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Full text of "Manuale della letteratura italiana"

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■Manuali 


EIVGICLOPEDIA 


i     -  I  -«ir  •~ni 


^£e{teraùira 


MANUALE 


DELLA 


LETTERATURA  ITALIAJ^A 

COMPILATO 

DA 

FRANCESCO  AMBROSOLl 


VOL.  IV 


MILANO 

PER  ANTONIO  FONTANA 
iu>ccic.zxxn 


PQ4042 
MANUALE       A  J 

v4 


DELLA 

LETTERATURA  ITALIANA 


SECOLO  DECIMOSETTIMO 


KOTIZIE  STORICHE 

k3ÌD  dal  finire  del  secolo  precedente,  il  d acato  d 
Milano  e  i  regni  di  Napoli  e  di  Sicilia  (  oltre  alP  isola 
di  Sardegna  ed  alcuni  porti  della  Toscana)  eran  sog** 
getti  alla  dominazione  spagnuola  ^  e  vi  esercitavano 
un  potere  durissimo  magistrati  quasi  sempre  ignoranti 
e  rapaci,  a  Napoli  ed  in  Sicilia  con  titolo  di  Viceré, 
a  Milano  ed  altrove  con  nome    di    Governatori.  Gli 
altri  Stali  che  nelle  guerre  del  secolo  XVI  non  avevan 
perduta  P  indipendenza,  e  que^  medesimi  che  avevano 
conservata  la  libertà ,  in  parte  attendevano  a  risto- 
rarsi dalle  lunghe  e  rovinose  percosse  ^  in  parte  giace- 
vano sotto  principi  loro  proprii   e   nativi,    ma   non 
meno  oppressori  che  gli  stranieri:  tutti  poi  cercavano 
nelP  oscurità  e  nel  silenzio  la  sicurezza  dalla   gelo.si<t 
o  dall'avidità  della  Spagna.  £  non  v'ha  dubbio  che 
la  Corte  di  Madrid  meditava  di  trarre  a  sé  il  dominio 
di  tuttaquanta  F  Italia  :  né    delle   potenze  dì  questa 
provincia  si. da  va  oramai  gran  pensiero^  ma  avea  roc- 
chio alla  Fraocia,  la  quale  anch'essa  (come  nel  se-^ 
colo  precedente  )  agognava  a  questo,  possedimento. 


6  LETTeRATURA   ITALIàllA 

Iq  Francia  regnava  allora  Luigi  XIII  succeduto 
nel  1610  ad  Enrico  IV^  ma  nel  vero  poi  il  cardi- 
nale Richelieu,  sotto  nome  di  ministro,  padroneggiava 
ogni  cosa.  Costui,  dopo  avere  sollevata  la  possanza 
reale  sulla  depressa  autorità  de^  Vassalli  e  de^  Parla- 
menti, e  dopo  «vere,  prostrata  la  fazione  degli  Ugo- 
notti, attendeva  ad  umiliare  la  Spagna,  o  piuttosto  la 
Gasa  che  regnando  a  Vienna  e  a  Madrid  avviavasi 
fin  d^  allora  a  non  misurabil  potenza.  E  questa  inten- 
zione si  fece  manifesta  in  Italia  nel  16:26,  allorché  per 
la  morte  di  Vincenzo  II  Gonzraga  duca  di  Mantova 
parecchj  contendenti  se  ne  dispularono  la  successio- 
lie.  ^^—  La  Casa  di  Savoja  voleva  che  il  Monferrato 
(conceduto  da  Carlo  Quinto  ai  Gonzaga  da  circa  un 
secolo  )  dovesse  ora  devolversi  a  lei.  Carlo  Gonzaga 
duca  di  Mevers  pretendeva  che  tutta  intiera  Y  ere- 
dità di  Vincenzo  dovesse  a  lui  pervenire.  L^  impera- 
tor  Sigismondo  avoca  vaia  a  sé  come  feudo  imperiale 
rimasto  senza  legittimo  successore.  E  la  Spagna  non 
dissimulava  di  voler  cogliere  quella  occasione  per  a- 
xiire  al  Milanese  quegP  importanii  domimi  che  tanto 
potevano  agevolare  i  suoi  disegni  sopra  V  Italia.  E  se 
questo  solo  nìotivo  già  era  bastante  per  muovere 
quella  Corte  a  immischiarsi  in  tale  contesa,  ve  la 
sosping^eva  poi  maggiormeote  il  desiderio  dMmpedire  ^ 
che  un  principe  francese  venisse  a  dominare  in  Ita- 
lia, e  in  un  luogo  cosi  vicino  a^  suoi  Stati.  B^  altra 
parte  ai  Veneziani  spiaceva  che  la  potenza  spagnuola 
acquistasse  nuovo  aumento  in  Italia,  dov'era  già  trop- 
pa^ e  desideravano  anzi  che  vi  mettesse  piede  una 
grande  nazione  capace  di  tenerle  fronte.  Quindi  il 
Richelieu  persuase  Luigi  XIII  a  quesl'  impresa  *,  ed 
egli  e  il  Re  calarono  in  Italia.  La  rinascente  fazione 
degli  Ugonotti  li  obbligò  poi  a  ritornare  in  Fran« 
eia  ^  ma  il  Richelieu  passò  di.  auuvo  le  À.lpi  in  qualità 
di  generalissimo,  e  prosegui  quella  guerra.  La  quale 
dopo  vari!  accidenti  (e  fra  questi  fu  gravissimo  quello 


SECOLO    DECIMOSETTIMO  J 

J'aTwe  gli  Spagftaoli  nel  i63o  pre«a  e  iaccbeg:giata 
Maotova  )  fa  sospesa  per  ioterposizioue  del  pootefice 
Urbano  Vili  ^  e -le  varie  preteosìoiii  dei  priocipi  si 
composero  prima  nella  Dieta  di  Ralisboaa,  poi  colla 
pace  fermata  in  Gherasco  Tanno  f63i.  Carlo  Gon* 
zaga  d»  Nevers  ebbe  il  ducato  di  Maotova  con  in- 
Testitnra  però  delP  Imperatore,  e  sotto  obbligo  di  pa-^ 
lare  ai  Gonzagbi  di  Gruastalla  un^  annua  pensione. 
Del  Monferrato  si  lasciò  alla  Casa  di  Savoja  la  città 
di  Torino  con  alcune  altre  terre  :  e  i  Francesi  eb* 
bero  in  pvoprietà  Pineroio ,  con  cbe  si  apersero  duo* 
Tsounte  la  strada  aiP  Italia. 

La  gelosa  reciproca  de^  Francesi  e  degli  Spagnuoli 
non  permise  che  qtiesta  pace  durasse  a  lungo  :  ma  nel 
i635  ruppero  a  nuova  guerra.  Vittorio  Amedeo  di 
Savoja,  che  aveva  dovuto  aderire  alla  Francia  ed  era 
itato  fatto  generalissimo  della  Lega,  mori  nel  1637, 
lasciando  reggente  e  tutrice  de^  figliuoli  Cristina  sua 
moglie ,  sorella  di  Luigi  XIII.  Sotto  V  ombra  di  questa 
parentela  il  cardinale  ftichelieu  si  diede  tosto  a  cercar 
a  ingerirsi  nelP  amministrazione  del  Piemonte..  Ma 
gli  si  opposero  il  cardinale  Maurizio-  e  il  principe 
Tommaso,  fratelli  del  morto  Duca,  i  quali  già  prima 
d^  allora  s^  erano  uniti  cogli  Spagnuoli ,  P  uno  risie* 
dendo  in  Roma  come  protettor  delPlmperio,  T  altro 
combattendo  fra  gli  eserciti  di  Spagna  nel  Belgio.  La 
gaerra  cbe  nacque  per  questa  cagione  fu  di  gran 
danno  alle  province  piemontesi  ^  perchè  alle  armi  stra- 
niere si  unirono  le  civili,  parteggiando  i  cittadini. gli 
tini  per  la  duchessa  Cristina  ,  gli  altri  pe'  suoi  co- 
gnati. Pure  non  alterò  punto  lo  stato  delle  cose  ita« 
liane ^  se  non  che  all'  ultimo  i  Francesi,  oltre  al  con- 
servare Pineroio,  ebbero  anche  in  deposito  Casale^ 
che  per  la  sua  posizione  e  fortezza  li  fece  assai  più 
potenti  di  prima  in  Italia.  Il  trattato  con  cui  finì 
questa  guerra  fu  stipulato  a^  1.4  giugno  164^^  sul 
finir  del  quale  auuo  mori  poi  il  cardinale  ministro 
Kichelien. 


I 

8  LETTERATURA   ITALIANA 

iVIdAp^a  qaesto  tratta to,  che  mise  oa  termine  alle 
sventure  del  Piemonte,  non  cessò  per  altro  la  guerra 
tra  la  Francia  e  la.. Spagna^  la  quale  durò  fino  al 
novembre  del  ifiSp  e  si  compose  colP  altro  trattala 
detto  la  pace  de^  PireneL  . 

Mentre  agitavasi  questa  guerra  del  Piemonte,  erasi 
estinta  (nel   i63i)  la.  discendenza  maschile  dei  Du-' 
chi  d^  Urbino.  I  nipoti  >  di  Urbano  Vili  avrebbero  vo^ 
luto  cb^  ei  desse    loro   quel    feudo  ^   ma  il  Pontefice 
resistendo  a  quelle, istanze  lo  incorporò,  secondarle 
leggi  originarie,  ai  domìnii  della  Chiesa.  Essi  eitora 
volsero  P animo  ad  altri  acquisti;  e,  vincendo  ]a  co- 
stanza del  Pontefice,  assalirono  in  nome  della  Ohiesa, 
ma.  nel   vero    per   loro  proprio  vantaggio,  Odoardò 
Farnese  di  Parma  per  togliergli  i  ducati   di   Castro 
e  di  RoncigUone.    Questa  guerra  (dice  il  Sismondi) 
fu  la  sola  in  quel  secolo  di  origine  italiana  :  vi  sMm« 
mischiarono  il  Duca   di   Modena,  il  Gran  Duca   di 
Toscana  e  la  Repubblica  di  Venezia  :  fu  agitala  con 
gran  furore  pel  corso  di  tre  anni  (dal  i64i  al  i644)^ 
e  fini   lasciando  i  due  partiti  nello  stato   di    prima. 
Poco  dopo  morì  Urbano  Vili.  In  Francia  Luigi  XIII 
era  sopravvissuto  sol  pochi  mesi  al  Richelieu.  Il  suc- 
cessore alla  corona ,   Luigi  XIV ,  era    tuttora    fan« 
ciullo  :   però   si   fece  una  reggenza  ;  ma    la   somma 
delle  cose   fu  commessa    in    qualità   di   Ministro    al 
cardinale  Mazzarino,  il  quale,  prima   di   essere  in- 
signito della   porpora ,   s^  era   illostratq.  nella   Dieta 
di  Ratìsbona.  Questo  nuovo   Ministro    mandò  tosto 
una  flotta  contro  gli  Spagnuoli  di  Napoli  :  e  sebbene 
la  spedizione  non  conseguisse  il  fine  a  cui  s^  era  mos* 
sa,  i  Francesi  ne  guadagnarono  per  altro  Piombino 
e  Portolongone  neìV  isola  d^  Elba  ^  lamentando  così 
la  loro  potenza  in  Italia. 

Il  regno  di  Napoli  sotto  il  governo  degli  Spagnuoli , 
st^bbene  fosse  io  continua  pace  al  di  fuori,  sostenne 


I  Trliauo  Vili  fu  della  famiglia  dei  Barberini. 


im^Lo  DxqiMOSBTTnio  9 

sempre  tatti  i  pesi  iDerenti  alla  guerra,  mandando 
cootiDuamente  uomini  e  danyiri  alla  Spagna,  Il  modo 
poi  con  cui  si  esigevano  i  tributi  era  sì  cattivo ,  parte 
per  mala  istituzione^  parte  per  rapacità  de^  ministri  e 
de' grandi  stessi  del  Regno,  che  il  popolo  si  trovò  alla 
fine  necessitato  di  ricorrere  alla  forsa.  Nel  giorno  9  la* 
glio  1646  on  pescivendolo  per  nome  Tommaso  Aniello 
(  detto  comunemente  Masaniello  )  si  fece  capo  del- 
l' oppresso  popolo  napoletano  contro  il  viceré  duca 
cP  Àrcos.  Masaniello  aveva  animo  e  ingegno  da  con* 
durre  a  buon  fine  V  impresa  ^  ma  riuscì  allo  Spa*. 
gnuolo  di  screditarlo  presso  i  suoi  proprii  seguaci, 
che  nel  sedicesimo  dello  stesso  mese  lo  trucidarono. 
Avvedutisi  dell'inganno  gli  soslftuirono  don  France* 
SCO  Toraldo  d'  Aragona ,  che  finì  assai  presto  come 
il  suo  predecessore.  L'  odio  che  s  era  manifestato 
da  prima  contro  il  Viceré,  si  volse  allora  contro  la 
dominazione  spagnuola  ;  il  popolo  abbatté  le  imma- 
gini del  re  Filippo  IV  ,  e  gridò  la  libertà. 

Il  Mazzarino  avrebbe  voluto  approfittare  di  quella 
occasione  per  togliere  il  Regno  alla  Spagna  ^  e  faceva 
disegno- sopra  Tommaso  di  Savoja  che  di  nemico 
erasi  fatto  ligio  alla .  Francia.  Ma  si  questo  Principe, 
come  Arrigo  II  'duca  di  Guisa  non  riuscirono  a  nul- 
la^ e  Napelli,  dopo  alcuni  mesi  d'incerta  e  tumul- 
tuante repubblica,  tornò  nell' ubbidienza  degli  Spa- 
gnooli  >• 

Due  anni  dopo  (  nel  1 65o  )  le  guerre  civili  di 
Francia  le  fecero  perder  Piombino  e  Portolongone , 
e  nel  i65a  anche  Gasale^  sicché  1'  Italia  rimase  in 
balìa  della  Spagna.  Il  Mazzarino,  poiché  le  cose 
francesi  furono  ricomposte,  volle  tentar  di  ripigliare 
il  perduto,  e  si  provò  un'altra  volta  a  cacciar  di 
Napoli  4a  potenza  rivale  :  ma  non  gli  venne  fatto. 
Le  due  grandi  nazioni  continuarono  per  alcuni  anni 

I  Nello  «teu»  tempo  e  per  le  »tesse  cagioni  si  rìLeUò  anche  il  popolo 
di  Palermo. 


IO  LETTERiTORA-  ITlLlAlfl 

una  guerra  che  noa  produsse  verua  notabile  effetto 
sapra  V  Italia.^  e  che  finì  poi  colia  pace  già  mento* 
yata  de^  Pirenei  V  anno   1659. 

Tali   furono  i  principali   avvenimenti  d' Italia  nel 
secolo  XVII  ^  quelli  almeno  che  forse  potevano  por- 
tar seco  un  qualche  mutamento   nello  stato  politico 
di  tutto   questo  paese.  Del  resto,  e  prima  e   dopo 
della  pace   de^  Pirenei  v'  ^bero  alcuni   fatti  minori 
che  desolarono  unch^  essi  le  nostre  province.  —  Nel 
2649    ^   pontefice   Innocenzo   X   elesse   vescovo*  di 
Castro   una   sua  creatura   contro  il  voto  di  Ranuc- 
cio II  duca  di  Pai*ma.  L' eletto  fu  ucciso  mentre  an« 
dava  alla  sua  Sede^  e  il  Pontefice  fece    distruggere 
quella  terra  e  v'alzò  una  colonna  colP  iscrizione  qui 
FU  CASTRO.  —  Nel    1674   i  Messinesi  si  ribellarono, 
proclamando  re  di  Sicilia  Luigi  XIY  che  aveva  tolto 
a  proteggerli^  Abbandonati  poi  da  quel  Monarca  y  e 
caduti  di  nuovo  in  balia  degli  Spagnuoli,  perdettero 
quel  poco  di  liberali  istituzioni  che  avevano  conser- 
vale fino  allora  \  —  I  Veneziani  ebbero  lunga  guerra 
co'  Turchi  y  nella  quale  mostrarono  V  antica  loro  pos- 
sanza e  bravura,  ma  nondimeno  perdettero  l'isola  di 
Candia.  —  La  città  di  Genova  nel  i685  fu  bombardata 
dai  Francesi ,  e  quando  si  fece  la  pace  bisognò  che  il 
Doge  andasse  in  Francia  per  umiliarsi  a  Luigi  XIV.-— 
Vittorio  Amedeo  li  di  Savoja  si   accostò    nel    1690 
alla  Lega  d'Augusta  conchiusa  cpntro  la  strabocche- 
vol  potenza   del    Monarca    francese ,   pel    quale  già 
stava  al  di  qua  delle  Alpi  con  buono  esercito  il  si- 
gnore di  Gatinat.  Questi  nella  battaglia  di  Stafiarda 
vinse  il  Duca  e  i  suoi  alleati   imperiali,   occupando 
molte  parti  ragguardevoli  dei  Piemonte.  Un'  altra  rot- 
ta, e  molto  maggiore,  ebbero  nel  1693.  Tre  anni  do- 
po y  Amedeo  ingelosito  dalla  soverchia  potenza  a  cui 
erano  salite  in  Italia  le  Cotti  di  Vienna  e  di  Ma- 

Z  La  città  di  Messina  arerà  un  Senato  suo  proprio» 


SECOLO  l»CIVOSBTTUIO  II 

^id ,  e  sollecitato  dal  Papa  e  dai  VeDeziaoi ,  ti  col* 
legò  col  Re  di  Francia^  e  quando  nei  1697  si  fece 
la  pace  di  Riawick  tra  le  Grandi  Potence ,  riebbe 
tolto  ciò  che  i  Francesi  gli  avevano  tolto. 

Di  alcune  altre  piccole  dissensioni,  per  esempio  tra 
i  Ducbi  di  Modena  e  lo  Stato  di  Lucca  ^  e  nem- 
manco  di  quelle  agitate  tra  Roma  e*  Venezia  per  certa 
immnnità  religiose  ^  o  di  alcune  turbolenze  state  ìq 
Roma  per  cagione  degli  asili  e  per  certe  prerogative 
che  Luigi  XIV  voleva .  conservare  al  suo  ambascia- 
dorè  ,  non  è  necessario  parlare.  Quanto  fin  qui  si 
è  detto  dimostra,  còme  nel  secolo  XVII  gli  Stati 
d^ Italia,  non  che  potessero  rialzarsi  alP antico  splen- 
dore, ebbero  a  gran  ventura  il  non  cader  tutti  sotto 
una  sola  straniera  dominazione.  Essi  non  si  brilla- 
rono allora  di  tanto  sangue  civile  quanto  ne  spar- 
sero nelle  età  precedenti:  ma  troppo  tardi  impara- 
rono dalle  comuni  sventure  la  necessità  d^  esser  con- 
cordi ,  quando  la  loro  prudenza  era  divenuta  im- 
potente. Però  Urbano  Vili,  meritamente  lodato  per 
aver  posto  freno  alla  prevalenza  degli  Spagnuoli^ 
non  seppe  trovare  a  tal  uopo  altra  ìria,  fuor  quella 
di  aprire  nuovamente  ai  Francesi  le  porte  d^  Italia, 
ridestando- così  fra  noi  T  emulazione  ed  in  parte  an- 
che la  guerra  di  quelle  due  potenti  nazioni.  Tanto  poi 
ad  Urbano  ^  coùie  a  quasi  tutti  i  Pontefici  del  secolo 
XVII  suole  non  a  torto  rimproverarsi  una  soverchia  e 
dannosa  condiscendenza  alP  avidità  e  alP  ambizione  dei 
loro  congiunti ,  conosciuta  sotto,  il  nome  di  nepoii* 
smoj  e  fonte  di  molte  ingiustizie  e  di  molte  sven- 
ture italiane  >.  Tuttavotla  non  è  da  tacere  che  la 
ricchezza  e  lo  s&rzo  di  queste  famiglie,  e  il  concorso 
dei  grandi  che  di  qoe^  tempi  mandavansi  a  Roma 
da  qnasi  tutte  le  Corti  straniere,  diedero  nel  secolo 
di  cui  parliamo  a  quella  Gttà  un  incredibile  «plen- 

1  n  pontefice  Innocenio  331  neU'  anao  1693  conobbe  la  necetiitli  di  mei- 
ter  £koo  a  ^oerto  abuso  oob  una  BoUa. 


1%  LBTTBR1T0R4   ITILIÀRA 

dorè.   E    alcuni    Pontefici   attesero  ad  abbellirla    di 
sontuosi  edifizii  ,  ed  anche  a  proteggere   le   lettere  , 
delle    quali    (  come  Urbano   Vili ,  Gregorio     XV   e 
Alessandro  VII)  furono  essi  medesimi  coltivatori.  '  Né 
si  vuol  tralasciar'  di  annoverare  fra  le  venture  di  Ro- 
ma il  soggiorno  che  vi  fece  nella  seconda  metà    del 
secolo  XVII  la  regina  Cristina  di   Svesia    magnifica 
proteggitrice  delle  lettere  e   delle  arti.  Del    resto   è 
hen  facile    immaginarsi   che  in  questa  età    non    po- 
terono   trovarsi    in   Italia    que'  larghi    fautori    degli 
studi,  dai  quali  furono  tanto  illustrati  i  secoli    pre- 
cedenti. Perocché  sul  finire  del  Cinquecento    alcane 
province  già  erano  esauste  d^  ogni   denaro  y  il  quale 
poi  nel  Seicento  si  fece  sempre  più  scarso  per  molte 
e    ilnrie   cagioni.    Non    diremo    delle    parti    soggette 
alla    Spagna  ,    d' onde   il   danaro    colava    continua- 
mente a  Madrid  :  ma  il  commercio   sviatosi    dall^  I- 
talia  dopo  che  fu  scoperto  il  Capo    di  Buona  Spe- 
ranza, e  Tesser  cessati   a   cagione    della    Riforma    i 
grandi  proventi  che  la  Chiesa  cattolica  traeva  da  tutte 
le  parti  del  mondo  cristiano ,  e  V  avere    la    Francia 
sotto  Luigi  XIY'  superata  V  Italia  nelle .  arti   e  nelle 
manifatture,  furono  tutte  cagioni  che  inaridirono  le 
sorgenti  dèlie  ricchezze  italiane  ,  senza   le  quali   poi 
i  nostri  prìncipi  non  poterono  più  tenere  quelle  splen- 
dide corti  e  quelle  accademie  così  cel'ebràte    nel  se* 
colo  XVI.  La' sola  Toiscana  vuol  essere ,  sotto  que- 
sto rispetto ,  riputata  felice   anche    in   quella   lagri- 
mevolè  età.  Cosimo  U  e  Ferdinando  II  furono  splen- 
didi protettori  delle  arti  e   delle   lettere^   ma    prin- 
cipalmente delle  scienze  le  quali  essi  medesimi  colti- 
varono con  molto  amore  ^  e  come   ricchi    del    pro- 
prio ,  e  capi  di  uno  Stato  non  tributario  a  nessuna 
straniero ,  poterono  sostenere  le  spese  che  si  richie- 
dono  a  cosi  fatta  protezione.  Le* Università  di  Pisa,  di      , 
Firenze,  dì  Siena,  e  molte  Accadenlie  (fra  le  quali  è 
celeberrima  quella  del  Cimento),  e  la  Biblioteca  Lau- 


«SCOLO    DECIMOSETTIjda  l3 

reoKiana  ,  e  la  Galleria  Medicea  sodo  tutte  cose  o 
istituite  o  DOtabìlmente  accresciute  da  questi  dae 
PrÌDcipi ,  dal  cardinale  Ippolito  fratello  di  Ferdinau- 
do  II  ,   e  poscia  da  Cosimo  HI.    v 

ÀDche  dalla  storia  d«l  Piemonte'  si  possono  rac- 
cogliere alcune  prove  di  protezione  accordata  allora 
agli  studi  ^  ma  interrotta  però  dalle  molte  gaerre  che 
travagliarono  quello  Stato» 

Degli  altri  principi  impoyeriti,  come  si  disse,  nel 
secolo  precedente ,  ridotti  dentro  confini  sempre  pia 
angusti,  e  tenuti   in  soggezione  dalla  sospettosa  po« 
litica  della  Spagna ,  non  occorre  nemmanco  parlare. 
Avevano  T  animo  desideroso  di  emular  la  grandezza 
e  lo  splendore  dei  loro  maggiori ,  e  ne  diedero  quaU 
che  prova  ^  ma  le  forze  venivano  meno  al  volere.  Che 
mai  potevano  fare,  per  cagione  di  esempio,  gli  Esten- 
si ,  dopo  avere  perduta   Ferrara  ^  o   i    Gonzaga  già 
piccoli  prima,  e  poi  fieramente  abbattuti  dagli  Spa- 
gnuoli  che  saccheggiarono   Mantova    per    punirli    di 
essersi  collegati  colla  Francia  ?  À  questo   si  aggiun- 
gano il  terrore  che  diffondeva  da    per  tutto   il    tri- 
bunale deir  Inquisizione  ^  la   corruttela   dei    costumi 
che  doveva  naturalmente  conseguitare  al  secolo  XVI 
in  cui  la  pubblica  fede   era  stata    così    apertamente 
negletta;  la  mala  contentezza  dei  popoli,  e  la  diffi- 
denza dei  principi  ;  e  si  vedrà  quauto  fosse  possibile 
che  neir  età  della  quale  parliamo  fiorissero  le  lettere 
in  Italia.  GV  ingegni  o  giacquero  inoperosi  o  si  vol- 
sero alle  scienze,  nelle  quali  speravano  di  potere  eser- 
citarsi senza  destare  la  sospettosa  vigilanza  degP  In- 
quisitori religiosi  e  politici;  e  in  quanto  alle  lettere 
propriamente  dette,  si  attese  piuttosto  a  raccogliere 
materiali  (  come  già   s^  era    fatto    nel   secolo    XIV  ) 
che  a  produrre  nuove  creazioni.    E    in   ciò    non   si 
debbe    dimenticare    il    cardinal   Federico    Borromeo 
fondatore  della  celebre  Biblioteca  Ambrosiana,  dove 

I.BTTBI\AT.  ITJLL.  -   IV  3 


1$  LETTERATURA    ITALIilTA 

coir  opera  di  molti  insigni  eruditi  raccolse  quelgran 
tesoro  di  manoscritti  che  tutto  il  mondo  conosce. 


SCRITTORI  DEL  SECOLO  XVII 

Per  le  cagioni  già  dette  quasi  tutti  gl'ingegni  mi- 
gliori si  dedicarono  in  questo  secolo  alle  scienze^  é 
non  è  quindi  maraviglia  se  le  lettere ,  abbandonate 
a  poco  abili  coltivatori,  degenerarono  ad  un  pessimo 
gusto.  —  I  poeti  del  Cinquecento  avevan  toccato  il 
sommo  delP  eleganza  e  della  delicatezza.  Potevano  ia 
generale  esser  vinti  dai  posteri  se  i  tempi  avessero 
Consentito  di  applicare  ad  argomenti  di  maggiore  im* 
portanza  quelle  doti  ond'  erano  stati  perfetti  modelli  ^ 
ma  poiché  questo ,  per  la  condizione  delP  Italia ,  era 
impossibile,  ogni  novità  doveva  necessariamente  tornar 
dannosa  al  buon  gusto.  Le  esagerate  metafore ,  le 
sottigliezze ,  i  concetti  piglfarono  il  luogo  della  sem« 
plicità^  e  il  Seicento  fu  tutto  contaminato.  Non  fu 
per  altro  {come  credettero  alcuni)  un  secolo  privo 
di  buoni  scrittori  ^  ma  insieme  coi  sommi  ingegni  che 
tanto  promossero  le  scienze ,  lo  illustraron  non  po- 
chi poeti  e  prosatori  di  gran  valore. . 

OTTAVIO  RINUCGINI 

Fino  dal  i58o  il  fiorentino  Ottavio  Rinuccioi  si 
era  fatto  conoscere  buon  poeta  scrivendo  cinque  in* 
termezzi  ad  una  produzione  del  conte  Vernio.  Nel 
1594  fece  rappresentare  nella  casa  del  conte  Jacopo 
Corsi  una  pastorale,  la  quale  può  considerarsi  come 
il  primo  V evo  dramma  per  musica.  Nel  1600^  per  le 
Dozze  di  Maria  de^  Medici  con  Enrico  IV  dì  Fran« 
eia  ,  compose  T  Euridice  denominandola  tragedia  per 
musica^  per  la  quale  venne  in  grandissima  tama.  Se- 
guitò in  Francia  ia  principessa  Maria  delia  quale  di- 
cono alcuni  ch^  ei  fu  innamorato  ^  e  vi  stette  alcun 


SECOLO   DECIXOSETTIKO  iS 

tempo  come  gentiluomo  di  camera  di  Enrico.  Tor- 
nato poi  a  Firenze  vi  fece  rappresentare  nel  1606 
un  nuovo  dramma  lirico  {Arianna  a  Nassa )^  che 
fa  giudicato  migliore  de^  precedenti.  Alcuni  altri  com- 
ponimenti scrisse  egli  per  certo,  fra  i  quali  avvi  il 
Narciso  che  il  professor  Rezzi  di  Roma  pubblicò 
nel  1829.  Fu  inoltre  il  Rinuccini  autore  di  poesie 
d'altro  genere,  e  il  Tijraboschi  ne  loda  principalmente 
le  anacreontiche. 

LÀ   FAVOLA   DI    lIABCISOw 

La  bellezza  del  cacciatore  Narciso  ha  innamorale 
tutte  le  Ninfe,  e  sopra  tutte  la  bellissima  Eco,  ac- 
cesa da  segreto  ma  cocentissimo  ardore*  La  sventu- 
rata fanciulla ,  sapendo  come  il  giovane  è  schivo 
d'  amore  e  disdegna  coloro  che  gliene  muovon  pa- 
rola, lo  seguita  a  modo  di  cacciatrice  pei  boschi; 
e  paga  di  bearsi  nella  vista  del  troppo  avvenente  gar- 
zone, non  gli  apre  la  fiamma  che  sempre  si  vien  fa- 
cendo maggiore.  Solo  air  amica  Filli  (  perchè  il  cuore 
ha  pur  bisogno  di  avere  a  cui  dolersi  delle  proprie 
amarezze  )  ha  raccontata  la  storia  del  suo  infelice 
innamoramento  : 

Da  indi  in  qua  le  notti 

Far  senza  sonno,  e  i  di  torbidi  e  foschi. 

Per  campagne  e  per  boschi , 

Compagna  sì,  ma  sconosciuta  amante, 

Uietro  le  fiere  anch*  io , 

Anzi  dietro  al  mio  mal  stanco  le  piante. 

Ma  non  è  sola  Eco  a   dolersi    di   questo    amore  sì 
mal  corrisposto  da  Narciso  \  che  per  questa  cagione 
medesima  le  Ninfe  vengono  cantando  a  coro  : 
Verginelle  innamorate, 

Sconsolate , 

Per  le  selre  andiam  cantando: 


]6  LETTEKATURA    ITALIAllA 

Ma ,  noD  mea  cb'  i  preghi  e  i  ptaoli  ^ 
Nostri  canti 

Yan  dispersi  all^  aure  errando* 
Della  cetra  i  bei  coacenti , 

I  lamenti  ^ 
Yan  con  T  aara  e  ì  preghi  a  ?olo; 
Bla  dal  petto  innamorato , 
STenturalo , 

Hai  non  parie  angoscia  e  duolo. 

Tutte  queste  Ninfe  ardono  di  Narciso  ^  e  chi  non 
ardesse  s^  additerebbe  per  cosa  mirabile  e  sola  : 

Se  non  ardi ,  sorella  , 

Sei  bene  in  qaeste  seWe  unica  e  rara. 

Però  è  dolorosa  a  tutte  T  altiereaza  del  giovine^  e 
si  maravigliano  e  si  sdegnano  che  Amore  gliela  cooi- 
porti  ^  Amore  che  non  sofferse  di  essere  dispregiato 
da  Apollo. 

Poscia  eh*  in  fera  guerra 
Per  man  d'  Apollo  arciera 
Smaltò  Fiton  '  la  terra 
Di  sangue  orrido  e  nero , 
Trionfatore  altero 
Correa  le  piagge  intorno 

II  portator  del  giorno. 
Febo  sona?a  *  il  lido , 

U  aer ,  la  terra  e  V  onda  ; 
Ma  vie  più  npbii  grido. 
Ricinte  il  crin  di  fronda , 
-Dair  Eliconia  sponda 
Alzar  le  DÌTe  ^  al  cielo , 
Cantando  Apollo  e  Delo« 

1  Fiione  o  Pitonej  iàmoio  seipente  ncciio  da  Apollo, 
a  Febo  ec,.  Il  lido  risonava  del  nome  di  Febo. 

3  Le  Diye,  Le  Muse.  — <  Delo  poi  ^  il  luogo  dot*  Apollo  uccìm  il  ter* 
pente  Pitone. 


ncòLO  nvcnofiTTiso  tj 

Qoal  dieéa  oooie  il  lerg» 

D*  immeiisa  piaga  apriiat , 

Perebè  dal  fero  albergo  * 

U  alma  ool  sangae  mcisse  ; 

E  qaal^  cantando,  disse. 

Ch^  al  periglioso  assalto 

Tremar  gli  Dei  aeir  allow 
lo  tanto  fasto  ascese 

L'  insaperbito  core  ^ 

Ch'  a  scberoo  on.  dì  si  prese  ^ 

Visto  con  Tarc^,  Amerei 

Ha  di  fi  felle  errore 

Ben  ratto  allor  s^acfaorsey 

Quando  per  Dafee*. corse. 
Cangiarsi  in  lotto  é  in  doglie 

Ratto  gli  sdj^erni  e  '1  riso  ,    " 

Quando  tra,  rami  e  feglie 

Perdeo  V  amato  viso. 

E  pure  il  bel  Narciso 

Sprezza,  fanciol  mortale, 

L'  onoipoleiite  strale  V 

Ma  qoesta  sfchiera  dMnnamorate  è  cojoia  e  im- 
portana  a  Narciso:  tutte 'le  fugge y  tatto  le  accom- 
miata, fuori  Eco,  siccome .jqoella  cbe.,  sebbene  sia 
accesa  più  fortemi^nte  .d^ogoi  fitfa.,  por  mai  non 
osò  ragionargli  à^  amore.  '    ^      . . 

Eco ,  tu  cbe  non  senti  . 

Come  queste.  (  oh  mescfaiae! 

Mii^re  s?nsa  (ne;!  ) 

Tante  fiamm^  d\amor,; tanti  «tormenti; 

Ma  della  Dea  triferiiie  ^ , 

I  Dai  fav  9&èrg$*  Sai  ««pò  deQa  -fieun^ 

%  Dafne  amata  da  Apollo   ed  inseguìu  da  Ivi  |    fa  di^i  Dti  tramutato 
ift  canne. 

3  DtUa  Dea  ec. .  Ditaa^ 

a» 


Voltolle  il  tergo,  M  dispietato  e  fero! 
Ghé  d*  ogni  atto  iiMimaD  tr«pas9Ò  il  segno  ^r. 

La  buona  FiHi,  ciò  udito ,  corre  sùtP  orme  della 
spregiata  contpagtia.,  desiderosa  di  prestarie  soccor'- 
so^ma  don  guari  dopo  rttoraa  aanuuaiatricé  di  tri* 
sUssamo  caso ,  diceodo  : 

...,•.  Ella  (  Eco  )  sen  Tenne 

Là  doTe  orabroso  e  fesco 

Verdeggia  Ira  due  colli  no  picciol  bosco. 

Per  (|oel  medesmo  cllle  ' 

Ratto  anch*  io  giango,  e  dreto  *  a  lei  non  molto» 

Ha  si  di  frondi  è  folto 

L'  aspro  senlier  de  la  selvosa  Tallè  ^ 
-  Che  già  tra  fronde  e  fronde 

Tatta  mi  si  nascoorde. 

Indarno  (  soggiangè  Filli  ) ,  sgombrando  colle  mani 
i  rami,  apro  il  cammino  allo  sguardo:  nulla  più  vedo 
uè  sento ,  e  fin  sul  terreno  si  ò  dileguata  V  orma 
del  pie  fuggitivo.  Per  cbe,  non  sapendo  più  dove  se* 
guitarla  ^  alzo  la  voce 

o      Eco  chiamando,;  ed  ella  Eco  risponde*» . 
iBa  là  correndo  donde 
ParTemi  uscir  de  la  risposta  U  suono, 
Nuir  altro  riqiirai  eh*  arbori  e  frondidl» 
Allor  più  fiate  a  rkbiamarla  presi  \ 
.  E  ^Q  suoQ  più  .ferie  ancora , 
Pur  come  avanti ,  la  risposta  inlesi* 
Là  torno  ;  nulla  veggio  e  è  chiamo  e  sento 
Pur  la  medesma  voce. 
Di  tanta  nofilà-  pseso  spareiilo 
'  AIen  venni  %  trovar  voi  per  dritto  calle; 

3  Eco  risponde.  Vuol  dira  eoa  cu  che  la  Ninfa  e»  fpk  itata  convertita  i» 
^elU  che  Orasio  disse  immmgin»  dttta  voct  «  cioè  ia  cpiell»  rìpercttssioae  èk 
ftuoifo  che  noi  Gfaiamiamo  JEVe» 


SECOLO   DECiaiOSETTlMO  ai 

E  sempre  io  colle  o  io  TaHoi 
Ovunque  Eco  chiama  va  ,  Eco  rispose  ; 
Kè  mai  la  vidi ,  e  1'  ho  sèmpre  alle  spalle. 

Amore  fraltaoto  ha  risoluto  di  domare  T  orgoglio 
del  troppo  acerbo  Narciso:  ed  egli  che  tiene  a  vile 
le  più  care  bellezze  ,  già  è  fatto  amante  di  sé  ine» 
desimo  ;  e  piange  e  delira  e  consomasi  indarno ,  spec- 
chiandosi air  acqua  di  un  fonte.  Un  Nunzio  raccon« 
tatore  della  celeste  vendetta ,  soggiunge  come  Nar* 
dso  accorto  alfine ,  ma  tardi ,  del  proprio  errore , 
cadde  svenuto  suìV  erba. 

Là  con  Teloce  passo 

In  un  momento  arrifo, 

E  trotolo,  oh  piotate! 

Di  color ,  di  caler,  di  moto  privo. 

Sol  quel  tepido  rivo  * 

Che  scendea  per  la  guancia  scolorita 

Darà  segno  di  vita. 

Il  chiamarlo,  il  prendergli  or  questa  or  quelP  allra 
mano  y  lo  spruzzargli  la  fronte  ed  il  seno  fu  indarno. 
'Intanto  quel  bel  volto, 

Pallido  come  nube  in  ciel  sereno  ^ 

Pian  pian  ne  renne  meno. 

Già  r  aria  de'  bellissimi  sembianti , 

Gli  occhi,  le  guance  e  le  dorate  chiome 

Smarrisco  ,  né  so  come. 

Attonito  nel  duol,  cieco  ne*  pianti 

Gli  occhi  m^  asciugo ,  e  pur  m'  aflSso  e  miro. 

Ma  più  noi  vidi;  solo. 

Meraviglia  inaudita  ! 

Scorgo  un  candido  fior  *  sul  verde  suolo. 

I  T^ido  rivp.  lì  pianto. 

%  Un  catuUdo  JSor.  La  favola  dice  che  Kaidto  fa  eoiiTerUto  in  quel  fiore 
che  porta  ora  il  «no  nome. 


l. 


;I2  LETTBRAT17BA  ITALIAlTA 

dall'  ARIAHRA   a   RAI  so. 

Lamento  di  Arianna  abbandonaUu 

Ah.     O  Teseo ,  o  Teseo  mio  , 

Sì  che  mio  ti  to*  dir  ,  che  mìo  par  sei , 

Benché  t*  ìdtoIì,  ahi  craclo,  agli  occhi  miei  ! 

Volgiti,  Teseo  mio. 

Volgili  ,  Teseo,  oh  Dio  I 

Volgiti  indietro  a  rimirar  colei 

Che  lasciato  ha  per  té  la  patria  e  il  regno  ' , 

E  in  qneste  arene  ancora, 

Cibo  di  fiere  dispietate  e  erode  , 

Lascerà  V  ossa  ignnde. 

O  Teseo ,  o  Teseo  mio. 

Se  lo  sapessi  ,  oh. Dio! 

Se  la  sapessi ,  oimò  ,  come  s'  affanna 

La  poTcra  Arianna, 

Forse ,  forse  pentito. 

Rifolgeresti  ancor  la  prora  al  lito  ; 

Ma  con  1*  anre  serene 

Ta  te  ne  fai  felice;  ed  io  qai  piango. 

A  fé  prepara  Atene  * 

Liete  pompe  soperbe;  ed  io  rimango, 

Cibo  di  fiere  ,  in  solitarie  arene. 

Te  r  ono  e  F  altro  tao  Tecchio  parente 

Stringerà  lieto  ;  ed  io 

Più  non  TedrofTì,  o  madre,  o  padre  mio  ! 
CoB.    Ahi ,  che  ^1  cor  mi  si  spezza  I 

A  qoal  misero  fin  correr  ti  Teggio  , 

Sfentorala  bellezza  ! 

X  Che  Idseiato  ec.  •  ArUnna  »  fif^uoU  di  Minosse  II  re  di  Creta ,  fuggi  eoo 
Teseo  e  cui  avea  insegnato  come  uscire  del  labirinto  |  ed  egli  poi  1*  abban- 
donò tuli*  isola  di  Nasse. 
I  z  Jtene*  Teseo  fu  poi  re  di  questa  cit^ 


SECOLO  DEGIMOSETTiaO  %i 

kit.     DoTe  ,  dove  è  la  fède 

Che  taolo  mi  giarari  ? 

Cosi  ne  r  alta  sede  * 

Tu  mi  ripon  degli  a? i  ? 

Son  queste  le  corone 

Onde  m'  adorni  il  crine  ? 

Onesti  gli  scettri  sono  , 

Queste  le  gemme  e  gli  ori  ?  •  •  • 

Lasciarmi  in  abbandono 

A  fera  che  mi  strazii  e  mi  dÌTori  ! 

Ah  Teseo,  ah  Teseo  mio, 

l^ascerai  tn  morire, 

Io  fan  piangendo  ,  in  van  gridando  alla , 

La  misera  Arianna, 

Ch'  a  te  fidossi ,  e  ti  die  gloria  e  vita  *  ? 
Cor.    Vinta  da  V  aspro  duolo , 

Non  s*  accor«;e  la  misera  ,  eh'  indarno 

Vanno  i  preghi  e  i  sospir ,  con  1*  aure ,  a  toIo* 
Ab.     Ahi  ,  che  non  pur  risponde  ; 

Ahi  ,  che  più  d*  aspe  e  sordo  a*  miei  lamenti  ! 

O  nimbi,  o  tufbi,  o  tenti. 

Sommergetelo  voi  dentr^  a  qoelF  onde  ! 

Correte ,  orche  e  balene , 

E  de  lemeu^bra  immonde 

Empiete  le  voragini  profonde  ^  I 

Che  parlo ,  ahi  ,  che  vaneggio  ?    • 

Mìsera  !  oimè  ,  che  chieggio  ? 

O  Teseo  ,  o  Teseo  mio  ,         . 

Non  son  ^  non  son  queir  io ,  > 

Non  son  quel!'  io  che  i  ferì  delti  scioline } 

Parlò  r  affanno  mìo ,-  parlò  il  dolore , 

Parlò  la  lingua  si ,  ma  non  già  il  core  ! 

1  JVc  /'  alta  ec. .  Nel  seggio  reale  de'  tuoi  avi ,  coiqp  tua  sposa. 

2  Gloria  col   trovar  modo    di    uscire  del  laLirinto  j  wta  perclic  ascendo 
evitò  di  essere  divorato  dal  Minotauro. 

3  L$  voragini  ec*  Le  vostre  gole ,  i  vostri  petti. 


24  LETTÉRATI7RJL   ITALIANA 

GABKIELLO  CHIABRERà 

Nacque  in  Savona  Tanno  i552  agi!  8  dì  giugno, 
quindici  giorni  dopo  la  morte  del  padre.  La  madre 
rimaritandosi  lasciò  il  figliuolo  alle  cure  d^uno  zio, 
Giovanni ,  appo  il  quale  stette  in  Roma  fino  alP  età 
di  vent^  anni  ^  e  per  la  sua  mala  salute  pochissimo 
attese  allo  studio.  .Morto  quello  zio  stette  alcuni  anni 
col  cardinale  Gornaro  ca merli ngo.  Su^  cinquanta  anni 
prese  moglie.,  e  dopo  alcune  traversìe  visse  tranquillo 
in  patria  fin  oltre  agli  ottanta  \^ 

Questo  è  quanto  si  può  raccontare  di  Gabriello  ,  come 
di  comunale  cittadino ,  e  poco  monta  il  saperlo.  Di  lai , 
come  di  scrittore,  forse  altri  avrii  vaghezza  d'  intendere 
alcuna  cosa ,  ed  io  lealmente  dirò  in  questa  maniera  : 

Gabriello  da  principio  che  giovinetto  TÌ?ea  in  Roma , 
abitava  in  una  casa  giunta  a  quella  di  .Paolo  Manuzio, 
e  per  tal  vicinanza  assai  spesso  si  ritrovava  alla  presenza 
di  lui,  ed  udivalo  ragionare.  Poi  crescendo,  e  trattando 
nello  studio  pubblico,  udiva  leggere  Marco  Antonio  Mn- 
reto,  ed  ebbe  seco  familiarità.  Avvenne  poi  che  Sperone 
Speroni  fece  stanza  in  Roma,  e  seco  domesticamente  ebbe 
a  trattare  molti  anni.  Da  questi  uomini  chiarissimi  rac- 
coglieva ammaestramenti.  Partito  poi  di  Roma,  e  dimo- 
rando neir  ozio  della  patria ,  diedesi  a  leggere  libri  di 
poesia  per  sollazzo,  e  passo  passo  si  condusse  a  volere 
intendere  ciò  ch^  ella  si  fosse ,  e  studiarvi  attorno  con 
attenzione.  Parve  a  lui  di  comprendere  che  gli  scrittori 
greci  meglio  T  avessero  trattata,  e  di  più  si  abbandonò 
tutto  su  loro:  e  di  Pindaro  si  maravigliò;  e  prese  ardi- 
mento di  comporre  alcnna  cosa  a  sua  somiglianza,  e  quei 

» 

I  Queste  notizie  sono  estiatte  dalla  Vita  del  ChiaLrera  scrìtta  da  lui  me- 
desimo, e  della  quale  riferisco  qui  alcuni  tratti  perdiè  siano  un  saggio  della 
sua  prosa. 


SECOLO    DECI0IOSSTT13IO  AS 

componimenti    niaodò  a  Firenze  ati  amico.  Di   colà  fugli 
scritto  che  alcuni  lodavano    forteoaente    qnelle    scrittare  : 
egli  De  prese  conforto,  e  ,    non  di  scostandosi    da*  Greci  y 
scrisse  alcane  caiizont    (  per   quanto    sosteneva    ]a    lingoa 
volgare,  e  per  quanto  a  lai  bastava  T ingegno,  veramente 
non  grande)  alla  sembianza  dì  Anacreonte  e  di  Saffo,  e 
di  Pindaro  e  di  Simonide.  Provossi  ancbe  di  rappresen* 
tare  Arcbiloco,  ma  non  soddisfece  a  sé  medesimo.  In  si 
fallo  esercizio  par  vegli  di  conoscere  che    i    poeti    volgari 
erano  poco  arditi,  e  troppo  paventosi  di  errare,  e  di  qni 
la  poesia  loro  si  faceva  vedere  come  uiiniita;  onde  prese 
risolazjone,  quanto  a' versi ,  di  adoperare  tiitti  quelli,   i 
qaali  da^  poeti  nobili  o  vili  furono  adoprati.  Di  più,  av^ 
venturossi    alle    rime,  e  ne  nsò  di  qoelle,   le  qaali  fini- 
scono in  lettera   da^  Grammatici    detta   consonante ,    imi- 
tando Dante,  il  quale  rimò  Fetori ,   Orizzon   io    vece  di 
dire  Fetonte,  Orizionte  ;  similmente  compose  Canzoni  eoa 
Strofe  e  con  Epodo  air  usanza  de' Greci,  nelle 'quali  egli 
lasciò  alcuni  versi  senza  rima  ,   stimando  gravissimo  pesò 
il  rimare.  Si  .diede  aneora  a  far  vedere,  se  S  personaggi 
delia  Tragedia  più  si  acconciassero   al    popolo ,   tolti  dai 
poemi  volgari  e  noti ,  che  i  tolti  dalle  scrittare  antiche  ; 
e  mise  Angelica  esposta  all'orca  in  Ebuda,  quasi  a  fronte 
di  Andromeda;  ed  ancora  alcune  Egloghe,  giudicando  le 
composte  in  tolga  re  italiano  troppo  alte  e  troppo  gentili 
di  facoltà  ;  e  ciò  fece  non  con    intendimento    di    mettere 
insieme  Tragedie  ed  Egloghe ,  ma  per  dare  a    giudicare 
i  suoi  pensamenti.  Similmente   ne'  poemi    narrativi  ,    ve- 
dendo  che   era    questione  intorno  alla  favola   ed  intorno 
al  verseggiare,  egli  si  travagliò  di  dare  esempio  a  giudi- 
care. Intorno  alla  favola,  stimavasi  non  pdftsibtle  spiegare 
un*  azione ,  e  che  un  sol  uomo  la  conducesse  a  fine    ve- 
risimilmente  ;   ed  egli  si  travagliò  di  moistrare  )    che  ciò 
Care  non  era  impossibile.  Qtianto  .al  venéggiare^  fedendo 

Z.STTBSA.T.  ITJLL.  -   IT  3 


Z6  '    LETTERiTORA    ITiLIAlfà 

.       "     '  .  '      i 

egli  che  poèti  eccellenli  erano  stati  ed  erano  in  contra- 
sto, e  che  i  maestri  dì  poetica  non  si  accordaTano,  egli 
adoperò  V  ottava  rima  ,  ed  anche  versi  'rimati ,  senza  al- 
cun obbligo.  Stese  anche  versi  affatto  senza  rima  ;  prò- 
fossi  inoltre  di  far  domestiche  alcune  bellezze  de^  Greci 
poco  usate  in  volgare  italiano,  cioè  dì  due  parole  fariie 
ima,  come  oricrinìta  Fenice ,  o  riccaddobhata  Aurora; 
parimente  provò  a  scompigliar  le  parole,  come:  Se  di 
bella  cK  in  Pindo  alberga  Musa,  E  ,  ciò  fatto  ,  essendo 
già  vecchio  ,  radunò  alcune  Canzoni  in  doe  volumi ,  e 
Componimenti  in  varie  materie  in  due  altri;  ranno  simil- 
mente un  Tohime  di  Poemetti  narrativi,  e  si  fatte  poesie 
egli  scelse  ,  come*  desideroso  che  si  leggessero  :  il  rima- 
nente lasciò  in  mano  d'  amici.  Con  si  fatto  proponimen- 
to, e  con  sì  tatta  maniera  di  poetare,  egli  passò  la  vita 
sino  al  termine  di  :  lunghissima  vecchiezza,  ed  acquistossi 
1^  amicizia  d'  uòmini  letterati  che  a  suo  tempo  vivevano  , 
ed  ani;o  pervenne  a  notizia  di  principi  grandi,  da'quafi 
non  fu  punto  disprezzato. 

E  nel  vero,  Ferdinando  I  granduca  di  Firenze  Io 
fece  suo  gentiluomo  di  corte  con  ricca  provvisione^ 
e  così  fece  anche  Cosimo  suo  figliuolo  e  successore, 
Carlo  Etumanuele  duca  di  Savoja  lo  invitò  alla  prò* 
pria  corte ,  e  sebbene  il  Chiabrera  non  volesse  fermarvi 
sua  stanza,  T  ebbe  carissimo  e  gli  fece  molti  doni. 
Viucenzo  Gonzaga  duca  di  Mantova  gli  assegnò  un 
onorevole  stipendio  sulla  tesoreria  di  Monferrato.  Ur« 
bario  Vili  Io  invitò  con  un  Breve  onorevolissimo  a 
Roma,  dove  poi  gli  diede  non  poche  testimonianze 
di  stima  e  di  amore.  Il  Senato  di  Genova  nel  1625 
Io  esentò  dai. militari  alloggiamenti,  e  dalle  imposte 
comandale  per  la  guerra  che  allora  face?asì  al  Duca 
di  Savoja^  e  (  così  dice  egli  slesso)  con  queste  gra- 
zie egli  si  condusse  oltre  ottani^  anni  '• 

1  Morì  4'  «noi  86  e  mesi  4« 


SECOLO   DEGiarOSCTTIMO  2^ 

Fa  di  comoDale  statara,  di  pelo  castagno,  le  membra ' 
ebbe  ben  formate;  solamente  ebbe  difetto  d^ occhi,  e  fé- 
dea  poco  da  lapge ,  ma  ^tri  non    se   ne   a? Tedea  :  nella- 
sembianza  pareva  pensoso,  ma   poi  usando  con  gli  amici'- 
era  giocondo;  era  pronto  alla   collera,    ma    appena    ella 
sorgerà  in  Ini,  che \ ella  si  ammorzava:  pigliava  poeo  ci- 
bo, né  dilettavasi    mollo   de' condimenti   artificiosi;   bea 
bevea  assai  volentieri,  ma.  non  già  molto,  ed   amara  di. 
spesso  cangiar  vino ,   ed  anco  bicchieri  :   il  sonno  perder- 
non  polca  senza  molestia.  Scherzava  parlando,  hia  d'altri 
non  diceva  male  con  rio  proponimento.  A  significare  oh^al*. 
cana  cosa  era  eccellente,  diceva  che  ella  era  poesia  greca  ; 
e  volendo  accennare  che  egli  di  alcuna  cosa  noo  si  pren- 
derebbe noja ,  diceva:  Non  pertanto,  non  bet^erà  Jresco. 

Scherzava  sul  poetar  suo  in  qnesta  forma  :  Diceva  che- 
e-^ìi  segala  Cristoforo  Colombo  suo  cittadino,  ch^egli  fo—. 
lea  trovar  nuovo  mondo,  o  affogare;  diceva  ancor. cian- 
ciando, la  poesia  esser  la  dolcezza  degli  uomini,  ma  che 
i  poeti  erano  la  noja  ;  e  ciò  diceva    riguardando    all'  ec- 
cellenza  deir  arte  ,   ed    all'  imperfezione ^  degli  artefici ,  i 
quali  infestano  altrui  col  sempre  recitare   suoi    coòsponi- 
menti:  e  di  ijni  egli  non  mai  parlava  né  di  versi,  né  di 
rime,  se  non  era  con  molto  domestici  amici,  e  motto  in- 
tendenti di  quello  studio.  Intorno   agli  scrittori   egli    sti- 
mava ne'  poemi  narrativi  Omero  sopra  ciascnno,  ed  am« 
miravalo  in  ogni  parte;  e  chi  giudicava  allrimenle,  egli 
in  suo  segreto  stimava  s'odorasse  di  sciocchezza.  Di  Virgilio 
prendeva  infinita  maraviglia  o^l  verseggiare  e  ne!  parlar 
figurato.  A  Dante  Alighieri  dava  gran  vanto  per  la  fbrza 
del  rappresentare  e  particolareggiar  le  cose,  le  quali  egli 
scrisse;  ed  a  Lodovico  Ariosto  similmente.  Per  dimostrare 
che  il  poetare  era  suo  studio ,  e  che  d' altro  egli  non  si 
prezzava,  teneva  dipinta,  come  sua  impresa  ',  una  Cetra, 

1  Ata  impr^a*  Sno  stemma. 


5o  LETTERATURA    ITkLìkVA. 

Qaal'^uomo  i  vezzi  di  Ciprigna  ha  cari. 

Tratti  dadi  malvagi  ; 

Ma  ^hi  diletto  ha  ne'  guerrieri  affanni 

Non  paventi  i' disagi: 

Costui  con  aspro  legno  ' 

Rivesta  il  braccio,  e  di  sudor  trabocehr, 

E  de!  popolo  folto  a^  cnpid*  ocdii 

Divenga  altero  segno. 

Sé  rinforzando  ne«li  assalti   dnri; 

E  minaccia  di  febbre  egli  non  cnri. 
Cintio,  sentier  di  des'fata  gloria 

Ha  passi  gravi  e  forti  ; 

Dia  pena  di  virtn,  siati  in  meraoriA ,    * 

Non  è  senza  conforti  : . 

£  ta  se  *l  corpo  lasso 

Letar  ^  desi! ,  e  rinfrescar' fé  Tene, 

Non  ricercar  qua  giù  fonti  terrene , 

Figlie  d^  alpestre  sasso  ; 

Che  a  ristorar  delle  fatiche  oneste 

Altrui  verso  di  Pindo  acqua  celeste^. 
Deh  che  promisi?  In  sul  formar  gli  acceiKi 

Qnasi  cangio  sembianti. 

Che  darli  alla  bilancia  delle  genti  , 

E  risco  a'  nuovi  canti. 

Bla  sia  vano  ri  sospetta, 

10  sulla  cetra  vo^  seguir  mio  stile  ; 
Esser  cosa  non  può,  salvo  gentile. 
Ove  Cosmo  ^  ha  diletto; 

Invidia  taci,  e  le  rie  labbro  serra; 

11  Re  dell'  Arno  in  sue  piacer  bob  erra. 

I   QuaL  Qualunque. 

%  Aspro  le^no.  S*  intende  il  bracciale  »  o  quella  q>ecie   dì  manica  di   le* 
foo  dentato,  oode  arniivanst  il  braccio  i  giuocatoii  del  pallone. 

1 

3  Levar*  Sollevare,     istorare.. 

4  Acqua  cfiimte,  Metafuricamente  detto  per  significare  la  poesia.  Quindi  1^ 
Jocuaione  tferso  acqua  di  Pindo  vale  r  Cwito  porcamente» 

&  HSmvo.  U  frandoca  Cosimo  U  de' Medici,  a  cui  il  Poeta  dà  il  nome  di  Rcv 


SECOLO   DBGIHOSITTnO  3f 

Fiwola  d*  Anone  *. . 

• 

Corte)  senti  il  noodiiero. 
Che  a  far  cammin  .n^  appdla: 

Mira  la  DaTicella  , 

Che  par  chieda  sealiero; 

Un  aleggiar  l^giero 

Di  remi,  io  mare  osati 

A  far  spume  d'  argeiito,' 

H'  addacé  io  un  momeolo 

A'  porti  desiati. 
E  se  'l  mar  ooo  lieo  bàe  « 

Ha  sabito  s^  adira , 

Ed  io  meco  ho  la'  lira , 

Ch^  Eaterpe  alma  mi  diede; 

Con  essa  mosse  il  piede 

Snll^  Acheronte  oscuro  . 

Già  rÌTerito  Orfeo  *  ; 

E  per  edtro  V  Egeo 

Arion  fu  sicuro. 
Misero  giovinetto  ! 

Per  naTÌc;anti'  avari 

Nel  profondo  de'  mari 

Era  a  morir  costretto; 

Ma  qual  piglia  diletta 

P'  affinar  suo  hel  canto 

Bel  cigno  ^  anzi  eh'  ei  mora  ^ 

Tal  sulla  cruda  prora 

Yolle  ei  cantare  nlqoanlo. 

1  Questa  favola ,  die  il  PoaU  dAscrìre  fea  qti«tti  Tersi, ad  nn  certo  Cort« 
(Bo  amico,  trorasi  raccontata  da  Erodoto  »  Uh,  I ,  e.  ^4* 

2  Orf»  colla  dolcossa  del  suono  e  del  canto  ammansò  k  poteoae  d'  À- 
Tmo,  sicché  tì  discese  sena*  alcun  danno  per  liberare  Eturidice^  F,  ¥ol,  lì, 

tg*  56  di  questa  ManMide»  f 

3  UÀ  dgno  ec, .  Fu  antica  opinione  (  e  i  poeti  la  ripetono   ancora  }  cb» 
i  cigni  ùuiansi  al  morire  cantassero  con  più  doleeua  del  solito. 


3z  lETTBBiTDJIà  ITALIìHA 

Sallé  corde  dolenti 
Sospirando  ei  dicea  :' 
Lasso!  cbe  10  ^1  tejQOQa 
E  deir  oodct  9  dq'  Tenti  t 
Ma^  cbe  d'  amiche  genti, 
A'  cai  pur  m'  ern  o0erto 
Compagno  a  lor  e^nforlo. 
Esser  dot  essi  morto  ,    . 
Già  Doii  lempa  per  eerte». 
Io  nel  mio  luogo  errore  ^ 
Altrùi  non  nocqui  mai  ; 
Peregrinando  andai. 
Sol  cantando' d^  amore; 
Al  fin  tornommi.in  core 
Per  paesi  stranieri 
Il  paterno  soggiorno , 
E  facea  nel  ritorno 
Mille  dolci .  pender!. 
Vedrò  la  patria  amata^. 
Meco  dicea  ;  correndo 
Fiami  incontra  ridendo 
La  madre  desiata. 
Femmina  sventurata  !  * 
Cui  noTella  si  darà 
Repente  9*  aTvicina; 
Ah  che  saria  meschina. 
Se  adisse,  mia  sTeotura  ! 
Fosse  ella   qui  presente, 
E  suoi  caldi  :if)spiri , 
E  suoi  gravi  martiri  ' 
Facesse  udir  dolente  ! 
Saria  forse  possente 
Quella  pena  infinita' 
l  JSrr^e*  Viaggio. 


9EGOLO    DECIHOSEtTIMO  33 

Ad  impetrar  pietate  ; 
"Onde  più  lunga  etale 
Sì  darebbe  a   mia  tUa, 
Qui'  traboccò  ^doglioso 

Dentro  dèi  sen  marino^   . 
Ma  subito  uo  del6fio  ' 
'  A  Ini  corse  amoroso  : 
Il  destriero  scpiarooso, 
Cbe  area  quel  pianto  udito. 
Lieto  il  si  .reca  in  groppa  ; 
Indi   ratto  galoppa 
Vèr  r  arenoso  lito. 

Che  da  beltà  pretto  finisce- 

La  violetta , 

Che  iD  suIF  erbetta 

S*  apre  af  mattia  noTella^ 

Di",  non*  è  cosa 

Tatta  odorosa.. 

Tutta  leggiadra  e  bella? 
Si,  certanaente, 

*Cbè  4olcementte 

Ella  ne  spira  odori; 

E  D^  empie  il  petto 

Di  bel  diletto 

Col  bel  de'  suoi  color j. 
Vaga  rosseggia, 

Vaga  biancheggia 

Tra  i'  anre  mattutine; 

Pregio  d'  aprile 

Via  più  gentile: 

Ma  che  diviene  al  fine? 
Allibi  cbe  in  brev'  ora  ^* 

Come  V  Aurora 


34  LETTEBàTURÀ.  ITA<.lÀ]!rA 

Lange  da  noi  sen  yola , 

Ecco  langaire, 

Ecco  perire 

La  misera  Tiola. 
Ta ,  cui  bellezza 

E  giovinezza 

Oggi  fan  sì  superba; 

Soave  pena , 

Dolce  catena 

Di  tuia  prigione  acerba  '; 
Deh  !  con  quel  fiore 
;    Consiglia  il  core 

Sulla  sua  fresóa  etate; 

Che  tanto  •  dura 

L'  alta  ventura 

Di  cf^iesta  tua  beltate. 

JRìso  di  btUa  donna 


•  ■  -f 


..-li 


Belle  rose  porporine, 

Che  tra  spine 

Suir  aurora  non  aprite, . 

Ma  ministre  degli  Amori 

Bei  tesori 

Di .  bei  denti  caslodite  ; 
Dite,  rose  preziose, 

Amoróse , 
•  ~.    Dite,  ond'  è  che  s'  io  m'  affiso  ' 

•   Nel  bel  guardo  vivo  ardente, 

Voi  repente 

Disciogliete  un  bel  sorriso? 
E  ciò  forse  per  aita 

Di  mia  vita , 

• 

%  Prigione  acerba  chiama  la  sua  condiaioiie  di  amare  aenu  eiwn  corrisposto* 
2  Tanto  (  sottintendasi  )  quanto  la  bellezza  deljlcre  già  detti* 


SECOLO    DECIMOftXTTIlfO  35 

Che  DOD  regge  alle  Tostr'  ire? 
O  pnr  è  ,  perchè  Toi  siete 
Tutte  liete, 

*  ^  Me  mirando  fn  sai.  morire? 
Belle'  rose,  o  feritate 

•  O  pietate 

Del  si«far  la  cagion  sia. 

Io  tq'  dire,  io  mio?!  -modi 

YoAre  lòdi;- 

Ma  ridete  tattaTia. 
Se' bel  rio,  se.  beli'  aiiretta 

Tra  r  erbetta 

Sol. mattÌB  mormorando  erra. 

Se  di  fiori  an  praticello 

^i  fa  bello, 

Voi  diciam:  Ride  la  terra*  •       \ 
Quando  aTTien  che  un  Zefiretto 

Per  diletto 

Bagni  il  piò  oeir  onde  cbiare , 

Sicché  r  acqua  in  sali'  arena 

Scherzi  appena, 

Noi  diciam ,  che  ride  il  mare. 
Se  giammai  tra  fior  fermigli , 

Se  tra  gigli 

Veste  Falba  un  aureo  Telo,'. 

E  su  rote  di  zaffiro 

MoVe  in  giro. 

Noi  diciam,  che  ride  il  cielo. 
Ben  è  Ter ,  quando  è  giocondo 

Ride  il  m'ondo. 

Ride  il  ciel  quando  è  giojoso, 

Beo  è  Ter  v  ma  non  san  poi 

Come  Toi 

Fare  un  ri^o  grazIo9Q. 


36  LETT^RATCm   ITALUNA 

Per  tfittQria  riportata  da  Giovanni  de'  Medici 
/   contro  i  Turchi. 

Se  de  r  indegno  acquisto  . 

Sorrise  d'Oriente  il  popol  crtido, 

E  'I  buon  gregge  di  Cristo^- 

Giacque  di  speme  e  di  valoi*e  tgnodq; 

Ecco  che  ptfr ,  V  empia  superbia  doma , 

Rasserenan  la  fronte  Italia  e  Roma. 
Se  alzar  gli  empi  -Giganti  ^  • 

Uo  tempo  al  'ciel  F-altere  corna  J  al  fine 

Di  folgori  sona'nti 

Giacqoer  trofeo  tra  incendi  e  ^tramine: 

E  cadde  fulminata  empia  Babelle 

■Allor  che  più  vicip  mirò  le  stell^.    ' 
Sembrava  al*  Tasto  regno 

Termine  angusto  omni  V  Istro  e  V  arene  '  i 

Nuòvo  Titano  a  sdegno 

Già  recarsi  parea  palme  terrene; 

Posto  in  obblio  quel ,  disdegnoso ,  il  cielo 

Serbi  a  V  alte  Tendelte  ocribii  telo. 
Spiega  di  penna  d'  oro  , 

Melpomene  cortese,  ala  veloce; 

E  'n  snott  lieto  e  canoro 

Per  r  italiche  TÌlie  alza  la  Toce  : 

RisTegii  ornai  ne  gli  agghiacciati  cori 

Il  nobii  canto  tuo  guerrieri  ardori. 
Alza  r  Umido  ciglio, 

Alma  Esperia  ^,  d'  eroi  madre  feconda  ; 

Dì  Cosmo  armato  il  figlio 

1  Giganti.  La  favola  dice  che  i  Giganti    diedero    la  scalata  ai    Cielo.    Il 
Poeta  poi  inette  qui  insieme  la  mitologia  e  la  storia  sacra. 
%  L'  arene,  I  deserti  d*  Axabia. 
3  Esperia,  Italia. 


SECOLO  BBCiirbsi^Tnfo 

Mira,  de  Y  Istro  in  sa  la  gelici*  onda, 
Qoal  ne'-  regni  de  V  acque  4iaaieBso  scoglio  , 
Farsi  scudo  al  faror  dèi  trado  orgoglio* 

Per  rio  successo  aTferso 
1*0  magoaniino  cor  Tirlù  non*  laDgae  ; 
Ha  qoal  di  sangue  asperso 
Doppia  '  leste  e  furor  terribii  angae  « 
O  qoal  de  la^grao  madre  il  figlio  altero*, 
*  Sorge,  cadendo,  ogoor  piò  invitto  e  fiero* 

0^  immortal  fiamma  ardente 
Facina  è'  là  so  i  laminosi  campi  ' , 
Ch*  alto  sonar  si  sente 
Con  paTentoso  tnon  ,  fra  nabi  e  lampi , 
Qnalor  di  -bassi  regni  a  ara  t*  ascende 
Di  mortai  fasto,  e. l'ire  e  i  fi>chi  accende* 

Sa  r  incadì  immortali 
Tempran  l' armi  al  gran  Dio  Steropi  e  Bronli  ^« 
Itì  gli  accesi  strali 

Prende,  e  fulmina  poi  giganti  e  monti: 
Ivi,  né  certo  in  vano, 
S'  arma  del  mio  Signor  l' inTitta  mano* 

Qninci  per  terra  sparse 
Vide  Strigonia  ^  le  superbe  mora  : 
Quinci  ei  ne  Tarmi  apparse, 
Qaal  funesto  baien  fra  nube  oscura; 
Cb'  alluma  il  mondo ,  indi  saetta  e  solre 
Ogni  pianta,  ogni  torre  in  fumo  e  !n  jyolfe» 

I  DcppU  per  Radthffpia,  AUade  a^a  lavol*  àtW  Ìòn  »  eiii  U  iMtt  ri» 
natctnao  appena  tagliale. 
i  IlJ^ó  ce. .  Il  gigante  Ànteo.^  ' 

3  Luminasi  crni^»  Il  Cielo. 

4  SUrepi  e  BronU,  Minittri  di  Tukano. 

5  Strifptnia  o  Grovij  città  dell*  Uogherìa. 

PiamnàT.  iTAi.  -  IT  4 


3S  LETTERATURA  ITAUaKA 

Ob  qnal  ne^  còri  in6dl 

Sorse  terròr  qoel  fortunato  giorno! 

I  pareo  tosi  gridi 

Bisanzio  udì,  non  par  le  valli  intorno; 

E  fio  oe  l'  alta  reggia ,  al  sao  gran  nome , 

Del  gran  tiranno  *  inorridir  le  chiome. 
Segni  :  a  mortai  sparento  ^ 

Lange  non  fa  già  inai  mina  e  danno. 

Io  di  nobii  concento 

* 

Addolcirò  de*  bei  sndor  V  affanno  ; 

Io  de  la  palma  tna ,  con  le  sacr'  onda  ^ 

Cnltor  canoro,  etemerò  le  fronde.  . 

Sopra  Jmorem        \ 

Del  mio  Sol  *  son  riceintegli 

I  capegli  ; 

Non  biondetti,,ma  branelli: 

Son  due  rose  TermigKiiiM 

Le  gotazze; 

Le  due  labbra  ^  rubinetti» 
Ha  dal  di  cb^  io  la  mirai 

Fin  qui,  mai 

Non  mi  fidi  ora  tranquillai 

Cbè  À*  amor  non  mbe  Àmote 

In  quel  core 

Né  pur  picciola  favilla* 
Lasso  me  1'  quando  m^  acoesi  9  • 

Dire  intesi 

Cb'  egli  altruf.  non  affliggete 

E  cbe  tutto  era  suo  foco 

Riso  e  gioco , 

E  ch^  ei  nacque  d'  una  Dea* 

I  Gran  tìranno.  Il  Gran  Signore. 

a  Del  imo  Sol»  Della  donna  a  me  oàca  quanto  il  aolf. 


SECOLO  DCCniOSBTTIHO  39 

Ben  fa  Dea  soa  genitrice, 

Com*  aom  dice  ; 

Nacqae  in  mar  di  qaalche  scòglio  :    . 

Ed  apprese  ìd  qoeile  spome 

Il  costarne 

Di  donar  pena  e  cordoglio. 
B^n  è  Ter  ch^  ci  pargoleggia  , 

Ch*  ei  Tezzeggia  , 

Grazioso  fanciiilletto  ; 

Ma  cosi  pargoleggiando, 

Vez^&cggiando , 

Non  ci  lascia  core  in  petto.  -> 
Oh  qoal  ira*,  qaale  sdegnò! 

Hi  fa  segno     . 
>  Ch*  io  non  dica ,  e  mi  minaccia* 

Vi  peretta ,  serpentello,* 

Dragoncello , 

Qoal  ragion  tooI  cV  lo  mi  taccia  ? 
Kon  sai  In  che  grati  affanni 

Per  tanl^  anni 

Ho  sofferti  in  seguitarti? 

E  che?  dunque  tagrimoso, 

Doloroso , 

Angoscioso,  ho  da  lodarti? 

Al  signor  Francesco  GapouL 

Francesco,  se  oggidì  tìtcsso  in  terra 
Democrito  ■  (  perchè  di  lagrimare 
Io  non  son  vago,  e  però v taccio  il  Dome 
D*  Eraclito  dolente  ) ,  or  se  vifesse 
Fra'  mortali  Democrito,  per  certo 
Ei  si  smascellerebbe  delle  risa 

t  Ikmoerito,  Pilotofo  che  fempre  e  £  ogni  con  rìdeva. 


40  I^ETTSaàTCBà  ITALlJklfA 

Guarckindo  le  sciocchezze  de'  mortati. 
Sfolti  De  diran  molle;  io  che  per  uso 
.;  Parlo  assai  poco^  tratterò  sol  d'ana. 

10  rimiro  le  donne  oggi  far  mostra" 
Di  sua  persona  avToIte  in  gonne"  tali, 
Che  stancano  le  man  di  cento  sarti. 
Men  ricamato  stassi  infra  le  nnbi 

L'  arco  baleno.  Io  tacerò  dell'  oro  ; 

Oro  il  giubbone,  ór  le  faldiglie  ' ,  ed  oro 

Sparso  di  belle  gemme  i  crini  attorti. 

Negletta  fra^  suoi  veli  appar  1'  Aurora 

Sórta  ^all'  Ocèéno.  Io  già  non  nego 

Che  assai  solente' la  beltà  del  tiso 

Fa  tradimento  alla  mirabll  pompa.  ' 

Or  si  fatta  donzella  è  non  contenta 

Di  sua  natura ,  muterà ta  in  alto 

Sa  ire  palmi  di  zoccoli,  gioisce 

Di  torreggiare;  e  per  non  dare  un  crollo, 

E  non  gire  a  baciar  la  madre  antica  *, 

Se  ne  va  da  man  destra  e  da- man  manca 

Appuntellata  su  due  ser^i ,  ed  a]za 

11  piede,  andando,  come  se  U  trfiesse 
Fuor  d^  una  fossa  ;  onde,  movendo  il  passo, 
E  costretta  a  contorcer  la  persona , 

Ed  a  ben  dimenar  |atto  il  codrizzo  ^« 
O  Democrito  antico ,  ove  dimori  ? 
Ove  sei  gito ,  a  si  leggiadre  usanze  ? 
Giungi  carrozze  da  città,  carrozze 
Per  la  campagna,  seggiole,  lettiche. 
Staffieri,  paggi.  Il  padre  di  famiglia. 

X  Faldiglie,  Sottane. 

2  La  madre  antica,  t,z  terra. 

3  Codrìxzo  spiegasi  dai  vocabolaristi     Coda  rixsaj  e  qui  par  che  «ignìficlit 
le  parti  posteriori  cosi  della  persona  come  dell*  abito. 


SEGOLO   DBGIHOSETTIHO  -       ^1 

I  golfi  passerà  per  mezzo  il  Temo 
Su  frale  nave  mercaDtando ,  ovvero 
'  Coir  armi  indosso  seguirà  V  iosegoe 
Fra  mille  rischi ,  e  ne'  palazzi  atteri 
Serva  farà  sua  liberlade  a  cenno 
D^  aspro  Signor,  per  adunar  moneta; 
E  poi  disperderalia  in  compir  voglie 
E  soddisfinr  vaghezze  delia  donna  ? 
La  donna  -darà  legge  ?  avrà  la  briglia 
D'  ogni  governo  in  mano?  —  Oggi  si  mangia 
Io  Belveder  :  dima»  si  cena  in  casa  , 
Ove  si  vegghierà  colie  compagne*  — 
Fatto  il,  comandamento ,  ecco  la  casa 
Tutta  in  scompiglio;  speoditori  attorno, 
G>chi  in;  faccende,  saccberi ,  vivande; 
Spese  da  nozze  ' ,  e  non  si  tosto  tolte 
Fién  le  tovaglie  che  portar  vedransi 
Per  entro  tazze  4'  àr  carte  francesi  8 
Quivi  £insi  larghissime  primiere. 
Resti  di  doble  ^  Ora  dich*  io,  se  vivo 
Per  Italia  Democrito  n*  andasse, 
Spalancherebbe  la  gran  bocca  in  risi? 

0  la  si  chioderebbe?  E 'da  pensarsi, 
Ch'  ei  fosse  muto ,  rimirando  avere  . 

1  cotanto  prodenti  Italiani 

Hestier  di  tanto  elleboro^?  Confesso, 

Che  a  diritta  ragione  ei  riderebbe* 

Rida  per  tanto  ;  io  d^  altra,  parte  ammiro  ^ , 

1  Da  nos9Bj  àoh:  Sootaosiwtiiie. 

2  Rutì  di  doblej  cioè  :  Ciuocando  a  primiera  Gonsumami  le  doble.  -  Par 
die  Teoga  d^  modo  :  Far  del  resto,  per  Giuoctre  il  restante  del  dantfo» 

3  £i2e&oro.  ^Rimedio  alla  paisia* 

4  Ammù'ò  che  ec,  •  Con  opportuna  ironia  morde  la  corninone  dei  eostumi 
die  itmalmente  consefpie  alla  smodata  ambisioneji  al  giuoco,  ec. 

4» 


4%  I.ETTEJUTÙRA   ITALIANA 

Che  raeQaodo  la  Tifa  a  lor  Jtaleolo 

Intra  cotanta  copia  di  tesori, 

la  mezzo  delle  pompe  e  de'  sollazzi 

li*  onestà  femminil  stia  salda  in:  piede.  - 

Gloria  grande  all'  italiche  donzèlle. 

Che  amor  non  ne  trionfi,  e  che  non  aggia 

Arme  contra  i  lor  petti  adamantini; 

Che  aoa  face  si  spegna  e  si  rintuzzi 

Ogni  più  forte  strai  di  saa  faretra. 

j4l  signor  Bernardo  Mofaàdo, 

Bernardo,  in  grembo  a  Lomhard|a  famosa 
Voi  dimorate,  colà  doTe  regna 
Cerere  '  italiana ,  e  vi  rinrersa 
Cortesemente  I'  òr  delle  sue  spiche* 
Si  fatto  favellar  non  è  mentire, 
Non  è  per  certo;  io  contrasldl^non  voglio: 
È  grave  infamia  fare  oltraggio  al  vero. 
Ma  chi  mi  negherà  che  le  midolle 
Del  terren  grasso,  e  da  cotanti  fiami 
Bene  irrigato,  non  ministri  al  sole 
Vapori  grossi  a  condensar  ben  l'aria? 
Or  io  potrei  narrar  che  di  qni  naccjoe 
Il  Tolgar  bìasmo  alla  città  di  Tebe  *  ; 
Ma  non  è  d^  aizzar  col  nudo  dito , 
La  collerica  vespa.  I  Littorani , 
Qaali  noi  siamo,  abitator  di  scogli. 
Hanno  candide  aurore ,  esperi  ^  puri , 
Cìel  di  zaffiri.  -  Oh  non  mi  s' empion  Paje, 

I  Cerere.  Dea  delle  messi. 

3  Tebe.  I  Tebani ,  e  in  generale  i  Beoti ,  erano  in  voce  di  «tapidi  ;  di 
che  soleva  incolparsi  il  clima. 

5  Esperij  lo  stesso  che  Vespri  o  Sere» 


SBGOI^a   DBCmo ATTIMO  4  3 

Non  sentoosi  seoppiarTÌ  i  coreggiati  '  : 
Che  moDla?  Or  or  della  famiglia  il  padre 
Grida  per  casa  ;  Si  risparmi  il  paoe; 
Val  sangae  il  graoo.  Indi  ecco  correr  tooos 
Vele,  Ta^celli,  cH  Sicilia  nari 
Vengono  io  poppa.  -  In  quel  momento  vili 
Fa nsi  le  biade ,  il  Granaiio  s' impicca  ; 
E  di  giorno  e  di  notte  il  forno  coce, 
Ed  il  popolo  fa  sne  goxzofiglie. 
•  Quale  appunto  oggidì  miriamo  il  mondo. 
Tale  usci  dalla  man  del  Mastro  eterno: 
Ciascun  paese  afea  di  che  pregiarsi, 
Di  che  lagnarsi  infino  allora.  -  O  bella 
Schiera  di  Pindo*,  elle  trofaro  nn  oro. 
Onde  diedero  nome  agli  anni  antichi , 
Con  gran  consiglio;  iii  qnei  fèKci  mesi 
Eran  di' biondo  mei  carcbe  le  selre, 
E  per  gli  aperti  campi  ivano  i  rivi , 
Altri  di  poro  latte,  altri  di  vino 
Isfaviliante,  allegrator  de'  cori. 
Le  pecorelle  si  vedean  sul  tergo 
Tinger  le  lane ,  ^  colorirsi  d'  ostro 
Per  loro  stesse;  degli  aratri  il  nome  ^ 
Non  era  noto ,  che  cortesi  i  solchi 
Porgeano  in  dono  al  contadin  la  messe, 
E  rifiuto  facean  di  sna  fatica. 
Ma  per  quella  stagiona  vedeasi  io  terra 

■ 

1  Coreggiaio  e  quello  ctrnmentQ  con  etti  si  Latte  il  grana  soli*  aja.  Qui 
dunque  vuol  dire  che  ne'  paesi  di  marina  scarseggiano  le  biade ,  sicché  quaU 
che  volta  ▼'  ha  perìcolo  di  carestia }  ma  si  provvede  con  grani  portati  d*  iit 
tronde  ,  e  vien  tale  ahbondansa ,  che  il  Granatino  (  cioè  V  incettatore  di  grano 
die  dell*  altrui  miseria  voleva  '  arricchire  )  per  disperasione  s' impicca. 

2  Schiera  di  Pindo.  Le  Muse.  —  jinni  antichi.  Il  tanto  celebrato  secai 
^  aro, 

3  Per  gìteSa  ec. .  Finché  dorò  quell'  età. 


44  LETTERÀT0BA  ITAtlANà 

L*a1ma  Giaslìzia,  e  di  caodor  Telala 
La  Fede  para;  e  la  dimessa  in  vista, 
E  dell'  alCrui  dolor  schifa  Pietale  '. 
Quando  poi  sorse  il  minaccioso  Oltràggio, 
E  l'  Ira  e  la  si  pronta  a  dar  di  piglio 
Fra  noi  Rapina  ;  e  che ,  lascivo  arciero , 
Mosse  battaglia  a  mal  guardati  letti 
Lo  sfacciato  Garzon  di  Cìterea , 
Subito  il  mondo  ebbe  a  cangiar  sembianza; 
Il  suol  di  bronzo,  il  ciel  venne  d^ acciaro, 
Fe^  vedersi  la  fame^  e  la  ria  febbre 
Dispiegò  tra  le  genti  orrida  insegna  , 
Ed  infinili  guai  trasse  in  sua.  schiera. — 
Qui  faccio  punto,  e  saldo  ogni  ragione. 
Tal  godiam  il  tenor  di  nostra  vita , 
Pur  come  fatti  son  nostri  costumi. 

GALILEO  GALILEI 

Fra  que^  pochi  ai  qpali  è  veramente  dovuta  la  re- 
staurazione della  buona  filosoGa'  va  collocalo  per  co* 
mune  consenso  Galileo  Galilei  ,  nato  in  Pisa  addì 
tS  febbraio  i564*  Studiò  gioviuetto  in  Firenze,  dove 
suo  padre,  nobile  ma  di  scarse  fortune,  dimorava. 
À^  diciotto  anni  fu  noandato  per  apprendere  aiedi- 
Cina  in  Pisa,  dov^  egli  meditando  sulle  opere  di  Ari- 
stotele, di  Platone  e  degli  altri  antichi  filosofi,  si 
aperse  la  strada  a  quella  gloria  alla  quale  poi  si 
condusse.  Quivi  un  giorno  osservando  nel  duomo 
r oscillar  di  una  lampada,  trovò  come  fosse  possi- 
bile misurare  il  tempo  per  mezzo  di  un  pendolo  :  e 
questa  fu  la  prima  delle  sue  invenzioni.  Datosi  allora 
alio  studio  delle  matematiche,  nelle  quali  s'era  iai^ 

t  E  deW  ec.,  E  la  PieUi  che,  non  patendo  1*  aspetto  deli*  altmi  dolore  » 
i  toccofritiice  de*  bisognosi. 


SECOLO    DBCIMOSETTIMO  f  S 

ilato  alcun  poco  sotto  Oslilìo  >  Ricci  da  Fermo ,  vi 
fece  cosi  rapidi  e  così  grandi  progressi,  che  nel  iSSo 
ne  fa  eletto  professore  qefP  Università  stessa  di  Pisa, 

Tre  anni  dopo  ,  cominciando  V  invidia  d'  alcnoi 
suoi  email  a  rendergli  ingrato  quel  soggiorno,  si  tra* 
$ferì  a  Padova  nella  medesima  qualità  di  Professore} 
e  quivi,  tenilUo  carissimo  dalla  fiepnbblica  di  Vene* 
sia ,  fece  tra  Je  altre  scoperte  quella  notabilissima  del 
Telescopio  ,  coU  soccorso  del  quale  stromento  potè 
poi  spaziare  pe^  campi  del  cielo,  e  arricchire  il  mondo 
di  tante  .utili  cognizioni.  E  Padova  dovea  veramente 
essere  la  sua  dimora:  ma  nel  1610  desiderò  di  ri« 
condursi  a  Pisa ,  dove  inflitti  fii  richiamato  con  ti« 
tolo  di  Matematico  primario^  collo  stipendio  di  mille 
scudi,  e  senza  obbligo  di  leggere  nò  di  risiedere  nello 
Studio  e  nem manco  nella  città  di  Pisa.  L^  anno  dopo 
andò  a  Roma ,.  dove^  tutti  V  accolsero  con  segni  di 
grande  stima,  e  fu  ascritto  alP  Accademia  dt? Lincei  '^ 
la  quale,  sebbene  fosse  tuttora  recente,  era  già  di* 
venuta  assai  celebre. 

Ritornato  poi  alla  patria,, cominciò  a  provare  Pav* 
versa  fortuna  che  gli  apparecchiavano  V  ignoranza  a 
P  invidia  di  coloro  ch'egli  sfolgorava  senz^  avveder* 
sene  col  suo  grande  ingegno  e  eolle  sue  nuove  dot- 
trine. Contendere  di  sapere  4f  dMngegno  col  Galilei 
non  era  impresala  cui  veruna  presunzione  potesse 
arrischiarsi  :  però  i  suoi  nemici  ufcirono  ad  assalirlo 
con  armi  di  ben  altra  tempra,  aocosandole.d^  empie* 
tà.  Coli'  autorità  della  Scrittura  condannarono  il  si* 
stema  di  Copernici  intorno  al  muoversi  della  terra ^ 
e  come  il  Galilei  proclamava  questa  dottrina,  lo  av* 
volsero  in  quella  medesima  accusa.  Invano  egli  ritor* 

1  Qaest'  AccftdemM ,  fondata  nel  l6o3  dal  («ìiMipe  Federico  C«sl  romaiw'^ 
ebbe  per  simbolo  un  lince  ,  a  significar  1*  acnteaia  eoa  cui  gli  Accademki 
H  proponevano  di  penetrare ,  «todiando^  nei  aesreti  della  natura*  E  veramente 
jsli  effetti  risposero  al  proponimento,  e  quella  fu  nnfe  delle  Accadieoiie  ^à 
celebri  e  più  utili.  ^ 


46  LCTTERATiraA.   ITALIìHA 

nato  nel  i6i5  a  Roma  si  stadio  di  persaadere  a^  suoi 
accusatori  la  verità  della  propria  dottrina^  cbè  gli  fti 
ingiunto  di  abbandonarla.  E  quando,  sedici  anni  dopo, 
egli  pubbricò  i  suoi  Dialoghi  sopra  i  due  massimi 
eterni  del  mondoy  Tolemaico  e  Copernicano^  fa  Òi 
bel  nuovo  chiamato  a  Roma,  e  tenuto  prigione  nei 
palazzo  deir  Inquisizióne  ,  e  costretto  a  ritrattarsi  '« 
il  mondo  intiero  conosce  ora  come  fosse  irragione* 
vole  di  costringere  un  uomo  di  tanto  senno  ad  ab^ 
bj arare  y  maledire  e  detestare  una  dottrina  irerissi* 
ma  :  rispetto  poi  al  Galilei ,  si  racconta  che  dòpo 
avere  pronunciate  le  solenni  parole  a  lui  conoan* 
date ,  battendo  04)o  un  piede  la  terra ,  dicesse  :  Ep* 
pure  si  muoi^e.  E  se  noi  disse ,  abbiamo  perà'  molti 
suoi  scritti  dai  quali  si  raccoglie  che ,  sebbene  Fosse 
vecchio  di  settant^  anni  e  infermiccio,  ed  in  luogo 
/dove  anche  i  più  coraggiosi  solevano  impaurire,  a 
lui  per  altro  non  parve  dubbiosa  mai  T  abbracciata 
dottrina.  Alcuni  afiermarono  che  ti  Galilei  fu  git« 
fato  nelle  orrende  prigioni  delP  Inquisizione ,  e  sot* 
toposto  alla  tortura  :  ma  di  tutto  questo  non  addu« 
cono  poi  credibili  testimonianze  \  né  sappiamo  per- 
chè si  debba  trascorrere  in  esagerazioni  dove  anche 
il  semplice  vero  è  già  troppo  doloroso  a  narrarsi.-— - 
Uno  storico  recente ,  non  inclinato  per  certo  a  scoU 
pare  T  Inquisizione ,  disse  con  verità  che  «la  brut* 
Ttezza  del  fatto  fu  mitigata  «Jalla  dolcezza  del  trat« 
lamento  n.  Da  prima  stette  in  casa  delP  Ambascia- 
tore di  Toscana ,  poi ,  durante  il  processo ,  ebbe  un 
buon  quartiere  nel  palazzo  del  Sant'  Ufficio.  Dopo 
la  sentenza,  in  luogo  di  carcere,  gli  fu  assegnato  il 

X  Questi  Dialoghi  furono  ftampati  colla  licenza  del  Maestro  del  Sacro  Pa- 
laiso,  per  intercessione  specialmente  del  gran  'tinca  Ferdinando  di  Tosca- 
na :  ma  poi  questa  Iìc«oia  non  giovò  ne  ali*  autore  né  al  libro  )  e  gH  WTer- 
•aq  per  nnocergli  con  più  sàeuresia  dissero  al  Papa  averlo  il  Galilei  ràffi- 
•  gurato  nel  personaggio  di  Simplicio  che  in  que*  Dialoghi  sostiene  con  super- 
ttiùosa  credulità  le  peripatetiche  opinioni. 


SECOLO  DECIJiOSBTTIHO  ^f 

giardìoo  della  Trinità  dei  Monti  appressò  airÀm- 
basciatore  predetto;  poi  gli  fa  permesso  di  trasferirsi 
a  Sieoa  io  casa  dell'  arcivescovo  Piccoloroini  suo  a« 
mico  ,  e  fioalmeote  si  fidasse  alla  sua  villa  d' Arceiri. 
faor  di  Firenze.  Quivi  egli ,  vecchio  e  cieco  ,  coo«. 
tinuò  nel  silenzio  i  suoi  sludi  fino  a^  19  gennajo  164^ 
in  cui  morì. 

Sebbene  la  fama  di  questo  celebre  Italiano  sia  di 
filosofo,  anziché  di  scrittore,  nondimeno  egli  con*  ] 
giunse  la  purità  e  T  eleganza  della  lingua  colla  pro« 
fondita  delle  dottrine^  e  i^on  di  rado  la  sua  esposi* 
zione  è  anche  amena  e  dilettevole.  Sotto  questo  ris« 
petto  il  Saggiatore^  in  cui  risponde  al  gesptta  Orazio 
Grassi,  i  Dialoghi  sui  due  sistemi  già  mentovati,  ed 
alcune  Lettere  si  possono  studiare  di  preferenza  ad 
C^ni  altro  suo  libro. 

Prima  però  di  trascrivere  qualche  saggio  dì  questo 
insigne  filosofo  e  scrittore ,  pacmi  opportuno  di  riferir 
qui  ciò  che  dell^  ingeguo  e  del  carattere  di  lui  egre* 
giamente  scrisse  Vincenzio  Viviani  suo  scolaro  ed 
amico. 

Fo  il  signor  Galileo  di  gioviale  e  giocondo  aspetto, 
masfime  in  sua  vecchiezza  ;*  di  corporatura  qaadrato;  dr 
giusta  statura;  di  complessioue ,  per  oatara,  sanguigna^ 
flemmatica  e  assai  forte;  ma  per  le  fatiche  e  travagli  si 
dell^  animo  come  del  corpo ,  accidentalmente  debilitata  t 
onde  spesso  ridacevasi  in  istato  di  languidezza.  Fu  esposto 
a  molti  mali  accidenti  e  affetti  ipocondriaci-;  e  più  volte 
assalito  da  gravi  e  pericolose  malattie,  cagionate  in  gran 
part^  da^continoi  disagi  e  vigilie  nelle  osservazioni  celesti, 
per  le  quali  bene  spesso  impiegava  le  notti  intere.  Fó 
travagliato  per  più  di  qaarantolto  anni  deUa  sua  età , 
sino  all'  ultimo  della  vita,  di  aentistimt  dolori  e  pnntìire 
che  acerbamente  lo  molestavano,  nelle  mutazioni  de' tempi, 
in  diversi  luoghi  della  persona  ;  originate  in  lui  dair  e^ 


48  LETTERATURA    ITALfAllA 

sersi  ritroTato,  insieme  con  due  nobili  amici  saoi,  ne' caldi 
«rdentissimi  d'esUte,  in  ana  villa  del  contado  dì  Padova; 
dove  postisi  in^na  stanca  assai  fresca,  per  Ta^gir  Tore  più 
noiose  del  giorno,  e  quivi  addorinentatisi  tutti,  fu  inaTrer- 
tentemente  da  un  servo  aperta  una  6nestra  per  la  quale 
•olevasi ,  sol  per    delizia ,    sprigionare  un  perpetuo  vento 
arti fizioso  ,  generato  da  moti  e  cadute  d'acque  che  quivi 
appresso  scorrevano.  Questo  vento  ,  come  fresco  e  umido 
di  soverchio ,   trovando  i    corpi  loro  alleggeriti    di    veUi* 
menti,  nel  tempo  di  due  ore  che   riposarono,  introdusse 
pian  piano  in  loro  così  mala  qualità  per  le  membra,  che 
svegliandosi ,  chi  con  torpedine  e-  rigori  *  per  la  vita ,  e 
dii  con  dolori  intensissimi  nella  testa  e  con  altri  accidenti^ 
tutti  caddero  in  gravissime    inferitila  :  per  -  le   quali  ano 
de'  compagni  in  pochi  giorni  ^e  ne   morì  ^   I'  altro  perde 
l'udito,  e  non  visse  gi'an  tempo;  e  il  signor   Galileo  ne 
cavò  la  suddetta  indisposisioné,  della  quale  mai  non  potè 
liberarsi. 

Non  provò  maggior  sollievo  nelle  passioni  dell'  animo , 
uè  miglior  preservativo  della  sanità ,  che  nel  godere  del- 
l' aria  aperta  :  e  perciò  dal  suo  ritorno  di  Padova  abitò 
quasi  sempre,  lontano  dagli  strepiti  della  città  di  Firenze, 
per  le  ville  d' amici,  o  in  alcune  ville  vicine  di  Bellosgoardo 
o  d*  Aroetri ,  dove  con  tanto  maggior  ^disfàzione  ei  di- 
morava,  quanto  che  gli  pareva  che  la  ciilà  fosse  in  certo 
modo  la  prigione  d^r  ingegni  speculativi,  e  che  la  libertà 
della  campagna  fosse  il  libro  della  natura,  sempre  aperto 
a  chi ,  con  gli  occhi  delP  intelletto ,  gostava  di'  leggerlo 
e  di  stodiario  ;  dicendo  che  i  caratteri  e  1'  alfabeto  con 
che  era  scritto,  erano  le  proposikioni,  le  figure  e~ le  ood- 
dosioni  geometriche;  per  lo  coi  solo  mezzo  potevasl  pe- 
netrare alcono  degr  infiniti  misteri  dell' btessa  natura*  Era 

I  Xa  torpediM  è  ciò  ch«  dicesi' più  «petto  intarmmtùnento  f  per  rigont 
•*  intende  il  brivido  ^  ^Qale  ti  provi  in  eette  feUiri. 


SECOLO   DECnroSETTIHO  49 

perciò  provvisto  di  pochissimi,  libri  ;  ma  questi,  de*  mi» 
gliori  e  di  prima  cl.isse.  LcNlafa  bensì  io  federe  qnanto 
io  filosoBa  e  geomefria  era  stato  scritto  di  booao,  per 
detncidare  e  sfegltar  la  veste  a  siiniR  e  pia  alte  speco» 
lazioDÌ;  ma  ben  diceta  che  le  prmcipali  porte  per  intro* 
dorsi  nel  ricchissimo  erario  della  nataral  filosofia,  erano 
f  osser?azIoni  e  P  esperienze,  che  per  mezzo  JiAie  chiavi 
de^  sensi  ,  da*  più  nobili  e  coriosi  intelletti  si  potevano 
aprire. 

'  Qaantanqne  gli  piacesse  la  qaiele  e  la  Bolitudioe  delia 
villa  ,  amò  però  sempre  d*  avere  il  commercio  de*  firloosi 
ed  amici ,  da'  qoali  era  giornalmente  visitalo ,  e  con  de* 
lizie  «  con  regali  sempre  onorato.  Con  qncsli  piacevagli 
trovarsi  spesso  a  conviti:  .e  con  tolto  fosse  parchissimo  o 
moderalo,  Tolentieri.si  rallegrava;  e  particolarmente  prò» 
meva  nelF  esqnisitezza  e  varietà  de' vini  d'ogni  paese*.  E 
tdle  era  il  diletto  eh'  egli  aveva  nella  delicatezza  de'  vini 
e  deir  ave  e  del  modo  di  caslodire  le  vili ,  eh'  egli  ste«o 
di  propria  mano  le  |k>tava  e  legava  negli  orti  delle  ano 
ville ,  eoa  osservazione  ,  diligenza  e  industria  più  che 
ordinaria.  E  in  ogni  tempo  tr  dilettò  grandemente  del* 
r  agricoltura  ;  che  gli  servita  insieme  di  passatempo  ,  e 
d'  occasione  dr  filosofare  intorno  al  nutrirsi  e  al  vegetar 
delle  piante  ,  sopra  la  Tirtù  prolifica  de*  semi  ,  e  aopra 
r  altre  ammirabili  o)>érazioni  del  Divino  Artefice. 

Ebbe  assai  più  in  odio  T  avarizia  che -la  prodigalità. 
Non  risparmiò  a  spesa  alcuna  io,  far  varie  prave  e  osser* 
vazioni  per  conseguire  notizie  di  noofe  e  ammirabili  con» 
segaeoze.  Spese  liberalmente  in  sollevare  i  depressi ,  in 
ricevere  e  onorare  i  forastieri  5  in  somministrare  le  co- 
modità necessarie  a'  poveri  eooellenli  in  qualche  arte  o 
professione,. mantenendogli  in  casa  propria,   fin   che    gli 

1  Premere  in  tuta  cota  diceti  dfi  dit  Je  ne  A  peaiiero ,  di  dlù  o*  hft  de* 
sideno. 

L&TTBPAT.  rtJiU  —  IV  5 


5o  lETTEAATURi  ITiLUltl 

prorTècIesse  di  tratteniineotó  e  d' iiii)>i(fgo<  E  tra  quei  ch^e^ 
gli  accolse  (tralasciando  di  nominar    molti   giofani   fiam- 
mtiighi,  tedeschi  e  d'altroVe,  professori  dì  pittura  e  sciil-^- 
tnra  o  d^ altro  aobite  esercizio,  o  esperti  nelle    matema- 
tlcbe  e  in  ogni  altrì>  genere  di  scienza  )    farò  solo  parti*» 
colar  menzione. di  quello  die  fu  F ultimo  in  tempo,  e  in 
qualità  foose  il  primo ,  e  che  già  discepolo  del  P.  D^  Be- 
nedetto  Castelli,   ornai    &lto    maestro,  fu  dal    medesimo 
Padre  inviato  e  raccomandato  al  signor  Galileo,  affinchè 
questi  gustasse  <l'  avere  presso  di  se  lin  geometra  eminen- 
tissimo,  e  quegli  (allora  in  disgrazia   della   fortuna)  go« 
desse  della  compagnia  e  protezione  di  no  Galileo.   Parlo 
del  signor  Evangelista  Torricelir,  giovane  e  d'.integerrioii 
costumi  e  di  dolcissima  conversazióne  ,^  accollo  in  casa  , 
accarezzato  e  provvisionato  dal  signor  Galileo ,  con  iscam- 
bievol  diletto  di  dottissime  conferenze  ^  . 

JSon  fu  il  signor  Galileo  ambizioso  degli  onori  del  vol- 
go, ma  di  quella  gloria  che  dal  volgo  differenziar  lo  po- 
teva» La  modestia  gli  fu  sempre  compagna;  in  lui  mai  non 
si  conobbe  vanagloria  o  jatlanza..  Nelle  sue  avversità  fu  co- 
stantissimo ,  «  soffri  coraggiosamente  le  persecuzioni  degli 
emuli.  Movevasi  facilmente  alF  ira ,  ma  più  facilmente  si 
placava.  Fu  nelle  conversazioni  universalmente  amabilissimo: 
poiché,  discorrendo  sul  serio,  era  ricchissimo  di  senteoze 
e  concetti  gravi;  e  ne^  discorsi  piacevoli,  V  arguzie  e  i 
sali  non  gli  mancavano.  L'  eloquenza  poi  e  V  espressiva  ^ 
che  egli  el|^be'  nelP  esplicare  V  altrui  dottrine  e  le  pro- 
prie speculazioni  ,  troppo  si  manifesta  ne'  suoi  scritti  e- 
componimenti  per  impareggiabile  e  ,  per  così  dire,  so- 
praumana.  Fu  dalla  natura  dotato  d' esquisiCa  memoria^ 
e  gustando  in  estremo  la  poesia ,  avova  a  mente,  tra  gli 

I  Evangelista  Torricelli  nato  in  Faenia  Panno  1608  fa  profondo  filosofo 
e  Miittor  <lilig«nt«  e  non  di  rado  elegante. 

a  L*  efprusiva»  La  facoltà ,  il  modo  di  esprimersi. 


SECOLO  DECniOSBTTIllO  5f 

altri  autori  latini,  gran  parte  di  Virgilio,  Gridio,  Ora* 
tio  e  di  Seneca  ;  e  tra  i  toscani ,  <pasi  tatto  il  Petrar* 
ca ,  latte  le  Rime  de!  Berni ,  e  poco  meno  che  tqitto  il 
poema  di  Lodorico  Ariosto;  che  fa  sempre  il  000  aolor 
farorito  ,  e  celebrato  sovra  gli  altri  poeti ,  avendogli  ia* 
torno  fatte  particolari  osservazioni  e  paralleli  col  Ta«o  , 
sopra  moltissiini'  laoghi  •  .  •  Parlava  dell' Ariosto  eoo  ri^ 
rie  sentenze  dt  stima  e  d' ammirazione  ;  e  essendo  ricer- 
calo del  sao  parere  sopra  i  due  poemi  delP  Ariosto  e  del 
Tasso,  sfuggiva  prima  le  comparazioni  come  odiose,  mn 
poi,,  necessitato  a  rispondere,  diceva  che  gli  pareva  più 
bello  il  Tasso  ,  ma  che  gli  piaceva  più  V  Ariosto  , .  sog* 
ginngeodo  che  ^egli  diceva  parole  e  questi  cose  *•  £ 
quando  altri  gli  celebrava  la  chiarezta  ed  evidente  nel* 
r  opere  sue ,  rispondeva  con  modestia  ,  che  se  tal  perle 
in  quelle  si  ritrovava ,  la  riconosceva  totalmente  dalle 
replicate  lettore  di  quel  poema  :  scorgendo  in  esso  une 
prerogativa  propria  del  buono;  cioè  che  quante  volte  lo 
rileggeva ,  sempre  maggiori  vi  scopriva  le  maraviglie  e  le 
perfezioni. 

0A(   DIALOGHI   SOPEA   1   DUE   MASSIMI   SISTEMI    DEI.   M01I90. 

Che  anche  i  maestri  di  logica  possono  sragionare, 

SiMP.  Di  grazia,  sig.  Salviati,  parlate  con  più  rispetto 
d'  Aristotile*  E  a  chi  potrete  voi  persuader  già  mai  che 
quello  che  è  sialo  il  primo ,  unico  e  ammirabile  esplica- 
lor  della  forma  sillogìstica ,  della  dimostrazione ,  degli 
elenchi  ,  dei  modi  di  conoscere  i  so6smi  ,  i  paralogismi , 
e  in  sojnma  di  tutta  la  logica  ,  equivocasse  poi  sì  grave^ 
mente  in  suppor  per  noto  quello  che  è  in  quistione?  Si* 


I  Fra  gli  tcrìtti  contro  U  Gerusalemme;  ve  n*  ha  imo  anche  del  Galilei , 
compoeto  negli  anni  della  ma  giovinetta. 


52  UBTTBaATOAA   ITitLlAtÌA' 

gDori ,  bisogna  prima  iutenderlo  perfettamente,  e  poi  prò* 
Tarsi  a  Tolerlo  impugnare.  , 

SiLV«  Signor  Simplicio,  noi  siamo  qui  tra  noi  discor* 
rendo  familiaribente  per  infe^ìgaf  qualche  veri  là;  io  non 
arto  mai  per  male  che  voi  mi  palesiate  i.  miei  errori ,  e 
qaaodo  io  non  avrò  conseguita  la  mente  d^  Aristotile , 
riprendetemi  pur  liberamente ,  che  io  ve  ne  avrò  buon 
grado.  Concedetemi  intanto  che  io  esponga  le  mie  dìf* 
ficulta  ,  e  eh'  io  risponda  ancora,  alcuna  cosa  alle  vostre 
ultime  parole ,  dicendovi ,  che  la  logica ,  come  benissimo 
sapete ,  è  T  organo  col  quale  si  filosofa  :  ma  si  come  può 
esser,  .che  un  artefice  sia  eccellente  in  fa hbricare  organi, 
ma  .indótto  nel  sapergli  sonare  ;  così  può  esser  un  gran 
logico ,  ma  poco  esperto  nel  sapersi  servir  della  logica  ; 
siccome  ci  son  molli  che  sanno  per  lo  senno  a  mente 
tutta'  la  poetica  ,  e  soor  poi  infelici  nel  compor  quattro 
versi  solamente  :  altri  posseggono  tutti  i  precetti  del  Vin- 
ci ^  e  non  saprehber  poi  dipignere  uno  sgabello.  Il  sonar 
r  organo  non  s^  impara  da  quelli  che  sanno  far  organi , 
ma  da  chi  gli  sa  sonare  :  la  poesia  s*  impara  dalla  Goa« 
tinua  lettura  dei  poeti:  it  dipignere  s'apprende  col  cod* 
finuo  disegnare  e  dipignere  :  il  dimo^strare  dalla  lettura 
dei  libri  pieni  di  dimostrazioni ,' che  sono  i  matematici  so- 
li >  e  non  i  logici. 

Che  la  terra  per  essere  mutabile  e  alterabile 
non  è  manco  perfètta. 

Sagr.  Io  non  posso  senza  grande  ammirazione,  e  dirò 
gran  repugnanza  al  mio  intelletto,  sentir  attribuire  per 
gran  nobiltà  e- perfezione  ai  corpi  naturali  e  integratiti  * 
del r  universo  questo  esser  impassìbile,  immutabile,  inai* 
terabile,  ec. ,  e  all'  incontro  stimar  grande    imperfezione 

X  Jat^rantì*  Componenti. 


iECoto  DBcnonTTiMo  ss 

r  esser  alteràbile ,  generabile ,  mutabile ,  et  *  t  lo  per  Ine 
repnto  la  terra  nobilissima  e  ammirabile  per  le  tante  • 
«l  direrse    alterasiooi,  molazioni,  generaaieoi,  ec,  ehn 
in  lei  incessabilmieote  sr  fiinao;  e  qaando  senta  esser  ao(? 
getta  ad  alcuna  malaaiooe  ,  ella,  fòsse  tutta  qua  ratta  aor 
litndine  d'arena )  o  una  massa  di  diaspro,  o  che  al  tempn 
del  ditoTiO)  diacciandosi  >  Tacque  che  la  coprivano,  fotse 
restata  un  globo  immenso  di  cristallo,  dove  mai  non  0*» 
scésse  ,   né  si  alterasse ,  o  si  mutasse  cosa  veruna  ,  io  la 
stimerei  on  corpaccio  inutile  ai  mondo,    pieno  di   oxio^ 
e,  per  dirla  in  breve,  superfluo,  e' come  le  non  fosse  ìm 
natvra  ;  e  quella  stessa  diffierensa  ci  farei ,   che  tra  t  a* 
nimal  vivo  e  il  morto  :   é  ilj  medesimo  dico  della  Luna , 
dì  Giove  e  di  tutti  gli»  altri  globi  mondam.    Ma    quanto 
pia  ro^  iolerno  io  considerar  la  «vanità  dei  discorsi  popò»* 
lari,  tanto  più  gli  Iroio  leggieri  e  stolti.  E  qua!  maggior 
sciocchezza  si  può  immaginar  di  quella  che   chiama  cosa 
preziose  le  gemme  '^    1'  argento    e   P  oro ,    e  vilissime   la 
terra  e  il  Tango?  E  come  non  sovviene  a  questi  tali,  dm 
qaando  fosse  tinta   scarsità   della   terra,   quanta  è   dello 
gioje  o  dei  metalli    più    pregiati,   non    sarebbe  principe 
alcuno  che  volentieri  non  ispende^se  una  somma   di  dia* 
manti  e  di  rubini ,  e  quattro  carrate   d'  oro ,    per    aver 
solamente  tanta  terra ,  quanta  bastasse  per  piantare^  in 
on  picciol  vaso,  un  geUpmino,  o  seminarvi  un  arancino 
della  Cina,  per  vederlo  nascere,  crescere,  e  produrre  al 
belle' frondi f  fiori  così  odorosi,  e  si  gentil  frutti?  E  duo» 
quo    la    penuria    e    \  abbondanza    qoella   che   mette   in 
prezzo    e   avvilisce  le  ccfte   appresso    il    volgo  ;   il    qnab 
dirà  poi  quello  esser  un  bellissimo  diamante,  perchè  as- 
simiglia  r  acqua  pura  ,  e  poi    non   lo   cambierebbe   con 
^ieci  botti  d' acqua.  Questi  cjlie  esaltano  tanto.  T  incorrul- 


54  letteratitiìa  italiaha 

libiKtà ,  r  inakerabilita ,  ed ,  credo  che  si  ruliicaiio  à 
'éìr  queste  cose,  per  il  desiderio  graode  di  canlpare  as- 
sai, «  per  ii  terrore  che  hanno  della  mòt'te:  e  non  con* 
sidefano  che  quando  gli  aomini  fossero  immortali ,  a  loro 
non  toccala  a  Tenire  al  mondo.  Questi  meriterebbero  d^n- 
costrarsi  in  nn  capo  di  Medusa ',  ch^  g'^  trasmutasse^ in 
istatue  di  diaspro  o  di  diamante ,  per  diventar  più  per<* 
feUi  che  non  sono., 

SaLt.  e  forse  anche'  una  lai  metamorfosi  non  sarebbe^ 
ae  non  cqu  qualche  lor  vantaggio  ;  che  meglio  credo  io 
che  sia  ti  non  discorrere ,  che  discorrere  a  rovescio. 
*  Siup.' E  non  è  dubbio  alcuno  che  la  terra  è  molto 
più  perfetta,  essendo  come  ella  è  alterabile,  mutabile,  ec.;, 
che  se  la  fosse  una  massa  di  pietra ,  quando  ben  anco 
fosse,  un  intero  diamante  duriàsimo  e  impassibile. 

JEsperienza  intorno  al  moto  dei  proJeUL 

''  Riserratevi*  con  qualche*  amico  nella  maggiore  stanfea 
che  sia  sotto  coverta  di  alcun  gran  navilio ,  e  quivi  fate 
d' aver  mosche ,  farfalle  e  simili  animaletti  volanti  :  siavf 
anco  un  gran  '  vaso  d'  acqua ,  e  dentrovi  de'  pescetti  ;  so- 
'spendasi  anco  in  alto  qualche  secchiello ,  che  a  goccia  a 
goccia  vada  versando  dell'acqua  in  un  altro  raso  di  an« 
■gusta  bocca ,  che  sia  posto  a  basso  ;  e  stando  ferma  la 
nave,  osservate  diligentemente,' come  quelli  animaletti  to* 
lauti,  con  pari  velocità  vanno  verso  tutte  le  parti  della 
stanza;  i  pesci  si  vedranno,  andar  notando  indifferente*^ 
mente  per  tutti  i  ver^i,  le  stille  cadenti  entreranno  tutte 
nel  vaso  Sottoposto;  e  voi  gettando  alF  amico  alcuna  co- 
sa, non  più  gagliardamente  la  dovrete  gettare  verso  quella 
parte  che  ^erso  questa,  quando  le  Lontananze  sieoo  egua^ 
li ,  e  saltando  voi ,  come  si   dice ,  a    pie    giunti ,   eguali 

I  Medusa,  H  capo  di  qaetU  Gorgoot  tmuitavm  (secondo  le  favole)    in 
sasso  dii  lo  guardava.  '" 


•■COLO .  DEcorasimiio  SS 

^asti  passerete^  veno  tolte  Je  parti.  Oaienrate   cfaa  avi^ 

rde  diligenteoMBle  tutte  qatsie  cote ,  beodiè  niaa'  dok 

bio  jà  sia,  che  mentre  il  vaaodlo  sta  fenao  noe  deUiMMi 

flooceder  cod  ^  fate  mooTer  la  nave  eoo  quaota  fi   voglia 

jelecità;  che  (pur  che  il  «iota  sia  naifonna,  e  non  flut» 

tuaule  io  qua    e    ia  là}  voi  bob  rioonoicerate    noa   mi» 

Dima  mntaziuoe  in  tutti  li  nomioali  effetti;  né  da  alcofit 

di  quelli   potrete  comprender  se  la  naie  eammina,  o  pare 

Ma  ferma.  Voi  saltando  passerete  nel  ta?olato  *  i  medesimi 

spazii  phe  prima  ;  né  perche  la  nave  nr  moota  tcIocìmì* 

mamenle  ,  farete  maggior  saki  verso  la  poppa  che  versa 

la  prorji,  henchè  nel  tempo  cìiéfoi  atate  io  aria,  il  ta^ 

volato  sQttopostofi  acorra  rerso  la  parte  oaotraria  al    vo* 

ttro  saltila  e  gettando  alcona  cosa  al  compagno,  non  eoo 

più  forza  bisognerà    tirarla   per    arrWarlo,    se   egli   «ara 

verso  .la    prora  e  toì  verso  poppa ,  che  se   voi    foste  $> 

tnati  per  l^oppoaito:  le  gocciole  cadranno,  come  prima, 

nel  vaso  infi^iore ,  senza  cadérne  pur  una  verso   poppa , 

benché,    mentre  la  gocciola  e  per. aria,   la  nave  scorra 

molli  palmi;  i  petci  nella  lor  acqua  noo  con   più   fatica 

noteranno  verao  la  precedente  ,  che   verso  la  sossegaenta 

parte  del  vetro*;  ma  con  pari  agevolezza  verranno  al  cibo 

posto  sa  qualsivoflia  luogo   deir  orlo   del   va'so  ;   e    finale 

mente  le  farfalle  «  le  mosche  continueranno  i  lor  voli  io» 

differentemente  verso  tutte  le  parti  ;  né  mai  aocaderà  che 

si  riducano  verso  la  parete  che  riguarda  la  poppa ,  quad 

che  fossero  stracche  io  tener  dietro  al  veloce  oorso  della 

nave,  dalla  quale  per  lungo  tempo  trattenendosi  per  aria, 

saranno  state  separate  i  e  ae.  abbruciando  alcona   lagrima 

d'incenso,  si  &rà  un  poco    di    fumo,  vedrassi   ascender 

in  alto,  e  A  guisa  di  nugoletta   trattener  visi  ,  e    indiSq» 

rentemente  muoversi     non    più    verso,  questa  che   quella 


Ì6  LBTTEIIiTOftA  ITAtUtfA 

|iarle»  e  di  tntla  questa  .  corrispondeBia  A*  effetti  ne  è 
cagione  r  esser  il  moto  biella  nave  con»aDe  a  latte  le  cose 
fymtenute  ia  essa,  e  alP  aria  ancora  ;  che  perciò  dissi  ia^ 
(che  si  stesse  sotto  coTerta  ;  che  quando  m  stesse  di  so- 
pra  ^  e  nell'  aria  aperta ,  e  non  seguace  del  corso  della 
naie  •  differenze'  pia  e  men  notabili  si  vedrebbero  in  aK 
GQlù  degli  effetti  nominati* 

« 

I  funamboli  ^  tenendo  nn'  asta  lunga  in  mano ,  faeil* 
«Mmle  camminano  e  ballano  sulltf  .corda  ;  p  senz'  essa  eoo 
gran  difficoltà  ,  e  appena  et  poniOtto  eauHminare.  Si  do* 
manda  ora  che  ajuto  gli ,'  porga  la  detta  asta* 

La  risoluzione  del  presente  problemii  dipende  da  tra 
verissime  proposizioni.  La  prima  è  tale:Jo  ho  un  pezzo 
di  '  (rare ,  e  lo  drizzò  a  perpendicolo  sopra  terra  ;  dric* 
cato  che  io  V  ho-,  vedo  che  non  Tuol^taré.  altrimenti  iti 
[riedr ,  ma  che  comincia  a  inclinare  per  cadérsene  disteio 
in  terra;  allora  se  io  che  lo^  yedo  cadere,  lo  soccorro 
tnbito ,  con  ogni  picciola  forza  e  lo  terrò  e  lo  tornerò 
a  drizzare,  che  non^  tada  giù;  cosa  che  non  cosi  facil- 
«wnte  farej  ,  se  lo  soccorressi  quattdo  •  ei  fosse  vicino  a 
dj^tendersi.  in  terrii.  Da  questa  prima*  proposizione  se  ne 
cava  la  seconda ,  che  è  questa  :  Uno  per  passare  un  fosso 
è  necessitato  di  camminare  'sopra  uiv  pente  strettissimo  , 
qnal  sarebbe  un  tronco  di  an  albero,  o  un  pezzo^  di  ta- 
vola larga  un  quarto  di  braccio:  ora  se  cosini  af^rà  qual- 
che ritegno  o  appoggio,  benché  minimo.,  spi  quale  si 
possa  reggere  quando  si  sente  barcollare ,  facilmente  pas* 
sera  il  fossa,  perchè  (come  abbiamo  detto  nell'  esempio 
della  trave)  basta  ogni  picciola  forza  e  resistenza  per  le* 
oer  in  piede  on9  cosà  che  accenni  *  di  voler  cascare.  La 

I  Gii*  k  loro. 

a  Accenta  qui  Tale  quanto  Via  f  it«/cfté  iniitkf  di  9okr  9C»  • 


\ 


IBCOLO   DBCiaOSBTTfSO  $7 

ierza  proposjsìone  è,  clie  eoo  assai  maggiore  prettetsa  « 
velocita  si  vibra  e  si  scaote  un  pexao  di  legno  corto  colla 
mano  che  non.  si  fa  aa'  asta  molto  langa.  »  Ora  il  fanaitf* 
bolo,  a  guisa  di  quello "cbe  ha  da  passare  il  fosso  pel 
ponte  stretto,  ha  da  camminare  sopra  fana  corda,  sicché 
se  non  avesse  qualche  appoggio ,  quando .  ei  si  sente  f^^* 
ciliare ,  cascherebbe  facilissimamente  in  terra  ;  ma  egli  ha 
l'appoggio,  e  questo  glie  lo  porge  Tasta  longa  che  porta 
in  mano  ;  perchè  quando  ei  si  sente  piegare  e  andar  già 
da  Qoa  banda,  egli  si  appoggia  e  si  aggrava  dalla  me* 
desima  sali' asta,  la  quale  per  esser  molto  longa  con  gran 
lentezza  si  moofe  alla  forza  che  gli  fico  fatta  ;  sicché 
non  cosi  tosto  ella  comincia  a  mnotersi-,  che  il  fonaài bo- 
lo,  ài  quale  basta  ogni  minimo  appoggio  per  riaversi,  ti 
è  già  riavuto  e  raddrizzato. 

^  *     DAL    SAG<;i4TOBB.       , 

Che  la  natura  produce  i  suoi  ejffitti  con  grande  uarìetà  di  mani$r€f 
le  quali  noi  molte  uolte  non  sappiamo  deUrminart. 

Nacque  già  in  un  luogo  assai  solitario  un  uomo  dotato 
da  natura  di  un  ingegno  perspicacissimo ,  e  d^pna  curio* 
sita  straordinaria  ;  e  per  suo  trastullo  allevandosi  diversi 
Qccelli  ,  gustafa  molto  del  lor  canto  ,  e  con  grandissima 
maraviglia  andava  osservando  con  che  beir  artifizio  cóUa 
stess*  aria  colla  quale  respiravano ,  ad  arbitrio  loro  for^ 
ma  vano  canti  diversi ,  e  tutti  soavissimi.  Accadde  ,  che 
una  notte  vicino  a  casa  sua  senti  un  delicato  suono  ,  nò 
potendosi  immaginar  che  fusse  altro  che  qualche  oooei- 
letto,  si  mosse  per  prenderlo;  e^  veneto  nella  strada,  trovò 
un  pastorello,  che  soffiando  in  certo  legno  forato,  e  mo- 
vendo le  dita  sopra  il  legno,  ora  serrando  ed  ora  aprendo 
certi  furi  che  vi  erano ,  ne  traeva  quelle  diverse  voci  si*  | 

mili  a  quelle  d*j]n  uccello,  ma  con  maniera  diversissima.  t 

Stupefatto  é  mosso^daila  sua  naturai  curiosità,  donò  al  pa«  < 


58  LBTTERATDRA    ITALIlllA 

•tore  ali  vitello,  per  aver  quello  zufolo  ;  e  ritiratosi  fa 
•è  slesso ,  e  conosc^sodo  che  se  non  si  abbatteva  a  passar 
colui  ,  egli  Don^  avrebbe  mai  imparato  che  ci  erano  in 
natura  due'  modi  da  formar  voci  e  càuti  soavi ,  volle  al- 
lontanarsi da  cash  stimando  di  potere  incontrare  qualche 
altra  avventura.  Ed  occorse*  il  giorno  seguente ,  che  pas» 
sando  presso  a  un  picccrio  tugurio,  senti  risonarvi  dentro 
«riìa  simil  voce  ;  e  per  certificarsi  se  era  no  zufolo,  o  pure 
un  merlo,  entrò  dentro,  e  trovò  un  fanciullo  che  andava 
con  un  archetto  eh'  ei  teneva  nella  man  destra  segando 
alcuni  nervi  tesi  sopra  oerto> legno  concavo,  e  con  la  ai- 
Distra  sosteneva  lo  stmmeàlo^  e  vi  andava  sopra  movendo 
le  dita,  e  senz'altro  fiato  se  traeva  voci  diverse  e  molto 
soavi.  Or  qual  fosse  il  «no  stupore  ,  giudichilo  chi  parti- 
cipa  deir  ingegno  e  della  curiosità  che  aveva  colui;  il  qual 
vedendosi  sopraggiunto  da'  due  nuovi  modi  di  formar  la 
voce  ed  il  canto,  tanto  ir»^pinati,  cominciò  a  creder  eh'  al- 
tri ancora  ve  ne  potessero  essere  in  natura.  Ma  qual  fu 
la.  sua  maraviglia  ,  quando  entrando  in  certo  Tempio  as 
mise  a  guardar  dietro  alla  porta  per  veder  dii  aveva  so^ 
nato,  e  s^ accorse  che  '1  suono  era  nicito  dagli  arpioni  e 
dalle  bandelle  *  nelf  aprir  la  porta  ?  Un'  altra  volta  spinto 
dalla  curiosità  entrò  in  un'  osteria ,  e  credendo  d' aver  a 
vedere^uno  che  coli'  archetto  toccasse  leggermente  le  corde 
di  un  violino,  vide  uno  -che  fregando  il  polpastrello  di 
un  dito  sopra  V  orlo  di  un  bicchiere  ne  cavava  soavissi- 
mo suono.  Ma  quando  poi  gli-  venne  osservato  che  le  ve^ 
spe,  le  zanzare  e  i  mosconi,  non  (come  i  suoi  primi  no* 
celli)  col  respirare  formavano  voci  interrotte,  ma  col  ve* 
locissimo  batter  dell'  ali  Tendevano  un  suono  perpetuo  , 
quanto  crebbe  in  esso  lo  sCo'pore,    tanto  si  scemò  T  opi* 

l  arpione  (  a  Cardine  )  e  quel  ferro  sopn  il  quale  ginno  le  imposte  delW 
porte.  La  bandella  h  quella  spranga  di  lama  di  f«rro  in  capo  alla  quale  sta 
t  '  anello  dentro  cui  wìn  il  perno  e  1*  a^  dell*  arpiwé^ 


»àCÒM>  DSCIMOSBTTIHO  S9 

Dione  ch'^egli  arerà  cirea  il  sapere  coma  si  generi  sno> 
DO.  Né  latte  V  esperieose  già  vedote  sarebbono  state  Imi- 
stanti  a  fargli  comprendere  d  credere,  che  i  grilli,  giac* 
che  non  Tolavado ,  potessero ,  non  coi  fiato  ma  collo  seno» 
ter  Tali,  cacciar  sibili  cosi  dolci  e  «onori.  Ha  qnando  et 
si  credeva  non  poter  esser  qnasi  possibile  che  vi  fussero 
altre  maniere  di  formar  voci  dopo  T  avere  oltre  ai  modi 
narrati  osservato  ancora  tanti  organi ,  trombe ,  pifferi  > 
stramenli  da  corde ,  distante  e  tante  sorte,  e  sino  a  qaelh 
liogaetta  di  ferro  òhe,  sospesa  fra  i  denti,  si  serve  con 
modo  strano  della  cafità  della  bocca  per  corpo  della  ri» 
sonanza  ",  e  del  fiato  per  veicolo  del  soono,  quando,  dico, 
ei  credeva  di  aver  veduto  il  latto,  trovossi  p(ù  che  mai 
rinvolto  neir  ignoranza  e  nello  stupore  nel  capitargli  io 
mano  una  cicala,. e  che  né  per  serrarle  la  bocca  ne  per 
fermarle  V  ali,  poteva  ne  pur  diminuire  il  suo  aliissinKi^ 
stridore,  né  le  vedeva  muovere  sqaame ,  ne  altra  par  le  ^ 
e  che  finalmente  alzandole  il  cassò  del  petto  ,  e  vede1^•, 
dovi  sotto  alcane  cartilagÌDÌ  dure  ma  sottili,  e  credendo 
che  io  strepito  derivasse  dallo  scuoter  di  quelle  ,  si  fi- 
dasse a  romperle  per  farla  chetare»^  e  tutto  fu  io  vano^ 
sinché  spingendo  V  ago  pia  a  dentro ,  non  le  tolse,  tra* 
figgendola,  colla  voce  la  vita;  sicché  né  anco  potè  accer* 
tarsi  se  ìi  canto  derivava  da  quelle  ;  onde  si  ridusse  a 
tanta  diffidenza  del  suo  sapere  ,  che  domandato  come  1Ì 
generavano  i  suoni ,  generosamente  rispondeva  di  sapere 
alcuni  modi  ,  ma  che  teneva  per  fermo  potercene  essere 
cento  altri  incogniti  ed  inopinabili.  -  Io  potrei  con  altri 
molti  esempj  spiegar  la  ricchezza  della  Natura  nel  prodar 
suoi  effetti  con  maniere  inescogitabili  da  noi ,  quando  il 
senso  e  V  esperienza  non  lo  ci  mostrasse  ,  la  qoale  anca 
talvolta  non  basta  a  supplire  alla  nostra  incapacità;  onda 

I    Corpo  della  risonansa  h  per  etempio  la  cavità  del  vioKiio  o  quella  «del 
cembalo.  — -  Veicolo  è  tntto  òò  cbe  terre  a  trasportar  qualche  com. 


< 


6o  LETTBRATCRi   ITALIANA. 

4ie  10  non  saprò  precisamente  determinar  la  maniera  della 
.proda^ion  della  Cometa  ,  non  mi  do?rà  esser  negata  la 
scusale  tanto  pin,  qiiant^o  non  mi  son  mai  arrogato  di 
poter  ciò  fare  ,  conoscendo  poter  essere  che  ella  si  fac- 
cia in  alcnn  modo  lontapo  da  -ogni  nostra  iinmaginasio* 
Ite  ;  e  la  difficoltà  dell'  intendere  come  si  formi  il  canto 
della  cicala  9  inentr^  ella  ci  canta  in  mano  ,  scnsa  di  so* 
cerchio  Lj  noii;  sapere  ,  come  in  tanta  lontananza  si  ge- 
neri fa  Cometa. 

-    ^  DALLE    LETTERE. 

M  P,  Vincenzo  Renierù 

'.■  Voi  ben  sapete. ,  stimatissimo-  Padre  Vincenzo ,  che  la 
mia  vita  non  è  stata  finora  che  nn  soggettò  d'  accidenti 
e  di  casi  che  la  sola  pazienza  d'  un  filosofo  può  riguar- 
dare con  indifferenza,  ctfme  effetti  neccssarj  delle  laute 
«trane  rÌToluzioni  a  cui  è  sottomesso  il  globo  che  abitia- 
mo. I  nostri  simili ,  per  quanto  ci  affatichiamo  di  gio- 
varli ,  9  diritto  e  a  rovescio  procorano  di  •  renderci  la 
pariglia  coIP  ingratitudine,  coMurti,  colle  accuse;  e  tutto 
ciò  si. trova  nel  corso  della  mia  ?ita.  Ciò  vi  basti,  sensa 
più  interpellarmi  circa  le  notizie  di  una  causa  e  di  ao 
reato  che  io  neppnr  so  di  avere.  Voi  mi  domandate  conto 
neir  ultima  vostra 'dei  17  di  giugno  di  quest^anno  di  ciò 
che  in  Roma  mi^è  accaduto,  e  di  qual  tenore  fosse  .verso 
di  me  il  Padre  Commissario  Ippolito  *  Maria  Lancio  e 
Monsignor  Alessandro  Vitrici  Assessore.  Questi  sono  i 
nomi  de'  miei  giudici  che  ho  presenti  ancora  alla  memo- 
ria, sebbene  ora  mi  vien  detto  che  tanto  V  uno  come 
l'altro  sieno  mutati  ,.e  sia  fatto  Assessore  Monsignor  Pie- 
tro Paolo  Febei  ,  «  Commissario  il  Padre  Vincenzo  Ma- 
coiani.  Mi  interessa  un  Tribunale,  in  cai  per  esser  ra- 
gionevole sono  stato  riputato  poco  meno  che  eretico.  Chi 
sa ,  che  non  mi  riducano  gli  uomini  dalla  professione  di 


SECOLO   DBClttOSETTIHO  6l 

filosofo  a  qaella  di  slorico  dell' loquuizione  !  Me    ne  firn 
tante  a   fine  ch^  io  divènti  V  ignorante  e  lo  sciocco   d*  I- 
talia ,  che  farà  d'  uopo  alla  per  fine  d'  esserlo.  C^ro  Pa» 
dre  Vincenzo,  io  non  sono  alieno    di    porre   in    carta    i 
miei  sentimenti  sn  di  ciò  che  mi  dimandate  ,   parche   si 
prendano  le  precauzioni  per  farri  giungere  questa  lettera 
che  già  si  preser  da   me   allor  qnando    mi   cooTenne  ri» 
spondere  al  signor  Lottarlo  Sarsi  Sigensano,  sotto  il  qaal 
nome  era  nascoso  il  Padre  Orazio  Grassi  Gesnita,  autore 
della  Libra  Astronòmica  e  Filosofica ,  il  qual  ebbe  V  a* 
bllità  di  punger  me  unitamente  con  il  signor  Mario  Gai* 
dacci  nostro  comune  amico.  Ha  non  hastaronoìe  lettere; 
bisognò  dar  fuori  il  Saggiatore ,   e  porla   sotto  V  ombra 
delle  Api  '  di  Urbano  Vili ,  acciò  pensasser  esse  col  loro 
aculeo  a  pungerlo  e  difèndermi.  A  voi  però  basterà  qae« 
sta  lettera  ;  che  non  mi  sento   portato    a    fare   un    libro 
sul  mio  processo  e  suIF  Inquisizione  ,   non  *  essendo    nato 
per  (are  il  teologo,  e  mpito  meno  1*  autor  criminalista. 

Io  aveva  fin  da'  giovane  studiato  e  meditato  per  pubbli* 
care  un  Dialogo  dei  due  sistemi  Tolemaico  e  Copernica- 
no, per  soggetto  del  quale,    fio  da  principio    che  andai 
Lettore  a  Padova,  aveva  di  continuo  osservato  e  filosofa- 
to, indottovi  principalmente  da  una  idea  che  mi  sovvenne, 
di  salvare  *  co*  supposti,  moti  della  terra  il  flusso  e  riflusso 
del  .mare.  Alcuna  cosa  su  questo  proposito  mi  usci,  di  boc- 
ca ,  allorché  si  degnò  di  sentirmi  a  Padova    il    Principe 
Gustavo  di  Svezia,  che   da   giovane   facendo  T  incognito* 
per  r  Italia ,  si  fermò  quivi  colla  sua  .comitiva  per  molti 
mesi ,  ed  ebbi  la  sorte  di  oontrarvi   servitù,  mediante   le 
ttoove  mie  speculazioni  é  curiosi  problemi,    che    veuivan 
giornalmente  promossi ,  e  da  me  risoluti  ;  e  volle  ancora  , 

1  Le  Api  erano  neDo  tfemma  deDa  Caia  Barbeiini  a  cui  Uri»aBo  Vili 
ippaiteneva. 

%  SdMirt  foi  vale  Sffitgart. 

LBTTUIÀT.  ITAL.  -  IT  ^ 


6z  tETTERàTURA   ITALIANA 

chV  io  gì*  insegnassi  la  lingua  toscana.    Ma    ciò  che   reae 
^bbllci  in  Roma  i  miei  senlimenli    circa    il    moto  della 
terra  ,  fa  un  assai  lungo  discorto  diretto  air  eccelleotissi* 
mo  signor  Cardinale  Orsini  ;  e  fui  allora  accusalo  di  scan^ 
daloso  e  temerario  scrittore*  Dopo    la    pubblicazione    de 
miei  Dialoghi  fui  chiamato  a  Roma  dalla   Congregazione 
del  Sanf  Offizio,  dofe  giunto  a'  io  di  febbra}o   i633  fui 
aoUomesso  alla  soouna  clemenza  di  qnel  Tribunale  e  del 
Sovrano   Pontefice  Urbano  Vili,  il  quale  non  per  tanto 
mi  credeva  deguo  della  sua  stima  ,   benché    non   sapessi 
&r  r  epigramma  ed  il  sonettino  amoroso*    Fui    arrestalo 
nel  delizioso  Palazzo  della  Trinità  de'  Monti  presso  l'Ain- 
basciator  di  Toscana.  Il  giorno  dopo  venne  a  trovarmi  il 
P.  Commissario  Lancio,  e  condottomi  seco    in    carrozza 
mi  fece  per  la  strada  varie  interrogazioni,  e  mostrò  dello 
(do ,  acciò  riparassi  lo  scandalo  che  io  aveva  dato  a  tutta 
f  Italia ,  col  sostenere  V  opinione  del   moto   della    terra  ; 
e  per  quante  solide  ragioni  e  matematiche  gli  adducessi, 
egli  altro  non  mi  rispondeva  che  :  Term  auiem  in  teter^ 
num  stabit ,  quia   terra  auiem   in   teternum  siat ,    come 
dÌ5^  la  Scrittura.  Con  questo  dialogo  giqngemmo  al    Pa- 
lazzo del  Sant'  U^zio  ;   questo  è  situato  a  ponente   della 
magnifica    chiesa,  di  S.  Pietro.  Fui  subito  presentato  dal 
Commissario  a  Monsignor  Vitrici    Assessore  ,    e    seco   lui 
trovai  due  religiosi  Domenicani.  Essi  m' intimarono  civiU 
mente  di  produrre  le  mie  ragioni   in  piena  Congregazio- 
ne, e  che  si  sarebbe  dato  luogo  alle  mie  discolpe  in  caso 
che  fossi  statq  stimato  reo.  Il  giovedì  dopo  fui  presentalo 
alla  Congregazione  ;  ed  ivi  accintomi  alle  prove,  per  mia 
disgrazia  non  furono  intese:  e  per  quanto  mi  affaticassi^ 
non  ebbi  mai  1'  abilità  di  capacitare.    Si    veniva    con  di^ 
gressioni  di  zelo  a  convincermi  dello  scandalo,  e  il  passo 
della  Scrittura  era  sempre  allegato  per  V  Achille  '  del  mio 

X  Per  P  jéehiUe  ee.j  àoh  :  Godm  la  ragione  che  più  fortemente  cowpiro*- 
ttfH  il  mio  delitto.  Bletafon  perdonabile  al  secolo  del  Galilei. 


SÈCOLO  vÉùtttònrfimò  63 

leVitlo.  Sovvenolomi  a  tempo  di  ana  ragione  tcrh(dral0  4 
io  r  allegai ,  ma  con  poco  saccesso.  Io  diceta  ,  thè  Della 
Bibbia  '  mi  parerà  troTarsi  delle  espressioni  che  si  confiif* 
maraD  eoo  'ciò  eh*  anticamente  si  crederà  circa  le  scieniè 
astronomiche  '.,  e  che  di  qnesta  natura  poteva    essere    il 
passo  che  contro  me  si  allegava  ;   poiché^   io  soggiunga 
TB,  in  Giobbe  al  capo  By  ,-  ▼•   18,  è   detto,  che  i  cieli 
sono  soHdi  e  paliti  come  ano  specchio  di  rame  o  di  bron* 
10.  Elia  è  quegli  che  ciò  dice.  Qui  si  vede   dunqne  cbs 
parla  secondo  il  sistema  di  Tolomeo,  dimostrato  assordo 
dalla  moderna  filosofia ,  e  da  ciò  che  ha  di  più  solido  la 
retta    ragione.  Se  si  £a  dunqae  tanto  caso    della  fermala 
del  sole  fatta. da  Giosuè,  per  dimostrare  che    II    sole  si 
mooTe,  dovrà  por  considerarsi  questo  passo,  ove  è  detlo 
che  il  dela  è  ctim^posto  di  tanti  cieli  a  guisa  di  specchi» 
La  conseguenza  mi  pareva  giusta  :  non  ostante  fo  sempre 
trascurata,  e  non  ebbi  per  risposta  che  un'alzata  di  spai* 
le;  solito  rifugio  di  chi  è  persuaso  per  pregiudizio  e  per 
anticipata  opinione.  Finalmente  fui  obbligato  di  ritrattare 
come  vero  cattolico  questa  mia  opinione,    e   in  pena  mi 
fu  proibito  il  Dialogo  $  e  dopo  cinque  mesi   licenziato  di 
Roma    -(in  4empo  che  la  città  di  Firenze  era  infetta  di 
pèste  ) ,  vmi  fu  desti|iato  per  cai^eare  con    generosa   pietà 
r  abitazione  del  mio  più  caro  amico  che  avessi  in  Siena , 
Monsignor  Arcivescovo  Piccolomini,  della  cui  gentilissima 
oonversazione  io  godetti  con  tanta  quiete  e   soddisfazione 
dell*  animo  mio,  che  quivi  ripigliai  i  miei  studi ,    troiai 
e  dimostrai  gran  parlo  4Ìene  conclusioni  meccaniche  sqpra 
la  resistenza  de^  solidi  con  altre  speculazioni  ;  e  dopo  ctn- 
qne  mesi  incirca ,  cessala  la  pestilenza  llella  mia    patria, 
verso    il   principio  di  dicembre  di  quesl'  anno  i633,  ila 
Sua  Santità  mi  è  stata  permutata  la  strettezza  di  qutUa 

I  Cio^  :  Delle  e^retsiom  aceomodaU  alla  manien  volgata  d*  ialcp^ff*  ^ 
cote 


64  LETTERATURA   ITALUllA 

casa  nella  libertà  della  campagna  da   me   tanto    gradita  ; 
onde  me  ne  tornai  alla  Vjlla  di  Bellosguardo,  e  dopo  ia 
Arcetri ,  dove  tuttora  mi  ritrovo    a    respirare  quest'  aria 
salubre  Ticino  alla  mia  cara  patria  Firenze.  State  sano. 
Arcetri*  sulla  fine  del  i633. 

Parie  di  una  lettera  a  Marco  VelserL 

Quello  che  Y.  S.    mi   scrire    essergli    interfennlo    nel 
leggere  il  mio  Trattato  delle  cose  che  stanno  su  T  acque ^ 
cioè  che  quelli  che  da   principio    gli   parvero    *paradossi , 
in  ultimo  gli  riuscirono  conclusioni  vere  e  manifestamento 
dimostrate,  sappia  che  è  accaduto  qua  a  molti,  reputati 
per  altri  lor  grudizii  persone   di    gusto    perfetto    e  saldo 
discorso  '  :  restano  solamente  in  contraddizione  alcuni  se* 
yeri  difensori  di  ogni  flainuzia  peripatetica,  li  quali,  per 
quel  che  io  posso  comprendere,  educati  e  nutriti  sin  dalla 
prima  infanzia  dei  loro  studi  in  questa  opinione ,  che  il 
filosofare  non  sia  ,  uè  possa  esser  altro  che  un  far    gran 
pratica  sopra  i  testi  di  Aristotile,  sicché  prontamente  ed 
in  gran  numero  si  possano  da  diversi  luoghi  raccorrò  ed 
accozzare   per    le   prove  '  di  qualunque   proposto  proble^ 
ma  ,  non  vogliono  mai  sollevare  gli  occhi  da  quelle   car* 
te ,  quasi  che  questo    gran    libro  >  del    mondo    non    fosse 
scritto  dalla  natura  per  esser  letto  da  altri  che   da    Ari* 
stotile,  e  che  gli  occhi  suoi  avessero  a  vedere   per   tutta 
la  sua  posterità.  Questi  che  si  sottopongono  a  cosi  strette 
leggi ,  mi  fanno  sovvenire  di  certi  obblighi ,  ai  quali  tal* 
Tolta  per  ischerzo  si  astringono  i  capricciosi  pittori,  di  vo- 
ler rappresentare  un  volto  umano  o  altra  figura ,  colP  ac- 
cozzamento ora  dd  soli  strumenti  di  agricoltura,  ora  de' 
frutti  sólamente,  o  dei  fiori  di  questa   o    di    quella   sta* 
gione  ;  le  quali  bizzarrie ,  sin  che  vengono  propóste    per 

1  P§r§ont  di^  saldo  dUeorto  vale  IhuUt  di  buon  rtuiocimo, 

2  Per  h  proy$*  Por  provacct 


«SOOL9  DBClSMKVtWO  63 

lerzo,  80D  bdk  e  piacefoU^  e  ooitraiio  ioaggtor  per» 
•pìoacStà  in  questo  arlefioe  che  io  quello,  tecoado  che 
egli  arerà'  saputo  più*  aooonciaiDeate  elegger  ed  applicar 
qnesta  cosa  o  qnella^  alia  parte  imiuta  ;  ma  se  alcaop 
per  aver  forse  consamalì  laKi  'i  suoi  siedi  io  siasi!  fbg» 
già  di  dipigoere ,  rolesse  poi  aoiTersal mente  coecledere  9 
ogni  altra  maniera  d*  imitare  esser  imperfetta  e  biasime- 
vole, certo  che  il  Cigoli  e  gli  altri  pittori  illastri  si  ri- 
derehhono  di  lui.  —  Di  questi  che  mi  son  contrari  di  opi* 
Dione ,  afcani  hanno  scritto ,  ed  altri  stanno  scrirendo  ; 
io  pubblico  non  si  è  vedato  sioora  altro  che  due  scritta- 
te,  aoa  di  accademico  incognito,  e  l'altra  di  oa  Lettor 
di  lingua  greca  nello  Stadio  di  Pisa,  ed  ametìdae  le  in- 
vio colla  presente  a  Y.  S.  Gli  amici  miei  sondi  parere, 
ed  lo  da  loro  non  discordo  ,  che  non  comparendo  oppo» 
sizioQi  piò  salde ,  non  sia  bisogno  di  risponder  altro  ;  e 
stimano,  che  per  quietar  questi  che  restano  ancora -io^ 
quieti,  ogni  altra  fatica  sarebbe  tana,  non  men  che  sa- 
perflaa  per  i  già  persuasi  :  ed  io  debbo  stimare'  le  mio 
conclusioni  vere,  e  le  ragioni  ralide,  poiché  senza  per- 
der V  assenso  di  alcono  di  quei  che  sin  da  principio, ^n- 
tirano  meco ,  ho  gnadagnato  qoel  di  molti ,  che  erano 
di  contrario  parere;  però  staremo  alteodendo  il  resto , 
e  poi  si  risolverà  quello  che  parerà  più  a  proposito. 

ALESSANDflO  TASSONI 

Addi  28  settembre  i565  nacqae  in  Modena  Ales^ 
saudro  Tassoni  di  famiglia  nobile  e  antica.  Perdette 
ameodae  i  genitori,  mentre  era  tattora  bambino^  e 
il  patrimonio  non  ricco  gli  fa  notabilmente  dimi* 
naito  da  molte  liti  e  dalla  poca  diligenza  o  lealtà  di 
coloro  ai  quali  venne  commesso*' 

Studiò  prima  in  p£^trla|  poi  ìa  Bologna  e  in  Fer- 

6? 


66  I^BT'fBllitORA    ir4M&1fA 

rara  con  mollo  amore,  e  eoo  profitto  pari  alPiage*» 
goo  che  avea  sortito  dalla  natura  forte  e  ^fervente. 

Sai  finire  del  r5g6  o  sul  principio  del  1597  ^^^ 
a  Rorna  dove  a  que'  tempi,  meglio  forse  che  in  ogni 
altra  parte  dMtalia,  potevano  vantaggiarsi  gV  ingegoL 
Qoivi  si  pose  al  servigio  del  cardinale  Ascanio  Co- 
lonna,  col  quale  andò  Panno  1600  in  Ispagna.  Due 
;  anni  dopo  venne  in  Italia  per  ottenere  da  Gleoiea- 
te  Vili  che  ^uel  Gardins^Ie  potesse  accettare  la  carica 
di  Viceré  d' Aragona  ;  poi  fu  di  nuovo  mandalo  a 
Roma  nel  i^o3  per  sopraintendere  agli  aflFari  del  suo 
padrone  da  ciii  gVi  furono. assegnati  6oa scudi  all'anno. 

Navigando  da  Roma  alla  Spagna  la  seconda  volta 
scrisse,  lungo  il'Yiaggio,  un  Commento  sul  Canzoniere 
del  Petrarca,  che  poi  con  più  tempo  e  con  più  dili« 
genza  corresse  >,  .Quanilo.  ritornò  a  Roma  e  vi  si 
stabiU,  fu  ascritto  alle  Accademie  de'  Lincei  e  degli 
Umoristi,  della  qjua)e  fu  principe; e  datosi  a  studi  più 
gravi  compose  jin- pppra  intitolata  Pensieri  diversi ^ 
dove  in  dieci  libri  propone  un  numero  prodigioso  di 
Quesiti  spettanti  a  tutta  la  filosofia  naturale  e  civi- 
le, alla  politica,  alla  letteratura,  e  li  scioglie  eoa 
molta  erudizione, 'con  vivacità  di  concetti  e  di  stile 
non  di  rado  piacevolissima  ,  e  soprattutto  con  una 
iodipèudenza  di  opinioni  veramente  singolare  a  quei 
tempi  2. 

S' ignora  fino  a  quale  anao  il  Tassoni  restasse  al 
servigio  del  cardinale  Colonna  ;  e  credono  alcuni  che 
ne  fosse  già  sciolto  sul  finire  del  i6o5.  Egli  è  poi 
fuor  d'ogni  dubbio  che  quel  Cardinale  mori  nel  j6o8, 
e  che  il  nostro  Autore  a  cui  (  dice  il  Tiraboschi  )  le 
anguste  sue  fortune  fucean  bramare  il  servigio  di 
qualche  principe y  nel  16 1 3  cominciò  a  introdursi  nel 

I  Cùnsidenaioid  sopra  le  Rime  del  Petrarca  j  pubblicate  nel  1609. 
%  Quest'  opera  vide  la  luce  prima  nel  i6o8  sotto  U  titolo  di  Varietà   A 
JTmtitris  poi  nel  1610  più  ampUaU  »  lotto  quello  di  /Vm iVri  diytrsL 


«ECOLO   DBCniOtgTTIIIO  tf 

savimo  Jet  duca  di  Savoja  Carlo  Emamtda*  Como 
neai^o  della  domioasione  spagauola  il  Tassoni  trovò 
graffa  dapprima  presso  quel  Doca  e  presso  il  prio* 
dp9  cardinale  sao  fi.^lio^  ma  quando  poi  la  Corte 
dot  Piemoote  si  pacificò  colla  Sps^goa  ,  ciò  che  pri»i 
nm  gli  aveva  giovato  gli  nocqae,  tanto  che  alla  Corte 
i|pn  godette  mai  le  pensioni  che  gli  erano  assegnate^ 
f  se  stette  per  qualche  tempo  in  Roma  col  Gardina* 
le,  scontò  quel  breve  favoi*e  con  molt&  persecusiont» 
Accusa  vanto  di  avere  scritte  alcune  Filippiche  contro 
gli  Spagnaoli,  e  un  libretto  intitolato  le  Esecfuie  della 
monarchia  di  Spagna}  e  sebbene  egli  protestasse  ch^ 
que^  libri  non  erano  suoi ,  ansi  apertamente  gli  at« 
triboisse  ad  altri ,  nondimeno  si  volle  incolparne  pur 
lui  y  ed  egli  ne  perdette  la  grazia  del  Duca  e  del 
Cardinale,  e  dovette  soggiacere  persino  ad  un  esilio 
(  per  altro  ridicolo  )  di  dieci  giorni  da  Roma  >. 

Checébè  ne  sia  di  queste  accuse,  nel  1623  il  Tas« 
soni  cessò  di  essere  al  servigio  del  Cardinale  di  Sa* 
voja  ,.e  visse  per  tre  anni  a  sé  solo  ,  nei  quali  sì 
crede  eh'  egli  terminasse  un  compendio  del  Sigonio  in 
quattro  volumi  che  mai  non  furono  pubblicati.  Nel 
1626  il  cardinale  Ludovisio  nipote  di  Gregorio  XV 
lo  diiamò  presso  di'  sé ,  collo  stipendio  di  4<^ 
scudi  romani.  Nel  1682,  dopo  la  morte  di  quel  Car« 
dinaie  ,  si  trasferì  in  Modena  alla  Corte  del  duca 
Francesco  I ,  dov'  ebbe  titolo  e  pensione  onorevole  j 
e  dove  stette  fino  alla  morte  che  il  colse  nel  giorno 
25  aprile  i635. 

Fu  il  Tassoni  dotato  di  molto  ingegno,  di  fan* 
tasia  vivace  e  biszarra  ,  d' indole  allegra  e  scherze- 
vole ,  tanto  '  che .  fiorì  di  molte  facezie  fin  anco  il 
proprio  testamento.  Accrebbe  coi  lunghi  studi ,  coi 
viaggi  e  colla  couversazione  degli  uomini  colti  que- 

I  II  ni  aratori  ed  il  Tiraboschi  portano  opinione  che  due  fra  le  dette  ÌU 
ippiche,  delle  ^aali  e«n  videro  l'autografo,  «iaao  terameaie  del  Taaaoni.    - 


69  LBTTBRàTOBA  ITIUAHA 

ste  naturali  sue  doti;  fu  «TTerso  ai  pregtudizii  do* 
letterati ,  ed  amante  delle  novità.  Però  scrisse  le 
Considerazioni  sopra  l&  Rime  del  Petrarca  ^  cer« 
cando  di  leuar  le  superstizioni  e  gli  abusi  che  par* 
toriscono  mali  ejffetUy  e  confonder  le  sette  de^  Jta^ 
bini  e  de^  Badanai  indurati  nella  perfidia  delle  an^^ 
ticaglie  loro,  e  di  quegli  in  paìticolare  che  stimano^ 
ohe  senza  la  falsa  riga  del  Petrarca  non  si  possa 
scriifere  diritto.  Poi  dalla  poesia  passando  a  materia  di 
molto  maggiore  importanza  |  impugnò  ne^  Pensieri 
dh*ersi  T  autorità  d^  Aristotele  ,  e  combattè  contro 
coloro  che  giuravano  con  cecità  superstiziosa  nelle 
parole  di  quel  filosofo  e  de^  suoi  interpreti.  Di  che 
poi  nacque  appo  molti  un  gran  dire  ;  ed  egli  face* 
tamente  scriveva  a  Camillo  Baldi,  Lettor  principale 
nelP  Università  di  Bologna  :  J^oi  altri  auete  ragióne  f 
die  se  non  i^i  serviste  di  questa  superstizione  ad  qf" 
f oscar, gP  intelletti  della  gioventà^  si  tornerebbe  a  fi" 
lósofare  con  P  antica  libertà^  e  ^oi  correreste  peri-* 
colo  di  perdere  i  salarii  che  vi  dà  il  PuijblìcOyper* 
che  con  soffislicherie  difendiate  la  dottrina  di  jiri^ 
itotele  e  tutte  le  sue  chimere  •  .  • .  Ma  io  voglio  dir 
delle  novità^  che  questo  è  il  mio  scopo}  e  addimando 
parere  agli  amici^  non  perchè  mi  avvertiscano  di 
quello  che  ho  detto  contra  Aristotele^  ma  perchè  mi 
ammendino  se  ho  detto  delle  scioccherie.  Koi  altri^ 
che  siete  stipendiati  da  Aristotele,  siete  obbligati  a 
difèndere  la  sua  dottrina  a  diritto  ed  a  torto  :  ma 
io  non  istò  con  lui.  Nello  stesso  libro  poi  de^  Pan* 
sieri  diversi  revocò  in  dubbio  V  utilità  delle  Lettere ^ 
cou  intenzione  per  altro  non  di  biasimar  la  natura 
stessa  della  cosa,  nia  P  abuso  in  che  ella  s^  è  ab'* 
bandonata}  e  come  uomo  il  quale  sapeva  che  le  Let» 
tere  nelle  volontà  ben  inclinate  aggiungono  agli  uo-» 
mini  perfezione }  ma  negava  però  eh'  esse  facciano 
la*  buona  intenzione j  aggiungendo  di  più  ,  che  €igli 
anipii  mal  disposti  accrescono  malizia. 


SECOLO  DEGiaioseTTiaio  69 

P«r  latte  queste  cagioni  si  levò  cootro  il  nostro 
Antere  da  tutte  le  parti  una  spaventevol  battaglia. 
Né  il  Tassoni  se  ne  astenne  tacendo  ^  né  fìi  moder 
rato  nel  rispondere  alle  scritture  pubblicate  contro 
di  lui  ;  ma  in  prosa  e  in  versi  passò,  spesso  i  con^ 
fini  deir  urbanità  letteraria,  e  per  quelle  controver- 
sia v^  ebbero  persino  imprigionarnenti  e  processi  '•  11 
nostro  secolo  9  cbe  non  si  armerebbe  al  certo,  né  per 
Ari&toteie  né  pel  Petrarca ,  annovera  il  Tassoni  fra  i 
primi  che  sorsero  a  liberare  la  poesia  italiana  dalla 
servilità  dei  Petrarchisti,  e  le  scuole  di  tutta  quanta 
r£uropa  dalla  dogmatica  filosofia  degli  scolastici.  Fin* 
che  i  poeti  dovevano  essere  imitatori  ,  e  imitatori 
del  solo  Petrarca^  finché  i  filosofi  dovevano  seguitar 
ciecamente  V  autorità  d^.  Aristo  tele  e  de'  suoi  Inter* 
preti  ,  quali  progressi  potevano  mai  sperarsi  dagli 
studi  ?  E  quando  gP  iugegui  erano  per  tal  modo  in<9 
ceppati,  poca,  dignità  potevano  avere  le  Lettere^' né 
fa  allora  per  certo  una  strana  cosa  il  metterne  in 
dubbio  r  importanza  e  P  utilità.  Tuttavolta  é  da  ri* 
provare  il  Tassoni  perché  non  si  ristrinse  a  conside- 
rare le  Lettere  nello  stato  in  cui  erano  a^  suoi  tèm» 
pi ,  ma  volle  screditarle  in  sé  stesse.  Oltreché  dice 
in  qualche  sua  lettera  :  Se  tutti  gli  altri  le  lodano 
(  le  Lettere  ) ,  io  amo  pia  questa  singolarità  di  bia* 
situare  una  cosa  non  biasimata  da  aitri^  die  il  Qon* 
correre  con  la  comune  in  lodar  quello  che  alcuno 
non  biasima^  ma  la  materia  par  troppo  grave  per* 
che  questo  capriccio  di  singolarità  vi  potesse  lode* 
volmeote  aver  luogo.  Ora  poi  lutti  sanno  in  che  vé- 
ramente consista  là  dignità  e  P importanza  delle  Let- 
tere^ e  se  in  generale  T  opera  del  Tassoni  é  dimen* 
ticata  j  non  è  da  incolparne  quello  eh'  ei  disse  con- 
tro la  Filosofia  aristotelica  o  contro  le  Lettere,  ma  da 


I  Fra  le  scritture  polemiche  del  Xusoiù  ìt>  celebre  <]ttelU   intitoUta   h» 
Tenda  rossa. 


70  LETTERlTUai    ITALIillA 

lodarne  il  tempo  e  i  progreiisi  dello  spirito  umano 
ohe  fecero  ioutìli  quelle  sue  obbiezionu  Di  alcuDi 
^piloti  di  queir  opera  potrebbe  forse  comporsi  an- 
che  ar  di  nòstri  un  volumetto  utile  e  dilettevole,  di 
che  diede  un  beir  esempio  Bartolommeo  Gamba  ri-* 
stampando  tutto  il  decimo  libro  DegP  ingegni  an'^ 
iichi  e  moderni. 

E  rispetto  alle  Considerazioni  sulle  Jtirne  del  Ps* 
trarca^  sebbene  V  Autore  riprovi  e  metta  in  deriso 
qua  e  là  alcune  vere  bellezze  di  quel  poeta,  non» 
dimeno  vuol  dirsi  che  fra  i  molti  commenti  che  ab- 
biamo de^  nostri  Classici ,  pochi  altri  al  pari  di  questo 
possono  ajutare  i  giovani  a  divenire  col  tempo  cri- 
tici giudiziosi  ed  indipendenti  dall^  altrui  opinione. 

Ma  r  opera  sulla  quale  si  fonda  la  riputazione  let« 
teraria  del  Tassoni  ai  dì  nostri  è  il  poema  della  iSec- 
chia  rapita  :  e  però  egli  non  ^^  ingannava ,  allorché 
mandandone  in  dono  V  originale  ar  Conservatori  di 
Modena ,  scriveva  :  P  avere  dopo  tanti  secoli  inven* 
tata  una  nuova  spezie  di  poesia  approbata  dal  mon* 
do^  non  sarà  forse  ne^  tempi  a  venire  cosa  da  di" 
sprezzare  '.  Questo  poema  fu  scritto  nel  161 1  dal  mesa 
di  aprile  ali-  ottobre,  siccome  dice  T  Autore  stesso  in 
una  sua  lettera^  sebbene  altrove  poi  scriva  d^ averlo 
composto  nella  sua  gioventà^  né  cosi  soglia  general- 
mente chiamarsi  V  età  de'  4^  anni  in  cui  era  allora 
il  Tassoni.  Quanto  poi  v'abbia  di  vero  e  di  storico 
nel  fatto  che  dà  argopiento  al  poema ,  non  '  si  può 
dire  :  e  sebbene  conservisi  in  Modena  una  Secchia, 
non  v'  ha  documento  che  provi  quella  essere  vera* 
mente  la  Secchia  cantata  dal  Tassoni.  Storici  invece 


I  Rispettò  alla  lode  di  aver»  inventata  una  'nuot^a  spvUe  di  poesia  (  cMt 
fl  poema  eroioamico  )  ce  la  contendono  il  Tassoni  ed  il  Bracciolini  autoff 
del  poeoia  Lo  scherno  degli  Dei,  È  probalùle  che  scriTessefo  tutti  e  due 
tenaa  che  V  uno  avesse  veduta  V  opera  dell*  altro  i  entrambi  però  erano  stati 
preceduti  da  alcuni  che  atCTano  dato  gik  qualche  passo  Terso  quesia  Aa« 
aiera  di  poetace. 


■\ 


SECOLO   DECIMOSETTmO  fi 

sono  molti  personaggi  rappresentati  clalP Autore  sollo 
Boti  nomi  ,  e  storiche  anche  molte  avventore  a  coi 
egli  allude  in  più  luoghi  del  suo  poema.  Queste  al* 
Iasioni  poterono  certamente  contribuire  ad  accrescere 
di  que^  tempi  V  interesse  del  poema ,  ma  ebbe  non* 
Hioieno  gran  torto  il  Voltaire  quando  sentenziò  che 
a  queste  sole  doveva  ascriversi  tutta  la  fortuna  della 
Secdùa^  Rapita. 

DALLA  SÉCCHIA  RAPITA. 

Ài  tempi  di. Federico  U  i  Modenesi  entrarono  a 
fbrsa  io  Bologna ,  e  giunti  ad  un  pozzo  e  trovatavi 
una  Secchia  la  calarono  per  attinger  acqua  ^  essendo 
pel  lungo  combattere  stanchi  e  assetati  (Can.  i,  »t,  4$  )  : 

Quand'  ecco  a  un  tempo ,  da  diferse  strade , 
Fur  loro  intorno  pio  di  cento  spade* 

Scarabocchio  figlinol  di  Pandragone, 

Petronio  Orso,  e  RnflBn  dalla  Ragazza  « 
E  Yianese  Albergali  ,  e  Andrea  Griffone 
Tenfan  gridando  innanzi  :  Ammazza ,  ammazza.  - 
Ma  i  Potteschi  ^  già  pronti  in  sulP  arcione , 
D^  elmo  e  di  scndo  armati  e  di  corazza  , 
Strinser  le  spade,  e  rivoltar  le  facce 
Air  impeto  nemico  e  alle  minacce  : 

B  Spinamonte  che  la  Secchia  presa 

Per  bere  area ,  spargendo  V  acqua  in  terra , 
E  tagliando  la  fune  ond'  era  appesa , 
Se  ne  servi  contra  i  nemici  io  guerra. 
Colla  sinistra  man  la  tien  scispesa 

1  /  PaUesehL  I  Modeneii.  Pftcbè  pok  cosi  si  dùamaiMro  lo  dict  ii  7as« 
*6ii  stesso  ne*  seguenti  Tersi  : 

Seriffetuto  i  Modaneti  «tbbreviaio 
PoUk  per  Potestà  su  le  tabelle , 
Onde  -per  scherne  i  JBelognesi  aUeiUu 
L' ofewi  tm  lor  ce/ptominato  il  PotUu 


72  LETTERÀTUBA   ITALUffl 

Per  riparo ,  e  coìV  altra  il  brando  afferra* 
L'  aiatano  i  compagni ,  e  fangli  sponda 
G)ntra  il  furor  the  d*  ogni  parte  inonda. 
Lotto  AldroTandi  e  Campanon  Ringhiera 
GridaTano  ambidue:  .Canaglia  malta, 
Lasciate  quella  Secchia  afe  prim^  era  ; 
O  la  bestialità  tì  sarà  tratta.  - 
FateTi  innanzi  toì  (disse  il  Peschiera  ); 
Notate  '  la  consegna  che  v'*  è  fatta.  - 
E  'n  questo  dire ,  un  manro?escio  *  lascia , 
E  taglia  a  Campanone  una  ganascia, 

Parecchj  altri  rimasero  quivi  uccisi.  AlP  ultimo  però 
i  Modenesi  portarono  via  la  Secchia^  e  tornali  alla 
loro  patria  vi  furono  accolli  epa  gran  festa  :  e  la 
Secchia 

Nella  torre  maggior  fu  riserrata 

Dove  si  trova  ^ancor  vecchia  e  tarlata; 

I  Bolognesi  non  volendo  patire  che  restasse  ai  ne- 
mici quel  testimonio  della  loro  sconfitta ,  taè  potendo 
ottenere  sotto  oneste  condizioni  che  fosse  loro  restì* 
tuitO)  spedirono  un  messo,  il  quale  affisse  al  tronco 
di  un  antico  pioppo  il  seguente  bando: 

Il  popbl  bolognese 

Quei  di  Módana  sfida  a  guerra  e  morte 
Se  non  gli  torna  in  termine  d'  un  mese 
La  secchia  che  rubò  sulle,  sue  porte*. 

tia  città  di  Modena ,  sebbene   vedesse   il  pericolo 
in  cui  si  trovava  (Gan.  n,  st.  a6): 
Non  ristorò  le  rnfoate  mura, 

I  thtdOe  ee.j  tàoh  :  Vedete  coma  noi  vi  coasegaianM  la  ieechU ,  conit 
ci  faccian  paura  It  Toatre  minacce. 

S  Mtmrwéttìo  o  MovetcUmB  non  h  sraspra  un  colpo  dato  col  rovescio 
ddla  mano ,  ma  anche  (  come  qni  )  nn  colpo  dato  con  qwdsÌToj^  alti% 
eosa  volgendo  il  braccio  addietro»  — •  U  vetbo  kudare  poi  «qnivalc  ^  al 
modo  più  comona  lasciar  mdm%  wi  ptignOf  •  ainiU* 


SECOLO   DBCiaOSBTTUlO 

Non  cavò  delle  fosse  il  morto  letto'; 
Né  di  ceder  mostrò  sembianza  alcaaa    . 
Alla  forza  nimica  o  alla  fortuna  r* 

Ma  scrisse  a  Federico  *  in  Alemagna 

Quant^  era  occorso  ;  e  di  suo  ajato  il  chiese* 

La  milizia  del  pian,  della  mootagoa 

A  preparar- segretamente  attese  ; 

Fé'  lega  per  un  anno  alla  campagna 

Col  popol  Parmigian ,  col  Cremonese  ; 

Scrisse  nelhi  ,GÌttà  fanti  e  caTalli  : 

Indi  totta  si  diede  a  feste  e  balli  h 

La  Fama  intanto  al  ciel  battendo  l'ali,    ' 
Cogli ,  aTTÌsi  d^  Italia  arrirò  in  Corte  , 
Ed  al  re  Giove  fe^  sapere  i  mali 
Che  d'  una  Secchia  era  per  trar  la  Sorte. 
GioTe  che  molto  amico  era  ai  mortali, 
E  d^  ogni  danno  lor  si  dolea  forte. 
Fé'  sonar  le  campane^^  del  soo  Impero, 
E  a  consiglio  chiamar  gli  Dei  d^  Omero.' 

Da  ìe  stalle  del  ciel  sabito  fuori 
I  cocch)  uscir  sovra  rotanti  stelle, 
E  i  moli  da  lettiga  e  i  corridori 
Con  ricche,  briglie  e  ricamate  selle. 
Piò  di  cento  livree  di  servidori 
Si  videro  apparir  pompose  e  belle, 

1  II  tnorto  ietto.  La  terra ,  e  qiiant'  altro  può  cadere  col  tempo  oeUe  Ìot$t 
abbandonate  ed  alsame  il  letto.  ^    . 

2  A  Federico,  La  storia  dice  invece  che  scrìfsaco  ad  Emo  (fifliuolo  di 
Federico  )  ,  il  quale  poi  mori  in  qaesta  guerra. 

3  Indi  tutta  ec.  Per  injpnnare  (dicono  gli  ttorìci)  gli  amatmn,  col  far 
loro  credere  che  non  fosaero  punto  apparecchiati  alla  difesa.  ' 

4  Fé*  sonar  ec* .  Trasportando  dell'  Impero  di  Giove  V  oso  delle  campane , 
r  Autore  gà  ci  avverte  eh'  egli  adopera  h  Mitologia  come  materia  di  scheno 
e  come  fonte  di  ridicolo.  Ciò  poi  li  fa  ancor  più  manilesto  nella  descrisione 
delle  false 'divinità  concorrenti  al  congresso;  ma  l'Autore  discende  qualche 
volta  a  cercare  il  ridicolo  in  immagini  ed  espivikioni  troppo  abbiette. 

LBTTEIULT.  ITÀU  —  IV  7 


>j^  LETTERATURA   ITILUNA 

Che  coD  leggiadra  mostra  e  eoa  decoro 
SegaÌTano  i  padroni  a  concistoro. 
Ma  innanzi  a  lotti  il  Principe  di  Delo  ^ 
Sopra  d'  una  carrozza  da  campagna 
Venia  correndo  e  calpestando  il  cielo 
Con  sei  ginnetti  a  scorza  di  castagna. 
Rosso  il  manto,  eM  cappel  di  terziopelo*, 
E  al  collo  area  il  tosoo  del  Re  di  Spagna: 
E  Tentiqoàttro  vaghe  donzellette 
•  Correndo  gli  teoean  dietro  in  scarpette* 

Pallade  sdegnosetta  e  fiera  in  volto 
Yenfa  su  una  chinea  ^  di  «Bisignano  ; 
Succinta  a  mezza  gamba ,  in  un  raccolto 
Abito  mezzo  greco  e  mezzo  Ispano  : 
Parte  il  crine  annodato  e  parte  sciolto 
Portava,  e  nella  breccia  a  destra  mano 
Un  mazzo  d'  aironi  ^  alla  bizzarra , 
£  legata  all' arcion  la  scimitarra. 
Con  due  cocchj  venia  la  Dea  d^  Amore  : 

Kel  primo  er'  ella  e  le  tre  Grazie  e  1  figlio , 
Tutto  porpora  ed  ór  dentro  e  di  fuore, 
E  i  paggi  di  color  bianco  e  vermiglio  : 
Nel  secondo  sedean  con  grand*  onore 
Cortigiani  da  cappa  e  da  consiglio, 
Il  braccier  della  Dea  ,  1'  aio  del  putto. 
Ed  il  cuoco  maggior  mastro  Prosciutto. 


1  II  PHttCipe  ec..  Apollo. '—*  Ginnetto  o.  Giannetto  h  un  cavallo  di  Spa- 
gna assai  veloco. 

%  Teniopda,  Velluto.  Ma  e  voce  forastiera.  — •  Le  oentìqugttro  dongtUeUe 
sono  le  Ore  del  giorno  che  sogliono  rappresentarsi  intoioo  ^  catro.del  Sole. 

3  Chinea  dicesi  un  cavallo  che  va  d'ambio.  Erano  poi- in  dima  al  tempo 
del  Tassoni  i  cavalli  di  Bisignano ,  e  però  ne  dà  tino  a  Pallade ,  segoitando 
cosi  il  i^aioso  anacronismo  con  cui  attribuÌKe  vesti ,  almi  •  eavelcatiire 
moderne  agli  antichi  Dei  della  Grecia. 

4  Amm,  Uccelli  acquatici. 


•BCOfiO   DCCIMOSETTIMO 

Salarno  ch^era  vecchio  e  aceatomio^ 
E  s'avea  metto  diaosi  Un  sertuuaie, 
Venfa  in  aoa  lettiga  riserralo  ^ 
Che  sotto  la  seggetta  avea  il  pitale. 
Marte  sopra  an  cafallo  era  montato , 
Che  facea  salti  faor  del  *  natarale  : 
fje  calze  a  tagli,  e  'I  corsaletto  iodosfO^ 
E  nel  cappèllo  afea  nn  pennacchio  rosso. 

Ma  la  Dea  delle  biade  '  e  *l  Dio  del  vino 
Venner  congianti  e  ragionando  insieme* 
Nettan  si  fé'  portar  da  qoel  delfino 
Che  fra  Tonde  del  ciel  notar  non  teme: 
Nodo 9  algoso  e  fangoso  era  il  meschino; 
Di  che  la  madre  *  ne  sospira  e  geme  ^ 
Ed  accoda  il  fra  tei  di  poco  amore  y 
Che  lo  tratti  cosi  da  pescatore» 

Non  comparve  la  vergine  Diana  ; 

Che,  levata  per  tempo,  era  ita  al  boKo 
A  lavare  il  bacalo  a  una  fontana 
Nelle  maremme  del  paese  Tosco; 
E  non  tornò,  che  già  la  Tramontana  ^ 
Girava  il  carro  ano  per  V  aer  fosco. 
Venne  sua  madre  a  far  la  scusa  in  fretta. 
Lavorando  sai  ferri  óna  ^Izetta. 

Non  intervenne  men  Ginnon  Lucina  ^  ; 
Che  il  capo  allora  si  volea  lavare* 

1  La  Dm  delle  biade  éc..  Cerere  e  Bacco. 

2  La  Madre,  Rea.  Il  fratello  £  Nettuno  h  Giore  che  nelU  divisione  del 
retalo  paterno  ebbe  la  parte  migliore,  il  Cielo. 

3  LaJhoHontana.  L'Orsa  o  il  Cairo  di  Boote,  costeQatione  settenlrio> 
naie.  Soa  madre  fa  Latona. 

4  Gimmne  dicevasi  Lucina  ^  considerata  come  preside  ai  parti,  pasquali 
gli  nomini  vmtg(mo  alla  luce,  L'  espressione  non  intervenne  meii  per  dire  non 
intervenne  nemmeno ,  né  anche  e  nmiliy  h  anfibolopea,  e  non  par  da 
initare. 


76  ^ETTERiTORl    ITihtkftà. 

Meaip'po  ' ,  soTrastante  alla  cnciaa 
Dk  Giove,  andò  le  Parche  ad  ìscaaare, 
Che  facerano'H  pan  quella  màttiaa , 
lodi^  aveaD  molta  stoppa  da  filare. 
Sileno  caDtiDier  restò  di  fuori, 
Per  innacquar  il  nn  de' ^erTidori. 
Della  reggia  del  ciel  s^  apron  le  porte  ^ 

*-  Stridon  le  spranghe  e  i  chiavistelli  d^oro: 
*Passan  gli  Dei  dalla  superba  corte 
Nella  sala  real  del  concistoro. 
Qoift  sottratte  ai  fulmini  di  Morte 

'  Spleodon  le  ricche  mura  e  i  fregi  loro  : 
Vi  perde  il  vanto  suo  qnal  più  lucente 
E  più  pregiata  gemma  ha  V  Oriente. 
Posti  a  seder  ne'  bei  stellali  palchi 
I  sommi  eroi  de*  fortunati  regni  y 
Ecco  i  tamburi  a  un  '  tempo  e  gli  oricalchi 

*  Deir  apparir  del  Re  diedero  segni. 
Cento  fra  paggi  e  camerieri  e  scalchi 
Yenieno  e  poscia  i  proceri^  più  degni; 
E -dopo  questi  Alcide  colla  mazza, 

,  Capitan  della  guardia  della  piazza  : 


1  Men^!^  ec. .  Forse  il  Tassoni  intende  sotto  questo  nome  u&  filosofo 
Cinico  introdotto  da  Luciano  in  molti  suoi  Dialoghi.  —  Le  Parch»  filavano 
la  vita  degli  nomini  ,  e  qui  il  Poeta  dà  loro  per  ischerxo  anche,  1*  incarico 
di  fare  il  pane  per  gli  Dei.  —  Sileno  balio  e  compagno  di  Bacco  fu  natu- 
ralmente amatore  del  vino  j  ma  chi  lo  ama  per  ah  ìo  innacqua  volen^ri 
agli  altri. 

2  Oricalco  h  un  misto  d*  oro  e  di  rame.  Per  oricalchi  poi  s'intendono 
le  trombe. 

3  Ptocerì  sono  gli  uomini  principali  di  u^a  citUi  o  di  una  società  qua- 
lunque. •—  Alcide  è  lo  stesso  che  Ercole ,  il  quale  portò  sempre  la  clava 
detta  qui  mazza  dal  Poeta.  Raccontasi  poi  che  Ercole  impanasse  dopo  avere 
ucciso  Lieo  o  lolao  ;  e  sebbene  dicano  le  favole  che  coli*  elleboro  guari  di 
quella  palila ,  il  Tassoni  amò  di  credere  che  ne  portMiO  alcun  poco  anche 
nel  cielo  a  cui  fu  degnato  per  le  grandi  sue  geste. 


•SGOLO   DECtMOSXTTUfO  77 

,        E  come  qael  eh'  ancor  deUa  panCa 
Nqq  era  ben  gaarifo  intierameote, 
Per  allargare  innanzi  al  Re  la  via , 
Heoava  quella  mazza  fra  la  gente  ^ 
Cb^  an  imbrtaco  STÌzzero  paria  ' 
Di  quei  che  con  Tillao  modo  Insolente 
Sogliono  innanzi  *l  Papa ,  il  di  di  festa , 
Rompere  a  chi  le  braccia,  a  chi  la  testa. 

Col  cappeHo  di  Gìoto  e  cogli  occhiali 
SegniTa  indi  Mercurio*,  e  i^.maa  tenea 
Una  borsaccia  dote  de*  moriali , 
Le  suppliche  e  T  Inchieste  ei  raccoglier  : 
DispensaTale  poscia  a  due  pitali 
Che  ne*  saoi  gabinetti  il  padrfr  area.^  , 
Dove  con  molta  attenzion  e  cnra 
Tenea  due  Tolte  il  giorno  segnatura. 

Venne  alfin  Giore  in  abito  di?ino, 
Delle  sue  stelle  nuoTe  ^  incoronato  ; 
£  con  un  manto  d*  oro  ed  aziurrioQ  ^ 
Delle  gemme  del  ciel  tutto  fregiato» 
Le  calze  lunghe  avea  senza  scappino , 
E  *1  saio  e  la  scarsella  Si  broccato  : 
E  senza  rider  ponto ,  o  far  parola  | 
Andata  con  sussiego  alla  spagnola. 

Girò  lo  sguardo  intorno,  onde  sereno 
Sì  fé*  r  aer  e  *l  ciel ,  tacquero  i  Tenti  ; 

1  Parla.  Parea.  ▲Uoda  al  costume  dei  Papi  di  tenersi  am  guardia  sviticra. 

2  Col  cappello  ec.  •  Merctuio  messaggiero  degli  Dei ,  e  interprete  fra  le 
iMtrimtà  e  gli  uomim,  non  poieva  essere  rappresentato  i^  modo  piùiidieolo 
di  questo.  —  Tener  ugnatura  dicesi  di  coloro  «che  mnnis(^no  della  propria 
filma  o  del  proprio  sigillo  i  decreti  e  simili.  Qui  poi  1*  Aittorf  trae  il  ridi- 
colo da  tal  fonie  a  cui  nella  nostra  presente  civilUi  nessun^  scnttore  osereb- 
be sttingere. 

3  Stelle  nuoQB.  I  Pianeti  Medicei  scoperti  dal  Galileo. 


So  LETTEttATURA    ITALI  AITA 

Entra  nelP  onda  il  Tascelletto  snello. 
Spiega  la  vela  un  miglio  o  doe  da  terra. 
Siede  in  poppa  la  Dea  chiosa  d'  un  Telo 
Azzurro  e  d'  oro  agli  nomini  ed  al  cielo. 

TremolaTano  i  rai  del  Sol  nascente 

So?ra  r  onde  del  mar  purpnree  e  d' oro  *  ; 
£  in  Teste  di  zaffiro  il  ciel  ridente 
Specchiar  parèa  le  sue  bellez^  In  loro. 
D'  Affrica  i  venti   fieri  e  d^  Oriente 
Sofra  il  letto  del  mar  prendean  ristoro; 
E  co'  sospiri  suoi  soavi  e  lieti 
Sol  Zeffiro  increspava  il  lembo  a  Teti  *. 

Al  trapassar  delia  bella  divina 

La  fortuna  d*  Amor  ^  passa  e  s*  asconde. 
L' ondeggiar  delta  placida  marina 
Baciando  va  V  inargentate  sponde. 
Ardon  d^  amore  i  pesci  ;  e  la  vicina 
Spiaggia  languisce  invidiando  all'  onde. 

'    E  stanno  gli  Amoretti,  ignudi,  intenti 
Alla  vela ,  al  governo ,  ai  remi ,  ai  venti. 

Quinci  e  quindi  i  delfini  a  schiere  a  schiere 
Fanno  la  scorta  al  bei  legnetto  adorno  ; 

1  Una  varia  lezione  porta:  Su  l'onde  che  parean  purpuree é  d*oroj  «t^res- 
sione  più  vera  ma  però  meno  poetica.  I  raggi  del  Sol  nascente  non  possono 
render  purpuree  e  d*  oro  1*  onde  del  mare ,  ma  solo  far  ai  che  pajano  tali, 
il  prosatore  che  parla  con  filosofica  precisione  dovrebbe  distruggere  1'  illu* 
sione  dei  sensi  e  dir  che  pareano  .*  il  poeta  invece  la  segue  e  ne  approfitta 
per  rappresentarci  più  viva  1*  immagine  di  quelle  acque  percosse  e  colorate 
dai  raggi.  Ed  ecco  uno  dei  fonti  della  poesia  od  almeno  del  linguaggio  poe- 
tico  ,  purché  il  buon  giudiiio  insegni  a  fuggir  quegli  abusi  ne*  quali  caddero 
appunto  molti  contemporanei  del  Tassoni;  anzi  vi  cade  subito  dopo  il  Tas- 
soni stesso  rappresentando  il  cielo  vestito  di  saffiro  che  si  specchia  in  quel- 
1*  onde. 

2  Teti  t  Dea  del  mare  |  e  questo  é  il  suo  lembo, 

3  La  fortuna  d*  jémar  ec, .  Gessa  ogni  contrarìetìi  »  ogni  lotta  ,  e  tatto , 
soggiacendo  all'  influsso  della.  Dea ,  sente  e  spira  amore* 


SECOLO  DECUfOSBVTIIIO  8l 

'E  le  Ninfe  del  mar  pronte  e  leggiere 
Corron  danzando  e  festeggiando  intorno. 

Già  la  foce  del  Tebro  ora  non  Inoge; 
Qaando  si  risTegliò  Libeochiò  altiero , 
Che  'n  Libia  regna ,  e  dorè  al  lido  giunge  9 
Travalca  sopra  il  mar,. superbo  e  fiero. 
Vede  r  argentea  Tela  ;  e  come  il  punge 
Un  temerario  suo  rado  pensiero. 
Vola  a  saper  che  porti  il  vago  legno, 
E  infende  eh'  è  la  Dea  del  terio  regno  '  : 

Onde  orgoglioso  e  comf5  iufidia  il  muore, 
A  Zeffiro  si  volge,  e  ^ida  1  O  resta , 

0  io  ti  caccerò  nel  centro*,  dove 
Non  ardirai  mai  più  d*  aitar  la  testa. 

^A  te  la  figlia  del  superno  Giove 
Non  tocca  di  condor  t  mia  cura  è  questa. 
Va  tu  a  condur  le  rondini  al  passaggio  ^ , 
E  a  fare  innamorar  gli  asini  il  maggio.  - 
Zeffiro  eh'  assalito  alP  improvviso 
Dair  emulo  maggior  quivi  si  mira , 

"^    Ne  manda  in  fretta  al  suo  fratello  avviso,, 
Che  suir  Alpi  dormiva,  e 'I  pie  ritira* 
Corre  Aquilon  tutto  turbato  in  viso, 
Ch'  ode  r  insulto  ^  e  freme  di.  tant^  ira  ^ 
Che  fa  i  tetti  cader,  gli  arbori  svelivi 
E  la  rena  del  mar  caocia  a  le  stelle. 

.  liibecchio  che  venir  moggiando  insieme 

1  due  fratelli  di  lontano  tede, 

V 

1  Del  tana  regno.  Del  torso  cielo  j^  teda  di   Tenere ,   eecoado  gli  aotichi 
mitologi. 

2  Nel 'centro ,  (  sottintendesi  )  della  Terra,  ^ 

3  Le  rontUnL  ZefiGbo  ^pira  nella  stagione  di  priniaTen  qvando  le  rondini 
paewno  il  mare  Tenendo  %  noi,  ec.  • 


tz  LETTBRATURi.  ITALIàRi 

Si  prepara  ali'  assalto;  e  già  non  teme 
Del  Demico  foror,  dò  il  campo  cede. 
Tolte  ra^oa  le  sae.  forze  estreme  ; 
E  dal  lido  affrican  sciogliendo  il  piede  ^ 
Chiama  io  aiato  anch'  ei  di  saa  follia 
Sirocco  regnator  della  Soria. 

Vien  Sirocco  Teloce  :  onde  s^  accende 
Una  fiera  battaglia  in  meszo  alP  onde* 
Si  torba  il  ciel ,  si  turba  V  aria ,  e  stende 
Densa  tela  di  nubi,  e  'I.  Sol'  nasconde. 
Fremono  i  venti  e  1  mar  con  toc!  orrende^ 
Risonano  percosse  ambe  le  sponde; 
E  par  che  muova  a^snoi  fratelli  guerra 
L^  ondoso  Scotitor  delP  ampia  terra  '• 

Si  spezzaiio  le  nubi,  e  foco  n'esce. 
Che  scorre  i  campi  del  celeste  regno* 
Il  foco  e  V  aria  e  V  acqua  e  U  ciel  si  mesce  ; 
Non  han  più  gli  elementi  ordine  o  segno* 
S^  odono  orrendi  tuoni  :  ognor  più  cresce 
De'  fieri  venti  il  furibondo  sdegno. 
Increspa  e  inlividisce  il  mar  la  faccia, 
E  r  alza  con  tra  il  ciel  che  lo  minaccia* 

Gia.s'  ascondeva  d*  Ostia  il  lido.  b|isse, 
E  '1  Porto  d'  Anzio  di  lontan  sdrgea , 
Quando  senti  il  romor,  vide  il  fracasso 
Che  ^1  ciel  turbava  e  1  mar,  la  bella  Dea  ; 
Vide  fuggirsi  a  frettoloso  passo 
Le  Ninfe  dal  furor  della  marèa  : 
Onde  tutta  sdegnosa  aperse  il  velo  ^ 
E  dimostrò  le  sue  bellezze  al  cielo; 


t  L'ondoso  ee,,  JfeUnno.  I  Gnei  lo  dissero  Enosigeo,  cho  significa  ap< 
punto  Motìtor  tkUa  ttmu  -^  I  woifrtiuUi  tono  Giore  e  PlntoOs. 


SECOLO  OECIMOSETTIMO  S3 

E  minaociaDdo  le  tempesto  algenti, 
E  le  procelle  e  i  tarbini  aoDaoli, 
Caociò  del  ciel  le  nobi,  e  gli  elementi 
Tranquillo  co'  begli  occhi  e  co'  sembiaotl», 

DALLE   LETTERE. 

/Wvre  del  Tassoni  iruomo  ad  un  Poema  sul  Nuovo  Mondo 
che  acea  cominciato  a  scrivere  un  sue  amico  '. 

T 

Signor  mio.  —  Y*  S.  mi  ha  mandati  due  Canti  del  tao 
Poema,  i  qoali  non  sono  né  i  primi,  né  segnili  *.  L'  ano 
contiene  la  descrizione  d^  nna  battaglia  ,  e-  V  altro  nn  ac» 
ddeote  amoroso.  Quanto  al  poema  io  non  posso  giudi- 
care qneMo  qh'egli  sia  per  essere,  mentre  non  ne  veggo 
né  principio ,  né  mezzo  ,  né  fine*  Ha  poicb'  ella  me  ne 
mostra  on  braccio  e  nna  gamba  ,  io  discorrerò  di  qjDel 
braodo  e  di  quella  gamba  per  quello  che  sono  ;  e  forse 
dalle  qualità  loro  si  potrà  anche  Tenire  in  qualche  cogni- 
zione della  riuscita  di  tutto  il  corpo,  come  si  narra  che 
già  al  tempo  antico  i  sa?ii  di  Egitto,  veggendo  una  scarpa 
sola  di  Rodope  ,  fecero  giudizio  della  bellezza  di  tutt'  il 
corpo  suo. 

La  prima  cosa  adunque ,  lo  stile  a  me  pare  assai  buono 
e  corrente ,  e  credo  che  V  uso  continuo  gitelo  farà  anco 
migliore.  Sooovi  alcuni  pochi  luoghi  espressi  stentatameu« 
te,  Dna  nella  revisione  V.  S.  avrà  più  facile  e  franca  la 
vena  da  poterli  mutare  in  meglio.  Le  codiparazioni  sono 
poche,  e  potrebbono  esser  alcune  di  loro  più  nobilmente 
spiegate.  L' arditezza  de'  traslati  alle  volte  ha  qualche  ^if- 

X  I  poehi  Bei  di  lingua  o  di  stile  che  potrebbero  forse  notarsi  in  questa 
lettera  ,  sono  un  piccolo  BMle  ifkpetto  alEi  giustessa  delle  idee  eh*  essa  com« 
prende.  — *  Gdn  questa  lettera  poi  il  Tassoni  iuTÌava  ali*  amico  il  primo 
eanto  di  on  suo  p6ema  intitolato  F  Oceano ,  dove  appunto  intendeva  di  can- 
tare r  impresa  di  Cristoforo  Colombo. 

a  I9h  seguUij  cio«  :.  Kè  1*  ano  di  seguito  ali*  altro. 


84  I^ETTEftAflTURA   ITALIARA 

ficoìtà,  e  80DOTÌ  alcune  tocì  e  frasi  poco  toscane  segnale 
in  margine.  Ma  quello  che  più  importa  ,  V.  8.  secondò 
r  uso  moderno  ha  premuto  più  ne^  concetti  inutili  che  nelle 
cose  essensiàli  ,  e  seguita  (  per  quanto  io  posso  giudica- 
re J  la  Tia  degli  altri  che  trattano  questa  benedétta  ma* 
leria  del  Mondo  Nuoto  ,  che  non  son  pochi.  Perciocché 
oltre  il  caT.  Stigliani,  che  n'ha  già  dati  fuori  Tenti  Can- 
ti, e  il  Yillifranchi  ,  che  aTea  ridotto  a  buon  segno .  il 
tuo  poema  quando  morì,  io  so  tre  altri  che  trattano  an^ 
eh*  essi  eroicamente  V  istesso  .soggetto  ,  e  tutti  danno  in 
questo  ,  di  Toler  imitare  il  Tasso  nella  Gerusalemme  e 
Virgilio  netr  Eneide  ;  e  niqno  si«  ricorda  dell'  Odissea  , 
la  quale,  s' io  non  mMdganop,  do? rebb* essere  quella  ehm 
terTisse  di  faro  a  chi  disegna  di  ridurre  a  poema  epico 
la  naTÌgazione  del  Colombo  air  India  Occidentale. 

Già  per  pubblica  fama ,  ^e  per  istorie  notissime  a  tutto 
il  mondo ,  si  sa  che  i  popoli  delV  India  Occidentale  non 
areTano,  alParriTo  del  Colombo  in  quelle  parti,  ne  ferro, 
uè  cognizione  alcuna  di  lui  '  ;  e  che  andaTano  lutti  nudi, 
oltre  V  essere  di  natura  pusillanimi  e  tìIì  ,  se  ne  Toglia» 
mo  eccettuare  i  Cannìbali,  i  quali,  benché  andassero  ignudi 
anch*  essi  ,  aTe?ano  nondimeno  più  del  fiero,  e  combat- 
foTano  con  archi  e  saette  di  canna  con  punte  aTTeleoate. 

A  che  dunque  Toler  formare  un  eroe  guerriero  doTe 
oon  si  potcTa  far  guerra?  o,  facendosi  ^  si  fàceTa  conlra 
uomini  disarmati ,  ignudi  e  paurosi  ?  Non  Tede  V.  S.  che 
questo  è  un  confondere  V  Iliade  con  la  Batracopoiomachia, 
is  introdurre  un  Achille  che  diTenga  glorioso  col  far  ma* 
cello  di  rane  ?  V.  S.  mi  risponderà ,  che  i  suoi  Indiani 
li  finge  armati  e  braTi  :  e  questo  è  forse  ancor  peggio, 
perciocché  ognuno  sa  certo  che  non  aTCTano  armi ,  e  che 
non  erano  tali  ;  onde  esce  apertamente  dal  Terisimile,  e 

X  Di  lui.  Di  essQ  fieno. 


SBCOLO  DicniMBTTnio  SS 

f  intelletto  npo  può  gnslare  di  oom  sèria  eh'  abbia  fi>ii» 
damento  di  falsità  si  eTidente;  perchè  la  faotàtia  dalle 
cose  notissime  oon  estrae  fottlasmi  diTerfi  da  qoel  che 
sono  (ragione  che  intese  anche,  ma  non  la  disse,  A  risto* 
tele),  oltri;  che  parimenti  sa  ognono,  che  il  Colombo  fa 
pin  tosto  gran  prudente  che  gran  guerriero. 

Bsseqdo  dunque,  tutti  gli  altri  popoli  di  quelle  parti 
ignudi'  e  ?ili ,  a  m^  non  pare  die  si  possa  far  combat- 
tere ii  Colombo  eccetto. che  eo'  Cannibali,  i  quali  benché 
andassero  anch'essi  nudi-,  ertfbo  noodimeno  tanto  fieri  e 
gagliardi ,  che  combattendo  con  archi  grandi  e  saette  con 
punte  dr  pietra  aT Telenate,  si  potetà -dalla 'fittoria  acqui-* 
star  odore.  Ma  bisognercbbo.  afvertire  di  non  tnlrod^nrre , 
.  come  gli  altri  ^  il.  Colombo  con  un  esercitò  ;  perciocché 
oltre  V  esser'  chiaro  ch^  ei  non  condusse  sé  non  tre  cara-* 
Tello  *  con  poca  gente,  mentre  si  mette  in. campo  con  nn 
battaglione  di  cinque  o  seimila  tra  fanti  e  cavalii  armati 
con  tra  una  moltitudine  di  gente  ignuda  ,  non  gli  si  pnò 
fare  acquistar  fama  eroica ,  sebbene  i  nemici  fossero  cento- 
mila ;  essendo  cosa  ordinaria  che  i  pochi  armati  e  braTl 
TÌncano  i  molti  disarmati  e  inesperti.  E  per  questo  1'  A- 
rtosto  quando  introdusse  il  suo  ^Orlando  contra  moltitu- 
dine TÌIe  ,  r  introdusse  solo  ^  però  anche  il  Colombo^  se 
non  sì  Tuole  introdor  solo ,  si  .dee  almeno  kilrodorre  eoo 
così  pochi  compagni ,  che  a  quei  compagni  ed  a  lui  sia 
glorioso  ed  eroicd  il  ?  inqere.  ^ 

Quanto  agli  amori ,  ognuno  sa  parimente  che  le  donna 
ritrorate  dal  Colombo  erano  brun^  e  andarano  anch'  esse 
ignuda  :  però  era  Tanità  Y  andar  fingendo  in  loro  bellezca 
diTerse  dal  colore  e  dal  costume  di  quelle  parti.  L' intro- 
durre poi  in  India  altra  gente  d'  Europa  dì? ersa  dà  quella 
del  Colombo,  che  combatta  con  hii,  è  il  maggior  errore. 

I  CaraveUeu  ZfaTe  rotondt  di'  pkcoU  mole. 

