qoe^ paesi. Lo «stesso accadde a Roma, prtncipal mente
sotto i pontefici Clemente XIV e Benedetta XIV.
Le Università ( e quella sopra tutto di Pavia ) rice«
vettero nuovo splendore pel concorso d^ uomini in«
signi « pec lutili regolamenti » si apersero nuove Ac-
cademie di lettere e d^ arti, s'arricchirono le bi^
biioleche. ««^ È doloroso a pensare come nel tumulto
delle vicende onde fu agitata V Italia sul finire del
secolo XVIII molti uomini egregi fossero poi mise*
vamente perseguitati.
SCRITTORI DEL SECOLO XYIII
Considerando le opere degli autori poc' ànsi no^
minati, e dei loro cojatemporanei, vediamo che non
possono gareggiare con quelle dei Cinquecentisti nella
squisitezza del gusto letterario. h\V aspetto delle
materie importanti che trattaao e della sapienza
pratica che diffondono^ non. si può dire che le no-
stre lettere fossero nel secolo ^VIII da meno che
nel XVi. Nondimeno si vuol confessare che quegli
scrittori, ai quali dobbiamo un eterno tributo di &ti-
ma e di riconoscenza, non posero molta cura né ad
eleganza di stile, né ad artificio d^ esposizione : con^
tenti di esser utili, non si diedero pensiero di dilet^
lare. I loro scritti pertanto, ai quali nella storia dell^
letteratura e d«lla civiltà italiana compete un posto
^^^^^.^a-
SECOLO DEanOTTlT* 3o5
così emmeote , qod pòtevaoo trovar luogo in questo
Manuale , dove si voglioo raccogliere esemplari pos«
sibilmente perfetti. Per questa ragione medesima,
anche di molti prosatori e poèti che allora levarono
gridò di sé (e certo ne Furono degni) non si troverà
qui nessun componimento. li Metastasio , il Gozzi,
r Alfieri, il Perini e pochi altri sovrastanno nella
letteraria perfezione a tutti i loro contemporanei \ e
però in questi mi sono principalmente fermato. De'
rimanenti «i troverà ragionevole' V avere o ta<;;iuto
affatto t> raccolto solo qualche breve «aggio.
EUSTACHIO MANFREDI
» • • • •
Nacque in Bologna addì 20 settembce delPanno 1674,
e fu poeta , filosofo, giurisperito e professore di ma*
tematica. Alcune opere di astronomia e d^ idrostatica
assegnarono al Manfredi un luogo distinto fra i col*
tivatori di quelle scienze, e gli procurarono 1' onore
di essere ascritto alla R. Accademia di Parigi'.*—*
Come poeta fuggì intieramente i vizii del secolo ia
cui era nato, per ricondursi alla sebiettg «leganza dei
grandi esemplari. Amò assai fortemente Giulia Vandi ,
virtapsissima giovinetta che si fece, poi monaca , e
per lei scrisse la maggior parte delle sue poesie.
Morì in patria nel febbrajo del 1739.^
SonetttK
* m
lì primo alb<$r non appariva aàcora ,
Ed io stava con Fille al pie d^ un orno.
Ora ascoltando i dolci accenti , ed ora
Chiedendo al ciel per vagheggiarla il giorno.
I II toarchase Gio. Giuseppe Ora , loecorreiido alla porertìi del Kanfre»
eli, lo abilitò agli studi astronomici, dai quali poi, non il Manfredi solo,
ma la scienaa raccolse cosi gran firutt^. Molti lodano 1* Orsi come cAidp/j»tm*
liUt^aio / A m« parve ,, ricordando questa sua generosità , di dargli la lod«
più balla e più vera cbe gli cwnpeta.
3o6 t.crreitATiJiiA italiana
Vedrai, bla Ftlle ^ io le clioea , T aarora
Come bella a noi fa dal miir ritorno ^
E cóme air apparir torba e acolora
Le tante stelle ood* è V Olimpo ' adorno ;
E tedrai po$da if sole,' incontro a cai
Spariran , da Ini fiate,. e questa e quelle s
Tanta e la luce de* bei .r^ggi 3ui«.
Ma non fedrai quel ci/ io» fedrà: le belle
Tue pupille scoprirsi, e far di Ini
Quel eh' ei fa JeU' aurora e delle Stelle
Pifr Monttcm, — Sonetto,
Yerginit che peniose a lenti passi
Da grande ufficio e pio tornar mostrale «
Dipinta avendo in Tolto la pietate,
E piò negli occhi l^rimosi e bassi;
DoT^ è colei che fra tnti^ altre stassi
Quasi Sol di belletta e d' onestate ?
Al cui Att/ro apleodor V alme ben nate
Tutte scopron le vie d^ onde al del vessi ^ -«
Rispondo A quelle : Ah ! non sperar più mai
Fra noi tederla ; oggi II bel lume è spento
Al mondo, ohe per lei fu lieto assai.
Su la soglia d^ un thiostro ogni ornamento
Sparso, e gli ostri e le gemme al suol tedrai,
E il bel crin.d^oro se ne porta il Tento**
|%r Mònaca, -<• Canzone^
Donna ^ negli occhi Tostri
Tanta e si chiara ^rdea
HAratigliosa, altera luce onesta,
% X* OSmpù, n Cielo,
% S aèi$i «f/i «Co k noto cbt finendoti moiudM U gU>Tiiu t«|IUBtì
h Uf€cie«
SECOLO DECIMOTTWO Su']
Che ageyolaaenle noni r.iTTJsar pptea
Quanta parie di cielo In voi si cUioJe,
£ seco dir i Non mortai cosa è questa» —
Ora si manifesta
Queir eccelsa t ir lode
Nel bel consiglio che vi guida ai chiostri;
* Ha |>erché i sensi nostri
Son ciechi 'incontro al vero.
Non lesse iiman peiisìero
Ciò che dicean que* santi Itiini accesi;
Io gli vidi e gP intesi y
Mercè di chi innalzoinmi ; o dirò cose
Note a ine solo, e al vulgo ignaro ascose.
Quando piacque a Natura
Di far su^e prove estreme
Neir ordir di vostr^ alma ikcasto ammanto,
Ella ed Amor si coosìgliaro insieme ,
$ì come in opra di -comune onore ,
Maravigliando pur di poter tanto.
Crescea 11 lavoro intanto
Di lor speme maggiore,
E col lavoro al par crescea la cura,
Fin che Talta iattura
Piacque all' anima altera ,
La qual pronta e l^gera
Di mano a Dio, lui ringraziando, ascia,
E ra'ecogliea per via ,
J>i questa spera discendendo in quella ' ^
Ciò eh' arde di più puro in ogni stella.
l[^osto che tide il mondo
L^ angelica sembianza
I Di ^uéata ec, . Discendendo giù di sfera ( spera ) in sfen , cio^ * dal
pin alto- cielo fino a noi , secondo It opinioni astronomiche degli antichi t
dei. poeti.
5«* LCTTBaATORi ITULURA
Ch*afea T anima bella entro ti bel ?elot
Ecco, gridò, la gloria e la speraosa
DelPetà nostra: eoeo la bella immago
Sì langamente meditala in cielo. ^
E in ciò dire ogni stefo
Si fea pia ferde e vago^
E r fier più sereno e più giocondo.
Felice n suol cui il pondo
Premea del bel piò bianco,
O del giorenil fianco,
Q percotea lo sfavillar degli occhi ,
Cfa' ivi i £or. Tisti o tocchi
Intendean lor bellezza , e che qoe' rai
Mofean • più d' alto che dal sole assai.
Starasi vostra' mente
Paga intanto e serena,
D' alto mirando in noi la sua ^irtote ;
Vedea quanta dolcezza e quiMiU pena
Destasse in ogni petto a lei riròitó,,
E udia sospirile tronche rode mote;
E per nostra ^lute
Crescea grazie al bel toIIo,
Ora inchinando il chiaro sguarda ardente.
Ora soafemente.
Rifolgendolo fiso . .
, Contro deir altrui W*o,
Qaasi col dir: Mirate, alme, mirala
Ia me che sia beliate;
Che per guida di toI scelu son io,
E, a ben seguirmi, condurroTu.in Dio. -^
Qual io mi fessi allora,
Quando il leggiadro aspetto
Pien di sua luce agli occhi miei s'offn'o,
1 Mot^ean, Partivansi.
MCOtO DECIMOTTATO. }o9
f
Amor 9 ta U. sai\, òhe il debile ioleiletlo
Al piacer conforta od<» , in lei mi fesli ~
Veder 'ciò che vedém ta Solo ed io^
E additasti al cor mio.
In qaai modi celei^ti
Costei V alme solleva e le ipoamora. ;
Ma più d' Amoi'e ancora ' • <
Ben r.oi. tiesse il sapete,
Luci' beate e liete , - ■ ■
Cl^' io. vidi ór sovra me volgendo altere
GujMrdar vostbTO potere,
lOc.di pieiate in dolce aito far moslva ^ >
SeDza discender dalla, gloria vostra.'
O lifitat e male avvesza r .
la alto a spiegar V ale.
Umana vista t p a^ensi Inrermi e tardi I
Qa^to sopra del vostro esser niibr tale
Alzar poteavi ben inteso tin sólo
Di xpe soart innamorati sguardi !
Ma il gran piacer codardi'
Yi fece al oobil volo,
Cbe avvioinar- poteavi a tanta altezza ;
Che nò altrove beilazz»
Maggior sperar, poteste , ;
Folli ^ e Irar toì diceste, ^ «
Quella mirando ailor presente e nova:
Qni di posar ne giova.
Senza seguir la scoria del bel raggio: -
Qnal chi per buon soggiorno obhUa il viaggio^
Vedete or come aoceaa
D' alme faville, e nove
Costei córre a compir V alto disegno !
Vedi, Amor, quanta ia lei dolcezza piove >
Qoalti fa ti Paradiso, e qual ne resta
3 IO LETTBIIATDII4 ITALIARA
n basso mondo che di lei fu iadegno!
Vedi il beato regno
Qaal luogo alto le appresta «
E in lei dal cielo* ogni pupilla intesa
Confortarla all' impresa ;*
Odi gli spirti casti
Gridarle: Assai tardasti;
Ascendi, o fra di noi tanto aspettala,
Felice alma ben nata. -
Sì volge ella a dir por cb' altri hi siegaa^
Poi si mesce ^fra i lampi e si dilegua. •—
Canzon , se d' ardir troppo alcun ti agrida ,
Digli ebe a te non creda ;
Ma venga infinchè pnote egli, e la ?ed»«
Per Noz%é. ^t>^ Catzoniw
Ninfe ^ e pastori ,
Forniate i cori
Al verde prato intomo
Per fìftp carole * j.
lofi nelle il sole
Ne rkondoca il giorno*.
Lesbia, dà tsggi
Al ballo, e il reggi,
E poni un r al tro* appresso ;
Pongli uno ed una.
Né coppia alcuna
Far del nedesnio sesso ;
« ' Poich' altramente
Mesta e langoente
Sarta la dama e il gioco;
. Che non può cosa >>
Esser giojosa
Se Amor non t' ba suo locow
1 Ciroie, Dame.
SECOLO DECiaOTTAVO 3ll
Glie se donzella
V ha sì rubella
Che nn- dolce amor ricasi
(Pastor non dico
ly. acdor nemico 9
Che de^ pastor so gli osi);
Quella donzella
D^ amor rohella
"Vada da noi discosto;.
O fuor dei giri
Stìasi e rimiri ^
Q a' innamori tosto*
Or Tia danzate «
Via cominciate
Al verde prato iolomo
A far carple,
Iqfinchè il sole - .
Ne riconduca il giorno»
Con lieve salto
Vibrale io alto
L^ agili piante e sciolte;
È al destro fianco ^
E poscia al manco
Giri ciaècan tre Tolte.
Ma il nostro canto
Chi danza intanto
Oda , e segait procari ;
E coi concenti .
Or presti or lenti
IL moto saa misuri*
Oh chi m^ impetra
L* eburnea cetra y
Sa cni le diu io snodi;
3ia tETTCnATCRA ITiUAflA
La cetra ascfea '
Che Orfeo movea
lo si soavi modi ;
Quando alle selm * ' ^
Venncr le feci te .
: Fuor de' gr^Dd^aòtri fosehi ;
Quando a sue rime "
Hosser le cime
Gli alti frondosi boschi?
Ch' ìo^fi terrei
Co* versi miei
Al verde prato iatoro» V
A far carole.
In finché il sole
Ne ncoiiduèa il giorno.
Io spargerei
Co' versi miei • i
Forse minor doicezsaj
Ma fora intanto
Materia al canto.
Forse maggior beUezxaw. .
Forse è men bella
La pastorella
Ch* io dì cantar m* atTÌso?
Chi mai la vide- .
Com* ella: ride
Tolta amprosa in viso?, ^
Oh come cbiode,
Oh come , schiude -
Gli occhi leggiadri ardenti !
X Ascnà. Aten ( patria d* Esiodo ) fu un borgo della BeoiiA alle radici
dell* Elicona , monte sacro alle Muse. Ascreo si usò quindi in lignificante
di cosa appartenente alle Bluse.* -^ È nota poi la (avola , cht Oifii« sonando
e cantando si trasse dietro le behe ammansate e le piante.
SECOLO DCCI3IOTTA.TO 3f3
Oh qaai raccolte,
' Oh <|Qai discìolte
Scherzan sue trecce ai Tenti !
Certo bea spesi
Sospiri accesi
Arpide ' per lei sparse ;
Certo non lieYC
Premio riceve
Del lungo foco ond' arse.
Ma Toi che in seno ,
Ninfe , al bel Reno
Fate talor riposo ^
O sovra i monti ,
O par dei fonti ^-^
Nel fresco-sfondo ombroso ^
•Su eòi pastori
Doppiate i cori
Al verde prato intorno
, Per far carole , . ^
Infinchè il sole
V Ne' riconduca il giorno.
NICOLÒ jFQjTIGUERRl
Dalla illustre fanaiglia pistojeSe de^ Fortiguerra
nacqae Nicolò a' 7 novembre delPanno 16749 e
dopo avere compiuti io Pisa gli istudi della giuris*
prudenza andò a Roma. Quivi fu Segretario di
Aptonio Felice Zondadari ^ e quando questi andò
come Nunzio apostolico presso Filippo. V di Spa-
gna , lo seguitò in quel viaggio.. Infermatosi ( co-
me si crede) pei tristi effetti di una burrasca sof«
ferta nella navigazione, ritornò a Roma, dove Gle«
K ÀrpidB* Nome immagiiiarìo d^ pastore»
UlTTBRAt. hkJ» — IT 27
'
3f4 LETTERATURA ITlLlAfll ^
mente XI Io creò suo Oinierlere à^ onore, poi Ca-
nonico dì San Pietro in Vaticano , e finalmente 8e«
gretario di Propaganda ed anche del Sacro OiScia
Baccontàsi ch^ egli rinunciò quesO ultimo posto per
far luogo ad una creatura del cardinale Corsia!, e
poiché vide u^cir vane le promesse ch^ erangli state
fatte da quel Prelato per indurlo a tale rinancia,
ne morì di dolore nel iy36. — Lasciò alcune poesie
liriche di argomento amoroso ad imitazione del Pe-
trarca, le quali oramai non sonò più lette. Non cosi
avviene del suo. poema intitolato il Ricciardetto ^ a
cui la naturale festività , e la ricc^e&a delle piace-
Toli fantasie daranno^ nna vita -assai lunga.
DAL RICCIARDETTO.
Lodi della ulta oscunu
Quei gode lieta e arveiitarosa sorte,
Che Tive in parte solitaria- ed erma;
Kè sa che còsa sia cittade o corte;
Né ora si distrugge , ora s' inferma
Per van desio di virer dopa morte;
^e le sue voglie ognor stringe e rafferma
A' cenai altrui; né tra speme e timore,
Misero ioTecchia , e più miser si muore.
Quel Piacer che si cerca e che si crede
Che stia ne* gran palazzi e in grembo a 1' oro.
Tempo è die ignudo a la superna sede
Rimenò de le Grazie il santo eoro :.
]^ de le spoglie sue rimase erede ^
Per nostro scherno , il barbaro Martòro;
lì qnal vestito de^ suoi lieti panni.
Chiunque lo ritrova empie d^affamii.
Solo' tra' boschi e le romite ville
L' allegra del t'iacer dolce famiglia
SECOLO DECIMOTTATO 3|5
Alloggia ; ti gode V ore aoe tranquille.
Ed ei spesso dal cielo il cammia piglia
Verso le selve; ed ór nel cor di Fille, •
Ora alberga di Mice io su le ciglia :
Q4iìndi ritorna a rallegrar le stelle:
Ne fa distinzion tra Giove e quelle '•
Ond' è che in tano si lusinghi e spere
Unire a signoria vero diletto,
Chi tien parte del mondo in sao poteje :
Che acerbe core egli ha a covare in petto ,
E d' ogni cosa sempre ha da temere.
E con ragion: perchè il Fabbro perfetto *
Che con peso , con numero e misura
Fa il tutto, in questo pose ancor gran cura.
Forerò si, ma dolce e saporito.
Il cibo diede al rozzo rillanello;
E gli die sonno placido e gradito ,
Se letto ^on gli diede ornato e bello:
Né per quanto sia grinzo e incanutito,
y è chi lo brami chiuso in un avello ,
Per dar di mano a V oro ed a T.argento ,
E poter dissiparlo a suo talento.
La recchierella a la più fredda bruma
Si siede al fuoco con la sua conocchia ,
E le dita filando si consuma;
E tien la nuora in luogo dì sirocchia^,-
Talché lite fra lor non si costuma^
Ve ▼' ha chi scaltro ed amoroso adocchia
La donna altrui : che al villano par bella
La propria , e amor per altra noi martella.
Non s'odona per quelle amene spiagge
Furti , veleni , e sporchi tradimenti ;
X E queUe, Si rilerisce a FilU ed a Nice.
%. il Fabbro «e. . Dio« — 3 StrocchUu Soi«Ua*
3l6 LETTERATURA ÌTkLlkfUk
Nè'dìi, presente toì , ti palpi a piagge ' ,
E poi , loDlan , ti laceri co^ denti ,.
E rostro onore e Tostra fama oltragge.
Pori costami in somma ed innocenti.
Contrari affatto^ a la' Tita ci?He ,
Albergao sempre in quella gente amilei
Uà questa conoscensa più m' accora :
Che son costretto in così chiara corte
A stare infin che noa afTien ch'io mora*
Deh! perchè non trovai chiose le pòrte, .
Roma soperba , in qoel ponto e in qaell' ora
Che a te goidommì la mia, trista sorte?
Che Ritornato indietro allor saria ,
E Tivrei lieto in qoalche fìlla mia.
CARLO INNOCENZO FRUGONI
Fra i beglViDgegoi del secolo XVIII vuol, essere
senza dubbio. aòqoverato il Fragoai^oato in Genova
a^ la novembre 1692. I ^uoi parenti . 1' obbligarono
a vestir V abito de^ Gesuiti : il Pontefice Io sciolse
poscia dai voti ai quali contro sua voglia aveva do-
vuto sottòporsi^ e così egli, rimasto semplice prete,
cessa di essére uncattii^o claustrale*
Coltivando la poesia, alla quale può dirsi cth la
natura lo avesse creato^ conoÌ>be i vizri de' Seicenti"
sti e £eppe evitarli^ ma non seppe c^egger-e poi una
strada molto migliore. La poesìa Fnigoniana è pas«
fiata quasi in proverbio per significare una poesia
dove è grande il rimbombo delle, parole e dei versi,
e scarso il numero delle immagini e presso che
nulla la sostanza dei pensieri. Questo rimprovero,
chi ben considera, appartiene ai seguaci ^tl Frogoui
I Piagge per Pmggi, da Piaggiare in senio di Adulare* Dicesi ^i' A/-
pW wv> pure i> senso di Zitsingarlo s Adularlo^
SECOLO DEcniofrAT» 5i^
piattoslo che a lui ; e non à senza qualche esagera»
ftione e ingiustizia quello che pipiti scrissero ( co-
mincianclosi dal BareUi ) coulro un uomo di cosi
splendida fantasia. Raccomandarlo alla gioventù j
quando essa nfon abbia consolidato per anco il soo
gusto, sarebbe. forse pericoloso: condannarlo i))^ oblio,
mentre si lodano a ciclo tanti magri ripetitori di an*
ticbe eleganxe,'è una delle mólte ingiustizie che più
forse di o'gni oattiyo esempio hao nociuto alla vera
poesia italiana.
Il Frugoni fu professore di umane lettere in Bre^
scia, in Bologna ,-itf Genova, in Ryma. AIP ultimo,
fu poeta della Q)rte di Par^à, doycr morì nel di«
cembre delP anm> 1768.. ,
^ -sonetti; ' .
*
V Jngjeìo sterminatore *. * «
Foco eran V alt folgoranti \ eJ era
Fulminea fiamma il ferro che sti'iogea *
L* Aogql che ih notte orribilmente nera ,
Rotta da rosse* folgori , scendea.
^ullé gran peone, che eoprjfano intera -
La minacciala terra , alto peodea ;
Quando tonando' dalla somma sfera
L* oimipoteote Voce a lai'dicea:
Venner delF ira mia , vennero i tempi:
Mio portajtor dì morte e di spavento ,
Ferisci ,-aiterra ; il grand' eccidio adempi. -
Disse; e so ceoto Inique fronti e cento
Scese V nltride spada , e ièo tiegli empi
Arida polve, che disperse il vento.
I Qaello che distrùsse in uoa notte 1* esercito di Sennacherìb. V- pttg, 221
di questo volume,,'
* • ■ 27*
3l8 U^^EAATORi ITAUàKA
' jénmòaie suHe Alpi*
Ferocemente* la visiera bruna ^
A^zò ^uir>aYpe-r affrkaa 'gaerriero ^
Cai la ::vittricft inifriar fortuna
Rìdea superba nel seiobiante aker».
Rftoirò Italia t e qBal china pello adaaa
Il eiarato sulF ara odio primiero. ■ ,
Maligno rise , aon credendo alcana *
Parte sepura del nemico Impero..
£ poi. col forte itnoia^oar rivolto
Alle veat|i re • memorande inprese,
Tacito e in suo pènsier tall^ raccolto^
Seguendo il Genio chje per man^K» prese ^
Coir ire nitrici e le minacce in volto «
Terror d* Ausonia e del Tarpeo discese *«.
* • _- •
* ^si7£> di Scipione, *
Qoatldo il graó Scipio diriP iegrala terra ^
. Che gK f(t pàlv» e il ceiìer suo non ebbe,.
Esule egregio' SI pelli», qoal dehbe
Uom che in suo v cor jiMsehie valor rinserra ,,
Quei che seca pogaa^da aadà^ sòiterra
Ombre famose , onda si Ilalfà crebbe ,
Arser di sdegnn; e U dare esemplo inarebbe
Ai gen| delle pace, e della guerra ;
E seguirlo far viste in alla altere
Sali' indegna fremendo oficsa alroee
Là virili anlìcbe del latino Ijnpero &
E alior dì Stige sulla 'negra fece -
Di lui «he l'alpi* saperò pritaaiero^>
Rise V inveodicata ombra feroce.
1 ^t giurai» ec>.*. Amilcare padrQ di Annibale gli avea (atta giman die*>
ter teaifre neotiico ai RomaiuL **
a AtUùnia. Italia. — > Tarpeo, U colle in cui en Cibbriaato ti Campidoglio
ia Roma 1 o 9Ù sta in vece di queita città.
^tHimt9^^V ombra di Annibale.
•ECO&O DECIHOTTATO»
Zl^
CARZORErrA.
Il rimedio peggjhr del male.
Ciprigna a Bacco
Condusse Amore,
Quel domatore
D'ogni beltà;
Qoel che., fela^o
Di ]»eada II ciglio,
HoD ha consiglio ,
FrcDO Qoo ha.
D^ nn lac^o d* 6ro •
Stretto gli area
La .bella Dea .
La rosea mao;
Ed ^ii avvinto
Spargea preghiera ^ ^
L'ali leggiere
' Sco tendo iniiaii.
A Bacco disse- ,
L'amabil Divat
Sa qaesta riva
Mi trassi a te:
Di. questo alato
Figlio crudek.
Cento querele ^
Gfiungeoo a me^
Si daol r immenso
Regno dell'onde-,
Che ma) s' asconde
Dal traditor:
Si ddoi la terra ,
Il ciel si daole.
Privo di sole
L^ èrebo ancor/
■*■>
Io to' che teee
Resti l'audace;
Ma pria la face
Gli TUO leTar;
Quella onde snole
Per crudo giòeo
Por tutto in fece ,
Tutto turbar. —
Bacco sorrise^
E di«sé poi^
Come più Tooi^
O Dea &rò. -
Tosto r inerme
Pancini dolente
D*4 ampio lucente
Cristallo armò^
Gli faro intorno
• Fauqt e Baccanti
Lieve saltanjti
Con V agii pie ;
Eletti omojri
. Ciascun Tersando ,
Ciascun cantando ;
Bacop, eroe. -
Fra t dolci inviti
Il pargoletto
^ugò dal petto
L* ira e il dolor :
Bevve e ribevve ,
£ sparse il viso
Di vago risoci
Gli occhi d* arder*
5zO I.£TT£aATUKA
Ma di beo cento
Tazze già caldo.
Quanto più baldo
Mal difeotòt
Come 1 ripari
Ondosa, piena * ,
L* aurea catena
Scosse e spezcò.
Bacco e la madre
Foggi schernendo.
Fra sé dicendo:
Vi puifirò» —
E verso Gnido
Rifòlse Tali,
L' arco, e gli strali
Là rijiigliò.
itàliaha
Di largo vino
Arso le vene^
Da qaeHe arene
Veloce osci ;
E più che' prima
Con modi rei
Comi ni e Dei
Fiero assalì:
E per Tendetta
U Bépro garzóne
Fé' per Adone *
La Dea langnir*
E il Dio di Misa
Per la smarrita '
Vergin tradita
Volle ferir»
V amante di tutte le donne^
Nascondelefi, o vezzose
Pastorelle, quante 'si>te.:
Semplicette ! non vedete
Chi vi spera incatenar ? .
Vien da T Alpi quel pastore
Che per tutte sa languire ,
E godendo di mentire^
Sa per tutte sospirar. »
Lineo è II nome ch^ ebbe in sorte s
Nome noto a qoante belle^.
Vadno a pascere le agnello
So la Trebbia e in riva al Po.
Egli crebbe come cresce
Luogo pino in alto monte:
X Come ondosa piena scote e spessa i ripari, cesi kmofe- scosse «e.»
3 Venere amo Adone j e fiacco ( Dio di Misa > amò Arìanoa tradiU ed
aLbandonala da Teseo.
SECOLO DECI^OTTÀTO ^21
Da le fasce , ib bruna fronte
Nero crioe dispiegò.
Fa suo stadio e suo costume
Mutar spesso cielo e lido :
Egualmente a tutte in6do ,
Egualmente ^ Iqsìnghier ;
Incapace di Costanza,'
Quel che dice a Glori, a Fille,
Lo ridice ad altre mille;
Solo intento al suo piacer.
Dice a Oori: Mai non ?idi
Piii bel collo e più bel ciglio :
Perde il latte e perde il giglio
Uguagliato al tuo candor.
Dice a Fille: Mai non arsi
Per occhietti più Tiraci:
Solo in questi le sue faci.
Per mia pena , accese Amor.
Cosi , ricco di menzogne,
Va cercando chi gli creda ; ,
Come instabile la preda
Carociator cercando va*
Hoa è poTero di lodi ; ' -
Ve sa dar quante conviéDe:
S^ the son dolci catene
Per legare ogni beltà.
Accusato , non sol pronte
Ha sul lab}}ro cento scuse,
Ha"^ ritorcer sa V accufse
Sul sorpreso accnsator ' ;
E rÌTolgere s' ingegna
Ib suo merito il delitto :
X Sorpreso lU qui per Jttoaito, Incapace di rUpQnd^rt^
322 LETTERATURA ITALIANA
Né qael volto , sempre invitto ,
Teme assalto di rossor.
Se bellezza da la ctioa
Non gli £b* di sé grao parte y
Consigliarsi sa con 1' ar^e ,
E il compenso rinvenir.
Lo vedrete sempre in chiome.
Odorose, innanellate, -^
Ed in vesti sempre ornate,
Tutto vago, comparir.
Ninfe belle, se vi parla.
Se vi prega e vi lusinga y, ,
Ah! per lui mai non vi stringa
Vano affetto di pietà*
Rimandatelo deriso,
E sbandito dal cor vostro,
A i sani monti', come an mostro
Di scopeirta infedeltà.
: L* OMBRA DI POPE ^
La notte in cui nacque il fanciullo ( dice il Poeta )
io Doeditava un carme che fosse^ uguale alP illustre
argomento /tua non sentendo in me soiEcieote va-
lore, pregai POoibra dì Pope, affinchè, lasciando {
bei mirti del ridente Eliso ^ venisse a inspirarmi. E
r Ombra, marcata P eburnea porta de' notturni sogniy
sen venne a me ^ e : ^
Perchè ( dicea ), me , che in amabii pace
Laggiù -passeggio della elisia chiostra
L* etere puro ed il pui^pureo giorno
1 II Fragoai eompose parecck) Poemetti in versi iciolU, àxyw U ma
maniera o scuola apparisce forse più che Delle poesie Uriche. A dare un*
idea di questi Poemetti e del verseggiar del Frugoni -parui che possa La*
stare 1* analisi che qui presento. Il Poemetto è coBiposto per la naidu del
primogenito di milord Holdernesse iti Veaecia.
SECOLO DEGI3IOTT4TO 323
Sciolto da^ sensi , e par delP arti amante
D^ obblio nemiche , che vi? endo amai ,
Perchè me chiami e prieghi or, che doToto
Alle giuste speranze e a' giasli Torli
Tenero pargoletto ali* Adria in rifa
L'antica d' Holdemesse inclita stirpe,
Vera d^ eroi propago , orna e rinnova ?^ '
Tn par poeta sei ; né di te poco
Grido sin laggiù Tenne, OTe altro cielo,
Altro benigno Sol noi cinge e pasce
Scarehe del denso velo agili forme*
Quanto di te fra i Terdi lauri annosi
Del sacro bosco , oto talor V immenso
Di Venosa Gantor meco s' asside ,
Mon si parfò. tra noi? Vede egli come
Felicemente tu sul tosco plettro
Porti i latini modi , e il noTo stile
Tingi .dello splendor di saa favella :
Sei Tede , e il narrA , e con piacer T ascolta
II popolo minor del P Ombre attente;
E le tne lodi ed H tao nome impara*
lo ( prosegue il nostro Poeta ) arrossendo di tante
Iodi esposi air Ombra la cagione di quella chiamata, e
come dovendo cangiare agli orecclii di tale ch^ era av-
vezzo ad udire i suoi -versi, temeva di spiacergli troppo
co^ miei. Però la pregai di nuovo del suo soccorso*
A qnesto mio pregar, cortese in atto
Li' Ombre sorrise , e lampeggiò tre volte
Più che mai bella intorno : indi repente
Me~ rinTolgen^o * nel suo tìto lume ,
Come se nudo di corporeo pondo
Me ad uom non data agilità movesse , .
Seco m' alzò per Tie che ai bel tragitto
Cedean Iìctì e serene. Il breve solco,
3a^ LETTEBITCBA ITALIANA
Che segnai seco pel celeste vuoto,
Bapidamente precedeao Telando
Le messaggiere dionee colombe * ,
Che con noi ratto là drizzando V ali.
Dove il nato glacea nobil. fanciullo^
Si posar sn la cana; e pr.ia versati
Vagamente su lui dal roseo rostro
Fior molli e misti d[ odorose foglie
DMdalio mirto, allo silenzio imposto.
Il coloralo variante collo ,
Come intente ad sdir, volsercf a lai *,
Che riparlò l* armoniosa lingua
Che sola parlerfano i Numi in terra.
Odi, o figlio (a dir prese.)', odi ^ q d* altero ^
Padrq delizia e dono, e, nato : appena.
Questa tua gentil alma or or partita
Dal fonte eterno delle pure idee^
Rivolgi al sacro ragionar de^ vati.
Come prime paWaro al chiuso in fasce
Magnanimo P«]ide^, a te primiere
Parlin le dotte Muse : ad esse Giove
Sul primo varco dell' uman viaggio
Le vite.^egli eroi diede in governo.
Questa, ove nasci e fai d' un vago germd.
Lieto il paterno generoso tronco.
Almo garzon , non è, non è l'invitta .
Patria che al tuo natal dovea Natura:
Dà te lungi ella giace', .ove a lei cento
1 Dionèe colombe. Le colombe furono' sacre a Venere, la qaale fii detta
anche Dione. <
2 A lui, A Pope.
3 Altero, pressa i poeti ^ significa V alteua dejl* animo i tkon degenerata
però in superbia. ^
4 DalfmU ec.. Da Dio.
5 Pelidc. A^biUe.
SBCOLO l>£GfaiOTTATO 3^5
Ingegni ed Arti dolcetneììte in grembo
Nudre MiDerva, oTe Nettano e Sfarle
Dividono con lei V ooor dell' ariDÌ<,
£ lo scettro dell' onde e il freo de' venti.
Ma della patria cuna oh come il danno
Ti compensar gli Dei! Questa, ove nasci ,
£ 1^ angusta iumortal d* Adria regina ;
Quella che qaassù parmi Jnvitla e chiara
.Sorgere al par di lei * , che sul Tarpéo
Sedea donna del mondo , e del suo nome
La sicorem ed il terror ponea
Sa la romana consolar bipenne;
Quella che per mutar lungo di tempi
Da' saggi padri ne' miglior nepoti ^
Grande e a sé slessa ugual sempre rinasce:
Sede d' intatta libertà, maestra
Di felice consiglio ,- unica in tante
Degli agitati regni aspre vicende ,
Che a tutti cara per antico esempio
D' imperi urbabil fé , tranquilla tesse
De' suoi destini 1' ammirabil corso*
Qai V Ombra di Pope fa un lungo elogio al
padre del neonato, e poi alla madre, a cui le Grazie
e Teti e Cilerea^ e Pallade e Giano diedero i più
bei pregi che avesse mai donna alcuna. Questa ma-
dre ( dice r Ombra ) abbia cura di te fioche sqì
fanciullo.
Poi quando te fiorir di forze e d' anni
L' anglicM) ciel vedrà, prendanti in cura
L* Arti cultrici. Di Natura i doni
Schindansi in te, come in terreno aprico
Si manifesta de* benigni temi
La vital aura e la virtù natia.
j Xel. Eoma.
tBTTEILLT. ÌTÀI», - IT ^^
3'26 LETTERATUIIA ITlLlAftl
I taoi gr.iD(l' afi intendi ; e poiché avrai
L^ antica fama di lor alte geste
Da tante e sì lontane età raccolto,
Volgiti al più Ticino e caro esempio :
Stndia il gran padre tuo, che può bastarli
Per tutti solo, e d* ngaaglìarlo agogna:
Prendi da If opre sue la Tiva legge ^
Che della vita perigliosi e cinti
D* aspre fatiche a te i sentier rischiari,
E i* additi fede! come s'adempia
Quanto attende da te, qnaolo aver dee
Il re, la patria, e ^nel ebe chiudi e Tolgi
Nelle onorate vene egregio ^ogoe*
Cresci, o nobìl fanciullo; e già presaga
De' tuoi splendidi eventi al sea ti stringa
La Gloria nostra , e a rispettarti prenda
L^ instabile Fortuna. Oh quanta sei
Giusta speme de' tnot I - Ma die p\k parlo?
He la notte abbandona ; ecco dal Sole
Ornai, quai aureo inondator torrente,
La settemplice madre de' colori ' :'
La nova luc& a scaturir vicina
Me d^alto fere, e sforza i lieti alberghi
D^ Eliso riveder pien de* tuoi fati ,
Che taciturna ancor caligin vela.
Disse; e tn ciel sorte il giorno, e l'Ombra sparve.
PIETRO METàSTàSIO
Un gtovinetto per nome Pietro Trapassi addestra-
vasi air oreficeria in Roma, dov* era nato di poveri
gcoitori addi 3 gennajo 1698 j 6 cantando piacevoli
I La settemplice ee. . La luce che variamente rifratta forma i sette colori
pvimitivi. — • Tra i difetti del Frugoni e della sua scuola annoverasi anche
(quello di far pompa troppo spesso nei versi di scàentifiche eognisioni.
SECOLO DECiaiOTTATQ 32 7
Tersi imprOTTisi dava la qualche modo nno sfpgo al
naturale suo ingegno, allorché Vincenzo Gravina ab«
baitutost a udirlo , lo tirò a sé , gli eanibiò il nome
io quello di Metastasio, e P avviò pel sentiero delle
lettere a guadagnarsi^ una gloria immortale. Né con*
tento di ciò, P illustre benefattore morendo nel 1718
lascia vaio erede di un patrimonio assai ricco.
Di quattordici anni il Metastasio aveva già com*
posta una tragedia ( i7 Giustino)^ e nel 17 19 già
s^ era illustrato nelP Accademia degli Arcadi. Fra
gli scrittori latini, studiava Ovidio di preferenza ad
ogni altro; fra gP Italiani, ammirava principalmente
la Gerusalemme del Tasso, benché il Gravina gliene
avesse proibita la lettura , raecomandandogli invece
V Ariosto. La vivacità della fantasia , la forza deU
r ingegno e la facilità del verseggiare potevan con-
durre il Metastasio ad una ineta gloriosa, qualiinque
fosse stata la strada che avesse scelta; ma per buona
ventura dandosi al Melodramma elesse quella appunto
per la quale può dirsi che la natura lo aveva fatto«
Il Rinuccini nei primi anni del secolo XVII , e più
tardi Apostolo Zeno, avevano già recato molto allo
questo genere di poesia : egli poi lo rese perfetto.
Le prime opere teatrali del Metastasio ( 1' Endi'*
mione^ gli Orti Esperidi^ la Galatea e V Angelica )
furono scritte negli anni 1721 e i^aa in JNapuli
dov^ erasi trasferito per sottrarsi alle persecuzioni
d^ alcuni invidiosi che gli avevano inimicato il Poa*
tefice Clemente XI. Quivi egli conobbe la celebre
cantante ed attrice Marianna Bulgarelli > , la quale gli
diede utili consigli ed eccitamenti, e postasi ad abi*
tare con lui riordinò la domestica sua economia. A
iomiglianza del Gravina, anche la Bulgarelli, morendo
nel 1754, fece suo erede il Metastasio; ma egli ri-
nunciò al marito quella sostanza. E già quattro anni
1 Presso la Bulgarelli il Mctastasia conobbe il ctlebc» Porpora Ja cui
ajipresé la scieoxa muskale.
3:^8 LETTERATURA llMLIAKA
prima SÌ era (iiviso da lei e dalla propria famiglia
' per andare in Vienna alla Corte dell^ imperalore
Carlo VI dove prima era stato Apostolo Zeno , e
dove poi fu Garissioio ai Sovrani Francesco I, Maria
Teresa e Giuseppe IL Quivi negli agi ohe gli da-
vano nna ricca pensione e molti ragguardevoli regali^
egli scrisse i migliori suoi Drammi^ e morì la sera
del giorno \^ aprile 1782, lasciando un patrimonio
di più che i3o,ooo fiorini. Oltre i Drammi, abbiamo
del Metastasio molte Lettere e Poesie Lirkhe^ la
traduzione della Poetica dì Orazio e V Estratto di
quella di Aristotele con bellissimi commenti^
Le femmine di Lenno sdegnate contro i loro mariti
stati tre anni assenti per una spedizione nella Tracia
hanno deliberato di ucciderli tutti al ritorno. Eurìnome
la quale credea di avere perduto il figliuolo Learco
per colpa del re Toante , va spirando il proprio fa«
rore nel cuore di tutte. La stessa Issipile ha do«
vuto giurare di uccìdere Toante suo padre: ma Pa*-
.nimo rifngge da queir orrendo delitto, e però sfor-
zasi d' impedirlo. — Qui comincia il dramma ; ha
sceua è P ^trio dei teaipio di Bacco di cui in quel
jgiorno celebrasi la festa, Issipile prega Rodope sua
' confidente di correre al lido a cui già s^ appressano
f Lennj, e salvarle il padre, palesandogli la femminile
congiura. Ma tardi è il consiglio. Accompagnala da
inolte Baccanti soprarriva Eurinome e dice:
Rodope, principessa,
Valorose compagne, a queste arene
Dalle spon((e di Tracia a noi ritorna
[ Fanno i Lennjj infedeli. A noi s^ aspetta
Del sesso vilipeso
Jj* oltraggio ?enf]icar. Tornan gP iograli ,
Bla dopo a\'er Ire volle
SECOLO OECWtaTriTiy 329:
Visle J/i noi lontano
Le messi rinnoTar. Tarnano a noi ^
Ma ci portaa su gli occhi
Dei talami FurtiTi i frutti infami ^
E le barbare apaiche
Dipinte it Toìto, e di ferina latte %
ÀTTCZzate a nutrirsi, adesso altere
Della vostra beltà vinta e negletta»
Ah ! Vendetta , vendetta :
La giurammo^ s^adempra. Ai gran disegno
Tutto cospira. L' opportuna nolle.
La stanchezsa de^ rei , del Dio di Nasse ^
Il rito strepitoso, onde confuse
Fian le querule vóci
-^Fra le grida festive, j^ padri, i figli >
I germani , t consorti
Cadano estinVi ; e sia fra noi comune
II merito o la colpa. Il grande esempio
Dei femminili sdegni
AI sesso ingrato a serbar fede insegni.
Issipile si finge compresa dal furóre tf Eurinome
sperando ancora di prevenirne gli effetti ; ma Toante
è già approdato , e giunge co^ suol al cospetto di
queste douue, Voltosi alla figlia j it Re dice :
To. Vieni, o dolce mia cura,
yieni al paterno sen.. Da te lontano
. Tulto degli anni miei sentiva il p'esu;
/ E tutto, o figlia, io sento,
Or che appresso mi sei, ( t ahÌM'accia ^
Il peso alleggerir degli anni miei.
Is. (Mi si divide li cor!)
To. Pef che ritrovo
Issipile st mesta?
I Dia di Naaso» Bacco.
28»
33q IjiETTBRAtirai ITAI^UKA
Qual mai freddezza è f|uesU
Ali' ari'ÌYO d^ uà padre ?
jff. Ah tu non saL
Signor • • V
RoiL (Taci.) («<l IssipUe\
Is. ( Che pepa ! )
Eur. (Ah mi tradisce
La debolezza sua ! )
To. La mia presenzA
, Tt funesta così?
Is* Non Tedi il core ^
Perciò .... ( Eiirinome minaecia Isslpile acciò
Tù^ Spiegali, n©/i parli)
Is. Oh Dio»
To* Spiegali, o figlia.
Se r Imeneo ti spiace
Del prence di Tessaglia *^
Che a momeati verrà • . «.
Jf. Dal pritno i^ante ,
Che \ ridi ^ V adorai..
7*òa Forse in mia vece
Avvezzata a regnar ^ temi ch^ sia
Termine del tuo regno il mio ritorno ?'
T' inganni. Io (|u.i non sono
Più sovrano , ne re. Panisci, assolvi^
Ordina premj e pene ; aUro non hramo ,
Issipile adorata ,
Che viver teco. e che moristi accanto., {p abbracciai
Js», Padre, n.oa pia. {piange)
Tà. Ma che i;aoI dir quel piapto?
Murr^ È necessario effetto
ly mi piacer ch^ improvviso inonda il petto.
to». So che riduce a piangere
L* eccesso d' un piacer ;.
X M Prence tt* . Giasone*.
r ■»
•ECOtO »E€IMOTTATO 33» I
^ly 4 Ma qti«s(e lue mi sembrano
Lagrime di dolor:
£ non 9^ inganna «ippiena
D' nn genitor hy sguardo-^
Se d* irna figlia in seno
Cerca ìe Tie del cor.
., Frattanto^ essendo venula la notte, Eurinome va
sollecìtatida alla strage Issi pile e, Rodope. Quesl^ uU
tìma è rìniasta sola ^ ed ecco venirle innauzi Leav-
co. . Innaoiorato d^ Issi|>ite egli viene con suoi pirati
per disturbare le nozze di lei col tessala Giasone.
Rodope ( sebbene tradita da Learco ond^ essa era
arnaqte) me prova pietà, gli svela la congiura,, e lo
sollecita a salvarsi fuggendo.. Noi p.ersuade però:
Xeflr. Eh! ch'io non- pfesto fede
A fole femmtnìfi. Ad ognr prezzo
Del tessalo Giasone
Si distwbrn le nozze. Armata schiera
Di gente infesta ai naviganti^ e afTezza
A TÌTcr di rapine y appresso al lido
Attende i cenod miei. Di €|nesta reggia
Ogni angolo m' ò noto. Ascoso intanto ,
Da <}ael che aTTÌene io prenderò consigliala .
Si sgomenti, al periglio
Chi comincia a ^liiri di colpa in colpa
Tanta il passo inoltrai y ,
Che ogni rimorso è intempestivo ormai.
Chi mai non Tide fuggir le sponde,
La prima volta che va per l'onde
Crede ogni stella per lui funesta^
Teme ogni zeffiro come tempesta.
Un picciol moto, treo^ar, lo £a^
Sia reso esperto sì poco teme
Che dorme al suono del mar che freme ,
(> su la prora canlaudo va.. *
332 LETTERATURA ITAI.lAffA
Issipile, intenta a salvare il padre, lo trae nel gtar-^
dino e lo nasconde in un boschetto sacro a Diana«.
Learco, non visto, ha sentito il loro colloquio, è~peo5»
di trarne profitto. Però, fingendosi pietoso, chiama
Toante, gU dice che il suo asilo già è nota alle
congiurate^ ch'esse verranno tra breve, e se il tro«
vano sfogheri^nno il loro furore sopra di lui e sopra la
figlia. Toante allora esce del nascondiglio; e Learca
yì si pone invece di lui , aspettando che Issipile^ tor»
nando pel padre , venga a farsi sua preda.
In questo mentre Issipile, per ingannar le altre
donne, ha collocato sul letto di Toante il cadavere
di un Lennio , sicché diffondesi il grido della morte
del Re. E già tutti i Lenu) furono uccisi, quando
il tessalo Giasooe venendo alte stabilite nozze d^ Is*
aipile, approda alP isola delle donne omicide. Assalito
da loro, le mette in fuga, ed entra ins^iiendole iu
una sala d'armi, dove sono Issipile, Rodope ed Eu*
riìiome. Quivi sente V uccisione degli uomini ; ed
Issipile, per non mettere il padre in pericolo, è co-
stretta a^ aiTermare di averlo ucciso essa medesima.
Giasone inorridito si parte da lei.
Cosi finisce il primo Atto. Sul principiar del secondo
▼edesi Eurinome che nell! oscurità delia notte passeggia
presso quel boschetto dove Issipile lasciò suo padre.
Ah! che per tolto io veggo
Qualche oggetto fuoest<i^
Che riafaccia a quest^ alma i suoi furori \
Voi , solitari orrori ,
Dai seguaci rimorsi
Difendete il mio> cor. Ditemi voi ,
Che per me più non erra iofendicala
L' ombra del figlio mio ; che più di Lete
Non sospira il tragitto ;
E che vai la sua pace il mio delitto \
I E che ec, .. E ch« , per dar» k pace ad un figlltiol morto » fì& ragione-
Tola commettere questo delitto.
SECOLO DEGIMOTTATO 331
Learco , ci'edendo che costei sia Issìpile , esce ,. I.
preode per la maiK), e comincia a parlarle: ma pò
conosce V errore^ e si nasconde di nuovo.
Jiur» Misera mei qonl gelo
Per \e Tene rai scorre t E dì Learco
Quella voce che intesi. Ah ! do?e se<i ?
Non celarti al mio sguardo»
Spiegami il tuo ritorno.
Parla : che vuoi ? Perchè mi giri intorno?
Ombra diletta ^
Dd caro figlio esangue,
Non chiedermi Tcndelta :
L* avesti già da me.
Qual pace mai,
£ qual riposo avvai.
Se non ti basta il sangue
Che si versò per te ?
SopraggiuDge Issipile ^ la quale anch^ essa neir o^
scurità non conosce Eurinome, e dice:
Qui pria di me dovrebbe
Esser Rodope giunta. Eccola. Amica ,
Vola a Giasone. Digli [credendola Rodope)
Che vive il re; che seco
Qra ù\ porto verrò. Senti. Potrebbe
Giason co* sgoi segnaci
Air incontro venirne , e *\. nostra scampo
Assicurar cosi. ( p^ i^ersa il bosco )
£f/r« Qua! trama ignota
La fortuna mi scopre ! Intendo , o figlio ,
Perchè, intorna nù g^iri. Io dunque impano
Scellerata sarò? Vivrà il tiranno?
Ah! noo &a ver; cbiè tutto
, Io perderei deila mia colpa ii frutto.
1 Eurìaome , persnasa che litarco sia morto , credjB di avere uJil* la
v<KC 4.eU* ombra di lui^
334 LETTERATORA ITALlAllA
Issipile rimasta sola prosegue dicendo :
Ecco le sacre piante , ofe si cela
L^ amato geoilore, ÀI primo arrivo
L^ ombra , il timor , V ìmpazTenle brama
I miei passi confuse. Or non m^ inganno.
Padre , signor , t^ affretta*
Lear, ( esce dal bosco ) (E par la voce
Questa dell' idoi mio. Coraggio, oh Dei!
Palpita il cor mentre ni' appresso a lei* )
/f. Vieni. Dove t^ aggiri? I passi ascolto,
E trovarti non so. Fra questo orrore
Forse . • • pur l* incontrai. ( incontra Learco , e*
lo prende per mano )
-Lear* (31* assisti. Amore.)
Is* Tu tremi , o padre ? Ah non temer t Giasone
Ci assicura la fuga. Ei , non La molto ,
Giunse al porto dì Léono.
Lear* ( Aliarne , che ascolto f )
Is. Già da lungi rimiro
Lo splendor delle faci.
Lear. (lo son perduto!)
/x4 E d^ ascollar già parmi
Le voci del mio ben.
Lear*' {^tornando al bosco). (Torno a celarmi.)
Isn Dove vai ? Perchè fuggi ? Oh come mai
ixli animi pio virili
La sventura avvitisce !
Earioome intanto ha ordinata alle Baccanti d^io*
cendìare il sacro bosco ^ essa spera cosi di veder
morto Toante: ma invece di li a poco le viene con-
dotto innanzi il proprio figliuolo. Rodope che, sel>-
bene tradita, pur ama ancora Learco, per sottrarlo
alla furia delle Baccanti , fiuge di volerlo uccidere
essa medesima \ e rimasta sola con lui gli rebde la
SECr)LO DECI.\IOTTAVO 333
libertà e la vita. Learco le offerisce allora fa mano
di sposo : essa la ricusa. Qual premio avrai duoque
( elice Learco ) della tua pietà ?
Rad. Già premiata son io, ma tu noi sai.
Tu non sai che bel contenta
Sia qnel dire : Offesa sono :
Lo rammento, — ti perdono,
E mi posso vendicar: —
E mirar frattanto a£9itto
L^ oQensor Termiglio in Tolto,
Che pensando al suo delitto
Non ardisce favellar.
D^ altra parte Giasone, ondeggiando fra i' amore e
P orrore, ha consumata quella orribile notte. Allo
spuntar del sole esso veglia tuttora in mezzo a^ suoi che
dormono attendati in vicinanza del mare. Finalmente
la stanchezza lo vince , e addormentasi anch' esso.
Leari:o soprarriva, e visto il suo rivale, snuda il ferro
per trucidarlo. Issipile, che va in cerca del padre,
esce in quel mentre, gli trattiene il braccio, e mi-
naccia di svegliare Giasone se a lei non cede il pn*
gnale. Learco allora glielo consegna, sveglia con un
grido Giasone, e poi fugge. Alla vista d' Issipile ar«
mata Giasone s' immagina eh' essa abbia avuta in«
tenzione di ucciderlo: le proteste di lei non valgono
a dissuaderlo : credendola rea d' un parricidio la sup-
póne facilmente capace di trucidar P amante; quindi la
sventurata Issipile è necessitata a partirsi da lui che
con orrore la scaccia. Ma ecco arrivare Toante a trar
d' inganno Giasone. Questi allora chiama all' armi i
suoi compagni, e si muove contro la schiera delle
donne. Toante vuol trovarsi anch' egli al conflitto ,
ma cade in man di Learco che prima Io trae a sé
fingendosi pentito de' suoi delitti, poi lo^ strascina
sopra una sua nave. In questo mezzo arriva Giasone
336 LETTEnATOnA ITALIAlfA
con Issipile e con Rodope, e comanda a' suoi di as-
stillre i legni di Learco. Ma questi si fa sulla poppa
e solleva uno stilo sopra Toante minacciando di uc-
ciderlo, se Issipihi non si delibera di essere sua spo-
sa. Giasone ed Issipile minacciano e pregano indarno.
Learco ripete sempre vieni^ o V uccido. E già Issipile
per la salvezza del padre è 'risoluta di sagrificarsi,
quando esce £arinome in cerca del figliuolo Learco.
Giasone subitamente rafferraj ed esclama:
Ah scellerata ! À casa
Qui <kon giungesti. Issipile, t'arresta.
Gnardami traditor. Libero appieno
Rendi Toante, o la tua madre io sreno.
Lear. Come !
Eur. Che fu ?
Rod» Qual cangiamento !
Lear. In lei
Non punire i miei falli. II tqo nemico
Son io, Giasone.
Gias» ' Il mio furor non lascia
Luogo a consiglio. E mio nemico ognuno
Che te non abhorrisce. £ ^ea costei
Di mille colpe ; e se d' ogni altra ancora
Fosse innocente, io non arrei rossore
D^ arerle ingiustamente il sen trafitto t-
L' esser madre a Learco è un gran delitto.
Rod. Confuso è T empio.
Is. Eterni Dei , prestate
Adesso il yostro aiuto I
Gias. JBarbaro, non risolvi?
Lear. Ho risoluto.
Svenala pur. Ma venga,
E la legge primiera
Issipile compisca*
SfiCOLO DECI^fOTTATO 33^
JHod. Oh mostro {
Zf • Oh fiera !
Gias, A Toi. daoque , o d* Arerno
Arbitre Deità, questo offerisco
Orrido sacrificio .... i
Lear* ( Io tremo. )
Gias* A Toi
Di Tendicar nel figlio
Della madre lo scempio il peso resti.
Mori, infelice I (mostra ferirla)
Lear* . Ab non ferir! y incesti*
Rod» E par s'jDteoeri.
Eur. Deggio la tita^
Caro Learco, a te. .
Lear* Poco il tuo figlio ^
Euri Dome ^ ooboscì. £ debolezza
Quella pietà che ammiri ,. ,
Non è. virtù*. Vorrei poter l'aspetto
Sostener del tuo scempio ,
E mi manca, yalore. . Ad onta mia
Tremo ,., palpito 9 e lutto
Agghiacciar nelle Tene il , sanguis- io sento*
Ab, piissimo . cor ! . né giusto sei ,
Né malvagio abbastanza; e* questa sola
*
Dubbiesza.tua ,la: mia ruinii affr^etta.
Incominci da. te la mia vendetta* {si ferisce)
Eur, Ferma ; che fai? . .
Lear. Non spero,
E non voglio perdono* Il morir mio
Sia simile alla vi ta. ( ^i getta in mare )
Eur. Io manco. Oh Dio !
Rod. Oh gii|stissimo Ciel !
Gias» Correte , amici , < ( gli jérgo»
A di^iqgliere il re. nauti con:qno sulla nave )
IMTiÉt^ÀX* ÌJàJm — - IT 3Q
338 LETTERATURà ITALIANA
Is. Sposo, io non posso
Rassicararmi ancor.
Bod. Qaanfe ficende
Un sol giorno adunò!
To, Principe! tg^al' (scendendo
Is. Padre. dalla nave)
Gias. Signor.
Is. Onesta paterna mano
Torno pnre a badar, (baciala mmtù a 7aan/e)
To. Posso al mio seno
Striogerri ancoro, (g^ abbraccia)
Rad. I tollerati affanni
L'allegrezsa eompensi
D'nn felice imeneo. '
To. Ha pria nel tempio
Rendiam grazie a gli Dei ;' che troppo , o figli,
E perigliosa e tana,
.$e da lor non comincia, ogni opira timana.
Coro
È follia À* nn' alma stolta
Nella colpa aver speranta:
Fortunata è ben talfolta.
Ma tranquilla mai non Al.
Nella sorte piò serena
Di sé stesso il Tizio è pena;
Come premio è di sé stessa.
Benché oppressa , '— la tìItEù.
DALL* OLIMPIADE.
Gli amanti.
Ecco lo stile
Dei lusinghieri ornanti., Ognun tì chiama
Suo beU) sua tiin t suo tesoro: ognuno
SEGOLO OECUlOTTAfa 3^9
Giara che a toì peosando
Vaneggia il dì , Teglia le notti* Han V arte
Di lagrimar, d'impallidir. Tal folta
Par che sa gli occhi vostri
Voglìan morir fra gli amorosi affanni:
Gnardaten da lor, son tolti iDganni.
Piò non si troTano E il reo costarne
Fra mille amanti Tanto s* afanaa 9
Sol due beir anime Che la costanza
Che sian costanti; Di chi ben ama
E lotti parlano Ormai si chiama
Di fedeltà. Semplicità.
La ffàa unuvuu
Insana gio?entà! Qualora esposta
Ti veggo tatfito agi* impeti d! amore ^
Di mia Tcochiezza io mi consolo e rido.
Dolce è il mirar dal lido
Chi sta per naufragar; noitf che ne alletti
Il danno altrni , ma sol perchè T aspetto
D' no mal che non si soffre è dolce oggetto.
Ma che t V età canata
Non ha le sae tempeste? Ah ! che par troppo
Ha le sae proprie , e dal timor dell* altre
Sciolta non è. Son le follie diverse ,
Ma folle è ogoan; e a suo piacer n'aggira
I4 odio o r amor , la cupidigia o V ira*
Siam navi all' oode algenti
Lasciate in abbandono:
Impetuosi fenii
I nostri affetti sono:
Ogni diletto è scoglio:
Tutu U f il» è mai.
340 LETTERATCJRl ITàLIARA
Bea , qoal nocchiero , ia noi
Teglia . ragioD ; ma poi '
Par dair ondoso orgoglio
Si lascia trasportar»
Ultimo addio di MegacU e Licida*.
Ah I Yieai , illastre esempio .
pi ferace amistà : Meg^ade amato »
Caro Megacle, Tieni,
ilfe^. Ah qaal ti trovo,
PoTcro Prence!
Lic. Il riTederti in vita
Mi fa dolce la^ morte.
Meg^ E che mi giova
Una vita, che invano
Toglio offrir per la taa ? Ma molto inaansi ^
Licida , non andrai. Noi passeremo
Ombre amiche indivise il guadò estremo.
Lic* O delle gioie mie, de' miei martìri.
Finché piacque ài destia , dolce compagao ,
Separarci coóvien. Poiché slam giunti
Agli aitimi moménti,
Quella destra fede! porgimi e' senti :
Sia preghiera, o comando.
Vivi: io bramo cosi. Pietoso amico
Chiudimi tu di propria mano i lùmi^
Ricordati di me. Ritorna in Creta
Al' padre mio. . . ( Povero padre ! a questo
Preparato non sei colpo crudele. )
Deh! tu r istoria, amara '
Raddolcisci narrando. I| vecchio afflitto
Reggi 9 assisti , consola ;
Lo raccomando- a te. Se piange, il pianto
Tu gli asciuga sul cigia;
E in (e , se un f gl'o vuol , rendigli uà figlio,
SECOLO DECIBfOTTÀTO 3i4l
ì>kLL* ' ATTtUO REGOLO.
La gloria.
Tu palpili, o mio cor! Qoal dqovo èqoesto
Molo incogoito a tè? Sfidasti ardito
Le tempesto del mar, Tire di Marte,.
D^ Àfrica i mostri orrendi,
Ed or tremando il tao destino atteodi?
Ali ! n' bai ragioD. Alai tion u ride ancora
la periglio si graódè
La gloria mia : ma questa gloria , o Dei ,
Kon è dell* alme «ostre
Un affetto tiranno ?- Al par d' ogui altro
Domar non si dovreUbe ? \Ali no. Dg* vili
Questo è il linguaggio. Inatilinente nacque
Chi sol TÌ9e a sé stesso : e sol da questo
. Nòbile alletto ad obbliar s* impara
Sé per altrui. Quanto ba di bea la terra,
Alla gloria si dee. Veudica l}ttebUi
L' uniaDita del vergognoso stato,
In coi saria senza 11 desio d' onor^;
TogUo il senso al dolore , .
Lo spafeoto ai perigli,
.Alla morte il terror: dilata i rj^grii > ^
Le città custodisce; aUelta,. aduna
^ .Seguaui alla firtù; cangia in aoAti !
I feroci oostami ,
E rettde raomo inaitator dei Ntimì.
r^f^
\ >
«)*
I *
Si^4 UITrEBiTVIU IT^XIARA
TiU DuiM|ae cUe ^?
«Sex. Là delioie«t« «ia ,
I^a mia fatalUk.
TV/. Pili chiaro alaiaw»
Spiagali.
Ses. Oh Dio! oon pOMO. i
TiL '.. O^mi) a Sesto.
Siam soli ; il loo satruia.! '
Mqq là presente. Apri il tao cuore a Tito^
Confidati all' amico. Io li fir0m^tt<»
Che Allenito, nvk taprài?Del tua deMtlo
Di^ la priiaa cagioa. Carcbtaapia insieme
Uaa fia di scusarli Io aa $affel •-
Forse di le più lieto* <, )<
Ses. Ah {ila olia oolpa
NoD ha difesa.
Tii. la 'CODtaacaambio almeno
'D^ amicizia \lo chiedo. Io! D0tt> celai
Alfai tua fede 1 pièi>gieloss areani;
Merito bea che Sesto . ' <i '
Ut fidi . «li' suo . secreto. • • : .
Ses. ,v>.'* (tEaeo.Mià.anoTa
Specie di'fpéi^a^ O 'diapiaeère a Tilo>
O Vilf Illa accusar. ) ) . • :< .. ì-.^'
TU. / Dtthiti<aac«ra? .
JHa, Sesto, mi ferisci ' : ^ : -
Nel più fifo del cor! Vedi i che troppa
Tu l'amiciaia oltraggi
Con <|ftesto diffidar^. Peasaoi» À'ppaga •
li mio giusto desio.
Ses. ( Ma qual astro spleadefa al nascer mio !* )
TU, E taci? E non rispondi? Ah! già che puui
Tanto abusar, di mia pietà ...
Ses. Signore . . .
SCCOLO DECIUOTTATO - 3/^^^
Sappi danqae • • • ( Che fb ? )
77/. ' . Slegai.
Ses. (Ma quando
Finirò di penar ? )
TV/. Parla una ToIta;
Che mi ToIeTi dir?
Ses. Ch' io son T og|;ètto
Deir ira degli Dei ; che la mia sorte
'Non ho più forza a tollerar; ch'io stesso
Traditor mi confesso, empio mi chiamo;
Cb' io merito la morte e ch* io hi bramo.
77/. Sconoscente! E 1* avrai. Custodi^ ii' reo (severo)
' Toglietemi dinanzi. ( alle guardie ^à uscite )
Ses* Il bacio estremo
Sa* quella in?itta man • • .
TìL Parti. ( non lo concede )
Ses. Fia questo
L^ohimo don. Per questo solo istante -
Ricordati, signor, Tamor primiero.
Ti/. Parti; non è più tempo. ( senui guardarlo )
SeSn ^ È vero, è vero.
Vo disperato a morte ^
Né perdo già costanza
A vista del morir.
Funesta la mia sorte
La sola rimembranza
Cit' io ti potei tradir."
DiLLA BETULIA LIBERATA.
GiudUta di ritorna in Betulia narra la ^mon$4t Qtqfèrne^
• * * *
^ Udite. Apiiena
Da Betulla partii , che m^ arrestaro
Le guardie ostilit Ad Oloferne innann ^
346 LETTERATURA ITALIiflA
SoD goidala da lorp. Egli mi chiese
À che Tengo, e chi soo. Parte io gli scopra,
/ Taccio parte del ?ero. El non intende,
E approfa i detti miei. Pietoso, ornano
( Ha straniera in qnel foko
Hi parve la pietà ), m* ode, m* accoglie,
U' applaude , mi consola* A lieta cena
Seco mi Tool. Già sulle mense elette
Fomano i tasi d^ òr. Già Toota il ibllo.
Fra! cibi , ad or ad or tai^ freqoenti
Di licer geoeroso, e a poco a poco
Comincia a Tacillar* Molti minbtri
Erao dintorno a noi; ma ad -ono ad ono^
Totti si dileguar. L'ultimo d'essi
RimancTa , e il peggior. L' ascio costai
filose, partendo, e mi lasciò con lut»
Ogni cimento è lieve
Ad inspirato cor*. Scorsa gran parte
Era ornai della notte. Il campo intorno
Nel sonno ooiversal taceTa oppresso»
Vinto Oloferne istesso
Dal Tino in cni s* immerse oltre il còstome»
Steso dormfa so le funeste piume.
Sorgo; e tacila allor colà m'appresso,
DoTe prono ei giacea ; rivolta al cielo.
Più col cor che col labbro : Ecco l'istante.
Dissi , o Dio d' Israel , che un colpo solo
Liberi il popol tuo. Tu il promettesti;
In te fidata io 1' intrapresi, e spero
Assistenza da te -. Sciolgo, ciò detto.
Da' sostegni del letto
L' appeso accìar; lo snudo; il crin gli stringo:
Con la sinistra oiaa ; 1' altra soIIoto ,
Quanto il hraocio si stende^ i voti a Dia
SECOLO DECIUOTTàTO 34)
BionoTo io si gran passo;
E sali* empia cerTÌce il. colpo abbassò.
Apre il barbaro il ciglio, e iDcerto ancora
Fra il sonno e fra la morte, il ferro immerso
Sentes! nella gola* Alle difese
Solle?arsi procara, e gliel contende
. L' imprigionato crin. Ricorre a' gridi;
Ma interrotte la voce
TroTa le f ie del labbro , e si disperdei»
Replico il colpo; ecco f orribil capo
Dagli omeri diviso.
Gaizza il tronco reciso
Sol sangnigno terren; balzar mi sento
B teschio semiriTo
Sotto la man che i( iostenea ; quel tolto ^
'A on tratto scolorir, mate parole
Qaef labbro articolar, quegli occhi intonfo
Cercar del sole i rai ;
Mcyrir e minacciar fidi , e tremai.
Respiro al fine, e del trionfo illnstre
Rendo grazie alT antor. Scelta dai Iettò
La sa|^rba cortina, il capò esangue
Sollecita ne infolgo; alla mia fida
Ancella lo consegno,
€he non Inngi attendea ; del dace estinto
M' invola al padiglion; passo fira' saoi
Non' rista o rispettata, e torno a toì.
1 J7 rmi9 grua$ a Dio « aulete iMP Ubtstn trìw^0.
3^8
LETTERATURA iTALtAfTA
DàLLB PQESIB LIRICB£.
La libertà a Nice,
Grazie agP iogaaiii tqoi ,
Alfio respiro , o Nice;
Alfio d' ao:iofeIice
Ebber gli Dei pietas
Seoto da^ lacci Booi ,
Scoto che raJma è sciolta ^
Noo sogoo questa Tolta,
Noo sogoo libertà.
MaoGÒ l'aoti^o ardore, '
E soo tranquillo a segno,
, Che io me oca trota sdegoo.
Per mascherarsi, «mor.
Noo.capgio pj&'.jQotore-
Qoaodo il tao oome ascolto,
Qaaodo li oiiro, if> .?oUo^ *
Più DOD Oli bailf ^ €or< .
Sogoo, m£ije noo miro/ .
Sempre oe' ^^^l miei ;
Hi desto, e tu i|oo sei :
Il primo mìo peotier.
Lungi da : te 4a* aggiro ,
Seosa bramarli . mai ;
Soo teco, e ooo mi &i^
Né pena, oè piacer.
Di tua beltà ragiono,
Né inteoerir mi seoto;
I torti miei rammento,
E non mi so sdegnar.
Palinodia a Nke \
Placa gli sdegoi tuoi.
Perdono,; amata Nice:
L' error d^ un infelice
E degoo di pietà.
E Ter, da' lacci «noi
Yintai ,che l'alma é sciolti^;
Ma fia reslremà Tolta
Ch' io Tanti libertà :
£ Ter, r antico ardore
.Celar pretest a iSegoo,
' Che maschjsrai lo sdegno
:^P^ non acopriir Tamor :
Ma cangit Pi no cqlore ,
.S^ nominar t^.a^ftcplto,
: Ognun mi iegge jim toUo
Come si sta nel. cfOf.
.Pwr. desto ognor, ti iniro ,
. .Non che ne' sogni^ miei ;
Ch/è OTupque io ,iion sei
Tipiche il, ^Q pensier.
Tfi, se eoa. te ,vaf aggiro ,
, Tuqi se ti las^p'mai,
Tmì delirar mi . fai
Di pena o di piacer.
Di le. s* io non ragiono ,
Infastidir mi sento.
Di nulla mi rammento,
TottQ mi fa sdegnar.
I Si dk il nome di palinodia o ricanttutìane ad un compoolmento in aù
un autore diidica le cose già fcriite da l^i in w altro.
SECOLO i>£<;iMuTTAVa 349
Confaso più dod sodo A nomioarti io 90D0
Quando mi %ieDÌ appresso;
G>1 mio ri vale ìstesso
Posso di te parlar.
Volgimi il goardp altero.
Parlami in volto apiaoo ;
Il tuo dispreszo è vano,
£ vano il tao favor:
Che più l'usato impero
Quei labbri in meooDhaono;
Ooegli occhi pia dod sanno
La via di questo cor*
Quel che or m^ alletta o spiacé,
Se lieto o mesto or sonò.
Già Don è più tuo dono.
Già colpa tua non è:
Che senza te mi piace
La selva, il culle, il priito;
Ogni soggiorno ingrato
H^ annoia ancor con te.
Odi, s'io son sincero:
Ancor mi jembrì bella; .
Ma non mi sembri quella
Che paragon non ha :
E (non ^offenda il vero)
Nel tuo leggiadro aspetto
Or vedo alcun difetto, '
Che mi parca beltà.
Quando io strai spezzai,
(Confesso il mio rossore)
Spezzar m^ intesi il core ,
Hi parve di morir*
Ma per uscir di guai,
Per non Tedersi oppresso^
I.BTTBKAT. ITA,^ - IT
Si avvezeoachi m'appresso,
,Che al mio rivale islesso
Soglio di t6 parlar.
Da un sol tuo sguardo altero ,
Da un sol tao dello umano
Io mi difendo invano,».
Sia sprezzo o sia fajror*
Fuor che il tuo dujce lospero.
Altro destia non hannp
Che secondar non sanno,
I motj^del mio cor..
Ogni piacer mi apiace.
Se grato a te non soao^
Ciò che non è tao dono ,
Contento mio non è.
Tolto con te mi piace.
Sìa colle o selva o prato;
Tutto è SQggidrao iograto
Lungi, Ben mio, da t^*
Or parlerò sincero :
Non sol mi sembri bella ,
Non sul mi sembri quella
Che paragon non ha;
Ma spesso, iùgiasto al vero.
Condanno ogni altro aspetto:
Tutto mi par difetto ,
Fuor che la tna beltà.
Lo strai già non spezzai;
Che ìwran , per mio rossore.
Trarlo tentai dal core,
£ ne credei morir.
Ahi per uscir di guai.
Fin me ne vidi oppresso;
3o
53o
Per racqcii$tar sé stesso ^
Tutto si può soffri n
Nel «iseo, }d cai s^«f renne
Queir àtìgellin^ talora,
Lascia le penne ancora,
Ma torna in libertà:
Poi le perdale penne
In' pooM -di rinnora ;
Canio diyiéoi» per prora,
Me più tradir si fa.
So ^he non credi estinto
In me V incendio antico ,
'^Perchè sì spesso il dico.
Perchè tacer non so:
r
Quel natnrale istinto,
Kice, -a parlar mi sprona.
Per cni eiascnn ragionii
De' rischi che passò.
Dopo \l crndeJ cimento
Narra itpassaU sdegni.
Di sue ieri te i segni
Mostra il gnerrier cosi.
Mostra così contento
Schiaro che asci di pena ,
La barbi^^a cateiia
Che strascinar a un dì.
Parlo, vnà sol parlando
Me soddisfar procaro ;
Parlo , ma nulla io cara
Che ta mi presti fé;
Parlo, ma non dimando
Se approri i detti miei.
Né se tranquilla sei
ìià ragionar di me»
LCTTERATDRA 1 rALIilf A
Ah ! di tentar V istesso
Più non potrei soffrir*
Nel ^Iseo^ in cai s'arrenne
Queir aogellin talora,
Scuole le penne ancora.
Cercando libertà;
Ha in agitar le penne
GÌ' impacci suoi rinnora ;
Pili di fuggir fa prora ,
' Più prigionier si fa. '
No ch^ io non bramo estinto
Il caro inoendio antico;
Qoai^to più spesso il dico,
Meno bramar lo so.
Sai che un loquace istinto
Gli amanti ai detti sprona;
Ha fin che si ragiona,
' La fiamma non passò.
Biasmanel rio. cimento
Di Marte ognor gli sdegni,
'E ogooìr di Marte ai segni
Toma il ^aerrier così.
Torna cosi contento
Schiaro che usci di pena ,
^Per uso alla catena
Che* detestare an di*
Parlo , ma ognor parlando
Di te parlar procuro;
Ma nuore amor non coro.
Non so cambiar di fè:
. Parlo, ma poi domando
Pietà dei detti miei;
Parlo, ma sol tu sei
LWbitra ognor di me»C
SECOLO BECIHOTTATO
35i
Io lascio Qo* rpcostaole ,
Ta perdi un cor sincero:.
Nop so di noi primiero
Chi s'abbia a consolar.
So che on sì fido amante
Non iroferà più Nice;
Che nn' altra ingannatrice
£ facile a troTar*
Un cor non incostante ,
Un reo cosi sincero-.
Ah! l'amor too primiero
Ritorni 9 xopsolàr.
Ne! sno pentito amante
•Almen la bella Nice
Un^alma ingannatrice
Sa che npn può trovar.
