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Full text of "Memoires de l'Academie Royale des Sciences (Turin)"

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MÉMOIRES 


D  E 


L'ACADÉMIE    IMPERIALE 

DES     SCIENCES, 

LITTÉRATURE    ET    BEAUX-AE.TS. 


O  M  3  M 


é^TMigi^u 


y  'H'  n  vf  .'^(  T  '^  '>     ;>  T  r' 


MEMOIRES 

D  E 

L'AGADÉMIE     IMPERIALE 

DES     SCIENCES, 

LITTÉRATURE    ET    BEAUX-ARTS 

DE    TURIN, 

POVR   LES    ANNÉES    XIl   ET    XIII. 


LITTERATURE 

ET     BEAl'X-ARTS. 


TURIN, 


UK    l'iMPRIMERIE    de    l'aCADÉMIE    imperiale    DES    SCIENCES. 
A  r«   oc  I  n  —  1 8  o  5. 


n 


NOTIZIA    DE'  LAVORI 

DELLA    CLASSE 

DI    SCIENZE    FILOSOFICHE,     DI    LETTERATURA,    E    BELLE    ARTI 
PEL      CORSO      DI      QUATTRO      ANNI. 

FRANCESCO     RE  GIS 


segretahio   della    classe,    e   rnOFESSonE    di   eloquemza 

NEL  l' ATENEO. 


D 


AL  di,  che  ristabilita  l' Accademia  di  Torino  quasi 
a  noi-ma  dell'  Instituto  Nazionale  di  Parigi,  venne  questa 
Classe  a  quella  delle  scienze  fisiche  ,  e  matematiche  asso- 
ciata ,  non  tralasciò  ella  mai  di  adoperarsi  con  tutto  il  possi- 
bile zelo  negl'  importantissimi  studj ,  che  come  suoi  pro- 
prj,  e  particolari  le  furono  dal  Governo  assegnati.  La  mo- 
rale, e  politica  depositarie  di  tutto  ciò,  che  a  schiarare,  e 
reggere  l' uomo  in  suo  essere  privato ,  e  in  bene  ordinata 
società  si  richiede  ;  la  metafisica  dispeusatrice  primiera 
di  cognizioni,  e  guida  verace  dell'umano  intendimento; 
la  letteratura  per  ogni  parte  nel  vastissimo  suo  dominio 
largitrice  di  lume,  e  di  magistero  a  ben  intendere,  giu- 
dicare, e  comporre;  le  belle  arti  con  nobil  gara  appli- 
cate a  conservare,   ed  aggrandire  il  ricco  lor  patrimonio; 


(  'O 

ecco  il  mnltiplice  scopo,  a  cui  stati  sono  senza  inteimis- 
sioue  i  Involi  di  lei  alternativamente  indirizzati.  Or  di 
questi  ufficio  mio  egli  è  il  porgere  al  pubblico  una  qual- 
che notizia  ,  la  quale  dal  principio  di  ventoso  dell'anno 
IX  partendo,  e  sino  al  fine  di  piovoso  dell'anno  XIII 
arrivando,  presenti  come  sotto  un  sol  punto  di  vista 
tutto  quello,  eh'  ella  andò  in  tal  periodo  di  tempo  ope- 
rando. La  multiplicità  di  essi,  e  la  legge,  che  mi  è  im- 
posta si  di  essere  breve,  e  si  di  astenermi  da  elogi,  mi 
obbligano  ad  accennarne  solo,  come  fra  termini  di  picciola 
tela,  i  disegni.  Ma  da  quel  poco  che  ne  dirò,  e  dal  con- 
fronto ,  che  se  ne  potr:\  fare  sulla  lettura  di  quelli,  che 
nel  primo,  o  nel  secondo  volume  sono  già  distesamente 
stampati,  ognuno  di  leggieri  vi  scorgerà,  se  non  altro, 
una  fedelissima  testimonianza,  che  la  Classe  allo  avanza- 
mento de'  suoi  studj  ella  è  con  tutto  l' ardor  maggiore 
consacrata.  E  come  1'  ordine  in  questo  genere  di  cose 
soprattutto  agevola  la  precisione,  allontana  le  ripetizioni, 
e  dà  luogo  alla  varietà,  mi  è  perciò  pai'uto  dovere  ciascun 
lavoro  sotto  a  quegli  articoli  di  scienze,  lettere,  ed  arti 
a' quali  appartiene,  ordinatamente  raccorre,  con  premet- 
tere eziandio  alla  testa  di  ogni  articolo,  e,  dove  occorra, 
di  ogni  sezione  di  articolo,  quel  tanto,  che  a  dar  luce, 
o  avviamento  a'  sottoposti  argomenti  sembrerà  non  inop- 
portuno. 


(  III  ) 

Morale,    e    Politica. 

Se  r  antichità  è  quasi  un  carattere  di  errore  per  le 
idee  di  fisica  ,  ella  lo  è  per  lo  più  di  verità  per  le  idee  di 
morale  ,  e  politica.  Nacquero  ,  si  può  dire ,  queste  due 
facoltà  col  mondo  ;  perchè  col  mondo  sorsero  i  doveri 
dell'  uomo  ,  che  sono  1'  oggetto  della  morale ,  sorsero  i 
vizi,  a  frenare  i  quali  per  ben  delle  città  dovea  mirare 
la  politica.  R  sebbene  l'  una  per  dirigere  1'  uomo  trasse 
poi  gran  prò  dalla  luce  del  cristianesimo,  e  l'altra,  non 
ostante  il  dotto  retaggio,  che  le  venne  dagli  antichi  fi- 
losofi ,  ebbe  pure  mestieri  di  ben  altro  capitale  di  suc- 
cessive cognizioni  per  governare  le  nazioni  qua  e  là  di 
presente  sulla  superficie  dt-lla  terra  distribuite;  ad  ogni 
modo ,  chiunque  profondaudosi  nel  cuor  dell'  uomo ,  e 
nella  storia  anJrà  interrogando  l'uomo  stesso,  e  le  so- 
cietà, potrà,  fio  da' tempi  più  remoti  incominciando, 
rinvenire  passo  passo  schiarimenti,  onde  adunare  molte 
verità  sparse ,  proscrivere  molti  errori  mal  conosciuti , 
legare  meglio  tra  loro  le  idee  e  le  passioni,  gettar  lumi 
sulla  legislazione,  porre  in  veduta  ciò  che  conserva, 
indebolisce,  distrugge  gli  Stati,  additare  finalmente  agli 
uomini,  e  alle  comunanze  loro  quella  felicità,  che  ne  è 
sempre  o  troppo  lontana  ,  o  troppo  di  tenebre  ingombra. 
Entro  a  questi  limiti  colle  loro  penne  spaziarono  parecchi 
Accademici ,  senza  intanto  gir  mai  dietro  a  fallace  chia- 
rore di  sistema ,  che  volcudo  tutto  schiarare ,  suole  oscurar 


(IV) 

tuffo,  e  senza  né  anche  portare  mai  erdita  la  mano  a 
discoprire  certi  misteij  di  governo,  che  nel  santuario 
del   ministero  vogh'ono  rimanere  nascosti. 

Il  signor  Bava  S.  Paolo,  in  un  discorso  che  destinò 
a  precedere  una  sua  maggior  opera  su  i  progressi  delle 
Scienze,  dell'Arti,  e  de' costumi  dal  secolo  undecimo 
dell'Era  cristiana  sino  al  diciottesimo,  dà  un'  occhiata 
alla  seguita  rinnovazione  de'  buoni  studj  nel  secolo  XV, 
alle  fortunate  invenzioni  della  bussola,  della  carta,  della 
stampa,  della  polvere,  e  delle  armi  da  fuoco,  alla  sco- 
perta del  nuovo  mondo ,  del  nuovo  passaggio  per  l' Indie 
orientali;  tocca  i  varii  effetti  ch'indi  ne  sentì  la  navi- 
gazione, lo  spirito  umano,  la  milizia,  la  morale;  fa  sopra 
gli  altri  nel  secolo  decimo  settimo  campeggiare  questi 
due,  il  feudalismo  distrutto,  l'ignoranza  dissipata;  e 
mostra  finalmente  come  l' Europa  era  già  nel  secolo  diciot- 
tesimo in  istato  di  formarsi  a  migliori  sistemi  politici, 
e  di  ergersi  nelle  scienze ,  e  nelle  arti  a  un  grado  da  lei 
sin  allora  non  conosciuto. 

-  .  Ju  un  altro ,  che  denominò  paììngénésie  de  loute  espèce, 
addita  i  perpetui  cangiamenti,  a' quali  l'universo  ,  quanto 
nella  fìsiea,  tanto  nella  morale,  e  politica  economia  delle 
nazioni,  e  degl'individui,  egli  è  con  frettolosa  alternativa 
sottoposto;  e  a  vedere"  ne  dà  poi  sensibilmente,  come  in 
mezzo  all'universale  continuo  sconvolgimento,  due  sole 
cose,  la  verità  nel  mondo  fisico,  e  la  religione  nel  mo- 
rale, stabili  ed  immote  rimangono. 

E  in  un  altro ,   che   intitolò  Coiip-cfoeìl   sur  le  ragne 


(  o 

do  Charles- ]\lugn e ,  dopo  avere  accennato  i  natali  di 
cjuesto  Eroe,  le  circostanze,  in  cui  salì  al  trono,  e  le  eccel- 
lenti disposizioni,  che  vi  apportò,  con  una  rapidità,  qual 
a  sì  fatto  titolo  conveniva,  discorre  sul  modo,  col  quale 
pose  freno  a' disordini,  massimamente  dal  governo  feu- 
dale originati,  sulle  leggi  riformate,  od  accresciute,  sulla 
disciplina  nelle  truppe  introdotta,  sulla  quiete  al  didentro 
assicurata,  sulle  conquiste  gloriose  fatte  al  di  fuori  ampia- 
mente :  riflette  all' attiva  ,  e  illuminata  politica  ,  che  tenne 
verso  la  Possanza  ecclesiastica,  alla  magnifica  protezione , 
onde  favorì  le  lettere  da  lui  riconosciute  le  sole  capaci 
di  diradare  le  tenebre  della  sua  età;  ne  tiapassa  alcuni 
difetti,  che  in  esso  riconosce  pure  la  storia:  ma  osserva 
sparir  questi  all'aspetto  della  prima,  e  'piìi  luminosa  virtìi 
de' regnanti,  voglio  dire  della  giustizia;  e  fermatosi  al- 
quanto a  guardare  come  eminentemente  la  possedè,  come 
nelle  più  maravigliose  maniere  la  esercitò  ,  termina  il 
suo  assunto  con  un'  allusione  che  ne  sorge  spontanea- 
mente a  onore  di  chi  a'  nostri  tempi  ,  aggiuntavi  la 
qualità  di  fondatore ,  si  può  come  la  più  perfetta  im- 
magine di  quel  Monarca  conquistatore  riputare. 

Il  signor  Giaufrancesco  Galeani-Napione  in  una  sua 
lezione  entra  in  quella  parte  dell'  amministrazione  poli- 
tica, che  riguarda  le  finanze,  parte  del  governo  come  la 
più  interessante,  cosi  la  più  intricata,  raccoglie  certi 
principi  fondamentali  di  questa  scienza ,  tratti  per  Io  più 
da  antiche  memorie  di  valenti  ministri  Piemontesi;  e 
presenta     alcune    particolari    riflessioni    suU'  aumentar    la 


(VI) 

rtionela  in  generale,  e  sul  coniar  quella  di  rame,  due 
operazioni,  le  quali,  mal  eseguite,  furono,  e  saran 
sempre  alle  pubbliche,  e  alle  private  fortune  diserta- 
menlo,   e  ruina. 

In  un'altra,  volgendosi  all'economia  pubblica,  materia 
anch'essa  di  grande  rilievo,  e  con  grande  disparità  di 
opinioni  da  uomini  grandi  trattata,  cerca  particolarmente, 
se  in  uno  Stato  di  terreno  fertile  più  si  debba  favorire 
r  estrazioge  delle  materie  prime,  o  quella  delle  manifat- 
ture; e  con  precise  definizioni  valevoli  a  dichiarare,  e 
stabilire  la  natura,  e  i  limiti  delle  materie  prime;  con 
politici  divisamenti  sul  multiplice  scopo,  e  soggetto  delle 
manifatture;  con  varj  sguardi  su  la  qualità  de'paesi  di 
natia  fecondità  arricchiti ,  ne  prepara  a  risolvere  il  gran 
quesito,  cioè  se  in  uno  Slato  ubertoso  meriti  più  di 
essere  promossa  l'industria,  o  l'agricoltura,  argomento 
di  disputa   tra  due  sette  di  filosofi  economisti  interminato. 

Il  siguor  Prospero  Balbo  in  un  discorso  anche  eco- 
nomico-politico cercò  di  ridurre  al  giusto  suo  valore 
la  volgare  opinione ,  che  attribuisce  al  Piemonte  una  fer- 
tilità grandissima.  Certo  un  si  fatto  vantaggio  della  patria, 
quando  ci  fosse,  dovrebbe  esser  caro  a  ciascuno;  ma  se 
il  magnificarlo  troppo  potesse  mai  o  diminuire  la  in- 
dustria, e  la  sollecitudine  degli  abitanti,  o  dare  a  coloro 
che  partecipano  nel  maneggio  de' pubblici  affari ,  una  mal 
misuiata  idea,  ottima  cosa  fa  colui,  il  quale  con  veri- 
dica penna  piglia  a  rettificare  su  di  un  tal  soggetto  il  poco 
diritto  pensamento  comune.  Ciò  fa  per  1'  appunto  l'autore. 


(     VII    ) 

Nella  coltivazione,  die' egli,  la  piia  importante,  cioè  deJ 
frumento  ,  la  proporzione  del  prodotto  colla  semenza  è 
presso  noi  interiore  a  quella  ,  che  altrove  si  osserva  ;  la 
qualità  eziandio  del  frumento  nostrale  è  men  piegevole 
di  quel,  che  sia  in  altre  regioni;  l'abbondanza  de' vini 
non  è  per  noi  cagion  di  ricchezza  ;  la  produzione  del 
riso ,  dopo  la  separazione  del  bel  paese  tra  Sesia ,  e  1  i- 
cino ,  è  ristretta  ad  una  porzione  di  un  «solo  Diparti- 
mento; e  Analmente  quella  delle  sete,  di  gran  lunga  1« 
più  ricca  delle  nostre  produzioni,  trovasi  da  più  anni  • 
in  istato  di  sensibile  decadenza.  Sia  pure  stata ,  aggiugne, 
negli  anni  addietro  considerabile  la  ricchezza  del  Pie- 
monte: ma  questa ,  anziché  alla  naturale  fecondità  del 
suolo,  è  da  attribuire  principalmente  alla  moltitudine  dei 
contadini,  alla  loro  condizione,  al  numero,  e  alla  qualità 
de' buoi ,  all'  eccellenza  dell'aratro  ,  alla  perizia  del  bifolco, 
ed  alla  opportuna  distribuzione  de' capitali,  di  cui  gran 
parte  si  rivolgea  del  continuo  a  migliorare  le  terre.  Sieno 
pur  anche  alcuni  tratti  del  Piemonte  molto  fertili  vera- 
mente :  ma  vuoisi  contrapporvi  l' immensa  superficie  oc- 
cupata da  monti  altissimi,  da  ignude  rupi,  da  eterni 
diacci.  Che  se,  prosegue  egli,  volgiamo  lo  sguardo  a 
monumenti  storici ,.  noi  troveremo,  che  le  guerre  han 
potuto  altre  volte  ridurre  queste  provincic  alla  più  trista 
desolazione.  La  pace  all'incontro  in  meno  di  un  mezzo 
secolo  ha  fatto  quasi  raddoppiare  i  prodotti  della  nostra 
agricoltura. 

La  dimostrazione    di    questa   importante  verità   foima 


(vili) 
l'oggetto  piìiicipale  di  un  supplemento  al  discorso.  Un'al- 
tra appciulicc  contiene  l'estratto  di  tre  opuscoli  sulla 
agricoltura  Piemontese,  che  a  confermare  molte  delle 
asserite  particolarità  giovano  singolarmente.  Né  contento 
ancora  il  nostro  Accademico  di  tutto  ciò,  ond' è  pure 
il  suo  assunto  vittoriosamente  provato ,  impreso  a  fare 
sul  medesimo  argomento  alcune  nuove  ricerclie ,  le  quali 
non  essendo  «per  anco  terminate,  sono  cagione,  die  il 
suo  lavoro,  a  cui  la  classe  diede  già  di  buon  grado 
l'approvazione  per  la  stampa,  sia  al  seguente  volume 
riservato. 

Il  sig.'  Francesco  Grassi  in  un  suo  componimento  letto 
molto  innanzi ,  che  decretata  fosse  la  unione  del  Piemonte 
alla  Francia,  espose  alcune  sue  politiche  considerazioni  su 
i  vantaggi,  che  a  noi  doveano  quindi  risultare.  E  l'aumento 
di  sicurezza,  che  ne  avveniva,  trovandoci  come  appog- 
giati a  uno  Stato  per  forza  propria,  e  per  costituzione 
fermo  ed  inconcusso  ;  il  provento  di  nostro  suolo ,  il 
prodotto  di  nostre  manifatture  ,  ed  arti ,  il  commercio  , 
la  popolazione,  lo  accrescimento  de' lumi  di  ogni  ma- 
niera ,  il  tutto  divenuto  più  esteso ,  e  più  facile ,  erano 
di   tal   soggetto'  ì    punti   principali. 

In  altro  lavoro  storico-politico  ,  lo  stesso  Accademico , 
ad  ammaestramento  delia  gioventù,  presentò  quasi  un 
prospetto  delle  cose  antiche  fino  a  Giulio  Cesare.  Ivi 
sono  i  fatti  principali  delle  nazioni  dal  principio  del 
Mondo  sino  a  tal  epoca  delineati  secondo  1'  ordine  de' tem- 
pi;   si    segue    la    divisione   de' varj    Governi    conosciuti, 


(IX) 

e  qiiosti  per  le  qualificazioni  loro  o  lodevoli,  o  biasi- 
mevoli sono  additati;  si  premettono  le  basi  politiche,  e 
morali  di  ogni  spezie  di  monumenti  fabbricati,  scolpiti, 
coniati,  incisi,  dipinti,  intessuti,  ricamati,  in  poesia, 
in  |)rosa  descritti;  e  con  toccare  un  poco  il  carattere 
de' primi  storici  si  Greci,  che  Latini,  viene  sbozzato,  e 
come  su  breve  tela  posto  sott'  occhio  il  multiplice  diseguo 
delia  storia  antica. 

Il  signor    Cesare    Saluzzo    ne    lesse    similmente  una 
molto  estesa  dissertazione    con   questo  titolo  :    Mémoire 
sur  rutilile  des  études   morales.    Destinolla   1'  autore    a 
dover  precedere  un  suo  saggio  ,  che  sta  lavorando  su'  primi 
principi   della  morale,   oggidì  caduta    pur  troppo   in    un 
certo  non  meritato  disprezzo;  e    vi  piglia    a  mostrare  il 
sommo  vantaggio  ,  che  da  questa  scienza  deriva ,  che  che 
ne  dicano   in  contrario   alcuni   poco   d' accordo    colla   ra- 
gione, e  colla   sperienza.  Comincia  egli  ragionando  a  dis- 
tinguere  dalla  vera  filosofia  ciò ,   che   contro   ogni   diritto 
ne  porta  il  nome ,  come   altresì  da'  veri  filosofi  i  tanti , 
che  così  sono  immeritamente  chiamati:  talché  sulla  falsa 
filosofia ,    e  su'  falsi  filosofi  ricadano   in  fine  i  rimproveri , 
che  la  vera  filosofia,  e  i  veii  amatori  suoi  non  deggiono 
per  nessun    conto    sostenere.  Dopo  scorrendo    pel  vasto 
campo    della    storia,    ne   trae   qua    e  là    a  coufermaziou 
del  suo  tema   vie  piià  forti  argomenti:   e   se  talora   nelle 
età  più  corrotte  s'  abbatte  a  vedere  anche  fiorir  maggior- 
mente gli  studj   fnorali ,  ella   è  anzi  questa   per  lui  una 
prova  novella   della  somma  influenza  di  essi  su' costumi, 

2 


(  X  ) 

r  suirjinimo  di  chi  li  professa.  Di  qui  die' egli  non 
averci  noi  a  maravigliare,  che  i  secoli  de'  Scorati ,  e  de'  Ci- 
ceroni abbiano  dalle  scienze  morali  cotanta  luce  ri- 
j)ortato;  ne  doverci  anco  stupire,  che  il  secol  nostro,  il 
qual  corrotto  è  d'  assai,  sia  per  tal  riguardo  tuttavia 
chiaro  ancora,  e  luminoso.  Al  qual  proposilo  de' tempi 
presenti  aggiugne,  che  se  la  corruzione  non  trovasi 
tant' oltre,  quanto  si  vide  forse  in  altre  età ,  vuoisi  questo 
iu  gran  parte  ripetere  da  que' filosolìci  precetti,  i  quali 
laddove  nelle  tenebre  del  paganesimo  quasi  anche  a'  più 
saggi  erano  oscuri,  od  ignoti,  ora  per  la  luce  del  Vangelo 
sono    a' più   ignoranti  eziandio   chiari,    e   conosciuti. 

Tai  ridessi  presentano  all'  autore  un'  assennala  conclu- 
sione ,  ed  è,  che  se  a  tutti  i  buoni,  e  più  a' più  illu- 
minati dee  esser  caro  lo  studio  della  morale,  tocca 
soprattutto  a  un  saggio  Governo  il  promoverlo,  il  fa- 
vorirlo. Che  a  vero  dire  chi  ha  il  freno  de  popoli  niente 
dee  avere  più  a  cuore,  che  leudtre  gli  uomini  vir- 
tuosi; e  niente  a  ciò  più  efficacemente  contribuisce,  che 
lo  studio  di  quella  scienza,  la  quale  facendoci  conoscere, 
che  la  vera  felicità  si  è  la  virtù,  ne  fa  certi  ad  un  tempo, 
che  il  nostro  interesse  medesimo  ad  essere  virtuosi  ne 
appella. 

Spettante  ancora  al  .presente  articolo  egli  è  un  discorso 
letto  all'  Accademia  da  uno  de'  suoi  corrispondenti,  e  poi 
a  parte  stampato.  Questo  con  varie  osservazioni  politiche 
mira  propriamente  a  far  vedere  i  meazi  più  pronti,  e 
più  sicuri,  onde   avanzare    in  meglio    sempre    l'industria 


(XI    ) 

della  minuta,  e  povera  geutc  nelle  città  principali  del 
Piemonte,  ed  ha  per  titolo:  Mcmoire  sur  la  necessitò 
de  dé<^eIopper,  déleiidre  el  dulilìser  l'induslne  en  Fié- 
moni',  de  M.'  Charron,  commissaire  general  de  police. 

Metafisica. 

Coloro ,  che  la  piìi  frivola  delle  conoscenze  umane 
chiamarono  la  metafisica,  intesero,  io  credo,  parlare 
di  quella,  che  arrogante  insieme,  e  tenebrosa  voleva 
un  di  innoltrarsi  per  entro  a  spazj  non  suoi,  e  discor- 
rere sopra  soggetti,  ne'  quali  si  smarrirono  pressoché; 
tutti  i  filosofi  antichi.  Noi  all'  opposto  diciamo  essere  la 
metafisica  una  delle  scienze  più  vantaggiose  ,  ed  impor- 
tanti: ma  la  riguardiamo  sotto  un  aspetto  ben  differente; 
co-me  quella  cioè,  che  sprezzale  tutte  le  ciuestioni  ridi- 
cole, agitatesi  lungamente  nelle  scuole,  mira  a  sviluppare 
gli  astrusi  priucipj ,  generalmente  ignorati  dall'antichità, 
a  segnare  il  vero  metodo  dell'  intendimento  umano  , 
e  il  suo  progresso  dagli  oggetti  sensibili  alle  idee  astratte, 
dalle  idee  semplici  alle  idee  collettive  ;  come  quella  che 
si  occupa  a  rivelare  gli  abusi,  e  gli  errori  troppo  fa- 
cilmente dal  tempo,  e  dalle  passioni  nel  linguaggio  in- 
trodotti; come  quella  infine,  che  più  d'ogni  altra  cono- 
scendo il  nostro  spirito  ,  e  più  d'  ogni  altra  sommini- 
strandogli nozioni  nette,  ed  esatte  di  tutto,  il  può  iu 
ogni  maniera  di  studio  sicuramente  guidare.  A  tal  norma, 
a  tal  lume,    per    quel    che  coucerne    questa    facoltà,    si 


(Xll) 

limitò  rigorosamente  la  Classe,  uè  mai  ebbe  la  sfrana 
vaj^hezza  di  vedere  strappato  dalla  natura  il  secreto  di 
certe  metafisicbe  cognizioni,  che  inutili  ad  ogni  stabile 
uso ,  polrebbono  appena  sei'vire  a  contentare  una  pas- 
seggiera    curiosità. 

Pertanto  nel  corso  di  più  adunanze  fissò  ella  ben  vo- 
lentieri la  sua  attenzione  sopra  un'  opera  del  Signor 
Falletti-Barolo,  il  titolo  della  quale  si  h  Kclaircisse- 
mens  sur  plusieurs  poinls  concenians  la  théorie  des 
operalìons  et  des  f acuì tés  intcllecladlps;  titolo,  la  cui 
molta  modestia  potrebbe  servire  di  rimprovero  a  tal 
altro  troppo  fastoso  da  qualche  moderno  metafisico  posto 
in  fronte  a  opere  più  voluminose,  ma  di  questa  men 
pregevoli  assai. 

L' autore  in  essa  non  mirò  veramente  a  formare  un 
nuovo,  e  compiuto  trattato,  ma  sì  bene  ora  a  mettere 
in  nuova  luce  ,  ora  a  sottoporre  a  nuova  investigazione 
alcuni  punti  non  ancora  a  parer  suo  pienamente  diluci- 
dati intorno  all'  ideologia,  ed  all'  arte  intellettuale  ragio- 
natrice,  che  ne  deriva.  Che  se  in  qualunque  ragionamento 
non  si  possono  spiegare  nuovi  concetti ,  senza  accennar 
pii!i  o  meno  quelle  idee  primordiali ,  e  que'  principi , 
dalla  cui  combinazione,  od  applicazione  sono  essi  ge- 
nerati; egli  tuttavia  ciò  fece  con  tal  riserbo,  che  mo- 
strando sempre  una  manifesta  ripugnanza  a  replicar  quello, 
che  già  in  tali  materie  si  sa ,  rigorosamente  in  tutto  il 
corso  de'  suoi  riflessi  da  ogni  replica  si  astenne,  tranne 
quelle  poche,   alle    quali    la  legge  della  chiarezza,   anzi 


(   XIII   ) 

della  nccpssilii  Io  cosdinse.  E  se  i  vari  oggetti  qua  e 
ih  Irascelli  nel  vastissimo  campo  della  raziouale  filosofia, 
non  collocò  egli  (  ciò  che  possibil  non  era  )  in  tal  vi- 
cinanza, e  contiguità  da  formarne  una  ordinata  serie, 
una  non  interrotta  catena  ;  diede  loro  assolutamente  quella 
connessione,  e  concatenazion  maggiore,  la  qual  vi  potea 
aver  luogo,  e  la  quale  vi  scorgeranno,  son  certo,  tutti 
gl'illuminati   lettori. 

Nuove  ricerche  adunque  inforno  alla  natura,  origine, 
distinzione,  e  filiazione  delle  idee;  nuovo  saggio  intorno 
alla  graduai  progressione,  e  scala  delle  astrazioni  ;  nuovo 
prospetto  delle  relazioni  intellettuali,  e  reali  :  rapida  oc- 
chiala sopra  l'utilità,  e  l'abuso  dell'analisi,  sopra  i  varj 
caratteri  della  medesima,  con  arrestarsi  però  un  poco 
di  pili  sulle  analisi  deliberative,  morali ,  e  di  cose  spet- 
tanti al  gusto,  ed  alla  imitazione:  sviluppamento  de'  primi 
principi  di  ogni  ordine,  e  di  ogni  metodo,  con  un 
cenno  inforno  alle  multiformi  applicazioni  di  essi,  come 
pure  circa  gli  errori,  che  si  potrebbono  chiamare 
metodici:  identità  dell'  arte  di  osservare,  e  di  quella, 
che  propriamente  dialettica  si  chiama,  coli' arte  della  veia 
analisi,  che  non  può  andar  mai  disgiunta  dal  metodo: 
in  fine  una  matura  disamina  di  ciò,  che  costituisce  pro- 
priamente la  così  detta  fantasia,  od  immaginazione,  come 
venga  essa  in  noi  generata  dalle  altre  intellettuali  facoltà; 
quali  proprietà  a  lei  specialmente  convengano,  e  quali 
sieno  gli  ufiizj  suoi  pro^^rj ,  e  quali  le  sue  usurpazioni, 
colla  rimembranza  insieme  di   alcune  fulse  ipotesi,  o  dirò 


f    X  I  V    ) 

meglio,  di  alcuni  sbagli  su  questo  particolare,  che  da 
poco  esatta  nomenclatura  provengono;  ecco  i  precipui 
capi,  che  questa  produzion  metafisica  presenta  da  coa- 
(cmplare  all'  occhio  di   profondo   metafisico. 

Similmente  la  Classe  persuasa,  che  lo  sviluppare  i 
veri  principj  come  di  ogni  genere  di  letteratura ,  così 
della  poesia,  e  delle  liogue,  più  che  a'  retori,  sofisti, 
e  gramatici,  tocca  a'  filosofi,  che  ne  sono  i  primi,  e  veri 
insegnntori,  porse  favorevole  attenzione  alle  metafisiche 
riflessioni  fatte  in  tal  proposito  dal  Signor  professore 
Dépéret  in  tre  suoi  discorsi ,  l'uno  de'  quali  intitolò  ; 
RechercJies  plìilosophic/ues  sia-  le  langagn  des  sons  ar- 
llculés  ;  V  altro  Rpjlexions  sur  les  di\'eìs  systémcs 
de  versificali on  tpndantes  à  prouver  qiLon  ne  pciit  in- 
Irndiiire,  avec  succès ,  dons  la  poesia  francai  se  les 
règles  prosodi ques  des  Grecs  et  des  Laliiis;  e  1'  altro 
in  fine  RecJierches  et  e.Tposilions  des  principes  qui  ser- 
vent  de  base  au  systéme  de  la  versifica tion  firangaise. 

Nel  primo  di  essi  l'autore  comincia  ad  osservare,  che 
vi  ha  un  gran  numero  di  circostanze,  in  cui  noi  ci  fac- 
ciamo intendere,  in  cui  interessiamo  gli  uditori  per  la 
dolcezza  del  parhue,  senza  destare  precisamente  nello 
spirito  loro  1'  immagine  degli  oggetti  proprj  ad  essere 
dalle  parole,  che  adoperiamo,  rappresentati.  Quindi 
passa  a  distinguc^re  due  poteri  nelle  parole,  1'  uno  fisico, 
o  musicale,  l'  altro  metafisico,  o  significativo;  e  viene 
con  molti  fatti,  che  adduce,  comprovando,  che  il  primo 
di  questi  pf)teri  prevale  al  secondo,  e  il  rende  persino 
talora  inefiicace. 


(XV    ) 

Nel  secondo  discorso  prende  a  diVliirunic  il  scguenle 
principio  da  adnt farsi  poi  alla  lingua  fancese.  Qualunque 
sistema  di  versifirazione ,  die'  egli,  altro  non  è,  che 
l'accordo  delle  regole,  a  tenor  delle  quali  debbono  in 
ciascuna  lingua  esser  composte  la  frase  musicale,  che 
costituisce  ciascuna  specie  di  versi,  e  la  frase  logica, 
o  gramaticale,  che  sostiene  il  canto,  ed  esprime  il  pen- 
siero poetico,  che  l'accompagna.  Ma  queste  regole  non 
potrebbono,  venendo  applicnte,  produrre  l'armonia  poe- 
tica, selle  non  procedessei'O  insieme  dal  genio  di  ciascuna 
lingua,  considerata  in  riguardo  alla  sintassi,  e  alla  pro- 
sodia delle  parole,  che  la  compongono.  II  perchè  il 
sistema  di  versificazione  di  ciascun  popolo  in  particolare 
dee  essere  tanto  diverso  dal  sistema  di  tal  altro,  quanto 
il  genio  della  lingua  di  quello  differisce  dal  genio  della 
lingua   di   questo. 

Nel  terzo  ragiona  a  un  di  presso  co4  ;  facendo  il  con- 
fronto della  maniera,  con  cui  lo  spirito  procede  nella 
prosa  per  l'analisi,  ed  espressione  del  pensiero,  con 
quella,  che  adopera  per  lo  stesso  oggetto  nella  poesia  , 
uno  specialmente  può  giugnere  a  determinare  il  genio 
poetico  di  ciascuna  lingua ,  e  la  natura  delle  regole  es- 
senziali,  che  ne  derivano.  La  lingua  francese  sotto  questi 
due  punti  di  vista  considerata,  è  forse  fra  tutte  If  lingue 
conosciute  quella  ,  che  offre  meno  di  divario  tra  la  sua 
frasologia  poetica,  e  la  prosaica.  Ond'  è,  che  la  prima, 
la  più  essenzial  regola  della  versificazione  francese,  quella, 
che  è  di  fondamento  a  tutte  le  altre  ,  inlluisce  più  su' modi 


(  xyi  ) 
(Iella    locuzione,  e  sulla  divisione  del  pensiero,   che  sul 
ritmo,   e   sulla  scelta  delle  parole.  Or  questa  regola  fon- 
damcnlalo,    stata  già  dal  legislatore  del  Parnaso  fi  aacese 
espressa  felicemente  in   questi   due  versi  ; 

»  Que  toiijours  dans  vos  s'ers  le  sens  coupanl  les  mols 
»  Suspencle  flicinisticìie ,  en  marque  le  repof-j  « 
ella  è  appunto  quella,  che  1'  autore  con  la  scorta  della 
filosofica  ragione  piglia  a  ricercare,  ed  esporre  primiera- 
mente. Indi  seguendone  le  conseguenze  immediate  scende 
a  parlare  dell'  influenza  della  rima  sulla  poesia  francese, 
del  rompimento  del  verso,  de'  versi  sciolti,  e  dell'  uso 
degli  epiteti;  e  termina  con  disaminare  le  altre  regole, 
che  più  all'  armonia  de'  suoni ,  che  a  quella  de'  pensieri 
si   riferiscono. 

Appartiene  anche  di  special  diritto  a  questo  luogo 
un'  opera  manuscritta,  ora  stampata,  la  quale  fu  spedita 
alla  Classe  dal  signor  La-Boulinière  suo  corrispondente, 
sotto  questo  titolo;  Mtimoìre  ou  précis  d'ideologìe.  Lo 
scopo  dell'autore  si  fu  ravvicinare,  e  legar  più  stretta- 
mente i  punti  principali  della  dottrina  ideologica ,  ten- 
tare, se  è  possibile,  di  aggiugnere  alla  catena,  che  ne 
porgono  le  opere  in  questo  genere  più  rinomate  ,  alcuni 
anelli,  o  almeno  di  gettare  qualche  lume  su  quelli  ,  che 
come  non  troppo  apparenti ,  pare  che  lascino  una  tal 
catena  interrotta.  A  tal  effetto  facendo  egli  la  rassegna 
delle  diverse  operazioni  dello  spirito,  passa  rapidamente 
$u  quelle ,  intorno  alle  quali  dicesi  d'  accordo  cogli  scrit- 
tori da  lui  tolti  per   guida,  e    si   ferma  su   quelle  altre, 


(    XVII    ) 

che  non  furono ,  secondo  lui ,  alibasfanza  discusse.  Nel 
che  riusci  veramente  a  potere  su  i  principj  già  ^itabihti 
adunare  de'  raggi  luminosi ,  eh'  erano  sparsi  nelle  opere 
de'  pili  solenni  metafisici ,  e  a  mettere  in  mostra  alcune 
verità  nuove  di  molta  importanza ,  e  a  verificare  non 
poche  storte  idee. 

Insieme  colla  materia  è  da  lodare  in  questo  compendio 
ideologico  la  forma,  che  vi  si  scorge,  pari  alla  preci- 
sione è  la  chiarezza,  lo  stile  è  rapido,  armonioso,  e 
nuche  fiorito.  E  benché  i  materiali ,  che  formano  il  fondo 
dell'opera,  abbiano  a  un  dipresso  la  disposizione  mede- 
sima ,  che  si  trova  negli  scritti ,  da'  quali  gli  estrasse,  si 
può  dire,  che  l'autore  ha  dato  a  tutte  le  parti  una  tal 
configurazione  a  potersi  esse  unir  meglio  con  quelle,  che 
loro  sono  contigue,  e  a  dovere  il  tutto  essere  piìi  di- 
sposto a  ricevere  la  luce,  che  vi  riflettono  sopra"  i  prin- 
cipj di  Locke,  di  Condillac,  e  di  Bonnet.  , 

LETTERATURA. 

CRITICA,       ED       ERUDIZIONE, 

Essendosi  la  Classe  spesso  occupata  nella  critica,  nella 
erudizione,  e  nello  stile,  che  sono  le  tre  cose,  in  cui 
si  può  dire  la  facoltà  del  letterato  essenzialmente  con- 
sistere, comincieiò  io  dalle  due  prime,  come  quelle, 
che  a'  letterari  studj  accademici  deggiouo  essere  innanzi 
tutto    raccomandate.  Si   suol  diie    a    onore   delle  scienze 

5 


(    XVI II    ) 

astratte  esclusivamente,  che  sono  esse,  che  introdussero 
nel  mondo  lo  spinto  filosofico  ,  quello  appunto ,  per  cui 
si  sa  ciedere,  e  dubitare  a  proposito.  Ma  essendo  esso 
in  fine  nient'  altro ,  se  non  se  la  ragione  rischiarati^ 
su'  veri  principj  delle  cose  di  qualunque  natura  si  sieno, 
perchè  non  potrebbe  il  medesimo  essere  altresì  1'  opera 
della  critica,  e  appartenere  conseguentemente  alle  lettere? 
Quel  che  è  certo  si  è ,  che  questa  superiorità  di  ragione, 
che  tanto  si  vanta  nel  nuovo  dominio  della  Gsica,  e 
delle  matematiche  ,  merita  pur  di  essere  nella  moderna 
repub])Ii<:a  letteraria  siugolartnente  glorificata.  Che  gli 
antichi,  a  vero  dii-e  ,  eccetto  nelle  materie  di  eloquenza, 
e  di  poesia ,  in  tutto  il  rimanente  non  giunsero  essi  ad 
attignere  quel  pieno ,  e  sicuro  lume  di  critica  ,  che  do- 
veva sorgere  unicamente  dalle  accumulate  ritlessioni  degli 
uomini,  fatte  a  misura  che  avrebbono  coli'  acquisto  di 
nuove  conoscenze  la  sfera  di  loro  idee  aggrandita.  Tal 
è  della  erudizione:  i  moderni  che  largo  campo  di  co- 
gnizioni non  percorsero,  il  quale  uè  era,  ne  poteva 
essere  aperto  alle  antiche  età?  Religione,  leggi ,  costumi, 
successioni  d'  imperj  ,  serie  di  principi ,  trasmigrazioni 
di  popoli,  fondazioni  di  città,  guerre,  alleanze,  trat- 
tati di  pace,  nascita  di  arti,  progressi  di  scienze,  di- 
plomi, comeutarj ,  iscrizioni,  medaglie,  e  monumenti 
di  ogni  genere,  tutto  essi  con  un  prodigioso  successo 
hanno  vecjulo,  raccolto,  e  come  in  uc  tesoro,  qual  non 
s'  era  veduto  mai,  adunato.  Or  varj  accademici  non  pie-, 
ciola  parte  di  lor  fatiche   indirizzarono   a  conservare ,  e 


(  XIX   ) 

quanto  era  in  loro,  ad  accrescere  anco ,  se  possibii  fosse, 
questo  doppio  vanto  de' nostri  tempi  bellissimo,  ed  in- 
contrastato. Ma  rispetto  alla  critica  furono  essi  in  ciò 
ferini,  e  costanti  a  non  permettere  ,  i che  lo  spirito  dì 
l^V  P<^i'  quanto  credasi  utile  a  guarirne  da  una  cieca 
ammirazione  degli  antichi ,  introduca  egli  mai  con  inop- 
porfuno  rigore  le  fredde ,  e  didascaliche  discussioni  nelle 
còse  di  sentimento.  E  riguardo  all' erudiziotìe,  concedendo 
a  lei  tra  le  infinite  altre  di  molto  rilievo  certe  ricerche, 
puramente  curiose ,  pei-chè  agli  studj  di  essa  in  qualche 
modo  concatenate,  la  sgridano,  la  condannano  però  sem- 
pre ,  quando  o  troppo  si  attacca  a  laboriose  frascherie , 
o  magnifica  con  fasto  sterili  scoperte,  o  vanta  stolta- 
mctìfe  il  frivolo  vantaggio  di  saper  picciole  cose  igno- 
rate Òdi   pii!i,  perchè    dai  più   a    bella  posta  trascurate. 

Or  dietro  a  questi  principi  il  Signor  GaleaniNapione 
dettò  qffatfro  lezioni.  Nella  prima  su  di  un  luogo  famoso, 
che  al  principio  del  primo  dialogo  di  Cicerone  intorno 
la  natura  degli  Dei  si  trova,  detto  comunemente  il  tor- 
mento ,  la  croce  degV  interpreti ,  apportò  varie  osserva- 
zioni critiche,  per  isgombrare  le  tenebre  all' intelligenza 
dì  esso  attraversate ,  e  per  mettere  in  chiaro  molte  di 
qua    dipendenti  verità    storiche  insieme,   e  filosofiche. 

Nella  seconda  fra  molti  passi ,  che  di  astrusa  politica 
avviluppali  ne  lasciò  il  lirico  latino,  prese  a  svolgere 
quello,  che  ne  offre  l'ode  ventesima  settima  del  libro  3.°, 
e  C(in  forti  congetture  da  altri  critici  ancora  non  tocche, 
giunse   quasi  a   dimostrare ,    che    Galatea ,    di    cui  parla 


(XX) 

ivi  il  poeta,  ella  è  Ottavia  medesima,  sorella  di  Au-i 
gusto ,  e  moglie  di  Marco  Antonio ,  alla  quale  augura 
felice  riuscita  per  li  politici  maneggi ,  tendenti  a  rimet- 
tere la  buona  intelligenza  tra  il  marito,  e  il  fratello,  onde 
poteasi  ordire  uà  altro  beu  diverso  destino  all'  Imperio 
del  Mondo, 

Nella  terza  produsse  un  estratto  di  elogio,  dagli  scritti 
di  Monsignor  F" abboni  cavato,  di  Dante,  di  Poliziano, 
di  Ariosto,  di  Tasso:  e  fu  suo  intendimento  di  pro- 
porre con  ciò  r  idea  di  un  giornale  da  imprendersi  delle 
opere ,  che  escono  alla  luce  in  Italia ,  giornale ,  che  come 
già  quello  di  Modena  ,  e  di  Pisa  ,  sia  veramente  caro  alla 
odierna   letteratura  italiana. 

Nella  quarta,  che  è  inscritta:  notizie  de  principali  scrit- 
tori di  arte  militare  italiani y  mostrò  che  quest'arte  non 
ebbe  altrove ,  come  in  Italia  ,  tanti ,  e  tanto  eccellenti 
scrittori  :  annoverò  prima  rapidamente  gli  architetti  mi- 
litari, e  civili,  i  lettorati  eruditi,  gli  storici,  e  i  politici, 
che  più  segnatamente  ne  scrissero;  indi  passando  a  quelli, 
che  le  opere  della  penna  con  quelle  della  spada  con- 
giunsero, senza  obbliare  il  nostro  D'Antoni,  de' cui  vo- 
lumi conserve  onorate  si  fanno  in  più  luoghi,  si  arrestò 
alquanto  sulle  memorie  del  Generale  Montecuculi  ,  il 
cui  lungo  studio  valse  cotanto  a  Federico  lì  per  aprire 
poi,  come  fece,  nel  Settentrione  una  nuova  scuola  di 
guerra    più  saggia  insieme,   e  più   terribile. 

A  queste  lezioni  tien  dietro  una  dissertazione  del  me- 
desimo Accademico   in   dodici  capi   distinta,  sulla  patria 


(    XXI    ) 

di  Cristoforo  Colombo,  argomento  di  critica  ben  inte- 
ressante per  se  medesimo,  e  molto  ancor  più  per  coloro  ^ 
a  cui  i  natali  di  sì  grand"  uomo  appartengono.  L'  autore 
pertanto  accennando  prima  che  nei  determinare  la  vera 
patria  di  un  qualche  personnaggio  vuoisi  riguardare  non 
al  luogo  della  nascita  alccidentalc ,  ma  alla  sede  origi- 
naria della  famiglia,  entra  nelle  lodi  del  Colombo,  e 
mostra  i.°  che  il  caso  non  ebbe  parte  nella  scoperta  da 
lui  fatta  del  nuovo  Mondo,  e  che  là  sua  navigazione 
fu  unicamente  diretta  a  scoprir  nuove  terre,  le  quali 
sperava  egli  dii  ritrovare  nel  mare-  immenso  frap- 
posto tra  le  coste  della  Spagna ,  e  l' estremità  orientale 
dell'  As-ia.  2."  Che  noni  solo  fu  il  primo,  che  scopri 
le  isole  del  golfo  del  Messico,  ma  che  prirnSi  di;  ogni 
altro  eziandio  scoprì  il  Continente  di  America.  !  3.°  Che 
fu  pure  di  lui  la  importantissima  scoperta  delle  varia- 
zioni  della  declinazione   dell'  ago   calamitato. 

Viene  quindi  allo  stato  della  questione.  Rammenta  le 
tre  principali  opinioni  inforno  la  patria  del  Colombo, 
che  il  vogliono  o  Genovese,  ossia  della  riviera  di  Ge- 
nova, o  Piacentino,  o  di  Cuccaro,  castello  del  Mon- 
ferrato, di  nobile  famiglia,  signora  del  castello  medesimo. 
Qui  l'Autore  s'accinge  di  proposito  a  provare  che  non 
fu  Genovese,  che  è  incerto  il  luogo  preciso  della  sua 
nascita  ,  che  venuto  in  grande  slato  in  Ispagua  ,,  lasciò 
per  giusti  motivi  ignorare  la  residenza  de' suoi  genitori, 
che  la  sua  famiglia  era  distinta,  e  che  ebbe  egli  una 
liberale,  e  saggia   educazione.  Dopo   ciò  allega   le  testi- 


(   X  X  I  I    ) 

monianze    di    fededegni  scrittori ,  che   il  dicono  di  Cuc- 
caro,   presenta  i  documenti  di   una  lite  verso  il  fine  del 
secolo   X\  I   agitatasi  tra  Baldassarre  Colombo  de' signori 
di  Cuccaro,   e  diversi  Magnati  delle  Spagne   per  la  suc- 
cessione di  un  maggiorasco  istituito  da  Colombo  medesi- 
mo? documenti,  che  mostrano  ad  evidenza,  cihe  i  Colombi 
feudatari   di' Cuccaro   erano    della    stessa  famiglia,   e  che 
il  castello  di  Cuccaro  in  Monferrato  fu  veramente  la  patria' 
dello  scopritore  del   nuovo  Mondo.   Produce   inoltre    un 
estratto    di  un  consulto    legale    di    Giovan-Pietro  Sordi 
in  favore  di  Baldassar  Colombo,   pxibblicatosi   in  un  cogli 
altri  consulti     di  quel  giurisperito    sin    dall'  anno    i58g. 
Addita   nel  sommario  stampatosi   in  Madrid  V  anatì  ì5qo 
partitamente  divisate  le  ragioni,    per  le  quali  suU'figna- 
zione  di  Cristoforo  Colombo    co'  feudatari    di    Cuccerò , 
e  per  conseguenza  sulla  patria  di  lui  non  vi  resta  dubbio 
veruno.   Ricava   eziandio   da  tal  sommario,  il   quale,  ciò 
che  è  da  notare,  concorda  pienamente  nella  sostanza  còlla 
storia  di  Cristoforo   Colombo,   scritta    da  D.  Ferdinando 
figliuolo    di  lui,  ricava,   dico,   diverse    curiose    partico- 
larità  concernenti    la    famiglia,    i  congiunti,    le   epoche 
diverse  ,    e    gli     eveniraenti    della    vita    dello    scopritor 
dell'America.  Dà  insieme  una  particolare  notizia  deldetto 
Ferdinando  Colombo^  e  dell'opera  di  lui  dettata  in  lingua 
Gastigliana,  e  delle  edizioni,  che  se  ne  hanno  in  lingua 
italiana. 

Posta  fuori    di  controversia     la    patria    del    Colombo  , 
piglia  ancora  il  nostro  Accademico  a  disaminare  i  monu- 


(    XXIII    ) 

menti ,  su  cui  si  fondano  i  principali  sostenitori  delia- 
opinione  diversa,  come  ìISalinerio,  che  il  vuole  Savo- 
nese ,  il  Casoni  ,  che  il  fa  Genovese ,  e  il  Campi  ,  che 
il  pretende  Piacentino.  Discute  pure  alcuni  documenti 
inserti  nell'elogio  di  Cristoforo  Colombo  stampato  in 
Parma  nel  1781,  ed  un  codicillo  preteso  di  Colombo, 
pubblicatosi  dall'  Abate  Tiraboschi  ;  e  dimostra  che  tutte 
quelle  carte  o  nulla  conchiudono  in  contrario,  o  sono 
interpolate,  e  male  interpretate,  e  alcune  di  piìi  apocrife; 
cosi  che,  non  ostanti  le  medesime,  restano  sempre  nella 
integrità  loro  i  monumenti ,  i  quali  pienamente  ne  ac- 
certano che  Cristoforo  Colombo,  qualunque  per  acci- 
dente possa  essere  stato  il  luogo  della  sua  nascita,  usci 
dalla  famiglia  degli  antichi  Signori  di  Cuccare,  e  che 
perciò  il  nostro  Monferrato  si  può  gloriare  di  essere  la 
patria   di  lui  originaria. 

Il  signor  Bava  S.  Paolo  ha  pur  egli  quattro  discorsi, 
e  sono  sulle  cagioni  della  caduta  delle  lettere  ne'  secoli 
di  ferro,   sulla  letteratura,   sulla  storia,   sull'antiquaria. 

Nel  primo  partendo  da  una  massima  ben  giusta,  che 
Despkeaux  in  questi  due  versi  espresse  : 

«  Sans  la  langue ,  ai  un  mot ,  l'autcw  le  plus  dìvin  , 
Est  toujours,  quok/uil  Jxtsse ,  un  méchant  écvìvain.  » 
Comincia  a  toccare  il  tristo  stato,  in  cui  per  difetto 
d'idioma  fisso,  e  regolalo  giaceano  le  arti,  e  le  lettere 
presso  tutte  le  nazioni  di  Europa  ne' secoli  di  ferro ,  che 
è  a  dire  dopo,  o  poco  dopo  il  nono  sino  al  quarto- 
decimo  secolo.  E  la   necessità  di  avere  una  lingua  a  certo 


(    X  X   I  V    ) 

sistema  ridotta  ,  la  qualità  sgraziata  di  quella ,  che  allora 
ucl  parlare  ,  e  nello  scrivere  si  usava  ,  la  ditlerenza  tra 
una  liiififiia  morta  ed  una  nascente,  una  certa  paralisi 
di  morte,  iu  cui  erano  le  lingue  antiche,  la  diflicoltà, 
che  si  opponeva  al  sorgere  delie  moderne,  i  principi ,  e 
gli  avanzamenti  di  queste,  il  nuovo  aspetto  della  letteratura 
Europea  allo  abbellirsi,  e  perfezionarsi  delle  lingue  prin- 
cipalmente d'Italia,  e  di  Francia,  sono  questi  gli  essen- 
ziali punti ,  per  li  quali  prestamente  discorre.  Fa  ancora 
im  cenno  sul  merito  speciale  della  lingua  Italiana,  e  Fran- 
cese,  astiensi  dal  darne  all'una,  o  all' altra  la  precedenza, 
benché  per  la  natia  mostrisi,  come  è  giusto,  un  po' piili 
inclinato. .  Poi  torna  alla  sua  tesi,  e  conchiude,  che  la 
perdita  della  lingua  ,  che  innanzi  si  parlava  in  Europa  , 
e  la  impossibilità  di  crearvenc  tosto  un'altra,  che  ne 
tenesse  degnamente  il  luogo,  si  fu  la  cagiou  prima,  che 
troppo   i   secoli   di  ferro   prolungò. 

Nel  secondo  mira  a  dimostrare  il  pregio,  e  i  vantaggi 
della  letteratura ,  considerandola  sotto  questi  riguardi , 
cioè  che  accelera  i  progressi  di  ogni  maniera  di  sapere, 
che  abbellisce  la  vita,  aguzza  lo  spirito,  e  anche  lo 
intendimento;  che  prepara,  e  perfeziona  la  lingua  alle 
scienze ,  che  queste  accredita,  e  diffonde,  e  che  con  queste 
amichevolmente  alleata  dà,  e  riceve  a  vicenda  lume,  e 
soccorso,  cosa  soprattutto  importante  nel  secolo  presente, 
in  cui  uno  né  potrebbe  diventare,  e  apparire  filosofo, 
senza  avere  acquistata  in  lettere  una  convenevole  tintura, 
ne  saprebbe  esser  tenuto  letterato,    senza  essersi  ibtrutlo 


(   X  X  V    ) 

della  parte  sferica  di  tutte  le  scienze ,  e  averne  nozioni^ 
se  non  compite,  almeno  giuste,  e  generali. 
>  Nel  terzo  entrando  ad  esaminare  lo  storico  sapei'C 
del  secolo  XVI ,  e  limitandosi  alla  storia  civile ,  e  po- 
litica (  se  non  che  vi  mette  poi  un'  appendice  su  quella, 
che  alle  lettere,  scienze,  ed  arti  appartiene  )  tocca  pri- 
mieramente i  fini  di  qualsisia  storia  ,  la  maniera  di 
riuscirvi  ,  i  materiali  di  essa ,  e  i  metodi  di  scriverla. 
Indi  parla  della  cronologia ,  _e  della  geografia  ,  alle  quali 
tanto  lume  diedero  gli  eruditi  del  seguente  secolo  :  ag- 
giugne ,  che  questa  doppia  fiaccola  non  mancò  vera- 
mente agli  storici  del  seicento  ;  ma  che  per  difetto  di 
scienza  ,  di  esercizio  ,  di  esemplari ,  e  di  gusto  non  si 
fecero  nelle  lingue  viventi  vedere  libi'i  di  storia  in  ogni 
punto  compiti  :  e  discoD-endo  per  alcuni  storici  Fran- 
cesi ,  con  darne  il  giudizio  ,  e  affermando  avere  gV  Ita- 
liani,  benché  non  del  tutto  esenti  da' diletti  ,  ottenuto 
in  questa  parte  il  vanto  prima  d'  ogni  oltj-amontaua 
nazione  ,  finisce  con  accennare  i  vizj  da  fuggire  ,  e  le 
avvertenze  da  portare  in  cjuesta  maniera  di  scritti. 

Nel  quarto  dojjo  avere  dato  un'  idea  generica  dell'  an- 
tiquaria ,  e  cerca  se  sia  essa  stata  nel  seicento  coltivata, 
e  promossa.  Ricorda  tra  le  cagioni  di  suo  poco  avan- 
zamento le  difficoltà  ,  che  le  si  attrav(?rsano  ,  i  mezzi  , 
che  le  sono  necessarj  ,  e  la  stemperata  voglia  ,  che  di 
esteso  ,  anziché  di  concatenato  sapere  ,  ebbero  in  tale 
età  molti  eruditi  ,  e  filologi.  Non  trapassa  i  multiplici 
oggetti,  che  abbraccia  questa  scienza,    i    varj    popoli. 


( XXVI ) 

onde  ci  vennero  i  documenti  più  autentici,  e  I  mag- 
giori savj  ,  che  vi  attesero.  Poscia  distingue  le  parti  più 
elaborate  dell"  antiquaria  ,  che  sono  la  diplomatica  ,  la 
lapidaria  ,  la  numismatica  ,  e  dà  di  tutte  e  tre  una  suc- 
cinta idea ,  avvertendo  però  che  il  titolo  di  scienza  an- 
tiquaria i-itenne  quella  ,  che  va  in  traccia  di  ogni  altro 
antico  monumento  ,  od  avanzo  ,  e  include  tutto  ciò  , 
che  al  pratico  vivere  ,  agli  utensili ,  al  costume  ,  alle 
beUe  arti  manuali  ,  o  scientifiche  dell'  antichità  si  rife- 
risce. Per  ultimo  disceude  a  quelli  tra  moderni ,  che 
meglio  durante  tal  tempo  in  questo  studio  riuscirono  : 
nomina  con  ispezial  lode  i  Francesi ,  i  Britanni ,  vi  aggiu- 
gne  gli  Olandesi ,  non  ommette  i  Germani ,  benché  un 
po'  troppo  amanti  di  futili  controversie.  Quanto  agi'  Ita- 
liani non  dissimulando  ,  che  le  dispute  sul  gramati- 
cale  significato  dei  testi ,  e  su  ogni  meschina  anticagUa 
loro  in  generale  nocquero  assai  ,  afferma  tuttavia  ,  che 
fiu'ono  essi  al  di  sopra  di  tutti  per  ciò  in  particolare, 
che  riguaida  le  arti  del  disegno  ,  come  quelli ,  che  me- 
gUo  di  tutti  vi  doveano  da'  laassi-rilievi ,  dalle  antiche 
sculture  ,  e  da'  grandiosi  cdifizj  ,  che  ne  rimangono  , 
essere  ammaestrati. 

Il  Signor  abate  Valperga  -  Caluso  ,  il  quale  al  par 
de'  più  celebri  Italiani  dello  scorso  secolo  accoppia  In  se 
lo  studio  delle  lettere  con  quello  delle  specolazioni  più 
asti-alte,  ne  venne  anch' egli  con  un'eruditissima  disser- 
tazione a  dilucidare  un  oscuro  punto  intorno  alla  violenta 
morte  di  un'  inclita  Dama  ,  nomata  Livia  ,  dell'  illustre  fa- 


(   XXVII   ) 

miglia  Colonna.  Tace  su  di  tal  avvenimento  la  storia; 
solo  vi  ha  una  raccolta  di  rime ,  con  cui  verso  la  metà 
del  secolo  XVI  i  migliori  poeti  d'  allora  ,  senza  però  in 
fronte  di  essa  apporre  niente  di  positivo  ,  o  qualificante, 
celebrarono  di  costei  la  vita  ,  e  la  morte.  Or  da  varj 
passi  di  quelle  poesie  per  l'appunto  va  traendo  l'Autore 
sode  ,  e  naturalissime  congetture  a  provai-e ,  quanto 
per  valore  di  "critica  si  può ,  che  cotesta  Livia  fi- 
gliuola di  Marc'  Antonio  Colonna  Duca  di  Paliano  , 
indi  moglie  di  Marzio  Colonna  duca  di  Zagarolo ,  fu 
strozzata  nel  suo  letto  ,  e  chi  la  strozù  fu  il  genero 
suo  Prospero  Colonna  ;  misfatto  non  raro  a  succedere 
tra'  Grandi  a  quella  stagione  ,  in  cui  ve  li  potea  molto  di 
leggieri  trasportare  la  sicurezza  dell'  impunità ,  quando 
massimamente  per  sete  d'  oro  ,  o  di  vendetta  vi  fossero 
già  inclinati. 

Tra  il  luogo ,  dov'  era  1'  antica  città  d'  Industria  ,  e  il 
castello  di  Verrua  si  trovò  nel  Po  una  coppa  d'  argento, 
la  quale  presenta  sopra  di  se  un  basso-i'Uievo  ,  non  in- 
degno di  sagace  oculatissimo  antiquario. 

Il  Signor  abate  Tarini  recatala  suUa  tavola  dell'  Ac- 
cademia prese  con  un  discorso  a  spiegare  ciò  ,  che  più 
alla  rarità  di  tal  lavoro  pareva  richiesto.  Dopo  un  cenno 
dell'  antichità ,  e  della  ricchezza  di  si  fatti  vasi  ,  che  si 
usavano  ne'  sagrifiz} ,  e  ne'  conviti ,  imprende  a  dare 
una  piecisa  idea  di  quello ,  che  fa  il  soggetto  del  ra- 
gionare. Dice  eh'  esso  è  da  rapportare  a'  be'  tempi  della 
Grecia ,  e   che  rappresenta  la  sconfitta    da  Ercole    data 


(    X  X  V  I  1 1    ) 

alle  Amazonì.  Vi  riconosce  1'  Eroe  incaricato  da  Euristeo 
di  levare  il  cinto  ad  Antiope  ,  e  1'  Eroina  vicina  a  soc- 
combere sótto  la  forza  del  vincitore  :  vi  addita  nel  guer- 
riero a  cavallo  Belleroibnte  ,  il  primo  ,  che  insegnò  a 
pianeggiar  colla  briglia  i  cavalli  ;  e  colui  che  tiene  una 
di  queste  Amazoni  pe'  capehi ,  pensa  che  sia  Priamo  , 
autore  di  questa  spedizione  in  favore  de'  Frigj  :  vi  di- 
stingue a  pie  delle  balze  alcune  di  quPsle  Amazoni  in 
atto  di  prigioniere,  e  sulla  cima  di  una  m(nilagna  un 
tempio  ,  a  rimenibranza  forse  del  sacrilego  attentato  di 
queste  donne  contro  il  temjiio  di  Diana  in  Efeso.  In 
fine  vi  osserva  in  queste  guerriei-e  un  armarsi ,  un  ve- 
stirsi alquanto  differente  da  quello  ,  che  medaglie  ,  e 
altri  monumenti  generalmente  ci  mostrano  ;  e  posciachè 
tutto  ciò  vi  scorge  semjire  al  lume  ,  che  Omei'o  gli 
appresenta ,  crede  di  potere  non  senza  ragione  eonchiu- 
dere  di  avere  con  fedeltà  in  questo  monumento  il  pen- 
siero dell'  artista  interpretato  :  perciocché  giusta  1'  abate 
Bamer  le  favole ,  e  la  traduzione  eran  da  prima  meno 
composte  di  quello  ,  che  ne  furono  dopo ,  e  a  meglio 
spiegarle  fa  mestieri  prenderle  il  men  che  si  può  dalla 
loro  origine  lonlaue. 

In  mezzo  a'  rottami  del  torrione  di  una  delle  porte 
di  Torino»  si  è  rinvenuta  nel  1802  una  pietra  in  marmo 
bianco  con  le  seguenti  parole  scolpite  in  bel  carattere, 
e  ornale  di  un  contorno  regolare. 

e.  IIU TJLIO  GALLICO  COS.  II. 
T.  FLAMUS  se  APULA 


(   XXIX   ) 

Il  Signor  Paroletti  credette  ,  che  sì  fatta  consolar 
iscrizione  non  l'osse  da  trasaudare  ,  e  compostavi  sopra 
una  notizia  storica,  da  Parigi',  dove  di  presente  si  tro- 
va ,  la  trasmise  alla  Classe  ,  a  cui  egli  appartiene.  Il 
luogo  ,  ove  fu  trovato  il  monumento  ,  che  è  la  porta 
detta  del  Palazzo,  dalle  rovine  della  Regia  ,  o  palazzo 
Augusfale  ,  r  architettura  di  questo  palazzo  ornata  delle 
statue  de'  personaggi  ,  ch'erano  stati  i  benefattori  di 
questa  città  ,  esame  minuto  di  ciascuna  delle  parole  , 
che  entrano  nella  iscrizione  ,  osservazioni  esatte  sulla 
famiglia  Rutilia  ,  su  i  due  consolati  di  Rulilio  ,  sull  epo- 
ca di  essi  ,  su  i  Consoli  surrogati  ,  autorità  niulfiplici 
di  perspicacissimi  antiquarj  ,  e  letterati  ,  quanto  infine 
può  a  schiarimento  di  tal  soggetto  concorrere  ,  tutto 
all'  uopo  suo  trasse  1'  Accademico  ,  onde  spargere  ,  per 
.  quanto  possibil  gli  era  ,  un  nuovo  tratto  di  luce  sopra 
un  punto  della  storia  di  queste  contrade  troppo  nell'  oscu- 
lità  de'  temjji  avviluppalo. 

Mentre  i  codici ,  i  rotoli  ,  ed  altre  antiche  perga- 
mene de'  jDubhlici  archivj  erano  sul  punto  di  ripartirsi, 
e  trasportarsi  poscia  a'  rispettivi  Dipartimenti ,  l'Acca- 
demia avvisando ,  che  tai  monumenti ,  se  rimasti  fos- 
sero presso  di  se  ,  avrebbono  forse  potuto  al  progresso 
della  storia  patria  ,  e  di  altri  studj  esser  non  poco  gio- 
vevoU  ,  entrò  quasi  in  pensiero  di  domandargli  al  Si- 
gnor Amministratore  Generale.  Ma  prima  di  nulla  de- 
liberare ,  volendo  su  lo  stato  di  essi  avere  ogni  più 
convenevole  lume ,  invitò  un  socio  fia  tutti  espertissimo 
a  fargliene  il  necessario  rapporto. 


(    X  X  X    ) 

H  signor  Jacopo  Durandi  adunque  assunse  l' incarico  ; 
ed  ecco  la  somma  del  ragionamento  letto  da  lui  su  di 
tal  punto.  Rammentata  la  immensa  farraggine  delle  di- 
verse pergamene,  e  il  tempo  inflnilo  ^  che  vi  vorrebbe 
a  lame  la  scelta  opportuna  ,  rislrigne  le  sue  viste  ad 
una  certa  maniera  di  carte ,  che  dalia  forma  loro  si  di- 
cono rotoli  ,  e  sono  conti  de'  castellani  ,  o  de'  ricevi- 
doi-i  ,  ed  esattori  di  ogni  sorta  di  rendite  del  jirinci- 
pato.  Osserva  da  prima  ,  che  questi ,  benché  i  più  an- 
tichi abbiano  già  ,  è  gran  tempo  ,  trapassate  le  Alpi , 
cominciano  verso  la  metà  del  secolo  Xlll ,  e  vanno  un 
po'  di  là  del  XY  ,  e  si  trovano  tuttavia  in  grandissimo 
numero  ,  e  composti  ,  quai  sono  ,  di  pergamene  le  une, 
e  le  altre  insieme  ricucite  ,  formano  altrettanti  volumi. 
Poscia  va  discorrendo  per  li  vantaggj  ,  che  trar  si  pos- 
sono ,  se  non  da  tutti  ,  almeno  da  una  gran  parte  di 
questi  rotoli.  Giovano ,  die'  egli ,  a  scoprire  la  verità  di 
parecchi  l'atti,  di  epoche,  o  date  precise  ,  di  varie  par- 
ticolarità ,  le  quali  benché  spesso  minute  ,  e  talora  an- 
che frivole  in  apparenza  ,  possono  col  tempo  per  certa 
non  preveduta  combinazione  di  cose  umane  ,  divenir 
pur  esse  di  gran  momento.  Danno  sicuri  lumi  sul  si- 
gnificato di  molti  vocaboli  della  lingua  latino-barbara  , 
su  costumi  d'allora,  su  uflizj ,  persone,  genealogie,  su 
spese  fatte  per  feste ,  per  viaggj ,  per  fabbriche  ,  e  per 
guerre  ,  sulla  maniera  del  lusso  de'  nostri  avi  più  ri- 
spettabile delle  pi-escnli  morbidezze  ,  per  tacere  di  sto- 
riette  curiose  ,    e  di  anolli   accidenti   non   altrove  regi- 


{    XXXI    ) 

sfrati.  Forniscono  di  più  ampia  materia  a  far  confronti 
intorno  le  variazioni  di  mano  in  mano  sej^uite  sul  prez- 
zo delle  derrate,  de' terreni ,  degli  animali,  de  salar), 
de'  fitti  ;  intorno  le  loi*o  cause  ,  le  alterazioni  nel  suc- 
cessivo valore  delle  monete  ,  e  del  marco  d'  argento  ; 
intorno  le  differenti  specie  di  tributi ,  e  di  gravezze , 
come  anco  intorno  i  vantaggi  ,  e  svantaggi  di  quelle 
etti  ,  la  popolazione  ,  il  nascente  commercio  ,  e  simili  : 
notizie  tutte  capaci  di  dar  luogo  a  ricerche ,  e  discus- 
sioni utilissime  ancora  oggidì  per  risolvere  importanti 
problemi  di  pubblica  economia  ,  e  conoscer  meglio  la 
forza ,  r  indole  ,  e  gli  avanzamenti  del  nostro  paese. 

Ma  come  cotesti  rotoli  ,  prosegue  l' autore ,  conten- 
gono anche  documenti  riguardanti  l' interesse  del  pub^ 
blico  ,  e  de' privati ,  contratti,  patenti,  titoli,  e  cose  so- 
miglianti ,  ragion  vuole  ,  che  si-  stiano  essi  per  lunga 
pezza  negli  archivj  ,  come  necessarj  in  molte  circostanze 
ad  attestar  fatti  ,  e  a  finire  litigj  ,  massimamente  tra 
il  fisco  ,  o  regio  patrimonio ,  e  i  cittadini.  Il  perchè  sa- 
viamente conchiude  ,  che  per  ora  un  tal  acquisto  non 
fa  per  l'Accademia  ;  e  o  segua  tra'  Dipartimenti  la  di- 
visione di  questi  rotoli  (  che  allora  circa  due  terzi  ne 
rimarranno  tuttavia  a  Torino  )  o  non  abbia  essa  luogo 
{  ciò  che  mcgho  sarchile  )  ,  potrà  l'Accademia  stessa  , 
senza  essere  guardiana  di  tai  monumenti  ,  ricori'ere  in 
ogni  tempo  ,  avendone  mestieri  ,  al  Governo  ,  il  qual 
contento  ,  com'  è  da  credere ,  di  vedere  una  com- 
pagnia   sì    fatta  vogliosa    di  attignere    a   pubblico    prò 


(  XXXII  ) 
3a  quella    pmissima    fonte    indispensabili  schiarimenti , 
glicl'  aprirà  ,  quanto    fia    in  lui  ,    ad  ogni    occasione  li- 
beralmente. 

Trovnronsi  ,  pochi  anni  sono  ,  nel  demolire  le  mura 
di  Su  sa  due  torsi  loricati  ,  creduti  non  immeritevoli  di 
^ma  particolare  disamina. 

Il  Signor  Franchi-Pont  s'  accinse  all'  opera  ,  e  prese 
in  ima  sua  dissertazione  a  cercare  a  qual  età  apparten- 
gano ,  a  qual  monumento  servissero  d'ornato,  e  quai 
personaggi  rappresentassero  essi.  In  primo  luogo  adun- 
que dalla  eleganza  ,  e  maestria  de'  liassi-rilievi ,  che  fre- 
giano le  loriche  de'  torsi  Secusini ,  argomenta  essere 
questi  stati  lavorati  nel  secolo  di  Ottaviano  Augusto; 
riè  è  lontano  dal  ciedernc  autori  anche  ai'tisti  Piemon- 
tesi ;  reca  perciò  delle  congetture  plausibili  a  dimo- 
strare come  r  arte  statuaria  da'  tempi  più  remoti  fu 
coltivata  nelV  Italia  superiore  ,  e  come  artefici  valenti 
ognora  in  queste  contrade  si  trovarono  seguaci  della 
scuola  antica  Italica  ,  e  della  Greca.  Poscia  riflette,  che 
nel!'  antica  città  di  Susa  ,  già  sede  di  Donno  ,  e  di 
Gozio  Re  delle  Alpi  dette  Cozie  da  quest'  ultimo  ,  due 
monumenti  in  ispecic  meritavano  di  essere  da  statile 
decorali ,  che  sono  il  celebre  arco  innalzato  ad  Angusto 
da  Marco  «Giulio  Cozio  ,  e  il  sepolcro  di  questo  Prin- 
cipe rammentatoci  da  Ammian  Marcellino  ,  se  per  av- 
ventura non.  sono  una  cosa  medesima  e  l'arco,  e  il 
sepolcro.  Suppone  ,  che  questi  torsi  facessero  parte 
degli -ornamenti  dell"  arco  ,    sì  perchè  Ammiaao  in  par- 


'       (    XXXIII    ) 

landò  del  sepolcro  non  fa  motto  nessuno  di  statue  ,    e 
sì  perchè  gliel  fa  parere  molto  probabile  l' esempio    di 
altri  ben  molti  archi  ,  ornati  pur  essi  di  statue.    Dopo 
ciò  viene  a'  Personaggi  ,  che  potevano  es^^ere  i-appresen- 
tafi  da  colesti  busti  loricati  :    dalla  mossa    dell'  uno ,    e 
dell'  altro  trae  motivo  di  supporre  ,  che  uno  di  essi  i"ap- 
presenti  un  Guerriero,    e  l'altro  un  Re,  od  un  Magi- 
strato primario.  E  come  si  sa  ,    che    l'arco    di  Susa  fu 
eretto  in  occasione  ,   che  Augusto  andò  nelle  Gallie  per 
produrre  all'  esercito  i  due  suoi  figliuoli  adottivi  Cajo  , 
e  Lucio  ,  disegnati    suoi  successori  ,    e    nati    da   Marco 
Vipsanio  Agrippa  ,    e    da    Giulia   figliuola    di  Augusto; 
come  si  nota ,  che  Agrippa   fu  quegli ,  che  domò  inte- 
ramente le  Alpi  ;    che  per  domaiie    si  valse    dclf  ajuto 
di  Cozio  figliuolo  di  Donno  ,    il  quale    sin  dall'  età    di 
Giuho    Cesare    avea    stretta    alleanza    co'  Romani  ;    che 
Agrippa  probabilmente  procacciò  a  Cozio  l' amicizia  di 
Augusto  ;  che  gli  anzidetti  Cajo ,  e  Lucio  godeano  am- 
pie possessioni  non  lungi  dalle  alpi  Cozie  ,   pensa  l'au- 
tore potersi  verisimilmente    dedurre  ,     che  il  torso    da 
guerriero  spetti   alla  statua    di    Agrippa,     e   f  altro    da 
uom  grave  alla  statua  di  Cozio  ,  o  di  Donno  padre  di 
lui.  Aggiugne  altresì  in  tal  proposito   alcune    non  disa- 
datte osservazioni ,    che    fa  così  sulla   qualità    de'  bassi- 
rilievi  ,    che   fregiano  entrambe  le  loriche  de'  torsi ,  co- 
me sul  luogo  ,  in  cui  doveano    questi    essere  collocati , 
e  termina  la  dissertazione  con  i-accogliere    ancora  con- 
siderabiU  notizie  spettanti  alla  storia    degli  anticlii    Re 

5 


(  ce  X  \  1  V  ) 
nlpiiii  ,  comiucinnclo   da   Domio ,    sino    a     cliC    le    Alpi 
Ciozie  furono  da  Nerone  ridotle   in  Provincia  Romana. 

Il  piofessore  Regis  lesse  pur  egli  tre  discorsi  ,  cioè 
sulla  mitologi*  considerata  còme  maestra  di  morale  ,  e 
politica  ,  sulla  natura  dell'  eloquenza  ,  sulle  piramidi 
dell' Egil  lo. 

Nel  primo  rilevata  da  principio  coli'  autorità  del  Gran 
Cancelliere  d' Inghilterra  Bacone  1'  eccellenza  della  mi- 
tologia priniiliva  ,  e  toccati  i  precipui  motivi ,  onde  gli 
antichi  per  mezzo  di  lei  ne  porsero  anche  le  più  su- 
])limi  massime  morali ,  e  politiche ,  si  mette  sulle  tracce 
di  questa  misteiiosa  insegnatrice  ;  la  segue  nelle  con- 
trade dell'  Egitto  ,  e  della  Grecia  ;  ne  accenna  i  più  es- 
senziali dettami  nelle  opei-e  de'  migliori  Poeti  ,  Storici , 
ed  Oratori;  e  ne  addila  in  fine  chiari  vestigj  nella  stessa 
scrii  fina  sanla  ,  tesoro  inestimabile  di  sapienza  non 
meno  ,    che  di  anlichilà. 

Nel  secondo  ,  che  si  aggira  specialmente  su  di  una 
certa  novissima  definizione  data  dal  Signor  D'Alembert 
alla  eloquenza  ,  1'  Autore  con  tutti  i  riguardi  a  si  gran 
savio  dovuti  prende  ad  esaminare  ,  se  il  parer  di  esso 
solo  in  tal  quistione  debba  ,  o  no  gire  innanzi  al  pa- 
rere di  tutti  i  maggiori  letterati.  Discute  partitamente 
in  tutta  la'  sua  novità  la  cjuistionata  definizione  ,  e  eoa 
argomenti  ,  che  trae  dalla  natura  dell'  eloquenza  ,  da 
mulliplici  ullizj  ,  e  requisiti  di  lei  ;  e  col  confronto  ,  che 
fa  di  tal  definizione  con  quelle  ,  che  in  specie  ne  die- 
dero il  Grecò  Filosofo ,  e  il  Retore  Romano  ,    viene  a 


(  XXXV  ) 

contliiuflcrc  ,  che  qualunque  sia  il  merito  del  Signor 
D'  Alembert  (  il  quale  di  buon  grado  ,  discorrendo 
per  lult'  i  capi  a  cotant'  uomo  onorevoli ,  confessa  che 
è  grandissimo  )  ad  ogni  modo  in  fatto  di  eloquenza 
sembra  più  sicuro  partilo  lo  atteueixi  fedelmente  a  prin- 
cipi ,  che  sin  qui  senza  essere  contraddetti  mai  ,  da  so- 
lenni maestri  ne  vennero  tramandati. 

Nel  terzo  *  il  cui  scopo  sono  le  famose  piramidi ,  co- 
me principalmente  dagli  Egiziani  destinate  ad  essere  di 
ogni  lor  bella  conoscenza  depositarie  ,  va  egli  iscor- 
rendo  per  tutto  quello,  che  può  a  questa  opinione  acqui- 
stare probabilità.  L'  amore  speciale  di  quel  popolo  per 
la  immortalità  ,  1'  altro  suo  senno  incontrastato  ,  le  sue 
opere  tutte  quante  a  pubblico  prò  ordinale  ,  la  neces- 
sità di  assicurare  sopra  sodissime  fabbi'iche  i  simboli, 
e  li  jerogUfici  ,  che  soli  per  la  mancanza  della  scrittura 
poteano  conservare  da  distruggitori  rivolgimenti  avve- 
nire le  scienze  ,  e  le  arti ,  il  costume  aniico ,  e  gene- 
rale ,  che  vi  era  d"  affidare  alle  pietre  le  belle  notizie  , 
e  gli  Utili  ritrovamenti  ,  le  colonne  ,  gli  obelisci  ,  e  gli 
altri  grandi  edifizj  ,  che  restano  ,  per  testimonianza  di 
illuminati  viaggiatori  ,  per  .giudizio  di  dottissimi  antirr 
quarj  ,  ancora  di  tai  mistiche,  note  cospèrsi ,  il  dispen- 
dio ,  il  tempo  ,  il  lavoro  immenso  ,  che  costarono  mas- 
simamente le  piramidi ,  la  maravigliosa  durevolezza  delle 
medesime,  la  fonna  ,  la  similitudine,  la  quantità,  e 
ogni  cosa  ,  che  le  riguarda,  a  niun  altro  fine  si  veri- 
sixuilmenle  ,  come  a  questg    iudiritta  ,    sono    le  princi- 


( XXXVI ) 

pali  conghit'tturc ,  che  in  un  colle  ciicoslanze  piìi  pro- 
prie a  rinforzarle,  mette  in  vista  1' autore  per  provare, 
se  è  possibile,  che  coteste  moli,  anziché  la  stupidità, 
e  r  orgoglio  degli  Egiziani ,  attestano  la  loro  saviezza , 
e  prudenza. 

Qui  meritano  ancora  onorevole  ricordanza  alcune 
dotte  dissertazioni  lette  all'  Accademia  in  tal  genere  di 
studj  da  qualche  suo  corrispondente  ;  e  sono 

De  la  ctitiijue  considévée  comnie  emploi  des  Aca- 
demies.  De  M/  La-Cretelle  ,  membre  de  l'Institut 
National. 

Sur  les  itnposliires  littéraìres  de  VAbhé  Vella.  De 
M.'  AcTis  ,  vice-bibliothécaire  de  l'Alliénée  f'aisant  les 
l'onctions  de  bibliothécaire  en  chef. 

De  l'ulililé  de  la  designation  dea  historìographes 
cìiez  les  corporadons  savantes.  Du  mcme  auteur. 

Stile. 

Qualità  necessaria  ,  e  parte  importantissima  della  bella 
letteratura  si  è  lo  stile  ,  sotto  il  cui  nome  s' intende  lo 
studio  ,  e  fesercizio  di  quella  lingua  ,  che  altri  usar 
vuole  scrivendo.  Le  lingue  dotte  in  Piemonte  sin  dai 
tempi  i  più  antichi  non  furono  neglette  mai.  Ma  dopo 
il  restauramento  della  nostra  Università  ,  il  quale  jier 
la  oculatissima  magnificenza  di  Vittorio  Amedeo  II 
ebbe  luogo  verso  il  17:10  si  videro  esse  con  un  ar- 
dore ,  con  un  frutto   sì  fatto  coltivare  ,    che  forse  non 


(   X  X  X  V  1 1   ) 

ne  sperimentarono  altrove  l'eguale.  Le  cattedre  di 
eloquenza  in  lingua  latina  ,  italiana ,  e  greca,  dalle 
quali  scelti  giovani ,  usciti  già  da'  cancelli  filosofici , 
e  dentro  educatiice  (  \  )  magione  morigeratissima  man- 
tenuti ,  dovettero  d' allora  in  poi  essere  formati  per 
insegnare  qua  e  là  nelle  provincie  le  lettere  ;  un  col- 
legio di  Savj  destinati  dalla  legge  a  provarne  la  capa- 
cità ,  prima  di  segnar  loro  le  patenti ,'  che  aveazio  ad 
introdurli  nel  geloso  magistero  :  un  codice  egregio ,  un 
Magistrato  vigilantissimo  sull'  ordine  ,  e  sulla  uniformità 
dell' univei-sale  insegnamento:  sì  fatto  stabilimento  ap- 
punto ,  il  pili  assennato  ,  e  in  tal  genei-e  per  lungo 
tempo  forse  1'  unico  in  Europa  ,  ebbe  tanto  potere  , 
che  le  nostre  contrade  in  men  di  quarant'  anni ,  come 
nelle  altre  parti  lettei-arie  ,  così  nella  perizia  ,  ed  ecccb 
lenza  della  lingua  de'  Greci ,  de'  Latini ,  e  degV  Italiani 
non  dovettero  temer  più  il  rigoroso  confionto  di  alcuno 
de'  più  colti  Stati  d' Italia.  A  mantenere  pertanto  sta- 
bile ,  e  perenne  fi-a  noi  la  gloria  di  queste  favelle ,  co- 
me anche  a  pi-omovere  la  eleganza,  e  la  ricchezza  della 
Francese  ,  or  di  nostra  ragione  quasi  divenuta ,  ella  è 
particolarmente  deputata  la  Classe  di  letteratura  ,  e  tra 
i  multiplici  mezzi  ,  che  indefessamente  vi  adopera  ^ 
mira  anche  in  buona  parte  a  riusciivi  con  prose  ,  con 
poesie  ,   e   con   traduzioni  di  ogni  maniera. 

Certo  avendo  lo  stile  sempre  relazione  colla  maniera 


(  1  )  Il  Collegio  già  detto  delle  Provincie. 


(    X  X  X  V  I  I  I    ) 

del  pensare  ,  e  abbracciando  come  sue  c/ualità  princi- 
pali la  perspicuità  ,  e  l'ornamento  ,  sono  già  per  cjuesto 
rispetto  da  riferir  qui  le  prose  ,  clie  vanno  innanzi  : 
nondimeno  vi  hanno  ancora  a  trovar  luogo  lor  pro- 
prio  le   seguenti  ,  di   cui    farò   oi-a  rimembranza. 

Il  Signor  Bava-S.-Paolo  sul  dilettevole  di  ogni  stilo 
ne  arrecò  una  dissertazione  ,  nella  quale  pose  da  prin- 
cipio ,  che  il  diletto  è  il  mezzo  più  possente  a  trar 
dalle  scritture  il  massimo  vantaggio  :  poscia  stabilì  ,  e 
spiegò  i  fonti  primarj  ,  da  cui  questo  diletto  in  cpia- 
lunque  maniera  di  scrivere    infallibilmente  dei-iva. 

Lo  stesso  autore  ne  intrattenne  anche  molte  volto 
a  sentii'C  parecchj  dialoghi  tra  morti  ,  che  a  foggia  di 
quelli  del  nipote  del  gran  GorneUo  egli  compose ,  con 
istudiarsi  però  soprattutto  di  evitare  in  queste  tranquille 
conversazioni  de  campi  elisi  quella  sottigliezza  ,  e  cfuel 
licercato  ,  da  cui  non  seppe  assai  guardarsi  lo  allora 
ancor  giovine  Fontenelle  ,  come  altresì  di  non  cadere 
in  quella  certa  unifoimità  di  caratteri ,  per  cui  ogni 
personaggio  nelle  mani  del  lodato  scrittore  diventa  trop- 
po facilmente  Francese. 

Il  signor  Prospero  Balbo  ne  porse  un  consldei-abile 
saggio  di  recente  storia  letteraria  patria ,  il  quale  ben- 
ché scritto  già  da  molto  tempo  ,  fu  per  certa  combi- 
nazione di  circostanze  pervenuto  ad  essere  legittima 
possessione  della  presente  Classe  di  letteratura.  L'au- 
tore appunto  ,  essendo  segretario  aggiunto  dell'  antica 
Accademia ,   avea  piglialo  a   scrivere  non  gli  elogj ,  ma 


(    X  X  X  i  X    ) 

le  vite  degli  Accademici  dthioti.  E  cotne  il  D'Amom  fu 
il  primo,  che  veaoe  a  morte  dopo  la  solenne  instituzione 
dell' Accademia  ,  fu  'a  sua  vila  la  prima  ad  essere  da  lui 
compilata:  fu  essa  già  letta  nelle  private  sessioni  del  mese 
di  novembre  l'anno  179 1,  anzi  di  un  compendio  della 
medesima  si  fece  lettura  nella  seguente  adunanza  pubblica 
del  piimo  di  dicembre.  Ma  tra  perchè  scritta  egli  l'aveva 
in  italiano ,  e  i  volumi  dell'  Accademia  allora  stampa- 
vansi  unicamente  in  francese,  e  perchè  stava  attendendo 
di  poterla  nel  voluto  idioma  unire  alle  altre  vite  com- 
pagne, dalle  quali  altre,  ed  altre  occupazioni  il  distol- 
sero, e  perchè  infine  a  stamparla  separata  dalle  altre, 
come  lo  aveano  poi  i  suoi  colleghi  ordinato,  sorsero 
vicende  che  ne  lo  ritardarono,  ritornato  che  fu  da'viaggi 
suoi  con  gran  desiderio  di  tutti  in  seno  alla  listaurata 
Accademia,  la  rilesse,  qual  dapprima  composta  l'avea, 
alla  classe  letteraria,  e  questa  volentieri  l'udì,  e  volen- 
tieri nel  presente  volume  la  collocò.  Ne  crede  il  nostro 
Accademico,  che  verun  savio  e  discreto  giudice  possa 
in  alcun  modo  un  tal  lavoro  biasimare  di  ciò,  che  porti 
ad  ogni  passo  l' impi-onto  e  il  marchio  del  tempo ,  in 
cui  fu  scritto.  Troppo  ridicola  affettazione  sarebbe  stata 
il  voler  ora  cangiare  ogni  tratto  ,  ogni  parola  ,  ogni  ti- 
tolo, che  pili  non  convenga  a' tempi  nostri.  Ed  anzi  chi 
diritto  e  stima  troverà,  che  appunto  a' tempi  presenti 
conviene  il  non  biasimare  i  passati,  il  commendameli  ezian- 
dio in  ciò,  ch'era  degno  di  giusta  commendazione. 
Ora  venendo    alla    vita  stessa,    nella   quale   la  purità 


(    XL    ) 

dello  stile  italiano  va  di  paio  colla  sceltezza  della  ma- 
teria, l'autore  ricordata  l'origine ,  la  nascita,  e  la  prima 
educazione  del  D'Antom  ,  cel  rappresenta  sul  principio 
semplice  soldato  fra  gli  artiglieri,  distinto  però  col  titolo 
di  rolontan'o ,  solito  a  concedersi  a  quei  di  l'amiglia 
riguardevole;  e  il  segue  poi  ne' successivi  avanzamenti  a 
viemaggiori  gradi,  premj  ognora  di  suo  valor,  di  suo 
senno  in  guerra,  e  in  pace  dimostrato:  parla  de' primi 
passi  da  esso  nelle  scienze  falli  sotto  la  scorta  di  eccel- 
lenti uomini  ;  non  obblia  il  prò  che  trasse  dal  conver- 
sare coir  Abate  Tagliazucchi  ,  valente  non  meno  nella 
matematica,  che  nella  poetica,  ed  oratoria  facoltà;  dal 
frequentare  le  adunanze  dell'Abate  Nollet  ,  e  di  altri 
fisici  sperimentatori  ;  e  dal  sostenere  con  parecchi  dotti 
uffiziali  incumbenze  all'  incremento  di  questa  scienza  in- 
dirizzate. S'arresta  alquanto  a  riguardarlo  nella  affidatagli 
direzione  delle  nuove  scuole  teoriche,  alle  quali  fa  scala 
la  scuola  pratica,  che  prima  di  esse  dalla  capitale  erasi 
già  estesa  a  ogni  Città  presidiata.  Fa  menzione  de'  libri 
per  uso  delle  medesime  stampati ,  ne'  quali  egli  ebbe 
cotanta  parte  ;  loda  il  suo  Esame  della  pohere ,  che 
tradotto  in  varie  lingue  fia  un  eterno  monumento  della 
gloria  di  lui;  le  sue  Istituzioni  fisico-meccaniche ,  e 
la  sua  Artiglieria  pratica ,  che  in  occasione  che  la  Corte 
di  Francia  ne  avea  domandato  una  copia,  furono  esse 
stampate;  come  pure  \ Architettura  militare  anche  dal 
Re  di  Spagna  richiesta  ,  e  1'  Uso  dell'  armi  da  fuoco , 
degnissimo    supplemento    aW  Esame    della   polvere,    e 


(   X  L  I    ) 

anch'  esso  nelle  lingue  Francese  e  Inglese  recato.  Accen- 
nate quindi  altre  magnifiche  testimonianze,  che  il  nostro 
artigliere  pel  più  ciotto  fra  gli  artiglieri  di  Europa  ma- 
nifestano ,  prende  occasione  di  spaziare  con  ricca  fiaccola 
storica  su'  progressi  che  fece  presso  di  noi  la  scienza 
dell'artiglieria;  e  sin  dal  finir  del  secolo  XV  incomin- 
ciando vien  raccogliendo  tutte  le  più  pregevoli  notizie 
a  tal  bisogno  appartenenti,  sinché  rientra  ne' tempi  dal 
D'Antoni  particolarmente  illustrati.  E  rammemorati  molti 
sperimenti,  molti  fatti  aggiunti  tra  noi  ultimamente  alla 
scienza,  passa  ad  accennare  va.rj  essenzialissimi  punti, 
in  cui  dopo  i  precedenti  scrittori  sembra  che  la  scienza 
siasi  qua  di  molto  avanzata ,  mercè  del  filosofico  spirito, 
ond'  égli  era  animato  ,  di  sottile  ricerca ,  di  attenta  osser- 
vazione ,    e  di  meditazione  profonda. 

Dopo  tutto  ciò  con  dotti  ed  eruditi  ragionamenti  es- 
posto ed  arricchito  a  luogo  a  luogo  di  massime  salutari,. 
di  viste  politiche,  quai  sono  tra  le  altre  quelle  sull'arte 
difficilissima  di  far  cose  grandi  con  piccioli  mezzi  sulla 
giusta  e  misurata  distribuzione  degli  onori ,  e  de'premj 
(lode  un  tempo  particolare  del  nostro  governo)  ,  lo  Scrit- 
tore della  vita  si  volge  a  mostrare  come  il  singoiar-  me- 
rito del  D'Antoni  dentro ,  e  fuori  conosciuto,  ed  ammi- 
ralo, fu  eziandio  dal  Ke  Carlo  Emanuele,  e  da  Vittorio 
Amedeo  III,  senza  interruzione  veruna,  singolarmente 
gradito,  e  distinto.  E  l'onor  che  ebbe  di  servire  a  tutti 
i  Reali  Principi  di  maestro  non  solo  in  ciò  che  spetta 
ad  artigliere,  o  ad  ingi-gnere,  ma  in  tutto  quello,  che 

6 


(   X  L  I  I    ) 

alla  tattica,  etl  iu  generale  all'arte  della  guerra  appar- 
tìcnsi  (giacché  in  tutte  queste  parti  era  doltissiino,  e 
di  tattica  scrisse  due  opere  considerabili  inedile  ),  l'inca- 
rico che  sempre  gli  fu  dato  di  accompagnare  ora  gli 
Augusti  Allievi,  ed  ora  anche  stranieri  Principi  ragguar- 
devolissimi a  visitare  le  rrostre  rinomate  fortezze  ,  o  alcuni 
•de' luoghi  più  famosi  nella  storia  militare  (ni  qual  uopo 
nhino  era  certo  più  adatto  di  lui  per  la  conoscenza  va- 
stissima delle  nostre  guerre,  su  delle  quali  ne  lasciò 
preziosi  monumenti),  e  lo  avanzamento  che  fecene'gradl 
della  milizia,  tratto  essendo  dal  suo  merito  solo,  dopo 
i  primi  già  avutivi  ad  essere  Maggior  generale,  indi  Te- 
nente generale,  poi  Ajutante  generale  d'Armata,  e  infine 
rappresentante  il  Gran  Mastro  di  artiglieria,  tutto  ciò 
basta ,  secondo  lui ,  a  palesare  evidentemente  l' altissimo 
conto,  in  cui  fu  ognora  da' suoi  Sovrani  tenuto.  E  qui 
Jo  Scrittore,  toccate  ancora  alcune  saggie  e  benefiche 
provvidenze  che  il  D'Antoni  ,  rivestito  della  suprema 
autorità  nell'artiglieria  procurò,  quai  sono  un  adottato 
nuovo  sistema  di  artiglieri  ausiliarj ,  e  provinciali,  me- 
todi i  migliori  fissati  per  le  scuole  pratiche,  nuovi  ordi- 
namenti sulla  polvere,  sul  nitro,  e  sulle  fondite,  inse- 
gnamento regolare  della  chimica  introdotto  ncU' Arsenale, 
Maestri  stabiliti,  e  stipendiati  con  una  porzione  de' suoi 
dritti  medesimi,  a  dirozzare  gl'idioti  artiglieri,  e  ram- 
mentate insieme  alcune  altre  particolarità,  e  venture  per 
lui  onorevolissime,  pon  termine  alla  sua  storia,  con  ma- 
nifestare ij  vivo  rincrescimento,    che  con  tutta   la  patria 


(   Xt  III  ) 

per  là  morte    di    sì   grand'  uomo    senti    partìcolarmenter 
r  Accademia ,  di  cui  egli  era  uno  tra'  maggiori  ornamenti. 

11  signor  Francesco  Grassi  lesse  pure  due  suoi  discorsi 
sulla   drammatica  :   in  uno ,    premesse  alcune  osservazioni, 
sullo  stile  in  generale  a  questo  genere    di    poesie  con-? 
veniente,  entrò  a   dare  una  facile  e  chiara  norma  onde" 
giudicar  sanamente  sì  della  bellezza  di  tali  componimenti, 
e  sì  dell' esattezza  degli  autori  nel  rappresentarli:    in  un 
•rltro  espose  la  difficil  arte  d'inventare  gl'intrecci;  toccò 
un  poco   i  soggetti  storici,  mitologici,   di  semplice  in- 
venzione;  e  non   preterì  il  modo  di  portare  ne"  soggetti 
antichi   intrecci  novelli. 

11  fu  Professor  Vigo  ,  dalla  sperienza  di  molti  anni , 
e  di  gloriose  fatiche  ammaestrato,  a' letterati,  cui  brama' 
eccessiva  di  sapere  agita  e  trasporta ,  con  un  paradosso 
latino  donò  questo  salutare  avviso,  che  negli  studj  si 
va  più  innanzi,  quando  si  osserva,  che  quando  si  om- 
inette  nel  faticare  la  moderazione. 

Si  udì  ancora  in  parecchie  distinte  adunanze  la  let- 
tura di  due  prefazioni  italiane ,  che  gli  autori  di  esse 
per  lo  stile  ugualmente ,  e  per  la  materia  procurarono 
che  fossero,  almen  quanto  per  lor  si  potea,  non  indegne 
delle  opere,  alla  testa  delle  quali  sono  esse  destinate. 
L' una  è  dtl  signor  Napione  ,  da  premettersi  alla  sua 
traduzione  delle  questioni  Tusculane  di  Cicerone,  1  altra 
del  professore  Regis,  da  stamparsi  in  fronte  alla  sua 
traduzione   della  ciropedia   di  Senofonte. 

E  dove  per  parte  eziandio  della  Lingua  Francese  lascio- 


(   X  L  I  V   ) 

tm  discorso  ,  il  quale  benché  di  buon  diritto  spetfaufe 
a  tutta  r  Accademia ,  di  sua  natura  non  di  meno  a  questa 
classe,  e  a  questo  luogo  appartiene  particolarmente?  parlo 
di  quello,  che  il  signor  Generale  Menou,  Amministra-. 
tore  generale,  li  17  frimajo  amio  XII,  in  una  scelta 
mimerosa  adunanza,  recitò  nel  prendere  tra  noi  in  qualità 
di  socio  per  la  prima  volta  il  posto,  a  cui  gli  unanimi 
voti  dell'  Accademia  lo  aveano  pochi  dì  prima  chiamato. 
Il  nuovo  Accademico  con  un  grave  principio  tratto 
dalla  sua  propria  carriera  delle  armi  propone,  che  gli 
studi  dopo  i  grandi  rivolgimenti  politici ,  dopo  le  guerre 
di  opinioni,  e  i  movimenti  dalle  passioni  generati,  an- 
ziché trovarsi  infievoliti  prendon  polso  e  lena  maggiore. 
A  confermazione  .di  sua  proposta  tocca  alcuni  argomenti,) 
che  tira  dalle  leggi  della  natura,  dall'indole  dello  spirito 
umano  ;  volge  un  occhiata  agli  annali  della  storia  lette- 
raria, e  politica,  e  dice  espressamente,  che  dopo  i  fu- 
rori della  lega,  e  del  partito  opposto  alla  Corte,  dopo 
le  guerre  di  religione  sì  funeste  alla  Francia,  e  all'Eu- 
ropa, dopo  la  rivoluzion  d'Inghilterra,  e  quella  del  Por- 
togallo ,  dopo  i  movimenti  sotto  Filippo  II  agitatori  della 
Spagna,  dopo  le  discordie  dall'animosità  de' Principi 
cattolici  e  protestanti  sorte  nell'  Impero  Germanico,  dopo 
tutto  ciò  appunto  egli  appare  il  secolo,  che  il  secolo  si 
chiamò  di  Luigi  XIV.  Passa  di  qua  a  un  fausto  presagio 
pe' tempi,  in  cui  siamo  entrati  all'uscire  di  una  di  quelle 
grandi  convulsioni,  che  raramente,  per  fortuna  dellaf- 
spezie  umana,  scuotono    l'universo.    Fa,   com' è  giusto. 


(   XLV   ) 

campeggiare  l'Eroe,  che  diede  fiue  a  tanti  mali;  e  che 
dopo  i  trionfi  per  guerre  indispensabili  nell'  uno,  e 
nell'altro  emisperio  accumulati,  sentì  che  la  sua  vera 
grandezza  è  fondata  sulla  felicità  de' popoli,  e  che  questa 
felicità  è  fondata  pur  essa  sul  rinascimento  delle  lettere, 
sul  progresso  delle  scienze,  e  dell'arti.  Hicorda  come 
quest'Eroe  tiene  a  sì  bel  fine  tutte  le  mire,  e  le  opere 
sue  indirizzate;  fa  un  cenno  della  guerra,  che,  obbliati 
i  trattati  più  solenni,  ha  rotto  l'Inghilterra,  inquieta  pel 
ben  della  Francia,  e  invita,  e  conforta  i  compagni  d'arme 
alla  vittoria;  non  lascia  intanto  di  avere  qualche  credenza, 
che  la  gran  rivale  possa  tuttavia  rivolgersi  a  più  sano 
consiglio  pacifico ,  e  annunzia ,  che  allora  sotto  un  nuovo 
Augusto  fia  chiuso  il  tempio  di  Marte,  e  aperto  quel 
delle  Muse.  A  parte  di  sì  belle  speranze  chiama  in  sin- 
golar  modo  l'Accademia  di  Torino,  e  con  un  elogio 
alla  medesima  non  di  quelli,  che  il  tempo  fa  invec- 
chiare ,  e  che  il  numero  stesso  indebolisce ,  pon  fine  al 


suo   ragionare. 


Poesia. 

Se  l'opinione  di  coloro,  i  quali  dicono,  che  la  poesìa 
è  un  ostacolo  al  sapere,  poggiasse  in  su  qualche  fonda- 
mento, ragion  vorrebbe,  ch'io  m' accignessl  ad  abbat- 
terla prima  di  sceudere  a  far  menzione  di  nosti-e  scritture 
poetiche.  Perciocché  troppo  indegno  parrebbe  di  una 
dotta  compagnia  lo  occuparsi  anche  per  poco  intorno  ad 


(    X  L  V  I    ) 

•una  facoltà,  die  il  gusto  loglieese  degli  altri  studj ,  che 
jneno  dilcllevoli  sono,  e  più  sodi.  Ma  cotestoro  Iraggon 
motivo  di  giudicare  si  falsamente,  dal  vedere  darsi  il 
nome  di  poeta  a  certuni,  i  quali  senza  avere  ricevuto 
dalla  natura  un  ingegno  sublime,  e.  una  viva  immagi- 
nazione, senza  conoscer  punto  né  regole,  nò  esempj, 
né  lingue  de' primi  autori  e  maestri  dell'antichità,  senza 
penetrare  a  tesoro  nessuno  di  Scienza  o  di  arte ,  vanno 
ad  ogni  lieve  occasione,  a  ogni  capricciosa  fantasia  pub- 
blicando versi,  de'cjuali  i  meno  cattivi  son  quelli,  a  cui 
solo  si  può  rimproverare  di  essere  frivoli.  Noi  all'opposto 
in  troppo  pili  alto  prezzo  mettiamo  giustamente  il  bel 
nome  di  Poeta;  noi  senza  parlare  della  dottrina  amplis- 
sima degli  antichi  poeti,  sappiamo,  che  tra' nostri  mo- 
derni que' ,  che  in  profondità  di  erudizione  si  dislins^ero, 
quasi  tutti  ne  lasciarono  poetiche  produzioni  eccellenti  ; 
noi  a' nostri  dì,  o  poco  da  noi  lontani  veggiamo  ben 
molti,  i  quali  alle  scienze  le  più  serie,  e  le  più  astratte 
hanno  saputo,  e  sanno  congiungere  tutta  la  dolcezza,  e 
leggiadria  delle  Muse  Latine,  Italiane,  e  Francesi,  11 
perchè,  senza  arrestarmi  punto  nel  mio  troppo  lungo 
cammino,  verrò  tosto  accennando  le  poesie,  colle  quali 
varj  Accademici  spesso  gì'  intervalli  delle  assemblee  non 
indebitamente  riempirono. 

Madama  Diodata  Saluzzo-Roero  ne  fece  molte  volte, 
e  su  varj  soggetti  sentire  il  valore  della  conosciuta  sua 
celerà.  Con  un  endecassillabo  annunziò  le  belle  speranze 
concepute  di  gentile  a  lei  cara  donzellina;  con  più  sonetti 


(    X  L  V   I   I    ) 

onorò  la  morte  di  un'illustre  sua  amica,  da  lei  già  con 
molti  altri  interessantissimi  versi  celebrata  in  una  sua 
raccolta  stampata  a  Torino ,  e  ristampata  a  Pisa  ;  con 
una  canzone  anacreontica  intitolata  l'Amorino ,  spiegò  i 
suoi  giusti  sensi  sul!"  amore ,  a  cantar  le  cui  lodi  era  sfata 
da  una  Gentildonna  Italiana  invitata;  con  un'altra  sotto 
il  titolo  degli  atomi  espresse  ingegnosamente  i  vantaggi 
della  gloria  sopra  la  bellezza;  e  con  un'elegia  sulla  tomba 
dì  Alfieri,  copri  le  ceneri  di  questo  gran  tragico  quasi 
di  uno  scudo  insuperabile  contro  i  colpi,  che  vi  possa 
lanciar  mai  la  ignoranza  ,   o   l' invidia. 

Ella  ne  recitò  altresì  due  capitoli  in  3.*  rima;  1'  uno 
inviato  a  una  giovine  poetessa  Romana ,  nel  quale  ris- 
pondendo ad  una  canzone  ricevutane  da  essa,  la  conforta 
a  continuare  animosamente  l' erto  cammino  di  Parnaso. 
E  chi  meglio  di  lei  esserle  poteva  incitamento,  e  guida 
ad  un  tempo  ?  1'  altro  al  signor  abate  Denina  ,  dove  ÌQ 
ispezie  per  cortese  leggiadrissima  maniera  gli  dà  conto 
di  se,  e  degli  sfudj  suoi:  gli  dice  come  avviossi  al  lu- 
cido monte,  ove  stassi  Melpomene,  come  sacrò  all'ara 
di  lei  i  ben  accolti  suoi  voti  :  legge  colà  il  nome  de'  tre 
famosi  tragici  della  Grecia,  e  maravigliandosi  su  i  quat- 
tro della  Senna  si  duole,  che  X  Italia  con  la  mae- 
stosa sua  lingua  pur  un  di  questi  non  avesse  :  poi  si 
racconsola  al  vedere  il  nuovo  Sofocle  nostro  sorto  in 
tempo  a  vendicare  1'  Italo  nome;  protesta,  che  questo 
ella  pili  di  tufli  gli  altri  onora,  ed  annunzia  che  ve- 
stendo anch'  ella   tragico  coturno    con   due    tragedie   sue 


(   XLVIII   ) 

pinse  r  atroce  Tullia,  e  pianse  sul  destino  di  Erminia. 
Indi  passa  a  notificargli  come  s'  invaghì  pure  della  filo- 
sofia veduta  sotto  la  sembianza  d'  Ipazia  pudica,  filosofia, 
che  attrasse  i  cuori  dell'  antica  età,  ed  accenna  così  il 
nuovo  poema  su  tal  soggetto  da  lei  intrapreso.  !Nè  gli 
tace ,  che  talora  ripigliate  le  usate  ghirlande  torna  a 
sciorre  lirico  canto ,  e  talora  involta  in  bruno  velo  va 
piangendo  la  perduta  sua  dilettissima  Giosefllna.  Chiude 
in  fine  il  capitolo  con  dirgli ,  che  non  passa  giorno  , 
che  ella  non  si  oda  intorno  suonare  il  nome,  il  valore 
di  lui ,  con  assicurarlo  che  tuttora  il  serbano  altamente 
in  cuore  i  genitori,  e  i  germani  di  lei:  lode  a  parer 
mio,  non  l'  ultima  tra  le  lodi  di  questo  gran  letterato, 
l'essere  sì  caro  ed  in  prezzo  ad  una  famiglia,  ove  le 
scienze  e  le  lettere  per  sì  segnalata  guisa  sono,  si  può 
dire  ,  indistintamente  ereditarie. 

La  stessa  autrice  in  altre  diverse  adunanze  ne  lesse 
appunto  due  canti  dell'  ora  accennato  poema  suo  delle 
filosofie.  Uno  de' più  luminosi  princi[)j ,  che  Aristotile 
suir  esempio  di  Omkro  porge  a  qualunque  poeta,  il  qual 
massimamente  imprenda  a  scrivere  opere  che  procedano 
assai  in  lungo,  egli  b,  che  abbiasi  la  poesia  a  rendere 
drammatica,  o  vogliam  dire  attiva.  Qua  mirarono  que' 
pochi,  che  più  presso  al  grand' epico  poggiarono,  e  qua 
mirò  altresì  la  valente  Accademica  in  questo  assai  lungo 
poema  scritto  da  lei ,  come  quel  di  Dante  in  terza  rima. 
Ella  vi  mette  a  fare  il  primo  personaggio  la  celebre 
Ipazia    figliuola    del    filosofo    Teone;   pone    la  scena   in 


(   X  L  I  X    ) 

sandria  di  Egillo;  ristrigue  all'  anno  qualtrocenlesimo 
dell'  era  cristiana  il  tempo  doli'  azione,  la  quale  si  è  una 
rivoluzione  degli  Egizi  contro  i  Romani  :  v'  introduce 
per  attori  principali  i  varj  Capi  delle  varie  sette  filoso- 
fiche, che  fiorivano  in  Alessandria,  con  fargli  operare, 
per  quel  che  a  ciascuno  di  essi  appartiene,  a  seconda 
delle  loro  conosciute  opinioni  morali;  e  pon  termine  al 
poema  colla  morte  d'  Ipazia,  viltinia  infelice,  e  virtuosa 
degli  errori  universali.  Da  queste  poche  parole  ognuno 
può  argomentare  quanto  fedelmente  siasi  ella  attenuta 
all'  anzidetto  principio  dal  maggior  de'  maestri  presenta- 
toci, e  dal  maggior  de'  poeti  adoperato.  Aggiugnerò , 
che  se  gli  Omerici  poemi  sono  sì  lodati  anche  per  essere 
sparsi  di  punti  di  morale,  e  di  politica  utilissimi,  otterrà 
pur  questo  assai  lode  per  due  grandi  oggetti  eziandio, 
i  quali  in  ispezie  a  istruzione  del  mondo  si  propose  di 
mira:  e  sono  i.°  provare  quanto  in  mezzo  a' molti  er- 
rori delle  varie  sette  filosofiche  campeggi  la  superiorità 
della  cristiana  .filosofia;  2."  insegnare  quanto  di  rado  nel 
vortice  delle  umane  vicende  trionfi  chi  destò  i  tumulti, 
e   le   civili  discordie. 

Ci  sono  parimente  della  medesima  poetessa  due  consi- 
derabili canzoni:  la  prima  è  sulf  ozio;  e  con  questa 
tentò  specialmente  di  scuotere  dal  lusinghevol  sonno 
r  Italia,  e  richiamarla  al  viaggio  dell'antica  sua  gloria: 
la  seconda  è  sulla  fortuna,  soggetto  invero  già  venduto 
celebre  da  Pindaro,  da  OjtAzio,  dal  Guidi,  e  dirò  anche 
da  RoustìfiAU ,  beuchò  quest'  ultimo  sia  molto  distante  dal 

7 


greco  lirico,  qui  da  lui  preso  giustamente  per  modello, 
come  altrove  da  lui  poco  debitainenle  censurato.  JMa  ella 
comechò  ricca  sempre  dell'  estro  di  questi  gran  vati 
tenne  in  si  fatta  sua  poesia  un  modo,  che  nulla  ha  di 
comune  con  quelle  di  loro.  Tal  è  quando  dipigne  Iddio 
nella  sua  maestà ,  e  ncll'  atto ,  che  tira  dal  nulla  la 
fortuna,  quando  introduce  se  stessa  a  rifiutare  con  no- 
bile alterezza  i  favori  della  capricciosa  Dea,  e  quando 
rammenta  il  suo  magnanimo  padre,  i  suoi  diletti  fra- 
telli ,  e  la  morte  di  un  di  loro  su  gli  abborriti  campi 
di  Verona. 

Ecci  infine  della  stessa  sotto  il  nome  di  Glaucilla 
Eurolea  un  poemetto  per  nozze,  intitolato  la  Capanna, 
indiritlo  al  Signor  Aliate  Valperga-Caluso  tra  gli  Ar- 
cadi Euforbo  Meleslgenio.  La  ingegnosa  maniera  gra- 
ziosissima ,  con  cui  ella  invita  Euforbo  a  celebrare  lo 
illustre  maritaggio,  la  destrezza,  con  cui  nell' opera  in- 
tromette la  più  vezzosa  delle  grazie,  l'idea  sublime,  che 
dà  dell'amore,  nato  negli  stellati  armonici  regni,  fecon- 
datore, e  abbellitore  del  Mondo,  lo  elogio  nobile,  e 
riguardoso,  che  fa  degli  sposi  da  mistico  velo  adom- 
brato ,  oltre  la  novità  delle  immagini ,  e  la  varietà  del 
ritmo,  sono  una  luminosa  prova,  che  in  Italia,  anche 
su  tai  soggetti ,  qualunque  sieno  le  accuse,  che  ne  facciano 
alcuni  Oltremontaui ,  vi  è  tuttora,  chi  si  sa  ben  al  dis- 
sopra della   volgare  schiera  innalzare. 

Il  Signor  Abate  Valperga-Caluso  sotto  il  suo  nome 
di  Arcadia  Euforbo    ha  pur    egli    su   questo  argomento 


(    LI    ) 

meclesimo  un  poema  dello  stesso  genere.  La  vivace  af- 
fettuosa novità ,  con  cui  tratta  egli  uà  soggetto  sì  usato, 
qual  è  quello  di  uozze ,  può  servire  ad  ampliare  la  monte 
di  coloro,  che  in  sì  fatto  cammino  non  sanno  abban- 
donar mai  l'angusto  spazio,  che  corrono  i  più.  Invitato 
r  autore  dalla  celebie  poetessa  Madama  Diodata  Saluzzo- 
RoERO  col  nome  di  Glaiidlla ,  si  scusa  dapprima  con 
dire,  che  lo  snirito  suo  da  sei  anni  si  sta  fra  le  ombre 
di  un'onoranda  tomba,  cioè  dove  riposano  le  ceneri 
adorate  di  una  Principessa  *  per  le  sue  virtij,  per  le  sue 
grazie  elernaimcnte  tra  noi  memorabile,  Principessa,  dalla 
cui  eccelsa  fiamma  poteva  un  tempo  essere  la  sua  voce 
animata.  Poscia  sentendo  giugner  vie  piìi  dolci  in  fondo 
del  caro  avello  i  versi  di  Cianci  Ila,  quasi  suo  malgrado 
se  ne  spicca  ,  vien  fuori ,  prende  la  cetera ,  e  canta. 
Entrato  con  sì  nuova  maniera  nel  canto ,  anche  con  bella 
novità  insieme ,  ed  accortezza  prosegue  egli  a  cantare  i 
pregi  degli  sposi,  le  glorie  degli  avi,  e  le  speranze 
de'  discendenti  :  e  finisce  annunziando  in  un  modo  bea 
onorevole  per  chi  al  cauto  lo  invitò,  ch'egli  dalla  sem- 
pre acerba,  e  cara  rimembranza  viene  alla  trista  tomba 
richiamato. 

Il  Signor  Carlo  Bossi  ne  recò  altresì  un  poemetto  misto 
di  sciolti,   e  di  ottave,   intitolato:   Amore,  e  calore. 


*  V.  Omaggio  poplico  Hi  Euforbo  Meìesìgenin  P.  A.  alla  serenissima  Al- 
tezza (li  ''Giuseppina  Teresa  ili  Lorena,  Principessa  di  Carignano.  Parma 
Booom  1792. 


Qiial  minisfra  di  Dio  inteiessanfissima  ivi  h  infrodotfa 
la  natura.  Gioisce  ella  al  primiero  aspetto  doli'  uomo  , 
uscito  di  fresco  dalie  mani  del  Creatore.  Poscia  scor- 
gendovi dentro  al  cuore  un  torbido  affetto  distrug- 
gitor  di  se  stesso,  e  dentro  la  mente  anche  un' assimile 
idea  feroce,  che  assegna  in  terra  i  primi  onori  a  chi 
uccide  maggior  numero  di  viventi ,  se  ne  affanna  ella 
profondamente.  Traggesi  sollecita  dinanzi  a  lui,  che  Io 
creò,  e  con  una  maniera  degna  di  chi  parla,  e  di  chi 
ascolta  espone  il  suo  tristissimo  affanno.  Al  tacere  della 
gran  donna  un  improvviso  fascio  di  luce  la  investe,  e 
sulla  base  del  trono  empireo  le  offre  impresse  in  ful- 
gid' oro  note  consolatrici,  per  le  quali  vede,  che  la  dote 
primiera  dell'  uomo  doveva  essere  il  valore  :  ma  che  insie- 
me con  esso  gli  fu  dato  1'  amore  ;  e  sul  dolce  accordo ,  e 
sulle  felici  conseguenze  di  questi  due  affetti  ella  intende 
cose,  che  la  rendono  tranquilla,  e  serena.  Pari  in  questo 
componimento  alla  novità  de'  pensieri,  all'  elevatezza 
de' sentimenti  sono  la  forza,  la  precisione,  la  chiarezza, 
e  la   eleganza  dello  stile. 

Il  Siguor  Bava  S.  Paolo  recitò  parecchi  canti  di  un 
suo  poema  filosofico,  che  in  verso  sciolto  compose  sul 
bello  visibile.  Persuaso  1'  autore,  che  in  si  fatta  maniera 
di  poesia  il  metodo,  e  fordine  è  cssenzialissimo,  prese 
con  questa  doppia  vista  a  rintracciare  il  bello  regolar- 
mente spaziando  per  le  proprietà  dell'organo  visivo,  per 
la  luce,  e  pe' colori ,  pe' regni  vegetabile,  ed  animale, 
per  la  natura  umana,  e  per  l'arti  tutte.  E  come  Io  instruire, 


(   Lllt    ) 

bencTib  sia  questo  il  principal  fine,  ivi  non  basta,  stu- 
diossi  inoltre,  il  più  che  potè,  di  avvivare  le  moltiplici 
istruzioni  in  sì  vasto  campo  raccolte ,  con  introdurre  fi- 
gure ,  e  circostanze  tali  a  poter  dilettare  1'  immaginazione, 
nascondere  l'aridità  del  soggetto ,  e  abbellirlo  con  poe- 
fiche  pitture.  Il  leggitore,  poiché  il  poema  -in  un  vo- 
lume a  parte  è  già  per  intero  stampato,  facciane  il  con- 
fronto con  quello  de'  piaceri  dell  immaginazione  di 
Akenside,  o  con  quello  della  filosofia  Neiitoniana  di 
Stay  ,  o  con  quello  di  Dufrenoi  de  re  graphica ,  o  con 
qual  altro  de' moderni  più  vi  somiglia  nell'argomento, 
e  giudichi,  senza  ch'io  ne  dica  più  avanti,  a  qual  sia 
da  attribuire  la   preminenza.  ' 

Il  signor  Marengo  con  due  lettere  in  verso  sciolto'  a 
Lesbia  indirizzate,  con  un'ode  erotica  intitolata:  l'invito 
alla  campagna ,  ne  recitò  a  tempo  a  tempo  due  poemetti: 
L'  uno  in  3.^  rima  sulla  natura  poetica ,  e  vi  dichiarò, 
che  quantunque  a  riuscir  bene  in  poesia  la  natura ,  e 
l'arte  diansi  mano  a  vicenda,  la  natura  nondimeno  vi 
contribuisce  incomparabilmente  di   più  : 

L'  altro  in  versi  sciolti ,  il  qual  ha  per  titolo:  la  loinha 
del  secolo  XVIII,  e  in  esso  le  vicende  accadute  già 
nelle  varie  rivoluzioni  delle  nazioni ,  in  un  co'  moderni 
successi ,  adombrò  nel  simulacro  della  storia  ,  che  in  un 
prisma  da  lui  ideato  fa  vedere  la  tela  del  passato,  del 
presente,  ed  annunzia  parte  del  futuro  col  predire  la 
pace ,  che  realmente  si  conchiuse  poco  dopo. 

Il   medesimo    autore    ne    produsse    ancora   una  buona 


parte  del  canto  VII  della  Rodi  salvata,  poema  epico, 
il  qiial  condotto  da  lui  oiamai  a  teiinine,  e  già  de' suf- 
fragi di  una  insigne  letteraria  società  onorato  ,  sarebbe 
pur  esso  venuto  alla  luce,  se  a  trattenerlo  non  sorgeva 
nuovo   corso  di   tempi. 

Il  Signor  Francesco  Grassi  oltre  due  odi ,  1'  una 
sulla  battaglia  di  Marengo,  e  l'altra  sulla  pace,  oltre  il 
primo  canto  sul  galvanirmo  in  versi  sciolti,  n<'l  qual 
canto  fatto  di  tal  igneo  spirito  un  agente  universale  della 
natura  il  comincia  ad  applicare  al  regno  minerale,  ne 
lesse  egli  distinto  in  cjuicdici  canti  un  suo  poema,  il  cui 
titolo  si  è:  La  ragione  nella  adolescenza,  virilità,  e 
vecchiezza.  L'  autore  volendovi  delineare  un  quadro  mo- 
rale, e  fisico  dell'umana  vita,  ne' primi  cinque  canti 
sotto  la  scorta  della  ragione  conduce  1'  uomo  dalla  culla 
sino  a  sacra  magione ,  dove  s'  incorona  una  razionale 
disciplina:  ne'  cinque  seguenti  pe'  vari  impieghi  civili 
avanzatolo  nella  società  lo  scorge  sino  all^i  più  alta  per- 
fezione delle  sue  facoltà  intellettuali,  e  morali;  ne' cinque 
ultimi  guidatolo  alla  sede  veneranda  della  religione,  e 
da  questa  sovranamente  preparato  lo  scioglie  da'  lacci 
mortali ,   onde    innalzarlo   al   tempio   di   gloria. 

Il  Signor  MoRARDi  in  sei  distinte  poesie  espose  sei  di- 
stinti punti  rilevantissimi,  le  leggi  del  moto,  la  pietri- 
ficazione, i  coralli,  il  flusso  e  riflusso  del  mare,  l'ori- 
gine de'  colori,  e  gli  abitatori  dflla  Luna.  I  poeti,  non 
v'  ha  dubbio,  anche  nelle  finzioni,  e  nelle  ingegnose 
(loro  allegorie   deggiono    sempre    mostrarsi    filosofi  :    ma 


(    LV    ) 

quando  direttamente ,  e  alla  scoperta  pigliano  ad  esporre 
i  be'  ritrovamenti,  e  i  gravi  mister)  della  filosofia,  pare 
che  nelle  viste  di  lei  entrino  maggiormente.  Perciocché 
la  versificazione,  l'armonia,  e  le  grazie  poetiche  assai 
più  che  il  ragionamento  della  prosa  giovano  a  rendere 
amabili  le  speciali  cognizioni  filosofiche ,  a  diffonderle 
negli  spiriti,  e  a  conservarle  nella  memoria. 

Il  Ili  Carlo  Leprotti,  senza  che  la  sua  età  anche 
più  avanzata  mostrasse  gran  fatto  intiepidito  1'  ardore, 
che  in  più  occasioni  la  sua  gioventù  palesò  nel  poetico 
stadio,  ed  esercizio,  ne  venne  ancora  leggendo  varie 
poesie  e  latine ,  e  italiane.  In  alcune  di  esse  prese  a 
lodare  personaggi  per  chiarezza  di  amministrazione  civile, 
e  di  arte  militare  fra  noi  cari,  ed  illustri;  in  alcune  altre, 
che  sono  principalmente  tre  lunghi  componimenti  dram- 
matici, il  primo  l'Idra  aiterrala,  il  secondo  il  Coti" 
gresso  de  fiumi ,  e  il  terzo  Nettunno  in  villa  intitolati, 
volle  figurare  sotto  allegorico  velo  misteriosi  sensi  po- 
litici. 

11  Signor  Cesare  Saluzzo  ci  porse  parecchie  poesie 
come  di  lingua,  così  di  genere  diverse.  Le  italiane  ri- 
volse egli  per  lo  più  alla  pastorale,  specie  di  poesia 
quanto  ognora  gradita  da'  valorosi  ingegni,  altrettanto 
difficile  a  ben  condursi ,  massime  per  quel  giusto  mezzo 
da  tenere  fra  la  troppa  rusticità  da  una  parte,  e  il  troppo 
raffinamento  dall'  altra  ;  e  gì'  idillj  scritti  dal  poeta  Sici- 
liano alla  corte  del  Re  Tolomeo,  e  que'coraposti  a  quella 
di  Augusto    dal    poeta  Latino,   furono  i   principali  suoi 


esemplari.  Le  poesie  Francesi  poi  il  nostro  Accademico 
adoperò  ia  favole,  e  narrazioni  piacevoli,  inanieia  di 
poetare,  in  cui  anche  ben  pochi  seppero  unire  le  qua- 
lità ivi  sopra  ugni  altra  essenziali,  cioè  la  brevitii,  la 
pulitezza,  l'eleganza,  e  la  semplicità;  e  dal  modo,  che 
vi  tenne ,  si  scorge ,  che  il  suo  maggior  modello  fu 
La-Fontaine  ,  del  quale  che  che  ne  abbia  detto  Vol- 
taire ,  troppo  aspro  in  censurarne  certe  espressioni,  e 
certi  pensieri,  si  dovrà  confessare,  che  con  quell'aria, 
che  ha  costantemente  di  naturalezza,  di  verità,  d'inte- 
resse, di  candore,  e  buona  fede,  innamora  tutti  coloro, 
che  il   leggano  con   occhio   disappassionato. 

Il  Signor  professore  Dépéret,  fidatosi  giustamente  al 
valore  del  natio  suo  idioma,  entrò  come  in  una  gentil 
gara  con  un  de'  moderni  italiani ,  che  appunto  al  van- 
tato novellatore  Francese  si  assomiglia  d'  assai.  Prese 
pertanto  ad  imitare  alcuna  favola  del  celebre  nostro 
PiGNOTTi  ;  e  seguendo  1'  esempio  di  quegli  assennati  suoi 
compatrioti  poeti,  che  mossi  non  da  spirito  di  critica 
riscaldata ,  ma  da  verace  desiderio  di  arricchire  il  pub- 
blico letterario  patrimonio,  ebbero  cura  d'introdurre  nel 
parnaso  fiancese  tutto  il  bello  poetico  delle  altre  nazioni , 
con  una  nobile  imitazione  di  que'  pregj ,  che  nel  suo  il- 
lustre rivale  spiccano  maggiormente  ,  si  sforzò  di  pro- 
vare, che  il  naturale ,  il  semplice,  il  grazioso  dell'autore 
italiano  si  può  con  pari  felicità  esprimere  al  suono  di 
gallica   cetela. 

Il  fu  professore  Vigo  ,  cui  nella  Repubblica  letteraria 


i 


(    LVII    ) 

renderono  celebre  snprattiUto  vaij  poonii  Ialini;  Do  Sin- 
done 'iaurinensi  :  Corlex  periaianus:  Tubcia  teiraei 
Cannabis  :  Mormora  Subalpina  :  CJiarta:  Lanijiciuin  , 
et  lanificii  curalio:  Il  lodato  Professore,  io  dico,  simile 
appunto  a  quegli  alberi  rari,  e  preziosi,  i  quali  non 
conoscono  inverno,  e  colla  inesausta  loro  fecondità  arric- 
chiscono tulle  le  stagioni,  anche  nell'ultimo  diciaset- 
tesimo lustro  del  suo  vivere  ne  fece  dono  de' suoi  poe- 
tici frutti;  e  con  un'ode  latina  celeb-'ò  la  pace,  che  Ira 
la  Francia,  e  f  Inghilterra  erasi  poc'anzi  fatta;  con 
un'altia  descrisse  gì"  incomodi,  che  attorniano  la  cadente 
vecchiaja  ;  e  con  due  elegie  rappresentò  quinci  gli  affetti, 
che  la  prima  delle  madri  sentì  al  vedere  steso  in  terra 
l'innocente  Abele;  quindi  i  mali,  e  in  ispecie  la  ver- 
tigine, a  cui  d'ordinario  il  soverchio  studio  conduce 
i   letterati.  , 

Il  professore  Regis  insieme  con  un  carme  italiano  in 
versi  sciolti  sopra  gli  orti  di  Pomona,  e  un'  ode  alla 
pace,  scritta  allorquando  le  vittorie  al  Reno,  e  al  Mincio 
la  faceano  sperare  non  lontana ,  presentò  alla  Classe  in 
più  volte  un  poemetto  latino  su  gli  animali  microsco- 
pici. Nel  corso  di  esso  1'  accademico,  per  ciò  che  spetta  allo 
stile,  seguitò  quanto  più  potè  da  vicino,  quai  maestri, 
ed  autori  suoi  Lucbezio  ,  e  Virgilio  ;  e  per  quel  che 
riguarda  la  materia ,  cioò  la  natura  di  que.'>ti  maravi- 
gliosi  viventi,  la  loro  generazione,  e  il  modo  della  loro 
vita,  cercò  diligentemente  di  schiararsi  tuttora  al  lume, 
che  gli  porsero  i   precipui  sperimentatori   in  questo  par- 

8 


(    LVIII   ) 

fìcoliro  ramo  di  storia  naturale,  Spallanzani,  Boknft, 
H.AKER  ,  Rkaumur,  Saussure.  Nel  fine  poi  valsegli  anche 
lo  studio  de' poeti,  e  filosofi  maggiori,  ondo  con  un 
episodio  natogli  dall' argomento  medesimo,  annoverare 
i  molti,  e  grandi  vantaggi,  de'qnali  la  filosofia  in  gene- 
rale  fu   dalla  sperienza   in   questi  ultimi  tempi  arricchita. 

Aggiugnerò  ancora,  che  la  Classe  ha  pure  gradito 
assai  tre  poesie,  le  quali  gi:\  impresse  co'tipi  Bodoniani, 
le  presentò  la  sua  Corrispondente  signora  Clotilde  Tam- 
BRONi,  sempre  onoranda,  ossia  che  colle  colte  sue  rinre 
intrattenga  i  leggitori,  ossia  che  colle  erudite  lezioni 
ammaestri  gli  uditori  suoi  nella  Lingua  Greca,  la  cui 
cattedra  ella  tiene  con  singolar  lode  nell'  Instituto  di 
Bologna.  Le  poesie  sono: 

Un  epitalamio  greco  colla  traduzione  in  versi  parafi-a- 
sata  dalla  medesima  per  le  nfzze  del  signor  conte  Nicolò 
Fava  Ghisilieri,  colla  signora  Marchesa  Gaetana  Marescotti 
Berselli. 

Un'ode  saffica  greca,  tradotta  anche  dall'Autrice  io 
Toscano  ,  al  signor  Conte  Senatore  Ferdinando  Marescal- 
chi Fava  pel  quinto  solenne  suo  ingresso  al  Gonfalonie- 
rato   di  Giustizia  della   città,   e  popolo   di  Bologna. 

Un'  elegia  groca  in  onore  del  celebre  tipografo  Giam- 
battista Bodoni ,  con  la  versione  italiana  del  Padre  Mae- 
stro Giu<!ep[>e  Maria  Pagnini. 


(    L  I  X    ) 


TRADUZIONI. 


Il  tradurre  nella  propria  lingua  ciò,  che  ciascun  secolo 
produsse  di  eccellente  tra  le  altre   nazioni,   è,  non  vi  ha 
dubbio,   un  mezzo  opportuuissimo  per  esfendoie  le  nostre 
cognizioni,   per  mantenerci    nel  gusto    della  buona  lette- 
ratura, per  guardarci  dal  ricadere  nell'antica  barbarie.  E 
se  talun   ebbe  a  dire,   che  moltiplicandosi   esse,  potreb- 
bono  per  avventura    portare    un    colpo  mortale   a'  buoni 
studj ,   o  parlò  egli  da  irragionevole,   o  vuoisi  il  suo  detto 
con  molta  circospezione  interpretare.  Certo,  se  le  tradu- 
zioni mirassero  a  mandare  in  disuso    le    dotte  lingue,   o 
fossero    tali    a    mettere    in    discredito    gli  autori    antichi, 
forse    più   nocive,  che  salutari  sarebbono  alla  repubblica 
letteraria.   Ma    la    bisogna    ha  da  essere  altrimenti:    gio- 
vino  pur  esse  a  tanti   e  tanti,  a' quali  senza    un  tal  soc- 
corso  sarebbono  gli  antichi  idiomi    perpetuamente  inter- 
detti;   ma   questi    stiansi  sempre    in    pregio,    e    vigore, 
anzi  diille  medesime  vie  più  schiariti,  e  agevolati.   Che 
senza   di  essi  in  breve  si  altererebbe  la  tintura  del  gusto 
antico,  che  fa  ora   il  maggior  pregio  di  nostre  scritture, 
e  noi,     con   qualsivoglia    eccellenza     nel    tradurre,     mal 
potremmo  sperare    di  poter  essere  per  li  nostri  discen- 
denti  ciò,   che   per  noi  furono  i  Greci,  e  i   Romani.  Si- 
milmente   persuadausi    i  traduttori,   che  a  far  si,  com'è 
loro  dovere ,   che  per  le  loro  traduzioni  i  più  non  isce- 
miuo    la  stima  per  gli  antichi,  anzi  maggiormente  s' ia- 


(    LX)  ^ 

vngliiio  di  studiarli  ,  e  di  .nudarvi  a  rercare  ì  veri 
modelli  iu  tutto,  hanno  essi  delle  grandi  difficoltà  a 
vincere  si  per  ragion  dello  stile,  e  sì  pel  fondo  delle 
cose.  Ma  se  possederanno  ben  bene  la  loro  lingua  ,  mas- 
simamente ove  trattisi  dell'  Italiana  nostra ,  di  tutte  la 
più  varia,  la  più  flessibile,  la  più  capace  di  forme 
differenti  ;  se  avranno  una  piena  conoscenza ,  ed  intera 
tanto  della  favella  nelf  originale  o  greco,  o  latino  ado- 
perata, quanto  di  tutto  ciò,  che  appartiensi  a' costumi, 
alle  usanze,  alle  leggi,  alla  religione,  al  governo,  alla 
storia,  e  alle  diverse  instituzioni  de'.tcmpi,  le  vince- 
ranno eglino  pure  queste  difilcoltà,  e  rendeianno  a 
questo  modo  un  grandissimo  servigio  alla  loro  nazione, 
mettendole  sotto  gli  occhi  ciò ,  che  di  più  prezioso  ne 
lasciò  massimamente  l'antichità.  Da  questo  spirito  dettate 
ecco   le  traduzioni  della  classe  ,   eh'  io  deggio  ricordare. 

Tra  le  odi  scritte  da'più  valenti  poeti  antichi,  e  mo- 
derni non  ve  ne  ha,  che  nella  correzione,  armonia,  e 
felicità  dell'espressione  possano  pareggiare  quelle  di  Ora- 
zio. Quindi  è,  che  tutti  gli  amatori  del  buon  gusto  le 
riguardarono  sempre  con  ispeciale  amore,  e  molti  di 
essi  traslatandole ,  cercarono  anche  di  arricchirne  la  loro 
lingua  natia. 

Il  signor  Bava  S.  Paolo  entrò  nel  numero  di  questi, 
e  buona  parte  di  esse  tradusse,  parafrasò,  e  in  meiro 
conforme  lesse  ad  ora  ad  ora  alla  Classe.  Lo  stesso 
Autore  ne  recitò  eziandio  un  canto  della  Messiade  di 
Clopstok,    da  lui  presa    non    senza    ragione  a  traslatare. 


(  r.  X  I  ) 
Io  non  dirò,  comò  già  taluno,  che  la  Messinde  di  CIop- 
stok  s'abbia  da  coiividfiuie  lispclto  a' poemi  dei  Milton, 
come  l'Eneide  di  ^  iroiuo,  riguardo  a  quelli  di  Omero; 
ne  mollo  meno  mi  accordeiò  col  dr.iio  critico  *  Tedesco, 
il  quale  chinniò  divini  i  canti  del  suo  paesano,  e  assi- 
curò, che  Dio  sfesso  per  miracolosa  maniera  li  salverà 
fin  nelle  stesse  ruiue  del  mondo.  Ma  certo  dobbiamo 
saper  grado  al  traduttore  di  farci  nella  nostra  lingua  co- 
noscere il  calore  d'immaginazione,  il  fuoco  d'entu- 
siasmo, e  la  vivacità,  ed  energia  delle  espressioni,  che 
negar  non  si  possono  ni  primo   poeta   dell' Alemagna. 

11  siguor  Grassi,  unitamente  al  discorso  ventesimo 
sesto  di  Massimo  Tirio  sopra  il  Genio  di  Socrate,  ne 
recitò  molti  passi  di  Virgilio  ,  eh'  egli  prese  a  tradurre 
dal  principio  al  fine  in  altrettanti  versi  esametri,  misu- 
rati secondo  il  sistema  metrico  da  lui  esposto  in  una 
sua  grammatica  comparativa  ,  che  farà  tosto  di  pubblica 
ragione.  Persuaso  egli,  che  l'uniformila  di  metro  vaglia 
assaissimo  ad  avvicinare  all'  originale  qualunque  tradu- 
zione di  poeta  antico,  volle  per  rispetto  all'italiana, 
ch'egli  crede  da  ciò,  farne  la  prova  sul  maggiore  de' poeti 
latini.  E  veramente  si  assomiglia  al  metro  latino  1'  ende- 
casillabo detto   alla  latina ,  come  : 

Piangete,  o   Veneri ,  piangete,  o  Amori; 


*  Il  signor  Botbmer. 


e    I.  X  !  I    ) 

si  assomig)ia    al    safììco    quest'altro,    coli' accento   sopra 
la    quarta  ,  e   la  sesta 

E   la   corrente  rapida  seguendo; 

si   assomigliano  al  giambico  quaternario  i  settcnai-j  sdruc- 
cioli ,    come: 

Già  ne  beati  Elisii 
Posa    sereno,   e  placido. 

faccio   degli   asclepia.lei   adoperati  talora  con  felicità   dai 

Chi  ^BRERA. 

Ma  il  costruire  anche  nella  Lingua  Italiana  ,  salvo  il 
genio  della  medesima ,  versi ,  che  agli  esametri ,  come 
pure  a'pentametri  somiglino,  egli  fu  sempre  aHare  mollo 
gravoso;  e  se  l'Autore  con  la  molta  fatica,  che  vi  usò 
potrà  da'leggilori  riportare  un  favorevol  giudizio  sopra 
della  sua  Eneide  per  tal  modo  tradotta,  sarà  egli  più 
fortunato  dello  stesso  Claudio  Tolomei,  il  quale  tentò 
pare  d'introdurre  in  Italia  si  fatti  versi,  senza  la  con- 
solazione  di  vederli   ne   molto,   né   poco  seguiti. 

La  poetica  di  Boileau,  benché  la  più  parie  de' suoi 
bellissimi  precetti  sieno  della  nazione,  della  poesia,  e 
della  lingua  Francese  unicamente  proprj ,  porta  ella 
verseggiando  un'espressione  sì  corretta  ed  elegante,  una 
imitazione  degli  antidii  sì  felice,  che  in  qualunque  idioma 
apparisca,  fia  pur  sempre  un  bello,  ed  util  modello  a 
contemplare. 

Il  signor  Mabenco  pertanto  credette  pregio  deU' opera 


(    L  X  I  I  1    ) 

lo  iijtrapirn  Icinc  Jii  Iraduzione  iu  vtrsi  italiaui,  e  giù 
DO  prestulò  un  saggio  competente.  (Questo  poema  diuat- 
tito ,  pregio  insigne  della  Francia  letterata,  ebbe  giù  in 
Fortugallo,  nella  persona  del  conte  di  Eiiceyia  uu  va- 
lente traduttore;  perchè  mercè  di  alcun  de' nostri  Acca- 
demici non  dovrà  averlo  in  Italia,  ora  spezialmeote  , 
che  per  molti  rispetti  le  muse  italiane  si  trovano  colle 
francesi  più  e  più  confederate? 

Il  signor  Galeani-Napione  ne  recò  altresì  parecchi  tratti 
fra  i  più  teneri  dell'  Eneide  Virgiliana ,  da  lui  in  verso 
sciolto  tradotti,  ne' quali  studiossi  soprattutto  di  portai  vi 
quella  dilicalezza,  che  manca  per  lo  più  &l  celebre  tra- 
duttore Anmbal  Caro.  E  veramente  il  principal  distin- 
tivo dell'epico  latino  essendo  la  tenerezza,  nella  quale 
non  solo  a  tutti  gli  altri  poeti,  ma  ad  Omero  medesimo 
è  superiore  d' assai ,  chi  non  vede  che  il  primo  dovere 
di  chi  lo  traduce  egli  è  di  sapervi  ritrarre  al  vivo  la 
dilicafa,  e  profonda  sensibilità,  che  m  11' originale  cam- 
peggia in  particoiar  maniera? 

Lo  stesso  Autore  ne  lesse  pur  anco  una  gran  parte 
della  traduzione  delle  quistioni  Tusculane,  da  lui  ora 
a  termine  condotta.  Bella  invelo  è  la  forma  ,  che  i  com- 
ponimenti filosofici  prendono,  quando  sono  debitamente 
trattati  pervia  di  dialogo;  e  fra  i  capi  d'opera,  che  in 
questo  genere  ne  lasciarono  gli  antichi,  bellissimo,  ed 
utilissimo  insieme  è  quello  delle  quistioni ,  le  quali  por- 
tano il  nome  di  Tusculane  dalla  città  di  Tasto/ o ,  pre^so 
cui    r  Orafor    Romano    nella    sua    villa   obbliando  i  suoi 


(    L  X   I  V     ) 

fi'ionfi,  e  la  sua  dipnilà  s' inlrattrnova  dolcemente  togli 
amici  sulla  filosofia.  Quest'opera  ricchissima  sopra  leallre 
di  morale,  parve  al  nostro  Accademico  hon  meritevole 
di  comparire  novellamente  agli  occhi  dell'  Italia  nella  sua 
lingua,  come  a  que' della  Francia  nel  suo  idioma  già 
rappresentò  l'Abate  d'OLivET  in  compagnia  d'illustre 
socio, 

11  professore  Regis  finalmente  intrattenne  pur  esso  in 
varie  adunanze  la  Classe  colla  ripartita  lellura  di  alcuni 
libri  della  Ciropedia  di  Senofonte,  che  dal  Greco  in 
Italiano  tradotta,  e  con  molte  noie  illustrata  pubbli- 
cherà quanto  prima.  L'Autore  non  si  accinse  all'impresa 
se  non  prima  di  aver  ben  bene  esaminato  le  principali 
traduzioni  fattesi  di  questa  storia  in  varie  lingue;  e  fu 
questo  attento  esame,  che  lo  pose  in  isperanza  di  potere 
ancora  non  senza  prò  correre  il  frequentatissimo  aringo. 
Che  se  il  buon  volere,  e  la  diligenza  grande,  che  vi 
apportò,  avranno  un  qualche  successo  non  {sfortunato, 
potrà  egli  con  questa  fatica  agevolare  a' suoi  discepoli  di 
lingua  Greca  nell'Ateneo  la  intelligenza,  e  il  gusto  di 
uno  Scrittore,  la  cui  penna  fu,  si  può  dire,  dalle  Muse, 
e  dalle  Grazie  guidata,  e  verrà,  quel  che  è  molto  più,  a 
mettere  nella  sua  patria  in  nuova  luce  gli  acconcj  spe- 
zialmente al  nostro  secolo  aurei  precetti,  ed^esempi,  di  cui 
abbonda  questa  fra  tutte  preziosissima  opera  dell'  anti- 
chità. 


(    LXV   ) 

BELLE     ARTI. 

Il  Piemonte,  a  vero  dire,    non    può    del   pari,   che 
altri  coDfìaaDti  dominj   vantare    un'  antica  non  interrotta 
scuola  delle  Belle  Arti.  Ch'esse,    siccome  amiche  natu- 
ralmente di  quiete   e  di  tranquillità,    mal  sanno  posarsi 
là,   dove  troppo  sovente  giugne    lo  strepito    delle  armi 
a    spaventarle:  e  questo   stato,   siccome  guei-riero ,  e  per 
sua  situazione  soggetto  ad  essere  il  teatro  della  guerra , 
potè    ben    più    volte  ad  altri  Popoli  Italiani   proleggere 
la  durevole  stanza  di  esse,    ma  non  valse  egli  a  procu- 
rarla,  e  a   proteggerla   a  se  medesimo    stabilmente.   Ciò 
non  ostante,   in  ogni  tempo    sino  dal  risorgimento  loro 
iucomiuciando ,    ebbe    il    Piemonte   uomini  in   esse   rag- 
guardevolissimi. Basta  volgere  un'occhiata  sul  Museo  No- 
varese del  Cotta,  suir  abecedario  pittorico  dell' Orlanli, 
e  sulla  raccolta  di  cose  patrie  del  signor  Vernazza,   per 
vederne  parecchi  da  più  savj  Pontefici  delle  più  splendide 
iucumbeuze  onorati ,  alcuni  pur  Capi  di  Accademie  accre- 
ditatissime,   e  Maestri   di  valentissimi  Discepoli,  varj  ad 
ora   ad  ora  gareggianti   co'  più  famosi ,   e  qualcuno  dallo 
stesso  Rafaello  anche    a'  suoi   lavori  associato ,  e   molti 
finalmente   qiià  e  là  vivi  e  spiranti    ne'proziosisimi   mo- 
nuuienti,  onde  ogni  primaria  città  vicina  e  lontana  illu- 
strarono. Anche   in  ogni  tempo  fra  noi  la  Famiglia  Sov- 
rana,   se    non  potè  sì  tosto  per  colpa   delle   circostanze 
provvedere    alle    Belle  Arti    una  successione  di  scuola  , 

9 


(    L  X  VI    ) 

non  lasciò  però  mai  ài  favoriilc,  pioniovciKlom*  sollc- 
citameute  lo  studio  ne' sudditi  suoi,  e  thianìccdo  a  se 
COQ  istipendj  ed  onori  considerabili  gli  artefici ,  che  fuori 
aveano  maggiore  rinomanza.  E  allorché  tempi  rren  tor- 
bidi gliel  perinisero,  ella  di  buon  giado  gettò  Je  fon- 
damenta di  questa  scuola ,  e  senza  intermissione  tirò 
sempre  più  in  alto  il  ben  avventuroso  edificio.  Cosi  nel 
1662  diede  opera,  che  sorgesse  la  compagnia  de' Pro- 
fessori delle  Belle  Arti,  la  quale  da  S.  Luca  si  deno- 
minò, e  fu  alla  romana  indi  a  poco  aggregata;  cosi 
nel  1678  la  eresse,  e  stabilì  *  in  Accademia;  e  con  mu- 
nirla di  esteri  ingegni  i  meglio  fatti  per  dare  a' nazio- 
nali lo  avviamento,  e  stimolo  maggiore;  con  impie- 
garla di  mano  in  mano  ad  abbellire  il  palazzo  e  le  vill^ 
reali,  le  basiliche,  e  altri  pubblici  edifizj  ;  con  restau- 
rarla all'uopo,  ed  accrescerla  di  Piofessori,  di  leggi, 
e  di  ajuti  di  ogni  maniera  ,  mercè  soprattutto  le  spe- 
ciali cure  di  tre  successivi  Re  di  lei  amantissimi,  la  portò 
nel  secolo  XVIII  a  tal  celebrila  ,  che  Torino  nella  pit- 
tura ,  neir  architettura ,  nella  statuaria ,  e  maestria  in 
bronzi  dopo  Roma  non  la  cede  quasi  a  nessuna  delle 
città  capitali   d'Italia**. 

Erede  al  presente,    e  depositaria    di  questa   gloria    la 
Classe  nostra,    una    buona  parte  de' suoi  sfudj ,    e   delle 


*  V.  Storia  pittorica  dell'Italia.  dell'Abate  Lanzi,  pag.  Syi. 
**  V.  ibid.  pag.  386. 


(    L  X  V  I  I    ) 

sue  occupazioni  tiene  ella  sulle  Belle  Arti  fervorosamente 
rivolta.  Comincio  da' Professori  medesimi:  che  cosa  bella 
è  invero  quando  chi  un'arte  professa  pratico  insieme 
di  tutta  la  Greca,  e  Komana  erudizione,  scrive  sull'arte 
stessa,  e  può  non  men  colle  dottrine j  che  cogli  esempj 
l'ingegno,  e  la  mano  altrui  reggere  e  perfezionare. 

Il  signor  PÉCHEUX  adunque  nel  corso  di  questi  quattro 
anni  pigliò  in  varie  adunanze  a  trattare  varj  punti  impor- 
tantissimi;  ed  ora   ci   presentò   come  un  compito  ritratto 
delle  Arti ,    nel  quale  da'  tempi  i   piìi  lontani   movendo, 
e  sino  a  di  nostri  arrivando,    mette  in  vista   l'origine, 
il   progresso,     la    decadenza,    e    il  risorgimento  loro    al 
secolo  quindicesimo:    ora  ne  porse  un'idea  ragionata    su 
gli  antichi    pittori,    nella    quale   mira    principalmente  a 
combattere  la  comune  opinione,  ostinata  nel  dare  a' Pit- 
tori   antichi   troppa  superiorità    su' moderni;    ed  ora   ne 
fece    pure  una    fedele    rassegna    delle    differenti    scuole 
pittoriche,  che  si  videro  in  diverse  epoche  dal  rinnovel- 
lamento   dell'arte   in  Italia  fiorire,   con  additarne  insieme 
il  vantaggio ,  che  trar  se  ne  può  per  l' esame  delle  opere 
successivamente  apparite. 

Parlò  un  di  sulla  grazia  della  spezie  umana  conside- 
rata, e  applicata  alla  pittura,  facendo  prima  vedere, 
che  i  movimenti  sono  i  principali  agenti  di  essa,  e  dise- 
gnando poscia  r  età ,  e  il  colore  onde  aumentarne  la 
possanza:  in  un  altro  trattò  della  pittura  a  fresco,  e 
studiossi  di  scoprirne  i  principi,  ^^  spiegarne  l'opera- 
zione,  e  di  esporne    in   fine   la  cagione  della  sua  poca 


(    LX  vili   ) 

durata    per    l' azione    appunto    del  caldo ,  e  dell'  umido 
dell'  atmosfera. 

In  due  altre  occasioni  ne  lesse  due  saggi,  l'uno  de' quali 
fu  sul  gusto  nella  pittura ,  e  1'  altro  su  i  diversi  caratteri 
della  pittura  espressi  per  semplicità,  patetico,  energico, 
e  sublime.  Nel  primo  di  essi  dimostrò,  che  il  gusto  nella 
pittura  è  infinitamente  vario  ;  che  dipende  molto  dal 
carattere  del  pittore,  delle  scuole,  e  anche  del  secolo; 
che  è  soggetto  a  viziarsi  per  sensibili  passaggi  da  poli- 
tiche circostanze  originati;  e  che  da  ciascuna  nazione  si 
può  il  medesimo  eoa  osservazioni  su'  vicini  fatte  miglio- 
rare d' assai.  Nel  secondo  insegnò ,  che  lo  applicar  giusta- 
mente il  semplice,  il  patetico,  l'energico,  ed  il  sublime, 
egli  è  dovere  dell'  occulato  artista;  notò  che  da  questa 
giusta  applicazione  può  l' opera  solo  ricevere  il  suo  mag- 
gior lustro;  e  finì  annoverando  diversi  quadri,  in  cui 
eccellenti  maestri  seppero  al  vivo  questi  differenti  carat- 
teri rappresentare. 

Avvi  ancora  del  medesimo  Professore  due  ragiona- 
menti, cioè  sulla  bellezza  relativamente  alla  pittura,  e 
alla  scultura,   e   sull'armonia    in   pittura. 

Riguardo  alla  bellezza  egli  ha  per  iscopo  di  far  ve- 
dere, che  non  essendovi  bellezza  alcuna  assoluta,  l'oggetto 
di  questo  vocabolo  è  a' soggetti  rappresentati  meramente 
relativo.  E  nozioni  esatte  sulla  natura  della  bellezza, 
soprattutto  considerata  nella  spezie  umana ,  sul  senti- 
mento, che  di  essa  in  noi  si  sviluppa,  su  i  due  generi 
di  bellezza,  naturale  presso  gli  uomini,  ideale  presso  gli 


(   LXIX   ) 

Dei,  e  gli  Eroi,  tutte  e  due  relative  all'età,  al  sesso, 
al  carattere,  alla  condizione;  osservazioni  particolaà 
sulla  bellezza  ideale,  sulla  perfezione  che  le  viene  dalla 
forza,  e  grandezza  dell' immaginazione,  su  i  differenti 
caratteri  di  essa;  infine  riflessioni  distinte  sulle  diverse 
età,  sulla  bellezza  propria  di  ciascuna  ^i  esse,  e  sulla 
difficoltà  maggiore  tra  noi  a  ritrovare  queste  difftrenti 
bellezze,  tutto  egli  è  adoperato  destramente  a  meglio 
spiegare,    ed  arricchire   il   proposto  argomento. 

Rispetto  all'armonia,  mira  l'Autore  a  spiegarne  il  ca- 
rattere sull'esempio  massimamente  de' pittori,  che  sopra 
gli  altri  vi  si  segnalarono.  Data  perciò  un'  idea  generale 
dell'armonia,  dice  come  si  applica  essa  alla  pittuia , 
da  quali,  e  quante  cose  dipende:  accenna,  che  pochi 
quadri  hanno  di  questa  armonia  ricreatrice;  che  gli  an- 
tichi occupati  solo  delle  altre  parti  dell'  arte  non  bada- 
Vano  a  questa  ,  ne  per  questa  sono  essi  di  fatto  lodati  da 
savio  estimatore.  Osserva  non  esservi  esempio  di  quest'  ar- 
monia anteriore  all'anno  i55o;  fa  special  menzione  de' pit- 
tori, che  furono  i  primi  a  sentirla,  a  porla  in  opera, 
e  chiude  esortando  gli  artisti  a  volere,  or  che  non  man- 
cano i  belli  esempj ,  adoperarsi  diligentemente  per  acqui- 
stare nuovi  lumi  su  questa  parte,  di  tutte  la  pii!i  dilet- 
tevole, la  più  utile  a  portar  l'arte  alla  sua  perfezione, 
e  a  far  passare   la  memoria   di  essi  alla  posterità. 

Tanta  suppellettile  di  dottrina  contenuta  nelle  accen- 
nate lezioni  già  bella  per  se  stessa,  lo  diventa  ancor  piìi 
per  la  chiarezza  che  le  viene  dalle  opere  di  chi  la  dettò. 


(    L  X  X   ) 

Percioccht;    il    nostro  Accademico    prima    che  nell'anno 
1777  chiamato  fosse  di   Roma    in    Piemonte   da  Vittorio 
Amedeo    HI    ad  essere    suo  primo  pittore,   e  a  diligere 
insieme  sulla  norma   tenuta  molto  prima  dal  celebre  Ca- 
valiere Beaumont,   la  novellamente  restaurata  Accademia 
di  pittura  e  scultura,   aveva  egli  già   con  isp'endida  mae- 
stria   più    fatti    pennelleggiato.   Per  tacere  di   pregiatis- 
simi  ritratti  di  gran  Signori,  di  Regnanti,   di  Pontefici, 
ornamento   al  presente    di   molte  Reggie,    ne    sono     in 
ispezie  testimoni    hi  adorazione  de' Pastori,    quella  de' Re 
Magi,  e  la  crocifissione    che    pur    in    sua    gioventù    gli 
fruttarono  di  essere  Professore  in  Campidoglio,   e  mem- 
bro  dell'Accademia  di  S,    Luca,   e  di  Parma,   e  di  Bo- 
logna;  testimonj   la   Venere  che  dissuade  Adone  dal  gire 
alla  caccia,  l'Attilio   Regolo,  il  Coriolano,   lo  sposalizio 
di  Amore,  e  Psiche,    la  Tetide  chiamata  in  Olimpo,  il 
ritorno  della  Santa  Sede    in   Roma ,     il    Padre  Eterno  , 
che   divide  gli  Elementi,    la  Madonna   addolorata,   e   la 
Virginia  avanti  al  Decemviro  Appio,  il  qual  ultimo  quadro 
proposto  per  concorso  nel  portò  appunto  tra   noi   a  di- 
rigere la  scuola  Torinese.   E  dopo  anche  dobbiamo  a  lui 
i   multiplici  soggetti,  che  adornano    la  volta  della  Biblio- 
teca   interna  del  palazzo  reale,   dobbiamo   il  S.  Vincenzo 
Ferreri,  che   risuscita  una  morta,   il   Presepio,    il   Batte- 
simo   del    Principe  Nazaradeolo  ,   la  Clelia,   che  passa  il 
Tevere,   il  transito  di  S.  Giuseppe,  lo  Alessandro  abhrac- 
ciato  dal  figliuolo  di  Dario,    la    morte    di    Epaminonda, 
la  natura  consigliata  dalla  ragione,  il  Narciso  innamorato 


i 


(    LXXI    ) 

di  se  medesimo,  il  riposo  in  Egitto,  lo  Augusto  die 
chiude  il  tempio  di  Giano,  il  Muzio  Scovolo,  lo  Acliille 
che  freme  in  consegnando  Briseide,  opere  tutte,  le  quali 
mentre  qua  e  là  dove  sono  da  vicino,  e  da  lontano 
esaltano  il  pennello,  che  le  lavorò,  ne  illustrano  anche, 
e  ne  avvalorano  la  penna,  che  scrisse  i  testé  riferiti 
animaesfranienli  dell'  arte. 

Il  signor  Krvelli  altresì  chiamò  l'attenzione  della 
Classe  alle  seguenti  leMure.  Intorno  a' rami  di  anatomia, 
che  si  trovano  uell' enciclopedia  di  Padova,  fa  egli  in 
una  assai  distesa  lettera  al  signor  Conte  Carburi  indi- 
rizzata, chiaramente  vedere,  che  colesti  non  sono  per 
niun  conto  esatti,  e  propone  un  metodo  infallibile,  onde 
avere  tavole  anatomiche,  disegnate  colla  maggior  esat- 
tezza, ed  acconcie  a  presentare  l'osteologia,  e  la  raiolo- 
gia   in  qualunque  animale  perfettamente   situate. 

Sul  modo  di  rettificare  la  vista  a' disegnatori,  accom- 
pagna con  uno  scritto  una  macchinetta  da  lui  inventata, 
mercè  della  quale  si  misurano  non  solo  le  linee  perpen- 
dicolari ,  ma  le  orizzontali  eziandio,  e  le  obblique.  In 
esso  mostra  in  che  consiste  il  diseguo,  e  come  usandosi 
finora  in  tutte  le  scuole  d'Italia,  e  d' oltramonti  unica- 
mente il  piombino,  mancava  per  anco  il  mezzo  di  ret- 
tificare con  facilità,  e  sicurezza  la  vista;  reca  parecchie 
osservazioni  sopra  un  passo  di  Mengs  ,  dove  raccomanda 
agli  allievi  di  disegnare  delle  figure  geometriche,  accenna 
in  quali  circostanze  l'usare  il  compasso  sia  utile,  in  quali 
dannoso;  e   finisce  con  dare  una  chiara  idea  della  forma , 


( LXX 1 I ) 

e  doli' USO   della  proposla   niacchinetfa,  già  da' suoi  Disce- 
poli  nella  scuola  del  disegno    fiulfuosamente    adoperata. 

Andie  sul  foro  Bonaparte  ideato  in  Milano,  abitiamo 
di  lui  una  dissertazione.  In  questa  comincia  dallo  espoiTe 
con  (juai  monumenti  gli  antichi  Greci,  e  Spartani  ono- 
rassero i  loro  Eroi,  e  con  quali  in  appresso  gli  onoras- 
sero di  tempo  in  tempo  gli  altri  popoli,  che  per  gran- 
dezza d'imprese,  e  per  estensione  di  dominio  furono 
i  più  famosi.  Poi  dopo  avere  toccato  qual  monumento 
debba  essere  più  caro  ad  un  Eroe,  che  ami  la  vera  im- 
mortalità, entra  a  ragionare  di  que' monumenti  che  l'am- 
bizione, e  di  quelli,  che  l'amore,  e  la  pietà  innalza- 
rono: prova  ad  evidenza,  che  le  moli  più  strepitose 
non  possono  se  non  dalle  più  grandi  nazioni  innalzarsi: 
e  come  tale  appunto  sarebbe  l' idea  del  foro  Bonaparte  , 
come  a  tanto  non  può  levar  le  sue  mire  la  nazioa  Cisal- 
pina, e  come  soprattutto  l'Eroe,  a  cui  onore  vorrebbesi 
far  ciò,  ama  di  vedere  la  sua  gloria  su  migliori  basi 
fondata,  conchiude  l'autore  esser  poco  probabile,  che 
siasi  mai  per  recare  ad  esecuzione  lo  ideato  foro  gran- 
diosissimo ,  contro  cui  reclamerebbe  quasi  anche  la  na- 
tura del  sito  medesimo,  che  appartato,  qual  è,  sarebbe 
pure  mal  adatto  a  fiere,  a  mercati,    a  commercianti. 

Lo  stesso  Professore  intorno  all'  arte  di  ben  panneg- 
giare ne  presenta  come  un  trattatello  originale  e  compito; 
tratta  del  migliore  stile  da  tenersi  ne' panneggiamenti  ; 
prova,  che  debbano  questi  studiarsi  sifl  vero,  e  perfe- 
zionarsi  coir  arte;  tocca   le  occasioni,   che  ì'  ideale,  ossia 


(    L  X  X  I  I  I   ) 

rimmnginazlonc  ricliioggouo  per  esej^uirli;  porge  delle 
critiche  riilcssiorii  sopra  due  articoli  di  JMengs  a  tal  ma- 
teria appartecenfi;  indica  i  modelli  da  seguire  ne'paii- 
neggiauicnti,  e  il  modo  ,  onde  analizzare,  dirò  così,  le 
pieghe  di  un  panno;  parla  del  manichino,  ossia  della 
statua  movibile  ,  dell'inventore  di  esso,  e  de' vantaggi, 
e  de' danni,  che  ne  possono  a' coltivatori  di  questi  sludj 
avvenire  ;  inliue  espone  diligentemente  i  mezzi ,  onde  arri- 
vare a  ben  comporre  i  panneggiamenti,  tanfo  perchè 
sieno  essi  naturali,  ed  esprimenti  le  varie  stoflé,  quanto 
perchè  diano  grazia ,  e  leggiadria  alle  figure  di  donna  , 
e  un'aria  di  maestà  alle  figure  d'uomo,  che  maestosa- 
mente hanno  da   comparire. 

Il  primo  volume  di  opere  filosofiche  sulla  pittura , 
pubblicato  più  anni  fa  dall'Autore,  ci  fa  desiderare  il 
secondo,  e  il  terzo,  che  promessi  ne  furono;  e  questi, 
come  alimentati  parimente  da' sodi  studj  fatti  in  Italia, 
e  massimamente  in  Roma  su  le  statue  Greche,  su  Ra- 
FAELLO,  su  i  Cab  ACCI,  su  Tiziano,  su  Coreggio,  su  i 
migliori  della  scuola  fiamminga,  su  l'uso  della  camera 
ottica  oscura;  cosi  arricchiti  poscia,  e  corroborati  da'dotti 
esercizj ,  dopo  il  suo  ritorno  in  patria  non  mai  intei:*: 
rotti,  daranno  abbondante  materia  a  nuove  letture,  colle 
quali  vorrà  egli,  son  certo,  a' Colleghi  anticipatamente 
conmnicare  le  recenti  sue  fatiche  teoriche.  Che  quanto, 
alla  maniera ,  con  cui  sa  egli  metterle  in  pratica ,  senza 
ricordare  gli  altri,  bastano  a  faine  fede  due  soli  quadri 
suoi:  parlo  del  Cristo  giudicato   da  Caifa,   e  dell'Olimpia 

IO 


(    LX  X 1  V    ) 

abbandonata  da  Biieno ,  i  quali  esposi!  pur  di  presente 
nel  suo  studio  non  si  sazia  di  visitare  il  coito  citta- 
dino ,  e  sti-aniero. 

11  primo  nel  miglior  modo,  che  sia  possilnle,  insieme 
colla  forza  e  verità  negli  eifetti  del  lume,  insieme  colla 
robustezza  del  colorito  di  stile  fiammingo,  esprime  la 
innocenza,  e  la  divinità,  che  traluce  nella  faccia  del 
Salvatore,  e  nel  suo  contegno,  la  malignità  del  Giu- 
dice,  l'attenzione  de' circostanti ,  e  l'intimo  loro  rancore. 

11  secondo,  colla  purità  del  disegno,  col  colorito  della 
scuola  veneziana,  e  fiamminga,  colla  i-icchezza  della 
composizione,  il  tutto  in  sommo  grado,  ci  presenta 
nella  tradita  Principessa  il  carattere  di  dolcezza,  e  te- 
nerezza si  veracemente,  che  si  può  dire  avere  il  nostro 
dipintore  col  divino  poeta,  da  cui  tolse  l'idea,  felicis- 
simamente gareggiato.  La  povera  Olimpia  ,  che  assisa 
sul  letto,  levando  gli  occhi  al  cielo,  e  stracciandosi  con 
una  mano  i  crini,  e  coli' altra  additando  il  Ietto,  e 
l'isola,  ci  manifesta  un  dolore  tranquillo,  e  nell'anima 
concentrato;  la  tenda,  che  in  un  angolo  del  quadio  si 
appoggia  sopra  un  ramo  d'albero,  il  mare  che  in  lon- 
tananza è  rischiarato  da' raggi  del  sole  uiisccnte,  la  nave, 
che  se  ne  porta  1'  amante  infedele,  e  tutti  infine  gli  ac- 
cessori perfettamente  corrispondenti  al  principale ,  sono 
altrettante  prove  recenti,  che  fia  sempi-e  caro  alla  Classe 
ciò,  che  sull'arte  sua  vorrà  leggere  il  Professore  acca- 
demico. 

Il    signor    professore    Porporati,    già    sotto    Vittorio 


(   LXX  V    ) 

Atnedeo  III,  incisore,   e  custode  do' (lise{!;ni   di   piftuin , 
sfulUira,  e  orcliilettura   civile,     meiiìbro    dell' Accademia 
reale    delle  Arti    di   Torino,    e   di  quella    di  Parigi,    ed 
ora  Corrispondente  dell'Instituto  nazionale,  se  non  fosse 
un  notabile  indebolimento  di  vista,  e  il  cagionevol  tenore 
di  salute,    colpa    dell'età,    e  piìi  ancora  di  sue  lunghe 
fatiche,  certo  avrebbe  egli  qui  tra' lavori  di  nostra  Classe 
un    luogo   distinto.   Perciocché  di  questo    valente   artista 
ognun  sa  come  nell'inlaglio  sia  forte,  suave,   e  diligente 
il  bulino  ;   come  le  opere  di  lui  a  piìi  colti ,    a  più  lon- 
tani paesi  pervenute ,  il  facessero  da  splendide  Corti  con 
vantaggiose  distinzioni  invitare;   e  come  veramente  nella 
capitale  della  Francia,  ov'era  stato  spedito  dal  suo  Re , 
durante  il  lungo  soggiorno,  che  vi  fece,  fornisse  di  sue 
rare  produzioni  quell'Accademia,   in  seno  alla  quale  era 
sfato   onoratissimamente  ricevuto.  Che  se  altrettanto  nella 
nostra,   atteso   il  presente  suo  slato,  non  potè  fare,  egli 
non  lascia  perciò   di  esserne  utile,   e  pregiato.  Che  belli 
sono  sempre   i  lumi,  i  riflessi,    che  apporta   nelle  adu- 
nanze,  belli,  e   diritti   i  giudizi,   che  dà  ogni  volta  che 
in   fatto  di  arti  è  nominato  nelle   commissioni  ad  essere 
o  direttore,  o  conoscitore  delle  opere  altrui.  Soprattutto 
poi   dee   essere    a  tutti  caro  lo  studio,   e  zelo  che  pone 
nel    formare    nella    sua    scuola  a  parte    gli    allievi    suoi , 
de' quali  alcuno,   come  dirassi  a  luogo  suo,  già  presentò 
all'  Accademia  produzioni  non  indegne  diun  tanto  maestro. 
Ed  è  veramente  da  saper  grado  assai  al  Governo ,  il 
quale  giudicando,   che  ampia  troppo  è  la  materia,    che 


(    L  XX  V I   ) 

riguai-da  il  disegno  iu  tutte  le  sue  parti,  e  quella  che 
riguarda  le  fabbiiche ,  le  manifalturc,  e  quiuJi  Iaconi- 
posizione,  il  modo  di  panneggiare,  la  teoria  della  luce, 
de' colori,  e  la  filosofia  dell'arte  per  la  tanfo  diflicile 
espressione  degli  affetti ,  volle  ,  a  prò  di  questi  multiplici 
studj  ,  accrescere  il  numero  de'  Professori ,  che  per  lo 
innanzi  nelle  Accademie  di  pittura  era  molto  scarso , 
onde  tutto  si  potesse  per  debito  modo  insegnare,  e  tutto 
partitameufc  imparare. 

Il  signor  Abate  Tarini  ,  direttore  del  Museo  di  anti- 
chità, è  autore  anch' egli  di  tre  ragionamenti,  che  alle 
Belle  Arti  appartengono. 

In  uno  piglia  a  descrivere  una  preziosa  antica  pittura 
a  musaico ,  la  quale  si  discoprì  in  Sardegna ,  e  si  con- 
serva nel  nostro  Museo  :  unisce  a  questa  descrizione  varj 
riflessi  sopra  la  diversa  manieia  ne'  tempi  andati  ,  e 
ne' presenti  in  tai  dipinture  pi-aticata  :  annovera  i  van- 
taggi dell'una,  e  dell'altra,  e  ricorda  a  qiial  uso  oggidì 
destinar  si  potrebbe   ciascuna  di  esse  utilmente. 

Nell'altro  esamina  l'origine,  i  progressi,  e  la  deca- 
denza delle  arti,'  principalmente  appo  gli  Egizj,  i  Greci, 
gli  Etruschi ,  i  Romani  ;  e  mostrata  la  eccellenza  a  cui 
esse  più  per  gli  antichi,  che  pe' moderni  salirono,  pro- 
pone de' mpzzi  acconcj  a  fornirle  di  nuovo  spirito,  e 
a   portarle  all' altissimo  grado  della  loro  gloria  primiera. 