LXTTBaAT.  IT^L.  -   IT  B 


86  ^     t.BTTÉRÀTUA4  ITAtlAllA 

<die  si  possa  fare,  Teiièndosi  centra  la*  sloria  à  lefare  a 
lui  fa  gloria,  della  sua  ?era  azione  eroica ,  che  fu  d^  es- 
sere *sUto  il  primo  senza  controversia  a  leniare  e  scoprire 
li  Mondo  MaoTO.  •  .      > 

.  Però  qaanlo  alle  imprdie  gloriose  ed  eroiche  del  Co- 
lombo io  mi  restringerei  ^  teome  fece  Omero  qaand^  egli 
canta  gir  errori  di  Ulisse,  a  fbrtane  di'  mare,  a  contra- 
sti e  macchine,  di  demoni! ,  a  incontri  di  mostri,  a  in^ 
canl.ì  di  maghi ,  a  impeti  dì  getati.  selvagge ,  e  a  discor- 
die e' ribellioni  de'  saoi,  che  furono  ^n  parte  cose  vere; 
e  negli  amori  andrei  moUo  cauto  per.  non  uscire  dal  Cer- 
ri) io ,  e  fingerei^  pio ttostp  le  Indiane  innamorate  de'  no- 
stri the  i  nostri,  di  loro  ,  come  oelf  istoria  si  legge  di 
Anacaona.  E  quanto  alF  invensione  che  hanno  trovata  al- 
cuni di  trasportare  donne,  d'  Europa  io  quelle  *  parti  sa 
navi  del  Colombo ,  io  V  ho  per  debole  assai.  E  t^nlo  msfg- 
giormente ,  sapendosi  che  M  Colombo  a  ^tica  ritrovò  uo- 
mini che  1  seguitassero  in  quel  suo  primo  passaggio* 

»  ARRIGO  CATERINO  6AVILA 

Sebbene  Arrigo  Davìla  non  sia  scrittore  purissimo 
e  in  ogni  parte  imitabile ',  giudico  noDdimèno  di 
cloverne  dar  qualche  jsaggiò.  Peroccbè ,  oltre  alla 
gran  fama  eh'  egli  si  meritò  come  storico ,  quando  i 
giovani  siano  avvertiti  che  sqlP  autorità  di  lui  non 
si  può  sempre  far  fondamento  per  Pusò  delle  paro- 
le^ può  essere  piacevole  ed  utile  a  leggersi  qualche 
esempio  di  quelle  suq  chiare  narrazioni  e  della  sua 
somma  semplicità. 

Nacque  addì  ;io  ottobre  1576  io  Pieve  del  Sac- 
co, nel  territorio  di  Padova^  e  il  padre  gP impose 
i  nomi  di  Arrigo  Caterino  in  ricordanza  della  prò-. 

X  Vegg^si  ciò  ch«  ne  dice  Pietro  Giordani  bella  ^a  di  Sfona  Pallavicino 
in  qaesto  volarne. 


SfiCOLO   DEGIMÒSCTTIMO  (7 

lezione  a  Io!  accordata  da  Enrico  III  re  di-  Francia 
e  da  Caterina  de^  Medici  sua  madre.  Stette  per  qoaU 
che  tempo  alla  Corte  di  Parigi,  poi  militò  con  molto 
Valore  per  Io  spazio  di  circa  quattro  anni.  Nel  1599, 
ritoruò  à  Padova^  e,  perduto  il  padre,  si  mise  al 
servigio  della  Repubblica  di  Veoezia.  Nel  i6ó6  tro- 
vandosi a  Parma  frequentò  T  Accademia  d^gP /aitio- 
mìnatiy  e  nimicatosi  per  letterarie  opinioni  allo  Sti* 
gllani ,  ebbe  con  lui  un  duello ,  e  Io  ferì  grsfvementtf. 
La  Repubblica  gli  commise  «nolti  '  incarichi  militari 
e  governi  ^\  province  ^  ne^  quali  si  meritò  poi  di 
essere  guiderdonato  con  ricche^  pensioni  e  colP  onore 
di  sedere  presso  il  Doge  ogniqualvolta  interveniva  al 
Senato  :  onore  che  i  suoi  maggiori  avevao  goduto . 
quando  erano  contestabili  del  regno  di  Cipro '.Mori 
poi  nel  i63i,  ucciso  in  un  luogo  del  Veronese  detto 
San  Michele ,  inentre  viaggiava  da  Venezia  a  Crema 
dove  [a  Repubblica  Ip  mandava  comandante  della 
guarnigione.  L^  anno  precedente  egli  avea  pubblicata 
la  Storia  delle  guerre  ci^dli  di  Francia  ^  le  quali 
(com^  egli  dice)  per  lo  spazio  di  qua rant^  anni  con* 
tipui  hanno  miseramente  perturbato  quel  Reame. 

DA1.LÀ  STORIA  nSLI.E  GCERRB  CIVILI  DI  FRANCIA. 

Come  Enrico  III 
Jaùesst  uccidere  il  Duca  di  Guisa  *  (Lib.  IX  ). 

•  •  •        « 

Era  trapelata  io  alcuni ,  né  si  sa,  come ,  la  sospizione 
di  qnesto  fatto',  di  modo  che  ne  pervenne   oonfnsanieftte 

.1  Perdettero  questo  grado  ijuaudo  oel  iSjQ  i  Torchi  ttlMrp  ^uoll'  isoU 
alla  Repubblica  di  Yenesia. 

2  Questo  duca  di  Guisa»  capo  della  cosi  detta  tega  Santa  (U  quale  al- 
l' oltkno  combatterà  per  togliere  ad.  £nrìco  re  di  Navarra  ogni  speraoaa  di 
salir  mai  sul  trono  di  Francia  ),  era  venato  in  tanta,  fama  ed  in  tant»  po- 
tere, de  discacciò  da  Parigi  il  Re  stesso  e  le  sue  milive.  E  fona  era  in 
procinto  di.  levargli  anche  il  trotto ,  quando  Enrico  IH  negli  Stali  JiMcUis 
in  Blois  lo  lece  assasainwe  ^  23  dijìeaibre  iSSS* 


S8  LETTERAtCRA  ITAÙaITA 

h  notizia  sino  alP  istesso  Duca  di  Gaisa  ;  il  qnale  ri* 
stretto  con  il' Cardinale  sao  fratello  e  con  V  ArciTescoto 
di  Lione  ^^  «ionsaltè  8<f  fosse  da  credere  a  questa  dissemi* 
tiazione  '  9  e  se,  credendovi,  doTesse  egli,  per  non  correre 
qoesto  pericolo,  partirsi  dagli  Stati.  Il  Cardinale  disse  che 
si  doveva  peccare  piuttosto  in  troppo  credere  che  iq  troppo 
fidarsr^'.e  che.  era  bene  appigliarsi  al  più  sicuro  partito; 
e  l'esortò  a|la  partenza  cosi  caldamente,  cbe'il  Duca  or» 
dine  lecose  sue  per  andarsene  la  seguente  •mattina:  ma. 
V  Arcivescovo  di  Lione  oppugnò  cosi  gagliardamente  qae- 
^sta  sentenza,  che  la  fece. quasi  nel  medesimo  tempo  ri- 
trattare. Mostrò  quanto,  fosse  leggiera  cosa  il  credere  ad 
una  disseminazione  della  fama,  non- fondata  sopra  atcaa 
indizio  sicuro;  che  poteva  essere  artificio  del  Re  per 
muoverlo  a  partirsi  ed  abbandonare  gli  Stati ,  acciocché 
cadendo  tutte  le  speranze,  tutti  i  disegni  e  tutte  le  pra* 
tiche  in  un  puQlo,  egli  restasse  libero  dal  giogo  che  ve- 
deva dal  consentiménto  degli  St^ti  essergli  apparecchiato. 
E  partito  Ini  ^  chi  dover  reggere  e  moderare  gli  afifelti  e 
le  promesse  de' deputati?  Chi  ^ostare  agli,  arti  ficj  ed  al- 
r  autorità  del  Re  ?  Chi  ovviare  che  gli  Stati  non  sortis- 
sero a  jSoe  *  del  tutto  eoatrario  a  quello  che  avevano  di- 
visato ?  Perchè ,  assente  lui  ,  1  deputati  ,  trovaddosi  ab- 
bandonati e  derelitti  ,  cederebbono  all'  autorità  del  Re 
ed  alla  riverenza  del  nome  reale,  farèbbooo  le  delibera-* 
Ztotti  a  modo  suo,  rivocfaerebbono  le  fatte,  perturbereb- 
boBO  le  cose  stabilite,  e  ridurrebhpno  il  governo  allo  stato 
di  prima  ,  o  forse  a  peggior  condizione,  con  totale  ruina 
ed  ultimo  esterminio  della  Lega  :  che  a  ragione  si  dorreb- 
bono  tutti  quelU  del  partito  ^  di  essere  stati  traditi  e  vii- 

I  DUsemiMuioMé  Voce  ,  OpioioBe  dìffoM  e  di^oIgaUi.' 
a  Diciamo  Biuse^  mi  wafne^  crteto  Sbrtirt  tinjlaej  piattostocii^  «ftr« 
Htt  ma  wnfiM, 

3  QutiU  dd  ponto,  Qoalli  die  Mgnivano  la  soa  parta  o  la  Lega.     . 


SSGOLO   DECUfOSETTIMO  89 

mente  abbaodosati  da  lui;  ed  ognono  col  tao  etempto 
penserebbe  alP interesse  proprio,  e  ad  accomodare  i  &Ui 
soci  col  Re,  di  modo  che  io  fine  egli  solo  resterebbe  il 
derelitto  e  l'abbandonato:  in  somma euer  meglio,  qnanda 
il  pericolo  fosse  certo ,  arrischiar  la  TÌta  sola  fermandosi , 
che,  partendo 4  perdere  sicuramente  e  la  vita  e  T onore 
in  an  medesimo  ponto. 

Difieri to  il  partire  ,  sopra TTenne  il  Duca  d!  EIIebo?e  % 
al  qaale  conferito  V  affar^  di  che  tratta?ano ,  egli  con* 
fermò  le  parole  di  Monsignor  di  Lione ,  i^ggiungendo 
molle  cose  per  dim'ostrare  il  Duca  di  Guisa  essere  cosi 
ben  accompagnalo  da  amici  fedeli  e  tutti  uniti,  che  non 
avrebbe  ardilo  il  Re  di  sognarsi  cosi  temerario  intrapren* 
dimento  ;  e  che  si  maravigliaTa  che  s' entrasse  in  Unto 
spaTento  di  quelle  forze,  che  sino  a  queli'  «ira  averano 
sempre  ▼ilipese  e  dispregiate:  onde  ripreso  animo  il  Doca 
di  Guisa,  non  solo  deliberò  d^  aspettare  il  fine  degli  Sta» 
ti,  ma  mostrò  evidenti  segni  di  non  istimare  le  dissemi* 
nationi  che  correvano  per  la  Corte.  Venata  la  sera  do* 
ventidoe  9  il  Re  tsomaodò  a  Monsignor  di  Larcbianle ,  oa« 
pitano  della  sua  guardia,  che  la  mattina  seguente  la . rin- 
forzasse: e,  dopo  entrato  il  Consiglio,  cuslodisse  la  porta 
del  salone,  ma  lo  facesse  io-  modo  che  il  Duca  di  Guisa 
non  n'entrasse  in  sospetto:  per  la  qual  cosa  egli  con  ona 
gran  banda  de'  suoi  soldati  la  medesima  sera ,  aspettato 
che  il  Duca  dalle: sue  stanze  passasse  a  quelle  del  Re, 
se  gli  accostò  a  mezzo  della  slrada  ,  e  lo  supplicò  a  voler 
aver  per  raccomandati  quei  poveri  soldati  che  già  molti 
mesi  erano  senza  paghe;  che  ricorreva  a  lui  come  a  capo 
deir  armi ,  e  che  la  mattina  seguente  con  l' istessa  comi* 
tiva  gli  si  sarebbe  .{atto  innanzi  ,  acciò  tenesse  memoria 
di  trattarne  in  Consiglio.  Ed  il  Duca  cortesemente  rispo- 
se, e  promise  al  capitano  ed  a'  soldati  d'  aver  a  cuore 
la  loro  soddisfazione. 

8* 


90  LETTCRÀTORi    ITaLI&Nà  '  v 

Diede  il  Re  ordine  la  medesima  sera  al  Gran  Priore 
di  'Frància  suo  uipote,  che  ioTÌIasse  il  Principe  di  Gen* 
TÌIIa  (figliaolo  del  Duca  di  Guisa)  a  giuocare  la  mattina, 
seguente  alla  racchetta  ' ,  e  che  lo  trattenesse  tanto ,  che 
ricevesse  qualche  ordine  da  lui. 

La  mattina  il  Re  Testitosi  innanzi    giorno,  sotto  scusa 
di    passare    personalmente    io  Consiglio    e    di    fermarvisì. 
molte    ore ,    licenziò    tutti   i   familiari  ,1   e    restarono   soli 
nel  gabinetto  prima  chiamati  ^a  luì  il  segretario  di  Stato. 
Re?ol ,  il  colonnello  Alfonso  Corso ,  e    monsignore    dèlia 
Bastida  Guascone ,  uomo  di  grandissimo  ardire  ;  nella  ca* 
mera  San  Pris  vecchio  ajutante;  nella  guardaroba  ilxH>nte-' 
di  Termes  cameriere  maggiore  e  parente  del  Duca  d'  E- 
pernoné  ;  é  nelP  anticamera  due  paggi ,  un  usciere  il  quale 
attendeva  alla  porta  verso  il  Consiglio,  e  Lognac  con  otto 
de*  quarantacinque  ^  9  a*  quali  il  Re  avea  con  grandissime 
promesse  significato  il  suo  volere,  e   trovatili   prontissimi 
air  operare. 

Era  nello  spuntar  dell*  alba  quando  si  radunarono  i 
consiglieri ,  ed  entrarono  nel  salotie  il  cardinale  Gondi 
ed  il  cardinale  di  Vandomo,  i  marescialli  di  Auraont  e 
di  Retz  ,  il  guardasigilli  Monteleone  ,  Francesco  monsi- 
gnor d'O  e  Niccolò  signore  di  Rambuglietto,  il  Cardinal 
di  Guisa  e  V  Arcivescovo  di  Lione  ,  e  finalmente  com- 
parve il  Duca  di  Guisa ,  al  quale  si  fece  innanzi  il  ca- 
pitano La  richian  te  con  maggior  turba  di  soldati  che  non 
aveva  fatto  la  sera  ,  e  gli  presentò  un  memoriale  per  le 
paghe  ;  «  con  questa  scusa  1'  accompagnò  e  lo  condusse 
sino  alla  porta  del  salone ,  nel  quale  entrato  e  chiusa  la 
porta,  i  soldati  fecero  una  lunga  spalliera  giù  per  la, sca- 
la ,  mostrando  di  fermarsi  per  aspettare  risposta   al  loro 

1  BacchetUu  Quello  »tromento  con  reticella  con  cui  si  giucca  alla  palla. 

2  Lognac  aveva  sotto  di  se  q^arantacin^e  uomini ,  coi  quuli  promise  *à. 
Enrica  di  uccidere  il  Duca  di  Guisa. 


8BG0LO    DSCnfOtBTTIlfO  9! 

memoriale  ;  e  nelP  istesio  tempo  Grigliòne  maestro  M 
campo  fece  chiadere  le  porte  del  castello|  onde  molti  io* 
spettarono  quello  cbe  doveva  succedere,  e  Pelicart  segre^ 
tario  del  Daca  di  Guisa  scrisse  ao  polizzioo  con.  qaesté 
parole:  Monsignor,  salvaleA;  se  non,  siete ^norto;  e  len 
gatolo  in  an  moeoatojo  *  «  lo  diede  ad  an  paggio  del  Do* 
ca,  che  lo  portasse  alf  asciere  del  Consiglio  sotto  scasa 
cbe  il  Daca  si  fosse  scordato  Dell*  osctre  di  camera  Ai 
pigliarlo;  ma  il  paggio  da' soldati  non  fu  lasciato  passare. 
Intanto  il  Duca,  entrato  nel  Consiglio,  e  postosi  in  una 
tedia  vicina  al  fuoco  si  senti  un  poco  di  svenimento;  o 
die  allora  gli  sovvenisse  il  pericolo  nel  qual^  si  ritrovava, 
separato  e  diviso  da  tutti  i  suoi ,  o  che  la  natura  (come 
bene  spesso  avviene  )  presaga  del  mal  futuro  da  se  mede»' 
sima  allora  si  risentisse  • . .  Ha  essendosi  facilmente  riavuto , 
entrò  per  la  porta  del P  anticamera  nel  Consiglio  il  secfe- 
tario  RevoI  ,  e  gli  disse  ,  che  dovesse  andare  nel  gahi** 
netto,  che  il  Re  lo  dimandava.  Levossi  il  Duca,  e  sai  un- 
tati con  la  sua  solita  cortesia  i  consiglieri,  entrò  neH'aQ- 
ticamera  ,  che  subito  fu  tornata  a  serrare  ;  ove  non  vide 
la  frequenza  solita,  ma  i  soli  otto  compagni  molto  ben 
noti  a  lai  :  e  volendo  entrare  nel  gabinetto ,  uè  essendo- 
gli da  alcuno,  come  è  solito,  alzata  la  portiera  ',  stese  la 
mano  per  sollevarla,  ed  allora  San  Malino,  uno  degli  otto, 
gli  diede  una  pugnalata  nelle  cervici ,  e  gli  altri  seguirono 
a  percoterlo  per  ogni  parte.  Egli  facendo  sforzo  di  mei» 
ter'  mano  alla  spada  non  potè  mai  sfoderarla  più  di  mez- 
za «  e  dopo  molte  ferite  nel  capo  e  per  ogni  parte  del 
corpo,  urtato  finalmente  da  Lognac,  al  quale  s^  era  im« 
petaosamente  avventato,  cadde  innanzi  alla  porta  delb» 
guardaroba ,  ed  ivi  senza  potere  profferir  parola  fini  gli 
nitiuù  sospiri  della  sua  vita* 

Il  JImoiIo/o  per  Moecichino,  o  FtiMMoltUo  da  muo. 
4.  La  ]iartì0rti»  Quella  Uadbi  ch«  lU  alle  porle  o  p«v  Wllegsa  q  |^r  in* 
pedina  V  VÌA* 


92  LETTERATURA   ITALtARA 

II  CardiDale.di  Guisa  come  seati  lo  strepito  nell'anti- 
camera, fa  cerio  eh* erano  attorno  al  fratello;  e  leTatosi 
con  Y  Arci  rescoro  di  Lione  corsero  ambidne  alla  porta 
del  salone  per  voler  chiamare  V  ajnto  de^  loro  familiari  ; 
ma  trovata  la  porta  serrata  farooo  fermati  da'  marescialli 
d^  Anmont  e  di  Relz  ,  i  quali  intimando  loro  ch'erano 
prigioni  del  Re  ^  gli  condussero  sa  per  ana  scaletta  io 
una  stanza  saperiore,  ove.  furono  chiosi  e  diligentemente 
guardati  *  «  .  •  • 

Gli  altri  ,  che  il  Re  desiderava  d*  avere  nelle  mani , 
a  che  furono  felicemente  ascosi  da'  loro  ospiti  o  dagli 
amici  nella  città,  o  che  si  salvarono  per  diverse  strade  e 
con  diverse  maniere ,  di  modo  ch«  fuggirono  V  impeto 
della  vendetta  presente.  Il  cadavere  del  morto  Duca,  in- 
volto in  un  panno  verde ,  fu  portato  dagli  ascieri  nella 
loggiii  posta  dietro  al  gabinetto  del  Re  ,  ed  ivi  fino  ad 
altra  deliberazione  riposto  .... 

In  questo  modo  morì  Enrico  di  Lorena  doca  di  Gui- 
sa, principe  rigoardevole  per  l'altezza  del  sao  lignaggio 
e  per  il  merito  e  grandezza  de' suoi  maggiori,  ma  molto 
più  cospicuo  per  la  grande  eminenza  del  proprio  suo  va*^ 
lore  :  poiché  in  lui  furono  accomolate  doti  moko  pre- 
stanti, vivacità  nel  comprendere,  prudenza  nel  consigliare, 
animosità  nelF  eseguire,  ferocia  nel  combattere,  magnani- 
mità nelle  cose  prospere,  costanza  nelle  avverse,  costumi 
popolari ,  maniera  di  conversare  amabile,  insomma  indù- 
stria  di  conciliarsi  gli  animi  e  le  volontà  di  ciaschedano, 
liberalità  degna  di  grandissima  fortuna,  segretezza  e  dis- 
simulazione pari  alla  grandezza  de'  negozj  ,  ingegno  ver- 
satile ,  spiritoso,  pieno  di  risoluzione  e  di  partiti,  ed 
appunto  egnale  a  qnei  tempi  ne'  quali  s'  era  incontrato. 

l  Fu  poi  ucciso  anche  il  Cardinale  nel  giorno  segnente.  I  cadaveri  d*  en- 
trambi furono  posti  nella  calce  viva  che  in  poche  ore  ite  «onsamò  tntte.  le 
ctfm  J  e  r  ossa  poi  vepuero  sepolte  nascosaiDMUe..  Coti  il  Da^la  stesso. 


tCCOLO   DKGtHO'^STTIIfO  ^S 

A  qaeste  eonclitiooi  delP  aolmo  eraoo  àggianli  non  inl« 
nori  ornamenti  del  corpo  ;  .tolleranza  delle  fatiche ,  so* 
brìetà  singolare  ,  aspetto  venerabile  insieme  e  grazioso, 
complessione  robnsta  e  militare  V  agilità  di  membra  cosi 
ben  disposte,  che  moite  volte  ib  veduto  a  nnotare  co-^ 
perto  di  tutte  arme  a  contrario  d'  acqua  lo  rapidissimo 
fiume ,  e-  gagliardla  maravìgfiosa  ,  per  la  quale  e  nella 
lotta  e  nella  palla  e  nelle  fazioni  militari  superava  di 
gran  lunga  gli  esperimenti  d' ogni  altro ,  e  finalmente  cosi 
concorde  unione  nel  vigore  dell'  animo  e  del  corpo  ,  cbe 
non  solo  si  conciliava  P^ammirazione  universale,  ma  espri* 
Bieva  ancora  ■  dalli^  bocca  de^  P''i?pn  suoi  nemici  il  vero 
delle  ^ue  lodi. 

Né  però  restarono  tfuésti  ornamenti  ,  senza  il  difetto 
della  fragilità  umana;  perchè  la  doppiezza 'e  la  simula- 
zione furono  in  lui  connaturali ,  e  la  vanagloria  e  P  am* 
biziòne  furono  cosi  potenti  nt^la  tetaaperatnra  del  suo  in- 
gegno, che  da  principio  gli  fecero  abbracciare  1*  impèrio 
della  fazione  cattolica  , .  e  col  processo  del  tempo  dalla 
necessità  di  guardarsi  dalle  sottili  arti  del  Re,  lo  fecero 
^cilmente  precipitare  al  disino,  di  pervenire  per  vie  oc- 
culte e  difficilissime  alla  successione  della  Corona;  e  final- 
mente 1'  audacia  della  pròpria  natura  e  lo  .sprezzo  che 
sempre  fece  d'ogni  altro,  lo  condussero  rnavvedutamente 
alia^raina. 

Caurìna  d^  MediQt  regina  di  Francia  ( Ivi).  - 

Le  qu^alità  di  questa  donna  ^  per  lo  spazioso  corso  di 
treni*  anni  cospicua  -e  celebre  a  tutta  1*  Europa ,  possono 
molto  meglio  dal  contesto  delle  cose  narrate  èsser  com- 
prese ,  che  dalla  mia  penna  descritte ,  né  in  breve 
giro  di  parole  rappreseli  tale.  Perciocché  la'  prudenza  sqa 

I  BsprwMiHi' ancóra  «e.i  cioii  Costringerà  «nche  i  siioi  nemici  »  lodtfV»- 


94  LSTTERlTfrAA.  ITALUVA. 

(  piena  -sempre  ed  abbonfTàate  ^  À'  accomoclati   pi^rtiti  peìr 

t- 

riqaedìare  a' subili  casi  della  fertana,  e  per  oslare  alle 
macchioazioDÌ  della  malizia  -  iHoaoa  )  con  ia  quale  resse 
neir  eia  minore  de*  figli aoli: il  peso' di  tante  guerre  ci?i- 
^  li  t  contendendo  in  un  medesimo  tempo  con  gli  afielti 
delh  religione  ,  con  la  contumacia  db*  sudditi ,  con  }e  dif- 
ficoltà, dèli*  erario,  con  le  simulazioni  Òe  Grandi,  e  con 
U  spaventose  macchine  erette  dalP  ambizione,  è  piuttosto 
cosa  degna  d'  essere  ammirala  distintamente  in  ciascuna 
operazione  particolare  ,  che  -confusamente  abbozzata  nel« 
r  elogio  nniiersale  de*  suoi  costumi.  La  costanza  e  V  al- 
tézza dell'animo,  con  la  quale,  donna  e  «forestiera ,  ardi 
d*  intraprendere  contra  teste  cosi  polenti  la  somma^  del 
gof ernó ,  ed  intrapresa^  conseguirla  ,  e  consegaìta  mante*» 
nerla  centra  i  colpi  delP  arte  e  della  fortuna  ,  fu  molto 
più  pari  alla  generosità  d*  un  animo  virile,  assuefatto. ed 
indurato  ne'  grandi  affari  d^l  .mondo ,  che  di  una  fem- 
mina affezza  atìe  morbidezze  della  Corte,  e  tenuta  molto 
^bassa  in  vita  dal  marito.  -  ^ 

Ma  la  pazre'nza,  la  destrezza,  la  tolleranza  e  la' mode- 
razióne, con  le' quali  arti  nel  sospetto  che  (dopo  tante 
proTe).di  lei  s' area  preso  il  figliuolo,  seppe  sempre  man- 
'  tenére  in  sé  stessa  V  autorità'  del-  goterno,  sicché  egli  noa 
^ardiva  di  operare  senza  consiglio  e  senza  consentimento 
dì  lei  quelle  cose  medesime  nelle  quali  là  teneva  per  so- 
spetta ,  fu  eminentissima  'prova  e  quasi  V  ultimo  sforzo 
del  valor  suo. 

.  A  queste  virtù,  che  nel  corso  delle  "sue  operazioni 
chiaramente  appariscono  ,  furono  aggiunte  molte  ^altre 
àoXì  y  con  le  quali  ,  sbandite  le  fragilità  e  T  imper- 
fezioni del  sessa  femminino,  si  reset sempife  superiore  a 
quegli  affetti  che  sogliono  far  tralignare  dal  diritto  sen* 
fiero  della  vita  i  lumi^  più  perspicaci  dejla  solerzia  nma«  ^ 
na«  Perciocché  furono  io^  lei  ingegno  elegantissimo  ^.   ma- 


SECOLO  DBcraosBTTnio  ^5 

gbifioema  regia,  uoiaiiità  popoifffe,  muoieradi  fiifellara 
{K>tenle  ed  xfficaoe;  ioclioaxione  liberale  e  fiiforefole  ferio 
i  baooi  ^  aperbiuiiDo  odio  e  oralefoleoEa  perpetua'  verso 
i  tristi  ,  e  temperadiéDio  non  mai  soverchia meote  iolerea- 
iato  nel  favorire  e  oelP  esaltare  i  dipendenti  suoi  :  e  noQ« 
dimeno  non  potò  ella  far  tanto  che  dal'  ftsto  franceie  , 
come  Italiana  ,  non  fosse  la  >irtù  ana  dispregiata  ;  e  che 
coloro. che  avevano  animo  di  pertnrbare  il  reame,  come 
contraria  a'  loro  disegni,  non  T  odiassero'  mortaloenle': 
onde  gU  Ugonotti  in  partitolareu  ed  in  vita  ed  -  in  morte 
hanno  sempre  ^con  avvelenate  pbntore  e  con-  narrazioni 
maligne  esecrato  e  dilaceraYa»  jl  noùie  ano  ;  ed  alcano 
scrittore.,  che  merita  pia  il  nome  di*  satirico  che  d*  isto» 
rico ,  s'  è  ingegnato  di  far  apparire  •  I'  operazioni  di  lei 
molto  diverse  dalla  jèra  soatapza,  attribuendo  bene  spesso 
0  imperitamente  o  malignamenle  la  cagione  de'  suoi  con- 
sigli a  perversità  di.  -natura  ed  a  soverchio  appetito  di 
dominare^  ed  abbassando  *e  diniìnuendo  la.  gloria  di  que- 
gli efielti  che  nel  mezzo  di  còni  certi  pericoli  hanno  ai* 
caramente  più  d^  una  volta  partorita-  la  salute  ed  il  ao» 
stentamente  della  Francia*         » 

J^on  è  per  questo  che  auco  tra  tanta  eccellenza  di  virtù 
non  germogliasse  il  solito  loglio  della  imper lezione  moo« 
dana  :  perciocché  fu  tenuta  di  fede  fallacissima ,  condi- 
zione assai  comune  di  tutti  i  tempi ,  m^  molto  peculiare  ^ 
di  quei  secolo  ;  avida  o  piuttosto  sprezzante  del  sangue 
umano  più  assai  di  queHo  che  alla  tenerezza  dei  sesso 
femitiinile  >i  convenga  ;  ed  apparve  io  molte  occasioni  , 
che  nel  òonseguire  i  suoi  fini ,.  quantunque  buoni,-  sti- 
masse onesti  lutti  quei  mezai  che  le  parevano  utili  al  sua 
disegno ,  ancorché  per  sé  medesimi  fossero  veramente  ini- 
qui e  perfidiosi.  Ola  V  eminenza  di  tante  altre  virtù  può 

1  Peculiare  per  Proprio  «  Particolare  h  latinismo  adoperato  qualche  -volta 
aiiclie  ai  di  nostri  da  «Icuni. 


^6  I^Bl'TSIIATirRA   ITALIAITA 

•tpuranieale  appreséo  i  ragionevoli  estimatori  ricoprire  ia 
gran  parte  qael  diletli  che  furono  prodotti  dair  oi^eoza 
e>  dalla  Decessila,  delle  cose.    • 

"-    Morte  di  Enrico  JIl  re  di  Fionda  C  ^u*  X  ). 
'"■■''•  '.     . 

,Era  tu  Parigi  Era  Jacopo  Clemente  dell*  Ordine  di  saq 

Domenico^  che  Giacobini  li  chiamano.  Tolgarroente,  nato 
di  basso  lignaggio  nel  villaggio  di  Sorbona  nel   territorio 
della  città  diSans',   giovane' di  fentidae  anni,  e   giadi- 
Cito  sempre  dai  sùo^  frati  ^  Ha  molti  'che   Io  conosceva- 
110   per   iscemo   di   cervello  >   e  piuttosto  per  soggetto  da 
prendersi  gioco ,  che'  da  tendere   o    sperare   dall'  ingegno 
suo  cosa   seria   e*  di  qualche   momento.    A    me  sovviene 
(mentre  molte  volte  visitava    Fra  Stefano' Lasign  a  no  Ci- 
pr ietto  vescovo  di  Liimissà  e  fì*ate  del   medesimo  Ordine, 
.qaando  la  Corte  si  riirovjtva  in  Parigi)  averlo   veduto  e 
adito  itaentre  gli  altri  Religiosi  di  lui  si  prendevano  pas- 
satempo. Costui  «  ó  guidato  dalla  propria  fantasia  ,  a  sti- 
molato dalle  predicazioni   che   giornalmente  'sentiva   fare 
codtra .  Enrico  di  Valois  ^ ,  nominato   ÌV  persecutore  della 
Fede  ed  il  tiranno ,  prese  risoluzione  di  vofer  pericolare 
la  sua  vita  ,  per  tentare  in  alcuna  maniera  d*  anomazzar* 
lo;  né  tenne  segreto  questo  cosi  temerària  pensiero,  ma 
andava  vociferando  tra*  suoi  ,  che  era  ^necessario    d'  ado- 
perare Tarmile  di  esterminare  il  tiranno:   Te  quali  voci 
accolte  con  le  solite  risa,  era  da  tutti  chiamato  pei^  burla 
il  capitano  demente,  'Molti  lo  stuzzicavano  ,    narrandogli 
ì  progressi  del  Re,  e  com^  égli  veniva  confra  la  città  di 
Parigi;  a' quali,  mentre  T esercito  pra    lontano,  diceva 
non  esser  ancora  tempo  ^   e  non    volersi    prendere  tanta 
fiilica;  ma  come  il  Re  cominciò  skà   avvicinarsi,  ed  egli 
passando  dalle  burle  a  deliberazione  «cria  ,   disse  ad  un 

z  Enrico  III  fa  V  ultimo  della  Gasa  di  Valois. 


SECOLO  DBCIlfOSETTlMO  ^y 

Padre  elei  s^oi ,  che  arefa  aoa  iDspiraxioDe  gagliarda  di 
andare  ad  ammazzare  Enrico  di  Valois  ,  e  che  doveste 
consigliarlo  se  la  dovesse  esegnire.  U  Padre,  conferito  il 
fatto  con  il  Priore  (  il  qoale  era  nno  de'  principali  con* 
siglieri  della  Lega  )^  risposero  finitamente  che  vedesse  bene 
che  questa  non  fosse  nna  tentazione  del  demonio ,  ohe 
digiaoasse  ed  orasse,  pregando  il  Signore  che  grillami- 
nasse  la  mente  dì  qnello  doveva  operare. 

Tornò  fra  pochi  giorni  cosini    al  Priore   ed  all'  altro 
Padre,   dicendo  loro  che  aveva  fatto  qiianto  gli  avevano 
consigliato,  e  che  il  sentiva  più  spirito  che  n^ai  di  volare 
intraprendere  qnesto  fatto.  I  Padri,  come  molti  dissero, 
conferito  il  negozio  con  madama  di  Mompénsieri,  ocoma 
vogliono  quei  della  Lega,  di  proprio  loro  motivo  '  l'esorta- 
rono  al  tentativo,  affermandogli  che  vivendo  sarebbe  stato 
fatto  Cardinale,  e  morendo,  per  aver  liberata  la  città  ed 
ncciso  il  persecutore  deUa  Fede,    sarebbe    senza    dubbio 
stato  canonizzato  per  santo.  Il  Frate   ardentemente  '  ecci- 
tato da  queste  esortazioni ,  procurò  d^  avere    nna  lettera 
credenziale  dal  conte  di  Brienna  (il  quale,  preso  a  santo 
Uvino ,  era  tuttavia    prigione  nella  città  )  ,   assicnrandolo 
d' avere  a  trattare  negozio  col  Re  di  somma  importanza^ 
e  che  rioscfrebbe  di  grandissimo  sno  contento.   Il  G>nte, 
non  conoscendo  il  Frate,  ma  sapendo  quello  correva  *  nella 
dtlà ,  e  che  molti  trattavano  che  il  Re  fosse  introdotto , 
credendo  esser  vero  il  negozio   che   costai    professava    di 
trattare,  non  fece  difficoltà  di  concedergli  la  lettera;  con 
la  4]oale  partito  la  sera  dell'  ultimo  di  di    luglio  ,    passò 
dalla  città  -nel  campo  reale ,  ore  dalle  guardie  fa  subita- 
mente preso:  ma  dicendo  egli  di  aver   negozio  e  lettera 

X  Motivo»  Pia  comunemeate  direLbtii  Vi  proprio  loro  moto, 
a  Quello  (  che  )  correva.  Sapendo  che  iàcevanù  pratiche  per  introdurre  En* 
rico  in  Parigi ,  d'  onde  il  Duca  di  Gui$a  e  i  suoi  partigiani  lo  avevan  cac- 
ciato ,  e  credendo  che  a  questo  flne  tendesse  anche  il  fitte. 

LBTTBftJLT.  ItAI»  —  IT  Q 


p8    .  rcTTEnATuai  ita  li  aita. 

da  comaoicare  col  Re,  ed  avendo  mostrata  la  soprascrit-^ 
la  ,  £a  condotto  a  Jacopo  signore  della  Goiella  procara- 
tore  generale  del.  Re,  che  faceva  1*  ufficio  di  anditore  del 
campo.  Il  signore  della  G  niella  ,  udito  il  Frale,  e  sa- 
pendo che  il  Re  era  dal  riconoscere  i  posti  de'  nemici 
tornato  eh'  era  già  notte,  gli  disse  che  quella  sera  era  di 
troppo  tardi,  ma  che  la  mattina  seguente  T avrebbe  senza 
fallo  introdotto  ,  *e  che  Ira  tanto  per  sicnresza  si  poteva 
trattenere  nella  sna  casa. 

Accettò  il  Frate  P invito,  cenò  alla  tavola  della  Gniet- 
la,  tagliò  il  pane  con  un  coltello  nuovo,  che  col  munieo 
aero  aveva  a  canto  ,  mangiò  e  beve  e  dormi  senza  peii« 
«}ero  :  e  perchè  correva  un  pronostico  non  solo  per  il 
campo  ,  ma  per  tutta  la  Francia ,  che  il  Re  doveva  es- 
sere ammazzato  da*  un  Religioso,  fu  dimandato  da. molti 
«e  per  avventura  egli  era  venuto  per  questo  fatto;  a'  quali 
lenza  turbarsi  rispose,  non  essere  queste  cose  da  trattare 
4XMÌ  da  burla. 

La  mattina ,  primo  giorno  d^  agosto  ' ,  il  signore  de(la 
Gniella  passò  alF  alloggiamento  del  Re  di  buon  mattino; 
al  quale  fatto  sapere  V  andienza  che  dimandava  il  Frate, 
dbhe  ordine  nelf  istesso  tempo  d'  introdurlo ,  bench^  ^li 
non  fosse  ancora  interameofe  vestito,  anzi  senza  il  solito 
colletto  di  dante,  che  per  uso  delF  armi  costumava  egli 
Mmpre  di  portare ,  e  con  un  semplice  giubbone  di  ta^ 
fetta  d^  intorno  intorno  slacciato. 

Introdotto  il  Fì*ate,  mentre  si  ritirano  nmendue  a  canto 
ad  ana  finestra ,  porse  la  lettera  del  conte  di  Brienna  ;  la 
qnale  letta,  avendogli  detto  il  Re  che  seguitasse  a  spie- 
gargli il  suo  negozio,  egli  finse  di  metter  mano  ad  un'  al-> 
tra  carta  per  presentarla  ,  e  mentre  il  Re  intentamente 
r  aspetta  ,  ei  cavatosi  il  solito  coltello   dalla  manica ,    lo 

X  Dell'  anno  iS^Qt 


•SCOLO  DBClVOSITTmO  99 

ieri  a  calilo  air  ambilico  dalla  parte  tioiiira ,  e  latdò 
tolto  il  fèrro*  confitto  «ella  ferita.  Il  Re  seolendoai  pew 
cosso  tirò  fuori  il  coltello,  e  nel  tirarlo  dilatò  la  ferita ^ 
ed  il  medesimo  fisse  sino  al  manico  nella  fronte  del  Fra» 
te;  il  quale  neir*istesso  tempo  dal  «gnore  della  Goiella 
passato  colla  spada  dall'  un  fianco  sino  fuori  dell^  alilo 
cadde  subito  morto  :  né  fu  cosi  presto  caduto ,  che  da, 
Mompesat,  da  Lognae  e  dal  marchese  di  Mirepois  (carne* 
rieri  del  Re  che  erano  presenti  al  fiitto)  fn  gettato  dalte 
finestre,  e  dal  volgo  dei  soldati  lacerato  ed  abbruciatoli 
e  le  sue  ceneri  sparse  nella  riviera. 

Il  Re  ferito  fu  portalo  nel  letto,  e  la  ferita  non  fa 
da*  medici  giudicata  mortale  :  per  la  qoal  cosa  chiamati 
i  segretari ,  fece  dar  conto  .dell*  accidente  .  per  tutte  b 
parti  del  r^no,  esortando  i  goTcrnalori  a  non  si  sbigot- 
tire, perchè  sperava  fra  pochi  giorni  di  poter  risanato 
cavalcare.  Il  medesimo  officio  passò  con  i  capitani  e  con 
i  principali  dell'  esercito;  e  fatto  subito  venire  il  Re  di 
Navarra,  commise  a  lui  la  cura  del  campo  e  la  cont^ 
n nazione  sollecita  dell'  impresa.  Ma  la  sera  senti  grave* 
mente  dolersi  la  ferita,  e  gli  sopraggionse  la  febbre;  pev 
la  qoal  cosa  chiamati  i  medici  e  fatta  la  solita  esperien* 
sa  ,  trovarono  essere  perforati  gì'  intestini ,  e  giudicarono 
concordemente  che  la  vita  sua  potesse  estendersi  poche  ofew 

Il  Re,  il  quale  volle  che  gli  dicessero  il  vero,  inteso 
il  proprio  pericolo,  fece  chiamare  Stefano  Bologna  suo 
cappellano,  e  con  grandissima  divozióne  volle  fare  la  eoo* 
fessione  de*  suoi  peccati;  ma  innanzi  l'assoluzione  aven* 
dogli  detto  il  confessore ,  che  aveva  inteso  essergli  sfato 
pubblicato  centra  un  monitorio  del  Papa ,  e  che  però 
soddisfacesse  nel  presente,  bisogno  alla  coscienza  ,  egli 
replicò  clVera  vei*o,  ma  che  il  medesimo  monitorio  con« 
teneva  che  potesse  essere  assoluto  in  occasione  di  morte; 
che  voleva  soddisfare  alla  richiesta  del  Papa,   e  che  re- 


lOp  LfiTTERiTORl    ITALlAIfA 

ligio9amenle  prometteva  di  rilassare  i  prigioni ,  ancorché 
avesse  creduto  di  perdere  la  vita  e  la  corona {  conila  (piale 
soddisfazione <  il  confessore  V  assolse  ,  e  lo  mani  per  via* 
tico  de^  sacramenti  della  Chiesa  quella  medesima  sera. 

Il  Re  sentendosi  a  mancare  le  forze*,  fece  alzare  le 
portiere  delle  sue  camere  ed  introdurre  |a  Kobillà*,  la 
quale  con  profuse  lagrime  e  con  acerbi  singulti  pubblica* 
mente  dava  segno  del  suo  dolore;  e  rivolto  a  loro,.stan« 
dogli  a  canto  al  letto  il  Duca  d*  Epernone  ed  il  Conte 
d*  Overnia  suo  nipote,  disse  con  chiara  voce  che  non  gli 
rincresceva  morire  y  ma  che  ;gli  doleva  dì  lasciare. il  regno 
in  tanto  disordine  ,  e  tutti  i  buoni  affiliti,  e  travagliati  ; 
vhe  non  desiderava  vendetta  della  sua  morte,  perchè  fina 
da'  primi  anni  aveva  appreso  nella  scuola  di  Cristo  a  ri« 
mettere  V  ingiurie,  come  tante  n*  avea  rimesse  per  il  pa»» 
sato;  ma  rivolto  al  Re  di  Navarra ,  gli  disse,  che  se  si 
metteva  mano  a  qtiesta  usanza  di  ammazzare  i .  Re  ,  ne 
anco  egli  sarebbe  stalo  per  conseguenza  sicuro.  Esortò  la 
Nobiltà  a  riconoscere  il  Re  di  Navarra  ',  al  quale  di  ra«-> 
gione  il  regno  s'  apparteneva  ;  ne  guardassero  alla  diffe- 
renza della  religione,  perchè  ed  il  Re  di  ^'avarra,  uomo 
di  sincera  e  di  nobile  natura*,  sarebbe  finalmente  tornato 
nel  grembo  della  Chiesa,  ed  il  Papa,  meglio  informato^ 
V  avrebbe  ricevuto  nella  sua  grazia  ,  per  non  vedere  la 
mina  di  lutto  il  regno.  In  ultimo  abbraccialo  il  Re  di 
Navarra  gli  disse,  replicandolo  due  volte:  —  Cognato,  io 
TI  assicuro  ^  che  voi  non  sarete  m^i  Re  di  Francia ,  se 
non  vi  fate  Cattolico  e  se  non .  vi  umiliale  alla  Chiesa  *•  -> 

Z  Fu  poi  Rtt  di  Francia  $otU>  il  nome  di  Enrico  IV.  Come  capo  degli 
Ugonotti  era  stato  lungamente  nemico  di  Enrico  III  ,  ma  quando  questi 
(  dopo  r  uccisione  del  Duca  e  del  Cardinale  di  Guisa)  si  vide  più  che  mal- 
strétto  dalle  armi  della  Lega ,  Io  chiamò  a  s^  e  fece'  la  pace  fon  lui.  En- 
rico IV  fu  poi  ucciso  dal  Ravaillac  addi  14  maggio  161  o. 

a  Enrico  IV  si  fece  infatti  Cattolico  li  25  luglio  x593 ,    e   solo   dopo  di 
ciò  fu  ricevuto  in  Parigi. 


SECOLa  DEGIBIOSITTIHO  tOI 

Dopo  le  qaali  parole,  chiamato  il  cappellano',  recilò  pf&- 
•enti  tatti  il  sìmbolo  della  fede  alP  oso  della  Chiesa  fo» 
mana ,  e  fallosi  il  segno  della  croce  ,  cominciò  il  MisB^ 
rere;  qua  nelle  parole  Redde  mihi  Iteiiiiam  saìuiaris  tui^ 
mancandogli  la  voce,  rese  placidamente  lo  spirito,  avendo 
vissuto  treotasèi  anni,  e  regnato  quindici  e  per  appunto 
doe  mesi. 


GUIDO  BENTIVOGLIO 

Guido  Bentivoglio  nacque  di  nobil  fatnigKa  iq 
Ferrara  Fanno.  1579.  Clemente  Vili  lo  nominò 
suo  Cameriere  segreto  qnand^  egli  non  aveva  com« 
piutì  per  anco  i  suoi  studi.  Dal  1607  al  1616 
appartenne  alia  Nunziatura  delle  Fiandre  ^  poi  a. 
quella  di  Francia  fino  alP  anno  1621  in  cut  da 
Gregorio  XV  gli  fu  conferito  il  Cardinalato ,  e 
nel  1644  ^i*^  iD  voce  di  dover  suceedere  ad  Ur- 
bano Vili ,  quando  una  malattia  lo  colse  da« 
rante  il  Conclave,  e  lo  condusse  alla  morte  nel  dl« 
ciassettesinio  di  settembre.  Come  Cardinale  il  Bea* 
ti  voglio  fu  tra  coloro  che  sottoscrìssero  la  sentenza 
del  gran  Galilea^  ma  lo  scusa  (  come  nota  il  Cor- 
niani  )  il  tempo  in  cui  visse,  e  Pavere  avuto  a  co- 
mune con  molti  altri  il  suo  errore.  Del  resto  egli 
fu  dotalo  di  beir  ingegno^  che  lo  studio  e  la  pra- 
tica grande  degli  affari  gli  fecero  assai  potente.  Scrisse 
le  Relazioni  della  sua  Nunziatura,  le  Memorie  della 
propria  vita  ^  parecchie  Lettere^  e  la  Storia  delle 
guerre  di  Fiandra^  cioè  la  Storia  di  quella  lotta  per- 
la quale  i  Paesi  Bassi  scossero  il  giogo  della  domi- 
Dazione  spagnuola.  In  tutte  queste  opere  $i  fa  pa- 
lese un  ingegno  colto  congiunto  con  uno  spirito  che 
sa  pen^tr^re  nelle  cagioni  delle  cose,  e  rendere  ra- 
gione di  tutto  quello  che  dice.  Non  si  potrebbe  coI« 


102  LETTERAT0R4    ITALURA 

locai*e  per  altro  né  fra  gli  storici  é  ì  pensatori   più 
grandi  ^  uè  fra  gli  scrittori    in  ogni  parte  eccellenti. 

>  •  % 

/ 

DALLA   STORIA    DELLA    GOERRA   DI   VlkHORk. 

r 

Descrizione  deW  Olanda  e  della  Zelanda  (  Part.  I ,  lib.  JS  ). 

Giace  1'  QDa  e  V  altra  di  queste  provìnce'  fra  t'  asj^elto 
settentriooale  ed  occidentale  di  Fiandra.  In  Olanda  il 
Reno  e  la  Mesa ,  ed  in  Zelanda  la  Schelda  si  scaricano 
neirOceanO)  e  con  bocche  si-  profonde  e  &ì  spaziose,  cbe 
perduta  la  qualità  di  Gumì,  pare  allora  che  portino  piot* 
tosto  al  mar  nuovi  mari.  Àlf  incontro  T  Oceano  bagnando 
prima  le  medesime  due  province  per  lungo  tratto  ,  con» 
Tertitpsi  poi  quasi  di  mare  in  fiume,  penetra  in  ciascuna 
di  esse  con  ?arii'  canali ,  e  vi  si  nasconde  con  varii  seni* 
Óoindi  unito  con  le  riviere,  e  fèndendo  insieme  con  loro 
in  molte  parti  la  Zelanda.,  viene  a  smembrarla  in  molle 
isole  ,  e  riduce  V  Olanda  similmente  in  penisola.  Oltre 
<a'  oominati.  tre  fiumi  cbe  sono  i  più  principali  di  tutta 
la  Fiandra  ,  ne  riceve  1'  Olanda  ancora  diversi  altri  mi- 
ot>ri  ;  e.  volendo  quasi  competere  in  essa  V  arte  con  la 
natura,  tì  si  aggiungono  infiniti  canali  a  mano,  cbe  son 
fatti  per  maggior  comodità  del  paese.  Uentro  i*  ba  por 
anche  un  buon  numero  di  laghi  e  di  stagni.  Onde  con- 
siderata la  situazione  dell'una  e  delT  altra  provincia,  può 
restare  io  dubbio ,  se  più  grande  sia  lo  spazio  che  in 
esse  dair acqua  vien  rubato  alla  terra,  oppure  dalla  terra 
all'  acqua.  Me  si  può  dubitar  meno  ancora ,  se  più  man- 
cbino  ovvero  più  abbondino  i  loro  paesi  di  quelle  como- 
dità cbe  negli  altri  suol  godere  la  vita  nmana.  Per  '  la 
qualità  d^l  loro  sito  mancano  e  di  grano  e  di  vino  e 
d*  olio  e  di  lane  e  di  legname  e  di  canape  e  di  lini ,  e 
quasi  di  tutte  V  altre  o  comodità  o  delizie  che  s'  nsioo 
in  regioni  più  temperate    e    più    asciutte.    E   nondimeno 


SECOLO    DECIMOSBTTIMO  |oS 

dalP  ishra  parte  si  f«de,  che  non  ^  ha  contrada  non  solo 
in  qoeir  angolo  del  Settentrione  ^  ma    nel    giro   di    tolta 
Europa  ,  che.  abbondi  al  pari  dell'  Olanda  e  della  Zelanda 
qaafti   di  tutte  le  cose  nominate  di  sopra,  e  di  quelle  che 
sono  men  necessarie  ancora  all'  ornano  sostentamento  !  cosi 
grande  è  il  ranfaggio  che  ricevono  queste    due    protince 
dal   mare  e  dalle  rÌTiere,  per  afer  facile  col  mezzo  della 
naTÌgazione  il  commercio  da  ogni  parte  coni  tutti  gli  allri 
paesi.  E  dopo' averlo  introdotto  specialmente,  e  reso  tanto 
familiare  nelf  Indie  ,  non  si  può  dire   quanto   in   amen« 
due  sia  cresciuta ,  e  la  copia    delle    merci   e   la  frequenza 
dei  trafficanti.    Di    qui  -nasce^  che  tanto  abbondino  anche 
d'  abitatY>ri ,  e'  che  tanto  sia  popolalo  di*  città  ,   di   terre 
e  di   viltaggi  J  uno  e  X  altro  pniese.  Ha  non  si  feda  uiea 
pieno  i(  mar  di  vascelli,  ed  ogni  sito  acquoso  di  ciascona 
altra  sorte  di  legni,. che  lutti  servono    d*  albergo  ^  parti* 
oolarmente  ai  .marinari  ed  ai  pescatori.  A  queste  due  qua» 
lità  di  mestieri  s'applica  in  Olanda   e    Zelanda   an    na* 
mero  grandissimo'  di  persone.  Delle  navi  fan  case,  e  delle 
case  poi  scuule*  Quivi  nascono ,  quivi  si  allevano  e  qui? i 
apprendono  la  professione  ;  «e  praticando  poi   i    marinari 
specialmente  la  loro  nel  correr  tante   volte    e  con    tanto 
ardire  da  un  pukì  air  altro ,    e    dovunque   ai  '  mortali  si 
comunica  il  sole ,   ne   divengono    si    periti ,   che    qualche 
altra  nazione  ben  può  uguagliare ,   ma  ninna  già  vincere 
in  quesl^  arte  mar  inesca  la  loro.    Nel    resto    quei    popoli 
generalmente  sono  dediti   al    traffico,    e   soprammodo    si 
mostrano  industriosi  nelle  cose  manuali  e  meccaniche.   Il 
maggior  piacere  che  si  pigli  da  loro  è  fra  i  con  vili   e  le 
tavole.  In  qaesta  maniera  temprano  la  malinconia  de'  fa- 
stidiosi  verni  che  provano  ;  i  quali  pprò  sono  lunghi  piut- 
tosto che  aspri ,  eccedendo  quel  clima  nelle  pioggie  assai 
più  che  nei  ghi<icci.  Sono  ben  formati  ordinariamente  di 
corpo,  candidi  non  meno  di  natura  che  di  presenza;  pia« 


I04  |.ETTERATimA  ITALIANA^ 

oeroli  nelPozio,  ma  fieri  altretlanto  nelle  mdle,  e  mólto 
piik  abili  io  mare  che   in    terra    alP  esercizio    dell' ^armi. 
KadriscoQsi  per  lo  più  di  latticioii  e  di  pescagione ,   ab* 
hondandone  in  somma  copia  i  loro  paesi.  Hanno  inclinato 
sempre  a  goferno  libero,  e  sempre   tenacemente   oonser- 
▼ali  i  lor  USI  antichi  ;  e  dopo  che  V  eresia  '  cominciò  ad 
introdursi  fra  loro ,  con? ertitasi  a  poco  a  poco  in  licens» 
la  libertà ,  riuscì  più  facile  poi  agli   autori    delle   novità 
succedute ,  di  fargli  sollevar  »  e  ■  partire  dalla  prima    loro 
ubbidienza  verso  la  Chiesa  ed  il  Re.  £   piena   V  Olanda 
di  grosse  città ,  di  buone  terre  e  d'  infiniti  villaggi  ;  ma 
per  frequenza  di  forestieri  e  per   moltitudine    d'  abitanti 
propri i ,  Amsterdam  è  stata  sempre  la  città    più    princi- 
pale di  quella  provincia.    Menare  fioriva  il  commerdo  io 
Anversa,  era  grande  ancora  in  Amsterdam  il  concorso  de* 
fórestieri;  ed  essendo  poi  venuta  a  mancare  con   le    tur* 
bolenze  dèlia 'guerra  la  contrattazione  in  quella    città,   è 
cresciuta  air  incontro  in  questa  si  fattamente,  che'  oggidì 
Amsterdam  è  la  più  mercantile  piazza  non  sofo   delP  O- 
landa,  ma  di  tutto  il  Settentrione.  In  Zelanda  Midelburgo 
è  la  città  di  maggior  .popolo  e  mercatura.  Non  può  quella 
provincia    paragonarsi  però  a  gran   pezzo    con   1^  Olanda 
né   di   circuito  né  di  popolazione  uè  d'  opulenza.  1/  uno 
e  r  altro  paese  ha  deli'  inaccessibile  per  introdurvisi   con 
la  forza  ;  poiché  non  solamente  1  luoghi    più  principali , 
ma  i  più  comuni  sono  cinti  o  dal    mare  o   dai    fiumi    o 
dai  laghi  o  da  terreno,  che  non  può  esser  più  basso  nà 
più  fangoso. 

Elogio  di  Don  Giot/anni  d'  AusV^ia  (Pàbt.  I ,  lib.  io  >. 

Veramente  in  lui  concorsero  doti    egregie  di    corpo   e 
d'animo.  Grazia  e  maestà    nelP aspetto,    vigor   di   forze 

L  La  religione  protestante. 


SECOUf  '  DECIXOSBTTIHO  1  oS 

per  le  fatiche ,  affabilità  coi  soldati,  fi«;ilaDza  pari  al  co* 
mando ,  prùdensa    delle   piji   gravi    difficoltà ,    ma   caore 
portato  però  ad  incontrarle    molto    più   che  a    sfnggtrle. 
Non  pochi  foropo  che  V  aTrebbooo  desiderato  meo  tenero 
in  consentire  agli  aoiori ,  e  men  facile  in   dare  orecchio 
a^  rapporti.  Mostrò  tanta  cnpidigia  di   gloria  ,  che   molli 
ptoltósto  la  'gindicarono  cupidigia  d'  imperio.    Onde  -arse 
al  fine  V  invidi» ,    e  gli  armò  contro  si  fattamente  il  m* 
spetlo  ,  che  rete  dnbbia  la  soa  fede  nel  serftzio  del  Re; 
cóme  s^  egli    di  Gorernatore  aspirasse  a  diventar  Princìpo 
della  Fiandra;,  e  che  a.  tal  fine  con  la  Regina  d*  Inghil- 
terra in  particolare  fosse  disceso  ad    occulte    pratiche    di 
corris|H>ndenza ,  e*  passato  più  occultamente  ancora  a  ma* 
neggi  espressi  di.  matrimonio.  £  quindi  nacqne  I'  opinioni 
sì  diffusa  allora ,  -glie,  egli  mancasse  di  m<>rte  aiutata  '  piut^ 
tosto  che  natyrale.  3}.i  comunque  il  fatto  seguisse  io  ma- 
teria ,   nella  qnale  poteva  dalla  calunnia  restar  si   adoiu* 
brata  la  verità,  egli -morì  con  fama    di    valor  singolare, 
e  con  applauso  ricevuto  comunemente  di  somme  lodi.  De- 
gno senta  dubbio  di  godere  più*  lunga  iuta;  e  non  men 
dégno  a  cui  fosse  stato  permesso  dalla  fortuna  di  esercì* 
tare  i  comandi  più   in  termine  d^  assoluto  Principe ,  che 
in-  qualità  3i  subordinato  Ministro. 


'•  • 


Morte  del  Principe,  d'  Oranges  e  suo  eìogio  (  Part.  II,  lis.  a). 

• 

Il  caso  passò  in  questa  maniera;  Con  fine  determinato 
d^  ucciderlo  s^  era  introdotto  alla  sna  conoscenza  ,  e  più 
domesticamente  a  quella  de'  suoi  familiari^  un  Baldassarru 
Serach  della  Contea  di  Borgogna  ,  uomo,  più  tosto  vile 
di  nascimento ,,  ma  dotato  di  qualche  spirito  dalla  natu- 
ra. Trovavasi  V  Oranges  alfora  nella  Terra    di    Delfi  in 

Olanda  per  varie  occorrenze  pubbliche  ,•  ed  una  delle  p'ù 

•  .      ■        . 

X  Vi  morte  aiutata.  Cioè  di  veleno  od  duo» 


lo6  LBTTERATURA   ITlLIANA 

gravi  era  dì  ristabilire  le  cose  meglio  con  T  AlaiiiM>De** 
Presa  dunque  1'  opportanità  d^l  lempo  il  Serach ,  e  fah> 
tosi  iDiianzi  alP  Oranges  in  camera  con  finta  di.  negozio 
importante ,  gli  sparò  un  picciolo^  archibyso  in  nn  fianco, 
e  r atterrò  sobito,  senza  eh*  egli  nel  morire  potesse  pr<^ 
nnoaiare  parola  d*  alcuna  sorte.  Quindi  postosi  in  fnga^ 
tonto  s*  avanzò  prima  d'essere  soprarrivata ,  che  di  già 
era  salilo  sol  muro  d»lla.  Terra  per  gettarsi  nel  fosso  ed 
uscirne  a  nuoto,  quando  lo  ragglunserp  quei  d)e.  lo  se- 
girìtavano ,  e  lasciatolo  viro  lo  consegnarono  in  mano  della 
Giostitia.  Con  ogni  più  atroce  tormento  si  -  procurò  cb^  e* 
gii  deponesse  la  verità  sincera  del  fatto.  E  comunemente 
Gvedevasi  cbe  fosse  per  confessare  d'  i| verno  ricevuti  gli 
ordini,  e  d'averne  aspettati  li  prénui  d ali»  parte  di  Spa« 
gn«.  Ma  non  usci  dalla  sua  confessione  ^ai  altro  se  non 
tli*  egli  aveva  ucciso  V  Oranges  di  pjropria  .sua  volontà^ 
e  per  meritare  molto  più  con  Dio  per  mezzo  di  tale 
azione,  che  non  aveva  fatto  .cui  Re>  Fu  egli  poi  eondan* 
oato  alla  morte  ,  e  con  tutti  i  più  fieri  aupplizii  ne  fa 
veduto  succeder  X  esecuzione;  —  Gm  tal  qualità  di*  fine  la- 
sciò la  vita' Guglielmo- di  Nassau,  principe  d**  Oranges  ^ 
odia  sua  età  di  cinquantadue  apni.  Uomo  nato  a  gran- 
dissima fama,  se  coibento  della  fortuna  sua  propria  noo 
avesse  voluto  cercarn^^fra  i  precipizii  un'  altra  maggiore. 
Ròn  8*  ebbe  mai  dubbio,  che  V  imperatòr  Carlo*  V  ,  ed 
il  re  suo  figliuolo  Filippo  li  ,  non  lo  riconoscessero  in 
grado  del  primo  lor  vassallo  di  Fiandra  ;  e  V  uno  s'  era 
Tedpto  gareggiar  quasi  con-  V  t$hro ,  a  chi  più  V  avesse 
favorito  e  stimalo.  Restava  nondimeno  egli  nella  con- 
dizioip  di  vassallo;  ed  all'  incontro  gli  ajti  suoi  tpiriti 
noo  potevan  lasciarlo  quieto  se  non  -col  godere  sovra* 
namente  quella  di  Principe.  Aspirò  egli  dunque  a  po*- 
tere  innalzàrvisi  fra  le  rivolte  di  Fiandra.  E  portato 
«empre  più  V  ardor  della  sua   ambizione   dall'  ordimento 


SECOLO   l>feCIH0$BTTIHO  ÌOj 

m 

dei  saoì  «iisegni  ^  arerà  «gli  ornai  si  olire  condolti  qae« 

stì  9  che  se  la  morte   non    gli   troncaVa ,    non  si  mettevii 

più  quasi  io  dubbio  ,  che  almeno  in  Olanda   ed   in   Ze* 

bnda  egli  non  fosse  sfato  per  vedergli  felicemente  ridotti 

a  fine.  Concorsero  in  Ini  del  pari   la    vigilanza ,  V  indo» 

stria  ^  la  liberalità;  l»  facondia  e   la . perspicacia    in  ogni 

negozio,  con  r  ambizione ,  con  la  frande,  con  T  audacia, 

con  la  rapacità  e  co)  trasformamento  in  ogni  natura;  aor 

compagna  odo  queste  parti  buone  e  cattive  con  tutte  l' aU 

tre  che  insegna  più  sottilmente    la    scuola  def  dominare* 

.  Nelle  ragananze  pubbliche' tid  in  ogpi  altra  sorte,  ancova 

di  pratiche,  niono  specialmente^  più  di  lui  seppe  o  dispov 

gli  animi  o  raggirar  14  opinioni  o  colorire   i    pretesti    o 

accelerare  il  negozio  -  o   stancarlo  ;   né   laeglia  prenderne 

insoffiOMl  né  più  artificiosamente    in   ogni    altro    modo  1 

vantaggi.  Fa  perciò  stimato  assai  più  nel  maneggio  delle 

cose  civili ,  che  non  fu  nella  proféssion  delle  faiìlitari.  Vi* 

desi  Tarlare  di  religione  ,  *  aecondo  che  variò  d' interest* 

Da  £inciallò  in  Germania  fu  Lutecano.  Passato  in  Fiaoi* 

dra  mostrossi  Cattolico.  Ài  principio  dellp    rivolte  si  di* 

chiaro  iantor  delle  nuove  Sette  ,  ma  non  professore  mar 

nifesto  d*  alcuna  ;  sinché  finalmente  gli  parve  di  segnltar 

quella  de'  Calvinisti ,  come  la  «più  contraria  di  tutte  aUa 

Religione  cattolica  sostenuta  dal  Re  di  Spagna». 

DALLE  LETTERE. 

Al  signor  Cài/aUer  Tedeschi 

A  Vtr0fuu 

Che  .non  può  insomma  un'  ostinata  importunila  ?  Ec- 
covi una  mia  lunga  lettera  al  dispetto  delle  mie  -occupa- 
zioni ,  e  più  ancora  del  mio  decoro ,  che  non  vorrebbe 
ch^  io  ricambiassi  le  triviali  vostre  gazzette  di  Verona  , 
con  queste  nostre  eroiche  nuore  di  Fiandra.  Discorriamo 


lo8  LETTEBATURA    ITJILfAllA 

danqne.siil  serio.  E  per  4ri>pondcr.vi    prini.1    iotoroo    «I* 
r  armi  ci'  Italia,  noi  qui  spariamo  che  le  cose  in  coleste 
parli   piglieran  buona    piega' ,    e   che    fioaioiente  cotesla 
gaerra  eh'  è  stata  sempre  uii^ta  di  negoziazioni  di  pape  , 
si  conTertirà  in  vera  pace.  Io  per   la    mia  parte  cosi  ne 
giudico.  E  se  ben  dico  quello  che.  scinto ,  confèsso  nondi- 
meiio  che  dico  ancora  quello  che  vorrei»    Vorrei  la  pace 
in  Italia ,  perchè  potessero  tanto  piti  restar  libere  queste 
nostre  armi  di  Fiandra,  ed  essere  tanto  maggiori  i   pro- 
gressi-che qui  si  vanno  facendo  con  si  gran  benefizio  della 
causa    cattolica.  Ma  ^i  quest^«armi  e  di   questi    progressi 
che  si  discorre  costi  fra  voi  altri?  che  se  ne  crede?  Forse 
che  s*^  abbiiT  voglia  di  nuova  guerra  dailis  parte'  di  Spa- 
gna e  di  qqesli  Prii^cipi^?  .No  veramente.*  E    crediatelo   a 
me;  il  quale,  e 'per  ragion  del  carico  che  maneggio,   e 
per  rispetto  della  confidenza  che*  mi  si  mostra,  ho  gran* 
<d'  occasione  di  toccare  il  polso  alle  cos^  ,   e  di  saper    le 
crisi  dì  questi  moti.  L^  insolenze  degli  Eretici  non  si  po- 
tevano più  soffrire  ,  (JopQ  la  novità   d^  Aqoisgrano  e    di 
Molen.,  e    dopo    quest^  ultima  di  Giuliers  e  molte  altre 
non  si  manifeste  ,    ma    non  men  temerarie.   La  necessità 
dunque  ha. fatto  muover  questuarmi,  ed    il   favor    della 
causa  le  ha  fatte  correr  felicemente  sin  qui.  Abbiamo  re- 
stituito i^  governo  a^  Cattolici  in  Aqnisgrano  ;  s  è  disfatta 
la  fortificazione  di    Mulen  ;  e  nel    medesimo    tempo   s^  è 
entrato  in  varie  Terre  dei   Ducato    di    Giuliers.    Quindi 
poi  8^ è  passato  il  Reno,  e  dopo   alcuni    giorni   di   resi- 
stenza s' è  preso  Vesel  ;  Terra  grossa  ,  e  di    sito    impor- 
tante sopra  quel  fiume  ;  nido  d'  Eretici  ;    colluvie  d'  ogni 
lor  setta  ;  Università  dove  s*  insegna  la  lor   dottrina  ;    la 
Ginevra  in  soinma  del  Reno,  perch^  quivi  ancora  i  dogmi 
di  Calvino  soo  quelli  che  regnano ,  e  gli  abitanti  per  la 
maggior  parte  son  Calvinisti.  A  questo  segno  son  ora  le 
cose.  E,  come  dissi,  non  s^è  avuto  pensiero  qui  di  tar- 


ftScoLo  DtcnossmMo  109 

barle  ^  ma  di  ridarle  ad  ona  qviela  che  d>bia  ad  attera 
tanto  più  darabile,  qoanto  sarà  più  oooparole.  la  tanto 
restano  attooiti  sopramaiodo  gli  Eretici»  E  gli  ha  involti 
partìcolarmeole  in  graodistinii  sospetti  V  aver  veduto  ut 
questa  G>rte,  so  Tnscir  dell^ esercito,  gli  AmlMscbtori  do* 
gli  Elettori  eodesiastici  di  Germania,  che  rool  dirsi  qaarf 
di  tutta  la  Lega  cattolica;  ed  aver  vedoto  qoeslo  Amba- 
sciatore di  Spagna ,  e  me  ancora ,  andar  con  V  esercito 
lotto  Aquisgrano  nella  presente  -spedizion  che  s^  è  fatta. 
Hanno  temuto  insomma ,  e  temono  tuttavia  che  qu^ta 
sia  ooa  oollegaxione  di  tatto  il  G>rpo  cattolico  in  favor 
di  Neobnrg  appareAtemento ,  ma  in  scMtansa  a  danno  di 
tutta  la  loro  fasiane  eretica.  La  verità  è  ,  che  dal  canto 
nostro  s'è  Toloto  sostener  Neoborg,  dopo  essersi  egli  di- 
chiarato Cattolico  ;  e  s*  è  voluto  reprimer  1*  ardire  degli 
Eretici ,  i  quali  s*  livevano  di  già  con  la  speranza  divo* 
rato  V  Imperiò ,  e  posti  fra  i  denti ,  per  cosi  dire ,  gli 
Sta'ii  eodesiastwi  intorno  al  Reno,  e  particolarmente  gli 
Elettorali.  In  lutti  i  quali  maneggi  ,  quanta  sparto  abbia 
avuta  r  opera  e  1'  autorità  di  Sua  Beatitudine ,  gli  altri 
suoi  Ministri  lo  sa^no ,  e  ne  so  a  neh*  io  qualche  cosa  , 
benché  mi  confessi  il  più  debol  di  tutti.  Ma  non  debbo 
riputarmi  già  il  men  fortunale.  Ho  avnto  occasione  '  di 
trattare  in  questa  congiuntura  cose  gravissime ,  e  d' aver 
le  naaai  in  varie  pratiche  ;  V  une  tendenti  all'  armi  ,  e 
r altre  alla  oonservazion  della  quiete;  ma  non  discordanti 
però  fra  di  loro,  poiché  s'è  preteso- che  Tarmi  abbiano 
a  stabilir  maggiormente  in^  queste  parti  il  riposo.  Il  che 
spero  che  segnltà  col  divino  fasore.  Non  debbo  ripotar- 
mi ,  dico  ,  il  nen  fortunato ,  quand'  lo  considero ,  che 
oltre  alia  trattarion  de*  negozi  ho  veduto  formar  qoest^o- 
sercito,  e  vedutob  uscire  -in  campagna  e  marciare  ordi- 
natamente, e  elle  sopra  le  lancio  e  le  picche,  ed  in  bocca  * 
del*  moschetti  e  cannoni  A  portava  Peseaizione  del  Mao* 

LnTBSAT.  ITÀL.  -   IT  10 


Ito  «.ETTERITURA  ITALIA1I4 

• 

d^to  imperiale  coolro  gli  Eretici  4*  Àquisgrano.  Ma  non 
più  ;-  che  par  troppo  lunga  diventa  ormai'  questa  lettera  , 
e  troppo  mi  sodo  io  diffoso  io  riferir  tanti  saccessi  di 
qaesta  nostra  arena  militare  di  Fiandra.  Ripiglio  danqae 
la  mia  persona  di  Nnnzio ,  è  lascio  a  ?oi  la  Tostra  di 
Gazzettante.  E  per  fine  tì  prego  ogni  bene  e  contento. 
Di  BrusseUes ,  li    io  di  Settembre  1614.  ' 

AUa  signora  Donna  Caterina  Lit^ia  contessa  di  Firstimberg, 

A  Brusselles. 

Ch^  io  non  dica  mal  di  Germania  ?  come  no  !  Strade 
pessime;  leghe  eterne;  montar  e  scendere  del  oontioòfo; 
spassar  mille  fiumi  con  mille  pericoli;  doti  sin  al  ginoo^ 
chio;  venti  che  fendon  le  labbra  e  le  orecchie:  e  eh'  io 
ooQ  dica  mal  di  Germania?  Osterie  succide  :  ostesse  che 
subito  inlordan ,  non  toccan  la  maoo^;  s(ttfe  puzzolenti  ^ 
▼ini  che  tottaTia  tirano  at  mosto  ;  YÌ?aikde  piene  di  spe» 
zierie  :  e  ch^  io  non  dica  mal  di  Germania  ?  Alleviare 
ora  fira 'Calvinisti)  ora  fra  '  Luterani;  ìion  potere  dir  Mes- 
sa, né  udirla  nelle  feste  più  principali  ;  camminar  mille 
giorni  senza  trovare  alcun  luogo  di  qualità:  e  chMo  non 
gridi  contro  Germania?  Non  creda  però  V*  S.  lilustrissi» 
ma  ,  non  creda  ai  facilmente  tutto  quello  che  scrivo.  La 
verità  è,  chMo  non  ho  voluto  dirla  quasi  in  ninna  delle 
cose  che  ho  scritte.  Scherzo  è  stato  il  non  dirla  ;  e  mi 
pareva  appunto  di  scherzar  tuttavia  fra  le  conversazioni 
solite  di  Brusselles  ,  e  tullaria  di  far  la  persola  di  cor- 
tigiano ,  in  luogo  di'  quella  che  mi  conviene  far  ora  di 
viaggiante.  Mi  disdico  dunque.  Ho  trovalo  trattabil  cam- 
mino ,  leghe  tollerabili  ;  passai  il  Reno  ed  il  Danubio  Jfer 
licemente;  osterie  molto  comode;  ostesse  amorevoli ,  e 
che,  secondo  lo  stil  del  pae^,  vorrebbono  entrar  meco  a 
tavola;  stufe  tiepide  e  politissime;  vini  mollo  saporiti  del 
Reno  e  del  Necare;  Calvinisti  e  Ij«aterani,  il  cni  Calvino 


SBCOtO   DEGIMOSBTTIMO  III 

I 

e  Latero  nòo  è  altro  che  il  mangiare  ed  il  beres  questi, 
•ooo  .qaèi  tanti  mali  che  *  sinora  ho  patiti  in  Germania  ^ 
e  che  dovrò  patire  sino  al  mio  arrivo  in  Italia;  bendiè 
di  già  lotto  sarà  paese  cattolico  qàello  per  dove  io  pas- 
serò da  qai  innanzi.  Ora  mi  trovo  in  Angusta;  e  sin  qui, 
per  Dio  ì^azia,  ho  fatto  il  viaggio  prosperamente.  Passai 
il  Reno  a  Spira;  città  più  nominata  che  bella.  Ho  pas- 
sato poi  il  Danubio  a  Ulma;  vaga  città  invero,  e  che 
molto  m^  ha  soddisfatto.  Ma  qaest^  Augusta  ha  dell'  an» 
gusto  certamente  negli  edifizii,  nelle  strade  e  nel  popò- 
lo;  e  per  me  credo  che  la  Germania  non  possa  aver  città 
più  beila'  di  questa.  Qui  mi  fermerò  dimani ,  e  s^uiterò 
poi  verso  Inspruc  il  viaggio;  intorno  al  qnale  continovero 
a  dar  quel  ritgguaglio  che  debbo  a  Y.  S.  Ulnstrissimii. 
E  le  bacio  per  fine  con  ogni  affetto  le  mani ,  '  pregando 
Dio  che  le  conceda  tigni  prosperità  pici  desiderata* 
D^ Augnata ,  li  ii  di  Gennaro. lóid^ 

M  Duca  di  Monuleone. 

Prima  d*  ogni  altra  cosa ,  per  amor  di  Dio,  Y.  E.  mi 
lasci  doler  del  caldo.  Oh  che  caldo  crudele  I  Oh  che 
caldo  di  fuoco!  Un  caldo  insomma  che  ha  trasportato  il 
cielo  di  Spagna  in  Francia,  e  Siviglia  a  Turs.  E  vera- 
mente io  compatisco  Y.  E.  ,se  eosti  a  proporzione  ha 
fatto  il  caldo  che  qui.  E  questo  nostro  par  tanto  più  in- 
lopportabile,  quanto  avevamo  avuta  priiba  T  estate  solo 
di  nome,  perchè  i  giorni  erano  riusciti  quasi  tutti  di 
primavera ,  ed  il  luglio  propriamente  un  aprile.  *-  Ma 
quest' Agosto  è  una  fiamma.  Non  si  dorme  la  notte;  non 
si  riposa  il  giorno:  e  della  notte  J>isogoa  far  giorno, 
come  ^  usa  costi.  Ed  appunto  jeri  1*  altro  il  Grande  Scn^ 
diere  venne  a  trovarmi  qui  all'  Abbazia  di  Marmolier , 
dov'ìo  alloggio,  ch^era  sol  far  della  notte;  ed  il  Duca 


112  LETTERATURA   ITAMARl^ 

dt  Guisa  jermattiim  ch^  era  sai  priactpto  qaasi  del  gior* 
no.  PasteFà  questa  faria  al  fine;  ebé  ben  sa  V.  E« 
quante  le  passioni  qua,  eziandio  ^egli  elementi  mederi* 
ini  5  soB  fugig[ilÌTe.  AbbastauBa  mi  son  doluto  del  caldo  ; 
trattiamo  ora  d'aitre  materie*  -  Io  mi  trovp  aL  presente 
in  Turs  per  oocasion  della  Corte.  E  quanto  alle  cose  pub* 
Uiche ,  tutto  qui  si  riduce  al  negozio  della  Regina  ma* 
dre.  Ka  potiamo  '  sperare  che  pur  finalmente  lo  fèdremo 
presto  finito,  e  con  quella  perfezione  cbe  tutti  i  buoni 
hanno  desiderato.  Di  già  la  Regina  si  risolve  di  venire 
9  trorare^il  Re  dirittamente  qua  a  Tur-s.  Operò  molto 
invero  per  ki  riconciliazione  intiera  V  andata  del  signor 
Principe  di  Piemonte  ad  Aogolemme.  Il  Poca  di  Ho[n<- 
basone  t'  è  poi  stato  inviato  dal  Re  due  volte ,  ct^e  ha 
fatto  vedere  vànche  piò  al  vivo  la  sincera  intenzione  del 
signor  di  Luines  suo  genero  alla  Regina;  onde  Sua  Mae» 
sta  in  fine  s'è  risoluta  dt  dar  bsmda  a'' sospetti  ^  e  di 
venire  a  trovare  il  Re.  Secondo  le  passioni ,  tali  sono 
stati  i  consigi).  Ed  anche >l  di  d'oggi  non  mancan  molti 
che  la  consigliano  a  non  fidarsi.  Io  confesso  che  sono 
stato  di  quelli  che  più  hanno  procurato  di^  persuadere 
Sua  Maestà  a  venir»;  e  per  mezzo  d«l  nostro  buon  Pa- 
dre, Giuseppe  Cappruccioo,  eh'  andò  alcun!  dì  sono  aoch^e« 
gli  ad  Aogolemme ,  io  le  scrissi  e  feci  dir  liberamente 
che  non  doveva  nò  temer  più  ^  nò  tardar  pia  ;  e  ch^  io 
aveva  grand' occasione  d' assicurare  la  Maestà  Sua,  che 
le  cose  non  poterano  esser  meglio  disposte  da  questa  par« 
te.  Ho  avuta  poi  una  sua  lettera  benignissima  che  aggra- 
disce il  mio  coastglio  e  la  libertà  da  me  usata.  E  v eni- 
mente  non  si  poteva  veder  più  chiaro  di  quel  che  ho 
▼eduto  io  nel  cuore  del  Re  e  del  signor  di  Luines.  L* at- 
tendiamo qua  dunque  in  breve*  E  si  vorrebbe ,  se  fòsse 
possibile,  che  il  suo  primo  congresso  col  Re  seguisse  nel 

X  Possiamo. 


«ECOLO  BBCiaOMTTtMO  ll3 

^oróo  di  San  Laigi  ;  ^r  render  Uoto  piò  celebre  qae*' 
sto  giorno  eh*  è  per  sé  itesio  ti  celebre  io  Francia.    Da^ 
questa  rianione  si  poò  sperar  lensa  dnbbio  nn  gran  be* 
ne,  ficoome  dal  oonlrario  li  poterà  temere  on  gran  ma» 
le  ;  ed  ora  spexiaknenle  nella  eoogiantnra  delP  Assemblea' 
c^  hanno   a   far  gli  Ugonotti  qaesto   mese  che  Tiene  ^  ai' 
disegni  pertersi  de*  quali  ninna  cosa  poteva    star    meglio' 
che  la  continorasione  della  discordia  nella  Casa  reale.  A' 
qaestO'  termine  'sono  le  cose  della  Regina.  Memorabile  dnnp 
qoe  sarà  ora  Tnrs  per  la  tua  venuta  qna  lo    tale  oec»* 
sione ,  còm'  è  Biois  per  la  sna  foga  da  quel  loogo  a*  mm 
passali.  Nel  trasferirmi  alla  Corte  io  vidi  in  Blois  la  fina*  ' 
slra,  per  dove  ella  scese  di  meuanotte,    e  vidi  il  resto 
(li  qael  Castello  che  par  riservato  agli  accidenti  più  tra- 
gici della  Francia  ;  ed  in    particolare    mi   feci    condarro' 
alle  camere  deli' appartameOto  regio,  dove  fa  ammazzalo 
il  Duca  di  GoTsa  agli  Stati  generali  d*  Enrico  III.  Di  qua. 
entrò  (  mi  dicevano  )  ;  qui  ebbe  il  primo  colpo  ;  qui  sfo-  ' 
drò  mezza  la  spada  ;  qai  lo  finirono  ;  e  qaa  in  disparte 
stava-  nascosto  il  Re  stesso  a  vederlo  mmre  '.  Più  grande  ' 
fa  an<^e  T  orrore  che  mi  cagionò- il  luogo  dove  il  di  ap-' 
presso  fa  crudelmente  ammazzato  a   colpi    d'alabarde  il 
Cardinal  suo  fratello.  Vidi  la  camera ,  dove  fu  imprigio- 
Dato  al  medesimo  tempo  il  Cardinal  di  Borbone;  e  vidi 
qoella  finalmente,  dóve  poi  otto  giorni  appresso  mori  di 
dolore  la  regina  Caterina  ,   accorata   da  successi  cosi  fu- 
nesti ,  e  dalle  cotisegaenze  anche    più   funeste^  ch^  ella  ne 
predisse   al  morire  ;   e    considerai   con    grand'  attenzione 
quelle  animate»  mnraglie  che  spirano   al   vivo  le   miserie 
delle  corone  in  mezzo  alle  apparenti  loro  adorate  felicità. 
JUa  torniamo  a  Turs,  ed  a  questo  4lelizioso  paese.   Que- 
sta  veifamenté  si  potrebbe  chiamar  T  Arcadia  di  Francia; 

X  Vengasi  la  luumiftoae  di  qiuMi  fitttt  t  pag.  87  dal  prtM&U  votone 

IO» 


i 


ri 4-  IiCTTSRATCftJL  ITàLUR^ 

se  i^on  cbe  ?i  ojHiDca  nn  Saonazzaro  francese  che  la  de* 
acfiTH.  Qui  però,  se  aoo  si  ebìama  questo  paese  V  Àrca-> 
dia ,  Tien  Dominalo  almeno  il  giardino  del  regno.  E  eoa 
molta  ragione  invero  ;  si-  placidamente  ri  corre  tu  mezzo 
cjnesta  belliisima  Lojra  ;  si  amene  son  le  sae  sponde  ;  e 
n  ricche  le  campagne  qna  intórno  di  fmtti  e  d'ogni  vi-- 
sta  più  dilettevole.  Ma  che  pare  a  Y.  E.  del  silo  di  Tura 
con  questo  borgo  air  incontrò,  dov'  è  situato  qnesto  òe^ 
lebre  Monaslerio  di  Marmotier?  Che  le  pare  di  quelle 
isolette  che  fanno  un^  ponte  della  natura  congiunto  a  quello 
deir  arte ,  per  do?e^si  passa  .  il  fiume  ,  e  s*  entra  nella 
città  ?  E  cbe  le  pare  di  tanti  arbori  cbe  sorgono  fra  le 
case  dalla  parte  della  città  ,  nel  borgo  e  nelle  isoleite 
eh' ora  udIscoiIo  ed  ora  variano  con  tanto  gusto  da  tutti 
i  lati  sì  vaghe  scene  ?  .Molto  meglio^ di  me  furono  osser- 
vate forse  da  Y.  E.  queste  cose  medesime  'quand*  ella  fu 
a  Tnrs  ;  ma  bo  voluto  anch^  io  rinnovargliene  la  memo« 
ria ,  e  con  la  memoria  il  piacere.  E  tanto  basti  delle 
cose  di  qua.  In  Germania  i  progressi  del  Conte  di  Bo« 
coj,  dopo  r  arrivo  del  la^  gente  di  Fiandra,  si  sfanno  ogni 
di  maggiori;  ed  in  Francfurt  gli  Elettori  han  rÌGODo<-> 
scinto  di  già  il  re  Ferdinando  per  re  di  Boemia  ;  ch^  è 
per  lui  una  gran  caparra  delia  sna  elezione  all'  Imperio. 
Di  qua  non  si  può  proceder  meglio  nelle  cose  di  quelle 
parti  per  servizio  della  religione  e  per  vantaggio  di  Fer« 
dinando.  Finirò  questa  lettera  con  accusare  a  Y.  E.  la 
sua  delli  27  del  passato,  e  con  rallegrarmi  quanto  più 
vivamente  posso  eon  lei ,  che  sia  stato  promossa  al  Car- 
dinalato il  serenissimo  infante  Don  Ferdinando  terzoge- 
nito di  Sna  Maestà  cattolica.  Snccesso  invero,  che  noo 
potea  essere ,  né  di  più  grand'  ornamento  al  Sacro  Col* 
legio,  né  di  maggior  riputazione  alla  Chiesa  tutte.  E  bacie 
a  Y.  E.  c;|on  riverente  affetto  le  mani. 
Di  Tnrs,  li  &o  d'Agosto  1619. 


SECOLO  DICIMOSBTTiaO  11  5 


FULVIO  TESTI 


Piiivio  Tesli,  nato  in  Ferrara  nell^agosto  del  tSg^^ 
aveva  già  ciato  prove  di  nobile  ingegno  e  di  motto 
valore  poetico  nel  i6ii.  Con  tutto  ciò  si  crede  che 
V  anno  dopo ,  entrando  ai  tervif^io  deiia  Corte  di  Mo« 
dena ,  oon  ayetse  se  non  1^  ufficio  di  copista. 

Nel  i6i3  il  Testi  fu  a  Roma  ed  a  Napoli ,  nella 
prima  delle  quali  città  conobbe  il  Tassoni,  nelP  al- 
tra il  cav.  Marini^  poi  ritornato  a  Modena,  nell'ot- 
tobre del  i6i49  sì  maritò. 

Trovasi  accennato  dhe  negli  anni  seguenti  fece  un 
viaggio  a  Milano.  Nel  f6f^  dedicò  a  Carlo  Ema-. 
Duele  duca  di  Savoja  una  nuova  edizione  delle  sue 
Blme^  per  le  qu^li  gli  convenne  poi  andar  esule,  per- 
chè il  Governo  spagnuolo  irritato  d»  alcune  sue  espres- 
sioni si  diede  a  perseguitarlo.  Dopo  nove  mesi  scrisse 
una  supplica  in  ottava  rima  al  principe  Alfonso^  e 
ottenne  dal  duca  Cesare  la  permissione  di  ripatria- 
re.  Il  Duca  di  Savoja  quando  ebbe  notizia  dell'  esi- 
lio patito  dal  Testi  in  conseguenza  delle  poesie  a 
lai  dedicate,  lo  nominò  Cavaliere  dell' Ordine  dei  SS. 
Maurizio  e  Lazzaro^  dopo  di  che  il  duca  Cesare  lo 
creò  suo  virtuoso  di  Camera^  e  gli  assegnò  una  pen- 
sione. 

Questi  ed  altri  favori  destarono  V  invidia  degli 
emuli  ^  ed  egli  medesimo  il  Testi,  o  che  la  nuova 
fortuna  lo  insuperbisse  ,  o  che  la  propria  natura  a 
questo  il  traesse,  si  attirò  P  inimicizia  di  molti  cosi 
iu  Modena  come  altrove  ,  ed  a  poco  a  poco  si  di- 
saffezionò anche  V  animo  de'  suoi  sigQori ,  dei  quali 
più  volte  perdette  e  riebbe  la  grazia.  Pare  soprattutto 
che  la  Corte  di  Modena  gli  paresse  troppo  angusto 
campo  a'  suoi  meriti ,  e  che  perciò  aspirasse  a  pia 
luminoso  soggiorno  , .  vagheggiando  ora  Roma ,  ora  la 
Corte  di  Savoja. 

Dopo  il    1629,  essendo   fatto    duca   dt  Modena 


Il  6'  IkETTBBÀTUftA  ITALIANA 

Francesco  I,  il  Testi  ebbe  moltissimi  onori  in  Carte 
e  ragguardevoli  ufBci  presso  varii  potentati.  Quando  il 
Duca  andò  a  Madrid  (nel  i638)  per  levare  al  fonte 
battesimale  un  figliuolo  di  Filippo  IV ,  condusse  <;oi» 
sé  il  Testi 9  il  quale  ebbe  da  quel  Monarca  una  ìvt^ 
erosa  commenda  e  fu  ascritto  alP  Ordine  di  S.  Ja^o* 

Nel  1640   ottenne  il  governo   della   Garfagnana  ^ 
governo  (  dice  il  Gorniani  )  onorato  un   secolo   pri- 
ma dal   grande   Ariosto  ^  ma  non  seppe  al   pari    di 
lui  acquistarsi  P  amore  di  quegli  Alpigiani.  Due  anni 
dopo  ritornò    alla  Corte  dove  la   sua   ambizione   lo 
traeva  ^  e  vi  riebbe  tutti  gli  onori  di  prima.  Ma  sul 
principio  del   164^  fu  improvvisamente  arrestato,  e 
addì  28  agosto  del  medesimo  anno  morì  in  prigio- 
ne,  di   morte,    secondo  alcuni  ,  violenta  ,  secondo 
altri  ,  naturale.  Si  disse    cb'  ei  fosse  creduto  reo   di 
delitto  di  Stato  ^   ma  il   Tijraboschi   crede   che   non 
avesse  altra  colpa  tranne  quella  ^di  avere  cercato  di 
entrare  al'  servigio  della  Corte  di  Francia  senza  nem-«  - 
manco  avvisarne  il  suo  Duca.  Forse  gli  nocque  al- 
tresì lo  sdegno  di  qualche  potente  irritato  da  lui  eoa 
una  delle  sue  canzoni  :  al  certo  poi   egli   nocque  a 
sé  stesso  colla  sua  troppa  ambizione. 

U  ingegno  del  Testi  fu'  senza  dubbio  forte  e  no- 
bile quanf  altro  mai.  Nelle  sue  Poesie  s^  incontrano 
qua  e  là  alcune  volte  i  difetti  del  secolo  in  cui  vis- 
se \  ma  vi  prevalgono  a  dismisura  le  bellezze  ed  i 
pregi.  Oltre  le  Poesie  abbiamo  di  lui  molte  Lette- 
re ,  scrìtte  con  nobiltà .  e  scorrevolezza  di  stile ,  e 
quasi  sempre  con  brio. 

DALLE    POESIE. 

AWJltezza  del  Duca  di  Savoia  K 

Carlo  ,  quel  generoso  invitto  core  , 

Da  cui  spera  soccorso  Italia  oppressa  , 

I  Carlo  Emannete  I  fo  duca  di  Savoja  da)  i58q  aX  l639 ,   9  H   soprao» 
nouioaU^  1/  Cnuide, 


•SCOI.*  DBciaosiTTmo  117 

A  cbe  bada  ?  a  che  tarda  ?  a  che  più  ccim  ? 
Kostre  perdile  md  le  lae  dimore. 

Spiega  r  fesegne  oniai ,  le  acfaìei-e  aduna  , 
Fa  che  le  tue  TiUorìe  il  móndo  reggia  ; 
Per  te  milita  al  Ciel ,  per  le  guerreggia , 
Fatta  dei  tao  valor  serva  ,  Portane. 

Là  Reina  del  mar  *< riposi' il  fianco. 
Si  lisci  il  volto  e  s*  inoanelli  il  crine: 
E  mirando  le  gaerre  .a  sé  vicine 
Seggia  oeioso  infra  le  mense  il  Franco. 

Se  ne*  perigli  de  I'  incerto  Marte 

Non  hai  compagno ,  e  la  Ina  spada  è  sola , 
Kon  len  caglia.  Signor,  e  li  consola 
Ch'  altri  non  ùa  de  le  lue  glorie  a  parie. 

Gran  cose  ^  ardisce ,  è  ver ,  gran  prove  tenta 
Tuo  magnanimo  cor ,  Ina  destra  forte  ; 
Ha  non  innalza  i  Umidi  la  sorte,' 
E  non  trionfa  mai  uoìn  che  paventa. 

Per  dirapate  vie  vassl  a  là  gloria  , 
E  la  strada  d*  enor  di  sterpi  è  piena  : 
Non  vinse  alcun  senta  fatica  e  pena; 
Che  compagna  del  rischio  è  la  vittoria* 

Chi  fia  ,  se  tu  non  se^ ,  che  rompa  il  laccio 
Onde  tant*  anni  avvinta  Esperia  ^  giece  ? 
Posta  ne  la'  tua.  spada  è  la  sua  pace  y 
E  la  sua  libertà  sta  nel  Ino  braccio. 

Carlo  ,  se  *l  tuo  valor  qnest*  Idra  aocide 
Che  fa  con  tanti  capì  al  mondo  guerra  , 
Se  questo  Gerìon  ^  da  te  s^  atterra 
>  Ch*  Italia  opprime ,  i'  vo'  chiamarli  Alcide. 

1  La  Mélna  ec,  Yeneiia. 

%  Gran  cose  ee. .  Egli  h  come  sa  jl  Poeta  £eeu«  :•  3ei^  Vfsggo  cbe  le  im» 
prese  a  cut  io  ti  consiglio  ,  e  quelle  a  cui  tu  per  te  stesso  gik  ti  muovi , 
sono  ardue  e  pericolose ,  ma  pensa  che  npn  ec. .  . 

3  Esperia,  Italia. 

4  Qeràotte,  Mostro  di  tn  corpi  »  ucciso  da  Eroole  nella  Spagna,. 


IlS  tBTTBRATORl  ITAtlÀllA 

Non  isdegnar  frattanto  i  priegfai  e  i  càrnrt 
Che  ti  porgiamo ,  e  taa  bontà  o^  ascolti 9 
Fio  che,  di  servitil  liberi  e  tciolli, 
T^  alziamo  i  bronzi  •  ti  sacriamo  i  marmi* 

M  signor  cavaliere   Giuseppe  FontanellL 
Id  biasùno  deUt  tOTerdii*  deliiie  d«l  secolo* 

Poco  spazio  di  terra 
Lascian  omai  T  ambiziose  moli  *^ 
A  le  rustiche  marre ,  a  i  corri  aratri  : 
Qaasi  che  moTer  guerra 
Del  Ciel  si  roglia  agli  tlellaoti .  poli 
S'  ergono  maosolei ,  s*  alzan  teatri  ; 
E  si  locan  sotterra , 
Fin  so  le  soglie  de  le  morte  genti. 
De  le  macchine  eccelse  i  fondamenta 

Per  far  di  travi  ignòte 

Odorati  sostegni  ji  i  tetti  d^  oro 

Si  consoman  d^  Arabia  i  bòschi  intieri  : 

Di  marmi  omai  son  ròte 

Le  Ligustiche  vene  ;  e  i  sassi  lorp 

Meo  belli  son ,  perchè  non  son  stranieri  ; 

Fama  han  le  pia  rimote 

Rupi  colà  de  i'  Africa  diserta^, 

Perchè  lode  maggior  II  prezzo  merla. 

Lucide,  sontuose 

Splendon  le  mura  si  che  vergognarsi 
Fan  di  lor  povertà  I'  opre  vetuste  : 
ly  agate  preziose  , 
Di  Sardoniche  pietre  ora  son  sparsi 
I  pavimenti  de  le  logge  auguste. 
Tener  le  gemme  ascose 

t  L'embiUsse  se».  G^  tdifiaii  etetti  dall*  MobnuoM. 


SSCOLO  bBcmoiimifo  119 

Soa  mendlcbe  ricchene  •  vili  onoii; 

Sì  calcano  col  piede  ora  i  tesori. 
CedoD  gli  olmi  e  le  fili 

A  V  edre,  a  i  lauri  ;  e  fan  ielvagge  frondi 

A  le  pallide  ulive  indegni  ollraggi. 
^  Sol  cari  e  sol  gradili 

Son  gli  ombroii  cipressi  e  gP  iofeeonA 

Platani  e  i  mai  non  maritati  faggi. 

Da  gli  arenosi  liti 

Trapiaotansi  i  ginepri ,  ispidi  il  crine  ; 

Che  le  delizie  ancor  stan  ne  le  spine. 
Il  campo  ove  matura 

Biondeggiare  la  messe  or  tutto  è  pieno 

Di  rose  e  gigli  e  di  ^iole  e  nirti.    . 

La  feconda  pianura 

Si  fa  novo  diserto  ;  e  1  prato  ameno 

Boschi  a  forza  produce  orridi  ed  irti. 

Cangia  il  loco  natura  ; 

E  del  moderno  ciel  taP  ò  T  influsso. 

Che  la  sterilità  diventa  lusso. 
ITon  son ,  non  son  già  queste 

Di  Romolo  le  leggi,  e  non  fur  tali 

O  de*  Fabrizi  o  de'  Caton  gli  osenpli* 

Ben  Toi  fregiati  a?esle , 

0  de  Talma  Città  Nomi  immortali, 

Qnal  si  doTca ,  d'  oro  e  di  gemme  i  Templi  ; 

Ma  di  fìl  canna  inCeste  I 

Le  case  furo,  onde  con  chiome  incolte 

1  Consoli  di  Roma  uscir  pia  folte»  | 
Oh  !  quanto  piò  contento  | 

Vive  lo  Scita ,  a  cui  natio  ooslnme  ' 

Insegna  d^  abitar  città  f agenti.»  i 

Van  col  fecondo  armento  .  . 

Ofe.più  /fresca  è  V  orba  e  diiaro  è^  fiume  ^ 


/ 


laO  ,      LBTTKaATUttA   ITALI A1I4 

t)ì  tiete  piagge  i  cktadiai  errasti  ; 

Dan  cealo  tende  a  cenlQ 

Pop9li  albergo;  ed  è  delizia  iiutnensa 

Sdccbìar  rasticù  Jatte  a  ;parca  mensa* 
Noi,  dlJrarbara  gente 

Più  barbari  e  più  folli  ^  à  gioflo  sdegno 

La  Ratara  moviàoio.,  it  Mondo  e  Dio; 

E  ne  Fozio  .presente 

Instnpidito, è  sì  T incanto  ingegno, 

Cbe  lotto  ha  1'  aTTenir  posto  ìt\  obblio  % 

Quasi  cbe  riferente 

Longe  da  i  tetti  d'  or  Morte  passeggi , 

E  ^1  Cìel  eoa  noi  d^  eternità  patteggi. 
E  por  ,  Gittseppe  ,  è  fero 

Cbe  di  fragile  vetro  è  nostra  vita  , 

Che  più  si  spezza  allor  che  più  rispleode. 

Tardo. sì  9  ma  severo 

Panisce  il  Ciel  gli  orgogli;  e  la  ierita^ 

Cbe  da  Ini  viene  inaspettata  offendei 

Non  con  stii  menlogoer9 
'Atticbe  fole  ora  mi  sogno 'o  fingo: 

Le  giustizie  di  Dio  qni  ti  dipingo. 
In  aureo  trono  assiso 

Coronato  di  gemme  a  mensa  altera  ' 

Stava  de  V  Asia  il  Re  superbo  e  folle  ; 

Il  crin  d^  odori  intriso 

Piovea  sul  ^olto  effenàinato  ;  ed  era 

Pien  di  ùaìo  e  lascitia  il  vestir  moQe; 

Mille  di  vagb  viso  - 

Paggi  vedeànsi  a  on  solo  ufficio  inlenti 

Jlinistrar  lauti  cibi  in  tersi  argenti* 
Tutto  ciò  che  di  raro 

la  ciel  vola ,  in  mar  guizza  ,  in  terra  vive 
'  Del  convito  rea!  m  scelse  a  gli  osi. 


SECOLO  DEcnionrnao  *  ^  i  a  i 

YiDi  che  lagrrmiro 
Le  Tfli  già  sn  le  Crelensi  rire 
Far  con  prodiga  man  sparsi  e  diffiisi  ; 
Né  soave  né  caro 
Il  frutto  fa  cui  doo  giagne8S#  grido  '  , 

0  contraria  stagione  o  stranio  lido. 
Scaltro  garzone  intanto 

Per  condire  il  piacer  de  la  gran  cena 
Temprò  con  saggia  mano  arpa  dorata  ; 
E  sì  soave  il  canto 
Indi  spiegò,  cbe  in  Elicona  appena 
Febo  formisr  paò  melodia  più  grata. 
Yér  lai  sorrise  alquanto 
L'  orgoglioso  Tiranno  ;  e  mentre  disse , 
^  Non  fu  chi  battess'  occhio  o  bocca  aprisse. 

O  beata ,  o^  felice 

La  fila  di  colo!  che  *l  Fato  elesse 

A  regger  scettri  ,  a  sostener  diademi  : 

Vita  posseditrice 

Di  tatto  il  ben  che  ne  le  sfere  islèsse 

Godon  lassù  gli  Abitatola  supremi  : 

Ciò  eh'  a  Giove  in  ciel  lice 

Lice  anco  in  terra  al  Re  ;  con  egaal  sort«  ^ 

Ambo  pon  dar  la  vita  ,  ambo  fa  morte. 

Se  regolati  move 

1  sooi  viaggi  it  Sol  ;  se  V  ampio  Cielo 
<]on  moto  eterno  ognor  si  voi  ve  e  gira  ; 
Se  rugiadoso  piove, 

S*  irato  freme,  o  senza  nube  e  velo 
Di  lucido  seren  splender  si  mira , 
Opra  8oV  è  di  Giove  y 

l  Cui  non  ee, .  Quel  frutto  a  cui  noa  aecMsceife  lina^c  pM|U»  V  tutrt 
0  fiior  di  ttagioiù  o  tenuto  da  lontani  paasi. 

LITTBBAT.  nàlm  — *  1?  Il 


122  |«ETTERATCR1  ITiUilfl 

QaelP  è  sao  Regno ,  e  trìbatarie  belle. 
A  lo  sguardo  di vin  corron  le  stelle. 

Ma  se  di  bionde  Tene 

GraTÌdi  i  monti  sono ,  e  se  di  gemme 

Ricchi  ha^  r  India  felice  antri  e  'spelonche  ^ 

Se  da  le  salse  arene  ' 

Spuntai!  coralli ,  e  ne  T  Eoe  *  raarecnme 

Partoriscono  perle  argentee  conche  ; 

Son  tue ,  Signor.  Non  tiene 

Giove  imperio  quaggiù:  questa  è  la*  legge  ; 

Il  Mondo  è  iu  tuo  poter  :  il  Cielo  ei  regge. 

Sa  dunque  ,  o  fortunati 

De  I'  Asia  abitatori ,  al  JVnme  vostro 

Vittime  ofTrite  e  consacrate  altari  s 

Fumino  d^  odorati 

Incensi  i  sacri  Templi,  e'I  secol' nostro 

Terreno  Giove  a  riverire  impari  ; 

E  tu,  mentre  prostrati 

Qui  i*  adoriam  ,  Signor  ,  de^  tuoi  divoti 

Avvezzati  a  gradir  le  preci  e  i  voti.  — 

Lusingava  in  tal  guisa 

Onesti  il  Tiranno  ,  e  festeggi  a  n  ti  e  liete 

D*  ogn*^  intorno  applaudian  le  turbe  ignare; 

Quando  mano  improvvisa- 

Apparve ,  io  non  so  come ,  e  la  pareta 

Scritta  lasciò  di  queste  note  amare  e 

Tu  che  fra  canti  e  risa , 

Fra  lascivie  e-  piaceri  ora  ti  stai  ^ 

Superbissimo  Re ,  diman  morrai.  •> 

Tal  fu  'I  duro  messaggio  ; 

Nò  guari-  andò  che  da  I'  ondoso  vetro  ' 

X  Sdse  arene.  Il  letto  del  mare. 

2' Eoe»  Orientali. 

3  Ondoso  vetro.  Metafora  da  non  imitarai  per  dire  U  mare. 


SECOLO  DECIMOSBTTIBIO     '  f  a3 

Uscì  Febo  a  cacciar  V  ombra  ooUoma* 
lofelice  passaggio 

'Da  real  trooo  ire  a  mortai  feretro  , 
Dal  pranzo^  al  rogo  ^  e  da  le  tazze  a  V  ama  ! 
Cosi  Ta  chi  mai  saggio,  . 
Volgeodo  il  tergo  al.  Ciel ,  sna  speme  fenda 
Ne^  beni  di  quaggiù  lieti  qaal  fronda  '• 

Jl  sifftor  conte  Gio$wmi  BaUiOa  BondtL 
Soli*  Età  ina  corrotU  dall*  oiio. 

Ronchi ,  tu  forse  a  pie  de  V  ÀTentino 

O  del  Celio  *  or^f  aggiri.  Ivi  tra  V  erbe    . 

I  Molte  bellesM  di  p«nrieri  e  di  etile  cono  in  qneita  cuuoim;  iìccImi 
n(fa  sensa  motÌTo  si  troya  in  quasi  tntte  le  ooitie  Àntolo^e*  Woadiiweno  io 
confèsso  di  averle  dato  qui  luogo  priacipalmeate  perche  i  gioTaoi  dalla  o0ii- 
sidsratione'  di  que*-difetti  che  si  firanunischiano  file  kellesse  di  questo  compo* 
nimento  potranno  bastevolmenfe  conoscere  in  cbè  consistessero  i  vini' della  poe- 
sia italiana  nel  secolo  XTII.  ^  Il  'concetto  principale  d%,  questa  cantone  • 
tolto  da  un*  Ode  di  Orasio ,  e  molli  pensieri  ne  sono  anche  più  particolar- 
mente imitati  j  ma  la  bellessa  e  1*  eflBcacia  del  latino  si  perdono  qui  sotto 
r ingombro  dette  aunplificasioni  e  degli  ornamenti.  Oramai  (dice  Orasio)  ia 
repe  moli  lascenvmo  pochi  Jugtri  all' aratro  f  e 'questa  breve  psoposisione  oe- 
eupa  tre  intiere  strofe  del  Testi.  Kon  dico  che  ogni  ornamento,  ogni  spie- 
gaiione  aggiunta  a  quella  sentensa  sia  da  riprovarsi;  ma  quando  ,  ove  OìPI* 
aio  dice  aW  aratro,  leggiamo  nel  Testi  aUé  rustiche  marre,  ai  carvi  aratri ^ 
ben  può  affermarsi  che  qui  non  v' ha  -  guadagno  di  sorta,  leggio  poi  saremo 
costretti,  di  confessare  qualora  guardiamo  alla  strofa  quarta  ,  dove  riprovasi 
il  lusso  delle  piante  infruitupse  e  straniere  ,  e  dove  tutto  h  toìco  da  Orasio ,  | 

tranne  1'  immagine  dell*  ìspido  crine  dei  ginepri ,  e  queir  epiibnema  si  inu- 
tile Che  le  delizie  ancor  son  nelle  spine»  —  Orasio  poi  si  contenta  di  citare  | 
tontro  la  mala  usansa  del  troppo  lusso  V  esempio  istorico  ed  opportunissimo 
de*  suoi  antichi  Ronuni.  Il  Testi  v*  aggiunge- queUo  degli  Scili;  esempio  né 
lodevole  ne  imitabile ,  con  cui ,  a  mal  grado  di  ogni  ornamento  poetico ,  non 
può  aggiungere  nessiua    autoritli  -al  suo  assunto.    Citando  poi  la   storia  di 
Baldassarre  fa  dire  al  cantore  di  un  Re  babilonese  molte  cose  desunte  dalla  j 
greca  mitologia  che  quei  popoli  non  conobbero  ,   e   non   gli  attribuÌMe   nh  ' 
anche  una  parola  che  dipinga  i   costumi  di    qnell*  etiu  £gli    si  ricorda  di 
Otaeto  e  di  Orasio,  e  non  del  profeta  Daniele  da  cui  la  storia  di  quel  su-  I 
pecbo  OMMiarca  è  descritta  con  tanta  ricchessa  di  stMÙ  t  dipoMÌa* 

a  L' Aventino  e  il  Ce/to  sono  colli  di  Roma. 


124  UTTEIUTURi   ITALIANA 

Cercando  i  grandi  avanzi:^  le  soperbe 
Reliquie  yai  de  lo  splendor  Latiao, 

E  fra  sdegno  e  pietà,  mentre  che  miri 
Ore  Ufi  tempo  s'  alzar  templi  è  teatri 
Or  armenti  muggir ,  strider  aratri , 
Dal  profondo  del  cor  teco  sospiri. 

Ma  de  r.antiqa  Roma  incenerite 

Ch^  or  sian  le  moli  a  V  età  ria  ^  s'  ascriva  : 
Nostra  colpa  ben  è  cV  oggi  non  viva 
Chi  de  r  antica  Roma  i  figli  imite. 

Ben  molt*  archi  e  colonne  in  più  d\uo  segno 
Serban  del  Talor  prisco  alla  •  memoria  ; 
Ha  non  si  vede  già  per  propria  gloria  * 
Chi  i*  archi  e  di  colonìie  ora  sia  degno.    ^ 

Italia,  i  tuoi  si  generósi  spirti 

Con  dolce  inganno  ozio  e  lascivia  han  spenti  : 

.    E  non.  t^  aTTedi ,  misera  !  e  non  senti 
.C!he  i  lauri  tuoi  degeoeràro  in  mirti  ^  ? 

Perdona  addetti  miei.  Già  fùr  tool  studi 
Durar  le  membra  a  la  palestra,  al  salto. 
Frenar  coraieri  e  in  bellicoso  assalto 
Incurvar  archi  ,  impugnar  lance  e  scodi.  ' 

Or  éonsigliata  dal  cristallo  amico  ^ 

Nutrì  la  chioma  e  te  V  increspi  ad  arte  ; 
E  ne  le  vesti  di  grand'  or.  consparte 
Porti  de  gli  avi  il  patrimonio  antico»    • 

A  profumarti  il  seno  Assiria  manda 

De^  la  spiaggia  Sa  bea  gli  odor  più  fini  ; 

E,  ricche  tele  e  preziosi  lini 

Per  fregiartene  il  collo  intesse  Olanda. 

I  Aìt§tà  ria.  Ai  tempi  d«Ile  baiinridM  iavMiQui.  . 

a  Far  pro/niu  «e.,  ai  eostfuiaca:  Non  M  9ed»  ehi,  />«f  propri^  gbNm  tim 

3  In  mirti*  It  mire»  ttfa  mci»  ad  Amor».  Del  Imtro  fuefaaii  U  c^tcmm 
agli  noi. 

4  Or  eontigUttUi  ee»  •  Ora  pardaodo  il  teinpo  imuuui  allo  specchio  ec. . 


lECOtO  PECmOSITTlllO  IftS 

Spaman  nelle  tae  meue  in  tazze  aarate 
Di  Scio  pietrosa  i  peregrini  amori  ■  ; 
E  del  Falerno  in  in  gli  estiTÌ  ardori 
Doman  l'annoso  orgoglio  onde  gelate. 

A  le  saperbe  tue  prodigbe  cene' 
Mandan  pregiati  aogei  Nnmidia  e  Fasi; 
E  fra  liquidi  odori  in'  aurei  Tasi 
Foman  le  pesche  di  lontane  arene. 

Tal  non  fosti  già  tn  quando  vedesti  -^ 

I  Consoli  aratori  in  Campidoglio , 
E  tra  ruvidi  fasci  in  nmil  soglio 
Seder  mirasti  i  DittA»ri  agresti. 

Ha  le  rustiche  man  che  dietro  il  plaustro  * 
Stimolajan  pur  dianzi  i  lenti  buoi 
Fondarti  il  .Regno ,  e  gli  stendardi  UM 
Trionfando  portar  dal  Borea  a  V  Austro. 

Or  di  tante  gfandezze  appena  resta 
Vira  la  rimembranza  ;  e  mentre  insulta 
Al  valor  -morto  ,  alla  virtù  sepnlta  ., 
Te  barbaro  rigor  preme  e  calpesta. 

Ronchi  !  se  dal  letargo  in  cui  si  giace 
Kon  SI  scuote  ¥  Italia ,  aspetti  un  giorno 
(  Cosi  menta  mia  lingua  )  al  Tebro  intorno 
Accampato  veder  il  Perso  o  'I  Trace* 

M  signor  cavaliere  linea  VainL 
Che  la  vùrtn  h  più  riguardevole  della  nob&ltìi. 

Superba  nave  a  fabbricare  intento 
Dal  Libano  odorato  i  cedri  tolga 
Industre  fabbro  ,  e  sciolga 

I  /  peregrini  ec. .  I  Tini  IforesUeri.  Il  Falerno  fa  un  viào  famoio  del  re- 

S»o  di  Napoli. 

a  11  plamslro.  Il  carro*  L*  antica  storia  di  Roma  racconta  che  molti  pai* 
savane  dall*  aratro  alla  dittatura ,  e  da  questa  nuovamente  ali*  aratro  ;  e  ciò 
aeeadde  quando  Roma  fondò  con  tante  vittorie  il  »uo  grande  imperio. 

li* 


ia6  LETTERATURA    ITALiAIVA. 

Lucida  Tela  di  tessuto  argento; 

Seriche  '  siao  le  fuoi ,  e  con.  ritorto    . 

Deote  ràocora  d^  òr  s'affondi  in  piprlo: 
Non  per  tanto  avTerrà  che  meno  ondose 

TroTi  le  fie  de'  tempestosi  regni  ; 

E  a'  prettqsi  legni 

Le  procelle  del  mar  sian  più  pietose;   . 

He  che  forza  maggior  V  argentee  Tele  . 

Abbian  contro  il  furor  d'  Austro  crudele. 
Che  giova  a  1'  uom  Tantar  per  anni  e  lustri 

De  gli  avi  generosi  il  sangue  e  *1  merlo  ; 

E  in  lungh^  ordtJi#e  certo 

Mostrar  sculli  o  dipinti  i  Tolti  illustri  , 

Se  ^1  nobile  e  'I  plebeo  jcon  egual  sorte 

Approda  a  i  liti  de  V  oscura  Morte  ? 
Là  dove  *  i  neri  campi , di  sotterra 

Stige  con  zolfo  liquefatto  .inonda  , 

E  con  la  fetid^  onda 

De  r  inferna  città  T  adito  serra  , 

Stassi  nocchier  che  con  sdruscita  barca 

La  morta  gente  a  V  altra  sponda  Tarca. 
Iti  il  guerrier  del  rilucente  acciaro. 

Si  spoglia  :  itì  il  tiranno  umìì  depone 
-  Gli  scettri  e  le  corone , 

E    r  amato  tesor  lascia  T  a  Taro  :  ' 

Che  'I  passeggier  de  la  fatai  palude 

Nega  partir  se  non  con  1'  ombre  ignude. 
O  tu  ,  qualunque  se^ ,  che  gonfio  or  Tai 

Più  degli  altrui  che  de^  tuoi  fregi  adorno , 

Dopo  V  estremo  giorno 

Più  cortese  nocchiej:  già  non  aTrai  ; 

1  Seriche.  Di  seta. 

2  Là  dwe  ec..  Descrix*  il  passaggio  da  questo,  all'altro  mondo  coi    co- 
lori- della  Bfitologia. 


IBGOLO    DECIHOIBTTIMO  I^J 

Ha  Dado  spirto  ,  oiDl>ra  meodica  e  metta  , 

Varcar  tr  oonrerrà  V  onda  fanesCa* 
Orgoglioso  paTone,  a  che  li  rante 

Del  cicco  onor  de  le  gemmate  piarne? 

Gira  più  basso  il  lume 

De*  tuoi  fastosi  rai  )  mira  le  piante  : 

Coprirao  brete  èàuo ,  angosla  fossa 

Le  loe  superbe  si  ma  fracid'  ossa» 
Da  preziosa  fonte' il  Tago  ascendo 

Semina  i  campi  di  dorata  arena  i 

Ma  qoal  ruscel  eh'  a  pena 

Vada  con  poche  stille  il  saol  lambendo 

Sen  corre  al  mar  ;  né  piò  fra  i  salsi  amori 

Raffigurar  si  pon  gli  aippi  tesori* 
De  i  '  'trranni .  a  le  reggie  ,  ed  a'  tuguri 

De'  rozzi  agricoltor  con  giusta  mano 

Picchia  la'  Morte.  Insano  ,  '' 

£  chi  spera  sottrarsi  a  i  colpi  duri. 

Grand^  urna  i  .nomi-  nostri  agita  e  gira  , 

E  cieca  è  quella  man  che  fuor  .li  tira. 
Sol  la  Tirtù  del  tempo  infido  a  scherno 

Toglie  r  nòm  dal  sepolcro  e  '1  serba  jn  ?ita. 

Con  memoria  gradita 

Yife  del  grande  Alcide  il  nome  eterno, 

]^on  già  perchè  figliool  fosse  di  Giote , 

Ma  per  mille  eh*  ei  fece  illustri  prove. 
Ei  gioTinetto  ancor  in  doppio  calle 

Sotto  il  pie  si  mirò  partir  la  via, 

A  sinistra  s*  apria 

Agevole  il  seotier  giù  per  la  valle  ; 

Fiorite  eran  le  sponde ,  e  rechi  e  Jenti 

Quinci  e  quindi  scorrean  liquidi  argenti. 
Rapida  1'  altra  via  ,  scoscesa  ,  alpestra 

Salia  su  per  un  monte,  e  bronchi  e  sassi 

Rilardavano  i  passi. 


ia8  LETTERATURA  tTALIARA 

Generoso  le  piante  ei  Tolse  a  destra , 

E  ritrofò  il  seotier  de  l'erto  colle 

Quanto  piò  s' inoltrara  ,  ^ognor  più  molle* 
Onda  fresca  ,  erba  ?erde  ,  aura  8oa?e 

Godean  V  eccelse  e  fortunate  cime  : 

Qaifi  tempio  sublime 

Sacro  a  V  Eternità  con  anrea  chiaTe 

Virtù  gli  aprio  :  quindi  spiegò  le  penne  , 

E  luogo  in  Ciel  fra  gli  altri  Numi  ottenne. 
Enea ,  s'  a  lo  splendor  de  gli  aTi  egregi 

DÌ  tua  propria  virtute  àggiogni  il  raggio. 

Al  paterno  retaggio 

Accrescerai  di  gloria  incliti  fregi. 

Io  da  lungi  t'  applaudo ,  e  riverente 

Adoro  del  tno  crin  1'  ostro  nascente. 

M  signor  conte  Raimondo  MonUeuccolL 

la  biasyno  de*  GMndi  supeibi  ^ ..  n 

Ruscelletto  orgoglioso  , 

ChVignobir  figlio  di  non  chiara  fonte 

Un  natal  tenebroso 

A  Testi  intra  gli  orror  d' ispido  monte , 

E  già  con  lenti  passi  ^ 

PoTero  d^  acque  isti  lambendo  i  sassi  , 
Non  strepitar  cotanto  , 

Non  gir  si  torvo  a  flagellar  la  sponda, 

Che,  benché  maggio  alquanto 

Di  liquefatto  gel  *  t^  accresca  1'  onda , 

SopraT Terrà  ben  tosto 

Essiccator  di/ tue  gonfiezze  agósto» 

1  È  i(snoto  qaal  foue  veramente  il  pwsoiiaggio  contro  -cui  il  Poeta  direese 
questa  forte  e  bella  allegoria  |  alla  .quale  poi  recano  i  biografi  V  improTTÌsa 
fi? entura  a  cui  soggiacque. 

X  Di  liquefatto  ec. .  Le  nevi  liquefatte  dai  primi  caldi  dell*  estate  sogliono 
ingrossare  per  qualche  tempo  anche  i  piccioli  torrenti,  che  p«i  nell*  agosto 
inaridiscono»  Non  cosi  i  veri  e  grandi  fiumi»  come  il  P«k 


SECOLO  DBCiaOSETTiaiO  1^9 

Placido  in  leoo  a  Teli 

Grao*  re  de*  fiami  il  Po  ditcioglie  il  corto  | 

Ma  di  Telati  abeti 

HaoehiBè  eccelso  ognoc  tostien  lol  dono, 

Kè  per  arsura  estiva    .      - 

In  più  breve  coofia  ttrigae  saa  rira« 
To  le  gregge  -e  t  pastori 

Hinaociando  per  'fU  spomi'  e  ribolli-, 

E  di  BOB  propr}  aoMri 

Posaesaor  moneataBeo  il  corno  estolli  ' 

Torbido  obliquo,  e  qoesto 

Dei  tuo  sol  bai';  lotto  alieao  è  il  resto. 
Ma  fermezza  non  tiene - 

Riso  di  cielo ,  e  sue  ficende  ba  V  aimo  i 

In  nude  aride  arene 

A  terminar  i  tuoi  dilav)  andranno , 

E  con  asciatto'  piedo 

Un  giorno  ancor'' di  calpestarti  ho-  lede. 
So  che  1'. acque  son  sorde, 

Raimondo,  e  cb'  è  follia  garrir  col  rio  ; 

Ma  sovra  aooie  corde 

Di  si  cantar  talor  diletto  ba  Clio  *  ^ 

E  io  mistiebe  parole 

Alti  sensi  al  tiI  volgo  asconder  mole* 
Sotto  ciel  non  lontano 

Por  dianzi  ìnlnn^idir  torrente  i*  vidi , 

Che  di  tropp'  acqne  insano 

Rapita  i  boschi  e  divorava  i  lidi; 

E  gir  credea  del  pari. 

Per  non  darabil  piena ,  a*  più  grao  mari* 
Io  dal'  fragore  orrendo 

Lungi  m^  assisi  a  romit*  alpe  in  cima  , 

1  //  oorÀo.  I  fiumi  rappresentavasù  sotto  la  forma  di  un  toro. 
2.  CUoj  cioè  ;  La  M«sa  )  o  in.  general«  :  I  poeti. 


l3o  LETTERATDBA   ITALUHA 

In  mio  cor  rivolgendo  , 

Qoarera  il  fiome  allora  e  qual  fa  prima., 

Qaal  facea  d«J   passaggio 

Con  non  legiuim'  onda  a  i  campì  -  oltraggio. 
Ed  ecco  il  crin  ▼aganle 

Coronalo  di  lauro  e  pia  di  lume 

Apparirmi  davaote 

Di  Cirravil  biondo  re  Febo  il  mio  nome: 

E,  dir:  Mortale  orgoglio  '^ 

Lubrico  ha  il  regno,  e  rovinoso  il  soglio. 
Mutar  vicende  e  Toglie ,    ■ 
^        D^  instabile  fortunf  è  slabiP  arte; 

Presto  dà  ,  presto  toglie ,  ^ 

Viene  e  t'abbraccia,  indi  t^  abborre' e  parte: 

Ma  quanto  sa  si  cange  ; 

Saggio  cor  poco  ride  e  poco  piange. 
Prode  è  '1  noccbier  che  '1  legno 

Salva  tra  fiera  aquilonar  tempesta  ; 

Ma  d*  egual  lode  è  degno 

Qael  eh'  al  placido  mar  fede  non  presta , 

E  deir  aura  infedele* 

Scema,  la  turgidezza  in  scarse  vele  '• 
Sovra  ogni  prisco  eroe  ^ 

Io  del  grande  A-gatode  *  il  nome  onoro , 

Che  delle  vene  eoe 

Ben  su  le  mense  ei  folgorar  fe^Toro^ 

Ma  per  temprarne  il  lampo. 

Alla  creta  paterna  anco  die  campo. 


t  in  écarse  velej  cioè  t  Saggio  h  iX  nocchiero  che  non  dispiega  iutte  le 
vele  al  Tento  >  benché  so£f)  a  seconda.  JB  faor  di  metafora  •  Saggio .  «  colui 
éhe  non  si -abbandona  totalmente  alla  fortuna  propizia. 

a  Agatocìe  figliuolo  di  un  vasajo  diventò  re  di  Siracusa,  e  si  dice  che 
▼olle  sempre  avere  alla,  sua  mensa  fini  gli  utensili  d*  argento  qoidcba  vaso 
di  terra  che  gli  ricordasse  T  umiltà  del  suo  pnmo  stato. 


SEGOLO   DECIMeSETTiaO  l3f 

Parto  vii  della  terra 

La  bassezza  oocaltar  de^  saoi   natali 

Non  poò  Tifeo  ■  :  par  gaerra 

HoTC  air  alte  del  ciel  soglie  immortali. 

Che  fia?  Sott'Etna  cólto 

Prima  che  morto  ì^ì  riman  sepolto* 
Egaal  fingersi  tenta 

Sa  Imeneo  *  a  Giove  ali  or  che  tanna  ed  arde  ; 

Fabbrica  nnbi,  inventa 

Simulati  fragor,,  $amme  bugiarde , 

Fulminator  'mendace 

Fulminato  da  senno  a  terra  giaee.  ^ 
Mentre  Y  orecchie  i'  porgo  ' 

Ebbro  di  maraviglia  al  Dio  facondo , 

Giro  lo  sguardo  e  scòrgo 

Del  rio  superbo  inaridito  il  fondo*, 

E  conculcar  per  rabbia 

Ogni  armento  più  vii  la  secca  sabbia/' 

DALLE  LETTERE 

M  Serenissimo  Duca  di  Modano. 

Dopo  che  VA.  y.  m'onorò  del  titolo  di  sao  servitore 
io  non  le  ho  mai  chiesta  alcuna  grazia,  che  riguardi  Ta- 
vanzamento  e  comodo  mio  personale  ;  si  perchè  sapeva 
die  la  generosità  del  suo  animo  non  aveva  bisogno  di 
stimoli,  si  perchè  la  riverenza  della  mia  volontà  non 
aveva  ardire  di  presentarsele  d'  avanti  con  alcuna  sorte 
di  pretensione.  Ora  T  angustie  in  cui  sono  ridotte  le  cose 
della  mia  casa,  e  ^1  desiderio  di  vedere  in  qualche  parte 

1  Tifeo  «DO  dei  giganti  figliuoli  della  Tenra  che  diedero  V  assalto  ali*  O- 
limpo,  e  fialminato  da  Giove  fu  scbiaedato  sotto  TEtna. 

a  Salmonto  ,  figliuolo  di  Eolo  re  dell'  Elide ,  volle  conlrafl&r  la  possama 
di  Giove,  e  mostrarsi  agli  nomìiii  come  padrone  del  fulmine.  Ma  Giove  lo 
ftthttiiiò  davvero. 


igli,  M  6hm»  é  Boa  seoza 

V.  A.^  ed  esporre   agli 

MK  ■■Maaae  avppiicazioni. 

*  a^B^^r  liBipo  Spniai    è  liceszìato   dal 

di  «  •  ^  9  od  io  aaoBg^HBOB   dbe   il   Govemo 

A  ^oeslo  aspi- 
I  mtBÈ  pOHKn  BMHbr  Efla  mm  mt  npolaMe  me* 

VaUkà  o  irffeieKm   io  bm  io    |olMii    che    possa 
o  1.  A.»  So  kao  dbe  F  appGcaiiooe  al   suo 

ck'  EBT  ko  aeapre   potolo 

_     io  hì  aia  stalo.    Hoo 

«  Ko  di  6nBÌ  oaaBer  obvoKbìv;  bo  procorato 

£   iHuMJ  in 

lio 

3  Rieri,  gowcroatore 

I,  cy  fii  ««fi?  Toeoo  d'olaoi  altri 

di  pnemm  3  aio  ^mU^g^  eoo    al- 

Im  wam  ■■«  aaoo  ■die;  e  lo  alalo  io  cai 

di 


S^i^diT.  JL;oa 

torio  eoi  |fcWìi|,noa  durai^ 

dd 
k 

^  tvMiOMROM  «Ipfel  o  dik 

«ritoioii  <(  aKC^ìSbro  «dna  io 
#MUie 


SECOLO  DBCIMOSBTTIHO  ]33 

irebbe  farsi  con*  eseinpia  del  già  signor  conte  Gio?aniti 
Battista  Roachi ,  che  si  fermò  più  di  tre  anni  alla  Corte 
eatloIi<:a  ,  perchè  coll^  esempio  del  medesimo  e  per  gra* 
zia  speciale  di  V.  A.  io  potessi  godere  anche  'di  lontano 
qnegii  alili  ed  emolamenii  che  il  detto  signore  fa  solito 
di  g€>dere  mentre  st  trattenne  in  Ispagna.  Non  ho  volato 
ricorrere  ad  alena  mezzo  d'aatorità  per  disporre  TA.  V. 
a  qoesta  grazia.;  perchè  siccome  non  devo  angastiare  Ta* 
nimo  sao  con  alcnna  violenta  impertanità  ,  cosi  non  vo- 
glio da  altra  mano  che  dalla  saa  riconoscere  i  miei  solle- 
▼anaenti.  Sappiico  ainilissimamente  PA.  V.  a  perdonarmi 
r  ardire  cagionato  dalla  necessità ,  ed  a  persuadersi  che  9 
col  Governo  e  senza  ,.io  sia  per  chiamarmi  sempre  bene- 
ficato e  rimuneralo  da  lei  :  alla  quale  con  profondissima 
riverenza  m' inchino. 

>l  Roma  li  ^6  loglio  1634. 


Dopo  i  discorsi  .^narrati  a  V.  Altezza  nell'  altra  mia  , 
il  Papa  '  levatosi  da  sedere  s*  è  messo  a  passeggiare  per 
la  camera,  e  con  viso  ridente  m'  ha  dimandato  che  fào- 
ciaDO  le  mie  Hase.  Io  colla  rooltiplicità  delle  occupazioni 
ho  procarato  di  scasare  la  mia  negligenza;  ma  Sua  San- 
tità ripigliandomi  ha  soggiunto:  E^noi  pure  abMamo  qua!- 
die  n^ozio  ;  e  con  tutto  ciò  per  nostra  ricreazione  fac^ 
ciamo  alle  volte  qualche  componimento.  Ci  sono  nltima- 
meote  asciti  dalla  penna  alcuni  versi  latini,  e  vogliamo 
che  T.  S.  li  .senta  ;  «^  e  cosi  tirandosi  nell*  altra  camera 
dove  dorme,  ha  dato  di  piglio  a  nn  foglio,  e  m*ha  letta 
an'  Oda  fatta  a  imitazione  d^  Orazio  che  veramente  è 
bellissima.  Io  T  ho  lodata  ed  esaltata  fino  alle  stelle,  per- 
chè cerio  nei  componimenti  latini    il  Papa    ha  pochi  o 


UrrSSAT.  ITÀL.  -  IV  id 


l3a  LBTTERàTURl   ITALlAlTjL 

solleTata  la  fortuna  de'  mìei  figli ,  mt  Taono^  é  non  senza 
rossoYe,  rompere  il  silenzio  con  V.  A.^  ed  esporre    agli 
occhi  della  sua  benignila  le  mie  umilissime  sopplicazioni. 
Intendo  che  il  signor  Xicopo    Spaccini    è  licenziato    dal 
servigio  di  V.  A. ,   ed    in    cesseguenza    che    il   GoTcrno 
della  Garfagnana  di  nnoTO  r.esta  vacante.  A  questo  aspi« 
rerebbero  i  miei  pensieri  mentr'  Ella  me  ne  riputasse  me- 
ritevole. Di  fede  e  di  divozione  io  nod   cedo   a    chi    che 
sia.  D'abilità  e  sufficienza,   io   non   se    quello   che    possa 
promettere  a  V.  A..  So  bene  che  V  applicazione  al   sao 
servigio  sarebbe  quella  stessa   db'  EH'-' ha   sempre   potato 
conoscere  in  ogni  quAlooque  luogo  io  mi   sia   slato.    Noa 
è  piaciuto  a  Dio  di  farmi  nascer  cavaliere;  ho  procurato 
Dondimeiro  colle  mie  onorate  operazioni   di    mettermi    io 
posto  e  credito  tale,    che   per    questa   parte    io   non  ho 
molto  da  dolermi  della  fortuna»  Mia  il  Ricci,  governatore 
della  slessa  provincia,  chi  fu  egli?  Taccio  d^  alcuni  altri 
per  non  mostrare  di  procurare  H  mio  vantaggio  con    al- 
trui discapito,  Le  mie  mani  sono  nette;  e  lo  stalo  in  cai 
mi  ritrovo  dopo  tant^  anni  di  servitù    e   con   una    carica 
della  quale  altri  forse  avrebbe  sappto  molto  bene  appro» 
fitlarsj ,  ne  può  rendere  hidubitata  testimonianza.    In  co- 
iesla  ritiratezza  potrei  risarcire  le   cose   mie  ;    e    in  cosi 
fatta  solitudine  potrebbe  la    mia    penna    mostrarsi    grata 
alle  glorie  di  V.  A.  ;  e  se  non  dubitassi  di  parer    teme- 
rario nel  paragone  direi ,    che  V  Ariosto  ancora  fu  dalla 
grand^  anima   del  duca    Alfonso    I    onorato   di   quel  Go- 
verno.   Io   non    posso   sapere    se   Y.   A*   abbia    pensiero 
di  rifermarmi  qui  o  di  richiamarmi  a   Modana  ;    so-  che 
oeir  una  e  nelP  altra  guisa  io  son  prontissimo  aò    ubbi- 
dire :  ma  che  oell'  uno  e  nell*  altro  luogo   il   mio   stato 
ha  bisogno  di  qualche  sua  benigna  riflessione.   Se  Y.  A. 
mi  facesse  mercede   del   suddetto  Governo.,  e  volesse  poi 
anche  per  qualche    tempo   tenermi    in  Roma,    ciò    pò* 


SECOLO  DECIMOSBTTIHO  1  33 

irebbe  farsi  coìY  eseiopio  ilei  già  iigaor  conte  GioTanni 
Bfttliita  RoBchi^che  si  fermò  pili  di  Ira  aoni  alla  G>rle 
eatlolica ,  perchè  coll^  esempio  del  medesimo  e  per  gra« 
zìa  speciale  di  V.  A.  io  potessi  godere  anche  'di  lontano 
qnegli  utili  ed  emolumenti  che  il  detto  signore  fa  solito 
di  godere  mentre  si  trattenne  in  Ispagna.  Non  ho  volato 
ricorrere  ad  alcnn  mezzo  d' autori  là  per  disporre  V  A.  V. 
a  qaeata  grazia.;  perchè  siccome  non  devo  aognstiare  i'a* 
nimo  ano  con  alcuna  Tiolenta  impertanilà  ,  cosi  non  vo- 
glio da  altra  mano  che  dalla  sua  riconoscere  i  miei  solle- 
vamenti. Supplico  umilissimamente  PA.  V.  a  perdonarmi 
r  ardire  cagionato  dalla  necessità ,  ed  a  persuadersi  ch<*, 
col  Governo  e  senza  ,.io  sia  per  chiamarmi  sempre  bene- 
ficato e  rimuneralo  da  lei  s  alla  quale  con  profondissima 
riverenza  m' inchino. 

Di  Roma  li  %6  luglio  1634. 

JUo  iUSMO, 

Dopo  ì  discorsi  /"narrati  a  V .  Altezza  nell'  altra  mia  , 
il  Papa  *  levatosi  da  sedere  s^  è  messo  a  passeggiare  per 
la  camera ,  e  coji  fiso  ridente  m*  ha  dimandato  che  fac- 
ciano le  mie  Hase.  Io  colla  rooltiplicità  delle  occupazioni 
ho  procurato  di  scusare  la  mia  negligenza;  ma  Sua  San- 
tità ripigliandomi  ha  soggiunto:  E- noi  pure  abbiamo  qual- 
che negozio  ;  e  con  tutto  ciò  per  nostra  ricreazione  fa(^ 
clamo  alle  volte  qualche  componimento.  Ci  sono  ultima- 
mente asciti  dalla  penna  alcuni  vèrsi  latini,  e  vogliamo 
che  T.  S«  li  .senta  ;  -^  e  cosi  tirandosi  nell*  altra  camera 
dove  dorme,  ha  dato  di  piglio  a  un  foglio,  e  m'ha  letta 
un*  Oda  fatta  a  imitazione  d^  Orazio  che  veramente  è 
bellissima.  Io  Tho  lodata  ed  esaitata  fino  alle  stelle,  per- 
chè certo  nei  componimenti  latini    il   Papa    ha   pochi  o 

LsrrnAT.  itàIn  -  iv  id 


l34  LETTERATURA    ITALIAHA 

nissDDO  che  ragguagli.  E  toroala  Sua  SaDlità  a  sedere, 
e  diffondeodocì  ameodoe,  cioè  il  Papa  nel  compiacimento 
delle  lodi  ed  io  Dell'  iograDdimento  degli  eDcomj,  è  tor- 
nato un^  altra  Tolta  a  levarsi  in  piedi,  e  menaodomi  nella 
atessa  camera  m'  ha  fatta  Tederé  nn'  altr'  Oda  por  latina 
oontra  gì'  Ippocriti ,  graziosa  m  rero  e  bella  al  paragone 
dell*  altra.  Messosi  poi  a  passeggiare  per  la  camera  m*  ha 
detto  d*  avere  molte  composizioni  toscane  fatte  da  poco 
tompo  in  qaa ,  e  di  Tolere  eh'  io  le  vegga  nna  per  una. 
Ha.  rese  a  me  le  lodi  che  ho  date  alle  cose  sue,  ed  ha 
parlato  della  mia  persona  in  forma  che  a  me  non  istà 
bene  di  riferire.  M'ha  dimandato  in  ultimo  se  V.  A.  si 
diletta  di  poesia ,  sapendo  molto  bene  che  ha  studiato 
da  giovane.  Ho  risposto  che  si;  e  non  ho  mentito  in  que- 
sto :  ma  per  secondare  Tumore  di  Sua  Santità  colf  adu- 
lazione, vi  ho  subito  aggiunta  una  grandissima  bugia,  cioè 
c^e  V.  A.  tiene  del  cootintio  sopra  la  sua  tavola  il  libro 
delle  sue  Poesie  latine ,  e  che  ne  sa  alcune  alla  mente. 
y.  A.  stupirebbe  se  sapesse  quanto  Sua  Santità  si  sia 
rallegrata  di  questo ,  ed  io  gliene  do  conto  perchè  si 
compiaccia  d*  autenticare  la  mia  bugia  con  farsi  ritrovare 
su  la  tavola  il  suddetto  libro  quando  verrà  Marzerino  e 
Stonsignor  1'  Arcivescovo  di  Santa  Severina  ;  ed  abbia 
memoria  ancora  di  farne  loro  qualche  motto,  perchè  que- 
sta bagattella  può  giovar,  infinitamente.  Se  V.  A*  non  ha 
il  libro,  comandi  che  gli  sia  cercato  nel  mio  gabinetto 
della  Segreteria,  perchè  vi  dovrebb* essere.,  se  la  memo^ 
ria  mal  non  mi  serve;  ed  in  ogni  caso  il  Vescovo  mio 
fratello  Taverà  in  casa.  Riverisco  umilissimamento  l'A.  V», 
e  prego  Dio  benedetto  che  le  conceda  il  colmo  d'  ogni 
grandezza  e  prosperità. 
Di  Roma  li  zi  agosto  i634. 


•BCOtO  DBCmOSBTTlBIO  l35 


DANIELLO  BARTOU 


U  Italia  ha  pochissimi  prosatori  che  nèlki  purità 
delle  voci  e  nelb  varia  elegansa  delle  frasi  uguaglino  il 
P.  Daniello  Bartoli  gesuita.  Imitarlo  non  sarebbe  font 
utile  quando  bene  (bike  possibile;  perchè  quella  sua 
squisitezza  di  stile  è  spesso >  troppo  lontana  dalla  po« 
pokrità  )  e  dopo.. la  lettura  di  alcune  pagine  stanca 
non  di  rado  anche  coloro  che  eono  capaci  d^  inten- 
derla e  d^  apprezzarla  :  propqrsi  di  conoscere  tuita 
la  grande  ricchezza  d^l  nostro  idioma ,  tutte  le  ri« 
poste  bellezze  delle  quali  esso  può  vestire  ogn*  ideai 
e  non  leggere  i  volumi  del*  Bartoli ,  sarebbe  un  la- 
sciare in  disparte  ciò  che  può  condurci  al  fine  de- 
siderato con  pia  speditezza  e  comodità. 

Egli  nacque  in  Ferrara  nel  1608  :  entrò  di  quio* 
dici  anni  nell^  Ordine  de^  Gesuiti  in  Novellara  :  de-- 
siderò  di  dedicarsi  alle  missioni  nelle  Indie,  ma  per 
ubbidire  a^  sqoi  superiori  dovette  invece  dapprima 
insegnare  per  alcuni  anni  Rettorica ,  e  poi  consa« 
<;rarsi  alla  predicazione^  nella  quale,  si  procacciò  mol« 
tissima  fama.  Nel  i65o  fu  chiamato  a  Roma,  dov^ 
ebbe  incumbenza  di  scrivere  la  Storia  della  Compa- 
gnia; e  quivi  mori  aM3  génnajo  del  i6$5.  Il  graa 
numero  de^  volumi  che  il  Bartoli  ci  ha  lasciati  & 
manifesto  che  quella  poltura  di  stile  a  cui  altri  non 
saprebbe  pure  accostarsi  senza  uno  'studio  continuo  j 
era  a  lui  divenuta  famigliare  e  naturale. 

La  Storia  della  Compagnia  di  Gesù^  alla  quale 
premise  la  vita. del  fondatore  san tMgnazio,  fu  da  lui 
divisa  secondo  i  paesi  nei  quali  que'  Padri  si  spin- 
sero a  predicar  P  Evangelio,  e  sono  l'Asia  (cioè  le 
Indie  orientali,  il  Giappone ,  la  Gina) ^  rioghilterra 
e  r  Italia  :  dal  qual  diségno  gli  venne  un  ordine  più 
chiaro ,  ed  anche  il  vantaggio   di  arricchire  i  suoi 


l36  LBTTBBATITBA   ITAtlAllA 

libri  con  molte  ootizie  sni  luoghi  e  sui  costumi  de- 
gli abitanti. 

Scrisse  poi  alcune  Vite  d^  illustri  Gesuiti,  e  molte 
opere  di  vario  argomento  ,  fra  le  quali  se  ne  con- 
tano alcune  spettanti  alle  scienze ,  altre  spettanti  alla 
lingua  ed  alla  gramtìoatica  ^  e  tutte  con  somma  ric- 
chezza e  purità  di  lingua '•  Ma^  per  essersi  tròppo 
attenuto  alla  filosofia  peripatetica  .cb^  i  Religiosi  fu- 
rono ultimi  ad  abbandonare  ,  una  gran  parte  di 
que'  suoi  volumi  non  si  potrebbe  leggere  senza  vero 
perdimento  di-  tempa.  Anche  dal.  lato  dei  concetti 
egli  (  fuorché  nelle  Storie  )  è  spesse  volte  riprove- 
vole, e  cade  nelle  sofistiche  sottigliezze  e  nei  falsi 
ornamenti  del  suo  secolo  ^  dei  quale*  potrebbe  dirsi 
che  di  qualche  odore  anche  quel  suo  studio,  per- 
pètuo di  voler  dire  ogni  cosa  in  modo  peregrino  e 
con  eleganza  inusata.  Alcuni  poi  appuntarono  certe 
voci  e  frasi  da  lui  usate^  e  perchè  le  condannavano 
con  quella  solita  formola:  questo  nan  si  può  cUre^ 
egli  scrisse  contro  costoro  una  singolare  operetta , 
intitolata  :  //  Torio  e  il  Diritto  del  non  si  può ^  dato 
in  giudizio  sopra  molte  regole  della  lingua  italiana. 
Del  qual  libro  disse  benissimo  il'Fontanioi,  che  i^a 
preso  con  discernimento  ^  per  insegnarsi  in  esso  a 
difendere  gli  errori  di  lingua^  i  quali  è  meglio  non 
fare  che  avergli  ostinatamente  a  difendere. 


DALL*  ASIA. 


San  Francesco  Saverio  rìiUMCÙa  un  fincwOo. 

Stava  il  SaTeriov  in  nna  chiesetta  dedicata  al  santo 
Protomartire  Stefano,  parato  per  celebrare,  quando  udì 
appressarsi  ?oci  di  gran  lameoto  e  pianti  aHa  disperata  ; 
e  chiestane  la  cagione ,  fogli  detto ,  quella  essère  una 
infelice  n^adre ,  che  coi  parentado  e  i   Ticini  ,    veniva    a 

I  11  SfaisuccbeUi  annovera  diciassette  opere. 


8BCOLO  DBC1H0SETTÌH«  lì'] 

seppellir  quivi  oo  suo  .figlinolo ,  cadalo  disgrasiaUmente 
ìa  QD  pozzo ,  e  aonegato?!.  lateaerìssi  il  Saoto  alla  scia- 
gura del  figliuolo  e  al  dolor  della  madre;  e,  come  sta* 
▼a ,  IQ  abito  sacerdotale ,  fattolesi  incontro  per  conso- 
larla ,  poiché  ella  il  .vide ,  venoe  sobito  in  isperanxa 
die  riavrebbe,  per  suo  niezzo  il  figlinolo  :  e  prostesaglisi 
innanzi ,  e  abbracciatigli  strettamente  i  piedi ,  più  col 
pianto  che  con  le  parole,  il  pregò  a  risuscitarglielo: 
dicendo ,  che  ben  poteva  farlo  ,  tanto  sol  che  il  volesse  « 
^li  che  appresso  Dio  poteva  ogni  cosa:  non  le  negasse 
una  sì  giusta  domanda*,  che  ^  lui  non  costava  pici  che 
una  brieve  preghiera  ;  a  lei  e  al  suo  figliuolo  Importava 
la  vita.  Non  furono  sparse  in  vano  quelle  lagrime  e  quei 
prieghi,  non  della  madre  sola,  ma  ancora  de* circosta»^ 
ti,  che  piangendo  con  lei,  ad  .alte  voci  il  pregavano 
della  grazia.  Si.  pose' il  ^anto  ginocchioni,  e  orò  breve^ 
mente  ;  indi  levatosi  ,  e  preso  per  la  mano  il  fanciullo  , 
gli  comandò,  che,  in  nome  di  Gesù  Cristo,  si  alzasse 
e  vivesse.  Incontanente  ne  seguilo  V  effelto  ;  e  grldanda 
tutti,  miracolo I  vollarono  i  lamenti  in  voci  di  giubilo, 
e  il  pianto  di  dolore  in  lagrime  d'  allegrezza. 

Opposizióne  dei  Cristiani  di  Ternate  ^  che  san  Ft'ancesco 
ebbe  a  sincere  per  passare  neW  Isola  del  Moro^ 

Già  V  antica  e  la  nuova  cristianità  del  9f oloco  era 
in  isia^o  da  fidarsene  tanto,  che  parve  al  Santo  .Padre 
poter  sicuramente  recar  ad  eflfetto  quello,  di  che,  fin  da 
quando  stava*  in  AmbóLoo  *,  avea  conceputo  un  accesissimo 
des^lerio;  e  in  parte,  per  adempierlo,  quivi  di  colà  si 
era  condotto.  Ciò  era  ,  di  passar  oltre  a  portar  la  Fede 
e  il  nome  di  Cristo  alla  tanto  temuta  nazione  del  Moro. 
Ma  sul  primo  mettersi  in  procinto  di  quel  pericoloso  pas* 

I  Ternate  è  U  prìncipak  dtlla  ùol«  Moluecha  ne\  man  deil*  lodUt. 
s  AfnbòiHO*  Una  delU  ìm1«  Moluccbet 

lai* 


'  1  3S  LCTTERATUBl    ITALIlNA* 

saggio ,  anzi  al  solo  dirne  che  fece ,  tanti  e  si  gagliardi 
incoiitri  si  atlraTcrsàroDo  al  tao  disegno,  che  fuor  che  an 
caore,  anti  an  zelo  apostolico  come  il  suo,  non  sarebbe 
riuscito  bastevole  a  saperarli.  Navigare  a  quelle  isole, 
pareva  a^  Cristiani  di  Ternate  quanto  andarsi  a  cercar 
da  sé  stesso  la  morie ,  per  mano  di  gente ,  la  quale ,  se 
per  gola  di  carne  umana  ,  di  che  'sono  ingordissimi ,  a 
quegli  del  proprio  sangue  non  la  perdona;  quanto  mcitoo 
ad  un  forestiere,  di  paese  incognito,  di  religione  contra- 
ria ,  di  nascimento  ,  appresso  que'  barbari ,  barbaro ,  e 
non  difeso  dal  timore  delle  armi  de' Portoghesi  ;  i  quali 
colà  pòco  usavano ,  dovef  non  eran  mantenimenti  per  vi- 
Tere,  non  che  mercatanzie  per  trafficare.  Se  altro  non 
.fosse  ,  che  V  infelicissima  condizion  del  paese  ,  in  certo 
modo  maladelto  dalla  natura  ;  si  povero  é  d^  ogni  bene , 
e  in  acconcio  più  di  fière  che  d^  uomini ,  tutto  dirupi  e 
balzi  di  monti  e  selve  impraticabili  ,  acque  salmastre , 
aria  gravosa ,  oltre  alle  spesse  piogge  di  penere  e  di  fuo- 
co ,  e  alle  tempeste  di  sassi  ,  che  con  orrèndi  tremuoti 
dalle  voragHii ,  sia  della  terra*  o  dell'  inferno ,  si  scaglia- 
no :  il  mettersi  per  colà ,  non  èra  un  gittarsi  a  morire 
alla  disperala  ?  Ma  nulla  fòsse  di  ciò.  Che  poteva  spe- 
rarsi da  uomini  divoratori  denomini,  privi  d'ogni  altro 
ingegno ,  che  da  lavorar  veleni ,  e  senza  uso.  d'  altro  di- 
scorso ,  che  da  ordir*  tradimenti  ,  di  che  sono  eccellenti 
maestri  ?  Tra  ladroni  poi ,  che  hanno  per  arte  da  so- 
stentarsi il  rubare  T altrui,  chi  il  manterrebbe  del  suo? 
Chi  il  guiderebbe  aUe  selve  e  alle  caverne ,  dove  tanti 
di  loro  a  guisa  di  fiere  s'  annidano ,  quivi  addestrando 
i  piccoli  figliuoli  a  saettare  i  cignali ,  perchè  da  quella 
scuoia  più  ammaestrati,  escano  alla  caccia  degli 'uomini? 
Come  innesterebbe  principi  ,di  legge  divina  in  petti , 
che  parca  non  avessero  uè  pur  quegli  del  primo  istinto 
della  natura  ?  Gli  converrebbe  prima  recarli  ad  essere  di 


8BC0LO    DBGIMOSBTTIHO  ì3^ 

bestie  oomini,  poscia  d' oomini  farne  Cristiani;'  e  a  tal 
•fine  9  divellerne  la  fierezza ,  la  disonesti^ ,  la  barbarie ,  "e 
mille  altri  viz) ,  trartti  dal  nascimento ,  cresciuti  seco  con 
gli  anni,  e  con  V  oso  fatti  natura.  Era  ciò  da  sperarsi  ? 
E  fosselo  non  pertanto.  Cambiasseli  fino  a.  recarli  a  co- 
stami d'  nomini  ,  a  legge  di  Cristiani.  Quanto  ci  si  ter- 
Tebbono  fermi?  DQrei;ebbono  in  tal  essere  ',  se  non  quanto 
egli  dorasse  bon  loro?  E  chi  di  poi  soltentrerebbe  in  sua 
▼eoe  a  mantenerli  ?  Chi  avrebbe  un  cuor ,  come  il  suo , 
per  ardire  ;  e  ono  spirito ,  come  il  suo ,  per  poter  tan- 
to ?  Non  era  ancor  secco  il  sangue  di  Simon  Yaz  sacer- 
dote ,  che  in  onta  e  in  compagnia  de'  Portoghesi ,  am- 
mazzarono a  tradimento.  Né  il  movesse  desiderio  di  mo- 
rire colà  martire  di  Gesù  Cristo;  che  il  loro  uccidere, 
era  fierezza  di  genio  bestiale ,  non  odio  di  religione  che 
non  conoscevano.  Mancavano  quivi  intorno  isole  a  miglia- 
ia ,  dove  non  era  ancor  giunto  il  primo  conoscimento  di 
Dio,  e  vi  si  porterel^be.con  frutto?  À  che  gitlare  la  pro- 
pria vita  e  la  salute  altrui ,  per  una  speranza  incerta , 
anzi  per  qua  certa  disperazione?  -  Queste  ragioni  non  me 
le  ho  io  lavorate  da  me  medesimo.  Furono  veramente 
quelle  che  !  Cristiani  di  Ternate  (  i  quali  tenevano  il 
Saverio  in  queiP  amore  che  padre  * ,  /s  in  quella  reverenza 
che  santo  ) ,  per  estrema  pietà  che  d'  ogni  suo  male  ave* 
vano ,  gli  uni  a  vicenda  degli  altri ,  gli  dissero  ;  aggiun- 
gendo poscia  alle  ragioni,  efficacissimi  prieghi  e  lagrime, 
per  distornarlo  e  svolgerlo  dal  suo  proponimento. 

Ha  poiché  videro ,  che  di  niun  prò  riusciva  quanto 
essi  ado|>eravano  per  impetrare  che  si  rimanesse  da  quel- 
la andata  ,  passaron  più  avanti  ;  e  dalle  ra^gioni  si  volsero 
alla  forza ,  fiuo  ad  indurre  il  Capitan  di  Ternate  »  far 
•evero  divieto,  pena  fa  nave  e-T  avere  ^,  niun  marinajo 

1  In  tal  esserti  cioè  :  Nella  qualità  di  Crìstiani. 

a  in  que^  ec, .  In  quell*  amore  in  cai  tuoi  teneni  il  padre. 

3  Pena  la  na»e  ec.»  Sotto  pena  di  perdere  la  nave  #  le  •o»tanie* 


I40  LETTEHATnBA  ITALIANA 

fosse  ardito  di  navigare  'il  P.  Francesco  a  ^ual  si.  fosse 
delle  isole  del'  Moro.  Egli  allprà  si  risenti  ,  e  forte  do^ 
Jendosi  del  poco  veder  che  facevano  nelle  cose  di  Dio  , 
«ali  in  pergamo  ;  e  sopra  P  abbandonanento  di  qaella 
misera  gentilità ,  orò  con  tal  veemenza  di  spirito ,  che 
non  solamente  gì'  indusse  a  rivocare  il  divieto,  e  non  di- 
sdirgli r  andata,' ma  giunse  fino  ad.  accendere  nel  cuor 
di  molti ,  desiderio  e  proponimento  di  seguirlo ,  e  d*  es^ 
tergli,  senza  niuti  risparmio  della  vita  ,  compagni  della 
navigazione ,  coadiatori  nelle  etiche  ,  e  consorti ,  biso** 
gnandolo,  nella  morte.  E  chi  erano  essi  (^  disse  il  Save- 
rio )  ,  che  uléttevano  termine  alla  potenza  di  Dio  ,  e  si 
cortamente  sentivano  delia  sua  grazia  ?  Quasi  vi  fosse 
durezza  di  cuori  si  ostinati ,  che  non  bastasse  a  rammol- 
lirla ;«o  rozzezza  d' aoime  sì  selvagge,  che  non  fosse  va- 
levole a  domesticarla  quella  soave,  ma  incontrastabile 
virtù  deir  Altissimo  ,  che  può  far  ffottare  le  verghe 
aride  e  morte,  e  suscitar  dalle  pietre  i  figliuoli  d"*  A- 
hramo.  Poveri  di-  cuore  e  'ciechi  di  mente  che  erano  1 
Chi  avea  convertito  il  mondo  alla'  sua  Fede,  e  soggettate 
le  nazioni,  d^gli  nomini  alf  imperio  della  sna  legge,  man- 
cherebbe ofa  in  un  palmo  di  terra  ?  Sole  le  isole  del 
Moro  sarebboDO  sterili  a)  coltiva'mento  della  mano  di  Dio, 
e  non  potrebbe  egli  farvi  allignare,  e  dar  frutti  d'eterna 
salute  ,  la  Croce  del  Salvatore  ?  E  quando  il  suo  Padre 
offerse  a  Cristo  in  eredità  tutte  le  genti ,  soli  se.  ne  ec- 
cettuarono i  Morotesi  ?  Soiìo  incolti-,  sono  selvaggi,  sono 
bestiali..  Sieno  anche  peggiori.  E  per  questo  medesimo, 
ch^egli  non  àyea  che  sperare  nella  propria  virtù  per  tras- 
mutarli ,  maggiormente  lo  sperava  ;  tutto  affidandosi  a. 
Dio,  dal  cui  solo  potere  deriva  quanto,  nella  conreirsione 
delle  anime ,  le  umane  forze  ,  a  si  grande  opera  da  sé 
in  tutto  sproporzionate,  ricevono.  E  se  per  esser  costoro 

I  Nariffu^j  in  significato  di  Condurre  po'  awe*. 


SBGOLO  DECIHOSBTTHIO  l^'I 

A  barbari .,  e  si  malagevole  V  addimetticarli ,  ftoa  v*  era 
cbi  ardisse  di  prenderli  a  odiivare,  preoderali  egli  a  sao 
rìschio*  Ad  altre  naBioni ,  o  piii  colte ,  o  meo  barbare  9 
altri  non  maocberebbono  :  queste  fofsero  soe,  perchè  noil 
sarebboQo  di  niono.  lUò  doTeao  perciò  dargliene  biasimo 
di  temerità.  Se  le  isole  del  Mord  avessero  seire  d'aro» 
mati ,  montagne  d^  oro  e  mari  di  perle  ^  bc^  avrebboa 
coore  da  navigar  colà,  e  vìncere  ogni  pericolo,  per  farvi 
loro  incetto  e  lor  commercio  1  Cristiani  :  or  che  non  v'  è 
altro  che  anime  da  guadagnare,  non  v*è  nulla  che  me- 
riti? E  la  carità. ne^ figlinoli  di  Dio,  non  ha  da  aver 
tanto  animo ,  quanto  n'  avrebbe  V  avarizia  ne'  figlinoD  de) 
secolo?  M^ uccideranr, /dite  voi,  di  veleno  odi  ferro«  IloD 
ve  ne  diate  pensiero  ch^  io  non  merito  tanto  '•  Questa  000 
è  grazia  da  uomini  ,  come  me»  Ma  ben  vi  dico  (  sono 
parole  sue  proprie  ) ,  che  .non  sono  tanti  i  tormenti  e  lo 
morti  che  mi  possono  dare ,  che  più  non  '  sia  apparep» 
chiato  di  riceverne  per  la  salute  anche  solo  d*  un'  ani* 
ma.  E  che  gran  cosa  è,  che  un  uomo  mooja  per  salvar 
quegli,  per  cui  è  morto  Iddio?  E  forse,  quando  por 
cosi  avvenisse,  a  convertir  quelle  genti  sarà  più  possente 
il  mio  sangue  che  la  mia  voce. ,  Cosi ,  fin  dai  primi  so* 
coli  della  Chiesa ,  è  nata  e  cresciuta  la  sementa  delP  E* 
vangeKo  nelle  incolte  terre  del  gentilesimo,  più  al  rigo  * 
del  sangue  de*  martiri ,  che  del  sudore  de*  predicatori. 
Fini  ,  dicendo  ,  che  non  v'  era  qui  che  temere  aUro  che 
il  propri<^  timore.  Iddio  il  chiamava  culà  :  per  uomini 
non  si  rimarrebtie  d'  andarvi. 

Marte  dèi  R  Antonio  Criminale  in  Remanancor, 

Seimila  tra  Saractni  e  idolatri ,  •*  adonarono   in  cam* 
pò,  tutti  bene  in  punto  d^  armi  in  asta  ,  d*«rchibosi,  e 

X  Non  merito  tanU>$  cioè  :  H  on  marito  U  gtoria  del  martirìo. 
3  Bi^  Bìto. 


142  LBTTBRITUHA   ITALUICA 

d*^ogni  maniera  dì  saetlanie  alla  moresca  ;  e  levate  le  io* 
•egae ,  senza  batter  tambaro ,  s*  aTvtarono  io  Verso  Re- 
manancor  si  chetamente ,  che  i  Portoghesi  non  ne  sep- 
pero, se  non  in  qael  medesimo  che  li  si  videro  sopra* 
Ma  perchè  i  barbari  Tenivano  non  tutti  in  corpo^»  e  con 
ordinanza ,  ma  spartatamente  e  scatenati ,  a  più  e  meno 
insieme ,  e  chi  più  tosto  ,  e  chi  più  tardi ,  convenne  a^ 
primL  far  atto  ,  sin  che  sopraggi  ungessero  i  più  lontani  : 
e  intanto,  mentre  ingrossaTano ,  i  Portoghesi  ebbero  agio 
da  recarsi  insieme ,  spiar  de^  nemici ,  e  prétider  consiglio; 
benché  quanto  al  consiglio  non  ?Ì  fu  che  dibattere  ',  si 
ooDcordemente  si  stabili  di  ritirarsi  al  mare ,  e  abbando- 
nar quello  che  non  si  poteva  difendere.  I  nemici,  essere 
oltre  numero  molti  :  quaranta  eh*  essi  erano  ^  non  fàv 
corpo  da  sostener  contro  a  tanti  \  e  i  paesani  da  non. 
fidarsene  in  tal  estremo,  come  più  destri  a  pescare  die  a 
combattere:  il  Forte,  male  in  difesa,  e  da  non  tenersi 
ad  assalto':  sopra  totU>,  le  armi  da  fuoco,  inutili  4- per 
mancamento  di  polvere.  ^  Il  P.  Antonio  Criminale ,  che 
^ivi  appresso  ammaestrava  ne*  Divini  Mister}  un  viila§» 
già  da  lui  poco  avanti  battezzato  ,:  intesa  la-  venata  de' 
Badagi  verso  Sedala  e  Remanancor,  subitamente  v'  ac» 
oorse,  e  trovati  i  Portoghesi  in  punto  di  metterai  in  ma- 
re ^  increscén  dogli  de^  Cristiani  di  quelle  Terre^  che.  privi 
di  difesa  e  di  scampo,  rimaneano  allo  strazio  de^  nemici, 
pregò  il  Capitano,  di  cercar  se  v*era  luogo  a  patteggiare 
e  comporsi  co'  Badagi,  salve  almeno  le  vite  loro  e  de* 
paesani:  ma  egli,  fermo  d* andarsene,  non  caro  altro  che 
i  suoi;  ì  terrazzani  si  procacciassero  quello  scampo  che 
m^lio  sapevano.  E  già  essi  vedutisi  in  abbandono  f  co- 
minciavano ,  chi  ne  aveva ,  a  rifuggire  alle  loro  barchet- 
te, con  quel  tutto  che  poteva  portarsi    della   famiglila   e 

1.  Al  0011  teaert(  «e./  Tale  da  qòb  poter  réiiilero  ad  ttit  aualtqt 


SECOLO    bECIHOSETTIMO  1^3 

del  povero  avere  :  i  più  Talenti ,  a  gittarsi  a  nnòto  verto 
gli  scogli  di  Cilao  eh'  erano  i  più  vicini ,  laogl  a  meo 
di-  due  miglia  di  rnare.^  Il  maggior  pericolo  era  delle 
donne  e  de'  fanciulli ,  che  in  gran  numero  rimanevano  ; 
e  vedutisi  lasciati  alle  mani  de*  barbari,  empievano  Paria 
di  grida  e  di  pianti,  con  no  miserabii  discorrimento, 
senza-  saper  dove  assicurar  la  vita  e  la  libertà.  Il  Crimi- 
nale ,  che  dalla  jisposta  del  Capitano  ,  vedute  le  cose  in 
perdizione ,  era  ito  alla  Chiesa  qui  vicina ,  a  piangere 
innanzi  a  Dio  la  sciagura  di  quella  innocente  Cristianità: 
indi,  tornato  a  soccorrerla,  in  rappresentarglisi  quel  mi- 
serabile spettacolo  di  tanti  abbandonati,  che  chiedevan 
per  Dio  mercè  e  non  la  trovavano ,  fortemente  s*  into>* 
neri  ;,  non  per  quel  solo  danno  temporale  che ,  perdendo 
la  libertà  o  la  vita ,  ne  avrebbono  ;  ma  per  1'  eterna  sa- 
lute che  in  mano  de'  Badagi  andavano  a  gran  rischio  di 
perdere  :  donne  e  fanciulli  la  maggior  parte ,  e  troppo 
deboli  a  sostener  le  minacce  e  i  tormenti  che .  loro,  d»- 
rebbono ,  per  tornarli  al  Gentilesinow  Perciò ,  facendola 
da  buono  e  leal  pastore ,  che  dà  V  anima  sua  per  la  soa 
greggia ,  dove  fuggendo  anch*  egli  co*  Portoghesi  che  V  •• 
sortavano  a  non  tras^rare  la  sua.  vita  per  quella  degFIo- 
diani ,  avrebbe  potuto  sicuramente  camparla  ,  volle  anti 
rimanerne  in  pericolo,  e  salvare  quanto  per  lui  si  potes» 
le  anime  commesse  alla  sua  fede*.  Così  rimaso,  e  dandosi 
da  per  tutto ,  dov*  erane  di  que*  meschini ,  a  raccordar 
loro  con  parole  .di  spirito ,  quale  a  si  gran  bi&ogncK-  si 
richiedeva,  la  costanza  nella  Santa  Fede  fino  alla  morte, 
e  la  mercede  della  vita  eterna,  con  che'  Iddio  ia  ricam* 
bierebbe , .  in  un  medesimo  '  aiutava  4i  rifuggire  alle  navi 
quanti  più  fanciulli  e  donne  poteva*  E  perchè  buon  nu- 
mero se  n'  erano  adunali  nella  fchiesa ,  colà  ^i  rivolse  : 

l  In  UH  medeHmoi  cioi  :  Ilei  medeiimo  tenpo  che  diva  «pwili  lìeoxdi  > 
•joUnra  ec«- 


t44  lETTERiTORA   IT  ALIALA 

(jfaando  i  Baciaci ,  che  già  erano  in  quanlilà  da  non  temer 
de*  nemici,  calaron  battendo;  aftri  Jid  attraversare  i  pas* 
si ,  altri  in  cerca  de'  nascosi ,  i  più  al  mare ,  dov^  era  la 
pressa  dfrVfuggenti  >.  Ne  i  Portoghesi  fnron  si  presti  a  rac- 
oorsi|  o  a  dilungar  dal  Kto  le  oa?t,  che  sei  di  loro  non 
ne  fbsser  feriti  di  sì  mal  colpo,  che  tre   qaasi    ioconta- 
nente,   indi   a  poco  altri  dae,  ne  morirono.    Intanto    il 
P«  Antonio  s*  ddl  appresso  nn  gran  calpestio,  e  fólto  in- 
dietro, poiché  Tide  esser  nemici  che  gli   venivan    sopra  ^ 
•t  mise  con  le  ginocchia  a  terra,  e  con  le  braccia  e  con 
gli  occhi  alzati  terso  il  cielo,  in  atto  non  tanto  d^aspet* 
tar  la  morie,  come  d'invitarla.  Ha  i  barbari,    fermatisi 
nn  poco  a  >  mirarlo ,  con  istopore  di  qnell'  atto   che    loro 
parve  da  nomo  d^ animo  forte,  non  solo  non  gli  nocque* 
ro  ,  ma  ono  d' essi  il  rilevò  in  piedi ,  e  passarono.  Indi 
a  poco,  ,nna  nuova  tarba  di  Badagi  il  sepraggioi^;   ed 
egli  nel  medesimo  atto  di  prima  si  presentò  incontro  alle 
loro  armi:  e  qnesti  altresì,  còme  i  primi,  il  passarono; 
je  non  che  uno   d' essi  gli  tolse  di   capo    la  berretta    e 
non  altro.  Pareva  che  Iddio   godesse  di    veder    replicare 
più  volte  al  suo  servo  quella   sì    pronta   offerta   che    gli 
faceva  della  sqa  vita.  Ed  era  egli  non  molto  Ipntano  dalla 
chiesa ,   quando  i  terzi  gli  furon  sopra  ;  ed  egli  la  terza 
▼oka  ginocchioni,  e  nelfatto  di  prima,   si  acconciò.  Al- 
lora nn  certo,  che  ad  un  cotal  velo  che  portava  avvolto 
al  capo ,  in  guisa  di  turbante ,  si  crede  che  fosse  Sara- 
cino, gli  Cbcdò  un'asta  per  to  fianco*  sinistro;  e   intanto 
i  compagni  ^  tagliarono  in  pezzi  un  ferventissimo  Cristiano 
che  gli  veniva  appresso ,  battezzato  da  lui ,   e  adoperato 
in  ammaestrar  ne*  Mister]  della  Fede  i  fanciulli.  Altri  fu- 
rono sopra  il  Padre,  e  in  guisa  di  ladroni  si  diedero   a 
spogliarlo-;  ed  egli,  senza  né  risentirsi  della    ferita ^    né 

I  Ihv^  era  «e. .  Dovt  Ì  (aggeliti  enno  ia  nagiglor  foUs* 


tECOtO   DECIX0SETT1MO  14^ 

CDrbarsi  di  quella  Tioteoza,  come  dì  propria  voioDlà  desse 
loro  la  saa  veste  in  dooo,  eoa  le  soe  medesime  mani  so 
la  sfibbiò  dal  collo  ,   e   ajotolli    a    trargliela.    Poscia   gli 
stracciarono  la  camicia  in  dosso,  e    portandone  t  pezzi, 
e  schiamazzando  per   allegrezza  ,   se    ne  andarono.    Egli 
così  ignodo  e  ferito ,  riinessosi  in  pie ,  prosegui  Terso  la 
chiesa  ,    ma   ^on  andò  molti  passi   avanti  ,  che  si    senti 
dietro  naove  grida  d^  nn  Badaga  ;  verso  il  quale  rivolto^ 
si ,  il  barbaro  gli  die  d*  ana  me^z'  asta  nel  petto ,  e  la- 
seiatarela  dentro  fitta ,  trascorse  dove  il  furore  il  portava 
ad  altre  parti.  Il  Sant'  nomo  s*  inginocchiò,  e  con  le  soe 
mani  si  trasse  quell*  arme  fuori  dei  petto;  e  pur  bramoso 
d'  oflèrire  il  sacrificio  della  sua  vita ,  dove  la  mattina  di 
quel  medesimo  dì  avea  nella  Messa  offerto  a   Dio  quello 
del  suo  FigKoolo ,  tutto*  grondante .  di  sangue ,  e  a   pass» 
deboli  e  scarsi ,  perchè  oramai  mancava  ,  si  ravviò  verso 
la  chiesa.    Ma  non  gli  fu  conceduta   quell'  ultima    conso- 
lazione ,  a  cagion  d'altri  nemici  che  il  raggiunsero,  e    il 
ferirono  di  due  lanciate  ,  V  una  sopra  le  spalle  ,  V  altra 
per  mezzo  le  coste.  Egli  allora  si  cadde  sulle  ginocchia, 
e  traboccò  da  un  lato;  e  i  barbari,  ancor  palpitante,  il 
finirono ,  spiccandogli  con  un  colpo  di   scimitarra    la    t»* 
sta  ;  la  quale  levata  in  on^  asta ,  insieme  co'  brani    della 
camicia  insanguinata  che  dicevamo ,  inalberarono  sulla  vetta 
(chi  scrive  del  Tempio,  e  chi  del  Forte  abbandonato), 
a  veduta  e  sdierno  de'  Portoghesi. 

Impostura  di  un  Bramane  Giogue  smascherata. 

Mi  par  singolarmente  degno  d'  essere  ricordato  un  Bra- 
mane Giogué ,  il  quale  uscito  dell'  eremo ,  dove  era  vi* 
voto  alquanti  anni  in  solitudine  e  in  penitenza,  cominciò 
a  farsi  vedere  fra*  suoi  ^  a  predicare ,  e  dir  di  se ,  eh'  e* 
gli  era  il  tale,  morto  tanti  anni  prima,  anzi  prima  d\al- 
fera  vivuto  e  morto  più  volle ,  ma  sempre,  grazia  degli 

LITTBRÀT.  tILU  -—IT  I^ 


/ 


I46  LETTEBATURA  ITALIANA 

Iddii ,  risascitato;  non  seaipliceroente  perchè  egli  avesse 
la  vita  (che  una  beata  e  perpetualmenle  dare?ole  in  pa- 
fadiso  non  glie  ne  mancava  ,   se  non    avesse  voluto  risa- 
scitar^),  ma  perchè  tornasse  a  riprenderli  e  correggere  i 
loro  costumi;  ad  esortarli  a  penitenza;  ad  avvisarli  d'es* 
sere  più  riverenti  a^  Pagodi ,  più  costanti  nelP  antica  re* 
llgiooe,  più  liberali  co*  Bramani  e  co^  Giogni.  Con  que- 
sto dire  trovò  tanta  fède  nel  credulo  e  semplice   popolo, 
che  ▼'  avevano  di  quegli  che  davano  certissimi  indie),  che 
in  verità  egli  era  morto ,  e  ne  dicevano  il  dove  ,   il  co- 
me,   il   quando  :  e  perchè  il  ribaldo   raccordava    avveni- 
menti di  parecchj  anni  addietro  ,  tutti  (  diceva  egli  )  ac* 
caduti  lui  vivo  e  veggente;  trovato  il  quando  intervenne- 
ro ',  si  fermò  per  indubitabile  ch^  egli  era  in  età  d*  oltre 
a  trecento  anni.  Or,  come  il  miracolo  era  sì  nuovo  e  si 
grande  ,  ne  andò  prestamente  la  fama  per  tutto   intorno 
il  paese ,  e  si  veniva  in  processione  a  vederlo  e  a  udir- 
lo, non  altrimenti  che  se  dal  cielo  fosse  calalo  in  terra* 
Scandalo  e  confusione  ne  avevano  i   Cristiani ,    a   cagioa 
de^  continui  rimproveri  che  loro  facevano  gP  Idolatri ,  di- 
cendo: Dove  potevano  essi  mostrare  un  uomo  vivoto    tre 
secoli,  e  più  che  venti  volte  risuscitato?  Parer  gran  cosa 
a  dire  che  i  Padri  * ,  per   ammaestrarli ,  navigando    ve- 
nissero fin  d*  Europa  ;  or ,  quanto  più  era,  risuscitando , 
venir    un  de*  loro    maestri  fin   dair  altro   mondo  ?   E    il 
persuadevano  a  non  pochi  :  sì  fattamente  ,   che  essendosi 
ardito  il  Giogue  a  venire  in  Bembar  ,    terra   de*  Cristia- 
ni, vi  fu  accolto  con  qualche  dimostrazione  di  riverenza. 
Ma  quanto  prima  ne  intese  il  P.  Enrichez,  allora  infermo 
in  Pnnicale,  lungi  da  Bembar  una  giornata,  gl'invio  su* 
bitamente  un  messo ,  che  da  sua  parte  gli  desse   il    ben 

1  Trovato  il  quando  ec,j  cioè  :  GooiMeiando*  U  tempo  in  cui  tptnU  cose 
Énuio  arrenate. 

2  /  Padri.  I  Gefvltì. 


IBCOLO   OBCtMOSKTTtHO  I4f 

feonto,  e  caMamente  il  pregane  a  non  gravani  *  di  paa* 
sar  olire  fino  a  Panicaie ,  che   non   Terrebbe  sensa   tao 
grand'  olile.  Egli  malato ,  non  estere  in  forze  da  mettersi 
in  Ttaggio,  e  par  bramare  federlo,  conoscerlo  e  goder 
d'  nn  tant*  nomo ,  quanto   a   ini   fosse   in  piacere  conce» 
dergli.  1/  infilo  fa  si  cortese ,  che  il    Giogne   il   tenne  , 
sperando  ,  come  ingordissimo  di  denari ,  che  il  Padre  il 
rimeriterebbe  di  qoel  riaggio  con   alcon   ricco    presente, 
colio  dal  pubblico  di  qne*  Cristiani  che  erano  i  pia  doti* 
uosi  di  tolta  la  Pescheria.  Afviossi  donqne  con  gran  pò» 
polo  addietro,  e  io  Panicaie  entrò  con  solennità  e  pom* 
pa ,  a  maniera  di  trionfante:  schiere  d'  nomini  e  di  fin* 
dalli   inghirlandati  ,   cori   di    musici    e   trombettieri   che 
SQonarano  alla  disperata  ;  egli ,  in  meno  di  tolti ,  iotor^ 
niato  di  nobiltà;  e  beato  chi  gli  era  più  da  ficino  I  Coti 
il  falso  profeta  non  iodovinava  ,   che  tanto  più  fitupere* 
Tole  e  ignominioso  gli  doterà  essere,  indi  a   tre  giorni, 
r uscir  di  PuDÌcale,  solo  e  negletto,  quanto   più  fastoso 
e  superbo  ora  f'^entrara.  Il  ricetimento  con  che  il  P.  Ar* 
rigo  *,  nel  primo Tncontrarlo,  raccolse,  fu  un  infilo  che 
gli  fé'  a  foce  alta ,  perchè  ognun  V  intendesse  :   Di  man- 
tenere  in  dispaia ,  coram  populo,  quella  sua  dottrina  che  ^ 
tanto  importafa  al.  mondo  che  si  sapesse,  che  si  era  fatto 
in  Ini  quel  non  mai   più   inteso    miracolo,   di   risuscitar 
tante  folte,  e  tornare  a  rirere,  per  dirolgarla  :  non  pò* 
tersene  ritrarre  per  dubbio  di  non  restar  sicuramente  al 
di  sopra  :  che  la  rerità  è  inrincibile  ;    ed  egli  ,   maestro 
di  trecento  anni ,   V  arerà    a  sostenere   contra  nn    nomo 
ordinario.  A  cosi  impror f  iso  annunzio ,  il  Giogne ,  a  coi 
la  sua  coscienza  dicera  il  fero,  amarri;  ma    pure,  ansi 

* 

S  ji  non  grmwiL  Tal  quanto  din  t  JÌ  «o»  itueUrH  rineru€trt  di  te, . 
A  11  P*  Arrigo,  12  Enrìcbes  predetto. 

3  Che,  La  quale.  La  eognisione  della  quale  «fa  UotaimporUnto»  che  per 
divulgarla  ti  era  £iUo  ec. 


\ 


14^  LETTBRÌT0RA   ITALIANA, 

per  rergogoa  che  per  animo   che   gFi    bastasse    a    tanto  ^ 
fattosi  cuore,  disse:    Che    volentieri;  e   il    di' appresso  ^ 
amendue  furono  in  campo.  Spettatori   e   testiraonj    ioter— 
Tennero  i  più  riguardevoli  d' amendue  le  parti,  e  popolo 
oltre  numero,  curiosi,  più  che  nnlP altro,  di  veder  chia- 
rito il  si  o  il  no  di  quella  stupenda  e  tanto  celebrata  re— 
•urrezione  :  a  cui  poiché  si  venne ,  il  misero  Giogue  che 
già  in  più  articoli  era  convinto  dì  falsità,  non  ebbe  cuore 
di  sostenersi  :  e  '  còme  per  dar  fede  alle   tante    volle   che 
diceva  esser  morto  e  risuscitato  in  occulto,  gli  convenisse 
ora  qui,  almeno  una  volta ,  morire  e  risuscitare  in  pale«> 
se,  non  si  volle  arrischiare ' alla  prova  dell'  arvenire,    né 
alla  difesa  del  passato^  e  si  spacciò  dalla  dispula,  dicendo 
a!  P*  Enrichez  ,  che  forte  si  maravigliava  che    un    qoido 
di  senno  come  lui ,  non    sapesse  che  punto  non  rilieva , 
che  finto  o  vero  sia  qualunque  detto  o  fatto    è    tale  che 
lion  nuoce  a  veruno,  e  se  ne  trae  bene    per    sé ,  e  me- 
rito per  altrui.  E  intendeva  delle   grandi    limosino  ,    che 
quella  sua  fintione  gli  rispondeva  *  :  onde  ed  egli  ne  stava 
bene,   e  i  di  voti    che    glie  l'offerivano    ne    acquistavano 
merito  ;    e  con  questo ,   difesa  una  falsità  con  00'  altra  , 
rizzossi ,  *e  se  ne  andò.  Ma  non  già  il  P»  Enrichez ,    che 
•opra  il  punto  che  il  Giogue  gli  lasciava  in  mano ,  prò» 
segui  a  dire  in  discrédito  della  fallace  .dottrina    de'  Bra- 
maoi    e   de*  Giogui  ;  a*  quali ,  non  la  verità ,  ma  1'  inte> 
resse  ,  insegna  a  dire  ciò  che.  divulgano  al   popolo ,   mi* 
racolooi  e  mister]  da  credersi  tanto  meno,  quanto  hanno 
'di  più  del  maraviglioso  e  del  grande.    E  sopra  ciò  disse 
tanto ,  che  si  levò  fra*  Gentili  questa  voce  :  Che  in    falli 
non  si  procede  con  sincerità,  se  non  nella  legge  critlìana 
che  va  col  lume  della  ragion  natarale;  e  -con   indubitati 
principi  discorrendo,  conduce  a  segreti  di  più  allo  cono- 

I  Gli  rispoHdwa»  per  QU  prvduem^a* 


SECOLO  ]>ECtMOSBTTlHO  7^9 

ici  mento.  —  Gmì  la  disputa  terminò  :  i  Cmtiaoi,  con  in» 
comparabile  giubilo  trimifarono ,  e  il  Giogne  Sfergognato, 
lenza  tronJie  ne  seguito  di  femno^  ansi  oocaltamenle 
da  tutti  se  ne  andò:  fermo  di  non  tornarsi  a ^ seppellire 

Dell'  eremo,  poiché  osoendone ,-  non   poteva   piò  fingersi 

rbaacitato.  ; 

Usanza  d^  Ciappomsi, 

I  Signori  di  titolo  che  si  aitano  contro  i  proprj  Re, 
nsaasa  de' Giapponesi  è,  che  scoperti  che  siano,  se  mae- 
ohinaTano  tradimento,  o  rotti  * ,  se  movevano  guerra,  il 
Re  mandi  lor  denunziare  la  morte,  per  lo  tal  di:  né  in 
tanto  si  guardano  in  carcere,  né  da' famigli  della  giusti* 
lia  si  custodiscono ,  ma  passeggiano  liberi  :  ed  é  nna  tal 
grandigia  de'*  Principi  %  «mostrare  d*  averli  in  pngno,  an^ 
eorchè  vadano  sciolti*  Il  *  sentenziato  ,  all'  annunzio  della 
morte,  se  ha  Cuore  da  nobile,    dimanda   d'  uccidersi,  di 
tua  mano  :  e  dove  il  Re  gliel  consenta  (  ed  é  grazia  sin« 
golare  ) ,  quel  di  appunto  si  veste ,  come  in  solennità  ^li 
nozze,  pomposissimamente;  e  convitati,  quanti  può  aver» 
ne,  amici  e  parenti,  veggènte  ognuno,  con  la  sua   me- 
desima catana^  si  sega  il  ventre  <son  due  gran    tagli    in 
croce,  e  perde  in  un  medesimo  la  vita  e  l'infamia:  che 
appresso  quella  superba  nazione  che  si'  pregia  di  genero- 
sità pili  che  niun'  altra  del  mondo,  quell'-aver  cuore  da 
uccidersi ,    massimamente    coinè    il    fanno ,    senza   mutar 
sembiante,   né  dar  voce  o  gemiti    di    dolore,  si    repula 
gloria  ,    che.  ogni  passato  disonore  cancella  :    né   resta    il 
nome  del  morto  in  memoria  di  traditore  ,- anzi   di   ma- 
gnanimo e  forte  :  onde  né  anche  a'  suoi  figliuoli ,  uè   ai 

1  Rotti,  Vinti,  Superati  in  battaglia. 

3  JSd  è  una  tal  ec,j  cioè^  E,i  prìndpi  considerano  come  una  prov9,  una 
dimostrazione  della  loro  grandezza  e  superiorità,  mostrare  ee. . 

3  Le  catane  (  dice  il  Bartoli^  stesso  )  sono  spadt  a  guisa  di  scimitatre, 

i3* 


l5o  tETTERAT0R4    ITiLUlCA 

(  beni  che  possedeva  ,  come  fra  sol  Be*  delittf  d*  offesa 
Maestà ,  si  nuoce.  Che  se  il  Principe  il  ?aol  morto  a. 
forza  di  mano  altrui  ^  il  oondannato  adoAa  quanti  pici 
ne  può  arere ,  servidori  e  parenti ,  e  prima  di  tutti  i 
saoi  figliuoli  9  e  nella  propria  casa  si  apparecchia  a  di- 
fèndersi dal  giustiziere  del  Re  9  che  con  gran  soldatesea 
si  presenta  a  combatterlo;  acciocché  ripugnando  egli  , 
muo)a  da  nemico.  Uccisi  che  siano,  si  mette  fuoco  alla 
casa  ,  è  quanto  v^  è  dentro  d*  nomini  e  d'  averi ,  s^  in» 
cenerà.  t 

Alle  bocche  di  quel  seno  di  mare  ch'entra  fra  l'Ara* 
bia  Felice  e  la  Persia  ,  dov'  elle  più  si  ristringono ,  è  pò* 
sta  Gerum  '  :  isolelta  in  forma  triangolare;  d^  appena  se- 
dici  miglia  di  circuito;  lungi  da  terra  ferma  versola  Per- 
sia 9  lina  sola ,  verso  V  Arabia ,  alquanto  piò  di  dieci  le- 
ghe. Luogo  per  natura  più  infelice  e  più  sterile  di  que- 
sto non  è  in  Oriente.  Perocché  quasi  tutto  e  niontagne  di 
zolfo  e  di  mordacissimo  sale  :  dj  cui  quantunque  *  ne  trag- 
ga» le  navi ,  che  se  ne  carican  per  zavorra ,  sempre ,  co- 
me da  miniera  vi^a,  ripullula ,  e  si  rifa.  La  pianura  anco 
essa  é  terren  magro  e  morto ,  da  non  potersi  addomesti- 
care per  qualunque  colti vamento  si  adoperi  a  migliorar- 
lo. È  fama  che  tutta- Pisola  ardesse  una  tolta  sette  anni 
continuo ,-  per  fuoco  che  sbacò  di  sotterra;  e  ne  rimasero 
in  segnò  le  montagne  di  cenere ,  che  tuttavia  biancheg- 
giano alla  cima.  Acque  ^ive  e  sorgenti  non  v'  hanno ,  se 
non  solamente  alcun  pezzo  ;  e  questo  anche  di  vena  pò* 
ferissima  e  di  reo  sapore  :  ma  quanto  d*  acqua  dolce  ^i 

1  Conranemeiite  h  d«tU  OrmuSm 

a  Quantunque.  Lo  stesso  che  Ptt  qtuaO^»  —  Dieesi  poi  MMrrM  quella 
natene  pesante  che  meUesi  nel  fondo  delle  navi  affinchè  »  inmergeBdosi  nel 
mare ,  aoqwstino  maggiore  stdnUtà. 


SEGOLO   DECiaiOSETTIHO  |5l 

SI  adopera  ,  si  conduce  da  terra  ferma  ,  o  dalle  isole  ili 
colà  iatoruo.  Perciò  ia  lalto  il  paes^  non  v'è  né  filo  di 
erba  oè  arbore  ebe  spontaneamente  vi  nasca  «  o  cbe  Ira»- 
piantatovi    tosto   non    raaoia<    Sopra  cbe   il    P»  Goosalo 
Rodrigaes,   che  quiti   stette  alcon  tempo,  motteggiapdo 
soleva  dire ,  che  quella  infelice  isola   a  Tea   peggio  che  la 
maladizione  a  che  Iddio  condannò  tolta  la  terra  in  pena 
della  disobbidienza  d'  Adamo ,  dicendo  che  ne  germoglìe» 
rebbono  triboli  e  spine;  perocché  quivi  né  pure  un  gef* 
moglie  di  colali  saitaticbe  erbacce  area  licenta  di  nascere, 
ma    solo   vene  di  zolfo  e  miniere   da    fare  nn   inferno   a 
qae'  demouj   di  carne  che   ti  abitano.  Benché  senza  ar- 
dere   ponto  la  terra ,   il  cielo   stesso ,  cinque    mesi    deU 
r  anno ,  tì  £ei  un  inferno  di  caldo   insofferibile  4  attrae»» 
dosi  ia  respirare ,  non   fresco  d^  aria  per  refrigerio ,  ma 
come  vampa  di  .fornace  per  tormento  del  caore.    Uccelli 
poi,  né  altro  animai  lerresire,  mai  in  lutto  Fanno  non 
TI  si  vede:  che  non  vi  troverebbono    né    acqua    né    pa« 
scolo  da  mantenersi.   Solo ,  sol  far  dell'  aurora  ,  vi  cade 
ogni  mattina  una  rugiada  ,  che   si    congela   e   granisce; 
e  per  lo  sapore  dolcissimo  che  ha,  ia  chiamano  manna. 
Or  non    perciò    che   qoest^  isola    sia    cotaolo  sterile   per 
natara  ,  era  disabitata  d'  uomini ,  e  (  qnal  dovrebbe  es* 
lere  )  una  solitndioe,  un  deserto.  Anzi  era  popola tissi ma  ^ 
e  aveva    una   sì  bella  e  ricca  città  (  questa  era   Ormoz  , 
oggidì  in  gran^  parie  disolata  d'  abitatori  e  di  fabbriche  )|| 
che  correva  proverbio  in  Oriente,  che  se  tutto  il  mondo 
fosse  stato  un  anello ,  Ormuz  ne  sarebbe  la  gemma.  Ca- 
gìon   di  ciò   ne  fu  la  postura  déìV  isola  ,  piantata   su   le 
porte  del  seno  Arabico,  come  vogliam  chiamarlo,  o  Per- 
siano; e  il  porgere  ch^  ella  fa  in  mare  una  delie  sue  tre 
ponte  sì  acconciamente,  che  curvandosi  con  dae  braccia, 
due  porti  vi  forma,  fólti  l'uno  a  levante,  l'altro  a  po« 
nenie;  ampi  a  ricevere  ogni  quantunque  numeroso  navi* 


1 5a  LCTTSaATURA   ITALIANI 

lio)  e  sicari  sì,  che  nob  istanno  a  fortuna  d!  Vernn  Vento 
che  ìa  alcana  parte  vi  possa  *•  Or  qaivi  faoeddo  scala   i 
mercatanti  d'  Arabia  ^  di  Persia ,  d^  Armenia ,  dell'  an»  e 
l'altra  India,  deli»  Cina  ,  d^  Etiopia,  si  fabbricò,  e  pò* 
•da  più  folte  rifacendosi,  si  condusse  Qrmuz  a  tale  am- 
{Mezza  e  beltà  ,  eh*  ella  andava  *  fra  le  più  famose  e  rio 
che.  di  tatto  Levante.  Le  vie  e  le  piazze  ampie  e  magni- 
. fiche ^  e  gli  edifici   di  bello  stile  alla  moresca,  scialbati  ^ 
di  smalto  bianco  ,  e  molto  vaghi  a  vedere.  E  perchè    tì 
fanno  caldi  stamperatissimi ,  più  che  nella  Ghinea  e  nel* 
V  isola  di  San  Tomaso  (che  è  suggella  alla  linea  equino^ 
siale  ) ,  infocandosi  quelle  pietre  di  sale,  e  accendendosi  le 
secche  esalazioni  che  ne  svaporano,  le  case  non  finiscono, 
come  le  nostre,  in  tetti  a  colmo  rilevante,  ma  in  terrazzi 
piani I  ove  la  notte,  a  cielo  scoperto,  dormono,  stesi,  e 
(trattone  il  capo)  immersi  nell'acqua,  dentro  a  grandi  cod* 
che  di  legno.  Ben  v'  è  un  cielo  salutevole  alla  vita;  e  rare 
vi   corrono  le  malattie  ;  a  cagione ,  dicono ,  del  continuo 
sodare  ,  che  spreme   da'  corpi  ogni  umore  corruttibile  e 
soperchio.  Né  è  da  tacere,  ciò  che  ragionevolmente  si  ha 
per  un  de^più  strani  miracoli  della  natura,  di  due  venti 
contrari  che  vi  fanno  ;  F  uno  caldissimo ,  I'  altro  freddia- 
simo  (quello  è  I' este,  o,  come  noi  diciamo,  il  levante; 
questo  il  nordeste,  cioè  il  grecale  )  ;  ma  ciascun  di  loro 
con  effetti  per   accidente   opposti    al   temperamento   delle 
loro  qualità.  Perocché  il  caldo  raffredda  i  corpi  e  le  acque, 
eziandio  scoperte';  il  freddo,  gli  uni  e  le  altre   riscalda* 
E  i  paesani  quando  spira  il  caldo ,  vestono  come  noi  qui 
la  vernata;  e  quanti  più  panni  s'addossano,  tanto  se  ne 
truoran  più  freschi.  De*  venti  poi  più  temperati  ,  si   va- 

1  Vi  posta.  Lo  stesso  che  Fi  sqfff.  Ma  e  modo  elegante   il  dire   di   un 
ijualche  luogo ,  che  noit  ci  può  il  sole ,  non  vi  può  U  vento  e  simili* 

2  Andava  fra  ec.  j  cio&  :  Era  tenuta  fra  ec. . 

3  Scialbati,  Intonacati. 


SEGOI^  DBCIIKMETTIHO  l53 

^iono  a  ristorarsene  negli  eccessivi  calori  della  state,  che 

colà   è  per  la  maggior  parte  dell*  anno  ;   tirandoli  ,   per 

ingeono  di  cèrti  condotti  ',  a  spirar  nelle  t»mere,  e  do* 

Tanqae  altro  ior  piace  per  tutta  la  casa  s  con  che  miraf- 

btlmente  le  rinfrescano.  Degli  abitanti ,  il  minor  numero 

si  è  qaello  de^  paesani  ;    il   più ,    di   gente   aTfenitiocia , 

mercatanti  d' ogni  parte  del  mondo.  Perciò  t'  ha  di  tutte 

le  fatte   linguaggi  :  come  cho  pur  il  Tolgar  corrente  sia 

V  arabo. 

DAL   X.IBR0  PELLI   POTERTI   CONTENTA. 

Diverse  maniere  di  pescagione* 

Quattro  diverse  maniere  di  pescagione  si  usano  in  mare, 
secondo  la  varietà  degli  slraitoenti  che  per  tal  fine  s' adope» 
rano^  e  sono  Tamo,  la  fiocina  *,  la  rete  e  M  fuoco.  Vi  si 
pesca  con  Temo:  e  sta  nn  tal  pescatore  sopra  una  punta 
di  scoglio^  al  sole  e  al  vento,  immobile  si  che   pare  la 
stalna  d^un  pescatore,  anzi  che  un  uomo  che  peschi.  Ia 
silenzio  e   speranza ,   con   gli   occhi  al  mare  e  cui   cuore 
pendente    dal    filo    della   sua    canna.   Quando   egli    vede 
tremolare  il  su  vero,  o  la  penna  che  galleggia  sopr' acqua, 
ed  è  la  spia  che  gli  dà  avviso  del  ladro  ^,  con  una  forie 
strappata  il   tra   fuor   dell': acqua,,  ed  {afferratolo    con  la 
mano  il  fa  suo.  Un  mare  è  la  corte  in  cui  si  pesca  con 
ramo  coperto,  per  la  simulazione  che  vi  bisogna,  secon- 
do il  primo  precetto  del   decalogo   delP  ambizione.    Gran 
pazienza  ci  vuole,  lungo  aspettare  e  intollerabil   patire, 
[per  giungere  una  volta  a  far  preda:  che  bene  spesso  sarà 
d'  on  menomo  pesciolino ,  che  varrà    meno   dell*  esca  con 
eoi  si  comperò.  -  Pescasi  con  la  fiòcina  :  e  il  lanciatore  sto 
ritto  in  pie  su  la  punta  d'un  leggerissimo  burchielletlo, 

»  TV  ingegno  ee.i  cio^:  ?er  mtuo  di  eérti  spinali  fatti  ad  arte. 

a  Fiocina.  Sp«cie  di  forca  eoa  moke  punte. 