Se mi dai di pace an pegno ^
Se mr rendi, o Nice, il cor',
Qimoto già' cantai di sdegno ,
Ricantar VoglMo d'amor. ^
aASPARO GOZZI
Gasparo Gozzi nacqire in Venezia il ao dicembre
i^iS. Suo padre, speadeodò con troppa larghezza ,
aveva DOtabi:! meo te diminuite le sostanze' ereditate
cia^ suoi maggiori. Gasparo poi , commetteDdo la do«
mestica economia alla 'propria moglie i , lasciò che
andassero dissipate del tolto. Quando mori il padre
nel 174^ le cose erano già condotte a tale, che a
stento potè trovarsi ìì danaro occorrente a render*
gli i funebri onori.
I fratelli, tutti, minori* di Gasparo, avrebbero vo«
luto che abbandonasse gli studi per attendere alle
cose domestiche ^ ed egli mostrava intenzione di as«-
secondarli : ma gli fu poi ugualmente difficile, e lo
staccarsi dalle Muse, e il persuadere la moglie a ces*-
sare dalle solite spese. Essa anzi lo indusse a farsi
direttore del teatro S.. Angelo in Venezia stipendiando
una compagnia di commedianti; nel che, a malgrado
di molta diligenza e di molta fatica, consumò poi il
I Fa coslei Luigia Bergalli , conoieiata fra h pastorene d* Arcadia' sodo
il nome d* Irminda ParienkU, AveTa dieci anni più del Gosai , ed era sproT-
dbU d'ogni licckeiaa.
3.^2 LETTRRATimÀ ITALIANA
patrimooid che ancora gli rimaDeva. Allora i suoi
fratrlli .si divisero da lai formalmente ^ e il Bostro
Gasparo, già padre di cinque figli ,~andò sempre più
precipitando nella miseria , daccbè la moglie non
iebbe più intorno a sé verno' freno. Per sottrarsi al
trambusto della sua casa ed alP aspetto della rovina
sempre più grande , il Gozzi si separò dalla propria
famiglia, pigiiaodo a pigione dqe stanze, sperando di
poter quivi attendere con più tranquillità a' suoi slu«
di, dai quali oramai convenivagli* trarre di che man-
tenersi.
U ingegno dèi Gozzi e le sue produzioni gli ac«
quistarono )a stima e T applauso delle persone più
colte; nondimeno allorché domandò una cattedra di
belle lettere , gli fu negata. Solo molto più tardi
ebbe onorevoli e vantaggiose incumbenze spettanti
ai pubblici studi ed alla riforma deÌP Università di
Padova. A quel tempo gli era morta la moglie ed
anche un' figliuolo; aveva accasale le tre figlie ; al«
P altro maschio aveva assegnato quanto gli rimaneva
del patrimonio per ragione di fidecommissi : sicché
avrebbe potuto vivere agiatamente de^suoi stipendi?.
Ma i luoghi e soverch) lavori degli anni passati gli
avevano logorata la complessione per modo che fa
poi sempre infermiccio» E non è ^n certo se fosse
per violento e subito accesso di febbre , o per fa-
stidio di quella vita, una^ volta trovandosi a Padova
si gittò dalla finestra nel fiume. Raccolto e soccorso
con amore e con munificenza dalla nobii donna
Caterina Doifin-Tron , visse poi sempre a Pado\a
fino alla morte , avvenuta nel giorno a5 dicembre
1786. Non molto prima egli s^ era nuovamente am-
niogliato còu Giovaopa Cénet*
Il Gozzi, tra per necessità e per sua propria in-
clinazione) scrisse ' parecchi volumi di versi e di pro«
£e. Si sa che alcune traduzioni uscite sotto il suo
nome furono appena ritoccate da lui ; qualche volta
poi, amebe negli scritti saoi proprli, il bisogno ài far
molto gli ìoìié ai far bene quanto avrebbe voluto e
potuto 9 ma ollrecbè in generale tutte le* sue prQ«
auzioni sono corrette e assennale , alennie poi sono
ridondanti, di eleganza e di leggiadria. Soprattutto
sì stimano F Osservatore ^ opera periodica sul fare
dello Spettatore inglese; il Monda morale y ch^è
una specie iK romanzo allegorico in cui volle rap*
presentare hi corruzione delf umana natura e i- ri-
medi! che le si potrebbero opporre^ la Difesa di
Dante e i SermonL . -
J^ALl' OSSEBVÀTORer
SuUe vicende della vàa amaha.
Non e* è al mondo pi«u fango cammino di qnello delfa
vita. Ogni nomo e- ogni donna ^ c^aanto è a sé , non può
fiire una gita p*è lunga di questa. Mentre che; sì fa yiag-^
gio, mille tose t* hanno ad accadere, e mentre, che si vi»
▼e 9 sarà lo stesso» Le^a il sole chiaro y senza no nuTO-
fello per t»lta J^^aria dalP oriente a\V occidente , da set*
lentrk>ne-al mezzodr. Ohi bella giornata ch^ è ({uesta !
Animo. So; tn poste. Oggi io «tfò «rn viaggio prospero»
Entro nel. eatesse ; e non sarò aadatf olire due miglia ^
che dallft parte di tramontana eomìuciano a sorgere certt
nugoloaaecr neri , cenerognoli y òa^ quali esce no acalo
lampeggiare spesso, poi s'^alzano e mand^o fuori ita sordo
fragore^ infine volano, conìe se ne gli portasse il diavo-
lo y premono certf goccioloni radi qna e colà, e &iKtIix>ente
riversano pioggia con tanta furia^ che par che venga daller^
grondaie. T» n'aspetti allora anche gragnuola , saette ^ e
che si spala ncbi V abisso i non è vero. Ogni cosa è spa^
ritn. Il sole ritorna, come prima. —Un altro di t'avviene
il contrario. Esci di letto, che giureresti che avesse a ca-
dere il mondo; di là a mezz* ora tatto è tranquillità e
ao.*
J5/| tETTÉRATiriU ìP.ltflltA-
quiete. Troti im^ osteria, che pare edtffccita rial PaUacFto.
Ti ài preseota no ostiere, che direili; costai è uscito ora
'di i)ucatu ; putito conte una biosca.' I famigli suoi (ul'li
sono garftalì. Tw fi»i con^hiellura d'avere un pranzo che
debba essere una signoria.^ Siedi alla Uiensa. Appena hai
/di che ,maDg;iare, c> m^oe uca^-pòliiza li scortica fino al-
, Tosso. Damaai in una taverna che pare an nido di sor-
.ei, cbe>ba por insegna un fastelleilo dì Geno, o una fra-
sca^ legata sopra mi bastone, farai la più grassa rita , e
il più bello trionfare^ del mondo. Reggi, in qasA moda
vuoi le cose tue , e fa qtiel die vuoi ; j^rcndi alterazio-
ne, o non ne prendere di. quello che li avviene; misura
i tuoi passi, 0 lascia andare le cose ^on^e le Togliono, io
credo che sia quello stesso. Una cosa sola dovremmo im-
parare , e^oè la sofferenza. Ma dqì vogliamo antivedere
gli anni, non che i mesi, prima qdello che dee avvenire,
o oltrepassare con gli occhi delP intelletto a quello che
dev"* essere; e non è meraviglia poi', se vediamo quasi
lotti gii uodiini plebi di. pensiero, con* gli occhi trala-
nati e malinconici , che sembrano sempre in agonia ; e
si dolgono che fa fortuna, è cieca.
JEtegio dtUa eotugssa JSUonaim Cohone homUSt.
In ottime lezioni , e ia bquisito conversare , avea Y ire*
lelletto suo ,. per satura penetrativo e vivace , di belle
cognizioni fornito; ma non era perciò sr vaga di tale
acquisto^ che cpn lieta faccia ad ogni altro favellare non
S^ adattasse al bisogno. Laddove s* introducevano ragiona-
menti di lettere, più volentieri cKe gli altri gli udiva:
]U»a senteuzìava mai ; QO breve assenso, o dubbio mani-
festavano il suo pensiero : assenso , o dubbio erano però
ragioni si diritte ch^ aveano colpito nel segno. Della vera
\ Trionfio^, Qòègf t (i»fU((^a mafi|ia«do e bevendo*
' SEéOLÒ ©ECIMOTTITO 553
^micizi^ pia DtaraYÌgHosa estimalricé non' Vidf mai; ne
ehi pia prèsto conoscesse, la falsità , e 1^ ahborrtsse. Uo-
.mini e donne. di gramle affare si tenea cari^sioif^ dicea,
per potei" es.^ere talVolta tne%zo a gtorare agi' infelici ; e
aTTtsèré di loro cnlcimità chi potea alheggèrrrgli. Non
avrebbe (affermava eila) colanti sTenlnr»tì il mookk», se
lingue fedeli si frammettessero; e fossero ambascjalrici al-
r udito di chi può, e dicessero il vero degli afflitti. Ri-
mangoiio ancora s»e- lettere n<>B poche, scritte a grandi
nomini, eloqnentrssime, (ntlè anima , e dettate ton doo
stilè da non poterlo sorpassare qualsrvogiiA ingegno: per
iscrittitra ?arre, d'argoménto sia^i 114^ ognune f» instama
per giovare, o ringrazia d! ayer ottennio henefiziò, in al-
trui prò. Qttaota rettorico liano^ le scuole, non insegna
quello che a lei dettava il sao cuorek È attaraviglia a
dirsi con quale facilità comprendesse tiitte le cirèostanae
d^ un caso, anche il piìt intralciato, le inutili separasse
m nn suImIo, cogliesse la verità, e desse consigli, accom-
pagnati' tla tanta ^^ cordialità, e colore d^ espressioni , che
meglio Qo»' avrebbe parlato dentro II cuore di c4ii ne ab-
bisognava. Vedevi anima intrinsecatasi nella tua; affale
di lei prò che tao proprio. Alle parole, dove pote^, ag-
giungeva r opera, non rtchiesla: senza tuo sapere o at-
tendere, ti vedevi d- itvpróvvrso giovato. Quasi temea di
dartene la ftuova , perchè i^on ti piombassero addosso le
obbligazioni. Avresti detto che scegliesse le parole pia
leggiere^ non era vero; assecondava tn ciò sna* natura,
aenza pensiero* 1/ aver fatto vantaggio agli amici glieli
rendea solo pia cari ; compenso di sua* cortesta. Ritrovò
molti ingrati, potea ofiendergli, se ne scordò; né T in-
graCitndine. d'alcuni la fece indispettire della beneficenza,
rtelle avversità ebbe animo sofferentissimò ; né mai V a*
fresti per esse Veduta a cambiare nelle compagnie la saa
ilarità natorale» Neil' ultima saa iaferiuità, breve di qoat-
354 LETTBIIATVIkA ITALtkVk
Irò dr, è Trap^ssibìte a dirsi ìt aoo dolorosa orate, e ìa
«Od cosUota». Pioo »»ti ithiim. Btouseali. ebbe cbiarissiino
inlelfeftto, vWo, e preseole. Conobbe H suo slato il primo
dt, OOQ Tolle lasmghe ; eoo cnUolioo <^toore si scordò to-
sto dot moado, oon infilata. Fini di nitere hi nolle dei
fto. di marao , eoo sosvtita ferioeae» e religione»
Ingfmno delle scuole.
Quando i faociolli sono graDdioelltf il primo pensiero
èb^ io odo coaittneoiente per tolto le famìglie, si è quello
cki iargli imparare. Maudensi aHo scaola chi ^a, chi là;
^d è on^ ottima ufyQK») m nelle Koole a^. avesse -a v'ver-
lensa^* ammaestrare gì* ingegni secondo quella condizione
di VftCa , che a lui dipresso lo sciare . iograadilo dovrà
eleggere* 'A parlare eoo un ? iilaoello cbe niteoda bene
V, offisio silo , egli ti dirà cbe ooii t»lt{ gli alberi si yo»
gliono cokÌTàre ad nn modo» Pesco , susino , naondorlo ^
pero son lotti alberi, fanno rami e foglie ;*ma chi vuole
on lèrreno , ehi Filtro; questo .ama' mi' aria; quello
•n^ altra» Se lotti fossero coltivali ngnalmente.t io noB
nego die noo se ne vedessero rami e foglie; ma la so*
slama sta ^lA frottificare* Gli nomini sono tulli nomioi;
osa lasciata per ora la diversità degl' ingegoi , da' quali
dee BQioere il frullo , dico che si dee procaceiare di far
Baseere di loro quei frutti che sieno. cooveoevoU allo c|u»-
lilji della vita che probabilinenle.af ranno a fareé.- Qtiaiula
comincia ad aprirsi la prima capacità deil^ intendere oe»
gì' ingegni, ad ogni fanciullo si mette in mano la Granw
malica ialina; e à suo dispetto egli avrà ad imparare per
un iango corso d'anni un linguaggio, del quale non ai^rà
più a valersi in vita sua» A puco a poco gli verrà i&»e-
gnalo a parlare con eloqoenta Ialinamente; e scegli non.
sa dfre due parole nel proprio linguaggio, non importa*
Di là si fa passare agli spaziosi campi della filosofia ; nei
SeCOLO DECISO TT .4 fO S[^T
quali impara tutto qaello che dod gli abbisogna mai; è
in sai fiore deir età si^a, ècco > eh' egli awà eompinto gir
studi; ed ascilo di là, si troverà come, un pesce fnor
dell'acqua, nelle fòccénée del mondo. E quel ch^ è peg*
gio, avrà assaefalto il capo a credere che le 'cose si fae->
ciano qaali egli le avrà lette ed imparate ; e ragionerà
fra lotti gli altri', che parrà un nomo venato dà Idntar
nissiroi paesi. Qltre all'essersi tòrto il oervello, egìi avrà
acquistala anche an' altra infermità , eh* e quella dell' o^
zìo, Qael contiouo star a sedere a leggere od a seri*
vere, gli ha cosi legate le membra, ehe a grandissima fa«
tfca potrà più tramettersi negli aÉarir: e se vi s' tmpac*
cera, lo farà cosf di mala voglia e quasi a dispetto, ehe
fron gli riuscirà mai bene; e credendosi di saper molto,
tasserà ' tutto quello che fa il prossimo.
Ricordomi che quand** io andava alfa scnola , vi vedea
molti fioriti e capaci giovani, i qaali' studiavano con tutto
il cuore, e \afi»ticavansi di e notte per imparare, gareg-
giando tutti a chi pio s^ addottrioava. A me parca allora
nna bella cosa a vedere que' novellini ger4nogli d' una
città j e dicea fra me : Oh ! nobile ed egregio onore che
n^ayrà questo luogo> quando usciranno di qua cosi bene
ammaestrati giovani , e -cosi dotti ! — A poco a poco* tras*
corsero gli anni ; e coloro ch^ io credea di vedere oeco*
pali a speculare, a ragionare, od a scrivere cose gran^
di, gli vidi' appresso condotti dalla condizione di loro fe<*
miglie ad occuparsi fin ne' più menomi mestieri e ne'^
più meccanici lavori. Oh ! che diavoi , diss' io allora ,
aveano che fare*q'uelje cotante Grammatiche e Rettori*
che? E a che pensavano i padri loro quando gli man«
davano ad imparare Cornelio Pìipole e Cicerone ? Non
era e^li il meglio avvezzar loro le braccia e la testa a
quello che fanno al presente, che empiergli di latinità a
I TiuttroK Ceiu«reA«
35S LETTERATVnA ITAUllfA
di figure *? Non credevano essi forae, che tanto aia ne-
cessario, al mondo fin bnon calzolaio ^ quanto on boon.
grammajico 9 e\piti? Che tanto gkivi nn perfetto fabbro,
qaanto odo squisito rettorìca? P«rchè non s^ aprono scao/e
costà di fucine e martella, coli di seghe e pialle, in nn
altro Inogo .di s^amoje * ; tànli» che . ogni condizione di
genti ritrovi 1* appartenenza sua , e non s' abbatta sem-
pre ne* primi anni a nomi , verbi f- concordanze, tropi ',
• altri' cancheri che drvorano la gtoviaeiza senza frutto,
tolgono r utilità deir età mezzana , e F agio della vec<>
chiezza? Io questa forma ci sarebbe anche minor quan-
tità di giudici delle scriltiire di que^ pochi , i quali ^i
danno alle lettere; e gli scrittori potrebbero dire allora,
9ome quel greco pittore: Olà, o tu, noa t*^ impacciare
pik sa che la scarpa ^* .
Noueìla.
Gregprio e Taddeo er^no due lecdi]^ i qnali sopra
ogni cosa aveano in lutto il corso della vita foro tenuto
gran conto di custodire la coscienza; tauto che ad udire
le sottigliezze e i pensieri loro, qua^ido ragionavano in-
torno m tale argomentò, le genti ridevano loro io fàccia,
e parea che ossero rimbambiti, e usciti ' del oer? elio ,
come avviene a chi favella coltro l'usanza comune. Àvea
Gregorio una sua buona casetta in villa v^e volendo egli
fiir piacere alF amico suo , che richiesta glie f avea per
comperarla , furono insieme a contratto con sì misurale
domande ed offerte, che in due parale ebbero accordato
insieme, e andarono ad un atvocato, perchè mettesse
X Figure. Artif ci»* d^l par]«re.
, a dhiamoja h V acqua salata ia cui n mettono i pesci ; proieMioDt d*
portanaa ne* paesi «fi raare.
$ 2V«f/. Lo stesso che le Figtire dette poc* «osi*
4 Detto di uà antico pittqfe ad uà calaolai^
'SECOLO D E OI3I OTTAVO 3^9
foro i pdtti In jscfilto; L^avvo'cato era aomo di tal con*
dizione. Non a^ea egli in lutto il tempo della sua Yiia
preso a difendere causa cbe non gli fosse parata giastis«
sima ; e per oghi poco di garbuglio che dentro vedul^y
V avesse, consigliava i due partiti air aggiustamento, in»
tramettendosi egli medesimo con le buone parole e col
suo parere per Tedernegit pacificati» E tuttavia ^.narra fa
ttoria eh' egli àvea poche faec^nde ; perchè , sapendosi
r usanza sua, quasi tutl'i litigatori gli aveaoo follo .per-
dere il concetto, dicendo ch^ egli era troppo flemmatico
e pòco piratico delle cose , e ' non sapea tirare in lungo
quanto abbisognata ;^ÌDdizio di picciolo ingegno* Basta,
comunque ciò sì fosse, egli er« uomo, a cui piaceva la
pace fra le parti, e questi fu colui cbe scrisse lo stru*
mento della casa fra i dote (móni vecchi , i quali T aveaoo
in ogni loro faccenda eletto per consigliere e per giodt<^
ce. Non si tosto ebbe Taddeo la comperata caseltia nelle
sae mani, che, volendola per li suoi molli figliuoli e ni*
poti Ingrandire , Andò quivi con non so quanti murato-
ri, ^ fece atterrare cerlé muraglie per riedificarle a suo
Bsodo. MàT Aieolre che qua e colà cadevano le pietre,'
gittate giù da maiAelIt e picconi, eccoti che in un certo
lato "si scopre on^ urna , ' nella quale cisplendeva mollò
oro ; di che avvedutosi il vecchio, che quivi per caso si
ritroTava , la fece incontanente riooglieré , arrecare alla
sua casa in città, e chiudere sotto grandissima custodia
in una stanza» E come 1' ebbe a quel modo rinchiusa ,
mandò fier Gregorio che a lui ne venisse ; pel'chè dovea
conferirgli un segreto di grande importanza. E quando
fu giunto , affacciatosi lietamente a lai , e fattolo entrare
dot' era V orna , incominciò in questa guisa a parlargli t
Amico mio, io ho comperata da toì una casa, e sborsa-
tovi per essa quel pregio, di che ci siamo accordati: ma
10 non credea che per si poco valsente voi voleste anche
S6o XETTERATURA ITALUPl
oltre a quella darmi tasto, che vale molte Tolle pia di
qtfeilo che m' avete venduto» Vooìe la buona fede che
dall' una parte e. dall'altra aia eseguito 1' accordo; e peri-
oiò voi fi ripig1ie|%te quelF oro cli^-io ho testé irìtroTato
ia no muraccto, il iquaie * non. entra nella scrìttara no*
Ara, e perciò non è omo. -^ E cosi detto, gli feo^ quell'oro
Tedece , e gli narrò in qoal modo trovato V avesse ; di-
cendogli che a casa sua ne lo facesse portare. — A Dio non
piaccia , rispose il venditore , eh* io> riporti meco quello
eh' io ho una volta venduto. Taddeo, è vostro quesito*
ro; e se VI ricorda le parole della scritta nostra, io v^ho
dato la casa con quanto in essa è ed a quella ^appartie-
ne; e però non vi debbo ritogliere quello ik^e «i diedi
una volta. - Rispondeva' il xomperatore : Voi non sapevate
che fi fosse urna, né oro,, e .perciò non entra nelle clau*
aule della scritta quello die non ai àapea e viion ai ve-
dea^ ma quelle sole appartenenze che. note erano al ven-
ditore ed a chi comperava. Io non ne voglio saper aU
Irò, diceva Taddeo , io mi delibero a Toler cbe sia quello
die suona la carta \ - Che dirò io più? A poco a poco ai
riscaldarono i sangui de' due vecch}; ebbero interne |iòq
so quali parole risentite, é si divisero T aitò dall' aftro,
risolali di venire alle citazioni e alle dt&se eoB tanto ar«
dorè, che parea si volessero mangiar vivi. Partitisi dun-
que r uno e V altro a grandissimo furore , n' andarono
incontanente, Taddeo di qiia e Gregorio di là, all' avTo*
eato ; e avvenne che quivi ancora si ritrovarono insieme
dinanzi a lui : il quale non sapendo cbe si volessero ,
guardandosi in cagneaco, adi finalmente donde procedea
la cagione , e con le buone parole dimostrò loro qoanto
fesse facile il ridurre ia cosa ad ao accomodamento. Di
I 12 quale. Si rìferitce aJ oro. *'
a QutSo che tuona oc. . ^Ilo cbe « MnHa Mk^aitt*
SKCULO D£ClM0,TTAVO. 36 1
che rano e V altro rimise ìq Iqì il giaditio, e giarò di
stare alla^ seotenza eh' egli avesse sopra di ciò proferita.
Allora egli cominciò dal lodargli della baooa -intenzione
che aveano entrambi , e della squisita pnntoalità loro ; •
&na!mente conchiase , che non Yoleudo nessuno d* essi
doe qaeir oro , come cosa che. a sé non appartenesse ,
cercasse di darlo via per limosina a benefizio d^ alcane
buone persone che avessero con esso migliorato la stato
loro. Piacque a' vecchi il consiglio, ma non volendo ne '
Tuno, n$ T altro disporre del trovato tesoro , vollero che
l'avvocato lo ricevesse, per distri bnirnelo a sua. volontà,
a cui più gli' fosse piaciuto; e cosi detto, stabilirono
d^ andare per 1' urna, e d' arrecamela a lui; - L' avvocato
fra tanto rimase quivi solo, incominciò con V immagina-
tiva a Tederò tanti bei danari che gli doveèrno fra poco
venire alle mani , e parea che non sapesse spiccar ìÌ pen-
siero da quelli. Anzi, quanto pia si sforzava di ritrovar
persóna, a cui gli dovesse distribuire, sempre più parea
che a dispetto suo gli suggerisse la mente lui medesimo,
e diceva tra sé : Perchè sarò io' cosi pazzo , che Toglia
perdere cotanta ~ Tentora che m' è venuta alle mani ?
Vorrò io dunque .spontaneamente spogliarmi d'un bene,
che 1' uno e V altro di cotesti miei clienti non vogliono,
a' quali apparterrebbe di ragione , se lo volessero ? Dap-
poich'essi lo lasciano, e lo mettono nelle mie mani, per«
ch'io a volontà mia ne disponga, perchè non ne disporrò
io a mio favore, facendone una limosina a- me, per ar-
ricchire un tratto senza fatica ,. e vigere il restante de*
giorni miei con maggior agio di quello ch'io abbia fatto
fino al presente ? S' alcuno V avesse a sapere, potrei forse
averne timore : ma chi lo saprà ? Egli si vede che né
Taddeo , né Gregorio si cnra'no punto del trovato teso-
ro, ed hanno posta in me tutta la fede loro. Adunque
io posso facilmente dare ad intendere air uno e all' altro
UTTBBAT. RAI» — 1? 3l ,
362 HETTEBATtRà ITAMANA
cf* aver fallo quello eh' è parulo il meglio alla coscienxa
mia , e leDerlomi senza sospetlo vernoo. - Così detto fra
sé, e slato alqaanlo in questa leata^iope, parve che loUo
ftd Ufi tratto gli scorresse il ghiaccio per le vene ; e disse
io soo cuore: Vedi bello ed illibato galantaomo, vissnlo
fino a qui , come un ermellioo purissimo , perché ooq
mi s^è aperta mai. 1' occasione di truffare! £ egli possi-
bile che dopo d' aver fuggilo, per tolto il corso della mia
^ita, di macchiarmi eoa azione veruna che. giusta doq
fosse , io mi sia cosi dato oggi io preda all' avarizia che
pensi di mancar di fede a due che la pongono in me.
come B* io fossi incorrottibile? Avrà dunque in me tanto
potere questo maladetto oro, nop ancora da me veduto,
«he per esìo io franga le leggi dell'onesto nomo, e non
mi ricordi più punto del mio vivere passato, eh' io ho
fino al presente mantenuto libero da ogni sospetto di
colpa? - Mentre cb* egli stava in tali pensieri , dal sì e
dal no combattuto, ecco che un giovane ed una fanciulla
gli chieggono d^ essere uditi per avere il consiglia suo so-
pra a^ loro interessi. E quando gii furono innanzi , io*
cominciò il giovane addolorato a dire : Questa fanciulla
che voi qui vedete-^ è amata da. me quanto gli occhi miei
proprj, ed ella vuole quel bene a me chMo voglio a lei;
ma r avarizia del padre mio, e la povertà del sao, sono
cagione che non possiamo far maritaggio insieme, e siamo
ridotti ella ed io per la disperazione a morire , se non
troviamo qualche rimedio ai nostro dolore. — Grondavano
dagli occhi alia fanciulla le . lagrime a quattro a quattro,
mentre che il giovane favellava , e col capo basso non
avea ardimento d^ alzare gli occhi. Intanto il giovane se-
guitò: Noi siamo venuti a voi, perchè,. come 4iomo d'in-
gegno e di leggi, n^ iosegnilUe in qnai forma ella potesse
fuggire con onor suo dalla casa paterna , e in qaal guisa
io potessi chiedere ai padre mio ch^ egli mi' desse di die
SEGOLO DECIMOTTATO 363
vifere , ibtendenclo io da qni in poi di starmi con essa
lei a dispello di lai e del mondo. - Incomìnciaf a appunto
TaTTOcato ad aprir la bocca per fare una cordiale e pa-
terna ammonizione a' due giovani , quando salirono le
scale Taddeo e Gregorio con T urna de- danari; onde «1
primo vedergli corse all' ànimo dell' avvocato , che in
Djun' altra migliore limosina si potesse impiegare qtieir o-
ro , che nel confortare doe persone che così cordiale
mente s' amavano ; di che narrato a' vecchi il caso ( non
senza grandissimo timore de' dne giovani , i qnali non
sapevano dove la cosa avesse a riuscire ) , tutti furono
contenti di beneficare qi^e' poveri spasimati; e Gregorio
e Taddeo , quasi quasi ringall uzzati , cominciarono a dire
an gran bene del matrimonio, e che si dee in ogni conto
ajntai'e, e vollero ad ogni modo essere i compari: e T av-
vocato fa qoegli che mise i parenti d* accordo.
DALLA GAZZETTA VENETA.'
Modo di godere i piacerL
Dissemi ano » tempo fa : Come si ha a contenere nn
giovine di condizione, a cui il padre suo non voglia dare
danari ? - Una cosìi vorrei prima sapere : quante voglie
rabbia esso giovine in corpo. Se te sono poche ^ oneste ^
accostumate e gentili, io lo compiango che non gli sia
conceduto il modo da cavarsele; ma non saprei, però qual
altra via insegnargli , fuorché i' aggiungere alle altre sne
boone qualità quella del reggersi secondo le sue circo-
stanze, per acquistare onorato nome di amorevole e ub-
bidiente al padre, e movergli l'animo con questo mezzo
alla discrezione. Le moderate voglie non trasportano V a-
Dimo ^'a furia, e ad un' inquietudine; perpetua; > co-
stano poco. Io veggo molti onorali giovani , • non abbon-
danti di beni di fortuna , godersi anche il mondo lieta*
364 LETTERiTURÀ ITlLIlllA
mente:, perchè sanno scegliere quella porxione di spassi
che cooTeogODO ad ana mezzana fortigna. Queslo mondo
è on mercato , in cni sono direrse strade y ciaschedana
assegnata al Tendere qnesta cosa o quella : noi siamo ì
comperatorì* Misuri ognuno la borsa seta : ehi non può
«ndare a. comperare nella ?ia de' giojellieri, vada in
un* altra a comperare merci di minor prezzo ; e sarà
stato anch' egli alla fiera, e avrà comperato. Chi non può
fuel che vuol, tfuel che può voglia* Non è male che la
giorentà si ^Vveiszi a stentare qualche poco : perchè la
ai arfezsa a TÌrerA e a conoscere le disuguaglianze della
foetoaa^ e ad assuefare il coore* a que' diversi colpi coi
^ quali essa ci percuote di tempo iu tempo ; e impara a
poco a poco dalla necessità a moderare le sue Toglie spoa-
taneameote* Il ciior nostro è f|Uo,'come dire, a. maglia:
se un padre con lìna«i mente liberale , 1' appaga di qnel
che Tuole , allarga le maglia , e non 1' empie più. Dnn*
que che si ha affare? La Toglici dello spèndere Tiene
dalla comparazione che fa uno di sé medesimo fcon al-
trui. Si ha a cercare di compararsi con -chi spende me-
no. Tanto puQ essere giovine di condizione' quegli che
raccoglie e paga, per esempio, nn^ brigata di soooatori
e di musici , quanto uno che aTrà rivolto 11 cuor suo a
passare /a Icone ore in compagnia' di persone di spirito:
jdireì anche, a leggere qualche boon< libro; ma chi sa
ch'io, non ne-^fenissi chiamato stoico^ o pedante? Pongasi
il giofine in animo, che il Tero diletto è* una cosa tran-
jqoilia , non nn aggiramento di capo ; on ajleggeri mento
.de' pensieri^ non un pensiero degli altri : che quegli il
quale si prende oggi un diletto gagliardo,^ domani lo
IroTa sciocco; e ne chiede uqo più gagliardo il Tegnente
Jì; e a poco a poco non troTa più cosa che gli soddi-
sfaccia; gli resta una TOglia, e non sa di che; tantoché
diviene -malinconico in ogni luogo, e invecchia di Tenti-
•ECOLO DECntOTTATi» 363^
cinipe^ aDDi. I larghi bevitori hanno sempre se(» ; iimi il
palato loro , quasi foderato , non sente più il piacere del
?ioo, come lo sente uno che io sì bee a hicchierini di
quando in quando. E cosi a? viene di Quelli che niangiana
sempre le carni condite con le salse forti , o di - chi si
compiace degli odori ; che in fine la cannella e i ghero-^
fimi non pizzicano pi» loro la lingua ^ e appena sanno
qaal odore abbia il muschio. A uno a ano , gli spassi
confortano; in frotta, affogano: e chi si contenta di aver-
negli a uno a ano, può essece più facilmente compiaciuto
dal padre, che quegli il quale gli Tolesse tutti ad nn
tratto.
Costumi di mohi che si chiamano letterati^
A' quei tempi ne' quali si viveva air aniicaccta e , come
dire, a caso; ne' quali quando ouo volea acquistarsi onore
dello studiare , dimentica vasi di sé e di ogni cosa sua ,
per istarsi giorno e notte con gli occhi in sui libri ; al*
tre erano le usanze da quelle che sono oggidì, per gua-
dagnarsi un nome onorevole e chiaro. Ma la cosa a quei
dì era lunga , e si dovea andare per di£&cile le rotto cam-
mino, e pochi erano coloro che salissero alla cima del
monte dove la dottrina spargeva le sue grazie e i suoi
doni. A** nostri giorni abbiamo abbrevialo il viaggio , e
aperta una via piana e jacile , da camminarvi come chi
dicesse sulla bambagia , senza altro pensiero che quellp
di dare de^ gombiti ' nello stomaco o degli urli ne' fianchi
altrui , procurando di tenere indietro chi troppo gagliar-
damente corresse, e dì tirare qualche archibusata a chi
troppo rapidamente spiegasse le ale. Per la qual cosa ,
se cotesto giovane amasse di tirarsi presto innanzi , ed
averne onore , si faccia un buon provvedimento di molli
l Combitù Gemiti.
3t'
• 366 LETTEniTCRÀ IT4LI.4ÌVA
e brr(c * conlra i mio! concorrenti; e se nVmpia per modo
il cerreilo, che gli fiocchino dalln lingna come grugnito-
la ; e gli dica a tempo o fuori di tempo , che non ìcb-
iporla. Ricordisi clie non basta il dir Ufivile di aUrui^ ma
•chV'gil bisogna, dall'altro canto, dire un gran bene di
-sé medesimo ; e tenere a mente che Orazio e Ovidio
dissero T uno e T altro, che né fuoco né tempo né altra
•calamità pc^teano far {sparire dal mondo le opere loro: e
•s* egli non può imitare in altro colesti due òelebri scrit-
*1ori, gì' imiti In questo. Non sudi il sangue delle Tene a
comporre; mn faccia ogni cosa in furia e in fretta: per-
chè la squadra in m.ino e il compasso , toglie il fnoro
alio scrivere; e i difetti fanno meglio rispleadere le bel-
lezze de^ componimenti : essendo stato un tempo grande
'Arte, l'usar l'arte e non darne indizio; ali* incontro
•d'oggidì, che per non inciampare nelP usarla , si crede
.cosa più sicura il non. averla. Quelli che si chiamano i
buoai autori^ gli lasci da parte, |>er non prendere il co-
lore da quelli'; perché si direbbe eh' egli è imitatore, e
Irnbaccbia da questo e da quello. Faccia capitale di sé
stesso e del suo cervello; e yoII dove quello ne lo porta.
Questi SODO i principii generali: e con e$iì prometto fama
ftd esso giofane. Egli è vero che il fine della vita noo
•i chiade in tal tAoào con molto concetto di letteratara;
ma che insporta questa vanità ultima, o la gloria di on
epitoffio ?
BAI SBRMOIfl.
SuUa Sacra Eloquenza.
Quanti anni sod , che il Boccadoro * scrisse
Questo de' te^ropi suoi t -^ Vengono i nostri
Cristiani ad udir prediche e sermoni ,
1 Èwìt. Uefi^ , Dileggi e simili.
a boccadore* Tanto tigoifica^U ^co &ome Crisostomi,
SECOLO* OECniOTT;TO 367
NoQ per dar vita e ntitrimento ali* almi» ,
91a per diletto , e giudicar di noi
Come di suonatori e recilaoti. -^
Lungo giro di cielo, e corso d^anni
Portò dì noTO a noi quel tempo. Vanno
In calca ascoltatori ofe s^ iiiBura
Con lisciato parlar pensrer sottile
E sofistiche prove ; e dove n>t?no
S' intende , e dove più s* esce del fero ,
Ivi, oh buono ! sì grida, oh maraviglia!
Qoal dotto indegno ! qual favella d* oro !
Tal , Filippo ' , è il coshime. Oh quante volte
Tra le lóte pareli ed agP Ignndt
Scanni udii favellar mnschia eloquenza,
A cui madre è la Bibbia, il Yangel padre!
Allora io dissi : Somigliante io voglio
A tui padri la figlia * ; e se alla mente
Me la presento quasi viva donna ,
Tal la immagino in core : una bellezea
EXi grave aspefto , che con V occhio forte
Mira e comanda; maestà di vesti
Massicce ha indosso, e fornimenti spreiza ,
Altri che d* oro e solido diatuante.*
Chi creder mi farà ^ che dove io veggo
Viso eoo liscio, occhi sfacciati^ vesti
Di frastagli ripiene, alchimia, ed atti
Di scorretta fanciulla , io creda mai
Ch* ivi la figlia del Vangel si trovi ?
Quella che teco ta conduci, è deìsa
La vera prole; e se non vedi in calca
Genti a mirarla ^ perciò appunto è dessa.
1 Frate JP'ilippo da Firenze , predicatore*
2 ji tai padri ec.j cioè : Voglio che la sacra eloqueasa lOmigK nella smi
grave e dignitoM bcllexza alla Bibbia ed ali* Evangelo che le son genitori.
368 LBTTERITDBA MTlLIAIfi
Fqggela il peccator che in odio ha il fero,
vE da qael sacro faTellar seo fugge
Che mai non esce d^ argomento, e balte
Come sodo martello in uman petto ,
Tendendo sino al fin sempre ad nn pantcK
Sai tu che chiedon gli uditori ? Poca
Morale ; e in quello scambio , intelligenza
pi botanica è meglio, o notomia y
Che fnori ^el Vangel porti soTente
Chi purla , e il core all' nditor sollevi '•
La pittura anche gioTa ; e se ragiona
Di bosco o monte , è ben che ad ana 9d nna
Le querce V orator dipinga e i rami ^
E degli augelli il leggiadretto piede
Che per quelli saltella ; orride balze ^
Macigni duri , e torbido torrente
Che fra dirupi impetuoso caschi.
Giungavi * V invettifa , e furioso
^ Il santo legno su cui Cristo pende.
Con V una mano Tèemente aggrappi ,
Con r altra il berrettino si scontorca ,
Gridi , singhiozzi, ed a licenda mandi
Fnori or voce di toro, or di zanzara*
Allora udrai far gli uditori tosse
Universale; ognun si spurga e sputa ,
E forte applaude col polmone a questa
Eloquenza di timpano e campana*
Qnal fratto poi ? Pieni i sedili , pieni
I borsellini, che insolente canna
Fa suonar negli orecchi agli ascohanti*
E r alme ? vote vanno al tempio , e fuori
X E il core alt uditcr sollevi. Lilieruuiolo da* rifliom • daH« angosce
che gli dk la voce della vera morale*
2 Giungtm per Aggiungavi*
SEGOLO OECIMOTTATO 369
Escon piQQe di reoto e di parole. — '
O Padri santi, s^ io ?o] leggo, 4ali
Però non tì ritrovo. Al tao somiglia
lior pensier e lo stil. Saggia morale ,
Tratta fuor delle viscere più intuirne
Deir uomo , e . vera. Se Basilio ' sgrida
L^ osare jo o V iroso , io veggo' tosto
L' avarizia dipinta , e gli artifizj ,
Di coi si, serve a trar frntto delForo,.
Che a ragione portar frutto non poote *«
Fa^ deir ira pittore ? eccoti innanzi
n furor deir irato, il labbro gonfio.
Le ginocchia tremanti, e mille e0etti
Che mostran la pazzia di chi s* adira.
Ferma le* prove sue con la parola
Di Dio, ma non la trae con, le tanaglie
A quel che vuole ; anzi ad oh corpo ^ nato
^ Sembra il suo dir col favellar divino.
Parla di Dio? nella sua lingua vedi
Il verace Signor che il mondo tatto
Tiene in sua destra come gran di polve»
Ecco Dio , dico , è tale ; e V alma ho piena
D^OB sacro orror cV è riverenza 'e speme:
■ Questa è sacra eloquenza. Io tal la chieggo ,
Filippo , e grido : In te la trovo , e lodo
Te ancor , lodando della Chiesa i Padri»
gìudizj che si danno intomo à^ poeti; che natura sola
non fa il poeta, ma V arte a quella congiunta»
. Tacer* aon posso, o Martinelli: quanti
Giudici di poeti oggi son fatti
1 BasUiou Santo filosofo ed eloquente , nacqae in Cesarea rerso il 3a8.
2 Pare che U Gotti fosse di coloro i cpxali tenevano die fosse illecito
ogni frutto sul denaro prestato.
3 jid un Cùffo, Insieme* •— Nati ad un cwj»i diconsi i gMuelIi.
/V
370 LETTERATURi ITktìkftk
E maestri a bacchetta! Ognnn fa fella
Di poemi e caDEoni ; ed a cui vaole ,
Di saa man porge la ghirlanda e il pregio.
Ma se Apollo chiedesse : — Io qaali scuole
Tanto apprendeste ? chi ti die^ tal lame?
L* ozio , la sgualdrinella, il letto molle?
O co* tripodj , i pacchiamenfti e il Tino ^
V'entrò la sagra poesia nel corpo? —
Rider Tedresti questa turba, è farsi
Befie di lui; si per natura e ingegno"
Dotta si stima , e V opre de' migliori
Nota e riprende con sentenze e rutti *•
Sfa se al rozzo villan gridasse un d' essi :
Questo doro terren' zappa più a fondo,
Zocca ceppo balordo asino , zappa ; —
Risponderebbe : O tu che si m^ insegni ,
Qua vieni in prima: or ?ia, mostriam le palme ^
Yeggansi i calli : io con la schiena in arco
Sodai molti anni, io questa terra apersi.
Volsi , rivolsi : or tu , come sedendo
.C09 le man lisce, di saper presumi
Quel che a me insegna la fatica e V uso ? ^
Tanto di chi non ui ^ $* egli corregge ,
La Toce empie di stizza \ E noi dovremo
Tacili sempre e neghittosi starci ?
• Chi pecora si fa, la mangia il lupo.
. Andiam sotterra almeno. Eccoci entrambi
In un^ ampia caverna. Or qui gridiamo,
Che slam coperti: Mìda, Mida , Mida
Gli orecchi ha dì giumento ^. Ancor di sopra
t Per nettura te. . Per dona di natura , e senta bisogno di studio.
A Con. seifttn»e e ruiU^ Questa e qualche altra locusione che 1* Autor*
adottò forse come espressiva, furono non a torto. notate da alcuni ùccom»
troppo plebea.
3 QU orecchi ha di giumento. Mida eletto giudice fira tfarsia ed ApoUe
SECOLO -DECIMOTTÀfO 37 I
Forse ci nascerao cannucce e giHnbi
Che le nostre parole ridiranno. —
Udite , o genti. Chi fra sé borbotta :
Nasce il poeta a poetare istrutto ,
Non bene intende. Se tii allevi il bracco
Nella cucina fra tegami ' e spièdi.
Quando uscirà la timorosa lepre
Fuor di tana o di macchia, esso in oblio*
Posta la prima sua nobii natura ,
Lascia la lepre, e per appresa usanza -
Della cucina seguirà il leccume.^
Moki alla sacra poesia disposti
Intelletti son nati-,' e nasceranno;
Ma ciò che giofa ? La coltura e 1* arte
E r arator fanno fecondo il campo
Di domestiche biade; e chi noi fende
. In larghe zolle, poi noi trila e spiana.
Vedrà nei seno suo. grande abbondanza
Sol di bppole e ortiche,. ioutil erba.
Ecco, in principio alcun sente Dell' alma
Foco di poesia : Sono poeta ,
Esclama tosto : mano a' versi ; penna ,
Penna ed inchiostro. - E che perciò ?. vedesti
Mal, Martinelli mio, di tanta fretta
Uscire opra compiuta? Enea non venne
In Italia si tosto ^, « non. si tosto
diede la vittoria al primo : e il Dìo puni l' ignorante arrogania di lui facendo
che gli ipontassero in capo Orecchie asinine. Se ne accorse il tuo barbiere ,
e non fidandosi a dir^o ^ e tacer non potendo , andò sotterra , come tac*
cantasi nel voi. Ili , pag. 60 di questo Manuale.
1 Tt^vnL Vasi di terra per cuocer vivande.
2 In obùo ec,j cioh : Dimenticandosi d^ esser nato a cacciare le lepri ec. .
3 Enea non venne ec, . Cioè Virgilio non si accinse cosi a precipisio « •
•ensa avere studiato, a comporre il suo poema in cui h cantata la venata di
SoAft in Italia. Ed Orano non dettò le f«»f»ift|HÌi »ue satire» aeoia aver
prima ftttdiato iimì loiigamente.
3 7 2' LETTERATURA ÌTkhìkffk
Il satirico Orazio eterno morso
Diede agli altrui coslami. F fidi spesso
Della caduta neve alzarsi al cielo
Castella e torri, fanciullesca prova
Che a vederla- diletta : un breve corso
Del Sol la strugge, e non ne lascia il Segno.
Breve fu la fatica , e breve dura.
Fondamenta profonde, eletti marmi.
Dure spranghe, e lavoro immenso e lungo
Fanno eterno edifizio. Or tremi, or sodi
Chi salir vuole d^ Elicona al monte;
Poi salito lassù, détti o riprenda.
Gli altri son voce *. D'ogni lato ascólti
I^omi òijantasia, à* ingegno, Tuiiì
Proferir sanno buon giudizio e gusto :
Paroloni che han suono! Air opra, alPopra,
Bei parlatori. - A noi dà laude il volgo. -
Cérca laude comune. Allor ùa à* oopo
Cercar lande volgar, quando da^ saggi
Cercherà laude la comune schiera.
Chiedasi eterno onore. - O tu che parli ,
Chi se' ? - Son uomo. - E se' poeta ? - Io sono
Quel eh' io mi sia ; ma non mai taccio il yero.
Cantra il gusto d* oggidì in poesia.
Perchè più tacerò? dicea Macrino ,-
Spolpalo e giallo pe' sofferti stenti
Fra libri, calamai, fogli e lucerne:
Ho lingua, ho penna, ed bau misura e snono
Anche i miei versi. Oh ! son di bile vóto,
Uoofio di spugna e d'annacquato sangue?
A te r attacco >, di Lalona figlio,
1 Gii altri son voce. Sono gente che parla come a caso ed inaamo.
ailf ^^ **'^*'* Di te mi bsoo , Me la praido con te, o ApoOo, figUaolo
SfiCOLO DEtLìlOTTATO 3] 3
Mendace Apollo t ta sai - pur che UB tempo ,
Alle pendici di laa sacra rupe^
Qnal di tuo buon seguace e di p5eta
£ V nffitio ti' chiesi. Il cielo e lì mare
Mi mostrasti' e la terra ^ e degli abissi
Fio le Dode ombre ed i più capi fondi ,
E dair alto gridasti i Pennelleggia ,
Imitatore. -*• Agl^ infiniti «spetti
Posto in raeszo ^ temei ^ come la prima
VoHa uscita det nido rondinetta
L^ ampio orror deir Olimpo intomo tetné.
Ha chi creder. pelea cb« farmi inganno
Dovesse Apollp? Ricercai boscaglie ^
Pensoso iùfiitator , segrete stanze ,
IncoronMedi verdi erbe fonti;
Me medesmo obliai* Colla man volsi
La. notte e il di sceltissimi quaderni
Di gran maestri ^ e di defunti corpi
Venerai chiari nomi e vivi ingegni. «
Qual d' edifizio diroccato sbuca
Fuor di sfasciumi e calcinacci il gofo.
Alfine uscii l poche parole , e agli usi
Male .acconce del mondo in solla lingua
Mi suonarono in prima. Omero e Dante
Dalla chiusa de' denti * uscirmi spesso
Lasciai con lande. — Oh , di qnaì tomba antica
Fuggi questo di morti e fracidumi
. Tisico lodatore ? udii d^ intorno
Zufolarmi , ed il suon di larghi intesi
Sghignazzamenti , e vidi atti di beflfe. -
N^ andai balordo; q di saper qnal fosse
I Dalla chiusa de* denti, E un'espressione d* Ornerò^ e^valente a^el*
V altra più comune t Dalla bocca, dai labbri,
LBTTBAÀT. ITAL. - IT 3a
S^/, LETTEnATCilA ITAtUlVl
Bramai di ntioTo la poetic'arfe,
Di cai mal chiesto avea forse ad Apollo.
Seppilo alfine. Poesia Dorella '
É ana canna di bronzo alta e gagliarda ,
G>nfitta in nn polmon pieno di vento ,
Che , mantacando * , •rticoli parole
E rutti tersi. Se aver don potesse
Di favella nn molino , aoa gaalcbiera ^ ,
€hi vincerebbe in poesia le mote .
Vòlte dall' acqna che per doccia ^ corre ?
Tanto solo il romor s*ama e il rimliombo!
Su la chiavica danqae; un lago sgorglii
Rimbalzando, spumando , rintaonando,
Di poesia. Del Venosi a ^ si rida.
Di palizzate e di ritegni artista,
Che a sì ricco diluvio un di s^ oppose.
Ogni oom sia tutto. Il sofocleo coturno ^
Calzi e il socco di Plauto: or la sampogna
Di Teocrito suoni, or alla tromba
Gonfi le guance, o dalle mura spicchi
Di Pindaro la cetra , o il molle suono
D* Anacrednte fra le tazze imiti ;
1 Riprende U «gonfia e lómoroM poesia del IPragoni e del Cesarotti, e
' piuttosto dei loro imitatori.
2 Mantacando, Soffiando col mantice.
3 ùualehiera è una, macchina che , spossa per fona d' acqpia , serre a
pestare e sodare i panni-lani.
4 Doqeia, Canale angusto in cui si fa correr 1* acqua percU vada con
maggior forsa a urtare Acn* essa è diretta. — Chiàvica o Cateratta h quel-
r asse o assatnra die nei canali si aUbassa e si alaa secondochè si Tuoie
che I* acqua vi acoira o no.
5 Venosin» Orasio , nativo di Venosa , che scrisse 1* Arte poetica.
6 Sofocleo ec. . E noto che« presso gU antidii, gfi attori nelle tragedie
portavano il coturno ^ e nelle commedie il socco , eh* era un caUarp basso
e piano. Dice Sofocleo il coturno considerando Sofocle come principe dei
4ragici. Plauto poi fu eccellente scrittore di commedie latine. *- Teocrito »
■nominato fahito dopo , fti «ììbuo Bólla poesia pastorale.
SECOLO DECIUOTTATa i^à
Adzi par mescbj ' la canora bocca
Quel che U magra .Antichità disliose.
Bello è che a^ casi di Medea si rida ,
E orror mota lo Zanni *. E no vitate
Qael -che ancor non »^ iolese. Alto , poeti :
Questa libera età non tooI pastoje:
Tutto concede. Oggi cucir si paote
Lo scarlatto al velluto, augelli, e serpi.
Polli e volpi accoppiar , pecore e lupi.
Bastan festoni d^ annodargli : lega
Per la coda o pe' piedi ; io non mi coro.
D^ entasfasnio sempre ardente fiamma
Chiedeari. un tempo ; e senza posa un^ alma
Star snir ale vedeasi , e rivoltarsi ;
. Or quinci,' or quindi misurata e destra.
Era contro a natura. : Ah , non può sempre
L' arco teso tenersi , e talor fiacca ^ 1
Or basta , ch^ empia ali' oditoi; gli orecchi
Sul cominciar sonoritade e pompa;
Poi t' allenta , se vuoi, poeta, e dormi»
Tal nella prima ammattonata chiostra
Ho Tesi il cocchio , e con picchiar di ruote
E ferrate ugne , qual di toon , fa scoppio ;
Esce poscia sul fango p auU' arena ,
E fa viaggio taciturno' e cheto.
Fu già lungo fastidio e dura legge
Studiar costumi : favellava io versi ,
Quale in selva Amarilli ; e snlla scena ,
Qaal nel porto Sigéo, parlava Achille.
Or comune lingoaggio hanno le piazze,
I Jnxi pttr ec. • Ansi in un solo coiaponnnento jaescfaj i vani. geMri ^
poesia dUtiati dag^i antichi.
a. Zanni, Noma generico di baiEÓM nelle conunedie»
3 fiacca,. li sjpcua.
376 LE/'TTBaATeRA tTAl/iiàWA
La carte, i liotctiì, e Netlore e Tenite;
E può la spaventata pastorella
Da nettai'De ombre , éa - tragor di oenibo ,
Da fbl|>ore di Dio che Ì Marmi rompe,
: Di sé stessa obbìiarsi , ed Aver campa
Di taèditaro e proferir sentenze ,
Filosofica lesta , in tal periglio '•
Trovar poò il Re la fidanzata sposa
Ih pre^a al sonno , air empio servo ih braccio ^1
Egli cheto parlar, faceto il servo.^
.'• Faceto ) e di che temi ? bai forse il sale
À cevcar delle argoae , ot e aodrisce
Gioconda iirbanftà spirti gentili?
Ko: la Uatlea che Con la eiopp^t * iil capo,
. Hivenduglioia va di capa in casa ,
- ì N' è gran maestra ., • ehi sbevats^v é a coro
Fa tra boccali gargaglvale e tresche ^-*\ • •
ì Sì e^tgaettita, e ^veHar^pIti éltre
Volea Macritt; ma gli tire l^ orecchio'
..Crocciata il longe«sfietiante Apollo.
Che fai ? gli disse; e perchè pi^ bestemmi ?
Vedi il mio oopo. — Alzò Maertuo gli occU ,
E vide le divine alqie Sorelle '
Presite a fuggirai 4 e ad apprestar Parnaso
In gelale nevose alpi tedesche ,
E 'a vestir d* armonia rigida liogna.
Coscienza- lo. mfrse) il ra«ttto al petto •
Conficcò, tacc|iie$ e confessò che il vero
. La prima volta gli area detto ApoHo.
I 11 difetto <{ui accennato dall* Autore non pol|eU>e cos2 generahnente
iiji|t1fcani ai nostri poeti.
9, La cioppa. {«a v^sta » J^i |om^elU.L
I
ttcoLo DEcntoT.r^T»'
37Ì
Compiange il suo stato.
Se mai tedeili in limpid' acqua uà pesce
Trascorrere, ^oì^sar, girarsi lotorno
Velocemeote, colto iadi a la relè,.
Conlrastaodo ballar, e steso alfine,
A^onizzar^ e boccbeggliir sul lido :
Credi, o YiUuri, sofìiiglianle ad esso.
Fallo e l' iog^no. mio. Libero uo lefipo ,
. Viface, giubilando, aperto mare /.
LieTeriiepte scorre» : fordma tutto
Di r^tejl cinse; dibatteodo ci fece
Lunga battaglia per fuggir servaggio :
. Npn g^iof ò ; giace j e a poco' a poco inanca
Vigor di vita, onde si slendo, e pere
. Spossatole Wnlo su T asciutta arena.
Non poetica fiamma e Genio amico
Ha c^e più lo raffiu', e per Io giro
Di beato argomeutp intorno i) guidi
A studiar circostanze, a Iragger versi
Che faccian bello e grazioso il canto,
Maliiiconicp amor a^le da' fianchi
Guai negro nembo', e con vapori iaì^nì
V offusca sì , che intorno altro iion vede
Che iinmensa oscurità^ grandine e lampi.
Sommo Dìo ^ vera luce, iofin ch'io veggio
Ahiia tra noi che le bell'arti onori,
Onorai^ Ja quelle; e infia ch'io seco
Spesp mi trovo e che benigna ascolti
Il mio parlar, perchè timor cotanto
Mi farà guerra? Oh, nel mìo petto an ragrrfo i
Sorger non dee ^i graziosa speme ? *"*
Tu vedi pur quali amorose cure I
V accendan sempre. È il suo felice alborgo '
3:4* j
3 7$ LETTERATUni ITaLIaHì
Di heìV arti custodia ; ovunque moti
In esso il pie, greche e romane impronte
Miri . di storia e anlichi osi mSeslre.
Quivi raccoNe, contro al tempo serba
De^ più felici e pellegrini ingegni
Snori a H inerta le divine carie ;
Kè serba sòl, n>a se ne pasce,, e prende
Grato alimento, e ah rui spesso il ctìinceJe«
Tal è in tifa privata. Or V occhio Tcilgi
A* suoi pnbblici affari: è padre, è vero
Kutritor di mortali. Insin ch'et siede
Al governo éì genti , .eì la (|nlete
Seco, addice e la copia ; alme discordi
Annoda insieme; e &^ei ai parte, ha seca
Mille e m»He alme; e mille lingue e mille
Pan di lui ricordanza : oh statua eterna *■
Ne' petti eretta ed imtnutabil bronzo t
Quaìì indizi son c^iesli ? O biioa Vitturt ,
Spirto che fn tali e in si beiropre agli occks
De' mortala si spiega e sì palesa ,
Qual esser p4iò , ae non cortese e grande ?
Odimi dunque, e sofferènte orecchio
Porgi a coliti ch^ era già il Gozzi, isi ombrai
Ora è dì ìaì C(he tal nome canserva«
Misero me ! di non ignòta siTrpe
Nacqui, e d* amici é servi era it mia alberga
IHcovero «na tolta : io ne^ primi anjii
Speranza atea di' fortunata vita.
In dolce ozio fra* libri i di passai
E gli anni più fioriti ;^llor credea
Dar coltura allo spirto, e a tal guidarla
Che di vergogna al mio nascer naa (bsse^
> Oh 4ifiiua >9k< y«ol dite eira la vicorclanM «erUu ^i Vttoai ^ il
tkiM^^nlo yiii |lorioio • più 4Mrai1>ile eh» la ynxxk possa troYare. \
SRcot.0 tiECf.voTr.4T« S;^
Questa st heHa e sr dolce sper^itz»
Sfìorr del lutto. Fr»^ miei pòdii ben»
So] itno è qnet ehe a^me paee promette
' E^ riccbezBa sfcurak lo di te parla «
Rigido $ns^ ift coi scolpito è il Dome
lofelice de\miei; te sol rrmiro
Con fiso 8gaar4o ; e de»Kiso plaitgó
Cbe per ne ta Don l'apri. Olì padre^ ob padre!
Qui teo giaci qnfeto, e noD soccorri
Il desolato figlio, e ooo lo Tedi
Cam' ei si aflOigge e sì marttra ? O braccia
Palerae, a me t^ aprite e mi aecoglieie
Alfio Ir» Yoi $ che tal <|«ifete è a teo»po.
Qiial dorecaa di vita ! Or* è dii ciaoeia
Che si fragile e breve è -il viver Destro ?
Poco ooD dura , se fra tanti m»K '
Ostioato si serba ; e noo so come
Alma possa slanciar , dove la straz}
Cbiovo , spina , tanaglia e orribil fiamma..
Sfeceoale da Dio dato a P etade
^Nostra, cbe più dirò? Perchè narrarti
Che qsesta penna e l' inlelletla mio^
Liberi nati, piti volar no» penna
Dove gT invita nalorale afletto ?
Non è picciolo mate a4 onda ad onera
Metter Palma in bilance^ ed il eervdlo
Vendere a dramme; e peggior mal è ancora^
Ch* a minor presto 1* anitiui e il cervello
Veodansi , che di bae carne a di- ciacco ■•
Oh mio dolore I oh mia vergogna eterna 1
por , poich' altro sperar più non mi lice ,
- Almea potessi non indegna • alquanta
I#.t
^80 CETTCBATIiaA ITàLUVA
Meo oscura opra ^far, die tragger calie *■
Dal gallico idioma^ o ignote o fili,
Aiia lingua d'Italia. Ho la teslara
Di grand' opra iatrapresa. la qaaiUi lati
Scorre eloquenza ^ io dieiostrar folea.
Volgarizzando ben «letti esempi
Di Latini o di Greci, Anzi una pcifte
Ho dell' opra cortdolta. A cui non $000
Palesi i casi miei, par cb^io l'indugi.
Oltre il iÌov<<r; e In medesmo lor$e
InGogardo mi chiami e tal mi credL
Abi! si discopra il vera. Io, paaì'eatd^
Giobbe, tal nome sofferii ;inolt^ anni ,
Pure tacendo altrui. cine io vili cario
£ in ignòte scritture' io m" affatico
Con fudor cotidiaoa; e già soo pieAf
1 bancbi de^ libra) di ibiUe e mille
Fogli e di carie, ammassa meoi^ enorme
Di mia mano apprestato ai mea gentili
Popolari intelletti; e perciè tdrda
Sentiero a^ migliori cbe ì» Ter non aaono.
Ma ctbe far posso? Rondine cbe «I nido
E aVrondioini suoi portar dee cilso,
Koo può per r aria spasinre invano .
X) do?' esia desia : pe^ tdbe i;nta«t«i
^Le bocche «ote dé^ figli noi i suoi^-
Dopo mólto gridare e ingoiar vento,
Sarebher chiuse , & ia sepoliura il nido
Si .catnbierebbe a' noil possenti corpi*' -
Ha che chiedi , importuno ? -^. Io «ou ardisco
DJ |)iii olire .parlar. Fra le tiiè Iodi.
Forse non la minor sarebbe un giorno ,
1 Si duole con ciò di essere necessitato per vivere A tradur dal francese »
coioe si disse nella sua vita^
SfiCOtÒ DEClfflOTT\VO 38 I
Che solto a l' ombm iaà lai ^vpra itscilse \
CV et si di ria : Tedi òiltor d' ingegni : * >
Kel giardin di MtnerTd egli tma pianta
Qnasi del tntto inaridita e secca
Si prese in cnra , e 'con amica destra
Si la soccorse , che germogli Terdi
Riprodusse , e di nuovo alP aara sparse
Rami con frulli. - Ab! troppo bramo, e forse
Vuol Fortnna cb' io pera ; e non a tempo
San he mie. prepi, né giovar mi puote
L^ alma cbe a tanti giova , ed a mo tante
Yoke giova si geoerosa e beila.
GIAN CARLO PASSERONI:
;A]gli 8 di marzo deiraono i^i3 nacqtie Gian Carlo
:Passeroi»i a Coodannne, terra di L^otosca nella cod**
iea di NìzKa. .Giovioelto vestì T abita chiericale , . e
r Tenne a: Milano presso on suo zìo che qui tenea
.scuola di fanciulli. Studiò dnlla graromaUca alla fik>«
^sofia sotto i Barnabiti^ poi (per quant9 ai crede )
.}a teologia nelle scuole de^^ Gesuiti in Brera. Yecso
il 1737 ritornò a Lantosca per ricevere TOrdiue sa-
cerdotale nella diocesi in cui era nato, ed ebbe dal
\6UO Vescovo V ofier4a di una cattedra nei nuovo Se-
' minario che quivi* doveva aprirsi : più tardi fu an«
.che desiderato professore dalP Università di Padovìfl:
ma tra per la mod^tia e pel desiderio di trovarsico-
< gli amici, volle vivere privatamente in Milano,. dove
sleUe;flno alk naorte avvenuta neLnoneoihre del i8o3.
Dotato di molto ingegno , e diligentissìmo nello
studio, il Passerotri si mise ben presto in grado di
sollevarci dalP oscurità di un seoipliee e povero pre-
te ^ e i versi ch^ ei pubblicò ia parecchie di quelle
Raccolte delle quali allora facevasi tanto scialacquo
in Italia, gli acquistarono fama di buon poeta e di
buOD filo«ofo, Però quando nel 1 ^4*^ il conte Giù*
\
382 LETTERATDRl ITlLUIfi
seppe Marra ImboDati fece risorgere P antica Acca-
demia dei Trasformati^ ti Passeroni vi fa ascritto,
e ne divenne uno de^ migliori ornamenti. Quivi tesse
di tempo in tempo alcuni canti del Cicerone^ poema
giocoso , in cui sotto una veste di piacevole poesia
si propose di rendere amabile la virtù, e spregevoli
i visi! e i difetti d^ ogni maniera. La vita di Cice-
rone, distesa in CI canti, non è tanto P argomento
del poema , quanto un^ occasione al Poeta per trai*
tare varii punti di filosofia morale. Le digressioni
sono quindi frequenti , e talvolta anche Iqnghe più
che non si vorrebbe.
Oltre il poema compose il Passeroni parecchj vo-
lumi di varie poesie, fra le quali gli Apologhi sono
per moralità e per bellezza di concetti e di siile
molto pregiati.
Mentre il Passeroni attendeva a compórre queste
sue opere trova vasi come maestro nella famiglia, del
marchese Antonio Lucini, dalla qu»le fu* poi sempre
Dobilmeiite soccorso anche quando già era cessato
il suo ufficio di educatore. Ma essendo poi morti il
marchese, la vedova e monsignor Lucini suoi pro-
tettori, ebbe a provare le angustie della povertà. Pa-
recchi signori milanesi avrebbero voluto sommini*
strargii quanto si conveniva al decente sostentamento
di un uomo cosi collo e cosi virtuoso^ ma egli per
estrema delicatezsa mai non s^ indusse ad accettare
le loro offerte. Ben domaiulò ed ottenne dalP impe-
ratrice Maria Teresa una pensione di^Soa lire^ ma
quesfa pure gii venne poi a cessare : e cosi visse
DK/Uo miserameote gli estremi aani della sua vita.
DAL aCERORE.
SuWautorUà dtlUt Crmca (Gas. t» tt 77 >.
Certo i compilatori della Crusca *
Avrebber preso quasi a ferrar le oche ' ^
I jtvrMtr preso ee, . Àvreblicr prcM • fag com imposuLilf ^
SECOLO DECIHOTTirO 383 .
A registrare ogni parola etrosca ;
E fuori ne lasciarono non poche.
Il che il pregio del libro alquanto offusca ;
Ma àoxe T/ihno , chi le sa , le loche ' ,
E vi col!t»chi alcune eh* io ne ho usate,
Che furono da lor ditnenticate.
E con questo mi credo aver risposto
A certi schizzinosi ; i quali udendo
Qualche nooTo Tocaholo, tantosto
Gridano : Crusca ! Crusca ! — non sapendo ,
Che questa crusca , al dir dell* Ariosto ,
Hon è farina , e anch^ io così la intendo :
E ne chiedo perdono a lutti quanti
I cruscosi , e cruscheToli , e cruscanti.
Io so, che Orazio Fiacco solea dire
(E lo stesso può dire ogni altro Autore),
Che torneran più foci a rifiorire
Che a' giorni nostri più non sono in fiore :
E molte e molte noi Tedrem morire
Parole che oggidì suni in honore :
'Però qualche vocabolo andrò usando.
Che nuovo vi parrà, di quando in quando.
E Éai prenderò forse la licenza
D' usar qualche V4>cabolo lombardo :
Le fiorentinerie lascio a Fiorenza ,
O le uso per lo mea con gran riguardo :
Io sono un uom di buona coscienza ,
E . da certi riboboli mi guardo ;
E le lascivie del parlar toscano
Lascio da parte, come buon cristiaao.
•Contro r usanza delle BaccoUe poetiche ( Gas. iv , st ti)
Nasce Tullio, che fu Tamor di Roma,
Gloria d' Arpino * , oiior degli Oratori :
S £« kehe. L« coIIocUt -« a Arpbuk Patria di IC X* CkaroM.
38^ LETTERATURA ll'ALIAIfA
Nasce Tullio, che tanto ancor si noma
Tra i Tedeschi, i Francesi; gr Indi e i Mori.
Ed in volgare o in latino idioma
Un terso non si fa tra tanti autori ?
Nasce Tullio , W dirlo nn' allr» volta ,
E non si fa stampa-re una Raccolta ?
E non si fa stampare , a 4 ire io torno ,
Di versi una Raccolta ? e ali* età mia
Se ne vedono tante andar attorno ,
'■ Con poco onore della poesia :
Se ne cedono uscir quasi ogni giorno;'
E non si trova a questa frenesia
A questo impazzamento , a qoestd tedio ,
A questa no%a peste, alcun rimediò?
Oggi non si addottora alcun, che prima
La: sua dottrina io versi non si canti: *
Senza esser messo da più d' uno in rima ,
Oggi non si marita nn par d- amanti : '
Senza sonetti sotto questo clima
Non fassi officio alle anime purganti:
E monaca non fassi nna ragana ,
Se in versi da più d^ din non si strapazsa.
Chi vergine, chi martire T appella y'
Chi dice che non sa quel che si fkecia;
Chi dice eh' essa ha spento la facellà
A Cupido , che torvo la minaccia :
Altri, quantunque non sia punto bella,
Lodano in versi la sua bruita faccia:
Chiaman nere le chiome che son rosse ,
E ne sballan ■ pur anche delle grosse.
Vuol versi, quando veste irsute lane
Una fanciulla., e quando .si professa»
X «SftaZ^ propriamente è U con^ttàod* Imballare. Per.ttasbtto ^eeti di
chi spaccia cose noa vere.
SECOLO DECIMOTTAVO 38 J
C fa sonare a doppio le campane ;
£ ftiol versi ^ qiiand^ è ' madre badessa:
Vuol Tersi ^ qnando maofe no gatto o un cane:
Vuol versi tin prete ^ quando dice Meisa :
xYoglion Tersi da noi le canta trici ,
I consanguinei , gli eaferi , gli amici^
O per dir meglio ,. sono cosi stolli
Oggi i Pdeti , e tanto poTeretti
(Non dico tutti, ma Te ne son molti), .
Che sopra magri , sterili soggetti ,
Compongon mille e mille Tersi sciolti,
Fan canzoni , capitoli e sonetti :
E tutto quel che a* nostri di. succede,
Lodalo in Tersi subito si Tede.
Se nasce un figlio a qualche gran signore.
Non T** è di lodi al mondo catestia :
Tutto Parnaso mettesi a remore
Per uno , il qoal non sassi ancor chi sia :
Si profetizza che sjirà dottóre ,
Che saprà varie lingue , e in poesia
Sarà un no«o Petrarca « nn noTo Dante ,
Chi poi per sua disgrazia è un ignorante.
Se prende moglie un ricco caTaliere,
Un Orlando, nn Achille, nn noro Ajace,
Fan nascere ' i Poeti : e aste e bandiere
Vedono tolte al già tremante Trace : .
^dditàn di nepoti immense schiere :
L^ nn sarà chiaro in guerra , e I' altro in pace :
E faran gli uni e gli altri, in pace e in guerra,
Cose che star noù pnon né in ciel né in terra.
Nascerà , Italia , Italia , il tuo soccorso ,
E fioriranno in te Tirtù noTelle ,
l Fan naseerej cioè : Predicono che nascerk un Orlando ce. .
I.XTTBRAT. ITAb — IT 33
'ÒÌ6 LF.TTERvVTOni ITALI llf\
Gridano i Vali, e Tendono dell'orso*.
Prima che preso P abbiano, la pelle:
E portano , di penne armati il dorso ,
I nascituri eroi fino alle slellei
E spesso accade poi , come Dio ▼dòle^
-Cbe mojoho gli sposi senza prole.
E voi , PSeti , avete ancor coraggio
Di dir che penetrate entro il futuro?
Di dir che in voi scende nn celere raggio.
Che vi rischiara ciò che a^fli altri è oscuro ?
Che parlate in profetico linguaggio,
E che un Dio rende il vostro dir securo ? -
A*ffè, se debbo aoch^ io far da indovino.
Credo che questo Dio, sia il Dio del vino.
Il vino 'è quello, io non fa cerimonie ,
Che vi fa dir, cenando vi dà alla testa,
Tante bestialità, tante fandonie
Da raccontarsi a vegghia * in dì di- fèsta :
Mon son, compagni '^i^^ii ^e Ninfe Aonic ^ ,
Non è Febo che il suo favor v'appresta :
In voi produce assai miglior efietlo ,
Che fonda d' Aganippe^ il .vino pretto.
Dovreste essere omai disingannati^
£ non dovreste dir più tante insanie :
Lasciar dovreste ojnaì 1' orror de^ fati,
liC vie de* venti, e altre parole stranie:
£ '1 Pegaseo cavallo, e i cento alati
Destrier, su cui fate cotante smanie:
Ma chi d' altro cavai non si provvede ,
Faccia pur conto d' andar sempre a piede.
1 Vendono ec.j cioè : Dicono quello che ancora non si sa ne si può sapen-
a A vegghia. A veglia. QuesU frase poi significa: Cosa da nulla, senu
soslania di verità , come le fandonie che si raccontano la sera vegliando.
3 Le Ninfe Aonie, Le Muse.
9ECOCO DECIMOTTATa" 58 J
Yoi sa questo destrier v^ alzate a toIo,
O a m«giio dir, d'alzarvi toì sognate:
£ a un batter d' occhio V odo « 1' altro polo^
Senza p;itir ▼ertig^rai, varcate:
£ or iniile auree ventare a' un fiato solo^
Or mnie »»ali ci profetizzate:
Ma crede a^ falsi astrologhi e profèti .
Chi crede a' vaticinj de' poeti.
Povero Papa *-! egli starebbe fresco,
Se ^1 loro profetar non fosse Vanor
Non fassi un^ Cardinale, o sia Tedesca,
O Francese, o Spagnnulo, o Italrano*,
O sia Prete, o deli' Ordine Fratesco ,•
Che non abbia a sedere iir Vaticano :
Almen più d^ un poeta se la incapa ^
Sebben più vecchio è il Cardinal del Papa.
Imposture letterarie (Gas. xxyi ,. st. loi )^
Ilo fatto, come fan molli bag|;er,
Che fanno 'fuor di tempo e di.propgsto
Il Ceccosnda *, ho fatto come quei
Ch' obbiez'ron sì deboli si fanno,
Ch^ anche i cagazzi sciogliere le sanno*^
Sun. simili, a queMogici salvatici- ,
Che forma osi si deboli gli ostacoli
Che sciogliere li possono i gramatici
Meno abili ^ ed ostentano miracoli :
Dan lucciole ad intendere a' mal pratici,.
Che in credila K tengono d' oracoli,
1 Povero Papa ec, . Vuol dire che i poeti in questi ìbro augurii e pro^
iLostici erano cosi stolti , che ad ogni nuovo cardinale predicevano il- Papa-
to , non accorgendosi che con ciò predicevano la morte al papa , il qu«^«
tulrolta era men vecchio del cardinale.
2 Fare il Ceccosuda dicesi di chi osiando o facendo tose da nulla vh ol
yairere un uom di gran conto..
3SS LETTERATURA ITALIANA
• ■
tfenlrè abili a disciogliere si osteolano
Certi obici si facili che iofeotano.
Dimenaòsi, traf^Haoo , sr sbracciano^
Le maniche sul cubito rtinboccano ;
Gli SDodaDO', svilappano., e si spacciano
Per uoiaioi che colgono e che imbroccano ■ ;
Ma gli obici difficili che impacciano
GII schi?an0f o di transito lì toccano:
Di chiccheri, di chiaccheri e di chiacchere
Ti pascono , e di favole e di zacchere.
Si possono a tai logiei congiungere
I critici , che i termitii oltrepassano
Del leoito, e dilettansi di pungere
I deboli, e li mordono e tartassano $
Ma lieccano , quai pecore che mungere
E tendere con forbici si lassano,
Que' eh' abili conoscono a contendere,
E cavoli per brocci>li san rendere '•
E simili ai que* militi mi sembrano,
Ch' assalgono con impeto e combattono
I timidi che fuggono , e gì i smembrano ,
Li cacciano , gì' insegnono , li battoDO s
Ma cedono , e quai pecore s^ assembrano ,
Se in uomini men deboli s' imbattono ,
E fuggono , quai fèmmiive , i pericoli
Per semite, per tramiti e per vicoli^.
Aggiungere potrebbonsi i retlortci.