Nel  terzo  s' accigne  a  provare  l'utililà  delle  grandi 
raccolte  delle  antiche  medaglie,  per  relazione  massima- 
mente alle  Belle  Arti.   Entra  nell'argomento  eoa  alcune 


(    LXiCVll    ) 

lincssioni  SU  la 'stima,  clie  i  dotti  al  Hcomiacì.'iré  della 
scienza  nurnismalica  t-bbero  per  questi  monunieufi,  su 
la  cura,  che  i  Principi  protettori  delle  lettere  si  presero 
di  l'ai  li  generalmente  in  istérminati  volumi  raccorrà,  e 
sulla  nt'c<>si«ifài  di  averne  in  particolare  a  prò  delle  Belle 
Arti  una  ricca,  e  scella  raccolta.  Si  ferma  alquanto  a 
mostrare  come  la  storia,  e  la  mitologia  hanno  ricevuto, 
e  ricevono  da  essi  tuttora  degli  schiarimenti  da  potere 
in  gran  parte  supplire  alla  perdita  delle  memorie,  e  al 
silenzio  degli  autori.  Poi  viene  a' singolari  vantaggi,  che 
ne  derivano  alle  Arti,  che  hanno  per  base  il  disegno, 
vantaggi  ben  njolti,  e  ben  conosciuti  da' celebri  artisti, 
che  camminano  sulle  tracce  degli  antichi.  Infine  con- 
chiude,  che  una  raccolta  sì  fatta  di  antiche  medaglie, 
come  quanto  «11' erudizione  è  ufi  tesoro  di  storia  figurata, 
cosi  quanto  alle  arti  si  può  ella  dire  un  tesoro  di  dise- 
gni di  sua  natura  il  più  faqile  a  conservare  contro  le 
ingiurie   de' tempi.    '"<',' 

Il  signor  professQre  Dépébet  accoppiando  le  sue  rifles- 
sioni a  quelle  di  Luigi  Gonzaga  di  Castiglione,  pigliò 
in  un  discorso  a  ricercare,  se  una  nazione,  pervenuta 
che  sia  al  più  alto  punto  di  gloria  nelle  arti,  possa  lun- 
gamente mantenere  il  buon  gusto  in  tutta  la  purità,  e 
allontanare  quella  decadenza,  che  per  intervalli  più,  o 
men  lunghi  limita,  e  separa  le  epoche  luminose  dell'in- 
gegno, e  de'talenti.  Osserva  in  prima,  che  le  regole, 
e  i  precetti  vennero  dopo  a  capi  d'opera  dell'immagi- 
nazione ,    e    non    ne  sono ,    a    così  dire ,    che    1'  analisi 


(   L  X  X  V  1 1 1    ) 

paiipgiiira.  Quindi  argomenta,  clie  le  teorie  giovano  a 
ben  dirigere  l'ingegno,  ma  non  vagliono  a  farlo  nascere; 
e  mostra  in  appresso,  che  non  tanto  il  difetto  de'lumi, 
quanto  1"  incongtanza  naturale  dello  spirito,  e  del  cuore 
ne' suoi  godimenti  si  è  quella,  che  cagiona  l'alterazione 
del  buon  gusto,  e  dà  luogo  a  quella  infinita  varietà, 
che  veggiamo  nelle  produzioni  delie  Arti  medesime  in 
tempi  differenti.  Dal  che  prudentemente  conchiude ,  che 
$oIo  lottando  sempre  contro  la  moda ,  e  sempre  cer- 
cando a  rimontare  a' secoli  anteriori,  si  può  giugnere 
a  conservare  le  Belle  Arti  in  quel  grado  di  perfezione  , 
a  cui  sicnsi  già   presso  di  una  nazione  sollevate. 

Il  professore  Regis  sottopose  altresì  al  giudizio  de'  suoi 
Colleghi  un  paralello  della  pittura,  e  scultura:  in  esso 
al  fido  lume,  che  gli  porgono  i  più  valenti  cono- 
scitori, va  fedelmente  esponendo  la  natura,  gli  ufficj  , 
e  i  meriti  dell'una,  e  dell'altra  facoltà;  mette  nella 
maggior  luce,  che  può,  le  ragioni,  per  le  quali  cias- 
cuna di  esse  pretende  di  essere  da  più:  e  senza  ardire 
di  nulla  positivamente  decidere  su  cotal  maggioranza  , 
già  cagione  di  troppo  vive,  di  troppo  lunghe  dispute 
in  Italia,  si  rcstrigne  ad  avvertire,  che  quesle  due  Arti, 
nate  come  sono  da' medesimi  parenti,  avvalorate  da' me- 
desimi principi ,  e  destinate  a  riempiere  un  medesimo 
oggetto ,  deggiouo  esse  rimanersi  sempre  tra  loro  con- 
cordi ed  amiche. 

Ma  la  classe,  come  rispetto  alle  scienze  filosofiche, 
ed  alle  lettere,    insieme  colle    mentovate   letture   rivolse 


e    LXX  IX    ) 

altresì  l'occhio,  e  il  pensiero  su  var*j  alfii  Oggetti,  e 
segnatamente  su  libri  molti  da'privati  autori,  e  da  diverse 
Accademie  a  lei  oHerli,  (  de' quali  suo  luogo  farà  men- 
zione); cosi  riguardo  alle  Belle  Arti  eziandio,  ella, 
oltre  il  sin  qui  detto,  ora  si  occupò  a  stendere  per  la 
scuola ,  e  pel  professore  di  architettura  regolamenlJ ,  e 
istruzioni,  il  piili  che  possibil  fosse  coofacevoli  a  con- 
servare in  Torino  questa  facoltà  in  quel  grado  di  eccel- 
lenza, a  cui  già  da  qualche  tempo  vi  si  trova  solle- 
vata. Ora  ptMò  in  più  modi  a  porgere  incitamento,  e 
materia  alla  tra  noi  tuttora  fiorente  scultura,  nella  quale 
ci'  toccò  pure  d'avere  artefici  tdli  *,  che  col  valoroso 
loro  scalpello  ravvivarono  tra  nói  in  gran  parte  le  smor- 
zate idee  di  quel  grande,  e  sublime,  che  figurò  f^ìk  un 
BuoNAROTi,  un  Algardi,  un  Bernini.  Ora  diede  opera 
a  disegni,  a  stemmi,  a  medaglie  per  onorare  alcuna 
delle  epoche  memorabili,  che  furoQo  passò,  e  avan- 
zamento al  presente  tranquillo  ordine  di  cose.  Ed  ora, 
ciò  che  fece  e  molto  spesso,  e  sempre  con  grande  zelo, 
attese  ad  esaminare,  a  favorire,  a  promovere  varie  pro- 
duzioni delle  Belle  Arti,  che  presentate  da' varj  Autori 
io  verrò  qui   ancora  acceimando  : 

La  Carità  df-H'  Albano  al  palazzo  Bolognetti  : 

La  Erodiade  di   Guido  Rem  nella  galleria  Colonna  : 


*  I  celebri  Collini  Ignazio,  e  Filippo. 


(   LXXX  ) 

Il  S.  Michele  del  GriDO  parimente;  copie  esattissime  , 
e   assai   bene  dipinte: 

Alcuni  rifratti  inoltre  in  pastello  ,, che  presentano  molto 
vigore,,  e. .molta  intelligenza.  Di  madamigella  Soffia  Le- 
Clerk  ,   corrispondente. 

La   morte   di  Agamemnone: 

Tullia   parricida: 

Deucalione ,   e  Pina: 

Apoteosi   di  Vittorio  ,  Alfieri  : 

Filippo  II,  in  atto  che  annunzia  la  condanna  di  morte 
a  D.  Carlo  suo  figliuolo;  soggetto  tratto  dalla  tragedia 
sotto  tal  nome,  di  Vittorio  Alfieri,  cornei  i ,  quattro, 
innanzi  Io  sono  da  varie  poesie  di  madama  Diodata 
Saluzzo  : 

Diogene   in  riposo  : 

Due  Torsi  loricati,  scoperti,  pochi  anni  sono,  nel 
demolire  le  mura  di  Susa;  disegni  tutti  del  sigtìor  Mon- 
TicoNE,  ne' quali,  secondo  la  varietà  de' medesimi,  si 
vede  spirito ,  espressione ,  e  modo  suo  lodevole  di 
comporre. 

Progetto  dì  architetture  specialmente  teatrali  ,  e  vo- 
lume di  si  fatti  abozzi  giudicati  degni  del  pubblico  ,  e 
utib'ssimi  a' pittori  insieme,  ed  agli  archilelti.  Del  signor 
Barberi  architetto   Romano. 

La  Pace,  figura  bella,  gentile,  e  ben  panneggiata: 
modello  in  creta   del  signor  Amedeo   Lavy. 

Ercole,  che  abbatte    un   centauro: 


(   L  X  X  X  I    ) 

Enea ,  che  uccide  Turno.  Modelli  di  buon  disegno , 
del   signor  Giudice  scultore. 

Busto  di  Napoleone  I,  vestilo  all'eroica,  modellalo 
con   molta   diligenza.   Del  signor  Boliaki  scultore. 

II  principe  Tommaso  di  Savoja  :  disegno  assai  lodato 
del  signor  Tosetti. 

Un  paese  dipinto  all'  incausto  con  molta  leggiadria  : 
del  signor  Cebutti  di   Ceutallo. 

Due  lavori  in  rame  di  buono  intaglio  :  del  signor 
Valpebca  incisore. 

Due  vasi  Etruschi ,  perfettamente  imitanti  lo  stile ,  e 
la  forma  degli  antichi  vasi  Sanniti,  conosciuti  general- 
mente sotto  il  nome  di  Etruschi  :   del  signor  D'Angrogxa 

LUSERNA. 

Finalmente  un  musaico  antico  di  Sardegna,  disegnato, 
e  intagliato  da  due   allievi*  del   signor  Pecheux  : 

Due  stampe,  rappresentanti  l'una  il  tragico  Alfieri, 
r  altra  il  signor  Abate  Valpebga-Caluso:  di  un  giovine  ** 
esso  pure  scolare  del  signor  Porporati;  lavori  si  il  primo, 
che  i  due  ultimi  di  non  oidinaria  aspettazione. 

Or  la  Classe  non  contenta  di  osservare  di  passaggio 
tutte  queste  opere,  ne  udì  regolarmente  il  rapporto,  che 
gliene  fecero  di  tempo  in  tempo  le  commissioni  a  lai  uopo 
in  seno  di  lei  nominate.  E  schiarata  vie  più  dulie  spe- 
ciali   osservazioni    di    arte,     di  critica,    e  di  gusto    sulla 


*  I  Signori  BouciiERoy  ,  e  Galuano.         < 

**  Il  fitjliuolo  dell'  illudile  Palmieri. 

I  l 


( LXXXIl ) 

natura,  e  sul  merito  di  ciascuna  di  esse,  talor  con  dice- 
vole elogio  onorò  la  maestria  degli  Autori  già  alla  meta 
o  pervcnu(i,  o  molto  avanzati,  e  talor  eziandio  con  un 
qualche  premio  aggiunse  lena,  e  vigore  a  quelli,  che 
sebbene  ancora  nel  principio  della  carriera,  danno  tut- 
tavia bt'lle  speranze  di  se  medesimi:  servigio  in  verità 
noe  picciolo ,  che  tra  i  molti  rendono  alle  Arti  in  sì 
flitta  maniera  le  Accademie. 


MÉMOIRES 


DE     LITTÉRATURE 


ET     BEAUX-ARTS. 


DISCOURS 

SUR 

L'UTILI  TÉ    DES    SCIENCES, 

LITTÉRATURE     ET     BEAUX-ARTS, 
M/  L'ABBÉ  VINCENT  TARIN. 

Lu  dans  la  séance  publique  du  29  messidor  an  io. 

j_jORSQUE  l'Europe  sortit  progressi vement  de  la  profonde 
igDorance  où  elle  avait  élé  plongce  depuis  la  chiUe  de 
l'Empire  dOccident ,  le  premier  pas  vers  la  civilisation 
flit  d'entrevoir  l'utilité  des  Sciences,  de  la  Littératurc  et 
des  Ar(s.  On  roconnut  que  ces  connaissances  donnent 
non  seulement  aux  Nations  qui  les  cultivent ,  une  supé- 
riorité  iucontestable  sur  les  autres  ,  et  qu'en  vivifìant 
l'iudustrie ,  elles  tcudeut  à  l'accroissemeut  de  la  popula- 
tion  et  de  la  force  des  Etats  ;  mais  on  acquit  encore  la 
cerlitude  qu  elles  contribuent  essentiellement  à  la  félicité 
individuelle ,  en  adoucissaut  les  mocurs,  en  resserraut  les 
liens  sociaux ,  et  siu'-tout  en  rcpandant  les  principes  de 
philautropie,  de  grandeur  d'ame  et  de  vertui 

I 


2  SVK   L'uTiriTÉ   DES    SCIENCES  , 

Le  desìi"  de  s'instruire  se  propagea  bientót  plus  géné- 
ralemeiit,  et  augmeata  à  proportion  qua  les  moycns  se 
multiplièrent  par  l'invention  de  rimprimerie.  Enfin  le 
dix-huiticine  siècle  a  vu  les  Sciences  et  la  Littéiatuie  por- 
tées  à  un  degré  de  perfection ,  dont  les  tems  antdricurs 
u'avaient  point  foiirni  dcxcmple;  et  si  un  Ecrivain  célèbre 
a  prétendu  démontrer  qu'elles  sout  moins  avanfageuses 
que  nuisibles  au  genre  humaiu,  cet  ingénieux  paradoxc, 
quoique  souteuu  par  l'élégance  et  la  pureté  d'un  style 
euchaatcur  ,  n'a  servi  qua  prouver  leloquence  de  son 
auteur,  et  à  fournir  à  qaelques  iodividus  un  prétexte 
plausible  pour  jiistifiier  leur  ignorance. 

La  mnltiplicité  des  ouvrages  instructifs  que  plusieurs 
.Socicfés  savaufes  out  publiés  dans  diHéreutes  contrées  de 
l'Europe  et  sur-tout  en  Frauce,  nous  a  convaincus  que 
rien  a'est  plus  proprc  à  accélérer  les  progrès  des  con- 
naissances  que  la  protection  accordc^e  par  les  Gouverne- 
mens  à  ces  Sociétés ,  afiu  de  Ics  exclter  à  tenter  des  de- 
couvertcs  intéressautes  ,  et  ù  consacrer  leurs  travaux  h 
l'utilité    pnbliqiie. 

Le  Piémont  avait  des  Acadi'mies  et  des  Établissemens 
littéraires,  qui  se  sont  illustrés  par  leurs  productions , 
et  plusieurs  Savans  quii  a  prodult  ,  ont  éié  appelés 
chez  l'étranger,  et  y  jouissent  d'une  considération  très- 
distinguée. 

Un  nouvel  ordre  de  choses  s'étant  établi  dans  ce  pays, 
le  General  Jourdan  alors  Administrateur  General,  aussi 
sage  qu'éclairé ,  sentii  bientòt  la  nécessité  de  relevei-  ces 


PAR    M.'    l'aBBÉ   TAhIN.  3 

instifufi'oDS  imporlanfcs  j  il  y  appoifa  des  changcmens  et 
des  soins  qui  le  font  regarder  corame  un  viai  fouda- 
teur ,  et  ses  vues  bienfaisantos  ont  été  secondces  par  un 
Gouvernement  puissant  et  généreux  qui  velile  à  nos 
destinées  et  vcut   notre  prospérité. 

Déjà  l'Athénée  débarrassé  des  entraves  et  des  prcjugés 
qui  retardaient  les  progiès  des  Sciences,  et  pourvu  de 
plusieurs  chaiies  que  l'on  désirait  depuis  long-tems ,  offre 
à  la  jeunesse  une  iustruction  plus  facile  et  plus  generale. 
Le  Collège  national  dirige  les  élèves  dans  la  carrière 
des  sciences  et  de  Ihonneur.  Une  Ecolc  vélérinaire , 
si  utile  dans  un  Etat ,  vient  d'étre  fondée  avec  une 
intelligence  qui  annonce  les  plus  grands  succès.  L'ad- 
mission  des  élèves  de  la  27.*  Division  militaire  à  fècole 
polytechnique,  la  plus  illustre  qui  existe  en  Europe,  nous 
assure  des  avanfages  inapprcclables,  et  devieut  un  nouveau 
gage   de   la  fraternitc  que  nous  accorde  la  Grande  Kation. 

L'Acadcmie  d'Agriculture  et  fAcadéiriie  subalpine  d  Ilis- 
toire  et  de  Beaux-Arts ,  s'occupent  avec  ardeur  ,  la  pre- 
mière à  des  découvertes  utiles  et  intércssantes  ,  la  seconde 
à  épurer  le  goùt ,  et  k  exciter  une  émulation  qui  conlribue 
infiniinent    à  perfectionuer  la  liltérature. 

Mais,  que  dirai-je  de  l'Académie  des  Sciences,  de  Lil- 
térature et  des  Beaux-Arts  ?  on  sent  les  progrcs  qu'elle 
peut  falre  et  qu'elle  fera,  sur-tout  aclucUenient  qu'uu 
Héros  imraortel,  seconde  par  des  luinistrcs  habilcs,  porte 
ses  vues  sur  toutes  les  branches  de  l'industrie,  et  encourage 
d'une  manière  distinguée   les  Savans  et   les  Artistes. 


"4  SUR   l'uTILITÉ  T)TS   sciencks, 

Quels  bienfaits  la  27.*  Divi^ion  niilitaire  ne  doit-elle 
pas  aftendre  de  la  sollicitiide  dii  Gueirier  philosophe., 
qui,  à  l'exemple  dcs  Martellus  et  des  Mutius  Scevola , 
vicnt  de  parcourir  les  df^paitemens  confiés  à  .«on  adnii- 
nistration,  afin  de  se  procurer  )e8  renseignemens  les  plus 
détaillés  sur  leur  état  actuel,  et  pour  recheicher  les 
meilleurs  nioj'cns  d'y.  rendie  l'agiiculfure  et  le  commerce 
de  plus  ea  plus  florissans,  et  sur-tout  d'y  perfectionner 
l'instruction  publique ,  qui  seule  peut  développer  ces 
talens  précieux,  dout  la  nature  n'a  jeté  quo  le  germe 
dans  un  petit  nombre  d'hommes  extraordiuaires,  et  qui 
sans  l'étude  seraient  toujours  ignorés.  Puisseut  ses  efforts 
assurer  à  des  établissemens  si  nécessaires  la  perpetuile 
que  paraìt  en  promettre  le  pian  qu'il  ea  a  forme  dans 
sa  sagesse!  Puisseut  toutes  les  branchos  d'inslruction 
recevoir  le  comble  de  perfectjon ,  à  laquelle  il  travaille 
sans   relàcbe  !  I         ■  ^ 

Tel  est  Tavenir  consolant  que  nous  font  espérer  des  Ad- 
ministrateurs  éclairés.  Le  succès  de  leurs  snges  disposifious 
nous  est  garanti  par  la  prudence  avec  laquelle  elles  sont 
combinées.  La  gioire  de  poser  les  bases  de  notre  félicité 
ctait  réservde  à  une  Nation  grande  et  gc^ndreuse,  et  si 
nous  ne  pouvons,  comme  faisaient  lesprovinces  Romaines* 


*  Les  habitaiu  de  Calane  cn  Sicile  consacrèrent  leur  gyranase  à 
Marcellus. 

Q.  Mutiiis  P.  Filius  Asiam  tinpulan'ler  rexerat ,  aJeo  tit  tttes  feslus  a 
Crcecit  in  honorem  ejus  tonstituerelur .  qui  dicertlur  Muda.  Ascoa.  in 
Verrin.    4. 


PAR   m/  l'abbÉ   TABIN.  S 

à  régàrd  des  Proconsuls  qui  It-s  lavoiVnt  bjVn  gouvernées, 
lui  attester  notre  rcconnaissance  par  des  féles  publiques 
et  des  monum.cDS  '  sok'jnaek;  du  nwins  oe  Isentinient 
restera-t-il  à  jamais  grave  detns  nos  coeurs,  et  la  postcrité 
recannaìssalite  no  prononcerà  le' nona'  dé^'sés  'bienfaiteurs, 
quavCc  attendrisseraerit  et  reispéct.' 


BA*l 


EXPLIGATION 
D'UN    BAS-RELIEF    ANTIQUE 

SCrtPTÉ  SUR  UNE  COUPÉ  EN  ARGENT,  DÉTERRÉE  DANS  LE  PÒ,  ENTRE 
l'eNDROIT  OÙ  ÉTAIT  BATIE  l'aNCIENNE  VILLE  o'iNDVSTRlA  ET 
I£   CHATEAU   DE  /^ERRUE ,  APPELÉ   PAR   LES   ANCIENS   FERVC^ , 

PAR    M.'    L'ABBÉ    TARIN. 
Lue  le  ay  tlieriuidor,  an  ii. 


.VA NT  d'entrer  en  matière,  perraettez,  Académiclens , 
que  je  rappelle  à  votre  souvenir  que  les  premiers 
hommes  commencèrent  par  faire  iisage  des  cornes  de 
certains  auimaux,  principalement  de  celles  de  boeuf, 
pour  leur  teuir  lieu  de  vases  à  boire  ou  de  coupes , 
dont  le  Dom  était  aussi  general  que  celui  de  verre  peut- 
étre  aiijourd'hui  panni  nous;  et  conime  en  toutes  clioses 
et  sur-tout  dans  les  arts,  les  idées  des  hommes  ne  chan- 
gent  que  par  degrés,  lors  mémes  qu'ils  commencèrent  à 
employer  d'autres  matières  à  ce  méme  usage,  ils  con- 
servèrent  cefte  forme  dans  leurs  vases  à  boire,  dont 
quelques-uns  sont  parvenus  jusqu'à  nous.  Dans  la  suite 
oa  adopta  la  forme    à    laquelle    nous    doanous  le  nom 


PAR    M.'    l'aBBÉ    TARIN.  "7" 

de  coup!?,  et  les  ancicns  qui  se  servaient  de  ces  vases 
dans  les  sacrifices  ci  dans  les  ffstius ,  ne  négligèicnt  n'ea 
pour  s'en  procui-er  de  très-richrs,  soit  par  la  matière 
dont  ils  €-taient  foirnés,  soit  par  la  bcauté  du  travail 
dont  on   les  ornaiC. 

Oiitrc  la  quautité  considérable  que  l'on  en  a  déterré, 
et  que  l'on  en  di'tene  tous  les  jours,  on  peut  juger,  par 
l'examen  détaillé  qu'en  fait  Athénée,  de  la  considérafion 
oij  étaient  ces  vases  daus  les  tems  dHoMÈRE  et  dans  les 
siècles  suivans. 

Les  Rotnains  ne  manquèrenf  pas  d'adopter  aussi  ce 
luxe:  ViRGiLE  dans  ses  églogues  introduit  deux  bergers, 
qui  se  disputent  le  prix  du  chant,  et  se  font  un  défi  : 
l'un  d'eux  offre  à  l'autre  deux  con pes  de  bois  de  héfre, 
travaillé  par  Alcimédon ,  auquel  il  donne  1  epithète  de 
diviu,  à  cause   de  sou   habiielé  dans  ce  genre  douvrages. 

On  pourrait  ciler  une  quanlitc  considérable  de  ces 
mouumens  précieux  qui  orneut  plusieurs  cabinets  d'Eu- 
rope, et  qui  ont  été  illustrés  par  des  savans  célèbres, 
mais  comme  la  briévefé  du  tems  ne  uous  permet  pas 
d'entrer  dans  ces  détails ,  nous  nous  bornerons  à  faire 
quelques  observations  sur  celui  dont  j'ai  l'honneur  de 
vous  préscnter  les  dessins. 

La  matière  dont  cette  coupé  est  formée,  est  d'argent; 
les  dimensions  sont  les  mcmes  que  celles  des  dessins. 
La  conservation  n'est  pas  aussi  parfaite  qu'on  la  souhai- 
terait,  car  le  roulement  des  caux,  le  sable  et  le  frot- 
lement  contre  les  pierres,   lui  ont   fait   perdre   ce  beau 


8*  EXPL1C\TI0N    d'un    BAS-RliLIEF   ANTIQUE, 

vernìs  qne  le  fetns  imprime  sur  les  mélàux,  et  en  ont 
presqueflacé  quelques  figures. 

Le  style  àv  cet  ouvrage  peut  étre  rapporté  aux  beaux 
tems  de   la  Grece. 

Ali  premier  coup-d'ocil  ou  volt  que  l'artiste,  qiii  en 
avait  forme  le  dessin,  a  voulu  ■  représenter  la  défaite 
des   Amazones  par  Hercule. 

Cet    événemeut,    qui    a    fait  tant    de    bruit  et    qui  a 
exercé  l'itliagination   exaltée   des   poetes ,  a  été    tellement 
déOguré,   que  plusieurs   auteurs  de  l'antiquité  l'odt  place- 
au  rang  des  fables. 

Si  nous  devons  nous  défier  de  ce  que  plusieurs  '  au- 
teurs anciens  nous  débiteut  au  sujet  des  Amazoues  du- 
Thermodon  ,  nous  ne  devons  pas  cependant  rejeter  une 
tradition  historique  conflrmée  par  des  auteurs  sages  et 
éclairés.  ^ 

Dès  le  tems  d'HoMÈRE,  l'existence  des  Amazones  de 
l'Asie  mineure  était  une  opinion  géùéralement  re^ue.  Ce^ 
poete  nous  dit  qu'elles  étaicnt  puissantes  dans  ce  pays 
au  siècle  de  Bellérophon,  d'Hercule  et  de  la  jeunesse  de 
Priam.  11  les  place  à  Torient  du  fleuve  Sangar  et  de  la 
Phr^'gie  ;  parie  de  leurs  expcditions  en  Lycie  et  de  leurs 
courses   dans  la  Troade. 

Ea  dessiuant  ce  sujet,  il  paralt  que  l'Artiste  a  suivi 
ce  grand  peiutre  des  liistoires  ancienues.  Car  on  voit 
Hercule,  chargé  par  EurystWe  d'enlever  h  Antiope  sa 
ceioture,  aux  prises  avec  cette  femme  célèbre  qui,  à  la 
lète  de  6CS   compngnes,  se   distingua    plusieurs   fois  par 


PAR     M.'    l'aBBÉ    TARIN.  9 

son  courage  et  sa  férocité,  et  disputa  aux  liéros  de  ces 
tenis-là  l'honneur  de  ravager  la  terre.  Malgré  la  hardiesse 
avcc  laquello  line  de  ses  coinpagnes  volc  à  soa  secours, 
la  malhcureusc  Antiope  est  prCtc  à  siiccoiiìbcr  ou  à  su 
rendre  à  discit'tioii   aii  vaiuqucur. 

Le  guerrier  à  theval  pourrait  biea  rcprésentcr  Ecllé- 
roplion,  le  premier  qui  a  enseigné  à  niener  un  clieval 
avec  le  secours  de  la  bride.  Celili  qui  tient  une  de  ces 
heroVnes  par  les  clicvcux,  sera  probablenicnt  Priam,  auteur 
de  celle   cxpcdiliou  en  faveur   dcs  Plirygiens. 

Aux  pieds  des  rochers  quelques-unes  de  ces  Amazoncs 
sont  liées,  et  d;ins  raltilude  de  prisonuières  de  guerre. 
Sur  le  haut  dune  montagne  ou  voit  un  tempie ,  par, 
lequel  l'aiiUnu-  du  dessiu  aura  voulu  rappeler  le  sou- 
venir de  l'atlculat  sacrilège  de  ces  femmcs ,  qui  oscrcut 
biùltr  le  tempie  de  Diane  à  Ephèse. 

Une  observation  intéressante  qui  se  présente  naturelle- 
ment  dans  cette  composition ,  c'est  le  costume  de  ces 
gueri-iers. 

Sur  les  revers  des  médailles  des  villes  qui  reconuais- 
saient  ces  héroines  pour  leurs  fondatrices,  on  les  voit 
représentées  habillées  de  peau  des  bélcs  qu'elles  tuaient 
à  la  oliasse.  Leurs  armes  sont  l'are,  les  flèchcs,  la  ja- 
veiiue  et  une  hache  d'armrs  h  deux  trauchans,  inven- 
tée,   dit-on,  par  Penthésilée,  une   de  leurs  reincs. 

Elles  portaient  un  bouclier  nommé  pella ,  qui  avait 
la  forme  d'un  croissant,  et  leur  tètc  était  délendue  par 
un   casque  orné  de  plumcs. 

2 


IO  EXPLICATION    ij'UN    BAS-BELIFl'    ANTIQIK. 

Le  costume  des  Amazones  de  iiode  bas-ielief  est  un 
peu  différeut  :  elles  n'out  point  de  bottines  qu'on  leur 
donne  sur  Ics  autres  monumens;  sur  ce  bas- reliet"  elIcs 
sont  dcchaussces,  et  l'habit  et  le  bonnct  sout  à  la  phry- 
gienne. 

De  ces  observations  il  risulte  que  ce  nionument  est 
précieux,  premièremeut  pour  les  artistes,  à  cause  de  la 
beante  de  la  composition,  et  de  la  découverte  d'un  cos- 
tume qui  n'était  pas  encore  connu  géuéralenieut. 

En  second  lieu,  ayaiit  pris  pour  guide  Homère  dans 
l'cxplication  que  nous  venons  de  donnei",  nous  croyons 
avoir  mieux  interprete  la  pensée  de  l'artiste,  car,  selon 
l'observation  très-sage  de  l'abbé  Bannier,  les  fables  et 
la  tradition  étaieut  d'abord  moins  composées  qn'elles  ne 
l'ont  été  dans  la  suite,  et  lorsqn'on  veut  les  expliquer, 
il  faut  les  prendre  le  plus  près  qu'il  se  peut  de  leur 
origine:  le  f'ond  de  l'histoire  qu'elles  renferment  y  est 
plus  aisé  à  découvrir,  et  les  allégories  sont  plus  sensibles. 


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XI 

NOUVEL    APERCU 

SUR  LES  CAUSES  DE  LA  CHUTE  DES  LETTRES  AUX  SIÈCLES 

DE  l'Ère  vulgaire,  appelés  de  fer. 

PAR    M.'    EMMANUEL    BAVA    S.    PAUL. 

Lu  le  27  therinidor  an    ii. 


«  Oans  la  langue,   vn  un  mot,  l'Auteur  le  plus  diviu 
Est   foujouis,   quoiqu'il  fasse,   uà   méchant  écrivaiu.  » 

Si  IHorace',  si  le  Juvenal  de  la  Franco,  si  Despbeaux 
a  dit  vrai ,  aitisi  que  je  le  crois,  daus  les  deux  vers  ci- 
dessus,  quel  sera  le  sort  des  Beaux-arts  et  de  la  Littérature 
d'une  Natica  qui  n'a  pas  un  idiome,  ou  qui  uécrit  pas 
la  langue  quelle  parie,  ou  plutut  quelle  ailicule  sans 
aucune  règie?  Tel  fut  cependant  le  sort,  non  pas  d'une 
Natica  seule ,  mais  de  toutes  celles  de  l'Europe  dans  ces 
siècles  de  fer,  c'est-à-dire  depuis,  ou  à-peu-près  depuis 
le  9.'  jusqu'au    i4**  siècle. 

Cette  f'atalitc  qui  condamna  tous  les  Européens  à 
riguorauce  ,  aurait  été  un  mal  sans  remède,  quand  mé- 
me  il  ne  serait  uè  ù  cette   epoque,  et  dans  cette  parlie  du 


12     SUR  LKS  CArSrS  DE  LA  CHUTE  DES  LETTRES, 

monde,  qiic  des  gcnies  transccndans  avcc  une  volente  la 
plus  décidée  de  s'instruire  eux-mèmes  et  ics  autres,  quand 
inc'ine  le  gouvcrnement  des  ficfs  n'aurait  pas  isole  les 
hommes   et  alienti   les   csprits. 

Le  grand  hoinme  est  toujours  un  peu  au-dessous , 
jaiiiais  au-dessus  de  la  tieinpc  des  instiumens  et  de 
l'empire  des  circonstances,  dont  il  se  trouve  pourvu  et 
entouré.  La  parole  est  l'élément  de  l'instruction ,  j'en 
conviens,  mais  commeut  en  devienti ra-t-elle  rinstrumeut 
actif ,  si  on  n'agence ,  si  on  ne  porte  le  langage  à  un 
systéme  de  langue  que  l'on  parie  et  que  Fon  écriv^e 
habituellement,  et  dont  les  mots  soient  lus  et  entendus 
de  tous?  Mais  telle  fut  cependant  la  destinée  des  siècles 
dont  je  vous  entretiens;  cette  langue,  telle  que  je  la 
coneois  devoir  éfre,  et  semblable  à  celles  qn'eu  grand 
uomhre  nous  avons  aujourd'hui ,  manquait  alors  à^notre 
Occident,  et  ne   pouvait  que   forcéraent  lui    manquer. 

Biea  des  gens  écrivaient  plus  on  raoins  mal,  ce  qu'on 
appelait  toujours  chi  /a/ in  ,  taodis  qu'untrès»petit  nombre 
de  personnes  qu'on  qualifiait  de  Grands  clercs,  enten- 
daient  encdre  tous,  ou  quelques-uns  des  Auteurs  classi- 
ques  de  la  haute  ou  de  la  basse  lalinité,  quoiqu'il  n'y 
eùt  pcrsonne  qui  sùt  se  servir  de  l'une  ou  de  Tautre  pour 
ètre  eompris  dans  les  cutretiens  familiers;  mais  de  quelle 
langue  s'y  servait-on  donc?  car  enfin  il  fallait  se  faire 
entcndre.  Quelle  langue!...  un  jargon,  un  baragonin,  tei 
à-peu-près  que  notre  Piémontais,  et  cela  dans  tonte 
l'Europe;  on  ne  l'écrivait  pas,  et  par  conséquent  il  n'étai! 


PAR   M.'    EMMANUEL   BAvA    S.    PAUt.  l3 

admisslble  dans  aucun  actc  ou  contrat  juridiqiie  et  public, 
n'ayant  ni  accent  fixe,  ni  orfographe,  ni  grainmaire , 
ni  prosodie,  et  dans  Ja  bouche  mème  des  Notables  variant 
d'une  cité  à  l'autre  et  de  commune  cn  commune  ;  de 
facon  que  ces  siècics  de  fer  se  trouvèrent  placi's  par  un 
fatalisme  aussi  indéclinable  qu'unique,  peut-ètre,  dans 
l'histoire  de  l'e<iprit  humain,  cntre  une  langue  morte  et 
une  langiie  à  peine  au  berceau,  qui  ne  peut  encore  que 
bégayer  les  pensées ,  et  ne  saurait  s'en  rendre  un  compte 
exact  et  se  les  retracer  sur  le  papier. 

Qu'on  place  fant  qu'on  voudra  à  une  (epoque  semblable 
les  Aristotes,  les  VerulamÌs,  les  Platoks  ,  les  Neutons, 
les  ViRGiLKS,  ils  ne  deviendront  tout  au  plus  que  dcs 
magiciens  ou  des  asfrologues,  des  ménétriers  ou  des 
jougleurs,  à  moins  qu'ils  ne  s'adonnent  à  la  Théologie  ,  à 
la  Métaphysique,  ou  au  Droit  canon,  et  dès-lors  on  pourra 
en  faire  des  Hiucmars,  des  Rabans,  des  Marculphes,  des 
Abaillards,  et,  s'ils  s'cu  tienuent  aux  lettres  latines,  des 
Ermoldes  Nigelles,   ou  des  Douizons. 

Pour  éclaircir  un  peu  mieux  moa  sujet,^  je  vous  de- 
mande,  ou  plulót  je  me  dcmande  à  moi-mème  ce  que 
c'est  qu'uue  langue  morte,  et  ce  qiie  c'est  qu'une  langue 
naissante?  et  je  me  réponds,  que  la  première  peut  ótre 
comparce  à  un  cadavre  bien  embaumé  et  bien  conserve 
par  des  injections,  il  gardc  tous  les  traits  et  la  frakheur 
du  teint  qui  l'embellissaient  pendant  sa  vie ,  mais  lequel 
('■tant  sans  ame,  ne  saurait  s'exprimer  ou  se  mouvoir;  car 
Ja  vie   dcs   langucs  git  et  se  propage  et  s'accroit  par  des 


l4     SUR  LES  CAUSES  DE  LA  CHUTE  DES  LETTRES, 

moiivemeus  pai-faitcmeut  aualogues  et  non  interrompus 
de  lèvres,  de  piume  et  de  presse  conjoiuts  et  simultanés, 
et  elle  a  perdu  ce  qui  l'anime,  aussitòt  qu'on  ne  peut 
plus  l'écrire,  à  peu  de  cliose  près,  à  la  manière  dont 
elle  est  parlée  par  tous  les  individus  de  la  nation. 

Je  icponds  enfia  que  la  seconde  peut  se  comparer  à 
un  enfant  au  berccau,  vivant  à  la  vérité,  mais  qui  ne 
saurait  encore  tracer  nulle  pait  les  sons,  bien  plutòt  que 
les  mots  non  articulés,  quii  nous  f'ait  parvenir  à  l'oreille. 
Or  cela  suppose,  quelle  puissauce  ou  quelle  sagesse  pour- 
ront  jamais  établir  et  former  un  commerce  d'idécs  entre 
un  cadavrc  ou  momie,  et  un  enfant  dans  ses  langes, 
quelle  iusti'uction  y  puisera-t-on,  quelle  littérature  pour- 
ra-t-oa  en  voir  ressortir  et  en  attendre? 

G'est  un  fait  constate  par  l'expérience  et  l'histoire  que 
Ics  langues,  (andis  qu'elles  sont  vivantes,  changent  et 
s'aUèrent  toujours  et  encore  plus  rapidement ,  à  niesure 
que  les  progrès  de  l'esprit  luiinain  et  de  la  philosophie 
sont  plus  accélérés;  il  u'est  pas  moins  vrai  et  sur,  que 
les  écrivains  s'efforcent  beaucoup  plus  de  plaire  à  leurs 
contemporains,  qui  doivent  les  lire,  les  juger  sur-Ie- 
champ  et  les  goiiter,  que  non  pas  à  une  postérité  dont 
ils  ne  sauraieut  deviuer  ou  calculer  le  goùt,  et  à  laquelle 
ils  ne  sauraieut  élre  assurés  de  parveuir  avec  leurs  ou- 
vrages;  quant  à  leurs  devanciers  dans  la  carrière  des  lettres, 
ils  n'existeut  plus ,  et  ce  serait  une  folie  que  d'eu  vouloir 
capter  les  suffrages. 

Or,   c'cst  eu  partaat  de  ces  deux  vérités   de    fait   que 


PAR    M/    EMMANUEL    BAVA    S.    PAUL.  l5 

je  soutiens  >  que  c'est  prccisément,  parce  que  la  latinité 
da  siècle  d'Auguste  ne  fut  plus  la  niéme  aux  sièclcs  des 
Antonins,  et  paice  que  dans  les  iisages  de  la  vie  et  la 
forme  du  discouis  elle  dut  par  cela  seul  changer  cncore 
davantage  pendant  les  huit  siècles  siiivans,  que  pour 
étre  lus  et  compris,  les  écrivains  l'urent  forcés  de  seloi- 
gner  et  de  diverger  du  latin  des  Auteurs ,  qu'anjourd'hui 
nous  qualifions  de  classic/ues,  dont  plusieurs  de  ceux- 
là  auraieut  .fort  bien  su  se  servir  en  les  iniitant,  mais 
sous  peine  de  n'étre  pas  lus  et  goùtés  du  comraun  des 
lecteurs  de  la  nation  ;  et  c'est  ce  qui  arriverait  meme 
i\  piéseut,  si  en  Italie  un  homrae  de  leftres  s'avisait 
d  ecrire  dans  la  laugue  et  le  style  de  Jacopone  de  Todi, 
ou  du  Passavanti,  ou  si  un  Francais  écrivait  conime 
jadis'Mes  Joinvilles    ou  les  Philippes    de  Comines. 

A<«ant  que  d'aller  plus  loin  et  de  conciare ,  j'ai  encore 
une  observation  non  moins  importante  à  vous  l'aire;  la 
voici;  fc'est  que  la  laugue  des  anciens  Homains  au  siècle 
d'Auguste  (et  on  peut  en  dire  autant  de  celle  des  Grecs 
au  siede  d'Alexandre),  ayant  enl'anté  des  chefs-d'oeuvres 
presqu'ea  tous  les  geures  de  littérature,  on  ne  pouvait 
plus  les  atteindre  ou  les  surpasser,  à  moins  que  cette 
raéme  langue  ne  vìnt  à  changer  au  point  de  paraìtre, 
ou  comme  on  voudra,  d'étre  en  effet  une  langue  nou- 
velle  ;  et  c'est  ce  qui  s'est  enfin  accompli  et  parachevé 
plus  ou  moins  fard  depuis  le  i/j-'  siècle  en  Italie,  en 
France  et  en  Espagne.  C'est  pourquoi  l'on  a  pu  dès-lors, 
chez  ces  trois  Nations,  reproduire  dans  des  idiomes  non- 


i(d     sua  LES  CAUSES  DE  LA  CHUTE  DES  LETTRE.S, 

veaux ,  conniis  de  lout  le  inondo  dès  l'enfnnce ,  des 
chefs-d'oeuvres  frappés  au  coiii  atlni^'ant  de  la  nouvcautt?, 
et  qui  rivalisent,  quoique  dans  un  gout  et  par  un  mode 
plus  ou  moins  varie,  avec  ccux  de  l'ancieunc  lionie  et 
de  lolite   l'anliquitc. 

Mais  c'est  ce  qui  eùt  éié  impossiblc  d'oblcnir  pendant 
la  trop  longue  duréc  des  siècles  de  fer,  savoir:  tandis 
que  la  langue  latino  était  dans  la  paralysie  de  la  nioit, 
et  que  les  langues  modcrues  élaient  dans  le  travail  de 
l'enfanlemcut,  et  n'étaient  ni  forniées,  ni  udnltes,  c'est- 
à-dire  ni  régularisées,    ni  admises   dans   Ics  actes  publics. 

Il  réguait  douc  alois  dans  toute  l'Europe  deux  langues, 
ou  plutót  doux  langages  infoimes  et  monstrueux ,  ceUii 
des  clercs  de  toutes  facuUés,  théologiens,  canonistes , 
incdecins,  ou  gens  de  loi  et  de  chicane,  c|ui,  sans  le 
padei-  familiaireinent,  écrivaient  dans  uiisquclette,  en- 
core  plus  décluqueté  par  eux  de  langue  latine,  et  celui 
des  hauts  Seigneurs,  Ghevaliers  et  Paladina  qu'on  parlait 
et  qu'oa  grifounait  méme,  mais  sans  règie  et  ortographe , 
et  qui,  sous  le  nom  de  langue  vulgaire  en  Italie,  et 
sous  celui  de  langue  romance  en  Fiancc  et  eu  Espagne, 
était  dédaigné  des  clercs  ci-dessiis;  et  commc  dans  la 
Datui-e  l'cnfance  a  quelque  chose  de  plus  attrayaut  et 
expressif,  quo  non  pas  la  vieilleésc  pàio  et  ridée,  de 
méme  celle  langue  romance,  quoique  enfantiue  et  en- 
core  mal-formée,  étalait  déjà  des  altraits,  présages  heu- 
reux  de  sa  perfectibilité  future  et  prochaine,  que,  disparus, 
la  laogue  latine  avait  perdus  sans  ressource. 


PAR  M."  EMMANUEL,    BAVA    S    PAUL.  l'J 

Mais  bicn  qu'à  pas  tardifs  cette  laugue  enfanli'ne  élant 
parveniio  ò  sa  maUiiité  avec  des  (raits  diveisifics  daus 
nolrp  Occidcnt  pendant  le  j4'*j  et  encore  plus  pendajit 
le  \o.'  et  le  iG."  siècics,  la  littéiatui-e  se  Iroiiva  parvcniic 
aussi  à  l'epoque  heureuse  de  se  voir  en  mesure  de  repa- 
raitre  avaiitageusenient  sous  l'enveloppe,  et  par  l'organe 
des  langues  modernes  ci-dessus,  qui  forcément  nnlles  et 
informes  auparavaat,  et  pendant  la  durée  des  siècles  de 
fer,    n'tn  pouvaient  avoir  une. 

Dès-lors ,  les  laugues  italienne  et  frauraise ,  (car  jc 
fais  abslraction  ici  de  la  belle  langue  espagnole,)  régu- 
lan'sces,  écrites ,  imprimées,  et  chacuue  dans  son  pas'S 
entendues  de  tout  le  monde,  purent  rivaliser  dans  Ics 
ouv'tages  liltéi-aires  de  tonte  espèce  avec  ceux  des  anciens , 
et  niérae  dans  un  sens  avec  avanfage,  quoique  dans  un 
gout  différcut  et  un  peu  varie,  ainsi  que  je  l'ai  inarqué 
ci-devant. 

Je  dis  avec  avantage,  non  que  les  autcurs  modernes 
qui  les  manicnt,  soient  de  plus  grands  hommes  que  n'ont 
été  les  anciens,  mais  parce  que  les  premiers  écrivant 
dans  des  idiomes  nouveaux,  et,  pour  ainsi  dire ,  encore 
vierges,  ils  purent,  saus  encourir  le  reproclie  de  pla- 
giaires,  s'approprier  ce  qu'ils  rencontraient  dans  ces  der- 
niers  de  plus  beau  et  frappant,  et  parce  qu'il  est  tout 
sitnpic  et  naturel ,  ò  mesure  quo  les  siècles  se  succèdent 
et  s'accumulent,  que  la  masse  du  savoir  au  profit  de 
l'esprit  humain  gngne  toujours  et  s'enrichisse  sans  cesse. 
J  ai    ajouté     que    nos    productions    modernes  rivaliscrcnt 

3 


l8     SUR  LES  CAUSES  DE  LA  CnUTE  DKS  LETTRÉS, 

avec  les  anciennes,  mais  dans  un  goùt  dit'férent  et  un 
peu  vario;  et  en  effet  il  ne  se  pouvait  que  la  cbose 
ne  flit  aiusi;  car,  tandis  que  nos  savans  et  uos  gens  de 
lettres  couuaissaient  par  l'étude  Ics  moeurs  et  les  usages 
de  tous  les  peuples  antérieurs  et  de  l'autiquité,  ils  avaient 
k\  et  sous  leurs  yeux  les  usages  et  les  moeurs  de  leur 
cation,  à  laquelle  ils  consacraient  leurs  veilles  et  dcsti- 
naient  Icurs  travaux.  Il  (5tait  dono  naturel  et  couscqucnt 
il  eux,  qu'ils  ne  prisseut  chcz  les  auteurs  qui  les  avaient 
dcvancés  j  que  Ics  peintures,  les  iraages  et  les  concep- 
tions  qui ,  ayant  la  nature  pour  base.,  sont  stables  et 
indcpendantes  de  toutes  les  révolutions  des  tems,  des 
moeurs,  des  partis,  et  des  lieux,  et  toujours  d'abord 
senties,  et  par  cela  seul  d'abord  admises  et  accueillies. 
Il  était  encore  naturel  que ,  soigneux  d'écarter  tout  ce 
qui  choquait  leurs  moeurs  nationales,  et  les  opiuions 
adoptces  de  la  plupart  et  courautes,  ils  en  fissent  un 
tout  assorti  et  nuance  au  goùt  et  à  l'intelligence  des 
contcmporains.  Voilà  sous  quelle  forme  et  sous  quel 
aspect  nous  avons  vu  s'élever  parmi  nous  la  litt(5rature 
européenne  et  moderne ,  dès  qu'étayée  par  la  maturité 
des  deux  langues  ci-dessus,  elle  y  trouva,  et  put  y  puiser 
le  foud  des  secours  nécessaires  et  les  couleurs  assorties 
pour   tout  pciudre  et  exprimer. 

Ce  goùt  différent  et  varie  dans  les  ouvragcs  de  lit- 
térature,  résulte  et  dépend  absolument  de  la  variation 
et  de  la  diversità  des  moeurs,  des  habitudes  et  des 
cultes  ;     le    Merveilleux    mythologique    d'Homère    a    diì 


PAR   M/    EMMANUEL    BAVA    S.    PAUL.  ig 

céder  dans  le  Tasse  au  Mervcilleux  lomanesque  et  ma- 
gique  de  l'epoque  des  Cioisades;  et  Milton  a  dù  em- 
pruater  le  sicn  (  c'est-à-dire  le  Seul  Merveiileux  véritablc) , 
de  la  Géuèse  de  Moyse. 

Ce  ne  fut  plus  sur  des  chars,  que,  comme  ceux  de 
l'Iliade,  se  battirent  les  héros  de  la  Jérusalem ,  mais  à 
pied  ou  à  clu'val ,  la  lance  ou  Vópée,  la  hachc  ou  la 
massue  à  la  main;  la  piéfé  de  Godefroi  de  Bouillon 
fut  plus  grave  et  ferme,  et  moins  superstitieuse  etcraia- 
tive ,  que  non  pas  celle  du  pieux  Enee.  Le  dogme  du 
fatalisme,  et  nommément  dans  les  dcrits  des  ancicus 
Grecs,  trancile  tous  les  noeuds,  décolore  toutesles  vertus, 
excuse  et  justifie  presque  tous  les  crinies ,  tandis  qu'à 
préseut ,  dans  les  nòtres ,  soit  sur  nos  théàtrcs ,  soit  dans 
l'epopee,  c'est  l'Amour,  c'est  la  Bravoure,  l'Ambition,  ou 
la  Gioire,  qui  tour-à-tour  couvrent  tous  les  excès,  et 
semblent  fa  ire  tout  pardonner. 

L'esclavage  chez  les  anciens  enchaìnait  et  abrutissait  pour 
le  moios  la  moitié  des  hommes  et  presque  toutes  les  fem- 
mes,  calcul  qui  enveloppe  les  trois  quarts  du  genre  hu- 
main,  et  c'est  ce  qu'on  voit,  à  peu  de  chose  près,  encore 
de  nos  jours,    par-tout  ailleurs   qu'en  Europe. 

Uq  partage  si  inégal  eutre  les  individus  qui  étaient 
tout,  et  les  individus  qui,  dans  toute  nation  de  l'antiquité, 
en  qualité  d'hommes,  netaieut  comptés  pour  rien,  est- 
ce  qui  fait  si  fort  contraster  les  nòtres  d  avec  les  mceurs 
des  anciens ,  et  ce  qui  par  conséquent  doit  faire  diverger 
coQsidérablemcQt ,    soit   uos    éeonomies  politiqnes ,    soit 


20         SUR  LES  cAusFS  DE  LA  cnuTE  r»r:s  LETTnf:S, 
jiomraément   notre   littérature,   de   fcuit  ce  qui,   sons    ce 
doublé   rapport,   nous    est   parv-enu    dcs   auciens  pcuplfs. 

Il  est  si  vrai  que,  pour  composer  dans  nos  langues 
formées,  écrites  et  imprimécs ,  un  écrivain  habile  doit 
connaltrc  et  se  pénctrer  des  moeurs,  des  opinions  et  dcs 
polices  de  sa  Nation,  qu'oa  observe  à  l'égaid  dcs  meil- 
leui'S  d'entr'eux,  que  c'est  ordiaairement  des  passioris 
natiouales  à  la  mode,  que  pour  pròtei-  de  l'énerf^ie  à 
sa  diction,  il  tire  Ics  expressions  fìgurées  et  Ics  bclleS 
niétaphores,  dont  il  sait  aninier  et  embellir  son  sujrt  et 
soa  style.  Voici  quelques  exemples  de  pareilles  niétaphores 
d'abord  senties  et  brillantes. 

La  tactique  cu  l'art  niilitaire,  parce  que  Ics  guerres 
y  furent  peu  iuterroinpues,  fut  f'ort  étudiée  en  Frauce 
et  de  tout  le  monde,  duraut  le  long  règne  de  Louis  XIV; 
et  aussitót  on  y  voit  passcr  les  phrases  propres  et  téch- 
niques  de  cet  art  à  la  mode  sous  la  piume  de  tout 
écrivain,  et  en  étre  flgurément  employées  sous  mille 
rapports  éloignés  et  difft'rens;  c'est  pourquoi  on  prèta 
dès-lors  le  flanc  à  la  critique ,  au  ridicale,  à  la  mt'di- 
sance,  comme  parsa  mal-adresse  une  arraée  laissait  le  siea 
à  découvert  à  la  merci  de   l'eunemi. 

Cliez  les  anciens  Romaius,  qui  out  supérieurement, 
et  à  l'euvi  cultivé  la  jurisprudence,  combien  ne  trouvons- 
nous  pas  de  termes  tcchuiqucs  passés  du  barreau  dans 
les  discours  familiers  et  dans  leurs  écrits  de  toutc  espèce? 
et  chez  les  anciens  Grecs  combien  de  modes  et  de  fa^ons 
de  s'cxprimer  n'a-t-on  pas  trausporté  de  leurs  liturgies. 


PAR   m/    EMMANUEL   BAVA   S.   PAUL.  21 

ou  Ju  langagc  proprc  aux  arts  imitalifs,  et  aux  heaiix 
nrts,  où  ils  excelicicot,  daus  ics  livres  de  leiu's  dcrivains, 
soit  orafcurs,  soit  historicns,  soit  poétes,  ou  sopliistes 
ou  pliilosophcs?  C'est  des  Grecs,  poiir  le  dire  en  passant, 
qiie  nous  av-^ons  empriinté  la  métaphore,  un  peu  ^picu- 
rérnnc  de  sacrifter  à  Vénus ,  pour  exprimer  ce  qu'on 
énonccrait  littéralemeat  en  disaut  se  livier  aux  plaisirs 
de  r amour. 

Je  ne  m'étendrai  pas  davantage  à  vons  faire  ici  le 
dénombrement  des  touis  et  des  mots  techniques,  qui  de 
nos  joiirs  ont  passe  des  opérations  commercialcs  et  des 
Sciences  de  calcul  dans  le  langage  poli  et  faniilier  des 
modernes  et  dans  nos  livres  ;  chacuu  de  nous  peut 
s'en  apercevoir  et  s'en  readre  compie,  et  méme  consta- 
tei"  combien  de  pareilles  tianslations  sout  analogues  à 
la  trempe  et  à  la  marche  de  l'esprit  liumain  dans  la 
liaison  des  idées  et  des  sons;  combien  de  jour,  de  lu- 
mière et  d'energie  ellcs  impriment  et  rcpaudent  sur  la 
pensee,  et  combien  les  deux  langues  Italienne  et  Fran- 
^aise  en   ont  tire  parti  et  s'en  sont  bien  trouvées. 

Je  n'entamerai  pas  non  plus  ici,  messieurs  mes  chers 
Confrères,  l'éloge  de  ces  deux  langues;  vous  les  connais- 
sez  assez,  pour  vous  en  dire  au-delà  de  ce  que  je  vous 
en  dirois;  j'enfamerai  encore  moins  leur  parallèle,  ce 
qui  excéderait  nies  forces,  et  m'en  tiendrai  à  convenir 
avec  les  personnes  instruites  et  versées  dans  l'une  et  dans 
l'autre,  savoir  :  que  la  langue  Francaise  est  peut-étre 
plus  régulière,   plus   evidente    et    plus   claire,    que   non 


22  SUR    LES    CADSES  DE  LA  GHUTE    DKS    LETTRES, 

pas  ritalieude,  mais  que  celle-ci  eu  revauche  est  bica 
plus  sonore,  et  cadeucée,  hannouieuse  et  par  conscqucnt 
plus  poétique. 

lei,  voulant  drmeurer  neutre  et  impartial  entr'elles , 
je  m'arréte  tout  court;  mais  si  on  voulait  savoir  à  laquelle 
des  dcux  je  donne  la  préférence,  je  répondrais  que  je 
8uis  natif  d'Italie.  >    -'-  -.- 

J'en  reviens  dono  à  ma  tlicse,  et  c'est  pour  conclure, 
que  la  longue  durée  des  sièclcs  de  fer,  et  que  le  long 
règne  de  lignorance  eu  Europe,  n'eurent  pour  cause 
première  et  toujours  active  et  toujours  insurmonlable  dans 
ses  resultata,  que  la  perte,  à  laquelle  on  ne  pouvait  s'op- 
poscr,  de  la  langue  qu'ou  y  parlait  auparavant,  et  l'ini- 
possibilité  d'en  créer  de  sitót»une  nouvelle,  susceptible 
de  la  remplacer. 


i 


«5 
RÉFLEXIONS 

SUR  LES  DIVERS  SYSTÈ:WES  DE  VERSIFICATI ON, 

TeNDENTES   a  PROUVER   Qu'oN    ne   PEUT    INTROpUlRE ,   AVEC   SUCCÈS  , 

DANS    LA   POESIE   FRAN§AISE,    LES.RÈGLES   PBOSODIQUES 

DES   GRECS    ET   DES    LATINS, 

PAR    LE    CITOYEN    DÉPÉRET, 

Lues    le    14   nivóse  an  11. 


Ifon  quivis  vi^(t , immodulala  poemata  judex. 

HORACE. 


ÌK  versification  n'a  jamais  été ,  chez  tous  les  peuples 
éclalrt^s,  que  la  parile  systématique  du  langage  con- 
sidéré   dans  sou   pouvoir  musical. 

Chez  tous,  elle  a  cu  pour  but  d'augmenter  l'iufluence 
des  sons  articulés ,  sur  les  passions  humaines ,  cn  offrant 
des  moyens  pavlicuHers  de  conibiner  le  pouvoir  qu'ont 
ies  mots  de  parler  à  rentendemcnt ,  avec  celui  qu'ils 
oul  d'exciter  des  sensalions  par  la  force  active  du  son 
de  la  voix  qui  les  arlicule. 

Aussi  indcpcndammcnt  de  la  considération  des  rap- 
poiis    diffcicus,    sous    lesquels    le   prosateur  et  le  petite 


24  SUR    LES    SYSTÉMES    DE    VERfilFICATION , 

envisageiit  les  objels  qu'ils  traitcnt,  il  naif  de  la  formo 
donnée  par  Tua  et  par  l'aulre  à  rexprcssiou  de  leurs 
pensees,  des  moyens  particuliers  de  plaire,  de  (ouchcr 
et  diastruire;  et  ces  moyens  se  Irouveot  dans  les  com- 
binaisons  différeutes  du  pouvoii-  musical,  avcc  le  pouvoir 
de  signification   dont  les  mots  sont  susceptiblcs. 

Tous  les  genres  de  style,  tant  dans  la  prose  que  dans 
les  vers ,  ticnuent  lem-  differcnce  et  leur  propricté  des 
dogrés  de  proportion  qui  pcuvent  se  Irouver  daus  Ics 
combinaisous   do  ce   doublé  pouvoir  des  mots. 

Pour  mettre  ces  idécs  dans  le  plus  grand  jour ,  il  faufc 
cousidérer  les  langues  anciennes  et  modernes  sous  le 
doublé  point  de  vue  de  leur  pouvoir  musical  et  de  leur 
syataxe*.  Celle  considcration,  en  confirmaut  ce  que  je 
viens  d'avancer ,  nous  fera  connaìtre  le  principe  qui  a 
fixé  et  qui  doit  fixer  à  jamais  le  système  de  versifi- 
cation  adopté  par  chaque  peuple. 

Dans  toutes  les  langues ,  tant  anciennes  que  modernes, 
il  y  a  deux  accens  géuéraux  qui  ,  dans  l'cmploi,  se 
trouvent  pour  diacune  dans  des  proportions  différentes: 
ces   deux  accens    géuéraux   sont ,   ì'acceni    syllabique   et 


*  J'eiilends,  ici  par  s^'ntaxe  l'ensemble  des  slgiies  qui,  dnns  rliaque  hnnguo, 
funi  comiaitre  Ifs  mpports  successifs  que  Irs  mols  oiit  enir'eiix  dans  la 
plirase.  La  roniiaissanre  de  ces  signrs  guide  l'écrivain  dans  la  conslruclioii 
des  inols,  el  elle  fail  que  IVsprit  de  celui  qui  écoule  ou  qui  lit,  rélablit 
dans  lorrlrc  de  l'analyse  de  In  pensée  les  niols  transposés.  Une  langue  est 
pliH  Oli  iiioiii'!  iransposilive,  selon  qu'elle  esl  plus  ou  tnoins  riche  en  sigues 
fie  celle  cspèce, 


PAR     LE  CIToyEN    DETÉRET.  2Ó 

Yaccent  oratoi/e.  Le  premier  fixe  la  longueur  ou  labiic- 
veté,  le  grave  ou  l'aigu  des  syllabes  de  cbaque  mot;  il 
appartieat  cntièremcut  à  la  prosodie  de  cliaque  laoguc  : 
le  second  doune  à  la  pronouciation  de  tous  Ics  mols 
qui  coinposent  une  phrase  ou  une  période  ,  Ics  in- 
flexioDS  et  Ics  nuances  que  le  sentiment  exige  pour  l'cx- 
prcssion  de  la  pensée,  dont  il  a,  pour  aiusi  dire,  dé- 
terminé  le  mode  et  la  coulcur. 

Dans  le  langage,  l'accent  syllabique  est  à  l'accent  ora- 
toire  ,  ce  qu'est ,  daus  la  musique  ,  l'accompagucment 
au  cbant  principal.  Si  raccompaguemcnt  est  trop  foit  , 
trop  senti ,  s'il  ne  se  foud  pas  parfaitement  avec  le  cbant, 
Tcffct  du  morceau  de  musique  est  altere;  il  n'y  a  plus 
d'barmonie. 

L'accent  oratoire  est,  pour  ainsi  dire,  l'effet  total  des 
vibrations  d'un  ressort  secret  qui  s'appuye,  d'une  pait, 
sur  les  organes  de  l'orateur ,  et  de  l'autre ,  sur  ceux  ana- 
logues  de  ses  auditcurs.  Les  oudulations  larges  et  noa 
intcrroitipues  que  le  sentiment  fait  faire  au  mouvement 
qu'il  imprime  à  ce  ressort,  ne  doivent  jamais  étre  con- 
trariécs  par  le  mouvement  partici  que  peut  donner  à  ce 
meme  ressort  l'accent  syllabique.  Ce  deruier  doit  tou- 
jours,  dans  la  déclamation,  étre  subordonné  au  premier, 
et  ne  doit  se  faire  éminemment  sentir,  que  dans  les 
cas  où  il  peut  en  quelque  sorte  le  suppléer:  tels  sont 
ceux,  par  excmple,  où  l'euphonie  devient  le  moyen  le 
plus  propre  à  l'exprcssion  de  la  pensée. 
.  Pour  savoir  maiutcnaut  quels  sout  les  dcgrés  de  subor- 

4 


sS  Sli^   LES    SYSTÉMES    DE   VERRIFICATION  , 

diuaflon  qui  existeut  dans  c'haqiie  languc  entro  ces  deux 
acccus ,  et  qui  sont  la  cause  de  la  diflcrence  qu'on  le- 
rnarqiie  dans  les  divers  systémcs  de  versification;  il  faut 
se  rappeler  quo  toutes  les  langucs,  tant  ancienncs  que 
modernes,  peuvent  étre  distingue'es,  par  rapport  à  leur 
syntaxe,  eu  langues  plus  ou  moins  transposilives ,  et  ea 
langues  plus  ou  moius  analogues;  c'cst'à-dire  que  les 
iiucs,  à  l'aide  des  déclinaisons  dans  leurs  mots  dénomì' 
Tialìjs  et  qualijicatìfs ,  pcrnieltent  que  dans  l'expression 
de  la  pensée  on  n'observe ,  euti-e  les  différcntcs  parties 
de  la  pUrasc,  d'autre  ordre  ou  arrangement  que  celui 
déterminé  par  le  feu  de  rimagination,  par  l'iulérét  de 
celui  qui  parie,  et  par  le  besoiu  de  plaire  et  de  toucher. 
La  majeure  partie  des  mots  dans  ces  langues,  einpor- 
lant  toujours  dans  l'empiei  le  signe  évident  du  rapport 
qu  ils  soutieuuent  les  uns  avec  les  autres ,  les  écrivains 
n'y  sont,  le  plus  souvent,  portés  à  adopter  telle  ou  telle 
constructiou ,  que  par  les  charmes  de  Iharmonie,  e' est- 
à-dire,  par  les  plaisirs  de  l'oreille. 

Daus  les  langues  analogues,  au  contraire,  les  mots 
u'attestant  les  rapports  qu'ils  out  entr'eux  dans  la  plirase, 
que  par  la  place  qu'ils  y  occupeul ,  et  cette  place  étant 
fixée  par  l'ordre  que  l'esprit  a  suivi  dans  l'analyse  de 
la  pensée,  il  faut  nécessairement  que  l'harmoaie  des 
soDs  y  soife  très-souvent  sacrifiée  à  la  clarté  et  à  la  pré- 
cisioa  de  l'élocution. 

Les  Grecs  et  les  Latins  avaient  des  déclinaisons;  avec 
trois  mots  latins  on  obtieat  six  constructions  di£féreutes  : 


PAR     LE  CITOYEN    DEPERET.  27 

avcc  les  trols  mèmes  mots,  les  laugucs  analogues  u'en 
ont,  c\  la  rigueiir,  qu'une  seule.  Dans  cet  état  de  choses , 
qu'est-ce  qui  déterruinera  l'écrivain  latin  à  préférer  l'une 
plutót  qiie  Tautre  de  ces  six  conslriicfions  qui  satisfout 
égaleraent  rcntendemcnt  ?  .  .  .  Ce  sera  l'oreille ,  c'est-à- 
dire  que,  dapiès  l'acccnt  syllabiqiie,  tous  les  mots  à 
employer  seront  disposés  dans  l'ordic  qui  peut  amener 
la  suite  de  sons  la  plus  agréable  et  la  plus  conforme  à 
la  nature  du  mouvemeut  oratoire  imprimé  par  le  senti- 
ment.  Tandis  que  dans  les  langues  analogues,  telles  que  l'ita- 
lieune,  l'espagnole,  la  francaise,  l'ordrc  dans  lequel  les 
mots  doivent  se  succèder,  ctant  déjà  determina  par  celui 
que  l'esprit  a  suivi  dans  l'analyse  de  la  pensée,  l'oreille 
aura  beaucoup  moins  de  part  à  leur  construction  que  l'in- 
telligonce  et  le  seutiment.  Aussi  les  premières  ont-elles 
une  prosodie  fixe  et  iuvariable,  c'est-à-dire  des  règles , 
d'aprcs  lesquellcs  la  place  de  chaque  mot  est,  pour  ainsi 
dire,  assignée  dans  le  vers,  par  rapport  à  la  quantité 
des  syllabcs   qui  la  composent. 

Dans  ces  langues,  la  prosodie  exerce  sur  les  mots 
employés  par  le  versificateur,  l'empire  qu'exerce  la  syn- 
taxe  sur  ceux  employés  par  le  versificateur  dans  Ics 
langues   analogues. 

Ce  qui  fait  que  dans  ces  dernicres,  l'accent  syllabique 
doit  y  étre  plus  faible,  et  que  l'accent  oratoire  peut 
s'y  faire  sentir  avec  plus  ou  moins  d'avantage ,  seloa 
qu'ellos  sont  plus  ou  moins  analogues.  Je  crois  mèmc 
pouvoir  avanccr,  à  cette  occasion,  que  la  langue  fraa" 


28  SUR    LES    SYSTÉMES    DE   VERr.IFICATION , 

caise  est,  peut-étre ,  de  foutcs  les  langues  vivanfcs  et 
nualogucs ,  la  plus  éloquonfe,  la  plus  energique  et  la 
plus  propre  à  la  dóclamafion,  parce  qiie  racccut  sjlla- 
bique  y  est  eutièicracnt  suboidouné  à  racceut  oratoire, 
et  quelle    est  sans  prosodie. 

Cctte  subordination  entra  l'accent  syllabiqnc  et  l'ac- 
cent  oratoire ,  est  la  base  de  la  déclamafion  considérce 
dans  l'organe  de  la  voix.  Les  degrés  dout  elle  est  suscep- 
tible  sont,  pour  chaque  languc,  fixés  par  le  rapport 
de  la  syntaxe  de  chacune  avec  l'accent  syllabique  des  raots 
qui   la   composent. 

J'ai  entcudu  eu  Italie  déclamer  de  très-beaux  vers  et 
pronoucer  des  discours  oratoires  par  des  hommos  habiles, 
et  j'ai  le  plus  souvent  senti  que  l'accent  syllabique  dans 
cette  langue,  en  i-endant  trop  sensible  le  son  partici  de 
chaque  mot,  suspendait  Tclau  de  la  voix  ,  l'entrecoupait 
et  nuisait  entièremcat  à  ce  son  fbndamental ,  qui,  pi-o- 
duit  par  le  scntiment,  doit  refentir  et  s'étendre  depuis 
la  première  jusquà  la  dernière  syllabe  d'une  phrase  ou 
d'une  période. 

Je  puis  donc  dire  déjà  ,  que  les  langues  transposi- 
tives  ont  dù  avoir  un  sj^stéme  de  versification  ditférent 
de  celni  des  langues  analogues,  et  que  la  cause  pie- 
micre  de  cette  différence  découle  essentiellemcnt  de  la 
syntaxe   et  du  genie  de  chaque  langue. 

Aussi  voyons  -  nous  que  dans  les  langues  transposi- 
tives,  l'accent  syllabique  domine  plus  ou  moins  sur 
l'accent  oratoire ,   et  que   dans  les  langues  plus  ou  moins 


PAR     LE   CITO  YEN    DÉrÉnET.  2Cf 

analogucs,  laccent  oratoiie  domine  plus  ou  moi'ns  sur 
l'uccent  syllabique.  Diius  les  piemicrcs ,  le  ibylhnie  et 
la  radencc  des  vcrs  y  soni  niarqucs  par  le  son  et  la 
qnanlité  de  chaque  syllabe:  et  l'oieille  et  le  goùt,  sans 
cniiiite  de  nuire  à  rintcUigence,  y  pcuvent,  à  Icur  gié , 
piacer  les  mots  daas  l'ordro  qui  dounc  la  suite  de  sous 
la    plus  agréable    et    la  plus  analogue  à   laccent  oiatoiie. 

Dans  ce  systéme  de  versiiìcatiou ,  la  syntaxe  n'in- 
fluant,  eu  aucuue  manière,  sur  l'arrangement  des  mots, 
l'acceut  oratoire  peut  s'appuyer,  avec  autaut  d'avantage, 
sur  telle  suite  de  mots  que  sur  Ielle  autre.  Que  si  dans 
toutes  c^s  suites  possibles,  il  en  est  une  meillcure  ,  ce 
sera  sans  coutredit  celle  que  loreille  et  le  goùt  auront 
déferminée. 

Mais  il  en  est  autrement  dans  les  langues  analogues. 
Dans  celles-ci,  l'acceut  oratoire,  ne  pouvant  s'appuyer 
que  sur  la  suite  de  mots  la  plus  conforme,  et  à  la  syn- 
taxe et  au  genie  de  la  langue,  laccent  syllabique  y  est 
moius  considerò  et  doit ,  par  conséquent,  y  étre  plus 
soumis  à  l'acceut  oratoire.  Aussi  dans  le  système  de 
versiiìcatiou  de  ces  langues,  le  rliythme  et  la  cadence 
des  vers ,  y  sont-ils  marqués  seuicment ,  ou  par  des 
repos  nommés  césnres ,  ou  par  des  sons  syllabiques  plus 
forts,  qui  suspendent  l'accent  oratoire,  et  lui  donncnt 
des  nuances  qu'il  n'aurait  pas  sans  ces   nioyens. 

Dans  la  langue  francaise  (langue  analogue  et  la  plus 
conforme  à  son  propre  genie),  c'est  par  des  repos  bien 
marqués  que  l'acceut  oratoire  est  raodifié   en  poesie.   Le 


3o  SUR    LES  SYSTÉMES   DE    VERSIFlCATION, 

rliythnie  et  la  cadence  u'y  soiit  détermincs  que  par  lo 
nombre  des  syllabes  et  par  la  longueur  égale  dos  scns 
partiels  bicn  distiiicts  de  la  pliiase;  car ,  loujours  dans 
nos  vers,  le  scns  coupant  lesynols,  y  suspend  l'einis- 
tiche,  en  niarqiie  les  repos.  Cotte  derniòre  circonstauce 
est  une  des  principales  sources  des  beautés  de  notre  poesie: 
c'est  elle  qui  nous  for^ant  de  doauer  de  la  rondcur 
et  la  mérae  étendue  à  toules  Ics  parties  distiuctes  de  la 
pensée  à  eufcrmer  dans  le  vers,  nous  force  aussi  àcette 
multitude  de  figures  et  de  tours  que  nous  nommons  poé- 
ticjues,  et  que  la  prose  ne  peiit  convenablement  employer. 
Toules  les  langiies  vivantes  ont  un  système  de  versi- 
fication  entièreraent  conforme  aux  priucipes  que  je  viens 
de  développer,  d'où  l'ou  peut  conclure  que  les  langues 
transpositivcs,  telles  que  la  latine  et  la  grecque,  ont  un 
systcìne  prosodique  de  versiGcation  qui  ne  peut  en  aucune 
manière  étre  avantagcusement  adapté  aux  langues  vivantes 
analogues,  lors  méme  quellcs  seraient  plus  accenfu('es 
qu'elles  ne  le  sont;  parce  que  dans  les  premières  ce  n'est 
point  la  syntaxe  qui  influe  sur  l'arrangement  des  raots , 
et  que  tonte  suite  de  sons  déterrainée  par  l'oreille  et  le 
goùt  y  peut  servir  d'appui  à  l'accent  oratoire  ;  tandis 
que  dans  les  dernières,  quelqu'avantage  qu'elles  puissent 
avoir  du  coté  de  l'accent  syllabique ,  comme  on  ne  peut 
y  donner  pour  soutien  à  l'accent  oratoire,  que  la  suite 
de  mots  détermiuée  par  la  syntaxc  et  le  genie  de  cha- 
cune  d'el'.es,  l'accent  syllabique  y  est  moins  considéré, 
et  par  couséquent  plus  subordouné   à  l'accent  oratoire. 


PAR     LE    CrrOYEW    DÉPÉRET.  5j 

Mais  polir  ne  laisscr  rica  de  douteux  dans  les  consé- 
queaces  que  nous  avons  tirées  des  principos  cxposés  plus 
haut,  coDsidcrons  eu  lui-rucme  uu  syslème  de  versi- 
fication   quelconqiie. 

Eu  l'emontant  h  rorigiae  des  vers,  on  s'assure  aisé- 
ment  que  c'cst  le  chaut  qui  les  a  fait  naìtre,  et  que 
tout  systéme  de  versification  n'est  que  l'ensemble  des 
règles ,  d'après  lesquelles  doivent  ètra  cotnposées  dans 
chaque  langue ,  la  phrase  musicale  qui  coastitue  chaqua 
espèce  de  vers,  et  la  phiase  logique  et  granimaticale 
qui  soutient  le  chant ,  et  qui  exprime  la  peusce  poéti- 
que  qui  raccompagne. 

Pour  bien  parler  des  vers ,  il  faut  douc  les  considé- 
rer  d'abord  sous  le  rappoit  du  chant;  et  alors  ils  ne 
sont  qu'une  phrase  musicale:  ensuitc,  sous  le  rapport 
des  mots  qui  soutiennent  cette  phrase  musicale,  et  qui 
exprimeut  la  pensée  poétique;  et  dans  ce  dernier  cas, 
ils  ne  sont  que  des  lignes,  dont  toutes  les  syllabes  sont 
comptées  et  réglces. 

La  versification  donne  des  rògles  pour  la  facture  du 
vers  vu  sous  ce  doublé  rapport,  L'harmonie  poétique 
est  le  but  qu'on  se  propose  d'atteindre  en  suivant  ces 
règles;  et  il  n'est  point  de  vers  harmonieux,  si  le  choix 
des  expressions  par  rapport  au  sons  et  à  la  construction, 
ne  les  assortii  entr'elles  de  manière  que  toutes  ccs  syl- 
labes du  vers  produisent ,  par  leur  sou ,  par  leur  nombre 
et  leur  quanfité ,  une  sorte  d'exprcssion  pour  l'oreille  qui 
ajoute  encore   à  la  siguificatioa  naturelle  des  mots. 


5-2  SUR    LES  SYSTÉMES  DE    VEaólFICATlON, 

L'iiarmonie  poétiquo  ne  peut  donc  se  trouver  dans  le 
vers,  qu  autant  qu<;  la  nature  de  la  phrase  musicale  aura 
une  paifaite  analogie  avcc  les  tours,  les  arrangcmcns , 
et  les  transposilious  qu'autoriscra  la  syntaxe  de  la  langue 
dans  laquelle  on  écrit;  c'est-à-dire,  qu'autaut  qua  les 
règles  qui  regardent  la  phrase  tnusicale ,  ne  sereni  point 
oppos(?cs  à  cellcs  qui  appartieuueut  à  la  coustruction  dea 
mots  qui  entrcnt  dans  les  veis. 

■  Bien  plus,  il  faut  que  l'harmonie  da  vers  soit  telle, 
que  par  le  caractère  particulier  qu'elle  lui  donne,  cu 
puisse  reconnaitre  le  genre  de  la  pièce  doù  il  est  tire, 
et  quelquefois  la  touche  du  poeto  qui  l'a  compose'e. 

La  versificatiou  envisagée  sous  ce  point  de  vuc,  je 
domande  si  les  phrases  musicales  déterrainées  par  chaque 
systeme  de  versification ,  ne  doivent  point  avoir  un 
caractère ,  un  mode  et  une  expression ,  non  seulement 
conformes  au  genie  propre  de  chaque-  peuple ,  mais 
encore  à  la  construction  et  à  la  syntaxe  de  chaque  laugue  ; 
puisque  le  vers  u'est  exact  et  harmonicux  qu'autaut  que 
la  pensée  qu'il  reufcrme,  forme  un  accord  parfait  avec 
le  chant  soutenu  par  les   mots. 

Le  poete  se  distingue  du  prosateur,  autant  par  la 
manière  dout  il  envisage  les  objets,  que  par  celle  dont 
il  les  peint  à  l'aide  du  langage. 

Le  poiite  cherche  à  faire  connaitre  l'objet  qui  roccupe, 
en  le  peignant  par  des  imagcs,  et  en  le  présentant  com- 
me  le  soutipn  des  tableaux  nombreux  et  variés  qui  ont 
excité.  en  lui  des  sensatious   plus  ou  moius  agréables. 


PAI\    LE  GITO  YEN    DÉPÉRET.  33 

C'est  en  rcmuniit,  en  échauii'anl;  lo  cccur  qu'il  vcut 
iutéressci-  et  éclaiicr  Tesprit.  Jl  ne  pcint  pus  comnie  il 
voit,    il   pcint  cornine   ilsent,  ut  piclura  poesis. 

Le  prosuteur,  par  une  autrc  route,  cherche  à  noiis 
attacher  eu  iìxaut  uotie  attcutiou.  11  peint  les  objets  tels 
quii  les  voit.  Il  Ics  analj'^se,  et  nous  Ics  presente  en 
défaillant  succcssivcment  et  par  parties ,  leurs  qualilés  , 
leurs  prnpriétés  et  leurs  rapports  prochaius  ou  éloignt!s  ; 
il  veut  uioiilrcr  1  objet  ayec  vérité.  Il  s'en  tient  à  ^claircr 
notre  esprit  ^  et  nous  laisse  maìtres  dans  l'exercice  de  notre 
seusibilité ,  à  la   vue  de  ce  quii  nous  a  moutré. 

Gette  distinclion  enlre  le  poete  et  le  prosateur  prouvc, 
que  le  langage  de  l'un  doit  avoir  des  moyens  particu- 
liers  qui  n'appartienneut  pas  au  langage  de  l'autre.  Le 
pr(Mnier  a  plus  en  vue  les  plaisirs  des  seus  et  du  coeur; 
le  sccond  ceux   de  l'esprit. 

Aussi  voyons-nous  que  tous  deux  employant  la  force 
active  du  son  de  la  voix  pour  nous  attacher  ,  l'un  l'em- 
ploit  avec  toutes  les  raodulations  et  toutes  les  modifica- 
tions  que  peuvent  lui  donncr  les  situations  intérieures 
que  lame  est  susceptible  de  recevoir  de  la  part  des 
objets  exlérieurs;  landis  que  l'autre  l'emploit  sans  toutes 
ces  modulalions  et  toutes  ces  modifications  :  aussi  le  pre- 
mier chante  en  parlanf ,   le  second  ne  fait  que  parler. 

D'où  il  suit,  que  le  chant  est  essentiel  à  la  poesie,  et 
qu'il  procède  da  coeur  de  chaque  polite,  aussi  immédia- 
temcnt  et  aussi  naturellemcut  que  l'exprèssiou  de  la 
peusée   qui  doit  le  soutenir,  procède  de  son  esprit. 

5 


34  vSt'R    T^ES   SVSTKMES    DE   VERMFICATION  , 

Mais  l'esprit  et  le  cocur  concoiircnt  à  fbrmcr  le  carac- 
lèir  particulier  de  chaque  peuple  !  .  .  .  tout  systéme  de 
versification  est  dono  essenLiellement  détermiuc  lui-mrine, 
et  par  la  manière  de  sentir,  et  par  la  manière  de  penser 
et  de  s'exprimer  de  chaque  peuple.  Le  genie  et  la  synr 
taxe  de  chaque  laugiic,  qui  sont  toujouw  conformes  à 
CCS  deux  manièies,  puisquc  leur  caractère  particulier  n'a 
pas  d'autre  source,  sout  donc  lunique  base  de  tout  sys- 
téme de  versification.  On  ne  peut  donc  pas  emprunler 
la  phrase  musicale  des  vcrs  d'une  lauguc  pour  la  faire 
souteuir  par  des  mois,  pi'is  dabs  une  autie  d'un  genie 
et  d'une  syntaxe  dilférens. 

Que  si  on  l'essaye  ,  je  demande  comment  ou  parvieudra 
à  pvoduire  par-là  uno  harmonie  rcelie  dans  les  vers,  puis- 
qu'il  est  dcraonlré  quelle  consiste  dans  le  rapport  exact 
des  sons  et  des  mots  avec  la  pensée ,  dans  le  concert 
parfait  entre  la  manière  de  sentir,  et  celle  dout  la  pen- 
sée est  aualysée  et  exprimée,  entre  la  phrase  musicale  et 
la  phrase   grammaticale  qui  la  soutient. 

Toutes  les  loix  de  l'harmonie  poétique  sont ,  pour  chaque 
langue,  positives  et  fixes;  elles  n'ont  rien  d'arbitraire  et 
de  vague.  Lorcille  et  l'esprit  sont  toujours  là  pour  voir 
si  la  pensée  quadre  bien  avec  l'expression  ;  et  le  plaisir 
que  cause  l'harmonie  poétique  na  sa  source  que  dans 
Videntité  du  jugemcnt  porte  alors  siraultauément  par  L'un 
et  par  lautre. 

La  phrase  musicale  des  vers  grecs  ou  latins,  quelque 
supérieure  en  beante  qu'elle  nous  paraisse,  ne  peut  donc 


PAR     LE    CITOYEN    DÉI'ÉRET.  35 

pas  ótre  trausportée  dans  les  langues  modernes,  lors 
mérae  qu'elles  sembleraicnt  offrir  par  leur  accent  sylla- 
bique  tous  les  moyens  de  se  plier  aux  règles  de  cette 
phrase  musicale. 

Due  semblable  tentafive  a  été  et  sera  toujours  sans 
succès  ;  il  ne  peut  en  étre  autrement:  l'obstacle  est  in- 
vincible,  puisqu'il  rcpose  sur  le  genie  de  chaque  langue, 
et  sur  le  son  méme  des  mots  qui  la  composent.  J'ai  dé- 
montré  la  première  partie  de  cette  proposition  ;  je  vais 
démontrcr  la  seconde. 

En  supposant  que  le  genie  et  la  syntaxe  d'une  langue 
ne  s'opposassent  point  à  ce  qu'on  lui  adaptàt  une  versifi- 
catiou  étrangère,  (ce  que  j'ai  démontré  impossible)  il 
resterait  toujours  pour  obstacle  h  cette  adaptation  la  diffé- 
rence  de  l'accent  general,  et  du  mode  du  soq  de  chaque 
langue. 

Tous  les  icrs  soni  enjans  de  la  lyre.  Oui  !  mais  cha- 
que peuple  a  sa  lyre  particulière,  et  le  ton  auquel  cha- 
cune  d'elles  est  montée ,  ne  permet  pas  d'en  tirer  des 
soDs  harmonieux  daus  tonte  espcee  de  moda 

Il  est  des  genres  de  poesie  qui  ne  peuvent  étre  con- 
venablement  chantces  par  la  lyre  de  tei  peuple ,  et  qui 
le  sont  avec  le  plus  grand  succès  sur  la  Ij're  de  tei 
autre. 

En  effet,  compterait-on  pour  rien  dans  le  caractère 
musical  des  langues,  le  mode  du  son  produit  par  les 
mots,  et  qui  chez  toutes  est  nuance  et  diffcranció,  non- 
seulement  par  la  combinaisou  des  consounes    et  des  vo- 


36  SUR    LBS  SYSTÉMF.S   DE   VÈRSIFICXTION, 

ycllcs,  mais  cucorc  par  Ics  modifìcations  qiic  donuont 
ù  l'organe  de  la  voix,  le  climal,  IVdncation,  Ics  nimus, 
CD  un  mot  toufes  Ics  circonstanccs  pliysiqiK's  et  moralcs, 
qui  font  qiie  cliez  le  mémc  pciiple,  les  mémcs  mot? 
sout  articiilés  et  prononcc^s  d'uue  manière  diflércnte,  et 
avec  des  nuances  musicales  appréciables. 

Ne  sent-ou  pas  qne  le  son  des  mots  enfendus  sufiit, 
saus  le  secours  de  l'intelligence,  pour  nous  mettre  dans 
le  cas  de  les  rapporter  à  Ielle  ou  telle  langue?  Et'com- 
mcut  pourrious-nous  le  faire,  si  le  son  qui  est  prodiiit 
par  l'aiticulatiou  quils  nécessitcnt ,  n'apparfcnait  pas  a 
des  modes  musicaux  esseutielicmeut  diffcrens,  mais  que 
nous  reconnaissous  commc  apparfouaut  aussi  au  carac- 
tère  musical   de   la  langue  de  tei  ou  tei  peuple? 

]\Iais  medira-t-on,  il  est  des  langues  vivantes  qui  ont 
des  lougues  et  des  bréves ,   conime  la  langue  latine  ! 

A  cela  je  répondrais  d'aprcs  tous  ceux  qui  ont  du 
goùt  et  de  l'oreille ,  que  les  longues  et  les  bréves  qui 
sont  dans  la  langue  vivante  la  plus  acccntuée,  ne  sont 
pas  longues  et  bréves,  de  la  mème  manière  que  chez 
les  latins. 

L'accent  vocal  dans  la  langue  latine  est  plus  ferme, 
plus  soutcnu,  plus  égal  ;  la  quantité  cu  est  fixe  et  dcter- 
miuée;  la  proportion  entre  les  bréves  et  les  lougups  y 
est  toujours  la  mérae.  Tandis  que  dans  la  langue  vivante 
dont  ou  parie,  laccent  y  est  plus  moelleux,  plus  irré- 
gulier,  plus  flexible  et  par-là  plus  varie.  Les  bréves  • 
que  j'aime  mieux  nommer  glissantes,   (sdrucciole),   ou 


PAR     LT2   riTOVEI*    nÉpÉRET.  Z'J 

rapìclcs,  n'y  ont  iivcc  Ics  longues  qu'une  proportioa 
varlable,  plus  appiéciable  par  leur  rapport  musical,  que 
par  leui-  rapport  de  quantité. 

Je  sais  que  la  poesie  grecque  et  latine  est  plus  rhyth- 
mique,  et  par  conséqucnt ,  que  la  phrase  musicale  des 
vers  y  est  plussentic,  plus  éuergiquc,  et  pour  ain«i  dire, 
plus  ópiquc;  je  sais  que  Ics  syllaljcs  des  mots  y  sont 
régiccs  par  la  quantité  qui  les  rend  bréves  ou  longues , 
par  le  nombre  qui  fait  qu'il  y  en  a  plus  ou  moins  ,  et 
quolquefois  rnémc  par  l'un  et  par  l'aufre,  còmrne  dans 
l'asclépiade  et  l'hendécasyllabe,  tand'is  que  dans  les  lan- 
gues  modernes   elles  ne   le  sont  que  par  le  nombre. 

Mais  Iharnionie  du  vers  est-elle  le  produit  de  la  quan- 
tité seule?  et  le  vers  n'cst-il  qu'un  chant  tout  cntier  pour 
l'oreillc  ,  qui  ne  doive  rien  cxciler  dans  l'esprit ,  et  par 
conséqucnt  dont  l'harmonic  soit  indépcndaute  de  soa 
accord  avec  la  pensée  poétique,  exprimée  par  les  mots 
qui  le  soutiennent?  C'cst  là  le  lot  de  la  musiquc  propre- 
ment  dite,  de  cct  art  jaloux  de  scs  prérogatives ,  qui 
maitrise  le  cocur,  et  semble  ne  vouloir  de  triomphes 
que  ceux  quii  peut  dérober  à  l'esprit.  Il  n'en  est  pas  de 
mcme  de  la  poesie,  cilene  veut,  au  contraire,  de  triom- 
phes que  ccux  cju'elle  a  remporté  également  sur  le  cocur 
et  sur  l'esprit  ;  ou  plutòt  elle  disparaìt  si  elle  n'est  avouée 
simultanémcnt   par  l'un   et  par  lautre. 

L'accent  syllabiqvie  d'une  langue  ne  doit  donc  pas  etre 
cousidéré  séparéracnt  des  moyens  par  lesquels  on  y 
dispose    Ics    mots    pour   former    un    scns   dans   l'e^sprit , 


38  SUR    LES  SYSTÈME6  DE    VERSIFICATION , 

pour  souteuir  l'accent  oratoire  et  la  phrase   musicale  dii 
vera. 

Il  faut  toujours  voir  eusemble  la  prosodie  et  la  S3'a- 
taxe  d'une  laague  pour  déteriniuer  le  systéme  de  versi- 
fication  qui  lui  convient:  or,  le  plus  convenable  pour 
chacuoe  doit  étre  nécessairenient  celui  où  la  phrase 
musicale  pourra  se  préter  à  toutes  les  modifications,  et 
à  toutes  les  nuances  que  la  phrase  logique  qui  la  sou- 
tient  ,  est  elle-méme  susceptible  de  recev'oir  dans  le 
courant  d^uae  méiue  pièce  de  poesie.  Sous  ce  rap- 
port ,  n'est-on  pns  force  de  convenir  que  la  versifica- 
tion  des  Grecs  et  des  Latins  est  trop  sevère  et  trop 
stricte  pour  les  langues  modernes.  La  quantité  dans  la 
versificatiou  ne  peut  appartenir  qu'aux  langues  absolu- 
.ment  transpositives. 
..  Mais  dira-t-on  en  insistant  :  les  plaisirs  des  sens  l'era- 
portent  sur  ceux  de  l'esprit,  et  le  chant  a  précède  les 
vers.  Sans  examiner  ici ,  si  les  plaisirs  des  sens ,  coni- 
binés  avec  ceux  de  l'esprit ,  ne  sont  pas  préférables  pour 
l'homme  cultivé  aux  plaisirs  des  sens  simplement,  et  si 
la  priorité  d'existence  est  une  prcuve  d'excellence ,  je 
répondrai  qu'il  serait  facile  de  dèmonfrer  que  notre 
imagination  nous  exagère  beaucoup  les  avanfages  que 
nous  donnons  aux  Grecs  et  aux  Latins,  par  rapport  à 
la  quantité  qui  rendait  en  effet  la  phrase  musicale  de 
leurs  vers  plus  prononcée,  plus  cadeucèe  et  plus  rhy- 
thuiique. 

Le  jugement  prévenu  fait  ici  illusioa  à  nos  sens,  Chaque 


PAR     LE   CITOYEN   DÉrÉRET.  S^ 

langne  a  ses  bcaulcs  musicales  qui  sont  iualldnables  , 
parce  qu'elles  ne  naisscnt  que  du  fmid  memo  de  la  langue 
qui  Ics  possedè. 

«  L'hiatus  chez  Ics  Grecs  dtait  un  des  agrdmens  du  laugage. 
Los  La(ins  admiraicnt  pour  le  grcc  ce  principe  de  me- 
lodie dans  Ics  sons  des  mols,  et  le  rejetaicnt  pour  leur 
propre  langue.  Là  l'Lialus  flallait  leur  oreille;  ici  il  la 
blessait,  »  Preuve  inconlestable  de  la  différence  essentielle 
du  mode  musical  de  chnquc  langue,  et  par  conséquent 
de  la  néccssité  d'un  sysléme  de  versiBcation  différent  pour 
cliacune  d'elles. 

«  G'est  la  douceur  du  climat,  (a  dit  Monsieur  Thomas 
»  dans  son  essai  sur  les  éloges)  c'est  la  molle  souplesse 
»  des  organes,  c'est  la  politesse  des  mcEurs,  c'est  le 
»  désir  de  plaire,  en  flattant  l'ame  et  l'oreille,  par  l'ex- 
»  pression  d'un  sentiment  doux  qui  polit  les  langues  ^ 
»    et  les  rend  harmonieuses.  » 

En  adniettant  cette  opinion,  la  langue  la  plus  harmo- 
nìeuse  sera  celle  qui  n'aura  rien  d'apre ,  d'austère  dans 
ses  sons,  et  oìi  les  mots  s'inclinant,  se  renversant  molle- 
ment  les  uns  sur  Ics  autres,  dounent  à  la  prononciation 
ime  sorte  de  fluiditc,  et  la  rendent  très-propre  à  l'ex- 
pression  musicale  du  vers. 

Or,  si  nous  comparons  sous  ce  point  de  vue  la  langue 
francaise  à  la  langue  latine,  il  nous  sera  facile  de  faire 
sentir  que  la  mesure  du  vers  latin  ne  convient  nulle- 
ment  h  la  poesie  francaise.  La  quantitc  était  chcz  les 
Lalins  trop  dcterminée,  et  pour  ainsi  dire ,  trop  calculée. 


i'fO  SLR    LES    SYSTÉMES    DE    VERf.lFICATlON  , 

JjC  rapport  des  syllabcs  longues  aux  syllabos  brcves ,  y 
est  trop  cxactcment  fixé,  et  donne  à  la  pluase  musicale 
du  vers  trop  de  piccisiou  et  do  rc'gularilé ,  pour  quo 
la  laugue  fraucaise  puisse  l'adopter  sans  miire  à  sa  dou- 
cem-,   et  pour  ainsi  diie,  à  sa  ductilité. 

Chauler,  c'est  exprimer  par  Ics  sons  de  la  volx  l^s 
diverses  siluations  intérienres  du  canir;  situations  loii- 
jours  ana'logues  cn  lui ,  aux  impressions  qu'il  a  recuesy 
et  aux  passions  qui  l'agitent. 

Les  parolcs  qui  accompagncnt  le  chaut  ont  dcux  pou- 
voirs  distinets.  Par  le  mode  du  soa  des  syllubes  qui  Ics 
composcnt,  elles  peigueiit  le  scntimcnt  ;  par  les  sons 
variés  de  l'articulation  qu'elles  ndcessitent ,  elles  expri- 
Tjbent  nos  pensées;  mais  les  peusées  se  détachent  Ics  uncs 
des  autres  ,  comme  Ics  points  de  vue  et  les  actes  de 
4'esprit  qui  les  considera  ;  tandis  que  les  sentimeos  sont 
des  tous  iudivisibles  qui  se  succèdent  cu  nous  sans  in- 
terruption ,  parce  qu'ils  naissent  de  la  situation  méme  de 
notre  coeur,  qui  sous  ce  rapport  peut  éfre  rcgardc  comme 
imrauable.  Les  niots  cousidérés  musicalcracnt  doivent  dono 
avòir  des  propriéte's  qu'ils  n'ont  pas ,  lorsqu'on  Ics  cou- 
sidcre  logiquement.  11  faut  douc  que  par  rapport  au  son 
ils  aient  :  i.°  uu  mode  diffcrent  dans  chaque  langue, 
parce  que  la  manière  de  sentir  de  chaque  peuple  néces- 
site,  dans  son  expression  par  le  chant,  un  toa  esscntiel- 
Jement  différent;  2.°  une  aptitude  plus  ou  moins  grande 
à  se  lier  Ics  uns  les  autres  par  leur  consounance,  afin 
de  pouvoir  peindre  nos  sentimens,  et  en  marquer  J.a 
liaisoa  et  les  nuauces  successives. 


I    PAR    LE    CITOYEN    DÉpÉp.ET.  /j  t 

On  a  parie  beaucoiip  de  la  mnsiqtie  cliez  les  Grecs, 
et  on  a  dit  peii  de  chosrs,  ou  prescjue  ricn  de  la  musi- 
qtie  chcz  Ics  Lalins.  La  musique  sernble  appaifenir  pi-^s- 
qu'(n  propre  à  l'Italie,  et  la  Fi  ance  emploit,  pom-  la 
naifoualisei-  chez  elle,  non-seulement  toiis  ses  moyens, 
mais  encore  ceux  des  ualions  ctrangères.  Pourquoi  cctte 
différence? 

Je  ne  prononce  point  sur  rette  question.  Je  ne  fais 
que  l'indiqiier.  Peut-éde  qu'un  jour  je  la  traiterai  Ce  que 
j'ai  dit  plus  haut  s"y  rappoite  ,   je   crois,  très-directement. 

Je  reutre  dans  mon  sujet,  et  je  joins  aux  preuvcs  de 
raisonneraent ,   quelque"?   preuves   de  fait   et  dexpérieiice. 

La  lanofae  latine  difTfere  de  la  langue  francaise ,  par 
son  acccnt  vocal  et  par  sa  syntaxe;  au«si  aije  senti, 
taut  en  lisant  moi-méme,  quVn  entendant  lire  des  vers 
francais  mesuiés,  Ics  efibrfs  pénibles  faits  par  ceux  qui 
les  avaient  composés ,  et  la  conti  ainte  soiitenue  où  se 
trouvait  Porgane  do  la  voix  en  les  récitant  ?  Je  ne  parie 
pas  de  la  peine  que  causent  les  violations  faites  aux  rè- 
gies  de  la  synlaxe  de  la  langue  francaise,  pour  pouvoir 
l'assujcttir  à  ce  système  de  versification;  je  ne  veux  faire 
observer  ici  que  ce  qui  appartieni  à  la  phrase  musicale 
des  vers  latins,  lorsqu'ou  la  transportée  sur  des  paroles 
francaises. 

Jai  senti  que  le  langage  francais,  pour  devenir  alors 
plus  ferme  et  plus  éuergiqne ,  devenair  dur  et  apre ,  et 
qie  pour  se  prèter  à  la  quaulité  du  vers  latin,  il  se  pré- 
cipitait  ou  se  ralectissait  sans  niesuie,   ni  agrément.  Hien 


42  SUR    LES    SYSTEMES    DE    VERSIFICATION, 

n'était  naturel,  les  orgnnts  de  la  voix  étaient,  pcudant 
la  lecture,  dans  une  sitiiation  violente,  qui  n'était  sou- 
tcnue  quc  par  les  effoits  coustaus  de  1  imagination  qui 
me   rappt'Iait  le  soa  analugue  d'un  vers  latin. 

Au  licu  que  daus  la  lecture  faite  ou  entendue  de  vers 
écrits  d'api ès  le  systèrae  de  vcrsIGcation,  propre  à  la 
langue  francaise,  je  scns,  si  je  veux  me  livrer  particu- 
lièicment  au  plaisii-  de  la  melodie  de  leur  plirase  mu- 
sicale, que  tout  y  est  naturel.  Les  sons  se  succèdent  sans 
cfibrts,  et  avec  une  molle  douceur  qui  les  lie ,  et  les 
reud  proprcs  à  cntrer  dans  le  mode  que  le  stntiment  a 
déterminé.  ;  ,  i.. 

Dans  le  premier  cas  je;&'ai  de  plaisirs  que  ceux  quc 
j'obtiens  en  violentant  mon  imagination:  dans  le  second, 
ils  sont  tous  agréables  et  faciles,  parce  que  je  les  recois 
sans  les  provoquer ,   ni   les  rechercher. 

Il  n'est  rien  à  quoi  les  laugues  ne  se  prétent;  la  maiu 
de  l'ouvrier  fait  tout:  mais  il  n'est  de  vraies  beautéà 
dans  le  langage  prosa'i'que  ou  poélique,  que  celles  qui 
naissent  naturellement  du  propre  fond  de  chaquc  langue. 

On  pcut  imiter  des  sons  par  des  sons;  on  peut  intro- 
duire  des  dactyles  et  des  spondces  dans  la  langue  fran- 
caise, mais  jamais  on  ne  réussira  avec  un  tei  systéme  de 
versification,  à  faire  des  vers  qui  puisseut  étre  avoués 
par  le  bou  sens  et  la  raison  ;  parce  que  la  syntaxe , 
qui  dans  ehaque  langue  déterminé  les  dcgrés  de  subor- 
dination  qui  doivent  exister  entre  l'accent  oratoire  et 
l'accent    syllabique,  a  fìxé    par-là    méme    pour  chacune 


PAR     LE   CITOYEN    DÉPÉBET.  ^^' 

le  systéme  de  versificalion  qui  luiconvient,  et  le  ttieil- 
leur  de  CSs  '  systòixles  esfcelui^'  dont  Ics  i-^glesrrelatives 
à  la  phrase  musicale  du  vers,  ont  une  si  grande  analo- 
gie atee  celles  relatives  à  rarranerement   des  mots ,  que 

f,   '."T:r:rf/ ;/.  5.:-?.   /il.  \i  ./loft /  .)i.m/    yrz'iih 
laccent  syllabique  y  soit  toujours  eu  harnionie  avec  lac- 

cent  oratoire,   la  prosodie  avec  la  syntaxe. 


.;".    -■:     mi  Zs  ol   «.I 


ui  ,Iup    3fn-i9i   30    jiAog   aL.i 

£'.b    iiiu.it ì::i.j;. Il    2'jl  i  èìjott    loìrpof  ''séq    ^q^RgTo'I 

àjlHDBt  ci     ,■■:'■■['  ''?f]B    dmhq-A'J    ,8-|I/9VE3 

k  ,»uJ«.'~'-  ■>   ^uon  9!''  I"  '  •"'" 

■  j   aiuftlijoj  ab  sinomi'sil  'ii'i  ^-tilj'-jno  Jrnnnoì   ,29^Ì!i:/ 

auperb '19211 'jj3B-]C3/;  '  . -isifia  £  olianì   ^eorniol  'Tj 

.■ri'iii  .'i 


•:iij.ì;    V,  t-):j  min  -Jt;    ■)wi;:'.(i    >1jJ:)i;iij    ;;.j     i-Jììi.j 

; .        '    '        ''  '•    1  r*   1    l  ■  il  ,  '  I  TI  e, '^      .'       i  rinr  1  1  -,  1  f .  ;     :    1 1 


Iff  .TEflàlàa    H.iYOTID   3J     RAI 

-lioffl  al  jO    ,jnoÌ7.io3  iul   'iip   aoiisoDIri-iov  -yh  nrn?>)f^^^  n^I 

Dir  GOtJT'  EN  TEINTURE,  ^    ;'«' 

i/ii.  ;..'>    ulj^jijijj    ic,     '.libi     'liO     fCili     !■..     '-jliiiif  !  Aiì     jc/jKi'J     J,i     Jj 

DìpSON    APPLICATION.  ET    DE    SES  .VÀRIETES,  ^"^ 

.'j/BjaT(R  fil  09VB  'jibogfjjc]  «1   tS'iioJc'io  Ja93 
PAR  LE   CITOYEN  PÈCHEUX, 


Lu  le  a3  uivóse  an  iz> 


lE  goùt,  ce  terme  qui,  pris  eu  propre,  de'signe 
l'organe  par  lequel  nous  recevons  les  inipressions  des 
saveurs,  exprime  aussi,  au  figure  en  peinture,  la  faculté 
par  laquelle  nous  éprouvons  des  sensations  agi-éablea,  à 
la  vue  des  ouvrages ,  dont  les  parties ,  quoique  très- 
variées,  forment  entr'elles  une  harmouie  de  couleurs  et 
de  formes,  facile  à  saisir,  et  propre  à  caractériser  chaque 
Peintre. 

Gomme,  à  laide  de  l'imagination,  l'Artiste  voit,  avant 
de  l'exécuter,  le  tableau  qu'il  doit  faire,  le  goùt  parti- 
culier  de  chaque  Peintre  se  montrera  alors  dans  le  choix 
du  sujet,  dans  la  composition,  dans  le  dessin,  dans  le 
coloris,  et  méme  dans  l'exécution  mécanique. 

Les  graces  sout  seules  capables  d'exciter  cefte  faculté, 
et  d'eu  diriger  l'exercicej  saus  elle  le  goùt  s'évanouit,  et 
ne  peut  subsister. 


par:  le  CITOYEN   PècHEUX.  4^ 

-  !  IHìiit  les  difficukésjJ'et'inie  peut  se  soutenìn  dans  le» 
travaux  serviles,  òu  trop  opiniàtres.  r/aT  1 

11  est  plus  sensible  A  nos  yeux  dans  la  partìe  du  co- 
krrìs^  qae  dans  celle  du^  dessin,  et[  dte  la  còraprosition.  II 
ajoute  au  coloris  ce  qu'une  odeur  suave  ajoute  auxi  belles 
fleurs.  ■'■'■-      .     ;  •  '  '^    -i     1  ,  •;..'  .     ' .     , 

;  II  ne  peut  étre  applique  ,  dans  le  dessin,  qu'à  un 
effet  bien  entendu  du  clair-obscur,  à  celui  des  reflets, 
et  au  mécanisme  de  l'exécution;  car,  les  contours,  les 
fonnes  et  l'expressipn ,  appartiennént  à  la  sdence  de  l'art, 
et  exigeut  de  l'étude,  du   choix  et  de  la  perfection. 

.Dans  la  composition,  le  goùt  dispose  avantageusement 

,les  groupes;    les    rend  susceptibles   d'effets    agréables  et 

nouveaux;    et    fait   naìtre   sous   le   piuceau  ce    qui  peut 

'flatter  délicieusement  le  sens  de  la  vue.  'i 

_  Chaque  Artiste  porte  en  lui-méme  un  goùt  particulier 

qui    dépend    de    sou    moral,    comme   de  son  pliysique; 

sii  est  sage    et  prudent,    il  aura  dans    le    choix  de  ses 

sujets'une  prédilection  poUr  le  tendre   et   le  grave;  ses 

.compositions  seront  raisounées  ,    il  fuira    les   expressions 

outrées  ,  sa  couleur  sera  simple  et  fondée  sur   la  vérité 

de  chaque   objet  ;    il  exécutera    avec  soin.  Cependant  ce 

gout-là  remuera  raoins  le  spectateur  inexpert ,  que  celui 

qui  serait  òutré,  et  mème  lin  Jjeu  extravagant. 

Celui  dont  le  pliysique  esti  ardent,  ajjnera  ,à  trailer  de 
grands  sujets,  et  à  peindre  des  aclions  violentes;  comrae 
il  est  prompt  à  sentir  les  diffc'rentes  passions,  dont  son 
sujet  est  susceptible,  sa  composiliQD  sera  Jfacile  et  ingé-. 


^6  DU   «OtT     EN   PBINTCBP) 

nièuse,  et  sa  couleur  ideale  justju'à  raltórati'oii  :  Micrel- 
Ange  et  TiNTORETTO  pcuvcut  servir  d'exemple  dans  ce 
geure. 

Lhomme  flegtnatique ,  au  contraire,  choisira  tjes  gujetà 
patliéliques  et  raéme  mélancoliques  ;  il  peindi-a  froide- 
iiient ,  et  manquera  méme  de  graces  dans  les  sujetà 
agréables;  son  exdcutiou  sera  soignée  et  recherchée  dans 
les  ddtails;  sou  colox'is,  quoique  tendaiit  à  la  ivérité  ide 
cliaqiie  óbjet,  lie.remuera  que  faibléinent  le  spectateur, 
commé  il  est  arrivé  à  Gaiio.  poiyci,  d'ailleuis  exceileBlt 
dans  plusieui-s  parties.      :.(ur.i    ni:   ,')';i',        '    ;rn-<My,   j- 

L'Artiste  d'un  tempt^ratnent  vif  saisira  facilement  le  ca- 
ractère  de  chaque  sujet;  il  composera  avec  sentiraent , 
exprimera  avec  force  ce  quii  aura  CÌon(;u  ;  son  raéca- 
nisme  sera  facile  et  agi-t'able;  il  sera  fortement  senti 
dans  l'idéal;  ce  qui  caractcrise  Guido  Reni,  Albake  et 
Pietro  da  Coi-tone.  ,        •■\' 

Oq  petit  dono  en  quelque  sorte  juger  du  caractère  d'im 
auteur  pai-  le  goùt  répandu  dans  son  ouvrage;  puisqu'en 
opéraìTt ,  'cette  faciìilte  porte  chaque  artiste  plutót  sui- 
telle  ptìrtie  de  l'art,  que  sur  telle  autre ,  et  qu'^elle  lui 
fait  trouvep  plus  de  facilitò  et  de  satisfaction  dans  tei 
siijet,  'qiie!  d$as  -td  aòtre;;!  qu'eufin  dsus  ittìus  lés  cas  , 
c'est  elle'  qui  flxe  sou  ©hoix,  et  gtiide  son  piticeau,  C'ost 
par  ehi  partiiCtìlaritéS  ©bservées  et  saisies  par  le  specta- 
teur  que  le  goùt  de  chaque  peintre  est  caraclérisó  et 
distiogué.  De-là ,  les  déaominations  données  au  goùt  de 
tei  ou'de  lei  Artiste.     '  '  ta  .-jldi^ 


PAR    LE    CITOYEN    PÈCHEUX.  47 

Pai-  excniple,  le  goùt  distinctif  de  Michel- Ange  est 
une  force  daus  l'cxpression  de  chaque  action ,  une  har- 
diesse  à  énoncei*  les  muscles,  une  fierté  daus  Ics  carac- 
tères  de  tèlcs  qui  Ics  i-end  imposantes,  et  «ne  exécution 
vraiment  magistrale. 

Le  goùt  de  Léonard  de  Vinci  offre  une  tliéorie  sou>- 
tenue;  il  n'y  a  jamais  rien  de  hasardé;  une  exécution 
i  la  vérité  fatiguée,  mais  tcndante  à  la  perfectiou.  Il  est 
toujours  en  garde  contre  Uii-mcmc,  ce  qui  peut  avoir 
été  la  cause  de  peu  de  productions  quo  nous  avons 
de  lui. 

Raphael  avait  du  gout  pour  les  actious  naturelles;  il 
en  seutait  et  saislssait  l'expression  et  la  grace;  il  en 
choisissait  le  poiut  le  plus  infelligible  et  le  plus  simple. 
Ses  compositions  sont  riches  et  variées ,  judicieux  dans 
la  variété  des  caractères  des  tétes;  le  style  de  son  dessin 
est  sans  altération;  il  ne  surprend  pas,  mais  il  arréte  le 
spcctateur,  et  le  force  à  l'observer  avec  l'atlenfion  la  plus 
soutenue. 

Le  goùt  de  Titien  est  une  simplicité  d'actions ,  une 
vérité  de  couleur,  dont  il  caractérise  chaque  objet  jusqu'à 
lillusion,  ce  qui  lui  a  mérité  la  prééminence  sur  tous 
les  autres  Peintres ,  comme  coloriste  :  les  ouvrages  dans 
les  diffrfrcns  gcnres  qu'il  a  exécutés  portent  le  vrai  carac- 
tère  de  cliaque  objet;   il    est  toujours   agréable. 

Le  TiNTORETTo  sc  fait  connaitre  par  sa  fécondité,  son 
energie,  et  la  facilité  de  l'exécution,  quclqucfois  cepen- 
dant  négligée;  il  se  montre   toujours  possesseur  des  prin- 


ij.8        "  DU     GOUT    EN     PriNTURB, 

cipales  parlies  de  lait.  Son  gout  {Vappa  Ics  Carraches, 
tilt   admiié   ot    rediercht'    par  Rubens. 

Le  goùt  du  CoRFÈGE  élait  la  gtace,  la  friiuheur  dans 
les  tons,  et  la  rondcur  dcs  objefs  8es  idcfs  et  ledi,  ix  de 
ses  sujets  tendent  tonjours  h  lui  procurer  des  effets  gra- 
cìeiix  Ses  ouvragrs  noiis  cliarment  par  le  contraste  df  s 
mouvenieus,  leur  ench.ànenient  de  lumière  et  lintérét 
de  l 'action.  Son  tableau  de  Saint- Jerome  nous  en  ollie 
un    bd   exiniple. 

Pciul  ViRONESE  avait  c'fé  frappé  dans  sa  jeunessp  pal- 
la pompe  des  représentatious  publiques.  Son  goùt  est 
tonjours  ridie  et  iaslueux,  mais  vrai  dans  ies  détails , 
tout  y'  coucourt ,  habillemeus  ,  ai  cliifecture  ,  et  tous  les 
acressoiies  qu'il  introduisit  pourenridiir  sa  composition  ; 
quoiqu'il  soit  observateur  peu  rigoureux  des  niceurs  et 
des  cfuitumes  des  nations,  dont  il  tirait  ses  sujets,  il  a 
wn  diainie  qui  occupa  agréablement   le  spectafeur. 

André  Del- Sarto  a  un  goùt  sage;  ses  compositions 
sont  uai'ves;  son  dessin  est  naturel,  rarcment  idéal;  il 
choisissait  bien  ses  modèles ,  et  les  rendait  avec  vérité 
et  finesse,  lant  pour   l'expression  que  poui-  le  caractère. 

Fréderic  Baroccio  est  varie  et  riche  dans  ses  compo- 
sirions,  gracieu«  dans  les  mouveraens  de-  ses  figures  ; 
coloriste  agréable  et  brillant,  qudquefois  peut-ètre  tiop 
idéal,  cependant  (oujours  dans  la  marche  de  la  nature; 
soigneux  dans  son  exécutiou;  il  a  più  de  son  vivant,  et 
plaira    toujours. 

AnuibaI  Carrache  avait  une  prédilection  pour  les  objets 


PAR   LE   CITOYEN   PÉCHEUX.  49 

de  caractère ,  il  était  énoncé,  mais  avec  science  et  à 
propos;  ses  Ggures  sont  développées  et  offrent  de  belles 
formes  dans  toutes  leurs  parties;  son  goùt  de  couleur  est 
plus  fier  que  choisi,  mais  sou  exécution  est  savautc,  il 
a  su  sccondcr  Ics  divers  talens  de  ses  élèves,  et  nous  a 
laissé  une  école  florissante  et  nombreuse. 

Guido  Reni  a  eu  une  inclinalion  pour  les  objets 
gracieux,  et  son  goùt  de  couleur  y  était  propre ,  il 
donnait  de  la  noblesse  aux  caraclères  de  tétes,  il  habil- 
lait  aussi  ses  figures  d'une  manière  riche  et  elegante  ;  il 
ctait  douc  d'une  grande  facilité  de  pinceaux  qui  le  dis- 
tingue de  ses  contemporains  .•  ses  ouvrages  ont  du  char- 
me pour  toute  sorte  d'amateurs. 

Le  goùt  de  Guercin  est  fort  facile  à  étre  distingue  ; 
il  a  un  clioix  de  caractères  de  létcs ,  qui  joint  à  l'idéal 
un  air  de  véritd,  et  un  relief  qui  les  dctache  de  la  toile; 
on  peut  juger  de  sa  grande  facilité  par  la  grande  quan- 
tité  de   ses  oeuvres. 

Dominique  Zampieri  airaait  la  simplicité  dans  ses 
compositious ,  la  vérité  de  l'expression  dans  chaque  fi- 
gure, un  dessin  corrcct  et  très-étudié  dans  les  figures 
nues;  il  est  varie  dans  le  choix  des  tétes,  et  reudait  ses 
compositious  fort  vraiscmblables.  Il  est  aussi  à  reraar- 
quer  par  la  nai'vcté  dcs  épisodcs  qu'il  puisait  dans  la 
nature,  et  qu'il  plagait  avec  beaucoup  de  prudence  et 
de  jugement. 

Francois  Albane  cberchait  les  sujefs  agrcables  ;  il  y 
mettait  du  poétique  qu'il  exprimait  avec  grace.    Sa  cou- 

7 


fif)  nv    GOUT     EN    PEINTURE, 

iour ,  qnolque  pni  varióo,  t'st  «gii'ablc  ;  il  est  fucile  S 
rccounaìtrc  par  rnnicuité  ile  ses  compositious  qui  nous 
rnppellcut  Tidée  de  la  gaieté  chainpcire. 

Nicolas  Poussin,  dont  le  goùt  se  distingue  par  la  sé- 
vi^rité  de  la  composition,  et  récouoiiiie  dans  le  nonibra 
des  fìgurcs,  corame  aussi  par  la  justesse  de  diaque  ex- 
pressiou  qui  pr($seute  sans  t^quivoque  le  carnctère  des 
niccurs  de  chaque  naiion,  dont  il  traile  Ics  sujots,  l'archi- 
tocfuiT,  et  niòme  los  sites,  tout  contiibue  ù  le  faire  re- 
gardor  coiunie  le  philosophe  de  lart  de  la  peiuture. 

Cause  de  la  dècadence  du  hon  goùt  dans  ies  diverses 

écoles. 

Outre  Ies  gcùts  particuliers  A  chaque  Artiste,  il  rì>- 
gue  aussi  un  goùt  gónL^ial  de  si^de  et  de  naiion  qui 
se  pi^opage  par  Ies  écoles,  et  rémulotion  cnfre  Ics  jeunes 
artistes ,  qui  trop  souvont  coureut  après  Ies  louanges 
déjà  méritées  par  leurs  coudisciples,  et  perdent  en  partie 
leurs  propres  lacultés. 

L'école  vénitieuue  a  eu  un  goùt  exeellent  pour  la  cou- 
leur;  elle  étiidiait  et  fiuissait  ses  ouvrages.  Quelque  Ar- 
tiste s'ótait  laissi5  transportcr  par  une  facilitò  naturelle, 
trouva  des  admirateurs,  ce  qui  sc'duisit  la  jeuncsse,  qui, 
en  cherchaut  cotte  facilité,  pordit  la  vraie  route  de 
rjtude  et  du  goùt ,  qui  est  propre  à  chacun ,  et  s'égara 
par  sa   propre  faiblesse. 

L\5cole   bolonaise  a  eu  le  mcme  sort;  d'une  manière 


P\R    LE    CITOYEN    PÉCUFUX.  5r 

forte  et  caractérisée ,  rlle  est  lombi-t"  daus  le  clinqnant, 
et  dans  une  aCfoctation  tlìriitralc,  qui  uè  conserve  ancuoe 
trace  de  iVcole  carachesque,  à  qui  elle  devai»  sa  celibi  il^. 

Le  goùt  de  ledile  lombarde  à  peine  forme  par  le 
CoRhÈGE  et  ses  discipics,  sest  confondu  dans  les  écoles 
•voisiues,  où  il  avait  été  iutroduit,  et  n'a  subsisté  qu'une 
gt'nc^rafion. 

Celui  de  l'école  flammande  et  hollandafse  qui  lient  bf  au- 
coup  aux  caractcres  des  mcEurs  de  ces  peuples,  parait 
devoir  se  soufenir;  ils  sont  soigneux  et  propres  par 
tempérament;  la  nature  tlicz  eux  est  fraiclie  et  belle 
pour  la  couleur;  ils  en  sont  affrcfés  et  cherchent  à  la 
rendre  avec  verité:  cep'-ndant  ceffe  école  a  souffert  une 
grande  alterai ion  dans  le  genre  héroVque  qui  y  avait  été 
iutroduit  pnr  Rubens  et  ses  discijiles. 

Le  goùt  de  fècole  francaise  a  changt?  plusieurs  fois, 
mais  il  est  toujours  revenu  à  préscnter  le  genie  et  le 
caractère  de  la  nailon;  susceplible  des  passions  agréa- 
bles,  les  francais  s'occupent  volontiers  de  sujets  gais,  et 
ont  cherché  plutót  à  étre  agréables  et  nouveaux,  pour 
jouir  dune  repulalion  présente,  que  de  courir  la  car- 
rière de  leurs  savans  compalrioles ,  Poussin,  Lebrun  , 
M  GNARD  et  fant  d'aufres.  Mais  à  prdseut,  enflammés  par 
la  réunion  des  chefs-doeuvres  nombreux  qu'ils  posscdent, 
ils  paiaissent  vouloir  reprendre  la  route  de  ces  grands 
hoinmes. 

Les  amnteurs  de  la  peinture  ont  aussi  leurs  goùts  ; 
les  uas  sont  affectés  par  l'agréable,   d'aufres  par   le  pa- 


5a  DU    GOUT   EN   PEINTURB,    ETC. 

Ihéh'qne  ;  quelqiies-uns  senti'ut  Ttnerf^ique ,  les  ouvragcs 
d  imitation  dans  de  petits  (ableaux  flanimaods  ou  hullan* 
dais,  soat  recherchés  de  pliisioiirs,  (andis  que  d'autres 
recherchent  cxclusivement  les  productious  des  écolt  s 
italipiinos  et  les  sujets  graves;  les  aiiteuj-s  classiques  soat 
seuis  dignes  de  lours  regards,  ils  eu  exclueut  lout  autre 
gerire.  Le  paysage,  ce  geme  si  agiéiible  de  la  peinlure, 
et  qui  a  étu  poussé  si  loia'  par  plusieurs  Ailistes  de  nos 
jours,  n'obtient  aiicun  sulliage  de  hur  p.irt.  Plusieurs 
préfòrcnt  un  cheval,  une  vache,  des  rnoutons,  pein(s  par 
les  flanimands,  à  un  tableau  du  Carkachiì  ou  de  TAl- 
BANE.  EuGn  tout  est  relatif  au  curactère  et  au  tempéra- 
ment  de  cliaque  hotnme,  d'où  il  résulte  quii  est  aussi 
très-raisonnabie  d'admeftre  que  chaque  Artiste  suive  sua 
goùt,  et  que  chaque  amateur  goùte  à  sa  manière. 


65 
RÉFLEXIONS 

8UR    L'ART    DE    BIEN    DRAPER     LES    FIGURES-. 

ARTICLE    V 

Du  meilleur  sfyle  par  rapport  aux  draperies. 

PAR     M.'     ,R  E  V  E  L. 

Lues  le  14  nivóse  su  12. 


JjN  ronsiclérant  le  style  des  Greca  à  l'^gard  des  drape- 
ries, Toh  voit  que  l'Artiste  a  loujours  eu  des  buts  priuci- 
paux  daos  IVxécution.  Le  premier,  deviter  la  symctrie  , 
la  repétition  et  la  durelé,  afiu  d'amener  par  un  rou'.rasfe 
contimi  la  variété  la  plus  belle  et  la  plus  couveuible; 
le  second,  de  faire  entrevoir  sans  la  moindre  alf'eciatioa 
a-n-dessous  des  draps  l'exactitude  des  proportions ,  la 
forme  et  la  rondeur  des  parties,  et  l'endroit  des  articu- 
lations,  pour  étaler  ainsi  une  profuude  inleliigence  daD» 
le  dessia. 


54  SUR  l'art  de  bien  praper  i.es  figure», 

Cette  niétliode  prociiianf  à  la'il  et  à  rcsptif  deus 
sensations  agiéables ,  lune  pioduite  par  Ics  graces  de  la 
draperie,  et  l'autre  par  la  proportion  et  lélégauce  des 
forraes  transparenles  en  parile  au- dessous  de  lliabille- 
ment,  a  toujours  eu  une  supériorifé  sur  ies  autrcs;  et 
c'est  pour  cela  quelle  fut  adoptée  par  le  grand  Raphael 
d'Urbin  et  LÉoNARr)  de  Vinci,  par  les  Carrachis,  le  Pous- 
sin ,  Charles  Llbbun  et  leurs  écoliers,  tous  célèbres  aimi- 
ratenrs  de  l'anliquilé,  et  c'est  pour  cela  qu'elle  duit  étre 
proposée  cornine  la   meilleure  par  les  Professeurs. 

A  R  T  I  C  L  E    IL* 

JLes  Jiahìllemens  doìvevt  étre  adaptés  au  tems  et  aux 
ciiconstances  du  siijet  que  l'on  veut  n'présenler ;  ih 
do'wPììt  étre  étudlés  sur  la  nature  et  pcrfectionrn's 
avec  l'art.  Occasions  oà  il  est  necessairi^  de  sf^  servir 
de  l'idéal,  cesl-à-dìre,  de  l'imagi  nailon  pour  les 
meltre   en  eocécution. 

Avant  tout,  l'habillement  qui  forme  la  draperie,  doti 
étre  adapié  au  costume  du  tems.  il  faut  quun  Grec 
soit  habillé  à  la  grecqiie,  un  Egyptien  à  i'égypticnue, 
un  Romain  à  la  romaine,   et  ainsi   des  autres  uations. 

En  second  lieu  il  doit  étre  copie  du  naturel,  lors- 
quii  est  possible,  et  perfectionné  avec  l'art;  et  ce  non- 
seulement  parca  qu'il  arrive  diflicilement  qu'ua  jet  de 
plis   soit    assez  beau,    diversiGé    et   heureux  pour  satie- 


PAR    m/   REVEL.  55 

faire  aux  denx  objcts  piincipaux  de  l'Artiste,  dont  fait 
raeution  l'article  précédent,  mais  aussi  parca  qua  vou- 
lant  bicn  souvcnt  ajoutcr  dcs  plis  sur  le  mannequin ,  ou 
ea  introduire  de  nouveaux  pour  marquer  le  nud ,  Fon 
gate  ceux  qui  dtaicnt  le  mieux  faits,  et  l'on  ne  finit  quo 
par  des  résultats  difformes  et  forcés. 

Je  dis  qu'il  faut  que  les  draps  soient  copiés  du  natu- 
rel ,  lorsqu'il  est  possible ,  parce  qu'il  y  a  plusieurs  cir- 
constanccs  oìi  il  convient  da  s'aider  avec  l'iraagination , 
et  des  occasions  òù  il  est  impossible  d'avoir  un  modèle 
qui  nous  présente  continuellement,  et  de  la  mème  ma- 
nière un  drap  agite  par  le  mouvement  ou  par  le  vent. 

Penetro,  Mengs,  de  cette  vérité,  il  dit  dans  ses  ré- 
flexions  sur  Raphael  :  *  «  l'idéal  a  l'accès  jusque  dans  la 

>  composition  des  draperies ,  puisque  pour  représenter 
6  un  homme  qui  court  rapidement ,  il  est  nécessaire, 
»   copiant  la  nature,   de  faire  que  les  habillemens  volti- 

>  gent  d'un  coté,  et  pour  le  faire  d'une  au tre  manière, 
»  lorsqu'il  convient,  il  faut  faire  usage  de  l'idéal.  Si 
t>  par  exemple  un  Ange  vele ,  il  convient  de  faire  voir 
6  dans  sa  draperie,  s'il  va  en  haut  ou  en  bas,  et  de  don- 
»  ner  à  connaìtre  par  les  plis  dans  chaqne  membra,  et 
*  dans  tonte  la  6gure  s'il  est  en  action,  ou  si  elle  est 
♦>    terminée,  si  le  mouvement  est  doux,   fort  ou  violent, 


*  Voyez  ses  réflexions  sur  Raphael  ,  Corrège  et  TiTiEN ,   le  §.  V  du 
cLap.  II ,  où  U  traile  de  l'idéal  du  premier. 


56.  SUR  l'art  de  bien  drAper  les  figures, 

»  et  s'il  est  au  comraencement  ou  à  la  Cu;  après  tout 
«  cela  je  crois  méme  qua  l'idéal  doit  eutrer  jusque  daos 
»    It'S  chcveux.  » 

De  cetfe  proposìtion  Fon  doit  infcrer  que  le  très- 
savant  Peiutrc  alleaiand,  malgró  sa  passioD  de  tout  cò- 
picr  dii  naturel,  lorsquil  a  dù  peindre  dcs  Anges  ve- 
lans ,  ou  dcs  figures  trausportées  en  l'air  avec  des  cheve- 
lurcs  libres,  des  voiles,  ou  des  draps,  il  a  dù  égale- 
ment  faiie  usagc  de  limagination,  et  i^tudier  beaucoup 
les  accidens  naturels ,  et  les  lois  du  rnouvcmeut ,  pour 
se  conduire  dans  ces  cas  \ìì,  et  qu'ici  avec  le  mot  d'idéal, 
il  n'exprime  qu'ua  eflort  de  l'espiit,  ou  l'acte  d'imaginer 
les  choses,  dont  dous  ne  pouvons  pas  avoir  des  niodclcs 
fixes  et  perinaneus;  et  ce  qu'il  dit  ensuife,  cornine  ci- 
après,  pi'ouve  cette  déducfion   de  ma  pari. 

«  60.  Pour  concevoir  et  conuaìtre  ce  que  c'cst  celi 
»  idéal,  et  jusqu'où  il  s'étend,  je  conseillerais  principa- 
»  lement  les  peintres  de  lire  les  poetes,  lesquels  u'ont 
;>^i"ien  écrit  saus  l'avoir  imaginé  auparavant ,  tout  com- 
»  me  s'ils  le  xasscnt;  et  ceux  qui  ont  su  choisir  le  meil- 
»  leui-  de  leurs  idées,  sout  les  plus  excellens.  L'idéal  se 
»  trouVe  ea  toute  cliose,  dans  tous  les  arts,  et  il  a  quel- 
*  qutì  pai't  aussi  daus  toutes  les  sciences;  dans  la  musl- 
»  que  e'est  l'harraonie,  daus  la  peinture  c'est  l'invention, 
»  et  ainsi  dans  tous  les  autres  arts  connus  ;  mais  dans 
»  aucune  il  brille  autant  corame  dans  la  poesie  et  la 
»  peiuture,  lorsqu'elles  sont  traitécs  par  un  grand  genie, 
y>  c'est  pourquoi  les  anciens  appelèrent  la  peinture  une 
»  poesie  muetie,  et  la  poesie  luie  peinture  parlante.»^ 


PAR    M.'   REVEL.  67 

ARTICLE    III.' 

Observations    sur    Ics  deux   articles    de  towrage 
de  Meugs  cì-dessus  a'ùés. 

Quoiqne  le  i."  article  soif  éccit  avec  beaucoup  d'obscu- 
ritc",  et  qu'il  semble  à  quelqu'un  quo  l'auteur  n'ait  poiut 
voulu  s'exprimer  clairement,  pour  laisser  encore  alasi 
couverte  d'un  voile  la  vérité,  et  la  rcndre  raoins  con- 
naissable  aux  iuilics  dans  ces  scicnces ,  ce  nonobstant 
l'on  peut  falle  Ics  rcflcxious  suivantes ,  lesquelles,  si 
cUes  n'expllqueront  pas,  ce  que  Mengs  a  pretenda  de 
déraontrer  rccllement,  elles  indiqueront  du  moins  ce 
qu'il  devait  dire  à  ce  propos ,  pour  étre  intelligible  à 
tous,   et  pour  donnei'  Ics  raisons  de  l'art. 

11  dit  :  l'idéal  a  l'accès  jusque  dans  les  compositions  des 
draperics.  Gela  signifie  que  les  draperies  aussi,  quoique 
tirées  du  naturel ,  ellcs  peuvent  étre  perfectiouuccs  par 
l'imaginatiou  ,  et  qu'elles  peuvent  devcuir  le  résultat  de 
l'union  des  plis  qui  sont  les  plus  propres  pour  faire 
conuaìtre  le  but  de  l'artiste  et  recrt'er  l'ceil.  Ce  qu'il 
ajoute  ensuite  pour  une  preuve  de  sa  proposition,  ou 
il  est  mal  cxprimé ,  ou  il  faut  avouer  qu'il  se  con- 
tredit;  en  eflet  si  l'on  doit  rcpréscnter  un  homme 
qui  court  rapidement,  il  n'est  pas  possible  de  le  co- 
I-  pier  d'après  nature,  parce  que  l'impctuosllé  du  cours, 
le  contiasle  de    l'air   fendu    par   le   corps,    et  l'clans   des 

8 


58  SUR    l'art    de    BIEN   DRAPER    LES   riGURES, 

membres  font  changer  de  figure  aux  draps  prosqu'à 
cliaque  iustaat  ,  et  no  permeUcnt  pns  au  pcitilre  de 
ronsidérci'  pour  un  moment  le  modcle  sous  le  mème 
point  de   vue,   se  dérobant  commo  un  éclair. 

Ce  quii  dit  ensuite,  qua  dans  la  course  Ics  hnbillemens 
voltigent  d'un  còte,  c'est  aussi  s'expiimer  dune  manière 
inexacfc,  attendu  quo,  lorsqu'une  figure  court  vers  nous , 
cu  s'éloigne  impétueusemcnt ,  et  par  angle  droit,  l'oa 
ne  voit  point  Ics  habillemens  dun  còle,  mais  plutót  vol- 
tiger  derrière,  ainsi  que  la  chevelure,  si  elle  est  libre 
et  longue. 

Il  était  dono  mleux  dMtablir  pour  règie  que  les  ha- 
billemens des  figures  courantes  doivcnt  étrc  toiijours 
peiutes  voltigeaut  derrière ,  étudié  et  combine  en  con- 
sultant  la  vérité  pour  choisir  ce  qui  est  plus  beau  et 
plus  proprc  pour  leur  donner  toute  l'élégance ,  et  en 
méme  tems  les  faire  paraitre  parfaitement  couformes  à 
la  nature. 

La  mème  dt^monstration  sert  aussi  pour  les  figures 
que  l'on  veut  faire  dans  l'action  de  voler;  les  habille- 
mens resteront  toujours  derrière  et  sur  la  mème  ligne 
que  parcourt  le  corps  qui  fend  l'air;  et  autant  plus  ce 
corps  volerà  horizontalement,  d'autant  plus  aigu  sera 
l'angle  forme  par  la  draperie  qui  se  trouvera  serrée  sous 
les  niaraelles,  ou  aux  lonibes,  c'est-à-dire  d'autant  moins 
l'habillement  se  separerà  de  la  figure;  et  pour  me  faire 
mieux  comprendre,  je  me  servirai  de  l'exemple  suivant: 
Que  l'on  prenne  un  bàton,   que   l'on  y  attaché  un  fil, 


PAR  m/  revel.  5g 

et  qii'on  l'exposé  au  soufile  d'un  vcnt  fort,  et  de  ma- 
niere que  celui-ci  frappe  également  de  haut  cn  bas  le 
bàton ,  l'oii  verrà  que  le  fil  formeia  un  angle  droit  sur 
la  ligiic  du  bàton;  que  l'on  bciisse  cusuite  peu-à-peu  la 
poinfe  du  bàton  vcrs  le  vent,  1  on  reconnoitra  qu'autant 
plus  on  le  baisscia ,  d'autant  plus  aigu  deviendra  l'angle 
{'orme  par  le  fil  sur  le  bàton  ,  jusqu'à  ce  que  le  teoant 
horizontalement  Ton  verrà  que  le  fil  ne  se  separerà  plus. 
Ce  que  l'uu  dit  du  fil,  on  peut  l'appliquer  à  une  dra- 
perie  quelconque  qui  n'est  pas  serrce  au  corps  ,  comma 
DOS  habilieniens;  mais  cependant,  avec  celta  difl'crerce, 
qu'autant  la  drapeiie  sera  Icgère,  d'autant  moius  ella 
dcv'ra  paraìtrc  d'étre  tirée  vers  le  sol  par  la  force  cen- 
tripete qui  agit  sur  tous  les  corps  qui  ne  sont  pas  ^^)é~ 
cifiqucment  plus  légers  que  l'air.  Passons  maiuLcnaut  ù 
l'autre  article. 

A  l'égard  de  celui-ci  je  n'ai  qu'une  soule  difficulté  à 
objecter,  et  c'est  que  jc  ne  coniprends  pas  coniment  l'au- 
teur  ne  parlant  ici  que  des  drnperies  et  des  clieveux , 
clioses  que  fon  doit  rcgaider  plulót  conime  le  resultai 
de  l'imitalion ,  ou  d'une  conibinaison  de  lignes  et  du 
clair-obscur ,  et  non  conime  des  productious  de  limagi- 
nalion,  il  invite  les  Peinfres  de  lire  les  Poétes  pour 
concevoir  et  counaìtre  leur  ideal. 

Le  genie  le  plus  énerglque  et  iraitatcur  de  la  poesìe, 
ne  pourra  jamais  arriver  à  peindre  ime  draperie,  décrire 
les  lignes  et  les  clairs-obscurs  qui  relèvent  les  plis  pour 
ca  doauer  une  idée  exacte.  Un  Pcintre  pourra  bien  savoir 


é)0  SUR   l'art   de    BIEN    DRAPER    LES    FIGl'RES, 

par  coeur  toutes  Ics  pocsies  et  toutes  les  images  Jes  plus 
sublimes  cVHomère,  de  Vibgile  ,  du  Dante,  du  Pé- 
TRARQUE,  du  Tasso  et  de  I'Arioste,  mais  s'il  n'aura  pas 
étudié  la  nature,  il  ne  pourra  jamais  draper  avec  grace, 
et  uouer  une  clievelurc  avec  élégauce. 

Ce  n'est  que  dans  Tinvention  que  la  poesie  peut  étre 
d'un  grand  secours  au  Pcintre  imaginatif,  comme  ce 
n'est  que  dans  l'étude  et  la  description  d'cxcellens  tableaux 
que  le  poéte  s'habitue  à  imiter  le  beau  de  la  nature ,  à 
en  pcindre  Ics  effets  avec  pompe ,  et  à  se  contenir  dans 
la  sphère  du  possible;  c'est  ce  qui  uiet  en  mouvement 
les  passions  avec  plus  de  véhémence. 

A  R  T  I  C  L  E    IV. 

Manière    de  ludi  er    la    Draperie. 

Pour  bien  réussir  dans  l'art  de  draper  les  fìgures,  il  est 
nécessaire  de  se  former  premièrement  le  style  sur  les 
statues  et  bas-reliefs  de  l'antiquité  ,  sur  les  cliefs- d'oeuvre 
de  Raphael,  de  Caracci  et  des  aulres  auteurs  qui  peu- 
vent  soutenir  leur  parallèle  dans  cette  partie. 

Il  faut  bien  examiner  dans  les  ouvrages  de  ces  grands 
raaìtres  les  formes  que  présentent  les  parties  principales 
d'une  draperie,  à  quelles  fìgures  géométriques  on  puisse 
les  comparer,  et  cnsuite  passer  à  examiner  les  tours  des 
plis,  l'cntrelacemcnt  des  ligncs,  de  quelle  manière  elles 
laisseut  eutrevoir  sans  affectation  les  membres  cu  voilés, 


I 


PAR     M."^    REVEL.  6l 

ou  couvcrts  par  la  draperie,  ainsi  qiic  le  manlemcnt  des 
clairs  et  des  ombres  dans  la  paitie  éclaiiée,  et  celui  des 
rcllcis  dnns  la  partie  obscure. 

Aprcs  cela  l'on  doit  comparer  les  ouvrages  les  plus 
avGC  les  moÌDS  parfaits,  pour  connaitre  enfia  en  qiioi 
cousiste  la  supi'rioiité  du  stylc,  et  pour  s'accoulumer  à 
faire  un  choix  judicieux  du  bon  entre  le  mediocre,  pour 
s'en  servir  ensuite  en  copiant  la  véri  té. 

Lorsque  ces  études  seront  achevées,  et  qu'au  inoyen 
d'une  contemplation  sérieuse  la  fanlaisie  sera  remplie  Je 
tout  ce  qui  peut  foimer  un  goùt  excellent  dans  l'art  de 
draper,  l'ou  s'occuperà  premièreuient  à  faire  des  jets  de 
plis  sur  un  modèle,  et  à  les  pcifectionner,  suivant  le 
meilleur  style;  ensuife  fon  s'appliquera  à  l'étude  de  ce 
que  fon  ne  peut  pas  voir  dans  ledit  modèle,  et  qui 
concerne  ces  mouvemens  des  draps. 

Mais  pour  faire  des  progrès  dans  cette  théorie,  il  est 
indispensable  de  s'habituer  à  etre  observateur,  puisque , 
et  en  conversant  et  en  se  prome-oant,  il  arrive  toujours 
de  voir  dans  Ics  habillemens  certains  accidens  produits 
par  le  mouvemeut,  ou  par  les  cffets  de  la  lumière,  qu'il 
serait  très-bon  de  flxer  avec  quatre  coups  de  crayon  , 
parce  qu  il  est  presqu'irapossible  de  les  revoir  une  autre 
fois. 

La  dernière  règie  de  l'art  que  devra  pratiquer  finale- 
raent  celui  qui  anibitiouncra  d'égaler  les  peintres  et  les 
sculptcurs  Ics  plus  célèbres  cu  fait  de  drapcries,  sera 
de  ne  jamais  faire  une  figure ,   quoiqu'clle  dùt  étre  toule 


62  SUR  l'art  de  bien  draper  les  figures, 

couverte  dedraps,  saus  la  dessiaer  auparavant  toufe  mie; 
c'est  la  route  tenue  par  Raphael;  et  plusieurs  do  srs 
dessins ,  qiie  l'on  couserve  eucore  aujouid'hui,  prouvent 
cotte  proposition. 

A  R  T  I  C  L  E    V. 

EU     MANNEQUIN, 

Soii  de  la  statue  mobile  ihtns  les  artìculatfovs  par 
qui  elle  fui  invenlée.  Des  avanlagcs  et  clcs  dcsu<,'an- 
tages  quelle  cause  dans  cetle  elude. 

Un  modcle  bien  utile  aux  peiutres,  lorsqn'il  s'a<;It  de 
faìre  des  figures  qui  ne  sont  point  en  niouvement,  est 
celui  qu'en  se  déuouant  dans  toutos  les  arllculations,  on 
peut  le  mettre  dans  plusieurs  attitudes.  11  a  cté  inventé, 
euivant  Georges  Vasari,  par  le  renomnié  fière  Babthe- 
LEMi  de  S.  -  Marc  *  ,  contemporain  de  Raphael,  de 
Lyonard,  de  Michel- Ance  et  de  tnos  les  autres  grands 
honitnes  qui  biillcrent  dans  le  quinzième  et  seizième 
siede,  et  son  invention  est  due  à  son  genie  naturelle- 
ment  incline  à  ne  rien  faìre  sans  avoir  un  modèle  devant 
les  yeux. 

Plusieurs  ayant  méprisé  ce  modèle,  et  beaucoup  d'autres 


*  Voyez  dans  Vasari  Ja  vie  de  frère  Barthelemi   de  S.-Marc. 


PAR   m/  revel.  65 

Tayant  trop  estlmé,  je  crois  quii  uè  sera  pas  hors  dcpio- 
pos  que  nous  nous  arrétioos  un  moment  pour  parler  tant 
des  avautagcs,  quc   dos  désavantages  quii  peut  apportcr. 

Afiu  que  ce  modèle  soit  utile,  il  faut,  avaiit  tout , 
qu'il  soit  exact  dans  ses  proportions  et  tieii  tailié,  et 
que  les  globes  qui  lui  seivent  darticulatioa  uaugnien- 
tent,  ni  diminucnt  nuUement  la   lougueur  des  mcmbres. 

Après  cela,  pour  éviter  que  Ics  draps  ne  s'insinuent 
trop  dans  les  articulatious,  ou  qu'ils  sortent  mal  à  pro- 
pos,  corame  ce  serait  dans  les  replis  extérieurs  du  coude, 
dn  gcnou  et  autres,  il  convieni,  avant  que  d'iiabiiler 
la  figure,  de  modeier ,  au  nioycn  de  quelque  matière 
apte  à  la  cliose,  les  parties  raanquautes,  et  de  remplir 
les  vides,  et  rendre  suivis,  pour  autant  qu'il  est  pos- 
sible,  les  contours  de   toute  la  figure. 

Ce  modèle  n'étant  point  exact  ou  dans  la  proportion, 
ou  dans  la  forme  des  parties,  ou  vraiment  n'étant  point 
réparé  dans  les  vides,  alors  il  est  absolument  indispen- 
sable  de  travailler  avec  l'ordre  suivant.  11  convient  pre- 
mièrenient  de  tracer  avec  cxactitude ,  et  d'ombrer  lé- 
gérement  la  figure  que  l'on  vcut  peindre  habillée,  eu- 
suite  de  contourner  sur  le  méme  dessin  toute  la  drape- 
rie  et  régler  les  lignes  et  le  clair  et  l'obscur  de  Ja  ma- 
nière la  plus  propre  à  corriger  les  défauts  du  modèle,, 
et  à  ajouter   ce  qui  manque. 

Le  mannequin  est  très-coramode  pour  iniiter  spécia- 
lement  les  voiles ,  les  deutelles ,  les  étoffes  de  soie  ù 
plusicurs  couleurs,  et  les  habits  brodés;  objels  qu'il  faut 
beaucoup  de  tcnis  pour   Ics  copìcr  et  perfectiouner. 


64  SUR  l'art  de  bien  draper  les  figures, 

Il  est  aussi  très-utile  pour  étudier  la  variété  du  colorfs 
que  présenteut  les  draps  de  soie  tant  dans  la  partie 
éclairée ,  quo  dans  les  onibres  et  les  reflets  ;  mais  h  cet 
égard,  pour  bien  opérer,  ne  devant  pas  les  choses  élre 
toujoiirs  peintes  telles  qu'elles  s'olfrent  à  la  vue  ,  il  faut 
etre  bien  instruit  dans  la  théorie  de  la  lumière  et  des 
couleurs,  autremejit  l'òn  risque  de  faire  un  tableau  avec 
deux  genres  différens  de  lumière,  par  les  raisons  que 
je  donne  dans  mcs  observations  sur  lliarmonie  des 
tableaux. 

Maintenaut  que  j'ai  exposé  les  circonstanccs  où  le 
mannequin  peut  étre  d'un  grand  secours,  il  i'aut  que  je 
démontre   aussi  lorsqu'il  devicut  nuisible. 

L'on  peutregarder  le  mannequin  corame  préjudiciable 
toutefois  quii  fait  sacrifier  l'expression  à  la  beante  de 
la  draperie,  et  toutefois  que  le  sujet  exigeant  un  mou- 
vement  instantané  dans  une  figure,  c'est-à-dire  le  pas- 
sage  d'une  action  à  une  autre ,  iuduit  le  pein're  à  ne 
point  l'exécuter ,  pour  éviter  ainsi  de  peindre  Ics  plis 
en  mouvement ,  attendu  qu'on  ne  peut  pas  le  copier 
d'après  le  modèle ,  et  le  coutenir  dans  la  mème  position. 

Tous  les  peintres  qui  ont  abusé  de  cette  comraodifé , 
ont  fini  par  faire  des  statues.  Le  frère  Barthelemi  de 
S.'-Marc  est  d'un  grand  exemple  pour  ne  pas  parler 
de  plusienrs  autres;  et  Mengs  mème,  quoique  convaincu 
de  celle  vérilé,  est  tombe  bien  souvcnt  dans  la  méme 
erreur ,  laquclle  l'a  rendu  autant  inféricur  à  l'immortel 
Raphael,  qu'unc  belle  statue  est  inférieure  à  une  belle 
figure  animée. 


i 


PAR    M.'   REVEL.  65 

Qu'on  regartle  son  parnasse  peiat  dans  la  ville  Albani; 
qn'on  s'Imagine  Apollon  tei  quii  devrait  étre  pendant 
qii'il  tonche  sa  lyrc  en  accompagnaiit  sa  voix  divine; 
qu'on  s'imagiue  quelle  attention  ,  quel  trausport ,  quelle 
àdmiiation  respcctueuse  devrait  cxciter,  dans  le  chocur  dcs 
Miiscs,  le  chant  dólicicux  du  Dieu  de  Dcle,  et  si  quel- 
qu'une  d'elles  pourrait  demeui-er  distraile  dans  un  tei 
moment,  se  feindre  iosensible  à  cette  harmonic,  qui 
expliquc  les  mystòres  Ics  plus  dlevés  et  les  plus  profonds 
de  la  na[ufc.  Qu'on  juge  ensuite  son  ouvrage  avec  l'ima- 
ginatlon  lemplic  de  ccs  réflexions;  qu'on  examine  lo 
caractòre  de  cliaque  figure,  son  attitude,  son  expression , 
et  l'ou  conviendia  avec  moi  que  cette  dernière  paitie 
a  ctc  sacrifiée  à  la  commodité  de  l'usage  du  mannequin 
et  de  copier  des  statucs.  Si  Raphael  et  Michel-Akge 
eussent  eu  une  telle  timidifé  et  une  semblable  passioa 
de  tirer  tout  d'un  modcle  non  vivant,  verrait-on  l'Elio- 
dore,  le  tableau  d'Attila  oliasse  de  Rome,  l'incendie  de 
Borgo ,  la  Transfiguration ,  Jes  couvres  iramenses  de  la 
Chapelle  Sixtine,  et  tous  les  autres  prodiges  qui  n'ont 
pu  étre  exécutés  que  par  un  effort  du  genie,  et  par  une 
imagination  terrible? 

Comraent  auraient-ils  esprime  dans  les  draperies  l'effet 
d'un  orage  de  vent,  d'un  mouvement  prompt,  commela 
foudre,  ou  d'un  corps ,  tei  qu'uu  meteore  qui  s'eleva 
raajestueusement  eu  l'air? 

De  ce  que  l'on  a  dit  jusqu'ici,  l'on  peut  dono  infé- 
rer  clairemcnt,   que  lo  mannequin  n'est  pas  toujours  utile 

9 


66  SUR    l'art   de    BIEN    DRÀPER    LES    FIGURES, 

et  notammcnt  daus  les  circonstances  ou  le  mouvement 
c}e  la  figure,  ou  le  vent  agit  sur  les  habilleniens;  et  ce 
attenda  qu'il  présente  des  ligues  pcrpcndiculaires ,  lors- 
qu'elles  doivcut  ètre  courbes,  et  ne  peut  pas  rendre 
visibles  au  naturel  les  parties  soumises  aux  draps,  lors- 
qu'un  corps  habillé  eu  longue  robe  et  ampie  s'avancq^ 
ou   change  de  position. 

C'est  beaucoup  plus  comniode  aux  sculpteurs  de  faire 
des  études  sur  la  draperie ,  puisque  n'ayant  que  trcs- 
peu  de  variations  à  offrir  dans  les  étoffes,  ils  peuvent 
inodeler  en  grand  la  figure  qu'ils  pensent  de  faire,  et 
après  quelle  est  bien  perfectionnéc  et  bien  sèdie,  arran- 
ger  les  draps  et  les  ajuster  à  leur  aise  et  daus  le  style 
le  plus  severe.     - 

A  R  T  I  G  L  E     VI. 

Règles  polir  bien  composer  les  draperìes. 

Lc-s  règles  nécessaires  pour  parvenir  à  faire  de  bonues 
draperies,  sont  élablies  sur  les  mèmes  bases  fondamcn- 
tales  de  la  composition  en  general;  s'il  faut  éviter  dans 
celle-ci  la  répétitiou ,  tant  dans  les  attitudes  des  figures , 
que  dans  la  disposition  de  leurs  groupes,  et  s'il  faut  prò- 
curcr  que  l'on  ne  voie  jamais  deux  lignes  ou  courbes, 
ou  droites,  parallèles  cntr'elles;  si  l'on  doit  plutót  se 
proposer  sans  cesse  d'inlroduire  la  plus  grande  variété 
en   tout,    et  faire   que   la  lignc    qui    desccud  Iransversa-? 


P^R     m/   RKVEL.  G'J 

Icmcnt  de  droltc  à  gaudio ,  soit  coutrastce  par  une  au- 
tre  qui  dfscend  de  gauche  A  droite,  sans  cepcudaut  la 
cioiipcrv  il  'fa'itt  pràliquór'  d^e  i^eniè  ttans  la  co'minnaìtón 
des  plis,  eu  tenaut  légères  Ics  ombrcs  daos  les  grandcs 
piutics  lìliimlncfcs,  et  prOcùihnt  (du)òurs  de  dònnor  où 
il  est  possiblc,  ÙDc  forme  serpentine  à  toiites  leslignes, 
pour  leur  donnei"  plus  d'agrc'ment,  et  Ics  rendre  plus 
apfes  à  iiiarqueu  la  configuration  et  ranondissenicut  dcs 
nieitiìircs'  qii'ils   cachcnt. 

"ìjies  habiiremens  dont  les  femmes  se  servent  aujo'uidhui, 
s'Àj')ìirocherit  de  beaucoup  au  goùt  gVec,  tant  par  la  finesse 
que  par  le  tail,  et  nous  font  voir  souvcnt  des  drapcries 
txxiikì  V'ari(5es  et  '  aussi  agrcabicment  dis'posées ,  qirdles  • 
peuvcnt  se  cottiparer  aux  plus  bellcs  que  l'ou  admirc 
parmi  les  ouvrages  anciens,  mais  riucoustance  de  la  mode, 
cetfe  folle  manie  de  varier  toujours,  ne  laissera  pas  jouic 
long>tems  les  artistes  de  nos  joiirs  de  ces  costum'es  aussi 
utiics   qu'cstlmables. 

Pour  que  l'on  puisse  dire  qu'une  drapcrie  soit  compo- 
sée  avec  ék'gauce,  il  ne  suffit  pas  que  Ics  plis  ayent 
line  belle  configuration  et  qu'ils  aunonccnt  les  formes 
qu'tls  couvrcnt,  mais  il'faut  aussi  qu'ils  tourncnt,  suivant 
le  point  de  vue  d'oìi  l'on  regarde,  l'objet  liabillé.  Cctte 
règie  est  si  importante ,  que  tout'efois  quelle  est  négli- 
gce,   l'on  voit  les  mcrabres  paraitre  cassés. 

En  effct,  si  en  dessinant  une  colonne  envcloppce  trans- 
versalement  d'un  drap,  l'on  y  faisait  les  plis  sur  le  sond- 
met ,    Gomme   si   l'ou  dùt    les  rcgarder    d'uu    point    de 


68  SUR    l'art  de   BIEN  DRAPEtV    LES  FIGUF.ES. 

vue  plulùt  haut,  et  vers  la  fin,  coiiunc  si  l'on  dùt  Ics 
rcgarder  d'un  point  de  vue  l)as,  il  eii  v(5suUerait  que 
toutes  CCS  lignes  discordautes  entr'ellcs  fcraieut  paraìtre 
la  colonne  rompue. 

Dans  l'estanipe  qui  représente  l'aurore  peinle  par  le 
Guide  au  palais  Rospigliosi,  l'oor  y  voit  un  exemple  du 
tnauvais  effet  produit  par  une  direction  de  lignes  mal 
conibinée. 

Farmi  les  lieures  qui  entourent  le  cliar  du  soleil  , 
l'on  y  voit  des  bras  qui  semblent  courbés,  et  cela  pour 
y  avoir  des  lignes  concaves  oìi  elles  devraient  étre  con- 
vexes. 

Un  bracclet  bien  dessiné  aide  à  exprimcr  le  raccourci 
d'un  bras;  mal  dessiné,   le  fait  paraitre  tortueux. 

Pour  ne  pas  tomber  dans  ces  défauts,  il  est  très-néces- 
saire  de  u'avoir  jamais  les  modclcs  trop  prcs  de  l'ccil,  et 
d'òter  les  plis  qui  ne  secondent  pas  la  position. 

Un  point  de  vue  place  loin  ,  ne  peut  jatnais  nuire  à 
l'effct  d'un  tableau,  qu'au  coutraire,  s'il  est  trop  près , 
quoique  les  objets  soient  dessinés  très-exactemcnt ,  ils 
parattront  toujours  se  renverser  sur  nous,  et  ce  sera 
d'autant  plus  désagréable  à  la  vue  que  le  tableau  sera 
plus  elevo   de  terre. 

Un  autre  objet  de  la  plus  grande  importance  qu'il  faut 
soigner,  en  habillant  spécialenient  les  figurcs  de  femme, 
c'est  de  les  bien  parer  et  avec  élégance ,  pour  qu 'elles 
acquiòrent  de  la  grace  et  de  la  beante. 

Un  liabillemeut  ajusté  au  corps   avec  adi'csse,    qui   ne 


PAR   m/  rével.  6g 

grossisse  point  les  forjues,  et  laisse  cntrevoir  un  scia 
virgiual  et  intacte,  un  beau  flauc  et  ccttc  liguc  serpen- 
tine qui  peut  présenlcr  en  différentes  inanicres  agrcablcs 
le  dos  d'une  jcuue  fille  cUavmanfe  ,  douée  d'une,  figure 
pleine  d'agilité  et  instmite  par  les  graces,  sera,  toujours 
cslimé  dans  tous  les  siècles  et  au  milieu  des  modes  Jes 
plus  discordautes, 

Au  confraire,  un  liabillemcnt  qui  grossit  la  figure  et 
qui  ne  la  rend  point  gracieuse,^  ,pi^;^majestueuse  ,  sera 
blamable   dans  tous   les  tems.  .atii. ',,•  i  ., 

La  raison  en  est  qiie  l'homme  ,  malgré  toutes  les 
modes,  il  estime  toujours  plus  la  beauté  da  corps  dans 
Ics  ouvrages  de  peiulurc  et  de:  sculptur/e,  ^ue- celle;,  des 
draps,    afteudu   que  ccux-ci  ne  sont  que   des  acf,essoii,'es. 

Pour  que  Ics  drapcries  soient  diversiilées  et,  que  le 
spectacle  d'un  tableau  reprdsenfant  plusieurs  figures,  réus- 
sisse  plus  agréable  et  plus  magnifique,  il  n^  faut  pas 
absoluraeut  se  servir  du  mOme  d^;ap  pour  habiller  Ics 
modcles  ou  le  mannequin;  tous  ceux  qui  ne  se  confor- 
uieut  pas  à  celle  règie,  ne  donucut  aucune  variété  aux 
draperies,  répctent  toujours  les  mcmes  plis,  et  se  met- 
Icut  hors  du  cas  de  faire  voir  clairement  si  une  figure 
est  habillée  de  voile  ou  de  grosse  toile,  de  satin  ou  de 
velours,  de  soie  à  différentes  couleurs,  ou  de  drap 
grossier.  

Lorsque  l'on  doit  peindre  des  figures  en  grand  et  que 
Ton  n'a  qu'un  petit  modèle  pour  composer  la  drapcrie  , 
alors  il  faut  employer  les  éloffes  Ics  plus  fines,  les  plus 


fB  SUR    l'art   DE'Bltì^  DRAPEft    LES  FIGl'RES. 

'tìod'pl'èfe  et  'lés'hu'mèotei',  dinV;reinment  Ics  plis  rosteronH: 
(rop  grands  et  l'étòffe  paraìfra  plus  grossiere  de  ce  quelle 
doit  étre. 

^  Alitant  ùil  drap  est  plus  subtil  (moj'enuant  qn'il  ne 
sbit  pas  gomme);  aùtanl  plus  petits  et  nombieux  dcvien- 
nent  Ics  ffngles  des  plis,  principalcmenL  où  ils  sout  sorré^ 
par  quelque  ccinture  ;  le  nud  reste  raarqné  avec  plus  de 
précisioii ,  le  volume  èst  moindre,  et  lorsqne  le  di-ap'est 
%u*<^eadttJ,  l*oli'i>bit'-^rodmr'e  des  lignes  prèkjiie  jp^rj^icn"- 
diculaires. 

23^11' iitotdit'é' le" contraire  d'un  drap  grossier  et  rude, 
tibtàmmerit  si  k  l  epaisseur  il  joint  la  Idgèrcté ,  parce 
qn'alors  il  né  s'arrauge  qua  difficilement  aux-  metóbi-es 
•da'-coi^s.-  ••»!'  '>'-'\'  ^''■■"  '■■■  ''•'■''■'  ■  r  "'■^■■"-  •^•■!'^"f' 
^^  Aptès  totìt  tiè' qu'é  dessus,  il  faut  eucoré  lire  dans 
Touvrégé  de  Mengs  le  chap.  5/  des  réflexions  sur  là 
beauté ,  et' l'òn  y'iti'bùvèt'à  une  espèce  d'analyse  de  la 
manièi-fe  de  ^!'?èn,  émjilo'jrée  par  Raphael,  laquelle  est 
tKiii^lWél'éssàSifé'par  èoh  "exàbtitude  et  digne  de  rdttention 
aè' tóus '' lés'-'Pfófésseufs  de  l'art. 


■jh  jjo  uilB?  ab   ,9lioJ  9?>,o-i^  ab  uo  aliov  ab  shll'iC 


7» 
DIALOGO    TRA    MORTI, 


;  V  •'"•'Il  Vi   • 


CIOÈ 

:  '  a    ì:::.-  ■-  i  jìj  iai  -- 

TRA    PIETRO  CORNELIO    E  'L   MARCHESE 

MAFFEI 

.1   SOPRA    LA   TRAQEDIAi,lj>07    ìat    ddoisrf 

DI    EMANUELE  BAVA  S.  PAOLO. 

Letto  li  i8  pratile  anno  iz. 


■P 


:  iiiq    ji 
ih     ,«J.  CORNELiPoinoO):  8    JJÌq 

te  dunque  iu  Italia  la  tua  Merope  sola  acquistò  non 
disuguale  celebrità  a  quella,  che  eoa  tutte  le  mie  venti 
e  più  ti-agedie  sepp' io  procacciarmi  pella  Francia,  e  nel 
mondo  ? 

MAFFEI. 

Che  ciò  sia  sfato,  come  per  avventura  ti  vien  narrato 
da  qualche  appassionato  Italiano,   noi   voglio  credere  in 


^S  DIALOGO    TRA    MORTI    SOPRR    LA    TRAGEDIA  , 

verun  conto;  che  abbia  dovuto  poi  essere  così,  aperta- 
mente tei  nego;  il  padre  della  moderna  tragedia  sei  tu 
senza  fallo,  e  padre  di  prole  non  solamente  fecondo, 
ma  di  bellissima  prole,  end' è  ,  che  per  meglio  chia- 
rirmi del  valor  vero  di  questa  mia  Merope  ,    desiderava 


teco   averne  ragionamento. 


CORNELIO. 

Volentieri,  ma,  di  grazia,  più  apertamente  dichiarami 
perchè  mi  vogli  'teco  a-  parte  nello  esaminare  lo  tuo 
dramma,  e  non  cerchi  piuttosto  diRassine,  del  Trissiuo 
tuo,   o  de' Greci? 

MAFFEI. 

Perche  appunto  io  ben  riconobbi  da  quell'  esame,  che 
tu  stesso  già  facesti  de'  tuoi ,  che  sei  il  piìi  perito  non 
solo,  ed  il  giudice  migliore  dell'arte  nostra,  ma  il  pii!i 
candido  ancora ,  il  piia  imparziale  verso  te  stesso  ,  ed  il 
più  severo.  Or  siccome  tra  vivi  durando,  chi  per  amor 
che  ti  porta,  o  proprio  interesse,  al  cielo  t' innalza,  chi 
poi  per  invidia  e  nialevoglienza  ti  trae  Tino  più  sotto 
degli  abissi ,  di  vero  e  schietto  nulla  può  quasi  ritrarsi; 
così  questa  limpida  verità  vorreimi  pur  una  volta  tro- 
varla tra  i  morti ,  ne  altri,  chequi  stanno,  è  che  meglio 
possa  di  tanto  appagarmi. 

CORNELIO. 

Ascolta,  come  puoi  di  leggieri  figurarti,  hommi  lassù 


DI  KMANUELE  BAVA  S.  PAOLO.  JÒ 

non  poco  praticato  gli  autori,  massime  Poeti,  1'  indole 
irritabile  e  stizzosa  ne  conosco  e  ne  apprendo;  e  sebbcn 
sempre  siami  riuscito  di  non  mai  aver  briglie  e  guerre 
letterarie,  o  almcn  tali  da  farne  trionfare  gli  sciocchi, 
so  tuttavia  quali  punture  una  critica ,  anche  moderata 
e  civile,  porti  spesso  al  cuore  d'un  letterato,  e  quai 
puntigli  quindi  ne  sorgano ,  e  quai  fiamme  n'avvampino; 
ond' io ,  il  quale  abbenchè  c]ui  tra  morti  ti  vcggia,  non 
mi  fido  dell'amor  proprio,  che  ultimo  muore,  e  soprav- 
vive talvolta,  vo' per  non  inimicarmiti,  compiacerli  si, 
ma  ad  un   patto. 

MAFFEI. 

A   quale,  di. 

CORNELIO. 

A  questo ,  che ,  poiché  detto  io  ti  ho  del  tuo  dramma 
e  il  bene  e  il  male  che  ingenuamente  ne  sento,  tu  vogli 
dirmene  de'  miei  altrettanto ,  e  con  altrettanta  schiettezza. 

MAFFEI. 

Oh!    non  ne  sono  capace,  non  sou  da  tanto. 

CORNELIO. 

Eh!  chiacchiere,  modcsterie  accademiche;  o  il  patto 
accetta,  o  più  non  mi  trai  una  parola   di  bocca. 

KAFFEI. 

Ma  un  tal  patto ,  perchè  ? 

IO 


74  DIALOGO    TRA    MORTI    SOPRA    LA    TRAGEDIA  , 

CORKEIIO, 

Perchè?  questo  perchè  tei  voglio  pur  ancor  dire ,  ma 
poscia  se  non  accetti,  son  muto;  perchè  so  alcun  mio 
rilievo  in  quanto  sono  per  dirfi  authc  molto  avanti  fe- 
riscati, potrai  col  pensicr  consolarti  della  vendetta ,  che, 
venuta  la  tua  volta,  sarà  in  tua  mano  di  farne;  prospetto 
tale  e  si  dolce  distoglieratti  dall' adirarti,  e  all'amor 
proprio ,  offeso  forse ,  appresterà  in  buon  punto  medi- 
cina  e  conforto. 

M  A  F  F  E I. 

Sia  come  vuoi,  ma  per  ubbidirti,  altrimenti  non  pre- 
sumerei tanto,  nò. 

CORNELIO. 

Bene,  ma  si,  o  nò  ? 

M  A  F  F  E I. 

Via  via ,    sì  si. 

CORNELIO. 

Dunque  l'esame  incomincio,  e  nel  notare  della  Meropc 
i  difetti  .... 

MAFFEI. 

I  difetti  soli?  epperchè  non  i  pregi? 

CORNELIO. 

Bene ,    gli  uni  prima ,    gli  altri  dopo ,    è  giusto  ;  nel 


DI  EMANUELE  BAVA  «.  PAOLO.  jB 

toccarne  adunque  i  difetti,  osserverò  ad  un  tempo  alcuni 
difVlti  a  quelli  corrispondenti,  che  ne' miei  drammi  brut- 
tamente si  scorgono,  e  pria  d' ógni  cosa,  l'imitazione 
servile  un  po' troppo  in  me  degli  Spagnuoli ,  in  te  dei 
Greci  spiacque  del  pari ,  tracndoci  entrambi  lontani  al- 
quanto, io  dalla  patria,  tu  dal  secolo,  in  cui  siam  vissuti. 

.      ,  ,,  MAFFEI.  , 

I  9l6r»p   Blhn  Ii'» 

Hd  sernpre  inteso  predicare  che  fossero  i  Greci  i  veri 
nostri  maestri  ed  esemplari  cosi  nell'arte  tragica,  come 
nell'altro,  e  ciò  non  ostante,  parmi  averli  imitati  con  ri- 
serbo e  giudizio. 

CORNELIO. 

1  Greci  per  la  Grecia  eran  otiimi,  per  noi  in  chi  lor 
segua  colla  benda  in  sugli  occhi ,  pouno  diventar  pes- 
sime scorte;  è  vero  verissimo,  che  in  tal  imitazione  ti 
sei  assai  temperalo,  cosi  m' avess' io  fatto  imitando  gli 
Spngnuòli ,  che  lo  sdolcinato  favellar  romanzesco  dc'miei 
amorosi  non  farebbe  sguajate  le  scene;  ma  ho  dovuto 
piegare  il  genio  a  quello  stil  di  romanzo  che  in  allora 
era  in  grido;  tu  meglio  facesti,  o  men  male,  e  mi 
duole  trovare  che  li  tuoi  eroi  tratto  tratto  esprimano 
concelti  indegni  di  loro  in  sermoni  triviali  e  pedestri; 
il  far  intendere  all'udienza,  che  Adrasto  ha  veramente 
voluto  involare  ad  Egislo  1' aucl  di  diamante,  può  esser 
bellezza  greca,  moderna  non  giù,  questo  va  contro  il 
decoro  de'  costun^i  correnti. 


7^  DIALOGO    TRA    MORTI    SOPRA    LA    TRAGEDIA  , 

MAFFEI. 

Foi's'  è  ,  che  in  oggi  uii  cortigiano  non  abbia  mai  mal 
lucrata   una  gemma  ? 

CORNELIO. 

Il  caso  può  esser  accaduto  benissimo ,  ma  è  tenuto 
subito  per  caso  comico,  non  da  tragedia,  nella  quale  i 
soli  vizj  aulici  debbono  campeggiare ,  ed  avervici  luogo 
solamente  gli  eroici. 

MAFFEI. 

Un  vizio  eroico  .... 

CORNELIO. 

Sì,  ve  ne  son  dei  tali,  e  poiché  non  sou  pochi  gli 
croi  viziosi,  que'vizj,  ch'eglino  soli  appunto  ponno  no- 
drire  e  sfogare ,  han  da  dirsi  eroici;  di  più  soggiungoti, 
che  non  solamente  i  vizj  e  le  virtù ,  ma  i  caratteri ,  gli 
accidenti,  tutto  in  somma  nel  drammatico  genere  ha  da 
pigliare  una  certa  universale  tinta  di  eroismo,  che  spiri 
maestà  ,  e  quella  convenevolezza  di  costumi  conservi , 
la  quale  risulta  non  dalla  moralità  de'  caratteri  e  fatti , 
ma  dal  non  aver  nulla  di  volgare  ne  questi ,  ne  quelli. 

MAFFEI. 

Sia  :  ma  in  questo  proposito,  oltre  la  censurata  gemma, 
non  mi  pare  avere  altro  nco. 


DI   EMANUELE    BAVA     S.    PAOLO-  77 

CORNELIO, 

Oh!  a  me  diversamente  parrebbe;  e  quell'assalto  di 
febbre,  col  quale  Merope  fa  del  non  poterle  comparir 
avanti  le  scuse  al  tiranno,  e  l'ironico  motteggiarne  poi 
di  Polifonie  medesimo ,   sono  cose  di  simil  conio. 

MAFFEI. 