^  Del  laA^j  àok  s  Del  pesce  che  tento  rapir  1'  e»c«  dall'  amo.         ^     ; 


l54  LBTTERàTCftl   ITÀLUlTa. 

quasi  no  Rellano  col  tridente  sospeso   io   pngno  ta  atto 
di  fulminare.  Intanto  un   de'  compagni  spruzza  sol  mare 
alqune  stille  d' olio  che  dilatandosi  e  stendendovi  sopra  no 
▼elo^  rintuzza  il  riflesso  dell^  acqua ,  onde  lo  sguardo  tatto 
le  penetra  al  fondo:  l'altro  con  due  remi  sottili  va  len- 
tamente movendoci ,  finché  il  pescatore,  veduto  il  pesee  , 
gli  lancia  incontro  la  6ocina,  e^l  fulmina  dentro  alle  acque. 
Un  mare  sono  i  ehm  pi  di  guerra  in  cui  si  pesca  col  ferro  ^ 
ferendo  ed  uccidendo.  E  non  è  questa  pescagione  da  prede 
minute  e  di  piccola  levatura.  Città  ,  fortezze ,  proviocie  e 
regni,  saccheggiamen ti  e  gran  bottini.  -^  Pescasi  con  la  rete  , 
e  si  entra  un  gran  tratto  entro  mare,  e  dalla  barca  git"* 
tando  la  sciapica  si  pianta  nell'  acqua  un  gran  ricinto   di 
mura,  e  vi  si  fabbrica  una    prigione.  Fondamenta   sono 
i  piombi  che   radono  il   fondo,  le  cime    ne**  su  veri  che 
stanno  a   galla  si   compiono.   Indi  dal  lido  se  ne  tirano 
i  capi,  e  si  raccoglie  la  prigione  insieme  e  i  prigionieri. 
Un  mare  è  la  mercatanzia  :  quanto  vi  si  entri  per  riem* 
pirsi  la  rete,   miratelo   daNiaggi   di  quindici    e  più  mi« 
gìiaja  di  miglia;  che  tante  si  contano  ne'  tiaggi  che  por* 
Caao  da  Europa  fino  alle  Indie  d'Oriente.  Gittata  con  si 
lunga  navigazione  la  rete,  si  torna  al  porto  di  prima  ;  e 
quivi  la  preda  delle  perle ,  degli  ori ,  de*  diamanti ,  de* 
balsami ,  delle  sete  cinesi  si  espone.  —  Pescasi  finalmente 
col  fuoco ,  e  sporgesi  per  ciò  una  facella  fuor  della  punta 
delia  barchetta,  il  cui  lume  i  pesci  che  non  chiudono  mai 
pupilla,  lèggendo,    come  farfalle  v^ accorrono:  e  mentre 
lo  stan   mirando,  da  sé  stessi  incautamente  s\ insaccano 
nella  rete* 

OALLA   GEQGI^àFll    TRASPORTATA    AL    MORALE. 

»  *  * 

Usanza  degU  abitanti  di  Ostiiia, 

Vita  non  irovo ,  né  con  più  oi^io  più  occupata ,  ne  con. 
pi^  stabilità  più  vagabonda  ,  né   con  più   innocenza  più 


SECOLO   DECIMOSBTTiyiO  l35 

ifida  e  predatrice  de'  beni  allrai,  di   qaella  che  laoga 
parte  dell'  anno  meoa? ano  gli  abitatori  d^  Ostllia  (  raccor- 
data da   Plinio,  Lih*%i^cap.  12.);  terra  aotichiasima  wa 
le  rive  del  Po.  Questi,    al  primo  maoTcre  e  fiorir  della 
primavera,  tratte  fbori  certe  loro  ampie  barche  e  piatte 9 
raccoociavante  a  graa  cara,  spalmavaole  ',  e  con  odorosi 
profanai  spealoDe  ogoi  paizo,  ogoi  reo  fiatore,  le  fornifaiio 
dì  ciò  cb'  era  mestieri  ad  on  longo  viaggio  :  il  che  fatto, 
lopra  esse ,  cariche  di  oalP  altro ,  che  per  tatto  in  sa  l' orlo 
alle  sponde  no  beli' ordine  d'alveari,  con  entro  a  ciascano 
il  suo  sciame,  metlevansi  terra  terra ,  a  remi  lento  lento 
batiali  per  sa  il  Po  conlr^acqaa:  e  le  api  ia  calca,  via 
da'  lor  Tooti  nielarii  gettandosi  sopra  •  le  campagne ,  che 
air  nna  e  all'  altra  sponda  di  quel  tatto  delisioso  re  dei 
fiomi  soggiacciono,  nscivano  a  foraggiare:  e  quindi  al  l^no, 
per  lo  sno  poco  andare  non  mai  guari  lontano ,  torna vansi 
cariche  delle  innocenti  loro  prede,  in  ottima  cera  e  mele. 
Dove  io  prati  erbosi,  in  giardini,  in-pomieri,  in  campagne 
rarianiente  fiorile  si  avvenivano,  il  nocchiere  dava  fondo 
longo  esse,  e  tallo  in  pensier  di  nulla,  stavasi   al    rezio 
di  quelle  annose  querce,    di  quegli  allissiini    pioppi   che 
rìvestooo  e  ombreggiano  le  belle  rtve  del  Po  :  e  le  valenti 
pecchie  per  latto  intorno  spargevansi  a  predare,  tanto  nel 
laTorio  più  allegre )  quanto  più  v'era  che  lavorare.    Poi 
stanche,  ivi  medesimo  in  su  Torlo  dell'  acque  imbagnarsi, 
ibrattarsi ,  pulirsi  com^  elle  sogliono,  aoimaluccio  uiondis* 
simo  :   e  aU'  imbrunire  tutte  ricogiiersi  dentro  a'  loro  alvei 
fino  a  passato  il  freddo  e  V  oscurila  della  notte.  Coȓ  andate 
le  navi  delle  giornate  a  lor  piacsere  contr' acqua,  prendean 
la  volta    indietro,  e  lasciavansi  giù  per  la  contraria  riva 
portare  passo    passo,  fino  a  veder    le   foci  del  Po:    indi 
ripigliavano    il    montar  come .  ^diaozi  :  e  ciò  fino  a  tanto 
che  dal  carico  delle  cere  e  dèi  mele ,.  che  le  mettea  più 


xS6  LETTERATURA   ITàLlAllÀ 

soU^  acqna ,  gli  sperimentati  nocchieri  aTTisavano ,  gli  alveari 
oramai  cssef  pieni  :  e  allpra  fei^teggianti  tornaransi  alla  lor 
terra,  ricchi  di  quella  .dolce  mercatanzia,  che  il  goadagoarla 
era  costo  *  loro  non  altro  che  nn  sollazzevole  diportarsi. 

SFORZA  PALLAVICINO  •• 

Sforza  Pallaricioo  fa  grande  filosofo,  e  grande  scrli- 
lore  italiano;  e  fu  esèmpio  delle  più  amabili  Tirtù:  il  che 
stimiamo  alquanto  meglio  che  F  essere  originato  da  prin- 
eipi  e  avere  Teslita  la  porpora  de' cardinali.  Nacqde  nel 
novembre  del  1607;  e  nacque  in  Roma,  perchè  il  mar- 
chese Alessandro  suo  padre  spogliato  degli  Stati  dal  suo 
parente  Alessandro  duca  Farnese,  erasi  là  ricoverato,  va- 
oamente  implorando  giustizia.  E  i  signori  Pallavicini  an« 
ticamente  principi  in  Italia,  e  di  potenza  simili  agli 
Estensi  e  ai  Malaspina  ,  ritornarono  privati  nel  i584  ; 
per  avere  avuto  00  vicino  forte  ,e  cupido  :  ina  il  primo- 
nato  di  Alessandro  Palla? icino  si  acquistò  quella  pia  da- 
rabile  grandezza  che  i  regnanti  non-  possono  dare  né  lo- 
gliere. 

Sin  dalla  prima  giovinezza  mostrò  ingégno  eccellente 
e  amore  agli  studi  infinito ,  e  ne  divenne  caro  a  Roma 
e  famoso.  Fiorivano  allora  gli  stadi,  perchè  i  nobili  se 
ne  pregiavano,  e  nelle  accademie  romane  si  adunava  la 
primaria  nobiltà.  Nella  filosofia  cominciava  il  vero  ad  osar 
di  combattere  la  tirannia  de'  ve^hi  errori  :  nella  poesia 
ed  eloquenza  una  insolènte  e  falsa  e  barbàrica  eleganza 
trionfava  di  aver  cacciala  in  fondo  Fantica^e  nobile  sem- 
plicità: e  tanto  poteva,  che  tra'  primi  letterati  d'Italia  ;si 

1  Costo*  Costalo. 

2  In  luogo  delle  solite  Notixie  Biografiche  stampo  il  Discorso  di  Pietro 
Giordani  Sulla  Vita  a  sulle  Opere  del  carenale  Sforza  PaUwicino,  eh*  t 
senta  dubbio  una  delle  prose  pia  colte  e  più  el^jgianti  de'  nostri  ■  gipmi. 


SECOLO   DECI»O9£TTI3f0  l57 

ssaltaTa  ano  zio  del  nostro  PallaTicioo,  il  marchese  Vir- 
gilio MaNezzi  bolognese  ,  le  cui  scrinare  oggidì  ninno 
legge;  se  fossero  lette,  sarebbero  derise.  Ciò  nondimeno 
in  qne'  tempi  ,  comunque  si  ttndiasse  non  bene ,  si  8ta« 
diava  molto  e  da  molti;  e,  che  sommamente  importa,  da' 
ligoori. 

Il  Palla  ricino  abbracciò  colla  mente  Tasta  la  poesia  ^ 
la  filosofia,  la  teologia,  la  ginrisprndenza  nella  quale  fa 
addottorato  :  e  avea  vent*  anni  quando  gli  scrittori  pia 
Cimosi  lo  celebravano  come  ornamento  illnslre  ,  non  che 
speranza  d*  Italia.  Se  non  che  agli  studi  sovente  lo  to« 
glieTano  le  cure  domestiche;  poiché  il  padre  prosegoiva 
da  molti  anni  la  sua  lite  infelice  col  Duca  di  Parma  ,  e 
tatto  il  suo  ajnto  era  in  questo  figliuolo.  Il  quale  colla 
fama  delP  ingegno  e  del  sapere  aveva  guadagnata  la  he* 
oevolenza  dei  Barberini  e  di  Urbano  pontefice  ;  protét* 
lore  pericoloso  de^  letterati  coi  quali  professava  emula* 
zione  più  aperta  ,  anzi  astiosa  ,  che  a  principe  non  si 
eoDveoga.  La  giovinezza  e  la  modestia  del  Pallavicino 
acquistò  grazia  e  fuggì  i  pericoli.  Non  così  Giovanni 
Ciampoii ,  riputato  il  primo  poeta  e  un  de^  migliori  spi- 
riti del  suo  tempo;  accarezzato  parzialmente  da  Urbano, 
e  perciò  riverito  dalla  Corte  •  adulato  :  ma  per  la  solila 
incostanza  della  fortuna  o  per  libertà  di  animo  e  di  pa- 
role ,  divenuto  fastidioso  al  dominante,  fu  dagli  amici  della 
prosperità  abbandonato  e  schernito.  Un  solo  amico  gli 
rimase ,  il  Pallavicino  ;  che  osò  amarlo  e  lodare  e  visi- 
tare pubblicamente,  e  consolarlo  neiresiglio,  e  nella  po- 
vertà sovvenirlo.  Niente  ,mi  maraviglio  che  sì  rara  co- 
stanza e  fede  fosse  odiosa  ai  cortigiani,  spiacevole  al  prin* 
cipe  :  ma  è  grande  infamia  del  genere  umano  ,'  che  un 
professore  di  cristiana  sapienza,  nato  cavaliere,  fatto  ge- 
suita ,  Giulio  Clemente  Scotti  piacentino  ,  quando  volle 
divenire  ingiusto  nemieo   al   Pallavicino    «oo  confratello , 

LBTTBllAT.  ITAL.  •  JY  l4 


t58  tBTTÉRiTURA   ITlLUlTA 

ardisse  Yiloperarlo  colle  stampe  e  riniproTerargli  ,  qciatfi 
fcellerata  ingratiindie  contro  il  Pontefice,  la  carità  verse 
V  amico  ioDocente  e  sfortunato.  Tanlo  è  impossibile  alla 
virtù  evitare  le  calnnnie  ! 

Un  sincero  amatore  degli    studi    non    paò    esser    Taga 
J'  ambizione   e  briga  civile.  Onde  ammiro    che    Sforza  , 
vestito  r  abito  de^  cherci  ,   si  sottoponesse  a  governare     ì 
popoli;  perocché  lo  trovo  governatore  in  Jesi,  in  Orvie- 
to, in  Camerino.  Vero  è  che  le  fatiche  moleste  del  reg- 
gimento non  gr impedirono  cosi  gli  studi  ch'egli  in  que* 
tempi  non  cominciasse  ,  e  molto  innanzi    conducesse    un 
lavoro  di  poesia  affatto  nuovo  e  nobilissiàso.    Ciò  furono 
i  Fasti  Cristiani,    ch^  egli    dispose   di   cantare  in  ottava 
rima,  e  di  comprendere  in  quattordici  libri,  dandone  uno 
a  ciascun  mese  delPanno,  per  celebrarvi  i  Santi  ad  ogni 
giorno  del  mese  assegnati  :   negli  altri   due    libri   aveano 
iede  le  Feste  mobili  dell'  anno  ,   e   la    speciale    religione 
di  ciascun  giorno  della  settimana.  Già  ne  aveva  compiuti 
sette  libri ,  già  dedicati  al  Papa  regnante  ,   già  finito  di 
stampare  due  libri ^  quando,  risoluto  di  porre  finalmente 
ad  effetto  un  suo  pensiero    antico    più   volte  ripigliato  « 
rifiutato ,  non   volle   acquistarsi    titolo  di    poeta    mentre 
stava  per  togliersi  dagli  occhi  e  dalla  memoria  del  mon- 
do. Interruppe  la  edizione ,  e  cosi  disperse  tutto  ciò  che 
n*  era  stampato,  che  il  ritrovarne,  in  Parma,  non  sono 
molti  anni ,    un   esemplare  parve  miracolo.    Già   era    ne* 
trentanni,  già  esperto  e  disingannato  delle  cose  umane; 
delle  quali  niente  gli  era  piaciuto  fuorché  gli  studi  ;    nò 
a  questi  ricovero  più  opportuno  che  una  quiete  solitudi- 
ne. La  vecchiezza  del  padre,  gP  interessi  della  casa  rac- 
comandò al  minore  fratello.  Egli  con   istupore    dei    più  , 
con  approvazione  dei  savi ,  si  rendè  Gesuita  :  dove  si  prò* 
poneva  di  condurre   a    perfezione   quel    tanto   che   aveva 
acqQistàto  e  negli  studi  e  nella  cristiana  pietà. 


SECOLO    DEGIMOSETTIMO  l59 

Primi  offizi  nella  religione  a   lai  furono   insegnare   la 
filosofia   di  qae'  tempi  ,  e  la    teologia    a'  giovani  Gesaiti* 
In     quella  età  i  niollissimi    trattavano    teologicamente   la 
filosofia  ;  e  pef  Aristotele  combattevano  feroci ,  come  per 
f?a  ETaDgelio.  Una  setta  sorgeva  in  contrario,  e  pigliava 
animo  e  forze  ;   la  quale  impngnava  quel  maestro  impo* 
tandogli  anche  gli  errori   infiniti    e    le   stoltezze  óe*  saoi 
ianamerabili   ed    oscori   commentatori.    Il    Pallavicino    ai 
accostò  alla  nuova  sapienza    migliore  ,    che    gli    scolastici 
odiavano   tanto   più   fieramente,  quanto  meno  ragionevol- 
mente: ma  serbò  riverenza  ai  massimo   savio   delia   anti- 
chità, e  seppe  giovarsi  di  lui. 

Voleva  trattare  ampiamente  e  profondamente  tutta  la 
lapieoza  Biorale  :  e  ne  gitflò  le  fondamenta  ne'  quattro 
libri  che  in  lingua  italiana  scrisse  Del  Bene,  in  forma 
di  dialoghi  ;  sottilissimamente  investigando  quale  sia  il 
verace  Bene  della  natura  umana  :  e  quelle  sottigliezza 
veramente  fidissime ,  e  spesso  fuggevoli  aó  intelletti  doq 
assuefatti,  seppe  incorporarle  e  adornamente  vestirle  eoa 
eleganza  erudita  e  molto  dilettosa  di. stile.  Lo  stile  era 
qq'  arte  a  lui  cara  molto  e  molto  studiata  ,  e  però  nel 
loedesimo  tempo  aveva  condotta  una  bellissima  operetta 
che  intitolò  Trattato  dello  Stile  e  del  Dialogo:  nella 
quale ,  non  menò  da  sottile  filosofò  che  da  esperto  ret« 
torico,  si  propose  d' insegnare  quale  forma  di' scrivere  spe- 
cialmente convenisse  alle  materie  scientifiche  :  e  dimo- 
itrolle  capaci  di  venustà  ed  eleganza  ;  ed  affatto  esciuse 
la  barbarie  ,  da  lui  chiamata  incivUe,  che  adoperavano 
gli  scolastici;  ostinati  non  solamente  a  scusarla  come  dap* 
pochezza  dello  ingegno  loro,  ma  a  difenderla  e  lodarla 
come  legittimo  e  necessario  dettato  nelle  opere  dotte.  E 
ne'  dialoghi  Del  Bene  fece  con  vivo  esempio  vedere  di 
quanta  grazia  e  amabilità  possa  un  valente  scrittore  ab- 
bellire anche  le  questioni  più  aspre:  e  nel  Trattato  della 


l60  LETTEHATURi    ITALlÀlfi 

Stile  si  allargò  Teramente  a  dar  precelti  utilissimi  per 
iscriver  bene  di  qaaluoqae  materia.  I  quali  precetti  do* 
Trebberò  anche  oggidì  trovare  molti  lettori.  Non  così  corn* 
porta  il  secolo  che  molti  leggano  quel  suo  filosofare  sulla 
morale  ;  benché  uno  scelto  numero  di  lettori  dovrebbe 
anche  ai  nostri  giorni  dilettarsene  grandemente. 

Egli  pare  che  la  filosofia  e  le  lettere  fossero  soprattiillo 
care  al    Pallavicino  :    ed    era    desiderabile    air  Italia    che 
queir  acutissimo  ed  elegantissimo  ingegno  non    fosse    mai 
frastornato  da'  suoi  più  diletti  studi.  Ma  la  Compagnia  lo 
torse  a  comporre  per  le  sue  scuole  un  compendio  di  teo- 
log̣|.  Poi  lo  fece  suo  difensore  e  combattitore  nella  bat* 
taglia  dalle  accuse  de'  nemici  che  già  moltiplicavano  cen- 
tro i  difetti  e  le  virtù  e  la   soverchiante.  fortuna   de*  Gè- 
sorti.  Ciò  che  di  tali  quistioni  scrisse  io  latino  non  è  più 
chi  voglia  leggerlo;  perchè  quella  materia    è    morta,    ne 
la  ravviva  lo  stile.  Ben  vive  e  durerà  la  Storia  che  fece 
del  Concilio  di  Trento;  non  meno  in  servigio  della  pro- 
pria Compagnia,  che  della  romana  Corte;  alle  quali  pa- 
rimente era  odiosa  la  storia  di  Paolo   Sarpi  :   conciossia* 
che  oltre  le  guerre  teologiche,  le  quali    il    nostro    secolo 
ha  seppellite  in  eterna    quiete  ,    hanno    gran    campo    in 
quella  lunga  opera  molte  quistioni  di  Stato;  e  vi  trionfa 
l' eloquenza  italiana ,  se  non    purissima  ,   certo    maestosa. 
1/ autore  fu  sommamente  studioso  della  lingua,  e  ne  fa- 
ceva solenne  professione  :    e    manifestaroefite    desiderò   di 
essere  tra  gli  scrittori   che   V  Accademia  fiorentina  ricere 
per  esempi  dell'ottimo  favellare  ;   e  trattò  con  molta  ef- 
ficacia ,  perchè  tal  onore  fosse  renduto  alla  memoria    del 
Tasso;  e  due  volte  limò  la  storia,,    perchè    gli    riuscisse 
di  lingua  pulitissima.  E  tanto  bramò  di  procacciare  molli 
lettori  a  quelP  opera ,  e  pur    ebbe   fiducia    di    allettarne 
colla  grazia  dello  scrivere,   che  poi  la   divulgò    in    altra 
forma  ,   sotto  nome  del    suo    segretario,    mondata    dalle 


\ 


SECOLO   DECIVOSETTIMO  l6l 

«pinose  coDtroTersie  teologiche,  e  ridotta  a  quello  cbo  ha 
di   piaceTole  e  carioso  la  narrazione.  Yerameote ,  qaaolo 
a**  vocaboli ,  pare  che  diqq  aomo  lo  possa  mai  ripreodt* 
re  :  tatti  son  baoni  e  proprj ,  anzi  eletti  e  belli*    Se   di 
copia  ,    di  finezza  ,   di  varietà ,   di   splendore  lo  vince  il 
suo  coetaneo  e  confratello^  Daniele  Bartoli ,  ò  da  conside» 
rare  che  pari  o  somigliante   a  quel    terribile  e  stupendo 
Bartoli  non  abbiamo  nessano*  Il   quale  nelle  Istorie  volò 
come  aquila  sopra  tatti  i  nostri    scrittori  ;  e  tanto  corse 
lontano  dalla  consueludine  del  sno  secolo,   che  niun  cri- 
lieo  sagacissimo  potrà  mai   in  quella    forma    di    scrivere 
trovare    minimo  indizio  o  sospetto   della    età.    Di    Paolo 
Segneri  che    fu   scolare  al  Pallavicino  si  potrà   dire   che 
vincesse    il,  maestro    nelP  abbondanza    dello    stile ,    nella 
scioltezza  ,  nella  Tarietà,   nel  configurarlo  ai  diversi  sob- 
bìetti,  neir  atteggiarlo  quasi  amico  schiettamente  parlante 
a*  snoi    lettori  ;  ma  di  squisitezza  ,  di  gravità   gli  è  infe- 
riore; e  per  una  singolare  maestà   non    può    venirgli    in 
paragone.  Giambattista  Doni  tolse  ogni    testigio   di    arti- 
fizio a  quel  suo  stile  si  puro  e  candido,  e  ifi  tanta  sem- 
plicità ,  grazioso  e  lucido  ;  e  àpparte  ànica  e   migliorala 
immagine  del  secolo  preceduto.  Al  sommo  Galileo  sorrab- 
bondò  la  mente,  ma  parve  quasi  mancare  lo  studio  nìd- 
V  opera   di  scrivere  ;  io  quella   sua   copia    dfffuso    e   so- 
verchio, talora    languido,  talora  confuso.  Arrigo  Devila, 
misritamente  lodato  per  felice  industria  nello  esporre  eoa 
assai  ordine  e  chiarezza  i  fatti  e  le  cagioni  di  essi  ;  con* 
tento  a  una  dicitura   pianamente  scorrevole,   non   cercò 
faina  di  fino  scrittore  né  di  alto:  nel  prendere  le  parole 
e  le  frasi ,  nel  collocarle  e  più  nel  condurre   i    periodi , 
e  in  tutto  V  ordinamento  del  discorso,  fu  si  lungi    dalla 
sollecitudine  ,  che  spesso  lo  direstì  andare    abbatfdonato* 
fiòn  furono  mai  di  negligenza  i  difetti,  del  '  Palla? icino  ; 
il  quale  più  che  nelle  altre  opere  patì  le  colpe   del    suo 


l6z  &ErrBRATUR4   ITAUAlTà 

aeeolo  nella  storia»  I  traslati,  dove  taoto  delirò  il  seiceo»^ 
lo  ,  SODO  ìd  lai  poche  volte  viziosi^  né  mai  pazzamente; 
ma  i  contrapposti  e  troppa  frecpienii,  e  con  palese  fatica 
cercati.  Evvi  di  più  nna  manifesta  afieltazione  di  spes* 
feggiare  nelle  sentenze,  e  di-  farle  spiccare  dal  discorso; 
laddove  i  perfetti  nelP  arte  studiano  anzi  a  dbsimularle  ^ 
e  mezzo  nasconderle.  Anche  il  giro  delle  clausole,  oltre* 
éhè  troppo  uniforme,  procede  sorerchiamente  misurato  e 
quasi  forzato  con  ostentazione  di  simmetria  discaccia tricè 
d'ogni  libero  andamento,  ^è  però  giunse  di  funga  a  quet» 
I* eccesso  che  è  tanto  saiievole  e  molesto,  quasi  direi  odiose 
«  intollerabile ,  in  Guido  Bentivoglio»  K a  nonostante  t 
difetti ,  la  Storia  del  Concilio  è  dpera  da  pregiarsene 
grandemente  Telocfiieoza  italiana;  e  mostra  uno  scrittore 
di  aittf  ingegno ,  di  molta  dottrina,  di  grave  facondia  e 
di  costarne  nobilissimo.  Anzi  fra  tutti  che  hi  Italia  scris* 
aero  vedo  nnicamenle  3  Pallavicino  avere  impresso  nello 
iftile  un  sno  singolare  carattere,  che  sabito  fa  immaginare 
la  prosapia  e  la  édocazione  nobilissima  àeiP  antore.  Le 
quale  finezza  e  dignità,  si  dei  'concellì,  si  delle  fìrasi^ 
non  pure  gli  abbondò  ne'  libri  che  inditizsava  al  pubblicò 
e  alla  posterità,  ma  anche  nelle  lettere  che  mandava  a^fi 
amici ,  scritte  d'  altrui  mano  perchè  la  sua  non  era  leg^ 
gibile.  E  ne  abbiamo  a  stampa  on  yolume  ;  ài  quale  fk 
ingiuria  la  non  curante  di  questo  secolo.  '^ 

G>me  diAnisore  della  Compagnia  e  come  istorico  de! 
Concilio  ,  incontrò  il  Pallavicino  fieri  nemici  ;  non  pur 
villani  ma  atroci  a  scagliargli  svergognatissime  contuinelte* 
Di  costoro  seppe  far  vendetta  memorabile  ed  esempla» 
re:  non  rispose  mai.  Anzi,  resistendo  costantemente  a^ più 
eari  degli  amici  e  dei  confratelli ,  rrcnsò  pur  di  leggere 
quegli  **  oltraggi  ;  affermando  che  il  magnanimo  silenzio, 
come  avvenne,  e  sempre  suole,  avrebbe  dato  loro  e  più 
presta  e  f^  iieórà  morte.  I  contrari  della  Corte  romana 


^i 


SECOLO  DÈJCiuoBzrrm^  j63 

to  8o6iisaf|ino  die  lei  afeite  troppo  «  e  eoo  pregioditia 
del   Tero ,  faYorita  nella  istoria  ^   lo    taMavano    di'  Insila 
ghiero  ,  di  ambisioao  ^  di  falso.  Io  ne    posso,   né   torre! 
^mdicare  tali  contese.  Ben  sono  fermissimo  a  credere  che 
Sforza    PallaficÌDo,  si  leal  ca?aliere,   si  grave  filosofo  è 
rdigioso  tanto  modesto ,  potesse  per  aTYeotora   ingannar^ 
si  ;    ina    adulare  e  mentire  non  potesse  mai*   E  poi  con 
<{Qali    cupidità  ?  con  cpiali  speranze  ?  Aveva   slncerissima^ 
mente   abbandonato,  faorcbè  gli  studi,  tutto;  e  fritto  non 
lieve   gèttito  e  magnanimo  rifiuto  di    mondane    grandezze 
qoaado  si  cbiase  nèif  abito  de'  Gesuiti  ;  né  pensò  mai  di 
potersi  tollerare  dolila  celia  ti  eoneistero:  dove  non  credo 
die  sarebbe  mai  pervenuto,  quantunque  più  d*  ogni  *at- 
iro  io  meritasse ,  se  non  cadera  il  pontificato    alle  man! 
di  un.  suo  amico.  Ha  per  quanto  fosse  fiilso  ed   ingiusto 
eocosare  di  perverta  ambizione  questo  veto  sapiente,  vo^ 
^io  (incedere  che-  gli  nomini  ne  credessero  natóratniente 
capace  dit  ntfsceva  di  principi ,  e  gli  emuli  ne  rifiutassero 
&ciliuente  compreso  nn  Gesuita  :   questo   è   ben  da  Stu- 
pirne e  da  parere  incredibile,  che   un    Pallavicini,    fior 
de^  cristiani  e  degli   uomini  dabbene ,   un  Gesuita ,  fosse 
pubblicamente  accusato  come  empio  e  calunniatore   delta 
romana  Sede.  Quando  nella  istoria  venne  al   pontificata, 
per  tante  calamità  memorabile,  di  Paolo  IV,    vide   che 
di  lai  né  si  doveva   tacere  ,   né   si  poteva    dir   bene  :   e 
s'  ing^nò   quanto  sapeva ,  senza  troppa  ingiuria   del   vé- 
ro ,  perdonare  all'  odiosa  memoria  di  quel  Principe.  Ala 
la  moderazione  e  iti  prudenza  del  buon  Gesuita  parve  rea 
ad  un  Teatino,    che    volendo    scolpare   ed  esaltare   uno 
de'ponteBci  meno  propizi  alla  cristianità,  caricò  d'ogni 
infamia  uno  de'  più    rispettabili    scrittori   ecclesiastici.   Il 
quale  serbò  tuttavia  la  dignità  del  suo  silenzio,  e  ricosò 
di  nulla  rispondere  al  furioso  calunniatore.   Solamente  él 
'mflrobeae  Oarazzo,  nobilissimo  genovese  e  amico  su<^-cbe 


1 6^ .  XBTTBBATUft^  ITAtUlf.A 

diiiioraYa  in  Parigi  9  provò  con  langa  lettera  quanta  ofi 
fesa,  al  vero  e  quanto  danno  alP  onore  di  Paolo  facesse 
queir  ignorante  fanat^oo  ;  al  quale  non  avrebbe  mai  fm 
u^osto ,  per  non  isvergognare  con  pubblico  scandalo  d| 
temerario,  e  non  aggiognere  ignominia  al  nome  del  Ca«j 
rad,  se  avesse  mostro  quanto  dì  lui  aveva  nella  sua  sto» 
ria  dissimulato.  La  quale  opera  (  poiché  .  presto  cessò  il| 
▼ana<  strepitare  degli  sciocchi  invidiosi  )  durerà  con  gloria, 
^mortale  dell*  autore. 

Ed  egli  ,  oltre  la  fama,  ne  colse  premio  di  fiirtana. 
non  aspettato  :  e  dov^tt^  essergli  ben  caro  dì  rtceverlo  da 
no  amico.  Perciocché  ad  Innocenzo  X,  fu  eletto  soccea* 
sore  Fabio  Ghiai  senese ,  di  costumi  dolci  •  ornato  di  lefc« 
fere  latine ,  amantissimo  delle  italiane  ;  col  quale  aveva 
il  Pallavicino  antica  atàlcÌEÌa.  Né  il  Ghrgt  salito  a  tanta 
altezia  sì  mostrò  dimentico ,  cioè  indegno ,  di  tale  ami* 
co  :  anzi  gli  diede  si  eflBcaci  e  pubblici  segni  di  beuevo^ 
lenza,  che  tutta  la  Corte  rivolse  gli  occhi  al  Gesuita  coma 
ad  arbitro  di  quel  pontificato^  Ha  egli  prudentissimo ,  e 
hen  risoluto  di  mai  non  voler  ingannare  il  Principe  suo 
amico,  provvide  a  non .  dover  essere  facilmente  ingan« 
nato  egli  stesso  :  e  rimanendo  -fedelmente  affettuoso  agli 
amici  sino  a  quel  tempo  provati,  preie  cautissima  guardia 
delle  amicizie  che  dopo  la  esaltazione  di  Alessandro  VII 
concorrevano  ad  oflerirsegli.  E  sebbene  col  Papa  egli  po« 
tesse  tanto,  che  ottenne,  qualora  volle,  di  fargli  cassare 
i  propri  decreti ,  non  volle  mai  cosa  che  non  fesse  di 
poore  del  Principe ,  cioè  giusta  e  savia.  Ed  Alessandra 
▼olendo  dare  al  Pallavicino  quel  pia  che  possa  un  papa 
ad  un  amico,  e  saviamente  consigliandosi  che  la  porpora 
fumana ,  per  non  essere  vilipesa  ed  abborrita  ,  ha  biso- 
gno di  rivestire  talvolta  uomini  grandi  e  buoni,  nel  16S7 
lo  fece  cardinale* 
'     Nella  quale  fortuna  mantenne  il  Pallavicino  quella  mo« 


SECOLO   DECmoSETTIMO  l65 

desila  e  fragalhà  e  soarità   di    costumi  ,    che    ni:Ila    yiU 
privala   lo  faceTaDo  da  lutti  riferire  ed   amare.  Kè  altro 
tolse  dalla  graodesza  palatina  ,   che  il  più  spesso    e    più 
f^Racemente  adoperarsi  in  aiuto  altrui.  E  questo  adein* 
p]^  con  dimostrazione  di  tale  animo  cl^e  non  meno  ap« 
parisse  egli  contento  di  poter  fare  i  benefizi  che  altri  di 
TÌceTcrli.  Di  che  bella  e  degna  testimonianza  gli  rendefa 
r  amico  Pontefice.,  spesso  dicendo  :  //  cardinal  Palladcino 
è  tutto  amore.  —  Dalla   semplicità  della  vita  domestica  si 
poco  mutò ,  eh*  egli  soleva  coi   famigliari   dire   scherian* 
do,  Dion  altro  comodo  avere  dal  cardinalato,  che  il  po- 
tere liberamente  nelP  inverno  accostarsi  al  cammino  :  ciò 
che  la  disciplina  severa  non  concedeva  a*  Gesuiti;  e  grande 
benefizio  pareva  a  lui,  di  complessione  delicata,  e  tanto 
Qpo   paziente  del  freddo,  che  lo  motteggiavano  i  più   in- 
limi   per  la  grande  quantità  di  panni  onde  si  teneva  non 
ooperto  ma  carico.    Del  cibo  e  del  sonno  fu   parchissimo 
e  senza  delicatezze:  le  sue  delizie  sempre  negli  studi. 

Ultimo  frutto  de^  quali ,  e  da  lui  con  più  cura  matn« 
rato,  fu  r  jirte  della  perfezione  cristiana,  eh*  egli  gran* 
demente  si  compiacque  di  scrivere  negli  anni  estremi 
della  vita,  la  quale  fini  nel  giugno  del  1667,  e  per  la 
profonda  saviezza  di  filosofia  cristiana  e  per  la  nobiltà 
di  stile  pnrgatissimo ,  ci  pare  lavoro  da  ogni  parte  per- 
fetto e  stupendo.  Nel  quale  avendo  posti  i  fondamenti , 
col  provar  saldo  ciò  che  la  religione  insegna  di  credere , 
viene  alzando  un  compiuto  edifizio  di  virtù,  e  disegnando 
la  forma  del  vivere  che  al  Cristiano  è  richiesta.  Opera 
veramente  delle  più  insigni  e  rare  che  abbia  la  religione 
e  la  nostra  letteratura,  opera  che  molte  maniere  diverse 
di  persone  possono  leggere  con  egual  profitto  e  diletto. 
Ije  anime  pie  vi  trovano  la  religione  trattata  con  tanta 
sapienza  e  dignità,  che  i  divoti  l'amino,  e  i  non  dÌTotS 
la  riveriscano,  I  filosofi  vi   ammirano  un   ragionare    prò* 


|66  LETTEAATORA   ITALlAllA 

fondo  ed  esalto,  e  ordinatamente  da  chiari  e  fermi  pria* 
crpj  dedotto.  Gli  amatori  delle    lettere    italiane    v^  impa* 
reno   proprietà  elettissima  ed  efficacissima  dì  pesati   voca- 
boli^ temperata  vaghezza  d'immagini,  precisa  chiarezza  di 
frasi ,    nobile  e  comodo  giro  di   eia  asale ,  stile    eoa    ele- 
ganza dignitoso  ;   vero  esempio   di    perfetto    scrivere    cbe 
non. fu  moderno  allora  né  mai  diverrà  vecchio. 
*    E  si  preziosa  opera  giaceva  per  più  di  cento  anni  ne* 
gletta  dagP  Italiani,  superbi  nelF  ignoranza.  Poche  stampo 
e  brattissìme  se  ne  fecero  nel  seicento  :  nel  secolo  appresso 
e  nel   nostro  ninna.  Noi  abbiamo  volalo  che  la  nostra  edi* 
zione  '  rappresentasse  esaltamente    la   romana   del   i665  ; 
la  prima  e  la  migliore  di  latte,  e  falla  dal  proprio  au* 
tore..  Del  quale  vorremmo  che  le  minori  opere  italiane  j 
già  sopra  descritte  |  alcun  prendesse    a    ristampare   tutte 
insieme;  che  sarebbero  lettura  grandemente  profittevole  e 
dilettosa  a  chi  ha  gusto  del  buono   e    del    bello.    Certa- 
mente s^  in  Italia  non  si  diffonde    V  amore   degli  oltiaii 
libri ,  e  lo  studio  de^  nostri  egregi  scrittori  troppo   inde- 
goameple  abbandonali,  non  è  da  sperare  che  risorga  tra 
l|oi  la  gloria  del  generoso  pensare    e    dare    a^  forti  peii« 
sieri  vita  perenne. 

DALL*  ARTB    DELLA    PERFEZIORB    GRISTIAIf A. 

f 

Quid  arU  ci  abbùp  di  purgar  V  immaginazione  dalla  falsa  stima 

delle  cose  terrene. 

Scrisse  un  profondo  ed  acuto  ingegno  ,  che  '1  più  Io- 
felice  fra'  mortali  sarebbe  chi  fosse  giunto  a  conseguir  tutti 
i  beni  di  questo  mondo  ;  come  colui  che  per  l' una  parte 
noQ  troverebbe  vera  felicità  e  vero  appagamento  in  quello 
cbe  possedesse;  e  per  V  altra  non  gli  rimarrebbe  da  spe- 
rar .dò  in  quello  cbe  non  avesse  ancor  posseduto.  Io  per 

'    1  Qaella  cbe  ne  fece  il  Silvestri  ia  Milaao  V  anno  iSao. 


SECOLO    DEGlVOSETTIIfO  167 

c^nlrario,  ma  ia  altro  senso,  affermo  che  costai  sarebbe 
il  meglio  disposto  di  tnlli  a  difenir  felicissimo.  Imperoo* 
che  9    né  aTeodo  nò  sperando  egli  qoiete  nelle  cose  mon* 
dane  ,    cercherebbe  il  sno  diletto  nella  speranza  delle  ce* 
lesti  :    onde  porrebbe  ogni  stadio  di  concepirle  vi f amente 
per    Tere  e  per  grandi ,    e  di  tener   qoeila   via   per    cai 
potesse   confidarsi  di  procacciarle.-   £   cbi  ha  questa  viTa 
fede     e     questa  ben  fidata  speranza ,  è ,  per  mio   avviso , 
il  più   felice  che  &ia  in  terra  ,   godendo   egli    qai   d'  nna 
gran    porzione  del  paradiso.  Io  qnando ,  lasciati  i  pascoli 
di  qnesto   mondo  che   non  danno  in  verità  se  non  fieno, 
abbracciai  nella  religione-  la  croce  di  Cristo,  che  per  lui 
fu  albero  di  morte,  ma  per  noi  è  albero  della  vita,  an« 
che  secondo  il  saper  de'  fratti  che  ci  fii  mangiare  in  ter- 
ra,  dissi  a' miei  giovanetti  compagni  del  noviziato,  ch'io 
invidiava  loro  il  poter  essi  offerir  a  Dio  qael    bene   che 
riputavano  ^*  aver  rinunziato  per  lui  ,  e  che  da    lai    gli 
era  pagato  secondo  la  loro  estimazione  :    laddove    io  con 
aver  fatta  la  prova  innanzi  ,  non  poteva  essere  scritto  al 
libro  del   cielo    per    creditore  ;   anzi   si    per  debitore   in 
comnautazione  sì  vantaggiosa   eziandio    secondo    il    piacer 
omano.  -  Ciò  dissi  loro  :  ma  non  meno  essi  potevano  invi* 
diar  a  me  V  agevolezza  che  quindi   mi   risultava  d*  inna- 
morarmi totalmente  del   cielo,    da    poiché    sotto  di    esso 
non  erasi  da  me  trovata  cosa  degna  d^  amore.  Pure   alla 
mediocre  mia  condizione  restavan  vari  creduti  e  non  espe* 
rimentati  beni  per  chiarirmi  di  questa  universalità  ^  e  per 
afiermare  dì  certo  senso  ciò  che  affermò  indubitatamente 
quel  re  sforti^nato  per  la  sua  somma  fortuna  ;   che  tutto 
il  ben  di  qua  giù  è  vanità  e  afflizione  :    vanità    perch'  è 
simulalo  come  ombra  ;  afflizione  perch^  è  un'  ombra  tutta 
circondata  di  lappole  e  di  sterpi  '.  Ala  chi  può  esser  pari 

1  Lappole,  La  lappola  (  dice  il  Crescenzio  )  è  un*  erba  che  nella  sua  eora- 
mitade  ha  certi  capitelli ,  li  quali  molto  i*  appiccano  alle  vestimenta,  — 
Sterpo  (dice  il  Buti)  è  legno  bastardo  non  fruttifero. 


l68  LETTfiRATORà    ITILIAHA 

ad  un  Salomone ,  ch^  essendo  sialo  posseditor  di  fante 
grandezze  e  delizie ,  intendea  queste  verità  per  prova  ?  A 
me  bisognano  argomenti  persuasivi  per  uomini  d^  ogni 
fortuna,  quando  a  nomini  d'ogni  fortuna  è  indirizsato 
questo  mio  libro  per  procurarne  la  lor  salute. 

La  macchina  dunque  efficace  ed  acconcia  a  tutti  per 
Incominciar  ad  al>batter  nella  fantasia  la  slima  de'  beni 
mondani  e  dello  stato  corporale,  è  il  rammemorar  la  pre- 
sta jaltura  *  degli  uni ,  e  ''l  presto  corrompimenlo  delP  al« 
tro ,  cioè  il  presto  fin  della  vita.  Questo  argomento  parve 
il  più  poderoso  agli  stessi  sapienti  Gentili ,  insegnando 
essi ,  che  la  vera  filosofia  per  moderare  gli  affetti  era  la 
meditazion  della  morie;  e  asaronlo  si  gli  oratori  come 
i  poeti  a  fin  di  persuadere  che  si  dovessero  affrontare  i 
travagli  e  i  rischi  nella  guerra  ,  perchè  ivi  ultimamente 
si  tollera  un  male ,  e  s'  arrischia  un  bene  fragile  e  corto 
per  acquistar  T  eterna  vita  del  nome.  E  con  #iffalta  farra 
d^  eternità  ,  come  sopra  fu  detto ,  che  non  è  vera  élér* 
nità  ,  ma  solo  una  durazione  alquanto  estesa  oltre  alla 
Tita  corporale  ;  e  che  non  è  vera  vita  nostra  ,  non  fa- 
cendo sopravviver  noi,  ma  solo  un  ritratto  di  noi  dipinto 
neir  altrui  memoria,  indosserò  gli  animi  alquanto  più 
sollevati  da  questa  vile  e  caduca  paglia  comune  a*  broli, 
ma  non  saliti  con  le  penne  della  fede  sin  in  cielo,  a  fa- 
re, a  soffrire  tanto  d* arduo  e  diaspro,  che  assai^  meno 
sarebbe  stato  lor  sufficiente  ad  entrar  come  santi  nel  pa« 
radtso.  E  finalmente  la  stessa  via  di  condurre  i  nostri 
pensieri  ci  è  additata  dalia  infallibii  guida ,  eh*  è  Iddio , 
là  ove  ci  avvisa.  Memorare  novissima  iua,  P  ultimo  del- 
l' esser  tuo ,  cioè  la  morte  ;  perchè  in  tal  modo  t'  aster- 
rai di  peccare.  E  non  meno  1'  esperienza  ce  '1  conferma. 
Se  abbiamo  davanti  agli  occhi  un  cadavero  contraffatto, 
pazzolento,  verminoso  ,  ricordandoci  che  pochi  dì   prima 

I  Jattura.  Perdita. 


SECOLO   DECtMOSETTIHO  169 

quei  corpo  era  bello ,  giocondo  ,  e  talora  anche  serTifo 
da  nobìl  gente  ,  carezsato  con  esqaisiti  piaceri ,  riverito 
e  teosato  da  innnmerabili  persone;  e  consideriamo  che 
per  certo  fra  pochi  anni,  ma  forse  tra  pochi  giorni,  sa- 
remo anche  noi  al  medesimo  slato,  questo  pensierose  nna 
salati  fera  tramontana  che  smorza  tutto  il  bollore  de'  no« 
stri  mondani  aflFetti  '•  E  non  altronde  a??iene  che  Tuomo 
carnale  tanto  ha  in  orrore  il  veder  cadaveri,  il  parlar 
di  morte  ;  e  che  si  condanna  per  non  ci  vii  costume  il 
Domioar  i  defonti  alla  mensa ,  quasi  con  ciò  a  colui  che 
mangia  s' intorbidi  qoelP  allegria  ch^è  propria  di  tal  gio- 
conda operazione;  e  questo  benché  i  nominati  defunti 
nulla  appartengano  a  Ini ,  né  però  V  attristino  per  tene- 
rezza d*  amore.^  Vien ,  dico ,  un  si  fatto  abborrimento 
dair  abborrimento  di  quella  cenere  c^e  spargon  tali  ri- 
menabranze  sopra  il  sapor  de^  piaceri  ,  onde  si  nutre 
r  nomo  carnale. 

Vero  si  è,  che  talvolta  questo  sol  ribordo  della  morte 
non  è  bastevole  a  distaccar  ì*  affezione  della  volontà  dalle 
deline  detta  carne.  Anzi  alcun  poeta  gentile  *  usuilo  a 
contrario  effetto,  stimolando  gii  nomini  a  non  trascurarle 
finché  dura  la  vita ,  e  con  essa  la  possibilità  di  goder- 
ne; la  quale  assai  tosto  finisce.  E  in  tal  concetto  dice- 
vano que^  sensuali  rammemorati  nella  Scrittura  :  Corone* 
mus  nos  rosis  antequam  marcescant  \  Interviene  altresì  di 
questo  pensier  della  morte  come  di  tutti  gli  altri  per  loro 
natura  veementi;  cioè,  che  fada  pian  piano  ammansan- 
dosi ad  usanza  de'  leoni  e  delle  tigri  addomesticate  ne' 
serragli  :  onde  V  uomo  per  vedere  che  sono  morti  cotanti 

1  JJ  autore,  sebbene  sia  in  generale  cattigatissimo,  cade  qualche  volta  nelle 
metafore  ^acinte  tanto  al  suo  ié^ikt.  Tale  è  questa  ;  e  tale  è  pure  1*  altra 
che  YÌen  poeo  appresso  della  emere  sparsa  tapra  il  sapvr  de^  piaceri. 

a  GeatHem  Pagano. 

3  Coroniamoffi  di  rosa  innansi  di'  eiaa  Baaiaseand. 

(«TTiaAT.  ITAX.  -—tf  l5 


170  LETTERATURA   ITALUHA 

altri  e  noù  egli  già  mai,  la  per  an  certo  moclo  ingan- 
Dando  la  sua  fantasia ,  quasi  la  morte,  noo  sia  fatta  per  . 
lui.  E  di  ciò  che  io  dico,  si  ha  T  esperienza  primiera-, 
mente  nei  soldati;  i  quali  nelle  prime  battaglie  sono  co- 
stretti da  naturale  spavento  a  gittarsi  per  terra  qualora 
odono  lo  scoppio  d'  un  archibuso ,  né-  s'  espongono  nel 
conflitto  alla  morte  temporale  senza  sottrarsi  col  sagra- 
mento  al  pericolo  ^ dell'  eterna  :  e  di  poi  entrano  nella 
mischia  carichi  di  peccati  ,  e  camminando  fra  le  stragi 
si  de'  nemici ,  si  de^  compagni ,  non  più  si  commaoTon 
da  esse,  che  da^  cadaveri  delle  bestie  appesi  alla  becche- 
ria, come  sian  eglino  d'  ana  spezie  superiore  che  non 
soggiaccia  a  quel  macello.  Secondariamente  il  proviamo 
in  coloro  che  servono  agli  spedali  de'  tocchi  •  da  pestilen- 
za ;  \  quali  serventi  assuefacendosi  prima  a  non  tremare, 
indi  a  non  temere,  finalmente  a  disprezzare  queir  immi« 
nente  ed  orribii  rischio  ,  si  danno  quivi  ad  ogni  vizioso  ■ 
piacere  più  che  non  fanno  i  giovani  dbsoluti  e  spensie- 
rati tra  le  feste  e  le  licenze  del  carnovale  :  e  sì  bruttano 
di  si  enormi  peccati  come  se  la  morte  avesse  dato  loro 
un  lunghissimo  Non  grai^etur  '• 

Convien  però  cercare  qnalch' altro  aiuto  perchè  questo 
pensier  della  morte  scuota  a  sufficienza  la  nostra  imma- 
ginazione ,  sicché  non  avvenga  di  esso  come  talora  d'  al- 
cune medicine  alle  quali  a  poco  a  poco  Tassi  abituando 
lo  stomaco,  e  le  converte  in  nutrimento» 

Facil  maniera  di  soUet^ar  lo  spirito  dalia  tema 

aUa  speranza. 

In  tutte  r  arti  1'  agevolezza  delf  opera  nasce  principal- 
mente dal  cooperare  ,  e  non  contrariar  alla  natura  della 
materia.  Il  medico  fa  prospera  cura ,  se   porga   qnelP  n- 

I  Non  grapetur.  Forinola  con  cui  davasi  a  qualcuno  il  privilegio  di  non 
poter  essere  per  un  certo  tempo  citata  in  giadisio  dù  creditori. 


^SEGOLO   DECIUOSETTIMO  I7I 

more  cV  è  già  concolto  e  matoro ,   e   però  nataralraeate 
disposto  a  separarsi  dal  corpo.  Quel  terreno  rende    buoa 
fratto  in  cai  si  sparge  semenza  acconcia    alle   natie  qua- 
lità del  suolo.  Allora  con  V  aiuto   de'  remi  si    solca   gran 
mare  in  brev^  ora,  quando  si  uaTÌga  a  seconda  della  cor- 
rente. Il  padre  trae  molto  profitto  dallo  studio  del  figlino- 
lo ,  ove  r  applichi    a  tal   professione   a    cui    natura    incli- 
nollo.  Ed  universalmente,  non  solo  ha  molto  più  di  facilità, 
ma  d^  effetto  il  promnoTer  con    V  arte   V  innata   condizion 
del  soggetto  ,  che  '1  contrastarvi.  Tanto  che  il  medesimo 
Iddio ,  a  coi  tutta  la  materia  e  tntta   la    natura    ubbidi- 
sce 9    in  far  questo  maraviglioso  edificio  del  mondo  ,   usa 
per  istramenti   tutte    le    proprietà   naturali    che  sono   in 
qualunque  sostanza  senza  alterarle.  Anzi  nelle  stesse  opere 
della  Grazia  solleva  egli  bensì  la  natura,  ma  non  la  vio- 
lenta ;  e  le  dà  ciò  che  da  lei  non  è  potato,    ciò   che  a 
lei  non  è  dovuto ,  ma  non  ciò  che  a  lei  è  odioso. 

La  stessa  regola  dee  tenersi  nel  gran  lavoro  delPuomo 
spirituale,  e.  per  esecuzion  di  esso  convien  avere  in  me- 
moria una  proprietà  delf  attimo  umano  :  la  quàl  è ,  che 
ove  egli  ha  determinato  di  far  nn'  azione ,  e  d^  andare 
per  ana  vìa  ,  lascia  persuader  a  sé  di  buon  grado  che  in 
queir  azione  e  in  quella  via  si  contengano  molli  beni:  al 
che,  prima  della  determinazione  non  si  agevolmente  né 
fermamente  avrebbe  prestata  credenza.  Di  questo  ci  ha 
due  ragioni  ,  ambedue  fondale  nelP  amor  di  sé  stesso. 
Ciò  sono,  perocché  gli  è  caro  e  di  concepire  in  quella 
deliberazione  quel  più.  eh' ei  può  di  sua  prudenza,  e  dì 
attignerne  quel  più  ch^  ei  può  di  suo  godimento. 

Adunque ,  siccome  avanti  che  'i  cuor  deil'  uomo  si  pie- 
ghi ad  abbandonare  i  piacer   terreni  ,    fa    mestiero  ,    ad 
■  espugnarlo ,  gran  forza  ,    [>er  la  ripugnanza   della   natura 
-  corrotta  ;  onde  vi  bisognan    per    macchine  da   batterlo  e 
per  esercito  da  assalirlo  tatto  V  inferno  e  tutti  i  diavoli^ 


l^Z  LETTERATURA    ITALIARA 

i  quali ,  loro  malgrado ,  guerreggiano  in  questa    pugna  a 
iàfore  del  paradiso;  cosi  da  poi  che  f  animo  fu  atterrato 
dal  forte  impeto   del    terrore,  folentieri    lascia   sollevarsi 
dalP  aura  soave  della  speranza  ;  e  divien  pronto  a   confi- 
darsi che  la>  presa  deliberazione  gli  (^iovi  non  solo  a    in- 
dennità ,    pia   insieme  a  guadagno.  Onde  quel    bene  cbe 
avanti  ,  siccome  superiore    a'  sensi    e   all'  immaginativa  , 
poco  movea  T  intelletto,  allora,  siccome  grato  alP  orecchie 
delPamor  proprio,  trova  facile  si  T  udienza ,   si    la    cre« 
denza.  Non  del   misero    solamente  ,    di   cui    pronnnziollo 
quel  tragico  ;  ma  del  felice  altresì    è    vero ,   che   agevol- 
mente crede  ciò  che  intensamente  brama.  Prova  di  che  9 
sia  la  fede  cbe  porgesi  air  adulatore ,   il   qnal  pure   non 
si  raggira  intorno  a'  miseri  ,  ma  solo  a* felici  :  tanto   che 
è  qualche  felicità  della  stessa  miseria   il    viver  esente  da 
una  tal  peste.  Non  nego  io  già,  che.  quel  detto  non   ab- 
bia luogo  più  ne*  miseri  che  ne*  felici  ;  ma  questo  avviene 
perchè  in  essi  ha  luogo  più  di  brama;  essendo  più  bra- 
moso il  misero  d'  uscir  di  miseriar,  che  il  felice   di   cre- 
scer in  felicità  :  onde  il  misero  più  di  leggieri  crede  quel 
ch'ei  desidera,  perocché  più  forte  il  desidera.  Pietro  Fa- 
bri  ,  un  de*  primi  compagni    di  sani*  Ignazio    Lojola  ,    e 
un  de*  precipui  operai  cbe  nel    secolo  passalo   servissero 
alla  chiesa  nel  Settentrione  a    salvare    e    a    purgar    que* 
popoli  dalla  inondante  pestilenza  dell* eresia,  die  fra  1* al- 
tre questa  regola  a  quei  che  pigliavano  la   stessa   impre- 
sa :  che  prima  s'  argomentassero  d' indarre  le  genti  a  ri- 
putar  per  tollerabili  i  mandati  ■  della   nostra    religione  ; 
indi  si  ponessero  a  persuader  loro ,  che   1*  ubbidienza  di 
tai  mandati   è   di   necessità    per    salvarsi.   F*iochè  alcuno 
(  discorreva  egli  )  è  fermo  di  condescendere   alla  libidine 
ed  alla  gold ,  chiuderà  eoo  mille  serragli  le  porte  dell*  in- 
telletto ad  ogni  argomento  per  cui  si. provi,  che  U   coa- 

1  /  mandati,  I  precetti. 


SBCOCa  BEfinìoSETTIIflO  it3 

tenersi  dalia  fornicazione  e  ^1  digiunar  ta  qaaresiaia  sia 
di  Dccessità  .per  non  etser  dannalo;  non  volendo  comin- 
ciar a  patir  P  inferno  prima 'del  tempo,  col  credere  d^  a- 
Terlo'a  patire  fra  pocq  tempo.  T40  stesso  gli  uomini  tì- 
liosi  farebbooo  inverso  la  morte,  se  potessero  tòrtasi  dalla 
credenza  ^  ma  se  ne  schermiscono  a  loro  possa  con  tòr- 
lasi  dalla  memoria.  £  per  contrario  san  ^Francesco  ne 
pasceva  il  pensiero  ad  ogni  momento;  perchè  in  tal  modo 
potea  cantare  qne'snoi  giocondissimi  yerseiiì  i  E  sì  grande 
il  ben  eh*  aspetto  —  Cht  ogni  pena  m*  è  dileito. 

Raccogliendo  le  molte  in  poche;  chi  già  b*  è  proposto 
d'osservar  la  divina  legge  per  timor  delP  inferno,  è  sag- 
getto acconcia  ad  accettare  dall'  osservazione  di  essa  la 
speranza  -del  paradiso  ;  e  con  tale  speranza  si  fa  in  lai 
appieno  volontario,  e' però 'costante,  qqel  proponimento 
che  .innanzi  era  volontario  dimezzato,  e  però  vacillante» 
Onde  allora  che  V  animo  è  in  tale  apparecchio  ,  si  vo- 
gliono seminarvi  quelle  ragioni  che  ci  muovono  a  cre- 
dere con  fermezza.  la  verità  dei  premi  celesti ,  e  per  coq«^ 
seguente  a  sperarli. 

DALLA   STORIA    DEL   COIIGIUO  DI   TREIfTO»    . 

Ritratto  del  pontefice  Giulio  JIL 

Fa  Giulio  di  nascimento  ordinario  ,  d'  intelletto  pii» 
che  ordinario  ,  migliore  a  trpvar  nuovamente  Jl  buono 
eh' a  fermarsi  nel' già  trovato.  Passò  per  molti  gradi  al 
supremo.  Ed  oltre  a'  mhiort  uffici ,  intervenne  al  Concilio 
di  Lateraoo  e  vi  orò  solennemente*.  Fu  arcivescovo  di 
Uaufredonia ,  due  V4>lte  governator  di  Roma  ed  anche 
udilòr  delia  Camera.  Nel  tempo  del  sacco,  essendo  con- 
segnato per  un  degli  ostaggi  a^  vincitori,  videsi  in  grave 
rischio  d' ignominiosa  morte  fra  la  bàrbara  loro  ingordi-* 

.  1  Vi  ora  ec, .  Arìngp.. 


174  ErrTEltàTCRl  italuwa 

gM»  ìa  «plorila  iTi  cardinale  resse  le    principali    provinole 
Jello  Stato  ecclesÌa»tico  e  s'illtjstrò  còme  nomo  di  sarpere 
e  di  coraggio  nella  presidenza  lunga  e  torbida   del   Con* 
cilio.  Fa  tenero  nttir  amare  ^  presto  alF  adirarsi-,- m&  non 
meno  al  placarsi.  Aperto  pernalnra,    ma  coperlo  qnan^ 
Itegli  YoleTa  per  arte»  Prono  alle  ricreazioni,  ma  di  pari 
anche  al  negozio.  Le  instrnzióni*  date  a^  ministri  nel   sno 
pontificato  ,   che  sono  la  maggior  parte   dettate    da    luf  ^ 
come* per  pòco  tdUe  le  lettere  di  grave  affare,  mostrano 
sottile  ìngeg^iK)  e  fina   priidenim  di  Stato,  né  minor,  zelo 
del  ben  pubblico  e  della  religione  \    ma*  vi    si    scorgono 
alcune  forme  di  più  efficacia  che  maestà,. le  quali   fanno 
arguir  mancamento  d^  una  perfetta  gravità  *e   moderazio-^ 
ne.'  Eblx;  animo  benefico,  m A' talora  senza  scelta;. non  la- 
sciando egli  già  irremaneratr  i  più  degni,  ma  beneficando 
con  essi  ancora  i  men  degni.  Portò  grand^ affezione  al.  suo 
sangue,  distribuendo  varie    porpore    trasparenti;   alcuni 
àe*  quali  divennero  poi  meritevoli   delP  onore   non    meri* 
tato  quando  ottenuto  VE  specialmente  nel  cardinal  De'  No* 
bili  la  tenerezza   degli    annf,   aggiugnendo    ammirazione 
alla  santità,  parfe  aggiu^nere  e    non    tórre   decoro    alla 
dignità.  Ma  sopra  tutti  amp  e  sollevò  uno    fuar    del  suo 
sangue,  non  degno  né  prima  ne  poi,  èhe  fu  il  cardinal 
Innocenzo  del  Monte.  S'  astenne  d^  alienare  ne'  suoi  '  i  beat 
àeììa  Scelta  Apostolica;  onde  solo  a  vita  donò  ad  Aseanio 
della  Cornia  un  castello  presso  a  Peru-o^ia ,  e   al   proprio 
fratello  suo'  Baldaino  die  lo  Stato  di  Camerino  similmente 
a  vita  ,   levatogli   poi  dal  successore  y  cbe  lo  risarei    del* 
l'entrate.  Raccontano  che  H  mentovato  fratello  il  combattè 
fin  air  ultimo  per  impetrarne  a  favor  di  tutti  i  suoi   di- 
scendenti il  feudo  ;  e  che  'i  Pontefice  ne  fu  ritenuto  dal 

1  Quando  olienuttk  Quando  l*'otteiuiero. 

2  yilieaare  ne*  suoi  «cv .  S*  attenne  dal  trasfeiire  ne*  suoi  congiunti  il  do^ 
minio  dei  Leni  «pettanU.  alla  Sedia  Apostolica.. 


SECOLO   I>EC|MO»ETTf»0  tjS 

liberi  consigli  del  cardinal  Cervino.  Mo\if>  più  »i  manleDDe 
ìotiillo  da  legarsi  a'  potentati  per  grandezza    de'  parenti* 
Solo  dal  Duca  di  Firenze ,  signore  del  monte  san  SaTÌDo 
sua    patria,   accettò  1*  investitura  di  esso    in    persona    AA 
fratello,  non  sapendo  rattemperarsi  dal  diletto  di  teder» 
ì  suoi  dominar  fra  quelli  con  coi  s'erano  allcTati  egDalt» 
Uó    simile  allettamento  per  «fventara  il  trasse  rultim^anno 
a    stabilir    matrio^onio    tra    Fabiano    BsMuol  naturale  «m 
nnico,  del  fratello  (  dopo  la  morte    di    Giambattista  )    ed 
atva   figliuola  dei  duca  Cosimo,. che   fu    poi    collocata  ad 
Alfonso  duca  di  Ferrara.  Di  che  die  .contezza    al.  Conci«- 
fttoro*,  assicurandolo  che'qi^l  maritaggio  niente  avrebbe 
pr&giodfcato  al  ben 'comttne«  Il  pontificato  tuo  rimase  di 
po^o  gloriosa  memoria  per  V  infortunata  impresa  di  Par-^ 
ma  ,  per  la  dissolozion  del  Concilio    e  per    V  accordo   di 
Pa'ssavia.   Tutto .  ciò    {Pareva    ricompensato  dal   racqoisto 
deh*  Inghilterra-,    s'egli    ne   avesse  còlto  pur  altro  che  t 
fiori,  o  se'l  frutto  Ibsse  stato  durevole'  per  la  Chiesa.  Mori 
con  tenue  estimazione  aè  con  maggior  benivolenza  ;  per* 
ciocché  certa  sua  'libertà  e  domestichezza   che   nelf  equa- 
tità  di  privato  l'avevano  altrui  rendalo  più  amabile,  nella 
maggioranza  di  principe    il    rendettero    men    venerabile; 
sema  la.  qual  prerogativa  il  prìncipe ,   non  essendo  ripa- 
tato  buono  in  sua  condizione,  ne  ancora  saol  essere  ama- 
to. Conlnttociò  r  opinione  gli  fu  ingiusta;  perocché  i  suoi 
difetti,  erano  di'maggior  vista   si  che  i  suoi    pregi  ,    ma 
BOA  forse  di  maggior  peso.  In  somma  eziandio    V  onore  ^ 
come  Ittili  i  beni  umani ,  saifo  1'  unico  vero  bene  ^  eh'  è 
la  firtù,  sta  io  arbitrio  d'ella  fortuna..  ^  ^ 

PAOLO  SEGNERI  ' 

Nacque  V  SDQO  iGss^  i°   Nettuno ,  castella  delb 
campagna  di  Roma  :  fa  educato  dai  Gesuiti)  «  ìnyo^ 


176  LETTCBITCRA   ITlLljfclTA 

gliatosi    di  appartenere  alla  Compagnia,  ne  iWenne 
col  Pallavicino  e, col  Bartoli  uno  de^  più  begli  oraa- 
nienti  nelPelà  sua.  Egli  attese  a  coltivar  T  eloquenza 
*del  pulpito,  e  ne  colse  la  prima  palaia^  la  quale  poi 
gli  è  conservata  tuttora  dal  consenso  di  qu^  medesimi 
cbe  san  ravvisare  ciò  che  gli  manca  aa    essere,  per- 
fetto. Dal  lato  della  lingua ,  egli  ne  fu  tanto  studioso 
e  v^  ebbe  dalla  natura  tanta  attitudine  j  che  V  Italia 
Io  annovera  fra*^  suoi  miglioii  esemplari,    e   T'Acca- 
demia  della  Crusca  lo  cita  nel  suo*  Vocabolario.  «^^ 
Sebbene  poi  le  Prediche  e  i  Panegirici  siano  )e  opere 
del  Segneri  più  comunemente  lodate,  ìneriterebbero 
forse  ai  dì  nostri  di  essere  preferiti  alcuni  altri  suoi 
libri ,  dove  P  eloquenza  è  meno  pomposa ,  ma  perciò 
appunto  più  popolare ,  più  imitabile   e'd    anche   più 
accomodala   alla    diffusione   della    verità.    Oltre  alla 
Manna  deW  anima  ^   il    libro   del   Cristiano  istruito 
potrebbe  somministrare  tanti  begli  articoli  di  morale 
pratica  da  farne   un   volumetto    prezioso   sì  per    la 
materia  e  sì  per  lo  stile. 

DAL    GRISTIiKO    ISTRUITO. 

Sopra  la  debita  educazione  de^  figliuoli. 

Io  dico  io  primo  luogo  che  la   baooa   educazione   im* 
porta  sommamente  al  "htn   de'  figlinoli.   Si  accordano    in 
questa  proposizione   tanto    le    divine  ieltére ,    quanto    le 
umane;  il  che  è  grande  argomento  della  sua  eTÌdenza.  l 
Sa?i  umani  hanno  creduto    che    senza  questa  cura   solle* 
cita  di  alleTarbene  i  figlinoli,  sieno  vane  tutte  le  leggi ^ 
insufBcipnll  i  decréti,  inutili  i  documenti  ;  e  ch^  essa  sola 
senz^ altra  ordinazione  ancor  sia.  bastante  a  mantenere  ne* 
popoli  la  giustizia.  Però  i  Lacedemoni  ,    istruiti   dal   più 
celebre*  legislatore  tra  gli  aniichi,  cioè  da  Licurgo,  erano 
tanto  fermi  su  V  importanza    di    questo    affare  ,    che  *ne* 
delitti  occorrenti  non  gastigdTano  i  figliuoli  ^  ma  i  padrt 


SEGOLO   DECmOSfiTTIHO  fjf 

Onde  ana  volta  fra  V  altre  coadadoarono  dne  padri  a 
pagare  aoa  grossa  somma  di  danaro ,  perchè  i  loro  gio- 
va ni  erano  tra  sé  Tenuti  aHe  roani  ;  scusando  i  giovani 
per  r  inconsideraziou  deli^  età ,  e  accusando  i  vecchi  pef 
la  mancanza  nel  loro  ufficio  :  tanto  era  loro  6s$o  neW  a« 
nimo  ,  che  dalla  sopraintendeoza  de^  maggiori  dipendea  , 
come  da  radice,  il  buono  o  cattivo  fruito  che  pullula  tra 
i  minori  » .  •  •  ^ 

Qnal  pianta  pra  dolce  d'  indole  che  la*  vite  ?  Ep« 
pure  si  è  trovato  modo^,  con  avvelenarne  le  barbe,  di 
far  eh*  ella  produca  de*  grappoli  avvelenati.  Per  centra* 
rio  9  macerata  nel  latte  i  semi  ,'e  proverete  che  i  fratti 
nasceranno  sempre  più  amabili.  Bisognerebbe  la  sera  ^ 
quando  la  famiglia  è  insieme  adunata  ,  ripetere  spesso  a 
lei  quelle  belle  parole  del  santo  vecchio  Tobia  eh'  io 
voglio  qui  riferirvi.  Ed  oh  ,  che  soave  latte  per  lei  sa« 
rebbonol  Io  vi  dico,  che  n'apparirebbe  la  dolcezza  dopo 
molti  anni  ne*  costumi  de*  vostri  giovani.  -^  Ricordati,  di- 
ceva egli  al  suo  figliuolo,  riccrdati  di  Dio  tulli  i  giorni 
della  tua  vita,  e  guarda  di  non  consentir  mai  al  peccato 
di  modo  alcuno  ;  o  commettendo  quel  male  che  Dio  li 
vieta,  o  pretermettendo  quel  bene  che  ti  ricerca.  Impara 
a  benedire  il  Signore  di  tutti  i  tempi,  e  pregalo  a^  coa« 
durre  tutte  le  tue  azioni  e  tutti  i  tuoi  disegni  con  la 
regola  della  sua  divina  volontà.  Quello  che  tu  non  vote- 
resti, o  figlioplo,  eh'  altri  facesse  con  esso  te,  non  lo 
far  mai  tu  con  veruno.  Riguarda  con  occhi  compassione- 
voli i  poveretti  ,  e  Dio  riguarderà  con  occhi  compassio* 
nevoli  ancora  te.  Sii  limosiniere  in  quella  maniera  che  ti 
è  possibile.  Se  sarai  ricco  ,  dona  al  povero  abbondante- 
mente; e  se  sarai  povero,  dona  al  povero  quel  poco  che 
ti  trovi ,'  ma  donalo  con  prontezza  ;  e  se  in  tal  caso  la 
mano  sarà  stretta,  sia  largo  il  cuore.  Fuggi  la  conversa- 
tboe  pericolosa  de' cattivi  compagni,  e  consigliati  eoa  le 


'rSa     -  USTTBBATUBA  ITAUkìlk 

Sopra  la  maldicenza* 

Se  Toi  lodate  aiia  persona,  ìndi  a  pòco  talli  si  dimen* 
ticano  della  lode  che  toì  le  deste;  ma  se  toì  la  biasi- 
mate, quél  biasimo  non  si  dilegua  mai  dalle  menti:  par^ 
ticolarmente  se  fa  biasimo  di  persona  tenuta  già  in  qnal- 
die  stima  per  la  bontà.  Non  è  credibile  la  facilità  eoa 
cui  queste  ricevon  ddnno  da  una  lingua  caltira;  e  danno 
senza  rimedio.  Nella  cicatrice  di  un  carallo  nascono  age« 
Tòlmente  ì  peli  cbe  la  ricnoprono;  ma  non  cosi  nella  ci- 
catrice di  un  Qobao.  Altrettanto  e  quel  che  interTiene 
quando  la  persona  non  è  di  fama  perduta  :  ogni  ferita 
che  sopraTYcngale  nella  riputazione ,  lascia  il  sno  segno  ; 
ed  nn  tal  segno,  oh  quanto  è  dipoi  difficile  a  dileguarsi  ! 
Dicea  colui:  Di*  pur  male  del  tuo  nimico;  perchè  quan- 
tunque un  di  si  scoprisse  ch^  egli  è  innocente ,  luttavia 
rimarrà  sempre  in  esso,  se  non  la  piaga,  almeno  la  ci- 
catrice. -  Non  si  vorrà  mai  finir  di  discredere  quello  che 
si  credè  tanto  Tolentieri.  Vi  son  de'  fulmini  che  non  ab- 
bruciano,  ma,  se  non  altro^,  anneriscono:  e  simile  a 
questi  è  la  lingua  mormoratrice;  che  quando  non  giunga 
a  incenerire  il  buon  nome  delK  infamato,  almeno  rofiusca. 

DALL^  IlfCREDULO   SEITZA   SGDSA. 

Provvedimenti  degli  animali  per  difendersi  dai  loro  nemici  f 

o  per  assalirlL 

Senza  avere  appresa  giammai  V  arte  militare ,  sanno 
i  bruti  conoscere  a  maraviglia  i  vantaggi  loro  di  posto , 
e  gli  sanno  prendere.  I  msignuoli,  per  assicurarsi  dagli 
sparvieri,  soggiornano  ii^ra  le  macchie.  L'airone,  per 
assicurarsi  da' falchi ,  si  aggira  intorno  alPabque  da  lor 
temute.  £  Talee,  bestia  per  altro  si  paurosa,  che  a  qua- 
lunque ferita,  nei  mirar  che  ella  faccia  il  sangue  gron- 


SECOLO   DCGIMO^ETTIHO  iSl 

dante V  cade  sóbito  a  terra  di  raccapriccio;  tottavia  «ince 
i  lupi,  scegliendo  contro  di  essi  per  campo  di  battaglia 
i  fiami  gelati  :  sopra  de^  4]naif  può  tenersi'  l>en  ella  £er^ 
ma  9  con  1'  unghia  acuta  e  biforcata  che  eli'  ha^  ma  noD 
posson  leoerTÌsi  fermi  i  lupi.  *   ^ 

Oltre  il  vantaggio  -del  posto ,  sanno  i  bruti  conoscere 
quel  delle  armf.  Quindi  è,  che  ^ aquila  tiene  una  cura 
grandissima  dè^  suoi  artigli  :  e  se  ella  è  ferma  ,  par  che 
sempre  gli  miri;  arrotandogli  su  la  pietra  quando  hanno 
perduto  il  filo,  e  risparmiandoli,  qnando  sono  affilati ^  col 
Don  camminare  tra  J  sassi.  I  cervi,  i  cavrii  *"  ed  i  tori 
armotano  aoch^  essi  ;ai  tronctii  le  loro  corna ,  e  le  prò* 
vano  e  le  riprovano ,  prima  di  venire  a  duello-  con  gli 
avversari.  U  àrdea  si  rivolta  col  becco  all'  in  so  tra  V  a« 
li,  e  riceve  intrepidamf;nte  T  impeto  de' falconi;  che  ca« 
landole  sopra  forìosameote  per  farne  preda,  vi  rimangono 
morti.  E  il  pellicano,  per  non  venire  sorpreso  dagli  altri 
nccelii  assassinatóri ,  io  -una  simile  positura  ancor  egli  pi** 
glia  i  suoi  sonni  ;  addormentato  ed  armato.  > 

Dove  manchi  la  (orza,  suppliscono  con  T  unione.  Cosi 
fanno  gli  storni  ;  volando  sempre  a  schiere  numerosissi- 
me, e  procurando  in  quelle  il  posto  di  mezso,  per  mag- 
gior cura  di  sèJ  Gli  armenti  si  fanpo  forti  dal  lupo,  adu- 
nandosi insieme  in  àn  cerchio. fitto,  con  le  leste  rivolte 
centra  il  nimico  :  e  i  giumenti ,  con  somigliante  ordinaU'» 
za  ,  Tolgono  al  lupo ,  non  le  tèste ,  ma  i  piedi ,  dove 
hanno  il  loro  valore;  e  si  difendono  bratamente  cor  calci. 

Che  se  non  è  pronto  il  soc<!òrso,  jaono  anche  i  bruti 
richiederlo  con  la  voce.  Cosi  T ùpupa  *  ravvisando  la  volpe 
ascosa  tra  1'  erbe ,  con  inusitato  e  con  importone  strida 
r  addila  ai  cani.  Cosi  i  cigni,  cosi  le  cicogne,  cosi  T  a- 
nalre  sollecitano  le  compagne  da  loro  assenti,  alla  difesa 

1  /  cavriit  I  capriaoB.    . 

a  It*  ùpupa,  Dicen  aaclM  SwbhcUU 

URTBRÀT.  ITAL.  -  IV  l6 


iSl  LETT^RITURA    ITALIANA 

cornane '/contro  delPaqiiiki,  E  cosi  le  berlacoe  * ,  nelle  for 
selre ,  fanno  conlra  i  -aiedesimi  cacciatori  ,  gridando  for- 
te,-come  se  gridassero  i|l  ladro. 

,^  Se  non  -che  a  schermirsi  da  questi ,  tanto  gli  animali 
più  -imbelli  9  quanto  i  più  forti ,  son  destri  al  pari..  La 
lepre  salta  di  lancio  nella  sna  tana  ;  per  non  lasciare  quivi 
impresse  Testigia  ,  che  la  rivelino  a  chi  la  cerca.  L^  orso 
v^  entra  a  ritroso  ;  per  mostrare  d'  esserne  uscito  quando 
V*  entrò.  Ed  il  leone  medesimo  (a  guisa  .di  guerrìer  pro- 
de, non  meno  attento  ad  iscoprir.gli  andamenti  deli*  ini- 
mico ,  che  a  coprire  i'  proprj  )  stampa  insieme  '  V  orme  , 
passando  sopra  V,  arena,  insieme  le. guasta;  perchè  non 
diano  sentore  de'  suoi  viaggi. 

In  una  parola ,  lutti  gli  animali  iianno  qualche  dote 
lor  propria  per  la  difesa  :  quali  con  la  destrezza  ,  come 
le  scimie,  pur  anzi, dette,  che  giungono  ad  afferrare  eoo 
la  mabo  per  V  aria  quella  saetta  che  loro  voli  alla  vita  ; 
quali  con  la  generosità,  come  il  leone,  che  mai  non  fug- 
ge ,  se  non  che  mostrando  la  faccia ,  per  dar  terrore  ; 
quali  con  la  .timidhà,  conie  i  cervi,  a  cui  la  paura  me- 
desima, è  sicurezza  (  tanto  son  ratti  alla  foga);  quali  col 
divenire  quasi  invisibili ,  come  si  rendono  le  seppie  *  nella 
lor  tinta;  quali  con  T appparir  quasi  trasformati,  come 
Sk  il  polpo ,  che  piglia  tosto  il  colore  di  l|uellò  scoglio 
cui  sta  aggrappato,  e  così,  delude  ogni  guardo:  senza  che 
fira  io  stuolo  ai  numeroso  degli  animali  ,  o  terrestri  o 
acquatici  go  aerei ,  pur  un  si  trovi  che ,  o  con  la  forza 
datagli. o  con  F ingegno,  non  sia  bastantemente  armato  a 
suo  schermo. 

Né  minore  hanno  l'arte  per  assaltare',  di  quella  che 
possegganoli  ripararsi.  Xa  donnola  quando  si  Tuole    ci- 

*       -  .  '  ■ 

l  Le  bertucce.  Le  scimie. 

a  Le  seppie.  Pesci  di  mare  |  die  diffondono  m  WBor  nero  i  d*  onde  ti 
dispero  anche  Calamé^,  • .  ^  . 


SECOLO   DCèfMOSETTIHO  1^3 

menlar  co^  serpenti  il  sì  apparecchia ^ot  mangiare  tonanti 
la  rota;  erba  a.  questi  dr  odor  troppo  •  intollerabile.  E 
r  icneumone  quando  tuoI  pugnare  con  gli  aspidi,  si  ri* 
Tolge  tutto  nel  fango,  e  se'  ne  fa  come  lina  corazza^  con 
assodarlo  prima  ai  raggi  solari,  perchè  non  tema  -alcotf 
morso.  La  tigre,  per  assicurare  le  altre  fiere  a  cibarsi 
delle  sue  carni ,  si  finge  morta  ;  e^  dipoi  sobito  è  loro 
sopra  a  man  salva,  e  ne  fa  macello*  La  volpe  è  slata  ve- 
data»  riroltoUrsi  dentro  la  creta  rossa,  fino  a  tanto  ch'ella 
apparisca  quasi  un  cadavero  senza  pelle;  per  invitare  i 
volatili  men  accorti  a  on  solenne  pasto;  che  poi  di  loro 
fa  ella,  non  di  lei  essi.  E  la' torpedine,  con  un  miracolo 
più  losueto ,  sa  fin  rendere  stupido  chi  la  tocca ,  e  pri- 
varlo di  moto ,  non  che  di  audacia. 

DAL  ^DARESlUALfi. 

Un  funestissimo  annunzio  son  qui  a  recarvi  ,  o  miei 
riveriti  uditori  ;  e  vi  confesso,  che  non  senza  una  estre- 
ma difficoltà  mi  ci  sono  addotto,  troppo  pesandomi  di 
avervi  a  contristar  si  altamente  fio  dalla  prima  mattina 
cfa^  io  vegga  voi,  o  che  voi  conosciate  me.  Solo  in  peo^ 
Bare  a  quello  che  dir  vi  devo,  sento  àgghiacciarmisi  per 
grand'  orrore'  le  vene.  IMa  che^  gioverebbe  il  tacére  ?  il 
dissimular  che  varrebbe?  Ve  lo  dirò.  Tutti,  quanti  qai 
siamo,  o.  giovani  o  vecchi,  o  padroni  o  servi,  o  nobili 
o  popolari,  lutti  dobbiamo  finalmente  morire.  Slaiutam 
ett  hominibur,  semel  mori  (  ffebr,  9 ,  27  ).  Ohimè ,  cho 
Teggo  ?  Non  è  tra  voi  chi  si  riscuota  ad  avviso  si  fermi* 
dabile?  nessuno  cambiasi  di  colore?  pessimo  si  muta  di 
Tolto?  Anzi  già  m'accorgo  benissimo,' che  in  cuor  Tostro 
»TOÌ  cominciate  alquanto  a  ridere  di  me,  come  di- colui 
che'qili  vengo.a  spacciar  per  nuovo  un  avviso  si  rican- 
tato. E  chi  è,*mi  dite,  il  quale  oggimai  non  sappia  che 
lotti  abbiamo  a  morire?  Quis  est  homo,  qui  vivet ,  £i 


lS6  UTTtS^TVRA  ITALIANA 

tcfaiolta  io  h  Irasfondd  oel  Cuore  de*  miei  titlltori  ^  qiial 
ella  asci  da*  segreti  delle  tue  viscere.  SproTfedoto  veogo 
io  d'  ogni  altro  Mstegoo ,  fuorché  di  una  yÌTlssima  con- 
fideoza  nel  faTor  tuo.  Però  tu  illustra  la  mente,  tu  guida 
la  lingua,  tu  reggi  il  gesto,  tu  pesa  tutto  il  mia  dire 
di  lai  J29aniera  che  riesca  di  lode  e  di  gloria  a  Dio,  sia 
di  edificazione  e*  di  utile  al  prossimo,  ed  a  me  serTa  per 
acquisto  di  merito ,  non  si  oonrerta  in  materia  di  daa- 
nazione. 

FRAPfCESCO  REDI 

Questo  msigqe  naturalista,  e  scrittore  non  manca 
insigne  di  prose  e  41  versi ,  naeque  di  nobii  famiglia 
in  Arezzo  b?  iS  febbre jo   1 6ti6  ,    e  dopo  essersi  ini-* 
ziato  alle  belle  lettere  in  Firenze,  studiò  Qlosofì^   e 
medicina  nelP  Università  di    Pi$a.    La    fama  del  suo 
ingegno  e  del  suo  sapere  mosse  i  Prìncipi  Coloqnesi 
a  invitarlo  di  trasferirsi  a  Roma  /  do^^  egli  andò  ed 
aperse  una  cattedra  di  ret lorica  nel  palazzo  di  que' 
Signori.  Il  granduca  Ferdinando  II  lo  richiamò  poi 
é  Firenze ,    nominandolo    medico    della   sua  Corte  e 
dove  r  ingegno ,  e  le  maniere  gentili ,  e  l' ingenuità 
deìV  animo    gli   conservarono ,    anzi    gli    acci*ebbero 
sempre  Ja  grai^ia  cosi  di  Ferdinando ,  come   di  Co* 
«imo^  III  che  gli  successe  j  e  però  egK  stette  poi  sem-^ 
pre  in  quella  Corte  onorato  e  careggiato   da    tutti. 
Negli  ultimi   anni    della  sua-  vita  fu  molestato    dal- 
l'epilessia  j  e  ritrattosi  in  Pisa,  forse   sperando   che 
la    salubrità   di   quel   cielo   potesse   giovargli,    quivi 
fu  trovato  morto   la   mattina   del    primo  giorno   di 
marzo   1698.    La   nera  Morte, {dice  it"  Sai  vini)  te- 
fnendo  per  v^entura  tP  assalire  a  fronte  aperta  chi 
infinite  scolte  in  altri  Jugata  P  avex^a  e  sconfitta^  pre* 
selo  con  agguato^  e  idi  furto  il  fece  passar^  dal  sonno 
alP  eterno  ripòso. 

U  Redi  erasi  propoi^o,  nel  &ito  ddle  sciense^  di 


McoLo  DiaiiQSBTTiaia  187 

non  dar  fiMle  te  non  a  quello  che  vedaTa  cogli  oc» 
chi  suoi  propri!  ^  e  però  i  «uoi  studi  forooo  conti* 
Doe  esperienze  che  veaoe  poi  pabUicaodo.  Nella 
medicioa  prepose  V  ippocratica  sepiplicità  alla  coin« 
posizione  ed  alla  mpUiplicità  de^  rimedii,  o  (cornee*. 
gli  diceva  )  di  quei  guazzabugli  di  medicamenti  che  i 
medici  sogliono  per  i^era  ciurmerìa  ordinare  agli  aU 
triy  ma  per  sé  medesimi  non  gP  ingozzano  mai.  Nelle 
lettere  amene  fu  coltissimo,  poeta  ricco  di  belle  im* 
magini  ,  prosatore  purissimo, ^ elegante  ,  lontano  da 
ogni  affettazione.  Lo  sue  Esperienze  naturali  e  i  Cbft- 
sulti  poterono  somministrare  ad  Andrea  Pasta  nn 
Vocabolario  ad  uso  ^i  IVI«dici  :  la  Lettere^  le  Poe'» 
sie  e  principalmaale  il  Difirambo  colte  Note  ch^egli 
ne  scrisse  si  annoverano  fra  le  produzioni  più  belle 
della  nostra  lingua.  Egli  fu  ascritto  a  varie  delle 
Accademie  di  che  allora  Tltalia  era  piena,  ma  s^iU 
lustrò  massimamente  in  quella  della  Crusca  coope* 
rando  assaissimo  all^  edizione  del  Vocabolario  che  si 
pnbblicò  nel  1691. 

DàLLB   I.ETTBRE. 

Jl  Padre  Gio.  Tdaria  Baldigìani  della  Compagnia  di  Gesù. 

10  ho  afota  sempre  ania  profoodissima  ?eoerMÌQae  ^1 
merito  del  Padre  Cvottigaes,  e  mi  sono  sempre  dispiaeiate 
fino  air  aoima  lo  Buofe  della  vati  fastidiosa  ostinatissima 
infermità  ;  e  mi  creda ,  amatissimo  Padre  Baldigiaai  y 
che  gitelo  di<;o  dii  fero  cuore,  e  da  booo  amico  sincerisi 
afmo.  Con  sincerità  dliiìifae  di  buon  amico,  e  no»  con 
ciurmerla  di  Medic^ozolò,  risponderò  a'  tre  quesiti ,  che 
da  V.  Ret^enza  mi  son  fatti  per  sertiaio  del  medesimo 
Padre  Gottigoes. 

11  primo  quesito  si  è  :  Se  io  abbia  cura  o  rimedio  da 
prescrifergli ,  a  fine  di  soUetarb  in  tutta  o  in  parte  da 
quella  infermità  ^  neUa  quale  presentemente  si   trota  t  ^ 


tM  LKTTÉRATORà   ITALIAHA 

che  ndla  saa  lettera  da  V •  B^erereiUB  eoo  tanta  pònloa* 
lità  è  stala  descritta.  ' 

Rbpondo,  confessando  ingennamente  la  mìa  ignoranza, 
che  io  non  ho  medicamento  rerano  da  potergli  prescri* 
vere.  Che  se  «pure  dofessi  prescritergll  qualche  còsa ,  gli 
prescriverei ,  che  da  qai  avanti  si  astenesse  da  tatte  le 
sorte  di  qaei  medicamenti  che  si  cavano  da*  vasi  degli 
speziali;  e  tanto  più,  che  ha  provato  a  valersi  di  essi 
medicamenti  ,  essendosi  altimaroente  purgato  per .  mano 
de'  medici ,  i  quali  olire  le  preparazioni  '  universali  $  gli 
hanno  dato  ancora  dei  decotti ,  e  gli  hanna  fatto  anco^ 
usare  gli  archetti  '  de*  sudalorj.  E  per  tutte  qoeste  opera* 
zioni  il  Padre  non  ha  ricuperata  interamente  la  sanità, 
ma  solamente  è  tornato  in  quello  stato,  nel  quale  si  tro* 
vava  prima  che  gli  venissero  gli  ultimi  peggioramentr. 
Ed  intorno  a  ciò  V.  Reverenza  discorre  più  che  da  me«> 
dico  nella  sna  lettera:  ed  io  non  voglio  replicarlo. 

Il  secondo  quesito  si  è  :  Se  io  abbia  qualche  consiglio 
da  somministrargli  almeno  per  .premunirlo  e   preservarlo 
da  peggio,  e  per  allungare  più 'che- sia  possibile  la  vita* 
Rbpondo ,  che  in  questo  secondo  quesito  io  sono  uomo 
più  trattabile  assai ,  ed  il  consiglio  lo  bo.,  e  voglio  dar* 
glielo ,  ed  è  un  consiglio  bnooo  e  sicuro ,  ed   il    più  si- 
curo ,  che  sia  ia  tutta  quanta   la   medicina.    Iddro ,   che 
ne.  sa  molto  più  degli  nomini  ,  e  che  è  discreto  più  di 
tutti  gli  uomini ,  pel  vitto  di  san  Paolo  primo  eremita  , 
non  gli  mandava  altro  che  un  mezzo  pane ,  non  {lortato 
da  un  cammello,  ma  da  un  piocold  -corvo  ^  e  con  questo 
fitto  di  ogni  giorno  così  parco ,  lo  mantenne^  vivo  e  sano 
molte  e  molte  dozzine  di  anni  :  e  per  mostrare  che  eoo 
questa    stessa  parsimonia  potevano  vivere  ancora  gli  altri 
Cristiani ,  quando  sani*  Antonio   abate  fu  commensale  di 
san   Paolo,  Iddio  solamente  raddoppio   la    dose  di     aa 

t  Archetti  §e,,  AltroTO  il  Kedi  un  Vnpntàom  ^  *tit/è  sudalaHei^ 


SECOLO    DECIMOSCTTinO'  fSf 

mezzo  phne  ,  portato  pare  dal  medesimo  corvo.  Che  to« 
glie  ioferire  ?    Che  se  ii  Padre   Got Lignes    tqoI  cnmpara 
più  luDgaoieole  che  sia  possibile,  sia  parco  pnrchissi ni <},  é 
quanto  mai  si  può  dir  parchissimo  nel  mangiare.  Lo  dico 
di   Tero  coore.'  Oh  se  potessi  far  vedere  a  V.  Referenza  le 
esperienze,  che  tante  e  tante  e  Innga niente  ho  fatte  in  cpie* 
sto  affare,  ella  si  slopirebbe!  Si  TÌ?e  pare  col  poco  !  si  fife 
pavé  col  poco,  e  si  vive  lungamente,  e  si  vive  sano!  Faccia 
conto  il  Padre  Gottignès  d'  intraprendere  per  qualche  tempo 
nn  grande  'medicamento  nella  seguente  forma..  Prenda  la 
mattina  a  buonora  sei  o  sette   once  di,  .brodo    di    carne 
sciocco  ',  e  non  raddolcito  con  veran  giulebho,  e  ne  meno 
con  zùcchero  ordinario.  Il    suo   desinare'  sia    una  buona 
minestra^  talvolta  maggiore    e    talvolta  minore ,  secondo 
r  appetito  maggiore  0  minore  :  oltre  1»  minestra  ,   come 
te  fosse  un  Dpminicaoo,  ^ì  facci»  cuocere  on   par -d*  oo^ 
va  ',  e  di  più  prenda  no  fr|itto  secondo    là   stagione.    La 
cena  della  sera  sia  una  minestra  e  no  solo  uovo.  E  tanto 
la    mattina,  quanto  la  sera  ,  beva  sempre  acqua,  e  mai 
non  beva  vino,  già  che  il  vino  è  il  maggior  nemico  che 
possa    atere  la  sua  vita    e   la    sua    sanità.   Se   bene    egli 
vada  naturalmente  di   corpo,  contnttociò    non    tralajci  di 
farsi  frequentemente  de^  cristieri   composti    non    d'  altro  , 
che  di  puro  e  semplice  brodo  di  carne  raddolcito  eoi  zoo* 
chero ,  molto  più  copioso  di  quello  òhe  si  mette  "nel  brodo 
della  mattina  a  buonoi^a.    Non    è    dovere  oonlrastargli  il 
muoversi  ed  il  camminare,  perchè  il  fare  esercizio  gli  paò 
esser  sèmpre  di  "iommo  giovamento ,  siccome  gli  può   es- 
ser sempre  di  danno    lo    stare    eternamente    a   sedere   in 
oqa  seggiola ,  o  in  letto.  Exerceri  imhecillis  pdrtihus  bo* 
num,  ci  hanno  lasciato  scritto  \  più'  antichi    e    migliori 
maestri  della-  medicina.  Ceppita  !  io  ho  fatto   da  liiedico 
daddovero,  mentre  ha  eitato  mia   senteasa  latina;  •.di 

I  Sciocco,  Non  salato.  /        .  ;  ;  ,i 


190    ^  tETTERATURA   ITALfiHA 

piò  ho  falto  da  buon  economo,  mentre  rispoDdendo  al 
secondo  quesito,  ho  risposto  ancora  al  terzo.  Caro  Padro 
Baldigiani ,  non  ne  so  più  ;  e  se  più  ne  sapessi ,  più  ne 
•criverei.  Accetti  \\  mio  buon  animo*,  è  saluti  cordialissi- 
mamente il  Padre  Gottignes  in  mio  nome  ,  e  gli  dica  , 
die  se  Torrà  caraparet ,  potrà  campare.  Prudenti  e  giu- 
diziosi mi  pajono  que'  medici,  i  quali  per  primo  «prin- 
cipale scopo  si  prendono  quello  del  mantener  vili  i  loro 
a  DO  mala  ti  ;  e  per  secondo  scopo  si  prèndono  quell'altro  del 
•ana'rgli  dalle  loro  infirmità.  Quei-  medici  che  scambiano 
qoeit*  ordine,  non  fanno .  mai  bene.  Non  più  di  questo.  • 

Supplico  y.  Reverenza  umilmente  a  Toler  rassegnaro 
il  mio  umilissimo  e  reverentissimo  osseqoio  al  gran  Padre 
Pallavicino ,  insieme  con  le;  mie  grandissime  obbligazioDi 
pel  favore  che  vuol  farmi  coir  esemplare  del  suo  nnovo 
libro  che  mi  aarà  gradissimo  ,  ancorché  da  nie^non  meritato» 

Io  non  avrei  mai  avuto  tanto  ardire  di  mandar  a 
V.  Reverenza  la  mia  medaglia ,  che  fu  fa  Uà  fare  dal 
Serehissimo  ^Granduca  mio  Signore*;  ma  ora  che  com- 
prendo,, che  ella  la  vuole,  io  gne  ne*  manderò  tre  in 
una  scatoletta  per.  la  prima  occasione  che  avrò;  e  V.  Re» 
verenza  ne  prenderà  due  per  bò  ,  ed  una  la  prego  pre« 
•entarla  al  Padre  Pallavicino  ;  se  però  le  pare  a  propo* 
silo;  se  no,  sia  per  non  detto,  e  ne  faccia  cpiel  che  lo 
pare  e  te  piace.  La  riprego  di  nuovo  a  rassegnarmi  sèrvo 
al  Padre  jQottignes,  siccome  mi  rassegno  oon  ogni  pili 
Tera  sincerità  ec.  -  ^ 

Firenze  io  Agosto  16^8. 

M  signor  doUor  Lorenzo  Bellini 
A  PUa, 

Feci  an  sonetto  alla  maniera  greca  ^  scherzando  aopta 
Amore  ladrone  alla  strada.  Le  due  ^  quartine   per  avven»^ 

I  Gm  ne.  On  li  tcriTe  GU«  ne. 


SECOLO   DEGIMP9ETTIM0  19! 

tara  oacqoero  sollo  benigna   stella  ,    nla    le  Òne    (èrzine 
loro  sorèlle  sbucarono  daH'.atero  del  mìo  t^erfeilaccio  sollo 
una  stella  reramente  cattiva  e  maligna;  perchè  qaaDton* 
qoe  io  le  abbia  più  e  piò  volle  raffazzonate  e  rinfronzite 
e  rabberciale  S  ®  co°  .lutto'  ciò  sempremai  mi  soq  riuscite 
brulle,  lerce  *  e  svenevoli,  e  quel  che  più  importa,  sema 
spirito  e  melense*  Come  una  mamma  amorosa,  che  iote^ 
Derita  di  quella  sua  6gliuola  gobba  e  seiancata,  vorrebbe 
pure  ch'ella  comparisse  con  le  altre,  a  una' fèsta,  e  per* 
ciò  s'  affaoaa  *  a  farle  raddoppiare    i    tacconi    aita   scarpa 
del  piede  zoppo,  e  le  rimpinza  guancialetti'  e.bataflbli^ 
di  cenci  intorno  affianchi  ed  intorno  alle  spalle ;ìcosi  ho 
fatto  io  di  njaovo  intorno  a  quelle  terzine,  una  di  queste 
ootti  cosi  gelate  mentre  'mi  tribolava  che  non  poteva  dor- 
mire/Ma  penso  che  sarà  avvenuto  come  accadde  a   quel 
gobbo  da  Perelola ,  il  quale,  avendo  Tedoto  che  un  altro 
gobbo  suo  vicino^  dopo  un  certo  suo  viaggio,  era  tornalo 
al  paese  bello  e  diritto,  essendogli   gentilmente    stata  se^ 
gala  la  gobba,  lo  interrogò  ehi  fosse  stato  il  medico,  ed 
in  qual  paese  foue  aperto    lo   spedale  dove    si    facevano 
cosi  belle  cnre*  Il  buon  gobbo,  che  non  era  più  gobbo, 
glie  la  confessò  giusta  giusta,  e  gli  disse:  che  essendo  .io 
viaggio  smarrì  una  notte  la  strada ,   e  dopo  lunghi  aggi* 
ramenti  si  /  trovò  per  fortuna  alla  Noce  di  fienQvento ,  in« 
torno  alla  ^uale  stavano  -allegramente  ballonzolando   mol- 
tissime streghe  con  una  infinità  di  stregoni  e  di  diavoli  ; 
e  che  fermatosi  di   soppiatto  a  mirare    il    tafferuglio/  di 
quella  tresca,  fu  scoperto,  non  so  come,  da  una  strega, 
la  quale  lo  invitò  al- ballo,  in  cui  egli  si  portò  con  tanta 


S  lUAperciar»»  lUcconcitn** 
a  Zieree,  Suicide. 

3  Battanoli,  GBsdnetti  e  nauti.  JUmffùuùr»  dicesi  pei   Empitn  un  vóto, 
><m  a  ipnnde  ftndio  quanta  materia  n  può. 

4  r^0ir«yfta.  Qoi  vale  J^  wt^utimm,  U  tMnmUo. 


K^an  LETTERITDRJ^,  ITàLICffA 

grazia  e  maestria,  che -taf li  quanti  se  ne  maravigliarono, 
e  gli  presero  perciò  così  gninde  amore  che  messoselo  bal- 
danzosamente in  mezzo,  e  fatta  porfare  aaà  certa  sega  di 
butirro,  gli  segaron  con  essa,  senza  veran  suo  dolore,  la 
gobba ,  e  eoo  un  certo  impiastro  di  marzapane  gii  sana- 
rono subilo  subito  la  cicatrice ,  e  lo  rimandarono  a  casa 
bello  e  gnarttp.  11  buon  gobbo  da  Peretola,   inteso  que* 
sto  ;  e  ftfcendo  lo  gnorri  '  ,  se  ne  stette  zitto  zitto  ;  ma  il 
giorno  seguente  si  mise  in    viaggio,  e    tanto    ricercò,   e 
tanto  rifVnstò  *  che  potette  capitar  una  notte  al. luogo  della 
desiderata  Mooe,  dove   con   dirersità   di    pazzi  strumenti 
f|uella  ribaldagfia  delle  streghe  e   degli    stregoni    trescava 
ai  solito  in  compagnia  dei  diavoli ,  dèlie  diavolesse  e  delfe 
▼ersiere.  Una  versiera  ,   o  diavolessa  che  si  fosse,    faeen- 
dogli  un  grazioso  inchino  la  invitò  alla   danza  ;    ma   egli 
▼i  si  portò  con  tanto  mal  garbo  e  con' tanta  svenevolag* 
gine,  che  stomacò  tatto  quanto  quel  notturno  conoiliabo* 
lo;  it  quale  poi  mettendosegli  attorno,  e  facendo   venire 
iir  uji -bacile  quella  gobba  segata  al  primiero  gobbo,  eoa 
certa  tenacissima  pegola  dMnferno  la  appiccò  nel  petto  di 
questo  secondo  gobbo;  e  cosi  questi,  che  era   venuto  qui 
per  guarire  del  gobbo  di  dietro,  se  ne   tornò    vergogno- 
samente al  paese,  gobbo. di  dietro  e  dinanzi  :    conforme 
sifol  quasi  sempre  avvenire  a  certi  ipocondriaci  cristiane!» 
li,  che  volendo  a  tutti  i  patti,  e  a  dispetto  deh  mondo, 
guarire    di  qualche   lor    mate  irremedìabile,  ingolfano  a 
crepapancia  gli  strani  hevei^ni  di    qualche   credulo ,  ma 
fitmoso  medicastro;  e^di  un  sol  male,  per  altro  compor* 
tabiia  che  hanno,  incappano  per  io  pia  dolorósamente  In 
tre  o  quattr'  altri  più  dolorosi  del  prhno,  i  quali  pfesto 
presto  gii  mandano' a  Patrasso,  cb'  è  nn  oscoro   paesello 

j  Fareh  ^arri  dicevi  di  clii  finge  d*  ignorure  quello  di«  M^  o  di  non 
pencare  a  quello  che  pensa  e  simili. 

2  Bi/rustar$  è  il  COrtre  qua  «  ìà  invutigiuuh» 


«CCOIlO   PECIMOSETTimO  "  19? 

lontano  da  Firenze  delle  miglia  più  di  millanta.  Or  ?oi  ^ 
caro  Bellini,  applicale  questa  frottola  alle  terzine  del  mio 
sonetto.  Leggetele,  ridetevene,  boriatemi',  coculiatemi  * , 
de  me  lo  merito  ;  e  se  non  ho  potuto  rabberciarle  io  ^ 
fate  la  gran  carità  di  rabberciarle  voi  ^ 

ÀI  signor  Cestoni. 

Oh  TOi  mi  stimate  ben  gonzo^  e  ben  melenso ,  mentre 
credete  che  io  non  mi  sia  per  ancora  accorto  di  qaegli 
acddenlf  ^  che  mi  molestano  da  più  di  nn  ^nno  io  qua* 
Che  io  non  me  ne  accorgessi  le  prime  ?oUe,  Io  confesso* 
Ha  ora  oh,,  oh;  in  quel  primo  moto  non  me  ne  accor« 
go,  ma  poi  mi  accorgo  benissimo  che  ho  afoto  il  irafp* 
glio  e  1'  accidente.  Ma  che  Tolete  eh'  io  faccia  ?  Egli  è 
più  di  on  nofese.che  sono  in  villa  all'Imperiale  e  non  ho 
mai  mai  mai  visitato  nò  pdre  nn  infermo.  Anzi  non  son 
mai  nscito-  dal  palazzo  se  non  a  fare  un  poco  di  esercii 
zio.  A  tuttr  quelli  che^  mi  chiamano  a  visitare  infermi 
dico  che  non  posso  ^  perchè  sono  lOTecchialo  e  infermo* 
Vorreste  eh'  io  mi  medicassi.  Fo  regola  di  ffta  aggiusta* 
tìssima;  e  questo  è  e  ^arà  il  mio  medicamento.  Oh  mes« 
aer  Francesco  tu  morirai!  Eh!  e  ^he  hanno  fatto  gli  al* 
tri  ?  E  che  faranno  quegli  che  verranno  dopo  -di  me  ? 
Quando  la  mctrte  verrà  4  -  avrò  una  sémta  paziènza  ^  e  ce^« 
tamente  non  nu  farà  paura  ,  perchè  aon  cerio  ^  più  eh# 
certo  che  lo  aver  paura  note  è  cagione  che  ^la  morte  si 
ritiri*  .Io  resto  però  infinitamente  ma  infinitamente  ohbli* 
gato  al  vostro  amore  per  le  amorevoli  e  gentili  espres-t 
sioni  che  mi  fate.  £  ve  lo  dico  di  cuore  e  da  buono 
amiico  e  servitore.  — «  Vogliatemi  bene.  Addio. 

Firenze,  dalla  Villa  Imperiale,  18  giugno  .1689. 

^  «  • 

.    I  Cuculiatemi,  Beffatemi  ^  Deridetemi. 

2  11  Bellini,  a  cui  ^esta  lettera  è  iudimzaU,  fu»  come  il  Bedi«  molto 
valente  lielle  sciente  naturali  del  pari  che  nella  poesiar 

3  Questi  accidenti,  L'  epilessie  >  come  |i  d^se  nella  Vita  dell*  JUitore. 

LBTTBBÀT.  ITÀLi  •— ir  O 


/ 


19/1  LETTBBITURI   ITlLIAHAr 

Al  signor  Pier  Maria  BaldL 


r 


Buffalmacco  fò  pittóre  faiuosissitno  de^  saoi  tempi ,  ed 
a  mio  giadizro ,  die  por  non  sono  affatto  affatto  uno  zoc-* 
colo ,  teneva  il  vanto  neUa  pittura ,  e  meriterebbe  pre-* 
sentemente  d^  essere  anteposto  a  Tiziano  ed  al  divino  MI- 
cbelagnolo,  che  non  si  può  dir  più  in  là.  Se  voi  Toleste, 
o  signor  Baldi  ^  saper  Je  ragioni  ed  i  niotÌTÌ  '  di  questa 
Olia  sentenza ji  iion  ▼.*  aspettata  che  io  ri  dica  che  Bof* 
faknacco  fosse  quel  solenne  maestro  che.  seppe  Insegnar 
le  fiaesie  maggiori  dell'arte  pittoresca  in  fi  no  ad  uno  seim* 
miotto  che  per  suo  passatempo  era  tenuto  dal  Vescovo  di 
Arezzo^;  ma  vi  dirò  bene  che  Boffalmaoco  Tur  cohiì  che 
trovò  quella  nobile  e  sempre  memoranda  e  sempre  lodata 
invenzione  di  stemperafe  i  colori  non  coitae^ua  di  pozan^ 
ma  bensì  con  la  più  brillante  vernaccia  ^  che  sapessero 
produrre  i  più-  celebrati  magliuoli  delle  collinette',  éoren'» 
tine.  Avanti  che  Buffalmacco  trovasse  questa  inveuzionCf 
egli  faceva  le  sue  pitture  che ,  fate  vostro  conto ,  si  ras* 
somigliavano  al  vostro  viso;  cioè  a  dire,  erano  scolorite', 
pallidacce  é  muffale,  ed  in  'molte  parti  di  e%i&  mi  pap 
di  riconoscere  il  mio  proprio  ritratto,  con  an  tìso  di 
mummia  ,  sparntello,  secco,  smunto,  allampanato  *,  e  di- 
steso con  un  certo  eolorito  di  crosta  di  pane  o  di  pera 
eotogna  cotta  in  forno  \  e  cosi  malinconico ,  che  farebbe 
piagnere  qnalsisia  che  avesse  voglia. di  ridere.  Ha  quando 
questo  gran  Biaestroae  colnincid.ad  usar  tra'  suoi  color» 
la  vernaccia, 

&'  dipignéva  i  santi  nelle  mura 
Con  certi  visi  tutto  sangue  e  latte; 

ed  erano  tulli  condotti  di  buona  maniera ,  giovialoni ,  al- 

1  Vernaccia,  Sorta  di  vìn  bianco.  SriUttnte:  comttneittente  diciamo  spumante. 

2  Allampanato.  Magrìsiimo. 


SECOLO  DEciHOsvrriifo  195 

legrocci,  pastricciani  %  che  «e  ne  dioe^  fino  alle  porte  di 
Parigi:  e  le  donne  di  Faeasa,  che  erano  certe  Monache 
sacciote  *,  le  quali  aveano  il  lor  convento  do?e  è  oggi  la 
Fortezza  di  basso,  lènean  più  fèdef  in  Bafialmacco ,  che 
in  qnanti  Apelli  o  in  qaanli  Protogeni  furon  mai  fn  cre- 
dito appresso  gli  antichi  Greci.  Or  che  foglio  io  dire  con 
questa  filastrocca  ?  Io  voglio  inferire  che ,  CKendomi'  voi 
la  cortesia  di  disegnarmi  quelle  figure  per  quel  mio  li- 
bro ,  se  non  {stempererete  i  colori  oon  la  vernaccia  o  con 
altro  prezioso \TÌnq ,  voi  darete  in  cenci',  e  non  farete 
cosa  che  abbia  garbo.  E  perchè  non  è  dovere  che  per 
questo  mio  bisogno  voi  mettiate  1'  unguento  e  le  pezze; 
perciò  vi  mando  un  saggio  di  vei'aaecia  di  Seracusa,  ac- 
qompagnata  da  alcuni  altri  saggi  di  vin9  donatomi  dal 
Serenissimo^  Granduca  nostro  signore,  coi  quali,  se  stem- 
pererelé  i  vostrF  colori ,  non  sólamente  .làr^te  far  buon 
tìso  alfe  vostre  pittura  ,  nià  ancor  voi  racquislerete  la 
-vostra  antica  buona  cera  ,  a  dispetto  di  quegli  ostichi  ^ 
2>everonacci  che  vi  fanno  ingozzare  ogni  mattina  que^  due 
inedie!  vostri  amici.  Provale'  questa  uoova  ricelta  ,  e  sa- 
rete sano. 

DITIBAUBO. 

Sacco  in  Tosèana,  ' 

Deir  indico  oriente  ^ 

Domator  glorioso,  il  dio  del  vino 

Fermato  avea  F  allegro  suo  soggiorno 

Ai  colli  etruMhi  intorno; 

» 

1  Pastricciano  dkefi  di  na  uomo  alla  dooiu  e  di  baona  'lode  «  ebe  suole 
anche  amr  viso  lieto  e  beue  ia  canie.  _ 

-  9  Sacciuto  per  Saecenie. 

3  Darete  ec, .  Mon  faivt^  cosa  che  valga,  Non  risponderete  ali* a^ttasione. 

4  Ostichi»  Disgustosi  f  Spiacevoli.  ' 

5  Deli^  imUeo^ec*  •  Bacco  è  celebralo  per  con^iistatore  delle  Indie. 


19^  LEttERlTXmA   ITALIANA 

E  colà  dofe  imperlai  palagio  * 
L*  anglista  froote  itfvér  le  nubi  ionalsa , 
Sa  Tcrdeggiante  prato 
Colla  vaga  Arianna  *  on  di  sedea;  . 
E  bevendo  e  cantando , 
Al  beir  idolo  suo  così  dicea  t 
Se  dell'  ufe  il  sangue  amabile^ 
Non  rinfranca  ognor  le  vene  ^ 
Questa  vita  è  troppo  labile , 
Troppo  brefe^  e  sempre  in  pene. 
Sì  bel'  sangue  è  un  raggio  acoeso 
Di  quel  sol  che  in  ciel  tedete} 
E  rimase  afrinto  e  preso 
Di  pia  grappoli  alla  rete. 
Su,  sa.  donqoe,  in  questo  sangue 
RinnoTiam  V  arterie  e  i  muscoli  ; 
E  per  chi  s'  inrecchià  e  langae^^- 
P^epariam  vetri  majuscoli  ^  : 
Ed  in  fèsta  baldanzosa. 
Tra  gli  schermi  e  tra  le  risa  , 
Lasciam  pur,  lasciam  passare 
Lui  che  in  numeri  e-  in  misure 
Si  .ravvolge  e  èi  consuma, 
E'  quaggiù  Tempo  si  chiama  ; 
E  bevendo  e  ribevendo^ 
I  pensier  mandiamo  in  bando. 

Benedetto 

Quel  Claretto 

Che  si  spilla^  in  Avignone: 


1  Imperiai  ec, .  Villa  detta  il  Poggfd  ImperiaU  preMO  Pimise. 

2  Ariaima,  abbandonata  da  Teseo ,  fu  «posata  da'  Bacco.' 

3  Vétri  moftuèoàj  cioè  :  Vasi  o  bicchieri  assai  grandi. 

4  Si  spUUu  Si  trae  dalla  botte  per  lo  spillo ,  eh*  fc  un  piccolo  Ibro  btto 
oclU  botte. 


SBCOI^O  .  DEfi|«9»ETTIHO  1 9  7 

Questo  Tasto  bellicoDe  * 

10  De  verso  entro  il  mio  petto* 
Ma  di  qoel  che  sì  poretto 

Si  Tendemmia  in  ArtimiDO*, 

To'  Iriocarne  più  d'  uo  tino:. 

Ed  io  81  dolce  e  nobile  laracro 

Mentre  il  polmone  mio  tatto  t'  abbefera , 

Arianna,  mio  nome,  a  te  consacro 

11  lino,  il  fiasco,  il  botlicin,  la  pevera.'. 

Or  che  stiamo  in  festa  e  io  giolito  ^  , 
Bei  di  qnesto  bel  crisolito^ 
Ch'  è  figlinolo 
D'  nn  magliuolo  ^ 
Che  fa  TÌ¥er  più  del  solito. 
Se  di  questo"  tu  berai , 
Arianna  mia  bellissima , 
Crescerà  si  toa  vaghezza  , 
Che  nel  fior  di  giovinezza 
Parrai  Venere  stes^issjma* 

Beverei  prima  il  veleno  , 

Che  un  bicchier  che  fosse  pieno 

Deir  amaro  e  reo  cafle  : 


I  BdU&me,  Bicchiere  grande.  Il  Redi  dedusse  questa  voce  dal  tedesco, 
a  Animino^  Villa ,  allora ,  dei  Grauduchi  di  Toscana. 

3  La  pevera.  Specie  di  grande  imbuto  di  legno  che  lervtt  quando  si  versa 
il  vino  nelle  botti.* 

4  //>  giolito.  In  riposo.  Dicesi  principalmente  delle  galere  quando  si  trat- 
tengono nella  darsena  o  nel  porto. 

5  BM,  Bevi. —  Crùo&to  (. pietra  .preaiosa)  dice  qui  il  vino»  per  significare 
ch*  esso  h  del  color  di  questa  pietra. 

6  MagUuolo  h  quel  sermento  o  quella  parte  ch«  si  spicci  dalla  vili  per 
fame  una  nuova  pianta. 

•7" 


198  I.ErrBRJiTIWA  ÌTALIàHA 

Colà  tra  gli  Arabi 
E  tra  i  Giannifieri  * 
Liquor  si  ostieo  *, 
Si  nero  e  torbido 
Gli  schiavi  iogollino  : 
Giù  nel  Tartaro , 
Giù  Dell'  Èrebo 

L'  empie  Belidi  ^  l' iDrentarono , 
E  Tisifooe  e  V  altre  furie 
À  Proserpi oa  il  mipistrarooo  : 
E  se  in  Asia  M  Musulmano  ^ 

Se  lo  cionca  ^  a  precipizio , 
Mostra  aver  poco  giudizio* 
Han  giudizio  e  non  son  gonzi 
Quei  toscani  bevitori 
Che  tracannano  gli  umori 
Della  vaga  e  della  bionda. 
Che  di  gioja  i  cuori  inonda. 
Malvagia  di  Montegonzi  \ 
Allorché  per  le  fauci  e  per  l'esofago 
Ella  gorgoglia  e  mormora, 
Mi  fa  nascer  nel  petto 
Un  in  distinto  incognito  diletto. 
Che  si  può  ben  sentire. 
Ha  non  si  può  ridire. 

Chi  la  squallida  cervogia  ^ 
Alle  labbra  sue  congiugne, 

Z   Giatmixzeri  erano  le  guardie  dePGnn  Signore,  da  poclù  anni  distrutte. 

2  Ostico,  Spiacente* 

3  L*  empie  Belidi.  Le  cinqoanU  figlie  di  Danao  le  quali  tutte ,  fuorcb'  una , 
ttcciiero  i  loro  mariti. 

4  Cioncare  e  Trincare  Talgono  Bere  avidamente, 

5  Montegonzi.  YiUa  nella  diocesi  d*  Areuo. 

6  Cervogia,  Birvt. 


SBOOtiO   DECIM09BTTIM0  I99 

Presto  muore  Y  o  rado  gingne 

Air  età  f  eccfaia  e  barbogia  '• 

BeTa  il  sidro  *  d'-  Inghilterra 

Chi  vaol  gir /presto  sotterra  : 

Chi  Tuol  gir  presto  allaiDorte^ 

Le  befande  osi  del  Norte. 

Fanno  i  pazzi  beferonl 

Quei  Norvegj  e  quei  Lapponi: 

Quei  Lapponi  son  pur  tangheri  « 
Son  pur  sozzi  nel  lor  bere: 

Solamente  nel  federe , 
Mi  f ariano  uscir  de'  gangheri. 
Ma  si  restio  eoi  mal  die  ^ 
Sì  profane  dicerie  ; 
E  il  mio  labbro  profanato 
Si  puri^ciii ,  s'immerga. 
Si  sommerga 

Dentro  un  peccherò  ^  indorato , 
Colmo  in  girò  di  qoel  Tino 
Del  ?i tigno 
Si  benigno. 

Che  fiammeggia  in  Sansafino. 
*    •     •     •     •'•     •     •     •'•'    •'•     '•     • 
La  rugiada  di  robino. 

Che  in  Valdarno  i  colli  onorii. 
Tanto  odori!  9 

Che  per  lei  suo  prègio  perde 
La  brunetta 
Mammolelta 
*  Quando  spunta  dal  suo  rerde. 

I  Età  barbogia  h  quella,  ia  cui  V  uomo,  rimliaiiììwtc». 
a  //  sidro.  Bevanda  fatta  di  teele  ec.  • 

3  Col  mal  die.  Col  mal  di.  Vadano  alla  malora^. 

4  Pec^itro,  Vaso  da  bere^  Bicdùere  pm..grviae  de|li  ordinarii. 


400  I/BTTERATURA.  mtiUlRi: 

S^  IO  De  bevo , 

Mi  solJefo  • 

Sofra  ì  gioghi  di  Permesso  *  ^ 

E  ne!  canto  si  m'  accendo , 

Che  pretendo  e  mi  do  Tanto 

-Gareggiar  con  Febo  istesso. 

Chi  r acqua  beve, 

Mai  non  riceve  '  { 

Grazie  d«  me. 

Sia  pur  1'  acqua  o  bianca  o  fresca , 

O  n^'  tonfani  sia  brona  ^ ,  - 

Nel  suo  amor  me  non  infesca 

Questa  sciocca  ed  importuna  ; 

Questa  sciocca  che  sovente , 

Fatta  altiera  e  capricciosa  ^   .      •. 

Riottosa  ed  insolente , 

Con  furor  perfido  e  ladro 

Terra  e  ciel  mette  a  soqquadro .: 

Ella  rompe  i  ponti  e  gli  argini 

E  con  sue  nembose  aspergini 

Su  i  fioriti  e  verdi  margini 

Porta  oltraggio  ai  fior  più  vergini; 

E  r  ondose  scaturigini 

Alle  moli  stahslissioie , 

Che  sarian  perpetuissime, 

Di  rovina  sono  origini.  -> 

Lodi  pur  r  acque  del  Nilo 

Il  soldan  de'  Mammalucchi , 

Né  r  Ispano  àiai  si  stucchi 

D' innalzar  quelle  del  Tago  ; 

Ch'  io  per  me  non  ne  soa  ?ago; 

1.  Permesso*  Monte  sacro  alle  Muse» 

a  Ton/ani  diconsi  qae*  ricettacoli  dove  l'acqua  delle  correnti -%  più  proi< 
fonda  e  jperciò  «  a  vedersi  ^  pia  bruna. 


éBCOLa  DBCiaròsKTTiuo  20 f 

r 

E  se  a  sorte  alcaa  de'  miei 
Fosse  mai  cotanto'  ardito ,         . 
Che  befessene  an  sol  dito, 
Di  mia  man  lo  strozzerei 

Qbali  strani  capogiri 

D^  improvviso  mi  fan  gaerra  ? 

Pami  proprio  che  la  terra 

Sotto  i  pie  mi  si  raggiri  : 

Ma  se  la  terra  comincia  a.tremare, 

E  traballando  minaccia  disastri. 

Lascio  la  terra  ,  e  mi  salvo  nel.  mare*' 

Vara ,  rara  '  quella,  goadpla 

Pia  capace  e  ben  foi:nita , 

Ch^è  la  nostra  favorita» 

Sa  questa*  nave 

Che  tempre:  ha  di  cristallo,. 

E  par  non  pavé 

Del  mar  cruccioso  il  ballo  , 

Io  girmen  voglio 

Per  mio  gentil  diporto , 

Conforme  io  soglio. 

Di  Brindisi  nel  porto; 

Porche  sia  carca 

Di  brindisevoi  '  merce  * 

Questa  mia  barca 

Sa  voghiamo , 


•   » 


f  •  •  « 


Navighiamo^  .  .  >' 

Navighiamo^ infino  a  Brindbi; 
Arianna,  Brindis,  Brindai. 
Oh  beir  andare 

Per  barca  in  mare 

•t    ' 

1  Fara^  varaj  cio^  :  Tira  la  nate  da  t/em  te  'acqÌM. 

2  Brindis9vol  imro9  h  il  Tino  col  qitaU  sì  fanno  i  Bfllldisl. 


ZOZ  LETTER4TVRA  .ITALU9A 

VefsQ  la  sera  , 
Di  prima  vera  !  ' 

Venticelli  e  fresche  aurelte, 
Dispiegànclo  ali  cf  argento,. 
Sall'azzarro  pavinient» 
Tessoo  danze  amorosctte; 
E  al  mornaorto  de'  iremuli  cristalli  * 
Sfidano  ognora  I  naTtganti  ai  hani. 
Si]  roghiamo , 
Nai;ighiamo, 

Navighiamo  infino  a  Brindisi  t 
Arianna,  Brindis,  Brindisi.  ^ 

\       Passavoga ,  arranca ,  arranca  *  f 
Che  la  cinrroa  ^  non  si  stanca , 
Anzi  lieta  si  rinfranca 
Quando  arranca  inverso  -Brindisi. 
Arianna  ,  Brindis ,  'Brindisi  ; 
E  se  a  te  Brindisi  io  fó  , 
Perchè  a  me  faccia  il  bnon  pro^, 
Ariann uccia  vaguccia\  bellaecia  , 
Cantamt  an  poco,  e  ricantami  la 
Snlla  mandola  la  cuccurocà-. 
La  caccurncù, 
La  cuccnrocù; 
Sulla  mandola  la  caccòrtìcìi. 
Passa  ••'••vÓ4.««    . 
Passa  -»^  «  •  «  vo  ..  •  •  • 
Passavoga,  arranca ,  arranca  9 
€hè  la  ciurma  non  si  stanca  , 
Anzi  lieta  si  rinfranca 

1  2>emuH  eHsUtOi.  V  onae. 

2  Passwogare  ^  il  fiir  agire   tutti  i  remi  da  poppa  a  pma.  —  Arrm- 
cere  significa  afBrettani  quanto  h  pici  poMÌbiltf. 

3  Qumuu  I  tematori  »  o  La  paiione  che  •ennmt  •vUa.  nave* 


S£CObO   DECIMOSVTTiaiO  Zoì 

Qaaiido  arranca*, 
Quando  arranca  inverso  Briòdisi; 
Arianna ,  Brindi)  ,  Brindisi  : 
E  ae  a  te , 

E  se  a  le  brindisi  io  fo; 
Perchè  a  me, 

Perchè  a  me  faccia  il  buon  prò, 
11  buon  prò , 

Ariannuccia  leggiadribelluccia  ', 
Cantami  un  po^  •  •  •  •  ' 
Cantami  un  po^  • .  •  # 
Cantami  un  poco^  e  ricaniami  tu. 
Sulla  ito  .  %  *. 
Sulla  viola  la  cuccurucù , 
La  cuccurucù;    • 
Sulla  viola  la  cuccurucù. 
Or  qual  nera  con  fremiii  orribili 
Scatenossi  tempesta  fiérissfma. 
Che  de*  tuoni  fra  gfi  orridi  sibili 
Sbuffa  nembi  di  grandine  asprissima? 
Su  ,  nocchiero  ardito  e  fiero , 
Su,  nocchiero,  ad  opra  ogn'^arte 
Per  fuggire  il  reo  periglio. 

Cile  la  nave  se  ne  va 

Colà  dove  è  finimondo, 

E  fors^'anoo  un  pò*  più  in  là. 

Io  non  sor  quel  eh*  io  mi  dica , 

£  néir  acque  io  non  son  pratico; 

Parmi  ben  che  il  ciel  predica 

Un  evento  più  rematicò  '  ; 

-  •  -  • 

X  ZeggUidtibeUmoeiM,'  Il  Redi  amò  anclie  negli  altri ^uoi  scritti  di  foggiar 
nuoT*  voci,.a«}  che  fa  asaai  felice.  H  Ditirambo  poi  paro  che  ricliieda  que- 
sto ardilo  onameiUo. 

2  Pia  remotico.  Più  malagevole  e  fiulidiosoi 


S04  LETTBR4T0RÌ    ITÀLIARà 

ScendoD  sìoni  '  dalP  aerea  chiestra 
per  ridForEar  coli*  onde  un  nuovo  iifsallo; 
E  per  la  lizza  *  del  ceruleo  smalto 
I  cavalli  del  mare  artao!si  in  giostra. 
Ecco ,  ohimè  !  eh'  io  mi  mareggio  ^  : 
E  m*  avveggio 

Che  noi  slam  tutti  perduti' t 
Ecco,  ohimè!  chMo  faccio  getto 
G>n  grapdiftsimo  rammarico 
Delle  merci  preziose, 
Delle  merci  mie  vinose; 

Ma  mi  sente  un  po'  più  scarico» 

-,  > 

•    SatirelH 

Ricciutelii , 

Satirelli ,  or  chi  di  voi 

Porgerà  più  pronto  a  noi  > 

Qualche  nuo¥o  smisuralo 

Sterminato  calicioué, 

Sara  sempre  il  mio  mìgnone  i 

INè  m'  importa  se  un  tal  calice 

Sia  d^  avorio  ,  o  sia  di  salice  ^  , 

O  sia  d^  oro  arciricchbslmo  ; 

Purché  sia  mollo  .grandissimo. 

Chi  s'  arrisica  di  bere 

Ad  un  piccolo  bicchiere, 

Fa  la  zuppa  fieì  panìefre  4  : 

4  4$ÌMVif«  Le  trombe  di  mare. 

2  Lizza  dicesi  il  luogo  doVe  tonotko  ctnraìli  in  |(lojrtn.  Qui  |  cavalli  del 
mare  sono  i  gonfiamenti  dell*  onde  detti  marosi  e  eavaUonij  e  il  cemleo 
smalto  è  il  mare  istesso. 

3  Mi  marcio.  Sento  ^el  travaglio  di  stomaco  che  molti  ricevono  da) 
mitigare. 

l^  Fa  la  zuppa  ee» .  Perde  il  suo  tempo ,  come  lo  perderebb*  cbi  facesse 
la  cuppa  in  un  pMiiere  o  cesto  che  non  tiene  il  brodo. 


SECOLO  DECinoseTTiiio  2o;> 

Io  quel  Tetro  che  chiamasi  il  tonfano  ' , 

Scherzan  le  Grazie,  e  fi  trionfano: 

Ognàn  colmilo,  ognun  fóiilo; 

Ma  di  che  si  colmerà  ?  ^ 

Bella  Arianna ,  con  bianca  roano 

Versa  la  manna  di  Montepulciano; 

Colmane  il  tondino ,  e  porgilo  a  me. 

Onesto  liquore  che  sdrucciola  al  core, 

Oh  come  V  ugola  e  baciami  e  mocdemi  ! 

Oh  come  in  lacrime  gli  occhi  disciogliemi  f 

Me  ne  strasecolo,  me  ne  strabilio, 

E  fatto  estatico,  to  in^jHsfhilio. 

Onde  ognun  che  di  Lieo  * , 

Riverente  il  nome  adora , 

Ascolti  questo  altissimo  decreto 

Che  Bassareo  pronunzia ,  e  gli  dia  tè  : 

Montepuiciano  ft  ogni  vino  è  il  re. 

Sonetto. 

Donne  gentili ,  defole  d'  Amore , 
Che  per  la  TÌa  della  pietà  passate , 
Soffermatefi  un  poco,  e  poi  guardate 
Se  ▼'  è  dolor  che  agguagli  il  ni^io  dolore. 

Della  mia  donna  risedea  nel  core. 

Come  in  trono  di  gloria,  alta  onestate; 
Ideile  membra  leggiadre  ogni  bel  tate, 
E  ne'  begli  occhi  angelico  splendore. 

Santi  costumi ,  e  per  virtù  baldanza , 
Baldanza  umile  ed  innocenza  accorta, 
E,  fuor  che  in  bene  oprar,  nulla  fidanza; 

Candida  fè  che  a  ben  amar  conforta 
Area  ne!  seno,  e  nella  le  costanza: 
Donne  gentili;  questa  donna  •  morta. 

S  tn  fml  vetro  che  ec./  cioè  :  In  nn  vetro  o  bUchiero  the  lia  largo  • 
proCojndo  corno  un  ton&no. 

a  Liee  (  o  poco  dopo  Beuarto  )  è  lo  fttsf o  cko  Baeeo» 

MTTIBAT*  ITA!»  •— IT  l8 


ao6  LETTERATURA    ITALIAHA 

CARLO  DATI 

Compagno  del  Redi  nel  ricercare  le  origini  della 
lingua  toscana  e  nel  promovere  il  Vocabolario  della 
Crusca  fu  Carlo  Dati  fiorentino,  nato  Tanno  1619. 
Scrisse  un  Discorso  deW  obbligo  di  ben  parlare  la 
propria  Ungua^  e  parecchie  operette  di  argomento 
scientifico ,  oltre  ad  un  buon  numero  di  Lettere^ 
Orazioni  e  Jiagionamenti  accademici^  ma  sopra  tutto 
^li  è  lodato  per  le  ìTitc  dei  Pittori  antichi  scritte 
con  bella  semplicità,  e  corredate  di  note,  ridondanti 
di  erudizione  d^  ogni  maniera..  Fu  inoltre  il  racco- 
glitore delle  Prose  Fiorentine,  le  quali ,  se  non  sono 
tutte  eccellenti ,  pur  somministrano  uh'  utile  let- 
tura agli  studiosi  del  nostro  idioma.  —  Invitato  da 
Luigi  XIV,  e  da  Cristina  di  Svezia  protettrice  al- 
lora degli  uomini  d^  ingegno ,  non  volle  cambiare 
né  con  Parigi  uè  con  Roma  la  sua  Firenze,  dove  fu 
professore  di  lingua  greca  fino  alla  morte,  avvenuta 
r  anno   i6j^. 

DALLE    VITE   DEI   PITTORI    ANTICHI. 

Dwtni  gradi  nelV  Iiwenzione, 

Ninna  cosa  più  chiaramente  palesa  la  simiglianza  del' 
l'aomo  con  Dio,  che  T  iuTenzione  ;  ponendo  ella  quasi 
in  buon  lume  la  bellezza  e  la  virtù  deir  anima  nostra. 
E  la  cieca  gentilità  fa  molto  da  compatire  ,  la  quale 
agr  inventori  di  cose  o  necessarie  o  comode  al  vivere 
umano  decretò  sacrifici  ed  onoranze  divine;  attentamente 
considerando  come  V  inventare  sia  prossimo  e  quasi  suc- 
cedaneo di  quell'ammiranda  e  incomprensibii  maniera  che 
nel  creare  usa  ad  ogni  momento  V  Onnipotenza.  Ben  è 
vero,  che  provvidamente  dalla  bontà  dell' Altissimo  fnron 
conceduti  alla  nostra  fiacchezza  molto   limitali   e   bassi    i 


SEGOLO  OBGiaiOSETTIHO  A07 

▼oli  ieW  inTentiTa  ,   metteoclo  H  freno  ali'  alterezza  mor^ 
tale  :.  onde  chi  prima  inventò ,  sempre  fu  rozzo  e  imper- 
fetto ne'  sooi  principi  ;  chi  sacceclette ,  i   trofa menti   mi^ 
gliorò  de  passati.,  molto  lasciando  da  migliorare;  chi  ri« 
dusse  le  arti  men  loogi  dalla  perfezione ,   ottenne  pregio 
di  accuratezza  più  che  di  novità  ;  e  per    molto   ch^  altri 
poi  si  avanzasse,  non  restò  mai  da  ninno  occupato  impo- 
sto eminente  della  suprema  eccellenza.  Stando  adunque  le 
cose  io  tal  guisa  disposte ,  non  perdettero  i    primi ,   tut- 
toché superati  da'  susseguenti ,   l'  onore   delP  inv^enzione'  ; 
e  a'  posteri  restò  la  speranza  di    yincer   tutti   i    passati  ^ 
senza  tòr  loro  il  Tanto  d'  essere  stati    i   maestri.    Questa 
-diversità  di  principj,  di  progressi  e  di  gradi  più  che  in 
altro  magistero  ben  si  ravvisa  nellA-pìtlura,  di  cui  vera- 
mente io  non  so  se   r  ingeigno  .e  la  mano  potessero  uni* 
lamente  immaginare  e  formare  per  ornamento  del  mondo 
opera  più  galante  e  più  degna.  Oh  quanto  fu  ella,  a  dir 
▼ero,  rozza  e  imperfetta,  e  por  maravigliosa   nel    nascer 
tuo  !    Quanto    lentamente  sali  ,   dilungandosi    dall*  antica 
goffezza  !  e  pure  in  tolti  i  suoi  pAssi  ebbe  compagni   gli 
applausi  e  lo  stupore.    Quanto  si  fu  ella  finalmente  stn* 
penda  nella  sua  più  sublime  perlèziooe  ,  se  però  creder 
Togliamo  che  alcuno  de'  professori  più  eccelleqti  ascendesse 
a  quella  sommità ,  aopra  di  cui    più    non   è    da   salire  ! 
Gloriosi  adunque  sempre  resteranno  i-  primieri    inrentori 
•della  pittura ,  che  la  messere  '  al  mondo  ;  nò  meno  glo- 
riosi saranno  coloro ,  i  quali  anzi   quest^  arte   per^iona- 
rono,  che  alcuna  cosa  inventassero;  scodo  il- campo  della 
gloria  cosi  spazioso,  che  ben  può  passeggiarlo  francamente 
ciascuno  senza  recare  sconcio  al  compagno. 

Contro  i  crìtici  troppo  severL 

Io  vorrei  qui  presente  uno  di  coloro,  i  quali  si  fanno 
a  credere  che  il  traslatare  i  buoni  autori  nel  folgar  no* 

I  Muserò,  Mis«ro. 


A08  LETTERATURA    ITALIANA 

atro  sia  impresa  da  faoclolli ,  come  quegli  che  noo  saoDo 
e  non  capiscono,  che  per  guadagnar  talvolta  il  fero  sen« 
timento  d'  aoa  parola  ,  si  perdono  molti  giorni ,  ponen- 
do ,  ie? àodo ,  malandò  e  fantastjcando ,  e  poi  né  anche 
ai  colpisce  nel  segno  ^  come  credo  certo  che  sia  a? venato 
a  me,  parendomi  d^  esser  sicuro  di  non  a  fere  indovinato 
qael  ch^abbia  voluto  dir  Plinio  in  quelle  parole;  argutias 
Julius,  Poveri  scrittori!  de' qnali  si  vede  il  lavoro  quando 
sono  superate  le  difficoltà ,  e  che  tutto  è  aggiustato  e 
posto  a  suo  luogo,  restando  occulta  la  maggior  parte 
della  fatica  e  dello  studio  speso  in  fuggire  gli  errori.  In 
quella  guisa  che  Teggendòsi  una  fabbrica  quando  è  bella 
e  terminata ,  non  si  considerano  le  malagevolezze,  gP  in- 
toppi e  le  «pese  nel  fare  gli  sterri  ',  nel  cavar  I'  acque, 
ne!  gettare  i  fondamenti  ,  nel  condurre  i  materiali,  nel 
collocar*  le  porte  ,  nel  pigliare  i  lumi  ,  nel  situar'  le  sa- 
lite; né  altri  si  ricorda  delle  piante ,  de' disegni  ,  del 
modelli,  degli  argani,  de'  ponti,  delle  centine  *,  e  di  mille 
altri  ordigni  e  lavori  oecessarj.  Ma  pur  pure  questi  tanto 
o  quanto  si  veggono ,  perchè  s'  opera  in  pubblico.  Cosi 
fossero  Tedute  ie  preparazioni  ,  gli  ammanimenti  ,  1  re- 
pertori,  gli  spogli,  i  luoghi  imitati,  le  ponderazioni,  le 
correzioni,  i  riscontri,  i  Tolgarjzzamenti  degli  autori,  le 
bozze,  le  cancellature,  le  cose  prima  elette  e  poi  rifiu- 
tate ;  che  per  avventura  sarisbbe  più  compatito  chi  inette 
in  luce  le  sue  fatiche  da  certi  .severi  e  indiscreti  censo- 
ri ,  che  non  facendo  mai  cosa  alcuna ,  le  fatte  dagli  al*- 
tri  sempre  tengono  a  sindacato. 

Elogio  di  Jpelle, 

Vivendo  sempre  V  nomo  fra  cose  imperfette  e   finite, 
maraviglia  non  è  che  con  intelletto  difettoso   ed   angusto 

I 

1  Gii  stari.  Gli  sterramenti. 

2  Centine.  Arcate  di  legno  sopra  le  quali  ai  fabbricano  le  vòlte. 


SECOLO   D.ECIM09ETTIH0  •209 

non  comprenda  uè  quel  perfetto  che  non  si  paò  miglio^ 
rare ,  ne  4)iieir  infinito  che  non  paò  crescere.  Di  qui  è 
che  bene  spesso  egli  crede  e  chiama  ottime  quelle  cose, 
delle  quali  mai  non  giunse  a  Tederne  migliori;  e  immense 
qoelle  che  a  sua  Uf^tizia  son  le  più  grandi.  Ma  poi  Te- 
nendogli sotto  T;  occhio  qualche  oggetto  opiù  eccellente 
o  maggiore,  è  sforzato  a  mutar  concetto  e  credenza  della 
perfezione  e  delP  immensità  ;  accorgendosi  per  le  replicate 
esperienze ,  ch^  ogni  cosa  mortale  può  sempre  Ticevere 
miglioranza  e  grandezza ,  senza  mai  giugnere  a  quelF  e* 
stremo  termine  incapace  d'  aumento ,  che  solamente  in 
Dio  si  ritroTa.  Àveano  la-  natura  e  T  arte  in  diversi  sogf 
getti  fatto  ogni  loro  sforzo*  per  sollevar  la  pittura  a  quella 
aoprema  altezza  di  perfezione,  alla  quale  airivar  pptesso 
la  mano  e  V  ingegno  delP  uomo.  E  se  avessero  In  Zeusi 
e  in  Parrasio  e  in  Timante  fermati  i  progressi  loro,  eia* 
•chednno  senza  dubbio  avrebbe  stimalo  che  meglio  di  co* 
itero  non  si  potesse  operare.  Ma  quando  ambedue  ii| 
Apelle  s' unirono ,  dotandolo  d'  uno  spirito  e  d^  nna  gra<? 
zia  che  pareva  trascender  V  umanità ,  e  con  lungo ,  assi** 
duo  e  diligente  esercizio  Io  corredarono  d*  una  pratica  o 
d'  un  amore  che  franchissimo  -lo  rendevano  e  indefesso  ^ 
e  che  per  terza  a  favorirlo  s*  aggiunse  la  fortuna  di  qndi 
felicissimo  secolo,  io  cui  furono  in  tanto  pregio  le  scienzot 
e  Partì  più  nobili;  chiaramente  si.  vide  che  tutti  gli  al« 
tri ,  i  quali  senza  questo  paragone  apparivan  perfetti  , 
erano  stati  studi  ed  abbozzamenti  per  disegnare  e  colo^ 
rire  qpesto  vivo  ritratto  della  perfezione,,  celebrato  q 
magnificato  dagli  scrittori,  à\  tutti  i  secoli  :  perchè  non, 
ebbe  V  antichità  ,  bench*  egli  pur  fosse  in  verità  supera- 
bile, ninno  che  giammai  T  agguagliasse. 

Nobil  gara/ra  Jpelle  e  Protogene, 

E  eelebre  ravTeiumento  e  la  gara  d' Apelle  e  di  Pro- 

j8* 


2IO  LfiTTERATUnA  ITALURA 

logene.  Dimorava  questi  in  Rodi;  dove  sbarcaodo  Apelle, 
ansioso  di  vedere  colai ,  il  quale  ood  allìrimeali  ceoosoeva 
che  per  faftia  ^  di  presente   s*  inviò  per  trovarlo  a  l>otte« 
ga  '.  Non  v^era  Protesene,  ma  solamente  nna  vecobia  cbe 
alava  a  guardia   d^  una   grandissima    tavola  messa  sa  per 
dipignersi.  Costei  da    A  pelle    interrogata  ,    rispose    che  'I 
maestro  era  fuori  ;  indi  soggiunse  :  £  cbe  debbo  io  dire 
cbi  lo  cercbi?  —  Questi,  replicò  Apelle:  -  e  preso  un  pen- 
nello, tirò  di  colore  sopra  la    tavola   una   sottilissima    lì- 
nea. Raccontò  la  veccbta  tatto  il  seguito  a  Protogené  ;  e 
dicesi  cbe  egli  tosto,  considerata    la   sottigliezza  della  li- 
nea ,  affermasse  easervi  stato  Apelle ,    perchè    nian   altro 
poteva  far  cosa  tanto  perfetta;  e  cbe  con    diverso  colore 
tirasse  dentro  alla  medesima  linea  au*  altra    più    sottile, 
ordinando  nel  partirsi  che  fosse   mostrata    ad    Apelle    se 
ritornasse,  con  aggi ngnere  che  questi  era  cbi  egli  cerca* 
va.  Così  appunto  avvenne  ;  perciocché  egli  tornò ,  e  vcr« 
gognandosi  d*  essere  superato ,  segò  e  divise  le  due  linee 
con  un  terzo  colore,  non    lasciando    più   spatzio   a    sotti- 
gliezza vernina:  laonde  Protogene  chiamandosi  vinto,  corse 
al  porto ,  di  lui  cercando  per  alloggiarlo.    Io    tale  slato  , 
«enz'' altro  dipignervi,  fu  tramandata  questa  tavola  a'  po- 
steri, con  grande  stapore  di  tutti  ,  e  degli' artefici  mas* 
siniamente.    Abbruciò   ella  in  Roma  nel    pfimo    incendio 
del  palazzo  cesareo  ,    dove  per  avanti  ciascuno  vide   avi- 
damente e  considerò  queir  amplissimo  spazio  ,  altro  non 
contenente  cbe  linee  quasi  invisibili.  E  pure  collocata  fra 
tante  opere  insigni ,  tirava  a  sé  gli  occhi    di    tutti  ,    più' 
beUa  e  più  famosa  perch'  era  vota. 

Il  calunniatore.  Quadro  di,  Jpelle, 

Dipinse  (Apelle)  nella  destra  banda  a  sedere  un  uo- 
mo con  orecchie  lunghissime,  simiglianti  a  quelle  di  Ali« 

1  Ora ,  tratuùdosi  di  artùti ,  «Uciaiaó  ^dio» 


•SCOLO  O^IMOSBTTIMQ  .3  LI 

.d«  ,  in  atta  di  porger  la  maoo  alla  Calunnia  che  di  lon« 
tane  5^  inviava  verèo  di  lui.  Sca?angli  attorno  due  clou- 
niccifiole;  ed  erano  ,  s' io  lion  erro,  l'Ignoranza  e  la  So*' 
spezione.  Dall'  altra  parie  venia  la  Calunnia  Intta  adorna 
e  liscfatà ,  che  nel  fiero  aspetto  e  nel  portamento  della 
persona  lien  palesava  lo  sdegno  e  la  rabbia  ch'ella  chiù* 
deva  nel  cuore.  Portava  nella  sinistra  una  fiaccola ,  e  con 
1*  altra  mano  strascinava  per  la  zazzera  un  giovane  ,  il 
quale,  elevando  le  mani  al  cielo,  chiamava  ad  alta  voce 
gli  Dii  per  testimon)  della  propria  innocenza.  Facevate 
«corta  una  figura  squallida  e  lorda  ,  vivace  ed  acuta  nel 
guardo,  nel  resto  aimiglianlissima  ad  un  tisico  marcio;  e 
faeiimente  ravvisavasi  per  T  Invidia.  Poco  meno  die  al 
pari  della  Calunnia  eranvi  alcune  femmine,  quasi  damigelle 
e  compagne,  il  cui  ufficio  era  incitare  e  metter  sn  '  la 
itgnora  ,  acconciarla,  abbellirla  ;  e  s' interpretava  che  fos- 
sero la  Doppiezza  e  P  Insidie.  Dopo  a  tutti  veniva  il  Pen* 
timcfiilo  colmo  di  dolore  ,  rinvolto  in  lacero  bruno  ,  il 
quale,  addietro  volgeiìdosi,  scorgeva  venir  da  lungi  la 
Verità  non  meno  allegra  che  modesta,  né  menu  modesta 
che  bella. 

BENEDETTO  MENZJNI 

Benedetto  IMeazioi  scrittore  elegante,  cosi  io  ila- 
liaoo  come  in  latino,  nacque  io  Firenze  a  29  di 
marzo  delPauno  j646.  La  povertà  avrebbe  forse  im- 
pediti i  suoi  studi,  se  il  marchese  Giaoviucenzo  Sal- 
tiati  noo  toglieva  a  proteggerlo. 

Egli  èra  ancor  giovinetto  quando  fu  nominato 
professor  di  eloquenza  io  Firenze  :  ma  non  avendo 
poi  ottenolo  di  essere  promesso  ad  una  cattedra  nel- 
r  Università  di  Pisa ^  nel  i685  andò  a  Roma  presso 
Cristina  di  Svezia. 

I  Meti^r  su  per  AUu^»  è  modo  anche  del  dìnletto. 


%IZ  LBTTfiEATURA  ITALUHÀ 

Quattro  anni  dopo ,  mòrta  quella  celebre  protég* 
•  gitrìce,  il  Manzini  si  trovò  di  bel  nuovo  nella  po- 
vertà^ dalla  quale  fu  necessitato  di  logorare  malamente 
r ingegno,  scrivendo  a  prezso  per  tali  che  si  facevaa 
poi  belli  delle  sue  fatiche.  Finalmente  il  cardinale 
Gianfrancescó  Albani  ^li  ottenne  un  luogo  tra  i  fa* 
migliar!  d^  Innocenzo  XI ,  un  canonicato  e  V  uficip 
di  coadjutore  nella  cattedra  d^  eloquenza  nella  Sa« 
pienza  di  Roma ,  dove  mori  addì  7  settembre  1 708* 

Gredesi  che  il  Menzini  scrivesse  la  maggior  parte 
delle  sue  opere  in  Roma  sotto  il  favore  della  Regina 
di  Svezia  ^  e  sono  Poesie  liriche  d'  ogni  metro  e 
d^ogni  genere;  tre  libri  di  un  Poema  epico  intito- 
lato il  Paradiso  terrestre^  un^  imitazione  delP  Arca* 
dia  sotto  il  nome  di  Accademia  Tusculana^  una 
Poetica  in  terza  rima,  ed  alcune  Satire  nello  stesso 
metro.  Queste  ultime  due  sono  generalmente  pre* 
giate  sopra  tutte. 

POESIE    VARIE. 

I  JW  Imddia. 

Per  pitf  d'  uà  angae  al  fero  teschio  altorlo 
Veggio  eh*  atro  Teleao  iotorno  spiri , 
Mostro  crudel ,  che  'I  lividi'  occhio  e  Iorio 
Su  lo  splendor  de  P  altrui  gloria  giri. 

II  perverso  tao  cor  prende  conforto 
Qoalor  più  afflitta  la  virlù  rioairi  ; 
Ha  se  poi  della  pace  afferra  il  porto , 
Ti  s'  apre  uo  mar  di  duolo  e  di  sospiri. 

Deh  !  se  giammai  ne  V  im mortai  soggiorno 
Le  mie  '  preghiere  il  Ciel  cortese  ndille  ' , 
Oda  por  queste ,  a  cai  sovente  io  torno  : 


I  UdiXU,  il  pronome  le,  iffiMtt  al  V6(1m}  H4t  ^  UB  sampUif  pltoaumo, 
cht  in  proM  swebbc.  difetloio. 


iECOtO    DECIMOSETTIHO  ài  3 

Coronata  di  lucide  fatille 

Splenda  Tirtnte;  abbia  letizia  intorno, 
Abbia  la  gloria  ;  e  tu  mill'  occhi  e  mille  '. 

1  Sogni 

Uentr^  io  donnea  sotto  qneir  elee  ombrosa , 
Rarfemi ,  disse  Aloon ,  per  V  onde  chiare 
Gir  na? igando  d'  onde  il  soie  appare , 
Fin  dorè  stanco  in  grembo  al  mar  si  posa. 

E  a  me ,  soggiunse  Elpin ,  nella  fumosa 
Fucina  di  Yulcan  parte  d'  entrare, 
E  prender  armi  d'  artificio  rare, 
Grand'  elmo ,  e  spada  ardente  e  fulminosa. 

Sorrise  Uranio ,  che  per  entro  fede 

Gli  altrui  pensier  col  senno;  e  io  questi  accenti 
Proruppe ,  ed  acquistò  credenza  e  fede  : 

Siate ,  o  pastori ,  a  qaella  cura  intenti  , 
Che  '1  giusto  Ciel  dispensator  tì  diede  , 
£  sognerete  sol  greggi  ed  armenti. 

V  AUoro. 

Dianzi  io  piantai  un  ramoscel  d'  alloro, 

E  insieme  io  porsi  al  Ciel  preghiera  umile , 

Che  si  crescesse  V  arbore  gentile  , 

Che  poi  fosse  ai  cantor  fregio  e  decoro  ; 

E  Zeffiro  pregai ,  che  V  ali  d*  oro 

Stendesse  su^  bei  rami  a  mezzo  aprile  ; 
£  che  Borea  crudel,  stretto  in  sertile 
Catena ,  imperio  non  avesse  in  loro. 
.    Io  so  che  questa  pianta ,  a  Febo  amica  * , 

1  3ÙW  occhi  «e. .  E  tu  abbi  mille  occhi  p«r  Tcdere  la  proapcritk  citi  bnoni 
ed  cuame  aflOitU. 

%  A  Febo  «e*.  Dell*  alloro  coronataiui  i  poeti ,  il  cui  Dio  era  Febo  od 
Apollo. 


A 1 4  LETTERATCRA   ITALIillA 

Tardi ,  ah  beo  tardi  !  ella  s*  innalza  al  segno 
D*  ogni  altra  che  qai  stassi  in  piaggia  aprica  ; 
Ma  il  suo  longo  tardar  non  prendo  a  sdegno , 
Però  che  tardi  ancora  e  a  gran  fatica 
Sorge  tra  noi  chi  di  corona  è  degno. 

DALLA   POETICA. 

Quanto  possa  lo  studio  —  Del  Sublime  —  DeW Entusiasmo. 

Oh'  della  gloria  laminoso  calle  ! 

Felice  quei  che  in  te  vestigio  imprime, 
Kè  a'  rai  del  tuo  bel  Sol  Tolge  le  spalle. 

Or  chi  brama  che  ^1  grande  e  che  U  sublime 
Risplenda  ne^  suoi  scritti ,  e  si  consiglia 
Correr  di  Pindo  in  vèr  le  palme  prime; 

Giammai  non  torca  da  V  onor  le  ciglia , 
Mai  da  la  nobiltade;  e  i  suoi  pensieri 
Servano  a  lei  qual  sìgnorii  famiglia  •• 

E  co'  suoi  spirti  geoerosi  e  altieri 

P^on  mai  s*  abb^Msi  a  qnel  che  a  V  alma  oltraggio 
Può  far  co'  suoi  vapor  torbidi  e  neri. 

Tenga,  lungi  dal  volgo,  erto  il  viaggio; 
£  le  nebbie  importune  alto  saetti 
Dal  suo  bel  ciel  col  laminoso  raggio; 

E  poi  ben  giusta  inclita  laude  aspetti 

Da  quegli  che  verranno.  Ah  sì ,  verranno  * 
Migliori  al  coro  ascreo  giudici  eletti. 

E  quei  che  forse  or  aconosciuti  stanno , 
Sin  da  gli  elisii  campi  eccelso  e  forte 
Di  benché  tarda  gloria  il  saono  udranno. 

1  Qnid  se, .  Come  i  domeitid  lenrono  al  loro  tignore.     - 
xVsrrmno  ec..  Vbol  din  cbe  i  poftori  sanumo  giudici  migliori  e  più 
impaniaU.  -«  Coro  ascreo,  I  poeti. 


SECOLO   DEGIUOSETTIHO  21  5 

Yer  è  che  al  Ciel  la  lor  beata  sorte 

Debbon  spirli  soblimi  ;  e  questo  è  il  pregio 
Che  sol  per  grafia  è  fatto  altrui  consorte  '. 

Esser  r  injgegno  io  nobiltate  egregio 

Mai  poò  per  arte;  e  sol  del  Ciel  cortese 
E  qoesti  e  di  Natara  ooico  fregio. 

Elia  da  prima  in  le  grànd^  alme  accese 
Ud  gentil  foco;  ed  eila  i  semi  sparse 9 
E  a  lieto  germogliar  pronti  gli  rese. 

In  sterile  terreo  non  Yedi  aliarse 

Pianta  meschina;  e  del  sa'  aprii  si  doole. 
Che  sol  squallide  froodi  in  lei  cosparse: 

Anch'  ella  pur  vorrebbe  in  faccia  al  sole 
Spigar  florida  chioma  a'  suoi  verd'  anni  ; 
Ha  ritrosa  Natura  osta,  e  noi  Tuole. 

Pur  non  fia  che  del  tutto  ioran  si  aflfanni 
L'  ingegno  umile,  allorché  anela  e  suda 
Pur  di  Natura  a  risto^^are  i  danni.. 

E  non  fia  che  del  tutto  a  lui  si  chiuda 
Il  si  diffidi  Tarco,  e  che  del  tutto 
D'  effetto  lòto  il  buon  voler  s^  escluda. 

Che  quel  cne  parve  orrido  campo  asciutto , 
Per  onda  *  si  discioglie ,  e  a  chi  'I  coltiva , 
Dolce  promette  in  sua  stagione  il  frutto. 

Non  l' accorar  se  v'  ha  talon  che  scriva  , 

Che  io  van  si  tenta  ogni  arte:  e  por  per  arte 
La  piccola  barchetta  al  porte  arriva. 

Nelle  chiare  di  Febo  eterne  carte 
Mille  vedrai  indite  forme  e  mille, 
Qie  potran  del  sublime  esempio  fitirte  \ 

I  E  fatta  tt. .  È  conceduto  ali*  nomo, 
s  Per  onda  te, ,  Per  meuo  dell*  acque  eoa  cui  i*  irriga. 
3  Farla  per  Farti  g  e  il  modo  Fara  esempio  dei  subìima.  Tale  Essere 
esempio»  o  Servire  ^esempio* 


ai6  LETTEBATURA    ITALTARA 

E  nel  tuo  cuor  le  tacite  faville 
A  poco  a  poco  sfeglieransi  ;  e  poi 
Per  tutto  vibrerai  lampi  e  scintille. 
E  al  grande  oprar  de^  gloriosi  eroi 
Vedrai  Io  spirto  in  te  farsi  maggiore, 

E  gli  angusti  sdegnar  confini  suoi. 
Questo  tuo!  dir  che  a  ciaschedun  nel  cuore 
Avvi  il  talento  :  ma  non  sempre  eguale  ; 

Che  grande  è  in  altri,  e  forse  è  in  te  minore. 
Slira  qoal  splende  il  cielo,  e  mira  qnale 

ArdoQ  gli  astri  diversi  ;  e  la  chiarezza 

-.Spesso  de  I'  ono  al  suo  vicin  prevale. 
E  pur  son  paghi  de  là  lor  bellezza 
:    Ciascun ,  benché  diversi  ;  e  'I  guardo  umano 

Traggo  d*  entrambi  una  gentil  vaghezza. 
Ha  perchè  a- te  chiaro  ^  si  faccia  e  piano 

Qua!  sia  'I  Sub! ione,  or  via  T  orecchia  appresta ,. 

Kè  forse  a  i  detti  ibchinerassi  in  vano. 
Sublime  è  quel  eh'  altri  in  leggendo  desta 

Ad  ammirarlo ,  e  di  cui  fuor  traluce 

Beltà  maggior  di  quel  c^he  M  dir  non  presta. 
Ond'  è  che  1^  alma  a  venerarlo  -ìndace , 

E  r  empie  di  se\>tesso,  e  ìa  circonda 

•  D' una  maravigliòsa  amabii  luce. 
E  quanto  il  guardo  in  lui  più  si  profonda, 

Più  e  più  diletta  ;  e  per  vigore  occulto 

La  ménte  del  lettor  fassi  foconda  '. 
So-  ben  che  punte  anche  in  sermone  incnlto 

Chiudersi  un  gran  pensiero  ;  e  si  appresenla 

Talvolta  in  creta  anche  un  gran  Nume  insculto. 
E  v*ha  talon  eh' ebbe  la  cura  intenta 

Solo  al  concetto  ;  e  V  ornamento  esterno 

Spezzò  la  mano  e  neghittosa  e  lenta. 

I  Fossi  fteonda.  Cioè  trota  sempre  più  nuove  belleue  a  mìinm  the  me- 
dita tttU*  iauBagiae  concepita.  ' 


SECOI.0  DBcmosETTiaia  ^17 

Qnindi  «^0oti»  ao  tal  fiostanM  io  scerpfi 
Id  quei  {  cb«  •  iitip  imMagmnndQf  fi  fielo 
Wd»  Ur  di  tre  ^ifi  pn  gÌF4  etii|:||f|. 

Ma  la  d*  iiD  dpppiq  e.'fieperoso  spio 

Vorrei  pbe  ardessi  t  e  c^e  le  grandi  \ÌP^ 
Ricco  afesièr  per  te  pouipQ»P  iplo.      ^ 

Chi  non  ha  T  aqro ,  p  ')  ^rde ,  è  vfE^  pl)p.  bee 
Il  Cfaiaoti  ^  io  f  e(rfl  ;  me  piit  lieti)  in  vista 
Spargeria  di  rqbìo  gemme  ei^itree* 

È  ver  che  io  inaMe  eacnr  fsegCufe  P  m^H  . 
Ha  sQo  piceayo  V  arg^otP  ;  e  gaf  nmf^ 
Ud'  artefii:»  man  gjfiàm  g|i  ^qsi^tq? 

È  Ter  fi^  grez^p  è  Y  adàm^nfq  >  ^  i»  (W^Uf 
Bavide  spogli^  è  prie^iQip;  ^  pHf^ 
Alla  feri ifi»  rpole  ei  pii|  Jt' ^^l^eUec; 

Così  |e  besi^  fornw?  P  ?>  T  9^PP«:?        ' 

Fflggir  l«  dèli ,  ^  ft  l?  af  le  ,  ^  r  c^^gipnto 

Volger  r  ing^Qfi  p  >e  sagaci  epfp^ 

E  far  che  ^p)eqd^  «I  li©»  tftlgV  l4«Rte 

He*  gr^i»  *B|?si  iipn  v>!  *  "ft^  }^  Vi^h  «ncora 
Onde  si  s|^ieg.i|  ^u  po}?i|p  afjgpm^Rffj. 

Che  se  r  q?»  »fi  ri^^rbi ,  e  1'  fn^rq  %f^       ^ 

La  dpppi«  palw  opde  \<f  3^jl  ;^'  ppofjf. 
Ooiodi  Tarassi  f  |e  l«!a  «^l^nlfi  ^RI^I^B 

Qa^|>i4  1  cojjlr^FÌp  d^l  .^pbllrap,  if)  fpi 

4lf»^  np«  P  diB  f  rfetfj  prfgj  ipsef{^. 
Talvolta  udrai  dentro  gli  scritti  altroi 
,  AUo  rimbombo ,  e.  strepitose^,  il  sgono  : 

Ma  Te'  4ì»  J^app^i  «  RP»  è  %àR  ^  m  !ft'- 

s  /n  quei  che  ee,>  pi  Baou. 
a  //  CAmiUì.  Il  Tiii  di  Clnaiiti. 

3  Non  i  /ondo*  Non  ha  fondamento  di  pensieri  e  di  idee  dalle  quali  sol-- 
tanto  nasce  il  SnLUme. 

I.BTTBBÀT.  ITAI».  -  IT  ig 


21^  LETTERATtHIÀ.  ITALff&llA 

Perchè  V  alta  del  graode  oHig[iii  sono 
I  grao  pensieri,  «  di  fet>èa  ùrètra 
Falnknie  i  aeosi ,  e  le  parole  il  Uioimk 

Alpestre'  e  duro  Cranoo^  orrida  pietra 
Or  tioD  adkti  gni  dal  giogo  alpiao 
Trarsi  ia  ^rtù  dell' opoUinea  cetra? 

Ed  iodi  farsi  ai  grau  «autor  ticìso 
tjB  froiidota  famiglia ,  aprirgli  afai»le 
Vaga  «etfofa  aeeBa  il  «erro  e  il  |>ijM? 

Tal  di  fa?òleggiar  la  Grecia  ancaii^e 
Fiòfse  le  altere  mara figlie  noow 
Nelle  'Seguaci  ed  aoifiiale  piante. 

Ìj  anren  cetra ,  che  i  tronchi  e  i  tassi  nraote , 
E  il  naturale  Eotosiasmo ,  ei  aolo 
S'  b»  da  natara  ,  e  non  s*  imprende  aitrore. 

In  ogni  altro  per  arte  aitar  *  dai  snolo 
Potrai;  ma  non  d*  altronde  a?er  le  penne 
Per  qnestt> ,  tli  ah*  io  parlo ,  etereo  toIo. 

E  basterà  che  «ol  di  Ini  ti  accenno , 

Ch'  egC  è  quél  che  rapisce,  e  quei  che  inspira 
L' alma  gentil  ehe  a  |»6etar  aen  Tonnef  '. 

E  poscia  in  sna  ▼  irtate  anco  a  sé  tira 

Gli  animi  altra!;  e  i  «ott  in  loro, alterna 
Per  varie  tempre  d^l' 'tornea  lira. 

E  si  soavemente  egli  a*  interna 

Neir  intelletto ,  die  ubbidir  oon^riene 
A  ini  9  tftie  r  alme  a  toò-  piacer  goreroa. 


X  jilpestré  fc, .  Non  udisti  ciò  che  si  racconta  ài  Orfeo  »  cioè  che  al  mono 
della  voa  cetra  traevasi  diètro  le  piaitte  e  i  naMagm  ì 

2  JlUar  (-  s' intende  )  il  volo. 

3  Sèn  venne  (  sottintendesi  )  al  mondo$  NtOM  éHa  poMAk  ^    ■ 


SEGOLO  DECIHOSBTTUIO  ^      3-19 


VINCENZO  FIUCAJA. 


Lo  splendore  delle  poesie  di  Pindaro  non  fa  mai 
forse  emulalo  cosi  bene  da  nìun  moderno  «onie  dal 
fiorentino  Vincenzo    Filicaja.  A'sqoi  teiUpi  la   città 
di  Vienna  fa  assediata  dai  Torchi,  e  T Europa  guar- 
dava   spawotata    a  quella   guerrt  cKe  potew  con- 
durre la  barbarie  ottomana  nette  sóe  belle  contrade. 
Finalmente  Giovanni  Sobieski  re  di  Poboia  scon- 
fisse gli  »8«edia»fi.  Allora  il  Filieaii  ,  aeceso  da  un 
alta  inipiw««ie  poetica  e  dal  •éntimonlo  religioso, 
scrisse  alcune  canaonl  che  divolgarono  il  «no  noole 
e  la  sua  lode  non  pure  in  Italia ,  ma  faon.   L  im- 
peralore  Leopoldo,   il  Re  di  Polonia   e  il  Duca  d» 
Lorena  gli  significarono  per  lettela  Tammirazione  in 
cui  erano  del  suo  nobile  ingegno.  Cristina  di  Svezia 
si  assunse  di    educarne  a   proprie  'spese  i  figliuoli. 
11  Granduca  di  Toscana  oltre  alla  catrìca   di    bena- 
tore  gli  commise  anche   il   governo   dì  akune   pro- 
vince; dov'egli  seppe  acquetarsi  Vamove  de  suddU. 
e  la  stima    del   principe.    Morì    a'  «5    di    settembre 
del   1707  in  età  di  settanlaciBqo^  ano*. 

C4JIZ0QI. 

Ptr  P  assedio  di  fìenna  ,  fatto  dai  TVciti  hd  |68J. 

E  fino  a  quanto  inuUi 

Fiai^»  Signore,  i  Miai  3e»n?  E  fino  «  quanto 
Dei  barbarici  insulti 
Orgo^jlipsa  «  ^J*à  r  wipta  baldanza? 
Dot'  è  ,  dov'  è ,  gran  Dio  ,  l'  antico  tanto 
Di   tu'  atija  possanza  ? 

Stt'  cwpi  ^i»  ^^  <?««N[W  *»**  P*"  ^^^*^  ' 
Semina  atragi  e  morii 

yÀiT pompi  ec.,  W'paesi  dove  la  reHgione  h  piik  coUìt^U.. 


120  ttVf  ^ittfftlà    ITAtnilà 

Barbaro  ferro ,  e  te  destar  noo  pooQo 
Da  si  profotitld  idtafatì 
Le  gravi  antiche  offese  e  i  no?i  torti  ? 
£  tu  ^1  Tedi  ,  é  M  comporti  r 

ia  destra  di  folgori  non  armi, 
O  pur  gli  avf enti  agì'  insensati  marmi  r 
Mira,  oiaiè,  ^ual  crudele 

Neiàbò  4\tirflii  e  dVarmati ,  e  qoal  torrente 
|>'.«g«rcllD  infedéle 

ÒdfAl  i'  Austria  a  inoadaf  !  Mira  che  il  loei» 
A  laAV  étti^lb  teénea  i  é  a  UMa  fftaié 
.  .    'Pai^  chfe  r  lélW  »ia  ptìco  •  4 

£  di  imV  hìié  h\V  bmhtà  il  ili  si  tfàe  t 

Tutte  son  qui  lé  spade 

Deir  ultimo  Òrfenie^  è  àìià  gl'air  luttd 

L'Asia  8  .nnfo  qdi  tutta, 

E  quei  che  'l  Tanal  *  solca  1  e  quei  die  ràde 

Lu  saf maliche  biade, 

£  quei  ehfe  calca  la  bistonia  nefe, 

E  qUei  uhe  '1  Milo  e  ehè  V  Oronte  b«;RC« 

Di  crisiiuft  sangue  ilntu 

Mira  deir  Austria  la  città  reìna , 
Quasi  abbattuta  é  ttutà , 
jQlUl^  (0  niìile  raccór  nel  fianoo  infermo 
Fiilmin  temprali  all^  infernat  fucina. 
Mira  che  frale  schermo 
-''  l^on  per  lèi  l^àlt^  ttidra ,  Oùd*  ella  é  tinta; 
Mira  le  palpitanti  ^ 
Sue  rocche  ;  od! ,  od!  H  sOoiI  th«  a  morte  sfida  ; 

l  Par  che  ^  Istrò  (  //  Danubio }  non  baiti  per  sommiiiùtrar  1*  acqua  ne* 
cessaria  a  tanto  esercito.  —  Si  cele,  5i  celi ,  6i  nasconda. 

a  Tonai.  Ora  Donj  Sattte  «btt  inette  foee  ael  bmm  d*  Àaot  — >  Sarmazia 
e  Bistonia  son  nomi  antichi  di  provincie  Tenute  poi  in  potere  dei  Turchi. 

3  Le  palpitanti  rocche  sono  un'  imnM§[ine  appena  perdonaliile  al  tecold 
dell*  Autore. 


SEGOLO   DEClfllOSSTTIVO  221 

Le  disperate  strida 

Odi,  i  singulti,  le  querele  e  i  pianti  ^.  . 

Delle  donne  tremaiiti , 

Che ,  al  fiero  aspetto  dei  comaa  perieli , 

Stringonsi  al  sene  i  vecchi  padri  e  i  figli. 
L^- onnipotente  braccio. 

Signor,  dehi  stendit  e  sappian  gli  emp}  ornai, 

Sappian  che  vetro  e  ghiaccio 

Son  lor  armi  a^  tuoi  colpi ,  e  the  sei  Dio  : 

Di  tae  giuste  vendette  ai  caldi  rai 

Stradasi''!  popol  rio. 

Qoal  porga  il  collo  al  ferro,  quale  al  laccio; 

E  come  fuggitiva  . 

Polve  avvien  che  rabbioso  Aostro  disperga, 

Cosi  persegua  e  sperga 

Tuo  sdegno  i  Traci,  e  sall^ augusta  riva 

Del  Danubio  si  scriva  t 

Al  vero  Giove  V  ottomaa  Tifeo  '    . 

Qui  tentò  di  far  guerra,  e  qui  cadeo.  - 
Del  Re  superbo  assiro  * 

Gli  aspri  arieti  di  Sion  le  mura 

So  pur  che  invan  colpirò; 

E  tal  poi  monte  d^  insepolti  estinti 

Alzasti  tu  ,  che  inorridi  Natura. 

Guerrier  dispersi  e  vinti 

So  che  vide  Betulia  ;  e  'I  Duce  siro 

Con  memorando  esempio 

Trofeo  pur  fu  di  femmiaetta  imbelkt 

Sulle  teste  rubelle 

* 

X  jybo.  Uno  de*  Gisanti  che  diedero  1'  auaho  al  delo« 
a  SennadierU»  ce  d*  ÀMÌna  mandò  un  ei ercHo  di  lS5ooo  uomini  ad  ai- 
iediare  Genualemmei  e  Dio  spedi  tan   Àngdk>  che  in  una  fola  notte  li 
aterminò  tutti.  —  Oloferne ,  generale  di  Nabuecodonotor  re  d*  Àstiria ,  as- 
sediò Betulia  y.  ma  fu  ucciso  da  Giuditta.  •— •  Giaele  uccise  ^Sisara. 

«9' 


222  LBTTBBATORA   ITALURA 

Deh  !  rioDOTeila  or  ta  V  antico  scempio  : 

Non  è  di  lor  meà  empio 

Quei  che  servaggio  or  ne  minaccia  e  morte; 

Né  meo  fidi  slam  noi ,  né  tu  meo  forte. 
Che  ft'  egli  è  pnr  destino  5  ' 

£  ne'  volumi  eterni  ha  scritto  il  Fato  * , 

Che  deggia  dn  di  air  Eusino 

Servir  V  ibera  è  V  alemanna  Teti , 

E  'I  suol  cui  parte  i' Appennin  gelato, 

A*  tnoi  santi  decreti 

Pien  di  timore  e  d'  umiltà  m^  inchino. 

Vinca,  se  cosi  vuol  « 

Vinca  Io  Scila  ,  e  1  glorioso,  sangue 

Versi  r  Europa  esangue 

Da  ben  mille  ferite.  I  voler  tuoi 

Legge  son  ferma  a  noi  : 

Tu  sol  se^  buono'  e  giusto ,'  e  giusta  e  buona 

Queir  opra  é  sol,  che  al  tuo  voler  consuona. 
Ha  sarà  mai  ch^  io  veggi  a 

Fender  barbaro  aratro  alP  Austria  il  seno , 

E  pascolar  la  greggia 

Ove  or  sorgon  cittadi ,  e  senza  tema 

Starsi  gli  arabi  armenti  in  riva  al  {leno? 

Nella  riH'na  estrema 

Fia  che  deir  Istro  la  famosa  i^eggia  * 

D^  ostile  incendio  avvampi , 

E  dove  siede  or  Vienna  abiti  V  Eco 

In  solitario  speco, 

X  II  Falò  pnò  iotendeni  detto  per  1*  eterna  colonia  di  Dio  :  ma  1*  espres- 
sione di  Ted  ibera  ed  alemanna  per  dire  i  mari  di  ^>agna  e  di  ^iemagna 
par  ^oppo  mitologica  in  questo  luogo»  L*  Eusino  h  il  Mar  Nero  dor*  k  Co- 
suntinopoli.  Il  Poeta  tuoI  dire  :  Se  tu  hai  fermo  nel  tuo  volere  che  i  Kao* 
meltani  prevalgano  sopra  i  paesi  cristiani. 

1  He/T  fetro  ee, .  Vienna. 


SeCOLa  DKGIHOSETTIXO  .2aS 

Le  cai  deserte  arene  orma  non  stampi  ? 

Ah  DO ,  Signor  !  troppo  ampi 

SoQ  di  taa  gvazia  i  fonti  ;  e  tal  flagello 

Se  in  cielo  è  scritto,  a  taa  pietà  m*  appello. 
Ecco  d'  inpi  defoti 
*    Risonar  gli  alti  templi;  ecco  soave 

Tra  le  preghiere  e  i   voli 

Salire  a  te  d'  arabi  fumi  '  nn  nembo. 

Già  i  tesor  sacri ,  ond'  ei  sol  tien  la  chiave  9 

Dair  adorato  grembo 

Versa  il  grande  Innoceóiio^,  e  i  non  mai  vóti 

Erari  apre  e  com parte. 

Già  i  Cristiani  regnanti  alla  gran  lega 

Non  por  com  move  e  piega, 

Ma  .in  on  raccoglie  le  milizie  aparte 

Del  teutonico  Marte  ; 

E  se  tremendo  e  fier,  piò  che  mai  fosse, 

Scende  il  fultnin  polono  ^,  ei  fu  che  U  mosse. 
Ei  da  ir  esqnilio  col  le  ^ 

Ambo  in  mina  delF  orrìbil  Geta  ^, 

Mosè  novello ,  estolle 

A  tè  le  braccia,  che  da  un  lato  regge 

Speme,  e  Fede  dair  altro.  Or  chi  ti  vieta 

Il  ritrattar  tua  legge, 

E  spegner  V  ira  che  nel  sen  ti  bolle  ? 

Pianse  e  pregò  1'  afflitto 

S  D*  arabi  fumi.  D*  incento. 
S  Innocensio  XI  ,  pontefice. 

3  Jl  fulmin  polono.  Giovanni  So1>ieski  re  di  Polonia  liberò  pòi  VWnns. 

4  EsquiUo  ec, .  L*  Esquilino ,  uno  dei  tette  colli  di  Roma. 

5  Geta.  I  Geli  furono  un  popolo  delk  Scisia;  e  qui  lUnno  pei  MaÀmet- 
la^f^  .»  Moib  lul  monte  Orelibe  impetrò  da  Dio  la  db&tU  degli  Àmaleeiti 
soDeTaodo  al  cielo  le  braccia ,  che  Aronne  ed  il  figlio  di  Caleb  gli  sosfen- 
t^^aao}  per  esserti  osservato,  che  quando  egli,  itanco,  cessava  dal  tenerle 
levate ,  la  vittoiia  abbandonava  gì*  Israeliti. 


/ 

%Zf§  I*STT£BATUBA  ITALUVA 

Bqod  Re  di  Giuda  * ,  e  gli  crescesti  elafe; 
Lagrime  d^  amiltale 
Nioite  sparse ,  e  si  cangiò  '1  prescritiò 
Fatale  iofansto  editto: 
Ed  esser  può  che  *1  lao  Pastor  dimoio 
Non  ti  sforzi ,  prega àdo ,  caDgiar  voto  ? 
Bla  seQto ,  o  sentir  parme  ^ 

Sacro  furor  che  di  se  m*  empie.  Udite  9 
Udite  V  o  Toi ,  che  V  arme 
Per  Dio  cingete:  al  tribunal  di  Cristo 
Già  decisa  io  prò*  ?ostro  è  la  gran  lite. 
Al  glorioso  acquisto 
So  su  pronti  mofete  :  in  lieto  carme 
Tra  Toi  canta  ogni  tromba , 
E '1  trionfo  predice.  Ite,  abbaUete, 
Dissipate,  struggete 

Quegli  empii  ;  e  V  Istro  al  finte  stool  sia  tomba* 
D'  alti  applausi  rimbomba  ' 
La  terra  omal  :  che  piti  tardatjg?  aperta 
^  E  già  la  strada,  e  la  fittorta  è  certa* 

Per  la  lìlferazione  di  Vienna  daW  assedia. 


\ 


Le  corde  d*  oro  elette 

So  su,  Musa,  percoti,  e  al  trionfante 
,  Gran  Dio  delle  vendelte 

Compon  d^  inni  festosi  aurea  ghirlanda, 
i  Chi  è  che  a  Ini  di  contrastar  si  Tante  * , 

A  lui  che  in  guerra  manda 

Tuoni  e  tremuoti  e  turbini  e  saette? 

I.  I  Buon  Me  d|  Giuda.  Esocbia ,  a  evi  il  proleU  iMÌa  aveiw  predetta  ia 
natte  »  ottenne  ,  pregando ,  qvindki  altri  anni  di  vita  (  F", .  £Ab*  IV  Re , 
\  Kb.  IV,  e.  20).  —  Il  profeta  Giona  predice  la  diatraaione  di  NinÌTti  ma  i 

t  cittadini  rivoltisi  a  Dio  ottennero  il  perdono  {Jlon*^  e  3). 

2  Si  yante.  Si  vanti. 


£i  jfti  die  1  Jtfdcb  studici  > 

Rappe,  atterrò,  dis|ièi*àé^  é  il  Hadffftrto, 

Stra^gério ,  diìsipàrib  ^ 

E  faroe  poUe ,  e  |)àfcfggiilrl()  al  sìiolo  ,^ 

Fa  ud  porito,  ao  paiìto  sdlo. 

Ch'  eì  può  tatto  ;  e  dtià  èciótà  èì  teUfa 

È  chi  fedii  ha  in  sé  stesso  ^  e  Dio  fadti  cora. 
fli  arédferOD  qa^li  ébpj 

Con  raiDoso  turUtte  di  gbefrà 

Abbdhei*  torri  è  teiilpj , 

E  svér  da  stia  madide  ii  Sàeto  ìtiìpWé» 
.    Empiei*  péb&flfofì  di  trdfèi  ìà  ilStrÈ'i 

Ed  oscarar  crederò 

Con  più  illustri  memòrte  i  fUCMJbl  ttempj. 

£  dJsèers  V  Aofttrla  doiua^ 

Domerem  poi  1'  ampia  Geridania  ;  é  ail^  Ebr^  * 

Fallo  tassallo  i4  Tébrd , 

A  turco  ceppo  il  |»lè  ^  risa  la  chioma'. 

Pòrgerà  Italia  e  Rdttla. 

Qoal  Dio ,  qual  Dld  delld  nostr*  armi  Isiir  onda 

Fid  ehe  d'  oppor  ài  taoll  argine  e  spónda  ?  - 
bl .  i  tanerarii  accenti , 

Qoal  tenue  fuuo,  altifirdnii  •  svieitlira^ 

E  ne  fér  preéa  ì  venti  9  « 

Che  sebbeu  di  Val  d' Ehrb  atlraive  Marte  ^ 
Vapor ,  che  si  fér  nuvoli  e  s^  aprirò , 
£  piovver  drogai  parte 

1  II  tracio  stuolo,  I  Maomettani. 

»  iAto,  fì\ÙA<e  deìhl  iMcil ,  d«ttO  OCa  Mof^U-  ili*  ttUàsa  )!i*  poeti , 
I*  AhtOb»  nòaUba  tilné  Kuml  tiite<!ft  éi  dfle  nailbtti,  é  Iratti  llbéil  f^ttofioiti 
t  pò^li  Stimai  ki  M^Mi  di  lAkootfttb. 

3  Rasa  la  chioma.  Indialo  di  tchlavitÀ. 

4  AMm  m«  .  8«bb«ne  il  ftiror  guenierd  (  Jlfìl»*ar  )  mosse  dftt  |MMbì  Infe» 
èMt  «a  Btt<K>l«  ^  atmatl  ti  dAbnl  dell*  AoBlHii  >  ttt  pittò  |  ò  tU||ROfto  >  non 
iiiMsfosti  ee. .      -       .      ,   ■  .     .«.  . 


4^6  LETTERATORA   ITALIANA 

Aspra  tempesta  soir  ^iiHriacbe  genti. 

Perir  la  taa  diletta 

Greggia ,  Signor ,  non  io  perà  laaciaatt  ; 

E  ali'  empietà  uKMtrasU  , 

Che  arriva  e  fere,  allor  che  men  s'  dspelta  , 

Giostissiina  Yeodelta* 

Il  laniio  i  finmi  che  aangoìgni  tanno  5 

E  *l  san  le  fiere,  e  le  campagne  il  saona 
Qua!  corse  gel  per  V  otM 

Air  arabo  Profèta  e  ^  sotzo  Anabi', 

Quando  l'ampia  ina  possa 

'Tatto  fé'  scender  le  sue  furie  alirici 

Solle  penne  dei  tenti  e  aalle  nnlù? 

L'  orgogliose  cerviei 

Chinò  Bisanaio,  e  tremò  Peiio  ed  Osa  *; 

E  le  s4}oatbre  rubelle, 

AI  ciel  rivolta  la  saperba  Iroole, 

Videro  atarsi  a  fronte  . 

Coir  arco  teso  i  nembi  e  le  proeeUe| 

E  guerreggiar  le  stelle. 

Di  queir  aeciar  vestile ,  onde  a*  armano 

Quel  di  che  contro  ai  Cananei  pugnerà^* 
Tremar  T  insegne  allora  ,/- 

Tremar  gli  scodi  e  palpitar  le  spade  ^ 

Al  popol  deU'  Aurora 

1  AlP  arabo  Profeta.  A  Maometto.  —  L*  Amtbi  poi  era  aaa  Divinitli  egisia 
adorata  sotto  ìa  forma  di  cane.  E  1*  Egitto  »  come  soggetto  ai  Turchi  e  ere- 
siente in:  Maometto  ,  mandò  soldati  anch*  esso  contro  Vienna. 

2  Pelio  ed  Ossa,  Monti  della  Grecia. 

3  «Hel  sottrarsi  (  i  Cananei  )  colla  foga  9?  figliuoii.  4*  bnele  »  il  Signore 
pioivwa  BOpra  di  loro  dal  cielo  delle  grandi  pietra  fino  ad  Aaeca  i  e  moki 
più  perirono  per  la  grandinato  de*  sassi,  die  pe' colpi  ddléanadja  de^  figjUwali 
d*  Israele  ».  Gios.^  e.  x,  ii;  trad*  del  JtfirfiitU. 

4  ^Vo'nw  «>(••  Le  insegne  e  gli  acodi  poasono  fri—are  n«l}e  unnici  un 
esercito  atterrito  ;  ma  il  palpittr  delie  spade  h  una  metafora  assolntuiante 

villosa*  —  Il  papoìo  deU^  Aurora  significa  i  Mnsulmani  venati  .dall'  Ockote. 


/ 


SEGOLO   DECIMQSETTinÒ  2^7 

Vidi  :  e  qual  di  salir  V  egro  tal? olla 
Sognando  b^o^qh  ,  e  nel  salir  già  cade  ; 
Tal  ei  sente  a  sé  lolla 
Ogni  forza,  ogni  lena;  e  la  poco  d^ora 
Sbaragliato  e  disfatto , 
Feo  di  sé  monti ,  e  rìempeo  le  TalH 
D*  uomtiìi  e  di  cavaili 
Svenati  e  morti,  o  di  morire  io  atto. 
Del  nemorabil.  fatto 

Chi  la  gloria  s'  arroga  ?  Io  già  noi  taccio  : 
Nostre  far  T'armi;  e  tao,  Signor,  fa\  braccio. 
A  te  dnnqne  de'  Traci 

Debella lor  possente,  a  le  che  in  ana 

Vista  distruggi  e  sfaci 

La  barbarica  possa,  e  a!  cai  decreto 

Serve  snddito  il  Fato  e  la  Fortuna , 

Io  trionfo  SI  lieto 

Alzò  la  voce,  e  i  secoli  fugaci 

4 

A  darti  lode  invito. 

Saggio  e  forte  sei  tn  ;  pugna  il  robusto 
Tao  braccio  a  prò'  del  giusto  ; 
Né  indifesa  Umiltà,  né  folle  ardito 
Furor  lascia  impunito  : 
Milita  sempre  al  fianco  tuo  la  Gloria  , 
E  al  tuo  soldo  arrolaeta  è  la  Vittoria  '* 
Là  dove  V  Tstro  hee 

Barbaro  sangue,  e  dove  alzò  poc'  anzi 

Ttirca  empietà  moschee  ^ 

ErgQw^  a  te  ielubri  ;  a  te  ^  cui  piaapie 

fialrar  di  Bosira  epe<Utà  gii  avanzi. 

Fan  plauso  i  ▼enti  e  ]'  acque; 

E  difiOAo  in  Iqr  Uc^iia«  A  Dìo,  ai  dee 

1  M  Juo  soldo  ec^  •  Ciapcuno  si  apcQji^e  che  cpii  i*  e^preuioiie  mal  cor- 
ritponde  «H*  altesM  del  concetto. 


t^I^  L«TTEflATI7P4   ITALfillA 

Deg)i  a«sa|li,  Fapresai 

Il  rqequorandp  ^fer«®J  A  Pw  Iff  cura 

Dell*  assediate  muf%  , 

Ilispo^clpii  gli  pqlfi,  e  |i  faq  pl9<»P  anc*^'  ««"i 

Veggio  i  macigni  ^ef^j 

A  te  iochinar  T  qf s^qi^fosf»  ffojf^th 
Ma  jd  pof  4pc9  lice     ,        : 

Raddoppiar  ?oli ,  e  gingfffF  priPgl^i  a  prieghi  ; 

Stirpe  recidi ,  o  fa  cl^e  'I  iqoljp  pjpghi 
A .  sejrvif^  J?§p  iijegna  } 
Pria ,  Signor ,  de|li|  Jrpnqi  ^f^  ìqk\k^ 
F^jM^onif^  *  ì  O^Q^bri  #cppz^ , 
E  rjt^oifjj  71I  papq  lor  ti  pjapci^, 
Ah!  no,  non  più  soggi^ccif 
A  doppio  gÌ.9gOa  ip  se  |}ivÌ9§  p  poQi^^ 
Regnò ,  regnò  la  so^za 

.Cfepte^  fjii^  pur  trpppoj  .e  |er)[}pq  è  Qmai  iche  deggia 
Tutta  tofpa;e  a4  iJii  JPa^Jojr  {a  gfeggi^ 
Non  chj  vjtl.orj^  pttjene^ 

Ma  chi  ben  1'  a9>a  ^  1)  5)9^19^9  ^ofpe 
Dj  jrjncjtqr  fì\iene, 

Ji^^9  flafal  grian  pugp^  ,  p^^e  di^e^Qe 
Lepanto  *  illustre,  e  per  ci^i  rotte  e  d^iye 

I  Pannonia,  L*  Ungheria.  Negli  iniù  1680  e  l^i  .^qu.eyto  paese  per  reli- 
giose dissensioni  erasi  iri  parte  sottrailo  all'  imperatore  Leopoldo ,  ed  aveva 
ottenuta  fai  pgroteaione  dei  Torchi  col  pagar  loro  un  tributo. 

X  Lepanto  ,  cijlà  n^l  (&o]|b  che  porta  il  ^ no  nonae ,  h  celehiìp  per  la  vitv. 
tona  che  quivi  ottenner9  i  yeneaian/  coptro  i  Turchi ,  accennati  dal  Poeta 
sotto  il  nome  cU  antenne  fUonie,  da  atonia,  provincia  della  Tj^acia.  À  mal- 
grado poi  di  quella  famosa  vittoria,  Cipro  rimase  in  potere  d^' Turchi  che 
nel  iSto  1*  avevano  tolta  ai  Yeneaiani.  •»-  Le  idumee  catene  significano  i7 
giogo  musttlmanoj  àà  ldumea,^^dt\jt  dei  possedimenti  turchi  neU*Asia. 


SECOLO   DECmOSBTTItfO  -229 

Far  le  sitonie  anlenne, 
ViDcemmo,  è  ver;  ma  V  idamee  Galene 
Cipro  Doo  ruppe  unqaaaco  : 
Vincemmo  ,  e  nocqae  al  vincitore  il  rintd. 
Qaal  fia  dunque,  che  scinto 
Appenda  il  brando,  e  ne  disarmi  il  fianco? 
Oltre ,  oltre  scorra  il  franco 
Vittorioso  esercito ,  e  le  vaste 
Deir  Asia  interne  parti  arda  e  devasle* 
Ha  la  caligin  folta 

Chi  dagli  jocchi  .mi  sgombra  ?  Ecco  che  1  tergo 

Dei  fuggitivi  a  sciolta        '       > 

Briglia  ,  Signor,  tn  incalsi;  ecco  gli  arresta 

Il  Rahbe  '  a  frontei,  ed  han  la  morie  a  lergo^ 

Colla  gran  lancia  in  resta 

Veggio  che  già  gli  atterri  e  metli  in  volta; 

Veggio  eh*  orti  e  fracassi 

Le  sparse  torme,  e  di  Bisanzio  ai  danni 

Stendi  si  ratto  i  vanni. 

Che  già  i  venti  e  1  pensiero  indietro  lassi  ; 

E  tant'  oltre  trapassi , 

Che  vinto  è  g^ià  del  mio  veder  T acume, 

E  allo  stanco  mio  voi  m^ncan  le  pinmeu 

A  Giovanni  SobiUki^  re  di  Polonia, 

Non  perchè  re  sei  In ,  si  grande  tei  ; 

Ha  per  te  cresce  e  in  maggior  pregio  sale 
La  maestà  regale. 

Apre  sorte  al  regnar*  più  d' nna  strada  : 
Altri  al  merlo  de  gli  avi,  altri  al  natale, 
Altri^  *i  debbe  a  la  spada  : 

1  //  JRabòe,  Il  fiume  Raab. 

a  Jpr9  sorte  ec. .  La  lorte  apre  pi&  d'  naa  itxada  al  jwgaait* 

BBTTIBAT.  ITAJb  —  rv  30 


23o  LCTTER&TURA   ITALIANA 

Ta  a  te  ineclesino  e^B  taa  virtiite  il  dèi  *. 
Chi  è  che  god  lai  passi  al  sogUo  ? ada  ? 
Nel  di  che  fosti  eletto^ 
Voto  Fortana  a  tao  favor  non  diede  ^ 
Non  pallia  tra  fède  , 
Non  timor  cieco  ;  ma  Torace  affetto , 
Ma  fero  merto  e  schietto. 
Fatto  avean  tue  prodeKse  oecallo  patto 
Q)l  regoo;  e  fosti  re  pria  d^  esser  fatto. 
Ha  che?  Stiasi  lo  scettro  ora  io  disparte: 
Non  io  col  fasto  del  tno  regio  trono, 
Teco  bensì  ragiono; 

Né  ammiro  in  te  qnel  eh' anco  ad  altri  è  dato. 
Dir  ben  può  qnante  in  mar  le  arene  sono 
Chi  paò,  di  rime  armato, 
Dir  quante  in  guerra  e  quante  in  pace  hai  sparte 
Opre  ammirande ,  in  cui  non  ha  V  alato 
Yécchio  *  ragion  veruna. 
Qnal  è  a  le  vie  del  Sol  si  aseosa  piaggia, 
Che  contezza  non  aggia 
Dì  tue  vittorie,  o  dove  il  giorno  ha  cuna, 
O  dove  Faere  imbruna-^ 
O  dove  Sirio  latra,  o  dove  scuote 
Il  pigro  dorso  a*  suoi  destrier  Boote  ^  ? 
Sallo  il  Sarmato  infido,  e  sallo  il  crudo 
Usorpator  di  Grecia  ;  il  dicon  V  armi 
At>pese  a  i  sacri  marni , 
E  tante  a  lui  rapite  insegne  e  spoglie, 
Alto  soggetto  di  non  bassi  carmi. 
Non  m^i  costà  le  soglie 

l  A  te  medesmo  ec, .  Giovanni  Sobieskt  fu  fatto  re  di  Pokmia  nel  1674 
pel  tuo  gran  valore. 

a  L*  alato  Vecchio*  Il  Tempo. 

3  BooU*  Il  carro  di  Boote  è  una  costellaxione  settentrionale:  come  il  Sàio 
mennonato  poc'  ansi  lignifica  i  paesi  del  Hesaogiomo. 


SECOLO   PEGIMOSITTIVO  ^3  I 

S*  aprir  di  Giano  ' ,  che  ta  spada  e  scado 

De  U  Earopa  ooo  fossi.  Or  chi  mi  toglie  * 

Tue  palme  aotiche  e  naofe. 

Dar  tolte  io  goardia  a  le  casl«lie  dive? 

Fiacca  è  la  man  che  scrive. 

Forte  è  lo  spirto,  che  a  più  alte  prove 

Ognor  la  iosliga  e  muove  ; 

E  quei  ^  che  a^  venti  le  grand*  ale  impenna , 

Quei  la  spada  a  te  regge ,  e  a  me  la  penna* 
Sveno!  e  gelai  poc*  anzi ,  alior  eh'  io  vidi 

Oste  si  orrenda  tutti  i  fonti  e  tutti 

Quasi  de  V  Istro  i  flutti 

Seccar  col  labbro,  e  non  bastare  a  quella 

Del  frigio  suolo  e  deli'  egizio  i  frutti. 

Oimè!  vid*  io  la  bella 

Bega!  donna  de  T  Austria  in  van  di  fidi 

Ripari  armarsi  ;  e  poco  men  che  ancella  , 

Porger  nel  caso  estremo 

A  indegno  ferro  il  piede.  Il  sacro  busto 

Del  grande  impero  augusto 

Parca  tronco  giacer,  del  capo  scemo.; 

'E  '1  cenere  supremo 

Volar  d*  intorno;  e  gran  cittadi  e  ville 

Tutte  fumar  di  barbare  faville.. 
Da  V  ime  sedi  vacillar  già  tutta 

Pareami  Vienna  ;  e  in  panni  oscnri  ed  adri 

Le  spaventate  madri 

Correre  al  tempio;  e  detestar  de  gli  anni  ^ 

7  Gùuto  ebLe  in  Roma  un  tempio  che  quando  l' Imperio  era  in  pace  stava 
chiuso ,  e  quando  era  in  guerra  si  apriva.  E  questa  dunque  una  figurata 
espressione  per  dire:  Non  si  fece  mai  guerra  cosdì,  die  tu'noft  fossi  ec. 

8  Chi  mi  topAe.  Chi  mi  vieta  ,  Chi  m'  impedisce.  Le  castaUe  DWe  sono 
U  Muse.  Chi  mi  vieta  di  eternare  coi  versi  tutte  le  tue  grandi  imprese  t 

9  E  quei  ec. .  Dio. 

i  E  detestar  ec. .  B  doleni  t  vecchi  di  non  essere  morti  prifiia. 


23a  LKTTERATimA   ITALfàlTA 

U  iDgiarToso  dono  i  ?eochi  padri, 

1/  onte  mirando  e  i  danni 

De  la  misera  patria  arsa  e  distratta, 

Veì  coman' latto  e  ne  i  comani  affanni. 

Ha  se  miserie  estreme 

P  incendi  e  sangae  e  gemiti  e  raioe 

Esser  doTeano  al  fine. 

Invitto  Re ,  di  tne  vittorie  il  seme  ; 

Di  tante  accolte  insieme 

Parie ,  ond^  ebbe  «  crollar  de  V  Austria  il  soglio 

(Soffra  eh* io  '1  dica  il  Ciei),  più  non  mi  doglio. 
l)e  la  taa  spada  ^  al  riverito  lampo 

Abbagliata  ,  già  cade  e  già  s'  appanna 

L'  empia  lana  ottomanna. 