Che i Sofocli commentano e gli Euripidi;
Commentano i filosofi e gV istorici
Fan -prologhi lunghissimi , ma insipidi :
S Per nomini «e.» Si ips^cciano pw uomini che sanno coj^Here il «or*
velie difficoltà.
a E cwoU ee, .^ Lo «tesso che dire Bendere paa per focaccia ^ Benthtre in
forìgUa.
3 Semite e Tramiti sono gUradeUo , $emieà eo« •
SECOLO DECIftOTTAt^' 38^^
S! ingoTfaiio iie^ tramili atterrici ;
Ser iD^oDtratio.fiolloli nli |io* ripidi
Gli tfoggoBo , é ti leoóofìf» sol lappofe^
E tattere, e baztecòie,- e allrè chiappole* .
Ma agli Arcadi *, dKe motbiOe qnai sqcciolc
Le rendono e qnai Timtnt pieghe?oii ,
Si lasci nO' le fbrmole che sdrucciole
Si chiamano; essi rendonle piacevoli:
Io fendere non possovrche lucciole.
Che rendole insoffribili e^ s(boche?olr i
E insipide quai bietole o ^cocomeri ,
* E chi odeie^ restringesi negli omeri;
ITAGLI Ar0L0«BI.
Esopo ed il Radazzo,
Sendo nn giorno slato morso
Un ragazzo dà un cén còrso,
Yide Esopo che a quel oaiie
IKragaiKEo dijà del^-paoe., -
Del ano sangue. a^ndol prima
f ninppato ; percl)è si ima
t! baggeo che quel sangue abbia
Gran firtù contro la rablita ;
Onde y senza pensar molto ,
Disse Esopo a lui ri rollo : -
Se tin Idi caso mai t' affieno
Altra folta ,' guarda bene
^ ' Che 'nel fare on «imi! atto .
Non ti Veda ean né gatto ; ^
Altrimenti a rischio tutti'
Andiam.-Boi d'esser dfttrottt4
' I I Poeti Àflcadtci luaTano molto le naie tdracciole. — Succia poi soao
ìm cMtagae cotte ooU" ttgvk «o^a loro uoxu. >
33*
$«0 U^TTERVTCni ITAI.I.i|ri
Che in veiUH*sl rrg.AUli>
' Crederao cbe. ne sl^n grati
I lor lapri^, è xallc vampe»
li coÌMlealì certe sla'rape ~
liascerancì ia inìh peJle, *
Che .Tede re in elei (e stelle
Ci fàran ùì toézzogiorho :
.Gulir4«i beoé^Y A dire io torno ^ «
'Sie'li monW ni^ altro cane;
A non dare x lui <lel pime» -^
Cori <Us^ quel kiion vegliò y.
Bè polea certo dir m«gU<x. . *
Il Teder che premio dasM
A chi merita . dei sassi ,
E camion che a. fare a prora
. Ma^e e pP;ggio altri si nìota. , *
Del pan diasi a ohi n* è degne
Ber virtù te 'e per ingegna ;
E. chi merita^ sassate ,
Queste avcor ^li vengan date .
Da. color cui Aav s' attiene '
A ciascun quel che '^li* viene..
Esopo e un BruìcofipéH^..
Ad Esopo un babbUiissA '
; Tei^erario tira, un sasso ^ .
Sente il colpo ^ ma lo froda *
li buon- vecchio 5 e/1 garapn loda
Di bravura;. e un soldo o*jd<]e*
lo'm^n metlegli ^^e : Pi pine^
Io (gli dice) ti .darei, .
Se n^' avessi : a' d^tti miiel
Bada, e giovine. Ècco vitne
\ "^tAhmmtf^ Sciocco , ScUnanito^ *^ a L^Jroàn* Lo ine ki MifMMM
Uà 5iznor eh*'» ricco bene ;
Prendi an.sassò, e, fatti oooro ;
E fedrat che cptel signore ^
Che Dotì è* coll>é p(;rspft9
' Scarso nidi, di gl>tt)erilot>e ,
Ma' ri merita, eia sf: un» .»
" Pagherà due colpi in uoo. -
Il briccon , che dritto lir^ ,
prende pria ben beo U nrvira y
/ ' E «a > quel ricco nella- schiena
Dà d* un cioltoJo ^ n^a app<^;»'
. : Fatto fi colpa , ei fu arrecato ;
E il castigo maritato
, Ricevette in pagamento . e
Dei m^ifoo su4> talento. —
Molti anch* ofgt- resi- arditi «
Perchè veggoiiM ^ppl^odi ti
* Weir bfiènder le. persone
I^ ([oai «lli'.la lor c^gioBe
^ . O ,non. vogTionb o non. san no ,
Al pia forti a iotaccar tanao '
.La- cotenna ^:.e Gnalmenle
Trofan carùe pel lor dente., . ..
; Può. dirsi anco che 1^ uomsaggi»^
Se ricéve, onta ed oltraggio ^ '
^ Senza .far qualche atto straao y
Sa carar coli* altrui mano , .
Conle Esopo , a tempo e loco y
La castagna ch^ è nel 1bco«
li JlMò & V tlcceUaiore,
E. la scbiaccia un degli ordegni ^
Onde strage d* angei fasti;
I Z« f0t$tmtu L«- pelle.
Ì^Z LETTERàTVftÀ JTltlMlA
D' ordioarlo ili due sesti
£ composta e quattro legai
Posti in bilicò; io né tesi
Molte, e molli aagei vi preit.
Mentre corrono gli aogelli
A mangiar qiielLa poea esca
Che' T* è sotta e che gii adesca.
Essi toecàno i fnscelii
Che sostengono, la sctiiaccia ,
Onde scocca e te gli spaccia '.
Sembra quasi ona casetta,
Quando è teso qnest^ ordegno ; *
Ed un merlo senta ingegno^'
Ponea menle da ona velia
D'una pianta a un giovtn destro >
Che in tal arte era maestro.
Dimmi un po', che stai* facendo.
Se son degno di saperlo,
Disse al giovine quel 'bierlo';
CbMo'li guardo*^ e non- intendo
Quel che là di far disegni
Con que' sassi é con que^ legni. -
Gli rispose il gìovioedot
Sto fondando una cittate;
E saran presto abitate ^
^ Queste case a beh diletto
Da coloro a cui dà pen»
Il ({ormire alla serena; — = '
Detto ciò, V apparta' alquanta ^
Per féder ^e gli riesce,
Di pigliar quel uooto j^csce \
Sceso a terra è il merlo infanto,
I Gà tpaecia, Gli uccide.
« Ifuav^ pesce dicesi ia generale in significasioiie d' inupm'^
SEGOLO DECI3IOTTATO 3^3
E alle. sch iacee è già tìcIoo,
Che fuol farti cittadino*
Guarda i sassi ed i fuscelli;
Ma io ispezie e1 gaarda Peftca,
Ch*era on grappo d'ava fresca ^
Di coi gliiutti son gli accelli;
Vuol ghermirla il buon merlotto ^
E alla schiaccia ei resta sotto.
Corre allor P uccellatore
Alla preda ebbro festante.
Ed f\ merlo agonizzante,
Dalla schiaccia ei cava foore;
Che, sentendosi morire,
Cosi al' giovine ebbe a dire i
Se da te vengono accolti
Io tal guisa i pellegrini ,
Avrai pochi cittadini :
Ben ipntan d* averne molti
La città, tienlo per certo,
-Diverrà presto un deserto. —
Disse il .merlo a maraviglia;
Kè poteva dir più bene
Un filosofo d* Atene:
E fe^ scorno a chi consiglia ^
A sproposito i sovrani .
Ad usare atti inumani.
Ove i lacci e i trabocchelli,
E \t trappole e le schiacce
Sono in uso, di beccacce
y* è penuria e d^ altri uccelli :
Far non denno i gran signori
Il mestier d'uccellatori.
3*^4 LETTERàTURI I-riLIAlTA
GIUSEPPE PARIINI
Nel paesetto di Bosisìo sul lago di Postano nacque
Giuseppe Parioi a' aa maggio 1729, L' iogegno che
in lui si fece palese molto per tempo ^ indusse sua
patirle a trasferirsi in Milano per procurargli una
buona educazione :; ma per la povertà fu avviato y
benché contro voglia, al sacerdozio, e costretto a gua-
dagnarsi di che vivere copiando carte forensi.
In mezzo agli studi teologici ed alla ingrata fattca
del copista, amò sempre la lettura dei classici e Te-
sercizio della poesia , di che poi diede il prkno sag*
gio con alcuni versi stampati io Lugano Tanno lyS'à.
Questi versi annunciarono per cosi dire il poeta ^ il
quale si mostrò poi nella pienezza delia sua potenza
pubblicando il MattinOj, dove con una ironia che
mai non cessa mòrde V ozio e la frivola vita dei
Grandi, e pone in dileggio i costumi di quella età»
Grande fu l'applauso degl'intendenti all'apparir
del Mattino e del Mezzogiorno^ pubblicati' negli an-
ni 1763 e 1765 : e non fu senza qualcha premio. Il
Conte di Firmian nel (769. lo elesse professore nelle
senole Palatine e poi net Ginnasio di Brera , dove
con indicibile amore e con amnurazioné di quanti
1' udirono spiegava i classici e dettava i princìpi ge-
nerali delle Lettere e delle Arti. •
Sotto il Governo austriaco, dopo la morte del Conte
di Firmian^ corse qualche pericolo, accusandolo al-
cuni invidiosi di non aver voluto scriver l'elogio del-
l'imperatrice Maria Teresa, di\ che \?i Società Pa^
Idiotica gli aveva data incumbenza : quando succcs-^
sero i Francesi fii ascritto al magistrato municipale
di Milano , ma volle uscirne ben tosto , perchè a
lui, che non amava la libertà se non «quanto va unita^
colla virtù, riusciva insoffribile la condotta dei molli
che volevano comandarla colla violenza y e la cerca-^
SECOLO Dr.CI5J0TTAV0 39!!
vano non per pubblico bene ma per privato van-
taggio. Quando nel 1799 ritornarono gli Austriaci
rgli era nel suo' settantesimo anno , cogli occhi ap-
pannati della cateratta , e declinante già verso il suo
iìnei Morì infatti nel giorno i5 aggsto di quello
stesso anno.*
11 Pari ni neUa Satira può dirsi eccellente ed an-
che originale: nelle Odi , ha pure molta novità e
molta forza ^ md qualche volta per fuggire la troppa
molIez'/.a di molti suoi contemporanei degenera in
una soverchia asprezza. 11 suo gusto è sempre casti-
gatissimo : la sua -poesìa in generale è rivolta sem-
pre a diflondere utili Verità , a migliorare i costu-
mi. Nelle prose non si potrebbe dire così eccellente
come nei versi: nondimeno sta fra i migliori di quella
età. Le sue* Zez/on/j sebbene si credano quasi una
pura traccia di qnetle che pòi improvvisando arric-
chiva di eruditi commenti^ nondimeno sono degne
di essere studiate.'
•
• DAL GlOftno.
■
Le- prime ore del giorno.
Ergiti or tu ' alcun poco; e si li a])poggIa
A 'gfi origlieri '^ ì qtiai lenti gradando.
All' omero li fan moUe sostegno.
Poi coir indice destro lieve lie?e
Sopra gli occhi scorrendo , indi dilegua
"Quet che riman de la cimmeria nebbia ^ ;
E de^ labbri formando un piccioi arco,
Dolc^ a vedersi , tacito sbadiglia»
1 Or tu ec» . Il Poeta volge sempre i suoi versi ad un gio\fin Signore ^
'a cui mostra di dar precetti , ma nel vero poi gli rimprovera il vivere osiose
e vano.
a Origlieri. I guantiali^ i cuscinL
3 Cimmeria nebbia, I poeti diceano che la notte uKÌva dall' antro Cimmerio*
S96 LETTEniTUK4 ITVLUKl
Oli ! se le in sì gentile allo mirasse
Il doro capitan, qualor Ira rarmi,
Sgangherando le labbra, innalza nn grido,
Laceralor di ben *coslrnUi orecchi.
Onde à le squadre far) moti impone ;
Se te mirasse allor, certo Tcrgogna
Avrla di*sè, più che MioerTa ■ il giorno.
Che di £la.uto sonando , al fonte scórse
Il turpe aspetto de le. gnance enSate,
Ma già il ben pel ti nato* entrar di doto
Tuo del m igei io i' veggo. Egli a le chiede ,
Quale «oggi più de le bevande usale
Sorbir U piaccia In preziosa taz2a«
Indiche merci son tazze e bevande:
Scegli qual più desìi» S^ oggi ti s giova
Porger dolci a lo stomaco (omenti.
Sì che con legge il naturai culore
V'arda tempralo, e al digerir ti vaglia,
Scegli M brun cioccolatle, onde tributo
Ti dà il Guatimalese e il Caribéo ,
Ch^ ha di barbare penne avvolto il criD%
Ma se nojosa ipocondria t^ opprime,
O troppo intorno a le vezzose membrA
Adipe ' cresce , de* tuoi labbri onora
La nettarea bevanda, ove abbronzato
Fuma ed arde il legume ^ , a te d^ Aleppo
Giunto e da Mocca , che^di mille navi
Popolala mai sempre , ìn'^apel^bisce. .
Certo fu d^ uopo che ^d^I prisco sé|;gio
Uscisse un regno, e eoa ardile tele,
> ' . - '
I Più che Minerva ec, . È fama che questa Dea ti dilettasse WM volta a
tuonar di flauto ; ma avendo poi veduto ia una fontana quaato le tegUcise
di kellecsa quell' atto , se uè rimase.
A Àdipe, Pinguedine. — ' 3 Legume ec, . Il Gafie.
SECOLO DECI^aOTtiVO 3^^
Fra straniere procelle e novi moslri
E teme e rischi ed inumaae fami ^
Superasse i eoa fio , per lan^a etade
loTiulati ancora : e ben fu dritto
Se Cortes e Pizzarro ' umano sangue
Non istimAr quel ch^ oltre V Oceano
Scorrea le umane membra ^ onde tonando
£ fulminando , alfin spietatamente
Balzarun giù da' loro aviti troni
Re Messicani e generosi Incassi ;
Poiché nuove così venner delizie ,
O gemma de gli eroi, al tuo palato.
Cessi '1 cielo però, che in quel momento
Che la scelta bevanda a sorbir prendi ,
Servo indiscreto a te improvviso annunzi!
Il villano sartor che, non ben pago
D' aver teco diviso i ricchi drappi ,'
Oso sia ancor con pòlizza infinita
A te chieder mercede. Ahimè, che fatto
Quel salutar licore agro o indigesto
Tra le viscere tue, te allor farebbe
E in casa e fuori e nel teatro e al corso
Ruttar plebejamenle il giorno intero I
Ma non attenda già ch^ altri lo annunzi!
Gradito ognor, benché improvviso, il dolce
Mastro ' che i piedi tuoi come a lui pare
Guida e corregge. Egli all' entrar ai fermi
Ritto sul limitare ; indi , elevando
Ambe le spalle , qual testudo ^ il collo
«
1 Corte* e PÌuarro, Due Spagnuoli coiiquisUtorì del Messico e del Pern
assai noti per le incredibili crudeltà esercitate io que* paesi. Di Piasarro però
si giudica ora assai meno sfaToreTolmente.
a Mastro gc,. Il maestro di ballo.
3 Testudo, Testuggine « Tartaruga.
LSTTBDAT. ITAL. - 1? 34
39S LETTÉRATUHA ITALUIfA
CoDlragga alquanto, e ad un medesmo tempo
Inchini M mento, e con T estrema falda
Del piumato cappello il labbro tocchi.
Kon meno di costui facile al letto
Del -mio Signor t' accosta , o tu che addestri
A modular con la flessibii voce
Teneri ^anti ; e la che mostri altra!
Come vibrar con m&estre^ol arco
Sul cavo legno ^armoniose fila.
Né la squisita a terminar corona
D^ intorno al letto tuo manchi , o Signore ,
Il precettor del tenero idioma ,
Che da la Senna de le Grazie madre
Or ora a sparger di celeste ambrosia
Venne air Italia nauseata i labbri.
All'apparir di lui l'itale voci
Tronche cedano il campo al lor tiranno;
E a la Do?a ine6fabile armonia
De' copromani accenti , odio ti nasca
Più grande to sen contro a le lift pure labbra
Ch' osan macchiarse ancor di quel sermone
Onde in ValchicHa * fa lodata e pianta
Già la bella Francese, ed onde ì campi
Air orecchio dei Re cantati furo
^y Lungo il fonte gentil da le beli' acqoe.
Mìsere labbra die temprar non sanno
Con le galliche grazie il sermon nostro,
Sì che men aspro a' dilicati spirti ,
E men barbaro suon fieda gli orecchi!
Or te questa , o Signor , leggiadra schiera
Trattenga al novo giorno.
I Onde in VtUchiusa ec. . Accenna il Pet/arca , che cantò 1* atignoncM
•«a Laura; e V Alaaianni che scrisse* la Coltivazione alla Corte di Francesco!
re di Francia. Qui pui l' Autore morde la moda che allor prevaleTa di bai*
hetUr sempre francese y negligentando la linj^ua aaùonale.
MCOLO DEGIUOTTATa
Come V antica gelosia fosse sbandita.
, ». • • • • Ud («mpo.
Uscìa d^ A verno coq Tiperel crioi^
€oQ torhid* occhi irrequieti , e fredde
Tenaci branche un iodomabil mostro ,
Che ansando e anelando iiitorno gira •
Ai BnzTali letti, e tutto empiea..
Di sospetto e di fremito e di sangue..
Allor gli antri domestici, le selve,
L' onde, le rupi alto ulular s'.udièno
Di femminili strida: allor le belle
Dame con mani incrocicchiate^ e luci
Pavide al eie! , tremando , lagrimaodo „
Tea la pompa feral de le lugubri
Sate Tedean dal truce sposo offrirsi
Le tazze attossicate o i nudi stili..
Ahi pazza Italia ! Il tuo furor medesmo
Oltre r alpi ,. oltre U mar dcrstò le risa-
Presso agli e moli tuoi che di gelosa
Titol ti diero, e t^è serbato ancora
Ingiustamente. Non di cieco amore
VicendeYol desire, alterno impulso^
Non di costume simiglianza or guida-
GP incauti sposi al talamo bramato;
Ma la |xrudenza coi canuti padri
Siede librando' il molt'oro, e i divini
Antiquissimi sangui t e allor che V uno
Bene all'altro risponde, ecco Imenèo
Scoter sua face ; e unirsi al freddo sposo ,.
Di lui non già ma de le nozze amante.
La freddissima vergine che in core
Già volge ì riti del Eni Mondo, e liatai
S Librando. Pcsaudo..
599
l^OO T.F.TTEnATCRl ITALI AVA
h* Indìfferema laariuYe affronta.
Così DOD fien de la crii del Megera '
Pili temuti gli sdegni. Oltre Pirene *
Contenda or pur le desiale porte
Ai gravi amanti , e di Temine^ risse
Turbi Oriente : Italia og^gi si ride
Di quello ond' era già derisa ; tanto
Pnote una sola età volger le menti !
La faJUa pieià v€rto U bestie»
Qual anima è rolgar la sua pietade ^
Air uom riserbi , o facile ribrezzo
Destino in lei del suo simile ì danni ^
1 bisogni e le piaghe. Il cor di lui ^
Sdegna comune affetto ; e i 'dolci moti
A pia lontano limite sospinge,
9» Pera colui che prima osò la mano
99 Armata alzar su V innocente a^^nella
' » E sul placido bue : né il truculento
99 Cor gli piegaro i teneri belati,
n Né i pietosi muggiti , né le molli
99 Lingue lambenti tortuosamente
99 La man che il loro fato', ahimè, slringea ! -«
Tal ei parla , o Signore ; e sorge intanto
Al SQO pietoso favellar dagli occhi
De la tua Dama dolce lagri metta
pari a le stille tremule , brillanti
Che a la nova stagion gemendo vanno
] Jìa i palmiti di Bacco ^, entro commossi
Al tiepido spirar de le prim^ aure
' t Megera* Una delle Fwrie^
\ a Oltre Pirene Al di là de* Pirenei , nella Sjjta^n^.
^ (^ual anima ec. . Le anime volgari^
• 4 -^ ^*^' ^^ ^^ convitato. ^
1 ^ Dai paimi^ ec. . Dvll^c v\li.
f ECOLO DECIMOTTATO ^OI
PecondalrSct* Or le aoTvieot il giorno,
Ahi fero giorno! allor che la tue bella
Vergine Caccia * de le Graaie alooaa ,
GìoTeDilaiente. Teueggiaodo, il piede
Villan dei serfo con 1* ebaroeo dentea
Segnò di liere nota: ed egli aìidace
Con «acrilego pie lanctoHa : e quella
Tre folte rotolò ; .tre volle scosse
Gli scompigliati peli , e da le molli
P^ari soffiò la polvere rodente.
Indi i gemiti alzando : Aita , afta ,
Parca dicesse; - e da le aurate TÒlttt
A lei IMmpietosita Eoo rispose:
E dagl' infimi chiostri i mesti servi
Asceser tutti , e da le somme stanze
Le damigelle pallide tremanti
Precipitaro. Accorse ognuno ; il volto
Fu spruzzato d'essenze a la tua. Dama..
Ella rinvenne alfin : i' ira « il dolore
L* agitavano ancor ; fulminei igqardi
Gettò sul servo, e con langaida voce
Chiamò tre volte la soa Caccia i e questa
Ai sen le corse ; in ano tener vendetta
Chieder sembrolle : e la vendetta «vesti,
Vergine Cuccia de le Grazie alunna*
L'empio servo tremò; con gli occhi al snolo
Udì la sua condanna*. A lui odo valse
Merito quadrilustre; a lui non valse
Zelo d' areani nfici : invaa per lui
Fa pregato e promesso; ei nodo andonne
Deir assisa * spoglialo , ond' era un giorno «
Venerabile ai vulgo. In van novello
1 Cuctia. Nome di cane.
z Assisa, Lft livKS»
^eZ, 'LETTBBàTUDÀ ITAtfAlfA
Signor fperò; die le pietose Dftfiie
i" • Iiiorrkyro , e dei nisfatto atroce
, Odiar Taotore. Il -misero si giae<|ae
Cimi U squallida profe e con la niid»
C<Mi$orle a^ lato su. la via spargeoda
Al passegglere toalihs lamento ^
Et», Tergi M Cqccia , idoJ placata
Pa le Tittime amafte, isti supeirbas
Origine del giuoco detto TrÌAti'oc^
^ » • • • » Occalto ardea
Già di ninfa gentil misere auMote,
Cui nuir alUa eloquensa «sav con lei' ,
Faor che quella degli occhi era concesso )
Poiché il ro£20 oia>»(o ad Argo ' eguale
Vigilara mai sempre; e qiiasi biscia
Ora piegando, or aiisngando il collo^
. Ad ogni verbo con gU orecchi acuti
Era presente^ Ohimè ! come con cenni ^
O' eoo notata tavola giammai- ,
O con servi sedotti ali» sua ninfa
Chieder pace eé aRa ? Ogni d^ A orare
Stratagemma finissima vincea^
La gelosia del rustico marito^
Che pi« Hce sperare ? Al tempio et corre
Del Nume * accorto ebe le serpi intreccia
Air a«rea verga , e il' capo e le calcagoa
IK ali ferfilsce. A lui si prostra amile;
E in questa gcHsa, lagrima ndo , il prega:
9» O propizio agli amanti, o buon figliuolo.
H, De Id candida Maja , o tu, che d' Argo
\ Jtrgo (dicQoo le HkTolie) ebbe cento occhi:. Giunone lo teeke 4« ca<
^ffiàn d* Io da Giove trasfomuta in giovenca.
% P^ Nmme «p... Mercnriji ,^ che spltcaste Io ad^-Àrgo^
»e€OLO PECIMOTTATO , ^©3
>» Delndesti i ceol^ occhi , e a Ini rapisti
» La guardata gio fesca , i preghi accetta
9» D^ un amante infelice ; e a me concedi
» Se non gli o<ichi ingannar, gli oreccW almeno
n D- nn marito importuno n, — Ecco si scote
Il divin simulacro , a lui si china y
Con la Terga pacifica la fronte
Gli percote tre Toite : e il lieto amante
Sente dettarsi ne la mente nn gioco
Che i mariti assordisce.. A Ini di vesti,
Che r ali del suo pie concesse ancora
Il supplicato Dio ; cotanto ei Tola
Yelocissi ma mente a fa sua Donna*.
Là hiparlita tavola prepàr»
O?^ ehano ed avorio intarsiati
RegnMi sul piano ^ e partono alternando
In dodici magioni ambe le sponde.
Quindici nere d' ehano girelle
E d' avorio hianchissimo altrettante
Stan divide in dne parli ; e moto e normi
Da dne dadi gittati attendon , pronte
Ad occupar le case, e qninci e quindi
Pugnar contrarie. -^ Oh cara a la Fortuna
Chiella che corre innanzi alP altre, e seco
Ha la compagna onde il nemico assalto
Porte sostenga f Oh ^iocator felice
Chi pria T estrema casa occnp»; e P altra
De le proprie magioni or din riempie
Con doppio segno; e. quindi poi , securo
Da la falange,, il suo rivai comhatte ,
E in proprio hen rivolge t col]pi ostili ì -
Al tavolier s* assidono amhidue ^
ì/ amante cnpidissimo e la ninfii ^
Qaella occapa ana sponda , e qaesli V allr».
f^tì'\ LETTERATCRA ITALURA
11 marito col gomito s* appoggia
Air QD de' lati : ambi g)i orecchi tende ;
E sotto al laTolier di «fuaodo.ia quando
Gaala eoa gli occhi* Or V agitar dei dadi
Eptro ai aonanti bòtsolr comincia;
Ora il picchiar de* bòssoli snt piano;
Ora il vibrar 9 lo sparpagliar « V urtare ^
il cozzar de* due dadi ; òr de lo mosse
Pedine il martellar. Toroesi e freme
Sbalordito il geloso: a fuggir pensa.
Ma rattienio il sospette* Il romor cresce.
Il rombazzo, il frastono, il rovinio.
Ei più regger non poote; in piedi balza ,
E con ambe le man lora gli orecchi*
"Tu Tincesti, o Dferciirìo; il cauto amante
Poco disse, e la bella tntele assai.
Tal ne la ferrea eU, quando gli sposi
Folle sttperstizioD chiamava alP armi ,
Giocato fu. Ma poi che V aoneo fulse
Secol 'di novo , e che del prisco errore
Si spogHaro i mariti, al sol difetto
La Dama e il CavaKer volsero il gioco ,
ChiB la necessità scoperlo avea.
Fu superfluo il romor t di molle panno
La tavola vestissi , e de' patenti
Bòssoli *ì sen: lo . schiamazzio molesto
Tal rintuzzossi ; e durò ai gioco il none *
Che ancor V antico strepito dinoia.
La Notte.
Né tu contenderai, benigna Notte,
Che il mio Giovane illustre io cerchi e gwidi
Con gli estremi precetti entro al tuo regno»
I H npme di Tòctrtc..*
»ecoLO DrcisKiTTiTo 4o5
Già di tenebre infoha e dì perigli
Sola , squallida , mesta , alto sedevi
Su la timida terra. Il debii raggio
De le stelle remote e de' pianeti
Che Del silenzio camminando vanno,
Rompea gli orrori tuoi sol quanto è d* uopo
A sentirli vie più. TerribiI ombra
Giganteggiando si vedea salire
Su per le case e su per 1* alte lorri
Di tesòhi antichi seminate al piede:
E ùpupe e gufi e mostri avversi al Sole
Svolazza van per essa , e con ferali
Stridi porUfan miserandi aogurj ;
E lievi dal terreno e sìnorte fiamme *
Di su di giù vagavano per 1' aere
Orribilmente tacito ed opaco;
E al sospettoso adultero , che lento
Col cappel sulle ciglia e tutto avvolto
Nel manlel se ne già con 1' armi ascose ,
Colpieno il core e lo stringean d* affanno.
£ fama .è ancor che pallide fantasime ^
Xtungo le mora de ì deserti tetti
Spargean lungo acutissimo lamento.
Cui di lonlan per entro al vasto bujo
I cani rispondevano ululando.
Tal fosti, o Notte, allor che gì' ioclit* avi
Onde pur sempre il mio Garzon si vanta
Eran dori ed alpestri; e con P occaso
Cadeau d(»po lor cene al sonno in preda ,
Fin che V aurora sbadigliante ancora *
X
1 Fitmunt- I fuochi fatui.
2 Fin che ec, • Vuol 4ire con ciò , chs quMti avi kTavansì dal )«tl«
4]uaudo r aurora appena era cominciata; e levali davausi a laTurare; di «b«
poi arricchirono ec. .
^a6i LETTEnATOllA ITALIARA
Lì richiamasse a vigilar sa V opre
De i per novo cammia guidati rivi,
E sa i eampi nascenti , onde poi grandi
Furo i nepoti e le ciltadi e t regni.
Ha ecco Amore, ecco la madre Venere,
Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj.
Glie trionfanti per la notte scorrono.
Per la notte che sacra è al mio Sigoore.
Tutto davanti a lor, tutto s'irradia
Di nova luce. Le ni miche tenebre
Foggoiio riversate; e V ali spandono*
Sopra i covili ove le fere e gli uomini
Da la fatica condannali dormono.
Stupefatta la notte intorno vedesi
Riverberar più che dinanzi al Sole
Auree cornici , e di cristalli e spegli
Pareti adorne e vestimenti varii
E bianche braccia e pupiilette mobili
£ tabacchiere preziose, e fulgide
Fibbie ed anella^ o mill» cose e milieu
Così r eterno caos, allor che Amore
Sopra posovvi, e il fomentò- con Tale,,
Sentì il generator moto créarse ,.
Sentì schiuder la luce; e sé medesmo-
Vide meravigliando, e tanti aprirse
Tesori dì natura entro il suo grembo*.
PALLE POESIE LIRICOE.
La vitc{ rustica.
Perchè turbarmi T anima, ^glà per me si piega
O d'oro e d'onor brame. Sul remo il nocchier bran
Se del mio viver Atropo ' Colà donde si niega
Presso è a troncar lo stame ; Che più ritorni alcun ^^
1 Vaa deHe Parche.
2 Caroate ^ nocchiero dello Stige d^oad* nessuno mai ritonuva.^
SECOLO DEClMOTTvro iJOj'
Queste che ancor ne ava u za no Già la quiete, a gli uomini
Ore fugaci e meste,
Belle ne renda e amabili
La liberlade agreste.
Qui Cerere ne manda
Le biade, e Bacco il Tin ;
Qui di fior s* inghirlanda
Bella Innocenza il crin.
Su che felice slimasi
Il,possesor d^ un* arca ,
Clke Pluto ' abbia propizio
Di gran tesoro carca ;
Ma so ancor, che al potente
Palpita oppresso il cor
Sotto la man sovente
Del gelato timor.
Ile, non nato a percolere
Le dure illustri porte.
Nudo accorrà, ma libero,
II regno della morte.
Mo, ricchezza ne onore
Con frode o con viltà
Il secol venditore
Mercar non mi vedrà.
Colli beati e placidi
Che il rago Énpill ' mio
Cingete con dolcissimo
loscnsibil pendio.
Dal bel rapirmi sento
Che natura vi die ;
Ed esule contento
A foì rivolgo il pie.
Sì sconosciuta, l'u seno
De le vostr' ombre apprestami
Caro albergo sereno ;
E le cure e gli atTanni
Quindi lunge volar
Scorgo, e gire i tiranni
Superbi ad agitar.
In van con cerchio orribile,
Quasi campo di biade ,
I lor palagi attorniano
Temute lance e spade ;
Però eh* entro al lor petto
Penetra nondimen .
II trepido sospetto ^
Armato di velen.
Qual porteranno invidia
A me, che di fior cinto.
Tra la famiglia rujitica,
A nessun giogo avvinto ,
Come solea in Anfriso ^
Febo pastor, vivrò;
E sempre con un viso
La cetra sonerò !
Inni dal petto supplice
Alzerò spesso a i cieli ;
Sì che lontan si volgano
I turbini crudeli,
E da noi lunge avvampi
L'aspro sdegno guerrier,
Ré ci calpesti i campi
L' inimico destrier.
X IHuto. Dio delle rìcchesse.
a Nome dato da Plinio a un lag^ , che fi crede essere quello di Pusiano,
3 Fiume della Tessaglia , lungo le cui spond« ApoUo pasceva jgU aimenti
di Ameto quando Giov» caccioUo dal cialo.
fa Ci
4o8
LETTEIIATUIU ITALI. Mf.i
E le, viIIaD sollecito,
Che per nov* orme i! Iralcio
Saprai guidar, freDandolo
Col pieghevole salcio ;
E te, che steri! parte
Del tuo terreo, di pia
Render farai con arte
Che ignota al padre fu :
Te co^ miei c^rmi a i posteri
Farò passar felice ;
Di te parlar più secoli
S' udirà la pendice;
La salubrità dell' aria»
E sotto Palte piante
Vedransi a riverir
Le quete ossa compiante
I posteri venir.
Tale a me pur concedasi
Chiuder , campi beati ,
Nel vostro almo ricovero
1 giorni fortunati.
Ah ! quella è vera fama
D' nom che lasciar può qui
Lunga ancor di sé brama
Dopo r ultimo di ! ^
Oh beato terreno
Del vago Eupili mio :
Ecco al fin nel tuo seno
M^ accogli ; e del natio
Aere mi circondi ;
E il petto avido inondi l
Già nel polmon capace
Urta se stesso, e scende
Qiiest' etere vivace ,
Che gli egri spirti accende,
E le forze r integra ,
E l'animo rallegra;
Però ch^ ausfro scortese
Qui suoi vapor non mena ,
E guarda il bel paese
Alta di monti schiena ,
Cui sormontar non vale
Bor^a con rigid' afe.
Né qui giaccion paludi
Che da lo impuro letto
Mandino a i capi ignudi
NuvoI, di morbi infetto
E il meriggio a^ bei colli
Asciuga i dorsi molli.
Pera colui che primo *
A le triste, oziose
Acque e al fetido limo
La mia ciltade espose ;
"E per lucro ebbe a TÌIe
La salute civile.
Certo colui del fiume
Di Stige ora s* impaccia
Tra r orribii bitume ;
"Onde ^ alzando la faccia.
Bestémmia il fango e Tacque
Che radunar gli piacque.
1 la alcune edis. «{uesi* ode ha due strofe di più che l'Autore stesso rifiatò.
2 Pera ec, . Inveisce contro V usanaa dei prati di marcita e dello lisajc
in troppa vicinansa della città»
3 Ondt* Di dove*
SECOLO 0£CiaiOTTATO 409
Mira dipinti in riso Ben larga ancor natura
Di aiorlali pallóri
Entro al -mal nato riso
I langoenli enitori;
E Irena , o cittadino ,
Che a te il soffri ? icinov
Io d^' allei colli ameni
Nel bel clima innocente
Passerò t di sereni
Tra la beata gente
Che ) di fatiche ònnsta ^
£ vegeta e robusta^
Qui con lar meote sgombra , *
Di pure linfe * asterso ,
Sotto ad nua frese' ombra
Celebrerò col verso
I villan vispi e sciolti ^
Sparsi per li ricolti t
£ i membri) non mai stanchi
Dietro al crescente pane * ;
E i baldanzosi fianchi!^
De le ardite villane ;
E il bel volto giocondo
Fra il bruno e il rubicondo;
Dicendo : Oh fortunate
Genti, che in dolci tempra
Qaest^ aura respirate «
Rolla e purgala sempre.
Da venti fuggitivi
E da limpidi rivi I
Fu à la città superba
' Di cielo e d' aria pura \
Ma chi i bei doni or serba
Fra il lusso e 1^ avarizia
E la stolta pigrizia?
Ahi! non bastò che interna
Putridi stagni arvesse ;
Anzi a turbarne il giorno
Sotto a h mura stesse
Trasse gli scelerati
Rivi a marcir su i prati ;
E la comun salute
Sagrificossi al pasto
D'ambiziose tonte ^^
Che poi con crudo fasto
Calchin per T ampie strade
Il popolo che cade.
A voi il timo e il croco
E la menta selvaggia
L^ aere per ogni loco
De* varj atomi irraggia ,
Che con spavt e cari
. Sensi panf[on le nari.
Ma al pie de' gran palagi.
Là il fimo allo fermenta;
fi di sali malvagi
^Ammórb», Paria lenta.
. Che a sla|nar si rimase
Tra le soblkHi case.
^.Diefra c«^. Sbu»«iii itHiohi nel «oltivtte le Ufeile.'
3 Mute, Coppie di cavalli.
Ci
♦-» ■
UTTMULT. ttàSm — IT
35
4io
Quifi i lari plebei
Da le spregiate crete '
D' umor fracidi e rei
Ycrsan fonti indiscrete;
Onde il fapor s' aggira,
E col fiato s^ inspira*
Spenti animai, ridotti
Per le frequenti Tie,
De gli aliti corrotti
Empion Testi IO die:
Spettacolo deforme
Del cittadin snlForme * t
Né a pena cadde il Sole,
Che vagaali latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città , che desta
BeTe Paura molesta.
LETTEKATURl ITALUBlÀ
Gridan le leggi , è fero ;
E Temi bieco ^ guata*
Ma. sol di se pensiero
Ha r inerzia prifata.
Stollo! E mirar non jruoi
Ne^comup danni i tuoi?
Ha do?e, ahi! corro e %àgo
Lontano da le belle
Colline e d^l bel l^go
E da le Tillanelle,
A cui si vivo e schietto
Aere ondeggiar, fa il petto?
Va per negletta via
Ognor r ntil cercando
La calda fantasia ,
Che sol felice è quando
L^ ntil unir può al vanto
Di lusingbevpl canto.
\ V Impostura. •
Venerabile . Impostura ,
Io nel tempio almo a te sacro,
Vo tenton per V aria oscura }
E al tuo santo simulacro,
Coi gran folla urta di gente,
Già mi prostro umilemente.
Tu de gli uomini maestra
Sola sei. Qualor tu detti
Ne la comoda palestra
I dolcissimi precetti,
1 Da le sprecata ec.. Dalle povere case del volgo.
a La politesia della nostra citUi può invece al presento esser ^lati ù
esempio ; ma V usansa delle vagmU UUriM aceeaiMU subiCa dop« aspeUi
■aèora q«al<3ie utile piovvcdinento.
3 SùC9, Biecuneato»
SECOLO DEGIHOTTATO 4 I I
Ta il discorso volgi amico
Al monarca ed al mendico.
L' an per tia piagato reggi ;
E fai si ^ che in gridi strani
Sua miseria giganteggi:
Onde poi non calti pani *
A lui frutti la semenza
De la flebile eloquenza.
Tq deiriiltro a lato al trono
(jon la Iperbole ti posi ;
E fra i turbini e fra il tuono
De' gran titoli fastosi ,
Le Tergogue a lui celate
De la nuda nmanilate.
r'
Già con Kuma ' In sul Tarpco
Désti al Tebro i riti santi,
Onde V àugure poteo
G>^ SUOI voli e co^ SUOI canti
«Soggiogar le altere ménti,
. Domatrici de le genti.
Del Macedone ^ a te piacque
Fare nn dio, dinanzi a coi
Paventando l'orbe tacque;
E neir Asia i dotai tui
Fur che 1' arabo Profeta
Sollevaro a si gran meta*
Ave, Dea. Tu come il sole
Giri , e scaldi 1' univèrso ;
Te suo Nume onora é cole
Oggi il popolò diverso ;
I Non emlU ee.. Pana cke a lai non còtta la fatica dal coltivarlo.
% fe noto che Nuaoa asieri di aver ricevute le sue leggi dalla ninfa Egeria.
3 Aleesandro il Macedone ToUe esser creduto figliuolo di Giove. -^ L' «*
ra^o Pn^oU b Blaonètto.
4 12 |,F.TTEUATORA ITALURI.
E Fortnoa ', a le defota V
Diede a folger la sua rota^
I SQoi dritti il merto ceda
A la Ina difloilade,
'i -
E Tirlà ia sua mercede.
Or , se tanta potestade
Hai qua, giù, col tuo fatoré
Che DOC &i por me impostore?
Mente pronta, e ognor felice
D* opportune utili fiile.
Hate ^ il tuo degno seguace; -
Ha pieghevoli parole;
Ma tenace, e, quasi monte,
locrollabile la fronte..
Sopra tatto ei non oblia, ' '^■'
Che Oli fermo il tuo colosso
Nel gran tèmpio non &tari«, ^
Se,^qaal base, ognor eoi dossu!
Non ri^ggessegli Ìl costante
Verosimile le piante.
Con quesl^ ,arte CInvieno ^ ,
Che al bel sesso ora è il pia cara
Fra insegnaci di Galeno,
Si fa ricco e si fa chiaro;
Ed amar fa, tanta ei tate,
A le belle egre il lor male.
Ma Clu?iéa dal mìa destina
D* imitar non m' è concessa^
peli* ipocrita Crispino
Va' seguir r oi-me da presso.-
1 E la Fortuna hscin volger d» te quella. Ftuita eoa cui. suol muovere «.
suo talento le cose umane.
2 Héufc. Ha. '
3. Cluyieno > e poco dopo Crispino ton nomi imma^iiiarU d^ tinpoftoii..
. 1
9E<Ì0L0 DECltfOTTlTO 4lS
Tu mi guida, o Dea cor lese ^
Persio iDcognito pSese*
Di ina man il coIId alquanto
Sul mane* omero mi premi ;
Tu una sliHa ognor di pìanlo
Da mie lad aride spremi ;
E mi faccia casto ombrello
Sopra il fiso ampio cappello»
Qnal fia allor sì ÌDlatto giglio
Ch' io Don macchi e ch^ io non sfrondi ,
Da le forche e dall' esigilo
Sempre salvo? A me fecondi
Di quanti-oro fico gli strilli
De' ch'enti e de' pnpilli l
Ma qaal arde amabil lame ?
Ah ì ti veggio ancor lontano ,
Yerità^mio solo Nome^,
Che m' accenni con la mano ;
£ m* in?iti al latte schietto
€h^ ognor beT?i al tuo bel petto.
Deh perdona ! Errai , segnendo
Troppo il fervido pensiere.
I tuoi rai , del mostro orrendo
Scopron or le zanne fiere.
Ta per sempre a lui mi togli ;
E me ondo nnda accogli.
// Bisogno,
Oh tiranno signore, Di valli ' adamantini
De' miseri mortali. Cinge i cor la virtuJe;
Oh male^ oh persuasore Ma tu gli urti e rovini;
Orribile di mali, E lutto a te si schinde:
Bisogno, e che non spezza Entri; e i nobili affetti
Tua indomita fierezza! O strozzi, od assuggclli.
I VttUi^ SUccati, Eiparù 3£i'^
4«4
Oltre corri, e fremente
Strappi RagioQ dal soglio;
E il regno de la mente
Occupi pien d'orgoglio;
£ ti poni a sedere
Tiranno del peasiere.
Con le folgori in mano
Tja legge alto minaccia;
Ma il periglio lontano
Non scolora la faccia
Di chi, senza soccorso,
Ha il tuo peso sul dorso.
A! misero mortale
Ogni lume s^ ammorza;
Vèr la scesa del male
Tu lo strascini a forza.
Ei, di sé stesso in bando,
Va giìi precipitando.
Ahi! r infelice allora
I comon patti rompe;
Ogni confine ignora;
TSe* beni altrui prorompe;
Mangia i rapiti pani
Con sanguinose mani-.
Ma quali odo lamenta
E stridor di catene;
E ingegnosi stromenti
Veggo d'atroci pene
Là per quegli antri oscuri.
Cinti d* orridi muri?
LBTTEniTORl ITiMAIfi
Colà Temide * armata
Tien gindizj funesti
Su la turba affannata
Che to persuadesti
A romper gli altrui dritti,
O padre di delitti.
Meco Tieni al cospetto
Del Nume che vi siede.
No, non avrà dispetto
Che tn T^noltri il piede»
Da lui con lieto toUo
Anco il Bisogno è accolto*
O ministri di Temi,
Le spade sospendete t
Da i pulpiti ^ supremi
Qua l'orecchio volgete.
Chi è che pietà niega
Al Bisogno che prega ?
Perdon , die' ei , perdono
A i miseri crucia tf.
Io son Fautore, io sodo,
De'Ior primi peccati:
Sia contro a me diretta
La pubblica vendetta. -<
Ma quale a tai parole
Giudice si commoye?
Qual dell'umana prole
A pietade si move?
TuWirlz^,uom saggio e giusto,
Ne dai l'esempio augusto:
2 Temidi. La Giostiùa.
9 Dai ptéipiH fc. . Dai Tostrì alti seggi | dai tribuna}!.
3. ì^irUs^. Va Magistrato di Luou nome a cui V Qde fu indirii<ata«.
— — ._j^_
SECOLO DEClfilOTTATO
4l5
Tu, cài sì spesso vìnse
Dolor degV infelici ,
Che ìì Bisogno sospinse
A por le rapìtrici
Mani neirallrni parte
" O per forza o per arie;
E il carcere lemnto
Lor lieto spalancasti ;
E clango oro ed ajnto ,
Generoso insegnasti ,
Come senza le pene
Il fdllo sì previene.
La Educazione,
Torna a fiorir la rosa ^
Che par dianzi languia ;
£ molle si riposa
Sopra i gigli di pria *»
Brillano le papille
Di viraci scintille*
]>a guancia risorgente
Tondeggia sul bel viso;
E quasi lampo ardente
\a saltellando il riso
Tra i muscoli del labro,
Ove riede il cinabro.
I crin, che in rete accolti
Lunga, stagione, ahi! fòro,
Sull'omero disciolti ,
Qual ruscelletto d'oro,
Forma attendon novella
•D'artificiose anella»
Vigor nova conforta
L' irrequieto piede:
Natura ecco ecco il porta.
Si che al vento non cede.
Fra gli utili trastulli
De' vezzosi fanciulli.
O mio tenero verso ^
Di chi parlando vai ,
Che studii esser più terso
E. pulito che mai?
Parli del>giovinelto.
Mia cura e mio diletto?
Pur or cessò V affanno
Del morbo ond'ei fu grave:
Oo:si l'undecim^aoDO
Gli porta il Sol, soave
Scaldando con sua teda
T figliuoli di Leda. '.
Simili or dunque a dolce
Mele di favi Iblèi %
Che lento i petti molce»
Scendete, o versi mìei.
Sopra r ali sonore
Del giovinetto al core.
O pianta -di buon seme.
Al suolo, al cielo amica.
Che a coronar la speme
Cresci di mia Cotica,
Salve in si fausto giorno
Di pura luce adorno ì
1 Sopra ee. . Sopra le gote che , lasciato il p«illore » tocnarono. come pria ,.
«ADdìde al pari dei gigli.
2 Castore e Polluce, o i Gemelli,, custellasione di Maggio.
3 U mele d' Iblea >, monte dcUa &iciIÌA., fa assai iamoso..
4i6
Vorrei di geotalt
Dodì grao pregio offrirti;*
Ha ctii die liberali
Essere a i sacri spirti ' ?
Fuor che la cetra , a loro
Non venne altro tesoro.
Deb! perchè non somiglio
Al Tessalo * maestro ,
Che di Teiide il figlio
Guidò sul cammin destro?
Ben IO ti farei doni
Più che d'oro e canzoni.
Già con medica mano
Quel Centauro ingegnoso
Rendea feroce e shiio
Il suo «lanno famoso ;
Ala, non men che a la salma,
Porgea vigore all'alma.
A lui , che gli sedea
Sopra la irsuta schiena,
Chiron si rivolsea
9
Con la fronte s*erena ,
Tentando in su la lira
Suon che virtude inspira
Scorrea con giovanile
Man pel selvoso meato
De! precettor geniile;
E con l'orecchio intento
D' Eàcide ^ la prole
Berea queste parole:
LETTERATO Aà 1TALIA1V.A
Garzon , nato al soccorso
Di Grecia, or ti rimeoabra.
Perchè a la lottar e al corso
10 t'educai le membra.
Che non può un'alma ardita^
Se in forti membri ha vita?
Ben sul robusto fianco
Stai; ben stendi delParco
11 nerva al lato manco ;
Onde al segno eh' io marco,
Ya stridendo Io atrale
Da la cocca fatale.
Ma in van, se il resto oblìo.
Ti avrò possanza infuso.
Non sai qual contro a Dio
Fé' di Sue forze abaso
Con temeraria fronte
Chi monte impose a monte ^?
Di Teti odi, o figliuolo,
Il ver che a te si scopre :
Dall' alma origin solo
Han le lodevoPopre.
Mal giova illustre sangue
Ad animo che langne.
D' Eaco e di Pelèo
Col seme in te non scese
Il valor, che Teseo
Chiari e Tirìnlio ^ rese;
Sol da noi si guadagna,
E con noi s'accompagna.
1 Sacri spirti, l poeti.
2 Ai centauro Ghiro ne edacatore di Acbtlle.
3 Eaco fu avo di Achille.
4 Chi ec. . I GigaiUi.
5 llrintio h lo ilesso che Ercole od Alcide.
SEGOLO oÈcmiyfTkvo • 417
Grna prole era di Gio?e ' Sì bei doDi del cfelo
Il magnanimo Alcide;
Ma quante egli fa prove
E quanti mostri ancide,
Onde s^innalai poi
Al seggio de gli eroi?
Aiiri le altere cune
Lascia , o garzoo, che pregi :
Le superbe fortune
Del vile anco sob fregi.
Chi de la gloria è vago.
Sol di virtù sia pago.
Onora, o figlio, il Nume
Che dall'atto ti guarda;
Ma solo a lui non fumé -
Incenso, o vittim'arda.
£ d^uopo. Achille, alzare ■-
Neil* aloÉa il primo aliare.
Giustizia entro al tuo seno
Sieda, e sul labbro il rero;
E le tue mani sièno '
Qual albero straniero^
Onde soafl unguenti
Stillin sopra le genti.
Perchè si pronti affetti
Nel core H ciel ti pose?
Questi a Ragion commetti;
E tu Tedrai gr^in cose.
Quindi l'alta rettrice
Somma virtude èlice.
No, non celar, garzone,
Con ipocrilo Tèlo •
Che a la virtù si oppone.
Il marchio ond^è il cor scoile?
Lascia apparir nel volto.
Da la lor meta ha n Ickie,
Figlio, gli affetti umani.
Tu, per ia Grecia, proit
Insanguina le mani :
Qua volgi, qua fardire
De le magnanima ire.
Bla quel più dolce sènso,
Onde ad an)ar ti pieghi.
Tra lo stuol d^ armr ^enso
Venga, è ptetk non nieglii
Al debole che- eààe^
E a te grida ptetade.
Te questo ogoor costaete
Schermo renda ai mendico ;
Fido ti faccia amante
E indomabile antico.
Cosi con legge alterna
L^ animo si -go? enìa. -
Tal cantava il Centauro.
Baci il giòvao gli offri v*
Con ghirlande di làuìro.
E Tetide che udiva,
^ A la fera divida'
' Piaudia da la mUrina.
La Caduta,.
Quando Orion ^ daj cielo
P^ecljnando' imperversa ^
l Orifuifi» Ij[tu deUe cottelUsiuoi : qui dinota V inverop.
A,$ LETTEIIAT0R4 ITALIaWA
E pioggia e nefi e gelo
Sopra la terra ollenebrala versa.
He, spÌDto ne la ialqna
Stagione, infermo il piede».
Tra il fango e Ira T obliqua
Farla de' carri la città gir Tcde ;
E per aTTerso sasso , ^
Mal fra gli altri sorgente ,
O per lubrico passo
Lungo il cammino stramazzar soTcnte.
Ride il fanciollo; e gli occbf
Tosto gonfia commosso;
Crtè il ctibilo o i ginocchi
Me scorge o il menlo fU\ cader percosso.
Allri occorre; et Oli infelice,
E di men crudo fato
Degno Tate ! mi dice;
E seguendo il parlar, cinge il mio Iato
Con la pietosa mano ;
E di terra mi loglio;
. E il cappel lordo e il vano
Baston, dfapersi ne la via, raccoglie:
Te, ricca di comune
Censo, la patria loda;
Te sublime, te immune
Cigno da tempo che il tuo nome roda ,
Cbiama, gridando intorno;
E ie molesta incita
Di poner fine al Giorno ,
Per cui cercato a lo stranier ti addita.
Ed ecco il debii fianco *
Per anni e per natura
1 £ noto che il Panni fu impedito ne* piedi*
% Ed ecco ec, . Ed ecco vai «Iraicinando nel suolo «e il ^WM debile
per anni e per natura.
SEC01.0 DECIBIOTTJLTO /| I ^
Vài nel suolo pur anco
Fra il danno strascinando e la pSura.
Né il si lodalo verso
Yile cocchio ti appresta ,
Che te salvi a traverso
De' trivj dal furor de la tempesta.
Sdegnosa anima ! prendi y
Prendi novo consiglio,
Se il già canuto intendi
Capo sottrarre a pia fatai periglio*
Congiunti tu non hai ,
Non amiche 9 non ville.
Che te far possan, mai
NelP qrna del faroìr preporre a mille*
Dunque per V erte scale
Arrampica qual puoi ;
E fa gli atr) e le sale
Ogni giorno ulular de^ pianti tuoi ;
O non cessar di pòrte
« Fra lo sluol de' clienti ,
Abbracciando le , por te
Degl* imi , che comandano a i potenti ;
E , lor mercè , penetra
Ne' recessi de' Grandi ;
E aopra la lor tetra
Noja le facezie e le novelle spandi.
O, se tu. sai, più astuto
I copi sentier trova
Colà 9 dove nel muto
Aere il destin de' popoli si cova ;
E fingendo nova esca
Al pnbblico guadagno ^
L' onda sommovi , e pesca
Insidioso nel tnrbal^o slagno.
^20 lìETTEBJkTCRÀ |T.AUUIA
Ma chi giamoMÌ potria
(Guarir ta« Boiate illfisa ,
0 Irar per aItniK m
Te, ostipato anatoF de la la» Mosa ?
Lasciala; o, pari a Tile
Mima^^; il padore insalli 9
DileKaorlo .scorrile
1 bassi genj, dieira al . foslo occalli. -
Mia bile al fin y costrelta
Già troppo, dal pr^aodo
Petlo rompeado , getta /
Impetilosa ^li argiotve rispondo!
Chi sei tu, che «osteèti »
A' mtf: questo vetasto
Pondo*, e rantiiM» tenti
Prostrarmi a terra ? Umano sei ; non giusto.
Buon cittadino,' al tfegnò^
: Dote natura e i primi '
Casi ordinar, lo ingegno ',)
Guida cos^, che lui la pi^ria estimi.
Quando poi d^età;cai'co
: Ili bisogno lo stringe ^
Chiede opportuno e parco ^ - ' , ^^
Con fronteJiberaC che l'alma pioge*
E se i duri mortali^ <
'A li|t Toltane il terge ,
£i si fa , contro a i^ luali,' * . ^)
De la costanza sua scedo 'ed . asbèrgo.
Né si abbassa per duole ;" > • )
Nèa^alza^ per .orgoglio. ^ -. ":
E ciò dicendo ,- solo? T^
Lascio il mii> appoggio; e biecp iodi mi toglie.
1 Mima, Stiione , Gommedianle. '
2 Quuto veiustQ ec.v Questo Wecltio mio coipow - ^
SECOLO UECmùTTAyO
Così , grato a i soccorsi ,
Ho il consiglio a dispetto;
E privo di rimorsi,
Gol dubitante pie torno al mio tetto,
// Pericolo,
^ai
In ?ano, in van la chioma,
Deforme di canizie ;^
E r anima , già doma
Da i casi, e fatto rìgido
Il senno dall'età,
Si crederà che scudo
Sien contro ad occhi fulgidr,
A mobii seno, a nudo
Braccio, e all'altre terribili
Arme de la beltà.
Gode assalir nel porto
La contumace Venere;
£ , rottp il fune e il torto
Ferro ' , rapir nel pelago
Invecchiato nocchier;
E, per noTo periglio
Di teippeste, all'arbitrio
Darlo del cieco figlio * ,
Esultando con perfido
Riso del suo poter.
Ecco me di repente.
Me stesso , per V undecimo
Lustro di già scendente ,
Sentii Ticino a porgere
Il pie servo ad amor ;
1 // torto ferro» L* àncora,
a Cieco JigOo» Amore.
LBTTBRAT. ITAL. - IT
Benché gran tempo al saldo
Animo in van tentassero
Novello eccitar caldo
Le lusinghiere giovani,
DI mia patria splendor.
Tu da i lidi sonanti
Mandasti, o torbid' Adria,
Chi sola de gli amanti
Potea tornarmi a i gemiti ,
E al duro sospirar:
Donna d' incliti pregi
Là fra i togati princìpi,
Che di consigli egregi
Fanno Taita Venezia
Star libera sul man
Parve, a mirar, nel volto
E ne le membra Pallade ,
Quando, l'elmo a sé tolto,
Fin sopra il fianco scorrere
Si lascia il lungo crln:
Se non che a lei dintorno
Le volubili grazie
Dannosamente adorno
Rendeano a i guardi cupidi
L'almo aspetto divìn.
36
421 LETTERATURA ITALIANA
Qaal , se , parlando , egoak Né quando lo interrotto
A gigli e rose, il cubito
Molle posava? Qaale,
§e improvviso la capdida
Mano porgea oel dir?
E a- le nevi del petto,
CLjoaDdosi, da i morbidi
Veli Don bea costreltOf
Fiero delPalme incendio!
Permetteva fuggir?
Intanto il vago labbro
E di rara fadondia
E d'altre insidie fabbro*
Già modulando i lepidi
Detti nel patrio suon.
Che più? Da la vivace
Mente lampi scoppiavano
Di p5etica face,
Che tali mai non arsero
fi'amlra dì Faoo ';
^'è qaando al coro intento
De le fanciulle Lesbie
L* errante violento .
Per le midolle fervido
Amoroso velen;
Dal fuggitivo giovane
Piacer cantava ; sotto
A la percossa celerà
Palpitando il sen.
AbimèI Quale infelice
Giogo era pronto a scendere
Sn la incanta cervice,
S' io oel dolce perióolo
Tornava il quarto cU!
Ma con veloci rote
Me, quantiinqae mal docile,
Ratto per le remote
Campagne il mio boon Genio
Opportuno rapì;
Tal cbe in tristi catene
A 1 gafsoni ed al p»polo ,
Di giovanili pene
Io canuto spettacolo
Mostrato non sarò.
Bensì, nudrendo il. mio
Pensiertdi care imagiui.
Con aoave desìo
Intorno ali^onde Adriache
Frequente* volerò*
In morte del maèstro Sacchini «.
Te con le rose ancora
De la felice gioventù nel volto '
Vidi e conobbi , ahi ! tòlto
Sì presto a npi da la fatai tufi ora,
O di suoni divini
Pur dianzi egregio Irovator Sacchini!
I l/'^mUa ec* • Saffo , natiira di Ltsbo.
a Antonio Sacchini, KapoUtan», mori ia Parigi nel 1787*
•ECOLO DECIMOTTATO i^li
HaschU bella 'fioria
Neir alte membra ; da i f itaci lumi
SpleDdido di costomi
E di soafi affetti indizio ascia;
Il labbro era potente
Dell^ animo lusinga e de la mente.
Air armonico ingegno
Qaante ToUe fé* plauso; e finta poi
Da gli altri pregi tuoi.
Male al tenero cor pose ritegno
Damigella immatura ,
O matrona, di sé troppo secoral
Ma perfido, o festoso
Te giammai non chiamò lardi pentita;
Né d* improTTiso- uscita
Madre sgridò, né furibondo sposo
Te ingenuo , e del procace '
Rito de' tuoi non facUe . seguace.
Amò de"^ bei concenti
Empier la tromba sua poscia la Fama ;
Tal che d' emola brama
Arser per te le più lodate genti
Che Italia chiuda J o V Alpe
Da noi rimoTa, o pur T erculea Calpe**.
E spesso a breve oblio
La da lui declinante in noTo impero '
11 Brkaono severo
Anierica lasciò : tanto^ il rapio ,'
Non avveduto a i trnti
Gasi, r arguzia, onde i tuoi modi ordisti!
1 PrccM». Auaace , Sfrontato. — Bilo, Um ,
a Zi* erculea ec, . Lo ilrrtto di Gikiltem, detto già le Colonae d'Ercole,
3 La da lui ec. • E ftpeuo 11 BritMUM dineuticoisi 1* America inte&ta al-
lom a soUrani dall* ln)(hiltcin ed a tutk iadipendente.
4^4 LETTBRATCIIA ITALIANA
O se la tua dal mare
Arte poi veone a papol pm (aceto,
I^el teatro inqMielo
Taéqtier le ardeilti inasicali gare ;
E ÌQ te sol uno immoti
Slelter de i cori e delP orecchio i roti;
Poi che da* tuoi pensieri
Mirabili di sbom orditi si Mhiuse,
Che per V aria diffuse
Non. perataco a! mortai noti piaceri :
0 se tu amasti Tanto
Dare a i moUli plettri y o pure ai canto*
Fra la scenica luce
Ben più superbi str«scinaro& gli ostr^ :
1 preziosi mostri ^ ,
Cijie r Italo erodete anoor produce ;
E le a?<are sirene '
X^rau air alme speraip impor catene ,
Quando su le sonore
Labbra di. lor tuo nobil' estro scese;
E noTÌ accenti apprese
De le regali Tergini ai dolore;
O ne* tragici affanni
'Tarbò di modulate ire i liraaiù.
• Ma tu , del 4ion ?irile
Gregge sprezzando i foUi orgogli e V oro ^
Innalzasti il decoro
De la heir arte tua, spirto' gentile , '
Di liberi diletti
Sol atidp bear gli umani petti.
Me, se talor con?érse
La non cieca* Fortuna a te il suo ?iso.
V A ^«^Co^i cioè : Pagati « cariscimo pr«is«.
a Non cieca, S' intende, non eiet» in fuetto e|^o^
SBCOtO DECIHOTTàTO 4i5
E con lieto isoiriso
^ Fulgido dì ìtBoro il lembo aperse.»
lodifisi 'ft gli amici
I dont a te di lei, parfer feiicL
Ahi! sperafa a le belle •
3ae sptag^}, Ilalia rivederti al fise^
€oroDàndotr il crine
Le già cresciate a lei fresche donzelle.
Use di te le lodi
Ascoltar da le madri e i dolci modi !
Ed ecco r atra mano ^ .
Alzò colei , eui nessan pregio moTe ;
E te, cercante dooto
G^azie^ laogo if sooorp ebano in fano,
* Percossa ; e di famose
Iiagriue oggetto in au la Sàma pose.
Uè gioconde pupille
Di cara: donna,' né d* amici affetto ,
Che tante a le. nel petto
Yalean di senso ad eccitar fafille\
Pia desteranno argato
Suono dal cener tuo per sempre mulo.
Per V incuta l^ice ^ .
Quando noVel(e a chiedere
Manda V inclita Piice
Del pie , che me" cdstriogert
Suole al letto iolelice ,
, Sento repènte F. inlimo
Petto agitarsi del bel nomA^al snon.
Rapido il sangue fluttua
Ne le mie ?ene; invade
1 QttMt*Ode Al composta ael 179?. Nella eduioiit del signor Rcioft»
•SM Im per tkiolo: U Mùm^fia..
3G*
42Ì l£TT8ll4rURA ITàLIUMi
Acre cftlor le trepide*
Fibre ; m* arrosso ; cade»
La vece ; ed al rispondere^
Util pensiero ili Tea cerco e sormoDkw
Ride^ creila io ^ partendosi
Il messo» E aUo» soletta
Tutta yegg* io eoo: PaBioMr,.
Pìen di BÓTa diletto',.
Tutta di lei la inegine
Deotr» a 1» calda fantasia fenin.
Kd ecco, ed ecco sorgere
Le delipite fiime»
So?ra il bel fianco, e mobili
Scender con* locid orme.
Che mal paò la doTiziai
BeiV ond<^giante.4ii pie Tette coprir».
K'oco spiegarsi e Temerò
E le braccia ^orgogliose ^
Coi di ragJadn nedeene
Ftescbi l^^oslri e rose^
E il brano sottilissimo*-
. Crine- che sovra, lop* ^olandb va-^
K cpasi molle cumulo
Crescer di neve al'prna
La man, che ne le floride;
Dita lieve declina, '
Cara de^fcaci invi'dfà - • ;
Che tiverenia contener poi' saw.
#en puoi tu , nove, illepido ,.
Sceso tra* noi costume.
Che vano ami dell' avide* - ^ -
Luci rendev T acume.
Altre ioV'Olar delizie 9,
Inmen^o intorno a lor lolgendìo fet;r
Ha oda celar Fa grazia ** ,
Né ìL fezzo che circonda
Il Tolto, affatto shttite
A quel de la g;ioconda
^be*; che nel nobil prenito
ÀI magnahimo- Alcide è data hk eie}'$
Né il guardo che ifissimnia -
Qaanto in altrui prevale;
E vòlto poi , con sobito
Impelo i cori assale,
Qaal Parto sagittario ^
Che più certi , fuggendo , ì col}»! otlien %
Né i labbri or dolce tumidi.
Or dolce in sé ristretti ^ .
A cui gelosi temone-
Gli Amfori pai^elèttt' ^
Non ornai tutto a suggere
Doni Venere madre il suo bel sea^
1 labbri, onde il sorriderei
GVati'sstmo bafena;
Onde r eletto e nitido
Parlar, che Talme affrena.
Cade, come di limpide
Accpe, lungo il pendìo, tene romor^
Seco portando è i fblgidi
-'Sensi eira Kcli, or gravi */
E i geniali studii , '
E i costumi s5avi:.
1 Ma mn^ puoi eelnr ea . ' /
» Ebe. Dea della giovinemt iàM V kicaiko di meMeii» «ili* Dei U%hk
ipoi luecedette in ^ell* aficip Ganimede.
3 P^rto ee. . I Parti erano terrìbili in guerra peish^ » A>€l^^ dinaaii
d. Mnùo I tfcgvnaui. yoluni a un tratta « u^ettado..
^aS LETTERATCal ITALURA
Oode salir può nobile
Chi bea 4*«P»pÌA fortiioa t|sa 3 bvcM*.
Ahi ! La vijaoe imagine. . *
Tanto pareggia il vero,
Che, del pie leso immemore^
L* opra del mìo pensiero
Segoir già tento ; e 1' aria
Con la delusa man ceitando fo.-
Sciocco folgo , a che momori?
A che^^n per le infeste
Dita , ridendo , poveri
Quante 'volte il celeste
A visitare ariete
Dopo il natal jn>to di Febo tornò?
A me disse il mip Genio y
Allor eh' io nacqui : L* oro >
Non fia che te solleciti |
Né Y inane decoro
De' titoli'; oè il pierfidof
Desio di superare altri in potere
Ma di natura i liberi.
Doni ed affetti , e il grato
De la beltà spettacolo
Te renderà» beato.
Te di vagare indocile
Per lungo di sperante arda9 sentier.
Inclita Mice, il secolo^
Che di te a' orna e splende ^
Arde già gli assi ; V ultimo
Lustro già tocca ; e scende
Ad incontrar le tenebre ^
Onde una volta gioviaeUo usci;
già :victne a i Itmiti .
Del tempo , i piedi e T ali
ire Ò LO 1>ECIM0TTi.T<l 4^9 -
Esercitali le Tergi ni
Ore , che a noi mortali
Già di gatdar $* apprestano
Del secel, che ina tara , il primo di.
Ei te vedrà oel nascere
Fresca é leggiadra ancora
Pur di recenti grazie
Gareggiar. con T Aurora $
E di mirarti cupido ,
De^ tnoi begli anni farà lento il fol.
Ha iO) Ibrse- già' poirere,
Che senso altro non serba ,
Fuor che di te , giacendomi
, Tra le pie zoHe e V erba ,
Attenderò chi dicami:
Yale, passando, e ti sia IleTe il saol.
Deh ! alcun i che te nell^ aureo
Cocchio trascorrer Teggia
Su la Tii|^ che fra gli albpri
Suburbana verdeggia ,^
Faccia a me intorno l'aere
Modulato del. tuo nome .folarl
Colpito allor da brivido
Religioso il core,
Fermerà il passo; e attonito
Udrà del tuo cantore
Le commosse reliquie ^ /:. ,
Sotto la terra arguito sibijar.
Il Brindisi
Volano i giorni rapidi Le belle^ ohimè! che al fingere
Del caro viver mio; Han lingua c<»si presta,
E giunta in sul pendìo. Sol mi ripeton questa ..
Precipita Tetà, Ingrata verità.
JfZo XETTEBATUai ITAUlHà
Gm quelle occhiate matole. Che fai ao questa cetera,
Coo quel contegno a? aro, .
Mi dicono assai chiaro:
Koi non siam più per te ;
E fuggono, e folleggiaho
Tra gioTentù TÌTace;
E rendonti loquace
L* occhio, la mano e il pie.
Che far? Degg'io^di lagrime
Bagnar per questo il ciglio?
Ah no! Miglior consiglio
E di godere ancor.
Se già di mirti teneri *
Colsi mia parte in Gnido,
Lasciamo che a quel lido
Vada con altri Amor.
Volgan le spalle candide,
Volgano a me le belle:
Ogni piacer con elle
Non se ne parte al fio. '
A Bacco, all'Amicizia
Sacro i venturi giornr.
Cadano i mirti; e scorni
Duellerà il misto crin.
Corda, che amor sonasti?
Male al tènor contrasti
^ Del DOTO- mio piacer.
Or di cantar dilettami
Tra* miei giocondi amici,
Aogarj a lor felici
Versando dal Bicchier.
Fogge (a instabii Venere
Con la stagion de** fiori ;
Ma tn, Lfeo'*, ristori
-Quando il dicembre asci.
Amor con Tetà fervida
Convien die si dileguo;
Ma r amistà «ne segue
Fioo alt* estremo dì.
he beile, eh* or s*iaro!ano
Schifo da noi lontano,
' Verraoci allor pian piano
Lor brindai ad offrir.
E noi, compagni amabili.
Che far con esse allora?
, Seco un bicchiere ancora
B>b?ere; e poi morir.
Sopra sé stesso,'
Quell'io, -che già con lungo amaro- -carme
Amor derisi e il suo rcfgno potènte ,
E tutta osai chiamar l'itala gente
Col mio riso n^aligno ad ascoi tarme :
Or' sento anchVio sotto a le indomit^arme,
, Tra la folla del popolo imminente^
I IH mitti ee. . Il mirto era sacro ad Aoiore , il ^aalc poi ate« culto
speciale ia Guido. •— a JJeo^ Bacco^
SECOLO OECinÒTTATO ^3 I.
Dietro a le rote del gran carro leale
Dall' ofifeso tiranno slrascinarme.
Ognun, per osservar T infame multa'.
Preme, urta, e grida al suo propinquo: E qt)ei'; -«
E il beffa tor comnn beffa ed insulta*
Io, scornato, abbassando gli occhi rei.
Seguo il mio fato; e il fier nemico esulta.
Impjirate a deridere gli Dei !
A Fittorio Alfieri.
Tan^a già di coturni , altero ingegno ,
Sovra r italo. Pindo orma tu stampi 9
Che andrai , se te non vince o lode o sdegno ,
Lungi delParte a spaziar fra i campi.
Come da) cupo ^ ove gli affetti haa regno ,
Trai del vero e del grande accesi lampi ;
E* le poste a* tuoi colpi anime segno
Pien d' iousato ardir scuoti ed 'avvam^pi !
Perchè dell'* estro a i generosi passi
Fan ceppo i carnd; e dove il pensier tuona ,
Non risponde la voce amica e franca?
Osa, cooleodì : e di tua man vedrassi
Cinge.r V Italia omai quella corona
Che al suo cria glorioso unica manca.
VITTORIO. ALFIERI.
Il conte Vittorio Alfieri scrisse la propria Vita m
uà volarne che può molto dilettare e istruire : ma
che DOQ potrebbe qui compendiarsi senza oltrepas-
sare la necessaria brevità.
Egli nacque in Asti, città del Piemonte, a^ 17 gen*
najo delPaono 1749* ^^ padre gli morì mentre era
bambino : la madre contrasse altre nozze.
** I Hulta «px sta per castigo in generw*
^3l LETT£R.\TORA ITALIANA
Di nove anni entrò nelF Accademia di Torino
doYe attese all' amena Iettei:atura , e più tardi alla
giurisprodeoza, ma con poco profitto^ parte pei cat-
tivi metodi d' insegnare ( com^ egli dice ) , e per la
sua poca salute^ parte, potrebbe aggiungersi, per-
ciìè negli ultimi anni le molte spese , e i cavalli di
cui troppo si' dilettava , lo distraevano da una seria
e diligente applicazione allo studio.
Uscito dair Accademia si fece soldato^ ma subito
dopo sentì il desiderio di viaggiare. Visitò prima-
mente ritalia^ poi la Francia, Tlnghìiterra ed altre
parti d' Europa in compagnia di un ajo inglese. Que-
sto viaggio finì nel 1769 : nn secondo ne imprese
queir anno stesso ancora più lungo ^ dal quale ri-
tornò alla patria nel 1772.
Fin qui poco aveva studiato P" Alfieri , e di poco
profitto gli erano stati i suoi viaggi. Per alcuni ai-
tri anni visse ozioso in Torino fra gli agi e- le di-
** strazioni cbe Iti sue ricchezze gli somministravano.
Ma finalmente si vergognò di consumare inutilmente
la vitale si diede a studiare con quella intensità
eh' era necessaria per riparare al teaipo perduto. Da
principio egli era tanto ignorante della lingua italia-
na, che stese la traccia di alcune tragedie in prosa
francese ^ ma in pochissimo tempo ne divenne pro-
fondo conoscitore, studiando a meuioria i nostri
grandi poeti , e recandosi nella Toscana per impa-
rarvi le voci e le frasi parlale. Che anzi abbandonò
per sempre il Piemonte per trasferirsi a Firenze, dove
il suo ingegno trovava un campo più libero. Quivi
conobbe la contessa d^ Albany , e strinse eoa lei
un' amicizia che non doveva più rompersi. Conti-
nuando a studiare ed a scrivere, compose parecchie
tragedie ed altre opere; non tutte però a Firenze,
giacché il nostro Poeta fu colla contessa d' Albany
neir Inghilterra , nelP Alsazia e finalmente a Parigi.