Come!  una  donna  reale  non  sarà  più  donna  ?  dovrassi 
travisare  la  natura  dell'un  sesso  e  dell'altro,  e  fare  che 
l'una  salgane  sulle  scene  tutta  ideale,  e  tutta  artifizio, 
e  che  l'altra  genuina  e  vera  si  rimandi  sempre  alle  ta- 
verne e  alle  piazze?  io  me  n'appello,  signore,  ad  Ari- 
stotele e  a  tutta  la  Grecia,  prima  legislati'ice  delle  tra- 
giche favole. 

CORNELIO. 

Prima  legislatrice  della  tragedia ,  I'  accordo ,  nostra  e 
moderna,  negolp  apertamente;  e  siccome  giusto  non 
sarebbe  colui  riputato,  il  quale  osservando  le  leggi  di 
Solone  ,  le  patrie  leggi  poi  trasandasse ,  cosi  non  deb- 
bonsi  allegar  leggi  antiche  contro  gli  odierni  costumi  , 
che  più  non  uè  comportano  l'osservanza. 

,:  alcvit 

MAFFEI. 

i/I  ih  olnnqqG    >  ,if) 

Ma   oggidì  le  Regine  non  lian  mai  febbre?. 

CORNELIO. 

SI,  quanto  le  fantesche,  e  più  spesso  ancora. 


J^  DIALOGO.   TBA    iVIOHl'I    SOPRA    LA    TRAGEDIA  , 

.    MAFFEI. 

Dunque  se  T  hanno ,  o  se  aversela  ponno ,  pnossi  far 
parlare  che  Tiabhiano ,  o  che  fingono  averla ,  e  valersi 
all'uopo  di  accidieaté  siffatto,  verisimile  quanto  altro 
mai.  '  ' 

CORNELIO. 

i'''''Vt>'rOiimili^sim^:'q  ''''«^  «'■  '  i;tm   lornoO 

Silo  ?}ifii  3   ttiUis'ibE)  9  o^so2   r,ii'ihb  Biojisa  ni  aicaivmt 

,OÌsnÌhG     Olljl    -ì  MAFFEI. 

■'■^'Fppèrò  beri  trovato.  ;:-i;;i      .^  'j 

-i"  '  .    .  I    .  .VAI.;.-]  olir,   rt  '"■•■■■-■' 

-E  CORNELip..,^    PJ    fiif,^    p,    ,> 

NÒ  ,  male. 

M  A  F  F  E I. 

"■^Ma 'come,   rtialél  Spiegatevi ,  signóre. 

ìb   ig^^oi  ci  oUauvTw.o   oi<»f;p    ìi    ,o'.;;jJtat,  iiaÌG>  i(<.id  .  ;  .  ■ 

-dab  uoa  koo    .  ^^-  '  ftÓRÀ  Èli  o.      '     '  '    '     '     ""    ' 

^  '  'n  ;!  '-I  •  1     !  ITI""  '':  1 

Ecco  mi  sjjiego  in  poche  parole:  il  verosimile  e  il 
convenevole  sono  due  cose,  o  vogliam  dire  due  qualità 
diverse,  e  appunto  perchè  la  scusa  di  Merope  è  troppo 
verosimile  j  cessa  ^i  '  essere  convenevole  ;  sarebbcl  essa 
in  commedia,  ove  la  verosimiglianza  piìi  spesso  si  con- 
fonde ,  che  non  nel  tragico  avvenga  ,  colla  convene- 
volezza. ' 


DI    EMANUELE    BAVA    S.    PAOLO.  ^g 

MAFFEL 

Ma   io  non  so   bene  intenderla ,  nepperò  digerirla. 

CORNELIO. 

Ascoltate.,  la.  febbriciuola ,  il  dolor  di  capo,  sono 
pretesti  rifritti  tanfo  oggidì ,  massime  dalle  donne  per 
trarsi  alcune  volte  d'impiccio,  che  già  son  cose  volte  a 
materia  di  riso  nelle  brigate  colle  e  gentili,  onde  chi 
le  introduce  in  iscena  tragica,  sveglia  subito  n^gli  spet- 
tatori le  idee  consuete  e  le  risate  compagne,  queste  bastano 
a  far  cadere  il  dramma,  e  ad  iscreditarne  l'autore,  come 
mancante  dell'arte  di  scegliere  ben  gl'ineidentr;  arte, 
la  quale  nelle  Corti  si  affina  mirabilmente,  in  esse  si, 
ove  ogni  fil  di  ridicolo  prima  s  impara  a  conoscere ,  e 
poi  a  fuggire  al  pari  dell'aconito. 

MAFFEI., 

Questo  f idicoTo  ,  il  quale  ògghnai  nella  vostra  'Francia 
s'appicca  ad  ogni  cosa,  vi  ci  crea  cento  scrupoli  e  ca- 
villi, che  tormentano  la  schietta  natura,  e  in  fine  la 
spengono  per  sostituirgliene  un'altra  che  non  è  umana, 
ma  privativamente,  e  soltanto   francese. 

CORNELIO^-     ....  TA 

n-^iì  ì,".'}-n.   IT)  :.i-    01  oh   .  )  tiij/i 
Non  vi  riscaldate,  che  ombre  siarh  nói,  larve  é 'cose 
fredde ,  e  la  morta  nazione ,   di  cui  siam  quaggiù  citta- 
dini,  è  una  sala,  e  poi  non  voglio  negarvi  che  noi  Fran- 


8o  DIALOGO    TRA    MORTI    SOPRA    LA    TRAGEDIA  , 

cesi  di  lassù,  per  troppo  aver  voluto  ralfìnaie,  massime 
nell'arti,  non  abbiamo  di  alquanto  la  natura  alterata, 
e  non  sempre  ben  travestita;  ma  non  so  consentirvi  al- 
trettanto del  nostro  teatro,  circa  del  quale  a  buon  conto 
una  servile  imitazion  de'  Greci  non  ci  la  rei  contro  il 
moderno  costume,  né  ci  rende  sospetti  d'incapacità  di 
creare. 


..MAFfEI. 

9     9l!t)  .      ■  .: 


Credete  voi,  che  così  parlate,  eh'  io  non  conosca  il 
vostro  teatro  ?  chi  più  del  Rassine  ha  ricopiato  Euri- 
pide, e  ne  ha  tradotte  le  intere  scene?  Egli  è,  che  nella 
Fedra  appunto  ha  dovuto  muover  più  eh'  altri  sospetto 
di  non  poter  creare  cosa  alcuna;  egli  è  che  appunto  in 
tale  tragedia,  e  sulle  tracce  del  suo  Euripide  ha  messo 
in  iscena  una  real  donna  travagliata  da  febbre  lenta, 
com'  io  la  mia  Merope,  ma  perchè  è  francese  avrà  avuto, 
anche  ricopiando  ,  mente  creatrice,  senso  squisito  di  con- 
venevolezza,  producendo  Fedra  ammalata;  ed  io  perchè 
italiano ,  facendo  le  cose  stessissime ,  sarommeue  stato  un 
imitatore  servile  di  genio,  depravato  di  tutto,  e  di 
grosso ,  criterio. 

CORNELIO. 

Non  credo  io  già  dì  avervi  detto  mai ,  che  Io  sconve- 
nevole stia  egli  neir  imitare,  e  ueppur  nel  tradurre  anche 
letteralmente  un  tragico  greco,  ma  in  cosa  bensì,  che 
ripugni  alle  presenti  opinioni ,   ed  usanze ,  e  parrai  che 


DI  EMANUELE  BAVA  S.  PAOLO.  8l 

corra  grande  il  divario  tra  Merope ,  che  si  finge  inferma 
per  porre  ritardo  alle  nozze,  e  Fedra,  che  lo  è  realmente 
a  cagione  del  mal  conccputo  amore  del  figliastro,  e  dei 
rimorsi,  che  ne  son  lo  stipendio,  e  clic  ne  la  straziano 
fierissimamente;  ove  trovinsi  le  nostre  opinioni  in  quelle 
de' Greci,  sarh  per  avventura,  non  che  imitarli,  ancor 
ben  fatto  tradurli,  ove  diverse,  neppur  sarallo seguitarli 
da  lungi. 

MAFFEI. 

Cosi  decretando,  già  preparate,  lo  veggo,  le  scuse  a 
voi  stesso,  che  avete  tradotto,  il  dirò  pur  troppo,  ser- 
vilmente gli  meu  buoni  de'  Latini  poeti  (  che  già  non 
sapevate  di  Greco  )  Lucano,  e  Seneca,  a' quali  aggiun- 
gendo non  di  rado  la  grandiloquenza  degli  Spaguuoli , 
n'andate  poi  tumido,  come  il  loro  Tago,  a  perdervi  in 
un  mare  di  concetti  egualmente  insulsi,  affettati  e  puerili. 

CORNELIO. 

Già  mi  son  colpevole  confessato  di  Spagnuolo-mania, 
ne  forse  è  qui  gentil  tratto,  quando  mi  do  per  vinto, 
volermi  affrontare;  ma  non  mi  so  arrendere  cosi  buo- 
namente poi  circa  que' pezzi ,  che  ho  presi,  o  se  volete 
anche  rubati  di  pianta  ai  latini  Seneca,  e  Lucano:  del 
primo  volli  nel  mio  idioma  trasportarmi  soltanto  alcuni 
bellissimi  versi,  e  forti  concetti,  ma  veri,  non  mai  i  suoi 
falsi  pensieri ,  o  gli  infrecci  peggiori  ;  del  secondo  poi 
credo,  che  quanto  ne  ho  tolto  stia  assai  meglio  espresso 

II 


Sa  DIÀLOGO    TRA    MORTI    SOPRA    LA    TRAGEDL\  , 

in  una  tragica  aziono,  che  nel  suo  poema  narrativo,  ed 
eroico,  ove  con  poco  sano  giudizio  se  ne  valse  Lucano. 

MAFFEI. 

Sì,  ma  quelle  grandiose  immagini,  quelle  sentenze 
ampollose  a  Lucano  rapite,  fan  esse  poi  un  contrasto 
l'idicolo  colle  scene  amorose,  andanti  spesso  senza  capo, 
né  coda,  che  seguono,  ove  i-egna  un  inarrivabile  i't-òi/s, 
che  neppure  un   leale  Calvandro    sciferare   saprebbemi. 

CORNELIO. 

Non  so  che  rispondere. 

MAFFEI. 

Eh!  di  molti  altri  errori  vi  potrei  far  parola,  a  cui 
non  havvi  risposta. 

CORNELIO. 

Di  grazia  proseguitene  l'enumerazione. 

MAFFEI. 

Vi  è  doppia  azìon  negli  Orazj ,  e  forse  anche  nel 
Cinna  ,  ove  non  vi  ha  finale  catastrofe,  per  difetti  ed 
iscouci ,    il  Cid  poi  è  un  mostro. 

CORNELIO. 

Sì  un  mostro ,  qual  è  la  Sirena ,  con  parti  alcune 
bellissime ,   alcune  veramente  deformi. 


DI  EMANUELE  BAVA  S.  PAOLO.  83 

M  A  F  F  E I. 

Non  solo  la  condotta  del  Cid  mi  par  ella  un  conti- 
nuo deviamento  dalle  regole,  ma  lo  stile  e  il  verso 
alcuna  fiata  cadono  in  quel  triviale ,  che  voi  tanto  spesso 
a  noi  Italiani  rinfacciate. 

CORNELIO. 

Questo  neppur  vo'  negarvi. 

M  A  F  F  E I. 

Oh  !  circa  lo  stile  siete  disuguale  in  tutte  le  tragedie. 

CORNELIO. 

Sarà. 

M  A  F  F  E  I. 

E  quanto  avete  di  robusto,  e  di  sublime  nel  pensiere, 
siete  non  poco  accusato  di  averlo  involato  a  certo  Ro- 
TROu,   antico  vostro  autore  di  drammi. 

CORNELIO. 

Sarà. 

M  A  F  F  E  I. 

Sicché  ,  se  Rotrou  ,  Seneca  ,  Lucano  e  gli  Spaguuoli 
ripigliassero  dalle  vostre  tragedie  ciascheduno  il  loro, 
a  voi  non  rimarrebbe  nò  stile,  nò  concetti,  uè  intreccio. 


84  DIALOGO    TRA   MORTI    SOPRA    LA   TRAGEDIA  , 

CORNELIO. 

Aggiungete  almeno  né  anche  i  difetti. 

MAFFEI. 

Nò,   questi  son  vostri  assolutamente. 

CORNELIO. 

Avete  ragione. 

MAFFEI. 

Crederei  di  sì. 

CORNELIO. 

Ora  vi  siete  sfogato  e  vendicato,  e  senza  che  più 
abbia  dovuto  farvene  cenno ,  o  premura  alcuna ,  vi  siete 
volentieri  ricordata  la  promessa,  che  da  principio  del 
ragionar  nosti-o  ho  dovuto  strapparvi  a  forza;  il  vostro 
amor  proprio  letterario  appena  scalfito  vi  ha  subito  mosso 
a  rendermi  la  pariglia ,  e  non  senza  usura  :  or  che  ab- 
biamo fatto  questo  ricambio  di  amari  motti,  son  pago, 
son  soddisfatto,  e  amico  mi  ti  offerisco;  tu  ragionevole, 
qua!  ti  conosco,  non  vorrai  ributtar  certamente  le  mie 
proferte,  e  mi  terrai  in  conto  di  fratello  carissimo,  sol, 
te  ne  prego,  non  presumere  che  vada  spento  per  morte 
mai  l'amor  proprio,  il  quale,  per  cangiar  di  cielo,  per 
variar  di  slato  ,  non  muore. 


85 
DIALOGO    TRA    MORTI, 

CIOÈ 

TRA  PARACELSO,  FRANCESCO  PIZARRO 
E  LAUV  SCOZZESE 

SUI     MODI     DIVERSI    DI    ACCUMULAR     l'  ORO 

DI   EMANUELE  BAVA  S.  PAOLO. 

Letto  li  9  messidoro  anno  12. 


PIZARRO. 

J.  1  ON  volete  capirla,  signor  Paracelso  di  Zurigo,  pur  la 
cosa  cosi  sta,  chi  vuol  l'oro  ha  da  cercamelo  senza 
dubbio  ,  ma  trovatolo  poi ,  dee  tosto  insignorirsene  col 
sudor  della  fronte  e  con  l'eccidio,  come  appunto  fec' io , 
di  quanti  gli  fanno   opposizione ,   non  vi  è  altra  via. 

PARACELSO. 

Vi  sarebbe  quella  più  spedita  e  più  comoda,  e  assai 
più  umana  di  farlo ,   di   cui  vi   veniva  ragionando. 


B6  DIALOGO    SOPRA    I    MODI    d'aCCUMULAR    LORO, 

P  I  Z  A  R  R  O. 

Eh  SÌ,  me  ne  ragionaste,  e  anche  troppo;  io  nulla 
intesi,   ne,  non  ve  l'abbiate  a   male,   punto  so  dolermene. 

PARACELSO. 

Come  potrei  credervi  ?  versaste  lassìi  tanto  sangue  per 
siffatta  avidit;\  del  reale  metallo,  ed  unitamente  per 
accrescerne  di  alquanto  le  decine  di  pie'  cubi  che  già 
n'aveyate,  ed  ora  qui  poi  volete  far  l'indifferente,  trat- 
tandosi del  miglior  modo  di  procacciarvelo  ,  che  mi 
sarei  forse  degnalo   indicarvi  ? 

PiZARRO. 

Che  dite  di  volérmi  insegnare?  La  chimica  vostra  e 
un  arte,  ed  io  si  nel  morale  che  nel  fisico  mi  appago 
della  natura  assai  più,  massime  quando  si  tratti  di  vo- 
lermi arricchire;  essa  non  fa  promesse,  ma  doni,  non 
trae,  non  separa  gli  elementi  gli  uni  dagli  altri,  ma 
li   produce    nell'  ampio  suo  seno  puri  e  non  misti. 

PARACELSO. 

Gli  presenta  puri  talvolta  e  nativi ,  come  voi  dite , 
vel  concedo,  ma  che  il  più  delle  volte  ciò  avvenga, 
vel  nego  :  anzi  c[uasi  sempre  essi  insiem  combinati  rin- 
vengocW  ;  essa  a  grado  suo  può  bensì  sceverarli,  e 
quindi  ancora  rimestarli  in  appresso,  ma  appunto  alla 
guisa  medesima,  che  facciam  noi:  onde  avete  detto  uà 
chimico  sproposito. 


*  DI    EMANUELE    BAVA    5.    PAOLO.  87 

PIZ  ARRO. 

Via  se  pur  l'ho  detto,  non  temo  la  vostra  ferula  ma- 
gistrale, né  iniziato  mi  professo  agli  ermetici  misterj , 
nò  addetto ,  ma  vo'  esservi  largo  conccditor  di  prodigj 
piucchc  non  pensate,  e  supporre  che  rinvenuto  v' abl)iatc 
il  gran  segreto  di  comporre   il   vostro  re  de'  metalli. 

PARACELSO. 

Ah! 

FIZARRO. 

Che  !   vi  par  poco  ? 

PARACELSO. 

Ah  !  non  mi  dolea  del  poco  o  del  molto  !  ma  seguite 
quanto  andavate  parlando;  ebbene  ,  trovato  che  ho  questo 
metallo  re? 

p  I  z  A  R  R  o. 

SI ,  dopo  apjjunto  di  averlo  trovato ,  avrete  da  ve- 
dcrvclo  balzare  giù  dal  soglio,  perchè  voi  e  gli  addetti 
vostri  ne  comporrete  in  tanta  copia  e  tanta ,  che  di  corto 
cesserà  di  esser  raro  e  di  esser  prezioso;  nepperò  1'  averne 
abbondanza  sarà  allora  più  ricchezza  e  opulenza. 

L  A  U  V. 

Bravo ,  signor  conquistatore    del  Perù ,   avete  speculato 


88  DIALOGO    SOPRA    I    MODI   d'acCUMULAR    LORO, 

bene   da    economista;    e  al   par  di    Sulli,    da  uomo  di 
Stato. 


PARACELSO. 

Oh ,  oli  !  chi  siete  voi ,  che  sin  oi-a  tacito  ed  acci- 
gliato stavate  ad  udirne? 

L  A  u  V. 

Un  tal  mi  son  io,  che  l'oro  so  levare  via  dal  regal 
seggio,  e  farvi  in  mezzo  di  esso  come  Mida  intisichire 
e  morir  della  fame,  quand"  anche  n'aveste  tanto  da  po- 
tcrvici  mangiare ,  dormire  e  passeggiar  dentro  e  sopra  , 
anzi  piìi  allora  che  più  n'  avrete. 

PARACELSO. 

Oh!  voi l'oro,   che  dite.'*  renderlo    inutile  agli 

usi,  ai  piaceri,   alle  delizie  degli  uomini? 

L  A  u  V. 

Non  perche;  bello  h  l'oro  e  delizia,  ma  perchò  è  raro; 
onde,  se  per  mezzo  vostro  comnn  diventasse,  sarebbe 
subito  men  caro  altrui ,  ed  ismonterebbe  dalla  gran 
stima  in  cui  tiensi;  voi  povero  ,  avendone  le  sacca  ri- 
colme, dovreste,  a  poter  c[uindi  campare,  pregarmi  di 
volervi  accettare  a  discepolo. 

PARACELSO. 

Io  scolar  vostro  ?  e  come  ?  avete  forse  inventata  1'  uni- 
versal  panacea ,  il  racnstruo  per  eccellenza ,    1'  alkaestro  ? 


I 


DI    BMANUELE    BAVA    S     PAOLO.  8i) 

t 

LAUV, 

No,  ma  il  segreto  di  sostituire  anche  le  più  vili 
materie ,  come  la  carta ,  e  Cuo  i  cenci ,  all'  oro ,  sempre 
ch'egli  per  soverchia  abbondanza  divenga  troppo  co- 
mune ,  ed  eziandio  qualora  ,  a  cagion  dello  scialacquo 
fattone,  più  non  s'ha,  che  il  grido  di  averne. 

PIZ  ARRO. 

,     Questo  segreto  si  che  l' indovino. 

LAUV. 

Su  via,  in  che  sta? 

PIZ  ARRO. 

Nel  sapere  ben  di  scherma ,  e  nel  tirare  colpi  maestri 
di  spada ,   uccider  chi  ha  l' oro ,   e  pigliarselo  poi. 

LAUV. 

V  ingannate ,  questa  non  è  più  cosa  arcana ,  ma  è 
nota  a  tutta  una  nazione. 

PIZARRO. 

E  a  quale? 

LAUV. 

A  quella  degli  assassini  e  ribaldi. 

12 


QO  DIALOGO    SOPRA    I    MODI   D  ACCUMULAR    LORO, 


FIZARRO. 


Voi  mi  pungefe,  e  quanto  a  torto  forse  dol  vi  pen- 
sate; potrei  dimostrarvi,  che  per  lo  più  i  pessimi  fra 
i  ribaldi  quelli  sempre  non  sono ,  che  feriscoa  di  ferro. 


LAUV. 


Oh!  in  tal  quisLion  vi  do  retta,  e  mi  reco  anche  a 
gloria  di  dovervi  cedere  ;  chi  son  io  da  poter  con  essoi 
voi   disputare  in  fatto  di  ribalderie? 


FIZARRO. 


Ma  apriteci    dunque    questo    blando    segreto    di   aver 
ricchezze    senz'  oro ,    e    vedrem  poi ,    se   pur    1'  avete , 


come  sia  egli  tanto  innocente. 


LAUV. 


Oh!  è  innocentlsslmo,  ma  lo  aprirlovi  non  e  cosa  si 
facile  o  sì  breve;  è  ciò  tutto  opera  dell'  intelletto,  co- 
sicché per  via  di  calcoli  si  fa  sparir  l'oro  e  la  carta, 
e  li  rabeschi,  le  cifre  e  le  altre  cose  consimili  sotten- 
trare, e  farne  le  veci,  acciocch' esse  partoriscano  i  me- 
desimi effetti,  e  ogni  cosa  cammini  come  prima, 
meglio,  facendo  che  l'oro,  il  quale  per  lo  più  è  l'effi- 
gie di  tutte  le  cose,  sia  anch' egli  da  tutte  le  cose  alla 
sua  volta  effigiato,    e  spesso    dal  nulla. 


DI    EMAKUELB    BAVA    S.    PÀOLO.  9I 

PARACELSO. 

Che  paradossi  ne  venite  narrando  ?  il  nulla  produce 
nulla ,   e  non  può  rappresentar  cosa  alcuna. 

LAUV. 

Cosi  è,  ogniqualvolta  sia  riconosciuto  per  tale,  non 
già  però  qualora  esso  nulla  sia  creduto  essere  qualche 
cosa,  allora  1'  opinione  farà  il  miracolo.  E  che  cale  ad 
uno  Stalo  ,  purché  sia  felice,  che  fiorisca  il  suo  traffico 
per  via  di  opinione ,  o  di  realtà  ? 

PARACELSO. 

Ma  tosto  o  tardi  V  opinion  cade ,  e  con  essa  allora  il 
tutto  va  in  perturbazione ,  e  precipita. 

LAUV. 

E  vero ,  ma  il  merito  dell'  arte  mia  consiste  nel  farla 
durare,  ed  anche,  se  mesticro  me  n'abbia,  nel  per- 
petuarla. 

PARACELSO." 

Cioè  neir  Ingannare  la  gente  sciocca. 

LAUV. 

Non  tanto  quanto  credete:  imperciocché  le  cose  che 
r  oro  rappresenta  e  significa  ,  sono  poi  quelle  ,  che 
riesconci  di  utilità  vera  e   diretta  alla  vita,    non    l'oro. 


92  DIALOGO    SOPRA    1    MODI    D  ACCUMULAR    LORO, 

ed  in  fatti  ogni  segno  sempre  di  ciò  che  significa,  è 
iutiiusecamcntc  mcn  prezioso ,  cppcrciò  forse  non  melen- 
saggine sarebbe,  ma  rara  prudenza,  Vinstiluire  talvolta 
a  segno  delle  merci,  non  i  metalli ,  ma  cose  di  più  facile 
acquisto,  e  di  minor  conto  che  essi  noi  sicno,  che  al- 
lora non  vi  sarebbe  necessità  alcuna  di  seppellire  la  metà 
degli  Affricani  nelle  miniere  di  America ,  e  di  impaz- 
zire in  Europa  chimicamente  per  lo  medesimo  scopo , 
giacché  l'argento  e  l'oro  nativi  de' torrenti  e  de' fiumi, 
ci  basterebbero  onde  adornarne  le  nostre  vesti ,  e  la 
suppellettile  rallegrarne. 

PARACELSO. 

Ma  come  senza  moneta  coniata  volete  fare  il  cambio, 
le  girate   e  ogni  traffico  vendere,   comperare? 

L  AUV. 

Qui  sta  il  segreto,  concorro  con  esso  voi  a  credere, 
che  tolte  le  monete  erose  e  di  basso  conio ,  il  traffico 
ne  sarebbe  tosto  stranamente  impedito  ,  perciò  le  vi 
lascio  ;  ma  I'  oro  e  l' argento  tolgogli  via  senza  temerne 
sconcerti. 

PARACELSO. 

Come ,  senza  oro  !   uno  Stato  senza  oro  ! 

LAUV. 

Senz'  oro  sì ,  eppercliè  in  pie  non  sosterrassi  ?  ditemi , 


DI   EMANUELE    BAVA     9.    PAOLO.  g3 

r  oro  coniato  non  acquista  egli  ogni  valor  suo  dalle 
cose ,  che  rappresenta  piuttosto  che  dalla  sua  intrinseca 
proprietà ,  che  nel  renda  direttamente  di  uso  alle  Re- 
pubbliche ? 

PARACELSO. 

Sì  come  il  simbolo,  Io  specchio,  il  mezzo  di  tutte 
le  godibili  i-icchezze ,  e  in  qualità  di  stipendiatore ,  e 
a  cosi  dir ,  d' impresario  de'  piaceri  e  degli  agj  tutti ,  è 
Y  oro  stimabilissimo. 

L  A  U  V. 

Godo  che  cosi  l' intendiate  ,  perchè  quindi  conchiudo , 
cì\£  ima  qualsisia  materia  improntata  di  marchio  pubblico 
può  rappresentar  1'  oro ,  prima  unico  rappreseutator  delie 
cose ,  e  farne  1'  uffizio. 

PARACELSO. 

Sarà ,  ma  dal  porlo  in  serbo  ed  in  ozio ,  qual  prò 
ne  trarrete?  e  come,  così  operando,  v'infingete  poi  di 
fare  il  gran  guadagno ,  e  il  gran  bene  ?  • 

LAUV. 

Non  vi  ho  detfo  già  di  voler  rendere  l' oro  stagnante 
ed  ozioso,, ma  vi  dico  bensì,  che  le  alte  imprese  mi  è 
dato  compire,  facendolo  uscir  dallg  Stato,  e  volgen- 
done fuori  r  utilità. 


94         DIALOGO    SOPRA    I    MODI    D  ACCUMULAR  ,  L  ORO  , 

ni'  ■         ■   ■ 

PARACELSO. 

Ah  !   men  di  prima  v'  intendo. 

L  A  u  V. 

Ditemi,    l'oro    non  sta   egli  tra  quelle  cose   che  rap- 
presenta e  quell'altre,    che   come  segni  lui  stesso  rap- 
presentare potrebbero  ? 
•i    ,Ì!Jfjì  is-,  1    , 

PARACELSO. 

Sì,   questo   mi  par  verità. 

LAUV. 

Ora ,  se  il  tolgo  di  mezzo  ,  saravvi  sempre  ad  age- 
volare i  trafllci  un  segno  delle  cose ,  come  prima  ,  ac- 
concio ai  bisogni  almen  per  un  tempo,  e  per  tale  rico- 
nosciuto, epperò  il  tutto  andrà  bene,  massime  quando 
si  faccia  credere  al  volgo ,  che  1'  oro  non  sia  tutto  annien- 
tato od  uscito. 
.  .'  J'j'i 

PARACELSO. 

Ma ,  a  che  vi  può  condurre  di  buono  l' aver  tolto 
r  oro   di  mezzo  ,  e  avergli  voluto  surrogare  altro  segno  ? 

LAUV. 

Ora  il  saprete ,  ascoltatemi ,  1'  oro  è  ad  un  tempo  istesso 
moneta  di  alto  coìiio-,  e  merce  preziosa,'' e  in  quasi 
tutti  i  paesi    del  mondo   in  tal  doppio  conto  è  tenuto  [ 


DI  EMANUELE  BAVA  5.  PAOLO.  gS 

cpperò  fatevi  meco  a  supporre,  che  in  uno  Sfato  vi 
sieno  cento  rnillioni  in  oro  coniato,  e  che  quindi  io, 
a  far  significare  questo  numero  di  uiillioni ,  istituisca 
un'altra  materia,  pezzi  di  carta  improntata  ad  esempio, 
allora  è  chiara  cosa,  che  in  vece  di  cento,  Io  Stato  di- 
verrà possessore  di  duceuto  rnillioni  posti  in  corso. 

PARACELSO. 

SI ,  ma  non  sarà  plìx  ricco  che  per  Io  avanti ,  e  fo 
coujettura  ch'anzi  potrebbe   di  corto  impoverire. 

LAU  v. 

Voi  giudicate,  ottihiarrtente,  è  se  non  togliete  via  1'  oro 
per  dirigerne  altrove  l'attività,  e  se  non  lasciate  senza 
impicci  far  le  di  lui  veci  alla  carta,  andrà  il  tutto  di 
male  in  peggio. 

.')    oidcaiv 

PARACELSO. 

.    1  ?  j  7T 

Regolandomi  come  narrate,  e  a  piacer  vostro,  com- 
prendo benissimo,  che  se  nessun  m'impedisca,  farò  il 
mio  interesse  a  pigliarmi  per  me  i  cento  rnillioni  d'oro, 
ma  quel  dello  Stato,   a  cui  gli  rubo,   non  già. 

•♦8  ih    Ml'i'-q   flo3    rnor''T."1'5{ 

LAUV. 

.1  n?39 
Anzi  intcado,  che,  più  de' vostri,  facciate  grandemente 
jgV  interessi    dello    Stato  ,    quando    seguitiate  a  volenni 
dar  retta. 


gQ         DIALOGO    SOPRA    I    MODI    d'  ACaJMULAR    LORO  , 

^  r  ohi    . 

PARACELSO. 

Andate  innanzi  che   vi  ascolto. 

LAU  V. 

Lasciamo'  adunque  fare  uell'  interno  dello  Stato  ogni 
commercio  attivo  e  passivo,  minuto  o  grande ,  alla  carta 
improntata  ,  e   dell'  oro  significatrice. 

•- PARACELSO. 

titnuvB  '  ,oa  firn 

Ma,   e  l'oro? 

LAUV. 

-  Ma  di  quest'  oro  non  siate  in  fastidio  die  lo  spediremo 
*  viaggiare  fuori  paese,  ove  egli  è  riconosciuto  a  signor 
grande,  quanto  in  patria.  Fra  gli  esteri  pervenuto,  farà 
€gli  colà  ciò  che  altre  materie  non  potrebbero  fare  in 
cambio    di  lui. 

PARACELSO. 

'     Oh'  !  che  fare  saprà  egli  mai  ? 

L  A  l'  V. 

Estinguerà  con  parte  di  se  i  debiti  accesi  della  Na- 
zione, se  essa  ne  ha,  e  coli' altra  farà  un  attivissimo 
commercio ,  e  proficuo  al  sommo  a  chi  avrallovi  colà 
spedito  con  tal  pensamento,  e  il  frutto  ubertoso,  e  il 
termine  de'  suoi  viaggi  fia  di  ritornarsene  in  patria  mol- 


DI  EMANUELE  BAVA  S.  PAOLO.  QJ 

tiplicato  di  assai  in  capo  a  pochi  anni,  e  di  avervici 
tratto  seco  molti  altri  generi  di  ricchezze.  Così  coli' ajuto 
della  carta  e  di  alcune  parole,  le  quali  tton  tendano  ad 
aver  ingannati,  ma  ad  affidare  i  popoli,  avrò  saputo 
ricavare  sommi  vantaggi  dall'  annientare  almcn  per  un 
tempo ,  e  a  così  dire ,  dallo  sbalzare  questo  vostr'  oro 
dal  soglio.  Or  che  ne  dite ,  non  è  questo  mio  un  se- 
greto di  arricchire  senz'oro?  o  a  meglio  dire,  per  via 
del  Laudo  che  gli  si  dà  dallo  Stato  ?  Qui  non  si  tratta , 
come  voi  chimici  per  lo  piìi  l'intendete,  di  trarre  ogni 
onore,  ogni  luce  di  ricchezza  dal  fumo. 

PARACELSO. 

Traveggo  in  questo  ragionamento  alcune  scintille  di 
verità,  ma  ciò  non  ostante,  se  non  passate  a  mostrarmi 
elle  in  pratica  abbiate  riuscito,  non  mi  arrendo  uè  punto, 
uè   poco. 

PIZARRO. 

Oh!  si,  la  pratica,  i  fatti,  ecco  gli  oracoli  miei;  qual 
paese  avete  voi  arricchito,  signor  computista,  signor 
sbauditore   dell'  oro  ? 

I,AUV. 

Poco  mancò  y  che  non  abbia  arricchita  la  Francia  al 
sommo,  e  certo  era  per  seguirne  l'effetto,  e  se  mi  si 
dava  retta  sino  al  compimento  de'  miei  sisteraL 


9^'        DIALOGO    SOPRA    I    MODI    d'  ACCUMULAR    l'oRO  i 


PIZ  ARRO. 


Questo  è  un  concederci  che  di  essi  vi  andò  fallita  la 
pratica. 


LAUV. 


Non  già  per  mia  colpa ,  o  per  vizio  delle  mie  speco- 
lazioni,  ma  per  l'altrui  malvagità,  leggerezza,  imperi- 
zia dovetti  abbandonare  un  sistema  sublime,  vedermelo 
rovinar  sul  più  bello,  e  quindi  perseguitato  a  torto, 
misero  e  fuoruscito  perirmene  di  stento   a  Venezia. 


PIZARRO. 


Vedete  il  sublime  calcolatore ,  non  aver  ne'  suoi  calcoli 
saputo  dar  luogo  alla  nequizia,  alla  volubilità,  alla  diffi- 
denza degli  uomini,  per  poscia  estrarne  il  prodotto;  ma 
il  geometra  mira  sempre  alla  quantità,  e  troppo  meno, 
che  non  converrebbegli,  alle  qualità   delle  cosej  oh  che 


pazzo  ! 


LAUV. 


Ma  voi  sì  prudente,  voi  sì  scaltrito  guerriero,  il  quale 
tant'oro  avete  disseppellito,  quanto  il  sole  arcichimico 
volle  formarne  colà  nelle  viscere  della  terra;  voi  carne- 
fice degli  Incassi  timidi  ed  oppressi,  come,  ditemi,  riu- 
sciste poi  a  godervi  in  pace  tesori  colanti?  come  dall'  j 
altrui  cupidigia  rivale  veniste   a  schermirvi,  e  per  quali 


DI    EMA^SCELE    BAVA    S.    PAOLO.  99 

astuzie,  per  qual  destrezza  avete  saputo  sottrarvi  all'occhio 
sempre  vegliante  dell'  umana  nequizia? 

PIZARRO. 

Ah  !  mi  ci  sarei  sottratto  assai  e  assai  tempo ,  noa 
fosse  stata  la  perfida  razza  degli  Almagro ,  che  invidiosa 
ardi  mostrare  deU' oro  maggior  sete  di  me;  attraver- 
sommi  prima  ogni  via  di  raddoppiarne  le  sacca,  e 
poscia  studiò  cosi  bene  l' arte  di  spegnermi ,  che  il  tra- 
delc  intento  ottenne;  rubossi,  ahi!  l'oro  tutto,  e  man- 
dommi  qui  ignudo  ,  onde  di  me  non  rimase  altra  me- 
moria nel  mondo  ,  se  non  se  quella  di  un  signor  deca- 
duto, e  di  un  ladro  punito. 

-    L  A  U  V. 

Un  altro  adunque  colsesi  il  frutto  di  tante  vostre  car- 
nificine  e  ribalderie ,  e  con  tant'  oro  gìh  vostro  avrìi  poi 
saputo   farsi  Principe  Sovrano  in  luogo  di  voi. 

PIZARRO, 

No  certamente,  che  mi  fu  qui  narrato,  che  1'  impe- 
rador  Carlo  V.  l'e  di  Spagna,  mandò  al  Perù  i  suoi 
soldati,  i  quali  dispersero  poscia,  o  giustiziarono  tutti 
gli  Almagro,  e  lui,  come  già  1' era  del  Messico,  dell'oro 
e   del  Perù  rendettero  assoluto  e  pacifico  possessore. 

LAUV, 

E  voi,  che  in  pria  non  reggeste  contro  gli  Almagro, 


lOO         DIALOGO    SOPRA   I    MODI    d' ACCUMULAR    LORO  ," 

pensavate    poi  sempre  far  fronte    alla    potenza   di   tanto 
Principe  ? 


PIZARRO. 

SI,  perchè  m'erano  coloro  a'fianclii,  questa  lontana, 
e  tenuta  in  travaglio  da' suoi  nemici  d'Europa. 

L  A  u  V. 

Dunque  calcolaste  assai  bene  le  possibilità  de'  rimoti 
e  futuri  pericoli,  e  male  malissimo  quelle  de' vicini  e 
presenti ,  che  per  più  degli  altii  dovevano  tenervi  ia 
pensiero,  e  poi  de' miei  calcoli  vi  fate  beffe  e  mi  deri- 
dete; quella  degli  Alraagro  non  fu  con  vói  forse  ne- 
quizia ? 

PlZARRO. 

Oh  !   orribilissima. 

L  A  u  V. 

E  non  era  nequizia  umana. 

PIZARRO. 

Anzi  diabolica. 

L  A  u  V. 

Bene,  perchè  non  foste  geometra  ,  giammai  non  avete 
saputo    dar    luogo    ne' vostri   disegni,     ne  alla  diabolica 


DI  EMANUELE  BAVA  S.  PAOLO.  101 

nequizia ,    ne    all'  umana ,    e    foste  un  pazzo ,    e  oli  the 
pazzo  ! 

PARACELSO. 

Oh!  quanto  bene  calza  ad  entrambi  il  titolo  di  pazzi, 
che  vi  andate  geutiloiente  ricambiando ,  lo  mi  sembrate 
infatti  amendue  appunto,  per  non  aver  saputo  scansare 
gli  insulti  portativi  dell'  umana  nequizia,  invidiosa  mai 
sempre  ed  intesa  a  rovesciar  la  fortuna  di  chiunque  dà 
nell'occhio  del  pubblico. 

PIZARRO. 

Ma  quale  evvi  senz'  alcun  strepito  maniera  di  far 
fortuna,  di  tii-are  a  se  l'oro. 

L  A  u  V. 

Vi  è  forse  la  mia  invenzione,  la  quale  sarebbe  stata 
di  dare  alla  carta  l'aspetto  e  il  valore  di  esso,  e  intanto 
Sotto  il  mentito  simulacro  della  medesima  farlo  tutto  a 
mano  a  mano  sdrucciolar    chetamente    ne'  proprj   scrigni. 

PARACELSO. 

Misto  ad  assai  falsità  scorgo  alquanto  di  vero  in  questa 
idea ,  la  massima  di  sempre  coprire  i  proprj  maneggj 
ad  accumular  l'oro  senza  disturbi  e  con  sicurezza,  è  ottima, 
ma  la  sbagliaste  davvero  circa  il  modo  adoperato,  che 
è  il  tutto. 


103        DIALOGO    SOPRA    I    MODI   D  ACCUMULAU    LORO, 

LAUV. 

Dove  sta,   ia  grazia,  l' enoie,  lo  sbaglio? 

PARACELSO. 

E  non  riflettete  che  allo  scomparire  poco  a  poco 
dell'oro  che  prima  sapevasi  esistere,  e  allo  sottentrarvì 
della  carta,  che  ognuno  già  se  ne  turba,  che  ognuno 
entra  in  dillìdeuza  di  voi,  e  vienvi  a  impresa  non  ter- 
minata già  incontro  ognuno  fierissinKimente  a  dimandarvi 
ragione  dell'  operato  ? 

LAUV. 

Noi  vi  nego;  gli  sciocchi,  Be' quali  infinito  è  il  nu- 
mero, non  hanno,  ne  aver  possono  alquanto  mai  di 
pazienza;  ma,  ciò  posto,  qual  sarebbe  il  segreto  di  non 
metterli  al  cimento  di  doverla  perdere  almen  così  presto, 
e  in  questo  mentre  di  procacciarsi  i  tesori? 

PARACELSO. 

Eccolo  il  segreto,  attenti,  io  ve  l'accenno:  convieu 
saperlo  fabbricar  da  se  stesso  in  qualche  dimentica  abi- 
tazione ,  che  nessuno  ne  sospetti ,  oppur  se  n'  accorga , 
e  quindi  mandarlo  fuor  fuori  a  poco  a  poco  agli  occhi 
degli  uomini. 

LAUV. 

Quando    si   sa    comporre   l'oro,    il   premunirsi   colle 


I 


DI  EMANUELE  BAvA  S.  PAOLO.  Jo3 

mentovale  cautele ,  capisco  essere  indispensabile  a  chiun- 
que intenda  godersene  il  frutto;  ma  non  vogliate,  sfug- 
gendole, deludere  le  mie  dimande,  vi  tengo  al  propo- 
sito, rispondetemi  a  due  questioni,  l'avete  voi  fatto,  e 
come  r  avete  fatto  ? 

PARACELSO. 

Oh  !  naturalmente  l' arte  è  lunga  ,  e  la  vita  è  breve , 
e  qualunque  raro  intelletto  d' uomo  accingasi  alla  grande 
opera,  dee  prima  di  lavoiarvici ,  studiare  la  scienza  di 
abbreviare  L'arte,  e  dì  allungare  la  vita;  io  aveva  quasi 
trovato  il  primo  segreto ,  e  già  aveva  mille  indizj ,  onde 
di  corto  poscia  scoprire  il  secondo ,  ma  troppo  lieto  di 
si  fatte  venture,  oh  misero  me! 

PIZARRO. 

Oh  !   che  vi  avvenne  ?  forse  gli  Almagro  ? 

PARACELSO. 

Eh  non  già,  ma  pien  di  giubilo  delle  ben  avviate 
scoperte ,  volli  alla  locanda  lare  uno  stravizzo ,  mi  sentii 
tosto  opprimere  dall'  indigestione ,  e  per  aver  la  boccia 
del  mio  elisire  dimenticata,  non  potei  subito  rimediare 
al  male,  onde  in  un  attimo  fui  suflocato  e  condotto  a 
morirmi;  ah!  se  svessi  recata  meco  la  mia  cara  boccetta, 
sarei  tuttor  fra  i  viventi ,  e  certo  non  piìi  di  vent'  anni 
di   vita  dovean  condurmi  allo  scoprimento  dell'oro. 


I04        DIALOGO    SOPRA    I    MODI   D  ACCUMULAR    LORO, 

LAUV. 

Ah  !  ne'  vostri  calcoli  avete  ommesso  di  considerare 
r  incertezza  del  tempo ,  oramissione  per  voi  più  di  danno 
forse   dell'  obbliato  elisire. 

PARACELSO. 

Veramente  non  ci  ho  badato  quanto  era  mestiero. 

p  I  z  A  R  R  o. 

E  per  fretta  di  girvene  a  far  gozzoviglia,  vi  siete 
scordata  in  casa  la  vita  vostra,  e  il  pegno,  a  vostro^ 
credere ,  sicuro  di  essa. 

PARACELSO. 

Ragionate  a  meraviglia ,   pur  troppo  cosi  è. 

PIZARRO. 

Siete  adunque  morto  per  mera  inavvertenza,  oh  che 
pazzo  ! 


io5 


SULLA 

NATURA    DEL  L'  ELOQUENZA, 


D  I  S  G  O  R  SO. 

'iv   ^J    \l/iQ'ì   lotj   o    obi. 
DI      FRANCE3.Cp.     REGIS.  ,  ,., 

,:    )    i'  Jii!  ]'•  l'.j.  ■•'    j;; 
Lello  li  12  piovoso  anno  ii. 


I 


L  signor  d'  Alembert  nel  solenne  discorso ,  che  allo 
entrare  nell'  Accademia  Francese  pronunziò ,  e  nelle  inge- 
gnose riflessioni ,  che  a  spiegamento  di  certi  principi  in 
esso  accennati  vi  aggiunse,  definì  l'eloquenza  il  talento 
di  iar  passare  con  rapiditèi,  e  d'imprimere  con  forza 
nell'animo  altrui  il  sentimento  profondo,  ond'uno  è  pe- 
netrato ;  e  coloro  che  tenendo  dietro  agli  antichi  vollero 
eh'  ella  fosse  l'arte  di  persuadere,  chiamò  superstiziosi 
e  servili  copisti  dell'antichità.  Si  dovrà  egli  tacere,  dopo 
che  un  sì  grand' uomo  parlò?  o  sarà  egli  permesso  di 
esaminare  con  tutti  i  riguardi  a  sì  gran  savio  dovuti , 
se  nella  presente  cjuistion  letteraria  il  parer  suo  parti- 
colare debba  gire  innanzi  al  parere  universale  de'  mag- 
gior letterati?   Certo,  se  vi  ha  tribunale,   davanti  a  cui 


'A'è^  Sl'LLA    NATIRA    DELl'  ELOQUEN  ZA  , 

non  possa  la  inngnaniin'  Ombra  sdegnarsi ,  che  un  liil 
punto  novellamente  si  tratti,  egli  è  questo  vostro,  Acca- 
dernici.  Io  pertanto,  se  non  vi  è  discaro^,  qui  ne  favel- 
lerò brevemente,  e  senza  nulla  decidere,  starò  da  voi 
la  sentenzia  attendendo. 

L'eloquenza,  dice  l'ilUislrc  Accndcniico,  ella  è  uà 
talento  naturale,  che  ha  il  suo  germe  in  una  rara  sensi- 
bilità pel  grande  e  pel  vero;  uè  vi  è  arte  per  lei,  per- 
chè arte  non  vi  è  per  sentire.  ^ 

Io  certo  non  negherò ,  che ,  per  essere  eloquente , 
necessario  non  sia  soprattutto  questo  bel  dono  della  na- 
tura; mi  accorderò  pure  cori  chi  ne  lasciò  scritto,  che 
r  anima  è  quella  che  ne  fa  eloquenti.  Quindi,  anche 
senza  precetti ,  eloquente  fu  il  discorso ,  che  il  rozzo 
abitante- ddle  rive  del  Danubio  tenne  contro  a' Romani 
ili,  presétìea- de* Romani  stessi;  eloquente  cjuello,  che  il 
feroce  Scita  ebbe  coraggio  d' indirizzare  al  maggior  con- 
quistatore insieme,  e  turbator  della  terra.  Ma  se  per 
èsser  stabil  possessor  dell'  eloquenza  bastasse  questo 
talento,  cjuesto  impulso,  questa  sensibilità,  com'  è  che 
la  natura  sì  prodiga  di  altri  suoi  pregiatissimi  doni  , 
sarebbe  stata  di  questo  sì  avara  verso  gli  uomini  ,  a 
potere  nel  corso  di  tanti  e  tanti  secoli  trovare  appena 
due  perfetti  oratori?  o  com'è  che  questi  due  medesimi, 
non  ostante  un  tal  favore  dalla  natura  abbondevolissi- 
mameute  ricevutp ,  credettero,  che  trascurare  i  loi-o  beni 
e  la  loro  sanità ,  sagriGcare  tutto  ciò  che  vi  ha  di  piii 
caro  all'amor  d'istruirsi,   internarsi  a  fondo  nella  cono- 


I 


DISCORSO    DX   FRANCESCO    REGIS. '?.  itkit^ 

Bcenza  dell'  uomo ,  e  spaziar  lungamente  in  tutte  le  vie 
della  sapienza,  fosse  per  essi  indispensabile,  onde  prov- 
vedersi le  armi,  che  furono  poi  in  man  di  loro  ognor 
vittoriose?  Fatto  sta,  che  se  io  non  m'inganno,  questo 
prcscufe  della  natura,  per  quanto  prezioso  egli  sia,  non 
basta  ancora  ,•  né  basterebbe  tuttavia ,  quand'  esso  anche 
sopi'a  ogni  altra  cosa  giovasse  alla  mozione  degli  animi. 
Perchè  l' eloquenza  al  muovere ,  benché  sia  questo  un 
de'  suoi  principali  ufficj ,  non  si  restrigne  imicamente , 
che  se  così  fosse,  del  pari  che  al  tempo  del  gran  Tullio, 
sarebbe  già  ella  stata  fra  Romani  al  sommo  grado  per- 
venuta al  tempo  de'  Gracchi ,  i  quali  per  la  forza  de'  loro 
discorsi ,  spezzate  le  catene  della  servitù ,  fecero  più  che 
mai  bella  e  vigorosa  sorgere  la  libertà.  Ma  ella  esige 
di  più  una  profonda  cognizione  de'  costumi,  delle  pas- 
sioni ,  e  di  tutti  i  mezzi  del  cuore  umano  eccitatori  ; 
ella  vuole  il  più  ampio  tesoro  di  scienza,  la  più  ricca 
varietà  di  erudizione ,  la  maggior  finezza  di  discerni- 
mento e  di  gusto;  ella  oltre  la  convenevolezza  della  pro- 
nunzia e  del  gesto,  abbraccia  l'armonia  dello  stile,  la 
quale,  come  sicura  producitrice  di  sorprendenti  effetti, 
fu  sempre  da' sommi  oratori  gelosamente  studiata,  ab- 
braccia con  tutte  le  sue  grazie  e  venustà  la  elocuzione, 
la  quale  i  maggiori  Retori  riguardarono  ognora  come 
la  sola  capace  d' imbalsamare ,  dirò  «osi ,  le  opere ,  ed 
assicurarle  della  eternità.  Or  se  ciuesta  non  è  un'arte, 
qual  altra  il  sarà  mai  ?  così  avesse  ella  potuto  le  sue 
lezioni  continuare  in  mezzo  alle  stesse  felici  circostanze , 


Io8        SULLA  NATURA  DELL'ELOQUENZA, 

in  cui  le  dava  ne'  più  be'  tempi  di  Roma  ,  quando  i 
suoi  discepoli  erano  del  dolce ,  del  santo  amor  della 
patria  ardentemente  iofiammati  ;  quando  costituiti  inter- 
preti della  nazione,  e  giudici  de' suoi  veri  interessi, 
teneano  nelle  lor  mani  la  bilancia ,  in  cui  si  pesava  il 
destino  dell'  Impero  del  mondo  ;  quando  aveano  1'  ono- 
rato incarco  di  aricgare  a  un  Senato ,  che  all'  attonito 
Ambasciatore  di  Pirro  sembrato  era  un  assemblea  di 
Re,  e  a  un  popolo,  la  cui  sola  presenza  bastava  a  tras- 
formare de'  vili  gladiatori  in  eroi.  Che  allora  un'  arte  sì 
fatta,  ben  lungi  dall'essere  mai  da  alcuno  de"  migliori 
ingegni  spogliata  del  nome  di  arte,  sarebbe  sempre  stata 
dalla  maggior  parte  di  essi  più  di  qualunque  altra  scienza, 
eh'  oggi  sia  cara  ed  in  prezzo ,  abbracciata  e  seguita 
volentieri. 

Ma  nò  anco  so  indurmi  a  credere  ,  che  il  lodato  Acca- 
demico renda ,  com'  egli  dice  ,  più  compita  e  più  giusta 
la  definizione  dell'  eloquenza  ,  con  aggiugnere  essere 
proprio  di  lei  il  far  passare  con  rapiditcì ,  e  imprimere 
con  forza  in  altrui  il  profondo  sentimento ,  oud'  uno  è 
penetrato.  O  egli,  come  par  che  suonino  le  prime  pa- 
role ,  comprende  soltanto  certi  tratti  vivi  e  rapidi ,  nei 
quali  soli  appunto  ripone  la  vera  eloquenza.  E  allora  , 
essendo  questi  sempre  in  un  discorso  ben  rari,  la  defi- 
nizione sua  non  sarà  ella  scarsa  d'assai  e  limitata?  non 
sarà  ella  anche  a  tutto  il  restante  di  troppo  ingiuriosa  ? 
ed  egli  è  pur  questo  restante ,  che  per  tenere  svegliati 
gli    uditori,    e    disporli   a  quel    vivo,    a    quel  rapido, 


DISCORSO    DI    FRANCESCO   RECIS.  lOg 

eh'  ei  viconosce  soUnnto  per  eloquente ,  abbisogna  io 
ispezie  dell'  eloquenza  ,  e  dell'  eloquenza  fa  sicuramente 
non  isprpgevole  parte.  Ovvero  egli,  come  dichiara  in 
alcun  luogo  delle  sue  riflessioni ,  infende  di  dar  con  ciò 
tuttavia  dell'eloquenza  un'idea,  qual  si  possa,  la  più 
generale  ed  estesa.  Ma  allora,  dico  io,  questo  suo  modo 
di  definire,  comunque  si  voglia  interpretare,  includerà 
egli  tanti  scritti ,  i  quali  fuori  dell'  oratorio  aringo  sono 
riguardati  per  eloquenti,  senzfi  che  i  sentimenti  dello 
scrittore  si  rapidamente  e  sì  forte  passino  nell'animo  del 
leggitore,  e  vi  s'imprimano?  includerà  tanti  concetti, 
che  nelle  grandi  assemblee  antiche  pur  di  eloquenza  pie- 
nissimi si  andavano  bel  bello  nel  cuore  degli  uditori ,  quasi 
senza  che  se  ne  avvedessero,  insinuando?  includerà  tanti 
pensieri  sedati  e  tranquilli  che  precedevano,  accompa- 
gnavano, e  seguivano  indivisibilmente  que'  fulminanti 
tratti ,  co'  quali  il  greco  ed  il  romano  oratore  faccano 
impallidire  l' uno  in  mezzo  alle  falangi  i  Filippi  e  gli 
Alessandri ,  e  1'  altro  in  mezzo  agli  audaci  satelliti ,  i 
Catilina  e  gli  Antonj  ?  non  mi  arresterò  alle  parole,  che 
nella  questionata  definizione  sono  le  ultime.  Perciocché 
specificandosi  in  esse  solo  il  profondo  sentimento,  onde 
uomo  è  penetrato,  che  sarà  di  tante  altre  parti,  pur  a 
una  perfetta  opera  di  eloquenza  essenzialissime ,  nelle 
quali ,  né  tale  profondità  di  senso ,  ne  tal  verace  pene- 
trazione interna  non  ha  luogo  assolutamente  ?  che  sarà 
di  que' medesimi  altissimi  sentimenti  che  l'oratore,  mercè 
di  una  viva  immaginazione  veste  egli  sovente ,  e  coma- 


JIO         SULLA  NATURA  DELL  ELOQUENZA, 

uica  a' suoi  uditori,    senza  esserne  egli  stesso  realmente 
tocco  ?    la    quella    guisa    che    fervido   attore   di  scena 
mettendosi  a   luogo   del  personaggio  per   lui  rappresen- 
tato,   agita   e  turba    gli    spettatori  col  racconto  animato 
delle   disgnizie  ch'egli  pur  non  provò? 

Ora  a  tali  diflicoltà  sull'  eloquenza  no  non  dieder  luogo 
il  Greco  filosofo ,  e  il  Retore  romano ,  con  averla  defi- 
nita ,  il  primo  una  facoltà  di  vedere  ciò  che  in  ciascuna 
cosa  conduca  alla  persuasione ,  e  il  secondo  un'  arte  di 
dir  bene ,  e  acconciamente  a  persuadere.  Per  queste  defi- 
nizioni la  eloquenza ,  il  più  difficile  studio  che  si  possa 
a  valente  ingegno  proporre ,  e  il  più  meritevole  di  essere 
di  sode  cognizioni  nudrito ,  e  da  provvide  regole  gui- 
dato, ella  è  veramente  una  facoltà,  un'arte.  E  qual. 
facoltà ,  qual  arte  non  parve  ella  agli  occhi  di  colui , 
che  in  ciò  tutto  vide,  e  tutto  seppe,  voglio  dir  di 
Cicerone?  I  soli  tre  libri  suoi  assennatissimi  dell'oratore, 
non  ostante  le  molte  lor  digressioni,  bastano  essi  a  inge- 
nerare per  lei  come  I'  entusiasmo  il  più  vivo,  cosi  il 
credito  il  più  grande  e  il  più  sublime.  Che  se  Platone 
ricusò  tuttavia  di  riguardarla  come  tale ,  non  è  di  lei 
in  generale  ch'egli  parlò,  ma  sì  bene  di  quella  de' sofisti 
del  suo  tempo ,  i  quali  ne  facevano  un  abuso  funesto 
a' progressi  della  ragione  e  della  verità.  Leggansi  i  suoi 
dialoghi ,  e  si  sentirà  ben  tosto  di  quante  riflessioni ,  e 
di  quanto  studio  corredò  egli  stesso  il  suo  divino  inge- 
gno,  per  potere,  siccome  fu,  non  men  grande  oratore, 
che  grao  filosofo  divenire.  Per  queste   definizioni  simil- 


DISCORSO    DI    FRANCESCO    REGIS.  1  I  T 

niente  non  sarà  V  eloquenza ,  come  pur  si  vorrebbe ,  con 
iugiuslo  divieto  ristretta  a  pochi  tratti  vivi  e  rapidi, 
clic  quai  lampi  passeggieri  possono  appena  di  quando 
in  quando  aver  luogo  nelle  anco  più  lunghe  opere  ora- 
torie. Ma  si  estenderà  ella,  com'è  dicevole,  a  tutto  ciò 
che  si  scrive,  o  si  parla  a  proposito  per  ottenere  il 
fine,  che  scrivendo,  o  parlando  un  si  pi-opone.  Che 
qualunque  volta  uom  prende  a  parlare,  o  a  scrivere,  si 
suppone,  che  com' essere  ragionevole  abbia  sempre  di 
mira  un  qualche  fine,  e  questo  esser  non  può,  se  noa 
se  d'  istruire,  o  dilettare,  o  persuadere.  Quindi  eloquente 
dovrà  dirsi  colui ,  che  con  efficacia  saprà  tutte  le  sue 
parole  al  conseguimento  di  questo  fine  adattare.  Quindi 
r  eloquenza  potrà  non  solo  nelle  pubbliche  aringhe,  ma 
in"  ogni  gx?nere  eziandio  di  scrittura  avere  parte  e  diritto. 
Ed  etco  per  tal  maniera  il  dominio  di  questa  nobilis- 
sima  facoltà  immensamente  allargato. 

Senza  di  che,  quanto  sterminati  non  sono  già  eglino 
it}  se  gli  oggetti ,  che  generalmente  si  riconoscono  come 
suoi  propri  e  particolari?  anche  considerata  come  intesa 
solo  a  dilettare  gli  uditori  co' panegirici,  colle  invettive, 
colle  orazioni  gratulatorie,  e  colle  funebri,  che  estensione 
di  arte  non  esige  tuttavia  per  non  perderei  in  una  vana 
ostentazione?  quanto  maggiore  ancora  non  ne  richiede, 
se  si  riguarda  nel  foro  occupata  a  mettere  nel  migliore 
aspetto  le  cause ,  a  togliere  i  pregiudizi  sfavorevoli ,  a 
scegliere  i  più  opportuni  argomenti,  a  invigorirli,  a 
disporli,    ad  esprimerli    con    leggiadria,    e    ad    avviare. 


Jia  SULLA    NATURA    DELL  ELOQUENZA  , 

e  condurre  i  giudici  a  quella  seuteuza,  cjie>  è  I9  meta, 
e  lo  scopo  del  suo  perorare?  soprattutto  poi,^  l^al  l^^go 
campo  non  comprende  essa  ,  e  quanto  non  abbisogna 
conscguentcmenlG  d'indirizzo  e  di  guida,  quando  s'ag- 
gira nelle  pubbliche  adunanze  a  trattare  delia  pace,  della 
guerra,  del  ben  degli  Stati,  della  salute  db' popoli,!^ 
di  somiglianti  altre  materie  importantissime  ?  o  quando 
ella  spazia  nel  nuovo  ricchissimo  teatro  agli  antichi 
Creci  e  Romani  ignoto,  cioè  in  seno  alla  Chiesa,  e  in 
prò  di  nostra  religione ,  sia  pur  l' eloquenza  da'  primi 
maestri ,  per  rispetto  al  suo  principale  officio ,  che  è  di 
influire  sulla  condotta  degli  uomini,  sia  pur,  dico,  defi- 
nita particolarmente  l' arte  di  persuadere.  Ma  quanti  in- 
sieme, e  quanto  essenziali  requisiti  da  loro  non  vi  si 
soft' intendono ,  onde  farci  strada  a  questa  persuasione, 
e  renderla  durevole  e  fruttuosa?  Or  tutto  ciò,  quanto 
vasto  egli  è ,  che  certo  è  vastissimo ,  crederem  noi  che 
si  possa  racchiudere  in  quelle  parole  della  nuova  defi- 
nizione, nuli' altro  infine  specificanti,  che  un  rapido,  pas- 
saggio, una  forte  impressione  in  altrui  di  alcun  nostro 
profondo  sentimento  ? 

Io  pertanto  venero  il  signor  d' Alembert  per  l'ampiezza, 
per  la  rarità  delle  sue  conoscenze  e  scoperte  matema- 
tiche, basf evoli  a  meritargli  in  queste  scienze  forse  il 
primo  luogo  in  Francia,  se  a' suoi  tempi  la  già  propa- 
gata celebrità  del  nostro  incomparabil  La- Grange,  non 
lo  avesse  pur  fatto  de'  secondi  onori  rimaner  pago  e 
contento.  Lo  ammiro  per  1'  egregio  discorso   da  lui  alla 


DISCORSO    DI    FRANCESCO    REGIS.  Ij3 

enciclopedìa  premesso,    nel  quale  riunì  si  fattamente  la 
forza   e  l'eleganza,  la  dottrina  e  la  venustà,   il  dono  di 
pensar  diritto,  e   il  talento   di  scriver  bene,    da    far  di 
cotant'  opera  concepire   all'  Europa  le  più  luminose  spe- 
ranze. Il   loderò   eziandio    per   la  destrezza,    pel    senno, 
per  la   facondia  che    in    parecchie  opere  puramente  let- 
terarie appalesò,   in  ispezie  nelle  sue  riflessioni  sull'abuso 
della  critica   in  materia  di  religione,  nel  suo  saggio  sopra 
le  persone    di    lettere,   e   ne'  suoi    elogj  accademici.  Né 
per  iscemare    la    sua  autorità     sulla    proposta    questione 
rammenterò  alcuni  paradossi  per  lui  in  letteratura  avan- 
zati ,   di  alcuni   de'  quali  si  confessò   poi   egli  stesso  ricre- 
duto:   né  sono  per  valermi  del  falso  ingiurioso  giudizio, 
che  per  piaggiare   un  po' troppo  altrui,   portò    di  Cor- 
nelio e  di  Racine,   due   massimi  luminari    della  tragica 
scena  francese  :     né  tanto    meno    sono    per  accostarmi  a 
chi  per  gettare    una  fosca    nube    su    tutta    la    sua    gloria 
letteraria  ,    allegò  la  parziale  lunghissima  amicizia  di  lui 
con  Voltaire  ,   e    negandogli    quasi  ogni    luce   propria 
il  riguardò  meramente  qual   necessitato    satellite    di  quel 
gran  pianeta.    Che    l'alta    stima ,    ond'  egli     fu   costante- 
mente onorato  dal  medesimo  Voltaire  ,  non  solito  ma- 
nifestarla a' mediocri  ingegni;    il  credito    singolare,    che 
ottenne  presso  tutti    i  più  illustri   viaggiatori,  che  capi- 
tando a  Parigi  ambivano     di    parlargli  ,     e    di   sentirlo  ; 
la  speciale  inlluenza  ,   che  ebbe    tuttora    nelle  dotte  pri- 
marie società  ,   e   più  nella  oculatissima  Accademia  Fran- 
cese ;  la  bella    nominanza  ,    che    di    lui ,     come    di  uno 

i5 


JT/j.  SIITXA    NATURA    DKTX' FL0OrEN7,A  , 

de'  ^iù  insigni  scritlori  della  sua  nazione  ampiamente  si 
sparse,  e  si  mantenne  ;  le  iterate  caldissime  istanze^  che 
CATEhiNA  IF.  ,  e  Federico  il  Gratide  gli  fecero  di  re- 
carsi ne' loro  Stati,  l'una  per  allìdargli  l'educazione  del 
Gran  Duca  delle  Russie  ,  1'  altro  per  farlo  presiedere  alla 
famosa  Accademia  di  Berlino ,  queste  splendide  prove , 
congiunte  col  bello  stile  sempre  adatto ,  sempre  conforme 
a  molti  diversissimi  argomenti ,  che  trattò  ,  fanno  essi 
apertissima  testimonianza  ,  che  per  essere  chiaro  fra  let- 
terati ,  non  abbisognava  egli  di  quello  splendore ,  che 
su  lui   poteva  dal  suo  illustre   amico  riflettere. 

Contuttociò  in  fatto  di  eloquenza,  se  voi,  dotti  Col- 
leghi, il  giudicate,  io  più  volentieri  che  a' principj  suoi, 
mi  atterrò  a  quelli,  che  i  solenni  maestri  antichi  ne 
porsero.  Gli  antichi  veramente  concederanno  a  noi  di 
leggieri  la  gloria  di  essere  stali  più  faticosi  ,  più  avidi 
di  cognizioni ,  più  esatti  osservatori  della  natura  ,  più 
attenti ,  e  più  perspicaci  nelle  ricerche ,  più  universali , 
e  più  dotti;  non  ne  contrasteranno  fors' anche  in  varie 
produzioni  d'ingegno  sì  in  prosa,  che  in  poesia,  l'onor 
della  uguaglianza  ,  e  talora  anche  della  preminenza.  Ma 
nella  eloquenza  ritengono  eglino  tuttavia  per  se  a  buon 
diritto  la  palma;  né  in  tanti  secoli,  che  seguirono  poi, 
hanno  ancor  veduto  a  sorgere  alcuno  ,  che  rivale  di 
Demostene,  o  di  Cicerone  possa  sedere  non  dico  a 
canto,  ma  neppure  un  po' da  vicino  all'uno,  o  all'altro 
di  que'  due  famosi  Oratori.  Tal  è  di  coloro  ,  che  tra  gli 
antichi   diedero    suU'  oratoria    facoltà    insegnamenti  :    non 


I 


msrORSO    DI    FRANCESCO    REGIS.  Il5 

Dippo,  clic  i  niodnni  in  vaij  gcnerr  di  loltorafura  alj- 
biaiio  auro  alzalo  una  critica  fiaccola,  tjnal  nelle  passale 
età  non  sera  Corse  mai  allumafa.  Ma  ìd  prc^posito  deirai  te 
di  ben  pailare  ninno  di  essi,  con  buona  pace  di  pa- 
recchi PVance^i,  Italiani,  ed  Inj^iesi,  che  non  senza  qual- 
che lode  tentarono  d' illustrai  la ,  oiuno  di  essi  potè  an- 
cora avvicinarsi  a  quel  raccolto  niaravigiioso  lume,  che 
DP'loro  trattali  ne  lasciarono  sprcialmente  il  Filosofo  di 
Sfaj^ira,  e  il  R<tore  di  Roma,  ossia  che  essi  fossero 
ancora  sfhiaiali  dalla  presenza  dell'immenso  fol^or  di 
eloquenza,  onde  l'uno  la,  Grecia,  l'altro  la  Grecia,  e 
l'Italia  vide  largamente  irraggiata,  ossia  che  locati  si 
trovassero  in  un  posto,  e  in  un  tempo  da  poter  essere 
d^lla  tuitof  grande  importanza  di  questa  diviu'  aite  sti- 
molati a  ricercarne  pii!i  addentro  la  vera  natura,  e  le 
proprie  qualità  tutte;  egli  è  certo,  che  con  tan'a  pe- 
netrazione e  giustezza  con  tanto  gusto  e  buon  senso 
ne  ragionarono,  che  qualunque  di  poi  in  alcun  punto 
essenziale  da  loro  si  diparta,  il  potremo,  io  penso.  Ac- 
cademici, come  novatore,  o  almen  come  sospetto  diuun- 
ziare  alia  Repubblica  letteraria. 


ii6 


DELLA     PATRIA 


DI      CRISTOFORO      COLOMBO, 
DISSERTAZIONE 

DI  GIANFRANCESCO  GALEANI  NAPIONE. 
Letta  li  26  piovoso  anno  XIL 


n 


Ina  delle  quistioni  più  ardue,  e  eoo  maggior  calore 
agitate ,  e  eoa  tutto  l' impegno  possibile  tra  eritici  di 
diverse  contrade  d' Italia  si  è  quella  intorno  alla  patria 
del  celebratissimo  Cristoforo  Colombo,  li  fu  Canonico 
di  Casale  Ignazio  De-Gio vanni,  già  molti  anni  or  sono 
passati,  avea  messo  insieme  moltissime  carte  riguardanti 
questo  curioso  argomento;  che  anzi  aveva  inoltre  in- 
trapreso a  dettare  in  questo  pi-oposito  una  disserta- 
zione per  leggerla  in  quella  nostra  Societil»  letteraria,  da 
cui  uscirono  i  volumi  de' Piemontesi  Illustri,  Società, 
che  ebbe  vita  troppo  più  breve  di  quello,  che  sarebbe 
stato  desiderabile,  che  avesse.  Assalito  poscia  i!  mento- 
vato Canonico  De-Giovanni  da  pericolosa  infermità,  mi 
feci  animo,  a  persuasione  di  chi  al  pari  di  me  temea , 
che  que' documenti  corressero    la  sorte   di  tanti  altri,  e 


DI  CIANFBANCESCO  GAT.EANI  NAPIONE.  I  1 7 

^andasse^o  irremissibihueate  smaniti,  di  ricercarlo  a  far- 
mene copia.  Più  fortunato  riuscir  non  potea  l'esito  della 
ricliiesta,  né  fu  necessario  di  adoperar  persuasioni,  ed 
istanze:  perciocché  appena  gli  feci  noto  il  mio  deside- 
rio, che  mi  trasmise  tosto  con  liberalità  rara  tra' letterati 
i  documenti  tutti,  che  trovavansi  presso  di  lui,  trascriltl 
la  maggior  parte  di  proprio  pugno  dagli  originali.  Ac- 
compagnò poscia  ogni  cosa  con  una  lettera  piena  di 
amorevolezza,  in  cui  tesse  la  storia  delle  sue  i-icerche 
intorno  alla  patria  del  Colombo.  E  non  posso  ancora  al 
presente  senza  una  specie  di  tenerezza  rimirar  quc'  caratteri 
con  vacillante  mano  formati,  e  quel  non  breve  Scritto 
steso  per  compiacermi,  con  vista  oltremodo  infievolita, 
e  tra   gli  incomodi   di  una  infermità  penosa.* 

Ora  adunque  che  ho  in  poter  mio  le  armi  penso  di 
non  dover  differir  più  oltre  di  adoperarle,  e  mi  fo 
animo  ad  affrontar  con  esse  i  più  formidabili  nemici: 
che  ben  posso  dire  di  averle  trovate  forbite,  e  tem- 
prate a  tutte  prove.  Con  si  fatte  armi  alla  mano  entrar 
potremo  in  lizza,  non  solo  contro  gl'imparziali,  che  han 


*  Di  qdpsla  inffrinUà  morì  il  Canonico  De-Giovanni  ai  25  del  mese  di 
dicpiiibro  dell'alino  1801  (  v.  s.  ).  Fu  uomo  collissiuio,  grande  umico  del 
celclire  Abate  Dkmna  ,  che  in  molli  luoghi  delle  opere  sue  ne  fa  onorevole 
menzione,  dicendo,  che  era  quegli,  che  da  giovane  in  coll^s'o  «eccitava 
mnjjgioiinenle  la  sua  emulazione.  Loda  tostile  epistolare  di  lui;  ed  invero,  se 
avessimo  una  raccolta  delle  sue  lettere  scelte ,  si  vedrebbe  ogni  volta  piill 
come  la  lingua  Italiana  si  adatti  eziandio  a  quelle  grazie  spontanee,  a  quella 
urbauilìi ,  e  nobile  sprezzatura  ,  cbe  è  la  principal  dote  dello  siile  epistolare. 


I  l8  DEH.A   PATRIA    DI   CRISTOF    COLOMBO,  iNTHOtì, 

creclufo  di  dover  sosttMicie  opinione  conlrariii,  ma  eoa 
qualsivoijiia  Genovese  più  Irnci-o,  e  zel.'nie  tìvììe  glorie' 
ddla  Pallia  sua,  od  affei-maie  senza  e>*i'azionp  vei-iiiia,. 
che  la  pallia  dtl  Colombo  fu  l'antico  IVlonfcnato  E 
questa  verità,  che  il  Monferrato  sia  la  vera  patria  del 
Colombo  potremo  coi  documenti  suecennati  so^teuerla,. 
ancorché  si  provasse  con  altre  carte  n;;!i  occhj  de' cri- 
tici più  acuti  riconosciute  per  irrefragabili  (  carte,  che 
mancano  però  tuttora  ),  che  il  Colombo  nato  fosse  in 
Genova,  od  in  qualunque  altro  luogo  del  Genovesato. 
Di  fatti ,  quando  risultasse  ad  evidenza ,  che  uscito  fosse 
dal  Monferrato  il  padre  di  quell'  uomo  immortale ,  che 
la  sua  famiglia,  i  suoi  antenati  da  più  secoli  fossero 
Monfprrini,  in  tal  caso  la  nascita  accidentale  di  lui  nei 
domiuj  della  Repubblica-  di  Genova  non  darebbe  diritto 
a' Genovesi  di  considerarlo  per  loro  paesano.  Nessuno 
contrasta  la  gloria  all'Italia,  ed  all'antico  Piemonte  di 
esser  patria  del  Principe  Eugenio  di  Savoja,  sebben  nato 
v.Tfraboschi,  pgji  gja  in  Parigi;  ed  in  Parigi  pur  uaccjue ,  secondo  la 
ur^iura  iidiiana  pj^  fondata  op.nione ,  e  di  madre  Parigina  (il  che  se 
iri» ediz. Modeu.  (jybi^iajjj  credere  a  certuni  ha  tanta  inQuenza  nell'indole 
delle  persone)  uu  uomo  in  troppo  diversa  professione 
rinomatissimo,  il  Boccaccio.  Ciò  non  osfaufe,  non  solo 
Firenze  se  ne  pregia  a  buon  diritto  come  di  uno  dei 
suoi  più  rari  ornamenti,  ma  Certaldo  eziandio  ond' erano 
originar]  i  suoi  maggiori;  E  chi  pretese  mai  che  Aretino, 
e  non  Fiorentino  chiamar  si  debba  il  Petrarca,  perchè 
nato   in  Arezzo;   Reggiano,    e   uou  Ferrai-ese  I'Ariosto,. 


DI   CtANFRANCCSCO    GAT.EANI    NAPIONE.  I  ig 

perchè  sorti  i  natali  in  Reggio;  e  Pisano,  e  non  Fio- 
rentino r  immortale  Galilei  ,  perchè  nato  in  Pisa  ?  Non 
vi  ha  pure  dubbio  nessuno  ,  che  in  Sorento ,  e  non  ia 
Bergamo  antica  patria  de' suoi  maggiori,  venne  alla  luce 
lo  sventurato  cantor  della  Gerusalemme  Torquato  Tasso; 
eppure  l'Italia  tutta  letterata  ,  non  solo  applaudì  alla  co- 
piosa elaborafissima  Vita,  che  ne  dettò  1' Abate  Serassi  , 
ma  approvò  l'encomio,  con  cui  la  Città  di  Bergamo 
volle  mostrarsene  riconoscente ,  coniando  ad  onor  di  lui 
una  medaglia  colla  leggenda:  propagatori  Patriàe  laudis. 
Lieve  argomento  poi  per  la  storia  in  genere  non  si 
è  certamente  quello  di  determinar  la  Patria  di  un  uomo 
così  grande  qual  fu  il  Colombo  :  perciocché ,  se  è  comun 
detto  ,  quando  s' intende  celebrare  qualche  personaggio 
rarissimo ,  lo  asserire  esser  egli  uno  di  quegli  uomini , 
che  non  si  ritrovano  più  se  non  se  nelle  vite  di  Plu- 
tarco ,  fu  uomo  così  grande  il  Colombo  ,  che  Plutarco 
stesso  non  troverebbe  a  farne  il  confronto  coli  nessuno 
di  quegli  illustri  Greci,  e  Romani  medesimi,  di  cui  dettò 
le  vite.  Né  picciolo  sarebbe  il  vanto  di  queste  nostre 
contrade  quando  risultasse  manifestamente ,  eh'  egli  fu 
nostro  paesano  ;  e  questo  vanto  non  si  ridurrebbe  già  ad 
un  solo  strepito  di  paix)Ie ,  proprio  soltanto  a  pascere  la 
vanità  inerte  degli  sfaccendati,  ma  produr  potrebbe  eflèlti 
vantaggiosissimi  negli  animi  generosi. 


120 


CAPO    I. 

Lodi    del    Colombo  ; 

Giusta  idea  dell'  impresa  della  scoperla 
della  America. 

Io  non  mi  tratterrò  qui  a  tessere  l'elogio  del  Colombo; 
Elogi  Morie  id!  Molti  anni    già  sono    passati,    che  ne  venne  pubblicato 

Crisloforo     Co- 
lombo, e  di  An-  uno    assai   diffuso     in   Parma,    opera    di    un    autore    ano- 
area  Dona.  Par-  ^ 

ma  1801  io ,.»  nimo  Genovese ,  che  vi  unì  quello  parimente  del  fa- 
moso Andrea  Doria.  Singolare  combinazione  in  vero  : 
dappoiché ,  se  i  Genovesi  pretendono ,  che  sia  loro  Pae- 
sano il  Colombo  ,  mentre  che  dubbioso  assai ,  per  non 
dir  altro,  si  è  ch'egli  nascesse  in  luogo  della  Riviera 
di  Genova,  e  certamente  fu  di  famiglia  del  Monfer- 
rato, maggior  diritto  vantar  potremmo  noi  sopra  Andrea 
sigoniiis  Tiia  DoRiA  ,    chc  uacque  indubitatamente  in  Oneglia ,    luogo 

Audr.   Auriac.  .       ,  •  iii  •  ir 

Stato  msmo  ad  ora  mtimamente  unito  ali  antico  Pie- 
monte ;  tanto  più  che  Piemontese  divenne  nel  secolo 
stesso  ,  in  cui  fioi-ì  il  rinomato  Ammiraglio  di  Carlo  V, 
Rea'ì'e'"'di^s°a'vo7a  ^^  ^amo  della  famiglia  DoRiA ,  che  avea  la  signorìa  di 
i.^n,  e.  ib,  p.  Qjjpgijg^  y[^  siccome  cediamo  di  buon  grado  a' Genovesi, 
perchè  appunto  originario  di  quella  Città ,  il  vanto  di 
aver  prodotto  Andrea  Doria  ,  così  a  buona  ragione  esi- 
ger possiamo,  che  a  noi,  come  uscito  dal  Monferrato , 
appai'tenga  il  Colombo. 

Se  fosse  lecito  il  far  uso  di  domestici  elogj  ,  non  però 


DI  GIANFRANCESCO    CALEANI    NAriONE.  121 

cTa  sprezzarsi  quando  in  tutto  conformi  al  vero ,  uno 
assai  magnifico  ed  ampio,  e  per  quanto  io  sappia  sco- 
nosciuto in  Italia,  si  contiene  nel  memoriale,  che  nell'an- 
no 1671  presentò  alla  Corona  di  Spagna  D.  Pietro  di 
Portogallo  Ammiraglio  e  Governatore  Generale  delle 
Indie,  Duca  di  Veragua ,  e  discendente  per  via  di  donne 
da  D.  Diego  figliuolo  di  Cristoforo  Colombo,  affine  di 
conseguire  un  compenso  per  lo  Marchesato  della  Gia- 
maica  feudo  Principesco ,  *  di  cui  erano  stati  investiti 
i  discendenti  di  Colombo  in  correspettivo  di  maggiori 
diritti,  invaso  a' tempi  di  Cromuello  dagli  Inglesi,  e 
quindi  dovuto  cedersi  dalla  Spagna  all'  Inghilterra  nella 
pace  conchiusa  nell'  anno  antecedente ,  curioso  docu- 
mento ,  che  mi  fu  trasmesso  dal  mentovato  Canonico. 
Lascio  da  parte  quanto  si  dice  in  quella  Scrittura  in  lode 
di  Cristoforo  Colombo,  e  de' magnanimi  suoi  fatti,  e  lo 
affermarsi  in  essa  senza  dubbietà  nessuna ,  che ,  quantun- 
que a  tante  sue  doti  personali  necessaria  non  fosse  la 
nobiltà  del  sangue ,  non  avea  ciò  non  pertanto  voluto 
Iddio,  che  gli  mancasse  questo  pregio  ,  poiché  era  uscito 
dall'  illustre ,  ed  antico  casato  dei  Signori  del  Castello  di 
Cucaro.  Di  questo  si  tratterà  a  luogo  piìi  opportuno ,  re- 
candone le  prove  irrefragabili.  Non  posso  però  tratte- 
nermi   per   più  rispetti    dallo   accennare    un   luogo    del 


*  »  Eli  està  isla  possoja  el  Duque  lodo  quanto  avia  sellar ,  ecclesiastico, 
a  salva  la  sobrann  regalia,  y  tenia  eo  su  nia^or  dimiaucion  mas  de  quatro 
y>  jnil  casa»  de  Vassallos.  » 

16 


122  DELLA  PATRIA  151  CRTSTOF,  COLOMBO,  CAP.  t.^ 
nostro  Boterò  riferito  in  quel  memoriale  ,  e  detto  pò- 
litieo  dottissimo ,  *  che  in  lirevi  parole  dà  a  divedere 
quanta  fosse  la  grandezza  d'  animo  del  Colombo  ,  dicendo  : 
che  mai  fu  uomo ,  che  mostrasse  maggior  costanza  di 
lui;  perciocché  perseverò  nella  risoluzione  di  entrare  in 
una  impresa  da  molti  stimata  pazza ,  da  molti  impossi- 
bile ,  sprezzata  da'  Portoghesi ,  menata  iii  lungo  dagli  In- 
glesi, tenuta  in  poco  conto  dal  Re  Cattolico,  con  tanta 
fermezza  d'  animo ,  e  con  chiedere  condizioni  tanto  ono- 
rate e  vantaggiose  per  lui,  e  per  li  suoi  posteri,  come 
se  egli  avesse  in  pugno ,  non  già  il  solo  pensiero ,  ma 
lo  scoprimento ,  e  1'  acquisto  del  nuovo  mondo.  Che  se 
si  brama  di  veder  in  breve  co'  fiori  più  vivaci  della  elo- 
quenza del  pari ,  che  della  poesia  encomiato  il  Colombo, 
basta  rivolger  gli  occhj  alle  meravigliose  Stanze  del  Tasso  , 
ove  introduce  quella  fatidica  donna  condottiera  di  Ubaldo 
e  di  Carlo  a  parlare  dello  scoprimento  futuro  del  nuovo 
mondo  sepolto  in  seno  all'  Oceano.  Quantunque  notis- 
simo è  così  bello  quel  tratto ,  e  congiunge  sì  bene  la 
verità  filosofica  ed  istorica  con  quanto  abbia  di  più  pom- 
poso e  più  vago  la  poesia,  che  mi  dò  a  credere  ,  che 
dispiacer  non  possa  il  sentirlo  di  bel  nuovo. 
MiTmuK-  ifb""-  "    Dunque  (  a  lei  replicava  il  Cavaliero  ) 

"'i9^"scg.^^  ■  "    Quel  Dio,  che  scese  a  illuminar   le  carte, 

»    Vuole  ogni  l'aggio  ricoprir  del  vero 
»    A  questa ,  che   del  mondo  è  sì  gran  parte  ? 

*  Juan  Boterò  doclissimo  y  politico  escrilor,    Boterò  —  Relazioni  uni- 
renali ,  par.  IV,   lib.  II,  pag.  !\z,  Ediz.  di  Torino   l6oi. 


DI  CrANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  I2Ì 

»    No  (  rispose  ella  )   auzi   la    fé'  di  Piero 
»   Fiavi  introdotta  ed    ogni  civil  arte  , 
»   Nò  già  sempre  sarà ,  che  la  via  lunga 
»    Questi   da' vostri  popoli  disgiunga. 

y>   Tempo  verrà,  che  fian  d'Ercole  i  segni 
»    Favola  vile  a'  naviganti  industri  : 
»    E  i  mar  riposti ,   or  senza  nome  ,  e  i  Regni 
»   Ignoti ,  ancor  fra  voi  saranno   illustri. 
»    Fia  che  1  più  ardito    allor  di  tutti  i  legni, 
»    Quanto  circonda  il  mar  circondi  e  lustri; 
»    E  la  terra  misuri,  immensa  mole, 
»   Vittorioso,  ed  emulo  del  Sole. 

»   Un  uom  della  Liguria  avrà  ardimento 
»    A  l'incognito  corso  esporsi  in  prima; 
»   Né  il  minaccioso  fremito  del  vento, 
»    Né  r  inospito  mar ,  né  il  dubbio  clima , 
»   Ne  s'altro   di  periglio,   e   di  spavento 
»    Più  grave,  e  formidabile  or  si  stima, 
y>   Faran  che  il  generoso   entro  ai  divieti 
»    D'  Abila  angusti ,  l' alta  mente  acheti. 

»   Tu  spiegherai.  Colombo,  a  un  novo  polo 
»    Lontane  sì   le  fortunate  antenne , 
»    Ch'  appena   seguirà  con   gli  occhi  il  volo 
»    La  Fama  ch'ha  mille   occhi,  e  mille  penne. 
»    Canti  ella  Alcide  e  Bacco  ,    e   di  te  solo 
»    Basti  a'  posteri  tuoi,  che  alquantoacccnue: 
»    Che  quel  poco  darà   lunga  memoria 
»    Di  poema  diguissima  ,  e  d' istoria. 


124         DELLA   PATRIA    DI    CRISTOF.   COLOMBO,    CAP.   I.-, 

Dopo  si  magnifico,  e  giusto   elogio  dell'Italiano  Vm- 

Tirahos . sior.  GiLio  poco  prciTier  dee,  che  la  Colombiade  latina  di  Lo- 
dala Lt'UeraliUM  ^  i  i  \  •  i 

iiaiiaua, T.vii,  l'cozo  Uaaibara ,   Denchè  scritta  non   senza  eleganza,  ap- 

piir.lll.  pag.ifiB.  .      .  .  . 

Lo    Siigiiani  pena  possa  dirsi   poema  epico    a  giudizio  del  chiarissimo 

rouipose  un  |)oc-  Lio 

ma  su  laie  ar-  TiRABOscHi  1  che    dal  Tassouì    siasi  appena   abbozzato    il 

goaionio;  ed  un  '  ir 

EncTiil^  Roiua  principio  di  si  fatto  poema    in  idioma    italiano  ;    e    che 
in<iodi°'ì''iibri'ii  soltanto  una  Donna  Francese  Madama   du  Boccage  abbia 

P.L'bort  Carrara  .         «i  -ti  •  i 

Gesuita,  iniii.:  avuto  il  coraggio  di  portarlo    a  compimento,    con  qiial 

CoUimhus      cor-  •.,,,, 

mfnipicwn.va  csito  il  lascio  gludicar  da' Francesi  medesimi ,   che  quanto 

chiaro  nostro  let-  ^ 

w  °d'i*'éah.5  ^  ""''  sarebbe  cosa  troppo  scortese ,  e  contraria  alla  ga- 
"on"Taco'!ìce'''  ^3°f<^'''^  letteraria  il  non  sapergliene  grado. 
Rià^ompoli'c'ar.  Ad  ogni  modo  nelle  invenzioni  più  singolari,  che  co- 
munemente si  tiene,  che  abbiano  cangiata  la  faccia  del 
mondo,  quai  sono  la  polvere  da  guerra,  la  bussola,  e 
la  stampa  ,  vi  ebbe  gran  parte  il  caso ,  se  pure  del  caso 
non  furono  interamente  figlie.  Nulla  il  prova  maggior- 
mente quanto  l'essere  delle  due  prime  oscura  l'origine, 
ed  avvolta  in  mille  controversie,  dubbio  persino  il  tempo, 
il  luogo ,  in  cui  da  prima  comparvero.  E  quanto  alla 
stampa ,  di  cui  più  nota  è  l' epoca  della  invenzione ,  o 
per  meglio  dire  de'varj  ritrovati,  per  cui  alla  perfezione 
pervenne,  non  saprei  dire,  se  maggiore  sia  la  gloria  degli 
inventori ,  o  la  vergogna  che  ne  viene  all'  universale  degli 
uomini,  per  essere  stati  migliaja  d'anni  suU' orlo  di  quella 
invenzione,  a  dir  cosi,  senza  avere  saputo  mai  fare  l'ul- 
cic.  .le  nai.  timo  passo ,  clic  pur  sembrar  dovea  si  facile.  Non  parlo 
di  quel  luogo  di  Cicerone  famoso;  ma  le  medaglie, 
ma  i  sigilli,  ma  le  lettere  impresse   sulle   figuline   non 


DI   CIANFRANCESCO   GALEAKI    NAPIONE.  IsS 

erano  già  vere  stampe  ?  Senzadio  non  sarebbe  così  facile 
il  dimostrare,  che  queste  tre  invenzioni  abbiano  prodotto 
nel  mondo  i  piìi   grandi  cambiamenti,  ed  i  più  vantag- 
giosi ai  moderni.     L'Algarotti    mostrò    di    dubitarne,     Aig»roiii,t<i. 
nou  ostante  l'universale  opinione  favorevole.  La  bussola  mu;'".  an  s"|". 

,',.  ,,  11-  1  •  1.  Fiorcnt.Jfi.XV, 

6ola,  egli  crede    che    abbia  mutate    le  cose    m  meglio,  p. 97, 0|;. i  iv, 

.  cdiz.diLiTorno. 

aggiungendo ,  che  senza  la  scorta  di  essa  mai  non  si 
sarebbe  scoperta  l'America.  Ma  nella  scoperta  appunto 
dell'  Amei'ica ,  il  caso  non  vi  ebbe  parte  veruna.  Fu  questa 
il  risultato  delle  lunghe  e  profonde  meditazioni  di  un 
uomo  versatissimo  nello  studio  della  cosmografia ,  e  della 
nautica,  della  storia  de' viaggi  e  delle  navigazioni  piìi 
famose  sia  dell'antichità,  che  de' tempi  piìi  a  lui  vicini. 
Fu  questa  il  frutto  dello  studio  posto  negli  antichi  geo- 
grafi, del  carteggio,  e  delle  dotte  conferenze  coi  cosmo- 
grafi di  maggior  grido  de'  tempi  suoi  ;  opera  fu  infine 
di  un  uomo  ,  che ,  alle  più  vaste  cognizioni  che  potè 
acquistare  nel  secolo  in  cui  visse,  congiungeva  una  lunga 
pratica  di  mare.  Né  la  scoperta  dell'America  fu  opera 
del  sapere  soltanto,  e  di  una  consumata  perizia  delle 
cose  marinaresche  acquistata  in  lunghe  e  pericolose  na- 
vigazioni,  ma  in  oltre  della  costanza,  della  destrezza, 
dell'attività,  della  eloquenza ,  della  magnanimità  nel  non 
lasciarsi  atterrir  dagli  ostacoli,  del  valore,  della  pru- 
denza ,  e  di  tutte  quelle  virtù  che  formano  i  veri  eroi 
nello  eseguirla. 

Ben  vide  il  figliuol  suo  D.  Ferdinando ,   che  la  gloria 
maggiore  del  padre  consisteva  principalmente   nello  avere 


J26  DELLA  PATRIA    DI  CRISTOF.    COLOMBO,    GAP.   I. , 

scientificainente   e  filosoficamente ,    e  non  già   da  avven- 
turier    fortimato    scoperta    l'America;    ima    lunga   parte 

Storie    di    n.     ,  o         •  •  •  i  •         • 

FirJinauJo  Co-  delia  sua  otoiia  pertanto  impiega  a  mostrar  le  ragioni,  per 

lombo   dsl   csp. 

.vjiooaicapxi.  CUI  il  CoLOMBo  si  mosse  a  credere,  che  scoprir  si  potesse 
quella  incognita  parte  della  terra,  A  far  conoscer  meglio 
lo  Scopritor  dell'  America  ,  pit!i  di  qualunque  pomposo 
elogio  oratorio,  servir  potrebbe  la  Vita  esatta  e  sincera 
che  ne  dettò  il  succennato  suo  figliuolo  D.  Ferdinando. 
Una  nuova  edizione  di  essa,  o  per  meglio  dire  della 
traduzione  italiana,  che  si  pubblicò  sin  dal  secolo  XVI, 
diligentemente  riscontrata  e  corretta  sul  testo  spagnuolo, 
e  schiarita  con  sobrie  illustrazioni ,  sarebbe  libro  assai 
pili  curioso  ed  istruttivo  di  tante  storie  recenti ,  dove 
si  parla  della  memorabile  impresa  dello  scoprimento 
deli'  America.  Opera  è  questa  che  porta  impresso  il  ca- 
rattere della  ingenuità,  scritta  da  chi  negli  ultimi  viaggi 
navigò  col  Colombo  al  nuovo  mondo;  e  dalla  viva  voce 
del  padre,  e  dalle  lettere  e  relazioni  sue  raccolse  i  ma- 
teriali per  il  suo  lavoro.  Ed  è  in  verità  cosa  da  farne 
le  meraviglie,  che  eziandio  le  dotte  e  colte  persone  leg- 
•gano  avidamente  le  compilazioni  moderne,  e  se  ne  ap- 
paghino, mentre  con  tanta  facilità  si  potrebbe  ricorrere 
ai  fonti.  Al  Paw  tra  gli  altri  (che  per  il  corso  di  nove 
anni  altro  non  fece  che  leggere  e  compilar  relazioni  di 
America,  per  dettar  le  sue  Ricerche  /ìioso/ìche)  rinfaccia 
Oirii.Lcticre  1  Grudito  Contc  Gap.li  di  essere  caduto  in  errori  per  non 

leu.'iv" pag!'*!  aver  veduta  questa  Storia  di  F'erdiuando  Colombo;  e  se 
veduta    l'avesse    I'Algarotti,    non    si    sarebbe  spiegato 


I 


DI   CIANFRANCESCO    GALEANI    KAPIONE.  I27 

risòetto  alla  scoperta  dell*  America  ed  al  merito  del  Co-     Aigaroui.Op. 
LOMBO    (sebbene    lo  annoveri    tra  que' pochissimi ,    che,  diversi,  i>3e»5. 
a  giudizio   di  lui ,    in  qualunque    tempo   saicbbono  stati 
grandi)  come  si  spiegò  in  alcuna  parte  delle   opere  sue. 
Perciocché,   dopo   di  aver  detto,    che  delle  grandi  sco- 
perte,   anche    nelle  cose  scientifiche,    siamo    debitori  il 
più  delle  volte   al   caso ,    ed  eziandio  talvolta  all'  errore , 
che  conduce  felicemente  altrui  alla  verità  ;   in   prova   di 
quest'ultima    parte,    che    l'errore    conduca    talvolta  alla 
verità ,    reca    l' esempio  di  colui    che  primo   navigò    in 
America  Cristoforo  Colombo.  Ingannato  dalle  carte  geo- 
grafiche, che  si  aveano  allora,  dice  I'Algarotti,  si  dava   . A'garoiii.pem 
a  credere,   che  il  tratto  di  mare,  che  è  tra  le  coste  del  "Siei;,». 
Portogallo   e  della  China    fosse    assai  minore    di  quello 
che  in  fatti  non  è;  e  trovò,   il  nuovo  mondo  cercando, 
più  breve  e  più  facile  navigazione  per  giungere  alla  parte 
più  doviziosa  del  vecchio. 

Ma  il  fatto  sta ,  che  in  questo  particolare  s' ingannò 
a  partito  I'Algarotti  medesimo.  Di  fatti,  afferma  chia- 
ramente il  figliuolo  D.  Ferdinando ,  che  Colombo  avea 
ferma  speranza  di  poter  trovare  alcuna  isola ,  o  terra  di 
grande  utilità ,  prima  di  arrivare  alle  Indie  orientali ,  ed 
impiega  un  capo  intero  dell'opera  sua  a  divisare  le  ra- 
gioni, sulle  quali  fondandosi  il  suo  padre,  accertò  colla 
forza  dell'ingegno  l'esistenza  del  nuovo  mondo;  tra  le 
quali  è  notajjile  quella ,  che  tocca  della  notizia  eh'  egli 
avea,  che  Aristotile,  nel  Libro  delle  cose  naturali  ma- 
ravigliose  affermava ,    che  era  fama ,    che  alcuni  racrca- 


128  DELLA  PATRIA    DI  CRISTOF.   COLOMBO,   CAT,  L, 

siori>aiFcr<i.  tanti  Cartaginesi  avessero  navigato  per  lo  mare  Atlantico 

Colombo,   capo 

K.  in  un'  isola  fertilissima  ,    erudizione  che  forni  poi  materia 

ne'  tempi  nostri  a  fanti  dotti ,  ma  non  saprei  se  egual- 
mente utili  scritti.  La  natura  stessa  della  impresa  di- 
mostra ,  che  non  già  viaggio  nuovo  a  conosciute  terre , 
quali  erano  le  hidie  Orientali  e  la  China,  ma  scoperta 
di  terre  affatto  incognite  si  prometteva  di  fare  Co- 
lombo; dappoiché  pose  per  condizione  la  dignità  di 
Governatore  e  di  Viceré  delle  terre,  che  si  sarebbono 
scoperte.  Più  giusto  l'Abate  Tiraboschi,  che  non  il  Conte 
Algarotti  verso  il  Colombo,  dice  bensì,  che  la  prima 
idea  di  Colombo  era  di  ritrovare  un  assai  più  breve 
tragitto  per  navigare  alla  China ,  per  mezzo  dell'  Oceano 
occidentale;  ma  soggiunge  poi,  che  a  questa  idea  sot- 
Tirabosthi  t^ntrò  la  seconda,  che  fu  eseguita  di  scoprir  le  terre 
fiau.vi'lj'aruii  che  a  lui  sembrava,  che  rinvenir  si  dovessero  in  quel 
v'&-  '79-  mare  immenso.  Pare  per  altro  ,  che  alcun  poco  diminuisca 
la  gloria  di  questo  suo  altissimo  pensiero,  dando  a  di- 
vedere che  contribuissero  a  farlo  nascere  le  lettere  re- 
cate da  Ferdinando  medesimo  ,  scritte  a  Cristoforo  da 
Paolo  ToscANELLi,  Astronomo  Fiorentino,  con  cui  sin 
da  Lisbona  carteggiava  il  Colombo,  Ma  ben  lungi  di 
potergli  quelle  lettere  far  nascere  in  mente  tal  concetto, 
Storie JiFcid.  risulta  dalle   medesime,    come  osservò   lo    stesso  Ferdi- 

Colombo ,    capa  ' 

^"''  nando  Colombo  ,  che  appunto  il  Cosmografo  Fiorentino 

era  in  errore,  come  quello  che  credeasi  che  le  prime 
terre  che  ritrovar  si  dovessero ,  fossero  il  Gatajo  (  che 
così  allora  chiamavasi    la  China),   e    l'Impero  del   gran 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIOKE.  I2g 

Kam.  La  gloria  adunque  sia  di  aver  concepita  l'idea  della  sco- 
perta dell'America,  che  di  averla  eseguita,  fu  non  solo  ragio- 
nata e  non  casuale,  ma  fu  unicamente  propria  di  Colombo. 
Per  ciò  che  appartiene  poi  alla  impresa  medesima , 
si  è  posto  da  taluno  in  dubbio,  se  il  Colombo  sia  giunto 
a  scoprire  il  primo  il  Continente  di  America.  Sebbene, 
a  dir  vero ,  scoperte  che  furono  le  isole  di  Cuba ,  della 
Giamaica  ,  della  Spngnuola  ,  e  le  altre  adjaccnti  al  golfo 
del  iVIessico ,  si  poteano  dire  spalancate  le  porte  del 
nuovo  moudo ,  e  che  altro  più  non  rimanesse  a  fare , 
che  entrarvi  a' viaggiatori,  the  tennero  dietro  al  Colombo; 
tuttavia  defraudar  non  si  dee  di  questa  parte  della  sua 
gloi'ia  il  Colombo  medesimo.  Ma  questo  punto  è  stato 
co.4  pienamente  trattato,  e  con  tanto  numero  di  testi- 
monianze autorevolissime  messo  fuori  controversia  dall' 
Abate  Tiraboschi  ,    che  altro  a  me  non  rimane  ,    che  ri-  delia  l.ii.ii.i.. 

Ice.    cil. ,    pag, 

mettermi  allo  Storico  della  Letteratura  Italiana.  Mi  basterà  «87- 
di  accennare,  che  Pietro  Martire  d'Anghiera,  che  tro- 
vavasi  allora  in  Ispagna  ,  ragiona  dell'approdar  che  fece 
Colombo  alla  terra  di  Paria  nell'anno  1498,  da  lui  rico- 
nosciuta per  terra  ferma  ;  dal  che  ne  viene  esser  certis- 
simo, che  Colombo  scoprì  il  continente,  quando  conti- 
nente sia,  non  isola,  tutta  l'America.  Delle  arti,  con  cui 
Amerigo  Vespucci  giunse  a  contrastar  questa  gloria  al 
Colombo,  e  perfino  a  dare  il  nome  all'America,  ne  civ.,p3s.  .'ss. 
ragiona  abbastanza  il  Tihaboschi  *,    senza  che  necessario 

*  Il  P.  Canovai  ,    Professore   di  Matematica  in  Firenze  ,   in   una  sua  Qis- 
•ertazione ,  che  va  unita  al  suo  elogio  dei  Vbsfucci  ,  fa  tutti  gli  sforzi  prr 

»7 


lOO  DELLA   PATRTA    DI  CRISTOF.   COLOMBO,   CAP.  T.  ," 

sia  il  trattenersi  iu  questo  uon  troppo  grato  argomento. 
Piacenii  assai  più  lo  adoperarmi  per  raccogliere  le  me- 
morie di  quegli  uomini,  che  si  studiarono  di  esser  grandi, 
che  non  nello  scoprir  gli  arfiGcj  di  quelli ,  the  s'  inge- 
gnarono di  sembrarlo.  Già  si  provvide  abbastanza  da 
costoro  alla  propria  gloria,  an/i,  a  meglio  dire,  vanità, 
di  cui  furono  più  solleciti,  che  uon  del  vero  bene  degli 
uomini;  e  circa  questi  artificj  del  Vespdcci,  più  parti- 
colari chiarimenti  aver  si  potrebbono  mediante  la  Storia 
di  America  di  D.  Gio.  Battista  Mugnos  ,  che  negli 
anni  addietio  si  è  stampata  in  Ispagna.  Se  fossero  più 
conosciuti  tra  noi  i  libri  Spagnuoli,  una  più  chiara  idea 
avremmo  del  concetto  grande,  in  cui  è  tuttora  il  nome 
del  Colombo  presso  quella  Nazione  :  poiché  dall'  Abate 
D.  Antonio  ExiMENO  sappiamo,  che  quel  Regio  Storio- 
grafo delle  Indie,  nel  primo  volume  della  sua  Storia 
descrisse  le  vicende  di  quel  uomo  raro,  di  una  gran- 
dezza d'animo  e  di  mente,  e  di  una  probità  incompa- 
rabile ,  assicurandone  il  trionfo  contro  i  suoi  avidi  ed 
ambiziosi  rivali,  tra' quali  l'Abate  Eximeno  annovera 
specialmente  lo  stesso  Amerigo  Vespucci  *. 


mostrare ,  che  questi  fu  lo  scopritor  dell' America  ;  ma  il  chiarissimo  TiRA- 
Boscm,  dopo  di  aver  ponderate  le  ragioni  del  P.  Canovai,  non  credette 
di  dover  cangiar  di  sentimento:  Tirab.,  Storia  della  Lett.  Ital.,  i.  XI, 
giunte  e  correz.  pog.   162. 

*  V.  la  Lettera  dell'  Abate  D.  Antonio  ExiMEno  al  chiarissimo  D.  Gio. 
Battista  Mugnos,  in  fronte  al  libro  intitolato:  Lo  spirito  del  MACcmAVElLl, 
•isia  lìijicssioni  sapra  V  Elogio    di   Nicolò  MaCCHIAVELI.I  ,■  in  Cesena  1795» 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  j3| 

Un  vanto  del  Colombo,  di  cui  noti  tocca  punto  né 
poco  il  TiRABOscHi ,  c  clie  eziandio  il  dolio  Abaie  Akdres 
a  tutt' altri  atlribuisce,  fuorché  al  Colombo,  mentre  è 
incontrastabilmente  proprio  di  lui,  si  è  di  avere  osservato 
il  primo  le  variazioni  notabili  della  declinazione  dell'  ago 
calamitato  tanto  all'Oriente,  come  all'Occidente,  rilevan- 
tissima scoperta  nella  Fisica  magnetica  ;  variazioni  ridotte 
poscia  a  grande  precisione  dall'astronomo  Inglese  Hallejo, 
che  formò  tavola  dei  gradi  di  declinazione  ,  diversi  se- 
condo la  diversità  de'  tempi  e  de' luoghi;  tavola  perfe- 
zionata quindi  dal  De-l'isle.  Dico  le  variazioni  notabili: 
perciocché  la  declinazione  dell'  ago  magnetico  dal  polo  , 
dovette  di  necessità  esser  nota  a  tutti  quelli ,  che  da  prima 


pag.  4  <  5  ,  dove  sono  notabili  le  parole  seguenti  :  fi  convlen  eziandio  ìa 
sua  chiara  memoria  (  di  Cristoforo  Colombo  )  dalle  imposture  di  Americo 
ì'eòPVCCIO  purgare.  Un  Fiorentino  anonimo,  altamente  offeso  da  questa 
espressione  dell'  Abate  Eximeno  ,  dettò  nel  1796  una  JJiJesa  di  Amerigo 
T'espvcci  di  pochi  foglj  Ma  per  poter  asserire  come  fa  1'  anonimo  Scrit- 
tore, che  a  torto  sia  sialo  il  Vespucci  accusalo  d'impostura,  converrebbe 
prima  recare  ed  esporre  candidamente  i  documenti  e  le  ragioni ,  che  si  tro- 
vano nella  Storia  del  signor  D.  Gio.  Battista  Mugnos,  quindi  mostrar 
che  non  ne  sono  fondate  le  prove,  il  che  tutto  l'Anonimo  Fiorentino  in 
quel  breve  Scritto  non  fa  (.di  16  pag.  in  8.°  ),  impiegandone  anche  gran 
pane  a  difendere  il  Macchiavelh.  Ad  ogni  modo  non  furono  i  primi , 
né  il  MuoNOS,  né  1'  Abate  Eximeno  a  chiamar  il  Vespucci  impostore^ 
Così  il  chiamarono,  dice  il  TinABOSCln  (/oc.  cit.  pag.  188),  tulli  gli  Scrit- 
tori Spagnuoli  seguili  da  molli,  e  segnatamente  da  Charlevois:  «  io  rorrei 
s  liberarlo  (conchiude  il  Tiraboschi),  da  taccia  cotanto  odiosa  {à' iiopfy- 
»  store  ) ,  ma  con/esso  che  incontro   non   leggieri  difficoltà  », 


l32  DELLA  PATRTA   DI  CRISTOF.   COLOMBO,   CAP.  I. , 

si  valsero  della   Bussola;  e  di  questa  declinazione  proba- 

V.   Andrej ,  bilmcnte  inlese  iDarlare   sin    dall'anno   1269  quel  Pietro 

siurl'i'ogn'^rLci".  Adsiger ,  di   cuì  fa  menzione  il  Tevenot.  Ma  la  diversità 

eii  ivi Musciun-  dcllc  variazioDi  orientale   ed  occidentale  non  poteva  sco«- 

brock,   de    ma-  ... 

gncii- , exper. ^7.  prirsi  prima  delle  grandi  navigazioni  nell'Oceano,  sic- 
come me  ne  avverte  gentilmente  il  nostro  signor  Abate 
di  Caluso,  dotto  in  tante  e  si  diverse  scienze,  ma  della 
Nautica  in  ispecie,  anche  per  pratica  espertissimo.  Se  la 
scoperta  della  Bussola,  la  sua  origine,  la  perfezione  ed 
il  primo  uso  di  quell'istromeuto  mirabile,  sono  cose  av- 
volte in  mille  controversie,  come  si  può  vedere  presso 
Tirab., Storia  V  Abate  TiRABOsciii ,  e  presso  l'Abate  Andres  succennati 

t. IV,  pig.  ,53  (  sebben  la  gloria  della  invenzione  venga  comunemente, 

ad  i6i,  Andt(5,  .  ^ 

/oc-. CI/,  p.  550.    e  più  probabilmente  attribuita   agli    Amalfitani  );  la  sco- 
perta della  variazione  delle  declinazioni   dell'ago  calami- 
tato dal  polo,  dovette  appartenere  a  chi  primo  attraversò 
l'Oceano,  e  non  vi  ha  dubbio  che  appartenga  al  Colombo. 
Foscarinì , Si.       Vero  è,  clic  1' crudito   Doce  Foscarini   attribuisce  tal 

dilla   Let.  \'ea.,  ^  ... 

i>ag.  415.  vanto  al  suo  Navigatore  Veneziano  Giovanni  Casotto.  Ma 

non  essendo  uscita  alla  kice,  con  grave  sciagura  degli 
studj  migliori,  quella  parte  della  sua  Opera  insigne,  dove 
della  navigazione  e  del  commercio  de'  Veneziani  dovea 
ragionar  ex-professo,  non  saprei  su  quali  fondamenti 
ciò  aflermar  potesse.  La  sola  testimonianza,  che  riuscì  al 

•iiesior.ìeiiir.,  TiRABOSCHi  di  rintraccìame ,  si  è  quella  di  Livio  Sanuto, 
Patrizio  Veneto ,  che  circa  la  metà  del  secolo  XVI  dettò 
una  Geografia  dell'  Affrica  ;  ne  questi  altrimenti  il  potè 
affermare,  che  sulla  fede  di  un  Guido  Gì  annetti  da  Fano, 


I 


DI   GIANFRAN'CESCO   CALEANI    NAPIONE.'  i33 

che  era  presso  il  Re  d'Inghilterra,  quando  il  Cabotto 
gli  die  avviso  della  scoperta  che  fatto  avca.  Ma  il  preci- 
tato dotto  Spagnuolo  l'Abate  Andres,  dopo  di  avere 
asserito  di  non  aver  ritrovato  fondamento  veruno  presso 
antichi  scrittori  del  vanto,  che  si  vuol  dare  al  Cabotto 
di  questa  scoperta  da  alcuni  moderni,  soggiunge,  che 
la  prima  notizia  che  abbia  egli  rinvenuto  di  tale  decli- 
nazione, è  nella  Storia  delle  Indie,  di  Gonzalo  Fernan-  Andrei,  DcIP 
DEZ  d'Oviedo.  Avea  questi  dall'anno  i5i3  all'anno  3535  d-^òlnfLci",  r! 
per  otto  volte  attraversato  l'Oceano;  e  della  declinazione 
dell'  ago  magnetico  parla  in  una  maniera ,  che  si  scorge 
che  supponea  nuovo  un  tale  fenomeno.  Se  però  lo  Scien- 
ziato vivente  Spagnuolo  avesse  rivolte  le  Storie  di  Fer- 
dinando  Colombo,  avrebbe  potuto   chiarirsi    dell' epoca  „  siorie  a;  d. 

'  "^  ^  Ferd    Colombo. 

precisa  dell'invenzione,  e  che  tale  fenomeno  venne  os-  <:apxix 

servato   dal  suo  Genitore  sin  nel  suo  primo  viaggio  fatto 

neir  anno  1492  per  la  scoperta  dell'America.  Questo  fatto 

fu   pure   riferito    dallo    Storico    Spagnuolo  Herbera  ,    il  j,  iluV'    ^* 

quale  asserisce,    che    tale    variazione    non  era   mai  stata 

avvertita  da  nessuno  per   lo    innanzi,    del    che  molto   si 

maravigrliù  il  Colombo.    Il  Charlevoix    parimente  nella    cuariev.,  Hist. 

.  .  .  .  .         «^s  S.-Doming. , 

sua  Storia  di  S.'-Domingo ,   dice  che  una  sì  fatta  novità  'ìt.  »,  p.  «i. 
diede  non  poco    da   pensai-e   a  que' Navigatori.  Ad  ogni 
modo,   quello  che  dimostra  ad  evidenza  che  questa  gloria 
non  può  toccare  al  Cabotto  ,  si  è  che ,  secondo  la  giusta 
osservazione  dell'Autor  dell' Elogio  del  Colombo  stampato     Eiogiostor.  di 

^  Crisi.  Colombo,, 

in  Parma,    i   viaggi     del  Cabotto   furono  posteriori  alla  pS'. nota (18). 
scoperta  del  nuovo  mondo:  perciocché  le  Patenti  accor- 


l34         DELLA   PATRIA    DI   CRISTOF.   COLOMBO,   GAP.    I-, 

date  dal  He  d'Inghilterra  Arrigo  VIT,  a  Giovanni  Cabotto, 
ed  inserite  negli  Atti  pubblici  d' Inghilterra  del  Rymer , 
portano  la  data  dell'  anno  1496-  Anche  ultimamente 
l'Abate    Carlo    Amoretti,    nella  Introduzione  al  Viaggio 

PrimoTisgEio     „  1  A  •  T->  •     •         IT-  • 

iniornoaiGiubp,  latto    da   AntoHio    PiGAFETTA ,    patnzio  Vicentmo ,    sulla 

del  l  av.  Anion.  '  ' 

vigafeiMecMi-  squadra  del  famoso  Magaglianes  negli  anni  i5iq  sino 
al  1622 ,  da  lui  per  la  prima  volta  pubblicato  tratto 
da  un  Codice  della  Biblioteca  Ambrosiana ,  molto  bene 
avverti  questa  gloria  da  pochi  avvertita  (  sebbene  incon- 
trastabile )  dei  Colombo  ,  di  aver  trovato  il  primo  la 
declinazione  dell'  ago  magnetico.  Cosi  la  scoperta 
dell'  America  ,  che  senza  la  Bussola  non  si  sarebbe  po- 
tuta tentare  giammai ,  servì  pure  a  perfezionarla  ;  e  ciò 
per  opera  dello  stesso  Eroe,  che  se  ne  valse,  che  fece 
sul  Globo  terracqueo  ciò  appunto,  che  un  altro  valo- 
roso Italiano  il  Galileo  fece  poi  rispetto  al  Cielo , 
perfezionando,  anzi  piuttosto  inventando  f  istromenfo 
delle  sue  maravigliose  scoperte  astronomiche  il  Tele- 
scopio ,  che  il  caso  avea  offerto  ad  un  artefice  Olandese. 
Se  dal  vantaggio  poi,  che  dallo  avere  sì  ampiamente 
dilatati  per  gli  uomini  i  confini  del  Mondo  ,  ne  derivò 
alla  umanità  tutta  ,  si  vuol  far  ragione  del  merito  di 
chi  condusse  a  termine  l'impresa,  altra  mai  non  ne  fu 
pili  illustre  e  degna  di  essere  maggionnente  celebrata. 
Di  tutti  i  memorabili  evenimenti  della  Storia,  osserva 
«ob»ri.Aniiis  giustamente  un  chiaro  Scrittore  Inglese    il    Robertson, 

torieal  Hisqui'il.    o  o  ' 

r°"uTiSscri   ^^^^   alcuno   mai  non  ne  fu  più  rilevante,     e    che   abbia 
ni, g^g  ,40142,  cagionato   variazion    più    notabile  nelle  relazioni    tra   le 


DI    GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  i35 

diverse  parti  del  Globo;  evenimento  che  produsse  in  Gne 
quel  cangiamento  d' idee  di  commercio  ,  e  quell'  ordine 
di  cose,  che  costituisce  la  principale  differenza,  che  passa 
tra  i  costumi  e  la  politica  degli  antichi ,  e  de'  moderni 
tempi.  li  possesso  delle  immense  regioni,  ricche  non 
tanto  di  oro ,  ciie  delle  produzioni  più  rare  della  na- 
tura,  di  cui  il  Colombo  fece  dono  alla  Spagna,  difTùse 
in  tutta  Europa  uno  spirito  si  fatto  d'industria,  ed  eccitò 
una  tale  attività,  che  da  se  sola  bastò  per  dirigere,  per 
nuove  ed  insolite  vie  ,  il  corso  de' traffici.  Del  rimanente, 
per  coloro  che  non  temono  di  trovare  encomiate  le 
grandi  imprese  degli  Italiani,  dagli  Scrittori  Italiani  me- 
desimi, grato  riuscir  dee  il  leggere  ciò  che  tanto  prima 
del  Robertson  ne  lasciò  scritto  il  Cardinal  Bembo  nelle  pciri^mbi, 
sue  Storie  ,    chiamando   quel    fatto    il  più    grande  ed  il  hist.  ub.  vi  ia 

.        .  princ. 

più  magnifico  di  quanti  alcuna  età  avesse  veduti  giam- 
mai ;  ed  il  Segni,  dopo  aver  parlato  a  lungo  nelle  sue 
Storie  delle  scoperte  del  nuovo  Mondo,  conchiude  essere 
stata  quella  impresa  degna  di  maraviglia  grandissima , 
e  di  sommo  pregio,  onde  chi  la  recò  ad  effetto,  me- 
ritava, a  giudizio  suo,  maggior  lode,  che  non  Ercole  segn^/ub. vu^ 
e  Bacco  ,  che  furono  tenuti  Dei ,  e  non  recarono  tanta  ^'  *^  " 
utilità  a'  mortali. 

Nuovo  mondo  pertanto  diede  il  Colombo  alla  Spagna,  zton nt^Joiùfn. 

•  -     _  , .  .«  ào    dio   Colon  , 

giusta    quel  breve    e   semplice,    ma    sugoso  e  raagninco  sior.  di  Ferdin. 

,  Colombo  7    cap. 

elogio,  che  narra  il  figliuol  suo  essere  stato  scolpito  sulla  cmh. 
tomba  di   lui,   per  ordine  del  Re  Cattolico;   e  non  solo 
il  diede  alla  Spagna,  ma  all'Europa  intera.  Ma  il  vantaggio 


l36         DELLA   PATRFA    DI   CRISTOF.    COLOMBO,   CAF,    I., 

più  grande  recato  da  queir  Eroe ,  non  consiste  tanto  nello 
essersi  colla  scoperta  dell'America  arriccliita  l'Europa, 
ampliata  la  sfera  delle  umane  cognizioni,  ed  aperto  un 
più  vasto  campo  alla  industria ,  all'  attività  degli  uomini 
animosi,  quanto  perchè  appunto  sì  gran  parte  di  mondo 
si  trasse  mediante  di  essa  dalla  barbarie ,  e  da  feroci 
costumi  alla  civile  vita.  Di  fatti  gli  Americani ,  sebbene 
conservino  tuttora  un  odio  inveterato  contro  gli  antichi 
loro  conquistatori,  a  tal  segno,  che  in  S.  Domingo  si  è 
spenta  totalmente  la  popolazione  Indiana,  per  non  aver 
voluto ,  per  quanto  assicurasi ,  due  sole  figlie  che  ne 
rimanevano  ancora,  trent'anni  sono  circa,  accasarsi  con 
Ispagnuoli;  hanno  con  tutto  ciò  in  venerazione  il  nome 
del  Colombo,  e  dolce  e  gradita  per  essi  è  oltremodo 
la  rimembranza   di  lui.  Tre  dotti  Americani  di  Proviucie 

Apologie    ile     - ,  i         •      t    i     /-^  i 

Barili,  de  Las-  divcrsc ,   cousultati  dal  Oregoire  per  tessere  la  sua  apo- 

Casas,  par  lecil.    ,         .  ,..  r  y^  •  • 

Gregoire ,  Mcm.  logia  di  Bartolommco  de  Las-Gasas    mserita    negli  ul- 

de   riiislii.   nat.  " 

ec,scieneesmo   timi    volumi  dell' Instituto     di  Parigi    asserirono,    che  il 

raU's  el  polidq.  ;  *^  ' 

x^  'pagrjs/e  ^°^°   unanime    de'  Compatriotti   loro    era  di  veder  innal- 
'^^'  '^*  zate   due    statue    nel    nuovo    mondo ,     una  a  Cristoforo 

Colombo,  e  l'altra  a  Bartolommeo  de  Las-Casas,  come 
ai  due  loro  più  insigni  benefattori;  sentesi  pure,  che 
alcuni  recenti  scrittori  Anglo-Americani  usano  di  chiamar 
Colombia,  anziché  America  il  loro  continente,  e  mostrano 
la  più  alta  venerazione  pel  Colombo.  Che  se  ne  vennero 
troppo  presto  da  quelle  contrade  mali  fisici ,  e  gravi  danni 
agli  Stati  di  Europa,  onde  ai  vani  declamatori,  ed  agli 
applauditi  sofisti  fu  poi  soggetto  di  paradossi  lo  scopri- 


DI  GIANFRANCESCO   galeani  napione.  i57 

monto  dell'America,  si  è  perchè  gli  Europei  aveano 
portato  prima  in  quelle  rimofe  regioni,  in  un  colle  arti 
del  Mondo  aulico,  la  loro  dissolutezza,  la  cupidigia  loro, 
la  loro  indocilità,  e  la  superba  sfrenata  brama  di  signcv 
reggiare,  e  di  noti  essere  signoreggiati.  Se  tutti  coloro, 
che  dall'  Europa  passarono  in  America  avessero  avuto* 
le  virtii  di  Colombo,  né  l'America  avrebbe  avuto  ragion 
di  dolersi  dell'Europa,  ne  giusto  motivo  l'Europa  di 
lagnarsi   dell'America. 

C  A  P  O      1 1. 

Importanza  di  accertar  la  patria  di  Cristoforo 
Colorìibo. 

Ma  grande  pur  sia ,  e  degno  d' immortale  fama  il 
Colombo  ,  a  che  monta ,  dirà  più  d' uno ,  il  cercarne 
la  patria?  Basti  alla  gloria  d'  Italia,  se  il  vanto  nazio- 
nale in  qualche  conto  tener  si  dee,  il  sapere  che  fa 
Italiano  ,  intorno  alla  qual  cosa  non  vi  ha  contesa  ve- 
runa. Io  certamente  non  dirò  mai ,  che  lo  scoprir  la 
patria  del  Colombo  ,  sia  impresa  da  eguagliarsi  allo  sco- 
primento dell'  America  ;  che  anzi  io  sono  sempre  stato 
d'avviso,  che  quelle  minute  municipali  controversie,  per 
cui  si  fregiano  di  eccessive  non  dovute  lodi  uomini 
mediocri ,  e  si  deprime  sovente  il  vero  merito  altrui , 
sieuo  niente  confacenti  a  chi  nutre  spiriti  generosi  in 
cuore.  Ma  questo  non  toglie,  che  una  determinata  con- 
trada   vantar  non   si    possa    di    aver  prodotto  un  noma 

18 


l38  IMPORTANZA  DI  ACCENTARE   LA   PATRIA  DEL  C. , 

grande.  Trasciiraoclo  di  pregiarsi  di  aver  prodotti  uomini 
grandi,  si  trascura  pure  di  apprezzarne,  e  di  imitarne 
le  lodevoli  azioni.  Ben  diversa  è  la  nobile  emulazione, 
che  invita  e  sprona  a  gareggiar  nella  carriera  della  gloria 
cogli  uomini  più  preclari,  sebben  d'ultra  contrada  ,  da 
quella  bassa  invidia  propria  di  animi  vili,  che  rende  in- 
giusto verso  il  merito  altrui,  defraudandoli  delle  boa 
dovute  lodi,  e  che  chiude  gli  occhi  alla  luce  che  gli 
abbaglia.  La  prima  è  stimolo  ed  alimento,  la  seconda, 
morte  d' ogni,  virtìi. 

Da  questa  emulazione  lodevole  ne  raccolse  frutti  am- 
plissimi r  Italia ,  segnatamente  nelle  cose  di  Lettere ,  e 
nelle  Arti  di  pace;  e  tra  i  fatti,  che  alle  Arti  di  pace  riferir 
si  debbano,  il  più  illustre,  il  più  memorabile  e  vantag- 
gioso ,  fu  al  certo  la  scoperta  delle  Indie  Occidentali , 
frutto  della  emulazione  delle  Italiane  Nazioni  navigatrici. 
Non  pochi  Scrittori  nostri ,  e  móltissimi  che  si  vantano 
tra  noi  di  Scienza  politica  ,  non  lasciano  di  ripetere  ,  che 
danno  grandissimo  ne  venne  alla  Nazione  Italiana  dal 
non  essersi  mai  potuta  riunire  in  un  solo  corpo  dopo 
il  Mille ,  e  dallo  aver  dovuto  resfare  divisa  in  tanti  Stati 
e  dominj  diversi;  condizione  di  cose,  a  cui,  abbagliati 
dalle  rumorose  agitazioni  di  più  vaste ,  ma  non  più  for- 
tunate regioni,  attribuiscono  un  avvilimento  ideale,  una 
sognata  miseria.  Ma  se  nel  fine  del  secolo  XV,  e  nel 
principio  del  susseguente  (che  fu  appunto  l' epoca  dello 
scoprimento  dell'America)  non  si  fosse  trovata  divisa 
l'Italia   in  tanti  dominj,    avrebbe   forse  potuto  meritarsi 


,.n    .-.DIiGIANFRANCESCO    GALEANl    NAPIONE.  «Sg 

dal  dotto  Inglese  ,  recente  scrittore  della  vita  di  Lorenzo 
De' Medici  il  Dwttor  Guglielmo  Roscoe*,  quello  splendido 
elogio,  che  a  qne^  tempi  ciascheduna  delle  cillà  Italiche 
chiamar  ipotevasi  una  nuova  Atene?  Soggiunge  egli  che 
questa,  eh' ei  chiama  foi'tuonta  coDtrada,  vantava  Slarici, 
Poeti,  Oiatori  ed  Artisti,  che  contrastar  potevano  la  gloria 
a' nomi  più  grandi  deli' antacluità-;  che  le  principali  città 
venivano   a  mollile  gara   tra   loro  di  scienza   ed  ingegno,     vna  <i;  lo- 

,  ,  ,  11T1I/-»'  renio    De'  Me- 

e  che  tanto  maggioi'e  era  lo  splendor  delle  Corti,  quanto  <iìcì,  iWDotior 
più  grande  era  il  numero ,  e  più  rari   i  talenti  de'Let-  v  rsione.iairin- 

'  glcsc,  Pisa  1799, 

terati  che  le  illustravano  colla,  presenza   loro.  •  rf^^^pasvui 

Ora,  se  tutte  le  Provincie  d'Italia  si  fossero  ridotte 
sotto  un  solo  governo,  non  solo  parlato  sai-ebbcsi  uni- 
camente di  Roma,  ovvero  di  Napoli,  o  di  Milano,  ma 
quella  slessa  capitale  non  sarebbe  per  avventura  perve^ 
nula  alla  celebrità  nelle  scienze  e  nelle  arti ,  a  cui  per- 
vennero moltissime  città  capitali  di  piccioli  Stati,  e  città 
eziandio  di  provincia,  come,  per  tacer  di  Firenze,  furono 
e  'Mantova,   e  Modeda ,    e  Fewara,    e  Bologna,  'e  Ve» 

1*5  ib  1  'ab 

-. ^ 

*Tile  fu  l'incontrò  ch'ebbe  qupst' op<»ra  netta- contratta  dei  Ci/AiiEi»DON, 
dogli  HuM£ ,  dei  Robbktsqn  ,  ót?i,  GiraoN ,  che  un  veccliio  i^/  Wait 
Poi.E ,  Jqpo  nveila  l«Jla  ,  spedì  a  Livoppool ,  patria  d<'l  Dottore  RoscoE, 
il  iiiigiror  pittore  dì  Londria  ,  scrivendo  all'  Aiilore,  che  la  sua  éta  ed  i  suoi 
incoiiiocfi  1' itn'^erfivàiio  di  iVcarsi  a  Lìvei-pool  per  (Conoscerlo  dr  pfrsonaj 
onde  il  pregava  di  perineltprgli  di  cercarne  il  compenso ,  luedioDlo  il 
ritratto  di  lui,  da  •collocarsi'  onorevolmcnle  nella  sua  Biblioteca. — Mfmoires 
àe  Oii>BON,  t.  I,  ParU  an  V,  cap.  XIV ,  pag,  i5»,  {nota  del  Trtuiuttor* 
Francese).  ''    '      ■  :  .    '     '"-  ■      -' 


140  IMPORTANZA  DI  ACCERTARE  LA  PATRIA   DEL    C," 

rona ,  ed  Urbino,  e  tante  altre  per  rari  ingegni  ccle- 
bratissime.  E  qual  felicità  mai  ne  derivò  alla  Italia  an- 
tica dallo  essersi  a' tempi  de'  Romani  ridotta  sotto  un 
solo  governo ,  ed  in  un  solo  corpo  ?  Prescindo  da'  tor- 
renti di  sangue  Italiano  versato  da'  Romani  per  soggiogar 
i  nazionali  loro.  Operata  che  fu ,  per  cos'i  fattoi  crudel 
maniera ,  la  conquista  di  tutta  1'  Italia ,  ne  furono  forse 
più  felici  ipopoli?  Le  guerre  e  le  conquiste  straniere, 
Siila,  Mario,  i  Triumviri,  e  poi  (dopo  Augusto)  tanti 
Imperadori  malvagi,  quale  forsennato,  qual  furibondo, 
dal  dissimulatore  Tiberio,  infino  a  Comodo  gladiatore, 
ed  allo  osceno  Eliogabalo ,  quale  felicità  poteano  lasciar 
godere  agli  Italiani  ?  Era  l' Italia ,  come  ottimamente 
riflette  Antonio  Cocchi,  la>  piìi  florida  ,  la  più  beata 
parte  del  mondo,  prima  che  il  genio  turbolento  e  ra- 
pace de'Romani  avesse  la  forza  di  guastarla.  E  dopo  che 
le  Provincie  Italiane  passarono  sotto  il  giogo  de'Romani, 

^uagorico.pag.  ppodusscro  forsc  gli  uomini  grandi,  che  aveano  prodotto 
prima  ?  Che  diremo  della  Magna  Grecia  antica  scuola 
de' Pitagorici,  piena  di  Filosofi,  di  Artisti,  tanto  colta 
ab'àhtìcóy  "che  si  crèdefFè  dà  taluni  patria  persino  dì 
Omero?  che  della  Sicilia?  Si  trovano  più  forse  in  Si- 
cilia, dopo  la  dominazione  de'Romani  ,- un '  Teocrito, 
un  Archimede  ?  Osservò  il  succeunato  Cocchi  ,  del  pari 
dotto  Grecista ,  che  valente   Medico    ed  antiquario ,  che 

CI/,  pag.  i3.  quelle  stupende  medaglie  ,  che  sembrano  camei,  scompa- 
iono affatto  a' tempi  Romani  in  Sicilia.  Altre  memorie 
non  si  haano  più  delle  arti  Siciliane,    eccetto  le  rapine 


Cocchi    Villo 


Cocchi,    toc. 


DI  òiAnfrancesco  galeani  napione.  14* 

de' monumenti  antichi  fatte  da  Verre,  ed  in  vece  degli 
encomj  del  niunillco  Cerone,  le  invettive  giustissime  di 
Tullio  contro  il  Proconsole  depredatore.  Che  diremo 
poi  dell'antica  Etruria ,  di  quella  Provincia,  che  nella 
Storia  moderna  è  1' Attica  dell'Italia,  e  porta  il  primo 
vanto  di  coltura  e  d' ingegno  ?  I  Romani  ne  soffocarono 
per  si  fatto  modo  gli  spiriti,  che  ne  andò  spenta  persino 
la  lingua  ;  e  forse  non  ne  avremmo  gli  scarsi  monumenti 
che  ce  ne  rimangono,  se  Mecenate  non  fosse  stato  ori- 
ginario Toscano.  Ogtiun  sa,  che  Orazio  favorito  del 
Ministro,  di  Augusto  pregiava  gli  antichi  cimelj  Etruschi,  u,  norat.uhJi, 
Non  parlo  de' Liguri  sì  antichi ,  sì  estesi ,  sì  famosi,  emuli 
degli  Etruschi,  che  con  tanta  bravina,  e  sì  lungamente 
difesero  contro  i  Romani  la  propria  libertà;  non  delle 
Provincie  dell'  Adria ,  non  delle  altre  dell'  Italia  tutta,  im- 
merse nelle  tenebre ,  e  prima  per  arti  Creche  o  Toscane 
floridissime ,  e  ciò  per  opera  degli  altieri  Romani ,  per 
indole  distruttori,  come  li  chiama  il  Verri,  e  più  illustri  ^^v. Veni.Noui 
che  felici,  se  illustre  chiamar  si  può  chi  per  atroci  fatti 
divien  famoso. 

Quanto  più  degni  di  lode  e  di  riconoscenza  non  sono 
gli  studj  e  le  arti  degli  Italiani  dopo  il  Mille?  quanto 
più  utili  alla  umanità  tutta  ?  quanto  essi  medesimi  più 
fortunati ,  mediante  la  divisione  degli  Stati  tanto  deplo- 
rata da  certuni  ?  Che  sì  fatto  scompartimento  deU'  Italia 
moderna  in  parecchi  Stati  e  dominj  non  abbia  recato 
pregiudicio  alla  felicità  della  Nazione,  è  pienamente  con-  of'ìmi'°oc'?cij 
torme  a  quanto  ne  scrive  con  Inglese  proiondita  il  savio  /./iViVjp.soesj. 


142  IMPORTANZA  DI  ACCERTARE  LA  PATRIA   DEL    C, 

autore  della  Storia  della  Società  civile  Ferguson,  per- 
fettamente adattandosi  il  fatto  colle  speculazioni  sue. 
Troppo  lunga  cosa  sarebbe  il  riferir  quanto  egli  vien 
divisando  intorno  a  questo  particolare  nel  ragionar  che 
fa  della  vera  felicità  delle  Nazioni.  Osserva  egli,  che 
quando  le  Nazioni  sono  ristrette  ad  angusti  confini ,  si 
godono  più  agevolmente  i  vantaggi  di  poter  spiegare  le 
naturali  doti  dell'  ingegno ,  e  di  mettere  in  esercizio  la 
propria  virtù,  veri  pregj  degli  animi  ingenui ,  attivi,  e 
generosi,  nel  che,  a  parere  di  lui,  consiste  l'umana 
felicità.  Biasima  perciò  quel  concetto,  io  cui  si  tiene 
l'Impero  Romano,  la  cui  grandezza  fu  fatale  alla  virtù, 
edalla  felicità  del  genere  umano.  L'emulazione  delle 
Nazioni  procede  dalla  division  loro.  Atene ,  dice  egli 
ingegnosamente,  era  necessaria  a  Sparta  per  farle  dar 
prova  della  sua  virtù,  come  l'acciajo  è  necessario  alla 
selce,  per  mandar  fuori  scintille  di  fuoco;  e  se  le  città 
della  Grecia  fossero  state  unite  sotto  un  solo  capo,  non 
avremmo  inteso  mai  a  parlare  di  Epaminonda,  né  di 
Trasibulo,  di  Licurgo,  né  di  Solone.  Diversi  '  distinti 
e  separati  Governi  danno  campo  di  mostrar  ì'  abilità  , 
ed  aprono  un."  teatro  di  gloria  a  molti.  Ne' piccioli  Stali 
delta  Grecia,  iquasi  in  ogni  villaggio  Irovavansi  tutte  le 
parti  che  formano  una  Nazione.  Ogni  picciolo,  distretto 
era  il  seminario  di  uomini  rarissimi;  e  ciò  che  è  al 
presente  un  angolo  meschino  di  un  grande  Impero,  fu 
il  campo,  da  cui  raccolse  il  genere  umano  la  messe 
più  abbondante  di  glòria;  Che  all'incontro   a   difetto  di 


i 


DI   GIANFRANCESCO    CALEANI    NAZIONE.  ì/fZ 

emulazione   attiibiiiscc   il    Gibbon   la  decadenza  dell' Ini-     Giibon.  hìi». 

ol  dcrt-ij  and  fall 

pero  de' Greci  ne' bassi   tempi.  of  Koum  .mp.. 

•   *■  ^  rhap.  LUI,  I.  X, 

II  ritratto  dell'antica  Grecia  non  è  forse  in  tutto  con-  p-^s-'^^'il- 
forme  a  quello  delia  moderna  Italia  ,  segnatamente  nel 
secolo  iu  cui  nacque  il  Colombo?  L'essere  gli  Sfati  d'Italia 
piccioli  fu  appunto  la  cagione ,  per  cui  gì'  Italiani  sono 
grandi.  Se  le  gare  de'  tralHci  e  del  dominio  de' mari 
tra  Pisani  ed  Amalfitani,  tra  Genovesi  e  Veneziani,  apri- 
rono le  vie  a  formar  cjuel  uomo ,  che  dovea  scoprire  il 
Nuovo  Mondo,  non  fu  piìi  vantaggioso  al  Mondo  tutto , 
non  che  all'Italia,  che  questa  emulazione  tra  que' diversi 
Domiuj  si  eccitasse  ?  Ma  ,  postochè  l'emulazione  è  parti- 
colar  pregio  e  frutto  naturale  di  un  tale  ordine  di  cose, 
a'  Savj  di  ciascuna  Nazione  veramente  amici  degli  uomini, 
premer  dee ,  che  si  mantenga  acceso  un  sì  nobil  fuoco. 
Glie  sarebbe  stata  la  Storia  di  tante  picciole  Nazioni  così 
iustruttiva  e  curiosa ,  se  l' Italia  fosse  stata  riunita  in  un 
solo  corpo?  La  storia  di  Firenze,  che  è  la  storia  di  poco 
più  di  quattrocento  mila  persone,    è  letta  e  studiata  *  da 

*  Grandissima  pratica  delle  Storie  Italiane,  e  non  pur  di  Firenze,  ma  dì 
molte  altre  assai  minori  Citlìi  ha  dimostrato  1'  Americano  Adams  ,  che  fu 
il  principale  Legislatore  degli  Stati  uniti  di  America,  nel  suo  celebre  Libro 
intorno  alla  costituzione  delle  Repubbliche  antiche  e  moderne.  La  prima 
delle  sue  lettere  si  aggira  intorno  a  S.  Marino;  e  di  questo  si  piccolo  Stato 
hanno  pure  scritto  ex  professo  due  altri  famosi  Inglesi,  uno  più  antico, 
cioè  Addison,  l'altro  più  recente,  di  cui  se  ne  trova  uu  buon  estratto 
nella  Biblioteca  Britannica  di  Ginevra.  Aggiungeremo,  che  in  quest'anno 
medesimo  1804,  il  Cavaliere  Melchior  Delfico,  divenuto  cittadino  di  S, 
Marino ,  ne  pubblicò  in  Milano  la  Storia. 


Brpneman,  Dis. 
d.Rt 
»A    e 
Piind, 


1/(4  IMPORTANZA  DI  ACCERTARE   LA   PATRIA  DEL  C, 

oltramontani  colti ,  quasi  come  quella  di  Atene.  Avrebbe 
forse  un  dotto  Olandese  il  Bbekcmanno  scritta  la  Storia 
l'i  ^Tic^Tiiì!'"  dì  Amalfi  per  parlare  appunto  di  uno  Stato  marittimo? 
E  come  mai  si  emuleranno  le  azioni  memorabili  e  grandi 
degli  uomini  preclari  delle  altre  contrade  d'Italia,  quando 
non  si  curassero  punto  le  domestiche  glorie?  Le  Nazioni, 
del  pari  che  le  famiglie  possono  ,  anzi  debbono  pregiarsi 
di  predar  personaggi  segnalati  per  valore,  e  per  eroica 
virtù.  Chi  congiunge  gli  studj  delle  lettere  colla  Scienza 
politica  ben  ravvisa  pertanto  f  importanza  di  poter  van- 
tare per  nostro  paesano  il  Colombo,  sebbeu  da  certuni 
sia  tenuto  questo  in  conto  di  frivolo  soggetto,  e  di 
controversia  oziosa.  Non  cosi  pensava  la  Grecia,  di  cui 
si  favellava  teste ,  che  sulla  patria  di  Omero  ,  come 
ognun  sa,  contese  con  tanto  calore;  controversia  agitata 
sì  lungamente,  e  non  mai  decisa  ,  ed  intorno  a  cui,  ancora 
de^TuHoral'  "^^  sccolo  XVII,  il  dotto  moderno  Greco  Leone  Allacci 
Gr'«c.cr(Jn!""p.  dettò  uu'  Opera  eruditissima  e  voluminosa ,  per  attribuirne 
la  gloria  all'  isola  di  Chio  sua  patria.  Io  mi  lusingo , 
che  quando  saranno  palesi  a' Letterati  imparziali  i  monu- 
menti, che  si  sono  fortunatamente  rinvenuti,  cesseranno 
quelle  intorno  alla  patria  del  Colombo. 


7>S 


DI  OIAMFRANCESCO    G ALBANI    KAl'IONE.  l/^5 

CAPO     III. 


Incertezza  del  luogo  della  nascita  di  Colombo. 


Il  determinare  l'origine,  la  patria,  il  luogo  preciso', 
m  cui  nacque  Cristoforo  Colombo,  sono  divenuti  punti 
intralciati  oltreraodo ,  e  sorgenti  di  questioni  intermi- 
nabili, perchè  quelli,  che  primi  dovettero  parlare  di  questo 
uomo  straordinario ,  o  scrissero  lontani  dall'  Italia ,  od 
ebbero  interesse  di  nascondere  il  vero.  Colombo  istesso 
per  particolari  circostanze  Irovossi  probabilmente  costretto 
a  celare  la  professione  del  Padre ,  e  per  conseguente 
dovette  parlare  oscuramente  del  luogo,  ove  nella  sua 
puerizia  fosse  nodrito,  c]uantunque  della  origine  sua 
illustre,  quando  fece  mestieri,  non  abbia  oscuramente 
ragionato.  E  questa  ultima  particolarità  di  asserir  di  essere 
di  sangue  illustre,  è  degna  di  speciale  considerazione 
in  un  uomo  ,  che  tanto  era  grande  ,  che  non  avea  d'uopo 
di  mendicar  lode  da  una  supposta  nobiltà  di  natali ,  e 
che  altronde  facea  professione  di  una  probità  e  di  una 
sincerità  severa.  Da  tutto  ciò  ne  viene ,  che  maggior 
opera  impiegar  per  me  si  dovrà  in  certo  modo  nel  con- 
futai-e  le  falsità,  sgombrar  gli  errori,  accennarne  l'ori- 
gine, che  non  per  istabilire  il  vero.  Co' documenti  Mon- 
ferrini,  di  cui  da  nessuno  degli  Scrittori,  che  insino 
ad  ora  entrarono  in  questa  controversia  si  fece  uso , 
come  affatto  ad  essi  sconosciuti,  mi  lusingo,  che  agevole 


àeW. 


146   INCERTEZZA  DEL  LUOGO  DKLLA  NASCITA  EC.  GAP.  ITI, 

mi  riuscire  il  mostiare  ad  evidenza,  che  dal  Mouferrafo 
trasse  1'  origine  il  Colombo  ;  ma  mi  converrà  ciò  nou 
pei'tauto ,  o  conciliarli  con  quelli  che  sembrassero  appa- 
rentemente contrari  prodotti  da  chi  sostiene  opinion  di- 
versa, o  mostrare  che  supposti  sieno  gli  aperlamenle 
contrarj.  1    •  ', 

Avanti  ogni  cosa  resta  necessario  esporre    colla  mag- 
gior chiarezza  possibile   lo  stato  della   questione.   Prima 
di  me  peraltro ,  e  per  me  >già  Io  ha  fatto  colla  perspi- 
cuità  sua  propria    il    celebre    Scrittore   della  Letteratura 
Tinb.,sto-ia  Italiana,  il  fu  Abate  Tiraboschi.  Tre  sono  le  principali 

■Uh  Lell.lliil.  ,  '  "^  ' 

••  ^''  p-"^'*  ''  sentenze  intorno  alla  patria  del  Colombo.  Alcuni  il  dicono 

pag.  171.  .... 

Genovese,  e  questi  «i  dividono  tra  di  loro  ,  volendo 
alcuni,  eh' ei  veramente  nascesse  in -Genova,  altri  in 
Savona ,  altri  in  Nervi  nella  riviera  di  Levante ,  altri  in 
qualche  altro  piccolo  luogo  di  quel  Dominio.  Alcuni  il 
vogliono  Piacentino,  e  natio  di  Pradella  piccolo  vil- 
laggio della  valle  di  Nura.  Alcuni  finalmente  il  fauno 
.nato  in  Cuccare,  castello  del  Monferrato,  di  nobile  fa- 
miglia, e  signora  del  Castello  Toedesimo.  Quello  che  è 
più  strano ,  tutte  tre  queste  diverse  opinioni  hanno  per 
loro  fondamento  monumenti  che  sembrano  ,  dice  il  Tira- 
boschi,  incontrastabili.  Io  non  entrerò  qui  ad  esporre 
le  prove  di  ciascuna  di  queste  opinioni,  del  che  mi  oc- 
coi'rerà  di  ragionare  partitamente  altra  volta.  Per  ora 
mi  basti  premettere,  che  le  prove,  che  si  pretende  che 
favoriscano  i Genovesi,  trovansi  in  un  Cemento  di  Tacito. 
stampato  non  prima  dell'anno  1602,  in  cui  le  ha  pubbli- 


t 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  l/^'J 

cate  Giulio  Salinehio  Gimeconsulto  Savonese.  I  monu- 
nienti  de  Piacentini  gli  abbiamo  nella  Storia  di  Piacenza 
del  Campi  ,  che  venne  alla  luce  nell'anno  1662.  Ma 
rispetto  a'Monferrini,  soggiunge  il  Tiraboschi,  non  aver  Tirab./o<-.o.«. 
trovato  scrittore  che  ne  abbia  posto  in  luce  le  ragioni. 
]1  Canonico  Campi  le  ha  recate  per  confutarle;  e  quan- 
tunque da  uno  Scrittore  così  fatto  non  si  possa  sperare, 
che  sieno  state  esposte  nel  suo  vero  ed  imparziale  aspetto, 
se  ne  prevalse  peiò  il  Tikaeoschi  per  darne  qualche 
notizia.  Prende  poscia  il  dotto  e  diligente  Storico  della 
Italiana  Letteratura  a  bilanciare  i  monumenti,  che  pote- 
vano essere  a  lui  noti ,  e  sebbene  propenda  dal  canto  dei 
Genovesi ,  e  procuri  di  conciliare  i  monumenti  loro  con 
quei  de'  Piacentini ,  non  nega  però  che  trovar  si  potes- 
sero più  certe   prove   in  favor   de' Monferrini.   Conchiude     TUab.ioe.cU. 

p.  175, 177. 

m  fine  con  aurea  sincerità ,  e  con  cjuell'  amor  del  vero 
ond'era  animato,  dicendo,  che  avea  esposto  soltanto  ciò 
che  gli  sembrava  più  verisimile  intorno  a  questa  si  oscura 
questione ,  pronto  ad  arrendersi  a  chi  con  monumenti 
più  certi  si  facesse  a  sostenere  qualche  altra  opinione 
diversa.  E  volesse  il  cielo  che  la  morte  non  lo  avesse 
sì  tosto  involato  alle  Lettere,  ed  all' onor  dell'Italia, 
che  potrebbe  esser  giudice  inappellabile  di  quelli ,  che 
avventuratamente  si  sono  ora  rinvenuti  ;  né  io ,  per 
quanto  a  me  si  aspetta,  avrei    mai    ricusato    di  ricono- 

Tlrab. ,  Storia 

scerlo  per  tale,   io  che  il  ritrovai  sì  gentile,    sì  giusto,  Jdiii  Leu. hai., 

,  O  '  o  J    i.rx.gionlep.j. 

e  sì  spassionato  avversario. 
Anche  l'altro   celebre   Estense  Bibliotecaria  il   Mura- 


14B   INCERTEZZA  DEL  LUOGO  DELLA  NASCITA  EC.  CAP.  m, 

TORI ,  nella  prefazione  premessa  a  due  opuscoli  inediti 
di  Antonio  Gallo  ,  il  primo  riguardante  la  storia  di 
Genova,  l'altro  le  navigazioni  del  Colombo,  pubblicati 
la  prima  volta  nella  sua  gran  Raccolta  delle  cose  d' Italia  , 
quantunque  tenga    di    non    leggier  peso    1'  autorità    del 

t.xxiii.p^j'/,  ^'^^'^o,  come  di  contemporaneo,  rispetto  al  dirlo  di 
Nazion  Ligure ,  e  quantunque  noto  pur  gli  fosse 
ciò  che  in  questo   proposito   lasciò  scritto   Bartolommeo 

R.i.t.xxiv,  Senarega,  altro  Scrittor  Genovese  di  que' tempi ,  da 
lui  pubblicato  parimente,  che  a' un  dipresso  si  esprime 
come  il  Gallo  ,  soggiunge  però  non  doversi  trascurare 
quello ,  che  intorno  alla  patria  del  Colombo  ne  ragiona 
in  contrario  Pietro  Maria  Campi,  sforzandosi  di  vendicar 
questo  vanto  a  Piacenza  ;  il  che  tutto  dà  a  divedere  ,  come, 
non  ostante  le  testimonianze  degli  Storici  Genovesi ,  che 
tutti  il  pretendono  loro  nazionale  dietro  la  scorta  del 
Giustiniano*,  non  teneva  con  tutto  ciò  quel  celebre 
Critico ,  al  pari  del  Tiraboschi  ,  la  coniroversia  per 
decisa.  Anche  negli  Annali  d' Italia  si  esprime  in  uà 
modo,  da  cui  appare,  tuttoché  di  volo  soltanto  parli 
Annai.  Jel  CoLOMBo ,  chc  nou  cra  però  ben  chiaro  quale  ne 
fosse  la  patria  precisamente.  Ben  sapevano  que'  due  rino- 
mati Scrittori  della  Storia  politica,  e  della  Storia  lette- 


*  Gli  Annali  di  Genova  del  Giustiniani  furono  stampali  in  Genova 
soltanto  neir  anno  i535.  Il  Salterio  però  fu  pubblicato  nella  medesima  città 
di  Genova  parecchi  anni  prima,  vale  a  dire  uel  i5i6. 


Murai 
all'anno 


DI   GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  149 

rana  d'Italia,  che  chi  vive  ia  paesi  lontani  dalla  sua 
patria  ,  si  chiama  col  nome  di  una  grande  e  conosciulu 
città  vicina  al  luogo  di  suo  nascimento  ;  tanto  più  ,  che  , 
per  lasciar  da  parte  che  il  nome  di  Liguria  presso  gli 
Scrittori  latini  a'  tempi  di  Augusto  comprendca ,  non 
che  il  Monferrato,  ma  gran  parte  del  Piemonte  proprio', 
si  estese  poi  in  appresso  a'  tempi  di  Costantino  e  di 
Giustiniano  sì  ampiamente,  che  Milano  divenne  la  capi- 
tale della  Liguria.  E  cosa  questa  abbastanza  manifesta , 
e  se  ne  trovano  le  prove  nelle  opere  di  antica  Geografia 
del  nostro  Jacopo  Dubandi.  Ma ,  perchè  non  potrebbe 
forse  appagare  i  Genovesi  1'  autorità  di  quel  dotto  nostro 
Geografo  ed  Antiquario,  mi  servirò  di  quella  dell'eru- 
dito e  colto  Antiquario  loro,  l'Abate  Gaspare  Luigi 
Oderico.  Ad  o":ni  modo,  a' tempi  del  Petrarca,  il  Pie-  ,.oaenco,uti. 

o  '  i  '  ligustiche,    Ictt 

monte  istesso  in  Latino  idioma  dicevasi  L/^M/v'a,  Parlando  ^"«^"'• 
egli   del  fiume  Po  nella  traduzion  sua  Latina  della  novella 
del  Marchese    di  Saluzzo    del  Boccaccio ,  dice  che  divi-  u^fll^'ì^^^' 
deva   la  Liguria  ;   e  sin  nel  secolo  XVI ,  traducevasi  Li- 
guri per  Genovesi.  Il  Bonacciuoli    traduttore  applaudito     b^„,„  ,^j 
di  Strabone,  dice   i  Taurini  di  nazione  Genovesi;  e  Li-  g^^\"^;',|'/°*' 
gure    vien    detto    il   Santo  Pontefice    Pio    V    nella    sua  logia 'de'p«ratì 
iscrizion  sepolcrale  che  è  nella  Basilica  di  S.  Pietro   in    '*'"''^' 
Roma ,   sebben  nato  presso  Alessandria. 

Oltre  a  tutto  ciò,  particolari  relazioni  passavano  tra 
il  Monferrato  e  Genova  a'  tempi  del  Colombo.  Andavano 
a  pigliar  soldo  ,  dice  l'  Abate  Denina  ,  ed  esercitar  sopra     Denina.Rivoi. 

•     T  •  /->  •  •  d'Iialia,  1.  li,  p. 

1  legni  de'  Genovesi  così  la  marineria ,    come  la  merca-  4»»- 


l5o   INCERTEZZA  DEL  LUOGO  DELLA  NASCITA  EC.  CAP.  HI, 

tura  molti  uomini  delle  Langhe ,  della  provincia  del 
Mondovì  e  del  Monferrato  ;  ed  è  cosa  fuori  di  contro- 
versia, che  sin  dal  secolo  X,  nel  famoso  Diploma  di 
Ottone  Imperadore  in  favor  di  Aleramo  ceppo  dei 
Marchesi  del  Monferrato,  si  concede  a  quel  Principe 
quel  tratto  di  paese,  che  chiamasi  al  presente  Riviera  di 
Genova ,  e  che  nel  governo  di  quella  Città  grande  in- 
fluenza aveano  essi  Marchesi.  V  ha  di  più  nel  secolo  XV , 
vale  a  dire  nel  secolo  di  Colombo  ,  furono  veri  Sovrani 
di  Genova.  Difatti,  nel  14*^9»  secondo  che  narra  l'esatto 
nica  del Mouf. ,  Crouista  BENVENUTO   di  S.  Giorgio,    la  parte  Ghibellina 

p.  198,  e.ìiz.  di       ^ 

Tot. in  4.01780.  di  Genova,  che  erano  Spinoli  e  Doria  ,  cacciato  il  Go- 
vernator  Francese,  introdussero  nella  Città  il  Marchese 
Teodoro  con  le  genti  d'  arme  e  fanterie  sue.  Constituito 
egli  Principe  di  Genova ,  fu  da  Facino  Cane  valoroso 
Condottier    Monferrino    sconfitto  sopra  la  Fraschea  nello 

«H'p^ioi'èKg.  Alessandrino     Bucicaldo   Governator    di    Genova    per    lo 

Re  di  Francia,  e  Monsignor  della  Fajetta  nelle  Langhe, 

per   lo  che  se  ne  ritornarono  in  Francia,   ed  il  Marchese 

Princepicip^i-  Teodoro  rimase  Signore  della  Città;    ne   ottenne  il  do- 

sarius  Tinp.  Gc,  ,      ,  •  •  -r  * 

nua:  ei  or<^  Li.  mmio,     c    Dcr  tale    fu  riconosciuto  dall'Impero.    Anche 
laruciuntiasupé  uelf  auDO    1 4 1 -^ 5   «sso  Marchcsc  Teodoro,   e  come    Mar- 

nonU  Imp.  sur  "^ 

cap.''vi'i'r^i"i  '  f^'i^se  di  Monferrato,  e  come  Vicario  Imperiale,  si  portò 
?7«8.^'  ''^'"'''  come  Sovrano  in  Genova,  riformandone  il  Governo, 
sia  in  ciò  che  riguardava  la  creazione  del  Dogo ,  sia 
rispetto  al  reggimento  di  essa  Città.  Qual  meraviglia 
adunque ,  che  un  Monferrino  ,  nato  in  picciolo  castello 
dciDomioj  del  Marchese,  in  lontana  contrada,  Genovese 


I 


DI   GIANFRANCESCO    CALEANI    KAPIOME.  l5l 

si  nominasse?  anche  il  Tasso,  in  più  luoghi  delle  opere 
sue  chiamasi  Napolitano ,  benché  nato  in  Soreato ,  e  di 
padre  Bergamasco. 

Non  ostante  adunque ,  che  da  Pietro  Martire  d'  An- 
ghiera  Scrittore  Italiano,  che  a' tempi  della  jcoperla 
del  Nuovo  Mondo  trovavasi  in  Ispagua ,  sia  detto  il  Co- 
lombo Ligure ,,  e  Ligure  o  Genovese  dagli  Storici  Ge- 
novesi, io  dico,  che  incerto  tuttora  è  il  luogo  preciso 
dov'  ei  nascesse.  Già  venne  avvertito  dal  Campi  ,  che  ed 
il  Sabellico,  e  Rafaelj.0  da  Volterra ,  e  Giacomo  Filippo     campi ,  dm. 

,       T,  c       •  1.  •  !!•         islor.  Circa  la  pa- 

da  Bergamo  ,  oci'ittori  vicinissimi  a  tempi ,  non  lo  chia-  tria  di  crisiof. 

Colombo,  in  fine 

mano  Genovese;  che  neppiir  tale   lo  chiama  Papa  Ales-  ^ci  t.  iii  deii» 

'  "^  *■  "■  Sicria     uDiTcrs. 

Sandro  VI  nella  Bolla,  in  cui  fa  menzione  di  lui;  che  d»  Pi««nia- 
Leandro  Alberti,  nel  ricordare  gli  uomini  illustri  di 
Genova,  e  specialmente  i  valorosi  Capitani  di  mare  , 
niun  cenno  fa  del  Colombo,  cui  avrebbe  dato  il  più  ono- 
revol  luogo,  se  lo  avesse  creduto  Genovese;  che  la  S'tessa 
avvertenza,  di  non  dirlo  tale,  usarono  il  Pamgabola  ,  il 
Boterò,  il  Boccalini,  cui  potevasi  pure  aggiungere  il 
Tasso  ,  che  il  disse  un  uom  della  Liguria ,  che  in  lin- 
guaggio poetico ,  sì  ampio  tratto  di  paese  comprendea. 
Osserva  quindi  il  Campi,  che  le  varie  opinioni,  che  in- 
■torno  alla  patria  di  lui  si  aveano  in  Jspagna  meatre  ei 
visse,  dimostrano,  che  di  questo  si  era  sempre  stato  ia 
dubbio,  non  avendo  mai  il  Colombo  voluto  dichiarare, 
se  veramente  fosse  egli  nativo  di  Genova  ,  di  qualche 
luogo  della  Riviera ,  o  di  qualche  altro  paese ,  onde 
conchiude,  che  gli  Autori  stranieri,  quantunque  uomini 


:t,;  :«o 


ì5'2      INCERTEZZA  DEL  LUOGO  DELLA  NASCITA  EC,  CAP.  IH, 

gravi ,  senza  pensare  più  oltre,  presfarono  troppa  fede 
alla  asserzione  degli  Scrittori  Genovesi.  Tra  questi  Storici 
stranieri  non  si  vuole  annoverar  il  celebre  Robertson  , 
il  quale,  sebben  non  abbia  toccato  che  di  volo  questo 
punto  nella  sua  Storia  di  America  ,  dice  però ,  che  si- 
nora noto  non  era  il  luogo  preciso  della  sua  nascita  ; 
ma  non  mette  in  dubbio  che  fosse  di  nobile  Famiglia,, 
tuttoché    venuta   per  le  disgrazie  in  basso  stato*. 

CAPO    IV. 

Dimostrasi  che  il  Colombo  non  Jìi  Genovese. 


Stimo  pregio  dell'  opera  esporre  le  ragioni ,  per  via 
di  cui  si  fa  manifesto,  che  il  Colombo  non  fu  Geno- 
vese, prima  di  divisar  partitamente  quelle  tutte,  che  deb- 
bono convincere  ognuno ,  che  fu  egli  Monferrino-  E 
primieramente  assai  valido  argomento  ,  a  mostrar  che 
nato  ei  non  sia  in  Genova,  si  raccoglie  da  quanto  in- 
torno al  luogo  del  suo  nascimento  ne  scrive  il  figliuol 
suo  Ferdinando.  Nervi ,  Cogoreo  ,  Bugiasco ,  tutti  piccoli 
Fcrd.  Colombo,  luoghi  prcsso    la  città  di  Genova,    erano  le  Terre,  se- 

•ap.  I.  . 


ni   m 


*  «Neither  the  time,  nor  place  ofhis  birth  (  Of  Columbus)  areKiiowo 
«  wilh  certenily,  but  he  was  descended  of  an  honorable  fatnily,  ihongh 
»  reducrtl  to  indigence  by  vàrioiis  misforiuhes.  » 

Robertson  ffisiory  of  America  Book  II ,  p.  70,  t.  I,  Basii.  1790, 


I 
I 


DI  GIANFRAKCESGO    GALEANI    NAPIOKE.  i53 

eondo  che  ei  dice ,  che  additavano  coloro  che  in  certo  modo 
pensavano  di  oscurar  la  fama  di  lui;  mentre  altri,  che 
volevano  esaltarlo,  il  dicevano  Savonese,  Genovese ,  ed 
anche  Piacentino.  A  nessuna  di  queste  asserzioni  aderisce 
pelò  Ferdinando,  soggiungendo,  che  quanto  fu  la  per- 
sona del  padre ,  secondo  che  a  Dio  piacque ,  adorna  di 
tutte  quelle  doti,  che  convenivano  a  sì  gran  fatto,  tanto 
volle  che  men  fosse  conosciuta  e  men  certa  la  sua  patria. 
Ed  è  notabile,  che  ciò  si  asserisca  da  D.  Ferdinando, 
mentre  altrove  reca  alcuni  rozzi  versi,  con  cui  Barto- 
lommeo  Colombo,  fratello  di  Cristoforo,  presentò  al  Re  stor.  diFft* 
Enrico  VII  d'Inghilterra  un  mappamondo  (che  forse  °'"^' 
fu  il  primo  che  vide  la  patria  di  Neutone),  ne' quali 
versi  chiamasi  Genovese.  Dal  che  s'inferisce  chiaramente 
come  fosse  cosa  consueta,  che  nelle  straniere  rimote  coi> 
trade  si  chiamassero  Genovesi  que'  Lombardi ,  che  in 
Genova ,  o  nella  Riviera  attendevano  all'  arte  marina- 
resca; non  tenendo  conto  Ferdinando  di  questa  appa- 
rente contraddizione  (quando  corrotto  ed  interpolato 
non  sia  quel  luogo,  come  pretende  il  Campi)  perchè  da  campi  d;<c. 
tutti  ben  sapevasi  allora ,  che  il  Colombo  non  erfi 
Genovese. 

Un'altra  considerazione,  che  tralasciar  non  si  dee  di 
fare ,  si  e ,  che  gli  Storici  Genovesi  asseriscono ,  che  il 
Colombo,  alla  Repubblica  di  Genova^  come  a  sua  patria, 
proponesse ,  prima  che  agli  altri  Potentati  di  Europa , 
l'impresa  della  scoperta  del  Nuovo  Mondo.  Eppure  il 
figliuolo  di  lui,  in  quella  parte  delle    sue  Storie,   dove 

20 


l54       IT.  COLOMBO  KON  FU  GENOVESE  ,  CAP.  IV, 

così  minntamente  descrive  le  lunghe  pratiche  fatte  dal 
Padre  nelle  Corti  di  Portogallo,  di  Castiglia,  di  Francia 
e  d' Inghilterra  per  ottener  che  si  ascoltasse  e  si  met- 
tesse ad  effetto  il  suo  disegno,  di  questa  proposta  fatta 
a'  Genovesi ,  non  tocca  né  punto ,  né  poco.  Anche  il  col- 
tissimo e  diligente  Storico  delle  Indie  Gio.  Pietro  Maffei 
non  parla  di  questa  esibizione .  che  si  pretende  fatta  da 
Colombo  a' Genovesi,  anzi  espressamente  scrive,  che  ne 
«Tmiisn/fom-  fccc  la  proposta  prima  d'ogni  altro  al  He  di  Portogallo. 
ycxpcdJllasii':'!?  Non  HC  parla  nemmeno    nel  luosro  già  accennato  delle 

3o  tei.  Maffei,    t)     i       •         •  •  t.  o         o 

Hisi.  Indie,  lib.  Relazioni  sue  il  nostro  Boterò,    sebbene,    come    quegli 

I,  p.  33  ,  colon.  _ 

'^so-  che  era  informatissimo    delle    cose    del  Mondo  ,    ed    in 

ispecie  di  quello  che  risguardava  la  Spagna,  e  l'Italia, 
ne  avrebbe  dovuto  aver  contezza.  Ma  quello  che  è  piìi, 
il  Gallo  ,  ed  il  Senarega  ,  i  due  Scrittori  Genovesi 
pili  antichi  che  parlino  del  Colombo  intorno  a  questa 
proposta  da  lui  fatta  al  Governo  di  Genova ,  serbano  il 
più  alto  silenzio,  cosa  che  dee  rendere  molto  sospetta 
la  fede  de'  posteriori  Storici  Genovesi ,  anche  in  altre 
particolarità  concernenti  il  Colombo. 

A  dimostrar ,  eh'  egli  non  possa  essere  Genovese  fa 
modo  nessuno,  ragioni  assai  stringenti  si  allegano  dal 
Campi.  Vero  è ,  che  il  Giustiniani  ne'  suoi  Annali  recati 
H;si.p.2:7e<iivi  dal  Campi  asserisce,  che  il  Colombo  lasciò  per  testa- 
l^y' '•■'"  "°°  mento  all'Ufficio  di  S.Giorgio  di  Genova  la  decima 
parte  delle  sue  entrate  ,  ma  non  si  vede,  soggiunge 
egli,  che  il  mentovato  Ufficio  abbia  fatto  conto  di  tale 
supposto    legato,    ne    dato    opera   per  conseguirlo.   Anzi 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  l55 

osserva  all'  iuconiio,  che  D.  Ferdinando  Colombo  dice 
chiararneutc,  clic  i  Genilori  dtll' Ammiraglio  erano  di 
Lombardia,  non    di  Genova,  né  della  Liguria,  e  ridotti    sior..iin.Fer- 

dia.  Col.  cap.  » 

in  basso  stato  per  le  guerre  e  parzialità  di  Lombardia. 
Billette  in  oltre  esso  Campi,  che  D.  Ferdinando  venne  in 
Ita  ha  Ira  Tanno  i535,  in  cui  usci  alla  luce  la  Cronica  del 
GivSTiNiANi ,  ed  il  i53g,  in  cui  morì,  e  che  allora  non 
esistevano  iu  Genova  le  Sciitture  allegate,  che  si  vuole 
che  provino  il  Colombo  Genovese.  Senzachè,  non  solo 
non  si  mostrò  sollecitudine  veruna  da' Genovesi,  per 
esigere  come  è  detto  l'opulento  supposto  Legato,  ma 
non  si  fecero  parti  per  mostrar  che  lo  Scopritor  delle 
Indie  fosse  Genovese,  e  neppur  ciò  si  fece,  qualora, 
n^atieala   la  linea  dei  discendenti  maschj  di  Colombo,  si 

.         r  •     /->  T     /->  Campi  loe.cit. 

mossero  dopo  il  1072  1  Colombi  di  Guccaro  a  promo-  p.  ^^sustg- 
vere  le  ragioni  loro  in  Ispagna.  Di  questo  Testamento, 
e  Scritture  accennate  dal  Campi  occorrerà  di  parlar  più 
di  proposito  a  luogo  opportuno.  Ad  ogni  modo  degno 
è  di  speciale  considerazione  il  vedere ,  che  D.  Ferdi- 
nando ignorava  in  qual  parte  precisamente  della  Lom- 
bardia fosse  nato  il  Padre,  cosa  che  dee  parer  nuova, 
ma  che  non  è  peiò  raen  vera,  qualunque  fosse  il  mo- 
tivo, per  cui  Cristofoi'o  volle  serbare  su  questo  punto  sì 
alto  silenzio.  D.  Gonzalo  cV  Oviedo,  che  serviva  da  Paggio 
nella  Corte  di  Spagna,  e  vide  i  primi  Indiani,  che  dopo 
la  scoperta  di  America  vi  furono  dal  Colombo  condotti, 
avea  notato  nella  sua  Storia,  che  Cristoforo  Colombo, 
per  quanto  avca  egli  inteso  da  uomini  della  ISazion  sua. 


ìo6  IL   COLOMBO   NON  FU    GENOVESE,    CAP.  IV, 

fu   della  Provincia  della  Ligiuia ,  di  cui  Genova  e  Capo; 

che  alcuni   il  dicevano  di  Savona  ,    altri    di    un  piccolo 

villaggio  detto  Nervi,  ma  per  più  certo  tenersi,  ch'egli 

OTicjD.sior.  fosse  di  Cugurco;  ma  non   dicendo  l' Oviedo,    nulla   di 

afUelud.lib.ll,        .,  .    . 

cap. Il  nella Rac.  piu  Dositivo  qucsfo  nou   CPa  il  caso  di  Ferdinando.  Egli 

rfelKamiiuui.lJI,  .  . 

foi.  64r.f  non  vide  i  Commentar]  delle  cose  Genovesi  di  Antonio 
Gallo  ,  e  di  Bartolommeo  Senarega  ,  che  il  vogliono 
Genovese ,  perciocché  questi  andavano  attorno  manoscritti, 
ed  uscirono  soltanto  alla  luce  nella  gran  Raccolta  del 
Muratori.  Vide  bensì  il  figliuolo  di  Colombo  gli  An- 
nali di  Genova  di  Agostino  Giustiniani,  che  lo  fa  nascere 
di  Padre  plebeo  Genovese,  tessitor  di  panni  di  lana, 
e  vuole ,  che  in  arte  meccanica  lo  stesso  figliuolo  si  fosse 
adoperato  ;  ma  per  aver  trovato  quello  Storico  in  con- 
traddizion  con  se  stesso ,  non  gli  prestò  fede.  Stimò 
adunque,  per  chiarirsi  del  vero,  di  venir  in  Italia.  Ap- 
prodato in  Genova  un  figliuolo,  com'  egli  era  del  più 
rinomato  uomo  della  età  sua,  per  mille  rispetti  rag- 
guardevolissimo, non  vi  potea  vivere  sconosciuto,  e  si 
ha  ragion  di  credere,  che  venisse  ricevuto  a  grande  onore, 
e  festeggiato  da  tutti.  Non  si  poteva  ignorare ,  eh'  egli 
erasi  recato  a  Genova  per  cercar  1'  origine  di  suo  Padre. 
Come  adunque  non  si  trovò  quivi  chi  gli  togliesse  in- 
torno a  questo  particolare  ogni  dubbio ,  ricorrendo  ai 
Registri  pubblici ,  o  valendosi  della  tradizione  in  cosa 
di  fresca  data,  e  che  esser  poteva  ancora  nella  memoria 
degli  uomini;  e  mentre  poteva  essere  ancora  in  vita 
taluno  ,  che  avesse  conosciuto  Cristoforo  stesso?    Questa 


.DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONEJ^  1^7 

era  la  maggior  cortesia  ,  che  usar  se  gli  potesse  ,  sapen- 
dosi ,  che  per  questo  solo  fine  intrapreso  avea  sì  lungo 
viaggio.  Nessuno  però  il  fece,  e  la  ragion  si  è,  che 
Cristoforo  non  era  nato  in  Genova,  e  che  punto  non 
avea  che  fare  co'  Genovesi. 