Ecco  rompi  trinciere  *,  ecco  t'aftenti;. 

E  9  qaal  fiero  leon  che  atterra  e  scanna 

Gì'  impauriti  armenti , 

Tal  fai  macello  sn  T  orribii  campo, 

Che  *l  saol  ne  trema.  L*  abbattale  genli 
Ecco  spergi  e  calpesti  ; 
Ecco  spoglie  e  bandiere  a  un  tempo  logli , 
E  ì  doro  assedio  sciogli: 
Ond*  è  eh*  io  grido ,  'e  griderò  :  Giogoesti , 
Goerrreggiasti  e  vincesti  '.' 
Si  si ,  vìncesti ,  o  campion  forte  e  pio  : 
Per  Dio  vincesti ,  e  per  te  vinse  Iddio. 
Se  là  dunqae  ove  d*  inni  allo  concento 
A  Lui  si  porge,  spaventosa  e  atroce 
Non  taona  araba  voce; 
Se  colà  non  atterra  impeto  folle 
Altari  e  torri  ;  e  se  empietà  feroce 
Da  i  sepolcri  non  lolle 

I  GiugnuU  ee* .  AUade  a  quella  espreinom  di  G.'GeMn'fwim«  vidi,  vinsi» 


SEGOLO  DEcmoaiTTivo  ^  ^33 

Il  oener' sacro,  e  non  lo  sparge  al  tento; 

Sbigottito  arator  da  eccelso  colle 

Se  diroccate  ed  arse 
-  Moli  e  rocche  giacer  tra  sterpi  e  dami  ^ 

Se  correr  sangue  ì  fiumi , 

Se  d'  abbattati,  eserciti  e  di  sparse 

Ossa  gran  monti  alzarse 

Non  Tede  intorno  ;  e  se  de  P  Istro  io  rifa 

Vienna  in  Vienna  non  cerca  ^ ,  a  te  a*  ascriva. 
S*  ascriva  .4' le  se'l  pargoletto  in  seno 

A  la  svenata. genitrice  esangue, 

Latte  non  bee  col  sangue: 
>  y  ascriva  a  te  se  inviolate  e  caste 

Vergini  e  spose  né  da  morso  d*  angue 

Viola tor  son  guaste, 

Kè  in  sé  puniscon  Taltfui  fallo  osceno^. 

Per  te  sue  faci  Aletto  ^  e  soe  ceraste 

Lungi  dal  Ren  trasporta  : 

Per  te,  di  santo  amor  pegni  veraci. 

Si  danno  amplessi  e  baci 

Ginstisia  e  Pace:  e  la  già  spenta  e  morta 

Speme  è  per  te  risorta: 

E ,  tua  mercè,  V  insangninato  solco 

Senza  tema  o  periglio  ara  il  bifolco* 
Tempo  verrà  (  se  tanto  lungo  io  scorgo  ) 

Che  fin  colà  ne^  secoli  remoti         | 

Mostrar  gli  avi  a  i  nepoti 

Vorranno  il  campo  a  la  tenson  prescritto. 


I  FiMfui  im  Vimna  wm  ea^aj  cio^  i  Se  Tienmi  non  fa  diitrotta  ptt 
modo  die  pia  non  si  posu  troYare  se  non  a  stento  fra  le  sue  rodine. 

a  2V2  in  sk  ec,.  JSdk  tono  costrette  ad  uccidersi  per  sottrarsi  agli  osceni 
insoiti  dei  vincitori. 

3  AUUoj  una  delle  tre  Futie  rappresentata  dai  poeti  con  faci  e  eoa  ce* 
re#fe  o  aerpi. 

ao» 


2Ì^  LETTERATURA   ITàLURA 

Mostrerao  lor  donde,  per  calli  igooti,' 
Scendesti  al  gran  conflitto; 
Ove  pugnasti;  ore  in  sanguigno  gorgo 
L*  Asia  immergesti.  -  Qoi ,  diran ,  V  infitta 
Re  polono  accampossi  ; 
.    Là  ruppe  il  Tallo  ' ,  e  qua  le  schierò  aperse , 
Vinse ,  abbattè  ,  disperse  ; 
Qua  monti  e  Talli ,  e  là  tori^ènti  e  fossi 
Feo  d^  uman  sangue  rossi  ; 
Qui  ripose  la  spada,  e  qui  s* astenne 
Da  r  empie  stragi ,  e  'I  graù  destrier  ritenne.  - 
Che  diran  poi ,  quando  sapran  che  i  fianchi 
D'  acciar  Teslisti  non  per  tema  e  sdegno, 
Ifon  per  accrescer  regno, 
Non  perchè  eterno  inchiostro  a  le  la  Tori 
Fama  eterna ,  e  per  te  sudi  ogn'  ingegno  ; 
Ma  perchè  Iddio  s'  onori , 
E  al  suo  gran  nome  adorator  non  manchi? 
Quando  sapran  che,  d^ogni  esempio  fuori, 
Con  profondo  consiglio. 
Per  saUar  T altrui  regno,  il  tuo  lasciasti? 
Che  'I  capo  tuo  donasti 
Per  la  fé,  per  1'  onore ,  al  gran  periglio  ? 
E  il  figlio,  istesso ,  il  figlio , 
De  la  gloria  e  del  rischio  a  le  consorte 
Teco  menasti  ad  affrontar  la  morte  ? 
Secoli  che  Terrete,  io  mi  protesto 

Che  al  Ter  fo  Ingiuria,  e  men  del  Tero  è  quello 

Ch'  io  ne  scrivo  e  favello. 

Chi  crederà  l'eroico  dispregio 

Di  prudenza  e  di  te ,  che  assai  più  bella 

Fa  di  tue  palme  il  pregio? 

1  II  90UO,  Lo  steccato  dei  nemici. 


SEGOLO   OECIXOSETTIM»  23 « 

,  Chi  iToderà  ehe ,  a  te  medesmo  tofesfo, 
E  a  té  oegaado  il  tuaestevoj  regio 
Tilol ,  di  mano  iQ  mano 
Sia  ta  in  battaglia  a  i  maggior  rischi  accinto, 
Kon  da  gli  altri  distinto. 
Che'  nel  vigor  del  .senno  e  de  la  mano? 
Nel  comandar ,  sovrano  ; 
Ne  r  eseguir ,  compagno  ;  e  de!  possente 
Forte  esercito  ino  gran  braccio  e  mente? 
So  sa  9  fatai  gnerriero  ;  a  te  s'  aspeMa 
Trar  di  ceppi  V  Europa,  e  '1  sacro  ovile 
Stender  da  Battro  a  Tile  ^ 
Qfial  mai  di  starli  a  Fronte  avrà  baUa 
Vasta  bensì,  ma  vecchia  ,  inferma  e  vile, 
Cadente  monarchia  ^ , 
Dal  proprio  peso  a  rninar  costretta  ? 
Se  M  ver  mi  dice  un^  alta  fantasia, 
Te  V  usurpala  sede 
Greca ,  te  ^1  greco  iocònsolabii  suolo 
Chiama  ;   te  chiama  solo , 
Te  sospira  il  Giordano;  a  te  sol  chiede 
La  Galilea  mercede; 
A  te  Betlemme,  a  le  Sion  si  prostra, 
E  piange  e  prega,  e  U  servo  pie  ti  mostra  ^. 

ALESSANDRO  GUIDI 

Uno    dei    più   illustri    lirici    italiani  ,    ÀlessaDdro 
Guidi,  nacque  in  Pavia  Panno   i65o.  Da  princìpio 

1  Chet  Fuorché. 

2  Da  Battro  a  Tile,  È  qaesU  un'  espressione  usitata  dagli  antichi ,  e  ri- 
petuta poi  anche  dai  nostri  poeti  ,  per  dire  da  un  estremo  all'altro  della  terra. 

-3  Cadente  Monarchia,  Quella  dei  Turchi. 

^  E*l  servo  pie  ec. .  E  ti  mostra  le  catene   de'  suoi   piedi ,   iudixio    del 
•ervaggio  a  cui  è  soggetu ,  pregando  di  esser&e  liberata. 


236  LETTERATURA    ITALIA9A 

mostrò  piuttosto  ingegno  cfae  buon  giudizio,  piutto- 
sto ppetica  inspira  sione  che  gusto  educalo  alla  scuola 
dei  grandi  esemplari.  Ma  venuto  a  Roma,  dove  i  più 
b^gli  ingegni  di  ouella  età  erano  accolti  dalla  Regina 
di  Svezia  e  da  Clemente  XI,  si  volse  ad  una  strada 
migliore.  Le  sue  Poesie  si  accostano  grandemente 
allo  splendore  ed  alla  nobiltà  di  Pindaro  ch^  egli 
s^era  proposto  a  modello:  e  perchè  la  fantasia  fosse 
più  libera ,  e  il  pensiero  potesse  venirgli  sempre  si- 
gni6cato  in  tutta  la  sua  pienezza,  ricusò  spesse  volte 
di  sottoporsi  al  giogo  di  un  metro  uniforme,  com- 
ponendo le  strofe  delle  sue  canzoni  di  un  '  numero 
disuguale  di  versi.  ^Questa  usanza ,  sconosciuta  a 
quanti  lo  avevano  preceduto,  non  trovò  poi  se  non 
pochissimi  imitatori.  Fra  le  altre  poetiche  produ- 
zioni del  Guidi  abbiamo  una  traduzione  delle  Ome- 
lie di  Clemente  XI  ^  e  mentre  appunto  andava  da 
Roma  a  Castel  Gandolfo  per  presentarle  al  Pon- 
tefice, morì  improvvis9mente  in  Frascati  aM  2  di 
giugno  17 12. 

cauzohi. 

Sopra  le  deprat*aztoni  che  aut^engono  aW  indate  e  ai  cosUuni 

degli  uomini 

Io  non  adombro  il  fero 
Con  lasÌDghieri  accenti  : 
La  belte  età  de  V  oro  acqua  non  TenDe. 
Nacqae  da  nostre  menti , 
Eotro  il  fago  pensiero  ; 
E  nel  nostro  desio  chiara  difenne. 
Spiegò  sempre  le  peone 
La  gran  ministra  alata  * 
A  i  fochi  d^  Etna  intorno  ; 
Ove  per  proveder  Tira  di  Giove 

1  £a  gran  ministra  «e..  La  Morte. 


SEGOLd    DECIBfOSETTIMO  iìf 

Sempre  di  fiamme  nore. 
Stancò  i  giganti  ignadi 
Sa  fq  fatali  iocadi  ; 
E  per  le  vìe  del  ciel  corse  e  ricorse , 
Intenta  sempre  a^  suoi  severi  affici. 
Or  se  del  fato  '  io  Fra  i  tesor  felici 
Il  secol  d'or  si  serba, 
Certo  so  beo  che  tton  apparve  ancora 
Un  lampo  sol  de  la  sua  prima  aurora. 
Chiude  nostra  natura 
In  mente  gli  aurei  semi  ^ 
Onde  sorger  potrian  V  età  beate  s 
Ha  il  sno  desir ,  che  è  cieco  , 
£  incontro  al  -ben  s' indura , 
Da  còsi  bel  pensiero  la  diparte. 
Io  non  invan  su  questo  colle  istesso 
Al  popol  di  Quirino 
Un  giovanetto  Cesare  rammento  ^  ; 
Quel  che  si  vide  impresso 
Del  bel  genio  latino  , 
£  che  nn  lustro  regnò  placido  e  lento; 
Quello  che.  poscia  spense 
Ogni  sua  bella  luce,  e  il  ferro  mise 
Entro  il  materno  seno  , 
E  guardò  le  ferite,  e  ne  sorrise  ; 
Quel  che  la  pàtria  infra  le  fiamme  ilccise, 
^cchè  squallido  il  Tebro  usci  de  V  onde , 
E  di  Roma  in  veder  V  orrida  immago 
Stesa  per-i'  ampia  valle , 

i  A  del  Fato  eo,.  Se  e, dettino  che  una  «jaalche  rolla  abbia  il  mondo 
HU  secolo  d*  oro  ec.  . 

3  G&  aura  semi.  Le  virtù  che  sole  possono  dare  ali*  aomo  felicita. 

3  (fa  giovanetto  ec. .  Nerone  che  ne*  primi  cinque  anni  del  suo  regno  fu 
de^no  della  verace  lode  di  molti  scrittori. 


a38  LETTERATURA   ITALURl 

Sospirando  gridò  :  Giuoto  è  Annibalìe  ' , 
Tatto  di  sangue  e  di  ruine  vago. 
Su  i  selle  colli  a  Tendicar  Cartago,  -« 

Non  perchè  il  Tiver  nostro 

Giace  lootan  da  le  città  superbe, 

E  siede  a  le  belPoiBbre  e  in  riva  a  i  fonti; 

E  non  ancor  si  è  mostro 

Caldo  de  V  ire  acerbe, 

E  non  cerca  fregiar  à*  oro  le  fronti  ; 

Già  nói  sarem  men  pronti 

O  impotenti  a  turbar  nostro  costarne. 

E  qnal  pattor  fra  noi  tanto  presume, 

Che-  pensi  di  poter  entro  le  selve 

Menar  i  giorni  suoi  lieti  e  ridenti, 

Come  le  antiche  favolose  genti  ? 

Il  violento  e  torbido  sospetto 

Anche  in  noi  desta  i  suoi  pensier  feroci. 

Che  si  vedrian  di  sangue  e  d' ira  tinti  ; 

Se  non  che  sotto  mansuete  veci 

Yelan  le  ^am.me  in  petto, 

Però  che  povertà  gli  tiene  avvinti: 

Ha  da  soverchio  arder  potrian  sospinti  , 

Anco  recarsi  in  mano  11  ferrose  11  tosQO, 

E  funestare  il  bosco. 

E  se  Fortuna  con  sereni  angari 

Per  le  nostre  campagne  un  di  passasse, 

E  lampeggiando  entrasse 

Lieta  ne'  nostri  poveri  tagari  ; 

Avrian  da  noi  (  chi  '1  crederla  ?  )  rifinto 

Le  pastorali  Muse  ;  e  quei  diletto 

Che  abbiamo  in  acquistar  gloria  da  i  carmi 

Sorgerebbe  da  1'  armi; 

I  JnnibaUe,  Annibala  carUgineie. 


SECOLO   DECIMOSETTIMO  2 39 

E  diverrebbe  del  eaooro  ragegoo 
Tolto  l'ardore,   alto  desi'q  di  regno* 
Fa  par  Romolo  anch'  ei  pastor  del  Lazio  ; 
E  come  noi  reggeva  armenti  e  gregge , 
E  si  Tesila  di  queste  spoglie  irsalé, 
Qaando ,  de'  boschi  sazio , 
Mosse  r  aratro  a  qael  terribii  solco 
Donde  fur  le  gran  mura  uscir  fedate. 
Allor  la  mansaela  sua  virtnte 
Cangiò  spirto  e  colore; 
E  tanto  bebbe  del  fraterno  sangae^^  , 
Ed  orma  tale  di  furore  impresse. 
Che  r  acerba  memoria  ancor  non  langae , 
E  ancora  offende  e  oscura 
Il  gran  natal .  de  le  romane  mora* 

La  Fortuna. 

Una  donna  superba  al  par  di  Giono , 
Con  le  trecce  dorale  all'aura  sparse, 
E  co^  begli  occhi  di  cerulea  luce 
Nella  capanna  mia  poc'  anzi  apparse: 
E  ,  come  suole  ornarse 
In  sair  Eufrate  barbara  refna  , 
Di  bisso  e  d'  ostro  si  copria  le  membra  ; 
Né  Terde  lauro  o  fiori, 
Ha  dMndìco  smeraldo  alti  splendori 
Le  fean  ghirlanda  al  crine. 
In  sì  rigido  fasto  ed  uso  altero 
Df  bellezza  e  d'impero. 
Dolci  lusinghe  scinlillaro  al  fine;  « 

E  dair  interno  seno 
Uscirò  allor  maraTigliosi  accenti, 

I  B  tanto  ec* .  E  noto  che  Romolo  uccise  Reno  suo  fintello 


24 P  L^TERATCRà.  ITiLUnA 

t 

Che  lutti  erano  intenti 

A  tòrsf  in  mano  di  ni-ia  mente  il  freno. 
Pommj  9  disse ,  la  destra  entro  la  chioma , 

E  Tedrai  d^  ogn*  intorno 

Liete  e  belle  ventare 

Venir  con  aureo  piede  al  tuo  soggiorno  : 

Allor  Tedrai  eh'  io  -sono 

Figlia  di  Giove,  e  che,  germana  al  Fato, 

Sovra  il  trono  immortale 

A  Ini  mi  siedo  a  lato. 

Alle  mie  Toglie  V  Oceàn  commise 

Il  gran  Nettupo,  e  indarno 

Tent2^  r  Indo  e  i  Britanno 

Di  doppie  àncore  e  vele  armar  le  navi,  . 

S*  io  non  governo  le  volanti  antenne , 

Sedendo  in  sulle  penne 

De*  miei  spirti  soavi. 

Io  mando  alla  lor  spde 

Le  sonanti  procelle, 

E  lor  sto  sopra  col  sereno  piede  ; 

Entro  r  eolie  rupi       , 

Lego  r  ali  de'  venti , 

E  soglio  di  mia  mano 

De'  turbini  spezzar  le  ròte  ardenti  ; 

E  dentro  i  proprii  fonti 

Spegno  le  fiamme  orribili  inquiete, 

Avvezze  in  cielo  a  colorir  comete*.     . 
Questa  è  la  man.  che  fabbricò  sul  G^nge 

I  regni  agP  Indi ,  e  sulP  Oronte  avvobe 

Le  regie  bende  dell'  Assiria  ai  crini,  >x 

Pose  le  gemme  a  Babilonia  in  fronte; 

Recò  sul  Tigri  le  coronei  al  Perso, 

Espose  al  pie  di  Macedonia  i  troni  '• 

^    t  Alpik  «€*•  AleMandro  Ma^po  fece  soggetti  alla  Mftcedooia  i  wg»t  dal- 
r  Asia. 


SEt:OLO    DECIMOS ESTIMO  2.^  f 

Del  mio  poter  fiu*.  doni 

I  triotifali  gridi 

Che  ài  giovine  Pelleo  '  s'  alzare  intorno , 

Quando  dell'  Asia  ei  cor^e, 

Qaal  fero  turbo ,  i  lidi  ; 

E  corse  .meco  vineitor  ^in  dorè 

Stende  gli  sguardi  il  Sole. 

Allor  dinanzi  a  lui  tacque  la  Terra  , 

E  fe'  r  alto  Monarca 

Fede  agli  uomini  allor  d'  esser  celeste  *  ; 

E  con  eccelse  ed  ammirabii  prove 

S'  aggiunse  ai  Numi ,  e  si  fe^  gloria  a  Giove. 
Circondaro  più  volte 
miei  Gemi  reali 

Di  Roma  i  gran  natali , 

E  r  aquile  ^  superbe 

Sola  in  prima  avvezzai  di  Alarle  al  lume. 

Ond'  alto  in  sulle  piume  , 

Cominciato  a-  sprezzar  T  aure  vicine  9 

E.  le  palme  sabine, 

Io  senato  tli  regi 

Sui  selle  colli  apersi  ; 

Uè  negli  alti  perigli 

Ebbero  scorta  e  duce 
.  I  romani  coosigli. 

Io  coronai  d'  allori 

Di  Fabio  le  dimore^, 

X  Al  gioitine  Pelieo.  Ad  Alessandro  Hagno  nato  in  Fella, 
a  Zy  esser  celeste.  E  neto  che  Alessandro ,  invanito  'dalle  sue  grandi  Vitlo- 
rie  9  volle  esser  creduto  figliuolo  di  Giove. 

3  L'  aquile  ec. .  Le  insegne  romane.  Anche  Polibio  e  Plutarco'  furoiio 
à*  opinione  che  la  gvandessa-  di  -Roma  fosse  dovrai  principalmente  alla  Fór« 
tona.  Yeggasi  sa  questo  proposito  nel  voi.  Ili,  p.  393  di  questo  Manuale. 

4  IH  Fabio  ec. .  Fabio  Massimo ,  il  quale  indugiando  e  schivando  di 
venir*  a  battaglia  sottrasse  Roma  al  pericolo  in  cui  la  kettevaiio  le  cottlinue 

LBTTBnAT. ITAL.  -   lY  31 


24%  LETTERATURA    ITALIAIU 

E  tli  Marcello  i  tiolenli  ardori. 
Africa  trassi  ia  sul  Tarpeo  cattiTa  ',    * 
E.  per  me  corse  il  Nil  sotto  le  leggi 
Del  graD  fiume  latino.; 
Né  si  schermirò  i  Parli 
Di  fabbricar  trofei 
Di  lor  faretre  ed  archi. 
Id  sulle  ferree  porte  iufraosi  i  Daci  ; 
Al  Caucaso  ed  al  Tauro  il  giogo  imposi. 
AI  J6n  tutte  de'  TeoU  * 
£e  patrie  tìdsì  ;  e  quando 
Ebbi  sotto  a'  miei  piedi 
Tutta  la  terra  doma» 
Del  finto  mondo  fei  graa  dono  a  Rom«. 
So  che  De'  tuoi  pensieri 
Altre  figlie  di  Giove  '        . 
Ragionano  d'  imperi , 
E  delle  voglie  tue  fansi  reìne  : 
Da  lor  speri  venture  alte  e  divine. 
Speran  per  loro  i  tuoi  superbi  carmi 
Arbitrio  eterno  in  suW  età  lontape  ; 
E  già  del  loro  ardore  ^ 

Infiammata  tua  mente, 
Sì  crede  esser  possente 
Di  destrieri  e  di  vele 
Sovra  la  terra  e  V  onde ,  ^ 


vittorie  di  Annibale.  — •  Marcello  comLattè  con  gran  valore  contro  i  Galli  % 
centro  i  Cartaginesi. 

1  Cattìva.  hsiiiahmo  per  .^re  Pr^mtra,  •—  Tarpw   diceva»  una  rupe 
faniocain  Roma.  —  Il  gran^ume  latino  e  il  Tebro ,  nominato  qui  invece.^ 
della  potenia  romania  »  a  cui  il  Kilo  (  ciob  T  Egitto  J  soggiacque. 

2  2'utU  dt^  ideati  ec.,  £  1*  espressione  comune  dei  quaUro  vtntì  nobilita- 
ta f  per  significare  1*  universo. 

3  Aitrè^giie  ec  Le  Muse^  dalle  quali  viene  all'uomo  la  speransa  di 
un  nome  immortale. 


•8CÒLO   DFXlMOSETTfMO  ^43 

Qoando  ta  giaci  in  pastorale  albergo  ^ 
Deatro  V  inopia  e  sotto  pelli  irsute , 
Né  t'  è  chi  a  tua  salute 
Porga  soccorso.  Io  soia 
Te  chiamo  a  doto  e  glorioso  stato  : 
Segolmi  dunqae  ,  è  T  alma 
G>1  peosier  non  contrasti  a  tanto  invho; 
Che  neghittoso  e  lento 

Già  non  può  star  sull'  ale  il  gran  momento.  ~ 
Una  felice  donna  ed  immortale  ' , 
Che  dalla  mente  è  nata  degli  Dei  • 
(  Allor  risposi  a  lei  ) 
Il  sommo  impero  del  mio  cor  si  tiene  ; 
E  questa  i  miei  pensieri  alto  sostiene, 
E  gli  aTvolge  per  entro  H  suo  gran  lume. 
Che  tutti  i  tuoi  splendori  adombra  e  preme. 
E  sebben  non  presume 
Meritare  il  mio  crin  le  sue  corone  9 
Pnr  sull'alma  io  mi  sento 
Per  lei  doni  maggiori 
Di  tntti  i  ripgni  tuoi; 
Ne  tu  recargli  né  rapirgli  puoi» 
E  co  aie  non  comprende  il  mio  pensiero 
Le  splendide  Tentnre, 
Cosi  il  pallido  aspetto  ancor  non  scorge 
Dette  misere  cure, 
L'  orror  di  qnesle  spoglie 
E  di  qpesta  capanna  ancor  non  ?ede. 
Vite  fra  1'  auree  Muse, 
E  i  fiiforiti  tuoi  figli  superbi 
Allor  sarian  felici. 

Se  avesser  merto  d  ascoltarsi  on  giorno 
L'  eterno  snono  de*^  miei  tersi  intorno.  - 

l  VnafiUێ  donna*  La  Poesia. 


244  LETTERATURA   ITAMAflA 

Arse  a'  miei  delti  e  fiamine^iò  ,..fticcone 
Suole  atella  crudèl ,  chVabbia  di&ctolte 
Le  sa Dguìoose  chiome. 
IdJi  proruppe  ia  miaaccievol  suono  : 
Me  teme  ii  Daco,  e  me  1*  errante  Scita  $ 
Me  de'  barbari  regi 
PaTentan  V  aspre  madri, 
E  slanno  in  mezzo  ali*  aste' 
Per  me  ia  timidi  affano» 

I  purpurei  tiranni  ; 

E  negletto  pastord^  Arcadia  tenta 

Fare  insin  de'  miei  doni  anco  rifiuto  ?    ; 

II  mio  furor  non  è  da  Ìi»i  temuto  ? 

Son  forse  l'opre  de'  miei,  sdegni  ignote ?- 

Né  ancor  si  sa  che  1'. Oriente  corsi  * 

Co^  piedi  irati,  e  alle  pro.YÌncie  impressi 

Il  petto  di  profonde  orme  di  morte  ^ 

Squarciai  le  bende  imperiali  e  il  crm     . 

Alle  gran  donne  in  fronte, 

E  le  commisi  alle  station  funeste. 

Ben  mi  sorvien  che  il  temerario  Serse  .^' 

Cercò  deir  A^ia  colla  destra  armata 

Si^l  forniidabjl  ponte 

Deir  Europa  aflferrar  la  man  tremante^     ^ 

Ma  sul  gran  dì  4elle  battaglie  il  giunsi ,  , 

E  colle  stragi  delle  turbe  perse  , 

Tingendo  al  mar  di  Salamioa  il  folto , 

Che  ancor  s'  am.nura  sanguinoso  e, bruno, 

I  Im  mezzo  aWaite,  In  meteo  alle  armate  schiere  dei  loro  «oMati. 

a  L*  Oriente  corsi  ec  .  Distruggendo  le  antirhe  monarchie  'Àstira  ,  Balit-^ 
Ifoete ,  Meda  e  Persiana ,  accennate  sotto  'V  espressione  di  grah  dorme, 

3  ^se  cosasse  un  ponte  di  navi  sull*  Ellesponto ,  ora  Stretto  dei  Dar- 
danelli »  minacciandq  di  farsi  ^chiaTa  1'  £uropa.  —^  Ifella  halUKlia  navale  di, 
9l^flpttna  (  or«' Colui  )  i  Persiaoi  furono  intieramente  fconfitU^ 


SÉCÓLobÈCiaOSETTIMO  ar^Z 

Io  teòdicài  'V  tasuFto 

Fatto  suir  Ellesponto  a!  grnn  Nettano  ■• 

GmtsI  sdì  fTilo,  e  delr  egizia  Donna  * 

Al  bé!  coffo  appressai  V  aspre  ritorte  > 

E  gemino  veléno' 

Implacafcifie  porsi 

Al  bel  candido  seno'; 

£  pria  nell^'ant'ro  afea 

Cooibattota  è  confusa 

L*  africane  virfnte, 

E  al  Punico  feroce  * 

Recale  di  mia  man  l'aire  cicote. 

Per  me  Roma  avTentò  le  fiamme  in  grembo 

Air  emula  Cartago , 

Ch*  andò  errando  per  Libia  orba  sdegnata, 

Sin  che  per  me  'poi  vide 

Trasformata  V  immaso  ^ 

Della  sria  gran'  nemica  ; 

E  allor  placò  i  desirt 

Della  feroce  sna  vendetta  antica  ,   ' 

E  trasse  anche  sospiri 

Sovra  I*  ampia  ruì'na 

Dell'  odiata  maestà  latina. 

Rammentar  non  vogP  io  T  orrida  spada, 

1  Mendicando,  te. .  I.'  ardimento  di  formare  il  ponte  pvedetto  sul  maire 
•]>l*e  anche  dal  Petrarca  il  nome  di  temerario  e  di  oÙragffio  alla  marina,  -<» 
Aggiunge  poi  una  tradixione ,  che  per  avere  1^  onde  sgominato  quel  ponte  » 
S«rse  le  fece  flagellare  da  un  gran  numero  de*  suoi  soldati. 

a  Egizia  Donna..  Cleopatra  che  si  uccise  accostandosi  al  seno  un  aspide. 

3  Punico  feroce*  Annibale  che  si  arvelenò  per  non  eadere  ìm  man  dei 
Romani. 

4  Trasformata  P  immago  ee. .  Geminato  V  aspetto  di  Roma  che  ^  rapulb* 
hlica  si  fece  imperio  j  con  che  (  dice  )  si  placò  1*  ombra  di  Cartagine  do* 
lente-  fino  allorar  che  la  sna  distruf^itrice  godesse  netta  lH)crtà  il  fswa&n  dftl- 
r  ottenuta  nttoria. 

ai» 


Zi6  LBTTBIIÀTirRA   ITAUAKA 

Con  cai  fui  sopra  il  Garalivr  Irnjito  * 
Sai  menfitico  lite  ;     : , 
Ne  Ja  cradel  che  il  duro  Gito  ticasa^ 
Né  il  ferro  cbe  de^  CeMri  le  mciBbni 
Comiaciò  a  violar  per  man  di  Bc«lo«. 
Teco  Don  Iratlerò  V  allp  furore  ^ 
Stermi nalor  de*  regni  ; 
Che  capace  non  sei .  de'  miei  |;ran  sdegni  y 
Come  non  fosti  delle  gran  venture: 
A^rai  deir  ira  mia  piccioli  segni* 
Farò  che  il  suono  altero  . 
De*  tuoi  fertidi  carmi 
Lento  e.  roco  rimlmmbe, 
E  che  V  umil  siringhe  * 
Or  sembrino. ngnaglìar  anca  k  tromlte.  — 
Indi  levossi  furiosa  a  ?olo^ 
E  chiamati  òb  lei 
^  Sulla  capanna  o^ia  Tennero  i  nembi» 
Venner  turbini  è  tuoni  ^         ^ 
E  con  ciglio  sereno 
Dalle  grandini  irate  allora  ?  vidì« 
In  fra  baleni  e  lampi  ». 
Dimorarsi  la  speme 
D^  miei  poveri  campi. 

A  monsiffior  Atarcello  éf}  Aste. 
Pìsr  ta  morte  dei  JSaron  d!  Aste ,  ucciso  suUa  breccia  di  Buda: 

r  anno  16Q& 

Vider  Marte  e  Quirino 
Aspro  tanciolio  altera 

i  tt  eàvttUer  trmtUoi,  Pompeo  fatto-  Wcideie  ft  tn£JDìiento  da  Tolomeo  t* 
Jt*  Egitto.—  Citta  o  Cmione  si  uccise  in  Utiea  per  non  sopravvivete  alla  U- 
ftertk  della  patria.  — «  ^uto  lu  uno  degli  occisorì.  di  G«  Gesatf  »  dopo  del 
fOale  poi  molti  altri  imperatori  furono  trucidai.. 

9  Sirif^e*.  Stromeoti  muiieali  di  eanile.  Qon  ^esti  versi  S  Poeta  ai  dttol» 
«àe  1^  touetù  anteposti  alcuni  alta  eh'  egli  ttimava  miooii  di  sb»  - 


SSCOI.O   DBClVOSETTfVa  ^^J 

Per  eslro  il  suo  peosiera 
Teoer  oonsiglta  col  valor  latino; 
Poi  vider  le  faville 
Del  sao  primiero  ardire 
Suir  Istro  alzarsi,  e  far  meo  b^Ue  Tire* 
Del  procelloso  Achille» 
Come  nòbe  che  splenda 
Infra  baleni  e  lam^pi , 
E  poscia  avvien  che  avvampi, 
E  latta,  in  ira  già  dal  ctel  disceoila; 
Tale  il  Romano  invitlo 
Venne  a  tonar  sul  Trace , 
E  nel  vibrar  sdegnoso  ^asla  pugnace 
Fe^  il  grande  impero  afiliUo» 
Alto  giocondo  orrore 
Area  Roma  sul  ciglio 

In  ascoltar  del  Bglio 

_L'  aspre  battaglie  e  il-  coraggioso  ardore: 

Sulla  terribii  arte 

Ammiravan  gli  Dei 

Lai  c^  ingombrar  solca  d'  ampi  trofei 

Cotanta  via  di  Marte. 
Oh  t  se  per  Ini  roen  pronte 

Giungean  1*  ore  crudeli  y 

Sotto  a^  tragici  veli 

L*  ardir  delf  Asia  celeria  la  (n 

Soffrirebbe  dolente 

L'  alte  leggi  di  Roma  , 

E  di  lauri  orneria  V  eccelsa  cbioma 

Air  italica  gente. 
Oggi  a  ragion  seo  vanno 

Sui  germanici  lidi 

1  Far  man  belle  ec .  Fare  imprtte  dep»  di  ewere  celebraU  più'di  qT»elW 
the  fece  Aclùllt» 


«4'  tzTrUkkT^màtTimàtà 

I  trionfali  gridi,  '  -  v)   *    ^ 

Tutti  GotiTerst  ib  fdei  dite  d*  affaono't 
Dare  Tittorie  ingrate,        • 
Dì  sì  bel  sangae  asinerie  ! 
Qnal  ria  Tetolara  mUì  scotanfs  oflbnv 
Ai  cor  doglia  e  pietatc  ?-   *       - 
Flebil  pompa  a  mirarsi 

I  flncitor  famosi  <       ' 
Gir  taciti  e  pensosi,         .               ^ 

E  eo'  proprii  trofei  talor  édegltarif.    '     ' 

Ah!  non  per  certo  intano 

D'  alta  mestizia  è  pieno 

li  ba far ̀o  duce  e.  il  fier  Loreniv 

Sul  buon  sangue  romauo. 
11  sì  bel  lame  è  spento 

Della  stagìon  guerriera; 

Alla  milìzia  altera 

E  tolto  il  suo  feroce  alto  talento  r 

Sperava  esser  soggiorno 

Roma  air  antica  gloria  , 

E  funesta,  di  pianto  aspra  memoria 

Le  siede  ora  d^  intorno; 
Oh  !  quante  volte  xorSe 

In  vèr  le  palme  prime 

II  Cavalier  sublime , 

E  i  più  bei  rami  alla  Germania  porse  f 
Ma  alle  grand*  opre  ardite 
Qual  corona  si  diede  ? 
Non  mai  sì  tìcK»  dispensar  mercedVs 
A  sue  belle  ferite. 
Sol  del   valore  amica, 
L' immortale  Cristina  * 
Al  chiaro  Eroe  destina 

%  Cristina  di  SvezìA^ 


.:; 


j 


SÈCOLO    DE  CIMO  SETTIMO  ^4^ 

Schermo  falAl  contro  air  età  «emica  : 

Voole,  degli  ano!  a  seberoo, 

Che  delFe  belle  lodi 

I  poteoti  di  Febo  eterni  modi  ' 

Prenda»  eara  e  governo. 
lYoo  mentirà  mia  voce  ; 
.    Vedrete,  Angusti  e  Regi, 

Carche  de*  suoi  gran  pregi 

Mie  vele  uscir  fnor  dell*  aooia  foce  *  ; 

£  mentre  voi  sarete 

Di  meraviglia  grairl , 

Col  romano  guerriero  andran  le  navi 

Oltre  ai  gorghi  di  Lete. 

Per  la  morte  di  D.  Luigi  della  Cerda, 

Eran  le  Dee  del  mnr  liete  e  gioconde 
Intorno  al  pin  del  giovinetto  Ibero, 
E  rider  si  vedean  le  vie.  profonde  . 
Sotto  la  prora  del  bel  legno  altero. 

Chi  sotto  r  elmo  V  aaree  chiome  bionde 
Lodava,  e  chi  il  real  ^ciglio  gnerriero:' 
Solo  Proteo  K  non  sorse  allor  dalP  onde^ 
Che  dei  Fati  scorgea  V  aspro  pensiero. 

E  ben  tosto  apparir  d'  Iberia  i  danni , 
•  £  sembianza  cangiar  I' qnde  tranquille^ 
Yisto  troncar  da  morte  i  suoi  begli  annu 

Sentirò  di  pietade  alte  faville    * 

Le  fie  del  1^.1  re,  e  ne*  materni  affanni 
"Teli  ^  tornò ,  che  rammentossi  Achille^ 

1  /  pot9nU  ec, .  I  yersi ,  le  poesie. 

a  Yao)  dire  che  pòetandor  in  lode  di  questo  eroe  dar&  cagione  di  '  mera-^ 
viglia,,  e  soitrarrìi  iX  nome  di  lui  ali*  oblìo  {Lete):  ma  V  immagine  p^i^ 
l*Autoire  ba  informato  questo  pensiero  sente  il  visio  del  secolo. 

3  iVo/ée.  Dio  maiitto  fatidico  e  nralliforme» 

4  Tea,  Dea  del  mare  e  madri  di  Aohi^e  p  il  quide  Mgnitande  la  gletÌA 
poli  Rovine  ancjb*  esso. 


130  LETTERATURA   ITALIAHA 


ANTON  MàFJA  SALVINI 


Questo  celebre  letterato,  sì  benemerito  della  no- 
stra lingua,  nacque  in  Firenze  ai  la  gennajò  i65}. 
Per  secondarie  i  desidek-j  del  padre  studiò  Giurispru- 
denza ueir  Università  di  Pisa:  ma  poi  si  diede  alle 
lingue  antiche  e  moderne,  ed  alle  Lettere  amene ^ 
a  cui  Io  traeva  la  sua  propria  natura  ;  e  vi  fece  si 
grandi  progressi ,  che  fra  i  migliori  dèi  suo  tempo 
fu  tenuto  piuttosto  ^1  prinio  che  il  secondo.  Colle 
motte  traduzioni  ch^ei  fece  di  classici  greci  e  latini 
ed  anche  d^ autori  moderni,  arricchì  di  non  po6he  voci 
e  di  molti  bei  modi  la  lingua  itaKana,  nella  quale 
meritò  di  essere  giudicato  autorevole  mentre  tol« 
torà  viveva  :  e  in  parecchj  de'  suoi  Discorsi  Acca^ 
demici  trattò  con  profondo  sapere  e  con  sicuro  buon 
gusto  molte  quistioni  appartenenti  all'erudizione  ed 
alla  letteratura.  Può  essere  hondimeno  proposto  alla 
gioTentà  come  scrittore  colto  e  purgato ,  piuttosto* 
che  come  mente  filosofica  ,  o  come  esemplare  ài 
eloquenza  propriamente  detta;  e  molti  saoi  libri  dei 
quali  potranno  giovarsi  i  eompilatori  del  FocabcJa' 
rio  italiano^  non  sarebbero  una  lettura  né  piacevole 
né  utile  molto  ai  nostri  giovani.  La  più  bella  delle 
sue  prose  ò ,  per  consenso  di  molti ,  la  traduzione  di 
Senofonte  Efesio.  Il  Salvini  cooperò  grandemente  alla 
compilazione  del  Vocabolario  della  Cruscai  e  mori 
nella  sua  patria  li   17  maggio  17^9. 

OALLB   PROSR.      i 

La  cultura  deW  ingegno  gìoya  alla  cultura  deW  animo. 

Sodo  due  cose  tanto  congiante ,  lo  spirito  delP  ooiòo  , 
o  vogiiaiu  dire  T  ingegno ,  o  per  altro  nome  ancora  Tio- 
tendimento  o  F  intelletto  \*e  V  animo  ^  ovvero  il  talento 
e  la  volontà;  che   l' una    parte    necessariamente  influisce 


SECOLO,  DECfMOSBTTiHO  %5ì 

neW  altra  :  è  chi  ie  separa  e   le   divicle   rende   V  anima 
in  nn  certo  modo  tronca  e  imperfetta ,  che  in  tutte  due 
ugualmente  tutta  e4  intera  si  scorge.  L'  ingegno  o  V  in* 
teUetto  ha  per  oggetto  il  vero ,  e  intorno  a  questo ,  come 
a  silo  centro  ,    si   aggira  ;   F  animo  o  la  volontà  ha  per 
oggetto  il  bene ,  e  in  traccia  di  quello  se   ne    va    tatta*/ 
▼ia  ,  e  deir  amore  di  qnello  si  accende* ^1   sommo  vero 
e  il  sommo  bene,  fonte  e  principio  di   tutti  i  veri  e  di 
tatti  i  beni  ,   si  è  Iddio  ,   al   quale   dovrebbe   il   nostro 
coore  mai  sempre  sospirare ,  prr  avere  in   esso   il    com* 
pimento  deUe  sue  perfezioni ,  e  la  pienezza  della  sua  fé* 
licita.  Ora,  siccome  il  vero  in  Dio  è  una  stessa  cosa  col 
bene,  e  il  iiéne  una  stessa  cosa  col  vero,  cosi  quanto  più 
qoesti  doe  oggetti  del  vero  e  del  bene  nelPanima  nostra 
a'  identificano,  e  V  intelletto  s'  accorda  colla    volontà,   e- 
la  retta  opinione  col  buono  appetito  s^  unisce,  più   ven-* 
ghianio  noi  a  Dio  somiglianti,  in  cui  è  lo  stesso  il  vero, 
die  il  bene,  il  conoscere  che  V  amare.   E    in    quanto   a* 
Dio  qoanto  più   ci   rassomigliamo  ,    tanto   più   perfezione 
acquistiamo;  non  essendo  altro  la  nostra  perfezione,  che 
ana  rassomiglianza  di  Dio,  per  quanto  è  possibile  ali* no-' 
mo.  Diedeci  egli   e   e*  inspirò ,   come  particella    del   suo  • 
spirilo  ,  l'anima  ;'e  coli' anima  I'  ingegno  e  T  animo,   o 
Yogliam  dire   l' intelletto  e  la  volontà  ci  donò  ;  non   per- 
chè noi ,  qoali  servi  inutili  ,    tenessimo   sotterrati  qoesti 
lalenti',   ma    perchè   ad   onor  sno  coltivati  ed  impiegati 
fruUificassero/  Sgrida  però  piacevolmente  il  buon  vescovo 
Siniésie^  nella  vita  di  Dione  il  Boccadoro,    quei  monaci 
che  tntliv  intenti  a  coltivare  T  animo,  lasciavano  sodo  *  ed 
incako  r  ingegno  \   quasi  gli  studi  e  le  scienze  ,    per    le 
quali  V  uomo  veramente  dà  a  credere    d*  a^eie   un   non 

1  Sodo  dicesi  va  terreno ,  che  per  non  essere  tUto  mai  tocco  cU  arttro  . 
conserva  la  sua  naturale  dureisa.  l)i  qui  poi  il  nodo  diiwdare  un  UrrtM  ^ 
in  senso  di  cotiivurh  per  Ut  ptinta  vohiu 


^iS%  LETTERATÙBA    ITALI AffA 

SO  che  in  sé  deli*  ioimortale  ^  d^ll*  immateriale  e  Jè(  di-^ 
▼ino  9  in  Tèce  di  contribuire  al  ben  ? irere  e  alla  vita  de- 
vota e  contemplativa,  più  tosto  fossero  per  essere  al  loro 
sublime  instituto  di  rovina  o  d*  inciampo.  Ora  (  dice  egli 
a  quei  buoni,  ma  semplici  e  rozzi)  non  si  puote  seoapre 
drare,  né  sempre  contemplare  comunemente  dagli  nomi- 
bi  ;  facendo  alla  natura  nòstra  mestiere  di^  convenevole 
riposo  di  quando  in  quando  \  è  di  onesta  ricreazione.  Ma 
do^e  si  puote  ella  più  onesta  ritrovare  e  più  acconcia  è 
più  bella,  che  negli  studi ?« Che  se  per  ingannare  irtempo 
e  fuggire  r  oziosità ,  madre  di  tutti  i  mali,  quei  buoni 
monaci  aveano  per  costume  di  trattenersi  in  tessere  spor- 
te, in  fare  stuoie,  e  in  altri  simili  lavori  di  mano;  come 
non  dovranno  àntiporsi  a  questi,  e  servire* di  nobile  e 
utile  passatempo  i  lavori  d'  ingegno  ?  Giuliano  apostata  , 
pieno  di  livore  e  di  maltalento  contra  i  Cristiani  ,  che 
egli  per  dispregio  chiamava  Atei  e  Qalilei;  non  seppe 
ritrovare  cosa  pio  velenosa  e  più  mortifera,  per  distrug- 
gere (come  egli, stoltamente  superbo,  credevasi  )  la  nostra 
religione ,  che  la  proibizione  degli  stodi  e  delle  buone 
lettere,  dicendo  che  era  vergogna  a  un  uomo  evangelico 
studiare  le  favole,  e,  lasciando  Cristo  suo  maestro ,  spie- 
gare Omero  ed  Esiodo.  A  questa  persecuzione  fieramente 
e  coraggiosamente  s'opposero  i  santi  Padri  del  tempo  suo, 
i  quali  io  gran  copia,  come  mandati  dal  Cielo,  fioriro- 
no; tra' quali  san  Gregorio  NaziaQzeno  più  che  mai  in- 
tese agli  studi  oratori!  e  poetici  ancora  ;  per  mostrare  che 
la  cognizione  delle  lettere ,  non  di  pregiudizio  ,  anzi  di 
aiutò  era  allo  stabilimento  e  al  buono  incam'miaaoàento 
di  nostra  fede.  Dell'  inclinazione  di  Giuliano ,  se  bene 
con  diversa  fine  e  intenzione  ,  si  trovano  molti  de^  Cri- 
spiani , a  tempo  del  medesimo  santo  vescovo  san  Gregorio; 
ì  quali,  come  idioti ,  biasimavano  ta  letteratura,  come  i 
saati  Padri  chiamano  ,  secolaresca  e  forestiera  ,   che  dai 


SEGOLO    DECIMOSETTIVO  ^53 

libri  de*  Gentili ,  e  non'  dalla  Sacra  Srittara   si    tragge  , 
come  cosa  insidia trice  e  pericolosa ,  e  che   ci  alioDtaiia  e 
ci   dilunga  da  Dio.  Ma  (  dice  il  Santo  )   questi  che    cosi 
sentono ,    hanno   cattivo    conoscimento.    Perciocché  ,   non 
perchè  alcuni  si  siedo  serTiti  male  del  cielo  e  della  terra 
e  dell'aria,  collo  stimare  tutte  queste  cose  Iddìi,  e  come 
tali  adorarle\,  per  questo  dobbiamo  sprezsarle  e  abborrir* 
le,  potendo  nof  prendere  da  loro  quei  di  boooo  che  esse 
gì   porgono ,  fuggendo  ciò  che  ci  è  di  pericolo  ;  non  fer* 
ibandoci  ia  loro,  ma  ordinandole  a  Dio.  Non  si  dee  adun- 
que (segue  egli)  disonorare  laerudizioue,  ma  beo  tenere 
per  istolti  e  per  male  ammaestrati  coloro  che  vorrebbero 
fatti  conformi  a  loro  ,  acciocché  nella  comune   Ignoranza 
là  propria  loro  yenisse  a  nascondersi,  e  fuggissero  il  rim« 
proverò  de!  poco  loro  sapere.  -  La  parola  di  Dio,  bene 
intesa  e  con  amiltà  di  cuore  ricefatà,  quanto  frutto  fac-* 
eia  neir  anime  de*  maestri  di  quella  ^  e  poi  in  quelle  de*" 
loro  ascoltatori ,  niuno  ,é  che  non  confessi  ;  ma  alP  Intel* 
ligenza  delle  sacre  lettere  quanto    importante    sia    la   co- 
gnizione delie  profane,  oltre  agli  esempi  innniti  dei  grandi 
lami  della  Chiesa  greca  e  latina  ,  sant*  Agostino  a  pieno 
lo  dimostra    e    lo  *nsegna   ne*  suoi   difinissimi    libri   inti- 
tolati: De  Doctrina  Christiana;  ne\  secondo  de*  quali  li- 
bri dice  francamente  :  Che  se  i  savi  de'  Gentili ,  e   mas- 
simamente i  Platonici ,  hanno  detto  cose   per  arfentara 
yere  e  alla  fede  nostra  accomodate,  non  solo  non  si  deona 
temere,  ma  come  da  ingiusti  posseditori  è  da  toglierle  e 
da  tornarle  in  nostro  pso  ;  e  siccome  gli  Ebrei  nell'  oMir 
dell*  Egitto  portarono  con  esso  loro  idoli  e  Tasi  d'  oro  e 
d*  argento  e  robe  degl*  Idolatri ,  per  comandamento  d*  Id- 
dio ;  cosi  le  dottrine  de*  Gentili,  come  cavate  dalle   mi- 
niere della  divina  Provvidenza,  dee  il  Cristiano  utilmente 
è  con  sao  frutto  osare  e  adoperare. 

LKTTBIUT.  ITÀb  •— rr  33 


A  5  4  LETTERATURA  IT  ALI  AHA 

DALLE  LETTERE. 

Jd  Antonio  Montanti  scultore  Fiorentino. 

Io  noD  ho  mai  stimato  buono  economo  qnello  che  non 
ìspende,  perchè  è  nna  economia  che  può  riuscire,  a  toU 
ti.  Come  non  si  spende ,  ognuno  sa  ayanzare  ;  nim  ci  è 
gran  virtù,  anzi 'ci  è  U  mio  della  miseria,  della  sudice- 
ria e  deirafarizia.  Buono  economo  stimo  quello  che  spende 
e  risparmia:  spende  dove  va  speso,  e  risparmia  dove  va 
risparmiato;  spende  con  vantaggio;  la  sua  lira  la  fa  va* 
(ere  ventiquattro  soldi  ;  spende  nelle  spese  utili  e  neoes* 
larie ,  leva  le.  superflue;  in  somma  sa  spendere  e .  $a  ri- 
sparmiare; che  qui  consiste  la  virtù  della  economia,  non 
già  nel  non  ispendere  punto,  come  molti  fanno.  Cosi  non 
bo  mai  stimato  buon  galantuomo  quello  che  de'  fatti  suoi 
non  parU  punto  e  non  gli  dice  a  nessuno,  ma  quello 
<he  sa  quali  fatti  sono  da  dire  e  quali  da  non  dire,  e 
che  distìngue  le  persone  a  chi  si  può  dire  ,  a  chi  no  ; 
che  il  dirgli  a  tatti  è  nna  infermità  di  lingna  e  di  giu- 
dizio. Sentii  dire  una  volta  a  quo  uomo,  tanto  grave  che 
spiombava,  che  non  bisognava  (diceva  egli)  mai  discor- 
rere di  sé  a  nessune.  Per  esempio  :  Io-  sono  stato,  oggi 
fino  al  Poggio  imperiale  a  spasso.  Questo,  secondo  lui  , 
^oxk  si  poteva  dire ,  è  teneva  questa  regola  di  .tkon  par- 
lare di  se  iur  nessuna  vanieraf  Questo»  eh' io  dico,. è  di- 
yeotato  magro  »  spento,  sparuto;  e  credo  che  questa  sti* 
ticheria  col  tempo  V  ammazzerà.  Ho  conosciuto  due  amici 
che  per  essere  tanto  cupi  e  oon  sì  slargare  a  nulla  acoo 
morti  prima  del  tempo  |^  e  ano  di  questi,  coQie  dispera» 
to,  il  quale  era  Lucchese,  e  diceva. alla  sua  usanza:  Che 
bisognava  comprare  e  non  vendere  e  e  k  prima  sillaba 
della  parola  vendere  proflferiva  coir  e  aperta,  e  non  istrelta 
come  usiamo  noi  Fiorentini.  Ci  sono  poi  di  quelli,  come 


V  SECOLO   DECIMOSBTTIMO  255 

alconi  de^  Lombardi  ,  che  aprono  il  loro  coore  a  talli , 
fanno  scoprire  subito  le  loro  inclioazioni,  il  loro  genio 
al  primo  ,  per  dir  cosi ,  che  incontrano  per  la  strada; 
Questo  è  un  altro  estremo,  ed  è  da  fuggirsi,  perchè  po- 
chi galantuomini  si  IroTano ,  e  lo  scoprirsi  a  genie  garga  * 
e  sciocca ,  come  i  più  delle  persone  -sono  ,  è  pericoloso* 
Io  somma  non  dir  nulla  de^  fatti  snoi  è  regola  utile  e 
dannosa;  il  dire  ogni  cosa  e  a  tutti  senza  distinzione,  è 
simplicità  e  sciocchezza  che  rovina  e  fa  danni  grandissi- 
mi. Sraailmènie  il  discorrere  degli  amici  è  cosa  gioconda, 
ma  bisogna  ?edere  con  chi  si  parla  ,  e  sfuggir^  quanto 
Ii^  peste  i  rapportatori,  e  quelli  che  fanno  il  mestiere  di 
mettere  zeppe  *  tra  un  amico  e  V  altro.  I  segreti  di  cose 
confidale  e  di  cose  importanti,  o  che  sapute  possono  tor- 
nare in  grave  pregiudizio  dell'  amico  ,  non  si  debbono 
mai  dire  a  nessun  del  mondo  ,  e  debbono  marcire  in 
corpo.  Altre  minùzie  di  piccole  imperfezioni  dell'  amico , 
o  di  cose  che  non  importano  ,  può  uno,  senza  pregiudi- 
care air  amicizia,  talvolta  aprire  nel  discorso;  e  ci  la  sem^ 
p'ré  il -giudizio  che  regola  il  tutto:  Che  cosa  si  dice,  a 
chi,  e  come.  Cosria  virtù  delia  segretezza,  ch^ è  l'anima 
dell'amicizia,  non  consiste  nel  non  dir  nulla,  ma  consi- 
ste nel  tener  segreto  quel  che  va  tenuto  segreto.  Voglia* 
temi  bene. 

Di  casa  •  •  •  luglio  1707* 

M  medesimo. 

Signor  mio.  A  propormi  di   scrivere    sopra    certe    di- 

l^spute  è  un  grattare ,.  come  si  dice  ,  il  coi'po  alla:  cicala. 

Yengo  adunque  a  trattale  come  io  so. nelle  angustie  del 

X  Gargu,  Malitiosa. 

a  Zeppa  0  Sietta  e  quel  conio  di  legno  o  di  ferro  che  d*  ordinario  si 
mette  nella  fenditura  di  un  legno  per  aprirlo  del  tutto.  E  qui 'per  tnilato 
vale  Calunnie t  xìKsanie,  •  simili,  con  cui  si  dividono  gli  amici. 


S56  LBTVBaATCAA   ITALIAHX 

tempo  in  cai  mi  troTp  ,   «  deotro  agli  slrelli  confini  4i 
nna  lettera ,  una  sì  ampia  materia  ,   qnale  è  quella  :  Se 
nelle    professioni  si  abbia  de  gaardare  solamente  il  bno- 
no,  o  non  far  conto  punto  né  poco   del    mediocre  e  del 
cattivo.  Se  si  tratta  di  studiare  e  d'  imitare^    certo  che 
il  principiente  e  lo  studiente  sempre  si  dee  porre  innanzi 
le  cose  degli  autori  più  insigni,  e  studiare  gli  ottimi  ori- 
ginali; ma  quando  s'è  assuefatto  a  imitare  T  ottimo ,  e 
die  si  è  fatto  una  tal  quale  bugila  maniera,  allora    può 
▼edere  molti  autori ,  che  se  non  sono    gli    otlimi^^  pure 
fooo  buoni ,  e  si  posson  dire  ancora  ottimi  nel  loro,  ge- 
nere. Ella  sa  molto  bene  che  ci  sono  più  maniere;  e  .tnt« 
te,  benché  diversissime  tra  loro,  pure  posseggono  le  loro 
bellezze  particolari.    Dopo  tanti  e  tanti  pittori  famosissi* 
mi,  pure  si  trovò  un  ^uido  Reni ,  che  abbandonando  la 
inaniera  del  suo  maestro  Caracci ,  si  diede  a  fare  le  sue 
pitture  come  a  lume  di  piazaa.  Venne  un  Caravaggio  che 
mostrò  una  maniera  di  forza.  Così  nelle  scultore ,   chi  è 
andato  dietro  alla  grazia  e  dii  s'è  compiaciuto  della  for* 
la;  chi  il  facile,  chi  ha  ritrovato  il  difficile;  chi  ha  pHi 
della  natura,  chi  più  dell'arte*  E  nella  poesia,  e  ,  nella 
musica,  e  io  tutte  in  somma  le  professioni,  ci  soqo  diffe* 
renti  maniere ,  e  tutte  produzioni  d^  iogegno  degne  della 
nostra  considerazione.  Or  perché  confinarsi  in  uno   o    in 
due  soggetti  di  più  fama,  e  lasciare  tutti  gli  altri  in  di- 
sparte; che  tutti  sono  andati  a  un  medesimo  fine  dMmi* 
lare  ìt  Tero  e  di  migliorare  e  perfezionare  la  natura  col* 
V  arte  ?  Si  dee  (  diceva  nn   antico  )  conoscer    molli ,   ed 
nTere  notizia  e  conoscenza  di  molte   persone ,  ~  mar  tener 
uno  o  pochi  per  amici:  conoscenza  in  molti,  amicizia  in 
pochi.  Così  ammirare  e  imitare  T  ottimo,  ma  non  isgra« 
dire  gli  altri,  e  degnar  tutti.  A  principio  Fuomo  non  ha 
tanto  discernimento  ;  però  bisogna  che  creda  al    maestro 
che  gli  dee  proporre  modelli  squisiti.  Ma  quello  che  ha 


SECOLO   D£CHfOtfiTTI«a  «57 

fatto  qaalcho  progresso,  bisogoA  cLe  vegga  rarie  manie* 

re,  e  che  £iccia  le.  fae^  riflessioni,  e  s'eserciti  nel  .discer* 

lìere  il  baooò  dal  caUivq;  polche    le    firCù   soa    sempre 

raaenle  al  vizio  che  somiglia '^ le  medesime  :  così  la  irerità 

e  la  semplicilà  sta  allato  alla  seochezza;.la  fona  si  goa» 

ata  io  caricalara^  it  troppo  delicato^. tien  debole  f  il  troppa 

fièro- si. fa  orrido,  e  cose- sioirrii.  ^Uoo    finisce   tròppo  k 

piarli  a  nna  a  una ,  e  poi  nel  lotto  e  nell'  insieme  è  io« 

felice.  Or  come  sì  pósson  fare  -tuf  te  qoeste  riflessiooi  ne» 

ceàaarie  a  formare  il  giudizio,  se  non  si  veggon  molte  e 

moitar  opeiìe,  e  iion  sì  riconoscono  a  parte,  a  parte  tanto 

le  Tirtà,  qnatito  !' difetti  ?  Quello  che   insegna,  si  dice 

che .  impara  cofP  insegnare.  E  perchè?  perchè  vede  il  cat** 

Ilvo  del  discepolo 4'  lo  correggente  gli  dice  -dove  ha  fallo 

male,  e  fa  ragione,  perchè;' e  gli  fa  vedére  come  si  fii 

a  far>  l)ené ,,  e  gli  dipe  .ancora  la  ragione   di   questo. .  Io 

leggo.Virgitio  e  T  ammiro*,  ^  se  avessi   da   comporre  ,ia 

verso  latino,  non  dovrei  scambiare   stile;    ma.  non   per 

questo  Stazio  bizzarro  lysll' espressione,  Lucano  fiero  nelie 

acDienze',  Claudìàno  dolce  nella  misura  e  corrente,  non 

Tanno  degnali  d' uno*  sguardo ,,  benché  non  arritina  alla 

maestà  di  VirgUio*,  Orazio  lo  disse  de*  poeti  greci ,  che 

no9  bi  forza,  che  Omero  sia  il  primo  poeta  e  perfettiasi* 

mot  ee  ile  sono  (dicff)  degli  altri,  che  sebbene  non  sono 

Ooieri^  ad.  ogni  mddo  possono,  .tenere  i   Secondi   e    terzi 

luoghi.  Vi  voglio  dire  le  parole  steste  ialine,  perchè  nella 

siui  lingua  Qr«^  parla  non  .piò  enfasi  :         *    •   , 

ffoi%.si,  prioKes  Maeordus  ienei 

Sedes  Hgmerus.^  Pindartcùe  laient, 
"  Coeaéfquè,  et  Alcei  minaces 
Siesicerique  grdves  Camàenae.. 

Ciol.}    Q\^Q  1^  *i  ^oeta  Omero  Jha  il  primo  posto, 
.    ^,    .  Non  per  questo  di.  Pindaro  e  Simonide 
Son  nascose  le  Muse ,  né  d'  Alceo 
I  fieri  versi,  e  i  gravi  di  Stmcoro. 


aa* 


a58  LCTTEBATORA   ITALIANA 

Che  invidia  è  qoesla  mai  ?  Tolere  impoferire    il   jdoimIo 
di  virtaosi,  e  non  gabellare  '  se  non  dtt»o  tre?  Toler  peu» 
di  cielo ,  e  V  come  dfoera  qaetr  altro  ,  na  colóre  che  non 
ci  sia,  dtt^  idea  che  nion  è  al  mondo?  Noi  siamo  qoa  po- 
Teri . meschini  ,   posti'  in* questo  gnazzabaglio  di   cose,  e 
non  si  possono  avere  le  cose  tutte  fine  ;  ci  è  sempre  della 
lega;  anzi  se  tutti  fossimo  perfi^ti ,  non  sarebbe  bello  il 
mondo ,  anzi-  non  snssislerèbbe.  Che  stato  è  piìk  perfetto 
deHa  castità  religiosa?  Pure  se  lutti  folessero  essere  per 
questo  modo  perfetti,  mancherebbe  il  mondo;  I  Galilei, 
i  Yespocci .  che    trovin   nuofe  stelle   e  scnoprano  noo?i 
mondi,  non  son  robji  da  ogni  gioriio,  i  quali ,hani»ò fatto 
(siccome  dicea  il  signor  Averani  mio  maestre  di  gloriosa 
memoria  )  che  uno  non  possa  alzare-  gli   ec^i  al   cielo-, 
né  abbassargli  alla  terra,. che  noti  si  sorvenga  deHa  glo- 
ria de'  Fiorentini.  L*  iuTentare    da    sé  è  il  primo  posto 
degl'  ingegni;  ma  non  per* quésto  sono  esclusi'  i   tradnl» 
lori ,  i  'comtraialori ,  i  correttori  de' buoni  libri,  da  qual- 
che posto  nella  via  delle  lettere,  "e  quelli  che  il  piglialo 
k  fatica  di  rirederè  le  cose  <l^  altri ,  bencBè  cattive,  per 
farle  manco  eattive  ì  ^eé  esercitare  nUa  tal  opeira  d^  amore 
nniTersàle,  il    qaate^ debbo   l'uomo  aU' altre    uomo. -Io 
somma  bisogna  avere  il  cuore  più  ampio  ,'  né   tanto  ri- 
stretto colla  massima  del  non  si  mescolare.  Amici  (  torno 
a  dire  J  quei  'pochi  gloriosi  ;  familiari  i   più  eecelienli  \ 
ma  la  conoscenza  eia-  noiikia   di   tutti.    Questa  svogKo- 
lura  ,   questo  fastidio,  questo  disprezzo 'di  tutte  ciò  che 
non  è,  o  che  non  pare  perfetto;  questo  non  ammirare, 
questo  non  lodare ,  questo  criticar  tutto ,  questo  sfatare  *  , 


1  Gabellare»  Una  merce  gabellata,  o  che  pofò  l»  gtbeHa,  \  «minam  • 
approrata.  Per  metafora  'dunque  -gabàlare  uno  serittare  Vaisi  gìudtcarìo  «at* 
totet^le,  pigliare 'ésentpj  da,  lui,  —  Il  modo  poi  «enaente^  volar  pesti  di 
«ie/b^  va)e  voler  P  impossibile,'       *  ' 

2  baiare.  Spregiare;  Mettete  ia  diicndite.  r  .si 


SECOLO  ftECItfOSBTTIXO  tfS^ 

oltreché  è  cosa  forlemeote  odiosa  e  poco  omana ,  è  noo 
•corameitto  de*  gìovaoi  ^  è  aoa  tirailoia  d*  no  cèrto  bnoa 
gusto  alla  moda  sopra  le  professioni ,   che  se  uno  aresse 
messo  le  roani  in  pasta,  e  aresse  penetrate  bene,  adden- 
tro le  difficoltà  delle  arti^  non  parlerebbe  così.  Se  poi  i 
professori  fossero  ttilti  perfetti,  terrebbero  ad  essere  coso 
ordiolirie,  e  le  città   non   sarebbero  felici,   percbè   noo 
•piccherebbe  qtieli*  ano,  o  que*  (tochi,  cfaesoo  quelli  >d>€f 
fanno  .onore,  alfe 'città.  Ci  roglton  de^  pittori  di   sgalielli, 
e  de'  pittori  di  boccali  perchè  quelli  altri  spicchioo.  Tntl^ 
le  eoso-'si  stimano  per  rapportò  K  Non  ci  sarebbe  il  grando 
te  non  ci  fosse  il  piccolo;  sènza  il  confronto  del  poco^not» 
CI  sarebbe  -Passai.  Che  farebbe  Ù  i^ic^co  senza  il  povero,' 
il  priiicipé  senza  i  sudditi ,   e  va  discorrendo^  E  11  Yir<^ 
lliosò  non  Sarebbe  stillato;  uè  farebbe   la  sua    figura  at' 
tutti  (bslero  rirlAosi  alta  pari  ;.  e  se  non  ci  fossero  degli 
sciatti  *  e  degl*' ignoranti ,  sarebbe,  come  noi  diciamo,  un: 
bel  minchione.  Io  per  me^  veggo  d^  ogni  '  sorte  di  Jibri  di 
tutte  le  lingue  cho  io- so  ,    e  se  più  ne  sapessi  ,••  meglio 
airebbevnott  per  le  lingue,*  che  per  sé  slessesono  .qìc^ 
chetti  di  parole,   dia  per  gli  untori  die  scrivono  in  essa 
i  l4>r  pensieri.  Riveggo  o^i   sorta   di'  coi»f^sialooe>  'mi 
a^iprofitlo  per  me'^  «si  obbligo, ^per  cosi  dire,  ingenera 
umanOk  Non  mi  citrod^  essere  tatto 'sopraffinò  dì*  gusto: 
aoao  .noiao  grossolaoo,  e  ia  consegòenàiapiii  acconcio  alla* 
repnbblica.  lelieraria^  Mi  dispiace    che   la   vita    è  breveV 
e*l  foglio  è  fi«ito«>    •.     '^         '  ,  *        r'  •> 

iCapannoliy  dà  Éoveaifera*  171S. 


1 


1  Per,  èappttùj  tM  t.  GanOroiCuidiil*  ^oa  altr«. 
a  Sdattì»  Roiti,  Incolti.  > 


«..< 


.•  ,f   *    \  ' 


3^6o  LSTT«fli4T0BA  ITAtÙlU 

« 
I 

DALIA   TBAOOIIÓHB  M  SBHOFORTB  EFESIO. 

jinzùi  neceiiUata  di  j/ioihr  Perikio ,  pgr  non  .romper  fide  al  mo 
Abrocomtj  a  cui  uivo  e  morto  at*era  giurato  di  ccfuservarsi ^  de^ 
■  Ubera  di  morire*  E  chiamato  a  §è  H  medico  Eadosso  gli  ^Uces 

Se  tùsak  possibile  che  io,,  viva  Vricof crassi  vìvo  Àlfroco- 
ve*  0  foggissi,  oascosameote  di  qal,  di  ciò  delìltererei  ; 
iga$  poiché  quegli  è  morto,  e  fuggive  è  i  io  possibile ,  e 
dqh  ci  è  caso  che  io  mi  •  sottopooga  alle  ibtofe  Boxxe , 
perciocché  qqd  ^ trasgredirò  i  palali  falli  eoa  Absocome, 
Bè  spregerò  il  gifirameblo;  ia  aduo'qae  vieni  ip  mio  aoc- 
Qorso,  Irovando  in  x|aalcfae  modo  dna  medicina,  che  me 
io&licjtt  tragga  d^affaiini*  Di*  ciò  4De  sarai  meriuto  >  an« 
Qpr  dagli  Dei,  i  qoali  io  oeHa  mie  fine  molto  pregherò 
per  te ,  ed  io  stessa  ii  darò  danaro ,  ,e  li  ■  forairò  mesti 
per  la  dipertenta;  sicché  potrai  ^  prima  che  dò  da  al« 
cane  si  sappia  «  imbarcato  sopra  4ina  nav^,  navigare  verso 
Efeso..  E .  quivi  giunto ,  Hcercaii  i  geiiitori  Qlegamede  ed 
Evtppe,  avvisa  ì(Ht9  Ui  mia  morte,  e  tutti  i  particolari 
della  mia  assenta ,  e  di^  che  Abroeoipe  é  morto*  •*- 
,ikppresèa  queste  parole,  si  gettò*  vollòbndoìM  a^SQpi^ 
ftedl,'e'pregava  che  egli  non  le  contraddicesse  nulla,  e 
dessde  il  veleno*  E  tratte  foodL  venti  mine  d'^arieoto,  e 
anoi  vezti  *,  e  colbne  (cbè-iie  avea  in  abtKmdtttxa ,. poi» 
ijiò  tenea  in  suo  potere  lulti  i  beni  di  Perfiao),.dà  tutto 
questo  a  Eudosso.  Egli  consultate'  molte  ^  Qose^  e  eompa* 
feudo  |a  fanciulla  dello  inforti|uieT<B  dB^i^r^tldOidi  tor* 
Dare  a  Efeso,  e  vinto  dalf  argento  e  da^  regali,  prométte 
di  dare  il  veleno,  e  partesene  per  rucallò*  EU#  io  .t|iie* 
alQ  medtre  fa  molti  rammarichii,  lamentandosi  della  sua 
età;  e  dolente  d' avere  prima  del  tempo  a  morire ,  molto 

1  Meritato,  Rimeritatd ,  Ricompensato,  •«  IMla  mia /ne.  ITel  morirOp 
X  Vesti  per  Omamenti  io  geocre. 


SECOLO    DECIMOSBTTIHO  ^  26 1 

chiamaTa  a  nome  Abrocome ,  come  presente.  In  x|nesto , 
dopo  breve  tempo  ^  ritorna  Eudosso,  portando    medicina 
mortìfera   no ,  ma    sonnifera  ;   acciò  non    patisse    alcana 
jcosa  la  donzella  ;  ed  esso ,  conseguita   la   provvisione  pel 
viaggio,. si  salvasse.  Prendendola  Ànzia,  e  sapendogliene 
molto  grado,  lo  licenzia.  Egli  subito  messosi  sur  una  na« 
wcy  si  pose  in  viaggio.  Quella,  cercava  tempo  a  proposito 
per  bere  il  veleno.  Era  ornai  notte,   e  si    preparava   la 
camera    degli  sposi,  e  vennero  gli  ordinati  sopra  ciò'  a 
levare  Ànzia.  Ed  essa  centra   sua  voglia^  e   lacrimante, 
«e  n'esoe,  occliltando  in  mano  il  veléno  ;  e  qnan do  viene 
presso  del  talamo  ,  quegli  della  casa  acclamavano  1'  Ime* 
neo  \  Ed  ella  di  nuovo  si  lamentava  e  piangeva  :  —  Co-^ 
sì ,  dicendo  ,   io  prima  fui  menata  ad  Abrocome  sposo , 
e  ci  accompagnò  il  fuoco  d^  amore ,  e  si  cantava  Imeneo 
^pra  nozze  felici.    Ora,   che  farai,  Anzia  ?    Oltraggerai 
Abrocome  lo  sposo,  V  amato,  quello  cb'  è  morto  per  le? 
Non  cosi  io  sono  poco  virile,   né    nelle  miserie  codarda. 
Già  è  risoluto  ;  bevo  il  veleno.  Abrocome  esser  dee  mio 
marito.  Lui,  ancqi  mqfio,  io  voglio.  —  Cosi  disse,  ed  era 
condotta  al  talamo,  e  sola  quivi  si  dimorava;  perciocché 
àncora  Perilae  con  gli  amici    era    a    convito.-  Togliendo 
pretesto  d^  essere,  nella  smania,  presa  da  sete,   comandò 
ella  stessa  ad  alcuno  de*  servi  di  recar  dell'  acqoa ,  coma 
per  bere  ;  e  portato  il   bicchiere  ,   prendendolo ,    non   vi 
essendo  alcuno  di  casa  presente  ,'  vi  getta    il  "^ veleno,  e 
hgnmando:  —  Oh  anima,  dice,  del  mio  amatissimo  Abro* 
come  ! -ecco. che  io  I*  attengo  la  parola  ,  e  m'avvio    per 
quella  via  che  ména  a  te;  sfortunata  bensì,   ma    neces- 
saria. Ricevimi  vofeuiieri  ^  è  porgimi   fi    tuo    felice   con» 
vitto  costì.  —  Detle^  queste  parole  bevve    la   medicina  ;  e 

1  Gii  ordinati  ee»  .  Quelli  ai  quali  era  stato  commesso  tale  «IScio. 
a  Jcelmuwano  ee, .  Intaoiiavaoo  le  -cviuodì  consttete  a  cantarsi  negr  imenei 
0  nelle  nosae. 


a62  Z.ETTER&TI7R1.   ITALUllA 

iubito  il  soono  la  prese ,  e  cadde   in    terra ,  e  la  medi* 
cÌDa  operò  quanto  polè. 

Qaaodo  venne  entro    Perilao,  sobito    Tedcfndo   Anzia 
caduta ,  stupì ,  e  gridò.  Fa  assai  il  bisbiglio  e  1  tamolto 
di  qaei  di  casa ,   e  passioni    rimescolate  ,   aria ,    paara  , 
•balordi mento.  Alcani  compativano  quella  cbe  pareva    es- 
tere spirata  ;  altri  si  condolevano  con  Perilao  ;   tatti   poi 
piangevano   I*  accidente.   Ma  Perilao  squarciandosi  la  Te- 
tte ,  caduto  sul  corpo  :  —  Oh  ^  carissima    mia   donzella  , 
dice  !  oh ,   avanti   le  nozie    lascianle  '    l'  amante ,   pocbi 
giorni  stata  sposa  di  Perilao,  in  qual  talamo!  nel  sepol- 
cro ti    metteremo  I    Fortunato  colui  ,    chiunque   si    foste 
Abrocome*'!  Beato  quegli  veramente)  che  cosi  grandi  re« 
gali  *  dall'  amata  ha  ricevuti  1  -  Sfogavasi  costui  in  tai  la- 
menti,  s'era  intorno  a  lei  tutto  abbandonato,  e  le   ab«* 
bracciava  e   carezzava    le  braccia  e  le  gambe,  -^   Sposa, 
.  dicendo ,  infelice  !   femmina  pia  miserabile  !  —  L'  assettò 
cestendola  di  molti  abiti,  e  molto  oro  mettendole  attor- 
no. E  non  più  sopportandone  la  vista,  appresso  lo  spun- 
tar del  giorno ,    ponendo   nel  catilettc^  Anzia    (  ella    era 
tcnza  sentimento  ) ,  la  condusse  a^  sepolcri  presso  della  cit- 
,tà  ;  e  quivi  deposela    in  •  una    stanza  y   scannando    molte 
▼ittime,  e    molte   vestimenta   e    gli  altri  ornamenti  bm- 
ciando.  Egli)  fatti  gli  estremi  nffizj,  fa  da'  suoi  ricondotto 
in  città.  * 

Ma  Anzia  lasciata  nel  sepolcro,  rinvenutasi  ,  e  aocor* 
tasi  che  il  veleno  non  era  stato  mortale,  gemendo  e  la* 
erimando:  -O  veleno  che  mi  hai  burlata,  dice,  o  proi- 

X  Lasciante  «e..  La  'cottnxrione  è;  Oh  tu  lasdante  (che  lasci)  PauuuUe 

mfOttU  le  nozze  t  Bla  questo  participio ,  quando  bene  non  vi  fosse  la  cacofonia 

die  tutti  sentono ,  non  panni  da  imitare.  I  Greci  e  i  Latini  n*  ebbero  molti 

•  molto  efficaci  per  dare  e  fona  e  ijraxia  al  discorso  :  la  lingua  italiana  oe 

^  £i  un  uso  assai  scarso. 

2  CoA  grandi  rc^oA^  qual  fu,  che  via  giovane  facesse  per  lui  il  lagti* 
ficio  della  propria  vita« 


SECOLO    DECIMOSfiTTIMO  203 

benle  me  di  Yiaggiare  ad  Àbrocome  per  ana  fia  forln- 
nata  !  Ho  sbagliato  danqoe.  Tatto  nel  mio  caso  è  nuovo  ! 
non  riesco  neppure  nel  desiderio  della  morte!  ma. si  poò, 
stando  nel  sepolcro,  eseguire  l^operazion  del  feleno  colla 
fame.  -  Per  lo  che  non  fia  che  alcuno  di  qui  mi  levi , 
ne  io  miri  più  il  sole,  né  venga  a  luce.  -  Detto  questo, 
indurò  nel  proposito,  attendendo  la  n^orte  ^enerosamen'* 
te.  Sopravvenuta  in  questo  la  notte,  certi  ladri  sapendo 
che  una  donzella  era  stata  seppellita  riccamente,  e  mollo 
ornato  femminile  con  essa  è  riposto,  e  argento  molto  ed 
oro  ;  vennero  al  sepolcro ,  e  spezzando  V  uscio  del  monu* 
mento ,  entrati ,  tolsero  quel  che  v'  era  di  pregevole  ;  e 
Anzia  veggiono  viva;  ed  estimando  esser  questo  un  grosso 
guadagno ,  la  fecero  rizzare  ,  e  voleanla  menar  via.  Elia 
buttatasi  a^  loro  piedi ,  molto  gli  pregava  dicendo  :  -  Uo- 
mini, chiunque  vui  vi  siate,  questi  ornameùti  tutti,  quali 
e'  sieno ,  e  tutte  quante  le  altre  robe  consepolte ,  porta- 
tevi con  voi;  ma  risparmiate  il  mio  corpo:  io  sono  sa- 
crata a  due  Deità ,  la  Morte  e  V  Amore.  Lasciatemi  va- 
care '  a  queste.  Deh  !  per  gli  Dei  della  patria  vostra , 
non  mostrate  me  al  giorno,  me,  le  cui  sventure  di  notte 
e  di  tenebre  sono  degne.  —  Disse;  ma  i  ladroni  non  per- 
suase :  e  trattala  del  sepolcro ,  la  fecero  scendere  al  ma- 
.re ,  e  imbarcandola  sur  uno  schifo ,  pigliarono  la  via  di 
Alessandria*. 

SCRITTORI  VARII. 

Saltato»  Rosa  nacque  »  Napoli  nel  i6i5.  Fa  pittore  e  poeta  satirico  a' 
foot  tempi  assai  chiaro  j  e  mori  in  Roma  V  anno  1673.  Scrisse  la  sua  vita 
Filippo  BaMinacci  fiorentino  ,  prosatore  elegante  ,  ed  autore  di  molte  opere 
•olle  arti»  assai  stimate  per  la  dottrina  del  pari  che  per  lo  stile. 

Sopra  la  imiiazione  tendile  degli  icriuori 

Torno,  o  poeti,  a  voi.  Dentro  un  biennio, 

I  Vacare.  Attenderei  Gobmcfuidì.  Ma  qui  non  pare  molto  lodevole  l'tuo 
di  ^lesia  parola. 


Z64  LETTERATURA    ITALIANA 

Benché  avTezzo  con  Verr^,  i  farti  vostri 
NoD  conterebbe  il  corretlor  >d^  Erennio  '• 
Oh  vergogna ,  oh  rossor  de'  tempi  nostri  ! 

I  snghi  espressi  da  ì*  altrui  fatiche 
Servon  oggi  di  balsami  e  d' inchiósirt. 

Credonsi  di  celar  queste  formiche, 

Ch'  bau  per  Febo  e  per  Clio  seggio  e  caverna  ^ 

II  grani f  rubato  a  le  raccolte  antiche:  ' 
E  senza  adoperar  staccio  o  lanterna. 

Si'  distiogne  con  breve  osservazione 

La  farina  ch^  è  vecchia ,  e  la  moderna. 
Raro  è  quel  libro' che  non  sia  un  centone 

Di  cose  a  questo  e  quel  tolte  e  rapile , 

Sotto  il  pretesto  de  T  imitazione. 
Aristofano,  Orazio  !  ove  siete  ile  , 

Anime  grandi  ?  ah  per  pleiade  oo  poco 

Fuor  de*  sepolcri  In  questa  luce  ascile. 
Oh  con  quanta  ragion  vi  chiamo  e  invoco  !    - 
.    Che  se  oggi  i  furti  recitar  volessi, 

Aristofano  mio ,  verresti  roco. 
Orazio,  e  lo  se  questi  autor  Ingessi, 

Oh  come  grideresti  :  Or  si  che  a  i  panni 
.  Gli  stracci  illustri  son  cuciti  spessi. 
Che,  non  badando  al  variar  de  gU  anni. 

Con  la  porpora  greca  e  la  Ialina 

Fanno  Testiti  da  secondi  zanni  ^. 
GP  imitatori  in  quest'età  meschina. 
Che  battezzasti  già  pecore  serve  ^, 

Chiameresti  accellacci  di  rapina. 

1  II  eerrettor  te, .  Cicerone ,  il  quale  scmse  le  biliose  Onsiòni  «ontro  t 
lìirti  di  Terre. 

a  //  scigli.  Il  {raso. 

3  Zumi,  Baffoni  nelle  Commedie. 

4  Che  baUeuasU  ec. .  Allode  alle  parole  di  Orasio:  O  smvil  greggia  <fe- 
g^imiiaUri* 


SECOLO    DECIMOSETTIMO  a6S 

De  le  cose  già  dette  ognaò  si  serre  $ 
Non  già  per  imitarle;  ma  di  peso 
Le  IrascrÌTòD  per  sue  penne  proterve. 

K  questa  gente  a  travestirsi  ha  preso  , 
Perchè  ne'  proprj  cenci  ella  s'avvede 
Che  io  Pindo.  le  saria  V  andar  conteso. 

Per  vivere  immortai ,  dansi  a  le  prede, 
Senza  pena  temer,  gì'  ingegni  accorti  t 
€hè,  per  vivere,  il  furto  si  concede* 

Né  senza  qaesto  ancor  Jian  tutti  i  torli  : 
Non  s^  apprezzano  i  vivi ,  e  non  si  citano  ; 
E  passan  sol  le  autorijtà  de*  mortl^ 

E  se;  citati  son,  gli  scherni  irritai^o: 

Ne  s'  han  per  penne  degne ,  e  teste  gravi 
Quei  che  su  i  testi  vecchi  non  s*  aitano. 

Povero  mondo  mio!  sono  taoì  bravi 

Chi  svaligia  il  compagno ,  e  chi  produce 
Le  sentenze  furate  a  i  padri,  a  gli  avi. 

E  ne  le  stampe  sol  vite  e  riluce 

Chi  senza  discrezion  trn£fa  e  rubacchia, 
E  chi  le  carte  altrui  spoglia  e  traduce. 

Quindi  taluno  insOperhisce  e  gracchia. 
Che ,  s'  avesse  a  depor  le  penne  altrui , 
Resterebbe  d^  Esopo  I^  cornacchia. 

V  ìnuidia. 

Quella  sei  tu,  che  solo  affanno  e  doglia 
Senti  del  bene  altrui  :  quella  che  tenta 
Detrarre  a  i  fatti  onde  l'onor  germoglia. 

Ogni  stato  maggior,  di  te  paventa  : 

Che  ,  quasi  tuoni ,  annunziano  i  tuoi  ragli 
Che  la  fortuna  è  a  fulminare  inlenta. 

LBTTnÀT.  ITAfi.  -  IT  ^3 


:|66  tBTTI^RATÌJRA   ITALUlfA 

""  Quella  sei  tu ,  che  per  le  reggie  agguagli 
Al  piì^  vHe  il  maggior  ;  perocché  furo 
L*  altezze ,  a  1'  ire  tue  sempre  i  bersagli. 
,  Dof'  è  senno  e  saper  celebre  e  puro  ,  ' 
Colà  ti  volgi  sol;  perchè  tu  brami 
Con*  le  imposture  tue  di  farlo  impuro. 

Quella  sei  tn^  che  a  la  bilancia  chiami 
U  anime  eccelse  ;  e  allor-  godi  e  guadagni , 
Che  aggravando  ogni  error.,  le  rendi  infami. 

Con  la  Yirtù  nascesti  ^  e  V  accompagni  ; 
Ha  per  tenderle  insidie  e  darle  il  guasto: 
E  se  non  ti  riesce  ^  nlnli  e  piagni. 

Quella  sei  tu,  che  non  comporta  il  fasto, 
Perchè  non  può  veder  se  non  bassezza 
Il  genio  tuo  9  che  fu  sempre  da  basto. 

Il  paragon  tu  sei  de  la  fortezza  , 

Per  pnbblicarnct  i  nei  ,  non  già  per  rendere, 
Col  cimento , 'maggior  la  sua  bellezza. 

Quella  sei  tu,  che  fai  chiaro  comprendere 
Che  il  bene  è  dove  vai  ;  poiché  s'  è  visto 
Che  per  tutto  ore  egli  è,  io  cerchi  offendere. 

Ami  r  accidia  ;  e  di  far  grand'  acquisto 
Pensi  ove  il  ^empo-  inutilmente  scorre; 
Ma  dove  ben  s' impiega  ,  il  cote  hai  tristo. 

GliMBATiSTA  Doni.  Mori  in  Firense  sua  patria  il  primo  del  dicembre  1647 
in  etk  di  53  anni.  Dopo  avere  visitata  la  Francia  più  volte  e  la  Spagna , 
•  dopo  essere  stato  lungamente  in  Roma ,  fu  nella  sua  patria  professore  di 
eloquensa  e  accademico  deUa  Crusca.  DoUto  di  beli*  ingegno ,  e  insUn- 
cabile  negli  studi ,  lasciò  un  gran  numero  di  opere ,  .principalmente  intomo 
alla  musica  ;  .e  un  numero  molto  maggiora  ne  cominciò,  die  poi  la  mort« 
non  gli  permise  di  terminare.  i 

DALb' ORAZIONE  FDR^^LB  PER  LA  CRISTIAIflSSIBlA  AkBlA 
REGIIIA  pi  FRaUGU  e  DI  IfATARRA. 

• .  .Divulgatasi  per  il  Cristianesimo  T infausta  nuova  del- 
l'avere  la  cristianissima  Maria  regina  di  Francia  la   vita 


SECOLO    OECIMOSETTiaiO  267 

joa  terminato  ,  con  gran  dolore  e  rammarico  fu  sentita 
per  tutlo  :  e  maggiormente  in  questa  sna  nobilissima  pa^ 
tria  che  la  produsse;  e  jn  questa  fioritissima  Corte,  dote 
con  tanta  cnrafn  allevata:  ed  in  particolare  dalPAIteKia 
Vostra ,  Serenissimo  Granduca ,  a  '  coi  per  la  prossimità 
del  sangue,  sì  grare  perdita  piò  singolarmente  appartie* 
ne.  Ma  poiché  cosi  è  piaciuto  a  quello  che  il  tntto  maoYe 
e  dispone  a  suo  senno;  e  ch'nna  delle  piò  Tere  consola- 
zioni che  ci  restino  è  V  onorare  con  quelle  maggiori  di- 
mostrazioni che  si  può  la  sua  eccelsa  memoria;  con  sag- 
gio* a  vredi  meo  lo  ordinò  Vostra  Altezza  (conforme  alla  sua 
aolita  pietà  e  all'  inveterato  costume  della  sua  religiosissima 
Casa)  che  con  questo  non  men. divoto  che  mesto  appa- 
rato, e  con  questa  funebre  pompa  a  qnetP  anima  gloriosa 
ai  renda  omaggio  e  tributo;  e  che.  in  solleT^meuto  e  re- 
frigerio di  lei,  s^  oflferisca  all' altissimo  Dio  P  immacolato 
sacrifizio ,  e  quei  pietósi  snffragj ,  che  in  simili  occasioni 
dalla  Chiesa  Santa  furono  con  giudizio  non  errante  salu- 
tiferamente iostJtuiti.  Ma  l'avere  imposto  a  me,  che  d'o- 
gni sorte  d'  eloquenza  mi  trovo  sprovvisto,  impresa  cosi 
difficile  di  rammemorarvi,  per  maggior .  gloria  di  lei  e 
conforto  vostro ,  le  sue  sovrane  lodi ,  forte  mi  sgomente- 
rebbe ,  se  non -mi  fi>sse  caduto  in' pensiero,  che  nelPe- 
leggere  me  fra  tanti  altri,  che  molto  più  degnamente 
sostenere  potevano  qnesto  carico,  abbia  voluto  fiirse  T Al- 
tezza Vostra  che  ognun-  comprenda  ^  che  essendo  cosi 
grandi  ed  illustri  le  azioni  di  questa  Serenissima  Regina^ 
poco  faceva' di  mestieri  T  andar  ricercando- chi' con  arti* 
fiziosa  testura  di  parole ,  e  copiosa  facondia  le  aggran- 
disse* La  sovrana  ed  eminente*^  virtù  ,  adorna  d'illustri 
raggi  di  magnifiche  operazioni ,  non  ha  bisogno ,  come 
qualche  piccola  ed  oscura  luce,  d*  essere  rappresentata  ed 
esposta  BgV  occhi  delle  meóli  umane,  quasi  in  uno  spec- 
chio d*nn   pulito  discorso;    ma  a  guisa  d'un    fiamnieg- 


a68  LETTERATURA    ITALUlffA 

giaiite  sole ,  io  od  tratto  si  scorge  e  s'  ammira.  Più  te* 
ilo  temo  io  che  si  fallameDte  m^  abbaglino  la  fistia  gli 
Splendori  insieme  raccolti  di  tanti  saoi  gloriosi  meriti^ 
che  la  mia  ^eboleiza  non  sia  bastante  a  capirli  e  discer- 
berli  tutti.  Onde  per  qneslo  rispetto,  e  per  non  attediar 
di  soverchio  chi  m'  ascolta,  con  la  prolissità  d*  on  mai 
tessuto  Discorso ,  m'  ingegnerò  d'  esser  breve ,  con  rap- 
presentarvi solamente  quelli  che  più  spiccano  d^li  altri, 
e  che  in  più  eccellente  maniera  manifestano  la  saa  gran- 
dma. Aggiagnesi  eh'  io  non  a  vero  di  mestieri ,  come  il 
più  de'  dicitori  sogliono  fare  ne^ 'soggetti  anca  per  sé 
■lessi  lodevolissimi ,  d'estendermi  nelle  lodi  de' snòi  fa- 
mosissimi progenitori  :  poiché  quando  bene  io  non  favel- 
lassi dove  favello ,  ma  in  qualche  contrada  delle  più  re* 
mote  della  terra,  chi  è  che  non  abbia  contezza  de'  glo- 
riosi titoli  della  sua  Real  Prosapia ,  da  cui  son  usciti 
tanti  segnalatissimi  persÓBag«[i  nelP  opre  di  pace  e  di 
guerra;  tanti  Grandachi  ;  tanti  Sommi  Pontefici;  on^  al- 
tra Regina  di  Francia  cosi-  celebre  e  memoranda  t  che  * 
La  resuscitalo  in  Italia  tutte  le  più  illustri  scienze ,  e 
r  altre  più  ncJijli  e  pregiate  professioni,  per  P  addietro 
p<i€o  meno  che  estinte  e  sepolte:  che  oggi  signoreggia,  con 
tanta  quiete  e  contentezza  de  popoli,  cosi  bella,  ricca, 
nobile  e  poderosa  Provincia  ?  Vive  poi  ancor  fresca  nel 
mondo  Ja  memoria  del  granduca  Francesco  suo  genito- 
re ;  principe  di  tanta  saviezza  e  generosità  dotato,  che 
non  ebbe  pari  al  tempo  suo:  e  parimente  della,  grando- 
7  chessa  Giovanna  sOa  genitrice  ;  la  quale  noh    tralignando 

punto  da  quella  bontà  e  religione  che  suol  esser  propria 
deir  Imperiai  Casa  d'  Austria  fu  d^  ogni  più  rara  virtù 
specchio  ed  esempio,  e  con  gran  fama  di  santità  a  qùetia 
celeste  patria  fece  rilorno.  Laonde,  perchè  non  suol  de- 

X  Che  ha  te*»  Questo  cheti  riferiice  alla  reai  prost^a^ 

i  ■  ■         "  -^     ■  ' 


SECOLO   DECIMOSETTlOfO  269 

generare  la  prole  da  dae  Tirtuosi  genitori  nobilmente  di» 
scesa  ^  degno  sarebbe  d^  ainroirazione,  se  la  regina  Maria 
cosi  prode ,  religiosa  e  savia  Principessa  non  fosse  .  •  •  • 
Ed  era  ben  ragionevole ,  cbe  alla  piti  saggia ,  alla  *  pia 
bella  Principessa  deU\EQropa  toccasse  In  sorte  il  più  for- 
te, il  più  valoroso  Re  che  mai  cingesse  spada  ',  o  in  te- 
sta portasse  corona  :  acciò  rasserenatosi  con  la  sna  vennta 
qael  potentissimo  Regno ,  agitato  ancor  in  parte  dalle 
turbolenze  civili,  da  cosi  fortunata  coppia  ne  nascesse  bea 
tosto  qoel  gioslissimo  Re ,  cbe  espugnando  le  città  e  le 
rocche  all'  espugnarsi  giudicate  impossibili  ;  ed  estirpando 
le  radici  alla  rebelliune  e  alf  eresia,  più  che  mai  il  ren* 
desse  glorioso  e  felice.  Stabilitosi  dunque  con  festa  ed 
applauso  indicibile  d^.amendue  gli  Stati,  di  Francia  e  di 
Toscana,  sì  desiato  maritaggio;  e  celebratisi  qui  in  Fi* 
renze  solennemente  gli  sponsalizj  con  l' intervento  del  Le- 
gato apostolico,  fu  con  regal  magnificenza  e  con  splen- 
didissima comitiva  accompagnata  e  condotta  in  Francia 
questa  real  Donzella  :  dove  con  tanto  giubilo  e  letizia 
fu  ricevuta,  come  annunziatrice  ed  apportatrice  di  pace^ 
e  d'Ogni  altra  più  compiuta  felicità,  che  non  si  potrebbe 
immaginare.  Ma  sopra  tutto  quelP  invitto  e  magnanimo 
Re  per  sì  fatta  maniera  rimase  stupito  al  suo  arrivo,  ve- 
dendo che  la  saviezza  e  beltà  di  lei  sormontava  quel  gran 
concetto  eh'  egli  n'  aveva  formalo  di  prima ,  che  ne  re* 
sto  pienamenie  contento  ;  e  poi  t^nto  più  soddisfatto^ 
quando  giornalmente  se  gli  appalesarono  i  tesori  delle 
sue  più  pregiate  e  interne  virtù  •  •  .  •  Fu  la  Serenissima 
Maria  oltremodo  zelante  dell'  onor    di    Dio    e    religiosa; 

X  //  pia  vdoroso  ec,,  Enrico  IV  re  4i  Fradcia  nel!'  anno  1600  fece  «!<• 
nullare  il  suo  malrìmonio  con  Mar^erita  di  Valois ,  e  sposò  Maria  de*  Me- 
dici ^  alla  quale  però  gli  storici  non  confermano  quelle  lodi  che  qui  le  sono 
date  dair  oratore.  Il  figliuolo  che  nacque  da  questo  matrimonio  fu  poi 
Luigi  XIII. 

a3^ 


Z'JQ  ISTTEBlTOai   ITALUIU. 

d'incredibii  bontà  e  piacevolezza  d^aoimo,  che  demensa 
propriameote  ne'  Principi  s'  appella  ;  dì  molta  pradeoza 
e  maturità  di  giudizio ,  oh^e  la  coodizion  del  aesao  do* 
tata;  di  costanza  e  intrepidezza  nelle  avversità  siiig<dari; 
e  finalmente  di  cnor  cosi  generoso,  magnanimo  e  iibe* 
rale,  che  fra  tante  famose  Regine,  onde  nobilmente  si 
fregia  cosi  lunga  ed  antica  desceodenza  ,  ninna  paà  pa- 
ridonarsele  in.  questa  parte.  E  la  Religione  fondamento  di 
tnite  l'altre  virtò:  vincolo  deir  umana  società:  principio 
ed  origine  d'ogni  sapienza  che  ha  fitte  nel  ciek»  le  sue 
ràdici,  che  all'onnipotente  Dio  ci  rende  simili  e  grati, 
e  finalmente  degni  deir  eterna  ineomprensibii  felicità.  La 
qnale  perchè  molto  meglio  da' fatti  e  da  ir  opere,,  che  da 
certa  esterna  ed  affettata  apparenza  si  riconosce,  per 
dimostrarvi  qnanto  ella  sia  stata  religiosa  e  pia,  basterà 
chMó  vi  dica  che  nell'uso  frequente  de' sacransenti  ;  nel- 
r ascollar  volentieri  e  spesso  i  sacri  ragionamenti,  cosi 
pabblici  come  privati;  nel  riverir  le  persone  a  Dio  con- 
segrate;  e  in  tutte  quelle  funzioni  ed  opere,  che  ad  una 
cristianissima  Regina  erano  dicevolr,  non  lasciò  che  cosa 
alcuna  in  lei  desiderar  si  potesse  giammai  •  •  .  •  Perchè 
più  evidentemente  si  conosca  quanto  ella  sia  stata  abbon* 
dantemente  fornita  di  quél  senno  e  prudenza ,  che  per 
governare  popoli  e  regni  necessariamente  si  richiede,  se 
non  basta  in  prova  di  ciò  1'  avere  saputo  adattarsi  cosi 
bene  al  costume  e  maniera  francese;  T  aver  sotto  il  suo 
reggimento  mantenuto  V  antiche'  leggi  del  regno  nel  suo 
vigore.,  e  dove  n*  è  stato  di  bisogno ,  eoa  nuove  ordina- 
zioni ,  provvisto  a  tutti  i  casi  emergenti  ;  1'  aver  pronta  * 
e  largamente  sovvenuto  nelle  guerre  di  Cleves  i  collegali 
della  Germania  :  V  aver  con  tanta  cnra  e  diligenza  invi' 
gilato  sempre  alF  ottima  educazione  de' figliuoli  ;  col  man- 

I  Pronta,  iwrece  dì  Phmt(0Haie,  p«r  evitare  la  cacofonia  dei  àw  ar* 
veH>Ì  d*  ugual  destneosa» 


•SGOLO    DBCiaroSETTIUO  Zfì 

tenergli  *  appresso  di  continao  personaggi  d*  esqaisilo  va^ 
lore  e  safiezta  :  se  lotte  queste  cose,  dico,  non  b^lstano  , 
testimonio  ne  renda  il  grand^  Arrigo  medesimo ,   il  quale 
4|.aanto  in  lei  cooGdasse,  e  qnanta  stima  ne  facesse,    da 
qael  che  racconterò,  chiaramente  conoscere  si  potrà.  Do* 
Tendo  a  quella  grand^  impresa  *  accingersi  che  tutta  V  Eo- 
ropa  fece  star  sospesa  ed  attonita^  e   con  un  poderoso  e 
IbrmidabiJ  esercito  oscir^  fte^  confini  del  Regno,   non  solo 
volle  renderle  prima  pubblica  testimonianza  del  sno  espe- 
rimentato Talore  ,   con  la  più  solenne ,    la  più    lieta  ,   la 
più  magfiifica  e  pomposa  incoronazione  che  mai  si  face»> 
se;  ma  a  lei  medesima  tutta  la  mole  appoggiar   disegnò 
di  si  gran  Monarchia,  con  dichiararla  nnica   Rogante  e 
governatrice  di  quella  ,  non    pure   per   tutti    i    casi   che 
«nanamente  gli  potessero  succedere;  ma  eziandio,  lui  vi- 
vente,  per  tutto  quel  tempo  che  di  stare  assente  gli  con- 
fenisse.  O  giorno  yerameote  lietissimo   e   felicissimo    per 
la  Francia  !  Ma ,  ohimè ,  giorno    che   da    un'  infausta   e 
tenebrosa  notte  poco  appresso    fo   seguitato  !  Imperocché 
quando  appunto  quel  chiarissimo  e  risplendentissimo  sole, 
era  al  meriggio    delle  sue    glorie   asceso  ,   in   nn    sobito 
s^ oscurò.  Quel  fortissimo  campione;  qneirinvincibit  eroe; 
quei  temuto,  riverito  e  amato  insieme  da  tutti,  per  mano 
d'  un  Tilissimo  parricida  improvvisamente  è  ucciso  ^  Che 
cuore,  che  sembiante,  che  animo  fu  allora  il   rostro,  o 
Reclina ,  quando  da  si  acerba  ,    da  sì  crudel  nuova    tra- 
fitta ,  ?i  sentiste  ad  un  tratto  priva    d'  ogni   vostra   spe- 
ranza ,  d*  ogni  vostro  bene  e  conforto?  Volentieri  mi  sa- 
rei astenuto,  uditori,  da  si  lacrimoso  passo,  per  non  con- 
distare  con  si  amara  rimembranza  le  vostre  orecchie;  ma 
poi  che  da  cosi  funesto  caso  maggiormente    si    scopre   la 

1  Mantenergli  ec. .  Mantenere  appresso  a  lofo. 

2  j4  quella  ce  .  La  guerra  eh*  egli  apparecchiava  contfu  la  Casd  d^Austidtt. 

3  Eiuico  IV  fu  ucciso  a  tvadìmeato  nel  giorioio  i4  M«gg^  l6lo. 


A^A  LETTEBA.TURA    ITALU91 

sua  gran  costanza    e    valore;   acciò   nìun   possa   dubitare 
quanto  gran  parte  ella  abbia  avuto  in  sì   rara  ,    sublime 
ed  anzi  virile  che  donnesca  virtù,   ho!  bisognato  pure  di 
farne  menzione.  Assalita  la  Regina  da  cosi    fiero    e   ina- 
spettato accidente,  fra  T angoscia  el  dubbio  chMn  strana 
guisa  le  ingombrava  la  mente,  non   punto  si  sbigotti,   o 
si  perse  ;  ma  provvisto  opportunamente ,  col  consiglio  de' 
suoi  più  grandi  ed  autorevoli  «ministri  ,    a    quanto    biso- 
gnava per  la  salvezza  del  giovinetto  Re,  per  la  sicurezza 
di  Parigi ,  per  la  quiete  de*  popoli  ;  senza  dimora    com- 
parve in  queir  augusto  Senato,  con    una    faccia    e    sem- 
biante, nel  quale  restava  dubbio  se  maggior  si   scorgesse 
il  duolo,  o  la  maestà.  Dove  con  stupore  e  maraviglia  di 
tutti,  in  si  fatta  guisa  consisto  sopra  i  più  iroportaoti  ed 
argenti  affari  del  reame  ,    che    pareva    quasi  discesa  dai 
cielo,  per  disgombrare  dagl*  afflitti  e  smarriti   cuori  ogni 
nube  di  temenza    e    d'  orrore.    Quivi    concordemente  di* 
chiarata  ed  acclamata  con  piena  possanza  suprema    Regi> 
gente  dellia  Monarchia  francese,   intrepidamente  pigliò  le 
redini  del  governo;  e  quelle,  come  universalmente  è  no« 
to,;^in  tutta  la  minorità  del  Re,  con  somma  sapienza  e 
contentezza    de' popoli ,    amministrò  :   e    per    molti    anni 
appresso,  partecipando  .seco  de*  più   alti    affari,    grandis- 
simo sollevamento  ed  ajuto  gli  diede.  In    questo    tempo, 
quante  gran  cose  elF  abbia  operato   in    tutti    i   generi  di 
yirtù,  non  che  ne  11' accennate  di  sopra;    quanti  singolari 
effetti  si  siano   veduti    della   sua    eccessiva    liberalità ,    e 
d'  una  veramente  regale  magnificenza  ,   né  la  mia  lingua 
è  bastante  a  narrarlo,  né  il  tempo  prefisso  al  mio  ragio- 
namento è  sufiicienté  a  comprenderlo.  ,  .  .  Basterà  ch'io 
dica  che  chi  Toleìse  effigiare  al  vivo  il  ritratto  della  ma- 
gnificenza ,    non  altra  immagine  che  quella  della    Regina 
Maria  deverebbe  proporsi  :  conciossiachè  non  albergò  mai 
io  lei  alcun  pensiero    che    grande ,    magnifico  ,    e    vera- 


SECOLO    DEGIMQSETTIMO  27  3 

mente  regio  non  foste.  Per  questa  medesima  grandetta 
d  animo,  coogianta  con  an  altissimo  sentimento  delle  cose 
celesti ,  quando  a  quelf  ultimo  e  formidabil  passo  per* 
Tenne,  si  mostrò  rassegna  t  issi  ma  iiei  divin  volere;  e  con 
molta  compnnzion  di  cuore  e  devotissimo  affetto  ricevè 
per  mano  di  due  NunzJ  apostolici,  prelati  di  cooosciata 
ix>nlà  e  Talore  ,  tutti  i  sacramenti  della  Chiesa  Santa. 
Testificò  con  particolàr 'modo  il  materno  e  sviscerato  af- 
fetto ch'.ella  portava  al  cristianissimo  Re  suo  figliuolo: 
disponendo  a  favore  di  Ini  delle  sue  piò  principali  facoU 
là.  Kon  si  scordò  d^  onorar  similmente  con  preziosi  do- 
nativi gP  ^Itri  suoi  serenissimi  figli,  ed  i  Principi  di  qne« 
sta  serenissima  Casa ,  da  cui  meritamente  riconosceva  il 
suo  essere  e  grandezza.  Non  si  dimenticò  de*  servigi  pre- 
statile in  ogni  tempo  ed  occasione  da^  suoi  familiari  e 
domestici ,  con  remunerargli  largamente  ,  e  dimostrare 
sino  ati^  ultimo ,  non  so  s^io  mi  dica  la  sua  ordinaria  o 
straordinaria  beneficenza.  Ed  in  somma  hon  tralascio  cosa 
che  a  sì  alta  e  -cristiana  Principessa  si  convenisse.  Cosi 
è  ragionevole,  serenissimi  Principi,  Uditori  nobilissimi, 
che  noi  altresì  grata  memoria  tengbiamo  di  cosi  gmn 
Regina  :  la  quale ,  come  da*  snoi  illustri  fatti  ,  benché 
per  bocca  d^  un  infacondo  dicitore  rappresentati  ,  com- 
prendere potete,  il  presente  secolo,  non  che  questa  soa 
chiarissima  patria  ,  singolarmente  nobilitò. 

Laasirzo  Lippi  ,  fiorentino  ,  nacque  1'  anno  1606  ,  e  fu  ,  come  il  Rota  « 
pittore  e  poeta.  Il  Baldiaacci  che  ne  scrisse  la  vita  racconta  che  passando 
mi  giorno  il  Lippi  dal  castello  di  Malinantile  «  vennegli  capviccio,  di 
comporre  una  piccola  leggenda  io  istile  burlesco,  la  quale  dovesse  es- 
sere, come  sogliamo  dir  noi,  tutto  il  rovescio  della  medaglia  della  Ge- 
rusalemme Liberata ,  bellissimo  poema  del  Tasso  :  e  dove  il  Tasso ,  elet- 
tosi un  alto  è  nobilissimo  soggetto  per  l<f  suo  poema ,  cercò  di  abbellirlo 
eo*  più  sollevati  concetti  e  nobili  parole ,  che  gli  potè  suggerire  V  eruditis- 
sima mente  sua  ;  il  Lippi  deliberò  di  mettere  in  rima  certe  novelle  ,  di 
quelle  che  le  semplici  donnicciuole  hanno  per  uso  di  raccontare  a*  ragac» 
si:  od  avendo  falla  raccolta  delle  più  basse  similitudini^  «  de'  più^  volgari 


JI74  LETTEKàTURA   ITALUtVA 

proverbi  e  idiotismi  fio^ntini ,  «U  essi  tetsb  tutu   V  opera   sua ,   ftiggeodo 
al  possibile  quello  voci ,  le  quali  altri   (  a  {^uisa  di  quel  rettorìco  Atticista  , 
ripreso  da  Luciano  ne*  suoi  piacevolissimi  Dialoghi  )  affettando  ad  ogni  pro- 
posito 1*  antichità  '  della  toscana  favella ,  va  ne'  suoi  ragionamenti  sensa  scelta 
inserendo.  Fb  sua  particolare  intenaione  il  far  conoteere  la  facilita  del  par- 
lar nostro  }  e  che  ancora  ad  uno ,  che  non  aveva   (  come   esso  )    altra    elo- 
quensa   che   quella   che  gli  dettò  la  natura  ,  non   era   impossibile   il    parlar 
bene.  Ora ,  perchè  spesso  accado ,  che  anche  le  grandissime  cose ,  da   basso 
e  talvolta  minutissimo  cominciameato ,  traggono  i  loro  principi  j   egli  ,    che 
da  prima  (  non  avendo  altro  fine ,  che  dare  alquanto  di  sfogo  al  suo  poetico 
capriccio,  e  passar  con  gusto  le  ore  della  veglia)  aveva  avuta  intensione  di 
imbrattar  pochi  fogli,  de*qtuli  anche  già  si  era  condotto  quasi  al  ■'destinato 
segno ,  fa  necessitato  partire  per  Germania  ài  semsio  della  Serenissima  Arùf 
duchessa  :  e  con  tale  sua  gita  venne  ad  incontrare  congiuntura  più  adeguata  ». 
per  dilatare  alquanto'  l' opera  sua.  Perchè  essendo  egli  colà  forestiero  e  sensa 
1*  uso  di  quella  lingua ,  e  perciò  non  avendo  con  chi  conversare  ,  talvolta  j  o 
stanco  dal  dipingere  ,  -a  attediato  dalla  lungbessa  de*  giorni  o  delle  veglie  ,  si 
serrava  nella  sua  stansa  ,  e  si  applicava  alla  leggenda  ,  fincliè  la  condusse  a 
quel  segno  che  gli  pareva  abbisognare ,   per    dedicarla   alla-  Serenissima  sua 
Signora ,  siccome  fece.  Tornatosene  poi  alla  patria ,  ed  avendo  fatto  assaporare 
agli  amici  il  suo  bel  concetto ,  gli  furono  tutti  addosso  con  veementi  e  vivo 
persuasioni^  acciocché  egli  dovesse  darle  fine,  non  di  una  breve  leggenda, 
come   egli  si   era  proposto  ,  ma  di  iin  intero  e  bene   ordinato    poema  .  .  .  • 
U  allegoria  del  suo    Poema  fu ,    che   Jktalmantile  vuol   significare  in  nostra 
lingua  toscana,  una  cattiva  tovagtia  da  tayoiat  e   che  chi  la  sua  vita  mena 
fra  r  allegria  de'  conviti ,  per  lo  più  si  riduce  a  morire  fra  gli  stenti.  Ne  h 
vero  ciò  che  da  altri  fu  detto ,  che  egli  per  beffa  anagrammalicamente  vi  no* 
minasse  molti  gentiluomini  ed  altri  suoi  confidenti  ;  perchè  ciò  fece  egli  per 
mera  piacevolessa ,  con  non  ordinario  gusto  di  tutti  loro,  i  quali  con  non  poca 
avidità  ascoltando  dall'  organo  di  lui  le  proprie  rime  ,  oltre  modo  goderono 
di  sentirsi  leggiadramente  percuotere  da*  graziosi  colpi  dell'  ingegno  suo  ». 

Mi  è  sembrato  opportuno  di  trascrìvere  intomo  al  Malmantile  queste  no> 
tisie  del  Baldinucci  per  far  conoscere  anche  questo  scrittore. 

k  dar  poi  un  saggio  delle  bissarre  invencioni  del  Lqipi  ed  anche  del  suo 
stile,  basti  la  seguente  novella,  estratta  dal  Canto,  o  (com'egli  disse)  Con- 
tare  settimo ,  st.  27. 

Faro  OD  tratto  udb  Dama  e  no  CaTaliefo, 
Mogjie  e  marito  ^  in  baóno  e  ricco  stato  , 
Che  fatti  vecchi  contro  ógni  pensiero, 
Dopo  di  a?er  qnalche  anno  litigato 
La  grìoKa  pelle  cpn  on  cimitero  , 
Convenne  loro  alfin  p'erilere  lì  piato  * , 

1  Perdere  il  pìùio.   Convenne  loro  pèrdere  la  lite ,  •  cotitentarsi  di  dai« 
se  stessi  in  deposito  ^  Vociandosi  seppe  Uire^ 


SECOLO   DECIMO  SETTIMO  27S. 

E  senza  appèllo  aver,  a  far  proposito 
Di  dar  per  sicorrà  V  ossa  in  deposito* 

Lascfaron  due  figliuoli ,  i  più  compiti 
Che  ^I  mondo  atesse  mai  solle  sue  scene; 
Perch^  essi  arevao  tatti  i  requisiti 
'  Dovuti  a  un  galantuomo  e  a  un  aom  dabbene  : 
Aggiunto ,  che  di  soldi  eran  gremiti  ' 
(Che  questo  in  somma  è  quel  che  vale  e  tiene): 
Stavan  d^  accordo,  in  pace  ed  in  amore, 
Ed  ei'an  pane  e  cacio  * ,  anima  e  cuore* 

Cosa ,  che  fare  io  oggi  non  si  suole , 
Perchè  i  fratelli  s'  han  piuttosto  a  neja  : 
E  se  lor  han  due  cenci  o  terre  al  sole  , 
Air  un,miiranni  par  che  T altro  moja. 
E  questo  è  il  ben ,  che  a'  prossimi  si  TQoIe  ! 
E  .siam  di  cosi  perfida  cottoja  ^ , 
Che  sebben  fosser  anche  al  Jomicìno , 
E'  non  si  so?Terrebbon  d^  un  lupino  ; 

Perch^  e^  sono  una  man  di  mozzorecchi  ^p 
Al  contrario  cosi  or ,  di  chi  io  favello, 
•I  quai  di  cortesia  furon  due  specchi, 
E  tratlavan  ciascun  da  buon  fratello, 
S' avrebbon  portai'  acqua  per  gli  orecchi  ^ , 
E  si  serrian  di  coppa  e  di  coltello  ; 

I  CremitL  ^ieni  ,  AbbondeTolifaini. 

a  Pane  e  cacio.  Diceti  che  due  sono  pane  e  cado  a  sigmCcart  che  si 
amuo  assai  e  sono  d' indole  e  di  nmore  fra  loro  conTenienti. 

3  E  Siam  ec. .  Dicesi  che'  un  legume  od  allro  h  eU  eatti9a  cottoja,  quan- 
do ,  per  esser  reccbio  o  di  mala  qualità ,  difficilmente  può  cuocersi.  Qui  pei 
traslato  vale  siamo  di  sì  per/Ida  natura,  —  Il  modo  essere  al  lumicino  signi- 
fica csMre  alt  estremo  della  vita,  costumandoli  in  molti  Ino^  di  accendere 
tilt  lame  accosto  ai  morìhondi.  —  Il  lupino  poi  k  un  legame  di  nessnn  pre- 
gio j  ncdifc ,  pei  indicate  1*  estremo  dell'  avariiia  e  deU'  indifferema ,  dite 
che  1*  uno  non  darebbe  per  soccorso  dell'  altro  un  lopino.  ^  ■ 

4  HoasotecchL  Scaltri ,  maligni ,  che  offendono  gli  altri  t  non  si  laidano 
oflendere ,  come  i  cani  a  coi  furono  mosai  gli  orecchj. 

5  S^  avrebòono  ec, .  Tutti  i  seguenti  modi  si  adoperano  a  fìgniflcaia  un'e- 
strema eompiacensa  di  ano  verso  un  altro. 


276  LETTERATITRÀ   fTALUHA 

E  per  cercar  detr  uno  il  bene  stare. 
L'altro  Toloto  arrebbe  indo?inare. 

Essendo  an  giorno  insieme  ad  on  conTito,, 
Qaand'  appunto  aguzzato  hanno  il  mulino  * , 
E  maogian  con  bonissimo  appetito  ^ 
Non  so  come  il  maggior ,  detto  Nardlno, 
Neir  affettare  *  il  pan  tagliossi  un  dito  , 
Sicch'  egli  insanguinò  il  toTagliuoiino , 
E  parregli  si  bello  b  quel  mo*  intriso , 
Ch*  ei  si  pose -a  .guardarlo  fiso  fiso.   - 

E  resta  a  .seder  li  tutto  insensato , 

Ch'  ei  par  di  legno  anch'  ei  come  la  sèdia  : 
Può  far  (  tanto  nel  viso  è  dilavato  ) 
Colla  tovaglia  i  simili  in-  commedia  : 
E  mirando  quel  panno  insaogiunato , 
Ormai  tant'  allegria  muta  in  tragedia  ; 
Mentre  nel  più  bel  suon  delle  scodelle 
Si  vede  ognun  riposar  le  mascelle. 

E  tutti  quei,  che  seggon  quivi  a  mensa, 
I  servi ,  i  circostanti ,  ed  ogni  gente ,  • 
Corrongli  addosso ,  che  ciascun  si  pensa 
Che  venato  gli  sia  qualch'  accidente  : 
Né  sanno  die  il  suo  male  è  in  quella  rensa  ^, 
Com' appunto  fra  Ferba  sta  il  serpente; 
Rensa  non  già,  ma  lensa  ,  onde  il  suo  cuore 
Preso  all'  amo  col  sangue  aveali  Amore.   . 
^  Che  gli  par  di  veder,  mentre  in  quel  telo^ 
Contempla  in  cautpo  bianco  1  fior  vermigli, 

*  1  Quando  ^ec, .  Quando  tono  ia  sul  più  bello  del  mangiare. 
%  affettare  qui  e  usato  nel  suo  proprio  e  primitivo    senso   di  ù^fitart  a 
/ètte,  — •  j^  quel  mo*  intriso.  Intrìso  ,  bagnato  di  sangue  à  quel  modo. 

3  Mensa,  Tela  .di  lino  fatta  nella  cittl^  di  Rens  in  Francia  ;  Il  tovagUuolo, 
diveDiito  (  dice  il  Poeta  )  quasi  una  Unsa  (cordicella  di.  crini  di  cavallo 
o  di  s«ta  a  cui  legasi  1*  amo  )  con  cui  Amore  aveva  preso  NardinOé 

4  Ttlo,  coli' e  stretto,  vale  Peuio  di  ielat  coli' e  largo  vale  Z>«r^.  Jfar- 


SfiCOLO   t>£Gt3I0SETTIM0  ft^J 

Un  carnato  di  qualche  Dea  di  cielo. 
Composta  colassà  di  rose  e  gigli  : 
E  si  gii  piace,,  é  tanto  gli  va  a  pelo'^ 
Che  finalmente,   mentre  eh'  ti  non  pigli 

•    Una  moglie  d'  on  tal  componimento. 
Non  sarà  de'  suoi  dì  mai  più  contento. 
(    E  già  se  la  figura  nel  pensiero , 

E  hiapca  e  fresca  ,  -e  rabiconda  e  bella  , 
Co*- suoi  capelli  d^oro,  e  F  occhio  nero, 
Che  più  né  men  la  mattutina  stella  ; 
E  come  eh' ei  la  ^eggst  daddovero, 
Divotb  se  le  inchina  e  le  favella , 
£  le  promette  ,  •'  egli  nnk  moneta  , 
Dì  pagarle  la  fiera  all'  Impruneta  *• 

"Et  Tuoi  mandarle  il  cQore  in  nn  pasticcio. 
Perch'iella  se.  ne  serva  a  colezione; 

.    E  .gli  s'interna  si  cotal  capriccio^ 
E  tanto  Ab  ne  va  in  contemplazione, 
Che  il  matto  s'innamora  come  oh  miccio^. 
D'un*  amor  che  non  ha  conclusione, 
Ma  eh'  è  fondato  ,  come  udite  ,  in  aria , 
D'  una  bellezza  finta  e  immaginaria* 

m 

4iiio  «dnnqn»  Tsdffndo  il  TermigUo  del  proprio  sangue  sul  bianco  del  tova- 
glìaolo  s*  immaginò  di  scorgervr  un  bellissimo  volto ,  e  ne  fu  ibnamorato.,— 
Carnato  sta  qni^per  Incarnatoj  e  il  Borgbini  nel  Riposo  definisce  cosi  que- 
sta pairola  :  L*  incarnato ,  che  è  molto  simile  alla  rosa  >  è  colore  vago  e  bel' 
lo,  siccome  le  .vermiglie  guance  di  giovane  donnaj  è  composto  di  rosso  e  '  di 
bianco, 

I  Gli  va  a  peto.  Gli  va  a  geniOé  «•  Una  mof^  ^  un  tal  ec.»  Una  mo- 
flie  cosi  bella  come  questa  donna  cbe  a  lui  par  di  vedere. 

a  L' ImprunOa-  è  aUa  chiesa  vicino  a  Tircnse ,  dove  a*  i8  d*  ottobre  si  ce- 

* 

lebia  una  fiera  i  nel  qnal  |;ioreo  forse  »  come  »uole  asani  ia  simili  occasio- 
ni ,  gli  amanti  regalano  le  loro  donne. 
3  Com»  un  miccio.  Come  un  asino. 

fclTTIKÀT.  ITAt*  2—  IT  24 


27 S  LETT£niTUR4    ITALIAHA 

Il  firalello  Bran«Uo ,  redeadolo  in  quello  stato ,  manda  pel  medico  ;  e  poi- 
rliè  nulla  vale  a  guarirlo ,  gU  ri  pone  ricino  «1  Iettò ,  e  lo  prega  s  volergli 
dir  la  cagione  di  quel  suliito  mutamento.  £  Nardino  risponde  , 

Dicendo:  Fratel  mio,  se  ta  mi  vuoi 

Quei  ben ,  che  la  dicéi  volermi  «^  sacca  , 
Non  mi  dar  ooja  ,  va  pe^ 'fatti  tiiot,- 
Perchè  il  mio  mal  non  è  male  da  biacca  ', 
Al  quale ,  ad  ogni  mo^  trovar  non  paoi 
Un  xiniedio  che  vaglia  una  patacca , 
Perch^  egli  é  stravagante  ed  Jilla  moda  ^ 
Che  non  sé  ne  rtnvien  capo  né  coda.  — 

Vedi,  soggiunse  T  altro,  e  ch'io  m'adiro, 
O  pur  fa  conto ^  eh'  io  lo  vo^  saper»: 
Hai  tu  quistione?  iiai  In  qualche  rigiro? 
Tu  me  Y  hai  a  dire  in  tutte  le  maniere.  — 
Mardin  rispose,  dopo  un  gran  sospiro: 
Tu  sei  importuno  poi  più  del  dovere  \ 
Ha  da^.chMo  devo  dirlo,  eccomi  pronto:  — 
Cosi  quivi  di  tutto  fa  im  racconto* 

Brunetto ,  sdito  if  caso ,  e  quanto  o^  sia 
Il  suo  cordoglio ,  anch'  ei  dolente  resta  ; 
Sebben ,  per  fargli  cuor,  mostra  «U^ria , 
Ma ,  come  io  dico,  dentro  è  chi  la  pesta  *  : 
Perch'  in  veder  si  gran  malinconia , 
Ed  un  umor  si  fisso  nella  testa. 
In  quanto  a  Ini  gli  par  che  la  succhielli^. 
Per  terminare  il  giuoco  a'  pazxerelli. 

1  Aon  ^  imi/e  da  hitteea.  Non  ^  uno  dì  quei  mali  da  nu^ln  die  ri  gnari- 
scono  eoli*  unguento  fatto  di  biacca*  -—  Non  pale  wia  paÙKoa  diccri  and» 
comunemente  in  senso  di  Non  vai»  nk  punto  né  poco»  ed  ^  un  modo  deri* 
vato  da  Pataeon,  moneta  portog^se  di  pochi  quattrini. 

a  Dentro  e  ec. .  Nel  suo  animo  è  ciò  che  gli  dk  martello ,  cioè  il  timoie 
di  non  poterlo  guarire. 

3  Par  che  la  succhieilù  Dicesi  succhiellare  una  carta  quel  levarla  che  si 
fa  qualche  volta  dal  tavolo  o  di  sotto  ad  un'  altra  a  poco  a  poco«  Yale  an- 
che per  traslato  :  Intemarri  col  pensiero  iir  qualche  cosa. 


SECOLO    DEGiXOSETTiaiO   •  279 

E  conoscenda,  eh*  a  ridurlo  ìq  sesto. 

Ci  Tooi  altro  che  il  medico  o  il  barbiere  *  ; 

Vi  si  spenda  la  vita  e  tada  il  resto. 

Vuol  rimedìarTi  in  {otte  le  maniere  : 

£  qaivi^si  risol?e  presto  presto 

D^  andar  girando  il  mondo  ,  per  vedere 

Di  trovargli  una  moglie  di  sao  gusto  ^ 

Cora'  ei  glief  ha  dipinta  giusto  giusto. 

Perciò  d*  abiti  e  soldi  si  proTTede, 

E  dà  buone  speranze  al  suo  Nardino: 
E  preso  un  buon  cavallo  e  un  uomo  a  piede  , 
Esce  di  casa ,  e  mettesì  in*  -cammino  , 
Sbirciando*  sempre  in  qua  e  in  là,  se  vede 
Donna  di  viso  bianco  e  chermisino: 
E  se  ne  ineoAUa  mai-  di  quella  tinta, 
"Tool  poi  chiarirsi  s'  ella  é  vera  o  finta* 

Perch'  oggidì  non  ne  va  una  in  fallo  , 
Che  non  si  minj  o  si  lustri  la  cuoja  ^  : 
E  dpv^eirha  un  mostaccio  infrigno  e  giallo, 
Ch*  ella  pare  il  ritrattò  delf  Ancroja  , 
Ogni  mattina  innanii  a  un  suo  cristallo 
Quatti  #  dita  vi  lascia  sa  di  loja  ^  : 
E  tanto  s' inveraleia,  impiastra  e  stucca. 
Ch'ella  par  proprio  un  Angiolìn  di  Lacca* 

-Di'  mrodo  eh' ei  non  voel  restarvi  colto ^ 
Jilà  starvi  lesto,  e  rivederla  bene: 

1  //  barbiere  a  qne*  tonipi  faceva  gli  uffidi  de'  chirnrglii  uinorì  o  flebotomi, 
a  «S&irclore^  lignifica  il  socchiudere  alena  poco  gli  occhi  pei:  accrescere  la 
foraa  irisiva;  guardare  attenUmente. 

3  Xa  cuo§a.  La  pelle.  —  Injrifpu^.  q  lSnJri§niia%,  vale  Grinmeù ,  tncrtsfttt^ 
(o«  — ^  jijwroja  è  il  nome  di  uua  regina  celebre  in  un  antico  lonwmao  :  qui 
dunque  h  eome .  se  dicesse  pare  la  SUtilla,  per  duaotaire  una  grande  vecchicua» 

4  Lùja,  Sudiciume  ;  e  qui  è  la  materia  con  cui  le  donne  usavano  dipin». 
gersie  imbellettarsi,  —  È  noto  poi  che  anche  a*  di  nostri  a  Locca  si  iann* 
hfgU  angioletti  di  ceitt  p  di  geiso. 


z9^  LerrcRiTcntA  f taluna 

E  per  qoesto  nna  spagna  seco  ha  tolto  ^ 
E  sempre  in  molle  accanto  sé  la  tiene , 
Con  che  passando  ad  esse  sopra  il  rolt»  ^ 
Vedrà  s' il  eplor  veggo»  ò  se  rioTÌene  •  ; 
Ma  gira  gira ,  in  fatti  ei  non  ritrova 
Soggetto  che  gli  occorra  fame  prova. 

■  ,  t  * 

Fiaaloiciite  arma  aHa  starna  di  Pigolone ,  romito  ;  gli  dice  la  cagioiie  dei 
suo  viaggio ,  e  sente  da  lai  eh*  ivi  presso  h  un  oerto  neijprémairte  detto  Ma» 
gorto ,  il  qaale ,  fra  1*  altre  maraviglie ,  lia  in  un  .«no  giardino  cocdoB^ri  di  tal 
sorta,  che  chi  ne  parte  qualcuno  vede  uscirne  una  ragassa  hellissinui.  Costei 
(  soggiunge  )  tosto  come  sar^  uscita  del  cocomero  ti  pref^er^  di  darle  d«  Bere  s 
ma  ••  tA  la  compiaci , 

Tu  puoi  far  conto  allor  d'  averla  vista , 
Perchè  mentr'  ella  beve  un*  iv^qua  tale  , 
Ti  fQggtrà  in  oq  subito  di  svista, 
E.  ki  resterai ..qnivi  uno  stivale  : 
Se  tu  noor  T ubbidisci,  ella,'  cb^è  trista*, 
Vedendo  olie  il  pregare  e  il  dir  noli  valo^ 
latornoìi  farà'pfer  questo  fine 
Vja  Diiiion  di  forctie  e  di  oio¥ne\ 

E  se  di  compiacerla  poi  ricusi  ^ 

Dirà,  che  tu  buon  cavaliér  non  sia,- 
Mentre',  conforme  air  obbligo  ,  v«  a  usi 
Servitù  colle  dame  e  cortesia  ; 
Ha  lascia  dire ,  e  tiea  gli  orìecehi  chiusi , 
Non  ti  piccar  di  ciò,  sta  pure  al- quia  ^^ 
Gracchi  a  sua  posta ,  fu  non  le  dar  bere  y 
Acciò  non  fugga  ,  e  poi  ti  stia  il  dovere* 

Con  questa ,  che  sarÀ  fìitta  a  pennello^ 
Come  tu  cerchi ,  le  vaerai  dal  cuore 

-  1  Se  rinvime.  Se  nnitaai ,  Issciando  veder  di  nuovo  il  color  naturale* 
s  ^SMsta,  Maliaiosa.  .  - 1      .  v    ■ 

'*■  3  Forche  e  ntùìlne  si  dicono  quelle  affc'itale  careaae  che  uno  fa  ad  uà  al- 
tro per  re«wlo  alU  propria  votontlk 

4  ^^^  ^  piecar  di  ciò.  Non  adirartene.  -*«  Sia  pure  id  quia.  Pensa ,  badn 
a  ciò  che  più  imporU,  -^  Ti  #<i<r  il  doyefé.  Ti  succeda  ^uel  chó  tu  noTìik 


sBcoLa  DBasxosETTiaio  aSi 

Ogni  doglia ,  ogni  aflfanno  a!  Ina  fratello , 

Ed  io  ten'  entro  già  malleTadore* 

Yientene  dnnqae  meco ,  e  sta  in  cerTelfo  y 

Camtniaa  piano ,  <e  fa  poco  romore  ; 

Che  se  e' CI  sente  a  sorte,  o  scnopre  il  cane, 

Non  occorr' altro,  noi  abbiam  fatto  il  pane'. 

Con  questi  arrisi  ,  Brunetto  e  il  sno  servo  seguitando  Pigolone  avvia- 
roDsi  alla  casa  di  Magoito  :  il  quale ,  stando  come  aolera  all'  erta  ,  si  accorse 
della  loro  veAuta  ,  e  preso  il  vecchio  romito  lo  cacciò  in  un  sacco  ,  e  Io 
sospese  al  palco  d*  una  sua  starna  ;  poi  luci  cercando  un  bastone  per  farne 
vendetta.  Brunetto  allora  entrato  col  servo  liberarono  -il  romito ,  e  chiusero 
nel  sacco  il  cane  di  Maj|orto ,  con  alcuni  piatti  e  vasi  di  terra ,  e  con  due 
fiaschi  di  via 'rosso.  Postisi  poi  tutti  e  tre  in  agguato,  come  videro  rientrare 
nella  stanati  Magorto,  col  chiavistello  ch'era  di  fuori  lo  serrarono  dentro;  dov« 
egli,  credendosi  percuotere  il*  romito,  martellò  i  fiaschi  del  vino  ed  il  cane. 

Brunetto  in  qtiesto  mentre  col  suo  fante 
Avéa  dì  già,  scorrendo*  pel  giardino. 
Il  luogo  ritrovato,  e  quelle  piante, 
.    Ov'  è  colei  che  chiede  il  sno  Nardino  : 
E  già  1*  ha  tratta  fuor  beli'  e  galante , 
Che  non  si  fedde  *,  mai  il  più  bel  sennino  ; 
E  con  un  sno  bocchi n  da  sciorre  aghetti  ^ 
Chiede  da  ber^  ma  non  già  se  4*  aspetti. 
'  Perch*  ei  del  certo ,  in  quanto  a  contentarla , 
Non  ci  ha  ne  meno  un  minimo  pensiero  t 
E  però  quante  Tolte  ella  ne  parla , 
Mata  discorso ,  e  là  riduce  al  zero  ; 
Ma  perch^ella  è  moizÌQa^i  e  colta  ciarla 
Le  monache  trarrìa  del  monastero, 

1  Abbiam  fatto  il-pane  e  un  modo  proverbiale  che  significa  Non  y*  hm 
spUrtmia  pia  di  riutctre  a  quel  éhe  ^cérehiimto, 

a  Si  v€3Sie»  Si  vide.  -—  Sèmidnà,  da  senno ,  diceli  per  vesso  ad  una  gio- 
vane bella ,  graziosa  e  prudente. 

3  As^^ti  soào  €^ii^  jfuntaH  di  ottone  o  di  latta  in  cui  finiscono  le  cor- 
dicelle  o  stringhe  per  alKiceiar  Busti  e  simili.  iMCesf  bocchino  da  seionit 
éghetti  di  quelle  donne  che ,  credendosi  p^rer  héìé  ,  tengono  la  bocca  più 
strttta  del  naturale ,  cerne  fa  chi  vuole  co*  labbri  e  co*  denti  sciogliere  un  sodo. 

4  tossina»  Malisiosa.  ^l"^ 


iSa  i.Emm4TiniA  italuiij[ 

VeJef  che  «'elia  buda  troppo  a  diref 
Si  lascerebbe  forte  conrerlire. 
(Però  per  doq  oadere  in  cfoesto  errore. 

La  piglia  a  ao  tratto  e  se  la  porta  ili  strada  y 
Ed  al  vecchio  *  fii  dir  pel  servitore , 
Cbe  piò  tempo  non  è  di  stare  a  hada« 
E  cli^  ei  De  venga  ,  db'  ei  V  aspetta  fuor^  i 
Acciò  con  essi  apeb^  egli  se  ne  vada , 
Cbe  li  non  vQol  lasciarlo  nelle  peste  ^  « 
Ha  condarlo  al  paese  alle  lor  feste. 
Cosi  di  Jà  poi  tQ(ti  fér  partita. 

Ha  pili  é*  ogn^  aKro  allegra  la  fancinlla  ; 
perchè  non  prjopia  in  ddl'  orto  uscita , 
Ch^  ogni  incantp ,  ogni  voglia  in  lei  s'annuita: 
Anu  a^  lor  preghi  in  sai  cavai  salita  f» 
Senta  pici  ragionar  il  ber  né  nulla. 
Va  sempre  innuoti  agli  altri  un  trar  di  mano, 
'    Fiera  e  biuarra  come  un  capitano. 


/ 


Hagorto  intanto  fiofflroente  stracco 

Di  menar  il ,  randello  a  (|uel  partito  ^ , 

Sciolto  ^ed  apertQ  avendo  ornai  cfuel  saoea , 

Per  cucinar  la  farne  del  Romito  ; 

Ed  in  quel  cati^bio  vislovi  il  suo  bracco  , 

Tra  coccia  e  vf(ri  macolo  e  basito, 

Resta  maraviglialo  in  una  forma  , 

Cb'  ei.  bon  sa  s!  fi  sia  desio  o  s^  ei  si  dorma. 


1  jit  vecchi;  AI  romito  i.  liiiiMl»  a  ytàa»  qntl  clie  fiieew*  Mafoit^k 
Z  ^feile  p^sU*  Kel  pexieolo.  la  ^piest»  cigiaificato  il  {irìmo  e   di  pule  si 
proauiMÌA  stretto,  —  JUe  larfiste.  Alle  fette  dì»  $i  farebbero  per  Iv  aone* 

3  //  ruHdeUo,  Il  bMtaa».  — •  ji  ^uel  pariUo.  A  quel  modo  che  si  disie 
l^k  coiuro  il  sacco  in  cui  credeva  die  fosse  ancora  il  romite, 

4  Cwci,  l  rottami  dei  t«iì»  •—  Macola  e  òmUo*.  Makoneio  e  motto  daJU 


tscoLC»  i>iGniDSETTtMo  a83 

S  lo  peroossi  quel  Teccbio  inariiio|.o^^  v  ^ 
Com'  ho  io  faUo  (  disse  )  un  eaotciclìó  ? 
So,  ch'io  lo  presi,  e  lo  «errai  qua  solo. 
Che  gQOD  >  potea  Teflerint  o  dar  fastidio  : 
Jfon  so^  »*  io  sono  il  Grasso  LegQajuolo  ^    ^ 
A  queste  meta morfosj  d*  Ovidio , 
Che  SODO  in  Ter  meravigliose  e  strane j. 
Poiché  un  Romito  mi  diventa'  un  cane« . 

Cane  infelice,    povero  Mela m pò  ! 

Che  netto  qoa^tenéi  qnanto  si  scerne! 
Chi  pili  farà  la  guardia  al  mio  bel  cnmp# 
Adesso  ,  che  l^lrni  chiuse  le  l.mtern^.^? 
Io  ho  una  rabbia  addosso  eh' io  avvampo  , 
Con  qoel  veochiaccio,  barba  d'  Olofei'.De, 
Che  al  certo  fatto  m^  ha  cosi  bel  ginoco: 
Che  du|>bio?  metterei  le  maa..nel  fiiopoi. 

Ohimè!  le  inie  stoviglie  e  il  vin  di  Chianti, 
Ch'io  tolsi  in  dar  la  caccia  a  un  vetturale, 
A  cagioD  di  quel  (risto  graffiasanti  ^ , 
In  an  tempo  e  .versatole  ito  male. 
Giaro  al  ciel ,  .Ch"*  io  npa  vuo'  ch^  ei  se  ne  vanti  : 
E,  s^ei  non  vola,  può  far  capitale  ^ 
Ch!  ip  voglia  ritrovarlo  :  e  a'  ^i  e'  incappa  , 

-  Che  mi  venga  la  rabbia  s'  ei  mi  scappa. 

.  Jéù  troverà  bensì ,  perch^  io  vno'  ire 

Qua  intorno ,  per  veder  s' io  Io  rintraccio.  - 

Cosi  corre. alla  porta,  per  uscire;. 

Ma  el  non  può  farlo,  perch'e^  v'è  il  chiavaccio  ^: 

I  élniM  per  Ifiwif  ^  Toce  del  disdetto. 

a  II  Grasso  ec*  Que«u>  Grauo  fa  uà  Ugoajitolo.  fioi«ntioo   «ht  parila 
iva  grando  «implicita  si  penoase  di  esser  diveinito  un  aItro« 

3  Le  lantèrne*  Gli  occhi. 

4  Grt^asantì.  Bacchettone  ,  Ipocrita. 
^  Pu(i  far  capitale.  Può  essere  certo. 
%  Il  chiavaccio*  Il  cbìavislello. 


284  LBTirEKATOlUL  ITAUjiVl 

Lo  scaote  e' sbatte,  per  mièr  aprire 9 
Ed  or  ▼'  altaeca  V  odo  ,  or  T  altro  braccio: 
Nojato  alfine  Taone  e  corre  ad  alto, 
E  da'  balconi  io  strada  fa  ob  salto* 

Accortosi  poi ,  alla  tìsU  dal  cocomero  diviso ,  delta  fànciiilla  cba  (ti 
baBDo  rapita,  monta  ia  maggior  foton.  Ma  intanto  la  fanciulla  co^li  altri  è 
f  insta  doT*  à  Nardinp. 

Entra  la  Donna  ,  col  Romito  appresso , 
E  coininciaro  a  pianger  ambedoi  t 
Entra  i!  .famiglio ,  e  aneh^  egli  fa  lo  stesao , 
Senza  saper  perchè,  ne  meo  per  cai: 
Troyan  Nardino  ancor  di  male  oppresso  « 
E  sbìetolar  '  lo  veggono  ancor  lai  : 
L'Astante*,  che  porgeTagli  l'orzala. 
Pur  ne  facera  la  sna  qnattrinata. 

Ràrdìn  vede  colòi  beli'  é  vezzosa  ^ 
Cora'  appunto  V  ajeva  nel  pensfero , 
E  dice  :  Ben  venata  la  mia  sposa , 
Voi  mi  piacete  a  fè  da  cavaliere  ; 
Ma  voi  piangete?  Ditemi  una  cosà  ' 
Voi  ci  venite  a  malincorpo  ^ ,  è  vero  ? 
Non  vogliate  risponder  eh' et  non  sia, 

'    Perchè  voi  mi  diresti  nna  bagia.  •* 

Mettete  pur  cosi  le  mani  innanzi^ 

(  Rispond' ella  )  Signor,  per  non  cadere; 
Ment-e,  temendo  ch'io  non  mi  ci  stanzi  ^, 
Specorate  si  ben ,  eh'* egli  è  un  piacere: 

I  Sbietolare.  Piangere  scioccamente. 

£  £'  Jstante,  V  infermiere.  —-  Dicesi  poi  Fort  una  quattrinàta  di  pianta 
'o  d*  altro  ,  in  senso  di  Piàngere  assai  per  poca  o  niuna  cagione, 

3  A  malincorpo  ed  A  malincuore  valgono ,  Cantra  genio ,  Mal  volentìetr. 

4  Mettete  pure  ec, .  Dite  pure  a  me  quello  eh'  io  dovrei  dire  a  ▼ci. 

5  Temendo  eh*  io  ec. .  Temendo  di  vedermi  fermare  la  mia  stanca  ,  la 
mia  dimora,  pressQ  di  voi,  specorate,  cioè  piangete  belando  come  una  pe- 
cora ec. .  .    ; 


SECOLO   DEGIHOSETTIHO   '  ^tS 

Ch'io  mi  TI  levi 9  ditemi^  dinanzi, 
Chè^  Yoi  non  mi  potete  pia  vedere, 
Senza  darmi  la  burla;  ch'io  m' acquieto, 
E  senza  replicar -do  yolta  a  drelo. , 

Ffè-sossopra  la  man  non  volterei  *, 

Cbè  r  andare  e  Io  star  mi  son"  tntt*  una: 
E  bench'ai  mondo  io  sia  come  gli  Ebrei, 
Che  non  han  terra  ferma  o  patria  alcuna; 
Aiidrò  fSensando  intanto  a'  fatti  miei , 
Per  veder  di  trovar  miglior  fortuna  ; 
Perchè,  come  diceva  mòna  Berta, 

-     Chi  non  mr  vuol ,  sego*  è  che  non  mi  merla*  -- 

Ed -ei  risponde:  Ohimè,  Signora  mia! 
Non  vi  levale  in  bacca  *  cosi  presto: 

f    S*  io  non   v'  ho  detto  o'  fatto  villania  , 
Perchè  venite  voi  a,  dirmi  questo? 
Abbiate  un  pò*  più  flemma  io  cortesia,  ^ 

Ch'  ogni  cosa  andrà  bene  in  quanto  al  resto: 
Yoi  siete  bella ,   ed  anco  di  più  sposa  ; 
Però  non  voglia!' esser,  dispettosa.  »- 

Ella  soggiunge ,   ed  egli  ribadisce  ^  :    : 
Ella  non  cede ,  ed  ei  risponde  a  tnono  : 
Pur  gli  acquieta  Brunetto,  e  alfin  glj  finisce, 
Sicché  I'  an  1'.  altro  ehiedési .  perdono); 
Ma  noi»  ^ér  questo  il  lagrimar  finisce,' 
Ch'» -ognora  in  casa,  e,  fuora  ,  ovuhqne  sono 
(perchè  sempre  si  smoccica^  e>si  cola), 
Hanno  a ,  tenere^  agli  occhi  la  pezzuola. 


I  Jfh  sostopra  ec.  •  E  an  proverbio  per  sigiitficare  :  Ne  farei  pvire  uà  passo 
per  far  si  cbe  la  cosa  andasse  altriinenti ,  giacche  ec.  • 

3  Non  vi  levate  «e..  E  un  altro  proTerbio:  Non  montate  in  eollera. 

3  Ribadisce,  Kepllca. 

4  Si  emoccica.  Si  manda  escrementi  dal  naso ,  come  succede  a  ahi  -pianfe. 


286  LCTTEB4TUBÀ   ITlLlAfiÀ 

Vivono  in  somma  in  an  contiotio  piando  ,  ' 
Piangono  i  servi ,  e  piangoo  gli  animali  ; 
Onde  il  guazzo  per  terra  é  tale  a  tanto. 
Che  e'  portan  tatti  qaanti  gli  stivali. 
Ma  torniamo  a  Magortp ,  che  frattanto  y 
Pe^  saper  qael  che  sia  di  questi  tali  « 
E  dove  la  saa  figlia  si  ritrovi. 
Ha  fallo  al  consueto  incanti  nuovi. 

E  veduto ,  eh'  eli*  è  tra  buona  gente , 
Moglie  d*  nn  ricco  e  nobil  bacila  lare  *  « 
E  che  giammai  le  poò  mancar  niente , 
Perch'ella  è  itf  una  casa  come  an  mare*; 
Kon  vi  so  dir,  s^ei  gongola^,  e  ne  sente 
Contento  grande  e  gusto  singolare, 
Di  modo  eh'  ei  si  pente ,  affligge  e  duole  , 
Di  quanto  ha  fatto ,  e  risarcir  io  mole# 

E  il  rUarctmeiito  fii  qaetto ,  die  raecobe  da  mi  sAo  albero  ima  gvaa  qiuuit 
tHk  di  pomi  4*  oro ,  e  U  mcò  per  dote  alla  fimaiilla.    • 

Gli  sposT  allor  brillaDdo  con  Brunekto 

Gli  Irendon- grasie,  e  fan  grata  acceglienia  ; 
Ed  ordinato  un  grande  e  bel  banchetta. 
Reiterar  le  none,  in  sua  presenEai 
Ed  egli  poi  al  fin  con  ogni  aflfetto 
Riveri  tutti ,  e  voHe  far  partenza  ^ 
Lodandosi  del  fprlo  del  Romito , 
Che  si  ^raod'  allegrezza  ha  partorito. 

1  Bacealare  dicevaai  per  Uono  di  graa  conto  j  aa  poi   k   divenuta   voee 
ivopria  soltanto  dello  stile  burlesco. 

2  Come  un  marej  cioè:  Sempre  piena  di  roba. 


SECOLO   DECtMO»ETTiaiO  28) 

BxxrsDKTTO  BroMUATTBÌ  prete  fiorentino  fu  lettore  in  Pisa  di  lingua  t&§ea» 
9ut ,  della  qnale  poi  si  ^se  assai  benemerito  colle  sue  Opere.  Dopo  il  Beai* 
bo»  «sl>  0  il  Cinonio  (ilP.JtfamLelli)  cpntribuirono  più  di  tutti  a  ridurre  U 
nostra  lingua  sotto  leggi  grammaticali.  Nacque  addi  9  agosto  l58i>  e  mori 
nel   gennajo  del  1647* 

,  «  * 

DtW  autorità  del  popolo^  e  di  quella  de^  tcriuori^ 
nella  nuUeria  delle  lingue, 

A  me  pare  cbe  per  bene  Apprendere  una  liogaa  tien 
necessari  non  meoo  gli  scrittori  che  il  popolo,  pè  qoeslo 
meno  di  qaelli.  Ma,  siccome  io  piglio  per  popolo,  wnt 
la  sola  feccia  d^lia  plebe,  ma  il  corpo  tutto  della  citta* 
dinansa  noita  iasleme  ;  cosi  per  isorittori  '  rateodo ,  non 
og;ni  "fatko  composilor  di  leggende,  ma  quelli  che  scrifon 
regolarmente,  e  intendon  ia  proprietà  delia  lingua.  Qaè* 
sti  e  quegli  (dico)  seno,  al  parer  mio,  necessari  per 
bene  apprenderla  ;  perchè  il  popolo  è  quel  che  forma  le 
lingue  e  le  sue  regole,  almeno  materialmente;  gli  scrit<4 
tori  sen  que'  che  le  raccolgono  e  stabiliscono.  £  se  la 
graoamaliea  non  è  altro  che  una  scienxa  di  parlar  per  US04 
potremo  dir  che  quest'  uso  si  debb'  apprendere  dal  pò* 
polo  ,  come  da  autore  e  padrone;  e  -la  scienza  si  rcon^ 
Tenga  pigliar  dagli  scrittori,  come  da  maestri  e  iRterpetrL 

Ma  foiose  che  questo  è  un  poco  lasciarsi  intendere.  Dico 
perciò  che  nelle  lingue  si  consideran  principalmente  cin- 
que cose.:  i  corpi  de*  focaboli,  le  passioni  o  accidenti  di 
essi,  i  modi  dell'accoppiargli  insieme,  le  Sunne  del  di- 
re ,  e  la  pronunzia. 

I  Tocaboli  sono  o  naturali ,  cioè  originari  di  quella 
lingua  doT*  e*  si  parlano  ;  o  sono  traslati  ;  o  forestieri  ;  o 
composti^  I  naturali,  stimo  eh*  e' bisogni  prenderli  donde 
e*  sono.  Perchè  molti  se  ne  forman  dal  popolo  tutto  dì, 
che  ancora  non  sono  stati  registrati  dagli  scrittori;  e  molli 
se  ne  trojan  negli  scrittori ,  che  già  sono  andati  in  di- 
menticanza del  popolo.  A  tal  che  il  Tolersi  ristringer  su- 


%%%  LETTERàtOni    ITALlÀlfà 

perstìiiosa mente  a  questi  solo,  o  solo  a  quelii ,  non  sa<* 
rebbe  altro  cbe  an  privarsi  a  bella  posta  di  buona  parie 
di  significanti  vocaboli.  Il  medesimo  si  potrebbe  qaasi  dire 
de^  vocaboli  traslati ,  o  forestieri ,  o  composti  :  perchè  e  il 
pòpolo  e  gli  scrittorr  unitamente  concorrono  ad  arricchirne 
la  lingua.  Ma  percnè  gli  scrittori  ne  compongono  alla 
giornata  ,  e  ne  trasportano  da  altre  lingue ,  e  ne  caTano 
da  fari  significati  in  più  abbondanza  del  popolo,  |iare 
ehe  in  questo  si  deb)>a  a  loro  la  preminenza  ,r  e  non  al 
popolo* 

Ha  quanto  alle  passioni  e  accidenti  di  essi  vocaboli,  e 
quanto  alle  accoppiature,  dette  scolasticamente  concordane 
se,  egli  non  ha  dubbio  che  gli  scrittori  seri von  più' pen- 
satamente, e  sono  più  accorati  ;  dove  il  popolo  parla  più 
à  caso,  e  perciò,  bisogna  eh*  eVrie^ca  meno  accurato.  A 
tal  che  e*  sarà  meglio  ricorrer  nel  primo  luogo  agli  scrit- 
tori; e  da: essi  apprender  le  regole  del.  variare.  e.delFac- 
coppiare  i  vocaboli,  ^a  dove  queste  regole  ùon  si  veggan 
negli  scrittori  così  piene ,  o.  non  cosi  ehiare  e  .stabili , 
o^me  si  vorrebbe ,  allora  si  può  ricorrer  alla  voce  viva 
del  popolo  per  supplì  mento  o  dichiarazione  ;  perchè  gli 
scrittori  non  dicon  tutto;  perchè  tutto  loro  non  sovven- 
ne, «  loro  non -bisognò,  o  non  si.curaron  di  scrivere* 

Quanto  poi  alle  forme  del  dire,  io  rispondo  il  mede- 
simo che  de'  vocaboli.  Perchè  se,  il  popolo  avrà  una  o 
altra  forma  di  dire  bella  e'  graziosa,  non  meno  che  espli- 
cante ,  non  la.dubbiam  ricosare  perchè,  gli  scrittori,  non 
r  abbian  usata  ;  che  questo  sarebbe  un  riprender  tutti 
gli  scrittori,  che  avessero  primi  usata  quella  o  queir  altra 
frase  :  e  così ,  poiché  lutte  sono  state  usate  prima  da 
uno  ' ,  di  tutte  bisognerebbe  cbe  ci  privassimo.  Né  meno 
ce  ne  dobbiamo  astenere  perchè  il  popol  non    V  osi)   o 

X  J>a  MAC.  Dft  00  solo  fcrìttor*  >  quando  niim  altro  le  aver»  vsaU. 


—  1 


SEGOLO    DCCiaiUS£TTiaiO  ^8^ 

noa  V  abbia  usate  giammai:  perchè  ciò  verrebbe  a  pri»- 
Tare  gli  scriUori  del  }>ot«r  con  la  lor«  radasi  ria  arricchir 
di  DU9ve  frasi  le  Uogoe;  e  cosi  lasciarle  sempre  in  un'afi 
Ama^a  iniseria. 

Egli  è  beo  vero  cke  pelle  bocche  degli  aomini  si  hanoo 
le  materie. tulle  io  generale  e  io  confuso;  nobile   e   pie- 
bléa  ^  grave  e  burlesca,  tragica  e  civile,  slorica  e  orato- 
ria ,  negoziati  va  e  dottrinale  ;  e  queste  ,   cosi    spezzate  e 
a  miauio^  e  bene  spesso  cosi  alla  sfuggila,  che  altri  bob 
può  sentire  in  molt'  anni   tutto  quel   che   gli    fa   bisognò 
per  beoé  apprenderla  '  ;  uè  lutto  quel  che  ha  sentito,  si 
può  mandar  a  naemoria  eosi  facilmente  ,    né    tolto    si   è 
potuto  osservare.  Dove,  oe^ libri  «i  hanno' le  mat^ie  pia 
distinte  in  ispe^ie;  p  nobile. o  plebea,  o. grave  o  burle- 
sca, o  tragica  o  civile,  e  slorica  o  oratoria,  o   negozia* 
ti  va  o  dottrinale;  e  tutte,  cosi,  unite  e  eoplosameo^,  che 
ciascuno  ai  può  in  non  molto  tempo  spedire  di  q^el  che 
gli  fa  bisogno;  tanto  più  che  leggendo   le   cose   con    più 
quiete,  alt:ri  l'osserva  più,  e  pia  facilmente  se  ne  ricor- 
da. Onde,  eoo  accostarci, al. popolo,  si   può  aver  quella 
cognizioo  della  liogua,  che  hanno  coloro  della  tetta,  che 
vaooo  personalmente  visitando  or  questa    or    quella   pro« 
vincia  ;  vera  sì ,  ma  spezzata  e  poca  ;  perchè  non  si  può 
veder  se  non  una  cosa  per  .volta ,  né  quella  si  vede  mai 
tolta.  E  U  ricorrer   agli   scrittori   ce   la   farà    aver    come 
i'  hanno  coloro  che  sjtodiao  la  cosmografia  su*  mappamon- 
di; dove  veggendo  riposatamente   tutto   a    un    tratto,   e 
potendo  riconsiderarlo  quante  volle  par  loro,  vengono   a 
cavarne ,  se  non  più  certa  ,  almeno  più  ferma  e  più  sta* 
bil  dottrina. 

La  pronunzia  finalmente  non  si  può  cavar  ne  ben   né 
presso  *  degli  scrittori.  Perchè  tutte  le  cose  si  scrivono  a 

X  Per  bene  apprenderla.  Per  bene  apprender  la  lingua. 

a  CÌMt  Me  iMne  nò  ia«diocrtaiaBtVy  ^è  del  tittto  ne.  per  la  più  parVB. 

LSTTIftAT.  ITÀL.  ^  IV  a5^        - 


.2C)0  LETTEnATUItA    ITALU94 

un  modo  ,  né  si  posson  pidiunneiile.  accennar  csolP  orto- 
grafia. Onde  per  esM  bisogna  «Uà  fine  ricorrere  alla  tìts 
voce  del  popolo:  come  «ncbe  per  €»rte  proprietà,  le  qnalj 
non  si  troran  ne^  libri,  né  si  posson  esplicar  con  la  peona 
jda  qnalstsia  benché  dotto  e  JAigeDle  scrittore. 

'  GiÀMBATiSTA  MAaiKi  nacque  in  N«poU  nel  l5^,  e  morì  in  Roma  l'aoao 
162^.  Ebbe  molto  ingegno  ,  ma  Iraviò  dal  buon  gwrtó  ,  e  fu  di  coloro  che 
pivi  coiruppero  la  nostra  poesia.  Molte  bèlle  inspiraalòvi  s*  incotitnuio  qiu  e 
ìk  nelle  sue  opere  espresse  con  grande  cestigatena  di  iianagini  •  di  siile: 
ma  h  doloroso  che  trovinsi  quasi  sempre  frammiste  a  cose  4i  cattiro  gnsto, 
e  spesso  anche  immorali.  La  principale  ira/ le  sue  Opere  è  wa  poema  inti- 
tolato V  Jdone^ 

Sonetto, 

Il  Murtola  è  un  aom  di  trent'  otto  anni , 

Bello  e  diritto ,  come  Voi  vedete  ; 

Solo  in  guardarlo  subito  direte  s 
«  Costui  dovrebbe  afer  nome  Giovanni. 
Egli  fa  il  montrnbanco,  e  non  è  sanni  ' , 

Né  semplicista  ,  e  scrive  delle  biete  ; 

Porta  la  veste  lunga  ,  e  non  é  prete; 

Ha  le  fischiale  ,  e  non  è  barbagianni. 
Fn  calato  nel  mondo  con  V  uncino , 

Fu  dottorato  in  mes2o  ad  un  bottaccio, 

E  canta  da  pitocco  Spoletino. 
Scrisse  anco  di  baie  un  volomaccio. 

Volse  *  un  giorno  discorrer  col  Marino, 

Ed  ebbe  del  buffone  sul  mostaccio. 

Carlo  IMaria  Maggi  ,  segretario  del  Senato  di  Milano  sua  patria ,  e  pio* 
fessore  di  lingua  greca  nelle  scuole  Palatine,  mori  di  settantanove  anni  nel 
1699.  Scrisse  molte  belle  poesie  anche  in  dialetto  milanese. 

SonettL 

Mentre  aspetta  l'Italia  i  venti, fieri, 
E  già  mormora  il  tuon  nel  nnvol  cieco, 

ì  Fa  il  ec. .  Vuol  dire  che  non  sa  fior  bene  nemmaaco  il  bufibne. 
2  FoIm.  Volle. 


SBGOLO    DECI3rOS£TTf»0  29  I 

In  chiaro  slil  fieri  presagi  io  reco, 
E  por  anco  non  desto  i  suoi  DocebierK 

La  misera  ha  beo  anco  i  remi  io  ter  i  ' , 
Ma  forliiDa  e  valor  non  son  più  seco; 
£  tuoi  r  ira  cradel  del  destia  bieco 
Ch*  ognap  prevegga  i  mali ,  e  ognuo  disperi. 

Ha  parche  V  altrui  oave  il  reoto  oppriora , 
Che  poi  mioacci  a  aoi,  questo  si  spreiza , 
Qaasi  sol  sia  perire  il  perir  prima. 

Darsi  peosier  de  la  coma  a  salvezza 
La  moderaa  viltà  periglio  stima , 
E  par  teotara  il  noa  aver  fortezza* 


Laogi  vedete  il  torbido  torrente, 

Ch*  urta  i  ripari ,  e  le  campagne  ioonda , 
E  de  le  stragi  altrui  gonfio  e  crescente , 
Torce  su  i  vostri  campi  i  Scissi  o^  V  onda. 

E  pur  altri  di  voi  sta  qegligente 

Sa  i  disarmati  lidi,  altri  il  seconda*. 
Sperando  che  io  passar  1'  onda  Docente , 
Qualche  sterpo  s'  accresca  a  la  sua  sponda. 

Apprestategli  pur  la  spiaggia,  amica; 
Tosto  piena  infedel  fia  che  vi  guasti 
I  nuovi  acquisti  ,  e  poi  la  riva  antica* 

Or  che  oppor  si  dovrian  saldi  contrasti. 
Accusando  si  sta  sorte  nemica,: 
Par  che  nel  mal  comune  il  pianger  basti  ! 

Giace  r  Italia  addormentata  in  questa 

Sorda  bonaccia ,  e  intorno  il  ciel  si  oscura , 

I  /  remi  ec. .  Per  tvaslato  •*  intondono  anni,  ricchene  e  ^ixanl'.  altro  oc- 
corre alla  difesa  delle  nasioni. 

%  li  Seconda,  Seconda  il  torrente ,  ciob  le  discordie  ^  le  guerre ,  lo  in- 
vaàoni  ec. . 


Skf^X  LETTEHATOftA   ITALIAÌfA 

£  p«r  eHa  si  sta  chela  e  sicura , 

E ,  per  itaolto  che  tuoni ,  ùom  non  si  desia. 

Se  pur  ulano  il  palrscalmo  appresta, 

Pensa  a  sé  stessa ,  e  <fel  vieto  non-  cura  9 
E  ral  sì  lieto  è  dèi!' ahrui  Sfentui^a; 
Che  non  Tede  ifi^  altrui  la  slia  tempesta. 

Ma  che?  Quest* altre  tavole ^ minate. 

Rolla  V  anleniia  ^  e'^  pòi  soaarrito  il  polo  , 
Yedrem  tutte  ad  un  tempo  andar  perdute. 

Italia,  Italia  miai  quest*é  il  niio  duolo*:      ^ 
Allor  siam  giunti  a  disperar  isniute-,  ' 
Quando  spera  ciascan  di  campar  ìolp.  ^ 

G.  B,  FxEicx  Zappi  da  Imola  nacque  nel  16Q7  t  morì  nel  l'J^^ 


•   i 


SgnetiQ.  •  ì 


AlBn  còl  teschio  d'  atro  sangue  intrisa 

.  ' . .     r        i      •       '    >    .  l 

'  Torpò  la  gran  Giuditta ';  e  ognun  di^ea: 
Viva  r  eroe  :  -  nulla  di  donna  avea  ,      -, 
Fuorché  il  tessuto  inganno  e  il  raso  TJsd. 
Corser  le  verginelle  al  lieto  aVviso; 
/  Chi  il  pie,,  chi  il  maqto  di  baciar  gojea: 
La  destra  no,  che  ognpn  di  Jei  temea     , 
Per  la  memoria  di  quel  mostro  anciso* 
Cento  profeti  alla  gran  donna  intorno,     . 
Andrà  (  dicean  )  chiara  di  te  memoria    . 
Finché  il  sol  porti  e  ovunque  porti  il.  giorno. 
t  ^  Forte  ella  fu  nelF  immortai  vittoria; 

Ma  fu  più  fòrte  allor  che  fe^  ritorno, 
I  Standosi  tutta  umile  in  (anta  gloria, 

Fau«t»a  IdABATTi,  moglie  del  Zappi  a  c^i  «opr^vvi&sf^ 

Sonetto, 
Scrivi,  4dI  dice  un  generoso  sdegno 

Che  in  cor  mi  siede  armato  di  rasibne  « 

1  Giuditta  che  uccise  Qloferqe, 


SECOLO   DECIMOSBTTnifO  ^93 

Scrivi  V  iniqua  del  ttro  mal  cagiene , 
E  scopri  pur  T  altrui.  li  ?or«  indegno*. 

Mi  scuoto  oHur  qoal  della'  tromba  al  segno 
NubiI  destrier  che  non  attenda  sprone  : 
Ma  sorge  un  peosier  nno?o  e  al  cor  si  oppone  ; 

.    Ond*  io  fo  di  me  stessa  a  me  ritegno. 

Ko  9he  a  vii  nome  e  ad  opfe  rie  non  TOglio 
.  Dar  vita  :  e  lascio  pur  che  il  tempo  in  pace 
Cangi  r  asprez7.a  d^  ogni  mio  cordoglio* 

Cosi  del  Yolgo  reo  vendetta  face 

Chi ,  piena  1'  alma  d^  onorato  orgoglio  , 
Sea  passa  altier  sopra  V  offeso  ;  e  tace* 

ÀLXSSAifDRo  Marchetti  nacque  a  Pontormo  nel  i63i  ,  e  mori  profenort 
di  matematica  a' Pisa  Tanno  1714*  L'opera  che  veramente  lo  illustra  «  la 
l>cUa  versione  di  T,  Lucrezio  Caro  pubblicata  dopo  la  sua  morte  dal  RolK 
ia  X,oiMdra. 

Sonetti 

Tremendo  Re,  che  ne'  passati  tempi 
De  V  infinito  tuo  poter  mostrasti 
Si  chiari  segni ,  e  tante  volte  agli  empi 
L^ altere  corna  a  un  cenno. sol  fiaccasti; 

Di  quel  popol  fedel,  clie  tanto  amasti, 

'  Mira ,  pietoso  Dio ,  mira  gli  seempi  i 
Mira  de  l'Austria  in  fieri!  inceudi  e  vasti 
Arsi  i  palagi  e  desolati  i.  tempi. 

Mira  il  tracio  furor  ^,  che  intorno  cinge 
La  regal  Donna  del  Danubio,  e  tenta 
Con  .mille  e  mille  piaghe  aprirle  il  fianco. 

Tremendo  Re ,  che  più  s^  indugia  ?  Ed  anco 
Neghittosa  è  tua  destra  ?  Or  che  non  stringe 
Fulmini  di  vendetta ,  e  non  gli  avventa  ? 

1  QtMsto   sonetto  h  scrìtto  contro  uno  che  avoTa  gettaU  villanamente 
in  Tolto  alla  'Maratti  un*  ampolla  piena  di  liquor  nero. 

2  //  tracio  ce. .  I  Turchi  che  assediavano  Vienna. 

a5* 


9L9'|  fcBTTBIIArVIlA  ITALUKA 

Amor>  eo^teS  che  ia  forma  alta  e  perfètta 
Ne  mostra  «a  raggio  di  Iteìik  celeste  > 
E  con.  le  rare  sae  maniere  oneste 
1/  aloM  gealiii  a  ben  amave  alletta  ^ 

Certa  cred'  io  y  cbe  da  te  fosse  eletta , 
Perch^  ella  eccelse  ia  me  virtudi  iooeste  » 
Ondalo  ratte  al  bea  far  quindi  m^appreste^ 
Seguendo  ler  che  terso  M  ciel  s*  afiretla. 

Poiché  se  gii  occhi ,  o?'  è  *l  tuo  proprio  alhergo ,. 
Ver  me  ritolge ,  indi  gP  inchina  a  terra , 
Ogni  basso  desio  del  cor  mi  sgombra* 

Allor  de*  scasi  miei  pace  ha  la  guerra  : 
Allor,  voltando  al  cieco  mondo  il  tergo  ^ 
Stimo  ciò  eh^a  lui  piace  un  sogno,  un'ombra. 

PsAKCMCo  LsMiVK  Bachile  di  nobU  luaif^ia  in  Lioàk  V  «ima  1,63^    Morì 

Odèsa  Tei^inella^^ 

Piangeodo  il  sue  destino^ 

Tutta  dolente  e  bella  y 

Fu  cangiata  da  Gìotc  in  aogellhio. 

Che  canta  dolcensenle,  e  spi^a  il  volo  & 

^  questore  r  usignaolo. 

In  verde  colle  udì  con  sqo  diletta 

Cantar  un  giorno  Amor  quelP  augetlelto; 

£  del  canto  Javagh ito  , 

Con  miracol  gentil  prese  di  Gieve 

Ad  emular  le  prove* 

Onde,  poi  ch'ebbe  udito 

Quel  musico  usignuol,  che  s)  soare 

Canta,  gorgheggia  e  trilla, 

Cangiollo  in  verginella  t  e  questa  è  Lithh- 


\ 


SECOLO  DEcmosETTiaro  295 

Madrigale, 
Tirsi,  qael  pastoreUo 
^    '  Che  la  rosa  a  Maria  già  data  area, 
Plcciol  pomo  ma  caro  in  man  strtngea* 
Dammi ,  disse  Maria ,  pomo  si  bello  ; 
Ma  «chiro,  rilroselto 
La  man  ritrasse  al  petto. 
Allor  disse  Maria t  Guarda  che  core! 
O-  dammi  il  frutto,  o  eh'  io  non  curo  il  fiore^ 

JkMmatÀ.  BAtijUxA»  MMtor  boIogMse,  bm^  nel  I66& 

Sonetto. 

StigltaBo  mio,  quei  tuoi  Tersacci  sciòcchi 
Sodo  ^osi  scipiti  e  così  stracchi , 
Che  iodarno  puoi  sperar  che  lu  gli  attacchi 
Ad  alcua  che  vi  spenda  due  baiocchi. 

U  alice  e  1  cavSai  '  giocano  a  tocchi 

Chi  da  quel  libro  tuo  più  carte  slacchi, 
E  le  bottéghe  n'^incaparran^acchi 
Per  adoroarsen  poi  di  frange  e  fiocchi. 

Tutti  gli  amici  tuoi  son  stracchi  e  stucchi 
Di  quei  strambotti  sciagurati  e  goffi, 
C  hanno  infangato  il  foot^  d*  Aganippe  \ 

Io  tei  fo^  dir,  né  occor  che  sbuffi  e  soffi. 
Se  incontravi  l' età  de'  Vari  e  Tocchi ,  . 
T' incoronavan  di  saracche  e  trippe. 

Gio.  Lbosjb  SxHPBOKio  da  1Jj[l>in0  >  autore  d^  un  poema  ìntUolato   ii  Soe" 
tnotuh^  mori  nel  i6^6^ 

Sonetto, 

Canta  il  nocchier  su  la  spalmata  nave, 
E  men  dora  gli  par  V  alta  fatica  ; 

I  L'àUce  ee..  Vuol  dire  che  dei  libri  dello  StigUani  facevansi  carte  per 
vender  ^pe$ei. 

a  Fontana  delle  Muse. 


Z^6  LETTEKATUBA   ITALIANA  -*  SECOLO   XTII 

Canta  il  bifolco  io  sa  la  spiaggia  aprica, 
E  il  sao  caldo  sador  reod^  soave. 

Canta  il  prigione,  e  men  molesta  e  grate 
Sente  la  stretta  sua  custodia  antica; 
Canta  il  viilan  su  la.  recisa  spica, 
E  r  ardente  ^del  sol  face  non  pare. 

Canta  il  calloso  fabro  ;  e  in  su  4'  aurora 
Più  licfi.i  colpi  snoi  rende  col  canto. 
Su  r  incade  sudando  aspra  e  soBora. 

Così,  non  per  a  Ter  gloria  ne  Ta^to ,  • 

Ma  per  temprare  il  duol ,  con  cui  m^  accora 
Quinci  Fortuna  e  quindi  Amore ,  io  canto. 


FI9rs    DEL    SECOLO    DEGIXOSETTUIO 


SECOLO  DECIMOTTAVO 


INOTIZIE  STORICHE 

f     La  storia  italiana  dei  secolo  XVIII  somiglia   al- 
l' uhimo  atto  di  mi    lungo    dipamma.    Tutto    quello 
«he   ancor  rioiancVa    dell'antico    sistema    si   eslinse , 
|>er  dar  luogo  ad  un  ordine  affatto  nuovo  di  cose. 
DalP:aooQ  1700   al  1748  agitaroosi  qoàUro  guerre 
io  Italia  y  nelle  cfuali  (come  noi  tempi  d|  Carlo  Quinto 
è    di  Francesco  I  )  nuaMjro&i   eserciti    forestieri    veni- 
«ero  a  disputarsi  il  possésso'  delle    nostre    più    belle 
f>ravinoe.  A  queste   guerre .  successero    quarant  »»ut 
di  pace  :  poi .  sorse  la  rivoluzione  francese   a    metter 
JLì  nuovo  n«ir  arbitrio  delle.  &rmi  cosi  i  destini  d' I- 
4alia.corae  quelli  di  tutta  r  Europa.  -  , 

Gli  Spa^n noli  avellano  (  comp  s?  è  iredulo  )  già 
da  UD  secolo  e  mezzo  la  signoria  di  Napoli >  di  pil- 
lano e.  di  parecchie  terre  della  Toscana.  Sul  finire  dd 


ne  divisero,  lui  vivente,  T eredità^  perchè  (dicevano^ 
:8arebbe  stato  pericoloso  alla  sicurezza  comune  il  pci;- 
mettere  che  gì'  immensi  domioii  spa^nuoli  si  «Sg»^* 
•gesserò  tutti  ai  possedimenti  di  una  sola  corona.  Ma 
Cario  II,  morendo  nel  novembre  dell'anno  1709, 
^fcce  suo  crede. universale  Filippo,  d'  Angiò^  il  quale 
sotto  il  nome  di  Filippo  V  si  mise  subitamente  in 
possesso  dejla  Spagqa  e  di  quanto  a  quella  nmQ^^ 
ubbidiva  in  Italia,  ^ 


29^  LETTERATURA    |TALUIf4 

LMmperatore  Leopoldo,  e  eoa  la!  Tlnghilterra  e 
V  Olanda ,  farooo    tosto   io   arme   contro  Filippo  e 
contro  Loigi  XIV  suo  parente  e  alleato  '^  e  la  prima 
scena  (  dice  il  Maratori  )  di  questa  terrìbil  tragedia 
toccò  alla  po\fera  Ebmbardia,  I  xasi  di  quella  guerra 
non  hanno  una  vera  e  immediata  relazione  col  fine 
a  cui  tendono  queste  Notizie  Storiche^  donde  parmi 
di  poterli  passare  io  silenzio.    Dirò   solo  che  le   mi- 
lizie   imperiali  furono  comandate   dal  principe   Eu« 
genio  di  Savoja^  che  Vittorio  Amedeo  II  d.*ja  di  Sa* 
▼oja  fu  generalissimo  degli  eserciti  franco*ispani  fino 
bIP  anno   1703,  in   cui,  mutando  cobsiglio  ,  strinse 
lega  coirimperafore ^  che  Luigi  XIV  per   vendicar- 
sene  assali   il   Piemonte ,  e   costrinse  quel  Duca  ad 
abbandonare   la   sua    Capitale,   finché   poi    nel  set- 
tembre   del    1706   il   principe   Eugenio ,  uccidendo 
sotto  Torino  ventimila  Francesi,  non  gli  restituì  il 
possedimento  de^  suoi  Stati  ;  e  che  il  duca  di  Man* 
tova  Carlo  Gonzaga,  per  avere  nel    1701    ricevuta 
una  guarnigione  francese ,  fu   posto   al  bando   del- 
r Imperio.  Del  resto,  la  guerra  fini  eoi  trattati  di 
Utrecht  e  di   Rastadt  (1713-1714)9  p«i  quali  Mi« 
lano,  Napoli,  la  Sardegna,   il  ducato   di    Mantova 
e  le  città  della  Toscana  già  possedute  da  Filippo  V 
Tennero  in  potere  della  Gasa  d*  Austria  ^  ^  il  Mon- 
ferrato e  la  Sicilia  toccarono   a  Vittorio   Amedeo^ 
e  gli  Spagnuoli  furono  esclusi  dalP  Italia. 

Non  durò  lungamente  quello  stato  di  cose:  per- 
chè neir  agosto  del  17 17  il  cardinale  Alberoni,  mi- 
nistro della  Corte  s pagnuola ,  fece  approdare  una 
flotta  improvvisamente  alla  Sardegna  e  la  tolse  agli 
Austriaci^  poi  nelP  anno^  seguente  conquistò  la  Sici- 
lia :  e  cosi  in  mezzo  alla  pace  tornando  impensata- 
mente alla  guerra,  si  proponeva  di  restituire  a  Fi- 

I  Ali*  impentora  Leopoldo  cf*ao  mecednti  GiiiMpp«  I  nel  IJoS  >  t  p« 
Carlo  VI  nal  171X. 


SBCOLO  DECIMOTTifO  299 

lippe  V  la  potenza  già  avula  in  Italia.  Ma  la  Fran- 
eia  ^    r  Inghilterra  ,    V  Olanda    e    V  Austria    forma- 
rono allora  la  cosi  detta  (juadrupUce  lega  contro  la 
Spagna^    e  la    guerra   fini   nel    febbrajo  del   1720, 
stipulandosi  che  la  Casa  d^ Austria  avesse  la  Sicilia, 
in   càmbio  della  quale  Viltorio  Amedeo  II  dovesse 
contentarsi  di  ricevere  la  sola  Sardegna ,  colla  spe- 
ranza di  succedere  nel   trono  di  Spagna   qualora   il 
ramo  dei  Borboni  colà  si  eslinsuesse  ^  e  che  a  Ooa 
Carlo ,  figliuolo  di  Filippo  Y  e  di  Elisabetta  Farnese , 
sì  devolvessero  gli  Stati  di  Toscana  e  quelli  di  Parma 
e  Piacenza ,    prossimi   a   rimanere  vacanti  perchè  la 
famiglia  Farnese  e  quella  de^  Medici  non  avevano  pia 
speranza  di  successione.    Cosi    in    questa   guerra   la 
Gasa  d^  Austria  si  vantaggiò  unendo  al  regno  di  Na« 
poli  quello    della   Sicilia  ;    la    Spagna*  soddisfece  io 
parte  alla  sua  ambizione  ed  al  desiderio    di  riavere 
qualche  possedimento  in  Italia  ^  e  si  trasferi  anche  fra 
noi  1'  usanza  già  tanto  dannosa  alla  Spagna  di  con* 
siderare  come  vadanti  gli  Stati    le  cui    famiglie   re* 
gnanti  eran  vicine  ad  estinguersi.  £  da  notarsi  però 
che  9  invece  di  aggiungerli  come  province  alla  Spa« 
gna  ,  Al  deliberato  di  farne  un  paese  indipendente. 
Ma    ben    lungi   dalP  effettuarsi  le   rimote  conse- 
guenze di  quel  trattato,  anche  questa  nuova  condì* 
zione  di  cose  si  perturbò  dopo  non  molto.  NelP  an* 
no  1733    la  Francia  e  F  Austria  si  ruppero  guerra 
per  P  elezione  del  Re  di  Polonia  ^  e  P  Italia  fu  nuo^ 
vamente  corsa  e  turbala.  La  guerra   ebbe   un  esito 
infelice  per  Carlo  YI,  tanto  che  nella  pace  fermata 
in  Vienna  a^  18  novembre  1738  cedette  a  Don  Carlo 
di  Spagna  Napoli   e   la  Sicilia,   che  per   tal   modo 
formarono   un    regno   indipendente  '  ^   al  Piemonte 
si  aggiunsero  Novara  e  Tortona  ^  alla  Casa  d^  Au- 
stria rimasse  il  restante  del    Milanese  coi   ducati  di 

1  Don  Carlo  di  Spts^i*  dìTtnlando  it  di  HtpoU  MaaPM  il  aont  di  Carlo  IV . 


3<lO  LETtBRtTURA    IT.ILIiflIL 

Mantova  e  dì  Parma  e  Piaoensa.  RUpetto  alla  To* 
scana  si  stabilì'  che  alla  morte  del  granduca  Gian 
Gastone  passasse  nel  dominio  di  Francesco  duca  di 
Lorena,  maritò  di  Maria  Teresa,  in  ricompensa  Ad 
suo  ducato  di  Lorena  ch^  egli  cetdéva  alla  Francia. 

Finalmente  nel  1740,  essendo  morto  T  imperatore 
Carlo  VI,  nacque  T  ultima  delle  quattro  gnerce  da 
eui  dicemmo  che  fu  travagliata  P  Italia  cella»  prima 
metS  del  secolo  XYIII.  Cario  VI  pensò  di  sottrarre 
i  suoi  sudditi  ai  mali  sofierti  dalla  Spagna  per  la  cod« 
tesa  successione  a  quel  trono,  e  pose  (nel  17 13)  ima 
legge  detta  prammatica  samdone^  dela*mioando  che 
tutti  i  possedimenti  della  Casa  d^  Austria  passassero 
sempre  indivisi  al  maggiore  dei  maschj,  e  dove  questi 
mancassero,  alla  ma{>giore  delle  figliuole.  Con  molta 
sollecitudine  adòperossi  poi  a  ottenere  da.tutte  le  Corti 
europee  la  guarentigia  della  prammatica  sanzione^  ma 
oon  per  questo  Maria  Teresa  sua  unica  eredcL  potè 
succedergli  senva  una  Innga  e  pericolosissima  guerra 
combattuta  in  molte  parti  d^  Europa  ed  anche  io 
Italia  con' varii  successi.  AH' ultimo ,  nel  1^]^%  ^  (\x 
eonchiuso  un  trattato  in  forza  del  quale  Maria  .T«t 
resa,  riconosciala  unica  erede  di  Carlo  VI ,  cede 
(  rispetto  all'  Italia  )  al  Re  di  Piemonte  ^  parte  dello 
Stato  milanese  fra  il  Po  e  il  Ticino  ^  ed  all'  infante 
Don  Filippo  di  Spagna ,  i  ducati  di  Parma  e  Pia* 
éenta ,  con  questa  ì^ondizione  che  ricadessero  alla 
Casa  d' Austria  qualora  Don  Filippo  o  passasse  al 
regno  delle  Due  Sicilie ,  o  morisse  prima  d' aver 
figliuoli. 

Questo  trattato  non  potè  mandarsi  ad  efi*^tto  se 
non  dopo  qualche  tempo,  con  grave  danno  dei  po- 
poli, dilapidati  dagli  eserciti  forestieri.  Finalmente , 
il  febbrajo  dell'anno  1749  disserrò  (dice  il  Mora^ 
turi)  le ^ porte  alP allegrezza  de^ ^^rU  paesi.'  e   i'e^ 

%  X  Vittoii»  AiDedeo  II  era  muc^mo  mI  I73a  Gwlo  Svmwiuele.  ^ 


SECOLO    DEGIUOTTATO  5ot 


Silo  di  tante  guerre  fu  molto  più  avventurato  che 
non  poteva  sperarsi.*  Roma ,  il  Piem.oote ,  le  Due 
Sicilie,  gli  Stati  di  Parma,  Piacenza  e  Guastalla^ 
il  ducato  di  Modena  ^  le  repubbliche  di  Venezia^ 
tìenova  é  Lucca,  ebbero -governi  propri!  e  principi 
indipendenti:  Questa  prerogativa  aVeva  anche  la  To« 
scana'^  dove  fino  dalP  dnno  17.37  era  succèduto  aU 
P  ultimò  de'  Medici  il  duca  Frapcesco  di  Lorena:  ma 
distratlo  dalle  guerre  di  Maria  Teresa  sua  moglie ,  e 
poi  fatta  Imperatore  (nel  174^)  ^oo  risiedette  mai 
in  quei  principato.  Là  Lombardia ,  cioè  lo  Stato  di 
Milano  a  coi;  s'  era  aggiunto  i)  ducato  di  Mantova  ^ 
fi]  la  sola  parte,  d' Italia  che  pel  trattato  di  Aquisgraaa 
rimanesse  provincia  dipendente  da  Un  altro  Stato. 

Alla  morte  di  Maria  Teresa., avvenuta  Tanno  1780, 
tutti  i  pa^i  ereditari!  della  Casa  d'  Austria  tocca* 
rono  a  Giuseppe  IL  Egli  era  sacceduto  già  nelPim* 
perio  fino  dalP  anno  1765,  ed  allora  aveva  rinun*- 
ciato  al  proprio  fratello  Leopoldo  il  granducato /di 
Toscana:  l'uno  e  1^01  tro  attendevano  a  introdurre 
nei  loro  Stati  utili  riforme  ;  ma  .Giuseppe  II ,  vo- 
lendo forse  affrettare  ciò  che  il  tempo  non  aveva 
ancor  matur^ttOi,  non  conseguiva  iptieramente  l'effetto 
che  s' era  proposto. 

Nel  1790  egli  morì.  Leopoldo  gli  successe  nel- 
r imperio  pel  corso  di  soli  due  anni^  dopo  i  qualj,' 
ebbe  a  successore  Francesco  felicemente  regnante. 

Frattanto  maturavasi  in  Francia  quella  grande  ri« 
▼oliizione  che  doveva  poi  metter  di  nuovo  sossopra 
tutte  le  cose  d' Italia.  Nel  1796  Bonaparte  calò  dallb! 
Alpi  con  un  esercito  francese,  che  ^ddi  i4  maggio, 
entrò  in  Milano^  e  tra  per  la  fortuna  delle  armi  e, 
per  la  grande  inclinazione  degli  animi  alle  dottrine 
che  andava  spargendo ,  gli  riusci  facile  il  rovesciare^ 
non  solo  i  piccoli  Stati  d^  Italia  j  ma  ben  anche  la 
Repubblica  di  Venezia.  Nell'aprile  dell'anno  seguen* 
te ,  col  trattato  di  Campo  Formio  là  Ga$a  d' Austria 

ZItTBItàT.  ITAL.  <«  IV  a6 


30A  LBTTERlTUnA   ll'At^lAlIA 

cedette  la   Lombardia  alla  Francia ,  riceTendone   ia 
cambio  Venezia  ,  V  btria  e  la  Dalmazia.   La    Lom- 
bardia assunse  allora  il  nome  di  Repubblica  Cisalpina, 
E  già  V*  erano  state  nelP  anno  precedente  le  jRepub^ 
btiche  Traspadana  e  Cispadana  :  y^  ehh^ro  poi-aocbe 
una  BepubbUca  Ligure  ed ,  una  Repubblica  Romana) 
alle    quali   successe   nel   i8oa   la  Repubblica   Italia" 
na^  à\  cui  Bonaparte  fa  Presidente,  «  MeUi  Vice" 
presidente.  Cosi  i  Francesi  padroDeggiay.aQO  ogni  parte 
d*  Italia ,  tranne  il  Regno  di  Napoli  *  e  il  paese  ve« 
neto   tuttora  in  potere   dell*  Austria.   I  domìnii  del 
Re  di  Piemonte  in  parte  furono  assegnali   alla   Re* 
pubblica  Italiana  y  in  parte  furono   inoorporati  alla 
Francia. 

Nel  i8o5  poi  Bonaparte^  già  fello  imperatore 
de*  Francési ,  si  coronò  re  d*  Italia  ia  Milano  ,  la« 
sciandovi  come  viceré  Eugenio  Bèauharnais,  fig^liaolo 
di  Giuseppina  sua  moglie. 

Prima  che  spirasse  quel  medesimo  anno,  Booa« 
parte  ridusse  sotto  il  proprio  dominio  ancbe  lo  Stato 
▼enetó  e  la  DaUnazia.-  .    . 

Poco  stante  infimo  la  guerra  al  Re  di  Napoli  ;  e, 
cacciatolo  )  vi  pose  il  proprio  fratello  Giuseppe ,  al 
quale  sostituì  poi  suq  cognato  Murai  ^  .quando  nei 
1808  trasferì  Giuseppe  dal  trono  ài  Napoli  a  queih) 
della  Spagna. 

La  Toscana  ^  data  da  prima  al  figliuolo  del  Duca 
di  Parma  con  nome  di  Re'  delP  Etruria,  fu  poi  ag-> 
giunta  air  Imperio  francese.  Lo  stesso  accadde  anche 
degli  Slati  del  Papa. e  della  città  di  Roma;  In  som- 
ina,  quella  mutazione  di  dominatori  e  di  sorti,  alla 
quale  vedemmo  die  andaron  soggette  le  province  ita* 
liane  in  conseguenza  delle  quattro  guerre  avvenute 
nei  primi  cinquanta  anni  di  questo  secolo,  fu  rin- 
novata da  Bonaparte  e  dalle  sue  imprese,  con  molto 

'  X  k  Carlo  IV  ej»  succeduto  adi*  anno  i^Bq  Fardinado  IV. 


.^--1 


SECOLO   DECIMOTTATO  3o3 

tnaggióre  varietà  ^  io  uno  spazio  molto  minore  di 
tempo.  Ma  nel  18149  prostrata  la  grande  potenzi 
(li  Bouaparte ,  r  Italia  si  ridusse  a  (Quello  stato  d\ 
cose  in  cui  ora  si  trova* 

Di  tutte  le  antiche  repubbliche  una  volta  ecces* 
sìvamente  gelose  dèlia  loro  libertà ,  non  n^  riniaso 
pur  una*  Gli  Stati  più  potenti  e  più  floridi  caddero 
rovinati  dalle , mutue,  gelosie  che  loro  impedirono  di 
uoirsi  per  la  comune  salvezza  ^  rovinati  dal  credere 
cUe  la  neutralità  comandata  dalla  debolezza  potesse 
esser  santa  in  un^  eia  in  cui  tutto  poneasi^ nella  forzaw 
G  di  questa  maniera,  come  già  si  è  detto^  nel  se<^ 
€3olo  XVlIi  il  gran  dramma  delle  sorti  italiane  giunse 
al  suo  acioglimento. 

Nella. prima  metà  di  questo  secolo,  in  cui  le  prò* 
▼ince  d^  Italia  furono  agitate  da  tante  guerre  e  da 
tante  politiche  mutazioni,  senza  che  i  popoli  ita« 
liani  partecipassero  punto  né  in  queste  né  in  quelle^ 
ZBal  potevano  trovar  luogo  le  4etlere.  Mance  va  ao  per 
nutrirle  e  gli  agi  della  pace  ,e  le  passioni  dei  tempi 
burrascosi.  Dopo  la  pace  deiranno  174^9  i  nuovi 
dominatóri  videro  Ja  necessità  di  sottrarre  questi 
paesi  ai  pregiudizii ,  agli  errori ,  alle  ingiuste  disu« 
guaglianze  iotrodatte  dal  Governo  spagnuolo  e  dalla 
spensierata  indolenlBa  degli  ultimi  eredi  dei  principi 
italiani  ^  e  favorirono  massimamente  gli  studi  delU 
giurisprudenza  e  delia  pubblicai  economia.  Quindi  le 
opere  del  Filangieri ,  del  Genovesi,  di  Mario  Pagano, 
dei  due  Verri,  dei  Carli,  del  Beccaina,  e  di  tant^s^ltri, 
i  quali  0  rappresentarono  ai  principi  i  bisogni  dei 
popoli  prima  d^  allora  non  mai  profferiti  all'  orec- 
chio dei  re^  o,  invitandoli  a  ciò  i  principi  ste&^i , 
proposero  utili  innovazioni  nella  giurisprudenza  ci« 
vile  e  criminale ,  nel  censo ,  neir  amministrazione 
delle  rendite  pubbliche ,  nel  commercio  e  nelP  istruì 
aione.  Ciò  che  i  Governi  di  quella  età  fecero  per 
le  lettere  non  somiglia  punto  a  quella  splendida  pro« 


3o4  LBTTEniTllftA   ITAUAffA 

tezione  che  loro  prestavano  le  nostre  Corti  ée\  se- 
colo XVI  ^  ma  gli  leflkUi,  considerati  dal  lato  della 
pubblica  utilit^j  ne  furono  sensa  dubbio  maggiori. 
jNè,  a  dir  vero,  mancava  allora  in  Italia  qualche 
Corte  emulatricc  di  Quelle  del  Cincjaecenlow  A  Par- 
ma, oltre  r  abate  di  Condillac  precettore' del  Onca, 
fióri  uu^  Accademia  a  cui  appartennero  il  Cesa- 
volti  e  il  Frugoni:  a  Modena,  H  Tiraboschi  ed  il 
Muratori  ravvivarono  i  buoni  studi  e  le  belle  arti 
sotto  la  proteaiooe  dei  principi  che  dominavano  in 
qoe^  paesi.  Lo  «stesso  accadde  a  Roma,  prtncipal mente 
sotto  i  pontefici  Clemente  XIV  e  Benedetta  XIV. 
Le  Università  (  e  quella  sopra  tutto  di  Pavia  )  rice« 
vettero  nuovo  splendore  pel  concorso  d^  uomini  in« 
signi  «  pec  lutili  regolamenti  »  si  apersero  nuove  Ac- 
cademie di  lettere  e  d^  arti,  s'arricchirono  le  bi^ 
biioleche.  ««^  È  doloroso  a  pensare  come  nel  tumulto 
delle  vicende  onde  fu  agitata  V  Italia  sul  finire  del 
secolo  XVIII  molti  uomini  egregi  fossero  poi  mise* 
vamente  perseguitati. 

SCRITTORI  DEL  SECOLO  XYIII 

Considerando  le  opere  degli  autori  poc'  ànsi  no^ 
minati,  e  dei  loro  cojatemporanei,  vediamo  che  non 
possono  gareggiare  con  quelle  dei  Cinquecentisti  nella 
squisitezza  del  gusto  letterario.  h\V  aspetto  delle 
materie  importanti  che  trattaao  e  della  sapienza 
pratica  che  diffondono^  non. si  può  dire  che  le  no- 
stre lettere  fossero  nel  secolo  ^VIII  da  meno  che 
nel  XVi.  Nondimeno  si  vuol  confessare  che  quegli 
scrittori,  ai  quali  dobbiamo  un  eterno  tributo  di  &ti- 
ma  e  di  riconoscenza,  non  posero  molta  cura  né  ad 
eleganza  di  stile,  né  ad  artificio  d^  esposizione  :  con^ 
tenti  di  esser  utili,  non  si  diedero  pensiero  di  dilet^ 
lare.  I  loro  scritti  pertanto,  ai  quali  nella  storia  dell^ 
letteratura  e  d«lla  civiltà  italiana  compete  un  posto 


^^^^^.^a- 


SECOLO  DEanOTTlT*  3o5 

così  emmeote ,  qod  pòtevaoo  trovar  luogo  in  questo 
Manuale ,  dove  si  voglioo  raccogliere  esemplari  pos« 
sibilmente  perfetti.  Per  questa  ragione  medesima, 
anche  di  molti  prosatori  e  poèti  che  allora  levarono 
gridò  di  sé  (e  certo  ne  Furono  degni)  non  si  troverà 
qui  nessun  componimento.  li  Metastasio ,  il  Gozzi, 
r  Alfieri,  il  Perini  e  pochi  altri  sovrastanno  nella 
letteraria  perfezione  a  tutti  i  loro  contemporanei  \  e 
però  in  questi  mi  sono  principalmente  fermato.  De' 
rimanenti  «i  troverà  ragionevole'  V  avere  o  ta<;;iuto 
affatto  t>  raccolto  solo  qualche  breve  «aggio. 

EUSTACHIO  MANFREDI 

»  •  •  •  • 

Nacque  in  Bologna  addì  20  settembce  delPanno  1674, 
e  fu  poeta  ,  filosofo,  giurisperito  e  professore  di  ma* 
tematica.  Alcune  opere  di  astronomia  e  d^  idrostatica 
assegnarono  al  Manfredi  un  luogo  distinto  fra  i  col* 
tivatori  di  quelle  scienze,  e  gli  procurarono  1' onore 
di  essere  ascritto  alla  R.  Accademia  di  Parigi'.*—* 
Come  poeta  fuggì  intieramente  i  vizii  del  secolo  ia 
cui  era  nato,  per  ricondursi  alla  sebiettg  «leganza  dei 
grandi  esemplari.  Amò  assai  fortemente  Giulia  Vandi , 
virtapsissima  giovinetta  che  si  fece,  poi  monaca ,  e 
per  lei  scrisse  la  maggior  parte  delle  sue  poesie. 
Morì  in  patria  nel  febbrajo  del  1739.^ 

SonetttK 

*  m 

lì  primo  alb<$r  non  appariva  aàcora , 

Ed  io  stava  con  Fille  al  pie  d^  un  orno. 
Ora  ascoltando  i  dolci  accenti ,  ed  ora 
Chiedendo  al  ciel  per  vagheggiarla  il  giorno. 

I  II  toarchase  Gio.  Giuseppe  Ora ,  loecorreiido  alla  porertìi  del  Kanfre» 
eli,  lo  abilitò  agli  studi  astronomici,  dai  quali  poi,  non  il  Manfredi  solo, 
ma  la  scienaa  raccolse  cosi  gran  firutt^.  Molti  lodano  1*  Orsi  come  cAidp/j»tm* 
liUt^aio  /  A  m«  parve ,,  ricordando  questa  sua  generosità ,  di  dargli  la  lod« 
più  balla  e  più  vera  cbe  gli  cwnpeta. 


3o6  t.crreitATiJiiA  italiana 

Vedrai,  bla  Ftlle  ^  io  le  clioea ,  T  aarora 
Come  bella  a  noi  fa  dal  miir  ritorno  ^ 
E  cóme  air  apparir  torba  e  acolora 
Le  tante  stelle  ood*  è  V  Olimpo  '  adorno  ; 

E  tedrai  po$da  if  sole,' incontro  a  cai 

Spariran ,  da  Ini  fiate,. e  questa  e  quelle s 
Tanta  e  la  luce  de*  bei  .r^ggi  3ui«. 