Quivi nel 1789 egli pubblicò in quattro volumi le su«:
tfiCDLa DKCiMoTTAva 433
Tragedie : pò! fungenclo i disordini e i pericoli della
rÌYolosioDe ritornò colla sua donna a Firenze, Nel
'797 ^' accinse allo studio della lingua greca, nella
quale fece tali progressi che in breve potè tradurre
i classici e scrivere egli medesimo in quel difficile
idioma, E tanto se ne compiacque che inventò V Or^»
dine di Omero e se ne fece cavaliere egli stesso.
Ma nel i8o3 a^li 8 d^ ottobre morì. La contessa
d^Albany gli. pose bella chiesa di Santa Croce in
Firenze un bel monumento, opera del Canova.
Molte sono le Opere che ci rimangono di questo
grande ingegno, sebbene egli abbia cominciata assai
tardi la sna carriera letteraria , e la morte gli abbia
interrotta la vita di soli 55. anni. Oltre alle Tra*
f'edie e alla f^ita^ ci ha lasciate le versioni di Sai*
ustio e delP Eneide , di alcune tragedie greche e
commedie latine^ un Trattato del Principe e dello
Leitcre^ un poema in ottava rima intitolato P Etruria
i^efuUcata^ il cui eroe è Lorenzino de^ Medici ^ oa
Tolume in dispregio de^ Francesi sotto il titolo di
Misogalloy parie in versi e parte in prosa ^ alcune
Commedie politiche; parecchie Salire} un supposto
Panegirico di Plinio a Trajano} i Pareri sulle prO'*
prie Tragedie i parecchie Lettere e Poesie diverse.
XI pregio principalissimo delP Alfieri è quello d^ aver
richiamata la poesiavdalle vanità arcadiche ai grandi
Argomenti della politica : i suoi difetti in generalo
consistono in una studiata durezza di stile, e in
qualche , esagerazione.
L* AaTIGGHE.
Il
Argia figliuola di Adrasto e vedova di Polinice è
venuta da Argo a Tebe per desiderio di seco por%
tarne le ceneri del suo sposo. Introdottasi col favor
della notte .nella reggia di Creonte , spera di tro*
Yare Antigone e di esser da lei ajutata nel suo pie*
UTTIPAT. VtLU — IV 3^
434 LBTTBRATCRA ITALI AVA
loto disegno : Al ahra parie Antigone vuol ascire al
campo dpy^ è Polinice per dargli sepoltura. ^A.vvedt]-
tasi dì una donna che la sta guardando, l|^ domanda
chi ella sia,
f. . ■ .
jérg. Una ìofelióe io sono.
. J^nt, » Io queste soglie
Che fai ? che cerchi io si tard' ora ? '
\ \Arg' Io... cerco...
D* Àotigoqe.^ .
Aiit, Perchè? - Ma tn chi sei?
Aatìgone conosci? a lei se* nota ?
Che hai seco, a far? che hai lo coouin con essa?
Arg. Il dolor, la pietà . • • /
j4nt Pietà? Qaal foce
Osi ta in Tebe profferir? Creonte
Regna io Tebe , noi sai ? . noto a te forse ~
Non è Creonte?
Arg» Or dianzi io qni glangea * . .
Ant, E in questa reggia il pie straoiera ardisci
Por di soppiatto ? a che ? . . .
Arg, Se io questa reggia
Straniera io son, colpa è di Tebe: odirini
Nomar qui tale io non dofrei»
'M^U Che parli ?
Ote nascati ?
Arg. In Argo.
AnL Ahi nome! oh quale -
Orror m' inspira ! A me pur sempre ignoto
•Deh stato fosse! io non vivrei nel pianto.
A'^S* Argo a te costa lagrime? di eterno
Pianto cagion mi è Tebe.
Ant* I detti tuoi
Certo a me snonan pianto. O donna, s'altro
Dolor sentir ^che il mio potessi ^ al tao
SECOÌLO DECIHOTTITQ 455-
Io porgerei eli lagrime conforto:
Grato al ùì\o cor fora la storia udirne ,
Quanto il narrarla a te ; ma non è il tempo ,
Or che on fratello io piango... .«
^rg, AH ta se' de$sa !
Antigone la sei... .e
^nt. Ma'., •la...
jtrg. ,>Sei desia.
Argia son io, la vedòTa infelice
Del tao firatéi più caro..
u^ni. Oimèl • • • che ascolto ? . . .
^r^. Unica speme mia, solo sostegno, .
'Sòreila amata , al 6n ti abbraccio. -> Appena
Ti udia parlar , dì I^olihice il suono
Pareami udire: al mio core tremante *■•
Porse ardir la tua Toce : osai mostrarmi • • .
Felfce me! . ; • ti trovo • • • Al rattennto '
Pianto deb! lascia, ch^io tra' dolci amplessi
Libero .sfogo entro al tao sen conceda.
Ani. Oh come io tremo! O tu, figlia di Adrasto,
In Tebe? in qaeste soglie? in man del fero
Creonte ? • . . Oh vista inaspettata ! oh vista
Cara non men che dolor9sa !
Arg* In questa .4
Reggia , in cui me sperasti aver compagna
(E io sperai pur io), cosi ini accogli f
Ani» Cara a me sei, piò che sorella •.. Ah ! quanto
Io già ti amassi , Polinice il seppe :
Ignoto sol m^ era il tuo volto ; i modi ;
L' indole, il core, ed il tao amore immenso
Per Ini, ciò lattor, ii^-già aapea« Ti amata
Io già, quant'egU : ma. v^erti in Tebe
Mai non volea , né il ve'* . • . Mille funesti
Perigli ( ah trema ! ) hai qui dintorno.
4 36 LETTBAATOaA 1TALIAII4
Arg^ Estinto
Cadde il mio Polinice, e vooi eh* io tremi?
Che perder più, che desiar mi resta?
Abbracciarti, e morire. -
AnL Aver paoi morte
Qui non degna di te.
Arg* Fia degna sempre.
Do?* io par 1* abbia in sa T amata tomba
Del mio sposo.
AnU Che parli?... Oimè!... La tomba?...
Poca polle che il copra, oggi si Tieta
Al too marito, al mio fratello, in Tebe,
Nella sua reggia.
Ar^* Oh ciel t Ma il corpo et angue • • •
Ani. Preda alle fiere io campo ei giace • • •
Arg^ Al campò
Io corro«
AnL Ah ferma il pie! - Creonte iniquo «
Tamido già per X usurpato trono ^
I^^gg' 1 natura, Dei, tutto in non cale
Quell'empio tiene; e, non che il rogo ei ni^hi
Ai figli d'Argo, ei dà. barbara morte
A chi dà lor la tomba.
Arg* In campo preda /
Alle fiere il nuo sposo ? ... ed \o nel campo
Passai pur dianti ! . • • e tu vel lasci ? • « • Il testo
Giorno già Tolge che trafitto ei cadde
Per man del rio fratello ; ed insepolto
E nodo ei giace? e le morte ossa ancora
Dalla reggia paterna escluse a forca
Stanno? e il sofire una madre ?. . «
Aottgone racconta qui ad Argia come Giocaste
quando vide rorteudo frati^Icidio «i uccise^ e come
Creonte cacciò poi ìq banJo il cieco Eldippo *'. A me
( soggiunge) fu tolto df essergli, come avrei volu-
to , compagna : ma forse co» ciò mi serbaron gli
Dei alla sepoltura dt Polinice, giaccbè qui chi ose*
rebbe rompev la legge £ Creonte ? chi se non io ì
^r^. Chi leco ,
€hr^ se iloQ i», potea^ffifider l'opra?
Qui beo ini trasse it Cìeio'. Ad ottenerne
' Dà tè V ansato cenere io fénlva :
Oltre mia speme in tèmpo- ancora- io giungo
Di riveder, rf abbracciar le care
Sembianze i e queltà cruda orribit piagai ' ••
Lavar eoi pianto , ed acffuetar col rogo^
L'ombra Tagante.^.» Or che tardiam? Sorèlla,
Andiaane^ io prima. »•
^nt. A santa impresa Tassi ;^
Ma ? assi a morte r io '1 deggio , e morir veglio :
PJuIia ho, che il padre, al móndo; et mi vien tolto;
Morte aspètto , e la bramo» — Incender lascia ,
Tn che perir non dèi , da~ me quel rogo^
Che coir amato mio fratel mi accolga»
Fnmmto in due corpi nh' aWna sola in ?ita ;
Seta una 6amma aacc^ le morte nostre
Spoglie consuini , e' in una pol?e nnbca»
^rg. Perir non deggìo? Oh che di* tu ? vuoi ferie
Nel dolor vincer mei Pari in amarlo
Noi fummo;, pari^ o maggior io. Di moglie
Altre è l'amor^ che di sorella.
^/i/. Argia,
Tecb non voglio io gareggiar di amore ;
Di morte y sì. Vedeva sei ; ipal sposo
1 Questo ncconto discof>da da quello .de» Mito^nifi , aecoudo .i ^ali Gié-
V catta li uccise tosto che seppe di essere sposa del proprio figliuolo , eds
à fidippo fu e«ilia(o asiai ptiout che Pofiiiice ed EteocU si uccidefiwo^ •.
33»
4 ss LSTTÉaiTCRA It^LllRA
Perdesti, li so: ma tu figlia dqq nasci
D'incesto; ancorala madie loa respira;
EsqI non hai, oon cieco , neo mendico,
Non colpCTole il padre: il ciel pie mi le
Fratelli a te .non die, che T un dell' altro
Nel sangue a gara ti bagnasser emp).
Deh ì non ti offender , t* io morir ? o' sola y
Io di morir, pria che nascessi, degna.
DehI toma io Argo... Oh noi rimembri? hai pegse
Là del Ino alnor$ di Polinice hai viva
L'immagin là nel tuo ianciollo: ahi torna;
Di te là lieto il disperato padre,
Che nalla sa di te; deh ranno ? in cpieslo
Soglie nnir nom ti tide ; ancor n* hai tempo.
Contro al difieto io sola basto.
^rff. • • . Il figlio ?'« • •
10 V amo, ah si; ma pnr fooi to cl^' io fogga,^
Se qai morir si dee per Polinice ?.
Mal mi conosci. — • Il . pargoletto in cora
Riman di Adrasto ; ei gli fia padre. • Al pianta
11 crescerei , mentre a . tendetta e ali' armi
Nutrir si de\ -^ Non ▼' ha timor che possa
Termi ia vista doU* amato corpo.
O Polinice mio, ch'altra ti renda
Gli allimi. onori ? .. • •
4#Af. Alla tebana scure
Porger to H collo vaqi?
4lr^' Non nella pena ^
Nel delitto é la iofantia. Ogoor Creoate
Sarà, r infame ; del suo Oome ogni nomo
Sentirà orror, pietà del nostro «• .
!^/i£« E tormi
Tal gloria Tobi?
^rgk Veder io io* il mio sposa ,,
SECOLO DECIMOTTITO . 4^^
Morir M>Tr^«ssò* - E to, qnal hai to drillo
Di cootenfliernit il n^to? la, eh» il Ttctesti
Morire , • ancor |»»r yìvi •-•
utfnf. • Oiiiai le credo ,
Non «iiiore di me. Por m* era forza
Ben accertar mi pria , qoftnlo in le Ibsso
Del femminil li ai or. Del dolor Ino
Nop era io dubbia ; del f alore io V era.
Così Antigone e Argia cooosctutesi di pari ardire
81 avviano a) campo io cerea del corpo di Politiice«
Intanto Creonte lagnasi col figlinolo Enaone che
mentre il irono di Tebe si è trasferito dalla Casa di
Lajo nella sua, egli si mostri afflitto: ed^Emooe che
ama segretamente Antigone , cerca dMndurlo a ritrat»
tare quella sua legge troppo severa ed ^oche pe-
ricolosa. In questo, mezzo alcune guardie conducono
legate Antigone e Argia. Creonte s^ allegra di vedere
Antigone caduta nella réte cU^ egli le ha tesa. Essa
medesima dichiara al Ite di aver rotta la sua legge
accendendo un rogo a Polinice: ed egli le dice che
ne avrà il guiderdone promesso. Poi voltosi ad Ar-
gia ch^ ei non conosce , la domanda deir esser suo.
Antigone vorrebbe ch^ ella mentisse il suo nome ^
vorrebbe sottrarla b1 pericolo ; ma essa francamente
sì appalesa, e sforzasi invece di tirar tutto sopra sé
sola lo sdegno del Re. Creonte le consiglia a cessar
quella gara ; entrambe morranno; e solo griacresoe
che Argia non abbia condotto &eco anche il piccolo
figliuolo di Polinice per ucciderlo insieme con esse.
Emone più che mai impietosito cerca , ma invàno ,
distogliere il padre da quella deliberazione. Venuto
a colloquio con lui, gli domanda fra T altre cose se
nel (àr quella legge avrebbe mai immaginato di ve-
derla violata dal nobile ardimento di due donne \ •
Creoate rispondo
Odimi, o figlio;
Kaltà aKodJer li deggio* -^ O In noi Mpp«"»^
Of ver noi Togli ^ e< ii mio peii»ier Iw fiog^
Ifoo penetrar finora y aprirteli bramo* -»
Credei y sperai, che dico? a fbrxa io ▼olliy
€he il mio difieto ia Tebe a ia&aoger prima>^
Sola , Antigone fosse ^ al fin V ottenni ;
Rea s' è fati' ella ; cMuai la inutil legge
Pia tolta ...
Enuy. Oh cielo f ... E tn di me sei pdire ? . . »
Crea* Ingvato figlio» . . o mal esperta forse^
Che tale ancora ci'edertl a me giova t
Padre ti sono: e se t» m* hai. per reo,
U son per te.
Emo» Ben veggio arte esecranda.
Onde innaÌKarmi credi. — O infame trono>
Mio non sarai tu mai, se mio de'fiirt» -
^ SI orribii mezzo..
Crea, Io 'I tengo , è mio tuttora ,
Mio qneslo trono che non tooì» — Se al padre,
Qnal figlio il dee, non parli, al re In parli.
£//io. Misero mef.*. Padre,... perdona, ;^... ascolta;...
Oh cieli tuo nome oseorerai, ne il fratto
Raccorrai della trama. In re tant' oltre
Non vai poter , che di- naiora il grido
A opprimer basti. Ogni oom -della pietosa
Yergioe piange il duro caso: e nota,«
Ed abborrìta , e non sofferta forse
Sarà tal arte dai Tebaoi»
Creo, E ardisci
Ta il dubbia accér , finora a tutti ignoto^
Se obbedir mi si debba ?^ Al poter mio
Altro confin, che ii voler mio, noo veggio»
Tu il regnar non m' insegni. la cor d* ogni noma
Oghi altro afCetto» che il terrore, ia tosto
Tacer iaròh, >
SECOLO OECmOTTATO
JSfHo» Vani i miei prieghi adnoqaet
Il mia sperar di tua pielade ? • • .
Ovo; Vano.
jEfiio, Prole di re , donne , ne aodraiino a morte ^
Perchè al fratello ed al marito haoD' arso
Dovuto rogo?
Creo. Una v*aodrà« - Dell* altra
Poco rileva ; ancor noi ab»
JStno. Me dimqne.
He par oon essa manderai la a morte.
Amo Antigone, ^^ppit e da gran tempo
L'amo; e, più assai che la mia vita, io l'ama.
E pria ehe tormi Antigone, t'è forca
Tormi la vita.^
Creonte attonito a questa dichiarazione del figlio,
poiché vede di non poterlo ridurre a diroeniicare
Antigone , accoglie un nuovo pensiero , di serbar; io
vita costei qualora essa sposi Eoione. Però b, c^ia«
xnare a sé Antigone.
tJreo. Vieni : da qnel di pria diverso assai
A tao fiivore» Antigone, mi trovi.
Non chMo minor stùni il tao fallo, o meno
La ingiunta pena a te dovuta io stimi :
Amor di padre, più che amor del ginsto.
Mi muove e tanto. Il figliool mio mi chiede
Grafia , e F o,ttien per te , dove ta presta
Fossi • • •
^ni» A che presta?
Créo* A dargli , al mio cospetto «
Fa meritato gaiderdon , la roane.
£fao, Antigone, perdona; io mai non chiesi
Tanta mercè ; darmhi ei vuol i salvarti
Yogr io , nuU^ altro.
Creo» Io perdonar ti voglie»
/^ffX tETTBRATCftà ITA.Lt41lft
jéni. M' offre grazia Creonte ? -« A me qual altra
Grazia paoi far che trucidarmi ? Ab tormi
Dagli' occhi tuoi per sempre il può sol morte :
Felice fai chi te non rede. -*- Impetra ,
Emone, il morir mio; pégoo fia questo ,
Sol pegno a me , dell' amor tuo; Deh ! pensa
Che dì tiranno il miglior '^dono è morte «
Cui spesso ei niega a dai ferace ardente
Desio n'ha io'cor*..
Creo. Non cangerai tu stile?
Sempre implacabii tu, superba sèmpre,
O eh' io ti danni ^ o- eh* io ti assoh a , sei ?
uélnt* Cangiar io teco stil ? Cangiar tu il core.
Fora possibil più*
JSmo; Questi m' è padre:
Se a lui farelli , Antigone , in tal guisa ,
L^alma trafiggi a me.
^nt. Ti è padre"; ed altro
Pregio ei non ha ; ne scorgo io macchia, alcanà ,
Emoae in te, ch'essergli figlio*
Creo. Bada;
Clemenza è in me, quài passaggiero lampo;
Rea di soterchio sei , nò ornai fa d' uopo
Che il tuo parlar nulla ri aggiunga • . •
jéni. Rea
Me troppo «nr fa V inoontrastabil mio
Trono che usurpi tu. Va; non ti chieggio
Né la vita , né il trono. Il di ohe il padre
Toglievi a me, ti avrei la morte io chiesta,
O data a me di propria lAanr avrei';
Ma mi restava a dar tomba ài friatello.
Or che compiuta ho la sant' òpra , in Tdne >
Nulla a far mi riman : se vuoi eh' io riva ,
Rendimi il padre.
SECOLO DECiaiOTTlTQ 4/, 3
Creo. Il ti'oiio, e io no con esso , .^ i
10 l?.effro ancor non abborrito sposo; ;^
Eìnoo, che . f ama più che non < mi afoborrl ,
Gke l^ama più cbe il proprio padre, assai.
uént. Se noD più cara, più soffri bil forse
Farmi la fila Emoo potrebbe, e solo
- Il potrèbb* ei. Bla qaal fia yìU ? e trarla
A fe''d' appt^sso ? e adir le iofeodicato
Qmbre de^ miei «da te traditi e spenti
Gridar ?eadelta dall' averao ? Io , sposa
Tran(|ailla^ in braccio del fi^linol del crpdo
EstirpAtor del sangue mio ? • . •
€2reo. Ben parli.
Troppo fia casto il nodo : altro d' Edippo
. I^igliuol T'a?essel ei dì taa mano illustre,
Degno ei solo sarebbe • . •
^nt. OrribiI nome,
Di Edippo i6glia! *- ma più infaiiie nome
Pia ' di Creonte Jinora !
JEtno. Ah la mia speme
Vana è par troppo orna!! Può solo 11 sangne '
Appagar gli od} acerbi rostri: il mio
Scegliete duoqae; il mio Tersale. È degao
11 rifiuto di Antigone , di lei :
Giusto in te, padre , anco è lo sdegno : entrambi
Io ▼' amo al par ; me solo abborrò. Darle
Vuoi tu, Creonte, morte? or lascia ch'ella,'
Col darla al figliuol tuo, da te la morti.
Brami, Antigone, arer di lui rendetta?
Ferirci ; In questo petto ( eccolo ) intera
Avrai vendétta : il figlio unico amato
In me gli togli; -orbo lo rendi affatto.
Più misero d' Edippo. Or via, che tardt.'^
Ferisci ; a me più assai trafiggi il core
Coir insultarne! il padre.
444 LETTERlTOm ITALIàVA
Cr€0* Ancpr del lutto
Non disperar; più che il dolor, lo sdegno
Favella in lei. - Donna « a ragiqn dà loco s
Sia il tuo destino in te; da te sol petfdo
Qneir Argfa , che ianC ami , cmde assai daoltf
Piò che di to medesma; arbitra lei
D' Emon che non abborri , e di me il foi »
Cai se pnr od ii oltre il dover, non meno
Oltre il dover conoscermi pietoso
A te doTresti. - Intero io ti concedo
Ai pensamenti il di novel che sorge t *
La morte o Emooe, al cadec suo scerrai.
Emone rimasto solo con Antigone vorrebbe per«
suaderla a fingere almeno di accettar la proposta:
pensi che vìvendo gioverà al^ padre ^ ad Argia, al
figliuolo di Polinice: che il tempo potrà recare qual-
che rimedio al suo stato. Ma Antigone , sebbene ami
Emone, non si^piega. Che direbbe JSdìppo, che di*
rebbe la Grecia se mai andasse attorno il grido ( e
fosse pur falso ) di queste nozze ? A tale risposta
Emone si parte come disperato da lei, protestando
di volerla salvare anche contro sua voglia. Aniigont
affrettasi allora a disingannare Creonte ^ dinanzi a
coi si fa condurre*
^2reo, Scegliesti ?
jdnt. Ho scelto.
Creom Emon f
j^ni. Morte.
Creo. U a^raì, ^
Ma bada, allor che jol tao capo jn alto
Penda la score, a non cangiarti: e tardo
Fora il pentirti , e Tano. Il fero aspello
Di morte ah ! forse sostener dappresso
Mal saprai tu , mal sostener di Argfa ,
SeCOLO DECIMUTTAT» 44 5
Se r ami y i ptaiiii : che morirli al fianco
OoTrà por eésa , e la cagioo sei sola
Del lao morir. - Pensaci ; ancor n^ hai tempo . • .
Ancor tei chieggio. -* Or che di* tu ?.. . Non parli ?
I Fiso intrepida guardi? Avrai, superba,
Avrai da me ciò che tacendo chiedi.
Doleami già d' arerli dato lo scelta
Fra la tua morte e 1' onta mia.
jénL Dicesti ? ,-
Che tardi or più? Taci, ed adopra.
Creo. Pompa
Fa di corallo a senno tuo : vedrassi
Qoaiit* è , tra poco. Abbenchè 11 ponto ancora
Del tao morir ginnto non. sia, ti voglio
Por compiacer nel raffrettarlo. — Vanne ,
Ettrimedpnte ; Va ; traggila tosto
Air apprestato palco . • •
Ma ecco Emone entrare ed opporsi al decreto
paterno. Sulle prime egli prega e consiglia : noa
uccida il proprio figliuolo mandando a morte co-
stei : non si esponga air ira di Teseo che già si
dice nscito d^ Atene per vendicare i tanti Argivi
iosepolti : non si «sponga òì fnror de? Tebani , che
non patiranno di vedere la figlia dtk proprio re
finire sopra un infame palco. Ma Creonte, sdegna-
io e ferai4> n^l suo proposito , risponde che invierà 1
a Teseo le ceneri degli Argivi ^ e cbe Antig<>ne non
sarà f^tta spettacolo al popolo^ ma js^qlta viva nel
campo. Enione allora si converte alle/|uioecce^ e
poiché non può salvare Antigone colle preghiere, ò
risoluto di salvarla col ferro. Indarno Creonte lo sgri«
da ^ indarno Antigone gli dice cbe per tal modo non
potrà mai piacerle. — Creonte non sa immaginarsi
cbe da Emone possa mai venirgli alcun male. Piut«
tosto gli par necessario non inimicarsi Adrasto, e
LITTUAT. llJa.'-lV 38
44^ LETTBBATURA tTALl41f4
però vuol rimanclargli Argia colle ceneri il Polini-
ce: ma quando costei sente che Antigone deie sog-
\ giacere a sorte tanto diversa , ricusa le piro|»08te del
Re e ?aol morire in Tebe». Se non che invano cerca
di resistere a Creonte^ cbe a forza vuol rin^iindarhi
in Argo. À forza pertanto ella, porli^ndo seco P nroa
di Polinice, s^ avvia. Nel^ uscir della. reggia s^pntrasi
in Antigone condotta al sepolcrou
Atti. Qoa! odo io voce
Di pianto? • • « .
Ar^. Ob cieli chi veggio?
j4nf. Argia 1
jirg^ Sorella i . . .
Oh me felice! oh dolce iocoolro! -«> Ahi vista!
Carche hai le man di ferro ? « . •
Ant Ofe sei tratta?
Deh tosto dimmi • • «
Arg. A forza In Argo, al padre.
,Ant, Respiro.
Arg. A vii tanto mi tien Creonte ,
Che me vuol salva: ma di te.. ••
Ani, Se in voi^
^ fy.aardie , pnr V ombra è di pietà , concessi
BreTÌ momenti al favellar ne sieno* ~
Vieni , sorella , abbracciami ; al mio petto
j, Che non ti posso io stringere ? d' Infami
' Aspre ritorte òrribilmeale avvinta,
M^è tolto... Ab! vieni, e al tuo petto me stringi
Ma cbe veggo? qoal pegno al-sen con tanta .
Gelosa cura serri? Un* orna?... Ob cielo!
Cener del mio fratello, amato pegno.
Prezioso e funesto ; • • •• ab tu «ei desso ! -r
Qoeir urna sacra alle mie labbra accosta. -^ > ^
Delie calde mie lagrime bagnarti . • . \
e
r
SECOLO seCIMOTTlTO ^47
Concesso m*^è pria di morire! . .^ / Io tante
Non- sperava , o. fratello ; •• • ecco F estremo
' Mio pianto; a te ben ie lì doTera. - O Argi'a ,
' Gran é^ono è questo : assai ti fu> benigno
* Creonte in eiò : paga esser dèir Deh torna
In Argo, ratta; al desolalo padre
j Beca. cfìiest' urna . • . Ah viti, al figlio titi ;
E a lagrlmar soTr^ essa; e, fra.*, i taoi.*» pianti m»
Anco rimembra ^ » .^ Antigone • » •
udr^. Mi strappi
Il cor » • • Mie yoci • • • tronche. .. dai . ». sospiri. . t
Ch' IO: viva ^ • .. • mentre . «. • a morte ? • • .
^/l^ A orribi) morie
Io vado. Il eampo,.eve. la scorsa Bol|e
Pietose faoamo alla grand' opra ^ or debb»
Essermi tomba ^ ivi sepolta viva
jjlj^ Vi)ol Creonte.
^r^^ , Ahi scellerato T . . .
^nt. ' . Ei aceglfe
Lff notte a eiò, perqb^ei del popol trema. -
Deh! frena il pianto: va; lasciami; avranno
Così lor fine in me di Edippo i figli.
Io non meo dolgo; ad espiare t tanti
Orribili delitli di mia stirpe
Bastasse pur mia luoga morte f • • » >
jérff^ Ah teco-
Divider voglio ii rio supplizio ; il tiro
Coraggio ackioppia il mio; tua pena in parte
Pia sce^a forse ...
Mille volte ^ria.
jér§. Moreoda insieme
Potremmo almen di Polinice il nome*
Proferire, esortarci, e pianger .. • •.
4 '|8 iCTrCRATOKl ITi^LUlTA ^
AnL ( Tacf • • •
Deh •on te! fiir ripiaDgere ! • . i La prora
Ultima. or fo di mia costatila, -f II piaoto
Più ornai Dòn freoo • • •
Aì^* Ahi ! laMa me ^ non posso
Sai farli , oh -cfel I bò morir teca ? • • •
AnL Ah ▼rfJ.
Di Edippo (a . figlia bod sef ; bod ardi
Di biasmerole . amore itt éor , com^ io ;
Deir uccisóre e sperdi lor de' tooi
Kon ami il figlio. Ecco il mio fallo ; il df^ggio
Espiar sola. — Emooe, ah tolto io sento ,
ToUo r amor che a te pprlava: io aeoto
Il dolor tolto a cai ti lascio. •« A «orto
Vadaci tosto* *- Addio , aorclla , « • • addio»
A questo colloquio aoprarriva Creonto.
Creo* Che più s' iodagia ? ancor di morte al 4;ampo
Costei non gionse? Oh che mai reggo? Argia
Seco, è? che fa? ohi le accoppiò? «- Di foi
Qua] mi tradisce ? .
AnL ,1 topi, di le meo crodi/f
Concesso :iii' han breri moinentL A caso
Qui e* incontrammp : io corro al campo 9 a morte*
Non t* irritar , Creonte. Opra pietosa ,
Giusi' opra fai » serhando in rita Argia.
Arg. Creonte » difh seco mi lascid ...
Ant, . Ab fuggi ,
Pria che in Ini cessi la pietà.
Creo* Sì tragga
Argia primiera al soo destino • • .
Arg, Ahi erodi !
Svellermi roi ? . • •
AnU V ultimo amplesso dammi.
SSCQLa IXECtMÒTTiT». 449
CiietK SlaKcbisl a fòrza 4. si.^lrappi^ 'isirasclnist s -
;V'.To9lo ol^bedite; io 'i voglto^ Itene*
^rg, t Oh cielo I
No9 ti /vedrò più 11191 ?•>•
^nt. Per sempre « • « • addio . . .
Creo. Or per qaeù* altra par.te al, campo scenda
.Costei • •,. Ma do, -^ Donde partissi , or tosto
Si ricondaca e entrate. .- Odimi, Ipséo*. .— >
. Ogni prelesta cpsi toltp io spero
Ai malcentenli. Io ben pensai: cangiarmi
Non doTea èbe così : tatto ad un tempo
Salfo.bo Qosl. - Reo .mormorar di plebe
Da impazienza naturai di frèno
Naso»; ma. spesso ..di pielà si ammanta.
Ma qua! fragori snona d' intoroo ?',.0h d^ arme
Qoal lampeggiar vegg^ io? Clie miro? Emonc
D^afmaii eipio?*«^« incontro a me ? - Ben venga;
In tempo ei TÌen. <^ Figlio, cbe fai ? .
JErno, Cbe figlio?
Padre non bo. D' nn- re tiranno io Tengo
L'empie leggi a disfar,: ma per te stesso
Non tettier tu ; cb' io ppnitor non vengo
De' tuoi misfatti : a' Dei si .aspetta : il brando ,
Per risparmiar nuovi delitti a Tebe 9
Snudato in man mi sta. ^
Creo,. Coatro al. tuo padre.* . .
Centra il tuo re tu in armi ? - 11 pppol trarre
A ribellar, certo è noTcllo il mezzo, .
Per risparmiar delitti! .. . Ahi cieco, ingrato
Figlio ! • • • mal grado tuo pnr caro al padre! —
Ma di' ; cbe 4:ercbi ? innanzi tempo , scettro ?
Emo. Regna ,• prolunga i giorni tuoi; del tuo
Nulla vogl' io : ma chieggo , e foglio , e torre
1 Gli £iTeUa alcant Kvole UT orccclùo.
3S*
4^0 I.ETT£R\TVH4 ITaLIAIVà
Sapi^omm} io' beo ood aoesti miei.i con qneski^ •
Braccio ^ eè a forza , il mio. Trar di toe maBii
Antigone ed Argia . •
Creo,, ' Che parli T - Oh Mft
Ardir iniquo ì Osi impAgoar la spada ,
Perfido, e contra il genitor ta f osi'.
Per scior dai tacci chi dai tacci è sciolto ? ^.
Libera già, siili' orme prime, la Argo
Argia rUoroa i io don ìa mando al padre »
E a ciò finor non mi' mof ea , ben vedi ,
Il terrpr del tao brando.
Mmo*, E qaal destina
Ebbe Antig;oBe ?'. . .
CrfO.. Anch^ella or or fa Iralt»
Dallb tqaallor del sao carcere orrendo..
Emo., Of * i ? vederla TogKo.
Cteo. Altro non brami ?
J^mo. Ciò sta in me soFo : a che tei chieggo ? In qoesb
Reggia ( benché non mia ) per brevi istanti
Posso e vogMo dar.Iiegge. Andiamo, o procN
Guerrieri , andiam: d^ empio poter si tragga
Regal donzella , a coi tott^ altra in Tebe
Si dee cl^ peosA *
Cy^o^ I tnoi gaerrier soa vani ^
Basii a tanto ta solo: a té chi ùa
Ch** òsi U passo vietare ? Eatra , va , tranne^
Chi vaoi ; ti aspetto., io viUpeso padre,
Qni fra' tuoi forti umfle, infin che il prodie
Liberato^ n' esca „ e trionfi^ '
Mni0^ A schema
Ta parli' fórse; ma davvero io parlo..
Mira, ben mira, s^ io pot basto aitando..
C»eo^ Va , va ^ ^ Creonte ad atterrir n^o.a bastia.
\ S* a]^re la Me^a^. e 4 ve4« i^ 9<ivpù ék jkatl^one..
SECOLO bèeiMOTTÀTO ^'ll.
JSbwo. Che feg^gio? . •• 'Oh cielo !. . . ÀDtigooe. • « Sfenala j -
•Tiranno io(%iiiie, a me tal colpo /^
Crea* Alletto
Co#i l'orgoglio: fo fo cosi mie leggi
Servar; cosi fo ravvedersi «n fig^io^ '
JBnu>^ Ravvedermi ? Ah pti'r troppo a te simi figlio ì
Casi Dol fossi! in te il mio brando ••• '• Io fluoro...
Creo. Figlio , che fai ? t^ arresta. -*
Mino. Or di. me sentì
Tafda pietà ?". . . Pbrtala y erodo , altrove • . .
Lasciami . • • d'eh f non ftinestair mia mòrte . • .
Ecco a te rendo il sangiie tuo $ meglio era
> Non darmel mai*
Creo* Figlio r... 'ah ne atteslo il cielo...
Mai non credei che un folle amor t' avrìa
Contro a te stesso ....
MnuK y a , . . ^ cessa ; noa Carmi
Fra disperate ?mpFecaiioiu orrende
Finir miei giorni. • fo. .,. ti fai figlio in Tita. . .
Tu 9 padre a me , .^ « .e mai noa lo fosti . • .
Crea. - Oh figlio ! ...
Emo^ Te nel dolore e fiet i rimorsi io hiscio. -*■
Amici , iihimo ufficio , • • • il moribondo
Mio corpo. »• esangue 9.. .. di Antigone.... al fianco
Traggasi ^ . . . là voglio esatac Y' estrèmo
Yital.... mio.\. spirto....
Creo. Oh figliò. •• amato troppo !.m
E abbandonar ti deggiói?' orbo per sempre
Rimanermi ?. • .. '
£//ia« Creonte, o ist sen m^ immergi: '
Uto^ altra folta il ferrò,..', o a lei dappresso^
Trar . . . mi . . . lascia , .' ., , e morire , ... . V
I Si avfenta al" padro cpl* brapdl». , na iktautapaaiQfiote fo rìtoi^co in ^«
•tasso, e cade trafitto.
4 YÙqjD lenUmeulie «tFBScimtP' da' siitn. S4|[iuicvTeiap il.coijK) di. 4At>SpQ9»^
45^ vwvT^oATcaA iiiim^A
iDaìpellata!' ^ .0. W iJeJcsle •degao.
Prii9f • tnsQieDda gioslizta di sangae « • • •
Por giui^ al fi<ie • « • b ti rarfUo^ -* Io Iremo.
: ? ., DALLI MEaOPB.
• ■ ' • , ■ ■
EgtiWréc^ilàfaa a Baik^fOt w^ uedsù>M eh, fui /atta.
I ■ ' . i . ' ... .
10 ia*era al ^ecobio genilor di 'farlo
Sottrailo , incanto \ e già piii jtteai attorni» ^
Meo , giva ..ercai^do per. città difer^e ,
Quando oggi al fio qai m^a^Ti^va. Un pall^
Stretto e sojingo , 4:Iie ai pedon dà via .
Luogo, il paip IsOf con velpd piaole
Yenfa calcando ^ impaziente mollo.
Di porre il pie nella città che mostra.
Hi fea da lungi ?aga e in qd pomposa,
D^ alti palagi e di superbe torri. .
Qaand^ecco^ a me, dì contro altr' aom Tenirne^
Più frettoloso assai. Son d' u^m che fiigge .
I passi soci; gioTÌn l'aspetto; gli alti.
Arroganti, assoluti; ei di, lontano ,
Con man mi accenna , eh' io gli sgombri il passo»
Angustissimo il loco, ad uno appena
Adito dà:' sul fiume atto scoscende
11 mal sentier per una parte; V ^Itra,
Irla d* ispidi dumi , assai fa schivo
D' accostarvisi V ocmio. Il modo, spiacqoe
A me, libero nato, uso soltanto
D' obbedire alle leggi ;. e a ceder solo
Ai più. vecchi di me : m' inoltro io quindi»
Ei, con voce terribile : « Ritratti,
. I Si copre il volto, e rtman» imnwkbile fiackk Einoii* lia quici a&ao
fuori della visU de^ spettatori*
--^
8ICOLO DEGinOTTATO 453
f» O eh* io . • • » mi grida. Ardo di sdegno allora :
n Ritraili ta n gli replico. Grà presso
Siam giunti i ei caccia un siio pugnai dal fianco 9
E so me corre: io. non area pogoale ^
Ha cor ; lo aspetto di pie fermo ; et gionge ;
Io sotteniro, il ricingo, e in men che il dico,
L* atterro : in?an dibatlesi ; il conficco
CoD mie ginocchia .ai suol ; sua destra afferra
Con ambe mani 4 ei freme indarno ; io salda
Glie la rattengo , immota. Quando ei troppo
DefoiI si scorge al paragone , a finta
Mercede ?iene ; io '1 credo , il lascio ; ei tosto
A tradimento un colpo, qua! qui il vedi,
Mi fibra; i panni squarcia ; il colpo slriMia:
Lieve è il dolor , ma troppa è V ira : io cieco ,
Di man gli strappo il rio pngnal ; • • • trafitto
Nel sangue èi' giace.
Polì/I Assai ta se* valente ^
So veritiero sei.
E^ts, Troppo mi dolse,
Sfaggito apìpena il colpo di man m*era*
Non oso al sangne, io 'm^ avvilii , temetti;
Che far tioo mi sapea : prima il coltello
Lanciai nel fiame : indi pensief mi venne
Pur di lanciarvi il misero ; di tórre
Ogni indizio cosi , parvemi ; e il feci. «^
Vedi se avvezzo era à* delitti; ahi folle!
G>sì com' era insangainato , io corsi ,
Senza saper dove mi andassi, al ponte.
Ivi da* tuoi, eh' io non foggia, fui preso;
E qui m^han ttalto. - Io nulla tacqui; il giuro.
4^4 • LETTEBATORA ITALlÀllà ^
DAL FILIPPO^
.... «
Filippo poUndò, acca-tarsi se fra Carlo suo fistio etf it^Matm
Moglie sussiste realmente una corrispondenza amorosa % U ciem
interrogando e/ttnimbi , mentre Gomez suo cor^idente stiL,cofm-
deretndo i moti dei toro woltL — La scena comincia da Filippo
e Gomez ; poi giunge Isabella » ed aW uUìmò anche Cariò.
FU, Gomez , qua] cosa sorra ogni allra al nipodo^,
^o pregio hai to?
Gom. La grazia t.oa»
FU. * Qaal qietao
Scimi a serbarla ? . • •
Gom* il orezzo I ond^io U pHennijf
Obbtdirti ^ e tacermi* r
FU. >■ Oggi tu daaqae >
Far r ano e V allro dèi.
Gom. Novello iocarc»
Non m* è: sai eh* io • • .
FU. Tu fosti, il so, fiaor»
II pia fedel tra i fidi miei r ma io questo
Giorno, io coi volgo ho grao pensiero io mente y
Forse affidarti si inìportante e nuoìta
Car^ ddvrò, che il tuo dover mi piacque
In hrevl detti or rammentarti pria.
CfOm. Meglio dunque pQtcammi il grÀ Filippo
Conoscer oggi.
FU. A le per or ^a lieve
Ciò cVìo, ti iàipoDgp} ed a te $qI Èa lieve t
Non ad altr* uom giammai- -• Yien ìa.-^re^^
Qui fra momenti; e favellare a loogQ. '
9Ii udrai con es$^ : ogni più picciol mota'
Nel di lei volto osserva intanto , e nota t
Affiggi in lei r indaga tor tuo sguardo ;
Quello , per cui nel più segreto petia
— -1
SSCOLO DEGiaiOTTATO 4 55
Del Itto re spesso, i^nco i TÒler pia 9scosi
Legger sapesti , « tacendo eseguirli* .
Jsah* Signor , io vengo ai cenni tuoi, r
jPtA t . Aegina,
Alta cagion vuol ch^io t^app(slli.
Isab. . . Ohi quale!^**.
F*iL Tosto la udrai. -^ Da te sperar poss^io?i.*^
Ha 9 <|aal v"* ha dubbio ? Imparzial consiglio
Chi più j di te potria sincero dajmi?
Isab» Io, consigliarti?
FU. Si: più il parer tuo
Pregio che ogni altrove se finor le enre- '
Kon dividevi d^l mìo imperio meco,
Ifé al poco ampr de! tuo. consorte il dèi
Ascriver tu , né al diffidar tampoco
Del re tu il dei: solo ai pensier di Stato, . /
Gravi al tuo sesso troppo , ognor sottrarti
Io Tolli, applenow <Ma , per mia sventura^ -
Giunto, è il; giprno in coi veggo insorger caso
Ove frammista alla ragion di Stato ^
La ragion del Qiio sangue anco è pur tanto,
Che tu il mio primoi consiglier sei fatta., -«^
Ha udir da te, pria di parlar, mi giova ^
Se più- IreBoendo , Tenerabìl , ' sacro
Di padre^ il nome , o quel di re, tu stimi.
Isab. Del par son «acri;^^ e chi noi sa?... ' \
FU. , . Tal, forse), |
Tial , che saper più cb' Altri sei dovrebbe. - ^
Ha, dimmi; inoltre , anzi che il fatto io narri , ]
E dimmi il ver: Carlo, il mio figlio,... l*ami?...
Orodj tu?.
. .
Jsmb* : Signor ...
FU. .■-..' Ben già f iatendo<
4
i
é
I
%
^56 LETTERATURA ITALIlllA
Se èé\ Ino cor gli affetti, e noo le foci
Di tua firtude ascolti , a lai la setitl
D* esser • • . madrigna.
Jsab. Ah! no; tMoganni: il prence...
FU. Ti è caro dnnqne: in te firtude adnnqae
Cotanta hai tn , che di Filippo sposa.
Par dt Filippo il figliò ami d* amore • • •
Materno. ^
Isab. A* miei pensier lo sol sei norma.
Tq r ami, ... o il credo almeno; .. • e in simH guisa
Anch' io • • • r amo.
Fi/. Poi eh' entro il tao beo nato
Gran cor non cape ii'madrignal talento ,
Ve il cieco amor senti di madre, io toglia
Giudice te del mio figliuol ...
Isab. Ch^ io ?.. •
FU. Wòdì. ~
Girlo d*ogni mia speme ontoò oggetto
Molti anni fu; pria che», ritorto il piede
' Dal sentier di virtode, ogni aha mia
Speme ci tradisse. Oh ! qoanle voltn lo poscia
Paterne scase ai replicati falli
Del mal docile figlio in me cercava!
Ma già il suo ardire tem^arib insano
Giunse oggi al -sommo; e YÌolenti meni
Usar pur troppo ora degg^ io. Deittlo
Cotal si aggiunge al suoi delitti tanti ;ì
Tale , appo coi tatV altro è nulla ; tale ,
Ch' ogni mio dir rien manco. Oltraggio el &moii
Che par non ha ; tal , che da un figlio il padre
Mai non T attende ; tal , che agH occhi miei
Già non più figlio il fa . .-. Ha che? ta ^essa
Pria di saperlo fremi ? ... Odilo, e frèmi
Ben altramente poL *- dm più d' un lustro )
SECOLO DECIUOTTlfO ^If
Deli' ocèia là sul sepolto lido
Povero, stuolo .% io paludosa tèrra.
Sai ^he far fronte al mio poter si ^attenta. •
A Dio , noo . meo elte ài <pn>prid re', rnbelii ,
Fao ddl' una perfidia all' altra, schermo.
Sai qaant'oro e sudore e sabgae indarno
A questo Impero ornai tal guerra^ costi;
Quindi, perder doiesst e trono . q* Tita ,
Non baldanzosa , né .impunita ir mai *
Io lascierò del suo delitto atroce
Quella vii gente* - Ai cielTtttima giuro
Immolar T eoa pi a; schiatta :. e a lor ben forza
Sarà il morir,'; poiché obbedir non sanno. -
Or, chi a me il crederla ? che a si fe^'oci
Nemici lèllj , il proprio figlio, il solo
Mio figlio, ahi lasso! aggiunger deggia . . ',
Isab, 'Il prence?. ••
FiL li prence, si: molti ' }nttfréeltl fogl^^
E segreti messaggi, e aperte altei'e '
Sediziose voci sue, pur troppo!
Certo men fanno* Ah ! per te étesiia il pensa y
Dì re tradito e d' infelice padre
Qual sia lo stato; e a si colpevol figlio
Qual sorte a giusto dritto ornai si aspetti ,
Per me tu 'I di'.
Isab. Mìsera me ! Vuoi eh* io
Del toQ figlio ' il destino ? . • .
FiL Arbitra odiai
Tu, si, ne »ei^ né il re lemer, uè il padre
.Dèi hisingar: pronunzia-. ^
Isab, Altro non temo
Che di offendere il giusto. Innanzi al trono
Spesso indistinti, e V innocente e. il reo • . *
l Povtr0 <^. . Accenna U guMra dei Ptesi Bassi* -
UBirmAT. iTAL. - ly 39
,...
I
^58 tETT£niT1JR4 WkhtAVk
FU. Ha , dubitar di quanto ì! re ti afferma
Puoi tu? Chi pia di ne non reo lo brama?
Deh ! par medtbser ie inalidito accuse !
Jsab. Già eotifÌDto rhai dunque? . . '•
FU. Ahi chi T potrebbe
Convincer maj ? Fero, mperfao, ei sdegna.
Non che ragioni , anco prelevi opporre
A chiare prore* A lèi parlar non toIH
Di queato suo novello tradì inento.
Se pria temprato alquanto in cor lo sdegno
Dal bollor prtaio io non'aveàr: Ina frlsdda
Ragion di Stale, perchè Uc<}ia Tira ,
Id , me non tace . . • Oh ciel ! ma toce anch^ odo
Di padre in me . ^ \
fstth. ,v. \ 0«h! in JVaécelta : è voce
Cui nulla aggaagtia. Ei.> forse & assai meo reo;
. 4^?*^ impossibil par che in questo il sia;
Ma^ qoal eh' e» aia^ lo ascolta oggi t<i stesso:
lotercessor farsi pel ^figlio al padre,
Chi pio del figlio il ' può ? Se altero egli era
Talor con gente a:l v)er non tempre amica,
Teco ei per cesto alUer non fia : tu acbiodi
A Ipi I' ofecchio, j9 il «or dìsseri^ ai dolci
Paiernl affetti. A te non mai tu il chiami)
E non mai gli farei li. Ei , pieno sempre -
Di , mista tema ,. a le si appressa ; e in duro
Fatai silenzio il diffidar si accresce,
E r ^mor. scema» La Tirlù sua prima
Ridesta in lui ^ se pure, è in Ini sopita;
Ch* esser non puote, in dii t' è figlio, esliold*
I^è altrui fidar le paterne lue éure.
Di padre a lui mostra V aspetto , e agli altri
Serba dì re ia mdestà severa.
Che. non sj ottiea. con generosi modi
9EC0L» nEGiiron)TA?vo> 45^
Da generMo core ? Ei cT &Tcan fallo
Ileo ti par?'(<^i Doo-ecra?) A'tlortà' sold '
L'ira tua ginsla a 'Ini. solò dimostra.
. Dolee è r ira d* tin padrè^ eppar ^-qaal figlio
Può DOQ trèmaroe? Un sol tuo detto, qb detto
Di vero padre, in imo gran cor pia debbe
Destar rimorMi, e «mh rancor la^iarTi,
Che cenlo altrui , 'maHgoameDte ad arte
Aspri, oltraggiosi. Oda tua ìreggia intera^ -
Chiami ed appressi il figlio' tao ; che degno •
Di biasmo, e in un di scosa, il giovanile
Suo ardir tu stimi; e udrai repente allora
La reggia intorno risuonar sue laudi*
Dal cor ti «velli ^ sospettar àon tuo i '
Basso terròr'di tradimentcr infame, ^■'■
À re, eh(Q merti esser tradito , il lascia.
FiL • • • Opra tua degiia , e di te sola , è questa ;
II far che ascolti di natura il grido
Un coi[ paterno ; ah ! noi firn gli altri. Oh Irnla
Sorte dei vel Del proprio cor gli afielti,
Non che seguir, né pur spiegar, ne lice.
Spiegar? che dico? né accennar: tacerli,*'
Dissimularli , le più volte è fòrza. — ;
Ma , vien poi tempo che diam loiro il varco
Libero , intero. «- Assai, pi$ ebe not peAsi ,
Chiara ogni cosa il tuo dir fiimmi ... Ah! quasi
Innocente ei mi par*, poiché innocente
Credi tu il prenoer -*^ Ei tosto^ o Gomez, i^enga. —
Or vedrai eh* io so padre anco mostrarmi ;
Più che a lor mi dorria , se un di dovessi '
In maestà di oOesò re mostrarmi.
Isab. Ben tei credo. Ma ei vien s soffri che ìt piede
Altrove io porti.
FU. Anzi, rimani»
46o letteiutuha italiaha
Isahn. Esporlt
Osava il pensier mio , pcrefaè il volevi^:
A che rimango omaì? Teitimoo Tano
Tra il figlio e il padre ona madrigna A>ni . . .
FU. Vaoo? ahl-t' iogaiuii: teslimoa airi iei
Qai necessario. Hai di madrigna il nome
Soltanto; e il nome, anebe' ohllÌM'e il pool. —
Gli fia grato il tao aspello* EceoYo : ei sappia
Che ti fai tu mallerador deir alta
Sua .Tirili, della fé, dell'amor suo. —
Prence •, li appressa* -Or, di'; quando fia il giorno,.
In cui del dolce nome di figlinolo
Io ti possa appellare? Io me Tedresti
( Deh tn il volessi ! ) ognor eoo fusi i nomi
£ dì padre. e di re: ma, perchè almeno, •
Da che il padre non ami , il re non lenai ?
Car. Signor; nuova m^ è sempre, ancor eh* io l'abbia
Udita spesso, la mortai .rampogna.
Nuoto cosi non m' è il tacer ; che s* io
Reo par ti appajo , al certo *ia reo mi sono»
Vero è,, che in cor non già rimorso io sento.
Ila duol profondo, che tu reo kni. estimi.
Deb ! potess* io cesi di mie STentnre,
O ^ se 1^ te piace più , de^ falli miei , . •
Saper la.cagioD Tara!
/VA Amor, .. . » che poco
Hai per la patria tua , nulla pel padre ;>
£ il- troppo udir lusingatori astuti; . . »
Non cercar de* tuoi falli altra cagione.
Car. Piacemi almen che a naturai perversa
Indole ascritto in me non l'abbi. Io dunque
Far posso ancora del passato ammenda ;
2 Volgendosi a Carlo « eatrat» già sulle scect*^'
1
SICOLO DECIVOTTITO 4^'
Patria apprender cos^ è ; come ella s* ami ;
E qnanto amare io deggia an padre;' e il mézzo
Con coi abaodir gli adnlalor , che tanti
Te tnsidiao piìt, qnaolo hai di me più possa.
JF«7. GiatiD lo sei: - nel eor, negli atti , io voi lo.
Ben li si legge che di le presomi
Oltre al ^ver non poco. Ja te degli anni
Colpa il terrei ; ma ,, col reair degli abni » .
Scemare io ^1 senno , anzi che accrescer, Teggio.
L^ error Ino i* oggi ^ mi gli>vanil trascorso
Io 'I nomerò, benché attempata móstri
Haliaia forse . • »
Car» Error t . • * nto ipiate ?.. »
FU. E il chiedi? -
Or, noi sai tu, che i tuoi pensier pur anco,
KoQ die Topre lue incaule, i tnoi pensieri,
E i piò nascosi', io so? — Regina, il fedi;
Kon Tesser, no, ma il non sentirsi ei reo,
Fia il peggio in lai.
Car. Padre, ma Irammi al £ne
Di dubbio : or die fec* io ?
FU. Delitti bai tanti ,
Ch' or ta non sai di quale io parli ? - Ascotta • . •
Là dove piò sediziosa bolle
Empia d' error fucina , ivi non hai
Pratiche tu segrete ? Entro mia reggia , • • •
Furti Tamente, • . . anzi che il di sorgesse, . . .
AH* orator dei Baiavi ribelli
Lqnga udienza, e rea, non désti forse?
A quel malTagio che, se ai detti credi.
Viene a mercè; ma in cor, perfidia arreca,
E d' impunito tradimento speme.
Can Padre, e fia che a delitto in me si ascrira
Ogni mia menom* opra? E Yer che a luogo
AH^«raÌor parbt; compiniisi , è ver»^
Seco di que' tuoi saldili il deslioo;
£ CIÒ ardirei pur fare a te davanli v
Uè forse d'ai compiasgerli ta slessa
• Lange saresti, are a te noto appie&o
Fosse il ferreo regnar , per coi tao ti tmvA
Gemono oppressa da rohiishri crocK ^
Superbi, a▼ar^, timifli-, inesperti, : • »>
* £d- impaniti. In cor pietade io sevto-
De'- lor mali ;> noi niego : e lo , f>brrest$ -.
Cìi* io, di Filippo figlio, alma ' Tolge re
Avessi , o cruda , o vile ? In me ki speme
Di riaprirti aJla pietade it core,
Col dirti intero il Ter , forse oggi troppo
Ardita fo ^ u»a «onìe ofiendo io 'I' padre
Nel repotarlo di pietà capace?.*.
Se dei rettor àe\ cìeìe immagto Tera
In terra sei, che ti pareggia ad esso-.
Se non fi la pietà ? -- Ma por , s!* io ^ reo
In ciò ti àppajk), o* sono, arbitro sei
Del mio gasligo. Altro da le non chieg^ >
€he di non esser traditor nomato.
PiK,' NobiI fierese». ogni too dtetta spira • • •
Ma del tuo re mal penetrar puoi 1' alte ■
Ragioni lo, né- il dèi. Net gioTÌo petto;
Quindi fjfeafeir cfoel loo boiler t' » d*' uopo,.
- E quella audace impaziente bram»
Di, non richiesto, consigliar; dì esporre.
Quasi gran senno, il peosier too^ Se il moada
Veder li debbe, e renerarli on giorno ./
Sovra il maggior di quanti h» seggi Eoropa S
Ad esser caute- apprèndi. Ora kk le. piace
I . ■ • ,
1 *It maggior «?• *. Fili^go II «ra. s.^t:cecl^U> «eli* ùnmjeQAa. moQ8r<:D
f^\ì Quiitio.. * '
#eeOLO DECIÙOTTi^O 4^^
Quella bftldaiiea ^ onde trarresti altera •
Biasmo DOQ lieve. .Ornai , beo parmi, è tempo
Di caDgiar stile. — In me pietà cercasti,
£ pietà trovi ; ma di te : noa tatU
Degni ne son : delP opre mie me solò
Giudice lascia. — A ;&Tpr tuo parlommi
Or dianzi, a- l^i^o, e non parlommi indarno ,
La regina : te degno ancor- cred^ ella
Del mio non men che del suo amore • . . A lei •
Più che a me , devi il mio perdono ; ... a lei.-
Sperar frattanto d^oggi in poi mi giova
Che tu saprai meglio stimare e meglio
Meritar la mia grazia^ ~ Or vedi y o donna ,
Che a te mi arrendo ; e che da te ne imparo ,
Non che a scosare y:a ben. amar mio figlio» «
jfsah. Signor . • .
jFitm Tel deggio, ed a te sola io H deggro.
Per te il mio sdegno oggi ho represso, e in suono
Dolce di padre ho ì\ mio* figlidol garrito.
Pur eh'' io pentir mai non men debba ^ O figlio ,
A non tradir- sna speme, a -vie più sèmpre^
Grato a lei farti, pensa. - E tii, regina, ^
Perchè pia ognor di bene in meglio ei vada ,
Più spesso il Vedi,... e a Ini favélta ,'...' é il gnida. --
E tu, la udrai, senza sfuggirla. — Io 1 voglio.
Car. ' Oh quanto il nome di perdon mi è duro ì '
Ma ,' se accettarlo pur dal padre or debbo ,
E tu per' me, donna, ottenerìo, ah T voglia * '
Il mio destin (eh' è il sol mio ^llo ) a tate
Vergogna più non mi^ far scender maiw : *
FU' Non di ottenerlo, abbi miglior^ vergogiùk -
Di meetar la dal geni tòr. per dono. ' ■ '
Ha basti ornai: va; del miocHr'fo senno. *-»
BJedi,^ o regina^ alle loe stanze intanto ^
He rivedrai ealà fr^ breve ; or deggio
Dar pochi Ulamii aA altre care grekjl ^
FU. Udirti?
CTo/n» Udii*
Fi7. VcdcfU?
Gom. Io Tidi*
/*//. Oh rabbia t
Dunque ii sospetto ? • • •
Gom* È ornai certessa • • •
Fit. E i
Filippo è ancor?
Gofn» Pensa «'• »
FiL Pensai » • ^ Hi a^ni.
BAL SàVfr»
/2a(«K/ perseguitata età Saul esce ikìP antro m cui s^è rìcoverata
e dà f ultimo €tddh a Micol sua mo^U^,
Mie, Esci , o mio sposo ; vieni ; è già ben oltre
La notte'. . . Odi lo, come romoreggia .
Il campo ? A 11^ alba pogoerassl. — Appresso
AI padiglion del padre ^ tatto tace»
Mira ; anco il cielo il tuo fu^ir seconda:
La Ittoa cade , e gli nltimi snoj raggi
Un negro ouvoi cela. Andiamo: or ninno
Sa noi qoi veglia., andiam ; per questa cbiaa
Scendiamo ii monte , e ci accompagni. Iddroi»
Dai^, Sposa , dell^ alma mia parte migliore ,
Mentre Israello a battagliar si appresta.
Pia pur ver che a fuggir David si appresta?
Morte cb*è in somma? - Io vo* restar: mi ucciw
Saul , se il vuol ; par cb' i^ noopici pria
In copia uccida*
I Isabella e Caido partono..
9L iklpadre^ DI Saul..
SECOLO DECIHOTTAfO 465
ÌItc. Ah! ta non sai : già il padre
iDCominciò a liaghar net saogne V ira.
Achimelech, qui •ritrovato , cadde
Vìttima già del furor suo.
9as^. ^ Che ascolto ?
Ne^ sacerdoti egli ha rivolto.il hrando?
Ahi misero Sani ! ei ($a • * •
[fic. Ben altro
Udrai. Cradel comando ad Ahner ' darà ,
£i stesso, il re; che, se in battaglia mai
Ta ti mostrassi , in te oonvertan \ arnii
I campion 'nostri.
ya^. E Gionata * mio fido
II soffre?
tic. Oh ciel !'die poote? Anch^ei lo .sdegno
Provò del padre; e disperato corre
Infra Tarmi a iporire. Ornai, beo. vedi,
Qai star non paoi : cedere, è forza : andarne z'
Lungi; e aspetiare., o che si cangi il padre,:
O che air età soggiacGÌa • • . Ahi padre cruda !
Tm ' slesso , lo ^ la misera tua. figlb
Sforai a. bramare, il falal dì . . • Ma pnre,.
Io no ,' no'n sbramo il morir top : felice
Vivi ; vivi , se. il . pooi ; bastami solo
Di rimaner per sempre col mio sposo. . •
Deh ! vieni or dunque ; : andiamo • . .
as^. Oh quanto daolmi
Lasciar ta pugna ! Ignota voce io sento
Gridarmi indoor: u Ginnlo. è il. lambii giorno
9> Ad Israele ed al suo re »> • • • Potessi ( • * •'
Ma no: qni sporso di sacri ministri
Fu r innocente, sangue s impuro è. il campo ^
31, ^hner» Ministro di Sani.
gt Gionata» Fratello di Blicol , e- fevicist&ao dS ItaTÌde»
466 LETTEAATQfU ITA.LUHA
Cofttainìoato è il saolo; orror ne sente
Iddio: pugnar non paò qui ornai più Dafid. •
Ceder danqae per ora al timor tao
Emmi mestiero ed all' amor, tao scaltro. —
Ma tu par cedi al mio... Deh! sol loi lascia...
Mìe. Ch' io ti lasci ? Pel lembo , ecco, ti afferro ;
Da te mai pia, oo , non mi stacco»*»
Z)ac. Ah ! m* odi.
Male agguagliar tao! tardi passi a* miei •
Potresti : aspri sentier dj sterpi e sassi
Convien eh' io calchi eoa yeloci' piante ,
A pormi ia salvo , poiché il vuoi. Deb 1 come
I pie tuoi molti a* stranio' iaositalo
Regger potranno? Infra deserli sola '
Ch'io ti abbandoni mai? B^ vedi ;. tosto.
Per tua cagión , scoperto io fora : eatrambt
Alla ternata ira del re daiaati
Tosto or saremmo ricondotti . • . Oh c^o !'
Solò in pensarvi, io fremo • • * E poniam anco
Che si fuggisse; al padre egro dolente
Tor ti poss' io ? Di gaerra in&a le angosce ^
Faor di sna reggia ei sta : dolipeasa alcaaa
Par gli fa d' uopo al mesto aalieo* Ahi resta
Al sao pianto , al dolore , al fèror suo»
Ta sola il plachi; e ta lo servii e il tieoì
Ta sola iB vita. Ei mi nfoi spento ; io ^1 foglie
Salvo , felice , e vi nei tor . • • ma , tremo
Oggi per lui* - Ta, pria che sposa, figlia
Eri; né amarmi oltre il dover ti lice.
Par eh' io scampi ; che brami altro per ora ?
Non t' involare al già abbastanza afflitto
Misero padre. Appepa giunto ia salvo^
Io ten farò volar P avviso ; in breve
RXoniremci ^ spero. Or » se mi dolga
SECOLO DECÌftroTTvVO' 4<J)
Pi Abbandonarli , il pensa ... Eppure,' . . « ahi lasso*!...
Come .^ .' . . ^ »
tcm Ah me lassa!.... e ch^io ti pèrda aacord?...
Al passati travagli , alla vagante
Vita, ai perigli, alle soUnghe grotte,
Lascivirti or solo ritornare 7 . . .Ah! s'io
Tecq almen fossi ! . . . i mali tuoi più lievi
Pur iafei » • • % divìdendoli • . «
v<, Ten prego.
Pel nostro aaior; %^ k d^^uopo, anco il comando,
Per quanto amante il possa; or non mi dèi
Ne pnoi seguir , ftenza mio danno espresso. -
Ma, se Dro mi ruol salvo, omaì non debbo
Indugiar più : 1* ora si avanza : alcuno
Potria da questo padiglion spiarne ,
E maligno svelarci. A palmo a palmo
Questi monti conosco : a ogni uom sottrarmi
Son certo. — Or, deh! P ultimo -amplesso oT* clammi.
Dio teco resti ; e tu , rimani al padre ,
Fin che al tuo sposo ti raggiunga il cielo . . .
il/ic. 1/ ultimo amplesso?... E ch^io non muoja?... Il core
Strappar mi sento ! • . .
Da\f» Ed io?... Ma,... frena il pianto...
Or, Tali al pie, possente Iddio, m'impenna.
GIOVANNI FANTONI.
Nacque Sf Fivizzano nel i755, e fu educato prima
dai PP. Benedettini in Subidco , poi nel collegio
Nazzareno di Roma.
Ritornato alla patria ^ si trasferì a Firenze, dov'
ebbe un impiego nella Segreteria dello Stato; poi
fu per qualche tempo ascritto alle milizie del Re di
Sardegna : ma non lardò a lasciare anche la pro-
fessione delle armi per attendere agli stadi della
4 68 LETTEn ATUBA -ITILIaRA
poesia a cui veramente era palo. L^ applauso cì\* egli
ottenne colle sue liriche fu universale e meritato.
Quando, sul finire d^l secolo, le dottrine repab-
blicane si diffusero dalla Francia in Italia , .il Fan-
toni le abbracciò con tanto entusiasmo , che dioieD-
ticando persino la naturale sua amabilità, mal sapeva
tollerare chi non ne fosse innamorato al pari di lai.
«Scrisse allora parecchie poesìe repubblicane, ed io
Milano ed in Modena predicò popolarmente la li-
berta. Di qui» poi gli venne la prigionia e V esilio.
TSeì 1800, ritornalo dalla Fraacia , ebbe neiP Uni-
versità di Pisa la cattedra di Letteratura italiana:
ma V anno dopo gli fa ritolta. Si ricondusse allora
alla patria , dove fu fatto segretario delP Accademia
di Ferrara, e dove poi morì nel 1807.
Questo Poeta ò più comunemente conosciuto sotto
il nome arcadico di Labindo.
ODI.
Al Merito,
. - ...»
Cadde Minorca ' : di Crillon la sorte
Ride superba fra le sue raloe;
Sprezza di Gade sulP Erculeo .fine
Elliot la morte.
Del GìOTe Ibero al fulminante ofgpglio
Calpe resiste , e air ire sue risponde ,
Come al canuto flagellar deironde
Marpesio scoglio.
WasiDgtoQ cuopre dai materni sdegni
L' americana libertà nascente; 1
Di Rodoey al nome tace il mar fremente ,
Temono i regni. '
I Cadde ec, . Molli poeti ripeterono qaesto peatiero : Jliri canti tm/tten
gitenrsehej io iH>gllo eelebrtve le pae^eke vMk. Il Fa&tom lo ba inquidclM
modo ringiovenito citando imprese de' suoi tempi , ÌJBTe«e della folite in
CCCOLO DCCiaf OTTAVO 4^9
Hjder ten- fugge ; sa i trofei britanni
Siede Coóte, ma le schiere ha pronte;
Crollano ì serti aiiH* incèrta frónde ' '
D^Asia ai tiranni;
Altri né canti le guerriere gesta; -
A me le corde liriche inegaali
Orror non scuote con le gelrd^ al!
D' aora funesta.
Tessere aborro su pietosa lira
Un inno lordo di fraterno sangue;
Sento i singulti di chi piange è langue, '
E di ciiì spira.
Kon crescon palme sol Castalio rivo ' ,
Né il fertil margo alto cipresso adombra ;
Prolegge i vati con la docil ombra . " *
Palladio ulivo.
Venite al rezzo dei be' rami suoi
Della natura difensori angusti :
Non gli ebrj duci di rapine onnstl ;
Voi siete eroi»
Vosco Pinello * presso me si assida ,
Caro air amore delle Sergio genti :
Già eternalrice per le vie del venti
Fi^ma lo gnida.
Cinger gli voglio le onorate chiome ,
£ dove morte saettar non puote «
Oltre il confine delPetà remote
Spingerne il nome*
A Ini sul volto candida tralnce
L^ anima bella che raocbiode in petto*,
I Skl «e. • Sul fittine sacro alle Miue.
a II maxtfhtfe Giuseppe Pindlo Salvalo cbe aveva con lode governata la
città • il eoimnistariato di SanuUM.
UntBIAT. ITAL. - IV 4^
70 LBTTBRITURÀ ITALUIIA
Né la percaote di malnato afieito
Torbida luce.
Pradensa il guida De' dubbiosi eTenti ,
Che nel futuro con cent' occhi guarda ,
Pronta nelfopre, ne* giiidizj tarda ,
. Parca d' accenti. •
Il braccio gli arma di severe pene
Giustìzia , ai doni e alle preghiere sorda ;
Seco è Pietade che V offese scorda ,
L* ire trattiene t
Pietà germana della fede , a cui
Deve i costumi . placidi e soavi ,
Piif che agli esempj e allo splendor degli avi
Raccolti in lui*
Né spargo i versi di «entità frode,
Né schiaro rendo il faci! mio pensiero ;
A Luni . jMcra e air immntabii : vero
E la mia lode*
Me non seduce V amistà ; non preme
Bisogno .audace , né venal timore;
Stolta oon pooge d^ insolente onore
Avida speme*
I^ibero nacqui: non cangiò la cuna
I primi affetti; a non servire avvezzi^
SprestaA gli avari capricciosi vezzi
Della Fortana.
J Giorgio FianL
Ozio agli Dei chiede 11 nocchler per V onde
Del vasto Egeo*, se il ciel fremendo imbruna f
Se negra nube minacciosa asconda
uli iifttri e la looa^ .<■
I .^r^. L* Arcipelago.
sxcoLa DicnioTTifo ' 471
Ozio, Tfavrv chiode il Medo e il Tracie,
Ozio il colf ore deir Eoe ' DiaVemme ;
Ma, oh Dio! noti' ponno comperar U patie
L* oro e le gemme; ' '*
Ooor, ricchezza a dtssijpar non yafe
Gli aspri tumnlti dell' amane menti ,
E le folantl per le regie sale
Cure frementi.
A parca mensa vire senza affanno
Chi i ctbf in Tasi savonesi accoglie,
Né i cheti tonni a disturbai gli Tanno -
Sordide Toglie.
Che mai cerchiamo , sconsigliati , qnandcr
Son pochi i lustri della nostra ètade?
Cangiar che giova , dalla patria in tanilo ,
Clima e contrade ?
Sale la naTe, del destrter sul dorso
Con noi la cura torbida si assidè,
Agii qaal cerTo , e piik Teloce in corsa ^
D^Enro che stride.
Godi il presente, FaTTcnir trascara.
Soffri gì' insulti deiraTférso fato:
Mon puote il figlio della polré impara *
' Esser beato.
Nei di robusti V Alessandro Sreco ^
Cadde; Vittorio illanguidì ?ecchiezza;
He obbha la morte ; mentre fors' è teco
Tutta fierezza.
A te sorride per la spiaggia erbosa
Flora, e te messi più d' an campo adaoa,
•«
l Boe, OrientaU.
a lijigilo te» • V aomo.
1 L» ^«...«.«..ftv 0c, , omMU^yo^àMìto ft di BrvwU | • Tiuorio AMedto II
t« d«l PiaaoBto»
47^ LITTBBATOIIA ITA LI AITA
Vi pres|o in dole recherà una sposa
K uova fortuna.
<hù spirto leDue del Ialino stile
A me ia Parca consegoò benigna ,
Ed iasegnOmmi a disprezzar la ti lo
, .Torba maligna.
Ad alcuni' Critici,
Hefii * , tacete : mi balena io vbo
Del Dio di Piodo il prò focato sdegnò.
Empi * tremale ! chi deride é de^oo*
D* essìer deriso.
Veggo r insidie preparate , sento
Dei detti amari il fienoso fiotto ,
Simile al finito die nei scogli rotto '
Dissipa il Tento.
Potrei ponirTi^ ma si viiinoii soao':-
Spezzo r ultrice Lìcàmbea sSetla >^ ' '
Dtrgai oòd siete della mia Tendètt£| .'• -'"^
Io vi perdono.
Il rostro biasmo ia ftrtù nioa morde^ >
Muore nascendo, e.fcèdd^obbtfb 1' assale;
A me ' tusiojga- etiàrnilà "cooir'ala
. . Ij- itale corde.
Vivo nei boschi, ore abitar san ose
D** Ascra le Dive ^ ; voi disseta V ooila
Z Mwii chiama i critki i|;nonuiti 6 ìasflenti , dal oome di un certo Mev>o
povero di merito • pieno di audacia nel crilioare Virgilio ed Orazio.
2 Lictonbea ec. . Archiloco con una sua satira si vendicò di un torto
evuto dsy Licaritbfe f e la vendiHAa lìi c«s| fiera v," che tìcvAht p«f ^^P*'^
lione 1* ttn^ccò.
3 ji me ec. j cioè : Io spero di vivere eterno ne* miei vèrsi*
4 D'oserà le Dive, Le Muse. — Dicesi poi che la JagrinM sf»ese <»^
Ninfe §■ dai «Satiri al veder Mafsii se^rticglo da- Ap>UQ. fecero *•''**
fiume aelk Frì|;ia; • questa » l* onda mesta «'' J<i»*w.
StCOLO DBCUfOT'TàTd 47^
Ueflà di Mania ; V aborrita spenda
Fuggoii ìa^ Bf^ue.
^ Cangiato' in cigno , riderò dei slòUi
Figli deF fango ; senta nome intorno ,^
Errar dorrete del fatai 'soggiórno^ ■ '
Corvi insepoltu
Hi ... il snel Tacillal fremon V «bre • inquiete ,
Jl ciel si oséura! fta Torror traloce
Dei, nembi 'va sokb di< malSgna tace (
^ Mctìi, tacete.
ji Salomone Fiorentino.
« • »
Caolor. dolente della prima Sposa,
Onor dei figli d^ Isdrfiel dispersi ,
Perchè non désti sa fatidici ^cpn '.
Ilali versi ?
Agita forse del Tirreno in riva '
I mesti giorni tuoi cura molesta ?
lovida- frode il meritato; ser^o
Rode p calpesta?
Riocbesza stolta la mercè . dovute . .
Ti nega. avara,, o insulta al Ino lavoro;
Mentre, è alle Taidl , al Peregrini 9. ai JS ufi
. . . Prodiga; d' oro ?
Sai pur qua! premj la corrotta etade •
Serbi a chi; saggio. di vjltà non viva.
Lode non vende, o di peccar maestre
Storie lascive? *
Fugga , o si celi ; anche tacendo offenda
Set ero il' giusto , alto bersaglio àlF empio f
Scipio a Linfemov n' è- Aristide a Egina *
« . . Nobile «tempio» '»
1 Se^9.ee*jùoìtt V« tono ts^mpiaScIploa* «tHiataà Uali^« s jUi^
«iplida tkà^Uoù per i* o>tncÌMBO ad Euiiu»
- K
/f 74 MTTpCRlTimA ITALIANA
Nel feanpioi» in Irono ,. osel t^pulo*, io
Ila pUsso. ì|,.tUìo, a^iclllà grandeggia ,
E fra i sepolcri la f irtùi negletla .
.. Mota paleggia*
FrnUo (nnetlo di cptaiite-^iiolpo^ ^
Nacque^ m l'Europa devastò, la guerra;
Oilda Veodelta di fraterno aasgoe .
Tia«e. la Urrà*
Kon odi ^ Aaiiea, V Efegfa «he piange ,
Lacera, io^dai o acarmigliata il crìoe?
Nirala ; siede a quel ciprèsso accabto ì
Fra le rolné.
Archi già-Mro, e del domato atondo
TrofeLislioI; or li-riciiopre Perbar
* Chò la ptà parte ne ridusse io poire
, / • 1j- clè sQperi>a,
Perduta gloria de^ passali tempi , *
Tu CI Tinfaeci il nostro onòr sepolto;
Kè a tanto ob^fobrio per Vergogoé abbassa
9 i ' Italia il volte*
Si scucita . p ^ Ati sento mofmorisrnii tnlorM
Suono p0i)$eate' di Tirfeo * la vóce ! ^
Ca^ta rallenta le* sdegnale oordis ,
. • . Geàio feroce.