Nessuna  adunque  delle  carte,  che  tanto  tempo  dopo 
vennero  messe  in  campo,  e  che  poteano  sciogliere  la 
questione  ,  allora  si  produsse.  Eppure  i  Genovesi,  che 
furono  sempre  amantissimi  di  tutto  quello  che  può  tor- 
oare  in  decoro  e  splendore  della  patria  loro,  se  le  aves-' 
eero  avute  per  le  mani,  non  avrebbero  al  certo  trascu- 
rato cosa  veruna  per  convincere  Ferdinando ,  che  la 
gloria  di  aver  dato  i  natali  a  Cristoforo  ,  ad  essi  intera- 
mente apparteneva.  iAnzi  si  vuol  credere,  che  se  fosse 
constato  loro ,  che  Cristoforo  fosse  nato  in  qualche  vil- 
laggio del  Dominio ,  avrebbero  nondimeno  tirato  alla 
Capitale  tutta  la  gloria.    Non  avendo  Ferdinando  potuto 

„  ,  ,  .      .  .  ,      .  Slor.  ai  Feri 

rintracciare  m  Genova  alcun  chiarmiento,  si  recoinCoi.cap,  ii. 
Cogoreo.  Procurò  di  aver  contezza  di  due  fratelli ,  che 
erano  i  piìx  agiati  di  quel  Castello ,  "  e  si  diceva  ,  che 
erano  alquanto  suoi  parenti  ;  ma  essendo  giunti  que- 
sti ad  una  vecchiaja  estrema,  non  furono  in  grado, 
per  aver  perduto,  secondo  è  verisimile  in  quella  de- 
crepitezza, la  memoria  d'ogni  idea  passata,  di  dargli 
alcuna  notizia.  Non  accenna  Ferdinando  di  esser  passato 
alla  vicina  terra  di  Nervi ,  od  a  Savona ,  dove  alcuni 
pretendevano  che  fosse  nato  il  Colombo.  Ma  quand  an- 
che uoa  lo  abbia  fatto,  i  pareuti  suoi,  se  ne  avesse  avuti 


l58  Il4.;COLOMBO   NON  FU    GENOVESE,    CAP.  IV, 

in  quelle  parti ,  sarebb^no  accorsi  cplla  speranza  di  qa- 
varne  vantaggio  ed  onore ,  facendosi  conobcere  congiunti 
di  saqgue  con  un  personaggio  di  sì  alto  stato;  perlochè 
Ferdinando  lasciò  la  Ligwia  senza  avervi  ritrovalo  la 
patria  di  suo  Padre,  ed  in  quésta  incèrtezzza  éi  rimase, 
ancorché  avesse  egli  veduti  gli  Annali  di  Genova  del 
Giustiniani,  dove  aveva  trovalo  scritto  a  chiare  note,  e 
senza  esitazione  veruna,  che  Cristoforo  er»  nato  in  Genova. 
SeilCoLOMBo  nato  fosse  in  Genova, :pd  in  alcun. lMOg,o^ 
della  Riviera ,  i  Genovesi  amantissimi ,  come  dissi  ;  di"  tutto- 
quello,  che  può  tornare  in  decoro  e  splendore  della  patria 
]oro,  non  avrebbono  tardato  ad  innalzare  qualche  pubblico 
monumento,  che  ne  asaicurasse  tutta  la  posterità,  come 
praticarono  per  altri  Personaggi  di  minor  fama.  Vero  è,, 
che.  nel  palazzo  Ducale  di  Genova  scorgesi  una,  dipin- 
tura, che  rappresenta  Cristoforo  Colombo  ,  che  arriva  in 
y  La  Lande.  ■^'"^"''^  >  €  vì  pianta   la  Crocc  ;    ina    l'opera    è   affatto 

k  v'iiif''^''*"'^'  naòderna ,  cioè  del  Pittore  Napolitano  Soluvi^ne,  m,aii<?^to 
di  vita  non  ancora  sessant'anni  soqo  passati.  Il  troppo 
rerente  monumento  dà  chiaramente  a  divedere  ,  che  upn 
nacque,  e  non  si  radicò  siffatta  opinione,  che  loro  nazio- 
r\ale  fosse  il  Colombo,  se  non  se  insensibilmente.  Sa- 
rebbe più  favorevole  per  essa,  che  il  quadrp  accennato, 
iii  vece  di  essere  lavoro  del  pennello  del  moderno  Pittor 
Napolitano,  il  fosse  stato  di  quel  nostro  Pittor  Nizzardo 

sopran'i  prrJùii  t'odovico  Bbea  ,  il  quale ,  secondo  che  scrive  il  Soprani 

LcinrijS'or   pi(.  ..  i»r^'  •  •  .•  •  •    ,\      *    r         i  •• 

diiai.i.iu.pag.  neJle  vite  de  riltori  suoi  compatriotti,  gitlo  i  lonaamcnti 
della  Scuoia  Pittorica  Geaovcse  in  quegli  anni  appunto, 


■  -'         DI   CIANFRANCESCO    CALEANI    NAPIOKEJ  iS^ 

in  cui  il  nostro  Monfcmno  Colombo  facea  la  scoperti 
del  Nuovo  Mondo;  rara  fatalità  di  queste  nostre  con- 
trade, che  alle  altre  Nazioni  più  che  a  noi  riescano  van- 
taggiosi gli  uomini  grandi,  che  produssero;  e  che,  di 
ciò  non  paga  l'avversa  fortuna,  un  concorso  di  circo- 
stauze  nemiche  farcia  si,  che' non  rade  volte  se  ne  tras- 
curi, e  se  ne  perda  per  sì  fatta  guisa  la  memoria,  che 
coir  andar  del  tempo  ci  venga  persino  contrastato  il  vanto 
di  averli  prodotti.  JJ^nig 

IflJ,  il)    ol-iTii), 

CAPO     V. 

Congetliire    intorno    ai  motivi,   per  li  quali  restarono 
nella    oscurità    la  projessione ,  ,. e  la  residenza    dei  -, 

Genitori  di  Colombo^ 

Strano  sembra  a  buona  ragione  all'  Abate  TiRABOscHr,  xirab.,  swr. 
che  un  uomo  uscito  d'  illustre  Famiglia  ,  e  venuto  in  Joc.civ.p^ijs, 
grande  onore,  abbia  lasciato  ignorare  al  suo  figliuolo 
vissuto  lungamente  con  lui ,  da  quale  stirpe  egli  nascesse. 
Di  ciò,  crede  il  Tiraboschi,  che  non  si  ritrovi  esempio. 
Se  il  Colombo  fosse  stato  dell'  antica  e  nobile  Famiglia 
de'  Colombi  Feudatarj  di  Cuccaro ,  ei  non  avrebbe  occul- 
tata la  sua  origine,  né  Ferdinando  di  lui  figliuolo  ne 
sarebbe  rimaso  all'  oscuro.  Ma  replicar  possiamo  al  Tira- 
boschi  ,  che  né  Ferdinando  visse  lungameùte  con  Cristo- 
foro suo  Padre,  nò,    se   si  considera  bene  ,-  il    Padre  il 


l6o  CONGETTURE  INTORNO   Al   MOTIVI    EC. ,    GAP.    V, 

lasciò    al   bujo    della   origino  sua,    della   stirpe,    e,  dcHà 

condizione  e  stato  de' suoi  proprj   Genitori,  e   del  modo 

in  cui  egli  fosse  stato  nodrito  ne' primi  suoi  anni. 

Elogio  di  Col.       Passò  ad  altra  vita  Cristoforo   Colombo   in  tempo,   iit 

pfXnomcl"',  cui  Ferdinando  suo  figliuolo   non   potca   contare  più    di 

«1    ivi    H.rrcra  ,       .  . 

itc.i.hb. i,c.;.  sedici  anni  circa,  ond  egli  dice,  che  di  molte  cose  ap- 
partenenti al  Padre  non  avca  piena  notizia:  perciocché 
venne  a  morte  in  tempo,  eh' egli  non  avea  tanto  ardire , 

Cofca  ""iv "''■  "^^  pratica  per  la  riverenza  filiale,  che  ardisse  dì  richie- 
derlo di  tali  cose;  e  soggiunge,  che,  per  parlar  più' 
veramente ,  si  trovava  come  giovane  molto  lontano  da; 
sì  fatti  pensieri.  Ciò  non  ostante  egli  stesso  accenna, 
che  il  Padre  di  lui  traeva  l'origine  sua  dì  sangue  illustre, 
ancorché  i  Genitori  del  medesimo,  per  malvagità  delia 
u.ihid.c.i.  fortuna  fossero  venuti  in  grande  necessità  e  hisoguo. 
Prosegue  poi  Ferdinando  dicendo  ,  che  avendolo  Iddio 
Signor  nostro  destinato  a  sì  gran  cosa ,  quale  fu  lo  sco- 
primento del  Nuovo  Mondo ,  volle  che  imitasse  lui  me- 
desimoj  che,  essendo  i  suoi  maggiori  del  regal  sangue 
di  Gerusalemme ,  gli  piacque  che  i  Genitori  suoi  fossero 
iQL\eQ  conosciuti.  Lo  stesso  replica  altrove  dicendo,  che 
essendo  i  Genitoi'i  di  Cristoforo  ridotti  in  povertà,  nou 
avea  trovato  come  vivessero  ed  abitassero,  recando  però 
una  lettera  del  Padre,  dove  dicea ,  che  il  traffico  dei 
medesimi  era  sempre  stato  per  mare.  Dal  che  tutto  parmì , 
che  inferir  se  ne  debba,  che  il  Padre  fosse  mercatante, 
e  che,  siccome  portava  la  profession  sua,  ora  in  un  luogo, 
ora  in  un  altro  abitasse.  La    qual  congettura  the  mcrca- 


ld.MJ.r.lì. 


i 


DI   GIAN    FRANCESCO    GALEANI   NAPIONE.  iGl 

fante  ei  fosse  ci  vicue  allorzala ,  non  tonto  dal  dirsi  dal 
Senarega  e  dal  Gallo  ,  che  il  Padre  di  Colombo  atten- 
desse air  qrte  della  lana,  quanto  da  due  riscontri,  die 
abbiamo  da  Fiìrdikamjo  medesimo.  Il  primo  si  è  la 
maniera ,  con  cni  si  spiega  parlando  delle  ricerche  fatta 
da  lui  intorno  all'origine  del  Padre,  dove  soggiunge 
aver  per  meglio,  che  tutta  la  gloria  a  lui ,  ed  agli  altri 
della  Famiglia  ,  ne  venisse  dalla  persona  di  Cristoforo  , 
che  andar  cercando  se  fosse  mercatante  il  Padre  di  Cri- 
stoforo, o  se  andasse  alla  caccia  con  falconi,  vale  a 
dire  se  signorilmente  vivesse  da  Gentiluomo.  L'altro 
riscontro  si  è  quella  lettera  di  Cristoforo  stesso,  accen- 
nata dal  figliuolo  di  lui ,  scritta  ad  una  Dama  primaria 
della  Spagna  ,  vale  a  dire  alla  Nutrice  di  D.  Giovanni 
di  Castiglia,  in  cui  asserisce,  che  non  era  egli  il  primo 
Ammiraglio  di  sua  Famiglia;  e  soggiunge,  elicgli  met- 
tessero pure  il  nome  che  avrebbono  voluto:  che  in  ul- 
timo Davidde  Re,  era  stato  prima  guardiano  di  pecore, 
e  poscia  Re  di  Gerusalemme.  Dal  che  tutto  si  raccoglie , 
che  tanto  il  Padre  come  il  Figliuolo  fossero  persuasi, 
che  la  Famiglia  ond' erano  usciti  fosse  chiara  ed  illustre, 
ma  che,  caduti  i  Genitori  di  Colombo  in  basso  sfato, 
avessero  dovuto  attendere  ai  traffici,  e  che  dagli  invi- 
diosi e  maligni  rivali,  che  ebbe  Cristoforo  ,  gli  venisse 
rinfacciata  tale  professione,  contraria  al  viver  cavalle- 
resco; sebbene  di  Gentiluomini,  che  non  si  studiano 
di  sostener  co'  lodevoli  fatti  il  pregio  del  sangue ,  mi- 
gliaja  ne  furono  in  ogni  contrada ,   secondo  che  si  espri- 

21 


n.iUi.e.lT. 


1^2     CONGETTURE  INTORNO  AI  MOTIVI  EC,  CAP.  V, 

me  Ferdinando,    Ja  cui  memoria,   al   terzo  giorno   dalla 
morte   loro ,  fra  loro  slessi  parenti  e    vicini  mancò. 

La  ragione  pertanto,  per  cui  io  sou  d'avviso,  che 
tanto  dal  Padre,  come  dal  Figliuolo  stesso  si  bramava, 
•che  non  si  sapesse  dove  trattenuto  si  fosse  il  Genitore 
di  Cristoforo,  altra  non  era,  se  non  se  il  temersi  non 
forse  venisse  in.  chiaro ,  che  era  stato ,  come  ben  da  essi 
si  sapea ,  mercatante;  e  che,  essendo  molto  più  agevole  il 
ritrovar  come  vivesse  il  Genitor  di  lui  venuto  iu  basso 
stato,  come  cosa  recente,  che  non  l'origine  illustre  della 
Famiglia  ne'  tempi  trapassati ,  amavano  meglio  stendere 
sopra  ciò  un  velo,  non  negando  da  un  canto  la  povertà 
del  Genitor  di  Colombo  ,  ed  accennando  dall'  altro  la 
nobiltà  del  Casato,  e  gli  uomini  grandi,  che  ne' tempi 
andati  avea  prodotto.  L'aver  poi  Cristoforo  Colombo 
sposalo  iu  Portogallo,  ne' primi  tempi,  in  cui  trovavasi 
colà,  una  Gentildonna  d' illustre  condizione  ,  mentre  era 
egli  ancora  in  mediocre  stato  di  fortuna  e  di  onori,  è 
non  lieve  argomento,  che  non  solo  fosse  egli  pure  di 
chiaro  sangue,  ma  per  tale  riconosciuto  in  Lisbona.  Che 
se  alcuno  la  cagion  chiedesse,  per  cui  il  Colombo  dovesse 
avere  ribrezzo  di  confessare  ingenuamente,  che  il  Padre 
suo,  per  campar  la  vita,  fosse  stato  costretto,  tuttoché 
di  nobile  stirpe,  a  darsi  alla  mercatura,  professione, 
a  que' tempi,  ed  anche  per  interi  secoli  dopo  il  Colombo, 
in  Italia ,  e  segnatamente  in  Genova ,  onoratissima ,  per 
modo,  che,  non  solo  Gentiluomini  primarj ,  ma  di  piij , 
personaggi  s'i  grandi ,  che  potevano  considerarsi  di  con- 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    NAriONE.  l65 

dizione  principesca ,  come  furono  un  Cosimo,  un  Lorenzo 
De'-Medici,  si  pregiavano  del  titolo  di  mercatanti,  se 
falun  ciò  mi  chiedesse,  gli  risponderei,  che  troppo  in- 
torno a  questo  particolare  erano  diverse  le  idee ,  troppo 
i  costumi  diversi,  e  le  opinioni  in  Cartiglia,  ed  in  tutta 
Spagna.  Crisloibro  Colombo  dovette  in  Ispagna  tra  quei 
Gentiluomini,  che  nuli' altro  spiravano,  che  cavalleria, 
per  conservarsi  quel  nome  colà  allora  necessario,  pei" 
poter  condurre  a  buon  termine  grandi  e  difEcili  imprese, 
asserir  la  nobiltà  della  origine  del  padre,  non  negarne  la 
povertà,  ma  dissimularne  la  professione,  il  che  far  da 
lui  non  si  poteva,  se  non  se  parlandone  oscuramente. 
Non  negherò  pure,  che,  per  quanto  supporre  si  voglia 
il  Colombo  di  animo  grande,  e  di  schietta  e  sincera 
natura,  abbia  in  ciò  contril)ui(o  assai  il  lungo  soggiorno 
da  lui  fatto  in  contrade,  dove  le  idee  ed  i  costumi  erano 
tanto  da   quelli  d' Italia  diversi. 

Ch'egli  già  ne  avesse  imbevuto  i  costumi  ben  si  rac- 
coglie da  un  Privilegio ,  che  impetrò  dai  Re  di  Spagna 
Ferdinando  ed  Isabella  per  instituire  un  Magglorasco , 
di  cui  mi  accaderà  altra  volta  di  scriver  più  a  lungo.  I 
motivi  principali  allegati  dal  Colombo  per  impetrarlo 
sono ,  affinchò  restasse  di  lui  perpetua  memoria  presso  ai 
posteri,  ed  il  nome  del  suo  Casato  e  della  sua  prosapia 
non  mancasse,  ed  affinchè  onorati  fossero  i  Discendenti 
e  Successori  suoi  :  quasiché  la  scoperta  dell'  America  a 
Colombo,  assai  più  che  ad  Epaminonda  le  vittorie  di 
Lcutri  e  di  Mantinea,    tener    non  potessero    il  luogo  di 


1^4     CONGETTURE  INTORNO  Al  MOTIVI  EC,  CAP.  V, 

qualunque  tUscendcuza  più  illustre.  Ma  anche  gli  uomini 
grandi  ,  e  superiori  al  secolo  ,  in  cui  vissero ,  non  possono 
a  meno  di  lasciarsi  talvolta  strascinar  dalla  corrente  ; 
tanto  più  qualora  ,  versando  nella  luce  degli  uomini  , 
per  conservarsi  quella  autorità  e  qncl  credito ,  che  è 
necessario  per  recar  ad  efielfo  cose  grandi,  sono  costretti 
a  vezzeggiar  le  opinioni  volgari,  e  ad  avervi  riguardo. 
Che  non  è  già  lo  stesso  il  caso  di  un  privato  Filosofo, 
che  non  abbisogna,  che  della  sua  mente  senza  concorso 
altrui ,  per  giungere  alle  scoperte  più  sublimi ,  come 
quello  di  un  Generale,  di  un  Ammiraglio,  di  un  Capo 
di  qualunque  impresa ,  alla  quale  molti  debbano  con- 
correre, o  per  approvarla  ed  ordinarla ,  o  per  cooperare 
ad  eseguirla.  Se  non  ha  questi,  non  solo  quelle  doti 
di  virtù,  ma  di  fortuna  eziandio,  che  necessarie  sono 
per  conciliarsi  rispetto  presso  l'universale,  quanto  più 
grandi  e  sottoposte  ad  incontrare  ostacoli  saranno  le 
imprese ,  a  cui  si  accinga ,  tanto  più  si  faranno  queste 
maggiori.  I  titoli  di  Ammiraglio ,  di  Viceré  delle  Indie, 
e  perpetuo  Governatore  chiesti  da  Colombo,  non  pote- 
vano a  meno  di  eccitar  l' invidia  in  tutti  coloro,  che,  nati 
di  sangue  illustre ,  ma  di  merito  senza  comparazion  nes- 
suna minore  di  lui ,  aspiravano  a'  medesimi  onori.  Ecco 
il  motivo,  a  parer  mio,  per  cui  Colombo  ,  alTermando 
che  nuova  non  era  nella  sua  Famiglia  la  dignità  di 
Ammiraglio,  dovea  in  ogni  modo  nascondere  in  Ispagna 
la  professione  paterna  ;  e  per  meglio  potersi  celare,  non 
ispicgarsi  apertamente   intorno  al  luogo,  dove  il  Genitor 


( 


DI  GIANFRANCESCO    CALEANI    NAPIONB.  l65 

SUO  facesse  dimora;  attesoché,  poste  le  idee,  che  aveaiio 
a  que'  tempi  gli  Spaglinoli ,  nou  si  sarebbe  potuto  con- 
ciliare insieme  chiarezza  di  sangue,  e  dignità  militare 
uegli  Antenati,  colla  profession  mercantile  nei  Gcnifoie, 
benché  venuto  in  assai  basso  stato,  colla  quale,  in  ogui 
caso,  creduto  si  sarebbe,  che  derogato  egli  avesse  alla 
antica  sua  nobiltà.  Di  fatti ,  che  la  ristrettezza  delle  for- 
tune non  desse  in  Ispagna  ragion  di  applicare  ai  traf- 
fici, si  raccoglie  dal  non  permettersi  nemnicn  tal  .cosa 
affiglinoli  minori  de' Nobili,  che,  privi  mediante  l'insti- 
tuzione  de' Maggioraschi  della  successione  paterna,  e 
soltanto  spruzzati ,   come   dice   Giovan  Pietro  Maffei  ,  di 

,     .  .      .  T    , ,  T    ,  , .  ^  .  Jo.  Pel.  MalT. 

una  leggerissima  parte  delta  eredita ,  nondimeno  (  in  ignat.vitaiib.i, 
ciò  di  troppo  deterior  coudizione  degli  Inglesi  )  colla 
piratica  delle  Corti,  colla  Milizia,  ed  al  più  colle  pro- 
fessioni scientifiche  soltanto,  potevano  por  riparo  a  sì 
grave  danno,  che  dalle  leggi  e  da' costumi  della  Nazione 
loro  ne  veniva.  E  questi  costumi ,  e  questo  spirito  di 
Cavalleria  era  sì  altamente  radicato  negli  Spagnuoli,  che, 
anche  dopo  aperto  un  sì  ampio  campo  ai  traffici  colla  sco- 
perta dell'  America ,  non  ne  ritrasse  la  Spagna  il  vantaggio, 
che  ne  avrebbono  cavato  le  Nazioni  trafficanti  d'Italia, 
e  che  ne  cavarono  in  appresso  le  altre  grandi  Nazioni  di 
Europa.  L'  Agricoltura  stessa  mancava  in  quel  jFlegno , 
come  ce  ne  assicura   il  nostro    Boterò  ,    informatissimo 

Bolero  Rag.  di 

delle  cose  di  Spagna,  ed  in  Ispagna   riputa tissitno,  per-  stato,  lib.  vii, 
che  la  Nazione,   essendo  inclinala   all'esercizio  delle  armi, 
ed  al  sussiego,  seguiva  la  Milizia,  da   cui  ricavava  utile 


ì66  CONGETTURE  INTORNO  AI  MOTIVI  EC.  ,  GAP.  V, 

ed  onore,  ed  abborriva  la  coltura  de' toricni ;  e  rispetto 
alla  iuduslria  ,  ed  all'esercizio  delle  Arti  manuali  veniva, 
die' egli,  a  tal  segno  dagli  Spngnuoli  questo  abborrito, 
che  non  vi  era  ,  a'  tempi  in  cui  il  Boterò  scrivea  , 
cioè  verso  il  fine  del  Secolo  XVI,  contrada  più  sfornita 
di  manifatture-  Le  lane  perciò,  e  le  sete,  e  gli  altri 
naturali  prodotti  andavano  in  gran  parte  fuori  di  paese, 
e  quei  pochi,  che  vi  restavano,  erano  lavorati  dagV  Ita- 
liani. Circa  que' tempi  in  oltre,  vale  a  dire  nel  i588  , 
Ugo  di  Vcrdala  Gran-Mastro  di  Malta  Spagnuolo  ordinò  ^ 
p.  19"  ^  ''  che  non  potessero  essere  ascritti  a  quell'Ordine  Caval- 
leresco tutti  coloro,  che,  sebben  nobili,  discendessero 
da  Padre  od  Avo,  che  avesse  esercitato  il  traffico;  la 
qitàl  legge,  in  un  con  altre  promulgate  dal  suo  suc- 
cessore pure  Spagnuolo ,  vennero ,  secondo   che  narra    il 

Zilioll,  Hlst.  ..  .    \       .  .        - 

Mem. lib. n,p.  ZiLiOLT,  disaporovate  in  Italia,   e  non  accettate   in  alcune 
<»,  63.  ...  .,  . 

delle  Provincie  di  essa  più  dedite   a' traffici.    Non  dovca 

adunque  il  Colombo  urtar  l' opinione  comune  di  fronte 
in  questo  particolare ,  con  confessare ,  che  nato  era  di 
Padre  Mercatante,  e  Manifattore  di  lane,  professione 
tenuta  del  tutto  a  vile,  se  scapitar  non  voleva  nel  con- 
cetto universale,  con  pregludicio  della  riputazione,  che 
A  richiedoa  ad  un  Ammiraglio,  ad  un  Viceré  delle  In- 
die. Ed  ecco  sciolta  l'  apparente  contraddizione  notata 
dall'Abate  Tiraboschi  ,  che  il  Colombo  potesse  scri%'t're 
ad  una  Dama  Spagnuola ,  non  esser  egli  il  primo  Am- 
miraglio della  sua  Famiglia,  vanto  tenuto  troppo  impor- 
tuno da  quello  Storico,  in  chi  non  ardiva  nominar  il 
Luogo  onde  fosse  natio. 


DI   GIANERANOESGO    GALVANI    UAPIONE.  l6j 


-.  !  . 


'f 


CAPO      VI. 

Orìgine  dalla  Famiglia  dì  Colombo  secondo  le  S/orie 
dì  Ferdinaìido  suo  Figliuolo ,  Educazione  scientifica 
e   liberale  di  Colombo. 

Della  origine  della  stirpe  di  Colombo  non  è  da  sup- 
porre', che  non  avesse  nolizia  lo  Scrittore  della  vita  dì 
lui,  il  proprio  figliuolo  Ferdinando:  perciocché  non  igno- 
rava eh'  era  della  Famiglia  stessa  di  quel  Colombo  detto 
il  Giovane,  valoroso,  e  riputatissimo  Capitano  di  mare, 
sui  legni  del  quale  militò  lungamente  Cristoforo;  il  quale 
Colombo  ,  sebbene  av\'ilito  poscia  indegnamente  dal 
Salinerio,  chiamandolo  Corsaro,  conduceva  un'  armata 
contro  gì'  Infedeli,  e  riportò  una  segnalata  vittoria  contro 
i  Veneziani  in  quella  età  sì  potenti  in  mare.  Non  igno-  sior.  diFera 
lava  pure  D.  Ferdinando,  come  appare  manifestamente  '^o'"'^» "P'^- 
dalle  sue  Storie,  il  vincolo  di  parentado,  con  cui  era 
congiunto  il  Padre  suo  coi  Colombi  di  Cogoreo;  ne  è 
cosa  fuori  verisimiglianza,  che  D.  Ferdinando,  avendo 
inteso  parlare  dal  Grande  Ammiraglio  suo  Genitore  dei 
Colombi  di  Cogoreo  parenti  di  lui ,  e  di  quelli  di  Cuc- 
caro,  vej'à  originaria  patria  della  famiglia,  dal  cui  ceppo 
erano  derivati  quelli  di  Cogoreo  ,  attesa  k  consomi- 
glianza de' nomi  ignoti,  massime  pronunciati  inuna 
lingua  straniera,  di  entrambi  (Juei  luoghi  ne  formasse 
un  solo,  il  che  avrà  éonhibaifò  dstìai  a  rendergli  difficile 


l68  ORIGINE    DELLA    FAMIGLIA    DI    COLOMBO ,  GAP.  VI, 

il  rinvenire  la  prima  sede  della  Famiglia  sua.  Si  lagna 
poi  giustamente  Ferdinando  del  Giustiniahi,  che  nella 
sua  Storia  non  fece  menzione  di  una  vittoria  tanto  me- 
morabile riportata  da  quel  Capitano  di  mare  dettò  Co- 
lombo il  Giovane," affinchè  nt>u  si  sapesse,  che  là  Fami- 
glia de' Colombi  non  era  tanto  oscura  coni' egli  diceva  , 
mentre  che  il  Sabelligo  Storico  contrario,  ne  fa  men- 
zione ,  e  ne  fa  tanto  capitale ,  che  dice ,  che  perciò  fu- 
rono mandati  Ambasciadori  al  Plc  di  Portogallo.  Di  fatti, 
gli  Storici  Veneti,  anche  prdsso  il  medesimo  Abatis  Ti- 
Tinb.ioc.cii.  BABoscHi,  raccontano  il  combattimento  seguito  verso  l'anno 
i486,  di  quattro  loro  grosse  Galee,  Contro  sette  del 
Colombo  il  Giovane,  ia  cui  i  Veneziani  furono  sconfitti, 
è  ne  rimasero  morti  tpe(|eiito,  , e,  tutti  gli  altri  furono 
fatti  prigioni.  E  secondo  Ferdinando,  la  ciurma  e  uomini 
di  dette  Galee  grosse  Veneziane ,  che  tornavano  di  B'iandra  , 
furono  spogliati  e  messi  in  terra  da  Colombo  il  Giovane 
presso  Lisbona,  nelle  cui  acque  era  seguita  la  Battaglia 
navale;  e  segue- a, dire  ,;  icJbe  avetidoli  il  Re  di  Porto- 
gallo Giovanni  li  vestiti  e  sovvenuti,  dando  loro  il 
modo  di  ritornarsene  a  Venezia ,  fu  mandato  da  Vene- 
zia in  Portogallo  Ambasciatore  Girolamo  Donato,  af- 
finchè in  nome  pubbliqo  della  Signoria  ne  rendesse 
grazie  a  cjuel  Monarca.  Né  il  d'ii'si  da  Ferdinfiudo,  che 
in  quel  conflitto  abbia  dovuto  il  Padre  salvarsi  a  nuoto, 
appoggiato  ad  un  remo,  che  galeggiava  sulle  acque,  che 
gli  riuscì  di  afferrare  ,  sebbene  due  leghe  circa  discosto 
da  terra,   per  essere  andata  iu  fiamme  la  Galea  nemica. 


■;.,  DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPlOiJE.  jGg 

in  un  con  quella  su  cui  egli  ferocemente  combaltea,  ripu- 
gna, come  pare  che  inferir  voglia  il  Tiraeoschi,  a  quanto 
riferiscono  il  SaBellico  ,  e  gli  altri  Storici  Veneziani,, 
anzi  Ferdinando  medesimo  ,  cioè  che  i  Veneziani  sieno 
rimasi  scoulitti.  Perciocché,  quantunque  il  Capitano  di 
mare  Colombo  detto  il  Giovane  ,  avesse  perduto  una 
Galea  delle  sette  del  suo  stuolo,  tutte  quattro  le  loro 
galeazze  convien  dire  che  abbiano  perdute  i  Veneziana, 
incendiate  o  predate,  attesoché  riuscì  al  Vincitore  di 
mettere  in  terra  svaligiati  tutti  gli  uomini ,  che  erano  sopra 
di  esse.  Questo  prova  bensì  soltanto  quanto  liero  ed 
ostinato  sia  stato  il  combattimento. 

Anche   il  celebre    Lejbkjzio     riferisce   una    lettera    di 
Ferdinando   Re  di  Napoli,   scritta  nell'anno  i474  ^  Lo- 
dovico  XI  Re  di  Francia,   in   cui   si  lagna,    che  fossero 
state  prese  due  Galee,  che  faceano  vela  verso  le  Fiandre,  ,  i^^'»''':  ^^• 
da    Colombo    Capitano    di   mare,    al  soldo 'di  esso  Re  pTj^'^'s^^"' 
Luigi,    colla   risposta  del  Re  di  Francia,  in  cui,  benché 
ne  prometta   la  restituzione,    scusa    con  tutto   ciò  il  suo 
Capitano.    Sbaglia  però  il  Leibnizio  nello  spiegarsi    che     jucuniumtrit 
la  m  guisa,    che     sembra,    che  da  lui  si  credesse,    che  Vipi.Prndr.  17 

affarti  Ci"f^oÌt* 

questo  Colombo,  che  militava  in  mqre  a' servigi  di  Luigi  c<tu,nh  suhuid. 
XI,  fosse  il  celebre  Cristoforo  Scopritor  dell'America,  ^  J'']^" c^'n*.'" 
e  non  già,  come  era,  uà  suo  congiunto.  Ad  ogni  modo, 
se  un  uomo  che  avea  il  comando  di  sette  Galee  ,  un 
uomo,  il  cui  nome  era  foimidabile,  come  scrive  Fei-- 
dinando  ,  agli  Infedeli ,  contro  cui  facea  guerra,  non  di- 
versamente da   quello  che  fece  poi  Andrea  Doria  contro 

•22 


lyo      ORIGINE   DELLA  FAMIGLIA   DI  COLOMBO,   CAP.  VI, 

.  i  Barbareschi,  secondo  che  narra  il  Sigonio,  un  uomo 

^  fi.  A";»'''''  ^^^^  riportò  cosi  segnalata  vittoria  contro  una  Potenza  ma- 
rittima, qual  era  allora  quella  de' Veneziani ,  un  uomo  che 
era ,  parecchi  anni  prima ,  al  soldo  del  Re  di  Francia 
colle  sue  Galee,  non  in  diversa  condizione  di  quella, 
g.  j^^  ^.^  in  cui  il  fu  poscia  nel  principio  del  Secolo  susseguente 
nitc'ls^se?' '^^'  il  summentovato  cclebratissimo  Andrea  Doria,  se  un 
uom  cosi  fatto  debba  chiamarsi  Corsaro,  oppure  piut- 
tosto, come  il  chiama  Cristoforo  Colombo  in  quella  sua 
lettera  ad  una  Dama  di  Spagna ,  Ammiraglio ,  il  lascio 
giudicar  a  chiunque. 

Quello ,  che  concederò  al  Giustiniani  ,  come  pure  al 
Senarega,  ed  al  Gallo,  che  lo  hanno  preceduto,  e  ad 
Uberto  Foglietta,  ed  agli  altri  Storici  Genovesi,  che 
hanno  scritto  dopo  di  lui ,  si  è ,  che  il  Padre  di  Cri- 
stoforo Colombo  attendesse  all'  arte  della  lana,  e  che 
de'  panni  lavorati  nelle  sue  manifatture  facesse  traf- 
fico marittimo  nella  Riviera  di  Genova ,  per  sosten- 
tare se  e  la  Famiglia  con  una  lodevole  industria,  piut- 
tosto che  torpire  in  un  ozio  misero  ad  un  tempo ,  ed 
orgoglioso,  onde  non  avesse  fisso  domicilio,  ed  alcuni 
il  dissero  barcaiuolo.  Del  rimanente  ,  lo  smercio  di  panni 
lani  lavorati  nelle  proprie  manifatture  in  riraote  contrade 
con  legni  proprj ,  era  traffico  che  facevasi,  anche  verso  il 
fine  del  Secolo  XVI,  da  tal  Città  del  Piemonte  posta 
fra  terra,  e  di  cui  ho  toccato  altrove,  ed  era  traffico 
non  ancora  andato  in  disuso  dopo  la  metà  del  Secolo 
XVII  in  Italia ,     né  tenuto   sconveniente  e  indecoroso  a 


i 


DI  GIANFRANCESGO    GALBAJNI    JIAPIONE.  17I 

Gentiluomo:  perciocché  asserisce  il  Savary,  il  quale  g^  p^^j. 
scrivea  dopo  il  i65o,  che  eranvi,  pressoché  iu  tutta  ^^f^^^ehap"!."  ' 
Italia,  parecchi  Gentiluomini  che  aveano  Galere  proprie 
per  tralHcare  iu  tutto  il  Mediterraneo.  Ma  oltre  al  do- 
vere la  condizione  del  Padre  di  Colombo  vollero  povera 
e  meschina  gli  Storici  Genovesi  ;  e  senza  essere  infor- 
mati della  Famiglia  di  lui ,  la  dissero  a  torto  plebea , 
e  quello  che  è  più,  ridussero  Cristoforo  e  Bartolommeo 
suo  fratello  a'  meccanici  cardatori  di  lana ,  studiandosi 
di  avvilirli,  per  poterli  più  agevolmente  chiamar  Geno- 
vesi ,  senza  essere  costretti  a  render  conto  della  stirpe 
e  discendenza  loro,  come  di  persone,  di  cui  è  impos- 
sibile il  tesserne  la  genealogia.  Comunque  siasi  lo  sde- 
gnarsi che  fa  a  buona  ragione  Ferdinando  contro  il 
Giustiniani  ,  perchè,  ad  arte  meccanica  allatto,  pretende, 
che  fosse  ridotto  Cristoforo  ne' primi  suoi  anni,  mostra 
chiaramente,  che  consapevole  era  in  se  stesso,  che  il 
Padre  di  esso  Cristoforo  ed  Avolo  suo  erasi  adoperato 
nel  lanificio,  congiungendolo  co'trafEci  marittimi.  Nega 
che  Cristoforo  fosse  cardatore  di  lane,  ma  non  nega, 
che  all'arte  della  lana  attendesse  il  Padre  di  lui,  go- 
vernandosi prudentemente  nel  parlar  di  questa  cosa  , 
intorno  a  cui  il  Padre,  per  le  ragioni  dette  sopra ,  avea 
creduto  di  dover  serbare  un  cauto  silenzio.  a 

Restringendosi    adunque    Ferdinando   a  levar    fuori    il  sior  di  d  Fera. 
Padre  dalla  schiera  de' meccanici ,  e  di  coloro  che  esercitano  "''"■ 
arti  manuali,   principalmente  contro  quello,  che  ne  avea 
scritto  il  precitato  Agostino    Giustiniani,  che  era  il  più 


172  ORKSTNE  nELL\  FAMICLIA  DI  COLOMBO ,  CAP.  VT, 
antico  degli  Storici  Genovesi,  tra  quelli  che  parlarono 
del  Colombo  ,  che  allora  avesse  veduto  la  luce ,  osserva 
primieramente,  che  siccome  per  una  parte  la  cosa  non 
dovea  tenersi  per  incontrastabile  per  averla  scritta  il  Giu- 
stiniani, così  d'altro  cauto  non  avrebbe  bastato  il  dirsi  da 
lui ,  die  aveva  da  mille  inteso  il  contrario.  Quello  che  faD. 
Ferdinando  si  è  di  porre  in  contraddizione  il  Giustiniani 
medesimo,  perciocché  il  Giustiniani  nel  suo  Salterio  sopra 
quel  verso,  in  oninem  lenxtrn  exivìt  sonits  eoriim,  dice,  che 
Cristoforo  Colombo,  avendo  ne'  teneri  suoi  anni  imparati 
i  principi  delle  Lettere ,  si  diede  all'  arte  del  navigare ,  e 
se  ne  andò  in  Lisbona  ,  dove  imparò  la  Cosmografia ,  e 
con  quello  che  avea  inteso  da'  Navigatori  Portoghesi  piìi 
animosi,  e  con  quello  che  avea  letto  ne' Cosmografi,  si 
pensò    di     poter    andare    a  quelle    terre    che   scoprì.   Se 

zj.ìbij.  adunque,  riflette  Ferdinando,  per  confessione  del  Giusti 
NiANi  medesimo ,  Cristoforo  Colombo  impiegò  la  pue-" 
tizia  in  imparare  Lettere,  e  la  gioventù  nella  Nautica  e 
nella  Cosmografia ,  e  la  sua  maggiore  etò  io  iscopri- 
menli,  è  manifesto,  che  non  esercitò  arte  meccanica, 
ed   il  Giustiniani    si   fa  conoscere   per  inconsiderato ,   o 

iJ.itiJ.  per  parziale  e  maligno.  Un  uomo,  il  quale  in  alcun' arte 
manuale,  o  mestiere  fosse  stato  occupato,  come  mai 
avrebbe  potuto  andar  peregrinando  per  tante  terre?  Come 
mai  avrebbe  apprese  tante  Lettere  e  tanta  Scienza,  sic- 
come le  opere  sue  dimostrano  ?  Come  inai  avrebbe  potuto 
diventar  sì  dotto  ,  specialmente  nelle  quattro  più  princi- 
pali Scienze ,    che    si    ricercano    per   far  quello    eh'  egli 


DI   GIAN    FRANCESCO    C ALBANI   NAPIONE."  lyS 

fece,    che  sono,  dice  Ferdinando,  Astronomia,  Cosmo- 
grafia, Geometria,  e  Nautica?  Conchiude  in  fine  non  esser 
da    meravigh'arsi  ,     che  il  Giustiniani     in    questo   parti- 
colare,   che  è  occulto  ,   ardisca   non    dire  il  vero,  poiché 
nelle  cose  molto   chiare   dello  scoprimento  e  navigazione 
del  Colombo,    in    breve  squarcio   del  suo  Salterio  v'in- 
serì   dodici    falsità ,    che    viene    parfitaraente    divisando. 
Rispetto  poi   alla  Storia  del  Giustiniani,    curiosa    parti- 
colarità s' incontra  nel  Libro  di  D.  Ferdinando ,  partico- 
larità ,  di   cui  fa  eziandio   menzione    il   Campi  ,    benché     campi  dìjc; 
non  se  ne  ritrovi  verun  cenno  in  alcun  altro  luogo,  non   ^'p**^  ' 
parlandone  neppure  I'  accuratissimo   Apostolo  Zeno  nelle  „?f°j^J'"p'"' 
annotazioni  sue   al   Fontanini  ,   dove   ragiona  di  Agostino  <  "<  p- ^'i.iss. 
Giustiniani,    e  delle  opere  di  lui.   Dice  adunque  Ferdi- 
nando, che   la  Signoria   di  Genova,  considerata  la  falsità 
di  quella  Storia ,    avea  messo  pena  contro   coloro ,    che 
la   ritenessero   o  leggessero,  e  con   diligenza  grande  avea 
mandato  a  cercarla   in  ogni   luogo   ov'  era  stata  mandata , 
affinchè    per  pubblico   Decreto  venisse  scancellata  e  sop- 
pressa. 

Ma  ritornando  alla  instituzion    puerile     dello   Scopri-    stor.diDFet. 
tore  del  Nuovo  Mondo ,  se  com'  egli  medesimo  asserisce    '°"  "^" 
in  una  Lettera   riferita  dal  figliuol  suo    D.  Ferdinando, 
indirizzata    ai    Re    Cattolici,    e   scritta    nell'anno   i5oi  , 
cominciò    a  navigare  di   soli  quattordici  anni ,  e  se  già 
prima  nella   sua   più  tenera    età   avea   imparato    Lettere,     ij.ind.c.m. 
e  studiato  in  Pavia   tanto,  che  gli  bastava  per  "ben  inten- 
dere i  Cosmografi,   alla  cui  lezione  fu  molto  alTezionato, 


Stor.diD.Ferd. 


174  ORIGINE   DELLA    FAMIGLIA    DI   COLOMBO ,  GAP.  VI, 

per  lo  quale  rispetto  si  diede  alla  Astronomia  ed  alls 
Geometria ,  essendo  si  fatte  Scienze  in  tal  modo  con- 
nesse tra  di  loro ,  che  una  abbisogna  dell'  altra  ;  se  in 
oltre  in  quella  sua  prima  età  diede  opera  eziandio  al 
disegno  ,  quando  mai  gli  sarebbe  rimaso  tempo  per  at- 
tendere alla  ignobile  professione  di  cardator  di  lana  , 
a  cui  col  Giustiniani  il  condannano  i  pretesi  suoi  Na- 
zionali, gli  Storici  Genovesi?  E  come  mai  avrebbe  potuto 
acquistare  tutta  quella  antica  erudizione ,  di  cui  era  egli 
fornito ,  come  risulta  da  quella  parte  delle  Storie  del 
figliuol  suo  D.  Ferdinando  ,  dove  a  lungo  ragiona  delle  ca- 
gioni che  mossero  il  Colombo  a  credere  di  potere  scoprire 
le  Indie  ?  Come  mai ,  se  dagli  anni  più  teneri  non  avesse 
cap.viieviH.  posto  studio  in  quclla  parte  di  astruso  e  difficile  sapere, 
avrebbe  potuto  carteggiare,  intorno  al  suo  magnanimo 
ed  inaudito  disegno  di  scoprire  un  Nuovo  Mondo,  con 
quel  Paolo  Toscanelli  ,  il  più  celebre  Astronomo  per 
avventura,  che  allora  vi  fosse,  ed  autore  del  famoso 
Gnomone  di  Firenze,  carteggio,  di  cui  parla  pure  difFu- 
Tirab.  sioria  samcnte  lo  stesso   Abate  Tikaboschi  ?    E    questa  institu- 

HeUaLet.Ital./oc. 

''•'■  zione  liberale  ricevuta    da    Cristoforo,    e  la  dottrina,  di 

cui  era    egli  fregiato,    mentre   ad    evidenza    convincono 
,  di  falsità   tutti    coloro ,    che   asserirono ,    eh'  egli    atteso 

avesse  negli  anni  suoi  giovanili  all'  esercizio  meccanico  di 
cardator  di  lana,  somministrano  pure  una  forte  ragione 
per  credere  ,  che ,  sebbene  considerar  si  dovesse  il  Padre 
suo  come  ridotto  a  povertà ,  avuto  riguardo  alla  nobile 
condizion    sua ,    non   era  però  questa  povertà  tale ,   che 


DI   GIAN    FRANCESCO    GALEANI   NAPIONEJ  176 

tolto  gli  venisse  il  modo  di  educar  alle  Lettere  i  figli- 
uoli suoi,  onde  soverchiamente  venne  avvilito  dagli  an- 
tichi Storici  Genovesi,  che  semplice  tessitor  di  lane  il 
dissero ,  quando  convicn  dire ,  che ,  siccome  più  ragio- 
nevolmente venne  supposto  dal  Casoni  Storico  loro  piìi 
recente,  attendesse  egli  a  quel  traffico  più  in  grande, 
dirigendo  fabbriche  di  panni  lani ,  e  forse  eziandio  con 
proprj  legni  facendone  smercio  in  mare,  specie  di 
traffico  a  qualunque  Gentiluomo  non  disdicevole ,  segna- 
tamente a  quo'  tempi  in  Italia  ,  com'  è  detto  sopra ,  qua- 
lunque fossero  in  tal  particolare  le  idee  delle  Nazioni , 
che  non  avevano  ancora  spogliata  la  ruggine  Gotica  in- 
teramente. 

Un'  altra  singolarità  riguardante  la  instituzione  puerile 
di  Cristoforo  Colombo  merita  speciale  menzione.  Dice 
Ferdinando,  che  il  Padre  suo  di  tal  carattere  di  Lettere  stor.aiD.Fett 
scrivea,  che  con  quello  solo  si  sarebbe  potuto  procacciare  il  "''" 
vitto.  Ora  è  cosa  manifesta ,  che  soltanto  nella  prima  età 
si  può  acquistare  questa  pratica  pregevolissima  dello  scri- 
vere pulitamente.  Come  mai  una  mano  avvezza  al  gros- 
solano mestiere  di  cardator  di  lane,  ed  instupidita  in 
quel  meccanico  lavoro,  avxebbe  potuto  acquistare  la  pe- 
rizia lodevolissima  in  un  uomo  scienziato  di  formar  bene 
i  caratteri  ?  Del  resto  ,  questo  ornamento ,  che  ora  comu- 
nemente vien  trascurato,  è  di  tanta  importanza,  che  a 
lungo  ne  ragionano  il  Fontanini  ,  ed  Apostolo   Zeno;  e      Fonian.BiW. 

lui.  I.  I,  p.  I  e  3, 

di  personaggi  illustri  calligrafi  fanno  un   assai   ampio  re-  ^  "i  note  a.i 
gistro.  Basti  accennare  tra'  Letterati  Dante  ,  e  Petrarca, 


Pallavic.  Stor. 


Ij6      ORIGINE    DELLA  FAMIGLIA   DI   COLOMBO,    CAP.  VI, 

che  seriveauo  in  bel  caiattere,  avuto  n'guardo  alla  pra- 
tica di  quel  tempo.  E  se  parlar  iulendiamo  di  Uomini 
di  Stato  e  di  Principi  grandi,  Augusto  tenne  tal  cosa 
da  tanto,  ch'egli  stesso  non  ebbe  a  sdegno  d' insegnar  a 
scrivere  a' Nipoti  suoi;  e  il  rinomato  amico  del  Pe- 
trarca Andrea  Dandolo  Doge  di  Venezia  scrivea  pari- 
mente con  bel  carattere.  Bello  e  peifetto  Scrittore  era 
pui-e  Carlo  Malatesta  Signore  di  Rimini,  Piincipe  non 
meno  valente  che  dotto ,  che  potea  gareggiare  co'  più 
esperti  copisti  di  Codici.  Che  all'incontro  Diego  Lainez, 
celebre  Generale  de'  Gesuiti ,  scrivendo  in  modo  ,  che  i 
dd Conci iTr."  suoi  Caratteri-,  come  dice  il  Pallavicino,   erano  piuttosto 

lib.XVni.c.XV.  ...... 

cifre  note  a  lui  solo,  che  lettere  comuni  e  intelligibili, 
ha  tolto  alla  posterità  il  modo  di  giovarsi  d' innumera- 
bili dotte  sue  fatiche ,  neppur  d'  im  foglio  :  tanto  è  cosa 
sconsigliata  il  trascurar  quelle  Arti ,  che  sono  strumento 
necessario  per  conservar  i  parti  dell'  intelletto. 

CAPO     VII. 

Sc7'ìltorì  che  affermano,    che   il   Castello    di    Cuccavo 
in  Mon fenato  si    è  la  patria  del   Colombo. 

Insino  ad  ora  non  sono  io  peranco  propriamente  en- 
trato nel  forte  della  mischia.  Ho  però  creduto  necessario, 
prima  di  produrre  i  monumenti  da' quali  risulta,  che  dee 
il  Colombo  chiamarsi  natio  del  Monferrato ,  mostrare  che 
non  Itt  egli  Genovese,  e  che  incerto   è  tuttora   il   luogo 


DI   GlAhFRANCESCO    GALEANI   NAPIONE.  177 

preciso  della  sua  nascita ,  accennando  pure  l' origine  di 
sì  fatta  incertezza.  Al  presente  mi  rimane  ancora  da 
soddisfare  a  due  dilficoltà  messe  in  campo  dall'  Abate 
TiRABOSCHi;   la  prima  che  nessuno  Scrittore  abbia  posto     rinb.,  stor. 

..-,-,_         ..  ,,  ,.  ,.,.       .  dilla  Leti.  Ical., 

m  luce  le  ragioni  de  Monierrmi ,  eh  egli  trovo  ruerite  in-.di.p.fji* 
dal  Campi  ,  che  sostiene  opinione  contraria ,  ascrivendo 
a  Piacenza  il  vanto  di  aver  dato  1'  origine  allo  Scopiitor 
dell'  America  ;  la  seconda ,  che  da  nessuno  si  è  mai  cre- 
duto ,  che  il  Colombo  fosse  del  Monferrato  insino  a  quel 
tempo,  in  cui  insorgesse  la  lite,  di  cui  devo  ragionare, 
e  dalle  di  cui  carte  appunto  risulta  ad  evidenza ,  che 
per  nostro  paesano  deve  considerarsi  il  Colombo.  A 
queste  due  difficoltà,  od  improbabilità,  ameghodire, 
rilevate  dal  Tibaboschi,  risponderò  ad  un  tratto,  che 
non  mancarono  Scrittori ,  i  quali ,  sebbene  non  si  sieno 
preso  pensiero  di  trattar  a  lungo,  e  discutere  questa 
controversia,  non  temettero  però  di  affermar  chiaramente, 
che  il  Colombo  fu  di  Cuccaro  nel  Monferrato  ;  e  quanto 
al  non  esservi  alcuno  che  tal  cosa  credesse  prima  della 
lite,  di  cui  dovrò  ragionare,  ciò  è  vero  in  quanto  che 
nessuno  Storico  prima  di  quell'  epoca  manifestò,  che 
da  lui  si  credesse  il  Colombo  nativo  del  Monferrato  ; 
ma  non  è  però  vero ,  ove  s' intenda  di  affermare ,  che 
insino  a  quell'  epoca  i  si|oi  paesani  non  credessero  che 
egli  fosse  Monferrino:  che  anzi,  la  certezza ,  eh  egli  fosse 
di  Cuccaro ,  presMj  i  Monferrini  era  così  radicata ,  che 
da  essa  si  desume,  come  si  vedrà  in  appresso,  una  delle 
prove  più  convincenti  di  sì  fatta  verità. 

23 


178    SCRITTORI  CHE  AFFERMANO  CHE  CrCCARO  EC. ,  CAP.VfT, 

E  come    mai   potevano    gli   Storici   Monf'orrini   parlar 
del  Colombo  prima  dell' epoca,   in  cui  scoppiò  la  lite  suc- 
cennata  verso   il   fine  del  Secolo  XVI ,    cioè    ottani'  anni 
soli  circa ,  e  non  più  dopo    la    morte     di  Colombo  ,    se 
in   quel  periodo  di  anni ,  il  Monferrato  avvolto  in  guerre  , 
e ,  per  r  estinzione  della  Famiglia  degli  antichi  suoi  natu- 
rali Sovrani,    passato   sotto  straniera  dominazione,    non 
potè  produrre  alcuno  Storico?  Benvenuto  di  S.Giorgio, 
che    tra' primi    con  gusto  diplomatico   e  critico  dettò  la 
sua  Cronaca  de  Marchesi    di  Monferrato ,    lodato    perciò 
MaiTei,  Istoria  giustamente  dal  Marchese  Maffei,  oltreché  stese  una  Sto- 
waniol^^*^!';!;."' ria  Genealogica  della  Famiglia  di  que' Principi,  piuttosto 
che  una  Storia  degli  avvenimenti    del  Monferrato,    ter- 
mina  la   sua   Cronica  Italiana  all'anno  1490,  e  per  con- 
seguente in  un'epoca  anteriore  allo  scoprimento  dell'Ame- 
rica.  Non  parlo  di  alcune  date  riguardanti  la  successione 
sola    de'  Principi  ,     che    nella    breve    Cronica  Latina  si 
'estendono   iusino  all'anno  i5i8.  Una  Storia  del  Monfèi^ 
rato  dettò    bensì    il  P.  Fulgenzio   Alghisi  Agostiniano , 
che  fiorì   intorno  alla  metà    del  Secolo    susseguente    del 
1600:   ma  questa  restò  manoscritta    nel   Convento    di  S. 
Croce  di  Casale.  Fu  T  Alghisi  natio  della  città  di  Casale, 
ed  essendo  in  Roma,  prima  Procuratore  Cenerale,  e  poi 
Vicario  Generale  della  Congregazion   di  Lombardia ,  or- 
dinò l'Archivio  del  Convento  della  Madonna  del  Popolo 
con  somma  diligenza   e  fatica,  dal  che,  se  dobbiamo  dar 
Scri^"p«ym'.  retta  al  nostro  Rossotti,    rare  cognizioni  ritrasse.  Della 
^''^  ^'  Storia  del  Monferrato  dettata    da  lui     non   parla  però  il 


DI  GIANFRANCESCO    CALEANI    NAPIONE.  173 

medesimo  Rossottx,  che  accenna  soltanto  che  TAlghisi 
avea  preparata  per  la  stampa  la  Storia  della  Congrega- 
zion  sua  Agostiniana  di  Lombardia.  Ad  ogni  modo,  seb- 
bea  questa  Storia  del  Monferrato  si  riconosca  da  chi  ha 
avuto  agio  di  scorrerla ,  come  dettata  con  poco  buon 
gusto,  dobbiamo  con  tutto  ciò  saper  grado  all'Autore 
•per  averci  conservata  la  memoria  della  lite  mentovata  , 
;e  de' mouuraeuti,  da  cui  risulta  la  origine  indubitata  di 
•Cristoforo  Colombo;  ma  non  si  può  ia  nessun  modo 
•biasimare  l'Abate  Tihaboschi  ,  se  non  n'ebbe  notizia, 
trattandosi  di  cosa  inedita. 

Uno  Scrittore  Piemontese  noto  all'Abate  Tirabosciii, 
e  le  cui  opere  hanno  veduto  la  luce,  ha  bensì  parlalo 
del  Colombo  ,  e  senza  esitazione  veruna  ha  asserito  , 
che  fu  egli  della  Famiglia  de' Signori  di  Cuccaro.  Si  e 
questi  il  nostro  diligente  Vescovo  di  Saluzzo,  Monsi- 
gnor Francesco  Agostino  della  Chiesa.  Prima  delTAL- 
OHisi  parlando  il  Chiesa  nella  sua  Storia  Cronologica  dei 
Prelati  del  Piemonte,  di  Giovan- Giacomo  Colombo, 
de' Signori  di  Cuccaix),  Vescovo  Titolare  di  Betlemme 
circa  l'anno  i/|65  ,  il  dice  fratello  di  Domenico ,  Padre 
di  Cristoforo  Colombo  Scopritore  delle  Indie,  dal  che  ^^  ^„  ^a„» 
conchiude  essere  manifesto,  che  il  celebre  Colombo  noa  "umnnnv'gH^n 
fu  giù  della  Riviera  di  Genova,    ma    bebsl  Piemontese.  'Lm fJsZ". 

.  ,  „  .  Fr:nc  Auy.ab 

Con   masrj^ior  corredo   di  autorit;ì,   e  pui  diflusamente  m  ecci.hì^i. aro 

^'^  ,  .  noi.  p.  376  Aug.. 

questa   stessa   sentenza    ne  ragiona    lo    stesso  Monsignor  Taur.  i6,j. 
della  Chiesa  nella  nota  Opera  sua  della  Corona  Reale  di 
Savoja,  pubblica,ta  dodici  anni  dopo    l'Opera  ora  citata 


,•  j8o  scrittori  che  affermano  che  cuccàro  ec,  cap.  vii, 
della  "Cronologia  de'  Prelati  Piemontesi.    Avca  veduto  il 
dotto  nostro  Prelato    in  quel  frattempo    l'Opera  de'  Co- 
menti  su  Tacito  del  Salinerio,  da  lui  detto  Silino,  e 
dice,   che  sforzavasi  questi  di  provare    per    via  d' Istro- 
menti  e  di  Scritture,  che  nato  fosse  il  Colombo  in  Sa- 
vona da  Parenti  affatto   plebei;  che  altri  il  facevano  Pia- 
centino ;   altri ,  confondendo  Cuccaro  con  Coccoreo ,  vil- 
laggio della  Diocesi  di  Genova ,    dicevano  esser  nato  in 
uno  di   essi  Luoghi,  ne  mancarvi    di  quelli,    che  asseri- 
vano   esser    nato    nella  valle    d'  Oneglia.    Ma  Monsignor 
R  di's^o"ap''i'  ^^^^^  Chiesa,  sebbene  non  neghi  che  possa  essere  stato 
J°^'^^*°' ^°"''°  il  Colombo    cittadino    di  Savona,    ed    aver    appresa   in 
quella  Città  la  professione  marinaresca,  tiene    però  che 
i  suoi  predecessovi  fossero  da' Colombi  Signori    di  Cuc- 
caro   derivati.    Avvalorano,     dice    il  Chiesa,    1'  opinioa 
sua,  D.  Ferdinando    figliuolo    del    Colombo,    il    quale 
scrivendo   la  vita  di  lui  accenna ,    che  era  nato  da  nobili 
Progenitori,    come    pure    l'autorità    dello   Storico    Spa- 
gnuolo  Errerà,  di  Alfonso  Lopez,   di  Guido  Antonio* 
Malabaila,    i    quali  ^'concordemente    asseriscono     essere 
stati    i  maggiori   di   lui   i   Colombi    di  Cuccaro.    Addita 
poi    il    Chiesa    la  Genealogia    del    medesimo   Colombo 


»  Guitlo  Antonio  Malabaila,  eie' Conti  di  Canale,  di  mi  parla  il  Ros- 
SOTTI  (.Sy//ai«j  .Srripl.  Prdemnnt.  p.  iSy)  ,  pubblicò  un  libro  inlilolalo:  Com- 
pendio  istoriale  delia  città  d'  Asti ,  Roma  l638,  cap.  Ili  di  Cristoforo  CO- 
LOMBO ,  la  cui  Famiglia  era  di   Cuccaro. 


t 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  I  8 1 

presso  il  mentovato  Scrittore  Spagnuolo  Lopez  ,  dove , 
oltre  il  Gio.  Giacomo  Colombo  Vescovo  Titolare  dì 
Betlemme,  si  fa  meuzioue  di  un  Apolonio  *  Fratcl-Cu- 
gino  di  Cristoforo,  e  Consignorc  dello  stesso  Castello, 
che  nell'anno  1490  diede  due  figliuole  sue  in  matri- 
monio a  due  Consignori  della  Manta  de'  Marchesi  di 
Saluzzo;  e  conchiude  con  dire,  essere  sempre  stati  i  Co- 
lombi antichi  Feudatarj  de'  Marchesi  di  Monferrato ,  e 
che  sino  dall'anno  1220,  oltre  a  Cuccare,  possedevano 
altre  Castella. 

Alle  testimonianze  degli  Scrittori  Piemontesi,  vale  a 
dire  il  Malabaila  ,  il  Chiesa  ,  I'Alghisi  ,  si  deve  ag- 
giungere quella  di  uno  straniero ,  il  quale  prima  di 
essi ,  senza  esitazione  nessuna  asserì ,  che  Cristoforo  Co- 
lombo era  ,  non  solamente  oriondo ,  ma  nato  nel  castello 
di  Cuccaro  in  Monferrato ,  e  questo  si  è  il  Donesmondi, 
che  nel  principio  del  1600  dettò  una  Storia  di  Mantova.** 


*  Tra  le  Memorie  gentilmente  comutiicatemi  dal  signor  Giuseppe  Ver- 
NAZZ\Freney,  trovo  un  Apolonio  Je  CoLvaiBls  ex  nobilibus  Cuccar»;  testi- 
monio in  Alba  a'  5  di  Luglio  1456. 

In  un  Documento  poi  del  1190  pubblicalo  dal  MoRlONDO  (  iUonum«nf. 
Aquensia  par.  II ,  col-Zb^^  ,   è  nominato   un  Guglielmo  Colombo. 

**  «  Di  questo  stesso  anno  mori  Papa  Innocenzo  Ottavo ,  succedendoli 
»  Alessandro  VI  Spagnuolo,  di  casa  Borgia,  mentre  Cristoforo  Colombo 
»  nato  nel  Castello  di  Cuccaro  sul  Monferrato,  (benché  molti  ingannati 
»  lo  scrivono  Grnovese)  con  maraviglioso  ardire  si  diede  a  scoprire  per 
»  la  perizia  sua  nella  navigazione,  l'Indie  Occiùenlali»  —  Istoria  Eccìesta- 
stica  di  Mantova  del  li.  P.  F.  Ippolito  Douesmonuj  ,  par.  II.  lib.  F/,p.  80. 
Mantova   1616 ,  presso  Aurelio  e  Lodovico  Osanna  Stampatori  Ducali- 


182    SCRITTORI  CHE  AFFERMANO  CHE  CUCCARO  EC. ,  CAP.  Vir, 

Auche  r  Errerà  ,  riputato  Storico  Spaguuolo,  che  scrivea 
la  Stoiia  delle  ludie  Occidentali,  parecchi  anni  prima 
che  si  pubblicasse  la  sua  Storia  dal  Dokesmondi  ,  e 
nieufre  appunto  agitavasi  in  Ispagna  la  lite ,  di  cui 
dovremo  parlare  ben  tosto ,  dopo  aver  riferite  le  di- 
verse opinioni  che  correvano  intorno  alla  patria  di  Co- 
lombo, dicendo  che  alcuni  asserivano  che  fosse  di  Pia- 
cenza, alti'i  di  Cucureo  nella  Riviera  di  Genova,  altri 
finalmente  de' Signori  del  castello  di  Cuccaro  in  Mon- 
ferrato, soggiunge  poi,  che  qual  fosse  la  più  vera  di- 
scendenza si  sarebbe  deciso  dal  Consiglio  Supremo  delle 
ludie ,    avanti  cui  vei'tiva  la  lite.  * 

Dal  sin  qui  detto  adunque  si  raccoglie  av^r  preso 
errore  il  celebre  Storico  della  Letteratura  Italiana ,  di- 
cendo, che  alcuno  Scrittore  non  Uvea  posto  in  luce  le 
ragioni  de'  Monferrini  ;  quantunque  a  dir  vero  ,  non 
oserei  biasimarlo ,  se  non  n'  ebbe  egli  cognizione.  E 
come  mai  uno  Scrittore  accinto  ad  uua  si  vasta  impresa, 
qual  si  era  quella  della  Storia  generale  della  Lefteratuia 
Italiana,   pensar  potea   a  rivolgere  tutti   i   precitati  libri, 


*  «  Uiios  qiiieien  que  fucse  dePIasencia,  y  otios  deCiiciiroo  en  la  Ribna 
»  rfe  Genoi'a  cerca  de  la  misma  Ciutad  ,  y  olros  de  los  Segnorrs  dclCaslillode 
«Curaro,  que  cae  m  la  parte  de  Italia,  que  se  dixo  Liguria,  que  allora 
»  es  juridicion  del  Ducado  de  Monferrato  ....  pero  qual  sea  la  mas  cierla 
»  descendencia ,  en  ci  Consejo  Supremo  de  las  Indias,  adonde  se  litiga  so 
»  determinerà  »-  Antonio  de  HEnitERA  Tordesiìlas  -  Historia  general  de  ìos  hechos 
dt  lot  Casfellanos  en  las  LIas  y  Tìerra  firma  del  mar  Oceano.  Tom.  I,  Madrid 
1601. 


DI   Gì ANFRAN" CESCO    GALEÀNI   NAPIONE.  1  85 

e  scf^nafamente  la  Cronologia  de'  Prelati  Piemontesi  ,  e 
queir  utile ,  ma  disordinato  Zibaldone  di  notizie  riguar- 
danti la  Storia,  la  Geografia  del  Piemonte,  cui  piacque 
all'Autor  suo  d'intitolare  Corona  Reale  di  Savoja  ?  Se 
il  cenno  sopracitato,  che  del  Colombo  e  della  origine 
sua  Monferrina ,  fondandosi  appunto  suH'Alghisi,  e  su 
altre  Memorie  inedite ,  fa  il  nostro  Abate  Denina  nelle 
applaudite  sue  Rivoluzioni  d' Italia  ,  fosse  alquanto  più 
esteso,  cosicché  non  avesse  per  avventura  potuto  sfuggir 
l'occhio  dell'Abate  Tibaboschi  ,  potrebbe  con  qualche 
maggior  ragione  venir  ripreso  per  non  aver  tratto  mo- 
tivo di  dubitare,  e  di  chiedere  eziandio  chiarimenti  da 
Letterati  Piemontesi ,  non  contentandosi  di  quelli  che 
ebbe  da'  Genovesi.  Ne  sarebbegli  stato  malagevole  1'  otte- 
nerli ,  come  tanti  ne  ottenne  dal  signor  Giuseppe  Ver- 
NAZZA  Freney,  versatissimo  nelle  cose  del  Piemonte, 
il  quale  parimente,  senza  esitazione  veruna,  in  alcuni 
suoi  Opuscoli  geografici  affermò ,  che  lo  Scopritore 
dell'America  era  uscito  della  famiglia  di  que' Colombi  , 
che  erano  già  a'  tempi  di  Cristoforo ,  e  sono  stati  Si- 
gnori di  Cuccaro  insino  a'  giorni  nostri  in  Piemonte , 
la  qual  asserzion  sua,  come  da  lui  medesimo  intesi, 
fondava  egli  principalmente  sul  Consulto  di  un  antico 
Giurista  Monferrino  ,  di  cui  dovrò  io  pur  ragionare  in 
appresso. 

Del  più  sicuro  fonte,  onde  poteansi  attingere  le  prove 
indubitate  della  origine  del  Colombo,  ebbe  però  alcuna 
notizia  il  Tiraboschi  ,  e  queste  contenute  sono  nel  Som- 


184    SCRITTORI  CHE  AFFERMANO  CHE  CUCCARO  EC,  GAP.  Vir, 

mario  della  Causa  stampatosi  in  Madrid  per  la  lite ,  che 
insorse  tra  i  Colombi  di  Cuccaro,  e  diverse  Famiglie 
potenti  di  Spagna  ,  essendo  mancata  la  discendenza  di 
Cristoforo  in  D.  Diego  suo  pronipote.  Ma  questi  Monu- 
menti, non  solamente  l'Abate  Tiraboschi  non  li  vide 
in  fonte,  ma,  quello  che  è  più,  l'estratto,  per  mezzo  di 
cui  ne  potè  aver  cognizione,  è  tale,  che  per  necessità 
ha  dovuto  vederli  in  una  luce  sfavorevole,  poiché  l'au- 
tore che  glieli  fece  conoscere  ,  cioè  il  Campi  ,  li  recò  colla 
intenzione  principale  di  confutarli.  Ora  queste  Carte,  che  si 
lungamente  hanno  celato  il  vero ,  copiate  diligentemente 
dalla  rara  Stampa  ,  per  mano  dello  stesso  Canonico  De- 
GiovANNi ,  sono  quelle ,  che  mi  sono  state  con  gentilezza 
non  ordinaria  trasmesse  da  quel  colto  nostro  Letterato*. 
Dall'esame  di  esse  vedremo  quanto  sieno  stati  travisati 
questi  Monumenti  dal  Campi  ;  come  1'  Alghisi  medesimo 
non  ne  abbia  tratto  nella  sua  Storia  manosci'itta  del  Mon- 
ferrato quei  convincenti  argomenti ,  da'  quali  risulta  , 
che  il  Colombo  fu  Monferrino .  e  resterà  pure  ognuno 
convinto ,  che  troppo  diverso  uso  ne  avrebbe  fatto  il 
Tiraboschi  ,  se  avesse  potuto  consultarli  originalmente. 


*  Degli  Atti  di  questa  lite  ebbe  pure  notizia  il  Moriondo  ,  il  quale, 
dopo  averli  accennati ,  dice  così  ;  Quid  i>ero  si  ex  ejus  litis  Actis  monumenta 
idipsum  probantia  in  lucem  edanlur  ?(  cioè  che  il  Colombo  fosse  Monferrino), 
ot  hanc  Spartam  adomahil  vir  et  ingenio  et  eloquentia  clarissimus  :  colle  quali 
parole  fece  allusione  al  fu  Canonico  De-Giovanni,  il  solo  Letterato,  che 
SI  sappia  che  allora  ìi  possedesse.  {V.MomvUDUS  monumenla  Aguensia,  pari, 
li,  col.  773  —  1790. 


DI   GIANFRANCESCO    GALEANI   KAPIONE.  l85 

CAPO     Vili. 

Ragguaglio  della  Lite  insorta  in  Ispagna  per  la  suc- 
cessione del  Maggiorasco  instituilo  da  Colombo , 
da  cui  risulla  ,  che  hi  patria  di  lui  fu  Cuccuro  in 
Monferrato. 

Certa  cosa  si  b,  clie  molto  più  dilettevole  lavoio  sa- 
rebbe il  ricavare  dagli  Storici  classici  dell' anlicliilà ,  o 
delle  colle  moderne  Nazioni  di  Europa ,  e  da  libri  ele- 
ganti di  argomento  o  letterario,  o  filosofico,  i  fatti  di 
cui  si  abbisogna ,  come  per  lo  più  si  fa  da'  Critici  e 
dagli  Autiquaij  ,  piuttosto  che  da  Scritture  forensi,  e 
da  allegazioni  di  Dottori  pragmatici.  Non  sono  queste 
al  certo  deliziosa  lettura;  non  sono  né  Livio,  né  Tacito. 
E  se  parlar  vogliamo  di  Storia,  e  di  Storia  Genovese, 
assai  più  gradita  fatica  riuscirebbe  il  rivolgere  le  Storie 
del  FocLiiiTTA ,  o  del  Bonfadio.  Ma,  per  cercare  e  sta- 
bilire una  verità  sulle  basi  le  più  solide,  io  son  d'avviso, 
che  non  vi  possa  essere  mezzo  più  sicuro,  quanto  sia 
quello  di  una  controversia  forense,  da  cui  dii)enda  la 
decisione  di  una  lite  di  gran  momento,  che  si  agiti  tra 
persone  facoltose  e  potenti.  Gli  sforzi  della  Critica  ani- 
mati dall'interesse  si  spiegano  in  tutto  il  loro  vigore,  e 
le  ragioni ,  che  si  possono  allegare,  sia  da  un  canto,  come 
daU'  altro  si  espongono  in  pieno  lume ,  ed  i  più  minuti 
fatti  e  circostanze,    che    favorire,  o  sfavorir    possono   la 


l86  KACCUACLIO    DEIXA    I.ITE    EC. ,   CAP.  VJII, 

causa  ,  vengono  con  occhi  lincei  notomizzafi.  Da  queste 
Abbandonate  carte  pertanto  ed  inamabili ,  alle  quali  un 
Ciceroniano  elegante,  od  un  purista  nostro  Petrarchesco, 
sarebbero  per  poco  tentati  di  adattar  quell'  aggiunto  niente 
pulito,  con  cui  Catullo  notò  gli  Annali  di  VoLusio , 
vedremo  sorgere  la  verità  pura  e  candida, 
»    Come    da  fctid'erba    nasce  il  giglio.» 

Se  r  instituzione  de' Maggioraschi ,  da' più  savj  Scrit- 
tori di  cose  politiche  si  tiene  comunemente,  che  abbia 
recati  gravi  danni  agli  Stati,  ed  alle  Nazioni;  e  se,  ben 
lungi  dal  giovare  alla  perpetuità  delle  Famiglie,  fa  sì, 
che  assai  piìi  presto  vengano  a  spegnersi ,  siccome  av- 
venne alla  discendenza  di  Colombo  ,  mancata  prima  del 
fine  del  Secolo  stesso,  in  cui  egli  movi,  fu  però  questo 
ordine  di  successione  favorevole  a  noi  in  quanto,  me- 
diante un  Maggiorasco  ordinato  da  Cristoforo,  e  mediante 
le  controversie  che  ne  insorsero ,  si  conservarono  i  monu- 
menti incontrastabili  della  origine  sua  Monferrina.  Tanto 
è  vero  non  esservi  cosa  si  cattiva,  che  non  porti  seco 
alcun  bene.  Qualora  pertanto  da  queste  Carte  apparisse 
ad  evidenza ,  che  da  persone ,  le  quali  avcnno  sommo 
interesse  per  provare  che  il  Colombo  non  fosse  discen- 
dente dalla  Famiglia  de'  Feudatarj  di  Cuccare  in  Mon- 
ferrato, siasi  dovuto  concedere,  che  tale  ei  fosse  ;  e 
quando  ciò  abbiano  dovuto  confessare,  dopo  essersi  in 
tutti  i  modi  studiati  per  escluderlo ,  e  dopo  aver  potuto 
esigere  le  più  rigorose  prove,  a  me  pare,  che  tale  verità, 
Beli"  ordine   delle  verità  morali,   debba  ravvisarsi  per  una 


DI    GIANFRANCESCO    GALEANI   NAPIONE.  187 

di  quelle,  che  maggior  grado  di  certezza  non  possono 
ricevere,  he  altre  verità  storiche  riposano  soltanto  sulla 
i'ede  degli  Scrittori;  questa  sulla  evidenza  del  fatto,  che 
noa  si  è  potuta  contrastare  da  chi  fece  ogni  sforzo  per 
opporvisi.  Vi  è  pertanto  tra  la  maggior  parte  delle  verità 
storiche,  e  quella,  di  cui  si  tratta,  la  diHereuza  che  passa 
tra  un  fatto  ,  intorao  alla  verità  di  cui  non  si  è  pro- 
ceduto a  particolar  esame,  ed  un  fatto  stato  sottoposto 
alla  discussione  la  più  severa  ;  e  quindi  dovuto  ricono- 
scersi per  vero,  per  sentenza  non  solo  imparziale  ,  ma 
estorquila  dalla  forza  della  verità  slessa  ,  e  proferita  da 
Avversar]  interessati,  ed  impegnati  a  sostenere  l'asser- 
zione contraria. 

Che  la  cosa  sia  così  non  è  difficile,  ne  lunga  opera 
richiede  il  dimostrarlo.  Resta  indispensabile  soltanto  il 
premettere  un  breve  ragguaglio  della  controversia  agi- 
tatasi in  Jspagna.  Ad  ogni  modo,  a  diminuirne  il  tedio 
contribuirà  il  curioso  argomento,  e  lo  scopo  che  ne  forma 
l'oggetto,  che  è  nulla  meno,  che  conquistare  il  vanto 
di  aver  prodotto  il  Colombo.  Da' Monarchi  di  Spagna, 
Ferdinando  ed  Isabella,  impetrò  Cristoforo  Colombo  la 
facoltà  d'  instituire  un  Maggiorasco  splendidissimo  ,  eoa 
Privilegio  accordatogli  nell'anno  1497  da  que' Regnanti; 
ducchè  allora  non  si  ardiva ,  senza  una  legge  speciale 
de' Sovrani  offendere  in  certo  modo  le  leggi  della  natura. 
Nell'anno    seguente    1498   fece  Colombo    il  suo  Testa- 

I mento ,  in  cui  institul  un  Maggiorasco,  al  quale,  dopo 
i  inaschj  legittimi  più  prossimi,  furono  chiamati  gli  agnati 


l88  RAGGUAGLIO    DELtA    LITE  EC. ,    CAP.   Vili, 

della  Famiglia.  Dicesi  poscia  che  uu  altro  Testamento  eì 
facesse  nell'anno  i5o2,  lasciandolo  in  custodia  nel  Mo- 
nastero di  Siviglia  de  Las-Cuevas,  Testamento  confer- 
mato finalmente  con  autentici  Codicilli  dell'anno  i5o6, 
in  cui  resta  ripetuta  l' instituzione  del  Maggiorasco.  Com- 
prendea  questo  Maggiorasco  quelle  amplissime  dignità , 
dritti  e  possessioni ,  che  avea  pattuite  il  Colombo  col 
Re  Cattolico  per  premio  della  sua  magnanima  impresa, 
considerata  come  superiore  alle  forze  umane  ,  con  tal  no- 
bile confidenza,  come  se  appunto,  già  prima  della  sco- 
perta, egli  medesimo  del  Nuovo  Mondo  ne  fosse  il 
possessore.  Erano  adunque  queste  la  dignità  di  Ammi- 
raglio dell'Oceano,  di  Viceré,  e  di  Governatore  per- 
petuo sia  della  Terra  ferma,  che  delle  Isole  scoperte,  col 
diritto  che  a  lui  spettar  dovesse  la  decima  delle  cose 
tutte  ritrovate ,  in  qualità  d'  Inventore ,  ed  in  oltre  la 
terza  parte  di  esse,  come  Ammiraglio,  di  tal  fatta,  che 
di  trenta  parti,  tredici  spettar  ne  dovessero  all'Ammi- 
raglio, il  rimanente  al  Re  Cattolico.  Morto  Colombo, 
ebbe  il  possesso  del  Maggiorasco  D.  Diego  suo  figliuolo; 
a  D.  Diego  succedette  D.  Luigi.  Questi  ebbe  lite  con 
Carlo  V  Imperadore  sul  particolare  delle  cose  scoperte, 
sul  modo  di  partirne  le  entrate,  e  sul  modo  di  conferir 
le  cariche,  sia  come  Viceré,  che  come  Governatore. 
Fatto  compromesso  in  un  Cardinale ,  il  medesimo  pro- 
nunciò il  suo  Laudo,  a  cui  acconsentirono  l'Imperatore 
Carlo  V,  ed  il  prenominato  D.  Luigi.  Si  dichiarò  nei 
Laudo,   che  a  D.  Luigi,  in  vece  della  dignità  di  Viceré, 


DI  CIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  l8r) 

verrebbe  accordata  l'isola  della  Giamaica  ia  titolo  di 
Marchesato,  ed  in  vece  di  quella  di  Governatore,  ven- 
tiquattro leghe  in  terra  ferma  nella  contrada  detta  Bc 
raglia  in  titolo  di  Ducalo  ;  e  che  aunualineule  gli  do- 
vessero venir  pagate  dieci  mila  doppie  in  oro  in  per- 
petuo dalla  Camera  delle  Indie  ,  in  luogo  della  decima 
convenuta  nella  Capitolazione.  Del  resto ,  che  ritener 
dovesse  D.  Luigi  Colombo  il  titolo,  co' diritti  di  Am- 
miraglio delle  Indie,  salva  nel  restante  interamente  la 
natura  del  Maggiorasco.  Dopo  questo  D.  Luigi  Colombo 
mancato  senza  figliuoli  raaschj ,  fu  possessore  della  pri- 
mogenitura un  altro  Diego,  nipote  di  D.  Luigi,  pei' 
via  di  Cristoforo  suo  fratello.  Questo  D.  Diego  fu  l' ul- 
timo dei  discendenti  maschj  in  retta  linea  del  celebra- 
tissimo  Cristoforo,  avendo  cessato  di  vivere  ncll'  anno 
1678,  settantadue  anni  soli  dopo  la  morte  dello  Sco- 
pritore delle  Indie,  senza  lasciare  dopo  di  se  prole  di 
sorte  veruna ,  nò  maschile ,  ne  femminile.  Fiera  lite  si 
accese  tantosto,  appena  spirato  l'ultimo  possessore  della 
primogenitura ,  tra  parecchie  persone  intorno  alla  inter- 
pretazione delle  parole  del  Testamento,  con  cui  Co- 
lombo avea  iustituito  il  Maggiorasco.  Rispetto  al  qual 
Testamento  è  da  notarsi,  che  si  rinvenne  bensì  quello 
dell'anno  1498,  ed  i  Codicilli  del  i5oò',  ma  non  riuscì 
di  rinvenir  l'altro  Testamento  succennato  del    i5o2. 

Quanto  io  son   venuto  sia  qui  divisando  si  è  ricavato  coiumba  oìUgL'. 

1    11         A  11  •         •  -       i\  *     1     •  1  II*  inCattsaDttcatus 

esattamente  dalle  Allegazioni  stampate  in  ftladrid  nellanno  He.a^uac  a  a,,-^ 

—  ,  .  v-        •  r-»  Tii-rurnm   Matrìli 

1  5q4  in  favore  di  Baldassarre   Colombo.  Chi  fosse   Bai-  s..b  die  s  uciot. 


igo  RAGGUAGLIO    DELLA    LITE  EC. ,    GAP.   Vili, 

dassarre,  e  quali  gli  Avversar)  suoi,  non  da  semplici 
Alleganze  di  Giurecousulti ,  ma  dal  Diploma  dello  stesso 
Re  di  Spagna  chiaramente  si  raccoglie.  E  questo  uua 
Lettera  del  Re  Filippo  11  al  Duca  di  Mantova  ,  allora 
al  possesso  del  Ducato  del  Monferrato ,  in  data  dei  4  di 
Ottobre  dell'anno  i583.  Si  accenna  in  essa,  che  pen- 
deva lite  avanti  al  Consiglio  Reale  delle  Indie  tra  D. 
Cristoforo  di  Cardona  Ammiraglio  di  Aragona,  Donna 
Francesca  Colomba  ,  D,  Alvaro  di  Portogallo  Conte  di 
Gelves,  Donna  Giovanna  di  Toledo  Vedova  del  fu  D. 
Luigi  della  Cueva,  e  la  Badessa,  Monache,  e  Monastcì'O 
della  Villa  di  Vagliadolid ,  e  Donna  Maria  Colomba, 
Monaca  Professa  nel  detto  Monastero  ,  e  D.  Cristoforo 
Colombo,  sopra  la  tenuta  e  possesso  del  Ducato  di 
Beragua  ,  Marchesato  di  Giamaica  ,  ed  Ammiragliala 
delle  Indie.  Si  aggiunge  essersi  opposto  D.  Baldassarre 
Colombo  ,  dicendo ,  eh'  era  egli  chiamato  ad  esso  Mag- 
giorasco,  e  che  a  lui  apparteneva  la  tenuta  e  possesso 
di  quello  Stato.  Siccome  per  provare  l' inten/ion  di  D. 
BaldassaiTe  si  aveano  ad  esaminare  testimouj  in  Mon- 
ferrato ,  richiede  perciò  il  Re  Filippo  il  Duca  ,  affinchè 
desse  ordine  per  farli  esaminare  da' suoi  Magistrati  entro 
il  termine  di  sei  mesi,  esigendo  da  ciascheduno  di  essi 
testimoni  il  giuramento  in  debita  forma,  per  conto  degli 
interrogatorj ,  che  per  parte  del  D.  Baldassarre  venissero 
loro  fatti,  per  essere  poscia  quegli  esami  rimessi  al  pre- 
detto D.  Baldassarre,  onde,  presentandoli  al  Supremo 
Tribunale  di  Spagna,    ottener  potesse  giustizia. 


DI  CIANFRANCESCO    GALEANI    KAPIONE.  igi 

Da  questa  Lettera  del  Re  Filippo  II  appare ,  che 
ncll'anao  i583,  vale  a  dire  cinque  soli  anni  dopo  la 
morte  di  D.  Diego  Colombo,  ultimo  della  discendenza 
maschile  legittima  del  famoso  Cristoforo  (  poiché  l'ultimo 
D.  Cristoforo  annoverato  tra' Pretendenti  al  Maggiorasco, 
era  figliuolo  spurio  del  D.  Luigi  )  già  entrato  era  in 
lite  il  D.  Baldassarre.  Da'  Capitoli  poi  annessi  alla  pre- 
fata Lettera  del  Re  di  Spagna,  ed  intorno  a' quali  si 
aveano  ad  interrogar  i  Testimonj  da  esaminarsi  (per 
toccar  soltanto  i  sommi  capi  di  essi)  appare,  che  i 
punti  di  fatto,  da  accertarsi  mediante  i  medesimi,  erano 
sostanzialmente,  che  il  D.  Baldassarre  era  dell'antica  Fa- 
miglia dei  Colombo  Cousignori  di  Cuccaro  in  Mon- 
ferrato :  che  discendeva  egli  da  comune  stipite  col  fa- 
moso Cristoforo:  che  l'Avolo  dello  Scopritore  delle  In- 
die era  Quadritavo  di  D.  Baldassarre  :  che  Domenico 
Colombo  nominato  in  iscritture  pubbliche  tra' Consignori 
di  Cuccaro,  fu  Padre  di  Cristoforo  succenoato  ;  e  per 
ultimo,  che  era  cosa  pubblica,  ed  a  tutti  manifesta  , 
che  Cristoforo  Colombo  era  discendente  dai  Colombi  del 
castello  di  Cuccaro.  Oltre  a  questi  principali  punti  do- 
veano  pure  esaminarsi  i  testimonj  intorno  a  diverse 
particolarità  concernenti  la  Famiglia  dei  Colombi  di  Cuc- 
caro; i  rami  che  da  quel  ceppo  eransi  divisi  e  stabiliti 
in  diversi  Luoghi,  i  Parentadi  e  le  diverse  vicende  della 
Famiglia;  e  come  Cristoforo,  perle  Parentele  che  erano 
tra  il  Casato  de' Colombi  di  Cuccaro,  ed  i  Genovesi,  e 
per    la   vicinanza    della  Città  di  Genova,   tenuta    per    la 


192  KACGUAGLIO    della    lite   EC.  ,   CAP.  Vili, 

Capitale  della  Liguria,  e  per  la  pratica  che  teuca  co' Ge- 
novesi per  mare ,  potè  chiamarsi  Genovese ,  tuttochò 
fosse  del  castello  di  Cuccare. 

Vennero  esaminati   i  testimonj   da  un  Senatore  *  Dele- 
*>■•  «47.  gato  del  Duca  di  Mantova ,    ed  avanti  due  Notaj ,  Segre- 

tari del  Senato  di  Casale  di  Monferrato  ,  e  la  legalità  di 
quegli  Atti  venne  comprovala  coli' autorità  del  Senato, 
e  con  quella  eziandio  del  Vicario  del  Vescovo  di  Casale. 
Lunga  cosa  sarebbe  il  riferire  partitamente  le  risposte 
di  essi  testimonj ,  e  le  riflessioni  e  difllcoltà  messe  in 
campo  dagli  Avversar) ,  e  le  repliche ,  che  per  parte  del 
D.  Baldassarre  vi  si  fecero.  Mi  basterà  per  ora  ,  per 
ottener  il  mio  intento ,  e  per  isciogliere  ogni  questione 
intorno  alla  Patria  di  Colombo,  il  diro  ,  che  ,  dopo  essersi 
prodotto  nella  Causa  in  Ispagna  il  risultato  di  questo 
esame,  benché  la  lite  proseguisse  circa  altri  punti,  per 
quello  che  si  aspetta  alla  gloria  dell'  antico  Monferrato , 
gli  Avversar)  di  Baldassarre  Colombo  furono  costretti 
a  darsi  per  vinti,  ed  a  confessare,  che  il  celebratissimo 
Cristoforo  Scopritor  del  Nuovo  Mondo,  era  uscito  da' 
Signori  del  castello  di  Cuccaro;  e  ciò  quantunque  questo 
punto  fosse  di  tale  importanza,  e  di  tale  natura,  che, 
ove  fosse  loro  riuscito  di  far  nascere  intorno  ad  esso 
dubbj  alquanto  fondati,  non  si  sarebbe  più  fatto  luogo 
alla    discussione    degli    altri    punti.     In    questa    maniera 


*  Fu  questi  il  Senatore  Ferrari  Piacenliuo, 


♦ 


DI  gianfrancesco  galeam  napione.  igS 

adunque  que' potenti  Magnati  delle  Spagne,  che  con  tanto 
calore  per  lo  possesso  di  tante  ricchezze  litigavano  contro 
D.  Baldassarre,  per  ciò  che  si  appartiene  alla  contro- 
versia intorno  alla  Patria  di  Cristoforo  Colombo,  pro- 
ferirono in  favor  nostro  la  più  giusta,  la  più  impar- 
ziale Sentenza. 

I  punti  discussi  in  quella  Causa  ,  e  che  si  sostenevano 
dai  Difensori  di  D.  Baldassarre  erano  cinque,  come  ri- 
Gulta  dalle  mentovale  Allegazioni  pubblicatesi  in  Ispagna 
nel  1094;  primieramente  che  Cristoforo  Colombo  potè 
instiluire  il  Maggiorasco ,  e  nel  modo,  che  venne  da 
lui  instituito;  2.°  che  appariva  ad  evidenza  qual  fosse 
la  volontà  sua  intorno  a  questo  particolare  dal  suo  Te- 
stamento e  Codicillo;  3.°  che  a  tenore  tanto  dell'uno, 
come  dell'  altro  di  quegli  Atti ,  restavano  chiamati  alla 
Primogenitura  i  maschj  agnati  legittimi  della  Famiglia; 
4.°  che  D.  Baldassarre  Colombo  avea  provato  ad  evi- 
denza esser  egli  Aguato  maschio  e  legittimo  della  Fa- 
miglia del  Testatore;  5." finalmente,  che  niuno  era  com- 
parso più  prossimo  di  lui ,  e  che  i  Collitiganti  restavano 
esclusi  come  incapaci.  Il  punto  dell'  Agnazione  si  è  quello 
che  unicamente  a  noi  preme,  che  si  decidesse  favorevol- 
mente. Ma  circa  a  questo ,  le  prove  furono  appunto  così 
convincenti,  che  non  fu  d'uopo  di  Sentenza  veruna,  e 
dopo  essersi  esaminate,  come  risulta  dal  Sommario,  colla 
più  scrupolosa  esattezza  e  sottigliezza  dettata  dall'inte- 
resse degli  Awersarj ,  dacché,  come  è  detto,  se  si  fatte 
prove  si  fossero  potute  soltanto  infievolire  ad  un  segno 

25 


194-  RAGCUACLIO   DELLA    LITE  EC. ,   CAP.  Vili, 

da  porre  la  cosa  in  dubbio,  cadeva  a  terra  ogni  pre- 
tensione di  D.  Baldassarre,  le  trovarono  di  tal  peso, 
che,  senza  aspettare  Sentenza  di  Magistrato  ,  furono  essi 
Avversar)  dalla  evidenza  di  esse  costretti  ad  ammetterle 
per  concliiudenti.  Tanto  si  raccoglie  dalle  Allegazioni 
precitate,  dove  dicesi,  che  questi  punti,  vale  a  dire, 
che  Baldassarre  Colombo  Consignore  di  Cuccaro,  fosse 
maschio  agnato  legittimo  ,  e  della  Famiglia  del  Testatore, 
si  erano  provati  cosi  pienamente,  che  non  potevano  ri- 
cevere grado  maggiore  di  evidenza  ,  dappoiché  gli  Av- 
versar) ,  non  solo  tacitamente  vi  acconsentivano  ,  ma 
aveano  espressamente  riconosciuto  D.  Baldassarre  come 
tale ,  secondo  che  ne  risultava  dal  Processo ,  ne  altro  vi 
opponevano,  se  non  se  esser  egli  in  grado  assai  riraoto*. 
Non  è  questo  il  solo  riscontro  che  si  abbia,  che  gli 
Avversar)  di  D.  Baldassarre  siensi  acquietati  intorno  al 
punto  succennato ,  ed  abbiano  ammesse  per  convincenti 
le  prove  da  lui  addotte  per  dimostrare  Tagnazion  sua 
collo  Scopritor  dell'  America.  Trovandosi  Baldassarre  Co- 
lombo in  lontan  paese ,  impegnato  in  così  dispendiosa 
Lite  contro  personaggi  sì  grandi,   chiese,  mentre  questa 


*  «  Hscc  aiilpm  (srilicet  D.  Ballhasarem  mascukim  legitiinum ,  et  d» 
»  Familia  Teslaloris  esse)  nullo  modo  plenius  probari  poluerant,  quam 
»  probata  sunl,  ciim  Partes  Colliliganles,  non  modo  tacile  consentiant,  sed 
»  exprcsse  admiltant  D.  Balthasarem  uti  talem ,  neqtio  aliiid  illi  opponant, 
»  quaiu  esse  in  gradu   adoiodiim  remoto ,  ut  in  Processa  ». 

Allegazioni  precitate  stampate  in   Madrid  nel   i594. 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANl    NAPIONE.  1^5 

vertiva ,  gli  alimeuti  sul  fondo  che  cadeva  in  Lite ,  per 
essere  egli  male  agiato  di  beni  di  fortuna ,  ed  aver  do- 
vuto spendere  tutte  le  sue  sostanze  nel  promovere  le  sue 
ragioni.  Tra  i  diversi  motivi  allegati  da  lui  per  ottener 
tal  cosa,  in  un  Memoriale,  che  trovasi  pure  stampato 
ed  unito  al  Sommario  della  Causa,  uno  si  è,  che  le 
Parti  contrarie  vi  acconsentivano ,  e  confessavan  tutti 
esser  egli  agnato  di  Colombo  come  constava  ,  ed  il  te- 
nevano per  provato ,  soggiungendo  soltanto ,  che  era 
egli  in  grado  rimoto  *.  Nello  stesso  Sommario  poi,  {or- 
matosi sin  dall'anno  1684,  si  pone  per  base,  che  D.  Bal- 
dassarre discendeva  da  un  comuu  ceppo  con  Cristoforo 
Colombo,  poiché  Lancia  Colombo  Signore  del  Castello 
di  Cuccaro,  il  quale  fu  Avolo  paterno  del  rinomatissimo 
Ammiraglio  Cristoforo  Scopritore  delle  Indie,  fu  Qua- 
dritavo  di  D.  Baldassarre;  e  cjuesto  articolo  del  parentado 
di  D.  Baldassarre  con  Cristoforo  Colombo  è  ricavato  dal 
Memoriale    di    fatto ,  che   risulta   concertato    colle    Parti 


avversarie**. 


•«Constando,  come  consta,  que  todos  lo  conncssan  y  lo  tiene  provadQ, 
»  solo  dizen  que  es  mas  remolo  y  apartado  ». 

Memoriale  ài  D.  Baldassarre    Cozomko. 

**  Il  Sommario  Spagiiuolo  comincia  in  questi  precisi  termini  «  Don  Bal- 
»  thasar  Colombo  de  los  Segnorcs  del  Castillo  de  Cucaro  ,  que  es  en 
»  Italia,   eii  el  Ducado  de  Monferrato    en    12  Enero  de  l'ano    passado  de 

»  i583  ....  se  opuso  al  pleyto  del  Estado  de  Vcragua,  diziendo  ce 

rf  E  dopo  segue  così — Porque  su  parcntesco  y  decendencia  del  Fundador  e» 
4>  uua  misma ,  pues  ambos  dicieudeu  de  una  cepa  y  tronco ,  que  fuc  Lan^a 


ÌC)6  RAGGUAGLIO   DELLA   LITE  EC,  CAP.   Vili, 

Dobbiamo  adunque  riguardar  come  decisa  a  favor 
nostro  la  controversia ,  dopo  una  confessione  così  aperta 
ricavata  per  forza  della  verità,  dalla  bocca  di  chi  avea 
il  maggior  interesse  per  contrastarla,  e  dopo  aver  posti 
in  pratica  tutti  i  piìi  studiati  argomenti  per  porla  in 
dubbio;  e  potrà  ciascuno  di  noi  esclamare,  con  intima 
compiacenza ,  come  già  Archimede  ,  ho  intronalo.  Do- 
vrebbe pur  compiacersene  quel  colto  Signore  diLangeac, 
che  dettò  una  bella  Epistola  in  versi  Francesi  riguardante 
il  Colombo  ,  coronata  negli  anni  addietro  dall'  Accade- 
mia di  Marsiglia,  nel  ravvisare,  che  la  Famiglia  di  quello 
uomo  immortale  non  ebbe  né  la  oscura  origine  eh'  ei 
presuppone,  ne  la  breve  durata  di  poco  piìi  di  settanta 
anni,  com'  egli  si  dava  a  credere;  che  anzi  sussisteva 
molto  prima  del  Colombo  ,  ed  avea  già  prodotti  uomini 
di  chiaro  grido,  segnatamente  nella  Milizia  Navale  ,  e 
sussiste  tuttora  nell'antica  sua  prima  sede  nel  Monferrato*. 


»)  Colombo,  Segnor  de  la  Villa  y  Castillo  de  Cucaro,  el  qual  fue  Abuelo 
»  paterno  del  dicho  Almiranle,  y  quarto  Abuelo  del  dicho  D.  Balthasv- 
*  COLOMB  dans  ces  feri,  aprls  la  découverte  de  VAmirique.  Épitre  qui  a 
remporti  le  prix  de  rAcadémie  de  Marseille  ,  précède  d'un  précis  historique 
tur  CoLOBiB,  par  liU  te  Chef,  de  Langeac,  in  8,<>,  Paris  1782. 


DI   GIANFRAKCESCO  GALEÀNI   NAPIONE.  ign 

CAPO     IX. 

Eslrallù  del  Consulto  del  Sordi  nella  Causa  della 
successione  del  j\Iaggiorasco  insdluito  da  Cristoforo 
Colombo. 

Che  r  Autore  della  Storia  di  Piacenza  Pier  Maria 
Campi  non  abbia  saputo  veder  la  luce  del  vero ,  che 
sfavillava  dalle  Carte  eh' ebbe  avanti  agli  occhi,  giacche, 
se  a  lui  note  non  furono  per  avventura  le  Allegazioni 
succcnnate  pubblicatesi  nell'anno  i5g4,  vide  però  il 
Sommario  della  Causa  per  la  successione  del  Maggio- 
rasco  fondato  da  Colombo  ,  stampato  in  Madrid  nel 
iSgo,  non  ne  faremo  meraviglia  nessuna*.  La  preven- 
zione che  il  Colombo  fosse  Piacentino,  e  l'impegno  di 
non  trovar  in  esse  Carte  ciò  che  era  contrario  al  suo 
intento  ;  in  somma  la  lodevole ,  ma  ingannatrice  passione 
dell'  amor  della  Patria ,  gli  fece  velo  all'  intelletto.  Molto 
più  singoiar  cosa  si  è,   che  I'Alghisi,  il  quale  ebbe  la 


*  Il  Campi  non  solo  avea  gi;"l  fissato  il  suo  sistema,  ma  avea  in  oltre, 
come  confessa  egli  medesimo,  stesa  gran  parte  del  suo  Islorlco  discorso 
circa  la  Patria  ili  Cristoforo  CoiOMEo ,  quando  gli  capitò  il  Sommario  Spa- 
glinolo (  V.  p.  243  )  :  fece  pertanto  a  un  dipresso  quello ,  che  diccsi  che 
facesse  certo  Storico  ,  quando ,  speditegli  le  Memorie  originali  di  un  asse- 
dio da  inserirsi  nella  sua  Opera  ,  mentre  1'  avea  già  immaginato  e  descritto 
a  suo  senno ,  rispose  jncrescerli ,  che  tali  Memorie  giunte  fossero  tardi , 
e  che  il  suo  assedio  era  già  fatto. 


ICjS      ESTRATTO  DEL  CONSULTO  DEL  SORDI  EC.  ,  CAP.  IX, 

sorte  di  aver  fra  le  mani  tutti  questi  Documenti ,  e  che 
intendeva  valersene  per  assicurar  al  Monferrato  la  gloria 
di  aver  prodotto  il  Colombo  ,  non  abbia  saputo  trarne 
partito.  Dico  cosi ,  perchè  in  quel  lungo  Articolo  dove 
tesse  la  Genealogia  de'  Signori  Colombo  Feudatarj  di 
Cuccaro,  parla  bensì  della  gita  di  Baldassarre  Colombo 
in  Ispagna  per  promovere  le  sue  ragioni ,  onde  conse- 
guire il  possesso  del  Maggiorasco  posseduto  dall'  ultimo 
Duca  di  Beragua;  ma  di  ciò  che  forma  il  più  stringente 
argomento ,  per  provare  che  il  Colombo  fu  infallante- 
mente della  Famiglia  de' Feudatarj  di  Cuccaro,  non  tocca 
né  punto  nò  poco  ;  e  questo  consiste  nello  essere  stato 
riconosciuto  ccncordemente  da  tutti  gli  Avversar)  suoi , 
come  Agnato  del  Colombo,  ammessione ,  la  quale,  come 
si  è  veduto ,  furono  loro  malgrado  costretti  di  fare  ia 
forza  delle  più  rigorose  prove  e  minuti  esami  presentati 
Aighisi  si.r  ^^^  Baldassarre.  Anzi  col  conchiudere  che  fa  I'Alghisi 
p.'ii.'iib.u,°j'!,'.',.'  ^^  nari-azion  sua  dicendo,  che  Avversar]  così  grandi  e 
potenti,  quai  erano  quelli,  con  cui  Baldassarre  piativa, 
condussero  la  Lite  per  lo  spazio  di  ventisette  anni ,  onde 
vi  lasciò  egli  la  vita;  e  che,  sottentrato  ad  essa  il  Figli- 
uolo, con  ricevere  dodici  mila  doppie,  fece  accordo  eoa 
essi,  e  si  partì  di  Spagna ^  ritornandosene  alla  sua  Patria, 
rende  dubbioso  ciò  che  è  fuori  di  controversia.  Sembra 
in  questa  guisa  ,  che  il  punto  della  Lite,  su  cui  si  venne 
ad  un  tale  accordo,  fosse  l'essere,  o  non  il  Baldassarre 
Agnato  del  celebre  Cristoforo  Colombo  ;  quandoché  il 
nodo  della  questione,  come  si  è  mostrato,   si  era  ridotto, 


DI   GIANFRANCESCO  CALEANI   NAPIONE.  igg 

non  già  a  contrastargli  l' agnazione  collo  Scopritore 
dell' America  (intorno  al  qual  punto  di  fatto  non  era 
rimasto  dubbio  nessuno),  ma  bensì  a  determinare,  se, 
a  seconda  delle  parole  del  Teslamcnto  di  Colombo,  chia- 
mato fosse  al  Maggiorasco  un  discendente  da  uno  Zio  pa- 
terno del  Testatore,  a  preferenza  delle  Figlie  discendenti 
dal  Testatore  medesimo  ;  punto  di  ragione  assai  più 
difficile  ed  arduo ,  posta  la  sottigliezza  de'  Giureconsulti 
neir  interpretare  le  parole  e  le  intenzioni  de'  Testatori , 
e  perciò  soggetto  al  dubbio  evento  di  una  Sentenza , 
tuttoché  accertato  si  fosse  il  punto  dell'  agnazione  di  Bal- 
dassarre Colombo.  Eppure  quelle  Carte  ebbe  1'  Alghisi 
tutto  r  agio  di  esaminarle,  avendone  avuto  copia  da  As- 
canio  Colombo  Consignore  di  Cuccaro,  ed  uno  degli 
Antenati  de'  viventi  a'  giorni  nostri.  Forse  l' essere  quel 
Sommario  in  lingua  Spagnuola,  ed  il  trattarsi  di  que- 
stione giuridica  co' termini  usati  nel  foro,  fu  il  motivo 
per  cui  il  buon  Religioso  Agostiniano  non  vi  si  internò 
più  che  tanto. 

Ma  che  diremo  noi,  se,  prescindendo  da  queste  Stampe 
Spagnuole  in  Italia  rarissime  ,  si  presentasse  altra  Scrit- 
tura forense ,  da  cui  tal  cosa  giù  risultava  pienamente  ? 
Scrittura  pubblicata  sin  dal  Secolo  XVI ,  di  un  Giure- 
consulto nostro  Piemontese,  i  cui  Consulti  si  ritrovano 
quasi  in  ogni  Biblioteca  de'  nostri  As'vocati  ?  Ciò  non 
pertanto ,  dello  aver  ignorato  questo  nuovo  irrefragabile 
Documento  per  provar  la  Patria  Monferrina  del  Colombo, 
non    ne    darò  biasimo    né   al    Tirabosciii  ,  ne    ad  alcun 


200      ESTRATTO  DEL  CONSULTO  DEL  SORDI  EC, ,  CAP.  IX, 

altro  Letterato  ,  che  abbia  scritto  intorno  a  questa  con- 
troversia famosa.  Il  trovarsi  si  fatta  memoria  preziosa  sep- 
pellita in  quegli  immensi  Volumi  in  ira  alle  Muse ,  era 
lo  stesso  come  foro,  che  si  giace  nelle  viscere  delle  mon- 
tagne le  pili  scoscese;  e  quando  si  tratta  tra' Letterati  di 
libri,  non  si  tratta  mai  di  quelli,  clic  da' Giureconsulti 
medesimi  non  sono  tenuti  già  in  conto  di  libri  da  leg- 
gersi e  da  studiarsi,  ma  piuttosto  di  semplici  materiali 
stroraenti  da  venir  adoperati  al  bisogno.  Eppure  non  solo 
dalle  antiche  piìi  rozze  Leggende ,  che  alla  fin  fine  sono 
libri  appartenenti  alla  Storia ,  si  ricavano  notizie  riguar- 
danti il  Governo,  i  costumi,  e  la  Storia  delle  età  rozze, 
inn  eziandio  s'incontrano  queste  ne' volumi  ponderosi  ed 
indigesti ,  e  massime  ne'  Consulti  de' Giuristi  della  Scuola 
antica  di  Baldo  e  di  Bartolo  ,  che ,  anche  ne'  Secoli 
di  eleganza  e  coltura,  come  furono  il  Secolo  XV,  ed  il 
XVI ,  perseverarono ,  e  perseverano  tuttora  ad  armarsi 
da  capo  a  piedi  di  barbara  dottrina.  Sento  che  v'  abbia 
chi,  non  lasciandosi  sbigottire  da  questo  ostacolo  for- 
midabile ,  abbia,  con  tanfo  pii!i  benemerita ,  quanto  piìi 
dura,  anzi  Erculea  fatica,  ricavato  da  questo  sconosciuto 
fonte,  facendo  spoglio  esatto  di  sì  fatto  genere  di  libri, 
molte  peregrine  notizie  patrie,  che  servir  potrebbono , 
e  giovar  moltissimo  a  chi  prendesse  una  volta  a  dettare 
una  Storia  del  Piemonte*,    Opera,     che    attesa    la    non 


*  È  slata  stampata  di  fresco  una  Storia   del  Piemonte  dell'  Abate  Denina 
in  Gerraanla;   ma  è  uscita  alla  luce  in  liagaa  Tedesca. 


DI    GIANFRANCESCO   GALEANI    NAPIONE.  20I 

cuianza  della  maggior  parte ,  e  la  incontentabile  accu- 
ratezza di  alcuni  pochi  ,  manca  tuttora  allo  nostre 
contrade. 

Ad  ogni  modo,  venendo  al  particolare  del  Colombo, 
quegli  che  ci  conservò  una  irrefragabile  prova  della 
Patria  di  lui  ne' suoi  Consulti,  si  è  GiovanPietro  Sordi 
di  Crescentino  Senatore  nel  Senato  di  Casale,  che  norl 
verso  il  fine  del  Secolo  XVI  ,  vale  a  dire  del  Secolo 
slesso  in  cui  mori  il  Colombo,  ed  ebbe  a  dettare  per 
buona  sorte  un  Consulto,  nel  mentre  che  agitavasi  in 
Ispagna  la  Lite  tra  Baldassarre  Colombo,  e  que' potenti 
Magnati  Spagnuoli.  Non  ostante  che  venga  il  Sohdi  detto 
dal  nossoTTi  Dottore  di  gran  fama,  e  non  ostante  gli  scripi.  Pedcm., 
Epigrammi  in  lode  di  lui ,  di  due  Letterati  Monfcrrmi 
Stefano  Guazzo  Autor  della  Conversazione  civile,  e  di 
Rime  e  Prose,  e  di  Annibale  Magnocavalli  interlocutor 
ne' Dialoghi  della  Conversazione  civile,  e  non  ostante 
le  replicate  edizioni  che  si  fecero  de' suoi  Consulti*,  io 
non  avrei  forse  mai  cercato  quel  Volume,  se  non  mi 
fosse  stato  additato  il  Consulto  che  riguarda  il  Colombo,  di 
cui    stimo  buona  cosa  il  presentarne  un  succinto  estratto. 

Prima  di  tutto  però  si  vuol  riflettere,  che  quello,  che 


*  I  Consulti  del  Sordi  furono  stampati  secondo  il  Rossotti  in  Torino 
ed  iu  Venezia  nel  iSSg;  ve  ne  ha  altra  edizione  posteriore  di  Francforl. 
11  titolo  di  questa,  che  ho  sotto  gii  occhi,  si  ò  il  srguenle  —  Comiliorum 
Domini  Joan.  Petri  SuRni  I.  C.  et  Senatori!  preeclarissimi  lib.  II,  Francoforti 
i6i6,  V.  Cousilium  CCXLI,  pag-  8oo  e  scg. 

26 


202   ESTBATTO  DEL  CONSULTO  DEL  SORDI  EC. ,  CAP.  ÌX, 

nella  controversia  intorno  alla  Patria  del  Colombo,  ci 
dà  vinta  la  Causa ,  non  è  già  V  eloquenza  ,  ma  il  silenzio 
del  Sordi.  Stese  egli  il  suo  Consulto ,  dopoché  da  Bal- 
dassarre Colombo  eransi  già  presentate  le  prove  della 
agnazion  sua  col  celebre  Cristoforo  Colombo.  Essendo 
questo  fatto  la  base  di  tutti  i  suoi  ragionamenti,  sì 
darebbe  altri  a  credere,  che  si  diffonda  il  Sordi  per 
provarlo.  Eppure  intorno  a  questo  punto  non  si  trova 
neppure  una  sillaba  nel  suo  Consulto.  Qual  prova  mag- 
giore, che  in  Monferrato  il  Colombo  fosse  tenuto  senza 
dubbio  nessuno  come  della  Famiglia  de' Signori  di  Cuc- 
caro?  E  quello  che  è  più,  in  qual  modo  si  può  dimo- 
strare più  ad  evidenza  tal  cosa,  come  colla  intera  e  piena 
acquiescenza  degli  Avversai)?  Acquiescenza  che  risulta  dal 
non  farsi  parola  dal  Sordi  intorno  a  sì  fatta  questione, 
quantunque  questa  questione  medesima ,  secondo  quello 
che  appare  dal  Sommario ,  si  fosse  agitata  col  maggior 
calore,  e  mettendo  in  opera  tutta  la  sottigliezza  la  più 
minuta,  per  non  dir  cavillosa,  della  Critica  Forense.  Non 
voglio  poi  lasciar  di  avvertire  una  particolarità,  che  mi 
sembra  da  notarsi  in  quel  Consulto ,  e  si  è ,  che  l' entu- 
siasmo dell'  amor  della  Patria ,  che  non  potea  a  meno 
di  eccilarsi  parlando  di  un  uomo  qual  fu  Cristoforo 
Colombo  ,  non  giunse  in  nessun  modo  a  riscaldare  il 
Giureconsulto  Consulente.  Con  freddissima  imparzialità 
tanta,  e  sì  mirabile  parla  egli  di  Cristoforo  Colombo,  che, 
non  solamente  mai  non  lo  qualifica  per  Iscopritore  del 
Nuovo  Mondo,  ma  nemmeno  gli  è  cortese  di    na  bre- 


DI    GIANFRANCESCO   GALEANI   NAPIONK.  2o3 

vlssimo  aggiunto  di  illustre  ,  o  di  celebre  ;  ben  diverso  in 
ciò  dal  Giureconsulto  Spagnuolo,  che  stese  le  Alloga- 
zioni stampate  in  Madrid  ;  il  che  non  già  ad  artificio 
del  Giureconsulto  nostro  Monferrino  io  attribuisco ,  ma 
bensì  a  quella  Stoica  indifli-renza,  connaturale  agli  uomini 
di  quella  professione,  per  tutto  ciò  che  non  riguarda  di- 
rettamente il  punto,  di  cui  trattar  debbono.  In  questa 
guisa  l'Avvocato  di  Baldassarre  Colombo,  per  rispetto 
alia  gloria,  che  pofea  venirne  alle  nostre  contrade  dallo 
esser  Patria  dello  Scopritore  delle  Indie,  lascia  traspa- 
rire ,  senza  artificio  nessuno,  una  tale  e  tanta  piìi  che  Filo- 
sofica insensibilità,  che  intorno  a  questo  particolare  alle- 
gar si  potrebbe  por  testimonio  non  sospetto,  nulla  meno, 
che  se  fosse  nato  egli   medesimo  nelle  Indie. 

Ma  venendo  una  volta  al  punto,  ecco  quali  sieno  le 
questioni  agitate  dal  Sordi  nel  suo  Consulto,  e  con  qual 
ordine  vengano  discusse.  Premette  egli,  che  la  disposi- 
zione ,  o  sia  Codicillo  di  Cristoforo  Colombo  ,  scritto 
nell'anno  i5o5,  di  cui  constava  per  rogito  di  Notajo 
in  Vagliadolid  dell'anno  seguente  i5oG,  era  valido  ;  atte- 
soché, quantunque  si  riferisse  ad  un  Testamento  da  lui 
anteriormente  fatto  nella  Città  di  Siviglia ,  conteneva 
però  ciò  che  asseriva  in  esso  Testamento  aver  egli  ordi- 
nato. Stabilisce  perciò  il  Sordi  non  potersi  porre  in 
dubbio  l'instituzionc,  e  la  sostanza  del  Maggiorasco.  Pre- 
messa adunque  la  validità  della  disposizione,  ecco  il  punto 
della  difficoltà,  intorno  a  cui  si  aggira  il  Consulto  del 
Sordi.    Trattavasi    di    determinare ,    se    al   Maggiorasco 


precil. 
ti."  II 


204   ESTRATTO  DEL  CONSULTO  DEL  SORDI  EC,  GAP.  IX  , 

instituito  da  Cristoforo  Colombo  fosse  chiamato  Baldas- 
sarre Consiguore  del  Castello  di  Ciiccaro,  e  se  dovesse 
venir  preferito  alle  Femmiue,  ed  a' discendenti  per  mezzo 
di  linea  femminile.  Prende  perciò,  secondo  il  consueto 
stile  de'  Giuristi ,  ad  esporre  prima  le  ragioni  che  alle- 
gar si  potevano  contro  il  suo  Cliente  Baldassarre  Co- 
ecTi^'N°3°1d  ^°^i^<^>  6  ^i''"*  queste  non  vi  ha  neppure  un  cenno,  che 
lasci  trasparir  che  si  dubitasse  esser  egli  vero  Agnato 
del  famoso  Cristoforo  Inslitutor  della  Primogenitura. 

I  principali  motivi,  che  si  adducono  come  messi  in 
campo  dagli  Avversar]  per  escludeilo ,  sono  bensì  i  se- 
guenti. E  primieramente  perchè ,  sebben  Cristoforo  Co- 
lombo avesse  instituito  un  Maggiorasco  de' suoi  beni,  lo 
avea  instituito  soltanto  tra' suoi  Discendenti,  ed  in  man- 
canza di  questi  tra  i  Discendenti  de'  Fratelli  suoi  proprj  : 
ne  da.  lui  si  nominano  altri  Aguati:  che  chi  dicesse, 
che  il  Maggiorasco  conteneva  eziandio  questo  caso  ,  era 
tenuto  a  provarlo  ,  essendo.,  come  dice  il  Sordi  con  aurea 
i.ra*us"sUo"o5U5  schiettezza,   il  Maggiorasco   odioso,    e   fuori    delle  regole 

»el  exorbilans  a     1    i     t-v    •.,  t  .  .,      .  .       ,, 

ireguiisjurisco-  del  JJu-itto  comunc ;   doversi   perciò  interpretare   stretta- 

vmiinis ,  slricle  <r>       i   \  rr         i        -i  t~v    ■  i 

«debei  inierpre-  meutc ,    amuciie   Hicno  oHeuda  il  comune  Diritto;   e  che 

Ilari  ,  ul  uiinus 

»ia:dat   jus  co-  quautunquo  Cristoforo  Colombo  ,  dopo  aver    enumerate 
Comii.  cit.       ig  persone    de' Figliuoli  e  de' B'ratelli,    aggiunga*;    Che 


*  Le  parole  precise  di  quel  Codicillo  si  hanno  in  un  Albero  de  Colombi 
di  Cuccare,  che,  mentre  aoitavasi  la  Lite  iu  Ispagna,  comparve  in  Pia- 
cenza, e  vien  recato  dyl  Campi  che  allora  vivea,    nel  suo   Discorso  isjft- 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  2o5 

a'  intenda  così  di  uno  in  altro  il  Parente  più  pros- 
simo  della  sua  linea  ;  tuttavia  dovei-si  iutendere  quelle, 
parole  rispetto  a' discendenti  da'Figliuoli  e  da' Fratelli , 
non  mai  in  maniera,  che  altri,  oltre  a  questi,  s'inten- 
dano chiamati.  In  secondo  luogo ,  perchè  il  Maggiorasco 
venne  instituito  sotto  la  condizione ,  se  il  D.  Diego  pri- 
mogenito di  Cristoforo,  ed  altri  primi  chiamati,  fossero 
morti  senza  prole  ;  ora  siccome  il  D.  Diego  avea  lasciati 
Figliuoli,  per  conseguente  le  susseguenti  instituzioni  fatte, 
si  aveaao  da  tener  come  fatte  sotto  la  condizione  della 
mancanza  de' Figliuoli.  In  terzo  luogo  fioalménte,  perchè 
il  IMuggiorasco  non  si  estende  al  di  li  del  quarto  grado  , 
ed  il  Baldassarre  Colombo  né  si  trovava  entro  la  quarta 
generazione,  uè  trovavasi  congiunto  entro  al  decimo 
grado    col    D.  Diego    ultimo  possessore,    e    per  questa 


coricirca  la  Patria  di  Cristoforo  CoiOMBO  :  (  Istoria  universale  di  Piacenza 
tom.  HI,  p.  237).  Eccole  fedelmente  trascritte  «Io  feci  il  mio  raro  figlio 
«  D.  Diego  hercde  di  tulli  li  miei  beni,  che  io  avea  de  juri  et  de  liere- 
»dilA,  de  quale  ne  feci  Majorazgo,  et  non  havendo  lui  figlio  liered© 
«maschio  legitimo,  che  herediti  D.Fernando  mio  figlio  per  la  medesima 
»  munera  ;  et  se  lui  non  haverii  figlio  hercde  legitimo  maschio ,  eh'  here- 
»  diti  l'altro  mio  Fratello,  che  s'intenda  così  de  uno  all'altro  il  Parente 
■n  pjìi  prossimo  olla  mia  linea,  (parole  recate  dal  Sonni)  et  questo  sii  per 
«sempre,  et  non  herediti  Donna,  salvo  se  mancasse  che  non  si  trovasse 
»huomo,  et  se  questo  occorresse,  sii  la  Donna  piii  prossima  alla  mia  linea». 
Le  parole  recate  dal  Sonni  nel  suo  Consulto  pienamenlc  conformi  a 
questo  articolo  di  Codicillo  ,  ne  dimostrano  sempre  più  1'  autcnticil;i  ,  il 
che  rileva  assai  lo  avvertire,  per  rispetto  a  quello  ,  che  dovremo  dire  i« 
progresso  de' supposti  Testamculi  di  Colombo. 


Sorili    Consti, 
ril.  N.'  Il  e  19. 


206       ESTRATTO  DEL  CONSULTO  DEL  SORDI  EC,  GAP.  IX, 

ragiooe  printìipalmente  doverne  venir  escluso  :  pcrcioccliè 
«ella  successione  de  Maggiorasclii  si  ha  riguardo  alla 
persona  dell'  ultimo   gravato. 

Queste  erano  le  ragioni  che  si  allegavano  contro  Bal- 
dassarre Colombo.  Qual  peso  aver  possano  presso  i  Giu- 
reconsulti, altri  potrà  determinarlo  meglio.  A  me  sol 
basta,  che  tra  queste  sottigliezze  d'interpretazioni,  e 
l'egole,  e  massime  adottate  riguardanti  le  primogeniture, 
non  ritrovo  il  menomo  indizio  di  dubbietà  inforno  al 
punto ,  che  non  bastava  in  favore  di  D.  Baldassarre ,  e 
che  per  noi  importa  il  tutto,  vale  a  dire  il  punto  della 
Agnazione.  Non  sarà  inutile  ciò  non  pertanto  lo  scorrere 
rapidamente  i  motivi  contrarj  a'succennati ,  e  sopra  i 
quali  si  fonda  il  Sordi  per  sostenere  il  suo  assunto; 
cioè  che  il  cospicuo  Maggiorasco ,  intorno  a  cui  si  con- 
tendeva spettar  dovesse  a  D.  Baldassarre  ;  tanto  più  che 
tra  questi,  nuovi  riscontri  ritroveremo  della  indubitata 
Agnazione  de' Signori  di  Cuccaro  collo  Scopritore  della 
America.  Sostiene  adunque  il  Sordi,  che  a  tenor  della 
disposizione  di  Cristoforo  Colombo  ,  non  ostante  il  sin 
qui  deltO',  dovea  essere  ammesso  D.  Baldassarre  al  pos- 
sesso del  Maggiorasco,  a  preferenza  di  tutti  gli  altri 
chiamati,  e  segnatamente  dei  Discendenti  dalle  Fem- 
mine. Di  fatti  osserva ,  che  constava  palesemente ,  che 
Cristoforo  Colombo  volea  conservar  le  sue  sostanze  nella, 
propria  Famiglia  ed  Agnazione,  perche  chiamò  sempre 
i  Maschj  ;  perchè  escluse  le  Femmine  dalla  successione, 
semprechè    vi  fosse  un  Maschio  ;    perchè    fece    parecchi 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANI    KAPIONE.  207 

gradi  di  sosliLuzione,  ili  cui  chiamò  sempre  i  Maschj; 
perche  questa  si  è  la  piiucipale  ragione ,  per  la  quale 
s'instituiscono  Maggiorasohi  ,  affinchè  i  beni  si  conser- 
vino indivisi ,  per  decoro ,  onore  c'grandezza  delle  Fa- 
miglie; perchè  finalmente,  a  quest'oggetto  appunto  che 
presso  i  posteri  rimanesse  di  se  perpetua  memoria  ,  ed 
i  posteri  suoi  venissero  riputati,  avea  impetralo  Cristo- 
foro Colombo  dai  Re  Cattolici  la  facoltà  d'  instituire  il 
Maggiorasco  ;  sebbene  in  verità  diremo  noi ,  tanto  chiaro 
si  è  il  nome  di  lui  ,  che  non  abbisognava  di  posteri , 
come  oscurato  avea  quello  di  tutti  i  suoi  Antenati , 
ancorché   in  maie  famosi.  s  .      .:  ;    ■..  0 

Conchiude  adunque  il  Sordi,  die,  dappoiché  D.  Bai* 
dassarre  era  della  Famiglia  ed  Agnazione  di  Colombo, 
(ciò  che  a  noi  basta)  dovea  venir  ammesso  alla  suc- 
cessione del  Maggiorasco ,  esclusi  gli  altri  Competitori , 
che  o  erano  Femmine ,  o  Discendenti  da  Femmine ,  e 
che  per  conseguente  sono  inabili,  e  non  sono  chiamati 
ad  un  Maggiorasco  ìnstituito  a  favor  dell'Agnazione;  e 
che  bastava  per  lui  aver  provato  esser  egli  congiunto 
col  Testatore ,  cioè  con  Cristoforo  Colombo  in  ottavo 
grado ,  e  col  D.  Diego ,  che  fu  1*  ultimo  Possessore  del 
Maggiorasco,  nell' undecimo;  gradi  che  confrontano  esat- 
tamente con  quelli  segnati  nell'  Albero,  che  trovo  unito 
al  Sommario  in  lingua  Spagnuola.  Che  se  ciò  bastar  per 
avventura  non  potea  per  dar  vinta  la  Causa  del  Mag- 
giorasco in  favore  di  D.  Baldassarre ,  basta  certamente 
per  dimostrare    ad    evidenza ,    che   Cristoforo    Colombo 


1208      ESTRATTO   DEL  CONSULTO  DEL  SORDI  EC, ,  CAP.  IX, 

era  uscito  dalla  Famiglia  di  que' Gentiluomini  Monfer- 
rini,  e  per  darla  vinta  a  noi  contro  tutti  coloro,  che 
ci  contrastano ,  che  fosse  egli  nostro  paesano. 

Io  non  mi  tratterrò    a  riferir   le    obbiezioni  contro  la 
conchiusion   sua ,  che  si  accinge  a  sciogliere  il  Sordi  ia 
progresso  del  suo  Consulto ,  perciocché  non  fanno  al  caso 
nostro.   E   soltanto    degno  di  considerazione  il  non  rin- 
venirsi pure,  tra  le  difficoltà  che  si  vengono  sciogliendo 
da  quel  Giureconsulto,     ombra   veruna    di    dubbio  circa 
l'Agnazione    di   Colombo   co'Feudatarj  di  Cuccaro.  Che 
anzi,  vie  più  si  conferma  il  grado  preciso  di  Parentela, 
che  passava   tra  D.  Baldassarre  ed   il  celebre  Cristoforo 
Colombo,  nel  risponder    che  si  fa  dal  Sordi  alla  obbie- 
zione che  si  desumeva  dal  non   potersi  aprire   la  succes- 
sione  ad    un   Maggiorasco,    se    non    è  iu  favore  di   chi 

trovisi  entro  il  decimo  grado;  poiché  replica,  che  D. 
Baldassarre  era  congiunto  in  ottavo  grado  *  con  Cristo- 
foro Colombo,  come  appariva  dall'Albero  dell'Agnazione, 
dal  che  ogni  volta  più  si  fa  manifesto,  che  intorno  a 
quest'  Albero  Genealogico  non  vi  era  questione  veruna , 
ne  dubbietà;  e  che,  se  vi  si  era  stata  fatta  qualche  op- 
posizione da  prima ,  erasi  in  progresso  risposto  così  vit- 
toriosamente, che  non  occorreva  più  nemmeno  di  parlarne. 


•  «  Respondeo  esse  advertemlum  quod  Don  Baldassar  est  conjunclus 
»  celavo  gradu  Don  Crisloplioro ,  ut  ex  Arbore  Agnalionis  deprehenàitur». 
Sviw.  Consti,  cit. 


DI  GIAnFRANCESCO    CALEANI    NAPIONE.  20g 

Non  ne  pcirleremo  neppure  noi  più  oltre,  attesocliè 
il  mettervi  più  parole  sarebbe  in  certo  modo  fare  sca- 
pitare una  causa  chiarissima ,  non  essendovi  spediente 
migliore,  per  rendere  oscuro  ciò  che  è  cliiaro,  e  dubbio 
quello  che  è  certo ,  che  lo  accingersi  a  dimostrarlo  con 
minutezza  soverchia.  Del  resto  non  ci  vuol  meno  che 
il  trattarsi  di  far  nostro  un  uomo  così  grande  come  il 
CoLOAiBO ,  per  divorar  la  noja  di  un  estratto  di  un  Con- 
sulto legale  ,  e  di  un  Consulto  in  fatto  di  Primogeni- 
ture ,  mostruosa  inslituzione  nata  dal  Gotico  orgoglicv 
de' Secoli  di  mezzo,  congiunto  colla  superstiziosa  sotti- 
gliezza de'  Giureconsulti  Romani  trovata  per  eludere  le 
leggi;  instituzione  però,  che  ha  contribuito  a  conser- 
varci ,  ed  assicurarci  il  vanto  di  poter  annoverare  tra' 
nostri  paesani  1'  uomo  ,  che  abbia  fatto  il  miglior  uso 
delle  sue  vaste  cognizioni ,  e  del  suo  straordinario  inu- 
sitato coraggio  in  una  pacifica  impresa,  il  Colombo.  Non 
altri  che  il  più  dotto  Geografo  de'  tempi  suoi,  come 
venne  chiamato,  potea  concepire  si  vasto  disegno;  e  di 
triplice  bronzo,  assai  più  che  que'  primi  Navigatori ,  di 
cui  parla  Orazio  ,  dovea  aver  cinto  il  petto ,  chi  ,  con 
un  semplice  ago  calamitato  alla  mano,  osò  lanciarsi  il 
primo  in  seno  all'Oceano  immenso. 


*7 


2  IO  SOMMARIO    SPAGNOOLO   GAP.  X  , 

CAPO       X. 

Principali  motii>>i  allegali  nel  Sommario  della  Causa 
agilatasi  in  Ispagna,  per  dimostrare,  che  Colombo 
era  uscito   dalla  Famiglia  de  Feudatarj  di  Cuccar o. 

Tuttoché  gli  argomenti  indubitati ,   e   le  prove ,    e   le 
testimonianze ,     che   da  Baldassarre  Colombo  ,    e  da  chi 
patrocinava  la  Causa    di  lui    in   Ispagna    si  presentarono 
per  dimostrare ,  che   Cristoforo  Colombo  era  uscito  dalla 
Famiglia  de' Feudatarj    di  Cuccaro ,    sieno    stati  di  tanto 
peso,  che   obbligarono,  senza   aspettar  Sentenza  veruna, 
i  suoi  Avversar)  ad  arrendersi  alla  evidenza  ;  e  che  questo 
argomento  solo    sia  così  stringente,    che    non  faccia  più 
d'  uopo  di  allegar  partitamcnte  gli  altri ,  poiché  in  se  li 
comprende  ;  sono  persuaso  ciò  non  pertanto ,    che    non 
riuscirà  discaro  lo  aver  sotto   gli  occhi  almeno  le  ragioni 
principali,    da    cui    mossi    gli    acuti  Giureconsulti    Spa- 
gnuoli ,    che  difendevano    le   pretensioni    di  que'  Grandi 
clienti  loro ,  credettero  di  dover  cedere   di  buon  grado 
quel   terreno ,    a    cui    si   gran    parte   della  difesa  loro  si 
riducea,   e   che  per  noi  importa  il  tutto.  Altronde  1' espo- 
sizione di  questi  motivi,  non  solo  gioverà  a  mostrare  con 
quanta  acutezza    sieno    state  promosse    le  ragioni    degli 
Avversarj  nella  Causa    di    Baldassar  Colombo    e  nostra, 
onde  sempre    più    vien   fuori  lucido  in  mezzo    alle  ob- 
biezioni,   e   trionfa    il  vero,    ma   in  oltre   non  può   che 


i 


DI   GIANFRANCESCO   GALEAKI    KAPIONE.  211 

riuscir  grata  versando  iatorno  a  molte  particolarità  della 
vita,  e  delle  vicende  di  quell'uomo  glande. Il  Sommario* 
Spagnuolo  adunque  contiene  1'  esame  de'  leslimonj  fattosi 
in  Moufcrralo ,  in  seguito  alla  Lettera  del  Re  Filippo 
II  al  Duca  di  Mantova;  le  opposizioni  che  ad  esso  esame 
si  fecero  da'  Patrocinanti  degli  Avversar]  di  Baldassarre 
Colombo,  e  le  risposte,  che  per  iscioglierle  da  Baldas- 
sarre medesimo  si  recarono. 

Una  delle  prove,  che  il  rinomato  Colombo  fosse  dei 
Cousignori  di  Cucoaro ,  è  ricavata  dalla  fama  pubblica. 
Di  questa  io  ragionerò  avanti  ogni  cosa  :  perciocché 
n'ebbe  qualche  notizia  l'Abate  Tìraboscih,    ma  non  ne     Tir=i,.  sioria 

(ltllal.el.Ilal..'oe. 

tenne  alcun  conto,   chiamandola  una  semplice  tradizione,  "'•  p's- 'r^- 
la  quale   ognun  sa   quanto    sfa  fallace.  Ma  ognun  sa  pa- 
rimente,  che  questo  è  uno   de' ronìucti  artifizj  consigli^Tti 
da' Retori,   che  quella  fama,  che  si  risguarda   rome   con- 
senso di    un  intero   Popolo,  e  come  testimonianza   pub- 
blica,  si  ha  da  chiamare  da  coloro,   cui  e   contraria,  ru-     n,,int;i.insi;i. 
more  diffuso  da  incerto   Autore,    cui    la   credulità    diede  lu"'' '  '  '"'"' 
accrescimento.  Ma  il  poter  la  fama   pubblica    aver  diversa 
origine,   obbliga  bensì  a  distinguerla  da'vani  rumori,  ma 
non   concede  mai   di  poterle  n^gar  fede,    quando    porta 
seco    tutti    i  caratteri    della     veracità.  E  gli   Storici  ,  e  i 
Documenti    medesimi ,    che    ci   tramandano    la    memoria 


*  Questo  Sommario  ìa  Lingua  Spngnuola  fu   stampalo  in  foglio    ia  Ma- 
ùm\  l'anno    iìQo  alli  cinque  di  Dicembre. 


2  12  SOMMARIO    SPAGNUOLO   CAP.'X  ,  ' 

de' fatti,  altro  non  sono,  se  non  la  fama  pubblica  me- 
desima espressa  in  lettere,  in  vece  dì  venir  tramandata 
colle  parole:  ma  nel  caso  nostro  non  trattasi  di  tradi- 
zione, trattasi  della  testimonianza  legale  di  persone,  che 
dalla  viva  voce  de'  contemporanei  aveano  potuto  accer- 
tarsi de'  fatti.  E  che  ne  sia  il  vero  ,  che  Cristoforo 
Colombo,  ed  i  suoi  fratelli  fossero  discendenti  da'  Feu- 
datari ^^1  Castello  di  Cuccaro,  e  fossero  figliuoli  di 
Domenico  Colombo,  figliuolo  di  Lancia,  del  qu al  Lan- 
cia era    pur  figliuolo     Franceschino    Consignor    di    esso 

sommar.Spagn.  Castello  in  Monferrato ,  da  cui  discendeva  il  Baldassarre 
in  retta  linea,  è  quello  appunto  che  si  ricava,  e  si  ve- 
rifica mediante  la  deposizione  giurata  di  trentanove  te- 
stimoni. E  questi  testimonj  rendono  ragione  dell' asser- 
2Ìon  loro,  specificano  i  tempi  e  le  persone,  da  cui  il 
sentirono  affermare ,  e  sono  tutti  nativi  de'  Luoghi  e 
Castelli  più  vicini  a  Cuccaro ,  come  Vignale ,  Fubine , 
Conzano ,  e  de'  più  cospicui  del  Monferrato ,  come  Coc- 
conato,  e  la  Città  stessa  di  Casale.  Merita  pure  riguardo 
la  qualità  de'testimonj  maggiore  d'ogni  eccezione,  per- 
sone di  Chiesa ,  Gentiluomini  della  primaria  condizione, 
tra' quali    parecchi    de' Conti  di  Cocconato. 

Sommat.N.'ij.  ^^  ^^  ^^^  oltre  osscrvare  in  esso  Sommario,  che  i  festi- 
nionj  si  riferiscono  a  cento  e  venti  otto  persone,  da  cui 
udirono  asserir  tal  cosa,  ed  è  notabile,  che  quattro  dì 
essi ,  tra'  quali  tre  dello  sfesso  luogo  di  Vignale ,  assi- 
curano di  averla  intesa  dalla  propria  bocca  di  Secondo 
Coinachia  dì  Vignale,  persona   assai  attempata ,  che  avea 


Som.  N."  z^. 


DI   GIANFRANCESCO  GALEANI   NAPIONE.  2i3 

ConoSCÌiUo  lo  stesso  Ammiraglio  Cristoforo  Colombo,  e 
navigato  con  lui.  Dopo  i  testimouj  si  riferiscono  nel  som.  n,»!!! 
mentovato  Sommario  parecchi  Documenti ,  che  lunga  *'^' 
ed  inutile  cosa  sarebbe  il  venir  minutamente  divisando. 
Tra  questi  si  presenta  il  Diploma  dell'anno  1419  d'In- 
vestitura concessa  a  Franceschino  e  Domenico  Ggliuoli 
di  Lancia  Colombo,  e  ad  altri  Consorti  per  lo  Feudo 
e  Castello  di  Cuccare  ;  e  si  adduce  la  ragione  per  la 
quale  non  apparisce,  che  fossero  investiti  di  tal  Feudo 
il  celebi-e  Ammiraglio  Cristoforo ,  ed  i  Fratelli  suoi , 
la  quale  si  è,  che  partirono  da  quel  Castello  essendo 
giovani,  e  vivendo  ancora  il  Padre  loro;  e  dichiarano 
molti  testimouj ,  che  il  non  aver  essi  più  fatto  ritorno 
a  quel  Castello  dopo  la  morte  del  Padre  loro  Dome- 
nico, si  era  il  vero  motivo,  per  cui  non  furono  investili, 
come  il  sarebbero  stati ,  se  vi  avessero  fatto  ritorno. 

Non  si  mancò  di  allegare  in  contrario  da  uno  degli 
Avversar)'  di  Baldassarre  Colombo  ,  che  Cristoforo  non 
potea  essere  del  luogo  di  Cuccaro ,  attesoché ,  essendo 
egli  in  età  di  quarant' anni ,  stava  in  Genova,  e  non 
fu  a  Cuccaro,  essendo  così  vicino;  e  si  presentò  ia 
questo  proposito  dal  predetto  Avversario  un  luogo  della 
Storia  di  Pietro  Martire  di  Aughiera,  il  qual  dice, 
the  essendo  l'Ammiraglio  in  età  di  quarant'  anni,  pro- 
pose alla  Signoria  di  Genova  lo  scoprimento  delle  hidic. 
La  risposta ,  che  a  questa  obbiezione  si  fece  da  D.  Bal- 
dassarre, oltre  allo  essere  vittoriosa  e  convincente,  con- 
tiene diverse   particolarità  notabili  intorno    alle   epoche 


Som.  N.  iS.ij. 


•21 4  SOMMARIO    SPA.GNU0LO    CAP.  X, 

più  sostanziati  della  vita  di  Cristoforo.  Risultava  (ed  ìa 
questo  punto  non  v'era  controversia  tra  le  Parti),  che 
Cristoforo  Colombo  era  nato  nell'anno  1437,  e  che 
cominciato  avea  a  navigare  in  età  di  quattordici  anni  , 
vale  a  dire  nell'  anno  1461  ,  e  navigato  avea  26  anni  con- 
tinui senza  mai  scender  dal  mare  ,  e  quando  prese  terra, 
fu  fa  Lisbona,  ove  si  ammogliò,  e  \h  erasi  stabilito 
nell'anno  1474,  continuando  a  navigare  sino  all'anno 
1484,  in  cui  venne  a  Cordova  a  far  la  proposta  dello 
scoprimento  delle  Indie  a' Re  Cattolici,  il  che  lo  trat- 
ìenne  sino  all'anno  i49^'  ^^^^  ^^  l'anno  memorabile 
dello  scoprimento  del  Nuovo  Mondo ,  dove  fece  tre 
altri  viaggi ,  sino  a  tanto  che  mori.  Da  tutto  questo  sì 
conchiude,  che  non  può  sussistere  in  vcrun  modo  ciò 
che  asserisce  Pietro  Martire  ,  che  sia  stalo  Colombo  in 
Genova  a  proporre  il  suo  discoprimenlo  a  quella  Re- 
pubblica, essendo  egli  in  età  di  quarant' anni;  tanto  pii!i 
che  in  quella  età,  cioè  nell'anno  1477,  trovavasi,  sic- 
come   narra    egli  medesimo,    nella  Frislandia. 

Io  non  mi  diUinglierò  maggiormente  intorno  a  questo 
errore  preso  da  Pietro  Martire  ,  seguito  poscia  dagli 
Storici  Genovesi,  tolti  i  due  più  antichi  Antonio  Gallo, 
ed  il  Senarega,  e  quindi  da  tutti  i  moderni,  dicendo, 
che  Colombo  proponesse  il  disogno  dello  scoprimento 
V.  sipra  c-p.  del  Nuovo  Mondo  alla  Signoria  di  Genova:  poiché  già 
in  altro  proposito  ne  ho  ragionato  abbastanza.  Non  voglio 
però  lasciar  di  avvertire,  che  il  fatto,  secondo  che  si 
ritrae  da  questo  Sommario  Spagnuolo,  è  pienamente  con- 


1 


DI  GUNFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  2l5 

Torme  alla  narrazione  già  sopracceiinata  del  celebre  Gian 
Pietro  Maffei  ,  che  inroraiatissiuio  era  di  que' successi , 
come  quegli  che  nella  età  sua  più  florida  avea  esercitati 
in  Genova  verso  la  metà  del  Secolo  XV'I,  prima  1'  im- 
piego di  Professore  di  Eloquenza ,  e  quindi  il  carico 
rilevante  di  Segretario  della  Repubblica ,  secondo  l'uso 
di  quella  età ,  in  cui  non  si  riputavano  incapaci  df 
maneggiare  gli  aflàri  pubblici  quelli,  che  professavano  y.Sfrrani.Tira 
elegante  letteratura  :  quindi  recatosi ,  già  fatto   Gesuita ,  Mairei,rrinie»j 

*-■  '      •'  '     o  '    3|i^,  jm  opere. 

in  Lisbona,  scrisse  sulle  piìi  certe  notizie  che  gli  furono  j^I[JLeiI.n^['^ 
somministrate,  per  ordine  del  Cardinale,  poi  Re,  Enrico  pjg.'j^i'.'"^*"' 
di  Portogallo ,  una  piena  Storia  delle  Indie  ,  terminata 
poscia  e  pubblicata  sotto  gli  auspicj  del  Re  di  Spagna 
Filippo  II ,  in  potere  di  cui  era  passato  quel  Regno. 
Ora  questo  celebre  e  colto  del  pari,  che  diligente  Sto- 
rico ,  non  solo  non  fa  cenno  nessuno  di  questa  proposta 
fatta  dal  Colombo,  come  si  pretende  da  Pietro  Martire, 
a"  Genovesi ,  ma  sostanzialmente  la  nega  dicendo ,  che  il 
Colombo  ,  prima  che  a  verun  altro  Potentato ,  la  fece  al 
Ro  di  Portogallo  * ,  e  che  essendo  stato  sprezzato  il  suo 


*  «  Crislophorus  Columbus  Lìgur  ingealis  animi  vir,  et  rei  Naulicae  in 
»  primis  perilus  ex  Astronomica  Disciplina,  et  nonnullis  velerum  monu- 
»  uieiilis,  statuii  trans  Doti  orbis  temiiuos  magna  terraium  apatia  ctiam  ia 
»  Occidtntem  patere.  Dein  experiuudi  et  cognoscendi  studio ,  quod  sino 
i)  magno  apparalu  ea  res  tentari  non  posset ,  Lusitano  ante  omnes  Regi  eam 
»  e.Ypediliuneui  suasit  suam  in  id  operam  et  industriam  enixe  detulit.  A 
»  quo  lejecius,  lamquam  ioauia   et  fabulosa  aiTerretj  nd  fioitimum  Castella: 


2l6  SOMMARIO    SPAGNUOLO    CAP.  X, 

discguo,  come  vano  e  romanzesco  da  quel  Re,  si  recò 
a  farne  la  proposta  al  vicino  Monarca  di  Castlglia.  Dove 
è  anche  da  notarsi,  che  nel  numero  stesso  degli  anni, 
in  cui  perseverò  il  Colombo  con  costanza  mirabile  in 
.  quella  pratica,  proponendo  parliti  per  quella  spedizione, 
vale  a  dire  un  settennio ,  è  pienamente  d' accordo  il 
Maéfei  col  Sommario ,  dal  che  si  raccoglie ,  che  agli 
slessi  fonti  sinceri  aveanó  attinte  le;  loto  notizie,  sia 
l'elegante  Storico,  àia  il  Difensore  della  Causa  di  Balr 
dassar  Colombo  e  nostra. 

Pei*  coi'roborare  la  discendenza    di    Colombo    da'  Feu- 
idat^rj,  di  ^uccaro ,    altra    prova    si    ricava   eziandio   nel 
Sommario   Spagnuolo  dal  grado    certo  e  preciso    di  Pa- 
rentela e  consanguinità ,    che  passava    tra  i  Signori    Co- 
storie  di  D.  LOMBO  di  Cuccaro ,  e  quelli  di  Piacenza.  Ragionasi  adun- 
«p.  i.  '  que  in    quel  Sommario    nella  conformità  seguente.  Dice 

D.  Fernando  Colombo  nella  Storia  della  vita  del  Padre, 
che'  ia  Piacenza  vi  erano  alcune  onorate  persone  della 
sua  Famiglia,  e  sepolcri  con  armi  gentilizie,  ed  iscrizioni 
Som.  spagn.  dc'  CoLOMBi.  Ora  provaudosi  (  si  prosiegue  a  dire  ) ,  che 
i  Colombi  di  Piacenza  erano ,  e  sono  una  stessa  Famiglia 


»  Regem  Fernandum  eodem  Consilio  se  se  contulit.  Ibi,  cum  nihilo  magis 
»  audiretur,  invida  qiiadnm  animi  pertinacia  to/am  yère  septennium  vorando 
»)  rppulsus,  urgendo,  instandoque,  per  se  et  per  amicos  tandem  aliquando 
«  pervicit ,  ut  ili  eam  inquisilionem  tria  sibi  regio  sumptu  adornata  navi- 
»  già  ad  Hispalim  orae  Beticae  praebereulur  ».  Jo,  Peiri  M^FFEi  Hisl.  Indie, 
ìib.  1,  pag.'ii,  33,  Coloniae  iSgo. 


DI   GIANFRANCESCO   GALEANI   NAPIONE.  lìf 

con  quelli  di  Cuccaro,  ne  viene  per  necessaiia  conse- 
guenza, che  r Ammiraglio  Ciistofbio  era  di  Cuccaro, 
e  della  famiglia  de'  Feudatari  di  quel  Castello.  Molle 
sono  le  prove,  che  si  adducono  della  identità  della  Fa- 
miglia^ divisa  in  qua'  due  rami  di  Piacenza  e  di  Cuccaro  ; 
e  se  ne  additeranno  brevemente  alcune  delle  più  con- 
chiudenli.  Lasciando  adunque  in  disparte  e  le  attesta- 
zioni de'  tcstimonj ,  e  gli  ufllcj  di  amistà  e  di  cortesia 
soliti  praticarsi  tra'  Parenti ,  due  Carte  basteranno  a  porre 
la  cosa  in  manifesta  luce.  Da  una  Investitura  dell'  anno 
1427  consta,  che  Petrino  Colombo  abitante  in  Piacenza,  «..umar.  num. 
e  Ferrarino  abitante  nel  Castello  di  Cuccaro ,  erano  fra- 
telli e  figliuoli  di  Delfino  Colombo  di  Cuccaro,  e  che 
il  predetto  Ferrarino  fu  investito  tanto  in  nome  proprio, 
che  in  nome  di  Pctrino  assente  ,  della  porzione  del 
Feudo  che  pò  sedeva  il  Padre  loro  in  esso  Castello. 
Di  questa  Investitura ,  che  è  in  data  degli  undici  del 
mese  di  Aprile  del  mentovato  anno  1427 ,  ne  avea  tro- 
vato memoria  nel  registro  de' Feudi,  che  esisteva  negli 
Archivj  della  già  Regia  Camera  de'  Conti  di  Torino ,  il 
diligentissimo  Raccoglitore  di  cose  patrie ,  il  signor 
Giuseppe  Vernazza  Freney ,  da  cui  mi  venne  gentil- 
mente comunicata.  Da  un'  altra  Carta  poi  riferita  pari- 
mente nel  Sommario  si  ritrae,  che'  Petrino  Colombo 
residente  in  Piacenza  era  in  corrispondenza  con  Ferra- 
rino suo  fratello.  Questa  contiene  un  istromento  di  Pro- 
cura dell'anno  i44''  spedito  nella  mentovata  città  di 
Piacenza   da  Petrino  a  Ferrarino  suo  fratello  abitante  iu 

28 


2l8  SOMMARIO     SPAGNUOLO    GAP.  X  , 

goa  N  5'  Cuccaro.  Cou  Documenti  autentici  si  tesse  poi  la  genea- 
logia di  questo  Delfino  figliuolo  di  un  Antonio,  il  quale 
Antonio  figliuolo  era  di  un  Enrico  ,  e  figliuoli  entrambi 
di  Terrario  comune  stipite  de'  Colombi    di  Cuccaro  e  di 

Som.  N.  48.  Piacenza.  Non  è  necessario  di  accennare  quanto  si  narra 
in  esso  Sommario  di  un  Ecclesiastico,  il  quale  attcsta, 
che  nel  recarsi  a  Roma  nell'anno  i55o  ,  passando  per 
Piacenza,  presentò  una  Lettera  di  favore  scritta  da  Gian- 
Giorgio  ,  e  da  Bonifacio  dc'Fcudatarj  di  Cuccaro  ad  un 
Gentiluomo  della  casa  Colombo  di  Piacenza ,  il  quale 
il  regalò ,  il  trattenne ,  e  ragionando  cou  lui  della  sua 
Famiglia  e  Parentela,  disse,  che  i  Colombi  di  Piacenza 
discendeano  dai  Signori  di  Cuccaro  ,  e  gli  fece  vedere 
le  Investiture  succennate  concedute  a  Petriuo.  Non  si 
lascia  di  avvertire ,  che  le  armi  gentilizie  de'  Colombi 
di  Piacenza  erano  le  stesse  come  quelle  che  portava  il 
celebratissimo  Ammiraglio  in  Ispagna  prima  dello  sco- 
primento delie  Indie,  ed  in  tutto  conformi  a  quelle  di 
Baldassarre  Colombo,  che  sono  Colombi  d'argento  in 
campo    azzurro. 

Un  argomento  de'  più  conchiudentl ,  per  provar  sempre 
più  la  stessa  verità  della  discendenza  di  Cristoforo  Co- 
lombo da'Feudatarj  di  Cuccaro,  si  deriva  dall' altra  Pa- 
rentela, che  teneva  il  medesimo  con  i  Colombi  stabiliti 
in  Cogoreo,  terra  della  Riviera  di  Genova,  e  discen- 
denti pure  da'  predetti  Feudatarj  di  Cuccaro ,  Parentela  , 
che  del  pari  di  quella  con  i  Colombi  di  Piacenza ,  diede 
origine  a  far  credere  dagli  uni    Piacentino ,    dagli   altri 


Som.  N.  59. 


.'■'om.  N.  74. 


DI   GIANFRAKCESCO   GALEANI   HAPIONE.  219 

di  Cogoreo  Io  stesso  Cristoforo  Colombo.  Provasi  per-  g^^,  j^.  5,^ , 
tanto  con  autentici  Documenti  ed  Investiture ,  che  dal  "^' 
precitato  Sommario  risulta  essere  state  presentate,  clie 
Ferrario  Colombo  Signore  del  Castello  di  Cuccaro  posto 
nell'Albero  per  comune  stipite,  e  ceppo  di  tutta  la  pro- 
sapia de' Colombi,  ebbe  tre  figliuoli,  cioè  Eurico  ,  Fran- 
cesco ed  Antonio.  Dall'Enrico  vivente  neli3/(.i  nacquero 
Nicolò  e  Lancia.  Lancia  fu  Avolo  dell'  immortale  Cristo- 
foro. Nicolò  si  stabili  in  Cogoreo  nella  Riviera  di  Ge- 
nova, ed  ebbe  due  figliuoli,  il  primo  de' quali  si  chiamò 
Bartolommeo,  ed  il  secondo  Cristoforo ,. nomi,  che  die- 
dero origine  a'  parecchi  sbagli ,  ed  a  far  confondere 
questo  primo  Cristoforo  Cugino  carnale  di  Domenico , 
col  suo  Nipote-Cugino  assai  più  celebre  Io  Scopritore 
delle  Indie,  che  avea  lo  stesso  nome;  tanto  più  che  il 
fratello  del  primo  Cristoforo  chiamossi  pure  Bartolom- 
meo ,  come  il  fratello  del  secondo.  Aggiungasi  che  il 
primo  Cristoforo  Zio-Cugino  del  celebratissimo  Colombo- 
fu  parimente  uomo  di  mare,  anzi  Ammiraglio  famoso, 
e  che  secondo  ogni  verosimiglianza,  Domenico  diede 
a'  figliuoli  suoi  il  nome  medesimo  dei  due  suoi  Cugini , 
perchè  uomini  di  più  splendida  fortuna ,  ed  in  ispecic 
il  nome  di  Cristoforo  a  quello  tra  essi ,  che  avea  desti- 
nato a  militare  sin  dagli  anni  più  giovanili  col  suo  va- 
loroso congiunto. 

Queste  particolarità,  che  mi  sembrano  curiose,  e  che, 
nel  mentre  che  dileguano  parecchi  equivoci ,  riescono  di 
una  nuova  evidente  riprova  della  discendenza  di  Colombo 


220  SOMMARIO    SPACNUOLO'  CAP.  X, 

da'  Feuclatarj  di  Cuccaro ,  meritano  qualche  speciale  disa- 
niina.  Per  via  di  testimonj  ,  di  Dichiarazioni  di  Ufficiali 
puJjblici,  e  di  Scritture  autentiche  si  dimostra,  che  Ni- 
colò Colombo  stabilitosi  in  Cogoreo  ebbe  i  due  figlinoli 
succeunati ,  il  primo  de'  quali  si  chiamò  Bartolommeo  , 
Som.  N.  67.  ^^  ^^  secondo  Cristoforo.  Citasi  una  Carta  di  Procura 
fatta  nell'anno  1461  da  Bartolommeo  Colombo  figliuolo, 
(come  in  essa  si  esprime)  di  Nicolò,  tanto  in  nome  pro- 
prio ,  che  di  Cristoforo  suo  fratello  assente.  Da  questo 
Bartolommeo  di  Cogoreto,  come  si  giustificò  per  via  di 
autentici  Documenti  accennati  nello  stesso  Sommario , 
discese    un  Bernardo  Colombo,    il  quale,    tosto  estinta 

Som.  Dum.;3    ,         ...  , 

•74-  la   discendenza  maschile  del  celebre  Cristoforo  in  Ispagna, 

si  recò  colà  a  far  parti  per  ottenere  il  dovizioso  e 
principesco  Maggiorasco  da  lui  instituito.  Ma  per  aver 
questi  falsamente  preteso  ,  con  informazioni  presentate 
nell'anno  i583,  che  discendeva  da  Bartolommeo  Colombo 
fratello  dello  Scopritore  delle  Indie,  quandoché  discen- 
dea  realmente  da  un  altro  Bartolommeo  fratello  di  quel 
primo  Cristoforo ,  di  cui  si  è  ragionato ,  il  quale  Barto- 
lommeo era  perciò  Zio-Cugino  bensì,  ma  non  già  fra- 
tello dello  Institutore  del  Maggiorasco,  venne  dal  Con- 
siglio delle  Indie  rigettata  l'opposizione  fatta  a  Baldas- 
sarre dal  mentovato  Bernardo  Colombo  di  Cogoreo.  Dalle 
Carte  però  presentate  da  esso  Bernardo  Colombo  mani- 
festamente si  venne  a  provare  il  grado  preciso  di  Pa- 
rentela ,  che  passava  tra  i  Colombi  di  Cogoreo ,  ed  il 
famoso    Ammiraglio    Cristoforo   di   Cuccaro  :    poiché    si 


DI  GIANFRAKCESCO   CAI.EANI    NAPIONE.  221 

provò,    che  Nicolò  Colombo  che  si  stabili  in  Cogoreo , 

e  da  cui  discendeva  il  succennato  Bernardo,    era  fratello 

di   Lancia  Colombo    di  Cuccnro,    Avolo    del   cclebratis- 

slmo  Colombo,    ed  Avolo  parimente  di  Bonifacio    Bisa-     som.  N.  t?. 

volo  di  D.  Baldassarre,  come  si  dimostra  nel  Sommario , 

e    risulta  dall'Albero  Genealogico.   Dal  che  tutto,   come 

si   conchiude  in  esso  Sommario  * ,    chiaramente  si  viene 

a  conoscere ,    che  Cristoforo   Colombo    era  di  Cuccaro , 

e  non  già  di  Cogoreo ,  né    di  Piacenza ,  ma  bensì  che  i 

Colombi  e  di  Piacenza,    e  di   Cogoreo  erano  di  Cuccaro. 

Anche    lo    Storico  Herreka     accenna  i  Documenti    che 

mostravano   la  comune    origine    di    questi    diversi   rami 

della  Famiglia  Colombo. 

Del  rimanente,  che  quel  Colombo  detto  per  sopra- 
nome il  Giovane  ,  parente  di  Cristofoio  lo  Scopritor 
delle  Indie ,  con  cui  egli  navigò,  dalla  prima  età  sua  di 
anni  quattordici,  per  lo  spazio  di  ventitré  anni,  fosse 
quel  suo  Zio-Cugino ,  per  nome  anche  Cristoforo ,  di 
cui  si  è  ragionato  testé,  vien  dimostrato  nel  Sommario  e  7°. 
Spaguuolo ,  dove  si  toccano  le  segnalate  sue  imprese , 
ed  il  chiaro  e  formidabile  nome,  che  di  lui  si  era  sparso 


*"  Con  queclarainentp  se  conoce,  que  el  AlmJrante  D.  Christoval  era  de 
»  Cuccaro,  corno  se  ha  provado ,  y  no  de  Cugureo,  ni  de  Plaseacia ,  sino  que 
»  los  CoLOMBOS  de  Plasencia  y  de  Cugureo  eran  de  Cuccaro  ,  corno  se  ha 
»  provado  y  parece  por  el  Arbol  N.°  yS:  /'  IlEnnsitA  Hlst.  lom.  I;  por 
»  otras  Escriliiras  parece,  que  los  CoLOMBOS  de  Cucaro,  Cucurco ,  y 
»  Plasencia   eraa  unos  mismos. 


222  SOiMMAttlO    SPACNUOLO    CAP.  X, 

per  tutte  le  spiagge  del  mare ,  e  tra  gli  Infedeli ,  pe? 
la  potente  annata  che  traca  seco,  ed  in  ispecie  per  là 
sconfìtta  data  a' Veneziani  al  Capo  di  S.  Vincenzo,  dì 
cui  parlano  gli  Storici ,  come  si  è  detto  altra  volta.  Ed 
•affinchè  ogni  volta  più  si  venga  a  confermare  quanto 
si  uaiTa  della  grandezza  di  questo  Capitano  di  mare , 
avvilito  a  segno  di  confondei-Io  con  un  semplice  Cor- 
saro, si  allega  pure  nello  stesso  Sommario  l'autorevole 
.)f^Ara»on'"i\ì!!  testimonianza  dello  Zurita  illustre  Storica  di  Aragona , 
'^6^ui?'n/io3.  dove  parla  della  venuta  del  Capitano  Colombo  coli'  Ar- 
mata di  mare  del  Re  di  Francia  alla  Costa  di  Biscaja 
nei  mese  di  Agosto  dell'anno  147^?  con  dodici  Navi  e 
cinque  Caravelle,  e  due  mila  Soldati,  per  levare  il  Re 
di  Portogallo  ,  e  condurlo  in  B'rancia.  Non  potea  adunque 
Cristoforo  Colombo  vantarsi  di  non  essere  il  primo 
Ammiraglio  di  sua  Famiglia  ?  E  siccome  questo  Capitano 
di  mare  veniva  chiamato  Colombo  il  Giovane  a  diffe- 
renza di  un  altro  dello  stesso  Casato ,  stato  grand'  uomo 
di  mare  prima  i  di  lui,  si  mostra  nel  Sommario  non 
aver  questi  potuto  esser  altri  fuorché  Francesco  Colombo, 
che  dall'  Albero  Genealogico  appare  non  aver  lasciato 
discendenza  in  Cuccaro ,  che  fu  Zio  di  Nicolò  padre 
dell'  Ammiraglio  Cristoforo  di  Cogoreo  ,  e  fu  Zio 
^^Som.  x.64,e  pgj,j^gj^{g  di  Lancia  Avolo  paterno  (\q[\'  Al  mirante 
Don  Cristoforo  di  Cuccaro,  come  chiama  lo  Scrittore 
Spagnuolo  il  rinomatissimo  Colombo. 

Provandosi    ad   evidenza     in    quel  Sommario ,   che    il 
Capitano  di  mare  del  Re  di  Francia,  sotto  cui  Colombo 


DX  GIANFRANCESCO    CALEAKI    KAPIONE.  223 

apprese  i  rudimenti  deJla  faticosa  e  dura  Milizia  mari- 
naresca era  suo  parente,  e  della  stirpe  illustre  de' Fcu- 
datarj  di  Cuccaro,  resta  pure,  anche  in'  nuova  e  diversa 
maniera  ad  evidenza  dimostralo  ,  che  dalla  stessa  Fami- 
glia dovea  essere  uscito  lo  Scopritore  del  Nuovo  Mondo. 
Le  particolarità  poi  che  riguardano  l' Institufore  di  uà 
uomo  così  grande  qual  fu  il  Colombo,  mi  pare,  che, 
prescindendo  da  ogni  altro  riguardo  ,  degne  sieno  della 
attenzione  di  tutti  coloro ,  che  hanno  in  quel  concetto , 
in  cui  aver  si  debbono  i  personaggi  della  umanità  piìi 
benemeriti.  Non  mi  sì  darà  biasimo  pertanto,  se  mi 
sono  trattenuto  a  ricercarne  l'origine,  e  le  vicende  al- 
quanto minutamente. 

CAPO     XI. 

Conformila  tra  il  contentilo  nel  Sommario  della 
Causa  agitatasi  i?i  Ispagna ,  e  quanto  narra  circa 
il  Colouìbo  il  Jìgliuolo  di  lui  D.  Ferdinando  nelle 
sue  Storie. 

Vaa.  parte  considerabile  del  Sommario  in  Lingua 
Spagnuola ,  di  cui  ho  intrapreso  a  ragionare,  s'aggira 
intorno  alla  conformità,  che  passa  tra  quello  che  risulta 
dalle  Carte,  e  prove  giuridiche  messe  in  campo  in  quella 
Lite  per  parte  di  Baldassar  Colombo,  con  quanto  viea 
narrando  D.  Ferdinando  Colombo  nella  vita  del  Padre, 
conformità ,  dalla  quale  forza  maggiore  ed  evidenza  vi- 
cendevolmente   ricevono.  In  alcune    parti    il   Sommario 


224      conformità'  TRA  IL  SOM.  E  LA  STORIA,  EC.,CAP.  XI, 

serve  a  dir  così  di  Comentaiio  e  d  illustrazione  ad  essa 
vita  ,  ed  iu  altre  di  supplemento.  Giacché  adunque  questa 
Scrittura  Forense  (  caso  non  troppo  frequente  )  serve  a 
porger  lame  alla  Storia,  ed  alla  Storia  dello  Scopritor 
dell'America,  non  sarà  grave  il  continuare  a  scorrerlo, 
e  rilevar  gli  Annedoti  che  contiene. 
^  .'  Già  abbiam  veduto,   che  la  Parentela  di  Colombo  eoa 

quelli  dello  stesso  Cognome,  che  erano  in  Piacenza,  ed 
in  Cogoreo  presso  Genova,  soltanto  accennata  di  volo 
da  Ferdinando,  resta  accertata,  mediante  quelle  memo- 
rie, mettendosi  in  chiaro  il  luogo  originario  onde  eransi 
partiti  que'  due  rami,  vale  a  dire  il  Castello  di  Cuccaro, 
scoprendosi  la  Genealogia  loro ,  ed  il  grado  preciso  in 
cui  erano  congiunti  con  Colombo.  Con  quanto  poi  si 
è  divisato,  seguendo  la  scorta  di  quelle  Memorie,  intorno 
a'  due  Ammiragli  >  ^  ^^^  Capitani  di  mare ,  e  segnata- 
mente a  quello  detto  Colombo  il  Giovane,  resta  liberato 
da  ogni  inopportuna  taccia  di  vanità  quanto  dice  Co- 
sior.aiD.Fcr  LOMBO  medesimo  presso  il  figliuolo  suo  D.  Ferdinando, 
's'oibVk'joiÌ  t^hs  non  era  egli  il  primo  Ammiraglio  della  sua  Fa- 
miglia :  si  spiega  pure ,  come  a  buona  ragione  dir  potesse 
il  suo  Padre,  che  i  suoi  Maggiori  erano  stati  gente  di 
mare;  e  probabilmente  il  fu  anche  Domenico  Padre  di 
lui,  tuttoché  alla  marineria  mercantile  attendesse  sol- 
tanto, non  alla  militare.  Ad  ogni  modo  si  osserva  nel 
mentovato  Sommario ,  che  di  questi  illusti-i  suoi  Mag- 
giori  parla  replicatamente  D.  Ferdinando  ;  e  che  di  questi 
*^ &>m?"N  "io8  '^^^^  iui^eirogati     que' due  suoi  Congiunti    di    Cogoreo,   , 


DI   GIANFRANCESCO   GALEANI   NAPIONE.  225 

ì  quali,  per  soverchia  vecchiaja,  non  seppero  dargliene 
contezza.  ]\Ia  vediamo  ora  altri  più  minuti  e  curiosi  ris- 
contri di  questa  conformità  mirabile,  che  passa  tra  la 
narrazione  di  D.  Ferdinando  Colombo,  e  le  Scritture  e 
Diplomi  della  Famiglia  de'  E'eudatarj  di  Cuccaro  riferiti 
in  quel  Sommario. 

Dice  D.  Ferdinando,  clie,  essendo  i  Genitori  dell' Almi- 
rante  Cristoforo  per  le  guerre  e  parli  di  Lombardia  sior.  a\  Firi 
venuti  in  basso  stato,  e  ridotti  in  povertà,  non  avca 
trovato  (o  forse  non  avca  voluto  manifestare)  come  vi- 
vessero. Ora  D.  Baldassarre  Colombo  prova ,  che  gli 
Antecessori  di  Colombo  erano  Lombardi  di  Cuccaro,  e 
que'  medesimi ,  che  di  facoltosi  erano  diventali  poveri. 
Mostra  egli,  che  nell'anno  iS/fi  Enrico,  Francesco, 
ed  Antonio  Colombo  figliuoli  di  Ferraiio  furono  inve- 
stili de' Castelli  di  Cuccaro,  Conzano,  Rosignano ,  Lù, 
Altavilla,  e  di  altri  Luoghi;  ma  che  nell'anno  i4o5. 
Lancia  Colombo,  figliuolo  di  uno  de' succennati  Fratelli, 
cioè  di  Enrico ,  non  lasciò  a'  suoi  figliuoli ,  che  erano 
sei,  altro,  se  non  se  la  parte,  che  tenea  di  Cuccaro  e 
di  Conzano ,  per  aver  perdute  le  altre  Castella  nelle 
Guerre  e  Fazioni  di  Lombardia;  e  che  nel  14 '9  Dome- 
nico Colombo,  uno  de' sei  figliuoli  del  predetto  Lancia , 
e  Padre  di  Cristoforo  Colombo  ,  non  fu  più  investito ,  se 
non  se  della  decima  ottava  parte  del  Castello  mento- 
vato di  Cuccaro  ;  cosicché  la  parie  che  avrebbe  toccalo 
a  Cristoforo  Colombo  ,  non  sarebbe  giunta  a  quaranta 
Ducati  di  entrata,  o  forse  a  meno.  Anche  nelle  Allegazioni 


Soia.  DinD.7t 


2'J.G      conformità'  tra  il  som.  e  la  storia  EC.  ,  GAP.  xt, 

.,.  .  ^  stampate  in  Madrid  si  asserisce,  che  la  rendita  del  Castello 
t)uc. , B.raguaf  jj  Cuccaro  uon  eccedeva  mille  scudi  d'oro,  e  che  do- 
vendosi  partire  tra  venti  Consiguori  circa,  quando  Dome- 
nico CoLOiMBo  ne  fu  investito,  manifestamente  appariva, 
che,  di  ricchi  che  erano  i  suoi  Maggiori,  erano  divenuti 
poveri. 