Ma  non  fedrai  quel  ci/ io»  fedrà:  le  belle 
Tue  pupille  scoprirsi,  e  far  di  Ini 
Quel  eh'  ei  fa  JeU'  aurora  e  delle  Stelle 

Pifr  Monttcm,  —  Sonetto, 

Yerginit  che  peniose  a  lenti  passi 

Da  grande  ufficio  e  pio  tornar  mostrale  « 
Dipinta  avendo  in  Tolto  la  pietate, 
E  piò  negli  occhi  l^rimosi  e  bassi; 

DoT^  è  colei  che  fra  tnti^  altre  stassi 
Quasi  Sol  di  belletta  e  d'  onestate  ? 
Al  cui  Att/ro  apleodor  V  alme  ben  nate 
Tutte  scopron  le  vie  d^  onde  al  del  vessi  ^  -« 

Rispondo  A  quelle  :  Ah  !  non  sperar  più  mai 
Fra  noi  tederla  ;  oggi  II  bel  lume  è  spento 
Al  mondo,  ohe  per  lei  fu  lieto  assai. 

Su  la  soglia  d^  un  thiostro  ogni  ornamento 
Sparso,  e  gli  ostri  e  le  gemme  al  suol  tedrai, 
E  il  bel  crin.d^oro  se  ne  porta  il  Tento** 

|%r  Mònaca,  -<•  Canzone^ 

Donna  ^  negli  occhi  Tostri 
Tanta  e  si  chiara  ^rdea 
HAratigliosa,  altera  luce  onesta, 

%  X*  OSmpù,  n  Cielo, 

%  S  aèi$i  «f/i  «Co  k  noto  cbt  finendoti  moiudM  U  gU>Tiiu  t«|IUBtì 
h  Uf€cie« 


SECOLO    DECIMOTTWO  Su'] 

Che  ageyolaaenle  noni  r.iTTJsar  pptea 

Quanta  parie  di  cielo  In  voi  si  cUioJe, 

£  seco  dir  i  Non  mortai  cosa  è  questa»  — 

Ora  si  manifesta 

Queir  eccelsa  t  ir  lode 

Nel  bel  consiglio  che  vi  guida  ai  chiostri; 
*     Ha  |>erché  i  sensi  nostri 

Son  ciechi 'incontro  al  vero. 

Non  lesse  iiman  peiisìero 

Ciò  che  dicean  que*  santi  Itiini  accesi; 

Io  gli  vidi  e  gP  intesi  y 

Mercè  di  chi  innalzoinmi  ;  o  dirò  cose 

Note  a  ine  solo,  e  al  vulgo  ignaro  ascose. 
Quando  piacque  a  Natura 

Di  far  su^e  prove  estreme 

Neir  ordir  di  vostr^  alma  ikcasto  ammanto, 

Ella  ed  Amor  si  coosìgliaro  insieme , 

$ì  come  in  opra  di  -comune  onore , 

Maravigliando  pur  di  poter  tanto. 

Crescea  11  lavoro  intanto 

Di  lor  speme  maggiore, 

E  col  lavoro  al  par  crescea  la  cura, 

Fin  che  Talta  iattura 

Piacque  all'  anima  altera , 

La  qual  pronta  e  l^gera 

Di  mano  a  Dio,  lui  ringraziando,  ascia, 

E  ra'ecogliea  per  via , 

J>i  questa  spera  discendendo  in  quella  '  ^ 

Ciò  eh'  arde  di  più  puro  in  ogni  stella. 
l[^osto  che  tide  il  mondo 

L^  angelica  sembianza 

I  Di  ^uéata  ec, .  Discendendo  giù  di  sfera  (  spera  )  in  sfen ,  cio^  *  dal 
pin  alto-  cielo  fino  a  noi ,  secondo  It  opinioni  astronomiche  degli  antichi  t 
dei.  poeti. 


5«*  LCTTBaATORi   ITULURA 

Ch*afea  T  anima  bella  entro  ti  bel  ?elot 
Ecco,  gridò,  la  gloria  e  la  speraosa 
DelPetà  nostra:  eoeo  la  bella  immago 
Sì  langamente  meditala  in  cielo.  ^ 
E  in  ciò  dire  ogni  stefo 
Si  fea  pia  ferde  e  vago^ 
E  r  fier  più  sereno  e  più  giocondo. 
Felice  n  suol  cui  il  pondo 
Premea  del  bel  piò  bianco, 
O  del  giorenil  fianco, 
Q  percotea  lo  sfavillar  degli  occhi , 
Cfa'  ivi  i  £or.  Tisti  o  tocchi 
Intendean  lor  bellezza ,  e  che  qoe'  rai 
Mofean  •  più  d'  alto  che  dal  sole  assai. 
Starasi  vostra'  mente 
Paga  intanto  e  serena, 
D' alto  mirando  in  noi  la  sua  ^irtote  ; 

Vedea  quanta  dolcezza  e  quiMiU  pena 

Destasse  in  ogni  petto  a  lei  riròitó,, 

E  udia  sospirile  tronche  rode  mote; 

E  per  nostra  ^lute 

Crescea  grazie  al  bel  toIIo, 

Ora  inchinando  il  chiaro  sguarda  ardente. 

Ora  soafemente. 

Rifolgendolo  fiso    .     . 
,     Contro  deir  altrui  W*o, 

Qaasi  col  dir:  Mirate,  alme,  mirala 

Ia  me  che  sia  beliate; 

Che  per  guida  di  toI  scelu  son  io, 

E,  a  ben  seguirmi,  condurroTu.in  Dio.  -^ 
Qual  io  mi  fessi  allora, 

Quando  il  leggiadro  aspetto 

Pien  di  sua  luce  agli  occhi  miei  s'offn'o, 

1  Mot^ean,  Partivansi. 


MCOtO    DECIMOTTATO.  }o9 

f 

Amor  9  ta  U.  sai\,  òhe  il  debile  ioleiletlo 

Al  piacer  conforta od<» ,  in  lei  mi  fesli  ~ 

Veder  'ciò  che  vedém  ta  Solo  ed  io^ 

E  additasti  al  cor  mio. 

In  qaai  modi  celei^ti 

Costei  V  alme  solleva  e  le  ipoamora.    ; 

Ma  più  d'  Amoi'e  ancora        '  •  < 

Ben  r.oi.  tiesse  il  sapete, 

Luci' beate  e  liete ,    -  ■      ■ 

Cl^'  io.  vidi  ór  sovra  me  volgendo  altere 

GujMrdar  vostbTO  potere, 
lOc.di  pieiate  in  dolce  aito  far  moslva  ^  > 

SeDza  discender  dalla,  gloria  vostra.' 
O  lifitat  e  male  avvesza       r   . 

la  alto  a  spiegar  V  ale. 

Umana  vista  t  p  a^ensi  Inrermi  e  tardi  I 

Qa^to  sopra  del  vostro  esser  niibr tale 

Alzar  poteavi  ben  inteso  tin  sólo 

Di  xpe  soart  innamorati  sguardi  ! 

Ma  il  gran  piacer  codardi' 

Yi  fece  al  oobil  volo, 

Cbe  avvioinar-  poteavi  a  tanta  altezza  ; 

Che  nò  altrove  beilazz» 

Maggior  sperar,  poteste ,     ; 

Folli  ^  e  Irar  toì  diceste,  ^        « 

Quella  mirando  ailor  presente  e  nova: 

Qni  di  posar  ne  giova. 

Senza  seguir  la  scoria  del  bel  raggio:  - 

Qnal  chi  per  buon  soggiorno  obhUa  il  viaggio^ 
Vedete  or  come  aoceaa 

D'  alme  faville,  e  nove 

Costei  córre  a  compir  V  alto  disegno  ! 

Vedi,  Amor,  quanta  ia  lei  dolcezza  piove > 
Qoalti  fa  ti  Paradiso,  e  qual  ne  resta 


3  IO  LETTBIIATDII4    ITALIARA 

n  basso  mondo  che  di  lei  fu  iadegno! 
Vedi  il  beato  regno 
Qaal  luogo  alto  le  appresta  « 
E  in  lei  dal  cielo*  ogni  pupilla  intesa 
Confortarla  all'  impresa  ;* 
Odi  gli  spirti  casti 
Gridarle:  Assai  tardasti; 
Ascendi,  o  fra  di  noi  tanto  aspettala, 
Felice  alma  ben  nata.  - 
Sì  volge  ella  a  dir  por  cb' altri  hi  siegaa^ 
Poi  si  mesce  ^fra  i  lampi  e  si  dilegua.  •— 
Canzon ,  se  d'  ardir  troppo  alcun  ti  agrida , 
Digli  ebe  a  te  non  creda  ; 
Ma  venga  infinchè  pnote  egli,  e  la  ?ed»« 

Per  Noz%é.  ^t>^  Catzoniw 

Ninfe  ^  e  pastori , 
Forniate  i  cori 
Al  verde  prato  intomo 
Per  fìftp  carole  *  j. 
lofi  nelle  il  sole 
Ne  rkondoca  il  giorno*. 
Lesbia,  dà  tsggi 
Al  ballo,  e  il  reggi, 
E  poni  un  r  al tro*  appresso  ; 
Pongli  uno  ed  una. 
Né  coppia  alcuna 
Far  del  nedesnio  sesso  ; 
«  '     Poich'  altramente 

Mesta  e  langoente 
Sarta  la  dama  e  il  gioco; 
.  Che  non  può  cosa    >> 
Esser  giojosa 
Se  Amor  non  t'  ba  suo  locow 

1  Ciroie,  Dame. 


SECOLO    DECiaOTTAVO  3ll 

Glie  se  donzella 

V  ha  sì  rubella 

Che  nn-  dolce  amor  ricasi 

(Pastor  non  dico 

ly.  acdor  nemico  9 

Che  de^  pastor  so  gli  osi); 
Quella  donzella 

D^  amor  rohella 

"Vada  da  noi  discosto;. 

O  fuor  dei  giri 

Stìasi  e  rimiri  ^ 

Q  a'  innamori  tosto* 
Or  Tia  danzate  « 

Via  cominciate 

Al  verde  prato  iolomo 

A  far  carple, 

Iqfinchè  il  sole       - . 

Ne  riconduca  il  giorno» 
Con  lieve  salto 

Vibrale  io  alto 

L^ agili  piante  e  sciolte; 

È  al  destro  fianco  ^ 

E  poscia  al  manco 

Giri  ciaècan  tre  Tolte. 
Ma  il  nostro  canto 

Chi  danza  intanto 

Oda ,  e  segait  procari  ; 

E  coi  concenti    . 

Or  presti  or  lenti 

IL  moto  saa  misuri* 
Oh  chi  m^  impetra 
L*  eburnea  cetra  y 
Sa  cni  le  diu  io  snodi; 


3ia  tETTCnATCRA    ITiUAflA 

La  cetra  ascfea  ' 

Che  Orfeo  movea 

lo  si  soavi  modi  ; 
Quando  alle  selm  *  '  ^ 

Venncr  le  feci  te  . 
:  Fuor  de'  gr^Dd^aòtri  fosehi  ; 

Quando  a  sue  rime   " 

Hosser  le  cime 

Gli  alti  frondosi  boschi? 
Ch'  ìo^fi  terrei 

Co*  versi  miei 

Al  verde  prato  iatoro»  V 

A  far  carole. 

In  finché  il  sole 

Ne  ncoiiduèa  il  giorno. 
Io  spargerei 

Co'  versi  miei  •  i 

Forse  minor  doicezsaj 

Ma  fora  intanto 

Materia  al  canto. 

Forse  maggior  beUezxaw.  . 
Forse  è  men  bella 

La  pastorella 

Ch*  io  dì  cantar  m*  atTÌso? 

Chi  mai  la  vide-    . 

Com*  ella:  ride 

Tolta  amprosa  in  viso?,  ^ 
Oh  come  cbiode, 

Oh  come ,  schiude  - 

Gli  occhi  leggiadri  ardenti  ! 

X  Ascnà.  Aten  (  patria  d*  Esiodo  )  fu  un  borgo  della  BeoiiA  alle  radici 
dell*  Elicona ,  monte  sacro  alle  Muse.  Ascreo  si  usò  quindi  in  lignificante 
di  cosa  appartenente  alle  Bluse.*  -^  È  nota  poi  la  (avola ,  cht  Oifii«  sonando 
e  cantando  si  trasse  dietro  le  behe  ammansate  e  le  piante. 


SECOLO    DCCI3IOTTA.TO  3f3 

Oh  qaai  raccolte, 
'   Oh  <|Qai  discìolte 

Scherzan  sue  trecce  ai  Tenti  ! 
Certo  bea  spesi 

Sospiri  accesi 

Arpide  '  per  lei  sparse  ; 

Certo  non  lieYC 

Premio  riceve 

Del  lungo  foco  ond'  arse. 
Ma  Toi  che  in  seno , 

Ninfe ,  al  bel  Reno 

Fate  talor  riposo  ^ 

O  sovra  i  monti , 

O  par  dei  fonti  ^-^ 

Nel  fresco-sfondo  ombroso ^ 
•Su  eòi  pastori 

Doppiate  i  cori 

Al  verde  prato  intorno 
,    Per  far  carole ,  .     ^ 

Infinchè  il  sole 
V   Ne' riconduca  il  giorno. 

NICOLÒ  jFQjTIGUERRl 

Dalla  illustre  fanaiglia  pistojeSe  de^  Fortiguerra 
nacqae  Nicolò  a' 7  novembre  delPanno  16749  e 
dopo  avere  compiuti  io  Pisa  gli  istudi  della  giuris* 
prudenza  andò  a  Roma.  Quivi  fu  Segretario  di 
Aptonio  Felice  Zondadari  ^  e  quando  questi  andò 
come  Nunzio  apostolico  presso  Filippo.  V  di  Spa- 
gna ,  lo  seguitò  in  quel  viaggio..  Infermatosi  (  co- 
me si  crede)  pei  tristi  effetti  di  una  burrasca  sof« 
ferta  nella  navigazione,  ritornò  a  Roma,  dove  Gle« 

K  ÀrpidB*  Nome  immagiiiarìo  d^  pastore» 

UlTTBRAt.  hkJ»  —  IT  27 


' 


3f4  LETTERATURA    ITlLlAfll  ^ 

mente  XI  Io  creò  suo  Oinierlere  à^  onore,  poi  Ca- 
nonico dì  San  Pietro  in  Vaticano ,  e  finalmente  8e« 
gretario  di  Propaganda  ed  anche  del  Sacro  OiScia 
Baccontàsi  ch^  egli  rinunciò  quesO  ultimo  posto  per 
far  luogo  ad  una  creatura  del  cardinale  Corsia!,  e 
poiché  vide  u^cir  vane  le  promesse  ch^  erangli  state 
fatte  da  quel  Prelato  per  indurlo  a  tale  rinancia, 
ne  morì  di  dolore  nel  iy36.  —  Lasciò  alcune  poesie 
liriche  di  argomento  amoroso  ad  imitazione  del  Pe- 
trarca, le  quali  oramai  non  sonò  più  lette.  Non  cosi 
avviene  del  suo.  poema  intitolato  il  Ricciardetto  ^  a 
cui  la  naturale  festività ,  e  la  ricc^e&a  delle  piace- 
Toli  fantasie  daranno^  nna  vita -assai  lunga. 

DAL  RICCIARDETTO. 

Lodi  della  ulta  oscunu 

Quei  gode  lieta  e  arveiitarosa  sorte, 
Che  Tive  in  parte  solitaria- ed  erma; 
Kè  sa  che  còsa  sia  cittade  o  corte; 
Né  ora  si  distrugge ,  ora  s' inferma 
Per  van  desio  di  virer  dopa  morte; 
^e  le  sue  voglie  ognor  stringe  e  rafferma 
A'  cenai  altrui;  né  tra  speme  e  timore, 
Misero  ioTecchia ,  e  più  miser  si  muore. 

Quel  Piacer  che  si  cerca  e  che  si  crede 

Che  stia  ne*  gran  palazzi  e  in  grembo  a  1'  oro. 

Tempo  è  die  ignudo  a  la  superna  sede 

Rimenò  de  le  Grazie  il  santo  eoro  :. 

]^  de  le  spoglie  sue  rimase  erede  ^ 

Per  nostro  scherno ,  il  barbaro  Martòro; 

lì  qnal  vestito  de^  suoi  lieti  panni. 

Chiunque  lo  ritrova  empie  d^affamii. 

Solo'  tra'  boschi  e  le  romite  ville 
L'  allegra  del  t'iacer  dolce  famiglia 


SECOLO    DECIMOTTATO  3|5 

Alloggia  ;  ti  gode  V  ore  aoe  tranquille. 
Ed  ei  spesso  dal  cielo  il  cammia  piglia 
Verso  le  selve;  ed  ór  nel  cor  di  Fille,  • 
Ora  alberga  di  Mice  io  su  le  ciglia  : 
Q4iìndi  ritorna  a  rallegrar  le  stelle: 
Ne  fa  distinzion  tra  Giove  e  quelle  '• 

Ond'  è  che  in  tano  si  lusinghi  e  spere 
Unire  a  signoria  vero  diletto, 
Chi  tien  parte  del  mondo  in  sao  poteje  : 
Che  acerbe  core  egli  ha  a  covare  in  petto  , 
E  d'  ogni  cosa  sempre  ha  da  temere. 
E  con  ragion:  perchè  il  Fabbro  perfetto  * 
Che  con  peso ,  con  numero  e  misura 
Fa  il  tutto,  in  questo  pose  ancor  gran  cura. 

Forerò  si,  ma  dolce  e  saporito. 
Il  cibo  diede  al  rozzo  rillanello; 
E  gli  die  sonno  placido  e  gradito  , 
Se  letto  ^on  gli  diede  ornato  e  bello: 
Né  per  quanto  sia  grinzo  e  incanutito, 
y  è  chi  lo  brami  chiuso  in  un  avello , 
Per  dar  di  mano  a  V  oro  ed  a  T.argento , 
E  poter  dissiparlo  a  suo  talento. 

La  recchierella  a  la  più  fredda  bruma 
Si  siede  al  fuoco  con  la  sua  conocchia , 
E  le  dita  filando  si  consuma; 
E  tien  la  nuora  in  luogo  dì  sirocchia^,- 
Talché  lite  fra  lor  non  si  costuma^ 
Ve  ▼'  ha  chi  scaltro  ed  amoroso  adocchia 
La  donna  altrui  :  che  al  villano  par  bella 
La  propria ,  e  amor  per  altra  noi  martella. 

Non  s'odona  per  quelle  amene  spiagge 
Furti ,  veleni ,  e  sporchi  tradimenti  ; 

X  E  queUe,  Si  rilerisce  a  FilU  ed  a  Nice. 
%.  il  Fabbro  «e. .  Dio«  —  3  StrocchUu  Soi«Ua* 


3l6  LETTERATURA    ÌTkLlkfUk 

Nè'dìi,  presente  toì  ,  ti  palpi  a  piagge  '  , 
E  poi ,  loDlan ,  ti  laceri  co^  denti ,. 
E  rostro  onore  e  Tostra  fama  oltragge. 
Pori  costami  in  somma  ed  innocenti. 
Contrari  affatto^  a  la'  Tita  ci?He , 
Albergao  sempre  in  quella  gente  amilei 
Uà  questa  conoscensa  più  m'  accora  : 
Che  son  costretto  in  così  chiara  corte 
A  stare  infin  che  noa  afTien  ch'io  mora* 
Deh!  perchè  non  trovai  chiose  le  pòrte,   . 
Roma  soperba ,  in  qoel  ponto  e  in  qaell'  ora 
Che  a  te  goidommì  la  mia,  trista  sorte? 
Che  Ritornato  indietro  allor  saria , 
E  Tivrei  lieto  in  qoalche  fìlla  mia. 

CARLO  INNOCENZO  FRUGONI 

Fra  i  beglViDgegoi  del  secolo  XVIII  vuol,  essere 
senza  dubbio. aòqoverato  il  Fragoai^oato  in  Genova 
a^  la  novembre  1692.  I  ^uoi  parenti .  1' obbligarono 
a  vestir  V  abito  de^  Gesuiti  :  il  Pontefice  Io  sciolse 
poscia  dai  voti  ai  quali  contro  sua  voglia  aveva  do- 
vuto sottòporsi^  e  così  egli,  rimasto  semplice  prete, 
cessa  di  essére  uncattii^o  claustrale* 

Coltivando  la  poesia,  alla  quale  può  dirsi  cth  la 
natura  lo  avesse  creato^  conoÌ>be  i  vizri  de' Seicenti" 
sti  e  £eppe  evitarli^  ma  non  seppe  c^egger-e  poi  una 
strada  molto  migliore.  La  poesìa  Fnigoniana  è  pas« 
fiata  quasi  in  proverbio  per  significare  una  poesia 
dove  è  grande  il  rimbombo  delle,  parole  e  dei  versi, 
e  scarso  il  numero  delle  immagini  e  presso  che 
nulla  la  sostanza  dei  pensieri.  Questo  rimprovero, 
chi  ben  considera,  appartiene  ai  seguaci  ^tl  Frogoui 

I  Piagge  per  Pmggi,  da  Piaggiare  in  senio  di  Adulare*  Dicesi  ^i'  A/- 
pW  wv>  pure  i>  senso  di  Zitsingarlo  s  Adularlo^ 


SECOLO  DEcniofrAT»  5i^ 

piattoslo  che  a  lui  ;  e  non  à  senza  qualche  esagera» 
ftione  e  ingiustizia  quello  che  pipiti  scrissero  (  co- 
mincianclosi  dal  BareUi  )  coulro  un  uomo  di  cosi 
splendida  fantasia.  Raccomandarlo  alla  gioventù  j 
quando  essa  nfon  abbia  consolidato  per  anco  il  soo 
gusto,  sarebbe. forse  pericoloso:  condannarlo  i))^ oblio, 
mentre  si  lodano  a  ciclo  tanti  magri  ripetitori  di  an* 
ticbe  eleganxe,'è  una  delle  mólte  ingiustizie  che  più 
forse  di  o'gni  oattiyo  esempio  hao  nociuto  alla  vera 
poesia  italiana. 

Il  Frugoni  fu  professore  di  umane  lettere  in  Bre^ 
scia,  in  Bologna ,-itf  Genova,  in  Ryma.  AIP ultimo, 
fu  poeta  della  Q)rte  di  Par^à,  doycr  morì  nel  di« 
cembre  delP  anm>  1768..  , 

^  -sonetti;         '     . 

* 

V  Jngjeìo  sterminatore  *.   *  « 

Foco  eran  V  alt  folgoranti  \  eJ  era 

Fulminea  fiamma  il  ferro  che  sti'iogea  * 
L*  Aogql  che  ih  notte  orribilmente  nera  , 
Rotta  da  rosse*  folgori ,  scendea. 

^ullé  gran  peone,  che  eoprjfano  intera  - 
La  minacciala  terra ,  alto  peodea  ; 
Quando  tonando'  dalla  somma  sfera 
L*  oimipoteote  Voce  a  lai'dicea: 

Venner  delF  ira  mia  ,  vennero  i  tempi: 
Mio  portajtor  dì  morte  e  di  spavento , 
Ferisci  ,-aiterra  ;  il  grand' eccidio  adempi.  - 

Disse;  e  so  ceoto  Inique  fronti  e  cento 
Scese  V  nltride  spada ,  e  ièo  tiegli  empi 
Arida  polve,  che  disperse  il  vento. 

I  Qaello  che  distrùsse  in  uoa  notte  1*  esercito  di  Sennacherìb.  V-  pttg,  221 
di  questo  volume,,' 

*     •      ■        27* 


3l8  U^^EAATORi  ITAUàKA 

'  jénmòaie  suHe  Alpi* 

Ferocemente*  la  visiera  bruna        ^ 
A^zò  ^uir>aYpe-r  affrkaa  'gaerriero  ^ 
Cai  la  ::vittricft  inifriar  fortuna 
Rìdea  superba  nel  seiobiante  aker». 

Rftoirò  Italia  t  e  qBal  china  pello  adaaa 
Il  eiarato  sulF  ara  odio  primiero.  ■ , 
Maligno  rise ,  aon  credendo  alcana   * 
Parte  sepura  del  nemico  Impero.. 

£  poi. col  forte  itnoia^oar  rivolto 
Alle  veat|i re •  memorande  inprese, 
Tacito  e  in  suo  pènsier  tall^  raccolto^ 

Seguendo  il  Genio  chje  per  man^K»  prese  ^ 
Coir  ire  nitrici  e  le  minacce  in  volto  « 
Terror  d*  Ausonia  e  del  Tarpeo  discese  *«. 

*   •  _-  • 

*  ^si7£>  di  Scipione,  * 

Qoatldo  il  graó  Scipio  diriP  iegrala  terra  ^ 
.  Che  gK  f(t  pàlv»  e  il  ceiìer  suo  non  ebbe,. 
Esule  egregio' SI  pelli»,  qoal  dehbe 
Uom  che  in  suo  v  cor  jiMsehie  valor  rinserra  ,, 

Quei  che  seca  pogaa^da  aadà^  sòiterra 
Ombre  famose  ,  onda  si  Ilalfà  crebbe  , 
Arser  di  sdegnn;  e  U  dare  esemplo  inarebbe 
Ai  gen|  delle  pace,  e  della  guerra  ; 

E  seguirlo  far  viste  in  alla  altere 
Sali'  indegna  fremendo  oficsa  alroee 
Là  virili  anlìcbe  del  latino  Ijnpero  & 

E  alior  dì  Stige  sulla  'negra  fece   - 
Di  lui  «he  l'alpi*  saperò  pritaaiero^> 
Rise  V  inveodicata  ombra  feroce. 

1  ^t  giurai»  ec>.*.  Amilcare  padrQ  di  Annibale  gli  avea  (atta  giman  die*> 
ter  teaifre  neotiico  ai  RomaiuL  ** 

a  AtUùnia.  Italia.  — >  Tarpeo,  U  colle  in  cui  en  Cibbriaato  ti  Campidoglio 
ia  Roma  1  o  9Ù  sta  in  vece  di  queita  città. 

^tHimt9^^V  ombra  di  Annibale. 


•ECO&O   DECIHOTTATO» 


Zl^ 


CARZORErrA. 

Il  rimedio  peggjhr  del  male. 


Ciprigna  a  Bacco 
Condusse  Amore, 
Quel  domatore 
D'ogni  beltà; 

Qoel  che.,  fela^o 
Di  ]»eada  II  ciglio, 
HoD  ha  consiglio  , 
FrcDO  Qoo  ha. 

D^  nn  lac^o  d*  6ro     • 
Stretto  gli  area 
La  .bella  Dea . 
La  rosea  mao; 

Ed  ^ii  avvinto 

Spargea  preghiera  ^  ^ 
L'ali  leggiere 

'     Sco tendo  iniiaii. 

A  Bacco  disse-  , 

L'amabil  Divat 
Sa  qaesta  riva 
Mi  trassi  a  te: 

Di.  questo  alato 
Figlio  crudek. 
Cento  querele   ^ 
Gfiungeoo  a  me^ 

Si  daol  r  immenso 
Regno  dell'onde-, 
Che  ma)  s' asconde 
Dal  traditor: 

Si  ddoi  la  terra  , 
Il  ciel  si  daole. 
Privo  di  sole 
L^  èrebo  ancor/ 


■*■> 


Io  to'  che  teee 
Resti  l'audace; 
Ma  pria  la  face 
Gli  TUO  leTar; 

Quella  onde  snole 
Per  crudo  giòeo 
Por  tutto  in  fece , 
Tutto  turbar.  — 

Bacco  sorrise^ 
E  di«sé  poi^ 
Come  più  Tooi^ 
O  Dea  &rò.  - 

Tosto  r  inerme 
Pancini  dolente 
D*4  ampio  lucente 
Cristallo  armò^ 

Gli  faro  intorno 
•  Fauqt  e  Baccanti 
Lieve  saltanjti 
Con  V  agii  pie  ; 

Eletti  omojri 
.  Ciascun  Tersando  , 
Ciascun  cantando  ; 
Bacop,  eroe.  - 

Fra  t  dolci  inviti 
Il  pargoletto 
^ugò  dal  petto 
L*  ira  e  il  dolor  : 

Bevve  e  ribevve , 
£  sparse  il  viso 
Di  vago  risoci 
Gli  occhi  d*  arder* 


5zO  I.£TT£aATUKA 

Ma  di  beo  cento 

Tazze  già  caldo. 

Quanto  più  baldo 

Mal  difeotòt 
Come  1  ripari 

Ondosa,  piena  * , 

L*  aurea  catena 

Scosse  e  spezcò. 
Bacco  e  la  madre 

Foggi  schernendo. 

Fra  sé  dicendo: 

Vi  puifirò»  — 
E  verso  Gnido 

Rifòlse  Tali, 

L'  arco,  e  gli  strali 

Là  rijiigliò. 


itàliaha 

Di  largo  vino 
Arso  le  vene^ 
Da  qaeHe  arene 
Veloce  osci  ; 

E  più  che' prima 
Con  modi  rei 
Comi  ni  e  Dei 
Fiero  assalì: 

E  per  Tendetta 
U  Bépro  garzóne 
Fé'  per  Adone  * 
La  Dea  langnir* 

E  il  Dio  di  Misa 
Per  la  smarrita  ' 
Vergin  tradita 
Volle  ferir» 


V  amante  di  tutte  le  donne^ 

Nascondelefi,  o  vezzose 

Pastorelle,  quante 'si>te.: 

Semplicette  !  non  vedete 

Chi  vi  spera  incatenar  ?  . 
Vien  da  T  Alpi  quel  pastore 

Che  per  tutte  sa  languire  , 

E  godendo  di  mentire^ 

Sa  per  tutte  sospirar.  » 

Lineo  è  II  nome  ch^  ebbe  in  sorte  s 

Nome  noto  a  qoante  belle^. 

Vadno  a  pascere  le  agnello 

So  la  Trebbia  e  in  riva  al  Po. 
Egli  crebbe  come  cresce 

Luogo  pino  in  alto  monte: 

X  Come  ondosa  piena  scote  e  spessa  i  ripari,  cesi  kmofe- scosse  «e.» 
3  Venere  amo  Adone  j  e  fiacco  (  Dio  di  Misa  >  amò  Arìanoa  tradiU  ed 
aLbandonala  da  Teseo. 


SECOLO    DECI^OTTÀTO  ^21 

Da  le  fasce ,  ib  bruna  fronte 

Nero  crioe  dispiegò. 
Fa  suo  stadio  e  suo  costume 

Mutar  spesso  cielo  e  lido  : 

Egualmente  a  tutte  in6do  , 

Egualmente  ^  Iqsìnghier  ; 
Incapace  di  Costanza,' 

Quel  che  dice  a  Glori,  a  Fille, 

Lo  ridice  ad  altre  mille; 

Solo  intento  al  suo  piacer. 
Dice  a  Oori:  Mai  non  ?idi 

Piii  bel  collo  e  più  bel  ciglio  : 

Perde  il  latte  e  perde  il   giglio 

Uguagliato  al  tuo  candor. 
Dice  a  Fille:  Mai  non  arsi 

Per  occhietti  più  Tiraci: 

Solo  in  questi  le  sue  faci. 

Per  mia  pena ,  accese  Amor. 
Cosi ,  ricco  di  menzogne, 

Va  cercando  chi  gli  creda  ; , 

Come  instabile  la  preda 

Carociator  cercando  va* 
Hoa  è  poTero  di  lodi  ;  '  - 

Ve  sa  dar  quante  conviéDe: 

S^  the  son  dolci  catene 

Per  legare  ogni  beltà. 
Accusato ,  non  sol  pronte 

Ha  sul  lab}}ro  cento  scuse, 

Ha"^  ritorcer  sa  V  accufse 

Sul  sorpreso  accnsator  '  ; 
E  rÌTolgere  s' ingegna 

Ib  suo  merito  il  delitto  : 

X  Sorpreso  lU  qui  per  Jttoaito,  Incapace  di  rUpQnd^rt^ 


322  LETTERATURA    ITALIANA 

Né  qael  volto ,  sempre  invitto , 

Teme  assalto  di  rossor. 
Se  bellezza  da  la  ctioa 

Non  gli  £b*  di  sé  grao  parte  y 

Consigliarsi  sa  con  1'  ar^e  , 

E  il  compenso  rinvenir. 
Lo  vedrete  sempre  in  chiome. 

Odorose,  innanellate,    -^ 

Ed  in  vesti  sempre  ornate, 

Tutto  vago,  comparir. 
Ninfe  belle,  se  vi  parla. 

Se  vi  prega  e  vi  lusinga  y,  , 

Ah!  per  lui  mai  non  vi  stringa 

Vano  affetto  di  pietà* 
Rimandatelo  deriso, 

E  sbandito  dal  cor  vostro, 

A  i  sani  monti',  come  an  mostro 

Di  scopeirta  infedeltà. 

:    L*  OMBRA   DI    POPE  ^ 

La  notte  in  cui  nacque  il  fanciullo  (  dice  il  Poeta  ) 
io  Doeditava  un  carme  che  fosse^  uguale  alP  illustre 
argomento  /tua  non  sentendo  in  me  soiEcieote  va- 
lore, pregai  POoibra  dì  Pope,  affinchè,  lasciando  { 
bei  mirti  del  ridente  Eliso  ^  venisse  a  inspirarmi.  E 
r  Ombra,  marcata  P  eburnea  porta  de' notturni  sogniy 
sen  venne  a  me  ^  e  :     ^ 

Perchè  (  dicea  ),  me ,  che  in  amabii  pace 
Laggiù  -passeggio  della  elisia  chiostra 
L*  etere  puro  ed  il  pui^pureo  giorno 

1  II  Fragoai  eompose  parecck)  Poemetti  in  versi  iciolU,  àxyw  U  ma 
maniera  o  scuola  apparisce  forse  più  che  Delle  poesie  Uriche.  A  dare  un* 
idea  di  questi  Poemetti  e  del  verseggiar  del  Frugoni  -parui  che  possa  La* 
stare  1*  analisi  che  qui  presento.  Il  Poemetto  è  coBiposto  per  la  naidu  del 
primogenito  di  milord  Holdernesse  iti  Veaecia. 


SECOLO    DEGI3IOTT4TO  323 

Sciolto  da^  sensi ,  e  par  delP  arti  amante 
D^  obblio  nemiche ,  che  vi? endo  amai  , 
Perchè  me  chiami  e  prieghi  or,  che  doToto 
Alle  giuste  speranze  e  a'  giasli  Torli 
Tenero  pargoletto  ali*  Adria  in  rifa 
L'antica  d' Holdemesse  inclita  stirpe, 
Vera  d^  eroi  propago ,  orna  e  rinnova  ?^  ' 
Tn  par  poeta  sei  ;  né  di  te  poco 
Grido  sin  laggiù  Tenne,  OTe  altro  cielo, 
Altro  benigno  Sol  noi  cinge  e  pasce 
Scarehe  del  denso  velo  agili  forme* 
Quanto  di  te  fra  i  Terdi  lauri  annosi 
Del  sacro  bosco ,  oto  talor  V  immenso 
Di  Venosa  Gantor  meco  s'  asside , 
Mon  si  parfò.  tra  noi?  Vede  egli  come 
Felicemente  tu  sul  tosco  plettro 
Porti  i  latini  modi ,  e  il  noTo  stile 
Tingi  .dello  splendor  di  saa  favella  : 
Sei  Tede ,  e  il  narrA ,  e  con  piacer  T  ascolta 
II  popolo  minor  del P  Ombre  attente; 
E  le  tne  lodi  ed  H  tao  nome  impara* 

lo  (  prosegue  il  nostro  Poeta  )  arrossendo  di  tante 
Iodi  esposi  air  Ombra  la  cagione  di  quella  chiamata,  e 
come  dovendo  cangiare  agli  orecclii  di  tale  ch^  era  av- 
vezzo ad  udire  i  suoi  -versi,  temeva  di  spiacergli  troppo 
co^  miei.  Però  la  pregai  di  nuovo  del  suo  soccorso* 

A  qnesto  mio  pregar,  cortese  in  atto 
Li'  Ombre  sorrise ,  e  lampeggiò  tre  volte 
Più  che  mai  bella  intorno  :  indi  repente 
Me~  rinTolgen^o  *  nel  suo  tìto  lume , 
Come  se  nudo  di  corporeo  pondo 
Me  ad  uom  non  data  agilità  movesse , . 
Seco  m'  alzò  per  Tie  che  ai  bel  tragitto 
Cedean  Iìctì  e  serene.  Il  breve  solco, 


3a^  LETTEBITCBA    ITALIANA 

Che  segnai  seco  pel  celeste  vuoto, 
Bapidamente  precedeao   Telando 
Le  messaggiere  dionee  colombe  *  , 
Che  con  noi  ratto  là  drizzando  V  ali. 
Dove  il  nato  glacea  nobil.  fanciullo^ 
Si  posar  sn  la  cana;  e  pr.ia  versati 
Vagamente  su  lui  dal  roseo  rostro 
Fior  molli  e  misti  d[  odorose  foglie 
DMdalio  mirto,  allo  silenzio  imposto. 
Il  coloralo  variante  collo , 
Come  intente  ad  sdir,  volsercf  a  lai  *, 
Che  riparlò  l*  armoniosa  lingua 
Che  sola  parlerfano  i  Numi  in  terra. 
Odi,  o  figlio  (a  dir  prese.)',  odi  ^  q  d*  altero  ^ 
Padrq  delizia  e  dono,  e,  nato  :  appena. 
Questa  tua  gentil  alma  or  or  partita 
Dal  fonte  eterno  delle  pure  idee^ 
Rivolgi  al  sacro  ragionar  de^  vati. 
Come  prime  paWaro  al  chiuso  in  fasce 
Magnanimo  P«]ide^,  a  te  primiere 
Parlin  le  dotte  Muse  :  ad  esse  Giove 
Sul  primo  varco  dell'  uman  viaggio 
Le  vite.^egli  eroi  diede  in  governo. 
Questa,  ove  nasci  e  fai  d'  un  vago  germd. 
Lieto  il  paterno  generoso  tronco. 
Almo  garzon  ,  non  è,  non  è  l'invitta  . 
Patria  che  al  tuo  natal  dovea  Natura: 
Dà  te  lungi  ella  giace',  .ove  a  lei  cento 

1  Dionèe  colombe.  Le  colombe  furono' sacre  a  Venere,  la  qaale  fii  detta 
anche  Dione.  < 

2  A  lui,  A  Pope. 

3  Altero,  pressa  i  poeti  ^  significa  V  alteua  dejl*  animo  i  tkon  degenerata 
però  in  superbia.  ^ 

4  DalfmU  ec..  Da  Dio. 

5  Pelidc.  A^biUe. 


SBCOLO    l>£GfaiOTTATO  3^5 

Ingegni  ed  Arti  dolcetneììte  in  grembo 
Nudre  MiDerva,  oTe  Nettano  e  Sfarle 
Dividono  con  lei  V  ooor  dell'  ariDÌ<, 
£  lo  scettro  dell'  onde  e  il  freo  de'  venti. 
Ma  della  patria  cuna  oh  come  il  danno 
Ti  compensar  gli  Dei!  Questa,  ove  nasci , 
£  1^  angusta  iumortal  d*  Adria  regina  ; 
Quella  che  qaassù  parmi  Jnvitla  e  chiara 
.Sorgere  al  par  di  lei  *  ,  che  sul  Tarpéo 
Sedea  donna  del  mondo ,  e  del  suo  nome 
La  sicorem  ed  il  terror  ponea 
Sa  la  romana  consolar  bipenne; 
Quella  che  per  mutar  lungo  di  tempi 
Da'  saggi  padri  ne'  miglior  nepoti      ^ 
Grande  e  a  sé  slessa  ugual  sempre  rinasce: 
Sede  d'  intatta  libertà,  maestra 
Di  felice  consiglio ,-  unica  in  tante 
Degli  agitati  regni  aspre  vicende , 
Che  a  tutti  cara  per  antico  esempio 
D'  imperi urbabil  fé ,  tranquilla  tesse 
De'  suoi  destini  1'  ammirabil  corso* 

Qai  V  Ombra  di  Pope  fa  un  lungo  elogio  al 
padre  del  neonato,  e  poi  alla  madre,  a  cui  le  Grazie 
e  Teti  e  Cilerea^  e  Pallade  e  Giano  diedero  i  più 
bei  pregi  che  avesse  mai  donna  alcuna.  Questa  ma- 
dre (  dice  r  Ombra  )  abbia  cura  di  te  fioche  sqì 
fanciullo. 

Poi  quando  te  fiorir  di  forze  e  d'  anni 
L' anglicM)  ciel  vedrà,  prendanti  in  cura 
L*  Arti  cultrici.  Di  Natura  i  doni 
Schindansi  in  te,  come  in  terreno  aprico 
Si  manifesta  de*  benigni  temi 
La  vital  aura  e  la  virtù  natia. 

j  Xel.  Eoma. 

tBTTEILLT.  ÌTÀI»,  -  IT  ^^ 


3'26  LETTERATUIIA    ITlLlAftl 

I  taoi  gr.iD(l'  afi  intendi  ;  e  poiché  avrai 
L^  antica  fama  di  lor  alte  geste 
Da  tante  e  sì  lontane  età  raccolto, 
Volgiti  al  più  Ticino  e  caro  esempio  : 
Stndia  il  gran  padre  tuo,  che  può  bastarli 
Per  tutti  solo,  e  d*  ngaaglìarlo  agogna: 
Prendi  da If  opre  sue  la  Tiva  legge  ^ 
Che  della  vita  perigliosi  e  cinti 
D*  aspre  fatiche  a  te  i  sentier  rischiari, 
E  i* additi  fede!  come  s'adempia 
Quanto  attende  da  te,  qnaolo  aver  dee 
Il  re,  la  patria,  e  ^nel  ebe  chiudi  e  Tolgi 
Nelle  onorate  vene  egregio  ^ogoe* 
Cresci,  o  nobìl  fanciullo;  e  già  presaga 
De'  tuoi  splendidi  eventi  al  sea  ti  stringa 
La  Gloria  nostra  ,  e  a  rispettarti  prenda 
L^  instabile  Fortuna.  Oh  quanta  sei 
Giusta  speme  de'  tnot  I  -  Ma  die  p\k  parlo? 
He  la  notte  abbandona  ;  ecco  dal  Sole 
Ornai,  quai  aureo  inondator  torrente, 
La  settemplice  madre  de'  colori  '  :' 
La  nova  luc&  a  scaturir  vicina 
Me  d^alto  fere,  e  sforza  i  lieti  alberghi 
D^  Eliso  riveder  pien  de*  tuoi  fati , 
Che  taciturna  ancor  caligin  vela. 
Disse;  e  tn  ciel  sorte  il  giorno,  e  l'Ombra  sparve. 

PIETRO  METàSTàSIO 

Un  gtovinetto  per  nome  Pietro  Trapassi  addestra- 
vasi  air  oreficeria  in  Roma,  dov*  era  nato  di  poveri 
gcoitori  addi  3  gennajo  1698  j  6  cantando  piacevoli 

I  La  settemplice  ee. .  La  luce  che  variamente  rifratta  forma  i  sette  colori 
pvimitivi.  — •  Tra  i  difetti  del  Frugoni  e  della  sua  scuola  annoverasi  anche 
(quello  di  far  pompa  troppo  spesso  nei  versi  di  scàentifiche  eognisioni. 


SECOLO   DECiaiOTTATQ  32 7 

Tersi  imprOTTisi  dava  la  qualche  modo  nno  sfpgo  al 
naturale  suo  ingegno,  allorché  Vincenzo  Gravina  ab« 
baitutost  a  udirlo ,  lo  tirò  a  sé ,  gli  eanibiò  il  nome 
io  quello  di  Metastasio,  e  P  avviò  pel  sentiero  delle 
lettere  a  guadagnarsi^  una  gloria  immortale.  Né  con* 
tento  di  ciò,  P  illustre  benefattore  morendo  nel  1718 
lascia  vaio  erede  di  un  patrimonio  assai  ricco. 

Di  quattordici  anni  il  Metastasio  aveva  già  com* 
posta  una  tragedia  (  i7  Giustino)^  e  nel  17 19  già 
s^  era  illustrato  nelP  Accademia  degli  Arcadi.  Fra 
gli  scrittori  latini,  studiava  Ovidio  di  preferenza  ad 
ogni  altro;  fra  gP  Italiani,  ammirava  principalmente 
la  Gerusalemme  del  Tasso,  benché  il  Gravina  gliene 
avesse  proibita  la  lettura  ,  raecomandandogli  invece 
V  Ariosto.  La  vivacità  della  fantasia ,  la  forza  deU 
r  ingegno  e  la  facilità  del  verseggiare  potevan  con- 
durre il  Metastasio  ad  una  ineta  gloriosa,  qualiinque 
fosse  stata  la  strada  che  avesse  scelta;  ma  per  buona 
ventura  dandosi  al  Melodramma  elesse  quella  appunto 
per  la  quale  può  dirsi  che  la  natura  lo  aveva  fatto« 
Il  Rinuccini  nei  primi  anni  del  secolo  XVII ,  e  più 
tardi  Apostolo  Zeno,  avevano  già  recato  molto  allo 
questo  genere  di  poesia  :  egli  poi  lo  rese  perfetto. 

Le  prime  opere  teatrali  del  Metastasio  (  1'  Endi'* 
mione^  gli  Orti  Esperidi^  la  Galatea  e  V  Angelica  ) 
furono  scritte  negli  anni  1721  e  i^aa  in  JNapuli 
dov^  erasi  trasferito  per  sottrarsi  alle  persecuzioni 
d^  alcuni  invidiosi  che  gli  avevano  inimicato  il  Poa* 
tefice  Clemente  XI.  Quivi  egli  conobbe  la  celebre 
cantante  ed  attrice  Marianna  Bulgarelli  > ,  la  quale  gli 
diede  utili  consigli  ed  eccitamenti,  e  postasi  ad  abi* 
tare  con  lui  riordinò  la  domestica  sua  economia.  A 
iomiglianza  del  Gravina,  anche  la  Bulgarelli,  morendo 
nel  1754,  fece  suo  erede  il  Metastasio;  ma  egli  ri- 
nunciò al  marito  quella  sostanza.  E  già  quattro  anni 

1  Presso  la  Bulgarelli  il  Mctastasia  conobbe  il  ctlebc»  Porpora   Ja   cui 
ajipresé  la  scieoxa  muskale. 


3:^8  LETTERATURA    llMLIAKA 

prima  SÌ  era  (iiviso  da  lei    e  dalla    propria   famiglia 
'    per    andare    in    Vienna    alla  Corte    dell^  imperalore 
Carlo  VI  dove  prima  era  stato    Apostolo    Zeno ,    e 
dove  poi  fu  Garissioio  ai  Sovrani  Francesco  I,  Maria 
Teresa  e  Giuseppe  IL  Quivi  negli  agi   ohe   gli    da- 
vano nna  ricca  pensione  e  molti  ragguardevoli  regali^ 
egli  scrisse  i  migliori  suoi  Drammi^  e   morì  la  sera 
del  giorno   \^  aprile   1782,  lasciando  un  patrimonio 
di  più  che  i3o,ooo  fiorini.  Oltre  i  Drammi,  abbiamo 
del  Metastasio  molte   Lettere    e    Poesie    Lirkhe^    la 
traduzione  della  Poetica  dì   Orazio   e    V  Estratto    di 
quella  di  Aristotele  con  bellissimi  commenti^ 

Le  femmine  di  Lenno  sdegnate  contro  i  loro  mariti 
stati  tre  anni  assenti  per  una  spedizione  nella  Tracia 
hanno  deliberato  di  ucciderli  tutti  al  ritorno.  Eurìnome 
la  quale  credea  di  avere  perduto  il  figliuolo  Learco 
per  colpa  del  re  Toante ,  va  spirando  il  proprio  fa« 
rore  nel  cuore  di  tutte.  La  stessa  Issipile  ha  do« 
vuto  giurare  di  uccìdere  Toante  suo  padre:  ma  Pa*- 
.nimo  rifngge  da  queir  orrendo  delitto,  e  però  sfor- 
zasi d' impedirlo.  —  Qui  comincia  il  dramma  ;  ha 
sceua  è  P  ^trio  dei  teaipio  di  Bacco  di  cui  in  quel 
jgiorno  celebrasi  la  festa,  Issipile  prega  Rodope  sua 
'  confidente  di  correre  al  lido  a  cui  già  s^  appressano 
f  Lennj,  e  salvarle  il  padre,  palesandogli  la  femminile 
congiura.  Ma  tardi  è  il  consiglio.  Accompagnala  da 
inolte  Baccanti  soprarriva  Eurinome  e  dice: 
Rodope,  principessa, 

Valorose  compagne,  a  queste  arene 

Dalle  spon((e  di  Tracia  a  noi  ritorna 
[  Fanno  i  Lennjj  infedeli.  A  noi  s^  aspetta 

Del  sesso  vilipeso 

Jj*  oltraggio  ?enf]icar.  Tornan  gP  iograli , 

Bla  dopo  a\'er  Ire  volle 


SECOLO    OECWtaTriTiy  329: 

Visle  J/i  noi  lontano 
Le  messi  rinnoTar.  Tarnano  a  noi  ^ 
Ma  ci  portaa  su  gli  occhi 
Dei  talami  FurtiTi  i  frutti  infami  ^ 
E  le  barbare  apaiche 

Dipinte  it  Toìto,  e  di  ferina  latte  % 

ÀTTCZzate  a  nutrirsi,  adesso  altere 
Della  vostra  beltà  vinta  e  negletta» 
Ah  !  Vendetta  ,  vendetta  : 
La  giurammo^  s^adempra.  Ai  gran  disegno 
Tutto  cospira.  L'  opportuna  nolle. 
La  stanchezsa  de^  rei ,  del  Dio  di  Nasse  ^ 
Il  rito  strepitoso,  onde  confuse 
Fian  le  querule  vóci 
-^Fra  le  grida  festive,  j^ padri,  i  figli > 

I  germani ,  t  consorti 

Cadano  estinVi  ;  e  sia  fra  noi  comune 

II  merito  o  la  colpa.  Il  grande  esempio 
Dei  femminili  sdegni 

AI  sesso  ingrato  a  serbar  fede  insegni. 

Issipile    si  finge  compresa  dal  furóre  tf  Eurinome 
sperando  ancora  di  prevenirne  gli  effetti  ;  ma  Toante 
è  già    approdato ,  e  giunge   co^  suol   al    cospetto    di 
queste  douue,  Voltosi  alla  figlia  j  it  Re  dice  : 
To.  Vieni,  o  dolce  mia  cura, 

yieni  al  paterno  sen..  Da  te  lontano 
.    Tulto  degli  anni  miei  sentiva  il  p'esu; 
/  E  tutto,  o  figlia,  io  sento, 

Or  che  appresso  mi  sei,  (  t  ahÌM'accia  ^ 
Il  peso  alleggerir  degli  anni  miei. 
Is.  (Mi  si  divide  li  cor!) 

To.  Pef che  ritrovo 

Issipile  st  mesta? 

I  Dia  di  Naaso»  Bacco. 

28» 


33q  IjiETTBRAtirai   ITAI^UKA 

Qual  mai  freddezza  è  f|uesU 

Ali'  ari'ÌYO  d^  uà  padre  ? 
jff.  Ah  tu  non  saL 

Signor  •  •  V 
RoiL  (Taci.)  («<l  IssipUe\ 

Is.  (  Che  pepa  !  ) 

Eur.  (Ah  mi  tradisce 

La  debolezza  sua  !  ) 
To.  La  mia  presenzA 

,     Tt  funesta  così? 
Is*  Non  Tedi  il  core  ^ 

Perciò  ....      (  Eiirinome  minaecia  Isslpile  acciò 
Tù^  Spiegali,  n©/i  parli) 

Is.  Oh  Dio» 

To*  Spiegali,  o  figlia. 

Se  r  Imeneo  ti  spiace 

Del  prence  di  Tessaglia  *^ 

Che  a  momeati  verrà  •  .  «. 
Jf.  Dal  pritno  i^ante  , 

Che  \  ridi  ^  V  adorai.. 
7*òa  Forse  in  mia  vece 

Avvezzata  a  regnar  ^  temi  ch^  sia 

Termine  del  tuo  regno  il  mio  ritorno  ?' 

T'  inganni.  Io  (|u.i  non  sono 

Più  sovrano ,  ne  re.  Panisci,  assolvi^ 

Ordina  premj  e  pene  ;  aUro  non  hramo  , 

Issipile  adorata  , 

Che  viver  teco.  e  che  moristi  accanto.,  {p  abbracciai 
Js»,  Padre,  n.oa  pia.  {piange) 

Tà.  Ma  che  i;aoI  dir  quel  piapto? 

Murr^       È  necessario  effetto 

ly  mi  piacer  ch^  improvviso  inonda  il  petto. 
to».  So  che  riduce  a  piangere 

L*  eccesso  d'  un  piacer  ;. 

X  M  Prence  tt* .  Giasone*. 


r  ■» 


•ECOtO   »E€IMOTTATO  33» I 

^ly  4  Ma  qti«s(e  lue  mi  sembrano 

Lagrime  di  dolor: 
£  non  9^  inganna  «ippiena 
D'  nn  genitor  hy  sguardo-^ 
Se  d*  irna  figlia  in  seno 
Cerca  ìe  Tie  del  cor. 

.,  Frattanto^  essendo  venula  la  notte,  Eurinome  va 
sollecìtatida  alla  strage  Issi  pile  e,  Rodope.  Quesl^  uU 
tìma  è  rìniasta  sola  ^  ed  ecco  venirle  innauzi  Leav- 
co. .  Innaoiorato  d^  Issi|>ite  egli  viene  con  suoi  pirati 
per  disturbare  le  nozze  di  lei  col  tessala  Giasone. 
Rodope  (  sebbene  tradita  da  Learco  ond^  essa  era 
arnaqte)  me  prova  pietà,  gli  svela  la  congiura,,  e  lo 
sollecita  a  salvarsi  fuggendo..  Noi  p.ersuade  però: 

Xeflr.      Eh!  ch'io  non-  pfesto  fede 

A  fole  femmtnìfi.  Ad  ognr  prezzo 
Del  tessalo  Giasone 
Si  distwbrn  le  nozze.  Armata  schiera 
Di  gente  infesta  ai  naviganti^  e  afTezza 
A  TÌTcr  di  rapine y  appresso  al  lido 
Attende  i  cenod  miei.  Di  €|nesta  reggia 
Ogni  angolo  m'  ò  noto.  Ascoso  intanto , 
Da  <}ael  che  aTTÌene  io  prenderò  consigliala  . 
Si  sgomenti,  al  periglio 
Chi  comincia  a  ^liiri  di  colpa  in  colpa 
Tanta  il  passo  inoltrai  y  , 
Che  ogni  rimorso  è  intempestivo  ormai. 
Chi  mai  non  Tide  fuggir  le  sponde, 
La  prima  volta  che  va  per  l'onde 
Crede  ogni  stella  per  lui  funesta^ 
Teme  ogni  zeffiro  come  tempesta. 
Un  picciol  moto,  treo^ar,  lo  £a^ 
Sia  reso  esperto  sì  poco  teme 

Che  dorme  al  suono  del  mar  che  freme , 
(>  su  la  prora  canlaudo  va..  * 


332  LETTERATURA   ITAI.lAffA 

Issipile,  intenta  a  salvare  il  padre,  lo  trae  nel  gtar-^ 
dino  e  lo  nasconde  in  un  boschetto  sacro  a  Diana«. 
Learco,  non  visto,  ha  sentito  il  loro  colloquio,  è~peo5» 
di  trarne  profitto.  Però,  fingendosi  pietoso,  chiama 
Toante,  gU  dice  che  il  suo  asilo  già  è  nota  alle 
congiurate^  ch'esse  verranno  tra  breve,  e  se  il  tro« 
vano  sfogheri^nno  il  loro  furore  sopra  di  lui  e  sopra  la 
figlia.  Toante  allora  esce  del  nascondiglio;  e  Learca 
yì  si  pone  invece  di  lui ,  aspettando  che  Issipile^  tor» 
nando  pel  padre ,  venga  a  farsi  sua  preda. 

In  questo  mentre  Issipile,  per  ingannar  le  altre 
donne,  ha  collocato  sul  letto  di  Toante  il  cadavere 
di  un  Lennio ,  sicché  diffondesi  il  grido  della  morte 
del  Re.  E  già  tutti  i  Lenu)  furono  uccisi,  quando 
il  tessalo  Giasooe  venendo  alte  stabilite  nozze  d^  Is* 
aipile,  approda  alP  isola  delle  donne  omicide.  Assalito 
da  loro,  le  mette  in  fuga,  ed  entra  ins^iiendole  iu 
una  sala  d'armi,  dove  sono  Issipile,  Rodope  ed  Eu* 
riìiome.  Quivi  sente  V  uccisione  degli  uomini  ;  ed 
Issipile,  per  non  mettere  il  padre  in  pericolo,  è  co- 
stretta a^  aiTermare  di  averlo  ucciso  essa  medesima. 
Giasone  inorridito  si  parte  da  lei. 

Cosi  finisce  il  primo  Atto.  Sul  principiar  del  secondo 
▼edesi  Eurinome  che  nell!  oscurità  delia  notte  passeggia 
presso  quel  boschetto  dove  Issipile  lasciò  suo  padre. 

Ah!  che  per  tolto  io  veggo 

Qualche  oggetto  fuoest<i^ 

Che  riafaccia  a  quest^  alma  i  suoi  furori  \ 

Voi ,  solitari  orrori , 

Dai  seguaci  rimorsi 

Difendete  il  mio>  cor.  Ditemi  voi , 

Che  per  me  più  non  erra  iofendicala 

L'  ombra  del  figlio  mio  ;  che  più  di  Lete 

Non  sospira  il  tragitto  ; 

E  che  vai  la  sua  pace  il  mio  delitto  \ 

I  E  che  ec, ..  E  ch«  ,  per  dar»  k  pace  ad  un  figlltiol  morto  »  fì&  ragione- 
Tola  commettere  questo  delitto. 


SECOLO    DEGIMOTTATO  331 

Learco ,  ci'edendo  che  costei  sia  Issìpile ,  esce ,.  I. 
preode  per  la  maiK),  e  comincia  a  parlarle:  ma  pò 
conosce  V  errore^  e  si  nasconde  di  nuovo. 
Jiur»        Misera  mei  qonl  gelo 

Per  \e  Tene  rai  scorre  t  E  dì  Learco 
Quella  voce  che  intesi.  Ah  !  do?e  se<i  ? 
Non  celarti  al  mio  sguardo» 
Spiegami  il   tuo  ritorno. 
Parla  :  che  vuoi  ?  Perchè  mi  giri  intorno? 
Ombra  diletta  ^ 

Dd  caro  figlio  esangue, 
Non  chiedermi  Tcndelta  : 
L*  avesti  già  da  me. 
Qual  pace  mai, 

£  qual  riposo  avvai. 
Se  non  ti  basta  il  sangue 
Che  si  versò  per  te  ? 
SopraggiuDge  Issipile  ^  la  quale  anch^  essa  neir  o^ 
scurità  non  conosce  Eurinome,  e  dice: 
Qui  pria  di  me  dovrebbe 
Esser  Rodope  giunta.  Eccola.  Amica , 
Vola  a  Giasone.  Digli  [credendola  Rodope) 
Che  vive  il   re;  che  seco 
Qra  ù\  porto  verrò.  Senti.  Potrebbe 
Giason  co*  sgoi  segnaci 
Air  incontro  venirne ,  e  *\.  nostra  scampo 
Assicurar  cosi.  (  p^  i^ersa  il  bosco  ) 
£f/r«  Qua!  trama  ignota 

La  fortuna  mi  scopre  !   Intendo ,  o  figlio , 
Perchè,  intorna  nù  g^iri.  Io  dunque  impano 
Scellerata  sarò?  Vivrà  il  tiranno? 
Ah!  noo  &a  ver;  cbiè  tutto 
,    Io  perderei  deila  mia  colpa  ii  frutto. 

1  Eurìaome ,  persnasa  che  litarco   sia  morto ,   credjB  di  avere  uJil*  la 
v<KC  4.eU*  ombra  di  lui^ 


334  LETTERATORA    ITALlAllA 

Issipile  rimasta  sola  prosegue  dicendo  : 

Ecco  le  sacre  piante ,  ofe  si  cela 

L^  amato  geoilore,  ÀI  primo  arrivo 

L^  ombra  ,  il  timor  ,  V  ìmpazTenle  brama 

I  miei  passi  confuse.  Or  non  m^  inganno. 

Padre ,  signor ,  t^  affretta* 
Lear,      (  esce  dal  bosco  )  (E  par  la  voce 

Questa  dell' idoi  mio.  Coraggio,  oh  Dei! 

Palpita  il  cor  mentre  ni'  appresso  a  lei*  ) 
/f.  Vieni.  Dove  t^ aggiri?  I  passi  ascolto, 

E  trovarti  non  so.  Fra  questo  orrore 

Forse  .  •  •  pur  l*  incontrai.   (  incontra  Learco ,  e* 

lo  prende  per  mano  ) 
-Lear*  (31*  assisti.  Amore.) 

Is*  Tu  tremi ,  o  padre  ?  Ah  non  temer  t  Giasone 

Ci  assicura  la  fuga.  Ei ,  non  La  molto , 

Giunse  al  porto  dì  Léono. 
Lear*  (  Aliarne  ,  che  ascolto  f  ) 

Is.  Già  da  lungi  rimiro 

Lo  splendor  delle  faci. 
Lear.  (lo  son  perduto!) 

/x4  E  d^  ascollar  già  parmi 

Le  voci  del  mio  ben. 
Lear*'    {^tornando  al  bosco).    (Torno  a  celarmi.) 
Isn  Dove  vai  ?  Perchè  fuggi  ?  Oh  come  mai 

ixli  animi  pio  virili 

La  sventura  avvitisce  ! 

Earioome  intanto  ha  ordinata  alle  Baccanti  d^io* 
cendìare  il  sacro  bosco  ^  essa  spera  cosi  di  veder 
morto  Toante:  ma  invece  di  li  a  poco  le  viene  con- 
dotto innanzi  il  proprio  figliuolo.  Rodope  che,  sel>- 
bene  tradita,  pur  ama  ancora  Learco,  per  sottrarlo 
alla  furia  delle  Baccanti ,  fiuge  di  volerlo  uccidere 
essa  medesima  \  e  rimasta  sola  con  lui  gli   rebde   la 


SECr)LO    DECI.\IOTTAVO  333 

libertà  e  la  vita.  Learco  le  offerisce  allora  fa  mano 
di  sposo  :  essa  la  ricusa.  Qual  premio  avrai  duoque 
(  elice  Learco  )  della  tua  pietà  ? 

Rad.       Già  premiata  son  io,  ma  tu  noi  sai. 

Tu  non  sai  che  bel  contenta 
Sia  qnel  dire  :  Offesa  sono  : 
Lo  rammento,  —  ti  perdono, 
E  mi  posso  vendicar:  — 

E  mirar  frattanto  a£9itto 

L^  oQensor  Termiglio  in  Tolto, 
Che  pensando  al  suo  delitto 
Non  ardisce  favellar. 

D^  altra  parte  Giasone,  ondeggiando  fra  i'  amore  e 
P  orrore,  ha  consumata  quella  orribile  notte.  Allo 
spuntar  del  sole  esso  veglia  tuttora  in  mezzo  a^  suoi  che 
dormono  attendati  in  vicinanza  del  mare.  Finalmente 
la  stanchezza  lo  vince ,  e  addormentasi  anch'  esso. 
Leari:o  soprarriva,  e  visto  il  suo  rivale,  snuda  il  ferro 
per  trucidarlo.  Issipile,  che  va  in  cerca  del  padre, 
esce  in  quel  mentre,  gli  trattiene  il  braccio,  e  mi- 
naccia di  svegliare  Giasone  se  a  lei  non  cede  il  pn* 
gnale.  Learco  allora  glielo  consegna,  sveglia  con  un 
grido  Giasone,  e  poi  fugge.  Alla  vista  d' Issipile  ar« 
mata  Giasone  s' immagina  eh'  essa  abbia  avuta  in« 
tenzione  di  ucciderlo:  le  proteste  di  lei  non  valgono 
a  dissuaderlo  :  credendola  rea  d' un  parricidio  la  sup- 
póne facilmente  capace  di  trucidar  P amante;  quindi  la 
sventurata  Issipile  è  necessitata  a  partirsi  da  lui  che 
con  orrore  la  scaccia.  Ma  ecco  arrivare  Toante  a  trar 
d' inganno  Giasone.  Questi  allora  chiama  all'  armi  i 
suoi  compagni,  e  si  muove  contro  la  schiera  delle 
donne.  Toante  vuol  trovarsi  anch'  egli  al  conflitto , 
ma  cade  in  man  di  Learco  che  prima  Io  trae  a  sé 
fingendosi  pentito  de' suoi  delitti,  poi  lo^  strascina 
sopra  una  sua  nave.  In  questo  mezzo  arriva  Giasone 


336  LETTEnATOnA    ITALIAlfA 

con  Issipile  e  con  Rodope,  e  comanda  a'  suoi  di  as- 
stillre  i  legni  di  Learco.  Ma  questi  si  fa  sulla  poppa 
e  solleva  uno  stilo  sopra  Toante  minacciando  di  uc- 
ciderlo, se  Issipihi  non  si  delibera  di  essere  sua  spo- 
sa. Giasone  ed  Issipile  minacciano  e  pregano  indarno. 
Learco  ripete  sempre  vieni^  o  V  uccido.  E  già  Issipile 
per  la  salvezza  del  padre  è 'risoluta  di  sagrificarsi, 
quando  esce  £arinome  in  cerca  del  figliuolo  Learco. 
Giasone  subitamente  rafferraj  ed  esclama: 

Ah  scellerata  !  À  casa 
Qui  <kon  giungesti.  Issipile,  t'arresta. 
Gnardami  traditor.  Libero  appieno 
Rendi  Toante,  o  la  tua  madre  io  sreno. 

Lear.      Come  ! 

Eur.  Che  fu  ? 

Rod»  Qual  cangiamento  ! 

Lear.  In  lei 

Non  punire  i  miei  falli.  II  tqo  nemico 
Son  io,  Giasone. 

Gias»  '  Il  mio  furor  non  lascia 

Luogo  a  consiglio.  E  mio  nemico  ognuno 
Che  te  non  abhorrisce.  £  ^ea  costei 
Di  mille  colpe  ;  e  se  d'  ogni  altra  ancora 
Fosse  innocente,  io  non  arrei  rossore 
D^  arerle  ingiustamente  il  sen  trafitto  t- 
L'  esser  madre  a  Learco  è  un  gran  delitto. 

Rod.       Confuso  è  T  empio. 

Is.  Eterni  Dei ,  prestate 

Adesso  il  yostro  aiuto  I 

Gias.      JBarbaro,  non  risolvi? 

Lear.  Ho  risoluto. 

Svenala  pur.  Ma  venga, 
E  la  legge  primiera 
Issipile  compisca* 


SfiCOLO    DECI^fOTTATO  33^ 

JHod.  Oh  mostro  { 

Zf  •  Oh  fiera  ! 

Gias,      A  Toi.  daoque ,  o  d*  Arerno 

Arbitre  Deità,  questo  offerisco 

Orrido  sacrificio ....  i 

Lear*  (  Io  tremo.  ) 

Gias*  A  Toi 

Di  Tendicar  nel  figlio 
Della  madre  lo  scempio  il  peso  resti. 
Mori,  infelice I  (mostra  ferirla) 

Lear*  .    Ab  non  ferir!  y incesti* 

Rod»       E  par  s'jDteoeri. 

Eur.  Deggio  la  tita^ 

Caro  Learco,  a  te. . 

Lear*  Poco  il  tuo  figlio  ^ 

Euri  Dome  ^  ooboscì.  £  debolezza 
Quella  pietà  che  ammiri ,.  , 

Non  è. virtù*. Vorrei  poter  l'aspetto 
Sostener  del  tuo  scempio , 
E  mi  manca,  yalore. .  Ad  onta  mia 
Tremo ,., palpito  9  e  lutto 
Agghiacciar  nelle  Tene  il ,  sanguis-  io  sento* 
Ab,  piissimo  . cor  ! .  né  giusto  sei , 
Né  malvagio  abbastanza;  e* questa  sola 

*  

Dubbiesza.tua  ,la:  mia  ruinii  affr^etta. 

Incominci  da.  te  la  mia  vendetta*  {si  ferisce) 
Eur,        Ferma  ;  che  fai?         .       . 
Lear.  Non  spero, 

E  non  voglio  perdono*  Il  morir  mio 

Sia  simile  alla  vi  ta.  (  ^i  getta  in  mare  ) 
Eur.  Io  manco.  Oh  Dio  ! 

Rod.       Oh  gii|stissimo  Ciel  ! 
Gias»  Correte ,  amici ,  <  (  gli  jérgo» 

A  di^iqgliere  il  re.       nauti  con:qno  sulla  nave  ) 

IMTiÉt^ÀX*  ÌJàJm  — -  IT  3Q 


338  LETTERATURà    ITALIANA 

Is.  Sposo,  io  non  posso 

Rassicararmi  ancor. 
Bod.  Qaanfe  ficende 

Un  sol  giorno  adunò! 
To,  Principe!  tg^al' (scendendo 

Is.  Padre.  dalla  nave) 

Gias.  Signor. 

Is.  Onesta  paterna  mano 

Torno  pnre  a  badar,  (baciala  mmtù  a  7aan/e) 
To.  Posso  al  mio  seno 

Striogerri  ancoro,  (g^  abbraccia) 
Rad.  I  tollerati  affanni 

L'allegrezsa  eompensi 
D'nn  felice  imeneo.    ' 
To.  Ha  pria  nel  tempio 

Rendiam  grazie  a  gli  Dei  ;'  che  troppo ,  o  figli, 
E  perigliosa  e  tana, 

.$e  da  lor  non  comincia,  ogni  opira  timana. 

Coro 
È  follia  À*  nn'  alma  stolta 
Nella  colpa  aver  speranta: 
Fortunata  è  ben  talfolta. 
Ma  tranquilla  mai  non  Al. 
Nella  sorte  piò  serena 

Di  sé  stesso  il  Tizio  è  pena; 
Come  premio  è  di  sé  stessa. 
Benché  oppressa ,  '—  la  tìItEù. 


DALL*  OLIMPIADE. 


Gli  amanti. 

Ecco  lo  stile 
Dei  lusinghieri  ornanti.,  Ognun  tì  chiama 
Suo  beU)  sua  tiin  t  suo  tesoro:  ognuno 


SEGOLO  OECUlOTTAfa  3^9 

Giara  che  a  toì  peosando 

Vaneggia  il  dì ,  Teglia  le  notti*  Han  V  arte 

Di  lagrimar,  d'impallidir.  Tal  folta 

Par  che  sa  gli  occhi  vostri 

Voglìan  morir  fra  gli  amorosi  affanni: 

Gnardaten  da  lor,  son  tolti  iDganni. 

Piò  non  si  troTano  E  il  reo  costarne 

Fra  mille  amanti  Tanto  s*  afanaa  9 

Sol  due  beir  anime  Che  la  costanza 

Che  sian  costanti;  Di  chi  ben  ama 

E  lotti  parlano  Ormai  si  chiama 

Di  fedeltà.  Semplicità. 

La  ffàa  unuvuu 

Insana  gio?entà!  Qualora  esposta 
Ti  veggo  tatfito  agi*  impeti  d!  amore  ^ 
Di  mia  Tcochiezza  io  mi  consolo  e  rido. 
Dolce  è  il  mirar  dal  lido 
Chi  sta  per  naufragar;  noitf  che  ne  alletti 
Il  danno  altrni ,  ma  sol  perchè  T  aspetto 
D'  no  mal  che  non  si  soffre  è  dolce  oggetto. 
Ma  che  t  V  età  canata 

Non  ha  le  sae  tempeste?  Ah  !  che  par  troppo 
Ha  le  sae  proprie ,  e  dal  timor  dell*  altre 
Sciolta  non  è.  Son  le  follie  diverse , 
Ma  folle  è  ogoan;  e  a  suo  piacer  n'aggira 
I4  odio  o  r  amor ,  la  cupidigia  o  V  ira* 

Siam  navi  all'  oode  algenti 
Lasciate  in  abbandono: 
Impetuosi  fenii 
I  nostri  affetti  sono: 
Ogni  diletto  è  scoglio: 
Tutu  U  f il»  è  mai. 


340  LETTERATCJRl   ITàLIARA 

Bea ,  qoal  nocchiero ,  ia  noi 
Teglia .  ragioD  ;  ma  poi      ' 
Par  dair  ondoso  orgoglio 
Si  lascia  trasportar» 

Ultimo  addio  di  MegacU  e  Licida*. 

Ah  I  Yieai ,  illastre  esempio  . 

pi  ferace  amistà  :  Meg^ade  amato  » 

Caro  Megacle,  Tieni, 

ilfe^.  Ah  qaal  ti  trovo, 

PoTcro  Prence! 

Lic.  Il  riTederti  in  vita 

Mi  fa  dolce  la^  morte. 

Meg^  E  che  mi  giova 

Una  vita,  che  invano 

Toglio  offrir  per  la  taa  ?  Ma  molto  inaansi  ^ 
Licida ,  non  andrai.  Noi  passeremo 
Ombre  amiche  indivise  il  guadò  estremo. 

Lic*  O  delle  gioie  mie,  de'  miei  martìri. 

Finché  piacque  ài  destia ,  dolce  compagao  , 

Separarci  coóvien.  Poiché  slam  giunti 

Agli  aitimi  moménti, 

Quella  destra  fede!  porgimi  e'  senti  : 

Sia  preghiera,  o  comando. 

Vivi:  io  bramo  cosi.  Pietoso  amico 

Chiudimi  tu  di  propria  mano  i  lùmi^ 

Ricordati  di  me.  Ritorna  in  Creta 

Al'  padre  mio.  .  .  (  Povero  padre  !  a  questo 

Preparato  non  sei  colpo  crudele.  ) 

Deh!  tu  r  istoria,  amara    ' 

Raddolcisci  narrando.  I|  vecchio  afflitto 

Reggi  9  assisti ,  consola  ; 

Lo  raccomando- a  te.  Se  piange,  il  pianto 

Tu  gli  asciuga  sul  cigia; 

E  in  (e ,  se  un  f  gl'o  vuol ,  rendigli  uà  figlio, 


SECOLO    DECIBfOTTÀTO  3i4l 


ì>kLL* '  ATTtUO   REGOLO. 


La  gloria. 

Tu  palpili,  o  mio  cor!  Qoal  dqovo  èqoesto 
Molo  incogoito  a  tè?  Sfidasti  ardito 
Le  tempesto  del  mar,  Tire  di  Marte,. 
D^  Àfrica   i  mostri  orrendi, 
Ed  or  tremando  il  tao  destino  atteodi? 
Ali  !  n'  bai  ragioD.  Alai  tion  u  ride  ancora 
la  periglio  si  graódè 

La  gloria  mia  :  ma  questa  gloria ,  o  Dei , 
Kon  è  dell*  alme  «ostre 
Un  affetto  tiranno  ?- Al  par  d' ogui  altro 
Domar  non  si  dovreUbe  ?  \Ali  no.  Dg*  vili 
Questo  è  il  linguaggio.  Inatilinente  nacque 
Chi  sol  TÌ9e  a  sé  stesso  :  e  sol  da  questo 

.  Nòbile  alletto  ad  obbliar  s*  impara 
Sé  per  altrui.  Quanto  ba  di  bea  la  terra, 
Alla  gloria  si  dee.  Veudica  l}ttebUi 
L'  uniaDita  del  vergognoso  stato, 
In  coi  saria  senza  11  desio  d'  onor^; 
TogUo  il  senso  al  dolore ,  . 
Lo  spafeoto  ai  perigli, 

.Alla  morte  il  terror:  dilata  i  rj^grii  >    ^ 
Le  città  custodisce;  aUelta,.  aduna 
^  .Seguaui  alla  firtù;  cangia  in  aoAti        ! 
I  feroci  oostami , 
E  rettde  raomo  inaitator  dei  Ntimì. 


r^f^ 


\  > 


«)* 


I  * 


Si^4  UITrEBiTVIU  IT^XIARA 

TiU        DuiM|ae  cUe  ^? 

«Sex.  Là  delioie«t«  «ia  , 

I^a  mia  fatalUk. 

TV/.  Pili  chiaro  alaiaw» 

Spiagali. 

Ses.  Oh  Dio!  oon  pOMO.  i 

TiL  '..    O^mi)  a  Sesto. 

Siam  soli  ;  il  loo  satruia.!  ' 

Mqq  là  presente.  Apri  il  tao  cuore  a  Tito^ 
Confidati  all'  amico.  Io  li  fir0m^tt<» 
Che  Allenito,  nvk  taprài?Del  tua  deMtlo 
Di^  la  priiaa  cagioa.  Carcbtaapia  insieme 
Uaa  fia  di  scusarli  Io  aa  $affel  •- 
Forse  di  le  più  lieto*  <,  )< 

Ses.  Ah  {ila  olia  oolpa 

NoD  ha  difesa. 

Tii.  la 'CODtaacaambio  almeno 

'D^  amicizia  \lo  chiedo.  Io!  D0tt>  celai 
Alfai  tua  fede  1  pièi>gieloss  areani; 
Merito  bea  che  Sesto       .  '  <i     ' 
Ut  fidi .  «li'  suo .  secreto.  •  •  : . 

Ses.  ,v>.'*  (tEaeo.Mià.anoTa 

Specie  di'fpéi^a^  O  'diapiaeère  a  Tilo> 
O  Vilf Illa  accusar.  )      )  .  •  :<        ..  ì-.^' 

TU.  /  Dtthiti<aac«ra?   . 

JHa,  Sesto,  mi  ferisci    '  :  ^  :     - 
Nel  più  fifo  del  cor!  Vedi i che  troppa 
Tu  l'amiciaia  oltraggi 
Con  <|ftesto  diffidar^.  Peasaoi»  À'ppaga  • 
li  mio  giusto  desio. 

Ses.        (  Ma  qual  astro  spleadefa  al  nascer  mio  !*  ) 

TU,        E  taci?  E  non  rispondi?  Ah!  già  che  puui 
Tanto  abusar,  di  mia  pietà  ... 

Ses.  Signore  .  .  . 


SCCOLO   DECIUOTTATO  -  3/^^^ 

Sappi  danqae  •  •  •  (  Che  fb  ?  ) 
77/.  '    .  Slegai. 

Ses.  (Ma  quando 

Finirò  di  penar  ?  ) 
TV/.  Parla  una  ToIta; 

Che  mi  ToIeTi  dir? 
Ses.  Ch'  io  son  T  og|;ètto 

Deir  ira  degli  Dei  ;  che  la  mia  sorte 
'Non  ho  più  forza  a  tollerar;  ch'io  stesso 
Traditor  mi  confesso,  empio  mi  chiamo; 
Cb'  io  merito  la  morte  e  ch*  io  hi  bramo. 
77/.         Sconoscente!  E  1* avrai.  Custodi^  ii' reo  (severo) 

'  Toglietemi  dinanzi.  (  alle  guardie  ^à  uscite  ) 
Ses*  Il  bacio  estremo 

Sa*  quella  in?itta  man  •  •  . 
TìL  Parti.  (  non  lo  concede  ) 

Ses.  Fia  questo 

L^ohimo  don.  Per  questo  solo  istante  - 
Ricordati,  signor,  Tamor  primiero. 
Ti/.         Parti;  non  è  più  tempo.  (  senui  guardarlo  ) 
SeSn  ^  È  vero,  è  vero. 

Vo  disperato  a  morte  ^ 
Né  perdo  già  costanza 
A  vista  del  morir. 
Funesta  la  mia  sorte 
La  sola  rimembranza 
Cit'  io  ti  potei  tradir." 

DiLLA    BETULIA    LIBERATA. 

GiudUta  di  ritorna  in  Betulia  narra  la ^mon$4t  Qtqfèrne^ 

•  *  *  * 

^  Udite.  Apiiena 

Da  Betulla  partii ,  che  m^  arrestaro 
Le  guardie  ostilit  Ad  Oloferne  innann    ^ 


346  LETTERATURA   ITALIiflA 

SoD  goidala  da  lorp.  Egli  mi  chiese 
À  che  Tengo,  e  chi  soo.  Parte  io  gli  scopra, 
/  Taccio  parte  del  ?ero.  El  non  intende, 

E  approfa  i  detti  miei.  Pietoso,  ornano 
(  Ha  straniera  in  qnel  foko 
Hi  parve  la  pietà  ),  m*  ode,  m*  accoglie, 
U'  applaude ,  mi  consola*  A  lieta  cena 
Seco  mi  Tool.  Già  sulle  mense  elette 
Fomano  i  tasi  d^  òr.  Già  Toota  il  ibllo. 
Fra!  cibi ,  ad  or  ad  or  tai^  freqoenti 
Di  licer  geoeroso,  e  a  poco  a  poco 
Comincia  a  Tacillar*  Molti  minbtri 
Erao  dintorno  a  noi;  ma  ad  -ono  ad  ono^ 
Totti  si  dileguar.  L'ultimo  d'essi 
RimancTa ,  e  il  peggior.  L'  ascio  costai 
filose,  partendo,  e  mi  lasciò  con  lut» 
Ogni  cimento  è  lieve 
Ad  inspirato  cor*. Scorsa  gran  parte 
Era  ornai  della  notte.  Il  campo  intorno 
Nel  sonno  ooiversal  taceTa  oppresso» 
Vinto  Oloferne  istesso 

Dal  Tino  in  cni  s*  immerse  oltre  il  còstome» 
Steso  dormfa  so  le  funeste  piume. 
Sorgo;  e  tacila  allor  colà  m'appresso, 
DoTe  prono  ei  giacea  ;  rivolta  al  cielo. 
Più  col  cor  che  col  labbro  :  Ecco  l'istante. 
Dissi ,  o  Dio  d' Israel ,  che  un  colpo  solo 
Liberi  il  popol  tuo.  Tu  il  promettesti; 
In  te  fidata  io  1'  intrapresi,  e  spero 
Assistenza  da  te  -.  Sciolgo,  ciò  detto. 
Da'  sostegni  del  letto 

L'  appeso  accìar;  lo  snudo;  il  crin  gli  stringo: 
Con  la  sinistra  oiaa  ;  1'  altra  soIIoto  , 
Quanto  il  hraocio  si  stende^  i  voti  a  Dia 


SECOLO   DECIUOTTàTO  34) 

BionoTo  io  si  gran  passo; 
E  sali*  empia  cerTÌce  il.  colpo  abbassò. 
Apre  il  barbaro  il  ciglio,  e  iDcerto  ancora 
Fra  il  sonno  e  fra  la  morte,  il  ferro  immerso 
Sentes!  nella  gola*  Alle  difese 
Solle?arsi  procara,  e  gliel  contende 
.    L' imprigionato  crin.  Ricorre  a'  gridi; 
Ma  interrotte  la  voce 
TroTa  le  f  ie  del  labbro ,  e  si  disperdei» 
Replico  il  colpo;  ecco  f  orribil  capo 
Dagli  omeri  diviso. 
Gaizza  il  tronco  reciso 
Sol  sangnigno  terren;  balzar  mi  sento 
B  teschio  semiriTo 

Sotto  la  man  che  i(  iostenea  ;  quel  tolto        ^ 
'A  on  tratto  scolorir,  mate  parole 
Qaef  labbro  articolar,  quegli  occhi  intonfo 
Cercar  del  sole  i  rai  ; 
Mcyrir  e  minacciar  fidi ,  e  tremai. 
Respiro  al  fine,  e  del  trionfo  illnstre 
Rendo  grazie  alT  antor.  Scelta  dai  Iettò 
La  sa|^rba  cortina,  il  capò  esangue 
Sollecita  ne  infolgo;  alla  mia  fida 
Ancella  lo  consegno, 

€he  non  Inngi  attendea  ;  del  dace  estinto 
M' invola  al  padiglion;  passo  fira' saoi 
Non'  rista  o  rispettata,  e  torno  a  toì. 

1  J7  rmi9  grua$  a  Dio  «  aulete  iMP  Ubtstn  trìw^0. 


3^8 


LETTERATURA    iTALtAfTA 


DàLLB   PQESIB   LIRICB£. 


La  libertà  a  Nice, 

Grazie  agP  iogaaiii  tqoi , 
Alfio  respiro ,  o  Nice; 
Alfio  d'  ao:iofeIice 
Ebber  gli  Dei  pietas 
Seoto  da^  lacci  Booi  , 
Scoto  che  raJma  è  sciolta  ^ 
Noo  sogoo  questa  Tolta, 
Noo  sogoo  libertà. 

MaoGÒ  l'aoti^o  ardore,  ' 
E  soo  tranquillo  a  segno, 

,  Che  io  me  oca  trota  sdegoo. 
Per  mascherarsi,  «mor. 
Noo.capgio  pj&'.jQotore- 
Qoaodo  il  tao  oome  ascolto, 
Qaaodo  li  oiiro,  if>  .?oUo^  * 
Più  DOD  Oli  bailf  ^  €or<    . 

Sogoo,  m£ije  noo  miro/     . 
Sempre  oe'  ^^^l  miei  ; 
Hi  desto,  e  tu  i|oo  sei  : 
Il  primo  mìo  peotier. 
Lungi  da  :  te  4a*  aggiro , 
Seosa  bramarli .  mai  ; 
Soo  teco,  e  ooo  mi  &i^ 
Né  pena,  oè  piacer. 

Di  tua  beltà  ragiono, 
Né  inteoerir  mi  seoto; 
I  torti  miei  rammento, 
E  non  mi  so  sdegnar. 


Palinodia  a  Nke  \ 

Placa  gli  sdegoi  tuoi. 

Perdono,; amata  Nice: 

L' error  d^  un  infelice 

E  degoo  di  pietà. 
E  Ter,  da'  lacci  «noi 

Yintai  ,che  l'alma  é  sciolti^; 

Ma  fia  reslremà  Tolta 

Ch'  io  Tanti  libertà  : 
£  Ter,  r antico  ardore 

.Celar  pretest  a  iSegoo, 
'  Che  maschjsrai  lo  sdegno 
:^P^  non  acopriir  Tamor  : 
Ma  cangit  Pi  no  cqlore , 

.S^  nominar  t^.a^ftcplto, 
:  Ognun  mi  iegge  jim  toUo 

Come  si  sta  nel.  cfOf. 
.Pwr.  desto  ognor,  ti  iniro , 
.  .Non  che  ne'  sogni^  miei  ; 

Ch/è  OTupque  io  ,iion  sei 

Tipiche  il,  ^Q  pensier. 
Tfi,  se  eoa. te  ,vaf  aggiro  , 
,    Tuqi  se  ti  las^p'mai, 

Tmì  delirar  mi .  fai 

Di  pena  o  di  piacer. 
Di  le.  s*  io  non  ragiono , 

Infastidir  mi  sento. 

Di  nulla  mi  rammento, 

TottQ  mi  fa  sdegnar. 


I  Si  dk  il  nome  di  palinodia  o  ricanttutìane  ad  un  compoolmento  in   aù 
un  autore  diidica  le  cose  già  fcriite  da  l^i  in  w  altro. 


SECOLO  i>£<;iMuTTAVa  349 

Confaso  più  dod  sodo  A  nomioarti  io  90D0 


Quando  mi  %ieDÌ  appresso; 
G>1  mio  ri  vale  ìstesso 
Posso  di  te  parlar. 
Volgimi  il  goardp  altero. 
Parlami  in  volto  apiaoo  ; 
Il  tuo  dispreszo  è  vano, 
£  vano  il  tao  favor: 

Che  più  l'usato  impero 
Quei  labbri  in  meooDhaono; 
Ooegli  occhi  pia  dod  sanno 
La  via  di  questo  cor* 
Quel  che  or  m^  alletta  o  spiacé, 
Se  lieto  o  mesto  or  sonò. 
Già  Don  è  più  tuo  dono. 
Già  colpa  tua  non  è: 

Che  senza  te  mi  piace 
La  selva,  il  culle,  il  priito; 
Ogni  soggiorno  ingrato 
H^  annoia  ancor  con  te. 
Odi,  s'io  son  sincero: 
Ancor  mi  jembrì  bella; . 
Ma  non  mi  sembri  quella 
Che  paragon  non  ha  : 

E  (non  ^offenda  il  vero) 
Nel  tuo  leggiadro  aspetto 
Or  vedo  alcun  difetto,    ' 
Che  mi  parca  beltà. 
Quando  io  strai  spezzai, 
(Confesso  il  mio  rossore) 
Spezzar  m^  intesi  il  core , 
Hi  parve  di  morir* 

Ma  per  uscir  di  guai, 
Per  non  Tedersi  oppresso^ 

I.BTTBKAT.  ITA,^  -  IT 


Si  avvezeoachi  m'appresso, 
,Che  al  mio  rivale  islesso 
Soglio  di  t6  parlar. 
Da  un  sol  tuo  sguardo  altero , 
Da  un  sol  tao  dello  umano 
Io  mi  difendo  invano,». 
Sia  sprezzo  o  sia  fajror* 
Fuor  che  il  tuo  dujce  lospero. 
Altro  destia  non  hannp 
Che  secondar  non  sanno, 
I  motj^del  mio  cor.. 
Ogni  piacer  mi  apiace. 
Se  grato  a  te  non  soao^ 
Ciò  che  non  è  tao  dono  , 
Contento  mio  non  è. 

Tolto  con  te  mi  piace. 
Sìa  colle  o  selva  o  prato; 
Tutto  è  SQggidrao  iograto 
Lungi,  Ben  mio,  da  t^* 
Or  parlerò  sincero  : 
Non  sol  mi  sembri  bella , 
Non  sul  mi  sembri  quella 
Che  paragon  non  ha; 

Ma  spesso,  iùgiasto  al  vero. 
Condanno  ogni  altro  aspetto: 
Tutto  mi  par  difetto , 
Fuor  che  la  tna  beltà. 
Lo  strai  già  non  spezzai; 
Che  ìwran ,  per  mio  rossore. 
Trarlo  tentai  dal  core, 
£  ne  credei  morir. 

Ahi  per  uscir  di  guai. 
Fin  me  ne  vidi  oppresso; 

3o 


53o 

Per  racqcii$tar  sé  stesso  ^ 

Tutto  si  può  soffri n 
Nel  «iseo,  }d  cai  s^«f renne 

Queir  àtìgellin^  talora, 

Lascia  le  penne  ancora, 

Ma  torna  in  libertà: 
Poi  le  perdale  penne 

In'  pooM  -di  rinnora  ; 

Canio  diyiéoi»  per  prora, 

Me  più  tradir  si  fa. 
So  ^he  non  credi  estinto 

In  me  V  incendio  antico , 
'^Perchè  sì  spesso  il  dico. 

Perchè  tacer  non  so: 

r 

Quel  natnrale  istinto, 
Kice,  -a  parlar  mi  sprona. 
Per  cni  eiascnn  ragionii 
De'  rischi  che  passò. 

Dopo  \l  crndeJ  cimento 
Narra  itpassaU  sdegni. 
Di  sue  ieri  te  i  segni 
Mostra  il  gnerrier  cosi. 

Mostra  così  contento 
Schiaro  che  asci  di  pena , 
La  barbi^^a  cateiia 
Che  strascinar  a  un  dì. 

Parlo,  vnà  sol  parlando 
Me  soddisfar  procaro  ; 
Parlo ,  ma  nulla  io  cara 
Che  ta  mi  presti  fé; 
Parlo,  ma  non  dimando 
Se  approri  i  detti  miei. 
Né  se  tranquilla  sei 
ìià  ragionar  di  me» 


LCTTERATDRA   1  rALIilf  A 


Ah  !  di  tentar  V  istesso 

Più  non  potrei  soffrir* 
Nel  ^Iseo^  in  cai  s'arrenne 

Queir aogellin  talora, 

Scuole  le  penne  ancora. 

Cercando  libertà; 
Ha  in  agitar  le  penne 

GÌ'  impacci  suoi  rinnora  ; 

Pili  di  fuggir  fa  prora  , 
'  Più  prigionier  si  fa.  ' 
No  ch^  io  non  bramo  estinto 

Il  caro  inoendio  antico; 

Qoai^to  più  spesso  il  dico, 

Meno  bramar  lo  so. 
Sai  che  un  loquace  istinto 

Gli  amanti  ai  detti  sprona; 

Ha  fin  che  si  ragiona, 
'  La  fiamma  non  passò. 
Biasmanel  rio. cimento 

Di  Marte  ognor  gli  sdegni, 

'E  ogooìr  di  Marte  ai  segni 

Toma  il  ^aerrier  così. 
Torna  cosi  contento 

Schiaro  che  usci  di  pena  , 
^Per  uso  alla  catena 

Che*  detestare  an  di* 
Parlo ,  ma  ognor  parlando 

Di  te  parlar  procuro; 

Ma  nuore  amor  non  coro. 

Non  so  cambiar  di  fè: 
.    Parlo,  ma  poi  domando 

Pietà  dei  detti  miei; 

Parlo,  ma  sol  tu  sei 

LWbitra  ognor  di  me»C 


SECOLO  BECIHOTTATO 


35i 


Io  lascio  Qo*  rpcostaole , 
Ta  perdi  un  cor  sincero:. 
Nop  so  di  noi  primiero 
Chi  s'abbia  a  consolar. 

So  che  on  sì  fido  amante 
Non  iroferà  più  Nice; 
Che  nn' altra  ingannatrice 
£  facile  a  troTar* 


Un  cor  non  incostante , 
Un  reo  cosi  sincero-. 
Ah!  l'amor  too  primiero 
Ritorni  9  xopsolàr. 

Ne!  sno  pentito  amante 
•Almen  la  bella  Nice 
Un^alma  ingannatrice 
Sa  che  npn  può  trovar. 
Se  mi  dai  di  pace  an  pegno  ^ 
Se  mr  rendi,  o  Nice,  il  cor', 
Qimoto  già'  cantai  di  sdegno , 
Ricantar  VoglMo  d'amor.    ^ 


aASPARO  GOZZI 

Gasparo  Gozzi  nacqire  in  Venezia  il  ao  dicembre 
i^iS.  Suo  padre,  speadeodò  con  troppa  larghezza , 
aveva  DOtabi:!  meo  te  diminuite  le  sostanze'  ereditate 
cia^  suoi  maggiori.  Gasparo  poi ,  commetteDdo  la  do« 
mestica  economia  alla  'propria  moglie  i ,  lasciò  che 
andassero  dissipate  del  tolto.  Quando  mori  il  padre 
nel  174^  le  cose  erano  già  condotte  a  tale,  che  a 
stento  potè  trovarsi  ìì  danaro  occorrente  a  render* 
gli  i  funebri  onori. 

I  fratelli,  tutti,  minori*  di  Gasparo,  avrebbero  vo« 
luto  che  abbandonasse  gli  studi  per  attendere  alle 
cose  domestiche  ^  ed  egli  mostrava  intenzione  di  as«- 
secondarli  :  ma  gli  fu  poi  ugualmente  difficile,  e  lo 
staccarsi  dalle  Muse,  e  il  persuadere  la  moglie  a  ces*- 
sare  dalle  solite  spese.  Essa  anzi  lo  indusse  a  farsi 
direttore  del  teatro  S..  Angelo  in  Venezia  stipendiando 
una  compagnia  di  commedianti;  nel  che,  a  malgrado 
di  molta  diligenza  e  di  molta  fatica,  consumò  poi  il 

I  Fa  coslei  Luigia  Bergalli ,  conoieiata  fra  h  pastorene  d*  Arcadia'  sodo 
il  nome  d*  Irminda  ParienkU,  AveTa  dieci  anni  più  del  Gosai ,  ed  era  sproT- 
dbU  d'ogni  licckeiaa. 


3.^2  LETTRRATimÀ   ITALIANA 

patrimooid  che  ancora  gli  rimaDeva.  Allora  i  suoi 
fratrlli  .si  divisero  da  lai  formalmente  ^  e  il  Bostro 
Gasparo,  già  padre  di  cinque  figli  ,~andò  sempre  più 
precipitando  nella  miseria  ,  daccbè  la  moglie  non 
iebbe  più  intorno  a  sé  verno'  freno.  Per  sottrarsi  al 
trambusto  della  sua  casa  ed  alP  aspetto  della  rovina 
sempre  più  grande ,  il  Gozzi  si  separò  dalla  propria 
famiglia,  pigiiaodo  a  pigione  dqe  stanze,  sperando  di 
poter  quivi  attendere  con  più  tranquillità  a'  suoi  slu« 
di,  dai  quali  oramai  convenivagli* trarre  di  che  man- 
tenersi. 

U  ingegno  dèi  Gozzi  e  le  sue  produzioni  gli  ac« 
quistarono  )a  stima  e  T  applauso   delle   persone   più 
colte;  nondimeno  allorché  domandò  una  cattedra  di 
belle  lettere ,   gli    fu    negata.   Solo   molto  più    tardi 
ebbe   onorevoli   e  vantaggiose    incumbenze  spettanti 
ai  pubblici  studi  ed  alla  riforma   deÌP  Università  di 
Padova.  A    quel  tempo  gli  era   morta  la  moglie  ed 
anche  un'  figliuolo;  aveva  accasale  le  tre  figlie  ;  al« 
P  altro  maschio  aveva  assegnato  quanto  gli  rimaneva 
del  patrimonio  per  ragione   di    fidecommissi  :  sicché 
avrebbe  potuto  vivere  agiatamente  de^suoi  stipendi?. 
Ma  i  luoghi  e  soverch)  lavori  degli  anni   passati  gli 
avevano   logorata  la  complessione  per  modo   che   fa 
poi  sempre  infermiccio»  E  non  è    ^n  certo  se   fosse 
per  violento  e  subito  accesso   di  febbre  ,   o  per    fa- 
stidio di  quella  vita,  una^  volta  trovandosi  a  Padova 
si  gittò  dalla  finestra  nel  fiume.  Raccolto  e  soccorso 
con    amore    e   con    munificenza    dalla    nobii    donna 
Caterina  Doifin-Tron  ,  visse    poi   sempre   a    Pado\a 
fino  alla   morte ,  avvenuta  nel  giorno    a5    dicembre 
1786.  Non  molto  prima  egli  s^  era  nuovamente  am- 
niogliato  còu  Giovaopa  Cénet* 

Il  Gozzi,  tra  per  necessità  e  per  sua  propria  in- 
clinazione) scrisse  '  parecchi  volumi  di  versi  e  di  pro« 
£e.  Si  sa  che  alcune  traduzioni  uscite  sotto  il  suo 
nome  furono  appena  ritoccate  da  lui  ;  qualche  volta 


poi,  amebe  negli  scritti  saoi  proprli,  il  bisogno  ài  far 
molto  gli  ìoìié  ai  far  bene  quanto  avrebbe  voluto  e 
potuto  9  ma  ollrecbè  in  generale  tutte  le*  sue  prQ« 
auzioni  sono  corrette  e  assennale ,  alennie  poi  sono 
ridondanti,  di  eleganza  e  di  leggiadria.  Soprattutto 
sì  stimano  F  Osservatore  ^  opera  periodica  sul  fare 
dello  Spettatore  inglese;  il  Monda  morale y  ch^è 
una  specie  iK  romanzo  allegorico  in  cui  volle  rap* 
presentare  hi  corruzione  delf  umana  natura  e  i- ri- 
medi! che  le  si  potrebbero  opporre^  la  Difesa  di 
Dante  e  i  SermonL  .  - 


J^ALl'  OSSEBVÀTORer 


SuUe  vicende  della  vàa  amaha. 


Non  e* è  al  mondo  pi«u  fango  cammino  di  qnello  delfa 
vita.  Ogni  nomo  e-  ogni  donna  ^  c^aanto  è  a  sé ,  non  può 
fiire  una  gita  p*è  lunga  di  questa.  Mentre  che;  sì  fa  yiag-^ 
gio,  mille  tose  t*  hanno  ad  accadere,  e  mentre,  che  si  vi» 
▼e  9  sarà  lo  stesso»  Le^a  il  sole  chiaro  y  senza  no  nuTO- 
fello  per  t»lta  J^^aria  dalP  oriente  a\V  occidente  ,  da  set* 
lentrk>ne-al  mezzodr.  Ohi  bella  giornata  ch^  è  ({uesta  ! 
Animo.  So;  tn  poste.  Oggi  io  «tfò  «rn  viaggio  prospero» 
Entro  nel.  eatesse  ;  e  non  sarò  aadatf  olire  due  miglia  ^ 
che  dallft  parte  di  tramontana  eomìuciano  a  sorgere  certt 
nugoloaaecr  neri  ,  cenerognoli  y  òa^  quali  esce  no  acalo 
lampeggiare  spesso,  poi  s'^alzano  e  mand^o  fuori  ita  sordo 
fragore^  infine  volano,  conìe  se  ne  gli  portasse  il  diavo- 
lo y  premono  certf  goccioloni  radi  qna  e  colà,  e  &iKtIix>ente 
riversano  pioggia  con  tanta  furia^  che  par  che  venga  daller^ 
grondaie.  T»  n'aspetti  allora  anche  gragnuola  ,  saette  ^  e 
che  si  spala ncbi  V  abisso  i  non  è  vero.  Ogni  cosa  è  spa^ 
ritn.  Il  sole  ritorna,  come  prima.  —Un  altro  di  t'avviene 
il  contrario.  Esci  di  letto,  che  giureresti  che  avesse  a  ca- 
dere  il  mondo;  di  là  a  mezz*  ora  tatto  è  tranquillità  e 

ao.* 


J5/|  tETTÉRATiriU   ìP.ltflltA- 

quiete.  Troti  im^  osteria,  che  pare  edtffccita  rial  PaUacFto. 
Ti  ài  preseota  no  ostiere,  che  direili;  costai  è  uscito  ora 
'di  i)ucatu  ;  putito  conte  una  biosca.'  I  famigli  suoi  (ul'li 
sono  garftalì.  Tw  fi»i  con^hiellura  d'avere  un  pranzo  che 
debba  essere  una  signoria.^  Siedi  alla  Uiensa.  Appena  hai 
/di  che  ,maDg;iare,  c>  m^oe  uca^-pòliiza  li  scortica  fino  al- 
, Tosso.  Damaai  in  una  taverna  che  pare  an  nido  di  sor- 
.ei,  cbe>ba  por  insegna  un  fastelleilo  dì  Geno,  o  una  fra- 
sca^ legata  sopra  mi  bastone,  farai  la  più  grassa  rita ,  e 
il  più  bello  trionfare^  del  mondo.  Reggi,  in  qasA  moda 
vuoi  le  cose  tue ,  e  fa  qtiel  die  vuoi  ;  j^rcndi  alterazio- 
ne, o  non  ne  prendere  di.  quello  che  li  avviene;  misura 
i  tuoi  passi,  0  lascia  andare  le  cose  ^on^e  le  Togliono,  io 
credo  che  sia  quello  stesso.  Una  cosa  sola  dovremmo  im- 
parare ,  e^oè  la  sofferenza.  Ma  dqì  vogliamo  antivedere 
gli  anni,  non  che  i  mesi,  prima  qdello  che  dee  avvenire, 
o  oltrepassare  con  gli  occhi  delP  intelletto  a  quello  che 
dev"*  essere;  e  non  è  meraviglia  poi',  se  vediamo  quasi 
lotti  gii  uodiini  plebi  di. pensiero,  con*  gli  occhi  trala- 
nati  e  malinconici  ,  che  sembrano  sempre  in  agonia  ;  e 
si  dolgono  che  fa  fortuna,  è  cieca. 

JEtegio  dtUa  eotugssa  JSUonaim  Cohone  homUSt. 

In  ottime  lezioni ,  e  ia  bquisito  conversare ,  avea  Y  ire* 
lelletto  suo ,.  per  satura  penetrativo  e  vivace ,  di  belle 
cognizioni  fornito;  ma  non  era  perciò  sr  vaga  di  tale 
acquisto^  che  cpn  lieta  faccia  ad  ogni  altro  favellare  non 
S^  adattasse  al  bisogno.  Laddove  s*  introducevano  ragiona- 
menti  di  lettere,  più  volentieri  cKe  gli  altri  gli  udiva: 
]U»a  senteuzìava  mai  ;  QO  breve  assenso,  o  dubbio  mani- 
festavano il  suo  pensiero  :  assenso ,  o  dubbio  erano  però 
ragioni  si  diritte  ch^  aveano  colpito  nel  segno.  Della  vera 

\  Trionfio^,  Qòègf  t  (i»fU((^a  mafi|ia«do  e  bevendo* 


'    SEéOLÒ   ©ECIMOTTITO  553 

^micizi^  pia  DtaraYÌgHosa   estimalricé  non'  Vidf    mai;    ne 
ehi    pia  prèsto  conoscesse,  la  falsità ,  e  1^  ahborrtsse.    Uo- 
.mini  e  donne. di  gramle  affare  si  tenea  cari^sioif^  dicea, 
per  potei"  es.^ere  talVolta  tne%zo  a  gtorare  agi' infelici  ;    e 
aTTtsèré    di    loro    cnlcimità   chi    potea   alheggèrrrgli.    Non 
avrebbe  (affermava  eila)  colanti  sTenlnr»tì  il  mookk»,  se 
lingue  fedeli  si  frammettessero;  e  fossero  ambascjalrici  al- 
r  udito  di  chi  può,  e  dicessero  il  vero  degli  afflitti.   Ri- 
mangoiio  ancora  s»e- lettere  n<>B  poche,  scritte  a   grandi 
nomini,  eloqnentrssime,  (ntlè  anima ,  e  dettate  ton   doo 
stilè  da  non  poterlo  sorpassare  qualsrvogiiA  ingegno:  per 
iscrittitra  ?arre,   d'argoménto  sia^i  114^ ognune  f»  instama 
per  giovare,  o  ringrazia  d!  ayer  ottennio  henefiziò,  in  al- 
trui prò.   Qttaota  rettorico  liano^  le  scuole,  non  insegna 
quello  che  a  lei    dettava   il   sao  cuorek    È    attaraviglia   a 
dirsi  con  quale  facilità  comprendesse  tiitte  le  cirèostanae 
d^  un  caso,  anche  il  piìt  intralciato,   le   inutili  separasse 
m  nn  suImIo,  cogliesse  la  verità,  e  desse  consigli,  accom- 
pagnati' tla  tanta  ^^  cordialità,  e   colore   d^  espressioni ,   che 
meglio  Qo»'  avrebbe  parlato  dentro  II  cuore  di  c4ii  ne  ab- 
bisognava. Vedevi  anima  intrinsecatasi   nella    tua;   affale 
di  lei  prò  che  tao  proprio.  Alle  parole,  dove  pote^,  ag- 
giungeva r  opera,  non  rtchiesla:  senza  tuo  sapere  o    at- 
tendere, ti  vedevi  d-  itvpróvvrso  giovato.  Quasi  temea  di 
dartene  la  ftuova ,  perchè  i^on  ti  piombassero  addosso  le 
obbligazioni.  Avresti    detto    che  scegliesse   le  parole  pia 
leggiere^  non  era  vero;  assecondava  tn  ciò   sna*  natura, 
aenza  pensiero*   1/  aver    fatto   vantaggio   agli  amici  glieli 
rendea  solo  pia  cari  ;  compenso  di  sua*  cortesta.    Ritrovò 
molti  ingrati,  potea  ofiendergli,  se  ne  scordò;    né   T  in- 
graCitndine.  d'alcuni  la  fece  indispettire  della  beneficenza, 
rtelle  avversità  ebbe  animo  sofferentissimò  ;    né  mai  V  a* 
fresti  per  esse  Veduta  a  cambiare  nelle  compagnie  la  saa 
ilarità  natorale»  Neil'  ultima  saa  iaferiuità,  breve  di  qoat- 


354  LETTBIIATVIkA    ITALtkVk 

Irò  dr,  è  Trap^ssibìte  a  dirsi  ìt  aoo  dolorosa  orate,  e  ìa 
«Od  cosUota».  Pioo  »»ti  ithiim.  Btouseali.  ebbe  cbiarissiino 
inlelfeftto,  vWo,  e  preseole.  Conobbe  H  suo  slato  il  primo 
dt,  OOQ  Tolle  lasmghe  ;  eoo  cnUolioo  <^toore  si  scordò  to- 
sto dot  moado,  oon  infilata.  Fini  di  nitere  hi  nolle  dei 
fto.  di  marao ,  eoo  sosvtita  ferioeae»  e  religione» 

Ingfmno  delle  scuole. 

Quando  i  faociolli  sono  graDdioelltf  il  primo  pensiero 
èb^  io  odo  coaittneoiente  per  tolto  le  famìglie,  si  è  quello 
cki  iargli  imparare.  Maudensi  aHo  scaola  chi  ^a,  chi  là; 
^d  è  on^  ottima  ufyQK»)  m  nelle  Koole  a^.  avesse -a v'ver- 
lensa^*  ammaestrare  gì*  ingegni  secondo  quella  condizione 
di  VftCa  ,  che  a  lui  dipresso  lo  sciare .  iograadilo  dovrà 
eleggere*  'A  parlare  eoo  un  ? iilaoello  cbe  niteoda  bene 
V,  offisio  silo  ,  egli  ti  dirà  cbe  ooii  t»lt{  gli  alberi  si  yo» 
gliono  cokÌTàre  ad  nn  modo»  Pesco  ,  susino ,  naondorlo  ^ 
pero  son  lotti  alberi,  fanno  rami  e  foglie ;*ma  chi  vuole 
on  lèrreno  ,  ehi  Filtro;  questo  .ama' mi' aria;  quello 
•n^  altra»  Se  lotti  fossero  coltivali  ngnalmente.t  io  noB 
nego  die  noo  se  ne  vedessero  rami  e  foglie;  ma  la  so* 
slama  sta  ^lA  frottificare*  Gli  nomini  sono  tulli  nomioi; 
osa  lasciata  per  ora  la  diversità  degl'  ingegoi ,  da'  quali 
dee  BQioere  il  frullo ,  dico  che  si  dee  procaceiare  di  far 
Baseere  di  loro  quei  frutti  che  sieno.  cooveoevoU  allo  c|u»- 
lilji  della  vita  che  probabilinenle.af  ranno  a  fareé.-  Qtiaiula 
comincia  ad  aprirsi  la  prima  capacità  deil^  intendere  oe» 
gì' ingegni,  ad  ogni  fanciullo  si  mette  in  mano  la  Granw 
malica  ialina;  e  à  suo  dispetto  egli  avrà  ad  imparare  per 
un  iango  corso  d'anni  un  linguaggio,  del  quale  non  ai^rà 
più  a  valersi  in  vita  sua»  A  puco  a  poco  gli  verrà  i&»e- 
gnalo  a  parlare  con  eloqoenta  Ialinamente;  e  scegli  non. 
sa  dfre  due  parole  nel  proprio  linguaggio,  non  importa* 
Di  là  si  fa  passare  agli  spaziosi  campi  della  filosofia  ;  nei 


SeCOLO    DECISO TT .4  fO  S[^T 

quali  impara  tutto  qaello  che  dod  gli  abbisogna  mai;  è 
in  sai  fiore  deir  età  si^a,  ècco >  eh' egli  awà  eompinto  gir 
studi;  ed  ascilo  di  là,  si  troverà  come,  un  pesce  fnor 
dell'acqua,  nelle  fòccénée  del  mondo.  E  quel  ch^  è  peg* 
gio,  avrà  assaefalto  il  capo  a  credere  che  le 'cose  si  fae-> 
ciano  qaali  egli  le  avrà  lette  ed  imparate  ;  e  ragionerà 
fra  lotti  gli  altri',  che  parrà  un  nomo  venato  dà  Idntar 
nissiroi  paesi.  Qltre  all'essersi  tòrto  il  oervello,  egìi  avrà 
acquistala  anche  an'  altra  infermità  ,  eh*  e  quella  dell'  o^ 
zìo,  Qael  contiouo  star  a  sedere  a  leggere  od  a  seri* 
vere,  gli  ha  cosi  legate  le  membra,  ehe  a  grandissima  fa« 
tfca  potrà  più  tramettersi  negli  aÉarir:  e  se  vi  s'  tmpac* 
cera,  lo  farà  cosf  di  mala  voglia  e  quasi  a  dispetto,  ehe 
fron  gli  riuscirà  mai  bene;  e  credendosi  di  saper  molto, 
tasserà  '  tutto  quello  che  fa  il  prossimo. 

Ricordomi  che  quand**  io  andava  alfa  scnola ,  vi  vedea 
molti  fioriti  e  capaci  giovani,  i  qaali' studiavano  con  tutto 
il  cuore,  e \afi»ticavansi  di  e  notte  per  imparare,  gareg- 
giando tutti  a  chi  pio  s^  addottrioava.  A  me  parca  allora 
nna  bella  cosa  a  vedere  que'  novellini  ger4nogli  d'  una 
città  j  e  dicea  fra  me  :  Oh  !  nobile  ed  egregio  onore  che 
n^ayrà  questo  luogo>  quando  usciranno  di  qua  cosi  bene 
ammaestrati  giovani  ,  e  -cosi  dotti  !  —  A  poco  a  poco*  tras* 
corsero  gli  anni  ;  e  coloro  ch^  io  credea  di  vedere  oeco* 
pali  a  speculare,  a  ragionare,  od  a  scrivere  cose  gran^ 
di,  gli  vidi' appresso  condotti  dalla  condizione  di  loro  fe<* 
miglie  ad  occuparsi  fin  ne'  più  menomi  mestieri  e  ne'^ 
più  meccanici  lavori.  Oh  !  che  diavoi  ,  diss'  io  allora  , 
aveano  che  fare*q'uelje  cotante  Grammatiche  e  Rettori* 
che?  E  a  che  pensavano  i  padri  loro  quando  gli  man« 
davano  ad  imparare  Cornelio  Pìipole  e  Cicerone  ?  Non 
era  e^li  il  meglio  avvezzar  loro  le  braccia  e  la  testa  a 
quello  che  fanno  al  presente,  che  empiergli  di  latinità  a 

I  TiuttroK  Ceiu«reA« 


35S  LETTERATVnA    ITAUllfA 

di  figure  *?  Non  credevano  essi  forae,  che  tanto  aia  ne- 
cessario, al  mondo  fin  bnon  calzolaio  ^  quanto    on    boon. 
grammajico  9  e\piti?  Che  tanto  gkivi  nn  perfetto  fabbro, 
qaanto  odo  squisito  rettorìca?  P«rchè  non  s^  aprono  scao/e 
costà  di  fucine  e  martella,  coli  di  seghe  e  pialle,  in  nn 
altro  Inogo  .di  s^amoje  *  ;  tànli»  che .  ogni  condizione  di 
genti  ritrovi  1*  appartenenza  sua  ,   e  non  s'  abbatta  sem- 
pre ne*  primi  anni  a  nomi  ,  verbi  f-  concordanze,  tropi  ', 
•  altri' cancheri  che  drvorano  la  gtoviaeiza  senza  frutto, 
tolgono   r  utilità    deir  età   mezzana ,   e  F  agio  della  vec<> 
chiezza?  Io  questa  forma  ci  sarebbe  anche   minor  quan- 
tità di  giudici  delle  scriltiire   di    que^  pochi ,   i   quali  ^i 
danno  alle  lettere;  e  gli  scrittori  potrebbero  dire  allora, 
9ome  quel  greco  pittore:  Olà,  o  tu,    noa    t*^  impacciare 
pik  sa  che  la  scarpa  ^*       . 

Noueìla. 

Gregprio  e  Taddeo  er^no  due  lecdi]^  i  qnali  sopra 
ogni  cosa  aveano  in  lutto  il  corso  della  vita  foro  tenuto 
gran  conto  di  custodire  la  coscienza;  tauto  che  ad  udire 
le  sottigliezze  e  i  pensieri  loro,  qua^ido  ragionavano  in- 
torno m  tale  argomentò,  le  genti  ridevano  loro  io  fàccia, 
e  parea  che  ossero  rimbambiti,  e  usciti  '  del  oer? elio  , 
come  avviene  a  chi  favella  coltro  l'usanza  comune.  Àvea 
Gregorio  una  sua  buona  casetta  in  villa  v^e  volendo  egli 
fiir  piacere  alF  amico  suo ,  che  richiesta  glie  f  avea  per 
comperarla  ,  furono  insieme  a  contratto  con  sì  misurale 
domande  ed  offerte,  che  in  due  parale  ebbero  accordato 
insieme,  e  andarono  ad   un   atvocato,   perchè   mettesse 

X  Figure.  Artif  ci»*  d^l  par]«re. 
,    a  dhiamoja  h  V  acqua  salata  ia  cui  n  mettono  i  pesci  ;  proieMioDt  d* 
portanaa  ne*  paesi  «fi  raare. 

$  2V«f/.  Lo  stesso  che  le  Figtire  dette  poc*  «osi* 

4  Detto  di  uà  antico  pittqfe  ad  uà  calaolai^ 


'SECOLO    D E OI3I OTTAVO  3^9 

foro  i  pdtti  In  jscfilto;  L^avvo'cato  era  aomo  di  tal  con* 
dizione.  Non  a^ea  egli  in  lutto  il  tempo  della  sua  Yiia 
preso  a  difendere  causa  cbe  non  gli  fosse  parata  giastis« 
sima  ;  e  per  oghi  poco  di  garbuglio  che  dentro  vedul^y 
V  avesse,  consigliava  i  due  partiti  air  aggiustamento,  in» 
tramettendosi  egli  medesimo  con  le  buone  parole  e  col 
suo  parere  per  Tedernegit  pacificati»  E  tuttavia  ^.narra  fa 
ttoria  eh' egli  àvea  poche  faec^nde  ;  perchè ,  sapendosi 
r  usanza  sua,  quasi  tutl'i  litigatori  gli  aveaoo  follo  .per- 
dere il  concetto,  dicendo  ch^  egli  era  troppo  flemmatico 
e  pòco  piratico  delle  cose  ,  e  '  non  sapea  tirare  in  lungo 
quanto  abbisognata ;^ÌDdizio  di  picciolo  ingegno*  Basta, 
comunque  ciò  sì  fosse,  egli  er«  uomo,  a  cui  piaceva  la 
pace  fra  le  parti,  e  questi  fu  colui  cbe  scrisse  lo  stru* 
mento  della  casa  fra  i  dote  (móni  vecchi ,  i  quali  T  aveaoo 
in  ogni  loro  faccenda  eletto  per  consigliere  e  per  giodt<^ 
ce.  Non  si  tosto  ebbe  Taddeo  la  comperata  caseltia  nelle 
sae  mani,  che,  volendola  per  li  suoi  molli  figliuoli  e  ni* 
poti  Ingrandire  ,  Andò  quivi  con  non  so  quanti  murato- 
ri,  ^  fece  atterrare  cerlé  muraglie  per  riedificarle  a  suo 
Bsodo.  MàT  Aieolre  che  qua  e  colà  cadevano  le  pietre,' 
gittate  giù  da  maiAelIt  e  picconi,  eccoti  che  in  un  certo 
lato  "si  scopre  on^  urna  ,  '  nella  quale  cisplendeva  mollò 
oro  ;  di  che  avvedutosi  il  vecchio,  che  quivi  per  caso  si 
ritroTava ,  la  fece  incontanente  riooglieré ,  arrecare  alla 
sua  casa  in  città,  e  chiudere  sotto  grandissima  custodia 
in  una  stanza»  E  come  1'  ebbe  a  quel  modo  rinchiusa  , 
mandò  fier  Gregorio  che  a  lui  ne  venisse  ;  pel'chè  dovea 
conferirgli  un  segreto  di  grande  importanza.  E  quando 
fu  giunto ,  affacciatosi  lietamente  a  lai ,  e  fattolo  entrare 
dot'  era  V  orna ,  incominciò  in  questa  guisa  a  parlargli  t 
Amico  mio,  io  ho  comperata  da  toì  una  casa,  e  sborsa- 
tovi per  essa  quel  pregio,  di  che  ci  siamo  accordati:  ma 
10  non  credea  che  per  si  poco  valsente  voi  voleste  anche 


S6o  XETTERATURA    ITALUPl 

oltre  a  quella  darmi  tasto,  che  vale  molte  Tolle  pia  di 
qtfeilo  che  m'  avete  venduto»  Vooìe  la  buona  fede  che 
dall' una  parte  e.  dall'altra  aia  eseguito  1'  accordo;  e  peri- 
oiò  voi  fi  ripig1ie|%te  quelF  oro  cli^-io  ho  testé  irìtroTato 
ia  no  muraccto,  il  iquaie  *  non. entra  nella  scrìttara  no* 
Ara,  e  perciò  non  è  omo.  -^  E  cosi  detto,  gli  feo^  quell'oro 
Tedece ,  e  gli  narrò  in  qoal  modo  trovato  V  avesse  ;  di- 
cendogli che  a  casa  sua  ne  lo  facesse  portare.  —  A  Dio  non 
piaccia ,  rispose  il  venditore  ,  eh*  io>  riporti  meco  quello 
eh'  io  ho  una  volta  venduto.  Taddeo,  è  vostro  quesito* 
ro;  e  se  VI  ricorda  le  parole  della  scritta  nostra,  io  v^ho 
dato  la  casa  con  quanto  in  essa  è  ed  a  quella  ^appartie- 
ne; e  però  non  vi  debbo  ritogliere  quello  ik^e  «i  diedi 
una  volta.  -  Rispondeva'  il  xomperatore  :  Voi  non  sapevate 
che  fi  fosse  urna,  né  oro,,  e  .perciò  non  entra  nelle  clau* 
aule  della  scritta  quello  die  non  ai  àapea  e  viion  ai  ve- 
dea^  ma  quelle  sole  appartenenze  che.  note  erano  al  ven- 
ditore ed  a  chi  comperava.  Io  non  ne  voglio  saper  aU 
Irò,  diceva  Taddeo ,  io  mi  delibero  a  Toler  cbe  sia  quello 
die  suona  la  carta  \  -  Che  dirò  io  più?  A  poco  a  poco  ai 
riscaldarono  i  sangui  de' due  vecch};  ebbero  interne  |iòq 
so  quali  parole  risentite,  é  si  divisero  T  aitò  dall' aftro, 
risolali  di  venire  alle  citazioni  e  alle  dt&se  eoB  tanto  ar« 
dorè,  che  parea  si  volessero  mangiar  vivi.  Partitisi  dun- 
que r  uno  e  V  altro  a  grandissimo  furore ,  n'  andarono 
incontanente,  Taddeo  di  qiia  e  Gregorio  di  là,  all' avTo* 
eato  ;  e  avvenne  che  quivi  ancora  si  ritrovarono  insieme 
dinanzi  a  lui  :  il  quale  non  sapendo  cbe  si  volessero  , 
guardandosi  in  cagneaco,  adi  finalmente  donde  procedea 
la  cagione ,  e  con  le  buone  parole  dimostrò  loro  qoanto 
fesse  facile  il  ridurre  ia  cosa  ad  ao   accomodamento.  Di 

I  12  quale.  Si  rìferitce  aJ  oro.  *' 

a  QutSo  che  tuona  oc. .  ^Ilo  cbe  «  MnHa  Mk^aitt* 


SKCULO    D£ClM0,TTAVO.  36 1 

che  rano  e  V  altro  rimise  ìq  Iqì  il  giaditio,  e  giarò  di 
stare  alla^  seotenza  eh'  egli  avesse  sopra  di  ciò   proferita. 
Allora  egli  cominciò  dal  lodargli  della   baooa  -intenzione 
che  aveano  entrambi ,  e  della  squisita  pnntoalità  loro  ;  • 
&na!mente  conchiase  ,    che    non   Yoleudo    nessuno  d*  essi 
doe  qaeir  oro  ,  come    cosa   che.  a  sé  non  appartenesse , 
cercasse  di  darlo  via  per  limosina    a   benefizio   d^  alcane 
buone  persone  che  avessero  con  esso  migliorato   la  stato 
loro.  Piacque  a'  vecchi  il  consiglio,  ma    non    volendo  ne  ' 
Tuno,  n$  T  altro  disporre  del  trovato  tesoro ,  vollero  che 
l'avvocato  lo  ricevesse,  per  distri bnirnelo  a  sua.  volontà, 
a  cui   più  gli' fosse  piaciuto;  e    cosi   detto,   stabilirono 
d^  andare  per  1'  urna,  e  d' arrecamela  a  lui;  -  L'  avvocato 
fra  tanto  rimase  quivi  solo,  incominciò  con  V  immagina- 
tiva a  Tederò  tanti  bei  danari  che  gli  doveèrno   fra  poco 
venire  alle  mani ,  e  parea  che  non  sapesse  spiccar  ìÌ  pen- 
siero da  quelli.  Anzi,  quanto  pia  si  sforzava  di  ritrovar 
persóna,  a  cui  gli  dovesse  distribuire,  sempre  più  parea 
che  a  dispetto  suo  gli  suggerisse  la  mente  lui  medesimo, 
e  diceva  tra  sé  :  Perchè  sarò  io'  cosi    pazzo ,   che   Toglia 
perdere    cotanta  ~  Tentora  che    m'  è    venuta    alle    mani  ? 
Vorrò  io  dunque  .spontaneamente  spogliarmi  d'un  bene, 
che  1'  uno  e  V  altro  di  cotesti  miei  clienti  non   vogliono, 
a'  quali  apparterrebbe  di  ragione ,  se  lo  volessero  ?  Dap- 
poich'essi  lo  lasciano,  e  lo  mettono  nelle  mie  mani,  per« 
ch'io  a  volontà  mia  ne  disponga,  perchè  non  ne  disporrò 
io  a  mio  favore,  facendone  una  limosina  a-  me,  per  ar- 
ricchire un  tratto  senza  fatica ,.  e   vigere   il   restante  de* 
giorni  miei  con  maggior  agio  di  quello  ch'io  abbia  fatto 
fino  al  presente  ?  S'  alcuno  V  avesse  a  sapere,  potrei  forse 
averne  timore  :  ma  chi  lo  saprà  ?  Egli    si   vede   che  né 
Taddeo ,  né  Gregorio  si  cnra'no  punto  del   trovato  teso- 
ro,  ed  hanno  posta  in  me  tutta  la   fede   loro.   Adunque 
io  posso  facilmente  dare  ad  intendere  air  uno  e  all'  altro 

UTTBBAT.  RAI»  —  1?  3l  , 


362  HETTEBATtRà    ITAMANA 

cf*  aver  fallo  quello  eh'  è  parulo  il  meglio  alla  coscienxa 
mia ,  e  leDerlomi  senza  sospetlo  vernoo.  -  Così  detto  fra 
sé,  e  slato  alqaanlo  in  questa  leata^iope,  parve  che  loUo 
ftd  Ufi  tratto  gli  scorresse  il  ghiaccio  per  le  vene  ;  e  disse 
io  soo  cuore:  Vedi  bello  ed  illibato  galantaomo,  vissnlo 
fino  a  qui ,  come  un  ermellioo  purissimo ,  perché  ooq 
mi  s^è  aperta  mai.  1' occasione  di  truffare!  £  egli  possi- 
bile che  dopo  d'  aver  fuggilo,  per  tolto  il  corso  della  mia 
^ita,  di  macchiarmi  eoa  azione  veruna  che.  giusta  doq 
fosse ,  io  mi  sia  cosi  dato  oggi  io  preda  all'  avarizia  che 
pensi  di  mancar  di  fede  a  due  che  la  pongono  in  me. 
come  B*  io  fossi  incorrottibile?  Avrà  dunque  in  me  tanto 
potere  questo  maladetto  oro,  nop  ancora  da  me  veduto, 
«he  per  esìo  io  franga  le  leggi  dell'onesto  nomo,  e  non 
mi  ricordi  più  punto  del  mio  vivere  passato,  eh'  io  ho 
fino  al  presente  mantenuto  libero  da  ogni  sospetto  di 
colpa?  -  Mentre  cb*  egli  stava  in  tali  pensieri ,  dal  sì  e 
dal  no  combattuto,  ecco  che  un  giovane  ed  una  fanciulla 
gli  chieggono  d^  essere  uditi  per  avere  il  consiglia  suo  so- 
pra a^  loro  interessi.  E  quando  gii  furono  innanzi ,  io* 
cominciò  il  giovane  addolorato  a  dire  :  Questa  fanciulla 
che  voi  qui  vedete-^  è  amata  da.  me  quanto  gli  occhi  miei 
proprj,  ed  ella  vuole  quel  bene  a  me  chMo  voglio  a  lei; 
ma  r avarizia  del  padre  mio,  e  la  povertà  del  sao,  sono 
cagione  che  non  possiamo  far  maritaggio  insieme,  e  siamo 
ridotti  ella  ed  io  per  la  disperazione  a  morire ,  se  non 
troviamo  qualche  rimedio  ai  nostro  dolore.  —  Grondavano 
dagli  occhi  alia  fanciulla  le .  lagrime  a  quattro  a  quattro, 
mentre  che  il  giovane  favellava ,  e  col  capo  basso  non 
avea  ardimento  d^  alzare  gli  occhi.  Intanto  il  giovane  se- 
guitò: Noi  siamo  venuti  a  voi,  perchè,. come 4iomo  d'in- 
gegno e  di  leggi,  n^  iosegnilUe  in  qnai  forma  ella  potesse 
fuggire  con  onor  suo  dalla  casa  paterna ,  e  in  qaal  guisa 
io  potessi  chiedere  ai  padre  mio  ch^  egli  mi'  desse  di  die 


SEGOLO    DECIMOTTATO  363 

vifere ,  ibtendenclo  io  da  qni  in  poi  di  starmi  con  essa 
lei  a  dispello  di  lai  e  del  mondo.  -  Incomìnciaf  a  appunto 
TaTTOcato  ad  aprir  la  bocca  per  fare  una  cordiale  e  pa- 
terna ammonizione  a'  due  giovani ,  quando  salirono  le 
scale  Taddeo  e  Gregorio  con  T  urna  de- danari;  onde  «1 
primo  vedergli  corse  all'  ànimo  dell'  avvocato  ,  che  in 
Djun'  altra  migliore  limosina  si  potesse  impiegare  qtieir  o- 
ro ,  che  nel  confortare  doe  persone  che  così  cordiale 
mente  s'  amavano  ;  di  che  narrato  a'  vecchi  il  caso  (  non 
senza  grandissimo  timore  de'  dne  giovani ,  i  qnali  non 
sapevano  dove  la  cosa  avesse  a  riuscire  ) ,  tutti  furono 
contenti  di  beneficare  qi^e' poveri  spasimati;  e  Gregorio 
e  Taddeo  ,  quasi  quasi  ringall uzzati ,  cominciarono  a  dire 
an  gran  bene  del  matrimonio,  e  che  si  dee  in  ogni  conto 
ajntai'e,  e  vollero  ad  ogni  modo  essere  i  compari:  e  T av- 
vocato fa  qoegli  che  mise  i  parenti  d*  accordo. 

DALLA   GAZZETTA    VENETA.' 

Modo  di  godere  i  piacerL 

Dissemi  ano  »  tempo  fa  :  Come  si  ha  a  contenere  nn 
giovine  di  condizione,  a  cui  il  padre  suo  non  voglia  dare 
danari  ?  -  Una  cosìi  vorrei  prima  sapere  :  quante  voglie 
rabbia  esso  giovine  in  corpo.  Se  te  sono  poche ^  oneste ^ 
accostumate  e  gentili,  io  lo  compiango  che  non  gli  sia 
conceduto  il  modo  da  cavarsele;  ma  non  saprei,  però  qual 
altra  via  insegnargli ,  fuorché  i'  aggiungere  alle  altre  sne 
boone  qualità  quella  del  reggersi  secondo  le  sue  circo- 
stanze, per  acquistare  onorato  nome  di  amorevole  e  ub- 
bidiente al  padre,  e  movergli  l'animo  con  questo  mezzo 
alla  discrezione.  Le  moderate  voglie  non  trasportano  V  a- 
Dimo  ^'a  furia,  e  ad  un'  inquietudine;  perpetua;  >  co- 
stano poco.  Io  veggo  molti  onorali  giovani ,  •  non  abbon- 
danti di  beni  di  fortuna  ,  godersi  anche  il  mondo  lieta* 


364  LETTERiTURÀ    ITlLIlllA 

mente:, perchè  sanno  scegliere  quella  porxione  di  spassi 
che  cooTeogODO  ad  ana  mezzana  fortigna.  Queslo  mondo 
è  on  mercato ,  in  cni  sono  direrse  strade  y  ciaschedana 
assegnata  al  Tendere  qnesta  cosa  o  quella  :  noi  siamo  ì 
comperatorì*  Misuri  ognuno  la  borsa  seta  :  ehi  non  può 
«ndare  a.  comperare  nella  ?ia  de'  giojellieri,  vada  in 
un*  altra  a  comperare  merci  di  minor  prezzo  ;  e  sarà 
stato  anch'  egli  alla  fiera,  e  avrà  comperato.  Chi  non  può 
fuel  che  vuol,  tfuel  che  può  voglia*  Non  è  male  che  la 
giorentà  si  ^Vveiszi  a  stentare  qualche  poco  :  perchè  la 
ai  arfezsa  a  TÌrerA  e  a  conoscere  le  disuguaglianze  della 
foetoaa^  e  ad  assuefare  il  coore*  a  que'  diversi  colpi  coi 
^  quali  essa  ci  percuote  di  tempo  iu  tempo  ;  e  impara  a 
poco  a  poco  dalla  necessità  a  moderare  le  sue  Toglie  spoa- 
taneameote*  Il  ciior  nostro  è  f|Uo,'come  dire,  a. maglia: 
se  un  padre  con lìna«i mente  liberale ,  1'  appaga  di  qnel 
che  Tuole ,  allarga  le  maglia ,  e  non  1'  empie  più.  Dnn* 
que  che  si  ha  affare?  La  Toglici  dello  spèndere  Tiene 
dalla  comparazione  che  fa  uno  di  sé  medesimo  fcon  al- 
trui. Si  ha  a  cercare  di  compararsi  con  -chi  spende  me- 
no. Tanto  puQ  essere  giovine  di  condizione'  quegli  che 
raccoglie  e  paga,  per  esempio,  nn^  brigata  di  soooatori 
e  di  musici  ,  quanto  uno  che  aTrà  rivolto  11  cuor  suo  a 
passare /a  Icone  ore  in  compagnia' di  persone  di  spirito: 
jdireì  anche,  a  leggere  qualche  boon<  libro;  ma  chi  sa 
ch'io,  non  ne-^fenissi  chiamato  stoico^ o  pedante?  Pongasi 
il  giofine  in  animo,  che  il  Tero  diletto  è*  una  cosa  tran- 
jqoilia ,  non  nn  aggiramento  di  capo  ;  on  ajleggeri mento 
.de'  pensieri^  non  un  pensiero  degli  altri  :  che  quegli  il 
quale  si  prende  oggi  un  diletto  gagliardo,^  domani  lo 
IroTa  sciocco;  e  ne  chiede  uqo  più  gagliardo  il  Tegnente 
Jì;  e  a  poco  a  poco  non  troTa  più  cosa  che  gli  soddi- 
sfaccia; gli  resta  una  TOglia,  e  non  sa  di  che;  tantoché 
diviene -malinconico  in  ogni  luogo,  e  invecchia  di   Tenti- 


•ECOLO    DECntOTTATi»  363^ 

cinipe^  aDDi.  I  larghi  bevitori  hanno  sempre  se(»  ;  iimi  il 
palato  loro ,  quasi  foderato ,  non  sente  più  il  piacere  del 
?ioo,  come  lo  sente  uno  che  io  sì  bee  a  hicchierini  di 
quando  in  quando.  E  cosi  a? viene  di  Quelli  che  niangiana 
sempre  le  carni  condite  con  le  salse  forti ,  o  di  -  chi  si 
compiace  degli  odori  ;  che  in  fine  la  cannella  e  i  ghero-^ 
fimi  non  pizzicano  pi»  loro  la  lingua  ^  e  appena  sanno 
qaal  odore  abbia  il  muschio.  A  uno  a  ano ,  gli  spassi 
confortano;  in  frotta,  affogano:  e  chi  si  contenta  di  aver- 
negli  a  uno  a  ano,  può  essece  più  facilmente  compiaciuto 
dal  padre,  che  quegli  il  quale  gli  Tolesse  tutti  ad  nn 
tratto. 

Costumi  di  mohi  che  si  chiamano  letterati^ 

A'  quei  tempi  ne'  quali  si  viveva  air  aniicaccta  e ,  come 
dire,  a  caso;  ne' quali  quando  ouo  volea  acquistarsi  onore 
dello  studiare ,  dimentica  vasi  di  sé  e  di  ogni  cosa  sua  , 
per  istarsi  giorno  e  notte  con  gli  occhi  in  sui  libri  ;  al* 
tre  erano  le  usanze  da  quelle  che  sono  oggidì,  per  gua- 
dagnarsi un  nome  onorevole  e  chiaro.  Ma  la  cosa  a  quei 
dì  era  lunga ,  e  si  dovea  andare  per  di£&cile  le  rotto  cam- 
mino, e  pochi  erano  coloro  che  salissero  alla  cima  del 
monte  dove  la  dottrina  spargeva  le  sue  grazie  e  i  suoi 
doni.  A**  nostri  giorni  abbiamo  abbrevialo  il  viaggio ,  e 
aperta  una  via  piana  e  jacile ,  da  camminarvi  come  chi 
dicesse  sulla  bambagia  ,  senza  altro  pensiero  che  quellp 
di  dare  de^  gombiti  '  nello  stomaco  o  degli  urli  ne'  fianchi 
altrui  ,  procurando  di  tenere  indietro  chi  troppo  gagliar- 
damente corresse,  e  dì  tirare  qualche  archibusata  a  chi 
troppo  rapidamente  spiegasse  le  ale.  Per  la  qual  cosa  , 
se  cotesto  giovane  amasse  di  tirarsi  presto  innanzi ,  ed 
averne  onore ,  si  faccia  un  buon  provvedimento  di  molli 


l  Combitù  Gemiti. 

3t' 


•  366  LETTEniTCRÀ    IT4LI.4ÌVA 

e  brr(c  *  conlra  i  mio!  concorrenti;  e  se  nVmpia  per  modo 
il  cerreilo,  che  gli  fiocchino  dalln  lingna  come   grugnito- 
la ;  e  gli  dica  a  tempo  o  fuori  di  tempo  ,   che   non  ìcb- 
iporla.  Ricordisi  clie  non  basta  il  dir  Ufivile  di  aUrui^  ma 
•chV'gil  bisogna,  dall'altro  canto,  dire   un  gran  bene  di 
-sé  medesimo  ;  e  tenere  a    mente    che    Orazio  e    Ovidio 
dissero  T  uno  e  T  altro,  che  né  fuoco  né  tempo  né  altra 
•calamità  pc^teano  far  {sparire  dal  mondo  le  opere  loro:  e 
•s*  egli  non  può  imitare  in  altro  colesti  due  òelebri  scrit- 
*1ori,  gì' imiti  In  questo.  Non  sudi  il  sangue  delle  Tene  a 
comporre;  mn  faccia  ogni  cosa  in  furia  e  in  fretta:  per- 
chè   la    squadra  in  m.ino  e  il  compasso  ,    toglie    il  fnoro 
alio  scrivere;  e  i  difetti  fanno  meglio  rispleadere  le  bel- 
lezze de^  componimenti  :  essendo   stato  un    tempo    grande 
'Arte,    l'usar   l'arte    e    non    darne    indizio;    ali*  incontro 
•d'oggidì,  che  per  non  inciampare  nelP  usarla ,    si  crede 
.cosa  più  sicura  il  non. averla.    Quelli    che  si  chiamano  i 
buoai  autori^  gli  lasci  da  parte,  |>er  non  prendere  il  co- 
lore da  quelli';  perché  si  direbbe  eh'  egli  è  imitatore,  e 
Irnbaccbia  da  questo  e  da  quello.  Faccia    capitale    di    sé 
stesso  e  del  suo  cervello;  e  yoII  dove  quello  ne  lo  porta. 
Questi  SODO  i  principii  generali:  e  con  e$iì  prometto  fama 
ftd  esso  giofane.  Egli  è  vero  che  il  fine   della    vita    noo 
•i  chiade  in  tal  tAoào  con  molto  concetto  di  letteratara; 
ma  che  insporta  questa  vanità  ultima,  o  la  gloria  di  on 
epitoffio  ? 

BAI   SBRMOIfl. 

SuUa  Sacra  Eloquenza. 

Quanti  anni  sod  ,  che  il  Boccadoro  *  scrisse 
Questo  de'  te^ropi  suoi  t  -^  Vengono  i  nostri 
Cristiani  ad  udir  prediche  e  sermoni , 

1  Èwìt.  Uefi^ ,  Dileggi  e  simili. 

a  boccadore*  Tanto  tigoifica^U  ^co  &ome  Crisostomi, 


SECOLO*  OECniOTT;TO  367 

NoQ  per  dar  vita  e  ntitrimento   ali*  almi»  , 
91a  per  diletto ,  e  giudicar  di  noi 
Come  di  suonatori  e  recilaoti.  -^ 
Lungo  giro  di  cielo, e  corso  d^anni 
Portò  dì  noTO  a  noi  quel  tempo.  Vanno 
In  calca  ascoltatori  ofe  s^  iiiBura 
Con  lisciato  parlar  pensrer  sottile 
E  sofistiche  prove  ;  e  dove  n>t?no 
S' intende ,  e  dove  più  s*  esce  del  fero , 
Ivi,  oh  buono  !  sì  grida,  oh   maraviglia! 
Qoal  dotto  indegno  !  qual  favella  d*  oro  ! 
Tal ,  Filippo  ' ,  è  il  coshime.  Oh  quante  volte 
Tra  le  lóte  pareli  ed  agP  Ignndt 
Scanni  udii  favellar  mnschia  eloquenza, 
A  cui  madre  è  la  Bibbia,  il  Yangel  padre! 
Allora  io  dissi  :  Somigliante  io  voglio 
A   tui  padri  la  figlia  *  ;  e  se  alla  mente 
Me  la  presento  quasi  viva  donna  , 
Tal  la  immagino  in  core  :  una  bellezea 
EXi  grave  aspefto ,  che  con  V  occhio  forte 
Mira  e  comanda;  maestà  di  vesti 
Massicce  ha  indosso,  e  fornimenti  spreiza  , 
Altri  che  d*  oro  e  solido  diatuante.* 
Chi  creder  mi  farà  ^  che  dove  io  veggo 
Viso  eoo  liscio,  occhi  sfacciati^  vesti 
Di  frastagli  ripiene,  alchimia,  ed  atti 
Di  scorretta  fanciulla  ,  io  creda  mai 
Ch*  ivi  la  figlia  del  Vangel  si  trovi  ? 
Quella  che  teco  ta  conduci,  è  deìsa 
La  vera  prole;  e  se  non  vedi  in  calca 
Genti  a  mirarla  ^  perciò  appunto  è  dessa. 

1  Frate  JP'ilippo  da  Firenze  ,  predicatore* 

2  ji  tai  padri  ec.j  cioè  :  Voglio  che  la  sacra  eloqueasa  lOmigK  nella  smi 
grave  e  dignitoM  bcllexza  alla  Bibbia  ed  ali*  Evangelo  che  le  son  genitori. 


368  LBTTERITDBA  MTlLIAIfi 

Fqggela  il  peccator  che  in  odio  ha  il  fero, 
vE  da  qael  sacro  faTellar  seo  fugge 
Che  mai  non  esce  d^ argomento,  e  balte 
Come  sodo  martello  in  uman  petto , 
Tendendo  sino  al  fin  sempre  ad  nn  pantcK 
Sai  tu  che  chiedon  gli  uditori  ?  Poca 
Morale  ;  e  in  quello  scambio  ,  intelligenza 
pi  botanica  è  meglio,  o  notomia  y 
Che  fnori  ^el  Vangel  porti  soTente 
Chi  purla ,  e  il  core  all'  nditor  sollevi  '• 
La  pittura  anche  gioTa  ;  e  se  ragiona 
Di  bosco  o  monte ,  è  ben  che  ad  ana  9d  nna 
Le  querce  V  orator  dipinga  e  i  rami  ^ 
E  degli  augelli  il  leggiadretto  piede 
Che  per  quelli  saltella  ;  orride  balze  ^ 
Macigni  duri ,  e  torbido  torrente 
Che  fra  dirupi  impetuoso  caschi. 
Giungavi  *  V  invettifa  ,  e  furioso 
^  Il  santo  legno  su  cui  Cristo  pende. 
Con  V  una  mano  Tèemente  aggrappi , 
Con  r  altra  il  berrettino  si  scontorca , 
Gridi ,  singhiozzi,  ed  a  licenda  mandi 
Fnori  or  voce  di  toro,  or  di  zanzara* 
Allora  udrai  far  gli  uditori  tosse 
Universale;  ognun  si  spurga  e  sputa , 
E  forte  applaude  col  polmone  a  questa 
Eloquenza  di  timpano  e  campana* 
Qnal  fratto  poi  ?  Pieni  i  sedili ,  pieni 
I  borsellini,  che  insolente  canna 
Fa  suonar  negli  orecchi  agli  ascohanti* 
E  r  alme  ?  vote  vanno  al  tempio ,  e  fuori 

X  E  il  core  alt  uditcr  sollevi.  Lilieruuiolo  da*  rifliom   •  daH«   angosce 
che  gli  dk  la  voce  della  vera  morale* 
2  Giungtm  per  Aggiungavi* 


SEGOLO    OECIMOTTATO  369 

Escon  piQQe  di  reoto  e  di  parole.  —  ' 
O  Padri  santi,  s^  io  ?o]  leggo,  4ali 
Però  non  tì  ritrovo.  Al  tao  somiglia 
lior  pensier  e  lo  stil.  Saggia  morale , 
Tratta  fuor  delle  viscere  più  intuirne 
Deir  uomo ,  e .  vera.  Se  Basilio  '  sgrida 
L^  osare jo  o  V  iroso ,  io  veggo'  tosto 
L'  avarizia  dipinta  ,  e  gli  artifizj , 
Di  coi  si,  serve  a  trar  frntto  delForo,. 
Che  a  ragione  portar  frutto  non  poote  *« 
Fa^  deir  ira  pittore  ?  eccoti  innanzi 
n  furor  deir  irato,  il  labbro  gonfio. 
Le  ginocchia  tremanti,  e  mille  e0etti 
Che  mostran  la  pazzia  di  chi  s*  adira. 
Ferma  le*  prove  sue  con  la  parola 
Di  Dio,  ma  non  la  trae  con, le  tanaglie 
A  quel  che  vuole  ;  anzi  ad  oh  corpo  ^  nato 

^  Sembra  il  suo  dir  col  favellar  divino. 
Parla  di  Dio?   nella  sua  lingua  vedi 
Il  verace  Signor  che  il  mondo  tatto 
Tiene  in  sua  destra  come  gran  di  polve» 
Ecco  Dio ,  dico ,  è  tale  ;  e  V  alma  ho  piena 
D^OB  sacro  orror  cV  è  riverenza 'e  speme: 

■    Questa  è  sacra  eloquenza.  Io  tal  la  chieggo , 
Filippo ,  e  grido  :  In  te  la  trovo ,  e  lodo 
Te  ancor ,  lodando  della  Chiesa  i  Padri» 

gìudizj  che  si  danno  intomo  à^ poeti;  che  natura  sola 
non  fa  il  poeta,  ma  V  arte  a  quella  congiunta» 

.  Tacer*  aon  posso,  o  Martinelli:  quanti 
Giudici  di  poeti  oggi  son  fatti 

1  BasUiou  Santo  filosofo  ed  eloquente  ,  nacqae  in  Cesarea  rerso  il  3a8. 

2  Pare  che  U  Gotti  fosse  di  coloro  i  cpxali    tenevano  die  fosse  illecito 
ogni  frutto  sul  denaro  prestato. 

3  jid  un  Cùffo,  Insieme*  •—  Nati  ad  un  cwj»i  diconsi  i  gMuelIi. 


/V 


370  LETTERATURi    ITktìkftk 

E  maestri  a  bacchetta!  Ognnn  fa  fella 
Di  poemi  e  caDEoni  ;  ed  a  cui  vaole , 
Di  saa  man  porge  la  ghirlanda  e  il  pregio. 
Ma  se  Apollo  chiedesse  :  —  Io  qaali  scuole 
Tanto  apprendeste  ?  chi  ti  die^  tal  lame? 
L*  ozio  ,  la  sgualdrinella,  il  letto  molle? 
O  co*  tripodj ,  i  pacchiamenfti  e  il  Tino  ^ 
V'entrò  la  sagra  poesia  nel  corpo?  — 
Rider  Tedresti  questa  turba,  è  farsi 
Befie  di  lui;  si  per  natura  e  ingegno" 
Dotta  si  stima ,  e  V  opre  de'  migliori 
Nota  e  riprende  con  sentenze  e  rutti  *• 
Sfa  se  al  rozzo  villan  gridasse  un  d' essi  : 
Questo  doro  terren'  zappa  più  a  fondo, 
Zocca  ceppo  balordo  asino ,  zappa  ;  — 
Risponderebbe  :  O  tu  che  si  m^  insegni , 
Qua  vieni  in  prima:  or  ?ia,  mostriam  le  palme ^ 
Yeggansi  i  calli  :  io  con  la  schiena  in  arco 
Sodai  molti  anni,  io  questa  terra  apersi. 
Volsi ,  rivolsi  :  or  tu ,  come  sedendo 
.C09  le  man  lisce,  di  saper  presumi 
Quel  che  a  me  insegna  la  fatica  e  V  uso  ?  ^ 
Tanto  di  chi  non  ui  ^  $*  egli  corregge , 
La  Toce  empie  di  stizza  \  E  noi  dovremo 
Tacili  sempre  e  neghittosi  starci  ? 
•    Chi  pecora  si  fa,  la  mangia  il  lupo. 
.  Andiam  sotterra  almeno.  Eccoci  entrambi 
In  un^  ampia  caverna.  Or  qui  gridiamo, 
Che  slam  coperti:  Mìda,  Mida ,  Mida 
Gli  orecchi  ha  dì  giumento  ^.  Ancor  di  sopra 

t  Per  nettura  te. .  Per  dona  di  natura ,  e  senta  bisogno  di  studio. 

A  Con.  seifttn»e  e  ruiU^  Questa  e  qualche  altra  locusione  che  1*  Autor* 
adottò  forse  come  espressiva,  furono  non  a  torto. notate  da  alcuni  ùccom» 
troppo  plebea. 

3  QU  orecchi  ha  di  giumento.  Mida  eletto  giudice  fira  tfarsia  ed  ApoUe 


SECOLO -DECIMOTTÀfO  37  I 

Forse  ci  nascerao  cannucce  e  giHnbi 
Che  le  nostre  parole  ridiranno.  — 
Udite ,  o  genti.  Chi  fra  sé  borbotta  : 
Nasce  il  poeta  a  poetare  istrutto , 
Non  bene  intende.  Se  tii  allevi  il  bracco 
Nella  cucina  fra  tegami  '  e  spièdi. 
Quando  uscirà  la  timorosa  lepre 
Fuor  di  tana  o  di  macchia,  esso  in  oblio* 
Posta  la  prima  sua  nobii  natura , 
Lascia  la  lepre,  e  per  appresa  usanza   - 
Della  cucina  seguirà  il  leccume.^ 
Moki  alla  sacra  poesia  disposti 
Intelletti  son  nati-,' e  nasceranno; 
Ma  ciò  che  giofa  ?  La  coltura  e  1*  arte 
E  r  arator  fanno  fecondo  il  campo 
Di  domestiche  biade;  e  chi  noi  fende 
.  In  larghe  zolle,  poi  noi  trila  e  spiana. 
Vedrà  nei  seno  suo.  grande  abbondanza 
Sol  di  bppole  e  ortiche,. ioutil  erba. 
Ecco,  in  principio  alcun  sente  Dell'  alma 
Foco  di  poesia  :  Sono  poeta  , 
Esclama  tosto  :  mano  a'  versi  ;  penna  , 
Penna  ed  inchiostro.  -  E  che  perciò  ?.  vedesti 
Mal,  Martinelli  mio,  di  tanta  fretta 
Uscire  opra  compiuta?  Enea  non  venne 
In  Italia  si  tosto  ^,  «  non. si  tosto 

diede  la  vittoria  al  primo  :  e  il  Dìo  puni  l' ignorante  arrogania  di  lui  facendo 
che  gli  ipontassero  in  capo  Orecchie  asinine.  Se  ne  accorse  il  tuo  barbiere  , 
e  non  fidandosi  a  dir^o  ^  e  tacer  non  potendo ,   andò  sotterra ,   come  tac* 
cantasi  nel  voi.  Ili ,  pag.  60  di  questo  Manuale. 

1  Tt^vnL  Vasi  di  terra  per  cuocer  vivande. 

2  In  obùo  ec,j  cioh  :  Dimenticandosi  d^  esser  nato  a  cacciare  le  lepri  ec. . 

3  Enea  non  venne  ec, .  Cioè  Virgilio  non  si  accinse  cosi  a  precipisio  «  • 
•ensa  avere  studiato,  a  comporre  il  suo  poema  in  cui  h  cantata  la  venata  di 
SoAft  in  Italia.  Ed  Orano  non  dettò  le  f«»f»ift|HÌi  »ue  satire»  aeoia  aver 
prima  ftttdiato  iimì  loiigamente. 


3  7  2'  LETTERATURA    ÌTkhìkffk 

Il  satirico  Orazio  eterno  morso 

Diede  agli  altrui  coslami.  F  fidi  spesso 

Della  caduta  neve  alzarsi  al  cielo 

Castella  e  torri,  fanciullesca  prova 

Che  a  vederla- diletta  :  un  breve  corso 

Del  Sol  la  strugge,  e  non  ne  lascia  il  Segno. 

Breve  fu  la  fatica ,  e  breve  dura. 

Fondamenta  profonde,  eletti  marmi. 

Dure  spranghe,  e  lavoro  immenso  e  lungo 

Fanno  eterno  edifizio.  Or  tremi,  or  sodi 

Chi  salir  vuole  d^  Elicona  al  monte; 

Poi  salito  lassù,  détti  o  riprenda. 

Gli  altri  son  voce  *.  D'ogni  lato  ascólti 

I^omi  òijantasia,  à*  ingegno,  Tuiiì 

Proferir  sanno  buon  giudizio  e  gusto  : 

Paroloni  che  han  suono!  Air  opra,  alPopra, 

Bei  parlatori.  -  A  noi  dà  laude  il  volgo.  - 

Cérca  laude  comune.  Allor  ùa  à*  oopo 

Cercar  lande  volgar,  quando  da^  saggi 

Cercherà  laude  la  comune  schiera. 

Chiedasi  eterno  onore.  -  O  tu  che  parli , 

Chi  se'  ?  -  Son  uomo.  -  E  se'  poeta  ?  -  Io  sono 

Quel  eh'  io  mi  sia  ;  ma  non  mai  taccio  il  yero. 

Cantra  il  gusto  d*  oggidì  in  poesia. 

Perchè  più  tacerò?  dicea  Macrino ,- 
Spolpalo  e  giallo  pe'  sofferti  stenti 
Fra  libri,  calamai,  fogli  e  lucerne: 
Ho  lingua,  ho  penna,  ed  bau  misura  e  snono 
Anche  i  miei  versi.  Oh  !  son  di  bile  vóto, 
Uoofio  di  spugna  e  d'annacquato  sangue? 
A  te  r  attacco  >,  di  Lalona  figlio, 

1  Gii  altri  son  voce.  Sono  gente  che  parla  come  a  caso  ed  inaamo. 
ailf  ^^  **'^*'*  Di  te  mi  bsoo ,  Me  la  praido  con  te,  o  ApoOo,  figUaolo 


SfiCOLO    DEtLìlOTTATO  3] 3 

Mendace  Apollo  t  ta  sai  -  pur  che  UB  tempo , 
Alle  pendici  di  laa  sacra  rupe^ 
Qnal  di  tuo  buon  seguace  e  di  p5eta 
£  V  nffitio  ti'  chiesi.  Il  cielo  e  lì  mare 
Mi  mostrasti'  e  la  terra ^  e  degli  abissi 
Fio  le  Dode  ombre  ed  i  più  capi  fondi , 
E  dair  alto  gridasti  i  Pennelleggia  , 
Imitatore.  -*•  Agl^  infiniti  «spetti 
Posto  in  raeszo  ^  temei  ^  come  la  prima 
VoHa  uscita  det  nido  rondinetta 
L^  ampio  orror  deir  Olimpo  intomo  tetné. 
Ha  chi  creder. pelea  cb«  farmi  inganno 
Dovesse  Apollp?  Ricercai  boscaglie  ^ 
Pensoso  iùfiitator ,  segrete  stanze  , 
IncoronMedi  verdi  erbe  fonti; 
Me  medesmo  obliai*  Colla  man  volsi 
La.  notte  e  il  di  sceltissimi  quaderni 
Di  gran  maestri  ^  e  di  defunti  corpi 
Venerai  chiari  nomi  e  vivi  ingegni.        « 
Qual  d'  edifizio  diroccato  sbuca 
Fuor  di  sfasciumi  e  calcinacci  il  gofo. 
Alfine  uscii  l  poche  parole ,  e  agli  usi 
Male  .acconce  del  mondo  in  solla  lingua 
Mi  suonarono  in  prima.  Omero  e  Dante 
Dalla  chiusa  de'  denti  *  uscirmi  spesso 
Lasciai  con  lande.  —  Oh  ,  di  qnaì  tomba  antica 
Fuggi  questo  di  morti  e  fracidumi 
.    Tisico  lodatore  ?  udii  d^  intorno 

Zufolarmi ,  ed  il  suon  di  larghi  intesi 
Sghignazzamenti ,  e  vidi  atti  di  beflfe.  - 
N^ andai  balordo;  q  di  saper  qnal  fosse 

I  Dalla  chiusa  de*  denti,  E  un'espressione  d*  Ornerò^  e^valente  a^el* 
V  altra  più  comune  t  Dalla  bocca,  dai  labbri, 

LBTTBAÀT.  ITAL.  -  IT  3a 


S^/,  LETTEnATCilA    ITAtUlVl 

Bramai  di  ntioTo  la  poetic'arfe, 

Di  cai  mal  chiesto  avea  forse  ad  Apollo. 

Seppilo  alfine.  Poesia  Dorella  ' 

É  ana  canna  di  bronzo  alta  e  gagliarda , 

G>nfitta  in  nn  polmon  pieno  di  vento , 

Che ,  mantacando  *  ,  •rticoli  parole 

E  rutti  tersi.  Se  aver  don  potesse 

Di  favella  nn  molino ,  aoa  gaalcbiera  ^ , 

€hi  vincerebbe  in  poesia  le  mote    . 

Vòlte  dall'  acqna  che  per  doccia  ^  corre  ? 

Tanto  solo  il  romor  s*ama  e  il  rimliombo! 

Su  la  chiavica  danqae;  un  lago  sgorglii 

Rimbalzando,  spumando ,  rintaonando, 

Di  poesia.  Del  Venosi  a  ^  si  rida. 

Di  palizzate  e  di  ritegni  artista, 

Che  a  sì  ricco  diluvio  un  di  s^  oppose. 

Ogni  oom  sia  tutto.  Il  sofocleo  coturno  ^ 

Calzi  e  il  socco  di  Plauto:  or  la  sampogna 

Di  Teocrito  suoni,  or  alla  tromba 

Gonfi  le  guance,  o  dalle  mura  spicchi 

Di  Pindaro  la  cetra ,  o  il  molle  suono 

D*  Anacrednte  fra  le  tazze  imiti  ; 

1  Riprende  U  «gonfia  e  lómoroM  poesia  del  IPragoni  e  del  Cesarotti,  e 
'  piuttosto  dei  loro  imitatori. 

2  Mantacando,  Soffiando  col  mantice. 

3  ùualehiera  è  una,  macchina  che ,  spossa  per  fona  d'  acqpia ,  serre  a 
pestare  e  sodare  i  panni-lani. 

4  Doqeia,  Canale  angusto  in  cui  si  fa  correr  1*  acqua  percU  vada  con 
maggior  forsa  a  urtare  Acn*  essa  è  diretta.  —  Chiàvica  o  Cateratta  h  quel- 
r  asse  o  assatnra  die  nei  canali  si  aUbassa  e  si  alaa  secondochè  si  Tuoie 
che  I*  acqua  vi  acoira  o  no. 

5  Venosin»  Orasio ,  nativo  di  Venosa ,  che  scrisse  1*  Arte  poetica. 

6  Sofocleo  ec. .  E  noto  che«  presso  gU  antidii,  gfi  attori  nelle  tragedie 

portavano  il  coturno  ^  e  nelle  commedie  il  socco ,  eh*  era  un  caUarp  basso 

e  piano.  Dice  Sofocleo  il  coturno  considerando   Sofocle   come   principe    dei 

4ragici.  Plauto  poi  fu  eccellente  scrittore  di  commedie  latine.  *-  Teocrito  » 

■nominato  fahito  dopo ,  fti  «ììbuo  Bólla  poesia  pastorale. 


SECOLO   DECIUOTTATa  i^à 

Adzi  par  mescbj  '  la  canora  bocca 
Quel  che  U  magra  .Antichità  disliose. 
Bello  è  che  a^  casi  di  Medea  si  rida  , 
E  orror  mota  lo  Zanni  *.  E  no  vitate 
Qael  -che  ancor  non  »^  iolese.  Alto ,  poeti  : 
Questa  libera  età  non  tooI  pastoje: 
Tutto  concede.  Oggi  cucir  si  paote 
Lo  scarlatto  al  velluto,  augelli,  e  serpi. 
Polli  e  volpi  accoppiar ,  pecore  e  lupi. 
Bastan  festoni  d^  annodargli  :  lega 
Per  la  coda  o  pe'  piedi  ;  io  non  mi  coro. 
D^  entasfasnio  sempre  ardente  fiamma 
Chiedeari.  un  tempo  ;  e  senza  posa  un^  alma 
Star  snir  ale  vedeasi ,  e  rivoltarsi    ; 
.    Or  quinci,' or  quindi  misurata  e  destra. 
Era  contro  a  natura.  :  Ah  ,  non  può  sempre 
L' arco  teso  tenersi ,  e  talor  fiacca  ^  1 
Or  basta ,  ch^  empia  ali'  oditoi;  gli  orecchi 
Sul  cominciar  sonoritade  e  pompa; 
Poi  t' allenta ,  se  vuoi,  poeta,  e  dormi» 
Tal  nella  prima  ammattonata  chiostra 
Ho  Tesi  il  cocchio ,  e  con  picchiar  di  ruote 
E  ferrate  ugne ,  qual  di  toon  ,  fa  scoppio  ; 
Esce  poscia  sul  fango  p  auU'  arena , 
E  fa  viaggio  taciturno'  e  cheto. 
Fu  già  lungo  fastidio  e  dura  legge 
Studiar  costumi  :  favellava  io  versi , 
Quale  in  selva  Amarilli  ;  e  snlla  scena , 
Qaal  nel  porto  Sigéo,  parlava  Achille. 
Or  comune  lingoaggio  hanno  le  piazze, 

I  Jnxi  pttr  ec.  •  Ansi  in  un  solo  coiaponnnento  jaescfaj  i  vani.  geMri  ^ 
poesia  dUtiati  dag^i  antichi. 

a.  Zanni,  Noma  generico  di  baiEÓM  nelle  conunedie» 
3  fiacca,.  li  sjpcua. 


376  LE/'TTBaATeRA    tTAl/iiàWA 

La  carte,  i  liotctiì,  e  Netlore  e  Tenite; 
E  può  la  spaventata  pastorella 
Da  nettai'De  ombre ,  éa  -  tragor  di  oenibo  , 
Da  fbl|>ore  di  Dio  che  Ì  Marmi  rompe, 

:      Di  sé  stessa  obbìiarsi ,  ed  Aver  campa 
Di  taèditaro  e  proferir  sentenze  , 
Filosofica  lesta ,  in  tal  periglio  '• 
Trovar  poò  il  Re  la  fidanzata  sposa 
Ih  pre^a  al  sonno ,  air  empio  servo  ih  braccio  ^1 
Egli  cheto  parlar,  faceto  il  servo.^ 

.'•  Faceto  )  e  di  che  temi  ?  bai  forse  il  sale 
À  cevcar  delle  argoae ,  ot e  aodrisce 
Gioconda  iirbanftà  spirti  gentili? 
Ko:  la  Uatlea  che  Con  la  eiopp^t  *  iil  capo, 
.  Hivenduglioia  va  di  capa  in  casa , 

-    ì  N'  è  gran  maestra .,  •  ehi  sbevats^v  é  a  coro 
Fa  tra  boccali  gargaglvale  e  tresche  ^-*\  •  • 

ì     Sì  e^tgaettita,  e  ^veHar^pIti  éltre 
Volea  Macritt;  ma  gli  tire  l^ orecchio' 
..Crocciata  il  longe«sfietiante  Apollo. 
Che  fai  ?  gli  disse;  e  perchè  pi^  bestemmi  ? 
Vedi  il  mio  oopo.  —  Alzò  Maertuo  gli  occU , 
E  vide  le  divine  alqie  Sorelle  ' 
Presite  a  fuggirai  4  e  ad  apprestar  Parnaso 
In  gelale  nevose  alpi  tedesche  , 
E 'a  vestir  d*  armonia  rigida  liogna. 
Coscienza- lo.  mfrse)  il  ra«ttto  al  petto     • 
Conficcò,  tacc|iie$  e  confessò  che  il  vero 
.  La  prima  volta  gli  area  detto  ApoHo. 

I  11  difetto  <{ui  accennato  dall*  Autore  non  pol|eU>e   cos2   generahnente 
iiji|t1fcani  ai  nostri  poeti. 

9,  La  cioppa.  {«a  v^sta  »  J^i  |om^elU.L 


I 


ttcoLo  DEcntoT.r^T»' 


37Ì 


Compiange  il  suo  stato. 

Se  mai  tedeili  in  limpid' acqua  uà  pesce 
Trascorrere,  ^oì^sar,  girarsi  lotorno 
Velocemeote,  colto  iadi  a  la  relè,. 
Conlrastaodo  ballar,  e  steso  alfine, 
A^onizzar^  e  boccbeggliir  sul  lido  : 
Credi,  o  YiUuri,  sofìiiglianle  ad  esso. 
Fallo  e  l' iog^no.  mio.  Libero  uo  lefipo , 
.   Viface,  giubilando,  aperto  mare  /. 
LieTeriiepte  scorre»  :  fordma  tutto 
Di  r^tejl  cinse;  dibatteodo  ci  fece 
Lunga  battaglia  per  fuggir  servaggio  : 
.      Npn  g^iof ò  ;  giace  j  e  a  poco'  a  poco  inanca 
Vigor  di  vita,  onde  si  slendo,  e  pere 
.    Spossatole  Wnlo  su  T asciutta  arena. 
Non   poetica  fiamma  e  Genio  amico 
Ha  c^e  più  lo  raffiu',  e  per  Io  giro 
Di  beato  argomeutp  intorno  i)  guidi 
A  studiar  circostanze,  a  Iragger  versi 
Che  faccian  bello  e  grazioso  il  canto, 
Maliiiconicp  amor  a^le  da' fianchi 
Guai  negro  nembo',  e  con  vapori  iaì^nì 

V  offusca  sì ,  che  intorno  altro  iion  vede 
Che  iinmensa  oscurità^  grandine  e  lampi. 
Sommo  Dìo ^  vera  luce,  iofin  ch'io  veggio 
Ahiia  tra  noi  che  le  bell'arti  onori, 
Onorai^  Ja  quelle;  e  infia  ch'io  seco 
Spesp  mi  trovo  e  che  benigna  ascolti 

Il  mio  parlar,  perchè  timor  cotanto 

Mi  farà  guerra?  Oh,  nel  mìo  petto  an  ragrrfo  i 

Sorger  non  dee  ^i  graziosa  speme  ?  *"* 

Tu  vedi  pur  quali  amorose  cure  I 

V  accendan  sempre.  È  il  suo  felice  alborgo  ' 

3:4*  j 


3 7$  LETTERATUni    ITaLIaHì 

Di  heìV  arti  custodia  ;  ovunque  moti 
In  esso  il  pie,  greche  e  romane  impronte 
Miri .  di  storia  e  anlichi  osi  mSeslre. 
Quivi  raccoNe,  contro  al  tempo  serba 
De^  più  felici  e  pellegrini  ingegni 
Snori  a  H inerta  le  divine  carie  ; 
Kè  serba  sòl,  n>a  se  ne  pasce,,  e  prende 
Grato  alimento,  e  ah rui  spesso  il  ctìinceJe« 
Tal  è  in  tifa  privata.  Or  V  occhio  Tcilgi 
A*  suoi  pnbblici  affari:  è  padre,  è  vero 
Kutritor  di  mortali.  Insin  ch'et  siede 
Al  governo  éì  genti ,  .eì  la  (|nlete 
Seco,  addice  e  la  copia  ;  alme  discordi 
Annoda  insieme;  e  &^ei  ai  parte,  ha  seca 
Mille  e  m»He  alme;  e  mille  lingue  e  mille 
Pan  di  lui  ricordanza  :  oh  statua  eterna  *■ 
Ne'  petti  eretta  ed  imtnutabil  bronzo  t 

Quaìì  indizi  son  c^iesli  ?  O  biioa  Vitturt , 

Spirto  che  fn  tali  e  in  si  beiropre  agli  occks 

De'  mortala  si  spiega  e  sì  palesa , 

Qual  esser  p4iò ,  ae  non  cortese  e  grande  ? 

Odimi  dunque,  e  sofferènte  orecchio 

Porgi  a  coliti  ch^ era  già  il  Gozzi,  isi  ombrai 

Ora  è  dì  ìaì  C(he  tal  nome  canserva« 

Misero  me  !  di  non  ignòta  siTrpe 

Nacqui,  e  d*  amici  é  servi  era  it  mia  alberga 

IHcovero  «na  tolta  :  io  ne^  primi  anjii 

Speranza  atea  di' fortunata  vita. 

In  dolce  ozio  fra*  libri  i  di  passai 

E  gli  anni  più  fioriti  ;^llor  credea 

Dar  coltura  allo  spirto,  e  a  tal  guidarla 

Che  di  vergogna  al  mio  nascer  naa  (bsse^ 

>  Oh  4ifiiua  >9k<  y«ol  dite  eira  la  vicorclanM  «erUu  ^i  Vttoai  ^  il 
tkiM^^nlo  yiii  |lorioio  •  più  4Mrai1>ile  eh»  la  ynxxk  possa  troYare.         \ 


SRcot.0  tiECf.voTr.4T«  S;^ 

Questa  st  heHa  e  sr  dolce  sper^itz» 
Sfìorr  del  lutto.  Fr»^  miei  pòdii  ben» 
So]  itno  è  qnet  ehe  a^me  paee  promette 

'    E^  riccbezBa  sfcurak  lo  di  te  parla  « 
Rigido  $ns^  ift  coi  scolpito  è  il  Dome 
lofelice  de\miei;  te  sol  rrmiro 
Con  fiso  8gaar4o  ;  e  de»Kiso  plaitgó 
Cbe  per  ne  ta  Don  l'apri.  Olì  padre^  ob  padre! 
Qui  teo  giaci  qnfeto,  e  noD  soccorri 
Il  desolato  figlio,  e  ooo  lo  Tedi 
Cam'  ei  si  aflOigge  e  sì  marttra  ?  O  braccia 
Palerae,  a  me  t^  aprite  e  mi  aecoglieie 
Alfio  Ir»  Yoi  $  che  tal  <|«ifete  è  a  teo»po. 
Qiial  dorecaa  di  vita  !  Or*  è  dii  ciaoeia 
Che  si  fragile  e  breve  è  -il  viver  Destro  ? 
Poco  ooD  dura ,  se  fra  tanti  m»K  ' 
Ostioato  si  serba  ;  e  noo  so  come 
Alma  possa  slanciar ,  dove  la  straz} 
Cbiovo ,  spina ,  tanaglia  e  orribil  fiamma.. 

Sfeceoale  da  Dio  dato  a  P  etade 
^Nostra,  cbe  più  dirò?  Perchè  narrarti 
Che  qsesta  penna  e  l' inlelletla  mio^ 
Liberi  nati,  piti  volar  no»  penna 
Dove  gT  invita  nalorale  afletto  ? 
Non  è  picciolo  mate  a4  onda  ad  onera 
Metter  Palma  in  bilance^  ed  il  eervdlo 
Vendere  a  dramme;  e  peggior  mal  è  ancora^ 
Ch*  a  minor  presto  1*  anitiui  e  il  cervello 
Veodansi ,  che  di  bae  carne  a  di-  ciacco  ■• 
Oh  mio  dolore  I  oh  mia  vergogna  eterna  1 

por ,  poich'  altro  sperar  più  non  mi  lice  , 

-   Almea  potessi  non  indegna  •  alquanta 


I#.t 


^80  CETTCBATIiaA  ITàLUVA 

Meo  oscura  opra  ^far,  die  tragger  calie  *■ 
Dal  gallico  idioma^  o  ignote  o  fili, 
Aiia  lingua  d'Italia.  Ho  la  teslara 
Di  grand'  opra  iatrapresa.  la  qaaiUi  lati 
Scorre  eloquenza  ^  io  dieiostrar  folea. 
Volgarizzando  ben  «letti  esempi 
Di  Latini  o  di  Greci,  Anzi  una  pcifte 
Ho  dell'  opra  cortdolta.  A  cui  non  $000 
Palesi  i  casi  miei,  par  cb^io  l'indugi. 
Oltre  il  iÌov<<r;  e  In  medesmo  lor$e 
InGogardo  mi  chiami  e  tal  mi  credL 
Abi!  si  discopra  il  vera.  Io,  paaì'eatd^ 
Giobbe,  tal  nome  sofferii  ;inolt^  anni , 
Pure  tacendo  altrui. cine  io  vili  cario 
£  in  ignòte  scritture'  io  m"  affatico 
Con  fudor  cotidiaoa;  e  già  soo  pieAf 
1  bancbi  de^  libra)  di  ibiUe  e  mille 
Fogli  e  di  carie,  ammassa meoi^  enorme 
Di  mia  mano  apprestato  ai  mea  gentili 
Popolari  intelletti;  e  perciè  tdrda 
Sentiero  a^  migliori  cbe  ì»  Ter  non  aaono. 
Ma  ctbe  far  posso?  Rondine  cbe  «I  nido 
E  aVrondioini  suoi  portar  dee  cilso, 
Koo  può  per  r  aria  spasinre  invano  . 
X)  do?'  esia  desia  :  pe^  tdbe  i;nta«t«i 
^Le  bocche  «ote  dé^  figli  noi  i  suoi^- 
Dopo  mólto  gridare  e  ingoiar  vento, 
Sarebher  chiuse ,  &  ia  sepoliura  il  nido 
Si  .catnbierebbe  a'  noil  possenti  corpi*'  - 
Ha  che  chiedi ,  importuno  ?  -^.  Io  «ou  ardisco 
DJ  |)iii  olire  .parlar.  Fra  le  tiiè  Iodi. 
Forse  non  la  minor  sarebbe  un  giorno , 

1  Si  duole  con  ciò  di  essere  necessitato  per  vivere  A  tradur  dal  francese  » 
coioe  si  disse  nella  sua  vita^ 


SfiCOtÒ    DEClfflOTT\VO  38 I 

Che  solto  a  l' ombm  iaà  lai  ^vpra  itscilse  \ 
CV  et  si  di  ria  :  Tedi  òiltor  d' ingegni  :  *  > 
Kel  giardin  di  MtnerTd  egli  tma  pianta 
Qnasi  del  tntto  inaridita  e  secca 
Si  prese  in  cnra  ,  e 'con  amica  destra 
Si  la  soccorse  ,  che  germogli  Terdi 
Riprodusse ,  e  di  nuovo  alP  aara  sparse 
Rami  con  frulli.  -  Ab!  troppo  bramo,  e  forse 
Vuol  Fortnna  cb'  io  pera  ;  e  non  a  tempo 
San  he  mie.  prepi,  né  giovar  mi  puote 
L^  alma  cbe  a  tanti  giova ,  ed  a  mo  tante 
Yoke  giova  si  geoerosa  e  beila. 

GIAN  CARLO  PASSERONI: 

;A]gli  8  di  marzo  deiraono  i^i3  nacqtie  Gian  Carlo 
:Passeroi»i  a  Coodannne,  terra  di  L^otosca  nella  cod** 
iea  di  NìzKa.  .Giovioelto  vestì  T  abita  chiericale , .  e 
r Tenne  a:  Milano  presso  on  suo    zìo  che    qui    tenea 
.scuola  di  fanciulli.  Studiò  dnlla  graromaUca  alla  fik>« 
^sofia  sotto  i   Barnabiti^    poi  (per  quant9  ai  crede  ) 
.}a  teologia  nelle  scuole  de^^  Gesuiti    in   Brera.   Yecso 
il   1737  ritornò  a  Lantosca  per  ricevere  TOrdiue  sa- 
cerdotale nella  diocesi  in  cui  era  nato,  ed  ebbe  dal 
\6UO  Vescovo  V  ofier4a  di  una  cattedra  nei  nuovo  Se- 
'  minario  che  quivi*  doveva  aprirsi  :  più  tardi  fu  an« 
.che  desiderato  professore  dalP Università  di  Padovìfl: 
ma  tra  per  la  mod^tia  e  pel  desiderio  di  trovarsico- 
<  gli  amici,  volle  vivere  privatamente  in  Milano,. dove 
sleUe;flno  alk  naorte  avvenuta  neLnoneoihre  del  i8o3. 
Dotato  di  molto  ingegno ,   e   diligentissìmo    nello 
studio,  il  Passerotri  si  mise  ben  presto  in  grado    di 
sollevarci  dalP  oscurità  di  un  seoipliee  e  povero  pre- 
te ^  e  i  versi  ch^  ei  pubblicò  ia  parecchie   di    quelle 
Raccolte  delle  quali  allora  facevasi    tanto   scialacquo 
in  Italia,  gli  acquistarono  fama  di  buon  poeta  e  di 
buOD  filo«ofo,  Però  quando  nel  1  ^4*^  il  conte  Giù* 


\ 
382  LETTERATDRl    ITlLUIfi 

seppe  Marra  ImboDati  fece  risorgere  P  antica  Acca- 
demia dei  Trasformati^  ti  Passeroni  vi  fa  ascritto, 
e  ne  divenne  uno  de^  migliori  ornamenti.  Quivi  tesse 
di  tempo  in  tempo  alcuni  canti  del  Cicerone^  poema 
giocoso ,  in  cui  sotto  una  veste  di  piacevole  poesia 
si  propose  di  rendere  amabile  la  virtù,  e  spregevoli 
i  visi!  e  i  difetti  d^  ogni  maniera.  La  vita  di  Cice- 
rone, distesa  in  CI  canti,  non  è  tanto  P argomento 
del  poema ,  quanto  un^  occasione  al  Poeta  per  trai* 
tare  varii  punti  di  filosofia  morale.  Le  digressioni 
sono  quindi  frequenti ,  e  talvolta  anche  Iqnghe  più 
che  non  si  vorrebbe. 

Oltre  il  poema  compose  il  Passeroni  parecchj  vo- 
lumi di  varie  poesie,  fra  le  quali  gli  Apologhi  sono 
per  moralità  e  per  bellezza  di  concetti  e  di  siile 
molto  pregiati. 

Mentre  il  Passeroni  attendeva  a  compórre  queste 
sue  opere  trova  vasi  come  maestro  nella  famiglia,  del 
marchese  Antonio  Lucini,  dalla  qu»le  fu*  poi  sempre 
Dobilmeiite  soccorso  anche   quando   già   era   cessato 
il  suo  ufficio  di  educatore.  Ma  essendo  poi  morti  il 
marchese,  la  vedova  e  monsignor  Lucini  suoi  pro- 
tettori, ebbe  a  provare  le  angustie  della  povertà.  Pa- 
recchi signori   milanesi    avrebbero   voluto   sommini* 
strargii  quanto  si  conveniva  al  decente  sostentamento 
di  un  uomo  cosi  collo  e  cosi  virtuoso^  ma  egli  per 
estrema  delicatezsa  mai  non  s^  indusse   ad   accettare 
le  loro  offerte.  Ben  domaiulò  ed  ottenne  dalP  impe- 
ratrice Maria  Teresa  una  pensione  di^Soa  lire^   ma 
quesfa  pure  gii    venne   poi  a    cessare  :   e   cosi  visse 
DK/Uo  miserameote  gli  estremi  aani  della  sua  vita. 

DAL    aCERORE. 

SuWautorUà  dtlUt  Crmca  (Gas.  t»  tt  77  >. 

Certo  i  compilatori  della  Crusca    * 

Avrebber  preso  quasi  a  ferrar  le  oche  '  ^ 

I  jtvrMtr  preso  ee, .  Àvreblicr  prcM  •  fag  com  imposuLilf ^ 


SECOLO   DECIHOTTirO  383  . 

A  registrare  ogni  parola  etrosca  ; 

E  fuori  ne  lasciarono  non  poche. 

Il  che  il  pregio  del  libro  alquanto  offusca  ; 

Ma  àoxe  T/ihno ,  chi  le  sa ,  le  loche  ' , 

E  vi  col!t»chi  alcune  eh*  io  ne  ho  usate, 

Che  furono  da  lor  ditnenticate. 

E  con  questo  mi  credo  aver  risposto 
A  certi  schizzinosi  ;  i  quali  udendo 
Qualche  nooTo  Tocaholo,  tantosto 
Gridano  :  Crusca  !  Crusca  !  —  non  sapendo  , 
Che  questa  crusca  ,  al  dir  dell*  Ariosto , 
Hon  è  farina ,  e  anch^  io  così  la  intendo  : 
E  ne  chiedo  perdono  a  lutti  quanti 
I  cruscosi ,  e  cruscheToli ,  e  cruscanti. 

Io  so,  che  Orazio  Fiacco  solea  dire 

(E  lo  stesso  può  dire  ogni  altro  Autore), 
Che  torneran  più  foci  a  rifiorire 
Che  a'  giorni  nostri  più  non  sono  in  fiore  : 
E  molte  e  molte  noi  Tedrem  morire 
Parole  che  oggidì  suni  in  honore  : 
'Però  qualche  vocabolo  andrò  usando. 
Che  nuovo  vi  parrà,  di  quando  in  quando. 

E  Éai  prenderò  forse  la  licenza 

D'  usar  qualche  V4>cabolo  lombardo  : 

Le  fiorentinerie  lascio  a  Fiorenza  , 

O  le  uso  per  lo  mea  con  gran  riguardo  : 

Io  sono  un  uom  di  buona  coscienza , 

E .  da  certi  riboboli  mi  guardo  ; 

E  le  lascivie  del  parlar  toscano 

Lascio  da  parte,  come  buon  cristiaao. 

•Contro  r  usanza  delle  BaccoUe  poetiche  (  Gas.  iv  ,  st  ti) 

Nasce  Tullio,  che  fu  Tamor  di  Roma, 
Gloria  d'  Arpino  * ,  oiior  degli  Oratori  : 

S  £«  kehe.  L«  coIIocUt  -«  a  Arpbuk  Patria  di  IC  X*  CkaroM. 


38^  LETTERATURA    ll'ALIAIfA 

Nasce  Tullio,  che  tanto  ancor  si  noma 

Tra  i  Tedeschi,  i  Francesi;  gr  Indi  e  i  Mori. 

Ed  in  volgare  o  in  latino  idioma 

Un  terso  non  si  fa  tra  tanti  autori  ? 

Nasce  Tullio  ,  W  dirlo  nn'  allr»  volta , 

E  non  si  fa  stampa-re  una  Raccolta  ? 

E  non  si  fa  stampare ,  a  4 ire  io  torno , 
Di   versi  una  Raccolta  ?  e  ali*  età  mia 
Se  ne  vedono  tante  andar  attorno , 
'■  Con  poco  onore  della  poesia  : 
Se  ne  cedono  uscir  quasi  ogni  giorno;' 
E  non  si  trova  a  questa  frenesia 
A  questo  impazzamento ,  a  qoestd  tedio , 
A  questa  no%a  peste,  alcun  rimediò? 

Oggi  non  si  addottora  alcun,  che  prima 
La:  sua  dottrina  io  versi  non  si  canti:  * 
Senza  esser  messo  da  più  d'  uno  in  rima  , 
Oggi  non  si  marita  nn  par  d-  amanti  :  ' 
Senza  sonetti  sotto  questo  clima 
Non  fassi  officio  alle  anime  purganti: 
E  monaca  non  fassi  nna  ragana , 
Se  in  versi  da  più  d^  din  non  si  strapazsa. 

Chi  vergine,  chi  martire  T  appella  y' 
Chi  dice  che  non  sa  quel  che  si  fkecia; 
Chi  dice  eh'  essa  ha  spento  la  facellà 
A  Cupido  ,  che  torvo  la  minaccia  : 
Altri,  quantunque  non  sia  punto  bella, 
Lodano  in  versi  la  sua  bruita  faccia: 
Chiaman  nere  le  chiome  che  son  rosse , 
E  ne  sballan  ■  pur  anche  delle  grosse. 

Vuol  versi,  quando  veste  irsute  lane 
Una  fanciulla.,  e  quando  .si  professa» 

X  «SftaZ^  propriamente  è  U  con^ttàod*  Imballare.  Per.ttasbtto  ^eeti  di 
chi  spaccia  cose  noa  vere. 


SECOLO    DECIMOTTAVO  38 J 

C  fa  sonare  a  doppio  le  campane  ; 

£  ftiol   versi  ^  qiiand^  è  '  madre  badessa: 

Vuol  Tersi  ^  qnando  maofe  no  gatto  o  un  cane: 

Vuol  versi  tin  prete  ^  quando  dice  Meisa  : 

xYoglion  Tersi  da  noi  le  canta trici , 

I  consanguinei ,  gli  eaferi ,  gli  amici^ 

O  per  dir  meglio ,.  sono  cosi  stolli 
Oggi  i  Pdeti ,  e  tanto  poTeretti 
(Non  dico  tutti,  ma  Te  ne  son  molti),  . 
Che  sopra  magri ,  sterili  soggetti  , 
Compongon  mille  e  mille  Tersi  sciolti, 
Fan  canzoni ,  capitoli  e  sonetti  : 
E  tutto  quel  che  a*  nostri  di. succede, 
Lodalo  in  Tersi  subito  si  Tede. 

Se  nasce  un  figlio  a  qualche  gran  signore. 
Non  T**  è  di  lodi  al  mondo  catestia  : 
Tutto  Parnaso  mettesi  a  remore 
Per  uno  ,   il  qoal  non  sassi  ancor  chi  sia  : 
Si  profetizza  che  sjirà  dottóre , 
Che  saprà  varie  lingue ,  e  in  poesia 
Sarà  un  no«o  Petrarca  «  nn  noTo  Dante  , 
Chi  poi  per  sua  disgrazia  è  un  ignorante. 

Se  prende  moglie  un  ricco  caTaliere, 

Un  Orlando,  nn  Achille,  nn  noro  Ajace, 
Fan  nascere  '  i  Poeti  :  e  aste  e  bandiere 
Vedono  tolte  al  già  tremante  Trace  : . 
^dditàn  di  nepoti  immense  schiere  : 
L^  nn  sarà  chiaro  in  guerra ,  e  I'  altro  in  pace  : 
E  faran  gli  uni  e  gli  altri,  in  pace  e  in  guerra, 
Cose  che  star  noù  pnon  né  in  ciel  né  in  terra. 

Nascerà ,  Italia ,  Italia ,  il  tuo  soccorso  , 
E  fioriranno  in  te  Tirtù  noTelle , 

l  Fan  naseerej  cioè  :  Predicono  che  nascerk  un  Orlando  ce. . 

I.XTTBRAT.  ITAb  —  IT  33 


'ÒÌ6  LF.TTERvVTOni    ITALI  llf\ 

Gridano  i  Vali,  e  Tendono  dell'orso*. 
Prima  che  preso  P abbiano,  la  pelle: 
E  portano ,  di  penne  armati  il  dorso  , 
I  nascituri  eroi  fino  alle  slellei 
E  spesso  accade  poi ,  come  Dio  ▼dòle^ 
-Cbe  mojoho  gli  sposi  senza  prole. 
E  voi ,  PSeti ,  avete  ancor  coraggio 
Di  dir  che  penetrate  entro  il  futuro? 
Di  dir  che  in  voi  scende  nn  celere  raggio. 
Che  vi  rischiara  ciò  che  a^fli  altri  è  oscuro  ? 
Che  parlate  in  profetico  linguaggio, 
E  che  un  Dio  rende  il  vostro  dir  securo  ?  - 
A*ffè,  se  debbo  aoch^  io  far  da  indovino. 
Credo  che  questo  Dio,  sia  il  Dio  del  vino. 
Il  vino  'è  quello,  io  non  fa  cerimonie , 
Che  vi  fa  dir,  cenando  vi  dà  alla  testa, 
Tante  bestialità,  tante  fandonie 
Da  raccontarsi  a  vegghia  *  in  dì  di-  fèsta  : 
Mon  son,  compagni  '^i^^ii  ^e  Ninfe  Aonic  ^ , 
Non  è  Febo  che  il  suo  favor  v'appresta  : 
In  voi  produce  assai  miglior  efietlo , 
Che  fonda  d' Aganippe^  il  .vino  pretto. 
Dovreste  essere  omai  disingannati^ 

£  non  dovreste  dir  più  tante  insanie  : 
Lasciar  dovreste  ojnaì  1'  orror  de^  fati, 
liC  vie  de*  venti,  e  altre  parole  stranie: 
£  '1  Pegaseo  cavallo,  e  i  cento  alati 
Destrier,  su  cui  fate  cotante  smanie: 
Ma  chi  d'  altro  cavai  non  si  provvede , 
Faccia  pur  conto  d'  andar  sempre  a  piede. 

1   Vendono  ec.j  cioè  :  Dicono  quello  che  ancora  non  si  sa  ne  si  può  sapen- 
a  A  vegghia.  A  veglia.  QuesU  frase  poi  significa:  Cosa  da  nulla,  senu 
soslania  di  verità ,  come  le  fandonie  che  si  raccontano  la  sera  vegliando. 
3  Le  Ninfe  Aonie,  Le  Muse. 


9ECOCO   DECIMOTTATa"  58  J 

Yoi  sa  questo  destrier  v^  alzate  a  toIo, 
O  a  m«giio  dir,  d'alzarvi  toì  sognate: 
£  a  un  batter  d'  occhio  V  odo  «  1' altro  polo^ 
Senza  p;itir  ▼ertig^rai,  varcate: 
£  or  iniile  auree  ventare  a' un  fiato  solo^ 
Or  mnie  »»ali  ci  profetizzate: 
Ma  crede  a^  falsi  astrologhi  e  profèti . 
Chi  crede  a'  vaticinj  de'  poeti. 

Povero  Papa  *-!  egli  starebbe  fresco, 
Se  ^1  loro  profetar  non  fosse  Vanor 
Non  fassi  un^  Cardinale,  o  sia  Tedesca, 
O  Francese,  o  Spagnnulo,  o  Italrano*, 
O  sia  Prete,  o  deli'  Ordine  Fratesco  ,• 
Che  non  abbia  a  sedere  iir  Vaticano  : 
Almen  più  d^  un  poeta  se  la  incapa ^ 
Sebben  più  vecchio  è  il  Cardinal  del  Papa. 

Imposture  letterarie  (Gas.  xxyi ,.  st.  loi  )^ 

Ilo  fatto,  come  fan  molli  bag|;er, 
Che  fanno 'fuor  di  tempo  e  di.propgsto 
Il  Ceccosnda  *,  ho  fatto  come  quei 
Ch' obbiez'ron  sì  deboli  si  fanno, 
Ch^  anche  i  cagazzi  sciogliere  le  sanno*^ 
Sun.  simili,  a  queMogici  salvatici- , 
Che  forma  osi  si  deboli  gli  ostacoli 
Che  sciogliere  li  possono  i  gramatici 
Meno  abili  ^  ed  ostentano  miracoli  : 
Dan  lucciole  ad  intendere  a'  mal  pratici,. 
Che  in  credila  K  tengono  d'  oracoli, 

1  Povero  Papa  ec, .  Vuol  dire  che  i  poeti  in  questi  ìbro  augurii  e  pro^ 
iLostici  erano  cosi  stolti  ,  che  ad  ogni  nuovo  cardinale  predicevano  il-  Papa- 
to ,  non  accorgendosi  che  con  ciò  predicevano  la  morte  al  papa ,  il  qu«^« 
tulrolta  era  men  vecchio  del  cardinale. 

2  Fare  il  Ceccosuda  dicesi  di  chi  osiando  o  facendo  tose   da   nulla  vh  ol 
yairere  un  uom  di  gran  conto.. 


3SS  LETTERATURA    ITALIANA 

•  ■ 

tfenlrè  abili  a  disciogliere  si  osteolano 
Certi  obici  si  facili  che  iofeotano. 

Dimenaòsi,  traf^Haoo ,  sr  sbracciano^ 
Le  maniche  sul  cubito  rtinboccano  ; 
Gli  SDodaDO',  svilappano.,  e  si  spacciano 
Per  uoiaioi  che  colgono  e  che  imbroccano  ■  ; 
Ma  gli  obici  difficili  che  impacciano 
GII  schi?an0f  o  di  transito  lì  toccano: 
Di  chiccheri,  di  chiaccheri  e  di  chiacchere 
Ti  pascono ,  e  di  favole  e  di  zacchere. 

Si  possono  a  tai  logiei  congiungere 
I  critici ,  che  i  termitii  oltrepassano 
Del  leoito,  e  dilettansi  di  pungere 
I  deboli,  e  li  mordono  e  tartassano  $ 
Ma  lieccano  ,  quai  pecore  che  mungere 
E  tendere  con  forbici  si  lassano, 
Que' eh' abili  conoscono  a  contendere, 
E  cavoli  per  brocci>li  san  rendere  '• 

E  simili  ai  que*  militi  mi  sembrano, 
Ch'  assalgono  con  impeto  e  combattono 
I  timidi  che  fuggono ,  e  gì  i  smembrano , 
Li  cacciano  ,  gì'  insegnono ,  li  battoDO  s 
Ma  cedono ,  e  quai  pecore  s^  assembrano , 
Se  in  uomini  men  deboli  s' imbattono , 
E  fuggono ,  quai  fèmmiive  ,  i  pericoli 
Per  semite,  per  tramiti  e  per  vicoli^. 

Aggiungere  potrebbonsi  i  retlortci. 

Che  i  Sofocli  commentano  e  gli  Euripidi; 
Commentano  i  filosofi  e  gV  istorici 
Fan  -prologhi  lunghissimi ,  ma  insipidi  : 

S  Per  nomini  «e.»  Si  ips^cciano  pw   uomini  che  sanno   coj^Here  il   «or* 

velie  difficoltà. 

a  E  cwoU  ee,  .^  Lo  «tesso  che  dire  Bendere  paa  per  focaccia ^  Benthtre  in 
forìgUa. 

3  Semite  e  Tramiti  sono  gUradeUo ,  $emieà  eo«  • 


SECOLO   DECIftOTTAt^'  38^^ 

S!  ingoTfaiio  iie^  tramili  atterrici  ; 

Ser  iD^oDtratio.fiolloli  nli  |io*  ripidi 

Gli  tfoggoBo ,  é  ti  leoóofìf»  sol  lappofe^ 

E  tattere,  e  baztecòie,-  e  allrè  chiappole*  . 

Ma  agli  Arcadi  *,  dKe  motbiOe  qnai  sqcciolc 
Le  rendono  e  qnai  Timtnt  pieghe?oii , 
Si  lasci  nO'  le  fbrmole  che  sdrucciole 
Si  chiamano;  essi  rendonle  piacevoli: 
Io  fendere  non  possovrche  lucciole. 
Che  rendole  insoffribili  e^  s(boche?olr  i 
E  insipide  quai  bietole  o  ^cocomeri , 

*    E  chi  odeie^  restringesi  negli  omeri; 

ITAGLI   Ar0L0«BI. 