I - '. . ■ • '
SCHITTORIVARIL
• •
r ■%
GiAnATTiSTA PAtToam B(»to in Geoow nel l65o • morto nel I73a.
>,'■■■■ .:> i 4. GtntHHL , .
Gano^ nÌAy IO ^coà asdiiUo dglia •
' i.^iagato e guaito il tuo bel corpo io niiro,
■' '- -^^Uti^ 'pDca'piatà d' tosrato figlio^ / ^ ^ ,^
Ma robello BSÌ^so|iibra ogni sospiro*.
t TfHtfOi PoeU siuffiero.
' •BGOV.O OCCIKOTT&TO $73
Xn mMestà éì tae niTae ammiro,
trofei della costanza e del. consiglio :
0«oii(|ae rfljgotil.pisso^ 4» il ignardo giro«
Inooatre il. tuo valor nel Ino periglio.
Pia. fai d'-ogiii «ittoria nn bel soffrire;-
E eoniro i fieri alta vendetta' fai.
Gol vederti distrutta \ e noi leotire.
Ami girar ki Libertà mirai,
E baciar lieta ogvi rovina, e diret'
Raine ii , ma aervità Bon nai.
DoKimoo LAnABixi aac^ in Morrò pretto Macerata nel l€68. Fa prò*
fettòN'in patria di gìttrìspmdenia«^),poi di lettere greche e latine neìì' U*
nieiBNilk di Padfiuva « dof» MMri.ael 1734* Come precettore e come aotto di
oltinap gotto , fontribol al citorgiaì^to deUe leltese italiane pili che cogli
tcrìtfi. Fu d* ingegno torero e d* acre indole, ed ebbe gravi controverti»
col Faodolati è coi Getuitl. '
Irr iode ai Padova , in cui nacque Tito £iVio
'• morì U P^trw^a,
'OvmiqQe i^ vnlga i» queste alme bfial^
> Plendicivtl-gaardo, altro non veggo intorno
Cbe Vero -ottor^ tanta gloria adomo,
' €bé n* «vrlt invidia ògnt fotnra etate. • *
. - Là naeqnè ehi dlEoma aUe pregiata '
.Of>re diede, scrivendo, eterno giorno ;
jSjebbè, al par. degli eroi , n* ebbero scorno
Le gredie spenna d* alto'stile ornate*
> Qna cbiàse. i giorni II pie tSavo ^gno
- - €JisM mai spiegasse in altro tempo it canto,
Ondò il nome di Iia«ra alto rimbomba.
O eoUi avventofosi! « éiel benigno! j
' ^ ' O pregi fftemi ! qoaiito cbiar i e qnaaifff - ■ ^ i
-Sibto- per si grottxnlla o si g^An tomba;
OibÒlaxo TAOLiAzucott, anQQTerato dal Tirabotcbi Jra i pia btmmftiU.
rUtomtori éeWitaUatM ietUratm, nacque a'Modena il la noYembre 1674^
èmè f« GMwefiiert nelU Segretaria del daea RinUdo 1 1 • poi ^MVclro ^t
* I
».j
47 ^ LBTTBBATnKA ITALIAHà
liogoa greca nel Collegio dei fifolnli* Tenne poi nel I7a3 « IClnna
prÌTeto istitutore « e fu maestro anche della celebre Maria Gac^anA Agnesi.
Il Re di Sardegna nel 17:^ lo fece professerò 'di eloquensa 0 di lingns
greca nelV Univ«rsitk di Torino. RiUmato nel 17^ dia patria, tì ■aori od
1751 il primo giorno di maggio*
Importanza 4^Uo appr^^AH a JcriWr hene»
Questa irec^asità di seri vere, « scrifielr bene, facciasi
6a nelle prime aoaole a* principknli capire, usaado ogoi
studio e cura per eccitare negli aotimi loro la cognizione
del debito che ciascun ha di fario* Si debln^no- pertanto
o. sterpare e sradicare dalle menti, se già ne '.sono ii»
befute; o prevenire, se non sono, e impedire che se ne
imberano, i pregiudizj comuni; e le cantilene di . molti
|>adri deridere: i quali pip che alla buona iaslitammec
perfetta coltura de' figliuoli, pensano al presto guadagno;
i molti a?eri lasciati o da un teologo o da un arrocato
0 da un medico che né questo studio della, nostra lin-
gua , ne della greca , né della geometria fecero mai ,
portando in esempio* Dicano pure a- posta loro . queste
ed altre cdte. Può égli un pregiudiaio e ^n ajmso afer
forza di ragione? Chieggo loro se^ in gran pericolo 0
della roba o delta ? ita trorandosi { desidererébbono che
1 avvocato il quale a ^tf^nder prendesse la lite, con mag-
gior forza, con miglior ordine, con più dbìinta chiarezza
dell' avvocato contrario le .sojb ragioni esprimet sapesse.
Kol negheriinno, credalo. E se noi piegano, sappiano che
il vantaggio il qual avrebbe la scrittura del loro avvo-
cato sopra quella delf avvocato contrario, tutto dallo stu-
dio e d^Ua perfezione nell' apparare a bene scrivere
acquistata, proverrebbe. Lo s|eÌBo é'del medico* Non vor-
rebbono essi che imparato avesse tutto, ciò che alla co-
gnizione deir infermità e dd rimedio . opportnm», potesse
servire ? e non vorrebbono ancora , trattandosi di con-
sultar medici forestieri, che una relazione scriver' sapesse
^ebe fosse beo cQneepita , beo disposta i chp chlt^aneale
•scoto DBCIVOTTArO : 4.77.
spiegasse, seosa ambigailà e «oaFusioneffo-stalor^' lécir->
cestacize del mate , la cura e' i rtmedi ? - Se coét ir#rffeb«<
bono, sapptan di Raevo^ cbe ciò dallo studio delle n'màihe'i
lettere provietie. Ma it chiaro lame^doHa ragione . non'
détta e^Ii à chi che sia, che in ogni .cosa, che si ià\y
massimamente s* e|la' d di coosegneoàa ■ e importanze, y la»
maggior perfetibaedìligeoleiiieote eercair si deb? Le ikià-'i
terie e i' pensieri sono certamente la sostanza e .la ,liàsei
d' ogni* discorso : :non si pnò per altro negare che Irà- due*
seritture contenenti i medesimi pensieri e té stesse- ina* >
terie', 1* nna delle quali sia tersa-, pnltta , ciii^rs, chet
metta come sotto gli ooehi con efficacia lo cose 'mèdest*'
me, e -piti aflaménte e ordinatamente' Inpresaa iìesls nella ^
mente degli Mcbitalori o leg^^ri, coH' eccitare in -essi.>
in ttitCa la foro grandezza o picìciolezza le immagsnr eier
Idee delle medesime coie^T altra, rozza, per non dif'
irMIanai, ^lena* d' iaspropnetà é- d'errori^ kbmpoàta, tor^i
bid»,' sgraziata , -che appena & . mteaiere qiitefo basta >'
( Se anche basta ) cid ehe lo scrii tote root dire ; quella ^
dhferénia non passi, che si nota «tra P. ombre e la luce* <.
.Gi^AntriKT^o ZAifatTi.na«qu« (^l CipYaani Andrea ,• copilo mo^K» ,• -di
Margherìu Enguerra ) a Parigi a' 3 di ottobre x^^ > poi venne colla fami*
glia a stabilirli in Bologna dove mdrl nel 1765. '. •> * ^ \
^ • . fiitraUo di Eustachio Manfredi,
iEra' Eustachio di statura mediocre, e di ginsia.^pro- ^
porzione ibroiaio: .e. quando, cresciuto in età , cominciò
a .ferii .pingue, acquistò certa grafita cl^e ben gli sta?à,
ma nriika sempiie ad un' aria dolca e «oare, c(ie lo facea ,
cosi amare come per lo «apcre era stimato. Era di Tolto ^
bello: assai r <*><> ^^ una bellezza o^aschile; e questa canr,
«ovvó sempre , quanto il potè permettere il variar del-.
1' età. ATea gli occhi vivi e perspicaci quanto possa a?er-
si,, la fronte altissima; ed era di un color forte e Tjvaqs
47 S LETTERATURA ITALIillA
e- qoal- dovrtbbesi mar da «n pittore che persona geo^
le, ma roboata e ben ceinpleasa v volèise espriqUere. Area
beUnsime mani^ ed nn suono di voce argenteo e so^t»
Mmo; e parbifa e aUeggiara^ ma aenza alcon' ombra
d* affettazione, con la maggior grazia del mondo, Yestifi
da- ano pari, e non ^ più, e con tal portamento sciolto
e- libero, che mostrava non tener conto di apparire ò$
molto per qnello che intorno s* avesse : e vérameiite ^11
Bm aUiisognava di pomposi veslimenti per farsi tenere
quello eh' egli era , bastando adirlo di qaalanqoe cosa
ngionare, per conoscerlo, e averne, la debita rivercfiiza^'..
Era al sommo liberale, e non lasciò inai che alc»n sei^
▼ig>o gli lòsse prestato senza qualche abboadanto merce»
de, e spesso andie eccedente. Ova si trattasse di con vi*
vere con gli amici, non badava dispendio, o fosse nel-
r-albergarli seco in villa ^ ò nel- trattarli alla sua messa
in città. Una tal largita può dirsi certamente che takn
fosie anzi difetto che no , da che senza usarne in cptal
foggia ', avrebbe potuto cumulare non poco, e isnoi pia
agiati lasciare; acquali pero, la Dio mercè, nulla mao-
ca , e sono anch' essi di ciò che loro basta ooiitenti : tot*
tovia il difetto notato e tale che, se non la lande, T af-
fetto altrui si traggo dietro: e, per usar d^una libertà
più da poeta che da storico , dirò che la Natura , nel
formarlo , meditò di fare un uomo il più amabile del
móndo; e perchè debbo chiunque è nato i suoi difetti
aVero, volle che anche tali difetti egli avesse, che ansi
che pregindicargli ^ accrescessero famor verso Int.,. Egli
nfò i^mpre rlvereuza «oq tutti, «omplimeoti brevi e brevi
cerimonie ; e il tutto fatto Cosi faziosamente che ninno
né fu bojato giammai. Era nemico deir aóiil«h«uia^^ e
non dico che mai non l'adoperasse, da che, sapeod»
S Sèiaa wtimt #c.> ctocr : -Qnakfa «oa Sh» «t«lQ coi! libtnla»
SEC<[>LO OEGiafOTTvfO ^f^
che •* ebbe pratica cod personaggi grandi ,• ninno m^^
crederebbe; eonciò'ssiachè non sì può con questi lene^'
commercio , che lÈon s' aduli , passando cotal broUo visio
presso de* gran signori per creanza e rispello ( dal che
ifiiasce che sempre più nella lor cecità e nel ior difell»
ni stabiliscono); ma n*è ilato certamente paroo quanto ha
potuto , e r adoperò sol quftndò la necessità e la aogge«
zione lo costringeano , che fale a dire quando - f adola*
tìone o non è colpa, o l'è certaiiieate più di colui eh* è
adulato, che dell' adulatore • • • Era la poesia italiana a*
giorni suoi , dopo ristorata alquanto dei danni per un
secolo intero sofferti , rimasta si languida e poterà tnf*
tafia , che molto le bisognava ancora acquistare per rU
mettersi nel primiero suo stato; e certamente tra i primi
che la sua fera bellezza le rendessero , dee porsi Eusla*
chio; e le sue rime, e il sapere in qnal teknpo ie-^éom-
ponesse , il fa manireslo. Non Tolle però mai farsi akunia
gloria di questo miglioramento, né si senti mai che per
maestro volesse spacciarsi;^ ma con I' esemplo il buono. è
il migliore insegnava: e cosi adoperando, quell'applauso-
ne ritraea. che 9 facendone* pompa, forse da non pochi gli
fora stato contrastato e negato; ma umilmente il contri^
Yio facendo , a rsomma gloria pervenne, e s'acquistò quel
gran* nome • ehe anche gli dura, né fin ora s'è prodotta
' cosa qbe il possa oscnrare. Egli trovò il modo di piacere
a tutti ; oonciossiaebè quel moko lioono alla poesia ritom
nando cbe> avea perduto, di quel poco buono non lasva*
' ali che aneho ne' pessimi tempi' avea ; non aSettando^
- éome alcuni, una mortai nemistà a lotto ciò che dagF ìm^
-gegtti del passato secolo venne prdOotto; perlochè potè
-piacerò^* e con diriUnra^ a coloro ehé slima andie fa>*
eeano ddle poc' anzi preterita lettere , come , e vie pia
maggiormente , , li qpdU dtie |.e o^tiine cose, sanno asiapora*
re. - Kon vi fa nomo di lui pia piacevole nelle coiiTena*
^8a UTTBRATOaA ITALIAITA
ttoni , ma . sempre codforwe ai loio^ e alle persone ; «
per questo moUo fa io esse desiderato; e trova odo egli
noo poco piacere Dell* aoconiseotire all' altra! inchieste,
molto in sua giova ntzaa le praiicò *, e facea spesso prandi
e cene eoa «mioi, ma semprie^ spoi pari, e per lo piò
lettefatL • De' soot motti graziosi e delle sae graziose fa-
eesìef di etii anche in età matofa,.ma con rarità, -eoo-
diva i suoi fiimigliari ragiònamenii , non si può dire ab*
bastansa. Bisognava ' però per goderne , essere mollo soo
domestico; da che con >.poch issimi giocondamente e scber*
zevolmente usava , coociossiachè con le persole non tanto
familiari adoperava serietà e gratilà \ lieta bensì e piena
di grasiosi mòdi , • ma non mai tale che potesse movere
a riso 9 abborrendo egli piò che la morte il buffoneggiare
cbe alcuni fanno in ogni luogo e in .ogni tempo. Par-
tendo in tal guisa le sue maniere , era grato a tutti e
da tutti estimato. Molti poi , con cui domesticamente non
trattò giammai y^ sentono con istupore cbe fosse talora co*
tanto lepido e giocondo ; e alcuni , cui si sono nioslrale
nicone sue lettere piene di burle e di faceiie le più ri-
devoli del mondo , appena bau creduto che giugnere avesse
•potuto a tal segno. Egli era cosi fatto, che sapea perfel-
lamente a qualunque occasione adattarsi, e sempre così
naturalmente che quello che allora ostentava , parca V vf
-oico p principal suo carattere ; quando lo era * di usar di
^alti , e sempre bene; e in tutti tralucea sempre T nomo
«di' egli era. Meco e co* suoi talora, fingendo, facea rac-
eontamenti bellissimi per ostentar nobiltà, riccbezsa e
maeftà da monarca; e tutti ne facea: sganasciar di rida-
re s ma nel medesimo tempo $i ammirava con • che bd-
4' ordine di tali beffe tessea^ piene per lo più di bellis-
simi: traiti . di storia e di geografi» e d* altre tiose ; onde
1 te praiici. frequentò , eome suol din! , I« 6oiiVtfsaiioBÌ.
s QmmiI» tCé . Mtnm ìnvec* il tuo carattow «n di se. •
secoLo DSciaiaTTATo 4S1
poteasi da cosi fatte burle apprendere e cqme farne delfe
beile e piaCeToIi, e senza mordere alcuno, e come anche
in così fatti giuochi sia di diletto e d' onol*e la cognizione
delle cose belle e degne da sapersi. ^ Stando con gli ami-
ci , era poi al somino inchincTole a tutto ciò che agli
altri piacea ; e quando non avessei voluto fare alcana co«
sa , con tanto e cosi pnlito e grazioso modo se ne sot-
traea, che data piacere quanto dato n* avrebbe P altrui
dimanda soddisfacendo. Egli poi non violentava alcuno
giammai a far cosà eh* egli desiderasse ; anzi era solito
dire nelle sue domestiche conversazioni: Ognuno dee far
qnel che gli piace, che cosi alcun non si no^a'; e questa
è massiina ottima a f^r che cotali intcrtenimenti sieno
durevoli. - Questo è finalmente quèll* nomo che perdette
Bologna • V Italia , e T amico che io perdei.
A Sionne,
E crollar le gran torri , e le colonne
Scuotersi , e infrante al suol cader le porte,
E i sacerdoti di color di morte
Gemere ^ e V alte vergini e le donne
Squallide, scapigliate e scinte in gonne,
Coi pargoletti, infra dure ritorte,
Ir dietro ial vincitor superbo e forte ,
Mirasti , e ne piangesti , empia Sìonne ;
E il Ciel d* un guardo in van pregasti allora ,
Desolala citta, su i dolor tuo!.
Sola sedendo 1^ lai ru'ine sopra;
Ma di' : Fra tanti guai pensasti ancora
A un Dio confitto in croce , a tanti suoi
Strazi che sol dell* iuéf mao soa opra ?
• ■
UTTZU.T. ITI!» — IT 4'
^t^ LITTEIUTimA rrÀUAllA
TiiBSA Zavi WogDcsc nacque nel i683 e morì nel 175S.
Di quattro lustri, e, come sod, dlsciotla
Dai genitori mi^i cbe terra or sodo.
Posso a mia foglia, o saggia siasi o stolta ^
O pietade impetrare o alraeii perdono.
Piacemi la mia rete !. a cfa^ io soo colta :
Garzoa di ?iso ogoor modesto e. prouo ,
E chiamo il Ctel , che i giuramenti ascolla ,
Cbe, s' ei sposa m' accetta, a lui mi dono.
. C^be r ioridia dirà ? Famosi e chiari
Ari ei noD fanta al par di me; ma nacqne
Tal che dpfria di me tanfarli al pari :
E poi sacro ha V ingegno , e poi delF acque »
Bee d^ Elicona , c| poi d\ onesti e rari
Atti adorno mi apparto, e poi mi piacque.
FiRSAiro* AscToirio Gbsoiki nato in BolofM nel 1684 mori nel X76B.
Sopra Roma,
Sci pur tn, par ti reggio, o gr^ a la^iofi
Città, di cui quanto il Spi aqreo gira.
Né altera più, né più onorat^i mira,
Quantunque jnvolta nella tua ruloal
Qaes|e le mura son, cui trema e inchina
Pur anche il mqndo, non che pregia e ammira!
Queste le vie per cui con scorno ed ira
Portar barbari re la fronte china !
E questi 'che ?' incontro a ciascun p9ssQ ,
Avanzi son di memorabii opre,
Men dal furor^ che dalfetà secùri!
1 Ln mia reu ec. • Eia innamonU del poeta Zeppi.
2 Dell'acque ec. . È poeta.
^ Men dal ee,s cioè; Opere alle quali più nuoce il furore degli ttomiui,
^ il corco del tempo.
SECOLO D^OlflOTTAfo' ifis
Ma, iD taplà slìMige, or «Uni' addila e scopre
In fif^ spirto, e non io l^roazo o ìq sasso.
Una reliqul» 4i Fabrii^l e Cprj ' i
*■ ' ■ » *' » •
Paolo Rolli nacque in Roma nel 168^^. FÌi precettore di lin^ iulian^
presso la real Coite di Londra, dovè traduueil Parti^so perduto del Milton.
Ritornato nel 1747 in Italia , fermò irl sao soggiomo a Todi nell' Umbri* ,
« quivi mod nel 1767. Oltre alla versione già detta «ccitM due MeJodram*
mi : Is ras Mais peraltro èra quella d* Ànacreonle. ^
Za Lontananza»
Solitario bosco ombroso,
A te viene afflitto Cor,
Per trovar ^oakbe riposo ^
Fra i lileiui'io .qoesl! orror«
Ogi^> ^So^^^ ^'l^''^'*'^' piace.
Per me UclO' più.noo è s - f '
Ho perduti! Ja mia pace^,
SoD io st/Bsso in: odio a me»
La mia Fille*y ìi aoio bel (beo.
Dite , o piante , è forse qui. ? r •
Abt \ la -ceiu» ia ogai loco;
E por SO: oh' ella parli» .
QaaBle volte, # Aonde .graie,
La Toste' ombra ne eopri «
Corso d' ;ore. ai bSate
Qaanto rapido fuggii
Dite almeno, amiicbe fronde y
Se il mio beo piò rivedrò:
Ab t che r Eco .mi risponde,
E mi par cbe dica t No^
Senio nn doloe raormoriof
Un ^ospir forse sarai
Uà sospir deU' idoi mio,»
Cbe mi dice i Torneri»
I Una reìUiuki «0. • Va «riiiio> di* irift«»4 «illidSii; foniiifi , 9N& <ii^
lOBo Fabfisio. » Curi**-
4^4 LSrrEIIATORA ITlLtAti
Ali ! eh* è il snóit dai no dia frati j
Tra quei sassi il fVesco nanor;
E non mormora, m» piange •
Per pietà , del mio dolor.
Ha se lorna , ybqo e tardo
fi rilomo, oh Dei f sarà;
Che pietoso il dolce sguardo
Sol mio cener piangerà.
Se tn m* ami , se sospiri
Sol per me, gentil paslor;
He dolor de'.'tQoi martfri^
Ho ditello del tao amor«
Ma se peoM che splelto*
10 ti deliba riamar,
Paslerelloy'sei' sogg^Ho < '
- Facilmeote a I* Ingannar. •
Fu .già caro un solo ai|iaiite %
Or quel lenpa non è ()iu9
11 mio sesso ò meé ooMaole, '
Peroké il fosMie ha men virlvk '
Bella rosa porporina '
Oggi SlUfO sceglierà*;^ ^
Con la scosa della spina
Do man poi la sprezzerà»
Più di lotti V amnUI core.
Chi di nói ^ò mai vi^ntar? '
Non perchè I* allMIa na fiore v
S* hanno gti altti a dtspi*ezMr.
Scelgo- questi^, scélgo qnellèi,
Mi dilettò d'ogni fior;
Questo par di qdel pi ir belle,'
Qoel di qneAlo ha ioegli<ir pdpr^
De' nìb scelti e hen senratr
•i Uà bel setta/ poi.si fa;
E sol crine, 0 a4 < sei» 'por tali, ^<: ' •' " '
Famao i^lIusU-e la {»eltà« ,
«p
•)
Degli ainori con fa^scblerii .-,.,>
Corooala d'erfae è fior * !.*,..; i !«
T-o riloroi ^ Prioiarera ^ . «i^u .. . *. a.;
Naova gioja d* ogni cor 9 ->
Uè per me no. lo non tornio-
Dolce tempo di giofr; • *■:
E il diletto de\ttiot giorni'"'
Sol rinnoT? il mio-'ma«tlr» ''^i
Cbi diccami : r O cara , io- beliamo
€e noni m'antìv 'io morirò : "-"^
Com' 10' più ' non- fossi quella >
Infedel ! m^'abbandooò^ ' > . i . * • -m
Sul mi dice, quando' parte e
Deb! soliefa^il tuo 'dplor|i
Per gli attori sol di Marte: ^ . . .'
Lascio i mirti dell' Amor. : f* ' <
Una fita»enaa' gloria*' ••'■•:. '; •
Non ti merita , mio; 'ben r • ^ -> .'. i
Degno pia dalla vittoria 'i-
Tornerò nel Ino belaseli.' i •*'< >
Bel desio d' illustre fama* <i , ^ * •*
Or m'invita a goerre^^giar*^-'» • - *
Ab crtedeie! qàand|»-a' aw^,
Non si pensa ebe- ad ainar. i^>
Dissi , svenili ; ed il crudele ' ^-
Pnr ni volle afbbabdoi^ar:
Mi riebbi, è a gonfio- vrio<>
Vidi '1 legno in '^Ito man "t*
4^*
4 • > A
j iO.
FftAvciMa MabiA Zàs«tti, fbteitodi Gianpìetro, iiac^pi» «ei. primi giotm
<lc1 16^1 fu «omo di Tariota^m; W fce!l^iAgi6^ott • H ottimo gutt.
Mori in 9o1o|;m.%|4ì «5 muf*» 1^777-
Id^ liei filòsq/o perfetto,
■
Io mi fono aftsai volte uleco stesso maravigliato p«r cpal
cagione, aveiido tanti eceelleiitisMiai scrittori descritta
chi in «a genere e chi ki iitt altre la forma deirot-
tirnn, in cai gli .uomioi.. riguardando <:pQosGer meglio
potessero la lor OMineaniie, « correggendosi a norma di
cjnelia , farsi piq perfetti e oùgliori \ a njuno, eh* io sap-
pia, sta venuto in animo di descriver la forma del fiJo«
sofo perfetl issine». Porche:, eam&nciando. dai tempi antt-
rhìsflmi , e ritalettda alle memorie ullinpie. delle lettere,
noi troTeremo. «be ì poeti , i quali pare che sieno stati
i primi a svegliar gti uomini, ed inoil«irgli alla ▼irtè^
hanno, sempre avuto «ina. certo > maniera di poesia, da
e&si cìùamata epopeia, neUatquak. sotto la specie di oa
qiia:Iche eroe, hanno, intelo »ds mostrare ag'H uomini la
fórma di nn peifottlasimo /pHncìpe. e condolliere. E pare
che Senofonte Segendo^ di scriver T Utorìa>. del re Ciro,
ahJJbia voltilo imitai4ì;^ess)en(lo opinione di molti, che egli
esponendt» te anioni e le virtù di C|tiel re .gloriosissimo «
non tali le espo desse quali furono^, ma qoali a lui pa-
reva che esser duvcsaeco.. Platone propose la forma it una
perfetta repnbhli^A;. e fu seguito nello slies&o argonaenlo
da Cicerone^ U quale vi aggiunse . anch^ qiihRlIa dell* ot-
ti ij^o ora lorewl^òij potè Quiotili a no astenersi dal descrivere
la medesima, <|nentnnqjiie T attesa descritta Cicerone. E
per Lasciare gJi aotifihìi». venendo, ai tempi ultimi, il conte
Baldassare Castiglione esposò in q/esltro lihiu la perfetta
cortegiauia , per nqAÌi.&tfco..^od<ft^ che parje ninna cosa
potere immagin«tfV q&ipiv heUa. niè- pia nobile né più
ip9iag^nifica di ^oel-.ftup «òriegiaoo^ Sq dttoqae bk {orma t
'|j nàlvrn deirotlroK^ ba li rato a sé fo slhÀk» évrnllil»^
»
XÌ4»ie 4i UqIì valeàtlssiati acrittafi Aelle arti Dcililli^«;fi^
.Iterali ; e s^ alciuii V hanno tegfifta «aiaiKlIò' iic#e ^
^▼fli. e plebee; esaenilo st»lo «» Francese cbe lia.^serilto
con soniJita aocoraiezaa ki ferma del perfetlÌ9SÌnio^eiMéo<^
parea ben ragiooefole cbe alcuno prendesse a descrii>«jfjS
jc. forma|r T immagifte di tin sapientissimo ^Io9ofi> v * ><M|i
Aulla mancasse, e in c«ii nntia desiderar si 'potesse.:
VL^ té eredo, dne ragranj princìpAln»enle aver dbltdlo
^li odittìni da ciò fare: delle eguali la prioa» penso qbe
sia la grandissima 9 somma dÌ$ooltà di instilniri^ qneslo
filosofo così perfetto. Perciocché se »èlte altre discipitne^
«he sono pi» angusto e rislroHe^ piti* ò diffieile soerger
ji|Heir nltifjQO grado di perfeaione a cui fUMaono giungerei
qiijinto piiilo sarà nella filosofia, la qtfal vagando per
lutto le cosa che in mento ninnna cader possono, non ba
confine né limite alcuno l Cbe se ognuna di Quelle, per
esser perfella, ha bisogno delle altre disciplino » lei prò-
piiupie , da cui però sol tanto prende f|nanto le basta
per esser pili b^IIa ed ornarsene , dite diremo dell>a filo-
jAifii^a , cbe ruol professarle ed esser maestra e direttrice
di tutte? Onde si vede, a lei rif^.ifedersi mollo maggior
dovizia di cognisioni o di himi, che a (fHalsivóglia altro.
E certo non potrà alcuno, non- che filosofo perfettissi*
ino , ma ( » mio giudicio ) né por fi-losofo cbiatnarsi , se
egli non avrà una molto acuta e profonda dialettica; per
cui possa e definir lo- cose presla mente , e distinguerle^
e distribuirle; e tro?ar gli argomenti, conoscendone U
Talore e la fi>rza-, e sapendo misurare la loro probabili^
là ^ e contentarsene > qualora no» 'possa ginngersi allV^
videnca ; ricercando poi T evidenza in qti^i luoghi Ofe
qualche speranza ci se ne mostri s e non far come qtielK
i quali, assqeti air evidenza dei matematici, soffrir non
possono le rag^ioni prohahiji. dei giuctstl; atv^ca» atrssù
4t( UTTBAAVVRA ITàLIAHà
•U« probabiKlà dm glarjsit, ù iK»i«tto delle rag^eot evi*
dettii dei malemalici : oel che errano com~ gli «ni come
:gti altri. Ed ancbe dotrebbe, per esser degno del none
di filosofo , Mpere perfelUweate tutte le fallacie : perdiè
sebbeoe è forgerà talvolta Fusorie, -è però malto wuMg;
-MT vergola 9 essendo usate da^ altri, il non saper stoI*
gerle e discoprirle. Vò con tnlta i^aesta scienza però sarà
gran fatto il filosofo da apprezzarsi , se egli noo se ne
servirà a conseguire le altre; e non oTrà^in prino luo-
go , oompreta nelP animo la varietà e V ordine e la bd-
IAbso di ttttte le cose iatelletluali che «^iamaiist metai'
aiebe. Le ^ali alcuni dispreizano, areodole per insossl-
stenti e vane : ma se peosnssero , niuaa cosa presentani
giamm'ai alP animo né più .manrilesta , né più ferma ed
immota lùle delle furme uni versali ed astratte ; e niente
esser più certo che quei priiieipii e quelle verità che ila
esse. a lutle le scienze derivauo; io- non so perchè molte
più slimar noo dovessero quelle cose che essi cbiamaae
insussistenti e vane , che non quelle che essi chiamano
vere e reali. £ certo che la meta6stca ci apra ella sola
da principio e discopri quella bellissima è importaatisst-
ma tlisci^dina , che può dirsi il maggior dono che la ns'
tura abbia fatto agli uomini ; voglio dir la moralew La
4{nal se il filosofo noo .saprà, uè avrà cognizione delle
virtù uè dei vizi , né saprà ragionare del fine dell' uo-
mo, nò della felicità; io non so che voglia egli farsi della
sua filosofia. E quantunque la perfètta conoscenza della
morale possa da sé sola innalzare il filosofo sopra gli al*
tri uomini , e farlo , per cosi dir , più che uomo ; egli
4100 dovrà |}erò esser privo nò della scienza economica,
né della politica: e dovrà saper giudicare rettamente dei
iCQStami e delle usanze , tanto domestiche quanto pubbli-
che; perdio' dovrà essere peritissimo eziandio della gsii*
^ ^trcAèjr eioV: Tn la qiul com. Al qoal fi^..
e*
•SCOLO' DECIMOTTiTO 489^
rispradènza. E* qaftnto a me , le io dovessi fiirm^irlo a
mio modo , io vorrei che fosse -anche eYoqueole : e ciò
per dóe Tflrgiooi ^ delie f|Qali la prima ''si è., per pol^r
adornare l'altre parti della . filosofia , ed esporle cod bel
modo. Perchè sebbene sono stali molti filosofi che hanno
trascurato ogni ornaménto del dire , io non credo però
die i«5 sia stato alcnno mai tanto rozzo,, eh e potesse la
tfua rozteeza piacergli^ L' altra ragione, si è, che io tengo
che l' eloquenza sia nua parte della filosofia essa pure*.
Porche se (iredesi coni noemcDle che alla filosofia si ap*..
partènga il sapere come si educhino le piante, e si (a^
Torino i metalli ; per qoal ragione non dovrà ella: apclui,
•opere come, e per qaai mezzi, si lusinghino gli. animi
umant, e si eccitino e si movano? E per quest^ islessa
ragioDe,' nIeOle mi marafiglierei se quei perfettissimo filo*.
0ofo che noi andiamo ora immaginando, volesse essero
anche poeta. E certo, avendo egli qnella tanta cognizio*
ne che noi vogliamo che abbia , di dialettica , di meta^
fisica, di morale; avrebbe nn grande ajnto ad essere aa
dottissimo poèta, e nn oratore elbquenCissimo. E; noi aap«
piaftio che Cicerone , prezzando poco i documenti della
retti^rtca , ninna cosa stimò essergli stata, tanto giovevole
a divenire quel grandissimo bcatore che era ,. quanto lo
srtndio delle * sopraddette scienze: ed es^minapdo una voU.
ta, qaal -filosofia fosse a questo fine più accomodata del-
r altre V antepose a tutte quella dei Peripateti^fi e degli
Accadeorici ; ed aflfermò ;» lui essere uscilo cosi granide
oom' era', non già dalle officine dei retori, ma dagli spazi
detr Accademia. La qua! cosa considerando io talvfill^
nneeo stesso ,< e pensando che qiiella aulica . filosofia par-»
tort poro af inondò un così eccellente e così divino ora*
fere , no» so comprendere come n^lt se 1* abbiano , par
una r filosofia inutile- e da sprezzarsi. Lascio alare cbajanti
flfItH òràtori^ e poflit valotosissiml e «oiiiiai .tiscirono da^
quelle medesime scuoIq.
4^0 LETTERATURA ITALIANA
Ma ritornando al nostro filosofo, molto ancora gli man-
dierebbé , te egli non possedesse perfettamente tolte ie
parti della fisica. Nella qnàlé entrando v >o Torres clic
egli non solamente andasse dietro a qoelle cose che per
ti sensi ci si manifestano, ma procedesse oltre con rio-
teltetto, e cercasse anche i prindpif e le Cause che ci
il manifestano per la ragione ; soddisfacendosi di qaclb
probabilità che hanno, giacché all' evidenza noo possono
giungere; né ritraendosi da qnesto stadio per pa ora che
quella opinione che oggi par probabile, potesse uoa toIu
trorarsi falsa. Perciocché il pretendere che ciò che si di-
ce, non debba potere essere falso, e ona pretensione sa-
perba e conTonìente piuttòsto a nn dio cheann filosofo.
E quegli sfessi che, trasportali da nna tal tanità,' per
essere sicurissimi di ciò che affermano, professano di non
Tolere attenersi se non alle espersense-e alle esser vaziooi
(Tolendo poi ridurre i riiroTamenti loro a leggi mu-
tersali e costanti , che deblian falere in tutte le cose ,
eziandio in quelle che non hanno mai osservate) cadono
éncb* essi nel pericolo della probabilità. ' La qoai proba-
bilità se non Tolesse segoirsi per paura di errare^ non
potrebbono piii né I medici curar gF infermi , ne i gin-
dici diffinire la cause ; e ai leverebbe del inondo ogni re-
gola di buon goremo. Io Torres dunque che U filosofi»
sapesse tutti i sistemi, alméno i più itlostri, per seguir
quelli che fosser probabili ( se alcun tale ne ritroTAaae),
é rigettar quelli che non fossero: i quali però saper si
debbono, benché si fogliano rigettare; anzi rigettare non
si doTrebbooo senza saperli; che é cosa' da iiom leggiero»
rigettar quello che non si sa* E già la fisica stessa, no»
strandogli i suoi sistemi, ed instruenddo delfo san espe-
rienze ed osserTazioot , e manifestandogli le sue -leggi t
non è da dubitare che gli aprisse anche la cbwaica , la
snedlcina , la nòiomia , e noi conducesse wt lasli canpi
fEGDi:«0 «DECUIOTTATO 49 1
«li tatù r Utoria naturale. La qiial 6f tea vorrebbe ^ però
mewaipre aver seco la geometria e V algebra : con le qnall
spessissime Tolte Tiene a deliberatiotte e si consiglia. E
'SODO esse tattavia per sé medesime bellissime scienze e
' sobilissime ; ed olire a ciò amicissime della metafisica ^
Aa CHI credono èsser nate* Cosi che io esorterei il filo*
' moto ad assamerle anche per lor medesime : perchè assa*
meodole Solo in grazia della fisica , potrebbono , e giui
' JstaDQEeDle, afersdo a male. E qaeste poi lo introdurreb^
' fcono alla meccanica , ali* ottica , ali* astronomia : delle
' «jaali discipline dovrebbe il filosofo essere peritissimo. :
' Parrà* forse ad alconi che io sia fastidioso e poco diserei
to , irolendo imporre al filosofo tanto peso di sludi e di
I cognisioni , che non è. persona al .mondo che portar lo
potesse. Ma se eglino pensassero che> io non lo imponga
' n loro, né a veruno di quelli che essi conoscono, ma ad
i un filosofo che vorremmo immaginarci e fingere^ e che
^dovendo soperar tuUi gli altri nella virtù e nel sapere ^
Togliamo ancora che gli soperi nella memoria e nell' in<-
' gegno; credo che facilmente mi perdoneranno, ed anche
I nni scoseranno se io V4p»rrò che, sapendo egli lotte le
scienze che abbiamo dette, e molte altre, sappia ancora
F istoria loro; e come nacquero tra gli uomini,, e creb-
bero , e passarono in vari tempi e varie nazioni ; e con
quali aioli ^ e per qnai mezzi , a tanta autorità e gloria
M* innalzarono. Che oltreché è conveniente a qualunque
professore il sapere gli avvenimenti delParte sua., qoesto :
singolarmente è proprio della filosofia. Perciocché V isto* !
tia delP altre scienze non è ona parte di esse, né è patte
della >ettoricà V istoria della rettorica , né della dialettica i
ristoria della dialettica; ina T istoria della filosofia, che {
tatte le altre comprende, sembra éasere ona parte della i
filoicifia slessa. Imperocché se i filosofi considerano con
tanta attenzione gli altri animali , e notano diligenteolente |
|l^a LCTTBBATORà ITàLlÀllà
e raccòlgono le loro ationi e tulle le loro indastrie, t
questa istòria pongono tra le parli della loro seieDsa; io
non so perchè nofn debbano porvi anche 1' istoria degli
acienzìali e di lor medesimi: tanlo più che sodo essi
più nobili degli altri animali, essendo dotati di ragione^
ed areodola più anche degli altri nomini coltivata. Ma
lasciamo ormai di raccogliere lotte le infinite . qaalìtà e
doti che a qnel filosofo , che noi vorremmo veder de-
aerino eccellentissimo e sommo, si richiederebbono ; ac>
ciocché non paia eh* io voglia formarlo io, e presuma far
quello che ho detto non essere fino ad ora stato fatto
ria ninno, a cagioiie della grandissima difficolta.
Sebbene io credo che anche uu* altra ragiona abbii
distolto gli nomini dal farlo: e questa è, perchè o è po-
trebbe farlo chi non fosse filosofo , né chi fòsse , fàcil-
mente vorrebbe; essendo la forma del filosofo perfetti^
limo una cosa tanto grande e magnifica e divina , che
non è alcuno cosi dotto in filosofia , il qoal ni rande is
quella immagine, non si dovesse vergognare di sé mede-
simo. E se Cicerone non isfoggi di proporre agli oomioi
il perfetto oratore , ciò forse fece perchè potea credere
di non essere a quello molto inferiore: e noi sap|iiaiDo
che al Castiglione poco o nulla mancò ad essere, quei
perfettissimo cortegiano che egli aveà descritto* Ma. chi è
che veduta una volta la forma di un filosofo eccellentis-
simo e sommo, non s'avvedesse di esserne infinitameole
lontano? Quindi è che molti ricusano di vederla, né vo-
glion cercarla , per non trovare le lor mancanze ; e vo-
lendo par lusingarsi di essere compitamente filosofi , re-
stringono la filosofia dentro a quei limiti dentro coi
aentono esser ristretta la cognizion loro. E quindi è che
troveremo molti i quali non avendo toccato mai . né la
'dialettica né la metafisica né la morale,, pur perchè hanno
apparato .alenai luoghi della fisica , credono arer ledoU
SECOLO DBCIMOTT A.TO 4 9 3
la filosofia ^ leoendo per niella tutto il restante : )e molti
esperimentalori (che sdrebbono per altro degni di siogo»
lar lande) nino oggìmai venati in tanto orgoglio, che
«ogliooo, tntto esser posto nelle esperienze; e gridano,
la filosofia dover trattarsi con te mani ; indarno volerrisi
uaat U ragione: e non Tolendo osarla, ben mostrano di
000 arerla. . • •
Gli antichi in qaesla parte intesero (a itolo giddizio)
piii che i nostri. Perciocché abbracciarono totCe le parti
della filosofia, e le stimarono ' tiitte grandemente. E ise
in alctùie Boo seppero molto innanzi , cercaron < però di
saperne quanto a quei tempi 'poteasi : e in alcooe altre
f tifano tanto eccc^llenti , che levarono ai posteri la spe-
ranza di ' ugoagliarli. Come' Platone . ed Aristotile, che
fiarono maravigliosi non solaoiente nella nielafisica e nella
BMraie , ma anche, nella dialettica , la qaale ebbe tanto
accrescimento da Aristotile, che parve essere da lui na-
ta; ed oltre a ciò, posero molto studio nella fisica; e
molto seppero , secondo quei tempi , della naturale isto-
ria ; né mancò loro^ la geometria , né V aritmetica ; e fu*
rono intendentissimi di musica e di poesia , della quale
Aristotile fu gran maestro; e parvero eloquentissimi a Ci-
cerone. E veramente io credo che quegli antichi avessisro
un gran vantaggio sopra di noi : perchè, essendo ciascuna
di quelle scienze che la filosofia abbraccia è' contiene,
tanto più breve e più anglista a' .loro tempi che ai no-
stri , fu ad essi più comodo 1' appararne molte , che a
noi non surebbe studiarne una sola. Né io mi sdegno già
centra coloro i quali, rapiti dà una parte sola della filo-
sofia , SI allontanano dalle altre ; varrei l>ene che apprez-
zassero ancor quelle da cui si allon.tanano , e stimassero
appartenere' aNa filosofa anche ciò che essi non sanno*
Il che non volendo essi fare , mi levano la speranza di
feder descritta mai da alcun di loro e formata quella
umaAT. ijàji* - IT 4^
494 I.BTTSRÀTOaÀ ^ ITALIANA
bella immagine» cid filosofa perféttisaimcr, tho io laalò
«lesiderD*
Ltà qiMile chi par volesse oggi Tcdere hi qualche modo
Adombrata, non veggo qual altra via tener potesse , k
non farlasi egli da «è neir animo , riguardando molli e
fart ecaoellenti; filosofi, e raoeoglienda in tino le qualità e
cognizioni di tutti;- con che verrebbe in qualche modo
formando quel perfeilisstmo che desideriamio.' .Come a
legge di Zensi, che raoeogliendo insieme tutte le grafie
di molte fancioUe calabresi , formò quella rara e aingolsr
belieti^ , . che stimò poi esser degna di Elenaw E certo
chi mettesse msieme 4atte.Je eooellenBe e tutte le perfe-
sioaidi Girtesio e> di Letbaiaio^ aggiimgendo loro le rare
e maravigliosecognisioni di •Newton, dopo eoi pare che
il mondo non -aspetti spiù altro, con- questi tre eoli uo-
mini formar si potrebbe un filosofo a cui non molto maa-
casse*-
.• . ■■»■."■,.
Tommaso CàirsiLì naeijne in ^oppi , terra d«1 Casentitto , 1* aaao lyoB.
Rei maggio ««M 1^39 fa potto UéHé eareati ^delr IiMpiiiiiraBe la Fimne ,
poi t9<fcrìto mila fortessa di Basso » ed ali* i^tiiiio reltpito a Poppa. S* i-
gnora la cagiojiu; di ^esta «na sventura , della qnale il Grodali tanto si af<
flisse che De inort nel 37 mano 'del 1745*
La Corte del re Leone.
Volle un giorno Jl leone
Ti^tta qiiaota conoscer quella gente ,
J)ì cui il Ciel r avea faUo padrone*
Non fu selva orrida e oscura
Chq non fosseoe avvisata;
Circola ?a una scrittura
Da Sua Lionesca Maestà firmala,
E io scritto diceva
Che per un mese intero il re tìeneva
Corte plenaria, e principiar doveasì
Da un bello e gran fosti iio^
■ i.A
ficaio DEemOTTAVO i^^5
Dove aQ> ceffo peritò berlaccione
Pavea- ballar irestifo: da Arlicchìdo*
la tal • nlftoiéra il principe spiegàTa
La saa potenza al popolo 'soggettò :
Ma ecco ODoei che la g-rao aala: é fimna*
Che salai Oh Dio' che- sala!
Ella era- anzi un orribile •méoello'
Sanguinoso e fetente ^
A tal segno, che P orso
Non potendo sofiHr quel tetro * aTelh> ^ ■
Il naso si turò, poco prudente*
Sciacquo il "ribaedìo : il re forte irritato
Mandò « da ser Plutone*
il signor orso a fa^ il dis|ustato.
Lo scimiotlo approvò *
Questa s&verità,
E di Sua Hfiestà i
La collera lodò, j.. • -
Lodòr la- regia branca, e: della saltf
Disse cose di fuoco,* e quelP odore
So virai l'ambra esaltò, «ovraògoil fiore.
Ma questa adolasiòu troppo tcempiat»
Fu dal principe accorto
Ben presto gastigala: <
Già lo sfacciato adulatore e morto.'
La volpe eragii accanto;.
Or ben (le disse il sire)
Dimmi, ^ebe ne dl^ tv ?> parlami chiaro;.
Tu Tedi , io Boiii Togtio^ essere adìolato* -
La vdpe «llor : Sua Maestà mi scusi ,
Io fon molto infreddata, «^ e 1* odorata
Ho perso fi Aitlo;
S JfMdd €t. . Vccìm r ono. - -^ .■
496 ' LETTKRiTVRA ITiLUHA*
Ondalo a gtodiear'atla non mooo ^
Se qactto odóre' sia cattivo o buòno» 7^
Di tal risposta il re f« toddisfatto. —
Voi che ia corte Tivete,
Apprendete, appreodefe;
Non aiate tropj^io aperti adolaloH,
Nemmen troppo sinceri parlatori:
E se Tolete alfin passarla netta.
Una scusa o 'I silensio *
Sarà sempre per toì buona ricetta»
It Oatio élnUo gntdicA
Verso Oriente il cielo era vermiglio,
E già spuntava' il di ,
Quando madama
La donnolelta
Del palazzo d'un giovine couiglia
Tutta lieià s* impadronL
NelFacifaistato #ua nuovo soggiórno
Tutti i suoi Dei Penati trasportò
Giusto nel tempo che il coniglio stava
Tra. valli amena e rugiadósi prati
A corteggiare il rinascente giorno.
Dopo molto aver cercato
Colle ^ prato ;
Tutto fresco e a juto bell'agio
Sen va verso il $00 palagio.
Avea la donnoletta . agile e dealra
Messo il muso alla fi&estra.
Numi ospitali t e die vegg' io là dentro?
Disse tutto scontento
Lo scacciato animai dal .patrio tetto.
Olà, madama, che si sbuchi fuore
Senza rissa, e romore. - -
SBCOfi» D£CIII0Trif9 497.
L^«eoortft claotra dal naso ap|MUilaio>
Co» uatiiera obbligante
Rispose che la terra
£ del prtno occupante, ir
Bel aoggellp di guerra
Qae»ro sarebbe stato
Tra la Francia e V Inipero
Da far Tersare il sangue a nn mondo intero;
Sia percbè ognun di' loro era prltato.
Ed ambedue ben povere persone ^
Fu la bella quistiooe.
Lascialo 'il goerreggiar^ messa hi trattalo» —
Vorrei sa|>ère adesso ,
Dicea r usurpatrice,
Qual legge, (fua^ statuto
R'ha per sempre il possesso
A Gianni, a Pietro , a Pa€4 eoneednto,^
E fraalmente a te,
E non piò tosto a me? — ^
Quivi Giovan amiglio
Allegò Fuso e la consuetudine r
Questa, rispose, me ne fa padroor.
Questa di padre in figlio ,
E di I«uca in Srmone^
« E Bnaltneote hi me trasnsesso V ha\
Onde la legge del primo occupante
Nel neetro caso alcun luo^ nn» da» —
E ben, e ben, monsèi^
Che importa adesso a stare a tu per 4n ;
Rimetliaiula in un terto^ e ipièstb sia .
Il dottor Mordigraffiante..'-*
Onesto era un gatln di legai samens»*
Che menava nna vita
Geme un savio eremita^
^9^ LCTTKBiTVSA ITàlLtAffA
Va Immmi nomo ira^ gfllti e <Ii cosctema ^
Di sguardo maliocoaico è cofiertOy
Nero di pelo, agile,- melnb^oCd^
Giudice a fondo, e nel ilMsslifHr. esperto s
Gian coniglio per arbitro T àpprofa.
Ecco che ognun di lor già si ritrova
Daranli al tribimatà . -
,• DeIPnoghittlo aainiale»
MordigraSaote dtcer Vr ooosoli
}1 Ciel , a mJet figlinoli f
Come io TI metterò ' prèsto d* accordo r
Accostataci a ne, perchè- io ^soo. sordo;
Le gran fatiche e gli ailoi
Soglion seco portar simili^ affanni. ^■■
S* accostò r uno. a t^ altro litigante;
Ha non si loslo esao U vide &■ tlr9> •
Che il dottotak .ijrtiglioi
Da due parti gettando in «n istante.
Scannò la donnolétta ed li coniglia, ■
Indi se li mangiò , .
E in tal maniera la lite aggiustò, t
Lettor, tieni! la Cavala a memoria.
Che se praticherak pe^ tri banali.
Ti passerà k favola io istoriai.
QxTimiGO RoMt nàto» in Lonigo lem. diel' Vicentino nel i6g6 mori nel 176*-
ia Pacmau
Per bt Purificazione di Matta F'èrgine»
Io noi vedrò ' ; poiché il canora to aspetto,
£ la vtja che sento venir meno,
Mi diparte dal doìee $er sereno ,
Né mi riserha al sanguinoso obbietto*.
Ma.tn, Donna, vedrai questo diretto
Figlio , che stringi veleggiando al »eoo ^
I U. «Ck% Som» parole- del «a^erdote Simeone*.
SECOLO 1>BCf«DTTàTO 499
~ D* onte ^ 'X strazj e d* armirezaa pieno ,
.PalHclcF ìF viso: e laceralo 3 petlo. .
Che fia allor,.clie fiav quando tal frutto
Còrrai dair arbor trioofale ' ? Oh quanto
Si prepara per le dolore e liillo I ^
Cosi , fairgo versando ainaro pianto ,
Il 'buon Vecchio dicea ; con ciglio aackitto
Haria si stava, ad ascoltarlo intanto.
Gio.- Battista Srovnntsi • aat^ in Yerona nel 1695 t morto in quel!»
siecsa città l* anno* 1762 , ti coUpcà fisa i no&bd mig^Iiorì poeti didascalia
«olla Coltìvaziof». del' REM, ■ ' "
Trebbiaturt».
Qui di frftta è iiiestier, d* ardire e forza \
Qui di por mano 9 gli scudisci e a* lacd r
Ch\ora comincia il. pia., rfes^nn stia indarno».
Questi ;accoppj fra (or, qnei vpiga in giro
Le animose cavalle; e i luoghi , intorti ^
Lievi. capestri a, la, sinistra avvolti, .
Con. 4a deslra le piMiga e al eorso inciti*
Bèi veder le feroci , a paio a paio ^
Pria %a|ir V alte biche- * : e sodiigliantii -
A festosi delfitt quando ondeggiante
P,ér vicina tempesta il mar s* imbruna^
, Or sublimi or profonde, or lente or ratte
^ Sovra d* es^e aggirarsi,: e arditamente .
Sgominate avvallarle > in ogni lato
Gli ammontati covon facendo piaoi. .
-Poi diste^ e copcòcdi irsi rolanilo
Con torbine veloce in doppio ballo ;
E smagltando ogni fascio > e Smiaoszanda
Col corvo piede lo già tcoBche oimo^
1 Daltaròor «f../ Dalla croce.
X Michék t miiBclii dei co? oiù delle biadt Biietiite»
5oO LBTTBRlTDaA ITALIAVA
Io breie ora cangiar P'crl^ s|ìtgoso
Clifo, d* inaili pagHe , e reste* inirasley
E 'di sepolto grano in onil letto.
Ferve il giro e '1 pestio. S* ode bisbiglio
Di si cnpo teoor, qoal se cadendo
Fischi , e 'I doro terrea rara e pesante ^
• Sensa Tento , peroote estiva pioggia.
1/ une V altre s' uraliano ,> e a vicenda
Preodon stimolo e ^1 dan. Talor direali
Flagella lo paleo * roniar d* intorno ,
O di naspo leggter versata ruota :
Da! cui mezzo il rettor, de le fugad
La pieglievol cervice e ^1 pie governa*
Pur lo sforzo , V ardor, V impeto, il corso
Qa cplalche paosa. Indi ritorna il primo
Volteggiamento j e'V interrotta daofza y
E r anelito , e 't suon. Tal fonia e spira
Fiato, anzi foco, da le aperto nari;
Tal distilla sodore; escon tai spume
Dal collo per le spalle e per li fianchi,
Con SI grave respir, che te primaie
Dal soverclìio sbufìtar de le segnaci f
Kolii ed umidi n'hanno t lombi e Pam^..
Non con forza maggior^ baldanza e brio ^
-Coi» pili leggiadro |>ortattienlo e ^latìrdoy
Per li tessali pian corsero érìrando
Del centauro le figlie ; e lion diverse
L' erte oreechie vibr^, nitrendo àlfiiare^
t Di Sotorno é Nereo le false spose»^
' * .
1 Buie tòno qi)e* $ljÀ c^ «scottò 'ddle spiche.
fBGOfcO 1WCIMOTTAVO 5oi
A&voirto TARAiro » ^seendenlÀ dai pachi di Camtria» « Mcqn» ia Fcr>
mùSì i3 dìMBobM 17q5. EU>e a ^cattoipe in Modeoa Girolamo Taglia»
Bikcclii. Scrìtse alcune Egloghe e Poesie Liriche, quattro Thtgedi* 9 m
IVwivfMi. Sopra tatto però lodassi di lui Io Vinoni , Hello quali coli diìi*
gensa molto fflieé atteae a ratrimre ia Italia la «cuoia di DaMi^ » e rivolte
Ut poesU dalle £|vole ^a rcligiooe cristiana»
il phctpitUò.
Era tranqiiillaaieale azzurro il miire;.
I^a Milo a qoella balza ' aa sordo e Asso
Muggito fean, le spaipanli acque aliare ; . .
Cbè un fiumfBf cui ii^ dal pendio prefisso
Ciecp foUerra il corso, ivi formata
G>' pioli opposti un .TorticoSo, ^isso«
Desio di rimirar qqal s\àgg\raya
A spire il flutto, ■• tratto poi .dal fffiq
Perdeasi assorto neForribil caTa%
ti , # ■
Me mal saggio aTviò fio allo steso
Dentro, i prpfqpdi golfi orlo del masso ;
E da incanto, affrettar cosi fui preso^
Che sol. confin io sdrucpiolai col passo. ->
Dair ert9 caddi , e no caprifico * Terdo
Aberrai sporto fuor def curvo sasso*. ..:
Gli «spirti che il terror fuga e diperde»
Corsermi al cor , lasciando in sé smarrita
L' Alma che il ragionar stupida perd^«
In cotal guisa (* iofeUce nta
Sospesa al troppo docii tronco stette^
Fra certa morte e Tacillante alta.
So r^onde in rotator circoli strette»
Fissai i ritorsi , chiusi le papille
Da on ioBiprorvfso orror vlple e ristrello;
E lai ribrezzo misto a fredde stille
I J queth IhUm, Dov* era giunto.
3 Ca^i/lcù» Fico f elvatico selito a nascere ne* crepaciei dei OWii • dell«
5o» LETTSKATVikA ITAbUllA.
D* ftlro «idor 'in' irrigidì le •? vinte
Mani al ^stegno mio, che qaasi éprille
Fra cento rane al mio pensier dipinte
Idee, che furo in on momento jKxoItOy
E cangiate e riprese e insiem ripinte.
Sconsigliato tentai co le rÌT<4te
Piante e al dirupo fitte , arcando il dorso ,
Arrampicarmi a le pietrose Y^te^
Ma il pie a toccar la roccia appena scorso
Cfa , che il ritirai , dùbbio' cjuài fòsse*
Peggior o il mio reo stato, o il mio socobriM»;
Perchè a 'V arbor , che al grande urto si scjosse ,
Temè! col raddoppiar T iofanstà lefà
Sreller affatto le radici soàosse.
Gridìi trónche dà frèmiti' io 'metterà.
Che dai concavi tofi e dalle gròtte
Un- eco spàventévpl ripeteva. '
Giji dal forzato ceppo aspre e dirotte''
Sul corpo mi plovean ghiafe ed arese^
E r ime barbe già «coppiavan rotte; •. ' >
Già. r Alma ingombra avean larve si piene
Di morte, che j^areami, ansi io sentfa
Le inghiottite acc|oe entrar fin ne le Tene;
Perchè il vortice infranto , «che saUa .
In 'larghi spmzxi dai spumanti seni,
Col ribalzato mar mi ricoprfa.
' ■ ■ ■ « ■
La tempèsta di nutre.
La fronte il cavo abete ■ area diritta
Là dove il passaggier. al Kdb ibero
^U'Je salse 4i.Galli« acque tragitta^
E i tesi lini a on ftC|iiilon Jeggieto .
Spiegando, qaal se avesse a i fianchi penne,
Radea col volo il Uqùido sentiero;
1 // cwò ubeU* La iiav«.
SEGOLO 'DBomirrriTa 5o3,
Qàando H' gonfiar V onde improT? iso renile
Tnrbia, e ii mare fra contrari fenlt ^
Per dirotta fortnoa alio divenne;
Si cbe i noccìireri al lor periglio intenti .
Salir -pe' gradi a T aspre corde inlesli- ;
Le astiate « raccór téle stridenti
Fra i. sibili del vortice ifonesti.
Cai resister mal poote Ercinia e Ardenoa ' ;
Wa tal fé' la procella, impeto io questi, ]
Cbe doo di lor*, in inen cbe il dito aecènda,
- L'ampia Tela aggrappando a. rarbor carco,
Diteltr fdr èa la tremante aalenna: ^
E come avgei, l'aare fendendo in arco.
Dopo un languido oimè sparrer assorti
De^ golfi irati nel terribit Tarco.
Notte recando e temo , erratan sorti'
Nel tenebrato del niiToii spessi,
Cbe' ricoprian di nebbia i lidi e i porti;
Ed al crescer de T ombre i flutti stessi '^
Parean del legno sormontar le sponde.
Crescendo mole e feritade in essi.
Venian pugnando insiism grossissim^ onde^
Altre a piroda, altre a poppa, e fean in parte
Or monti erti, or Toragini profonde;
E ognor del filare a la gonfiata parte
Lefavasi la nate, e al seA più basso
A f vallando rendjea delusa ognj arte.
Noi pel terror immoti a par d'un sasso
Restammo in pria; ma la tictna ikiorte
I pie ci sciòlse, ed affrettonne il passo
A librar^, bencbè Ifiraid, col pondo forte
1 Ereùda f Ardeima» due teUe dalle quaK necogti«t«iM adberi per co*
•tniir imtì , sono qui Bominate in rece degli tlLeri stessi*
% Dut di lor. Due de* nocchieri già detti. .
3 A Ubnr ec. • A conuappèsan la nave.
go^ LETTEHIVimA ITALUIA
De' corpi IL lato, io col per T^orto esterno
S'ergea troppo Pahete io dabbia sórte ?
Ma pel gran moto ad ambo i lati alterno
Laifi cademmo, e il ooitro tiiotil corH»
I tempestosi iolti ebbér a àcfaer'oo.
Prifi di Solidi goida e di. soccorso.
Stesi- sol plab del l^ao oombatlato,
SqaaHidi per imoMoso mare scorso,
Piagneam col timonier, che atea perduto
Fra le io fio ite aeqoe e l!orror notturno
Lena e' consiglio, e temea sinorto o muto
Gli ultimi abissi, ove nn crudel VolUirao ■
Traportator'apignea la poppa erraste.
La peste, di Messina. .
Dal porto, dove il mar sembra, che stagni.
Io 00 la guida, qaal amante figlio
Cbe la tenera sua madre accompagni ,
Presi ria d^orror carca e di periglio,
. In evi morie di mille umane spoglie
Lordo, reodea Finsangainato artiglio. .
Fuor de Tabb/iodonate immonde soglie
Giacean . gli aransi. de la plebe abbietta
Su vili paglie e infracidite • foglie :
Altri eoo gola orrendamente , infetta .
Di'gaogrenose bolle;, al^ri afi^mpali
II pjBjlto.da fatili fel4>i:e negletta;
Altri da lunga fame ornai spossati ,
Non pel veien, ma pel languore iafiermi.
Fra l'altrui membra putride sdrjijati; *
Ed allri in lor natio vigor piji^fisrnii,
Bencbè lasciali sotto i corpi estinti,
Sórti fra fossa accatastate e i v^rmi;
I FuUurm* Sforna, latino di OR T«ato.
SECOLO 1>EGIIfOTTÀTO 5o5
Ha di,s sqniillor mortiferp. dipmliy
E per orecchie róse e lubbra mozze,
Da i Tolti umani io modo fi er disliati»
Le iilastri id^noe a par de le più rozze
Al comuo fonte per attinger l'acqae
Gian Dode il- piede ^ e il crin incolte e sòtze;
E ehi di lor nel sonno etefno tacque
A an liere sorso , e chi* raminga e solo'
Pria di grunger al fonte esangue giacque.
Gli amici, cni parte d^ affanno invola
L'alterna vista, si guata va n fiso
^1 mesto incontro senza far parola;
Poi fra il dool ristagnato a rimproTfiso-^
Si dirotte spargean lagrime acerbe.
Che avrian un sasso per pietà divisa.
Tttlor silenzio, qaal avvien che serbe
L'aria mnta fra inospiti deserti -
Colmi di sabbia, e d'acque privi e d'erbe;
E sing&iozzi talor fiochi, ed incerti;, i
Poi strida alte e ulnlaAi, e. in flebil metro
Querele erranti per gli spazi aperti:
Si che il lor suon acutameute tetro
Crescea più raddoppiato, e in sé confuso.
Dal mar, dai monti ripercosso indietro.
Ogni tempio era infaustamente chiuso;
Immoti i sacri bronzi, e a le noUome
Lampade tolto di risplendeir l'uso:
Le armoniose canne * taciturne ; .
E senza T immortai vdttima Tare,
E sènza nenie * pio le squallid' urne.
1 ■ X
X L$ anAwiiose canne ( intendasi ). del? orgimo,
a TM^ Mno It preci che si reciUbo pei dcfuntt.
UTxnuLT. nàu •— ir 43
%
5o( LETrSHATOBA ITALIAHA
La Prof^idenza divina.
«
Ed eoQ9 OD carro aspro di gemne; e In gaua
Di florloaa pooipa e trìonfiile ,-
E aofra il. carro eterna Deana anisa.
Cinta è da manto inargentato, qoale
Di cokaa Iona afTièn che il disco aliami;
In cai tinti da man d* arte immortale .
Splendon nomini e beffe, e in vari lomi
La notte ^ il giorno e la nascente anrora,
E quanta terra abbracdaa mari e fiumi.
Grafe pensoso ha il viso, e ad ora 4id ora
Rifiilgora aerea; chiatto sospesa
Fiamma tif angolare il cria le indora.
Un occhio a par di yra stella accesa
Le. irraggia il sen; rebornee dita strette
De la sinistra , arcata in parte e stesa ,
Tien so libro fatai chiuso da sette
MirangihiI sigilli , in cui T impresso
Difino Agnel Timmagin sua rkBette.
Piega «Ha il destro braccio, e su confesso
Scodo r appoggia 2 Ira fulminee strisce
Chi è forÈB ai par di Dio? leggesi io esso.
La. Biaao on raso io rotesciar largisce
Rorido umor ohe per le fibre gira
D*ogBÌ terreno germe, e lo nudrisce.
Ninna o qoeta belfa o indocii tira
L* angusto carro viocitor de i Tenti ;
Che spirito motòr le rote aggira.
Cento a più legloa di spirti tntenti
De la prof fida Donna al cenno, e pronti
Mostra ampia fean d' innumerabil genti:
Altri custodi eletti aj laghi cai fonti
Dolci, altri a le salse acque, altri a le taOi
Erbose, ed altri a i boschi opachi^a i monti:
SECOLO DECIMOTTATP , Soy
Altri a i marmi , a le gemme ed ^ i melalii , .^
Altri a gli astri, e a T insolite comete.
IgQeo-criaite sa gli eterei calli ' •
O-nnùKO Cassusx, modenese, mori nel 1778 d* anni 69*
,11 Katto di Praserpina K
Die oa èlio strido, gittò i fiori, e Tolta
Air improTfisa maoc che la cinse,
Tatta in sé, per la tema onde fu oólta^
.. La siciliana vergine si strinse.
Il nero Dio la calda bocca involta
D* ispido pelo a ingordo bado spinse ^
E di ' stigia fiiliggin con la folta
Barba T^barnea gota e il sen le tinse*
; Eli», già in braccio al rapitor, puntello -
Fea d'una mano al tlnro ornbii mento,
'DdV altra agli occhi paurosi un velo.
Ma già il carro la porta ; e intanto il cielo
' Fer<att"4-aa rumor cupo U rio flagello.
Le ferree mote a il femminil lamento.
l^nARCSSCO AiGABOTTZ nacquè in'Venesia agli xi dicembre 17 19 e mori
Ut ^tM il 3 maggio 1764* Ali* ingégdo clie sorti nascendo , pronto è capace»
«ual 11*0 stadio' indelesso. Viaiftò le principali cittk dell* Bcvopc Fu Mtfisiimo
a F'èderico U re di Prussia, che lo fece conte e ciandinUano , e la tl>l>e
malli anni presso di sk come intimo amico. Molto e di molte materie scrìsse
V Algarotti, ma per aYere abbracciate troppe cose non consegni la Terà ec-
Su la Gerusalemme Liberata del Tasso» •
e sul Paradiso perduto del MiUoju . .
. Egli Qon è mica impresa da pigliare, a gabbo cottlen-
tare chi è riflessivo*, come siete voi , e non .«i fiurma alla
scorza delle cose: e però vedete se debba ^ser contento
X Su gli ee, i Sa i sentieri dell* etra o dell* aria.
3. Proserpina , figliuola di Gereve ^ fu rapiu da. Plokdnè menii» peì^ejttBiii<
delU Sicilia andata cogliendo fiori.
?o8 ^LETTEBlTUftA ITILÙRA
« < ■ i
io medesimo di aver?! soddisfatto nefla risotazione
dnbb) propostimi. B il fìmife vorrei avvenisse qoanlo
qnistioae che mi proponete ora, cioè. Quale argonwi
di poema epico sia, .dopo quello delC Iliade, da l
il pia bello. Al che io doq dabilerò di rispoadere :
Centsalemme. E -con efletto * pare che ella si accosti pi
di qtialanqae altro poèma alle virtù del greco* Il fior
cristianità tragittato d'Europa in Asia, congiaralo sa
tameole insieme e crociato per tór di paano agi' lafedoi
il sepolcro di Cristo , che è fine grandissimo ; e se noi!
t per avventura cosi poetico, egli è senza paragone pi
alto di qsollo delia Iliade. Del rimanente , ci è cosi nel*
r on argomento come Dell*^ altro varietà e eonfrasti di oo*
stumi, di naaioAi e di altro. La snbord inazione de*coo«
dottieri dei diversi popoli d^ Eoropa al suprema capo
della Jmpresa , è subordinazione libera', dirà così; ed
anche néUà Gerusalemme ci han luogo ' gli effetti pale»
deir ambisione e dell'ira; vi gfùocàno *jn somma le grao
molle della i>oesia omerica; E la Gerusalemmo vien cas-
tata da tutta Italia, come dalla Grecia era por T Iliade:
il che mi sembra debba in grandissima parte attribuirsi
alla bellezza dell* argomento che ha preso il Tasso; sic-
come per la felice ìeleaione di esso abbiam veduto ap-
plaudire a tragedie , che pur sono ( quanto allo stile , e
peggio quanto, alla favola) sommamente difeUivew Torso
a dire , amico carissimo , e noi potrei abbastanza ripe-
tere , che lo non fb paragone della. Gerusalemme cos
1* Iliade, ^eHòn In quanto alla scelta delF argoniento;
elle quanto alla poesia di Omero e del Tasso, ci corre
più divario assai tra Tona e T altra', che non ne corre
S Con effkio per In /atti ^ Nei iwroj « simili.
a Fi giùocano ee, , Modo di dive franeeie | "e. in qttui tuUi i conttaip*-
naei dell' Algaiotti se ne troTtno molti. Lo ftodiotoi noa durai ^tf^a 4
€oiio«cerU I ed vnk cwm di eviurli.
•tra le 'mvoiera di TiziaoQ è del SolisKiie. E chi Tole^
entrare in questa -disiNilft, ar^raeoterebbe per noi', ti
'ifuidem a priori^ lì oottro^ Inglese, assictirsndoei che,
posto* amebe fMrt Tiagegao, i4 Tasso si doterà rimanere
iiioltissii|K> al- di sotto di Omero per la . ragtoo dei tempi
e della liogaa in cai scrifcera, per esserci conTenato fal-
sificale in parte la storia delle crociate, rappresentandole
come le atrebbono doToto essere piottosto che come le
furono io effetto ; e per la natura delta religione , che
non é certamente , come la gentHe, la religione de* poeti
e de* pittori. ' .
Mar àn* altra disputa polrcd>bon muoiere alcuni assai
più a propòsito di' quello toì domandate ed io ho rispo-
sto: Torranno per aTTCotóra che il 'Paradiso perduto sia
da preferirsi , quanto ali* argoménto , alU 'tìerusalemme
ìiheKata^ poiché , se il Tasso ha cantato il conquisto della
città santa fatto dai Cristiani sopra gP Infedeli, il Miltòno
canta le cagioni per che T uomo dallo stato della felicità
sia caduto nella presente miseria ; quali ce le rivela la
religione. E certo, teologicamente parlando, eglino hanno
ragione; ma, parlando poeticamente, hanno il torto. Im-
perciocché , s* egli importa in lutto alla ragione dell* uo-
mo a sapere il perchè dell' esser suo, pochissimo o niente
può maofere la fantasia di lui il raccontar la maniera
ODde ciò aTfenne. Di qnal diletto ci possono mai' essere
i sensi mistici e Le allegorie necessarie all'argomento del
Paradiso perdalo y i vari ritratti di Abdlelle, dì U'rielle,
di Astarolte e di NIstotte, e di altri tali personaggi co-
nosciuti solamente di nome a* cementatori della Bibbia ?
E lo stesso è da dirsi delle loro avTenture. Non pareva
, Toi , amico carissimo , che le artiglierie che sparano in
quelle battaglie celesti del Aiiltono, facciano il medesimo
efìfetlq sulla nostra imraaginatÌTa , che £in sulle persone ,
dirò casi, di quegli euft spirituali?* Qaeito poetna , come
Sto LITTEKATUBÀ ITALIMIA
graiiasaaeiile iistm 11 VoUairei è piar la eas» del diaf»
Jo«.Ud solacaolo è per gli iumdìbì : e . nea sor glèt io «
ve ne foMe per gli ^à^eli. Eg(iao avrebbòno se non al-
tro da sea»dU»zar»l por assai ^ bs»' troNraftif»- 'punto »!
Dio iti HftllQDo , non dico ìi Dio di Mosè , il ^oal' di«
che la lace sia, e h looe fa$ ma' ìiemmeoo il GioTe i
Ooiero Qhe allo aecenoar dèi capo, col cefwo csoo^moon
rooiTerso, fa Iremar V Otimpo* E Teramenle il • Dio òé
foeUi iogleie , eoa <)ìaelle sue eleme omelie, è, ook
disse Pope, un predicatore, uà prètto • scolastica. jChèse
fu colpa del HìUodo V arere in tal modo colorilo V ar-
g4MBeilta sao ( roglio dire oom |uttt quei dialoglù di teo-
logia che e'fii (are aoohe a' diavoli ) > noa ci è peto
dubbio, che maggior d'assai noa fia la colpa, delfacgo^
menta medesimo troppo eterogenea con la poesia : ed io
non. farei ana diilicallà al mondo ^ anche per ragion del-
V argomento , di anteporre al Paradiso- perduto ^ noa che
la Gerusideinme^i la Eneide; che quantunque à^ molili
9ecoU sia già spento per nostra mberia V Imperio roma-
no, g.randlsstma è ancora la parie chct tatte le naaùooi
di fluropa e noi massimamente prendiamo nelle cose,
Qnde uscì de* Romani il gentil seme^
La religione di quelli è da noi beruta nelle scQoIe ts-
^eme col lall& dei loro scrittori ; piacciono, sino ai noioi
di Achille ^ di Simoenta , di X.anta che Tanno uniti cqd
le origini di quel popola signor delle cose^ e poetipa,
come si, esprime Boilcau , è la cenere d* Ilìone^
Addio, il mio caro Ecmogene, amatemi e datemi ^esso
noTelle di voi e dei To&tri viagg^i.) obè ciò mi tocca assai
pigi che i fiaggi di Enea
« •. •
l Prospero ÌIÙìjkam, naeqae ili Borf^o di Taro l'anno 1714 e^moràiaPuau
{ *?l 1800^
' A^ campane, sfionanti da morto,.
Cessa , bronzo, lugubre , il tristo, metro
i Che il ferrea eternò ànonn atf uom ricordai $
•Kco&o netsvmkron 5 1 1
Ecea già, mp, col peii9»er p«tièlr<»
Kella tomba del mio cenejre logorda»
Già mi stende sairorricto feretro '
Morte, del sangue de'* mrei padri lorda;
. E. le pallide ce«e.brdon di tetro < ' '
Lame, e T'iano^ fanebre it tempio assorda^ ^
Sola o di fisa dalla spoglia algeole
£a Tedora consorte in bnioo vela -
Geme, e il tetto /già mio pietà neseatew
Lo spirtj> ignudo /intanto o esoita in Ciel»^ ''
O oelj' Èrebo freme ombra dolente.^
Cessa > broduò lugubre, io tremo, i» gel««
Satbmo BxTTnrsLii» Gesuita, nacque in MaotoTa nel 171S. dotato dk vi-
vacissimo ingegno che arricchì studiando e viaggiando. Scrìsse le cosi detta
Lettere VirgiHane in dispregio di Dante, e molta Prost e Poesia f, ma. lai
aiaa opera magpoia ^ il Bùorgùnento «T ItaUa»
La fine del secolo XP^IIT.