Di  questa  sciagura  toccata  a  que' Gentiluomini ,  cer- 
tamente ne  poterono  esser  cagione  le  lunghe  guerre  , 
che  dopo  la  metà  del  Secolo  XIV  sino  a  que'  tempi 
aveauo  devastata  la  Lombardia,  ed  in  cui  i  Feudatarj , 
posto  il  rigoroso  sistema  Feudale  di  quella  età,  doveano 
sostenerne  si  gran  parte ,  intorno  alle  quali  guerre  si 
possono  vedere  gli  Storici  contemporanei,  ed  in  ispecie  il 
Cronista  del  Monferrato  Benvenuto  di  S.  Giorgio.  Ma  non 
si  può  negare ,  che  contribuito  vi  abbia  pur  grandemente 
l'uso  de' Gentiluomini  di  allora,  di  ammogliarsi  tutti, 
ed  in  questa  guisa  moltiplicarsi  oltremodo  ;  costume,  che 
conservava  le  famiglie,  ma  non  poteva  far  a  meno  dì 
ridurne  in  estreme  angustie  que'  Rami,  in  cui  veniva  a 
meno  l'industria,  l'attività,  ed  il  valore;  come  allo 
incontro ,  l' uso  introdottosi  in  appresso  delle  Primoge- 
niture, conservando  le  ricchezze,  tante  illustri  Famiglie 
sradicò  onninamente.  Di  quella  prima  usanza  non  è  ne- 
cessario recarne  esempj ,  poiché  ne' Villani,  ed  in  tutte 
le  Croniche  e  Memorie  de'  Secoli  antichi  sino  al  Secolo 
XVI,  se  ne  incontrano  infiniti.  Il  Marchese  Maffei  nella 
sua  Verona  illustrata,  parlando  de' suoi  Antenati,  dice 
piacevolmente,  che,  di  sette  Fratelli,  che  si  trovarono 


DI   GIANFRANCESCO   GALEANI   NAPIOKE.  227 

nella  sua  Famiglia,  tutti  sottesi  ammogliarono,  per  ti- 
more che  andasse  spenta.  Tale  dobbiam  credere  che 
fosse  il  caso  degli  Antenati  di  Cristoforo  Colombo;  se 
non  che  il  Padre  di  lui ,  in  vece  di  lasciarsi  dalla  po- 
vertà avvilire  ,  si  recò  in  contrada,  dove  più  facile  gli 
fosse  lo  attendere  a'irafllci,  ed  in  tal  modo  sovvenne 
a' suoi  bisogni  e  della  Famiglia,  e  potè  nudrir  alle  Let- 
tere ed  alla  Milizia  di  mare  Cristoforo,  e  gli  altri  fi- 
gliuoli suoi  nel  modo  che  si  è  accennato.  Lo  essersi 
mostrato  ,  che  non  più  di  cinquanta  scudi  di  annua 
entrata  toccar  gli  potevano,  è  una  prova  manifesta,  che 
dovette  egli  attendere  ai  traffici,  e  supplire  in  questa 
guisa  alle  ingiurie   della  fortuna. 

Tra  le  opposizioni ,  che  vennero  fatte  a  D.  Baldassarre 
Colombo  da' suoi  Avversar)  in  Ispagna,  per  mettere  in 
dubbio,  che  Cristoforo  Colombo  fosse  uscito  da' Feuda- 
tari di  Cuccano,  una  si  fu,  che  non  avesse  procurato 
di  condurre  nella  sua  famosa  spedizione  alcuni  de'  Pa- 
renti ed  aderenti  suoi  dal  Monferrato.  Nel  rispondere  a 
questa  studiata  difficoltà  ,  si  reca  nel  Sommario  il  luogo 
della  vita  di  lui,  scritta  da  D.  Ferdinando,  dove  nar- 
rasi, che  navigò  seco  al  Nuovo  Mondo  im  suo  Parente  di^.°rap'.Lxv.'' 
per  nome  Giovan-Antonio  Colombo,  e  che  nel  viaggio 
per  le  Indie  intrapreso  nel  1498,  era  uno  de' Capitani 
delle  navi,  che  seguivano  l'avventurato  suo  Congiunto; 
ma  nel  Sommario  si  dimostra,  che  questo  Giovan-Antonio 
Colombo  ,  morto  in  Ispagna  due  anni  dopo  Cristoforo 
Colombo,  cioè  nell' anno  i5o8,  era  della  stessa  Famiglia    ^s  ,1..  s.  91  e 


228  conformità'  tra  il  som.  e  la  storia  EC.  ,  CAP.  XI , 
de'  Consignori  di  Cuccaco ,  e  Fratello  di  Gian-Battistn, 
Colombino,  e  Giovan  Giorgio,  investili  nell'anno  i532 
delle  porzioni  loro  del  Feudo  di  Cuccaro.  Dal  che  si 
raccoglie,  non  solo  che  esso  Giovan- Antonio  era  della 
Famiglia  di  Cristoforo  Colombo,  ma  il  grado  preciso  di 
Parentela  con  lui. 

Osservasi  poscia  ,  che  altri   Parenti    di  lui ,  e  persone 
sior,  dio. Fcr- native  di  Lombardia  vengono  additate  da  D.  Ferdinando, 

din.cap.XCVlI.  .  .   .  ... 

Som.  N.  95  e  come  Compagni  delle  memorabili  sue  navigazioni,  e  spe- 
cialmente Secondo  Cornachia  del  Luogo  di  Vignale,  e 
Michele  Balestrerò  del  Luogo  di  Fubine  ,  il  qual  uhimo 
non   fece  mai  più  ritorno  in. Monferrato.  Di  questo  Mi- 

Slor.di  n.Fer- 

<iin.c.Lxxviii.  chele  Balestrerò  parla  D.  Ferdinando ,  qualificandolo 
Alcayde,  o  sia  Governatore  dell'Isola  della  Concezione; 
ma  nel  Sommario  si  specifica  la  Patria  di  lui  Fubine, 
attestandosi    tal  cosa    da  pii!i  testimonj  ;     e  si  aggiunge  , 

oap. vili, '■  che,  sebbene  r Oviedo  abbia  lasciato  scritto,  che  Michele 
Balestrerò  fosse  Catalano ,  non  se  ne  dovea  far  mera- 
viglia: perciocché  allo  stesso  modo  che  sbagliò  egli  ris- 
petto alla  Patria  di  Cristoforo  Colombo  ,  che  disse  essere 
Cogoreo,  prese  anche  errore  per  ciò  che  appartiene  alla 
patria  di  Michele  Balestrerò;  dappoiché  più  testimonj 
affermavano  con  giuramento,  che  era  questi  partito  da 
Fubine  per  navigare  col  Colombo  ,  lasciando  in  quel 
Luogo  altri  parenti  suoi  dello  stesso  cognome  de'  Bale- 
streri,  e  dappoiché  i  testimonj  allegati  aveano  udito  af- 
fermarsi tal  cosa  prima ,  che  1'  Oviedo  scrivesse  la  sua 
Storia  pubblicata  nell'anno   1647,  dovendosi  far    troppo 


CI  CIANFIVA^'CESCO    CALEANI    NAPIONE.  2C9 

maggior  caso  di  tcstimouj  ,  che  Io  aHcrniavano  di  pro- 
posito, e  cou  giuramento,  di  quello  che  far  si  debba  dì 
uno  Scrittole,  che  ne  tocca  incidentemente.  Non  ho  sti- 
mato inutile  lo  esteudermi  intorno  a  questi  particolari, 
non  tanto  perchè  curiosi,  a  parer  mio,  quanto  affinchè 
aver  si  possa  un  saggio  dell'impegno,  e  dell'acutezza, 
con  cui  si  contrastò  palmo  a  palmo,  a  dir  così,  il  ter- 
reno dagli  Avversar)  ,  e  del  discernimento  ,  cou  cui  si 
trattò  quella  Causa  dai  Difensori  di  Baldassarre  Co- 
lombo ;  cosicché,  se  dovettero  gli  Avversar]  suoi  cessare 
da  ogni  opposizione  sul  punto  della  origine  di  Colombo 
dalla  Famiglia  de'Fcudatnrj  di  Cuccaro ,  si  è  perchè  vana 
fatica  si  era  lo  impugnarlo,  chiudendo  gli  occhi  al  lume 
incontrastabile  del  vero;  onde  i  Difensori  di  Baldassarre 
colla  forza  della  evidenza  espugnarono  il  consenso  loro. 
Un  altro  punto,  che  sempre  più  dà  a  divedere  la  con- 
formità mirabile,  che  passa  tra  la  narrazione  di  D.  Ferdi- 
nando ,  e  le  Memorie  e  prove,  sulle  quali  si  fondano  le 
asserzioni  contenute  nel  Sommario,  si  è  ciò  che  in  esso 
si  allega  intorno  alla  Patria  di  Cristoforo  Colombo.  Pre- 
teudea  uno  degli  Avversar)  di  provare,  che  Cristoforo  Som.  n.  uS, 
Colombo  non  era  della  Famiglia  de' Signori  di  Cuccaro: 
perciocché,  (secondo  questo  Avversario  di  D.  Baldas- 
sarre) Colombo  medesimo  dice,  che  nato  era  in  Genova , 
e  molti  Scrittori  autorevoli  il  dicono  Genovese,  o  della 
Liguria,  e  non  di  Cuccaro,  che  è  in  Lombardia,  Pro- 
vincia affatto  distinta  dalla  Liguria.  Ne  inferiva  poi,  che 
se    il    Colombo    era   o   Genovese  ,    o  di  un  Luogo  del 


23o     conformità'  tra  il  som.  e  la  storia  ec.,cap.  xr, 
Genovesato ,  nou  poteva  essci-  egli  figliuolo  di  Domenico 
CoDsignorc   di   Cuccalo.    Da    tutto    questo    si  raccoglie  , 
che  erasi   fatto    uso    dagli  Avversar]    di  Baldassarre    del 
preteso   Testamento    del    Colombo  ,    su    cui    si  fondano 

V.  cap.  IV.  tutti  coloro,  che  il  dicono  Genovese.  Di  questo  Testa- 
mento già  si  è  toccato  piìi  sopra.  Ora  è  necessario  il 
parlarne  alquanto  piìi  .di  proposito. 

Dice  in  esso  chiaramente  Cristoforo  di  esser  nato  in 
Genova  ;  lascia  al  Banco  di  S.  Giorgio  ,  in  prova  della 
sua  afiezione  verso  la  Patria ,  la  decima  parte  delle  sue 
entrate ,  e  si  spiega  essere  precisa  intenzion  sua  ,  che 
uno    de' suoi  Discendenti  vada  a  stabilirsi  in  quella  Città, 

Campi  Dijc.  e  vì  tenga  casa  aperta.  Ma  il  Campi,  dopo  di  averlo 
esaminato  attentamente,  non  teme  di  asserire  esser  falso 
quel  Testamento ,  perchè  i  Genovesi  non  cercarono  mai 
di  farlo  eseguire ,  quantunque  si  trattasse  di  una  somma 
considerabilissima  da  esigersi  ogni  anno;  e  non  sola- 
mente non  mostrarono  sollecitudine  nessuna  di  conse- 
guire il  supposto  opulento  Legato ,  ma  neppure  fecero 
parti  per  mostrare,  che  Colombo  fosse  Genovese,  qua- 
lora si  mossero  i  Colombi  di  Cuccaro  dopo  l'anno  1B72, 
essendo  mancata  la  discendenza  maschile  di  Colombo  in 
Ispagna  ;  esser  falso ,  perchè  D.  Ferdinando  non  ne 
parlò  mai  nella  sua  Storia ,  e  non  ei-a  certamente  cosa 
da  omettersi ,  perchè  cosa  per  se  grandissima ,  e  che 
tornava  in  onore  del  Padre  di  lui  ;  falso  finalmente  , 
perchè  i  Genovesi  non  ne  fecero  pur  motto  a  Ferdi- 
nando venuto    in  Genova ,    per  cercar  della  origine    del 


DI  CIANFRAKCESCO    GALEANI    NAPIONE.  23  I 

Padre  suo.  Riflette  parimente  il  Campi  ,  che,  se  tale 
Legato  fosse  stato  vero,  la  Repubblica  di  Genova  pos- 
sente e  ricca ,  non  solo  non  avrebbe  trascurata  spesa ,  né 
fatica  per  sì  grande  e  perpetua  entrata  ,  ma  la  Repub- 
blica ,  e  lo  stesso  Banco  di  S.  Giorgio  avrebbero  in 
onore  del  loro  benefico  Eroe ,  e  per  perpetuar  la  gloria 
di  aver  dato  alla  luce  lo  Scopritor  dell'America,  cretto 
Statua  di  bronzo,  o  di  marmo,  il  che,  ossei'va  il  Campi  , 
suole  essa  fare,  anche  per  cagioni  mcn  rilevanti.  Di  fatti, 
per  recarne  uno  esempio  in  comprova  ,  aggiungerò  io, 
che  una  appunto  iu  S.  Giorgio  ne  eressero  i  Genovesi 
a  qua' tempi,  vale  a  dire  intorno  al  1498 ,  per  imprese  chiesa.  Cor. 
in  Corsica,  ad  Ambrogio  Negroni  Antenato  di  quel  Ne-  pàg.' ^^oTediz! 
GRONE  de' Negri  Marchese  di  Mulassano ,  che  fu  Gene-  ^ ''"' 
rale  delle  Finanze  del  Duca  di  Savoja  Emanuele  Fi- 
liberto. 

Del  rimanente,     anche    all'Abate    Tiraboschi  sembrò     Tirabos.  stor. 
assai  sospetto   quel  Testamento,    non  sapendo,  die' egli,  p.^I'^s?  " '"^'"" 
se  mai  ne  fosse  sfata  presentata  autentica  Copia.  Altronde 
poi,  lo  stesso   Campi  parla  di  un   Documento   stato  alte-     campi.Disc, 
rato  danno  di  que' Grandi  di  Spagna,  che  contendevano    ""''■*''• 
con  Baldassar  Colombo  per  Io  Maggiorasco.  E  che  istro- 
menti  falsi  andassero  attorno  a'  tempi  di  quella   Lite    fa- 
mosa, si  raccoglie  da  una  Lettera  del  Dottore  Francesco 
Antonio  Colombo  di  Pradello  sul  Piacentino  al  medesimo  p.^j"'"  "'""'' 
Campi,  in  cui  parla  di  un  istromento    da  trarsi  da  Ge- 
nova,   ma    che    non    si  poteva    aver  con  meno    di  cin- 
quanta scudi,  soggiungendo,  che  temeva  di  restar  deluso 


232      conformità'  tra  il  som.  e  la  storia  EC,  ,CAP.  XI, 

con  qualche  istromcnto  falso.  A  queste  considerazioni 
del  Campi  ,  e  del  Tirabosciu  aggiungeremo ,  che  ignoto 
fu  questo  preteso  Testamento  di  Cristoforo  Colombo  al 
Sordi,  quando  dettò  il  suo  Consulto;  che  è  contrario 
direttamente  a  quel  Codicillo  di  esso  Colombo  recato 
dal  Sordi  medesimo,  Codicillo  riguardalo,  d'accordo  da 
tutti  que'  Giuristi  che  ebbero  parte  iu  quella  controversia 
forense ,  come  la  vera  Disposizione  testamentaria  di  Cri- 
stoforo ,  ed  il  fondamento  delle  pretensioni  reciproche 
di  tutti  coloro,  che  aspiravano  al  possesso  del  Maggio- 
rasco  instituito  daini;  che  per  ultimo  risulta  pienamente, 
come  si  è  detto  sopra  ,  che  Carte  apocrife  erano  state 
presentate  anche  da  quel  Bernardo  Colombo  di  Cogo- 
reo,  che  sostener  volca  esser  l'Agnato  più  prossimo  di 
Cristoforo  ;  Carte  tutte  nate  dalla  avidità ,  con  cui  ne 
facevano  ricerca  gli  interessati  nella  Lite,  e  dalla  malizia 
de' falsar),   che  ne  voleano  trar  guadagno. 

Restringendoci  però  al  Testamento  succennato  ,  Bal- 
dassarre Colombo  cautamente  giudicò,  che  opportuno 
non  fosse  lo  entrare  nella  discussione  dell'autenticità,  o 
falsità  di  esso,  llispose  pertanto,  che  l'intento  suo  eradi 
Som. numi ij,  provare ,  che  Cristoforo  Colombo  era  figliuolo  di  Dome- 
nico Colombo,  de' signori  di  Cuccaro,  e  non  già  che 
nato  fosse  piuttosto  in  Cuccaro,  che  in  Genova,  non 
avendo  mai  preteso  di  affermare  precisamente  in  qual 
Luogo  egli  nascesse,  e  non  facendo  al  caso  il  nascere 
in  un  Luogo  ,  od  in  un  altro  ,  per  esser  figliuolo  dello 
«tesso  Padre.  Dal  dirlo  poi   gh  Scrittori  o  Genovese  ,  o 


xao.c  Ili. 


DI    GUNFRANCESCO   GALEANI    HAPIONE.  235 

della  Liguria  osserva  doverseue  inferire  »  che  non  sape- 
vano di  qual  Luogo  precisamente  fosse  nativo.  Che  al- 
tronde poi  potevano  dirlo  della  Liguria:  perciocché 
Cuccaro  è  situalo  nei  Ducato  del  Monferrato,  parte  della 
Liguria,  e  distante  quarantacinque  miglia  dalla  Città  di 
Genova,  che  n' è  la  Capitale.  Che  se  per  avventura  fu 
il  Grande  Ammiraglio  delle  Indie  Cristoforo  detto  Ge- 
novese,  fu  ciò,  secondo  l'uso  degli  uomini,  che  si  ritro- 
vano in  rimote  parti ,  ed  interrogati  della  Patria  loro , 
si  facevano  sempre  chiamar  dal  nome  di  alcuna  Città 
principale  più  conosciuta ,  e  pilli  vicina  al  Luogo  del 
uascimcnlo   loro   men  conosciuto. 

Vi  ha  di  più,  da  una  clausula  di  quello  stesso  Testa- 
mento ,  dagli  Avversar)  recato,  per  provar  che  il  Co- 
lombo fosse  Genovese,  Baldassar  Colombo  ne  trae  argo- 
mento in  contrario.  Di  fatti  ordina  in  esso  Testamento 
Cristoforo ,  che  quegli ,  che  avrebbe  avuto  in  eredità  il 
Maggiorasco  da  lui  instituilo ,  debba  sempre  mantenere 
nella  città  di  Genova  una  persona  della  sua  Famiglia, 
che  vi  tenga  casa  aperta  con  entrata  per  viverci  ono-  Som.  n.  hs 
ratamente,  e  si  stabilisca  e  pianti  radice  m  essa  Citta, 
come  naturale  di  essa.  Da  questo  si  raccoglie,  dice  D. 
Baldassarre,     che    la  stirpe    dell'  Ammiraglio    Cristoforo 

knon  era  della  Città  di  Genova  :  perciocché,  se  stati  fossero 
Genovesi  i  Parenti  suoi ,  avrebbouvi  già  avuto  abitazione 
e  domicilio;  ne  sarebbe  stato  necessario  prescrivere,  che 
una  persona  del  suo  Casato  venisse  a  vivere  e  stabilirsi 
in  Genova;  e  quello  che  maggiormente  il  dà  a  divedere , 

5o 


aS/f      conformità'  tra  il  som.  e  la  storia  EC   ,  gap.  XI, 

,Q,„jj      ;jSÌ  è   il  dir  che  fa — CJie  si  stabilisca,  e    pianti    radice 

'  di/ha  cfiTiant  ^'^  ^**"  Città,    coiìie  naturale   della    medesima;  il  che 

»deUa.  "^"^     era  lo  stesso  come   dichiarare,   che  la  sua  stirpe  non  era 

di  Genova:  poiché,  se  già  stato  lo  fosse,   non   potca  dire 

che  vi   piantasse  radice   per  diventarlo. 

Per  afforzare  ogni  volta  più  questo  argomento ,  e  pro- 
vare che  il  Colombo  non  era  Genovese ,  si  recano  in 
quel  Sommario  le  attestazioni,  ed  i  fatti  de  Genovesi 
medesimi.  Notabile  tra  queste  testimonianze  si  è  c[uella 
di  un  Personaggio  ragguardevolissimo  Genovese,  vale  a 
dire  di  Niccolò  Grimaldi  Principe  di  Salerno ,  uomo  di 
ottantatrè  anni.  Questi  attestò,  che  in  tutta  vita  sua  mai 
non  avea  saputo,  né  inteso  a  dire,  che  nella  Città  di 
Genova  vi  fosse  alcuno  del  Cognome  di  Colombo  :  che 
se  stato  vi  fosse,  non  avrebbe  potuto  far  a  meno  d'inten- 
derlo a  dire  da  qualche  persona,  o  di  averlo  letto,  od 
incontrato  scritto  in  alcun  luogo,  avendo  egli  fatto 
Som.  N.  129.  lunga  dimora  in  quella  Città  ,  di  cui  era  nativo.  Si  fa 
anche  caso  del  non  essersi  negli  Annali  di  Genova  te- 
nuto registro  delle  eroiche  imprese  di  Colombo,  ne  in- 
„      .,    _    nalzato    alcun    monumento    in    onore    di  esso ,    come  si 

,     Som.  N.  132,  ' 

praticò  per  altri  Personaggi  di  minor  fama,  argomenti, 
di  cui  si  valse  poscia ,  come  abbiam  veduto  ,  il  Campi  , 
l'icavandoli  probabilmente  da  questo  Sommario.  Di  questo 
silenzio    degli  Annali  pubblici*,   e  mancanza  di   monu- 

*Ecla  notarsi,  die  il  G.M.LO    ed  il  Senahega  erano   allora  inedili  ,    e 
forse  venuero  interpolali  mentre  andavano  attorno  ms. 


0  \:>3. 


DI   GIANFRANGESCO   GALEANI    NAPIONE.  235 

frienti,  ue  fece  pur  fede  lo  sfesso  Palrizio  Genovese  or 
mentovato  iJ  Principe  di  Salerno  Niccolò  Grimaldi,  si- 
lenzio, che  riflette  eziandio  le  gesta  degli  altri  due  Ani- 
miraglj  usciti  dalla  Famiglia  Colombo  ,  e  specialnicuto 
di  quello  detto  Colombo  il  Giovane  ,  tuttoché  avesse  som.  n.  i?«. 
egli  sconfuti  i  Veneziani ,  che  erano  allora  in  guerra 
co'  Genovesi. 

Ad  ogni  modo,  che  questo  Testamento  di  Cristoforo 
Colombo,  da  cui  si  pretende  di  dedurre,  ch'egli  fosse 
Genovese,  da  Baldassarre,  né  ammesso  per  genuino,  ne 
contraddetto  per  non  muovere  una  questione  inutile,  possa 
essere  stato  o  supposto,  o  interpolato  a' tempi  delle  prc- 
teusioui  messe  in  campo  dal  Bernardo  Colombo  di  Co- 
goreo,  e  che  gli  Avversar]  medesimi,  che  si  valevano 
di  esso  per  far  Genovese  Cristoforo  Colombo  contro 
Baldassarre,  avessero  già  prima,  agitando  la  Lite  contro 
il  succennato  Bernardo  Colombo  di  Cogoreo,  rifiutate 
le  prove  da  esso  Bernardo  allegate  per  provare,  che 
Cristoforo  Colombo  era  Genovese ,  ponendosi  cosi  iu 
aperta  contraddizione,  acconciamente  si  rilevò  da  Bal- 
dassarre Colombo.  Allega  egli  le  precise  parole,  con  cui  Som. n."  137. 
essi  mostrarono,  che,  sebhene  Bernardo  Colombo  di  Co- 
goreo si  fosse  affaticato  assai  per  provare  parentele  anti- 
chissime in  Genova,  mai  non  eragli  riuscito  di  poter 
dare  aspetto  di  verità  alle  pretensioni  sue,  se  non  con 
testimoni  falsi. 

L' origine   adunque    illustre    Lombarda    di    Cristoforo 
Colombo,  la  povertà  de' suoi  Genitori,  gli  uomini  famosi 


236  conformità'  tra  il  som.  e  la  storia  EC,  ,CAP.  XI, 
in  mare  della  sua  Famiglia,  i  Parentadi  coi  Colombi  ai 
Piacenza  e  di  Cogoreo ,  i  Parenti  e  gli  aderenti  suoi 
nazionali,  le  testimonianze  incontrastabili,  che  non  era 
egli  Genovese ,  cose  tutte  accennate  da  D.  Ferdinando 
Colombo  nella  vita  del  Padre,  sono  ampiamente  spie- 
gate, schiarite,  e  poste  in  piena  luce  nelle  prove  ed 
Esami  autentici,  che  si  contengono  nel  Sommario  Spa- 
gnuolo ,  cosicché  formano  un  tutto ,  le  parti  di  cui  hanno 
giusta  corrispondenza  tra  di  loro ,  e  confermano  vieppiìi 
l'assunto  principale,  che  si  è  il  dimostrare,  che  lo  Sco- 
pritore del  Nuovo  Mondo  era  uscito  dalla  Famiglia  degli 
antichi  Feudatari   ^i  Cuccaro  in  Monferrato. 

CAPO    XII. 

Notizie    riguardanti    D.   Ferdinando    Colombo , 
e  la   sua  Stoiia, 

Si  bramerà  per  avventura  al  presente  da  più  d'  uno 
di  avere  qualche  speciale  notizia  dello  Scrittor  della  vita 
di  Colombo,  il  figliuolo  di  lui  D.' Ferdinando.  Se 
un  Apostolo  Zeno,  od  un  Mazzuchelli  ne  avessero 
scritto ,  non  ci  avrebbono  certamente  lasciate  ignorare 
quelle  minute  particolarità  riguardanti  specialmente  la 
vita  sua  letteraria,  e  l'Opera  sua,  che  tanto  riescono 
gradite  a  chi  pregia  l' erudizione ,  e  di  buon  gusto  è 
fornito. Da  Niccolò  Antonio,  che  è  il  solo  Scrittore  Spa- 
guuolo  a  me  noto ,  che  parli  di  lui ,   ricaveremo   alcuna 


1 


DI  GIANFRANCESCO    CALEANI    NAPIONE.  sSy 

notizia,  che,  in  mancanza  di  più  pieno  ragguaglio,  potrà  jj.|^|.p,  j^.^ 
servir  di  qualche  lume.  Era  egli  figliuolo  naturale  di  T^l^^'f J p*"j""'' 
Cristoforo  Colombo.  Sua  madre  fu  Beatrice  Enriques , 
che  Colombo  nel  suo  Codicillo  fatto  in  Segovia  nel  i5o5 
riconosce  come  Madre  di  lui,  e  come  tale  raccomanda 
a' suoi  Eredi.  Nacque  Ferdinando  circa  l'anno  1489, 
giacche  al  tempo  della  morte  del  Padre  suo  non  avca  più  v.  cap.vi. 
di  sedici  anni,  come  abbiamo  accennato  più  sopra,  e 
riuscì  Uomo  letteratissimo,  a  segno  tale,  che  Niccolò  An- 
tonio afferma,  che  nella  diversa  carriera  degli  Studj 
emulò  la  paterna  virtù.  Visse  celibe,  anzi  lu  Saceidote, 
ed  abitava  un  ampio  palagio  in  Siviglia  lungo  il  Gua- 
dalquivir di  amenissimo  prospetto.  In  esso  avea  egli  adu- 
nata una  Biblioteca  ricchissima  d'ogni  specie  di  libri, 
che  nella  età  sua  avessero  già  veduta  la  luce  delle  stampe, 
e  di  moltissimi  Codici  manoscritti,  senza  risparmio  di 
spesa,  né  già  a  sola  pompa,  come  molti  fanno  de' graa 
Signori.  Coir  assiduo  studio  erasi  egli  resa  vivendo  fami- 
gliare si  v^asta  suppellettile  scientifica,  ed  in  morte  la  lasciò 
finalmente  alla  Chiesa  di  Siviglia,  in  cui  volle  essere 
seppellito.  L'anno  in  cui  egli  morisse,  i  viaggi  da  lui 
fatti  in  Italia  ,  di  cui  parla  egli  stesso,  come  si  è  veduto 
nelle  sue  Storie ,  e  le  altre  particolarità  della  sua  vita 
non  le  ho  rinvenute  in  Niccolò  Antonio ,  ne  saprei  dove 
rintracciarle.  Della  Biblioteca  (segue  a  dire  Niccolò  An- 
tonio) ,  per  cjualche  tempo  n' ebbe  cura  Giovanni  Vasco 
Fiammingo  uomo  rao,  e  soggiunge  lo  stesso  dottis«i  Bi- 
bliotecario Spagnuolo,    che  mentre  egli  scrivea,  benché 


238    NOTlZIfiBlGUARDANTlD.  FERO.  E  LA  SUA  STORIA  CAP.Xir," 

con  poca  cura  custodita  nel  Coro  della  vastissima  Chiesa 
di  Siviglia  ,  manifestava  ancora  1'  animo  munilicenlissirao 
del  primo  possessore  verso  le  lettere ,  non  meno  che 
verso  i  Letterati ,  ed  i  monumenti  scientifici  d'  ogni 
maniera. 

Reca  poi  Niccolò  Antonio  un  breve ,  ma  splendido 
elogio  tessuto  a  Ferdinando  Colombo  da  un  Alfonso 
Garzia  Matamoro  nella  sua  Opera  delle  Accademie ,  e 
degli  Scienziati  Spaguuoli ,  dicendo  aver  Ferdinando 
goduto  nelf  ozio  letterario  quasi  di  una  estimazione 
eguale  a  quella  conseguita  dal  Padre  suo  Cristoforo  nella 
operosa  vita.  Esimio  e  singolare  Filosofo  edificò  con 
grande  magnificenza  (virtìi,  aggiungeremo  noi,  di  cui 
pochi  sono  i  Filosofi  che  possano  far  pompa  ) ,  un  vasto 
palagio  sulle  sponde  del  Guadalquivir  in  luogo  salubre 
ed  ameno  ,  grata  stanza  alle  Muse.  Ombrosi  viali  vi  piantò 
intorno  ad  abbellirlo;  vi  apri  una  Biblioteca  di  venti 
mila  volumi  dotata  di  annue  entrate,  onde  potesse  ar- 
ricchirsi de' libri,  che  giornalmente  venivano  alla  luce, 
ed  in    seno  agli   amati  studj  terminò  la  vita.  Ma  eziandio 

.....     questo  Alfonso  Matamoro  delle  epoche  della  vita  di  Fer- 
ii campi  iiince   ^  r 

nd"anno'''.539!  ^^"^"^^^j  dc' viaggi  suoi  in  Italia,  e  delle  Opere  da 
Olle. itt-j.  11,9.  j^j  lasciate,  e  segnatamente  della  Storia  della  vita  del 
Padre,  e  d'ogni  altra  particolarità,  che  eccitar  potrebbe 
l'altrui  curiosità  erudita,  ci  lascia  totalmente  al  bujo. 
Scrivrano  que' buoni  Spagnuoli  piuttosto  colla  brevità 
maestosa  degli  Storici  dell'  antichità,  che  non  colla  esatta 
e  minuta  critica   de' moderni    Biografi    e  Bibliografi.   Ci 


DI  GIANFRANCESCO    GALEANl    NAriONE.  sSg 

basti  ad  ogni  modo  di  sapere,  che  Ferdinando  Colombo 
fu  dotto  e  splendido  Signore ,  Scrittore  savio  ed  auto- 
revole, Figliuolo  e  Storico  beu  degno  di  im  tanto 
Genitore. 

Dell'Opera  adunque  intorno  alla  vita  di  Cristoforo 
Colombo,  di  cui  mi  lusingava  di  ritrovar  notizie  co- 
piose presso  lo  Scrittore  della  Biblioteca  Ispanica ,  altro 
non  posso  dire,  se  non  se  cosa  che  mostra  quanto  ai 
tempi  di  Niccolò  Antonio ,  che  fiorì  dopo  la  metà  del 
Secolo  XVII,  scaduti  fossero  gli  studj  delle  cose  patrie 
in  Ispagna,  Dice  pertanto  questo  Bibliografo,  che,  volendo 
Ferdinando  perpetuare  la  memoria  de'  virtuosi  domestici 
fatti ,  scrisse  la  Storia  di  Cristoforo  Colombo  ,  il  cui 
originale  in  lingua  Spagnuola  combatteva  colla  polvere, 
e  cogli  insetti  io  alcun  angolo  riposto  di  qualche  Biblio- 
teca ,  se  pur  avca  potuto  scampare  da  una  oblivione 
totale.  Particolarità ,  o  notizia  bibliografica  riguardante 
si  fatto  libro ,  non  ne  reca  veruna.  Parla  bensì  della 
traduzione  Italiana  fattane  da  Alfonso  Ulloa  ,  e  di  questa 
accenna  due  edizioni,  una  dell'anno  1671  in  Venezia, 
dove  dimorava  il  Traduttore,  la  seconda  del  1614.  Non 
lascia  d'indicare  la  forma  stessa  del  libro;  e  tutto  ciò 
vien  partitamente  divisando  rispetto  alla  traduzione  Ita- 
liana, mentre  dell'originale  Spagnuolo  nh  il  nome  della 
Città,  ne  l'anno,  in  cui  siasi  la  prima  volta,  o  forse 
l'unica  stampato,  seppe  accennare,  o  si  curò  d'inda- 
garlo il  Bibliotecario  Spagnuolo.  Io  non  posso  aggiunger 
altro,    se    non   che  esso  originale  non    può   essere  stato 


240    NOTIZIE  RIGUARDANTI  D.FERD.  ELASUA  STORIA  CAP.XII, 

scritto  prima  dell' anao  loSy,  poiché,  come  aldove  si 
è  avvertito,  si  fa  menzione  in  esso  degli  Annali  Geno- 
vesi di  Agostino  Giustiniani  pubblicatisi  non  prima 
di  quell'anno.  L'eruditissimo  Foscarini  dice  pure,  che 
la  Storia  delle  navigazioni  di  Cristoforo  Colombo  scritta 
da  Ferdinando  suo  figliuolo,  non  si  conosce  altramente 
che  nella  versione  Italiana ,  recando  anche  l' auioritìi  del  Len- 
CLET,  che  questa  versione  Italiana  appunto  ne  riferisce; 
della  qual  cura  degli  Italiani  di  tradurre  libri  Spagnuoli  e 
Fo^icariniLet.  Portoghesi ,  aggiuHge  lo  stesso  Foscarini,  che  ce  «ne 
^*'"  debbono  saper  grado  le  straniere    Nazioni,  per   la  diffi- 

coltà che  avrebboDO  di  rinvenir  codeste  Opere  nell'idioma 
originale.  Circa    il  Traduttore   Ulloa,  che  visse    e   fiorì 
in  Italia  intorno  alla  metà   del  Secolo  XVI,   si  può  leg- 
gere quanto  ne  lasciarono  scritto   il  Fontanini  ed  Apo- 
iiai.°ioni"ii,t!ag!  slolo   Zeno  ,   il  qual   ultimo  reca  una  lettera  del  Dolce 
iiom.up. 474.' del    1557,   dove,    facendo   rrteazione   di  questo  Alfonso 
Ulloa,   dice,   che,  liducendo    molte  Opere    di  Lingua. 
Spagnuola  in  Italiana,  giovava  parimente  all'  una  ed  all'altra. 
E    cosa    notabile    intanto,     che    ne    dell'originale    della 
Storia  di  Ferdinando  Colombo  ,  ne  della  traduzione  non  si 
faccia  parola  nella  copiosissima  Biblioteca  Slorica  dello  Stru- 
vio  stampata  in  Jena  nel  1740  colle  aggiunte  del  Budero. 
Ma  in  questa  parte  delle  Storie  di  D.  Ferdinando,    e 
delle   due  Edizioni  della   tiaduzione    Italiana  nessuno  ra- 
gionò con  maggior  esattezza  e  critica  di  quello  che  abbia 
isixi^i'ia pji'rTa  f''t'o  il  Campi.    Rcca  egli  le  due  Lettere  dedicatorie  della 
p!n"'"     "    Edizione  di  Venezia  del  1671,  e  di  quella  di  Milano  del 


DI    GIANFRANCESCO    GALEANI    HAPIONE.  24  I 

1614;  r  Edl-cion  di  Venezia  vien  dedicata  da  un  Giuseppe 
MoLETO  al  signor  Baliano  de' Fornari.  Se  dobbiam  prestar 
fede  a  questa  Lettera  ,  il  Fornari  era  venuto  di  Genova 
in  Venezia,  con  proponimento  di  fare  stampar  le  Storie 
di  D.  Ferdinando  Colomiio,  cosi  nella  Lingua  Castigliana, 
nella  quale  erano  state  scritte,  come  nella  Italiana,  ed 
appresso  col  fine  di  farle  tradurre  nella  Latina  ;  ma  si 
soggiunge,  che  astretto  dalle  molte  occupazioni  sue,  e 
private  e  pubbliche  a  ritornarsene  in  Genova,  se  n'era 
presa  cura  il  signor  Gio.  Battista  di  Marino,  il  quale, 
essendo  (dice  il  RIollto)  mollo  jnio  signore,  ìia  volalo y 
che  in  buona  parte  la  cura  di  tal  negozio  fosse  mia. 
Trascrive  quindi  il  Campi  per  intiero  la  Lettera  dedi- 
catoria della  ristampa  di  Milano  in  data  dei  4  ^^^  mese 
di  Giugno  dell'anno  1614,  con  cui  lo  Stampatore  Giro- 
lamo Bordoni  presenta  il  libro  al  Doge  ed  ai  Gover- 
natori della  Rt'pul)blica  di  Genova.  Nel  titolo  sì  esprime  : 
con  aggiunta  di  lettere,  e  Testamento  deli  Ammiraglio  ; 
e  nella  Lettera  dedicatoria,  dopo  essersi  accennato,  che 
non  si  ritrovava  più  alcuno  esemplare  della  prima  im- 
pressione fatta  in  Venezia  nel  1671,  e  solo  se  n'era 
potuto  avere  un  esemplare  da  Aquilino  Copino  Lettore 
in  Milano  ,  dicesi ,  che  nelle  proprie  sue  lettere  il  Gran 
Colombo  chiamava  Genova  Patria  sua ,  ed  in  quelle  ,  e 
ne'  suoi  Testamenti  affermava  di  esservi  nato ,  onde  es- 
sendogli pervenute  alle  mani,  avea  stimato  di  darle  alla 
luce  colla  sostanza  del  Testamento  in  un  colla  Storia. 
Ora  il  Campi,  confrontando  le  due  Edizioni  della  Tra- 

5i 


l4  2    NOTIZIE  RIGUARDANTI  D.  FERD.  E  LA  SUA  STORIA  CAP.  XII , 

Camfiioe.cìt.  cUizioue  ItaliuDa ,    venne  in  sospetto,  the   tali  Uocuinentì 
non  fossero  cose  legittime,  ma  inventate,  non  solo  perchè 
mancavano  nella  prima   Edizione   del    1671,  constituen- 
dosi  il  Bordone  di  Stampatore  che  era  Istoriografo  della  Se- 
renissima Repubblica  di  Genova ,   ma  eziandio  perchè  esso 
Bordoni ,  non  contento  di  aver  cangiato  in  varj    luoghi 
alcune  parole   in  altre    di  suo  capriccio ,    avea    eziandio 
cancellate    ed    omesse    nel    Capitolo    II    otto    linee    ia 
p.i's!^' ''"''"''  pregiudicio    del  vero  ,    e  del  racconto     dell'  Autore.  La 
stessa    cosa    replica  altrove    il   Campi    notando,   che    dal 
Bordoni  si  tralasciarono   maliziosamente    cose    essenziali, 
e  lascia  vedere,  che   da  lui  portavasi  opinione,  che  quelle 
Carte  date     alla    luce    nel   1614  fossero   state  alterate,   o 
supposte,  mentre    agltavasi  la    Lite    in  Ispagna ,    di    cui 
si  è  parlato  più  sopra   lungamente. 
Zo.-.f<v.p.i45.       Ma  parlando  generalmente  delle  due  Edizioni  Italiane 
della  vita  di  Colombo  ,   dice  il  medesimo  Campi  ,  che  si 
vede  in  amendue  le  Edizioni,    che  i  Dedicanti    dicono 
cose  ,  le   quali  dal  contesto  si  raccoglie   non    essere  nello 
Originale    Castigliano ,    che    però ,    non  ostante    tutte   le 
diligenze  usate,   non  eragli  riuscito    di    poter  vedere;    e 
ciò  che  più  importa  in  amendue  i  Dedicanti,  si  scopre 
una  passion  grande  di  persuadere,   e  stabilire  ,  che  Cristo- 
foro Colombo  fosse   d'origine  Genovese.  Riflette  in  oltre 
il  Campi  ,    che    essendo    la  prima    Edizione  Veneta    del 
1671,    come   dimostra    il  titolo,    traduzione    di  Alfonso 
Ulloa  ,  è  cosa  notabile  ,    che   esso  Ulloa  non  abbia  de- 
dicato egli  l'Opera,   come   era  usato  di  fare,  e  che  in 


DI    GIAKFRANCE6CO    GALEANI    ^AP10KE.  243 

essa  Edizione  si  attribuisca  all' Ulloa  Spagnuolo  la  tia- 
duzioue,  ed  al  Moceto  Siciliano  la  Dedicatoria,  eh' ei 
fece  ad  un  Gentiluomo  Genovese,  lu  somma  osserva 
egli,  che  i  Genovesi  procurarono  di  fare  tradurre  e 
slampare  la  vita  di  Colombo  per  mezzo  de'  ISobili  Ge- 
novesi Ballano  Fornari ,  e  Marini,  e  sospetta  ,  che  anche 
questa  Traduzione  stampata  in  Venezia  la  prima  volta  , 
sia  Opera  del  medesimo  Moleto,  e  non  già  dell'ULLOA, 
non  tanto  perchè  il  predetto  Ulloa  non  vi  fa  dedica- 
toria veruna  ,  quanto  perchè  il  Ghilimi  nel  suo  Teatro 
de' Letterati  di  que' tempi,  ove  rammemora  diverse  tra- 
duzioni dell'ULLOA,  non  vi  annovera  questa  della  vita 
di  Cristoforo  Colombo,  ed  altronde  parlando  del  Moleto 
accenna,  che  si  esercitò  anche  in  tradurre  varie  Opere. 
Quello,  che  non  ha  potuto  fare  il  Campi,  vale  adire 
confrontar  le  traduzioni  Italiane  col  Testo  Spagnuolo, 
lo  potremo  far  noi ,  ove  fossero  piij  comuni  nelle  con- 
trade nostre  i   libri  dettati  in  Lingua  Spagnuola ,  poiché     Hisionadorei 

fTilnilivosdi'Ir.s 
,^.„    -..,-, ,     ,^.«     ^ w..     ,     ndij^OcoiJenl. 

'  '  ■■  *-  in  lol.  voi.  Ili , 

che  primi  scrissero   delle  cose  delle  Indie  Occidentali,  che  Ma'irid>7;,9vou 
venne  pubblicata  in  Madrid   ucU'anno  1749,    e    di    cui  il^^w"!/ 
fa   menzione   il  Robertson  nella  sua  Storia  di   America,  chTutZ-Mohn. 
si   diede  di   nuovo  alla  luce  1'  Originale  Castigliano  della 
Storia   della  vita  di  Colombo  scritta  da  D.  Ferdinando. 
Vero  è  perù ,   che ,    se  curioso  esser  potrebbe  questo  con- 
fronto ,  non  resta  ciò  non   pertanto,   posto  il  finqui  divi- 
sato ,   in  nessun  modo  necessario. 


244         MONUMENTI    CONTRABJ    ALLEGATI   EC.   CAP.  XIII, 

CAPO     XIII. 

JMonumenlì  contrari  allegati  da  alcuni  Scrittori  non 
possono  far  rnetlere  in  dubbio  la  Patria  del  Colombo. 
Esamina  di  sì  fatti  monumenti. 

Un  celebre  Filosofo  Tedesco ,  dopo  di  aver  meditafo 
lungamente  intorno  alla  Metafisica,  e  finalmente  datone 
alla  luce  un  profondo  sistema  ,  non  volea  più  leggere 
libro  nessuno  appartenente  a  quella  Scienza.  Se  nello 
operar  a  questo  modo,  rispetto  ad  una  facoltà ,  che  non 
si  può  in  ogni  sua  parte  ridurre  a  matematica  dimostra- 
zione, giudiciosamente  si  governasse,  ad  altri  il  lascierò 
giudicare.  Ma,  se  da  taluno,  dopo  aver  esaminati  i  mo- 
numenti nostri  Monferrini  risguardanti  la  Patria  del  Co- 
lombo ,  non  si  volesse  pivi  dar  retta,  non  solo  agli  Sto- 
rici, che  gli  assegnarono  una  Patria  diversa,  ma  tenesse 
in  conto  di  supposti,  o  interpolati  i  monumenti  tutti, 
che  dal  Salinerio  ,  dal  Casoni,  e  da  altii  ultimamente 
si  produssero ,  io  non  potrei  disapprovare  questa  deter- 
minazion  sua.  Dopo  autentiche  prove  giudiciali  ricono- 
sciute per  evidenti  da  chi  avea  il  massimo  interesse  di 
porle  in  dubbio  ;  dopo  che  una  verità  ha  ricevuto  tutto 
quel  grado  di  certezza,  che  si  può  bramare  intorno  alle 
verità  morali,  qual  caso  far  potremo  di  Carte,  le  quali 
non  si  produssero  se  non  se  tanto  tempo  dopo  la  morte 
di   Colombo,  e  dopo   quelle  state  presentate  da  Baldas- 


DI  ciAnfrAkcesco  galeani  kapione.  245 

saiTC  Colombo?  di  carte,  di  cui  nessuno  degli  Avver- 
sari di  lui  ebbe  notizia,  quantunque  in  Genova  si  fa- 
cessero da  essi  le  più  minute  ricerche,  di  carte  da  pri- 
vati Scrittori  additate,  che  nessuno  ha  veduto  autentiche, 
ed  intorno  alla  legittimità  delle  quali  alcun  Magistrato 
non  pronunciò  Sentenza,  o  se  la  pronunciò,  fu  per 
dichiararle  supposte,  come  abbiam  veduto  rispetto  ad 
alcune  prodotte  dal  Bernardo  Colombo  ?  Non  dobbiamo 
adunque  credere ,  che  dagli  Scrittori  Genovesi  sieuo  state 
queste  supposte  per  poter  attribuire  alla  Patria  loro  la 
gloria  di  aver  dato  al  Mondo  un  si  grande  Eroe  ?  Spiace 
però  a  me  tanto  il  ritrovar  gli  uomini  falsi  e  di  mala 
fede ,  eziandio  per  la  brama ,  nel  resto  lodevole,  di  ac- 
crescere celebrità  e  fama  alla  Patria,  che  voglio  sup- 
porli piuttosto  ingannati ,  che  non  ingannatori.  E  quale 
ingannator  più   innocente  dell'  amor  della  Patria  ? 

Due  rami  abbiam  veduto,  che  esistevano  de' Colombi 
originarj  di  Cuccaro  in  Piacenza  ,  ed  in  Cogoreo.  Rispetto 
a' Colombi  del  Piacentino  ripetuti  erano  frequentemente 
i  nomi  di  Domenico,  di  Cristoforo,  di  Bartolorameo; 
ed  in  ordine  al  ramo  di  Cogoreo  abbiam  veduto,  che 
a'  tempi  medesimi  del  famoso  Colombo  erano  un  Cri- 
stoforo ,  ed  un  Bartolommco ,  e  che  questo  Cristoforo 
fu  parimente  Ammiraglio  di  grido,  alla  cui  celebrità 
nulla  pregiudicò  maggiormente  quanto  lo  essere  stato 
nelle  imprese  di  mare  superato  d'immenso  tratto  dal  suo 
allievo  e  cugino-nipote  il  Cristoforo  Colomuo  Scopri- 
tore del  Nuovo  Mondo.  Posti    questi    replicati   nomi   di 


1780. 


24S         MONUMENTI   CONTHAIU    ALLEGATI    EG.,CAP.  XllI, 

Cristofori ,  e  di  Bartolommci  uc'  rami  diversi  dt-lla  Fami- 
glia Colombo,  quale  meraviglia  che  si  prendessero  sbaglj, 
e  si  cambiassero  gli  uni  cogli  altri,  massime  avuto  ri- 
guardo alla  natura  dell'uomo,  che  crede  sempre,  e  vede 
quello  che  desidera  di  credere  e  di  vedere?  Nella  Fa- 
miglia Principesca  de'  Gonzaghi,  che  ebbe  il  dominio  del 
Ducato  di  IMantova ,  e  trattandosi  di  Personaggi  di  grido 
usciti  dalla  medesima ,  e  vissuti  nel  Secolo  XVI  in 
mezzo  a  tante  lettere,  a  tanta  coltura,  quale  fatica  non 
Lat?''Gonln''Ì  ^^vctte  durarc  1'  erudito  P.  Affò,  per  distinguere  le  per- 
«"/'.'"nouliTsTo"  so'^^  ^^  ^  f^''^  ^^  ^^^  Luigi  Gonzaga  vissuti  ai  tempo 
pog.  s,  Parma  medcsimo  ? 

Da  questi  nomi  ripetuti  furono  adunque  tratti  pa- 
recchi in  errore,  e  tra  gli  altri  anche  il  Campi,  che  si 
è  però  quello,  tra  gli  Scrittori,  ch'entrarono  in  questa 
controversia  famosa,  che  con  maggiore  apparato  di  no- 
tizie  ne  abbia  trattato,    e  con  lumi  di  critica  migliore*. 


*  Pier  Maria  Campi  passò  ad  altra  vita  di  anni  ollanla  ai  9  di  OUobie 
dell'anno  1649  {Poggiali,  Memorie  di  Piacenza  tnm.  X,  p.  382.)  La  sua 
Opera  intitolala  Istoria  unitcrsale  cosi  delle  cose  Ecclesiastiche  ,  come  Secolari 
di  Piacenza  ,  e  di  altre  Città  d'  Italia  ,  vide  la  luce  in  Piacenza  parecchi 
anni  dopo  la  morie  di  lui,  vale  a  dire  nel  1C62  ,  con  dedica  di  un  Nipote 
alla  Duchessa  di  Piacenza  e  Parma  Margherita  di  Savoja.  Il  Discorso 
Istorico  circa  la  Patria  e  Nascita  di  Cristoforo  Colombo  sta  nel  tomo  III, 
pag.  2i5.  Il  Poggiali  precitato  {tom.  l'Ili,  pag.  Ii5,  Piacenza  1760) 
il  cliiama  forte  e  sensato.  Parlando  però  altrove  di  quella  Storia  in  gene- 
rale, dopo  aver  lodata  la  copia,  la  fedeltà,  l'esattezza  dell'Autore,  ne 
biasima  i  pregi u d izj  ,  la  credulità,  e  la  disattenzione.  POGGIALI  iom.  X, 
pog.  383. 


s 


DI  CIANFRANCESCO    C ALBANI    NAPIONE.  2/|7 

Egli  perciò  pretende  erroneamente ,  che  i  Colombi  di 
Pradcllo  nel  Piacentino  fossero  agnati  più  prossimi  di 
Cristoforo  Colombo  ,  che  non  Baldassarre ,  quantunque 
non  neghi,  che  Baldassarre  Colombo  Consiguore  di  Cuc- 
caro  fosse  pure  della  stessa  agnazione,  e  che  per  conse- 
guente ,  dallo  stesso  ceppo  del  Monferrato  discesi  fossero 
tanto  esso  Baldassarre  Colombo,  come  i  Colombi  del 
Piacentino.  Ma  già  si  è  veduto  sopra  quanto  tempo  prima  i 
Colombi  di  Piacenza ,  benché  dello  stesso  legnaggio  , 
separati  8Ì  fossero  dal  ramo  principale  di  quelli  di  Cuc- 
caro,   da   cui  discese   il    celebratissimo    Cristoforo.    E    la 

Campi ,  Dis». 

semplice    asserzione   del    Campi    ognun    vede    di   quanto  sior. prccu.  pag. 
poca  forza  sia ,    in  confronto   di  scrupolosi  esami  di  esperti 
Giureconsulti ,    e  delle  decisioni    di   autorevolissimi  Ma- 
g [strati. 

Rlllettasi  in  oltre ,  che  le  succennate  Carte  apparen- 
temente contrarie  alla  verità  possono  essere  state  guaste, 
od  interpolate  a'  tempi  della  Lite  per  la  successione  del 
Maggiorasco ,  state  per  avventura  allora  preparate ,  e  poi 
non  adoperate,  per  non  essersi  avuto  l'ardire  di  presen- 
tarle, dacché  di  falsi  testimonj  si  fa  pur  menzione  nel 
Sommario  Spagnuolo.  Ad  ogni  modo  non  comparvero 
quelle  Scritture,  se  non  se  dopo  il  principio  del  Secolo 
XVII;  e  per  conseguente  venti  o  trent' anni  circa  dopo, 
che  si  ei-a  intentata  quella  famosa  Lite  avanti  al  Con- 
siglio delle  Indie  in  Ispagna,  Un  altro  fonte  di  errori 
fu  verosimilmente  1'  imperizia  nel  leggere  gli  antichi 
caratteri.  E  noto  a' Diplomatici ,  che  le  Scritture  de' Nola] 


248  MONUMENTI    CONTRARJ    ALLEGATI    EG,,CAr.  XIII, 

del  Secolo  XV,  sono  forse  le  più  difficili  a  leggersi, 
e  ucl  principio  del  Secolo  XVII  non  avea  ancora  quell' 
arte  fatto  i  progressi  ,  che  fece  verso  il  fine.  Non  si  do- 
vrebbe pertanto  far  meraviglia,  qualora  quelle  Scritture, 
ancorché  incorrotte,  erroneamente  si  fossero  lette.  Il 
nostro  Filiberto  Pingone  avea  pure  avanti  agli  occhi 
manoscritti  autentici,  e  non  guasti  della  Cronica  della 
Novalesa  ,  era  egli  ragguardevole  Magistrato,  ed  in  con- 
cetto di  uomo  assai  dotto,  e  preso  avea  a  stendere  le 
Storie  nostre  di  proposito;  eppure,  senza  una. cattiva 
intenzione  al  mondo,  e  per  mera  imperizia  di  leggere 
gli  antichi  Testi,  di  cui  si  valea  ,  tesse  una  sì  assurda 
TcmaeoAac-  Genealogia  della  celebre  Contessa    di   Torino   Adelaide  , 

Inde  Illust.lom  1.  ..  r-i 

che  dovette  impiegare  gran  parte  delle  sue  dotte  iatiche 
il  valente  Critico  il  fu  signor  Tommaso  Terraneo  per 
isgombrarne  gli  errori. 
v.Tirabo5cbi  lo  uon  cego  aduuque ,  che  tra  sì  fatte  Carte,  e  se- 
"■'■  ■^°^"'^"  gnatamente  tra  quelle  recate  dal  Salinerio  ne' suoi  Co- 
mentaij  di  Tacito,  stampati  nell'anno  1602,  per  dimostrare, 
che  il   Colombo     fu    Savonese*,    ve   ne   possano    essere 


*  A  questo  S.\LiNEnio  io  penso,  che  sia  indirizzala  quella  Canzone  eroica 
fifl  celebre  Gabriello  Chiabrera  ,  in  cui  quel  Poeta  (sebben  egli  stesso 
forse  d' origine  Monfcrrino ,  seconiìo  che  ho  inleso  affermarsi  da  persone, 
che  potevano  esserne  informate)  considera  come  Savonese  Cristoforo  Co- 
lombo (  Chi  AB.  Rime  parte  I ,  Con:.  XII  per  Cristnforo  Colombo  ),  Neil'  ul- 
tima Stanza  di  quella  Canzone,   dire  il  Pindaro  Savonese  : 

«  E  quanti,   o  Salinoiìo ,   ebbero  imperi, 

»  Che  densa  notte  è  la  lueiaoria  loro  i"  » 


i 


DI   GIANFRANCE3CO   GALEANI   NAPIONE.  2/(9 

delle  genuine,  nja  iù  tal  caso  o  non  si  oppongono  ai 
Mouuinenti  Monferrini ,  o  furono  mal  lette,  e  male  inter- 
pretate. Dove  è  da  notarsi ,  che  Domenico  Padre  di 
Cristoforo  Colombo,  essendo,  come  vi  ha  ragion  di  cre- 
dere,  traflicanle  nella  Riviera  di  Genova,  non  è  cosa 
ripugnante  a' Monumenti  Monferrini,  che  in  più  di  una 
Città  o  Luogo  di  essa  in  diversi  tempi  dimorasse.  Ne  „. .  , 
il  dirsi  in  alcuna  Carta  cittadino  di  Genova  bastar  do-  Ì.re."oa'^'ji'„Vr° 
vrebbe  a  farla  riguardare  come  interpolata,  o  supposta  : 
perciocché  era  massima  de'  Giureconsulti  di  que'  tempi , 
e  specialmente  de'nostri  Monferrini,  che  chiunque  abi- 
tato avea  durante  lo  spazio  di  cinque  anni  in  una  Città, 
ed  ivi  trasportate  le  sue  sostanze,  poteva  chiamarsi  cit- 
tadino di  essa,  e  che  anzi,  chiunque  avea  domicilio  in 
una  Città,  potea  riguardarsi  in  ogni  cosa  di  favore  come 
cittadino.  Di  si  fatta  pratica  degli  antichi  Forensi  ce  ne 
fa  fede  quello  stesso  Giureconsulto  Monferrino  Giovan- 
Anlonio   Sordi,    che   ci    ha  tramandato    uno  dei    Docu-    , ^^5?=»! ''"^'i 

'  Cons.  CLXXIV. 

menti  più  convincenti  per  provare ,  che  dal  Castello  di 
Cuccaro  usci  il  Colombo.  È  anche  da  notarsi ,  che  nel 
Secolo  XV  e  XVI  usavano  molti  di  impetrar  {irivilegj 
di  cittadinanza ,  in  Città  diverse  da  quella  ond'  erano 
nativi;  del  che  se  ne  potreb])ono  recar  parecchi  esempj. 
Mi   basterà  di  recarne  uno   ricavato  da  autentico   Docu- 


Qiiantlo  non  debba  leggersi   piuttosto  5/(r,7KFJlO  ,  io  stimo  che  il  ClllABRF.RA 
abbia  cangialo  il  cognome  di  Sauherìo  iu   Saunouo   per  miglior  suono. 

32 


s5o         MONUMENTI    CONTRARI   ALLEGATI    EC,  CAP.  XIII, 

mento  dell' anno  i56g,  comunicatomi  dal  signor  Giuseppe 
Vernazza  Freney,  in  cui  un  Conte  Camillo  della  Pietra 
s' intitola  ad  un  tempo  cittadino  di  Piacenza ,  di  Pavia , 
e  di  Alessandria.  Non  voglio  neppure  lasciar  addietro 
una  considerazione ,  la  quale  può  liberar  dalla  taccia  di 
contrarie  a' Monumenti  Mouferrini,  e  per  conseguente 
di  supposte ,  interpolate ,  o  guaste  alcune  delle  Carte  , 
di  cui  fa  uso  il  Salinerio  ,  e  ciò  riguarda  quelle,  dove 
niente  altro  si  opponesse ,  fuorché  il  diverso  nome  del 
Padre,  di  Domenico ,  che  secondo  i  Monumenti  Monfer- 
riui  fu  Lancia  ;  perciocché  potrebbe  essere  intervenuto , 
che  più  di  un  nome  avesse,  e  che  ora  di  uno,  ora  di 
un  altro  facesse  uso  Lancia  Colombo,  come  se  ne  hanno 
parecchi  esempj,  anche  a' giorni  nostri,  di  chi  nelle  stesse 
sottoscrizioni  sue,  ora  si  serve  del  nome  di  Battesimo, 
ora  il  tralascia,  ora  fa  uso  di  uno,  ora  di  un  altro  tra 
diversinomi  che  gli  sieno  stati  dati,  ed  ora  finalmente 
del  solo  nome  del  Feudo,  ed  ora  del  cognome  di  Fa- 
miglia si  vale.  Potrebbe  anche  darsi,  che  il  nome  di 
Lancia  fosse  un  sopranome  del  Padre  di  Domenico  Co- 
lombo ,  sotto  il  quale  fosse  stato  più  conosciuto  iu  Mon- 
ferrato, quantunque  diverso  dal  nome  suo  di  Battesimo. 
Quello  che  è  degno  poi  di  speciale  considerazione 
si  è  la  contraddizione  manifesta  ,  per  ciò  che  appartiene 
alla  condizione  di  Cristoforo  Colombo  ,  che  passa  fra  il 
Salinerio  ,  che  scrivea  in  principio  del  Secolo  XVII , 
ed  un  altro  Storico  Genovese ,  voglio  dire  il  Casoki  , 
che  un  Secolo   dopo   stese  i  suoi  Annali    di  Genova  del 


I 


DI   GIANFRANCESCO   GALEANI   MAPIONE.  261 

Secolo  XVI,  all' autoiità  del  qiial  ultimo,  sebbene  Scrit- 
tore allatto-  senza  critica  ,  e  sì  lontano  da'  tempi ,  deferì 
interamente  l'Abate  Gasparo  Luigi  Oderico.  Il  Sali- 
KERio ,  colla  prevenzione  nata  dagli  antichi  Storici  Ge- 
novesi, i  quali,  ignorando  l'origine  di  Cristoforo  Co- 
lombo, e  sapendo  molto  bene,  che  la  Famiglia  di  lui 
non  era  Genovese ,  come  poscia  giuridicamente  si  provò 
in  Ispagna ,  non  ebbero  ribrezzo  per  farselo  loro  nazio- 
nale di  avvilirlo ,  s' ingegna  di  adattar  le  sue  Scritture 
a  quel  sistema;  e  pare  che  si  sdegni  contro  D.  Ferdi- 
nando Colombo,  che  non  volle  mai  concedere,  che 
suo  Padre  fosse  un  semplice  meccanico,  ed  asserì  in 
genere  essere  illustre  1'  origine  di  lui;  rimproverando 
perciò  il  Salikehio  di  vanità  e  leggerezza  quel  savio  ed 
imparziale  Scrittore. 

Il  Casoni    all'incontro,    quasi    volendo    risarcire  del  „'*""?'!,  ^'^"» 

■*  Kep   di   Genova 

torto   soflerto  il  Colombo  ,    trova  la   Famiglia    Colombo  fjò^esTJdLtlii'- 
tra  le  antiche  Famiglie   della  città   di  Genova,    ed  asse-  tLPilTrnoX 

1  ,       r>  T  j     •  .  •     111  MIXXVllI    Itb. 

nsce,  che  era  questa  Capo  di  uno  dei  novantasci  Alber-  i aiianno  isos , 
ghi,  in  cui  era  la  Città  medesima  divisa,  contro  la  testi-  '' 
mouianza  di  tutti  gli  Scrittori,  e  le  giurate  Attestazioni 
di  Personaggi  Genovesi  iuformatissimi.  La  dice  ouora- 
tissima,  e,  come  uscito  da  essa,  addita  un  Guglielmo 
Colombo  Cancellier  del  Comune  nell'anno  1140,  di  cui 
fa  menzione    il    Caffari  * ,  travisando    in   questa    guisa 


*  Il  Caitaai  {Annalet  Gcnuenses  lib.  l. — R.  I.  tom.  Vi,  pag.  i6o)  pnrlaudo 


=52         MONUMENTI    CONTRAB.1    ALLEGATI   EC.    CAP.  XIII, 

Guglielmo  della  Colomba,  in  Colombo  ,  ed  aHcrmandoIo 
Genovese,  cosa  che  il  Caffari  non  dice;  quasiché  il 
Segretario  non  polossc  essere  stato  di  nazione  diversa  , 
come  appunto  fu  Segretario  di  quella  Repubblica  in 
tempi  più  vicini  il  celebre  Giovan-Pielro  Maffei  Berga- 
masco. Mirabile  uomo  del  rimanente  si  è  il  CASoni  nel 
mostrarsi  informalo  di  tutte  le  Parentele,  e  degli  affari, 
direi  così,  domestici  degli  Ascendenti  del  celebre  Cri- 
stoforo Colombo,  citando  Scritture  pubbliche,  che  non 
addita;  e  facendoci  conoscere  e  la  Madre,  e  le  Sorelle 
dello  Scopritore  delle  Indie,  e  con  chi  accasate,  e  la 
speciale  professione  della  mercatura  non  solo,  ma  le  (;ase 
e  le  possessioni  della  Famiglia ,  e  cento  altre  partico- 
larità,  che  altri  direbbe,  che  quello  Storico  vissuto  avesse 
famigllarmente,  non  solo  con  Colombo  medesimo,  come 
D.  Ferdinando  suo  figliuolo,  ma  con  tutti  i  suoi  Mag- 
giori. E  che  mai  cercheremo  di  più  per  affermare,  che 
que'  due  Scrittori  il  Savonese  Salinerio,  ed  il  CavSoni 
Genovese,  servendosi  forse  di  alcune  lacere  e  tronche 
Carte,  dov' erano  nominati  alcuni  de' veri  Parenti  di  Co- 


de'Consoli  crPiUi  in  Genova  nel  ii4o>  delti  Consuìfs  ^e  Pìacitis ,  dice, 
che  furono  quaUro,  che  enumera  ;  e  quindi  soggiunge  —  et  in  isto  Consulatu 
Culielmus  de  Ciiìumba  Scril/anus  inlravit.  Da  Giovanni  Villani  sappiamo, 
che  mille  Cavalieri  Tedeschi  delle  Masnade  del  Re  Giovanni,  chiama- 
ronsi  i  Cavalieri  della  Colomba  ,  perchè  si  erano  ridoui  alla  Badia  della 
Colomba  in  Lombardia:  {Viliaki  ,  Storie  lib.  XI,  cap.  iS)  Potrebbe  darsi , 
che  da  quello  slesso  Luogo  avesse  preso  il  Cognome  questo  Segrelario ,  di 
cui  fa  menzione  il  Caffari. 


DI  CIANFRANCESCO    CALEANI    NAPIONE.  253 

LOMBO,  le  abbiano  o  mal  lette,  o  travisate,  o  guaste, 
per  adattarle  alle  opinioni  loro,  dappoiché  uc  traggono 
conseguenze  direttamente  contrarie  ? 

Ma  i   pili  rari  Monumenti  recati  dal  Casoni,  e  che,  a 
vero  dire,  mi  fa  stupore,  che  siano   stati  come  legittimi 
ammessi  dall'Abate  Tiraboschi   (giacche  quanto  all'Abate     Tirab., gùmio 
Oderico   doviò  attribuire   al  doppio  amore  della  Patria,  uu  n^i  i  ix, 

'  •■  pjg.  52i-3z3. 

e  della  Famiglia  il  riguardarli  come  tali)  sono  le  Lettere 
dello  stesso  Cristoforo  Colombo  all'Ufficio  di  S.Giorgio*. 
Furono  queste  quai  rari  ginjelli  inserite  nell'Elogio  di  Elogio <iiCai.j 
Colombo  pubblicatosi  in  Parma,  e  l'Abate  Tiraboschi,  ""^p"'* 
congiungendole  coli' asserzione  del  succeunato  Storico  Ca- 
soni, che  ne  parla  a  lungo,  guardò  la  questione  intorno 
alla  Patria  del  Colombo,  come  decisa  in  favor  de' Ge- 
novesi. La  prima   e  una  Lettera ,    che   si  suppone  scritta 


'Nell'Elopio  Sloriio  eli  Gasparo  Luigi  Odehico  scritto  da  Francesco 
CABnEGA.  Segretario  dell' Instilutu  Nazionale  della  Liguria  (Genoia  i8o4 , 
pag.  7,  e  8).  annoverandosi  gli  uomini  di  grido  usciti  dalla  Famiglia 
Odehico,  olire  ad  un  Ottaviano  Doge  nell'anno  i565,  e  ad  un  Pittore 
Gian-Paolo  morto  nel  ifSy,  si  parla  del  Niccolò  Oderico  Ambasciadore 
«Ha  Corte  di  Spagna  a'  tempi  di  Colombo,  e  di  queste  Lettere  di  esso 
Colombo,  citando  1'  ultima  Edizione  della  Storia  del  Tibaboschi,  edirendo: 
«Questi  Monumenti  sì  preziosi,  ne' quali  Genova  vien  nominata  Patria  di 
«Colombo,  e  le  Lettere  di  lui  al  suddetto  Niccolò  si  conservarono  presso 
»  la  Famiglia  Odebico  sino  al  1670 ,  nel  qual  anno  Lorenzo  Oderico 
«Bisavolo  del  nostro  Autore  (^Y  Abate  Gasparo  T.w'^i)  li  presentò  in  dono 
»  alla  Repubblica  ,  acciocché  fossero  gelosamente  custoditi  ne'  pubblici  Ar- 
si chi  vj.  Esiste  tuttavia  presso  i  superstiti  Odehico  l'onorevole  Decreto 
«  di  ringraziamento ,  che  ne  fé  allora  il  Governo  al  sopranomiuato  Lorenzo , 
»  e  Gian-Paolo  di  lui   figliuolo». 


254    MONUMENTI  CONTRAHJ  ALLEGATI  EC.  CAP.  XUX, 

di  Siviglia  uell'anno  i5o2  da  Cristoforo  Colombo  a' Sì* 
gnori  dell'  Ufficio  di  S.  Giorgio ,  dove  egli  medesimo  si 
dichiara  Genovese;  lascia  ordine  al  figliuol  suo,  che,  dei 
profitti  delle  terre  ritrovate,  somministrasse  la  decima  p.'irte 
ogni  anno  all'Uflicio  di  S.  Giorgio,  per  diminuire  l'im- 
posizione sopra  il  commestibile,  ed  accenna  aver  mandato 
a  Niccolò  Oderico  le  relazioni  de' suoi  viaggi,  e  gli  esem- 
plari dei  Reali  Privilegi  ,  acciocché  i  suoi  Concittadini 
avessero  la  consolazione  di  vederli.  Ma  questa  Lettera , 
in  un  colla  risposta  del  Magistrato  di  S.  Giorgio ,  già 
dovea  essere  stata  scritta  ,  ed  esistere  molti  anni  prima 
che  D.  Ferdinando  Colombo  venisse  in  Genova  pei* 
cercar  notizie  della  origine  paterna  ;  e  questa  Lettera  ^ 
che  poteva  sciogliere  la  questione,  allora  non  si  produsse. 

V.  foprt  cap.  • ,  1   ■     T  1  •  I 

IV.  JNon   potremo  perciò   conchmdere  a  buona  ragione  ,   che 

mai  non  sia  stata  scritta ,  e  mai  non  esistesse  ?  Rispetto 
poi  a'  Privilegi  concessi  da'  Regnanti  di  Spagna  a  Co- 
lombo spediti  all'  Oderico  (  Privilegi ,  che  non  hauna 
però  nulla  che  fare  colla  questione  della  Patria  del  Co- 
lombo) non  si  sa  concepire,  come  rimasti  sieno  pressa 
la  Famiglia  Oderico  per  lo  spazio  di  quasi  due  Secoli, 
non  essendo  stati  presentati  alla  Repubblica  da  Lorenzo 
Oderico  ,  Bisavolo  del  mentovato  Abate  Gasparo  Luigi, 
prima  dell'anno  1670,  per  essere  custoditi  ne' pubblici 
Archiv), 
Eio  iodi  Crisi  Delle  due  Lettere  Spagnuole  scritte  da  Colombo  allo 
g"'r8l'«p"'"J!  sfesso  Messer  Niccolò  Oderico  Ambasciatore  della  Signoria 
di  Genova    in  Ispagaa    da  Siviglia   negli  anni   1602,   e 


DI  CIAKFRANCESCO    GALEANl    NAPIONE.  255 

iHo/|.  ,  clove  si  sottoscrive  seniplicemeute  Chrìstoferens , 
Ledere,  che  restarono  pure  presso  la  Famiglia  Oderici 
sino  all'anno  predetto  167P,  e  della  autenticità  loro, 
dopo  di  averle  attentamente  esaminate ,  ne  decidano  i 
Critici.  Quanto  a  me  io  non  entrerò  in  sì  fatta  disa- 
mina,  attesoché  non  fanno  sostanzialmente  al  caso  nostro. 
Ma  il  Casoni  si  tonda  principalmente  sopra  la  succca- 
nata  Lettera,  che  si  dice  scritta  di  Siviglia  da  Colombo 
all' Uflìcio  di  S.  Giorgio  a' 2  di  Aprile  dell'anno  i5o2_ 
Sebbene  io  non  abbia  veduto  l' Edizione  del  Bordoni 
della  Traduzione  della  Storia  di  D.Ferdinando  Colombo 
pubblicatasi  in  Milano  nel  i6i4)  e  di  cui  si  è  ragionato 
sopra  ,  crederei  di  non  ingannarmi  dicendo  ,  che  sia  questa 
la  medesima  Lettera  stampatasi  in  quel  libro,  di  cui, 
come  di  rara  scoperta,  parla  il  Bordoni  nella  sua  Lettera 
dedicatoria  al  Doge  ed  alla  Repubblica  di  Genova  , 
Lettera  giustamente  riguardata  come  supposta  dal  Campi. 
Di  fatti,  se  l'originale  di  questa  Lettera  trovavasi ,  come 
trovar  si  dovea ,  presso  l'Ufficio  di  S.  Giorgio,  come 
tnai  non  solo  non  si  presentò  a  D.  Ferdinando,  non  di 
altro  bramoso  quando  fu  in  Genova,  che  di  aver  con- 
tezza dell'origine  della  Famiglia  di  suo  Padre,  come 
abbiamo  accennato  testé,  ma  in  oltre  di  un  così  ricco 
Legato,  di  cui  in  essa  si  parla,  e  nel  supposto  Testa- 
mento, non  furono  solleciti  quegli  antichi  accuratissimi 
Magislrali  di  procurarne  la  riscossione?  Che  se  poi  la 
succcnnafa  Lettera  originale  si  produsse  soltanto  da  Lo- 
renzo Oderico  nel  1670,  in  im  colle   altre  due  dirette 


256  MONUMENTI    CONTRAKJ    ALLEGATI    EG,  CAP.  XIII, 

al  SUO  antenato  Niccolò,  ed  a  quegli  esemplari  dc'PrivI- 
legj  de' Regnanti  di  Spagna,  come  taluno  potrebbe  in- 
ferire dal  conlesto  del  Caconi,  in  tal  caso  poco  diligente 
apportatore  di  una  Lelleia  di  tanto  rilievo  Cu  q'.icllo 
antico  Ainbasciator  Genovese,  e  trascuratissimi  eziandio 
si  dovrebbono  chiamare  i  Discendenti  di  lui,  che  indu- 
giarono pressoché  due  Secoli  inteii  a  consegnar  una  Let- 
tera sì  importante  ad  un  sì  ragguardevole  Magistrato , 
a  cui  era  indirizzata,  per  modo  che  severi , rimproveri 
avrebbono  dovuto  riportar  dalla  Repubblica  loro  ,  in  vece 
di  quel  Decreto     di    gradimento ,    di    cui    fa    parola    il 

Tirali.    Sloria  t     n  -i        -i 

cifiiiiLei.  Hai.  t.  TiRABOScm.    Eppuic,    chc  Soltanto   di  fresco  ,    quando  il 

Casoni  scrivea,   fosse  stata,  consegnata   quella  Lettera  ali 

Ufficio   di  S.  Giorgio  si  raccoglie,    e  dal    non   essersene 

fatto   uso   da  Scrittore  veruno,  prima  di  cjuesto  recentis- 

cosoniAnnai;  simo  Sforico  ,  e  specialmente  da  quelle  parole  del  Casoni, 

«li  Genova  p.  31.  ....  .     . 

dove  dice  in  precisi  termini  — ^  La  sua  Leltera  (  del 
Colombo  )  AL  PRESENTE  si  conserva  neW  Archi\>io 
dell'Ufficio  di  S.  Giorgio,  il  che  esclude,  che  da  prin- 
cipio si  trovasse  in  quel  luogo  unico,  in  cui  ritrovar 
si  dovea,  e  non  altrove,  vale  a  dire  in  esso  Archivio. 
Qual  conto  far  si  debba  dell'  autenticità  di  simile  monu- 
mento, il  lascio  pertanto  al  giudicio  di  chi  ha  fior  di 
senno. 

Aggiungasi,  che  cose  inette,  ed  improprie  contiene 
quella  Lettera  ,  forse  accortamente  omesse  nell'  articolo 
comunicato  all'  Abate  Tiraboschi  ,  ma  che  si  leggono 
perù  negli  Annali  del  Casojni  ,   (  copia  di  cui ,    dice  il 


DI  CIAKFRANCESCO  CALEANI  NAPIONE.        267 

TiRABOSCiii    iiu'dtbirno,   che   noQ.  si  avea  in  Modena)  e     Tirab. /or.cV. 
neir  Elogio    i)iil)blicntosi  poscia   in  Parma.    Tali  sono,   il     Eiogio.iiiroi. 
dirsi  dal  Colomho  modfsimo  —  C//e  le  sue  grandi  im- 
prese sarcòbono  riuscite    altrettanlo  famose  e  celebri , 
se  l  oscurità    del   Governo  non  le  avesse   in  parte  of- 
J'uscate  —  parole ,  che  ognun  vede  quanto  sieno  sconve- 
nienti in  bocca  del  Colombo,     quanto    contrarie    al    ca- 
rattere di  lui,   e  come  spirino,  piuttosto   la  dettatura  del 
Seicento ,    che  non  la  schiettezza   del  Secolo  in  cui  egli 
visse,   e  quella  moderazione  maestosa,  ch'era  propria  del 
suo   grand' animo;  tanto  più    che  in  nessun   modo  potea 
lagnarsi  il  Colombo  del  Governo  dei  Monarchi  di  Spagna, 
da' quali,  prima    della   data  della  supposta  Lettera,   avea 
ottenute    ricchezze    immense.    Stati,    e    Dignità     Princi- 
pesche ereditarie  nella    sua   Famiglia  ,    come   appare   ad 
evidenza   dallo   splendidissimo   Maggiorasco    institiiito    da 
lui.   Cile  diremo    poi   delia    sottoscrizione  del  Colombo, 
consimile  a   quella  delle    due  Lettere    in    Lingua    Spa- 
gnuola  scritte  a  Niccolò   Oderico  ,  sottoscrizione  stampa- 
tasi, per  dare  maggiore  autenticitti  alla    cosa ,    incidendo 
in  legno    la  propria    forma     de'  caratteri    (  cjuasichè    non 
si  potessero   fingere  sottoscrizioni,   come    si  fingon  Let- 
tere)  dove  si    segna    Christoferensì  E   di   quella   pelle- 
grina osservazione    del  Casoni,     che    quel    grand' nomo,     f^*%oaìiot.cu. 
abbandonando  in   così  fatta  guisa   il  cognome  antico  della 
propria   Famiglia   di  Colombo,   di  altro  non  si  pregiasse, 
che  di    aver  portata    la  cognizione   di    Cristo  alle  rimo- 
tissime  Regioni  dell'  Occidente  ?  Per  verità  io  temo  forte 

33 


258    MONUMENTI  CONTRARI  ALLEGATI  EC,  CAP.  Xm, 

non  qualche  incognita,  e  troppo  cortese  mano  abbia  alla 
Famiglia  Oderico  procurato  il  modo  di  far  questo  raro 
dono  alia  Repubblica  di  Genova,  e  fornito  il  Casoni  ili 
materia    onde  arricchirne   i  suoi  Annali. 

Da  una  stessa  officina  pare  uscito  il  Codicillo  di  Co- 
lombo ,  colla  stessa  sottoscrizione  di  C/irisloferens ,  che 
ora  conservasi  nella  Biblioteca  Corsini  in  Roma  ,  se- 
condo che  n'  ebbe  notizia  dal  chiarissimo  Abate  Andres 
T  T'? v'i^u'"'!'  il  mentovato  Tiraboschi  ,  che  l'inserì  nelf  ultima  Edi- 
rimnEdlifo^ne'cìi  zìohc  della  sua  grand'  Opera.  Questo  Codicillo  si  pre- 
i.xVp^iBgddia  tende  scritto  da  lui,  sedici  giorni  soli  innanzi  alla  sua 
ccuieneiegiuQ-  inorte  ,  sui  cartoni  di  un  llffìciuolo  della  B.  V.,  che 
non  si  sa  come  sia  capitato  in  quella  Biblioteca.  Chi 
ha  pratica  di  Documenti  del  Secolo  XV,  e  XVI ,  legga 
quello  Scritto ,  e  giudicar  potrà,  se  abbia  il  colore  di 
scrittura  di  quel  tempo.  Lascio  a  parte  il  divoto  regalo 
di  un  Uflìciuolo  della  B.  V.  fatto  da  Papa  Alessandro 
VI ,  eh'  ebbe  sì  diversi  pensieri ,  cos'i  da  lungi  a  Cri- 
stoforo Colombo,  con  cui  non  si  sa  che  parlasse  giammai. 
Ma  come  mai  di  questo  Codicillo  non  si  fece  menzione , 
ne  si  ebbe  notizia  sino  a  questi  ultimi  tempi  in  Roma, 
e  nemmeno  in  Genova,  sebbene  ordini  il  Colombo ,  the 
dopo  la  morte  sua  si  dovesse  consegnare  esso  Ufficinolo 
col  Codicillo  all'  amatissima  Patria  sua  la  Repubblica 
Genovese?  Ben  trascurati,  al  pari  degli  Eredi  di  Messer 
Kicrolò  Oderico ,  converrebbe  supporre,  che  sicno  stcti 
gli  Esecutori  festaTnentarj  di  quel  Grand' Uomo.  E  come 
mai,  di  quelli  stabili  (  che  non  si  sa  come  egli  possedesse 


f 


DI   GIANFRANCESCO   GALEANI   NAPIONE.  269 

in  Italia)  ordinò,  che  si  ci'igesse  un  Ospedale  per  li 
poveri ,  e  questo  Sj)rdale  mai  non  venne  fondato  ?  E 
quali  furono  mai  i  benefuj  dalla  Repubblica  Genovese 
filli  al  Colombo?  Di  tutte  queste  cose  nella  vita  scritta 
da  D.  Fei  vli'vmdo  si.o  figliuolo ,  benché  ne  abbiamo  sol- 
tanto traduzioni  passate  per  le  mani  di  Genovesi ,  ed  a 
Genovesi  dedicate ,  non  si  trova  neppur  un  lieve  cenno. 
Quello  poi  che  dimostra  ad  evidenza ,  che  questo  monu- 
mento è  supposto  ed  apocrifo,  si  è,  che  sostituisce  ia 
esso  il  Colombo  la  Repubblica  Genovese,  in  mancanza 
della  linea  sua  mascolina,  al  Maggiorasco  dell' Ammira- 
gliato delle  hidie  ,  e  delle  cariche,  e  dignità  di  Viceré  e 
Governatore ,  ed  entrate  annesse ,  confondendo  la  Re- 
pubblica di  Genova  colf  Ufficio  di  S.  Giorgio,  o  chia- 
mandola col  nome  di  esso.  Non  parlo  della  singolarità 
d' iustituire  una  Repubblica  in  un  Maggiorasco  di  tale 
natura  ,  in  cui  una  Repubblica  avrebbe  dovuto  esercitare 
impieghi  gelosi  cotanto  in  uno  Stato  straniero.  La  Re- 
publ)lica  di  Genova  Ammiragliessa  delf  Oceano,  e  Vice- 
Regina  delle  Indie,  sarebbe  stato  nuovo  fenomeno  poli- 
tico, ed  assai  più  straordinario  di  quello  delf  Ufficio 
stesso   di  S.  Giorgio,   che  eccitò    l'ammirazione   del  Se-  ^   AWhiaTein, 

c5        '  Stor.Fiorr'nl  nb, 

gretario  Fiorentino.  Ma  quello  che  toglie  ogni  questione  viii, 30.101^84. 
si  è  l'alto  silenzio,  che  nelle  lunghe  ed  ostinate  Liti 
eccitatesi  per  la  successione  a  queir  insigne  Maggiorasco, 
serbò  sempre  sia  la  Repubblica  di  Genova  ,  che  1'  Ufficio 
di  S.  Giorgio,  non  avendo  mai  né  allora,  nb  dopo 
promosse  le  ragioni  ben  giuste,    che    lor    dato    avrebbe 


260         MONUMENTI    CONTRABJ    ALLEGATI   EC.   OAP.  XIU, 

sopra  quella  ricca  eredità  questo  Codicillo  di  Colombo, 
qualora  a  que'  tempi  già  esistesse ,  e  si  fosse  riguardato 
come  Scrittura  autentica ,  e  non  già ,  quale  si  è ,  come 
un  semplice  non  saprei  se  troppo  lodevole  ritrovalo, 
per  lusingare  *  la  vanità  nazionale. 

V  ha  di  più;  E  certo  che  esisteva  il  Codicillo  fatto 
dal  Colombo.  Questo  è  recato  dal  Campi  ;  e ,  ciò  che 
più  importa,  su  questo  si  fonda  il  Sordi:  ma  questo 
appunto  ad  evidenza  dimostra ,  che  è  falso  e  supposto 
quello  esistente  nella  Libreria  Corsini.  Del  vero  Codi- 
cillo sappiamo,  che  ne  constava  per  rogito  di  Notajo, 
come  lo  attesta  il  succennato  Sordi,  e  non  era  scrilto 
Jìiore  militari  sopra  un  Ufficiuolo;  comprendea  disposi- 
zioni diverse,  né  comprendere  potea  ciò,  che  contiene 
il  finto.  Del  rimanente ,  le  sottoscrizioni    di    Chrislofe- 


*  Ecco  il  Codicillo  trovato  nella  Libreria  Corsini,  come  viene  riferito 
dal  TiivABOSciii  «  Codicilliis  more  militari  Clirislophori  Columbi.  Cuui  SS. 
»  Alexander  Papa  VI  me  hoc  devotissimo  preciim  libello  lionorarit  sum- 
»  mum  mihi  praebente  solatium  in  captivilatibus ,  praeliis  et  adversilalibiis 
«  meis ,  volo  ut  post  mortem  meam  prò  memoria  tradatnr  amantissimae 
»  meae  Patriae  Reipublicae  Genuensi;  et  ob  beneficia  in  eadera  urbe  re- 
»  cepla,  volo  ex  stabilibus  in  Italia  reditibus  erigi  ibidem  novum  Hospi- 
j)  tale  ,  ac  prò  pauperum  in  Patria  meliori  subslentallone  ,  deficienteque  linea 
»  mea  masculinain  Admiralalu  meoindiarum,  et  annexis,  juxla  Privilegia  dicti 
»  Regis,  in  successorem  declaro  et  substituo  eandcm  Rcmpublicani  S.  Georgii. 
«Dnium  Valledoliti  4  Maii  i5o6  SS.  A.  S.  X.  M.  Y.  XPOFERENS  » 
Eccetto  il  Chrìstoferens  nessuno,  che  io  sappia  ,  ha  spiegate  le  altre  sigle 
che  il  precedono.  Confrontisi  questo  supposto  Codicillo  col  vero  e  genuino 
riferito  sopra,   trattando  del   Sonui.  (  V.   cap.IX,  pag.  zoS  in  noia. 


DI   GIANFRANCEi  r.EANI    NAPIONE.  26 1 

rens  In  vece  di  Cristo  ">ao  secondo  ogni  vero- 

simiglianze inventate,  ju  si^i...  .  quanto  vicn  dicendo 
D.  Ferdinando  nelle  sue  Storie,  in  quel  luogo,  dove 
con  sottigliezza  soverchia  va  speculando  intorno  al  nome 
del  Padre  suo;  se  pure,  come  sospetto  , 'non  è  stato  cj'°c/'?"^' 
intruso  queir  intero  tratto  nell'  Originale  dai  Traduttori 
Italiani. 

Ma  per  terminar  finalmente  queste  discussioni,  ed  esami 
di  monumenti  non  sinceri ,  supponiamo  che  volessimo 
riguardare  per  genuine  tutte  le  Carte,  di  cui  fece  uso 
il  moderno  Annalista  Genovese,  vale  a  dire,  ed  il  Testa- 
mento messo  in  dubbio  con  ragioni  cosi  stringenti  dal 
Campi  ,  e  sospetto  al  medesimo  Abate  Tibaboschi  ,  e 
le  due  Lettere  di  Colombo  a  Niccolò  Oderico  ,  e  quella 
all'Ufficio  di  S.  Giorgio,  ed  il  Codicillo,  che  si  è  ritro- 
vato nella  Biblioteca  Corsini  ,  Documenti  prima  adatto 
sconosciuti  a  tutti  gli  Scrittori  Genovesi,  che  ne  segui- 
rebbe da  questo?  Non  altro,  se  non  se  che  Colombo  sì 
confesserebbe  Genovese  di  nascila.  Resterebbono  pertanto 
sempre  nella  integrità  loro  i  Monumenti ,  mediante  i 
quali  si  è  dimostrato  ad  evidenza,  che,  qualunque  possa 
essere  stato  il  Luogo  della  nascita  accidentale  di  quel 
Grand'  Uomo ,  \\.  Monferrato  fu  la  sua  Patria  originaria  ; 
e  la  Famiglia  ond'egli  è  uscito  quella  degli  antichi  Si- 
gnori di  Cuccaro.  Allo  stesso  modo,  che  Torquato  Tasso, 
come  già  ho  accennato  altra  volta  ,  volle  chiamarsi  egli 
stesso  in  alcuna  Opera  sua  Napolitano  ,  bencliò  nato  sol- 
tanto in  una  Città  di  quel  Regno,  cioè  in  Soieuto,  e 


eGz         monumenti   CONTRARJ    allegati   EC,  gap.  XIII, 

di  Famiglia  di  Bergamo  in  Lombardia,  avrebbe  anche 
potuto  chiamarsi  Genovese  Cristoforo  Colombo,  benché 
lioa  nato  in  Genov^a ,  e  di  Famiglia  incontrastabilineute 
del  Monferrato.  Quando  gi-andi  furono  i  Genovesi  in 
mare,  vale  *a  dire  dal  Secolo  XII  sino  al  Secolo  XVI, 
il  furono  in  parte,  mediante  il  coraggio  e  l'ingegno  degli 
uomini  delle  Provincie  del  Piem.onte,  e  del  Monferrato , 
che  militavano,  e  trafficavano  allora  nella  Riviera  di  Ge- 
nova. Non  posso  poi  terminare  queste  Memorie,  senza 
compiangere  la  condizione  del  Piemonte ,  che  gli  Uomini 
Grandi ,  che  ha  prodotto ,  o  rimaner  debbano  il  piìi 
delle  volte  sconosciuti  in  Piemonte,  e  defraudati  delle 
giuste  lodi,  o  quando  il  nome  loro  giunse  a  superar 
l'invidia,  sieno  comunemente  tenuti  per  istranieri,  come 
intervenne  al  Colombo. 


f 


263 


TAVOLA. 


J.  NTRODVZlOyE Pag.    uff 

Gap.  I.     Lodi    del    Colombo.    Giusta    idea   della 

impresa  della  Scoperta  dell'  America       »    120 

Gap.  II.  Importanza  di  accertar  la  Patria  di  Cri- 
stoforo   Colombo       .         .         .         .         »    iSj 

Gap.  III.  Incertezza  del  Luogo   della    nascita   del 

Colombo   .         .         .         .         .         •         »    145 

Gap.  IV.  Dimostrasi,  che  il  Colombo  non  fu  Ge- 
novese      .        .        .        .        .        .  .111  vS  .i5a 

Gap.  V.  Congetture  intorno  a  motivi ,  per  li  quali 
restò  nella  oscurità  la  professione,  e  la 
residenzux   de'  Genitori  di  Colombo      .      »    iSg 

Gap.  vi.  Origine  della  Famiglia  di  Colojnbo , 
secondo  le  Storie  di  Ferdinando  suo  figli- 
uolo. Educazione  scientifica  e  liberale  dì 
Colombo   .         .         .         .         •         .         »    1G7 

Gap.  vii.  Scrittori  che  a/fermano  ,  che  il  Castello 
di  Cuccaro  in  Monferrato  si  ò  la  Patria 
del  Colombo      .         .         .         .         .         »    176 

Gap.  Vili.  Ragguaglio  della  Lite  insorta  in  Ispa- 
gna  per  la  successione  del  Maggiorasco 
insliluito  da  Colombo ,  da  cui  risulta  ,  che 
la  Patria  di  lui  fu  Cuccaro  in  Monferrato  »    i8o 


Gap.  IX.  Estratto  del  Consulto  del  Sordi  nella 
Causa  della  successione  del  JMaggiorasco 
insti tui lo  da  Cristoforo   Colombo     .  "    '97 

Gap.  X.  Principali  motivi  allegati  nel  Sommario 
della  Causa  agitatasi  in  Ispagna  per  di- 
mostrare,  che  Colombo  era  uscito  dalla  Fa- 
miglia de  Feudatari   di  Cuccaro      .         »    210 

Gap.  XI.  ConJ'or mi tà  tra  il  contenuto  nel  Sommario 
della  Causa  agitatasi  in  Ispagna  ,  e  quanto 
narra  circa  il  Colombo  il  figliuolo  di  lui 
D.Ferdinando  nelle  sue  Storie         .         -n    2.i'ò 

Gap.  XII.  Notizie  riguardanti  D.  Ferdinando  Co- 
lombo ,  e  la  sua  Storia     ...»    2.ZG 

Gap.  XIII.  Monumenti  contrarj  allegati  da  alcuni 
Scrittori  non  possono  Jar  mettere  in  dubbio 
la  Patria  di  Colombo.  Esamina  di  sì  fatti 
Monumenti       .         .         .         .         .         »    244 


2G5 

NOTICE    HISTORIQUE 

SUR    UNE    INSCRIPTION   CONSULAIRE     TROUVÉE    DANS     LES   DÉCOMBRES 
DU    DONJON    d'une   DES  PORTES    DE  LA    VILLE    DE   TURIN  , 

PAR    MODESTE    PAROLETTI. 

Lue  le  12  pluvióse  an  iz. 

.Ljes  rempaits  de  la  ville  de  Tiirin,  qui  avaient  joué 
un  iòle  si  brillant  dans  l' histoire  miiilaii-e  du  Nord  de 
r  Italie  vcrs  le  commencement  dii  dix-huitième  siede  , 
virent  leur  gioire  s'éclipser  au  commencement  du  siècle 
dix-neuvième.  Leur  démolition  ordonuée  par  le  Gouver- 
nement  Francais,  fut  commencée  en  1801  et  terminée 
ea  1802.  Les  avenues  extérieures  de  cette  Ville  étaient 
souvent  encombrées  d' une  foule  de  pcrsonnes  attirées 
par  le  spectacle  de  ces  ruines.  Je  me  trouvais  un  jour 
prcs  de  l'endi'oit,  oìi  s'élevait  autrefois  le  Donjon  de  la 
porte  dite  du  Palais,  et  à  l'aspect  de  cet  amas  de  des- 
truction ,  je  ne  pouvais  m'empécher  de  réver  aux  vicis- 
situdes  de  la  fortune,  lorsque  je  fis  attention  que  mas 
pieds  foulaient  un    monument  de  l'Empire  Romaiu. 

Gomme  l'histoire  physique  du  Globe  se  retrouve  daus 
les  couches  des  substances  pierreuscs  qui  composent  sa 
sui'face ,  de  meme  l'histoire  du  monde  moral  se  présente 
dnns  les  débris  qui  échappent  à  la  voracifc  du  tems.  Les 
I^uturaiistes  enrichissent  tous  les  jours  le  domaiue  de  la 

34 


266  NOTICE    IHSTORIQUE, 

geologie;  Ics  Antiquaires  doivent  préparer  les  matérlaux 
pour   les  annales  des  Nations. 

Ce  mouument  est  va  marbré  blanc  :  sa  sui-race  pré- 
sente un  parallélogramme,  ayant  de  chaque  coté  cnvi- 
ron  8q  centimètres  de  longueur:  soa  épaisseur  est  de 
26  centimètres  ;  sur  une  des  faces  de  cette  derniòi-e  sont 
gravés  les  mots  suivans  ea  beau  caractère,  et  omés  d'un 
coDtour  régulier  : 

C.  RVTILIO  GALLICO  COS.  n 

T.  FLAMVS  SCAPVLA. 
que  je  lis  Cajo  RiUilio   Gallico    Consuli  iterum    Tìtus 
JPlavìus  Scapula. 

Cette  pierre  paraìt  avoir  servi  de  piédestal  à  une 
statue  pedestre.  Le  nom  du  personnage  dont  elle  fait 
mention,  l'endroit  et  les  circonstances  de  sa  dccouverte, 
me  firent  concevoir  le  projet  de  la  publier- 

Si  nous  voulons  préter  foi  à  ceux  de  nos  hisloriens 
qui  ont  parie  des  ancieus  monumens  de  la  ville  de  Turin  , 
tels  que  Tesauro  et  Pingone,  la  porte  du  Palais  avait 
pris  et  conserve  ce  nom  de  l'ancien  Palais  d'Auguste 
indiqué  dans  une  inscriptiou  antique  par  ces  mots  : 
eterna  domus  Julìce  Augustos  Taurinorum  (1):  Dans 
ce  Palais  se  tenaient  les  séances  des  principales  Magis- 
tratures  de  cette  Ville,  qui,  étant  d'abord  Colonie,  avait 
pris  le  rang  de  Municipe,  d'après   l'opinion    des    savans 

RlCOLVI   et   RlVAUTELLA  (2). 

L'endroit   oi!i  cette  inscription    fut   découverte ,  paraìt 
ibufuir  la  preuve  de  son  authenlicilé.  II  est   permis   de 


PAR  MODESTE    PAROLETTI.  zGj 

supposer    que    la  porte  nomm^e  Palatine    alt    ctc  bàtte 
sur  les  masures  de  l'ancien  Palais  d'Auguste,    cu,  pour 
le  moi'ns,  que  les  débris  de  la    maison   Imperiale  aient 
dù  servii"    pour  sa  rcconstruction.    Cefte  pierre  qui  sort 
aiijourd  liui  de  ces  ruioes ,  devient  un  monument  d'autaut 
plus  précieux  qu'il  nous  relrace  rarchitccture  de  ce  Palais 
que   l'on    appclait    du    nom    du    fondatcur  de   l'Empire, 
ornée  des  statues  des  personuages,  qui  avaieut  été  les  bien- 
faiteurs   de  la  ville  de  Turin.  La  beante  du  canictère  1» 
fait  rapporter  au  premier  siècle    de    l'Empire    Romaia. 
Los  mofs    de    TiTus  Flavius,   qui   se   trouvent    dans    la 
seconde  ligne,    iudiquent  qu'cUe    n'est    pas   autérieure    à 
l'Kmpire  de  Vespasicn  :  ces  deux  préuoms,    pris   par   le 
persoanage  Scapola,  qui  est  le  fondateur  du  mouument, 
fcmt    prc^sumer    que    ce    citoyen ,    habitant    des  contrccs 
subalpines,  s'honorait  de  la  clieatelle  de  l'EmpereurVespa- 
sien  ,  et  en  avait  emprunté  les  noms  de  TiTus   Flavius. 
Le  persounage  Cajus  Rutilius  Gallicus  n'est  pas  in- 
connu   daus  les  fastes  Consulaires. 

L'Almeloven  rapporte  un  C.  Rutilius  Gallicus  parmi 
les  Consuis,  sans  en  designer  l'epoque  (3).  Il  est  vrai 
que  la  famille  Rutilia  était  plébéienoe:  on  trouve  des 
Rutilius  parmi  les  Tribuns,  et  sur  les  monnait-s  Ro- 
maines,  ils  ont  le  prénom  de  Flaccus.  Dans  le  Musée  de 
Turin  on  conserve  une  mounaie  qui  se  réfere  à  Ruti- 
lius P'laccus  Edilis  r  an  de  Rome  697,  et  Priefor  pro- 
vincialis  en  l'an  600.  Il  parait  que  cette  pièce  avait  été 
frappée  avant  ces  deux  époques,  etlorsqu'il  était  Qiicnstor 


2^8  NOTICE    HISTORIQTJE, 

ProvinciaUs.  Le  tj'pe  est  d'un  coté  la  lete  eie  Rome 
avec  le  Casque  (  Galea  )  ;  et  de  l'autre  une  Victoire 
attelée  de  deux  chevaux.  Rosikus  ,  auteur  d'un  traité  des 
antiquités  Romaiues  ,  prétend  que  la  famille  Rutilia 
était  patricìenne  ;  selon  lui,  elle  se  partageait  en  Calvi, 
Centorini  ,  Crassi,  Lupi  et  Rt)Fi(4);  quoiqu'il  soit  dif- 
ficile de  prononcer  sur  le  patriciat  de  cette  famille  ,  il 
est  cependant  prouvc  qu  elle  avait  pris  un  raug  distingue 
dans  la  Républiqiie.  Cette  considcration  dont  elle  jouis- 
sait,  suffit  pour  établir  la  probabilité  que  le  C.  Rutilius 
Gallicus  ait  pu  étre  élevé  à  la  dignité  consulaire. 

L'Almeloven  que  je  viecs  de  citer,  a  inséré  le  C. 
Rutilius  Gallicus  parrai  les  Consuls,  d'après  l'autorité 
de  Dominique  Magagni  ,  Professeur  aux  écoles  publiques 
de  Turin  vcrs  le   seizième  siede. 

Cet  auteur  estiraable  (5)  parie  d'une  table  de  marbré 
trouvée  dans  l'Eglise  de  S.-Vito,  située  en-delà  du  Pò, 
portaut  l'inscription  :  G.  Rutilio  Gallico  Consulì.  Il 
ajoute  que  cette  pierre  lui  fut  donnée  par  la  munifi- 
cence  des  Chanoiues  de  Téglise  de  S.-Jean ,  tutelaiie  de 
la  ville  de  Turin.  Je  suis  flatté  de  me  voir  dcvancé 
dans  ces  recherches  par  l'autorité  d'un  Liltérateur  qui  a 
fait  honueur  à  mon  pays  (fi),  et  de  rendre  hommage 
aujourdhui  à  sa  célébrité  par  un  travail  qui  peut  répandre 
quelque   lumière  sur  le  fait  quii  a  annoncé. 

Il  y  aura  des  Savans  qui  seront  portés  à  croire  ,  que 
le  monument  dont  j'enfreprends  l'explication  ,  soit  le 
méme  qui  est  public  par  cet  Auteur.    Ce  soup^on  paraìt 


?AR  MODESTE    PAROLETTI.  2.6f) 

avoli-  un  foudcmcnt  daus  la  coiucidcnce  du  Ileu,  où  ce 
Profcsseur  pouvait  avoir  place  sa  pierre  avec  celui  où 
la  mienne  a  été  ddcouverte.  Il  est  probable  qua  les  éco- 
]os  publiques  de  Tuiln  fussent  sitiiées  dans  le  quarticr 
qui  avoisine  l'endroit  où  éfait  la  porte  du  PalaJs.  Le 
Profcsseur  Magagni  pcut  avoir  logé  dans  la  maison  des 
ccoles  publiques  qui  appartcnait  vraisemblablemcnt  à 
l'Administralion  Municipale  de  la  Ville.  Lui-mcme  lin- 
dique  dans  l'ouvrage  qufe  j'ai  cité  par  ces  mofs  :  Forihus 
mei  gymnasii  scholasllci  adslat  Currus  Phoetonteus 
marmoreus  (7).  Cet  emblème  est  un  de  ccux  qui  ont 
tonjours  signalé  la  ville  de  Turin.  Le  monument  du  Pro- 
fcsseur Magagni,  oublié,  perdu,  pcut  avoir  é^é  enfoul 
dans  Ics  décombrcs  de  quelque  démolition,  et  confonda 
parrai  les  pierres  de  taille  que  l'oa  a  craployé  à  batic 
le  Donjoa  de  la  porte.  Mais  toutes  ces  conjectures  sont 
improuvées  par  les  mots  iterum  ,  Titus  Flavius  Scapula, 
qui  se  trouvent  dans  la  nouvelle  inscription,  et  qui  ne 
sont  pas  rapportés  par  l'Editeur  de  l 'ancien  monument, 
et  d'ailleurs  la  pierre  dont  il  est  question,  ne  peut  pas 
avoir  servi  pour  une  épitaphe,  comme  celle  dont  parie 
rOrateur  de  la  ville  de  Turin. 

L'inscription  découverte  par  le  Profcsseur  Magagni  est 
rapport^e  par  le  Reinesius  dans  l'ouvrage  qu'il  a  publié 
dcs  inscriptions  classiqucs  (8).  Mais  il  parait  que  cet 
Auteur  s'est  trompé  cn  la  rapportant  dans  sa  collection  , 
car,  tout  en  parlant  d'après  l'autorild  du  Profcsseur,  il 
change    le   mot   ConsuU   en   cclui  de   Commissi.   Cede 


?70  NOTICE    HISTORIQUE, 

cneur  a  été  remorquce  par  toiis  les  Anflquaires,  et  par 
ccu\  ménie  qui  n  avaient  aucuae  connaissance  des  uoles 
de  1'  Éditeui-  d'AuBixius  Victor. 

Daus  l'oiivrage  unprimé  à  Turin  sous  le  titre  de  Alar- 
mora  Taurinensìa  (9)  ,  00  trouve  une  inscn'ption  qui 
regalile  une  peisonno  de  la  famille  Rutilia,  et  dont 
l'explicatiou  parait  établir  qu.elque  rapport  avec  celle  de 
Macaoni  et  la  mienne. 

MINITI^  LVCII  FILI^  PETIN^ 
UXORI  RVTILII  GALLICI  LEPTITANI 
PVBLICE. 
Les  savans  Ricolvi  et  Rivautella,  éditeurs  de  l'ouvrage 
que  je  viens  de  citer,   croient  que  ce  Rutilius  Gallicus 
Leptitanus  soit   le   méuie    dont  parie    le    poéte  Stace 
dans  le  premier  livre   du  poéme  des  Silves  (jo);  l'idea- 
tité  de  persoune    entre    ces  deux  RuriLius  est  indiquée 
par  les  vers  de  ce  Poéte,  où  il  dit  que  Rutiuus  Valeus 
avait  trioinphé   de   l'Afrique  : 

Lybici  quid  mira  tributi 

OBSEQUIA    et     MISSUM    MEDIA    DE    PACE    TRIUMPHUM. 

Dans  ces  vers  le  Poete  Latin ,  en  parlant  de  la  guerre 
d'Afiique,  parait  designer  la  victoire  de  Leptis,  et  par 
conséquent  le  Rutilius  Galwcus  Leptitanus  serait  le 
Préfet  de  Rome  auquel  est  dédié  le  premier  livre  de 
son  poéme. 

Je  suis  surpris  que  les  éditeurs  des  monumens  de  la 
ville  de  Tuiin ,  qui  ont  illustre  cette  inscription,  n'aient 
poiut  fait  mentiou  de  Rutilius  Gallicus  Consul.  Vrai- 


PAR   MODESTE    PAROLETTI.  CTi 

seniblablement  ces  deux  Auteurs  n'avaient  aneline  con- 
uaissance  de  l'ouvragc  de  leur  Prédéces^eur,  car  Ics  vers 
dii  poéme  qu'ils  out  cité,  fournissaicut  matière  à  dcs 
(onjectures  séduisantes,  et  il  ne  Icur  fallait  qucla  nohoa 
du  fait  annonct'C  par  l'ancicn  Prolesseur  pour  apcrcevoir  , 
que  les  vers  de  Stace  font  mcntiou  de  la  Dignité  Con- 
sulaire  accordéc  dciix  fois  par  lEmpcreur  à  luti  des  an- 
cètres  de  la  famille  Rutilia  : 

Sed  REVOCANT    FASTI,    MAJOMQUE   CURULIS, 
NEC    FROJIISSA    SEMEL. 

Le  rcsultat  de  ces  rapprochemctìs ,  qui  paraìt  indiqncr  la 
protection  que  les  personnagcs  de  la  famille  Rutilia 
accordaient  aux  liabitans  de  ce  pays  ,  où  Icurs  noins 
sont  transmis  à  la  postcrild,  ajoute  à  l'intéiét  que  jai 
attaché  aux  recherches  que  je  fais  pour  fixer  l'epoque 
des  deux  Consulats. 

Il  est  des  Auteurs  qui  ont  imaginé  que  les  Magisfrafs 
des  Villes  et  des  Coionies  aient  pu  prcndre  le  titre  de 
Consuls  sous  les  Empercurs  :  cctte  manière  d'inteipréter 
Ics  anciens  mouuracns  éfait  commode  et  faite  pouf  prevenir 
les  diflicultés  (ii).  Quelques  Savans  d'un  mérite  distingue 
ont  adopté  cette  opinion.  La  note  des  anndcs  du  Con- 
sulat  qui  se  trouve  daus  qUelques  monumcns  t'ievés  à 
des  Consuls  substitués,  leur  a  paru  un  nocud  difficile  à 
rdsoudre,  et  un  indice  de  l'abus  iutroduit  dans  Ics  Pro- 
vinccs  de  dt^signer  par  le  nora  de  Consuls  Ics  Rlagistrats 
Municipaux  de  Icurs  villes.  Il  est  vrai  que  Ics  Consuls 
substitués  ne  donuaieut  poiat  le  uom  à  l'année,  et  que 


272  NOTICE    HISTORIQUE, 

les  raonumens  où  Fon  reucoatre  la  note  prìmum ,  secun- 
dum,  ont  tous  élé  découverts  loia  de  Rome,  et  daus  Ics 
Proviuces  reculées  de  TEmpii-e. 

De  plus,  un  Dccret  de  l'Einpereur  Aulonin  rapporté 
dans  le  digeste  (12),  parie  des  Consuls  de  Province,  et 
indique  presque  des  Juges  qualifies  de  ce  nom. 

Ces  diflérentes  observations  peuvent  fournir  des  argu- 
mens  pour  un  nouveau  genre  de  recherches  sur  les  Con- 
sulats  honoraires  qui  s'étaient  probablement  multipliés 
sous  les  Enipereurs  Romains;  mais  comme  l'inscription 
que  je  public  se  rapporto  décidcmcnt  au  premier  siede 
de  l'Empire;  corame  elle  fait  mention  d'un  peisounage 
dont  les  descendans  ont  exercé  les  premières  Magislra- 
tures  de  la  ville  de  Rome,  et  que  l'epoque  des  deux 
Consulats  peut  se  détermlner  par  des  raisonnemens  assez 
concluans,  Je  crois  devoir  poser  des  liraites  aux  combi- 
naisons  fondées  sur  des  conjectures,  et  me  renfermer  dans 
le  genre  de  démoustration  qui  s  etablit  sur  les  faits ,  lais- 
sant  à  des  liommes  plus  célèbres  la  gioire  de  parcourir 
la  carrière  des  probabilités.  J'observerai  au  surplus,  que 
la  note  des  années  des  Consulats,  qui  a  embarrassé  les 
Antiquaires ,  peut  avoir  été  introduite  dans  les  Provinces 
pour  marquer  les  aauées  de  la  clieutelle  exercée  par  les 
Consuls  subrogés,  lorsqu' elles  voulaient  les  honorer. 

Le  célèbre  Maffei  a  public  un  fragment  d'iuscriptìon 
latine,  conservce  dans  le  Musée  Imperiai  de  Vienne, 
qui  peut  servir  à  établir  l'epoque  du  premier  Cousulat 
de  C.  Ruiiuus  Gallicus  (ì3). 


i 


l'AB  MODESTE    PAROLETTI.  273 

....  RI    AVGVST 

IMPER-  XXVII. 

.  .  .  .  CLA-  VISPTANO  GALLO 

C  RVTiLlO  GA  .  .  O. 

Maffei    remai-que    que  cctte  inscriptlon  cloit  regardcr 
lIEiiipereur  Claude,  le  seul  qui  soit  porte  dans'  les  me" 
dailles  JMP.  XXVII;    et  sur  l'observation    que  la  famiile 
Vjpstania  élait  Consulaire,   il   en    dcduit     que   les  deux 
persounages  Claudìus   Vìpslanus  Gallus ,  et  Càjus  Ru- 
lilius  Gallus  doivent  étre  raugcs  panni  les  Consuls  subs- 
litués    pour    les    années     qui     tombcnt     sous    l'IÌNlPER. 
XXVIL ,  titre  douné  à  l'empereur  Claude  ,  c'est-à-dire: 
pour  les  anaées  62  ,    53  et  64  de  la  naissance  de  J.  C. 
Le  Savaut  Hagenbukins  ,  qui  a   rapportò    cctte  memo 
inscriptlon ,    confirmc    l'opinion   de  M.*^  Maffei  ,   et  fait 
des  remarques  très-judicieuses.  Voici  couime   il  s'exprime 
dans    l'uu    des    ouvrages    quii  a  public   (14)=    «  IMaffei 
»    observe  très-bien   que   cette    iuscriplion  regarde    Tem- 
»    pereur  Claude  ,  qui   est  le  seul   à  qui  on  ait  donne'  le 
»    titre    d'imp.   XXVII.  A  la  deruière    ligne    je    supplée 
j>    GALLICO.  On  sait ,  que  sous  Domitien   il  y  eut   un 
»    RuTiLius  Galligus    qui   fut  Préfet    de    Rome ,  et  qui 
»   pouvait  otre  le  llls,  ou  le   petit-fils  de  celui-ci.  CLA, 
»   dans  la  ligne   précédente,  est,    si  je  ne  me  trompe , 
»   pour  CLAVDIO.  Cela  suppose   que  c'était  sou  nom  de 
»    famiile,  et  non  Vipstanus,  comme  l'a  pensé  M.'Maffiìi, 
»    car  que   signifierait  le  nom  précédent? 

»    Au  surplus,  VirsTANUS  et  Rutilius  paraisscnt  avoir 

35 


274  NOTICE    niSTORIQUE, 

»>  été  Consiils ,  Qiais  subi-ogés  ,  et  apparemm^nt  l'antiche 
T>  móme  de  J.  G.  52  ,  daus  laquelle  Claude-  fiit  appclc 
n  IMP.  XXVII,  et  Oli  il  y  eut  plusieurs  Consuls  de 
•>■>    cette  espèce  »    jiisqu'ici  le  savant  Hagenbukins. 

L'opiuioa  de  Maffei  est  encore  confirmée  par  l'aiito- 
vité  de  Corsini  ,  auteui-  de  Touvrage  sur  les  Préfets  de 
Rome  (i5),  qui,  en  parlant  du  Préfet  Rutilius  fiait 
par  ces  mots  :  Postremo  addldìsse  juverit ,  guod  C.  Ru- 
tilius Galiicus  Valens  facile  alterius  C.  Rati  Iti  Gallici 
nepos  fuit ,  qui  anno  CJiristi  62  una  cwn  Claudio 
Vipslanio   Gallo   Consul  fuit. 

Il  ne  raauquait  plus  que  l'inscrlption  que  j'ai  publiée 
pour  mettre  en  évidence  la  justesse  de  l'aper^u  de  M/ 
Maffei  ,  et  les  coinpilateurs  des  fastes  consulaires  peuvent 
aujourd  hui  inserire  ,  sans  crainte  ,  parmi  les  Consuls 
subrogés  de  l'année  52  de  J.  C.  les  Claudius  VipstU" 
nius  Gali  US ,   et   C.  Rutilius  Galiicus. 

Il  nous  reste  à  fixer  l'epoque  du  second  Consulat  de 
C.  Rutilius  Galiicus ,  qui  est  indiqué  par  le  mot  iterum. 

D'après  les  remarques  que  j'ai  faites  au  commence- 
ment  de  ce  m(?moire  pour  coustater  l'aothenticité  du  mo- 
nument,  l'epoque  du  nouveau  Consulat  doit  se  rapportet 
aux  années  qui  succédèrent  à  l'Empire  de  Vespasien.  Oa 
ne  rencontre  guères  de  Titus  Flavius  avant  l'année  de 
J.  G.  69:  Le  personnage  Scapula  s'honorait  probable- 
ment  des  prdnoms  de  Vespasien ,  et  jusqu'à  ce  qu'un 
nouveau  inouumcnt  ne  vienne  donner  un  éclaircissement 
précis  sur   cet  objet,    je  crois    devoir    encore  classer  le 


PAR  MODESTE   PAROLETTI.  syS 

Cajus  RuTiLius  Gallicus  parmi  les  Gonsuls  subrogés 
poui-  les  prcrnières  années  dii  Rogne  de  cet  Enipereur. - 
Làge  dcjà  avance  de  ce  personnage  qui  avait  óté  Consul 
ea  l'année  Bz ,  l'oubli  fait  de  lui  par  retnpercur  Néion 
et  ses  successeurs,  et  le  rappel  des  gens  honnètes,  lait 
par  Vespasicn ,  vienncut  à  lappui  de  cette  opinion. 

En  résumaut  actucllement  les  résultats  de  mes  raison- 
nemens ,  je  crois  pouvoir  couclui-e: 
^  r."  Qua  le  Cajus  Rutilics  Gallicus  mentionué  daus 
l'dpitaphe  de  Magagni  est  le  méme  personnage  tìont  il 
est  questiou  dans  le  fragment  de  M/  Maffei,  et  daus 
liuscription  que  j'ai  publiée. 

2."  Que  le  doublé  Consulat  de  ce  personnage  qm  est 
indiqué  par  le  vers  du  Poete  Stace  ,  se  trouvè  'confirmé 
paV  le  contenu  de  ces  frois  monumens ,  et  mis  en  évi- 
dence  par  l'expHcation   que  j'en  ai  donnée. 

5.°  Que  l'epoque  de  ces  deux  Gonsulats,  quoique  rela- 
tive i\  des  Gonsuls  subrogés,  peut  se  fixer  aux  années 
52  et  69  de  J.  G. 

4.°  Que  leRuTiLii's,  Préfct  de  Rome,  vainqueur  d'Afri- 
que ,  et  auquel  ce  Poete  avait  dédié  le  premier  livre  des 
Silves  ,  est  la  méme  personne  dont  il  est  parie  dans  l'ins- 
cription  insérée  dans  les  monumens  de  la  ville  de  Turin. 

5."  Et  enfin,  que  la  famille  Rutilia  était  une  de  celles 
qui  avaient  acquis  des  droits  à  la  bienveillance  des  ha- 
bitans  de  la  Gaule  Subalpine,  par  la  foi  qu'eu  font  les 
différens  monumens  qui  ont  ctó  trouvés  dans  ce  pays  (16). 

A  la  suite  de  cette  explication   qui,    en  éclairant  les 


27^  NOTICE    niSTORIQUE, 

fastes  consulaires  ,  seit  à  rapprocher  les  opinìons  clcs 
savaas  Magagni,  Rigolvi  ,  Maffei  et  Corsini,  et  à  ré- 
pandrc  uà  trait  de  lumière  sur  une  (epoque  de  l'hlstoire 
du  Pidmont,  qui  est  envoloppc^e  dans  l'obscurité  destems, 
je  ciois  devoii-  dii-e  uq  mot  sur  linscriplion  rapportée 
par  PiNGONE  (17). 

P-  RVTILIVS- 
AVG-    TAVR-  PUOCONSVL. 
Getta  inscriptioa  n'a  pas    l'assentiment  dos  Antiquaires, 
à  cause  sur-tout  du   mot  Proconsul,   qui  se  trouve  dans 
la  2.*   ligne. 

Oa  pourrait  cepondaut,  à  mon  avis,  étnblir  quelques 
conjectures  eu  sa  faveur,  et  qui  seraicnt  appuyées  par 
■  tout  ce  que  je  viens  de  dire  de  la  famille  des  Rutilius. 
La  pulssance  proconsulaire ,  dans  les  tcms  de  Rome 
libre ,  se  donnait  aux  Consuls  apròs  Tannée  de  leur  ma- 
gistrature. Nous  en  avons  le  premier  excmple  dans  2. 
Publius  Phiion,  l'aimée  de  Rome  427  (18).  Quelques- 
fois  on  nomraait  des  Proconsuls  qui  n'avaient  jamais 
été  revètus  de  l'autorité  consulaire.  Dans  la  seconde  guerre 
Punique,  P.  Scipion,  à  l'àge  de  24  ans,  fut  envoyé  Pro- 
CONSUL  en  Espagne,  Pompée,  n'étant  encore  que  simple 
particulier,  fut   envoyé  Procoksul  contre  Sertorius. 

Cctait  une  loi  ordiuaire  à  Rome  que  celui  qui,nprès 
le  Gonsulat ,  obtenait  une  Province ,  se  noramat  Pro- 
CONSUL ,  et  de  mème  celui  qui  se  tenait  au  méme  rang 
après  la  Preture ,  s'appelait  Propréteur.  Quelquefois  le 
Prcteur,  après  la  Preture,   dcveuait    Proconsul ,    et  nous 


#Ar  modeste  fAroletti.  277 

trouvons  irièrae  des  personnages  qui  tantót  sont  nom- 
mós  Piétcuis,  et  tantót  Proconsuls.  Quintus  Cicero  est 
appelé  Proconsul  pai-  Svétoae,  et  Pretor  par  Marcus 
TuLUUs  (19). 

Dans  le  tems  des  Empereurs ,  le  Proconsulat  eut  une 
plus  grande  extension.  Le  Sénat  et  le  Peuple  pouvaient 
aussi  envoyer  des  Proconsuls  dans  certaines  Provinces  (20). 
Cette  magistrature  se  donnait  à  ceux  qui  avaient  été 
Cousuis,   et  à  ceux  qui  ne  l'ayaient  jamais  été. 

Pour  ne  laisscr  rien  à  désircr  dans  cette  espèce  de 
rechcrclies,  on  pourrait  supposer  que  le  Publius  Ruti- 
Lius  ait  pu  étre  envoyé  Proconsul  à  Turin  ,  après  avoir 
été  Consul;  ou  bica,  qu'étant  l'un  des  dcscendans  de 
cette  illustre  Famille ,  après  avoir  rempli  quelque  missiou 
honorable  dans  ce  pays,  ait  pu  étre  décoré  du  titre  de 
Proconsul.  Mais  il  faut  se  garder  de  confondre  ce  qui 
u'est  dit  ici  que  par  simple  conjecture  avec  tout  ce  qui 
a  été  démontré ,  ou  suppose ,  au  moins,  d'une  manière 
très-probable. 

Tous  ces  faits  sont  peu  importans  par  eux-mcmes:  ils 
méritent  cependant  l'attention  des  historiens.  Souvent 
telle  notion ,  qui,  prise  isolémcnt,  ne  présente  que  peu 
d'intérót,  devient  un  trait  de  lumière,  lorsque  par  la 
suite  des  découvertcs,  la  critiquc  parvicnt  à  rapprochcr, 
dans  un  ordre  analytique,  les  résultats  des  rechcrclies  des 
Savans.  Un  homme  célèbre  a  dit  avec  sagesse,  que  la 
scicnce  des  inscripfions  et  des  médailles  formait  l'osteo- 
logie de  l'histoire. 


27S  KOTICE    HISTORIQUE, 

NOTES, 

(1)  ha  Kefigio ,  0  Pttìazeo  ^ugusfaìe ,  ec, ,  le  eiiì  rocrne  àdnnn  ancor  in 
oggi  il  nome  alla  porta  orientale  della  Jet  Palazzo.  Tosauro ,  Storia  di  Toi'iuo. 
f;''*  P*St    "?4»   P'ng-  A^'ÉUSt,  Tauriii.  Porla   Palatina,   horti  Palatini. 

(2)  RicOLVi  et  RlVAUTELLA,  marmoia  lauriiicntia,  pag.  270,  pag.  i.Non 
haud  inviti  creJimus  Taurinorvm  Augustam  jam  lam  splendiJissimam  Urbem 
TX  Colonia  in  mitnicipium ,  guo4  mefjori  erat  (ondilione ,  Slatum  (rit  fU^uo, 
Iinperajore  redaclam  fulsse. 

(3)  Samueli  Jansonii  Almeloven  8.",  où  il  cite  Machaneus  ad  Vili, 
(lo  Vir.  Illust.  cap.  42.  vorum  Reines.  IiiscHp.  class.  17,  N."*  104,  pag.  84S. 
Vocem  Cons,  pìutat  in  Civnmiss. 

(4)  RosiNUS  Autiq.  Roman,  l-upi  uicininit  Cicsar,  lib,  1  de  bello  rivili 
et  Quint.  lib.  1,  cip.  11. 

(5)  Machaneus  ad  Victorem  de  A'ii-.  illusi.,  cap.  41  >  Romani  certe  hie 
nipote  in  commune  totius  GaUiw  Cisalpince  diversorium  divertere  solcbant,  vii 
Epitiphium  a  me  inventum  in  marmoreo  conditorio  Sacelli.  D.  T'iti  ultra  Padiim 
indicai  hac  inscriptiune.  C.  liutilio  Gallico  Consuli.  De  quo  Proefeclo  homce 
sub  Domitiano  Jincnalis.  Et  Custos  Callicus  Vrbis.  Marmoreum  lume  lapidem 
sacnim  Canonicorum  Collegium  D.  Joannis  Tutelari  nostri  mihi  dono  muiiijì- 
rentissime  dedit. 

Le  savant  Dbakenboiich  ,  dans  la  fliseitation  Ialine  qu'il  a  imprimé  sur 
Ics  Préfels  de  Rome,  fait  l'observalion  suivanle  sur  ce  vcrs  de  Juvenal  : 
"Ucet  enim  Custos  Vrbis  proprius  titulum  Juerit  Prajecli  eigilum  ,  vt  palei  ex 
Cassiodoro ,  lib,  VII,  cap,  VII ,  scepe  tamen  Prcejecto  Urbi  iribvitur,  Vid. 
Sene: ,  ep.  84. 

Oli  verrà  dans  la  suite  que  le  Rulilius,  Préfet  de  Rome  sous  Domilieii, 
fy&ìt   déscendant  de  la  famille  du  Consul. 

(6)  Parrai  Ics  Professeurs  qui  cut  illustre  les  écoles  do  Turili  dans  le 
16.'  siede ,  on  doit  distinguer  Dominique  Della-Bella  ,  qui  avait  pria 
le  nom  de  IWacagni,  du  village  Macagno,  situé  dans  le  ci-devant  Nova- 
rais,  où  il  était  né;  l'epoque  de  sa  naissance  doit  étre  fìnie  entre  le  i45o 
et  le  1460.  Il  eut  pour  Précepteur  de  Rhétoriquo  le  célèbre  Colla-Montano, 
«jui  est  connu  dans  l'histoire  de  Milaa ,  comme  l'auteur  de  la  conspiration 
Iramée    contre  le  Prince  Galeas-Sforza  ,  tue    en  147G. 

Dominique   Magagni    était   savant  dans  la  liltérature,    dans  les  langucs 


i»AR  MODESTE  paroletti.  syg 

anricntips  *l  les  antiqiiités.  (I  a  ^'lé  d'nbord  Professpur  de  Bellcs-Lettrog 
h  iMilnn,  et  fut  appelé,  vers  le  commenccmcnt  du  16.' sièclo ,  à  la  chaire 
d'Jìloqueiice  nux  écoles   publiqiies  de  Turin. 

Le  savant  MtnuLA  ,  daus  l'ouvrage  qu'il  a  imprimé  sur  la  Caule  Cisal- 
pine, parie  d'avoir  assistè  aux  le^ons  de  Macaoni  à  Turili,  et  d'avoir 
adrairé  l'étendue  de  ses  connaissauces  dans  l'explicatioa  quii  faisail  à  scs 
élèves  de  l'hist.  nat.   de  Pline. 

Les  Ducs  de  Savoie  ne  tardèrent  pas  à  Taire  un  grand  cas  des  (aleiis 
du  Professeur  Macaoni.  Il  fut  nommé  par  un  à  la  place  d'historiographe , 
et  passa  sa  vie  k  recueillir  les  matériaux  nécessaires  à  la  conipilalioa  de 
l'bistoire  de  la   Maison  Ducale. 

Il  mourut  en  ibZo  à  Turin  ,  après  avoir  parcouru  honorablcment  la 
carrière  de  l'instruction  publique,  et  avoir  acquis  la  répulalion  d'un  Litté- 
ratcur  distingue. 

Les  ouvrages  què  le  professeur  Macagni  a  publiés ,  soni  :  i.°  Des  notes 
très-eslimées  sur  les  vies  de  Sexius  Aurelius  Victor,  qui  furenl  iniprimccs 
avec  le  tcxle  pour  la  première  fois  à  Turin,  en  i5c8.  Ces  notes  sont  in- 
sérdes  dans  presque  toules  les  éditions  de  cet  Auteur,  et  se  trouvenl  dans 
l'Editioa  d'Amsterdam  cum  notis  variomm.  i.°  Une  description  corographiquo 
du  Lac-Majeur ,  écrile  en  latin ,  et  iinprimée  pour  la  première  fois  à 
Milan  àia  fin  du   i5.*  siede,  et  réimprimée  dans  la  métoe  Ville  en  1690. 

3."  Une  disserlation  latine,  intitulée  de  Cancellarlo  Sectetariis  et  Scribis , 
eorumque  vocabulis. 

4."  Une  autre  dissertation  ÌDtitulée  Observatioltes  ad  Tranquitlum  U  Val^ 
TÌum   Maximum. 

5."  Ncuf  vies  des  f'rinces  de  la  Maison  de  Savoie ,  écrilM  de  méme 
en   latm. 

(6)  Un  mémoire  sur   les  antiquilés  allobroges,  énrif  en   langue  italienne. 

(7)  Quelques  autres  observations,  intitulées  Qurestiuncuìw.  Quomodo  secer- 
nerenlur  cincres  corporum  combuslorum  apud  Romanos.  Quid  sinl  Pagani. 
Prinripium  Valerii  Maxirai   a  barbarie  vindicatum. 

(8)  DiCférentes  Leiires  sur  des  objets  littéraires. — Les  N."'  3  et  suivans 
ne   soni   pas  iruprim/'S. 

Le  Professeur  Macaoni  dans  les  ouvrages  qu'il  a  publiés ,  s'intitulait 
Orateur  de  la  commune  de  Turin,  Publicus  Tour.  Orator.  Sa  célébrité  a 
icndu  sa  famille  illustre;  ses  descendans  fureiit  distingués  par  les  places 
bonorables  qu'ils  occupèrenl ,  soli  dans  la  Mcngistralure ,  soit  dans  la  Diplo- 


aRo  NOTICE    HISTORIQUE  , 

malie,  Vide  liist.    ijpograph.,    Modiol.' anno   i44o.  Ani.  Sa^ii  pag.  3i5, 

EJ.   Mecl.    1745  sub  liliilo  Phil.   Aigel.  Bonon.  Bibliol.   Script.   IVIediol. 

(7)  Mach,  ad  Vict.   de   Vir.   Illusi.,   cap.  42. 

(8)  Reines.  Iiiscript.  class.   17,  N."  104,  pag.  845. 

(9)  Marmerà  Taurin.  pag.  4*  >  P-  *• 
(io)  VersSi,  83,  Silv.  lib.  I,    Slalio. 

(ii)Panvin.  antiq.  ver.  lib.  II,  cnp.  t2,  Fabretli  pag.  'jiZ ,  Gruter  pag. 
438,   N."  7. 

Reincsius  Ep.  XVIIt  ad  Ruperl.  de  Consiilibus  provincialibus  non  possimi 
nmplius  dubitare  ab  ignaris  anliquitatuni  roniananim  ftibricatos  fuisse.  Mon- 
signor della  Torre,  libro  d'Anzio  pag.  3Gl  ,  dit  —  Coloniis  et  Municipiis 
consularem  dignilatem   cegreferunt  viri  dodi. 

(11)  Dig.  lib.  XXIX,  fit.  2,  de  adquirmda ,  vel  omitlenda  hceredilale.  Ul- 
pianus  lib.  Vili ,  ad  Sabinum.  Curri  quidam  legntionis  causa  abscns  Jìlium 
hieredem  ìnstitulum  non  potaisset  jubere  adire  in  pronncia  agenlem ,  Divus  Plus 
rescripsit  ConsuUbus ,  subvenire  ei  oportere  mortuo  fdio;  eo  ijuod  licipublica- 
causa  oberai. 

(i3)  Maffei,  Osserv.  Iettar,  tom.  I,  pag.   i83,   N."  22. 

(14)  Hagenbukius   Epist.  epigraph. 

(i5)  Corsini  de  prtcfect.  urbis  Pisis  1766  4-''  P-  48-  Cet  aulcur  rapporto 
la  Préfec.ture  de  C.  Rutilius  Valens  à  l'année  de  Rome  838  ,  et  de  J.  C. 
85  ,  d'après  l'autorité  de  Stace. 

(16)  Si  on  voulait  hasarder  une  conjecture ,  on  pourrait  supposrr  que 
Je  surnom  de  Gaìlicus,  pris  constamment  par  les  personnages  de  la  famille 
Riitilia,  ait  eu  pour  bui  de  relracer  le  souvenir  de  quclque  action  ecla- 
tante,  qui  ait  pu  rendre  leur  nom  illustre   dans  la  Gaule   Subalpine. 

(17)  PlNG. ,   Aug.   Taur.   ibid.  in  domo  mainorum  in   basi  turrl9. 

(18)  Liv.  lib.  Vili,  cap.  23  et  26. 

Decrelum  in  urbe  est   ut  Proconsule  rem  gererel ,    quoad  debellatum  esset. 

(19)  SvET.  in  Aug.   cap.   3. 

Cic.   ad  Quint.   fr.  lib.  I  ,   Ep.   i ,   cap.  7. 

(20)  Neupoort  ,  Riluum  Romanorum ,  —  Trad.  de  M.'  l' Abbé  Desfon- 
lAiNES  pag.   116,  Barbou,  12 — 1760. 


VITA 

DI   ALESSANDRO    VITTORIO    PAPACINO 

D'ANTONI 

COMANDANTE    DELL'ARTIGLIERIA 

E    TENENTE    GENERALE 
SCniTTA 

DA    PROSPERO    BALBO 

l'anno     m.dcc.xc.i. 


35 


Jam  te  non  alius  iellì  tenti  apti'ui  miei. 
Qua  deceat  tutam  castris  proeducere  fossam, 
Qualiter  adirersos  hosti  defigere  cervos , 
Quemve  locum  ducto  melius  sit   claudere  vallo. 


Ut  facilisque  tui's  aditus  sit,  et  arduus  hosti, 
Laudis  et  assiduo  vigeat  certamine  miles. 

Tibul.  panpgjT.  ad  Messalam. 


■m 


a85 
VITA 


DEL   COMMENDATORE    D'ANTONI. 


D. 


'i  Alessandro  Vittorio  Papacino,  capitano  del  porto 
di  Villafranca,  nacque  in  quella  terra,  addì  20  di  maggio 
del  1714»  Alessandro  Vittorio,  che  avendo  aggiunto  al 
cognome  paterno  quel  della  madre,  D'Antoni,  fu  poscia 
più  volgarmente  così  denominato.  E  fama,  che  i  Papa- 
cinì  traessero  di  Spagna  un'origine  illustre**;  ma  noi» 
avendo  io  sicure  prove  per  asserirlo,  imiterò  il  silenzio 
dello  stesso  commendatore ,  che  di  questo  fatto ,  o  di 
altro  tale,  né  fra  gli  amici  eziandio  non  si  udì  mai  far 
parola.  Pii!i  che  l'incerta  ricordanza  de'  trapassati  poterono 
i  vivi  esempi,  che  ancor  fanciullo  egli  ebbe  a  trovare 
fra'  più  stretti  congiunti.  Giuseppe  Antonio  suo  fratel- 
cugino  ,  che  fu  luogotenente-colonnello,  e  comandante 
dell'artiglieria  nella  contea  di  Nizza,  e  Gian  Pietro  zio 
materno  del  nostro ,  che  mori  capitano  degli  artiglieri , 


*  Si  slampa  questa  vita,  quale  fu  letta  all'accademia  delle  scienze  di 
Torino  dall'  autore ,  segretario  aggiunto ,  nelle  private  sessioni  del  mese 
di  novembre  l' anno  1791  :  di  un  solo  estratto  ei  fece  lettura  nella  seguente 
adunanza  pubblica    del  giorno   primo  di  dicembre. 

**  Di  un  Papacino ,  vice-ammiraglio  di  Spagna  nel  secolo  XVII ,  si 
trova  menzione  neW'Histolre  des  propìs  de  la  puìssance  navale  d'Anf-ìeterre, 
par  le  baron  de  Sainte-Croìx  :  nomf.   idil. ,  Paris,  1786,  a  voi.    in   11. 


a84i  BALBO, 

quelli  furono  cli'ci  si  propose  d' imitare ,  alloraqnando 
in  età  di  diciott'anni  vesti  nello  stesso  reggimelito  le 
divise  di  semplice  soldato,  distinto  però  col  titolo  di 
volontario ,  che  soleva  accordarsi  alle  persone  di  ri- 
guardevole fomiglia.  Ciò  accadde  a' 28  d'ottobre  del  lySi. 
Due  anni  dopo  militò  come  soldato  ne'  principii  della 
guerra  condotta  con  rapidissima  fortuna  dal  re  Carlo 
Emanuele.  E  convieu  dire,  che  in  quelle  occorrenze, 
e  soprattutto  nella  espugnazione,  ov'egli  trovossi,  del 
castello  di  Milano,  della  fortezza  di  Pizzighettone ,  e 
della  città  di  Tortona ,  abbia  dato  certissimi  saggi ,  non 
pur  di  valore ,  ma  di  singoiar  maestria ,  giacchi? ,  dichiarato 
sottotenente  addì  14  di  marzo  del  1754,  fu  adoperato 
in  tutto  il  corso  di  queU'anno,  e  nella  famosa  giornata 
di  Parma ,  all'  importante  ufficio  di  ajutante  maggiore 
del  suo  reggimento.  Salito  poscia  al  grado  di  tenente 
addi  12  di  dicembre  del  174 1 5  e  riaccesa  la  guerra, 
ebbe  maggiori  e  più  frequenti  opportunità  di  [segnalarsi 
in  ogni  maniera  di  fazione ,  che  ad  artigliere ,  od  anche 
ad  ingegner  si  convenga  ;  or  guidando  i  cannoni  nelle 
ripide  balze  della  Savoja  fra  le  altissime  nevi ,  e  i  duris- 
simi ghiacci  del  più  fitto  inverno  ;  ora  con  ben  dise- 
gnate trincee  fortificando  il  campo  di  Casteldelfino;  or 
combattendo  in  giornata  campale  alla  Madonna  dell'Olmo, 
e  dopo  r  esito  di  quella  ritraendo  in  sicuro  sino  al  campo 
di  Possano  tutte  le  artiglierie  del  corno  sinistro;  ed  ora 
come  capitano  di  minatori  inoltrandosi  in  due  siti  sotto 
r  assalito  bastione   di   Savona ,  o  impiegandosi  parimente 


dell'  ailigUetia, 


VITA    DEL    d'aNTONI.  285 

nella  espugnazione  d'Acqui,  od  all'incontro  pcnefrando 
a  g^an^pena  io  Esisiglie  stretto  già  dall'esercito  Fiail- 
zese,  e  valorosainente  servendo  alla  sua  difesa,  e  final- 
mente negl'  intervalli  lasciati  dalla  viva  guerra  ,  adope- 
randosi a  provvedere  d'ogni  sorta  d' attic/zi  militari, - 
prima  Demonte  nel,  1746  insieme  coli' illustre  ingegnere 
Finto ,    poi  nel    1746  Essiglie  e  Fenestrelle: 

Nel  corso  di  questa  guerra  fu  dichiarato  capitan- te- 
nente a'5r  di  maggio  del  174^»  ^  capitano  effettivo  il 
10  di  gennajo  del  1746.  E  sul  principio  dell'anno  1747,  J'il''^°,Yf^i 
volendo  il  re  premiare  con  alcune  gratificazioni  gli  eo[a''"oi^ndiò 
ufiiziali  d' artiglieria  che  più  si  erano  distinti  nelle  gloriose 
imprese  dell'anno  precedente,  fu  assegnata  al  D'Antoni 
la  maggiore  di  tali  ricompense,  che  secondo  la  savia 
moderazione  di  que' tempi  non  oltrepassò  tuttavia  la 
modica  somma  di  ottanta  zecchini.  Dopo  la  pace  fu 
spedito  due  volte  a  Piacenza,  quindi  a  Pavia,  ed  a  Mi- 
lano ,  per  trattare  con  gli  ufiiziali  Austriaci  e  Spagnuoli 
il  riparto  e  la  restituzione  delle  artiglierie  e  delle  muni- 
zioni da  guerra ,  secondo  la  convenzione  di  Nizza  del 
iG  di  gennajo  1749»  uel  che  diede  a  conoscere ,  sod- 
disfacendo egualmente  alle  due  parti,  ch'egli  non  era 
men  destro  e  leale  né' maneggi  di  pace,  di  quel  che 
fosse  prode   ed  esperto  nelle   imprese  di  guerra. 

Come  a  tali  pregevolissime  doti  egli  abbia  saputo 
aggiungere  quelle  parti  che  valgono  a  procacciare  cele- 
brità letteraria ,  spetta  ora  all'  istituto  nostro  di  raccon- 
tarlo alquanto    più  distesamente.    Imperciocché  a  primo 


28G  BALBO, 

aspetto  potrà  forse  crear  meraviglia,  che  nomo  nato  ia 
coadizione  assai  ristretta  di  domestiche  facoltà,  allevato 
in  luoghi  ed  in  tempi  assai  meo  colti  de'  nostri ,  cresciuto 
fra  lo  strepito  vivissimo  dell'armi,  vissuto  del  conti- 
nuo in  operosissima  vita,  abbia  nondimeno  potuto,  ed 
abbia ,  potendolo ,  efficacemente  voluto  procacciarsi  dif- 
ficile, squisita  ,  e  profonda  dottrina.  Che  se  rari  non  sono 
gli  esempi  nella  profession  della  guerra  di  uomini  surti 
da  basso  sfa(o  a'  gradi  priqii  della  milizia  ,  rarissimi  sono 
di  quelli  che  a  tapta  elevazione  siano  di  così  lungi  per- 
venuti egualmente  per  merito  di  dottrina  teorica,  e  di 
cure  scientifiche,  che  di  pratica  perizia,  e  di  guerriero 
valore.  De'-Vincenti ,  Finto ,  e  D'Antoni  ,  hanno  provato 
fra  noi,  che  uomini  tali  non  poteano  mancare  in  una 
Dazione  chiamata  prima  ad  ogni  sorta  di  gloria  dall'  animo 
grande  di  Vittorio  Amedeo  II ,  eccitata  poi  dalla  felicità 
d'un  nuovo  regno ,  e  sempre  pivi  incoraggiata  nelle  vie 
d' onore  dalle  aspre  vicende  d' una  guerra  difficile  e  pe- 
rigliosa. E  questa  guerra  medesima ,  ben  lungi  dal  ritar- 
dare i  progressi  degli  studi ,  per  cui  si  suole  desiderare 
ozio  e  tranquillità,  servì  anzi  assaissimo  a  promuoverne 
gli  avanzamenti  ,  in  quelle  parti  almeno  che  all'  arte 
militare  più  d'appresso  s'accostano,  del  che  vedremo 
qui  dopo  qualche  mirabile  esempio.  Ma  se  le  accennate 
generali  cagioni  hanno  potuto  in  qualchte  modo  risve- 
gliare gl'ingegni  de' giovani  militari  di  que' tempi,  i 
nostri  uditori  tuttavia  brameranno  da  noi  più  esatto  rag- 
guaglio   di    quelle    particolarità    che    accompagnarono   i 


VITA    DEL    d'ANTONI.  287 

primi  passi  nelle  scienze  del  bravo  aitigllere,  che  riuscì 
poi  chiarissimo  autore. 

Noi  della  sua  fanciullesca  o  giovenlle  istituzione  non 
abbiamo  notizia  alcuna ,  ma  crediamo  assai  probi'bile  che 
fosse  più  adattata  alle  strettezze  della  famiglia,  che  noa 
all'ingegno  del  giovane.  Né  possiam  dire  sel'opeiasua 
siasi  impiegata  in  alcun  modo  ne'  priuii  cominciamcnti 
delle  scuole  d'artiglieria  istituite  l'anno  l'j^Q.  Bensì  sap-  Lib.iii dcir** 
piamo  per  testimonianza  dello  stesso  D'Antoni  eh'  egli  rfedira;.dfjflme 
nel  1743  cominciò  di  proposilo  a  cercare  per  diverse  neUa dedica, 
strade  di  scoprire  le  principali  proprietà  della  polvere  , 
il  che  par  che  supponga  non  mediocri  progressi  nelle 
scienze  fisiche  e  matematiche.  E  sappiamo  che  l' ingegno 
e  la  diligenza  di  lui  gli  aveano  per  tempo  procacciata 
la  stima  e  la  conCdenza  del  primo  ingegnere  Giuseppe 
Ignazio  Bertola  direttore  delle  scuole  per  opera  sua  fon- 
date, e  de' tre  successivi  colonnelli  d'artiglieria,  D'Embser, 
Nicola,  e  De'-Vincenti.  Non  pago  tuttavia  delle  cognizioni 
che  da  questi  potea  ricavare,  uomini,  per  vero  dire, 
eccellenti ,  ma  da  gravissime  cure  distolti ,  ne  pago  degli 
studi,  che  per  se  solo,  o  coU'ajuto  de' suoi  colleghi, 
fra' quali  molti  assai  dotti,  potea  intraprendere  e  segui- 
tare, non  lasciava  sfuggire  occasione  d'  approfittare  d'ogni 
altro  personaggio ,  o  fosse  esperto  nella  sua  medesima 
professione,  o  dotto  nelle  scienze  che  a  quella  possono 
in  qualche  modo  servire.  Siffatto  vantaggio  egli  seppe 
ritrarre  nella  prima  guerra  dalla  conversazione  di  alcuni 
tra   gli  ulllziali  Franzesi  alleati  nostri.  E  vuoisi  credere. 


288  BALBO, 

clie  a  que' tempi  medesimi,  o  poco  dopo,  incominciasse 
a  frequentare  in  Torino  l'abate  Girolamo  Tagliazuccht. 
Chi  non  conosce  questo  illustre  Modenese ,  fuorché  per 
essere  stato  un  eccellente  professore  d'  eloquenza  nella 
nostra  università,  autore  di  qualche  bellissimo  sonetto, 
e  di  qualche  altro  forbito  lavoro,  e  raccoglitore  di  prose 
ad  uso  delle  scuole,  stupirà  seuza  dubbio  che  il  D'Antoni 
se  gli  professasse  tanto  obbligato,  e  ne  venerasse  la 
memoria  come  d'  ottimo  maestro ,  egli  che  altronde  non 
aspirò  mai  a  verun  pregio  nell'  amena  letteratura.  Ma 
il  Tagliazucchi  alla  dottrina  poetica  ed  oratoria  accop- 
piava in  grado  non  mediocre  la  matematica*,  ad  esempio 
dì  tanti  illustri  Italiani,  e  Bolognesi  soprattutto,  suoi 
couteraporanei  ed  amici,  attalchè,  se  non  e'  inganna  la 
fama ,    allorquando    fu  chiamato    dalla   patria  a  Torino , 


*  Il  Tagliazucchi,  prima  di  venire  in  Torino,  clie  fu  nel  1729,  istruì 
pijvalaiuenle  in  Milano  non  solo  nella  lingua  Greca  ,  ma  eziandio  ncll' 
nigebra,  fino  almeno  a'  problemi  di  secondo  grado,  Maria  Gaetana  Agnesi, 
fanciulla  allora  di  circa  dieci  anni,  cresciuta  poi  a  tanta  fama  nella  scienza 
algebraica.  E  fra  le  sue  opere  inedite  si  registra  come  smarrito  un  trat- 
tato di  fortificazione.  {Mai-i.ucche\ii,  Scrittori  d' Italia,  articolo  dch'^gnesi , 
Tiraboschi ,  Biblioteca  Modenese,  tom.  V,  p.  iGy,  175).  Facil  cosa  è  a  cre- 
dere, che  quel  trattalo  di  forlificazione  sia  slato  scritto  dal  Tagliazucchi 
iu  Torino ,  e  forse  per  ammaestramento  appunto  del  D'Antoni  ,  o  del 
Tignola.  Ed  è  notabile,  che  tre  anni  prima  della  istituzione  delle  scuole 
militari,  creandosi  un'accademia  per  Je  arti  del  disegno,  nell'apertura 
della  quale  le-^se  il  professor  Modenese  in  prosa  e  in  versi,  vi  si  fece 
luogo  anche  all'architettura  militare  con  esempio  non  più  veduto  né  prima, 
né  poi.  Orazione  e  poesie  per  V  instituzione  dell'  Accademia  del  disegno  ,  delia, 
dipintura ,  scultura,  e  architettura  militare,  e  civile,  Torino,  1736,  Chais,  8.°.. 


VITA    DEL    d' ANTONI.  285 

clubitossi  qual  cattedra  se  gli  sarebbe  assegnata:  ma  se 
di  scienze  matematiche  non  tenne  pubblica  scuola ,  e 
non  diede  alla  luce  alcun  saggio ,  ben  insegnolle  in  pri- 
vato a  parecchi  giovani  studiosi,  fra' quali  ,  oltre  il 
D'Antoni,  ci  basti  di  nominare  per  cagione  d'onore  il 
prediletto  suo  discepolo,  ed  ora  nostro  benemerito  vice- 
presidente ,  conte  Ignazio  Somis ,  ed  il  defunto  Gasparo 
Tignola ,  di  cui  non  posso  ricordare  il  nome  senza 
rammentare  ad  un  tempo ,  eh'  egli  fu  il  primo  ad  intro- 
durmi,  sin  dall'  età  mia  puerile ,  sul  limitare  della  dot- 
trina geometrica,  e  ad  ispirarmi  per  quella  ardentissimo 
amore ,  troppo  dappoi  reso  vano  sinora  da  ben  altri  men 
gradevoli  studi.  Ma  il  Somis  e  il  Tignola ,  prima  d'  avere 
dal  comune  maestro  i  precetti  matematici,  si  erano  sotto 
alla  sua  guida  istruiti  nell'  arte  dello  scrivere  in  prosa  e 
in  versi,   del  che  ci  restano  memorabili  documenti ,  onde     v.  ìì eaiat.^» 

^  ,    con  noie  in  une 

ne  avvenne,  che  1  uno  e  l'altro  dettarono  sempre  ogni  <u  quesu  wVa. 
loro  sciitto  con  molta  proprietà  :  in  vece  che  il  D'Antoni, 
"al  quale  era  mancata  negli  anni  suoi  primi  si  oppor- 
tuna istruzione  ,  e  poscia  mancato  era  il  tempo  e  il  modo 
di  supplirvi,  fu  sempre  obbligato  a  far  pulire  i  suoi 
concetti,  quelli  almeno  che  dovevano  andare  a  stampa, 
dall'amico  e  collega  Tignola,  ufiiziale  pur  egli  d'arti- 
glieria, e  professore  in  cjuelle  scuole,  ed  autore  perse 
solo  di  due  trattati  elementari  ad  uso  delle  scuole  me- 
desime. Tanto  importa  la  lingua ,  e  lo  stile ,  e  il  buon 
gusto,  anche  a' coltivatori  dell'arti  più  severe,  i  quali 
se  accade  clic  manchiao  aflàtto  di  tali  cognizioni,    non 

37 


ago  BALBO, 

sanno  il  più  sovente  adattarsi  al  modesto  ed  utile  partifo^^ 
cui  per  buona  fortuna  de'  suoi  libri  si  attenne  ognora  il 
D'Antoni.  Il  che  ci  fa  credere,  che  s'egli  non  ebbe 
ozio  sufficiente  per  gli  studi  di  lettere  ,  non  lasciò  tuttavia 
anche  per  questa  parte  di  trar  profitto  dalla  colta  con- 
versazione del  Tagliazucchi ,  corteggiato  sempre  da  uno 
scelto  drappello  de'  migliori  discepoli. 

Contratta  per  tal  modo  famigliarità  colle  lettere  e  coi 
letterati ,  e  fatto  acquisto  delle  scienze  matematiche , 
volle  eziandio  per  le  fisiche  valersi  di  quegli  ajuti  che 
potea  trovare  presso  gli  altri  professori  della  nostra  uni- 
versità. Leggeva  P'isica  a  que'  tempi  Francesco  Garro 
da  Cosenza  dell'ordine  de' Minimi,  discepolo  del  Roma 
suo  predecessore ,  religioso  Franzese  dell'  ordine  mede- 
simo ,  e  come  tale  era  il  Garro  Cartesiano  ostinato  ,  ma 
peraltro  non  imperito  sperimentatore.  Le  private  spe- 
rienze  che  facevansi  nel  convento  di  San  Francesco  di 
Paola,  provveduto  per  questo  fine  di  opportune  suppel- 
lettili ,  acquistarono  maggiore  celebrità ,  allorquando  vi 
intervenne  1'  abate  Nollet  chiamato  di  Francia  per  inse- 
gnare la  Fisica  al  duca  di  Savoja.  A  queste  dotte  adu- 
nanze era  ammesso  il  D'Antoni,  forse  con  alcuni  altri 
uffiziali  suoi  colleghi;  ed  ivi  essendosi  fin  d'allora  ten- 
tati varii  sperimenti  per  1' esame  della  polvere  da  guerra, 
e  per  altri  soggetti  relativi  alla  scienza  dello  artigliere, 
quindi  ne  nacque  il  pensiero  felicemente  eseguito  d'isti- 
tuire nello  stesso  arsenale  uno  stabile  laboratorio  chi- 
mico-metallurgico.   E  nel    1760     parecchi   de' più  dotti 


VITA    DEL    CANTONI.  Sgi 

uHlziali  d'  artiglieria  ,  fia'  quali  il  nostro  ,  furoQO  eletti  ,  aEbt.'^'s^' 
a  conferire  sopra  le  proporzioni  de' metalli  da  fondersi 
per  la  fabbricazione  dell'  armi,  sopra  i  saggi  da  farsi 
de'  metalli  fusi ,  e  sopra  le  piove  dell'  anni  con  essi  fab- 
bricate, sopra  il  vento  de' cannoni,  vale  adire  soprala 
differenza  tra  'i  diametro  loro  interno,  e  quello  delle  palle, 
e  sopra  diversi  altri  somiglianti   argomenti. 

In  cosi  fatte  gravissime  incumbenze  avendo  sempre 
il  D'Antoni  dato  saggio  di  singoiar  sapere,  non  è  mera- 
viglia che  a' 3  d'agosto  del  lyòS  sia  stato  eletto  diret- 
tore delle  scuole  teoriche  col  grado  di  maggiore.  Al  qual 
incarico  per  soddisfare  convenevolmente,  diedesi  egli* 
a  porre  insieme  i  trattati,  che  secondo  il  suo  pensiero 
doveano  servire  alla  isfruzion  degli  allievi  :  e  valendosi 
a  quest'  uopo  io  qualclie  parte ,  siccome  non  si  disdice 
in  opere  elementari ,  sia  degli  scritti  che  già  dettavansi, 
sia  dell'opera  degli  altri  professori,  e  di  mano  in  mano 
aggiungendo  alcuni  importantissimi  capi  d' insegnamento, 
che  non  erano  in  uso ,  come  tra  gli  altri  la  Fisica  e 
la  Meccanica,  venne  poi  a  formare  l'intero  corso  de' libri 
che  servono  per  quelle  scuole.  Io  esso  hanno  luogo  prima  v.  j\<-aiaiog» 
V  aritmelica  e.  V  algebra,  \a  gpometi-ia  piana,  e  solida, 
e  la  pratica,  le  sezioni  coniche,  i  principii  di  matema- 
tica sublime,  e  le  istituzioni  fisico-meccaniche ,  quindi 
r  esame  della  poh>ere  ,  V uso  dell'  armi  da  fuoco,  il  ma- 
neggiamento  dulie  macchine  d'  artiglieria,  V artiglieria 
pratica  in  tempo  di  pace  e  di  guerra,  e  finalmente  l'or- 
chiteitura  militare.TiV&  queste  le  istituzioni  fisiche,  Tesarne 


2g2  BALBO, 

della  poherd ,  l'uso  dell'  armi ,  V artiglierìa  in  Ipmpo  di 
guerra,  il maìieggiamenlo  delle  macchine ,  e  cinque  de' sei 
libri  intorno  all'  architettura  militare  portarono  in  fronte 
il  nome   del    D'Antoni  ,    allorquando    furono   pubblicati  : 
lì  artiglieria  in  tempo  di  pace  ha  per  autore  il  Tignola, 
e   il   secondo    libro   dell'  architettura  militare ,   che  tratta 
dello  assalire    e  difendere    le   fortezze  regolari ,  fu  com- 
posto   dal    chiarissimo    Ignazio    Andrea    Bozzolino  ,    che 
vive  maggior-geuerale  ,   colonnello  degl'  ingegneri ,    e  ca- 
valiere  dell'ordine    de' Santi  Maurizio  e  Lazzaro.  La^eo- 
Tuetria  pratica  ,  quantunque   anonima ,  fu  pure  compilata 
*dal    Tignola.  Per   V  aritmetica    e  la  geometria  piana  si 
adottò,   non  so  come,  quella   d'uno  straniero  non  ottimo 
autore ,   sebl)ene   io  abbia  argomento  di  credere ,  che  al- 
meno di  Geometria   il  D'Antoni  abbia  scritto  lezioni  ele- 
mentari. I  rimanenti    trattati  non  hanno  impresso  nome 
d'  autore,  forse  perchè   il  D'Antoni   vi  ebbe  minor  parte 
di  quella ,  che   in  altri  poteva  a  buona  ragione  arrogarsi. 
Ma    noi   qui  non  vogliamo   tacere,    che    in    alcuni  ebbe 
parte  grandissima    Carlo  Andrea    Rana    professore    nelle 
scuole  d'artiglieria,    uomo    di    molta  fama  nell'architet- 
tura  civile  ,    idraulica,  e  militare. 

Le  particolarità  ,  che  precedettero ,  o  tenner  dietro  alla 
pubblicazione  de' diversi  accennali  libri  per  uso  delle 
scuole  d'  artiglieria  e  fortificazione ,  sono  tanto  onorevoli 
pel  D'Antoni  lor  principale  autore,  che  da  noi  non  si 
possono  in  verun  conto  tralasciare.  Cominciò  a  stamparsi 
nel   1759   il   terzo    libro    delY  architettura  militare,  che 


Vita  dei.  d'antoni,  agS 

fu  giudicato  potersi  disgiungere  dagli  altri,  e  Comparire 
da  se   solo  alla  luce ,  quasi  per  saggio  del  nostro    liceo 
militare,  e  che  più  degli  altri    polca  meritare    d"  essere 
divolgato  per  le  novità  che  contiene  ,  quali  sono  i  sistemi 
del    Rana,    del    Bozzolino  ,  -e    del  Borra.    Questo  libro 
comparve  poscia  in  IVanzese  come  opera  originale ,  avendo 
solo  il  plagiario   notato   che  i  nuovi    sistemi    appartene- 
vano   principalmente   a'  signori  D'Antoni ,    Bozzolino ,    e 
Rana.    In  queir  anno  medesimo  il  D'Antoni  fu  decorato 
della   croce  de'  santi  Maurizio  e  Lazzaro  a'  12  di  giugno, 
e  provveduto   a'  4   di  luglio   d'  una   pensione   sopra  una 
commenda  dell'  ordine.  Sei  anni  dopo  venne  alle  stampe 
dedicato  al  Re  1'  esame  della  pohere ,     che  fu  poi  tra- 
dotto in  varie  lingue,  e  che  assicurò  all'autore  un'altis- 
sima riputazione  ,  cosicché  il  Tempelhof  nella  sua  opera 
intitolata    il  bombardiere  Prussiano,  in  un  luogo  fra  gli 
altri ,   ove   sempre  ne    parla   con  ogni  lode ,    si   esprime 
particolarmente  in  questa  maniera:  «molti  fisici  di  sommo    Pa^.n'.v.pnre 
»    merito   istituirono  dottissime  e  profondissime    ricerche  "V 
»    sulla  natura  di  questa  forza  movente  »  (  cioè  a  dire  della 
polvere),    «   fra' quali  si  sono    il  piiì   segnalati    Robins, 
»    Papacino    D  Antoni,  e    il    conte   Saluzzo.  »    E  il  mar- 
chese   di    S.    Auban    tenente-generale    degli    eserciti    di 
Francia,    e    già    ispettor-generale    di    quella   artiglieria, 
prendendo  a  tradurre   Y  uso  dell  armi  da  J^uoco ,  il  quale, 
com'  eirli  dice    «  è   una  facile  ,  ma  dottamente  dimostrata        N<iraTtis« 

o  '  proemiale. 

»    applicazione    alla  pratica   de'principii  e   delle  massime 
y>   che  r  autore   italiano  avca  esposto    ne'  precedenti   suoi 


294  BALBO, 

»  scritti»,  il  che  vuoisi  principalmente  intendere  dello 
esame  della  polvere,  così  prosegue  a  ragionare  fram- 
mezzo a  molte  altre  onorevolissime  espressioni,  che  noi 
per  brevità  ommettiamo  ;  «  farà  senza  dubbio  maraviglia 
»  il  numero  e  la  varietà  delle  sperienze,  che  si  cse- 
»  guirono  con  grandi  apparecchi  sopra  ciascuno  degli 
»  oggetti  presi  ad  esaminare  ;  il  rigore ,  la  precisione ,  e 
>'  l'esattezza,  che  s'impiegarono  per  trarre  dai  fatti  sicure 
»  ed  irrevocabili  conseguenze.  Ne  farà  meno  stupore 
>'  l' immensità  delle  somme  che  si  saranno  dovute  spen- 
«  dere  per  sì  grandi  e  sì  diverse  prove.  Ma  così  vuoisi 
»  fare  per  iscoprire  la  verità,  per  sollevare  le' scienze  e 
j>  le  arti  ad  un  piili  alto  grado  di  perfezione  « .  Non  è 
cosa  strana ,  che  uno  scrittor  Franzese  giudicasse  immense 
le  spese  dovute  farsi  per  tanti  sperimenti ,  e  ne  traesse 
argomento  cortese  di  lode  pel  nostro  governo  :  ma  noi 
crediamo  di  poter  fondatamente  attribuire  lode  migliore 
a' nostri  artiglieri,  ed  al  nosti'o  sistema  di  pubblica  eco- 
nomia ,  giudicando  che  siano  state  assai  modiche  le  somme 
in  questo  fatto  impiegate ,  ne  maggiori  proporzionata- 
mente di  quelle,  che  per  la  misura  del  grado,  o  per 
le  sperienze  idrauliche,  o  per  la  spedizione  letteraria  in 
Egitto  e  in  Asia,  o  per  altre  scientifiche  intraprese  furono 
sborsate,  la  tenuità  delle  quali  non  troverebbe  quasi  cre- 
denza in  paese  assuefatto  alla  pubblica  prodigalità  :  sì  bene 
fu  conosciuta  presso  di  noi  l'arte  difficilissima  di  far  cose 
grandi  con  piccioli  mezzi. 

Principale  istromcnlo  di  quest'  arte  in  man    de' regnanti 


VITA    DEL    n' ANTONI.  ÙgS 

è  la  giusta  e  misurata  distribuzione  defili  onori  e  dei 
premii.  Tre  anni  dopo  la  pubblicazione  dell'esame  duìla 
pohere  il  nostro  D'Antoni  fu  dichiarato  dircttor  gene- 
rale delle  scuole  teoriche  e  pratiche  a'  6  di  dicembre  del 
1769.  Già  prima  eragli  stato  conferito  il  {jrado  di  te- 
nente-colonnello a' 4  d'aprile  del  176(3,  come  gli  fu 
poscia  l'altro  di  colonnello  a'  28  di  febbrajo  del  1771. 

Ora  seguiterò  a  riferire  come  nel  nuovo  regno  venis- 
sero alla  luce  le  altre  opere  elementari  che  compongono 
il  descritto  corso  di  studi.  Nell'arte  della  guerra,  come 
in  quelle  del  traffico  e  del  governo ,  solevasi  altre  volte 
per  ogni  dove  procedere  con  certi  rispetti  di  gelosia  e 
di  mistero,  che  per  lo  progresso  delle  umane  cogni- 
zioni hanno  poi  cominciato  a  scemare  d'assai.  A  questi 
probabilmente  si  dcbbe  attribuire  che  non  fossero  prima 
stampati  tutti  gli  scritti  che  dottavausi  nelle  scuole  d'Ar- 
tiglieria. Per  altro  convien  dire ,  che  il  ministro  ,  dal 
quale  esse  scuole  dipendevano ,  cioè  il  conte  Giambatista 
Bogino,  uom  senza  dubbio  superiore  a  molti  vani  riguardi, 
non  invidiasse  agli  stranieri  il  profitto  che  potean  trarre 
da'  nostri  studi,  poiché  anzi  avea  non  solo  permessa,  ma 
favorita  la  stampa  de' due  libri  sovra  accennati,  fra' quali 
Y  esame  della  polvere  è  opera  feconda  di  pratiche  e 
nuove  conseguenze;  acconciamente  giudicando  di  servir 
molto  bene  in  tal  modo  all'onore  della  nazione,  e  procac- 
ciandole così  un  vantaggio  assai  più  reale,  che  non  la  vana 
pretensione  di  potersi  noi  mantenere,  esclusivamente  ad 
ogn' altro  stato,  soli  possessori  de  buoni  metodi,  i  quali 


29^  BALBO, 

a  lungo  andare  non  è  fattibile  che  restino  sempre  segreti, 
ed  aiti-onde  se  possono  convertirsi  a  nostro  danno  in  man 
de" nemici,  possono  eziandio  servire  a  nostro  prò  in  mano 
degli  alleati.  Oitrc  di  che  conviene  riileltere,  che  l'arte 
della  guerra  avendo  per  mira  di  restituir  1"  equilibrio  tra 
forze  diseguali,  quanto  più  si  migliora,  tanto  più  serve 
a  mantenere  ,  o  ristabilire  la  pace  ,  unico  fine  che  possa 
giustificare  l'uso  dell'armi.  Queste  considerazioni  ope- 
rando neir  animo  dell'  augusto  nostro  sovrano  ,  l' indus- 
sero ad  ordinare  sia  dal  principio  del  suo  governo  ,  che 
fossero  dati  alla  stampa  alcuni  altri  trattati  del  D'Antoni , 
i  quali  correano  pericolo  di  venir  divulgati  con  minore 
lipiitazione,  essendone  già  sparse  le  copie  nelle  mani  di 
tanti  allievi ,  che  nelle  scuoio  gli  aveano  scritti.  Diede 
la  spinta  all'  accennata  deliberazione  la  richiesta  che  ne 
fece  prima  d'ogni  altra  la  corte  di  Francia  nel  lyyS. 
Imperciocché  fra  gli  artiglieri  Franzesi  essendo  insorti 
a  que' tempi  gravissimi  dispareri  intorno  a  diversi  oggetti 
che  si  agitavano  con  grande  animosità ,  e  somma  essendo 
la  riputazione  della  nostra  artiglieria ,  cresciuta  eziandio 
pel  saggio  pubblicato  degli  sludi  che  vi  si  fanno;  il 
ministro  della  guerra  ,  per  avere  un  sentimento  del  pari 
autorevole  ed  imparziale ,  fece  domandare  alla  nostra 
corte  una  copia  di  quegli  scritti,  che  valessero  a  deci- 
dere le  opinioni  contestate  :  e  con  molta  ragione  fu  qui 
creduto  più  opportuno  e  più  ouorevol  partito  il  man- 
darli stampali.  Fatte  pubbliche  in  tale  occasione  le  isti- 
tuzioni fisicu-rneccaniche ,  e  Vwliglieria  pratica ^  furono 
ambedue  quest'  opere    tradotte  in  Frauzcse. 


VITA     DEL    D  ANTONI.  297 

Cosi  diffusa  sempre  più  la  fama  delle  nostre  scuole,  la 
corte  di  Spagna  chiese  nel  1776  i  libri  non  ancor  pub- 
blicati àeW  arc/iileltura  militare,  che  furono  poi  succes- 
sivamente dati  alla  luce ,  come  pur  si  fece  degli  altri 
trattati,  che  tuttavia  rimanevano  inediti,  fra' quali. merita 
parlicolar  menzione  1'  uso  dell'  armi  da  fuoco  ,  degnis- 
simo supplemento  aire5a7?2e  della  poh  ere,  tradotto  esso 
pure  in  Franzese  e  in  Inglese. 

Ma  prima  che  si  ponesse  l' ultimo  termine  alla  pub- 
blicazione dell'  intero  corso,  si  ebbe  nel  1781  novella 
prova  del  credito,  in  cui  tenevansi  presso  le  altre  na- 
zioni i  nostri  studi  d'artiglieria.  Cresceva  alle  speranze 
de'  popoli ,  e  all'  aspettazione  degli  stranieri ,  rapito  poscia 
da  immatura  morte  il  principe  del  Brasile,  giovane  d'ele- 
vato ingegno  ;  e  a  fomentare  in  lui  1'  amor  delle  scienze 
inspiratogli  da  un  saggio  maestro  adoperavasi  efficace- 
mente,.  sebben  da  lungi,  Don  Rodrigo  di  Souza-Cou- 
tinho ,  che  delle  vaste  cognizioni  acquistate  iu  Parigi  nel 
conversare  con  uomini  sommi,  e  dar  opera  agli  studi 
più  profondi,  e  del  suo  soggiorno  iu  Torino,  ove  risie- 
deva inviato  straordinario,  approfittavasi  indefessamente 
per  procacciare  alla  sua  patria  ogni  sorta  di  frutti, 
che  la  coltura  delle  scienze  abbia  fatto  altrove  germo- 
gliare. Questo  stesso  ministro,  della  cui  prossima  par- 
tenza si  dolgono  grandemente  i  nostri  dotti  per  somi- 
glianza di  studi  da  lui  favoriti,  fra  le  altre  cose  appar- 
tenenti a  scienze ,  o  ad  arti ,  che  da  Torino  mandò  in 
Portogallo,  pensò  che   all'educazione    del  principe,   ed 

38 


298  BALBO, 

alla  propagazione  delle  buone  dottrine  in  quel  paese 
avrebbero  moltissimo  servito  non  solo  le  opere  del 
D'Antoni,  e  degli  altri  nostri  artiglieri,  ma  eziandio 
le  macchine  più  particolari  in  esse  descritte,  per  la  for- 
mazione delle  quali,  non  meno  che  di  altri  modelli  e 
stromcnti,  ottenne  licenza  dalla  nostra  corte. 

Al  desiderio  mostrato  da  tante    parti  di  valersi  de'  trat- 
tati ,   che  presso  noi  si  dettavano ,    corrispose  l' applauso, 
col  quale  furono  accolti.  Oltre  alle  traduzioni  che  abbiamo 
accennate,  ne  sia  prova  il  gloriarsi   che  facevano   gli  ar- 
tiglieri Franzesi,  ne' loro  scritti  polemici,  di  quegli  squarci, 
che  poteva  ognuno  citare    in  suo  favore,   e  il  ricercare 
in  particolare  i  consigli    del  D'Antoni ,    come    usava  fra 
gli  altri  il  Saint-Auban,  vantandosi  poscia  della  sua  appro- 
vazione,  e  pubblicando:*  «che  tutto  il  mondo  ne  cono- 
»    sceva  la  celebrità;  ch'egli  era  giustamente  riputato  il 
»    migliore,   e  il  piii  dotto    artigliere  d'  Europa;    che  le 
»    sue    opere  sopra    l'artiglieria   e    l'architettura  militare 
»    erano    premurosamente    ricercate    dai    dotti,    e    dagli 
»    uomini   di  quella  professione».  E  tanto  è  vero  ciò  che 
asserisce    1' autor  Franzese,    che  in   molti  luoghi  si  adot- 
tarono pel  pubblico  insegnamenti  i  libri  di  queste  scuole 
xtm.sior.jii  militari.    Dello    stato  Veneto  lo  narra    il    nostro    collega 

J??iV<iria,  annot.  ,  ...       -pi         • 

xxvj.p. ijj.     professore  Eandi;   e  quanto   alla  Germania,    di    Berhno 


*  Appendice  de  il."  de  Saint-Auban  au  mimoir*  sur   Its  nouveaut  syslémes 
d'urtillerie:  V.  alla   pag.  iSg, 


VITA    DEL    D  ANTONI.  Sgg 

scrivendo  il  Dcnirja*,  riferisce  come  testimonio  oculare: 
j>  che  i  trattati  del  signor  cavalier  D'Antoni  si  leggono 
»  qui,  e  servono  di  testo  ai  professori  d'artiglieria  per 
»  insegnarla  ili  giovani  uflìziali  ,  o  futuri  uffiziali ,  e 
»  non  solo  ai  professori  principianti ,  ma  ai  più  anziani , 
»  e  più  che  settuagcnarii  ;  e  che  i  più  stimati  ed  avau- 
»  zati  nel  mestiere,  autori  anch'  essi  di  somiglianti  trat- 
»  tati ,  fanno  pure  gran  conto  delle  opere  pubblicate  dal 
»  direttore  delle  scuole  militari  di  Torino,  anche  pre- 
»  scindendo  dal  grado  militare  ch'egli  tiene  sì  dcgna- 
»  mente ,  ma  pel  solo  titolo  di  direttore  delle  scuole 
»    d'artiglieria,  e  autore   di  que' libri  » . 