Esopo  ed  il  Radazzo, 

Sendo  nn  giorno  slato  morso 
Un  ragazzo  dà  un  cén  còrso, 
Yide  Esopo  che  a  quel  oaiie 
IKragaiKEo  dijà  del^-paoe.,  - 
Del  ano  sangue. a^ndol  prima 
f  ninppato  ;  percl)è  si  ima 
t!  baggeo  che  quel  sangue  abbia 
Gran  firtù  contro  la  rablita  ; 
Onde  y  senza  pensar  molto , 
Disse  Esopo  a  lui  ri  rollo  :         - 
Se  tin  Idi  caso  mai  t'  affieno 
Altra  folta  ,'  guarda  bene 

^    '  Che  'nel  fare  on  «imi!  atto     . 
Non  ti  Veda  ean  né  gatto  ;  ^ 

Altrimenti  a  rischio  tutti' 
Andiam.-Boi  d'esser  dfttrottt4 

'  I  I  Poeti  Àflcadtci  luaTano  molto  le  naie  tdracciole.  —  Succia  poi  soao 
ìm  cMtagae  cotte  ooU"  ttgvk  «o^a  loro  uoxu.  > 

33* 


$«0  U^TTERVTCni    ITAI.I.i|ri 

Che  in  veiUH*sl  rrg.AUli> 

'  Crederao  cbe.  ne  sl^n  grati 
I  lor  lapri^,  è  xallc  vampe» 
li  coÌMlealì  certe  sla'rape    ~ 
liascerancì  ia  inìh  peJle,    * 
Che  .Tede re  in  elei  (e  stelle 
Ci  fàran  ùì  toézzogiorho  : 
.Gulir4«i  beoé^Y  A  dire  io  torno  ^  « 
'Sie'li  monW  ni^  altro  cane; 
A  non  dare  x  lui  <lel  pime»  -^ 
Cori  <Us^  quel  kiion  vegliò  y. 
Bè  polea  certo  dir  m«gU<x.  .    * 

Il  Teder  che  premio  dasM 
A  chi  merita .  dei  sassi , 
E  camion  che  a.  fare  a  prora 
.  Ma^e  e  pP;ggio  altri  si  nìota.         ,    * 
Del  pan  diasi  a  ohi  n*  è  degne 
Ber  virtù  te  'e  per  ingegna  ; 
E.  chi  merita^  sassate , 
Queste  avcor  ^li  vengan  date  . 
Da.  color  cui  Aav  s'  attiene  ' 
A  ciascun  quel  che  '^li*  viene.. 

Esopo  e  un  BruìcofipéH^.. 

Ad  Esopo  un  babbUiissA  ' 
;  Tei^erario  tira,  un  sasso  ^ . 
Sente  il  colpo  ^  ma  lo  froda  * 
li  buon- vecchio 5  e/1  garapn  loda 
Di  bravura;. e  un  soldo  o*jd<]e* 
lo'm^n  metlegli  ^^e  :  Pi  pine^ 
Io  (gli  dice)  ti  .darei,    . 
Se  n^'  avessi  :  a'  d^tti  miiel 
Bada,  e  giovine.  Ècco  vitne 

\  "^tAhmmtf^  Sciocco ,  ScUnanito^  *^  a  L^Jroàn*  Lo  ine  ki  MifMMM 


Uà  5iznor  eh*'»  ricco  bene  ; 

Prendi  an.sassò,  e,  fatti  oooro  ; 

E  fedrat  che  cptel  signore  ^ 

Che  Dotì  è*  coll>é  p(;rspft9 
'  Scarso  nidi,  di  gl>tt)erilot>e  , 

Ma'  ri  merita,  eia  sf:  un» .» 
"    Pagherà  due  colpi  in  uoo.  - 
Il  briccon  ,  che  dritto  lir^ , 

prende  pria  ben  beo  U  nrvira  y 
/  '  E  «a  >  quel  ricco  nella-  schiena 

Dà  d*  un  cioltoJo  ^  n^a  app<^;»' 
.     :    Fatto  fi  colpa ,  ei  fu  arrecato  ; 

E  il  castigo  maritato 
,  Ricevette  in  pagamento    .    e 

Dei  m^ifoo  su4>  talento.  — 
Molti  anch*  ofgt- resi- arditi  « 

Perchè  veggoiiM  ^ppl^odi ti 
*    Weir  bfiènder  le.  persone 

I^  ([oai  «lli'.la  lor  c^gioBe 
^ .  O  ,non.  vogTionb  o  non.  san  no , 

Al  pia  forti  a  iotaccar  tanao  ' 
.La- cotenna  ^:.e  Gnalmenle 

Trofan  carùe  pel  lor  dente., .  .. 
;  Può.  dirsi  anco  che  1^  uomsaggi»^ 

Se  ricéve,  onta  ed  oltraggio  ^  ' 
^    Senza  .far  qualche  atto  straao  y 

Sa  carar  coli*  altrui  mano ,  . 

Conle  Esopo ,  a  tempo  e  loco  y 

La  castagna  ch^  è  nel  1bco« 

li  JlMò  &  V  tlcceUaiore, 

E.  la  scbiaccia  un  degli  ordegni  ^ 

Onde  strage  d*  angei  fasti; 

I  Z«  f0t$tmtu  L«-  pelle. 


Ì^Z  LETTERàTVftÀ  JTltlMlA 

D' ordioarlo  ili  due  sesti 
£  composta  e  quattro  legai 
Posti  in  bilicò;  io  né  tesi 
Molte,  e  molli  aagei  vi  preit. 

Mentre  corrono  gli  aogelli 
A  mangiar  qiielLa  poea  esca 
Che' T*  è  sotta  e  che  gii  adesca. 
Essi  toecàno  i  fnscelii 
Che  sostengono,  la  sctiiaccia , 
Onde  scocca  e  te  gli  spaccia  '. 

Sembra  quasi  ona  casetta, 

Quando  è  teso  qnest^  ordegno  ;    * 
Ed  un  merlo  senta  ingegno^' 
Ponea  menle  da  ona  velia 
D'una  pianta  a  un  giovtn  destro > 
Che  in  tal  arte  era  maestro. 

Dimmi  un  po',  che  stai*  facendo. 
Se  son  degno  di  saperlo, 
Disse  al  giovine  quel  'bierlo'; 
CbMo'li  guardo*^  e  non-  intendo 
Quel  che  là  di  far  disegni 
Con  que'  sassi  é  con  que^  legni.  - 

Gli  rispose  il  gìovioedot 
Sto  fondando  una  cittate; 
E  saran  presto  abitate    ^ 
^        Queste  case  a  beh  diletto 
Da  coloro  a  cui  dà  pen» 
Il  ({ormire  alla  serena;  — =  ' 

Detto  ciò,  V apparta' alquanta ^ 
Per  féder  ^e  gli  riesce, 
Di  pigliar  quel  uooto  j^csce  \ 
Sceso  a  terra  è  il  merlo  infanto, 

I  Gà  tpaecia,  Gli  uccide. 

«  Ifuav^  pesce  dicesi  ia  generale  in  significasioiie  d' inupm'^ 


SEGOLO    DECI3IOTTATO  3^3 

E  alle. sch iacee  è  già  tìcIoo, 

Che  fuol  farti  cittadino* 
Guarda  i  sassi  ed  i  fuscelli; 

Ma  io  ispezie  e1  gaarda  Peftca, 

Ch*era  on  grappo  d'ava  fresca ^ 

Di  coi  gliiutti  son  gli  accelli; 

Vuol  ghermirla  il   buon  merlotto  ^ 

E  alla  schiaccia  ei  resta  sotto. 
Corre  allor  P  uccellatore 

Alla  preda  ebbro  festante. 

Ed  f\  merlo  agonizzante, 

Dalla  schiaccia  ei  cava  foore; 

Che,  sentendosi  morire, 

Cosi  al'  giovine  ebbe  a  dire  i 
Se  da  te  vengono  accolti 

Io  tal  guisa  i  pellegrini , 

Avrai  pochi  cittadini  : 

Ben  ipntan  d*  averne  molti 

La  città,  tienlo  per  certo, 

-Diverrà  presto  un  deserto.  — 
Disse  il  .merlo  a  maraviglia; 

Kè  poteva  dir  più  bene 

Un  filosofo  d* Atene: 

E  fe^  scorno  a  chi  consiglia    ^ 

A  sproposito  i  sovrani  . 

Ad  usare  atti  inumani. 
Ove  i  lacci  e  i  trabocchelli, 

E  \t  trappole  e  le  schiacce 

Sono  in  uso,  di  beccacce 

y*  è  penuria  e  d^  altri  uccelli  : 

Far  non  denno  i  gran  signori 

Il  mestier  d'uccellatori. 


3*^4  LETTERàTURI    I-riLIAlTA 

GIUSEPPE  PARIINI 

Nel  paesetto  di  Bosisìo  sul  lago  di  Postano  nacque 
Giuseppe  Parioi  a'  aa  maggio  1729,  L'  iogegno  che 
in  lui  si  fece  palese  molto  per  tempo  ^  indusse  sua 
patirle  a  trasferirsi  in  Milano  per  procurargli  una 
buona  educazione  :;  ma  per  la  povertà  fu  avviato  y 
benché  contro  voglia,  al  sacerdozio,  e  costretto  a  gua- 
dagnarsi  di  che  vivere  copiando  carte  forensi. 

In  mezzo  agli  studi  teologici  ed  alla  ingrata  fattca 
del  copista,  amò  sempre  la  lettura  dei  classici  e  Te- 
sercizio  della  poesia  ,  di  che  poi  diede  il  prkno  sag* 
gio  con  alcuni  versi  stampati  io  Lugano  Tanno  lyS'à. 
Questi  versi  annunciarono  per  cosi  dire  il  poeta ^  il 
quale  si  mostrò  poi  nella  pienezza  delia  sua  potenza 
pubblicando  il  MattinOj,  dove  con  una  ironia  che 
mai  non  cessa  mòrde  V  ozio  e  la  frivola  vita  dei 
Grandi,  e  pone  in  dileggio  i  costumi  di  quella  età» 

Grande  fu  l'applauso  degl'intendenti  all'apparir 
del  Mattino  e  del  Mezzogiorno^  pubblicati'  negli  an- 
ni 1763  e  1765  :  e  non  fu  senza  qualcha  premio.  Il 
Conte  di  Firmian  nel  (769.  lo  elesse  professore  nelle 
senole  Palatine  e  poi  net  Ginnasio  di  Brera  ,  dove 
con  indicibile  amore  e  con  amnurazioné  di  quanti 
1'  udirono  spiegava  i  classici  e  dettava  i  princìpi  ge- 
nerali delle  Lettere  e  delle  Arti.    • 

Sotto  il  Governo  austriaco,  dopo  la  morte  del  Conte 
di  Firmian^  corse  qualche  pericolo,  accusandolo  al- 
cuni invidiosi  di  non  aver  voluto  scriver  l'elogio  del- 
l'imperatrice  Maria  Teresa,  di\  che  \?i  Società  Pa^ 
Idiotica  gli  aveva  data  incumbenza  :  quando  succcs-^ 
sero  i  Francesi  fii  ascritto  al  magistrato  municipale 
di  Milano  ,  ma  volle  uscirne  ben  tosto  ,  perchè  a 
lui,  che  non  amava  la  libertà  se  non  «quanto  va  unita^ 
colla  virtù,  riusciva  insoffribile  la  condotta  dei  molli 
che  volevano  comandarla  colla  violenza  y  e  la  cerca-^ 


SECOLO    Dr.CI5J0TTAV0  39!! 

vano  non  per  pubblico  bene  ma  per  privato  van- 
taggio. Quando  nel  1799  ritornarono  gli  Austriaci 
rgli  era  nel  suo'  settantesimo  anno  ,  cogli  occhi  ap- 
pannati della  cateratta  ,  e  declinante  già  verso  il  suo 
iìnei  Morì  infatti  nel  giorno  i5  aggsto  di  quello 
stesso  anno.* 

11  Pari  ni  neUa  Satira  può  dirsi  eccellente  ed  an- 
che originale:  nelle  Odi ,  ha  pure  molta  novità  e 
molta  forza  ^  md  qualche  volta  per  fuggire  la  troppa 
molIez'/.a  di  molti  suoi  contemporanei  degenera  in 
una  soverchia  asprezza.  11  suo  gusto  è  sempre  casti- 
gatissimo  :  la  sua -poesìa  in  generale  è  rivolta  sem- 
pre a  diflondere  utili  Verità  ,  a  migliorare  i  costu- 
mi. Nelle  prose  non  si  potrebbe  dire  così  eccellente 
come  nei  versi:  nondimeno  sta  fra  i  migliori  di  quella 
età.  Le  sue*  Zez/on/j  sebbene  si  credano  quasi  una 
pura  traccia  di  qnetle  che  pòi  improvvisando  arric- 
chiva di  eruditi  commenti^  nondimeno  sono  degne 
di  essere  studiate.' 

• 

•  DAL    GlOftno. 

■ 

Le- prime  ore  del  giorno. 

Ergiti  or  tu  '  alcun  poco;  e  si  li  a])poggIa 
A  'gfi  origlieri  '^  ì  qtiai  lenti  gradando. 
All'  omero  li  fan  moUe  sostegno. 
Poi  coir  indice  destro  lieve  lie?e 
Sopra  gli  occhi  scorrendo ,  indi  dilegua 
"Quet  che  riman  de  la  cimmeria  nebbia  ^  ; 
E  de^  labbri  formando  un  piccioi  arco, 
Dolc^  a  vedersi ,  tacito  sbadiglia» 

1  Or  tu  ec» .  Il  Poeta  volge  sempre  i  suoi  versi  ad  un  gio\fin  Signore  ^ 
'a  cui  mostra  di  dar  precetti ,  ma  nel  vero  poi  gli  rimprovera  il  vivere  osiose 
e  vano. 

a  Origlieri.  I  guantiali^  i  cuscinL 

3  Cimmeria  nebbia,  I  poeti  diceano  che  la  notte  uKÌva  dall'  antro  Cimmerio* 


S96  LETTEniTUK4    ITVLUKl 

Oli  !  se  le  in  sì  gentile  allo  mirasse 
Il  doro  capitan,  qualor  Ira  rarmi, 
Sgangherando  le  labbra,  innalza  nn  grido, 
Laceralor  di  ben  *coslrnUi  orecchi. 
Onde  à  le  squadre  far)  moti  impone  ; 
Se  te  mirasse  allor,  certo  Tcrgogna 
Avrla  di*sè,  più  che  MioerTa  ■  il  giorno. 
Che  di  £la.uto  sonando ,  al  fonte  scórse 
Il  turpe  aspetto  de  le.  gnance  enSate, 

Ma  già  il  ben  pel  ti  nato*  entrar  di  doto 
Tuo  del  m  igei  io  i'  veggo.  Egli  a  le  chiede , 
Quale  «oggi  più  de  le  bevande  usale 
Sorbir  U  piaccia  In  preziosa  taz2a« 
Indiche  merci  son  tazze  e  bevande: 
Scegli  qual   più  desìi»  S^  oggi   ti s  giova 
Porger  dolci  a  lo  stomaco  (omenti. 
Sì  che  con  legge  il    naturai  culore 
V'arda  tempralo,  e  al  digerir  ti  vaglia, 
Scegli  M  brun  cioccolatle,  onde  tributo 
Ti  dà  il  Guatimalese  e  il  Caribéo , 
Ch^  ha  di  barbare  penne  avvolto  il  criD% 
Ma  se  nojosa  ipocondria  t^ opprime, 
O  troppo  intorno  a  le  vezzose  membrA 
Adipe  '  cresce ,  de*  tuoi  labbri  onora 
La  nettarea  bevanda,  ove  abbronzato 
Fuma  ed  arde  il  legume  ^ ,  a  te  d^  Aleppo 
Giunto  e  da  Mocca ,  che^di  mille  navi 
Popolala  mai  sempre ,  ìn'^apel^bisce.  . 

Certo  fu  d^  uopo  che  ^d^I  prisco  sé|;gio 

Uscisse  un  regno,  e  eoa  ardile  tele, 

>  '  .  -  ' 

I  Più  che  Minerva  ec, .  È  fama  che  questa  Dea  ti  dilettasse  WM  volta  a 
tuonar  di  flauto  ;  ma  avendo  poi  veduto  ia  una  fontana  quaato  le  tegUcise 
di  kellecsa  quell'  atto ,  se  uè  rimase. 

A  Àdipe,  Pinguedine.  — '  3  Legume  ec, .  Il  Gafie. 


SECOLO    DECI^aOTtiVO  3^^ 

Fra  straniere  procelle  e  novi  moslri 
E  teme  e  rischi  ed  inumaae  fami  ^ 
Superasse  i  eoa  fio  ,  per  lan^a  etade 
loTiulati  ancora  :  e  ben  fu  dritto 
Se  Cortes  e  Pizzarro  '  umano  sangue 
Non  istimAr  quel  ch^  oltre  V  Oceano 
Scorrea  le  umane  membra  ^  onde  tonando 
£  fulminando ,  alfin  spietatamente 
Balzarun  giù  da'  loro  aviti  troni 
Re  Messicani  e  generosi  Incassi  ; 
Poiché  nuove  così  venner  delizie  , 
O  gemma  de  gli  eroi,  al  tuo  palato. 
Cessi  '1  cielo  però,  che  in  quel  momento 
Che  la  scelta  bevanda  a  sorbir  prendi , 
Servo  indiscreto  a  te  improvviso  annunzi! 
Il  villano  sartor  che,   non  ben  pago 
D'  aver  teco  diviso  i  ricchi  drappi ,' 
Oso  sia  ancor  con  pòlizza  infinita 
A  te  chieder  mercede.  Ahimè,  che  fatto 
Quel  salutar  licore  agro  o  indigesto 
Tra  le  viscere  tue,  te  allor  farebbe 
E  in  casa  e  fuori  e  nel  teatro  e  al  corso 
Ruttar  plebejamenle  il  giorno  intero  I 
Ma  non  attenda  già  ch^  altri  lo  annunzi! 
Gradito  ognor,  benché  improvviso,  il  dolce 
Mastro  '  che  i  piedi  tuoi  come  a  lui  pare 
Guida  e  corregge.  Egli  all'  entrar  ai  fermi 
Ritto  sul  limitare  ;  indi ,  elevando 
Ambe  le  spalle ,  qual  testudo  ^  il  collo 

« 

1  Corte*  e  PÌuarro,  Due  Spagnuoli  coiiquisUtorì  del  Messico  e  del  Pern 
assai  noti  per  le  incredibili  crudeltà  esercitate  io  que*  paesi.  Di  Piasarro  però 
si  giudica  ora  assai  meno  sfaToreTolmente. 

a  Mastro  gc,.  Il  maestro  di  ballo. 

3  Testudo,  Testuggine  «  Tartaruga. 

LSTTBDAT.  ITAL.  -  1?  34 


39S  LETTÉRATUHA    ITALUIfA 

CoDlragga  alquanto,  e  ad  un  medesmo  tempo 
Inchini  M  mento,  e  con  T estrema  falda 
Del  piumato  cappello  il  labbro  tocchi. 
Kon  meno  di  costui  facile  al  letto 

Del  -mio  Signor  t'  accosta ,  o  tu  che  addestri 
A  modular  con  la  flessibii  voce 
Teneri  ^anti  ;  e  la  che  mostri  altra! 
Come  vibrar  con  m&estre^ol  arco 
Sul  cavo  legno  ^armoniose  fila. 
Né  la  squisita  a  terminar  corona 

D^  intorno  al  letto  tuo  manchi ,  o  Signore  , 
Il  precettor  del  tenero  idioma  , 
Che  da  la  Senna  de  le  Grazie  madre 
Or  ora  a  sparger  di  celeste  ambrosia 
Venne  air  Italia  nauseata  i  labbri. 
All'apparir  di  lui  l'itale  voci 
Tronche  cedano  il  campo  al  lor  tiranno; 
E  a  la  Do?a  ine6fabile  armonia 
De'  copromani  accenti ,  odio  ti  nasca 
Più  grande  to  sen  contro  a  le  lift  pure  labbra 
Ch'  osan  macchiarse  ancor  di  quel  sermone 
Onde  in  ValchicHa  *  fa  lodata  e  pianta 
Già  la  bella  Francese,  ed  onde  ì  campi 
Air  orecchio  dei  Re  cantati  furo 
^y  Lungo  il  fonte  gentil  da  le  beli'  acqoe. 
Mìsere  labbra  die  temprar  non  sanno 
Con  le  galliche  grazie  il  sermon  nostro, 
Sì  che  men  aspro  a'  dilicati  spirti , 
E  men  barbaro  suon  fieda  gli  orecchi! 
Or  te  questa  ,  o  Signor ,  leggiadra  schiera 
Trattenga  al  novo  giorno. 

I  Onde  in  VtUchiusa  ec. .  Accenna  il  Pet/arca ,  che  cantò  1*  atignoncM 
•«a  Laura;  e  V  Alaaianni  che  scrisse* la  Coltivazione  alla  Corte  di  Francesco! 
re  di  Francia.  Qui  pui  l' Autore  morde  la  moda  che  allor  prevaleTa  di  bai* 
hetUr  sempre  francese  y  negligentando  la  linj^ua  aaùonale. 


MCOLO    DEGIUOTTATa 

Come  V  antica  gelosia  fosse  sbandita. 

,     ».     •     •     •     •     Ud  («mpo. 
Uscìa  d^  A  verno  coq  Tiperel  crioi^ 
€oQ  torhid*  occhi  irrequieti ,  e  fredde 
Tenaci  branche  un  iodomabil  mostro    , 
Che  ansando  e  anelando  iiitorno  gira  • 
Ai  BnzTali  letti,  e  tutto  empiea.. 
Di  sospetto  e  di  fremito  e  di  sangue.. 
Allor  gli  antri  domestici,  le  selve, 
L'  onde,  le  rupi  alto  ulular  s'.udièno 
Di  femminili  strida:  allor  le  belle 
Dame  con  mani  incrocicchiate^  e  luci 
Pavide  al  eie! ,  tremando  ,  lagrimaodo  „ 
Tea  la  pompa  feral  de  le  lugubri 
Sate  Tedean  dal  truce  sposo  offrirsi 
Le  tazze  attossicate  o  i  nudi  stili.. 
Ahi  pazza  Italia  !  Il  tuo  furor  medesmo 
Oltre  r  alpi ,.  oltre  U  mar  dcrstò  le  risa- 
Presso  agli  e  moli  tuoi  che  di  gelosa 
Titol  ti  diero,  e  t^è  serbato  ancora 
Ingiustamente.  Non  di  cieco  amore 
VicendeYol  desire,  alterno  impulso^ 
Non  di  costume  simiglianza  or  guida- 
GP  incauti  sposi  al  talamo  bramato; 
Ma  la  |xrudenza  coi  canuti  padri 
Siede  librando'  il  molt'oro,  e  i  divini 
Antiquissimi  sangui  t  e  allor  che  V  uno 
Bene  all'altro  risponde,  ecco  Imenèo 
Scoter  sua  face  ;  e  unirsi  al  freddo  sposo ,. 
Di  lui  non  già  ma  de  le  nozze  amante. 
La  freddissima  vergine  che  in  core 
Già  volge  ì  riti  del  Eni  Mondo,  e  liatai 

S  Librando.  Pcsaudo.. 


599 


l^OO  T.F.TTEnATCRl    ITALI  AVA 

h*  Indìfferema  laariuYe  affronta. 
Così  DOD  fien  de  la  crii  del  Megera  ' 
Pili  temuti  gli  sdegni.  Oltre  Pirene  * 
Contenda  or  pur  le  desiale  porte 
Ai  gravi  amanti ,  e  di  Temine^  risse 
Turbi  Oriente  :  Italia  og^gi  si  ride 
Di  quello  ond'  era  già  derisa  ;  tanto 
Pnote  una  sola  età  volger  le  menti  ! 

La  faJUa  pieià  v€rto  U  bestie» 

Qual  anima  è  rolgar  la  sua  pietade  ^ 
Air  uom  riserbi ,  o  facile  ribrezzo 
Destino  in  lei  del  suo  simile  ì  danni  ^ 
1  bisogni  e  le  piaghe.  Il  cor  di  lui  ^ 
Sdegna  comune  affetto  ;  e  i  'dolci  moti 
A  pia  lontano  limite  sospinge, 
9»  Pera  colui  che  prima  osò  la  mano 
99  Armata  alzar  su  V  innocente  a^^nella 

'  »  E  sul  placido  bue  :  né  il  truculento 

99  Cor  gli  piegaro  i  teneri  belati, 
n  Né  i  pietosi  muggiti ,  né  le  molli 
99  Lingue  lambenti  tortuosamente 
99  La  man  che  il  loro  fato',  ahimè,  slringea  !  -« 
Tal  ei  parla  ,  o  Signore  ;  e  sorge  intanto 
Al  SQO  pietoso  favellar  dagli  occhi 
De  la  tua  Dama  dolce  lagri metta 
pari  a  le  stille  tremule ,  brillanti 
Che  a  la  nova  stagion  gemendo  vanno 

]  Jìa  i  palmiti  di  Bacco  ^,  entro  commossi 

Al  tiepido  spirar  de  le  prim^  aure 

'  t  Megera*  Una  delle  Fwrie^ 

\  a  Oltre  Pirene    Al  di  là  de*  Pirenei ,  nella  Sjjta^n^. 

^  (^ual  anima  ec. .  Le  anime  volgari^ 
•  4  -^  ^*^'  ^^  ^^  convitato.  ^ 


1  ^  Dai  paimi^  ec. .  Dvll^c  v\li. 


f ECOLO    DECIMOTTATO  ^OI 

PecondalrSct*  Or  le  aoTvieot  il  giorno, 
Ahi  fero  giorno!  allor  che  la  tue  bella 
Vergine  Caccia  *  de  le  Graaie  alooaa , 
GìoTeDilaiente.  Teueggiaodo,  il  piede 
Villan  dei  serfo  con  1*  ebaroeo  dentea 
Segnò  di  liere  nota:  ed  egli  aìidace 
Con  «acrilego  pie  lanctoHa  :  e  quella 
Tre  folte  rotolò  ;  .tre  volle  scosse 
Gli  scompigliati  peli ,  e  da  le  molli 
P^ari  soffiò  la  polvere  rodente. 
Indi  i  gemiti  alzando  :  Aita ,  afta  , 
Parca  dicesse;  -  e  da  le  aurate  TÒlttt 
A  lei  IMmpietosita  Eoo  rispose: 
E  dagl'  infimi  chiostri  i  mesti  servi 
Asceser  tutti ,  e  da  le  somme  stanze 
Le  damigelle  pallide  tremanti 
Precipitaro.  Accorse  ognuno  ;  il  volto 
Fu  spruzzato  d'essenze  a  la  tua.  Dama.. 
Ella  rinvenne  alfin  :  i'  ira  «  il  dolore 
L*  agitavano  ancor  ;  fulminei  igqardi 
Gettò  sul  servo,  e  con  langaida  voce 
Chiamò  tre  volte  la  soa  Caccia  i  e  questa 
Ai  sen  le  corse  ;  in  ano  tener  vendetta 
Chieder  sembrolle  :  e  la  vendetta  «vesti, 
Vergine  Cuccia  de  le  Grazie  alunna* 
L'empio  servo  tremò;  con  gli  occhi  al  snolo 
Udì  la  sua  condanna*.  A  lui  odo  valse 
Merito  quadrilustre;  a  lui  non  valse 
Zelo  d'  areani  nfici  :  invaa  per  lui 
Fa  pregato  e  promesso;  ei  nodo  andonne 
Deir  assisa  *  spoglialo ,  ond'  era  un  giorno    « 
Venerabile  ai  vulgo.  In  van  novello 

1  Cuctia.  Nome  di  cane. 
z  Assisa,  Lft  livKS» 


^eZ,  'LETTBBàTUDÀ    ITAtfAlfA 

Signor  fperò;  die  le  pietose  Dftfiie 
i"        •  Iiiorrkyro ,  e  dei  nisfatto  atroce 

,  Odiar  Taotore.  Il -misero  si  giae<|ae 
Cimi  U  squallida  profe  e  con  la  niid» 
C<Mi$orle  a^  lato  su.  la  via  spargeoda 
Al  passegglere  toalihs  lamento  ^ 
Et»,  Tergi  M  Cqccia  ,  idoJ  placata 
Pa  le  Tittime  amafte,  isti  supeirbas 

Origine  del  giuoco  detto  TrÌAti'oc^ 

^     »    •     •     •     »     Occalto  ardea 
Già  di  ninfa  gentil  misere  auMote, 
Cui  nuir  alUa  eloquensa  «sav  con  lei' , 
Faor  che  quella  degli  occhi  era  concesso  ) 
Poiché  il  ro£20  oia>»(o  ad  Argo  '  eguale 
Vigilara  mai  sempre;  e  qiiasi  biscia 
Ora  piegando,  or  aiisngando  il  collo^ 
.  Ad  ogni  verbo  con  gU  orecchi  acuti 
Era  presente^  Ohimè  !  come  con  cenni  ^ 
O'  eoo  notata  tavola  giammai- , 
O  con  servi  sedotti  ali»  sua  ninfa 
Chieder  pace  eé  aRa  ?  Ogni  d^  A  orare 
Stratagemma  finissima  vincea^ 
La  gelosia  del  rustico  marito^ 
Che  pi«  Hce  sperare  ?  Al  tempio  et  corre 
Del  Nume  *  accorto  ebe  le  serpi  intreccia 
Air  a«rea  verga ,  e  il'  capo  e  le  calcagoa 
IK  ali  ferfilsce.  A  lui  si  prostra  amile; 
E  in  questa  gcHsa,  lagrima ndo ,  il  prega: 
9»  O  propizio  agli  amanti,  o  buon  figliuolo. 
H,  De  Id  candida  Maja  ,  o  tu,  che  d'  Argo 

\  Jtrgo  (dicQoo  le  HkTolie)  ebbe  cento  occhi:.  Giunone  lo   teeke   4«  ca< 
^ffiàn  d*  Io  da  Giove  trasfomuta  in  giovenca. 

%  P^  Nmme  «p...  Mercnriji  ,^  che  spltcaste  Io  ad^-Àrgo^ 


»e€OLO    PECIMOTTATO  ,    ^©3 

>»  Delndesti  i  ceol^  occhi ,  e  a  Ini  rapisti 

»  La  guardata  gio fesca  ,  i  preghi  accetta 

9»  D^  un  amante  infelice  ;  e  a  me  concedi 

»  Se  non  gli  o<ichi  ingannar,  gli  oreccW  almeno 

n  D-  nn  marito  importuno  n,  —  Ecco  si  scote 

Il  divin  simulacro ,  a  lui  si  china  y 

Con  la  Terga  pacifica  la  fronte 

Gli  percote  tre  Toite  :  e  il  lieto  amante 

Sente  dettarsi  ne  la  mente  nn  gioco 

Che  i  mariti  assordisce..  A  Ini  di  vesti, 

Che  r  ali  del  suo  pie  concesse  ancora 

Il  supplicato  Dio  ;  cotanto  ei  Tola 

Yelocissi  ma  mente  a  fa  sua  Donna*. 

Là  hiparlita  tavola  prepàr» 

O?^  ehano  ed  avorio  intarsiati 

RegnMi  sul  piano  ^  e  partono  alternando 

In  dodici  magioni  ambe  le  sponde. 

Quindici  nere  d'  ehano  girelle 

E  d'  avorio  hianchissimo  altrettante 

Stan  divide  in  dne  parli  ;  e  moto  e  normi 

Da  dne  dadi  gittati  attendon ,   pronte 

Ad  occupar  le  case,  e  qninci  e  quindi 

Pugnar  contrarie.  -^  Oh  cara  a  la  Fortuna 

Chiella  che  corre  innanzi  alP altre,  e  seco 

Ha  la  compagna  onde  il  nemico  assalto 

Porte  sostenga  f  Oh  ^iocator  felice 

Chi  pria  T  estrema  casa  occnp»;  e  P  altra 

De  le  proprie  magioni  or  din  riempie 

Con  doppio  segno;  e.  quindi  poi  ,  securo 

Da  la  falange,,  il  suo  rivai  comhatte , 

E  in  proprio  hen  rivolge  t  col]pi  ostili  ì  - 

Al  tavolier  s*  assidono  amhidue  ^ 

ì/  amante  cnpidissimo  e  la  ninfii  ^ 

Qaella  occapa  ana  sponda ,  e  qaesli  V  allr». 


f^tì'\  LETTERATCRA    ITALURA 

11  marito  col  gomito  s*  appoggia 
Air  QD  de'  lati  :  ambi  g)i  orecchi  tende  ; 
E  sotto  al  laTolier  di  «fuaodo.ia  quando 
Gaala  eoa  gli  occhi*  Or  V  agitar  dei  dadi 
Eptro  ai  aonanti  bòtsolr  comincia; 
Ora  il  picchiar  de*  bòssoli  snt  piano; 
Ora  il  vibrar  9  lo  sparpagliar  «  V  urtare  ^ 
il  cozzar  de*  due  dadi  ;  òr  de  lo  mosse 
Pedine  il  martellar.  Toroesi  e  freme 
Sbalordito  il  geloso:  a  fuggir  pensa. 
Ma  rattienio  il  sospette*  Il  romor  cresce. 
Il  rombazzo,  il  frastono,  il  rovinio. 
Ei  più  regger  non  poote;  in  piedi  balza  , 
E  con  ambe  le  man  lora  gli  orecchi* 
"Tu  Tincesti,  o  Dferciirìo;  il  cauto  amante 
Poco  disse,  e  la  bella  tntele  assai. 
Tal  ne  la  ferrea  eU,  quando  gli  sposi 
Folle  sttperstizioD  chiamava  alP  armi , 
Giocato  fu.  Ma  poi  che  V  aoneo  fulse 
Secol  'di  novo ,  e  che  del  prisco  errore 
Si  spogHaro  i  mariti,  al  sol  difetto 
La  Dama  e  il  CavaKer  volsero  il  gioco  , 
ChiB  la  necessità  scoperlo  avea. 
Fu  superfluo  il  romor  t  di  molle  panno 
La  tavola  vestissi ,  e  de'  patenti 
Bòssoli  *ì  sen:  lo .  schiamazzio  molesto 
Tal  rintuzzossi  ;  e  durò  ai  gioco  il  none  * 
Che  ancor  V  antico  strepito  dinoia. 

La  Notte. 

Né  tu  contenderai,  benigna  Notte, 

Che  il  mio  Giovane  illustre  io  cerchi  e  gwidi 
Con  gli  estremi  precetti  entro  al  tuo  regno» 

I  H  npme  di  Tòctrtc..* 


»ecoLO  DrcisKiTTiTo  4o5 

Già  di  tenebre  infoha  e  dì  perigli 
Sola ,  squallida ,  mesta  ,  alto  sedevi 
Su  la  timida  terra.  Il  debii  raggio 
De  le  stelle  remote  e  de'  pianeti 
Che  Del  silenzio  camminando  vanno, 
Rompea  gli  orrori  tuoi  sol  quanto  è  d*  uopo 
A  sentirli  vie  più.  TerribiI  ombra 
Giganteggiando  si  vedea  salire 
Su  per  le  case  e  su  per  1*  alte  lorri 
Di  tesòhi  antichi  seminate  al  piede: 
E  ùpupe  e  gufi  e  mostri  avversi  al  Sole 
Svolazza  van  per  essa  ,  e  con  ferali 
Stridi  porUfan  miserandi  aogurj  ; 
E  lievi  dal  terreno  e  sìnorte  fiamme  * 
Di  su  di  giù  vagavano  per  1'  aere 
Orribilmente  tacito  ed  opaco; 
E  al  sospettoso  adultero ,  che  lento 
Col  cappel  sulle  ciglia  e  tutto  avvolto 
Nel  manlel  se  ne  già  con  1'  armi  ascose , 
Colpieno  il  core  e  lo  stringean  d*  affanno. 
£  fama  .è  ancor  che  pallide  fantasime  ^ 
Xtungo  le  mora  de  ì  deserti  tetti 
Spargean  lungo  acutissimo  lamento. 
Cui  di  lonlan  per  entro  al  vasto  bujo 
I  cani  rispondevano  ululando. 

Tal  fosti,  o  Notte,  allor  che  gì' ioclit*  avi 
Onde  pur  sempre  il  mio  Garzon  si  vanta 
Eran  dori  ed  alpestri;  e  con  P  occaso 
Cadeau  d(»po  lor  cene  al  sonno  in  preda  , 
Fin  che  V  aurora  sbadigliante  ancora  * 


X 


1  Fitmunt-  I  fuochi  fatui. 

2  Fin  che  ec,  •  Vuol  4ire  con  ciò ,  chs  quMti  avi  kTavansì  dal  )«tl« 
4]uaudo  r  aurora  appena  era  cominciata;  e  levali  davausi  a  laTurare;  di  «b« 
poi  arricchirono  ec.  . 


^a6i  LETTEnATOllA    ITALIARA 

Lì  richiamasse  a  vigilar  sa  V  opre 
De  i  per  novo  cammia  guidati  rivi, 
E  sa  i  eampi  nascenti ,  onde  poi  grandi 
Furo  i  nepoti  e  le  ciltadi  e  t  regni. 
Ha  ecco  Amore,  ecco  la  madre  Venere, 
Ecco  del  gioco,  ecco  del  fasto  i  Genj. 
Glie  trionfanti  per  la  notte  scorrono. 
Per  la  notte  che  sacra  è  al  mio  Sigoore. 
Tutto  davanti  a  lor,  tutto  s'irradia 
Di  nova  luce.  Le  ni  miche  tenebre 
Foggoiio  riversate;  e  V  ali  spandono* 
Sopra  i  covili  ove  le  fere  e  gli  uomini 
Da  la  fatica  condannali  dormono. 
Stupefatta  la  notte  intorno  vedesi 
Riverberar  più  che  dinanzi  al  Sole 
Auree  cornici ,  e  di  cristalli  e  spegli 
Pareti  adorne  e  vestimenti  varii 
E  bianche  braccia  e  pupiilette  mobili 
£  tabacchiere  preziose,  e  fulgide 
Fibbie  ed  anella^  o  mill»  cose  e  milieu 
Così  r  eterno  caos,  allor  che  Amore 
Sopra  posovvi,  e  il  fomentò-  con  Tale,, 
Sentì  il  generator  moto  créarse  ,. 
Sentì  schiuder  la  luce;  e  sé  medesmo- 
Vide  meravigliando,  e  tanti  aprirse 
Tesori  dì  natura  entro  il  suo  grembo*. 

PALLE    POESIE    LIRICOE. 

La  vitc{  rustica. 

Perchè  turbarmi  T  anima,  ^glà  per  me  si  piega 

O  d'oro  e  d'onor  brame.  Sul  remo  il  nocchier  bran 

Se  del  mio  viver  Atropo  '  Colà  donde  si  niega 

Presso  è  a  troncar  lo  stame  ;  Che  più  ritorni  alcun  ^^ 

1  Vaa  deHe  Parche. 

2  Caroate  ^  nocchiero  dello  Stige  d^oad*  nessuno  mai  ritonuva.^ 


SECOLO    DEClMOTTvro  iJOj' 

Queste  che  ancor  ne  ava  u  za  no    Già  la  quiete,  a  gli  uomini 


Ore  fugaci  e  meste, 
Belle  ne  renda  e  amabili 
La  liberlade  agreste. 
Qui  Cerere  ne  manda 
Le  biade,  e  Bacco  il  Tin  ; 
Qui  di  fior  s*  inghirlanda 
Bella  Innocenza  il  crin. 

Su  che  felice  slimasi 
Il,possesor  d^  un*  arca , 
Clke  Pluto  '  abbia  propizio 
Di  gran  tesoro  carca  ; 
Ma  so  ancor,  che  al  potente 
Palpita  oppresso  il  cor 
Sotto  la  man  sovente 
Del  gelato  timor. 

Ile,  non  nato  a  percolere 
Le  dure  illustri  porte. 
Nudo  accorrà,  ma  libero, 
II  regno  della  morte. 
Mo,  ricchezza  ne  onore 
Con  frode  o  con  viltà 
Il  secol  venditore 
Mercar  non  mi  vedrà. 

Colli  beati  e  placidi 

Che  il  rago  Énpill  '  mio 
Cingete  con  dolcissimo 
loscnsibil  pendio. 
Dal  bel  rapirmi  sento 
Che  natura  vi  die  ; 
Ed  esule  contento 
A  foì  rivolgo  il  pie. 


Sì  sconosciuta,  l'u  seno 
De  le  vostr'  ombre  apprestami 
Caro  albergo  sereno  ; 
E  le  cure  e  gli  atTanni 
Quindi  lunge  volar 
Scorgo,  e  gire  i  tiranni 
Superbi  ad  agitar. 
In  van  con  cerchio  orribile, 
Quasi  campo  di  biade , 

I  lor  palagi  attorniano 
Temute  lance  e  spade  ; 
Però  eh*  entro  al  lor  petto 
Penetra  nondimen  . 

II  trepido  sospetto  ^ 
Armato  di  velen. 

Qual  porteranno  invidia 
A  me,  che  di  fior  cinto. 
Tra  la  famiglia  rujitica, 
A  nessun  giogo  avvinto  , 
Come  solea  in  Anfriso  ^ 
Febo  pastor,  vivrò; 
E  sempre  con  un  viso 
La  cetra  sonerò  ! 

Inni  dal  petto  supplice 
Alzerò  spesso  a  i  cieli  ; 
Sì  che  lontan  si  volgano 
I  turbini  crudeli, 
E  da  noi  lunge  avvampi 
L'aspro  sdegno  guerrier, 
Ré  ci  calpesti  i  campi 
L' inimico  destrier. 


X  IHuto.  Dio  delle  rìcchesse. 

a  Nome  dato  da  Plinio  a  un  lag^ ,  che  fi  crede  essere  quello  di  Pusiano, 
3  Fiume  della  Tessaglia ,  lungo  le  cui  spond«  ApoUo  pasceva  jgU  aimenti 
di  Ameto  quando  Giov»  caccioUo  dal  cialo. 


fa  Ci 


4o8 


LETTEIIATUIU    ITALI. Mf.i 


E  le,  viIIaD  sollecito, 

Che  per  nov*  orme  i!  Iralcio 

Saprai  guidar,  freDandolo 

Col  pieghevole  salcio  ; 

E  te,  che  steri!  parte 

Del  tuo  terreo,  di  pia 

Render  farai  con  arte 

Che  ignota  al  padre  fu  : 
Te  co^  miei  c^rmi  a  i  posteri 

Farò  passar  felice  ; 

Di  te  parlar  più  secoli 

S'  udirà  la  pendice; 

La  salubrità  dell' aria» 


E  sotto  Palte  piante 
Vedransi  a  riverir 
Le  quete  ossa  compiante 
I  posteri  venir. 
Tale  a  me  pur  concedasi 
Chiuder ,  campi  beati , 
Nel  vostro  almo  ricovero 
1  giorni  fortunati. 
Ah  !  quella  è  vera  fama 
D' nom  che  lasciar  può  qui 
Lunga  ancor  di  sé  brama 
Dopo  r  ultimo  di  !  ^ 


Oh  beato  terreno 

Del  vago  Eupili  mio  : 
Ecco  al  fin  nel  tuo  seno 
M^  accogli  ;  e  del  natio 
Aere  mi  circondi  ; 
E  il  petto  avido  inondi  l 

Già  nel  polmon  capace 
Urta  se  stesso,  e  scende 
Qiiest'  etere  vivace , 
Che  gli  egri  spirti  accende, 
E  le  forze  r integra  , 
E  l'animo  rallegra; 

Però  ch^  ausfro  scortese 
Qui  suoi  vapor  non  mena , 
E  guarda  il  bel  paese 
Alta  di  monti  schiena , 
Cui  sormontar  non  vale 
Bor^a  con  rigid'  afe. 


Né  qui  giaccion  paludi 
Che  da  lo  impuro  letto 
Mandino  a  i  capi  ignudi 
NuvoI,  di  morbi  infetto 
E  il  meriggio  a^  bei  colli 
Asciuga  i  dorsi  molli. 

Pera  colui  che  primo  * 
A  le  triste,  oziose 
Acque  e  al  fetido  limo 
La  mia  ciltade  espose  ; 
"E  per  lucro  ebbe  a  TÌIe 
La  salute  civile. 

Certo  colui  del  fiume 
Di  Stige  ora  s*  impaccia 
Tra  r  orribii  bitume  ; 
"Onde  ^  alzando  la  faccia. 
Bestémmia  il  fango  e  Tacque 
Che  radunar  gli  piacque. 


1  la  alcune  edis.  «{uesi*  ode  ha  due  strofe  di  più  che  l'Autore  stesso  rifiatò. 

2  Pera  ec, .  Inveisce  contro  V  usanaa  dei  prati  di  marcita  e  dello   lisajc 
in  troppa  vicinansa  della  città» 

3  Ondt*  Di  dove* 


SECOLO    0£CiaiOTTATO  409 

Mira  dipinti  in  riso  Ben  larga  ancor  natura 


Di  aiorlali  pallóri 
Entro  al  -mal  nato  riso 
I  langoenli  enitori; 
E  Irena ,  o  cittadino , 
Che  a  te  il  soffri  ? icinov 

Io  d^' allei  colli  ameni 
Nel  bel  clima  innocente 
Passerò  t  di  sereni 
Tra  la  beata  gente 
Che  )  di  fatiche  ònnsta  ^ 
£  vegeta  e  robusta^ 

Qui  con  lar  meote  sgombra  ,  * 
Di  pure  linfe  *  asterso  , 
Sotto  ad  nua  frese'  ombra 
Celebrerò  col  verso 
I  villan  vispi  e  sciolti  ^ 
Sparsi  per  li  ricolti  t 

£  i  membri)  non  mai  stanchi 
Dietro  al  crescente  pane  *  ; 
E  i  baldanzosi  fianchi!^ 
De  le  ardite  villane  ; 
E  il  bel  volto  giocondo 
Fra  il  bruno  e  il  rubicondo; 

Dicendo  :  Oh  fortunate 
Genti,  che  in  dolci  tempra 
Qaest^  aura  respirate  « 
Rolla  e  purgala  sempre. 
Da  venti  fuggitivi 
E  da  limpidi  rivi  I 


Fu  à  la  città  superba 
'  Di  cielo  e  d' aria  pura  \ 
Ma  chi  i  bei  doni  or  serba 
Fra  il  lusso  e  1^  avarizia 
E  la  stolta  pigrizia? 

Ahi!  non  bastò  che  interna 
Putridi  stagni  arvesse  ; 
Anzi  a  turbarne  il  giorno 
Sotto  a  h  mura  stesse 
Trasse  gli  scelerati 
Rivi  a  marcir  su  i  prati  ; 

E  la  comun  salute 
Sagrificossi  al  pasto 
D'ambiziose  tonte  ^^ 
Che  poi  con  crudo  fasto 
Calchin  per  T  ampie  strade 
Il  popolo  che  cade. 

A  voi  il  timo  e  il  croco 
E  la  menta  selvaggia 
L^  aere  per  ogni  loco 
De*  varj  atomi  irraggia , 
Che  con  spavt  e  cari 

.     Sensi  panf[on  le  nari. 

Ma  al  pie  de'  gran  palagi. 
Là  il  fimo  allo  fermenta; 
fi  di  sali  malvagi 
^Ammórb», Paria  lenta. 
.  Che  a  sla|nar  si  rimase 
Tra  le  soblkHi  case. 


^.Diefra  c«^.  Sbu»«iii  itHiohi  nel  «oltivtte  le  Ufeile.' 
3  Mute,  Coppie  di  cavalli. 


Ci 


♦-»  ■ 


UTTMULT.  ttàSm  —  IT 


35 


4io 

Quifi  i  lari  plebei 
Da  le  spregiate  crete  ' 
D' umor  fracidi  e  rei 
Ycrsan  fonti  indiscrete; 
Onde  il  fapor  s'  aggira, 
E  col  fiato  s^  inspira* 
Spenti  animai,  ridotti 
Per  le  frequenti  Tie, 
De  gli  aliti  corrotti 
Empion  Testi  IO  die: 
Spettacolo  deforme 
Del  cittadin  snlForme  *  t 
Né  a  pena  cadde  il  Sole, 
Che  vagaali  latrine 
Con  spalancate  gole 
Lustran  ogni  confine 
De  la  città ,  che  desta 
BeTe  Paura  molesta. 


LETTEKATURl    ITALUBlÀ 


Gridan  le  leggi ,  è  fero  ; 
E  Temi  bieco  ^  guata* 
Ma.  sol  di  se  pensiero 
Ha  r  inerzia  prifata. 
Stollo!  E  mirar  non jruoi 
Ne^comup  danni  i  tuoi? 

Ha  do?e,  ahi!  corro  e  %àgo 
Lontano  da  le  belle 
Colline  e  d^l  bel  l^go 
E  da  le  Tillanelle, 
A  cui  si  vivo  e  schietto 
Aere  ondeggiar, fa  il  petto? 

Va  per  negletta  via 
Ognor  r  ntil  cercando 
La  calda  fantasia , 
Che  sol  felice  è  quando 
L^  ntil  unir  può  al  vanto 
Di  lusingbevpl  canto. 


\  V  Impostura.  • 

Venerabile .  Impostura , 

Io  nel  tempio  almo  a  te  sacro, 
Vo  tenton  per  V  aria  oscura } 
E  al  tuo  santo  simulacro, 
Coi  gran  folla  urta  di  gente, 
Già  mi  prostro  umilemente. 

Tu  de  gli  uomini  maestra 
Sola  sei.  Qualor  tu  detti 
Ne  la  comoda  palestra 
I  dolcissimi  precetti, 

1  Da  le  sprecata  ec..  Dalle  povere  case  del  volgo. 

a  La  politesia  della  nostra  citUi  può  invece  al  presento  esser  ^lati  ù 
esempio  ;  ma  V  usansa  delle  vagmU  UUriM  aceeaiMU  subiCa  dop«  aspeUi 
■aèora  q«al<3ie  utile  piovvcdinento. 

3  SùC9,  Biecuneato» 


SECOLO   DEGIHOTTATO  4  I  I 

Ta  il  discorso  volgi  amico 

Al  monarca  ed  al  mendico. 
L'  an  per  tia  piagato  reggi  ; 

E  fai  si  ^  che  in  gridi  strani 

Sua  miseria  giganteggi: 

Onde  poi  non  calti  pani  * 

A  lui  frutti  la  semenza 

De  la  flebile  eloquenza. 
Tq  deiriiltro  a  lato  al  trono 

(jon  la  Iperbole  ti  posi  ; 

E  fra  i  turbini  e  fra  il  tuono 

De'  gran  titoli  fastosi , 

Le  Tergogue  a  lui  celate 

De  la  nuda  nmanilate. 

r' 

Già  con  Kuma  '  In  sul  Tarpco 

Désti  al  Tebro  i  riti  santi, 

Onde  V  àugure  poteo 

G>^  SUOI  voli  e  co^  SUOI  canti 

«Soggiogar  le  altere  ménti, 
.   Domatrici  de  le  genti. 
Del  Macedone  ^  a  te  piacque 

Fare  nn  dio,  dinanzi  a  coi 

Paventando  l'orbe  tacque; 

E  neir  Asia  i  dotai  tui 

Fur  che  1'  arabo  Profeta 

Sollevaro  a  si  gran  meta* 
Ave,  Dea.  Tu  come  il  sole 

Giri ,  e  scaldi  1'  univèrso  ; 

Te  suo  Nume  onora  é  cole 

Oggi  il  popolò  diverso  ; 

I  Non  emlU  ee..  Pana  cke  a  lai  non  còtta  la  fatica  dal  coltivarlo. 
%  fe  noto  che  Nuaoa  asieri  di  aver  ricevute  le  sue  leggi  dalla  ninfa  Egeria. 
3  Aleesandro  il  Macedone  ToUe  esser  creduto  figliuolo  di  Giove.  -^  L'  «* 
ra^o  Pn^oU  b  Blaonètto. 


4  12  |,F.TTEUATORA    ITALURI. 

E  Fortnoa  ',  a  le  defota V 
Diede  a  folger  la  sua  rota^ 
I  SQoi  dritti  il  merto  ceda 

A  la  Ina  difloilade, 

'i  - 

E  Tirlà  ia  sua  mercede. 

Or ,  se  tanta  potestade 

Hai  qua,  giù,  col  tuo  fatoré 

Che  DOC  &i  por  me  impostore? 
Mente  pronta,  e  ognor  felice 

D*  opportune  utili  fiile. 

Hate  ^  il  tuo  degno  seguace;  - 

Ha  pieghevoli  parole; 

Ma  tenace,  e,  quasi  monte, 

locrollabile  la  fronte.. 
Sopra  tatto  ei  non  oblia,  ' '^■' 

Che  Oli  fermo  il  tuo  colosso 

Nel  gran  tèmpio  non  &tari«,    ^ 

Se,^qaal  base,  ognor  eoi  dossu! 

Non  ri^ggessegli  Ìl  costante 

Verosimile  le  piante. 
Con  quesl^  ,arte  CInvieno  ^ , 

Che  al  bel  sesso  ora  è  il  pia  cara 

Fra  insegnaci  di  Galeno, 

Si  fa  ricco  e  si  fa  chiaro; 

Ed  amar  fa,  tanta  ei  tate, 

A  le  belle  egre  il  lor  male. 
Ma  Clu?iéa  dal  mìa  destina 

D*  imitar  non  m'  è  concessa^ 

peli*  ipocrita  Crispino 

Va'  seguir  r  oi-me  da  presso.- 

1  E  la  Fortuna  hscin  volger  d»  te  quella.  Ftuita  eoa  cui.  suol  muovere   «. 
suo  talento  le  cose  umane. 

2  Héufc.  Ha.  ' 

3.  Cluyieno  >  e  poco  dopo  Crispino  ton  nomi  imma^iiiarU  d^  tinpoftoii.. 


. 1 


9E<Ì0L0   DECltfOTTlTO  4lS 

Tu  mi  guida,  o  Dea  cor  lese  ^ 

Persio  iDcognito  pSese* 
Di  ina  man  il  coIId  alquanto 

Sul  mane*  omero  mi  premi  ; 

Tu  una  sliHa  ognor  di  pìanlo 

Da  mie  lad  aride  spremi  ; 

E  mi  faccia  casto  ombrello 

Sopra  il  fiso  ampio  cappello» 
Qnal  fia  allor  sì  ÌDlatto  giglio 

Ch'  io  Don  macchi  e  ch^  io  non  sfrondi , 

Da  le  forche  e  dall'  esigilo 

Sempre  salvo?  A  me  fecondi 

Di  quanti-oro  fico  gli  strilli 

De'  ch'enti  e  de'  pnpilli  l 
Ma  qaal  arde  amabil  lame  ? 

Ah  ì  ti  veggio  ancor  lontano  , 

Yerità^mio  solo  Nome^, 

Che  m'  accenni  con  la  mano  ; 

£  m*  in?iti  al  latte  schietto 

€h^  ognor  beT?i  al  tuo  bel  petto. 
Deh  perdona  !  Errai ,  segnendo 

Troppo  il  fervido  pensiere. 

I  tuoi  rai ,  del  mostro  orrendo 

Scopron  or  le  zanne  fiere. 

Ta  per  sempre  a  lui  mi  togli  ; 

E  me  ondo  nnda  accogli. 

//  Bisogno, 

Oh  tiranno  signore,  Di  valli  '  adamantini 

De'  miseri  mortali.  Cinge  i  cor  la  virtuJe; 

Oh  male^  oh  persuasore  Ma  tu  gli  urti  e  rovini; 

Orribile  di  mali,  E  lutto  a  te  si  schinde: 

Bisogno,  e  che  non  spezza  Entri;  e  i  nobili  affetti 

Tua  indomita  fierezza!  O  strozzi,  od  assuggclli. 

I  VttUi^  SUccati,  Eiparù  3£i'^ 


4«4 

Oltre  corri,  e  fremente 
Strappi  RagioQ  dal  soglio; 
E  il  regno  de  la  mente 
Occupi  pien  d'orgoglio; 
£  ti  poni  a  sedere 
Tiranno  del  peasiere. 

Con  le  folgori  in  mano 
Tja  legge  alto  minaccia; 
Ma  il  periglio  lontano 
Non  scolora  la  faccia 
Di  chi,  senza  soccorso, 
Ha  il  tuo  peso  sul  dorso. 

A!  misero  mortale 

Ogni  lume  s^ ammorza; 
Vèr  la  scesa  del  male 
Tu  lo  strascini  a  forza. 
Ei,  di  sé  stesso  in  bando, 
Va  giìi  precipitando. 

Ahi!  r infelice  allora 
I  comon  patti  rompe; 
Ogni  confine  ignora; 
TSe*  beni  altrui  prorompe; 
Mangia  i  rapiti  pani 
Con  sanguinose  mani-. 

Ma  quali  odo  lamenta 
E  stridor  di  catene; 
E  ingegnosi  stromenti 
Veggo  d'atroci  pene 
Là  per  quegli  antri  oscuri. 
Cinti  d* orridi  muri? 


LBTTEniTORl   ITiMAIfi 


Colà  Temide  *  armata 
Tien  gindizj  funesti 
Su  la  turba  affannata 
Che  to  persuadesti 
A  romper  gli  altrui  dritti, 
O  padre  di  delitti. 

Meco  Tieni  al  cospetto 
Del  Nume  che  vi  siede. 
No,  non  avrà  dispetto 
Che  tn  T^noltri  il  piede» 
Da  lui  con  lieto  toUo 
Anco  il  Bisogno  è  accolto* 

O  ministri  di  Temi, 
Le  spade  sospendete  t 
Da  i  pulpiti  ^  supremi 
Qua  l'orecchio  volgete. 
Chi  è  che  pietà  niega 
Al  Bisogno  che  prega  ? 

Perdon ,  die'  ei ,  perdono 
A  i  miseri  crucia tf. 
Io  son  Fautore,  io  sodo, 
De'Ior  primi  peccati: 
Sia  contro  a  me  diretta 
La  pubblica  vendetta.  -< 

Ma  quale  a  tai  parole 
Giudice  si  commoye? 
Qual  dell'umana  prole 
A  pietade  si  move? 
TuWirlz^,uom  saggio  e  giusto, 
Ne  dai  l'esempio  augusto: 


2   Temidi.  La  Giostiùa. 

9  Dai  ptéipiH  fc. .  Dai  Tostrì  alti  seggi  |  dai  tribuna}!. 

3.  ì^irUs^.  Va  Magistrato  di  Luou  nome  a  cui  V  Qde  fu  indirii<ata«. 


—  — ._j^_ 


SECOLO    DEClfilOTTATO 


4l5 


Tu,  cài  sì  spesso  vìnse 
Dolor  degV  infelici , 
Che  ìì  Bisogno  sospinse 
A  por  le  rapìtrici 
Mani  neirallrni  parte 
"   O  per  forza  o  per  arie; 


E  il  carcere  lemnto 
Lor  lieto  spalancasti  ; 
E  clango  oro  ed  ajnto , 
Generoso  insegnasti , 
Come  senza  le  pene 
Il  fdllo  sì  previene. 

La  Educazione, 


Torna  a  fiorir  la  rosa  ^ 
Che  par  dianzi  languia  ; 
£  molle  si  riposa 
Sopra  i  gigli  di  pria  *» 
Brillano  le  papille 
Di  viraci  scintille* 

]>a  guancia  risorgente 
Tondeggia  sul  bel  viso; 
E  quasi  lampo  ardente 
\a  saltellando  il  riso 
Tra  i  muscoli  del  labro, 
Ove  riede  il  cinabro. 

I  crin,  che  in  rete  accolti 
Lunga, stagione,  ahi!  fòro, 
Sull'omero  disciolti , 
Qual  ruscelletto  d'oro, 
Forma  attendon  novella 
•D'artificiose  anella» 

Vigor  nova  conforta 
L' irrequieto  piede: 
Natura  ecco  ecco  il  porta. 
Si  che  al  vento  non  cede. 
Fra  gli  utili  trastulli 
De'  vezzosi  fanciulli. 


O  mio  tenero  verso ^ 
Di  chi  parlando  vai , 
Che  studii  esser  più  terso 
E. pulito  che  mai? 
Parli  del>giovinelto. 
Mia  cura  e  mio  diletto? 

Pur  or  cessò  V  affanno 

Del  morbo  ond'ei  fu  grave: 
Oo:si  l'undecim^aoDO 
Gli  porta  il  Sol,  soave 
Scaldando  con  sua  teda 
T  figliuoli  di  Leda.  '. 

Simili  or  dunque  a  dolce 
Mele  di  favi  Iblèi  % 
Che  lento  i  petti  molce» 
Scendete,  o  versi  mìei. 
Sopra  r  ali  sonore 
Del  giovinetto  al  core. 

O  pianta  -di  buon  seme. 
Al  suolo,  al  cielo  amica. 
Che  a  coronar  la  speme 
Cresci  di  mia  Cotica, 
Salve  in  si  fausto  giorno 
Di  pura  luce  adorno  ì 


1  Sopra  ee. .  Sopra  le  gote  che  ,  lasciato  il  p«illore  »  tocnarono.  come  pria ,. 
«ADdìde  al  pari  dei  gigli. 

2  Castore  e  Polluce,  o  i  Gemelli,,  custellasione  di  Maggio. 

3  U  mele  d'  Iblea  >,  monte  dcUa  &iciIÌA.,  fa  assai  iamoso.. 


4i6 

Vorrei  di  geotalt 

Dodì  grao  pregio  offrirti;* 
Ha  ctii  die  liberali 
Essere  a  i  sacri  spirti  '  ? 
Fuor  che  la  cetra ,  a  loro 
Non  venne  altro  tesoro. 

Deb!  perchè  non  somiglio 
Al  Tessalo  *  maestro  , 
Che  di  Teiide  il  figlio 
Guidò  sul  cammin  destro? 
Ben  IO  ti  farei  doni 
Più  che  d'oro  e  canzoni. 

Già  con  medica  mano 
Quel  Centauro  ingegnoso 
Rendea  feroce  e  shiio 
Il  suo  «lanno  famoso  ; 
Ala,  non  men  che  a  la  salma, 
Porgea  vigore  all'alma. 

A  lui ,  che  gli  sedea 

Sopra  la  irsuta  schiena, 


Chiron  si  rivolsea 

9 


Con  la  fronte  s*erena , 
Tentando  in  su  la  lira 
Suon  che  virtude  inspira 
Scorrea  con  giovanile 
Man  pel  selvoso  meato 
De!  precettor  geniile; 
E  con  l'orecchio  intento 
D' Eàcide  ^  la  prole 
Berea  queste  parole: 


LETTERATO  Aà    1TALIA1V.A 

Garzon ,  nato  al  soccorso 
Di  Grecia,  or  ti  rimeoabra. 
Perchè  a  la  lottar  e  al  corso 

10  t'educai  le  membra. 
Che  non  può  un'alma  ardita^ 
Se  in  forti  membri  ha  vita? 

Ben  sul  robusto  fianco 
Stai;  ben  stendi  delParco 

11  nerva  al  lato  manco  ; 
Onde  al  segno  eh'  io  marco, 
Ya  stridendo  Io  atrale 
Da  la  cocca  fatale. 

Ma  in  van,  se  il  resto  oblìo. 
Ti  avrò  possanza  infuso. 
Non  sai  qual  contro  a  Dio 
Fé'  di  Sue  forze  abaso 
Con  temeraria  fronte 
Chi  monte  impose  a  monte  ^? 

Di  Teti  odi,  o  figliuolo, 
Il  ver  che  a  te  si  scopre  : 
Dall'  alma  origin  solo 
Han  le  lodevoPopre. 
Mal  giova  illustre  sangue 


Ad  animo  che  langne. 
D'  Eaco  e  di  Pelèo 

Col  seme  in  te  non  scese 
Il  valor,  che  Teseo 
Chiari  e  Tirìnlio  ^  rese; 
Sol  da  noi  si  guadagna, 
E  con  noi  s'accompagna. 


1  Sacri  spirti,  l  poeti. 

2  Ai  centauro  Ghiro  ne  edacatore  di  Acbtlle. 

3  Eaco  fu  avo  di  Achille. 

4  Chi  ec.  .  I  GigaiUi. 

5  llrintio  h  lo  ilesso  che  Ercole  od  Alcide. 


SEGOLO  oÈcmiyfTkvo     •  417 

Grna  prole  era  di  Gio?e    '       Sì  bei  doDi  del  cfelo 


Il  magnanimo  Alcide; 
Ma  quante  egli  fa  prove 
E  quanti  mostri  ancide, 
Onde  s^innalai  poi 
Al  seggio  de  gli  eroi? 
Aiiri  le  altere  cune 

Lascia ,  o  garzoo,  che  pregi  : 
Le  superbe  fortune 
Del  vile  anco  sob  fregi. 
Chi  de  la  gloria  è  vago. 
Sol  di  virtù  sia  pago. 
Onora,  o  figlio,  il  Nume 
Che  dall'atto  ti  guarda; 
Ma  solo  a  lui  non  fumé  - 
Incenso,  o  vittim'arda. 
£  d^uopo.  Achille,  alzare  ■- 
Neil*  aloÉa  il  primo  aliare. 
Giustizia  entro  al  tuo  seno 
Sieda,  e  sul  labbro  il  rero; 
E  le  tue  mani  sièno  ' 
Qual  albero  straniero^ 
Onde  soafl  unguenti 
Stillin  sopra  le  genti. 
Perchè  si  pronti  affetti 
Nel  core  H  ciel  ti  pose? 
Questi  a  Ragion  commetti; 
E  tu  Tedrai  gr^in  cose. 
Quindi  l'alta  rettrice 
Somma  virtude  èlice. 


No,  non  celar,  garzone, 

Con  ipocrilo  Tèlo  • 

Che  a  la  virtù  si  oppone. 

Il  marchio  ond^è  il  cor  scoile? 

Lascia  apparir  nel  volto. 
Da  la  lor  meta  ha n  Ickie, 

Figlio,  gli  affetti  umani. 

Tu,  per  ia  Grecia,  proit 

Insanguina  le  mani  : 

Qua  volgi,  qua  fardire 

De  le  magnanima  ire. 
Bla  quel  più  dolce  sènso, 

Onde  ad  an)ar  ti  pieghi. 

Tra  lo  stuol  d^  armr  ^enso 

Venga,  è  ptetk  non  nieglii 

Al  debole  che-  eààe^ 

E  a  te  grida  ptetade. 
Te  questo  ogoor  costaete 

Schermo  renda  ai  mendico  ; 

Fido  ti  faccia  amante 

E  indomabile  antico. 

Cosi  con  legge  alterna 

L^  animo  si  -go? enìa.  - 
Tal  cantava  il  Centauro. 

Baci  il  giòvao  gli  offri v* 

Con  ghirlande  di  làuìro. 

E  Tetide  che  udiva, 
^  A  la  fera  divida' 
'  Piaudia  da  la  mUrina. 


La  Caduta,. 

Quando  Orion  ^  daj  cielo 
P^ecljnando' imperversa  ^ 

l  Orifuifi»  Ij[tu  deUe  cottelUsiuoi  :  qui  dinota  V  inverop. 


A,$  LETTEIIAT0R4    ITALIaWA 

E  pioggia  e  nefi  e  gelo 

Sopra  la  terra  ollenebrala  versa. 
He,  spÌDto  ne  la  ialqna 

Stagione,  infermo  il  piede». 

Tra  il  fango  e  Ira  T  obliqua 

Farla  de'  carri  la  città  gir  Tcde  ; 
E  per  aTTerso  sasso  ,  ^ 

Mal  fra  gli  altri  sorgente , 

O  per  lubrico  passo 

Lungo  il  cammino  stramazzar  soTcnte. 
Ride  il  fanciollo;  e  gli  occbf 

Tosto  gonfia  commosso; 

Crtè  il  ctibilo  o  i  ginocchi 

Me  scorge  o  il  menlo  fU\  cader  percosso. 
Allri  occorre;  et  Oli  infelice, 

E  di  men  crudo  fato 

Degno  Tate  !  mi  dice; 

E  seguendo  il  parlar,  cinge  il  mio  Iato 
Con  la  pietosa  mano  ; 

E  di  terra  mi  loglio; 

.  E  il  cappel  lordo  e  il  vano 

Baston,  dfapersi  ne  la  via,  raccoglie: 
Te,  ricca  di  comune 

Censo,  la  patria  loda; 

Te  sublime,  te  immune 

Cigno  da  tempo  che  il  tuo  nome  roda , 
Cbiama,  gridando  intorno; 

E  ie  molesta  incita 

Di  poner  fine  al  Giorno , 

Per  cui  cercato  a  lo  stranier  ti  addita. 
Ed  ecco  il  debii  fianco  * 

Per  anni  e  per  natura 

1  £   noto  che  il  Panni  fu  impedito  ne*  piedi* 

%  Ed  ecco  ec, .  Ed   ecco  vai  «Iraicinando  nel  suolo  «e  il  ^WM  debile 
per  anni  e  per  natura. 


SEC01.0    DECIBIOTTJLTO  /|  I  ^ 

Vài  nel  suolo  pur  anco 

Fra  il  danno  strascinando  e  la  pSura. 
Né  il  si  lodalo  verso 

Yile  cocchio  ti  appresta , 

Che  te  salvi  a  traverso 

De'  trivj  dal  furor  de  la  tempesta. 
Sdegnosa  anima  !  prendi  y 

Prendi  novo  consiglio, 

Se  il  già  canuto  intendi 

Capo  sottrarre  a  pia  fatai  periglio* 
Congiunti  tu  non  hai , 

Non  amiche 9  non  ville. 

Che  te  far  possan,  mai 

NelP  qrna  del  faroìr  preporre  a  mille* 
Dunque  per  V  erte  scale 

Arrampica  qual  puoi  ; 

E  fa  gli  atr)  e  le  sale 

Ogni  giorno  ulular  de^  pianti  tuoi  ; 
O  non  cessar  di  pòrte 
«  Fra  lo  sluol  de'  clienti , 

Abbracciando  le  ,  por  te 

Degl*  imi ,  che  comandano  a  i  potenti  ; 
E  ,  lor  mercè  ,  penetra 

Ne'  recessi  de'  Grandi  ; 

E  aopra  la  lor  tetra 

Noja  le  facezie  e  le  novelle  spandi. 
O,  se  tu. sai,  più  astuto 

I  copi  sentier  trova 

Colà  9  dove  nel  muto 

Aere  il  destin  de'  popoli  si  cova  ; 
E  fingendo  nova  esca 

Al  pnbblico  guadagno  ^ 

L'  onda  sommovi ,  e  pesca 

Insidioso  nel  tnrbal^o  slagno. 


^20  lìETTEBJkTCRÀ   |T.AUUIA 

Ma  chi  giamoMÌ  potria 
(Guarir  ta«  Boiate  illfisa , 

0  Irar  per  aItniK  m 

Te,  ostipato  anatoF  de  la  la»  Mosa  ? 
Lasciala;  o,  pari  a  Tile 
Mima^^;  il  padore  insalli  9 
DileKaorlo  .scorrile 

1  bassi  genj,  dieira  al .  foslo  occalli.  - 
Mia  bile  al  fin  y  costrelta 

Già  troppo,  dal  pr^aodo 

Petlo  rompeado  ,  getta  / 

Impetilosa  ^li  argiotve  rispondo! 

Chi  sei  tu,  che  «osteèti  » 

A'  mtf:  questo  vetasto 
Pondo*,  e  rantiiM»  tenti 
Prostrarmi  a  terra  ?  Umano  sei  ;  non  giusto. 

Buon  cittadino,'  al  tfegnò^ 
:  Dote  natura  e  i  primi  ' 

Casi  ordinar,  lo  ingegno  ',) 

Guida  cos^,  che  lui  la  pi^ria  estimi. 

Quando  poi  d^età;cai'co 

:  Ili  bisogno  lo  stringe  ^ 
Chiede  opportuno  e  parco    ^    -  '  ,    ^^ 
Con  fronteJiberaC  che  l'alma  pioge* 

E  se  i  duri  mortali^  < 

'A  li|t  Toltane  il  terge , 
£i  si  fa ,  contro  a  i^  luali,'  *        .  ^) 
De  la  costanza  sua  scedo  'ed .  asbèrgo. 

Né  si  abbassa  per  duole  ;"  >  •  ) 

Nèa^alza^  per  .orgoglio.  ^  -.         ": 
E  ciò  dicendo  ,-  solo?  T^ 

Lascio  il  mii>  appoggio;  e  biecp  iodi  mi  toglie. 

1  Mima,  Stiione ,  Gommedianle.  ' 

2  Quuto  veiustQ  ec.v  Questo  Wecltio  mio  coipow   -         ^ 


SECOLO    UECmùTTAyO 

Così ,  grato  a  i  soccorsi , 
Ho  il  consiglio  a  dispetto; 
E  privo  di  rimorsi, 
Gol  dubitante  pie  torno  al  mio  tetto, 

//  Pericolo, 


^ai 


In  ?ano,  in  van  la  chioma, 
Deforme  di  canizie  ;^ 
E  r  anima ,  già  doma 
Da  i  casi,  e  fatto  rìgido 
Il  senno  dall'età, 

Si  crederà  che  scudo 

Sien  contro  ad  occhi  fulgidr, 
A  mobii  seno,  a  nudo 
Braccio,  e  all'altre  terribili 
Arme  de  la  beltà. 

Gode  assalir  nel  porto 
La  contumace  Venere; 
£ ,  rottp  il  fune  e  il  torto 
Ferro  ' ,  rapir  nel  pelago 
Invecchiato  nocchier; 

E,  per  noTo  periglio 

Di  teippeste,  all'arbitrio 
Darlo  del  cieco  figlio  * , 
Esultando  con  perfido 
Riso  del  suo  poter. 

Ecco  me  di  repente. 

Me  stesso ,  per  V  undecimo 
Lustro  di  già  scendente , 
Sentii  Ticino  a  porgere 
Il  pie  servo  ad  amor  ; 

1  //  torto  ferro»  L*  àncora, 
a  Cieco  JigOo»  Amore. 

LBTTBRAT.  ITAL.  -  IT 


Benché  gran  tempo  al  saldo 
Animo  in  van  tentassero 
Novello  eccitar  caldo 
Le  lusinghiere  giovani, 
DI  mia  patria  splendor. 

Tu  da  i  lidi  sonanti 

Mandasti,  o  torbid' Adria, 
Chi  sola  de  gli  amanti 
Potea  tornarmi  a  i  gemiti , 
E  al  duro  sospirar: 

Donna  d' incliti  pregi 
Là  fra  i  togati  princìpi, 
Che  di  consigli  egregi 
Fanno  Taita  Venezia 
Star  libera  sul  man 

Parve,  a  mirar,  nel  volto 
E  ne  le  membra  Pallade , 
Quando,  l'elmo  a  sé  tolto, 
Fin  sopra  il  fianco  scorrere 
Si  lascia  il  lungo  crln: 

Se  non  che  a  lei  dintorno 
Le  volubili  grazie 
Dannosamente  adorno 
Rendeano  a  i  guardi  cupidi 
L'almo  aspetto  divìn. 


36 


421  LETTERATURA    ITALIANA 

Qaal ,  se ,  parlando ,  egoak       Né  quando  lo  interrotto 


A  gigli  e  rose,  il  cubito 
Molle  posava?  Qaale, 
§e  improvviso  la  capdida 
Mano  porgea  oel  dir? 
E  a-  le  nevi  del  petto, 
CLjoaDdosi,  da  i  morbidi 
Veli  Don  bea  costreltOf 
Fiero  delPalme  incendio! 
Permetteva  fuggir? 
Intanto  il  vago  labbro 
E  di  rara  fadondia 
E  d'altre  insidie  fabbro* 
Già  modulando  i  lepidi 
Detti  nel  patrio  suon. 
Che  più?  Da  la  vivace 
Mente  lampi  scoppiavano 
Di  p5etica  face, 
Che  tali  mai  non  arsero 
fi'amlra  dì  Faoo  '; 
^'è  qaando  al  coro  intento 
De  le  fanciulle  Lesbie 
L*  errante  violento  . 
Per  le  midolle  fervido 
Amoroso  velen; 


Dal  fuggitivo  giovane 
Piacer  cantava  ;  sotto 
A  la  percossa  celerà 
Palpitando  il  sen. 
AbimèI  Quale  infelice 

Giogo  era  pronto  a  scendere 
Sn  la  incanta  cervice, 
S' io  oel  dolce  perióolo 
Tornava  il  quarto  cU! 
Ma  con  veloci  rote 

Me,  quantiinqae  mal  docile, 
Ratto  per  le  remote 
Campagne  il  mio  boon  Genio 
Opportuno  rapì; 
Tal  cbe  in  tristi  catene 
A  1  gafsoni  ed  al  p»polo , 
Di  giovanili  pene 
Io  canuto  spettacolo 
Mostrato  non  sarò. 
Bensì,  nudrendo  il. mio 
Pensiertdi  care  imagiui. 
Con  aoave  desìo 
Intorno  ali^onde  Adriache 
Frequente*  volerò* 


In  morte  del  maèstro  Sacchini  «. 

Te  con  le  rose  ancora 

De  la  felice  gioventù  nel  volto    ' 

Vidi  e  conobbi ,  ahi  !  tòlto 

Sì  presto  a  npi  da  la  fatai  tufi  ora, 

O  di  suoni  divini 

Pur  dianzi  egregio  Irovator  Sacchini! 

I  l/'^mUa  ec*  •  Saffo ,  natiira  di  Ltsbo. 

a  Antonio  Sacchini,  KapoUtan»,  mori  ia  Parigi  nel  1787* 


•ECOLO   DECIMOTTATO  i^li 

HaschU  bella 'fioria 

Neir  alte  membra  ;  da  i  f  itaci  lumi 

SpleDdido  di  costomi 

E  di  soafi  affetti  indizio  ascia; 

Il  labbro  era  potente 

Dell^  animo  lusinga  e  de  la  mente. 
Air  armonico  ingegno 

Qaante  ToUe  fé*  plauso;  e  finta  poi 

Da  gli  altri  pregi  tuoi. 

Male  al  tenero  cor  pose  ritegno 

Damigella  immatura , 

O  matrona,  di  sé  troppo  secoral 
Ma  perfido,  o  festoso 

Te  giammai  non  chiamò  lardi  pentita; 

Né  d*  improTTiso-  uscita 

Madre  sgridò,  né  furibondo  sposo 

Te  ingenuo  ,  e  del  procace  ' 

Rito  de'  tuoi  non  facUe .  seguace. 
Amò  de"^  bei  concenti 

Empier  la  tromba  sua  poscia  la  Fama  ; 

Tal  che  d'  emola  brama 

Arser  per  te  le  più  lodate  genti 

Che  Italia  chiuda  J  o  V  Alpe 

Da  noi  rimoTa,  o  pur  T  erculea  Calpe**. 
E  spesso  a  breve  oblio 

La  da  lui  declinante  in  noTo  impero  ' 

11  Brkaono  severo 

Anierica  lasciò  :  tanto^  il  rapio ,' 

Non  avveduto  a  i  trnti 

Gasi,  r  arguzia,  onde  i  tuoi  modi  ordisti! 


1  PrccM».  Auaace ,  Sfrontato.  —  Bilo,  Um  , 
a  Zi*  erculea  ec, .  Lo  ilrrtto  di  Gikiltem,  detto  già  le  Colonae  d'Ercole, 
3  La  da  lui  ec.  •  E  ftpeuo  11  BritMUM  dineuticoisi  1*  America  inte&ta  al- 
lom  a  soUrani  dall*  ln)(hiltcin  ed  a  tutk  iadipendente. 


4^4  LETTBRATCIIA    ITALIANA 

O  se  la  tua  dal  mare 

Arte  poi  veone  a  papol  pm  (aceto, 

I^el  teatro  inqMielo 

Taéqtier  le  ardeilti  inasicali  gare  ; 

E  ÌQ  te  sol  uno  immoti 

Slelter  de  i  cori  e  delP  orecchio  i  roti; 
Poi  che  da*  tuoi  pensieri 

Mirabili  di  sbom  orditi  si  Mhiuse, 

Che  per  V  aria  diffuse 

Non.  perataco  a!  mortai  noti  piaceri  : 

0  se  tu  amasti  Tanto 

Dare  a  i  moUli  plettri  y  o  pure  ai  canto* 
Fra  la  scenica  luce 

Ben  più  superbi  str«scinaro&  gli  ostr^  : 

1  preziosi  mostri  ^ , 

Cijie  r  Italo  erodete  anoor  produce  ; 

E  le  a?<are  sirene  ' 

X^rau  air  alme  speraip  impor  catene , 
Quando  su  le  sonore 

Labbra  di.  lor  tuo  nobil' estro  scese; 

E  noTÌ  accenti  apprese 

De  le  regali  Tergini  ai  dolore; 

O  ne*  tragici  affanni 

'Tarbò  di  modulate  ire  i  liraaiù. 
•  Ma  tu  ,  del  4ion  ?irile 

Gregge  sprezzando  i  foUi  orgogli  e  V  oro  ^ 

Innalzasti  il  decoro 

De  la  heir  arte  tua,  spirto' gentile ,    ' 

Di  liberi  diletti 

Sol  atidp  bear  gli  umani  petti. 
Me,  se  talor  con?érse 

La  non  cieca*  Fortuna  a  te  il  suo  ?iso. 

V  A  ^«^Co^i  cioè  :  Pagati  «  cariscimo  pr«is«. 
a  Non  cieca,  S' intende,  non  eiet»  in  fuetto  e|^o^ 


SBCOtO  DECIHOTTàTO  4i5 

E  con  lieto  isoiriso 
^  Fulgido  dì  ìtBoro  il  lembo  aperse.» 

lodifisi 'ft  gli  amici 

I  dont  a  te  di  lei,  parfer  feiicL 
Ahi!  sperafa  a  le  belle  • 

3ae  sptag^},  Ilalia  rivederti  al  fise^ 

€oroDàndotr  il  crine 

Le  già  cresciate  a  lei  fresche  donzelle. 

Use  di  te  le  lodi 

Ascoltar  da  le  madri  e  i  dolci  modi  ! 
Ed  ecco  r  atra  mano     ^    . 

Alzò  colei ,  eui  nessan  pregio  moTe  ; 

E  te,  cercante  dooto 

G^azie^  laogo  if  sooorp  ebano  in  fano, 
*  Percossa  ;  e  di  famose 

Iiagriue  oggetto  in  au  la  Sàma  pose. 
Uè  gioconde  pupille 

Di  cara: donna,'  né  d* amici  affetto  , 

Che  tante  a  le.  nel  petto 

Yalean  di  senso  ad  eccitar  fafille\ 

Pia  desteranno  argato 

Suono  dal  cener  tuo  per  sempre  mulo. 

Per  V  incuta  l^ice  ^ . 

Quando  noVel(e  a  chiedere 

Manda  V  inclita  Piice 

Del  pie ,  che  me"  cdstriogert 

Suole  al  letto  iolelice , 
,  Sento  repènte  F.  inlimo 

Petto  agitarsi  del  bel  nomA^al  snon. 
Rapido  il  sangue  fluttua 

Ne  le  mie  ?ene;  invade 

1  QttMt*Ode  Al  composta  ael  179?.  Nella  eduioiit   del  signor   Rcioft» 
•SM  Im  per  tkiolo:  U  Mùm^fia.. 

3G* 


42Ì  l£TT8ll4rURA  ITàLIUMi 

Acre  cftlor  le  trepide* 

Fibre  ;  m*  arrosso  ;  cade» 

La  vece  ;  ed  al  rispondere^ 

Util  pensiero  ili  Tea  cerco  e  sormoDkw 
Ride^  creila  io  ^  partendosi 

Il  messo»  E  aUo»  soletta 

Tutta  yegg*  io  eoo:  PaBioMr,. 

Pìen  di  BÓTa  diletto',. 

Tutta  di  lei  la  inegine 

Deotr»  a  1»  calda  fantasia  fenin. 
Kd  ecco,  ed  ecco  sorgere 

Le  delipite  fiime» 

So?ra  il  bel  fianco,  e  mobili 

Scender  con*  locid  orme. 

Che  mal  paò  la  doTiziai 

BeiV  ond<^giante.4ii  pie  Tette  coprir». 
K'oco  spiegarsi  e  Temerò 

E  le  braccia  ^orgogliose  ^ 

Coi  di  ragJadn  nedeene 

Ftescbi  l^^oslri  e  rose^ 

E  il  brano  sottilissimo*- 
.  Crine- che  sovra,  lop*  ^olandb  va-^ 
K  cpasi  molle  cumulo 

Crescer  di  neve  al'prna 

La  man,  che  ne  le  floride; 

Dita  lieve  declina,  ' 

Cara  de^fcaci  invi'dfà       -  •  ; 

Che  tiverenia  contener  poi'  saw. 
#en  puoi  tu ,  nove,  illepido ,. 

Sceso  tra*  noi  costume. 

Che  vano  ami  dell'  avide*  -   ^    - 

Luci  rendev  T  acume. 

Altre  ioV'Olar  delizie  9, 

Inmen^o  intorno  a  lor  lolgendìo  fet;r 


Ha  oda  celar  Fa  grazia  ** , 

Né  ìL  fezzo  che  circonda 

Il  Tolto,  affatto  shttite 

A  quel  de  la  g;ioconda 

^be*;  che  nel  nobil  prenito 

ÀI  magnahimo- Alcide  è  data  hk  eie}'$ 
Né  il  guardo  che  ifissimnia    - 

Qaanto  in  altrui  prevale; 

E  vòlto  poi ,  con  sobito 

Impelo  i  cori  assale, 

Qaal  Parto  sagittario  ^ 

Che  più  certi ,  fuggendo ,  ì  col}»!  otlien  % 
Né  i  labbri  or  dolce  tumidi. 

Or  dolce  in  sé  ristretti  ^  . 

A  cui  gelosi  temone- 

Gli  Amfori  pai^elèttt'  ^ 

Non  ornai  tutto  a  suggere 

Doni  Venere  madre  il  suo  bel  sea^ 
1  labbri,  onde  il  sorriderei 

GVati'sstmo  bafena; 

Onde  r  eletto  e  nitido 

Parlar,  che  Talme  affrena. 

Cade,  come  di  limpide 

Accpe,  lungo  il  pendìo,  tene  romor^ 
Seco  portando  è  i  fblgidi 
-'Sensi  eira  Kcli,  or  gravi */ 

E  i  geniali  studii ,  ' 

E  i  costumi  s5avi:. 


1  Ma  mn^  puoi  eelnr  ea  .  '  / 

»  Ebe.  Dea  della  giovinemt  iàM  V  kicaiko  di  meMeii»  «ili*  Dei  U%hk 
ipoi  luecedette  in  ^ell*  aficip  Ganimede. 

3  P^rto  ee. .  I  Parti  erano  terrìbili  in  guerra  peish^  »  A>€l^^  dinaaii 
d.  Mnùo  I  tfcgvnaui.  yoluni  a  un  tratta  «  u^ettado.. 


^aS  LETTERATCal   ITALURA 

Oode  salir  può  nobile 

Chi  bea  4*«P»pÌA  fortiioa  t|sa  3  bvcM*. 
Ahi  !  La  vijaoe  imagine.         .  * 

Tanto  pareggia  il  vero, 

Che,  del  pie  leso  immemore^ 

L*  opra  del  mìo  pensiero 

Segoir  già  tento  ;  e  1'  aria 

Con  la  delusa  man  ceitando  fo.- 
Sciocco  folgo ,  a  che  momori? 

A  che^^n  per  le  infeste 

Dita ,  ridendo  ,  poveri 

Quante 'volte  il  celeste 

A  visitare  ariete 

Dopo  il  natal  jn>to  di  Febo  tornò? 
A  me  disse  il  mip  Genio  y 

Allor  eh'  io  nacqui  :  L*  oro    > 

Non  fia  che  te  solleciti  | 

Né  Y  inane  decoro 

De'  titoli';  oè  il  pierfidof 

Desio  di  superare  altri  in  potere 
Ma  di  natura  i  liberi. 

Doni  ed  affetti ,  e  il  grato 

De  la  beltà  spettacolo 

Te  renderà»  beato. 

Te  di  vagare  indocile 

Per  lungo  di  sperante  arda9  sentier. 
Inclita  Mice,  il  secolo^ 

Che  di  te  a'  orna  e  splende  ^ 

Arde  già  gli  assi  ;  V  ultimo 

Lustro  già  tocca  ;  e  scende 

Ad  incontrar  le  tenebre  ^ 

Onde  una  volta  gioviaeUo  usci; 

già  :victne  a  i  Itmiti  . 

Del  tempo ,  i  piedi  e  T  ali 


ire Ò LO   1>ECIM0TTi.T<l  4^9  - 

Esercitali  le  Tergi  ni 

Ore ,  che  a  noi  mortali 

Già  di  gatdar  $*  apprestano 

Del  secel,  che  ina  tara ,  il  primo  di. 
Ei  te  vedrà  oel  nascere 

Fresca  é  leggiadra  ancora 

Pur  di  recenti  grazie 

Gareggiar. con  T  Aurora  $ 

E  di  mirarti  cupido , 

De^  tnoi  begli  anni  farà  lento  il  fol. 
Ha  iO)  Ibrse- già'  poirere, 

Che  senso  altro  non  serba  , 

Fuor  che  di  te  ,  giacendomi 
,    Tra  le  pie  zoHe  e  V  erba , 

Attenderò  chi  dicami: 

Yale,  passando,  e  ti  sia  IleTe  il  saol. 
Deh  !  alcun  i  che  te  nell^  aureo 

Cocchio  trascorrer  Teggia 

Su  la  Tii|^  che  fra  gli  albpri 

Suburbana  verdeggia  ,^ 

Faccia  a  me  intorno  l'aere 

Modulato  del.  tuo  nome  .folarl 
Colpito  allor  da  brivido 

Religioso  il  core, 

Fermerà  il  passo;  e  attonito 

Udrà  del  tuo  cantore 

Le  commosse  reliquie  ^  /:. , 

Sotto  la  terra  arguito  sibijar. 

Il  Brindisi 

Volano  i  giorni  rapidi  Le  belle^  ohimè!  che  al  fingere 
Del  caro  viver  mio;  Han  lingua  c<»si  presta, 

E  giunta  in  sul  pendìo.  Sol  mi  ripeton  questa    .. 

Precipita  Tetà,  Ingrata  verità. 


JfZo  XETTEBATUai   ITAUlHà 

Gm  quelle  occhiate  matole.       Che  fai  ao  questa  cetera, 


Coo  quel  contegno  a? aro, . 

Mi  dicono  assai  chiaro: 

Koi  non  siam  più  per  te  ; 
E  fuggono,  e  folleggiaho 

Tra  gioTentù  TÌTace; 

E  rendonti  loquace 

L* occhio,  la  mano  e  il  pie. 
Che  far?  Degg'io^di  lagrime 

Bagnar  per  questo  il  ciglio? 

Ah  no!  Miglior  consiglio 

E  di  godere  ancor. 
Se  già  di  mirti  teneri  * 

Colsi  mia  parte  in  Gnido, 

Lasciamo  che  a  quel  lido 

Vada  con  altri  Amor. 
Volgan  le  spalle  candide, 

Volgano  a  me  le  belle: 

Ogni  piacer  con  elle 

Non  se  ne  parte  al  fio.  ' 
A  Bacco,  all'Amicizia 

Sacro  i  venturi  giornr. 

Cadano  i  mirti;  e  scorni 
Duellerà  il  misto  crin. 


Corda,  che  amor  sonasti? 

Male  al  tènor  contrasti 
^  Del  DOTO-  mio  piacer. 
Or  di  cantar  dilettami 

Tra*  miei  giocondi  amici, 

Aogarj  a  lor  felici 

Versando  dal  Bicchier. 
Fogge  (a  instabii  Venere 

Con  la  stagion  de**  fiori  ; 

Ma  tn,  Lfeo'*,  ristori 

-Quando  il  dicembre  asci. 
Amor  con  Tetà  fervida 

Convien  die  si  dileguo; 

Ma  r  amistà  «ne  segue 

Fioo  alt*  estremo  dì. 
he  beile,  eh* or  s*iaro!ano 

Schifo  da  noi  lontano, 
'  Verraoci  allor  pian  piano 

Lor  brindai  ad  offrir. 
E  noi, compagni  amabili. 

Che  far  con  esse  allora? 
,    Seco  un  bicchiere  ancora 

B>b?ere;  e  poi  morir. 


Sopra  sé  stesso,' 

Quell'io,  -che  già  con  lungo  amaro- -carme 
Amor  derisi  e  il  suo  rcfgno  potènte , 
E  tutta  osai  chiamar  l'itala  gente 
Col  mio  riso  n^aligno  ad  ascoi  tarme  : 

Or' sento  anchVio  sotto  a  le  indomit^arme, 
,      Tra  la  folla  del  popolo  imminente^ 

I  IH  mitti  ee. .  Il  mirto  era  sacro  ad  Aoiore ,  il  ^aalc  poi  ate«   culto 
speciale  ia  Guido.  •—  a  JJeo^  Bacco^ 


SECOLO    OECinÒTTATO  ^3  I. 

Dietro  a  le  rote  del  gran  carro  leale 

Dall'  ofifeso  tiranno  slrascinarme. 
Ognun,  per  osservar  T infame  multa'. 

Preme,  urta,  e  grida  al  suo  propinquo:  E  qt)ei';  -« 

E  il  beffa tor  comnn  beffa  ed  insulta* 
Io,  scornato,  abbassando  gli  occhi  rei. 

Seguo  il  mio  fato;  e  il  fier  nemico  esulta. 

Impjirate  a  deridere  gli  Dei  ! 

A  Fittorio  Alfieri. 

Tan^a  già  di  coturni ,  altero  ingegno , 
Sovra  r  italo.  Pindo  orma  tu  stampi  9 
Che  andrai ,  se  te  non  vince  o  lode  o  sdegno , 
Lungi  delParte  a  spaziar  fra  i  campi. 

Come  da)  cupo  ^  ove  gli  affetti  haa  regno , 
Trai  del  vero  e  del  grande  accesi  lampi  ; 
E*  le  poste  a*  tuoi  colpi  anime  segno 
Pien  d' iousato  ardir  scuoti  ed  'avvam^pi  ! 

Perchè  dell'*  estro  a  i  generosi  passi 

Fan  ceppo  i  carnd;  e  dove  il  pensier  tuona  , 
Non  risponde  la  voce  amica  e  franca? 

Osa,  cooleodì  :  e  di  tua  man  vedrassi 
Cinge.r  V  Italia  omai  quella  corona 
Che  al  suo  cria  glorioso  unica  manca. 

VITTORIO.  ALFIERI. 

Il  conte  Vittorio  Alfieri  scrisse  la  propria  Vita  m 
uà  volarne  che  può  molto  dilettare  e  istruire  :  ma 
che  DOQ  potrebbe  qui  compendiarsi  senza  oltrepas- 
sare la  necessaria  brevità. 

Egli  nacque  in  Asti,  città  del  Piemonte,  a^  17  gen* 
najo  delPaono  1749*  ^^  padre  gli  morì  mentre  era 
bambino  :  la  madre  contrasse  altre  nozze. 

**    I  Hulta  «px  sta  per  castigo  in  generw* 


^3l  LETT£R.\TORA    ITALIANA 

Di  nove  anni  entrò  nelF  Accademia  di  Torino 
doYe  attese  all'  amena  Iettei:atura  ,  e  più  tardi  alla 
giurisprodeoza,  ma  con  poco  profitto^  parte  pei  cat- 
tivi metodi  d' insegnare  (  com^  egli  dice  ) ,  e  per  la 
sua  poca  salute^  parte,  potrebbe  aggiungersi,  per- 
ciìè  negli  ultimi  anni  le  molte  spese ,  e  i  cavalli  di 
cui  troppo  si'  dilettava ,  lo  distraevano  da  una  seria 
e  diligente  applicazione  allo  studio. 

Uscito  dair  Accademia  si  fece  soldato^  ma  subito 
dopo  sentì  il  desiderio  di  viaggiare.  Visitò  prima- 
mente ritalia^  poi  la  Francia,  Tlnghìiterra  ed  altre 
parti  d' Europa  in  compagnia  di  un  ajo  inglese.  Que- 
sto viaggio  finì  nel  1769  :  nn  secondo  ne  imprese 
queir  anno  stesso  ancora  più  lungo  ^  dal  quale  ri- 
tornò alla  patria  nel   1772. 

Fin  qui  poco  aveva  studiato  P" Alfieri ,  e  di  poco 
profitto  gli  erano  stati  i  suoi  viaggi.  Per  alcuni  ai- 
tri  anni  visse  ozioso  in  Torino  fra  gli  agi  e-  le  di- 
**  strazioni  cbe  Iti  sue  ricchezze  gli  somministravano. 
Ma  finalmente  si  vergognò  di  consumare  inutilmente 
la  vitale  si  diede  a  studiare  con  quella  intensità 
eh'  era  necessaria  per  riparare  al  teaipo  perduto.  Da 
principio  egli  era  tanto  ignorante  della  lingua  italia- 
na, che  stese  la  traccia  di  alcune  tragedie  in  prosa 
francese  ^  ma  in  pochissimo  tempo  ne  divenne  pro- 
fondo conoscitore,  studiando  a  meuioria  i  nostri 
grandi  poeti ,  e  recandosi  nella  Toscana  per  impa- 
rarvi le  voci  e  le  frasi  parlale.  Che  anzi  abbandonò 
per  sempre  il  Piemonte  per  trasferirsi  a  Firenze,  dove 
il  suo  ingegno  trovava  un  campo  più  libero.  Quivi 
conobbe  la  contessa  d^  Albany ,  e  strinse  eoa  lei 
un'  amicizia  che  non  doveva  più  rompersi.  Conti- 
nuando a  studiare  ed  a  scrivere,  compose  parecchie 
tragedie  ed  altre  opere;  non  tutte  però  a  Firenze, 
giacché  il  nostro  Poeta  fu  colla  contessa  d'  Albany 
neir  Inghilterra ,  nelP  Alsazia  e  finalmente  a  Parigi. 
Quivi  nel  1789  egli  pubblicò  in  quattro  volumi  le  su«: 


tfiCDLa  DKCiMoTTAva  433 

Tragedie  :  pò!  fungenclo  i  disordini  e  i  pericoli  della 
rÌYolosioDe  ritornò  colla  sua  donna  a  Firenze,  Nel 
'797  ^'  accinse  allo  studio  della  lingua  greca,  nella 
quale  fece  tali  progressi  che  in  breve  potè  tradurre 
i  classici  e  scrivere  egli  medesimo  in  quel  difficile 
idioma,  E  tanto  se  ne  compiacque  che  inventò  V  Or^» 
dine  di  Omero  e  se  ne  fece  cavaliere  egli  stesso. 
Ma  nel  i8o3  a^li  8  d^  ottobre  morì.  La  contessa 
d^Albany  gli.  pose  bella  chiesa  di  Santa  Croce  in 
Firenze  un  bel  monumento,  opera  del  Canova. 

Molte  sono  le  Opere  che  ci  rimangono  di  questo 
grande  ingegno,  sebbene  egli  abbia  cominciata  assai 
tardi  la  sna  carriera  letteraria ,  e  la  morte  gli  abbia 
interrotta  la  vita  di  soli  55.  anni.    Oltre   alle    Tra* 

f'edie  e  alla  f^ita^  ci  ha  lasciate  le  versioni  di  Sai* 
ustio  e  delP  Eneide ,  di  alcune  tragedie  greche  e 
commedie  latine^  un  Trattato  del  Principe  e  dello 
Leitcre^  un  poema  in  ottava  rima  intitolato  P  Etruria 
i^efuUcata^  il  cui  eroe  è  Lorenzino  de^  Medici  ^  oa 
Tolume  in  dispregio  de^  Francesi  sotto  il  titolo  di 
Misogalloy  parie  in  versi  e  parte  in  prosa  ^  alcune 
Commedie  politiche;  parecchie  Salire}  un  supposto 
Panegirico  di  Plinio  a  Trajano}  i  Pareri  sulle  prO'* 
prie  Tragedie  i  parecchie  Lettere  e  Poesie  diverse. 
XI  pregio  principalissimo  delP  Alfieri  è  quello  d^  aver 
richiamata  la  poesiavdalle  vanità  arcadiche  ai  grandi 
Argomenti  della  politica  :  i  suoi  difetti  in  generalo 
consistono  in  una  studiata  durezza  di  stile,  e  in 
qualche ,  esagerazione. 


L*  AaTIGGHE. 


Il 
Argia  figliuola  di  Adrasto  e  vedova  di  Polinice  è 

venuta  da  Argo  a  Tebe  per  desiderio   di  seco  por% 

tarne  le  ceneri  del  suo  sposo.  Introdottasi  col  favor 

della  notte  .nella  reggia  di   Creonte  ,   spera   di    tro* 

Yare  Antigone  e  di  esser  da  lei  ajutata  nel  suo  pie* 

UTTIPAT.  VtLU  —  IV  3^ 


434  LBTTBRATCRA    ITALI  AVA 

loto  disegno  :  Al  ahra  parie  Antigone  vuol  ascire  al 
campo  dpy^  è  Polinice  per  dargli  sepoltura.  ^A.vvedt]- 
tasi  dì  una  donna  che  la  sta  guardando,  l|^  domanda 

chi  ella  sia, 

f.  .        ■  . 

jérg.  Una  ìofelióe  io  sono. 
.  J^nt,  »  Io  queste  soglie 

Che  fai  ?  che  cerchi  io  si  tard'  ora  ?   ' 
\  \Arg'  Io...  cerco... 

D*  Àotigoqe.^ . 
Aiit,  Perchè?  -  Ma  tn  chi  sei? 

Aatìgone  conosci?  a  lei  se*  nota  ? 
Che  hai  seco, a  far?  che  hai  lo  coouin  con  essa? 
Arg.   Il  dolor,  la  pietà  .  •  •        / 
j4nt  Pietà?  Qaal  foce 

Osi  ta  in  Tebe  profferir?  Creonte 
Regna  io  Tebe ,  noi  sai  ? .  noto  a  te  forse    ~ 
Non  è  Creonte? 
Arg»  Or  dianzi  io  qni  glangea  * . . 

Ant,   E  in  questa  reggia  il  pie  straoiera  ardisci 

Por  di  soppiatto  ?  a  che  ?  . . . 
Arg,  Se  io  questa  reggia 

Straniera  io  son,  colpa  è  di  Tebe:  odirini 
Nomar  qui  tale  io  non  dofrei» 
'M^U  Che  parli  ? 

Ote  nascati  ? 
Arg.  In  Argo. 

AnL  Ahi  nome!  oh  quale  - 

Orror  m' inspira  !  A  me  pur  sempre  ignoto 
•Deh  stato  fosse!  io  non  vivrei  nel  pianto. 
A'^S*  Argo  a  te  costa  lagrime?  di  eterno 

Pianto  cagion  mi  è  Tebe. 
Ant*  I  detti  tuoi 

Certo  a  me  snonan  pianto.  O  donna,  s'altro 
Dolor  sentir  ^che  il  mio  potessi  ^  al  tao 


SECOÌLO  DECIHOTTITQ  455- 

Io  porgerei  eli  lagrime  conforto: 
Grato  al  ùì\o  cor  fora  la  storia  udirne , 
Quanto  il  narrarla  a  te  ;  ma  non  è  il  tempo , 
Or  che  on  fratello  io  piango...  .« 

^rg,  AH  ta  se' de$sa  ! 

Antigone  la  sei...  .e 

^nt.  Ma'.,  •la... 

jtrg.  ,>Sei  desia. 

Argia  son  io,  la  vedòTa  infelice 
Del  tao  firatéi  più  caro.. 

u^ni.  Oimèl  •  •  •  che  ascolto  ? . . . 

^r^.  Unica  speme  mia,  solo  sostegno,  . 

'Sòreila  amata ,  al  6n  ti  abbraccio.  ->  Appena 
Ti  udia  parlar ,  dì  I^olihice  il  suono 
Pareami  udire:  al  mio  core  tremante  *■• 

Porse  ardir  la  tua  Toce  :  osai  mostrarmi  •  • . 
Felfce  me! .  ;  •  ti  trovo •  •  •  Al  rattennto     ' 
Pianto  deb!  lascia,  ch^io  tra' dolci  amplessi 
Libero  .sfogo  entro  al  tao  sen  conceda. 

Ani.    Oh  come  io  tremo!  O  tu,  figlia  di  Adrasto, 
In  Tebe?  in  qaeste  soglie?  in  man  del  fero 
Creonte  ?  • . .  Oh  vista  inaspettata  !  oh  vista 
Cara  non  men  che  dolor9sa  ! 

Arg*  In  questa  .4 

Reggia ,  in  cui  me  sperasti  aver  compagna 
(E  io  sperai  pur  io),  cosi  ini  accogli  f 

Ani»    Cara  a  me  sei,  piò  che  sorella  •..  Ah  !  quanto 
Io  già  ti  amassi ,  Polinice  il  seppe  : 
Ignoto  sol  m^  era  il  tuo  volto  ;  i  modi  ; 
L' indole,  il  core,  ed  il  tao  amore  immenso 
Per  Ini,  ciò  lattor,  ii^-già  aapea«  Ti  amata 
Io  già,  quant'egU  :  ma.  v^erti  in  Tebe 
Mai  non  volea ,  né  il  ve'*  .  • .  Mille  funesti 
Perigli  (  ah  trema  !  )  hai  qui  dintorno. 


4  36  LETTBAATOaA   1TALIAII4 

Arg^  Estinto 

Cadde  il  mio  Polinice,  e  vooi  eh*  io  tremi? 
Che  perder  più,  che  desiar  mi  resta? 
Abbracciarti,  e  morire.    - 

AnL  Aver  paoi  morte 

Qui  non  degna  di  te. 

Arg*  Fia  degna  sempre. 

Do?*  io  par  1*  abbia  in  sa  T  amata  tomba 
Del  mio  sposo. 

AnU  Che  parli?...  Oimè!...  La  tomba?... 

Poca  polle  che  il  copra,  oggi  si  Tieta 
Al  too  marito,  al  mio  fratello,  in  Tebe, 
Nella  sua  reggia. 

Ar^*  Oh  ciel  t  Ma  il  corpo  et  angue  •  •  • 

Ani.  Preda  alle  fiere  io  campo  ei  giace  •  •  • 

Arg^  Al  campò 

Io  corro« 

AnL  Ah  ferma  il  pie!  -  Creonte  iniquo  « 

Tamido  già  per  X  usurpato  trono  ^ 
I^^gg'  1  natura,  Dei,  tutto  in  non  cale 
Quell'empio  tiene;  e,  non  che  il  rogo  ei  ni^hi 
Ai  figli  d'Argo,  ei  dà. barbara  morte 
A  chi  dà  lor  la  tomba. 

Arg*  In  campo  preda     / 

Alle  fiere  il  nuo  sposo  ? ...  ed  \o  nel  campo 
Passai  pur  dianti  ! .  •  •  e  tu  vel  lasci  ?  •  «  •  Il  testo 
Giorno  già  Tolge  che  trafitto  ei  cadde 
Per  man  del  rio  fratello  ;  ed  insepolto 
E  nodo  ei  giace?  e  le  morte  ossa  ancora 
Dalla  reggia  paterna  escluse  a  forca 
Stanno?  e  il  sofire  una  madre  ?. .  « 

Aottgone  racconta  qui   ad   Argia   come   Giocaste 
quando  vide  rorteudo  frati^Icidio  «i  uccise^  e  come 


Creonte  cacciò  poi  ìq  banJo  il  cieco  Eldippo  *'.  A  me 
(  soggiunge)  fu  tolto  df  essergli,  come  avrei  volu- 
to ,  compagna  :  ma  forse  co»  ciò  mi  serbaron  gli 
Dei  alla  sepoltura  dt  Polinice,  giaccbè  qui  chi  ose* 
rebbe  rompev  la  legge  £  Creonte  ?  chi  se  non  io  ì 

^r^.  Chi  leco , 

€hr^  se  iloQ  i»,  potea^ffifider  l'opra? 
Qui  beo  ini  trasse  it  Cìeio'.  Ad  ottenerne 
'  Dà  tè  V  ansato  cenere  io  fénlva  : 
Oltre  mia  speme  in  tèmpo-  ancora-  io  giungo 
Di  riveder,  rf abbracciar  le  care 
Sembianze  i  e  queltà  cruda  orribit  piagai    '  •• 
Lavar  eoi  pianto ,  ed  acffuetar  col  rogo^ 
L'ombra  Tagante.^.»  Or  che  tardiam?  Sorèlla, 
Andiaane^  io  prima.  »• 

^nt.  A  santa  impresa  Tassi  ;^ 

Ma  ?  assi  a  morte  r  io  '1  deggio  ,  e  morir  veglio  : 
PJuIia  ho,  che  il  padre,  al  móndo;  et  mi  vien  tolto; 
Morte  aspètto  ,  e  la  bramo»  —  Incender  lascia , 
Tn  che  perir  non  dèi ,  da~  me  quel  rogo^ 
Che  coir  amato  mio  fratel  mi  accolga» 
Fnmmto  in  due  corpi  nh'  aWna  sola  in  ?ita  ; 
Seta  una  6amma  aacc^  le  morte  nostre 
Spoglie  consuini ,  e'  in  una  pol?e  nnbca» 

^rg.    Perir  non  deggìo?  Oh  che  di*  tu  ?  vuoi  ferie 
Nel  dolor  vincer  mei  Pari  in  amarlo 
Noi  fummo;,  pari^  o  maggior  io.  Di  moglie 
Altre  è  l'amor^  che  di  sorella. 

^/i/.  Argia, 

Tecb  non  voglio  io  gareggiar  di  amore  ; 
Di  morte  y  sì.  Vedeva  sei  ;  ipal  sposo 

1  Questo  ncconto  discof>da  da  quello  .de»  Mito^nifi ,  aecoudo  .i  ^ali  Gié- 
V  catta  li  uccise  tosto  che  seppe  di  essere  sposa  del  proprio  figliuolo ,  eds 
à    fidippo  fu  e«ilia(o  asiai  ptiout  che  Pofiiiice  ed  EteocU  si  uccidefiwo^  •. 

33» 


4  ss  LSTTÉaiTCRA    It^LllRA 

Perdesti,  li  so:  ma  tu  figlia  dqq  nasci 
D'incesto;  ancorala  madie  loa  respira; 
EsqI  non  hai,  oon  cieco ,  neo  mendico, 
Non  colpCTole  il  padre:  il  ciel  pie  mi  le 
Fratelli  a  te  .non  die,  che  T  un  dell' altro 
Nel  sangue  a  gara  ti  bagnasser  emp). 
Deh  ì  non  ti  offender  ,  t*  io  morir  ? o'  sola  y 
Io  di  morir,  pria  che  nascessi,  degna. 
DehI  toma  io  Argo...  Oh  noi  rimembri?  hai  pegse 
Là  del  Ino  alnor$  di  Polinice  hai  viva 
L'immagin  là  nel  tuo  ianciollo:  ahi  torna; 
Di  te  là  lieto  il  disperato  padre, 
Che  nalla  sa  di  te;  deh  ranno  ?  in  cpieslo 
Soglie  nnir  nom  ti  tide  ;  ancor  n*  hai  tempo. 
Contro  al  difieto  io  sola  basto. 
^rff.  •  • .  Il  figlio  ?'«  •  • 

10  V  amo,  ah  si;  ma  pnr  fooi  to  cl^'  io  fogga,^ 
Se  qai  morir  si  dee  per  Polinice  ?. 

Mal  mi  conosci.  — •  Il .  pargoletto  in  cora 
Riman  di  Adrasto  ;  ei  gli  fia  padre. •  Al  pianta 

11  crescerei ,  mentre  a .  tendetta  e  ali'  armi 
Nutrir  si  de\  -^  Non  ▼'  ha  timor  che  possa 
Termi  ia  vista  doU*  amato  corpo. 

O  Polinice  mio,  ch'altra  ti  renda 

Gli  allimi.  onori  ?  ..  •  • 
4#Af.  Alla  tebana  scure 

Porger  to  H  collo  vaqi? 
4lr^'  Non  nella  pena  ^ 

Nel  delitto  é  la  iofantia.  Ogoor  Creoate 

Sarà,  r  infame  ;  del  suo  Oome  ogni  nomo 

Sentirà  orror,  pietà  del  nostro  «•  . 
!^/i£«  E  tormi 

Tal  gloria  Tobi? 
^rgk  Veder  io  io*  il  mio  sposa ,, 


SECOLO    DECIMOTTITO .  4^^ 

Morir  M>Tr^«ssò*  -  E  to,  qnal  hai  to  drillo 
Di  cootenfliernit  il  n^to?  la,  eh»  il  Ttctesti 
Morire  ,  •  ancor  |»»r  yìvi  •-• 
utfnf.  •  Oiiiai  le  credo  , 

Non  «iiiore  di  me.  Por  m*  era  forza 
Ben  accertar  mi  pria  ,  qoftnlo  in  le  Ibsso 
Del  femminil  li  ai  or.  Del  dolor  Ino 
Nop  era  io  dubbia  ;  del  f  alore  io  V  era. 

Così  Antigone  e  Argia  cooosctutesi  di  pari  ardire 
81  avviano  a)  campo  io  cerea  del  corpo  di  Politiice« 

Intanto  Creonte  lagnasi  col  figlinolo  Enaone  che 
mentre  il  irono  di  Tebe  si  è  trasferito  dalla  Casa  di 
Lajo  nella  sua,  egli  si  mostri  afflitto:  ed^Emooe  che 
ama  segretamente  Antigone ,  cerca  dMndurlo  a  ritrat» 
tare  quella  sua  legge  troppo  severa  ed  ^oche  pe- 
ricolosa. In  questo,  mezzo  alcune  guardie  conducono 
legate  Antigone  e  Argia.  Creonte  s^  allegra  di  vedere 
Antigone  caduta  nella  réte  cU^  egli  le  ha  tesa.  Essa 
medesima  dichiara  al  Ite  di  aver  rotta  la  sua  legge 
accendendo  un  rogo  a  Polinice:  ed  egli  le  dice  che 
ne  avrà  il  guiderdone  promesso.  Poi  voltosi  ad  Ar- 
gia ch^  ei  non  conosce ,  la  domanda  deir  esser  suo. 
Antigone  vorrebbe  ch^  ella  mentisse  il  suo  nome  ^ 
vorrebbe  sottrarla  b1  pericolo  ;  ma  essa  francamente 
sì  appalesa,  e  sforzasi  invece  di  tirar  tutto  sopra  sé 
sola  lo  sdegno  del  Re.  Creonte  le  consiglia  a  cessar 
quella  gara  ;  entrambe  morranno;  e  solo  griacresoe 
che  Argia  non  abbia  condotto  &eco  anche  il  piccolo 
figliuolo  di  Polinice  per  ucciderlo  insieme  con  esse. 
Emone  più  che  mai  impietosito  cerca ,  ma  invàno  , 
distogliere  il  padre  da  quella  deliberazione.  Venuto 
a  colloquio  con  lui,  gli  domanda  fra  T altre  cose  se 
nel  (àr  quella  legge  avrebbe  mai  immaginato  di  ve- 
derla violata  dal  nobile  ardimento  di  due  donne  \  • 
Creoate  rispondo 

Odimi,  o  figlio; 


Kaltà  aKodJer  li  deggio*  -^  O  In  noi  Mpp«"»^ 
Of ver  noi  Togli  ^  e<  ii  mio  peii»ier  Iw  fiog^ 
Ifoo  penetrar  finora  y  aprirteli  bramo* -» 
Credei y  sperai,  che  dico?  a  fbrxa  io  ▼olliy 
€he  il  mio  difieto  ia  Tebe  a  ia&aoger  prima>^ 
Sola  ,  Antigone  fosse  ^  al  fin  V  ottenni  ; 
Rea  s' è  fati'  ella  ;  cMuai  la  inutil  legge 
Pia  tolta  ... 

Enuy.  Oh  cielo  f ...  E  tn  di  me  sei  pdire  ?  . .  » 

Crea*  Ingvato  figlio» . .  o  mal  esperta  forse^ 
Che  tale  ancora  ci'edertl  a  me  giova t 
Padre  ti  sono:  e  se  t»  m* hai. per  reo, 
U  son  per  te. 

Emo»  Ben  veggio  arte  esecranda. 

Onde  innaÌKarmi  credi.  —  O  infame  trono> 
Mio  non  sarai  tu  mai,  se  mio  de'fiirt»  - 
^    SI  orribii  mezzo.. 

Crea,  Io  'I  tengo ,  è  mio  tuttora  , 

Mio  qneslo  trono  che  non  tooì»  —  Se  al  padre, 
Qnal  figlio  il  dee,  non  parli,  al  re  In  parli. 

£//io.  Misero  mef.*.  Padre,...  perdona, ;^...  ascolta;... 
Oh  cieli  tuo  nome  oseorerai,  ne  il  fratto 
Raccorrai  della  trama.  In  re  tant' oltre 
Non  vai  poter ,  che  di-  naiora  il  grido 
A  opprimer  basti.  Ogni  oom -della  pietosa 
Yergioe  piange  il  duro  caso:  e  nota,« 
Ed  abborrìta  ,  e  non  sofferta  forse 
Sarà  tal  arte  dai  Tebaoi» 

Creo,  E  ardisci 

Ta  il  dubbia  accér  ,  finora  a  tutti  ignoto^ 

Se  obbedir  mi  si  debba  ?^  Al  poter  mio 

Altro  confin,  che  ii  voler  mio,  noo  veggio» 

Tu  il  regnar  non  m'  insegni.  la  cor  d*  ogni  noma 

Oghi  altro  afCetto»  che  il  terrore,  ia  tosto 

Tacer  iaròh,  > 


SECOLO    OECmOTTATO 

JSfHo»  Vani  i  miei  prieghi  adnoqaet 

Il  mia  sperar  di  tua  pielade  ?  •  • . 
Ovo;  Vano. 

jEfiio,  Prole  di  re ,  donne ,  ne  aodraiino  a  morte  ^ 

Perchè  al  fratello  ed  al  marito  haoD'  arso 

Dovuto  rogo? 
Creo.  Una  v*aodrà«  -  Dell*  altra 

Poco  rileva  ;  ancor  noi  ab» 
JStno.  Me  dimqne. 

He  par  oon  essa  manderai  la  a  morte. 

Amo  Antigone,  ^^ppit  e  da  gran  tempo 

L'amo;  e,  più  assai  che  la  mia  vita,  io  l'ama. 

E  pria  ehe  tormi  Antigone,  t'è  forca 

Tormi  la  vita.^ 

Creonte  attonito  a  questa  dichiarazione  del  figlio, 
poiché  vede  di  non  poterlo  ridurre  a  diroeniicare 
Antigone ,  accoglie  un  nuovo  pensiero ,  di  serbar;  io 
vita  costei  qualora  essa  sposi  Eoione.  Però  b,  c^ia« 
xnare  a  sé  Antigone. 

tJreo.  Vieni  :  da  qnel  di  pria  diverso  assai 
A  tao  fiivore»  Antigone,  mi  trovi. 
Non  chMo  minor  stùni  il  tao  fallo,  o  meno 
La  ingiunta  pena  a  te  dovuta  io  stimi  : 
Amor  di  padre,  più  che  amor  del  ginsto. 
Mi  muove  e  tanto.  Il  figliool  mio  mi  chiede 
Grafia ,  e  F  o,ttien  per  te ,  dove  ta  presta 
Fossi  •  •  • 

^ni»  A  che  presta? 

Créo*  A  dargli ,  al  mio  cospetto  « 

Fa  meritato  gaiderdon ,  la  roane. 

£fao,  Antigone,  perdona;  io  mai  non  chiesi 
Tanta  mercè  ;  darmhi  ei  vuol  i  salvarti 
Yogr  io ,  nuU^  altro. 

Creo»  Io  perdonar  ti  voglie» 


/^ffX  tETTBRATCftà   ITA.Lt41lft 

jéni.  M'  offre  grazia  Creonte  ?  -«  A  me  qual  altra 
Grazia  paoi  far  che  trucidarmi  ?  Ab  tormi 
Dagli'  occhi  tuoi  per  sempre  il  può  sol  morte  : 
Felice  fai  chi  te  non  rede.  -*-  Impetra  , 
Emone,  il  morir  mio;  pégoo  fia  questo , 
Sol  pegno  a  me ,  dell'  amor  tuo;  Deh  !  pensa 
Che  dì  tiranno  il  miglior '^dono  è  morte  « 
Cui  spesso  ei  niega  a  dai  ferace  ardente 
Desio  n'ha  io'cor*.. 

Creo.  Non  cangerai  tu  stile? 

Sempre  implacabii  tu,  superba  sèmpre, 
O  eh'  io  ti  danni  ^  o-  eh*  io  ti  assoh a ,  sei  ? 

uélnt*   Cangiar  io  teco  stil  ?  Cangiar  tu  il  core. 
Fora  possibil  più* 

JSmo;  Questi  m' è  padre: 

Se  a  lui  farelli ,  Antigone ,  in  tal  guisa , 
L^alma  trafiggi  a  me. 

^nt.  Ti  è  padre";  ed  altro 

Pregio  ei  non  ha  ;  ne  scorgo  io  macchia,  alcanà , 
Emoae  in  te,  ch'essergli  figlio* 

Creo.  Bada; 

Clemenza  è  in  me,  quài  passaggiero  lampo; 

Rea  di  soterchio  sei ,  nò  ornai  fa  d'  uopo 

Che  il  tuo  parlar  nulla  ri  aggiunga  • .  • 

jéni.  Rea 

Me  troppo  «nr  fa  V  inoontrastabil  mio 

Trono  che  usurpi  tu.  Va;  non  ti  chieggio 

Né  la  vita ,  né  il  trono.  Il  di  ohe  il  padre 

Toglievi  a  me,  ti  avrei  la  morte  io  chiesta, 

O  data  a  me  di  propria  lAanr  avrei'; 

Ma  mi  restava  a  dar  tomba  ài  friatello. 

Or  che  compiuta  ho  la  sant'  òpra ,  in  Tdne  > 

Nulla  a  far  mi  riman  :  se  vuoi  eh'  io  riva , 

Rendimi  il  padre. 


SECOLO    DECiaiOTTlTQ  4/,  3 

Creo.  Il  ti'oiio,  e  io  no  con  esso ,  .^  i 

10  l?.effro  ancor  non  abborrito  sposo;  ;^ 
Eìnoo,  che .  f  ama  più  che  non  <  mi  afoborrl , 
Gke  l^ama  più  cbe  il  proprio  padre,  assai. 

uént.  Se  noD  più  cara,  più  soffri bil  forse 

Farmi  la  fila  Emoo  potrebbe,  e  solo 
-  Il  potrèbb*  ei.  Bla  qaal  fia  yìU  ?  e  trarla 
A  fe''d'  appt^sso  ?  e  adir  le  iofeodicato 
Qmbre  de^  miei  «da  te  traditi  e  spenti 
Gridar  ?eadelta  dall'  averao  ?  Io ,  sposa 
Tran(|ailla^  in  braccio  del  fi^linol  del  crpdo 
EstirpAtor  del  sangue  mio  ?  • .  • 

€2reo.  Ben  parli. 

Troppo  fia  casto  il  nodo  :  altro  d'  Edippo 
.   I^igliuol  T'a?essel  ei  dì  taa  mano  illustre, 
Degno  ei  solo  sarebbe  • .  • 

^nt.  OrribiI  nome, 

Di  Edippo  i6glia!  *-  ma  più  infaiiie  nome 
Pia  '  di  Creonte  Jinora  ! 

JEtno.  Ah  la  mia  speme 

Vana  è  par  troppo  orna!!  Può  solo  11  sangne  ' 
Appagar  gli  od}  acerbi  rostri:  il  mio 
Scegliete  duoqae;  il  mio  Tersale.  È  degao 

11  rifiuto  di  Antigone ,  di  lei  : 

Giusto  in  te,  padre ,  anco  è  lo  sdegno  :  entrambi 
Io  ▼'  amo  al  par  ;  me  solo  abborrò.  Darle 
Vuoi  tu,  Creonte,  morte?  or  lascia  ch'ella,' 
Col  darla  al  figliuol  tuo,  da  te  la  morti. 
Brami,  Antigone,  arer  di  lui  rendetta? 
Ferirci  ;  In  questo  petto  (  eccolo  )  intera 
Avrai  vendétta  :  il  figlio  unico  amato 
In  me  gli  togli;  -orbo  lo  rendi  affatto. 
Più  misero  d' Edippo.  Or  via,  che  tardt.'^ 
Ferisci  ;  a  me  più  assai  trafiggi  il  core 
Coir  insultarne!  il  padre. 


444  LETTERlTOm   ITALIàVA 

Cr€0*  Ancpr  del  lutto 

Non  disperar;  più  che  il  dolor,  lo  sdegno 

Favella  in  lei.  -  Donna  «  a  ragiqn  dà  loco  s 

Sia  il  tuo  destino  in  te;  da  te  sol  petfdo 

Qneir  Argfa ,  che  ianC  ami ,  cmde  assai  daoltf 

Piò  che  di  to  medesma;  arbitra  lei 

D'  Emon  che  non  abborri ,  e  di  me  il  foi  » 

Cai  se  pnr  od ii  oltre  il  dover,  non  meno 

Oltre  il  dover  conoscermi  pietoso 

A  te  doTresti.  -  Intero  io  ti  concedo 

Ai  pensamenti  il  di  novel  che  sorge  t  * 

La  morte  o  Emooe,  al  cadec  suo  scerrai. 

Emone  rimasto  solo  con  Antigone  vorrebbe  per« 
suaderla  a  fingere  almeno  di  accettar  la  proposta: 
pensi  che  vìvendo  gioverà  al^  padre  ^  ad  Argia,  al 
figliuolo  di  Polinice:  che  il  tempo  potrà  recare  qual- 
che rimedio  al  suo  stato.  Ma  Antigone ,  sebbene  ami 
Emone,  non  si^piega.  Che  direbbe  JSdìppo,  che  di* 
rebbe  la  Grecia  se  mai  andasse  attorno  il  grido  (  e 
fosse  pur  falso  )  di  queste  nozze  ?  A  tale  risposta 
Emone  si  parte  come  disperato  da  lei,  protestando 
di  volerla  salvare  anche  contro  sua  voglia.  Aniigont 
affrettasi  allora  a  disingannare  Creonte  ^  dinanzi  a 
coi  si  fa  condurre* 

^2reo,  Scegliesti  ? 

jdnt.  Ho  scelto. 

Creom  Emon  f 

j^ni.  Morte. 

Creo.  U  a^raì,  ^ 

Ma  bada,  allor  che  jol  tao  capo  jn  alto 
Penda  la  score,  a  non  cangiarti:  e  tardo 
Fora  il  pentirti ,  e  Tano.  Il  fero  aspello 
Di  morte  ah  !  forse  sostener  dappresso 
Mal  saprai  tu ,  mal  sostener  di  Argfa , 


SeCOLO   DECIMUTTAT»  44  5 

Se  r  ami  y  i  ptaiiii  :  che  morirli  al  fianco 

OoTrà  por  eésa ,  e  la  cagioo  sei  sola 

Del  lao  morir.  -  Pensaci  ;  ancor  n^  hai  tempo .  • . 

Ancor  tei  chieggio.  -*  Or  che  di*  tu  ?.. .  Non  parli  ? 
I  Fiso  intrepida  guardi?  Avrai,  superba, 

Avrai  da  me  ciò  che  tacendo  chiedi. 

Doleami  già  d'  arerli  dato  lo  scelta 

Fra  la  tua  morte  e  1'  onta  mia. 
jénL  Dicesti  ?  ,- 

Che  tardi  or  più?  Taci,  ed  adopra. 
Creo.  Pompa 

Fa  di  corallo  a  senno  tuo  :  vedrassi 

Qoaiit*  è ,  tra  poco.  Abbenchè  11  ponto  ancora 

Del  tao  morir  ginnto  non. sia,  ti  voglio 

Por  compiacer  nel  raffrettarlo.  —  Vanne , 

Ettrimedpnte  ;  Va  ;  traggila  tosto 

Air  apprestato  palco  .  •  • 

Ma  ecco  Emone  entrare  ed  opporsi  al  decreto 
paterno.  Sulle  prime  egli  prega  e  consiglia  :  noa 
uccida  il  proprio  figliuolo  mandando  a  morte  co- 
stei :  non  si  esponga  air  ira  di  Teseo  che  già  si 
dice  nscito  d^  Atene  per  vendicare  i  tanti  Argivi 
iosepolti  :  non  si  «sponga  òì  fnror  de?  Tebani ,  che 
non  patiranno  di  vedere  la  figlia  dtk  proprio  re 
finire  sopra  un  infame  palco.  Ma  Creonte,  sdegna- 
io  e  ferai4>  n^l  suo  proposito ,  risponde  che  invierà  1 
a  Teseo  le  ceneri  degli  Argivi  ^  e  cbe  Antig<>ne  non 
sarà  f^tta  spettacolo  al  popolo^  ma  js^qlta  viva  nel 
campo.  Enione  allora  si  converte  alle/|uioecce^  e 
poiché  non  può  salvare  Antigone  colle  preghiere,  ò 
risoluto  di  salvarla  col  ferro.  Indarno  Creonte  lo  sgri« 
da  ^  indarno  Antigone  gli  dice  cbe  per  tal  modo  non 
potrà  mai  piacerle.  —  Creonte  non  sa  immaginarsi 
cbe  da  Emone  possa  mai  venirgli  alcun  male.  Piut« 
tosto    gli   par  necessario  non  inimicarsi  Adrasto,   e 

LITTUAT.  llJa.'-lV  38 


44^  LETTBBATURA  tTALl41f4 

però  vuol  rimanclargli  Argia  colle  ceneri  il  Polini- 
ce: ma  quando  costei  sente  che  Antigone  deie  sog- 
\  giacere  a  sorte  tanto  diversa ,  ricusa  le  piro|»08te  del 
Re  e  ?aol  morire  in  Tebe».  Se  non  che  invano  cerca 
di  resistere  a  Creonte^  cbe  a  forza  vuol  rin^iindarhi 
in  Argo.  À  forza  pertanto  ella,  porli^ndo  seco  P  nroa 
di  Polinice,  s^  avvia.  Nel^  uscir  della. reggia  s^pntrasi 
in  Antigone  condotta  al  sepolcrou 

Atti.  Qoa!  odo  io  voce 

Di  pianto?  •  •  «  . 

Ar^.  Ob  cieli  chi  veggio? 

j4nf.  Argia  1 

jirg^  Sorella  i . . . 

Oh  me  felice!  oh  dolce  iocoolro!  -«>  Ahi  vista! 
Carche  hai  le  man  di  ferro  ?  « .  • 

Ant  Ofe  sei  tratta? 

Deh  tosto  dimmi  •  •  « 

Arg.  A  forza  In  Argo,  al  padre. 

,Ant,  Respiro. 

Arg.  A  vii  tanto  mi  tien  Creonte , 

Che  me  vuol  salva:  ma  di  te..  •• 

Ani,  Se  in  voi^ 

^     fy.aardie ,  pnr  V  ombra  è  di  pietà ,  concessi 
BreTÌ  momenti  al  favellar  ne  sieno*  ~ 
Vieni ,  sorella ,  abbracciami  ;  al  mio  petto 

j,  Che  non  ti  posso  io  stringere  ?  d' Infami 

'  Aspre  ritorte  òrribilmeale  avvinta, 

M^è  tolto...  Ab!  vieni,  e  al  tuo  petto  me  stringi 
Ma  cbe  veggo?  qoal  pegno  al-sen  con  tanta   . 
Gelosa  cura  serri?  Un*  orna?...  Ob  cielo! 
Cener  del  mio  fratello,  amato  pegno. 
Prezioso  e  funesto  ;  •  •  ••  ab  tu  «ei  desso  !  -r 
Qoeir  urna  sacra  alle  mie  labbra  accosta.  -^  >  ^ 
Delie  calde  mie  lagrime  bagnarti    .    •    .  \ 


e 

r 


SECOLO  seCIMOTTlTO  ^47 

Concesso  m*^è  pria  di  morire! .  .^  /  Io  tante 

Non-  sperava ,  o.  fratello  ;  ••  •  ecco  F  estremo 
'  Mio  pianto;  a  te  ben  ie  lì  doTera.  -  O  Argi'a , 

'  Gran  é^ono  è  questo  :  assai  ti  fu>  benigno 

*  Creonte  in  eiò  :  paga  esser  dèir  Deh  torna 

In  Argo,  ratta;  al  desolalo  padre 
j  Beca.  cfìiest' urna  .  • .  Ah  viti,  al  figlio  titi  ; 

E  a  lagrlmar  soTr^ essa;  e,  fra.*,  i  taoi.*»  pianti m» 

Anco  rimembra  ^  »  .^  Antigone  •  »  • 
udr^.  Mi  strappi 

Il  cor  »  •  •  Mie  yoci  •  •  •  tronche. ..  dai . ».  sospiri. .  t 

Ch'  IO:  viva  ^  • ..  •  mentre  .  «.  •  a  morte  ?  •  • . 
^/l^  A  orribi)  morie 

Io  vado.  Il  eampo,.eve.  la  scorsa  Bol|e 

Pietose  faoamo  alla  grand'  opra  ^  or  debb» 

Essermi  tomba  ^  ivi  sepolta  viva 

jjlj^  Vi)ol  Creonte. 

^r^^ ,  Ahi  scellerato  T . . . 

^nt.        '  .  Ei  aceglfe 

Lff  notte  a  eiò,  perqb^ei  del  popol  trema.  - 
Deh!  frena  il  pianto:  va;  lasciami;  avranno 
Così  lor  fine  in  me  di  Edippo  i  figli. 
Io  non  meo  dolgo;  ad  espiare  t  tanti 
Orribili  delitli  di  mia  stirpe 
Bastasse  pur  mia  luoga  morte  f  •  •  »  > 

jérff^  Ah  teco- 

Divider  voglio  ii  rio  supplizio  ;  il  tiro 
Coraggio  ackioppia  il  mio;  tua  pena  in  parte 
Pia  sce^a  forse  ... 

Mille  volte  ^ria. 
jér§.  Moreoda  insieme 

Potremmo  almen  di  Polinice  il  nome* 
Proferire,  esortarci,  e  pianger  ..  •  •. 


4  '|8  iCTrCRATOKl    ITi^LUlTA  ^ 

AnL        (  Tacf  •  •  • 

Deh  •on  te!  fiir  ripiaDgere  !  • .  i  La  prora 
Ultima. or  fo  di  mia  costatila,  -f  II  piaoto 
Più  ornai  Dòn  freoo  •  •  • 

Aì^*  Ahi  !  laMa  me  ^  non  posso 

Sai  farli ,  oh  -cfel  I  bò  morir  teca  ?  •  •  • 

AnL  Ah  ▼rfJ. 

Di  Edippo  (a .  figlia  bod  sef  ;  bod  ardi 
Di  biasmerole .  amore  itt  éor  ,  com^  io  ; 
Deir  uccisóre  e  sperdi lor  de'  tooi 
Kon  ami  il  figlio.  Ecco  il  mio  fallo  ;  il  df^ggio 
Espiar  sola.  —  Emooe,  ah  tolto  io  sento , 
ToUo  r  amor  che  a  te  pprlava:   io  aeoto 
Il  dolor  tolto  a  cai  ti  lascio.  •«  A  «orto 
Vadaci  tosto*  *-  Addio ,  aorclla ,  «  •  •  addio» 

A  questo  colloquio  aoprarriva  Creonto. 

Creo*  Che  più  s' iodagia  ?  ancor  di  morte  al  4;ampo 
Costei  non  gionse?  Oh  che  mai  reggo?  Argia 
Seco,  è?  che  fa?  ohi  le  accoppiò?  «-  Di  foi 
Qua]  mi  tradisce  ?  . 

AnL  ,1  topi,  di  le  meo  crodi/f 

Concesso  :iii'  han  breri  moinentL  A  caso 
Qui  e*  incontrammp  :  io  corro  al  campo  9  a  morte* 
Non  t*  irritar ,  Creonte.  Opra  pietosa , 
Giusi'  opra  fai  »  serhando  in  rita  Argia. 

Arg.  Creonte  »  difh  seco  mi  lascid  ... 

Ant,  .    Ab  fuggi , 

Pria  che  in  Ini  cessi  la  pietà. 

Creo*  Sì  tragga 

Argia  primiera  al  soo  destino  •  • . 

Arg,  Ahi  erodi  ! 

Svellermi  roi  ?  .  •  • 

AnU  V  ultimo  amplesso  dammi. 


SSCQLa  IXECtMÒTTiT».  449 

CiietK  SlaKcbisl  a  fòrza  4.  si.^lrappi^  'isirasclnist  s    - 
;V'.To9lo  ol^bedite;  io 'i  voglto^  Itene* 

^rg,  t       Oh  cielo  I 

No9  ti /vedrò  più  11191  ?•>• 

^nt.  Per  sempre  «  •  «  •  addio  .  .  . 

Creo.  Or  per  qaeù*  altra  par.te  al, campo  scenda 

.Costei  •  •,.  Ma  do,  -^  Donde  partissi ,  or  tosto 
Si  ricondaca  e  entrate. .-  Odimi,  Ipséo*. .— > 
.  Ogni  prelesta  cpsi  toltp  io  spero 
Ai  malcentenli.  Io  ben  pensai:  cangiarmi 
Non  doTea  èbe  così  :  tatto  ad  un  tempo 
Salfo.bo  Qosl.  -  Reo  .mormorar  di  plebe 
Da  impazienza  naturai  di  frèno 
Naso»;  ma. spesso  ..di  pielà  si  ammanta. 
Ma  qua!  fragori  snona  d' intoroo  ?',.0h  d^  arme 
Qoal  lampeggiar  vegg^  io?  Clie  miro?  Emonc 
D^afmaii  eipio?*«^«  incontro  a  me  ?  -  Ben  venga; 
In  tempo  ei  TÌen.  <^  Figlio,  cbe  fai  ?   . 

JErno,  Cbe  figlio? 

Padre  non  bo.  D'  nn-  re  tiranno  io  Tengo 
L'empie  leggi  a  disfar,:  ma  per  te  stesso 
Non  tettier  tu  ;  cb'  io  ppnitor  non  vengo 
De'  tuoi  misfatti  :  a'  Dei  si  .aspetta  :  il  brando , 
Per  risparmiar  nuovi  delitti  a  Tebe  9 
Snudato  in  man  mi  sta.  ^ 

Creo,.  Coatro  al.  tuo  padre.* . . 

Centra  il  tuo  re  tu  in  armi  ?  -  11  pppol  trarre 
A  ribellar,  certo  è  noTcllo  il  mezzo,       . 
Per  risparmiar  delitti!  ..  .  Ahi  cieco,  ingrato 
Figlio  !  •  •  •  mal  grado  tuo  pnr  caro  al  padre!  — 
Ma  di'  ;  cbe  4:ercbi  ?  innanzi  tempo ,  scettro  ? 

Emo.  Regna ,•  prolunga  i  giorni  tuoi;  del  tuo 

Nulla  vogl'  io  :  ma  chieggo  ,  e  foglio ,  e  torre 

1  Gli  £iTeUa  alcant  Kvole  UT  orccclùo. 

3S* 


4^0  I.ETT£R\TVH4    ITaLIAIVà 

Sapi^omm}  io'  beo  ood  aoesti  miei.i  con  qneski^  • 
Braccio  ^  eè  a  forza  ,  il  mio.  Trar  di  toe  maBii 


Antigone  ed  Argia  .  • 


Creo,,  '  Che  parli  T  -  Oh  Mft 

Ardir  iniquo  ì  Osi  impAgoar  la  spada , 
Perfido,  e  contra  il  genitor  ta  f  osi'. 
Per  scior  dai  tacci  chi  dai  tacci  è  sciolto  ?  ^. 
Libera  già,  siili' orme  prime,  la  Argo 
Argia  rUoroa  i  io  don  ìa  mando  al  padre  » 
E  a  ciò  finor  non  mi'  mof ea ,  ben  vedi , 
Il  terrpr  del  tao  brando. 

Mmo*,  E  qaal  destina 

Ebbe  Antig;oBe  ?'.  . . 

CrfO..  Anch^ella  or  or  fa  Iralt» 

Dallb  tqaallor  del  sao  carcere  orrendo.. 

Emo.,  Of *  i  ?  vederla  TogKo. 

Cteo.  Altro  non  brami  ? 

J^mo.  Ciò  sta  in  me  soFo  :  a  che  tei  chieggo  ?  In  qoesb 
Reggia  (  benché  non  mia  )  per  brevi  istanti 
Posso  e  vogMo  dar.Iiegge.  Andiamo,  o  procN 
Guerrieri ,  andiam:  d^  empio  poter  si  tragga 
Regal  donzella ,  a  coi  tott^  altra  in  Tebe 
Si  dee  cl^  peosA  * 

Cy^o^  I  tnoi  gaerrier  soa  vani  ^ 

Basii  a  tanto  ta  solo:  a  té  chi  ùa 
Ch**  òsi  U  passo  vietare  ?  Eatra  ,  va ,  tranne^ 
Chi  vaoi  ;  ti  aspetto.,  io  viUpeso  padre, 
Qni  fra'  tuoi  forti  umfle,  infin  che  il  prodie 
Liberato^  n'  esca  „  e  trionfi^  ' 

Mni0^  A  schema 

Ta  parli'  fórse;  ma  davvero  io  parlo.. 
Mira,  ben  mira,  s^ io  pot  basto  aitando.. 

C»eo^  Va ,  va  ^  ^  Creonte  ad  atterrir  n^o.a  bastia. 

\  S*  a]^re  la  Me^a^.  e  4  ve4«  i^  9<ivpù  ék  jkatl^one.. 


SECOLO    bèeiMOTTÀTO  ^'ll. 

JSbwo.  Che  feg^gio? . ••  'Oh  cielo !. . .  ÀDtigooe.  •  «  Sfenala  j  - 

•Tiranno  io(%iiiie,  a  me  tal  colpo /^ 
Crea*  Alletto 

Co#i  l'orgoglio:  fo  fo  cosi  mie  leggi 
Servar;  cosi  fo  ravvedersi  «n  fig^io^   ' 
JBnu>^  Ravvedermi  ?  Ah  pti'r  troppo  a  te  simi  figlio  ì 

Casi  Dol  fossi!  in  te  il  mio  brando  •••  '•  Io  fluoro... 
Creo.  Figlio ,  che  fai  ?  t^  arresta.  -* 
Mino.  Or  di.  me  sentì 

Tafda  pietà ?". . .  Pbrtala  y  erodo  ,  altrove  • . . 
Lasciami .  •  •  d'eh  f  non  ftinestair  mia  mòrte  .  •  . 
Ecco  a  te  rendo  il  sangiie  tuo  $  meglio  era 
>    Non  darmel  mai* 
Creo*  Figlio r... 'ah  ne  atteslo  il  cielo... 

Mai  non  credei  che  un  folle  amor  t'  avrìa 
Contro  a  te  stesso  .... 
MnuK  y a  , . .  ^  cessa  ;  noa  Carmi 

Fra  disperate  ?mpFecaiioiu  orrende 
Finir  miei  giorni.  •  fo. .,.  ti  fai  figlio  in  Tita. . . 
Tu  9  padre  a  me ,  .^  «  .e  mai  noa  lo  fosti .  •  . 
Crea.         -  Oh  figlio  ! ... 

Emo^  Te  nel  dolore  e  fiet  i  rimorsi  io  hiscio.  -*■ 
Amici ,  iihimo  ufficio ,  •  •  •  il  moribondo 
Mio  corpo. »•  esangue 9.. ..  di  Antigone....  al  fianco 
Traggasi  ^  . . .  là  voglio  esatac  Y'  estrèmo 
Yital....  mio.\.  spirto.... 
Creo.  Oh  figliò. ••  amato  troppo !.m 

E  abbandonar  ti  deggiói?'  orbo  per  sempre 
Rimanermi  ?.  • ..  ' 

£//ia«  Creonte,  o  ist  sen  m^ immergi:    ' 

Uto^  altra  folta  il  ferrò,..',  o  a  lei  dappresso^ 
Trar . . .  mi . . .  lascia , .' ., ,  e  morire , ... .  V 

I  Si  avfenta  al"  padro  cpl*  brapdl». ,  na  iktautapaaiQfiote  fo  rìtoi^co    in  ^« 
•tasso,  e  cade  trafitto. 

4  YÙqjD  lenUmeulie  «tFBScimtP'  da'  siitn.  S4|[iuicvTeiap  il.coijK)  di.  4At>SpQ9»^ 


45^  vwvT^oATcaA  iiiim^A 

iDaìpellata!'  ^  .0.  W  iJeJcsle  •degao. 

Prii9f  •  tnsQieDda  gioslizta  di  sangae  «  •  •  • 

Por  giui^  al  fi<ie  •  «  •  b  ti  rarfUo^  -*  Io  Iremo. 

:     ?    .,  DALLI  MEaOPB. 

•  ■  '  •  ,      ■      ■ 

EgtiWréc^ilàfaa  a  Baik^fOt  w^  uedsù>M  eh,  fui /atta. 

I       ■  ' .  i    .  '    ...    . 

10  ia*era  al  ^ecobio  genilor  di 'farlo 
Sottrailo ,  incanto  \  e  già  piii  jtteai  attorni»  ^ 
Meo  , giva  ..ercai^do  per.  città  difer^e , 
Quando  oggi  al  fio  qai  m^a^Ti^va.  Un  pall^ 
Stretto  e  sojingo ,  4:Iie  ai  pedon  dà  via  . 
Luogo,  il  paip IsOf  con  velpd  piaole 

Yenfa  calcando  ^  impaziente  mollo. 
Di  porre  il  pie  nella  città  che  mostra. 
Hi  fea  da  lungi  ?aga  e  in  qd  pomposa, 
D^  alti  palagi  e  di  superbe  torri. . 
Qaand^ecco^  a  me, dì  contro  altr' aom  Tenirne^ 
Più  frettoloso  assai.  Son  d'  u^m  che  fiigge . 
I  passi  soci;  gioTÌn  l'aspetto;  gli  alti. 
Arroganti,  assoluti;  ei  di,  lontano  , 

Con  man  mi  accenna  ,  eh'  io  gli  sgombri  il  passo» 
Angustissimo  il  loco,  ad  uno  appena 
Adito  dà:' sul  fiume  atto  scoscende 

11  mal  sentier  per  una  parte;  V  ^Itra, 
Irla  d*  ispidi  dumi ,  assai  fa  schivo 

D'  accostarvisi  V  ocmio.  Il  modo,  spiacqoe 

A  me,  libero  nato,  uso  soltanto 

D'  obbedire  alle  leggi  ;.  e  a  ceder  solo 

Ai  più.  vecchi  di  me  :  m' inoltro  io  quindi» 

Ei,  con  voce  terribile  :  «  Ritratti, 

.     I  Si  copre  il  volto,  e  rtman»  imnwkbile  fiackk   Einoii*  lia  quici  a&ao 
fuori  della  visU  de^  spettatori* 


--^ 


8ICOLO   DEGinOTTATO  453 

f»  O  eh*  io .  •  •  »  mi  grida.  Ardo  di  sdegno  allora  : 

n  Ritraili  ta  n  gli  replico.  Grà  presso 

Siam  giunti  i  ei  caccia  un  siio  pugnai  dal  fianco  9 

E  so  me  corre:  io.  non  area  pogoale  ^ 

Ha  cor  ;  lo  aspetto  di  pie  fermo  ;  et  gionge  ; 

Io  sotteniro,  il  ricingo,  e  in  men  che  il  dico, 

L*  atterro  :  in?an  dibatlesi  ;  il  conficco 

CoD  mie  ginocchia  .ai  suol  ;  sua  destra  afferra 

Con  ambe  mani  4  ei  freme  indarno  ;  io  salda 

Glie  la  rattengo  ,  immota.  Quando  ei  troppo 

DefoiI  si  scorge  al  paragone  ,  a  finta 

Mercede  ?iene  ;  io  '1  credo ,  il  lascio  ;  ei  tosto 

A  tradimento  un  colpo,  qua!  qui  il  vedi, 

Mi  fibra;  i  panni  squarcia  ;  il  colpo  slriMia: 

Lieve  è  il  dolor ,  ma  troppa  è  V  ira  :  io  cieco , 

Di  man  gli  strappo  il  rio  pngnal  ;  •  •  •  trafitto 

Nel  sangue  èi'  giace. 

Polì/I  Assai  ta  se*  valente  ^ 

So  veritiero  sei. 

E^ts,  Troppo  mi  dolse, 

Sfaggito  apìpena  il  colpo  di  man  m*era* 

Non  oso  al  sangne,  io 'm^  avvilii ,  temetti; 

Che  far  tioo  mi  sapea  :  prima  il  coltello 

Lanciai  nel  fiame  :  indi  pensief  mi  venne 

Pur  di  lanciarvi  il  misero  ;  di  tórre 

Ogni  indizio  cosi ,  parvemi  ;  e  il  feci.  «^ 

Vedi  se  avvezzo  era  à*  delitti;  ahi  folle! 

G>sì  com'  era  insangainato ,  io  corsi , 

Senza  saper  dove  mi  andassi,  al  ponte. 

Ivi  da*  tuoi,  eh'  io  non  foggia,  fui  preso; 

E  qui  m^han  ttalto.  -  Io  nulla  tacqui;  il  giuro. 


4^4  •  LETTEBATORA   ITALlÀllà  ^ 

DAL    FILIPPO^ 

....  « 

Filippo  poUndò,  acca-tarsi  se  fra  Carlo  suo  fistio  etf  it^Matm 
Moglie  sussiste  realmente  una  corrispondenza  amorosa  %  U  ciem 
interrogando  e/ttnimbi ,  mentre  Gomez  suo  cor^idente  stiL,cofm- 
deretndo  i  moti  dei  toro  woltL  —  La  scena  comincia  da  Filippo 
e  Gomez  ;  poi  giunge  Isabella  »  ed  aW  uUìmò  anche  Cariò. 

FU,    Gomez ,  qua]  cosa  sorra  ogni  allra  al  nipodo^, 
^o  pregio  hai  to? 

Gom.  La  grazia  t.oa» 

FU.  *  Qaal  qietao 

Scimi  a  serbarla  ?  .  •  • 

Gom*  il  orezzo  I  ond^io  U  pHennijf 

Obbtdirti  ^  e  tacermi*  r 

FU.    >■  Oggi  tu  daaqae  > 

Far  r  ano  e  V  allro  dèi. 

Gom.  Novello  iocarc» 

Non  m*  è:  sai  eh*  io  •  • . 

FU.  Tu  fosti,  il  so,  fiaor» 

II  pia  fedel  tra  i  fidi  miei  r  ma  io  questo 
Giorno,  io  coi  volgo  ho  grao  pensiero  io  mente y 
Forse  affidarti  si  inìportante  e  nuoìta 
Car^  ddvrò,  che  il  tuo  dover  mi  piacque 
In  hrevl  detti  or  rammentarti  pria. 

CfOm.  Meglio  dunque  pQtcammi  il  grÀ  Filippo 
Conoscer  oggi. 

FU.  A  le  per  or  ^a  lieve 

Ciò  cVìo,  ti  iàipoDgp}  ed  a  te  $qI  Èa  lieve  t 
Non  ad  altr*  uom  giammai-  -•  Yien  ìa.-^re^^ 
Qui  fra  momenti;  e  favellare  a  loogQ.  ' 
9Ii  udrai  con  es$^  :  ogni  più  picciol  mota' 
Nel  di  lei  volto  osserva  intanto ,  e  nota  t 
Affiggi  in  lei  r  indaga tor  tuo  sguardo  ; 
Quello  ,  per  cui  nel  più  segreto  petia 


— -1 


SSCOLO   DEGiaiOTTATO  4 55 

Del  Itto  re  spesso,  i^nco  i  TÒler  pia  9scosi 
Legger  sapesti ,  «  tacendo  eseguirli*  . 

Jsah*  Signor ,  io  vengo  ai  cenni  tuoi,      r 
jPtA  t    .  Aegina, 

Alta  cagion  vuol  ch^io  t^app(slli. 
Isab.  .  .        Ohi  quale!^**. 

F*iL     Tosto  la  udrai.  -^  Da  te  sperar  poss^io?i.*^ 

Ha  9  <|aal  v"*  ha  dubbio  ?  Imparzial  consiglio 

Chi  più j  di  te  potria  sincero  dajmi? 
Isab»  Io,  consigliarti? 
FU.  Si:  più  il  parer  tuo 

Pregio  che  ogni  altrove  se  finor  le  enre-   ' 

Kon  dividevi  d^l  mìo  imperio  meco, 

Ifé  al  poco  ampr  de!  tuo. consorte  il  dèi 

Ascriver  tu ,  né  al  diffidar  tampoco 

Del  re  tu  il  dei:  solo  ai  pensier  di  Stato,   .  / 

Gravi  al  tuo  sesso  troppo ,  ognor  sottrarti 

Io  Tolli,  applenow  <Ma ,  per  mia  sventura^     - 

Giunto,  è  il;  giprno  in  coi  veggo  insorger  caso 

Ove  frammista  alla  ragion  di  Stato     ^ 

La  ragion  del  Qiio  sangue  anco  è  pur  tanto, 

Che  tu  il  mio  primoi  consiglier  sei  fatta.,  -«^ 

Ha  udir  da  te,  pria  di  parlar,  mi  giova ^ 

Se  più-  IreBoendo ,  Tenerabìl ,  '  sacro 

Di  padre^  il  nome ,  o  quel  di  re,  tu  stimi. 
Isab.  Del  par  son  «acri;^^  e  chi  noi  sa?...      '  \ 

FU.  ,       .  Tal,  forse),  | 

Tial ,  che  saper  più  cb' Altri  sei  dovrebbe.  -  ^ 

Ha,  dimmi;  inoltre  ,  anzi  che  il  fatto  io  narri ,  ] 

E  dimmi  il  ver:  Carlo,  il  mio  figlio,...  l*ami?... 

Orodj  tu?. 


.  . 


Jsmb*  :  Signor ... 

FU.  .■-..'  Ben  già  f  iatendo< 


4 

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é 


I 

% 


^56  LETTERATURA    ITALIlllA 

Se  èé\  Ino  cor  gli  affetti,  e  noo  le  foci 
Di  tua  firtude  ascolti ,  a  lai  la  setitl 
D*  esser  •  •  .  madrigna. 

Jsab.  Ah!  no;  tMoganni:  il  prence... 

FU.     Ti  è  caro  dnnqne:  in  te  firtude  adnnqae 
Cotanta  hai  tn ,  che  di  Filippo  sposa. 
Par  dt  Filippo  il  figliò  ami  d*  amore  •  •  • 
Materno.  ^ 

Isab.  A*  miei  pensier  lo  sol  sei  norma. 

Tq  r  ami, ...  o  il  credo  almeno; ..  •  e  in  simH  guisa 
Anch'  io  •  •  •  r  amo. 

Fi/.  Poi  eh'  entro  il  tao  beo  nato 

Gran  cor  non  cape  ii'madrignal  talento  , 
Ve  il  cieco  amor  senti  di  madre,  io  toglia 
Giudice  te  del  mio  figliuol ... 

Isab.  Ch^  io  ?..  • 

FU.  Wòdì.  ~ 

Girlo  d*ogni  mia  speme  ontoò  oggetto 
Molti  anni  fu;  pria  che»,  ritorto  il  piede 
'  Dal  sentier  di  virtode,  ogni  aha  mia 
Speme  ci  tradisse.  Oh  !  qoanle  voltn  lo  poscia 
Paterne  scase  ai  replicati  falli 
Del  mal  docile  figlio  in  me  cercava! 
Ma  già  il  suo  ardire  tem^arib  insano 
Giunse  oggi  al -sommo;  e  YÌolenti  meni 
Usar  pur  troppo  ora  degg^  io.  Deittlo 
Cotal  si  aggiunge  al  suoi  delitti  tanti  ;ì 
Tale ,  appo  coi  tatV  altro  è  nulla  ;  tale , 
Ch'  ogni  mio  dir  rien  manco.  Oltraggio  el  &moii 
Che  par  non  ha  ;  tal ,  che  da  un  figlio  il  padre 
Mai  non  T  attende  ;  tal ,  che  agH  occhi  miei 
Già  non  più  figlio  il  fa .  .-.  Ha  che?  ta  ^essa 
Pria  di  saperlo  fremi  ?  ...  Odilo,  e  frèmi 
Ben  altramente  poL  *-  dm  più  d'  un  lustro  ) 


SECOLO   DECIUOTTlfO  ^If 

Deli'  ocèia  là  sul  sepolto  lido 

Povero,  stuolo  .%  io  paludosa  tèrra. 

Sai  ^he  far  fronte  al  mio  poter  si  ^attenta.  • 

A  Dio  ,  noo  .  meo  elte  ài  <pn>prid  re',  rnbelii , 

Fao  ddl'  una  perfidia  all'  altra,  schermo. 

Sai  qaant'oro  e  sudore  e  sabgae  indarno 

A  questo  Impero  ornai  tal  guerra^  costi; 

Quindi,  perder  doiesst  e  trono . q*  Tita , 

Non  baldanzosa  ,  né  .impunita  ir  mai  * 

Io  lascierò  del  suo  delitto  atroce 

Quella  vii  gente*  -  Ai  cielTtttima  giuro 

Immolar  T  eoa  pi  a;  schiatta  :.  e  a  lor  ben  forza 

Sarà  il  morir,';  poiché  obbedir  non  sanno.  - 

Or,  chi  a  me  il  crederla  ?  che  a  si  fe^'oci 

Nemici  lèllj ,  il  proprio  figlio,  il  solo 

Mio  figlio,  ahi  lasso!  aggiunger  deggia  .  .  ', 

Isab,  'Il  prence?.  •• 

FiL     li  prence,  si:  molti ' }nttfréeltl  fogl^^ 

E  segreti  messaggi,  e  aperte  altei'e  ' 

Sediziose  voci  sue,  pur  troppo! 

Certo  men  fanno*  Ah  !  per  te  étesiia  il  pensa  y 

Dì  re  tradito  e  d' infelice  padre 

Qual  sia  lo  stato;  e  a  si  colpevol  figlio 

Qual  sorte  a  giusto  dritto  ornai  si  aspetti , 

Per  me  tu  'I  di'. 

Isab.  Mìsera  me  !  Vuoi  eh*  io 

Del  toQ  figlio  '  il  destino  ?  .  •  . 

FiL  Arbitra  odiai 

Tu,  si,  ne  »ei^  né  il  re  lemer,  uè  il  padre 

.Dèi  hisingar:  pronunzia-.  ^ 

Isab,  Altro  non  temo 

Che  di  offendere  il  giusto.  Innanzi  al  trono 

Spesso  indistinti,  e  V  innocente  e.  il  reo  • .  * 

l  Povtr0  <^. .  Accenna  U  guMra  dei  Ptesi  Bassi*    - 

UBirmAT.  iTAL.  -  ly  39 


,... 


I 


^58  tETT£niT1JR4   WkhtAVk 

FU.     Ha ,  dubitar  di  quanto  ì!  re  ti  afferma 

Puoi  tu?  Chi  pia  di  ne  non  reo  lo  brama? 
Deh  !  par  medtbser  ie  inalidito  accuse  ! 

Jsab.  Già  eotifÌDto  rhai  dunque?  .  . '• 

FU.  Ahi  chi  T potrebbe 

Convincer  maj  ?  Fero,  mperfao,  ei  sdegna. 

Non  che  ragioni ,  anco  prelevi  opporre 

A  chiare  prore*  A  lèi  parlar  non  toIH 

Di  queato  suo  novello  tradì inento. 

Se  pria  temprato  alquanto  in  cor  lo  sdegno 

Dal  bollor  prtaio  io  non'aveàr:  Ina  frlsdda 

Ragion  di  Stale,  perchè  Uc<}ia  Tira  , 

Id  ,  me  non  tace  . .  •  Oh  ciel  !  ma  toce  anch^  odo 

Di  padre  in  me  .  ^  \ 
fstth.  ,v.     \  0«h!  in  JVaécelta  :  è  voce 

Cui  nulla  aggaagtia.  Ei.> forse  &  assai  meo  reo; 

.    4^?*^  impossibil  par  che  in  questo  il  sia; 

Ma^  qoal  eh' e»  aia^  lo  ascolta  oggi  t<i  stesso: 

lotercessor  farsi  pel  ^figlio  al  padre, 

Chi  pio  del  figlio  il  '  può  ?  Se  altero  egli  era 

Talor  con  gente  a:l  v)er  non  tempre  amica, 

Teco  ei  per  cesto  alUer  non  fia  :  tu  acbiodi 

A  Ipi  I'  ofecchio,  j9  il  «or  dìsseri^  ai  dolci 

Paiernl  affetti.  A  te  non  mai  tu  il  chiami) 

E  non  mai  gli  farei  li.  Ei ,  pieno  sempre  - 

Di , mista  tema ,.  a  le  si  appressa  ;  e  in  duro 

Fatai  silenzio  il  diffidar  si  accresce, 

E  r  ^mor.  scema»  La  Tirlù  sua  prima 

Ridesta  in  lui  ^  se  pure,  è  in  Ini  sopita; 

Ch*  esser  non  puote,  in  dii  t' è  figlio,  esliold* 

I^è  altrui  fidar  le  paterne  lue  éure. 

Di  padre  a  lui  mostra  V  aspetto ,  e  agli  altri 

Serba  dì  re  ia  mdestà  severa. 

Che.  non  sj  ottiea.  con  generosi  modi 


9EC0L»  nEGiiron)TA?vo>  45^ 

Da  generMo  core  ?  Ei  cT  &Tcan  fallo 
Ileo  ti  par?'(<^i  Doo-ecra?)  A'tlortà'  sold    ' 
L'ira  tua  ginsla  a 'Ini.  solò  dimostra. 
.  Dolee  è  r  ira  d*  tin  padrè^  eppar  ^-qaal  figlio 
Può  DOQ  trèmaroe?  Un  sol  tuo  detto,  qb  detto 
Di  vero  padre,  in  imo  gran  cor  pia  debbe 
Destar  rimorMi,  e  «mh  rancor  la^iarTi, 
Che  cenlo  altrui ,  'maHgoameDte  ad  arte 
Aspri,  oltraggiosi.  Oda  tua  ìreggia  intera^  - 
Chiami  ed  appressi  il  figlio'  tao  ;  che  degno  • 
Di  biasmo,  e  in  un  di  scosa,  il  giovanile 
Suo  ardir  tu  stimi;  e  udrai  repente  allora 
La  reggia  intorno  risuonar  sue  laudi* 
Dal  cor  ti  «velli  ^  sospettar  àon  tuo  i         ' 
Basso  terròr'di  tradimentcr  infame,  ^■'■ 
À  re,  eh(Q  merti  esser  tradito ,  il  lascia. 

FiL     •  •  •  Opra  tua  degiia  ,  e  di  te  sola ,  è  questa  ; 
II  far  che  ascolti  di  natura  il  grido 
Un  coi[  paterno  ;  ah  !  noi  firn  gli  altri.  Oh  Irnla 
Sorte  dei  vel  Del  proprio  cor  gli  afielti, 
Non  che  seguir,  né  pur  spiegar,  ne  lice. 
Spiegar?  che  dico?  né  accennar:  tacerli,*' 
Dissimularli ,  le  più  volte  è  fòrza.  —  ; 
Ma  ,  vien  poi  tempo  che  diam  loiro  il  varco 
Libero ,  intero.  «-  Assai,  pi$  ebe  not  peAsi , 
Chiara  ogni  cosa  il  tuo  dir  fiimmi  ...  Ah!  quasi 
Innocente  ei  mi  par*,  poiché  innocente 
Credi  tu  il  prenoer  -*^  Ei  tosto^  o  Gomez,  i^enga.  — 
Or  vedrai  eh*  io  so  padre  anco  mostrarmi  ; 
Più  che  a  lor  mi  dorria ,  se  un  di  dovessi    ' 
In  maestà  di  oOesò  re  mostrarmi. 

Isab.  Ben  tei  credo.  Ma  ei  vien  s  soffri  che  ìt  piede 
Altrove  io  porti. 

FU.  Anzi,  rimani» 


46o  letteiutuha  italiaha 

Isahn.  Esporlt 

Osava  il  pensier  mio ,  pcrefaè  il  volevi^: 

A  che  rimango  omaì?  Teitimoo  Tano 

Tra  il  figlio  e  il  padre  ona  madrigna   A>ni  .  . . 

FU.    Vaoo?  ahl-t'  iogaiuii:  teslimoa  airi  iei 

Qai  necessario.  Hai  di  madrigna  il  nome 
Soltanto;  e  il  nome,  anebe'  ohllÌM'e  il   pool.  — 
Gli  fia  grato  il  tao  aspello*  EceoYo  :  ei  sappia 
Che  ti  fai  tu  mallerador  deir  alta 
Sua  .Tirili,  della  fé,  dell'amor  suo.  — 

Prence  •,  li  appressa* -Or,  di';  quando  fia  il  giorno,. 

In  cui  del  dolce  nome  di  figlinolo 

Io  ti  possa  appellare?  Io  me  Tedresti 

(  Deh  tn  il  volessi  !  )  ognor  eoo  fusi  i  nomi 

£  dì  padre. e  di  re:  ma,  perchè  almeno,  • 

Da  che  il  padre  non  ami ,  il  re  non  lenai  ? 

Car.    Signor;  nuova  m^  è  sempre,  ancor  eh*  io  l'abbia 
Udita  spesso,  la  mortai  .rampogna. 
Nuoto  cosi  non  m' è  il  tacer  ;  che  s*  io 
Reo  par  ti  appajo ,  al  certo  *ia  reo  mi  sono» 
Vero  è,,  che  in  cor  non  già  rimorso  io  sento. 
Ila  duol  profondo,  che  tu  reo  kni. estimi. 
Deb  !  potess*  io  cesi  di  mie  STentnre, 
O  ^  se  1^  te  piace  più ,  de^  falli  miei ,    .  • 
Saper  la.cagioD  Tara! 

/VA  Amor, .. .  »  che  poco 

Hai  per  la  patria  tua  ,  nulla  pel  padre  ;> 
£  il- troppo  udir  lusingatori  astuti;  .  .  » 
Non  cercar  de*  tuoi  falli  altra  cagione. 

Car.    Piacemi  almen  che  a  naturai  perversa 

Indole  ascritto  in  me  non  l'abbi.  Io  dunque 
Far  posso  ancora  del  passato  ammenda  ; 

2  Volgendosi  a  Carlo  «  eatrat»  già  sulle  scect*^' 


1 


SICOLO    DECIVOTTITO  4^' 

Patria  apprender  cos^  è  ;  come  ella  s*  ami  ; 

E  qnanto  amare  io  deggia  an  padre;'  e  il  mézzo 

Con  coi  abaodir  gli  adnlalor ,  che  tanti 

Te  tnsidiao  piìt,  qnaolo  hai  di  me  più  possa. 

JF«7.     GiatiD  lo  sei:  -  nel  eor,  negli  atti ,  io  voi  lo. 
Ben  li  si  legge  che  di  le  presomi 
Oltre  al  ^ver  non  poco.  Ja  te  degli  anni 
Colpa  il  terrei  ;  ma ,,  col  reair  degli  abni  »  . 
Scemare  io  ^1  senno ,  anzi  che  accrescer,  Teggio. 
L^  error  Ino  i*  oggi  ^  mi  gli>vanil  trascorso 
Io  'I  nomerò,  benché  attempata  móstri 
Haliaia  forse  .  •  » 

Car»  Error  t .  •  *  nto  ipiate  ?..  » 

FU.  E  il  chiedi?  - 

Or,  noi  sai  tu,  che  i  tuoi  pensier  pur  anco, 
KoQ  die  Topre  lue  incaule,  i  tnoi  pensieri, 
E  i  piò  nascosi',  io  so?  —  Regina,  il  fedi; 
Kon  Tesser,  no,  ma  il  non  sentirsi  ei  reo, 
Fia  il  peggio  in  lai. 

Car.  Padre,  ma  Irammi  al  £ne 

Di  dubbio  :  or  die  fec*  io  ? 

FU.  Delitti  bai  tanti , 

Ch'  or  ta  non  sai  di  quale  io  parli  ?  -  Ascotta  • .  • 

Là  dove  piò  sediziosa  bolle 

Empia  d'  error  fucina ,  ivi  non  hai 

Pratiche  tu  segrete  ?  Entro  mia  reggia ,  •  •  • 

Furti Tamente,  •  .  .  anzi  che  il  di  sorgesse, .  .  . 

AH*  orator  dei  Baiavi  ribelli 

Lqnga  udienza,  e  rea,  non  désti  forse? 

A  quel  malTagio  che,  se  ai  detti  credi. 

Viene  a  mercè;  ma  in  cor,  perfidia  arreca, 

E  d'  impunito  tradimento  speme. 

Can    Padre,  e  fia  che  a  delitto  in  me  si  ascrira 
Ogni  mia  menom*  opra?  E  Yer  che  a  luogo 


AH^«raÌor  parbt;  compiniisi ,  è  ver»^ 
Seco  di  que'  tuoi  saldili  il  deslioo; 
£  CIÒ  ardirei  pur  fare  a  te  davanli  v 
Uè  forse  d'ai  compiasgerli  ta  slessa 
•  Lange  saresti,  are  a  te  noto  appie&o 
Fosse  il  ferreo  regnar ,  per  coi  tao  ti  tmvA 
Gemono  oppressa  da  rohiishri  crocK  ^ 
Superbi,  a▼ar^,  timifli-,  inesperti,  :   •    »> 
*    £d-  impaniti.  In  cor  pietade  io  sevto- 
De'-  lor  mali  ;>  noi  niego  :  e  lo ,  f>brrest$  -. 
Cìi*  io,  di  Filippo  figlio,  alma  '  Tolge  re 
Avessi ,  o  cruda ,  o  vile  ?  In  me  ki  speme 
Di  riaprirti  aJla  pietade  it  core, 
Col  dirti  intero  il  Ter ,  forse  oggi   troppo 
Ardita  fo  ^  u»a  «onìe  ofiendo  io  'I'  padre 
Nel  repotarlo  di  pietà  capace?.*. 
Se  dei  rettor  àe\  cìeìe  immagto  Tera 
In  terra  sei,  che  ti  pareggia  ad  esso-. 
Se  non  fi  la  pietà  ?  --  Ma  por ,  s!*  io  ^  reo 
In  ciò  ti  àppajk),  o*  sono,  arbitro  sei 
Del  mio  gasligo.  Altro  da  le  non  chieg^  > 
€he  di  non  esser  traditor  nomato. 
PiK,'  NobiI  fierese».  ogni  too  dtetta  spira  •  •  • 

Ma  del  tuo  re  mal  penetrar  puoi  1'  alte    ■ 
Ragioni  lo,  né-  il  dèi.  Net  gioTÌo  petto; 
Quindi  fjfeafeir  cfoel  loo  boiler  t'  »  d*'  uopo,. 
-    E  quella  audace  impaziente  bram» 

Di,  non  richiesto,  consigliar;  dì  esporre. 
Quasi  gran  senno,  il  peosier  too^  Se  il  moada 
Veder  li  debbe,  e  renerarli  on  giorno  ./ 
Sovra  il  maggior  di  quanti  h»  seggi  Eoropa  S 

Ad  esser  caute-  apprèndi.  Ora  kk  le.  piace 

I  .  ■         •        , 

1  *It  maggior  «?•  *.  Fili^go  II  «ra.  s.^t:cecl^U>  «eli*  ùnmjeQAa.  moQ8r<:D 
f^\ì  Quiitio..  *  ' 


#eeOLO   DECIÙOTTi^O  4^^ 

Quella  bftldaiiea  ^  onde  trarresti  altera  • 

Biasmo  DOQ  lieve. .Ornai ,  beo  parmi,  è  tempo 

Di  caDgiar  stile.  —  In  me  pietà  cercasti, 

£  pietà  trovi  ;  ma  di  te  :  noa  tatU 

Degni  ne  son  :  delP  opre  mie  me  solò 

Giudice  lascia.  —  A  ;&Tpr  tuo  parlommi 

Or  dianzi,  a-  l^i^o,  e  non  parlommi  indarno , 

La  regina  :  te  degno  ancor-  cred^  ella 

Del  mio  non  men  che  del  suo  amore  •  .  .  A  lei  • 

Più  che  a  me ,  devi  il  mio  perdono  ;  ...  a  lei.- 

Sperar  frattanto  d^oggi  in  poi  mi  giova 

Che  tu  saprai  meglio  stimare  e  meglio 

Meritar  la  mia  grazia^  ~  Or  vedi  y  o  donna , 

Che  a  te  mi  arrendo  ;  e  che  da  te  ne  imparo , 

Non  che  a  scosare y:a  ben.  amar  mio  figlio»    « 

jfsah.  Signor  .  •  . 

jFitm  Tel  deggio,  ed  a  te  sola  io  H  deggro. 

Per  te  il  mio  sdegno  oggi  ho  represso,  e  in  suono 
Dolce  di  padre  ho  ì\  mio*  figlidol  garrito. 
Pur  eh''  io  pentir  mai  non  men  debba  ^  O  figlio , 
A  non  tradir- sna  speme,  a -vie  più  sèmpre^ 
Grato  a  lei  farti,  pensa.  -  E  tii,  regina,    ^ 
Perchè  pia  ognor  di  bene  in  meglio  ei  vada  , 
Più  spesso  il  Vedi,...  e  a  Ini  favélta ,'...' é  il  gnida.  -- 
E  tu,  la  udrai,  senza  sfuggirla.  —  Io  1  voglio. 

Car.  '  Oh  quanto  il  nome  di  perdon  mi  è  duro  ì  ' 
Ma ,'  se  accettarlo  pur  dal  padre  or  debbo  , 
E  tu  per' me,  donna,  ottenerìo,  ah  T  voglia    *      ' 
Il  mio  destin  (eh' è  il  sol  mio  ^llo  )  a  tate 
Vergogna  più  non  mi^  far  scender  maiw  :        * 

FU'     Non  di  ottenerlo,  abbi  miglior^  vergogiùk  - 
Di  meetar  la  dal  geni  tòr.  per  dono.      '  ■    ' 
Ha  basti  ornai:  va;  del  miocHr'fo  senno.  *-» 
BJedi,^  o  regina^  alle  loe  stanze  intanto  ^ 


He  rivedrai  ealà  fr^  breve  ;  or  deggio 
Dar  pochi  Ulamii  aA  altre  care  grekjl  ^ 

FU.    Udirti? 

CTo/n»  Udii* 

Fi7.  VcdcfU? 

Gom.  Io  Tidi* 

/*//.  Oh  rabbia  t 

Dunque  ii  sospetto  ?  •  •  • 
Gom*  È  ornai  certessa  •  •  • 

Fit.  E  i 

Filippo  è  ancor? 
Gofn»  Pensa  «'•  » 

FiL  Pensai  »  •  ^  Hi  a^ni. 

BAL   SàVfr» 

/2a(«K/  perseguitata  età  Saul  esce  ikìP  antro  m  cui  s^è  rìcoverata 
e  dà  f  ultimo  €tddh  a  Micol  sua  mo^U^, 

Mie,   Esci ,  o  mio  sposo  ;  vieni  ;  è  già  ben  oltre 
La  notte'.  . .  Odi  lo,  come  romoreggia    . 
Il  campo  ?  A 11^  alba  pogoerassl.  —  Appresso 
AI  padiglion  del  padre  ^  tatto  tace» 
Mira  ;  anco  il  cielo  il  tuo  fu^ir  seconda: 
La  Ittoa  cade ,  e  gli  nltimi  snoj  raggi 
Un  negro  ouvoi  cela.  Andiamo:  or  ninno 
Sa  noi  qoi  veglia.,  andiam  ;  per  questa  cbiaa 
Scendiamo  ii  monte ,  e  ci  accompagni.  Iddroi» 

Dai^,  Sposa ,  dell^  alma  mia  parte  migliore  , 
Mentre  Israello  a  battagliar  si  appresta. 
Pia  pur  ver  che  a  fuggir  David  si  appresta? 
Morte  cb*è  in  somma?  -  Io  vo*  restar:  mi  ucciw 
Saul ,  se  il  vuol  ;  par  cb'  i^  noopici  pria 
In  copia  uccida* 

I   Isabella  e  Caido  partono.. 
9L  iklpadre^  DI  Saul.. 


SECOLO   DECIHOTTAfO  465 

ÌItc.  Ah!  ta  non  sai  :  già  il  padre 

iDCominciò  a  liaghar  net  saogne  V  ira. 
Achimelech,  qui  •ritrovato  ,  cadde 
Vìttima  già  del  furor  suo. 

9as^.  ^  Che  ascolto  ? 

Ne^  sacerdoti  egli  ha  rivolto.il  hrando? 
Ahi  misero  Sani  !  ei  ($a  •  *  • 

[fic.  Ben  altro 

Udrai.  Cradel  comando  ad  Ahner  '  darà , 
£i  stesso,  il  re;  che,  se  in  battaglia  mai 
Ta  ti  mostrassi ,  in  te  oonvertan  \  arnii 

I  campion  'nostri. 

ya^.  E  Gionata  *  mio  fido 

II  soffre? 

tic.  Oh  ciel  !'die  poote?  Anch^ei  lo  .sdegno 

Provò  del  padre;  e  disperato  corre 
Infra  Tarmi  a  iporire.  Ornai,  beo. vedi, 
Qai  star  non  paoi  :  cedere,  è  forza  :  andarne  z' 
Lungi;  e  aspetiare.,  o  che  si  cangi  il  padre,: 
O  che  air  età  soggiacGÌa  •  •  .  Ahi  padre  cruda  ! 
Tm  '  slesso  ,  lo  ^  la  misera  tua.  figlb 
Sforai  a.  bramare,  il  falal  dì  .  .  •  Ma  pnre,. 
Io  no ,'  no'n  sbramo  il  morir  top  :  felice 
Vivi  ;  vivi ,  se.  il .  pooi  ;  bastami  solo 
Di  rimaner  per  sempre  col  mio  sposo.  .  • 
Deh  !  vieni  or  dunque  ;  :  andiamo  • .  . 

as^.  Oh  quanto  daolmi 

Lasciar  ta  pugna  !  Ignota  voce  io  sento 
Gridarmi  indoor:  u  Ginnlo.  è  il.  lambii  giorno 
9>  Ad  Israele  ed  al  suo  re  »>  •  •  •  Potessi  (  •  *  •' 
Ma  no:  qni  sporso  di  sacri  ministri 
Fu  r  innocente,  sangue s  impuro  è.  il  campo  ^ 

31,    ^hner»  Ministro  di  Sani. 

gt    Gionata»  Fratello  di  Blicol ,  e-  fevicist&ao  dS  ItaTÌde» 


466  LETTEAATQfU   ITA.LUHA 

Cofttainìoato  è  il  saolo;  orror  ne  sente 
Iddio:  pugnar  non  paò  qui  ornai  più  Dafid.  • 
Ceder  danqae  per  ora  al  timor  tao 
Emmi  mestiero  ed  all'  amor,  tao  scaltro.  — 
Ma  tu  par  cedi  al  mio...  Deh!  sol  loi  lascia... 
Mìe.   Ch'  io  ti  lasci  ?  Pel  lembo ,  ecco,  ti  afferro  ; 

Da  te  mai  pia,  oo ,  non  mi  stacco»*» 
Z)ac.  Ah  !   m*  odi. 

Male  agguagliar  tao!  tardi  passi  a*  miei    • 
Potresti  :  aspri  sentier  dj  sterpi  e  sassi 
Convien  eh'  io  calchi  eoa  yeloci'  piante , 
A  pormi  ia  salvo ,  poiché  il  vuoi.  Deb  1  come 
I  pie  tuoi  molti  a*  stranio'  iaositalo 
Regger  potranno?  Infra  deserli  sola    ' 
Ch'io  ti  abbandoni  mai?  B^  vedi  ;.  tosto. 
Per  tua  cagión ,  scoperto  io  fora  :  eatrambt 
Alla  ternata  ira  del  re  daiaati 
Tosto  or  saremmo  ricondotti  .  • .  Oh  c^o  !' 
Solò  in  pensarvi,  io  fremo  •  •  *  E  poniam  anco 
Che  si  fuggisse;  al  padre  egro  dolente 
Tor  ti  poss'  io  ?  Di  gaerra  in&a  le  angosce  ^ 
Faor  di  sna  reggia  ei  sta  :  dolipeasa  alcaaa 
Par  gli  fa  d' uopo  al  mesto  aalieo*  Ahi  resta 
Al  sao  pianto ,  al  dolore ,  al  fèror  suo» 
Ta  sola  il  plachi;  e  ta  lo  servii  e  il  tieoì 
Ta  sola  iB  vita.  Ei  mi  nfoi  spento  ;  io  ^1  foglie 
Salvo ,  felice ,  e  vi  nei  tor  .  •  •  ma ,  tremo 
Oggi  per  lui*  -  Ta,  pria  che  sposa,  figlia 
Eri;  né  amarmi  oltre  il  dover  ti  lice. 
Par  eh'  io  scampi  ;  che  brami  altro  per  ora  ? 
Non  t' involare  al  già  abbastanza  afflitto 
Misero  padre.  Appepa  giunto  ia  salvo^ 
Io  ten  farò  volar  P  avviso  ;  in  breve 
RXoniremci  ^  spero.  Or  »  se  mi  dolga 


SECOLO    DECÌftroTTvVO'  4<J) 

Pi  Abbandonarli ,  il  pensa ...  Eppure,' . .  «  ahi  lasso*!... 
Come  .^ .'  .  .  ^  » 

tcm  Ah  me  lassa!....  e  ch^io  ti  pèrda  aacord?... 

Al  passati  travagli ,  alla  vagante 
Vita,  ai  perigli,  alle  soUnghe  grotte, 
Lascivirti  or  solo  ritornare  7  .  .  .Ah!  s'io 
Tecq  almen  fossi  !  .  .  .  i  mali  tuoi  più  lievi 
Pur  iafei  »  •  •  %  divìdendoli  • .  « 
v<,  Ten  prego. 

Pel  nostro  aaior;  %^  k  d^^uopo,  anco  il  comando, 

Per  quanto  amante  il  possa;  or  non  mi  dèi 

Ne  pnoi  seguir ,  ftenza  mio  danno  espresso.  - 

Ma,  se  Dro  mi  ruol  salvo,  omaì  non  debbo 

Indugiar  più  :  1*  ora  si  avanza  :  alcuno 

Potria  da  questo  padiglion  spiarne , 

E  maligno  svelarci.  A  palmo  a  palmo 

Questi  monti  conosco  :  a  ogni  uom  sottrarmi 

Son  certo.  —  Or,  deh!  P ultimo -amplesso  oT*  clammi. 

Dio  teco  resti  ;  e  tu ,  rimani  al  padre , 

Fin  che  al  tuo  sposo  ti  raggiunga  il  cielo .  .  . 

il/ic.   1/ ultimo  amplesso?...  E  ch^io  non  muoja?...  Il  core 
Strappar  mi  sento  !  •  .  . 

Da\f»  Ed  io?...  Ma,...  frena  il  pianto... 

Or,  Tali  al  pie,  possente  Iddio,  m'impenna. 

GIOVANNI  FANTONI. 

Nacque  Sf  Fivizzano  nel  i755,  e  fu  educato  prima 
dai  PP.  Benedettini  in  Subidco  ,  poi  nel  collegio 
Nazzareno  di  Roma. 

Ritornato  alla  patria ^  si  trasferì  a  Firenze,  dov' 
ebbe  un  impiego  nella  Segreteria  dello  Stato;  poi 
fu  per  qualche  tempo  ascritto  alle  milizie  del  Re  di 
Sardegna  :  ma  non  lardò  a  lasciare  anche  la  pro- 
fessione  delle   armi    per   attendere  agli  stadi  della 


4  68  LETTEn  ATUBA  -ITILIaRA 

poesia  a  cui  veramente  era  palo.  L^  applauso  cì\*  egli 
ottenne  colle  sue  liriche  fu  universale  e  meritato. 

Quando,  sul  finire  d^l  secolo,  le  dottrine  repab- 
blicane  si  diffusero  dalla  Francia  in  Italia ,  .il  Fan- 
toni  le  abbracciò  con  tanto  entusiasmo ,  che  dioieD- 
ticando  persino  la  naturale  sua  amabilità,  mal  sapeva 
tollerare  chi  non  ne  fosse  innamorato  al  pari  di  lai. 
«Scrisse  allora  parecchie  poesìe  repubblicane,  ed  io 
Milano  ed  in  Modena  predicò  popolarmente  la  li- 
berta.  Di  qui»  poi  gli  venne  la  prigionia  e  V  esilio. 

TSeì  1800,  ritornalo  dalla  Fraacia ,  ebbe  neiP  Uni- 
versità di  Pisa  la  cattedra  di  Letteratura  italiana: 
ma  V  anno  dopo  gli  fa  ritolta.  Si  ricondusse  allora 
alla  patria ,  dove  fu  fatto  segretario  delP  Accademia 
di  Ferrara,  e  dove  poi  morì  nel   1807. 

Questo  Poeta  ò  più  comunemente  conosciuto  sotto 
il  nome  arcadico  di  Labindo. 

ODI. 

Al  Merito, 

.  -  ...» 

Cadde  Minorca  '  :  di  Crillon  la  sorte 
Ride  superba  fra  le  sue  raloe; 
Sprezza  di  Gade  sulP  Erculeo  .fine 

Elliot  la  morte. 
Del  GìOTe  Ibero  al  fulminante  ofgpglio 
Calpe  resiste  ,  e  air  ire  sue  risponde , 
Come  al  canuto  flagellar  deironde 

Marpesio  scoglio. 
WasiDgtoQ  cuopre  dai  materni  sdegni 

L'  americana  libertà  nascente;  1 

Di  Rodoey  al  nome  tace  il  mar  fremente , 

Temono  i  regni.  ' 

I  Cadde  ec, .  Molli  poeti  ripeterono  qaesto  peatiero  :  Jliri  canti  tm/tten 
gitenrsehej  io  iH>gllo  eelebrtve  le  pae^eke  vMk.  Il  Fa&tom  lo  ba  inquidclM 
modo  ringiovenito  citando  imprese  de'  suoi  tempi ,  ÌJBTe«e  della   folite  in 


CCCOLO    DCCiaf OTTAVO  4^9 

Hjder  ten-  fugge  ;  sa  i  trofei  britanni 
Siede  Coóte,  ma  le  schiere  ha  pronte; 
Crollano  ì  serti  aiiH*  incèrta  frónde  '         ' 

D^Asia  ai  tiranni; 
Altri  né  canti  le  guerriere  gesta;    - 
A  me  le  corde  liriche  inegaali 
Orror  non  scuote  con  le  gelrd^  al! 

D'  aora  funesta. 
Tessere  aborro  su  pietosa  lira 

Un  inno  lordo  di  fraterno  sangue; 
Sento  i  singulti  di  chi  piange  è  langue,  ' 

E  di  ciiì  spira. 
Kon  crescon  palme  sol  Castalio  rivo  ' , 
Né  il  fertil  margo  alto  cipresso  adombra  ; 
Prolegge  i  vati  con  la  docil  ombra  .    "  * 

Palladio  ulivo. 
Venite  al  rezzo  dei  be'  rami  suoi 
Della  natura  difensori  angusti  : 
Non  gli  ebrj  duci  di  rapine  onnstl  ; 

Voi  siete  eroi» 
Vosco  Pinello  *  presso  me  si  assida , 
Caro  air  amore  delle  Sergio  genti  : 
Già  eternalrice  per  le  vie  del  venti 

Fi^ma  lo  gnida. 
Cinger  gli  voglio  le  onorate  chiome , 
£  dove  morte  saettar  non  puote  « 
Oltre  il  confine  delPetà  remote 

Spingerne  il  nome* 
A  Ini  sul  volto  candida  tralnce 

L^ anima  bella  che  raocbiode  in  petto*, 

I  Skl  «e.  •  Sul  fittine  sacro  alle  Miue. 

a  II  maxtfhtfe  Giuseppe  Pindlo  Salvalo  cbe  aveva  con  lode  governata  la 
città  •  il  eoimnistariato  di  SanuUM. 

UntBIAT.  ITAL.  -  IV  4^ 


70  LBTTBRITURÀ   ITALUIIA 

Né  la  percaote  di  malnato  afieito 

Torbida  luce. 
Pradensa  il  guida  De'  dubbiosi  eTenti , 
Che  nel  futuro  con  cent'  occhi  guarda  , 
Pronta  nelfopre,  ne*  giiidizj  tarda , 

.    Parca  d' accenti.    • 
Il  braccio  gli  arma  di  severe  pene 

Giustìzia ,  ai  doni  e  alle  preghiere  sorda  ; 
Seco  è  Pietade  che  V  offese  scorda , 

L*  ire  trattiene  t 
Pietà  germana  della  fede  ,  a  cui 
Deve  i  costumi .  placidi  e  soavi , 
Piif  che  agli  esempj  e  allo  splendor  degli  avi 

Raccolti  in  lui* 
Né  spargo  i  versi  di  «entità  frode, 
Né  schiaro  rendo  il  faci!  mio  pensiero  ; 
A  Luni .  jMcra  e  air  immntabii  :  vero 

E  la  mia  lode* 
Me  non  seduce  V  amistà  ;  non  preme 
Bisogno  .audace ,  né  venal  timore; 
Stolta  oon  pooge  d^  insolente  onore 

Avida  speme* 
I^ibero  nacqui:  non  cangiò  la  cuna 
I  primi  affetti;  a  non  servire  avvezzi^ 
SprestaA  gli  avari  capricciosi  vezzi 

Della  Fortana. 

J  Giorgio  FianL 

Ozio  agli  Dei  chiede  11  nocchler  per  V  onde 
Del  vasto  Egeo*,  se  il  ciel  fremendo  imbruna f 
Se  negra  nube  minacciosa  asconda 

uli  iifttri  e  la  looa^   .<■ 

I  .^r^.  L*  Arcipelago. 


sxcoLa  DicnioTTifo  '  471 

Ozio,  Tfavrv  chiode  il  Medo  e  il  Tracie, 
Ozio  il  colf  ore  deir  Eoe  '  DiaVemme  ; 
Ma,  oh  Dio!  noti'  ponno  comperar  U  patie 

L*  oro  e  le  gemme;  '  '* 
Ooor,  ricchezza  a  dtssijpar  non  yafe 
Gli  aspri  tumnlti  dell'  amane  menti , 
E  le  folantl  per  le  regie  sale 

Cure  frementi. 
A  parca  mensa  vire  senza  affanno 
Chi  i  ctbf  in  Tasi  savonesi  accoglie, 
Né  i  cheti  tonni  a  disturbai  gli  Tanno - 

Sordide  Toglie. 
Che  mai  cerchiamo ,  sconsigliati ,  qnandcr 
Son  pochi  i  lustri  della  nostra  ètade? 
Cangiar  che  giova ,  dalla  patria  in  tanilo , 

Clima  e  contrade  ? 
Sale  la  naTe,  del  destrter  sul  dorso 
Con  noi  la  cura  torbida  si  assidè, 
Agii  qaal  cerTo ,  e  piik  Teloce  in  corsa        ^ 

D^Enro  che  stride. 
Godi  il  presente,  FaTTcnir  trascara. 
Soffri  gì'  insulti  deiraTférso  fato: 
Mon  puote  il  figlio  della  polré  impara  * 

'   Esser  beato. 
Nei  di  robusti  V  Alessandro  Sreco  ^ 
Cadde;  Vittorio  illanguidì  ?ecchiezza; 
He  obbha  la  morte  ;  mentre  fors'  è  teco 

Tutta  fierezza. 
A  te  sorride  per  la  spiaggia  erbosa 

Flora,  e  te  messi  più  d'  an  campo  adaoa, 

•« 

l  Boe,  OrientaU. 
a  lijigilo  te»  •  V  aomo. 

1  L»  ^«...«.«..ftv  0c, ,  omMU^yo^àMìto  ft  di  BrvwU  |  •  Tiuorio  AMedto  II 
t«  d«l  PiaaoBto» 


47^  LITTBBATOIIA   ITA  LI  AITA 

Vi  pres|o  in  dole  recherà   una  sposa 

K uova  fortuna. 
<hù  spirto  leDue  del  Ialino  stile 

A  me  ia  Parca  consegoò  benigna  , 
Ed  iasegnOmmi  a  disprezzar   la   ti  lo 
,  .Torba  maligna. 

Ad  alcuni' Critici, 

Hefii  * ,  tacete  :  mi  balena  io   vbo 

Del  Dio  di  Piodo  il  prò  focato  sdegnò. 
Empi  *  tremale  !  chi  deride  é   de^oo* 

D*  essìer  deriso. 
Veggo  r  insidie  preparate ,  sento 
Dei  detti  amari  il  fienoso  fiotto , 
Simile  al  finito  die  nei  scogli  rotto    ' 

Dissipa  il  Tento. 
Potrei  ponirTi^  ma  si  viiinoii  soao':- 
Spezzo  r  ultrice  Lìcàmbea  sSetla  >^    '     ' 
Dtrgai  oòd  siete  della  mia  Tendètt£|  .'•  -'"^ 

Io  vi  perdono. 
Il  rostro  biasmo  ia  ftrtù  nioa  morde^    > 
Muore  nascendo,  e.fcèdd^obbtfb  1'  assale; 
A  me  '  tusiojga- etiàrnilà  "cooir'ala 
.   .      Ij- itale  corde. 
Vivo  nei  boschi,  ore  abitar  san  ose 
D**  Ascra  le  Dive  ^  ;  voi  disseta  V  ooila 

Z  Mwii  chiama  i  critki  i|;nonuiti  6  ìasflenti ,  dal  oome  di  un  certo  Mev>o 
povero  di  merito  •  pieno  di  audacia  nel  crilioare  Virgilio  ed  Orazio. 

2  Lictonbea  ec. .   Archiloco  con  una  sua  satira  si  vendicò  di  un  torto 
evuto  dsy  Licaritbfe  f  e  la  vendiHAa  lìi  c«s|  fiera  v,"  che  tìcvAht  p«f  ^^P*'^ 

lione  1*  ttn^ccò. 

3  ji  me  ec.  j  cioè  :  Io  spero  di  vivere  eterno  ne*  miei  vèrsi* 

4  D'oserà  le  Dive,  Le  Muse.   —   Dicesi  poi  che  la  JagrinM  sf»ese  <»^ 
Ninfe  §■  dai  «Satiri  al  veder  Mafsii   se^rticglo   da-  Ap>UQ.  fecero  *•''** 
fiume  aelk  Frì|;ia;  •  questa  »  l*  onda  mesta  «''  J<i»*w. 


StCOLO  DBCUfOT'TàTd  47^ 

Ueflà  di  Mania  ;  V  aborrita  spenda 

Fuggoii  ìa^  Bf^ue. 
^    Cangiato'  in  cigno ,  riderò  dei  slòUi 

Figli  deF  fango  ;  senta  nome  intorno  ,^ 
Errar  dorrete  del  fatai 'soggiórno^     ■       ' 

Corvi  insepoltu 
Hi  ...  il  snel  Tacillal  fremon  V  «bre  •  inquiete , 
Jl  ciel  si  oséura!  fta  Torror  traloce 
Dei,  nembi  'va  sokb  di<  malSgna  tace  ( 

^  Mctìi,  tacete. 

ji  Salomone  Fiorentino. 

«    •      » 

Caolor.  dolente  della  prima  Sposa, 
Onor  dei  figli  d^  Isdrfiel  dispersi  , 
Perchè  non  désti  sa  fatidici  ^cpn    '. 

Ilali  versi  ? 
Agita  forse  del  Tirreno  in  riva      ' 
I  mesti  giorni  tuoi  cura  molesta  ? 
lovida- frode  il  meritato;  ser^o 

Rode  p  calpesta? 
Riocbesza  stolta  la  mercè .  dovute .  . 

Ti  nega. avara,,  o  insulta  al  Ino  lavoro; 
Mentre,  è  alle  Taidl ,  al  Peregrini  9.  ai  JS ufi 
.   .      .    Prodiga;  d'  oro  ? 
Sai  pur  qua!  premj  la  corrotta  etade  • 
Serbi  a  chi; saggio. di  vjltà  non  viva. 
Lode  non  vende,  o  di  peccar  maestre 

Storie  lascive?  * 
Fugga ,  o  si  celi  ;  anche  tacendo  offenda 
Set  ero  il'  giusto ,  alto  bersaglio  àlF  empio  f 
Scipio  a  Linfemov  n' è- Aristide  a  Egina  * 
«  .   .  Nobile  «tempio»  '» 

1  Se^9.ee*jùoìtt  V«  tono  ts^mpiaScIploa*  «tHiataà  Uali^«  s  jUi^ 
«iplida  tkà^Uoù  per  i*  o>tncÌMBO  ad  Euiiu» 

-  K 


/f 74  MTTpCRlTimA    ITALIANA 

Nel  feanpioi»  in  Irono ,.  osel  t^pulo*,  io 
Ila  pUsso.  ì|,.tUìo,  a^iclllà  grandeggia  , 
E  fra  i  sepolcri  la  f irtùi  negletla    . 