D' ovvor , di< latto- e di miserie piena
Europa io TÌdi o^e il Sol. cade e nasce i
Gallia di stragi e d* empietà si .pasce ^
Sarmazìa è oppressa à\ servii calenat
Germania in campò arme a torrenti meìia^
Belgio tra c^ubhia fè muore e rinasce \
Dal mare al moole infra sospetti e ambaace
Trema il sangue all' Italia 10 ogni Tena*
Secolo in£ius(b! entro, le vie profonda
ìy obblio t' affretta , e al nuovo apran le porte-
Chiavi di pace, ond* aurea età ridonde. —
pi me peggior q^nel fra , peggior la sorte
Del mondo a notte ornai giunta ( et risponde )»}
£ le chiavi di pace ha in man U motte..
•Sfa KsrrsiiiTOKi iTAUiffA
GlAMBATTItTA ftMtWl BfQ^pM ìa Bm*»»» >•** 4 ■■•'*• *7*l>* BotrÒ ìuSt
Compagnia di Gesù. Scriis* molte op«re la veirao ed. io proM, Mori udii
atta patria il 39 di loglio del 1786.
Una Canarkut ed un jFàneilo. .
Yenota era dallMMle^ £ >p«r la raj^eràglòla
Bella qaal altra nai,
Caoariaetta amabile
Per dolci Teni gai.
Degli ahrt aogd le fevniae
Si diero a biasimare
Colle soUilt satire
Lé.aoe hellezse rare* •
Un di paota da deglia ,
Langi da qaesto lido
Torniamo, disse, al patrio
Oltemarino nido. ~-
E per dispetto e rabbia
Con affrettato toIo
Tornò delle Canarie
Al suo aatifò snolo.
Scorsi due anni, voglia
NoTella ancor la prese,
E ritornò d' Italia
Al critico pftese.
Era -già alquanto Tecchia,
E non era più quella
E )>ar la laearioa ,
La mebile cotreltola ,
La pinta cardellina
Allora largbe e pi^dighe
Vèr lei spjirser le* lodi ,
• fi cdebrarò garrole
I suol leggiadri modi.
Sclamò da tìto orgoglio
Commossa la Tecch ietta :
Ora si fa giustizia.
Fora' è eli^ io aia perfètta. -
Ma che? Un fa nel filosofo,
Amico SQO rerace,
'Soggiace a lei dar saggio:
Tal plàfnso'bott mi piace.
Soretta mia , V inridia ,
Concedoti , tiéa meno ,
iP^è pia tormenta all' emale
^Compagne acerbe il seno:
Ma se io pace e in silenzio
Si sta P invidia ardita ,
Che fosse in beltà e in grazia Ahi ! questo è un tristo iudizio
Fra tutte T altre bella 5 Che la bellezua è ita.
t .
Pkllbgriko Salakdri nacque in Reggio 1* anno 1723 e mori in Manton
r anno 1771. Fra le sue molte produiioni poetiche lodansi meritamente le
ZiUtnie esposte In^ molti sonetti.
' ■ Per Notpe, •
Qoesto bosco e quest' ara a le consacro,
Santa madre d'Amor, Venere bella:
' SI^Ol.0 DECIMOTTifO Si 3
Seco iDtoroo al pietoso simulacro
L^amaraco, la persa e la mortella;
Ecco il sai paro, ecco il lustrai laracro.
La candida odorifera làcella ,
E ti cohel che, compiuto il rito sacre ^
La bianca sTeni ed iDDocente agoella.
Or cinta il crine dell* idalle rose ,
Vieni y e del Nume tuo spargi V altare,
Bella nnitrice delie belle cose;
Cbè coppia non redrai d'alme piìi' chiare^
Se non riede il garzon * che in «dool ti pose.
Se non torni tu slessa n uscir del mare.
LoMMso Fvscoin di lUteoiur tuieqne nel 1796 e mori ntl i8l4*
/Vr noòiU JànduUetio, .
Battin Ballino * Di cu! gli Amori
£ un Tezzosissimo Bei nodi • intrecciano
Geutil bambino! Legando 1 cori*
' Ba due tìtìssìqiì Là sol del glivAngioU
Occhi furbetti. Forse ban ti bei |^
Beg.li occhi teneri y SI tersi e Incidi
Ridenti occbietU» Biondi capei;
Che tatto aprendosi E fórse ban gli Angioli
Le fio del core. Sì begli occhietti.
Dolci V* ispirano Come i bellissimi
Sensi d'amore. Occhi furbetti
Ha sottilissimi , Del Tezzosissimo
Ha ricciotclii Gentil bambino
Biondi , biondissinli , Ìa amabilissimo
D^oro i capelli, fieittiu Ballino,
Di cai le Grazie 4
I // gm-aom ee,, kéùtm amata àtVtiMie, »«9floM 1^ ki di àthm Agmn^
§1^ uccUo.
a £Uisn di BaUètUM»
$14 LBTTERATimA ITAUARA
LoDOTico Sxnou D«to ia BolognA nel 1719 « morì nel i8o4- SexUsm a
liBgoUn fttlieiU atl metro anocreoiUko , ma fece troppo sImuo 4* imaugi
• d* allanoni mitolo^clie , le quali ipesio riescono oscuro , •
le0fttori.
La ioUiudine^ .
Lascia i sognati Demoni
Di Falerina e Armida;
Porgi r orecchio a storia
Pi il antica e meno infida.
Sparta, sererp ospizio
Di rigida virtude,
Trasse a lottar le Tergini
In snir arena ignnde*
Non di rosior -ù videro
Contaminar la gota : ,
E la vergogna inutile
Doto- la colpa è ignota.
Fra padri ansteri immobile
La gioTentù sedea,
E 'sconosciuto iocendfo
Per gli occhi il cor befea»
Ha d* oro o d' arti indebite
Preda beltÀ non era:
Sacre alla patria ' , dissero s
Per Ui combatti, e spera.
Grecia tremò : Vittoria
De' chiesti amor fa lieta ;-
Premio gli estinti oKeonero
Di lagrima . segreta.
Chi t^ ha rapito, o secoli
Degni d* eterna lode?
. Tutto srani: trlòbi^tip'
Fasto, aTafiztà e frode*
X Sacre aUa patria ( inteada«i ) la verini tpartana*
SEGOLO decuiottàto 5i5
Foggiamo, o cara; iiiTolati
Dalla città fàliaces
Meco ne^ boschi annidati •
Cbè sol ne' boschi è pace.
Remolo albergo spazia
Sa i colli, e al ctel torreggia :
Certo ioTecchiò Penelope '
In men superba reggia.
Là Ciparisso ad Ecate *
Sacro le cime innalza;
Là densi abeti crescono
Ombre d' opposta balza.
L* arbore ^ , ond^ arse in Frigia
La Berecintia Diva,
G>nlrasta al Tento: ei mormora,
E i crin parlanti aTvita.
Un antro solitario
l^el info apriron Tacque;
Forse che a^ di più semplici
Fo rózzo, e rozzo piacque.
Il Tide Arte, e sollecita
Vi secondò Natura:
Teti di sua dovizia ^
Vestì le opache mura.
Onde argentine in copia
Dalla muscosa conca
Versa tranquilla Najade '
: Custode alla spelonca.
Spesso la Cipria Venere
/Ne' spechi ermi s* assise,
1 Penelope inveechià in lUct upttUndo il zitomo di Xllitt*.
a Gparissa. Il cipr»*». — JScate. Proietpina o la MorU.
3 Vathof ee. . Il pino. — Seredntia JHhù Cibtl*.
. 4 IH nlAéovùUt^ ciJiè: Di «oncbiglio nuoine.
5 Mi^ade, La fontanfl, lecflo^ i po«ti ftntichiiOaao {CffieditU da^urlt
5t6 tETTBBlTVRA ITlLIAlTA
Quando del ciel dimeotìca
Segaia pel monti Anchife '•
Il vide, amollo, e snpplice
.FortiTO nozze offerse:
l^orntr V erbette il talamo ,
Un elee il ricoperse.
Sai gioghi idalj crebbero
Cento vergate piante,
E le Tortone apparvero
Dell' indiscreto amante *•
Ahi se di gioja insolita
E fratto un tanto errore,
Ricasi alle mie ; lagrime
Gli estreni doni Amore!
Vieni: te TÒti aspettano
Da core i di beati s
Te poro notti e placide.
Madri di sogni aurati.
Se i taoi desir secondano
Le facili speranze • • •
Ma taci? ohimè! tn inediti
Veglie, teatri e danze.
O Gallo, o tn di Druidi '
Un tempo orrendo gioco ,
Esca infelice e credula
D^ un esecrato foco,
Td regni, e ai ciechi pop)»li
E legge il tuo costume:
Cangi, e a tua vòglia cangiano
In lui le Belle un Nume.
I ^/icAù« 'amato da Venere fii padre di Enea.-
a Inétù€rtto fti jin«liÌBe perchè palesò i suoi amori MB TtneM » iT oa^
fu poi aeciecato.
3 O Colio te, . f Galli foronò nn tempo ki-lMHfe'ddi Snitt lòia tt/m*
doti cbt li aottopoiiiniio alle più atrod «ttpentiaioBi»
• ■ • ■ -> ,
MCOLO VBCIHOTTàTO SiJ
Ha , tua «mercè , V imperib
Sa i edr ragion perdalo:
-Per r arti tae Preserpfiia
Sftria rapita a Ptotob
' ' ' ■ *
HJurore.
!3essa: g^i Dìi mi lofgaito Tremo, 'se ignote gratie
Att'odlfàta vista. Ostenta il petto e*l viso;
.11 credeiiÉi? per tagrime A impallidir condannami
ForM il mio sdegno acqoista. Una parola, an rho.
Fuo mi chiedesti; arrisero t^arlin segrete, accrescono
Gli arVerst Fati ; il sono: Le ancelle i miei timori:
GoJ^i, sé pool, rallegrati Guai se il tao seno adornasi
Di si fanesto dono. Di sconosciuti fiori!
'^asso! eosi celaTasi M'è grate il dì: le tenebre
Sotto al lessai ic^aaro Sul omo doloi' non ponno;
Il «angue Infausto ad Ercole E indarno gli occhi invocano *
Del tradilor Centauro *. Il fuggitivo sonno.
Lrdo: nn gelalo incendio Egli non ode,' e il seguita
Pel T'ihtol'or s'aggira. tV ombre drappel nefando.
Se non è questa! ab« .misero! . E i sogni a me presentano
Qoaldeir Erinni è Tira? Quel ch'io tornea TegKando;
> gli occhi tuoi rivolgere . E un freddo orror la torbida
Soavi in giro io veda. Quiete infetta e scioglie:
Fremo: tn sei colpevole Lascio le piume». e rapido^
Di ricercata preda. Accorro alle tue joglie.
^ i neri crin soggiatciano Taeciou le porte iìoimobili,
A leggi estraoie e nove^ degiia profonda pace;
Ohimè! di Leda * piacquero Ma nel Comun silenzio
1 neri crini a Giove. 11 mio terror non tace.
E II Ctntauro NeuH dièd« a Dejanira «m caoùda tinta BeLpriiiprio'Ma-
sue t <^> ^^ cagiun» ^i molte ad ErcoI«.
lettmàt. iTAt. — ir 44'
, ...... ■. i >• J
Sl8 LETTBRATCaA ITAtUlU
E SGiotillar Locifero * No, la con me dividere
Sol pallidi' asse io fedo, Lo strazio mio oon dèi.
E l'alba affretto,e ai talami Ahi questo di medesimo
Gridando il Sol precedo»; .. Io barbaro, io pro&no,
lofao smarrita e attoaitar la te Tolea commettere^
Rivolgi al cielo i lami, ' La scellerata mano?
E chiami ia testioiooio iDegoi deiri>pra il Tartaro
Dell' ioaoceoza i Nomi. Sapplitj a?er oon pnote:
Io te di colpa iadizio Non Toroe infami liastano,
La mia ragioa oon IroTaT Non d^ Issioa le roote*
Il veggo, il seotp; e crederti Kéfaggi ? « io me s* affisaoo
Spergiara e rea mi gio?». '' Pietosi laagoid'oixrhi,
D^ ogni più nera istoria ■ ^ E piangi e soppKchevoie
Gli esempi io te paveoto. Abbracci i ibiel ginocchi?
Inorridisci: io Biblide *, Cessa: del rfo spettacolo
lo Pelopea rammento. ' Tutto l'orror comprenda
Ah m'abbandona, e lasciami Cessa. Ta segtii? Ah FiiiVj
Preda ai rimorsi miei! L* abisso aprite: i# soeod»!
\ • # * I
OnoFMO MIJI2019 nato in Fairan nel 1734 1 morto iwl 1817. |
SuUa mòrte dì Gesù Cristo, •
Quando* Gesù coli' ùltimo lamento
Schiuse le tombe è la montagna scosse.
Adamo rabbuffato e sonnolento.
AKEò la fronte e sovra i pie rizzosse.
Le torbide pupille intorno mossa
Piene di mara?igtia e di sparente,
E palpitando addìmandò «hi. fosse
Lui che pendefa insanguinato e spento.
• • •
I Zueifero. la Stflla di Yenfri^
a Bi^Ufle notò Cau«o suo firateÉo. IH Pklopea «' ioaanorò il proprio p
dre TioftU.
3 Commettere ee»éì& «a lùodo latino adopwoto dai noitri pooti in yuJ(f
dei Tol^aro^ Jftll«- /e numi 4i4/Ì9sse « qutUemt» p^ Satttrb , o poggli.
SÉCéhO PlTCIMOTTiTO 5i9
ikllor che il seppe, alla rogòsa ffonl« ,
Al criD caAuto' ei alle guance smorte
' Colla p^fttita man fe^ danài ed onte.
/ Poi si TÓlse piangendo alla coaiiorte ,
E gridò si , che rioibombonne il monte :
Io per le diedi af mio Signor la morte !
AoosTtKo Paradisi nato a VijjQola «ni Modenese nel 173$ maxi In Rcg»
gio nel 1783.
JLa 'parola tU Dio,
Voce di Dio terribile L'oscura faccia ed orrida . ' )
Dei gran decreti eterni Del prioM moi^d^ infgirQie
Moderatrice ed arbitra, Per te ai ▼ide emergere ^ '
Voce'che il cièl gofèrni; . Dalle confase ^rj^e.
Con non vulgari accenti Quando al prim^ urto ignoto
Sa i pregi tuoi sollevasi L'ima materia imqiobii^
Il siion de^ miei concenti* Corse le vie del moto*
Qoai df'te non si Videro . DfscioUe allor le rapide >
GrandTorme lumiaóse . Piànte e i robusti ranni
10 ogni età diflbndersi Vecchio * fierx> indomabile
• _ ti 11» '
Per le create cose? Che corre al par coQgliaiini:
Delle tue lodi suona , Arse 1 eterea Tampa
La terra, e il fasto Empireo JVeiripesàustp turbine
Tuttofi te ragiona» j Dell' apoUipea lampa ^« .\
Po quella sei .cui'ser?Qno - i Di Dio Uman benefica
Shìfiottilii mortali, - Chi fih che 'tf*ilt rlreK ?
A cui gif Spirti eterei * Delsoibmò I^abWoairopeEa
Tremando curvan rali, , , Fanno ragione i cieli: . :
Cui dal- cocente lago • ..., , Nolte ragaùdo ialorno • f
.• '-' -'* 'v .' •'•■1»
Ris^nde iniaikondlfi^omìta Alf altra no4 le anooràziala ;.
11 fiikiiinat«^ Drago. — - He pàriÀ tr^giorbò' al giorno.
t De^ fioeente ecis. DaJH* inferno. : . - . ti -ti ■ « . .
A Vecchio èc,. Il Tempo, ' j,- ij w . L.|, {.r ; '■'' ' '
3 Deit t^eWtua ec. . Del sole : ma forM era meglio non intronar qui
cotvtU tfpKsùone tolu dalla wrilioiiigiM >
5ao lbttmatdha italiaha
Già deirÌDfiiio spirito Ma benché Parco TiiKliee
Ferre al calor la terra ,
E dal fea ca?o e Ter lite
Sacco tìuI disserra :
Varia prole di belve ,
Al rezzo già raccogliesi
Delle chiomate seWe.
Ecco più tardo sorgere
Dall' animato limo
Sair EdeD beatifico
L^aoiD, che fra tolti è il primo»
Io coi róob esfaTilla
Della divioa immagine
La damascena argilla S
Meotre le belre inchinano
Prona Fa fronte al suolo,
Soir elevato Tertice
Volgesi agli astri e! solo.
Veggo in forme .leggiadre
Donzella a lui sorridere,.
Cai la saa costa è madre.
9
Ma (|aali , oime , ne tornano
Crode memorie in mébte,*
Onde V orror rinnovasi
Entro il pensiér dolente!
A hi. V come .in so un ferace
Gli accenti si cangiarono
Delta superna voce!
Anco in sao' spettro orriliité
Vive il primier delitto,
£ neli' orecchie, ailonite
Tuona ra,i;ktico Egitto:
CTuasi fulmineo telo,
Che di rovine nunzio
Rombi per noi dal cielo.
i i» .»
1 La danuueena m-gUU, Il corpo d«UF
X^nda Giastizi*! in alto,
E le colpe indelebili j
Abbia perpeloo solatio, I
Pur quando mai vien meii
Pietà, che l'ire fervide
Spegne al gran Nume io
Ecco dal ciel discendono
Voci ai mortali amiche^
Onde Palme si scuotono
Dalle querele antiche.
Dio gli spfrti consola
.Prometti tòr magnifico
D^immotabil parola.
Ei sul petroso Sinai
Al saggio Israelita
nelle marmoree tarole
I dieci dogmi addita.
Egli favella , e il saooo
Del di via cenno ioTolvesi
Entro il fragor del taono.
Pieni di Dio ragionano.
Pieni de^saoi decreti,
Lnngo il Giordano e il Siloe
Fatidici ProfeH,
E air im mortai concento
Fra la nebbia de' secoli
Tien fede il tardo evento.
' O santo estro profetico
Dato all'anian pensiero,
Pé#chè r ingrate tenebre
Vinca il .fulginif del vero^
Perchè cessi ogni danno
Deitè férme che v^ano
II lusinghiero ioganOa^
SECOLO DEÈlHIOTrATO ^21
Qoale te già mirarono Qnal è h r^i^^Aoima
Di GiacJA òti tempo i regoi,
Forte tra Boi rispleiidere .
A di tardi doo degni?
ForiQ è la toa Tiriate
Di segnar stanca agli oomini
Le Tie della salate ?
Ma no: d* Olimpo Tardila
Soglia non più si serra
Al commetcio ammira'bile
Del cielo e della terra :
Anco in fervide note
La voce udtam, ehe al Libano
I cedri infrange e scote*
Cinta di erodo acciaro^
Che per le del reo calica»
Non lasci il socco amaro,
O Trento, e al too consiglio
Non frema solP immagine
Del soo mortai' periglio?
Te, Zaccar/a, pafentano.
Presi di freddo gelo.
Quanti la fronte indocile
Lerano incontro al Cielo;*
Qnanti T orecchio han sordo
Al fragor minaccerple
Dell' Acheronte ingordo*
Si, {(nella è por che spandonor Ergi dunqoe, ta, Tomile
In così largo fiume
Dno ' che pari andò esprimono
L*aura e il favor del Nome:
Doo che dai sacri rostri
Di doppio onor coronano
Fra noi d^ Ignasio i chiostri.
Capo dalfirao fondo^
0 CrostòI * , d^acc{ae povero.
Ma d'ogni onor fecondo;^
E "vedi ne' tuoi templi
Rinnovarsi di Solima
1 celebrati esemplL
Per la Concetione di Maria,
Facile troppo e credula
Ruppe il Decreto eterno
La prima Donna, ahi misera!
E si dischiuse A verno,
Foori per V atre porte
Uscirò a muover goerra
Alla dannata terra
Colpa, Ignoranza e HortOfi
Esser dovea di lagrime, .
Esser cagion di lutto
Di conoscenza T arbore.
Della Scienza il fratto*
Avida la man corse
Al pomo venena(o.
Che al labbro losingalo
Breve dolcezza porse*
1 Duo et, . I FF. Trento • Zaccaria predicatori ia Reggio ntUo ttesio
A // erottolo* FinoM che mette foce presta Guaitalla.
44*
Sai
LETtEHiréiiA ìtttikni
Ahi ! come breve il proVido
Velo che i mali in Tolse,
Bolro la meo te aCtonila
Tatto sì scosse e sciolse*
Mossero a fag[gir V ali
Tosto lanoceoTa e Fede:
Felicità, piò sedo
Kon ebbe tra i mortali.
Amor, che sol d' iiigenaé
Deltiie il cor pascea ,
.Accese io 6amme fìvide
La face impara e ree;
£ la rer^ogna ignota.
Che Iacee mal sofferse,
Rimproferando, emerse
Sulla Tormiglia gòta,^
Della divioa imagiue
Più ooa conobbe V orme
L^alma a sé consaperole '
Delle mutate forme;
II fren del giusto infranse
Tizio dei éor tiranno,
E nel protervo inganno
Tacque Virtufe^ e pianse.
Impasiénte, indotnilfi .
Ira Del sangue esulta ,
minaccia inesorabile,
E Tendicata insolta:
Invdn di torri puote
Cingersi e d^ ardue iuara
' La TÌgile*Pàura :
Ira le torri scote.
Air altrui riso pallida
Invidia il cor si rode,
E le calunnie noedila
Dolente della lode *•'
Seco è la Fraade, seco
* Biasmd, che ménte zelo,
E d' amistà col velò
Il Tradimento cieco.
Cupidità non sazia
Prenóe fra cento chiavi
Iniquamente inalile
L'oro neir arche gravi;
E se d* aver V intlegoa
Voglia non ha confine,
Industria alle rapine
Titolo e nome insegna.
rfatora invan su i tremali
Campi del mare infido
A guardia e Noto ed Affn'cc
Pose da lida a lido ,
.Se temeraria prora
Per intentati segni
Porta servaggio aì^ regni
D^ Espero e dell' Aurora.
Die ibvan Natura agli aomìoi
Sorte egual d* egnal cana,
Se air immatabii ordine
Non consenti Por tona :
•Ella in volubil cocchio
Misura il aaólo e passa :
Tremante il valgo abhtsn
Il supplice ginocchio^ "
l Delhi lode ( intendasi ) data agU àliH,
BBe0t49V9)B^aierri^nr r 5a3
O terra! o filictssima ' ' - Il Re àéV piatito eterno;
Stanza delPooar prinilerÒ, Sté$e lo «l^fltroy e: Mia
Felfe«r1iim che Grazia ^ ' * Preda la ferra sia ,
Tempro ti tentfe e 'impero! ' Dis$é; e si schiuse ÀYerno.
Bl isera 1 poicbè V vomojl ' Folle In kna vaAto e mìsero !
Cieco sai proprio eccesso^ * Ecco che lui calpesta
C^onlamioò sé sfesso f < > Il pie. d' immortai «Vergi ne
Col mal gdstatb pomo! . ' Steso sull'empia testa:
Nel Genitor coipevole . Vergiu, su cui non tenne
Tatta fu rea la prole: • Colpa T artiglio iniquo,
Trionfator dell' Èrebo - Sola del fallo antiquo
Corse le ?ie del Sole •*■ Che monda in terra Tenne.
% . •
m
. I.UIGI C&BBSTTI , modenese, nacipie nel 173S • mori nel 1808 a Pavia
3oTe fu professore di Eloquenaa.
Alla Posterità,
» . . • »
Idolo de gli eroi , terror de gli empi,
Spesso delùsa in tanti bronzi e marmi ' ,
posterità ; se^ a te ' ne* tardi lem pi
Giungon- miei carmi ,
Odili, pè temer che de' nepoti
Tradisca il TOto , o falso a te ragioni :
Che a me dò' ricchi e de^ polenti ignoti
Furono i doni.
Unico forse , de le a^cree sorelle |
Infra t seguagli io libero, io ne^ grafi ,
Modi d'Alceo francò 4onai./ra imbelle
Popol di «chiaTi. /
E mentre offrir godean plebei Cantori - ^ t
A i coronati rizi aonio. serto, ' |
lo le neglètie osai cinger di fiori j
Are del merlò. !
'•"■•■. _'■'■- ■ •
5^4 LETTBRàTUBA ft^^kLUlTA
Ahivqmi età! qaal Pindo! 0?'« dil
Vanii iPra ooi di patriir aelo' S tnoof
Chi ali Omero oggi imita, o dii T i
Lène d' Ismeso?
Che se, tra il crocidar d^ immondi attgei^
Ckialche'eiiierge talor Toee fnbliniOv
Qaal obiettq, qoàl segno a di sì réi
Scelgon sne rime?
Ovanti a te ginngeran nomi d^ ingioi
Arominindi a la plebe, e TÌI| al prode I
E quanti obblio ne coprirà, che d^oi
. Eran di lode !
LoBSHSo Pioilom iilto*^in Livonw K 9. agosto IjSg^ fa profifsson &
6sica neir Unirersitk di Pisa » e poi Istorìografo e Gontaltore degli stadi
nello Stato tMcano. Scrisaa la Storia dgila Toscana ^ e pareachie Fapok e
NoveUa in Tersi sulle spiali principalmente 'si fonda la sua lama.
// Rotigtìuoìo e il Cuculo,
Già , dì lefirè al giocondo . •
SiHarrare, erasi desta
I Primavera; ed ircrin bioàcki
S'acconciava, e P aurea Testa*
\I^T tepido e sereno^
De la terra il lieto aspetto
> Già destava 4 tutti in seno
) Nuovo brio, ttuoTO dilette»"
Sopra r erbe e i fior novelli
] Saltellavano gli. armenti ;
Ed il bosco, de gli aogelli
Risonava a i bei 'concenti*
Con insolita armonia
Entro il vago stuol canoro
f
'V nsignuol cantar i odfii y
Quasi principe dtel coro.
Le Xfigi^vtxk agili o«le'
h\ solivi or :k)p) ór |>aitteii /
Gbe.di«i4ttitft<4«aDlo; poAte,:.
La oalara Mipri» Taitev^ :
Ora lenlQ; e < placidjsstiii» m ■ • ;
II bel (;afito7Ìn gt»!fli8C8iide$ ..
f .Or. «OR» .vplft^ rapidiMtiDo ^ - .
Gargbeggiandb^'iiiialto asiiofKie*
Tra le.froodi ei €à«tà.«iilo'; ^ ■ .
StaoDo gli altri « udirlo iatoDlI; /
; Ed. BTÓas sospeso ti «ok» ' •
' Fio raiir«llo^'jrfr.er«iili. ; >. ó
Sol studia di 4{iiaiido In ^oaàdo^ :
In fiofoto,!» ranco loono > ..
Uo ciKiifto^'Oiidar turbando! -':
• Il soave' àmàbìItsuoìMU r .
ìm^:^. b atridulp eoouire,.
• ■ < ' JuipbrtaQ . divisone taoU)-^ . ' . . • < ; T
Che del bosco ;il« bel caolòré r
j)^ la* fia' aospele il 'Càiifii^> 1 '
\ L'importimòvattgel ]io|<)so ■ .w.
Dispiegando jllor le peQH^^
Al cantore àriÉealos»
A pQsafsi.aocaoib 'ireiine«
E con cigli» allor di graie . .-. : \ ^
Compiacenxa e orgoglio pieiie» -f
Disse .al ' .musico, soavio :
Quanto Diat caoiiamo beoet -«-^
. !{' igoormite ed impludei^te ; '
D'accoppiarsi al saggio ha TartOt
E eoo Ini tenta sovente
De la gloria esser a parte*
5a6 letVerìtvra italiaka
:i ì
ha Zucca
Dolerasi ona tàcda
D'efser da U Natura oosdaiitiata
A gir*'torpeiìdo>.Mpra:'il svola aniile.
o, dioea , calpemla
Mi troTo ognor da o^ì aiiknal pfè TÌI9;
E dentro illiaio ioToha,
' E nel crasso vap<Nr<s«éipre sepolta ,
Cbe deaso^ sta ..sa . V amido terréno ,
Hai non respiro- il ^dòlea aer sereno.
A ciofiar sóiie'intóità» .
Tolse e ritolse i-raasi serpeggianti
Ora indietro .or aisnti, .
Strisciando sopita uìl sodi con gran faticai;
Tanto cbegMtnto a.aa^alt^ pianta antica.
L pieghevoli 'rami àTrolte allora •
Al tronco de la plaéia .intorno iòlorno,
Strisciando cbetanwate è. nòtte e giorno ;
Talché, fra. pòchi di^ troTOssl;gtfanta
De TaliMro klaiipantai \ '■ -mV^
E, foltaodbii itti già ^/gnardòia^ba
Gli nmit virgolti ■ cbe^' gtaoelMi aa •■ T èrba.
Onesti, «ripieni aliar dì 'dMra,vi^ia^
Chi mai, dicea'n^a' loro.
Portò con ii(»witfaspeltàto sa(la.
Quel frotiee *j^e^Wo- taalo m tallo? — ^
Rispose) fi gline^o. allora^ >
Sapete con' qiial. arte e^i poteoi^;
Gdongére a F alla cma ?> »
Vilmente sópra H sàol strifotand^ p^ima.
▲KonoìMftiM 1^ ja Panna itel if74i'mori nel i8f^.f^ M\twtftff.4i /f
greca ktUir^iil» • fesMtario nella Mtria XJniVernUi. . * '
O graziosa e placida ' '' ^ *' * ' Qaaodo le gfhfràr fcéèlllW' ^''-^
Aura che qai f^ggirt, '^ ^NeHétdi aotH éi^i^i^^ m ^
E d; fra jff ante eteree ' ' ' E col figlindPdl CIoM ' >
SoaTemente spiri; - Mesce so^iìrf^èbaéi? ' ->
O del più Tégd Zefiro ' 'Quale ìnif^; sóri^idall ' '
Alidorata figlia', ^ ' ^^H^lèl* sèmpre sereno;
O 9ala solo à movere' * Lungi dà n^ie, coi premonr* - *
L'Amatoaléa èonchi^a 'V * Gelide cure it séno.' \ ' '^
Dimmi, ónde fieni, egarrblà Obblio tenace P ànima ^
Perchè d'intorno' alèggi, ^D'ogni letiziai hee, '^ '
E di mia cetra eburnea' ' Poiché répllh Ìl rortice
Il tremolar Tezzeggi? ; Di perturbate idee. -' ' '''"■
Forse d^àì cofle Idalio, ' Toma ah bel colle Idi^io,' "
O da Pafo inoTesli ? Torna di Paft» ai riti -,5'
D'Ibla,<]f*it]iètto.*i liquidi^ Pietosa ài' tta'rito ttM#liiort>
SòaTi odorlléésti, DI Filoinéoà e.d'Ili>« '
Per iUillar' neir anìinò ' ''Ami per te* disciogliere ' '
Di giortné cantore ' Fl^bltemente ?aria
MoUi sensi, che tmpatioo I morUioDcK geaiili .
A sospirar d! amore? ' Colomba solfterlss
O ver tu sei del nov^o "Per te Faugel dUlcbsimo,
Di quelle. Aura ginlivat,' 'Ghesòira ogn^allro albagia ^,
Che solto il cocchio ondeggiano L'esli'emo Calo moduli^
Dell' Acidalia Dira ^ , A cai Al€aodrot^edieggia*
X £'^matufiit0 Mf • X» ^iidù|lia ii Tenere dea d* Anàtulta. , :
%■ IhU ed imt^^ìM^itàà. celeri pc^ ìa Ingrana de* fiorì ■» per la acavìtà I
del BD^le»
3 dcid^ dieevkd Venere • iToiae perche te ftr «aeia «na iloatana di .qM* [
il» nome. -J^'HiJ^Btitflo dk CSnir* è Adonr jUmId d»«VeiifNk j
4 J^iiMMi f% triafonaata in ttsifanolo* JU in fig^una. ^^
h Ohm *wr€ «e. Òi' e pip )>iaDeo d* egni altra^ • l^fislalijl» U
r «1^ I pneti Ufpfwop^ éÀ fiiutt lleaBdró«
I
I
\
E se gioìoMl celerà E dèi Signor M «ee^li
Pare ftiiiaiar li piace ,
Va dote solo aloergam»
Amour M»a«4iace, .
Grecia le i«rili,^ caiaiaa >
Greco pfT to li.ftNilr'i
Amabil a|iica,#|Rl#$oe.. .
Di lofin^bien^cceali. • .
Io le recala al trono:
M' aprito il varco e tacquero
:i E le teropetle eJI J^pno.
Eiso il bo4|o Dio raggia? ami
D* «a ineffabil riso :
Rotto per ine:t strisciarasi
Alla doo^eUa ia vi^s -
Deh ! chenoiiloral a ma^evf ^ : E talta amor sf^eeaii
Oaor 4* ^^rfHe oA^ai
O bocca delle; gf|izi«
Paitor * di S4r«siMa*
E lodi mirto; P)i$ia}
Cioto la cubila ftinM^, . ,
Molle testor di veaiirì f ^
Feftifo^Aaaci^c^Iel -^
Eh, taci^f]id6:rt4p^fire,^ ,
GioTift loaMftr ^ :t>'ai:cW««
Odio i profani. wmm.ìt i
Di mena^gUar p90|a
j . 1
Onetla beiralm^ U^tanlo,
I E le parole te^ef^
, Ii)teFrompea:^Ql^piiii||o.
i Eterna a quel, net.Ui|^e«
Suono gi^raVU fede ; .
: De* zeffiseUt. ipyidia •
: 'Bella n^ebViòtipercedot
Fra Je belli anr<^ misticb^
, Ajifie irolàr^fu dato£
; Scherzai fra icedriel^ptataoi
y Del Vxhdipaff^QV^tfi», ir
Pensa qual d'alia» rVerfUm^ .Anche al cnUor ili Gerico
Nome (|nag|jèraKOjaoKa% , , Baciai fa^5;fjim/ronte3i :
Cbeincieldaipgrficaagididie^ E sìDsarrat i^I infi^gio^
E ftalutatdàaeaira^ i /: .} tDel sigilla (9 fonie* .. .. j
i A
^elPorto in^cces^il^Jk:. ^
, Mi 9onsecr9^J^'^Ml^^fo;
Ne di germg^ IgfHibìk -
Conlàmioomiii^ il \^w% *
Jo'd*1sp{i-àH>cMfibi'
La cetra ìùa Kiegital;
Cbe di- Dfo piene nicifana .. . Cb^ tra oio\ì^a|)e. im^giai
Da qnel l>el Mbroamaale* 1^^^
i Ma^ut^ Ganat'l' « ili geviertié , ^trofneiito aa'fiaio^ "\
2 Postar 00*» Taoaito < sinuimuM I |poeU p«,stcinl«. ' ^ •
3 Testar di veneri, Teuit<t^ di grasi« , Poeta di «tilt grasiok* ed ambile
4 46>M^'l^«r:^)i^"5«iHr<Ìea]iÉ; ^
U&àpL «ÒR ÌQV<^^'fi<>g«VÌP
Voce pótej ^adjiia 1 . .
SoUaiil;caiidor V(bria|)|e(i
Delle urginee dita: ».,
L' Aur^ >P9. jo, che fuggere
Godea le note sante.
;l ; > • . .
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• *
.: e ". ■'
' . •
SBGOLO DSCIVOTTffO Sa^
dr To^ lae labbra tergere. Né più s^aMolli (ab! folgasi
Vo^ die agli eletti epirtì lì detestato esempb)
Salga odoroso cantico I/io?ereGonda masica
D' ahro che rose e mirti. Lossiireggiar nel tempio.
E 'I buon dra^ppello armottìco E 'I salmeggiar Davidico,
A Cecilia diletto E '1 de?oto lamento
Oda per te qual debbati II prisco onor rijestano
A music^ Aura oggetto* Dell' Idameo contento. -
Essa a tìI cosa Inibite Tace; e ricerca insolilo
Non doni i modi sai: Tremor l'arguta lira.
Iddio spirolla agli nomini, Commosso il labbro palpita:
Perchè rilorni a Lai. Segoi, beir Anra, e spira.
Salomoxs Fiowamxo, ebnOf.nac^iu in Monte San Savino Tanno ^4*»
e mori nel l8i6.
Jn morte della moglie *.
D' ogni dalor più crodcl mente acerba
£ la raemorhi del tempo felice.
Che vira e vera il misero ne serba.
Quel ben che area, di cui goder non lice.
Maggior di quel che fa si rappresenta
L' agitato pensier dell* infelice.
Io so quanto V iminagin mi tormenta
Della perduta mia dolce consorte,
Ofunque io sia , come eh' io guati o senta.
E il softenir di lei m^ange si forte.
Che se r Occaso * annotta e V Orto aggiorna ,
Io provo quél che è poco men di moiOe. .
Ecco che in braccio al nuovo aprii ritorna
La gaja Primaveiv giofinelta.
Di fiori tenerelU il manto adorna.
1 Par «lutiti vani V Autore fé chiamato d4 Fantpoi CMior dòhìde tte!U
prima epos», T. p^tg . 4?^ ^ questo Tolumab
a I.' Ckeaeo, V Qcddenle j 1' Orte, V Orienta.
LBtT)»AT. nkìé» r ir 4^
SÌ6 LBTTBRATORik iTALIAlfA
ll'tèBipb è questo in cai la «sia diletta 9
Pie vaga delf istessa Primavera ,
ly amanni disse , incerta e tiaitdeCta ;
E questo è il ì^mpo in cai, da qael eh* ella cn
Diversa taafo, aìtaèl ^estremo addio
Diemoii, e vide <)uaggiù raltima tera»
Dite, o fidi in aanar, comeposs' io
At oonfronto cnidtel del vario stato
KoD slroggermi nel pianto e nel disio?
Ah ! cbe V acerbo caso sveotaralo
Temo pur sia del mio fallir la pena ;
' Che in eccesso d' amor forse ho peccato*
Tra 1' alma e Dio * sol dee formar catena
D* amor V eccesso ; ed io trascorsi il segno
Prescritto nell' amar cosa terrena.
E qnel che la creò per mio sostegno,
A me', che n' abusava , il donò ha tolto*;
Giusto nella pietade e nello sdegno.
Io son, che in danno ho it suo favor rivolto:
Ah: ! che col fofle traviar dei 'sensi
In dolce pianta amaro frutto ho edito!
Dunque a che fia , che deRraado pensi
Mia niente inferma , e che i* ^Slio non possat
Sanarla ancor co' pigri flnttl e densi?
Chiuse nef cavo sen d* ingorda' fossa
Furo le spoglie amate , e sol ne resta
Della sua fame avanzo ^ aride l'ossa ;
Eppur r accesa fantasra molesta ,
Qualunque volto, ove belude io veggia.
Qualche parie di lor fa che rivesta.
I Tra l'mima «e. . Yv^ol dijre ch« folo a Dio può 1* uomo portar ub aoMn
scnxa misara.
a ^ mcs che ee,j cioè : Mi ka tolto il 4oiio di coi io al^os^va, vol^trà)
in quello 1* amore debito al donatore.
3 Dttla sua famei cioè : pella fama della ioiaa ; ma non è imBagine
tnolko graaioia ia questo luogo.
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fBCOLO DECIUOTTIVO 53 T
Cruda pitlrioe, ove ragion vaneggia ,
Cessa dalPopra: ahi troppo, ala troppo ho donde
Apprender qael eh' io ramiueota,rml or deggia !
Di lei, che al tao penne) fugi^^ e s' asccmdf ,
Ben altri colF energica fafeUa '
Parlami , a cni Io mio doJor risponde.
Notte , del di pia maestosa e bella ,
Che le glorie di Dio pef cielo induci
A narrarsr fra lor stella con stella n
Tu la mirasti Qon immote- luci.
Vagheggiar meco nel sereno estivo
Le tante mera viglia che conduci \
Meco r nditti in tei fiammante e tìto ^
Gareggiando, all^ eterno Facitore
Daf lande, qoale V non so dir né scriro. ^
In quelle del gioir pacifiche ore:, ,
Per lei. stringer Tedea nodo ^^:Mà,
Santa Pietade e con|agale Amore.
. Qual cnra più pong^e. e qual pKi grave-
r non sopiva Ael suo casto seno
Con quel pi^r che ripentir nop ave ' !
Amica nqtte, iil^.J se anco il tuo sereno
r guaio, e basso il labbro mio si lagna.
Quanto. per4^ non rammentarmi almeno.
Ma tu , ^l cuf fresco uqi0r sola mi ba^a ^ >
Spessa qqalicbe. ombra invìi, che mi richiede:
Infelice , dp^' è la Ina compagna ? •*-
Ahi, che me /l cerini ancor Falba se riede:;
E il .cor %\ duole , e T occhio si rattrista , *
Che noDipnote ndditar ciò che npn^ tede.
Quella imma^o cha un .dì pingea la visla '
Alla memoria 9 or la memoria a. lei /
Pinger vorria, né però fede acquista*
X Ch» ripe/^tir fc. . Che aoa ha. tvaorù , p«icb« npu. ti SAompagoa dalla virtù.-
53a tETTERATOai tTAtUHA
Beo son gli ometti loaÉiIniat! qaei
( E il lor parlare a lor* f^e non togfte)
Che fan la somma ckgli affanni mieu
' Se veggio un olmo poterò di foglie ,
Coi turbo reo diTelae dalle braccia
Ed aiterrò la pampinosa moglie ,
Il miro sospirando ^ e mestò in [àcci» ;
Che il nudo tegetabile marito
Panni che speoebio' e in un pietà mi faceta.
Se un fiore osservo allora allora osci ti»
Dal verde stelo > che più odor comparte.
Che d' altrf è più di bei color restilo ,
Io penso: delle eare membra sparte
Chi ta che ali* aer commista , o di sotterra
' Qualche pingtie * noi nutra umida paKe ?
Perciò m^ inchino pianamente a terra ,
L' odoro , il bacio , e còglierlo non oso ;
Che al-redÌTÌTO (i^r tetto far gnerra.
Ha ta. Zefiro^ tit, ebo in aanoroso-
Vezzeggiar mi (^aggiri al folto intorno,
• Qnal solevi ne' di del mfo riposo ;
Quanto importuno or sd nel tuo ritorno !
' Qaal rimembranza tenera e crudele)
' Quale idea mi risvegli , ed ahi, qval giorno!
Così crcd' io , qnaèdo Ja mia fedele -
Si Kiolse dal suo (irai cdn un inspiro,
E in più felice mar ^ie^ò le refe ,
Che lo suo spirto equilibrato in gire^
' ' Con atto da poter far molli i osarmi.
Circondasse me si{tiall2do e deliro;
E cento fiate il voi , pria di ' lasciarmi ,
RetrociKlesse a €|ijesta parie baisa,
I Qumlche pingue ec. . Altri poeti «libero queitt Idea che nell* erbe e net
fiorì si trorasie tnaiaUta qualche parte delle loro doooe già morte i va le
papule osate qui dalT Autore moo pajóao abbastaan tlelte per MlùUiadi^
SECOLO oEcrnoTTiTO S3>3
Per Ltmbirmi le gole 0 carezzarmi*
V D*)l senlfi , che di carnosa mnssa
Vestito il senso apprendere non puote
L' nrto leggier d* un* anima che passa.
Ha il Zeffiro che aleggia in Ueyi ruote ,
E qnel disio che a lagrimar m'invoglia,
Profa mi fan ddle carezze Ignote. ^
Gfà della forte età lascio |a sogli/i ,
Già sol .▼h'il sentier Porrne che imprimo-,
Orme non son della più Terde spoglia. '
E come. il TÌUanel da somitao all'imo
D' erbosft balza trae per gioco 11 fianco ,<
E sfida l'altro a chi discende ri primo; >
Cosi strisciando il tempo agile' e franco,*
Parrai che inviti a sdrucciolar vecchiezza
Vèr -me che ho misto il cria di nero e bianeiK
Misero ! e qaal conforto olla tristezza
Ritroverò piò passeggero e lieve
In queir età che ciascun fogge e sprezza ; ' * -
Se il volto macilente e il crin di neve • ••<
DI chi vacilla al vacillar degli anni ,
Faor che a fida consorte, a ogn-iiltro è greve""?
Memoria , to , che air nom raddoppi i danni ,
Quando sei cote a mesta fanlas{a ,
Se nel felice stalo oblìi gli affanni ,
Neir infelice ancor le gioje obifa.
OiuMm Bautti nacque in Torino il 25 aprile 17x9. Alla ediieaaiette
di* a^, ebbe paco felice si^plirono l'ingegno e gli studi Aitti più tardi, |
e la conwnaaione degli uomini colti conosciuli ne* Tarii viaggi in Italia e i
ftieri. Viue molti anni a Londra , e pose tanto studio nella lingua inglese « 1
dbe Dt eompllò un Vocabolario molto stimato aifehe oggidì. Molte delle tile k
ìj^t» f • pridcipalmente ^lelle jielle ipuiìi detcìive i suoi vÌAggi » *f^oa ad
lA teapo Irfésso piacerolissime ed istruttive. Nella Flrusta Letteraria, cb* egli
«viist ^tto il nome di Jriatareo Scttnmiém9, m trovano al certo «u)Ue sen-
1MMÌ tlpM ad ingiuatt t m» nondiat no «i vuol coafeaaar» eh» il Baietti
45*
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534 CETTERATVRA ITALIANA
colla firaaclitfsM ^pulche volta ecceNÌva di quel Gìomale giovò noo
alla aoitra Ictteratora. ELlie una ostinata controvarsia con Appiano
fede; • morì in Londra li 6 maggio 1789.
»
A Don Ftxmceseo Corcano,
Don Francesco mio, vi darei proprio quattro pn^iv
buoni se ti fossi vicino, pel supposto ÌD§iuriosò che pos-
siate perdere. la mia amicizia a cagione del vostro 9cr>
Termi liberame/ite quel che pensate. La mia aoiicizia è
cosa da nulla; ma se vei volete pur compiacerti di ^rer'
la , dovreste sapere che il più sicuro modo di renderla
eterna eternissima è appunto qi^llo di parlarmi stchìet/o.
Io vi sUmo tanto degno degli affetti miei, che vi dico
francamenle di quelle cote che non vi direi se non £h
tessi alcun conto di voi ; ma se venite via con di qne*
sopposti, non potrò più dirvi i miei pensieri tali e quafi
wA vengono nel capo. Torniamo ali' Italia , di cui fate
bene ad avere buona opinione giacché v' avete a' stare ,
é di cui avete la vostra mediocre parte. Io per^ che noo
VI trovo alcun bene sostanziale^ e molti mali sostanzia-
lissimi, la voglio presto abbandonar per sempre,. e tor-
narmene là (qoand' jiltfo non m'intravvenga) dove tro-
vavo i beni misti a i .mali e.j mali a i beni. Ma^ come
diavolo potete voi consigliare un par mio a scrivere de'
libri e a guadagnare, come voi dite, de* buoni ducati.'
Per<^è questo sia , bisogna prima che m' insegniate la
difBciI arte di scrivere alia maniera del Chiari e del Gol*
doni ' , altrimenle non guadagnerò per Dio né da<»tf oè
.mezzi dueati. Voi credete che in Italia vi siena taoli
ammiratori del mio scrivere, e- tanti avidi di leggerete
mie cantafavole quanti vi sono uomini; ed io vi dico per
la decima volta, credo « che ho T esperienza ia contrs-
rio; e voi sapete pure che di questa io debbo esser mf-
X Fra le aentenao false ed iaginate del Sarttti v* ha seosa dublùo wuàt
. ^neUa eh' ci diede coitlro il Goldoni.
•BCOLO DBCnibTTATO 933
glior giudice che non toì. CrederestQ che in Roma ca-
fmi mundi 9 e che in Fiorenza capiU s0fMeniiie non ho
potuto Tendere dieci copie delle orìe l^eltere e della min
frusta ? Pensale poi negli altri paesi I E poi non afele
i.Toi alcuna idea de' nostri librai , per le mani de' quali
m* ha da passare? Ha rei misurate gli qggetti lontani da^
.▼icini, e tì credete che perchè, ho quattro fautori in lVIi«
i Inno ne abbia' anche negli altri paesi. Don FranceMO
mio , la Tostra semplicità è reramente aurea ^ e T Italia
non la conoscete. Hi direte che io non vendo le cose n^ie
|)erclìè offendono. Chi -offendono ? Quattro gatti che non
•ìgnificaao, e che tutti hanno gusto di federe straziati.
Il mondo ama più una critica severa, una satira può*
^ente , una corbellatura forte data a qualche individuo. ^
€he non mille lodi date a migliaja di persone. Questa è
la natura umana; ma T Italia non è una parte del mon-
do, e la natura in Italia è soffocata dalla corruttela stra-
Ixicchevòle^ e s' è data tutta a leggere delle freddure
cbiare&che e goldoniane, anzi a. non legger nulla oggimai
né di buono, ne di cattivo. Tratto tratto vien fuori qupt-
che coserella In istampa che fa un po^ di remore ; ma
presto quel romore.s'afcqueta, e non se ne & altro. Chi
TQol leggere qualche cosa procura dt farsela imprestare
per risparmiarsi an mezzo paelo, o se ne lascia passar
la voglia; onde non v'è modo di fare ducati sicuramea-
le. Mille altre cose potrei dirvi in qjaesto proposito; che
r esperienza m' ha fatto dottore. Potrei, dirvi che il Bue
Pedagogo ' fra V altre cose è stato letto co;i avidità. subito
stampato e ristampato perchè è una satiraccia infame, e
che è stato approvato ed appluodito . dalf universale. )o
lo confuterò sni serio , e bone , ed invincibilmente al tr&-
Ininale di quelli che hanno lume di ragione; ma questi
• 1 Jlue Pedagogo, Tìtolo di nn Ubio d'ippìuio BooiMMe «qntfo il AurtUL
536 tBTTEftàTUAA ITALfàHA
fooo tanto pòchi , che ?i stapireste» se vi dicessi qojok
'pochi t Ma ho io per questo a rispondere nel meflesie
«stile e mòdo del Frate Baoaafede? Me lo constglierafe
Toi? E poi, ancorché mei consigliaste, arrei io F abiliti
di farlo ? No certo , che io non so scrivere in qoel t»
do : io non so dire qoel che non è ; io non so fiilslficar
testi ; io non so calonniare ; io non so trasformarmi m
bestia • . • Orsù, fra dieci o dodici dì io lascio Yeneiii.
perchè fra dieci o dodici di spero che sarò perfettameote
gn/irito. Dote io ?ada vi prego a non mei domandarv.
Ve lo farò sapere quando sarà tempo. Voglio andar ia
laogo dorè io possa , per nn pajo di mesi almeno, esser
tulio mio. Ho bisogno di ricompormi , né lo posso fare
se non faccio nn pò* di tregua col mondo. — Stateri sano
e lieto.
JUo stessa.
Le fostre Terse Rime le ho lettr tutte , e ti so dire
che il telale di esse «on può se non dare a chiunque ba
buon discernimento una bella idea di quella bontà e di
quella ^candidezsa d* animo di cui la iMtnra e gli studi
fostri ?' hanno mirabilmente dotato. Riguardo però al
loro falere come poesia , m' è forca dirvi alla sch iella
che non ne sono sommamente contento. Voi non arek
fatta Teruna f/itica net trattare gli argomehti che arek
trattati, ina detto quello che la rima ha suggerito di
mano in mano; e cotesto scriTere alta carlona^ già lo sa-
pete ^he non m' è mai ito a sangue. I! troppo leggera
le cose del Passeroni , che scrive talvolta cento oliate
«scosa cancellare nn verso , ha goaslatp voi , come prima
ili voi avev? guastato 41 Balestrieri , e anco degli altri
'prubabilméip^e. PermeUeteini però di dirvi ehe la poesia
non debb* essere fatta cosi alla presta ^ cosi alla dispera^
ta. Sia V ingegno nostro grande y vivo ^ bizxarro quanta
tBOOtO DCetMOTTATO SS)
«i TQole; i verti iioslri dsbbon essère slu<Uali 4|iiilia|isst*
«ni, e pieni riboccaiitì di cose a an ieoipo gi^le 'ect blról-
t,ire. A !misara che. seoo.ito iikTeecbiiiQkia e : medìfando f
mi scmo reso schìuioòso ogoi dì pio , !nè |M»a$o pi» leg^
-gare con flemma qaèlle' poesie che ttoà ha imo lotta h
flessibile belleiza di lingu/C e di Tersegoiameulo , iosieme
«OQ Ittita la 'possibile energia di peosiero*. Il miniflio ef-
vore di grammatica, lai ounima espressione sfbraàla-. dalla
rima ansi ^he dali* argoiArealo , . la minima disognlaglianui
nello stile , . la minima poTertà ne^concettt , il minimo
aTÌo * fatlo aeo^a necessità dal soiggeiki principale mi dìa^
^sla e m^ offende y e mi fa- oadere H libro dalle mani*
Soffrite dttn4|ae éh^ Io .▼* a? Tcrta di non mi mandar pili
-poesia alcuna ,' sia di ehi ti .mole; perchè qnantanqae
-mon sia iwposaihìié ohe' alcima qui • qna mi potesse pia»
-tfsere, giudicando .da qoelle che in questi passati anni ti
•lete oom piaciuto' maitdajpmi-, redo non essere in vostro
potere mandarmene aktina^che mi satisfi pienamente. Alala
figora ' farà F Italia' d*"' òggi ne^ secoli a? lenire in fatto di
poesia, poiché i principali - poeti de* giorni nostri, vale a
Jire Carlo Gòzzi e C^iabcaslo Passeirooi , si sono ^ messi
.in capo che ImsIì infizaro miglia)a 'iK< rime- per: essei^
degni dèi nome. V «no e 1* aliro d' essi fu arricehilp
dalla oalora di qiiantoiéerndlo baflata per ornare la ptf
li-ia loro' di milieu poesie maraviglioiia; 'ma Tuno é^ F ài-
tiro non hanno votolo: pigliar fatica , ed hanno- sporsi i
*oomponimeoÌi loro 'di' tante cose insipide, sciaiioafe , sfi^
bratlssime ,* che non ai possono leggere da uno che ami
la diligenza é la perfe^iotic io ^gni •eempoerimento poeti-
co; e per cólmo di*seia]g)tnl' hannd giiMa coNo^ esem-
pio tutti gi^ ingegni di seconda classe, Indiiceiidoif a but-
tar giù ogni cqsa che viene bro in capo , come ,se la'
frettolosa facilità icMise V nuicp fregio d' un oomponimenln
53S LBTTKBlTUmA nàMMOUi
poetico. Kon si poò dire (a qoanUtJh di Tersi che In que-
sti nltimi anni mi s6ao stati maèdàti da varie delle De-
stre città priocipalirf Gresaramarla, quanta robaccia! Qaaolt
Titaperose |ioesie! B delle prose che si scarabocdbiano da
qaelle tante bestie di Roma , di Napoli , éi Fìreose e
d^ altre cillik, che posso dime? PoTcra Italia , qaaiito se*
IransaDdata ! Vadano dunqae le poesie e le prose roo'
darne io cento mila malore; non ine ne mandate piò di
sorte alteona , siano di obi vecliano enere* CokiTiamo,
munteniama ed aoeréseiamo , se è poesìbile, P amiciiM
eon lotti i beoni , sènxa pie ba&re alle pessime prose ed
elle poesie pessimissime che lottere fanno aocÌal»attando '.
fn Inghilterra ed allroirei coom' in Italia « sono 'moKissimi
qqieili che fanno delie prosaoce e delle poesiacce onica-
mente per moprarsi e per hkggir ozìp, e che sanno to^
lavia essere bponi amici , booni padri , boovii mariti e
Iraonissimi 'uomini in ogni cosa. 0>nlenliaaoci qoando
fon tali ^ e 'non badiamo a quelle che sqfiTeao come
poeti o prosatori ,. ma a qoel che firano onme 'aomiui
neUa società, ctrile. E. cosi^ Don Fraooeseo , voi non sa-
irete mai il ì»io. (loeta, ma sarete tempre il mio amico,
perebè costi * mi nascile no modello é de' knigliori che sì
passano trovare al mondo. AcUie dunque e voi , e eoo
latto il ceore. E addio; pare, idla vostra Martanaiiccia ed
élla mia.Taliia Francabica; che siaHor;Iddie quanto mi al-
iegrevei ) qnaittò riogiof anirm , ie potessi ancora dare aoa
.sola, stretta abbracciala a ciascona* B addid alla mia baoaa
Feppioa e al Pass«n»ni| al: Pasini ^ ài 'Villa, alla Cra-
teopa «alle cognate, al mj^ ^mpre caro Podestà d' Ab-
biagra^so^^eccelera^ 0etìeiéra* Qaante n troverei totti
iiSfit^^iì .4a quelli obff vi. lanciai s« potessi rivedervi { E
' ' .' ( • •
t acciabattare h yocaiioìo ufyìlttivo f • significt ; Pare ne^ligentme^t
^oalobe «ota , laqnafo ^reiètleiisi aWa« e ar ékpté^
a C04U. In questo D lo ^alità di amico •
SECOLO PICIHOTTATO 53^
' Se Toi {M>tefte weitr lue, non mi rieoooscereste forse piò;
' tanto sono ingoUialo ed iacanotito* •*- Tal qaalé come
' sono , sono e sarò sempre , ecc.
Bernfcnuto CeUù^if e U libro scriuo da esso della Fila sua.
^ Noi non abbiimio alcan libro nella. nostra liogna Unló
' dilettefole a leggersi , quanto fa Vita di quel BeafenuUi
^ Cellkii, scritta' da Ini medesimo nel poro e pretto (lar**
^ lare della ptelie fiorentinai^ Quel Cellini dipinse quivi . so
' stesso con sommissian iogenoila, e taf quale si sentifà
' d'essere: vale a- dire brafissimo neU^artl del disegno ^ e
> adorsflore di esse, non meno che de' letterati , e speziai*
t menle de' poeti ; aUbencbè senza alenali' tinta di lettera-
! tara egli stessono senza saper più di poesia che quel
I poco saputo per natora géneraltmea^e da tolti i ?ÌTaci
nati?! di terra toscana* Si dipinse, dico, come sentiva
i d^ essere; cioè animoso come, un granatiere francese; fen*^
I dicative come nna vipera ; superstizioso ia sommo grado ^
I e pieno di bizzarria e di capricci; galante in un crocchio
d' amici , ma poco suscettibile di tenera amicizia ; lascivo
anzi che casto; on poco traditore senza credersi tale; oi|
poco invidioso e maligno; millantatore e vano senza so»
spettarsi tale ;< senza oirimonie e senza affettazione ; con
anà dose di matto non mediocre, accompagnata da ferma
fiducia d'essere molto savio, circospetto e prudente. DI
questo bel carattere V impetuoso Benvenuto si dipinga
Della sua Vito senza pensarvi su più che tanto, persoa-
atssimo sempre di dipingere un eroe. E pure quella strana
pittura di sé stesso riesce piacevolissima a* ieggliorl: per*
chi si vede chiaro che non è fatta a studio , ma die i
dettata da una fantasia infuocata e rapida; e ch'egli ha
prima scritto che pensato. E il diletto che ne dà , mi
pare che sia un po^ parente di quello che proviaimo nel
federe certi belli ^ ma disperditi animali , armati d' on^
9^Ò I.ITTER1TUSA ITAIilABA
ghioni ed! treoMode zanne, qnando siamo ia tango di
poterli t«dere seni» pericolo d^eèiere da essi tocchi ed
offesi. E tanto piò riesce quel s«o libro . pi acerole a leg-
gersi , quanto che f olire a quella ▼!▼» e na tarai pittura
di sé medesimo, egli ne dà anche molto rare e cnriosis-
ttrae notizie de^suoj' tempi, e speelalmefitedelle corti di
Roma , di Firenze e di Parigi; e ne parla nsioatameale
di molle persane già a noi note d' altronde ^ evoie a di-
re, d^'alcnoi famosi Papi, di Francesco I, del Contesta-
bile di Borbone, di Madama «d' Etampes, e d' altri per-
sonaggi mentovati spassò nelle storie di qne' tempi , mo-
strandoceli, pon «oiise sono nelle storie gravemente e
•nperficialmeRte descritti da aatori che non li conobbero
di penona , ma come apparirebbero , rerbigrazia , nel
semplice e famigliar discorso d^nn loro conidente o do-
mestico sertidore. Sicché questa é proprio on libro, bel-
lo, ed unico nel suo genere , e che può giovare assai èà
avanzarci nel conoscimenio della natura delf oooao.
AuBSLiq DB* GioBGi BnToi^ nato in Bimino nel 1753 «' mori nel I7S0-
Dimorò per qualche tempo a Vienoa , e fece conoacere all' Italia la poea*
e la letterati!» alemanna , fino allora quasi gencfalmente ignorate.
Jlt Italia,
•
Italia! o me felice! Se qncqaer lungo il Nilo,
Sotto iicìei piò sereno. Se Grecia le fe^ belle.
Bella d^arti e d'artefici Kacqnero e s'abbellirono
Regina e genitrice. Sol per prender asilo
OUoqoi anch' io nel tdo seno. Tra noi , 1* Ani sorelle.
Lemaqi alao a gli Dei, Quante man corser pronte !
E il don d' itala cuna Qnanl'alme innamorate!
Pregio pia che in estrania Ecco a le Dee risplendem
Terra non pregerei Tutta la luce in frppta
Don di reghi fortona. De la natia beltaté.
SEGOLO DECIMOTTàTO $41
0' eccello orgoglio oh come Su Palla signoria
Inusitati moti De' successordi Ciro?
L'acceso cor m' investono. Ma de Tonor più Tero
Sanzio ', s'odo il tuo nome, Seropre^se tuoì, ti sono
S^odo il tao, Buonarroti I Tutte le, vie domestiche:
Ovunque il guardo io giro, Scopristi un emisfero,
Cento m* invitan segni E altrui ne fesli un dono*
D^areche al Gusto alzaronsi: Di tue ricchezze il fonte
Quanti l'aure eh' io spiro, ' Avrai tu sola a vile?
Spirar sovrani ingegni !
De Farti io vi saluto
Monumenti diletti:
Io voi pascendo V anima ,
In genio anchMo mi mulo.
Ebbro de^ vostri aspetti.
Altri fra il tuon de' cavi
Metalli ami aggirarsi.
Fra monti di cadaveri;
E r irto cria si gravi
Di aliór di sangue sparsi :
Tu , Italia « in mezzo a Tarli
Pacifica ti resta ;
Italia , ecco il tuo imperio :
No, il Ciel non potea darti
Sorte miglior di questa.
lirecta potuto avria
Lagnarsi ? un sol sospiro
Trasse ella mai iV invidia
Se, mal suo grado, apprezzale
D'ollremar, d' oltremonte
Ogni spirto gentile?
Qua! corra a te non pensi
Estrania ognor famiglia.
Su' tuoi tesori estatica
E in preda a mille sensi
DMnvidia e maraviglia?
Reso a le patrie rive.
Se oltraggi alcun frappone
Al vero ineviUihile;
Quel che sua invidia scrive.
Delesta sua ragione.
Ma se r invidia cede, •
L' industre peregrino
Giura, per te dimentica
D'aver la patria; e chiede
Farsi tuo cittadino.
Partendo da Pasilipo.
iddio, beato margine, Se nelle fibre languide
Sacro per tanta età Mi ribolli vigor.
Air aurea voluttà , Se nettare sul cor
Sacro alle muse. Mi si dilfuse,
I iSewìo. Aa£Eiello Saatio d' ìlAiuQ celtfan pittore.
LITTUULT. ITAL. ^ tf ^6
5'^z
LETTEaiTCRA ITlLlAlfà
Se più Idea caligioe
AH* etra nn Tel non fa ,
Se all'arti e alt' attuta
Dolce io rifiro;
Tutto a te (leggio: edeggroti
L'insolito ar^enir
Ood* eccito i desir
Pigri ed avvivo.
Come veloce a serpermi
Per le midolle fu
La provida virtù
Di questo sole!
Così pietoso penetra
Raggio del dì Dovei
Entro l'esangue stei
Delle viole. '
ComMo sentia, nell' àgili
Vicende del respir,
Me stesso rifiorir
De^ tuoi bei doni !
$u cento sassi inciderli
L'industre man tentò:
Forse gli eternerò
Con grati suoni:
Se ben d'Azio ^ de numeri
Pinta e fumosa è già
La magica beltà
Pel mar, del lido;
Da' colli, che pompeggiano
In corvo ordine altier;
Degli antri, ove i piacer
Formato ban nido. '
Io quindi alzarsi, io crescere
Quindi i novelli albór,
E vidi i salsi amor
D'oro poi farsi.
E numerava i fulgidi
Solchi pel mar, pel elei,
Qoai da mortai pennel
Non pon ritrarsi.
Io di Vesevo sorgere
Dalla montagna fuor,
Nell'ampio suo cbiaror,
Cinzia * vedea;
E dall' alte vulcaniche
Foci la fiamma uscir,
Che il sommo orlo lambir
. Di lei parea:
E vidi in manto arB:eDleo
I flutti tremolar;
E Tali ivi tuffar |
L^aora leggiera.
DaH^ arenoso' margine ,
Dal sasso al mar ?icin,
Più non vedrò il mattin,
Non più la sera.
Addio. Se iberno ^ turbine.
Coir arme d^Aquilon,
Dell'umile magioa
Flagella il piede;
GÌ' incìsi sassi a frangere
Non mova il suo furor :
Lunga d^ un grato cor
Far deggioD fede.
1 D* Atio, Del Sannassaro. -
2 Cyukh ìiìk lana. ^ 3 Jb^rnp» ]liT«niid«.
SEGOLO DECUIOTTAVO ' 5 4 3^
.ddUo. Se, /lUor che d'Esperc E ne profuma Taère '
I^' amabil lume appar , .
"Verraa solcando il mar
Gli eledì amici ;
V erma mia stanca goardiorOy
Dicendo: Or più non ?'è:
Come 80O hrevly oimè,
L,' ore felici l
Oh! il più gentil fra i Zeffiri^
Erra tra i oedri e i fior,
£ de^ ben miati odor
U* ale (k carpa \
Quando s'appressi qui;
Dov\}o rac^eUìtatf dì^,
L^aqska bfirea*
Attczzì , o bel Posilipa,
Te gli occhi a vagheggiar,
l^e cupidi a cercar
Sempre verranno.,
E spesso in parie Bcorgerlr
Da luoge aificor patran :
Ma invan fra poco, tnran
Ti cereheraiioo*
Gli UccelU e i Pesci
Vcc. Pesci) o pesci, felici
Più di noi .qpiaiUo siete t
Se Tengono nemici
O con i^oui o con rete.
Tosto giù , nel profondo
Correr v^è dato. In fondo
Del mar, de^ finali , e chi
Mat d' assalirn ardì ?
JPes, Aagelli, o augelli, toì
Felici più di noi I
Che a ritrovar lo scampo,
Libero ayele il campo $
E gir V è dato Innge
Ove focil non giangie.
Presso a le nabi, echi
Mai d'aasalirvi ardì?
27cc. Ma quale aerea parte,
O quale erma campagna.
Dal riftchia ci disparte '
De r aquila grifagna?
Pes. E noi chi salvi tiene
Da le immènse balene,
E da gii altri pirati
Pesci , disumapati ? — .
Non tilagnar dormali;
Non credei* so^i i indi:
Ognuno de' mortali
Ha da soflrire i suoi.
Nella lingfia eh' Esop»
Prima intese fra- noi.
Cosi parlava un topo
A due de'figH snoit
Del nemico- al ritratto
Mente, o^glt. ponete, '
E a fuggirlo appreqdetel
Un .Jiiosttd' orrendo è if gatte:
r>44
Occhi che gittan foco;
Eterna mente iogorda
Bocca di san» ne I orda ,
Entro cut denti han foco
Che ignorano quiete;
À'piè feroci artigli:
Ecco il ritrailo, o figli;
A fuggirlo apprendete. -*
Piange, sì detto, e tace,
E li congeda in pace.
La coppia fanciullesca
Cerca fortuna ed esca*
Un di mentre alT amore
Fea con un cacìofiore ,
A rfn tratto Della stanza
Vispo gallina' a vansa ;'
Boffoneggiando Va , • -
Corre qua, corre là,
Salta 9 volteggia , e ogni atto
LETrERATURA irALlAlfA
È iin.tewo, è nn grocolrno:
Non è già chiesto oo gatto,
Van dicendo coloro
Intenti a' falli loro.
Ma ramabit micino
D' improvviso si slancia;
Uno afferrò alla pancia
Colle rampe scherzose ,
' E l'altro in foga pose;
Il qnat per la paara
Si chiose in Inica oaenrnj
E prima che morisse i
Padre, di fanne io pera»
O padre, fra sé disse.
Tu non dicesti il fera. -
Mal prendi a color tre
Deforme 11 viaio ogoora;
Mostra che sa vestire
Ridenti forme ancora*
La tdtcert&la a it CoccodriUo,
Una lucerteletta
Diceva al coccodrillo:
Oh quanto mi diletta
Di veder finalmente
Un delta mia famiglia'
Si grande e si potenlel
Ho fatto n^iile miglia
Per venirvi a vedere».
Sire , tra noi si serba
Di voi memoria viva ;
Benché foggia m tra Terba
E il sassoso aentiere.,
In seu' però nop.tangae
L'onor del prisco ^ngue. -.
t dnfién diceti uà inimàle cIm
L^ anfibio re * dormiva
A questi compi imeoti;
Pur sogli uUiuai accenti
Dal sonno si riscosse^
E addimandò chi fosse.
La parentela antica.
Il camibin,. \^ falk:a
Quella gii torna à dire;
Ed ei torna a dormire. -
; J^ascia i grandi e i potenti
Di sognar per parenti:
Puoi cortei itimarlif
Se dormóa mentre parli*
vite on n«U' ac^ ^ orik salk teff**
SECOtO DECfMOTTltO
545
n Gufò.
Venne desfa di tÌTere
A JCOQcio gafo Hn di
In fra gli altri Tolalili ,
E del suo nido osci-
GioliTa aria socievole
AffettaTa talor; \
Ha i bratti trasparivano
Kativi modi ognor t
Così che al fin vedendosl
In odio a ciasckeduQ^
Mei capo tornò a cbiudersi
Ricovero »no brnn,
Sclanrando: O soirtadine
Sola peit me sei tu !
In società? co' perfidi
Àogei ? mai più , mai più. --
O gafo , o vrl misantropo .
Sepolto a' boschj in fondo ^
Sei tu che non sai vivere ,
E dai la colpa al mondo»
/ due Felti'ù
Un di v'eran dae cani y
Due cani cacciatori
Solenni abbnjatori,
Che quantunque lontani
Dalle riposte selve
Sfidar pa rea n le belve»
L'undelto era Benprendi^
E r altro Suonacorno;^
Nomi più che treineòdi
Ai putti del contorno.
Fra i can più eroico pajo
Ti padron non ritrova ,
Benché contra al pòtlajò
Sol messi abbiali a prova.
Sicuro di gran prede
Move alla càccia^ e vede*
Uscir fuggendo an orso:.
I veltri fan portenta
Per appressarlo al corso ^
Vannó'siccome vento :
Ma da presso veggendo
L** ugne e il dorso velloso ^
E il dente minaccioso^
Permansi , intiepidendo
Gli sdegni ; e finalmente,
Preso miglior consiglio ,
Rapidissimamente
Tornano indietro un miglio.
Mentre del Iof coraggio
Davan così bel saggio ,
S^ inoltra un invecchiato
Veltro già disprezzato ,
E con maestro morso
Afierra e arresta V orso. -
Spessa quelli, bau n»en core ^
Che ttvenan più romore^
46*
S4( tEtTERimU ITÀ&tAllA
Xe dluft Scimmie e il tdtecwhna.
Beochè fossero ^ alle spalle
Deir ioTeroo i di rideati,
Eraii bianchi e poggio e ?aU»
Di notturno brine algenlt.
Or due scimmie, intirizzile
Per 1^ acitta aria pefpsa ,
A* ricovero era» gite
Sovra pianta assai ramosa ;
Ma si tremano, che sonna
RilroTare ancor non pooiio.
' Quando i Al .foco ( grida ) , al foco , -
La più giovane, accennando
Una siepe ; e st gridando
Spicea vtìì saho, e corre al locfo
Dove vivida favilla
Fra i cespugli luccica ale
Ha ferito la pnptila
DeiraflSiUa vigilante.
L' altra ancor discende , e air opra
Denti e piedi : un bu^oa £istelló
Fan di salci, e il poogoa sopra
Air ardente carboocello ;
r^è vi manca an po' di paglia y
Perchè fiamma tosto sa glia.
Ecco entrambe a terra chine
Con tal forza so&tr drento.
Che Boa fan nelle facine
Forse i mantici pia veoto^
BIoso intanto avean si fallo
^ Per la scarna guancia enfiata,
1 Jfenchè eo. . 9encbk^ atr ioverno giìl stesse per sottentrare ì% pciiaarera
N.
Che- dft Er^ctito ■ a?riàn tratto
Senza sfeftlo ooa risata. -
\Ma già soffiasi da an' ora 9
Né' s'accende il foca ancora.
Cangian paglia , cangian sàlci,
Al fastello aggiungo a tralci: •
Sroffia 9 amica, il legno è asciutta;--
M II si Soffia sensa frullo.
Qiiando alfine entra in sospetto
La meo gloTano' più scaltra ;
Meglio guarda , e con dispetto :
A che soffi ( dioe air altra )?
£ nn malnato lucciolone,
Ch^abbiam preso per carbone. —
Tal piti d^ OB che soffia/^ e il petto
" Vuol, da Apoliine infiaunnato.