A  sì  magniflche  testimonianze,  che  l'unanime  consenso 
rappresentano  di  quasi  tutta  1'  Europa ,  troppo  vano  sa- 
rebbe eh'  io  volessi  aggiungere  altra  lode  ,  entrando  a 
ragionare  particolarmente  d'ognuno  di  quc' trattati;  e 
molti  d'essi,  siccome  puramente  elementari,  non  esigono 
più  minuto  ragguaglio  nel  narrare  ch'io  faccio  la  vita 
del  loro  autore;  non  dovendosi  altronde  negare ,  che  sic- 
come sempre  di  tal  sorta  di  libri  addiviene,  non  possano 
a  quest'ora  migliorarsi- d'assai ,  e  principalmente  per  le 
nuove  scoperte  fatte  dappoi  nelle  scienze ,  e  nelle  fisiche 
e  chimiche  soprattutto.  Ma  due  fra  gli  altri,  Y  esame 
della  pohere  ,  e  1'  uso  dell'  armi  da  Jlioco  ,    tante  cose 


*  ricende   ileììa    letteratura    lom.    Ili,    pensieri   diversi    %.    IV,    pag.   lOl, 
cdii.  di  Tornio.    Nella  Fiaiizese  di  Berlino  tom.  II,  pag.  ^o^. 


3oo  EAtBO, 

coatengono,  che  nuove  doveansi  riputare,  allorché  furono 
pubblicate,  e  servono  cosi  bene  ad  illustrare  una  parte 
non  volgare  della  nostra  storia  letteraria,  che  mi  è  sem- 
brato appartenersi  al  mio  presente  istituto  il  ricavarne 
tutte  quelle  pregevolissime  notizie,  che  in  un  raccolte, 
ed  accoppiate  a  pareccliie  altronde  procacciatemi,  mosti'e- 
ranno  chiaramente  quali  e  quanti  progressi  abbia  fatto 
presso  di  noi  la  scienza  dello  artigliere.  Del  rimanente 
non  professandomi  encomiatore,  ma  storico  del  D'An- 
toni, meno  mi  spiace  di  dover  seguitare  1'  esempio  di 
lui,  che  nelle  opere  stampate  non  mai  o  ben  di  rado 
se  medesimo  nominando ,  ed  indicando  sempre  accura- 
tamente quali  fra'  suoi  colleghi  avessero  avuto  maggior 
parte  In  que' lavori  scientifici,  viene  quasi  a  parere  rac- 
coglitore piuttosto ,  e  compilatore  di  cose  altrui ,  che  non 
autore  egli  stesso  di  tante  osservazioni ,  e  cooperatore 
insieme  co'  suoi  colleghi  nel  lunghissimo  corso  di  tante 
laboriose  sperienze. 

La  scienza  dell'  artiglieria  fu  sempre  fin  dal  suo  nasci- 
mento con  sommo  ardore  coltivata  e  promossa,  siccome 
in  tutta  Italia,  così  spezialmente  in  queste  nostre  Pro- 
vincie più  dell'  altre  esposte  a  frequenti  occasioni  di 
lunga  guerra,  e  a  quella  sorta  di  guerra  soprattutto,  che 
pili  si  prevale  di  artiglieria ,  aggirandosi  in  massima 
parte  nella  espugnazione  e  nella  difesa  di  ogni  maniera 
di  fortezze.  Fra' più  antichi  scrittori  d'arte  militare  dopo 
il  risorgimento  delle  lettere  è  da  collocarsi  Lodovico 
marchese     di    Saluzzo,    che    in    un'  accademia    da     lui 


VITA    DEL    d'anTONI.  3oI 

Instltuila   nel   suo   castello    verso    il  fine    3el  secolo  XV 
lesse  alcuni  ragionamenti  sopra   i  libri    di  Vegezio  *,  e 
ci-edesì  eh'  egli   favorisse  particolarmente  le  cose  spettanti 
all'architettura   militare  ed  alla  artiglieria:   al   qual   pro- 
posito osserva  un  recentissimo  scrittore,     come    a' nostri  . 
tempi   da  quello  stesso    casato  sia    surto  chi   tanto    onora  ^"77Cm!"  noi.' 
l'artiglieria   Piemontese,    il    signor    conte    Sahizzo.    Un  °'*'^"* 
bel  monumento  dell'antica  artiglieria  conservavasi  ancora 
sul  principio  di  questo  secolo  in  Torino**,  cioè  un  mortajo 
di  straordinaria    grandezza,    anteriore    all' invenzion    delle 
bombe,  perciocché  prima  delle  bombe  furono  inventati  i 
mortai  per  i'icagliare  o  smisurate  pietre,  o  gran  numero  di 
palle  infuocate.  Ma  per  la  strettissima  connessione  che  passa 
fra  gli  studi  d'architettura  militare,  e  quelli  d'artiglieria, 
non  può  dubitarsi  che  ove  l'una  fiorisce,  non  sia  l'altra  in 
vigore.  Or  noi  per  le  diligenti  ricerche  del  nostro  D'Antoni    -jirchUet.mUU: 
sappiamo,   che  veri  bastioni  di  buona  forma,  detti  allora  atusc,e,u,mii. 
gran   baluardi ,    ebbe  Torino    poco    dopo    la    metà  del 
secolo   XV ,    vale  a   dire   in  un  tempo ,    nel    quale    non 
si   sa   che  di    tal   sorta  ve   ne  fossero  altrov^e,   ed  appena 
si   ha  prova,   che    da    pochi    anni    fosse  nota  la  prima 


*  Monumenti  della  letteratura  Saluzzese  del  signor  Vincrnzo  Malacarne 
MS.  V.  pure  il  discorso  intorno  alla  storia  dei  Piemonte  drl  signor  conte 
Napione  al  §.  VII,  in  nota,  p.  204,  voi.  II,  deW  uso  della  lingua  italiana , 
e  il  voi.   I  di  quest'  opera    alla  pag.  87. 

**  Ne  fa  naenzione  Andrea  Bozzoline  alla  pag.  287  dell'opera  su» 
inedita  ,  di  cui  si  parlerà  qui  dopo. 


3oÌ  BALBO,. 

^«^""'pSu  irtipcrfelta.  ìBea  de' bastioni.  E  di  fatti  il  Roblus,  come 
È  nòli  scifniìo  cosa  molto  notabile,  osservò    nel  Tartaglia   la    pianta  di 

rfi  Nicolò  Tarla-     ^r^        •  ■  •  .  .,         .       ^.     .  - 

giia.y.  ixi.bro   1 01  ino  con  quattro  bastioni,  e  il  giudizio   del  piior    di 

Jf-r/o  ,    sopra    il  ^        ^ 

mojoJiforiific^r  Barletta,  che  fosse  perciò  inespugnabile  questa  nostra  città. 
E  a  chi  non  son  note  le  tante  fortezze  erede  poi  con 
?rte  pili  squisita  in  questi  paesi,  incominciando  dalla 
cittadella  di  Torino,  che  contasi  fra  i  primi  e  più  per- 
fetti esemplari  della  moderna  fortificazione?  Emanuele 
Filiberto,  che  la  fece  fabbricare  col  disegno  del  celebre 
Napione  rfi-.v  Pacciotti  da  Ui'bino ,   siccome  non  isdegnò   d'impiegare. 

uso  dfHa  ììn^tia  ■      ,  ,    - 

/M/.iih.iii  rap.  la  vittoriosa  sua  mano  a  congegnarne    il    modello,   così 

111    }.  Ili  ,   noia  _  . 

aiiappg.  120.  pm-  volle  gittar  egli  stesso  artiglierie.  E  forse  per  la 
protezione  di  quel  magnanimo  ^sovrano,  e  del  suo  suc- 
cessore, dotto  ad  un  («mpo  e  guerriero,  Carlo  Ema- 
nuele I,  l'artiglieria  sarebbe  giunta  a  grandissima  perfe- 
zione, se  non  le  fosse  mancato  il  presidio  delle  scienze 
più  sublimi,  delle  quali  più  che  l'arte  dello  ingegnere 
essa  tiene  Indispensabile  bisogno.  Prima  delle  scoperte 
del  Galilei  chi  poteva  ravvisare  la  legge  ,  con  cui  ven- 
gono scagliate  le  palle  e  le  bombe  ?  E  prima  che  per 
opera  del  Boile  e  dell'  Hales  fossero  noti  alcuni  fluidi 
invisibili  elastici,  chi  poteva  conoscere  il  modo  con  cui 
la  polvere  accesa  spiega  ad  un  tratto  1»  maravigliosa  sua 
forza?  Per  ciò  che  alla  balistica  appartiene,  egli  è  cre- 
dibile che  Donalo  Rossetti,  filosofo  Toscano  chiamato 
alla  nostra  corte  da  Carlo  Emanuele  II,  vi  portasse  i 
semi  delle  buone  dottrine.  Certo  è,  che  come  mate- 
matico fu  adoperato,  sebben  canonico  e  teologo,  in  cose 


VITA     DEL    d'aNTONI.  3o3 

milifari*,  ond' ebbe  occasione  d'inventare  qnel  suo  nuovo 
sistema  di  fortificazione  a  rovescio  :  e  fu  pure  impiegato  Torino  iti* 
neir  istruire  alcuni  de'  giovani  destinati  alla  professioa 
della  guerra.  Ma  il  merito  suo  maggiore  quello  è  d'  essere 
stato  maestro  di  Antonio  Bertola ,  che  di  oscuro  avvo- 
cato divenne  ingegnere  famoso,  e  disegnò  eccellenti  for- 
tezze, e  senza  voler  prender  parte  alle  fazioni  militari 
troppo  aliene  dal  primo  suo  istituto,  contribuì  tuttavia 
moltissimo  alla  difesa  di  Torino  nel  1706:  cosicché  il 
Rossetti  essendo  stato  discepolo  del  Borellì,  e  questi  del  iZ"^à°^)Ji'ci- 
Castelli ,  che  fu  discepolo  del  Galilei;  e  il  Bertola  sud-  "óufer  p.^osV 
detto  essendo  stato  maestro  dell'altro  Bertola  suo  figli- 
uolo adottivo,  autor  primo  e  direttore  delle  nostre  scuole 
d'  artiglieria  ;  si  può  dire  che  queste  in  certo  modo  di- 
scendano direttamente  dal  padre  della  moderna  filosofia: 
né  certo  si  mostrano  indegne  di  si  chiara,  discendenza. 
Xln  nobilissimo  retaggio  lasciò  il  Rossetti  al  prediletto 
discepolo,  cioè  i  suoi  libri,  e  manoscritti,  e  stromenti , 
preziosa  collezione  da  me  veduta ,  che  dopo  la  morte 
del  conte  Bertola  d'Essiglie  pasfò  nella  privata  biblioteca 
del  Re.  Come  poi  sul  principio  di  questo  secolo  noti 
fossero    e  praticati  ia  Torino    i  metodi    per  que'  tempi 


*  Fralle  nllie  sue  lellere  scrilte  da  Turino  al  principe  cardinale  Leo- 
poldo de'Mediri,  ed  iiisprite  nel  tomo  secondo  delle  I.eltere  inedite  di  uo- 
mini illustri ,  Firenze  1776  in  8°,  vedi  quelle  del  14  agosto  e  del  18  no- 
vembre 1674  •  ivi  alla  pag.  i44  "  *54-  V.  pure  altji  luoghi  di  quella  rac- 
solta  citali  nell'  indice  al  fine  d'  ognuno  de'  due  volumi. 


So4  BALBO, 

migliori  nella  professione  dello  artigliere;  come  anzi  qui 
si  fossero  piìi  che  altrove  perfezionati,  tanto  per  ciò 
che  risguarda  la  lega  e  la  fondita  de' cannoni,  quanto 
per  la  fabbrica  e  l'approvazione  delle  polveri;  come 
già  fin  d' allora  fosse  grande  la  fama  dell'  artiglieria  Pie- 
v.YtUneo  in  montcsc,  si  couoscc  da  un  raro  libro  di  Domenico  de' 
jic  ique.a^i   (]Qj.,.a(jj  ^' ^yjfpij,^  matematico  del  serenissimo  di  Modena, 

il  quale  in  occasione  delle  vertenze  insorte  per  la  pi'ova 
di  alcuni  cannoni  colà  gittati  nell'anno  1708,  pubbli- 
cando i  pareri  avuti  da  più  parti ,  di  quello  mandatogli 
da  Torino,  assai  più  che  degli  altri,  si  vale,  e  ben  a 
ragione,  per  esser  quello  di  gran  lunga  il  più  compito, 
il  più  ragionato,  il  più  dotto.  Viveva  appunto  in  quei 
tempi  Andrea  Bozzoliuo,  che  dettò  alcune  opere  molto 
MS.,  di  cui  v.  pregevoli,    e  presentoUe   manoscritte    nel     1717  a  Carlo 

in  UntYtltnco.      _,  i  n  •        •  t         •  t  nr  ti 

Himanuele  allora  prmcipe  ereditano.  Intorno  ali  arte  del 
minatore  non  credo  si  avessero  allora  migliori  insegna- 
menti di  quelli,  che  si  leggono  nel  secondo  volume  delle 
IZn'fm.'m'^i'^'s  ^s/norie  d' artiglierìa  del  San-Remy:  tuttavia  questo 
iaC^'iu'ly'^  autore  non  solo  viene  in  molti  luoghi  corretto,  ma  è 
sempre  superato  di  molto  dal  Bozzolino,  nel  cui  libro 
si  trova  il  frutto  della  pratica  acquistata  nella  difesa  di 
molte  fortezze ,  e  soprattutto  in  quella  di  Torino ,  ce- 
lebre nella  storia  militare  appunto  per  1'  uso  vantaggio- 
sissimo che  vi  si  fece  delie  contromine*.   Quanto  all'arte 


Robiiij,  Nouy.  princ.  (Tarlili.,  éJit.  de  Gicuoblc  pag.  89.  V.  pure  Memori» 


VITA     DEL    d'anTONI.  3o5 

del  bombardiere  non  ignorava    il  Bo?:zolIno    ciò  che  ne 
aveano    scritto    il    Tartaglia,     il    Galilei,    il    Torricelli, 
Diego  Ufiano  Spaglinolo ,   Daniel  Eiricli  Tedesco,  Maltiis 
Inglese;  ma  somma  essendo  a' suoi  tempi  la  riputazione  del 
Frauzese  Blondel ,   ilBozzolino  fece  prova  della  sua  sagacilà 
nel  migliorare  ed  aumentare  di   molto  le  cose  da  quello 
ingegnate.  Cosi,  per  esempio,  avendo  il  Blondel  imma";i-     T,aiic  icTari 
nato  varii  stromenti   a  risparmio  de' calcoli,  uno  de' quali  *"• 
fondato  sulla  teoria  del  nostro  Cassini,    il  Bozzolino    ne 
inventò  degli  altri  piìx  comodi,  o  a  parer  suo  piìi  esatti.  .^■''jf,'^';|  ^^* 
E   avendo  il  Franzese  fatto  varii  sperimenti    nell'  accade- 
mia   delle    scienze    coli'  intervento    del  Delfino    sopra  le 
curve  descritte  da'  liquidi,   mostra  acconciamente  il  nostro 
autore ,    non    potersi    quindi    argomentare   eoa  sicurezza 
le  linee  descritte  da'  solidi ,   epperciò  adduce  le  sue  spe- 
rienze   fatte  con  una  -palla   d'avorio  per  via    d'  un  inge-     Pag. 409 a;; 
gnosa    macchinetta  a  questo   fine  ideata.    E  da    tali  spe- 
rienze ,  e  dalle   osservazioni  fatte  sopra    i  corpi   scagliati 
dalle  artiglierie,  ne    viene   a  couchiudere    l' efletto   della     ^*'P'5«i, 
resistenza  dell'  aria  nell' alterare  la  curva,  che  in  uno  spazio 
vuoto  verrebbe  descritta  dai  corpi;  cosa 'non  bene  avver- 
tita fin  allora,  siccome  tanti  anni  dopo  più   dottamente 


islorìche  della  fpjerra  per  gii  slati  della  monarchia  di  Spagna  (  del  Padre  Gia- 
como San-Vitaie  )  Venezia  1734  pag.  352  lib.  VI  cap.  II.  Ivi  appunto  è 
Iodato  il  Bozzoline  insieme  col  cavaliere  di  Castellalfieri ,    il  quale  fu  coloa- 

■L-lIo  della  nostra  artiglieria, 

3s 


SoG  BALBO, 

ebbero  a3  osservare  ilfìobins  e  il  Borda*. Ma  donde  avven- 
ga che  la  resistenza  dell'aria  non  iscemi  fanto  1'  ampiezza 
della  cnrva  descritta  da' liquidi,  ciuanto  di  ciucila  descritta 
da' solidi,  spiegollo  ultimamente  con  singolar  chiarezza 
il  nostro  novello  socio  Ignazio  Michelolti**.  Non  picciola 
gloria  del  Bozzolino  è  quella  d'  aver  presentito  fin  da' 
suoi  tempi  questa  sottil  diflerenza.  Veggiamo  ancora  un 
altro  esempio  della  sua  sagacità.  Credevasi  allora  che- 
la polvere  accesa  si  convertisse  in  raggi  infuocati ,  i  quali 
nel  movimento  loro  seguitassero  la  legge  stessa  de'  raggi 
solari,  onde  n'era  nata  l'idea  di  configurare  a  guisa  di 
specchi  ustorii  parabolici  le  camere  de' mortai,  e  solo  nel 
iJf!,lct'\!f,TX-^.  ^7^*^  si  dimostrò  sperimentalmente  cjui  in  Torino  l' inu- 
I'.'^ooka."'""'  tilità  di  siffatta  figura.  Ma  persola  forza  d'ingegno  tanti 

Pag.  441  del  anni  prima    il  Bozzolino    ne    avea    compresa   l' assurdità. 
MS.  .  . 

Per  le  quali  cose  egli  può  a  buon  dritto  venir  commen- 
dato come  autore  perspicacissimo  nell'  arte  del  minatore, 
e  in  quella  del  bombardiere.  Distese  pure,  oltre  ad  alcune 
minori  operette ,  un  novello   sistema  di  fortificazione. 

Contemporaneo  del  Bozzolino  visse  un  altro  artigliere, 
che   inventò  una   sorta    di    cannoni,    ne'  quali    la    carica 

*  Rohins  ,  prefazione  e  scolio  alla  propos.  V  capo  W ,  àe'  nouveaux  prin- 
cipe! d'artillerie ,  Grenoble  pag.  me  seg.  e  174.  Borda,  Ac.  des  se.  de  Paris, 
1769,  hist.   117,   mém.  24^,    24^- 

**  Observotions  et  expiriences  sur  la  mesure  du  choc  d'une  veine  Jluide , 
par  M/ Ignare  Micheìotli.  'Mòm.  de  l'ac.  roy.  des  se.  (de  Turin  )  1788  89 
ad  calcem  HJémoires  prèsentès  pag.  21 ,  vide  §.  l3.  V.  pure  il  transunto 
degli  atti  della  reale  accad.  delle  se.  di  Torino  ,  compilalo  da  Prospero  Balio 
segretario  aggiunto.  Torino  1781  si.  reale,  8,  V.   la    pag.  33. 


VITA     DEL    d'aNTONI.  S'Oy  ' 

iutrodiiceVasi  poi  calcio;  e  fa(rane  prova  nell'assedio  di 
qnesla  cittadella  si  riputarono  d'^oltimo  servizio.  Fu  questi 
per  avventura  l'autore  di  uno  scritto  donde  ho  tratta  la 
suddetta  notizia*,  cioè  di  un  commeuto  sopra  il  voca- 
bolario formato  eoa  provvido  consiglio  per  ordine  del 
re  Vittorio  Amedeo  11  per  servire  di  norma  nello  sten- 
dere gì' inventarii ,  e  d'ammaestramento  a' novelli  ar* 
tigl  ieri. 

Tuttavia  mantenevasi  ancora  per  più  riguardi  imper- 
fetta la  teoria  e  la  pratica  di  questa  professione:  sola- 
mente nel  1726  furono  presso  noi  fissati  e  ridotti  a 
quattro  sorta  i  calibri  de' cannoni  :  prima   variavansi   so-     r^»  <''''■'««"' 

^  *■  ■  da  Jtto:o.  \.  So. 

Veute  senza  regola  certa. 

E  neir  anno  stesso  in  vece  dell'  antico  metodo  per 
l'approvazione  delie  polveri  si  cominciò  ad  impiegare 
un  novello  stromento ,  per  cui  la  palla  scagliavasi  in 
direzion  verticale.  Ma  dopo  dieci  anni  tornossi  all'  uso 
del  consueto  picciolo  mortajo  ,  e  le  migliori  regole  per 
valersene   non   furono   fissate   fino  al  ly^S**. 

Ma  essendo  ormai  pervenuta  la  nostra  narrazione  a'tcmpi 
del  D'Antoni,  ne' quali   troviamo  più  sicure  notizie,    e 


*  Tìizionario  istrutlwn  Ji.  tutte  le  robe  appartenenti  all'  artiglierìa.  WS.  di 
cui  son  debitore  alla  gcnlilezza  del  nostro  socio  professor  Eandi ,  non  meno 
che  del  sentimento    citalo   qui  dopo.   V.  il  catalogo   in  fine  di  questa  i-ita. 

**  Sentimento  sopra  la  prova  delle  polreri  praticala  in  questo  regio  arsenali, 
t  da  praticarsi  per  f  avvenire ,  ove  s'  eselude  il  metodo  tenuto  finora  ^  e  se  nt 
propone  altro ,  che  credesi  di  maggior  sicurezza  del  regio  ser^/izio.  Tonno  ; 
maggio   1745.  MS. 


5o8  BALBO, 

possiamo  a  luì  attribuire  gran  parte  dì  quella  lode,  che 
ia  generale  si  appartieue  agli  artiglieri  della  nostra  na- 
zione, ragion  vuole  che  si  tratti  alquanto  più  per  mi-, 
nuto  questa  parte  di  storia;  inassimamcnle  che  così  fa- 
cendo verremo  a  formare  quasi  un  l^reve  estratto  dì 
quelle  due  opere  del  D'Antoni ,  sulle  quali  abbiamo  sti- 
mato doverci   trattenere  più   a  lungo. 

Diremo  adunque,  che  nel  1732  tenendosi  in  Ales- 
sandria scuola  pratica  d'  artiglieria  ,  si  ricercò  diligente- 
mente la  causa  d'uno  straordinario  ed  irregolare  allai'^ 
gamento    del    focone  ,    che    servì  a   prescrivere    migliori 

nsD  deìr  armi  mctodi   per  accoppiare   a  dovere  lo  stagno   col  rame  nel 
infuoco  j.  112.  y  . 

gittare  i  cannoni.  Ma  siccome  dopo  la  guerra  sostenuta 
al  principio  del  secolo  trovaronsi  le  fortezze  provvedute 
d'artiglierie  gittate  in  varii  tempi,  e  presso  diverse  na- 
zioni, con  notabili  differenze;  si  ebbero  poi  frequentis- 
sime occasioni,  nella  guerra  cominciata  l'anno  lySS,  e 
nell'altra  successiva,  di  osservare  la  grandissima  diversità 
degli  effetti,  che  seguivano  nel  valersi  di  quell' armi.  E 
in  amendue  queste  guerre,  per  quello  spirito  di  osser- 
vazione che  animava  i  nostri  artiglieri,  non  si  ommet- 
teva  opportunità  di  esaminare  e  desci-ivere  con  somma 
k;§. 5c4i.  accuratezza  i  cannoni,  o  nostri,  o  presi  ai  nemici ,  che 
si  trovassero  guasti  e  rovinati  dagli  spari.  Ma  importante 
osservazione  per  l' arte  della  guerra  in  generale ,  e  par- 
ticolarmente per  r artiglieria  fu  quella,  che  dai  nostri 
dotti  militari  si  fece  nella  giornata  di  Guastalla  del  dicia- 
uovesimo  gioriio  di  settembre  l'anno  1734.  Usavasi  nello 


VITA   DEL  d'antoni.  5og 

scorso  secolo  a  scagliar  pietre  e  rottami  nella  difesa  delle 
fortezze  certo  cannone  assai  corto ,  in  que'  tempi  denominato 
pelriero:  con  accorciarlo  vie  maggiormente,  e  con  ampliarne 
il  diametro  crasi  formato  1'  obice  per  gittar  granate  :  e  dì 
quest'arma  novella  nanavansi  meraviglie  per  l'uso  fattone 
con  sommo  vantaggio  dal  principe  Eugenio  di  Savoja 
contro  la  cavalleria  Ottomana.  Ma  la  nostra,  bersagliata 
dagli  obici  Tedeschi  ,  ben  lungi  dall'  esserne  posta  ia 
iscompiglio ,  non  si  mosse  punto  dall'ordinanza,  sicché 
pii!i  volte  potò  con  esito  felice  assalire  il  nemico.  Bello  n-l-t'^- 
è  vedere  come  il  D'Antoni  spieghi  con  ragioni  fisiche, 
non  meno  che  morali,  s'i  notabile  differenza  d'effetti; 
donde  trattane  occasione  a  meglio  esaminare  la  natura 
degli  obici ,  e  ponderalo  questo  argomento  con  pro- 
fonda dottrina,  si  venne  a  ristrigncre  entro  più  angusti 
limiti  l'uso  di  quella  sorta  di  cannoni  già  prima  cosi  van- 
tato. Or  come  poi,  e  con  quali  forse  piii  sottili  accorgi- 
menti, siasi  novellamente  piià  che  mai  estesa  1'  usanza  degli 
obici,  nou  è  nostro    scopo  d'indagarlo. 

Dopo  la  pace  ,  e  prima  ancora  che  si  fondassero  le 
scuole  teoriche  ,  l' istruzione  degli  artiglieri  prese  novello 
vigore  per  l'esercizio  di  scuola  pratica ,  che  nelfanno 
1737  dalla  capitale  si  estese  a  tutte  le  città  presidiate. 
E  ancora  ci  rimane  memoria  dell'osservazione  che  allor  ^*.  f;r- 
si  fece  in  Valenza,  usando  un  cannone  gittgto  in  Pavia 
nel  secolo  scorso ,  che  si  trovò  eccellente ,  e  come  tale 
attissimo  ad  indicare  1'  ottima  combinazion  de' metalli 
nel   bronzo  delle  artiglierie. 


ÙiÓ  .T»T'    BALBO, 

Queste  pratiche  osservazioni  contribuirono  probabil- 
mente a  mostrare  la  necessità  di  ima  buona  teoria  ,  che 
fondata  sulle  scienze  fisiche  e  malcnialiche,  e  con  nuove 
esperienze  promossa  ,  l'osse  poi  tramandala  sicuranieufe 
a' giovani;  il  qual  fine  si  ottenne  colle  scuole  teoiiche; 
/..•«™Tms'°''  istituite,  come  abbiamo  accennato,  nel  jy-^g  io  Torino. 
Jl  sistema  di  queste  scuole  teoriche  e  pratiche ,  e  lo 
.  spirito  di  emulft/ioue,  ed  il  genio  della  vera  filosofia, 
che /quindi  ne  sursetio  ^.  e  rapidamente  si  piopagarono 
fi'a  i  nostri  artiglieri,  valsero  ad  acc()|>^3Ìare  mirabilmente, 
i  soliti  vantaggi  delle  istituzioni  scolasi iche  con  quelli 
delle  accademie  scientifiche;  imperciocché  non  paghi  i 
professori  di  rimettere  incorrotto  agli  allievi  il  deposito 
della  dottrina  a  lor  consegnalo ,  si  affaticarono; con  viivo 
zelo  ad  accrescerlo,  e  sempre  di  mano  in  mano  lo  lascia- 
rono a' successori  arricchito  d'assai:  attalchù  le  ricerche 
di  buon  accordo  intraprese,  e  a  buon  termine  portate 
da  molti  di  quegli  uomini  dotti ,  possono  a  l)uon  dritto 
paragonarsi  co' lavori  d'una  vera  accademia,  qual  fu  quella 
del  Cimento  ,  che  tutta  si  occupasse  in  comune  allo  sco- 
primento  del  vero. 

Ne  r  intrapresa  di  siffatte  ricerche  fu  punto  ritardata 
od  impedita  dalla  guerra  poco  dappoi  sopravvenuta.  Che 
anzi  questa  assai  più  della  precedente  somministrò  materia 
di  osservazioni  in)portanti ,  poiché  per  buona  sorte  più 
non  mancavano  gli  esperti  osservatori.  Fra  le  altre  cose 
rio  Stilarmi  accadde,  che  quando  si  trattarono  l'armi  frammezzo  alle 
nostre  montagne,  cioè  negh  anni  1743,   ■'744  >  ^  '747» 


VITA    DEL    d' ANTONI.  3ir 

sì  nofarono  grandissime  differenze  fra  i  tiri  degli  schioppi 
in  fondo  delle  valli,  e  quelli  che  facevansi  in  cima  dei 
monti;  che  fu  probabilmente  il  primo  fenomeno  onde 
fosse  spinto  il  D'Antoni  a  disaminare  più  sottilmente  le 
proprieti\  della  polvere;  giacchò  appimto  nel  primo  di 
quegli  anni  incominciò  ad  occuparsi  di  tale  argomento  :  poìfe'rTL^ilt 
e  lo  stesso  fenomeno  diede  occasione  a  dedurre  per  via 
di  esalte  sperienze  questo  bel  fatto:  che  ne' luoghi  più 
alti  riescono  più  hmghi  i  tiri ,  perchè  minore  è  la  resi- 
stenza dell' aria  più  rara,  sebbene  sia  minore  la  velocità 
colla  qual  esce  la  palla,  probabilmente  perchè  la  stessa 
aria  più  rara  è  men  favorevole  all'accensione  della  polvere,      ttjo  Jtir armi 

Nello  stesso  anno  1745  alla  batterla  della  scuola  pra- 
tica di  Torino  si  fecero  molte  sperienze  intorno  ai  can- 
noni caricati  a  cartocci,  come  dicesi,  di  mitraglia,  cioè 
di  picciole  palle  o  idi  rottami,  onde  si  poterono  fissare 
le  regole   migliori  per  l'uso    de' medesimi.  /i.j.ioicsrg. 

Ma  il  più'  splendido  esempio  di  dotte  profondissime 
ricerche  tranquillamente  intraprese  ,  e  senza  ipterrompi- 
mcnto  proseguite  nel  più  vivo  bollore  dell' arrni;  esempio 
che  forse  per  alcuni  rispetti  può  stare  al  paragone  di 
quello,  che  del  grande  Archimede  ci  narra  l'antichità; 
lo  troviamo  nelle  sperienze  incominciate  a' 7  dì  icbbrajo,   .  Es.  JeVa  poi», 

1  /  '     '    mila  dedica  e  al 

e  terminate  a' 3o  di  marzo  dell'anno  17  46.  Era  ingombro  '^■^^' 
da' nemici  quasi  tutto  lo  stato;  tenevano  i  Franzesi  grosso 
presidio!  in  Asti  ;  la  citladolìa  d'  Alessandria  stivlta    dagli 
Spngnuoli  di  lento  assedio  non  poteva  durare  più  a  lungo 
per  mancanza  di  nilmizioui,  e  per  impossibilità  di  soccorso; 


3  12 

né  più  resta\^a  riparo  che  potesse  trattenere  gli  alleatj 
dall' assediare  Toriuo  sul  principio  della  prossima  prima- 
vera. Non  disperò  della  pubblica  salute,  ne  la  fedele  e 
valorosa  nazione ,  né  il  prode  e  magtiauimo  re.  Un  suo 
v.Peznyc^mp.  dcgHo  mìiiistro  y  il  coute  Giambattista  Boerino,  niun'  arte 
'■  "■  usando  che  una  rarissima  sincerità,  delude    dall' un  canto 

le  insidiose  proposte  della  PVancia  ,  e  dall'altro  col  solo 
ajuto  del  Bertela  ordina  e  provvede  segretissimamente 
ogni  cosa,  onde  l' esercito  indebolito  e  sparso  ne' quar- 
tieri d'  inverno  inaspettato  si  presenti  a  combattere  il  pre- 
sidio d'  Asti:  cede  ciueslo  in  brevi  giorni  più  atterrito, 
che  vinto:  insospettiti  gli  Spagnuoli  di  si  nuovo  avve-^ 
nimento,  e  piìi  de'  nostri  negoziati  col  figlio  del  Gene- 
rale Franzese,  lasciano  Alessandria:  libero  è  lo  stato,  o 
si  porta  quindi  la  guerra  oltre  i  nostri  confini.  Il  che 
sia  detto  per  mostrare  c[uanto  in  febbrajo  e  marzo  (che 
appunto  sul  principio  di  marzo  occorse  il  narrato  rivol- 
gimento di  cose)  dovessero  gli  artiglieri  in  Torino  essere 
occupati,  prima  nell'  apprestare  ogni  cosa  per  sostenere 
l'assedio  creduto  imminente,  quindi  nel  provvedere  a 
tutte  le  occorrenze  della  guerra  ridestatasi  così  per  tempo 
in  quell'inverno.  Tuttavia,  chi '1  cicdcrebbe?  essi  tro- 
varono ozio  ed  agio  sufficiente  per  una  delle  più  difficili 
indagazioni  che  riguardino  la  scienza  dell' artiglie;re ,  cio^ 
per  conoscere  con  infinito  numero  di  spcricnze  in  parec- 
chie diverse  combinazioni  di  calibro  e  di  carica  le  lun- 
ghezze de' tiri.  Ed  è  da  notarsi,  che  quelle  moltiplicì 
sperienze  dirette  dal  De'  Vincenti  sono  tuttora  le  migliori 


VITA    DEL    D'ajJTON/.  3i3 

che  si  abbiano,    e   furono   per    certo   condotte  con    più 

squisita  attenzione  di  quell'altre  che  si  fecero  poi  in  prò-     Ei.^eVapoi,^. 

fonda  pace. 

Circa  quel  tempo,  o  poco  prima,  crasi  eccitato  io  Francia 
lo  stesso   desiderio  di  ricercare   qual   fosse   la  carica  atta 
a  produrre  il  più  lungo  tiro,    ma    degli  sperimenti   colà 
eseguiti  non  si  ebbe  in   Piemonte    che  una  vaga  notizia.     '  '"^ 
Più   avventurati  furono   gl'Inglesi,    che    presa    una  nave 
di  Francia    vi    trovarono    uu   ragguaglio    manoscritto  di 
molte  sperienze,   il  quale  dal  celebre  Lord  Anson  comu- 
nicato  a  Beniamino  Robins,    servì    a  questo  d'  occasione 
per  pubblicare  nel  1747  una  sua  operetta  ,   in  cui  però  non  A^txlZlu!'^. 
si  trova,  come  potea  bramarsi,  esatta  notizia  dello  scritto  g?à'ciùio!  ^'"^'* 
Franzesc.  Pervenne  pure  in   Malto  qualche  relazione  degli 
sperimenti  di  Francia ,   che  non   pare   fosse    la   medesima 
esaminata  dal   Robins,   e  il  Marandone  ingegnere  dell'or- 
dine Gerosolimitano  fu  incaricato  nello  stesso  anno  1747  di 
ripetere  somiglianti  sperienze  ;   il  che  avendo  egli  eseguito, 
giudicò    non     senza    fondamento ,     che  fosse  più  debole 
della  sua   la  polvere  di  Francia,  onde    si  dovesse  variare 
alcuna  cosa  nelle  conseguenze  che  si  erano  dedotte  ;   ed 
essendo  egli  di  nascita  Piemontese,  non  volle  ommettere 
di  mandare  a'  nostri    artiglieri    la  descrizione    di    quanto     F.i.JtiUpoU. 
aveva  operato.  Gli  sperimenti    Franzesi,    o    almeno  quelli 
fatti    a  Dunkerque,  furono   poi  descritti  in  parecchi  libri, 
e    concordano    assai    bene    colle    massime  insegnate    dal     rsoJdfarmi 
D'Antoni.  Ma  grande  essendo   fin   d'allora  la  riputazione 
del    Robins    per    l' opera   dettata   pochi   anni    prima  col 

40 


3  J  4-  BALBO, 

Robin»  «li. di  ^''"'^^  di  nuovi  princ/piì  d  ai  lìglierìa  f  il  nostro  mmistro 
f'™v,1igìà''ct-  presso  la  corte  di  Londra,  cavaliere  Don  Giuseppe  Ossorio, 
taioc/CTio.  ^^  incaricato  di  cousullarlo  sopra  la  sfessa  laalo  dibattuta 
questione  della  luiigliezza  de'  tiri.  Rispose  1'  Inglese  al 
prchidoute  della  società  reale ,  per  cui  mezzo  era  passata 
là  richiesta,  non  aver  egli  veramente  trattalo  ancora  di 
proposito  questo  punto;  ma  scbben  sostenesse,  da  quel 
sottile  ragionatore  eh'  egli  era ,  aumentarsi  sempre  la  ve- 
locità della  palla  coli'  aumentare  la  carica ,  non  lasciò  di 
dare  alcune  saggio  avvertenze,  le  quali  però  non  battono 
sopra  i  limiti  e  le  cagioni  della  lunghezza  massima  de' tiri, 
ma  bensì  sopra  1'  uso  ,  che  per  varii  motivi  vuoisi  fare 
delle  cariche  mediocri,  e  spesso  ancora  delle  piìi  tenui 
preferibilmente  alle  più  forti. 

Intanto  i  nostri  non  tralasciavano  d'andar  aggiungendo 
qualche  fatto  novello  alla  scienza  con  tanto  ardore  col- 
tivata. Potevasi  dubitare,  che  quando  i  cannoni  sono 
tnolto  riscaldati ,  la  tenacità  del  bronzo  ne  fosse  dimi- 
nuita a  segno  da  doversene  tener  conto  nel  fissarne  la 
spessezza.  Questo  timore  fu  dileguato  dallo  sperimento 
fatto  in  gennajo  del  1747  sopra  uno  de'  cannoni  resi 
■tìso  dcir armi  inutili  uclla  espugnazione  della  fortezza  di  Savona.  Così 
""'  pure  nel  1748»  ^  nell'anno  seguente  si  riconobbe  colle 

più  adattate  numerosissime  sperienze  la  bontà  della  lega 
li.  f.  46.       pe'  cannoni  gittati  a  que'  tempi. 

Nella  primavera  del  1760  da'  parecchi  uffiziali  spe- 
zialmente deputati  ad  esaminare  varie  materie  d'artiglie- 
ria, a  quali  presiedeva  il  cavaliere  Ferrerò  Pouziglione, 


VITA     DEI.    d'aNTONI.  5i5 

furono     fatte    nuove     sperienzc    differenti    dalle     prime    RcpioTigUeito 

citi  Sfebljr  1710. 

intorno   alla    lunghezza    de' tiri:    imperciocché    in    vece,  v.p:nc e,  Jciu 

o  L  '    potr,  ^.  101. 

che  le  prime  erano  state  fatte  coli'  asse  de'  cànnoui 
orizzontale ,  queste  si  fecero  con  li  cannoni  innalzati 
alla  maggior  elevazione  ,  che  aver  potessero  nelle  casse. 

Nel   1762  Isacco  Francesco  Antonio  Matlei  Ginevrino,     k.. Jtiiapob. 
regio   macchinista,   inventò  uno  stromento  per  fare  spe- 
rienze  sopra  1'  accensione  della  polvere  entro  una  chiusa     {.<5  iofig.iii. 
capacità,  ed  entro    al  vuoto,   conservando    però   attorno 
alla  polvere  l'aria  opportuna  per  la  sua  prima  accensione: 

..  •  X  •  Ji-         1   •  ••  «.    55    Cg.  IV 

mvenfò  parimente  una  spezie  di  schioppo  pneumatico,  ev. 
in  cui  la  palla  è  spinta  dal  fluido  elastico  della  polvere, 
dopo  che  questa  ha  giì\  terminato  di  abbruciare;  ed 
un'altra  macchina  per  misurare  Con  un  barometro  ad  j-mesegeg. 
acqua  la  densità  ,  e  1'  elasticità  del  suddetto  fluido  ,  se- 
parandone, per  quanto  ò  possibile,  il  fumo,  e  notabil- 
mente scemandone  il   calore. 

Ma  forse  la  più  ingegnosa  invenzione  del  Mattel  ò 
quella,  per  cui  pervenne,  non  so  bene  in  qual  tempo,  i- '«i- 
a  misurare  la  velocità  della  palla  nel  primo  uscir  dalla 
canna,  col  mezzo  d'una  ruota  orizontale,  che  gira  rapi- 
dissimamente, e  porta  sulla  sua  circonferenza  una  fascia 
verticale  di  carta,  la  quale  perforata  in  due  luoghi  dalla 
palla  ne  segna  la  velocità  colla  distanza  de'  due  fori  dal 
diametro.  Prima  dell'  invenzione  di  tal  macchinetta ,  che 
fu  poi  ridotta  a  maggior  perfezione ,  Come  vedremo  bea 
tosto,  e  che  meriterebbe   il  nome  di   cronomicrometro  , 


3l(j  BALBO, 

non  crediamo  che  si  fossero  giammai    potute    discernei'e 
e  misurare  si  minute  frazioni  di  tempo. 

Ingegnosissimo  pure  è  lo  stromento  dallo  sfesso  Mattel 
immaginato  in  luglio  del  1769*,  e  denominato  la  sa/«/a, 
che  introduceudosi  nel  vano  de' cannoni  ritrae  in  disegno 
l'esatta  figura  della  concava  lor  superficie,  tutte  notan- 
done le  scabrosità   e  le  inìperfezioni. 

Ma  già  prima  di  questa   invenzione ,    cioè  nel  maggio 

TTsodcìrami  jg|  lyBS,  gli  uffiziali  dell'artiglieria  destinati  all'esame  di 
molti  punti  relativi  all'  arte  loro ,  aveano  cominciato  ad 
osservare  con  ogni  possibile  diligenza  i  difetti  prodotti 
dallo  sparo  nello  interno  de'  cannoni.  Tuttavia  dopo  il 
l'itrovaraento  della  sci??iia  si  rinnovarono  con  miglior 
esito  queste  ricerche ,  in  giugno ,  agosto,  e  settembre   del 

5.38-44.  lySg,  usando  cannoni  di  diverse  leghe,  onde  scoprire 
quale  per  questo  rispetto  fosse  la  migliore:  e  nell'anno 
medesimo  essendosi  minutamente  visitato  un  numero  gran- 

j, 5J.  dissimo    di  cannoni  gittati    coli' anima,   si  potè  conchiu- 

dere che  torni   meglio  gittarli  massicci  per  quindi  trivel- 
larli ,  nella   qual  operazione ,     al    trapano    verticale ,    che 

Kegio  vigiiet.  prima  era  in  uso  ,  fu  sostituito  1'  orizzontale  fatto  costrurre 

giàcilalo  «lei  IO  .     . 

Bpr.  1760.         dal  Mattei  mtorno   al   1700. 

Neil"  anno  stesso    1769    il    commendatore    De'-Vincenti 
colla  solita  sua  diligenza,    e  coU'ajuto    di  molti  uffiziali 


*  Regio  viglielto  del  20  aprile  1760  al  marchese  Pallavicini  gran-mastro 
dell'artiglieria.   V.    pure  uso   bell'anni  §.  og. 


VITA    DEL   d' ANTONI.  ZiJ 

fece   parecchi  sperimenti,   da' quali  risultò,   che  la  diversa 
proporzione  tra'l  diametro  dt-l  cannone  e  quel  della  palla 
influisce  sopra  il  modo   dell'accensione   della  polvere,   e 
sopra    i  suoi  effetti,     onde     si    venne   a    conoscere   qual      rtaittfamù 
sia  il    vento  piìi   convenevole. 

Uà'  altra  ricerca  assai  importante  non  solo  per  l'arte 
del  gettatore,  ma  per  la  fisica  in  generale,  fu  intrapresa 
in  queir  anno  per  determinare  la  durezza  di  alcune  sorta 
di  stagno ,  e  di  rame ,  e  delle  leghe  fatte  con  molte  di- 
verse proporzioni  di  rame,  stagno,  e  zinco ,  le  quali  for- 
raavansi   ne  crogmoli   dal   maggiore  Ronzini  direttore  del  tuiioni  jisicn. 

meccaniche  \.  64 

laboratorio    metallurgico.    Frutto    di   queste  sperienze    fu  ««'■'• 
probabilmente  la  nuova  lega  stabilita  nell'anno  seguente*. 
Lo  stesso  Ronzini  in  agosto  del  1761  sperimentò  accu- 
ratamente le  diverse  lunghezze  de' tiri  secondo  le  diverse 
qualità  di  polvere,   affine  di  trovare  qual  fosse  di  queste  la 
migliore,    come   pur  si  era  fatto  esaminando   le  velocità  j. fgg.'''"'^'''''' ' 
-iniziali.  E  in  giugno   del    17G4  si  fecero  poi  le  più  con- 
cludenti sperienze   sopra   le    lunghezze    de'  tiri ,    non  più 
per  conoscere  la  loro  corrispondenza   col  calibro ,  o  colla 
carica,  o  colla    obliquità    delle    canne  all'orizzonte,   ma 
bensì  affine    di   dedurne    le    leggi    della  resistenza    dell'     !•  »8S  187. 
aria. 


•  Uso  àeir  armi  §-45,  e  regio  viglielto  delio  d' aprile  1760 .  per  cui  ven- 
nero fissati  gl'ingredienti  del  bronzo,  e  prescritti  i  saggi  da  farsi  de' nuovi 
cannoni ,   citato  alle   pag.  zzS  e  23a  dell'  arliglieria  pratica  lib.  I. 


5lS  BALBO, 

In  luglio  (leir  nnno  medesimo,  il  cavaliere  Debufet,' 
nostro  accademico,  allora  sottotenente  d' artiglieria,  diede 
il  primo  saggio  della  sua  ben  nota  perizia  nelle  cose 
meccaniche,  adattando  un  nuovo  meccanismo  alla  ruota 
Es.dcHapoh:  girante  del  Mattei  per  misurare  le  velocità  iniziali.  La 
palla  rompendo  un  filo  nell'  uscir  dalia  bocca  mette  ia 
libertà  la  molla,  che  viene  a  comprimere  uno  stile  sopra 
la  ruota,  finché  la  palla  medesima  urtando  in  un  vicino 
bersaglio  nuovamente  allontana  lo  sfile. 

Nella  primavera  del  1770  troviamo  che  in  questa  scuola 
pratica  si  fecero  altre  sperienze  per  osservare  se  i  can- 
noni della  nuova  lega ,  anche  riscaldati  colla  possibile 
frequenza  di  tiri,  fossero  atti  a  proseguire  il  fuoco  senza 
.  3^*'"'''"' ''™'  pericolo  di  spaccarsi,  come  di  fatti  trovossi.  E  da  queste 
stesse  sperienze  si  conchiuse  doversi  tralasciare  l'usanza 
di  praticare  in  fondo  del  vano  un  camerino  corrispon- 
*■  "*"■  dente  al  focone. 

Ma  nell'  anno  seguente   provossi   con  altro   sperimento 
^"  '^'  la   somma   resistenza  di  un  cannone    della  stessa  lega  ,  e 

si  verificò  r  eccellenza  de'  nuovi  metodi  di  porre  il  grano 
*•  "9-  a' cannoni. 

Di  queste  tante  ricerche  e  di  altre  molte  che  non 
abbiam  potuto  accennare ,  valendosi  maestrevolmente  il 
D'Antoni  ,  compose  prima  quel  suo  bel  libro  sopra  la 
drMib'm  h!"  pol^'ce  eh'  egli  stava  già  preparando  nel  1759 ,  sebbea 
"""''"'"•  '"''"•  solo  il  pubblicasse  sei  anni  dopo  ;  e  trascorso  cjuindi  un 
lungo  spazio  di  tempo ,  vi  aggiunse  un  ampio  supple- 
mento scrivendo  il  trattato  sopra  1'  uso  dell'  armi  da  fuoco. 


VITA    DEL    d'aNTONI.  Sig 

Se   al    gran   numero    de'  l'atti    in    questo    modo   raccolti , 
se   alle  profonde  considerazioni  sopra   di   essi  impiegate , 
se  alle  dottrine  fisiche  e  matematiche  destramente  maneg- 
giale per  servire  al  suo  scopo,   avesse   l'autore,   o  alcuno 
de' suoi  principali  colleghi,    accoppiata  qualche   maggior 
perizia  nelle  cose  chimiche ,  per  quanto  iilmcuo  lo  com- 
portavano i  suoi  tempi,    sarebbero   i  suoi   libri  eziandio 
per  questa  parte  pregevolissimi ,  sebbene  anche  in  questa 
superò  di  molto  gli  artiglieri   che    fin    allora   ne  avevano 
scritto,  e  che  appunto  non  erano   iniziati   nella  clumica. 
Ma   d'altra  parte  i    chimici,   che   avevano    trattato    della 
polvere,    o    de  fluidi    elastici,    o   del  fuoco,   non   erano 
punto  artiglieri,  epperciò  furono  poco  noti   al    D'Antoni,     Es.itUapoit, 
trattone  il  Boherave.   Il    conte   Saluzzo,    giovane  uffìziale 
d'artiglieria,   ma  già  valentissimo   chimico,  aveva  appena  t.  u'ii.  vedi  li 
toccata  la  parte  piìi  vicina  alla  pratica,   volendo,  com'egli 
protestossi  modestamente ,    riservarne   intera    la  gloria  al 
D'Antoni.    Tuttavia    non    v'ha    dubbio,    che    gli   scritti  pag^Tif^nèiJ 
del    Saluzzo    inseriti    negli-  atti     della    nascente    società,  ""     ^' 
che  da   lui  principalmente  fondata  fu  l' origine  prima  di 
questa  nostra   accademia;   non    v'ha  dubbio,    dissi,    che 
quegli   scritti    non    contengano   molti   fatti  degnissimi  di 
venir  applicati  alla  scienza  dell'artigliere,  oltre  all'essere 
poi  sempre   memorabili ,    come   che    quasi  soli    possono 
riempir  X  intervallo  tra  Halcs  e  Priestley  nella  storia  delle 
scoperte  intorno  ai  fluidi  aeriformi.  Quanto  poi  agli  scrit- 
tori stranieri,    non    pare    che    il  D'Antoni  ne  conoscesse     Es.d,Vapeì,, 

'  '  }.  l«f.   ìitil.Jit. 

alcuno  fuori    del   Robins,  e   di  questo   soltanto  T  opera  ■"«:•"  «"• 


020  BALBO, 

principale,  e  forse  più  per  fama  che  per  lettura ,  ma 
forse  ancora  provenne  il  suo  silenzio  dall'  aver  credulo 
bastevole  di  confularli  indirettamente,  siccome  indirct- 
i  ^s-'5Ó''sr87  tamente  confutò  più  volle  lo  stesso  Robins.  Noi  stimiamo 
'  ^  '  "■  opportuno  di  accennare  almeno  qualche  punto,  in  cui 
dopo  i  precedenti  scrittori  sembra  clic  la  scienza  abbia 
fatto  per  opera  del  D'Antoni   alcun  reale  progresso. 

E  prima   di    tutto  egli  usò    la   cautela   di  fare  accurata 
distinzione    tra  le  diverse    sorta   di   polvere  che  sono  in 
uso ,    e   loro   assegnare    costanti   denominazioni ,   adope- 
rando così  maggior  varietà,   e  maggior  esattezza  del  l\o- 
FJii.  di  Gre-  bins,  il  quale  ha   sperimentato   con   una    sola    specie    di 

nobli'  p.  3i5.  \ .  •'  *  '■ 

UciiMo  cUnco.  polvere,  ed  ha  lasciato  qualche  dubbio  sopra  le  propor- 
zioni degV  ingredienti.  In  vece  poi  che  le  sperienze  dello 
N-.  ithnco.  Hauksbee  intorno  all'  accensione  della  polvere  nella  cam- 
pana pneumatica,  aveano  solo  per  oggetto  di  mostrare 
l'esistenza  del  fluido   elastico  che  dalla  polvere  si  svolge, 

j. fi//"'.'"''  quelle  del  D'Antoni  mirano  eziandio  a  provare  un  altro 
fatto ,  che  non  pareva  avvertito  fuorché  dal  coote  Saluzzo , 

l-àii^saiuce'ei.c   "°^  '^  P^*^  difficile   accensioue ,   quanto  più  l'aria    è  di- 

l'.'j  ^°"'"''  radala;  aggiungendovi  pure  il  caso  somigliante  del  so- 
verchio fumo.  Alcune  altre  sperienze    servono    a    dimo- 

.  ff'^l"'' '"''■'•  strare,    che    l'accensione   non   è  istantanea,    ma   che  la 

i-  33   48-51  j6- 

'*•  velocità ,    colla  quale  il  fuoco   s  appiccia   da    un  granello 

all'altro,  è  maggiore  di  quella,  colla  quale  penetra  nell' 
intima  .sostanza  di  ciascun  granello  ;  il  che  può  servire 
a  conciliare   il  Robins ,    che    avea   supposto  1'  accensione 

Chsp.  T  prop. 

rutiSc/iaiit,  istantanea,   co' deputati   della   società    reale    di  Londra, 


VITA  DEL  d'Antoni.  Sai 

ì  quali ,  a  lui  contraci iccudo,  aveaao  sperimentalmente  mo-    p'-h-  !•■<"•>.  M. 

...  ^65.p.I7J,rtN. 

Strato  un  residuo  di  granelli  spenti,  ma  peraltro  io  minor  ^«s^nobinsedìi. 
quantità  quando   erano  più  piccoli  i  granelli;  il  che  con- 
corda colle  sperienzc  del  nostro  autore,  E  questi  in  altro  ..  fj' fj"" '""''" 
luogo  dimostra   ci&  che  i  deputati   medesimi  aveano  pur     }•  «7. 
fatto   vedere  contro  il  Robius,    che   tanto    più   compita-    £«"<■'■'. psu, 
mente  s'  infiamma  la  polvere,  quanto  è  maggiore  la  lim- 
ghezza  della  canna .  o   più    propriamente   lo  spazio  che 
rimane  tra   la  palla  e  la  bocca.  Quanto  al  fluido  elastico, 
che  ora  gli   oltramontani  dicono  gaz ,  e  noi  chiameremo 
fluido   aeriforme,    gii  noto    al  Boyle,     e  a  tutti    i   fisici 
posteriori,   il  D'Antoni  fa  vedere  che  1' elasticità  di  quel     E!.,ìJhpoh. 
fluido  è  permanente,    della  qual  cosa  per  le   esperienze 
dello  Hauksbee  potea  forse  nascer   dubbio,   se  quelle  del  Greuob!'p.'V4il 
eonte  Salazzo  non  l'avessero    tolto*;  e  di  più  aggiunge 
ch'esso  fluido  dal  solo  nitro  si  svolge,  e  non  dagli  altri  j. fi, Vt',";)'^?''' 
ingredienti  della  polvere,  come  lo  stesso  conte  Saluzzo 
avea  già  avvertito.  Tutti  sanno  che  a  quei  tempo  non  si 
conosceva ,     né  si  poteva   conoscere     1'  intima    natura  di 

'  Sulle   dei  rei 

questo  fluido,    cioè    dell'aria  pura  o  vitale,    ne    perciò  ^|Jr''j"'j"**' 
potcano  compitamente  spiegarsi  i  fenomeni  della  polvere. 
Egli  è  però  notabile    che    la   moderna  dottrina   ha  poco 
aggiunto    alla   spiegazione    del  D'Antoni    e    del  Saluzzo, 
in  vece   che  si  è   trovata  falsa  quella   del  Macquer  e  del 


\ 


*  Mise.  soc.  Ttur.  tom.  I,  mém.  du  ches\  Saluces,  etc.  num.  8,  et  cxpér.  IlL 
Suite  det  reckerches ,  eie.  daus  le  mume   volume  §.  3. 

4^ 


32?  fcALBO, 

Baumè  ,  non  ostaute  le  belle  sperienze  da  questo  fatte 
in  compagnia  del  D'Arcy  *.  Comunque  sia ,  dopo  la  sco- 
perta di  questo  fluido  elastico  della  polvere  ,  solcano  i 
fisici  attribuirgli  intero  l'  eHetto  che  nell'  accensione  della 
medesima    s' osserva  :     più  cautamente    giudica    il  nostro 

j.fg; sj'/s^."'"'  autore ,  che  l'aria,  e  il  fumo,  ed  i  vapori  vi  abbiano 
qualche   picciola  parte ,  conciliando  quasi  a  questo  modo 

po^roT""'^  l'opinione    del    Newton    con    quella    del  Boyle.  Ma    se 

p.fsj'"''^"  ""■  picciolissima  è  l'influenza  dell'aria  frapposta  tra'granelh*, 
o  ad  essi  contigua ,  nel  contribuire  all'  efletto  della  pol- 
vere per  via  della  sua  elasticità  rapidamente  accresciuta 
dal  fuoco ,  è  per  altro  importantissima  la  sua  operazione 
nel  favorire  e  promuovere  1' accendimento;  il  che ,  oltre 
alle  cose   già  dette ,  viene  poi  piìi  manifestamente  pro- 

^'•^'"^j'"''''-  vato  dal  D'Antoni.  Da  questa  verità,  come  da  ogni 
altra  dimostrata  nel  suo  libro ,  egli  ne  trae  moltissime 
pratiche  conseguenze  ,  e  fra  le  altre  cose  spiega  l'influeaza 
dello  stato  atmosferico  nelle  lunghezze  de'  tiri ,  contra- 
dicendo al  Robins  che  solo  all'  umidità  e  non  alla  densità 

Cap.i.prop.x.  (Jeii' aria  j^g  voluto  aver  riguardo.  Quindi  ne  avviene 
ch'egli  può  dimostrare  più  compitamente,  che  non  avea 
fatto    lo    scrittore  Inglese ,  l' imperfezione    degli    antichi 

j.84Ìi3i.'''°  '  metodi  per  1' approvazione  delle  polveri,  a' quali  un  nuovo 


*  Si  possono  vedere  indicale  nei  dizionario  del  Macquer ,  con  note  dello 
Rcopoli ,  all'  articolo  palmiere  d'  archibugio  ,  e  negli  elementi  di  chimica  del 
Fourcroy ,  edizione  del   1786 ,  voi.  II ,   p.  4^6  e  seg. 


VITA   DEL    d'akTON/.  323 

ne  sostituisce  assai  più  acconcio,  che  noi  non  possiamo 
paragonare  con  quello  annunziato  soltanto,  ma  non  fatto  xm!'"' '"''"*'*" 
pubblico,  dal  Robins.   Ed  in  altro  luogo  descrive  un  or- 
digno  nuovamente    immaginato    per    fare   con    maggior     ^'- <'«"'» r»''- 
esattezza  tal  sorta  d'esperienze. 

Entrando  poi  nella  ricerca  delle  cariche,  con  cui  si 
ha  da' cannoni  il  tiro  più  lungo,  ed  esaminata  prima  §•  ss» «me- 
teoricamente la  questione ,  distingue  tre  maniere  di  espe- 
rienze,  che  possono  intraprendersi  a  questo  fine;  o  ritro- 
vando la  velocità  iniziale  della  palla ,  cioè  misurandola 
vicino  alla  bocca;  o  misurando  le  immersioni  della  palla 
in  un  bersaglio  ;  ovvero  misurando  la  lunghezza  mede- 
sima de' tiri;  la  qual  ultima  maniera,  avvegnaché  la  più 
diretta,  è  per  altro  a  giudizio  del  D'Antoni  la  più  in- 
certa. Fu  questa  tuttavia  adoperata  ,  siccome  sopra  abbiara 
detto,  con  ogni  più  squisita  diligenza,  epperciò  con  non 
mediocre  frutto;  ed  essendosi  in  tale  occasione  misu- 
rato eziandio  lo  arretrarsi  de' cannoni,  quindi  ne  prende  ar- 
gomento il  D'Antoni  di  ragionar  dottamente  sopra  questo  }  so,  91-95. 
punto,  non  meno  che  sopra  il  rimbalzo  del  calcio  di 
basso  in  alto,  oggetti  ambidue  non  toccati  dal  Robins.  Jsi-ss. 
Per  vero  dire,  le  sperienze  del  1760  discordano  nota- 
bilmente dalle  altre  del  1746»  ma  queste  ,  che  meritano 
per  molti  riguardi  la  preferenza ,  bastano  sole  a  provare  in 
qualche  caso  la  falsità  della  massima  che  l' autore  Inglese  si  è     Robim,  «;t. 

_  de  Grmoble  paf^ 

aHaticato  di  stabilire,  cioè ,  che  quanto  è  maggiore  la  carica ,  <><>/•  '^''^'-  ^'■ 

'  '  ^  ""  'il  dialo  citnco, 

tanto  maggiore    sia   pure   la   velocità  della  palla.   Imper- 
ciocché   il  nostro  autoi-e  a  sufficienza  dimostra,    che  vi  5.87'"  '  "'""* 


3t24  sai  bo, 

ha  nella  dose  ilella  carica  un  punto  massimo  ,  oltre  il  quale, 
in  vece  di  crescere,  vien  anzi  a  scomare  la  forza  ,  con  cui  la 
palla  è  spinta;  e  ciò  per  due  ragioni;  perchè  non  tutta 
la  polvere  può  accendersi  cosi  rapidamente,  quanto  quella 
parte  che  basta  a  spingere  la  palla;  e  perchè  crescen- 
dosi il  volume  della  carica  si  avvicina  sempre  più  il  sito 
della  palla  alla  bocca  del  cannone,  onde  riesce  piìi  breve 
lo  spazio,  per  cui  continua  la  palla  ad  essere  sollecitala 
dalla  successiva  dilatazione  del  fluido  elastico.  Questa  se- 
conda cagione  è  bensì  ammessa  dal  Robins,  ma  non  la 
prima,  come  altrove  abbiam  detto,  la  quale  per  altro  è 
la  pili  principale.  Mostra  di  più  il  nostro  artigliere,  che 
non   solo  è  necessario  di  sbandire  affatto  affatto  tutte  le 

Es.  ieiiapoh.  cariche  soprabbondanti ,    di  cui  facevasi  abuso  ,     ma  che 
§.  35,  106,  i  ' .  ' 

eziandio  non  conviene  di  usare  le  cariche  massime,  salvo 

in  caso    di  assoluta  necessifti.    Dopo   aver    fissate    per  la 
\.  «03.  t^  r 

pratica   tutte  le  più  convenienti  cariche,  passa  a  riferire 

f.  108-110.        ^  .  r  ■   r 

alcune  sperienze  per  far  vedere  quanto  la  differente  lar- 
ghezza del  focone  contribuisca  essa  pure  a  variare  la  forza 
della  palla. 

Avendo  poscia  l'autore  misurata  la  densità,  e  1'  elasticità 

j  114  e  scg.  del  fluido  sviluppato  dalla  polvere,  e  ridotto  alla  comune 
temperatura  dell'  aria ,  dimostra  come  dagli  sperimenti 
possa  dedursi  ed  esprimersi  con  formola  algebraica  la 
densità  dello  stesso  fluido  quando  ancora  sta  imprigio- 
nato   entro    il  salnitro.    Quindi    supponendo    che   questo 

^"  "*'  fluido  pesi  quanto   f  aria ,   e  posta    la    proporzione  della 

gravità  specifica  del  nitro  a  quella  dell'aria,   come  mille 


VITA   DEt,   d' ANTONI.  Sa? 

cinquecento  vènti  all'  uno  *  ,  si  trova  che  questo  fluido 
costituisce  la  terza  parte  del  nilro.  E  qui  per  occasione 
si  dimostra  ,  che  il  fluido  niidesimo  dopo  l' abbiucia- 
mento   non  è  aria  scìiietta,   poiché  non  può  servire  d'ali- 

,     r  . ,  .    f,    .    .  ,    ,        W'/c    Tarn.  1 

mento  al  iuoco,  cosa  già  nota  ai  tisici;    ma  provata  dal  Crwmcnt p  tz, 

di s seri  p.  fi,  liff 

nostro  autore  con  esperimenti  proprii.  Poscia  si  passa  a  »•■».  isoti  «». 
determinare,   che   allorquando  quel  fluido  è  imprigionato     e,  jcitapoh. 
nel  nitro  è  denso  all' incirca  novecento  quarantadue  velie  '' '*  ' 
più  di  quanto   Io  sia  allorché  s'  equilibra   colla  pressione 
dell'  atmosfera.    S'  insegna  a   trovare    con    forinole    alge- 
braiche  la  densità    e    l' elasticilù    del    fluido    sviluppatosi     5-  "4  «  «s'- 
entro una  data    e    chiusa    capacità  da  una  data   quantità 
di   polvere,  esprimendo  in  peso  la  pressione   ch'esercita 
contro  una  qualunque  superficie.  Ma  dentro  una  capacità 
aperta  in  un  lato,  e  del  rimanente   invariabile,   si  rac- 
coglie dagli  sperimenti  fatti  per  via  di  pesi  con  una  mac- 
china  che  abbiam   di  sopra    accennata,    che    la   massima     {• '5S- 
elasticità  del  fluido  infuocato  può  superare  di  mille  otto-     j.  ns. 
cento  volte  la  pressione  dell'  atmosfera. 


*  Questa  proporzione  non  è  di  molto  variata  dalle  nostre  attuali  cogni- 
Bioni.  Posta  la  pravità  specifica  dell'acqua  a  loooo,  quella  dell'aria  co- 
mune, secondo  le  spiricnze  del  Lavoisier,  che  servono  di  base  al  calcolo 
del  Biisson  {Pesanleur  Jes  rorps  num.  8Zq)  ,  e  di  12,3233,  e  quella  del  nitro 
fecondo  1  sperienze  del  Mussclienbrcek  ,  di  cui  fa  poco  conio  il  Brisson 
(  nutn.  917),  ma  di  cui  finora  non  si  lia ,  ch'io  sappia,  vcrun' altra  più 
esalta,  sarebbe  di  19000;  donde  si  ha  la  proporzione  di  i:  i5^r.  Ma  è 
forse  roen  prossima  al  vrio  1'  ipotesi  rlie  il  fluido  elastico  svolto  dal  nitro 
sia  di  peso  eguale  a  quello  dell'  aria  comune. 


òzS  BALBO, 

In  vece  di  segnare  col  peso  la  forza  della  polvere,  si 

può  altresì  paragonare  colla  forza  d' adesione ,   o  diciam 

ts.ifiupoh.  meglio  di  coesione,  il  che  fa  in  tre  modi  il   D'Antoni, 

per  due  de'  quali  adopera  una  macchina  nuovamente  per 

tal  uopo  ideata,   e  così  trova  la  forza  massima  in  tempo 

secco  mille    novecento  volte  maggiore   che   la  pressione 

§.  1S7.  mezeana  dell'atmosfera,  e  solo  mille  quattrocento    volte 

l  l's-  ÌQ  tempo  assai  vaporoso.  Colla  stessa  macchina  si  mostra 

di  quanto  cresca  la  forza  scemando  la  capacità,  donde  ne 

}.  140,  141,  viene    1'  effetto  sfuggito   alle    considerazioni    del  Robins 
i55.  .... 

degli  stoppacci  fortemente  ricalcati ,  i  quali  accrescono  la 

velocità   della  palla ,    come    si    vede  misurandone  1'  im- 
\-  '44-  mersione   nel  bersaglio.  E  credeasi  che  1'  ordigno  mede- 

simo potesse  pure  servire  ad  altri  oggetti,  come  per 
esempio  a  trovare  sperimentando ,  qual  sia  il  metallo  , 
o  quale  la  lega  di  varii  metalli ,  che  abbia  maggior  forza 
di  coesione ,  epperciò  sia  più  propria  ad  usarsi  per  porre 
j,  ,3j.  il  grano   a'  cannoni.   Ma  conosciuta   poi  nello  stromento 

non  so  quale  fallacia,  fu    quello   dallo    stesso    D'Antoni 
messo  in  disparte. 
§.  «45.  Si  determina  in  appresso  per  via  d' un' iperbola  equi- 

latera la  serie  delle  successive  pressioni,  che  spingono 
la  palla  entro  la  canna ,  nell'  ipotesi  che  il  calore  continui 
eguale  ,  e  che  il  fluido  sia  tutto  svolto  prima  che  cominci 
a  muoversi  la  palla.  E  tale  ipotesi  in  sostanza  è  quella 
del  Robins  ;  ma  il  nostro  autore  sembra  di  tanto  superiore 
all'Inglese  in  questa  e  nelle  altre  parti  matematiche  della 
opera,   quanto  lo  è  certamente  nella  parte  sperimentale. 


VITA  DEL  d'Antoni.  827 

Tuttavia  l'accennata  ipotesi,  per  le  cose  che  sopra  abbiam 
toccate,  in  pratica  è  impossibile.  Quindi  si  va  trasfor-  ^'- '''"'» /">'*• 
mando  la  curva  secondo  tutte  le  diverse  modificazioni, 
acni  può  andare  sottoposta,  e  se  ne  traggono  utilissimi  j.  i47-<58. 
corollarii.  Al  qual  proposito  non  dobbiamo  ommettere 
di  notare ,  come  anche  il  defunto  nostro  collega  Fran- 
cesco Michelotti ,  già  professore  nelle  scuole  d' artiglieria, 
avea  pur  egli  prima  del  D'Antoni  espresso  per  via  dì 
un'iperbola  equilatera  la  successiva  progression  della  forza 
esercitata  dalla  polvere,  accennando  poi  quali  fossero  le 
curve  più  corrispondenti  alle  sperienze  ed  alle  osserva- 
zioni:  del  che  dopo  moltissimi  anni  ne  diede  un  breve     veai  u  citato 

'■  elenco. 

saggio  nelle  adunanze  di  quest'  accademia. 

Essendosi  per  tal  modo  conosciuta  la  forza,  colla  quale 
la  palla  esce  dalla  canna,  se  ne  può  dedurre  la  sua  ve-  E^JtHop'tn 
locità  iniziale.  Ma  perchè  alla  teoria,  con  sottili  ragiona- 
menti fondata  sopra  le  prime  sperienze ,  non  manchi 
l'immediata  osservazione  dell'effetto,  è  cosa  opportuna 
il  misurare  la  velocità  medesima  con  istromenti  collocati 
presso  alla  bocca  dell'  arma.  Merita  somma  lode  il  Robins 
per  essere  stato  il  primo  ad  istituire  questo  genere  di 
osservazioni,  dirigendo  i  tiri  contro  un  pendolo  mobilis- 
simo ,  che  dal  D'Antoni  si  descrive    non   senza  notabile     }.  i«o ,  «  ;rf.v. 

Jis.mec.  J.  610. 

correzione.  Ma  i  calcoli  per  queste  sperienze    ci  pajono 

più   sicuri   secondo   il  nostro    autore,   che  non  secondo     e,. JtUa pei», 

....}.  i$i-i63. 

r  Inglese.  Tuttavia  per  gli  sperimenti ,  che  qui  si  fecero, 

si  adoperò  l'altra  macchina  assai  più  comoda  del  Mattei.     \.iii^ 

Fecondissimi  d'  utili  conseguenze  furono  questi  sperimenti, 


528  BALBO, 

ne'qualì  si  variarono  le  canne,  le  polveri,  gli  sfopac- 
ciiioli,  le  palle,  e  Io  stato  dell'atmosfera,  onde  mirabil- 
mente si  confermano  nel  libro,  di  cui  parliamo,  le  verità 
già  prima  stabilite,  e  molte  se  n'aggiungono  tuttavia. 
Noteremo  fralle  altre,  che  in  un  dato  caso  si  trova  la 
forza  della  polvere    eguale  solamente    a   ducento  ottanta 

Ks.^Mia polo,  volle  la  pressione   mezzana  dell'  atmosfera ,   il  che,   para- 
gonato colla  forza  in  altri  casi  trovata  assai  maggiore  fino 

j.i»8,i57.iS3.  a   mille  novecento  volle,    mostra   l'inganno  del  Robins  , 
che  sempre    indisliatamente  esprime  col  numero  di  mille 

Cip.ipropvi.  la    pressione    esercitata    dalla    polvere    accesa    rispetto   a 

quella  dell'atmosfera. 

Conosciuta  la  velocità  iniziale  si  conosce   la  curva  che 

dovrebbe  descrivere  la  palla  se  non  incontrasse  ostacolo 

veruno ,  e  perciò  la  distanza   a  cui  dovrebbe  pervenire , 

e  questa    confrontando   con    quella    assai    minore,  a  cui 

solamente  perviene,  si  conosce   l'effetto    della    resistenza 

dell'aria,  la  quale  valutavasi    assai    poco    prima    che    il 

Robins  e  con  ragioni   e   con  esperienze   ne  dimostrasse 
Cap.  u.  °  ... 

la  grande  efficacia.  Ma  le  sperienze  che  qui  pure  si  fecero 

nel  1764  aggiungono  molte  essenziali  particolarità.  Fralle 
altre  cose  è  sembrato  al  D'Antoni,  che  non  solo  la  mag- 
gior densità  dell'aria,  ma  eziandio  la  maggiore  umidità 
st.aMapoh.  accrescesse  la  resistenza,  la  qual  cosa  però  non  pare  a 
sufficienza  dimostrata:  onde  in  questa  parte,  come  in  altre 
molle,  rimane  ancora  ben  largo  campo  a' coltivatori  di 
sì  nobili  studi.  Così  per  esemplo,  non  si  osserva  dal  nostro 
autore  nell'  esame  della  pohere ,   e  appena   si   tocca  ia 


V1TA_  DEL    d' ANTONI.  ')'j.Q 

ctualcho  aUi'o  suo   libro  il  subitaneo  eccesso  di  rcsisleuza,     l'iuji.mtc. 

J  \.  <i7  t.  11. 

clic  il  Robins  crede  aver  luogo  allorquando  la  velocità 
della  palla  è,  secondo  lui,  maggioie  della  velocità,  eoa 
cui  l'aria  può  accorrere  a  riempire  il  vuoto  lascialo  dalla  Cap.ii.proii.  i. 
palla  medesima  dietro  di  se.  Ne  si  fa  parola  *  delle  decli- 
nazioni laterali  osservate  dal  Ilobius,  e  da  lui  attribuite  ^^"^'P"".!'™!-- 
ad  un  moto  di  rotazione  della  palla,  per  cui  la  resistenza 
dell'aria  può  sopra  di  essa  operare  obliquamente.  Kè  si 
accenna  qual  conto  debba  farsi  delle  canne  rigate  tenute 
in  tanto  credilo  dal  Robins**.  Questa  opinione  ed  alcune 
altre  dello  stesso  autore  non  erano  probabilmente  note 
al  nostro,  perchè  sparse  in  diverse  operette  postume  pub- 
blicate in  Inglese  non  prima  del  1761,  e  non  tradodo 
in  Franzese  che  dieci  anni  dopo.  Donde  però  si  vede 
quanto  acconciamenle  couchiuda  il  D'Anioni  >  esorlando  *'  '*''■ 
ì  giovani  a  tentare  altre  ed  altre  .sperienze.  E  noi  pure 
desideriamo  che  sia  questo  principalmente  il  frullo  delle 
opere  da  lui  dettate;  giacché  nella  scienza  naturale,  ep- 
perciò  nell'arti  tulle  che  ne  dipendono,  inesausto  è  il 
fonte  delle  ignote  verità  ;  e  giacche  i  progressi  delle 
dottrine  matematiche,  e  soprattutto  delle  chimiche,  ci 
fanno  sperare  novelli  vantaggi  in  moltissime  professioni, 
e  singolarmente  in  quella  dello  artigliere.  Kella  quale  se 


*\.\'esame  delia  poUere  §.  196  :  si  accenna  tuttavia  il  fallo  nelle  istit.  fis. 
inec.   §.  346,    Ioni.  1. 

**  Etlit.  de  Grenoble  png.  557.  De  la  nature  et  ties  afonlages  Jes  piìees 
de  canon  ravè. 


42 


ÙOO  BAtBO, 

tanta  celebriti  '  acquistò  il  D'AutouI,  attribuire  si  dee  a 
quello  spirito  vcracemeule  filosofico  ,  ond' era  animato,  di 
sottile  ricerca,  di  attenta  osservazione,  di  meditazione 
profonda  :  qualitù  necessarie  non  solo  nel  coltivare  le 
scienze ,  ma  in  ogni  aliare  importante  della  vita  civile , 
come  nel  corso  di  quella,  che  descriviamo,  potrassi  an- 
cora  più  d'  una  volta  notare. 

Non  so  se  più  difiicile ,  epperciò  più  onorevole  inca- 
rico possa  altrui  affidarsi  da  un  padre  regnante,  quanto 
l'educazione  de'proprii  figliuoli.  Nobilissima  parte  di  questo 
ufficio  presso  tutti  i  reali  principi  venne  esercitata  dal 
D'Antoni.  Fin  dal  1763  cominciò  ad  essere  incaricato  d'istru- 
ire nelle  scienze  militari  il  duca  del  Giablese ,  al  quale  nel 
1768  s'aggiunse  il  principe  del  Piemonte.  E  continuando 
il  re  nostro  a  tenere  il  D'Autoni  in  quel  conto,  in  cui 
teneasi  dal  padre,  l'onorò  di  somigliante  incarico  presso 
i  duchi  d'Aosta  e  di  Monferrato  nel  1776,  e  finalmente 
liei  1780  presso  gli  ultimi  due  principi,  il  duca  del 
Genevese  ,  e  il  conte  di  Moriana  *.  Ma  siccome  ad  isti- 
tuzione militare  conviensi,  eh'  esser  non  dee  solitaria  ed 
ombratile,   ebbe  il  D'Antoni  con  gli  augusti  allievi  non 

*  Ed  è  nolabil  cosa ,  che  fu  pure  ufficiale  della  nostra  artiglieria  ,  ed 
anche  per  questo  titolo  notissimo  e  in  patria  e  fuori,  massimamente  in 
Germania,  dove  militò  con  gran  lode  nella  guerra  di  sett'anni,  l'ajo  di 
questi  quattro  principi,  l'eccellentissimo  signore  Don  Casimiro  Gaba- 
Jeone  conte  diSalmour,  or  cavaliere  dell'ordine  supremo,  grande  di  corona, 
pran  mastro  e  Comandante  del  corpo  reale  di  arliglieria,  e  govcrnator  di 
Turino. 


i 


VITA    DEL    d' ANTONI.  33 1 

rare  occasioni  di  visitar  fortezze ,  di  osservare  luoghi 
famosi  per  fatti  d'arme,  di  ordinare  accampamenti,  evo- 
luzioni ,  e  simulacri  di  guerra ,  quali  si  videro  nelle 
praterie  di  Vanchiglia  qui  presso  a  Torino  ,  e  nelle 
campagne  di  Volpiano.  Perciocché  non  solo  nelle  parli 
spettanti  ad  artigliere,  o  ad  ingegnere,  ma  intatto  ciò 
che  alla  tattica ,  e  in  generale  all'  arte  della  guerra  ap- 
partiensi ,  era  dottissimo  ;  e  -di  tattica  scrisse  due  opere 
inedite,  l' una  più  elementare  in  un  volume,  l'altra  più 
compita  in  due.  Ma  tra'  viaggi ,  che  fece  co'  principi  per 
Oggetti  militari,  memorabile  è  quello,  nel  quale  accom- 
pagnando il  duca  del  Ciablese,  tutto  potè  compire  il 
giro  delle  nostre  frontiere;  ed  inoltrarsi  nelle  strette 
de'  mouti ,  donde  agli  eserciti  alleati  o  nomici  si  apre  o 
si  chiude  il  passo  ;  ed  esaminare  que'  siti  memorandi , 
dove  si  era  con  poca  gente  trattenuto  l' impeto  ostile , 
ed  assicurato  il  destino  d'Italia.  Della  quale  opportunità 
valendosi  il  D'Antoni,  prese  minuta  notizia  non  pure 
di  tutto  ciò  che  alla  corografia  militare  s'  ajjparticne ,  ma 
eziandio  delle  cose  alia  mineralogia  spettanti ,  per  cui 
tanto  son  utili  i  viaggi  che  si  fanno  in  patria ,  come 
dopo  il  Linneo  ha  dimostrato  con  una  sua  operetta  ,  e 
assai  più  coir  esempio  il  cavaliere  di  Robilante*.  Né  solo 


*  Luinaei  oralio  ,  (/uà  pereprìnationum  intra  palriam  asserilur  necessita!. 
Amoen.  Acati,  voi.  II.  De  l'ulilitè  et  de  iimportance  tles  toyages  et  dei  courset 
dans  son  propre  pays ,  par  M.''  le  chevalier  de  Robilanl ,  etc.  Turiu ,  1789, 
Soffietti,  in  4°)  avec  14  plaiiches. 


332  BAtr.o, 

coi  principi  nostri  ebbe  a  viaggiare  io  patria  il  D'Antoni, 
ma  cogli  stranieri  ancora,  come  destinato  a  servire  Al- 
berto di  Sassonia  principe  di  Tcschen,  e  Massimiliano 
arciduca  d'Austria,  nel  visitare  alcuna  delle  nostre  rino- 
mate fortezze,  od  alcuni  de'  luoghi  più  famosi  nella 
storia  militare:  nelle  quali  occasioni,  che  non  di  rado 
accadono  presso  di  noi,  sommamente  importa,  che  gli 
illustri  viaggiatori  siano  accompagnati  da  uomini  vera- 
mente insigni ,  atti  a  sostenere  ed  accrescere  nell'  animo 
degli  stranieri  1'  onore  della  nazione.  Al  qual  uopo  ninno 
forse  poteva  essere  in  que'  tempi  più  conveniente  del 
D'Antoni.  Era  da  lui  ottimamente  conosciuta  la  storia 
delle  nostre  guerre,  e  sappiamo  che  ne  lasciò  preziosi 
documenti;  un'esatta  descrizione  della  battaglia  di  Torino; 
nn' opera  franzese ,  intitolata:  notizie  per  guerreggiare 
in  Loìnbardia ,  con  riflessioni  militari  e  poli  tic] le  sopra 
la  guerra  del  lySS;  ed  un  tratto  d'istoria  dell'altra 
guerra  posteriore,  da  lui  disteso  per  empire  qualche 
lacuna  scopertasi  nell'  unico  esemplare  di  quella  fatta  com- 
pilare con  somma  cura  dal  re  Carlo  Emanuele  per  mano 
dell'  abate  Minutoli  Ginevrino ,  che  prima  era  stato  uom 
di  guerra  ,  e  scrivea  coli'  ajuto  d'  esperti  militari,  fra 
iiooaieBogino.  quali  il  D'Antoni,  e  colla  direzione  d'un  uom  di  stato, 
che  dettando  c|ue' fatti  potea  veramente  dire:  et  quorum 
pars  magna  fui.  Noi  non  sappiamo  contenerci  a  questo 
luogo  dal  deplorare  insieme  con  un  saggio  e  zelante 
Napione  i  j  .  scrittore,    che    di  quest'ultime  gloriosissime   guerre,    in 

intorni  alla  sii  r.  '  ■•  e  o  ' 

iti  Pitm.  \.  i3,  ypg  delle  quali  le  insegne    Piemontesi  furono  vedute  la 


VITA  DEL  d'anton/.  333 

prima  voTfa  sventolar  vincitrici  fin  oltre  al  Rubicone,  e 
nell'altra  fu  piu-e  per  la  prima  volta  salvata  la  patria 
colle  sole  sue  forze,  di  queste  guerre  scemandosi  ogni 
giorno  la  tradizione  vocale ,  noti  ci  rimanga  ora  mai 
altra  memoria,  che  l' infedel  narrazione  di  autori  stranieri. 

Ma  la  memoria  vivissima  che  ne  conservava  il  D'An- 
toni ,  e  la  cognizione  che  aveva  delle  altre  guerre  più 
antiche,  non  era  il  solo  motivo,  per  cui  fosse  proprio  ad 
accompagnare  i  principi  stranieri.  Doveva  a  tutti  esser 
noto  il  suo  nome,  posciachò  vedeasi  per  prova,  che 
qualunque  capitasse  in  Torino,  facendo  professione  di 
dottrina  militare,  non  mancava  subito  di  cercare  del 
celebratissimo  direttore  delle  nostre  scuole  d'  artiglieria , 
e  bramava  di  seco  lui  abboccarsi  ,  e  conferire  a  lungo , 
come  volle  fare  più  volte  il  principe  ereditario  di  Bruns- 
vvik.  Nò  conversando  a  voce ,  o  corrispondendo  per  let- 
tere, fu  mai  trovato  minore  di  quanto  portasse  la  fama  : 
onde  veniva  sovente  onorato  da  uomini  sommi  d' altri 
paesi ,  e  ricercato  del  suo  parere ,  come  ne  fa  testimo- 
nianza il  carteggio  eh'  egli  ebbe  col  Saint-Auban ,  e  col 
Tempclhof,  col  quartiermastro  generale  Nicolai ,  capo 
d'un  reggimento  d'artiglieria  di  Virtemberga ,  e  con 
gl'ingegneri  Veneti,  uomini  dottissimi,  Lorgna ,  Salim- 
beni ,  e   Delanges. 

Non  è  cosa  insolita  nella  storia  letteraria  d' osservare, 
che  taluno  abbia  goduto  vivendo  maggior  riputazione 
fuori  che  in  patria.  Ma  il  D'Antoni  trovò  nel  sovrano 
UD  giustg  apprezzatore  del  singolare    suo    merito.    Non 


3?4  BALBO, 

piiiio  de^Ii  avanzamenti  che  fece  ne' gradi  militari,  es- 
sendo stato  promosso  a  quel  di  Brigadiere  addì  12  di 
settembre  del  1774»  ditliiarato  maggior  generale  a'  18 
di  novembre  del  1780,  e  tenente  generale  a' 24  di 
dicembre  del  1784.  Più  distinta  significazione  della  real 
confidenza  fu  quella  che  ottenne  quando  a'  3o  d' aprile 
del  1775  fu  nominato  ajutante  generale  d' armata ,  titolo 
ed  impiego  allora  istituito  per  sopra  intendere  agli  aju- 
tanti  generali  contemporaneamente  creati  per  ognuno  dei 
dipartimenti,  ne' quali  era  stato  1' esercito  diviso.  Nel 
che  sin  d'allora  si  vide,  che  non  solo  nelle  cose  d'arti- 
glieria era  tenuto  in  gran  conto  il  D'Antoni ,  ma  in  tutto 
ciò  che  riguarda  la  profession  della  guerra.  E  di  fatti 
ne'  casi  più  gravi  e  difficili ,  concernenti  le  leggi  o  la 
disciplina,  soleva  egli  essere  compreso  fra'  deputati  a 
consultare ,  o  fra'  giudici  a   dar  sentenza. 

Ma  per  la  morte  del  conte  Birago  di  Borgaro ,  il  qual 
era  succeduto  al  De'- Vincenti ,  essendo  vacata  la  carica 
di  capo  del  corpo  reale  d' artiglieria ,  fu  conferita  al 
D'Antoni  il  di  7  di  gennajo  del  1783.  Ed  essendo  pure 
vacante  la  dignità  di  gran  mastro  d'artiglieria,  fu  ag- 
giunta due  giorni  dopo  al  novello  capo  la  podestà  di 
supplirne  le  veci.  Cosicché  ,  ritenendo  egli  tuttavia  la 
direzione  generale  delle  scuole  teoriche  e  pratiche,  venne 
a  riunire  in  se  solo  l'  intiera  e  suprema  ispezione  di 
quanto  all'  artiglieria  appartiensi.  Veggiamo  in  qual  ma- 
niera ei  si  valse  di  tale  e  tanta  autorità. 

Fin  dal  principio  eh'  ei  ne   fu   rivestito,  soppressi  gli 


Vita  PEf.  d'/nton/.  S35 

artiglieri  creati  pochi  auni  prima  in  ogni  batfaglione ,  si 
adottò  uu  nuovo  sistema,  nel  quale  ebbcr  luogo  gli  jiV/I",'!,^'"!!!-* 
artiglieri  ausiliarii  e  provinciali;  ed  ali  istruzione  di 
costoro,  siccome  anche  degli  altri,  si  fissarono  i  migliori 
metodi  per  le  scuole  pratiche  divise  come  conviensi  in 
varii  gradi.   Nuove  regole  si  stabilirono  pure  per  la  fab-     "'S',"^ ''?'.•'■''• 

°  o  "^  '  al   U  Adii. ni  del 

bricazione  della  polvere,  e  per  raffinamento  del  nitro,  =9 'if- •  7S5. 
e  si  cercarono  i  mezzi  *  di  favorire  e  promuovere  la  pro- 
duzione artificiale  del  nitro  medesimo,  affine  di  liberare 
un  giorno,  se  fia  possibile,  gli  abitanti  delle  case  dalle 
incomode  visite  de' raccoglitori  di  quel  sale.  E  siccome 
la  giusta  proporzione  de'  metalli  da  formare  i  cannoni, 
già  da  gran  tempo  definita  ,  veniva  tuttora  alterata  nelle 
operazioni  della  fondita  per  certe  chimiche  cagioni,  cui 
non  si  era  troppo  badato,  esaminata  maturamente  la  cosa, 
sì  procacciò  novella  perfezione,  e  più  squisita  esattezza 
alla  pratica  de'  fonditori.  Ne'  quali  argomenti  del  nitro 
e  delle  fondite  molto  giovarono  le  cognizioni  del  conte 
Saluzzo  chiamato  a  consiglio  con  esempio  nobilissimo 
sebbene  in  que'ten^pi  menando  vita  privata  non  appar- 
tenesse al    corpo   degli  artiglieri. 


•  Dall'intendente  generale  d'artiglieria  Pietro  Antonio  Canova  si  pub- 
blicò un'istruzione  col  titolo  seguente:  Directions  pratii/aes  poiir  unir  à  la. 
ricolte  et  à  la  productinn  crlificielìe  du  salpitre ,  atee  la  maniere  de  l'extraire 
ées  terres  et  autres  matieres ,  et  de  le  riduirf  par  tifaporalion  en  salpitre 
brut,  Jit  communément  de  premiere  cuite.  Turiu ,  le  premier  du  1785. 
Imprim.  roy. ,  fol.,  pag.  14. 


?S36  BALBO, 

Il  funestò  accidente  che  mostrò  la  necessiti*  di  questi 
ultimi  miglioi'amcnti  Dell'arte  del  gitlo,  fu  pure  occa- 
sione di  un  bel  tratto  di  militar  disciplina ,  clic  qui  non 
vuol  essere  trasandato.  Neil'  esercizio  di  scuola  pratica 
scoppiato  era  il  Tigre,  cannone  gif  tato  pochi  anni  prima, 
e  ferito  aveva  ed  ucciso  alcuni  di  quelli  che  lo  servi- 
vano. Fu  chiesto  al  D'Antoni ,  se  con  gli  altri  cannoni  che 
trovavansi  in  batteria ,  gittati  a  un  di  presso  nel  tempo 
medesimo,  prima  eh' ci  fosse  al  governo  dell'arsenale, 
si  dovcano  tuttavia  continuar  gli  spari.  Certo  che  sì,  ci 
rispose  con  laconica  severità  di  comando,  e  fu,  come 
esser  dovea,  senza  diilicoltà  obbedito,  dandone  l'esempio 
gli  uffiziali  per  far  cuore  a'  giovani  artiglieri ,  che  in 
sulle  prime  dalla  novità  del  caso  rimasti  erano  alquanto 
conturbati.  Assicurata  così  la  necessaria  prontezza  della 
obbedienza,  e  fatta  prova  della  fermezza  imperturbabile 
de' suoi,  volle  egli  stesso  l' indomani  appicciare  il  fuoco 
a  tutti  i  cannoni  della  batteria  in  numero  di  dieci,  uno 
appunto  de' quali,  il  6'e/òero  ,  non  potè  poi  resistere  alle 
novelle  prove ,  che  tosto  se  ne  intrapresero  con  saggio 
consiglio  e  con  esquisita  perizia  *. 


*  IO  ottobre  1785.  Relazione  degli  scrutimi  [alti  dagli  uffizioli  del  corpo 
reale  d' artiglieria  intorno  i  rottami  de' cannoni  da  libbre  sedici,  Tigre  e  Cer- 
bero, scoppiati  nella   state   del    1785,   MS. 

Relazione  delle  operazioni,  cui  gli  uffizioli  del  corpo  reale  sono  detenuti  in 
seguito  al  regio  viglietlo ,  e  regolamento  annesso  del  i5  ottobre  1785,  relativo 
olle  /ondile  e  getti  delle  artiglierie.  MS. 


VITA   DEL    d'ANTONÌ.  oSy 

Nell'esame  che  quindi  si  fece    delle   occulte  cagioni, 
per  le  quali    aveano  potuto  succedere    somiglianti    casi  , 
si   riconobbe,    come  in    altre  congiunture,   quanto    al)bia 
bisogno    l'artiglieria  della  scienza  chimica,    piia    non   le 
bastando   alcune    notizie  superficiali    e    volgari,  ma  tutta 
quasi  esigendosi  la  dottrina  di  un  chimico  eccellente.  Per 
la  qual  cosa  è  degno   di  somma    lode    il    D'Antoui,   che 
ben    comprendendo     tal    verità,    quantunque     non    fosse 
chimico   di   professione,   introdusse    nell'arsenale    l'iuse- 
gnamento  regolare  di  quella  scienza,    al   quale   fu  desti- 
nato un  nostro  chiarissimo  collega ,  il  cavalier  Napionc. 
In  tre  gradi  si   divise  lo  studio  :    comprende  il   primo  le 
analisi  de' metalli,  e.  le  preparazioni   delle  fondite;  il  se- 
condo la   docimastica;  e  il  terzo   quelle  ulteriori    e    più 
estese  cognizioni  di  chimica,  che   alcuni   fra   gli  ulfiziali 
desiderassero   di  acquistare. 

Un'altra  scuola  ben  diversa  da  questa  onora  egual- 
mente, e  forse  più,  il  genio  benefico  del  D'Antoni.  Per 
difetto  di  popolare  istruzione,  che  non  si  piiò  deplorare 
abbastanza,' molti  soldati,  non  avendo  prima  imparato  a 
leggere,  sciivere ,  e  conteggiare,  rimangono  incapaci  di 
que' gradi,  a' quali  altronde,  lo  loio  buone  qualità  li 
farebbero  pervenire.  E  maggiove  esjsepdy  fra  gli  ailiglier* 
il  bisogno  di  soldati  e  bassi  ufilziali  più  che  mediocre* 
mente  istruiti  ^xi  molle  parti,  per  cui  sono  indispensa- 
bili que'  primi  elcmeuti ,  procurò  il  D'Autopi  di  supplire 
alla  generale  ;i^ancanza ,  instituendo  per  questo  fine  una 
scuola,  ;^el  ?uo  reggin;euto ,  egli  che  avca  per  «sperieqz^ 

43 


538  BALteo, 

iTaniep.JcUc  vcdiito    Dclle  scuole  pratiche  quanto    siano    capaci  d'Is- 

m^ìcrh.  p,  90,    e 

prtn^iioin  n.~t,  tiuzione  uomini  anche  rozzi,  ed  anche  dopo  avere  tra* 
passati  i  confini  dell' adolescenza.  Ma  questa  istituzione, 
già  per  se  lodevolissima,  più  lodevole  ancora  diviene 
pel  modo,  col  quale  provvide  allo  stipendio  de' maestri, 
assegnando  loro  una  porzione  de'  dritti ,  che  da'  vivandieri 
si    pagano ,    spettanti  prima   al  capo  del  reggimento. 

Nò  questa  generosità  era  per  lui  cosa  nuova ,  che  sèmpre 
guardar  soleva  con  certo  nobile  sprezzo  gì'  interessi  della 
propria  fortuna.  Àlloraquando  fu  provveduto  d'una  com- 
menda de'  santi  Maurizio  e  Lazzaro ,  che  accadde  al  primo 
d'ottobre  l'anno   1779,  dovendo,  com'è  l'osanza,  giu- 
rare di  amministrarla    da    buon  padre   di  famiiglia ,   noa 
ebbe  più  pace,  vedendosi  obbligato  ad  una  sorta  di  cure, 
cui   non  crasi  mai  assuefatto  ;     nò    volle    più    per    niua 
conto   ritener    qu e' poderi  ,   ma  rinunziandoli    all'ordine, 
e  traendo    da  questo    il  solo    fitto  che  allora  esigevasi  , 
pei^dè  volontieri  la  sicurezza  di  aumentdrne  notabilmente 
la    rendita.  E  dovca  per   altro  rincréscergli  siffatto  sacri- 
fizio ,   poiché    l'intero  frutto    della    éòrtìmenda,  siccome 
della  precedente  pensione ,   era  dà'  lui  destinato  a  passare 
per    mani  segrete    in  sollievo    di  povere  famiglie,  non 
avendo   altro    limite  la  sua  carità ,    fuorché    il    riguardo 
di   non   fomentare   l' infingardaggine   e  '1   vizio.  I  soldati , 
e  gli  altri  da  lui  dipendenti  lo  trovarono  sempre  come 
padre  amorevole  disposto  a  sollevarli   e  'con  mano  'libe- 
rale, e  con  prudente  consiglio,  e  con  ogni  sòrta   di  fa- 
vore,  che  al  buon  ordine,    alla    severa  disciplina,    alla 


VITA    DEL    d' ANTONI.  33() 

esatta  giustizia  non  fosse  conlrailo,   usando   egli  sempre 
antipone  la  pubblica  alla  privala  carità. 

Questa  bella  virtù,  sopra  ogn' altra  esaltata  dall^  verace 
religione,  ben  mostra  qual  fosse  lo  spirito  che  animava 
il  D'Antoni  nell'  adempire  minutamente  i  doveri  e  le 
pratiche  di  pietà,  lungi  ognora  tenendosi  da  qualunque 
ostentazione ,  cosicché  pochissimi  seppero  che  in  ciò 
impiegava  ogni  giorno  un  tempo  assai  notabile,  che  ù 
pur  la  cosa  la  più  preziosa  che  si  abbiano  gli  uomiiù 
cVaflari  e  di  scienze.  Ma  la  somma  e  straordinaria  vigi- 
lanza, il  regolatissimo  tenor  di  vita,  1' ordine  e '1  m^odo 
scrupolosamente  osservato  in  ogni  cosa ,  la  privazione 
assolata  de' soliti  giornalieri  trattenimenti,  gli  fecero  trovar 
tempo  a  tanti  studi ,  a  tante  occupazioni.  Perciocché , 
oltre  a  quanto  siam  finora  venuti  divisando,  egli  dovea 
bene  spesso  trovarsi  a  consulta  e  dar  pareri,  come  quando 
traltavasi  non  solo  d'artiglieria  e  di  fortificazioni,  o  di 
edifizi  militari,  ma  di  porti,  di  strade,  di  canali ,  d'ar- 
gini, di  misura  e  distribuzione  d'acque,  di  nuovi  prov- 
vedimenti per  gl'incendi,  e  a  dir  tutto  in  breve,  d'ogni 
cosa  ,  che  pur  son  tante ,  nella  quale  il  governo  {ibbiso- 
gnasse  di  scienza  fisica  e  matematica,  1/ abitudine  de  Ila 
fatica,  e  il  frammezzare  continuo,  che  facra  per  dovere , 
degli  esercizi  del  corpo  colf  applicazione  dello  spirit(i, 
e  la  costituzione  robusta  ,  che  avea  sortita  dalia  natura , 
gli  diedero  forza  a  durar  lungamente  in  sì  gravi  lavori. 
Ria  tuttavia ,  da  questi  aggravato  ,  anziché  dall'  età  ,  non 
terminati   ancora   gli   anni   settanta  e  tre,    più  non   c'ube 


340  BALBO, 

vigor  di  resistere  a  breve  malattia,  clie  a  noi  lo'  tols^'  ìT 
giorno  settimo  di  dicembre  del  mille  settecento  ottanta- 
sci.  La  morte  fu  pari  alla  vita;  tranquilla,  intrepida,  e 
religiosa.  Ultimo  atto  del  viver  suo ,  toltine  quelli  dì 
cristiana  pietii ,  fu  il  lacerare  le  polizze  segrete  de' suoi 
debitori:  ultime  parole  il  protestare,  che  ne' comandi  da 
lui  esercitati  non  sentivasi  reo  d'ingiustizia  veruna.  Triste, 
ma  bello  spettacolo  era  il  vedere  affollati  d' attorno  al 
letto,  e  le  vicine  camere  empiendo  gli,  artiglieri  d'ogni 
ordine  piangere  amaramente  il  maestro,  il  condottiero, 
il  padre.  Né  furono  passeggiere  le  lagrime  :  vollero  gli 
uffiziali  serbarne  la  rimembranza  con  un  busto  che  col- 
locarono nelle  loro  scuole.  E  il  Re ,  che  tanto  aveva  ap- 
prezzato il  D'Antoni ,  volle  pur  dare  qualche  pubblica 
testimonianza  di  affetto  e  di  stima  verso  l'illustre  defunto. 
Piiraanevano  superstiti  due  sorelle ,  Antonia  Maria ,  ed 
Elisabetta,  le  quali  viveansi  strettamente  in  Villafrancà 
col  tenue 'patrimonio  famigliare  che  dal  fratello  lor  si 
lasciava  godere,  e  con  quegli  altri  soccorsi  che  dallo 
stesso  traevano.  Mancando  questi ,  e  scarsissima  essendo 
l'eredità  che  lor  toccava,  accorse  a  sollevarle  il  sovrano, 
assegnando  loro  una  pensione  con  onorevolissimo  dispaccio 
dato  a' 16  di  dicembre,  cioè  pochi  giorni  dopo  la  morte 
del  D'Antoni:  ed  ivi  fra  le  altre  cose  si  legge >  che  se 
questi  fosse  vissuto,  avea  il  Re  destinato  d'illustrarlo  eoa 
nuove  e  più  splendide  dignità  : 

Patere  honoris  scirent  ut  cunctì  vìam  , 
Pi^'Jf-  Nec  generi  tribui ,  secl  virtuti  gloriam. 


VITA    DEL   D'ANTONT.  641 

La  parte  più  preziosa  di  quella  creclitJ,  cioè  i  libri 
è  i  manoscritti ,  pervennero  per  voler  del  defunto  allo 
intendente  generale  d'artiglieria  Pietro  Antonio  Canova, 
che  avea  seco  lui  contrafta  amicizia  sin  da  quando  viveva 
Un  ministro,  del  cpiale  il  Canova  era  allievo  nella  scienza  UcouicBogioo. 
del  governo  e  della  pubblica  amministrazione,  e  pel 
quale  il  D'Antoni  professò  costantemente  venerazione  a 
riconoscenza  somma.  Ed  io  col  Canova  famigliarmente 
convivendo ,  e  col  D'Antoni  sovente  conversando ,  ebbi  ad 
osservare  in  ambiduc  le  stesse  virtù ,  che  nel  ministro 
splendeano  continuamente  a'  miei  occhi,  anche  nell'ultima 
sua  vecchiaja,  e  fra  l'ozio  della  vita  privata;  attività  di 
operoso  ingegno,  e  zelo  vivissimo  del  coniiin  bene.  Ne 
so  per  qual  mio  fato,  toccandorni  di  scriver  la  vita 
dell'uno,  mi  tocchi  ad  un  tempo  di  deplorare  la  morte 
anche  dell'altro,  dico  del  Canova,  che  l'anno  passato» 
essendo  intendente  generale  delle  gabelle ,  in  fresca  età 
fu  rapito  alle  speranze  di  tutti  i  buoni.  Se  avessi  prima 
potuto  distendere  questo  mio  lavoro,  e  a  lui  comunicarlo, 
sarebbe  cèrto  riuscito  meno  imperfetto;  ma  in  ogni  modo 
a  lui  si  debbe  ìà  lode  di  aver  insieme  raccolte  e  presentate 
air  accademia  le  opportune  notizie  dell'  estinto  amico. 
Quanto  agli  scritti  di  questo  ,  eSsi  passarono  dopo  la 
morte  del  Canova  in   mani    dell'augusto   nostro    sovrano. 

Ma  per  la  morte  de' più  parziali  amici,  o  pel  trascorso 
de' tempi,  non  saia  mai  meno  viva  e  fiorente  la  memoria 
del  D'Antoni.  Alle  pubbliche  significazioni  d'onore,  che 
otteuiiu   in  patria,   si  aggiunga   il  desiderio    che  lasciò  di 


542Ì  BALBO, 

se  m  questa  uostra  accademia.  Ogni  volta  che  tratfossi 
di  stabilire  come  accademia  reale  delle  scienze  Y  antica 
societi^,  egli  fu  sempre  annoverato  tra  coloro  che  pro- 
cacciar le  doveauo  maggior  lustro  e  decoro  :  e  quando 
vennero  esauditi  i  voti  de' dotti  nel  1783,  egli  fu  col- 
locato il  primo  fra' nuovi  accademici  residenti  in  Torino: 
ma  pur  troppo  anch'  egli  fu  il  primo  ad  eccitare  nei 
folleghi  un  giusto  cordoglio:  che  sebbene  più  non  po- 
tessero i  suoi  studi  impiegarsi  in  prò  dell' accademia , 
troppo  gran  perdita  fu  ^|uella  del  solo  suo  nome ,  e 
della  sua  presenza,  e  dell'amor  che  nudriva  per  le  cose 
accademiche,  ben  da  lui  dimostrato  in  quelle  prime  adu- 
nanze, ove,'  trattandosi  di  dare  incamminamento  alla 
novella  istituzione,  non  mancò  d'intervenire  più  volte, 
quantunque  distolto  da  tante  gravissime  occupazioni;  e 
procacciò  all'accademia  un  chiarissimo  corrispondente, 
il  signor  Leonardo  Salimbeui.  Per  queste  considerazioni, 
e  per  aver  lasciato  all'  accademia  stessa  ben  cinque  *  dei 
suoi  più  chiari  discepoli,  aggiungersi  doveva  all'uni- 
versale   rincrescimento     della    patria    particolarmente     il 


*  Il  cavaliere  Daviet  di  Fopceiiex,  il  conte  Carlo  Luigi  Morozzo ,  il 
cavaliere  Antonio  Lovera ,  il  cavaliere  DebiUet ,  il  cavaliere  Carlo  Antonio 
Napione.  Non  è  nostro  istituto  di  qui  rammentare  tanti  altri  distinti  allievi, 
de'  quali  orsi  pregia  il  corpo  dell' artiglieria  ,  e  quello  df  pi' ingegneri.  Bensì 
diremo,  che  la  marina  essa  pure  venne  tra  noi  coltivala  e  promossa  dai 
discepoli  del  D'Antoni,  a' quali  ne  fu  aflidato  il  comando  colla  direzione 
di  quelle  scuole,  cioè  primieramente  dal  Foncenex,  e  quindi  dal  cavalier 
Ricca  di  Castelvecchio, 


VITA   DEL    d' ANTON/.  343 

nqstro  ,  e  dovea  per  opera  nostra,  secondo  l'usato  stile  di 
molte  accademie,  tramandarsi  a' posteri  distinta  ricordanza 
della  gloriosa  sua  vita.  A  compimento  della  quale  note- 
remo, ch'egli  fu  di  statura  poco  piiì  che  mediocre  ,  di 
corporatura  nerboruta  ed  asciutta,  di  carnagione,  qual 
si  conviene  ad  uom  di  guerra,  abbronzata;  ebbe  nere 
le  ciglia,  e  grosse,  e  folte;  gli  occhi  vivaci,  l'aspetto 
intero  conforme  alla  vita  di  dotto  ad  un  tempo  e  di 
militare;  fu  sobrio  nel  vitto,  e  parco  in  ogni  cosa, 
lungi  pei'ò  dal  meschino  ;  ma  parlatore  copioso  anzi  che 
no,  facile  e  chiaro  espositore  de'  proprii  e  degli  altrui 
concetti,  narratore  fecondo  di  fatti  illustri,  e  di  bei  detti, 
e  di  arguti  motti  ;  né  lodatore  troppo  cortese ,  ne  troppo 
aspro  censore;  severo  di  massime,  ma  più  di  costumi; 
di  umor  gioviale,  e  di  maniere  libero;  uomo  in  somma, 
che  alle  moderne  dottrine  accoppiar  seppe  mirabilmente 
le  antiche   virtìi. 


I 


i<ùf>p 


I 


345 
C ATALO  GO 

DE'  LIBRI     ELEMENTARI 

TER  LE  SCUOLE  D'ARTIGLIERL\  E  DI  FORTIFICAZIONE 

DI  TORINO, 

CON  ALCUNE  ANNOTAZIONI   E  GIUNTE    ALLA  VITA  DEL   d' ANTONI. 


JV., 


' uoi'e  istituzioni  di  aritmetica  pratica,  composte  da  Pietro  DI  MARTINO , 
professore  di  astronomia  nella  università  di  Napoli.  Torino ,  1761 ,  stainp. 
reale,  8.0 

Degli  elementi  della  geometria  piana  ,  composti  da  Euclide  Megarese ,  tra- 
dotti in  Ilaliano  ,  ed  ilìuslrali  da  D.  Pietro  DI  MARTINO ,  libri  VI;  seconda 
edizione,  riseduta  ad  uso  della  scuola  militare.  Torino,  1785,  Briolo,8.°,  fig. 

Della  geometria  pratica.   Torino,  stamp.  reale,  8.",  fig. 

L'  autore  è  il  TIGNOLA ,  del  quale  si  troveih  qui  dopo  rogislrala 
allr' opera  migliore.  E  in  proposito  del  medesimo,  inseriremo  a  questo 
luogo  una  nota  promessa  qui  sopra  a  pag.  289 ,  dove  abbiamo  parlato  di 
lui  e   del   Somis. 

In  un  libro  ,  divenuto  ora  assai  raro,  intitolalo:  Prose,  e  poesie  dell' abate 
Girolamo  Tagliazucchi  ,  professore  d' eloquenza  nella  regia  università  di  Torino, 
etnsacrate  all'altezza  reale  di  Vittorio  Amedeo  duca  di  Savcja  :  Torino,  1735, 
Giaufrancesco  Maircsse ,  8."  ;  si  trova  inserita  con  altra  numerazione  di 
pagine  una  stampa  dell'  anno  precpdente  ,  presso  Pier  Joseffo  Zappata  ,  con 
questo  titolo:  Altra  accademia  intorno  l'utilità  del  tradurre  e  dell'  imitare.  l\i 
alla  pag.  7  si  legge:  darà  cominciamenlo  il  signore  Ignazio  Scmis ,  col  reci- 
tarvi un'  orazione  i  Isocrate  da  esso  volgarizzata ,  etc. ,  dopo  la  quale  ,  alla 
pag.  21,  parlando  il  professore,  e  citandone  un  trailo  in  greco,  aggiunge- 
rlo^ ,  rome  ha  voltato  il  nostro  vclenle  traduttore,  ec.  E  alla  pag.  4^  :  ora 
reciteravvi  un'  oda   d  Orazio    da  esso  posta  in  versetti  italiani ,  il  signor  Gasparo 

44 


S4S  GIUNTE    ALLA   VITA 

Tignola:  dopo  questa,  rasionando  il  Tagliazucrlii  alla  pag.  53,  ne  reca 
alcuni  versi  portati ,  die'  egli ,  con  molta  grazia  nella  noitra  lingua  dolt  in- 
gegnoso  tratlutlore.  E  finaliiienle  alla  paa  61  :  reciterà  il  signor  Gasparo  Ti- 
gnola un  sonetto  a  imitazione  </«'  sonetti  hurlesihi  del  Tassoni.  Il  signor  Jgnotia 
Somis  reciterà  un  capitolo,  imitando  la  maniera  del  Bemi ,  e  dei  seguaci 
di   lui. 

Del  Somis  e  del  Tignola  abbiamo  pure  altre  poesie  nelle  raccolte  di 
qua' tempi.  Ma  del  primo ,  che  poi  fu  noto  e  rome  letterato,  e  come 
medico,  evenne  a  morte  nel  1793,  ha  scrino  nobilmente  1' elogio  il  chia- 
rissimo Vernazza  {Biblioteca  dell'anno  MDCCXCIII ,  IV  68).  Aggiungeremo 
soltanto ,  che  dagli  credi  furono  presentati  all'  accademia  delle  scienze  i 
registri  delle  sue  osservazioni  barometriche  e  termometriche ,  i  quali  co- 
nainciano  al  primo  di  g'^nnajo  del  1753  ,  e  giungono  al  22  di  giugno  del 
I5'92.  Ed  appunto  di  quelle  osservazioni  barometriche  si  era  valuto  il 
D'Antoni  (^isiit./ìs.  nice.  §.  4^4 )  P^r  determinare  la  massima,  me^izaiia,  e 
minima  pressione   dell' almosfera    in  Torino. 

Trigonometria.  Non  è  venuta  alla  luce,  E  citata  negli  elementi  dell'  al- 
gebra   §.   216. 

Della  geometria  solida ,  e  delle  sezioni  coniche.  Torino ,  1778  ,  si.  reale, 
8.",  fig. 

Elementi  dell'algebra,  Torino,    1778,   sU  tpale,  S.°^  fig- 

1:1   , Ili     il).i      j:-.  .j;llùl'l    : 

Principi   di  matematica   sublime.  Torino,   1779,  st.  reale ,   8.",  Eg. 

Istituzioni  fisico— meccaniche ,  per  le  rcpie  scuole  d'artiglieria  e  di  Jortlfica- 
xìone  1  dedicale  a  ^ua  Sacra  lirale  Maestà  da  Alessandro  Vittorio  PAPACllSO 
D'ANTOy.I ,  direttore  generale  delle  medesime.  Torino,  st.  reale,  tomo  I, 
1773;  li,    1774;  8.»,  fig. 

Erano  già  scritte  nel  17^5,  vedendosi  spesso  citate  nell'home  della  poi- 
fere ,  stampato   in  qucH'  anno. 

In  queste  istituzioni  si  trovano  registrate  (  §.  564-567)  le  sperienze  fatte 
nelle  scuole  d' artiglieria  l'anno  1760,  per  conoscere  1' effetto  massimo  delle 
macelline  nelle  varie  proporzioni  di  potenza,  resistenza,  e  velocità;  così 
pure  (§.  570-574,  584,  585)    le  sperienze    fatte  dal  D'Antoni  col  Mattei 


il 


DEL    d'akTONì.  347 

alla  real  fucina  di  Valdocca  per  deleruiiuare  1'  cflìetto  massimo  delle  ruote 
a  palette  ,   ed  a  secchie. 

Fu  quest'opera  tradotta  in  Franzcse  nel  1776,  e  stampala  col  seguente 
tìtolo:  Inititutions  p/tysico-mécani^ues ,  à  V  usoge  des  écoUs  royoics  d  arlillerie 
*t  Ju  ffinie  de  Tmin ,  traduiies  df  i  italUn  de  M,  D'intoni,  pur  M.  ***, 
thevolier  de  saint-Louis ,  et  majur  chej  de  iiriffadc  du  corps  royal  de  iorlil/erie, 
Strasbourg,  1777,  liaver    et  Trcultel,  8.",  Jig. ,  a  voi. 

Sappiamo,  che  il  traduttore  fu  il  cavaliere  Cussct  de  Mont  Rozard,  o 
di  falli  con  questo  secondo  iioiue  si  vedo  sollobcritlo  alla  cessione  del 
privilegio. 

Nel  diicovrs  prèliminaire  parlando  di  queste  istituzioni  e^li  dire:  je  les 
traduisais  pour  mot  ,  outant  pour  connoitre  le  Jond  de  Vouvrage ,  ijue  pour 
m'exercer  dans  une  langue  dans  tat/uelU  on  s'appercetra  facilement  que  je  dibute  ; 
j'itais  mcme  assez  Oi'anci  hrsquun  de  nos  chejs  ....  mart/ua  de  l'empresse- 
ment  pnur  la  Iraducfi'on  de  cet  oufrage.  Je  lui  communiquai  mon  essai;  il 
voulut  bien  m'honorer  de  son  sujfrage  ....  ./e  dois  beaucoup  aux  lumieres  de 
ce  che/  et  à  ses  conseils  ;  je  dois  aussi  à  runcien  professeur  de  Bapaume  .... 
Ces  inslitutions  correspondent  porfaitement  au  pian  dinstruction  qu'on  a  toulu 
itablir   dans  nos   ècuìes  depuis    la  pa'ix. 

Fra  molli  sbagli  del  traduttore  noteremo  il  seguente.  Nella  tavola  delle 
gravità  specifiche  (  §.  384  )  si  ,ha  una  divisione  intitolala  Robe  diicrse  : 
comincia  dall'allume,  e  contiene  f  avorio ,  la  polvere  da  fuoco  ec.  Il  Fran- 
cese (  tom.  II,  pag.  7)  traduce  il  titolo  Robs ,  e  lo  spiega  in  nota  svcs 
de  Jruits. 

Queste  istituzioni  furono  tradotte  in  Tedesco  con  aggiunta  di  note  da 
Giorgio  Federico  di  Tempelholi',  che  resosi  poi  celebre,  principalmente 
per  la  operetta  intitolala  1^  bombardiere  prussiano ,  fu  colonnello  di  quella 
artiglieria,  e  membro  dell'accademia  delle  scienze  di  Berlino.  E  questa  tra- 
duzione fu  il  primo  lavoro  del  Tempelholi.  £i  se  ne  valse  nelle  sue 
lezioni  a' giovani  aUicvi.  L'anno  della  stampa  registralo  dal  Deniua  nella 
Prusse  litléraire  è  il  17G8 ,  ma  non  essendo  probabile  che  la  traduzione 
siasi  fatta  sul  manoscritto  non  ancor  pubblicato  dal  D'Antoni ,  si  ha  da 
credere  che  sia   corso  errore  ,    e  si  debba  legger  piuttosto    1778. 

Prima  che  si  scrivessero  le  istituzioni  dui  D'Antoni,  la  meccanica  era 
insegnata  nelle  scuole  d'artiglieria  dal  nostro  La-Grange:  ed  oggi  ancora 
(1804)  nella  libreria  che  fu  già  di  quelle  scuole,  come  presso  alcuno  di 
que' discepoli ,  esistono  manoscritte    le  lezioni   dettate  e   spiegate  nel    1758 


548  GRINTE    ALI,A  VITA 

e    nel   1759    da    quel    giovniie   prolcsscie ,     che    poi    divenne   brìi   tosto   il 

priucipe   de'  lualeiualici   di  questa  t'ià. 

Esame  àelìa  poltcre ,  dedicato  a  Sua  Sarra  Reol  Manta  da  Alessandro 
Vittorio  PAPACIKO  D'ANTONJ,  direttore  delle  re^ie  stuoie  teoriihe  di 
artiglieria  e /orti/ìcazionc.  Torino,   1765.,   st.   reale,   S."  ,  fìg.  • 

Si  ha  trndollo  in  Frauzcse  dal  conte  di  Flavipiy,  in  Inglese  dal  Kellert 
e  iu  Tedesco,  si  crede,  dal  Tenipelhofl  :  il  Deiiina  però  non  ne  parla  nella 
Prusse  liltéraire. 

(Quando  fu  scrina  la  vita  del  D'Anioni  non  ci  erano  note  le  prima 
sperienze  intorno  alla  polvere  di  un  autore  disrenulo  poi  nirritamente  famo- 
sissimo ,  Beniamino  Thomson  conte  di  Humford.  Esse  furon  fatte  in  Inghil- 
terra nel  1778,  e  pubblicate  nelle  transazioni  dì  Londra  pel  1781.  Alolti 
anni  dopo,  cioè  nel  1792,  e  in  Monaco  di  Baviera,  il  Rumford  intra- 
prese una  serie  d'  altri  sperimenti  ,  che  sotto  la  sua  direzione  furono  con- 
tinuati dal  conte  Spreti  italiano,  e  da  un  altro  uffiziale  dell' lìleltore.  IL 
ragguaglio  si  trova  nelle  transazioni  del  1797,  e  noi  lo  conosciamo  per' 
un  bel  transunto  fattizie  nella  hililioteca  Britannica  di  Ginevra.  Il  compi- 
latore Ginevrino  osserva,  che  il  fisico  Americano  non  ha  conosciuto  l'opera 
del  D'Antoni,  e  noia  quanto  sia  util  cosa  il  paragonare  i  lavori  di  quei 
dotti,  che  l'uno  all'insaputa  dell'altro  han  preso  a  trattare  lo  stesso  ar- 
gomento, e  riferisce  un  lungo  tratto  del  nostro,  e  lo  cita  in  più  luoghi, 
e  ne  fa  degno  elogio.  Fra  le  altre  cose  egli  accenna,  che  l'idea  fonda- 
mentale delle  grandiose  sperienze  eseguile  dal  Rumford  era  g̣i  slata  esposta 
dal  nostro  autore,  il  quale  anzi  ne  aveva  già  fallo  uso  per  migliorare  il 
progetto  della  polvere.  Noi  qui  toccheremo  di  volo  alcuni  altri  punti,  iu 
cui  r  opera  egregia  del  Rumford  arricchisce  bensì  la  moderna  scienza  di 
preziosissimi  fatti,  ma  lungi  dal  nulla  dclrarie  al  merito  del  D'Antoni, 
lo  fa  spiccar  maggiormente,  mosliando  com'egli,  senza  la  guida  delle  più 
recenti  dottrine,  postosi  tuttavia  in  sulla  buona  strada,  verso  la  giusta  mela 
si  fosse  a   suo  potere  avviato. 

Il  Robins,  come  abbiam  detto,  avca  conchiuso  che  la  forza  delia  polvere 
supera  costantemente  di  mille  volte  la  mezzana  pressione  dell'atmosfera, 
ossia,  per  dirlo  altrimenti,  è  uguale  al  peso  di  mille  atmosfere.  Ma  nella 
opera  del  D'Antoni  quella  forza  comparisce  variabile,  e  giunge  fino  a 
mille  novecento.  Il  Rumford  ne'  primi  suoi  saggi  trovolla  di  mille  trecento 
all'  incirca ,  ma  negli  ultimi  scoprilla  moltissimo  superiore  :  nelle  immediate 


DEL   d' ANTONI.  ?/j  g 

sperirnze  la  vide  di  oltre  a  nove  iniia  qiiallrocer.to;  dallo  spncraisi  del 
suo  riimiuiic  la  dedusse  per  lo  uiciio  di  ('iii<|uanlaciiique  mila;  e  da' suoi 
calcoli,  fondali  sulla  li'Rge  speriuieiilaudo  scoperta,  aigoiueiitoiuie  il  mas- 
simo  a   più   di   ceiituiimila   almoslcie. 

Il  Kobins  attribuì  la  lor/.a  della  polvere  all'  aziouo  di  un  fluido  aeii- 
forme:  il  D' intoni  giudicò  che  i  vapori  vi  avcsser  parte:  il  Rcinilord  giunse 
a  mostrare  sì  grande  1' effe  Ilo  del  vapor  acqueo  nella  polveic,  chea  parer 
suo  un  cannone  non  è  altro  che  una  macchina  da  vapori.  L'acqua  di  cristal- 
lizzazione ,  che  risiede  nel  nitro  ;  1'  acqua  in  islato  igrometrico  ,  o  diciamo 
in  forma  di  umidore  ,  che  sempre  o  poco  o  assai  si  attacca  alla  polvere  ; 
e  l'acqua  finalmente  che  nell'atto  della  combustione  si  forma,  bastano  non 
pure ,  ma  son  di  troppo  alla  spiegazione  de'  fenomeni ,  e  produr  possono 
effetti  di  gran  lunga  superiori  a  quelli  già  tanto  uiaravigliosi  che  dalla 
polvere  son  prodotti.  E  ai  vapori  dell'  acqua  notano  i  fisici  Ginevrini, 
citando  anche  il  Lombard  traduttore  del  Bobins,  che  aggiunger  si  deb- 
bono i  vapori  dell'acido  nitrico.  Oi  modo  che  in  somma,  nello  stalo  attuale 
delle  nostre  cognizioni,  il  mirabile  del  fenomeno,  il  diHìeile  del  problema, 
jion  è  più,  dove  crede  il  volgo  ^  nella  grandezza  degli  effetti,  ma  ben 
auzi  nella  loro  tenuità.  Vale  a  dire  che  rimane  a  spiegarsi ,  non  già  come 
sia  sì  grande  la  forza  della  polvere,  ma  come  all'incontro  non  sia  supe- 
riore d'assai.  Pare  che  il  Rumford  ciò  attribuisca  in  parte  alla  troppa 
abbondanza  di  acqua ,  ma  certamente  pure  in  gran  parte  lo  attribuisce 
al  non  esser  punto  istantanea  I'  accensione  della  polvere  ,  come  già  contro 
il   Robins  avea  dimostrato  il  D'Antoni. 

Del  rimanente  le  sperienze  e  le  teorie  del  Rumford  lasciano  ancora  un 
ampio  campo  a' sottili  ricercatori  di  novelle  verità.  Ma  la  bibliografia  di 
una  parte  di  scienza  essendo  sempre  utilissimo  studio  per  li  coltivatori 
della  medesima,  noi  crediamo  di  far  cosa  grata  ad  alcuni  de' nostri  leggi- 
tori, e  a  ninno  spiacevole,  90I  dar  qui  dopo  un  indice  degli  autori  in 
qualche  modo  a  noi  noli ,  che  finora  si  sono  occupati  intorno  a  questo 
curioso  ed    importante   argomento   di  fisiche  speculazioni. 

Prima  stimiamo  di  qui  notare  che  ultimamente  il  colonnello  Grobert 
pubblicò  uno  strumento  da  lui  iiiunaginalo  per  misurare  le  velocità  ini- 
ziali ,  il  quelle  in  sostanza  è  lo  stesso  brevemente  descritto  nella  vita  del 
D'Antoni  (pnj;.  3l5l,  come  risulta  dalla  .seguente  lettera  inserita  nella 
gazzella  di  l'arigi ,  che  ha  per  titolo  Journal  des  dibals ,  del  12  nevoso 
anno   12,   3  geunajo    1804. 


Zòo  GIUNTE    ALLA  VITA 

AV      REDA  CTE  V  R. 

MONSIEVR, 


Genove ,  2  nivSse. 


Ij'appareil  succinctemmt  dicrit  dans  votre  Jenilìe  da  i6  frìmaire ,  et  destine 
a  mesurer  la  vitesie  iaitiaìe  des  bolles  ,  est  lune  dcs  iru'entions  les  plus  ingé- 
nieuses  de  la  mécanique  ;  mais  elle  n'est  pas  nouveìle  :  la  machine  en  question 
est  diorite,  en  grand  ditali  et  avee  Jìgures ,  dans  un  ouvrage  Ilalien  de  Pa- 
pacino  D'Antoni,  dìrecteur  des  icoles  d'artiUerie  ,  publii  à  Turin  en  1765, 
intituU  :  Esame  della  polvere  (  Examen  de  la  poudre  i  canon  )  ,  et  qui  ren- 
Jerme  des  recherches  trìs-intiressantes  pour  l'artillerie.  Il  y  a  plus  de  quinte 
ans  que  rette  machine  est  au  nombre  des  mes  appareils  de  physique ,  et  qu'on 
la  volt  fonctionner  dans  mes  cours.  Camme  lidie  principale  est  trìs-simple ,  il 
tst  probable  que  le  colonel  Grobert  se  sera  rencontri  dans  celle  conception  avec 
le  professeur  Italien  ;  mais  le  droit  de  eelui-ci  à  la  prioriti  me  parait  in- 
dubitable. 

Au  demeurant  ,  tauteur  de  Vouvrage  citi  ne  se  donne  pas  mime  pour  étre 
VinventeuT  de  la  machine;  il  rcconnait  quii  en  doit  t  idie  au  citibre  mica- 
nicien  Mathey ,  attaché  au  Jeu  roi  de  Sardaigne.  Et  je  tiens  d'un  indifidu  <i 
qui  D'Antoni  l'ai'ait  raconti ,  que  n'itant  pas  satisfait  du  jeu  de  l'appareil  i 
pendale  de  Robins  pour  mesurer  la  vitesse  des  projccliles ,  i7  disnit  un  jour 
à  Mathey  san  ami:  «^vous  demez  bien  m'inventer  quelque  machine  qui  donn&t 
»  des  risultats  plus  pricis ,  et  dont  le  cahul  fùt  moins  compliqui  «.  Aprìs  quel- 
ques  instans  de  méditation  :  "  J'ai  votre  affaire  » ,  dit  Dlathey  ;  et  la  machine 
/ut   inventie. 

La  Jriquence  de  ces  bonnes  fortunes  est  un  don  de  la  nature,  et  tiliment 
principal  du  genie   des  micaniques. 

Je  suis  etc, 

31.  A.  Pictet ,  professeur  de  phihsophìe 
et  de  physique  expirimenialc  dans  T Acadimie  de  Genite, 

Nel   giornale    del  6    di   gnnnaio   fu  inserita  la  seguente  lettera  del  Grobert  , 
che  accenna  i  cangiamcoli  da  lui   fatti  alla  macchina  del  Mattei. 


DEL    d' ANTONI.  55  J 

A  U      RÉDACTEVR. 


UONSIEUR, 


JJimpression  iu  ropport  du  C.  Prony ,  et  celle  ies  mèmoires  reìailfs  h  une 
machine  proposie  putir  mesiirer  la  viiesse  iniliale  dn  projetlilis  ,  ne  peut'ent  pat 
ilre  Olissi  promptes  que  Ies  annonces  iles  jeurnaux.  HI.  Pictet  est  donc  exru- 
sable  d'ignorer  que  son  observalion  insèrèe  dons  votre  Jeuille  du  II  nitése ,  a 
ite  présentée  par  l'auteur  aux  commissaires  de  ì'inslilut  qui  font  conimuniquie 
à  cette  socièté.  Le  sa^'anl  rapporteur  a  ètalli  loutejois  la  diffèrtnce  qui  txiste 
entre  la  machine  en  question  et  celle  de  Mathry ,  qui  en  a  Ji'umi  l'idéi-mere. 
Il  a  fait  eùsener  que  l'uppureil  nouveou  èlait  distingue  ni.n-seulemint  par  la 
disposition  de  ses  pcrties ,  mais  cussi  par  une  application  beaucoup  plus  exacte 
et  plus  ilendue.  Ce  qui  juslife  cette  asscriion ,  c'ett  qu'on  pcut ,  a>ec  l'appareil 
nouveau  ,  èi-aluer  toutes  Ics  diviotions  du  mobile  par  l'intersection  de  trois  plons 
toordonnés  ;  tirer  avec  des  piìces  de  tnut  calibre  montées  sur  toutes  especes 
d'affut ,  et  sous  tous  Ies  anf-les  ,  depuis  zero  jusqu'à  la  huitième  partie  du 
oercle. 

J.  Grobert. 


Deir  uso  dell'  armi  da  fuoco ,  per  le  regie  scuole  teoriche  d'artiglieria  e  forti- 
ficazione :  del  commendatore  Alessandro  Vittorio  PAPACINO  D'AISTONJ. 
maggiore  generale  di  fanteria  ,  ojutanle  generale  dell' armata  ,  e  direttore  gene- 
rale delle  suddette  scuole  di  teorica  e  di  pratica.  Toi  iuo ,  1780 ,  stamp. 
reale  ,   8."  ,  fig. 

"^eW  artiglieria  pratica  slarnpata  nel  1774  e  1775  trovasi  già  più  volte 
citala  la  teoria  della  resistenza  dell'armi  da  fuoco.  Penso  die  questa  sia  la 
prima  parte  del  presente  libro,  la  quale  difTalti  è  intitolala:  della  resi- 
stenza dell'  armi  da  fuoco. 

Anche  di  qiiest'  opera  si  La  una  traduzione  Tnpiese  del  Kellert.  Fu  re- 
cata in  Franzese  dal  marchese  di  saint-Auban  tenente  generale  delle  armate 
di  Francia,  e  i;ià  ispettor  generale  di  quell' artiglieria.  Noi  qui  vogliamo 
rifiMire  ,  più  in  disteso  di  quanto  siasi  fatto  nella  vita ,  il  luaguifico 
elogio  ,    che  l'illustre  traduttore  premette  a  questo   libro. 


5d2  giunte  alla  vita 

La  haute  répulalion,  dont  jouit  en  Europe  M.  le  chevalier  D'Antony ,  a 
engaf;è  les  gens  de  l'art  à  rechercher  avec  empressement  les  excellens  omrages  quii 
a  campo  lés ,   sur   la  Jortificatìon  ,   sur  l'art illrrie  ,    et    sur   la  guerre   en  general, 

he  roi  de  Sardaigne  ayant  apprécié  le  mirile  de  parei/s  ècrits ,  et  jugà  com- 
bien  poufaient  étre  utiles  à  san  ser^ice  les  connaissances  qu'y  puiseraient  les 
Ojfftciers  da  corps  du  genie  et  de  l'artillerie ,  a  ordonni  qiiils  fussent  succes- 
sivement   imprimés   à  son  imprimerle  royale  de  Turin. 

Les  iiigénieurs  et  les  artilleurs  de  différentes  notions  ayant  desiri  retircr  de 
la  letture  et  de  l'itude  de  ces  dit-ers  oUiTagcs ,  les  connaissances  essenliellement 
nicessaires  à  leurs  fonctions  resperti^'es  ,  les  nnt  traduits  en  pìusieurs  langues. 
Ceux  i/iii  composent  le  cours  philosophiijue  militaire  des  icoles  royales  d'artil- 
lerie  et  de  genie  de  Turin  ,  cnnsistent  en  six  nolumes  in  8." ,  ayqnt  pour  titre 
ArchileUura  militare:  en  deux  w/i/mw  i'o^i'/h/i'ì  Iiistiluzioni  Ksico-inpccaruche  : 
en  un  volume  inlilulè  Esame  della  polvere:  en  un  volume  intiluìi  Uso  ilello 
armi   da    fuoco,  avet  planches  et  fìgures. 

«Tous'ces ouvrages  sont  nècessairement  prècidis  des  traitis  convenables  d'arithmi- 
tiijue ,  d'algibre  et  de  giomitrie ,  dont  on  ne  fait  ici  aucune  mention.  L'  arli- 
glieiia  pratica,  ainsl  que  les  iiislitiizioiii  fisico-meccaniche,  ont  iti  traduits 
en  langue  Fran^aise ,  avec  approbation  et  priviUge  du  Roi ,  de  ménte  que 
Tesarne  della   polvere». 

L'uso  dell'armi  a  fuoco,  dont  nous  donnons  la  traJuction  Jran(aise ,  est 
une  application  facile  à  la  pralique  {qupique  savamment  dimnnlrie)  ,  des  prin- 
cipes  et  des  maximes  exposies  dans  les  pricidens  icrils  de  l'auleur  Ilalien  ; 
maximes  d'autant  plus  sures  que  la  théorie  est  à  chaque  pus  ennjìrmie  par 
,  ì'expérience. 

Npus  croyons  pouvoir  avancer ,  sans  crainle  d'étre  contredits  par  les  plus 
.habiles  gens  de  l'art,  que  titude  de  V ensemble  des  ouvrages  de  M.  D'Antony 
procurerà  à  MM.  du  corps  d'ortillerie  et  à  ceux  du  ginie  la  connaissance  de 
pìusieurs  Jaits  relatijs  à  leurs  fonctions  :  fails ,  qui  jusquici  n'avaient  pas  ili 
/lussi   siìlidement  dimontrès ,   ni  ai/ssi  clairement   expliquis. 

On  sera  sans  doule  ètonni  du  nombre  et  de  la  varièli  des  diffirenles  expi- 
riences ,  qui  ont  ili  failes  en  e,rand  sur  chatun  des  ohjels ,  de  la  rigueur ,  de 
la  pricision  et  de  l'exactitude  qu'on  a  emphyies,  nfin  de  pouvoir  asscoir  sur  leurs 
risullats  des  jugcmens  posilifs ,  irrivocables  et  sans  retour,  On  ne  sera  pas 
moiiìs  itonni  des  sommes  immenses  qu'il-en  a  dù  eoùler  pour  fnire  en  grand 
ces  diverses  épreuves,  C'est  ainsi  cependant  que  les  viritis  se  dirouvrent ,  que- 
Ics  orls   et    les  seiences  parviennent   à  un  plus  liaut  degri  de  perfection. 


DEL   d' ANTONI.  355 

M.  D'Antony,  en  homme  de  Karl,  ne  fixe  à  la  pniidre ,  par  toiis  les 
procfdis  quii  a  empìnyis ,  auiun  rffel  gcnniòlriijuement  Constant  et  régulier , 
mail  Jet  approxiniaiions  asse:  constantes  pour  en  iléduire  des  à-ptu-prìs  qui 
ne  peavent  éf^arer  dans   la  prnt!que, 

C'est  au  fiens  du  mitii-r ,  aux  physiclens ,  oux  f;éomhres  imparliavx  et  sani 
préi'entions ,  à  prononcrr  sur  le  mérite  des  om'rapes  de  M,  D'Antony  ;  nous 
prhumnns  qut  leur  juffement  s'accorderà  avec  celai  que  nous  en  avoni  porte  , 
d'aprii  létude  la   plus  suifie  doni  nous  puistions  (tre  capables. 

Trattalo  de'  Fiinchi  ria  guerra.  MS.  con  24  tavole  :  di  Giovan  Giuseppe 
Francesco  BI.AVETTI,  cavaliere  di  S.  Maurizio,  e  niagf>ior  generale, 
che  Cu  capilaiiu  de' bombardieri  ,  tnaeslro  nelle  scuole  teoriche,  e  direttole 
della  scuola  pratica.  Quest'opera  serviva  in  particolare  all' ammaeslrameolo 
de'  bombardieri. 

Del  Blaveili,  morto  ultimamente,  piacerai  di  riferire  un  trailo  di  eroico 
valore,  per  cui  fu  veduto  sagrificare  al  dover  del  soldato  il  più  legittimo 
airctto;  e  furollo  colle  parole  adoperale  dal  sovrano  gran  maestro  dell' or- 
dine di  S.  Maurizio  nel  conferirgli  una  pensione,  l'anno  1783.  Quid  autem 
gesseris  lestori  potest  ....  expeditio  Astensis ,  quo  tempore  frater  tuus  jamjam 
animam  afiens  te  retinere  lateri  suo  adherentem  haud  poluit ,  quin  ad  rem 
quantumfis   pericuhsoe  plenam  aleoe  gerendam  Jestinares. 

Il  Tnaneaglamcnlo  delle  miurhine  d' artii^lieria  :  del  commendatore  Alessandro 
Vittorio  P^PAi'INO  D'ANTON,!  ma^^iorc  generale  di  fanteria ,  ojutante 
grn  erale  dell'  armala ,  e  direttore  generale  delle  regie  scuole  teoriche  e  pratiche 
d"  artiglieria  e  /orlìficazione,   'I orino,   1782,    si.   reale,   8.° 

Dell'  artiglieria  pratica ,  per  le  regie  scuole  teoriche  d'  artiglieria  e  Jortipca- 
zione ,  libro  primo,  dedicato  a  S.  S.  il.  M.  da  Gasparo  TIGNOLA  capitano 
t  maestro  in  esse  regie  scuole:  o  sia  incumbenze  degli  artiglieri  negli  arsenali 
a  nelle  fortezze   in   tempo  di  pace.    Torino,  1774,   st.  reale,  8.°,   Cg. 

Libro  secondo  ,  dedicato  a  S.  ,*>.  il.  M.  dal  cavaliere  Alessandro  f'ittorio 
PAP  ACINO  D' ANTON J,  direttore  generale  delle  medesime,  (scuole).  Torino, 
1775,  si.  reale,  8.",  fig. ;  coli' aggiunta  del  seguente  titolo  particolare; 
Incumbenze  degli  artiglieri  in   tempo    di  guerra. 

Tradotto  in  Franzese  dal  suddetto  (]ussel  de  Mont-Rozard  ,  con  aggiunta 
di  note ,  inloruo  alle  quali  uno  de'  suoi  più  famosi  paesiani  ebbe  a  scrivere 

45 


554  CIUNTE    ALLA   VITA 

come  srgae.  M.  de  Mont-Rox«rd  nit  mèritè  ìei  i^lus  -f^ranis  iìogis ,  sii 
n'avait  pas  ajnuti  Sa  si'en  à  la  iroduclion ,  et  quii  eùt  suin  Vexemple  du 
corate  de  Flat>if^ny  qui  a  traduit  V  Esame  della  polvere.  Ed  altrove.  Toutes 
les  litlres  que  je  relais  de  nos  garnisons  dariilhrie ,  et  des  militaires  insfruits 
sur  notre  mètier ,  diserti  que  M.  de  Mont-Iìozard  a  gàie  tout  le  mérite  de 
la  Iraduction  ,  en  y  ojoutant  des  notes  particulieres. 

Ecco  il  titolo  della  traduzione.  Du  serviee  de  Tartillerie  à  la  (guerre,  par 
M.  le  che>'alier  D'Antoni ,  bri^adier  d'infanterie ,  ndjudant  ginèral  de  S.  M. 
le  roi  de  Sardaigne ,  et  directcur  general  des  écohs  d'artillerie  et  du  genie  de 
Turin.  Traduit  de  Vllalìen  ,  a^ec  des  additions  et  des  notes,  par  M.  de  Moni- 
Ttozard ,  che^alier  de  snìnt-Louis ,  et  Ueutenanl-colonel  du  corps  royal  de 
l'artilkrie.  Paris ,  1780  ,  Jombert ,  8."  ,  fig. 

l'ocabolario  formato  à' ordine  di  Sua  Maestà  per  servire  di  norma  alla  costru- 
zione degt  im-entarii ,    ed  anco  d'  ammaestramento  a'  nuovi  ufficiali.  MS. 

Il  re  Vittorio  Amedeo  il  grande  cercò  in  più  maulere  di  propagare 
ne'  suoi  stali  il  buon  uso  della  Italiana  favella.  E  tra  gli  altri  provvedi- 
menti, fece  compilare  questo  vocabolario  per  evitare  gli  equivoci  e  gli 
sbagli,  che  appunto  in  materie  di  questa  fatta  nascono  troppo  facilmente 
dalla  differenza  tra  il  volgar  dialetto  e  la  lingua  scrina.  Ma  il  ben  ideato 
lavoro  non  fu  condotto  con  quella  perizia  ed  accuratezza  che  si  sarebbe 
adoperata  dopo  la  fondazione  delle  scuole.  Se  ne  fossero  siali  autori  in 
tempi  alquanto  più  recenti  il  D'Anioni  e  il  Tignola,  si  avrebbe  non  solo 
per  la  professione  dell'artigliere,  ma  eziandio  per  molle  arti  meccaniche 
ad  essa  affini,  un'opera  tecnica  che  manca  all'Italia,  e  che  starebbe  al 
paro  del  vocabolario  delle  arti   del   disegno  composto    dal    Baldinucci. 

Il  nostro  vocabolario  d'  artiglieria  fu  compilato  nel  lySo ,  ed  approvato 
dal  nuovo  Sovrano  con  viglietto  del  i4  di  marzo  l'anno  1731.  Ariigl.prat. 
li').  I    p.  245,   II  num.   84. 

Dizionario  istruttivo  di  tutte  le  robe  appartenenti  all'  arlipìieria.  MS.  Sul 
principio  si  legge  ,  non  essersi  fatto  che  per  maggiore  spiegazione  del  voca- 
bolari" già  formato-  d'ordine  di  Sua  Maestà. 

Citando  questo  manoscritto  nella  vita  del  D'Antoni  ,  ho  congetturalo 
che  l'ignoto  autore  fosse  per  avventura  egli  slesso  l'inventore  di  certi 
cannoni  che  si  caricavano  .dal  calcio.  La  congettura  e  fondala  sopra  il 
modo  nel  quale  ei  ne  parla  così.  Dopo  aver  descritto  altri  cannoni  deuo- 
lainati  a  braga,    che  pur  si  caricavano  pel  calcio,    passando    a  ragionare 


DEL  d'awtoni.  555 

de'  cannoni  ài  niimn  im'rnzionc ,  s' introdure  a  questo  modo.  «  Si  Sono  nel 
»  srcolo  scorso  più  maniere  inventale  per  lirnr  presto  senza  esier  obbli- 
»  j;ati  a  caricare  per  In  bocca  i  cannoni,  coniu  si  cusltiina  ,  ina  1' inven- 
»  zione  fu  aempre  dagl'incouvenienii  e  per  molle  canse  rigettata.  OpKÌdi 
»  nel  principio  di  questo  secolo  fu  ritrovata  la.  maniera  </a  un  aurore  o  nio/t< 
»  notò  ,  quale  per  gli  espcriiiienli  falli  iicU'  assedio  di  questa  cittadella  non 
»  può  abbastanza  esser  lodala».  Ho  trovato  poi  che  questi  stessi  cannoni 
furono  pure  lodatissiiui  da  un  gran  ruaestro  di  guerra,  il  visconte  di 
Puerlo,  più  nolo  sotto  il  nume  di  uiareliese  di  Santa  Cruz,  che  in  Torino 
appunto,  dove  risiedeva  auibasciadore  pel  re  cattolico,  scrisse  e  stampò  le 
sue  famose  rijlessioni  mililari.  Ei  ne  fa  cenno  in  due  luoglii.  Nella  parte 
II,  toiuo  V,  libro  XI  (fn  Turili  por  Juan  Francisco  Mairesse,  ano  de  1725  ) 
capo  XIV,  pag<.  l44-  >^'  '"'  piezas  son  ti*  las  de  nueva  inyencion  ,  <]ue  se 
carfian  por  la  culaia  ,  nii  l/astaria  duplicar  la  cantitad  de  cargas  ;  pori/u^ 
diipatfui  con  macho  mas  ijue  dolile  celeriiad  i/ue  los  canones  ordinarios.  E 
nyllfi  parte  ili,  tomo  IX,  libro  XVII,  (  en  Turin  por  Alexandre  Vimer- 
cato ,  ano  de  1717)  p.  l38.  Sobra  todo  se  guamecen  de  mucha  artilleria  ,  o 
fiuardajosos  ,  los  jlancos  lalcrates  à  la  brecha  ,  para  tirar  a  cartucho  sabre  los 
enemifios  qye  vtngan  al  assalto ,  en  cuya  operacion  se  hallaron  eitcellenles  en 
la  ultima  dffensa  de  la  ciudadela  de  Turin  las  piezas  tjue  se  carpan  por  la 
culata,  y  que ,  en  et  Vtcsmo  tiempo  qae  las  ordinarias ,  disparan  infinitamente 
mas  tiros. 

Istruzioni  per  l' ammaestramento  degli  artiglieri  nell'  uso  delle  diverse 
lor  macchine.  MS.  Furono  distese  nel  1770,  o  trovaosi  citate  ne' due  libri 
dell'  artiglieria  pratica. 

Dell'  architettura  militare  ,  per  le  repie  scuole  teoriche  d"  artiglieria  e  forti- 
fu  azione ,  libro  primo,  in  cui  si  tratta  della  fnrtificazione  regolare,  dedicato  a  S. 
S.  R.  M.  dal  cavaliere  Ahssandro  P'ittorio  PAPACl^O  D'Al^'TONJ ,  bri- 
gadiere di  fanteria,  ajutante  generale  dell'  armata,  e  direttore  generale  delle 
suddette   scuole    di  teorica  e  pratica.  Tonno,   1778,   stamp.  reale,  if.",  Cg. 

Libro  secondo,  in  cui  si  tratta  dell'  attacco  e  della  dife<a  delle  piazze  rego- 
lari, dedicalo  a  S.  S.  R.  M.  dal  cavaliere  Ignazio  Andrea  BOy.ZOIjyO, 
tenente  colonnello  nel  corpo  reoh  d'artiglieria  digrado  di  colonnello  di  fanteria , 
e  direttore  particolare  di  esse  scuote.  Torino,  1779,  st.  reale,   8.°,   fìg. 

Libro   terzo ,  in  cui  si  contengono   le  regole    della  fortificazione  difensiva  ,    e 


556  GIUNTE   ALLA  VITA   DEL  d'anTONI. 

delle  mina  per  le  piazze  di  guerra;  dedicato  a  Sua  Sacra  Reale  Maestà  da 
Alessandro  Vittorio  PAP ACINO  D'ANTOyj ,  direttore  delle  medesime 
(scuole).   Torino,    lySiJ,  st.  reale,   8.",  fìg. 

Pubblicalo  in  FrauzGse  sedici  anni  dopo  con  altro  titolo,  senz'avvertire 
che  fosse  una  semplice  traduzione,  e  senza  il  nome  dell' autore,  eppcrciò 
con  vero  plagio ,  sebbene  in  una  prefazione  de  l'éditctir ,  dicendosi  al  pub- 
blico j  qu'il  trovvera  quelques  idies  neuves  dans  le  volume  quon  lui  présente , 
si  angiunga  :  ces  idées  appartiennent ,  pour  la  plus  f;rande  partie ,  à  MM.  D'An- 
toni,  DJiana  ,  et  Bozzolina,  l'oyez  le  troisihne  volume  de  Varchitecture  militnire 
de  Bit»  D'Antoni ,'  imprimi  à  Turin  et  1769,  e  doveva  dire  lySg.  Il  titolo 
di  cjuesta  edizione  è  il  seguente.  Principe»  fondumentaux  de  la  construclion 
des  places  ,  avec  des  rfjlexions  propres  à  dimuntrer  lei  perfeclions  et  les  imper- 
feclions  de  celles  qui  soni  '  construiies  ;  un  nout'eau  sjsleme  de  Jorlificatian  sur 
laute  espece  de  Ugno,  et  une  nouvelle  Ihiorie  des  mines.  Londres ,  et  se  trouve 
à  Paris  ,  chez  Buault ,  dombert ,  L'Esprit,  eie.  1775.  8.°,  fìg.  Un'antiporta 
o  priuio  frontispizio  ha  il  titolo  ài  Principes  fondamenlaux  de  Jorlijìcalions. 
Dietro  a  questa ,  e  cosi  a  rimpetto  del  vero  frontispizio  si  legge  :  on  trouve 
chez  les  mémes  libraires  l'Examen  de  la  poudre.  A  questa  edizione  il  tradut- 
tore non  ha  aggiunto  che  due  note  ni  §§.  39  e  io3  per  accennare  senza 
spiegarle  due  invenzioni  di  M.  de  Beril  capitano  di  dragoni. 

Libro  quarto  ,  in  cui  si  tratta  della  Jorti(uazione  irregolare;  del  commen- 
datore Alessandro  Vittorio  PAP ACINO  D'ANTONJ ,  brigadiere  di  /anieria, 
ajutante  generale  dell'armala,  e  direttore  generale  delle  suddette  scuole  di  teo- 
rica e  pratica.  Torino,   1780,  st.  reale,  8.,   fìg. 

Libro  quinto  ,  in  cui  si  contengono  le  regole  Jìsico-meccaniche ,  che  alla 
soda  ed  insieme  economica  costruzione  delle  fortificazioni  conducono  :  del  com- 
mendatore Alessandro  Vittorio  PAP  ACINO  D' ANTON J ,  maggiore  generale 
di  fanteria,    etc,  Torino,   1781,  st.  reale,   8.°,  fìg. 

Libro  sesto  ,  in  cui  si  tratta  de'  modi  di  attaccare  e  difendere  qualsivoglia 
recinto  presidialo ,  e  si  danno  le  regole  per  ideare  le  fortificazioni  campali  , 
assalirle  e  difenderle  ;  del  commendatore  Alessandro  Vittorio  PAPACINO 
D' ANTON J ,  maggiore  generale,   etc.   Torino,  1782,  st.  reale,  8."  fig. 

Neil'  avviso  del  S.-Auban  alla  traduzione  dell'  uso  dell'  armi  da  fuoco  si 
legge:  on  s' occupc  de  la  traduction  de  i'archileclure  ixiilitaiie:  elle  deman- 
derà beaucoup  de  tems. 

Eltmmti  della  tattica.   Inediti.  Citati   ucH'  uso  dell'  armi  ila  fuoco  ,  §.  2o3. 


357 

OPERE    INEDITE    DEL    D'ANTOM. 

Geometria ,  e   forse  Trigonometria. 

Storia  dell'  oritene,  e  delle  forme  diverse,  che  di  tempo  in  tempo  sono  siale 
date  al  corpo  mililare  degli  artiglieri  di  S.  M.  Mi  e  venuta  alle  luaiii  in 
quesl'  anno  1804  per  favore  del  nostro  chiarissimo  presidente  Kaluzzo. 
Prima  erami  noto  solamente  il  titolo ,  e  per  memorie  infedeli  alquanto 
diverso,  sicché  mi  facea  credere  che  fosso  una  vera  e  compila  storia  , 
e  questo  era  un  de'  motivi  per  cui  fu  ritardata  la  stampa  della  vita ,  desi- 
derando io  di  non  pubblicarla  senz'  aver  veduto  il  lavoro  del  D'Antoni. 
£sso  è  un  discorso  di  pochi  fogli  posto  avanti  ad  una  collezione  di  docu- 
menti, che  incominciano  all'anno  164S,  e  giungono  al  1786.  L'autore  non 
ha  punto  avuto  in  mira>  di  fare  un'  opera  letteraria  o  scientifica ,  né  di 
raccogliere  tutto  ciò  che  può  servire  alla  storica  illustrazione  dell'  arti- 
glierìa Piemontese  ;  ma  solo  di  lasciare  al  corpo  degli  artiglieri  un  registro, 
dove  per  ordine  di  tempo  fossero  notate ,  come  espressamente  lo  addita 
il  titolo,  le  variazioni  succedute  nella  forma  e  costituzione  del  corpo 
medesimo,  e  ne' dritti  e  doveri  degli  ulliziaii  e  de' soldati.  Quindi  non 
è  meraviglia,  se  la  maggior  parte  delle  notizie  da  noi  riferite,  e  tante 
altre  che  aggiunger  si  potevano,  non  si  trovano  accennate  in  quel  registro  , 
siccome  aliene  dall'  unico  scopo  del  benemerito  raccoglitore.  Ho  citalo 
talvolta  nelle  postille  alcuni  de' documenti  compresi  in  questa  raccolta, 
utili  alla  storia  del  reggimento  ,  e  delle  scuole,  e  a  quella  eziandio  dell'art* 
professala   ed  insegnata  con  tanto  lustro  da'  nostri   dotti   militari. 

Tattica  elementare,  in  un  volume.  È  probabilmente  l'opera  stessa  citata 
qui  sopra  col  titolo   di  Elementi  detla  tattica. 

Gran  lattica  ,   in    due   volumi. 

Descrizione  della  battaglia   di   Torino  nel  1706,  in  franzese. 

Connaissarues  pour  Jairt  la  fiiierre  en  JLombardie ,  avec  dcs  rimarques  polilic»- 
mililaires   sur  la  f.uerre  de  1733. 

Tratto  di  storia  della  guerra  seguente,  in  franzese. 

Qui  dovrebbero  aver  luogo,  se  fossero  venuti  a  nostra  notizia,  alcuni 
altri  degl' inediti  lavori,  come  ragguagli,  pareri,  esami,  giudizi,  che  per 
cagione  del  suo  ofiBcio  ebbe  a  distendere  il  D'Antoni,  in  grandissimo  numero  , 
e  spesso  in  materie   per  qualche  modo  appartenenti  a  scienze  od  arti. 


358 

ELENCO    DI    AUTORI 

INTORNO  ALLE  mOPRlETA'  DELLA  POLVERE   DA  FUOCO. 

Non  è  nostro  iiilendimenlo  di  compilare  una  biblioteca  d'arliglierin,  o 
di  balisiica  militare,  ma  solo  d'indicare,  come  abbiamo  promesso  alla 
pagina  349,  "'cuui  di  quegli  autori,  che  hanno  sperimentato  o  scritto 
intorno  alla  natura  della  polvere,  alla  sua  forza,  ed  alla  iniziale  velocità 
de'  corpi  da   essa   scagliali. 

Quasi  tutto  lo  bibliografie  delle  scienze  moderne,  se  sono  compilate  per 
ordine  isloiico  ,  debbono  incominciare  da  nomi  italiani.  E  a  noi  pure  così 
tocca  di  fare.  Dogli  oltramonlaiii  più  antichi,  cioè  de' due  famosi  monaci; 
l'Inglese  Rogero  Bacone,  ed  il  Tedesco  Scliwartz ,  non  facciamo  parola, 
perchè  appnriongnrio  alla  stoii.i  della  scoperta,  pift  che  alla  teoria ,  od  anche 
alla  pratica  dell'arte.  Per  la  stessa  ragiono  non  parliamo  ne  di  Cinesi, 
uè  d'Arabi  I  loro  drilli  alla  gloria  della  prima  scoperta,  o  dell'uso 
antichissima  della  polvere ,  si  trovano  esposti  da^li  eruditi  illustratori  delle 
antichità  letterarie   e  scientifiche   di   quelle  nozioni. 

Jjà  noi-a   scientia    di  Nicolò  TARTAGLIA  ,    con  una  gionla  al  terzo    libro. 

La    dedica  è  del   iSjy. 

Nell'esemplare  che  ho  fra  le  mani,  al  fine  del  libro  terzo,  fol.  34,  si 
legge:  In  Venetia,  appressa  Camillo  Castelli.  i583.  Poi  con  gli  stessi  carat- 
teri,  e  rolla  slessa  caria,  ma  con  altra  numerazione  di  fogli  incomincia  : 
Il  primo  libro  delti  quesiti  et  invrntioni  diverse  de  Nicolo  Tartaglia  ,  sopra  li 
tiri  delle  artiglierie,  et  altri  suoi  varii  accidenti.  Il  merito  principale  della 
opera,  come  a  tutti  è  noto,  appartiene  alla  balistica:  ma  relativo  allo 
speciale  areomento  del  nostro  elenco  è  il  Libro  terzo  sopra  del  salnitrio  , 
et  delle  i-arie  compositioni  della  pohere  delle  arteglierie ,  et  della  proprietà  , 
over  particolar  officio,  che  ha  cadaunn  de' suoi  tre  materiali  in  tal  cnmpositione , 
et  altre  particolarità.  Dopo  il  fine  dell'ottavo  libro,  al  fol.  94.  seguono 
senza  numerazione  di  pagine  tre  altri  Wn,  e  i\tierae.ioniinìenli ,  e  nell'ultimo 
foglio   si   legge  In  Vinegia  p/r  Curtio  Troiano  de  i  Navò.  M.  D.   l.XII. 

De  la  Pirotecnia  libri  X,  dm-e  ampiamente  si  traila  non  solo  di  ogni  sorte 
et  dii/ersita  di  miniere ,  ma  ancora  quanto  si  ricerca  intorno  a  la  pratlira 
di   quelle   cose    di    quel    che    si   appartiene   a   V  arte   de   la  fusione   over   gittn 


GIUNTE    ALLA  ViTA    DlìL    d'aNTOMI.  3{3q 

de'  melalli  come  d' ogni  altra  cosa  simile  a  questa.  Composti  per  il  S.  Vonnocfiti 
BIRING  faccio  Sennese.  Con  prifileffio  apostolico  et  de  la  Cesarea  Rlaeslà 
et  del   Illustriss.  Senato    l'enelo.  MDXL. 

Per  Canio  Navò  et  fratelli ,   al  segno  del  Lion, 

Stampata  in  Venclia  per  Venturina  Hojfinello  ad  instanlia  di  Curlio  Kavo 
tt  fragili.  Del  M.CCCCC.XL. 

In  4-'^  '  lol-   ^^^  >  con  fìg.   in  legno. 

Questa,  secondo  lo  Zeno,  è  la  prima  edizione.  Il  Fonlanini  annoveia, 
come  la  terza,   quella  del    nostro  Coniin  da  Trino,  Venezia    iS59,  in  4." 

Il  libro  VI  tratta  Del  arte  del  gitto  in  universale  et  in  particulare.  Il  capi- 
tolo 3  De  le  dijferentie  de  le  artif-liarie  et  lor  misure.  Il  5  De  fU  ordini  et 
modi  di  far  le  forme  de  le  arligliorie.  E  continua  a  trattar  di  tali  cose 
ne' capi  seguenti. 

Il  libro  X  tratta  Delle  materie  artificiali^  disposte  a  fuochi  tt  degli  ordini 
che  si  tiene  a  fare  quelli  che  il  fulgo  chiama  lavorati  per  adoperare  nelle  offese 
et  diffcse  delle  guerre  o  per  allegrezza  nelle  feste.  Il  capitolo  1  Del  salnitro 
et  del  modo  che  nel  farlo  si  procede^  2  De  la  pollare  che  s' adopra  a  tirar 
r  artigliarle.  3  De  modi  che  s'  usan  in  caricar  l'  artegliarie  e  iuslamente  trarle. 
4  De  le  mine  sotterranee  ec. 

Della  magìa  naturale  del  PORTA  si  ha  un'edizione  del  Piantino,  i564, 
in  16;  l'opera  è  divisa  solanacnte  in  quattro  libri,  e  non  tratta  della 
polvere  :  perciò  riferisco  il  frontispizio  di  una  edizione  posteriore ,  assai 
più  voluminosa. 

Jo.  Baptistce  Porta  Neapoìitani ,  magim  naturatis  libri  viginti.  Ab  ipso  quidem 
aulhore  ante  biennium  adaucli ,  nunc  vero  ab  infmitis ,  quibus  editio  illa  sca- 
tebat ,  mendis  optime  repurgati,  in  quibus  scientiarum  noturalium  Jivitice  et 
delicice  demonstrantur.  Francofurti,  iSgi  ,  apud  Andrea;  Wecheli  hce- 
redes,   8.° 

Pag.  4^-  Li'ifr  duodecimus,  Portentosas  ignium  exitialium  machinotionet 
molitur, 

Neil'  opera  intitolata  :  Alti  ,  e  memorie  inedite  dell'  accademia  del  Cimento, 
e  notizie  aneddote  dei  progressi  delle  scienze  in  Toscana,  pubblicate  dal  dottor 
Giovanni  Targioni  Tozzetti,  si  trova  alla  pag.  iC3  del  tomo  II,  parto  I, 
ima  'Nota  a  esperienze  fatte  dal  serenissimo  GRAN  DVCA  di  Toscana 
(  FERDINANDO  li).   Ivi  al  n.  LXXVIII .   pag.   178 ,  si  vedono  registrale 


56o  GIUNTE    ALLA   VITA 

alcune  sperienze  l';\lle  con  diverse  dosi  di  polvere  per  conoscere  tfiianla 
fusse  l'  espansione  del  fuoco.  Ed  alla  png.  191  in  una  Nola  ili  figure  staccate 
e  mancanti  di  spiegazione ,  eh'  erano  /ralle  scritture  dell'  accademia  del  Ci- 
mento ,  ma  verisimilmcnte  appartengono  all'  esperienze  fisiche  del  sercniss. 
Granduca  Ferdhiondo  li,  si  vede  indicato  a  fìg- 55  uno  strumento  per  osser- 
rare  quanta  sia   V  espansione  della  polvere- 

Le  prime  sperienze  dell'  accension  della  polvere  nel  vuoto  furono  fatte 
da  HVGIIEIVS  e  PAPIN,  e  si  trovano  fralle  altre  loro  sperienze  fatte 
colla  macchina  pneumatica  ,  inserite  nelle  transazioni  di  Londra  1673-76 
11.    \ìì    IV  ,  e  collcction  acadimiquc ,    partie  étrangère  VI.    l53-l55. 

Nulla  storia  dell'accademia  delle  scienze  di  Parigi  per  l'anno  1701 
(pan.  9-14)  il  Fonlcnelle  ha  esposto  le  considerazioni  di  M.  de  LA  HIRE 
sur  les  ejftts  du  ressort  de  l'air  dans   la  poudre  à   canon  et  dans  le  tonnerre. 

Eprnuvelte  à  poudre  proposée  par  M.  DV  ME'  njjficier  d"  artillerie.  1702. 
Machines  approuvées  par  1'  acad.  des  se.   de  Paris ,  t.   II ,  p.   19. 

^n  experimcnt  mode  ai  a  meeting  oC  the  royal  society ,  december  zo ,  l'joi, 
Of  Jiring  giin-poivder  on  a  red  hot  irnn  in  vacuo  Bnyliano.  By  Mr.  Fr, 
HAÌKSUEE.  Philosoph.  Trausact.  voi.  XXIV  ,  for  the  years  1704  and 
1705 ,   num.   295  VI ,    pag.  i8c6. 

An  account  of  an  experiment  mode  decembcr  26,  1704.  to  try  the  quality 
of  air  produc'd  Jrom  gun-poivdcr  Jir'd  in  vacuo  Boyliano.  By  Mr.  Fr. 
Haukshce.  Ibi   VII.   p.    1807-1809. 

Questi  due  sperimenti  sono  riferiti  per  exiensum  dal  Robins,  capo  I, 
proposizione  I,   ediz.   di  Grenoble,  p.   137,    141. 

Des  elfits  de  la  poudre  h  canon  ,  prinripalement  dans  les  mines  ;  par  M. 
CHEl^ALlEli.  Ac.  des  se.  de  Paris,  1707  ,  un'in,  p  526-538,  List,  p  i5i-i54« 

Considerazioni  sopra  la  proporzione  del  fignr  delle  polveri  da  fuoco,  della 
forza  delle  medesime  ne' pezzi  iT  artiglieria  ,  e  dilla  resiitcnza  di  i/iiiiti ,  pub- 
blicate da  Domenico  DE<:ORliAUl  U  Al  STRIA  matematico  del  serenis- 
simo signor  duca  di  Modena  ,  sovrintendente  alle  sue  mineie ,  e  »•.  commissario 
generale    dell' artiglitria ,    in    occasioni  della   pruofa    da   lui /atta     di    akurti 


A* 

il 


DEL    D'aKTONJ.  56 1 

lannnnl  feritali   di  nuovo   T  anno  1708  per  servizio  di  S.  A.  S.  Modena ,  1708 , 
Soli.iiii,    8."   parvo,    fi{;. ,  pag.    188. 

Clii  volesse  nolizio  di  questo  nuloro  può  averle  nella  biòliolera  Tilnde- 
nete  del  Tirahosrlu.  Come  colonnello  d"  arliglieria  trovossj  nella  citladolla 
di  Modena  assediata  da' nostri  nel  174^»  "  scrisso  la  relazione  di  quell' as- 
sedio :   fatto   prigione    con   tutto    il   presidio,   fu   condotto   in  Asti. 

Petit  J'uhain,  contenant  la  stienre  àes  mines ,  et  la  maniere  ih  les  Jistri- 
biier  ilans  ìes  places  de  guerre  ,  potir  s'en  servir  avec  vliliti  dans  les  orcasiont  ; 
la  thforie  et  la  pratique  du  jet  des  bombes ,  une  nouvelle  maniere  de  fortifieT , 
avec  une  métltode  de  conslruire  les  modeles  des  plaies ,  le  tout  accompagni  de 
Jìgures  et  de  quelques  pe'.ils  ouvrages  curii ux  :  par  lìOZZOLIN ,  capitaine 
dans  l'artillerie  de  S  M.  à  Turin.  MS.  in  4  R''-  di  pag.  553,  già  esistente 
nella   libreria   del   fu  conte  Bogino,  ed  ora   in   quella  di  Prospero   Falbo. 

Andrea  Bozzolino  Piemontese,  autor  di  quest'opera,  avea  da  giovane 
servito  in  Francia ,  epperciò  scriveva  Franzese.  Nel  1717  dedicò  la  pre- 
sente raccolta  delle  sue  opere  a  Carlo  Emanuele  allora  principe  eredi- 
tario del  Piemonte.  Per  la  parte  che  risguarda  le  mine  ,  è  citato  questo 
autore  dal  D'Antoni  v\e\\' archileltura  militare  a"  paragrafi  265  e  279  del 
libro  terzo,  con  questo  magnifico  elogio:  opera  fra  tulle  quelle  che  mi  è 
occorso  vedere,  la  piti  istruttiva  ed  ampia  nella  scienza  delle  mine,  a  segno 
tale  che  le  notizie  sostanziali  da  altri  posteriormente  pubblicate  come  recenti 
già    si  trovano   comprese  iu   quel  manoscritto. 

Dalla  pag.  272  fino  alla  285  del  MS.  si  ha:  Journal  ier ,  ou  ditali  con- 
tenant le  nombre  ,  ì'effrt ,  et  le  jo'ur  de  l'exèculion  ,  des  Jougades ,  fourneaux 
et  pciards  ,    des    assiigi's  et  assiigeans ,  pendant  le  siège  de   Turin. 

Dalla  png.  444  "'l'»  4^°-'  Nouvelle  maniere  de  Jortifier ,  où  fon  volt  la 
tonstrurtinn  drs  pieces  du  pentagnne ,  hexagone  et  rplagone,  dont  les  cólés 
peuvent  itre  appliquis   à    tout  poligone  irrigulier. 

Le  minori  operette,  oltre  quella  citata  nel  titolo  generale  del  mano- 
scritto, cioè   l'arte   di  coslrurre   i   modelli   delle  tortezze,  sono  le  seguenti. 

Dalla  pag  SzG  sino  alla  S^i:  Maniere  de  conslruire  une  figure  de  nou- 
felle  invrntion  ,  par  laquelle  on  peut  connotlre  trh-faclìement  et  mfcaniquement 
Theure   du    ìever   du  soleil    en  toutes  les  saisons    Je  fannie. 

E  dalla  pag  543  sino  alla  5S3  :  Taùle  pour  reconnotlre  Ics  dales ,  tant 
ancienne!  que  prhenles  et  à  venir,  drpuis  la  nativi  té  du  Seigneur,  jusqu'à 
tinjini ,    doublant  toujours    la    mime   table  corrlgée. 