..   Mota  paleggia* 
FrnUo  (nnetlo  di  cptaiite-^iiolpo^        ^ 

Nacque^  m  l'Europa  devastò,  la  guerra; 
Oilda  Veodelta  di  fraterno  aasgoe . 

Tia«e.  la  Urrà* 
Kon  odi  ^  Aaiiea,  V  Efegfa  «he  piange , 
Lacera,  io^dai  o  acarmigliata  il  crìoe? 
Nirala  ;  siede  a  quel  ciprèsso  accabto  ì 

Fra  le  rolné. 
Archi  già-Mro,  e  del  domato  atondo 

TrofeLislioI;  or  li-riciiopre  Perbar 
*  Chò  la  ptà  parte  ne  ridusse  io  poire 
,  /       •  1j-  clè  sQperi>a, 

Perduta  gloria  de^  passali  tempi ,    * 
Tu  CI  Tinfaeci  il  nostro  onòr  sepolto; 
Kè  a  tanto  ob^fobrio  per  Vergogoé  abbassa 
9       i        '  Italia  il  volte* 
Si  scucita  .  p  ^  Ati  sento  mofmorisrnii  tnlorM 
Suono  p0i)$eate'  di  Tirfeo  *  la  vóce  !  ^ 
Ca^ta  rallenta  le*  sdegnale  oordis , 
.  •      .  Geàio  feroce. 

I  -  '.  .  ■         •  ' 

SCHITTORIVARIL 


•  • 


r  ■% 


GiAnATTiSTA  PAtToam  B(»to  in  Geoow  nel  l65o  •  morto  nel  I73a. 

>,'■■■■       .:>    i       4.  GtntHHL  ,  . 

Gano^  nÌAy  IO  ^coà  asdiiUo  dglia  • 

'  i.^iagato  e  guaito  il  tuo  bel  corpo  io  niiro, 

■'  '-  -^^Uti^  'pDca'piatà  d' tosrato  figlio^    /  ^  ^       ,^ 
Ma  robello  BSÌ^so|iibra  ogni  sospiro*. 

t  TfHtfOi  PoeU  siuffiero. 


'  •BGOV.O  OCCIKOTT&TO  $73 

Xn  mMestà  éì  tae  niTae  ammiro, 

trofei  della  costanza  e  del.  consiglio  : 

0«oii(|ae  rfljgotil.pisso^  4»  il  ignardo  giro« 

Inooatre  il. tuo  valor  nel  Ino  periglio. 
Pia. fai  d'-ogiii  «ittoria  nn  bel  soffrire;- 

E  eoniro  i  fieri  alta  vendetta' fai. 

Gol  vederti  distrutta  \  e  noi  leotire. 
Ami  girar  ki  Libertà  mirai, 

E  baciar  lieta  ogvi  rovina,  e  diret' 

Raine  ii ,  ma  aervità  Bon  nai. 

DoKimoo  LAnABixi  aac^  in  Morrò  pretto  Macerata  nel  l€68.  Fa  prò* 
fettòN'in  patria  di  gìttrìspmdenia«^),poi  di  lettere  greche  e  latine  neìì' U* 
nieiBNilk di Padfiuva «  dof»  MMri.ael  1734*  Come  precettore  e  come  aotto  di 
oltinap  gotto ,  fontribol  al  citorgiaì^to  deUe  leltese  italiane  pili  che  cogli 
tcrìtfi.  Fu  d*  ingegno  torero  e  d*  acre  indole,  ed  ebbe  gravi  controverti» 
col  Faodolati  è  coi  Getuitl.    ' 

Irr  iode  ai  Padova ,  in  cui  nacque  Tito  £iVio 
'•  morì  U  P^trw^a, 

'OvmiqQe  i^  vnlga  i»  queste  alme  bfial^ 
>  Plendicivtl-gaardo,  altro  non  veggo  intorno 

Cbe  Vero -ottor^  tanta  gloria  adomo, 
'    €bé  n*  «vrlt  invidia  ògnt  fotnra  etate.    •  * 

.    -    Là  naeqnè  ehi  dlEoma  aUe  pregiata  ' 
.Of>re  diede,  scrivendo,  eterno  giorno  ; 
jSjebbè,  al  par.  degli  eroi ,  n* ebbero  scorno 
Le  gredie spenna  d*  alto'stile  ornate* 
>  Qna  cbiàse.  i  giorni  II  pie  tSavo  ^gno 
-       -    €JisM  mai  spiegasse  in  altro  tempo  it  canto, 
Ondò  il  nome  di  Iia«ra  alto  rimbomba. 
O  eoUi  avventofosi!  «  éiel  benigno!  j 

'   ^    '  O  pregi  fftemi  !  qoaiito  cbiar i  e  qnaaifff       -    ■  ^  i 
-Sibto-  per  si  grottxnlla  o  si  g^An  tomba; 

OibÒlaxo  TAOLiAzucott,  anQQTerato  dal  Tirabotcbi  Jra  i  pia  btmmftiU. 
rUtomtori  éeWitaUatM  ietUratm,  nacque  a'Modena  il  la  noYembre  1674^ 
èmè  f«  GMwefiiert  nelU  Segretaria  del  daea  RinUdo  1 1  •  poi  ^MVclro  ^t 


*  I 


».j 


47  ^  LBTTBBATnKA  ITALIAHà 

liogoa  greca  nel  Collegio  dei  fifolnli*  Tenne  poi  nel  I7a3  «  IClnna 
prÌTeto  istitutore  «  e  fu  maestro  anche  della  celebre  Maria  Gac^anA  Agnesi. 
Il  Re  di  Sardegna  nel  17:^  lo  fece  professerò  'di  eloquensa  0  di  lingns 
greca  nelV  Univ«rsitk  di  Torino.  RiUmato  nel  17^  dia  patria,  tì  ■aori  od 
1751  il  primo  giorno  di  maggio* 

Importanza  4^Uo  appr^^AH  a  JcriWr  hene» 

Questa  irec^asità  di  seri  vere,  «  scrifielr  bene,    facciasi 

6a  nelle  prime  aoaole  a*  principknli  capire,  usaado  ogoi 

studio  e  cura  per  eccitare  negli  aotimi  loro  la  cognizione 

del  debito  che  ciascun  ha  di  fario*  Si  debln^no-  pertanto 

o.  sterpare  e  sradicare  dalle  menti,  se  già  ne '.sono    ii» 

befute;  o  prevenire,  se  non  sono,  e  impedire  che  se  ne 

imberano,  i  pregiudizj  comuni;  e  le  cantilene    di  .  molti 

|>adri  deridere:  i  quali  pip  che  alla  buona  iaslitammec 

perfetta  coltura  de' figliuoli,  pensano  al  presto  guadagno; 

i  molti  a?eri  lasciati  o  da  un  teologo  o  da   un    arrocato 

0  da  un  medico  che  né  questo  studio  della,  nostra  lin- 
gua ,  ne  della  greca  ,  né  della  geometria  fecero  mai , 
portando  in  esempio*  Dicano  pure  a-  posta  loro .  queste 
ed  altre  cdte.  Può  égli  un  pregiudiaio  e  ^n  ajmso  afer 
forza  di  ragione?  Chieggo  loro  se^  in  gran  pericolo  0 
della  roba  o  delta  ?  ita  trorandosi  {  desidererébbono    che 

1  avvocato  il  quale  a  ^tf^nder  prendesse  la  lite,  con  mag- 
gior forza,  con  miglior  ordine,  con  più  dbìinta  chiarezza 
dell'  avvocato  contrario  le  .sojb  ragioni  esprimet  sapesse. 
Kol  negheriinno,  credalo.  E  se  noi  piegano,  sappiano  che 
il  vantaggio  il  qual  avrebbe  la  scrittura  del  loro  avvo- 
cato sopra  quella  delf  avvocato  contrario,  tutto  dallo  stu- 
dio e  d^Ua  perfezione  nell'  apparare  a  bene  scrivere 
acquistata,  proverrebbe.  Lo  s|eÌBo  é'del  medico*  Non  vor- 
rebbono  essi  che  imparato  avesse  tutto,  ciò  che  alla  co- 
gnizione deir  infermità  e  dd  rimedio .  opportnm»,  potesse 
servire  ?  e  non  vorrebbono  ancora ,  trattandosi  di  con- 
sultar medici  forestieri,  che  una  relazione  scriver'  sapesse 
^ebe  fosse  beo  cQneepita ,  beo  disposta  i  chp  chlt^aneale 


•scoto   DBCIVOTTArO    :  4.77. 

spiegasse,  seosa  ambigailà  e  «oaFusioneffo-stalor^'  lécir-> 
cestacize  del  mate  ,  la  cura  e'  i  rtmedi  ?  -  Se  coét  ir#rffeb«< 
bono,  sapptan  di  Raevo^  cbe  ciò  dallo  studio  delle  n'màihe'i 
lettere  provietie.  Ma  it  chiaro  lame^doHa  ragione  .  non' 
détta  e^Ii  à  chi  che  sia,  che  in  ogni  .cosa,  che  si  ià\y 
massimamente  s*  e|la' d  di  coosegneoàa  ■  e  importanze,  y  la» 
maggior  perfetibaedìligeoleiiieote  eercair  si  deb?  Le  ikià-'i 
terie  e  i'  pensieri  sono  certamente  la  sostanza  e  .la  ,liàsei 
d'  ogni*  discorso  :  :non  si  pnò  per  altro  negare  che  Irà-  due* 
seritture  contenenti  i  medesimi  pensieri  e  té  stesse- ina* > 
terie',  1*  nna  delle  quali  sia  tersa-,  pnltta ,  ciii^rs,  chet 
metta  come  sotto  gli  ooehi  con  efficacia  lo  cose  'mèdest*' 
me,  e -piti  aflaménte  e  ordinatamente' Inpresaa  iìesls  nella ^ 
mente  degli  Mcbitalori  o  leg^^ri,  coH' eccitare  in  -essi.> 
in  ttitCa  la  foro  grandezza  o  picìciolezza  le  immagsnr eier 
Idee  delle  medesime  coie^T altra,  rozza,  per  non  dif' 
irMIanai,  ^lena*  d' iaspropnetà  é- d'errori^  kbmpoàta,  tor^i 
bid»,'  sgraziata  ,  -che  appena  &  .  mteaiere  qiitefo  basta  >' 
(  Se  anche  basta  )  cid  ehe  lo  scrii  tote  root  dire  ;  quella  ^ 
dhferénia  non  passi,  che  si  nota  «tra  P.  ombre  e  la  luce*  <. 

.Gi^AntriKT^o  ZAifatTi.na«qu«  (^l  CipYaani  Andrea ,•  copilo  mo^K» ,• -di 
Margherìu  Enguerra  )  a  Parigi  a'  3  di  ottobre  x^^  >  poi  venne  colla  fami* 
glia  a  stabilirli  in  Bologna  dove  mdrl  nel  1765.  '.    •>      *  ^        \ 

^         •        .    fiitraUo  di  Eustachio  Manfredi, 

iEra' Eustachio  di  statura  mediocre,  e  di   ginsia.^pro-  ^ 
porzione  ibroiaio:  .e.  quando,  cresciuto  in  età  ,   cominciò 
a  .ferii  .pingue,  acquistò  certa  grafita  cl^e  ben  gli  sta?à, 
ma  nriika  sempiie  ad  un' aria  dolca  e  «oare,  c(ie  lo  facea  , 
cosi  amare  come  per  lo  «apcre  era  stimato.  Era  di  Tolto  ^ 
bello: assai r  <*><>  ^^  una  bellezza  o^aschile;   e  questa  canr, 
«ovvó   sempre ,  quanto  il  potè  permettere  il    variar   del-. 
1'  età.  ATea  gli  occhi  vivi  e  perspicaci  quanto  possa  a?er- 
si,,  la  fronte  altissima;  ed  era  di  un  color  forte  e  Tjvaqs 


47 S  LETTERATURA   ITALIillA 

e-  qoal-  dovrtbbesi  mar  da  «n  pittore  che  persona  geo^ 
le,  ma  roboata  e  ben  ceinpleasa  v  volèise  espriqUere.  Area 
beUnsime  mani^  ed  nn  suono  di  voce  argenteo  e  so^t» 
Mmo;  e  parbifa  e   aUeggiara^    ma    aenza    alcon'  ombra 
d*  affettazione,  con  la  maggior  grazia  del  mondo,  Yestifi 
da-  ano  pari,  e  non  ^  più,  e  con  tal  portamento  sciolto 
e- libero,  che  mostrava  non  tener  conto  di  apparire  ò$ 
molto  per  qnello  che  intorno  s*  avesse  :  e  vérameiite  ^11 
Bm  aUiisognava  di  pomposi  veslimenti  per  farsi    tenere 
quello  eh'  egli  era ,  bastando  adirlo    di  qaalanqoe    cosa 
ngionare,  per  conoscerlo,  e  averne,  la  debita  rivercfiiza^'.. 
Era  al  sommo  liberale,  e  non  lasciò  inai  che  alc»n  sei^ 
▼ig>o  gli  lòsse  prestato  senza  qualche  abboadanto   merce» 
de,  e  spesso  andie  eccedente.  Ova  si  trattasse  di   con  vi* 
vere  con  gli  amici,  non  badava  dispendio,  o   fosse  nel- 
r-albergarli  seco  in  villa  ^  ò  nel-  trattarli  alla  sua    messa 
in  città.  Una  tal  largita  può  dirsi  certamente  che   takn 
fosie  anzi  difetto  che  no ,  da  che  senza  usarne  in    cptal 
foggia  ',  avrebbe  potuto  cumulare  non  poco,  e  isnoi  pia 
agiati  lasciare;  acquali  pero,  la  Dio  mercè,  nulla  mao- 
ca ,  e  sono  anch'  essi  di  ciò  che  loro  basta  ooiitenti  :  tot* 
tovia  il  difetto  notato  e  tale  che,  se  non  la  lande,  T af- 
fetto altrui  si  traggo  dietro:  e,  per   usar  d^una  libertà 
più  da  poeta  che  da  storico ,  dirò  che    la    Natura  ,    nel 
formarlo  ,  meditò   di    fare    un    uomo  il  più  amabile  del 
móndo;  e  perchè  debbo  chiunque  è  nato    i    suoi   difetti 
aVero,  volle  che  anche  tali  difetti  egli  avesse,    che  ansi 
che  pregindicargli ^  accrescessero  famor  verso  Int.,.  Egli 
nfò  i^mpre  rlvereuza  «oq  tutti,  «omplimeoti  brevi  e  brevi 
cerimonie  ;  e  il  tutto  fatto  Cosi  faziosamente  che   ninno 
né  fu  bojato  giammai.    Era   nemico    deir  aóiil«h«uia^^    e 
non  dico  che  mai  non  l'adoperasse,  da  che,   sapeod» 

S  Sèiaa  wtimt  #c.>  ctocr  :  -Qnakfa  «oa  Sh»  «t«lQ  coi!  libtnla» 


SEC<[>LO    OEGiafOTTvfO  ^f^ 

che  •*  ebbe  pratica    cod    personaggi  grandi  ,•  ninno    m^^ 

crederebbe;  eonciò'ssiachè   non   sì   può  con   questi    lene^' 

commercio ,  che  lÈon  s' aduli ,  passando  cotal  broUo  visio 

presso  de*  gran  signori  per  creanza   e  rispello  (  dal    che 

ifiiasce  che  sempre   più  nella  lor  cecità  e  nel  ior  difell» 

ni  stabiliscono);  ma  n*è  ilato  certamente  paroo  quanto  ha 

potuto ,  e  r  adoperò  sol  quftndò  la  necessità  e  la  aogge« 

zione  lo  costringeano ,  che  fale  a  dire   quando  -  f  adola* 

tìone  o  non  è  colpa,  o  l'è  certaiiieate  più  di  colui  eh* è 

adulato,  che  dell'  adulatore  •  •  •  Era  la  poesia  italiana  a* 

giorni  suoi ,  dopo  ristorata  alquanto    dei    danni   per  un 

secolo  intero  sofferti ,  rimasta  si  languida  e  poterà  tnf* 

tafia ,  che  molto  le  bisognava  ancora  acquistare  per  rU 

mettersi  nel  primiero  suo  stato;  e  certamente  tra  i  primi 

che  la  sua  fera  bellezza  le  rendessero ,  dee  porsi  Eusla* 

chio;  e  le  sue  rime,  e  il  sapere  in  qnal  teknpo  ie-^éom- 

ponesse ,  il  fa  manireslo.  Non  Tolle  però  mai  farsi  akunia 

gloria  di  questo  miglioramento,  né  si  senti  mai  che  per 

maestro  volesse  spacciarsi;^  ma  con  I' esemplo  il  buono. è 

il  migliore  insegnava:  e  cosi  adoperando,  quell'applauso- 

ne  ritraea.  che 9  facendone*  pompa,  forse  da  non  pochi  gli 

fora  stato  contrastato  e  negato;  ma  umilmente  il  contri^ 

Yio  facendo ,  a  rsomma  gloria  pervenne,  e  s'acquistò  quel 

gran*  nome •  ehe  anche  gli  dura,  né  fin  ora  s'è  prodotta 

'  cosa  qbe  il  possa  oscnrare.  Egli  trovò  il  modo  di  piacere 

a  tutti  ;  oonciossiaebè  quel  moko  lioono  alla  poesia  ritom 

nando  cbe>  avea  perduto,  di  quel  poco  buono  non  lasva* 

'  ali  che  aneho  ne'  pessimi  tempi'  avea  ;    non   aSettando^ 

-  éome  alcuni,  una  mortai  nemistà  a  lotto  ciò  che  dagF  ìm^ 

-gegtti  del  passato  secolo  venne  prdOotto;  perlochè   potè 

-piacerò^*  e  con  diriUnra^  a  coloro  ehé  slima  andie  fa>* 

eeano  ddle  poc'  anzi  preterita  lettere ,  come ,  e  vie  pia 

maggiormente , ,  li  qpdU  dtie  |.e  o^tiine  cose,  sanno  asiapora* 

re.  -  Kon  vi  fa  nomo  di  lui  pia  piacevole  nelle  coiiTena* 


^8a  UTTBRATOaA   ITALIAITA 

ttoni ,  ma .  sempre  codforwe  ai  loio^  e   alle    persone  ;  « 
per  questo  moUo  fa  io  esse  desiderato;  e  trova  odo    egli 
noo  poco  piacere    Dell*  aoconiseotire    all' altra!    inchieste, 
molto  in  sua  giova ntzaa  le  praiicò  *,  e  facea  spesso  prandi 
e  cene  eoa  «mioi,  ma  semprie^  spoi  pari,  e   per    lo    piò 
lettefatL  •  De'  soot  motti  graziosi  e  delle  sae  graziose  fa- 
eesìef  di  etii  anche  in  età  matofa,.ma  con  rarità,  -eoo- 
diva  i  suoi  fiimigliari  ragiònamenii ,  non  si  può  dire  ab* 
bastansa.  Bisognava  '  però  per  goderne ,  essere  mollo   soo 
domestico;  da  che  con >.poch issimi  giocondamente  e  scber* 
zevolmente  usava ,  coociossiachè  con  le  persole  non  tanto 
familiari  adoperava  serietà  e  gratilà  \  lieta  bensì  e  piena 
di  grasiosi  mòdi ,  •  ma  non  mai  tale  che  potesse    movere 
a  riso  9  abborrendo  egli  piò  che  la  morte  il  buffoneggiare 
cbe  alcuni  fanno  in  ogni  luogo  e  in  .ogni    tempo.    Par- 
tendo in  tal  guisa  le  sue  maniere ,  era  grato   a    tutti    e 
da  tutti  estimato.  Molti  poi ,  con  cui  domesticamente  non 
trattò  giammai  y^  sentono  con  istupore  cbe  fosse  talora  co* 
tanto  lepido  e  giocondo  ;  e  alcuni  ,  cui  si   sono  nioslrale 
nicone  sue  lettere  piene  di  burle  e  di  faceiie  le  più  ri- 
devoli  del  mondo  ,  appena  bau  creduto  che  giugnere  avesse 
•potuto  a  tal  segno.  Egli  era  cosi  fatto,  che  sapea  perfel- 
lamente  a  qualunque  occasione  adattarsi,  e    sempre  così 
naturalmente  che  quello  che  allora  ostentava ,  parca  V  vf 
-oico  p  principal  suo  carattere  ;  quando  lo  era  *  di  usar  di 
^alti ,  e  sempre  bene;  e  in  tutti  tralucea  sempre  T nomo 
«di' egli  era.  Meco  e  co*  suoi  talora,  fingendo,  facea  rac- 
eontamenti  bellissimi  per    ostentar    nobiltà,    riccbezsa    e 
maeftà  da  monarca;  e  tutti  ne  facea: sganasciar  di  rida- 
re s  ma  nel  medesimo  tempo  $i  ammirava    con  •  che  bd- 
4' ordine  di  tali  beffe  tessea^  piene  per  lo  più  di  bellis- 
simi: traiti .  di  storia  e  di  geografi»  e  d*  altre  tiose  ;  onde 

1  te  praiici.  frequentò  ,  eome  suol  din! ,  I«  6oiiVtfsaiioBÌ. 
s  QmmiI»  tCé .  Mtnm  ìnvec*  il  tuo  carattow  «n  di  se.  • 


secoLo  DSciaiaTTATo  4S1 

poteasi  da  cosi  fatte  burle  apprendere  e  cqme  farne  delfe 
beile  e  piaCeToIi,  e  senza  mordere  alcuno,  e  come  anche 
in  così  fatti  giuochi  sia  di  diletto  e  d'  onol*e  la  cognizione 
delle  cose  belle  e  degne  da  sapersi.  ^  Stando  con  gli  ami- 
ci ,  era  poi  al  somino  inchincTole  a  tutto  ciò  che  agli 
altri  piacea  ;  e  quando  non  avessei  voluto  fare  alcana  co« 
sa  ,  con  tanto  e  cosi  pnlito  e  grazioso  modo  se  ne  sot- 
traea,  che  data  piacere  quanto  dato  n*  avrebbe  P  altrui 
dimanda  soddisfacendo.  Egli  poi  non  violentava  alcuno 
giammai  a  far  cosà  eh*  egli  desiderasse  ;  anzi  era  solito 
dire  nelle  sue  domestiche  conversazioni:  Ognuno  dee  far 
qnel  che  gli  piace,  che  cosi  alcun  non  si  no^a';  e  questa 
è  massiina  ottima  a  f^r  che  cotali  intcrtenimenti  sieno 
durevoli.  -  Questo  è  finalmente  quèll*  nomo  che  perdette 
Bologna  •  V  Italia ,  e  T amico  che  io  perdei. 

A  Sionne, 

E  crollar  le  gran  torri  ,  e  le  colonne 

Scuotersi ,  e  infrante  al  suol  cader  le  porte, 
E  i  sacerdoti  di  color  di  morte 
Gemere  ^  e  V  alte  vergini  e  le  donne 

Squallide,  scapigliate  e  scinte  in  gonne, 
Coi  pargoletti,  infra  dure  ritorte, 
Ir  dietro  ial  vincitor  superbo  e  forte , 
Mirasti ,  e  ne  piangesti ,  empia  Sìonne  ; 

E  il  Ciel  d*  un  guardo  in  van  pregasti  allora  , 
Desolala  citta,  su  i  dolor  tuo!. 
Sola  sedendo  1^  lai  ru'ine  sopra; 

Ma  di'  :  Fra  tanti  guai  pensasti  ancora 
A  un  Dio  confitto  in  croce ,  a  tanti  suoi 
Strazi  che  sol  dell*  iuéf  mao  soa  opra  ? 

•  ■ 

UTTZU.T.  ITI!»  —  IT  4' 


^t^  LITTEIUTimA   rrÀUAllA 

TiiBSA  Zavi  WogDcsc  nacque  nel  i683  e  morì  nel  175S. 

Di  quattro  lustri,  e,  come  sod,  dlsciotla 
Dai  genitori  mi^i  cbe  terra  or  sodo. 
Posso  a  mia  foglia,  o  saggia  siasi  o  stolta ^ 
O  pietade  impetrare  o  alraeii  perdono. 

Piacemi  la  mia  rete  !.  a  cfa^  io  soo  colta  : 
Garzoa  di  ?iso  ogoor  modesto  e.  prouo  , 
E  chiamo  il  Ctel ,  che  i  giuramenti  ascolla  , 
Cbe,  s' ei  sposa  m' accetta,  a  lui  mi  dono. 
.    C^be  r  ioridia  dirà  ?  Famosi  e  chiari 

Ari  ei  noD  fanta  al  par  di  me;  ma  nacqne 
Tal  che  dpfria  di  me  tanfarli  al  pari  : 

E  poi  sacro  ha  V  ingegno ,  e  poi  delF  acque  » 
Bee  d^  Elicona ,  c|  poi  d\  onesti  e  rari 
Atti  adorno  mi  apparto,  e  poi  mi  piacque. 

FiRSAiro*  AscToirio  Gbsoiki  nato  in  BolofM  nel  1684  mori  nel  X76B. 

Sopra  Roma, 

Sci  pur  tn,  par  ti  reggio,  o  gr^ a  la^iofi 
Città,  di  cui  quanto  il  Spi  aqreo  gira. 
Né  altera  più,  né  più  onorat^i  mira, 
Quantunque  jnvolta  nella  tua  ruloal 

Qaes|e  le  mura  son,  cui  trema  e  inchina 

Pur  anche  il  mqndo,  non  che  pregia  e  ammira! 
Queste  le  vie  per  cui  con  scorno  ed  ira 
Portar  barbari  re  la  fronte  china  ! 

E  questi  'che  ?'  incontro  a  ciascun  p9ssQ , 
Avanzi  son  di  memorabii  opre, 
Men  dal  furor^  che  dalfetà  secùri! 

1  Ln  mia  reu  ec.  •  Eia  innamonU  del  poeta  Zeppi. 

2  Dell'acque  ec. .  È  poeta. 

^  Men  dal  ee,s  cioè;  Opere  alle  quali  più  nuoce  il  furore  degli  ttomiui, 
^  il  corco  del  tempo. 


SECOLO    D^OlflOTTAfo'  ifis 

Ma,  iD  taplà  slìMige,  or  «Uni' addila  e  scopre 
In  fif^  spirto,  e  non  io  l^roazo  o  ìq  sasso. 
Una  reliqul»  4i  Fabrii^l  e  Cprj  '  i 

*■  '  ■  »  *'  »  • 

Paolo  Rolli  nacque  in  Roma  nel  168^^.  FÌi  precettore  di  lin^  iulian^ 
presso  la  real  Coite  di  Londra,  dovè  traduueil  Parti^so  perduto  del  Milton. 
Ritornato  nel  1747  in  Italia ,  fermò  irl  sao  soggiomo  a  Todi  nell'  Umbri*  , 
«  quivi  mod  nel  1767.  Oltre  alla  versione  già  detta  «ccitM  due  MeJodram* 
mi  :  Is  ras  Mais  peraltro  èra  quella  d*  Ànacreonle.  ^ 

Za  Lontananza» 

Solitario  bosco  ombroso, 

A  te  viene  afflitto  Cor, 

Per  trovar  ^oakbe  riposo  ^ 

Fra  i  lileiui'io  .qoesl!  orror« 

Ogi^>  ^So^^^  ^'l^''^'*'^'  piace. 
Per  me  UclO' più.noo  è  s     -   f  ' 

Ho  perduti!  Ja  mia  pace^, 

SoD  io  st/Bsso  in:  odio  a  me» 
La  mia  Fille*y  ìi  aoio  bel  (beo. 

Dite  ,  o  piante ,  è  forse  qui. ? r   • 

Abt  \  la  -ceiu»  ia  ogai  loco; 

E  por  SO:  oh'  ella  parli» . 
QaaBle  volte,  #  Aonde  .graie, 

La  Toste' ombra  ne  eopri  « 

Corso  d'  ;ore.  ai  bSate 

Qaanto  rapido  fuggii 
Dite  almeno,  amiicbe  fronde y 

Se  il  mio  beo  piò  rivedrò: 

Ab  t  che  r  Eco  .mi  risponde, 

E  mi  par  cbe  dica  t  No^ 
Senio  nn  doloe  raormoriof 

Un  ^ospir  forse  sarai 

Uà  sospir  deU'  idoi  mio,» 

Cbe  mi  dice  i  Torneri» 

I  Una  reìUiuki  «0.  •  Va  «riiiio>  di*  irift«»4  «illidSii;  foniiifi ,  9N&  <ii^ 
lOBo  Fabfisio.  »  Curi**- 


4^4  LSrrEIIATORA    ITlLtAti 

Ali  !  eh*  è  il  snóit  dai  no  dia  frati j 
Tra  quei  sassi  il  fVesco  nanor; 
E  non  mormora,  m»  piange  • 
Per  pietà ,  del  mio  dolor. 

Ha  se  lorna ,  ybqo  e  tardo 
fi  rilomo,  oh  Dei  f  sarà; 
Che  pietoso  il  dolce  sguardo 
Sol  mio  cener  piangerà. 

Se  tn  m*  ami ,  se  sospiri 
Sol  per  me,  gentil  paslor; 
He  dolor  de'.'tQoi  martfri^ 
Ho  ditello  del  tao  amor« 

Ma  se  peoM  che  splelto* 

10  ti  deliba  riamar, 
Paslerelloy'sei'  sogg^Ho  <  ' 

-  Facilmeote  a  I*  Ingannar.  • 
Fu  .già  caro  un  solo  ai|iaiite  % 
Or  quel  lenpa  non  è  ()iu9 

11  mio  sesso  ò  meé  ooMaole,  ' 
Peroké  il  fosMie  ha  men  virlvk  ' 

Bella  rosa  porporina     ' 
Oggi  SlUfO  sceglierà*;^    ^ 
Con  la  scosa  della  spina 
Do  man  poi  la  sprezzerà» 

Più  di  lotti V  amnUI  core. 

Chi  di  nói  ^ò  mai  vi^ntar?  ' 
Non  perchè  I*  allMIa  na  fiore  v 
S*  hanno  gti  altti  a  dtspi*ezMr. 

Scelgo- questi^,  scélgo  qnellèi, 
Mi  dilettò  d'ogni  fior; 
Questo  par  di  qdel  pi  ir  belle,' 
Qoel  di  qneAlo  ha  ioegli<ir  pdpr^ 


De'  nìb  scelti  e  hen  senratr 
•i  Uà  bel  setta/ poi.si  fa; 

E  sol  crine,  0  a4  < sei» 'por tali, ^<:  '  •'  "   ' 

Famao  i^lIusU-e  la  {»eltà«  , 


«p 


•) 


Degli  ainori  con  fa^scblerii         .-,.,> 
Corooala  d'erfae  è  fior    *  !.*,..;  i  !« 

T-o  riloroi  ^  Prioiarera  ^  .       «i^u    ..     .  *.  a.; 
Naova  gioja  d*  ogni  cor  9 -> 

Uè  per  me  no.  lo  non  tornio- 
Dolce  tempo  di  giofr;  •  *■: 
E  il  diletto  de\ttiot  giorni'"' 
Sol  rinnoT?  il  mio-'ma«tlr»  ''^i 

Cbi  diccami  :  r  O  cara  ,  io-  beliamo 
€e  noni  m'antìv  'io  morirò  :  "-"^ 
Com' 10' più  ' non- fossi  quella > 
Infedel  !  m^'abbandooò^  '  >  .  i   .    *  •  -m 

Sul  mi  dice,  quando'  parte  e 
Deb!  soliefa^il  tuo 'dplor|i 
Per  gli  attori  sol  di  Marte: ^     .  .         .' 
Lascio  i  mirti  dell' Amor.  :  f*       '  < 

Una  fita»enaa' gloria*'    ••'■•:.  ';  • 

Non  ti  merita  ,  mio; 'ben  r   •  ^  ->  .'.   i 
Degno  pia  dalla  vittoria    'i- 
Tornerò  nel  Ino  belaseli.' i  •*'<    > 

Bel  desio  d'  illustre  fama*        <i  ,    ^  *  •* 

Or  m'invita  a  goerre^^giar*^-'»  •  -      * 

Ab  crtedeie!  qàand|»-a' aw^, 
Non  si  pensa  ebe-  ad  ainar.  i^> 

Dissi ,  svenili  ;  ed  il  crudele  '  ^- 
Pnr  ni  volle  afbbabdoi^ar: 
Mi  riebbi,  è  a  gonfio-  vrio<> 
Vidi  '1  legno  in  '^Ito  man  "t* 

4^* 


4        •  >  A 


j    iO. 


FftAvciMa  MabiA  Zàs«tti,  fbteitodi  Gianpìetro,  iiac^pi»  «ei.  primi  giotm 
<lc1  16^1  fu  «omo  di  Tariota^m;  W  fce!l^iAgi6^ott  •  H  ottimo  gutt. 
Mori  in  9o1o|;m.%|4ì  «5  muf*»  1^777- 

Id^  liei  filòsq/o  perfetto, 

■ 

Io  mi  fono  aftsai  volte uleco  stesso  maravigliato  p«r  cpal 
cagione,  aveiido  tanti  eceelleiitisMiai  scrittori  descritta 
chi  in  «a  genere  e  chi  ki  iitt  altre  la  forma  deirot- 
tirnn,  in  cai  gli  .uomioi.. riguardando  <:pQosGer  meglio 
potessero  la  lor  OMineaniie,  «  correggendosi  a  norma  di 
cjnelia ,  farsi  piq  perfetti  e  oùgliori  \  a  njuno,  eh*  io  sap- 
pia, sta  venuto  in  animo  di  descriver  la  forma  del  fiJo« 
sofo  perfetl issine».  Porche:,  eam&nciando.  dai  tempi  antt- 
rhìsflmi ,  e  ritalettda  alle  memorie  ullinpie.  delle  lettere, 
noi  troTeremo.  «be  ì  poeti ,  i  quali  pare  che  sieno  stati 
i  primi  a  svegliar  gti  uomini,  ed  inoil«irgli  alla  ▼irtè^ 
hanno,  sempre  avuto  «ina.  certo  >  maniera  di  poesia,  da 
e&si  cìùamata  epopeia,  neUatquak. sotto  la  specie  di  oa 
qiia:Iche  eroe,  hanno,  intelo  »ds  mostrare  ag'H  uomini  la 
fórma  di  nn  peifottlasimo  /pHncìpe.  e  condolliere.  E  pare 
che  Senofonte  Segendo^  di  scriver  T  Utorìa>.  del  re  Ciro, 
ahJJbia  voltilo  imitai4ì;^ess)en(lo  opinione  di  molti,  che  egli 
esponendt»  te  anioni  e  le  virtù  di  C|tiel  re  .gloriosissimo  « 
non  tali  le  espo desse  quali  furono^,  ma  qoali  a  lui  pa- 
reva che  esser  duvcsaeco..  Platone  propose  la  forma  it  una 
perfetta  repnbhli^A;.  e  fu  seguito  nello  slies&o  argonaenlo 
da  Cicerone^  U  quale  vi  aggiunse  . anch^  qiihRlIa  dell*  ot- 
ti ij^o  ora  lorewl^òij  potè  Quiotili  a  no  astenersi  dal  descrivere 
la  medesima,  <|nentnnqjiie  T  attesa  descritta  Cicerone.  E 
per  Lasciare  gJi  aotifihìi».  venendo,  ai  tempi  ultimi,  il  conte 
Baldassare  Castiglione  esposò  in  q/esltro  lihiu  la  perfetta 
cortegiauia  ,  per  nqAÌi.&tfco..^od<ft^  che  parje  ninna  cosa 
potere  immagin«tfV  q&ipiv  heUa.  niè-  pia  nobile  né  più 
ip9iag^nifica  di  ^oel-.ftup  «òriegiaoo^  Sq  dttoqae  bk  {orma  t 


'|j  nàlvrn  deirotlroK^  ba  li  rato  a  sé  fo  slhÀk»  évrnllil»^ 

» 

XÌ4»ie  4i  UqIì  valeàtlssiati  acrittafi  Aelle  arti  Dcililli^«;fi^ 
.Iterali  ;  e  s^  alciuii  V  hanno  tegfifta  «aiaiKlIò'  iic#e  ^ 
^▼fli.  e  plebee;  esaenilo  st»lo  «»  Francese  cbe  lia.^serilto 
con  soniJita  aocoraiezaa  ki  ferma  del  perfetlÌ9SÌnio^eiMéo<^ 
parea  ben  ragiooefole  cbe  alcuno  prendesse  a  descrii>«jfjS 
jc.  forma|r  T  immagifte  di  tin  sapientissimo  ^Io9ofi>  v  *  ><M|i 
Aulla  mancasse,  e  in  c«ii  nntia  desiderar  si 'potesse.: 

VL^  té  eredo,  dne  ragranj  princìpAln»enle  aver  dbltdlo 
^li  odittìni  da  ciò  fare:  delle  eguali  la  prioa»  penso  qbe 
sia  la  grandissima  9  somma  dÌ$ooltà  di  instilniri^  qneslo 
filosofo  così  perfetto.  Perciocché  se  »èlte  altre  discipitne^ 
«he  sono  pi»  angusto  e  rislroHe^  piti*  ò  diffieile  soerger 
ji|Heir  nltifjQO  grado  di  perfeaione  a  cui  fUMaono  giungerei 
qiijinto  piiilo  sarà  nella  filosofia,  la  qtfal  vagando  per 
lutto  le  cosa  che  in  mento  ninnna  cader  possono,  non  ba 
confine  né  limite  alcuno  l  Cbe  se  ognuna  di  Quelle,  per 
esser  perfella,  ha  bisogno  delle  altre  disciplino  »  lei  prò- 
piiupie ,  da  cui  però  sol  tanto  prende  f|nanto  le  basta 
per  esser  pili  b^IIa  ed  ornarsene ,  dite  diremo  dell>a  filo- 
jAifii^a ,  cbe  ruol  professarle  ed  esser  maestra  e  direttrice 
di  tutte?  Onde  si  vede,  a  lei  rif^.ifedersi  mollo  maggior 
dovizia  di  cognisioni  o  di  himi,  che  a  (fHalsivóglia  altro. 
E  certo  non  potrà  alcuno,  non- che  filosofo  perfettissi* 
ino ,  ma  (  »  mio  giudicio  )  né  por  fi-losofo  cbiatnarsi ,  se 
egli  non  avrà  una  molto  acuta  e  profonda  dialettica;  per 
cui  possa  e  definir  lo- cose  presla mente  ,  e  distinguerle^ 
e  distribuirle;  e  tro?ar  gli  argomenti,  conoscendone  U 
Talore  e  la  fi>rza-,  e  sapendo  misurare  la  loro  probabili^ 
là  ^  e  contentarsene >  qualora  no» 'possa  ginngersi  allV^ 
videnca  ;  ricercando  poi  T  evidenza  in  qti^i  luoghi  Ofe 
qualche  speranza  ci  se  ne  mostri  s  e  non  far  come  qtielK 
i  quali,  assqeti  air  evidenza  dei  matematici,  soffrir  non 
possono  le  rag^ioni  prohahiji.  dei  giuctstl;  atv^ca»  atrssù 


4t(  UTTBAAVVRA   ITàLIAHà 

•U«  probabiKlà  dm  glarjsit,  ù  iK»i«tto  delle  rag^eot   evi* 
dettii  dei  malemalici  :  oel  che  errano  com~  gli    «ni    come 
:gti  altri.  Ed  ancbe  dotrebbe,  per  esser  degno  del  none 
di  filosofo ,  Mpere  perfelUweate  tutte  le  fallacie  :   perdiè 
sebbeoe  è  forgerà  talvolta  Fusorie, -è  però  malto  wuMg; 
-MT  vergola 9  essendo  usate  da^ altri,  il  non  saper  stoI* 
gerle  e  discoprirle.  Vò  con  tnlta  i^aesta  scienza  però  sarà 
gran  fatto  il  filosofo  da  apprezzarsi ,   se    egli    noo  se  ne 
servirà  a  conseguire  le  altre;  e  non  oTrà^in  prino  luo- 
go ,  oompreta  nelP  animo  la  varietà  e  V  ordine  e  la  bd- 
IAbso  di  ttttte  le  cose  iatelletluali  che   «^iamaiist    metai' 
aiebe.  Le  ^ali  alcuni  dispreizano,  areodole  per   insossl- 
stenti  e  vane  :  ma  se  peosnssero ,  niuaa  cosa    presentani 
giamm'ai  alP  animo  né  più  .manrilesta ,    né  più    ferma    ed 
immota  lùle    delle  furme  uni  versali  ed   astratte  ;   e    niente 
esser  più  certo  che  quei  priiieipii  e  quelle  verità  che  ila 
esse. a  lutle  le  scienze  derivauo;  io-  non  so  perchè  molte 
più  slimar  noo  dovessero  quelle  cose  che    essi  cbiamaae 
insussistenti  e  vane  ,    che    non   quelle  che  essi  chiamano 
vere  e  reali.  £  certo  che  la  meta6stca   ci    apra  ella  sola 
da  principio  e  discopri  quella  bellissima  è   importaatisst- 
ma  tlisci^dina ,  che  può  dirsi  il  maggior  dono  che  la  ns' 
tura  abbia  fatto  agli  uomini  ;  voglio   dir  la    moralew  La 
4{nal  se  il  filosofo  noo  .saprà,    uè    avrà    cognizione    delle 
virtù  uè  dei  vizi ,  né  saprà  ragionare  del   fine    dell'  uo- 
mo, nò  della  felicità;  io  non  so  che  voglia  egli  farsi  della 
sua  filosofia.  E  quantunque   la    perfètta   conoscenza  della 
morale  possa  da  sé  sola  innalzare  il  filosofo  sopra  gli  al* 
tri  uomini ,  e  farlo ,  per    cosi   dir ,   più  che  uomo  ;  egli 
4100  dovrà  |}erò  esser  privo  nò  della   scienza  economica, 
né  della  politica:  e  dovrà  saper  giudicare  rettamente  dei 
iCQStami  e  delle  usanze ,  tanto  domestiche  quanto  pubbli- 
che; perdio'  dovrà  essere  peritissimo  eziandio  della  gsii* 

^  ^trcAèjr  eioV:  Tn  la  qiul  com.  Al  qoal  fi^.. 


e* 


•SCOLO'  DECIMOTTiTO  489^ 

rispradènza.  E*  qaftnto  a  me ,  le  io    dovessi    fiirm^irlo   a 

mio  modo ,  io  vorrei  che  fosse  -anche   eYoqueole  :    e    ciò 

per  dóe  Tflrgiooi  ^  delie  f|Qali  la  prima ''si    è.,    per    pol^r 

adornare  l'altre  parti  della .  filosofia  ,  ed  esporle  cod    bel 

modo.  Perchè  sebbene  sono  stali  molti  filosofi  che  hanno 

trascurato  ogni  ornaménto  del  dire  ,   io  non    credo    però 

die  i«5  sia  stato  alcnno  mai   tanto  rozzo,,  eh  e  potesse  la 

tfua  rozteeza  piacergli^  L'  altra  ragione,  si  è,  che  io  tengo 

che  l' eloquenza  sia  nua  parte   della   filosofia    essa    pure*. 

Porche  se  (iredesi  coni noemcDle  che  alla   filosofia    si    ap*.. 

partènga  il  sapere  come  si  educhino  le  piante,  e  si    (a^ 

Torino  i  metalli  ;  per  qoal  ragione  non  dovrà  ella:  apclui, 

•opere  come,  e  per  qaai  mezzi,  si  lusinghino  gli.  animi 

umant,  e  si  eccitino  e  si  movano?    E    per  quest^  islessa 

ragioDe,'  nIeOle  mi  marafiglierei  se  quei  perfettissimo  filo*. 

0ofo  che  noi  andiamo  ora    immaginando,    volesse    essero 

anche  poeta.  E  certo,  avendo  egli  qnella  tanta  cognizio* 

ne   che   noi  vogliamo  che  abbia ,  di  dialettica ,  di  meta^ 

fisica,  di  morale;  avrebbe  nn  grande  ajnto  ad  essere  aa 

dottissimo  poèta,  e  nn  oratore  elbquenCissimo.  E; noi  aap« 

piaftio  che  Cicerone  ,  prezzando   poco  i  documenti  della 

retti^rtca ,  ninna  cosa  stimò  essergli  stata,  tanto  giovevole 

a  divenire  quel  grandissimo  bcatore  che  era ,.  quanto  lo 

srtndio  delle  *  sopraddette  scienze:  ed  es^minapdo  una  voU. 

ta,  qaal  -filosofia  fosse  a  questo  fine  più  accomodata  del- 

r  altre  V  antepose  a  tutte  quella  dei  Peripateti^fi   e  degli 

Accadeorici  ;  ed  aflfermò  ;»   lui    essere    uscilo   cosi   granide 

oom'  era',  non  già  dalle  officine  dei  retori,  ma  dagli  spazi 

detr  Accademia.    La   qua!    cosa   considerando  io   talvfill^ 

nneeo  stesso  ,<  e  pensando  che  qiiella  aulica  .  filosofia   par-» 

tort  poro  af  inondò  un  così  eccellente  e  così  divino  ora* 

fere ,  no»  so  comprendere  come  n^lt   se  1*  abbiano ,  par 

una  r filosofia  inutile- e  da  sprezzarsi.  Lascio  alare  cbajanti 

flfItH  òràtori^  e  poflit  valotosissiml   e   «oiiiiai  .tiscirono   da^ 

quelle  medesime  scuoIq. 


4^0  LETTERATURA    ITALIANA 

Ma  ritornando  al  nostro  filosofo,  molto  ancora  gli  man- 
dierebbé ,  te  egli  non  possedesse   perfettamente    tolte  ie 
parti  della  fisica.  Nella    qnàlé    entrando  v   >o    Torres   clic 
egli  non  solamente  andasse  dietro  a  qoelle  cose  che    per 
ti  sensi  ci  si  manifestano,  ma  procedesse  oltre  con   rio- 
teltetto,  e  cercasse  anche  i  prindpif  e  le   Cause    che  ci 
il  manifestano  per  la  ragione  ;  soddisfacendosi    di    qaclb 
probabilità  che  hanno,  giacché  all'  evidenza  noo  possono 
giungere;  né  ritraendosi  da  qnesto  stadio  per  pa ora  che 
quella  opinione  che  oggi  par  probabile,  potesse  uoa  toIu 
trorarsi  falsa.  Perciocché  il  pretendere  che  ciò  che  si  di- 
ce, non  debba  potere  essere  falso,  e  ona  pretensione  sa- 
perba  e  conTonìente  piuttòsto  a  nn  dio  cheann  filosofo. 
E  quegli  sfessi  che,  trasportali  da   nna   tal  tanità,'    per 
essere  sicurissimi  di  ciò  che  affermano,  professano  di  non 
Tolere  attenersi  se  non  alle  espersense-e  alle  esser vaziooi 
(Tolendo  poi  ridurre    i    riiroTamenti    loro    a   leggi    mu- 
tersali  e  costanti ,  che  deblian  falere  in  tutte    le    cose , 
eziandio  in  quelle  che  non  hanno  mai  osservate)  cadono 
éncb*  essi  nel  pericolo  della  probabilità.  '  La  qoai  proba- 
bilità se  non  Tolesse  segoirsi  per  paura   di  errare^   non 
potrebbono  piii  né  I  medici  curar  gF  infermi ,  ne  i  gin- 
dici  diffinire  la  cause  ;  e  ai  leverebbe  del  inondo  ogni  re- 
gola di  buon  goremo.  Io  Torres  dunque    che  U    filosofi» 
sapesse  tutti  i  sistemi,  alméno  i  più  itlostri,  per  seguir 
quelli  che  fosser  probabili  (  se  alcun  tale  ne  ritroTAaae), 
é  rigettar  quelli  che  non  fossero:  i  quali   però  saper   si 
debbono,  benché  si  fogliano  rigettare;  anzi  rigettare  non 
si  doTrebbooo  senza  saperli;  che  é  cosa' da  iiom  leggiero» 
rigettar  quello  che  non  si  sa*  E  già  la  fisica  stessa,  no» 
strandogli  i  suoi  sistemi,  ed  instruenddo  delfo  san  espe- 
rienze ed  osserTazioot ,  e  manifestandogli    le   sue  -leggi  t 
non  è  da  dubitare  che  gli  aprisse  anche  la  cbwaica  ,   la 
snedlcina ,  la  nòiomia ,  e  noi  conducesse  wt  lasli   canpi 


fEGDi:«0  «DECUIOTTATO  49 1 

«li   tatù  r  Utoria  naturale.  La  qiial  6f tea   vorrebbe  ^  però 
mewaipre  aver  seco  la  geometria  e  V  algebra  :  con  le  qnall 
spessissime  Tolte  Tiene  a  deliberatiotte  e  si    consiglia.  E 
'SODO  esse  tattavia  per  sé  medesime    bellissime   scienze  e 
'  sobilissime  ;  ed  olire  a  ciò  amicissime    della   metafisica  ^ 
Aa   CHI  credono  èsser  nate*  Cosi  che  io   esorterei  il  filo* 
'  moto  ad  assamerle  anche  per  lor  medesime  :  perchè  assa* 
meodole  Solo  in  grazia  della   fisica ,  potrebbono ,  e  giui 
'  JstaDQEeDle,  afersdo  a  male.  E  qaeste  poi  lo  introdurreb^ 
'  fcono    alla    meccanica  ,    ali*  ottica ,   ali*  astronomia  :   delle 
'  «jaali  discipline  dovrebbe  il  filosofo  essere  peritissimo.    : 
'        Parrà*  forse  ad  alconi  che  io  sia  fastidioso  e  poco  diserei 
to  ,  irolendo  imporre  al  filosofo  tanto  peso  di  sludi   e  di 
I   cognisioni ,  che  non  è.  persona  al  .mondo  che   portar    lo 
potesse.  Ma  se  eglino  pensassero  che>  io  non  lo    imponga 
'    n  loro,  né  a  veruno  di  quelli  che  essi  conoscono,  ma  ad 
i    un  filosofo  che  vorremmo  immaginarci   e   fingere^  e  che 
^dovendo  soperar  tuUi  gli  altri  nella  virtù  e  nel  sapere  ^ 
Togliamo  ancora  che  gli  soperi  nella  memoria  e  nell'  in<- 
'     gegno;  credo  che  facilmente  mi  perdoneranno,  ed  anche 
I     nni  scoseranno  se  io   V4p»rrò    che,   sapendo    egli   lotte   le 
scienze  che  abbiamo  dette,  e  molte  altre,  sappia  ancora 
F  istoria  loro;  e  come  nacquero  tra  gli  uomini,,  e  creb- 
bero ,  e  passarono  in  vari  tempi  e  varie  nazioni  ;   e  con 
quali  aioli  ^  e  per  qnai  mezzi ,  a  tanta  autorità  e  gloria 
M*  innalzarono.  Che  oltreché   è    conveniente  a   qualunque 
professore  il  sapere  gli  avvenimenti  delParte  sua.,  qoesto  : 

singolarmente  è  proprio  della  filosofia.  Perciocché  V  isto*  ! 

tia  delP  altre  scienze  non  è  ona  parte  di  esse,  né  è  patte 
della  >ettoricà  V  istoria  della  rettorica ,  né  della  dialettica  i 

ristoria  della  dialettica;  ina  T  istoria  della  filosofia,  che  { 

tatte  le  altre  comprende,  sembra  éasere  ona  parte  della  i 

filoicifia  slessa.  Imperocché   se  i    filosofi    considerano  con 
tanta  attenzione  gli  altri  animali ,  e  notano  diligenteolente  | 


|l^a  LCTTBBATORà   ITàLlÀllà 

e  raccòlgono  le  loro  ationi  e  tulle  le  loro  indastrie,  t 
questa  istòria  pongono  tra  le  parli  della  loro  seieDsa;  io 
non  so  perchè  nofn  debbano  porvi  anche  1'  istoria  degli 
acienzìali  e  di  lor  medesimi:  tanlo  più  che  sodo  essi 
più  nobili  degli  altri  animali,  essendo  dotati  di  ragione^ 
ed  areodola  più  anche  degli  altri  nomini  coltivata.  Ma 
lasciamo  ormai  di  raccogliere  lotte  le  infinite .  qaalìtà  e 
doti  che  a  qnel  filosofo  ,  che  noi  vorremmo  veder  de- 
aerino eccellentissimo  e  sommo,  si  richiederebbono  ;  ac> 
ciocché  non  paia  eh*  io  voglia  formarlo  io,  e  presuma  far 
quello  che  ho  detto  non  essere  fino  ad  ora  stato  fatto 
ria  ninno,  a  cagioiie  della  grandissima  difficolta. 

Sebbene  io  credo  che  anche  uu*  altra  ragiona  abbii 
distolto  gli  nomini  dal  farlo:  e  questa  è,  perchè  o è  po- 
trebbe farlo  chi  non  fosse  filosofo ,  né  chi  fòsse ,  fàcil- 
mente vorrebbe;  essendo  la  forma  del  filosofo  perfetti^ 
limo  una  cosa  tanto  grande  e  magnifica  e  divina  ,  che 
non  è  alcuno  cosi  dotto  in  filosofia ,  il  qoal  ni  rande  is 
quella  immagine,  non  si  dovesse  vergognare  di  sé  mede- 
simo. E  se  Cicerone  non  isfoggi  di  proporre  agli  oomioi 
il  perfetto  oratore ,  ciò  forse  fece  perchè  potea  credere 
di  non  essere  a  quello  molto  inferiore:  e  noi  sap|iiaiDo 
che  al  Castiglione  poco  o  nulla  mancò  ad  essere,  quei 
perfettissimo  cortegiano  che  egli  aveà  descritto*  Ma. chi  è 
che  veduta  una  volta  la  forma  di  un  filosofo  eccellentis- 
simo e  sommo,  non  s'avvedesse  di  esserne  infinitameole 
lontano?  Quindi  è  che  molti  ricusano  di  vederla,  né  vo- 
glion  cercarla  ,  per  non  trovare  le  lor  mancanze  ;  e  vo- 
lendo par  lusingarsi  di  essere  compitamente  filosofi ,  re- 
stringono la  filosofia  dentro  a  quei  limiti  dentro  coi 
aentono  esser  ristretta  la  cognizion  loro.  E  quindi  è  che 
troveremo  molti  i  quali  non  avendo  toccato  mai .  né  la 
'dialettica  né  la  metafisica  né  la  morale,, pur  perchè  hanno 
apparato  .alenai  luoghi  della  fisica ,  credono  arer  ledoU 


SECOLO    DBCIMOTT  A.TO  4  9  3 

la  filosofia  ^  leoendo  per  niella  tutto  il  restante  :  )e  molti 
esperimentalori  (che  sdrebbono  per  altro  degni  di  siogo» 
lar  lande)  nino  oggìmai  venati  in  tanto  orgoglio,  che 
«ogliooo,  tntto  esser  posto  nelle  esperienze;  e  gridano, 
la  filosofia  dover  trattarsi  con  te  mani  ;  indarno  volerrisi 
uaat  U  ragione:  e  non  Tolendo  osarla,  ben  mostrano  di 
000  arerla.    .     •      • 

Gli  antichi  in  qaesla  parte  intesero  (a  itolo  giddizio) 
piii  che  i  nostri.  Perciocché  abbracciarono  totCe  le  parti 
della  filosofia,  e  le  stimarono  '  tiitte   grandemente.    E  ise 
in  alctùie  Boo  seppero  molto  innanzi ,   cercaron  <  però  di 
saperne  quanto  a  quei  tempi  'poteasi  :   e  in  alcooe  altre 
f tifano  tanto  eccc^llenti ,  che  levarono  ai   posteri    la   spe- 
ranza di '  ugoagliarli.  Come'  Platone  .  ed    Aristotile,    che 
fiarono  maravigliosi  non  solaoiente  nella  nielafisica  e  nella 
BMraie ,  ma  anche,  nella  dialettica  ,  la  qaale  ebbe    tanto 
accrescimento  da  Aristotile,  che  parve  essere  da  lui   na- 
ta; ed  oltre  a  ciò,  posero  molto  studio    nella    fisica;  e 
molto  seppero ,  secondo  quei  tempi ,  della  naturale  isto- 
ria ;  né  mancò  loro^  la  geometria ,  né  V  aritmetica  ;  e  fu* 
rono  intendentissimi  di   musica  e  di  poesia ,   della  quale 
Aristotile  fu  gran  maestro;  e  parvero  eloquentissimi  a  Ci- 
cerone. E  veramente  io  credo  che  quegli  antichi  avessisro 
un  gran  vantaggio  sopra  di  noi  :  perchè,  essendo  ciascuna 
di  quelle  scienze  che  la    filosofia    abbraccia    è'  contiene, 
tanto  più  breve  e  più  anglista  a' .loro  tempi   che   ai  no- 
stri ,  fu  ad  essi  più  comodo    1'  appararne  molte ,   che    a 
noi  non  surebbe  studiarne  una  sola.  Né  io  mi  sdegno  già 
centra  coloro  i  quali,  rapiti  dà  una  parte  sola  della  filo- 
sofia ,  SI  allontanano  dalle  altre  ;  varrei  l>ene  che  apprez- 
zassero ancor  quelle  da  cui  si  allon.tanano ,  e   stimassero 
appartenere'  aNa  filosofa  anche  ciò  che  essi    non    sanno* 
Il  che  non  volendo  essi  fare ,  mi  levano   la   speranza  di 
feder  descritta  mai  da  alcun  di   loro    e   formata    quella 
umaAT.  ijàji*  -  IT  4^ 


494  I.BTTSRÀTOaÀ  ^ ITALIANA 

bella  immagine» cid  filosofa   perféttisaimcr,   tho  io    laalò 

«lesiderD* 

Ltà  qiMile  chi  par  volesse  oggi  Tcdere  hi  qualche  modo 
Adombrata,  non  veggo  qual  altra  via   tener  potesse ,  k 
non  farlasi  egli  da  «è  neir  animo ,  riguardando    molli  e 
fart  ecaoellenti;  filosofi,  e  raoeoglienda  in  tino  le  qualità  e 
cognizioni  di  tutti;- con  che  verrebbe    in    qualche   modo 
formando  quel  perfeilisstmo   che    desideriamio.'  .Come  a 
legge  di  Zensi,  che  raoeogliendo  insieme  tutte  le  grafie 
di  molte  fancioUe  calabresi ,  formò  quella  rara  e  aingolsr 
belieti^ , .  che  stimò  poi  esser  degna  di    Elenaw    E    certo 
chi  mettesse  msieme  4atte.Je  eooellenBe  e  tutte  le    perfe- 
sioaidi  Girtesio  e>  di  Letbaiaio^  aggiimgendo  loro  le  rare 
e  maravigliosecognisioni  di  •Newton,  dopo  eoi  pare  che 
il  mondo  non  -aspetti spiù  altro,  con- questi  tre  eoli    uo- 
mini formar  si  potrebbe  un  filosofo  a  cui  non  molto  maa- 

casse*- 

.•  .  ■■»■."■,. 

Tommaso  CàirsiLì  naeijne  in  ^oppi ,  terra  d«1  Casentitto ,  1*  aaao  lyoB. 
Rei  maggio  ««M  1^39  fa  potto  UéHé  eareati  ^delr  IiMpiiiiiraBe  la  Fimne , 
poi  t9<fcrìto  mila  fortessa  di  Basso  »  ed  ali*  i^tiiiio  reltpito  a  Poppa.  S*  i- 
gnora  la  cagiojiu;  di  ^esta  «na  sventura ,  della  qnale  il  Grodali  tanto  si  af< 
flisse  che  De  inort  nel  37  mano  'del  1745* 

La  Corte  del  re  Leone. 

Volle  un  giorno  Jl  leone 

Ti^tta  qiiaota  conoscer  quella  gente        , 
J)ì  cui  il  Ciel  r  avea  faUo  padrone* 
Non  fu  selva  orrida  e  oscura 
Chq  non  fosseoe  avvisata; 
Circola ?a  una  scrittura 
Da  Sua  Lionesca  Maestà  firmala, 
E  io  scritto  diceva 

Che  per  un  mese  intero  il  re  tìeneva 
Corte  plenaria,  e  principiar  doveasì 
Da  un  bello  e  gran  fosti  iio^ 


■  i.A 


ficaio  DEemOTTAVO  i^^5 

Dove  aQ>  ceffo  peritò  berlaccione 

Pavea- ballar  irestifo:  da  Arlicchìdo* 

la  tal  •  nlftoiéra  il  principe  spiegàTa 

La  saa  potenza  al  popolo  'soggettò  : 

Ma  ecco  ODoei  che  la  g-rao  aala:  é  fimna* 

Che  salai  Oh  Dio' che- sala! 

Ella  era-  anzi  un  orribile  •méoello' 

Sanguinoso  e  fetente        ^ 

A  tal  segno,  che  P  orso 

Non  potendo  sofiHr  quel  tetro  *  aTelh>  ^  ■ 

Il  naso  si  turò,  poco  prudente* 

Sciacquo  il  "ribaedìo  :  il  re  forte  irritato 

Mandò  «  da  ser  Plutone* 

il  signor  orso  a  fa^  il  dis|ustato. 

Lo  scimiotlo  approvò       * 

Questa  s&verità, 

E  di  Sua  Hfiestà  i 

La  collera  lodò,  j..       •    - 

Lodòr  la- regia  branca,  e:  della  saltf 

Disse  cose  di  fuoco,*  e  quelP  odore 

So  virai  l'ambra  esaltò,  «ovraògoil  fiore. 

Ma  questa  adolasiòu  troppo  tcempiat» 

Fu  dal  principe  accorto 

Ben  presto  gastigala:  < 

Già  lo  sfacciato  adulatore  e  morto.' 

La  volpe  eragii  accanto;. 

Or  ben  (le  disse  il  sire) 

Dimmi, ^ebe  ne  dl^  tv ?>  parlami  chiaro;. 

Tu  Tedi ,  io  Boiii  Togtio^  essere  adìolato*  - 

La  vdpe  «llor  :  Sua  Maestà  mi  scusi , 

Io  fon  molto  infreddata, «^ e  1* odorata 

Ho  perso  fi Aitlo; 

S  JfMdd  €t.  .  Vccìm  r  ono.     -   -^    .■ 


496    '  LETTKRiTVRA  ITiLUHA* 

Ondalo  a  gtodiear'atla  non  mooo  ^ 
Se  qactto  odóre'  sia  cattivo  o  buòno»  7^ 
Di  tal  risposta  il  re  f«  toddisfatto.  — 
Voi  che  ia  corte  Tivete, 
Apprendete,  appreodefe; 
Non  aiate  tropj^io  aperti  adolaloH, 
Nemmen  troppo  sinceri  parlatori: 
E  se  Tolete  alfin  passarla  netta. 
Una  scusa  o  'I  silensio    * 
Sarà  sempre  per  toì  buona  ricetta» 

It  Oatio  élnUo  gntdicA 

Verso  Oriente  il  cielo  era  vermiglio, 
E  già  spuntava'  il  di , 
Quando  madama 
La  donnolelta 

Del  palazzo  d'un  giovine  couiglia 
Tutta  lieià  s*  impadronL 
NelFacifaistato  #ua  nuovo  soggiórno 
Tutti  i  suoi  Dei  Penati  trasportò 
Giusto  nel  tempo  che  il  coniglio  stava 
Tra.  valli  amena  e  rugiadósi  prati 
A  corteggiare  il  rinascente  giorno. 
Dopo  molto  aver  cercato 
Colle  ^  prato  ; 

Tutto  fresco  e  a  juto  bell'agio 
Sen  va  verso  il  $00  palagio. 
Avea  la  donnoletta .  agile  e  dealra 
Messo  il  muso  alla  fi&estra. 
Numi  ospitali  t  e  die  vegg'  io  là  dentro? 
Disse  tutto  scontento 
Lo  scacciato  animai  dal  .patrio  tetto. 
Olà,  madama,  che  si  sbuchi  fuore 
Senza  rissa,  e  romore.  -    - 


SBCOfi»  D£CIII0Trif9  497. 

L^«eoortft  claotra  dal  naso  ap|MUilaio> 
Co»  uatiiera  obbligante 
Rispose  che  la  terra 
£  del  prtno  occupante,  ir 
Bel  aoggellp  di  guerra 
Qae»ro  sarebbe  stato 
Tra  la  Francia  e  V  Inipero 
Da  far  Tersare  il  sangue  a  nn  mondo  intero; 
Sia  percbè  ognun  di'  loro  era  prltato. 
Ed  ambedue  ben  povere  persone  ^ 
Fu  la  bella  quistiooe. 
Lascialo  'il  goerreggiar^  messa  hi  trattalo»  — 
Vorrei  sa|>ère  adesso  , 
Dicea  r  usurpatrice, 
Qual  legge,  (fua^  statuto 
R'ha  per  sempre  il  possesso 
A  Gianni,  a  Pietro ,  a  Pa€4  eoneednto,^ 
E  fraalmente  a  te, 
E  non  piò  tosto  a  me?  —  ^ 

Quivi  Giovan  amiglio 
Allegò  Fuso  e  la  consuetudine r 
Questa,  rispose,  me  ne  fa  padroor. 
Questa  di  padre  in  figlio  , 
E  di  I«uca  in  Srmone^ 
«  E  Bnaltneote  hi  me  trasnsesso  V  ha\ 
Onde  la  legge  del  primo  occupante 
Nel  neetro  caso  alcun  luo^  nn»  da»  — 
E  ben,  e  ben,  monsèi^ 
Che  importa  adesso  a  stare  a  tu  per  4n  ; 
Rimetliaiula  in  un  terto^  e  ipièstb  sia    . 
Il  dottor  Mordigraffiante..'-* 
Onesto  era  un  gatln  di  legai  samens»* 
Che  menava  nna  vita 
Geme  un  savio  eremita^ 


^9^  LCTTKBiTVSA   ITàlLtAffA 

Va  Immmi  nomo  ira^  gfllti  e  <Ii  cosctema  ^ 
Di  sguardo  maliocoaico  è  cofiertOy 
Nero  di  pelo,  agile,- melnb^oCd^ 
Giudice  a  fondo,  e  nel  ilMsslifHr.  esperto  s 
Gian  coniglio  per  arbitro  T  àpprofa. 
Ecco  che  ognun  di  lor  già  si  ritrova 
Daranli  al  tribimatà   .   - 
,•        DeIPnoghittlo  aainiale» 

MordigraSaote  dtcer  Vr  ooosoli 
}1  Ciel ,  a  mJet  figlinoli  f 
Come  io  TI  metterò  '  prèsto  d*  accordo r 
Accostataci  a  ne,  perchè- io ^soo.  sordo; 
Le  gran  fatiche  e  gli  ailoi 
Soglion  seco  portar  simili^  affanni.  ^■■ 
S*  accostò  r  uno.  a  t^ altro  litigante; 
Ha  non  si  loslo  esao  U  vide  &■  tlr9>  • 
Che  il  dottotak  .ijrtiglioi 
Da  due  parti  gettando  in  «n  istante. 
Scannò  la  donnolétta  ed  li  coniglia,   ■ 
Indi  se  li  mangiò ,  . 

E  in  tal  maniera  la  lite  aggiustò,  t 
Lettor,  tieni!  la  Cavala  a  memoria. 
Che  se  praticherak  pe^  tri  banali. 
Ti  passerà  k  favola  io  istoriai. 

QxTimiGO  RoMt  nàto»  in  Lonigo  lem.  diel'  Vicentino  nel  i6g6  mori  nel  176*- 
ia  Pacmau 

Per  bt  Purificazione  di  Matta  F'èrgine» 

Io  noi  vedrò  '  ;  poiché  il  canora to  aspetto, 

£  la  vtja  che  sento  venir  meno, 

Mi  diparte  dal  doìee  $er  sereno , 

Né  mi  riserha  al  sanguinoso  obbietto*. 
Ma.tn,  Donna,   vedrai  questo  diretto 

Figlio  ,  che  stringi  veleggiando  al  »eoo  ^ 

I  U.  «Ck%  Som»  parole-  del  «a^erdote  Simeone*. 


SECOLO  1>BCf«DTTàTO  499 

~  D*  onte  ^  'X  strazj  e  d*  armirezaa  pieno  , 
.PalHclcF  ìF  viso:  e  laceralo  3  petlo.  . 

Che  fia  allor,.clie  fiav  quando  tal  frutto 
Còrrai  dair  arbor  trioofale  '  ?  Oh  quanto 
Si  prepara  per  le  dolore  e  liillo  I  ^ 

Cosi ,  fairgo  versando  ainaro  pianto , 

Il 'buon  Vecchio  dicea  ;  con  ciglio  aackitto 
Haria  si  stava,  ad  ascoltarlo  intanto. 


Gio.-  Battista  Srovnntsi  •  aat^  in  Yerona  nel  1695  t  morto  in  quel!» 
siecsa  città  l*  anno*  1762  ,  ti  coUpcà  fisa  i  no&bd  mig^Iiorì  poeti  didascalia 
«olla  Coltìvaziof».  del' REM,   ■  '  " 

Trebbiaturt». 

Qui  di  frftta  è  iiiestier,  d*  ardire  e  forza  \ 
Qui  di  por  mano  9  gli  scudisci  e  a*  lacd  r 
Ch\ora  comincia  il.  pia.,  rfes^nn  stia  indarno». 
Questi  ;accoppj  fra  (or,  qnei  vpiga  in  giro 
Le  animose  cavalle;  e  i  luoghi ,  intorti  ^ 
Lievi. capestri  a, la, sinistra  avvolti,  . 
Con.  4a  deslra  le  piMiga  e  al  eorso  inciti* 
Bèi  veder  le  feroci  ,  a  paio  a  paio  ^ 
Pria  %a|ir  V  alte  biche-  *  :  e  sodiigliantii     - 
A  festosi  delfitt  quando  ondeggiante 
P,ér  vicina  tempesta  il  mar  s*  imbruna^ 
,    Or  sublimi  or  profonde,  or  lente  or  ratte 
^    Sovra  d*  es^e  aggirarsi,:  e  arditamente  . 
Sgominate  avvallarle  >  in  ogni  lato 
Gli  ammontati  covon  facendo  piaoi.     . 
-Poi  diste^  e  copcòcdi  irsi  rolanilo 
Con  torbine  veloce  in  doppio  ballo  ; 
E  smagltando  ogni  fascio  >  e  Smiaoszanda 
Col  corvo  piede  lo  già  tcoBche  oimo^ 

1  Daltaròor  «f../ Dalla  croce. 

X  Michék  t  miiBclii  dei  co? oiù  delle  biadt  Biietiite» 


5oO  LBTTBRlTDaA   ITALIAVA 

Io  breie  ora  cangiar  P'crl^  s|ìtgoso 
Clifo,  d*  inaili  pagHe ,  e  reste*  inirasley 
E  'di  sepolto  grano  in  onil  letto. 
Ferve  il  giro  e  '1  pestio.  S*  ode  bisbiglio 
Di  si  cnpo  teoor,  qoal  se  cadendo 
Fischi ,  e  'I  doro  terrea  rara  e  pesante  ^ 
•  Sensa  Tento ,  peroote  estiva  pioggia. 
1/  une  V  altre  s'  uraliano  ,>  e  a  vicenda 
Preodon  stimolo  e  ^1  dan.  Talor  direali 
Flagella  lo  paleo  *  roniar  d*  intorno  , 
O  di  naspo  leggter  versata  ruota  : 
Da!  cui  mezzo  il  rettor,  de  le  fugad 
La  pieglievol  cervice  e  ^1  pie  governa* 
Pur  lo  sforzo ,  V  ardor,  V  impeto,  il  corso 
Qa  cplalche  paosa.  Indi  ritorna  il  primo 
Volteggiamento j  e'V  interrotta  daofza y 
E  r  anelito ,  e  't  suon.  Tal  fonia  e  spira 
Fiato,  anzi  foco,  da  le  aperto  nari; 
Tal  distilla  sodore;  escon  tai  spume 
Dal  collo  per  le  spalle  e  per  li  fianchi, 
Con  SI  grave  respir,  che  te  primaie 
Dal  soverclìio  sbufìtar  de  le  segnaci  f 
Kolii  ed  umidi  n'hanno  t  lombi  e  Pam^.. 
Non  con  forza  maggior^  baldanza  e  brio ^ 
-Coi»  pili  leggiadro  |>ortattienlo  e  ^latìrdoy 
Per  li  tessali  pian  corsero  érìrando 
Del  centauro  le  figlie  ;  e  lion  diverse 
L' erte  oreechie  vibr^,  nitrendo  àlfiiare^ 
t        Di  Sotorno  é  Nereo  le  false  spose»^ 

'  *     . 

1  Buie  tòno  qi)e*  $ljÀ  c^  «scottò 'ddle  spiche. 


fBGOfcO  1WCIMOTTAVO  5oi 

A&voirto  TARAiro  »  ^seendenlÀ  dai  pachi  di  Camtria»  «  Mcqn»  ia  Fcr> 
mùSì  i3  dìMBobM  17q5.  EU>e  a  ^cattoipe  in  Modeoa  Girolamo  Taglia» 
Bikcclii.  Scrìtse  alcune  Egloghe  e  Poesie  Liriche,  quattro  Thtgedi*  9  m 
IVwivfMi.  Sopra  tatto  però  lodassi  di  lui  Io  Vinoni ,  Hello  quali  coli  diìi* 
gensa  molto  fflieé  atteae  a  ratrimre  ia  Italia  la  «cuoia  di  DaMi^  »  e  rivolte 
Ut  poesU  dalle  £|vole  ^a  rcligiooe  cristiana» 

il  phctpitUò. 

Era  tranqiiillaaieale  azzurro  il  miire;. 

I^a  Milo  a  qoella  balza  '  aa  sordo  e  Asso 
Muggito  fean,  le  spaipanli  acque  aliare  ; . . 

Cbè  un  fiumfBf  cui  ii^  dal  pendio  prefisso 
Ciecp  foUerra  il  corso,  ivi  formata 
G>'  pioli  opposti  un  .TorticoSo,  ^isso« 

Desio  di  rimirar  qqal  s\àgg\raya 
A  spire  il  flutto,  ■•  tratto  poi  .dal  fffiq 

Perdeasi  assorto  neForribil  caTa% 

ti  ,  #       ■ 

Me  mal  saggio  aTviò  fio  allo  steso 

Dentro,  i  prpfqpdi  golfi  orlo  del  masso  ; 
E  da  incanto, affrettar  cosi  fui  preso^ 

Che  sol.  confin  io  sdrucpiolai  col  passo.  -> 
Dair  ert9  caddi ,  e  no  caprifico  *  Terdo 
Aberrai  sporto  fuor  def  curvo  sasso*.      ..: 

Gli  «spirti  che  il  terror  fuga  e  diperde» 
Corsermi  al  cor ,  lasciando  in  sé  smarrita 
L'  Alma  che  il  ragionar  stupida  perd^« 

In  cotal  guisa  (*  iofeUce  nta 

Sospesa  al  troppo  docii  tronco  stette^ 
Fra  certa  morte  e  Tacillante  alta. 

So  r^onde  in  rotator  circoli  strette» 
Fissai  i  ritorsi ,  chiusi  le  papille 
Da  on  ioBiprorvfso  orror  vlple  e  ristrello; 

E  lai  ribrezzo  misto  a  fredde  stille 

I  J  queth  IhUm,  Dov*  era  giunto. 

3  Ca^i/lcù»  Fico  f elvatico  selito  a  nascere  ne*  crepaciei  dei  OWii  •  dell« 


5o»  LETTSKATVikA   ITAbUllA. 

D*  ftlro  «idor  'in'  irrigidì  le  •? vinte 
Mani  al  ^stegno  mio,  che  qaasi  éprille 

Fra  cento  rane  al  mio  pensier  dipinte 
Idee,  che  furo  in  on  momento  jKxoItOy 
E  cangiate  e  riprese  e  insiem  ripinte. 

Sconsigliato  tentai  co  le  rÌT<4te 

Piante  e  al  dirupo  fitte ,  arcando  il  dorso  , 
Arrampicarmi  a  le  pietrose  Y^te^ 

Ma  il  pie  a  toccar  la  roccia  appena  scorso 
Cfa ,  che  il  ritirai ,  dùbbio'  cjuài  fòsse* 
Peggior  o  il  mio  reo  stato,  o  il  mio  socobriM»; 

Perchè  a  'V  arbor ,  che  al  grande  urto  si  scjosse , 
Temè!  col  raddoppiar  T  iofanstà  lefà 
Sreller  affatto  le  radici  soàosse. 

Gridìi  trónche  dà  frèmiti' io 'metterà. 
Che  dai  concavi  tofi  e  dalle  gròtte 
Un-  eco  spàventévpl  ripeteva.    ' 

Giji  dal  forzato  ceppo  aspre  e  dirotte'' 
Sul  corpo  mi  plovean  ghiafe  ed  arese^ 
E  r  ime  barbe  già  «coppiavan  rotte;  •.    '  > 

Già.  r  Alma  ingombra  avean  larve  si  piene 
Di  morte,  che  j^areami,  ansi  io  sentfa 
Le  inghiottite  acc|oe  entrar  fin  ne  le  Tene; 

Perchè  il  vortice  infranto ,  «che  saUa   . 
In 'larghi  spmzxi  dai  spumanti  seni, 

Col  ribalzato  mar  mi  ricoprfa. 

'  ■         ■   ■  «      ■ 

La  tempèsta  di  nutre. 

La  fronte  il  cavo  abete  ■  area  diritta 
Là  dove  il  passaggier.  al  Kdb  ibero 
^U'Je  salse  4i.Galli«  acque  tragitta^ 

E  i  tesi  lini  a  on  ftC|iiilon  Jeggieto  . 

Spiegando,  qaal  se  avesse  a  i  fianchi  penne, 
Radea  col  volo  il  Uqùido  sentiero; 

1  //  cwò  ubeU*  La  iiav«. 


SEGOLO  'DBomirrriTa  5o3, 

Qàando  H'  gonfiar  V  onde  improT? iso  renile 

Tnrbia,  e  ii  mare  fra  contrari  fenlt  ^ 

Per  dirotta  fortnoa  alio  divenne; 
Si  cbe  i  noccìireri  al  lor  periglio  intenti  . 

Salir  -pe' gradi  a  T  aspre  corde  inlesli-   ; 

Le  astiate  «  raccór  téle  stridenti 
Fra  i. sibili  del  vortice ifonesti. 

Cai  resister  mal  poote  Ercinia  e  Ardenoa  '  ; 

Wa  tal  fé'  la  procella,  impeto  io  questi,    ] 

Cbe  doo  di  lor*,  in  inen  cbe  il  dito  aecènda, 

-  L'ampia  Tela  aggrappando  a.  rarbor  carco, 

Diteltr  fdr  èa  la  tremante  aalenna:  ^ 

E  come  avgei,  l'aare  fendendo  in  arco. 

Dopo  un  languido  oimè  sparrer  assorti 

De^ golfi  irati  nel  terribit  Tarco. 
Notte  recando  e  temo ,  erratan  sorti' 

Nel  tenebrato  del  niiToii  spessi, 

Cbe' ricoprian  di  nebbia  i  lidi  e  i  porti; 
Ed  al  crescer  de  T ombre  i  flutti  stessi         '^ 

Parean  del  legno  sormontar  le  sponde. 

Crescendo  mole  e  feritade  in  essi. 
Venian  pugnando  insiism  grossissim^  onde^ 

Altre  a  piroda,  altre  a  poppa,  e  fean  in  parte 

Or  monti  erti,  or  Toragini  profonde; 
E  ognor  del  filare  a  la  gonfiata  parte 

Lefavasi  la  nate,  e  al  seA  più  basso 

A f vallando  rendjea  delusa  ognj  arte. 
Noi  pel  terror  immoti  a  par  d'un  sasso 

Restammo  in  pria;  ma  la  tictna  ikiorte 

I  pie  ci  sciòlse,  ed  affrettonne  il  passo 
A  librar^,  bencbè  Ifiraid,  col  pondo  forte 

1  Ereùda  f  Ardeima»  due  teUe  dalle  quaK  necogti«t«iM  adberi  per  co* 
•tniir  imtì  ,  sono  qui  Bominate  in  rece  degli  tlLeri  stessi* 
%  Dut  di  lor.  Due  de*  nocchieri  già  detti.  . 
3  A  Ubnr  ec.  •  A  conuappèsan  la  nave. 


go^  LETTEHIVimA   ITALUIA 

De' corpi  IL  lato,  io  col  per  T^orto  esterno 
S'ergea  troppo  Pahete  io  dabbia  sórte  ? 
Ma  pel  gran  moto  ad  ambo  i  lati  alterno 
Laifi  cademmo,  e  il  ooitro  tiiotil  corH» 

I  tempestosi  iolti  ebbér  a  àcfaer'oo. 
Prifi  di  Solidi  goida  e  di. soccorso. 

Stesi-  sol  plab  del  l^ao  oombatlato, 
SqaaHidi  per  imoMoso  mare  scorso, 

Piagneam  col  timonier,  che  atea  perduto 
Fra  le  io  fio  ite  aeqoe  e  l!orror  notturno 
Lena  e'  consiglio,  e  temea  sinorto  o  muto 

Gli  ultimi  abissi,  ove  nn  crudel  VolUirao  ■ 
Traportator'apignea  la  poppa  erraste. 

La  peste,  di  Messina.    . 

Dal  porto,  dove  il  mar  sembra,  che  stagni. 
Io  00  la  guida,  qaal  amante  figlio 
Cbe  la  tenera  sua  madre  accompagni , 

Presi  ria  d^orror  carca  e  di  periglio, 
.  In  evi  morie  di  mille  umane  spoglie 
Lordo,  reodea  Finsangainato  artiglio.     . 

Fuor  de  Tabb/iodonate  immonde  soglie 
Giacean .  gli  aransi.  de  la  plebe  abbietta 
Su  vili  paglie  e  infracidite  •  foglie  : 

Altri  eoo  gola  orrendamente ,  infetta  . 
Di'gaogrenose  bolle;,  al^ri  afi^mpali 

II  pjBjlto.da  fatili  fel4>i:e  negletta; 
Altri  da  lunga  fame  ornai  spossati , 

Non  pel  veien,  ma  pel  languore  iafiermi. 
Fra  l'altrui  membra  putride  sdrjijati;  * 
Ed  allri  in  lor  natio  vigor  piji^fisrnii, 
Bencbè  lasciali  sotto  i  corpi  estinti, 
Sórti  fra  fossa  accatastate  e  i  v^rmi; 

I  FuUurm*  Sforna,  latino  di  OR  T«ato. 


SECOLO  1>EGIIfOTTÀTO  5o5 

Ha  di,s  sqniillor  mortiferp.  dipmliy 

E  per  orecchie  róse  e  lubbra  mozze, 
Da  i  Tolti  umani  io  modo  fi er  disliati» 
Le  iilastri  id^noe  a  par  de  le  più  rozze 
Al  comuo  fonte  per  attinger  l'acqae 
Gian  Dode  il- piede  ^  e  il  crin  incolte  e  sòtze; 
E  ehi  di  lor  nel  sonno  etefno  tacque 
A  an  liere  sorso ,  e  chi*  raminga  e  solo' 
Pria  di  grunger  al  fonte  esangue  giacque. 
Gli  amici,  cni  parte  d^ affanno  invola 
L'alterna  vista,  si  guata  va  n  fiso 
^1  mesto  incontro  senza  far  parola; 
Poi  fra  il  dool  ristagnato  a  rimproTfiso-^ 
Si  dirotte  spargean  lagrime  acerbe. 
Che  avrian  un  sasso  per  pietà  divisa. 
Tttlor  silenzio,  qaal  avvien  che  serbe 
L'aria  mnta  fra  inospiti  deserti   - 
Colmi  di  sabbia,  e  d'acque  privi  e  d'erbe; 
E  sing&iozzi  talor  fiochi,  ed  incerti;,  i 

Poi  strida  alte  e  ulnlaAi,  e.  in  flebil  metro 
Querele  erranti  per  gli  spazi  aperti: 
Si  che  il  lor  suon  acutameute  tetro 

Crescea  più  raddoppiato,  e  in  sé  confuso. 
Dal  mar,  dai  monti  ripercosso  indietro. 
Ogni  tempio  era  infaustamente  chiuso; 
Immoti  i  sacri  bronzi,  e  a  le  noUome 
Lampade  tolto  di  risplendeir  l'uso: 
Le  armoniose  canne  *  taciturne  ;      . 
E  senza  T  immortai  vdttima  Tare, 
E  sènza  nenie  *  pio  le  squallid'  urne. 

1  ■  X 

X  L$  anAwiiose  canne  (  intendasi  ).  del?  orgimo, 
a  TM^  Mno  It  preci  che  si  reciUbo  pei  dcfuntt. 

UTxnuLT.  nàu  •—  ir  43 


% 


5o(  LETrSHATOBA   ITALIAHA 

La  Prof^idenza  divina. 

« 

Ed  eoQ9  OD  carro  aspro  di  gemne;  e  In  gaua 
Di  florloaa  pooipa  e  trìonfiile  ,- 
E  aofra  il. carro  eterna  Deana  anisa. 

Cinta  è  da  manto  inargentato,  qoale 

Di  cokaa  Iona  afTièn  che  il  disco  aliami; 
In  cai  tinti  da  man  d*  arte  immortale    . 

Splendon  nomini  e  beffe,  e  in  vari  lomi 
La  notte  ^  il  giorno  e  la  nascente  anrora, 
E  quanta  terra  abbracdaa  mari  e  fiumi. 

Grafe  pensoso  ha  il  viso,  e  ad  ora  4id  ora 
Rifiilgora  aerea;  chiatto  sospesa 
Fiamma  tif angolare  il  cria  le  indora. 

Un  occhio  a  par  di  yra  stella  accesa 
Le. irraggia  il  sen;  rebornee  dita  strette 
De  la  sinistra ,  arcata  in  parte  e  stesa , 

Tien  so  libro  fatai  chiuso  da  sette 
MirangihiI  sigilli ,  in  cui  T  impresso 
Difino  Agnel  Timmagin  sua  rkBette. 

Piega  «Ha  il  destro  braccio,  e  su  confesso 
Scodo  r  appoggia  2  Ira  fulminee  strisce 
Chi  è  forÈB  ai  par  di  Dio?  leggesi  io  esso. 

La.  Biaao  on  raso  io  rotesciar  largisce 
Rorido  umor  ohe  per  le  fibre  gira 
D*ogBÌ  terreno  germe,  e  lo  nudrisce. 

Ninna  o  qoeta  belfa  o  indocii  tira 
L* angusto  carro  viocitor  de  i  Tenti  ; 
Che  spirito  motòr  le  rote  aggira. 

Cento  a  più  legloa  di  spirti  tntenti 

De  la  prof  fida  Donna  al  cenno,  e  pronti 
Mostra  ampia  fean  d' innumerabil  genti: 

Altri  custodi  eletti  aj  laghi  cai  fonti 
Dolci,  altri  a  le  salse  acque,  altri  a  le  taOi 
Erbose,  ed  altri  a  i  boschi  opachi^a  i  monti: 


SECOLO   DECIMOTTATP  ,   Soy 

Altri  a  i  marmi ,  a  le  gemme  ed  ^  i  melalii ,  .^ 
Altri  a  gli  astri,  e  a  T insolite  comete. 
IgQeo-criaite  sa  gli  eterei  calli  '  • 

O-nnùKO  Cassusx,  modenese,  mori  nel  1778  d*  anni  69* 

,11  Katto  di  Praserpina  K 

Die  oa  èlio  strido,  gittò  i  fiori,  e  Tolta 
Air  improTfisa  maoc  che  la  cinse, 
Tatta  in  sé,  per  la  tema  onde  fu  oólta^ 

..  La  siciliana  vergine  si  strinse. 

Il  nero  Dio  la  calda  bocca  involta 
D*  ispido  pelo  a  ingordo  bado  spinse  ^ 
E  di  '  stigia  fiiliggin  con  la  folta 
Barba  T^barnea  gota  e  il  sen  le  tinse* 
;  Eli»,  già  in  braccio  al  rapitor,  puntello  - 
Fea  d'una  mano  al  tlnro  ornbii  mento, 
'DdV  altra  agli  occhi  paurosi  un  velo. 

Ma  già  il  carro  la  porta  ;  e  intanto  il  cielo 

'     Fer<att"4-aa  rumor  cupo  U  rio  flagello. 
Le  ferree  mote  a  il  femminil  lamento. 

l^nARCSSCO  AiGABOTTZ  nacquè  in'Venesia  agli  xi  dicembre  17 19  e  mori 
Ut  ^tM  il  3  maggio  1764*  Ali*  ingégdo  clie  sorti  nascendo ,  pronto  è  capace» 
«ual  11*0  stadio'  indelesso.  Viaiftò  le  principali  cittk  dell*  Bcvopc  Fu  Mtfisiimo 
a  F'èderico  U  re  di  Prussia,  che  lo  fece  conte  e  ciandinUano ,  e  la  tl>l>e 
malli  anni  presso  di  sk  come  intimo  amico.  Molto  e  di  molte  materie  scrìsse 
V  Algarotti,  ma  per  aYere  abbracciate  troppe  cose  non  consegni  la  Terà  ec- 

Su  la  Gerusalemme  Liberata  del  Tasso»    • 
e  sul  Paradiso  perduto  del  MiUoju  .    . 

.  Egli  Qon  è  mica  impresa  da  pigliare,  a  gabbo  cottlen- 
tare  chi  è  riflessivo*,  come  siete  voi ,  e  non  .«i  fiurma  alla 
scorza  delle  cose:  e  però  vedete  se  debba  ^ser  contento 

X  Su  gli  ee,  i  Sa  i  sentieri  dell*  etra  o  dell*  aria. 

3.  Proserpina ,  figliuola  di  Gereve  ^  fu  rapiu  da.  Plokdnè  menii»  peì^ejttBiii< 
delU  Sicilia  andata  cogliendo  fiori. 


?o8  ^LETTEBlTUftA  ITILÙRA 

«         <  ■     i 

io  medesimo  di   aver?!    soddisfatto    nefla   risotazione 
dnbb)  propostimi.  B  il  fìmife  vorrei  avvenisse  qoanlo 
qnistioae  che  mi  proponete  ora,  cioè.  Quale  argonwi 
di  poema  epico  sia,  .dopo  quello  delC Iliade,   da  l 
il  pia  bello.  Al  che  io  doq  dabilerò  di  rispoadere  : 
Centsalemme.  E  -con  efletto  *  pare  che  ella  si  accosti  pi 
di  qtialanqae  altro  poèma  alle  virtù  del  greco*  Il  fior 
cristianità  tragittato  d'Europa  in  Asia,   congiaralo  sa 
tameole  insieme  e  crociato  per  tór  di  paano  agi'  lafedoi 
il  sepolcro  di  Cristo ,  che  è  fine  grandissimo  ;   e   se  noi! 
t  per  avventura  cosi  poetico,  egli  è  senza  paragone  pi 
alto  di  qsollo  delia  Iliade.  Del  rimanente ,  ci  è  cosi  nel* 
r  on  argomento  come  Dell*^  altro  varietà  e  eonfrasti  di  oo* 
stumi,  di  naaioAi  e  di  altro.  La  snbord inazione  de*coo« 
dottieri  dei  diversi  popoli    d^  Eoropa    al    suprema   capo 
della  Jmpresa  ,    è   subordinazione    libera',   dirà  così;  ed 
anche  néUà  Gerusalemme  ci  han  luogo  '  gli  effetti   pale» 
deir  ambisione  e  dell'ira;  vi  gfùocàno  *jn  somma  le  grao 
molle  della  i>oesia  omerica;  E  la  Gerusalemmo  vien  cas- 
tata  da  tutta  Italia,  come  dalla  Grecia  era  por T Iliade: 
il  che  mi  sembra  debba  in  grandissima  parte   attribuirsi 
alla  bellezza  dell* argomento  che  ha  preso  il  Tasso;  sic- 
come per  la  felice  ìeleaione  di  esso    abbiam   veduto    ap- 
plaudire a  tragedie ,  che  pur  sono  (  quanto  allo  stile ,  e 
peggio  quanto,  alla  favola)  sommamente  difeUivew   Torso 
a  dire ,  amico  carissimo ,  e  noi   potrei    abbastanza   ripe- 
tere ,  che  lo  non   fb    paragone    della.  Gerusalemme   cos 
1*  Iliade,  ^eHòn  In  quanto  alla    scelta    delF  argoniento; 
elle  quanto  alla  poesia  di  Omero  e  del  Tasso,   ci   corre 
più  divario  assai  tra  Tona  e  T altra',  che  non  ne  corre 

S  Con  effkio  per  In /atti  ^  Nei  iwroj  «  simili. 

a  Fi  giùocano  ee, ,  Modo  di  dive  franeeie  |  "e.  in  qttui  tuUi  i  conttaip*- 
naei  dell'  Algaiotti  se  ne  troTtno  molti.  Lo  ftodiotoi  noa  durai  ^tf^a  4 
€oiio«cerU  I  ed  vnk  cwm  di  eviurli. 


•tra  le  'mvoiera  di  TiziaoQ  è  del  SolisKiie.  E  chi  Tole^ 
entrare  in  questa -disiNilft,  ar^raeoterebbe  per  noi',  ti 
'ifuidem  a  priori^  lì  oottro^  Inglese,  assictirsndoei  che, 
posto*  amebe  fMrt  Tiagegao,  i4  Tasso  si  doterà  rimanere 
iiioltissii|K>  al-  di  sotto  di  Omero  per  la .  ragtoo  dei  tempi 
e  della  liogaa  in  cai  scrifcera,  per  esserci  conTenato  fal- 
sificale in  parte  la  storia  delle  crociate,  rappresentandole 
come  le  atrebbono  doToto  essere  piottosto  che  come  le 
furono  io  effetto  ;  e  per  la  natura  delta  religione ,  che 
non  é  certamente ,  come  la  gentHe,  la  religione  de*  poeti 
e  de*  pittori.  '  . 

Mar  àn*  altra  disputa  polrcd>bon  muoiere  alcuni  assai 
più  a  propòsito  di'  quello  toì  domandate  ed  io  ho  rispo- 
sto: Torranno  per  aTTCotóra  che  il 'Paradiso  perduto  sia 
da  preferirsi ,  quanto  ali*  argoménto ,  alU  'tìerusalemme 
ìiheKata^  poiché ,  se  il  Tasso  ha  cantato  il  conquisto  della 
città  santa  fatto  dai  Cristiani  sopra  gP Infedeli,  il  Miltòno 
canta  le  cagioni  per  che  T  uomo  dallo  stato  della  felicità 
sia  caduto  nella  presente  miseria  ;  quali  ce  le  rivela  la 
religione.  E  certo,  teologicamente  parlando,  eglino  hanno 
ragione;  ma,  parlando  poeticamente,  hanno  il  torto.  Im- 
perciocché ,  s*  egli  importa  in  lutto  alla  ragione  dell*  uo- 
mo a  sapere  il  perchè  dell' esser  suo,  pochissimo  o  niente 
può  maofere  la  fantasia  di  lui  il  raccontar  la  maniera 
ODde  ciò  aTfenne.  Di  qnal  diletto  ci  possono  mai' essere 
i  sensi  mistici  e  Le  allegorie  necessarie  all'argomento  del 
Paradiso  perdalo  y  i  vari  ritratti  di  Abdlelle,  dì  U'rielle, 
di  Astarolte  e  di  NIstotte,  e  di  altri  tali  personaggi  co- 
nosciuti solamente  di  nome  a*  cementatori  della  Bibbia  ? 
E  lo  stesso  è  da  dirsi  delle  loro  avTenture.  Non  pareva 
,  Toi ,  amico  carissimo ,  che  le  artiglierie  che  sparano  in 
quelle  battaglie  celesti  del  Aiiltono,  facciano  il  medesimo 
efìfetlq  sulla  nostra  imraaginatÌTa ,  che  £in  sulle  persone , 
dirò  casi,  di  quegli  euft  spirituali?*  Qaeito  poetna ,  come 


Sto  LITTEKATUBÀ  ITALIMIA 

graiiasaaeiile  iistm  11  VoUairei  è  piar  la  eas»  del  diaf» 
Jo«.Ud  solacaolo  è  per  gli  iumdìbì  :  e .  nea  sor  glèt  io  « 
ve  ne  foMe  per  gli  ^à^eli.  Eg(iao  avrebbòno  se  non  al- 
tro da  sea»dU»zar»l  por  assai  ^  bs»' troNraftif»- 'punto   »! 
Dio  iti  HftllQDo ,  non  dico  ìi  Dio  di  Mosè ,  il  ^oal'  di« 
che  la  lace  sia,  e  h  looe  fa$  ma'  ìiemmeoo  il  GioTe  i 
Ooiero  Qhe  allo  aecenoar  dèi  capo,  col  cefwo  csoo^moon 
rooiTerso,  fa  Iremar  V  Otimpo*  E  Teramenle  il  •  Dio  òé 
foeUi  iogleie ,  eoa   <)ìaelle   sue  eleme  omelie,  è,  ook 
disse  Pope,  un  predicatore,  uà  prètto •  scolastica.  jChèse 
fu  colpa  del  HìUodo  V  arere  in   tal   modo  colorilo   V  ar- 
g4MBeilta  sao  (  roglio  dire  oom  |uttt  quei  dialoglù  di  teo- 
logia che  e'fii  (are  aoohe  a'  diavoli  )  >   noa    ci    è    peto 
dubbio,  che  maggior  d'assai  noa  fia  la  colpa,  delfacgo^ 
menta  medesimo  troppo  eterogenea  con  la  poesia  :  ed  io 
non.  farei  ana  diilicallà  al  mondo  ^  anche  per  ragion  del- 
V  argomento  ,  di  anteporre  al  Paradiso-  perduto  ^  noa  che 
la  Gerusideinme^i  la  Eneide;  che  quantunque    à^    molili 
9ecoU  sia  già  spento  per  nostra  mberia  V  Imperio   roma- 
no, g.randlsstma  è  ancora  la  parie  chct  tatte   le    naaùooi 
di  fluropa  e  noi  massimamente  prendiamo  nelle  cose, 

Qnde  uscì  de*  Romani  il  gentil  seme^ 
La  religione  di  quelli  è  da  noi  beruta  nelle  scQoIe  ts- 
^eme  col  lall&  dei  loro  scrittori  ;  piacciono,  sino  ai  noioi 
di  Achille  ^  di  Simoenta  ,  di  X.anta  che  Tanno  uniti  cqd 
le  origini  di  quel  popola  signor  delle  cose^  e  poetipa, 
come  si,  esprime  Boilcau  ,  è  la  cenere  d*  Ilìone^ 

Addio,  il  mio  caro  Ecmogene,  amatemi  e  datemi  ^esso 
noTelle  di  voi  e  dei  To&tri  viagg^i.)  obè  ciò  mi  tocca  assai 
pigi  che  i  fiaggi  di  Enea 


«  •.  • 


l  Prospero  ÌIÙìjkam,  naeqae  ili  Borf^o  di  Taro  l'anno  1714  e^moràiaPuau 

{  *?l  1800^ 

'  A^  campane,  sfionanti  da  morto,. 

Cessa ,  bronzo,  lugubre ,  il  tristo,  metro 
i  Che  il  ferrea  eternò  ànonn  atf  uom  ricordai  $ 


•Kco&o  netsvmkron  5 1 1 

Ecea  già,  mp,  col  peii9»er  p«tièlr<» 
Kella  tomba  del  mio  cenejre  logorda» 

Già  mi  stende  sairorricto  feretro  ' 

Morte,  del  sangue  de'*  mrei  padri  lorda; 
.  E.  le  pallide  ce«e.brdon  di  tetro  <  '   ' 

Lame,  e  T'iano^  fanebre  it  tempio  assorda^    ^ 

Sola  o  di  fisa  dalla  spoglia  algeole 
£a  Tedora  consorte  in  bnioo  vela  - 
Geme,  e  il  tetto /già  mio  pietà  neseatew 

Lo  spirtj>  ignudo  /intanto  o  esoita  in  Ciel»^      '' 
O  oelj'  Èrebo  freme  ombra  dolente.^ 
Cessa  >  broduò  lugubre,  io  tremo,  i»  gel«« 

Satbmo  BxTTnrsLii»  Gesuita,  nacque  in  MaotoTa  nel  171S.  dotato  dk  vi- 
vacissimo ingegno  che  arricchì  studiando  e  viaggiando.  Scrìsse  le  cosi  detta 
Lettere  VirgiHane  in  dispregio  di  Dante,  e  molta  Prost  e  Poesia f,  ma.  lai 
aiaa  opera  magpoia  ^  il  Bùorgùnento  «T  ItaUa» 

La  fine  del  secolo  XP^IIT. 

D'  ovvor ,  di<  latto-  e  di  miserie  piena 
Europa  io  TÌdi  o^e  il  Sol.  cade  e  nasce  i 
Gallia  di  stragi  e  d*  empietà  si  .pasce ^ 
Sarmazìa  è  oppressa  à\  servii  calenat 

Germania  in  campò  arme  a  torrenti  meìia^ 
Belgio  tra  c^ubhia  fè  muore  e  rinasce  \ 
Dal  mare  al  moole  infra  sospetti  e  ambaace 
Trema  il  sangue  all'  Italia  10  ogni  Tena* 

Secolo  in£ius(b!  entro, le  vie  profonda 

ìy  obblio  t' affretta ,  e  al  nuovo  apran  le  porte- 
Chiavi  di  pace,  ond*  aurea  età  ridonde.  — 

pi  me  peggior  q^nel  fra ,  peggior  la  sorte 

Del  mondo  a  notte  ornai  giunta  (  et  risponde  )»} 
£  le  chiavi  di  pace  ha  in  man  U  motte.. 


•Sfa  KsrrsiiiTOKi  iTAUiffA 

GlAMBATTItTA  ftMtWl  BfQ^pM  ìa  Bm*»»» >•**  4  ■■•'*•  *7*l>*  BotrÒ  ìuSt 

Compagnia  di  Gesù.  Scriis*  molte  op«re  la  veirao  ed.  io  proM,  Mori  udii 
atta  patria  il  39  di  loglio  del  1786. 

Una  Canarkut  ed  un  jFàneilo. . 

Yenota  era  dallMMle^  £  >p«r  la  raj^eràglòla 


Bella  qaal  altra  nai, 
Caoariaetta  amabile 
Per  dolci  Teni  gai. 

Degli  ahrt  aogd  le  fevniae 
Si  diero  a  biasimare 
Colle  soUilt  satire 
Lé.aoe  hellezse  rare*   • 

Un  di  paota  da  deglia  , 
Langi  da  qaesto  lido 
Torniamo,  disse,  al  patrio 
Oltemarino  nido.  ~- 

E  per  dispetto  e  rabbia 
Con  affrettato  toIo 
Tornò  delle  Canarie 
Al  suo  aatifò  snolo. 

Scorsi  due  anni,  voglia 
NoTella  ancor  la  prese, 
E  ritornò  d' Italia 
Al  critico  pftese. 

Era -già  alquanto  Tecchia, 
E  non  era  più  quella 


E  )>ar  la  laearioa  , 
La  mebile  cotreltola  , 
La  pinta  cardellina 

Allora  largbe  e  pi^dighe 
Vèr  lei  spjirser  le*  lodi , 
•  fi  cdebrarò  garrole 
I  suol  leggiadri  modi. 

Sclamò  da  tìto  orgoglio 
Commossa  la  Tecch ietta  : 
Ora  si  fa  giustizia. 
Fora'  è  eli^  io  aia  perfètta.  - 

Ma  che?  Un  fa  nel  filosofo, 
Amico  SQO  rerace, 
'Soggiace  a  lei  dar  saggio: 
Tal  plàfnso'bott  mi  piace. 

Soretta  mia ,  V  inridia  , 
Concedoti ,  tiéa  meno , 
iP^è  pia  tormenta  all'  emale 
^Compagne  acerbe  il  seno: 

Ma  se  io  pace  e  in  silenzio 


Si  sta  P  invidia  ardita , 
Che  fosse  in  beltà  e  in  grazia      Ahi  !  questo  è  un  tristo  iudizio 
Fra  tutte  T  altre  bella  5  Che  la  bellezua  è  ita. 


t . 


Pkllbgriko  Salakdri  nacque  in  Reggio  1*  anno  1723  e  mori  in  Manton 
r  anno  1771.  Fra  le  sue  molte  produiioni  poetiche  lodansi  meritamente  le 
ZiUtnie  esposte  In^  molti  sonetti. 

'  ■    Per  Notpe,  • 

Qoesto  bosco  e  quest'  ara  a  le  consacro, 

Santa  madre  d'Amor,  Venere  bella: 


'    SI^Ol.0   DECIMOTTifO  Si 3 

Seco  iDtoroo  al  pietoso  simulacro 
L^amaraco,  la  persa  e  la  mortella; 

Ecco  il  sai  paro,  ecco  il  lustrai  laracro. 
La  candida  odorifera  làcella , 
E  ti  cohel  che,  compiuto  il  rito  sacre ^ 
La  bianca  sTeni  ed  iDDocente  agoella. 

Or  cinta  il  crine  dell*  idalle  rose , 

Vieni  y  e  del  Nume  tuo  spargi  V  altare, 
Bella  nnitrice  delie  belle  cose; 

Cbè  coppia  non  redrai  d'alme  piìi' chiare^ 
Se  non  riede  il  garzon  *  che  in  «dool  ti  pose. 
Se  non  torni  tu  slessa  n  uscir  del  mare. 

LoMMso  Fvscoin  di  lUteoiur  tuieqne  nel  1796  e  mori  ntl  i8l4* 

/Vr  noòiU  JànduUetio, . 

Battin  Ballino  *  Di  cu!  gli  Amori 

£  un  Tezzosissimo  Bei  nodi  •  intrecciano 

Geutil  bambino!  Legando  1  cori* 

'  Ba  due  tìtìssìqiì  Là  sol  del  glivAngioU 

Occhi  furbetti.  Forse  ban  ti  bei |^ 

Beg.li  occhi  teneri  y  SI  tersi  e  Incidi 

Ridenti  occbietU»  Biondi  capei; 

Che  tatto  aprendosi  E  fórse  ban  gli  Angioli 

Le  fio  del  core.  Sì  begli  occhietti. 

Dolci  V*  ispirano  Come  i  bellissimi 

Sensi  d'amore.  Occhi  furbetti 

Ha  sottilissimi ,  Del  Tezzosissimo 

Ha  ricciotclii  Gentil  bambino 

Biondi ,  biondissinli ,  Ìa  amabilissimo 

D^oro  i  capelli,  fieittiu  Ballino, 
Di  cai  le  Grazie  4 

I  //  gm-aom  ee,,  kéùtm  amata àtVtiMie,  »«9floM  1^  ki di àthm Agmn^ 

§1^  uccUo. 

a  £Uisn  di  BaUètUM» 


$14  LBTTERATimA   ITAUARA 

LoDOTico  Sxnou  D«to  ia  BolognA  nel  1719  «  morì  nel  i8o4-  SexUsm  a 
liBgoUn  fttlieiU  atl  metro  anocreoiUko  ,  ma  fece  troppo  sImuo  4*  imaugi 
•  d*  allanoni  mitolo^clie ,  le  quali  ipesio  riescono  oscuro  ,  • 
le0fttori. 

La  ioUiudine^  . 

Lascia  i  sognati  Demoni 

Di  Falerina  e  Armida; 

Porgi  r  orecchio  a  storia 

Pi  il  antica  e  meno  infida. 
Sparta,  sererp  ospizio 

Di  rigida  virtude, 

Trasse  a  lottar  le  Tergini 

In  snir  arena  ignnde* 
Non  di  rosior  -ù  videro 

Contaminar  la  gota  : , 

E  la  vergogna  inutile 

Doto- la  colpa  è  ignota. 
Fra  padri  ansteri  immobile 

La  gioTentù  sedea, 

E  'sconosciuto  iocendfo 

Per  gli  occhi  il  cor  befea» 
Ha  d*  oro  o  d'  arti  indebite 

Preda  beltÀ  non  era: 

Sacre  alla  patria  ' ,  dissero  s 

Per  Ui  combatti,  e  spera. 
Grecia  tremò  :  Vittoria 

De' chiesti  amor  fa  lieta ;- 

Premio  gli  estinti  oKeonero 

Di  lagrima .  segreta. 
Chi  t^  ha  rapito,  o  secoli 

Degni  d*  eterna  lode? 
.       Tutto  srani:  trlòbi^tip' 

Fasto,  aTafiztà  e  frode* 

X  Sacre  aUa  patria  (  inteada«i  )  la  verini  tpartana* 


SEGOLO  decuiottàto  5i5 

Foggiamo,  o  cara;  iiiTolati 

Dalla  città  fàliaces 

Meco  ne^  boschi  annidati  • 

Cbè  sol  ne'  boschi  è  pace. 
Remolo  albergo  spazia 

Sa  i  colli,  e  al  ctel  torreggia  : 

Certo  ioTecchiò  Penelope  ' 

In  men  superba  reggia. 
Là  Ciparisso  ad  Ecate  * 

Sacro  le  cime  innalza; 

Là  densi  abeti  crescono 

Ombre  d'  opposta  balza. 
L*  arbore  ^ ,  ond^  arse  in  Frigia 

La  Berecintia  Diva, 

G>nlrasta  al  Tento:  ei  mormora, 

E  i  crin  parlanti  aTvita. 
Un  antro  solitario 

l^el  info  apriron  Tacque; 

Forse  che  a^  di  più  semplici 

Fo  rózzo,  e  rozzo  piacque. 
Il  Tide  Arte,  e  sollecita 

Vi  secondò  Natura: 

Teti  di  sua  dovizia  ^ 

Vestì  le  opache  mura. 
Onde  argentine  in  copia 

Dalla  muscosa  conca 

Versa  tranquilla  Najade  ' 
:  Custode  alla  spelonca. 
Spesso  la  Cipria  Venere 

/Ne' spechi  ermi  s*  assise, 

1  Penelope  inveechià  in  lUct  upttUndo  il  zitomo  di  Xllitt*. 
a  Gparissa.  Il  cipr»*».  —  JScate.  Proietpina  o  la  MorU. 
3  Vathof  ee. .  Il  pino.  —  Seredntia  JHhù  Cibtl*. 
.    4  IH  nlAéovùUt^  ciJiè:  Di  «oncbiglio  nuoine. 
5  Mi^ade,  La  fontanfl,  lecflo^  i  po«ti  ftntichiiOaao  {CffieditU  da^urlt 


5t6  tETTBBlTVRA   ITlLIAlTA 

Quando  del  ciel  dimeotìca 

Segaia  pel  monti  Anchife  '• 
Il  vide,  amollo,  e  snpplice 
.FortiTO  nozze  offerse: 

l^orntr  V  erbette  il  talamo , 

Un  elee  il  ricoperse. 
Sai  gioghi  idalj  crebbero 

Cento  vergate  piante, 

E  le  Tortone  apparvero 

Dell'  indiscreto  amante  *• 
Ahi  se  di  gioja  insolita 

E  fratto  un  tanto  errore, 

Ricasi  alle  mie  ;  lagrime 

Gli  estreni  doni  Amore! 
Vieni:  te  TÒti  aspettano 

Da  core  i  di  beati  s 

Te  poro  notti  e  placide. 

Madri  di  sogni  aurati. 
Se  i  taoi  desir  secondano 

Le  facili  speranze  •  •  • 

Ma  taci?  ohimè!  tn  inediti 

Veglie,  teatri  e  danze. 
O  Gallo,  o  tn  di  Druidi  ' 

Un  tempo  orrendo  gioco , 

Esca  infelice  e  credula 

D^  un  esecrato  foco, 
Td  regni,  e  ai  ciechi  pop)»li 

E  legge  il  tuo  costume: 

Cangi,  e  a  tua  vòglia  cangiano 

In  lui  le  Belle  un  Nume. 

I  ^/icAù« 'amato  da  Venere  fii  padre  di  Enea.- 

a  Inétù€rtto  fti  jin«liÌBe  perchè  palesò  i  suoi  amori  MB  TtneM  »  iT  oa^ 
fu  poi  aeciecato. 

3  O  Colio  te, .  f  Galli  foronò  nn  tempo  ki-lMHfe'ddi  Snitt  lòia  tt/m* 
doti  cbt  li  aottopoiiiniio  alle  più  atrod  «ttpentiaioBi» 


•  ■  •  ■  -> , 


MCOLO    VBCIHOTTàTO  SiJ 

Ha  ,  tua  «mercè ,  V  imperib 
Sa  i  edr  ragion  perdalo: 
-Per  r  arti  tae  Preserpfiia 
Sftria  rapita  a  Ptotob 

'  '     '  ■  * 

HJurore. 

!3essa:  g^i  Dìi  mi  lofgaito  Tremo, 'se  ignote  gratie 

Att'odlfàta  vista.  Ostenta  il  petto  e*l  viso; 

.11  credeiiÉi?  per  tagrime  A  impallidir  condannami 

ForM  il  mio  sdegno  acqoista.      Una  parola,  an  rho. 

Fuo  mi  chiedesti;  arrisero        t^arlin  segrete,  accrescono 
Gli  arVerst  Fati  ;  il  sono:  Le  ancelle  i  miei  timori: 

GoJ^i,  sé  pool,  rallegrati  Guai  se  il  tao  seno  adornasi 

Di  si  fanesto  dono.  Di  sconosciuti  fiori! 

'^asso!  eosi  celaTasi  M'è  grate  il  dì:  le  tenebre 

Sotto  al  lessai ic^aaro  Sul  omo  doloi'  non  ponno; 

Il  «angue  Infausto  ad  Ercole      E  indarno  gli  occhi  invocano  * 
Del  tradilor  Centauro  *.  Il  fuggitivo  sonno. 

Lrdo:  nn  gelalo  incendio  Egli  non  ode,' e  il  seguita 

Pel  T'ihtol'or  s'aggira.  tV ombre  drappel  nefando. 

Se  non  è  questa!  ab«  .misero!    .  E  i  sogni  a  me  presentano 
Qoaldeir Erinni  è  Tira?  Quel  ch'io  tornea  TegKando; 

>  gli  occhi  tuoi  rivolgere     .     E  un  freddo  orror  la  torbida 
Soavi  in  giro  io  veda.  Quiete  infetta  e  scioglie: 

Fremo:  tn  sei  colpevole  Lascio  le  piume». e  rapido^ 

Di  ricercata  preda.  Accorro  alle  tue  joglie. 

^  i  neri  crin  soggiatciano         Taeciou  le  porte  iìoimobili, 
A  leggi  estraoie  e  nove^  degiia  profonda  pace; 

Ohimè!  di  Leda  *  piacquero     Ma  nel  Comun  silenzio 
1  neri  crini  a  Giove.  11  mio  terror  non  tace. 


E  II  Ctntauro  NeuH  dièd«  a  Dejanira  «m  caoùda  tinta  BeLpriiiprio'Ma- 
sue  t  <^>  ^^  cagiun»  ^i  molte  ad  ErcoI«. 

lettmàt.  iTAt.  —  ir  44' 


,  ......       ■.  i    >•  J 


Sl8  LETTBRATCaA  ITAtUlU 

E  SGiotillar  Locifero  *  No,  la  con  me  dividere 

Sol  pallidi' asse  io  fedo,  Lo  strazio  mio  oon  dèi. 
E  l'alba  affretto,e  ai  talami    Ahi  questo  di  medesimo 

Gridando  il  Sol  precedo»;  ..      Io  barbaro,  io  pro&no, 

lofao  smarrita  e  attoaitar  la  te  Tolea  commettere^ 

Rivolgi  al  cielo  i  lami,    '  La  scellerata  mano? 

E  chiami  ia  testioiooio  iDegoi  deiri>pra  il  Tartaro 

Dell' ioaoceoza  i  Nomi.  Sapplitj  a?er  oon  pnote: 

Io  te  di  colpa  iadizio  Non  Toroe  infami  liastano, 

La  mia  ragioa  oon  IroTaT  Non  d^  Issioa  le  roote* 

Il  veggo,  il  seotp;  e  crederti  Kéfaggi  ?  «  io  me  s*  affisaoo 

Spergiara  e  rea  mi  gio?».  ''  Pietosi  laagoid'oixrhi, 

D^  ogni  più  nera  istoria          ■  ^    E  piangi  e  soppKchevoie 

Gli  esempi  io  te  paveoto.  Abbracci  i  ibiel  ginocchi? 

Inorridisci:  io  Biblide  *,  Cessa:  del  rfo  spettacolo 

lo  Pelopea  rammento.  '  Tutto  l'orror  comprenda 

Ah  m'abbandona,  e  lasciami  Cessa.  Ta  segtii?  Ah  FiiiVj 

Preda  ai  rimorsi  miei!  L* abisso  aprite:  i#  soeod»! 

\  •  #  *         I 

OnoFMO  MIJI2019  nato  in  Fairan  nel  1734 1  morto  iwl  1817.  | 

SuUa  mòrte  dì  Gesù  Cristo,  • 

Quando*  Gesù  coli'  ùltimo  lamento 

Schiuse  le  tombe  è  la  montagna  scosse. 
Adamo  rabbuffato  e  sonnolento. 
AKEò  la  fronte  e  sovra  i  pie  rizzosse. 

Le  torbide  pupille  intorno  mossa 
Piene  di  mara?igtia  e  di  sparente, 
E  palpitando  addìmandò  «hi.  fosse 
Lui  che  pendefa  insanguinato  e  spento. 

•  •  • 

I  Zueifero.  la  Stflla  di  Yenfri^ 

a  Bi^Ufle  notò  Cau«o  suo  firateÉo.  IH  Pklopea  «'  ioaanorò  il  proprio  p 
dre  TioftU. 

3  Commettere  ee»éì&  «a  lùodo  latino  adopwoto  dai  noitri  pooti  in  yuJ(f 
dei  Tol^aro^  Jftll«-  /e  numi  4i4/Ì9sse  «  qutUemt»  p^  Satttrb ,  o  poggli. 


SÉCéhO   PlTCIMOTTiTO  5i9 

ikllor  che  il  seppe,  alla  rogòsa  ffonl« , 
Al  criD  caAuto'  ei  alle  guance  smorte 
'  Colla  p^fttita  man  fe^  danài  ed  onte. 
/  Poi  si  TÓlse  piangendo  alla  coaiiorte , 

E  gridò  si ,  che  rioibombonne  il  monte  : 
Io  per  le  diedi  af  mio  Signor  la  morte  ! 

AoosTtKo  Paradisi  nato  a  VijjQola  «ni  Modenese  nel  173$  maxi  In  Rcg» 

gio  nel  1783. 

JLa 'parola  tU  Dio, 

Voce  di  Dio  terribile  L'oscura  faccia  ed  orrida  .  '  ) 

Dei  gran  decreti  eterni  Del  prioM  moi^d^  infgirQie 

Moderatrice  ed  arbitra,  Per  te  ai  ▼ide  emergere ^    ' 
Voce'che  il  cièl  gofèrni;   .       Dalle  confase ^rj^e. 

Con  non  vulgari  accenti  Quando  al  prim^  urto  ignoto 

Sa  i  pregi  tuoi  sollevasi  L'ima  materia  imqiobii^ 

Il  siion  de^  miei  concenti*  Corse  le  vie  del  moto* 

Qoai  df'te  non  si  Videro     .  DfscioUe  allor  le  rapide     > 

GrandTorme  lumiaóse    .  Piànte  e  i  robusti  ranni 

10  ogni  età  diflbndersi  Vecchio  *  fierx>  indomabile 

•  _  ti  11»  ' 

Per  le  create  cose?  Che  corre  al  par  coQgliaiini: 

Delle  tue  lodi  suona  ,    Arse  1  eterea  Tampa 

La  terra,  e  il  fasto  Empireo       JVeiripesàustp  turbine 
Tuttofi  te  ragiona»  j      Dell' apoUipea  lampa  ^«     .\ 

Po  quella  sei  .cui'ser?Qno   -    i  Di  Dio  Uman  benefica 
Shìfiottilii  mortali,       -  Chi  fih  che 'tf*ilt  rlreK ? 

A  cui  gif  Spirti  eterei     *  Delsoibmò  I^abWoairopeEa 

Tremando  curvan  rali,         , ,  Fanno  ragione  i  cieli:  .  : 
Cui  dal- cocente  lago  •  ...,    ,      Nolte  ragaùdo  ialorno      •  f 

.•  '-'  -'*  'v  .'  •'•■1» 

Ris^nde  iniaikondlfi^omìta      Alf  altra  no4 le  anooràziala  ;. 

11  fiikiiinat«^  Drago.  —       -       He  pàriÀ  tr^giorbò' al  giorno. 


t  De^  fioeente  ecis.  DaJH*  inferno.  :  .  -    .  ti  -ti  ■  «     .   . 

A  Vecchio  èc,.  Il  Tempo,  '  j,-  ij  w    .  L.|,    {.r   ;        '■''  '    ' 

3  Deit  t^eWtua  ec. .  Del  sole  :  ma  forM  era  meglio  non  intronar  qui 

cotvtU  tfpKsùone  tolu  dalla  wrilioiiigiM  > 


5ao  lbttmatdha  italiaha 

Già  deirÌDfiiio  spirito  Ma  benché  Parco  TiiKliee 


Ferre  al  calor  la  terra , 

E  dal  fea  ca?o  e  Ter  lite 

Sacco  tìuI  disserra  : 

Varia  prole  di  belve  , 

Al  rezzo  già  raccogliesi 

Delle  chiomate  seWe. 

Ecco  più  tardo  sorgere 

Dall' animato  limo 
Sair  EdeD  beatifico 

L^aoiD,  che  fra  tolti  è  il  primo» 

Io  coi  róob  esfaTilla 

Della  divioa  immagine 

La  damascena  argilla  S 

Meotre  le  belre  inchinano 

Prona  Fa  fronte  al  suolo, 

Soir  elevato  Tertice 

Volgesi  agli  astri  e!  solo. 

Veggo  in  forme  .leggiadre 

Donzella  a  lui  sorridere,. 

Cai  la  saa  costa  è  madre. 

9 

Ma  (|aali ,  oime ,  ne  tornano 
Crode  memorie  in  mébte,* 
Onde  V  orror  rinnovasi 
Entro  il  pensiér  dolente! 
A  hi.  V  come  .in  so  un  ferace 
Gli  accenti  si  cangiarono 
Delta  superna  voce! 

Anco  in  sao' spettro  orriliité 
Vive  il  primier  delitto, 
£  neli' orecchie,  ailonite 
Tuona  ra,i;ktico  Egitto: 
CTuasi  fulmineo  telo, 
Che  di  rovine  nunzio 

Rombi  per  noi  dal  cielo. 

i      i»     .» 

1  La  danuueena  m-gUU,  Il  corpo  d«UF 


X^nda  Giastizi*!  in  alto, 

E  le  colpe  indelebili  j 

Abbia  perpeloo  solatio,    I 

Pur  quando  mai  vien  meii 

Pietà,  che  l'ire  fervide 

Spegne  al  gran  Nume  io 

Ecco  dal  ciel  discendono 

Voci  ai  mortali  amiche^ 
Onde  Palme  si  scuotono 

Dalle  querele  antiche. 

Dio  gli  spfrti  consola 

.Prometti tòr  magnifico 

D^immotabil  parola. 

Ei  sul  petroso  Sinai 

Al  saggio  Israelita 

nelle  marmoree  tarole 

I  dieci  dogmi  addita. 

Egli  favella ,  e  il  saooo 

Del  di  via  cenno  ioTolvesi 

Entro  il  fragor  del  taono. 

Pieni  di  Dio  ragionano. 
Pieni  de^saoi  decreti, 
Lnngo  il  Giordano  e  il  Siloe 
Fatidici  ProfeH, 
E  air  im  mortai  concento 
Fra  la  nebbia  de'  secoli 
Tien  fede  il  tardo  evento. 
'  O  santo  estro  profetico 

Dato  all'anian  pensiero, 
Pé#chè  r  ingrate  tenebre 
Vinca  il  .fulginif  del  vero^ 
Perchè  cessi  ogni  danno 
Deitè  férme  che  v^ano 

II  lusinghiero  ioganOa^ 


SECOLO   DEÈlHIOTrATO  ^21 

Qoale  te  già  mirarono  Qnal  è  h  r^i^^Aoima 


Di  GiacJA  òti  tempo  i  regoi, 
Forte  tra  Boi  rispleiidere . 
A  di  tardi  doo  degni? 
ForiQ  è  la  toa  Tiriate 
Di  segnar  stanca  agli  oomini 
Le  Tie  della  salate  ? 
Ma  no:  d* Olimpo  Tardila 
Soglia  non  più  si  serra 
Al  commetcio  ammira'bile 
Del  cielo  e  della  terra  : 
Anco  in  fervide  note 
La  voce  udtam,  ehe  al  Libano 
I  cedri  infrange  e  scote* 


Cinta  di  erodo  acciaro^ 
Che  per  le  del  reo  calica» 
Non  lasci  il  socco  amaro, 
O  Trento,  e  al  too  consiglio 
Non  frema  solP  immagine 
Del  soo  mortai' periglio? 
Te,  Zaccar/a,  pafentano. 
Presi  di  freddo  gelo. 
Quanti  la  fronte  indocile 
Lerano  incontro  al  Cielo;* 
Qnanti  T  orecchio  han  sordo 
Al  fragor  minaccerple 
Dell' Acheronte  ingordo* 


Si,  {(nella  è  por  che  spandonor  Ergi  dunqoe,  ta,  Tomile 


In  così  largo  fiume 
Dno  '  che  pari  andò  esprimono 
L*aura  e  il  favor  del  Nome: 
Doo  che  dai  sacri  rostri 
Di  doppio  onor  coronano 
Fra  noi  d^  Ignasio  i  chiostri. 


Capo  dalfirao  fondo^ 

0  CrostòI  * ,  d^acc{ae  povero. 
Ma  d'ogni  onor  fecondo;^ 

E  "vedi  ne' tuoi  templi 
Rinnovarsi  di  Solima 

1  celebrati  esemplL 


Per  la  Concetione  di  Maria, 


Facile  troppo  e  credula 
Ruppe  il  Decreto  eterno 
La  prima  Donna,  ahi  misera! 
E  si  dischiuse  A  verno, 
Foori  per  V  atre  porte 
Uscirò  a  muover  goerra 
Alla  dannata  terra 
Colpa,  Ignoranza  e  HortOfi 


Esser  dovea  di  lagrime,  . 
Esser  cagion  di  lutto 
Di  conoscenza  T  arbore. 
Della  Scienza  il  fratto* 
Avida  la  man  corse 
Al  pomo  venena(o. 
Che  al  labbro  losingalo 
Breve  dolcezza  porse* 


1  Duo  et, .  I FF.  Trento  •  Zaccaria  predicatori  ia  Reggio  ntUo  ttesio 
A  //  erottolo*  FinoM  che  mette  foce  presta  Guaitalla. 

44* 


Sai 


LETtEHiréiiA  ìtttikni 


Ahi  !  come  breve  il  proVido 
Velo  che  i  mali  in  Tolse, 
Bolro  la  meo  te  aCtonila 
Tatto  sì  scosse  e  sciolse* 
Mossero  a  fag[gir  V  ali 
Tosto  lanoceoTa  e  Fede: 
Felicità,  piò  sedo 
Kon  ebbe  tra  i  mortali. 

Amor,  che  sol  d' iiigenaé 
Deltiie  il  cor  pascea  , 
.Accese  io  6amme  fìvide 
La  face  impara  e  ree; 
£  la  rer^ogna  ignota. 
Che  Iacee  mal  sofferse, 
Rimproferando,  emerse 
Sulla  Tormiglia  gòta,^ 

Della  divioa  imagiue 
Più  ooa  conobbe  V  orme 
L^alma  a  sé  consaperole  ' 
Delle  mutate  forme; 
II  fren  del  giusto  infranse 
Tizio  dei  éor  tiranno, 
E  nel  protervo  inganno 
Tacque  Virtufe^  e  pianse. 

Impasiénte,  indotnilfi    . 
Ira  Del  sangue  esulta , 
minaccia  inesorabile, 
E  Tendicata  insolta: 
Invdn  di  torri  puote 
Cingersi  e  d^  ardue  iuara 
'  La  TÌgile*Pàura  : 
Ira  le  torri  scote. 


Air  altrui  riso  pallida 
Invidia  il  cor  si  rode, 
E  le  calunnie  noedila 
Dolente  della  lode  *•' 
Seco  è  la  Fraade,  seco 
*  Biasmd,  che  ménte  zelo, 
E  d' amistà  col  velò 
Il  Tradimento  cieco. 

Cupidità  non  sazia 

Prenóe  fra  cento  chiavi 
Iniquamente  inalile 
L'oro  neir arche  gravi; 
E  se  d*  aver  V  intlegoa 
Voglia  non  ha  confine, 
Industria  alle  rapine 
Titolo  e  nome  insegna. 

rfatora  invan  su  i  tremali 
Campi  del  mare  infido 
A  guardia  e  Noto  ed  Affn'cc 
Pose  da  lida  a  lido , 
.Se  temeraria  prora 
Per  intentati  segni 
Porta  servaggio  aì^  regni 
D^  Espero  e  dell'  Aurora. 

Die  ibvan  Natura  agli  aomìoi 
Sorte  egual  d*  egnal  cana, 
Se  air  immatabii  ordine 
Non  consenti  Por  tona  : 
•Ella  in  volubil  cocchio 
Misura  il  aaólo  e  passa  : 
Tremante  il  valgo  abhtsn 
Il  supplice  ginocchio^    " 


l  Delhi  lode  (  intendasi  )  data  agU  àliH, 


BBe0t49V9)B^aierri^nr  r  5a3 

O  terra!  o  filictssima    '  '    -        Il  Re  àéV  piatito  eterno; 
Stanza  delPooar  prinilerÒ,       Sté$e  lo  «l^fltroy  e:  Mia 
Felfe«r1iim  che  Grazia  ^    '     *  Preda  la  ferra  sia , 
Tempro  ti  tentfe  e 'impero!  '    Dis$é;  e  si  schiuse  ÀYerno. 
Bl  isera  1  poicbè  V  vomojl  '     Folle  In  kna  vaAto  e  mìsero  ! 
Cieco  sai  proprio  eccesso^       *  Ecco  che  lui  calpesta 
C^onlamioò  sé  sfesso   f    <      >    Il  pie.  d' immortai  «Vergi ne 
Col  mal  gdstatb  pomo!  .       '    Steso  sull'empia  testa: 

Nel  Genitor  coipevole  .      Vergiu,  su  cui  non  tenne 

Tatta  fu  rea  la  prole:    •  Colpa  T artiglio  iniquo, 

Trionfator  dell'  Èrebo        -       Sola  del  fallo  antiquo 
Corse  le  ?ie  del  Sole  •*■    Che  monda  in  terra  Tenne. 

%  .  • 

m 

.  I.UIGI  C&BBSTTI ,  modenese,  nacipie  nel  173S  •  mori  nel  1808  a  Pavia 
3oTe  fu  professore  di  Eloquenaa. 

Alla  Posterità, 

»  .  .  •  » 

Idolo  de  gli  eroi  ,  terror  de  gli  empi, 
Spesso  delùsa  in  tanti  bronzi  e  marmi  ' , 
posterità  ;  se^  a  te  '  ne*  tardi  lem  pi 

Giungon-  miei  carmi , 
Odili,  pè  temer  che  de' nepoti 

Tradisca  il  TOto ,  o  falso  a  te  ragioni  : 
Che  a  me  dò'  ricchi  e  de^ polenti  ignoti 

Furono  i  doni. 
Unico  forse ,  de  le  a^cree  sorelle  | 

Infra  t  seguagli  io  libero,  io  ne^ grafi  , 

Modi  d'Alceo  francò  4onai./ra  imbelle 

Popol  di  «chiaTi.  / 

E  mentre  offrir  godean  plebei  Cantori  -  ^  t 

A  i  coronati  rizi  aonio. serto,  '  | 

lo  le  neglètie  osai  cinger  di  fiori  j 

Are  del  merlò.  ! 

'•"■•■.    _'■'■-         ■  • 


5^4  LETTBRàTUBA  ft^^kLUlTA 

Ahivqmi  età!  qaal  Pindo!  0?'«  dil 
Vanii  iPra  ooi  di  patriir  aelo'  S  tnoof 
Chi  ali  Omero  oggi  imita,  o  dii  T  i 

Lène  d' Ismeso? 
Che  se,  tra  il  crocidar  d^ immondi  attgei^ 
Ckialche'eiiierge  talor  Toee  fnbliniOv 
Qaal  obiettq,  qoàl  segno  a  di  sì  réi 

Scelgon  sne  rime? 
Ovanti  a  te  ginngeran  nomi  d^  ingioi 
Arominindi  a  la  plebe,  e  TÌI|  al  prode  I 
E  quanti  obblio  ne  coprirà,  che  d^oi 

.  Eran  di  lode  ! 

LoBSHSo  Pioilom  iilto*^in  Livonw  K  9.  agosto  IjSg^  fa  profifsson  & 
6sica  neir  Unirersitk  di  Pisa  »  e  poi  Istorìografo  e  Gontaltore  degli  stadi 
nello  Stato  tMcano.  Scrisaa  la  Storia  dgila  Toscana  ^  e  pareachie  Fapok  e 
NoveUa  in  Tersi  sulle  spiali  principalmente  'si  fonda  la  sua  lama. 

//  Rotigtìuoìo  e  il  Cuculo, 

Già ,  dì  lefirè  al  giocondo   .  • 
SiHarrare,  erasi  desta 
I  Primavera;  ed  ircrin  bioàcki 

S'acconciava,  e  P aurea  Testa* 
\I^T  tepido  e  sereno^ 
De  la  terra  il  lieto  aspetto 
>  Già  destava  4  tutti  in  seno 

)  Nuovo  brio,  ttuoTO  dilette»" 

Sopra  r  erbe  e  i  fior  novelli 
]  Saltellavano  gli.  armenti  ; 

Ed  il  bosco,  de  gli  aogelli 
Risonava  a  i  bei  'concenti* 
Con  insolita  armonia 

Entro  il  vago  stuol  canoro 


f 


'V  nsignuol  cantar  i  odfii  y 

Quasi  principe  dtel  coro. 
Le  Xfigi^vtxk  agili  o«le' 

h\  solivi  or  :k)p)  ór  |>aitteii    / 

Gbe.di«i4ttitft<4«aDlo;  poAte,:. 

La  oalara  Mipri»  Taitev^  : 
Ora  lenlQ;  e  <  placidjsstiii»       m  ■  •  ; 

II  bel  (;afito7Ìn  gt»!fli8C8iide$    .. 
f  .Or. «OR» .vplft^ rapidiMtiDo ^    -  . 

Gargbeggiandb^'iiiialto  asiiofKie* 

Tra  le.froodi  ei  €à«tà.«iilo';   ^   ■   . 
StaoDo  gli  altri  «  udirlo  iatoDlI;  / 
;  Ed. BTÓas  sospeso  ti  «ok»       '       • 
'    Fio  raiir«llo^'jrfr.er«iili.    ;  >.      ó 
Sol  studia  di  4{iiaiido  In ^oaàdo^    : 
In  fiofoto,!»  ranco  loono  >  .. 
Uo  ciKiifto^'Oiidar  turbando! -': 
•     Il  soave'  àmàbìItsuoìMU  r  . 
ìm^:^.  b  atridulp  eoouire,. 
•  ■  <  '  JuipbrtaQ .  divisone  taoU)-^  .  '  . .  •  <  ;  T 
Che  del  bosco  ;il«  bel  caolòré    r 
j)^  la*  fia'  aospele  il  'Càiifii^>  1         ' 
\  L'importimòvattgel  ]io|<)so  ■    .w. 
Dispiegando  jllor  le  peQH^^ 
Al  cantore  àriÉealos» 
A  pQsafsi.aocaoib 'ireiine« 
E  con  cigli»  allor  di  graie  . .-.  :  \    ^ 
Compiacenxa  e  orgoglio  pieiie»  -f 
Disse  .al  '  .musico,  soavio  : 
Quanto  Diat  caoiiamo  beoet  -«-^ 
.     !{' igoormite  ed  impludei^te  ;     ' 

D'accoppiarsi  al  saggio  ha  TartOt 
E  eoo  Ini  tenta  sovente 
De  la  gloria  esser  a  parte* 


5a6  letVerìtvra  italiaka 


:i     ì 


ha  Zucca 

Dolerasi  ona  tàcda 

D'efser  da  U  Natura  oosdaiitiata 
A  gir*'torpeiìdo>.Mpra:'il  svola  aniile. 
o,  dioea ,  calpemla 

Mi  troTo  ognor  da  o^ì  aiiknal  pfè  TÌI9; 
E  dentro  illiaio  ioToha, 
'  E  nel  crasso  vap<Nr<s«éipre  sepolta  , 
Cbe  deaso^  sta  ..sa .  V  amido  terréno , 
Hai  non  respiro-  il  ^dòlea  aer  sereno. 

A  ciofiar  sóiie'intóità»  . 

Tolse  e  ritolse  i-raasi  serpeggianti 
Ora  indietro  .or  aisnti,  . 
Strisciando  sopita uìl  sodi  con  gran  faticai; 
Tanto  cbegMtnto  a.aa^alt^  pianta  antica. 
L  pieghevoli 'rami  àTrolte  allora  • 
Al  tronco  de  la  plaéia  .intorno  iòlorno, 
Strisciando  cbetanwate  è.  nòtte  e  giorno  ; 
Talché,  fra.  pòchi  di^  troTOssl;gtfanta 
De  TaliMro  klaiipantai  \  '■  -mV^ 
E,  foltaodbii  itti  già  ^/gnardòia^ba 
Gli  nmit  virgolti  ■  cbe^'  gtaoelMi  aa  •■  T  èrba. 
Onesti,  «ripieni  aliar  dì 'dMra,vi^ia^ 
Chi  mai,  dicea'n^a' loro. 
Portò  con  ii(»witfaspeltàto  sa(la. 
Quel  frotiee  *j^e^Wo-  taalo  m  tallo?  —  ^ 
Rispose)  fi  gline^o.  allora^  > 

Sapete  con'  qiial.  arte  e^i  poteoi^; 
Gdongére  a  F  alla  cma  ?>  » 
Vilmente  sópra  H  sàol  strifotand^  p^ima. 


▲KonoìMftiM  1^  ja  Panna  itel  if74i'mori  nel  i8f^.f^  M\twtftff.4i   /f 
greca  ktUir^iil»  •  fesMtario  nella  Mtria  XJniVernUi.  .  *      ' 


O  graziosa  e  placida  '  ''  ^  *'  *  '  Qaaodo  le  gfhfràr  fcéèlllW'  ^''-^ 
Aura  che  qai  f^ggirt,     '^    ^NeHétdi  aotH  éi^i^i^^  m      ^ 
E  d;  fra jff ante  eteree  '  '       '   E  col  figlindPdl  CIoM  '        > 
SoaTemente  spiri;  -    Mesce  so^iìrf^èbaéi?      '      -> 

O  del  più  Tégd  Zefiro        '     'Quale  ìnif^;  sóri^idall  '  ' 

Alidorata  figlia',         ^         '  ^^H^lèl*  sèmpre  sereno; 
O  9ala  solo  à  movere'  *  Lungi  dà  n^ie,  coi  premonr*  -  * 

L'Amatoaléa  èonchi^a 'V    *    Gelide  cure  it  séno.'   \       ' '^ 

Dimmi,  ónde  fieni,  egarrblà    Obblio  tenace  P ànima  ^ 

Perchè  d'intorno' alèggi,         ^D'ogni  letiziai  hee,  '^  ' 

E  di  mia  cetra  eburnea'  '  Poiché  répllh  Ìl  rortice 

Il  tremolar  Tezzeggi?  ;   Di  perturbate  idee. -'  '    '''"■ 

Forse  d^àì  cofle  Idalio,    '  Toma  ah  bel  colle  Idi^io,'       " 

O  da  Pafo  inoTesli  ?  Torna  di  Paft»  ai  riti -,5' 

D'Ibla,<]f*it]iètto.*i  liquidi^   Pietosa  ài' tta'rito  ttM#liiort> 
SòaTi  odorlléésti,  DI  Filoinéoà  e.d'Ili>«  ' 

Per  iUillar' neir anìinò         '  ''Ami  per  te* disciogliere  '  ' 

Di  giortné  cantore  '  Fl^bltemente  ?aria 

MoUi  sensi,  che  tmpatioo         I  morUioDcK  geaiili     . 
A  sospirar  d!  amore?  '  Colomba  solfterlss 

O  ver  tu  sei  del  nov^o  "Per  te  Faugel  dUlcbsimo, 

Di  quelle.  Aura  ginlivat,'  'Ghesòira  ogn^allro  albagia  ^, 

Che  solto  il  cocchio  ondeggiano  L'esli'emo  Calo  moduli^ 
Dell'  Acidalia  Dira  ^ ,  A  cai  Al€aodrot^edieggia* 

X  £'^matufiit0  Mf  •  X»  ^iidù|lia  ii  Tenere  dea  d*  Anàtulta.  ,       : 

%■  IhU  ed  imt^^ìM^itàà.  celeri  pc^  ìa  Ingrana  de*  fiorì  ■»  per  la  acavìtà  I 

del  BD^le» 

3  dcid^  dieevkd  Venere  •  iToiae  perche  te  ftr  «aeia  «na  iloatana  di  .qM*  [ 
il»  nome.  -J^'HiJ^Btitflo  dk  CSnir*  è  Adonr  jUmId  d»«VeiifNk                                             j 

4  J^iiMMi  f%  triafonaata  in  ttsifanolo*  JU  in  fig^una.  ^^ 
h  Ohm  *wr€  «e.  Òi'  e  pip  )>iaDeo  d*  egni  altra^  •  l^fislalijl»  U 

r  «1^  I  pneti  Ufpfwop^  éÀ  fiiutt  lleaBdró« 


I 
I 
\ 


E  se  gioìoMl  celerà  E  dèi  Signor  M  «ee^li 


Pare  ftiiiaiar  li  piace  , 
Va  dote  solo  aloergam» 

Amour  M»a«4iace,    . 

Grecia  le  i«rili,^  caiaiaa  > 

Greco  pfT  to  li.ftNilr'i 
Amabil  a|iica,#|Rl#$oe..   . 
Di  lofin^bien^cceali.  •  . 


Io  le  recala  al  trono: 

M' aprito  il  varco  e  tacquero 

:i  E  le  teropetle  eJI  J^pno. 

Eiso  il  bo4|o  Dio  raggia? ami 
D*  «a  ineffabil  riso  : 
Rotto  per  ine:t  strisciarasi 
Alla  doo^eUa  ia  vi^s  - 


Deh  !  chenoiiloral  a  ma^evf  ^  :  E  talta  amor  sf^eeaii 


Oaor  4*  ^^rfHe  oA^ai 
O  bocca  delle;  gf|izi« 

Paitor  *  di  S4r«siMa* 

E  lodi  mirto; P)i$ia} 
Cioto  la  cubila  ftinM^, .   , 
Molle  testor  di  veaiirì  f  ^ 
Feftifo^Aaaci^c^Iel -^ 

Eh,  taci^f]id6:rt4p^fire,^ , 

GioTift  loaMftr  ^  :t>'ai:cW«« 
Odio  i  profani. wmm.ìt  i 
Di  mena^gUar  p90|a 


j  .  1 


Onetla  beiralm^  U^tanlo, 
I    E  le  parole  te^ef^ 
,  Ii)teFrompea:^Ql^piiii||o. 
i  Eterna  a  quel,  net.Ui|^e« 

Suono  gi^raVU  fede  ;  . 
:   De*  zeffiseUt.  ipyidia  • 

: 'Bella  n^ebViòtipercedot 
Fra  Je  belli  anr<^  misticb^ 
,  Ajifie  irolàr^fu  dato£ 
;  Scherzai  fra  icedriel^ptataoi 
y  Del  Vxhdipaff^QV^tfi»,   ir 


Pensa  qual  d'alia»  rVerfUm^  .Anche  al  cnUor  ili  Gerico 
Nome  (|nag|jèraKOjaoKa%     ,     ,  Baciai  fa^5;fjim/ronte3i  : 
Cbeincieldaipgrficaagididie^  E  sìDsarrat  i^I  infi^gio^ 
E  ftalutatdàaeaira^    i  /:   .}       tDel  sigilla (9  fonie*  ..    ..  j 


i  A 


^elPorto  in^cces^il^Jk:.  ^ 

,  Mi  9onsecr9^J^'^Ml^^fo; 

Ne  di  germg^  IgfHibìk  - 

Conlàmioomiii^  il  \^w%  * 

Jo'd*1sp{i-àH>cMfibi' 
La  cetra  ìùa  Kiegital; 
Cbe  di-  Dfo  piene  nicifana  ..  .  Cb^  tra  oio\ì^a|)e.  im^giai 
Da  qnel  l>el  Mbroamaale*      1^^^ 

i  Ma^ut^  Ganat'l' «  ili  geviertié ,  ^trofneiito  aa'fiaio^     "\ 

2  Postar  00*»  Taoaito  <  sinuimuM  I  |poeU  p«,stcinl«.  '  ^  • 

3  Testar  di  veneri,  Teuit<t^  di  grasi« ,  Poeta  di  «tilt  grasiok*  ed  ambile 

4  46>M^'l^«r:^)i^"5«iHr<Ìea]iÉ;  ^ 


U&àpL  «ÒR  ÌQV<^^'fi<>g«VÌP 

Voce  pótej  ^adjiia    1   . . 

SoUaiil;caiidor  V(bria|)|e(i 

Delle  urginee  dita:  »., 

L' Aur^  >P9.  jo,  che  fuggere 
Godea  le  note  sante. 


;l      ;      >  • .    . 


*v 


•    * 


.:  e  ".     ■' 


'      .  • 


SBGOLO   DSCIVOTTffO  Sa^ 

dr  To^  lae  labbra  tergere.  Né  più  s^aMolli  (ab!  folgasi 

Vo^  die  agli  eletti  epirtì  lì  detestato  esempb) 

Salga  odoroso  cantico  I/io?ereGonda  masica 
D' ahro  che  rose  e  mirti.  Lossiireggiar  nel  tempio. 

E  'I  buon  dra^ppello  armottìco  E  'I  salmeggiar  Davidico, 
A  Cecilia  diletto  E  '1  de?oto  lamento 

Oda  per  te  qual  debbati  II  prisco  onor  rijestano 

A  music^  Aura  oggetto*  Dell'  Idameo  contento.  - 

Essa  a  tìI  cosa  Inibite  Tace;  e  ricerca  insolilo 
Non  doni  i  modi  sai:  Tremor  l'arguta  lira. 

Iddio  spirolla  agli  nomini,  Commosso  il  labbro  palpita: 

Perchè  rilorni  a  Lai.  Segoi,  beir  Anra,  e  spira. 

Salomoxs  Fiowamxo,  ebnOf.nac^iu  in  Monte  San  Savino  Tanno  ^4*» 
e  mori  nel  l8i6. 

Jn  morte  della  moglie  *. 

D'  ogni  dalor  più  crodcl mente  acerba 
£  la  raemorhi  del  tempo  felice. 
Che  vira  e  vera  il  misero  ne  serba. 

Quel  ben  che  area,  di  cui  goder  non  lice. 
Maggior  di  quel  che  fa  si  rappresenta 
L' agitato  pensier  dell*  infelice. 

Io  so  quanto  V  iminagin  mi  tormenta 
Della  perduta  mia  dolce  consorte, 
Ofunque  io  sia ,  come  eh'  io  guati  o  senta. 

E  il  softenir  di  lei  m^ange  si  forte. 

Che  se  r  Occaso  *  annotta  e  V  Orto  aggiorna , 
Io  provo  quél  che  è  poco  men  di  moiOe.  . 

Ecco  che  in  braccio  al  nuovo  aprii  ritorna 
La  gaja  Primaveiv  giofinelta. 
Di  fiori  tenerelU  il  manto  adorna. 

1  Par  «lutiti  vani  V  Autore  fé  chiamato  d4  Fantpoi  CMior  dòhìde  tte!U 
prima  epos»,  T.  p^tg .  4?^  ^  questo  Tolumab 
a  I.'  Ckeaeo,  V  Qcddenle  j  1'  Orte,  V  Orienta. 

LBtT)»AT.  nkìé»  r  ir  4^ 


SÌ6  LBTTBRATORik   iTALIAlfA 

ll'tèBipb  è  questo  in  cai  la  «sia  diletta  9 
Pie  vaga  delf  istessa  Primavera  , 
ly  amanni  disse ,  incerta  e  tiaitdeCta  ; 

E  questo  è  il  ì^mpo  in  cai,  da  qael  eh*  ella  cn 
Diversa  taafo,  aìtaèl  ^estremo  addio 
Diemoii,  e  vide  <)uaggiù  raltima  tera» 

Dite,  o  fidi  in  aanar,  comeposs' io 
At  oonfronto  cnidtel  del  vario  stato 
KoD  slroggermi  nel  pianto  e  nel  disio? 

Ah  !  cbe  V  acerbo  caso  sveotaralo 

Temo  pur  sia  del  mio  fallir  la  pena  ; 

'     Che  in  eccesso  d'  amor  forse  ho  peccato* 

Tra  1'  alma  e  Dio  *  sol  dee  formar  catena 
D*  amor  V  eccesso  ;  ed  io  trascorsi  il  segno 
Prescritto  nell'  amar  cosa  terrena. 

E  qnel  che  la  creò  per  mio  sostegno, 

A  me',  che  n' abusava  ,  il  donò  ha  tolto*; 
Giusto  nella  pietade  e  nello  sdegno. 

Io  son,  che  in  danno  ho  it  suo  favor  rivolto: 
Ah:  !  che  col  fofle  traviar  dei 'sensi 
In  dolce  pianta  amaro  frutto  ho  edito! 

Dunque  a  che  fia  ,  che  deRraado  pensi 

Mia  niente  inferma ,  e  che  i*  ^Slio  non  possat 
Sanarla  ancor  co' pigri  flnttl  e  densi? 

Chiuse  nef  cavo  sen  d*  ingorda' fossa 
Furo  le  spoglie  amate ,  e  sol  ne  resta 
Della  sua  fame  avanzo  ^  aride  l'ossa  ; 

Eppur  r  accesa  fantasra  molesta  , 

Qualunque  volto,  ove  belude  io  veggia. 
Qualche  parie  di  lor  fa  che  rivesta. 

I  Tra  l'mima  «e. .  Yv^ol  dijre  ch«  folo  a  Dio  può  1*  uomo  portar  ub  aoMn 
scnxa  misara. 

a  ^  mcs  che  ee,j  cioè  :  Mi  ka  tolto  il  4oiio  di  coi  io  al^os^va,  vol^trà) 
in  quello  1*  amore  debito  al  donatore. 

3  Dttla  sua  famei  cioè  :  pella  fama  della   ioiaa  ;  ma  non  è  imBagine 

tnolko  graaioia  ia  questo  luogo. 


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fBCOLO    DECIUOTTIVO  53  T 

Cruda  pitlrioe,  ove  ragion  vaneggia  , 

Cessa  dalPopra:  ahi  troppo,  ala  troppo  ho  donde 
Apprender  qael  eh'  io  ramiueota,rml  or  deggia  ! 

Di  lei,  che  al  tao  penne)  fugi^^  e  s'  asccmdf , 
Ben  altri  colF  energica  fafeUa       ' 
Parlami ,  a  cni  Io  mio  doJor  risponde. 

Notte  ,  del  di  pia  maestosa  e  bella , 
Che  le  glorie  di  Dio  pef  cielo  induci 
A  narrarsr  fra  lor  stella  con  stella  n 

Tu  la  mirasti  Qon  immote-  luci. 
Vagheggiar  meco  nel  sereno  estivo 
Le  tante  mera  viglia  che  conduci  \ 

Meco  r  nditti  in  tei  fiammante  e  tìto  ^ 
Gareggiando,  all^ eterno  Facitore 
Daf  lande,  qoale  V  non  so  dir  né  scriro.  ^ 

In  quelle  del  gioir  pacifiche  ore:,     , 
Per  lei.  stringer  Tedea  nodo  ^^:Mà, 
Santa  Pietade  e  con|agale  Amore. 
.  Qual  cnra  più  pong^e.  e  qual  pKi  grave- 
r  non  sopiva  Ael  suo  casto  seno 
Con  quel  pi^r  che  ripentir  nop  ave  '  ! 

Amica  nqtte,  iil^.J  se  anco  il  tuo  sereno 
r  guaio,  e  basso  il  labbro  mio  si  lagna. 
Quanto.  per4^  non  rammentarmi  almeno. 

Ma  tu ,  ^l  cuf  fresco  uqi0r  sola  mi  ba^a  ^  > 
Spessa  qqalicbe. ombra  invìi,  che  mi  richiede: 
Infelice ,  dp^'  è  la  Ina  compagna  ?  •*- 
Ahi,  che  me /l  cerini  ancor  Falba  se  riede:; 
E  il  .cor  %\  duole ,  e  T  occhio  si  rattrista ,    * 
Che  noDipnote  ndditar  ciò  che  npn^  tede. 
Quella  imma^o  cha  un  .dì  pingea  la  visla   ' 
Alla  memoria 9  or  la  memoria  a.  lei  / 
Pinger  vorria,  né  però  fede  acquista* 

X    Ch»  ripe/^tir  fc. .  Che  aoa  ha.  tvaorù ,  p«icb«  npu.  ti  SAompagoa  dalla  virtù.- 


53a  tETTERATOai   tTAtUHA 

Beo  son  gli  ometti  loaÉiIniat!  qaei 

(  E  il  lor  parlare  a  lor* f^e  non  togfte) 
Che  fan  la  somma  ckgli  affanni  mieu 
'  Se  veggio  un  olmo  poterò  di  foglie  , 
Coi  turbo  reo  diTelae  dalle  braccia 
Ed  aiterrò  la  pampinosa  moglie , 
Il  miro  sospirando  ^  e  mestò  in  [àcci»  ; 
Che  il  nudo  tegetabile  marito 
Panni  che  speoebio' e  in  un  pietà  mi   faceta. 
Se  un  fiore  osservo  allora  allora  osci  ti» 
Dal  verde  stelo  >  che  più  odor  comparte. 
Che  d'  altrf  è  più  di  bei  color  restilo  , 
Io  penso:  delle  eare  membra  sparte 

Chi  ta  che  ali*  aer  commista ,  o  di  sotterra 
'   Qualche  pingtie  *  noi  nutra  umida  paKe  ? 
Perciò  m^  inchino  pianamente  a  terra , 
L'  odoro ,  il  bacio ,  e  còglierlo  non  oso  ; 
Che  al-redÌTÌTO  (i^r  tetto  far  gnerra. 
Ha  ta.  Zefiro^  tit,  ebo  in  aanoroso- 
Vezzeggiar  mi  (^aggiri  al  folto  intorno, 
•  Qnal  solevi  ne'  di  del  mfo  riposo  ; 
Quanto  importuno  or  sd  nel  tuo  ritorno  ! 
'   Qaal  rimembranza  tenera  e  crudele) 
'  Quale  idea  mi  risvegli ,  ed  ahi,  qval  giorno! 
Così  crcd'  io ,  qnaèdo  Ja  mia  fedele  - 
Si  Kiolse  dal  suo  (irai  cdn  un  inspiro, 
E  in  più  felice  mar  ^ie^ò  le  refe , 
Che  lo  suo  spirto  equilibrato  in  gire^ 
'     '     Con  atto  da  poter  far  molli  i  osarmi. 
Circondasse  me  si{tiall2do  e  deliro; 
E  cento  fiate  il  voi ,  pria  di  '  lasciarmi , 
RetrociKlesse  a  €|ijesta  parie  baisa, 

I  Qumlche  pingue  ec.  .  Altri  poeti  «libero  queitt  Idea  che  nell*  erbe  e  net 
fiorì  si  trorasie  tnaiaUta  qualche  parte  delle  loro  doooe  già  morte  i  va  le 
papule  osate  qui  dalT  Autore  moo  pajóao  abbastaan  tlelte  per  MlùUiadi^ 


SECOLO  oEcrnoTTiTO  S3>3 

Per  Ltmbirmi  le  gole  0  carezzarmi* 
V  D*)l  senlfi ,  che  di  carnosa  mnssa 

Vestito  il  senso  apprendere  non  puote 

L'  nrto  leggier  d*  un*  anima  che  passa. 
Ha  il  Zeffiro  che  aleggia  in  Ueyi  ruote , 

E  qnel  disio  che  a  lagrimar  m'invoglia, 

Profa  mi  fan  ddle  carezze  Ignote.  ^ 

Gfà  della  forte  età  lascio  |a  sogli/i , 

Già  sol  .▼h'il  sentier  Porrne  che  imprimo-, 

Orme  non  son  della  più  Terde  spoglia.  ' 

E  come. il  TÌUanel  da  somitao  all'imo 

D'  erbosft  balza  trae  per  gioco  11  fianco  ,< 

E  sfida  l'altro  a  chi  discende  ri  primo;   > 
Cosi  strisciando  il  tempo  agile' e  franco,* 

Parrai  che  inviti  a  sdrucciolar  vecchiezza 

Vèr  -me  che  ho  misto  il  cria  di  nero  e  bianeiK 
Misero  !  e  qaal  conforto  olla  tristezza 

Ritroverò  piò  passeggero  e  lieve 

In  queir  età  che  ciascun  fogge  e  sprezza  ;    '  *  - 
Se  il  volto  macilente  e  il  crin  di  neve  •  ••< 

DI  chi  vacilla  al  vacillar  degli  anni , 

Faor  che  a  fida  consorte,  a  ogn-iiltro  è  greve""? 
Memoria ,  to ,  che  air  nom  raddoppi  i  danni  , 

Quando  sei  cote  a  mesta  fanlas{a  , 

Se  nel  felice  stalo  oblìi  gli  affanni , 
Neir  infelice  ancor  le  gioje  obifa. 

OiuMm  Bautti  nacque  in  Torino  il  25  aprile  17x9.  Alla   ediieaaiette 
di* a^, ebbe  paco  felice  si^plirono  l'ingegno   e  gli  studi  Aitti  più  tardi,  | 

e  la  conwnaaione  degli  uomini  colti  conosciuli  ne*  Tarii  viaggi    in  Italia   e  i 

ftieri.  Viue  molti  anni  a  Londra ,  e  pose  tanto  studio  nella  lingua  inglese  «  1 

dbe  Dt  eompllò  un  Vocabolario  molto  stimato  aifehe  oggidì.  Molte  delle  tile  k 

ìj^t»  f  •  pridcipalmente  ^lelle  jielle  ipuiìi  detcìive  i  suoi  vÌAggi  »  *f^oa  ad 
lA  teapo  Irfésso  piacerolissime  ed  istruttive.  Nella  Flrusta  Letteraria,  cb*  egli 
«viist  ^tto  il  nome  di  Jriatareo  Scttnmiém9,  m  trovano  al  certo  «u)Ue  sen- 
1MMÌ  tlpM  ad  ingiuatt  t  m»  nondiat no  «i  vuol   coafeaaar»  eh»  il  Baietti 

45* 


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534  CETTERATVRA   ITALIANA 

colla  firaaclitfsM  ^pulche  volta  ecceNÌva  di  quel  Gìomale   giovò    noo 

alla  aoitra  Ictteratora.  ELlie  una  ostinata  controvarsia   con    Appiano 

fede;  •  morì  in  Londra  li  6  maggio  1789. 
» 

A  Don  Ftxmceseo  Corcano, 

Don  Francesco  mio,  vi   darei    proprio   quattro    pn^iv 
buoni  se  ti  fossi  vicino,  pel  supposto  ÌD§iuriosò  che  pos- 
siate perdere. la  mia  amicizia  a  cagione  del    vostro    9cr> 
Termi  liberame/ite  quel  che  pensate.    La  mia  aoiicizia  è 
cosa  da  nulla;  ma  se  vei  volete  pur  compiacerti  di  ^rer' 
la ,  dovreste  sapere  che  il  più  sicuro  modo    di     renderla 
eterna  eternissima  è  appunto  qi^llo  di  parlarmi  stchìet/o. 
Io  vi  sUmo  tanto  degno  degli   affetti    miei,    che  vi  dico 
francamenle  di  quelle  cote  che  non  vi  direi    se    non   £h 
tessi  alcun  conto  di  voi  ;  ma  se  venite  via    con    di    qne* 
sopposti,  non  potrò  più  dirvi  i  miei  pensieri  tali  e  quafi 
wA  vengono  nel  capo.  Torniamo  ali'  Italia  ,    di    cui    fate 
bene  ad  avere  buona  opinione  giacché    v'  avete    a'  stare , 
é  di  cui  avete  la  vostra  mediocre  parte.  Io  per^  che  noo 
VI  trovo  alcun  bene  sostanziale^  e  molti   mali    sostanzia- 
lissimi,  la  voglio  presto  abbandonar  per  sempre,. e    tor- 
narmene là  (qoand' jiltfo  non  m'intravvenga)    dove  tro- 
vavo i  beni  misti  a  i  .mali  e.j  mali  a  i  beni.    Ma^  come 
diavolo  potete  voi  consigliare  un  par  mio  a  scrivere   de' 
libri  e  a  guadagnare,  come  voi  dite,   de*  buoni    ducati.' 
Per<^è  questo  sia  ,  bisogna    prima   che  m'  insegniate  la 
difBciI  arte  di  scrivere  alia  maniera  del  Chiari  e  del  Gol* 
doni  ' ,  altrimenle  non  guadagnerò  per  Dio  né  da<»tf  oè 
.mezzi  dueati.  Voi  credete  che    in    Italia    vi    siena    taoli 
ammiratori  del  mio  scrivere,  e- tanti  avidi  di  leggerete 
mie  cantafavole  quanti  vi  sono  uomini;  ed  io  vi  dico  per 
la  decima  volta,  credo  «  che  ho  T  esperienza    ia    contrs- 
rio;  e  voi  sapete  pure  che  di  questa  io  debbo  esser  mf- 

X  Fra  le  aentenao  false  ed  iaginate  del  Sarttti  v*  ha  seosa  dublùo  wuàt 
.  ^neUa  eh'  ci  diede  coitlro  il  Goldoni. 


•BCOLO  DBCnibTTATO  933 

glior  giudice  che  non  toì.  CrederestQ  che   in  Roma    ca- 
fmi  mundi  9  e  che  in  Fiorenza    capiU    s0fMeniiie  non  ho 
potuto  Tendere  dieci  copie  delle  orìe  l^eltere  e  della  min 
frusta  ?  Pensale  poi  negli  altri  paesi  I   E  poi  non  afele 
i.Toi  alcuna  idea  de'  nostri  librai ,  per  le    mani   de'  quali 
m*  ha  da  passare?  Ha  rei  misurate  gli  qggetti  lontani  da^ 
.▼icini,  e  tì  credete  che  perchè,  ho  quattro  fautori  in  lVIi« 
i  Inno  ne  abbia'  anche    negli    altri    paesi.    Don    FranceMO 
mio  ,  la  Tostra  semplicità  è  reramente  aurea  ^   e   T  Italia 
non  la  conoscete.  Hi  direte  che  io  non  vendo  le  cose  n^ie 
|)erclìè  offendono.  Chi  -offendono  ?  Quattro  gatti  che  non 
•ìgnificaao,  e  che  tutti  hanno  gusto  di    federe    straziati. 
Il  mondo  ama  più  una  critica  severa,    una    satira    può* 
^ente ,  una  corbellatura  forte  data  a  qualche   individuo.  ^ 
€he  non  mille  lodi  date  a  migliaja  di  persone.  Questa  è 
la  natura  umana;  ma  T  Italia  non  è  una  parte  del  mon- 
do, e  la  natura  in  Italia  è  soffocata  dalla  corruttela  stra- 
Ixicchevòle^  e  s' è    data    tutta    a   leggere  delle   freddure 
cbiare&che  e  goldoniane,  anzi  a. non  legger  nulla  oggimai 
né  di  buono,  ne  di  cattivo.  Tratto  tratto  vien  fuori  qupt- 
che  coserella  In  istampa  che  fa   un   po^  di    remore  ;    ma 
presto  quel  romore.s'afcqueta,  e  non  se  ne  &  altro.  Chi 
TQol  leggere  qualche  cosa   procura   dt  farsela    imprestare 
per  risparmiarsi  an  mezzo  paelo,  o  se   ne  lascia    passar 
la  voglia;  onde  non  v'è  modo  di  fare  ducati  sicuramea- 
le.  Mille  altre  cose  potrei  dirvi  in  qjaesto  proposito;  che 
r  esperienza  m'  ha  fatto  dottore.  Potrei,  dirvi  che  il  Bue 
Pedagogo  '  fra  V  altre  cose  è  stato  letto  co;i  avidità. subito 
stampato  e  ristampato  perchè  è  una  satiraccia  infame,  e 
che  è  stato  approvato  ed    appluodito .  dalf  universale.  )o 
lo  confuterò  sni  serio ,  e  bone ,  ed  invincibilmente  al  tr&- 
Ininale  di  quelli  che  hanno  lume  di  ragione;   ma  questi 

•     1  Jlue  Pedagogo,  Tìtolo  di  nn  Ubio  d'ippìuio  BooiMMe  «qntfo  il  AurtUL 


536  tBTTEftàTUAA   ITALfàHA 

fooo  tanto  pòchi ,  che  ?i  stapireste»  se  vi   dicessi    qojok 
'pochi  t  Ma  ho  io  per  questo  a  rispondere  nel    meflesie 
«stile  e  mòdo  del  Frate  Baoaafede?  Me    lo    constglierafe 
Toi?  E  poi,  ancorché  mei  consigliaste,  arrei   io  F  abiliti 
di  farlo  ?  No  certo ,  che  io  non  so  scrivere   in  qoel  t» 
do  :  io  non  so  dire  qoel  che  non  è  ;  io  non  so  fiilslficar 
testi  ;  io  non  so  calonniare  ;  io  non    so    trasformarmi  m 
bestia  •  .  •  Orsù,  fra  dieci  o  dodici  dì  io  lascio  Yeneiii. 
perchè  fra  dieci  o  dodici  di  spero  che  sarò  perfettameote 
gn/irito.  Dote  io  ?ada  vi  prego  a   non    mei    domandarv. 
Ve  lo  farò  sapere  quando  sarà  tempo.    Voglio    andar  ia 
laogo  dorè  io  possa ,  per  nn  pajo  di  mesi  almeno,  esser 
tulio  mio.  Ho  bisogno  di  ricompormi ,  né  lo   posso   fare 
se  non  faccio  nn  pò*  di  tregua  col  mondo.  —  Stateri  sano 
e  lieto. 

JUo  stessa. 

Le  fostre  Terse  Rime  le  ho  lettr  tutte ,  e  ti  so  dire 
che  il  telale  di  esse  «on  può  se  non  dare  a  chiunque  ba 
buon    discernimento  una  bella  idea  di  quella  bontà  e  di 
quella  ^candidezsa  d*  animo  di  cui  la  iMtnra    e  gli    studi 
fostri    ?'  hanno  mirabilmente   dotato.    Riguardo   però  al 
loro  falere  come  poesia  ,  m' è    forca   dirvi   alla    sch iella 
che  non  ne  sono  sommamente    contento.    Voi    non  arek 
fatta  Teruna  f/itica  net  trattare  gli  argomehti    che    arek 
trattati,  ina  detto  quello  che  la    rima    ha    suggerito  di 
mano  in  mano;  e  cotesto  scriTere  alta  carlona^  già  lo  sa- 
pete ^he  non  m'  è  mai  ito  a  sangue.    I!    troppo  leggera 
le  cose  del  Passeroni ,  che   scrive    talvolta    cento    oliate 
«scosa  cancellare  nn  verso ,  ha  goaslatp  voi ,  come  prima 
ili  voi  avev?  guastato  41  Balestrieri ,    e  anco    degli    altri 
'prubabilméip^e.  PermeUeteini  però  di  dirvi  ehe  la  poesia 
non  debb*  essere  fatta  cosi  alla  presta  ^  cosi  alla  dispera^ 
ta.  Sia  V  ingegno  nostro  grande  y  vivo  ^  bizxarro  quanta 


tBOOtO  DCetMOTTATO  SS) 

«i  TQole;  i  verti  iioslri  dsbbon  essère  slu<Uali  4|iiilia|isst* 
«ni,  e  pieni  riboccaiitì  di  cose  a  an  ieoipo  gi^le 'ect  blról- 
t,ire.  A  !misara  che.  seoo.ito  iikTeecbiiiQkia   e  :  medìfando f 
mi  scmo  reso  schìuioòso  ogoi  dì  pio ,  !nè  |M»a$o  pi»  leg^ 
-gare   con    flemma  qaèlle'  poesie  che  ttoà  ha  imo  lotta    h 
flessibile  belleiza  di  lingu/C  e  di  Tersegoiameulo ,  iosieme 
«OQ  Ittita  la 'possibile  energia  di  peosiero*.  Il  miniflio  ef- 
vore  di  grammatica,  lai  ounima  espressione  sfbraàla-.  dalla 
rima  ansi  ^he  dali*  argoiArealo , .  la  minima  disognlaglianui 
nello  stile , .  la  minima    poTertà    ne^concettt  ,    il    minimo 
aTÌo  *  fatlo  aeo^a  necessità  dal  soiggeiki  principale  mi  dìa^ 
^sla   e   m^  offende  y  e  mi  fa-  oadere  H  libro  dalle  mani* 
Soffrite  dttn4|ae  éh^  Io  .▼*  a? Tcrta  di  non  mi  mandar   pili 
-poesia  alcuna  ,' sia  di  ehi  ti  .mole;  perchè  qnantanqae 
-mon  sia  iwposaihìié  ohe'  alcima  qui  •  qna  mi  potesse  pia» 
-tfsere,  giudicando  .da  qoelle  che  in  questi  passati  anni  ti 
•lete  oom piaciuto'  maitdajpmi-,   redo  non  essere    in    vostro 
potere  mandarmene  aktina^che  mi  satisfi  pienamente.  Alala 
figora  '  farà  F  Italia' d*"' òggi   ne^  secoli  a? lenire  in  fatto  di 
poesia,  poiché  i  principali  -  poeti  de*  giorni  nostri,  vale  a 
Jire  Carlo  Gòzzi  e  C^iabcaslo  Passeirooi ,    si  sono  ^  messi 
.in  capo  che  ImsIì  infizaro  miglia)a  'iK<  rime-  per:  essei^ 
degni  dèi  nome.  V  «no  e  1*  aliro   d'  essi    fu    arricehilp 
dalla  oalora  di  qiiantoiéerndlo  baflata  per  ornare  la  ptf 
li-ia  loro' di  milieu  poesie  maraviglioiia;  'ma  Tuno  é^  F  ài- 
tiro  non  hanno  votolo:  pigliar  fatica  ,   ed  hanno-  sporsi  i 
*oomponimeoÌi  loro  'di'  tante  cose  insipide,  sciaiioafe ,  sfi^ 
bratlssime  ,*  che  non  ai  possono  leggere  da  uno  che  ami 
la  diligenza  é  la  perfe^iotic  io  ^gni  •eempoerimento  poeti- 
co;  e  per  cólmo  di*seia]g)tnl'  hannd  giiMa  coNo^  esem- 
pio tutti  gi^  ingegni  di  seconda  classe,  Indiiceiidoif  a  but- 
tar giù  ogni  cqsa  che  viene  bro  in    capo  ,    come  ,se   la' 
frettolosa  facilità  icMise  V  nuicp  fregio  d'  un  oomponimenln 


53S  LBTTKBlTUmA   nàMMOUi 

poetico.  Kon  si  poò  dire  (a  qoanUtJh  di  Tersi  che  In  que- 
sti nltimi  anni  mi  s6ao  stati  maèdàti  da  varie  delle  De- 
stre città  priocipalirf  Gresaramarla,  quanta  robaccia!  Qaaolt 
Titaperose  |ioesie!  B  delle  prose  che  si  scarabocdbiano  da 
qaelle  tante  bestie  di  Roma ,  di    Napoli ,  éi    Fìreose  e 
d^  altre  cillik,  che  posso  dime?  PoTcra  Italia ,  qaaiito  se* 
IransaDdata  !  Vadano  dunqae  le  poesie  e  le    prose    roo' 
darne  io  cento  mila  malore;  non  ine  ne  mandate  piò  di 
sorte  alteona ,  siano  di  obi    vecliano   enere*    CokiTiamo, 
munteniama  ed  aoeréseiamo ,  se  è   poesìbile,    P  amiciiM 
eon  lotti  i  beoni ,  sènxa  pie  ba&re  alle  pessime  prose  ed 
elle  poesie  pessimissime  che  lottere  fanno  aocÌal»attando  '. 
fn  Inghilterra  ed  allroirei  coom' in  Italia  «  sono 'moKissimi 
qqieili  che  fanno  delie  prosaoce  e  delle   poesiacce    onica- 
mente  per  moprarsi  e  per  hkggir  ozìp,  e  che  sanno  to^ 
lavia  essere  bponi  amici ,  booni   padri ,    boovii    mariti  e 
Iraonissimi  'uomini  in  ogni    cosa.    0>nlenliaaoci    qoando 
fon  tali  ^  e  'non   badiamo   a    quelle  che  sqfiTeao    come 
poeti  o  prosatori ,.  ma   a  qoel    che  firano    onme  'aomiui 
neUa  società,  ctrile.  E.  cosi^  Don  Fraooeseo ,  voi  non  sa- 
irete  mai  il  ì»io.  (loeta,  ma  sarete  tempre  il  mio  amico, 
perebè  costi  *  mi  nascile  no  modello  é  de'  knigliori  che  sì 
passano  trovare  al  mondo.  AcUie  dunque  e    voi ,  e  eoo 
latto  il  ceore.  E  addio;  pare,  idla  vostra  Martanaiiccia  ed 
élla  mia.Taliia  Francabica;  che  siaHor;Iddie  quanto  mi  al- 
iegrevei  )  qnaittò  riogiof  anirm ,  ie  potessi  ancora  dare  aoa 
.sola,  stretta  abbracciala  a  ciascona*  B  addid  alla  mia  baoaa 
Feppioa  e  al  Pass«n»ni|  al:  Pasini  ^  ài 'Villa,    alla    Cra- 
teopa  «alle  cognate,  al  mj^  ^mpre  caro  Podestà  d' Ab- 
biagra^so^^eccelera^  0etìeiéra*  Qaante   n   troverei    totti 
iiSfit^^iì  .4a  quelli  obff  vi.  lanciai  s«  potessi  rivedervi  {  E 
'  '  .'     (     •  • 

t  acciabattare  h  yocaiioìo  ufyìlttivo  f    •    significt  ;  Pare  ne^ligentme^t 
^oalobe  «ota ,  laqnafo  ^reiètleiisi  aWa«  e  ar  ékpté^ 
a  C04U.  In  questo  D  lo  ^alità  di  amico • 


SECOLO   PICIHOTTATO  53^ 

'  Se  Toi  {M>tefte  weitr  lue,  non  mi  rieoooscereste  forse  piò; 
'  tanto  sono  ingoUialo  ed  iacanotito*  •*-  Tal  qaalé  come 
'   sono ,  sono  e  sarò  sempre ,  ecc. 

Bernfcnuto  CeUù^if  e  U  libro  scriuo  da  esso  della  Fila  sua. 

^       Noi  non  abbiimio  alcan  libro  nella. nostra  liogna  Unló 
'  dilettefole  a  leggersi ,  quanto  fa  Vita  di  quel  BeafenuUi 
^  Cellkii,  scritta' da  Ini  medesimo  nel  poro  e  pretto  (lar** 
^  lare  della  ptelie  fiorentinai^  Quel  Cellini  dipinse  quivi .  so 
'   stesso  con  sommissian  iogenoila,   e   taf  quale  si  sentifà 
'   d'essere:  vale  a-  dire  brafissimo  neU^artl  del  disegno ^  e 
>   adorsflore  di  esse,  non  meno  che  de' letterati ,  e  speziai* 
t   menle  de'  poeti  ;  aUbencbè  senza  alenali'  tinta  di  lettera- 
!    tara  egli  stessono  senza  saper  più   di    poesia   che   quel 
I    poco  saputo  per  natora  géneraltmea^e    da    tolti    i    ?ÌTaci 
nati?!  di  terra  toscana*  Si  dipinse,   dico,    come   sentiva 
i    d^ essere;  cioè  animoso  come,  un  granatiere  francese;  fen*^ 
I    dicative  come  nna  vipera  ;  superstizioso  ia  sommo  grado  ^ 
I    e  pieno  di  bizzarria  e  di  capricci;  galante  in  un  crocchio 
d'  amici ,  ma  poco  suscettibile  di  tenera  amicizia  ;  lascivo 
anzi  che  casto;  on  poco  traditore  senza  credersi  tale;  oi| 
poco  invidioso  e  maligno;  millantatore  e   vano  senza   so» 
spettarsi  tale  ;<  senza  oirimonie  e  senza   affettazione  ;   con 
anà  dose  di  matto  non  mediocre,  accompagnata  da  ferma 
fiducia  d'essere  molto  savio,  circospetto  e  prudente.    DI 
questo  bel   carattere    V  impetuoso   Benvenuto    si    dipinga 
Della  sua  Vito  senza  pensarvi  su  più  che    tanto,  persoa- 
atssimo  sempre  di  dipingere  un  eroe.  E  pure  quella  strana 
pittura  di  sé  stesso  riesce  piacevolissima  a*  ieggliorl:  per* 
chi  si  vede  chiaro  che  non  è  fatta  a  studio ,  ma   die  i 
dettata  da  una  fantasia  infuocata  e  rapida;  e  ch'egli  ha 
prima  scritto  che  pensato.  E  il  diletto  che   ne   dà ,    mi 
pare  che  sia  un  po^  parente  di  quello  che  proviaimo  nel 
federe  certi  belli  ^  ma  disperditi  animali ,  armati  d' on^ 


9^Ò  I.ITTER1TUSA   ITAIilABA 

ghioni  ed!  treoMode  zanne,  qnando  siamo  ia  tango  di 
poterli  t«dere  seni»  pericolo  d^eèiere  da  essi  tocchi  ed 
offesi.  E  tanto  piò  riesce  quel  s«o  libro .  pi acerole  a  leg- 
gersi ,  quanto  che  f  olire  a  quella  ▼!▼»  e  na tarai  pittura 
di  sé  medesimo,  egli  ne  dà  anche  molto  rare  e  cnriosis- 
ttrae  notizie  de^suoj' tempi,  e  speelalmefitedelle  corti  di 
Roma ,  di  Firenze  e  di  Parigi;  e  ne  parla  nsioatameale 
di  molle  persane  già  a  noi  note  d' altronde  ^  evoie  a  di- 
re,  d^'alcnoi  famosi  Papi,  di  Francesco  I,  del  Contesta- 
bile di  Borbone,  di  Madama  «d'  Etampes,  e  d'  altri  per- 
sonaggi mentovati  spassò  nelle  storie  di  qne'  tempi ,  mo- 
strandoceli, pon  «oiise  sono  nelle  storie  gravemente  e 
•nperficialmeRte  descritti  da  aatori  che  non  li  conobbero 
di  penona ,  ma  come  apparirebbero ,  rerbigrazia ,  nel 
semplice  e  famigliar  discorso  d^nn  loro  conidente  o  do- 
mestico sertidore.  Sicché  questa  é  proprio  on  libro,  bel- 
lo, ed  unico  nel  suo  genere ,  e  che  può  giovare  assai  èà 
avanzarci  nel  conoscimenio  della  natura  delf  oooao. 

AuBSLiq  DB*  GioBGi  BnToi^  nato  in  Bimino  nel  1753  «'  mori  nel  I7S0- 
Dimorò  per  qualche  tempo  a  Vienoa  ,  e  fece  conoacere  all'  Italia  la  poea* 
e  la  letterati!»  alemanna ,  fino  allora  quasi  gencfalmente  ignorate. 

Jlt  Italia, 

• 

Italia!  o  me  felice!  Se  qncqaer lungo  il  Nilo, 
Sotto  iicìei  piò  sereno.  Se  Grecia  le  fe^ belle. 

Bella  d^arti  e  d'artefici  Kacqnero  e  s'abbellirono 

Regina  e  genitrice.  Sol  per  prender  asilo 

OUoqoi  anch'  io  nel  tdo  seno.      Tra  noi ,  1*  Ani  sorelle. 

Lemaqi  alao  a  gli  Dei,  Quante  man  corser  pronte  ! 
E  il  don  d' itala  cuna  Qnanl'alme  innamorate! 

Pregio  pia  che  in  estrania         Ecco  a  le  Dee  risplendem 
Terra  non  pregerei  Tutta  la  luce  in  frppta 

Don  di  reghi  fortona.  De  la  natia  beltaté. 


SEGOLO   DECIMOTTàTO  $41 

0' eccello  orgoglio  oh  come         Su  Palla  signoria 
Inusitati  moti  De'  successordi  Ciro? 

L'acceso  cor  m' investono.  Ma  de  Tonor  più  Tero 
Sanzio  ',  s'odo  il  tuo  nome,     Seropre^se  tuoì,  ti  sono 
S^odo  il  tao,  Buonarroti  I         Tutte  le,  vie  domestiche: 

Ovunque  il  guardo  io  giro,         Scopristi  un  emisfero, 
Cento  m*  invitan  segni  E  altrui  ne  fesli  un  dono* 

D^areche  al  Gusto  alzaronsi:  Di  tue  ricchezze  il  fonte 

Quanti  l'aure  eh' io  spiro,  '  Avrai  tu  sola  a  vile? 


Spirar  sovrani  ingegni  ! 

De  Farti  io  vi  saluto 
Monumenti  diletti: 
Io  voi  pascendo  V  anima , 
In  genio  anchMo  mi  mulo. 
Ebbro  de^  vostri  aspetti. 

Altri  fra  il  tuon  de' cavi 
Metalli  ami  aggirarsi. 
Fra  monti  di  cadaveri; 
E  r  irto  cria  si  gravi 
Di  aliór  di  sangue  sparsi  : 

Tu ,  Italia  «  in  mezzo  a  Tarli 
Pacifica  ti  resta  ; 
Italia ,  ecco  il  tuo  imperio  : 
No,  il  Ciel  non  potea  darti 
Sorte  miglior  di  questa. 

lirecta  potuto  avria 
Lagnarsi  ?  un  sol  sospiro 
Trasse  ella  mai  iV  invidia 


Se,  mal  suo  grado,  apprezzale 
D'ollremar,  d' oltremonte 
Ogni  spirto  gentile? 

Qua!  corra  a  te  non  pensi 
Estrania  ognor  famiglia. 
Su' tuoi  tesori  estatica 
E  in  preda  a  mille  sensi 
DMnvidia  e  maraviglia? 

Reso  a  le  patrie  rive. 
Se  oltraggi  alcun  frappone 
Al  vero  ineviUihile; 
Quel  che  sua  invidia  scrive. 
Delesta  sua  ragione. 

Ma  se  r invidia  cede,    • 
L' industre  peregrino 
Giura,  per  te  dimentica 
D'aver  la  patria;  e  chiede 
Farsi  tuo  cittadino. 


Partendo  da  Pasilipo. 

iddio,  beato  margine,  Se  nelle  fibre  languide 
Sacro  per  tanta  età  Mi  ribolli  vigor. 

Air  aurea  voluttà ,  Se  nettare  sul  cor 

Sacro  alle  muse.  Mi  si  dilfuse, 

I  iSewìo.  Aa£Eiello  Saatio  d' ìlAiuQ  celtfan  pittore. 

LITTUULT.  ITAL.  ^  tf  ^6 


5'^z 


LETTEaiTCRA   ITlLlAlfà 


Se  più  Idea  caligioe 

AH*  etra  nn  Tel  non  fa , 

Se  all'arti  e  alt' attuta 

Dolce  io  rifiro; 
Tutto  a  te  (leggio:  edeggroti 

L'insolito  ar^enir 

Ood*  eccito  i  desir 

Pigri  ed  avvivo. 
Come  veloce  a  serpermi 

Per  le  midolle  fu 

La  provida  virtù 

Di  questo  sole! 
Così  pietoso  penetra 

Raggio  del  dì  Dovei 

Entro  l'esangue  stei 

Delle  viole.  ' 

ComMo  sentia,  nell' àgili 

Vicende  del  respir, 

Me  stesso  rifiorir 

De^  tuoi  bei  doni  ! 
$u  cento  sassi  inciderli 

L'industre  man  tentò: 

Forse  gli  eternerò 

Con  grati  suoni: 
Se  ben  d'Azio  ^  de  numeri 

Pinta  e  fumosa  è  già 

La  magica  beltà 

Pel  mar,  del  lido; 
Da' colli,  che  pompeggiano 

In  corvo  ordine  altier; 

Degli  antri,  ove  i  piacer 

Formato  ban  nido.        ' 


Io  quindi  alzarsi,  io  crescere 

Quindi  i  novelli  albór, 

E  vidi  i  salsi  amor 

D'oro  poi  farsi. 
E  numerava  i  fulgidi 

Solchi  pel  mar,  pel  elei, 

Qoai  da  mortai  pennel 

Non  pon  ritrarsi. 
Io  di  Vesevo  sorgere 

Dalla  montagna  fuor, 

Nell'ampio  suo  cbiaror, 

Cinzia  *  vedea; 
E  dall'  alte  vulcaniche 

Foci  la  fiamma  uscir, 

Che  il  sommo  orlo  lambir 
.    Di  lei  parea: 
E  vidi  in  manto  arB:eDleo 

I  flutti  tremolar; 

E  Tali  ivi  tuffar  | 

L^aora  leggiera. 
DaH^  arenoso' margine  , 

Dal  sasso  al  mar  ?icin, 

Più  non  vedrò  il  mattin, 

Non  più  la  sera. 
Addio.  Se  iberno  ^  turbine. 

Coir  arme  d^Aquilon, 

Dell'umile  magioa 

Flagella  il  piede; 
GÌ'  incìsi  sassi  a  frangere 

Non  mova  il  suo  furor  : 

Lunga  d^  un  grato  cor 

Far  deggioD  fede. 


1  D*  Atio,  Del  Sannassaro.  - 

2  Cyukh  ìiìk  lana.  ^  3  Jb^rnp»  ]liT«niid«. 


SEGOLO    DECUIOTTAVO    '  5  4  3^ 

.ddUo.  Se,  /lUor  che  d'Esperc    E  ne  profuma  Taère  ' 


I^'  amabil  lume  appar ,    . 
"Verraa  solcando  il  mar 
Gli  eledì  amici  ; 
V  erma  mia  stanca  goardiorOy 
Dicendo:  Or  più  non  ?'è: 
Come  80O  hrevly  oimè, 
L,' ore  felici  l 
Oh!  il  più  gentil  fra  i  Zeffiri^ 
Erra  tra  i  oedri  e  i  fior, 
£  de^  ben  miati  odor 
U*  ale  (k  carpa  \ 


Quando  s'appressi  qui; 

Dov\}o  rac^eUìtatf  dì^, 

L^aqska  bfirea* 
Attczzì  ,  o  bel  Posilipa, 

Te  gli  occhi  a  vagheggiar, 

l^e  cupidi  a  cercar 

Sempre  verranno., 
E  spesso  in  parie  Bcorgerlr 

Da  luoge  aificor  patran  : 

Ma  invan  fra  poco,  tnran 

Ti  cereheraiioo* 


Gli  UccelU  e  i  Pesci 


Vcc.  Pesci)  o  pesci,  felici 
Più  di  noi  .qpiaiUo  siete  t 
Se  Tengono  nemici 
O  con  i^oui  o  con  rete. 
Tosto  giù ,  nel  profondo 
Correr  v^è  dato.  In  fondo 
Del  mar,  de^  finali ,  e  chi 
Mat  d' assalirn  ardì  ? 

JPes,  Aagelli,  o  augelli,  toì 
Felici  più  di  noi  I 
Che  a  ritrovar  lo  scampo, 
Libero  ayele  il  campo  $ 
E  gir  V  è  dato  Innge 
Ove  focil  non  giangie. 


Presso  a  le  nabi,  echi 
Mai  d'aasalirvi  ardì? 

27cc.  Ma  quale  aerea  parte, 
O  quale  erma  campagna. 
Dal  riftchia  ci  disparte  ' 
De  r  aquila  grifagna? 

Pes.  E  noi  chi  salvi  tiene 
Da  le  immènse  balene, 
E  da  gii  altri  pirati 
Pesci ,  disumapati  ?  —  . 

Non  tilagnar  dormali; 
Non  credei*  so^i  i  indi: 
Ognuno  de'  mortali 
Ha  da  soflrire  i  suoi. 


Nella  lingfia  eh'  Esop» 
Prima  intese  fra-  noi. 
Cosi  parlava  un  topo 
A  due  de'figH  snoit 


Del  nemico-  al  ritratto 
Mente,  o^glt.  ponete,   ' 
E  a  fuggirlo  appreqdetel 
Un  .Jiiosttd' orrendo  è  if  gatte: 


r>44 

Occhi  che  gittan  foco; 
Eterna  mente  iogorda 
Bocca  di  san» ne  I orda , 
Entro  cut  denti  han  foco 
Che  ignorano  quiete; 
À'piè  feroci  artigli: 
Ecco  il  ritrailo,  o  figli; 
A  fuggirlo  apprendete.  -* 
Piange,  sì  detto,  e  tace, 
E  li  congeda  in  pace. 
La  coppia  fanciullesca 
Cerca  fortuna  ed  esca* 
Un  di  mentre  alT amore 
Fea  con  un  cacìofiore  , 
A  rfn  tratto  Della  stanza 
Vispo  gallina' a vansa ;' 
Boffoneggiando  Va  ,   •  - 
Corre  qua,  corre  là, 
Salta  9  volteggia ,  e  ogni  atto 


LETrERATURA    irALlAlfA 


È  iin.tewo,  è  nn  grocolrno: 
Non  è  già  chiesto  oo  gatto, 
Van  dicendo  coloro 
Intenti  a' falli  loro. 

Ma  ramabit  micino 
D' improvviso  si  slancia; 
Uno  afferrò  alla  pancia 
Colle  rampe  scherzose , 

'  E  l'altro  in  foga  pose; 
Il  qnat  per  la  paara 
Si  chiose  in  Inica  oaenrnj 
E  prima  che  morisse  i 
Padre,  di  fanne  io  pera» 
O  padre,  fra  sé  disse. 
Tu  non  dicesti  il  fera.  - 

Mal  prendi  a  color  tre 
Deforme  11  viaio  ogoora; 
Mostra  che  sa  vestire 
Ridenti  forme  ancora* 


La  tdtcert&la  a  it  CoccodriUo, 


Una  lucerteletta 
Diceva  al  coccodrillo: 
Oh  quanto  mi  diletta 
Di  veder  finalmente 
Un  delta  mia  famiglia' 
Si  grande  e  si  potenlel 
Ho  fatto  n^iile  miglia 
Per  venirvi  a  vedere». 
Sire ,  tra  noi  si  serba 
Di  voi  memoria  viva  ; 
Benché  foggia m  tra  Terba 
E  il  sassoso  aentiere., 
In  seu'  però  nop.tangae 
L'onor  del  prisco  ^ngue.  -. 

t  dnfién  diceti  uà  inimàle  cIm 


L^  anfibio  re  *  dormiva 
A  questi  compi imeoti; 
Pur  sogli  uUiuai  accenti 
Dal  sonno  si  riscosse^ 
E  addimandò  chi  fosse. 
La  parentela  antica. 
Il  camibin,.  \^  falk:a 
Quella  gii  torna  à  dire; 
Ed  ei  torna  a  dormire. - 
;  J^ascia  i  grandi  e  i  potenti 
Di  sognar  per  parenti: 
Puoi  cortei  itimarlif 
Se  dormóa  mentre  parli* 

vite  on  n«U'  ac^  ^  orik  salk  teff** 


SECOtO   DECfMOTTltO 


545 


n  Gufò. 


Venne  desfa  di  tÌTere 
A  JCOQcio  gafo  Hn  di 
In  fra  gli  altri  Tolalili , 
E  del  suo  nido  osci- 

GioliTa  aria  socievole 
AffettaTa  talor;    \ 
Ha  i  bratti  trasparivano 
Kativi  modi  ognor  t 

Così  che  al  fin  vedendosl 
In  odio  a  ciasckeduQ^ 


Mei  capo  tornò  a  cbiudersi 
Ricovero  »no  brnn, 

Sclanrando:  O  soirtadine 
Sola  peit  me  sei  tu  ! 
In  società?  co'  perfidi 
Àogei  ?  mai  più ,  mai  più.  -- 

O  gafo ,  o  vrl  misantropo  . 
Sepolto  a'  boschj  in  fondo ^ 
Sei  tu  che  non  sai  vivere , 
E  dai  la  colpa  al  mondo» 


/  due  Felti'ù 


Un  di  v'eran  dae  cani  y 
Due  cani  cacciatori 
Solenni  abbnjatori, 
Che  quantunque  lontani 
Dalle  riposte  selve 
Sfidar  pa rea n  le  belve» 
L'undelto  era  Benprendi^ 
E  r  altro  Suonacorno;^ 
Nomi  più  che  treineòdi 
Ai  putti  del  contorno. 
Fra  i  can  più  eroico  pajo 
Ti  padron  non  ritrova  , 
Benché  contra  al  pòtlajò 
Sol  messi  abbiali  a  prova. 

Sicuro  di  gran  prede 
Move  alla  càccia^  e  vede* 
Uscir  fuggendo  an  orso:. 
I  veltri  fan  portenta 


Per  appressarlo  al  corso  ^ 
Vannó'siccome  vento  : 
Ma  da  presso  veggendo 
L**  ugne  e  il  dorso  velloso  ^ 
E  il  dente  minaccioso^ 
Permansi ,  intiepidendo 
Gli  sdegni  ;  e  finalmente, 
Preso  miglior  consiglio , 
Rapidissimamente 
Tornano  indietro  un  miglio. 

Mentre  del  Iof  coraggio 
Davan  così  bel  saggio  , 
S^  inoltra  un  invecchiato 
Veltro  già  disprezzato , 
E  con  maestro  morso 
Afierra  e  arresta  V  orso.  - 

Spessa  quelli,  bau  n»en  core  ^ 
Che  ttvenan  più  romore^ 


46* 


S4(  tEtTERimU   ITÀ&tAllA 

Xe  dluft  Scimmie  e  il  tdtecwhna. 


Beochè  fossero  ^  alle  spalle 
Deir  ioTeroo  i  di  rideati, 
Eraii  bianchi  e  poggio  e  ?aU» 
Di  notturno  brine  algenlt. 
Or  due  scimmie,  intirizzile 
Per  1^  acitta  aria  pefpsa , 
A*  ricovero  era»  gite 
Sovra  pianta  assai  ramosa  ; 
Ma  si  tremano,  che  sonna 
RilroTare  ancor  non  pooiio. 
'  Quando  i  Al  .foco  (  grida  ) ,  al  foco  ,  - 
La  più  giovane,  accennando 
Una  siepe  ;  e  st  gridando 
Spicea  vtìì  saho,  e  corre  al  locfo 
Dove  vivida  favilla 
Fra  i  cespugli  luccica  ale 
Ha  ferito  la  pnptila 
DeiraflSiUa  vigilante. 
L'  altra  ancor  discende ,  e  air  opra 
Denti  e  piedi  :  un  bu^oa  £istelló 
Fan  di  salci,  e  il  poogoa  sopra 
Air  ardente  carboocello  ; 
r^è  vi  manca  an  po'  di  paglia  y 
Perchè  fiamma  tosto  sa  glia. 
Ecco  entrambe  a  terra  chine 
Con  tal  forza  so&tr  drento. 
Che  Boa  fan  nelle  facine 
Forse  i  mantici  pia  veoto^ 
BIoso  intanto  avean  si  fallo 
^    Per  la  scarna  guancia  enfiata, 

1  Jfenchè  eo.  .  9encbk^  atr  ioverno  giìl  stesse  per  sottentrare  ì%  pciiaarera 

N. 


Che-  dft  Er^ctito  ■  a?riàn  tratto 

Senza  sfeftlo  ooa  risata.   - 
\Ma  già  soffiasi  da  an'  ora  9 

Né' s'accende  il  foca  ancora. 
Cangian  paglia ,  cangian  sàlci, 

Al  fastello  aggiungo  a  tralci:     • 

Sroffia  9  amica,  il  legno  è  asciutta;-- 

M II  si  Soffia  sensa  frullo. 
Qiiando  alfine  entra  in  sospetto 

La  meo  gloTano'  più  scaltra  ; 

Meglio  guarda  ,  e  con  dispetto  : 

A  che  soffi  (  dioe  air  altra  )? 

£  nn  malnato  lucciolone, 

Ch^abbiam  preso  per  carbone.  — 
Tal  piti  d^  OB  che  soffia/^  e  il  petto 
"  Vuol, da  Apoliine  infiaunnato. 