Per earbon * prende on insetto ,
Perde il tempo e gitta il «fiato. ^
IjnM PAtCAKi nato in Boìp^m V wùo >753 , mori ia Milano obi 18^
Anton Mario Lorgna e Luigi Ferdinando tarsigli,
Lorgna non lasciò la Società Italiana ignorata od ab«
bietta. Egli la ride numerosa d* ingegni soblimì , ricca
d'incliti ritroramenti , fruttuosa alle scienze, rinomata in
Europa, proposta da Coodorcet per norma, ed esempio
ad un popolo che non suole aver d* uopo delP esempio
degli altri. Ma ciò non vide eh' ora ne riempie d' nna
più bella aspettastione ; lei rassodata ancor meglio dal
tempo e dalle «raro desi dotti , e munita d* ordini nti-^
lissimi , e giuliva di promessi premii ed onori. La morte
il rapi nel millesettecentofiovantasei , essendo fissato poco
l Eraclito il filosofo faceva professione di pianger seotpre.
a Per carbxm ec. * Gre4« di eusr dotata dsUft. bcolUi poetica « t noa <^
54S LETTERATURA STALUSà
pia domini sesianta. Ma se la ^osofia a«o ponesse
air immaginasiooe, ed a noi iosse lecUo ^ come a»
correre col peosiero alle sedi Beate ed B? coneil» dell')
bre ) quanto ne sembrerebbe lieio' di sì fortunate yk
de ! E forse P adreinino tenor discorso con Laigi F4
dittando Marsilio di ciò die operarono ambidne in pni
delle scienze, e scambieTolmenle rallegrarsi, ed affrettaivJ
eoi TOti r adempimento delle nostre speranze. Ben gin-j
•tamente pet questi dqe. alqnni snoi V Italia si Tanta, cJi
applaude in certa guisa a se stesia. Forniti entrambi dì
fasto ingegno e di molteplice ert>diaione e di ferma co-
stanza e d^ in? iDcibile integrità , con maniere di poco dif*
formi pervennero alla gloria- e giovarono alla patria. Har^
silio, oom d'arme, affrontò eserciti, munì amiche terre,
atforniò«le avverse,. P. espugnò, le vinse. Lorgoa non mi-
litò; che la. stabile pace de Veneziani lo Htenne.^ ma
erudi gaefrieri, e li dispose ai cimenti. Qaegli descrisse,
e con diligeatissime ossorvaziom recò splendore a' mag-
giori fiumi della Germania; questi pose l'animo a presso
^e lutti i fiumi d^ Italia , e con singolare Tigilanaa li
governò. Qrdi quegli una fedele storia del mare ; qnesti
ne compie molte parti. Pregiati entrambi nelle Corti,
quegli fu molto innanzi coi re, e per ciò stessa pia vi-
eino ai perìcoli ; questr soggiacque a rischi minori , per-
chò meno grazioso. Ninno di loro perdonò a fatiche od
a spese per concitar gì' ingegni ita4iani allo studio delle
scienze e deH' arti ; qttegli fn maggiore, questi in minore
fertnna-; entrambi con animo egualmente grande. Né que-
gli uè cfuesti colla brevità della vita le azioni mìaarè del
suo zelo, né permise che in quella stessa tomba in eai
dofean racchiudersi le sue ceneri , foise ristretta ancora
la sua provvidenza. Risguar4arono entrambi alP età fu*
tufe, e meritarono degli uomini che ancor non eraoo)
quegli dattilo i' esseve primo aià^InsUluta delle Scienze 9
SECOLO DCCinOTIfATO 549
qiìe»ti affa Soicletà ItaKaiia. - In due città fioritissime d' in-
gegoi e di stadi, quegli in SoVogna, questi ia Verona,
ebbero appresso la . morte ioscrlzìoai e simnfaeri , non
consacrati dalla stupida ignoranza , o da una ri te adu-
lazione che persegue i grandi firn dentro il sepolcro* Ma
i bronzi ed i marmi si coosuioano dal feinpo , per in*
Dumerofoli «rfcende si corrompono e si disperdono; i nomi
di Marsilio é di Lorgna , più che m altro monumento ,
neir Institato Bolognese e nella Società Italiana TivranDO
immortali.
Giuscpn Zaiioja> n»eqat ia Pìac^sa; fa estpooìta di sant* Ainhrogio e
professore di Architettura in Mil^o» e mori in Omegaa sai Lago Mag-
giore » dood* era originàrio , V ànok 1^17.
S{èlU pie disposizioni testamentarie^
Scrivi, ò'No(a}o: Pòi cVè fisso iti eielo^
Ch' ogn' àdm che nas^ce i|bh1a ad andar sotterra ^
Rè l'ora è nota àelfatat l^^tgittò,'
Ife, tttttor sano, leslator ricevi. -^
Allor che V alma dal solchi! corpo
Sarà disgiunta ', abbiala Dìo : ii muto '
Indolente vadaTere, a cu? 'nega
II noTo rito' mi pentti^nte sacco'.
Fra cento fami e i cantici lugfubri
E i tfegri ammanti é le mercàte insegne.
Se emergeranno' dalla' imposta calce ^,'
Sia portato alla tomba. Ad ogni altare
Si moltiplichin F^ostié; H' mesto canto
Ogni 9nao si ripeta : al mio . riposo
r, . ' * r . . '
1 UsaTasi di poifa#* i ìmv& alla clkUtÉ teatici del a^ceò dS qoalcbe con-
Bratemita.
^ In tempo detta RepabUica Cisalpina g|i slenaaif fentflitt farono dove
rotti ed allertati, ^re soltanto ricoperti di calce, come se perlir«Tt tfimf^
me dovesse dorare la proscrisione j il ehe si avverò prestissimo.
5 So. LETTfiftATCRA JTiLUllà
Uo mipisLro fi «acri, e il marmo iascrttto
Sorga \air ara yjeino , e noli il nome
DI cIh '1 sottrasse air alilo lelouio
0 alla marra pe$aDte9 e tenue un prete»
6où Tassi a saluie ; e cosi voglio..
Me .di lacci nimico il nuotai paiio
PÌqo Ifga a sempre egaai moglie importaoa^
Nò a domeslioa prole. À. Lidia scriYS
Quard&taknila d' amicizia io pegno,
E diecimila alla sorella Cloe :
Del resto erede il Nosocomio ' sia y
Onde perdoqo si conceda all' alma.
Così testava Elbion , cai 1' ampie asore
£ 1 molti di pupilli assi ingoiati
£ la pubblica fame * arean condotto
Dalnqlla avito ai milionaria onore*
.. Blacrooio in vece , nella va^la cfi^ *
Più splitariq.che oell>\.ÀUo Egitto,
Visse alle .donne ed .ai sfiori ignoto»
1 polverosi inoopratt l^ari/
Da tempo immemorabile rovesci.
Giacean sul freddo /ocolai:. Convivar
Qaotidiano agji ainici miv^rava
Tanto di cibo al consfipevi)! . feptre y
Che- al di veptqro iUamentoSq stésse.
Se il crayilQ verno, oalle, laogjie sere
Gli feriva le spalle e T ugire ifqraonde^
r^eila paterna vi^riopjntatav volta
Rattoppata zimarra 9, del vicipo,
Appoggiavasi al muro in cui sorgeva
.L^ incessante cammio d^ nota cocina.
ai Za puWica ec. . jUcuiu «ri^thiuoao inoatAM^ U fSfuatn m* tcmp di
Secolo DBciMotTiro • 55t' .
Kdo meno dgli altri che a $è stesso parco,
A irallo dava e nbn aTteva donde;
Che del maturo argènto il 'pronto frutto
Nelle rniallibili arche dei wagDati
Mentre cresceva' a lai secaro e idtatto ,
Dal domestico scrigno sempre eSaasto '
ÀI ladro in faccia e ali* esattor ridea.
Cosi visse MaCroDio, e agli ettant^ anni'
Lasciò le seniisetodlari vesti
Da molta goccia asperse, e i rosi' lini
Al vecchio servo; e al Nolocomio erede
Dae volte diece' centomila scrisse. .
Dimmi: dei- dote chi ti par più saggio?
Né r an né Féltro, s^ diritto estimi.
Oh ! se di Stige la tarlata barca
Reggesse al pondo del . raccolto indarno
Auro insegoace ' , I' osservata immago
Del postumo dator forse più rara
Penderebbe dai portici e dagli atr}
Alla languente umanità concessi.
Chi non vorrebbe colja fida scorta
Del non ignoto al Tartaro metallo
Tentar di Fiuto la placabii moglie.
Della selva CuDbana ai doni avvezza ;
O dividendo del frodato cibario
Un' altra volta i couservati lucri
Reoder più miti Radamanto e Itfinos? t
Ma laggiù la giustizia non è merce, 1
Né può cambiarsi col bandito nummo * : j
\ . I
z Intéguactt. Che non seguita il suo padrone oeU' «hiro Mondo. — £' o#* j
ser\Hita immago. Il ritratto «be si fa a «hi nomina erede lo Spedale : e qne- «
sto pai h di messa figura se 1* eredità sia dalla So alle xoo «ùla lire } di |
fig^ iati0ra .se oltrepassi le loo mila. i
1 Nummo* Mixiifmo per Datwó, •— // rtgtuOpr di Cr9ta « Mino««.
5 Sa LETTeHATURA ITALU1I4
E o $ia dì Creta il rAgoalare^ oppure
Qual altro piò ti fingi, f^ è od severo
Inesorabil giadicis che libra .
Su naovà lance ^ i calori autorati '
Dal Teodulo pretor, e che rimesce
I sepolti chirografi ^ ed jl pianto .
Interikifga dd debole calcato ,
E del concasfo popolo i sqsurrl*
Non se r onda lustrai tutta si Tersi ^
Sulla Caa tomba ^ e air indigente leghi
Quanto il doppio emisfero e miete e Beava ,
Espiato, sarai \ è inali! 1' ostia
Lorda dell* altrui sangue» , e la rapina
In. vano aJf ^re si rìcovra e al tempio*
Tu doni f Elbion , poi che gli amalii patti
A jsè iodolgeoti pfOoiiilEiaron sacra
Di natura è ragione oltre le leggi
Deir uom la volonli nel panto istesso
In cui cesua il voler': Elbion, -Cu doni
Ciò che ad Elbion dì posaeder non danno
^'è Bartolo ^ uè Giove , e ftilor cominci ,
) Quando non sei, ad essere pietoso.
Ma a me che giova , cui fiirasli iniquo
] Col tràfnsatb ciodieillo il diritto
I Al legittimo fondo, o cai. (riesli
Stanco ed esangue alle corrotte scranne ,
Se dal cieco sepolcro appresti all'egro
La non dovnta medicina , mentre.
Me spogliato condanni a ingiusta fame?
< Lance. Bilanpia. — AutoraU* ÀpproTaii.
2 L' Autore era dunque d' opinione ( e non egli lolo ) che il diritto di
far tesUmeiito-aia una concessione delle leggi ovili, non una eonseguema
della legge naturale. .
) 3 Bartolo fa un celebre Giureconsulto, i^ (^àndo non 49i, Quando piò
non esisti; .....
«
SBCO&.0 9CCIWOTTATO 553
Sia però pace r Elbioii^ taè perone gràfè
Stt di lai pesi la sacrata t«rrA; / >'- '
Già .pbe d* iinmeosa. ìaeslricabil frod« .
E de* {labblici furti almea gli aranzt ^
Liberale €^ii(:e$se agP iotestioi
Del morbo^ plebeo : il nero, sofo * .
Dai seolepsiosi rubricati libri
Quest' utile, dettò farmaco ali* alma* : ^
Ma il farinaco cbe Tale ali' uom sepotlo ?
Fu li tempo alior di traugugiarlo i|iiaiid0
Fra Lidia astuta e la crescelite Cloe
S* alter oaTano V ore e i cpinpri baci ;
O ^i#iido al suon del popolar lameiitOv
Le proTiocie aveoate e i non pasciuti
Laceri battagliooi * ;a lui festoso
Imbandi irano, i leqti.ebrj conviti ,
E le lucide -cene*: Troppo bella
Fora la colpa, ed il pentirsi dolce.
Se dopo un Inngo riposar beato
Sulle tranquille inrendioite prede,
U pio Toler nicconiandato 4 doto^.
Potesse al fin del delizivtò stame
Spegnere colla vita anqbe il delitto,
E di pietoso procurar la f/una.
Ma non è no,ovo al mondo il reo oostunie
Che la pietà stuprata al latrocinio
E air orgoglio potente sia compagna.
Spesso vedemmo 1' occidente stanco
Dair atroce pugnale .e dal veleno ; .
E spesso fra i pugnali, ancora immersi
1 Sq/«» Filosofoh
a Allaa* a PoaU^iile tuberie latte da Elk^ni* còn^ CoiMBÙstwio o Prot-
v«diiorii d«gU eMKÌtù
3 r/isA^» iii|« deUe r^ireàe , qui ite por la lfort«.
554 LETTERATCJill ITALUlTA
Ne^ domestici , seni , e i letti calJi
' Da nod cessate iofamie, ionalzar cbieie
A rimedio delF alma , e foodar celie
Coir oro estorlo alle città sos^setl^
OS)
E a gli ÌQTasi vicini , ove abitasse
Da iontan bosco il monaco chiamato-
A salmeggiar sugli effigiati aYelli
D^ illacrimate ceneri custodi *.
Voi eh' illustrate le memorie antiche
Pria che 1* edace secolo le inghiottat
Scrivete pur sulle marmoree fronti
De' sculti temfili e ne* sonanti chiostri :
«f Questi del popol saccheggiato io pace,
I* E degli amici a tnadimento oppressi,
n Trofei superbi il fondatore eresse.
Ma non così Macronio; egli noa fii
Né rapace né ingiusto : at conno avaro
E air insatiabii lusso ed al macello ^
Sottrasse ciò che- al Nosocomio diede.
Kè v'era dunque a queH' età felice.
Una vedova me&ta o una lansoente
Desolata famiglia a cai partisse
Il destinalo alle future fehbri ?
Oh fortunati di Macronio i giorfti ,
E r inaudito suoi che lo produsse !
Così il padre del Crei lo serbi illeso
Dai filosofi ' sempre e dalle guerre.
Nel nostro clima ^ è ver , s' atzan frequente
Dai scossi cenci gP improvvisi Atlanti)
«
I IRude r latore alU motu dbieM ec. fondate coli* oro tèmi»*^
di delitti.
3 Cioè : ik»teaeadosi«^aUo fpendert in «nsori , ìm com di lo*"^ ' ^
soddisfare alla gola.
3 DaiJHo9qf. InìMtLà» i ùlii filofofi «0fi(<n^iton del^ Uoda wotàe.
>ECOLa DECIMOTTATO 555
Alle asp^Uale immagini de^ quali,.
Se fuggiraD,* dal pendere d^altrpnde»
NueiTt archi conoet^iamoe. nnore loggQ*
Iq cai slaQtl e calzate al di solenne
Dal. curioso conladin sìeo TÌ$te:,
Ma siccome Ira ooi.riipta indefessa
Fortuna , al crescer, loco anche s' aocresoe
De' meschini la calca « e a !or di sotto
Gemer senliaoiio ;non intasa iniian7Ì
Voci dolèbti ed al pregare.: indióire^; . >
A. qnesti .aggiungi una receoie furba /.
Cui^ 1' emula Tirlù de' lem pi andati
I nostri HiigUorando a ijidpia addusse*.
Poi ^cbe, grazie al destip .che tutto voWe ,
Noi lisci prim^ e inauellati e rasi
La guancia e il mento ricopiammo i Bruti ^;
E le compresse da non regio, ao^^nt^i
Nostre Lucrezio ritornar le chioQie
Ai prischi nodi e alle sincere trecce.
Mollo, in addietro laborioso , e. cerco
Pettine cadde dalla man, costretta.
A mendicar , e mojta gente afflitta
Vide alla mola ricondotta e al forno
I^ ripulsa dat crin candida Elensi.
Molti altresì che dai sertili uffizi
Air nomo indegni Libertà riscosse^.
Se non ebber la destra al ferro pronta
X Sàfuf^an,te»p S« non saranno appesi aHe forchtf.
a Nuoti archi §c* • Si accenna la conUnuaùonè àtW inimenfo ftilibneal»
dello Spedide. • - .
3 ^ude alla moda allora vtcente di pettinarli a la Brututif e Mnaa U
poHere di Cipro; detta- rondlidSci Èleusi,. perche il grano d* ojfuif 4 Ine fw
•acro a> Cerere Tenerata in Blenki.
' 4 Allude al molto numero di servitori licenaiali . nella prima epoe» della
moliuione, per trovarsi i padroni «fausti dalle contribuaioni.
iS6 LBTTERATCItà ITXtì^k
Ed al nollorno assalto, la mosfrarò
Aperta ad implorar 1^ altrùi soccórso ,
E r aprono tiiltor. Fra tétilo Mvofo'
Che d premfe dMntorno, ed a cai resla
lì dritto al men dell* mtangibii vita ,
A che aegikar nel Tinilcóso Caos
i) neir or»)e de^ eterna plebe
il pottibil inendied a boi non fioto ?
Ta ttteulre ttminasii al nascituro erede ,
Onde sani la scabbia o il tristo autuaod ,
A 'te vici fio e da^ sòttit parete
Forse dtrlso inconlolaYo giace
Fra i nodi figli ed alla patria nati ,
t>aila miseria e dall'angoscia moto
Un infelice genitóre, eppure
Sospira Indarno al tàlamo nlàtara
Uaté ittdotata tergine pudica
Forse cresddta a non oscòro fitienè;
Che se piti I' egro a te piotate inspira y
O il represso tagir dèll*^ innocetoté <
Fratto non Sem pi^ di lìirCivo aibòre ,
Hai molto end* esser pio: ormai non basla
f/ empita! tétto at condensato infermo,
E alta rrtitrlee delf ignòto parto i
Uè ballerà fra pòco 11 Vallo intero
A -cbùtenere i pahblici grab^ti * ,
Se r inclemente del non 'voYge altrore
U funesto girar d^ astri maligpi.
Dunque che tardi , ed insensibil siedi
SulP àrea chiusa e il numerato argento,
Aspettando le esequie f O che maturi
Tu ascokator di Luca e di Mattea
■ • ■ " •
3 Grabatì^ t poTtri iHti a«gt* iaftnfii.
scoorco BCCtMorrcvoi 5o7;
Alfe venture età ciò ch^ è dovuto *
Al presente hi sogno ? Al gmrnn estremcF
Tutto è preda di morte e non tno^ dono.
Sii ptv Macronìo, o di Uacronio sii
Più parco e più digiitna alla tua nienaa'^
Né il fuggitivo topo abbia che rod» «
Neir aperta cucina , ne il giulivo
Amico il vin de' co4K tuoi conosca^
O delForto serrato il venal poRio>;
Ritrova mille ordigni ed arti inille
Air onesto^ guadagno ed al risparmio ^
Pur che dalia Ina mano e non dal tardila
Esecutore r indigente ottenga
Ciò che operoso a Ini radnni : allora 1
Te, sconnscinto ai portici venlost^ j
Collochereui su gì* incensati aharir '
CLSMSim VbiiDi nata in Mcaana Snpenoie p«l Parmigmoo ì^ aano 17^^ I
ntOKi in Vienna, nel 1821. i
Passaggio ékl Bx
Sovra picciolo legno il Po fendei j
Curvo sul remo V agile nocchiero ;; '
Ed io à' estro novel eahk> il pensiero
Al regal fiume il mio |>arlar volgea. ,
Questo tuo lido risuenò, dicea.
Padre, già un tempo, per due Cigni altero;;
L' una ina aponda ii gran Catvter d' Enea,,
Vanta V opposta il Ferrarése Omero» -
£ sA doppio esempio lusingato intanto
Me stinrolava un dolce amor di gloria* j
Coft volo ardito ad emularne il vanto.
Ì)al piano ondoso aller s^allida e muta |
L* ombra osci di Fetonte y e la memoria»
Dei ¥oI de»tommi e della sua caduUu.
5.^8
LETTBRlTimX ITALIA91
▼ijfcivzo MoifTì nàto prena Pas)gitttn« (territorio Femwwji'igi
feìil.rajo i;5f , morì in Milano il di 9 ottobre i8a8.
Sopr» la Mwte.
Morie ^ che se' tu mai? Primo eie i ^.iniu
L'alma vìfe e la rea ti créde e teme;
E tcBclella rfel Ciet ftcendi a ì liranai,
J! ^'8'^® ^"® braccio ìocarza e preme:
Ma rfDteftce, a dui de"* lunghi affanni
Grate è PiDcarco, e morta in cuor Fa «peme,
Quef ferro implora troncator de gfi anai,
E ride a f appressar de Tore eslrea)&
Va la fKilVe dì Marte e fé vicende
Ti i&da il forte, che ne^ rischi indura;
E il tóggìo 5ea2a rmpaUidir ti attende.
Morie, che se* tu dunt^iie? Un'ombra ©«ora,
Un bène, tm male, che diversa prende
Da gli a&ui de Tupui forma e natura.
Sulla morte di Giuda,
Gittò r infame prezzo, e disperato
L'albero ascese it venditor di Cristo j
Strinse il laccio, e col corpo abbandonato
Da Tirto ramo peii2o!ac fa visto.
Cigolava h) spìrito serrato
Dentro la strozza in suon rabbioso e ìfi^Ot
E Gesù bestemmiava, e li suo peccato
Ch'èropiea T A ver no di cotanto acqiiìiio-
Sboccò dal varco al fin con un ruggito.
Allor Giustizia T afferrò ,^ e sul monte'
Nel sangue di Gesù tingendo il dito,
Scrisse con. quello al maledetto ìd froate-
Sentenza d*^ immortai pianto infinito,
>E lo piombò sdegnosa in Acheronie..
I Sili' monta. Sul Calvario.. •* ^
Pig^mb^ qaell* alma a . 1* iiif(iri»al' ri fiera %
E si fe^ gran Iremiiolo io qiiel- mocDefilo.
« &;iIa«iTa il mónte, ed oodeggiaTa al; .vento
La falma in alto atrasgoLita e nera»
Gli Angeli c]»l Calvario in sa la sera.
r ParfeDflò a volo lacilorno è lento , :
La videro da lot^ge^ e per pavèolo
Si fér de Tale !a gli. occlu una visieraV '
I demoni frallanló a Taere lelr» -
Cnlar V appeso y. e V infocale spalle
A r esecralo incarco eran feretro.
Cosi uinhintto è schramazzando, ti calle
Preser di Stlge , e al vagabondo tpetro
Resero il corpo ne la morta talle..
Poiché ripresa avea V alma dr^inna
L^ antica gravità di polpe e dVossa^
La gran sentelua su là fronte bruna
In riga apparve trasparente e rossa»
A quella vista di terror percossa.
Va la gente perduta: altri s^ aduna .
Dietro le. piante che Codio ingrossa^
Altri si tuffa ne la rea laguna.
Vergognoso egli pur. del suo delitto
Fuggia quel crudo, e stretta la oiaseeNa^
forte graffiava eoa la man lo scritto.
Ha più terso il rendea Taoima fèlla. . .
Dio tra le tempie gliel avea conQilto^
Kè sillaba di Dio mai si cancella..
Pél ritratto di sua figfia.
Piti la contemplo, più vaneggio in qtrella
Mirabil tela: e il cor che ne sospira »
Sì ne r obbietto del. suo amor delira,.
Cke gli amplessi n* aspetta e la favella..
S6o I.CTTBRAVI7BA ITÀUif A
Ood'io già corro ad aUnraceiarta. Ed dlm
Labbro noo nioTe, ma lo tgaardo gira
V^r me ti lieto che mi dice : Or minr 9
Diletto genilor, quanto aoo bélbh *-
Figlia, io riapoado, d'uà gentil sereno
Ridon toe forme; e qaesta imago è ^a
SI die ogni tela al paragoo riea metKK
Ha ott^Saiago di te iwgg^io pia ma^
E la veggo sol io; quella cbe in seno '
Al lue tenero padre Amor scolpirà.
M signor di Mon^gBÌfiet p$r ijtn t^ob mereostàtk^.
Quando Giasoni dal Peiro Cantava il Vate edrlsio ^
Spinse nel mar gli aEtefi, D^ Argo la gloria intanto ,
E primo corse a fendere E dolce errar senti vasi
Co' remi il seno a Teli, Sa T alme greche il canto ^
So Talla poppa intrepido O de la Senna, ascoltami.
Col fior del sangue actieo' Novello Ti6 ' invitto :
I Vide la Grecia ascendere Vinse i portenti argolici
Il giovinetto Orfeo. L^ aereo tao tragitto.
t 5tendea le dita ebmrnee Tentar del mare i vortici
I Su la materna lira '; Por^e è si gran pensiero,
E al tracio sugb cheta vasi Come occirpar de* fulmini
De* venti il fischio e V h^ L' invTolato impero?
Meravigliando aeeorsero DehI perchè al nostro secolo
Di Doride * le figlie; Non die propìiio il Fato
Ifettuno a i verdi alipedi ' D*nn altro Orfeci^la celerà.
Lasciò cader le brìglie. Se Montgulfier n*ha dato?
I
* J Su E» matenut «e-* . Orfeo er» fi^iaolo ^ella Miuia CaUiojpr.
j; % Ifl Daridé ec, . Le Ninfe marine^
3 Ferdi alipedi. I cavalli di Nettano dipingi^tt ferdi e colW sii a» ^e^
4 Ùdrisio, cioè TVace»
5 tSitf £' alme ec. » Sui compagni idi Giasone*.
C^ Tifi ÙL il piloto degli ArfOiiMiti..
I AI ag^or del prode Esdniile '
Surse di Gallia il figlio*
Applmidi, Europa attoaiU,
Al volalor naviglio.
Noo -mai Natura^ a T ordiiie
I De le sne leggi Intesa^
Da 4a poleoza Ghimica
Soffri pia bella offesa,
mira^bii arte v onA* al;safti
Di Sthallio e Black la fatoa ;
Pera lo stollo Cinico
Che-'freoesia li'cbiama*
!>«' oorpi eiitro le viscere'
- ToU'acre sguairdo avTeftd,
^ C lavati ceiarsi' teotaifo ^ -
Gnudbcili c^iiieiitf* .
Da le tenaci ' tenebre
La ?«H(à traenti V
E de *le raéche ipotesi '
Tregtia al furor' ponesli*
BrlHò^ Sofia ^ p^h folgida *
Del làó splendor «eitttar,-
E le* sorgenti > àpparTero ,
Gode ti creatcl^ ha T^tf. '
L' ij'beo terribii aere ,
Che dentro il suol profondo
Pasce ì treiandtilvj e i cardioi
Fa vacillar del* meiMloy "
Reso innocente or vedilo
Da' uxaraift eorpi uscirà,
iBCDLO ntauaTTxroi Sòl
E .^à ctòmato tà utile •
Aldomator servirci'
Per (ài^ del pondp linoitìnore»
Mirabil cosa! in'alHi^
Va h materia^ le insilH^o
Portala le oubiassako^
Il gran ipròdi^ip imibobilP
I riguardanti lasflia^) >
E di' terrore un pàlpilp*
In ogni 'cor trapassa*
Tace fa' terrà ^ ' • suonAia \
Del. òiet -le vie deserte I
Stan «dille . volli paUSdi^ '.
: E 'mille bocche ^>e»té*; ' }
Sorge il diletto- e V eslari
hi tnètm a ìù spavenlQ ,•
E f pie mal ferini agognano
Ir dietro ili gimnìbt adlenlD*
Paee' e srlensio^ o tiirbiùll
Deh r non vi ^ |>rends - sdi^tto
Se umaner: «alme: iva remo:
De^ le temperte^ il ? regnd. i
Ilattien h neve v'^'-^^^^V
Che giù dal crin ti<cola^
L^ etra sereno e libero
Cedi a Robert che vola.
Non egli 'vIena'Oriwa ^
A' insidiéf- >le^i<^e ; ;
Costa, rimorsi e lagrima
Tentar d^^on Dio U inogUe.
i EtÓHlée. GtàtoiM figlìMsIo ai Saoae.
a Afia te, • Kilos^fi*. '
3 OrisUt* Moglie di BoMa.
562
ìììsm Teseo * ne i talatnl
De r airo Dite H piede : '
PaoHlo il Fato, e in Bìrebo
Fra eeppì eterni or siede.
Ma già di Franeia ttOed^
Mei mar de Taare è liwge;
Lieve lo porta Zefiro,
E rooebio appena il giungle.
Fosco di là profondasi
U suol foggontn a i Inmi-,
E come lavre appaiono
Gita, fiNTosle e 6 orni.
Certo la fistà orribile
Lenirne agghiacciar dovrià;
Ma di Robert ne T anima
Chiosa è al terror la via.
E già raodaee esempio .
I più riirosi acquistn; •
- Già cento globi ascendono
Del ciet» a la conqobta* '
Umano ardir, pacifica
Filosofia sicora 9
Qnal fiMva-mai) qnal limila
U Ino poter misura?
LBTTERATCni. ITaLUSA
Rapsti al del le folgori,
'Che debellate ijinatote
.Con tronche ali ti caddefo.
E ti lambir le piante*
Frena gridato il calcolo
Dal tno pensiero ardito
De gli astri il moto e Torbile.
L' Olimpo e V infinito.
Sfclaro il tolto incognito
Le pia irimote stelle.
Ed appressar le timide
Lor vérgini fiammelle.
Del sole i rai dividere.
Pesar. ^oest* aria osasti;
La terra,' il foco, il pelago,
liO foro e r oom domaslL
•
Oggi a calcar le nnrolo
Giunse la Ina virtute,
E di natura stettero
Le l^gi inerti e moto*
Che pia ti resta ? Infirangere
Anche a la Morte il telo *,
£ de la vita il nettare
Libar- con Giove in cieb*
Moru ii ÌMigi Xf^L
L' Angel ^ coli* Ombra. n|ossérvato e qoelo
Rolla dilè di Iqlti i mali onlrava K
I Teseo tentò eoo l*iritoo di rapif* ProMiiiìna uogfie di Dite o Flalow;
mi lioMto UgffM idataMi» 8ael4 non di«ctw ^ Ercol* • Uli«t»b.
%.Ii telo, li dardo.
3 L*Jjig0Ì 90,, V onkLn d* Ug» BmtìHs (ncaiso in Bonu doV mm itito
•pedita par «aacitani la riTohià«n« > **• in «eaipaipii» d* nn ABgtlo 'm«>
tamplando W fuoeste eonMguttnse di qa«l puid« «TV^BiaMnto. B 9mSÌk ^
•la è il suo purgatorio.
4 NdU città ee, . In Paiigi.
SÉCOliO DECIKOtTATO ' '563
Et proc«c!ea depresso ed inqafélo
Rei porlaoientd., i rai celesti empieiido
Di largo ad or ad or pianto segreto.
E 1' Ombra si stopia quinci fedenda
Lagrimòso il sno duca , e possedute
Quindi le strade da silenzio orresdo*
Muto de* bronzi il sacro squillo , e mute
li' opre id {ioroo, e oitrlo Io stridore ^
Dell'aspre incudi e deHe «eghe argute.'
Sol per tutto un bisbiglìo ed un terrore, .
TJn domandare 9 Un sogguardar sospetto;
Una mestizia, che ti piomba, a! euore.-
E cupe voci di confuso affefto , 4*
Voci di madri pie, ehe gP innocenti
Figli si serran trepitando al petto;
Voci di spose, che ai mariti ardenti
Contrastano T uscita, e sbHe sogUe
Fau di lagrinie intoppo e di lamenti.
Bla tenerezza e carità di moglie
Vinta è da furia di maggior possanza^
Che dair amplesso' conjogal gli scioglie.
Poiché fera menando oscena danza
Scorrean di porta in porta aflaocendatt
Fantasmi di terribile sembianza ;
De' Druidi ' 9 fantasma, iosanguisali ,
Che fieramente daHa sete antiqifo •
Di yittiote nefande stimolati ,
A sbramarsi veoian la fista obliqua
Del maggior de' misfatti, onde mai potfft
La loro superbir semenza iniqua.
I Ih'DnOM «;.. 1 Braidi furono sacerdoti, nnettti e U||Ul«tori pomo
^i antichi, GttUi. Delle loro cndeti.UtUasipm» nelU ipuii fm^^kchnàttifm
9 da Botarti ruwnsft delle vittitne tunanc, patlaao <riaHp €•■.> 4» 6e/. |w^
lib. VI/ t haCUM-t 111). IML»
364 I.STTHUTOAA ITAUAKA
ìb verte li* utùmn «aof «e rosta ;
e l^be groodata^ ogni capello , .
E oe cadca uoa pioggia ^4 vgni «cossa*
Sq«a»aii aliri «a tiuone^ alu*! uq flagello
Di cbdidri e di verdi ai4esj|>^e ,
Altri wi **PP« ^ tosco, abri no coltello.
E eoa <|Bei terpi percntean :lo lobi^oe
E le frooli loorlali , e fea»« toccando ^ .
Cos gli- arsi ti»i, ribollir le «eoe*
Allora. delle case, ioforiaiido
Uaciao le genti « e si feggia smarrita
Da AQtli .1 pHli la ^etade io baodo*
Allor trema la terrea oppyressa e tirila
Da cavalli ^ da rote e da pedoni ;
E ne mormora Taria sbig<mita:
Simile al rongghiQ di remoli tuoni.
Al noUiirno .4el mar rooo lamento «
Al lontano mggir djegU a^piilooi*
Cbe cor , misero Ugon ,. dhe sentimento ,
Fu allora ilJoo, che 4i mOrle vedesti
L^al^ro. vessillo volteggiarsi al vento?
E il terribile paloo erto scorgesti ,
Ed alzata la score, .e al gran misfatlo .
Salir bramosi, i raaniguldi e presti ;
E il tuo baon Rege, il Re più grande, in atto
D^ agno {innocente fra digiuni Inpt,
Sul letto de^ ladroni a morir lra£bo;
E fra i silenzi dell^ torbe copi
Lui sereno mBt\tar h fronte e il pasao.
In ?istà. che spetvar pelea le rapi:
Spetrar le rupi e sciorre in pianto un sasso,
Won le Galliche tigri. Ahi! dove spinto
-1/ Avete 9 o crude? Ed ei v'amava? Oh lasso!
0feiiòLO lyeciHott&to * S65
Ha piangeàil soie di gramaglìa ciato, »
E slava io fcrfse di voltar te Tote
Da quésta- Tebe " , che V arftiica ba vinto.
Piangeraiì Tàurè |)ér Icrrteré ioi'molc;
E r anioafe -del cielo' cittadine
Scendean col plauto aneh* esse \tt ao le gote;
1/ anime che costablt e pellègribe '
Per 1^ causa di Cristo ^e^ di Luigi
Lassù per sangue dlfentàr divinid *. '
Il diiol- di Franerà intanto e 2 gfàfl' llf^i '
HiraTa Iddio dalF allov^ e giunto e ^MVdJlo
Pesava il fato della rea Parigw '
Sedea sublime 9ul trèoàendo trotto-, ^
. E sulla lance d^ ^r quinci pò nea^-
Lealtà sua pazienza è il suo perd^aoo:
DelP iniqua città quindi meltea '■ - • '
Le sceUeranèe tuttev e nullo ancora
Piegar de^ d4ie> gratt earchi -si védea. *
Quando il ttbrtal giudizio, e raltiui'4>ra •
Defl' angamo lu^lice <al6n^ v'impose*' '
\J Onnipciténte.' CigolaiidD allora
Traboccar le < bilance rpooderoàe : t
Grave in terra coz'i^ ki oiortal sorte,
. Balzò T'ali ra alle sfere, e st nascose. • ^
. In quel ponto al feral palco di morte ^ -■ -
Giunge Luigi. Ei v^ alza il gnai'du ,« e' viene
. Fermo alla scala V in^erturl^ato e fiirtd.
Già vi monta , già H > sommo egli ne ti^er,
E va sì pien dì maestà T aspetto,
Ch^ ai'nijinigojcn fa tremar le vene.
1 "Da questa Tebe ec, • I poeti to^oB paragonare' t Tcb« ( «aprM*-dolla
Beotia) ogQÌ - citta mactbhiU di-giUTi delitti, perche quivi ocUa disdeUd^Difa
di Ia\ù fuMnd fumose del pari Aè gnmdi le du>p«.
a LoMéà se. . DivMitftron divtoein cielo- atetide Venato ^quaggiù ^ il sais
giM per la caiua della i^ligione e del re. . ^ . 'l
tmWttAJ* ITAL. - IT 4^
S66 LETTERATURA ITAUàllA
E già batlea furtiva ad ogni petto
La pieU rifiasceote, ed anco parve
Che del furor sffato avria T effetto :
Sia fier portento iq qaesto meizo apparre.
Sul patibolo infame all' improvviso
Asceser quattro smisurate larve.
Stringe ognuna qo pugnai di sangue intriso:
Alla strozza un capestro le molesta,
Torvo il cipiglio, dispietato il viso;
E scomposte le chiome id sulla testa.
Come campo dì biada già matura.
Nel cui mezEo passata è la tempesta:
E sulla fronte arroncigliata e scura
Scritto in sangue ciascuna il nome area ,
?)ome terror de' Regi e di Natura.
Dàmiens ' V uno, Ariiaslrom T altro dicea
E l'altro Ravagliacco : ed il suo scritto.
La quarta colla man si nascondea.
Da queste Dire avvinto ii derelitto
Sire Capato dal m.iggior de' troni
Alla mannoja già facea tragitto.
E a quel Xx insto stmll , che fra ladroni
Perdonando spi rara, ed esclamatido:
Padre, Padre, perchè tu m^ abbandoni ?
Per chi a morte lo Iragge 'anch' ei pregando,
/II) popol mio, idiGea, che sì delira,
E il mio spirto, Signor, ti raccoitfiando.
In questo dir con impeto e con ira
I Damiens ( Francesco ) nel gioroo x5 ffpnajo 1757 asnsiinò Luigi XV.
AtAastrorii feri mortalmente Gustavo Ifl» fé di Svcxia, nel giorno 16 aiano
Vi^ Ruvaillac ( Francesco ) ai l4 saggio 16x0 ucoise Enrico IV. U quarto
« ucciso^ ^i $nj>co III. Chi fosse, costui si raccoota a pag. ^ di qneslo
ìrolurae j e dascuno potrk indovinaco perchè il Poeta al»l»ia immaginato die
.H.nasFoofless^ 11 jjbonff colla wa«o. £arico 111 fu ucciso. Bel primo del-
l' agosto ^589.
Uq degli spettri sospingendo il tenne
Sotto il taglio fatai ; r altro tei tira. '
Per le sacrate anguste chiome ti tetone
La terza Fnria, e la sottil mdente ' " '
Qaella quarta recise alla bi penile.
Alla caduta delP aceiar tagliente '
S* apri, tonando il cielo, e la terralglia
Terrà' si scosse e il tu^re orri bti mente. '
Tremonne il mondo, e per la roaraflglia
E pel terror dal freddo al caldo polo
Palpitando i potenti alzar le cigHa.
Tremò f^evante ed Occidente. Il sola
Barbaro Celta,*, in sno furor più saldo,
Del del deriso e della terra il duolo* '
' -.1,
GU AngeU sUrmùiatorL >
Ecco aprirsi del Ciel le porte a manca
So i cardini di bronzo, e ana vir tilde ■
Intrinseca le gira e le spalanca.
Risonò d'. un fragor profondo e rode
Dell^ Olimpo*^ la TÒIta , e tre, guerrieri
Calar fur visti di sembianze crude.
Nere sul petto le corazze, e neri
Nella manca gli scudi, e nereggianti
Sul capo treraolaTano i cimieri.
E furtive dall' elmo e folgoranti
Scorrean le chiome della bionda testa
Pc^r lo collo e per V omero ondeggiante
La volubile bruna soprairvesta
Da brune penne ventiiat» addietro
Rendea romor di pioggia e di teoApealab.
Del sopracciglio sotto inarco Mto
1t MmehmU* LatiauBio, per Cmrdm*.
$61 UTTBBATCRà lTAl.fi|IIA
UacKia lampi dagli occhi j ascia pamra ^
E U-facfBÌa paraa l»olleQt6 Tetro.. ,
Qoesli-, e l'altro cattipk>D je4ato a cora
Deir ef Imto Ltiigi , Ajngeli sodo :
Di lerjrprc^ di morte e di sTentara.
Venir son osi dell' Eterno a! trono
Qaando ai cruda al mQrtal volge la sorte,
E, roap^pe la ragion del suo perdoopw
D' Egitto ' il primo V incruente porlo
Veiy arcana percosse orribil notte V
Cke fin de' padri le sperante mortew
L* altro * è <|uel che sol campo estinte e rotte
.{fasciole forze che il superbo Assiro
Contro ranulo Gioda avea eoodollje.
Dalla spada del terso 1 colpi nsciro^.
Che di pianto sonanti e di rufna
Fischiar per 1^ aure di Sfon s' aJiao^; •
Chiariddla provocata ira divina
Al mite genilior fé' d* Ah«afone
Caro il censo costar di PalestiiM»
L'ultimo >^ fiero .Tolator. gareòno
% D* Egitto ee. t Aèccniia h motte de* prìmo^oitt hi E]g^to tTrennta 'a
una sola botte , «piando, Facaoiie :<roleta impedire a> Mosè 1» lil»aniioae de<
gli Ebrei..
1 t' altro te, . Ài tempi, di Esechia , r« di Giuda , il ce ^* Assiria Sena^
cberibUo. assediò Gerusaìemme «òn' i8S,òoo uomini ; t' quali morirono taUis
in una sola notte^> -sterroiiuitii à^ un Angelr*. V. -.il libk. ir» e. 19 <W Ke.
3 Dalla Jtpa^ del 'f^ ^** ^^^ li1>. .1" dei B^, si (acconta -che aTeod»
Davide , padre di Assalonne , fatto numerare il suo popolo pei; superbis ,
• • •
oc fu castigato' ila. ^Oidclke gif diede la scella' 'fra ?a fìimé*, )a guerra e la.
peste ; ed egli elesse la pest^ , o p«srcb^ quesl^ più facilmente po^va col^
pire anche lui , ovyero (- come dice il testo ) perchè volea piuttosto cadcie
Dolle misericordiose mani di bió , che in quelle degli uomini, paride nsd
•alvo da qu^l.'idgptta ^ ma uMlsf morto de** suor o nb*^ rimorsi- t:he o* ebbe ,.
pagò cara la vanità di p^ cei|fO«
4 1/ ultimo te,. Nella visione d* Eaechiello , cap. ix , e descritta Tap*
parisione di questi Angeli ai quali era comandato di «cadere dstaaqno non
era segnato in fironio col TAaii«i II Monti stesso scrìsse ia bette tenine 9W"
sta risione..
DlCIHOTOfO' 569,
. Uoo è de'^el, cai vi<ie T accigliai» >
^ Ezechielio arrivar éMV AqoHaoe ; (
Io RiaDo aveoti uao ttocd^- affilato 9
E percoteali bgiiiivi, cbe per la ria» ^
Del Tàu la fraole no»' wcdcan seggalo*
Tale e tanta dal del sé oe teoia •
Dei fMTooello^ A^rcangeli* poasetfti
La terribile- e nera* campagnìa ;: •
€onie groppo' di fólgori cadenti
Sotto poToro^ eid , ^oaildo sparut«
faccioB» Je stelle , e fremoo' T onde o»l Teoti..
Ippolito Piudshorts. nato in Verona- Ur i3 di noYomlite XjSS, mori a* 18
pur. di- noYembco deUTaBoo iStSI
J Giardini' inasti .
Oh cbi mr Iei« i»> alto^ e chi mi portn*
Tra qaegli anneói ^ dUetiosi^ immenli
Boscherecci teatri T oh. ehi mi posa
Su qoe' verdi tappeti, entro quo" foschi'
Solitar}. ricsoreri , nel grembo
Di quelle : valK ^ ed a qpo' colli io retta ì
Non recise colà bellica score' .
Ii<e ^(ooondfe oaibre-, i eonstietl asili
lià non cercare invan* gli ospiti augelli ;
Kè primavera s^' ingannò', veggendO'
Sparito dalla terra il noto bosco ,
€be a rivestir ven^a delle sor froiidi»
Sol oeHa man del giardinier solerte ^
Men^ò lampi- colà T aento ferro ,
Cbe rase, il prato, ed aggqag^ti^Uo ^ e j rami^
Che tra lo sguardo e le lontane scene
Si ardivano frappor , dotto corresse.
Prospetti wgbiv inaspettati inebnlri ,.
1; Solente Itkicut» é. ài^^ttXAt
570 UTTCniTVRA FTlElillà
Bei nstieri- ^ antri fresdil ^ epachr seg^ ,
Lente acfnc ^ i^ mote all'erba e al fiart 10 aieui
Precipitanlt d* allo acque iMwnli,
Dirapi ili sobliné ovcar dipiati ::
CaanpO e giardini^- InaMh arndtla e. agrette
Semplicilà^ quinci ondeggiar 1» messia
Pender la capre da na' aeìMia babà ^
La Talle; magolac , helaiie il colla ,
Qniod mamoreo towrai V onde sn ponte-
€anra«sire aa lenpio Uancbcggiav Ira il reràcy
Slsanieiie piante vfroadegf^r , cho d? ombre
Spargono americane il snol britanno ,
E tn ramo , che avea per allri aagelli
Nainra ordito ^ a iigei cantar d* Europa r
Mentre superbo- delle arboree corna
Ya per la selta il cervo, e- spesto il- capo
Volge*, e li g«Mrda; e- io mezzo atf onde il cigno»
Del piò- fa remo , il collo^ inarca , e- fènde
Ih* argenteo lago ; cosi- bel soggiorno
Sentono i bruti stesti, e delle selve-
Scnoton con- islopar la cima i renlt.
Peh ! percbè* non pass' io- tranquilli passi-
Ri uovere ancor per quelle- vie, celarm!-
Sotto r intreccio; ancor di que' frondosi-
Rami ospitali ,. e udir da lunge appena
Mugghiar del mondo la tempesta , urtarsi^
L' un con tra F altro popolo , corone
Spezzarsi e scettri ^ Oh quanta slr^ige Y oh qnaatt.
Scavar di' fosse e traboccar di' corpi ,
E ti condottici; trafitti alatr di tombe !.
ti uomp coltQ. ed, amohiU»
]^a già nel sen più. non. ritengo il* verso.
Che impaziiente a te, Panjllo ^ Y.o)a.,,
A: te 4 odf «OH d' W Mnìlit» tatt^nnìo v
Cha H mb-eoofovlo foroM e il ornilo imlo.
Creder .-potrai cbe 4il fere ra^ fedii olùragg:ioi
FnvelfiiBdo di le y se per V amore»
Del fer 'ItfTappmrla ch'io- M |miic^ì ih» gìofiio?
Tu di Sofin ' IM>D me», che salie braoda
' Delle 'Grazi* Bodqrila^e delle Muse,'
E de DOt«li]ng0- io eJlà verde a<fd«tloV
' . ' Nop » .Taiit pi«eer\<Bia «{«ìeìII» eoabi ;
Cercasti , onde prìi 1' aoui s' abbella » eresce.
Quindi i folumi , Ina deliKia, chiasi,.
Monti leggier-f^lesli » e- valli e tikhtt,
' SofiiÉ* stèss» per maao> allor ti prese, ■
E oiosIraiKki ti f enae angolfr e seni ,
' Roece e {mòdici , e d* ogni sorta (elfi ,,
Femiei spente ed iiupìelfftli corpi,
'Ed» Tèti e VtiJcaa ' T opr» e' del tempo.
Né naea la Dea per lé^^dtlè ti* «eorse-.
Altro mostrando a te che mar» ed ascM,
' E su bilanci» d^ òr le sapieoie
De' popoli diversi e le fuUie
Teco» pesando* Dotto, e noa lo<{aaee>
Arguto e non ferribilè, cortese
Seoxa menzogna , e seni' audad* franco y
H bello a celebrar lento non fosiS ,
Domnq'oe a te s-' oflbrse ,. e oséeli a mol ora
Centra le frecce dell' estranio labbro
Farti d' Aasoaia riverito scodo«
Poi, come il saggio figlio- di L&erte*^
Che tea gli- agi stranieri e le- caresze ,
Non sospirava che^ mirar da presso
D' Itaca sua le biancheggjanti rapi,.
I* Vi Teti e Vulean, Del mart e del (uoco*.
» Comu il sag0io «f— Comft. VlisM»,
&7a
LBTTSftifraMl IFiMMUt
E U folfeoteti Al IM famo d«i« teHT;;
T« por 4 fadde alla <aa patriai- e al teis»
Férnio delle tentoaiche Càiipi»,
Ferma alla Circi delle ^aache aelvr^-
•£ alle 'Sirene «del brila»pai taAre-y-*
Eitomailt ftoiaDeora Italo e miMPo^
€he da noi nan^Matittl^ nl3e. al feeobia
Padre pia anaara^ ad ogni eòo» piò» acoelto ^
taceoMudo ai nalvagi ^ e • ne pibi aaro^
•
. la Meianeenià*
m % *
, JSelaaoonia ^
NLofii geotib-r
,JLa vita mif
Consegeo a., te.
li mei piaceri
,€bt tièoft a TÌle,.
ài jpiaaut vere
Hate ttoo^ès
O' aotlO' nn fiiegio'
Io ti- ritrova
M ealdt» raggio*
IK bianca- t^iel ;.
Blentae it pencosiK
Occhio' non moTt
Dal freltoloso*
Noto rasoel :
O che iti piaccia
Bi dolce* Lon»
L* argentea faccia*
A*Oorcggjar v
Quando pel petto*
La notte brnna<
Stilla il diletto.
Del meditar;.
Fontr e coiti
Chiesi agli Dei r . .
M* ndiro* alfine 9
P^go io aivrà.
Né mai '^el (bnle^.
Co* deiir nNei>
Né mai ^el nenia*
TrApasierò»
Gli ooor che tono?
Che vai ricchezsai^
I miglior 4otfo*
Voromene altiort
D^ nn' àlf»fr pnraV
Che la beUe^aa
Della Naiora
Gasta e del ¥er*
Ne può di temp0e •
Cangiar 'mio lato t,
Dipinto sempre
Il ciel sarà%
Ritorneranno
I fior Del prato.
Sinché a me raon»
Ritornerà.
Non rinarrai, Più dell* attorta
Na, tutta so{ar Chiomate éA vataxào
Me ti Tecfrai Che roseo porta
Sempre vici»» . La Dea ti* Amorfa
Oh come è belfo E del vìvaee
Qae! di viola *Suo sguardo, oh i{a9tit4
Tno manto, e quello Più il tao mi piace
Sparso tao cria ! Contemplator !
Bti guardi amica
La toa popitla ,
Sempre , o pudica
Klnfii gentil;
E a le, sofive
Ninfa tranquilla ,'
Pia sacro il grave ' '
Nuovo mio stif.
«
Cnn.10 PiATiCABi nacque in Savìgnano addi i5 d* agósto 177^ » da' illtt<^
«tw fan9Ì|Ha. di Pesato » e n\oii. nel gjlngno; del. i8aa«
Se si debba scvwere nella sola lingua del Trecento,
Primameate speriamo ^he i prudéati leilovi voi:ri|nQO
qui gittare questo saldissimo fondamento = che le solita
lare, cioè, sono ordinate a* coetanei ed a* posteri, e Don
a' defutkti. =: E certo sòlamenle .colui che slaneò d^^^ vivi
volesse scrivere pe^ morti, e guidato dalla Sibilla gire.al*
F Eliso, Jd colà recare i suoi libri ,..<:olui solo davr^bb^
acriverli al solo mcido de^ vecchia- e tutte (uggire attenta,'»
sente le parole di nuovo trovate , per timore die' quelle
sante, umbre non potessero ora intendere quelle cose (hiv
^ in vita non poterona udire. E questa consigjia sareiphe
a que\ morti . carissimo , e a tali .scrittori neces^rìo. Ma
chi scrive a* vivi , come pur tutti facciamo, chi scrive no«
drito di tante belle eJ alt« dottriue che dòpo quella età
I
I
$74 LETTSftATimA ITAUlIfA
ioprat TeoDero , e dopo sì granili e magnifici poemi che
ne* seguenti secoli si cantarono , conoscerà che non tallo
Toro delP italiana faTella li trovò ne* confini del Trecen-
to : ma molto par ne scnopr irono V altre etiÉ : e fu oro
si bello e tero che non potrassi gittare giammai senza
oltraggio apertissimo di tatti que* classici che sono V o-
nore e il lame dell' italiana Repnbblica. Perciocché si la-
aci qoel che dice Boezio =i che alio di munissimo in-
gegno è sempre usan le cose trovate e non mai trovar»
ne "=2 egli è par certo, che per tale consiglio questa fa-
fella di ricchissima che ella è , si farebbe la poverissima
di tnlte r altre. Perchè dicendosi d* usare quella del solo
Trecento , bisognerebbe aggiugnere di voler poi lasciarne
tutte quelle ree condizioni da noi di sopra considerate ;
e con questo direbbesi di volere scrivere con nna sola
parte d* una parte della universale favella.- Conciossiacfaè
parte di questa è la lingua del Trecento : e parte di essa
parte è qoella che si sceglierebbe onde schivarne le qua-
lità già dannate. E per tal modo, qnasi fosse poco il tv^
trarre P idioma dair ampio cerchio di cinque secoli dea-
Irò le angustie d' nn solo, si tornerebbe anche a restrin-
gerlo in pia brevi confini , che già non era ncil» stesso
Trecento.
E miserabile veramente se ne &rebbe la nostra condì-
tione ; qnasi fosse per noi destino il vivere da schiavi aem*
pre; perchè, usciti così di fresco dal servaggio delle stra«
mere voci ' , dovessimo ora cadere nel servaggio de' morti.'
Ha perchè incurvarci a si strana catena? ridurci a sì nuova-
guisa di povertà? far vane le cure e l'opere meravigliose
di tanti ingegni? e spogliarci di tanta pompa? e tremare
in nudità maggiore che non f» qiiella 4» vecchi ? Que*
sto eì certo è consiglio non da ppu<ÌeBtli t: 4^ la Attm»
. I straniere voci, I vocaboli • I« (nii (raccesi che molti Il^ani tal Ibire
dd Mcolo séorso ialrodnieeTaiiQ atSe kwo lerittnro.
SECOLO DCCISIOTTitO SjS
e àtiz! simigliaiile a quello di colai che volesse farci dlmeit*
I ticare i Tetlali^ le porpore e le delizie tolte dell' Italia
; Tivenl^, per tornare a cingerci di ctiojo e d' osso , come
„ già facevano Belliocion Berti e la donna soa '• Questo
I non sia ; che come tra' vivi ci restiamo , cosi scriviamo
, pe* vivi t e per essi adopreremo tutte qaelle voci e quelle
» ferme che ora da' letterati si conoscono per buone e no*
, bili ; e spezialmente quelle che , poste negli scritti de*
. grandi, fnrono poscia da altri grandi imitate. Né permet«
j feremo che di sfregio si disonesto vadano ofiesi i sapienti
, autori del Vocabolario, che non dal solo Trecento, ma
, da tutti gli ottimi di tutti i tempi tolsero e tolgono queU
r ampio tesoro che è aperto a' bisogni dell' eloquenza 4
ed a mostrare l'ampiezza tutta, e la forza di questa mi«
rabile ed ancor vivente favella.
E finch^ ella sia vivente si potrà sempre accrescere :
tuttoché la licenza «e n* abbia a concedere con grande
parcità ; e deggia poi farsi io ogni giorno minore. Im-
perocché quanto più s^ è ringrossata la massa delle voci,
tanto più la favella é salita verso la sua perfezione ; e
quanto più ella é perfètta ^ tanto è maggiore il pericolo
che le voci nuove sieno o inutili o avverse alla natura
di lei. Ma perché quelle cose che ancora non avessero un
proprio nome che le significasse, si hanno a significare,
i sapienti Accademici della Crusca nella prefazione at Vo-
cabolario hanno promesso che saranno registrate anche le
▼oci fiiture , le quali fossero di buona e necessaria ragio-
ne. £ già nel 1786 elessero consiglio d'indicare molti
autori da coi molte si togliessero. Del che sia lode a
quell'Accademia cosi famosa: né sappiamo quindi il per-
ché il Taiente I^imi , che por Toscano era e si tenero
«delle glorie della sua patria , dicesse : il f^ocabolarh es^
I Dtttte^ PtfrodìMj' canto XT.
À
$7^' LBTTtRiTCrBi ITÀLIàllà
itre coaépilàto ^ùasi /asse di Ongua moria» Perdièr^é il
dice iale per gli' esempli pòsii soUo le voci 5 egli -daBoa
uà sossidio bellissimo agTi scritlori , e il flaigKor modo per
cui icòDoscasi il «ero preeso» delle parole 9 e T twica vìa
per che si scaopTaoo ì naturali loro collega raenli* Ma ae
dice il Vocabolàrio» essore coinè di lisgaa Dioriti , crédendo
che HI quello non. si vogliano altro che' le voci dèi mor«
II, egli è dèi parr in erfore# Perché anzi in essa -prefa*
sione si legge <* che V Accademia; ha seguita non la sola
autorità , ma eziandio /* uso , come ««igoore .delle Svelle
vive: tale essendo la natura di queste > di poter ' sempre
arrogere nuore voci e nuovi i significali .n, Non istareoMi
qui coi più rigorósi a cercare fino a qtial ponto sia stata
messa ad cffeilo quiesta protestazione; ne quale sìa fuso
seguitato dall' Accademia; ruBÌ«ersa]e>-ò' piuttosto il par-
ticolare. A noi basta, il vedere • chMIa sàpienteòièote con-
corre neir assioma di. Dante; Càe io niello va/gare se*
guita.uso, e lo latino arte* ,Cìò è .a dire: che la sola
arte suole adoperari»i .- quando una £ivella è già liilta estin-
ta; ma fin ch\el]a vive . non . può tanto seguirsi 1- arte
eh* ella si divida dplP uso. Per. la qual cosa noi qui ar-
ditamente aflermeremo che lo scrittore è come il Priad*
pe , che non regna sicuro se il j>opolo noi possa' amare:
e- come non si occupa mai felicemente il trono- col solo
popolo,. coii né anche senza il popolo si'può lungameate
tenere. Questo intesero e intendono gli scrittori classici
■di tutte le nazioni e di. tutte T età. K è Cicerone e Vir-
giiio amarono tao4o i loro avi, che per quelli: spregiai
aero i coetanei: scrivendo orazioni e poemi colle sole voci
di Catone e di Curio, ^'è Catone, né Curio medesimi si
.wano parliti dall' psauza de* foro tempi adoperando le
i>ru|te voci de* Fauni e Torrido numero di Satarno, «
la favella che si parlò quando le vacche d' Evandro mag^
givano ^er lo foro romano. 1 fondatori dell' eloqnepxa
Ultaailteatenhiò anch^ tosi di farsi nobili ^ siccome il ten-
ttoroBO sempire.liiUi i maestri della nauoDi nobili. E grande
la LèYÀo.AndroniicQ e Plaulb, che detto era Ja Masa de-
0inia; rOiLiieiUo; che^idrenlò la Salirà; ed Ennio da Ta-
f4»l6 ) che ristprò 1' Epicfa ; e Lelio e Cecilio , che con
albissimo ^nimo recarono la Tragedia e la Commedia greca
ani .pqlpit^ di Ronui. Ma comechò Terameote costoro fon*
4ad|$ero favella e stile, e fossero creduli Classici, pure e
CìeerQiie e Celare e' Lncrezip e Catullo e Orazio furono
venerati -aoch\ essi come maestri del dire: e spezialmente
quando arricchirono il patrio sermone colle doTÌzie de'
Greci. Gli eccellenti Italiani adunque si -mossero a fare
il simigUante:' videro non essere possibile le cose epiche
e le ppUtiche scrivere colie sole parole de^ padri loro:
lokero. il, fondamento e le norme dalla vecchia favella :
nnlia .mutarono di ciò che era buono e pronto al biso«
gno: ma dove la conobbero scarsa per cantare armi ed
-eroi, e per dipingere le Iremeode arti dei Re, recarono
nella . loquela tutte quelle dizioni che a bene spiegare si
nuovi ;ed alti concetti mancavano. Cosi al modo de' saggi
coltiratori fecero più bella e magnifica questa pianta, le-
gandole d'intorno molte vane frasche e dannose, reciden-
done i riimi già fatti secchi e da fuoco, e innestandoti
alunni ^Itri tolti dai tronchi greci e latini: i quali subito
vi si .appresero , e tanto felicemente si fecero ài tutto si-
mili, al Irooco italiano, che più non parvero rami adot-
tivi,, ma naturali. Onde visti quei fruiti novelli, la fama
gridò ottimi e classici coloro p^r cui si produssero : e li
.pose, al fianco del Petrarca e di Dante e di tutti i pici
.aolenni maestri. Non si può or dunque più gittare, ma
tulio deesi adoperare che fu materia a quei libri, i quali
..diirerajpno $nchè vivrà memoria 4i noi. Che se si dovesse
scrivere oella sola lingua de' vecchi , non solo faremmo
.danno alla copia dello stile ^ ma ancora alla. ni^stra glo-
S^t LETTEtlATHBÀ ITlCnVi
rr». Im perciocché si conTerreb>be' dire e gMicsMse ioipfr-
fèlli tutti gli autori che Aal Trecento iofifto « qneada età
con intelletti sani ed a ivi me dignitose scrissero, o poetan-
do, o perorando, o filosofando. E se poi senea questi si
dovesse venire al confronto de^ Francesi , degi' Inglesi ,
degli Alemanni, noli arreaitnò nti* epopea^ non QDa sto-
.ria , non nn trattato di filosofia cho s* avesse più ardire
di chiamar ottimo. Gisi al cospetto ' dr quei* nobitiKirai
popoli noi, svergognati è quasi mèndichr, vedremmo qne*
sto superbo idioma, tòlto dal primo seggio a cui si iti*
mava innalzarlo, tra gli ultimi confinarsi; e noi rima-
nerci senza V onore di quei libri onde vinciamo la gloria
di molte genti, né siamo ancor secondi ad alcuna. Ag-*
giungasi che, salvo la divina Commedia, il Decamerone
e il Cantoniere , gli altri volumi del Trecento saranno
meno validi a sostenére la guerra del tempo , e ne* lon-
tani giorni saranno o già perduti o nonr Ietti: ed- aitimi
potranno mancare nella memoria dei tardissimi posteri
questi poemi del Furioso e della ' Gerusalemme , e queste
opere di filosofi e di gravissimi istorici , perché di tanto
ci fa fede la f/ima che n' nscì non pure all' Italia , ma
ai termini della Terra. Quindi le cose 'scritte al modo di
questi autori saranno sempre piti lette e meglio intese,
e più durevoli e più carena qn^^nti amano Italia. Come
dunque sbandire i preziósi vocaboli in tanto preziose carte
riposti? Chi sarà così folle che voglia petsuaderci ad ab-
bandonarle ? e chi si valente che il possa? Direnao anzi
dbe il popolo , usato a commuoversi alla maraviglia , al
tevrore, alla pietà nel leggere questi' autori, accuserebbe
di freddi e digiuni coloro cho non adoperassero quelle
voci, quelle forme, quegli ai'tificj , quegli stimoli onde
ora egli é assuefalto a sentirsi dolcemente rapire, come
per incanto , tt cuore e lo spirito. Che sé Ih questi piò
koovj libri Siene talvolta alcune guise non' belle,' e al*
coae «voci DOD^ elette,. «p^Ale iioi>,$9gnan si: afìzi si gciar«
dioo come colpe? peirchè^ Mcceme^gìà dimoslraiiiitio^ niil-
ftoi^ ptflT. quanto sìIeisì eecéllenti^rwot, dee' stimarsi mai ifl-
teramenle Imoefiaiato., Non? tali però 91 credano tntte le
CO0Q che appieno non rìspcMtiieMero 'poini,§li , antichi. Ba-
sta che q«este sieno. state aecolte per > baone dai buoni ^
e imitate da* ioro^ e. pev tali- leniate neli^ unirersale 9 e
costantemente. Percioccbe stimiamo :ché della Itngna af-
fetto n afvert. ciò ]che ' di tnile liei umRoe cose affermafa
Pitagora s • Quetf» , cioè, esser vendi eie fsi repuia vere.
- , ÀRTOHie (IssAHi , Veronese , mori d* anni 67 a San Michele nei dintorni
£ BavtiMMi U primo gràrno d* ottobre 1928*
Del modo d' imparqi'fi la lingua.
Sgli è da pigliare, oa Classico', come il Passavantii
leggerne. OD periodo o brano non troppo lungo, da po^
tèrne rioerere e ritener tdtto il senso. 'Ricevuto nelle
isente il- concetto, chiodi il libro; ed io uo quaderno da
ciò* ,isrrin la cosa con qae' modi che t4] puoi' trovare
Buglidri« Fatto questo, di éontro al tno scritto, copia ii
b^anQ mledesimo del tuo '^autore. Iodi «paragona questo
col fino a parte a parte ^ notando eiascqaa TòceV^erbil
od uso di particelle, allato allò scritto,' Ino*. Vedrai- al-
kìraj^ceoie la cosa medesima potestà (dìr4J troppo. mèglio,
più' propriamente b don maggiore firacità che 'tu' non hai
fiiUo» Questo raggoaglio ti sci^l pira nella' memoria le ma-
Biere fanone e proprie ; sicichè dovendo 'tó poi esprimere
lo stesso Ooncetto , potrai farlo con maggiore aggiusta*
telsa ed deganza.. Tira ihntfnzi : leggi on secondo brano,
e facooltone il senso, chiodi il libro , e scrivi co'tee la^
Ina scienze ti da» CopFa di contro, cpme prima, la parte ^
del -leslett vaggttaglia da capo; troverai aiérr bei osodl,;
S8o htTtt%kt€mk IVÉMÀkVk
Tod « Terbi éA osi che la nàn 'sapeti , 'ed erairo' trtippe
migliori ! e qoesti pare ìvt atrai impairdto. Scoila per
la tersa, e per la qaarla joIUl il medesimo leggere, espri-
mere di tao capo, copiare, e raggoiigUare l'ooo eoli* al-
tro ;eónsomamlofi QQ^^ora ( non 'è gran cosa ) , té avrai
per lo primo di raccolto è aeritfo io meate iiob- poobe
bellissime parole ed atteggiaioieiiti e 'cestnitti*, a temprimi
igooli. RinaoTaodo questo esercisio il giornb segoedle ,
imoTO tesoro di altre belle 'tonniere ti verrà raen^Uy: ti
toroeraoBo sagli occhi le' iuedesime cose botate il di
a tao ti ( il che te le ribadirà ìq testa ) : ne scontrerai àU
tre di noove, e per questa via, alla fine del mese tu li
sentirai pronto a scrifcre le cose medesime troppo me-
glio, che il primo giorno boa avresti saputo fare. Ora
continnaodo là qacsta prova ogni dir^ é dò per éb aQ«
Bo, cioè per 3&5| sgiorni; ed' avendo Ja ctaacnn d* essi
iósparato naove voci, costruiti , 'maniere, '• le teechte
ricalcate, nella fine to troverai aver ragadato assai 'ricco
lesnro di eleganze italiane. Or questo modo ini' par |nìl
ntile, a fartele rfcaver più addentro, ed a renderlele piti
pronte al bisogap di usarle; che non farebbe- leggendo
la qaelie frasi «piceale, una perdaa,: ,da' 'che - il liega*
manto e là cootinuaaioii del discorso, al ^oale erano ne»
aauariaiiieQfte legate, te ne fa sentir più vivanaente la
ibrta e If òso , a megUo ne vedrai la bellczaa, lat qnàle
risalta appunto òaS* essere cosi = incastrate o incaatooale
eolie parti del discorso: e tu' le vedi appunto cosa' com-
poste , collegato e ordinate : e cosi dietro alia tua ragio-
ne, che ti fa seslire il diritto legamento ^1 discorsocela
aeati allresi la vaghe2£a,*il brio*, la proprietà e la Idee
cbe gli è data da quel!' armonicor ^ e dileàevele aocesta-
mento: a per questo aseazo 4eà sémi^'- che in n» «ifai
più vivo e risentito , si scolpiranno più fonde nella me-
moria : code poco saprai poscia scrivere ^ ohe ago- sia ti*
MCOLO DECflIOTTAVO . 58 1
Olile 9 e BOI» seota di «laell^ forine di dire, ed in questa
pratica f effai di gioroQ io -^ieriio ^ i^ccpiIstaDdo» Nod . so^
federe parlilo- ed ìn^goo , per imparare la iiogua^ .piì%
olile e pronto di. questo. Beo. è certo, ohe no toaesiro e
solenne scrittore , piò accertetameòte e tritarneole soppe-
rirebbe * a questo serfigio y facendo notare al suo. disceote
ogni cosa, ogni cosav secondo: che gli cadesse ;tf» mano; ma
q<ietti maestri non sono troppi , • oè credo che ne^ vostri
paesi , o amico ^ ^ ^efaliano esaere^moiti. ^.dunque ci cqa-*
lenteremodi q«eÌlo, senza più, che ei dà. il tem|Mi ed
il luogo. Ben vorre' io, cl>e k> scolare, alroen per an
anno , non leggesse mait aÌkro che seriiteri de* ooaùpaU.;
che certo per 4ao{^ nsar odi mi^nafo , V nomo ne t^roa
infarinalo^ Non i^do poi -.esser > bisogno, avvertire, che
dicendo io lingoa.del lr»cettto , non in(eiid«^..4i dire le
voci !0 maniere M»tìea|e e dismesse t- essQodo uoip 6ao a*
fanciulli, queste essere state già ripudiate, e uo^- av^re
più corso: come eiriaodfo ìa! Plauto assai vo ne ^od,. Je
quali al presente nessuno osa: né per qneho alcuno di-
rà, la lingua di Plauto non essere pretto oro»
Imprati\:hito cosi lo studente della sua lingua, io ver*
rei confortarlo al voltare di Latino in Italiano ( non dico
dal Francese, che si guasterebbe) exempligrazia qualche
opera dir Cieerooe. li tradurre .ha que^o gran vantaggio^
toppa lo scrivere dj sao capo, cbe spesso 1' uom s' abbatte
a tali luoghi dtell' aator .suo, a* quali voltare non ha le
parole cosi pronte, né i\ modi cprrisp.oodenli. Allora' egli
è messo ai punto di d<>jrer isiprzare sé. stesso a sbucarli
dondecbessia ; e friigaod^ e assottiglia n dosi , le più volte
gli trova: e ciò. noa è piocol guadagno. Questo, 'guada-
gno gli fiillirebbe , scrivendo a sua posta a perche occoi-
% O onifco. Questa prosa è parte di afia I«t|Mt d«l Ctsari all' ÀlgaroUi
ch9 trovavasi fuori d* lulta*
4»'
5Aa LErr^inm«t ir&iLtAiti
féadogrr dir coi/i , aHa quale esprrinere non hft pront»
h' fOce od il verbo, e^ii per oesfAT fòtiea si volge ad
iln akro concetto , én) gii sì^ agevole trovar vocabolo o
Mio^ che ben rrsponda. Or chi stiis di ben. p«dtooeg«
giar la* sna Kingoa , e &rhi tri ogni tua uopo servire «
fton isckifa travaglio » e si mette da se 'tii«()esinio nella
ttecei&Uà di dover cinienlar le .ane forte:' ed a ciò fa ^
Ééiaa fine i4 tradorre. Da oltiiBOy a ijnainoqoe grado di
perfezione si senta V nomo atrivat^ nella sna lingna , noa
lasci arragglnire la penna t nw scriva tnttavia* Gli atti
ft^oenti perfezionano T abito ve per assai .scrivere ap»
jpeoaalaniente e bene, sì arriva a lirloi vie troppo me-.
gKo* AggioAga la JeUura cootinim de* Classici;- testa sem-
pre qualcosa da ioipajrare» ciascuna agriitore ba propr^
modi e maoìeFe : e uno le ne dà alqtianle^ alquante t»
ae cavi da uà altro ^ e ta della vicdbena di moki dèi
to(er Irasricchife.. Cosi ba' làlto e fb ia medesimo; e
éredòi Qioriire con in mano i Fioretti * od il Passavaali.
V<M» Foscoto* tmoifpe in Zaate nt^ 17781 sebbeo» aleiifii lo. dijcaD nato ia
yeaesia. Fece i tnai «tudt sia dalla fiinóiuneaaa la ItaKa, e fagro&ssore di
^loquensa io Pavia. Morì poi a. M»Ità ael 1827.
ffatizia intorno- a Didimo Chierico ^,
I« Un. nostro concittadino mi* raccomandò., mentr' ta
militava fuori d' Ilaita.^ tre snoit naanoscritU alfincbè se
agli uoininj doUì parevano «f^ritevolt della stampa , io
vipatriaodo li pubblicassi. Esso andana pellegrinando per
trovare ihv' università , •« dóve, dliceva eglii, a' imparasse
i|. comporre libri utili per chi* non ò- dotto ^ ecl inno-'
centi per chi non è per ancbie cotroUo;. da che lotte le
. 1 Fa. tìiova. • • .
2 / Fioretti di stM JPrancesco 3,, de' quali- trovai UA Mggio net voi. I»
. 402 « seg. di questo Manuale.