46 


562  GIUNTE    ALLA  VITA 

Ciò  che  abbinm  detto  di  questo  egregio  autore  nella  vita  del  D'Antoni, 
pag.  3o4  e  seg.  ,  inostrn  con  quaiilo  drillo  sia  qui  rcgislrato ,  particoliir- 
iiiente  per  la  sua  opera  intorno  all'arie  del  bombai  diere ,  la  quale  non  è 
già  solo  una  elementare  compilazione  di  cose  già  noie,  ma  fra  le  altre 
dotte  ricerche  contiene  alcune  ingegnose  considerazioni  intorno  alla  natura 
della  forza  esercitata   dalla  polvere  nello  scagliare  i  corpi. 

Nella  storia  dell'accademia  delle  scienze  di  Parigi  per  l'anno  1720 
{  pag.  HI--II4)  il  Fonlenelle  ha  espostoli  metodo  adoperalo  per  la  prova 
delle  polveri  da  M.  de  RESSONS,  socio  di  quell'accademia,  o  tenente 
generale  dell'artiglieria  di  Francia,  (  V.  ìiist.  de  ì'ac.  1716  p.  5),  di  cui 
già  nel  volume  del  17 16  si  avea  :  JMi'lhode  pour  tirer  ìes  bombcs  otpc  succì.s , 
{mém.  pag.  79-86).  E  nella  storia  del  1719  (pag.  20,  21)  il  Fonlenelle 
avea  pur  dato  ragguaglio  di  una  sperienza  dello  stesso  autore  sullo  sparo 
d'  una  pistola  coulro  il  focone  d'  un  fucile  caricalo  a  palla  senza  polvere. 
Nel  volume  del  1735  si  trova  l'elogio  del  Ressons  ,  ed  ivi  sì  legge  (pag. 
107),  eh' egli  lasciò  un'opera  inedita   sul  nitro   e  sulla  polvere. 

Essai  de  l'application  des  forces  cenlrales  aux  effets  de  la  poudre  à  canon  , 
d'oìi  Ton  déduira  une  théorie  propre  à  perjectionner  les  différentes  bouches  à  feti: 
par  M.  BIGOT  de  MOIiOGJ'ES ,  officier  d'artilterie  dans  la  marine  Paris, 
1737  ,  Jombert ,   8.°  ,  pag.    i63  ,  fìg. 

Se  ne  trova  un  estratto  nella  storia  dell'accademia  delle  scienze  di  Parigi 
per   l'anno    i735,   pubblicata   l'anno    1738  (pag.    98-100). 

Per  un  altro  lavoro,  nel  quale  ebbe  parte  il  Morogues,  vedi  qui  dopo 
r  articolo   del  Du   Hamel. 

Nella  storia  della  della  accadèmia  per  l'anno  1722  (pag.  124.  i25)  ,  si 
parla  di  una  nuova  forma  de'  molini  da  polvere  proposta  da  M.  de 
MORALEC.    V.   Machines   approuyées  par  l'acad.  IV  4''   ^'^• 

Netv  principles  0/  gunnery ,    by  Benjamin   ROBINS.    London    174^- 
Tradotti  in  Tedesco,  e  commentali  da  Leonardo  EVLERO,  Berlino  1745. 
Questa  è   la  prima  e  principale  opera    del  Robins.    Dopo    la   sua  morte 
fu  di  nuovo   pubblicala    dal   Wilson    coli'  aggiunta    di    posteriori    opuscoli 
dell'  autore  intorno   allo   slesso  argomento  ;    e  questa  raccolta  si  trova   tra- 
dotta in  Franzese   col  seguente   titolo. 


DEL    n'AKTONf.  3G3 

Traiti  rf«  malhimatìques  dt  Monsitur  Henjamin  Robins  ,  mtmbre  de  la 
socièlè  royale  de  Loniires  et  inginìeur  flètterai  de  la  coinpaf^nie  dei  Indes  Oritn- 
tales ,  contenant  :  ses  noui'eaux  principes  d'arlillerie ,  ju/Vi'j  de  pluaieun  dis- 
cours  qui  Icur  ser^ent  de  siippìirnent ,  et  que  31.  Wilson  ,  son  èdittur,  a  insèrès 
dans  cet  out'rage-  Traduil  de  ì'iint;ìois  par  31.  lJupuy,Jih  ,  oide-profuseur  aux 
iivles  royales  d'arlillerie  de  Grenoble.  Grenoble ,  1771,  Gl'iibil,  8.°,  fig. , 
pag.   575. 

Pag.  2)2-322.  Compie  rendu  d'un  litTe  intilulé  :  ^oufeaux  principes  d'arlil- 
lerie,  lontenunt  la  di'tetminalion  de  la  force  de  la  piudre  à  canon,  et  de  la 
ri'sistance  que  l'air  oppose  à  des  mouvemens  ou  rapides  ou  lenls ,  autant  que 
celle  rèsiitance  in  [lue  sur  la  Jorcc  de  la  poudre  «  canon;  lu  deianl  la  socieli 
royale  le  i\  et  le  21  avril  1743  ,  et  imprimé  dans  les  transactions  philcso- 
phlques  n.**  469-  H  litolo  dell'originalo  nelle  Philosophical  transactions  t-ol. 
XLII,  /or  the  years  i'j\i  and  1743,  numi.  4G9  VII,  pag.  437-456,  è  come 
sepiic  An  account  oj  a  hook  intiluled  :  New  principlet  0/  gunnery,  containing 
the  determinalion  oj  the  Jorce  of  (lunpo^vder  and  an  im-cstifation  of  the  resi sling 
power  of  the  air  lo  swift  and  stow  motions  ;  by  B.  li.  l'\  li.  S.  ;  as  far  as 
the  some  relutes  to  the  force  of  punpowder.  Read  aprii  14  and  21,  1743.  E 
vuol  dire  che  questo  transunto  comprende  solamente  ciò  che  risguarda  la 
forza  della  polvere,  e  non  già  ciò  che  risguarda  la  resistenza  dell'aria, 
nel  che  ha  preso  sbaglio  il  Iradullor  franzese.  E  dalla  prefazione  biogra-  ' 
Oca  dell'editore  Wilson  siamo  accertali  the  l'autore  del  transunto  fu  lo 
stesso  Beniamino  Robins,  suo  scopo  principale  essendo  stato  il  conciliare, 
per  quanto  era  possibile ,  alcune  sue  asserzioni  con  quelle  contrarie  dei 
deputali  della  società,  riferite  nella  relazione  che  faremo  conoscere  all' ar- 
ticolo seguente. 

Pag.  439493.  Maximrs  pratlques  conccrnanl  Ics  cjjcls  de  lartillerie,  et  la 
portie  des  bombes   et  des   boulets. 

Pag.  4S^*^'^'  Proj'el  pour  per/eclionner  la  marine  anflaise ,  oìi  Fon  pro- 
pose de  substiluer  à  lous  les  conons  ,  depuis  ceii.t  de  18  tb.  de  balle,  de 
nou^eììes  pieces  de  ménie  poids ,  mais  d'un  plus  grand  calibre  :  imprimé  pour 
la  premiere  fois  en    fj^^. 

Pag.  519-537.  Lettre  à  I\I.  Folques ,  fcuyer ,  prisiJent  de  la  soditi  royale 
de  Londres ,  en  ripense  à  une  des  sieniies .  oli  itait  rrn/ermi  un  billet  d* 
M.  d'  Onorio  (  lege    Ossorio)    enfoyé  du   roi  de  Sardaigne. 

Assai  prima  del  Uupuy  il  Saliizzo  avea  intrapreso,  com'egli  medesimo 
ci   narra  (iliiic.  Soc.  Tour.  t.  I,    pag.   146),  la  traduzione   ài:  nuovi  pnncipii 


3G/(.  GICNTE    ALLA  VITA 

del  Robins,  ed  aggiungorvl  dovea  anche  i  conimpnti  del  grande  Eulero. 
Questi  commenli  furono  puro  Iradotll  dal  signor  Giovanni  Tremljley  Gine- 
vrino, come  accenna  il  giornale  des  sai'ans ,  1784,  p.  Sy.  Altra  traduzione 
Franzese  si  trova  inedita  nella  libreria  dell'accademia  di  Torino,  e  pro- 
viene dalla  libreria  che  fu  giù  unita  all'archivio  della  Regia  Corte.  Ninno 
di  questi  lavori  essendo  venuto  alla  luce  ,  conipai  ve  poi  una  nuova  tradu- 
zione coi  suddetti  commenti,  e  col  seguente  titolo  riferito  dallo  stesso 
giornale  nel  luogo  citato. 

Nouveaux  principes  d'arlillerie ,  de  M.  Henjamin  Robins,  commenth  par 
M.  Léonard  Euler ,  traduits  de  l  Aììemand ,  avec  des  notes  ,  par  HI  L01\lBy4HD, 
prqfesseur  royal  atix  écoìes  d'arlìììerìe ,  à  Auxonne,  Dijon,  chez  Frontin  ; 
Paris,   chez  Jombert,  8.°,   fig. 

Il  primo  traduttore  Franzese  del  Robins  è  slato  l' accademico  parigino 
Le-Roy.  Ma  jion  sappiamo  se  la  sua  traduzione  sia  venuta  alla  luce. 
V.   mim.   de   l'ac.  des  se.   de  Paris,  ijòl ,   pag.   47- 

The  report  0/  ihe  committee  0/  the  ROYAL  SOCIETY  appointed  fn  exa- 
mine  some  questions  in  f^nnery.  Read  november  4,  I74^-  Philosophical  tran- 
sartions  voi.  XLII  for  the  years  174^  and  1745 ,  numb.  465-  HI,  pag.  172- 
l83.  The  queslions  tvere  1.  Whether  ali  the  poivder  0/  the  charge  be  ,fireJ  he/ore 
the  buUet  is  sensibìy  moted  Jrnm  its  place  ?  2.  Whether  the  distonce  to  which  the 
hullet  is  tJiroivn,  may  not  bernme  grealer  or  ìess  ,  hy  changing  thejorm  of  Ihecham- 
ber,  though  the  charge  of  poivder  and  ali  other  circumslancei  continue  unchanged  ? 
Le  quislioni  eranO'Stale  fatte  dal  Jurin  il  24  di  giugno  dell'anno  medesimo, 
ed  alcuni  sperimenti  furono  eseguiti  il  22  di  luglio  :  ma  in  questa  rela- 
zione non  si  fa  cenno  del  Robins,  sebbene  fosse  già  pubblicato  il  suo  libro. 
come  impariamo  dal  Wilson  nella  sua  prefazione  alla  raccolta  di  tutte 
le  opere  del  Robins  intorno  all'artiglieria.  All'indiretta  censura  rispose 
questi  presentando  alla  società  reale  un  ragionato  transunto  del  suo  libro, 
che  noi   abbiamo  indicato   ncU'  articolo  precedente. 

Al  dottor  Francesco  VANDELLI ,  Modenese,  professore  di  arrhilellura 
militare  nell'istituto  di  Bologna,  è  dovuta  la  lode  di  aver  proposto  una 
opinione  contraria  alla  comune  de' fisici ,  fra  i  quali  il  Boile ,  il  De  la 
Hire ,  il  Belidoro ,  il  BernouUi.  E  tale  opinione  del  Vandelli ,  sebben 
conforme  a  un  cenno  del  Newton  (.quarsf.  X  in  Jìne  Oplicw)  ,  solo  ultima- 
mente fu  rinnovata  dal  Rumford.  Riferirolla  colie  parole  dell' elegantissimo 


DEL    d' ANTONI.  T>65 

Segretario  Bolognese    Fraucesco  Maria    Canotti.   Comment.  Donon.  Tum.  II, 
Pars  I,    1745,  p.   419. 

l'ainìcìliis  iiltm  piiherfm  quoque  pyrium  cogitalt'one  et  studio  est  prosecufus  , 
quasivitijue  diUgenter  unde  vis  illa  sit ,  qua  hic  pulvis  in  expìosionibus  btllicit 
tantum  >>alet.  Nemo  ignorai  plerosque  vim  lantam  aeri  triluere,  qui  f-ranulit 
eonlineatur ,  quique,  si  granula  accendantur  ,  incredibili  quodam  impelu  enimpat. 
Idque  jamdudum  sibi  ì  andellus  persuaserat.  Sed  ,  ut  morosi  sunt  phisici , 
eamdom  rem  secum  ipse  versare ,  et  multis  modis  tentare  non  destitit.  Qu^iJ 
cum  faceret ,  et  magnam  humoris  vim  in  sale  nitri ,  unde  pyrius  puìveris  maxime 
constai,  contineri  inlellexissel ,  non  omnia  tandem  tribucnda  esse  arri  exisli- 
mavit ,  sed  aliquid  etiam  buie  humori  assignandum  ;  est  enim  hic  quoque  humor 
elasticus  maxime,  ac ,  si  Jlamma  excitetur ,  iarlal  se  se  quam  titissime  ,  et 
explicatur  prope  in  immensum.  Quis  ergo  ,  eum  tanta  elasticitalis  vis  in  hot 
humore  insil ,  isque  pìurimus  in  pulvere  pyrio  eonlineatur,  non  eum  quoque  in 
bellicarum  explosionum  parlem  vocet  ?  Quis  non  eum  quoque  illarum  eruptionum 
caussam  esse  pulet  ?  in  quihus  ,  si  recte  omnia  aestimemus  ,  et  cum  Vandello 
metiamur ,   haud   scio ,  an    sit  etiam    aeri  anteponendus. 

Comparve  dopo  più  anni  la  dissertazione  dell'  accademico  di  Bologne 
nel  toiuo  IV  di  que' commentarii ,  1757  pag.  lo6-ii<),  col  titolo:  Franeisci 
f^andelli.   De  pulvere  pyrio. 

Gli  argomenti  di  questo  «lulore  furono  con  molta  forza  ,  e  insieme  con 
molla  f-pnlilezza  ribattuti  dal  Saluzzo  (.Mise.  Taur.  1,  pag.  112  e  seg.  ){ 
e  contro  l' opinione  del  medesimo  Vaiidelli  scrisse  poi  anche  il  suo  amico 
e  successore  nella  lettura  dell'istituto,  il  marchese  Gregorio  Filippo  Maria 
Casali  Bentivoglio  Paleotti ,  del  quale  a  suo  luogo  riferiremo  gli  opuscoli. 
Ecco  ciò  ch'egli  dice  alle  pag.  362.363  del  voi.  V,  parte  II  dell' Istituto 
di  Bologna.  .Tarn  intelìl^ilis ,  sodaìes ,  me  tim  puìveris  tribuer*  eìasticitati  aeris 
qui  in  ipso  continelur ,  quique  ex  ipso  in/lammationis  causa  erumpit  et  cxpan- 
ditiir.  liane  sane  npinionem  cum  semper  multo  probabilem  judicavisscm  ,  et  cum 
tandem  statuissem  acadcmiae  exponere  argumenta ,  quae  illom  mihi  persuase- 
rant ,  ac  de  ea  egissem  saepius  cum  sodalibus  nostris  doctissimis  Francisco 
Maria  Zanotto ,  Petronio  Matteuccio ,  Laura  Bassia  l'eratta ,  Josepho  ì'cratlo 
Bartholomaeo  Beccano ,  ecce  libi  e  typis  Auguslae  Taurinorum  volumen  primum 
commentariorum  privalae  quirlem  societatis ,  sed  cum  publicis  et  rrgiis  compa- 
randae.  Quo  in  calumine  scrmones  extanl  duo  eruditissimi  elegantissimique  equitis 
Saluta ,  qui  nostram  hanc  opinionem  valde  suslinent  atque  conjirmant.  Non  sum 
arbitrata s ,    sodaìes  optimi,   hanc  ab  caussam   impediri  me  quominus  ipse  adhue 


366  GIUNTE    ALLA    VITA 

ìoijuar  prò  hai  senientia»  Quin  immo  libtntius  id  Jacio  postijuam  experimenlm 
otque  argumentatiunes  eruditissimi  Sniulii  eo  me  adduxerunt ,  ut  mihi  jam 
sententia  ipso  et  clarior  viJeatur  et   verior. 

Ne  fa  pur  cenno  il  Segielaiio  Bolognese  (Comm.  Bonon.  t.  V,  pars  I, 
pag.  126)  Habebat  auctores  hujiis  senlentiae  graiissimos  ,  , , .  i/uilus  nuperrime 
mccesserat  homo  nobilis  Salulius ,   non  lam  genere  i/uam  ingenio  du<.lrinaqiie  clarus. 

Le  speiienze  intorno  alla  lunghezza  de' tiri ,  fatte  in  Torino  ni-U' anno 
1746,  furono  priucipaliueute  direlle  dal  DE'- VINCENTI.  Dicasi  lo  stesso 
di  quelle  fatte  nel  17^9  intorno  al  modo  dell' accension  dilla  polvere  nelle 
canne.  Il  De'-Vincenti ,  comandante  della  nostra  artiglieria ,  nvca  inco- 
mincialo, come  il  Piulo  capo  degli  iugegueri ,  da  soldato  semplice ,  e  tut- 
tavia non  solo  riuscì  eccellente  aitigliere ,  ma  eziandio  non  volgare  archi- 
tetto: tale  il  dimostra  lo  stupendo  edifizio  dell'arsenale,  che  sebbene  possa 
iu  alcune  pnrli  a  ragione  criticarsi,  è  opera  di  bellissimo  efiello,  e  vera- 
mente grandiosa,  degna  in  somma  delia  Iclicilà  di  qu^' tempi,  in  cui  fu 
intrapresa.  Anche  il  porto  di  Limpia  presso  a  Nizza  è  opera  del  De-Viucenli. 
Delle  sue  spenence  abbiamo   parlato  a  pag.  3il  e  seguenti,  e  ZiG. 

Altre  sperienze  intorno  alla  carica  alla  a  produrre  il  più  lungo  tn» 
furono  fatte  in  Malta  nel  1747  dal  MARANDONE,  Piemontese,  ingegnere 
dell' ordine    Gerosolimitano.    V.   la  i/'ia   del    D'Antoni,  pag.  3i3. 

Nella  storia  dell'accademia  delle  scienze  di  Parigi  per  l'anno  1748, 
pag  z8.  19,  si  dà  I agguaglio  d' un' osservazione  del  signor  di  MISSIESSY, 
tenente  di  arligrieria,  sugli  cfi'etli  d'una  carica  abboudanlissima  di  polvere 
destinata  a  riduire  iu  pezzi  un  cannone,  e  che  sì  era  sfogala  tutta  pel 
focone  senza  ottenere   l' ifielto  desideiato. 

Onesto  fatto  diede  occasione  al  seguente  opuscolo.  Expériences  sur  qiiihjues 

ejfels  de   la  poudre  à  canon,   par  M.   Df'   UASMEL.  Ac.    des   se.    de   Puiis 

1750,  mèra.  pag.  i-io  ,  hist.  p.  3o-34.  Nelle  quali  esperienze  il  Du  Jlamel 
ebbe   per  compagno  il  signor  de  MOROGVFS. 

Sopra  le  lunghezze  de' tiri  si  fecero  di  nuovo  alili  sperimenti  in  Toriro 
nel  1750,  e  furono  diretti  dal  cavaliere  FERRERO-PONZIGLIONE 
(Vita  del  D'Antoni,    pag.    3 14-  3Ó). 


I 


ì 


DEL    d' ANTONI.  3^7 

Mèmoire  sur  la  Ihéorie  de  ì'arliUtrie,  ou  sur  Ics  fffels  de  la  poudre ,  et  sur 
es  cnnsiijuences  (jui  ea  rhuìtent  par  rapporl  aux  amies  à  Jiu  ;  par  il7.  It 
chefalier   d'AliCY.  Ac.  des  se.  de  Paris    i75i ,  luèni.  lfi-(J3  ,  Lisi.   i-io. 

De'  diversi  ingegnosi  stronienli  per  le  spericiize  inlomo  alla  polvere  , 
imnginnti  nel  1752,  e  negli  anni  seguenti,  da  Isacco  Francesco  Antonio 
MATTEI,  Ginevrino,  macchinista  regio,  si  è  parlalo  nella  citata  vila 
a  pag.  3i5.  3i6,  e  nel  cilahgo  pag.  349  '^  ^^P  Due  di  questi  ordigni 
furono  veduti  in  Torino  nel  lySG  dal  sig.  de  la  Conduiuine ,  che  ne  parla 
nel  giornale  del  suo  viaggio  inserito  fra  le  tnenioric  dell'  accademia  dell* 
scienze   di   Parigi  per  l' anno  lySy.  V.  ibi  pag.  ^ob. 

Mémoire  du  chevalier  SALVCE  sur  la  nature  du  ^fluide  iìastlque  qui  3* 
dévetoppe  de  "la  poudre  à  canon:  a  pag.  3-17.  Dissertationes  delle  Driscellanea 
philosophico-mathematica  societatis  privatae  Taurinensis ,    tonj.   I,    lySg. 

Suite  des  recherches  sur  le  fluide  èìastique  de  la  poudre  à  canon ,  par  le 
ehe^ialìer  Saluce  :  ibi   pag.    il 5- 146. 

Rèflexions  pour  servir  de  suite  aux  mimoires  sur  le  fluide  èìastique  de  la 
poudre  à  canon,  par  M.  le  comte  Saluces  :  a  pag.  94-14*  delle  miscellanea 
Tiiurinensia,    tomus  alter,   1760-61. 

Additions  aux  rèflexions  sur  le  fluide  èìastique ,  par  IM.  de  Salucci  :  ibi 
pag.    219-121. 

Vedasi  quanto  abbiam  detto  nella  vila  del  D'Antoni  alla  pag.  3i9  e 
seguenti ,  e   ciò  che   abbiamo  riferito  qui  sopra  nell'  articolo  del  Vandelli. 

Di  queste  dissertazioni,  od  almeno  di  alcuna  di  esse  ha  dato  una  tra- 
duzione in  Tedesco  il  Tempelhofl',  e  par  che  sia  nel  1779.  Denina.  Prvsse 
littèraire  art.    TempelhoJJf. 

Gregnrii  CASATAl.  De  marhinula  quadam  ad  projeelilium  theorias  per 
txperimenla  probandas.  Comm.  JBonon.   tom.  V. ,  pars  IL,  1767  pag.  71-80. 

De   vi  pulveris  pyrii  per  machinas  dimelienda.  ioi   pag.  345-356. 

De  ictu  pulveris  pyrii.    Ibi   pag.  357-371. 

Queste  tre  dissertazioni,  sebbene  pubblicate  soltanto  nel  1767,  furono 
lette  negli  anni  1758,  Bg,  60  in  Bologna  all' accademia  delle  scienze  dell'isti- 
tuto, come  si  raccoglie  da'  commenlarii  del  segretario  Zanolli  t.  \  ,  pari.  I. 
pag.   124  e  spg. 

V.  qui  sopra   1'  articolo   del  Vandelli. 


368  GIUNTE    ALLA    VITA 

Della  vita  e  affali  scritti  del  (ai'^uIì  abbinino  iin;i  memoria  del  cliiarissìmo 
Padre  Pompilio  Pozzelli  ,  sepretniio  della  socirlìl  Il;ili;ina  ,  iu  un'  opera 
periodica   che  si  stampa  iu  Firenze  col  titolo  dell' ^/;e  ii.  V ,  dicembre  i8o3. 

Nuove  sperienzp  intorno  alle  lunghezze  de'  tiri  si  fecero  in  Torino  nel 
1761  dal  RONZINI  maggioro  d'  arlif;lieria  e  direttore  del  laboratorio 
metallurgico  dell'arsenale.    V.  la  t'iia  del  V  ^'Inti  ni  pno.  317. 

Nel  1764  il  cavaliere  DEBUTET ,  Savoiardo,  allora  soltoleneute  d'ar- 
tiglieria,  qiiin.Ii  regio  macchinista,  ed  aecadtiuico  delle  scienze,  introdusse 
un  nuovo  meccanismo  nel  misuratore  delle  velocità  iniziali  inventato  dal 
Matlei.  V.  la  vita  del  D'anioni  pag.  3i8.  Il  Dclnitet  fu  altresì  l'autore 
del  nuovo  metodo,  costantemente  poi  adoperato,  di  apporre  il  ^rano  alle 
artiglierie ,  cioè  d'  incastrarvi  a  vite  un  pezzo  di  metallo  che  contiene  il 
focone  ,  e  che  presto  e  facilmente  si  cangia  quante  volte  si  voglia  ,  vale 
a  dire  ogni  volta  che  l'antico  focone  logorato  dall'uso  si  è  allargato  di 
troppo.  I.a  qual  invenzione  fu  pure  attribuita  al  Brovardi  ,  professore  di 
medicina.  (  Bihlìolhique  Italiennt.  Tiirin  art  XI,  voi  li  pag.  83.)  M.i  il  Brovardi 
non  avea  fatto  che  indicare  un  altro  mezzo  il  quale   non   fu  mai  adottato. 

Il  D'ANTONI  pubblicò    il    suo  esame    della  polvere  nel   1765, 

Expérienres  sur  la  poudre  à  canon  empìoyée  en  diffi'rcns  étais  ;  par  M. 
l'abbi  NOLLÈT.  Ac.  des  se.  de  Paris  1767,  mém.  p.  109-118,  hisU  1-6. 
Queste  sperienze  riguardano   1'  uso  della  polvere   non  granita. 

The  force  of  pred  gunpotvJer  ,  and  the  initial  vrlocily  oj  connon  hall ,  deler- 
mined  by  experimrnts  ,  frnm  uhich  is  alsn  dedmlrd  the  relation  of  the  inltial 
velocily  to  the  shol  and  qunntity  of  poivdér.  By  Charles  Hl'TTON ,  master 
of  the  military  ocademy  of  Wooiwirh ,  tvich  pained  the  prize  medal  of  the 
royal  society.   Phil.  trans,   for   1778  voi.  LXVIII. 

Descript'on  ai'ec  fì^urcs  d'une  fnroui<ette  pour  essarer  la  force  de  la  poudre 
à  canon  dant  un  endroit  ren/ermi:  par  M.  MEI.TEIÌ  :  in  Suezzese — Kon^l. 
vetensUaps  arademiens  nyi  h'ind  ingar,  cioè:  Nuo^ie  memorie  dell'  accademia 
reale  delle  scienze  di  Stocolma  ,  anno  1780,  trimestre  quarta,  numero  2.  S« 
ne  può  vedere  il  transunto   nel  journal  des  sayans  ,    1785  ,   pag.  3y. 


DEL   D  ANTONI.  56g 

Le  Bombareìi'er  Prussien  ,   ou  da  mouvemenl  Jis  projeclilet ,    rn  suppoianl  la 

rèiistance  Je   l'air  propnrtionnclle  au  i/uarré  dis  illesses  :  par  M.  TEMPF.LIIftF, 

rapituine    J'arliìlrrie    au   icrfice    de  S.  M.    le     roi   de    Prusie.    Bt'iliii  ,    1781  , 

Sppiipr  ,    8.°,   fìg. 

Alla    pag.    109.    Trolsieme  parile,  application    de    la    théorie  précédente   à 

Vexpèricnce. 

Examen  de  l'air  qui  se  déffage  pendant  tinjlammation  de  la  pnudre  à  canon  , 
de  celai  t/ui  te  dé>  eloppe  par  la  détonalion  de  la  poudre  fulminante ,  par  celle 
d'un  mélange  de  nitre  avec  de  la  poudre  de  charbon  ,  et  enfin  par  la  dèjla- 
gralion  de  salpétre  ovec  la  limaille  de/er:  par  HI.  ACHARD.  Mém.  de 
l'acad.  do  Ueiliu  pour  1782,  pag.  i25-i36. 

lìagionomenlo  sopra  le  forze  e  velocità  esercitate  dalla  polvere  accesa 
dentro  un  pezzo  d'  artiglieria  :  di  Francesco  Domenico  MICHELOTTl  :  letto 
all'  accademia   nule   delle  scienze  di  Torino  il  i3   di  oprile  V  anno  1784.  MS. 

Vedasi   ciò    che  uè   abbiam  dello  nella   vita  del  D'Antoni   alla    pag.    327. 

Thèorie  nouvelle  de  la  poudre  à  canon  et  de  la  poudre  fulminante  :  par 
Jean  JiSGEN-HOrSZ.  Fa  parie  del  libro  che  ha  per  titolo:  A'ou.W/« 
expériences  et  observations  sur  divers  objets  de  physique  :  par  Jean  Ingen-Housz , 
eie.   Paris,    1783,  Bariois.   8.° 

Osservazioni  del  signor  NAPIER  sulla  polvere  da  cannone ,  inserite 
nelle  transazioni  dell' accademia  Iihuidcse  pel  1788.  Non  conosciamo  che 
il  titolo  indicato  in  nn  giornale  di  que'  tempi.  In  altro  più  recente  leg- 
giamo :  M.  Napicr,  qui  dirige  Fartillerie  en  ^npjelerre ,  a  fait  quelques  essais 
sur  de  la  pnudre  Clilnolse,  et  a  trouvé  eie.  Annales  des  arls  et  mnnufaclnres 
par  O'  Reilly   eie.  Paris,  mcssidor  an  IX,  tome  VI,  pag.   88. 

De  la  ièritabìe  cause  de  l'explosion  de  la  pnudre  à  canon  :  par  J\I.  BECKER  : 
in  Tedesco.  Kel  libro  inlilol.-ito;  Chtmische  anccdoien  eie.,  cioè,  Anecdotes 
thimiques  ,  ou  essais  sur  quelques  problèmes  de  chimie  :  par  M.  Becker,  asses- 
seur  du  collège  de  médccine  à  itfa/jjfiur/?.  Leypsik,   1788,  Herlel,8.*' 

Modo  di  render  più  forte  la  poh-e  da  schioppo  ;  del  signor  dottore  Francesco  ^AIÌ\'I, 
Opuscoli  sechi,  Milano,  1788,   Marcili,  4-'*.  *•  ^l.  P-  36"<3. 

47 


•Syo  GIUNTE    ALLA  VITA 

ilntorno  all'  anno  1789  il  presidente  dell'  accademia  reale  di  Torino  "conle 
MOROZZO .  stato  anch' egli  allievo  delle  scuole  d'artiglieria,  islilnì 
alcuni  sperimciili  intorno  alla  forza  delie  polveri ,  secondo  la -'i versa  pro- 
por/ione  non  tanto  de' loro  soliti  ingredienti,  quanto  eziandio  di  quegli  altri 
che  stali  erano  proposti  ,  o  si  potevano  con  qualche  fondamento  proporre. 
Mentre  stiamo  scrivendo  queste  giunte,  improvvisa  morte  ci  ha  tolto  il 
benemerito  socio,  ne  del  suo  lavoro  intorno  alle  polveri  ci  rimane  altro 
vestigio,  fuori  di  qui-llo  che  abbiamo  registrato  a  pag.  LXXVII  delle 
mimoires  hislorit/ues  che  sono  nel  volume  accademico  del  1788-89,  e  a 
pag.  140  del  transunto  che  dello  stesso  volume  Abbiamo  pubbHcalo  in  Ita- 
liano. Ivi  si  mostra   la  falsità  della  pretesa   scoperta  del  Bami. 

Neiv  experiimmts  upnn  f;un-poivJer ,  ivilh  occmiimal  obscrcations  ana  practica! 
inferences  \  lo  ivhich  is  oddf,d  an  arcount  0/  a  neu-  melhod  0/  deUrmining 
the  velocities  of  ali  kinds  oj  military  projectiles ,  and  the  descriplion  of  a  vety 
accurate  eprou\'Mc  far  ^un-poivder.  By  Benjamin  THOUISON  esq.  V.  lì.S.  Head 
march  49,  1781.  Phiiosophical  transacliuns  of  the  royal  society  of  London 
vol.LXXI,   for  the  year    1781,  num.  XV,   pag.   229-328. 

Experiments  to  ditermine  the  forre  oJ  fired  f-un-pnuder.  Phil.  trans,  of  tbc 
roy.  soc.  of  London  for  the  3'ear  17^)7  pari.  I.  LTn  copioso  e  doltissiuìo 
estratto  di  questo  lavoro  si  trova  nella  Bìbliolhh/ue  Brilamiique ,  ah  VII, 
Sciences  et  arls ,  tom.  X ,  pag.  3o4-338 ,  col  seguente  titolo.  Eacpóriencei 
pour  diterminer  la  Jorce  de  la  poudre  enjlrmmée  :  par  Benjamin  comte  de 
HyMl''OIiD ,    memore   dei   socièlés  royales  de  Londres  et  d'Irlande. 

Si  può  vedere  quello  che  ne  abbiam  detto  qui  sopra  in  una  digressione 
al   ctjtatogo    de' libri  per  le  scuole   di'  artiglieria  di   Torino,  pag.  348,  349. 

Verso  il  'fine  di  maggio  del  1801,  il  dolio  Inglese  signor  R.  COLEMAx»  , 
impiegalo  nel  regio  mulino  da  polvere  di  Walthani-Abbey  ,  lesati  alla 
societì»  Askesiana  di  Londra  il  ragguaglio  de'  metodi  adoperali  in  Ir.ghil- 
lerra  per  la  fabbricazione  delle  polveri.  Ne  abbiamo  un  estratto  in  una 
disserta/.ionc  sur  la  fabrication  et  tes  principes  constifuti/s  de  la  poudre  è  cm^on , 
la  quale  trovasi  nell'opera  periodica  in'tilalala:  ^nnales  des  arls  et  m/mu- 
facturrs ,  ou  mi'moires  technologiijues  svr  ìes  ditouvertes  modtrnrs  ronrrmrnt 
les  arls,  les  manufactures ,  l'agricuUure  ette  commerce;  par  R.  O'  HKILLY, 
de  i'académie  de  Bologne,  membre  du  lycìe  des  ar'ls ,  etc.  Pana,  impr.  des 
aunales,  8.*,  tome  VI,  pag.  8G  99,  e  i34-i4o,  nicssid.  et  iherm.  an  IX,  1801. 


DEL   d'akTONJ.  5.71 

Due  altri  chimici  sono  citati  nella  stessa  dissertazione  pur  esperienze 
fatte  sopra  la  polvere.  Uno  ili  essi  e  il  CIlVIKSHAiS'K  cliiinico  applicalo 
all'artiglieria  Inglese.  Ann.  àes  arti  et  manuf.  tom.    VI,   pag.   i36,  iSq. 

L'altro   è  M.  HOWARD.  Ivi  pag.  iSg. 

Mimoire  sur  la  thiorie  àu  mouvtment  àet  projectiles  dans  les  milieux  résis- 
itins  ;  par  le  ciloyen  MOhEAV  ,  chef  iur\>eillant  de  difision.  Journal  de 
l'école  pol^'technique,  publié  par  le  conseil  d'instructiou  et  d'adiiiinistia- 
tion  de  cet  établisseineut.  Tòme  IV.  Ouziùme  cahier.  Paris ,  iuipr.  de  la 
róp. ,  mcssidor  au  X,  /^.? ,  pag.   204-129. 

Ivi  alla  pag,  227  tialta  ;  de  la  vi  tiesse  que  les  prò jettilea  rt^oìvent  par  V  action 
de  la  piiudre  enflammée. 

Mmciint..  p^ur  mtiurer  la  flteiseninitiaìeides  mobiles  de  diffèrens  calìlres , 
projetrs  .sous  toui  .le^  iinfiles,,  deputi  zèro  jusqu  à  la  huitiime  panie- ducerci*; 
pai:  le  colenel  CIirUiEli/I',  soas-inspevteur  aux  refues  et  administration  des 
irmipes ,  meniOre  de  l'ìnstitut  de  Bolo/^ne,  de  l'académie  de  Florence,  et  de  più- 
siiurs  sociftii  savuntes  et  litliraires ,  Ofec  unrapport  du  Ci  PRONY ,  au  nom 
d'une  commission  nnmmfe  par  la  ciane  des  sciences  phj'siques  et  mathéma- 
tiijues  de  l inslitut  national  puur  t'examen  de  cette  machine  et  de  ses  usages. 
Paris,    1804  an    12,   Bailleul  ,    Mdgimel,  le  Nònuaud ,    4-''>  fig- 

V.    ciò    che  si    è  detto  alla  pag.   349   e  seg. 

Per  non  divagar  trpppo  lungi  dal  primario  nostro  argomento,  non  ab- 
bi'imo  voluto  couipreudere  in  questo  ilenco  ciò  che  risguarda  in  partico- 
lare la  teoria  e  l' arte  della  produzione  e  della  raccolta  de'  nitii  ;  eppetciò 
non  abbiam  fatto  parola  de' bellissimi  tenlalivi,  che  in  Francia  ,  in  Piemonte, 
ed  altrove  negli  anni  addieJj'o  si  son  fatti  intorno  a  -  qwslo  importante 
argomento.  Due  Italiaoi ,  ultimi  forse  1  che .  abbtaiio  scritto  in  tal  materia, 
saranno  soli  da  noi' citati,  perchè  non  linoilandosi  allafTar-  de' nitri ,  hanno 
preso  allresi  a  considerare  la  fabbricazione   della   polvere   da   fuoco. 

Memoria  sulla  Jabbricazinne  e  raffinazione  di-'  nitri ,  diretta  al  clllndmo 
Crtf^orio  Fontana ,  membro  del  corpo  lefjislativo ,  professore  di  matematica 
sublime  nella  unis'ersitì  di  l'a>'ia,  e  socio  di  motte  accademie,  da  Hnpione 
BREISLAK,  direttore  de' sali  nitri,  e  dell*  pqUeri  della  repubblica  Iteh'ana. 
Milano,   Pirotlae  Maspero ,  8."  La  dedica  porta  la  data  del  x'j  ottobre  1802, 


372    •  GIUNTE    ALLA  VITA 

A  pag.  a35.  Capitolo  ultimo,  Jiijlessioni  sopra  la  Jahhrìcatìone  delia 
polvere. 

Del  nitro  ,  e  della  polvere  da  schioppo  ,  brei-e  dissertazione  del  cittadino  Paolo 
SANGIOfìGIO ,  professore  di  chimica  e  botanica  ,  assessore  farmaceutico  della 
delegazione  medica  del  dipartimento  d'  Olona ,  membro  di  varie  accademie. 
Milano,   1804,  Pirotta  e  Maspero,  8.",  pag.  16. 

Il  sifiiior  Carlo  Antonio  NAPIONE,  chiamato  in  Porlof;allo,  ove  Tra 
varie  onorevoli  e  gravissime  iucunibcnze  ha  quella  pure  di  soprainlendere 
alle  Tabbriihe  della  polvere,  sappiamo  che  ha  condono  a  buon  termine 
un  gran  lavoro  sopra  la  teoria  e  la  pratica  dell'arte,  e  con  molli  sperimenti 
ha  trovato  modo  di  spiegare  alcuni  fenomeni  ed  alcune  anomalie ,  di  cui 
Cuora  non  si  rendeva  ragione ,  ed  ha  mostralo  il  perchè  la  polvere  Inglese 
di  tanto  sia  supcriore  alle  altre ,  ed  ha  intrapreso  una  particolare  analisi 
di  uno  de'  iluidi  aeriformi  che  dalla  polvere  si  possono  eslrarre.  Sebben 
finora  non  ci  sia  noto  ch'egli  abbia  pubblicale  le  sue  ricerche,  noi  però 
avendo  già  in  questo  elenco  dato  luogo  a  cose  inedile ,  abbiam  ora  voluto 
terminarlo  coli'  illustre  nome  d'  un  nostro  singolare  amico  e  collega  ,  allievo 
chiarissimo  del  D'Antoni. 

ARTICOLI      OM  MESSI. 

Due  autori  famosissimi,  il  Boyle  ,  e  il  Newton,  da  noi  citati  più  volte 
nella  vita  del  D'Antoni,  sono  stati  per  inavvertenza  ommessi  nell'  elenco, 
I  loro  articoli,  che  qui  s'inseriscono,  doveano  essere  collocati  dopo  la  linea 
6,  e  dopo  la  i5  della  pag.  060. 

Roberto  BOYLE.  New  experiments  physico-mechanical  ,  touc/iing  the 
sprin/;  0/  the  air,  and  its  effects  ;  mode,  Jor  the  most  part ,  in  a  «fu» 
pneumatical  engine ,  etc.  Lo  sperimento ,  che  risguarda  1'  accension  della 
polvere  nel  vuoto,  è  il  XIV,  e  si  trova  a  pag.  ii  voi.  I  delle  .opere, 
Londra  1744,  5  voi.,  folio.  Quest'opera  del  Bojle  era  venuta  alla  luce 
la   prima  volta  nel   1660 ,  Oxford ,    in  8.° 

Tracts ,  containing  nav  experiments ,  touching  the  relation  betivixt  Jliime 
and  air ,  and  atout  explosions ,  eie.  Qucst'  opera  del  Boyle  fu  pubblicala 
la   prima  volta  nel   1672 ,   Londra ,    in    8,* 


-   i 


DEL  d'Antoni.  5^5^ 

I   .         .  .  .-il/ 

Le  sperienze',  che  rispjardano  il  noàlro  ogRctlo,  sono  le  icgoenti  : 

A  pag.  x5i ,  tomo  IH  dell' opere  in  foglio.    Tit.  1,  Exper.  V.  About  an 
endeat'our  lo  ^fìre  fiun-potvder  in  vacuo   wilh    the  sun-beams. 

A  pag.  a52.  Exper,  l'I.  Aa  attempi  to  fire  gun-ponder  in  i-acuo  by  meani 
qf  a  liot  iron. 

Ivi.  Exper.  VII.  Recitinf'  another  way,  whereby  the  Jirmg  of  gifn-potvdtr 
in  facuo   Boyliano    was   attempted.      .  i" 

A  pag.  253.  Exper.  Vili.  About  a  trial  mode  io  fire  gun-pàivder  in  our 
vacuum    by  the  heìp   of  sparks. 

A  pap.  aSg.  Tit.  HI,  Exper.  III.  A  slrange' experiment  upon  gun-potvder, 
sheivinp;  that  though  ft  were  firèd  itseìf,  yet  it  ivould  not  Jtre  the_  conti- 
guous  grains    in  vacuo   Boyliano. 

A  pag.  260.  Exper.  IV.  Relaling  another  attempi  tho  confirm  theformer. 

Ivi.  Exper,  V.  Brlejly  mentionning  t^vo  different  trials  tvilh  ttvo  differing 
events  to   kindle  gun-powder  in  our   vacuum. 

Il  NEWTON  nella  decima  delle  questioni  che  tengon  dietro  alla  sua 
Ottica ,  ha  fallo  luogo  ad  alcuni  pensieri  intorno  all'  accendersi  ed  allo 
scoppiar  della  polvere.  Quella  parte  dell'  opera  è  venuta  alla  luce ,  se 
non  erro,  nel   1704. 

Possono  pure  aggiungersi  a  questo  elenco  tre  lavori  inedili ,  de'  quali  si  è 
g!i\  rifeiilo  il  lilolo  nella  vita  dei  D'Antoni  ,  uno  cioè  del  J745  citato  alla 
pag.  307,   e  due  del  1785,  citali  alla  pag.  336. 


'  iNpicE    dinge;(^p?e;iii,,  e,  H'artiglieri, 

o  di  scrillorì  di  fortificazione ,  à'  artìf^licria  ,  di  halistica , 

e  di  teoria  e  pratica  della  polvere  da  fuoco  , 

de'  quali  si  Ja  menzione  nella  vita  del  D'Antoni , 

e    nelle    giunte  alla    medesima. 

Il  precedente  elenco  essendo  conapilato  per  ordi^it^,c(onu}iJRJfOy  CiparenJp 
perciò  necessario  d'aggiungervi  un  indice  all'abelito,  si  è  creduto  die 
questo  riuscirebbe  meno  inutile  alla  bibliografia  e  al|a  storia  dell'arte, 
se  non  si  litnitasse  ni  st^Jj)^  Wenw,  mì(  cpuipreu(3esse  altri  nomi,  di  ckii 
si  trova  notizia  o  cenno  nella ,  fi'/iJ  del  U'Antpui,,  o  nel  catahgo  che 
alla   medesima   si  ò  aggiunto. 


Achari^  56gi. 

Anonimi  3o6.  Zo'j,  Zlfi.  349.  354- 

355.  3C4. 
Ai%toni  V.  D,'^fj(j)n^, . 

Aiisjria^^y.^Cotra^i.i 

Bacone  Roggero  358. 

J'iatni  3%    J70. 

Bafiinlt^Zì.7^. 

liec/ter^.ZCQ. 

lie.lidor  364- 

ISenti^'o filili    V.    Cesili. 

Beril  35S. 

Bernoulli  364- 

Seriola  Antonio   avvocato ,  3o3. 

Bertela  conte  Giuseppe  Ignazio,  fi- 
gliuolo adot'.ivo  di  Antonio,  287. 
3o3.  3 II. 

Bertnla  conte  d'Essiglie,  figlio  di 
Giuseppe  Ignazio,  3o3. 

Bifiot  de  Morogues  36j.  366. 

Birago  conte  di  Borsaro  334. 

Birìngurcio  359. 

Blovetti  353. 


Bl-ondcl  3o5. 

Bojda  .3o6. 

Borgaro  V.  Birago. 

hufrcf,  2C/5.. 

Bfìfle  3o,i.  3»i.  322.  064.  37»..  373. 

Bpfzolinq,  Andrea  3oi.  3o4..  3o5.  3o6. 

356.  36 1.  362. 
Bozzolinn  Ignazio  Andrea  292.  355. 
Dmslah,  37  {, 
Btoi-ardi  3Gi8. 
Butef  w  DebuleU 
Canova  335.  34'. 
Casali -Bentivi'glio-Paleotti    365.     067. 

368. 
Castellai/ieri  3o5. 
Casleh-ecchio  V.  Ricca. 
Cassini  3o5. 
Chci-alier  060. 
Coìeman  Z'jo, 

Corradi  d'Austria  3o4.  36o.  36i. 
CruiUshank  371. 

Cusset  de  Mont-Vxozard  347.  353.  354- 
V Anioni  Alessandro  Vittorio,    v.  )« 

vita  e  le  giunte. 


D'Antoni  Giampielro  i83. 

IV Austria  V.   Corradi. 

Dat'iet  de  Foncenex  v.  Foncenex. 

Debutet  3i8.  34i.  368. 

Delanf^es  333. 

D'Embser  v.  Embser. 

De  Nicola  V.  Nicola. 

De'  Vincenti  286.  287.  3l2.  3l3.  3l6. 

334.  3C6. 
Du  Ilamel  366. 
Du  Mt'  36o. 
Dupuy  363j       ■  1  - 
i<:/rùA  3o5. 

Emanuele  Filiberto  3o2. 
Embser  287. 
Essifilie  V.  Bertola. 
Eulero  362.  3G4. 

Ferdinando  II  gr.Tnduca  SSgi  56o. 
Ferrerò- Ponziglione  3t4.  3l5.  366. 
Flafigny  348. 
Foncenex  342. 

Gabaleiine  conte  </i'  Salmour  330i 
Galilei  3o2.  3o3.  3o5. 
Grobert  349    33o.  35i.  371. 
Humel  V.   Du  Hamel. 
Hauksbce  3io    3ii.  36o. 
H/r«  V.  /-rfj  //('re. 
Hotvard  371. 
Hutlon  368. 
Huy^hcns  36o.  076. 
Tngenhoiisz  369. 
Jurin  364. 
/Ce//<!rt  348.  55l. 
Lo  ///re  3Co.  364- 
Langes  v.  Dclanget. 
Le  lioy  564. 
Luinbard  349.  364- 


''S^5 


Lorgna  333. 
Eovera  Zi^^. 
Ltidofico  marchese  sovrano  di  5a/ujro 

3oo.  3oi. 
Macquer  321.  322. 
Maltus  3o5. 
Diarandone  3i3.  366. 
Ma//ei   3i5.   3i6.  3i8.  327.  346.  3?o. 

35i.  367. 
Wd  V.  Du  M<?. 
Mf(/er  368. 

Michelotti  Francesco  327.  369. 
Micheluiii  Ignazio  3o6. 
Missiessy  366. 
Moriirozard  v.  Cussel. 
Moraìec  36z. 
Ulureau  371. 
Morogues  v.  Bigot. 
Morozzo  342.   370. 
Napier  369. 

Napinne  Carlo  Antonio  337.  34».  372. 
Netvton  322.  364.  372.  373. 
Nicola  287. 
Nicolai  333. 

Nicolis  cavaliere  </i  Robilante  33l. 
iVo//e<  290.  368.  376. 
O'  ReiV/y  369.  370.  571. 
Paciotti  3o2. 
Paleotli  V.  Casali. 
Pallavicini  3i6. 

Papacino  Aless.  Vittorio  v.  D'Antoni. 
Papacino  Giuseppe  Aiitotiio  i83.  376. 
Po/>i/i  36o.  376. 
P/cJet  35o.  35i. 
P/n<o  286.  3C6. 
Ponzigliene  v.  Ferrerò. 
Porta  359. 


376 


Vrony  35l.  371. 

Puy  V.   Dupiij. 

Rana  igi.  356. 

Reilìy  V.   O'IieiJy. 

Ressons  36z. 

Ricca  di  CasleIi>ecchio  342> 

Robiìante  V.   JSicolis. 

M-oliins  193.  3oj.  3o4.  3o6.  3i3.  3 14. 

3Ì9-3z4.  316-329.  348.   349.   36o. 

362.  363.  364. 
Ronzini  Jiy.  368. 
Rosselli  3q2.  3o3. 
Roy  V.  Le  Roy. 
Rumjord  v.   Thomson. 
Sdint-Auban  598.  333.  35l-353.  356. 
Sainl-Remy  v.  Surirey. 
Salimbeni  333.  34i. 
Saìmour  v.   Gahaìeone, 
Saluzzo  V.  huJoi'ico. 
Saluzzo  293. 319-321.357.  363.365-367. 


San^iorgio  371. 

Silnyarlz  358. 

Sorietà  reale  ili  Londra  364. 

Spreti  348. 

Surirey  de  Sainl-Remy  3o4.     ■ 

Tagliazucchi  288.  345-  346. 

Tarlafilia  3o2.  3o5.  358. 

TempeììwJ    2^3.   333.    34?.    348.  367. 

369. 

Thomson  coule  di  Rumjord  348.  349. 

364.  370. 
T/gno/o  289.  291.  345.  346.  353.  354. 
Torricelli  Jo5. 
Trembley  364. 
Vffano  3o5. 
r'fln(/f///  364.  365.. 
T'annoccio  v.  hiringuccio. 
T''incenfi  v.  De-Vintenli. 
Wilson  362-364. 


Alla  pag.  2835/  i  supposto  erroneamente ,  che  il  D'Antoni  do  un  suo  cugino 
abbia  polulo  prendere  esempio,  intraprendendo  la  carriera  militare.  Il  vero  ?, 
t/ie    Giuseppe  Antonio  fu   meno   anziano   di  Alessandro   Vittorio. 


Pag.  283  Un. 
290 


296 
337 
35» 
36o 


4  </c//«  note   si  aggiunga   (  Jlfc'm.  hist.  de  Tac.  des  se.  de  Turin 
pour  DIDCCXC-XCI  pag,  i3.) 

19  allorquando  si  aggiunga  nel    1739. 

20  in   margine  si  aggiunga   V.  Éhge  de  Nollet ,  ac.  des   se.   de 

Paiis  J770  hist.  p.   123. 
ult.   in   alcune  copie  e  in  Inglese  si  cancelli. 

9  in  margine  si  aggiunga  :    1785  relaz.  del  io  oli.  e  vigl.  del  l5. 
16  in  principio,  e    10  in  fine ,  ji  tolgano  le  virgolette, 

7   Le  prime  corr.    Altre. 
penult.  ininere  corr.  miniere. 


T^TSI  5yy 


SULLA     NECESSITA 


CHE    CORRE       DI      RETTIFICARE     LA     VISTA      AGLI     ALLIEVI*^ 

DISEGNATORI. 


Proposizione  di  una  macchinetta  di  nuova  invenzione,  con  la  quale 
si  dftf.iiminano  oi.l  oggetti  che  si  trovano  in  linea   verticale  ed 

ORIZZONTALE  ,    E    L  OBBLIQUITa'   DI   QUALUNQUE    RETTA 


DI    VINCENZO    ANTONIO    REVELLI. 

Lctln  li   ag  nevoso  anno  i3. 

I  j  ARTE  del  disegno  è  fondata  sull'  esatta  imitazione 
di  tutti  gli  angoli,  e  di  tutle  le  linee  e  rette,  e  curve 
e  serpeggianti ,  le  quali  circoscrivono  un  corpo ,  tale 
come  ci  si  presenta  allo  sguardo ,  e  determinano  le  varie 
forme  del  chiaro  e  dell'  oscuro. 

Adunque  il  sommo  pregio  di  un  disegnatore  egli  e 
quello  di  avere,  come  ottimamente  diceva  Michel' An- 
giolo BoNAROTTi,  le  seste  negli  occhi,  a  fiue  di  esatta- 
mente ritrarre  quegli  angoli  e  quelle  linee,  e  ridurle 
ove  è    d'uopo   a  figure  simili. 

Debbono  pertanto  le  mire  dei  professori  di  questa 
utilissima  scienza  continuamente  rivolgersi  ali"  investi- 
gazione di  tutti  que' mezzi  ,  i  quali  possono  al  pila  presto 
rettificare   la  vista  dei  loro   discepoli. 

48 


578  DEL  RETTIFICAR    L4   VISTA    a'  DISEGNATORI, 

Propone  Menghs  nell'  introduzione  alle  sue  lezioni 
pratiche  di  pittura  ,  di  far  disegnare  senza  riga  e  senza 
compasso  delle  figure  geometriche  ai  principianti  ;  ma 
con  questo  io  sou  certo,  che  non  ha-  egli  preteso 
dire,  che  non  debbano  saper  maneggiare  e  servirsi  di 
quegU  utilissimi  istromenti  per  giudicare  dell'esattezza 
delle   loro  operazioni. 

Infatti  un  ragazzo  che  non  sappia  costruire  un  trian- 
golo equilatero,  come  potrà  mai  di  grado  in  grado 
correggersi  la  vista ,  e  pervenire  da  se  stesso  ia  poco 
tempo    a   disegnarlo  perfettamente  ? 

Come  potrà  mai  conoscere,  se  ha  diviso  una  lìnea 
in  due,  ia  tre,  in  quattro  parti  uguali?  se  ha  fatto  un 
circolo,  un  ovale,  un  quadrato  perfetto?  dovrà  egli  ser- 
virsi del  toccalapis  per  misurare,  e  per  verificare,  come 
si   servono  del  martello  i  cattivi  mastri  da  legno  ? 

Non  v'  ha  dubbio  alcuno ,  il  compasso  è  un  instro- 
mento  atto  a  rettificare  la  vista  per  chi  se  ne  serve 
come  di  giudice,  dopo  di  aver  opefafo  con  la  mano: 
ma  egli  è  altresì  innegabile  che  perde  quella  sua  pro- 
prietà, ogniqualvolta  imo  se  ne  serve  prima  di  operare; 
e  ciò  perchè  in  tal  caso  l'occhio  non  istudin,  non  si 
esercita  nel  paragonare  il  rapporto  che  hanno  tra  di 
loro   le   linee,   e  gli   angoli. 

Finora ,  per  quanto  mi  h  noto  praticarsi  nelle  prin- 
cipali scuole  d'Italia  e  d' oltramonte,  non  si  sono  ancora 
scoperti  tutti  i  mezzi  piìi  acconci  a  rettificare  la  vista , 
e  a  facilitare    l'esecuzione    nel    disegoo.    Uno    scolaro  , 


Bl    VINCENZO    ANTONIO    REVEIXI.  Bla 

nllorchfe  passa  a  disegnare  dal  gesso,  non  ha  altro  soc- 
corso che  quello  di  servirsi  del  piombino;  e  questo 
sovente  è  il  suo  stesso  toccalapis ,  di  modo  che  avendo 
egli  da  esaminare  se  gli  occhi,  le  spalle  ,  i  fianchi  ,  e 
aiinili  posano  sopra  una  linea  orizzontale,  o  alquanto 
ohbliqua,  se  una  mano,  un  gomito  è,  o  non  è  a  livello 
del  capo,  o  di  qualunque  alìra  parte  del  corpo,  e  se 
le  linee  d'un  cubo,  d'una  tavola  esimili  sono  paralelle 
all'  orizzonte ,  è  costretto  a  presentare  lo  slesso  toccalapis 
per  traverso,  a  fine  di  poter  iscoprire  la  loro  posizione. 

Ma  questa  misura,  quanto  sia  fallace,  quanto  inesatta, 
può  chiunque  di  leggieri  comprenderlo  :  por  la  qual 
cosa  diviene  evidente,  che  manca  al  principiante  una 
pietra  di  paragone  per  giudicare  delle  linee  orizzontali 
ed  obblique. 

Vedendo  io  tal  cosa ,  e  conoscendo  la  somma  necessità 
di  dare  agli  allievi  una  guida  per  distinguere  le  linee 
paralelle  all'  orizzonte  da  quelle  che  sono  obblique ,  ho 
immaginato  una  macchinetta,  mediante  la  quale,  con 
ugual  facilità  si  misurano,  non  solamente  le  linee  per- 
pendicolari, ma  eziandio  le  orizzontali  e   le  obblique. 

Consiste  questa  in  un  telariuo  fatto  in  forma  di  per- 
fetto paralellogrammo,  il  quale,  sospeso  in  aria  per 
mezzo  di  un  filo  ,  e  librato  come  una  bilancia ,  nel  mentre 
fa  r  uffizio  di  piombino ,  presenta  davanti  all'  oggetto 
che  si  vuole  ricopiare  ,  varie  linee  orizzontali ,  e  verti- 
cali, le  quali  possono  spianare  infinite  difiicoltà.  Ma  per 
meglio  assicurarmi  che  queste  linee  fossero  assolutamente 


380  DEL  RETTIFICAR    LA   VISTA    a'  DISEGNATORI , 

verticali,  o  paralcUe  all'orizzonte,  ho  aggiunto  un  altro 
filo  nel  centro,  il  quale  avendo  un  piombino  in  ibndo, 
decide  visibilmente  dell'esattezza  loro. 

Con  l'ajuto  di  così  semplice  macchinetta,  quando  lo 
scolaro  ha  tirato  quella  linea  che  dee  determinare  il 
movimento  di  una  testa,  o  di  una  figura,  può  di  leggieri 
convincersi,  se  T  ha  tirata  più  o  meno  oblìi iqua  ,  piìi  o 
meno  orizzontale  di  quello  che  ha  da  essere. 

Con  la  scorta  della  suddetta  può  giudicare  quale  parte 
del  cranio  sia  la  più  elevata,  quale  delle  spalle  e  delle 
anche  si  trovi  più  alta,  e  vedere  quali  membri,  quali 
angoli  posino  sopra  una  medesima  linea  orizzontate  :  può 
altresì  decidere  in  un  quadro  ,  quale  fra  due  figure ,  fra 
due  linee,  ancorché  alquanto  distanti  fra  loro,  sia  la  più 
alta,  e  per  mezzo  dell'unione  di  una  verticale  con  una 
orizzontale,  ritrovare  il  giusto  sito,  in  cui  ha  da  essere 
collocata  qualunque  parte,  e  rinvenire  la  misura  degli 
scorci;  cose  tutte  importantissime  per  1' aite  del  disegno, 
e  senza  di  cui  i  primi  passi  dei  disegnatori  non  ponuo 
a  meno  di  essere  incerti  e  vacillanti  ;  lo  studio  diviene 
lunghissimo,  ed  a  gran  fatica  si  perviene  ad  acquistare 
un  occhio  giusto. 

Per  assaggiare  l'utilità  di  questa  mia  scoperta,  ne  ho 
fatte  fare  alcune  di  queste  macchinette  ad  uso  della  scuola 
del  disegno  ;  e  posso  ben  accertare ,  che  da  quelle  ne 
ricavano  i  miei  «colari  infiniti  vantaggi,  e  spianano  da 
loro  stessi  le  maggiori  difficollà,  ritrovando  nella  mede- 
sima una  guida,   un   maestro  infallibile. 


.l'"DI    VINCENZO    ANTONIO    KE\TIU.    '  ^iì 

Avuto  rJguaixJo  all'uso  a  cui  è  destioata  questa  moóh^ 
netta ,  io  le  ho  dato  il  semplice  nome  di  Regola  Revcl- 
liana  *,  e  credo  che  sia  quello  che  meglio  le  convenga, 
essendo  specialmente  fatta  per  regolare  Y  occhio ,  per 
dirigerlo,  qualora  ha  da  giudicare  quali  oggetti  si  tro- 
vino sotto  una  stessa  perpendicolare,  quali  snffo  uila 
orizzontale,   e  quale  sia   l' obbliquità   di  qualunque  linea. 

Spiegazione  della  Tavola  N."  IV,  in  cut  si  vede  delineata 
la   Regola  Revelliana. 

La  figura  A.  B.  C.  D.  rappresenta  la  Regola  con  tr« 
fili   perpendicolari,   e  tre  orizzontali. 

Il  filo  O  M.  N.  è  c|uello  che  ha  in  fondo  appeso  il 
piombino  P.,  e  serve  quando  si  lascia  slare  verticalmente, 
per  giudicare  se  la  linea  O.  F.  è  veramente  perpendi- 
colare, ossia  se  tutta  la  macchinetta  è  nella  sua  giusta 
posizione.  Volendo  servirsi  della  Regola,  fa  d'uopo  di 
pigliarla  in  modo,  che  il  ditp  indice  venga  ad  impe- 
dire che  c]uclla  giri  in  tondo ;^  eppcrciò  tenerla  in  quella 
sfessa  guisa  che  si  vede  delineata  la  superiore  mano  R.  S. 

Per  misurare  le  linee  obblique  si  fa  girare  il  filo  O. 
M.  N.   o  da  una  parte,    o    dall'altra    della   linea  O.  F., 


•  Non  per  altro  fine  le  ag;;iungo  1'  epiteto  di  Revelliana  ,  se  non  perchfc 
serva  pure  ai  Francesi ,  i  quali ,  senza  di  quello ,  non  polrebbcio  facilmente 
individuarla. 


382  DEL  RETTIFICAR  LA   VISTA  A'  DISEGNATORI. 

Pigliandolo  in  quel  modo  che  lo  prende  la  mano  infe- 
riore T.  U.,  e  procurando  clic  quello  vada  esattamente 
sopra  quella  linea,  sopra  quel  conloruo,  di  cui  si  vuole 
misurare  l'obbliquitù.    t    ,    j     ,,,]i  ì 

Quando  si  hanno  da  misurare  delle  obblique  a  destra, 
bisogna  tenere  la  macchinetta  sospesa  con  la  sinistra  mano; 
e  qualora  al  contrario  si  hanno  da  misurare  a  sinistra, 
conviene  tenerla   sospesa  con  la  mano  diritta. 

Facendo  uso  di  questa  regola  ,  comprenderà  facilmente 
ciascuno  in  quante  occorrente  divenga  oltremodo  utile 
per  rettificare  la  vista,  per  ricopiare  e  quadri  e  statue, 
ed  anche  vedute,  e  per  istudiare  altresì  gli  effetti  della 
prospettiva. 


ri:  e;  Oh  A    rfa  elliw  \ 


DELL'ORIGINE 

DELLE       STAMPE      DELLE       FICUKE      IN       LEGNO 
ED      IN     RAME. 

DI    GIANFllANCESCO    GALEANI   NAPIONE. 

Letta  li  29  nevoso  anno  iS» 

t^E  vi  ha  un'arte,  di  cui  difficile  sia  il  dire,  se  mag- 
giore sia  il  diletto  che  arreca  alle  colte  e  gentili  per- 
sone, o  se  maggiori  sieuo  i  vantaggi  che  ce  vengono 
agli  uomini  tutti,  questa  si  è  l'Arte  dell'intaglio  delle 
stampe  tanto  in  legno,  come  in  rame.  Mentre  da  una 
parte  per  via  di  essa  si  somministra  il  modo ,  anche 
a' più  lontani,  di  poter  ammirare,  quasi  come  presenti, 
le  più  insigni  dipinture  de' più  valenti  maestri,  i  su- 
perbi avanzi  dell'architettura  antica,  i  sontuosi  moderni 
edifici  ,  ^  ^^  statue  più  famose,  che  si  moltiplicano  allo 
iufinilo,  e  si  perpetuano,  spargendosi  per  ogni  dove  il 
buon  gusto;  d'altro  canto,  e  professori  di  Storia  natu- 
rale, e  di  Anotomia ,  e  Botanici,  e  Fisici,  e  Geografi, 
ed  Autiquarj  ,  e  Meccanici,  e  I^Iilitari,  e  IMatematici 
sfessi  ne  traggono  ajuto  grandissimo  ;  non  essendovi , 
oserei  dire,  libro  scientifico  nessuno,  che  non  abbisogni 
di  figure,   e  per  conseguente  di  stampe.  Che  se  il  recente 


384       ORIGINE  DELLE  STAMPE  IN  LESNO  ED  IN  RAME  , 

Lami.  Storia  ScrUtore   della  Storia  Pittorica   d'Italia    l'Abate   Lanzi, 

Pit.ddlllal.Bas  _  ' 

Mnoi795  6.T.i.  dono  avcp  detfo  ,  che  il  Secolo  nostro  venne  chiamato 

Progrf.«i  liiU  in-  ' 

cisiono  iu rame  j|  Sccolo  del  Rame,  perchè  è  stato  meno  fecondo  di 
grandi  Genj ,  e  di  grandi  opere  pittoresche ,  soggiunge 
poi  che  può  avere  avuto  lo  stesso  nome  dalle  incisioni 
in  rame  salite  in  questi  ultimi  anni  al  piìi  grande  onore; 
si  può  eziandio  osservare ,  che  in  proporzione  della  stima 
che  si  fa  dell'Arte,  grande  studio  si  pose  pure  con  ri- 
cerche laboriosissinie  nello  indagarne  1'  origine. 

La  industriosa  Nazione  Tedesca,   dove  dapprima  com- 
parve   la  stampa   de' libri   con  caiatteri   mobili,   si   attri- 
buisce anche  il  vanto  della  invenzione  delle  stampe  deflja 
ligure  in  legno,    e  dell'intaglio    in  rame  col  bulino.,    e 
M^e  g(!n,?iaie  colf  acqua  fortc.  11  Barone  d'HEiNECKEN  confessa,   che  gli 

fl'uae   t'ollerrion     i-i..!  iii/^*  i  i)i^* 

»ompi. dYsiinip.  italiani  hanno  o  portate  dalla  Grecia,   od  apprese  da  Greci 

aver  uiif  Di*^er(.  ,  .  ^  t»    f  •       i     ii.   A 

sur  l'origine  He  le  arti  dì  Dìsegno;    ad  eccezione  pero,   die  egli,  dell  Arte 

la  gravnr-,   flc. 

Leipzig  ri  viin.  d' incìdcre  in  leeno    od  in  rame,    stata   trovata  in  Ger- 
1771,  p.  III.  «^ 

mania.  Ma,  lasciando  stare  che  gli  Italiani  fecero  rivivere 
le  arti  del  Disegno,  studiando  la  natura  e  gli  antichi 
modelli,  senza  l'ajuto  de' Greci  moderni,  che  sempre 
dipinsero  di  cattivo  gusto  prima  e  dopo  RafacUo  ,  e  che 
r  Arte  di  incidere  in  rame  ed  in  legno  ,  come  quella  di 
dipingere  a  olio,  non  è,  propriamente  parlando,  arte 
di  Disegno,  ma  una  pratica,  un  meccanismo,  di  cui  si 
servono  i  Professori  di  Disegno,  rispetto  eziandio  alla 
gloria  della  invenzione  di  questo  meccanismo,  si  trovò 
in  Italia  chi  credette  di  poter  sostenere,  che  gli  Ai  listi 
nostri  non  sieno  stati  preceduti  da  quelli  della  Germania. 


DI   GIANFRANCESCO    GALEAKI   NAPlO.NE.  385 

Il  TiRABOSCHi    seguito    dal    Lakzi    fìssa   l'epoca  delio     Tirabo.., sk.r. 

"  '  dilla  L<ll.  Il.-.l., 

intaglio  inargento  all'anno    1440=  pci'  opera  dell'orefice  7r'i'j'z  "'lunfé 
Fiorentino  Maso  Finiguerra.   L'Arte  poi  dell'intaglio  in  ^'untfjll^cu. 
legno  raccoglie    da    un  Decreto  del  Senato  Veneto ,  del  ''"  ^' 
1441»   the  fosse  già  antica  in  Venezia,   e  sospetta,  che 
già  si  praticasse   sin    prima    del   1299  rispetto  alle  cai  te 
da  giuocare.  Finalmente  per  ciò  che  appartiene  all'  intaglio 
coir  acqua    forte    si  asserisce  senza  esitazione    veruna  dal 
Vasari  ,  esserne  stato  inventore  il  celebre  dipintore  Fran- 
cesco Mazzuoli  detto  il  Farmigianino  ,  circa  l'anno  i53o. 
Di   poco  o  nessun  vantaggio   sare)jbono    queste  gare  na- 
zionali, se  non  fosse,  che  impegnando  a  svolgere  e  do- 
cumenti   e   libri,   anche  della  più  i-imota  antichità,   non 
possono  a  meno   di  contribuire    a  schiarire  i   più  oscuri 
punti  della  Storia  delle  Arti.  Ma  chi  direbbe  mai,  che, 
dopo  tante  discussioni  intorno  alla  origine  delle  stampe 
delle  figure,   si  fosse  ritrovato  un  luogo  in  Plinio,   che 
ne   dà  la  gloria   della    invenzione    al  dotto  Varrone  sin 
da'  tempi  di  Ciceroke  e  di  Augusto  ?    Non  ostante  che 
la  storia  di  Plimo    già  da  sì  lungo   tempo   vada   per  le 
mani  di  tutti,  e  sia  stata    studiata   e  cementata  da  tanti 
valentuomini,  era  riseibata  la  gloria  di  avvertire  questo 
luogo    rilevante,    e  di   cavarne    il   vero  significato,     al 
Consigliere  Bianconi  Letterato,  che  con  tanto  ingegno,   Bianconi  opere 
dottrina,   ed  amenità  di  stile   seppe  trattare  i  più  spinosi  ^f'|?";^^^"^J;^; 
argomenti  di  Antiquaria   e  di  Critica.  Puccini. 

Il  luogo  di  Plinio,  che  sembra,  a  giudicio  del  BlA^co^'I, 
indicare   assai    chiaramente,    che    la  stampa   delle  figure 

49. 


386         ORIGINE  DELLE  STAMPE  IN  LEGNO  ED  IN  RAME  , 

fosse  conosciuta  dagli  anticlii ,  sia  nel  Capo  Secondo  del 
libro  XXXV  della  Storia  Naturale.  Dopo  di  aver  Plinio 
ragionato  delle  immagini  di  oro ,  e  di  argento,  od  almeu 
di  metallo,  che  si  esponevano  nelle  Biblioteche  in  onor 
di  que' chiari  ingegni,  le  cui  anime  immortali,  siccome 
egli  si  esprime  secondo  il  suo  stile  enfutico,  parlavano 
da  que' luoghi  medesimi;  e  dopo  aver  accennato,  che 
rispetto  a  quegli  uomini  grandi  in  lettere,  di  cui  non 
si  avea  il  ritratto,  si  fingeva  questo,  come  praticavasi 
per  l'immagine  di  Omero,  che  già  sin  d'allora  era  ideale, 
soggiunge,  che  autore  di  questo  lusso  erudito  era  stato 
AsiNio  PoLLioSE,  che  fu  il  primo,  il  quale,  con  aprir 
una  pubblica  Biblioteca,  rendesse  a  tutti  comuni  le  opere 
d'ingegno;  non  credendo  Plinio,  che  gli  stessi  Re  di 
Alessandria  e  di  Pergamo,  che  gareggiarono  nel  fondar 
Biblioteche  sontuose ,  in  questo  particolare  lo  avessero 
preceduto.  Passa  quindi  Plinio  a  ragionare  di  quelli  tra' 
suoi  Romani ,  che  con  grande  impegno  ed  ardore  atte- 
sero a  raccogliere  immagini  di  uomini  illustri,  e  tra 
questi  accenna  Attico,  l'amico  di  Cicerone  e  Marco 
Varrone  ,  che  si  è  quello  appunto ,  a  cui  il  Bianconi 
attribuisce  l' invenzione  della  stampa  delle  figure.  11  luogo 
rilevante  di  Plinio  è  il  seguente; 

»    Iniagìnum  amore  Jlagrasse    quondam  testes  sunt 
»   Bt  Atticus  ille  CiCERoms*  edìio  de  his    i'olumine. 


•  Noa  so  come  l'AnDuiNO  iu  vece  di  spiegare  »  Axxicus  ille  CiCEnosis» 


DI  gianfrancesco  galeani  n-apioxe.  387 

*  et  Marcus  VAnno,  beoignissimo  invento,  ìnsertìs 
»  voluminuni  suorumjecunditali,  non  nominìbus  tanlitm 
»  septingentoritm  illustrìum  ,  sed  et  alkjuo  modo  ima- 
»  gì  ni  bus .,  non  passus  intercidere  figuras,  aul  vela- 
»  statem  aevì  contro  Jinmines  valere  inventor  inuneris 
»  etiam  Diis  invidiosi,  quando  immortaìilalem ,  non 
»  solum  dedit ,  veruni  etiam  in  omnes  terras  misit , 
■»   ut  praesentes  esscnt  ubicfue,   et  claudi  possent.^» 

Suppone  adunque  il  Bianconi,  che  Varrone  sia  sfato 
inventore  di  una  qualche  impronta,  o  sia  stampa,  per 
mezzo  di  cui  si  moltiplicasse  a  piacere  sulle  pagine  dei 
Codici  la  medesima  figura  ,  con  metodo  non  molto  dif- 
ferente da  cjuello,  che  oggidì  costumasi  ne' nostri  libri 
colle  stampe  in  legno.  Troppo  facile  per  l'ingegno  umano 
(aggiunge  il  Bianconi)  dovea  essere  il  passaggio  dal 
coniar  una  medaglia,  o  dallo  improntar  sulla  cera  una 
testa  con  una  gemma  incavata,  al  farne  altrettanto  sopra 
una  membrana  per  mezzo  di  una  specie  di  sigillo  , 
inciso  a  rilievo  in  metallo  od  in  legno,  e  tinto  di 
qualche  colore.  Conghiettura  quindi  il  Bianconi,  che 
Varrone  sia   stato   il  primo   a  trasportar  questo  impronto 


Attico  l'amico  Ji Ciceuovs ,  ne  fa  un  volume  di  Cicerone,  dicendo  nelle 
sue  noie  «voluinen  illud  a  Cicerone  scripium ,  cui  nomen  fecit  Atticvs, 
«  penilusintercidit,  nota  25:»  Altronde  sappiamo  che  ÀTTICO  avca  molli  tra' 
suoi  servi  che  attendevano  all'Arte  libraria.  V.  CoRUEUO  Nipote  in  vita 
Attici  N."  XIII. 


388         ORIGINE  DELLE  STAMPE  IN  LEGNO  ED  IN  RAME  , 

ne  libri;  ed  accennando  gli  antichi  maHonj  cotti,  i  quali^ 
oltre  a  qualche  figura  ,  portano  l'impronta  col  nome  del 
padrone  della  fornace  e  dell' operajo,  riUette,  che  per 
imprimere  nella  creta  fresca  un  qualche  simbolo ,  non 
polea  usarsi  che  un  grande  sigillo,  non  dissimile  da 
quello  che  avrà  inventato  Varrone  per  istampare  con 
qualche  tinta  una  testa,  od  un  profilo  sulle  pagine  di 
un  libro,  giacche  il  meccanismo  è   lo  stesso. 

Oltre  alle  ristrette  ^tampe  delle  figuline,  di  cui  fa 
qui  menzione  il  Bianconi  ,  ed  alle  paste  antiche  che  sì 
hanno  delle  gemme  incavate,  avrebbe  potuto  eziandio 
additare  le  tante  terre  cotte  figurate,  per  improntar  le 
quali  richiedevasi  una  foi-ma ,  o  sia  stampa  piìi  estesa 
ed  ampia  di  molto.  Opere  antiche  si  hanno,  che  altri 
crederebbe  lavoro  di  scalpello  ed  in  marmo ,  che  non 
sono  altro,  se  non  se  stampe  impresse  in  una  mistura, 
della  natura  di  quegli  intonachi  antichi,  che  colf  andar 
del  tempo  pervenivano  a  tal  grado  di  durezza,  di  liscio, 
di  solidità ,  che  si  scambiavano  per  marmo ,  e  tagliati 
viiryv., libro  via   dalle  pareti,   secondo  che  narra  Vitruvio,   servivano 

VH.cap.IlI.  .,         , 

né  più  ne   meno,    che    se    di  marmo  fossero,    di  abaci, 
o  di   tavole,  che  vogliam  dire.  Di  una  piccola  urna  ele- 
gantissima di   questa  specie  di  lavoro,    the  conservavasi 
nel  tesoro  della  Regina  Cristina  di  Svezia,   parla  il  dotto 
Kapìmei  Fjhr.  Autìquario  Rafaello  Fabretti  nella   sua  Spiegazione  della 
"bTo-ife CoW  Tavola  Iliaca    di  Omero,    mostrando,    che  colla   stampa 
?S9o^ p.'ifsT'^  fosse  formata:  poiché   conservava,  ad  onta  delle  ingiurie 
del  tempo,    un    certo   lustro  nella  superficie,    che  dalla 


.-•DI  GIANTRANCESCO   GALEANI    NAPIONE.  58») 

forma  soltanto,  e  non  dallo  scalpello,  a  giiidìcio  degli 
intelligenti,  uvea  potuto  ricevere;  ed  inoltre  perchè  le 
figure  tutte  erano  effigiate,  tramutandosi,  come  succede 
nella  stampa  ,  la  parte  destra  nella  sinistra ,  cosicché  tutte 
esse  figure  colla  mano  sinistra  fanno  quello,  che  si  fa 
colla  destra,  non  essendo  altronde  credibile,  che  un  Ar- 
tista di  buonissimo  gusto,  come  appare  quello,  che  avea 
disegnato  quel  vaso,  avesse  in  tal  guisa  cosi  sconciamente 
deformato  il   suo  lavoro. 

Ma  ritornando  all'Arte  trovata  da  Varrone,  sospetta, 
il  Bianconi,  che  anche  ne' Secoli  barbari  iion  siasi  mai 
questa  interamente  smarrita.  Osserva,  che  non  sappiamo 
quanto  tempo  prima  di  quello  che  si  crede  si  stampas- 
sero colle  forme  di  legno  le  figure  de' Santi,  e  quelle 
degli  Eroi  de' Romanzi  di  allora,  che  è  certissimo, 
die" egli,  che  si  stampavano;  ed  asserisce  pure,  come  il 
TiRABOSCHi,  che  le  carte  da  giuocare  sono  antichissime. 
Comunque  siasi,  non  essendo  stato  il  riferito  luogo  di 
Plinio  avvertito,  prima  di  esso  Bianconi  ,  da  alcun  Co- 
mcntatorc,  com'è  detto  sopra,  soggiunge  che  stava  a 
vedere,  che  cosa  ne  avrebbe  detto  il  Traduttore  e  Comen- 
tator  Francese.  Stavasi  difatti  stampando,  mentre  il  Bian- 
coni scrivca,  una  Traduzione  Francese  di  Plinio  con  note 
in  Parigi;  ed  il  Tomo  XI,  che  contiene  il  libro  di  Plinio, 
dove  trovasi  il  mentovato  luogo,  uscì  alla  luce  nell'anno 
1778;  ma  il  Comentator  Francese  non  vi  seppe  vedere 
ciò-,  che  con  sagacità  ingegnosa  vide  in  esso  il  BtANCONi. 
Questa  sorte  di  ritratti,  die' egli,    erano  senza  dubbio 


ogO    ORIGINE  DELLE  STAMPE  IN  LEGNO  ED  IN  RAME  , 

Noiaisaiiib.  picciole  medaglie.  L'opera  di  Varrdne  componeva  un 
;i.ib  Trad.  Fr.  medagliere,  ed  era  divisa  (snppoae  esso  Gomcnlatore) 
ia  sette  volumi,  a  ciascheduno  de' quali  andava  unito  uno 
di  si  fatti  medaglieri.  Dopo  aver  detto  però,  che  erano 
senza  dubbio  medaglie,  ripiglia  tosto,  quasi  correggen- 
dosi ,  che  era  infinitamente  probabile  che  fosse  questa 
una  collezione  numismatica,  attesoché  in  questo  modo 
viene  a  spiegarsi,  perche  Plinio  dica,  che  erano  in 
qualche  maniera  immagini,  aìiquo  modo  ìmagìnes;  e 
perchè  in  oltre,  dice  Plinio  medesimo,  che  lo  spedienfe 
messo  ia  pratica  da  Varrone  ,  sparse  siffatte  immagini 
per  tutta  la  Terra ,  in  omnes  lerras  77iisfi ,  ut  essent  prap- 
senlcs  ubiquo.èì  vede  per  altro ,  che  l'Annotatore  molto 
bene  ravvisò,  che  il  senso  obvio  era  che  fossero  figure 
disegnate  con  inchiostro  ;  poiché ,  die'  egli ,  che  qualora 
fossero  state  lavorate  a  mano,  Ja  moltiplicità  delle  copie 
avrebbe  reso  troppo  difficile,  ed  anche  impossibile  il 
conservarne  la  rassomiglianza,  copiandole  iu  un  numero 
grande  di  esemplari.  Quanto  poi  al  supporre,  che  fossero 
incise,  che  si  è  appunto  quello  che  suppone  il  Bianconi, 
rigetta  egli  affati»  tale  supposizione  :  perciocché ,  dice 
il  Comentntor  Francese,  l'Arte  dell'intaglio  non  fu  in- 
ventata, se  non  se  tanto  tempo  dopo  Varrone,  vale 
a  dire.  Tanno  dell'Era  Cristiana  1460,  per  opera  di 
Marso,  com'ei  Io  chiama,  vale  a  dire  Maso,  o  sia  Tom- 
maso Finiguerra. 

Ma  quello   appunto ,    da  cui    il  Comentator    Francese 
ricava  argomento,  per  asserire  che  l'invenzion  di  Varrone 


DI   GIANFRAKCESCO   CALEANI    NAPIONE.  3<)l 

non  potesse  essere  la  stampa,  si  è  quello,  da  cui  ne 
inferisce  il  Bianconi,  che  la  stampa  delle  immagini  sia 
stata  da  Varrone  medesimo  inventata.  Il  Traduttor  Fran- 
cese mette  in  fatto  quello,  che  e  in  questione.  Se  si  fosse 
trattato  di  semplici  medaglie,  come  mai  poteva  chiamarsi 
r  invenzione  di  Varrone,  invenzione  utilissima  e  nuova, 
con  chiamarlo  inventar  muneris  edam  D'iìs  invidiosi? 
Quanto' fosse  antico  l'uso  di  gittar  medaglie,  e  quanto 
anteriore  a  Varrone  è  noto  a  tutti;  e  già  prima  in  quel 
Capo  medesimo  avea  ragionato  Plinio  delle  immagini 
degli  uomini  illustri  in  oro  ed  argento,  introdotte  nelle 
Biblioteche,  oltre  a  quelle  di  metallo;  e  dicendo  di  oro 
e  di  argento,  si  vuol  supporre,  che  piuttosto  di  me- 
daglie, che  non  di  statue  intendesse  egli  di  ragionare. 
Quanto  poi  al  dirsi,  che  le  immagini  di  Varrone,  erano 
soltanto  in  qualche  maniera  immagini,  alicjuo  niodoima- 
gines ,  ciò  si  può  dire  egualmente  di  una  stampa  che 
rappresenti  un  profilo  a  chiaroscuro  (  quali  crede  il 
Bianconi  che  fossero  le  immagini  inventate  da  Varrone), 
come  delle  medaglie.  Che  anzi  le  medaglie,  essendo  di 
basso  rilievo,  più  sono  atte  a  rappresentare  le  sembianze 
delle  effigiate  persone,  che  non  semplici  profili ,  ancorché 
suppor  si  vogliano  leggermente  ombreggiati  ;  onde  il 
dirsi  da  Plinio,  che  erano  soltanto  aliquo  modo  ima- 
gines,  pili  si  adatta  alle  stampe,  che  non  alle  medaglie. 
Qual  differenza  poi  non  passa  tra  una  dipintura  rappre- 
sentante al  vivo  co'  proprj  colori  una  persona ,  da  un 
Disegno    a    chiaroscuro  ?    quanto    non    è    diversa    una 


DCfl  ORIGINE     DELLE  STAMPE   IN  I.EGNO  ED  IN  RAME, 

stampa  anche  delle  più  perfette,  da  un  ritratto  di  Tiziano? 
E  le  pitture  di  Ercolano,  ed  altri  antichi  avanzi,  sebben 
di.  Pittori  volgari,  e  de' Secoli,  in  cui  già  decaduta  era 
quella  uobil  Arte,  ben  ci  danno  ragion  di  credere,  che 
il  colorilo  degli  Artisti  de' buoni  tempi,  massime  allo 
encausto,  non  cedesse  a  quello  de' più  lamosi  Artisti 
moderni. 

Del  resto ,  e  come  mai  le  medaglie  si  sarebbono  potute 
chiudere  in  libri?  che  tale  io  stimo  che  sia  il  senso 
delle  parole  di  Plinio,  et  claudi  possent.  Se  si  fosse 
trattato  di  chiuderli  soltanto  in  istudioli ,  o  scrigni  non 
vi  sarebbe  stato  particolarità  da  rilevarsi  nella  invenzione 
di  VaRrone.  Kon  parlo  del  copiarle  disegnate  a  mano, 
poiché  lo  stesso  Comeutator  Francese  di  Plinio  ben  vide, 
che  non  sarebbe  stata  questa  nuova  invenzione ,  ne  si 
sarebbe  con  questa  potuto  moltiplicarne  con  grande  fa- 
cilità, e  spargerne  per  ogni  dove  nelle  più  ritnote  con- 
trade gli  esemplari.  Ma  l' intaglio ,  dice  il  precitato  Anno- 
tator  Francese,  non  fu  trovato,  fuorché  nel  1460:  ma 
questo  è  appunto  quello  che  si  cerca.  Quelli,  oJie  asse- 
guano  i  principi  dell'  Arte  d' intagliare  intorno  a  quei 
tempi ,  od  almeno  dopo  il  principio  di  quel  Secolo  , 
parlano  soltanto  dell'intaglio  in  rame;  e  per  ciò  che 
appartiene  all'  intaglio  in  legno  tutti  lo  credono  più  an- 
tico. E  che  di  fatti  molto  più  antico  sia,  si  raccoglie 
<i/ì'«'''ra''"i!re  e'"  *^^  quauto  sì  legge  presso  lo  Scrittor  Francese  Papillon 
boisT.ii,  17SS.  ijgUa  sua  Storia  dell'intaglio  in  legno",  libro,  che  con- 
vien  dire  che  ignoto  fosse  all'Annptator  di  Plinio  suo 
paesano. 


DI   GIANFRAKCESCO  GALEANI   NAPIONE.  3g3 

Il  Papillon  adunque,  senza  saper  nulla  del  luogo  di 
Plinio,  antichissima  crede  l'Arte  dell'intaglio  in  legno, 
e  viene  a  confermare  quanto  dice  il  Biancoki,  che  nei 
Secoli  di  mezzo  si  fatta  stampa  si  praticasse.  Crede  che 
fossero  incisi  in  legno  i  contorni  di  molte  lettere  iniziali 
di  Manoscritti  anteriori  al  1400,  e  che  tal  cosa  si  ese- 
guisse mediante  stampe  con  manico,  come  sigilli.  Notò 
questi  contorni  in  diversi  Manoscritti ,  dove  i  colori  si 
sono  svaniti ,  ed  aggiunge ,  che  il  Fourmer  nella  sua 
Dissertazione  sopra  la  stampa  pubblicata  nell'anno  lySg, 
asserisce  di  aver  trovato  lettere  impresse  a  mano  in  un 
Codice  della  Biblioteca  d'  Upsalia  del  Secolo  IV ,  conte- 
nente gli  Evangelj,  Questo  Codice,  detto  anche  Coclex 
wgenteus,  è  una  traduzione  degli  Evangelj  in  lingua 
Gotica,  che  si  crede  compilata  da  Ulfila,  Vescovo  dei  mphv.asiìimt. 
Uoti  circa  1  anno  070,   e  contiene   lettere   in  oro  ed  in  ""!"■  n.  up- 

y-,   .  .  .  .        '"'""      '755. 

argento,  le  quali,  da  Giovanni  Ihre,  che  l'illustrò,  si 
giudica  che  fossero  impresse  con  un  ferro  caldo ,  come 
si  pratica  tuttora  da'  Legatori  de'  libri ,  per  improntarne 
il  titolo  sul  dorso;  e  crede  che  questa  fosse  cjuella  scrit- 
tura all'encausto  da  tanto  tempo  andata  in  obblivione, 
di  tal  fatta,  che  dal  Panciroli  è  annoverata  fra  le  Arti 
perdute.  Si  oppose  all' Ihre,  che  il  ferro  caldo  avrebbe 
fatto  arricciare,  ed  avrebbe  guasta  la  sottil  membrana  in 
cui  è  scritto  il  Codice ,  e  che  gli  Antichi  parlano  di 
pitture,  non  di  scrittura  all'encausto.  Ma  tutte  queste 
difficoltà  cessano  supponendo,  come  suppone  il  Papillon, 
che  non   già   ferri    caldi,  ma  semplici  caratteri  intagliati 

5o 


394         ORIGINE  DELLE  «TAMPE  IN  LEGNO  ED  IN  RAME  , 

in  legno,  od  in  metallo  si  sieno  adoperati  per  imprimere 
quel  Codice,  nel  qual  modo  troveremmo  più  antica  la 
stampa  in  Europa ,  che  non  alla  China  ;  dacché ,  scbben 
Angelo  Rocca  abbia  preteso  che  i  Chinesi  stampassero 
già  sia  da'  tempi  di  Alessandro,  vale  a  dire  quattrocento 
anni  prima  dell'Era  volgare,  Giampietro  Maffei  si  re- 
stringe a  chiamar  presso  i  Chinesi  antichissima  la  stampa*. 
Esisteva  già  in  quel  famoso  Impero  dell'Asia  nel  Secolo 
X  secondo  il  Couplet.  Ma  dall'  epoca  del  Codice  di 
Upsalia  insino  al  Secolo  X,  quanti  anni  non  passarono  ! 
Lami  sioùa       Anchc  1'  Abate  Lanzi  accenna  le   impressioni  di  sigilli 

Villor.    d  Italia,        .  .  .  Ti    !•  Ti 

/«..  ««.  pag. SI.  di  metallo,  che  si  trovano  m  pergamene  Itahane  di  tempi 
antichissimi.  Ciò  prova,  dice  il  Lanzi,  che  si  è  cam- 
minato per  pili  Secoli  sull'orlo  di  questa  invenzione; 
ma  forse  si  dovrebbe  dire  piuttosto ,  che  tanta  fu  la 
barbarie  de'  Secoli  di  mezzo  ,  che  molte  invenzioni  an- 
tiche, in  vece  di  estendersi  e  perfezionarsi,  dovettero 
retrocedere,  e  così  in  questo  particolare  ridursi  a  stampe 
d' informi  sigilli  i  ritratti  degli  uomini  illustri  impressi 
ne  libri  di  Vabrone  :  così  la  stampa  de' libri,  osserva 
wmoririsior  ottimamente  il  Cardinale  Borgia,   fu  circa  il  14^0,  non 

%e'"xx^"-^'  già  ritrovata,    ma  piuttosto  perfezionata.   E   delle  figure 


*  Uteras  ìmaginesque ,  subjeetis  praeìo  typls  ,  excudere  ....  vetustissimo  in 
usu  apud  Sinas  esse,  rompertum  est.  Jo.  Pet.  Mapfei,  Hist.  Indie,  lib.  VI, 
p.  256;  ColonicB    1590. 

DjIUNOV ,  Analyse  des  opinlons  di'verses  sur  l'origine  de  l' imprimtrit^  "ilélB' 
de  rin«U  Nat.,  Paris,  T.  IV,  an  XI.  p.  §24. 


» 


DI   GIANFRAKCESCO   GAI.EANI    NAPIONE.  3g5 

poi  più  particolarmente  ragionando  il  signor  Daunou  ,  Oaunuu  /o». 
sebben  confessi,  che  l'origine  dell'intaglio  in  legno  in 
Europa  sia  oscura  assai,  crede  però  verisimile,  che  prima 
del  i35o  fosse  già  caduto  in  pensiero  di  trar  copia  , 
mediante  l' impressione ,  delle  tante  figure  intagliate  in 
incavo  od  in  rilievo,  dalle  opere  di  scoltura  di  niello  , 
di  graflito,  non  solo  degli  antichi  ,  ma  eziandio  sulle 
pietre,  sui  metalli,  sul  legno  degli  Artisti  del  Secolo  XII 
e  XIII.  Lascia  poi  in  dubbio ,  se  quest'  Arte  nata  sia  in 
Italia,  in  Germania,  in  Olanda,  o  nelle  Fiandre;  ma  il 
Papillon,  senza  saperne  di  pivi  intorno  all' epoca  precisa,     papillon //7,/. 

isi  l'in»  •  11  •  TI'  de  ta  (ìrùfurc  cu 

da  la  gloria    della  mveuzione  a  qualche   antico  rittore,  io.VTom.i.pag. 

.  .  .  ,  .  .  76-80. 

o   Scultore  Italiano  anteriore  di  molto  a  Tedeschi,    cui 

si  attribuisce  comunemente  ;    ed  in  prova  ne  reca  una 
scoperta    sua  ,     detta    a   buona    ragione  curiosissima  dal 
giudicioso  Autore    della    Biblioteca  di  Pittura,    Scultura  de'ptinuscuip! 
ed  Intaglio  ,  il  signor  Cristoforo  De-Mcrr.  W  L/i'piigT^o". 

Racconta  adunque  il  Papillon  di  aver  veduto  circa 
l'anno  1720  presso  il  signor  De-Greder,  Uffiziale  Sviz- 
zero, un  libro  ove  erano  otto  stampe  intagliate  in  legno» 
rappresentanti  i  fatti  di  Alessaìsdro  il  Grande,  Eroe, 
la  cui  maggior  celebrità  preee  origine,  secondo  un  savio 
Scrittor  Inglese  ne' tempi  della  Cavalleria,  quando  lo  andar 
in  traccia  di  avventure  era  tenuto  il  più  alto  grado  del 
merito  personale ,  e  che  età  incivilite  dovrebbouo  riguar- 
dare sotto  un  men  favorevole  aspetto.  Da  una  iscrizione 
o  frontispicio,  in  carattere  detto  comunemente  Colico, 
risulla ,  che   tali  stampe  erano    state  incise    in   legno  in 


Hisl.  of.  Grrc. 
by  Jhou  Cii^l. 
Buokl.  S<ci  111. 
pag.  i5i. 


3g6         ORIGINE  DELLE  STAMPE  IN  LEGNO  ED  IN  RAME , 

Ravenna  da  Alberto  Cunio  Cavaliere,  e  da  Isabella, 
fratello  e  sorella  gemelli,  ed  ofieite  a  Papa  Onorio  IV. 
Descrive  il  Papillon  il  modo ,  con  cui  sono  impresse 
quelle  stampe,  di  colore  indaco,  calcate  colle  mani  sem- 
plicemente, il  che  tutto  fa  minutamente,  e  come  per- 
sona della  professione,  che  vide  ed  esaminò  diligente- 
mente tal  lavoro.  Fa  menzione  di  una  nota  scritta  nel 
margine,  dove  dicesi,  che  deesi  scavare  di  più  il  fondo 
delle  stampe  di  legno,  affinchò  esso  fondo  non  tocchi 
venendo  segnate.  Descrive  poi  i  soggetti  delle  stampe 
medesime.  Le  figure  le  dice  mediocremente  disegnate, 
e  di  gusto  semìgotico,  soggiungendo  che  si  vedeva  in 
esse,  che  le  Arti  del  Disegno  ripigliavano  nuova  vita 
a  poco  a  poco  in  Italia.  Sotto  le  figure  sono  scritti  f 
nomi  di  Alessandro,  Fimppo  ,  Dario,  Campsaspe.  I 
soggetti  sono  i."  Alessandro  che  doma  il  Bucefalo;  2.° 
Passaggio  del  Cranico  ;  3."  Alessandro  che  taglia  il  nodo 
Gordiano;  4-°  Alessandro  nel  Padiglione  di  Dario;  5.* 
Alessandro  che  fa  dono  di  Campsaspe  ad  A  pelle;  6."  la 
Battaglia  di  Arbela;  7.°  Poro  vinto,  condotto  avanti 
Alessandro  ;  8.°  Il  trionfo  di  Alessandro  entrando  in 
Babilonia.  Aggiunge  il  Papillon,  che  nell'ultimo  foglio 
bianco  del  libro  vi  sta  una  nota  in  carattere  Svizzero 
antico,  ch'ei  riferisce.  Si  raccoglie  da  essa,  che  quel  libro 
era  stato  dato  in  dono  dalf  illustre  Conte  di  Cuoio  Po- 
destà d'Imola,  a  Giovan  Giacomo  Tubine  nativo  di 
Berna,  Avolo  del  possessore,  ed  autore  della  notizia, 
il  quale  attesta ,    che  lo  teneva   in    pregio  più   d'  ogni 


BI  GlANFRANCESCO   CALEANI  NAPIOXE.  697 

altro  libro,  a  cagion  della  mano  da  cui  era  veuufo.  Kod     DrMurr  /«. 

cil.  TullJ.   11.  p. 

riferirò  qui  le  avventure  dei  due  nobili  Gemelli  narrate  4''«-  «  ««• 
dall' Autore  della  notizia,  e  che,  secondo  (he  die' egli, 
gli  vennero  raccontate  dall'Avolo  suo,  poiché  hanno  tutto 
l'aspetto  di  una  Novella  Romanzesca.  E  da  notarsi  sol- 
tanto il  dirsi  in  quella  notizia ,  che  i  due  mentovati 
Gemelli  Alberto  ed  Isabella  erano  nati  dal  Conte  di 
Cunio,  e  da  una  Gentildonna  Veronese,  congiunta  colla 
famiglia  di  Papa  Onorio  già  prima,  che  giungesse  ad 
esser  Capo   della  Chiesa. 

Riflette  poi  assai  a  proposito  il  Papillon,  che  questo  Tminuvie. 
prezioso  monumento  d  mtaglio  in  legno  e  d  impressione  Pint.t- /»(.<:»# 
fu  lavorato  tra  il  1285  ed  il  1287;  perciocché  quel 
Pontefice  non  resse  la  Chiesa,  se  non  se  dai  due  del  mese 
di  Aprile  dell'anno  1286,  infino  ai  tre  dello  slesso  mese 
dell'anno  1287,  e  che  perciò  l'epoca  di  questo  intaglio 
è  anteriore  a  tutti  i  più  antichi  libri  stampati  in  Europa 
attualmente  conosciuti,  e  suggerisce  opportunamente  di 
fare  ricerca  di  tal  libro  negli  archivj  de' Conti  di  Cunio, 
e  nella  stessa  Biblioteca  Vaticana.  E  per  vero  dire  pare, 
che ,  per  ciò  che  appartiene  agli  antichi  e  rari  Cimai j 
delle  Arti  figurative,  siasi  quasi  preso  impegno  di  voler 
trovar  tutto  in  Toscana  soltanto,  e  non  siausi  peranco 
percorse  con  occhi  eruditi  le  Città,  le  Biblioteche,  gli 
Archivj,  e  le  private  case  eziandio  delle  altre  Provincie 
d'Italia.  Antichità  rare,  nobili  raccolte,  superbe  fabbriche, 
meraviglie  di  pitture,  dice  il  I\1affei  aver  trovate  in  tratti    "'"'fj^'»^- 

f'  l  '  Lfii.  Tom.  V. 

d'  Italia ,    che ,    per    essere  fuori    delia  strada   Romana  ,  i"^»-  '"• 


k 


3ij8         ORIGINE     DELLE  STAMPE   IN  LEGNO  ED  IN  RAME, 

nessun  vede.  Ed  in  vero  perchè  la  Toscana  è  senza 
controversia  l' Attica  dell'  Italia  ,  non  si  vuol  già  infe- 
rirne che  tutto  il  resto  sia  Beozia.  Osserveremo  soltanto 
in  questo  particolare  degli  incisoi-i  delle  antiche  stampe, 
di  cui  ragiona  il  Papillon  ,  come  antico  sia  il  genio 
delle  Arti  belle  in  Italia;  dacché  veggiamo  sin  dal  Se- 
colo XIII  Gentiluomini  principalissimi  non  solo  proteg- 
gerle, ma  professarle;  e  quanto  sia  diversa  dall' antica  la 
moderna  Ilaliat  I  Grandi  tra'  Romani  non  curavano  le 
Belle  Arti ,  o  ne  riguardavano  soltanto  i  monumenti  più 
rari,  come  oggetto  di  lusso  e  di  rapina.  Gli  Italiani 
all'incontro,  non  contenti  di  raccoglierli,  di  ristaurarli, 
vantano  chi  si  studiò  di  emularli,  e  sin  da  Secoli  semi- 
barbari personaggi  illustri ,  che ,  come  gli  antichi  Greci, 
si  pregiarono  di  esercitar  le  Arti  figurative  medesime. 
Anche  rispetto  alla  stampa  de' libri,  i  primi  introduttori 
di  essa  in  Italia ,  che  si  associarono  cogli  Artefici  venuti 
di  Germania  furono  Gentiluomini.  Cosi  i  Massimi  in 
Lez^iDior.  aua  Roma;  i  Beggiami  ed  altri  in  Piemonte.  I  Tedeschi  pure 

Slampa  e  Mein. 

manuscr.  gj  ingeguarouo  ultimamente  di  provare ,  che  uomo  facol- 

Esfauu"^  m;.  toso  e  nobile  fosse    il    Giovanni    Guttemberg  ,    cui    si 
QZ,m.''j!uyL.l  attribuiscono  i  primi  tentativi  di  quella  invenzione. 

Ma  ritornando  al  monumento    rarissimo    d  intaglio  in 

legno,   lavoro  degli  illustri    incisori   sopraccennati  usciti 

dall'illustre  Casato   de' Conti   di  Cunio    e   di    Barbiano  , 

Hcinek.  Ito  so  che   il  Barone   d'HEiNEKEN  vorrebbe   mettere  in  con- 

icoiioDdMian,p.  cetto  il  PAPirxoN    di  troppo   credulo,    e    di    narrator  di 

^' '"'  favolosi  racconti.  Concede  però,    ch'era    egli    uomo    di 


\ 


m   CIAKFRAKCF3CO    CALFAM  N>IIC>E.  ?C,^ 

carattere  probo  e  di  buona  fede.  Ora,  ciò  posto,  chi 
oserà  negargliela  rispetto  ad  un  fatto  eh"  egli  attesta  , 
cioè  di  aver  veduto  cogli  occhi  proprj  ed  esaminato 
gli  infagli  in  legno  che  ci  descrive?  Difalti  non  gliela 
nega  il  mentovato  signor  De-Murr  ,  tuttoché  anch'  egli 
Tedesco,  e  perciò  naturalmente  impegnato  a  sostenerle 
glorie  della  propria  Nazione.  Che  anzi  biasima  aperta- 
mente i' Heineken  per  aver  travisato  questo  fatto  curioso, 
cora'ei  lo  chiama,  e  notabile;  per  aver  sostituito  il  Pon- 
tefice Urbano*  al  Pontefice  Onorio,  e  per  aver  detto,  che 
nell'anno  1720  il  Papillon  non  poteva  avere  discerni- 
mento sufficiente  per  esaminar  il  libro  d'intagli  in  legno 
di  cui  ragiona,  essendo  in  età  di  soli  quattordici  anni; 
quandoché  il  De-Muhr  mostra ,  che  ne  avea  per  lo  meno 
ventiuno,  essendo  nato  nell'anno  iGg8.  Ad  ogni  modo 
la  scoperta  del  Papillon  dà  maggior  peso  alla  interpre- 
tazione del  passo  di  Plinio  sopracitato  recata  dal  Bianconi; 
ed  il  passo  di  Plinio  rende  vieppiù  credibile  il  racconta 
del  Papillon. 


*  »  Je  ne  sais  pas  pourquoi  M.'  de  Hei?<ekf:j  cite  si  fausscmenl  ce  trait 
«  curipux  et  remarquable.  Au  lieu  iI'Honore,  il  inet  Urbai:;!,  il  dit  que 
»  M/  Papillon  était  alors  de  14  ans,  il  ea  avait  au  uioins  21,  claot 
.»  né  en  1698.»  Ds-MunR,  hibl.  de  peinture,  ec,  he.  cit.,  p.  453: 

Anche  il  Daunou,  che  parla  di  questo  fatto  {^Anaìyse  Jes  vpinions  àiversa 
sur  r  origine  de  timprim.  pag.  5a8  )  chiama,  non  so  perchè,  l'autenticità 
di  questo  monumento  injìniment  suspecte;  parlando  però  del  giudicio,  che 
reca  il  Barone  d' Heiuekem  ilcll' opera  del  PATUa-ON,  dic«.  t*  jugemerit 
est  Jbrt  dur. 


400         OBIGINE    DELLE  STAMPE   IN  LEGNO  ED  IN  RAME, 

Posto  che  r  Arte  d'  intagliare  le  stampe  in  legno  sia 
così  antica  in  Italia ,  non  è  gran  fatto ,  che  si  trovasse 
poscia  quella  dell' intaglio  iu  rame,  invenzione  che  non 
si  contrasta  oramai  da  veruno  a  Maso  Finiguekra  ,  e 
che  potrebbe  essere  anche  più  antica;  dacché  da  molti 
lavori  di  Niello  possono  essersi  cavate  stampe  sin  da' 
tempi  anteriori  ;  ed  è  impossibile  il  fissarne  1'  epoca , 
perchè  gli  Artisti  non  si  curarono  di  segnarla  nelle 
opere  «loro.  I  lavori  di  graffito,  che  sono  della  antichità 
più  rimota ,  e  che  veggiamo  persino  in  patere  Etrusche, 
sono  vere  incisioni  in  argento,  od  in  rame.  Chi  può  ad- 
ditare clii  sia  stato  il  primo ,  cui  sia  caduto  in  pensiero 
di  cavarne  in  pergamena ,  od  in  carta  la  stampa  mediante 
qualche  tinta?  l'adoperar  questa  invenzione  in  tavole 
Geografiche ,  che  si  è  uno  degli  usi ,  a  cui  sia  più  pro- 
pria,  mal  potendosi  segnar  con  intaglio  in  legno  i  monti, 
le  spiagge,  e  l' irregolar  corso  de' fiumi;  e,  quello  che  è 
più,  incidere  in  legno  in  caratteri  minuti  i  nomi  delle 
Città ,  delle  Terre  ,  e  vadasi  dicendo ,  fu  pur  cosa ,  di 
cui  se  ne  dee  dare  il  vanto  all'Italia.  L'erudito  Tipo- 
grafo il  signor  Bartolommeo  Gamba  mostra,  che  nel  To- 
lomeo stampato  in  Bologna  colla  data  del  1462  (ch'egh 
prova  però  doversi  leggere  1472),  compajouo  le  prime 
tavole  geografiche  incise  in  rame,  come  ne  risulta  dallo 
avvertimento  posto  in  fronte  di  quel  libro  evidentemente*. 


*  »  Accedit  mirifica  imprimendi  talcs  labuins  ratio  tujiis  iiiveiiloris  laus, 


DI   GIANFRANCESCO  GALEANl    NAPIONE.  ^Ol 

Che  anzi ,  crede  inoltre  il  Signor  Gamba  ,  che  possa  esser 
questo  il  primo  e  più  prezioso  monumento  dell'  incisione 
a  bulino,  segnato  precisamente  con  data,  poiché  ognun 
sa,  che  il  Dante  di  Firenze  con  figure  incise  in  rame, 
porta  la  data  del  148 1.   Il  Marchese  Scipione  Maffei  dà  ,,^^^'1'^'"°"^ 

~  T^  ^  Illutl.  .Panelli. 

alla  sua  Verona  la  lode  che  in  essa,  prima  che  in  altra  "p-  ^'• 
Città,  siasi  posto  mano  a  far  uso  di  figure  intagliato 
ne'  libri.  Ne  reca  in  prova  1'  opera  di  Roberto  Valturio 
De  Re  Militari,  stampata  in  Verona  nell'anno  1472,  e 
conghiettura  che  delle  figure  in  esso  inserite,  sia  stato 
intagliatore  Matteo  Pasti  Pittore  e  Scultor  Veronese , 
che  trovavasi  allora  in  Rimini ,  patria  del  Valturio.  Ma 
lasciando  stare  che  questo  libro  del  Valturio  fu  stam- 
pato nello  stesso  anno  1472,  epoca  del  Tolomeo  di  Bo- 
logna, non  dice  il  Marchese  Maffei  che  quelle  figure 
fossero  intagliate  in  rame,  e  si  ha  ogni  ragion  di  cre- 
dere che  fossero  in  legno*,  Arte,  come  da  tutti  si  sa, 
molto  più  antica,  e  di  cui  si  continuò  a  far  uso  lungamente. 
Quantunque  trovata  si  fosse  l'Arte  dell'  intaglio  in  rame 
a  bulino,  e  quantunque  in  Germania  ed  in  Fiandra, 
mercè  l'accuratezza  e  diligenza  propria  di  quella  nazione 


»  nihìl  illurum  laude  iufcrior  qui  primi  literarum  itnprimendarum  arlem 
»  poprrrnint  in  admirationem  sui  studiosissimum  quemque  facillime  con- 
io verlcrf  poti  st  ».  Osservazioni  sulla  Geografìa  ài  Toi.osheo  ,  fa!ta  in  Bologna, 
colla  data  del  MCCCCLXIl.  esposta  da  Bartolommeo  Gamba.  Bassano  1756. 
*  Sono  indubitatamente  in  legno  le  figure  della  Traduzione  Italiana  del 
Valturio,  stampata  nella  stessa  Cillìt  di  Verona  nell'anno  i483 ,  Copia 
di  cui  esiste  nella  Biblioteca  della  Uuiversità  di  Torino. 

5i 


402  ORIGINE  DELLE  STAMPE  IN  LEGNO  ED  IK  FAME, 

si  fosse  portata  ad  uq  grado  di  perfezione  e  di  finitezza, 
come  si  può  vedere  nelle  opere  principalmente  di  Al- 
berto Durerò,  a  cui  parea  che  non  si  potesse  aggiunger 
nulla,  se  quelle  dei  nostri  Bartolozzi,  Morghen  e  Por- 
porati non  ci  mostrassero,  che  quell'Arte  era  ancora 
capace  di  ulteriori  progressi;  ciò  non  pertanto  si  continuò 
a  lavorare  stampe  di  figure  in  legno  sin  oltre  alla  metà 
del  Secolo  XVI  con  belle  invenzioni ,  con  buon  Disegno, 
e  con  una  finezza  sorprendente.  Quello  che  contribuì  a 
far  trascurar  l' Arte  dell'  intaglio  in  legno ,  cosicché  i 
valenti  Maestri  non  si  curarono  piìi  d'intagliar  in  quel 
modo  i  loro  pensieri,  e  che  da  altri  Artisti  s'intaglias- 
sero, fu  l'essersi  introdotta  la  pratica  dell' acqua  forte. 
Ma  questa,  sebbeu  trovata  nel  principio  del  Secolo  me- 
desimo XVI  dal  Parmigianino  secondo  il  Vasari,  e  dal 
loro  Alberto  Durerò,  se  dobbiam  dar  retta  agli  Scrittori 
Tedeschi,  penò  lungamente  a  ricevere  quella  perfezione 
che  si  ammira  nelle  stampe  delCALLOT,  del  Le-Clerc, 
e  sopratutto  del  nobile,  gentile,  ingegnosissimo  Stefano 
Della-Bella.  Le  numerosissime  stampe  del  Tempesta  , 
che  pur  fiorì  in  fine  del  Secolo  XVI,  sono  incise  in 
una  maniera,  che  pare  abbi^  troppo  del  terminato  e  del 
crudo;  e  ciò  seguì,  dice  il  Baldinucci,  perchè  non  era 
Dine,  e  progr.  aucora    il    dar  l'acqua    forte    giunto    alla    perfezione,    a 

dell  arie  n  inla-  ^  o  l  ' 

vi"  .ìrAnion'ió  ^^^  ^  venuto  di  poi;  e   perchè  egli  badò   a   quello   che 
^«npisia  p.3»,  gijjajjjasi  pìtloresco ,    che  è  quanto   dire,    che  le  Opere 

sue  con  buon  dintorno,   e  colla  ottima   invenzione  giovar 

potessero  a'  professori  dell'Aite. 


Baiti  innccl  Co- 


;! 


VaMri  Vila  di 
Aoloaio 
B(>logna,ei)  altri. 


DI   CIANFRANCESCO    GALEANI   NAIPIONE.  /j.ù3 

Continuarono  adunque  sino  al  Tempesta  gli  Intaglia- 
tori di  professione,  ed  i  Pittori  più  particolarmente,  a 
lavorare  con  eleganza  intaglj  di  stampe  in  legno.  Alberto 
Durerò  vedendo  con  quanta  lunghezza  di  tempo  inta- 
gliava in  rame,  si  pose  ad  intagliare  in  legno,  nel  qual 
modo  di  fare,  dice  il  Vasari,  coloro  che  hanno  maggior 
disegno,  hanno  piìi  largo  campo  di  mostrare  la  loro 
perfezione  ;  e  segue  a  dire  il  Vasari  ,  che  Marco  An-  mj,'" 
TONIO   contraiece  in  rame  d  intaglio   grosso   com  era   m  Tomu.p. <ii, 

,  ITI-  1  •  1-  1  ii£>-r    cdii.diRomadcl 

legno,    la  rassioue  che  avea  intagliato  Alberto.   11  oig.    Botati:  vasari 

<kid.,   p.  4i3. 

Mariette  parla  di  una  stampa  in  legno ,  che  rappre-  ^3,;^,,,  l^,, 
sentava  due  femmine  ignude ,  aggiungendo  che  non  avea  p'js^'Ba'i.uni'c! 
mai  visto  cosa  più  bella,  e  che  non  dubitava  punto  che  d°iràrie'd'eii'°l! 
fosse  disegno  di  Michel  Angelo.  Non  isdegnavano  perciò  "'''°  "'  '  '■ 
d'intagliare  in  legno  Pittori  di  primo  grido,  come  il 
Tiziano  ,  il  Parmigianino,  ed  il  Beccafumi,  o  sia  Meche-  vasari /oc  <-.v. 
lULNO.  Luca  Penni  intagliò  in  legno  le  opere  del  Primatic- 
cio. Sono  in  legno  le  cose  del  Marcolini  tanto  lodato 
dal  Vasari;  e  tale  era  l'uso  di  adoperar  l'intaglio  in 
legno  nelle  cose  pittoriche ,  che  lo  stesso  Vasari  fece 
intagliare  in  legno  da  Cristofoi'o  Coriolako  i  ritratti 
de' Pittori  nelle  vite  da  lui  descritte,  pubblicate  nel  i568,  vasari/o.-.  nv. 
e  da  esso  Vasari  disegnate.  Loda  pure  il  Vasari  me- 
desimo le  figure  in  legno ,  che  il  Giolito  pose  negli 
Orlandi  Furiosi.  Ma  la  cosa  che  io  sappia  più  dilicata  e 
più  fina  intagliata  in  legno  ,  sono  le  Metamorfosi  di 
Ovidio,  figurate  in  forma  di  Epigrammi,  di  Gabriello 
SiMEONi,  Opera  dedicata  alla  Duchessa    di  Valentinois, 


rag.  428. 


P>E-  43j 


4o4    ORIGINE  DELLE  STAMPE  IN  LEGNO  ED  IN  RAME  , 

e  stampata  iu  Lione  per  Giovanui  di  Tornes  aell'anno 
iSSg.  Picciolissime  uè  souo  le  figure ,  essendo  la  forma 
del  libro  in  duodecimo,  e  non  occupando  che  un  terzo 
circa  della  facciata  ;  le  figure  ottimamente  disegnate ,  ma 
incise  in  legno,  riputandosi  allora  in  nulla  discnuve- 
uiente  lo  adoperar  l'intaglio  in  legno  in  opera  galante, 
e  dedicata  ad  ima  gran  Signora.  Quello  che  è  più  nota- 
bile si  è  che  in  legno  sono  paiimente  la  maggior  parte 
delle  figure  annesse  alle  Opere  degli  Architetti  del  i5oo, 
sebbene,  quando  trattasi  di  misure,  numeri,  e  lettere 
sembrar  debba  ,  che  il  rame  sia  più  adattato.  L'  Ar- 
chitettura del  celebre  Leon  Battista  Alberti,  stampata 
dal  Torrentino  in  Mondovì  nell'anno  i565,  è  adorna 
di  molti  bellissimi  intaglj  iu  legno.  Cosi  praticò  lo  stesso 
elegantissimo  Palladio  nella  sua  Architettura  che  si  stampò 
la  prima  volta  compita  celi' anno  1670,  ed  anche  a  questi 
uenina  Bill,  ultimi  Icmpi  il  nostro   Abate  Denina  mostrò  di  deside- 

t>.  IH,  Cap.  Ili,  ^ 

p.  295.  rare,    che  non  si  lasciasse  negletta  l'Arte    d'intagliar  in 

legno ,  affinchè  non  si  avesse  a  duplicar  la  spesa  della 
edizicrtie  dovunque  si  stimi  necessario  d' inserir  figure  per 
dare  maggior  chiarezza  alla  materia,  di  cui  si  tratta  nel 
libro. 


ÌL.i 


4ofi 
LA     LUNA     ABITATA. 


EGLOGA 

DI     GASPARE     MORARDO. 

LctU    li    4  pratile    anno  12. 


Uranio,    Osminio,     Dorilo. 


Uranio. 


De 


'uNQUE    Strano    vi    sembra  ed  incredibile, 
Che  sia  la  Luna  ai  campi  nostri  inutile, 
E  persisfete  ancora    che  discendano 
Da  lei  benigni  influssi  a  render  fertile 
Il  nostro   suolo  ?   Oh  quanto   Osminio  e  Dorilo 
Siete  mai  stolli! 

OSiMINIO. 

Io  ben  conosco.  Uranio, 
II  tuo    saper ,    e    troppo    temerario 
Sarei    per  certo,  se    nodrissi  in  animo 
Voglia  di  teco  contrastar.  Ti  cedono 
Gli  altri  Pastor  nel  canto,  come  cedono 
AUi  canori  cigni  i  rochi  paperi , 


^06^  LA    LUNA    ABITATA, 

O  all'ussignuol    la  rondinella  stridula. 
Ma  questo  è  poco:  la  tua  mente  estendesi 
Di  queste  selve  oltre  gli  angusti  limiti, 
E  col  pensier  penetra  i  più  reconditi 
Arcani  di  natura  agli  altri  incogniti. 
Ond'  è ,  che  come  da  verace  oracolo 
Tutti  i  Pastor  dalla  tua  bocca  pendono. 
Qualor  ne  spieghi  del  Pianeta  fervido 
L'  occulta  forza   e  le  cagioni  vai-ie , 
Per  cui  la  Luna  con  aspetto  ambiguo 
Sempre  ci  miri;   ed  or  le  corna  lucide 
Innalzi ,  ora  scemar  di  luce ,    or  crescere 
Si  vegga ,  o  resti  avvolta  in  fosche  tenebre  ; 
E  tutto  ciò  che  suole  in  ciel  succedere. 

Dorilo. 

Anch'  io  fórse  saprei  dell'aurea  cetera 
Scorrer  con  dotta  man  le  fila  unisone , 
E  trarne  melodia  soave  insolita, 
Sdegnando   il  suono    della  rozza  fistula. 
Forse  degli  astri   e   de'  pianeti  i  varj 
Moti  anch'io  spiegherei,  se  come  Uranio 
Tanti  lidi  strattier  potessi  scorrere, 
E  dalli  Saggi  nuove  cose  apprendere: 
Che  meco  avara  di  sublime  ingenio 
La  natura  non  fu. 


di  gaspare  morabdo.  /^0!j 

Uranio. 

Piuttosto,  o  Dorilo, 
Ringrazia  il  ciel ,  che  dalle  selve  pafrie 
Nod  partisti  giammai.    Me  strana  voglia 
In  queir  età ,    quando   più  1'  uom  vaneggia , 
Trasse  lontan  da  questo  placidissimo 
Nostro  soggiorno.  Quanti  io  vidi  incògniti 
Lidi ,  e  nuovi  costumi ,   e  nuòvi  popoli, 
Lungo  fora  il  ridir:    fin  tra   filosofi 
M' introdussi  talor ,   e  di  scientifiche 
Notizie  ricolmai   la  mente  docile 
Con  molto  studio ,   e  lunga  esperienzia. 
Ma  poiché  insieme  con  l'^tà*  più  fervida 
Mancò  la  speme  lusinghiera ,  a  prendere 
Cominciai  le  cittadi  in  abbominio, 
Che  in  ogni  loco  nere  fi-odi  e  invidie 
Regnar  io  vidi.   AUor  conobbi    (  ahi  misero  !  ) 
Il  ben  che  avea  perduto ,   e  stanco  e  sazio 
D' andar  più  errando   al  mio  natio  tugurio 
Disposi  tostamente  i  passi  volgere. 
Ove  da  ciechi  alletti  esente  e  libero 
Or  meno  i  giorni  più  tranquilli  e   placidi 
In  sen   d'amica  pace.  Ma  a  che  tessermi 
Si  lungo  elogio  ,   Osmin  ?  Con  lodi  insolite 
Vuoi  farmi  insuperbir. 


4o8  LA   LUNA   ABITATA, 

OSMINIO. 

Vo' farti  intendere 
Che  r  alto  tuo  sapere  ammiro  e  venero , 
Ne  posso   teco  in  modo  alcun  contendere  ; 
Ma  che  sia  poi  la  Luna  affatto   inutile 
A' nostri  ■  campi  .  .  .  Oh  questo  poi,  perdonami, 
Strano  mi  sembra  ,  e  non  saprei  risolvermi 
A  prestar  fede  a'  detti  tuoi.   Contraria 
E  affatto   al  tuo  pensar  la  venerabile 
Autorità   de' vecchi,  i  quai  lasciai-ono 
A  noi  queste  certissime  notizie  , 
Onde  il  terreno  coltivar  sapessimo, 
E   a  tempo  seminar. 

Dorilo. 

In  fatti  Titiro, 
Quello  fra  noi  sì  rinomato  Titiro , 
Che  già  cantò  qual  cosa  i  campi  fertili 
Renda,  e  in  qual  tempo  il  suolo  arar  si  deggia, 
E  agli  olmi  maritar  le  viti,  e  accrescere 
Gli  armenti,  e  come  conservar  si  possano, 
E  quanta  esperienza,   e  qual  sollecita 
Cura  le  industriose  api  richiedano. 
Vuole  egli  pur,  che  della  Luna  i  varii 
Giorni  la  terra  in  coltivar  si  osservino. 
Altri  essendo  funesti  ed  altri  prosperi. 


DI    GASPARE    MORARDO.  /fOg 

Uranio. 

So  che  Tlliio   il  dice  :    ma  infallibili 
Fuioa   forse  gli   antichi,  e  quanto  dissero 
Si  deve  forse  incautamente  credere? 
Dissero  pur  gli  antichi,  e  il  disse  Titiro 
Stesso,   che  dai  Tori  uccisi  e  fracidi 
Nascono  l'api:   cppur  quest' è  una  favola 
A  tutti  nota.  Oh   quanto  s'  ingannarono 
Gli  antichi,  or  troppo  incauti,  or  troppo  creduli! 
E    ver  che  molte  cose  essi  scoprirono: 
E   lor  grado  sappiam  che   ci  spianarono 
Primi  il  sentier  così  spinoso  ed  arduo , 
Che  ne  guida  al  saper.  Ma  non  si  possono 
In   una  sola  età  tutti   comprendere 
Gli   arcani  di  natura  innumerabili 
A  umana  mente  ascosi.  In   ogni  secolo 
Si  fan  nuove  scoperte;   e   i  nostri  posteri 
Quante   trarran  dalle  profonde  tenebre 
Belle  notizie   a'  nostri  giorni  incognite  ? 

OSMINIO. 

Eppur,    se  ben   io   mi  ricordo.  Uranio, 
Qualor  del  flusso  e  del  riflusso  equoreo 
L'  alta   cagion   spiegavi  nell'  Arcadia , 
Dal   Sole  e  dalla  Luna  il  gran  fenomeno 
Insegnavi   doversi  sol  ripetere. 
Che  se  nell'acque,  molto  piia  nell'aere 

52 


4 IO  LA   LUNA   ABITATA, 

DI  quelle  più  leggier,  e  Febo  e  Ci'uzla 
Produr  potranno   effetti  nuovi  insoliti, 
Che  per  le  piante  tutte  e  belve  ed  uomini 
Or  benigni  saranno,   ora  malefici. 

Uranio. 

Dalle  alterazioni  che  nell'  aere 
Come  nel  mar  in  modi  inalterabili 
Dalla  forza  centrale   si  producono , 
Ne  segue ,  che  tra  il  Sole  ed  il  terracqueo , 
E   il  lunar  globo   avvi  una  forza  mutua  , 
Ond'a  vicenda   ognor  tutti  s'attraggono: 
E  quest'  attrazion   certi  fenomeni 
Negli   animali  e   in  tutti  i  vegetabili 
Dee  cagionar  sempre  costanti  e  simili. 
Ma  l'azion  lunare  troppo  estendono 
Sulle  terrestri  piante   i  nostri  agricoli. 
In  qua' giorni  che  infesti  essi  declamano, 
Io   seminai,  piantai,   ed  abbondevole 
N'ebbi   il  raccolto,  mentr'essi  con  scrupolo 
Della  Luna   osservando  fasi   varie, 
Un  pari  atteso   frutto   non  ne  trassero  *. 


*  Come  nel  mare,  così  l'influenza  della  luna  nella  terrestre  atmosfera 
ella  è  certissima.  Quindi  è  pur  certo  che  le  atmosferiche  alterazioni  della 
mutua  attrazione  de'  due  globi  caj^ionate  aver  possono  qualche  influenza 
nell'economia  animale,   e  nella  vegetazione. 

Pretende   Mead  Medico  Inglese,  cjie  la  luna  influisca  moltissimo   nelle 


DI    GASPARE    MORAHDO.  iij.ll 

Ma  per  non  più  tenervi  a  bada ,  e  sciogliere 
I  dubbj  vostri  in  modo  chiaro  e  facile 
Ambi  porgete  attenti  a  me  V  orecchie. 
Se  io  vi  dirò   che   dalle  nostre  pratora  , 


malattie.  Le  di  lui  osservazioni  però  né  sono  costanti ,  uè  da  altri  valenti 
fisici  conrermale.  Il  celebre  signor  ToALno  nella  sua  meterologia  oppìicata 
all'  afiricollura  ,  soslienn  pure  l' influsso  lunare  sulle  piante;  ma  le  prove  di 
questo  chiarissimo  osservatore  non  sono  certamente  altrettante  dimostrazioni. 
Le  replicate  esperienze  del  nostro  chiarissimo  Vassalli -Eandi  sull'insa- 
lata e  le  mie  stesse  tentale  su  varie  pianticelle  dimostrano  la  nulla  •  o 
poca  ellìcaoia  del  luuare  influsso.  lu  ogni  giorno  delia  luna  seminò  quel 
degno  nostro  Collega  l'insalata,  che  a  pertinace  opinione  de' nostri  ortolani 
si  è  una  di  quelle  piante,  che  del  preteso  influsso  lunare  più  si  risentono. 
Ma  non  avendo  egli  giammai  trovata  la  minima  difl'erenza,  eccetto  -quella 
(Iella  varia  età,  giustamente  couchiuse  esser  nullo  in  tal  genere  il  lunare 
influsso. 

L'esperienze  del  signor  Vassalli- E andi  io  ho  ripetute  su  varie  altre 
pianticelle,  come  di  pielrosemolo,  basilico,  maggiorana,  fagiuoli ,  piselli, 
ec.  e  avendone  appunto  sparsi  i  semi  ne"  preparali  vasi  in  qtte'  giorni ,  che 
da'  nostri  ortolani  sono  interdetti,  ne  vennero  le  pianticelle  prospere,  e 
rigogliose  al  pari  di  quelle  ,  le  quali  furono  esaltamente  coltivate  secondo 
le  regole  più  scrupolose   degli   ortolani. 

Le  stesse  esperienze  io  feci  intorno  ad  una  pianta  di  maggior  fusto,  quale 
il  fico.  Recatomi  in  Oneglia  sul  principio  di  brumajo  \  anno  9  volli  meco 
nel  ritorno  in  Torino  trasportarne  due  teneri  ramoscelli;  ed  il  mio  conta- 
dino dopo  avermeli  preparali  nella  vigilia  della  mia  partenza  mi  diede  il 
pressante  ricordo  di  piantarli  nel  novilunio,  soggiungendo  che  allrimeirti  sa- 
rebbero periti.  Io  però  ridendomi  del  contadinesco  pregiudizio  .  d'uno  di 
que'  ramoscelli  ne  volli  a  bello  studio  differire  la  piantagione  al  terzo 
quarto  della  luna  .  dopo  aver  piantato  l'altro  secondo  il  prescritto  dal  con- 
tadino :  e  questo  tuttoché  con  la  slessa  esattezza  da  me  coltivato  prosperò 
con  minor  felicità.  Da  tutto  ciò  si  dee  dedurre  che  qualunque  siasi  l'influsso 
lunare  sulle  piante,  in  niun  conto  se  gli  dee  dare  quell'estensione  che  comu- 
nemente si  vuole  dai  nostri  carapaguuoli. 


/j.12  I-.A    LUNA    ABITATA, 

Da'  nostri  fiumi  e  bos(;hi  ancoi*   discendano 
Fecondi   influssi  nella  Luna,  a  ridere 
Vi  moverei:   non  e  così? 

OSMINIO. 

Certissimo, 
E  olii  dal  riso  trattener  potrebbesi 
Ascoltando  tai  cose  ? 

Uranio. 

Eppure  simile, 
E  per  la  Luna,  e  per  la  terra   det)besi 
Dir  la  ragion.   E  se   da  quella  vengono 
Influssi  il  nostro  suolo  a  render  fertile , 
Il  nostro  suolo    ancor  dovria  trasmetterli 
Nella  Luna  egualmente. 

Dorilo. 

E  come  intendere 
Si  può  mai  questo:  e  perchè  vicendevole 
Esser  deve  l' influsso  ? 

Uranio. 

Perchè  slmile 
La   Luna  in  tutto  è  a  questa   terra:   e  sorgono 
Ivi    alti  monti:  ivi   son  prati;    e  scorrono 
E  fiumi  e  rivi  :  ivi   frondeggian  gli  alberi. 
E  come  qui  fra  noi ,  innumerabili 


DI    GASPARE    MORARDO.  ^.iS 

Abitatori  nella   Lima  vivono. 

In  somma   un  altro  mondo  in  lei  racchiudesi 

Simile  al  nostro,  sebben   di    circuito 

Sia   quel  globo  del  nostro  assai  più  piccolo. 

Dorilo. 

Dunque  la  Luna  è  un  mondo  ,  e  in  lei  si  trovano 
Mari,  fiumi,  campagne,  e   selve,  ed  alberi, 
E  abitafor,  come  qui  in  terra!  oh  capperi! 
Che  bella  cosa?  Ma  rispondi,  Uranio, 
Gli  abitator  che  nella  Luua  vivono, 
Senza  dubbio,  saran  tutti  lunatici. 

Uranio. 
Sì,  come  vuoi .... 

OSMINIO. 

....  Eh  !  queste  belle  frottole  , 
Uranio  mio,  valle  a  contare  ai  bamboli: 
E  fede  acquisterai.  Io  cosi  facile 
Non  sono  a  creder  fole,   e  so  discernere 
Dal  nero  il  bianco,    e  dal  cipresso  il  frassino. 
Tempo  già  fu,  che  nell'età  più  tenera. 
Quando   io  col  capro  misurar  solcami, 
E  il  capro  era  maggiore,   allor  rammentomi 
Che  in  qualche   notte  più  serena   e  placida, 
Quando  la   Luna  in   ciel  splcndea  pienissima. 
La  madre  dolcemente  a  se  chiamandomi , 


414  LA    LUNA    ABITATA, 

E  alzando   verso  il  ciel  Ja  man,   dlcearai: 
Vedi  la   Luna ,   Osmin.  Mira  quel  vecchio 
Pastor,  che  là  cammina:  allento   osservalo: 
Ve'  quel  cesto  di  frutti,  ond' egli  è  carico. 
Ella  così  dicea,  ridendo:   io  semplice 
Credeva  allor,   che  il  ver  dicesse,   ed  avido 
De'  frutti ,  col  peusier  verso   quel  lucido 
Globo  spesso  mi  alzava,   e  intento  d'aria 
Sol  si  pasceva  il  mio  desir  famelico: 
Or  non  son  più  così.   Di  già  svanirono 
Dalla   mia   mente  i  folli  pregiudizi 
Di  fanciullesca  età.  Piuttosto  a  Dorilo 
Puoi  vender  queste  fole  :   egli  più  docile 
Forse  ti  crederà. 

Dorilo. 

....  SeBben   più  giovane 
Io  sia  di  te,  non  son  però  si  stupido 
Da   trangugiar  cose  cotanto   stranie; 
E  ben  potresti,  sin  che  il  Sol  nell'equore 
S' immerga  ,  sempre  cicalare ,   Uranio  ; 
Ma  indarno  affé,  tu  non  potrai  convincermi. 

Uranio. 

Pur  mi  lusingo  che  non  fia  difficile 
A  convincervi  entrambi.  In  tal  materia 
Prima  pensate  che  non  dee  già  credersi 
Vero  sol  ciò  che  a' nostri  occhi  presentasi: 


DI   GASPARE    MORARDO.  ^ì5 

Ma  molte  cose  ancor  che  non  si  vedano, 

0  non  si  poa  veder,  fa  d'uopo  crederle, 
Quando  il  dimostra   la  ragion.  Se  sciogliere 
Le  penne  al  ciel ,  come  gli  augei  ,  potessimo , 

1  nuovi  abitatori  allor  vedrebbonsi , 
E  sariati  sciolti  tutti  i  nostri   dubbj. 

Ma  perchè  fin  lassù  non  si  può  giungere, 

Perchè  non  li  vediam ,  pare  una  favola 

Ciò ,  che  per  altro  è  troppo  verisimile. 

Infatti,   se  come  testé  diceavi 

Alla  terra  abitata  in  tutto  è  simile 

La   Luna ,  non  vi  dee  certo  sorprendere 

Che  anch'  essa  conti  abitatori  e  popoli. 

OSMINIO. 

E  questa  somiglianza,  eh' è  falsìssima, 
La  Luna  è  un  corpo   tutto  acceso  e  lucido, 
Che  può  qual  face  rischiarar  le  tenebre; 
Ma  la  terra  non  già. 

Uranio. 

....  Sempre  appariscono 
Qualor  divise  son  da  lungo  spazio 
Le  cose  agli  occhi  nostri  assai  dissimili. 
Il  chiaror  della  Luna  egli  è  un  riverbero 
De  rai  di  Febo ,    quando  alle  lunatiche 
Genti  ne  porta   il  giorno;  e  se  scorgessimo 


4l6  LA    LUNA    ABITATA, 

Dalla  Luna  la  terra,   ardente   e  lucida 
Ne  apparirebbe  anch'  essa. 

Dorilo. 

....  Il  dirlo  è  facile  : 
Ma  a  capirsi  non  già. 

Uranio. 

....  Vedesti,  o  Dorilo, 
Mai'  da  lontano  alcun  borgo  o  villaggio 
A  dinotare  qualche  festa  insolita 
Di  notte  illuminato  ?   in  quelle  tenebre , 
Senza  poter  oggetto  alcun   discernere , 
Avrai   veduto   fiammeggiare  e  splendere 
Come  un  gran  corpo  senza  forma  ed  ordine. 
Tal  è  la  Luna   appunto:   in  lei  riflettono 
Stesi  per  l' ineguale  superficie 
I  rai  del  Sole,   e  ripercossi  scendono 
Gli  occhi  nostri  a  ferir,  e  ci  presentano 
Un  luminoso  globo.  Invan  distinguere 
Vorresti  poi  le  selvQ,  i  prati  e   gli  alberi, 
Le  valli  e  i  monti  in  quello  lontanissimo 
Orbe  disposti:  benché  qualche  indizio 
Porger  ne  ponno  le  diverse  macchie 
Del  lunare   emisfero,  in  cui  si  veggono 
Altre  parti  men  chiare,   altre  più  lucide. 
Altre  increspate,   e  in  certa  guisa  tremole. 
Questi  son  monti,   e  valli,  e  mari,   e  rivoli, 


DI    GASPARE    MORABDO.  417 

Che  della  luce  i  corpicciuoli  e  gli  atomi 
Battendo  in  su  la  scabra  superficie 
Di  dure  selci,   o  d' alte  rupi  asprissime, 
Con   impeto  maggior  quindi  risaltano, 
Ol'frcndo  alle  pupille  un  vivacissimo 
Aureo  fulgore,  ma  se  poi  s'intrudono 
In  cupe  valli,  o  in  luoghi   oscuri  e  vacui, 
Non  ribalzano  indieti-o,  e  non  cagionano 
Che  dcbol  luce,  ma  suiroride  mobili 
Fanno  diversi  effetti,  e  a  noi  tramandano 
Un  lume  incerto,  come  allor  che  cadono 
I  bei  raggi  di  Cinzia  in  seno  a  Tetide 
Risplcude  il  mar  di  vago  lume  e  tremolo. 

OSMINIO. 

Or  via,  facciara  che  nella  Luna  siano 
E  terre,  e  fiumi;  non  potrai. già  sciogliere 
Un  certo  dubbio,   che  or  mi  nasce  in  animo. 
Mentre  spiegavi  un  di,  come  sei  solito, 
Della  pioggia ,  del  gelo  e  della  grandine 
Alli  pastor  la  sconosciuta  origine , 
Mi  sovvien  che  dicesti  esser  le  nuvole 
Certi  vapor  sottili  ed  invisibili , 
Che  dai  fiumi,  dal  mar,   dai  prati  n'escono, 
E  ia  folte  nubi  poi  nel  ciel  si  addensano. 


53 


4l8  LA    LUNA    ABITATA, 

Uranio. 

Tu  dici  il  ver.  Ma  che  han  die  far  le  nuvole 
Con  gli  abitaati  del  mondo  lunatico^ 

OSMINIO. 

Or  lo  vedrai.  Se  nella  Luna  fossei'o 
Campagne,  e  mari,  fiumi,  uscir  dovriano 
Anche  lassù  vapori ,   e  alzarsi  in  aria , 
E  condensarsi  poscia  in  folte  nuvole. 
Quindi  anche  a  del  seren  spesso  vedrebbesi 
Cangiar  d'aspetto   la  lunare   immagine, 
O  varie  almeno  comparir  le  macchie  ; 
Ria  queste  sempr' eguali  in  lei  si  scorgono, 
E  slan  ne' luoghi  stessi   ognora  immobili. 
Dunque  nubi  lassù  mai  non  si  veggono. 
Or  se  le   nubi  dai  vapor  si  formano  , 
Dunque  là  non  vi  sou  campagne  e  pratora, 
E  mari,   e  fiumi,  che   i  vapor  tramandino. 
Oppure  son   di   tal  natura  insolita , 
Che  vapori  dal  sen  mai  non   esalano , 
li   che  per  certo  sembrami   impossibile. 

Uranio. 

tv/i.      <J    ,  .   J    .     .  L.f 

Ottimo  è  il  tuo  pensieri   e  non  v'ha  dubbìd 
Che  ognoF  dai  corpi   particelle  minime 
Escono  fuori,   o  perchè  un   insensibile 
Interno   moto  le  cotnmove  ed  agita, 


DI    GASPARE    MORARDO.  /{.ig 

O  ptii*  le  Spinge  altra  oigioa  ostriaseca. 

Ma  non  è  vero  già  che  tutti  iu  nuvole 

Si  faranno  i  vapori:   altri  da  frigida 

Aria  addensati  per  lo   ciclo  ondeggiano , 

Fiupliìj  dispiolti  in  pioggia ,'  a  in. neve ,  o  in  grandine, 

Sulla  terrai  oade  uscirò,  indi  rlcadotio:       '  •^/f,'!) 

Altri" poi  disuniti   iu  aria  s'  alzano, 

E  senea  formar  nubi ,  si  mantengono 

Sempre  fra  lof  divisi;    ìndi  si  sciolgono  U 

In   stille  idi  rugiada   sottilissime,  ^  .3 

Che  poscia  sul   mattin   veggiam  risplendfre  ■ 

Quai  perle  sulle  verdi  erbette  tenere. 

Ai  nostri  adunque  che  rugiade  formano , 

Della  Luna  i  vapor  son  tutti  simili. 

Ed  in  quell'aria  assai  più  pura  e   tenue 

Mai  non  si  vcggon  nubi;  eppur  non  mancano 

Del  necessario  umor  le  biade  e  gli  alberi: 

Che  le  rugiade  a  fecondarli  bastano. 

Ecco  scioUo  il  gran  dubbio. 

.,„.^...     i,     r 

OSMINIO. 

....  In  vero  Uranio 
Questa  ragion  mi  piace,  e  quasi  sembrami 
D'esser  convinto;  ma  non  so  comprendere 
Per  qual  cagion  più  amica  e  più  benefica 
Siasi   mostrata   la  natura  ai  popoli 
Della  luna  che  a  noi;  mentre  più  limpida 


420  LA    LUNA   ABITATA, 

Aria  e  più  pura  a  lor  concesse,  e  dicdéla 
A  noi  più  densa. 

Uranio. 

...  :  Oh  quest'  è  iln  privilegio 
Che  poco  giova ,  né  dee  farci  invidia , 
Se  hanno  1'  aria   piìi  chiara  e  senza  nuvole  : 
Ma  la  vista  giammai  goder   non  possono 
Di  tanti  vaghi  e  lucidi  fenomeni, 
Che  appariscono  a  noi.  Non  veggon    l' iride 
L'  arco  suo  colorito  in  ciel  dipingere: 
Né  impressa  mai  nel  lucido  parelio 
Del  sole  sfavillar  la  bella  immagine; 
Che  senza  nubi ,  come  già  conoscere 
Vi  ho  fatto  un  giorno,  non  si  può  né  l'iride, 
Né  il  parelio  formar. 

*  Dorilo. 

.....  Poco  vantaggio 
Certo   questo  non  é  che  in   ciel  si  veggano 
Da   noi  sì  vaghi  oggetti,  i  quali  ai  miseri 
Lunari  abifator  giammai  non  splendono. 
Ma   parmi  ancor  che  più  di   noi   si  debbano 
Slimar  felici:   mai   quel  ciel   ingombrano 
Oscure  nubi,  e  se  parelii  ed  iridi 
Non  ponno  vagheggiar,  alraen  non  temono 
Impetuose  pioggie,   o   nevi,   o  grandini; 
Né  mai  sul  capo  lor  con  luce  orribile 


DI   GASPARE   MORARDO.  ^Zì 

Veggon  strisciar  le  strepitose  folgori , 
Che  spesso  in  noi  lauto  timor  cagiouaDO* 
E  tanti  dauci. 

Uranio. 

....  Ben  t'  apponi,  o  Dorilo. 
Sai  ben  che  in  ogni  luogo  esser  non  possono 
Tutti   i  beni  raccolti  :   ma  la  provvida 
Natura   volle  a  suo  piacer  dividerli , 
Onde  tutti  felici ,  o  tutti  miseri 
Non   fossero  i  mortali.  A  noi  giovevole 
E  l'aver  densa  l'aria,  e  giova  ai  popoli 
Della  Luna  l'averla  assai  più  limpida. 

OSMINIO. 

Tutto  va  bene.  Ma    che  razza  d'uomini 
Son   mai  color  che  nella  Luna  vivono. 

Uranio. 

Oh  questo  si  che  veramente  è  un  dubbio , 
Che  scioglier  non  si  può.  Ma  ve' che  d'uomini 
Io  non  parlai.  Abitatori  e  popoli 
Sol  gli  ho  chiamati. 

Dori  lo. 

....  Io  non  m'oppongo,  Uranio  , 
Ma  se  uomini  non  son,  saranno  bestie. 


4'^2  la  luna  abitata, 

Uranio. 

O  siano  bestie,   o  genti  ragionevoli 
Indovinar  noi  so:   molto  dissimili 
Saran  da  noi  per  certo.  E  se  nell'Indie, 
Che  parti  son  del  nostro  mondo ,  vivono 
Abitatori  a  questi  nostri  popoli 
Di  color,  di  sembiante  assai   dissimili, 
Pensa   che  sarà  poi  di  quell'incognito  v' 

Mondo  lunare  con  sì  vasto  spazio 
Da  noi  diviso.   E  chi  può  metter  termini 
Alla  sempre  feconda  ed  ammirabile 
Virtìi   della  natura.  Oh    quante  specie 
Di  viventi  ha  prodotte.  In   una  foglia 
Talor  v'  è   un   mondo  di   certi  invisibili 
Animaletti,   e  quindi  in  uu   sol  albero 
Tanti  mondi  vi  son,  quante  le  foglie, 
Tutti  abitati.  Or  pensa  tu  se   vacuo 
D' abitator  lasciato  avrà  la  provida 
Natura  il  globo  della  Luna.  Io  crederlo 
Non  posso  al  certo. . 

OSMINIO. 

....  Oh  se  qualche  commercio 
S'aprisse  un  dì  fra  que' viventi  incogniti 
E  il  nostro  mondo  !  .  .  . 


DI    CASPARE   MORABDO,  i^lò 

Dorilo. 

Oh  se  approdar  potessimo 


•  •  •  • 


f 


Ai   lidi  della  Luna  ! 

U  B  A  N  I  O. 

....  Un  tal  viaggio 
Sarebbe   alquanto  lungo,   ma  potrebbesi 
Tentar  con  sicurezza.  Già   distesero 
Alcuni  un'  ampia  carta  geografica 
Della  terra  lunare,  e  i  mari,    e  l'isole, 
E  le   citfadi ,  e  i  fiumi,   e  i  monti   altissimi 
Coi  loro  nomi  esattamente  esposero. 

Dorilo. 

Ma  ciò  che  giova,   se  non  è  possibile 
Far  viaggio  per  aria? 

Uranio. 

...  ;  Un  dì  potrebbesi 
Anche  a   questo  arrivar.  Chi  sa  ?  si  scoprono 
Di  tempo  in  tempo  nuove  cose. 

OSMINIO. 

....  Uranio 
Questo  noi  credo  al  certo  :   in   pace  vivano , 
Se  cosi  vuoi,  gli  abifator  lunatici, 
lo  non  m' oppongo  :  ma  a  volate  in  aria 


424  I-A   LUNA   ABITATA, 

Altro  vi  vuole,   e  a  rinnovar  di   Dedalo 
L'antico  volo,  non  mi  par  bastevole 
L'  arte  dell'  uomo. 

Uranio, 

.0  r  M  A  fi  U 

r>ì   iiU. .  .Eppur  non  è  si  stranio, 
Come  tu  pensi.  Alcuni  già  sii  viderès  otldoii'' 
A' nostri  di  su  glòbo  1  areostaticojia  luy.ì  'ifAuuV 
Volar  da  un  luogo  all'  altioy  e  "un  lungo  iapazio 
Correr  d' aria ,  volando.  Or  si  comincia 
A  poco   a  poco  a   viaggiar  per  aria,   ..      .. 
Come  si  cominciò  ne' prischi  secoli      r,,-i!   i;,/ 
Per  r  onde   a  viaggiar.  Con  legno  fragile 
Prima  solcaro  il  niàr  vicino  al  litore , 
Poscia  più  s'  innollraro  :    indi   costrussera 
Robuste  navi ,  e  per  l' immenso  Oceano 
Animosi  correndo ,   alfin  ne  giunsero 
AUi   rimoti  sconosciuti  antipodi , 
E  scoprir  nuovi  lidi  e  nuovi  popoli , 
Che   un  tempo  si  credevano  impossibili. 
Tu  il   primo  fosti    che  il  viaggio  insolito 
Tentasti,  o   gran  Colombo,  illustre  figlio 
Del  Monferrino  sUolo,   e  il  nostro  Cuccaro* 
(.!.  .. . 

*  Dal  nostro  collega  Nappiome  fu  dimoslralo  ad  evidenza  essere  Cuc- 
care la  vera  patria  di  Cristoforo  Colombo  nella  sua  dotta  ed  erudita  disser- 
tazione su  questo  soggetto. 


DI    GASPARE    MORARDO.  426 

Che  la  tua  culla  fu,  per  tutti  i  secoli 
Audrà  superbo  giustaoicule  e  celebre 
'Hi  viucitor   del  procelloso  Oceano 
Ardisti  oltrepassar  le  mete  d'Ercole, 
E  del  tuo   lungo   corso   il  mondo  incognito 
Fu   la  mercede,  e  il  i'ortunalo   termine, 
E  perchè  un  giorno  non  potrà  succedere 
Che  resi  nel  volar  più  esperti  e  pratici 
Gli  abitatori  della  terra   arrivino, 
Come  già  a  quelle  dell'  ignota  America , 
Alle   spiagge  lunari. 

Dorilo. 

....  In  ver  probabile 
Col  tuo  parlar  fai  comparire,  o  Uranio, 
Le   cose  ancor  piià  strane  ed  incredibili. 

O  s  M 1 N  I  o. 

Ma  già  s' asconde  il  giorno ,  e  già  risplendere 
Si  scorge  da   quel  monte  il  raggio  candido 
Del  gran  mondo  lunare.  Or  io  m'immagino 
Di  veder  ivi  i  curiosi  popoli. 
Che  del  nostro  parlar  diletto  prendano. 


54 


42c  la  luna  abitata. 

Uranio. 

Noi  pur  potremo  a  nostro  beneplacito 
Di  lor  parlare.  Or  fia  miglior  consiglio 
Il  ricondurci  al  nostro  umii  tugurio 
A  ristorar  col  sonno  i  lumi  languidi. 
Forse  dormendo  voleremo  in  aria, 
E  vedrem  della  Luna  i  nuovi  popoli. 
Sol  può  farsi  dormendo  un  tal  viaggio. 


427 
LA    MORTE    DI    D  ES AIX 


OSSIA 

LA    GIORNATA    DI    MARENGO 

POEMETT  O 

DI    VINCENZO    MARENGO. 
Letta  li    ]8  piovoso  anno  i3. 

(5tavan  le  squadre  a  fronte,  e  torvo  Marte 
Dal  ciel  guatando   ai  corridor    die  spinta, 
Che  la  ferrea  quadriga  in  larghe  ruote 
Tra  crebri  lampi  di  sanguinea  luce 
Del  Tanaro  jx)sar  sul  manco  lido. 

Dlscoiclia  allor  della  viperea  sferza 
Fischiar  lo  scoppio,   e  del   pugnar  fé'  cenno. 
Quindi  Melasso  di  recenti  palme 
Superbo  in  cuor  colla.  Germanie' Oste, 
Quindi  sceso   dal  ciel ,  piucchè   dall'  alpi , 
Sola  speme  d' Italia ,  il  Franco  Achille 
Prescrivean  della  pugna  i  modi  e  l'arte. 
Quel  dubbio   in  atto,  ed  a  serbar  l'antica, 
Piucch'a  cercar  novella  gloria   inteso, 
L' impeto  ostile ,  e  a  sostener  la  zuffa 


4^8  LA    MORTE   DI    DESAIX   EC, 

Pensa  piucch' altro;    di'viltoiia  al  vanto 
Aspira  il  Franco,  penetrar  le  schiere, 
Rovesciarle,   atterrarle,   e  lor  di  scampo 
Chiuder  la  via  nel  suo   pcnsier  divisa, 
E  previen  colla  speme  il  pien  trionfo. 

Posti  gli  ordini  tutti,   ecco  ad  un  tratto 
Per  tre   foci  nel  pian   contro   le  Franche 
Sboccan  l' Austre  Colonne ,  e  1'  una   all'  altra 
Serve  ristretta  di  sostegno  e  base. 
Pari  ordinanza   il  Duce  Franco,  oppone 
Al  Guerriero   dell' Istro,   e  fermo  al  piano 
Le  nemiche  falangi  avido   aspetta. 

Giù  dispar  la   distanza,  e    quinci  e  quindi 
Misto   il  Franco   al  German  tinge  a  vicenda 
L' aride  glebe  ed  a  vermiglio  i  campi. 
Al  fragor  delle   trombe,    al  tuon  de' bronzi, 
Al  nitrir  de' cavalli,   al  calpestio 
Delle  zampe  sonanti,   e  cielo  e   terra 
Sembran  crollare,   e  vacillar  dell'urto. 
Chi  dello  scontro  procelloso   i  casi 
Ridir  potrebbe,   onde  l'Austriaca  possa, 
E   il  Gallico   valor   vennero  a  fronte?    . 
A   mille   intanto  dall'  opposta   rocca 
Spinte,   volar  da' cavi  bronzi  all'aure 
Vedi  le  morti;  ma  timor  non  cape 
Entro  i  Gallici  petti,  e  fermo  il  Duce 
Sovrasta   a  tutti ,  è  tra  i  perigli  esulta. 
Già   con  varia  fortuna  al  manco  lato 


DI    VIN'CENZO    MABENCO.  1^2^ 

Combattevano  i  Franclii,   e  immensa  piena 
Dell'  Austriache  falangi    il   mezzo  ingrossa 
Sempre  al  centro   rivolta,  onde  il  nemico 
Svolger  di  fianco;   in  quella  guisa  appunto 
Che   del  lago  Lemanno   allor  eh'  incalza 
Da   tergo   i   flutti  procelloso  turbo, 
Rompe  il  Rodano  i  lidi,  o  dal  Verbano 
Gonfio  il  Ticin  di  soverchiar  minaccia 
Precipitando  al  pian  gl'Insubri  campi; 
Cosi  al  numero   immenso ,    all'  urto  al  pondo 
Della  congiunta  massa   all'un   de'  fianchi 
Sono  astrette  a   piegar  le  Franche  schiere, 
E  d' obbliqua   ordinanza  a  prender  forma , 
Per  dar  campo  alla  foga  onde  trabocca 
Per  triplice  torrente   il  Cer  nemico. 
Ma  stan   gli  ordin  connessi ,  e  palmo  a  palmo 
Si   contende  il  terren   sempre  di  fronte , 
E  si  vieta   pel  mezzo  all'  oste  il  varco. 
Per  r  alto  intanto  sull'  instabil  ruota 
Volteggiava  Fortuna ,   e  agi'  uni  e  agli  altri 
Godea   porgere    il  cria   pendente  e  prono, 
E  sottrarlo  a  capriccio ,   e  de'  guerrieri 
Le  speranze   e  'l  timor  prendere   a  scherno. 
Già  più  volte  avanzando  ,   ed   or  cedendo 
Il  Francese  o  1  German  corre  e  discorre 
Quanto  si  sfende   il  sanguinoso  campo. 
Come  opposti  sul  mar  turbin   di  vento, 
Menano  a  fronte  due  marèe  sonanti, 


400 

Che  di  flusso  e  riflusso   orribilmente 
Summovono  a  vicenda  il  piano  ondoso. 
Cozzano  i  flutti ,  e  l' un  1'  altro  cavalca  , 
Crolla  da  lunge,  e  ne  rimbomba  il   lido. 

Ma  la  vittoria,  che  fedele  al  fianco 
Veglia  ognor  dell'Eroe,  sua  dolce  cura, 
Che  delle  pugne  al  par  conta  i   trofei , 
Adocchiò  la  proterva,  e'I  crin  pendente 
Colla   destra  afferrato,  al  sanguinoso 
Asse  fervente  del  suo  «arto  avvolse , 
E  a  seguirla  costrinse  a  suo   dispetto  : 
Allor  nuovo  pensiero  al  Franco  Duce 
Spira  nel  cuore,  onde  a  se  chiami   il  fido 
Intrepido  Desè  così  parlando  : 

A   triari  la  pugna  ecco  è  ridotta , 
E  con  tutte  le  forze  ia  tra  congiunte, 
Calda  per  ogni  lato  arde  la  zuffa , 
Stanno  a  stento  in  bilancia  i  fianchi  oppressi, 
Drizza  Tu  la  tua  schiera  all' ostil  centro. 
Romperlo  a  forza ,  penetrar  nel  mezzo , 
Rovesciar  su   di  lor  l'ali  divise 
E  il  sol  mezzo  di  scampo  e  di  vittoria. 
Mentre  all'urto  n'andrai,    tutte  a  seconda 
Io  drizzerò  le  ricomposte  schiere. 

Disse,  e'I  prode  Guerrier  come  da  macchia 
Si  scaverna  leon,  cui  lunga  fame 
Spinge  mandra  a  investir  eh'  ingombra  il  piano , 
Muove  all'  urto  i  suoi  prodi  ;  al  duro  scoatrj? 


DI    VINCENiO    MARENGO.  i\?)  \ 

Sono   i  primi    travolti  iu  sui  secondi, 

E  rimbalzano   questi  in  sui  sezzai 

Sopra  mucc'lu  d' estinti  e  semivivi 

S' alza  ed  innoltra  il  condottiero ,  e  s'apre 

Varco   su  varco  e  vincitor  sovrasta; 

Segue  il  suo  Duce  la  fremente  schiera 

Per  la  via  che  il  valor  segna  e  dischiude, 

Pie  con  piede  scontrando ,  e  brando  a  brando  ; 

Già  son   gli  ordin   scomposti,  e  piega  e  cede, 

E  spalancasi  il  centro,  e  qua  e  là 

Si  rovescian  le  file,  un  mar  di  sangue 

Scorre   ed  inonda  il  combattuto  campo. 

Già  più  pugna  non  è  tra  gli  Austri  e  Franchi , 

Ma  strage  orrenda  e  disperata  fuga, 

Già  plaudendo  Vittoria  al  franco  Eroe 

Lo  circonda  coli' ali,  e  cala  il  serto; 

Quando  nel   sen  della  Vittoria  istessa 

Da  mortifero  colpo  il  cuor  trafitto, 

Ahi  eh'  il  prode  Campion  cadde   improvviso. 

Cadde  TEroe,   ma  nel  cader  travolve 

Seco  l'Austra  baldanza,  e  a' suoi  di  scampo 

E  la   sua  morte  invidiabil  pegno. 

Lui  le  Ninfe  del  Tanaro  cadente 

Lacrimar  sospirose,    e '1  crin  disciolte 

Diero  lungo  ululato  intorno  ai  lidi; 

Eco  fccer  dell'  Istro ,  e  del  bicorne 

Reno ,  della  Mosella ,   e  sin  dd  Nilo 

Le  rimote  germane  al  lor  lamento; 


k 


4^2  LA    MORTE    DI    DESAIX    EC. , 

Lui  non  seuza  pietà   mirò  dal  carro 

Marte  superbo;  dal  ferale  aspetto 

Torse  il  guardo,   e  die  volta  in  ver  l'Olimpo, 

Il  suo  nome  a   portar  di  gloria  al   Tempio. 

Oh  destra  invitta  !   oh  valor  prisco!  oh  quanto 

Dovrà  lutto  coprir  le  tue  contrade  , 

Francia,  allor  che  del  gelido  feretro 

La  feral  pompa  trapassar  vedrai  ! 

Troppo,  ahi  troppo  superba,  o  Franca  terra, 

Ita   saresti  del  Campiou ,   che  sólo 

Ti  mostraro  per  poco  i  fati  avari , 

Se  piìi  lunga  carriera  avea  concessa  ! 

Ei   ch'in   sì  fresca  età   l'Asia  e  l'Europa 

Piene   avea  di  sue  gesta ,  e  alla  tua  speme 

Per  le  vie   della   gloria  alto  crescea. 

Nuovo  Scipio  al  terror  d'  altra  Cartago  * 

Già  l'altera    Albione   al   di   lui  nome 

Scoloriva  il  sembiante,  e  quando  in  cielo 

Fosse  il   punto   maturo   all'alta  impresa, 

Che  il  Franco   onor  che  1'  universo   aspetta, 

Visto  avrebbe   tra'  primi   il  giovin  prode 

Del  turbato  Tamigi  in  sulle  sponde 

La  Franca  inalberar  temuta  insegna, 

E  da  scogli  nativi  invan  difeso. 


*  E  nota  a  tutti  la  franchezza,  colla  quale  il  Generale  Desaix  in  iin 
convito  diplomatico  portò  il  brindesi  seguente  all'  Ageute  del  Governo 
Britlauico;    à  la  destruction   de  la  nou>'ette   Cartage. 


t)I    VINCENZO    MARENGO.  4^^ 

Cedergli  il  vaico  il  disloal  Britanno. 

Invidiò  1  destia   si  nobil  vanto  ! 
Ma  che?  la  morte  è  solo  morte  a   quello, 
Ch' un   punto   al  nulla,  ed  all' obblio  conduce, 
Kè   di  se  lascia  fama   appo  la  tomba, 
A  quel  non   già,   cui  da  virtulc  eterno 
Durar  nel  mondo,  e  dell' onor  sul  campo 
Nasce  a  vita  novella  allor  che  muore. 
Ah  sì ,   prode  garzon ,   di  te   costante 
Fama  vivrà  nell'  universo  intero  , 
Mentre  premer  col  pie  gli  astri  tu  godi, 
E  spaziar  per   le  celesti  sfere  , 
Nullo  avrà  di  te  vanto  acerba   morte. 
Finché    il   padre  Eridan  ,    se  non   è  vana 
La  possanza  de' carmi  incontro   a  Lete, 
Finche  la  Senna   al    mar  porferan  l'onde; 
Finche  l'Itale  spiagge  e 'I  Franco  suolo 
Saran   d'ogni  bell'arte   asilo   e   nido, 
E   il  promesso  dal  ciel  suprem.o  vanto 
Terran-  su  quante  il   sol   genti   circonda. 
Mai   non   fia   che  sottragga  ai   dì  futuri , 
O  il  tuo  nome   ricopra  iuvid'  obblio. 


65 


434 


DEI    TORSI    SEGUSINI 
DISSERTAZIONE 

DI     GIUSEPPE     FRANCHI -PONT. 

Lslta  ai  i3  nevoso  anno  i3. 


J.L  tempo  ,  che  non  perdona  alle  moli  più  robuste,  e 
sontuose  ,  in  compenso  degli  oltraggi  ,  che  va  di  con- 
tinuo facendo  all'  industria  umana  ,  ci  restituisce  una 
parte  delle  sue  prede  ,  e  lascia  talvolta  comparir  di  Lei 
nuovo  alla  luce  parte  di  ciò  che  sotto  le  rovine  giace 
sepolto.  I  secoli  scorsi  diventano  in  questo  modo  mae- 
stri di  quelli ,  che  tengono  dietro  ;  ed  i  monumenti  an- 
tichi ,  nel  mentre  che  destano  utilmente  la  curiosità  a 
contemplarli ,  ed  eccitano  1'  animo  ad  emularne  la  pei'- 
fezione  ,  reprimono  coUa  eccellenza  loro  l'orgoglio  de' vi- 
venti. Altronde  poi  gU  studj  di  siffatti  monumenti  pare, 
che  estendano  l' esistenza  nostra  al  di  là  dei  termini 
dell'  umana  vita  ;  ci  è  avviso  di  vivere  in  più  d'  un'  età  , 
e  crediamo  ,  che  men  ci  debba  increscere  la  morte  ove 
per  noi  tramandar  si  possa  ai  posteri  una  di  quelle 
opere  ,  per  cui  è  in  estimazione  la  memoria  degli  an- 
tenati. Questa  felice  continuità    di  vita  intellettuale  ,    i 


Dt    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    GAP.    I.  ^3S 

nohill  desideij  ,  die  in  noi  sorgono  di  perpetuarla ,  si 
destano  specialmente  alla  vista  degli  avan/.I  maestosi 
delle  arti  antiche.  Nessuno  dubita ,  che  1"  eccellenza 
delle  arti  moderne  ,  e  la  rapidità  de'  progressi  ,  che  fe- 
cero in  Italia  ,  in  nìassima  parte  si  debba  alle  poche 
reliquie  ,  che  s'  andarono  scoprendo  delle  antiche  arti  ; 
reliquie  preziose  ,  che  furono  il  seme  di  tutto  il  buono, 
di  tutto  il  hello  ,  che  si  riprodusse  dappoi.  Ecco  il  mo^ 
tivo  ,  per  cui  ad  ogni  animo  gentile  ,  e  ad  ogni  collo 
ingegno,  gradito,  e  soave  riesca  oltre  misura  lo  studio 
dell'  Antichità  ,  e  con  tanto  maggiore  amore  da  lui  più 
attentamente  si  considerino  le  produzioni  veramente  pre- 
gevoli delle  beli'  arti  ,  quanto  più  sono  vetuste.  1  due 
torsi  di  recente  trovati  in  Susa  ,  a  voi  ,  Accademici  chia- 
rissimi ,  devono  essere  cari  per  queste  ragioni.  Voi 
piocuraste  ,  che  se  ne  ricavassero  con  esattezza  i  gessi, 
mentre  stavano  nelle  sale  della  vostra  Accademia  piima 
che  si  tra,sportassero  ad  ornare  il  museo  di  Parigi:  non 
{sgradirete  pertanto,  che  intorno  ad  essi  vi  proponga 
le  mie  congetture  *  dirette  ad  illustrarle  ,  ed  a  spar- 
gere se  non  altro  qualche  luce  sulla  patria  Istoria  nei 
tempi  Romani. 


*  L'Aiilore  indirizzò  la  presente  Diiserlazioiie  alla  Classe  di  LeUera- 
tiira  ,  e  Belle  Arli  nienlre  era  corrispondenle  dell'  Accademia.  Fu  poscia  no- 
niiiuito  membro  dell' Accademia  residente .  nell' Aduuauza  dei  23  Ventoso 
anno    i3. 


'436  de'  torsi  segusini 

CAPO       I. 

Torsi  loricati  dì  marmo  trovati  in  Susa  :    varie  specie 

di  Lioriche. 

Di  bianchissimo  marmo  sono  i  Torsi  delle  due  sta- 
tue colossali  •  trovati  in  Susa  nel  demolire  le  Go- 
tiche mura  di  quella  Città  ,  ed  in  poca  distanza  dall'  Ar- 
co ,  che  ad  Augusto  innalzò  Marco  Giulio  Cozio.  Man- 
cano della  testa  ,  delle  braccia ,  delle  gamljc  ,  ma  in- 
tere hanno  le  coscie  ,  ed  intatto  mostrano  il  tronco  co- 
perto di  loriche ,  o  corazze  ,  fregiate  di  bassi  rilievi 
maravigliosamente  intagliati.  Se  il  Torso  detto  di  Bel~ 
vedere  ^  c\\e  si  vuole  rappresentasse  Ercole  ,  ma   quando, 

Sciolto  da  tutte  qiialitadi  umane, 

divenne  sopra  il  monte  Aeta  immortale ,  ebbe  il  vanto 
di    chiamare    a    preferenza    d' altri  insigni    monumenti 


*  La  grandezza  loro  è  d'un  lerzo  circa  maggiore  della  naUira.  Non 
avendosi  più  gli  originali  non  si  può  più  asserire  di  qual  marmo  precisa- 
mente sia  il  materiale  di  essi.  Il  marmo  dell'  Arco  è  marmo  bianco  della 
contrada,  delle  cave,  delle  ora  di  Foresto  ,  da  un  villaggio  vicinissimo  alla 
Città.  Potevano  essere  le  statue  di  qualche  pezzo  di  quel  marmo  di  grana 
più  fina.  Del  rimanente  non  manca,  nelle  alpi  vicine  marmo  bianco  statua- 
rio finissimo  ,  come  si  è  quello  detto  ora  di  Pont ,  che  gareggia  di  candore 
co'  marmi  di  Luni ,  e  di  Faro. 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    CAP.    I.  4-^7 

dell'  arti  Greche  1"  attenzione ,  e  lo  studio  di  Michel- 
An<j;elo  Buonarroti,  furono  i  Torsi  Secusini,  delti  i  mi- 
gliori nella  elasse  de'  loricati  dall"  Artista  sommo ,  che 
emula  i  Gi-eci ,  e  non  teme  il  confronto  di  nessun 
de'  moderni  ,  vale  a  dire  da  Antonio  Canova  ' ,  che 
li  vide  nel  recarsi  di  I\t)ma  in  Parigi  ,  dove  attende- 
vasi  Fidia  novello.  Non  molte  statue  loricate  s' incon- 
trano d'  ottimo  stile  nei  musei  ,  e  nelle  gallerie.  Quella 
parimenti  colossale  del  Campidoglio,  creduta  volgar- 
mente di  Pirro  ,    dal  Winkelmann    tenuta    per  f  imma-  sioria" .'.^irArK ! 

,,    .  .  ,  .  ...  Tom.  I,  lib.  X., 

Cine  d  Agamennone  ,  ma  con  più  ragione  i)er  1  imma-  cap.  n.,  pag. 

...  i63,  Rom«  1781 

gine  di  Marte  dal  chiarissimo  \l5co^TI  ,  è  condotta  con  »"  4-° 
assai  minore  maestria  negli  ornati  appunto  della  lorica, 
giacché  il  rimanente  ,  trattane  la  testa  ,  è  di  restauro 
moderno.  Non  ristorati  allo  incontro  ,  ma  quali  dal  sito 
si  estrassero  ove  giaceansi  ,  1"  antica  loro  bellezza  ser- 
bano incontaminata  i  nostri  Torsi  ,  che  eziandio  lori- 
cati daniTD  esatta  ragione  del  nudo  in  ogni  parte  espres- 
so con  intelligenza  grandissima. 


*  Il  signor  Anloiiio  (Canova  nel  passar  per  Torino  mostrò  desiderio 
d'  aver  copia  e.inllissirra  di  qiipsli  liusli  ,  il  che  venne  eseguilo  dal  valoroso 
giovane  disegnatore  il  signor  Angelo  Bouchf.RON  figlio  del  rinomato  signor 
Gio.  Battista  BoucHEnoN  ,  già  Direttore  della  regia  orifireria  ,  che  ad  una 
rara  perizia  nell'arte  sue  conpiunge  una  profonda  cognizione  del  disegno, 
brio  e  buon  gusto  nel!"  inventare,  ed  una  franchezza  di  mano  inimitabile. 
Qui  si  uniscono  i  rami  intagliati  da!  signor  .angelo  ,  che  emula  in  fresca  età 
la  celebrità  del  padre.  Anche  il  signor  Monticom  già  noto  per  altri  prege- 
voli lavori  all'Accademia  delle  Scienze  ec.  La  disegnati  pitlorescamenle  i 
medesiuii  Torsi  Secusiui. 