Per  earbon  *  prende  on  insetto , 

Perde  il  tempo  e  gitta  il  «fiato.  ^ 

IjnM  PAtCAKi  nato  in  Boìp^m  V  wùo  >753 ,  mori  ia  Milano  obi  18^ 

Anton  Mario  Lorgna  e  Luigi  Ferdinando  tarsigli, 

Lorgna  non  lasciò  la  Società  Italiana  ignorata  od  ab« 
bietta.  Egli  la  ride  numerosa  d*  ingegni  soblimì ,  ricca 
d'incliti  ritroramenti ,  fruttuosa  alle  scienze,  rinomata  in 
Europa,  proposta  da  Coodorcet  per  norma,  ed  esempio 
ad  un  popolo  che  non  suole  aver  d*  uopo  delP  esempio 
degli  altri.  Ma  ciò  non  vide  eh'  ora  ne  riempie  d'  nna 
più  bella  aspettastione  ;  lei  rassodata  ancor  meglio  dal 
tempo  e  dalle  «raro  desi  dotti ,  e  munita  d*  ordini  nti-^ 
lissimi ,  e  giuliva  di  promessi  premii  ed  onori.  La  morte 
il  rapi  nel  millesettecentofiovantasei ,  essendo  fissato  poco 

l  Eraclito  il  filosofo  faceva  professione  di  pianger  seotpre. 

a  Per  carbxm  ec.  *  Gre4«  di  eusr  dotata  dsUft.  bcolUi  poetica  «  t  noa  <^ 


54S  LETTERATURA  STALUSà 

pia  domini  sesianta.  Ma  se  la  ^osofia  a«o  ponesse 
air  immaginasiooe,  ed  a  noi  iosse  lecUo  ^  come  a» 
correre  col  peosiero  alle  sedi  Beate  ed  B?  coneil»  dell') 
bre  )  quanto  ne  sembrerebbe  lieio'  di  sì  fortunate    yk 
de  !  E  forse  P  adreinino  tenor   discorso   con    Laigi  F4 
dittando  Marsilio  di  ciò  die  operarono   ambidne    in  pni 
delle  scienze,  e  scambieTolmenle  rallegrarsi,  ed  affrettaivJ 
eoi  TOti  r  adempimento  delle  nostre   speranze.    Ben  gin-j 
•tamente  pet  questi  dqe.  alqnni  snoi  V  Italia  si  Tanta,  cJi 
applaude  in  certa  guisa  a  se  stesia.  Forniti  entrambi  dì 
fasto  ingegno  e  di  molteplice  ert>diaione  e  di    ferma  co- 
stanza e  d^  in? iDcibile  integrità ,  con  maniere  di  poco  dif* 
formi  pervennero  alla  gloria- e  giovarono  alla  patria.  Har^ 
silio,  oom  d'arme,  affrontò  eserciti,  munì  amiche  terre, 
atforniò«le  avverse,.  P. espugnò,  le  vinse.  Lorgoa  non  mi- 
litò; che  la. stabile  pace    de   Veneziani    lo    Htenne.^    ma 
erudi  gaefrieri,  e  li  dispose  ai  cimenti.  Qaegli   descrisse, 
e  con  diligeatissime   ossorvaziom  recò  splendore    a'  mag- 
giori fiumi  della  Germania;  questi  pose  l'animo  a  presso 
^e    lutti  i  fiumi  d^  Italia ,  e  con   singolare    Tigilanaa    li 
governò.  Qrdi  quegli  una  fedele  storia  del  mare  ;    qnesti 
ne  compie  molte    parti.    Pregiati    entrambi    nelle    Corti, 
quegli  fu  molto  innanzi  coi  re,  e  per  ciò  stessa  pia  vi- 
eino  ai  perìcoli  ;  questr  soggiacque   a  rischi  minori ,  per- 
chò  meno  grazioso.  Ninno  di  loro  perdonò   a   fatiche  od 
a  spese  per  concitar   gì'  ingegni    ita4iani  allo  studio  delle 
scienze  e  deH' arti  ;  qttegli  fn  maggiore,  questi  in  minore 
fertnna-;  entrambi  con  animo  egualmente  grande.  Né  que- 
gli uè  cfuesti  colla  brevità  della  vita  le  azioni  mìaarè  del 
suo  zelo,  né  permise  che  in  quella  stessa  tomba    in   eai 
dofean  racchiudersi  le  sue  ceneri ,  foise   ristretta    ancora 
la  sua  provvidenza.   Risguar4arono  entrambi    alP  età  fu* 
tufe,  e  meritarono  degli  uomini  che  ancor    non    eraoo) 
quegli  dattilo  i'  esseve  primo  aià^InsUluta  delle   Scienze  9 


SECOLO  DCCinOTIfATO  549 

qiìe»ti  affa  Soicletà  ItaKaiia.  -  In  due  città  fioritissime  d' in- 
gegoi  e  di  stadi,  quegli  in  SoVogna,  questi  ia  Verona, 
ebbero  appresso  la .  morte  ioscrlzìoai  e  simnfaeri ,  non 
consacrati  dalla  stupida  ignoranza ,  o  da  una  ri  te  adu- 
lazione che  persegue  i  grandi  firn  dentro  il  sepolcro*  Ma 
i  bronzi  ed  i  marmi  si  coosuioano  dal  feinpo ,  per  in* 
Dumerofoli  «rfcende  si  corrompono  e  si  disperdono;  i  nomi 
di  Marsilio  é  di  Lorgna ,  più  che  m  altro  monumento  , 
neir  Institato  Bolognese  e  nella  Società  Italiana  TivranDO 
immortali. 

Giuscpn  Zaiioja>  n»eqat  ia  Pìac^sa;  fa  estpooìta  di  sant*  Ainhrogio  e 
professore  di  Architettura  in  Mil^o»  e  mori  in  Omegaa  sai  Lago  Mag- 
giore »  dood*  era  originàrio  ,  V  ànok  1^17. 

S{èlU  pie  disposizioni  testamentarie^ 

Scrivi,  ò'No(a}o:  Pòi  cVè  fisso  iti  eielo^ 
Ch'  ogn'  àdm  che  nas^ce  i|bh1a  ad  andar  sotterra  ^ 
Rè  l'ora  è  nota  àelfatat  l^^tgittò,' 
Ife,  tttttor  sano,  leslator  ricevi. -^ 
Allor  che  V  alma  dal  solchi!  corpo 
Sarà  disgiunta  ',  abbiala  Dìo  :  ii  muto  ' 
Indolente  vadaTere,  a  cu?  'nega 
II  noTo  rito' mi  pentti^nte  sacco'. 
Fra  cento  fami  e  i  cantici  lugfubri 
E  i  tfegri  ammanti  é  le  mercàte  insegne. 
Se  emergeranno' dalla' imposta  calce  ^,' 
Sia  portato  alla  tomba.  Ad  ogni  altare 
Si  moltiplichin  F^ostié;  H' mesto  canto 
Ogni  9nao  si  ripeta  :  al  mio .  riposo 

r, .       '        *  r  .  .       ' 

1  UsaTasi  di  poifa#*  i  ìmv&  alla  clkUtÉ  teatici  del  a^ceò  dS  qoalcbe  con- 
Bratemita. 

^  In  tempo  detta  RepabUica  Cisalpina  g|i  slenaaif  fentflitt  farono  dove 
rotti  ed  allertati,  ^re  soltanto  ricoperti  di  calce,  come  se  perlir«Tt  tfimf^ 
me  dovesse  dorare  la  proscrisione  j  il  ehe  si  avverò  prestissimo. 


5 So.  LETTfiftATCRA  JTiLUllà 

Uo  mipisLro  fi  «acri,  e  il  marmo  iascrttto 
Sorga  \air  ara  yjeino ,  e  noli  il  nome 
DI  cIh  '1  sottrasse  air  alilo  lelouio 

0  alla  marra  pe$aDte9  e  tenue  un   prete» 
6où  Tassi  a  saluie  ;  e  cosi  voglio.. 

Me  .di  lacci  nimico  il  nuotai  paiio 
PÌqo  Ifga  a  sempre  egaai  moglie  importaoa^ 
Nò  a  domeslioa  prole.  À.  Lidia  scriYS 
Quard&taknila  d'  amicizia  io  pegno, 
E  diecimila  alla  sorella  Cloe  : 
Del  resto  erede  il  Nosocomio  '  sia  y 
Onde  perdoqo  si  conceda  all'  alma. 
Così  testava  Elbion  ,  cai  1'  ampie  asore 
£  1  molti  di  pupilli  assi  ingoiati 
£  la  pubblica  fame  *  arean  condotto 
Dalnqlla  avito  ai  milionaria  onore* 
..    Blacrooio  in  vece ,  nella  va^la  cfi^  * 
Più  splitariq.che  oell>\.ÀUo  Egitto, 
Visse  alle  .donne  ed  .ai  sfiori  ignoto» 

1  polverosi  inoopratt  l^ari/ 

Da  tempo  immemorabile  rovesci. 
Giacean  sul  freddo  /ocolai:.  Convivar 
Qaotidiano  agji  ainici  miv^rava 
Tanto  di  cibo  al  consfipevi)! .  feptre  y 
Che-  al  di  veptqro  iUamentoSq  stésse. 
Se  il  crayilQ  verno,  oalle,  laogjie  sere 
Gli  feriva  le  spalle  e  T  ugire  ifqraonde^ 
r^eila  paterna  vi^riopjntatav volta 
Rattoppata  zimarra  9,  del  vicipo, 
Appoggiavasi   al  muro  in  cui  sorgeva 
.L^  incessante  cammio  d^  nota  cocina. 

ai  Za  puWica  ec. .  jUcuiu  «ri^thiuoao  inoatAM^  U  fSfuatn  m*  tcmp  di 


Secolo  DBciMotTiro   •  55t' . 

Kdo  meno  dgli  altri  che  a  $è  stesso  parco, 
A  irallo  dava  e  nbn  aTteva  donde; 
Che  del  maturo  argènto  il 'pronto  frutto 
Nelle  rniallibili  arche  dei  wagDati 
Mentre  cresceva'  a  lai  secaro  e  idtatto , 
Dal  domestico  scrigno  sempre  eSaasto     ' 
ÀI  ladro  in  faccia  e  ali*  esattor  ridea. 
Cosi  visse  MaCroDio,  e  agli  ettant^  anni' 
Lasciò  le  seniisetodlari  vesti 
Da  molta  goccia  asperse,  e  i  rosi' lini 
Al  vecchio  servo;  e  al  Nolocomio  erede 
Dae  volte  diece' centomila  scrisse.  . 
Dimmi:  dei- dote  chi  ti  par  più  saggio? 
Né  r  an  né  Féltro,  s^  diritto  estimi. 
Oh  !  se  di  Stige  la  tarlata  barca 
Reggesse  al  pondo  del .  raccolto  indarno 
Auro  insegoace  ' ,  I'  osservata  immago 
Del  postumo  dator  forse  più  rara 
Penderebbe  dai  portici  e  dagli  atr} 
Alla  languente  umanità  concessi. 
Chi  non  vorrebbe  colja  fida  scorta 
Del  non  ignoto  al  Tartaro  metallo 
Tentar  di  Fiuto  la  placabii  moglie. 
Della  selva  CuDbana  ai  doni  avvezza  ; 
O  dividendo  del  frodato  cibario 
Un'  altra  volta  i  couservati  lucri 
Reoder  più  miti  Radamanto  e  Itfinos?  t 

Ma  laggiù  la  giustizia  non  è  merce,  1 

Né  può  cambiarsi  col  bandito  nummo  *  :  j 

\  .  I 

z  Intéguactt.  Che  non  seguita  il  suo  padrone  oeU'  «hiro  Mondo.  —  £'  o#*  j 

ser\Hita  immago.  Il  ritratto  «be  si  fa  a  «hi  nomina  erede  lo  Spedale  :  e  qne-  « 

sto  pai  h  di  messa  figura  se  1*  eredità  sia  dalla  So  alle  xoo  «ùla  lire }  di  | 

fig^  iati0ra  .se  oltrepassi  le  loo  mila.  i 

1  Nummo*  Mixiifmo  per  Datwó,  •—  //  rtgtuOpr  di  Cr9ta  «  Mino««. 


5  Sa  LETTeHATURA   ITALU1I4 

E  o  $ia  dì  Creta  il  rAgoalare^  oppure 
Qual  altro  piò  ti  fingi,  f^  è  od  severo 
Inesorabil  giadicis  che  libra     . 
Su  naovà  lance  ^  i  calori  autorati     ' 
Dal  Teodulo  pretor,  e  che  rimesce 
I  sepolti  chirografi  ^  ed  jl  pianto    . 
Interikifga  dd  debole  calcato , 
E  del  concasfo  popolo  i  sqsurrl* 
Non  se  r  onda  lustrai  tutta  si  Tersi  ^ 
Sulla  Caa  tomba  ^  e  air  indigente  leghi 
Quanto  il  doppio  emisfero  e  miete  e  Beava , 
Espiato,  sarai  \  è  inali!  1'  ostia 
Lorda  dell*  altrui  sangue» ,  e  la  rapina 
In. vano  aJf  ^re  si  rìcovra  e  al  tempio* 
Tu  doni  f  Elbion ,  poi  che  gli  amalii  patti 
A  jsè  iodolgeoti  pfOoiiilEiaron  sacra 
Di  natura  è  ragione  oltre  le  leggi 
Deir  uom  la  volonli  nel  panto  istesso 
In  cui  cesua  il  voler':  Elbion, -Cu  doni 
Ciò  che  ad  Elbion  dì  posaeder  non  danno 
^'è  Bartolo  ^  uè  Giove ,  e  ftilor  cominci , 
)  Quando  non  sei,  ad  essere  pietoso. 

Ma  a  me  che  giova ,  cui  fiirasli  iniquo 
]  Col  tràfnsatb  ciodieillo  il  diritto 

I  Al  legittimo  fondo,  o  cai.  (riesli 

Stanco  ed  esangue  alle  corrotte  scranne  , 
Se  dal  cieco  sepolcro  appresti  all'egro 
La  non  dovnta  medicina ,  mentre. 
Me  spogliato  condanni  a  ingiusta  fame? 

<  Lance.  Bilanpia.  —  AutoraU*  ÀpproTaii. 

2  L' Autore  era  dunque  d'  opinione  (  e  non  egli  lolo  )  che  il  diritto  di 
far  tesUmeiito-aia  una  concessione  delle  leggi  ovili,  non  una  eonseguema 
della  legge  naturale.  . 

)  3  Bartolo  fa  un  celebre  Giureconsulto,  i^  (^àndo  non  49i,  Quando  piò 

non  esisti;  ..... 


« 


SBCO&.0   9CCIWOTTATO  553 

Sia  però  pace  r  Elbioii^  taè  perone  gràfè 
Stt  di  lai  pesi  la  sacrata  t«rrA;       /  >'-  ' 
Già  .pbe  d*  iinmeosa.  ìaeslricabil  frod«    . 
E  de*  {labblici  furti  almea  gli  aranzt  ^ 
Liberale  €^ii(:e$se  agP  iotestioi 
Del  morbo^  plebeo  :  il  nero,  sofo  *  . 
Dai  seolepsiosi  rubricati  libri 
Quest'  utile,  dettò  farmaco  ali*  alma*  :  ^ 
Ma  il  farinaco  cbe  Tale  ali'  uom  sepotlo  ? 
Fu  li  tempo  alior  di  traugugiarlo  i|iiaiid0 
Fra  Lidia  astuta  e  la  crescelite  Cloe 
S*  alter oaTano  V  ore  e  i  cpinpri  baci  ; 
O  ^i#iido  al  suon  del  popolar  lameiitOv 
Le  proTiocie  aveoate  e  i  non  pasciuti 
Laceri  battagliooi  *  ;a  lui  festoso 
Imbandi irano,  i  leqti.ebrj  conviti  , 

E  le  lucide -cene*:  Troppo  bella 
Fora  la  colpa,  ed  il  pentirsi  dolce. 
Se  dopo  un  Inngo  riposar  beato 
Sulle  tranquille  inrendioite  prede, 
U  pio  Toler  nicconiandato  4  doto^. 
Potesse  al  fin  del  delizivtò  stame 
Spegnere  colla  vita  anqbe  il  delitto, 
E  di  pietoso  procurar  la  f/una. 

Ma  non  è  no,ovo  al  mondo  il  reo  oostunie 
Che  la  pietà  stuprata  al  latrocinio 
E  air  orgoglio  potente  sia  compagna. 
Spesso  vedemmo  1'  occidente  stanco 
Dair  atroce  pugnale  .e  dal  veleno  ;      . 
E  spesso  fra  i  pugnali,  ancora  immersi 

1  Sq/«»  Filosofoh 

a  Allaa*  a  PoaU^iile  tuberie  latte  da  Elk^ni*  còn^  CoiMBÙstwio  o  Prot- 
v«diiorii  d«gU  eMKÌtù 

3  r/isA^»  iii|«  deUe  r^ireàe  ,  qui  ite  por  la  lfort«. 


554  LETTERATCJill   ITALUlTA 

Ne^  domestici ,  seni ,  e  i  letti  calJi 
'  Da  nod  cessate  iofamie,  ionalzar  cbieie 
A  rimedio  delF  alma ,  e  foodar  celie 
Coir  oro  estorlo  alle  città  sos^setl^ 

OS) 

E  a  gli  ÌQTasi  vicini ,  ove  abitasse 
Da  iontan  bosco  il  monaco  chiamato- 
A  salmeggiar  sugli  effigiati  aYelli 
D^  illacrimate  ceneri  custodi  *. 
Voi  eh'  illustrate  le  memorie  antiche 
Pria  che  1*  edace  secolo  le  inghiottat 
Scrivete  pur  sulle  marmoree  fronti 
De'  sculti  temfili  e  ne*  sonanti  chiostri  : 
«f  Questi  del  popol  saccheggiato  io  pace, 
I*  E  degli  amici  a  tnadimento  oppressi, 
n  Trofei  superbi  il  fondatore  eresse. 

Ma  non  così  Macronio;  egli  noa  fii 
Né  rapace  né  ingiusto  :  at  conno  avaro 
E  air  insatiabii  lusso  ed  al  macello  ^ 
Sottrasse  ciò  che-  al  Nosocomio  diede. 

Kè  v'era  dunque  a  queH' età  felice. 
Una  vedova  me&ta  o  una  lansoente 
Desolata  famiglia  a  cai  partisse 
Il  destinalo  alle  future  fehbri  ? 
Oh  fortunati  di  Macronio  i  giorfti , 
E  r  inaudito  suoi  che  lo  produsse  ! 
Così  il  padre  del  Crei  lo  serbi  illeso 
Dai  filosofi  '  sempre  e  dalle  guerre. 
Nel  nostro  clima  ^  è  ver ,  s'  atzan  frequente 
Dai  scossi  cenci  gP  improvvisi  Atlanti) 

« 

I  IRude  r  latore  alU  motu  dbieM  ec.  fondate  coli*  oro  tèmi»*^ 
di  delitti. 

3  Cioè  :  ik»teaeadosi«^aUo  fpendert  in  «nsori ,   ìm  com  di  lo*"^  '  ^ 
soddisfare  alla  gola. 

3  DaiJHo9qf.  InìMtLà»  i  ùlii  filofofi  «0fi(<n^iton  del^  Uoda  wotàe. 


>ECOLa   DECIMOTTATO  555 

Alle  asp^Uale  immagini  de^  quali,. 

Se  fuggiraD,*  dal  pendere  d^altrpnde» 

NueiTt  archi  conoet^iamoe.  nnore  loggQ* 

Iq  cai  slaQtl  e  calzate  al  di  solenne 

Dal.  curioso  conladin  sìeo  TÌ$te:, 

Ma  siccome  Ira  ooi.riipta  indefessa 

Fortuna  ,  al  crescer, loco  anche  s'  aocresoe 

De'  meschini  la  calca  «  e  a  !or  di  sotto 

Gemer  senliaoiio  ;non  intasa  iniian7Ì 

Voci  dolèbti  ed  al  pregare.:  indióire^;  .  > 

A.  qnesti  .aggiungi  una  receoie  furba  /. 

Cui^  1' emula  Tirlù  de'  lem  pi  andati 

I  nostri  HiigUorando  a  ijidpia  addusse*. 

Poi  ^cbe,  grazie  al  destip  .che  tutto  voWe , 

Noi  lisci  prim^  e  inauellati  e  rasi 

La  guancia  e  il  mento  ricopiammo  i  Bruti  ^; 

E  le  compresse  da  non  regio,  ao^^nt^i 

Nostre  Lucrezio  ritornar  le  chioQie 

Ai  prischi  nodi  e  alle  sincere  trecce. 

Mollo,  in  addietro  laborioso ,  e.  cerco 

Pettine  cadde  dalla  man,  costretta. 

A  mendicar  ,  e  mojta  gente  afflitta 

Vide  alla  mola  ricondotta  e  al  forno 

I^  ripulsa  dat  crin  candida  Elensi. 

Molti  altresì  che  dai  sertili  uffizi 

Air  nomo  indegni  Libertà  riscosse^. 

Se  non  ebber  la  destra  al  ferro  pronta 

X  Sàfuf^an,te»p  S«  non  saranno  appesi  aHe  forchtf. 

a  Nuoti  archi  §c*  •  Si  accenna  la  conUnuaùonè  àtW  inimenfo  ftilibneal» 
dello  Spedide.  •    -  . 

3  ^ude  alla  moda  allora  vtcente  di  pettinarli  a  la  Brututif  e  Mnaa  U 
poHere  di  Cipro;  detta- rondlidSci  Èleusi,.  perche  il  grano  d*  ojfuif  4  Ine  fw 
•acro  a>  Cerere  Tenerata  in  Blenki. 

'  4  Allude  al  molto  numero  di  servitori  licenaiali .  nella  prima  epoe»  della 
moliuione,  per  trovarsi  i  padroni  «fausti  dalle  contribuaioni. 


iS6  LBTTERATCItà    ITXtì^k 

Ed  al  nollorno  assalto,  la  mosfrarò 

Aperta  ad  implorar  1^  altrùi  soccórso  , 

E  r  aprono  tiiltor.  Fra  tétilo  Mvofo' 

Che  d  premfe  dMntorno,  ed  a  cai  resla 

lì  dritto  al  men  dell*  mtangibii  vita , 

A  che  aegikar  nel  Tinilcóso  Caos 

i)  neir  or»)e  de^  eterna  plebe 

il  pottibil  inendied  a  boi  non  fioto  ? 

Ta  ttteulre  ttminasii  al  nascituro  erede  , 

Onde  sani  la  scabbia  o  il  tristo  autuaod  , 

A  'te  vici  fio  e  da^  sòttit  parete 

Forse  dtrlso  inconlolaYo  giace 

Fra  i  nodi  figli  ed  alla  patria  nati , 

t>aila  miseria  e  dall'angoscia  moto 

Un  infelice  genitóre,  eppure 

Sospira  Indarno  al  tàlamo  nlàtara 

Uaté  ittdotata  tergine  pudica 

Forse  cresddta  a  non  oscòro  fitienè; 

Che  se  piti  I'  egro  a  te  piotate  inspira  y 
O  il  represso  tagir  dèll*^  innocetoté  < 
Fratto  non  Sem pi^  di  lìirCivo  aibòre  , 
Hai  molto  end* esser  pio:  ormai  non  basla 
f/ empita!  tétto  at  condensato  infermo, 
E  alta  rrtitrlee  delf  ignòto  parto  i 
Uè  ballerà  fra  pòco  11  Vallo  intero 
A  -cbùtenere  i  pahblici  grab^ti  *  , 
Se  r  inclemente  del  non  'voYge  altrore 
U  funesto  girar  d^  astri  maligpi. 

Dunque  che  tardi ,  ed  insensibil  siedi 
SulP  àrea  chiusa  e  il  numerato  argento, 
Aspettando  le  esequie  f  O  che  maturi 
Tu  ascokator  di  Luca  e  di  Mattea 

■  •  ■  "  • 

3  Grabatì^  t  poTtri  iHti  a«gt*  iaftnfii. 


scoorco  BCCtMorrcvoi  5o7; 

Alfe  venture  età  ciò  ch^  è  dovuto  * 

Al  presente  hi  sogno  ?  Al  gmrnn  estremcF 
Tutto  è  preda  di  morte  e  non  tno^  dono. 
Sii  ptv  Macronìo,  o  di  Uacronio  sii 

Più  parco  e  più  digiitna  alla  tua  nienaa'^ 

Né  il  fuggitivo  topo  abbia  che  rod»    « 

Neir  aperta  cucina ,  ne  il  giulivo 

Amico  il  vin  de' co4K  tuoi  conosca^ 

O  delForto  serrato  il  venal  poRio>; 

Ritrova  mille  ordigni  ed  arti  inille 

Air  onesto^  guadagno  ed  al  risparmio  ^ 

Pur  che  dalia  Ina  mano  e  non  dal  tardila 

Esecutore  r  indigente  ottenga 

Ciò  che  operoso  a  Ini  radnni  :  allora  1 

Te,  sconnscinto  ai  portici  venlost^  j 

Collochereui  su  gì*  incensati  aharir  ' 

CLSMSim  VbiiDi  nata  in  Mcaana  Snpenoie  p«l  Parmigmoo  ì^  aano  17^^  I 

ntOKi  in  Vienna,  nel  1821.  i 

Passaggio  ékl  Bx 

Sovra  picciolo  legno  il  Po  fendei  j 

Curvo  sul  remo  V  agile  nocchiero  ;;  ' 

Ed  io  à'  estro  novel  eahk>  il  pensiero 

Al  regal  fiume  il  mio  |>arlar  volgea.  , 

Questo  tuo  lido  risuenò,  dicea. 

Padre,  già  un  tempo,  per  due  Cigni  altero;; 

L'  una  ina  aponda  ii  gran  Catvter  d'  Enea,, 

Vanta  V  opposta  il  Ferrarése  Omero»  - 
£  sA  doppio  esempio  lusingato  intanto 

Me  stinrolava  un  dolce  amor  di  gloria*  j 

Coft  volo  ardito  ad  emularne  il  vanto. 
Ì)al  piano  ondoso  aller  s^allida  e  muta  | 

L*  ombra  osci  di  Fetonte  y  e  la  memoria» 

Dei  ¥oI  de»tommi  e  della  sua  caduUu. 


5.^8 


LETTBRlTimX    ITALIA91 


▼ijfcivzo  MoifTì  nàto  prena  Pas)gitttn«    (territorio  Femwwji'igi 
feìil.rajo  i;5f ,  morì  in  Milano  il  di  9  ottobre  i8a8. 

Sopr»  la  Mwte. 

Morie  ^  che  se' tu  mai?  Primo  eie  i  ^.iniu 
L'alma  vìfe  e  la  rea   ti  créde  e  teme; 
E  tcBclella  rfel  Ciet  ftcendi  a  ì  liranai, 
J!  ^'8'^®  ^"®  braccio  ìocarza  e  preme: 

Ma  rfDteftce,  a  dui  de"* lunghi  affanni 

Grate  è  PiDcarco,  e  morta  in  cuor  Fa  «peme, 
Quef  ferro  implora  troncator  de  gfi  anai, 
E  ride  a  f  appressar  de  Tore  eslrea)& 
Va  la  fKilVe  dì  Marte  e  fé  vicende 
Ti  i&da  il  forte,  che  ne^ rischi  indura; 
E  il  tóggìo  5ea2a  rmpaUidir  ti  attende. 

Morie,  che  se*  tu  dunt^iie?  Un'ombra  ©«ora, 
Un  bène,  tm   male,  che  diversa  prende 
Da  gli  a&ui  de  Tupui  forma  e  natura. 

Sulla  morte  di  Giuda, 

Gittò  r infame  prezzo,  e  disperato 
L'albero  ascese  it  venditor  di  Cristo j 
Strinse  il  laccio,  e  col  corpo  abbandonato 
Da  Tirto  ramo  peii2o!ac  fa  visto. 

Cigolava  h)  spìrito  serrato 

Dentro  la  strozza  in  suon  rabbioso  e  ìfi^Ot 
E  Gesù  bestemmiava,  e  li  suo  peccato 
Ch'èropiea  T  A  ver  no  di  cotanto  acqiiìiio- 

Sboccò  dal  varco  al  fin  con  un  ruggito. 
Allor  Giustizia  T  afferrò  ,^  e  sul  monte' 
Nel  sangue  di  Gesù  tingendo  il  dito, 

Scrisse  con.  quello  al  maledetto  ìd  froate- 
Sentenza  d*^ immortai  pianto  infinito, 
>E  lo  piombò  sdegnosa  in  Acheronie.. 

I  Sili' monta.  Sul  Calvario..     •*   ^ 


Pig^mb^  qaell*  alma  a .  1*  iiif(iri»al'  ri  fiera  % 
E  si  fe^  gran  Iremiiolo  io  qiiel-  mocDefilo. 
«  &;iIa«iTa  il  mónte,  ed  oodeggiaTa  al;  .vento 
La  falma  in  alto  atrasgoLita  e  nera» 

Gli  Angeli  c]»l  Calvario  in  sa  la  sera. 
r  ParfeDflò  a  volo  lacilorno  è  lento ,  : 
La  videro  da  lot^ge^  e  per  pavèolo 
Si  fér  de  Tale  !a  gli.  occlu  una  visieraV    ' 

I  demoni  frallanló  a  Taere  lelr»     - 
Cnlar  V  appeso  y.  e  V  infocale  spalle 
A  r  esecralo  incarco  eran   feretro. 

Cosi  uinhintto  è  schramazzando,  ti  calle 
Preser  di  Stlge ,  e  al  vagabondo  tpetro 
Resero  il  corpo  ne  la  morta  talle.. 


Poiché  ripresa  avea  V  alma  dr^inna 
L^  antica  gravità  di  polpe  e  dVossa^ 
La  gran  sentelua  su  là  fronte  bruna 
In  riga  apparve  trasparente  e  rossa» 

A  quella  vista  di  terror  percossa. 

Va  la  gente  perduta:  altri  s^  aduna  . 
Dietro  le.  piante  che  Codio  ingrossa^ 
Altri  si  tuffa  ne  la  rea  laguna. 

Vergognoso  egli  pur.  del  suo  delitto 

Fuggia  quel  crudo,  e  stretta  la  oiaseeNa^ 
forte  graffiava  eoa  la  man  lo  scritto. 

Ha  più  terso  il  rendea  Taoima  fèlla.     .   . 
Dio  tra  le  tempie  gliel  avea  conQilto^ 
Kè  sillaba  di  Dio  mai  si  cancella.. 

Pél  ritratto  di  sua  figfia. 

Piti  la  contemplo,  più  vaneggio  in  qtrella 
Mirabil  tela:  e  il  cor  che  ne  sospira  » 
Sì  ne  r  obbietto  del.  suo  amor  delira,. 
Cke  gli  amplessi  n*  aspetta  e  la  favella.. 


S6o  I.CTTBRAVI7BA   ITÀUif  A 

Ood'io  già  corro  ad  aUnraceiarta.  Ed  dlm 
Labbro  noo  nioTe,  ma  lo  tgaardo  gira 
V^r  me  ti  lieto  che  mi  dice  :  Or  minr  9 
Diletto  genilor,  quanto  aoo  bélbh  *- 

Figlia,  io  riapoado,  d'uà  gentil  sereno 
Ridon  toe  forme;  e  qaesta  imago  è  ^a 
SI  die  ogni  tela  al  paragoo  riea  metKK 

Ha  ott^Saiago  di  te  iwgg^io  pia  ma^ 

E  la  veggo  sol  io;  quella  cbe  in  seno      ' 
Al  lue  tenero  padre  Amor  scolpirà. 

M  signor  di  Mon^gBÌfiet  p$r  ijtn  t^ob  mereostàtk^. 

Quando  Giasoni  dal  Peiro  Cantava  il  Vate  edrlsio  ^ 
Spinse  nel  mar  gli  aEtefi,        D^  Argo  la  gloria  intanto , 
E  primo  corse  a  fendere         E  dolce  errar  senti  vasi 
Co' remi  il  seno  a  Teli,         Sa  T alme  greche  il  canto  ^ 

So  Talla  poppa  intrepido  O  de  la  Senna,  ascoltami. 
Col  fior  del  sangue  actieo'      Novello  Ti6  '  invitto  : 

I  Vide  la  Grecia  ascendere       Vinse  i  portenti  argolici 

Il  giovinetto  Orfeo.  L^  aereo  tao  tragitto. 

t  5tendea  le  dita  ebmrnee  Tentar  del  mare  i  vortici 

I  Su  la  materna  lira  ';  Por^e  è  si  gran  pensiero, 

E  al  tracio  sugb  cheta  vasi       Come  occirpar  de*  fulmini 
De*  venti  il  fischio  e  V  h^      L' invTolato  impero? 

Meravigliando  aeeorsero  DehI  perchè  al  nostro  secolo 
Di  Doride  *  le  figlie;  Non  die  propìiio  il  Fato 

Ifettuno  a  i  verdi  alipedi  '     D*nn  altro  Orfeci^la  celerà. 
Lasciò  cader  le  brìglie.  Se  Montgulfier  n*ha  dato? 

I 

*  J  Su  E»  matenut  «e-* .  Orfeo  er»  fi^iaolo  ^ella  Miuia  CaUiojpr. 

j;  %  Ifl  Daridé  ec, .  Le  Ninfe  marine^ 

3  Ferdi  alipedi.  I  cavalli  di  Nettano  dipingi^tt  ferdi  e  colW  sii  a»  ^e^ 

4  Ùdrisio,  cioè  TVace» 

5  tSitf  £'  alme  ec.  »  Sui  compagni  idi  Giasone*. 
C^  Tifi  ÙL  il  piloto  degli  ArfOiiMiti.. 


I AI  ag^or  del  prode  Esdniile  ' 
Surse  di  Gallia  il  figlio* 
Applmidi,  Europa  attoaiU, 
Al  volalor  naviglio. 
Noo  -mai  Natura^  a  T  ordiiie 
I      De  le  sne  leggi  Intesa^ 
Da  4a  poleoza  Ghimica 
Soffri  pia  bella  offesa, 
mira^bii  arte  v  onA*  al;safti 
Di  Sthallio  e  Black  la  fatoa  ; 
Pera  lo  stollo  Cinico 
Che-'freoesia  li'cbiama* 
!>«'  oorpi  eiitro  le  viscere' 
-    ToU'acre  sguairdo  avTeftd, 
^  C  lavati  ceiarsi'  teotaifo  ^     - 

Gnudbcili  c^iiieiitf*   . 
Da  le  tenaci  '  tenebre 

La  ?«H(à  traenti  V 
E  de  *le  raéche  ipotesi    ' 
Tregtia  al  furor'  ponesli* 
BrlHò^  Sofia  ^  p^h  folgida     * 
Del  làó  splendor  «eitttar,- 
E  le*  sorgenti  >  àpparTero , 
Gode  ti  creatcl^  ha  T^tf.    ' 

L'  ij'beo  terribii  aere , 
Che  dentro  il  suol  profondo 
Pasce  ì  treiandtilvj  e  i  cardioi 
Fa  vacillar  del*  meiMloy    " 

Reso  innocente  or  vedilo 
Da'  uxaraift  eorpi  uscirà, 


iBCDLO  ntauaTTxroi  Sòl 

E  .^à  ctòmato  tà  utile  • 
Aldomator  servirci' 

Per  (ài^  del  pondp  linoitìnore» 
Mirabil  cosa!  in'alHi^ 
Va  h  materia^  le  insilH^o 
Portala  le  oubiassako^ 

Il  gran  ipròdi^ip  imibobilP 
I  riguardanti  lasflia^)  > 
E  di'  terrore  un  pàlpilp* 
In  ogni 'cor  trapassa* 

Tace  fa'  terrà  ^  '  •  suonAia  \ 
Del. òiet -le  vie  deserte I 
Stan  «dille .  volli  paUSdi^     '. 

:  E  'mille  bocche  ^>e»té*;  '  } 

Sorge  il  diletto-  e  V  eslari 
hi  tnètm  a  ìù  spavenlQ  ,• 
E  f  pie  mal  ferini  agognano 
Ir  dietro  ili  gimnìbt  adlenlD* 

Paee'  e  srlensio^  o  tiirbiùll 
Deh  r  non  vi  ^  |>rends  -  sdi^tto 
Se  umaner:  «alme:  iva  remo: 
De^  le  temperte^  il  ?  regnd.  i 

Ilattien  h  neve  v'^'-^^^^V 
Che  giù  dal  crin  ti<cola^ 
L^  etra  sereno  e  libero 
Cedi  a  Robert  che  vola. 

Non  egli  'vIena'Oriwa  ^ 
A'  insidiéf-  >le^i<^e  ;  ; 
Costa,  rimorsi  e  lagrima 
Tentar  d^^on  Dio  U  inogUe. 


i  EtÓHlée.  GtàtoiM  figlìMsIo  ai  Saoae. 
a  Afia  te,  •  Kilos^fi*.     ' 
3  OrisUt*  Moglie  di  BoMa. 


562 

ìììsm  Teseo  *  ne  i  talatnl 
De  r  airo  Dite  H  piede  :  ' 
PaoHlo  il  Fato,  e  in  Bìrebo 
Fra  eeppì  eterni  or  siede. 

Ma  già  di  Franeia  ttOed^ 
Mei  mar  de  Taare  è  liwge; 
Lieve  lo  porta  Zefiro, 
E  rooebio  appena  il  giungle. 

Fosco  di  là  profondasi 
U  suol  foggontn  a  i  Inmi-, 
E  come  lavre  appaiono 
Gita,  fiNTosle  e  6 orni. 

Certo  la  fistà  orribile 
Lenirne  agghiacciar  dovrià; 
Ma  di  Robert  ne  T  anima 
Chiosa  è  al  terror  la  via. 

E  già  raodaee  esempio     . 
I  più  riirosi  acquistn;      • 

-  Già  cento  globi  ascendono 
Del  ciet»  a  la  conqobta*  ' 

Umano  ardir,  pacifica 
Filosofia  sicora  9 
Qnal  fiMva-mai)  qnal  limila 
U  Ino  poter  misura? 


LBTTERATCni.   ITaLUSA 


Rapsti  al  del  le  folgori, 
'Che  debellate  ijinatote 
.Con  tronche  ali  ti  caddefo. 
E  ti  lambir  le  piante* 

Frena  gridato  il  calcolo 
Dal  tno  pensiero  ardito 
De  gli  astri  il  moto  e  Torbile. 
L' Olimpo  e  V  infinito. 

Sfclaro  il  tolto  incognito 
Le  pia  irimote  stelle. 
Ed  appressar  le  timide 
Lor  vérgini  fiammelle. 

Del  sole  i  rai  dividere. 
Pesar. ^oest*  aria  osasti; 
La  terra,'  il  foco,  il  pelago, 
liO  foro  e  r  oom  domaslL 

• 

Oggi  a  calcar  le  nnrolo 
Giunse  la  Ina  virtute, 
E  di  natura  stettero 
Le  l^gi  inerti  e  moto* 

Che  pia  ti  resta  ?  Infirangere 
Anche  a  la  Morte  il  telo  *, 
£  de  la  vita  il  nettare 
Libar- con  Giove  in  cieb* 


Moru  ii  ÌMigi  Xf^L 

L' Angel  ^  coli*  Ombra.  n|ossérvato  e  qoelo 
Rolla  dilè  di  Iqlti  i  mali  onlrava  K 

I  Teseo  tentò  eoo  l*iritoo  di  rapif*  ProMiiiìna  uogfie  di  Dite  o  Flalow; 
mi  lioMto  UgffM  idataMi»  8ael4  non  di«ctw  ^  Ercol*  •  Uli«t»b. 

%.Ii  telo,  li  dardo. 

3  L*Jjig0Ì  90,,  V onkLn  d* Ug»  BmtìHs  (ncaiso  in  Bonu  doV mm  itito 
•pedita  par  «aacitani  la  riTohià«n«  >  **•  in  «eaipaipii»  d*  nn  ABgtlo  'm«> 
tamplando  W  fuoeste  eonMguttnse  di  qa«l  puid«  «TV^BiaMnto.  B  9mSÌk  ^ 
•la  è  il  suo  purgatorio. 

4  NdU  città  ee, .  In  Paiigi. 


SÉCOliO   DECIKOtTATO   '  '563 

Et  proc«c!ea  depresso  ed  inqafélo 

Rei  porlaoientd.,  i  rai  celesti  empieiido 
Di  largo  ad  or  ad  or  pianto  segreto. 

E  1'  Ombra  si  stopia  quinci  fedenda 
Lagrimòso  il  sno  duca ,  e  possedute 
Quindi  le  strade  da  silenzio  orresdo* 

Muto  de*  bronzi  il  sacro  squillo ,  e  mute 
li' opre  id  {ioroo,  e  oitrlo  Io  stridore  ^ 
Dell'aspre  incudi  e  deHe  «eghe  argute.' 

Sol  per  tutto  un  bisbiglìo  ed  un  terrore,      . 
TJn  domandare 9  Un  sogguardar  sospetto; 
Una  mestizia,  che  ti  piomba,  a!  euore.- 

E  cupe  voci  di  confuso  affefto ,  4* 

Voci  di  madri  pie,  ehe  gP innocenti 
Figli  si  serran  trepitando  al  petto; 

Voci  di  spose,  che  ai  mariti  ardenti 
Contrastano  T  uscita,  e  sbHe  sogUe 
Fau  di  lagrinie  intoppo  e  di  lamenti. 

Bla  tenerezza  e  carità  di  moglie 

Vinta  è  da  furia  di  maggior  possanza^ 
Che  dair  amplesso'  conjogal  gli  scioglie. 

Poiché  fera  menando  oscena  danza 

Scorrean  di  porta  in  porta  aflaocendatt 
Fantasmi  di  terribile  sembianza  ; 

De' Druidi  '  9  fantasma,  iosanguisali , 
Che  fieramente  daHa  sete  antiqifo  • 
Di  yittiote  nefande  stimolati , 

A  sbramarsi  veoian  la  fista  obliqua 

Del  maggior  de'  misfatti,  onde  mai  potfft 
La  loro  superbir  semenza  iniqua. 

I  Ih'DnOM  «;..  1  Braidi  furono  sacerdoti,  nnettti  e  U||Ul«tori  pomo 
^i  antichi,  GttUi.  Delle  loro  cndeti.UtUasipm»  nelU  ipuii  fm^^kchnàttifm 
9  da  Botarti  ruwnsft  delle  vittitne  tunanc,  patlaao  <riaHp  €•■.>  4»  6e/.  |w^ 

lib.  VI/  t  haCUM-t  111).  IML» 


364  I.STTHUTOAA   ITAUAKA 

ìb  verte  li*  utùmn  «aof  «e  rosta  ; 
e  l^be  groodata^  ogni  capello  ,  . 

E  oe  cadca  uoa  pioggia  ^4  vgni  «cossa* 
Sq«a»aii  aliri  «a  tiuone^  alu*!  uq  flagello 

Di  cbdidri  e  di  verdi  ai4esj|>^e , 

Altri  wi  **PP«  ^  tosco,  abri  no  coltello. 
E  eoa  <|Bei  terpi  percntean  :lo  lobi^oe 

E  le  frooli  loorlali ,  e  fea»«  toccando  ^ . 

Cos  gli-  arsi  ti»i,  ribollir  le  «eoe* 
Allora. delle  case,  ioforiaiido 

Uaciao  le  genti  «  e  si  feggia  smarrita 

Da  AQtli  .1  pHli  la  ^etade  io  baodo* 
Allor  trema  la  terrea  oppyressa  e  tirila 

Da  cavalli  ^  da  rote  e  da  pedoni  ; 

E  ne  mormora  Taria  sbig<mita: 
Simile  al  rongghiQ  di  remoli  tuoni. 

Al  noUiirno  .4el  mar  rooo  lamento  « 

Al  lontano  mggir  djegU  a^piilooi* 
Cbe  cor ,  misero  Ugon ,.  dhe  sentimento  , 

Fu  allora  ilJoo,  che  4i  mOrle  vedesti 

L^al^ro. vessillo  volteggiarsi  al  vento? 
E  il  terribile  paloo  erto  scorgesti , 

Ed  alzata  la  score,  .e  al  gran  misfatlo    . 

Salir  bramosi,  i  raaniguldi  e  presti  ; 
E  il  tuo  baon  Rege,  il  Re  più  grande,  in  atto 

D^  agno  {innocente  fra  digiuni  Inpt, 

Sul  letto  de^  ladroni  a  morir  lra£bo; 
E  fra  i  silenzi  dell^  torbe  copi 

Lui  sereno  mBt\tar  h  fronte  e  il  pasao. 

In  ?istà.  che  spetvar  pelea  le  rapi: 
Spetrar  le  rupi  e  sciorre  in  pianto  un  sasso, 

Won  le  Galliche  tigri.  Ahi!  dove  spinto 

-1/ Avete 9  o  crude?  Ed  ei  v'amava?  Oh  lasso! 


0feiiòLO  lyeciHott&to  *  S65 

Ha  piangeàil  soie  di  gramaglìa  ciato,  » 

E  slava  io  fcrfse  di  voltar  te  Tote 
Da  quésta-  Tebe  "  ,  che  V  arftiica  ba  vinto. 
Piangeraiì  Tàurè  |)ér  Icrrteré  ioi'molc; 
E  r  anioafe -del  cielo' cittadine 
Scendean  col  plauto  aneh*  esse  \tt  ao  le  gote; 
1/ anime  che  costablt  e  pellègribe     ' 
Per  1^  causa  di  Cristo  ^e^  di  Luigi 
Lassù  per  sangue  dlfentàr  divinid  *.     ' 
Il  diiol- di  Franerà  intanto  e  2  gfàfl' llf^i     ' 
HiraTa  Iddio  dalF  allov^  e  giunto  e  ^MVdJlo 
Pesava  il  fato  della  rea  Parigw  ' 
Sedea  sublime  9ul  trèoàendo  trotto-,  ^ 

.  E  sulla  lance  d^  ^r  quinci  pò nea^- 
Lealtà  sua  pazienza  è  il  suo  perd^aoo: 
DelP  iniqua  città  quindi  meltea  '■  -        •    ' 

Le  sceUeranèe  tuttev  e  nullo  ancora 
Piegar  de^  d4ie>  gratt  earchi  -si   védea.  * 
Quando  il  ttbrtal  giudizio,  e  raltiui'4>ra     • 
Defl' angamo  lu^lice  <al6n^  v'impose*'     ' 
\J  Onnipciténte.'  CigolaiidD  allora 
Traboccar  le  <  bilance  rpooderoàe  :  t 

Grave  in  terra  coz'i^  ki  oiortal  sorte, 
.  Balzò  T'ali ra  alle  sfere,  e  st  nascose. •  ^ 
.   In  quel  ponto  al  feral  palco  di  morte  ^    -■  - 
Giunge  Luigi.  Ei  v^  alza  il  gnai'du ,«  e' viene 
.  Fermo  alla  scala  V  in^erturl^ato  e  fiirtd. 
Già  vi  monta  ,  già  H  > sommo  egli  ne  ti^er, 
E  va  sì  pien  dì  maestà  T  aspetto, 
Ch^  ai'nijinigojcn  fa  tremar  le  vene. 

1   "Da  questa  Tebe  ec,  •  I  poeti  to^oB  paragonare'  t  Tcb«  (  «aprM*-dolla 

Beotia)  ogQÌ  -  citta  mactbhiU  di-giUTi  delitti,  perche  quivi  ocUa  disdeUd^Difa 

di  Ia\ù  fuMnd  fumose  del  pari  Aè  gnmdi  le  du>p«. 

a  LoMéà  se. .  DivMitftron  divtoein  cielo-  atetide  Venato  ^quaggiù  ^  il  sais 
giM  per  la  caiua  della  i^ligione  e  del  re.  .       ^      .        'l 

tmWttAJ*  ITAL.  -  IT  4^ 


S66  LETTERATURA   ITAUàllA 

E  già  batlea  furtiva  ad  ogni  petto 
La  pieU  rifiasceote,  ed  anco  parve 
Che  del  furor  sffato  avria  T  effetto  : 

Sia  fier  portento  iq  qaesto  meizo  apparre. 
Sul  patibolo  infame  all'  improvviso 
Asceser  quattro  smisurate  larve. 

Stringe  ognuna  qo  pugnai  di  sangue  intriso: 
Alla  strozza  un  capestro  le  molesta, 
Torvo  il  cipiglio,  dispietato  il  viso; 

E  scomposte  le  chiome  id  sulla  testa. 
Come  campo  dì  biada  già  matura. 
Nel  cui  mezEo  passata  è  la  tempesta: 

E  sulla  fronte  arroncigliata  e  scura 

Scritto  in  sangue  ciascuna  il  nome  area  , 
?)ome  terror  de'  Regi  e  di  Natura. 

Dàmiens  '  V  uno,  Ariiaslrom  T altro  dicea 
E  l'altro  Ravagliacco  :  ed  il  suo  scritto. 
La  quarta  colla  man  si  nascondea. 

Da  queste  Dire  avvinto  ii  derelitto 
Sire  Capato  dal  m.iggior  de'  troni 
Alla  mannoja  già  facea  tragitto. 

E  a  quel  Xx insto  stmll ,  che  fra  ladroni 
Perdonando  spi  rara,  ed  esclamatido: 
Padre,  Padre,   perchè  tu  m^  abbandoni  ? 

Per  chi  a  morte  lo  Iragge  'anch'  ei  pregando, 
/II)  popol  mio,  idiGea,  che  sì  delira, 
E  il  mio  spirto,  Signor,  ti  raccoitfiando. 

In  questo  dir  con  impeto  e  con  ira 

I  Damiens  (  Francesco  )  nel  gioroo  x5  ffpnajo  1757  asnsiinò  Luigi  XV. 
AtAastrorii  feri  mortalmente  Gustavo  Ifl»  fé  di  Svcxia,  nel  giorno  16  aiano 
Vi^  Ruvaillac  (  Francesco  )  ai  l4  saggio  16x0  ucoise  Enrico  IV.  U  quarto 
«  ucciso^  ^i  $nj>co  III.  Chi  fosse,  costui  si  raccoota  a  pag.  ^  di  qneslo 
ìrolurae  j  e  dascuno  potrk  indovinaco  perchè  il  Poeta  al»l»ia  immaginato  die 
.H.nasFoofless^  11  jjbonff  colla  wa«o.  £arico  111  fu  ucciso.  Bel  primo  del- 
l' agosto  ^589. 


Uq  degli  spettri  sospingendo  il  tenne 
Sotto  il  taglio  fatai  ;  r  altro  tei  tira.    ' 

Per  le  sacrate  anguste  chiome  ti  tetone 
La  terza  Fnria,  e  la  sottil  mdente  '  "  ' 
Qaella  quarta  recise  alla  bi penile. 

Alla  caduta  delP  aceiar  tagliente  ' 

S*  apri,  tonando  il  cielo,  e  la  terralglia 
Terrà' si  scosse  e  il  tu^re  orri bti mente.  ' 

Tremonne  il  mondo,  e  per  la  roaraflglia 
E  pel  terror  dal  freddo  al  caldo  polo 
Palpitando  i  potenti  alzar  le  cigHa. 

Tremò  f^evante  ed  Occidente.  Il  sola 
Barbaro  Celta,*,  in  sno  furor  più  saldo, 

Del  del  deriso  e  della  terra  il  duolo*    ' 

'  -.1, 

GU  AngeU  sUrmùiatorL  > 

Ecco  aprirsi  del  Ciel  le  porte  a  manca 
So  i  cardini  di  bronzo,  e  ana  vir tilde  ■ 
Intrinseca  le  gira  e  le  spalanca. 

Risonò  d'.  un  fragor  profondo  e  rode 
Dell^  Olimpo*^  la  TÒIta  ,  e  tre,  guerrieri 
Calar  fur  visti  di  sembianze  crude. 

Nere  sul  petto  le  corazze,  e  neri 
Nella  manca  gli  scudi,  e  nereggianti 
Sul  capo  treraolaTano  i  cimieri. 

E  furtive  dall'  elmo  e  folgoranti 

Scorrean  le  chiome  della  bionda  testa 
Pc^r  lo  collo  e  per  V  omero  ondeggiante 

La  volubile  bruna  soprairvesta 

Da  brune  penne  ventiiat»  addietro 
Rendea  romor  di  pioggia  e  di  teoApealab. 

Del  sopracciglio  sotto  inarco  Mto 

1t  MmehmU*  LatiauBio,  per  Cmrdm*. 


$61  UTTBBATCRà   lTAl.fi|IIA 

UacKia  lampi  dagli  occhi  j  ascia  pamra  ^ 
E  U-facfBÌa  paraa  l»olleQt6  Tetro..  , 

Qoesli-,  e  l'altro  cattipk>D  je4ato  a  cora 
Deir  ef  Imto  Ltiigi  ,  Ajngeli  sodo  : 
Di  lerjrprc^  di  morte  e  di  sTentara. 

Venir  son  osi  dell'  Eterno  a!  trono 

Qaando  ai  cruda  al  mQrtal  volge  la  sorte, 
E,  roap^pe  la  ragion  del  suo  perdoopw 

D'  Egitto  '  il  primo  V  incruente  porlo 
Veiy  arcana  percosse  orribil  notte  V 
Cke  fin  de'  padri  le  sperante  mortew 

L*  altro  *  è  <|uel  che  sol  campo  estinte  e  rotte 
.{fasciole  forze  che  il  superbo  Assiro 
Contro  ranulo  Gioda  avea  eoodollje. 

Dalla  spada  del  terso  1  colpi  nsciro^. 
Che  di  pianto  sonanti  e  di  rufna 
Fischiar  per  1^  aure  di  Sfon  s'  aJiao^;        • 

Chiariddla  provocata  ira  divina 
Al  mite  genilior  fé'  d*  Ah«afone 
Caro  il  censo  costar  di  PalestiiM» 

L'ultimo  >^  fiero  .Tolator.  gareòno 

%  D*  Egitto  ee.  t  Aèccniia  h  motte  de*  prìmo^oitt  hi  E]g^to  tTrennta  'a 
una  sola  botte  ,  «piando,  Facaoiie  :<roleta  impedire  a>  Mosè  1»  lil»aniioae  de< 
gli  Ebrei.. 

1  t'  altro  te, .  Ài  tempi,  di  Esechia  ,  r«  di  Giuda  ,  il  ce  ^*  Assiria  Sena^ 
cberibUo.  assediò  Gerusaìemme  «òn'  i8S,òoo  uomini  ;  t'  quali  morirono  taUis 
in  una  sola  notte^>  -sterroiiuitii  à^  un  Angelr*.  V. -.il  libk.  ir»  e.  19  <W  Ke. 

3  Dalla  Jtpa^  del  'f^  ^**  ^^^  li1>. .1"  dei  B^,  si  (acconta  -che  aTeod» 
Davide ,  padre   di   Assalonne  ,  fatto   numerare  il  suo  popolo   pei;   superbis , 

•  •  • 

oc  fu  castigato' ila.  ^Oidclke  gif  diede  la  scella' 'fra  ?a  fìimé*,  )a  guerra  e  la. 
peste  ;  ed  egli  elesse  la  pest^ ,  o  p«srcb^  quesl^  più  facilmente  po^va  col^ 
pire  anche  lui ,  ovyero  (-  come  dice  il  testo  )  perchè  volea  piuttosto  cadcie 
Dolle  misericordiose  mani  di  bió  ,  che  in  quelle  degli  uomini,  paride  nsd 
•alvo  da  qu^l.'idgptta  ^  ma  uMlsf  morto  de**  suor  o  nb*^  rimorsi-  t:he  o*  ebbe ,. 
pagò  cara  la  vanità  di  p^  cei|fO« 

4  1/  ultimo  te,.  Nella  visione  d*  Eaechiello  ,  cap.  ix  ,  e  descritta  Tap* 
parisione  di  questi  Angeli  ai  quali  era  comandato  di  «cadere  dstaaqno  non 
era  segnato  in  fironio  col  TAaii«i  II  Monti  stesso  scrìsse  ia  bette  tenine  9W" 
sta  risione.. 


DlCIHOTOfO'  569, 

.  Uoo  è  de'^el,  cai  vi<ie  T  accigliai»  > 
^  Ezechielio  arrivar  éMV  AqoHaoe ;    ( 

Io  RiaDo  aveoti  uao  ttocd^-  affilato  9 

E  percoteali  bgiiiivi,  cbe  per  la  ria»   ^ 
Del  Tàu  la  fraole no»' wcdcan  seggalo* 

Tale  e  tanta  dal  del  sé  oe  teoia     • 
Dei  fMTooello^  A^rcangeli*  poasetfti 
La  terribile- e  nera*  campagnìa  ;:  • 

€onie  groppo' di  fólgori  cadenti 
Sotto  poToro^  eid  ,  ^oaildo  sparut« 
faccioB»  Je  stelle ,  e  fremoo'  T  onde  o»l  Teoti.. 

Ippolito  Piudshorts.  nato  in  Verona- Ur  i3  di  noYomlite  XjSS,  mori  a*  18 
pur.  di- noYembco  deUTaBoo  iStSI 

J  Giardini'  inasti    . 

Oh  cbi  mr  Iei«  i»>  alto^  e  chi  mi  portn* 
Tra  qaegli  anneói  ^  dUetiosi^  immenli 
Boscherecci  teatri  T  oh.  ehi  mi  posa 
Su  qoe'  verdi  tappeti,  entro  quo"  foschi' 
Solitar}.  ricsoreri ,  nel  grembo 
Di  quelle  :  valK  ^  ed  a  qpo'  colli  io  retta  ì 
Non  recise  colà  bellica  score'    . 
Ii<e  ^(ooondfe  oaibre-,  i  eonstietl  asili 
lià  non  cercare  invan*  gli  ospiti  augelli  ; 
Kè  primavera  s^'  ingannò',  veggendO' 
Sparito  dalla  terra  il  noto  bosco , 
€be  a  rivestir  ven^a  delle  sor  froiidi» 
Sol  oeHa  man  del  giardinier  solerte  ^ 
Men^ò  lampi-  colà  T  aento  ferro , 
Cbe  rase,  il  prato,  ed  aggqag^ti^Uo  ^  e  j  rami^ 
Che  tra  lo  sguardo  e  le  lontane  scene 
Si  ardivano  frappor ,  dotto  corresse. 
Prospetti  wgbiv  inaspettati  inebnlri ,. 

1;  Solente  Itkicut»  é.  ài^^ttXAt 


570  UTTCniTVRA   FTlElillà 

Bei  nstieri-  ^  antri  fresdil  ^  epachr  seg^  , 
Lente  acfnc ^  i^  mote  all'erba  e  al  fiart  10  aieui 
Precipitanlt  d*  allo  acque  iMwnli, 
Dirapi  ili  sobliné  ovcar  dipiati  :: 
CaanpO  e  giardini^-  InaMh  arndtla  e. agrette 
Semplicilà^  quinci  ondeggiar  1»  messia 
Pender  la  capre  da  na'  aeìMia  babà  ^ 
La  Talle;  magolac  ,  helaiie  il  colla , 
Qniod  mamoreo  towrai  V  onde  sn  ponte- 
€anra«sire  aa  lenpio  Uancbcggiav  Ira  il  reràcy 
Slsanieiie  piante vfroadegf^r ,  cho  d?  ombre 
Spargono  americane  il  snol  britanno , 
E  tn  ramo  ,  che  avea  per  allri  aagelli 
Nainra  ordito  ^  a iigei  cantar  d*  Europa  r 
Mentre  superbo-  delle  arboree  corna 
Ya  per  la  selta  il  cervo,  e-  spesto  il-  capo 
Volge*,  e  li  g«Mrda;  e- io  mezzo  atf  onde  il  cigno» 
Del  piò-  fa  remo  ,  il  collo^  inarca  ,  e-  fènde 
Ih*  argenteo  lago  ;  cosi-  bel  soggiorno 
Sentono  i  bruti  stesti,  e  delle  selve- 
Scnoton  con-  islopar  la  cima  i  renlt. 
Peh  !  percbè*  non  pass' io-  tranquilli  passi- 
Ri  uovere  ancor  per  quelle-  vie,  celarm!- 
Sotto  r  intreccio;  ancor  di  que'  frondosi- 
Rami  ospitali ,.  e  udir  da  lunge  appena 
Mugghiar  del  mondo  la  tempesta ,  urtarsi^ 
L'  un  con  tra  F  altro  popolo ,  corone 
Spezzarsi  e  scettri  ^  Oh  quanta  slr^ige  Y  oh  qnaatt. 
Scavar  di'  fosse  e  traboccar  di'  corpi , 
E  ti  condottici;  trafitti  alatr  di  tombe  !. 

ti  uomp  coltQ.  ed,  amohiU» 

]^a  già  nel  sen  più.  non.  ritengo  il*  verso. 
Che  impaziiente  a  te,  Panjllo  ^  Y.o)a.,, 


A:  te  4  odf  «OH  d'  W  Mnìlit»  tatt^nnìo  v 
Cha  H  mb-eoofovlo  foroM  e  il  ornilo  imlo. 
Creder  .-potrai  cbe  4il  fere  ra^  fedii  olùragg:ioi 
FnvelfiiBdo  di  le  y  se  per  V  amore» 
Del  fer 'ItfTappmrla  ch'io- M  |miic^ì  ih»  gìofiio? 
Tu  di  Sofin  '  IM>D  me»,  che  salie  braoda 
'    Delle 'Grazi*  Bodqrila^e  delle  Muse,' 
E  de  DOt«li]ng0-  io  eJlà  verde  a<fd«tloV 
'   .    '  Nop  »  .Taiit  pi«eer\<Bia  «{«ìeìII»  eoabi  ; 

Cercasti ,  onde  prìi  1'  aoui  s'  abbella  »  eresce. 
Quindi  i  folumi ,  Ina  deliKia,  chiasi,. 
Monti  leggier-f^lesli  »  e-  valli  e  tikhtt, 
'  SofiiÉ*  stèss»  per  maao>  allor  ti  prese,    ■ 

E  oiosIraiKki  ti  f enae  angolfr  e  seni , 
'    Roece  e  {mòdici  ,  e  d*  ogni  sorta  (elfi ,, 
Femiei  spente  ed  iiupìelfftli  corpi, 
'Ed»  Tèti  e  VtiJcaa  '  T  opr»  e' del  tempo. 
Né  naea  la  Dea  per  lé^^dtlè  ti*  «eorse-. 
Altro  mostrando  a  te  che  mar»  ed  ascM, 
'     E  su  bilanci»  d^  òr  le  sapieoie 
De'  popoli  diversi  e  le  fuUie 
Teco»  pesando*  Dotto,  e  noa  lo<{aaee> 
Arguto  e  non  ferribilè,  cortese 
Seoxa  menzogna ,  e  seni'  audad*  franco  y 
H  bello  a  celebrar  lento  non  fosiS , 
Domnq'oe  a  te  s-'  oflbrse ,.  e  oséeli  a  mol  ora 
Centra  le  frecce  dell'  estranio  labbro 
Farti  d'  Aasoaia  riverito  scodo« 
Poi,  come  il  saggio  figlio- di  L&erte*^ 
Che  tea  gli-  agi  stranieri  e  le-  caresze  , 
Non  sospirava  che^  mirar  da  presso 
D'  Itaca  sua  le  biancheggjanti  rapi,. 

I*  Vi  Teti  e  Vulean,  Del  mart  e  del  (uoco*. 
»  Comu  il  sag0io  «f—  Comft.  VlisM», 


&7a 


LBTTSftifraMl  IFiMMUt 

E  U  folfeoteti  Al  IM  famo  d«i«  teHT;; 
T«  por  4  fadde  alla  <aa  patriai-  e  al  teis» 
Férnio  delle  tentoaiche  Càiipi», 
Ferma  alla  Circi  delle  ^aache  aelvr^- 
•£  alle 'Sirene «del  brila»pai  taAre-y-* 
Eitomailt  ftoiaDeora  Italo  e  miMPo^ 
€he  da  noi  nan^Matittl^  nl3e.  al  feeobia 
Padre  pia  anaara^  ad  ogni  eòo»  piò»  acoelto  ^ 
taceoMudo  ai  nalvagi  ^  e  •  ne  pibi  aaro^ 

• 

.  la  Meianeenià* 

m  %  * 

,  JSelaaoonia  ^ 

NLofii  geotib-r 
,JLa  vita  mif 
Consegeo  a.,  te. 
li  mei  piaceri 
,€bt  tièoft  a  TÌle,. 
ài  jpiaaut  vere 
Hate  ttoo^ès 
O'  aotlO'  nn  fiiegio' 
Io  ti-  ritrova 
M  ealdt»  raggio* 
IK  bianca-  t^iel  ;. 
Blentae  it  pencosiK 
Occhio'  non  moTt 
Dal  freltoloso* 
Noto  rasoel  : 
O  che  iti  piaccia 
Bi  dolce*  Lon» 
L*  argentea  faccia* 
A*Oorcggjar  v 

Quando  pel  petto* 
La  notte  brnna< 
Stilla  il  diletto. 
Del  meditar;. 


Fontr  e  coiti 

Chiesi  agli  Dei  r  .  . 

M*  ndiro*  alfine  9 

P^go  io  aivrà. 

Né  mai  '^el  (bnle^. 
Co*  deiir  nNei> 
Né  mai  ^el  nenia* 
TrApasierò» 
Gli  ooor  che  tono? 

Che  vai  ricchezsai^ 
I  miglior  4otfo* 

Voromene  altiort 
D^  nn'  àlf»fr  pnraV 
Che  la  beUe^aa 
Della  Naiora 
Gasta  e  del  ¥er* 
Ne  può  di  temp0e   • 

Cangiar  'mio  lato  t, 

Dipinto  sempre 

Il  ciel  sarà% 
Ritorneranno 
I  fior  Del  prato. 
Sinché  a  me  raon» 
Ritornerà. 


Non  rinarrai,  Più  dell*  attorta 

Na,  tutta  so{ar  Chiomate  éA  vataxào 

Me  ti  Tecfrai  Che  roseo  porta 

Sempre  vici»»  .  La  Dea  ti*  Amorfa 

Oh  come  è  belfo  E  del  vìvaee 

Qae!  di  viola  *Suo  sguardo,  oh  i{a9tit4 

Tno  manto,  e  quello  Più  il  tao  mi  piace 

Sparso  tao  cria  !  Contemplator  ! 

Bti  guardi  amica 
La  toa  popitla  , 
Sempre ,  o  pudica 
Klnfii  gentil; 

E  a  le,  sofive 

Ninfa  tranquilla  ,' 

Pia  sacro  il  grave  '    ' 

Nuovo  mio  stif. 

« 

Cnn.10  PiATiCABi  nacque  in  Savìgnano  addi  i5  d*  agósto  177^  »   da'  illtt<^ 
«tw  fan9Ì|Ha.  di  Pesato  »  e  n\oii.  nel  gjlngno;  del.  i8aa« 

Se  si  debba  scvwere  nella  sola  lingua  del  Trecento, 

Primameate  speriamo  ^he  i  prudéati  leilovi  voi:ri|nQO 
qui  gittare  questo  saldissimo  fondamento  =  che  le  solita 
lare,  cioè,  sono  ordinate  a*  coetanei  ed  a*  posteri,  e  Don 
a'  defutkti.  =:  E  certo  sòlamenle  .colui  che  slaneò  d^^^  vivi 
volesse  scrivere  pe^  morti,  e  guidato  dalla  Sibilla  gire.al* 
F  Eliso,  Jd  colà  recare  i  suoi  libri  ,..<:olui  solo  davr^bb^ 
acriverli  al  solo  mcido  de^  vecchia- e  tutte  (uggire  attenta,'» 
sente  le  parole  di  nuovo  trovate ,  per  timore  die'  quelle 
sante,  umbre  non  potessero  ora  intendere  quelle  cose  (hiv 
^  in  vita  non  poterona  udire.  E  questa  consigjia  sareiphe 
a  que\  morti . carissimo  ,  e  a  tali  .scrittori  neces^rìo.  Ma 
chi  scrive  a*  vivi ,  come  pur  tutti  facciamo,  chi  scrive  no« 
drito  di  tante  belle  eJ  alt«  dottriue  che  dòpo  quella  età 


I 


I 


$74  LETTSftATimA   ITAUlIfA 

ioprat TeoDero ,  e  dopo  sì  granili  e  magnifici  poemi  che 
ne*  seguenti  secoli  si  cantarono  ,  conoscerà  che  non  tallo 
Toro  delP italiana  faTella  li  trovò  ne* confini  del  Trecen- 
to :  ma  molto  par  ne  scnopr irono  V  altre  etiÉ  :  e  fu  oro 
si  bello  e  tero  che  non  potrassi  gittare  giammai  senza 
oltraggio  apertissimo  di  tatti  que*  classici  che  sono  V  o- 
nore  e  il  lame  dell'  italiana  Repnbblica.  Perciocché  si  la- 
aci  qoel  che  dice  Boezio  =i  che  alio  di  munissimo  in- 
gegno  è  sempre  usan  le  cose  trovate  e  non  mai  trovar» 
ne  "=2  egli  è  par  certo,  che  per  tale  consiglio  questa  fa- 
fella  di  ricchissima  che  ella  è ,  si  farebbe  la  poverissima 
di  tnlte  r  altre.  Perchè  dicendosi  d*  usare  quella  del  solo 
Trecento ,  bisognerebbe  aggiugnere  di  voler  poi  lasciarne 
tutte  quelle  ree  condizioni  da  noi  di  sopra  considerate  ; 
e  con  questo  direbbesi  di  volere  scrivere  con  nna  sola 
parte  d*  una  parte  della  universale  favella.-  Conciossiacfaè 
parte  di  questa  è  la  lingua  del  Trecento  :  e  parte  di  essa 
parte  è  qoella  che  si  sceglierebbe  onde  schivarne  le  qua- 
lità già  dannate.  E  per  tal  modo,  qnasi  fosse  poco  il  tv^ 
trarre  P  idioma  dair  ampio  cerchio  di  cinque  secoli  dea- 
Irò  le  angustie  d'  nn  solo,  si  tornerebbe  anche  a  restrin- 
gerlo in  pia  brevi  confini ,  che  già  non  era  ncil»  stesso 
Trecento. 

E  miserabile  veramente  se  ne  &rebbe  la  nostra  condì- 
tione  ;  qnasi  fosse  per  noi  destino  il  vivere  da  schiavi  aem* 
pre;  perchè,  usciti  così  di  fresco  dal  servaggio  delle  stra« 
mere  voci  ' ,  dovessimo  ora  cadere  nel  servaggio  de'  morti.' 
Ha  perchè  incurvarci  a  si  strana  catena?  ridurci  a  sì  nuova- 
guisa  di  povertà?  far  vane  le  cure  e  l'opere  meravigliose 
di  tanti  ingegni?  e  spogliarci  di  tanta  pompa?  e  tremare 
in  nudità  maggiore  che  non  f»  qiiella  4»  vecchi  ?  Que* 
sto  eì  certo  è  consiglio  non  da   ppu<ÌeBtli  t:  4^  la  Attm» 

.    I  straniere  voci,  I  vocaboli  •  I«  (nii  (raccesi  che  molti  Il^ani  tal  Ibire 
dd  Mcolo  séorso  ialrodnieeTaiiQ  atSe  kwo  lerittnro. 


SECOLO    DCCISIOTTitO  SjS 

e  àtiz!  simigliaiile  a  quello  di  colai  che  volesse  farci  dlmeit* 
I  ticare  i  Tetlali^  le  porpore  e  le  delizie  tolte  dell'  Italia 
;  Tivenl^,  per  tornare  a  cingerci  di  ctiojo  e  d'  osso  ,  come 
„  già  facevano  Belliocion  Berti  e  la  donna  soa  '•  Questo 
I  non  sia  ;  che  come  tra'  vivi  ci  restiamo ,  cosi  scriviamo 
,  pe*  vivi  t  e  per  essi  adopreremo  tutte  qaelle  voci  e  quelle 
»  ferme  che  ora  da'  letterati  si  conoscono  per  buone  e  no* 
,  bili  ;  e  spezialmente  quelle  che  ,  poste  negli  scritti  de* 
.  grandi,  fnrono  poscia  da  altri  grandi  imitate.  Né  permet« 
j  feremo  che  di  sfregio  si  disonesto  vadano  ofiesi  i  sapienti 
,  autori  del  Vocabolario,  che  non  dal  solo  Trecento,  ma 
,  da  tutti  gli  ottimi  di  tutti  i  tempi  tolsero  e  tolgono  queU 
r  ampio  tesoro  che  è  aperto  a'  bisogni  dell'  eloquenza  4 
ed  a  mostrare  l'ampiezza  tutta, e  la  forza  di  questa  mi« 
rabile  ed  ancor  vivente  favella. 

E  finch^  ella  sia  vivente  si  potrà  sempre  accrescere  : 
tuttoché  la  licenza  «e  n*  abbia  a  concedere  con  grande 
parcità  ;  e  deggia  poi  farsi  io  ogni  giorno  minore.  Im- 
perocché quanto  più  s^  è  ringrossata  la  massa  delle  voci, 
tanto  più  la  favella  é  salita  verso  la  sua  perfezione  ;  e 
quanto  più  ella  é  perfètta  ^  tanto  è  maggiore  il  pericolo 
che  le  voci  nuove  sieno  o  inutili  o  avverse  alla  natura 
di  lei.  Ma  perché  quelle  cose  che  ancora  non  avessero  un 
proprio  nome  che  le  significasse,  si  hanno  a  significare, 
i  sapienti  Accademici  della  Crusca  nella  prefazione  at  Vo- 
cabolario hanno  promesso  che  saranno  registrate  anche  le 
▼oci  fiiture ,  le  quali  fossero  di  buona  e  necessaria  ragio- 
ne. £  già  nel  1786  elessero  consiglio  d'indicare  molti 
autori  da  coi  molte  si  togliessero.  Del  che  sia  lode  a 
quell'Accademia  cosi  famosa:  né  sappiamo  quindi  il  per- 
ché il  Taiente  I^imi ,  che  por  Toscano  era  e  si  tenero 
«delle  glorie  della  sua  patria ,  dicesse  :  il  f^ocabolarh  es^ 

I  Dtttte^  PtfrodìMj' canto  XT. 


À 


$7^'  LBTTtRiTCrBi   ITÀLIàllà 

itre  coaépilàto  ^ùasi  /asse  di  Ongua  moria»  Perdièr^é  il 
dice  iale  per  gli'  esempli  pòsii  soUo   le   voci  5   egli  -daBoa 
uà  sossidio  bellissimo  agTi  scritlori ,  e  il  flaigKor  modo  per 
cui  icòDoscasi  il  «ero  preeso»  delle  parole  9   e  T  twica    vìa 
per  che  si  scaopTaoo  ì  naturali  loro  collega raenli*   Ma  ae 
dice  il  Vocabolàrio»  essore  coinè  di  lisgaa  Dioriti ,  crédendo 
che  HI  quello  non. si  vogliano  altro  che'  le  voci  dèi  mor« 
II,  egli  è  dèi  parr  in  erfore#  Perché  anzi  in  essa  -prefa* 
sione  si  legge  <*  che  V  Accademia;  ha  seguita  non  la  sola 
autorità  ,  ma  eziandio  /*  uso  ,  come  ««igoore  .delle   Svelle 
vive:  tale  essendo  la  natura  di  queste >   di  poter ' sempre 
arrogere  nuore  voci  e  nuovi  i  significali  .n,   Non    istareoMi 
qui  coi  più  rigorósi  a  cercare  fino  a  qtial  ponto  sia  stata 
messa  ad  cffeilo  quiesta  protestazione;  ne  quale  sìa  fuso 
seguitato  dall' Accademia;  ruBÌ«ersa]e>-ò' piuttosto  il  par- 
ticolare. A  noi  basta, il  vedere •  chMIa  sàpienteòièote  con- 
corre neir  assioma  di.  Dante;    Càe  io  niello   va/gare  se* 
guita.uso,  e  lo  latino  arte*  ,Cìò  è  .a    dire:   che    la  sola 
arte  suole  adoperari»i .- quando  una  £ivella  è  già  liilta  estin- 
ta; ma  fin    ch\el]a    vive  .  non  .  può    tanto  seguirsi    1- arte 
eh*  ella  si  divida  dplP  uso.  Per.  la  qual  cosa  noi  qui  ar- 
ditamente aflermeremo  che  lo  scrittore  è  come  il  Priad* 
pe ,  che  non  regna  sicuro  se  il  j>opolo  noi  possa' amare: 
e-  come  non  si  occupa  mai  felicemente  il   trono-  col   solo 
popolo,. coii  né  anche  senza  il  popolo  si'può  lungameate 
tenere.  Questo  intesero  e   intendono   gli   scrittori   classici 
■di  tutte  le  nazioni  e  di.  tutte  T  età.  K è  Cicerone   e   Vir- 
giiio  amarono  tao4o  i  loro  avi,  che   per   quelli:  spregiai 
aero  i  coetanei:  scrivendo  orazioni  e  poemi  colle  sole  voci 
di  Catone  e  di  Curio,  ^'è  Catone,  né  Curio  medesimi  si 
.wano  parliti   dall'  psauza   de*  foro   tempi    adoperando  le 
i>ru|te  voci  de*  Fauni  e  Torrido  numero  di  Satarno,  « 
la  favella  che  si  parlò  quando  le  vacche  d' Evandro  mag^ 
givano  ^er  lo  foro   romano.   1   fondatori   dell'  eloqnepxa 


Ultaailteatenhiò  anch^  tosi  di  farsi  nobili  ^  siccome  il  ten- 
ttoroBO  sempire.liiUi  i  maestri  della  nauoDi  nobili.  E  grande 
la  LèYÀo.AndroniicQ  e  Plaulb,  che  detto  era  Ja  Masa  de- 
0inia;  rOiLiieiUo;  che^idrenlò  la  Salirà;  ed  Ennio  da  Ta- 
f4»l6  )  che  ristprò  1'  Epicfa  ;  e  Lelio  e   Cecilio ,   che   con 
albissimo  ^nimo  recarono  la  Tragedia  e  la  Commedia  greca 
ani  .pqlpit^  di  Ronui.  Ma  comechò  Terameote  costoro  fon* 
4ad|$ero  favella  e  stile,  e  fossero  creduli   Classici,  pure  e 
CìeerQiie  e  Celare  e'  Lncrezip  e  Catullo  e  Orazio  furono 
venerati -aoch\ essi  come  maestri  del  dire:  e  spezialmente 
quando  arricchirono   il   patrio    sermone  colle  doTÌzie  de' 
Greci.  Gli  eccellenti  Italiani  adunque   si  -mossero    a   fare 
il  simigUante:'  videro  non  essere  possibile   le   cose  epiche 
e  le  ppUtiche  scrivere   colie    sole   parole    de^  padri    loro: 
lokero.  il,  fondamento  e  le   norme  dalla    vecchia  favella  : 
nnlia  .mutarono  di  ciò  che  era    buono  e    pronto  al  biso« 
gno:  ma  dove  la  conobbero  scarsa    per   cantare   armi  ed 
-eroi,  e  per  dipingere  le  Iremeode  arti  dei  Re,  recarono 
nella .  loquela  tutte  quelle  dizioni  che  a  bene  spiegare   si 
nuovi  ;ed  alti  concetti  mancavano.  Cosi  al  modo  de'  saggi 
coltiratori  fecero  più  bella  e  magnifica  questa  pianta,  le- 
gandole d'intorno  molte  vane  frasche  e  dannose,  reciden- 
done i  riimi  già  fatti  secchi  e  da  fuoco,   e  innestandoti 
alunni  ^Itri  tolti  dai  tronchi  greci  e  latini:  i  quali  subito 
vi  si  .appresero ,  e  tanto  felicemente  si  fecero  ài  tutto  si- 
mili, al  Irooco  italiano,  che  più  non  parvero   rami   adot- 
tivi,, ma  naturali.  Onde  visti  quei  fruiti  novelli,  la  fama 
gridò  ottimi  e  classici  coloro  p^r  cui  si  produssero  :   e  li 
.pose,  al  fianco  del  Petrarca  e  di  Dante  e  di   tutti   i  pici 
.aolenni  maestri.  Non  si  può  or  dunque   più   gittare,   ma 
tulio  deesi  adoperare  che  fu  materia  a  quei  libri,  i  quali 
..diirerajpno  $nchè  vivrà  memoria  4i  noi.  Che  se  si  dovesse 
scrivere  oella  sola  lingua    de'  vecchi ,   non  solo   faremmo 
.danno  alla  copia  dello  stile  ^  ma  ancora  alla. ni^stra  glo- 


S^t  LETTEtlATHBÀ  ITlCnVi 

rr».  Im perciocché  si  conTerreb>be' dire  e  gMicsMse  ioipfr- 
fèlli  tutti  gli  autori  che  Aal  Trecento  iofifto  «  qneada  età 
con  intelletti  sani  ed  a  ivi  me  dignitose  scrissero,  o  poetan- 
do,  o  perorando,  o  filosofando.  E  se  poi  senea  questi  si 
dovesse  venire  al  confronto  de^  Francesi ,  degi' Inglesi , 
degli  Alemanni,  noli  arreaitnò  nti*  epopea^  non  QDa  sto- 
.ria  ,  non  nn  trattato  di  filosofia  cho  s*  avesse  più  ardire 
di  chiamar  ottimo.  Gisi  al  cospetto  '  dr  quei*  nobitiKirai 
popoli  noi,  svergognati  è  quasi  mèndichr,  vedremmo  qne* 
sto  superbo  idioma,  tòlto  dal  primo  seggio  a  cui  si  iti* 
mava  innalzarlo,  tra  gli  ultimi  confinarsi;  e  noi  rima- 
nerci senza  V  onore  di  quei  libri  onde  vinciamo  la  gloria 
di  molte  genti,  né  siamo  ancor  secondi  ad  alcuna.  Ag-* 
giungasi  che,  salvo  la  divina  Commedia,  il  Decamerone 
e  il  Cantoniere ,  gli  altri  volumi  del  Trecento  saranno 
meno  validi  a  sostenére  la  guerra  del  tempo ,  e  ne*  lon- 
tani giorni  saranno  o  già  perduti  o  nonr  Ietti:  ed-  aitimi 
potranno  mancare  nella  memoria  dei  tardissimi  posteri 
questi  poemi  del  Furioso  e  della  '  Gerusalemme ,  e  queste 
opere  di  filosofi  e  di  gravissimi  istorici ,  perché  di  tanto 
ci  fa  fede  la  f/ima  che  n'  nscì  non  pure  all'  Italia  ,  ma 
ai  termini  della  Terra.  Quindi  le  cose  'scritte  al  modo  di 
questi  autori  saranno  sempre  piti  lette  e  meglio  intese, 
e  più  durevoli  e  più  carena  qn^^nti  amano  Italia.  Come 
dunque  sbandire  i  preziósi  vocaboli  in  tanto  preziose  carte 
riposti?  Chi  sarà  così  folle  che  voglia  petsuaderci  ad  ab- 
bandonarle ?  e  chi  si  valente  che  il  possa?  Direnao  anzi 
dbe  il  popolo ,  usato  a  commuoversi  alla  maraviglia ,  al 
tevrore,  alla  pietà  nel  leggere  questi'  autori,  accuserebbe 
di  freddi  e  digiuni  coloro  cho  non  adoperassero  quelle 
voci,  quelle  forme,  quegli  ai'tificj ,  quegli  stimoli  onde 
ora  egli  é  assuefalto  a  sentirsi  dolcemente  rapire,  come 
per  incanto ,  tt  cuore  e  lo  spirito.  Che  sé  Ih  questi  piò 
koovj  libri  Siene  talvolta  alcune  guise  non'  belle,'  e  al* 


coae  «voci  DOD^  elette,. «p^Ale  iioi>,$9gnan si:  afìzi  si  gciar« 
dioo  come  colpe?  peirchè^  Mcceme^gìà  dimoslraiiiitio^  niil- 
ftoi^  ptflT. quanto  sìIeisì  eecéllenti^rwot,  dee'  stimarsi  mai  ifl- 
teramenle  Imoefiaiato.,  Non?  tali  però  91  credano  tntte  le 
CO0Q  che  appieno  non  rìspcMtiieMero 'poini,§li , antichi.  Ba- 
sta che  q«este  sieno. state  aecolte  per >  baone  dai  buoni ^ 
e  imitate  da* ioro^  e.  pev  tali-  leniate  neli^  unirersale 9  e 
costantemente.  Percioccbe  stimiamo  :ché  della  Itngna  af- 
fetto n  afvert.  ciò  ]che  ' di  tnile  liei  umRoe  cose  affermafa 
Pitagora s •  Quetf»  ,  cioè,  esser  vendi  eie  fsi  repuia  vere. 

-  ,  ÀRTOHie  (IssAHi ,  Veronese ,  mori  d*  anni  67  a  San  Michele  nei    dintorni 
£  BavtiMMi  U  primo  gràrno  d*  ottobre  1928* 

Del  modo  d'  imparqi'fi  la  lingua. 

Sgli  è  da  pigliare,  oa  Classico',  come  il  Passavantii 
leggerne. OD  periodo  o  brano  non  troppo  lungo,  da  po^ 
tèrne  rioerere  e  ritener  tdtto  il  senso.  'Ricevuto  nelle 
isente  il- concetto,  chiodi  il  libro;  ed  io  uo  quaderno  da 
ciò*  ,isrrin  la  cosa  con  qae'  modi  che  t4]  puoi'  trovare 
Buglidri«  Fatto  questo,  di  éontro  al  tno  scritto,  copia  ii 
b^anQ  mledesimo  del  tuo  '^autore.  Iodi  «paragona  questo 
col  fino  a  parte  a  parte  ^  notando  eiascqaa  TòceV^erbil 
od  uso  di  particelle,  allato  allò  scritto,'  Ino*.  Vedrai-  al- 
kìraj^ceoie  la  cosa  medesima  potestà  (dìr4J  troppo. mèglio, 
più'  propriamente  b  don  maggiore  firacità  che 'tu'  non  hai 
fiiUo»  Questo  raggoaglio  ti  sci^l pira  nella'  memoria  le  ma- 
Biere  fanone  e  proprie  ;  sicichè  dovendo 'tó  poi  esprimere 
lo  stesso  Ooncetto ,  potrai  farlo  con  maggiore  aggiusta* 
telsa  ed  deganza..  Tira  ihntfnzi  :  leggi  on  secondo  brano, 
e  facooltone  il  senso,  chiodi  il  libro  ,  e  scrivi  co'tee  la^ 
Ina  scienze  ti  da»  CopFa  di  contro,  cpme  prima,  la  parte ^ 
del  -leslett  vaggttaglia  da  capo;  troverai  aiérr   bei   osodl,; 


S8o  htTtt%kt€mk  IVÉMÀkVk 

Tod  «  Terbi  éA  osi  che  la  nàn  'sapeti ,  'ed  erairo'  trtippe 
migliori  !  e  qoesti  pare  ìvt  atrai  impairdto.  Scoila  per 
la  tersa,  e  per  la  qaarla  joIUl  il  medesimo  leggere,  espri- 
mere di  tao  capo,  copiare,  e  raggoiigUare  l'ooo  eoli* al- 
tro ;eónsomamlofi  QQ^^ora  (  non  'è  gran  cosa  ) ,  té  avrai 
per  lo  primo  di  raccolto  è  aeritfo  io  meate  iiob-  poobe 
bellissime  parole  ed  atteggiaioieiiti  e  'cestnitti*,  a  temprimi 
igooli.  RinaoTaodo  questo  esercisio  il  giornb  segoedle , 
imoTO  tesoro  di  altre  belle 'tonniere  ti  verrà  raen^Uy:  ti 
toroeraoBo  sagli  occhi  le'  iuedesime  cose  botate  il  di 
a  tao  ti  (  il  che  te  le  ribadirà  ìq  testa  )  :  ne  scontrerai  àU 
tre  di  noove,  e  per  questa  via,  alla  fine  del  mese  tu  li 
sentirai  pronto  a  scrifcre  le  cose  medesime  troppo  me- 
glio, che  il  primo  giorno  boa  avresti  saputo  fare.  Ora 
continnaodo  là  qacsta  prova  ogni  dir^  é  dò  per  éb  aQ« 
Bo,  cioè  per  3&5|  sgiorni;  ed'  avendo  Ja  ctaacnn  d*  essi 
iósparato  naove  voci,  costruiti , 'maniere, '•  le  teechte 
ricalcate,  nella  fine  to  troverai  aver  ragadato  assai 'ricco 
lesnro  di  eleganze  italiane.  Or  questo  modo  ini' par  |nìl 
ntile,  a  fartele  rfcaver  più  addentro,  ed  a  renderlele  piti 
pronte  al  bisogap  di  usarle;  che  non  farebbe-  leggendo 
la  qaelie  frasi  «piceale,  una  perdaa,:  ,da' 'che  -  il  liega* 
manto  e  là  cootinuaaioii  del  discorso,  al  ^oale  erano  ne» 
aauariaiiieQfte  legate,  te  ne  fa  sentir  più  vivanaente  la 
ibrta  e  If  òso  ,  a  megUo  ne  vedrai  la  bellczaa,  lat  qnàle 
risalta  appunto  òaS*  essere  cosi  =  incastrate  o  incaatooale 
eolie  parti  del  discorso:  e  tu' le  vedi  appunto  cosa' com- 
poste ,  collegato  e  ordinate  :  e  cosi  dietro  alia  tua  ragio- 
ne, che  ti  fa  seslire  il  diritto  legamento  ^1  discorsocela 
aeati  allresi  la  vaghe2£a,*il  brio*,  la  proprietà  e  la  Idee 
cbe  gli  è  data  da  quel!' armonicor  ^  e  dileàevele  aocesta- 
mento:  a  per  questo  aseazo  4eà  sémi^'-  che  in  n»  «ifai 
più  vivo  e  risentito ,  si  scolpiranno  più  fonde  nella  me- 
moria :  code  poco  saprai  poscia  scrivere ^  ohe  ago- sia  ti* 


MCOLO  DECflIOTTAVO    .  58 1 

Olile 9  e  BOI»  seota  di  «laell^  forine  di  dire,  ed  in  questa 
pratica  f effai  di  gioroQ  io  -^ieriio  ^  i^ccpiIstaDdo»  Nod  .  so^ 
federe  parlilo- ed  ìn^goo  ,  per  imparare  la  iiogua^  .piì% 
olile  e  pronto  di. questo.  Beo. è  certo,  ohe  no  toaesiro  e 
solenne  scrittore ,  piò  accertetameòte  e  tritarneole  soppe- 
rirebbe *  a  questo  serfigio  y  facendo  notare  al  suo.  disceote 
ogni  cosa,  ogni  cosav  secondo:  che  gli  cadesse  ;tf»  mano;  ma 
q<ietti  maestri  non  sono  troppi  ,  •  oè  credo  che  ne^  vostri 
paesi ,  o  amico  ^ ^  ^efaliano  esaere^moiti.  ^.dunque  ci  cqa-* 
lenteremodi  q«eÌlo,  senza  più,  che  ei  dà.  il  tem|Mi  ed 
il  luogo.  Ben  vorre'  io,  cl>e  k>  scolare,  alroen  per  an 
anno  ,  non  leggesse  mait  aÌkro  che  seriiteri  de*  ooaùpaU.; 
che  certo  per  4ao{^  nsar  odi  mi^nafo ,  V  nomo  ne  t^roa 
infarinalo^  Non  i^do  poi -.esser  >  bisogno,  avvertire,  che 
dicendo  io  lingoa.del  lr»cettto ,  non  in(eiid«^..4i  dire  le 
voci  !0  maniere  M»tìea|e  e  dismesse  t- essQodo  uoip  6ao  a* 
fanciulli,  queste  essere  state  già  ripudiate,  e  uo^-  av^re 
più  corso:  come  eiriaodfo  ìa! Plauto  assai  vo  ne  ^od,.  Je 
quali  al  presente  nessuno  osa:  né  per  qneho  alcuno  di- 
rà, la  lingua  di  Plauto  non  essere  pretto  oro» 

Imprati\:hito  cosi  lo  studente  della  sua  lingua,  io  ver* 
rei  confortarlo  al  voltare  di  Latino  in  Italiano  (  non  dico 
dal  Francese,  che  si  guasterebbe)  exempligrazia  qualche 
opera  dir  Cieerooe.  li  tradurre  .ha  que^o  gran  vantaggio^ 
toppa  lo  scrivere  dj  sao  capo,  cbe  spesso  1'  uom  s'  abbatte 
a  tali  luoghi  dtell'  aator .suo,  a*  quali  voltare  non  ha  le 
parole  cosi  pronte,  né  i\  modi  cprrisp.oodenli.  Allora'  egli 
è  messo  ai  punto  di  d<>jrer  isiprzare  sé. stesso  a  sbucarli 
dondecbessia  ;  e  friigaod^  e  assottiglia n dosi ,  le  più  volte 
gli  trova:  e  ciò.  noa  è  piocol  guadagno.  Questo,  'guada- 
gno gli  fiillirebbe ,  scrivendo  a  sua   posta  a  perche   occoi- 

%  O  onifco.  Questa  prosa  è  parte  di  afia  I«t|Mt  d«l  Ctsari   all'  ÀlgaroUi 
ch9  trovavasi  fuori  d*  lulta* 

4»' 


5Aa  LErr^inm«t  ir&iLtAiti 

féadogrr  dir  coi/i ,  aHa  quale  esprrinere  non  hft  pront» 
h'  fOce  od  il  verbo,  e^ii  per  oesfAT  fòtiea  si  volge  ad 
iln  akro  concetto ,  én)  gii  sì^  agevole  trovar  vocabolo  o 
Mio^  che  ben  rrsponda.  Or  chi  stiis  di  ben.  p«dtooeg« 
giar  la*  sna  Kingoa ,  e  &rhi  tri  ogni  tua  uopo  servire  « 
fton  isckifa  travaglio  »  e  si  mette  da  se  'tii«()esinio  nella 
ttecei&Uà  di  dover  cinienlar  le  .ane  forte:'  ed  a  ciò  fa  ^ 
Ééiaa  fine  i4  tradorre.  Da  oltiiBOy  a  ijnainoqoe  grado  di 
perfezione  si  senta  V  nomo  atrivat^  nella  sna  lingna ,  noa 
lasci  arragglnire  la  penna  t  nw  scriva  tnttavia*  Gli  atti 
ft^oenti  perfezionano  T  abito  ve  per  assai  .scrivere  ap» 
jpeoaalaniente  e  bene,  sì  arriva  a  lirloi  vie  troppo  me-. 
gKo*  AggioAga  la  JeUura  cootinim  de*  Classici;- testa  sem- 
pre qualcosa  da  ioipajrare»  ciascuna  agriitore  ba  propr^ 
modi  e  maoìeFe  :  e  uno  le  ne  dà  alqtianle^  alquante  t» 
ae  cavi  da  uà  altro  ^  e  ta  della  vicdbena  di  moki  dèi 
to(er  Irasricchife..  Cosi  ba' làlto  e  fb  ia  medesimo;  e 
éredòi  Qioriire  con  in  mano  i  Fioretti  *  od  il  Passavaali. 

V<M»  Foscoto*  tmoifpe  in  Zaate  nt^  17781  sebbeo»  aleiifii  lo.  dijcaD  nato  ia 
yeaesia.  Fece  i  tnai  «tudt  sia  dalla  fiinóiuneaaa  la  ItaKa,  e  fagro&ssore  di 
^loquensa  io  Pavia.  Morì  poi  a.  M»Ità  ael  1827. 

ffatizia  intorno-  a  Didimo  Chierico  ^, 

I«  Un.  nostro  concittadino  mi*  raccomandò.,  mentr'  ta 
militava  fuori  d' Ilaita.^  tre  snoit  naanoscritU  alfincbè  se 
agli  uoininj  doUì  parevano  «f^ritevolt  della  stampa ,  io 
vipatriaodo  li  pubblicassi.  Esso  andana  pellegrinando  per 
trovare  ihv' università ,  •«  dóve,  dliceva  eglii,  a' imparasse 
i|.  comporre  libri  utili  per  chi*  non  ò-  dotto  ^  ecl  inno-' 
centi  per  chi  non  è  per  ancbie  cotroUo;.  da  che  lotte  le 

.    1  Fa.  tìiova.       •  •  . 

2  /  Fioretti  di  stM  JPrancesco  3,,  de'  quali-  trovai  UA  Mggio  net  voi.  I» 
.  402  «  seg.  di  questo  Manuale. 

3  Sotto  questo  nomci  il.  Foscolo  descrìve  se  stesso.. 


>eC€iLO   DBGIMOTTAVO  %iÌ 

dCfioìe  d^  Italia  gfi  parevano  pieoe  o  di  ifiatem#tici,- 1  qoali 
ataoflosì  saalì  s^  mteiKtevancf  fra  di  loro;  o  él' gratinisi*» 
liei  ehe  ad  èbe  grida  ìnsegiiàvaD^  il  bel  pwave  e  no» 
ti  fasciavano  itìteodere  ad*  anima  nata;  b  di  poeti  chQ 
impa«xaTaoa  a  stordire  chi  non  "li  udiva,  e  a  <ftre  il 
lienTieHiìiìto  a  ogni  kmoro  padrone  de^  popoli ,  seh^a  far 
né  piangere  né  ridere  il  monìlo  ;  e  pcrÀ  eome  fa  Itti  no* 
jost,  fnroiio  pi»  ^ustamente'  d^^^gnì  aliro^  esiliati  da  So* 
crate,  il  quale,  seeoado  Dftdime^^  et*»-  dotalo  di  spirito» 
profètito ,  speciakienle  per  le  cose  che  accadsiMio  alP-  età 
nostra.  -* 

IL  L' ano  de*  niénìoscritti  è  ^i  fofse    treftt»    fogli    col 
(l^olot  Diitytnt  ekritt  prephetce  rmninii  ffyperettlypsèos, 
fiher  sùtgularisr  e  sa  di  satirico.  1  pochi  a'  quali   lo  la* 
selal  lecere ,  aUe  volte  ne  risero  ;  ma  non  s^asaumevano 
d^  Interpretarlo.  £  nti  dispongo    a    lasciarlo    inedito  per 
«ttQ  essere  liberale  di  O0|a  a  nàulli  lettori  ehe  forse  non 
'penetrerebbero'  nessoora    delle    treeentotrentatre    allusioni 
Yacchìiue  itt- altrettanti  versetti  scrittorali ,  di  cui  Topo* 
scoletto  è  jcoinposttfb  Taluni  fiirsTanehe,.  presumendo  troppo 
del 'loro  acume,  starebbero  a  rischi»  di  parere  comenta-^ 
lori  maligni.  Però  s^  altri   n' avesse  copia ,  .la  serbi.   U 
Cirsi  mi-nlslrl  degli  akrui  r isentunenti  ^  benché  giusti ,  é 
poca  onestà.  ^  massime  quando  pa^o  misti  ai  disprezza 
ehe  la  coscienza  degli  scrittori  teme  assai  più  cbli^^odio» 
Itt*  Bensa'  gK  iuMnioi  letterati ,  che  Didimo  scrivendo 
nomina    maestri  mÌ9Ìy  lodafono  lo  spirito  di  veracità    e 
.    d^  indulgenza  d'  nu  altro  suo  manoscritto  da    me    soti<K 
messo  al  loro  giudizio.  E  nondimeoo  quasi  tutti  mi  vanno 
dissuadendo  dal  pbbbKciudo  ;  e  a  taluno  piacerebbe*  eh"*  io 
lo  abolissi.  È  un  giusto  volume   detlalo    in    greco    nella 
'Stile  di^K  jiiU  degli  Apostoli;  ed  ha  per  titolò:  ùkil'ou^^* 
nhi^iKùif  'Tffd/xvif/Liàta^y  fiifi)\.iot  irèvTB  :  e  suona  Dydimi  cl^^ 
rki  Uòpi  memor/iales  qaia/ue.   L!  autore  descrive  >schiet« 


1^4  LETTEIUTCRÀ   rtlhU3X 

tàmenìe  i  cmi  per  lui  memorabili.  delPelÀ  Ma  gioTeniIe: 
jMrU  di  tre  domie  delle  quali  fu  imKamora^lo^  e  acca- 
aodo  tè  solo  deUe  loro  colpe,  ne  piange  i  parla  de'  molti 
paesi  da  liffi  redoli  ,  e  si  penAe  d*  averl<ir  redoli  t  ma  più 
esile  d*  altro  si  peRte  della  sua  vita  penLata  fra  gli  ao« 
mioi  letterati;  e  meolre  par  cb'ei  ^U  esalti,  ùk  par  sen» 
lire  ch^ei  li  dispresza»  Malgrado  U  asa  aatiMu^le;  avTer* 
•kme  oootro  chi-  ferire  per  pechi,  ei  dettò  questi  Riconli 
lo  lÌDgoa  noia  a  rarissimi,  affinchè^  com''ei  dice^.s  xoii 
colpevoli  vi  leggessero  i  praprii  peccati ,  senta  scandalo 
delle  persone  dabbene  ;  le  f/isaìi  non  sapendo  leggere  che 
mella  propria  lingua^  sono  men  soggetie  alF  invidia,  alla 
boria,  ed  alla  vi.iui.itÌ:  he  contrassegnalo  qnest^ ultima 
foce ,  perchè  è  mesto  cassata  Del  manoscrlito.  L'  autore 
Joollre  mi  diede  arbitrio  di  far  tradurre  qqesi*  operett»» 
porcile  trovassi  scrittore  italtaiio  cbe.  eresse  pia  morite 
ohe  celebrità  di  grecista*  E >  siccome ,  dìcevami  Oldimo, 
mio  seriitore  di  ial.pesa  lavora  prudeni^meaie  a  belUa* 
gio  e  con  gravjtà,  i  maestri. miei  avìraano  Jhil Ionio  tea** 
pò,  o  Ji  andarsene  in  pace,  e  non  sarmnno  più-  nomi» 
mais. né  in  bene  né  in  male p  o  di  ravvedersi . di  quégli 
errori  attraverso  de*  4jfuali  noi  mortali  giapgianio  hdvolie 
ailfi  savie Jtva^  Fard  duoque  cbe  sia  tradotto  .$  e.  quaoto 
alla  atampo,  mi  goTernerà  socobd»  i  tempi ,  i  consigli  e 
i  portamenii  degli  .aemiai  dotti» 

ly..  Tutta  via,  affinchè  i  lettori  abbiano  .saggio  della 
operetta  greca,  ne  feci  tradarre  pareccbi  passi,  e  li  bo, 
qoaato  più  opportanameate  potevasi.,  aggiunti  alle  pò- 
atille  notate  da  IXidimo  nel  sue  ter&o  maaos^ilto  ,  dove 
li  contiene  la  ▼eraìoae  deir  Itinerario  sentimentale  di 
Xifrick  ;  libra  pia  celebrato  cbe  inteso  v  perchè  fa  da  noi 
letto  in  fraacese,  o  tradotto  in  italiano  da  chi  non  in- 
tenderà V  inglése  :  della  rersiane  uscita  di  poco  in  Mila- 
no ,  non  so.  Innanzi  di  dar  alle  stampe  ^aesta  di  DidU 


"tóèAtò  •  tftctàòftkrar'  5*5 

6iòy^r&soFsf^iitiof*niféQle' VlétleMi  pel  hn'o  parere.    Chi 
la  lo<fò,'  c^(  l«'^}»<aiò'dr  frappa  fédèltì  ;  iltri  ìa  lesse 
^iefitferi  bote^ iibek'aiifsima ; 'e  fa^DO  s'adirò  dWMro^pi 
arbitrii  del  tràdottórtf.'  ìllofvt,  è  fu  inf  Bofògnii ,  avrebbero 
desiderato 'io  stilè  condito -tli  sSipore  più  antico:  moltissi* 
lui ,'  è  fu'  io  Pfsav  mf   confortaTanò  a'*  ridorla'  ìà'  Istile 
moderno';  ndt^IMn'tffidola' sòVra  dgni  cosa   de^'inodi  troppo 
lòscani  ;'iliiàlnieii|e  in  •Pavia'  ofeSlMHtO  si  degnò  di*  badare 
ulto  alitfe;  notarono  -  ttoiidivneilb  con  geometrteii  preci^n^ 
Bkafni  passl^bette  -olimaie  ^Wtesl'  dal  llràdtittore.  Ma   io 
«liÉmpaodola",-^^  ^^^  acaora^àméntè  il^  aotografo  :  o 
Aolain<»nte  ^ho  ittntiitO'  veMO  la  4in«  d<vl  CjVpo^xiLxv  Un  to^ 
cabtflò-^'  e  nn-  tiiuy  n' ho^'^j^ùàHo    dall'  intitolazione  'del 
èapo  '  éh^iéeHìeH  pévchè  -  tasi'  parve  •  evidènte'  che   Didimo 
«óUtl^èi  Hit  «latenzioae  Mi*  astore    inglese  offendesse  j  '  ùtH 
^ikno'  passò  'H  'IVfnéipo   della  '  letterafUrtf'  fiorentina  ^  e 
mII*  falltvo^'f  natir  kiHMiefiti' della  sciita  df  ìlilano. 
*'   V.  Di'^iésto  /i»m«riiKV  dii  p€ii\*€Hsò  Lotèkta  Sterne i 
Didftni»' mf  diìfee^'^de^Se)  (^aUòi  làHntet  né  so    per- 
éhè^  nieVr  optatela -a^firal'  ^etlorr)-,  le  quali  «pni*  giovano  n 
itUendèré  ùo  potòreioseofMmò   anéhe  ft*  )MÌiòi  '  coadlbi^ 
àWì' '  ^  ^  B 'gift4\c»)re 'cwà  eqQÌtà>  dia''<iifi$ni   cfel' tmddttoi^ 
ré,  lat'ftìaiÀ  *!>  è  :•  <*  Chie  co»  -  nutfrn  spezio  d*  itonka  ; 
non*  lé^igradkMtiéa  ^  '«è  suasori»  ,   Ma  *  t^atf^idattiéiitè  «A 
nSetiuoàaitlèliIts  «ftorita^,  torkk  éé'  fatti  barrati  ìf»  'Mm 
de'^'niortaliv  detWa  lo  schè#ni>  centro  a  molli 'difi^ttH  m* 
^natamente' eònitro  alla  fìitaHà  dèi  loro  carattere^  »»••  L' ah^ 
ti'a  <   àt  Cho!  Ditdhno  bencb^  sqrivesse  per   oiio  ^   rtsdoni' 
coàto  a'sè  stesso  4\ogni    vocabolo  ;   ed  avev»  tptflo*  ri*' 
bréKo:  a  «ormggère  Icooso  «fia  vdln  jtmopole'(i7^0fo  » 
•èéèwla  loi^i^M»  numifèi^issima  ifiriPeretWÈ'  tf  ietioH  \  <  che 
?iiijj(ciò;:in'iFiaadi!n  n  Nconvlvere  con  gli  Inglesi ,  i  «piali 

I  Oq  tke  iQonl  tendeney  of  the  vrrìUDg»  of  «Slprrne.  Kn ox ,  Euays 


iti  LKTT«IATIJH4:  ITàtI4Jf& 

ti  9Ì  IrofiDO  anche  al  di  d'  t>ggi  ^  onde  farsi  spiaoart 
'  molti  semi  iotricati  ;  «  laipf^  i^  viaggio  «i  toffermava  per 
rappaolp  o^lt  alberghi  di  coi  Yorick^parla  nel  soo  Iti* 
oerario,  e  ne  cbiedeta  notisie  V  «ecdii.  ch^  lo  atetAno 
oaiRMcialo  ;  poi  fi  toroo  a  «lare  a  dio^ora  nel  eootado 
tra  Firense  e  '  Pistoja  ,  a  imparare  migliore  idiooui  <fi 
qoello  ehe  .$*  iosegoa  nelle  cilU  e  nelie  oeiiole  n» 

VI.  Ora  per:  gli  «omini   dollr ,   ì:  <|aaii   fqrono  dalla 
kUora  di  qae'  ailanoscriui  e  da  qaefla  fi^rsione  déVIii' 
nerario  te^àimeniah.  iovtoglii^i  4ì  aaper  notizie  del  carata 
lare  e  della  tita  di'  Didimo  >  e  me  ne  rtduedono  islaa« 
temente,  fferiverò  le  aoarae ,'  ma  veraoiftsime  co^e  che  io 
to'  come  testimonio  ocnlaré*  Giora  e  ógni  modo  premet- 
tere tris  arrertenie«  Primamente:  a^apdolo  io  fedntoper 
|>oehi  meli  e  .con  ft*eddÌMÌaia  famigliarità,  non  ho  potuta 
notare   (il.  che   avviene' a  (tafecdM)  $e  nfn  le  cf»e  pie 
consonanti  o.'dlss«(nant)  co^a^ntimenti  e   le  c^nsipcftndìai 
dalla  min  vi(a«  .Secondo  s  dà*  vi^^.  «  disile  lirtù  capitali 
che .  diftingfiopo  aeitanaialnieàle  nomo  da  nomo,  se  pam 
ei  ne  t^^t^^  non.  potrei  dire  j^aicobs«affes|(  detta  dì'cs 
lasdnodosi  afoggire  Intle  le  .$nè«  opinioni^  cnstodisse   in- 
dustflosamMte  nel  prt»|>rio  segreto  4ntte  le  passioni  det* 
l/aniai0.  Finaknenl^.;  recinterò. (e  parale,  di  Didimo^ipoi* 
dbè  essendo  no. po^met^fislcbe,,. eiaachedmia.de' lettori  le 
i^erpo^i  meglifi  di  ine,  eJe,adattiaMe  pr<^rie  opinioni* 
rVIL  TenoTa.  irremoribiimeele'ttritni  «islemi^  e  pare^ 
vano  nati  con  esfo  :  non  jolo  'Oen  ti  swenlifa   c«'  fatti  ; 
ma  come  f«4mro-  assiomi  >  prop^neTali  senta  proie  :  non 
péro  disputale  e  dtfend^U  ^  e  per  apologjiat  a  chi  gli  air 
lcj*ava  evidenti  ragioni,  rispondeta    in  > intèi^ealare :  opi* 
movi*  Portava  anche  rispetto  Vaistemt  altrni^   a  forse 
anche  per  non  cnraoui^  900  aio^evasi  jr,Confhtaffli}  certo 
à  eh' io  in  si  fatte  controversie. I. l'ho  veduta  sempre  ta»^ 
cere,  mit  scasa    mai  sogghignare.!;. è  Kim^a   voaiboÌò| 


SeCOLO  DBCIMOTTITO     '  SS) 

opinioni f  io  proferiTa  con  serietà  religiosa.  A  me  .disse 
una  fdlla:  Ole  la  gran  valle  detta  vita  è  inttrsetatà  da 
molte  viòttole  tortaosisstfne  ;  e  chi  non  si  contenta  di 
camminare  sempre  per  una  sela,,  vive  e  muore  perples*. 
so,'  nh  arriva  mai  a  un  luogo  dove  ognuno  di  qué*  sen», 
tieri  conduce  f  uomo  a  vivere  in  pace  seco  e  con  gli  al* , 
fri.  Non' trattasi  di  saperp  ^uak  sia  la  vera  via;  bensì 
di  tenere  per  vera  una  sola,  e  andar  sempre  innanzi. 
Sfìmaffa  fra  le  doti  nalnrali  ali*  nomo ,  primamente  la 
bellezza  ;  poi  la  forfea  deH'  animo  ;  ultimo  V  ingegno.  Delle 
acqnbite,  come  a  dire  della  dottrini^,  non  facea  conto 
sé  non  eranto  congiunte  alla  rarissima  arie  d' osarne.  Lo- 
dava la  ricchezsa  più  di  quelle  cose  ch'essa  può  dare; 
e  la  teneva  vile^  paragonandola  alle  cose  che  non  può 
dare.  DelP  Amore  aveva  in  un  quadretto  un'  immagine 
èimholica^,  diveraia  dalle  solite  de*  pittori  e  de*  poeti , 
su  la  quale  egli  aveva  fatto  dipingere  V  allegoria  di 
un  nuovo  sistema  amoroso  ;  ma  tenea  quel  quadretto  co* 
perto  sempre  d'  un  velo  nero.  Uno  de*  cinque  libri  de* 
quali  è  composto  il  manoscHtto  greco  citato  poc'anzi  ha 
per  intitolazione  :  Tre  Jlmori.  -  E  i  tre  capitoli  di  esso 
.libro  incominciano:  Rimorso  primo;  Rimorso  secondo; 
Rimorso  terzo  :  e  conclude  :  Won  essere  timore  se  non 
se  inevitabili  tenebre  corporee  le  t/uali  si  disperdono  pUt 
o  meu  tardi  da  sé:  ma  dove  là  religione,  la  filosofia  o 
la  virtù  vogliano  diradarle  o  abbeiHHe  del  loro  lume, 
allora  quelle  tenebre  ravviluppano  t anima,  e  la  condu* 
cono  per  la  via  della- virtik  a  perdizione*  Riferisco  le  pa« 
role;  altri  intenda.  / 

'  Viti;  Da*^  sistemi  e  dalla  perseveranza  con  che  li  ap- 
pli^va  al  suo  modo  di  rivere^  derivavano  azioni  e  sen- 
tenze degne  dr  Hso.  Riferirò  le  poche  di  cui  mi  ricordò* 
Celebrava  Don'  Chisciotte  eome  beatissimo ,  perchè  a*  iU 
MkfK  di  gloria,  scevra  d*  iotidia ,  è  d' amore  scevro  di 


SM"  LETT£B:XTUA4  4t4M^i^ 

I 

gelosia.  GicoiaTa  i  ^aUj  perchè  gli  pa7ei^aoo4>(à  laeS torni 
degli,  «Itri  animali 4  li    lo.daTa  npadi^mei^o  4iercbiè  «i.gio* 
vano  della  società. cctmej  c^ni,  e  dfiUa.  liber^^à  quanto    i 
gii&  Teneva  gli  |iGca(|oni  per  .più  eloquenili  di    Qcerone 
nella  parte*  della,  peror.azìonje^.  e  pi^iM  fisjonomi  assai  pia 
di  La  valer.  Noi^  credeva  .che  chi  abita  accanto  a  on  ma* 
oellàro  jo  sn  Jle  piazze,  de*  paiibplt  fosse  perdona  da  fidar- 
tene. Credeva  neir  ispirazipne-  profetica  ,  .ajDzi  presumevai, 
di  saperne  l<  fontL  Incolpava  il  berTelto^  ia  vesta  da  ca- 
mera e  le  pantofole  de*  gian^.ddJa  primfi  infedeltà  deUe 
nH>gli.  .Ripeteva  (e  ciò  pin  ^heris^o  niQverà  sdegno)  che 
la  favola  d'  Apol^  scorlic^lpr/B  «atroce  di  Marsìa   era    al- 
legoria sapientissima  non.  tan|o  della  pena  dovala  agi'  i* 
gooranli  prosonloosi,  quanto  della  vendicativa  invidia  de* 
dotti.  So  di  .che  allegava  Djodoro  Siculo  (4ib.  Ili  n.  .59) 
dove ,   okre   la  crudeltà  del  Dio  de*  ppeii ,  si  i^arrano  i 
bassi    raggiri  ^o*  quali  ei  si  , procacciò   la    viLloria.    Ogni 
qoal  volta    incontrava   de*  vecchi    sospiriava  esclamando,: 
//  Pfsggìo  è  vìver  troppo  !  e  jun  giproo,  dopo   assai   mie 
ptreghiere ,   me  ne  di^e  il  parche  :   La    vecchiaja   sente 
con  atterrita  cosciènza  i  rùnorsf,  quando  al  snortaie  non 
rimana  vigore,  né  ieiapo,4'^me^da^  ia^ua  vita^Heì  pro- 
ferire queste  parole,. Je  boriine, ^i.  pioveano  dagli  occbr, 
e  fu  r  tioic^  vqlta*  che  lo  tidi  piapgere;  e  segnilo,  a  di- 
re: .<^A//  la  còsciexfia  è  c^4^fda!e.tiu(mdo  iu  se" forte 
da  poterti  correggere f^la  tidic^,il,yprQ.40iiovp4;fi^p(d' 
Mandola  di  recrimiìkt'ù^i  cw^irq  {a  JprUti%ared  il  ,pr9S' 
si/no:  e  qtian^o.p^iiif,^e\ddHde,9la  ti .  rinfaccia,  toa 
disperata  superstizione ,  e  la  ti  atterr^,sQlip-ilpeccéf^9, 
.£n  guisa  che  tu  non  p^.  rjisqxg^rcxidla  nirtà.   O  cfìiar' 
dal  non,ti  patire,  o  codarji^^l  Bemlpagfi,  U:  d^o, 
focendo  4ei  bene  me   ha^  Jalfp\*4eL  mak^   Ma   ttf.^se' 
Cfidarifa;  e  non  :m  J^of^jSp^^^fj^^  ;Ofai!^^ci^, - 
Quel  giotnp  io  eredej^>  c^e   Tq|e^.  impalcature  ;>  a.vPtf^ 


€S,COLO   D£fCf!H<QTT4TO  589 

pia  d'if^a  seUiman.1  »  {««riarsi,  vedere  io  |»t»S£a4  Si  falli 
erano  i  mjoJ  poradosnr  moriili*  i 

IX.  E  qnantd  ade  petunie  ed'  alle   arti  .asseriva  y  che 
le  sofeoie  erano  una  serie  di  proposizioni  le  quali  aveanó 
bisogno,  di  dtttiostramni  appareilleineole  evidenti  ma  so<« 
«toazìalcoente  incerte  9-  perebbe  le<  ai    fund^avano   spesso   BOr 
pra  un  principio' ideale  :  ch0  la  geometria,  non  appllcn- 
biltì  alle  arti ,  era  aa^  galleria  di  scarne    definizioni  ;  e 
ch^ ,    malgrado   V  algelìr^ ,    resterà    scienza    imperfètta   e 
per  lo  più  inutile  fiflcbè  iictu  sia  coposeiulo  il  sistema  io- 
conupreosibile    deÙ'  Universo*    L*  umana    ragione ^  diceva 
Didimo,  si  irài'agiia  su  le'  mere    qsiraiioai ;  piglia   le 
mosse  ^  e  sema  avvedersi  a  pjciisttipiQy  dal  nulla;  e  dòpo 
lun^hissiaio  viaggia  si  torna   a    occhi    aperti  e   atterriti 
nel  nulla  :  e  al  nostro  intelletto   la  sostanza    della    Na^ 
tura  ed  il  juvhvk  furano ^  sono  e  saranno  sinonimi»  Bensì 
le  arti  non   sglo    imitano   ed  obMlis^onp   le   APPASEffZK 
della  Natura ,  ma  possono  insieme  farle  rivivere  agli  oc: 
chi  di  cfii  le  vede  o  sanissime,  o  fredde;  e  .n»  poeti  de* 
quali  mi  va  ricordando. a  ogifi  tratto  ^  pqrtó  meco   una 
galleria  di  gaadri  i  quali  mi  fannia    Qs$e^are    le   parti 
più  belle  e  più 'animate  ^  degli  originali  che ,  trovo    su   la 
mia .  strada  ;  ed  io  spesso  li  trapasserei  sema  accorgermi 
ch\  e"*  mi  stanno  tra*  piedi-  per  avvertiroii  con  mille  auovt, 
sensazioni  eh'  io  vivo^    E  però  Didimo  sosteneva  ,  che  fé 
arti  possono  più  che  le  scienze  far  men  inutile  e  più  gra* 
dito  il  vero   a'  mortali  ;  e  che  la    vera,  sapienza    consista 
nel  giovarsi  di  quelle  poche    verità    die   sono    certjMime 
a  seasi;  perchè  o  sonò  dedotte   da    ana    serie   It^nc^a  di 
fatti ,  o  sono  sì  pronte   che    non    hanno   bisogpjt)    di   di* 
mostrazioni  scientìfiche. 

X.  Leggeva  quanti'  libri  gli  capitavano.;  àon  rileg- 
geva da  capo  ;»  fondo  fuorché  la  Bibbia.  Degli  autori 
eh'' ei  credeva  degni  d'essere  studiali,   aveva  tratte -pa- 

UIXTKAAT.   ITA!..  —  t?  5o 


590  LETTERlTORA    1TALI41I1 

recchie  pagioe,  è  ricucitele  in  on  solo  grosso  Tolame.  Sa- 
peva a  memoria  molti  versi  di    antichi    poeti    e   tolto  il 
poema  «Ielle  Georgiche.    Era  devoto    di    Virgilio  ;  Dondi- 
roeno  diceva  :    Che  s*  era  /atto    prestare    ogni    cosa  da 
Omero  y  dagli  occhi  in  /ìiori,^  D'  Omero  aveva  un  bosto 
e  se  lo  trasportava  di  paese  in    pnese  ^    e   v^  avea   posto 
fer  iscrizione  due  versi  greci  che  suonano:   ^  costui Ju 
assai  di  cogliere  la  verginità  di  tutte  le  Muse:  e  lasciò 
per  gli  altri  le  bellezze  di  quelle  Deità,  Cantava,  es^in- 
tendeva-  da  per  sé,  quattro  odi  di  Pindaro.    Diceva  che 
Eschìio.era  are  bel  rovo  infuocato    sopra  un    monte  1/0- 
serto;  e  Shakspeare ,  una  seha  incendiata  che  Jacet/a  bel 
i^edere  di  notte^  e  mandava  fumo  noioso  di  giorno,   Pa« 
ragonava  Dante  a  un  gran  lago  cifH:ondato  di  burroni  e 
di  selve  sotto  un  cielo  oscurissimo  ,    sul  quale  si  poteva 
andare  a  vela  in  burrasca;  e  che    il   Petrarca   lo  derivò 
in  tanti  canali 'tracimili  ed  ombrosi  ^  dove  possano  sol* 
lazzarsi  le  gondole  degli  innamorati  co"*  loro   strumenti; 
€  ve  ne  sono  tante ,  che   quei   canali,    diceva    Didimo, 
sono  oramai  torbidi  ^  o  fatti  gore  stilanti  :  tuttavia  s'e- 
gli intendeva  una  sinfonra  e  nominava  il    Petrarca,   era 
Indizio  che  la  musica  gli    pareva    assai    bella.    Maggiore 
stranoiKsa  si  era  il' panegirico  ch^ei  faceva  di  certo    poe* 
jfielto  latino  da  Ini  anteposto  perfino  alle  Georgiche, /»er^ 
che,  diceva  Drditiio,  mi  par  d'essere  a  nozze  con  tutta 
F' allegra  comiti^^u  di  Bacco,    Didimo    per   altro    beveva 
tempre  acqua  pura.  A\~e,va  non  so  quali  controversie  con 
r  Ariosto ,  ma  le  ventilava  da  sé  ;  e  un   giorno  mostran- 
domi  dal  molo  di  Dunkerque  le  lunghe  onde  con  le  qoali 
F  Oceano  rompea  sulla  spiaggia ,  esclamò  :  Così  vien  poe* 
tondo  P  Ariosto l  Tornandosi  meco  verso  le  belle  colonne 
che  adornano  la  caltedrale  di  quella  città,  si  fermò  sotto 
il  peristilio ,  e  adorò.  Poi    volgendosi    a   me ,   mr  diede 
intenzione  che  sarebbe  andato  alla    questua  a    pecuniare 


taoto  da  erigere  noa  chiesa  al  faracueto  e  riporvi  le  os$i| 
di  Torquato  Tasso  ;  porche  nessuo  «ac^rdote  che  inse- 
gnasse granunatii^  .potesse  officiarvi  ,  ^e  oessqo  foreotlob 
accademico  delfa  Crosca  appresvirT.isit.  Nel  mese  dì  gin* 
gao  del  1804  pellegrinò  da  O^teuda  siiio.a  Olontreoil.pef 
gli  accampameoti  tilaliaoi  ;  ed  a'^mililari,  che  si  diletta- 
vaoo  di  ascoltarlo  «  diceta.  certe  $ae  omelie  ali- improYTfr 
so,  pigliando  «empre  per  telto  de'  Tersi  delle  epistole 
ò*  Oraslo.  Richiesto  da  qo  ufficiale,  perchè  non  citasse 
mai  le  odi  di  quel  poeta.  Didimo  in  risposta  gU  regalp 
la  Sila  tabacchiera  fregiata  d'  un  mosaico  d\  egregio  lavor 
ro ,  dicendo  :  Fa  fatto  a  Roma  et  alcuni  f  rammenti  di 
pietre  preuose  dissotterrate  ia  L^sbo:, 

XI.  Ma  quandunque  non  parlasse  che  di  poeti.  Didimo 
•criTeva  in  prosa  perpetuamente;  e  se  ne  teneva.  Seri leTa 
anche  arringhe,  e  faceva  da  difensore  ufficioso  assoldati 
colpevoli  sottoposti  a'  consigli  di  guerra;  e  se  mai  pe  Te» 
doTa  per  le  taverne ,  pagava  loro  da  bere  ,  e  spiegava  ad 
essi  il  Codice  militare^  Oltre  a^  manoscritti    raccomanda- 
limi ,  serbava  parecchi  suoi  scartafacci  ;  ma  non  mi  lasciò 
leggere  se   non    un   solo    capitolo  'di.  uà   mo  Itineraria 
lungo  la  Repubblica  Letteraria.    In    esMx  capitolo,  deseri* 
leva  -  00* implacabile  guerra  tra  le  let^e  dell* abbicci, 
e  le  cifre  arabiche,  le  quali  .  fiiiahnente   trionfarono   coii 
aocortissiuii  stratagemmi  ,.  tenendu  ostaggi  Va^Xa  b,,  la  ar 
che  etano  andate  ambasciatori ,   e  quindi  furono  tiranni* 
•amente  angariate  con  inesprimibili  e  angosciose  fatiche*  -* 
Dopo  ij  desinare ,  Didimo  si  riduceiia  io  una  isua  stanca 
appartata  a  ripulire  i   suoi    manoscritti    ricopiandoli    pec 
tre  volle.  Ma  la  prima  composisione,  -com*  ei   dfceta,    la 
creava  alP  opera  seria  o  in  mercato»  Rd  io  in  Calais    Ìq 
vidi  per  pia  ore  delia  notte  a  un  cafle^  scrivendo  in  Jì^ 
ria  al  lume  delle  lampade  del  biliardo,    mentr'.io   stivai 
giocandovi  ^  fd  ei  sedeva  pressa  ad  un  Cavòiiap  ,  intorno 


592  LETTERATITRà   ITALIllfA 

al  qnale  atcuni  officiali  questioDarano  di  tattic»,  e  fuma- 
vano mandandosi  scambievolmente  de'  brindisi.  Gt**  intest 
AìTt:  Che  ia  i^era  tribolazione  degli  autori  i^enipa,  a  chi 
dàlia  troppa  economia  della  penuria  ^  e  a  chi  dallo  scia- 
iacquo  delP  abbondanza  ;  e  ck^  esso  a^eva  la  beatitudine 
di  potete  scrivere  trenta  fogli  allegramente  di  pianta  ^  e 
ta  maledizione  di  iH>lerli  poi  ridurre  in  tre  soU,  eonte  a 
ogni  modo,  e  con  infinito  sudore  faceta  sempre» 

XII.  Ora  dirò  'de>'  suoi  costuiDt  esteriori.  Vestirà  da 
prete';  non  però  «ssanse  gli  Ordiìiì  sacri;  e  si  facera  cbra- 
nare  Didimo  di  nome,  e  Cbiertco  di  cognome;  ma  gli 
Qiucraséeva  sentirsi  dar  del ^  abate.  Rtcbieslone,  mi  rispo- 
se :  La  fortuna  m'  avviò  da  fonciulh  al  chierieato  ;  poi 
la  natura  mi  ha  deviato  dai  sacerdozio  t  mi  sarebbe  ri- 
morso r  andare  innami ,  e  vergogna  il  tornarmene  ad" 
dietro  :  e  perchè  io  tanto  quanto  Msprezzo  chi  muta  isti' 
iuta  di  rita,  mi  portò  in  pace  la  mia  tonsura  e  questo 
mio  abito  nisro  :  còsh  poss&  o  ammogliarmi  ,  o  aspirare 
ad  un  ^scovato.  Gii  chiesi  a  qàale'de^4iie  partati  s^ap- 
piglierebbew  Rispose  :  Non-  ci  ho  pensato  ;*  a  chignon  ha 
patria  non  «ntò  ò^nò'i' essere  sacerdote;  né  padre*  Fuor 
dell'  oso  de^  preH  ,'  compiaDarasi  delta  compagnia  degK  00- 
mini  tntlifari.' V>?iggIàhdoperpeiQamènte,  desinava  a  ta* 
Tola  rotonda  con  persone  di  ìrarie  nasioni  \  e  se  talano 
(com'oggff  s^nsa)  professavasl  cosmopolUa,  egli  si  rizzava 
sens^  altro.' S*  addomestica  VA  alle  prime;  benché  con  gli 
iromini  cerimoniosi  parlasse  asplntto;  ed  a'  ricchi  parerà 
attero  :  'evitava  le  sene  e  le  coflfì*alernite  $  e  seppi  che 
ritinto' due  patenti- 'aoeademtche.  Uiav» 'per'  lo -più  no' 
erocchi  delle  donne  ^  però  eh*  ei  le  repptavar  pia  liberal" 
mente  dòtaèe  datln  natura  di  óompawione  e  di 'pudore; 
duefortm  pacifiche  le  fuaH,'  dit^va^  Didimo^  /entrano 
iole  tutte  le  altre  forte  guerriere  dei  genere  umano.  Era 
volodtiarì  ascoltalo,  nò  so  dova  Utivasse  materie*;  perchè 


1  _ 

SECOLO  trccraroTTAT»  .  59!* 

alle  volle  cbiacchìeniTa  per'  lolla  ona  sera,  mnza  dire  pa^ 
rola  di  politica ,  di  religione,  0  di  amori  altrói.Noii  io- 
terrogàfa  mai  per  non  indurre,  diceva  Didimo ,  U^per^ 
sane  a  dir  la  bugiare  alle  iflfterrogaziooi  rispoodeva  prò»' 
verbi,  o- guardava  in  viso  chi  gli  parlava.  Non  parteeipavaf 
uè  ana  dramma  del  suo  secreto  ad  anima  nata:  Perchè, 
diceva  Didimo,  il  mio  secréto  è  la  sola  proprietà  su  la 
ierra  eh'  io  degni  di  chiamar  mia ,  e  che  divisa  nuoee^ 
rebbe  agli  altri  ed  a  me.  Né  pativa  d*  essere  depositarlo 
degli  altrui  secreti:  Non  eh' io  non  mi  Jidi  di  serbarli 
inviolati;  ma  a^f viene  che  a  volere  scampare  dalla  per» 
dizione  tanniche  persona  m' è  pure  necessità  a  rivelare 
alle  volte  il  secreto  che  m*  ha  confidato:  facendolo,  la 
mia  fede  riescirebbe  sinistra;  e  manifestandolo ,  ni  avvi' 
Jirei  davanti  a  me  stesso.  Accoglieva  lietissimo  nelle  sue 
stanze:  al  passeggio  voleva  andar  sólo,  o  paHava'a  per- 
sone che  non  .aveva  vedato  mai  ,  e  che  gli  davano  naU 
ridea:  e  se  alcuno  de'  soof  conoscenti  accosta  vasi  a  lai, 
si  levava  di  tasca  nn  libretto,  e  per  primo  saluto  gli  re- 
citava alcuni  Squarci  di  traduzioni  moderne  de*  poeti  gre« 
ci  ;  e  rimanevasi  solo;  Usava  anche  sentenze  enigmatidie. 
Nessun  frizzo;  se  non  ana  volta,  e  per  non  ricaderci, 
rilesse  i  quattro  Evangelisti.  Ma.  di  tutti  qoesti^  capricci  e 
costumi  di  Didimo ,  s*  avvedevano  gli  ahrr  assai  lardi  ; 
perch^  ei  non  li  mosìrava ,  né  li  occultava  ;  onde  credo 
che  venissero  da  disposizione  naturale. 

XIIL  Dissi  che  teneva  chiuse  le  sue  passioni  ;  e  qnel 
poco  che  ne  traspariva ,  pareva  calore  di  fiamma  fònt<i- 
na.  A  chi  gli  oflFeriva  amicizia,  lasciava  intendere  che  /a 
colla  cordiale  per  cui  V  uno  s'  attacca  all'  altro ,  T  aveva 
già  data  a  tpse^  pochi  eh'  erano  giunti  innanzi,  Ratumeu* 
lava  volentieri  la  sua  vita  passata ,  ma  non  m*  accorsi 
mai  ch'egli  avesse  fiducia  ne' giorni  avvenire,  o  che  ne 
temesse*  Chiamavasi  molto  obMigato  a   un    Don    Jacopo 

5u* 


59't  LBTTBKAT1TR1  ITlLIilTA 

Atinont  corato,  a  coi  Didiibo  areva  altre  ToHe  serTrfo . da 
chierìeo  nella  panroccbia  d*  tu  verino  ;  e  stando  fuori  di 
patria,  .carteggia fa  anicamente- can  esso.  Mostravasi  gio* 
viale  e  eempassioneTole^  e  lieiiebé  fosse  irllommai  inliHuo 
a*  treni'  anni ,  avem  aspetto  assai  giovanile  ;  e  forse  per 
qneste  ragioni  Dìditoo  taltochè  forestiero,  non  era  gnar* 
dato  dal  popolo  di  mal  o^cbit»,  e  le  donne  passando  gli 
sorridevano,  e  le  vecchie  si  sofiermavano  accanto  a  nna 
porlfccitiola  a  discorrere  aeeo,«  molli  fanlofint,  de'  quali 
egli  sì  compiaceva ,  gli  correvano  lietissimi  ^ittomo»  Am- 
mirava assai;  ma  più  con  gli .  occhiali  ^  diceva  egli,  che 
col  telescopio  :  e  dispreizava  con  taciturnità  sì  sdegnosa 
da  far  giusto  e  irreconciliabile  U  risenlrraento  degli  uo- 
mini dotti.  Aveva  per  altro  il  compenso  <li  non  patire 
é'.  invidia ,  la  quale ,  in  chi  amoura  e  disprezza ,  non 
trova  mai  hu^gP*^  E'  diceva  :  La  rabbia  e  il  dispreizo  sono 
gradi  estrertki  dell*  ira  :  le  anime  deboli  arrabbiano  ;  le 
Jòrli  dispreiuino  :  ma  tristo  e  beato  chi  non  s"*  adira  l 

XIV»  Insomma*  pareva  nomo  che  essendosi  in  giovenlìi 
lasciato  governare  da  IP  ìndole    sua   naturale ,    s*  accomo- 
dasse, ma  senza  fidarsene,   alla    priidenza     mondana.    E 
forse  aveva  più  amore  che  stima    per  gli    uomini  ;    però 
non  era  orgoglioso  né  nmlle.    Parea    verecondo ,    perché 
non  era  né  ricco  né  povero.  Forse  non  era  avido  uè  am- 
bizioso ,    perciò  parea  libero»    Quanto    air  ingegno ,    non 
credo  che  la    natura   T  avesse    moltissimo    prediletto  ^    né 
poco.  Ma  V  aveva  temprato  in  guisa  da  non  potersi  im- 
bevere   degli   altrui  insegnamenti  ;  e  quel  tanto  che  pro- 
duceva  da  sé,  aveva  .certa  novità  che  alleilava,  e  la  pri- 
mitiva ruvidezza  che  offende.  Quindi  derivava  in  esso  per 
avventura  queli'  esprìmere  in  modo  tutto  suo  le  cose  co- 
muni ;  e  la  propensione  di  censurare  i  metodi  delle  no- 
stre scuole.  Inoltre  sembravami   cb^  egli    sentisse    non  so 
qoal.  4is5oaanza  nell'armonìa  delle  cose  del  mondo;  non 


$BGOLO   l>CaaiOTTATO    .  5^^ . 

pòro  Io  diceva.  pAlla  sua  operetta  greca  si  desame  quanto 
nieritamente  si  vergognasse  della  sua  giovanile  intolleran* 
sa.  Ma  parora,  qilando  io  lo  vidi,  più  disingannalo  eh* 
rinsavito;  e.  che  senza  dar  noja  agli  altri,  se  ne  andasse 
quietissimo  e  sicuro  di  se  medesimo  per  la  sua  strada  ; 
e  sostandosi  spesso,  qdasi  avesse,  più  a  cuore  di  non  do* 
Tiare,  che  di  toccare  la  meta.  Queste  a  <^ni  modo  9000 
tutte  mie  congetture. 

XV.  Àfendolo  io  nell'anno  1806  lascinlo  in  Araersforl, 
e  desiderando  di  dargli  avviso  del  giudico  de'  Moeslri 
suoi  intorno  a'  tre  manoscritti  da  ine  recfttì  in  Italia, 
scrissi  ad  Inverigo  a  domandarne  novelle  al  Reverendo 
Don  Jacopo  Aononi;  e  (Perchè  questi  s*  era  trasferito  da 
tnuiio  tempo  in  lina  chiesa  su'  colli  del  lago  di  Pusiano^ 
presso  la  villa  Marliani,  Io  visitai  nell'  estale  dell*  anno 
seguente:  né  ho  potuto  riportare  dalla  mia  gita  se  non 
una  notizia  ch^  io  già  sapeva  ,  e  i  liaeameDti  di  DidrDvo 
giovinetto.  Quel  buon  vecchio  sacerdote,  regalandomi  il 
disegno  die  ho  posto  in  fronte  a  questo  opuscoletto,  uii 
disse  afflittissimo  :  So  die  in  un  paese  lontano  chiamalo 
Bologna  a  niiare,  Didimo  regalò  tutti  i  suoi  libri  e  scar* 
tafacci  a  un  altro  giovine  roiirtarè  clie  ne  usasse  a  suo 
beneplacito;  e  fece  proponimento  di  né  più  leggere  né 
più  scrivere:  da  indi  in  qua,  e  gli  è  pur  molto  tempo , 
non  so  più  dov^  e'  sia ,  né  se  viva.  — 

XVI.  Mi  diede  inoltre  copia  di  un  epitaffio  elie  Di- 
dimo s^  era  apparecchiato  rnol li  anui  innanzi;  ed  io  lo 
pubblico,  affinché  scegli  mai  fosse  morto,  ed  avesse  agli 
ospiti  suoi  lasciato  tanto  da  porgli  una  lapide ,'  lo  fae-^ 
ciano  scolpire  sovr'  essa  : 

DlDTlil.  .    CLERICI 

VITIà    .    VIRTVS    .    OSSA 

HIC    .    POST    *   AKIfOS    •     +    't"    t 

cosSuifivEacRT 


5jré  IrBTTBftATU&ft  1TÀL|A1» 

IfobiU  effètti  ch9  produce  ìa  vista  de*  sepoìerL 

A  egregie  cose  il  forte  ànimo  accendoDO 
L'  arae  de^  Forlì ,  o  Pindernonfe  '  ;  e  bella 
E  fanù  fbnno  al  peregrio  la  terra 
Che  le  ricetta.  Io  quando  il  raonamenlo 
Vidi  ove  posa  il  corpo  di  qael  grande  * 
Che  temprando  lo  scettro  a'  regnatori , 
Gli  allòr  ne  sfronda ,  ed  alle  genti  svela 
Di  che'  lagrime  grondi  e  di  che  sangne  ; 
E  r  arca  di  colui  '  che  nnovo  Olimpo 
Alzò  in  Roma  a*  Celesti  ;  e  di  chi  vide  ^ 
Sotto  r  etereo  pad  iglìon  rotarsi 
Più  mondi ,  e  il  sole  hrradiarli  immoto  , 
Gode  air  Anglo ,  che  tanta  ala  vF  stese  , 
Sgomhvò  primo  le  vie  del  firmamento  ; 
Te  beata  ^ ,  gridai ,  per  le  felici 
A  are  pregne  di  vita  ,  e  pe'  lavacri 
Che  da'  suoi  gioghi  a  te  versa  Apenniool 
Lieta  deir  fler  tao  veste  la  Lana 
Di  luce  limpidissima  i  tuoi  cofti 
Per  vendemmia  festanti  ;  e  le  convalli 
Popolate  di  case  e  d^oliveti 
Mille  di  fion  al  ciel  mandano  incensi  : 
E  tn ,  prima ,  Firenze ,  udivi  il  carme 
Che  allegrò  l' ira  al  Ghibellin  fuggiasco  ® , 
E  tu  i  cari  parenti  e  V  idioma 

X  O  Ptndemtmie,  U  Fo«eolo  indùùuò  U  ivo  CaroM  sm  MepoUri  a)  Pin- 
dànonte* 

3  Qud  grande.  Il  Machiavelli. 

3  Colui  ee, .  Michel  Angelo  Baanairoti.  die  disegnò  la  chiesa  di  S.  Pietro. 

4  Chi  vide  ec«  •  Galileo  Galilei.   -«-  X«*  An^h  jneusionato   saluto  do^  è 
Re^rton. 

5  Te  bìiata  (  soitintendaA' )  Fireàze, 
a^  Ji  GkibeOim  ee. .  Ali*  Àli^ii^. 


SECOLO  bttinortJLTà  S^7 

Desti  a  quel  dolete  di  CaHlope  labbro* 

Che  Aniol-e  io  Grecia  ondo  e  nudo  in  Roma 

D^  un   velo  candidissimo  adornando  > 

Rendea  nei  grembo  a  •  Venere  Celeste  : 

Ma  più  beata,  cbè  in  nn  tempio  accòlte 

Serbi  V  Itale  glorie',   uniche  forse , 

Da  che  le  mal  vietate  Alpi  ,  e  V  alterna 

Onnipotenza  delle  umane  sorti \ 

Armi  e  sostanze  t*  in  va  deano  ,  ed  are 

E  patria ,  e ,  tranne  la  memoria  ,  tutto. 

Cbè  ove  speme  di  gloria  agli  animosi 

Tnlelletti  rifulga  ed  ali'  Italia , 

Quindi  Irarrem  gli'  auspicj.  E  a  questi  marmi 

Venne  spesso  Vittorio  *  ad  ispirarsi. 

Irato  a*  patrj  Nun^i ,  errava 'muto         ^ 

Ore  Arno  è  più  deserto  ,  i  campi  e  \\  cielo 

Desioso  mirando;  e  poi  che  nullo 

Vivente  aspetto  gli  'molcea  la  cnra,' 

Qui  posava  Tanstero,  e  avea  sn!  tolto 

Il  p^llor  della  morte  e  la  speranza. 

Con  <}aesli  graiidi' abita  eterno;  e  I' osla 

Fremono  amor  di  patria.  Ah  sii  da  quella 

Religiosa  pace  un  Nume  parla  :    , 

E  nutria  ^  contro  a*  Persi  in  Maratona , 

Ove  Atene  sacrò  tombe  a*  suoi  prodi ,  ' 

La  virtù  greca  e  V  ira.  Il  navigante 

Che  veleggiò  quel  mar  sotto  l' Eubéa  , 

V^dea  per  V  ampia  oscurità  scintille 

1  Quel  dolce  ec. .  Il  Petrarca ,  il  qaala  a  difFerensa  àfci  Greci  e  éei  Ì.a- 
tini ,  cantò  pudicamente  d*  Amore  ,  e  con  tanU  doUeasa  che  b^n  OMcitó  ài 
9»»cr .  detto  labbro  della  Musa  CaUione^ 

M.  Tutorio  Alfieri  stette  molti  apni  in  Firenae ,  dove  poi  mori*  , 

3  E  nutria  ee.  .  Ed   e  ^iiel  Marne   che  &%  1«  UNnh«  di  BlMaioa» 
tt  vSloM  -e  l' ititi  4et  Gwci  coatta  i  P«ViiiMtt^ 


$9$  UKTTBaAtCB^^   1TÀ4.IA1C1 

Bales«r.  d'  elmi  e  di  coxsanti  brandi  r 
'  Fq filar  le  pire  jgn^  vapor  ;  oorriuclie 
D'  armi  ferree  vedea  larve  gaerriere 
Cercar  la  pugna  ;  e  alP  orror  de'  nòli  arni 
Sileoit  si  spandea  laogo  ne*  campi 
IH  falaQgt  QQ  I  orati  Ilo ,  e  an  soon  di  tuba  , 
E  no  incalcar  di  cavalli  aocorreoti , 
Sealpitaoti  sa  gli  «Imi  a'  moriboodi  , 
E  pianto ,  ed  ioni  4  e  delle  Parche  il  caolo. 
Felice,  te  che  il  regno  ampio  de'  venti  ^ 
Ippolito  ^  a*  Ino!  verdi  anni  correvi  ! 
E  99  il  piloto  li  driKzò  r  antenna 
Oltre  r  isole  Egèe  '  ,  d'  antichi  fatti 
Certo  udisti  suonar  deir  Elespooto 
I  liti,  e  la  marea  mugghiar  portando 
Alle  prode  Relée  1'  armi  d' Achilie  * 
Sovra  r^wsa  d' Ajacera'^nerosi 
Giusta  di  gloria  dispensiera  è  Morte  ; 
Kè  senno  astuto,  né  favor  di  regi 
Air  Itaco  le  spoglie  ardue  serbava  , 
Che  alla  poppa  raminga  le  ritolse 
L*  onda  infilata  dagl^  inferni  Dei* 

Jt  ÌMÌgia  PaUayicini  caduta  da  copaQp»  . 

I  balsami  beati  Quel  di  che  insana  empiee 

Per  te  le  Grazie  apprestino^   •  Il  sacro  Ida  di  gemiti  « 
Per  te  i  lini  odorati  E  col  crine  tergea 

Che  a  Citerea  pofgeano  E  bagnava  di  lagrime 

Qnando  profano  spino  .11  sanguinoso  petto 

Le.  punse  il  pie  divino  :  Al  Ciprio  Giovinetto. 

I  Oltre  y  isole  dell*  Arcipelago  ,  ^etto  '  una  yoIu  Egeo, 

1  Morto  Achille  te  ne  disputarono  le  armi  Àjaee  Telamonio  ed  Vli«ae  ) 
•  il  merito  del  primo  prevalse  la  scaltreiaa  del  seeoadn*  -Ajace  imipssaslo 
flntlsatt»  tfiiégge  Auéàr  dove  per  fioMiiiia  Owmak ,  fittooo  portato  U  mmk 
a*  Achille  dal  mare  che  foofiato  4»  «m  p»n4*  t«mp«tU  la  lolie  alla  ■»«< 
di  0«i««< 


\ 


SEGOLO   DECiafOTTATO  599 

Or  te  piADgon  gli  Amori ,      lavaò  presaghi  I  Teati 


Te  fra  le  dive  Liguri 
Regina ,  e  diva  !  «  fiori 
Votiti  alt*  ara  porla oo 
D' onde  il  grand^arco  suona 
Del  Figlio  di  La  tona. 

E  te  chiama'  là  danza 
Ove  Taore  porta rano 
Insolita  fragranta , 
Allor  che  a'  nodi  indocile 
La  chioma  al  roseo  braccio 
Ti  fa  gentile  impaccio,  . 

Tal  nel  lavacro  immersa  , 
Che  fior ,  dalF  CHconio 
Clivo  cadendo  ,  tersa  , 
Palla  dall'  elmo  i  liberi 
Crin  su  la  man  che  gronda 
CoBtien  fuori  deir  onde. 

Armoniosi  accenti 

Dal  tao  labbro  volarano , 
E  dagli  occhi  ridenti 
Traluceano  di  Venere 
1  disdegni  e  le  paci, 


li  polveroso  aggliiacciano 
Petto  e  le  reni  ardenti 
Dell'  inquieto  alipede'. 
Ed  irritatite  il  morso 
Accresce  Impeto  al  corso. 

Ardon  gli  sguardi  /  fuma 
La  bocca ,  agita  V  ardua 
Testa  ^  voint  la  spanìa , 
Ed  i  manti  volubili 
Lorda  4  e  P  incerto  ttetto 
Ed  il  candido  seno; 

E  ir  sudor  piove ,  e  i  crini 
Sul  collo  irti  svolazzano  ; 
Suott.in  gli  antri  marini 
Allo  incalzato  scalpito' 
Dalla  zampa  che  caccia  ' 
Polve  e  sassi  in  sua  traccia. 

Già  dal  lito  si  slancia 

Sordo  ai  clamori  e  al  fremito 
Già  già  fino  alla  pancia 
Nuota...  e  ingorde  si  gonfiano 
Non  più  memori  V  a^ue 
Che  una  Dea'  ^  da  lor  nacque  t 


La  speme,  il  pianto  e  i  baci. 

Deh!  ptrchè  hai  le  gentili    _Se  non  che  il  Re  dell'onde, 

Forme  e  T  ingegno  docile        Boien te  ancor  dMppolito  ^, 


Vólto  a  studi  virili  ? 
Perchè  non  dell'  Aonie  ' 
Seguivi ,  incauta ,  V  arte , 
Ma  i  lodi  aspri  di  Marte? 


Snrse  per  le  profonde 
Vie  dal  Tirreno  talamo, 
E  respinse  il  furente 
Col  cenno  onnipotente. 


1  DdPAottie.  Delle  Muse. 

a  Alipede,  Che  faa  1*  ali  ai  piedi  ;  Cavallo  velocissimo. 

3  Um  Dea'  ee» .  Venere* 

4  Ippob'to  ing^astamente  aeciliato  dfiilla  matrigna  Fedra ,  per  la  maledi- 
Siene  di  T«mo  suo  padre,  mori  rovesciato  dal  cocchio j  ^avenlhodosi  i  ca» 
valli  »Ua  viltà  di  aleiui  mostri  Oarini  die  Mettono  mandò  loro  incontro. 


6oo 


LCTTfiB4TIIAA   ITALIàlTA 


Qmm  cU  flotto  srretrosiie 
Rmlcltrando ,  e,  orribile! 
SoTra  r  anche  rizzossc  : 
SoDole  TarcioB,  te  misora 
Sa  la  petrosa  riva 
SlrascioaDdo  mal  vira. 

Pera  dii  osò  primiero 
Disoortese  commettere 
A  infedele  corsiero    , 
1/  agii  fianco  femineo  , 
E  apri  eoo  rio  consiglio 
Nooro  a  beltà  periglio! 

Che  or  non  vedrei  le  rose 
Del  top  volto  sì  languide, 
Ron  le  loci  amorose 
Spiar  ne*  guardi  medici 
^Mranza  lasingbiera 
Della  beltà  primiera. 


Di  Ciotia  il  Gdcehio  aurato 
Le  certe  un  di  tràeaoo  , 
Ma  a]  ferino  ululato 
Per  terrore  insanirooo  , 
%  dalla  rupe  etnea 
Precipitar  la  Dea. 

Gioia Q  d' incido  riso 
Le  abìlairici  olimpie  , 
Perchè  V  eterno  viso 
Silenzioso  e  pallido 
Cinto  apparia  d^  un  velo 
Ài  conviti  del  cielo  ; 

Ma  ben  piansero  il  giorno 
Che  dalle  danze  efesie 
Lieta  (àcea  ritorno 
Fra  le  detote  vergioi, 
E  al  ciel  salia  più  bella 
Di  Febo  la  Sorella. 


AW  Amica  rua/udcu 

Qoal  dagli  antri  marini 

L'  astro  più  caro  a  Venere 

Co'  rugiadosi  crini , 

Fra  le  fuggenti  tenebre. 

Appare  ,  e .  il  suo  viaggio 

Orna  col  lume  dell'  eterno  raggio  ; 
Sorgon  tosi  tue  dive 

Membra  dall'  egro  talamo  , 

E  in  le  bella  rifive;  • 

L'  aurea  betta  le  ond*  ebbero 

Ristoro  unico  a^  mali 

Le  n'ate  a  vaneggiar  tnenli  morfalk 
Fiorir  sul  caro  viso 

Veggo  la  rosa  ;  tomaio 


8BGOLO    IlECIMOTTATO  6o  I 

I  grandi  ocelli  al  sorriso 

Insìdiiindo  ;  e  vegliano 

Per  te  in  nofelll  pianti 

Trepide  madri  e  sospettose  amanti. 
L^  Ore  che  dianzi  meste 

Ministre  eran  de*  farmachi , 

Oggi  I*  indica  veste  , . 

E  ì  monili  coi  gemmano 

Effigiali  Dei 

Inclito  studio  di  scarpelli  achei , 
E  i  candidi  coturni 

E  gli  amuleti  '  recano. 

Onde  a^  cori  notturni 

Te,  Dea,  mirando  obbliano 

I  garzoni  le  danze. 

Te  principio  d*  affanni  e  di_ speranze  : 
O  quando  V  arpa  adorni 

E  co*  novelli  numeri 

E  co'  molli  contorni  ^ 

Delle  forme  che  f-icile 

Bisso  *.  seconda \  e  intanto 

Fra  il  basso  sospirar  vola  il  tuo  canto 
Piò  periglioso  ;  o  quando 

Balli  disegni  ^ ,  e  T  agile 

Corpo  air  aure  fidando. 

Ignoti  vezzi  sfuggono 

Dai  manti  e  dal  negletto 

Velo  scomposto'  sul  sommosso  petto. 

I  AntuUH  propriamente  dicevansi  certe  figlila  che  alcuni  portavano  iado^se 
«radendole  dotate  di  grandi  virtù. 

a  Bisso  qui  sta  per  ogni  tela  «  stoffa  di  cui  sia  fatta  una  reste ,  sottile 
eod  che  aderisca  aUe  fbnpe  della  pcriona.' 

3  BfMi  «e..  La  finse  distgnar' bt^Ui  significa  bmUsfe  aUsfgUukhsi  ma 
kelF  trU, 

UtTTBftÀT.  ITAL.  -   IT  5| 


6oa  LETTBAATVAA   ITiLIAllA 

Air  agitarti,  lente 

Cascan  le  trecce,  nitide 

Per  ambrosia  recente, 

Mal  fide  air  aureo  pettine 

E  alla  rosea  ghirlanda 

Che  or  con  Palma  salute  Aprii  li  manda. 
Gmì  ancelle  d'  amore 

A  te  d*  intoni»  Tolano 

Invidiate  V  Ore  ; 

Meste  le  Grazie  mirino 

Chi  la  beltà  fugace 

Ti  membra,  e  il  giorno  delP eterna  pace* 
Mortale  goidatrice 

D'  oceanine  rergini 

La  parasia  pendice 

Tenea  la  casta  Artemide  ■ , 

E  fea ,  terror  di  cervi , 

Lungi  fischiar  d'  arco  cidonio  i  nerrt. 
I^i  predicò  la  fama 

Olimpia  prole;  pavido 

Diva  il  mondo  la  chiama: 

E  le  sacrò  V  Elisio 

Soglio ,  ed  il  certo  telo  * , 

E  i  monti  e  il  carro  della  luna  in  cielo. 
Are  così  a  Bellona , 

Un  tempo  invitta  Amazzone, 

Die    il  \ocale  Elicona  ^; 

Ella  il  cia)iero  e  P  egida 

Or  contro  V  Aoulia  avara 

E  le  cavalle  ed  il  furor  pre|>àra. 


1  Artemide,  Diana.  —  Qthnhj  di  Cictone^  dltk  di  Creta. 

2  Ji  cerio  ieh.  lì  vanto  di  non  saettare  in  fallo. 

a  II  Vocale  ecj  cioè:  I  Poeti  o  le  Muse  cantanti  nill* Elicona. 


SECOLO    DECIMOTTàfO  6à3 

E  qnella  '  a  cai  di  sacro 

Mirto  te  Teggo  cingere 

Devofa  il  siinolacro. 

Che  presiede  marmoreo 

Agli  arcani  tu4^  lari , 

0?e  a  me  sol  sacerdotessa  appari , 
Regiott  fa;  Citerà 

E  Cipiro  ove  perpetua 

Odora  •  primavera , 

Regnò  beata,  e  1'  isole 

Che  col  selvoso  dorso 

Rompono  agli  Bari  fi  al  graode  Ionio  il  corso. 
Ebbi  in  qtiel  mar  la  calla  : 

Ivi  erra  ignodo  spirito 

Di  FSon  la  Faueialla^; 
i    E  se  il  notturno  zefiro 

Blando  sui  flutti  spira 
<;    Suonano  i  liti  un  lamentar  dt  lira: 
Ond'  io,  pien  del  nativo 

Aèr  sacro ,  su  l' itala 

Grave  cetra  derivo 

Per  te  le  corde  eolie  ^, . 

E  avrai  divina  i  voti 

Fra  gì'  inni  miei  delle  insubri  nepoli» 

Sonetti» 

Solcata  ho  fronte,  occhi  incavati  inleati,    . 
Cria  fulvo,  emunle  guancie,  ardilo  aspetto, 
Labro  (umido  acceso,  e  tersi  denti,   / 
Capo  chino,  bel  collo  e  largo  petto; 

1  E  queìh*  Venere. 

3  Odora,  Sparge  odori.  -^  Mfignò.  Signoreggiò. 
>3  Di  K3f9)t  ec.  •  S^ffo  amante  di  Faone. 

4  Derivo  ee,}  noè  :  Traspoito  pw  te  sella  poesia  iuliona  i  lèodi  dei  Green 


6o4  LKTTKR4T0AA    ITAIJAfià 

Giaste  membra ,  Teslir  semplice  eletto  ; 

Ratti  i  passi ,  i  peasier  ,  gli  atti ,  gli  accenti  ; 

Sobrio,  umano f  leal,  prodigo,  schietto; 

Avverso  al  monclo,  at versi  a  me  gli  ereali  : 
Talor  di  lingua,  e  spesso  di  man  prode; 

Mesto  i  più  gionii  e  solo,  ognor  pensoso; 

Pronto ,  iracondo ,  inquieto  ,  tenace  : 
Di  vizj  ricco  e  di  virtù ,  do  lode 

Alla  ragion ,  na  corro  ove  a!  cor  piace  : 

Morte  sol  mi  darà  fama  e  riposo* 

Un  di ,  s' io  non  andrò  sempre  fuggendo 
Di  gente  in  gente,  me  vedrai  seduto 
Sulla  tua  pietra,  o  fratel  mio,  gemendo 
Il  fior  de*  tuoi  gentili  anni  caduto. 

La  madre  or. sol  suo  di  lardo  trfiendo 

Parla  di  me  col  tuo  cenere  muto, 

.  Ma  io  deluse  a  voi  le  palme  tendo  ^ 

E  sol  da  lungo  i  miei  letti  salolo* 

Sento  gli  avversi  numi,  e  le  secreto 
Cure  che  al  viver  Ino  furon  tempesta  ^ 
E  prego  anch'  io  nel  tuo  porto  quiete* 

Questo  di  tanta  speme  oggi  ini  resta  ! 
Slraoiere  genti,  almen  le  ossa  rendete 
Allora  al  petto  della  madre  mesta. 


Perchè  taccia  il  romor  di  mia  catena  ' 
Ùì  lagrime ,  di  spenie  e  di  ainor  vivo  , 
E  ,dr  silenzio  ;  che  pietà  mi  affrena 
Se  con  lei  parlo,  o  di  lei  penso  e  scrivo* 

Tu  sol  mi  ascolti ,  o  solitario  rivo , 
Ove  ogni  notte  Amotr  seco  mi  mena  ; 
Qui  affido  il  pianto  e  i  miei  danni  descriva, 
Qui  tutta  verso  del  dolor  la  piena; 


•ECOLiO    DBGiaiOTTATO'  (»oS 

E  narro  come  i  grandi  òcchi  ridenti 
Arsero  d' immorsi  ra^ io  il  mio  C6re'^ 
«Come  la  rosea  l>occà  e  i  rilocéntt  .   ' -^^ 

Odorati  eapelli,  ed  il  candore      ' 

Delle  divine  membra,  e  i  cari  ac<ien&i 
M' insegnarono- al  IT  n  piànger  d'amore. 


■■». 


.    Eaortaziont .  aìla  Giovenlà  stufUosa* 

O  Italiani,  io  vi  esorto  alle  slorie^  perchè  ni  un  ^po* 
polo  più  di  Toi  può  mostrare ,  ne  più  Cfilamità  da  f:om 
piangere,  né  più  errori  da  evitare,  né  più  nrlù  che  ti 
facciano  rispettare,  né  più  grandi  anime;,  degne  di  es- 
sere liberate  dair  obblivione  da  chi.iini|ue.  di  noi  sa  che 
si  deve  amare  e  difendere  ed  onorare  la  terra  che  ne  fo 
nutrice  ai  nostri  padri  ed  a  .noi ,  e  che  xlaxà  pace  e  me* 
moria  alle  nostre  ceneri.  Io  vi  esorto  alle  storie,  perche 
angnsta  è  T arena  degli  oratori:  e  chi.  ornai  può  conten- 
dervi la  poetica  palma?  Ma  nelle  storie  tuU^  si  spiega 
la  nobiltà  dello  stile,  tutti  gli  afiEetti  delle  virtù  ^  tutto 
r  incanto  della  poesia,  lutti  i  precetti  della  sapienza, 
tutti  i  progressi  e  i  benemeriti  deli*  italiano  sapere..  Chi 
di  noi  non  ha  figlio,  fratello  od  amico  che  spenda  il 
sangue  e  la  gioventù  nelle  guerre?  e  che  speranze,  che 
ricompense  gli  apparecchiate?  e  come  neir.agonìa  della 
morie  lo  consolerà  il  pensiero  di  rivivere  almeno  nel  petto 
de'  snoi  cittadini ,  se  vede  che  la  storia  in  Italia  non  lra« 
mandi  i  nobili  fatti  alla  fede  delle  venture  generazioni  ? 
Oh  come  alP  esaltazioni  con  che  Plinio  Secondo  si  studia 
di  celebrare  Traiano,  oh  come  il  saggio  sorride!  Ma 
quando  legge  le  poche  sentenze  di  Tacito,  adora  la  su- 
blime anima  di  Traiano ,  e  giustifica  quelle  vittorie  che 
assoggettarono  i  popoli  alP  impero  del  più  magnanimo 
tra  i  successori  di  Cesare.  Quali  paisioni  frattanto  la  qoa 
atra  letteratura  alimenta  ,   quali    opinioni    governa   nelle 

5i» 


6o6  LSTteilATIIRA    ITiLUffà 

famiglie?  Come  influivce  in  qiiu'  cilt.ifltor,  citllocali  daìU 
forlooa  Ira  l' idioCa  ed  ii  leitemlo  ,  Ira  la  rAgione  di 
Stalo,  che  non  può  guardare  se  non  la  pitbbtica  olifità, 
e  ta  misera  plebe,  che  cieca  meate  obbedisce  alle  sa  preme 
necessità  della  ?  ita  ;  io  qne'  cUtadioi  die  scrfi  defono  e 
possooo  prosperare  la  patria,  perchè  baooo  e  tetti  e 
campi,  ed  autorità  di  nome  e  certezza  di  eredità,  e  che 
quando  possedono  virtù  civili  e  dotnestiche,  liaono  mezzi 
e  vigere  d*  insinuarle  tra  il  popolo  e  di  parteciparle  allo 
Stato  f  L'  alta  letteratura  riserbasi  a  pociti ,  atti  a  sen^ 
lire  e  aé  intendere  profonda  meo  te  ;  ma  qiie*  mollitsitiii 
che  p<*r  educazione ,  per  agi  e  per  V  umano  bisogno  di 
occupare  il  cuore  e  la  mente,  sono  adescati  dal  diLHto 
e  dàlPozio  Ira' libri ,  denno  ricorrere  a^  gioroalf,  alle 
notelle ,  alle  rime;  cosi  si  vanno  imbevendo  delF  |gno« 
rante  malignità  degfi  uni' ,  deHe  stravaganze  degli  altri , 
del  vaniloquio  deNerseggiatori  ;  «osi  ìnavvedutam^te  si 
nntrono  di  sciocchezze  e  di  '  vizi ,  ed  imparano  a  disprez- 
zare le  lettere.  Ma  indarno  la  Ciropedia  e  il  Telemaco, 
tramandatici  da  due  mortili ,  cospicui  nelle  Ìotq  patrie 
per  dignità  e  per  costumi  ,  ne  ammoniscono  che  la  sa- 
pienza detta  ancb^  essa  romanzi  alla  Musa  e  alfa  Storia; 
indarno  il  Viaggio  d^  Anncarsì  ci  porge  luminosissimo 
specchio  quanto  possa  un  romanzo,  senza  taccia  di  meo* 
io<'na ,  iniziare  i  mcn  dotti  nel  santuario  della  storica 
Alusofia;  indarno  é  i  Germani  e  gì*  Inglesi  el  dicono  che 
la  giovenlù  non  vive  die  iV  illusioni  e  di  sentimenti ,  e 
che  là  bellezza  non  è  immune  dalle  insidie  del  mondo  ; 
e  che,  poiché  la  natura  è  i  costumi  non  concedono  di 
preservare  la  gioventù  e  la  bellezza  thlle  passioni,  la  let- 
teratura deve,  se  non  altro,  nutrire  le  menu  nocive,  di- 
pingere le  opinioni,  gli  usi  e  le  sembianze  de' giorni  pre- 
senti ,  ed  ammaestrare  con  la  storia  ddle  fjmiglie.  Se- 
condate i  cuori  palpitanti  de^  gioì  anelli  e  delle  fauciulle; 


SECOLO  DKCIMOTTITO  607 

as$nefateli,  fioche  »on  credali  ed  iiiDocenlr ,  •  a  cbmpian- 
gere  gli  aomiai,  a  eoDoscere  i  loro  difetti  neMibri  ^  a 
cercare  il  bello  ed  il  Tero  morale  :  le  illasiooi  de'  Toairt 
raecooti.  STaoiranoo  dalla  faDtasia  con  V  età  ;  ma  il  calore 
con  eoi  eòminciaroDO .  ad  i$lraire,  spirerà  coaliotio.  ne* 
petti»  Offerite  spontanei  que'  libri ,  che  se  non  saranno 
procacciati  atilmente  da  toì,  il  bisogno ,  l'esempio,  la 
sedazione  li  proeacceranoo  in  secreto.  Già  i  sogni  e  le 
ipocrite  Tirili  di  mille  romanzi  inondano  le  nostre. case; 
gli  allettamenti  del  loro  stile  fanno  quasi  abborrire  come 
pedantesca  ed  inetta  la  nostra  liogna  ;  la  oscenità  di  mille 
altri  sfiora  negli  adolescenti  il  più  gentile  oroamento  d&^ 
loro  labbri,  il  pudore.  E  tra ttantp  chi  de' nostri  contorna 
poranei  ia  fingendo  norelle  so  gli  osi,  lo  stile  e  le  fogge 
dell'  età  del  Boccaccio;  chi  sego»  a.  rimare  sonetti  ;  né 
r  ingegno  eminente  né  la  sublime  poesia  di  que'  pochi 
che  costodiscóno  la  riputazione  degli  Stati  e  dei  Principi 
basta  per  aTtentora  a  serbare  inviolato  il  Palladio  delia: 
patria  letteratura.  Ah!  tì  sono  pureja  iutte  le  città  di 
Italia  uomini  prediletti  dalla  natura ,  educati .  dalla  filo-*  ^ 
sofia ,  d' incolpabile  vita,  e  dolenlì  della,  conrazione  .  e 
della  Tet&alità  delle  lettere,  ma  che,  non. osando  affron- 
tare l'insidie  del  volgo  dei  letterati,  e  le  minaoce  della 
fortuna  ^  virono  e  gemono  verecondi  e^  romiti.  O  miei 
concittadini!  quanto  è  scarsa  la  .consolazione  di  essere  pjoro 
ed  illuminato  senza  preservare  la.ngistra  patria  :dagl'igno<^ 
ranti  e  dai  «iUI  Amate  palesemente  e  g0nerosamente  le 
lettere  e  là  vostra  ónzioi^e,  e  potrete  alfine. conoscervi  tra 
di  voi ,  ed  assumerete  il  coraggio  della  concordia  ;  né  la 
fortuna  né  la  calunnia  potranno  opprimervi  mai ,  quando 
la  coscienza  del  sapere  e  dell*  onestà  v^  arma  del  deside-^ 
rt€^  delia  vera  ed  utile  fama.  Osservale  n^li  altri  lo  pas- 
sioni che  voi  sentite ,  dipingetele  ^^  destate  la  pietà  cì\e 
parla  in  voi  stessi ,  quella  unica  virtù  disinteressata  negli 

5i' 


6oS  LBTTBIIATUIIA   ITÀLUffA 

aomiot;  abbellite  la  Tostra  lingoa  dèlia  evideoza,  MP^e* 
nergìa  e  della  laoe  deUe  Tostre  idee;  ainate  U  vostra  ar- 
te, e  disprezzerete  le  leggi  delle  acca'deiaie  gramaratica- 
li ,  ed  arriccbifete  la  stile;  amate  la  vostra  patria,  e  ooa 
coDtamioerete  eoo  merci  straniere  la  purità  e  le  ricehene 
e  le  grazie  natie  del  nostro,  idiooia»    La  Tarila  e  le  pas» 
•ioni  faranno  più  esatti,  meo  ioetti,    e   pia  doviziosi    i 
vostri    vocabolari;  le  scienze    avranno    veste    italiana,    e 
r  affettazione  dei  modi  non  raffredderà  i   vostri  pensieru 
Visitate  r  Italia  1  O  amabile  terra  1  o  tempio  di  Venere 
e  delle  Mose  !  E  come    ti    dipingono   I   viaggiatori    che 
ostentano  di  celebrarti  !  Uà  chi  può  meglio  descriverti  di 
chi  è  nato  per  vedere  ^  fino  eh*  ei   vive ,.   la    tua   beltà  ? 
ehi^oò  parlarti  con  più  ferventi  e  con  pi&  candide  esor* 
tazionl  di  chionque  non  è  onorato  né  amato  so    non  -^ 
onora  e  non  t'ama?  Né  la  barbarie  de'  Gtoti,.  né  le  «ni- 
■oosità  provinciali ,  né  le  devastazioni'  di   tanti   eserciti  ^ 
^    spense  in  qnest'  aure  quel  f noce  immortale  che  animò  gli 
Ktraschi  e  i  Latini,  che  aoimò  Dante  nella  calamità  del* 
^   l'esilio,  e  il  Machiavelli  nelle  angosce  della    tortora,    e 
Galileo  nel  terrore  della  Inqoisbione,  e  Torquato  oella- 
vita  raminga ,  nella    perseeozione   de^  retori ,    nel    laogo 
amore  infelice.,  nella  iagralitndioe  delle  eorti  ^    né    tutti 
questi  né  lant^  altri  grandissimi  ingegni ,,  nella  doinestica 
povertà.  Prostratevi  su^  loro  sepolcri ,  loterKogoteli    come 
furono  grandi  e  infelici ,   e  come   I*  ^nMt  della   patria  ^ 
della  gloria  e  del  vero  accrébbe  la  costanza  del  loro  cuore  > 
la  forza  del  loro  ingegno  e  i  loro  beneficjj  verso  di  noi  K 


1  Ho  gittdicAfeo  opportuno  di  prendAP  cong»&  da-*  miei  Lettori- con  qneslik 
tlsortasUone,  la  quale  h  piena  di  nobili  leatimenti  e  di  utili  TerStk;  sebbene 
ih  qualche  l>«rte  posaa  atece  bisogno  di  una.  prudente  inteipretasione..  Con-^ 
»ideiando  oca  questi  volumi ,  non  40  s*  io  debba  ^rare  àw  lo  studioso  H 
(rovi  quella  immagine  della  nòstra  letteratura  eh*  io  m*  era  proposto  di 
xappret«ntai^U.|  e  sento  il  bisogno  di  rkordart  .che  li  compilai  In  serri-^ 


ftECOlO  DECItfOTTATO  609 

fio  dei  giovani  desidaros»  d*  iniziarsi  allo  studio  detti  ktt«r«  itaKana.  Se 
questi  gioTani  si  contentassero  di-  quel  poco  eh*  io  potei  metter  loro  dinan- 
ai ,  conoscerebbero  al^  certo  troppo  imperfettamente  la  nostra  letteratura  e  1» 
nostra  linj^a  :■  però  io  primo  di  tutti  lì  esoi4»  a  rifarsi  da  capo  ed  a  stu- 
diare nelle  opere  dei  nostri  grandi  scrittorù  Cbe  se  questi  volumi  avranno 
«ontiibftito  ad  accenderli  nel  desiderio  di  una  più  ampia  cogniaione ,  o  po- 
te'anno  servir  loro  di  guida  negli  studi  ebe  intraprenderanno  da  se ,  io  avrò 
eonseguito  pienamente  quel  firutto  che  può  promettersi  chi  si  Ci  a  compilare 
un'  Antologia.  — •  Il  rispondere  poi  a  coloro  che  voleasevo  domandarmi  per- 
chè io  abbia  omesso  il  tale  o  tal  altro  autore  ,  vorrebbe  un  troppo  lun^o 
discorso  :  dove  1*  omissione  paJA  dannosa ,  potrk-  ammendare  il  dijietto  del 
mio  libro  chi  dppo  di  me  vorrii  pigliare  una  somigliant*  letica.  Soltanto  di- 
spetto al  Cvoldoni  mi-  par  necessario  di  dire  una  qualche  parola.  Qualunque 
aia  il  pregio  in  cui  debba  tenersi  il  Goldoni ,  1*  Italia  non  ha  chi  lo  vinca 
come  autore  di  commedie  >  bb»  come  scrittof  non  può  assolutamente  pro- 
porsi ali*  imitasione  dei  giovani.  Per  questa  cagione  io  Tho  escluso  da-*  miei 
volumi  ;  e  rimetto  gli  studiosi  a  lej^me  per  intiero  almeno  le  commedie 
più  belle  nella  Scelta  che  ne  ha  data  V  egref^  Doti.  Gherard&ni  coi  tipi 
de*  Glassici  Italiani. 


FflIB    PEL    tECOf.»  DVCilfaTTlfa 


IINDICE  DEGÙ  AUTORI 


ALFIERI  VITTORIO PAO.  43t 

Opere,  lulia  (  Pisa  ) ,  1808 ,  voi.  aa  ia  4.^  •*-  Opere  Sceiu,  Mi- 
lana ,  Bettolìi ,  1822 ,  Tol.  5  in  8<.*  ;  edisione  belU  e  eorrettiisima. 

▲LGAROTTI  f^RANGESCO »  Soy 

Opere-  VeoesÌ4 ,  Palese,  I79t-1794^  voi*  '7  >>  8*^  —  O/mt* 
Scelu,  Milano ,  Tipo^.  de*  Class.  Ital.  »  l823  »  voi.  3  in  8.^. 

9ARBAZ^  A.  ANDREA ....•....««a^ 

la  varie  BaccolU» 

BARETTI  GIUSEPPE •.••.•...••  533 

La  Frusta  Letteraria,  Royeredo,  1763-65»  toI.  3  in  4*^  -^  Let» 
tare  Familiari,  Milano  e  Yeneiia,  1762*63,  voi.  a  in  8.*  —  «Kn'Mi 
SedU.  Milano  ,  Bianchi  e  G. ,  i8aa-a3 ,  voi.  a  in  8.**. 

BARTOLI  DANIELLO 1»  l35 

Istoria  deUa  Compagaia  di  Gesà.  Roma  de*  Lasseri ,  l653-^3 , 
voi.  5  in  foglio.  —  L* Ana,  Piacensa,  Del  Maino,  l8l9-ax«voL8 
in  8.^  — -  Opere».  Torino,  Giacinto  Marietti,  l8a5,  in  8.**-  Edis.  non 
ancora  compiuta. 

BENTIYOGLlO  GUIDO •  loX 

Per  le  Bìfiazìoni  si  vegga  1*  edisione  d*  Anversa ,  Gio.  Meerixeeio , 
1629  ,  in  4***  —  P«r  le  Lettere  quella  di  Roma ,  De  Rossi ,  l654  # 
in  8>**  — •  Per  la  Storia  della  guerra  di  Fiandra  veggasi  1*  ediaiooe  laltn 
in  Milano ,  Tipogr.  de'  ,Glass.  ItaL  j  1806-7 ,  voi.  5  in  8.^. 

BEUTOLA.  AURELIO  DE*  GIORGI «^ 

Favole.  Pavia,  1788  »  in  la.*,  —  Poesia,  Aaconn ,  Sartafi ,  l8l5  , 
voi.  6  in  16.* 

BETTINELLI  SAVERIO •5X1 

Opere,  Venesia  ,.ZatU,  1789,  voi.  8  in  8.?  —  Del.RisargimenlB 
d'Italia,  Milano,  Cavalletti  .e  G. ,  1819,  voi.  4  in  12.^ 

BONDI  CLEMENTE »  557 

Poesie.  Vienna  ;  G.  V.  Degen ,  1808 ,  vel.  3  in  4>** 
BUOMMATTEI  BENEDETTO  .........     ^    ...    e  287 

Della  Lingua  Toscana,  Milano»  Tipogr«  de*  Gloas.  ItaL,  1807, 
voi.  2  in  8.*. 

GASSIANI  GIULI4NO. .. »  507 

Saggio  4i  Mimei  Lucca ,  1770  ,  in  4«*  — *  Ed  in  vari*  Baecolte* 


6lS  IROICE    IMEGLt   ACTTOKI 

CEARBTTI  tOIÒI  .     .     .    .    .    .    .     .     ,     ,     .     i,    .    »    ,     .    FA».  5a3 

Poesim  e  /Vo^e.  MiUao ,  DetUfanù  »  iSiS,  iol.  a  in  8«*«    '* 

CESARI  ANTONIO .     .   ' »  5j^ 

Le  GroMié,  Veroaa ,  Ramauim ,  i8l3  tìn^^  —^  La  Vita  di  Gesà 
Oisto.  Ib,  Merlo  ,  1817  ,  ▼•!.  5  in  8.*  ì  e  Milano ,  Silvestri ,  l8^, 
ToL  6  in  la.**  —  BeUesta  delia  Commedia  di  Dante  Alighieri.  Ve- 
rona ,  Libanti ,  l8a4  *  ^ol-  3  in  8.°   —   Prose  Scelte.  Milano  ,  Sii- 
wstri,  i83o,  in  la.*  —  La  Lettera  altJlgarotii  citaU  trovasi  col- 
1*  Antìdoto  p^  giovani  stMtdiosL  Verona  ,   libanti ,    18^ ,    In    8.*  ^- 
Iiodate  sono  molte  altre  Opere  originali  o  tradotte   in   separate  etti- 
aioni  che  qui .  per  brevità  non  si  citano*  • 
GHIABRERA  GABRIELLO     ............     ^     .    ir    af 

Opere.  Veneti»,  Geremia  ,  1730^  vot.  a  in  8.*  -«  Itìme:'  Mila- 
no ,  Tipogr.  de*  Class.  Ital. ,  1807  ,  voi.  3  in  8.* 

CRUDELI  TOMMASO ,     .     .    >     .  ^     »  4^ 

Rime  e  Prose.  Parigi  (Pisa),  Molini ,  b8o5,  in  la.^    - 

DATI  CARLO t    ....**  aetf 

Vite  de^  Pittori  antichi,  Fircnce,  alla  Stella,  1667^  in  4.*;  Uà- 
poli,  Francesce  Ricciardo,  l73o,  in  4*^* 

DAVILA  ARRIGO  CATTERINO «95 

Storia  delle  guerre  ciwli  di  Francia,  Venesta ,  Hertshanser,  1733, 
voi.  a  in  foglio.  Milano ,  Wpogr.  de'  Class.  Ital. ,  1807  ,  voi.  6  in  8.*. 
ftf.  Fontana,  1829,  voi.  .4  in  8.*.     • 

DONI  GIAMBATTISTA Jt    ....•«•  a68 

L'  Ofasione  citata  è  di  Firenae ,  Massi  e  Landi^  1643»  in  4.*. 

FANTONl  GIOVANNI. .....«.»  4^7 

Poesia.,  lulia  ,  i8a3 ,  toL  3  in  8.*. 

PILIGAJA  VINCENZO ,     .    .    ., *  aro 

Poesie  Toscane,  Firensie ,  Matini,  1707,  in  4.*.  VeAesia,  Valle, 
x8a3,  voi.  a  in  i6.*. 

FIORENTINO  SALOMONE       .......    ^ »  5a^ 

Poesie,  Pisa,  i8o3 ,  in  8.*;  e  lUtomo ,  ì8l5,  voi.  a  in  i6.*. 

Fp^TIGUERRA  NICOLO* '....•...'.*  3i3 

//  Bicciardetto.  Parigi  (  Veneaia  )  ,  Pttteri  ,  1788 ,  voi.  a   in  4.« 
Milano ,  Tipogr.  de*  Class.  Ital. ,  ]8i3 ,  voi.    3  in  8.*  —  In  Tari* 
RaccoUe  si  trovano  parecchie  Poesie  di  questo  Autwe. 

FOSCOLO  UGO .     »  58l 

L*  edizione  più  copiosa  delle  Opere  di  questo  Autore  fit  t»ubb]i. 

eata  in  MiUnó ,  N.  Bettoni  e  C, ,  i83a  ,  voi.  4  in  l6.* ,  ma  ^   aa- 

sai  scorretta.  —  Le  Poesie  si  hanno   dalla    Tipogr.  de'  Clas».  Ital. , 

.     l83a,  in  i6.*.  —  Per  le  Notìzie  di  Didimo  Chierico  veggasi  Te* 

disione  di  Pisa  ,  Sapieasa ,  l8l5  ,  in  4.». 

FRUOQNi  CARLO  Innocenzo  .   .   ,   .   ,   .    .   ,   .   ^    .    ,   ,3,5 

Opere  Poetiche,  Parma,  Stamp.  Reale,  1779,  voi.  lo,  .— 
SeeUe,  Breicia ,  Berleadis ,  l7$ll-83 ,  voi.  4  in  a*. 


IHIHGE    DEGLI    ACTORI  6  1 3 

PtSCONI  LORENZO ,.     .    .'    rA».  5t3 

In  Turie  Raccolte* 
GALILEI  GALILEO .    «    i>     44 

Opere.  FireoMj  Taitini  e  Franchi,  1718»  toI.  3  in  4*^.  Id,  Pa- 

flora  ,  Manfirè,  1744*  ^''^'  4  '^  4****  '''*  l^^i^i^o»  Tipogr.  de' Glaèc» 
Ital.,  181 1,  Tol.  l3  in  8.^ 

GHEDINI  FERNAND*  ANTONIO «    •.     •  482 

In  Tarì«  Rmccolte, 

GOZZI  GASPARO   . ••  3Sl 

Opa^i  Padova  ,  Tipogr.  della  Minetra  ,  1818^20,  voi,  16  in  8«^— «•    - 
'  Opere  Sc^te»  Milano,  Tipogr.   de*  Class.    Ital.  ,    1821-22,    voi.   5 
in  8<*  —  Mtettere ,  Yenesia ,  Pasquali ,  1755-56.  — -    C^ere   in  versi 
e  in  prosa,  Venesia  ,  Occhi ,  ij56 ,  voi.  6  in  8.**  — >  Sermoni,  Brer 
icia ,  Bettoni ,  1808  ,  in  8.*^. 

GVIDI  ALESSANDRO •    «  23S 

,  Bime.  Roma,  Koniareck ,  1704 »  in  4**  —  i^w»^*  Verona,  Tumeiw 
manij  1726,  in  12.*^  j  e  Milano,  Tipogr.  de*  Clastici  Ital.,  1827-^ 
in  l6.*. 

LAZZÀRINÌ  DOMENICO .     .     .    »  47S 

■Jìime  scelte*  Bologna  ,  Dalla  Yolpe-,  X737  9  in  8.*. 

LBMENE  FRANCESCO "  ^94 

•Poesie  diverse,  Parma  ,  Eredi  Blonli  ,  voi.  2  in  8.*. 

UPPI  LORENZO k     «  273 

.  Il  MalmaiUile  racqvisUd»,  L*  edistone  originale  h  di  Finaro  (  Fi* 
rense  )  ,  Gio.  Tommaso  Rossi  ^  16764  in  la.®  —  Yeggasi  ancht 
quella  de*  Class.  luU ,  Milano ,  1807  ,  in  8.°.  Ye  n'  ha  una  di  Fi* 
venie ,  1750  ,  voi.  2  in  4*^  coXiie  note  del  Salvini. 

MAGGI  CARLO  MARU *  ^ 

itime.  Milano ,  llalatesU  4  1700»  voi*  4  '°  '^***'^ 

MANÀRA  PROSPERO  .....:.... v     •  5l« 

Poesie.  Parma,  co*  tipi ■  Bodoniani  ,•  x8oi ,  voi.  4  i»  SA 

MANFREDI  EUSTACHIO .     «  3o$ 

Bime  e  Prose,  Bologna ,  Dalla  Yolpe ,  1760  ,  in  8.*« 

MARATTI  FAUSTINA *  292 

In  alcune  Raccolte  ,  e  eolle  Poesie  del  Zappi  suo  marito. 

MARCHETTI  ALESSANDRO 3»  '293 

Rime,  Yenesia  ,  Yalvasense  ,  1755  ,  in  4*** 

MARINI  GIAMBATTISTA .     .     •  290 

Rime  sacre  e  privane.    Yenetia  ,  Giunti  «  x6o2  ,  in  4*^  -^  X»  À^ 
done.  Parigi ,  Oliviero  di  Varano  ,  1623. 

MAZZA  ANGELO v  527 

Opere,  Parma,  Paganino,  1816-1819,  voi.  5  in  8*^ 

MENZINl  BENEDETTO  . .     .     .     *  211 

-     X*  jérte  poetica,  Roma,  per  il  Molo  ,  1690  ,  in  12.*  — •  JLe  Opere*    . 
Firenae ,  Tarliai  a  Franchi ,  1731* 32  ,  vói.  4  io  4**** 


~6f^l  mplGE    DE«LI    AUtOIII 

METJlSTÀSlO  PIETRO •     »     VAO,  BaS 

Opare,  Parigi,  Vedova  Herìssant,   1780*63 »  voi.  la  in  8.**  — *  /<f« 

•  Milano,  Si|ve«lrì,  i3i2Ì ,  voi,  13  Ì9  1.2A  Id,  Ifaptora,    Caranenti» 

X8l6,  voh  ai  in  13.^— (^«re  Drammatiche*  Milano,  Tipogr.  de* 

Clau.  lui.  ,  1820  ,  voi.  5  in  8."  —  Le  ttuse,  ib,  ib. ,  1838 ,  voU  14 

in  i6.*. 

MUiZONI  OJNOFRIO.    ...................  5l8 

Mime  e  Prose,  Venesia ,  Tipogr.  Pepoliana  ,  1794»  in  8.*>  — -  i2*- 
fne.  Pavia  ,  Baipassare  Gomini ,  17^ ,  in  I3.% 

MONTI  VINCENZO »  558 

Poesie,  Milano ,  FonUna ,  i83o ,  in    8.*.    /A   Tipogr.   de'  CWm. 
.  Itti. ,  1835*37  ,  voi.  8  in  iQ."*  —  L*  Edisione  più  compiuU  è  quella 
a!  lUlia  (  jiologna  )  ,   1821-28  ,  voi.  8  in.  I$.«.. 
Bella  è  1*  edisione  delle  Opere  ine^it^  o  rare  che  vien  pubblicando 
:       -in.MUai^o  il  I^ampat^.  -7-  Pel|a  Proposta  fi  Jbaqno  due  «disioni  mili^     > 
■  «OM ,  r  ma  d«lU  SUlnperia  Raalé  ,  V  altra  del  FonUna. 

PAtCANILlflOI    ......    ^     .^    ,.     , •  547 

Opuscoli.  Bologna  ,  I.aecliesini,  in  S.^ì  e  Milano,  Silvestriy  x8l7t 

'    .  in  i6.* - 

PARADISI  AGOSTINO.,   .     , ( »  5l^ 

,Poesie  ej'rose.sc^te,  Rjeggio  ,  Fiac(adprì«  1837 ,  toI.  a  in  li*. 

PÀRINI  GIUSEPPE .    •  394 

Opere,  Milano  ,  SUmpeòa  del.  G^oìq,  |8qi-4,  yol.  6  in  S.*,  pe»    ; 
•  cura  dell*  «tv.  Reina.  ~^  J\«#i«  Scelte.  Mìiaao  »  Bemardoai ,  1814  , 
in  I3.«j  edikioae  diligentss^ikia* 
PAS«ERONI  GIAN  CARLO    ..•••••••..•••-  38l 

//  Cicerone.  Milano ,  1756-74  »  voi.  6  in  8."  —  Favole  BsopioM,  ec . 
c":  ^MiIa^o,,I775«  voi.  .9  in  13.?.  Ed.an^he.in.  vprie  Baccoke, 

PASTORINI  GIAMBATTISTA   •,••••* »    «474 

<  :'        In  aloitne  Kficcolte.    ,     ,     , 

PERTICARl  GIVUO     .....,.-• «573 

Opfre^  Alcune  opere  ^i  trovano  nelle  edisiouBt  della   Proposta  dal 
Monti.  —  Altre  ne  pubblicò  il  SilveMri  in  Milano,    i8a3,   voi.   a 
».       'cinia,'.  .Le.  edisipoi  più  compiute  sono  quelle  di  Bologna,  Veroli« 
voi.  3  io  8.*  ;  e  di  Mi)aoo>,  Beltoni  «  G. ,  x83l  ,  voi.  5. 

;  WGNOTTI  LQ.RENZO.     .....;,... ,5^ 

Favole  0  Poesie,  PUa,  Pieraccini  »  1783,   in  8."*   -.    Poesie.    Fi- 
rense^  Molini ,  1820,  in  la.?.   .     .^ 

PINQEMONTE  IPPOLITO     ...;...» »  5fo 

Poesie  e  Prose  Campestri.  Verona ,  Mainaxdi ,    1817  ,   in    8.*    — 
tln,  bel  vojnme  di  Poesie  (  compresa  anche  V.  Odissea)  ne  dU  om 
il  Fontana  iq  Milano.  —  Elogi  dei  Letteratì,  Verona  «  Libanti,  l8a5-a5, 
i         V0.I.  3  in  8,*. 

REDI  FRANCESCO I$S 

Le  Opa-e.  Oltre  airediaione  dei  Clauiù  Ital.»  MUano,,  1809-11, 


INDICE    DEGLI    AOTORf  6|5 

Vo).  9  ìd  8.-^»  abkUmo  quella  fatta  in  Venesia  pet  Gabriello  Hellt,    ^ 
1713,  voi.  3  in  4*'*  —  P«r  1«  Zettete  reggasi  V  ediaioiM  di  Finn- 
M,  GamLiagi ,  1779»  voi.  3  in  4*^* 

RÌRirCCINI  OTTAVIO PM.    i4 

Drammi  Musicali*  Livorno,  Masi  0  C.,  l8oa ,  In  8.**  —  Il  Jfar» 
cUo.  Roma ,  Poggioli  ,  1829 ,  ijn  8.^ 

ROBERTI  GIAMBATTISTA »  Sl^l 

Qper9,  Banane ,  ReoBondini ,  1797  ,  voL  x5  in  x6»*. 

ROLLI  PAOLO    ....;.. *    .    i>  483 

'  CompMimentì  Poetici,  vienesia  ,  Occhi  ,  1761 ,  in  8.^   —   J^ime,        : 
Londra  ,  Piekard  ,  I717  ^  in  8.^. 

ROSA  SALVATORE ;..».»  al63 

Xe  Sàtbr,  AntstordoBiy  per  Setero  Protoma<liB.  Se  ne  kanno  pia, 
edÌÉioni. 

ROSSI  QUIRICO «.........,«    «  49B 

In  Tarie  Maccolle, 

SALANDRI  PELLEGRINO      x .     •     .     ^    ^     »  5lS 

Poesie.  Reggio ,  Torreggiani  e  G. ,  1824  1  in  16.*. 

SALVINI  ANTON  MARIA. ...»  35» 

Phfse  Toscane.  Firense ,  Ouiducci  e  Franchi,  iJlS  f   in    4>*  *^ 
Ph>se  Sacre,  Firense,  Tartini  e  Franchi,  1716,  in  8<*  -^  Discorsi 
jiccademici.    Firenae  ,  Ant.  M.  AlhisaìDi,  1713 ,   in  4**  — >  t^ei*   1*' 
Versione  di  Senofonte  Bfuié ,  ti    veggano   le    ediaìom    di   Londra , 
Pi4ìkard  ,  1733  ,  in  la.**  ;  e  di  Parigi ,  Renouavd  >   1800  ,   in   13.* , 
riToduta  da  E.  Q.  Viscootk 
SATIOLI  LODOVICO  ..................  5»4 

Amori,  Grisopoli  »  costipi  Bodoniani,  1795,  ili  4*^  *"**  '■'■gi, 
Molini ,  X795 ,  in  8.®  '—*  Poesie  Scelte,  Milano  ,  Tipogr.  de*  Clau. 
Ital. ,  i8a8,  in  iG.*". 

SEGNERI  PAOLO «    .    .     »  175 

Pel  Quaresimale  si  veggano  I*  edisione  di  Firenie ,  Jacopo  Sa- 
halini ,  1679  >  ''^  foglio  ;  e  quella  della  Minerva  di  Padova  ,  1826  » 
voi.  3  in  8.*'  —  P«>i  Panegirici,  Firense,  Matini ,  1684 ,  ^ 
13.*  —  Il  Cristiano  istruito.  Firenae  ,  Stamp.  di  S.  A.  R.  ^ 
1686 ,  voi.  3  in  4<*^  — •  I^n*  edisione  di  tutte  le  Opere  sfa  ora  &• 
«ondosi  in  Torino  dalla  Soc.  tipogr.  libr. 

SEMPRONIO  GIO.  LEONE .     .     .    »  ^ 

In  varie  Raccolte. 

SFORZA  PALLAVICINO »  l56 

La  Storia  del  Concilio  eli  Trento  nella  sua  integrìtk  fu  stampata 
in  Roma  per  Biagio  Diversin  e  Felice  Cesarotti ,  1664  »  E.  3  in  ^.**.i 
poi  separata  dalla  parte  eontensiosa  fu  stampala  pure  in  Roma  da 
Giuseppe  Corvo,  1666 ,  in  foglio ,  e  ultimamente  dal  Silvestri  in  Mi- 
lano. — ->  L*  Arte  della  Perfezione  Oistìana.  Rema  ,  Bernabò ,  x665  » 
in  8."*  ;  •    Milano    Gio.  Silvestri ,  1827  ,  in  X2.°. 


6i6  ìboicb  degli  AOTomi 

STOLyEtdtUììCtOrBiKTlSTk ...>..     PA^.-tó 

Za.Co/tò^nnVMie.  VefoM,  Garattoni,  1758,    in   4'*  »   •    P*^^  » 
Slamo,  del  Seminario,  1810  ,  ia  8*^* 
T^GUAAUCCHI  GIROLAMO    .     .     .     ...     ......     .     •     •     •     "475 

JVwe  e  Poesie,  Torino^  Ifaireast,  lySS,  in  8.*  *— .  Bagitnimménio 
àtlarmo  alle  unuute  lettere,  Veneaia,  Tip.  d' Alviso^lV,  l83o,  in  l6.». 

TASSONI  ALESSANDRO ,.,../•    «5 

L%  Secchia  rapita,  Modena ,   SoUmì  ,   1744  »  in  4'*   —   Fuuiai 
'    diversi,  Veneaia ,  Brogiolo,  1627,  in  4-^-    ... 

TESTI  Fra.yiO. ^,.•-•115 

Opere  scelte,  Modena ,  Social  tipogr. ,  1817  »  toL  A  In  8.*^ 

TAIANO  ALFONSO  .  .. .     .     •.   •    •    •     •    i-    -    »  ^* 

Opere  Poetiche,  Parma,  SUmp.  R«al«  ,    17^ •   '*>*•   ^   ■»    '*•*» 
e  Veneaia ,  Palaie,  l8o5 ,  wl.  4  in  8.»  —  Opere  Scelte,   Milano., 
'    Tipogr.  de'  Class.  luL ,  1818  ,  in  8.^  .     . 

ZANI  TERESA ,    ^    ,„ ,.     .    -  4Sa 

In  alcune  Raccolte, 

KANOJA  GIUSEPPE     .,..•.••.. % 

Sermom,  Sfilano ,  Mussi ,  1809 ,  in  8.^. 

ZANOTTI  FRANCESCO  MARIA .,....,.--4^ 

Opere   Sbelte.    Milano ,   Tipogr.   de*  Class.   Hai ,   1818  »    voi.  st 
in  8.*  —  li  Palcani  ne  puliblicò  tutte   lo  Op«n  italiane   a  latina  s 
Bologna  ,  Tipogr.  di  San  Tommaso ,  1799 ,  toI.  9  ia  4**** 
ZANOTTI  .GUMPIETRP  ..............•*•  477 

Fita  di  Eustachio  Manfredi,  Bologna,  DiaUa.  Yplp^^,  1745 »  in  4-*- 
ZkX91  G.  B..  FELICE -.,..- ♦.  . ,  •     •     •  ^Q* 

Bime,  Veneaia^  ^l^^*  T?^^  Ì"  ^^*' 

-»  _^*<»-*-  '  »^  >-  — ^  '•  ^  *     .  *  '         * 

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