3 Sotto questo nomci il. Foscolo descrìve se stesso..
>eC€iLO DBGIMOTTAVO %iÌ
dCfioìe d^ Italia gfi parevano pieoe o di ifiatem#tici,- 1 qoali
ataoflosì saalì s^ mteiKtevancf fra di loro; o él' gratinisi*»
liei ehe ad èbe grida ìnsegiiàvaD^ il bel pwave e no»
ti fasciavano itìteodere ad* anima nata; b di poeti chQ
impa«xaTaoa a stordire chi non "li udiva, e a <ftre il
lienTieHiìiìto a ogni kmoro padrone de^ popoli , seh^a far
né piangere né ridere il monìlo ; e pcrÀ eome fa Itti no*
jost, fnroiio pi» ^ustamente' d^^^gnì aliro^ esiliati da So*
crate, il quale, seeoado Dftdime^^ et*»- dotalo di spirito»
profètito , speciakienle per le cose che accadsiMio alP- età
nostra. -*
IL L' ano de* niénìoscritti è ^i fofse treftt» fogli col
(l^olot Diitytnt ekritt prephetce rmninii ffyperettlypsèos,
fiher sùtgularisr e sa di satirico. 1 pochi a' quali lo la*
selal lecere , aUe volte ne risero ; ma non s^asaumevano
d^ Interpretarlo. £ nti dispongo a lasciarlo inedito per
«ttQ essere liberale di O0|a a nàulli lettori ehe forse non
'penetrerebbero' nessoora delle treeentotrentatre allusioni
Yacchìiue itt- altrettanti versetti scrittorali , di cui Topo*
scoletto è jcoinposttfb Taluni fiirsTanehe,. presumendo troppo
del 'loro acume, starebbero a rischi» di parere comenta-^
lori maligni. Però s^ altri n' avesse copia , .la serbi. U
Cirsi mi-nlslrl degli akrui r isentunenti ^ benché giusti , é
poca onestà. ^ massime quando pa^o misti ai disprezza
ehe la coscienza degli scrittori teme assai più cbli^^odio»
Itt* Bensa' gK iuMnioi letterati , che Didimo scrivendo
nomina maestri mÌ9Ìy lodafono lo spirito di veracità e
. d^ indulgenza d' nu altro suo manoscritto da me soti<K
messo al loro giudizio. E nondimeoo quasi tutti mi vanno
dissuadendo dal pbbbKciudo ; e a taluno piacerebbe* eh"* io
lo abolissi. È un giusto volume detlalo in greco nella
'Stile di^K jiiU degli Apostoli; ed ha per titolò: ùkil'ou^^*
nhi^iKùif 'Tffd/xvif/Liàta^y fiifi)\.iot irèvTB : e suona Dydimi cl^^
rki Uòpi memor/iales qaia/ue. L! autore descrive >schiet«
1^4 LETTEIUTCRÀ rtlhU3X
tàmenìe i cmi per lui memorabili. delPelÀ Ma gioTeniIe:
jMrU di tre domie delle quali fu imKamora^lo^ e acca-
aodo tè solo deUe loro colpe, ne piange i parla de' molti
paesi da liffi redoli , e si penAe d* averl<ir redoli t ma più
esile d* altro si peRte della sua vita penLata fra gli ao«
mioi letterati; e meolre par cb'ei ^U esalti, ùk par sen»
lire ch^ei li dispresza» Malgrado U asa aatiMu^le; avTer*
•kme oootro chi- ferire per pechi, ei dettò questi Riconli
lo lÌDgoa noia a rarissimi, affinchè^ com''ei dice^.s xoii
colpevoli vi leggessero i praprii peccati , senta scandalo
delle persone dabbene ; le f/isaìi non sapendo leggere che
mella propria lingua^ sono men soggetie alF invidia, alla
boria, ed alla vi.iui.itÌ: he contrassegnalo qnest^ ultima
foce , perchè è mesto cassata Del manoscrlito. L' autore
Joollre mi diede arbitrio di far tradurre qqesi* operett»»
porcile trovassi scrittore italtaiio cbe. eresse pia morite
ohe celebrità di grecista* E > siccome , dìcevami Oldimo,
mio seriitore di ial.pesa lavora prudeni^meaie a belUa*
gio e con gravjtà, i maestri. miei avìraano Jhil Ionio tea**
pò, o Ji andarsene in pace, e non sarmnno più- nomi»
mais. né in bene né in male p o di ravvedersi . di quégli
errori attraverso de* 4jfuali noi mortali giapgianio hdvolie
ailfi savie Jtva^ Fard duoque cbe sia tradotto .$ e. quaoto
alla atampo, mi goTernerà socobd» i tempi , i consigli e
i portamenii degli .aemiai dotti»
ly.. Tutta via, affinchè i lettori abbiano .saggio della
operetta greca, ne feci tradarre pareccbi passi, e li bo,
qoaato più opportanameate potevasi., aggiunti alle pò-
atille notate da IXidimo nel sue ter&o maaos^ilto , dove
li contiene la ▼eraìoae deir Itinerario sentimentale di
Xifrick ; libra pia celebrato cbe inteso v perchè fa da noi
letto in fraacese, o tradotto in italiano da chi non in-
tenderà V inglése : della rersiane uscita di poco in Mila-
no , non so. Innanzi di dar alle stampe ^aesta di DidU
"tóèAtò • tftctàòftkrar' 5*5
6iòy^r&soFsf^iitiof*niféQle' VlétleMi pel hn'o parere. Chi
la lo<fò,' c^( l«'^}»<aiò'dr frappa fédèltì ; iltri ìa lesse
^iefitferi bote^ iibek'aiifsima ; 'e fa^DO s'adirò dWMro^pi
arbitrii del tràdottórtf.' ìllofvt, è fu inf Bofògnii , avrebbero
desiderato 'io stilè condito -tli sSipore più antico: moltissi*
lui ,' è fu' io Pfsav mf confortaTanò a'* ridorla' ìà' Istile
moderno'; ndt^IMn'tffidola' sòVra dgni cosa de^'inodi troppo
lòscani ;'iliiàlnieii|e in •Pavia' ofeSlMHtO si degnò di* badare
ulto alitfe; notarono - ttoiidivneilb con geometrteii preci^n^
Bkafni passl^bette -olimaie ^Wtesl' dal llràdtittore. Ma io
«liÉmpaodola",-^^ ^^^ acaora^àméntè il^ aotografo : o
Aolain<»nte ^ho ittntiitO' veMO la 4in« d<vl CjVpo^xiLxv Un to^
cabtflò-^' e nn- tiiuy n' ho^'^j^ùàHo dall' intitolazione 'del
èapo ' éh^iéeHìeH pévchè - tasi' parve • evidènte' che Didimo
«óUtl^èi Hit «latenzioae Mi* astore inglese offendesse j ' ùtH
^ikno' passò 'H 'IVfnéipo della ' letterafUrtf' fiorentina ^ e
mII* falltvo^'f natir kiHMiefiti' della sciita df ìlilano.
*' V. Di'^iésto /i»m«riiKV dii p€ii\*€Hsò Lotèkta Sterne i
Didftni»' mf diìfee^'^de^Se) (^aUòi làHntet né so per-
éhè^ nieVr optatela -a^firal' ^etlorr)-, le quali «pni* giovano n
itUendèré ùo potòreioseofMmò anéhe ft* )MÌiòi ' coadlbi^
àWì' ' ^ ^ B 'gift4\c»)re 'cwà eqQÌtà> dia''<iifi$ni cfel' tmddttoi^
ré, lat'ftìaiÀ *!> è :• <* Chie co» - nutfrn spezio d* itonka ;
non* lé^igradkMtiéa ^ '«è suasori» , Ma * t^atf^idattiéiitè «A
nSetiuoàaitlèliIts «ftorita^, torkk éé' fatti barrati ìf» 'Mm
de'^'niortaliv detWa lo schè#ni> centro a molli 'difi^ttH m*
^natamente' eònitro alla fìitaHà dèi loro carattere^ »»•• L' ah^
ti'a < àt Cho! Ditdhno bencb^ sqrivesse per oiio ^ rtsdoni'
coàto a'sè stesso 4\ogni vocabolo ; ed avev» tptflo* ri*'
bréKo: a «ormggère Icooso «fia vdln jtmopole'(i7^0fo »
•èéèwla loi^i^M» numifèi^issima ifiriPeretWÈ' tf ietioH \ < che
?iiijj(ciò;:in'iFiaadi!n n Nconvlvere con gli Inglesi , i «piali
I Oq tke iQonl tendeney of the vrrìUDg» of «Slprrne. Kn ox , Euays
iti LKTT«IATIJH4: ITàtI4Jf&
ti 9Ì IrofiDO anche al di d' t>ggi ^ onde farsi spiaoart
' molti semi iotricati ; « laipf^ i^ viaggio «i toffermava per
rappaolp o^lt alberghi di coi Yorick^parla nel soo Iti*
oerario, e ne cbiedeta notisie V «ecdii. ch^ lo atetAno
oaiRMcialo ; poi fi toroo a «lare a dio^ora nel eootado
tra Firense e ' Pistoja , a imparare migliore idiooui <fi
qoello ehe .$* iosegoa nelle cilU e nelie oeiiole n»
VI. Ora per: gli «omini dollr , ì: <|aaii fqrono dalla
kUora di qae' ailanoscriui e da qaefla fi^rsione déVIii'
nerario te^àimeniah. iovtoglii^i 4ì aaper notizie del carata
lare e della tita di' Didimo > e me ne rtduedono islaa«
temente, fferiverò le aoarae ,' ma veraoiftsime co^e che io
to' come testimonio ocnlaré* Giora e ógni modo premet-
tere tris arrertenie« Primamente: a^apdolo io fedntoper
|>oehi meli e .con ft*eddÌMÌaia famigliarità, non ho potuta
notare (il. che avviene' a (tafecdM) $e nfn le cf»e pie
consonanti o.'dlss«(nant) co^a^ntimenti e le c^nsipcftndìai
dalla min vi(a« .Secondo s dà* vi^^. « disile lirtù capitali
che . diftingfiopo aeitanaialnieàle nomo da nomo, se pam
ei ne t^^t^^ non. potrei dire j^aicobs«affes|( detta dì'cs
lasdnodosi afoggire Intle le .$nè« opinioni^ cnstodisse in-
dustflosamMte nel prt»|>rio segreto 4ntte le passioni det*
l/aniai0. Finaknenl^.; recinterò. (e parale, di Didimo^ipoi*
dbè essendo no. po^met^fislcbe,,. eiaachedmia.de' lettori le
i^erpo^i meglifi di ine, eJe,adattiaMe pr<^rie opinioni*
rVIL TenoTa. irremoribiimeele'ttritni «islemi^ e pare^
vano nati con esfo : non jolo 'Oen ti swenlifa c«' fatti ;
ma come f«4mro- assiomi > prop^neTali senta proie : non
péro disputale e dtfend^U ^ e per apologjiat a chi gli air
lcj*ava evidenti ragioni, rispondeta in > intèi^ealare : opi*
movi* Portava anche rispetto Vaistemt altrni^ a forse
anche per non cnraoui^ 900 aio^evasi jr,Confhtaffli} certo
à eh' io in si fatte controversie. I. l'ho veduta sempre ta»^
cere, mit scasa mai sogghignare.!;. è Kim^a voaiboÌò|
SeCOLO DBCIMOTTITO ' SS)
opinioni f io proferiTa con serietà religiosa. A me .disse
una fdlla: Ole la gran valle detta vita è inttrsetatà da
molte viòttole tortaosisstfne ; e chi non si contenta di
camminare sempre per una sela,, vive e muore perples*.
so,' nh arriva mai a un luogo dove ognuno di qué* sen»,
tieri conduce f uomo a vivere in pace seco e con gli al* ,
fri. Non' trattasi di saperp ^uak sia la vera via; bensì
di tenere per vera una sola, e andar sempre innanzi.
Sfìmaffa fra le doti nalnrali ali* nomo , primamente la
bellezza ; poi la forfea deH' animo ; ultimo V ingegno. Delle
acqnbite, come a dire della dottrini^, non facea conto
sé non eranto congiunte alla rarissima arie d' osarne. Lo-
dava la ricchezsa più di quelle cose ch'essa può dare;
e la teneva vile^ paragonandola alle cose che non può
dare. DelP Amore aveva in un quadretto un' immagine
èimholica^, diveraia dalle solite de* pittori e de* poeti ,
su la quale egli aveva fatto dipingere V allegoria di
un nuovo sistema amoroso ; ma tenea quel quadretto co*
perto sempre d' un velo nero. Uno de* cinque libri de*
quali è composto il manoscHtto greco citato poc'anzi ha
per intitolazione : Tre Jlmori. - E i tre capitoli di esso
.libro incominciano: Rimorso primo; Rimorso secondo;
Rimorso terzo : e conclude : Won essere timore se non
se inevitabili tenebre corporee le t/uali si disperdono pUt
o meu tardi da sé: ma dove là religione, la filosofia o
la virtù vogliano diradarle o abbeiHHe del loro lume,
allora quelle tenebre ravviluppano t anima, e la condu*
cono per la via della- virtik a perdizione* Riferisco le pa«
role; altri intenda. /
' Viti; Da*^ sistemi e dalla perseveranza con che li ap-
pli^va al suo modo di rivere^ derivavano azioni e sen-
tenze degne dr Hso. Riferirò le poche di cui mi ricordò*
Celebrava Don' Chisciotte eome beatissimo , perchè a* iU
MkfK di gloria, scevra d* iotidia , è d' amore scevro di
SM" LETT£B:XTUA4 4t4M^i^
I
gelosia. GicoiaTa i ^aUj perchè gli pa7ei^aoo4>(à laeS torni
degli, «Itri animali 4 li lo.daTa npadi^mei^o 4iercbiè «i.gio*
vano della società. cctmej c^ni, e dfiUa. liber^^à quanto i
gii& Teneva gli |iGca(|oni per .più eloquenili di Qcerone
nella parte* della, peror.azìonje^. e pi^iM fisjonomi assai pia
di La valer. Noi^ credeva .che chi abita accanto a on ma*
oellàro jo sn Jle piazze, de* paiibplt fosse perdona da fidar-
tene. Credeva neir ispirazipne- profetica , .ajDzi presumevai,
di saperne l< fontL Incolpava il berTelto^ ia vesta da ca-
mera e le pantofole de* gian^.ddJa primfi infedeltà deUe
nH>gli. .Ripeteva (e ciò pin ^heris^o niQverà sdegno) che
la favola d' Apol^ scorlic^lpr/B «atroce di Marsìa era al-
legoria sapientissima non. tan|o della pena dovala agi' i*
gooranli prosonloosi, quanto della vendicativa invidia de*
dotti. So di .che allegava Djodoro Siculo (4ib. Ili n. .59)
dove , okre la crudeltà del Dio de* ppeii , si i^arrano i
bassi raggiri ^o* quali ei si , procacciò la viLloria. Ogni
qoal volta incontrava de* vecchi sospiriava esclamando,:
// Pfsggìo è vìver troppo ! e jun giproo, dopo assai mie
ptreghiere , me ne di^e il parche : La vecchiaja sente
con atterrita cosciènza i rùnorsf, quando al snortaie non
rimana vigore, né ieiapo,4'^me^da^ ia^ua vita^Heì pro-
ferire queste parole,. Je boriine, ^i. pioveano dagli occbr,
e fu r tioic^ vqlta* che lo tidi piapgere; e segnilo, a di-
re: .<^A// la còsciexfia è c^4^fda!e.tiu(mdo iu se" forte
da poterti correggere f^la tidic^,il,yprQ.40iiovp4;fi^p(d'
Mandola di recrimiìkt'ù^i cw^irq {a JprUti%ared il ,pr9S'
si/no: e qtian^o.p^iiif,^e\ddHde,9la ti . rinfaccia, toa
disperata superstizione , e la ti atterr^,sQlip-ilpeccéf^9,
.£n guisa che tu non p^. rjisqxg^rcxidla nirtà. O cfìiar'
dal non,ti patire, o codarji^^l Bemlpagfi, U: d^o,
focendo 4ei bene me ha^ Jalfp\*4eL mak^ Ma ttf.^se'
Cfidarifa; e non :m J^of^jSp^^^fj^^ ;Ofai!^^ci^, -
Quel giotnp io eredej^> c^e Tq|e^. impalcature ;> a.vPtf^
€S,COLO D£fCf!H<QTT4TO 589
pia d'if^a seUiman.1 » {««riarsi, vedere io |»t»S£a4 Si falli
erano i mjoJ poradosnr moriili* i
IX. E qnantd ade petunie ed' alle arti .asseriva y che
le sofeoie erano una serie di proposizioni le quali aveanó
bisogno, di dtttiostramni appareilleineole evidenti ma so<«
«toazìalcoente incerte 9- perebbe le< ai fund^avano spesso BOr
pra un principio' ideale : ch0 la geometria, non appllcn-
biltì alle arti , era aa^ galleria di scarne definizioni ; e
ch^ , malgrado V algelìr^ , resterà scienza imperfètta e
per lo più inutile fiflcbè iictu sia coposeiulo il sistema io-
conupreosibile deÙ' Universo* L* umana ragione ^ diceva
Didimo, si irài'agiia su le' mere qsiraiioai ; piglia le
mosse ^ e sema avvedersi a pjciisttipiQy dal nulla; e dòpo
lun^hissiaio viaggia si torna a occhi aperti e atterriti
nel nulla : e al nostro intelletto la sostanza della Na^
tura ed il juvhvk furano ^ sono e saranno sinonimi» Bensì
le arti non sglo imitano ed obMlis^onp le APPASEffZK
della Natura , ma possono insieme farle rivivere agli oc:
chi di cfii le vede o sanissime, o fredde; e .n» poeti de*
quali mi va ricordando. a ogifi tratto ^ pqrtó meco una
galleria di gaadri i quali mi fannia Qs$e^are le parti
più belle e più 'animate ^ degli originali che , trovo su la
mia . strada ; ed io spesso li trapasserei sema accorgermi
ch\ e"* mi stanno tra* piedi- per avvertiroii con mille auovt,
sensazioni eh' io vivo^ E però Didimo sosteneva , che fé
arti possono più che le scienze far men inutile e più gra*
dito il vero a' mortali ; e che la vera, sapienza consista
nel giovarsi di quelle poche verità die sono certjMime
a seasi; perchè o sonò dedotte da ana serie It^nc^a di
fatti , o sono sì pronte che non hanno bisogpjt) di di*
mostrazioni scientìfiche.
X. Leggeva quanti' libri gli capitavano.; àon rileg-
geva da capo ;» fondo fuorché la Bibbia. Degli autori
eh'' ei credeva degni d'essere studiali, aveva tratte -pa-
UIXTKAAT. ITA!.. — t? 5o
590 LETTERlTORA 1TALI41I1
recchie pagioe, è ricucitele in on solo grosso Tolame. Sa-
peva a memoria molti versi di antichi poeti e tolto il
poema «Ielle Georgiche. Era devoto di Virgilio ; Dondi-
roeno diceva : Che s* era /atto prestare ogni cosa da
Omero y dagli occhi in /ìiori,^ D' Omero aveva un bosto
e se lo trasportava di paese in pnese ^ e v^ avea posto
fer iscrizione due versi greci che suonano: ^ costui Ju
assai di cogliere la verginità di tutte le Muse: e lasciò
per gli altri le bellezze di quelle Deità, Cantava, es^in-
tendeva- da per sé, quattro odi di Pindaro. Diceva che
Eschìio.era are bel rovo infuocato sopra un monte 1/0-
serto; e Shakspeare , una seha incendiata che Jacet/a bel
i^edere di notte^ e mandava fumo noioso di giorno, Pa«
ragonava Dante a un gran lago cifH:ondato di burroni e
di selve sotto un cielo oscurissimo , sul quale si poteva
andare a vela in burrasca; e che il Petrarca lo derivò
in tanti canali 'tracimili ed ombrosi ^ dove possano sol*
lazzarsi le gondole degli innamorati co"* loro strumenti;
€ ve ne sono tante , che quei canali, diceva Didimo,
sono oramai torbidi ^ o fatti gore stilanti : tuttavia s'e-
gli intendeva una sinfonra e nominava il Petrarca, era
Indizio che la musica gli pareva assai bella. Maggiore
stranoiKsa si era il' panegirico ch^ei faceva di certo poe*
jfielto latino da Ini anteposto perfino alle Georgiche, /»er^
che, diceva Drditiio, mi par d'essere a nozze con tutta
F' allegra comiti^^u di Bacco, Didimo per altro beveva
tempre acqua pura. A\~e,va non so quali controversie con
r Ariosto , ma le ventilava da sé ; e un giorno mostran-
domi dal molo di Dunkerque le lunghe onde con le qoali
F Oceano rompea sulla spiaggia , esclamò : Così vien poe*
tondo P Ariosto l Tornandosi meco verso le belle colonne
che adornano la caltedrale di quella città, si fermò sotto
il peristilio , e adorò. Poi volgendosi a me , mr diede
intenzione che sarebbe andato alla questua a pecuniare
taoto da erigere noa chiesa al faracueto e riporvi le os$i|
di Torquato Tasso ; porche nessuo «ac^rdote che inse-
gnasse granunatii^ .potesse officiarvi , ^e oessqo foreotlob
accademico delfa Crosca appresvirT.isit. Nel mese dì gin*
gao del 1804 pellegrinò da O^teuda siiio.a Olontreoil.pef
gli accampameoti tilaliaoi ; ed a'^mililari, che si diletta-
vaoo di ascoltarlo « diceta. certe $ae omelie ali- improYTfr
so, pigliando «empre per telto de' Tersi delle epistole
ò* Oraslo. Richiesto da qo ufficiale, perchè non citasse
mai le odi di quel poeta. Didimo in risposta gU regalp
la Sila tabacchiera fregiata d' un mosaico d\ egregio lavor
ro , dicendo : Fa fatto a Roma et alcuni f rammenti di
pietre preuose dissotterrate ia L^sbo:,
XI. Ma quandunque non parlasse che di poeti. Didimo
•criTeva in prosa perpetuamente; e se ne teneva. Seri leTa
anche arringhe, e faceva da difensore ufficioso assoldati
colpevoli sottoposti a' consigli di guerra; e se mai pe Te»
doTa per le taverne , pagava loro da bere , e spiegava ad
essi il Codice militare^ Oltre a^ manoscritti raccomanda-
limi , serbava parecchi suoi scartafacci ; ma non mi lasciò
leggere se non un solo capitolo 'di. uà mo Itineraria
lungo la Repubblica Letteraria. In esMx capitolo, deseri*
leva - 00* implacabile guerra tra le let^e dell* abbicci,
e le cifre arabiche, le quali . fiiiahnente trionfarono coii
aocortissiuii stratagemmi ,. tenendu ostaggi Va^Xa b,, la ar
che etano andate ambasciatori , e quindi furono tiranni*
•amente angariate con inesprimibili e angosciose fatiche* -*
Dopo ij desinare , Didimo si riduceiia io una isua stanca
appartata a ripulire i suoi manoscritti ricopiandoli pec
tre volle. Ma la prima composisione, -com* ei dfceta, la
creava alP opera seria o in mercato» Rd io in Calais Ìq
vidi per pia ore delia notte a un cafle^ scrivendo in Jì^
ria al lume delle lampade del biliardo, mentr'.io stivai
giocandovi ^ fd ei sedeva pressa ad un Cavòiiap , intorno
592 LETTERATITRà ITALIllfA
al qnale atcuni officiali questioDarano di tattic», e fuma-
vano mandandosi scambievolmente de' brindisi. Gt** intest
AìTt: Che ia i^era tribolazione degli autori i^enipa, a chi
dàlia troppa economia della penuria ^ e a chi dallo scia-
iacquo delP abbondanza ; e ck^ esso a^eva la beatitudine
di potete scrivere trenta fogli allegramente di pianta ^ e
ta maledizione di iH>lerli poi ridurre in tre soU, eonte a
ogni modo, e con infinito sudore faceta sempre»
XII. Ora dirò 'de>' suoi costuiDt esteriori. Vestirà da
prete'; non però «ssanse gli Ordiìiì sacri; e si facera cbra-
nare Didimo di nome, e Cbiertco di cognome; ma gli
Qiucraséeva sentirsi dar del ^ abate. Rtcbieslone, mi rispo-
se : La fortuna m' avviò da fonciulh al chierieato ; poi
la natura mi ha deviato dai sacerdozio t mi sarebbe ri-
morso r andare innami , e vergogna il tornarmene ad"
dietro : e perchè io tanto quanto Msprezzo chi muta isti'
iuta di rita, mi portò in pace la mia tonsura e questo
mio abito nisro : còsh poss& o ammogliarmi , o aspirare
ad un ^scovato. Gii chiesi a qàale'de^4iie partati s^ap-
piglierebbew Rispose : Non- ci ho pensato ;* a chignon ha
patria non «ntò ò^nò'i' essere sacerdote; né padre* Fuor
dell' oso de^ preH ,' compiaDarasi delta compagnia degK 00-
mini tntlifari.' V>?iggIàhdoperpeiQamènte, desinava a ta*
Tola rotonda con persone di ìrarie nasioni \ e se talano
(com'oggff s^nsa) professavasl cosmopolUa, egli si rizzava
sens^ altro.' S* addomestica VA alle prime; benché con gli
iromini cerimoniosi parlasse asplntto; ed a' ricchi parerà
attero : 'evitava le sene e le coflfì*alernite $ e seppi che
ritinto' due patenti- 'aoeademtche. Uiav» 'per' lo -più no'
erocchi delle donne ^ però eh* ei le repptavar pia liberal"
mente dòtaèe datln natura di óompawione e di 'pudore;
duefortm pacifiche le fuaH,' dit^va^ Didimo^ /entrano
iole tutte le altre forte guerriere dei genere umano. Era
volodtiarì ascoltalo, nò so dova Utivasse materie*; perchè
1 _
SECOLO trccraroTTAT» . 59!*
alle volle cbiacchìeniTa per' lolla ona sera, mnza dire pa^
rola di politica , di religione, 0 di amori altrói.Noii io-
terrogàfa mai per non indurre, diceva Didimo , U^per^
sane a dir la bugiare alle iflfterrogaziooi rispoodeva prò»'
verbi, o- guardava in viso chi gli parlava. Non parteeipavaf
uè ana dramma del suo secreto ad anima nata: Perchè,
diceva Didimo, il mio secréto è la sola proprietà su la
ierra eh' io degni di chiamar mia , e che divisa nuoee^
rebbe agli altri ed a me. Né pativa d* essere depositarlo
degli altrui secreti: Non eh' io non mi Jidi di serbarli
inviolati; ma a^f viene che a volere scampare dalla per»
dizione tanniche persona m' è pure necessità a rivelare
alle volte il secreto che m* ha confidato: facendolo, la
mia fede riescirebbe sinistra; e manifestandolo , ni avvi'
Jirei davanti a me stesso. Accoglieva lietissimo nelle sue
stanze: al passeggio voleva andar sólo, o paHava'a per-
sone che non .aveva vedato mai , e che gli davano naU
ridea: e se alcuno de' soof conoscenti accosta vasi a lai,
si levava di tasca nn libretto, e per primo saluto gli re-
citava alcuni Squarci di traduzioni moderne de* poeti gre«
ci ; e rimanevasi solo; Usava anche sentenze enigmatidie.
Nessun frizzo; se non ana volta, e per non ricaderci,
rilesse i quattro Evangelisti. Ma. di tutti qoesti^ capricci e
costumi di Didimo , s* avvedevano gli ahrr assai lardi ;
perch^ ei non li mosìrava , né li occultava ; onde credo
che venissero da disposizione naturale.
XIIL Dissi che teneva chiuse le sue passioni ; e qnel
poco che ne traspariva , pareva calore di fiamma fònt<i-
na. A chi gli oflFeriva amicizia, lasciava intendere che /a
colla cordiale per cui V uno s' attacca all' altro , T aveva
già data a tpse^ pochi eh' erano giunti innanzi, Ratumeu*
lava volentieri la sua vita passata , ma non m* accorsi
mai ch'egli avesse fiducia ne' giorni avvenire, o che ne
temesse* Chiamavasi molto obMigato a un Don Jacopo
5u*
59't LBTTBKAT1TR1 ITlLIilTA
Atinont corato, a coi Didiibo areva altre ToHe serTrfo . da
chierìeo nella panroccbia d* tu verino ; e stando fuori di
patria, .carteggia fa anicamente- can esso. Mostravasi gio*
viale e eempassioneTole^ e lieiiebé fosse irllommai inliHuo
a* treni' anni , avem aspetto assai giovanile ; e forse per
qneste ragioni Dìditoo taltochè forestiero, non era gnar*
dato dal popolo di mal o^cbit», e le donne passando gli
sorridevano, e le vecchie si sofiermavano accanto a nna
porlfccitiola a discorrere aeeo,« molli fanlofint, de' quali
egli sì compiaceva , gli correvano lietissimi ^ittomo» Am-
mirava assai; ma più con gli . occhiali ^ diceva egli, che
col telescopio : e dispreizava con taciturnità sì sdegnosa
da far giusto e irreconciliabile U risenlrraento degli uo-
mini dotti. Aveva per altro il compenso <li non patire
é'. invidia , la quale , in chi amoura e disprezza , non
trova mai hu^gP*^ E' diceva : La rabbia e il dispreizo sono
gradi estrertki dell* ira : le anime deboli arrabbiano ; le
Jòrli dispreiuino : ma tristo e beato chi non s"* adira l
XIV» Insomma* pareva nomo che essendosi in giovenlìi
lasciato governare da IP ìndole sua naturale , s* accomo-
dasse, ma senza fidarsene, alla priidenza mondana. E
forse aveva più amore che stima per gli uomini ; però
non era orgoglioso né nmlle. Parea verecondo , perché
non era né ricco né povero. Forse non era avido uè am-
bizioso , perciò parea libero» Quanto air ingegno , non
credo che la natura T avesse moltissimo prediletto ^ né
poco. Ma V aveva temprato in guisa da non potersi im-
bevere degli altrui insegnamenti ; e quel tanto che pro-
duceva da sé, aveva .certa novità che alleilava, e la pri-
mitiva ruvidezza che offende. Quindi derivava in esso per
avventura queli' esprìmere in modo tutto suo le cose co-
muni ; e la propensione di censurare i metodi delle no-
stre scuole. Inoltre sembravami cb^ egli sentisse non so
qoal. 4is5oaanza nell'armonìa delle cose del mondo; non
$BGOLO l>CaaiOTTATO . 5^^ .
pòro Io diceva. pAlla sua operetta greca si desame quanto
nieritamente si vergognasse della sua giovanile intolleran*
sa. Ma parora, qilando io lo vidi, più disingannalo eh*
rinsavito; e. che senza dar noja agli altri, se ne andasse
quietissimo e sicuro di se medesimo per la sua strada ;
e sostandosi spesso, qdasi avesse, più a cuore di non do*
Tiare, che di toccare la meta. Queste a <^ni modo 9000
tutte mie congetture.
XV. Àfendolo io nell'anno 1806 lascinlo in Araersforl,
e desiderando di dargli avviso del giudico de' Moeslri
suoi intorno a' tre manoscritti da ine recfttì in Italia,
scrissi ad Inverigo a domandarne novelle al Reverendo
Don Jacopo Aononi; e (Perchè questi s* era trasferito da
tnuiio tempo in lina chiesa su' colli del lago di Pusiano^
presso la villa Marliani, Io visitai nell' estale dell* anno
seguente: né ho potuto riportare dalla mia gita se non
una notizia ch^ io già sapeva , e i liaeameDti di DidrDvo
giovinetto. Quel buon vecchio sacerdote, regalandomi il
disegno die ho posto in fronte a questo opuscoletto, uii
disse afflittissimo : So die in un paese lontano chiamalo
Bologna a niiare, Didimo regalò tutti i suoi libri e scar*
tafacci a un altro giovine roiirtarè clie ne usasse a suo
beneplacito; e fece proponimento di né più leggere né
più scrivere: da indi in qua, e gli è pur molto tempo ,
non so più dov^ e' sia , né se viva. —
XVI. Mi diede inoltre copia di un epitaffio elie Di-
dimo s^ era apparecchiato rnol li anui innanzi; ed io lo
pubblico, affinché scegli mai fosse morto, ed avesse agli
ospiti suoi lasciato tanto da porgli una lapide ,' lo fae-^
ciano scolpire sovr' essa :
DlDTlil. . CLERICI
VITIà . VIRTVS . OSSA
HIC . POST * AKIfOS • + 't" t
cosSuifivEacRT
5jré IrBTTBftATU&ft 1TÀL|A1»
IfobiU effètti ch9 produce ìa vista de* sepoìerL
A egregie cose il forte ànimo accendoDO
L' arae de^ Forlì , o Pindernonfe ' ; e bella
E fanù fbnno al peregrio la terra
Che le ricetta. Io quando il raonamenlo
Vidi ove posa il corpo di qael grande *
Che temprando lo scettro a' regnatori ,
Gli allòr ne sfronda , ed alle genti svela
Di che' lagrime grondi e di che sangne ;
E r arca di colui ' che nnovo Olimpo
Alzò in Roma a* Celesti ; e di chi vide ^
Sotto r etereo pad iglìon rotarsi
Più mondi , e il sole hrradiarli immoto ,
Gode air Anglo , che tanta ala vF stese ,
Sgomhvò primo le vie del firmamento ;
Te beata ^ , gridai , per le felici
A are pregne di vita , e pe' lavacri
Che da' suoi gioghi a te versa Apenniool
Lieta deir fler tao veste la Lana
Di luce limpidissima i tuoi cofti
Per vendemmia festanti ; e le convalli
Popolate di case e d^oliveti
Mille di fion al ciel mandano incensi :
E tn , prima , Firenze , udivi il carme
Che allegrò l' ira al Ghibellin fuggiasco ® ,
E tu i cari parenti e V idioma
X O Ptndemtmie, U Fo«eolo indùùuò U ivo CaroM sm MepoUri a) Pin-
dànonte*
3 Qud grande. Il Machiavelli.
3 Colui ee, . Michel Angelo Baanairoti. die disegnò la chiesa di S. Pietro.
4 Chi vide ec« • Galileo Galilei. -«- X«* An^h jneusionato saluto do^ è
Re^rton.
5 Te bìiata ( soitintendaA' ) Fireàze,
a^ Ji GkibeOim ee. . Ali* Àli^ii^.
SECOLO bttinortJLTà S^7
Desti a quel dolete di CaHlope labbro*
Che Aniol-e io Grecia ondo e nudo in Roma
D^ un velo candidissimo adornando >
Rendea nei grembo a • Venere Celeste :
Ma più beata, cbè in nn tempio accòlte
Serbi V Itale glorie', uniche forse ,
Da che le mal vietate Alpi , e V alterna
Onnipotenza delle umane sorti \
Armi e sostanze t* in va deano , ed are
E patria , e , tranne la memoria , tutto.
Cbè ove speme di gloria agli animosi
Tnlelletti rifulga ed ali' Italia ,
Quindi Irarrem gli' auspicj. E a questi marmi
Venne spesso Vittorio * ad ispirarsi.
Irato a* patrj Nun^i , errava 'muto ^
Ore Arno è più deserto , i campi e \\ cielo
Desioso mirando; e poi che nullo
Vivente aspetto gli 'molcea la cnra,'
Qui posava Tanstero, e avea sn! tolto
Il p^llor della morte e la speranza.
Con <}aesli graiidi' abita eterno; e I' osla
Fremono amor di patria. Ah sii da quella
Religiosa pace un Nume parla : ,
E nutria ^ contro a* Persi in Maratona ,
Ove Atene sacrò tombe a* suoi prodi , '
La virtù greca e V ira. Il navigante
Che veleggiò quel mar sotto l' Eubéa ,
V^dea per V ampia oscurità scintille
1 Quel dolce ec. . Il Petrarca , il qaala a difFerensa àfci Greci e éei Ì.a-
tini , cantò pudicamente d* Amore , e con tanU doUeasa che b^n OMcitó ài
9»»cr . detto labbro della Musa CaUione^
M. Tutorio Alfieri stette molti apni in Firenae , dove poi mori* ,
3 E nutria ee. . Ed e ^iiel Marne che &% 1« UNnh« di BlMaioa»
tt vSloM -e l' ititi 4et Gwci coatta i P«ViiiMtt^
$9$ UKTTBaAtCB^^ 1TÀ4.IA1C1
Bales«r. d' elmi e di coxsanti brandi r
' Fq filar le pire jgn^ vapor ; oorriuclie
D' armi ferree vedea larve gaerriere
Cercar la pugna ; e alP orror de' nòli arni
Sileoit si spandea laogo ne* campi
IH falaQgt QQ I orati Ilo , e an soon di tuba ,
E no incalcar di cavalli aocorreoti ,
Sealpitaoti sa gli «Imi a' moriboodi ,
E pianto , ed ioni 4 e delle Parche il caolo.
Felice, te che il regno ampio de' venti ^
Ippolito ^ a* Ino! verdi anni correvi !
E 99 il piloto li driKzò r antenna
Oltre r isole Egèe ' , d' antichi fatti
Certo udisti suonar deir Elespooto
I liti, e la marea mugghiar portando
Alle prode Relée 1' armi d' Achilie *
Sovra r^wsa d' Ajacera'^nerosi
Giusta di gloria dispensiera è Morte ;
Kè senno astuto, né favor di regi
Air Itaco le spoglie ardue serbava ,
Che alla poppa raminga le ritolse
L* onda infilata dagl^ inferni Dei*
Jt ÌMÌgia PaUayicini caduta da copaQp» .
I balsami beati Quel di che insana empiee
Per te le Grazie apprestino^ • Il sacro Ida di gemiti «
Per te i lini odorati E col crine tergea
Che a Citerea pofgeano E bagnava di lagrime
Qnando profano spino .11 sanguinoso petto
Le. punse il pie divino : Al Ciprio Giovinetto.
I Oltre y isole dell* Arcipelago , ^etto ' una yoIu Egeo,
1 Morto Achille te ne disputarono le armi Àjaee Telamonio ed Vli«ae )
• il merito del primo prevalse la scaltreiaa del seeoadn* -Ajace imipssaslo
flntlsatt» tfiiégge Auéàr dove per fioMiiiia Owmak , fittooo portato U mmk
a* Achille dal mare che foofiato 4» «m p»n4* t«mp«tU la lolie alla ■»«<
di 0«i««<
\
SEGOLO DECiafOTTATO 599
Or te piADgon gli Amori , lavaò presaghi I Teati
Te fra le dive Liguri
Regina , e diva ! « fiori
Votiti alt* ara porla oo
D' onde il grand^arco suona
Del Figlio di La tona.
E te chiama' là danza
Ove Taore porta rano
Insolita fragranta ,
Allor che a' nodi indocile
La chioma al roseo braccio
Ti fa gentile impaccio, .
Tal nel lavacro immersa ,
Che fior , dalF CHconio
Clivo cadendo , tersa ,
Palla dall' elmo i liberi
Crin su la man che gronda
CoBtien fuori deir onde.
Armoniosi accenti
Dal tao labbro volarano ,
E dagli occhi ridenti
Traluceano di Venere
1 disdegni e le paci,
li polveroso aggliiacciano
Petto e le reni ardenti
Dell' inquieto alipede'.
Ed irritatite il morso
Accresce Impeto al corso.
Ardon gli sguardi / fuma
La bocca , agita V ardua
Testa ^ voint la spanìa ,
Ed i manti volubili
Lorda 4 e P incerto ttetto
Ed il candido seno;
E ir sudor piove , e i crini
Sul collo irti svolazzano ;
Suott.in gli antri marini
Allo incalzato scalpito'
Dalla zampa che caccia '
Polve e sassi in sua traccia.
Già dal lito si slancia
Sordo ai clamori e al fremito
Già già fino alla pancia
Nuota... e ingorde si gonfiano
Non più memori V a^ue
Che una Dea' ^ da lor nacque t
La speme, il pianto e i baci.
Deh! ptrchè hai le gentili _Se non che il Re dell'onde,
Forme e T ingegno docile Boien te ancor dMppolito ^,
Vólto a studi virili ?
Perchè non dell' Aonie '
Seguivi , incauta , V arte ,
Ma i lodi aspri di Marte?
Snrse per le profonde
Vie dal Tirreno talamo,
E respinse il furente
Col cenno onnipotente.
1 DdPAottie. Delle Muse.
a Alipede, Che faa 1* ali ai piedi ; Cavallo velocissimo.
3 Um Dea' ee» . Venere*
4 Ippob'to ing^astamente aeciliato dfiilla matrigna Fedra , per la maledi-
Siene di T«mo suo padre, mori rovesciato dal cocchio j ^avenlhodosi i ca»
valli »Ua viltà di aleiui mostri Oarini die Mettono mandò loro incontro.
6oo
LCTTfiB4TIIAA ITALIàlTA
Qmm cU flotto srretrosiie
Rmlcltrando , e, orribile!
SoTra r anche rizzossc :
SoDole TarcioB, te misora
Sa la petrosa riva
SlrascioaDdo mal vira.
Pera dii osò primiero
Disoortese commettere
A infedele corsiero ,
1/ agii fianco femineo ,
E apri eoo rio consiglio
Nooro a beltà periglio!
Che or non vedrei le rose
Del top volto sì languide,
Ron le loci amorose
Spiar ne* guardi medici
^Mranza lasingbiera
Della beltà primiera.
Di Ciotia il Gdcehio aurato
Le certe un di tràeaoo ,
Ma a] ferino ululato
Per terrore insanirooo ,
% dalla rupe etnea
Precipitar la Dea.
Gioia Q d' incido riso
Le abìlairici olimpie ,
Perchè V eterno viso
Silenzioso e pallido
Cinto apparia d^ un velo
Ài conviti del cielo ;
Ma ben piansero il giorno
Che dalle danze efesie
Lieta (àcea ritorno
Fra le detote vergioi,
E al ciel salia più bella
Di Febo la Sorella.
AW Amica rua/udcu
Qoal dagli antri marini
L' astro più caro a Venere
Co' rugiadosi crini ,
Fra le fuggenti tenebre.
Appare , e . il suo viaggio
Orna col lume dell' eterno raggio ;
Sorgon tosi tue dive
Membra dall' egro talamo ,
E in le bella rifive; •
L' aurea betta le ond* ebbero
Ristoro unico a^ mali
Le n'ate a vaneggiar tnenli morfalk
Fiorir sul caro viso
Veggo la rosa ; tomaio
8BGOLO IlECIMOTTATO 6o I
I grandi ocelli al sorriso
Insìdiiindo ; e vegliano
Per te in nofelll pianti
Trepide madri e sospettose amanti.
L^ Ore che dianzi meste
Ministre eran de* farmachi ,
Oggi I* indica veste , .
E ì monili coi gemmano
Effigiali Dei
Inclito studio di scarpelli achei ,
E i candidi coturni
E gli amuleti ' recano.
Onde a^ cori notturni
Te, Dea, mirando obbliano
I garzoni le danze.
Te principio d* affanni e di_ speranze :
O quando V arpa adorni
E co* novelli numeri
E co' molli contorni ^
Delle forme che f-icile
Bisso *. seconda \ e intanto
Fra il basso sospirar vola il tuo canto
Piò periglioso ; o quando
Balli disegni ^ , e T agile
Corpo air aure fidando.
Ignoti vezzi sfuggono
Dai manti e dal negletto
Velo scomposto' sul sommosso petto.
I AntuUH propriamente dicevansi certe figlila che alcuni portavano iado^se
«radendole dotate di grandi virtù.
a Bisso qui sta per ogni tela « stoffa di cui sia fatta una reste , sottile
eod che aderisca aUe fbnpe della pcriona.'
3 BfMi «e.. La finse distgnar' bt^Ui significa bmUsfe aUsfgUukhsi ma
kelF trU,
UtTTBftÀT. ITAL. - IT 5|
6oa LETTBAATVAA ITiLIAllA
Air agitarti, lente
Cascan le trecce, nitide
Per ambrosia recente,
Mal fide air aureo pettine
E alla rosea ghirlanda
Che or con Palma salute Aprii li manda.
Gmì ancelle d' amore
A te d* intoni» Tolano
Invidiate V Ore ;
Meste le Grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra, e il giorno delP eterna pace*
Mortale goidatrice
D' oceanine rergini
La parasia pendice
Tenea la casta Artemide ■ ,
E fea , terror di cervi ,
Lungi fischiar d' arco cidonio i nerrt.
I^i predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diva il mondo la chiama:
E le sacrò V Elisio
Soglio , ed il certo telo * ,
E i monti e il carro della luna in cielo.
Are così a Bellona ,
Un tempo invitta Amazzone,
Die il \ocale Elicona ^;
Ella il cia)iero e P egida
Or contro V Aoulia avara
E le cavalle ed il furor pre|>àra.
1 Artemide, Diana. — Qthnhj di Cictone^ dltk di Creta.
2 Ji cerio ieh. lì vanto di non saettare in fallo.
a II Vocale ecj cioè: I Poeti o le Muse cantanti nill* Elicona.
SECOLO DECIMOTTàfO 6à3
E qnella ' a cai di sacro
Mirto te Teggo cingere
Devofa il siinolacro.
Che presiede marmoreo
Agli arcani tu4^ lari ,
0?e a me sol sacerdotessa appari ,
Regiott fa; Citerà
E Cipiro ove perpetua
Odora • primavera ,
Regnò beata, e 1' isole
Che col selvoso dorso
Rompono agli Bari fi al graode Ionio il corso.
Ebbi in qtiel mar la calla :
Ivi erra ignodo spirito
Di FSon la Faueialla^;
i E se il notturno zefiro
Blando sui flutti spira
<; Suonano i liti un lamentar dt lira:
Ond' io, pien del nativo
Aèr sacro , su l' itala
Grave cetra derivo
Per te le corde eolie ^, .
E avrai divina i voti
Fra gì' inni miei delle insubri nepoli»
Sonetti»
Solcata ho fronte, occhi incavati inleati, .
Cria fulvo, emunle guancie, ardilo aspetto,
Labro (umido acceso, e tersi denti, /
Capo chino, bel collo e largo petto;
1 E queìh* Venere.
3 Odora, Sparge odori. -^ Mfignò. Signoreggiò.
>3 Di K3f9)t ec. • S^ffo amante di Faone.
4 Derivo ee,} noè : Traspoito pw te sella poesia iuliona i lèodi dei Green
6o4 LKTTKR4T0AA ITAIJAfià
Giaste membra , Teslir semplice eletto ;
Ratti i passi , i peasier , gli atti , gli accenti ;
Sobrio, umano f leal, prodigo, schietto;
Avverso al monclo, at versi a me gli ereali :
Talor di lingua, e spesso di man prode;
Mesto i più gionii e solo, ognor pensoso;
Pronto , iracondo , inquieto , tenace :
Di vizj ricco e di virtù , do lode
Alla ragion , na corro ove a! cor piace :
Morte sol mi darà fama e riposo*
Un di , s' io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, me vedrai seduto
Sulla tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de* tuoi gentili anni caduto.
La madre or. sol suo di lardo trfiendo
Parla di me col tuo cenere muto,
. Ma io deluse a voi le palme tendo ^
E sol da lungo i miei letti salolo*
Sento gli avversi numi, e le secreto
Cure che al viver Ino furon tempesta ^
E prego anch' io nel tuo porto quiete*
Questo di tanta speme oggi ini resta !
Slraoiere genti, almen le ossa rendete
Allora al petto della madre mesta.
Perchè taccia il romor di mia catena '
Ùì lagrime , di spenie e di ainor vivo ,
E ,dr silenzio ; che pietà mi affrena
Se con lei parlo, o di lei penso e scrivo*
Tu sol mi ascolti , o solitario rivo ,
Ove ogni notte Amotr seco mi mena ;
Qui affido il pianto e i miei danni descriva,
Qui tutta verso del dolor la piena;
•ECOLiO DBGiaiOTTATO' (»oS
E narro come i grandi òcchi ridenti
Arsero d' immorsi ra^ io il mio C6re'^
«Come la rosea l>occà e i rilocéntt . ' -^^
Odorati eapelli, ed il candore '
Delle divine membra, e i cari ac<ien&i
M' insegnarono- al IT n piànger d'amore.
■■».
. Eaortaziont . aìla Giovenlà stufUosa*
O Italiani, io vi esorto alle slorie^ perchè ni un ^po*
polo più di Toi può mostrare , ne più Cfilamità da f:om
piangere, né più errori da evitare, né più nrlù che ti
facciano rispettare, né più grandi anime;, degne di es-
sere liberate dair obblivione da chi.iini|ue. di noi sa che
si deve amare e difendere ed onorare la terra che ne fo
nutrice ai nostri padri ed a .noi , e che xlaxà pace e me*
moria alle nostre ceneri. Io vi esorto alle storie, perche
angnsta è T arena degli oratori: e chi. ornai può conten-
dervi la poetica palma? Ma nelle storie tuU^ si spiega
la nobiltà dello stile, tutti gli afiEetti delle virtù ^ tutto
r incanto della poesia, lutti i precetti della sapienza,
tutti i progressi e i benemeriti deli* italiano sapere.. Chi
di noi non ha figlio, fratello od amico che spenda il
sangue e la gioventù nelle guerre? e che speranze, che
ricompense gli apparecchiate? e come neir.agonìa della
morie lo consolerà il pensiero di rivivere almeno nel petto
de' snoi cittadini , se vede che la storia in Italia non lra«
mandi i nobili fatti alla fede delle venture generazioni ?
Oh come alP esaltazioni con che Plinio Secondo si studia
di celebrare Traiano, oh come il saggio sorride! Ma
quando legge le poche sentenze di Tacito, adora la su-
blime anima di Traiano , e giustifica quelle vittorie che
assoggettarono i popoli alP impero del più magnanimo
tra i successori di Cesare. Quali paisioni frattanto la qoa
atra letteratura alimenta , quali opinioni governa nelle
5i»
6o6 LSTteilATIIRA ITiLUffà
famiglie? Come influivce in qiiu' cilt.ifltor, citllocali daìU
forlooa Ira l' idioCa ed ii leitemlo , Ira la rAgione di
Stalo, che non può guardare se non la pitbbtica olifità,
e ta misera plebe, che cieca meate obbedisce alle sa preme
necessità della ? ita ; io qne' cUtadioi die scrfi defono e
possooo prosperare la patria, perchè baooo e tetti e
campi, ed autorità di nome e certezza di eredità, e che
quando possedono virtù civili e dotnestiche, liaono mezzi
e vigere d* insinuarle tra il popolo e di parteciparle allo
Stato f L' alta letteratura riserbasi a pociti , atti a sen^
lire e aé intendere profonda meo te ; ma qiie* mollitsitiii
che p<*r educazione , per agi e per V umano bisogno di
occupare il cuore e la mente, sono adescati dal diLHto
e dàlPozio Ira' libri , denno ricorrere a^ gioroalf, alle
notelle , alle rime; cosi si vanno imbevendo delF |gno«
rante malignità degfi uni' , deHe stravaganze degli altri ,
del vaniloquio deNerseggiatori ; «osi ìnavvedutam^te si
nntrono di sciocchezze e di ' vizi , ed imparano a disprez-
zare le lettere. Ma indarno la Ciropedia e il Telemaco,
tramandatici da due mortili , cospicui nelle Ìotq patrie
per dignità e per costumi , ne ammoniscono che la sa-
pienza detta ancb^ essa romanzi alla Musa e alfa Storia;
indarno il Viaggio d^ Anncarsì ci porge luminosissimo
specchio quanto possa un romanzo, senza taccia di meo*
io<'na , iniziare i mcn dotti nel santuario della storica
Alusofia; indarno é i Germani e gì* Inglesi el dicono che
la giovenlù non vive die iV illusioni e di sentimenti , e
che là bellezza non è immune dalle insidie del mondo ;
e che, poiché la natura è i costumi non concedono di
preservare la gioventù e la bellezza thlle passioni, la let-
teratura deve, se non altro, nutrire le menu nocive, di-
pingere le opinioni, gli usi e le sembianze de' giorni pre-
senti , ed ammaestrare con la storia ddle fjmiglie. Se-
condate i cuori palpitanti de^ gioì anelli e delle fauciulle;
SECOLO DKCIMOTTITO 607
as$nefateli, fioche »on credali ed iiiDocenlr , • a cbmpian-
gere gli aomiai, a eoDoscere i loro difetti neMibri ^ a
cercare il bello ed il Tero morale : le illasiooi de' Toairt
raecooti. STaoiranoo dalla faDtasia con V età ; ma il calore
con eoi eòminciaroDO . ad i$lraire, spirerà coaliotio. ne*
petti» Offerite spontanei que' libri , che se non saranno
procacciati atilmente da toì, il bisogno , l'esempio, la
sedazione li proeacceranoo in secreto. Già i sogni e le
ipocrite Tirili di mille romanzi inondano le nostre. case;
gli allettamenti del loro stile fanno quasi abborrire come
pedantesca ed inetta la nostra liogna ; la oscenità di mille
altri sfiora negli adolescenti il più gentile oroamento d&^
loro labbri, il pudore. E tra ttantp chi de' nostri contorna
poranei ia fingendo norelle so gli osi, lo stile e le fogge
dell' età del Boccaccio; chi sego» a. rimare sonetti ; né
r ingegno eminente né la sublime poesia di que' pochi
che costodiscóno la riputazione degli Stati e dei Principi
basta per aTtentora a serbare inviolato il Palladio delia:
patria letteratura. Ah! tì sono pureja iutte le città di
Italia uomini prediletti dalla natura , educati . dalla filo-* ^
sofia , d' incolpabile vita, e dolenlì della, conrazione . e
della Tet&alità delle lettere, ma che, non. osando affron-
tare l'insidie del volgo dei letterati, e le minaoce della
fortuna ^ virono e gemono verecondi e^ romiti. O miei
concittadini! quanto è scarsa la .consolazione di essere pjoro
ed illuminato senza preservare la.ngistra patria :dagl'igno<^
ranti e dai «iUI Amate palesemente e g0nerosamente le
lettere e là vostra ónzioi^e, e potrete alfine. conoscervi tra
di voi , ed assumerete il coraggio della concordia ; né la
fortuna né la calunnia potranno opprimervi mai , quando
la coscienza del sapere e dell* onestà v^ arma del deside-^
rt€^ delia vera ed utile fama. Osservale n^li altri lo pas-
sioni che voi sentite , dipingetele ^^ destate la pietà cì\e
parla in voi stessi , quella unica virtù disinteressata negli
5i'
6oS LBTTBIIATUIIA ITÀLUffA
aomiot; abbellite la Tostra lingoa dèlia evideoza, MP^e*
nergìa e della laoe deUe Tostre idee; ainate U vostra ar-
te, e disprezzerete le leggi delle acca'deiaie gramaratica-
li , ed arriccbifete la stile; amate la vostra patria, e ooa
coDtamioerete eoo merci straniere la purità e le ricehene
e le grazie natie del nostro, idiooia» La Tarila e le pas»
•ioni faranno più esatti, meo ioetti, e pia doviziosi i
vostri vocabolari; le scienze avranno veste italiana, e
r affettazione dei modi non raffredderà i vostri pensieru
Visitate r Italia 1 O amabile terra 1 o tempio di Venere
e delle Mose ! E come ti dipingono I viaggiatori che
ostentano di celebrarti ! Uà chi può meglio descriverti di
chi è nato per vedere ^ fino eh* ei vive ,. la tua beltà ?
ehi^oò parlarti con più ferventi e con pi& candide esor*
tazionl di chionque non è onorato né amato so non -^
onora e non t'ama? Né la barbarie de' Gtoti,. né le «ni-
■oosità provinciali , né le devastazioni' di tanti eserciti ^
^ spense in qnest' aure quel f noce immortale che animò gli
Ktraschi e i Latini, che aoimò Dante nella calamità del*
^ l'esilio, e il Machiavelli nelle angosce della tortora, e
Galileo nel terrore della Inqoisbione, e Torquato oella-
vita raminga , nella perseeozione de^ retori , nel laogo
amore infelice., nella iagralitndioe delle eorti ^ né tutti
questi né lant^ altri grandissimi ingegni ,, nella doinestica
povertà. Prostratevi su^ loro sepolcri , loterKogoteli come
furono grandi e infelici , e come I* ^nMt della patria ^
della gloria e del vero accrébbe la costanza del loro cuore >
la forza del loro ingegno e i loro beneficjj verso di noi K
1 Ho gittdicAfeo opportuno di prendAP cong»& da-* miei Lettori- con qneslik
tlsortasUone, la quale h piena di nobili leatimenti e di utili TerStk; sebbene
ih qualche l>«rte posaa atece bisogno di una. prudente inteipretasione.. Con-^
»ideiando oca questi volumi , non 40 s* io debba ^rare àw lo studioso H
(rovi quella immagine della nòstra letteratura eh* io m* era proposto di
xappret«ntai^U.| e sento il bisogno di rkordart .che li compilai In serri-^
ftECOlO DECItfOTTATO 609
fio dei giovani desidaros» d* iniziarsi allo studio detti ktt«r« itaKana. Se
questi gioTani si contentassero di- quel poco eh* io potei metter loro dinan-
ai , conoscerebbero al^ certo troppo imperfettamente la nostra letteratura e 1»
nostra linj^a :■ però io primo di tutti lì esoi4» a rifarsi da capo ed a stu-
diare nelle opere dei nostri grandi scrittorù Cbe se questi volumi avranno
«ontiibftito ad accenderli nel desiderio di una più ampia cogniaione , o po-
te'anno servir loro di guida negli studi ebe intraprenderanno da se , io avrò
eonseguito pienamente quel firutto che può promettersi chi si Ci a compilare
un' Antologia. — • Il rispondere poi a coloro che voleasevo domandarmi per-
chè io abbia omesso il tale o tal altro autore , vorrebbe un troppo lun^o
discorso : dove 1* omissione paJA dannosa , potrk- ammendare il dijietto del
mio libro chi dppo di me vorrii pigliare una somigliant* letica. Soltanto di-
spetto al Cvoldoni mi- par necessario di dire una qualche parola. Qualunque
aia il pregio in cui debba tenersi il Goldoni , 1* Italia non ha chi lo vinca
come autore di commedie > bb» come scrittof non può assolutamente pro-
porsi ali* imitasione dei giovani. Per questa cagione io Tho escluso da-* miei
volumi ; e rimetto gli studiosi a lej^me per intiero almeno le commedie
più belle nella Scelta che ne ha data V egref^ Doti. Gherard&ni coi tipi
de* Glassici Italiani.
FflIB PEL tECOf.» DVCilfaTTlfa
IINDICE DEGÙ AUTORI
ALFIERI VITTORIO PAO. 43t
Opere, lulia ( Pisa ) , 1808 , voi. aa ia 4.^ •*- Opere Sceiu, Mi-
lana , Bettolìi , 1822 , Tol. 5 in 8<.* ; edisione belU e eorrettiisima.
▲LGAROTTI f^RANGESCO » Soy
Opere- VeoesÌ4 , Palese, I79t-1794^ voi* '7 >> 8*^ — O/mt*
Scelu, Milano , Tipo^. de* Class. Ital. » l823 » voi. 3 in 8.^.
9ARBAZ^ A. ANDREA ....•....««a^
la varie BaccolU»
BARETTI GIUSEPPE •.••.•...•• 533
La Frusta Letteraria, Royeredo, 1763-65» toI. 3 in 4*^ -^ Let»
tare Familiari, Milano e Yeneiia, 1762*63, voi. a in 8.* — «Kn'Mi
SedU. Milano , Bianchi e G. , i8aa-a3 , voi. a in 8.**.
BARTOLI DANIELLO 1» l35
Istoria deUa Compagaia di Gesà. Roma de* Lasseri , l653-^3 ,
voi. 5 in foglio. — L* Ana, Piacensa, Del Maino, l8l9-ax«voL8
in 8.^ — - Opere». Torino, Giacinto Marietti, l8a5, in 8.**- Edis. non
ancora compiuta.
BENTIYOGLlO GUIDO • loX
Per le Bìfiazìoni si vegga 1* edisione d* Anversa , Gio. Meerixeeio ,
1629 , in 4*** — P«r le Lettere quella di Roma , De Rossi , l654 #
in 8>** — • Per la Storia della guerra di Fiandra veggasi 1* ediaiooe laltn
in Milano , Tipogr. de' ,Glass. ItaL j 1806-7 , voi. 5 in 8.^.
BEUTOLA. AURELIO DE* GIORGI «^
Favole. Pavia, 1788 » in la.*, — Poesia, Aaconn , Sartafi , l8l5 ,
voi. 6 in 16.*
BETTINELLI SAVERIO •5X1
Opere, Venesia ,.ZatU, 1789, voi. 8 in 8.? — Del.RisargimenlB
d'Italia, Milano, Cavalletti .e G. , 1819, voi. 4 in 12.^
BONDI CLEMENTE » 557
Poesie. Vienna ; G. V. Degen , 1808 , vel. 3 in 4>**
BUOMMATTEI BENEDETTO ......... ^ ... e 287
Della Lingua Toscana, Milano» Tipogr« de* Gloas. ItaL, 1807,
voi. 2 in 8.*.
GASSIANI GIULI4NO. .. » 507
Saggio 4i Mimei Lucca , 1770 , in 4«* — * Ed in vari* Baecolte*
6lS IROICE IMEGLt ACTTOKI
CEARBTTI tOIÒI . . . . . . . . , , . i, . » , . FA». 5a3
Poesim e /Vo^e. MiUao , DetUfanù » iSiS, iol. a in 8«*« '*
CESARI ANTONIO . . ' » 5j^
Le GroMié, Veroaa , Ramauim , i8l3 tìn^^ —^ La Vita di Gesà
Oisto. Ib, Merlo , 1817 , ▼•!. 5 in 8.* ì e Milano , Silvestri , l8^,
ToL 6 in la.** — BeUesta delia Commedia di Dante Alighieri. Ve-
rona , Libanti , l8a4 * ^ol- 3 in 8.° — Prose Scelte. Milano , Sii-
wstri, i83o, in la.* — La Lettera altJlgarotii citaU trovasi col-
1* Antìdoto p^ giovani stMtdiosL Verona , libanti , 18^ , In 8.* ^-
Iiodate sono molte altre Opere originali o tradotte in separate etti-
aioni che qui . per brevità non si citano* •
GHIABRERA GABRIELLO ............ ^ . ir af
Opere. Veneti», Geremia , 1730^ vot. a in 8.* -« Itìme:' Mila-
no , Tipogr. de* Class. Ital. , 1807 , voi. 3 in 8.*
CRUDELI TOMMASO , . . > . ^ » 4^
Rime e Prose. Parigi (Pisa), Molini , b8o5, in la.^ -
DATI CARLO t ....** aetf
Vite de^ Pittori antichi, Fircnce, alla Stella, 1667^ in 4.*; Uà-
poli, Francesce Ricciardo, l73o, in 4*^*
DAVILA ARRIGO CATTERINO «95
Storia delle guerre ciwli di Francia, Venesta , Hertshanser, 1733,
voi. a in foglio. Milano , Wpogr. de' Class. Ital. , 1807 , voi. 6 in 8.*.
ftf. Fontana, 1829, voi. .4 in 8.*. •
DONI GIAMBATTISTA Jt ....•«• a68
L' Ofasione citata è di Firenae , Massi e Landi^ 1643» in 4.*.
FANTONl GIOVANNI. .....«.» 4^7
Poesia., lulia , i8a3 , toL 3 in 8.*.
PILIGAJA VINCENZO , . . ., * aro
Poesie Toscane, Firensie , Matini, 1707, in 4.*. VeAesia, Valle,
x8a3, voi. a in i6.*.
FIORENTINO SALOMONE ....... ^ » 5a^
Poesie, Pisa, i8o3 , in 8.*; e lUtomo , ì8l5, voi. a in i6.*.
Fp^TIGUERRA NICOLO* '....•...'.* 3i3
// Bicciardetto. Parigi ( Veneaia ) , Pttteri , 1788 , voi. a in 4.«
Milano , Tipogr. de* Class. Ital. , ]8i3 , voi. 3 in 8.* — In Tari*
RaccoUe si trovano parecchie Poesie di questo Autwe.
FOSCOLO UGO . » 58l
L* edizione più copiosa delle Opere di questo Autore fit t»ubb]i.
eata in MiUnó , N. Bettoni e C, , i83a , voi. 4 in l6.* , ma ^ aa-
sai scorretta. — Le Poesie si hanno dalla Tipogr. de' Clas». Ital. ,
. l83a, in i6.*. — Per le Notìzie di Didimo Chierico veggasi Te*
disione di Pisa , Sapieasa , l8l5 , in 4.».
FRUOQNi CARLO Innocenzo . . , . , . . , . ^ . , ,3,5
Opere Poetiche, Parma, Stamp. Reale, 1779, voi. lo, .—
SeeUe, Breicia , Berleadis , l7$ll-83 , voi. 4 in a*.
IHIHGE DEGLI ACTORI 6 1 3
PtSCONI LORENZO ,. . .' rA». 5t3
In Turie Raccolte*
GALILEI GALILEO . « i> 44
Opere. FireoMj Taitini e Franchi, 1718» toI. 3 in 4*^. Id, Pa-
flora , Manfirè, 1744* ^''^' 4 '^ 4**** '''* l^^i^i^o» Tipogr. de' Glaèc»
Ital., 181 1, Tol. l3 in 8.^
GHEDINI FERNAND* ANTONIO « •. • 482
In Tarì« Rmccolte,
GOZZI GASPARO . •• 3Sl
Opa^i Padova , Tipogr. della Minetra , 1818^20, voi, 16 in 8«^— «• -
' Opere Sc^te» Milano, Tipogr. de* Class. Ital. , 1821-22, voi. 5
in 8<* — Mtettere , Yenesia , Pasquali , 1755-56. — - C^ere in versi
e in prosa, Venesia , Occhi , ij56 , voi. 6 in 8.** — > Sermoni, Brer
icia , Bettoni , 1808 , in 8.*^.
GVIDI ALESSANDRO • « 23S
, Bime. Roma, Koniareck , 1704 » in 4** — i^w»^* Verona, Tumeiw
manij 1726, in 12.*^ j e Milano, Tipogr. de* Clastici Ital., 1827-^
in l6.*.
LAZZÀRINÌ DOMENICO . . . » 47S
■Jìime scelte* Bologna , Dalla Yolpe-, X737 9 in 8.*.
LBMENE FRANCESCO " ^94
•Poesie diverse, Parma , Eredi Blonli , voi. 2 in 8.*.
UPPI LORENZO k « 273
. Il MalmaiUile racqvisUd», L* edistone originale h di Finaro ( Fi*
rense ) , Gio. Tommaso Rossi ^ 16764 in la.® — Yeggasi ancht
quella de* Class. luU , Milano , 1807 , in 8.°. Ye n' ha una di Fi*
venie , 1750 , voi. 2 in 4*^ coXiie note del Salvini.
MAGGI CARLO MARU * ^
itime. Milano , llalatesU 4 1700» voi* 4 '° '^***'^
MANÀRA PROSPERO .....:.... v • 5l«
Poesie. Parma, co* tipi ■ Bodoniani ,• x8oi , voi. 4 i» SA
MANFREDI EUSTACHIO . « 3o$
Bime e Prose, Bologna , Dalla Yolpe , 1760 , in 8.*«
MARATTI FAUSTINA * 292
In alcune Raccolte , e eolle Poesie del Zappi suo marito.
MARCHETTI ALESSANDRO 3» '293
Rime, Yenesia , Yalvasense , 1755 , in 4***
MARINI GIAMBATTISTA . . • 290
Rime sacre e privane. Yenetia , Giunti « x6o2 , in 4*^ -^ X» À^
done. Parigi , Oliviero di Varano , 1623.
MAZZA ANGELO v 527
Opere, Parma, Paganino, 1816-1819, voi. 5 in 8*^
MENZINl BENEDETTO . . . . * 211
- X* jérte poetica, Roma, per il Molo , 1690 , in 12.* — • JLe Opere* .
Firenae , Tarliai a Franchi , 1731* 32 , vói. 4 io 4****
~6f^l mplGE DE«LI AUtOIII
METJlSTÀSlO PIETRO • » VAO, BaS
Opare, Parigi, Vedova Herìssant, 1780*63 » voi. la in 8.** — * /<f«
• Milano, Si|ve«lrì, i3i2Ì , voi, 13 Ì9 1.2A Id, Ifaptora, Caranenti»
X8l6, voh ai in 13.^— (^«re Drammatiche* Milano, Tipogr. de*
Clau. lui. , 1820 , voi. 5 in 8." — Le ttuse, ib, ib. , 1838 , voU 14
in i6.*.
MUiZONI OJNOFRIO. ................... 5l8
Mime e Prose, Venesia , Tipogr. Pepoliana , 1794» in 8.*> — - i2*-
fne. Pavia , Baipassare Gomini , 17^ , in I3.%
MONTI VINCENZO » 558
Poesie, Milano , FonUna , i83o , in 8.*. /A Tipogr. de' CWm.
. Itti. , 1835*37 , voi. 8 in iQ."* — L* Edisione più compiuU è quella
a! lUlia ( jiologna ) , 1821-28 , voi. 8 in. I$.«..
Bella è 1* edisione delle Opere ine^it^ o rare che vien pubblicando
: -in.MUai^o il I^ampat^. -7- Pel|a Proposta fi Jbaqno due «disioni mili^ >
■ «OM , r ma d«lU SUlnperia Raalé , V altra del FonUna.
PAtCANILlflOI ...... ^ .^ ,. , • 547
Opuscoli. Bologna , I.aecliesini, in S.^ì e Milano, Silvestriy x8l7t
' . in i6.* -
PARADISI AGOSTINO., . , ( » 5l^
,Poesie ej'rose.sc^te, Rjeggio , Fiac(adprì« 1837 , toI. a in li*.
PÀRINI GIUSEPPE . • 394
Opere, Milano , SUmpeòa del. G^oìq, |8qi-4, yol. 6 in S.*, pe» ;
• cura dell* «tv. Reina. ~^ J\«#i« Scelte. Mìiaao » Bemardoai , 1814 ,
in I3.«j edikioae diligentss^ikia*
PAS«ERONI GIAN CARLO ..•••••••..•••- 38l
// Cicerone. Milano , 1756-74 » voi. 6 in 8." — Favole BsopioM, ec .
c": ^MiIa^o,,I775« voi. .9 in 13.?. Ed.an^he.in. vprie Baccoke,
PASTORINI GIAMBATTISTA •,••••* » «474
< :' In aloitne Kficcolte. , , ,
PERTICARl GIVUO .....,.-• «573
Opfre^ Alcune opere ^i trovano nelle edisiouBt della Proposta dal
Monti. — Altre ne pubblicò il SilveMri in Milano, i8a3, voi. a
». 'cinia,'. .Le. edisipoi più compiute sono quelle di Bologna, Veroli«
voi. 3 io 8.* ; e di Mi)aoo>, Beltoni « G. , x83l , voi. 5.
; WGNOTTI LQ.RENZO. .....;,... ,5^
Favole 0 Poesie, PUa, Pieraccini » 1783, in 8."* -. Poesie. Fi-
rense^ Molini , 1820, in la.?. . .^
PINQEMONTE IPPOLITO ...;...» » 5fo
Poesie e Prose Campestri. Verona , Mainaxdi , 1817 , in 8.* —
tln, bel vojnme di Poesie ( compresa anche V. Odissea) ne dU om
il Fontana iq Milano. — Elogi dei Letteratì, Verona « Libanti, l8a5-a5,
i V0.I. 3 in 8,*.
REDI FRANCESCO I$S
Le Opa-e. Oltre airediaione dei Clauiù Ital.» MUano,, 1809-11,
INDICE DEGLI AOTORf 6|5
Vo). 9 ìd 8.-^» abkUmo quella fatta in Venesia pet Gabriello Hellt, ^
1713, voi. 3 in 4*'* — P«r 1« Zettete reggasi V ediaioiM di Finn-
M, GamLiagi , 1779» voi. 3 in 4*^*
RÌRirCCINI OTTAVIO PM. i4
Drammi Musicali* Livorno, Masi 0 C., l8oa , In 8.** — Il Jfar»
cUo. Roma , Poggioli , 1829 , ijn 8.^
ROBERTI GIAMBATTISTA » Sl^l
Qper9, Banane , ReoBondini , 1797 , voL x5 in x6»*.
ROLLI PAOLO ....;.. * . i> 483
' CompMimentì Poetici, vienesia , Occhi , 1761 , in 8.^ — J^ime, :
Londra , Piekard , I717 ^ in 8.^.
ROSA SALVATORE ;..».» al63
Xe Sàtbr, AntstordoBiy per Setero Protoma<liB. Se ne kanno pia,
edÌÉioni.
ROSSI QUIRICO «.........,« « 49B
In Tarie Maccolle,
SALANDRI PELLEGRINO x . • . ^ ^ » 5lS
Poesie. Reggio , Torreggiani e G. , 1824 1 in 16.*.
SALVINI ANTON MARIA. ...» 35»
Phfse Toscane. Firense , Ouiducci e Franchi, iJlS f in 4>* *^
Ph>se Sacre, Firense, Tartini e Franchi, 1716, in 8<* -^ Discorsi
jiccademici. Firenae , Ant. M. AlhisaìDi, 1713 , in 4** — > t^ei* 1*'
Versione di Senofonte Bfuié , ti veggano le ediaìom di Londra ,
Pi4ìkard , 1733 , in la.** ; e di Parigi , Renouavd > 1800 , in 13.* ,
riToduta da E. Q. Viscootk
SATIOLI LODOVICO .................. 5»4
Amori, Grisopoli » costipi Bodoniani, 1795, ili 4*^ *"** '■'■gi,
Molini , X795 , in 8.® '—* Poesie Scelte, Milano , Tipogr. de* Clau.
Ital. , i8a8, in iG.*".
SEGNERI PAOLO « . . » 175
Pel Quaresimale si veggano I* edisione di Firenie , Jacopo Sa-
halini , 1679 > ''^ foglio ; e quella della Minerva di Padova , 1826 »
voi. 3 in 8.*' — P«>i Panegirici, Firense, Matini , 1684 , ^
13.* — Il Cristiano istruito. Firenae , Stamp. di S. A. R. ^
1686 , voi. 3 in 4<*^ — • I^n* edisione di tutte le Opere sfa ora &•
«ondosi in Torino dalla Soc. tipogr. libr.
SEMPRONIO GIO. LEONE . . . » ^
In varie Raccolte.
SFORZA PALLAVICINO » l56
La Storia del Concilio eli Trento nella sua integrìtk fu stampata
in Roma per Biagio Diversin e Felice Cesarotti , 1664 » E. 3 in ^.**.i
poi separata dalla parte eontensiosa fu stampala pure in Roma da
Giuseppe Corvo, 1666 , in foglio , e ultimamente dal Silvestri in Mi-
lano. — -> L* Arte della Perfezione Oistìana. Rema , Bernabò , x665 »
in 8."* ; • Milano Gio. Silvestri , 1827 , in X2.°.
6i6 ìboicb degli AOTomi
STOLyEtdtUììCtOrBiKTlSTk ...>.. PA^.-tó
Za.Co/tò^nnVMie. VefoM, Garattoni, 1758, in 4'* » • P*^^ »
Slamo, del Seminario, 1810 , ia 8*^*
T^GUAAUCCHI GIROLAMO . . . ... ...... . • • • "475
JVwe e Poesie, Torino^ Ifaireast, lySS, in 8.* *— . Bagitnimménio
àtlarmo alle unuute lettere, Veneaia, Tip. d' Alviso^lV, l83o, in l6.».
TASSONI ALESSANDRO ,.,../• «5
L% Secchia rapita, Modena , SoUmì , 1744 » in 4'* — Fuuiai
' diversi, Veneaia , Brogiolo, 1627, in 4-^- ...
TESTI Fra.yiO. ^,.•-•115
Opere scelte, Modena , Social tipogr. , 1817 » toL A In 8.*^
TAIANO ALFONSO . .. . . •. • • • • i- - » ^*
Opere Poetiche, Parma, SUmp. R«al« , 17^ • '*>*• ^ ■» '*•*»
e Veneaia , Palaie, l8o5 , wl. 4 in 8.» — Opere Scelte, Milano.,
' Tipogr. de' Class. luL , 1818 , in 8.^ . .
ZANI TERESA , ^ ,„ ,. . - 4Sa
In alcune Raccolte,
KANOJA GIUSEPPE .,..•.••.. %
Sermom, Sfilano , Mussi , 1809 , in 8.^.
ZANOTTI FRANCESCO MARIA .,....,.--4^
Opere Sbelte. Milano , Tipogr. de* Class. Hai , 1818 » voi. st
in 8.* — li Palcani ne puliblicò tutte lo Op«n italiane a latina s
Bologna , Tipogr. di San Tommaso , 1799 , toI. 9 ia 4****
ZANOTTI .GUMPIETRP ..............•*• 477
Fita di Eustachio Manfredi, Bologna, DiaUa. Yplp^^, 1745 » in 4-*-
ZkX91 G. B.. FELICE -.,..- ♦. . , • • • ^Q*
Bime, Veneaia^ ^l^^* T?^^ Ì" ^^*'
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