438  de'  torsi  segusini 

Noto  ò  ,  che  di  vario  materie  si  facean  loriche,  di  ra- 
me ,   di  ferro  ,  di  bi'onzo  ,  d'  oro  ,    di   ciiojo  ,    di  lana  , 
di  lino.   Si  procurava  sempre  ,    che    aggiustar    bene  si 
potessero  alla  persona.     E  rispetto    a  ((uelle    stesse    di 
feiTO  ,  quanto  si  studiasse    di  fare  in  modo   che  secon- 
dassero la  forma  del  corpo  ,  s'  iinpara  da  quel  discorso 
di  Socrate  con  un  fabbricator  di  corazze,  che  ci  venne 
uiorlb.'LcraT*   conscrvato  da  Senofonte  :  e  per  renderle  poi    più   leg- 
giere, e  pieghevoli  si  composero  di  picciole  lam inette  di 
metallo  fingenti  squame  di  pesce  connesse  artificiosamen- 
te. Queste  si  dissero   all'  uso  Persiano ,  perchè    dai  Per- 
eow""E°iop1che  sìaui  Cominciarono  ad  adoperarsi.  Eliodoro  ne  descrive 
'■      ■  una  graficamente;  e  non  dissimili  erano  quelle  composte 

da  parecchi  anelletti  di  ferro,  di  rame,  o  di  oro  da  am- 
bo i  capi  a  guisa  d'  ami  uncinati ,  e  che  perciò  si  dissero 
amate,  o  da  lena  te -,  e  hìlicl ,  tiìlìcl,  se  di  due  ,  odi  (re 
fila  ne  fosse  la  tessitura.  Di  una  simile  fece  Eleno  dono 
v;rg.  Aeneid.  ad  Enca  in  quel  tenero  ,  ed  amorevole  comfhiato  ,  che 

lib.lll.Teri.  467.  ^ 

si  diedero  c|ualora  partissi  dall  Epiro  1'  Eroe  Trojauo. 

....  stipa tque  carìnis 
Loìicam  conseilani  hamìs  ,  auroque  Irìllcem. 

A  norma  di  esse  se  ne  formarono  d'altrettante  cor- 
dicelle di  lino  ,  e  più  comunemente  solca  il  lino  porsi 
in  macero  neh'  aceto  ,  e  condensare  a  modo  che  si  fa 
il  feltro  ,  tanfo  che  giungesse  alla  grossezza  d'  un  len- 
zuolo dieci  volte    e    più  piegato  ,    e  couclilarii    vi  eran 


DI    GirSEPPE    FRANCHI-PONT.     CAP.    r.  ^3c) 

detti  gli  artefici.  Sino  dai  tempi  Omerici  s'  adoperarono 
loriche    di  tal  geneie.    Ajace    Oileo  ,    ed  A^Flo    cliia- 
mansi    ao-oSw/ih^    assente    il  torace    eli  lino.    Cornelio    ISi-     iioin«.  iii.d. 
POTÈ  riferisce ,     che    Ificrate ,    in  cambio   delle  coiazze  «'••  537. 
di  ferro  ,  .0  di  bronzo ,  mise    fuori  corazze  di  lino  ,  on-     com.  sep.  in 
de  i  soldati  fossero  più  spediti;  ed  abbiam   da  Plutarco   '"'"''• 

'^  ^  .  .      .  Plulor.iu  Ale- 

che  portava  Alessandro  un  doppio  torace  di  lino.  Lu  "n^ro. 

tale  liso  passò  dai  Greci  ai  Romani.  !Nel  tumulto,  che  in 

Roma  eccitò  la  rivolta  d'  Ottone  ,    Galea    indossò  una     sveioaim  « 

Calla. 

lorica  di  lino,  e  di  lino  penso,  che  abbia  fìnte  il  nostro 
Scultore  le  loriche  dei  Torsi  Secusini  *  .  Se  finte  si  fos- 
sero ,  non  pur  di  metallo  cjualunque  ,  ma  di  cuojo ,  già 
non  si  dovcan  di  tanta  finezza  supporre,  che  ogni  mu- 
scolo il  più  dilicato  ,  anzi  il  respiro  della  persona  dis- 
sotto apparisse  delle  medesime.  Pare  che  vincano  in 
dilicatezza  le  tele  eoe  e  bombicine  ,  tanto  si  foggiano 
sul  nudo  ,  e  da  quello  mirabilmente  s' infoimano.  Da 
ciò  si  lileva  ,  che  non  tutte  le  loriche  di  lino  erano 
dense  del  paro.  Ve  n'  eran  di  tali , 


•  Non  solamente  dagli  nnticbi  Sciitlori  si  fa  menzione  di  corazze  e  di  to- 
rari  di  lino  ;  uia  liulee  corazze  s'  ìuroHtrano  pur  anco  Ira  le  antiche  scol- 
liire,  ed  una  simile  viene  riportala  dal  chiarissimo  Ennio  Quirino  Vi.^cWTl. 
Egli  nello  illustrare  un  gruppo  di  ritratti  Romani  in  sembianza  di  Venere 
e  Mai  le  osserva  ,  die  alla  gamba  sinistra  del  Marte  fa  sostegno  un  tronco  , 
sul  quale  è  posalo  un  loiace  lintfo,  foggia  di  armatura  (  come  nota  anch'esso 
il  Visconti  )  molto  usal.T  presso  gli  Anliclii  -  Scoìiure  dtl  palnzro  della  ì'illa 
Bnrfjtese  della  Piuciana  ,  parie  II,  Slama  J'I,  N.°  3,  p.  4°  •'  licma  1796, 
m  8.0 


2b  mano. 


44°  de' TORSI   SEGUSINI 

Parie".""  ^°°'  Ov'fi  soleo  spu/ìlarsì  ogni  snella, 

che  ben  si  "[iotevano  con  sicurezza  usare  in"  bava- 
glia :  altre  proprie  specialmente  alla  caccia,  .cosicché  i 
deuti  delle  fiere  vi  si  implicavano  ,   e    non  potean,  tra- 

Anici».  liggevle;  e  talune  cosi  leggiere,  che  non  si  portavano  nei 

2^^1'icoli  se  non  coperte  almen  d'  una  fascia  di  metallo 
di  laighezza  sufficiente,  chiamata  yo^^^ora /e,  o  torace,  lo. 
questo  caso  le  corazze  di  lino  cran  dette  suharnialì  ]  e 
senza  torace  si  saranno  per  avventura  adoperate  nelle 
pompe.  Il  collega  nostro  il  Sig.  Gian  PVancesco  Galeani 

air^nioreTsot  Napione  ,  clic  mi  fcce  auimo  a  recar  ad  elTetto  l'idea 
mia  di  illustrare  cpiesti  antichi  monumenti  d'una  Città, 
in  cui  fece  egli  residenza  durante  alcuni  anni,  e  di  cui 
conserva  grata  memoria,  somministrandomi  anche  a  tal 
uopo  parecchie  notizie  ,  osservò  a  cjuesto  pioposito,  che 
avuto  avranno  anch'  essi  gli  anticlii  le  militari  loro  di- 
vise di  gala ,  nelle  quali  più  conto  si  sarà  tenuto  della 
vaga  apparenza ,  che  non  della  forza.  Lo  scultore  dei 
Torsi  Secusini,  valendosi  della  facoltà  concessa  agli  artisti 
di  scegliere,  ingentilire,  nobilitare  quanto  loro  torna  in 
acconcio ,  diede  alle  sue  loriche  una  pieghevolezza ,  che 
forse  non  potevano  aver  in  rgaltà  ,  contentandosi  di 
ser])are  una  certa  rassomiglianza  col  vero  ,•  ed  avvegna- 
ché rabbia  indicata  di  finissimo  lino,  non  volle  coprirla 
del  torace  per  lasciar  tutto  vedere  il  bene  inteso  anda- 
mento dei  muscoli.  Dove  per  altro  non  ebbe  egli  timore 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    CAP.    I.  /,/^l 

dì  ofTcndcre  il  contoi-no  dello  sue  stadie  s'  attenne  con 
molta   accuratezza   al   vero  ;    ed  al  fondo    delle    loriche 
espresse  di  metallo  la  fascia  larga  assai,  e  d'un  festone 
duplice  ornata,    clie  stringeva   l'esd-emitA    de  fianchi   a 
modo  di  cintura ,  e  secondando  la  forma  delle  reni ,  e 
del  ventre  ,    dietro    luiivasi  con  una  fibbia.  Di   metallo 
parimenti    indicò    le  lamine  che  servivano  a  tenere  in- 
sieme   la    parte  anteriore  e  posteriore  della  lorica  ,    ed 
a  riparare  i  colpi  di  taglio.  La  cintura  poi,  e  le  lamine 
ornò    di   mascheroncini ,    di   testine  d'  arieti ,    di   leoni , 
d'  orsi ,    e  d'  altri    simili    fregi   per   minuta    diligenza  di 
lavoro   a  considerarsi   maravigliosi ,    ma  difficili   e  fasti- 
diosi   a  descriversi.    Fimbriate   sono  le  striscio    di  cuojo 
per    riparar  parimenti   i  colpi    di  taglio ,   che   formano 
quasi   una   falda  della  lorica  ,    e    dalla  cintola  scendono 
ai  due  terzi  del  femore.  Sotto  la  falda  si  vede  una  parte 
di  tunica,  o  camicia,  che  sembra   chiana,   ed   accarezza 
le    ginocchia ,   le    quali  scoperte   alcun  poco ,  nei  movi- 
menti della  rotella,  dei  muscoli,  dei  tendini,   palesano 
la  scienza   anatomica   dell'  artefice. 

Il  far  •pompa  d'  un'  anatomica  scienza  non  oltre  il 
bisogno,  e  con  dicevole  sobrietà  adoperata,  non  fu  la 
ragion  unica  che  determinò  lo  scultore  a  scegliere  co- 
razze di  lino.  Voleva  egli  arricchirle  di  bassi  -  rilievi 
allusivi  per  avventura  al  carattere  dei  personaggi,  di  cui 
scolpì  i  simulacri,  onde  al  primo  colpo  d'occhio  distin- 
guere se  ne  potessero  senza  errore  le  immagini.  Nò 
punto  si  allontanò  dal  costume  supponendo  le  sue  lori- 

56 


44=  de' TORSI   SEGUSINI 

che  in  oro  od  in  argento  lavorale.  Di  scolture  s'abbelli- 
vano eziandio  nelle  più  remote  età  elmi,  scudi,  corazze. 
Esiodo  ed  Omero  ne  rendono  in  più  d' un  luogo  tes- 
jures.  Satira  timonianza.  Giovenale  ,  biasimando  il  lusso  dei  tempi 
,  Aers.  107.  ^^^j  ^j^^  ^  ^Y^Q  gjj  antichi  soldati  erano  paghi  d'  impie- 
gar r  oro  e  r  argento  per  ornar  le  armi  loro  ,  e  che 
godevano  se  la  celala  loro  mostrasse  scolpile  antiche 
memorie, 

argenti  qiiod  erat  soììs  fulgehal  in  annìs. 

E  qui  il  ricordare  superfluo  parecchie  statue  che  mos- 
trano le  loriche  ornate  con  bassi-rilievi.  Sappiamo  che 
le  coi-azzo  talvolta  di  sì  fìnilo,  di  sì  elegante  lavora 
abbellivansi ,  che  come  cosa  ammirabile  s' offerivano  in 
voto  agli  Dei ,  e  s' appendevano  ne'  templi  per  orna- 
mento. Bellissima  convien  dire  che  fosse  quella  corazza 
di  rame ,  che  posta  era  nel  tempio  di  Cibele  presso 
gli  Enguini  popoli  della  Sicilia  ,  stata  offerta  alla  Dea 
da  Publio  Scipione,  e  di  là  tolta  da  C.  Verre,  il  quale, 
per  mala  ventura  de  SiciUani,  insieme  accordava  amore 
per  le  produzioni  dell' ai'ti  belle,  ed  insaziabile  rapacità. 
Tullio  giusto  estimator  d'  ogni  cosa  bella  chiama  una 
tale  corazza  opere  Corinlio ,  od  abbia  inteso  egli  parlare 
degli  artefici  di  quella  Città,  o  d'un  metodo  di  lavorare 
introdottosi  da  essi  loro  ;  certo  V  oratore  illustre  mostrò 
di  pregiarla  moltissimo  dalla  indegnazione  che  sfoga 
m"'/^',',';''''-  contro   Verre  che  f  involò.   Ma  innanzi  di  notar   cosa 

iv  .  j.  XLIV  . 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    CAP.    I.  44^ 

alcuna  spettanlc  a"  Ijassi  -  rilievi  dei  'l'orsi  Secusini ,  si 
dee  avvertire  che  in  uno  di  questi  volle  forse  elligiare 
l'artista  un  personaggio  Regale,  od  un  Magistrato  pri- 
mario. La  mossa  grave  e  dignitosa  che  risulta  dalla 
collocazion  delle  membra,  il  paludamento,  che  affibbiato 
ad  una  specie  di  bottone  a  loggia  di  chiodo  Romano 
sulla  spalla  sinistra  giù  scende  con  naturale ,  facile  ,  e 
grandioso  panneggiamento  sino  alla  metà  del  femore,  e 
che  gettato  sul  braccio  sinistro  copre  l'omero,  così  acqui- 
stando uno  andar  nobile ,  e  pittoresco ,  tutto  mostra 
che  l  artista  volle  contrapporre  f  attitudine  maestosa, 
e  tranquilla  di  questa  figura  alla  mossa  energica,  e  svelta 
che  diede  all'altro  Torso  j^ropria  d  un  guerriero.  Picciola 
clamidetta  intorno  al  sinistro  braccio  ravvolto,  che  sfugge 
dietro  il  dorso,  e  s'asconde  per  ricomparire  alcun  poco 
sulle  reni  raccolta,  e  sostenuta  dal  balteo,  da  cui  pen- 
deva il  parazonio;  i  fianchi  e  le  coscie  in  guisa  piegate 
di  chi  si  riposa  da  grave  fatica;  un  pezzetto  dell'omero 
destro  levato  in  alto,  quasi  impugnasse  la  mano  lunga, 
asta  che  fitta  in  tei-ra  sen'isse  d'appoggio  alla  persona, 
tutto  lascia  pensare  che  ad  un  Eroe  esercitato  ne' perigli 
di  Marte  spettasse  questo  ultimo  Torso.  E  osservabile 
nell'uno  e  neir  altro  di  questi  Torsi  la  dispoj-izione  delle 
clamidi.  Coprivano  queste  ordinariamente  la  sinistra 
spalla,  e  traversando  il  petto  giungevano  ad  annodarsi 
sulla  spalla  destra,  il  destro  braccio  lasciando  libero 
interamente.  Ma  nelle  figure  nostre  compajono  annodate 
e    raccolte    sulla  spalla   sinistia  ,   e   da'  fianchi    pendenti 


444  de'  torsi  segusini 

senza  toccare  né  punto,  né  poco  il  petto  per  non  esser 

d'  ingombro  alle  effigiate  istorie. 

CAPO    IL 


Descrizione  ed  illustrazione  de  bassi- ri  lievi  intagliali 
sulle  loriche  dei  due   2orsi  Secusini. 


Farò  oi'a  principio  da  quelle  che  fregiano  la  più  ornata 
lorica ,  e  quel  Torso  eh'  io  assegnai  ad  un  pei'sonaggio 
Regale,  o  ad  un  Magistrato  primario. 

Divise  lo  Scultore  in  tre  campi  tutto  lo  spazio  che 
ornò  di  Lassi  -  rilievi.  Il  primo  separò  dallo  infeiiore 
con  ima  linea  rabescata  per  indicare  un  trapunto  sul 
lino ,  da  cui  la  superior  parte  della  lorica  sorgesse  più 
sottile  ,  acciò  non  affannasse  il  respiro.  Questo  primo 
campo  steso  per  tutta  la  rcgion  del  Torac" ,  o  dello 
Starno ,  è  occupato  da  un  carro  non  trionfale  ,  ma 
piuttosto  somigliante  ai  cani  Circensi,  tirato  da  quatti-© 
cavalli  slanciantisi  al  corso,  che  disposti  due  per  paitc, 
fanno  ala,  e  lasciano  vedere  sopra  il  carro  dalla  cintola 
in  su  un  giovane  Auriga  che  li  frena.  Egli  è  vestito 
di  heve  tunica  senza  maniche,  raccomandata  alle  spalle 
da  due  bottoncini ,  e  stretta  a'  fianchi  da  una  piccola 
fascia.  L'  acconciatura  della  sua  chioma  intorno  alla 
fronte  disposta  in  guisa  di  raggi,  mei  fanno  riconoscere 
pel  vago  conduttore  del  giorno;  saranno  i  cavalli  Eto, 
Piroo  ,    Eoo  ,    Flcgonfe ,    ed    avremo    cosi  espresso   m 


1)1    CH'.SEPPE    FRANCIII-PONT.    CAP.    II.  l^!^^ 

questo  basso-rilievo  il  luminoso  carro  del  Sole.  Altri 
dall'armilla  *  che  porta  il  nostro  Auiiga  al  braccio  sinistro, 
dalla  rotondità  e  delicatezza  delle  sue  forme  approbsi- 
mantesi  alle  femminili ,  e  più  ancora  dall'  abito  quasi  mu- 
liebre potrebbe  sospettare  essersi  qui  efli<j;ia(a  l'Aurora. 
Ma  in  altri  monumenti  si  scorge  Apollo  ornalo  d'un'ar-     v.  Tinifim. 

...  .,,...  ,.  ,       Tom.    il.  ,    UT. 

mula  appunto  il  braccio  sinistro,  come  usavano  di  portarla  i  «^jpi'g  d» k». 
le  donne   per  pompa  ,    mentre    gli  uomini  per    indicar  p^s-  4"- 
virilità  portavanla  al  braccio  destro,  e  chiamavasi  Jex- 
terale,  o  dexlioclierium.  Morbide  forme,  e  per  eterna     .,     ^    „ 

*^  Marrob.    SaL 

giovinezza  fiorenti  attribuivansi  a  Mercurio,  a  Bacco,  ''''•••"p-xx. 
ad  Apolline  tenuti  talora  per  una  Divinità  medesima. 
Vestilo  di  lunga  tunica,  come  l'usavano  i  Citaredi  è 
l'ApoUiue  Musagete,  cioè  guidatore  del  coro  delle  Muse, 
e  questo  Nume  sopra  alcune  medaglie  d'Augusto  si  vede 
in  abito  donnesco,  e  vien  detto  Apolline  Aziaco,  perchè 
queir  imperatore  gli  eresse  un  tempio  sul  promontorio 
d' Azio   dopo    la   ^  ittoria   ivi    da   esso   ottenutasi  contro 

.  .  .  »  •  A     •  Srelon.  in  A«- 

Antomo  e  Cleopatra.  Né  credo  diverso  l'Apolbne  Aziaco  ewio. 
dal  Palatino,  a  cui  Augusto  medesimo  in  seguilo  pari- 
menti dellAziaca  vittoria  ,  consecrò  il  proprio  suo  palazzo 
con  portico,  biblioteca  e  tempio;  sicché  può  conside- 
rarsi r  Apolline  Aziaco  il  genio  tutelare  e  domestico 
d'  Ottaviano   Augusto.  A  confermarmi    nella  congettura 


*  Si  dee  confessare  rlie  guest'  armilla  ne!  gesso,  che  non  è  venuto  mol- 
to bene,  non  si  disliugiie ,  però  al  Sig.  Monticom  ,  e  a  lalun  altro  sembrò 
di  ravvisarne  i  segui. 


446  de'  torsi  segusini 

che  l'Aurora  non  già,  ma  più  veramente  sopra  la  loiica 

Secusina  quello  siasi  figuralo  di  cui  Orazio  cantò; 

F.poaon.  Cor-  Alme  sol,  curru  ni  lido  diern  qui 

Promis  et  coelus,   a/iuscfue,  et  idem 
Nasceris 

valgono    i    due  grifoni    consecrali    ad  Apolline    e   scol- 
piti nel  campo   inferiore   che  comprende  la  rcgion    del 
venti'icolo,  ed  il  costato. 
Erodoi.iib.iii.       F"  volgai'e  Opinione  laccontata  da  Erodoto,  che  questi 
animali  colla  testa    d'aquila   orecchiuta,    o  piuttosto   di 
avoltojo,  il  corpo  secondo  alcuni  di  capra,  secondo. altri 
di  cervo  ,  ma  secondo  i  più  d'  un  lione  alato  ,    si    tro- 
vassero presso  gU  Arimaspi  popoli  della  Scizia  ,  custo- 
dissero le  miniere  dell'oro,  ed  impedissero  che  s' estraesse 
Auk"M"p."xIv.  dalle  viscere   de'  monti  il  sì  pregiato  metallo.  Pausania 
e  Pomponio  Mela  ,  narrano  a  un  dipresso  la  cosa  me- 
Meia  Ao  siiu  dcsiuia  mostrauclo  di  non  crederla.  Plinio  pone  i  grifoni 

Orbis    lib.    11.  ,  IO 

cap.  I.,  e  lib.  insieme  ai  Pegasi,  e  ad  altri  auerelU  favolosi.  Taluno  diede 

HI. ,  cap,  7.  o         '  CI 

ad  essi  un  corpo  ec|uino ,  ed  Ippogriifi  gli  chiamò ,  ma 

piin  iib.  X.,  questa   fu   opinione   di  pochi ,    anzi  Virgilio  ,  per  espri- 

j>.itnr.  mere  che  male   assortite  erano   le  nozze   tra  Mopso  ,  e 

Nisa,  dice  che  piuttosto  farebbero  insieme  alleanza  i  griffi 

ed  i  cavalli. 

Mopso  Nisa  datur  :  quid  non  speremus  amantes? 

Virg.    ERlog.  ,  .    /  .         ' 

».,  Yen.  li.  Jungentur  jam  gnpnes  eqws.,  cvvocjue  sequenti 

Cam  cunibus  timidi  venient  ad  pocula  damce. 


DI    GIUSÈPPK    FRANCm-PONT.    GAP.    IT.  /j'j; 

Suppose    fallino    die     la    favola    dei    grifoni    custodi    PUn, hì»i.n«l 

^  ^  *^         _  Ica.liiil  fu  Fidili. 

dell', oro,    abitatori  delle  più   cupe  e  recondite   caverne  ■««"■l'j^n^' <)• 

■Il  iiolcs  cciiiijuet. 

abbia  avuta  un'origine  dedotta  dal  vero.  Altri  ponsò  cbe  ^^'^!'/Jiib"-^\ 
i  grifoni  sieno  stati  conscgrati    al  sole  ;   pcrcliè   l' oro   è  ',',7'  /vflucnri 
chiamato  sole  dai  Lhinnci ,  e  cent  altre  cose  si  scrissero 
a  questo  proposito  che  non  sono  del  nostro  argomento, 
Basti  qui  il  dire    ch'ebbero  i  grifoni  luogo  tra  i  gero- 
glifici d'Egitto  per  indicare  Osiride  esprimenle  la  forza  , 
e  r  attività  del  Sole  quando  si  trova  nella  costellazione 
del  leone.  Pier  Valeriano  asserisce  che  nella  favola  Isiaca, 
da    lui   chiamata  Bembìna^  perchè  fu   già    del  Cardinal 
Bembo,  e  che  si  potrebbe  da  noi  chiamar  Torinese,  se 
dal   nostro    Museo   non    si   fosse    trasportata   in    Parigi  , 
parecchi  grifoni   in    varie   forme    incisi    si  vedono;    ed 
accorda  anch' egli  il  Valeriano,  che  sono  simbolo  d'Apollo,  Hyeropiypij.iib! 
Per  altro  Si  scolpirono  talvolta  sopra  1  sc2)olcri ,  e  perciò  »35. ,  LugrfuD. 
a  Nemesi  per  avventura  si  dissero  consegrati  parimenti, 
quasi  minacciassero  di  vendicare  i  turbatori  de'  sepolcri. 
Li  veggiamo  anche  nel  fregio  de' templi  come  in  quello 
d'Antonino  e  Faustina,    e  furono  creduti  anche  sacri  a 
Giove.  Il  cocchio  d'  Amore   tirato  da  crifoni  col  corpo  „  ^''^-  GnaiiaM. 

o  1         Fonia  antica  voi. 

di  cervo  s'incontra  in  una  pittura  Ercolanese.  i_,  lav. m., pag, 

Comentandola  i  dotti  Accademici  d'  Ercolano  osser- 
vano che  i  giifli  al  Sole  specialmente  assegnati ,  ben 
potrebbero  caratterizzare  fanalogia  tra  Amore  ed  Apol- 
line, come  Deità  entrambe  autrici  della  conservazione  e  ,.\.'  Aniicbiii 

d    Errtl.  Punire 

])i'opngazione  del  tutto.  Claudiako  rappresenta  Febo  visi-  ^"xviii'.  Roma 
tando  i  suoi  altari  assiso  sopra  un  carro  tirato  da"  grifoni.   '^'*'  '°  *"■ 


44^  de'  torsi  segusini 

ciaud.  paneg.  P/ktÒus  odcst ,  et  frenìs  Gn'pJia  jiigaìem 


Ouurit. 


Rhiph(Mo ,  repetens  tv'ipodas  ,  delorsit  ah  axe. 


Pio.  cfem. t'om*       Medaglie  Greche,  e  Latine  si  hanno  in  gran  numero, 

IV  f    e    Iona.  v.     •  •  '  'i  * r  -i  •  -i 

p3£'7.'9,w.  in  cm  va  unito  il  grifone  al  tripode,  alla  Ina,  all'alloro, 
e  ad  altri  Apollinei  simholi;  come  pure  anche  a' simboli 
Dionisiaci  perchè  fu  Bacco  confuso  spesse  volte  cor 
Ajjolline.  Due  Grifoni  si  vedono  con  il  coipo  e  le  zampe 
di  leone  ,  \  ali  e  la  testa  d'  un'  acjuila  orecchiuta  nel 
nostro  marmo  Secusino,  l'uno  posto  a  rincontro  deh' altro 
in  atto  di  cacciare  il  rostro  dentro  una  coppa  ,  la  quale 
viene  loro  offerta  da  due  vecchi,  che  posano  un  ginoc- 
chio a  terra  quasi  compiendo  religiosa  cerimonia,  mentre 
alzano  la  fronte  loro  verso  le  teste  dei  grifoni.  Pare 
che  s'esprima  qui  una  libazione  ad  Apollo  scolpito  nella 
superior  parte  della  lorica ,  avvegnaché  le  coppe  che 
hanno  in  mano  i  due  vecchi  sembrino  più  proprie  ai 
conviti  che  non  ad  uso  di  sagrificio ,  né  per  la  forma 
loro  si  possono  determinatamente   assegnare  ad  una  di 

SallnÀl^eÓn^  q^ielle  tante  ehe  rammentansi  da  Ateneo,  e  da  Macrobio; 

«»7"ix-'  '  ■  o  che  s'incontrano  in  antichi  monumenti.  In  abito  Gal- 
lico sono  i  due  vecchi,  cornati,  e  bracati  ,  e  con  lunga 
tunica  doppiamente  succinta.  Portano  in  capo  un  ])ileo 
acuminato  colla  punta  alcun  poco  rivolta  verso  la  fionte 
alfuso  detto  Frigio,  e  Persiano,  perchè  se  ne  veggono 
coperte  le  immagini  di  Paride  e  de' Sacerdoti  Mitriaci, 
ed  anche  di  Mitra  medesimo.  Diedero  peralti-o  gli  an^ 


SlKb.  Ub.  tv. 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    GAP.    II.  449 

tidii  scultoii  una  (ale  benella  ai  J)aibari  d'  ogni  nazione^ 
ma  ad  indicare ,  che  lo  scultore  espresse  qui  due  Galli 
concorrono  le  ampie  (inassi// di,  o  l>raclie;  e  la  tunica 
con  maniche  le  quali  non  arrivano  alla  metà  delle  braccia. 
Tal  abito  loi'o  viene  assegnato  da  Strabone.  Servono 
di  base  ai  grifoni ,  ed  a'  vecchi ,  e  li  tramezzano  certi 
rabescali  fcjgliami,  ed  uno  stelo,  che  pare  di  fior  di  gra- 
nato,  ossia  balaustio  dinotante,  come  osserva  il  dotto  mu.oo,  Pio- 
ViscoKTi,  il  cullo  d"ApolUne,  *  i  quali  fogliami,  mediante  v.V""'"""i 
varj  giri  empiono  il  terzo  campo  della  lorica,  ossia,  la 
regione  del  basso  ventre  terminata  dalla  cintura,  o  fascia 
metallica.  Il  fare  servir  di  base  alle  figure  foglie,  e  ra- 
muscelU  tiene  invero  di  quel  gusto  da  Vitruvio  biasimato 
■a  ragione,  introdottosi  in  Roma  poco  innanzi  de' suoi 
tempi,  e  da  Lume  pittore  propagatosi  nell'età  d' Au- ^,,)  "J"'- y;*"" 
gusto;  ma  fartefice  de' nostri  Torsi  ò  scusabile  se  l'adottò, 
giacché  non  poteva  altrimenti  forse  trovare  un  partilo 
migliore  per  distribuire  i  suoi  bassi-rilievi  ,  ed  occupar 
con  leggiadria  e  leggerezza  ogni  vano  senza  confondere 
ed  opprimere  la  composizione. 

*  Una  statua  loiicala  IpiiuI.t  per  uno  rie' più  pregevoli  siiiuilarri  loritali 
venula  alla  luce  dallo  siavu  Gabinu  ,  pel  attiiUtiila  a  Cajo  Caligola  dal  dolio 
VlsciijsTi ,  ha  Ulta  corazza  ornala  nel  mezzo  di  nobile  intaglio,  cou  animali 
cliimerici ,  leste  d' eldauli ,  ed  altri  frcgj  nei  ppndnglj.  Gli  animali  scolpiti 
nella  corazza  rassoinigllanti  a  due  grilli  sembrano  indicare  la  prulezione  di 
Apolli),  o  del  Sole  per  l'Augusto  rappresentalo,  lauto  più  che  secondo  il 
precilalo  ViSr;o.NTi ,  simbolo  d'Apollo,  o  del  Sole  è  ancora  il  candelabro 
che  li  tramezza. 

V.  Mvnumenti  Catini  ileìla  Villa  Pinciona  descritti  da  Ennio  Quirino  Viiconti. 
Roma  1797  in  a.",  lat'.  38,  pag.  ga. 

57 


45o  dk'  torsi  segusini 

Ricco  meno  di  figure  è  il  Torso  ,  che  ho  divisato 
appartenesse  alla  immagine  d'  un  Eroe  guerriero  ;  ma 
comunque  ricco  di  meno,  è  del  .paro  pregevole,  o  ri- 
guardisi la  finezza  de'  bassi-rilievi  ,  od  il  loro  significato. 
Per  dare  alla  sua  statua  agilità  maggiore  l' artefice  la 
volse  alcun  poco  di  fianco  ,  e  col  halteo  ,  o  cingolo  mi- 
litare ,  che  le  traversa  il  petto ,  restrinse  lo  sjjazio ,  che 
volle  ornar  di  figure.  Conveniente  simbolo  di  chi  spa- 
vento incute  nei  popoli  con  l' armi  conquistatrici  la 
faccia  di  Medusa  sta  fitta  in  mezzo  ,  e  sola  campeggia 
sovra  la  lorica  nella  regiou  del  torace.  Gli  scultori 
Greci ,  che  di  rado ,  o  non  mai  alteravano  la  regola- 
rità delle  forme  ,  quand'  anche  rappresentar  dovessero 
gli  oggetti  più  funesti  ,  e  terribili  ,  s'  imitarono  dal  no- 
stro artista  ,  che  la  Gorgone  ci  offerse  allo  sguardo  ,  non 
orrida  ,  quale  venne  da'  Poeti  descritta ,  ma  soltanto 
colle  ciglie  aggrottate,  e  con  due  serpentelli  sotto  del 
mento  annodati.  Una  Pallade  bellissima  in  jaiedi  fra  due 
giovinette  danzatrici  ,  che  tutte  posano  sovra  gentili 
rabeschi ,  formano  l' intera  composizione  ,  da  cui  le  parti 
rimanenti  della  lorica  vengono  occupate.  L'abito  della 
Dea  è  composto  da  due  tuniche.  L'esterna  capricciosa- 
mente legata  sotto  il  seno  ,  le  giunge  dal  sinisti-o  lato 
sino  al  ginocchio  ,  e  giù  dal  dorso  le  discende  sino  ai 
talloni  con  pieghe  bellissime  sul  fare  del  più  antico 
stile  Greco  ;  ma  dal  destro  lato  giungendole  solamente 
alle  reni.  La  sottoveste ,  o  tunica  interna  le  copre  le 
gambe  quasi  intieramente  ,  e  stretta  alla  persona  accusa 


DI    GIUSEPPE    FRANGHI-PONT.    C.\P.    II.  45 1 

le  forme  del  ginocchio ,  e  della  gamba  in  atto  di  muo- 
versi. *  Tutle  due  le  tuniche  pajono  di  tela,  o  di 
jjanno  sottilissimo  ,  e  sono  prive  di  maniche  ,  ma  at- 
taccate per  mezzo  d'  un  bottone  alle  spalle ,  nude  la- 
sciando le  Jjraccia  all'uso  delle  rigide  Sparlane,  uso 
adattalo  convenienleinente  all'  austerilù  della  Dea.  Gran- 
dioso è  il  panneggiamento  dell'  ampio  peplo  ,  che  dall'  o- 
mcro  destro  le  scende  sul  fianco.  Il  petto  è  coperto 
dall'  egida  a  squame  ,  ma  è  l' egida  sì  molle  ,  e  pie- 
ghevole ,  che  tutta  serba  1'  arrendevolezza  della  pelle  di 

d'j  n»'  T»i  1  '•_      \"ei!.  Sjcpì  di'ti* 

a   CUI   trasse  1  origine.  L.  elmo   ha  per  cimiero  accki.  tfrusci 

,  11,     !•  •  1  -1    Cormn.  itnj.  8. 

una  Civetta,  che    coli  ah  agitate    scmljia     muoversi    al  niss.r  i.di  m.» 
volo.  Fu  sacro  a  Palladc  un  tale  augello  ,  che  vede  an-  «upta  i  Egid». 
che  di  notte,  perchè  e  la  prudenza,    e   la  sapienza   in 
Pallade  simboleggiate  riconoscono  il  vero  ,  ove  il  volgo 
non  trova  che  oscurità.  Lo  scudo  ,  che  imbracciasi  dalla 
Dea  non  è  rotondo  come  quelli  ,  che  diccansi  or  par- 
ma  ,  or  clipeo ,  ma  ovale  ,  ed  amplissimo  :  ha  il  lembo 
estremo  cerchiato  di  ferro,    come    usavasi    da' Romani 
dopo  che  fu  posto  in  uso  da  Camillo  ,  qualor  combattè 
contro  i  Galli.    I^o    stesso    augello    sacro    alle  notturne 
studiose  vigilie    efligiato    nel  cimiero ,    compare    anche     ^..,  ^^^  ^^ 
nel  bel  mezzo  dello  scudo.  Stringe  Pallade  colla  destra  r«^"v.''^ 


*  I.a  AFiiii'ivn  nel  ppsso  r.ivalo  dall' orl;;iiinlp  iiiosira  i  piedi  incrort  Inali, 
allitudine  roiisidi-rala  dal  WiyKi'LMANN  ronip  sin};olarc;  ina  che  peiò  sem- 
bra, rh' espiiina  l'alio  del  danzare,  iiuu  isr.ouvenevole  ,  essendo  posta  Ira 
due  al  Ire  dauzaliicì. 


4  Sa  de' TORSI   SEGUSINI 

mano  alzata  un  dardo  quasi  voglia  lanciarlo  ,  alto  con- 
sueto di  lei ,  onde  venne  chiamata  da  taluno  con  vo- 
cabolo derivante  dal  verbo  Gi-eco  Sa^^wK ,  che  significa 
lanciare.  Non  si  può  rilevare  abbastanza  la  forma  del 
dardo  per  essere  forse  corroso  il  marmo. 

Or  chi  saranno  le  giovani  danzatrici,  che  fanno  cor- 
teggio alla  Diva ,  ed  alto  con  bel  garbo  levando  le 
braccia  mostrano  d'  acclamare  ,  e  d'  applaudire  ?  Due  to- 
nachette  senza  maniche  ,  la  più  lunga  delle  quali  giun- 
ge loro  al  ginocchio,  ne  formano  1' abito  lievissimo,  che 
pare  agitato  dal  vento ,  e  lascia  scoi-gere  per  tal  mezzo 
gli  eleganti  contorni  di  quelle  agili  donzelle.  Saranno 
BocoSadoèiib"  ^^^°o  P^i'  avventura  le  Muse^  o  le  Grazie  ?  Queste  no, 
*^"  poiché  sajjpiam  da  Pausania  ,  che  sino  dai  remotissimi 

tempi  nude  le  Grazie  si  dipingcano.  Neppure  le  Muse, 
poiché  mancano  degli  attributi,  che  sogliono  ad  esse  con- 
cedersi ,  e  troppo  diversamente  sono  abbigliate,  quan- 
tuncjue  abbian  con  esse  di  comune  la  corona  di  palme  in 

Fornul.  de  na-    r,  i/*i'  ^  i-  "i*  ••  i 

tur.  Deor.  cap.  irontc  con  Ic  loglie ,  che  s  incrociccluano  in  cima  ,  loro 
da  FoRNUTO  attj'ibuita  ,  ed  oltre  ciò  colle  Muse  anche 
comune  il  diletto  di  danzare.    Saranno    dunque    le  due 

Pindar.'oi.^"^"  nostrc  Gioviuctte  le  Ore,  che  si  finsero  figliuole  di  Gio- 
ve ,  e  di  Temide ,  e  delle  Grazie ,  e  delle  Muse  ,  e 
delle  Ninfe  compagne.  Il  numero  loro  non  fu  determi- 
Pati«nias,  in  nato  da  Omero.  Due  se  ne  contavano  nelle  più  antiche 

l^oriDtliiis    Cloe  -*■ 

hb.  11.  Q^.^^  tre  se  ne  numerarono  coir  andar  del  tempo,    Eumo- 

vid.  Hesjch.  nia  ,  Dice  ,  ed  Irene  ;  una  sola  ne  riconobjjeio  i  primi 

Romani ,  e  fu  Ersilia    moglie    di  Romolo  ,    finalmente 


DI   GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    CAP.    II.  /^^3 

.  TT  1       i~k  Fnnim  in  fta%. 

Sino   a  quattro    se    ne  rappresentarono.    ii.rano    le  Ure  Oviiiu.  Mi-um. 
considerate  come  le  Deità  delle  stagioni  ,  e  furono  cre- 
dute governare  1'  umana  vita  ,  provvederla  del  bisogne- 
vole ,    e    prendersi    cura    de'  piccioli    fanciulli  ,    e    della 
educazione  de'  giovani.  Ond'  è  ,  che  Telesicrate  Cirinco 
vien  detto  da  Pindaro    allevato    in  grembo    dell'  Ore  t  oh.  9. 
ed  altri  Poeti  le  fanno  assistere  a  diverse  nozze  celebri 
dell'antichità  unitamente   alle  Grazie,    ed    alle    Parche. 
Pindaro  nell'  Ode  fatta  in  lode    di  Senofonte    Corinzio 
le  diede  per  seguaci  ad  Apolline  ,  di  cui  taluno  le  chia- 
mò figliuole.  Nel  nostro  monumento   le  veggiamo    con 
Pallade  ,  Dea  ,  che  come  Apolline    presiede    ali"  educa- 
zione ,  agli  studj ,  ed  all'  arti.  Winkelmann  rapporta  due  ;„"°''"°p*°i 
figure  simili  assai  alle  nostre ,  ed  interpreta  egli  pure ,  '•  "^'  *'^' 
che  rappresentino    le  Ore  ,    ma    solamente    nel  nostro 
marmo  esse  vanno    in  compagnia    di  Pallade.    '    11  se- 


*  Anche  il  più  volte  lodato  Visconti  ne'  suoi  Monumenti  della  villa  Pin- 
fiana  espone  due  fipure  somiglianti  alle  nostre ,  ed  una  terza  siaiilmente 
coronata  ,  ma  cou  abito  diverso  ,  che  sta  sonando  il  timpano  ,  e  che  viene 
da  esso  creduta  una  Baccante  Spartana  ,  perchè  lascia  vedere  ignuda  una 
pran  parte  del  corpo  ;  ed  inclina  quindi  a  credere,  contro  il  parere  del 
Wi^KELJiANN  ,  che  non  le  Ore,  ma  due  Vergini  Spartane  danzanti  Steno 
le  precitate  figure  ,  Famose  essendo  presso  i  Poeti  )e  danze  delle  Vergini 
Lacedemoni  sul  monte  Taigeto  ,  e  ricordando  1'  istoria  1'  uso  ,  che  quelle 
avevano  di  vestirsi  di  sola  tunica,  e  il  costume  introdotto  tra  gli  Spartani 
dopo  la  loro  vittoria  di  Cheronea  di  portar  corone  di  palma.  Ma  avvegnaché 
tale  fosse  l'abito  delle  Spartane  donzelle,  non  sembra  peraltro  da  rigettarsi 
del  tutto  l'opinione  del  WI(^KELMA^N,  ed  avrebbero  mollo  acconciamente 
gli  artisti  potuto  render  comune  alle  Ore  1'  abito  delle  prefale  Donzelle, 
come  il  più  conveniente  ad  esprìmere  la  velocità  delle  Ore.  Il  vederle  poi 


4^4  i>e'  torsi  segusini 

vero  disegno  di  questa  vagamente  conti-asta  col  disegno 

leggiadro  di  quelle  ,  che 

in^Hfmno.^"''''"  Una  danza  gentil  muovono  in  ^iro , 

come  le  dipinge  il  supposto  Orfeo  in  uno  degl'  inni 
suoi.  Tanto  in  questo  Torso  ,  come  nell  altro  ,  che  mo- 
stra il  carro  del  Sole ,  l'artista  ha  trattate  con  eleganza, 
e  buon  gusto  non  le  sole  parti  principali,  ma  altresì 
gli  accessori  ,  ed  i  più  minuti  ornati  lavorò  con  fini- 
tezza ,  ed  eleganza  impareggiabile. 

CAPO       III. 

Dell  epoca ,  e  del  lavoro  delle  statue ,  a  cui  apparte- 
nessero i  Tortai  Secusini  :  congetture  intorno  al  sito , 
in  cui  J ossero  collocate. 

Un'opera  di  tanto  pregio,  com'  è.  quella  dei  Torsi  Se- 
cusini, manifesta  l'epoca  più  felice,  ch'abbiano    avuto 
l'arti  del  disegno  in  Italia  :  ma  poti'emo  dire  perciò  che 
pifn.  lib.  34,  Italiani  ne  fossero  gli  artefici  ?  Plinio    nel    dir    che   fa 

•ap.  7.  *^ 

essere  la  statuaria  un'arte  antica,  e  famigliare  all' Italia 
ebbe  in   mira  le  rozze  ,  e  grossolane  statue    a  tutte    le 


nel  nostro  momim  iito  in  coinpns"i<'i  'li  P;illn(le  ci  conlrrina  nrlli-  ronp'^t- 
ture  esposte  nel  li  sto.  —  K.  Siolture  del  palazzo  della  Villa-Horghese  della 
Piuciana,  parie  H,  pag.  16,   n."  ti,  12,  23. 


Plin.  iri. 


ni    ClUSKPPE    FRA>Cm-PONT.    CAI».    lU,  4 •''•'' 

Nazioni  comuni ,  e  per  avventura  non  molto  da  quelle 
diverse  ,  che  pi-esso  gli  antichissimi  Greci  furono  Dedali 
appellale.  Chi  potrebbe  immaginarsi  ,  che  di  buona  ma- 
niera stato  fosse  il  simulacro  d'  Ercole  consegrato  da 
Evandio  nel  foro  Boario  ,  o  1  simulacro  di  Giano ,  che 
Numa  dedicò  ?  Soggiunge  ,  ò  vero  ,  il  medesimo  Plinio, 
che  le  statue  Etrusche  ,  o  Toscane  avean  per  cosi  dire 
ripiena  la  terra.  E  certo  i  Toscani  artefici  lasciarono 
memorie  per  tutta  quanta  l' ItaUa  ,  sicché  non  ne  man- 
carono le  Provincie ,  che  formano  l' antico  Piemonte. 
INIa  prescindendo  dalla  rusticità  Sabina ,  e  Romana  ,  e 
dalla  storia  delle  arti  ,  quali  si  professavano  nel  centro 
dell'  Italia  ,  1'  Italia  non  è  ristx-etta  tra'  confini  del  Lazio, 
e  dell'  antica  Etruria.  Italia  era  non  solo  tutta  l' ampia 
parte  ,  che  denominavasi  Magna-Grecia  ,  ed  Italia  la  Si- 
cilia tutta ,  di  cui  abbiamo  tante  medaglie  assai  più  ele- 
ganti di  quelle  di  Atene  stessa  ,  ma  Italia  eziandio  la  Ve- 
nezia antica  ,  cosi  chiamata  dagli  Eneti  nazione  dell'  Asia 
minore  ,  venuti  ad  abitare  sin  dai  tempi  Eroici  le  cam- 
pagne  poste  aU'  imboccatura  del  Po.  L'  antica  citta  di  iiiu:tr.  lib.  i. 
Adria ,  posta  in  quella  regione  ,  famosa  era  fin  da'  se- 
coli più  remoti  per  gli  studi ,  ed  il  buon  gusto  in  archi- 
tettura; e  chi  sa,  che  quei  lavori ,  che  comunemente  si 
dicono  di  stile  Greco-Etrusco  più  veramente  antichi  Ita- 
lici dir  si  debbano  ,  ed  usciti  sieno  di  quelle  provincie 
prima  che  dai  Romani  per  mezzo  dei  loro  ^'erri  venis- 
sero disfatte  .^  E  che  poscia  in  un  colle  lingue  di  (pie'  Po- 
poli ,  e  colle  storie  loro  periti  slcno  i  nomi  degli  artisti  al 


4^^  *  J^e'  torsi  segusini 

pari  de'  nomi  di  quegli  Eroi ,  cui  maucò  al  dire  di  Ora- 
zio il  sacro  canto  de'  vati  per  elernarne  le  glorie  ?  Me- 
diante il  tra  dico  con  i  colti  abitatori  dell'  antica  Venezia 
pensa  il  precitato  Gian-Francesco  NArioNE,  che  sin  dai 
remotissimi  tempi  famosa  divenisse  l'antica  città  d'In- 
dustria posta  in  riva  del  Po  nelle  vicinanze  di  Verrua, 
appellata  già  Bodincomago  da  Bodinco  vocal)olo  anti- 
chissimo ,  con  cui  s'  indicava  la  profondità  del  Po  in 
lingua  Celtica  ,  o  Ligustica  primitiva  ;  e  forse  da  Mag , 
che  in  Celtico  parimenti  significa  luogo  di  trailico ,  di 
sacr.  Cenili,  mcrcato  ,  d"  iudusti"ia  ,  come  rilevò  lo  stesso  Gian-Fran- 

Lettcra  Xli.  ^ 

Cesco  Napione  nelle  lettere ,  che  per  appendice  uni  ad 
altre  sue  intorno  ad  un  Sacrario  gentilesco  di  vasi  d'  ar- 
gento ,  dirette  già  al  famoso  Antiquario  Ennio  Quirino 
Visconti  ,  e  che  veder  si  vorrebbono  alla  pubblica  luce. 
Sacrar. Gentil.  Idoletti  in  ouc'  contorni  d' Industria  si  scopersero  ,  bron- 

inedil.    Leu.  XII  ^  .  J^  _ 

i, GeoD.  1795.    ^-   ^ij  elegante  artificio,    ch'ora     fregiano    il   Museo    di 

Parigi,  monete,   bassi-rilievi,  e  d' ogni  sorta  anticaglie, 

ed  avanzi  di  maestosi  edificj  ,   come    già  notato  aveano 

Vej. Silo  dell'  gli  Espositori  de' marmi  Toriiiesi  ;  ma  specialmente  una 

amico  Indusiria.  _  ,  1  •    1  1 

Koperio.ediUus.  tazza  aigcntca    giova    crui  rammentare ,    che    si  lia    nel 

Cori  Tom  I  Museo  di  Torino ,  la  quale  offre  la  pugna  d'  Ercole  colle 

simbok.p..7,.    Amazom  ,  raro  soggetto,  secondo  il  rinomato  Visconti  , 

seo  Piacienient  poichc  noH  rappreseuta  soltanto  Amazoni ,  ma  soggetto 

certo,  ed  azione  ,  e  personaggi  determinati  nella  Favola. 

Il  soggetto,   di  cui  si  tratta,  somministrò  materia   d'una 

Memoria   erudita   anche  inechta   dei  Direttore  del  Museo 

medesimo  Signor  Abate  Tarini  ,  ed  avea   già  dato    ar- 


Tom.  V,  p,  40. 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    CAP.    III.  /^J'] 

gomenlo  di  parecchie  indagini  ai  mentovato  Signor 
Gian-Francesco  Napione;  ed  appunto  per  opera  distile 
detto  comunemente  Grecò  -  Ktrusco  era  ravvisata  da 
qucst'  ultimo  in  seguito  ad  alcune  sue  congetture.  1  Ro- 
mani feroci  non  altro  conoh])ero  per  Ijjngo  tratto  di 
tempo  fuorché  il  guerreggiare;  e  si  valseio  ne' primi 
cinque  secoli  degli  Etruschi  avviliti  per  ornaie  templi, 
ed  ergere  simulacri  ,  di  cui  non  va  senza  anche  una 
barbara  Nazione.  Ma  cjuando  cominciarono  a  spingere 
le  conqiiiste  loro  nella  Grecia  poco ,  o  nulla  più  si  parlò 
dell'arti  Toscane.  Dietro  a  Plinio  tutti  gli  Soittori  , 
che  ragionano  delf  Istoria  delle  beli'  arti  non  fanno 
cenno  d'  un  solo  Italiano  Scultore.  Verso  i  tempi  di 
Siila  ,  e  di  Cesare  cominciarono,  prima  per  fasto  ,  e 
per  vaniti^ ,  quindi  per  la  cognizione  ,  che  ne  acqui- 
starono ad  innamorarsi  i  Romani  delle  pitture  ,  delle 
statue  ,  degli  eruditi  cimelj  ,  ma  ogni  cosa  eia  già 
allora  opera  de'  Greci ,  e  tutto  in  Roma  volevasi  di 
Greco  ffusto.  Monumenti  Greci  eransi  trasportali  da  Si-  An.  inVerr., 
racusa  mercè  le  vittòrie  di  JMarcello  ,  dall'Asia  mercè  aci. » 
quelle  di  Scipione  sopra  Antioco ,  dalla  Macedonia  sog- 
giogata ,  dal  vinto  Perseo ,  dalla  distrutta  Corinto  per 
opera  di  Q.  Flaminio,  di  L.  Paolo,  di  G.  Mummio.  Die- 
tro ai  monumenti  delle  Arti  accorsero  in  folla  da  tutta 
la  Grecia  gli  artefici,  e  le  delizie  degli  infastiditi  Ro- 
mani occuparono  lo  scalpello  dei  Greci  vinti  ,  i  quali 
colle  doti  dell'  ingegno  soggiogarono ,  secondo  il  famoso 
detto  d'Orazio,  i  loro  vincitori.  lib. T'  ''"'^' 


458  de'  torsi  segusini 

E  quindi  probabile  ,  che  di  valenti  scultori  o  Greci, 
o  di  antiche  scuole  Italiche  di  egual  pregio  della  Greca 
non  andassero  prive  queste  nostre  contrade ,  massima- 
mente nell'  età  di  Augusto.  Certo  è ,  che  i  Torsi  Se- 
cusini  troppo  spno  lontani  dalla  antica  rozzezza  del  La- 
zio ,  e  dal  secco  ,  e  rigido  fare  di  quegli  Etruschi ,  che 
al  Lazio  erano  confinanti  ,  e  si  danno  a  conoscere  per 
opefa  o  Greca  ,  o  dalle  Greche  non  dissimile  d' Italiano 
Artista  ,  che  attinto  avesse  il  buon  gusto  agi'  istessi 
fonti  de' Gieci ,  tantopiù,  che  una  società  di  lavoratori 
di  marini  (sodalìcium  Tnarmorariorum  )  esisteva  nell'an- 
tico luogo  di  Reano  non  distante  da  Susa  ,  come  noa 
^ni  lotmo,  ^g  ^g  lascia  dubitare  un'antica  lapide  riferita  dal  Sig.' 
Iacopo  DuRANDi.  Ed  in  questo  proposito  è  da  notarsi, 
che  Orazio  nel  precitato  luogo ,  ove  parla  delle  Belle 
arti  quando  incominciarono  ad  apprezzarsi  da'  suoi  Ro- 
mani ,  dà  la  taccia  di  agreste  al  solo  Lazio  ,  non  già 
all'  Itaha  : 


Duranill  Mat' 
ra  di  Torino 
P 


Kt  artes 


Intuii t  agresti  Laiio 


E  qualora  Tullio  scrivea ,  che  le  città  ,  i  delubri , 
le  regioni  d'  Italia  erano  adorne  di  monumenti  ,  e  di 
doni  parlar  potea  non  tanto  di  Greci  Monumenti,  come 
d'  Italici  antichi  da'  Greci  non   diversi. 

Che  se  poi  i  Pisani  dal  solo  ordinarsi  ne'  celebri  Ce- 
notafj  pubbHcati  dal  Noris  ,  che  in  un  arco,    che  quella 


DI    GIUSEPPE   FRANCHI-PONT.    CAP.    III.  4-^9 

Colonia  destinava  d' innalzare  ad  Aumisto  statue  si  coi-     Diworw  ac- 

ca  lini.  fuiri«la> 

locassero,    ne  inferiscono,    che  Pisa  sia  avesse    i  suoi  n'-LHi.rar.i.Pi- 

D  sana  ,    p  .g.  66  , 

scultori  a'  tempi  d'Auj^usto,  noi  a  più  forte  motivo,  co-  ^^^"  '*•  ''"• 
me  più  lontani  da  Roma  ,  e  che  ne  abbiamo  ritrovate 
le  opere  d'  eccellente  scalpello  ,  dedur  possiamo  ,  cUe 
Susa  ne  avesse,  e  che  opera  di  Artista  Piemontese 
fossero  le  elegantissime  statue  ,  di  cui  ci  rimangono  i 
9justi.  Le  giuste  proporzioni  poi,  e  la  membratura  ele- 
gante dclf  Arco  Sccusino  provano  ,  che  non  solamente 
la  buona  architettura  ,  ma  la  scoltura  eziandio  era  pe- 
netrata sino  alle  radici  deh' Alpi  ,  e  vi  aveva  ritrovati 
splendidi  protettori. 

Ove  si  voglia  concedere  ,  che  neh"  età  d'  Augusto ,  in 
Piemonte  ,  in  Susa  medesima ,  siensi  lavorate  le  statue 
colossali  ,  di  cui  restano  i  Torsi  loricati  ;  dove  furono 
esse  collocate  ,  in  cjual  occasion  s' innalzarono  ,  chi  rap- 
presentarono esse  mai  ?  .  .  .  Ecco  un  vasto  campo  agli 
indovinamenti ,  ed  alle  congetture.  Si  credette  ,  che 
due  monumenti  insigni  decorassero  la  città  di  Susa.  E 
il  primo  r  Arco  maestoso,  che  a  Cesare  Augusto  innalzò 
M.  Giulio  Cozio  figliuolo  del  Re  Donno  intorno  all'an- 
no  di  Roma  74.6,  secondo  i  calcoli  del  Petavio,    cioè    VriaT.di-p«ir. 

'  ^  |.nip.  ,  vili.  11. , 

l'anno  della  quindicesima  Tribunizia  potestà  d'Augusto,  5"^^  • ''J;,,;^,."'" 
sotto  il  consolato  di  C.  Marzio  Censorino  ,  e  di  C.  Asi- 
nio  Gallo.  Cozio  ,  che  non  Re  ,  ma  Prefetto  si  noma 
delle  città  mentovate  nella  iscrizione  incisa  sopra  lo 
zoforo  deh" Arco,  dedicò  un  si  nobile  edificio  ad  Au- 
gusto ,  forse  quando    il  medesimo  nella  primavera   ap- 


46o  he'  torsi  sEcrsiNi 

Peiav.  Docir.  punlo  dell'  anno  di  Roma  7^6  si  recò  nelle  Calile  ac- 

lemp.  ibi.  ^  .... 

compagnato  da  Cajo  il  primogenito  de'  suoi  figliuoli 
adollivi  nati  da  Giulia  sua  figliuola,  e  da  M.  Vipsanio 
Agrippa  ,  che  s'era  fatto  genero  dopo  la  morte  acerba 
dell'  amabile  Marcello  primo  marito  di  Giulia.  Si  de- 
terminò Augusto  a  questo  viaggio ,  prima  per  esami- 
nare gli  all'ari  della  guerra  ,  che  da  alcuni  anni  facea 
Til)erio  sul  Reno  ,  Tiberio  solo  i-imasto  contro  i  Bar- 
bari dopo  la  morte  del  suo  fratello  Druse  cognominato 
poi  il  Germanico  per  aver  vinti  i  Catti ,  ed  i  Cheru- 
schi  popoli  della  Germania  ,  e  che  morendo  troncò  le 
grandi  speranze  ,  che  s'  erano  giustamente  concepite  di 
lui;  e  poi  ad  oggetto  di  presentare  all'esercito,  che 
era  nelle  Callie  ,  Cajo  già  in  cuore  suo  disegnato  suc- 
cessore allo  Impero  unitamente  a  Lucio  di  lui  fratello 
minore ,  quantunque  entrambi  fossero  tuttavia  in  età 
fanciullesca.  Prese  Augusto  gli  alloggiamenti  al  con- 
fluente della  Sona  ,  e  del  Rodano ,  dove  presi  gli  aveva 
r  anno  innanzi  ,  e  d'onde  potea  dar  gli  ordini  ai  fi- 
gliuoli di  sua  moglie  I^ivia  ,  cioè  a  Tiberio  ,  ed  a  Di-uso, 
che  poi  mori  in  quell'  anno  stesso  7 45  di  Roma  se- 
condo ci  attesta  Dion  Cassio  ,  e  che  la  condotta  ave- 
svei.  in  Au-  vano  degli  eserciti.  Sappiamo  da  Svetonio  ,  che  i  Re 
fib.Lv  inprinc!  amici,  c  Confederati  d'Augusto  solcano  quando  esso 
deiReimiiro.  viaggiava  accompagnarlo  colle  toghe,  e  senza  Regie  in- 
segne ,  a  guisa  di  clienti ,  e  dargli  ogni  dimostrazione 
d' ossequio ,  edificando  città  ,  e  templi  in  onore  di  lui. 
Non  da  meno  perciò  degli  altri  volle    mosti-arsi    Cozio 


m    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    GAP.    III.  4''' 

allealo  d'Augusto  ne' suoi  Stati,  innalzandogli  un  Arco 
magnifico  sopra  una  delle  vie  ,  che  dall'  Italia  conducea 
nelle  Gallie  ,  per  cui  sarà  forse  passato  1'  Imperatore. 
Favorevoli  erano  le  circostanze  ,  perchè  prospere  in 
cpiel  torno  di  tempo  erano  le  cose  de'  Romani  ,  e  pie- 
namente s'  erano  domati  tutt'  i  popoli  Alpini ,  che  da 
-più  d' un  secolo  or  da  un  lato  ,  or  dall'  altro  scuote- 
vano il  giogo,  ed  inquietavano  i  Romani  eserciti.  An- 
che prima  di  Giulio  Cesare  alcuni  Generah  Romani 
aveano  vinti  parecchj  popoli  Alpini.  Cesare  corse  ,  do- 
mò ,  0  sottomise  alla  sua  splendida  fortuna  e  le  Alpi  , 
e  le  Gallie  tutte  ,  ma  le  vittorie  di  lui  non  assicura- 
rono ai  Romani  la  conquista  di  quelle  vaste  regioni , 
e  doveva  Augusto  per  opera  specialmente  d' Agrippa 
veder  domate  finalmente  tutte  le  Nazioni  Alpine  da  un 
mare  all'altro,  e  a  lui  si  die  il  vanto  d'aver  pacate  sonec.  de Lrer. 
le  alpi.  Cozio  fu  per  avventura  il  primo ,  che  un  mo- 
numento insigne  innalzò  in  mezzo  a  quelle  in  onore 
d'  Augusto  ,  non  ben  sapendosi  in  qual  anno  siasi  eretto 
l'arco  d'Aosta  dalla  Colonia  eh'  ivi  condotta  avea  di  Pre-  Dion.  Cassiuj 
toriani  soldati  Terenzio  Varrone  detto  Murena,  fanno 
di  Roma  720  circa  ,  diciotto  anni  prima  che  si  fabhri- 
casse  f  Arco  Secusino.  ouppor  si  deve,  che  parecchj  temp. pagses. 
anni  corressero  dalle  vittorie  di  Varrone  alf  innalza- 
mento dell'  Arco  d'  Aosta  ,  fabbrica  ,  che  indica  Colo- 
nia di  lunga  mano  stabilita  ,  e  tranquilla  ,  come  tran- 
quillo ,  e  fiorente  popolo  indicano  le  tante  altre  insi- 
gni rovine  di  Romani    edificj  ,    che    in  Aosta    s' incon- 


462  de'  torsi  segusini 

trano  ,  per  cui  fu  della  dal  colto    viaggiatore  ,    e  rino- 
mato naturalista  il  Dottor   Vitaliano  Donati  quella  città 
Ve<iiReiizion.  doDO  Roma  la  più  abbondevole  Ira  l' Italiche  ,  di  Ro- 

Ms.  »!'  un  ViaR- 

gii.  nulla  Ville  mane  vestigia,  e  di  vcstisiria  tali,    che   ben  mcritereb- 

d   Aoslii   ^li  est-  o        '  O  ' 

Arcbiri."'  ^'^'  hero  di  trovare  fra  di  voi ,  Accademici  chiarissimi  ,  un 
valente  illustratore.  Ma  quando  non  si  voglia  accor- 
dare ,  che  r  Arco  d' Aosta  mancante  delf  inscrizione 
che  la  opinion  nostra  confermi ,  sia  posteriore  al  Secu- 
sino ,  il  Secusino  fu  poi  sicuramente  anteriore  d' un 
ci^jiid.  amico,  anno  al  celebre  Iroleo  per  orduic  del  oenato  innalza- 
Nou  (à)!'  ''  tosi  parimenti  ad  Augusto  nell'Alpi  marittime  vicino 
al  luogo  detto  attualmente  la  Turbia  ,  la  cui  iscrizione 
vien  riferita  da  Plinio  ;  Trofeo  innalzatosi  per  essersi 
sottomesse  daU'  uno  all'  altro  mare  tutte  le  Genti  Al- 
pine sotto  gli  auspicj  di  Augusto  ,  il  che  intendere  si 
vuole  in  varj  tempi  dai  Generali  di-  lui  :  il  monumento 
non  altro  indicando  a  mio  parere,  che  il  termine  delle 
guerre  Alpine  ,  che  per  moltissimi  anni  occuparono  con 
varia  fortuna  le  Armi   Romane. 

L'  altro  edificio  ragguardevole ,  che  in  Susa  vedeasi, 

ma  di  cui  il  tempo    ci  rapi     le  reliquie    intieramente  , 

era    il  sepolcro     di  Cozio   locato  presso    le  muia    della 

Ammian. Mar.  città  al  dire  d'Ammiau  Marcellino.  La  tomba  del  Re, 

lib. XY,  cap.  IO.  •  _         ^ 

che  aperte  avea  queste  strade  (  parlasi  di  quelle  ,  che 
avea  fatte  aprir  Cozio  a  traverso  delf  alpi  )  ,  è  vicina 
alle  mura  di  Susa.  Per  due  ragioni  è  in  venerazione 
la  memoria  di  lui  ,  perchè  govej-nò  con  equità  i  sudditi 
»iuoi,  e  perchè,  fatta  co'  Romani  alleanza,  al  suo  Popolo 


DI    GIUSEPPE    FRA^•C^I-PONT.    CAP.    HI.  4^3 

procacciò  una  pace  costante.  Il  Maffei  vuole    clic   Am-     Mac  ciiii» 
ìMiano  abbia  preso  uno  sbaglio,  e  che  l'Arco,  e  'I  Se- * •  l'^'e- "• 
polcro  non  siano    che  un  solo  edificio.  Non   si  vuol  ne- 
gare, che    siensi  talvol(a  edificali    sepolcri  a  foggia  d'ar- 
chi ,  come  se  ne  edificarono  a  foggia  di  piramidi ,  e  di 
templi.  Arco  funebie  fu  per  decreto   del  Senato  eretto     j,„„||    j^ 
a  Druso  ,  su  cui  vedcasi    l' immagine    di    quel  giovane  pj^'", ^"''"°°" 
Eroe  a  cavallo    in  atto    di    cadere   per  indicare   la    fu- 
nesta morte  di  lui.  Questi  sepolcri  s' inventarono  da'  pri- 
vati per  onorar  la  memoria  de'  loro  caii  ,  e  per  evitar 
la    penale  portata  dalla  legge  Giulia   relativa   alle  spese 
funebri;  il  che  s'accenna  da  Tullio   parlando    del  se-    Lib. xn.EpL-. 
polcro  della  sua  figliuola  in  una  lettera    ad  Attico.  Ad 
ogni    modo  ,    prescindendo    dagli    argomenti    posti    in 
campo  dal  Maffei  nella  sua  lettera  ad  Alberto  Fabricio, 
di  cui  ci  accadere  altra  volta  di  ragionare  ,  io  per  ora 
non  mi  opporrò  ad  Amiano  ,    e    col  dottissimo    nostro 
Signor  Jacopo  Durandi  ,    tanto    deU'  antica   Geografia  , 
e  della  patria  Istoria  benemerito  ,  crederò  ,    che   vi  sia 
stato    in  Susa    un  cospicuo    monumento  ,    che    ben  sei 
meritava  il  buon  Cozio  per  le  cose  da  lui  in  pace ,  ed  aniiro'plrmón. 

Trasnail.    ,    cap. 

in  guerra  operate.  ix.pag. 76. 

Pochi  altri  edifiaii,  oltre  ai  testò  nominati  ,  convien 
dire  ,  che  fosservi  in  Susa  degni  di  ricordanza  speciale: 
rimane  dunque  ,  che  1'  arco  ,  od  il  sepolcro  di  Cozio 
adornassero  le  statue ,  di  cui  ci  restano  i  Torsi  ,  e  le 
quali  per  l'eccellenza  loro  dovevano  ornare  i  monu- 
menti più  illustri  della  cittù.  Se  peraltro    i  Torsi  avcs- 


4^4  de'  torsi  segusini 

sero  appartenuto  al  sepolcro  ,  Ammian  Marcellino  ne 
avrebbe  fatto  cenno ,  nò  si  sarebbe  egli  appagalo  di 
scrivere  ,  che  la  tomba  di  Gozio  ei-a  vicina  alle  mura 
della  cittù  ,  ma  aggiunto  v'  avrebbe  forse  1"  epitelo  di 
magnifica  ,  e  d' insigne.  S' avverta  olire  ciò  ,  che  le 
statue  nostre  danno  chiaro  indizio  d'essere  state  egiiaU, 
ed  appoggiate  a  qualche  muro  ,  mentie  non  sono  iso- 
late ,  e  non  sono  di  tulio  rilievo  ,  che  nelle  gambe. 
Or  non  saprei  ,  perchè  due  statue  della  grandezza  me- 
desima si  sarebbero  poste  al  sepolcro  di  Cozio  ,  in 
caso  che  1'  Arco ,  ed  il  supposto  sepolcro  non  sieno 
per  avventura  un  edificio  medesimo,  cjuando  si  potrebbe 
mostrar  cogli  esempj  ,  che  una  sola  statua  primeggiava 
negli  antichi  sepolcri;  vale  a  dire  la  statua  di  colui ,  al 
quale  erasi  innalzata  la  tomba.  Il  silenzio  d'  Ammian o  , 
la  natura  delle  statue  ,  1'  essere  queste  compagne  ,  il  sito 
onde  s' estrassero  ,  la  gigantesca  lor  mole  ,  che  le  in- 
dica in  alto  locate  ,  la  perfezione  loro  ,  che  rendevale 
proprie  a  decorare  un  edificio  ei'ctto  a  celebrar  le  glo- 
lie  d'  un  Cesare  ,  e  a  pei-petuare  la  riconoscenza  d'  un 
Principe ,  ciò  tutto  m' induce  ad  asserire ,  che  non  del 
sepolcro  ,  ma  dell'  Arco  facessero  parte  i  nostri  Torsi , 
ove  r  Arco  medesimo  non  servisse  per  avventuia  anche 

Guatlani    Ro-        _  ^ 

maaniic.,voi.  I,  di  monumeiito  funei'eo.   Ornati  di  statue  erano  in  Roma 

pag.  41. 

gli  ardii  di  Trajano  ,  e  di  Costantino  ,  ed  anche  quello 
s-oi.  Antiq.  purc   di  Traìauo    in   Ancona.  Riferisce   il  dotto  Autore 

Ub.  IV.  -^  ' 

NorU.  Operi  ^^  Genotafj  Pisani  essersi  decretalo  dalla   Pisana    Colo- 
c«aciaT^  p'i5."n'.  ^^^  ^ì  cj-gcre  nel  silo  più  cospicuo   della  medesima  un 

Vrrjnoe  '7ig. 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    GAP.    III.  4^^ 

trionfale  arco  ad  Augusto  ornato  delle  spoglie  delle  vinte 
Nazioni,  ordinando,  che  sopra  l'arco  si  ponesse  la 
statua  pedestre  d'  Augusto  in  aìjito  trionfale ,  ed  ai  lati 
le  statue  equestri  dorate  di  Cajo  ,  e  Lucio  Cesari.  Agli 
esempi  si  può  aggiungere  1' autorità.  Il  Vitruviano  Lepc^ 

attista  Alberti  uno  tra  primi  ,  che  studiale  abbia  le  Anhiimur»  lib. 
rlomane  fabbriche,  parlando  degli  archi,  adcUta  i  luo- 
ghi ove  si  doveano  essi  abbellir  colle  statue.  Di  ciò 
persuaso  1'  Autore  dell'  Atlante  Piemontese  nel  cUsegno, 
sebbene  inesatto  ,  che  ci  presenta  dell'  Arco  Secusino  , 
aggiunse  sovra  il  cimazio  dell'  iscrizione  alcuni  piedi- 
stalli ,  che  sostengono  frammenti  di  statue.  11  Maffei  p^^^^lJ^^T. 
nell'  Istoria  diplomatica  ,  e  nel  Museo  Veronese  pubblicò  iimJi'<>d"i'$8» i 
molto  più  esattamente  il  disegno  medesimo;  ed  il  Mu-  f3^.^^^. 
RATORi  ,  che  ne  volle  arricchire  il  suo  Nuovo  Tesoro  di 
marmi  letterati,  sovra' il  dado,  in  cui  è  scolpita  l'iscri- 
zione ,  rappresentò  certe  pimiae  ,  ossieno  merli  di  bar- 
bara architettura  ,  secondo  1'  uso  di  lorliCcare  de'  tempi 
dimezzo,  che  a  più  d'una  delle  maestose  moli  Romane 
aggiunti  furono  per  ridurle  a  torri ,  e  fortezze.  Queste 
soprastruzioni  furono  fatte  levar  via  circa  l'anno  1760  , 
secondo  che  narra  il  Ma.ssazza  ,  dal  Re  Carlo  Ema- 
nuele intelligentissimo  dell"  antica  buona  arcliilettura  ,  e 
furono  per  avventura  scambiati  dall'  Autore  dell'  Atlante 
del  Piemonte  per  acroterii  ,  sopra  i  quali  posassero  le 
statue.  11  medesimo  architetto  Massazza  ,  che  illustrò 
di  proposito  r  Arco  Secusino  ,  par  che  dubiti ,  che 
quello  sia  stato  mai  ornato  di  statue.  Non  seppe  vedere 


H 


^SG  de'  torsi  secdsini 

quel  nostro  Architetto    sito   alcuno   ove  esse    potessero 
venir  collocate  con  quella  vaghezza  ,  clie  si  distingue  in 
«ouisusa.To-  ogn  altra  parte  dell'arco.  Osservo,    che    il  dado  viene 

tino  1750. 

tutto  occupato  dall'  iscrizione ,  e  non  sapendo  trovare 
alti'ove  luogo  proprio  per  le  statue  ideò  con  poca  ve- 
rosimiglianza ,  che  ai  lati  dell'  Ai-co  vi  potessero  esser 
trofei  di  statue  adornati.  Credo  anch'  io  ,  che  statue  non 
vi  fossero  sopra  gli  acroterii  ,  o  piedistalli ,  che  indicò 
r  Autor  dell'  Atlante  ,  perchè  i  nostri  Torsi  mostrano 
d'esser  stati  appoggiati  ad  un  edificio  ,  siccome  abbiamo 
detto  poc'  anzi  ;  ma  poi  per  qual  ragione  sovra  il  dado, 
in  cui  è  incisa  l' isci'izione  star  non  vi  poteva  un  altro 
attico  ,  che  ammettesse  le  statue  ?  L'  Arco  Secusino  cosà 
come  è ,  quantunque  d'  ordine  Corintio  di  tutti  gU  or- 
dini architettonici  il  più  svelto  ,  appare  tozzo  alcun  po- 
co ,  e  schiacciato.  Il  cimazio  ,  che  corona  I  iscrizione , 
(un  pezzo  di  cui  esisteva  ancora  a' tempi  del  Massazza, 
e  venne  da  lui  riportato  ,  e  disegnato  esattamente  )  ha 
uno  sporto  non  bastevole  a  difendere  dalle  ingiurie 
delle  stagioni  gU  ordini  inferioi'i ,  e  sopra  tutto  la  parte 
più  rilevante  dell'  Arco  ,  vale  a  dire  l' iscrizione  collo- 
cata al  dissopra  della  cornice  del  primo  ordine.  Possiam 
quindi  ragionevolmente  pensare  ,  che  il  Secusino  Arco 
fosse  già  nobilmente  terminato  in  cima  da  un  attico 
elegante  ,  e  da  un  maestoso  cornicione  ,  quello  ornato 
di  statue  ai  lati  ,  e  questo  di  mcmbi-ature  robuste  ,  e 
d'  uno  sjiorto  spazioso.  È  questa  1'  opinione  del  Signor 


DI   GIUSEPPE   FRANCHI-PONT.    CAP.    IV.  /^^•J 

Gian-Francesco  ISapione,    che  l'Arco  di  Susa  con   oc-  t^^'^'f^J^'/; 
chio  aKcQto   esaminò;    e  che    anzi   menti-e    era    Interi- i'p^^^'ò'n,!*^^ 


lustri    riufiìo  d^ 


dente  di  quella  provincia    fece  ristorare    dagH  ohraggj  c^'Jv;-'i"Snam. 
sofferti  quella  fabbrica  insigne. 


CAPO      IV. 

Agrippa  rappresentalo  probabilmente  in  una 
delle  statue ,  di  cui  ci  rimangono  i  busti. 

Tenendo  io  adunque  per  cosa  probabile,  che  i  Torsi 
Sectisini  ornassero  TArco,  che  ad  Augusto  Marco  Giu- 
Ko  Cozio  innalzò,  quando  l'Imperatore  accompagnato 
da  Cajo  figliuolo  di  A  grippa  reeossi  nelle  Gallie ,  è  da 
cercarsi  ora  quali  fossero  le  persone  ,  che  vennei"o  ef- 
figiate nelle  statue,  cui  appartenevano  i  nostri  Torsi  lo- 
ricati. Certo  è  ,  che  persoiioggj  Romani  ,  ed  alla  Ro' 
mana  foggia  vennero  espressi  nelle  statue  ,  cui  appar- 
tengono i  nostri  Torsi.  Plinio  afferma  ,  che  proprio 
era  del  costume  Romano  il  rappresentarli  reperii  di  .- ^'"'',°;  I'"" 
loriche  :  Grapca  rcs  est  niJiil  velare  ,  al  contro  Ro-  '■'''•  ^ 
mana  ,  et'  mìlitaris  t/ioraces  acìdere. 

Esaminando  gli  antichi  scrittori  per  trovare  chi  mai 
verso  r  ejioca,  in  cui  fu  eretto  f  Arco  Secusino,  meritasse 
d' avervi  ima  statua  ,  mi  corsero  al  pensiero  Til)erio  , 
e  Druso ,  i  due  figliuoli  di  Til^erio  Nerone ,  e  di  Livia 


/f08  de'  torsi  segusini 

moglie  d'  Augusto.  Stava  il  primo  l'elicemenlc  allorn  np- 
punto  a  guerreggiar  nelle  Oallie;  aveva  varcata  il  Ueuo, 
compressa  l'audacia  de'Jjarhari;  il  secondo  morto  di  fresco 
tornando  da  una  spedizione   con  Irò  i   Cadi  ed    i    Clic- 
si6i.  in  Au  ruschi.   Spinte  avea  oltre  l'Elba  l'Aquile  Romane,  ed 
innalzati  trofei  lungo  quel  gelido  fiume.  Entrambi  erano 
stati  acclamati  Imperatori    dalle    scjuadre  ,  e  considera- 
vansi  come  i  sostegni   più   fermi  dell'autorità  d'Augusto» 
e  dell' Impero  Romano.  Ma  il  campo  ove  si  gloiiosamenic 
si    erano    esercitati    (lueslì    illustri   fratelli   ò   lontano    di 
troppo  dall'  Alpi    Cozie.   Quindi   mi  volsi   in  traccia    di 
tal  personaggio,  che  avuto  abbia  parte  maggiore  nclf as- 
soggettar del  tutto  a' Romani   le  Alpi ,  che   il  Piemonte 
circondano,  e  corrispondenza   particolare  con  Cozio;  nò 
credo   d'essermi   dilungato   dal  vero ,  se  un  personaggio 
tale   riscontrai    ncll'  uomo   ])iù    gi-ande   del   suo    secolo  , 
nell'amico   più  caro  d'Augusto,   in    quello   che   fu    ve- 
ramente scudo  e  lancia  di  lui,  in  Marco  Vipsanio  Agrippa, 
Egli  nudrito   da  giovinetto,   come  rifeiisce  Nicolò  Da- 
masceno  presso   il    Nouis ,  con    Ottaviano    che    seco    il 
condusse  in  Grecia  mentre  Giulio  Cesare  si    <lisponeva 
alla   impresa   contro  i   Parti,   agli   interessi    di   lui   senza 
riserbo   veruno    si    dedicò;    ad    esso   iallo    triumviro    fu 
scorta,  e  consigliere;  ad  esso  preparò  la  strada  all'lnijicro 
colf  Aziaca   vittoija.    Lo   stesso    Agrippa   domatt)r    delle 
Gallie,  ferme  rendendo  le  conquiste  di  Cesare,  il  primo 
fu   che  ,   dopo   quel  fulmine   di  guerra  ,  al)bia    passato  il 
Reno  come  vincitore,  e  condotti  i  Romani  alle  spiaggia  . 


DI    GIUSEPPE  TRANCm--t>ONT.'''CAP.    IV.  /ftìg 

cleir  Oceano.  Vedendo  quindi  che  era  giuoco-forza ,  che 
la  scossa  e  combattuta  Republ)lica  gisse  a  npararsi  sotto 
r  ombra  della  Monarchia ,  abbracciò  con  sano  accorgi- 
mento il  partito  del  più  forte ,  e  dopo  che  vinto  aveva 
Sesto  Pompeo,  mentre  durava  tuttavia  ih  triumvirato  , 
il  triumvirato  poi  del  tutto  spense  con  vincere  Antonio. 
Ottenuti  da  Augusto  ,  col  quale  fu  più  volte  compagno 
nel  Gx)nsolata,  gli  onori  più  grandi,  e  le  dimostrazioni 

'-'  i.  >->  Diou.  !ib.  53. 

d'  afletto   più  lusinghiere ,    divenne  genero  dello   Impe-  '^j^j''"»  '"  *" 
ratore    sposando   la  bellissima  Giulia,    dalla    quale   el)be 
Cajo,    e  Lucio,   che  Augusto,    vivendo  Agrippa,    adottò 
comprandoli  per  oes  et  libram  secondo  l'antico  metodo 
d'adozione.  Non  levatosi  Agrippa  in  supei'bia  veggendo 
la  prole  sua   innestata  nella   famiglia  di  Cesare,  seppe 
mantenersi  il  favore  del  suo  Principe  senza  avvilimento, 
e  senza  invidia  altrui.  Edile ,   TrDiuno ,    Censore  abbellJ 
Roma  e  l' Italia    d' utih,    e    magnifici  edificii ,    ed    ebbe 
gran  parte  nei  più  saggi  stabilimenti  d'Augusto,  mostran- 
dosi non  meno  accorto  politico ,  che  guerriero  valoroso. 
Dal    foro  e  dal"  Senato  volando  fra  1'  armi  segui  a  di- 
latare i  confini  dell'Impero.  Batte  i  Germani,  passa  nelle 
Spagne  e    doma    i  Cantabri.   Recasi  quindi  alle   sponde 
del    Danubio ,  e  nel    corso ,  delle  sue  vittorie  di  ritorno 
dalla  Pannonia   muore  nella  Campania.  Augusto  ne  com-  ^'^'f^^si^; ^*; 
pianse  amaramente  la  morte ,  ne   recitò  la  funebre  lau-  '^"'"""" 
dazione  egli  stesso  nel  foro,    e  lo  volle  sepolto  nel  Mau- 
soleo   medesimo  che    s'era    Egli    di   recente   fatto    pie- 
parare,  ove  già  riposavan  le  ceneri  di  Marcello,  e  dOl-  binJf.Comouli 


Lirì. 


470  de'  torsi  segusini 

tavia.  Dopo  la  morte  d'  Agiippa  non  cessò  Augusto  dal 
mirare  con  occhio  di  parzial  tenerezza  i  du€  suoi  nipoti 
e  figliuoli  adottivi  Cajo  e  Lucio.  Da  essi  si  faceva  ae-- 
conipagnare  nei  viaggi,  e-ssi  qvwsi  fanciulli  cj-eò  Cesavi, 
ed  iniziò  negli  allori  piiji  rilevati.  Non,  i  maneggi  dell'as- 
tuta Livia  ,  non  i  meriti  ostentali  di  Tiberio,  che  dovette 
pure  accettar  Ì9  ispos^  quella  Giulia  celelpre  non  meno 
per  beiti  e  coltura  d'ingegno,  che  per  iatvighi  e  disc 
solutezze,  la  quale  Augus,to  giva  come  pegpoi  concedendo 
a  colui  che  voleva,  sopra  ogiV  altifo  suQ  caro  distinguere, 
tutto  ciò,  dissi,  non  valse  a  sj«i,ove<)-e  Augusto  dal  di- 
segnare in  cuor  suo  successori  all'  Impero  i  figliuoli 
4:  Agrippa. 

Ciò  peraltro  clie  serve  al  nostro  argomento  si  è  , 
ch,e  fu  propriamente  Agrippa  il  domatore  dei  popoli 
Alpini,  e  di  quelli  in  modo  speciale  che  confinavano 
colle  alpi  Cozie.  Fu  ili  primo  Giulio  Cesare,  che  passando 
per  l'alpi,  recandosi  nelle  GalUe  fatto  abbia  un  Trattato 
con  Donno  padire  di  Cozio.  Ciò.  rilevasi,  da.  uìhl'  iscri- 
Doni  inscrip.  ziouc  rapportata  dal  Doni,  i»  cui  Donno  adottò  il  pro- 

lion    anli.  Clas.  .  .  , 

I,  num.  30.  nome  di  Giulio.  Fors^  in  quell'occasione  Agrippa  che 
militava  con  Cesale  a^yrà  conosciute  quelle  regioni ,  e 
stretto  a  nome  del  suo  generale  Trattato)  d'  alleanza  con 
alcune  Alpine  nazioni.  Quindi  poi  è  probabile  che  egli , 
e  come  supremo  comandante  de' Romani  eserciti  sotto 
Augusto ,  e  come  pratico  dell'  Alpi  abbia  avuto  gran 
parte, in  domare  i  popoli  Alpini,  e  che  siasi  a  tal  og- 
getto valso  di  Cozio  come  figliuolo  d'un  Principe  alleato. 


DI    GIOSEPtE   rKANCÌU-PON*.'  CAP.    IV.  2|.?  ì 

«d  amico  de'  Romani.  Ma  quanto  avvaloi'a  la  nosti* 
congettiua  è  il  sapersi  daSTRABONE,  che  Agi'ip])^  aperse  lijf "Tv. ''"*"'' 
molte  strade  a  traverso  dell'Alpi  più  vicine  alle  Cozie^ 
e  che  i  figliuoh  di  lui  Cajo  e  Lucio  ampie  e  princi- 
pesche possessioni  avevano  ne'  Ccntroni  popoli  aHo  stato 
di  Cozio  vicini  assai.  Prova  di  ciò  il'i"efi-agal)ile  è  la  bella 
iscrizione  di  Pomponio  Vittore  tro^^ta8i  irt  Aj'rtìe  nella 
Tarantasio,  e  dal  sig.  Gian  Francesco  Naì'Ióné  ampinmente  ^.,,p  sacmi. 
comenlata;  e  dall'iscrizione  e  da' conienti  s' impara  essere 
stato  liberto  d' A  grippa  Pomponio  Vittoi-e,  e  posto  col 
titolo  di  Procuratore  alla  cura  delle  mentovate  possessioni 
di  Cajo  e  Lucio  Cesari.  Qui  non  occorre  il  cei-cai-e  quanto 
importasse  la  cai-ica  di  lui  ;  si  vuole  biensì  avvenire  che 
Agrippa  non  avrebbe  acquistati  poderi  in  qilei  òohtorni, 
se  non  avesse  conosciute  di  lunga  mano  quelle  regioni, 
se  non  vi  si  fosse  più  volle  fermato  recandosi  nelle 
Gallie  ,  e  se  non  fosse  stato  sicuro  della  fedeltà  di  Co- 
zio,  che  gli  era  sì  vicino.  Pensa  il  Morcelli,  che  l' iscri-    DcSijIoImw. 

'  O  '  ^  ^    pag.   170. 

zione    in  versi    di  Pomponio    Vittore    sia  posteriore   ai 
tempi  di  Nerone  ,  perchè  seguitando  il  Clcverio  sup-      ciurer.   irj. 
pose,   che  i  Centroni  fossero  soggetti .  ai  Re  Alpini  pri-  «»• 
ma  di  cpieir  epoca.  Ma  per  tacer  d' altri  Scrittori ,  che 
diversamente  a  ragione  pensarono  ,  il  dotto  Signor  Ja- 
copo DuRAKDi ,  il  cui  testimonio    vale  per  mille  ,    non     Pinn  cisjwd. 

11'/--.  -Il  j-     r>       •  r    amico,  pag.  ^o. 

pure  esclude  i  Centroni  dal  regno  di  Lozio ,  ma  gli 
annovera  fra  quelle  Alpine  Nazioni  ,  che  insorsero  con- 
tro i  Romani  ,  e  che  furono  perciò  nomate  nel  Trofeo 
dell'alpi,  mentre    in    quello   non    ti  menzionarono    le 


I 


47*  de'  torsi  segusini 

Goziane  ciltà,  perchè  rimasero  fedeli.   Così  segue  il  Du- 
HANDi  a  dimostrare  ,    che  nel  testo    di  Plinio  ,    ove   si 
riferisce  1'  iscrizione  posta  al  Trofeo  d'  Augusto  si  deve 
leggere  Cenlrones  in  camlìio   di  Acìta^ones.     Dietro    i 
lumi  di  cjuesti  due  nostri  illustri  Letterati  io  ardirò  ag- 
giungere ,  che  probabilmente  Agrippa    si   sarà   giovato 
dell'  opera  di  Cozio  medesimo ,  come  di  un  suo  Luogo- 
tenente ,   per  ridurre  i  Cenlroni,  e  parecchi  altri  Alpiui 
popoli  posti  e   verso  gli  Alloljrogi ,   e  verso  1'  Alpi  ma- 
rittime, alla  divozione  de' Romani;  e  che  per  tal  mezzo 
Cozio   avrà  meritato  di  venir  da  Agrippa  protetto  presso 
di  Augusto.  Non  si   potrebbe   accertare    in  quale  delle 
tante  volte ,    che   Agrippa    si   recò    nelle   Gallie    abbia 
procurata  a  Cozio  la  benevolenza    d'  Augusto  ,    ma    in- 
clinerei a  suppoiTC  ,   che  allora   si  fosse  quando   v'  andò 
durante  ancora  il  Triumvirato.  In  quei  tempi  erano  di- 
visi in  partiti  i   Re    alleati  ,    ed    i    popoli  soggetti  ;    le 
Gallie  di  fresco  domate  attendevano    il  destro    per  ri- 
bellarsi ;  viveva ,    anzi    pure   per  mare  trionfava    Sesto 
Pompeo ,  e  non  avevano     perciò   perdute    le    speranze 
di  risorgere  coloro  ,    che  affettavano  di  sostener  la  Re- 
pubblica ,   e  che   avevano   seguitato  le  parti    di  Bruto  ,' 
e  de'  nemici    di  Cesare.   Conveniva  perciò  ,  che  i  Cesa- 
riani  ,  o  per  dir  meglio    i    Triumviri    per   ogni    via    si 
assicurassero  alleati  fedeli,  in  que' Paesi  massimamente, 
che  erano  più  vicini  alle  nuove  conquiste  ,  e   non  sarà 
perpiò  fuor  di  ragione  il  pensare ,    che    Agrippa    abbia 
avuto  ricorso  alla  fedeltà  ,  ed  alf  ajuto  di  Cozio  ,  la  cui 


V'iJ.  Morcflli 
Qscrip. 


r 
,  I 


DI    GIUSEPPE   FRANCHI-PONT.    GAP.    IV.  ^']3 

famiglia  era  addetta  già  a  Giulio  Cesare;  e  che  Cozio 
abljia  corrisposto  alle  premure  d'  A  grippa  ,  e  siasi  in 
ricompensa  meritate  le  grazie  d'  Augusto  per  opera  del 
di  lui  Favorito.  A  dimostrare  una  mutua  corrispondenza 
di  protezione,  è  di  gratitudine  tri  Agrippa ,  "è  Cozio 
vale  assai  il  pronome  di  Marco  aggiunto"  da  'Cozio  a  i^\f^\J', 
quello  di  Giulio,  che  egli'  già  aveva  come,  scmpUce  p'''^- '" 
alleato  de'  Romani  ,  e  che  si  vede  unito  a  quello  di 
Marco  adoperato  dà  lui  nell'  iscrizione  dell'  Arco  Secu- 
siho.  Ma  la  gratitudine  •  di  Cozio  non  poteva  in  occa- 
sione mìglioi-e  ,  e  più  acconcia  palesarsi  ,  che  innal- 
zando il  simulacro  del  suo  benefattore  suU'  Arco  pre- 
detto ',  e  mentre  Augusto  si  recava  nelle  Gallie  accom- 
pagnato appunto  dal  giovane  Cajo  ,  che  si  voleva  pro- 
durre all'esercito;  militare  cei'emonia  da  compirsi  ap- 
punto là,  dove  Agrippa  fissato  avea  il  centro  degli  eser- 
citi nelle  Gallie  al  confluente  della  Sonna ,  e  del  Ro- 
dano, quasi  nel  sito  medesimo  ,  in  cui  è  situato  Lione, 
d'onde  aveva  Agiippa  apeite  quattro  strade  principali,  sirab.ub. iv. 
e  dove  soleva  prendere  Augusto  gli  alloggiamenti.  Sa- 
peva Cozio  quanto  fosse  grato  a  Cesare  Y  onorar  la 
memoria  di  quei  Capitani  illustri,  che  dilalato  aveano 
i  confini  dclf  Impero  Romano,  e  rendutolo  grande  ,  e  svet.  in  Aug. 
nessuno  in  quell'  età  fatte  avea  più  importanti  con- 
quiste di  Agrippa,  nessun  altro  era  più  caro  allo  Im- 
peratore di  lui.  Morto  dà  quatti-'  anni  ,  gli  onori  ,  che 
se  gli  rendevano  ,  non  eran  capaci  a  destar  gelosia 
negli  emuli  suoi  ;  ma  questi  onori  medesimi  ben  eccitar 

60 


474  I>E'  TORSI  SEGUSINI 

doveano    nobile    emulazione    in     colui  ,     c^ie    vantava 
Agrippa  per  genitore  ,   ed  Augusto  per  padre  adottivo. 
Quale  stimolo  ad  anioni  gloriose  non  dovea  essere  per 
un  ardente  garzone   di  circ^  quindici  anni  ,    intorno  a 
cui  tutto  rideva  ,    il  quale  innanzi   uvea  le  più  brillanti 
speranze ,    per   un  garzone    avido   d' onore  ,   e  di  rino- 
STet.  in  Aug.  manza ,    premuroso     di    lanciarsi    tra    i    politici    negozj 
sifiUa-inAug.  qual  era   Cajo  ,  il  quale  dall'  etA   d'  anni  tredici  già  ve- 
nia in  giro  condotto  per    visitar  le  provincie  ,   il  quale 
L  m'.Iu!''^'''  ^^^  anco   deposta    la    puerile  pretesta   ambiva    il  Con- 
solato ,  il  quale   principe  ei-a  della   gioventù  per  accla- 
mazione de' Cavalieri ,   onore,   che  consideravasi  proprio 
di    quelli ,  che  avrebbe  un   giorno  presieduto  all'  intiero 
Senato,  sicché  Ovidio   disse   di  lui: 

De'Atie aman.         Nunc  juvenum  Pri/ìceos  deinde  fulure  senum  , 

lib.  I.  Ters.  1J9.  '  '  ' 

quale  stimolo,  dissi  ,  esser  non  dovea  per  un  garzone 
tale  ,  ad  imitar  in  pace ,  e  fra  l' armi  la  virtii  del 
genitore  ,  il  jjresentargliene  di  fronte  sopra  un  magni- 
fico arco  di  trionfo  1'  immagine  ?  Certamente  non  do- 
vea esser  d'  alcun  altro  ,  che  di  Agrippa  ,  non  potea 
esser  che  parte  della  statua  di  lui  uno  de'  Torsi ,  che 
preso  abbiamo  ad   lUusti-are. 

Non  si  stenterà  punto  a  distinguere  ,  che  il  Torso  , 
di  cui  parliamo  quello  sia  ,  in  cui  è  scolpita  la  Pallade 
in  mezzo  alle  Ore.  Dietro  alla  scorta  dei  più  dotti  An- 
tiquarj  ,  ci  sembra  potersi  stabilir  per  canone  ,  che  gli 


DI    GIUvSEPPE    FRANCHI-PONT.    CAP.    IV.  ^jS 

antichi  Scultori ,  qualora  doveano  trattare  un  soggetto 
determinato,  nulla  operassero  ,  eziandio  riguardo  agli  or- 
nati accessorj  ,  di  che  non  potessero  dare  un'  adequata 
ragione  ,  e  che  non  giovasse  a  schiarire  vieppiù  la  na- 
tura del  soggetto ,  o  il  carattere  delle  effigiate  persone. 
Questo  canone  fu  posto  in  pratica  dallo  Scultore  dei 
Torsi  Secusini.  La  mossa  vivace  ,  ed  energica  ,  la  quale 
siccome  si  è  osservato  conviensi  ad  un  Eroe ,  il  baltco, 
the  Io  distingue  per  un  Condottier  d'eserciti  sarebbero 
tòste  di  poco  rilievo  ,  quando  a  torre  ogni  equivoco 
nòli  bastassero  i  bassi  riUevi ,  di  cui  è  ornata  la  lorica. 
$Joa  "Marte  ,  o  Bellona  ,  ma  la  figliuola  di  Giove  ,  1'  As- 
sistente a- -consiglj  di  lui,  la  Dea  della  sapienza,  e 
dè-Ue  arti ,  còlei ,  che  presiede  ai  Genj  della  pace  egual- 
mente ,  e  della  guerra  ,  l' inventrice  dell'  arcliitettura  , 
conveniva  a  caratterizzare  Agrippa  ,  che  seppe  mostrarsi 
impavido  Generale  in  campo  ,  e  politico  accorto  ,  e  sa- 
'i'io  Magistrato  in  città.  Egli  scelse  ne'varj  incontri  della 
vita  ognora  il  partito  migliore  ,  e  se  1'  adulazione  potè 
chiamar  Augusto  il  Giove  dell'  Impero  ,  potcasi  simbo- 
leggiare in  Pallade  il  consigliere  suo  ,  Pallade  appellan- 
dosi mente ,  e  consiglio  di  Giove. 

Proxìrnos  UH  (amen  occupavi i 
Pailas  honores. 

Scrisse  Orazio.  Quindi  l' Artista  nostro  coperse    l' elmo     Horat.  carm. 
della  Dea,  non  d'un  dragone,  o  d'un  ariete,  come  quello 


47*^  de'  torsi  segusini 

in  altri  monumenti  si  scorge.,  ma  sibbene  della  civetta, 
indizio  di  sagacità  ,  e  di  prudenza.  Ove  si  voglia  par- 
ticolarmente considerar  Pallade    come   protettrice   delle 

moiirn""'"  '  arti,  e  dietro  a  Luciano  come  inventrioeldcU' arcbilet- 
tura,  chi  più  d' Agrippa  le  arti  belle  prolesse ,  chi  mai 
d'edificj  più  magnifici  ornò  Roma  non  pur,  ma  l' Ita- 
ha  ?  Egli  celebrò  col  lusso  più  sontuoso  i  Giuochi  se- 
colari, ed  in  più  occasioni  diede  spettacoli  al  Popolo. 
Egli  condusse  in  Roma  1' acqua  Giulia ,  che  in  parecchj 
rami  di  videa  si  ,  con  sontuoso  acquedotto  <,;ehje  ;abbcUI 
tratto  tratto  di  statue  ,'  e  .  d'  altre  iopete  insigni  dell'  arti  ; 
egU  ornò  i  septi ,  ossia  gli  steccati  costruiti  dfi  Lepido 
per  adunarsi  i  cómizj  ,  di  martìii  ».  Cì  pitture!  Quantun- 
que  Consolo     facendo    le   funzioni    d'  Edile    egli   man- 

xx^'t°""ap.'xv;  tenne  ,  e  ridusse  in  buon  essere  la  Cloaca  massima,, 
riparò  il  Circo  ,  costirusse  .nuove,  e  magnifiche  strade. 
Opera    d"  Agrippa    fu   la.  comunicazione   apertasi    tra  il 

lib.  n.*  *"*"'  mare,  ed  il  lago  di  Guma  ;  e  per  tacere  tanti  ^Itri  edj- 
ficj  fu  innalzato  da  Agrippa  il  Panteon,  detto  volgar- 
mente la  Rotonda  ,  che  fra  le  antiche  opere  architet- 
toniche è  quella  ,  che  siasi  conservata  più  intera  ai 
giorni  nostri.  Ad  essa,  aggiunse  le  Terme  ,  e  fabbricò 
pure  un  portico  in  onor  di  Nettuno  decorato  colla  pit- 
g„f"'°°'°'^"'  tura  degli  Argonauti.  Con- ragione  perciò  asserisce  Sve- 
TONio  ,  che  molli  potenti  per  compiacere  ad  Augusto 
avevano  impiegate  egregie  somme  d' oro  nell'  adoi-nar 
Roma ,  ma  più  di  tutti  Agrippa  con  belh  ,  e  sontuosi 
edifici .  ^^^  P3''0  1  che  Pallade  poteano  le  Ore  disegnar 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    GAP.    IV.  ^77 

l'indole,  e  la  vita  d'Aj^rippa.  Gompagrife  delle  Grazie, 
e  delle  Muse  ,  Dee  della  bellezza  ,  tutrici  de'  bamljini , 
pronube  alle  nozze  ,  e  ne'  varj  avvenimenti  della  vita 
custodi,  e  consigliere  si  fìnsero  le  Ore  ,  e  tali  ci  ven- 
nero additate  da  Pindaro  nell'  ode  sovra  citata  in  lode 
di  Senofonte  Corintio  : 

.  .  .  Dice  ognora 

,,.,?,.,  PinJar.    Od» 

Delle  cittadi  stabile  sostegno  ,  J""-  oiimp. 

'•£'"  a  lei  simile  ancora 
Nelli  costumi  Irene  aurodatrici , 
Farlo  di   Temi  degno 
Che  co'  consigi/  suoi  ne  fa  felici. 

Queste  vantan  poter  da  tener  lungi 
T,e  brutte  ingiurie ,  e  le  villane  offese 
Cile  nella  copia  han  nascimpnto ,  e  vita, 
Per  lor  d  onesti  fatti  un'  infinita 
Schiera  fammisi  innanti.  ec. 

Così  il  Cantor  Tebano  nella  traduzione  del  Gottier.  Le     _ 

Pomi    I7W- 
Ore  dunque  ,  che  si  danno  per  seguaci   di  Venere  ,    e  »»  *•' 

d'  Apollo  ,  e  nel  monumento  nostro  di  Pallade  accon- 
ciamente servono  ad  indicare  lo  sposo  della  vaga  Giu- 
lia ,  il  genitore  dei  successori  disegnati  al  trono  di  Ce- 
sai-e.  Esse  che 

.  .  .   Vantan  poter  da  tener  lungi 


478  de'  torsi  segusini 

Le  brutte  ingiurie  e  le  villane  offese 
Che  nella  copia  -  (  cioò    come   osservano  i  co» 
mentatori  tra  le  ricchezze  ) 

lian  nascimento  e  vita.  ec. 
■■•i 
assai  ad  Agn'ppa  si  convengono,  il  quale  per  giungere 
agli  onori  d'altro  non  si  valse  che  delle,  personali  sue 
qualità,  che  seppe  tenersi  lungi  dall'orgoglio  insultante, 
egualmente  che  da  ogni  vilti\ ,  che  i'edele  al  suo  Piin- 
cipe  mostrò  che  avrebbe  saputo  vivere  con  dfccoro  in 
libera  Città ,  com"  era  divenuto  V  appoggio  della  Monar- 
chia ,  e  che  del  suo  credito  si  giovò  sempre  per  far 
regnare  la  giustizia,  e  la  moderazione.  Che  quest'indole 
nobile ,  e  gentile  fosse  propria  d'  A  grippa  si  può  argo- 
mentare dall'amicizia  eh'  egli  sin  dagli  anni  suoi  giova- 
nih  avea  sti-etta  coli  uomo  più  elegante,  e  col  più  fine 
conoscitore  dell'arti  che  Roma  s'  avesse,  cioè  con  Tito 
j^^°""^^'''°  Pomponio  Attico.  Questi  (osserva  Cornelio  Nipote) 
amava  coloro  solamente  che  dai  costumi  suoi ,  e  dalle 
sue  maniere  non  discordassero  :  e  c]uesti  accolse  Agrippa 
ancor  giovane.  Ad  Agrippa  accordò  in  isposa  Attica  sua 
figliuola  carissima  ancor  giovanetta ,  Agrippa  costituì 
crede  perciò  de'  suoi  poderi ,  e  la  famiglia  d'  Attico  in 
quella  d' Agrippa  passò,  ond'è  che  uno  de'lil)erti  d'At- 
tico fu  per  avventura  quel  Pomponio  Vittore  che  abljiam 
veduto  ne'  Genfroni  esser  procuratore  delle  possessioni 
Vili.  Nap.  Sa   di  Cajo,  c  di  Lucio.  Aarippa  unitamente  a  Lucio  Peduceo 

•rario  G.-niil,s-  '  D      rr 

eo,Leii«avn.    volle  Atlico  presenti  negli  ultimi  istanti  del  viver  suo, 


DI    GIUSEPPE   FRANCHI-PONT.    GAP.    IV,  479 

e  dobbiamo  supporre  che  in  casa  d"  Attico ,  tra  quelle 
erudite  adunanze  che  appo  lui  si  tenevano,  dove  il  Ge- 
nerale ,  e  'l  Magistrato  ,  il  Filosofo ,  il  Poeta  ,  1'  Oratore 
familiarmente  s'intrattenevano,  abbia  sviluppato,  e  per- 
fezionato Agrippa  quel  gusto  per  le  beli'  ai-ti  che  io 
distinse  sopra  ogn' altro  Romano.  Vedovo  d'Attica  non 
avrebbe  Agrippa  forse  sposata  prima  la  nipote,  quindi, 
ripudiata  questa,  la  jBgUa  stessa  d'Augusto  per  volere 
di  lui,  se  non  avesse  mostrato  un  ingegno  colto  dell'arti 
ingenue  in  una  corte  dove  tutto  spirava  eleganza ,  col- 
tura, erudizione,  di  che  le  donne  medesime  si  davano 
vanto.  Non  soltanto  mercè  i  bassi-riUevi  più  appariscenti 
veniamo  in  chiaro  che  ad  Agrippa  apparteneva  la  istoriata 
lorica  di  cui  parlasi ,  ma  tal  cosa  ci  confermò  lo  Scul- 
tore mercè  i  più  piccoli  ornati  accessorj.  La  Gorgone, 
che  sta  fitta  in  mezzo  al  petto  indica  quanto  Agrippa 
sia  stato  pronto ,  e  terribile  nel  domare  i  nemici  di 
Roma  Galli ,  Germani ,  Gantabri ,  ed  altri  molti  in  Eu- 
ropa, ed  in  Asia.  Le  Città  prese,  battute,  rovinate  da 
lui  vengono  significate  da  quelle  testine  d'ariete  di  pro- 
filo scolpite  nella  fascia  della  lorica  indicanti  la  macchina 
formidabile  scuotilrice  delle  mura  ,  la  cui  estremità  ter- 
minava in  una  punta  di  ferro ,  o  di  bronzo  i-affigurata 
come  una  testa  d'  ariete.  Finalmente  si  vuole  avvertire 
che  non  senza  ragione  con  una  piccola  clamidetta  dis- 
tinse lo  Scultore  de' Torsi  Secusini  il  Torso  che  appar- 
teneva alla  statua  d' A  grippa.  Egli  così  indicò  la  savia, 
e  modesta  condotta   del  suo  Eroe  ,    che  non  volle  mai 


4^0  de' TORSI    SEGUSINI 

godere  dogli  onori  del  trionfo.  Qualora  clilamafo  solle- 
citamente   dalle  Gallie  ,    gli  fu  decretato  lo  ricusò ,  sti- 
mando   turpe  il  trionfare    mentr'  ciano  male    andate  le 
SiU  in  Aug.  p^^g    d'Augusto:    ma  accorse    in  Italia,    miseiin  buOii 
ordine  l'armata  navale  de' Triumviri ,  riparò  i  danni  "che 
ca^^vu'."'"'  l'ecati  avea  la  flotta  di  Sesto  Pompeo,  e  non  lungi  dalle 
alture    di  Messina  mise   in  fuga  quel  Romano  infelice  , 
Appiin.deBd  mostraudosi  atto  così  del  pad  all'imprese  di   mare  che 

lo     ClTll.    IlO.    T.  il 

a  quelle  di  terra.  Contentossi  allor  poi  d'  una  corona 
Livi» lib. cxxix.  navale  donatagli  da  Augusto,  distinzione  certo  lusinghiera, 
perchè  fu  egli  il  primo  ad  ottenerla.  Rifiutò  Agrippa  pa- 
lamenti il  trionfo,  quando,  rimaso  Augusto  Signor  dell'Im- 
perio ,  gli  fu  decretato  e  da  Cesai-e  e  dal  Senato ,  in  se- 
guito alle  vittorie  riportatesi  da  lui  in  Oriente ,  od  a 
quelle  che  ottenne  contro  i  Cantabri.  Dietro  l'esempio 
d' Agrippa  la  si  antica  costumanza  di  trionfare  andò  in 
disuso  presso^  i  Generali ,  e  fu  riserbata  ai  soli  Impe- 
ratori,  così  le  vinte  nazioni  a  lui  dovettero  il  veder 
diminuita  assai  uria  pompa  tumultuosa  e  feroce,  che  tanto 
■oltraggiava  l'umanità.  Sì  genei'osa  moderazione,  sì  nobile 
verecondia  di  M.  Vipsanio  Agrippa  mostra ,  che  era  egli 
uomo,' 'il  quale  non  abbisognava  della  nobiltà  degli  Avi 
per  aipcrescere  splendore  al  suo  nome,  checché  dica 
Aonaci  Sene-  Seneca  della  oscura  origine  della  gente  Vipsania;  e  che 

cac    conlroviTS.  "  . 

lib.  ir.  couiro-  all' indole  elevala  di  lui  ben  si  conviene  il  carattere  che 

Tcrs.  IV. 

gli  venne   attribuito   con  pochi    tratti  del  suo   energico 

Veli.   Pater,  pennello  da  Vellejo"  Patercolo  «    M.  Agrippa  virtutis 

»   nobilissima?,  labore,  vigilia,  periculo  invictus,  parendi, 


PI    CirSEPPE    FRANCHI-PONT.    GAP.    V.  48 1 

»  sed  lini  scientissimus,  aliis  sane  iinperandi  cupidus  , 
»  et  pei-  omnia  extra  dilationcs  posilus ,  cousultisquef 
»  facta  conjuugens.  »  Per  recar  ad  evidenza  la  nostra 
congettura,  che  uno  de'Torsi  Secusini,  quello  cioè  della 
Fallacie,  ralligui-i  Agrippa  converrebbe,  che  si  facessero 
escavazioni  intorno  al  sito  dell'arco,  e  che  venisse  kaori 
la  testa  di  quell" illustre  Romano  rassomigliante  alle  note 
teste  di  lui,  quali  appajono  ne' marmi,  e  nelle  medaglie. 

CAPO    V. 

»S/  cerca  qual  personaggio  verosimilmente  J'osse  effigiato 
nella  statua,  a  cui  spetta  i altro    Torso  Secusino. 

Ora  è  da  cercarsi  ornai  qual  personaggio  rappresen- 
tasse il  simulacro  cui  spetta  l'altro  Torso  Secusizio,  che 
sopra  la  lorica  mostra  scolpita  la  quadriga,  ossia  il  carro 
del  Sole.  Penso  adunque  di  poter  congetturare  che  quel 
Torso,  fosse  pai'te  della  statua  o  di  M.  Giulio  Cozio 
figliuolo  di  Giulio  Donno,  o  di  Giulio  Donno  medesimo. 
Marco  Cozio  avea  eretto^ T  Arco ,  comandava  sotto  cjuul 
si  voglia  titolo  a  quelle  l'egioni  che  son  mentovale  nella 
iscrizione,  teneva  la  sede  sua  in  cjuella  Città  medesima 
eh'  egli  decorò  d' un  monumc'nto  insigne  cotanto.  Non 
sarebbe  stato  sconveniente  perciò ,  che  l'immagine  di 
lui  si  mostrasse  allato  all'immagine  del  suo  benefattore, 
di  cui  ili  a)ulo  nel  domare  pai'ecchi  popoli  Alpini,  e 
nel  riclùuuxar  al  dovere   alcuni  paesi  delle  Gallie  libel- 

Gi 


i^8a  de"  torsi  seccsiki 

lulisi ,  e  più  a  suoi  paterni  stati    viciui.  Con  tal  mezzo 
perpetuava  Cozio  la  memoria  della  buona  armonia  che 
passava  tra  lui  ed  i  Romani  ,    ed  accresceva  ne'  popoli 
soggetti  riverenza  maggiore  verso  la  sua  persona.  Imitato 
egli  avrebbe  cosi  tutti  coloro  che  innalzavano  un  illustre 
edificio:  ed  avrebbe  inoltre  seguito  l'esempio  d' Agripnia 
lib  un.pag'^ìi"  s^io  Patrono  ,  che  nell'  atrio   del  Panteon  pose  la  statua 
maro.    '     "    d'  Augusto  a  fronte  della  sua  propria ,  mentre  il  simu- 
lacro di  Giulio  Cesare  collocò  dentro  il  tempio.  A  ren- 
dere di  qualche  peso  questa  opinione  tornano  qui  pure 
in  ajuto    le  sculture    ond'  è    fregiata   la  lorica    di  questo 
secondo  Torso,  nel  condurre  le  quali  s'attenne  l'artista 
a  quella  regola  istessa  che  seguitò  ne'bassi-rihevi,  di  cui 
ornò  la  lorica  spettante  alla   statua  d'Agrippa.   Si  è   di- 
mostrato essere  l'Auriga,  che    guida  il  cocchio  a  quattro 
cavalli,  il  vago,   l'intonso,    il  sempre  giovane  Apollo: 
ed  ApolUne  era  appunto  il  Nume  tutelare  della  famigha 
di  Donno    e  di  Cozio.  Tanto    s' impara    dalla    seguente 
iscrizione    di  cui  abbiam  parlato   più    sopra    rapportata 
Ani.cb5.1!n.'3o!  dal  DoNi,  dagli  Illustratori  de' marmi  Torinesi,  e  citata 
Marmor. Taur.  dal  DuRANDi ,  ed  anclie  dall'Abate  Gaetano  Marini  nell'in- 

parl,  I,  pag.  iSi. 

signe  sua  opera  dei  Monumenti  dei  Fralri  Aitali. 

T?r"l^'«;  APOLLINI  •  G  •  JUL  •  DONNI  •  L  • 

pag.  7«.        '  ERASTVS  •  ET  •  JULIA  •  DONNI  • 

CYPRIS- 
V  •  S  •  L  •  M  • 


DI    GIUSEPPE    FRANCm-PONT.    GAP.    V.  /^S3 

Erasto  e  Giulia  liberti  di  Donno  non  avrebbero  sciolto 
un  voto  ad  altra  Divinità  che  a  quella  del  loro  Signore. 
Anzi  indotti  dalla  sopra  esposta  iscrizione,  i  lodati  Illu- 
stratori de'  marmi  Torinesi  comentando  una  lapide  vo- 
tiva posta  al  genio  del  Secusino  Municipio  da  un  certo 
Giulio  Marcellino  vissuto  a' tempi  di  Gallieno,  sospet- j^i'^""  Jg"'^; 
tano  che  Apolline  fosse  il  Genio  di  tutte  1'  Alpi  Cozie. 
Egli  appare  nel  nostro  monumento  sotto  la  figura  d'un 
Auriga  per  alludere  alle  comode  e  spaziose  strade,  che 
a  traverso    dell'Alpi  si  apersero  da  Gozio ,    com' anche     AinoiiaD.  Mar- 

i  1  celi.  llb.  I3,cap. 

per  indicare  che  s'erano  svelate  a' raggi  del  Sole  le  più  ^ 
riposte    caverne ,    e  che  il   di  lui    sguardo   tutto    vede , 
illumina  e  penetra ,    come  ossei-vò    Magrobio.    Si  vestì 

„•..,.  .  1-1  !•  1II11-  MacTub,  Salu^ 

f  Auriga  in  abito  quasi  muliebre,  e  poco  diverso  dall  abito  nui.  lu».  i  ,c»p. 

XX. 

che  venne  attribuito  all' Apolline  Aziaco,  perchè  Cozio, 
a  fme  di  compiacere  ad  Augusto  con  un  tratto  d'  adu- 
lazione, avrà  voluto  per  avventura  mostrare,  clie  adorava 
gli  Dei  sotto  quelle  sembianze  medesime,  le  quali  più 
andavano  a  genio  dell'Imperatole,  che  di  Apolline,  si 
mostrò  sì  devoto    che    giunse   a  voler  farsi    credere  fi- 

T         1  T  -NT  •  •  !•       Sul.  in  AiijusL 

ghuolo  di  quel  Nume  in  una  certa  cena  nmproveratagh  »•  7°- 

a  buon  diritto  da  M.  Antonio.  Del  resto  Omero,  Stra- 

EONE ,    ed    Erodoto    presso   il   Visconti   parlano    degli    Mii<eo  pio-ae- 

unni      lom.     IT, 

abiti  e  delle   acconciature    quasi  femminili    comuni  agli  F-g  ^-■ 
uomini  presso  alcune  Greche  popolazioni  de'  tempi  più 
remoti;    e  l'erudito    comentator    di  ^'^ircilio  ,    Servio, 
e'  insegna,    che   non  solamente  parecchie  statue  antiche 
mostravano    f  acconciatura  medesima    de'  capelli    iu  cu- 


iji^'i  de'  torsi    SECl'SINI 

tiambi  i  sessi ,  ma  che  tal  costume  antico  si  conservava 
tuttora  nelle  maschere  traj^iche  per  ciò  che:  apparteneva 
all'  ornato  del  capo.  * 

Tra  i  simboli  moltiplici  che  adoperò  la  superstizione 
pagana  per  esprimere  la  Divinità  dei  Sole  ;  **  il  nostro 


*  Antiquo  more  viri,  sicut  mulieres  ,  compoiiobanl  capillos  ,  quod  verum 
esse,  et  slalu:e  uonnulloe  aiitiquurum  doceiit  ,  et  pcrsonje  ,  quie  in  traguediis 
videmus  simllcs  in  nlroque  spxu  quantum  ad  onialuin  pèrlinèl  capitis'.  (  Serv. 
al  verso  di  Virg.  632,  ^neid.  lib.   io.  )   Sanf^uine  turpanlem  comtos  de  more 

'  l'i!)     ■  )  ;:    ^3tlì  i    .      1 

**  Il  Visconti   (  Mus.  Pio  -  Clemeni.  Tom.  IV.  pag.  9  )    parlando  di  urf 

Marie  scolpito   Sul  basamento    d'un    candelabro,   osserva,    che    il   cirai'pro 
dell'elmo  n  k  sostenuto  da  un  grifone,  animale,    eh' ei    dice    guerriero    se- 
condo le  antiche  favole,  uso  a  combattere  cogli  Ariniaspi  popoli  della  Sci- 
zia,  paese  assegnato   a  Marte  dalla  Mitologia  ;  e  soggiunge  ,   che  celebre  fu 
presso  gli   antichi  Greci  il   poema    di    Aristea    Prucoriesio    sulla    guerra   dei 
Grifoni,  cogli  Arimaspi ,  che  fu    quindi   soggetto  di  tanti  monumenti  Greco- 
Italici,   ed   Etruschi.  Altrove  poi  (  Tom.  IV,  pag.  25.  )    descrivendo   un 
basso-rilievo ,  in  cui  è  effigiato    Apollinc  ,     nota  ,     che     il    grifone  ,     su  cui 
Apollo  si   sostiene,  è    conosciuto   come   a   lui    sacro,    e    che    molte    rela- 
zioni  per  ispiegarne   iHmotivo  sono  state   allogate    eruditamente    dal  Buo- 
narroti  (.Ossen'az.  sopra  i  Medaf^ìioni ,  rap.  VII,  12,  .pag-  08,  eseguenti). 
Aggiunge  poi  il  Visconti,    che  non   sa  appagarsi    della    rela/,ione  ,  che  si 
Vuol  dare  a' Grifoni  col   Sole,  come   animali    orientali  ,  e  custodi  dell'oro, 
attesoché,  die' egli  ,  il  precitato   Aristea  Phoconfsio    Poeta  antichissimo  . 
ed  Erodoto  il  primo  isterico,  ci   parlano    dei  Grifoni  come    di   fiere  iper- 
boree ,  o  settentrionali.   Vero  è  ,  che  sembra  ,  che  il  valente  Illustratore  del 
museo    Pio  dementino    non   fosse   più  così    fisso   nelle    idee   sue   intorno   a 
questo    animale   mostruoso,  adoperalo  come  simbolo  quando,  ott' anni  dopo, 
cioè  nel    1786,  pubblicò  il  Tom.  V  del  suceennato  Museo,  perciocché  non 
mostra  più  tanta  ripugnanza  all'  opinione  del  precitato  Buonarroti,  dicendo 
che  altri  riferiscono  i   Grifoni  a  Bacco,  preso    come  simbolo   del   Sole,  al 
quale  pianeta   vogliono   sacre    quelle    fiere  chimeriche,    citando    di   nuovo 


n    CIVSEPPE    FRAKCni-PONT.    CAP.    r.  4^.j 

m lista  scolse  i  {grifoni,  i  quali  si  finsero  abitare  le  più 

cupe    halze  de' monti,    ed  avere  in  guardia   le  miniere 

dell'oro,  metallo  sacro  ad  Apolline,  oltre  le  ragioni  più 

sopra  addotte,  fors'  anco  perchè  il  colore  dell'oro  s<miiglia  joco' cimo""  ' 

a' raggi    del  Sole:    e  montuoso    appunto    era    pressoché 

lutto    il  regno  di  Cozio  ,  e  non  isprovvedutc  di  ricche 

mlniop    erano  le  Alpi  a  quello  vicine.  Strabone  parla 

delle    miniere    d'oro  che    possedevano  i  Salassi    popoli     sirab.  lit.  i». 

non    molto  dalle  Alpi  Cozie  distanti,    del  profitto    che 

ne  traevano,  e  della  facilità  che  ad  essi  prestava,  perche 

lo  purgassero  il  fiume  Dora.  Plinio  rammenta  certe  cave 

di  pregiato  rame    ne'  confini    de'  Centroni  possedute  da 

Crispo  Sallustio,    nipote  di  Sallustio  lo  storico,   amico     pim.H;?!. uà- 

d'Augusto,   cjuando  vecchio  si  lasciava  in  tutto  guidare  cap.  i. 

da  Livia,  uomo  di  cattivo  carattere,  e  che  forse  quelle 

miniere  ottenne  come  prezzo  de' suoi  tradimenti  per  gli 

intrighi  di  Livia,  nienlie  esse  forse  già  spettavano  afi- 


1'  opera  de'  Mp(]c-i{;lioni  di  esso  Buonabboti.  (  l'iscon.  Tom.  V  àel  Museo 
l'io-Clement.  pafi.  17  ,  19,  20  ).  Ad  ogni  modo  il  VISCONTI  medesimo 
considera  il  giiroiie  come  simbolo  di  Apollo  Delfico  per  denotare  il  culto 
di  quel  Niitne  ,  eh'  ei  dimosira  essersi  propngnlo  da  uomini  iperborei  ,  i 
cui  climi  credeasi  abitare  il  Grifo.  Il  PiCNORiA  nelle  doUe  annotazioni 
sue  all'  Opera  d(  He  immagini  degli  Dei  del  Cartari  (  pag.  299.  l'enetia 
'7"9  )  asserisce  d'aver  veduta  una  corniola  antica,  in  cui  era  (flìgiato 
Apolline  vestito  di  lungo  con  la  faretra  al  fianco  in  abito  di  Apolline 
Azio  nel  resto ,  che  sia  innanzi  ad  un'  arnia ,  od  altarcllo ,  sopra  '1 
quale  si  vede  un  grifone.  Da  questa  testimonianza  del  Pienoni.^  si  ri- 
cava una  prova  di  più.  che  il  grifone  si  diede  non  pure  ad  Apolline, 
m^^recisamenle   ad   Apolline  Azio. 


48G  de'  torsi  secusini 

glluoli  d'Agrippa  Cajo,  e  Lucio ,  come  avverti  con  fon- 
Sacrar.  Genti-  ^^{jj  consreltura  il  chiarissimo  Sia;/  Gian  Francesco  Na- 

lesco  leil.  VII.  o  o 

PiOKE.  E  si  potrebbero  da  noi  rintracciare  eziandio  nel 
j'came  di  Gozio,  se  non  d'oro,  parecchie  miniere  d'altri 
metalli,  quando  per  analogia  si  fingessero  i  griffi  custodi 
d'ogni  specie  di  miniere.  Anzi  l'essersi  ritrovato  in  Susa 
un  basso  -  rilievo ,  che  parimenti  lascia  vedere  scolpito 
un  grifone,  dimostra  che  questo  simbolo  era  frequente 
presso  i  Secusini ,  e  speciale  per  avventura  alla  famiglia 
di  Gozio.  A' grifoni  indicanti  le  lùcchezze,  che  nelle  viscere 
loro  chiudevano  l'Alpi,  offrono  una  coppa  due  vecchi 
alluso  Gallico  vestiti.  Un  tal  vestimento  non  dèe  recar 
punto  meraviglia  a  chi  sa,  che  il  regno  di  Gozio,  ed  i 
Mela  Je  siu  pacsi  chc  ad  csso  lui  furono  sottomessi  da  Augusto  s'es- 

Orbislib.H,car.    ^  ^ 

"■■  tendevano    assai  oltre    l' Alpi ,  e  verso    quella    parte    di 

Celiar. cap. II.  Galfia    più    viciua  all'Alpi,    ed  all'Italia    che    si    diceva 

(leproTÌDcitsRo*     --,  ,    ,  .  •       •      t  TVT        l  TVT     1  x 

man.  Bracala  ,  ed  m  seguito  poi  si  disse  JNarbonese.  IMel  nostro 

Torso  pare  che  venga  espressa  una  libazione  al  genio 
della  sovrascolpita  Divinità  ,  e  tal  libazione  si  potreb- 
be supporre  offerta  per  la  salute  di  Augusto,  e  per  la 
prosperità  di  Gozio ,  e  de'  popoli  suoi.  Anzi  leggendosi 
in  Gesare,  che  in  tutte  cpante  le  GalUe  somma  autorità 
aveano  i  Druidi,  che  costoro  adoravano,  dopo  Mercurio 
loro  Nume  principale.  Apolline,  non  crederei  di  errare 
pensando  che  sulla  nostra  lorica  si  fossero  indicati  due 
Druidi,  presso  cui  stava  la  cura  della  religione,  dei  sa- 
grificj  ,  delle  pubbliche ,  e  particolari  preghiere. 

A  far  nascere  in  me  una  opinion  così  fatta  concorsero 


DI    GIUSEPPE    FRAKCHI-PONT.    GAP.    V.  4^7 

il  grave  coutegno,  la  ]jarJ)a  prolissa,  le  chiome  ondcg- 
giauli,  e  sparse  per  gli  omeri,  che  dieclei-o  gli  aiilichi 
scrittori  a  que' Sacerdoti  autorevoli,  e  che  1' artista  dei 
Torsi  Secusiui  diede  alle  figure,  di  cui  parliamo.  Plinio  piì».  nu.  xti, 
c'insegna  che  i  Druidi  vestivano  lunga,  e  candida  \cste; 
Straboke  vuole  che  l'abito  loro  l'osse  tinto  a  colori,  e  strab.  lib.  ir. 
sin  ricamato  d'oro,  e  che  d  oro  portassero  collane,  e 
smaniglio  in  segno  di  dignità,  ed  appunto  lunga  veste 
dop|)ianiente  succinta  mostrano  i  nostri  due  vecchi,  la 
quale  veste,  o  tunica  lascia  vedere  al  dissotto  le  Anas- 
saridi,  quasi  abbia  voluto  l'artista  togliere  ogni  dubbio, 
e  mostrare  che  le  figure  sue  esprimevano  due  Galli 
Druidi.  Oltre  ciò  non  s'ignora  che  l'abito  loro  era  di- 
verso, e  secondo  il  grado  che  teneano  nel  Druidismo, 
e  secondo  le  provincie  della  Gallia,  in  cui  dimoravano. 
Essi  porgono  libazione  al  genio  d'  Apolline  simboleggiato 
ne'  grifoni ,  che  stavano  negli  antri  più  cupi  e  solitarj  ; 
e  tra  gli  spechi,  e  tra  le  più  recondite  balze  usavano 
i  Druidi  fai-e  i  loro  sagrificj  ,  e  tenere  i  loro  congressi 
all'  ombra  oscura  delle  quercie  annose ,  e  delle  roveri 
altissime,  ed  ivi  iniziare  i  giovani  nelle  scienze  religiose     mpI»  lib.  iti, 

cap.  II.  de  iii» 

e  politiche,  ond' è  che  di  loro  scrisse  Lucano:  otbii. 


Nemora  alla  reniods 

Lncan.  Pbarf. 

Incolitis  lucis  ....  ••*•"• 


Quando  prestar  si  voglia  fede  a  Strabone,  i  Druidi,  che 
compaiono    sopia  la  nostra    lorica    stati    sarebbero    nel 


488  de'  torsi  segusini 

novero  fli  quelli,  elie  i  sagrifìei  oflerivano,  e  ehe  si  ap- 
pellavano Vali:  mende  Bardi  eran  quegli  altri  ehe  com- 
ponevano gli  inni ,  e  Druidi  propriamente  coloro  tra 
essi  soltanto,  che  attendevano  allo  studio  delle  Scienze 
naturali,  e  che  insegnavano  le  morali  discipline.  Il  vedere 
nel  nostro  basso-rihevo  im  Apolline  alla  Romana  foggia 
scolpito ,  adorato  poi  da  due  Druidi ,  ci  la  conoscere 
egualmente  il  culto  ,  dirò  così ,  Gallo-Latino  dun  Re  qual 
era  Cozio  di  Gallica  ,  o  d'  Allobroga  origine  •  ,  ma  dei 
Romani  alleato ,  ed  il  passaggio  che  segui  dall'  antica 
superstizione  de'Djuidi  a  quella  de' Romani.  È  nolo  che 
le  conquiste  di  costoro,  il  cullo  vetusto  de' popoli  con- 
quistati cambiarono;  che  vestirono  Romano  aspetto  le 
reliquie  che  ne  rimaneano,  e  che  ne  esci  in  seguito  una 
terza  specie  di  culto,  il  qual  appellar  si  jjotrebbe  Romano- 
Barbaro  ,  di  cui  per  render  ragione  studiarono  poi  gli 
allegoristi  mitologi  di  trovar  per  ogni  dove  sotto  nomi 
diversi  il  culto  medesimo.  Tale  cambiamento  di  culto 
^essere  accaduto  nelle  GalLie  riguardo  al  Druidismo  si 
rileva  dal  leggersi  in  Lucano  che  nell'età  di  Giulio  Cesare 
i  Druidi  erano  in  i^rande  autorità  nella  Gallia  meridio- 
nale presso  Marsiglia;  avendo  essi  avuto  un  celebre  luco, 

0  sacro  bosco  molto    graficamente    dal  poeta  descritto. 

;  &WaiTiSitab   Quindi  da  Strabone,  e  da  Mela  si  raccoglie  che  il  Drui- 
dismo erasi  insensibilmenle  annidato  nella  Gallia  Celtica. 

1  *  In  filili  il  Mafff.i  (.  Mtiseum  l't-nm.  p.  ccwxir.  )  sospetta,  elle  il 
Jioslro  Cozio.  fosse  della  stessa  prosapia  di  quel  Colo  di  iiiilichissirna  l'a- 
in'Mia,  rfpuiatb'^'kssai' tra  gli'Edùi  ;  del  qual  Colo  paxla  Cesare  nel  libro 
VII  de  Bello  Gallico. 


DI    GIUSEPPE    FRANCni-PONT.    CAP.    r.  4^3 

Plinio  asserisce  che  Tiberio  ne  abolì  l'ultime  vesligia, 
e  narra  Svetonio  la  medesima  cosa  di  Claudio.  Nella 
Britannia  per  altro  durò  il  Druidismo  più  lungamente, 
e  ne  vennero  tolti  del  tutto  gli  avanzi  colla  luce  del  Van- 
gelo. Ma  nell'  età  d'  Augusto  o  fosse  tuttavia  in  vigore 
il  Druidismo  in  quelle  regioni  delle  Gallie,  che  obbedi- 
vano a  Cozio ,  o  più  noi  fosse ,  certo  è  che  l' artefice 
nosti-o  per  significare ,  che  domate  avea  Cozio  alcune 
Galliche  nazioni,  non  potea  meglio  simboleggiarle,  che 
nella  figura  di  due  Druidi  in  atto  di  libare  al  Nume 
di  quél  Re,  mentre  i  Druidi  si  tenevano  sempre  come 
il  più  antico,  il  più  illustre,  il  più  nolo  ordine  di  per- 
sone   che   fossevi    nella    Gallia  *  .    Il  modo    con    cui    lo 

*  A  confermare  quanto  si  è  dello  sppltnnle  ai  due  vccchj  all'usu  Gal- 
lico vestili  ,  torna  iu  acconcio  una  statua  Imperiale  loricata  ,  che  si  suppone 
diTrajano,  esposta  dal  Viscontì  nella  tav.  Ili  de' suoi  Monumenti  Gabini 
della  Villa  Pinciana,  pag.  32.  In  essa  scolpite  sopra  il  torace  si  vepRono  due 
yiltorie ,  che  stanno  adornando  d' inimiche  spoglie  uu  trofeo;  e  sì  le  armi, 
che  le  vesti  de'  prigioni  sembran  quelle  de'  Germaui.  Sul  petto  in  vece  della 
lesta  di  Medusa  è  la  maschera  di  un  Tritone  tutta  squamosa  per  indicare 
colui,  che  primo  ed  ultimo  de' Romani  Imperadori  fece  solrare  dalle  Ro- 
mane flotte  il  Mar  Rosso  ,  e  l' Oceano  Orientale  {Eutrop.  lib.  l'Il.Rufo  Fesln 
Eresiar.)  Similmente  nella  precitala  opera  de"  Monumeuli  Gabini  alla  tav.  XIX, 
pag.  74 ,  vedesi  la  statua  di  M.  Aurelio  pariuipute  loricata  ,  ed  i  bassi-rilievi 
mostrano  spoglie  ,  e  prigioni  Germani ,  come  Emblemi  assai  proprj  per  un'  im- 
magine del  vincitore  de' Marcomanni  ;  dal  che  si  può  inferire  essere  sempre 
stato  costume  degli  Artisti  nell'  ornar  loriche  di  bassi-rilievi  il  porre  tali  or- 
namenti, che  vieppiù  convenissero  ad  imlicare  le  persone,  che  si  voleanO 
cfEgiare  ,  e  non  esser  forse  lungi  dal  vero  il  credere,  che  i  due  vecchj ,  che 
si  mirano  sopra  la  nostra  lorica,  debliaiio  per  le  addotte  ragioni  ravvisarsi 
per  due  Galli,  anzi  due  Druidi.  V.  pure  Mnsen  fio-CIrmrnt.  lom.  II ,paf;.^S  , 
ed  ivi  BuoSARROTi  Ostervacioni  sui  Mnìanlìoni  ce,  in  Gordiano  Pio,  num.  5. 

62 


4fjO  de'  torsi    SEGi;SINI 

Scultore  ha  disposta  la  clamide ,    che  serba   un   non  so 
die  di  mezzo  tra   il  manto  rogale  e  1  paludamento  Ro- 
mano   sopra    questo  Torso  che   p<;usiamo    spettasse   alla 
statua   di  Cozio,   giova  ad  indicaj-e  vie  più  il   carattere 
d' un   Principe   e    d'  un    Magistrato  ,    espresso    anche    in 
tutto  il  contegno,  e  nella  mossa  comunicata  alla  statua. 
Cosi  nella  lascia  della   lorica  di  questo   Torso ,   come  ia 
quella  dell'  altro,  che  s' è  supposto  dell'  immagine  d' Agrip- 
pa,   negli   ornati  anche  menomi   lo  Scultore   pos^.q^al: 
che  cosa  di  caratteristico.  Tali  sono  certi  piccoli  tesclù 
d'orsi,    di   capre   montane,  e  d'altri  siffatti   animali,  di 
che    abbondano   le   Alpi    che   furono    a  Cozio    soggette. 
.    Tjiluno   a  mente    richiamandosi  le  idee  superbe  ,  che 
nudrivano  i  Romani ,    non   crederà    agevolmente  ,    che 
la  statua  di  Cozio  stesse  sovra  un  Arco  al  nome  d'  Au- 
gusto innalzato  ,    ed  allato    a  quella    d  un    Romano    si 
grande  ,  qual  era  Agrippa.  Come  non  avrebbe  temuto 
Cozio  d'  offendere  una  Nazione  ,   che  tanto  vantava    li- 
bertà ,    che   supponeva    non  esservi    servitù    fuori    del 
Regio  Governo  ? .  .  .    Ben    egli  Cozio  sapeva    essere    il 
Popolo  Ptomano  avvezzo  a  contemplare  i  Regnanti  effi- 
giati in  atto  di  vinti  ,  e  di  prigionieri  , 

....  rnanibus  posi  terga  revìnctis , 

per  esprimermi  con  frase  Virgiliana  ?  Dovea  quindi  te- 
mere d'  incontrar  f  indignazione  di  quel  Popolo  orgo- 
glioso. Ma  primieramente  giova    notare ,    che    più    già 


DI    GIUSEPPE    FKANCHI-POKT.    GAP.    V.  ^ijl 

non  erano  quo"  tom])i  ,  qiianilo  non  saprei  dii-e,  se  più 
rozzi,  o  feroci,  o  lanafici  i  Romani  tenevano  i  lie, 
come  faceva  il  veccliio  Gatoue  ,  in  eouto  di  iieie  tlivo-  im-ji.ansono. 
ratrici  da  essi  cliianiate  Tiranni.  Neil  età  d'  Augusto 
cessalo  era  un  odio  si  strano.  Il  lusso  aveva  ammollili 
que'  cori ,  le  Greche  discipline  aveano  ammansati  (juegli 
ingegni  gi;\  accostumati  ad  una  condiscendente  urba- 
nità. Pei  due  quasi  consecutivi  Triumvirati  ,  pella  do- 
minazione di  Cesare  ,  e  più  ancora  per  quella  d' Au- 
gusto erasi  abbacinato  in  gran  parte  l'entusiasmo  Re- 
pubblicano, che  divenne  delitto  di  stato,  e  andò  a 
smarrirsi  del  tutto  sotto  il  dominio  veramente  tiran- 
nico di  Tiberio.  Si  potrebbero  produrre  medaglie  di 
qucst'  età  con  teste  di  Regnanti  aggiogate,  come  suol 
dirsi  con  frase  numismatica  ,  colle  teste  di  Cesari  in 
segno  d'  amicizia  ,  e  d'  alleanza  ,  e  gli  Avi  Re  ,  come  i.,i',u,.  l"^^, 
un  pregio  di  Mecenate  vanta  Orazio  in  fronte  delle 
Odi  sue  immortali.  INIa  concedasi  pure  ,  che  in  Monu- 
menti marmorei  non  si  veggano  statue  di  Regnanti 
al  paro  delle  statue  de'  cittadini  Romani  ,  risponderò  , 
che  appunto  per  evitare  questa  novità  il  nostro  avve- 
duto Cozio  non  Re  ,  ma  Prefetto  si  chiamò  delle  Città 
nominate  nelf  iscrizione  dell"  Arco  Secusino  ,  le  quali 
non   C^ittà  ,    ma  secondo   1  ARX)riNO  si   vogliono    inten-  aa  piin.  lib.  m. 

,  ...  3-         -11  •       T  •  «ap.xxvin.«ai. 

dorè    per    popolazioni  composte  di  villaggi    dispersi  per 
le    campagne.    Né  punto    con    altro  titolo  potea    Cozio  iiì'',^^;,.^!"" 
nomarsi  :    imperciocché    chi    era  ascritto    alla    Romana    '  "°"'  '" 
Cittacliuanza  ,  anzi  pur   Magistrato  Romano  ,  dovea  per 


49»  de'  torsi  SECU61NI 

onore  professare  un  tal  grado  a  preferenza  di  qualun- 
que altro.  La  ricompensa  o( tenutasi  da  Cozio  d'essere 
stato  crealo  Prefetto  da  Angusto  ,  suppone  un  merito, 
il  quale  Cozio  non  poteva  altrimenti  acquistare  ,  se  non 
se  ajutando  i  Romani  a  domare  i  Popoli  Alpini ,  che 
confinavano  cogli  Stati  suoi;  tanto  più  che  essendo 
egli  figliuolo  d'  un  Principe  ,  che  già  aveva  occupati 
gradi  eminenti  nella  Romana  milizia ,  e'  è  lecito  il  cre- 
dere, che  da' più  giovani  anni  avesse  anche  egli  mili- 
tato negli  eserciti  Romani.  Dicasi  adunque ,  che  essen- 
dosi mantenuto  Cozio  fedele  ai  Romani ,  di  lui  come 
d' un  amico  sperimentato  si  giovò  Agrippa  affin  di  con- 
tenere alcuni  Popoli  posti  al  confine  dell'  Alpi  Cozie  , 
e  che  ottenne  Cozio  da  Augusto  ,  mercè  la  protezione 
d'  Agrippa  a  titolo  di  Prefettui-a  cfuelle  regioni ,  che 
egli  avea  domate.  Non  si  dee  credere  peraltro ,  che 
abhia  Cozio  ottenuta  una  tale  Prefettura  tosto  ch'egli 
terminò  di  guerreggiare  in  favor  de'  Romani  contro  i 
Popoli  a  lui  vicini.  Augusto  non  ebbe  facoltà  dal  Se- 
nato di  disporre  Uberamente  delle  Provincie  ,  se  non 
quando  fu  solo  rimaso  al  Governo  del  Romano  Im- 
pero ;  noi  perciò  crediamo  ,  che  la  Prefettura  di  Cozio 
abbia  cominciato  verso  l'anno  di  Roma  ySS  ,  od  in 
quel  torno  di  tempo  in  seguito  all'  ultima  sjjedizione 
d'  Agrippa  nelle  Galhe  per  gir  contro  i  Cautabri  ,  e 
quando  pienamente  già  s'  erano  domate  tutte  le  A\pì. 
Non  andava  forse  a  genio  d'  Augusto  1'  avere  in  mezzo 
alle  Romane  Provincie  ,  ed  ai  confini  dell'  Italia   tutta- 


t)I    ClUSEPPE    FRANCHI-PONt;    CAP.    V.  ^(^3 

via  un  Kcgolo  ;  ma  Augusto  ,  il  quale  pacifico  Signor 
dell'  Impero  seppe  essere  riconosceute  per  politica , 
quanto  stato  era  crudele  Triumvii-o  per  ambizione , 
bramando  di  ricompensare  Cozio,  prese  il  destro  partito 
di  crearlo  Prefetto,  lasciandogli  per  taL  mezzo  .intero 
il  paterno  reame ,  ed  accrescendogli  sotto  altro  titolo 
estcnsion  di   dominio. 

Ma  come  mai  in  un  arco  in  onore  di  Augusto  in- 
nalzato da  Cozio  Prefetto ,  e  dalle  Città ,  che  for- 
mavano la  Prefettura  di  lui  dovremo  credere  ,  che 
a  se  stesso  una  statua  erigesse  Cozio  medesimo  ,  e 
la  ponesse  a  fronte,  ed  al  pari  di  Agrippa  genero  di 
Augusto,  padre  di  chi  ex-a  destinato  all'Impero,  e  che 
essendo  già  passato  ad  altra  vita  alcuni  anni  prima  era 
superiore  alla  invidiai*  OlLre  all'incongruenza  di  doversi 
supporre,  che  Cozio  a  se  stesso  innalzasse  una  statua, 
npn  sarcl)he  stato  questo  contrario  al  prudente,  modesto 
contegno  di  chi  riconoscer  dovea  da  Augusto  la  con- 
servazione del  paterno  Stato,  l'ampliazione  del  medesimo 
e  la  Romana  dignità  di  Prefetto?  Non  potremmo  piut- 
tosto sospettare,  che  quella  statua  ,  che  insino  ad  ora 
siam  venuti  congetturando  che  appartenesse  a  Cozio , 
ad  Augusto  medesimo  appartenga  ?  In  tal  caso  troppo 
bene  adattar  si  potrebbono  ad  Augusto,  ed  i  bassi-rilievi 
espressi  nella  lorica ,  la  divinità  d  ApolUne  ,  i  simboli 
di  esso  ne' grifoni,  cui  i  sacerdoti  de'jpopoli  delle  Alpi, 
ossiano  i  Di-uidi  presentano  lil)azioni,  il  maestoso  por- 
tamento ,  ed  il  pomposo  manto  del   Simulacro.  Si  ag- 


49-J  i5e'  torsi  segusini 

giunga,  che  T  se  Agriprpa  vivente  non  ebbe  ribrezzo  di 
collocare  neU' aiHo  del  Panteon  la  propi-ia  statua  -  a 
confronto  di  q^ueUa  di  Auguslo ,  a  più  forte  ragione 
dopo  la  morte  di  lui,  e  la  grandezza  in  cui  erano  saliti 
i  figliuoli ,  potea  imitarne  Gozio  I'  esempio. 

COntnttociò  ad  escludere  che  siffatta  statua  spettar 
potesse  ad  Augusto ,  concorrono  troppo  validi  argo- 
menti. L'  Arco  era  dedicato  a  lui  unicamente  ,  come 
potea  dunc^ue  il  suo  simulacro  rappresentarsi  in  modo 
in  nulla  diverso  da  un'altra  statua  che  adornava  l'Arco 
medesimo  ?  Neil'  Arco  sopraccennato  destinatogli  dalla 
Colonia  Pisana  sappiamo  che  la  statua  sua  in  abito 
trionfale  doveva  essere  collocata  in  mezzo  alle  due  statue 
di  Gajo  ,  e  Lucio  Cesari,  e  primeggiar  tra  esse.  Qua- 
lora pertanto  per  le  allegate  ragioni  attribuir  non  si 
voglia  la  statua  di  cui  si  tratta  a  Cozio,  e  tanto  meno 
ftd  Augusto,  più  probabile  sembrar  potrebbe  che  .ap- 
partenesse a  Donno,  padre  di  Cozio;  nel  qual  modo 
due  illustri  defunti  cari  ad  Augusto ,  ed  a  chi  1'  Arco 
edificò  avrebbe  posto  Cozio  a  far  corteggio  ,  per  dir 
ciosl  ,  al  dominatore  deIRoinano  *  Impero.  Tutto  quello 

*  Qualora  il  fraintaenlo  di  Statua,  di  cui  qui  si  ragiona,  appartpuosse  ad 
Bn  simulacro  eretto  da  Cozio  a  Donno  padre  di  lui;  e  l'altro  frammento 
ad  A.jrippa  ,  come  siamo  venuti  congetturando,  in  tal  caso  poirelibe  l'Arco 
di  Susa  collocarsi  nella  classe  degli  archi  funeri'i.  come  fu  quello  che  la  Co- 
lonia di  Pisa  decretò  che  si  ergesse  poscia  a  Cajo  e  Lucio  Cesari  già  man- 
cati di  vita,  sebbene  in  entrambi  questi  archi  vi  fosse  in  luogo  più  dis- 
tinto la  statua  parimente  d'  Augusto.  In  questa  supposizione  maggior  peso 
:icquisterebbe  ciò  che   dice  il  Maffei,  contro  l'asserzione  di  Ammiano  Mar- 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    GAP.    V.  ^()S 

che  si  è  detlo  rugionando  (li  Cozio  s'udattcì  anche  meglio 
a  Donno,   Il   culto    d'  Apolline  espresso  ne'  bassi -lilievi 
della  lorica  già   era   stato  abbracciato  da  Donno,   come 
abbiam  veduto  sopra,  e  probabilmente  dopo  la  vittoria 
Aziaca.  Che   poi  cittadino   Romano  tosse  non  pui'   M.  iiiuir.  ub.  », 
G.    Cozio ,    ma   eziandio   Donno,   ed    «scritto    anzi  alla 
gente  Giuha,   si  rileva  non  solamente  dalla  rifei-ita  iscri- 
zione .  d' Erast-o  ei  di  Giulia ,   nella   cfuale    Donno    i)orta  «""rBti.natburg 
il  pienome  di   Cfijo  Giulio  ;   nm  più   da  una   moneta  di  ,^"Y'". ^isl' 
Donno    medesimo ,    nella   quale    da   una   parte    si   vede 
la,  testa  galeata  di  Roma,  dall'altra  un  cavallo  di  galoppo    Durami. Piem. 
con  sopraiiuo    Cavaliere  astato'' quasi  voglia   far  impelo  "l'-'^-r^s  ?*• 
cóntro    i    nemici ,    ed    intoi-no    la   epigi-aie    Don/uis    in 
segnQ(   d'esser    Donno    amico    de"  Romani  ,   e    valente 
ueir equestre  milizia.  11  chiarissimo   Signor  Jacopo  Df-  ^i,.  "'° 
jiANDi   pensa,    che    Donno   regnasse  sin  da'  pfimi  tempi 
della  guerra  GalUca  mossa  da  GiuUo  Cesare,    che  Tosse 
nemico    a' Romani,    e   ch'abbia   poi  fatta    alleanza    con 
esso  loro  in  quelf  occasione,  per  il  che   adottasse  il  pro- 
nome di  Giulio.  Sembrandomi  ragionevole  per  ogni  verso 

Cellino,  che  no»  vi  esistesse  sepolcro  alcuno  di  Cozio  in  Susa  ;  e  po- 
trebbe essere  accaduto,  che  il  precitalo  Aminiano  di  un  TNlonumento  solo, 
che  ad  un  tempo  rinnardar  si  polea  in  certo  modo  come  Mausoleo  di  uno 
degli  Alpini  Re  ,  e  come  arco  eretto  in  onore  di  Augusto,  uè  avesse  for- 
mali due  edifizi  distinti  ;  tanto  più  che  è  cosa  manifesta  che  quello  Sto- 
rico, di  nascita  Greco  e  vissuto  a' tempi  di  Costantino,  confusele  azioni 
e  le  persone  di  Donno  e  di  Cozio  figliuoli  di  lui.  Elsclusa  l'esistenza  del 
Mausoleo  di  Cozio  in  Siisa,  maggior  peso  riceverebbe  pure  la  congettura, 
che  i  Tor.si  Secusiui  non  possano  alliibuirsi  ad  altro  edificio  fuorché  all'Arco 
sopiawennalo. 


49^  r>E'    TORSI   SEGUSINI 

il  parere  del  nostro  insigne  Antiquario  e  Geografo,  cre- 
derei che  il  Trattato  amichevole  tra  Donno  ed  i  Romani, 
e  non  giA  quello  di  Cozio  coi  medesimi ,  ci  venga  in- 
dicato ne' bassi  -  riUevi  ch'ornano  il  fregio  dell'Arco: 
ragione  di  più  per  persuaderci  che  a  Donno,  piuttosto 
che  non  a  Cozio  figUuolo  di  lui  appartenga  la  stàtua , 
di  cui  ragioniamo,  la  quale  avrebbe  in  lai  caso  avuto 
ima  diretta  relazion  con  essi  fregi.  In  uno  di  questi 
fregi  •  posto  sulla  facciata  dell'Arco,  che  riguarda  verso • 
settentrione  si  rappresenta  il  sagrificio  appellato  suo- 
velaurilia,  perchè  un  toro,  una  pecora,  ed  una  porca 
vi  s'immolava.  Tal  sacrificio  ebbe  luogo  e  nella  rassegna 
sacror.  sgcrific.  Cieli  cscrcito ,  6  qualorasi  trattavano  alleanze.  Won  s  in- 
cripiio, pag. 44.  trodusse  in  Roma  prima  dell'età  di  Tulio  Ostilio  Vm- 
GiLio  come  poeta  lo  finse  più  antico  assai ,  e  lo  descrisse 

■id. 
rers. 
160,  e  seg. 


jib.  XII,  Ters.  narrando  il  Trattato  amichevole  tra  Enea  e  '1  Re  Latino. 
Si  vede  scolpito  nella  celebre  colonna  Trajana  che  mos- 
tra i   fatti   di  Trajano  nelle  due  spedizioni   di  lui  contro 

Slukius  loc,  cjt.  i  Daci.  Noi  abbiam  detto  che  nell'  arco  Secusino  il 
Suo\;etaurilia  indica  il  Trattato  d'  alleanza  tra  Donno  ed 
i  Romani,  perchè  ne' bassi-rilievi  del  fianco  occidentale 
par,,  che  si  scorga  un  congresso ,  nel  quale  siensi  con- 
chiusi gli  articoli,  e  le  condizioni  di  detta  alleanza,  il 
che  si  conferma  vieppiù  dalla  differenza  degli  scudi , 
con  cui  sono  armati  i  Guerrieri  ,  che  effigiali  si  veggono 
ne' due  lati  d'essi  bassi-rilievi,  secondo  che  li  rappresentò 

*  Questi   bassi-rilievi  dell'Arco  non  sono  ancora  stali  disegnali  i'i  sra'i'le 
esatlameiile ,  è  sarebbe   desiderabile  che  a   tal   fiiie   se  ne  cavassero  i  gessi. 


1 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-PONT.    CAP.    V,  /Jgy 

il  Massazza    in  quella    picciola    parte    dei  fregio  ,    clic     v.  M|.<»tia 

^  ^  '■  _  Afro    di    SuM 

venne  da  esso  disegnata  nelle  tavole  architettoniche  au-  f-&-  '^• 
nesse  alla  descrizione  dell'  Arco.  Ma  perchè  suppone  esso 
Massazza,  che  questa  siasi  fatta  con  Cozio?..  Se  Cozio 
stato  fosse  per  alcun  tempo  nemico  de'  Romani  dissen- 
tendo dal  padre,  il  suo  paterno  Reame  noa  sarebbe  stato 
omesso  nel  Trofeo  dell'Alpi, 'ove  tutti  i  popoli  Alpini  si 
nominarono,  che  insorsero  contro  i  Romani;  né  Augusto 
Priucipc  nuovo  ed  accortissimo  avrebbe  ad  un  nuovo 
e  mal  sicuro  alleato  concesse  in  Prefettura  regioni  cosi 
importanti  ,  quali  erano  quelle ,  che  1'  Italia  divide- 
vano dalle  Gallie.  Ciò  posto  si  dovrà  dire ,  che  i  Me- 
dulli,  e  i  Catturigi ,  gli  Esubiani,  ce,  che  si  nomi- 
narono neir  Arco  di  Susa ,  e  che  vennero  del  pari  no- 
minati nel  Trofeo  dell'Alpi,  furono  popoli  sottomessi  a 
Cozio  come  a  Romano  Prefetto,  giacché  le  avite  Città,  Ììk In, ca". xx. 
che  governava  Cozio  ,  non  si  raramentaiono  nel  Trofeo 
dell'  Alpi,  perchè  erano  state  fedeli.  Tra  Cozio  ed  i  Ro- 
mani non  ebbe  dunque  luogo  un'alleanza  novella,  ma 
la  conferma  dell'  antica,  e  1'  antica  alleanza  venne  espressa 
nel  bassorilievo  del  fregio  dell'Arco  Secusino,che  pre- 
senta per  tal  via  un  tratto  d' istoria  della  Himiglia  di 
Cozio.  Quando  al  vero  io  m'apponga ,  converrà  dire  in-  „*™"b"jJJ?'' 
esatto  il  racconto  d' Ammiauo  Marcellino,  il  quale  asse- "f- ^' 
risce,  che  Cozio  si  tenne  fra  le  gole  delle  sue  Alpi  cre- 
dute inaccessibili,  mentre  i  Romani  andaron  nelle  Gallie; 
ma  che  addimesticatosi  fu  ammesso  nell' amicizia  d"  Otta- 
viano Augusto,   e  che  si  rese  quindi  immortale  aprendo 

63 


498  de'  torsi  segusini 

a  fraverso  dell'Alpi  brevi,  e  comode  strade.  Non  Cozio, 
ma  beasi  Douno  a  parer  nostro  strinse  amistà  il  primo 
co'  Romani ,  esci  da  quelle  sue  balze  remote ,  scese  al 
piano  ,  vesti  Romani  costumi ,  pose  in  Susa  la  sua  sede 
regale,  e  divenne  Principe  Italiano,  e  non  con  Augusto, 
ma  con  Giulio  Cesare  fece  alleanza.  In  seguito  poi  non 
Donno  ,  ma  Cozio  figliuolo  di  lui  già  spogliato  dell'  al- 
pestre rozzezza  con  educazione  Latina ,  con  vincoli  no- 
velli si  procacciò  la  Romana  benevolenza.  L'  inesattezza 
d'Ammiano  si  fa  palese  dal  non  aver  egli  fatto  mai  il 
menomo  cenno  di  Donno,  sicché  possiam  dire  che  abbia 
egli  confuso  il  padre  a  lui  ignoto  col  figliuolo,  e  raccon- 
tato di  questo  ciò  che  doveva  in  parte  narrarsi  di  quello. 
Il  vederli  entrambi  ascritti  alla  gente  Giulia  convalida 
la  nostra  asserzione.  Questo  n:iodo  di  ossequiare  i  po- 
tenti Romani  era  in  uso  presso  i  Regoli,  che  ne  am- 
bivano il  favore.  Gli  schiavi  fatti  liberi  usas'ano  il  nome 
de' loro  padroni,  era  perciò  un  mostrarsi  ligio  di  qual- 
cheduno  lo  ascriversi  alla  sua  famiglia.  Vitruvio  ci  ri- 
corda un   figliuolo  del  Re  Massinissa,  che  fu  ospite  suo, 

lib.viii.  cap.iv!  il  quale  da  Cesare  prese  il  nome  e  prenome  di  C.  Giulio. 

ii.iGiiii«.,i,.va.  Una   lapide    rapportata    dal  Fabretti  ,    dal  Maff Ei ,   dal 


;" 


vid.  zaccar.  ZACCARIA  ci  scoprc  uu   tal  Rametalce   Re    della    Tracia, 

Insl.aiiii'juar.  la-  1  ' 

pid.  pag.  3o.  gjjg  jj  Qomp  parimenti  avea  assunto  di  Giulio.  L'essersi 
da  Cozio  poi  aggiunto  al  prenome  di  Giulio  quello  anche 
di  Marco  prova,  che  antica  era  nella  famiglia  sua  l'ami- 
cizia co' Romani,  e  che  erasi  questa  rinnovata  in  modo 
speciale  per  opera  di  Marco  Agrippa  j  nò  mancano  esempj 


DT    GIUSEPPE    FRANCm-PONT.    GAP.    V.  499 

(li  olii,  acquistata  avendo  qualche  erazia  da' Romani,  abbia  vw.  Morrfiu 
adottato  il  prenome  di  colui,  mercè  il  quale  l'aveva  pT;  =9- ««tip. 
ottenuta. 

Ma  qualora  uno  de'  Torsi  Secusini  spettasse  alla  statua 
di  Agrippa,  e  l'altro,  di  cui  abbiamo  pur  ora  parlato, 
a  quella  di  Cozio ,  o  più  verosimilmente  di  Donno , 
dove  sarà  stata  poi  la  statua  d' Augusto?  L' immagine  di 
colui  cui  erasi  innalzato  il  monumento?..  Essa  certo 
non  poteva  essere  una  delle  due  descritte,  poiché  queste 
sono  compagne,  e  mostrano  di  essere  slate  appoggiate 
al  muro,  mentre  il  simulacro  d'Augusto  non  sembra, 
che  dovesse  porsi  del  paro  con  altro  dì  chiunque  si 
fosse  in  un  Arco  a  lui  specialmente  dedicato.  Il  vedersi 
ueir  iscrizione  dell'  Arco  Sccusino  il  nome  d'Augusto 
scritto  con  lettere  più  grandi ,  che  quello  non  sono  con 
cui  è  scolpito  il  rimanente  che  in  quella  si  contiene  , 
denota  abbastanza  i  riguardi ,  che  aver  si  doveano  alla 
grandezza  di  Cesare;  quindi  ragion  vuole,  che  si  pensi, 
che  la  statua  di  lui  sopra  1'  attico  dell'  Arco  sola  appa- 
risse ,  e  sublime ,  e  forse  assisa  sopra  d'  un  carro  trion- 
fale, indicflndosi  il  domatore  di  tutte  le  Alpine  Nazioni, 
anzi  l'arbitro  del  Romano  Impero.  Ma  il  tempo,  che  si 
compiace  d'abbattere  piìi  facilmente  ciò,  che  gli  uomini 
più  si  studiano  di  magnificare,  il  tempo  e'  involò  anco 
le  reliquie  d' un  simulacro ,  il  quale  appunto  per  essere 
isolato,  per  esser  locato  in  cima  a  tutto  l'edifizio,  e  più 
all'  ingiurie  delle  stagioni  esposto  dovea  provarne  gli 
urti,   e  cadere  il  primo    in  rovina.    Giorno    forse  verrà 


5oO  de' TORSI    SEGUSINI 

in  cui  scavandosi  intorno  all'  Arco  se  ne  troveranno  i 
nobili  avanzi,  che  renderanno  plausibile  la  nostra  opi- 
nione la  quale  si  appoggia  unicamente  al  sapersi,  che 
parecchi  altri  archi  ed  altri  monumenti  insigni  aveano 
sopra  il  fastigio   l'immagine  di  colui  cui  erano  dedicati. 

Roiiiadtik'blue  Li»  Trajana   Colonna   e  l'Antonina    mostravano    in   cima 

■  "^     ''^'"''  le  statue  di  que'  Principi  che   lor  diedero    il   nome.   La 

statua   d'  Augusto  si  vedea  sopra   il  suo  Mausoleo;  e,  per 

lasciar  altri  esempj ,  l'arco  di  Druso,  ovunque  fosse,  mo- 

Morceiii pa».    stravH  sopra  l'Attico  Druso  Claudio  Germanico  a  cavallo, 

s"  Bri'ior!  N °"  del  che   rende    testimonianza   una    medaglia  dall' Krizzo, 

xii.   (Jiisaub.  inii-nii-  a  i-  ■■■ 

cuud.  e   dal    Bellori    rapportata.    Angusto     medesimo    in    abito 

trionfale,  fra  le  due  statue  dorate  di  Cajo  e  di  Lucio 
nipoti  suoi  e  figliuoli  adottivi,  stava,  siccome  accen- 
nato abbiamo  ,  sopra  1'  arco  della  Colonia  Pisana  Avere 
riempito  Domiziano  tutte  le  regioni  di  Horaa  d'  archi 
con  quadrighe,  e  trionfali  insegne  ci  si  narra  da  Sve- 
tonio.  Avvegnaché  dunque  1'  Arco  Secusino  sia  il  piìi 
conservato  di  quanti  ci  rimangono  ,  e  da  tenersi  in  giaa 
pregio  per  le  cose  che  la  sua  iscrizione  ci  svelò  riguar- 
danti  l'antica  geografia,    e   per  averci  insegnato ,  che  era 

pJm'cup""^"  Cozio  ,  non  Re  soltanto,  ma  Prefetto  dell'Alpi,  che  da 
lui  Cozie  si  dissero,  e  di  varie  regioni  a  quelle  vicine, 
della  qual  cosa  notizia  non  s'  avea  né  da  Dion  Cassio, 
né  da  Marcellino,  né  da  altro  istorico;  non  rimase  per- 
altro sì  illeso  dalle  età  divoratrici  qucll'  Arco ,  che  non 
lasci  campo  a  speculare  quali  ne  fossero  gli  ornamenti, 
ed  a  supporre,   che  a  somiglianza    di   altri  vetusti  archi 


DI    GIUSEPPE    FI\ANCHI-PONT.    GAP.    V.  5oi 

avesse  anche  statue  in  mezzo  ,  alle  quali  signoreppia'.sp , 
com'  era  dovere,  il  simulacro  di  Cesare  Augusto.  Coloro, 
che  sanno  quanto  siasi  lavorato  di  fantasia  intorno  ^gli 
antichi  Romani  edificj  da' celebri  architetti,  da  un  I^al- 
LAOio,  e  da  un  Siìbmo,  potranno  soffrir  di  buon  grado 
le  mie  congetture,  sino  a  tanto  che,  venendo  alla  luce 
novelli  monumenti ,  esse   non  si  conoscano  mal  fondate. 


) 


CAPO     VI. 

Regno  e  Vrefpllura  dì  Cozio;  notìzie  riguardanti  ì 
discendenti  di  quel  He  insìno  alla  estinzione  della 
sua  stirpe. 

Non  è  qui  luogo  il  cercare  quale  fosse  in  origine 
l'estensione  del  regno  di  Cozio.  Illustri  letterati  né  ra- 
gionarono, e  più  dottamente  d'  ogni  altro  il  tanto  be- 
nemerito della  patria  antichità  il  Sig.'  Jacopo  Durandi. 
Basti  il  ricordare  che  lo  Stato  proprio  di  quel  Re  forse 
non  comprendeva,  che  dodici  popolazioni  site  nell'Alpi 
Taurine,  dette  poi  Cozie;  di  tal  numero  determinato 
Plinio  valendosi   ad  indicarlo.  Guanto  allo  Stato  Coziano  .  piì"  "!"  ■>»- 

X  lur.  hb.  III.  c«p. 

s'aggiunse  e  verso  l'Alpi  marittime,  e  verso  le  Calile,  e  "" 
gli  Ailobrogi,fu  per  concessione  d'Augusto  a  titolo  di 
Prefettura.  Distinzione,  come  osserva  il  Durandi,  neces- 
saria a  farsi  per  togliere  le  difficoltà  intorno  alla  di- 
stanza fra  i  popoli  sottoposti  a  Cozio  ,  ed  i  suoi  sudditi 
naturali.    Questi    ultimi    per   altro ,  quand'  egli    diventò 


ì>02  de'  torsi  segusini 

Romano  Prefetto  ,  ritennero  le  antiche  leggi,  e  I'  antico 
loi'o  Sovrano  ;  ed  i  novelli  sudditi  dovettero  piegarsi  alle 
Romane  leggi,  ed  alla  giurisdizione  di  Cozio,  la  quale 
acquistò  maggior  estensione  che  per  lo  innanzi.  Non  dovea 
perciò  a  Cozio  increscere  l'esser  nomato  Prefetto  in  cambio 
di  Re,  essendo  egli  per  tal  via  divenuto  Magistrato  Ro- 
mano, e  conservata  avendo  tutta  quanta  l'autorità  sopra  i 
popoli  suoi,  che  forse  avrebbe  dovuto  dividere  con  qualche 
favorito  liberto  della  casa  d'  Augusto.  Fu  egli  bensì  avven- 
turato di  trovarsi  in  mezzo  a  regioni  che  non  potevano 
destare  1'  avidità  di  qualche  Romano.  Le  Prefetture  altro 
non  erano  ne' tempi  più  remoti,  che  villaggi  d'Italia 
di  condizion  inferiore  de' Municipii ,  e  delle  Colonie; 
perche  non  godevano  delle  proprie  leggi,  come  quelle,  ne 
del  Romano  diritto  come  queste.  Alle  Prefetture  si  depu- 
tava in  ciascun  anno  un  Prefetto  da  Roma  affinchè  ren- 
desse-ragione  j  quindi  è  che  fu  un  castigo  per  alcune  Città, 
che  pnma  erano  Municipii,  o  Città  alleate  ed  autonome 
LiT.iib  XXVI.  l'essersi  cambiate  in  Prefettura.  Tal  pena  subì  Capua  , 
secondo  che  narra  Livio ,  per  aver  tenute  le  parti  di 
Annibale  nella  seconda  guerra  Punica.  Di  queste  Prefet- 
ture, molte,  oltre  Capua,  ne  annovera  Pesto;  ma  in  pro- 
gresso di  tempo,  le  Prefetture  altro  non  furono,  che  Pro- 
vincie minori,  a  distinzione  delle  maggiori  che  si  chiama- 
vano Proconsolari,  o  Pretoriane.  Anzi  sotto  i  primi  Cesari, 
Provincie  Consolari  quelle  si  dicevano,  alle  quali  il  Senato 
deputava  chi  le  governasse,  ed  Imperatorie  quelle  altre, 
grandi  fossero  o  piccole,  il  cui  reggente  venia  deputato 


DI    GIU&fiPPE   FKANCH1-P05IT.    CAP.    VI.  5o3 

dallo  Imperatore.  Questi  reggenti  o  legati  di  Cesare  si  dis- 
sero Propretori ,  e  talora  Presidi  o  Prefetti ,  e  nel  costoro 
numero  si  deve  considerar  Cozio,  che  la  Prefettura 
dell'Alpi  ottenuta  avea  da  Augusto.  Egli  da' popoli  suoi 
fu  per  altro  sempre  consideralo  come  he ,  ma  trattando 
co'  Homani  lasciar  dovea  il  titolo  di  Pie,  e  goder  anzi 
d'  esser  cittadino  e  Romano  Magistrato.  Investito  di  questo 
carattere,  inostraudosl  egli  ad  Augusto  riconoscente,  in- 
nalzò in  un    colle    città ,  *  ossia  popolazioni  dipendenti 


*  Concorsero  auche  ad  innalzare  qnesto  Monumenlo ,  in  onore  di 
Augusto  le  Citlà,  o  sia  popoli  suggelli  al  Regno,  o  Prefeltura,  che  dir  vo- 
gliamo di  Cozio  :  ET.  CEIVITATES.   QUAE.    SUB.  BO.  M.^EPECTO.  FUf.RUNT.  Come 

compajano  anche  queste  nella  Iscrizione  famo5a  dell'  Arco  è  facile  iJ  com- 
prenderlo, se  si  riflette,  che  l'autonomia  delle  Città,  vale  a  dire  quella 
troppo  sovente  vana  apparenza  ili  libertà ,  che  lasciavano  i  Romani  ai  po- 
poli soggetti,  non  era  incompaiibile  ,  non  che  con  essere  rette  da  Magistrali 
Romani  ,  ma  eziandio  colla  immediata  soggezione  a'  Re  tributarj.  Veggnsi 
a  questo  proposito  la  beila  Dissertazione  dell'  Abate  Ottaviano  Guasco  Pi- 
nerolese  premiata  dalla  Accademia  delle  Iscrizioni  e  Belle  Lettere  di  Pa- 
rigi, t  Dissertatìon  sur  V Autonomie  des  Vilks  et  dts  Peuples  soumis  à  une  puis- 
sance  étrangère  S  Dissertations  Hiitorlq.  politq.  et  Ut.  pur  l'Abbi  Comte  de 
Guasco,  II.  point.  =:  Tom.  Il,  pag.  198.  et  suiv.  Tnumay.  l-jhG  ).  Che  fossero 
poi  autonome  le  Città  rette  da  Cozio  si  raccoglie  ,  non  tanto  da  una  Me- 
daglia della  principale  tra  esse,  cioè  di  Susa  recala  dal  Pellerin  (  JMedail- 
les  des  Peuples  et  Villes  I.  27.  ) ,  come  dal  non  avelie  in  que  remotissimi  lem- 
pi  i  Re  d'  origine  Celtica  autorità  maggiore  di  quella  ,  che  avesse  un  con- 
doltier  d'  eserciti,  od  un  Capo  di  Popoli.  Difatti  Plinio  (  Plin.  Hist.  Nat. 
lib.  Ili,  cap.  20.  )  in  vece  di  scrivere  che  il  Regno  di  Cozio  non  fu  r  icor- 
dato  nel  Trofeo  delle  Alpi,  perché  si  mantenne  fedele  a' Romani,  dice; 
•Cotianw  Civiiales  XII ,  cum  niki'l  hostile  gessissent,  ittmque  Municipiis  atlributte 
Itge  Pompeja;  con  che  pare    voler   lo  Storico    sigiiilicaie,  che    lo  essersi  1« 


5o/|.  de'  torsi  segusini 

dalla  Prefettura  sua  l'Arco,  maestoso  monumento  di  chi 
in  quelle  regioni  delle  Alpi  comandava ,  non  meno  come 
regnante,  che  come  Magistrato  Romano. 

Che  se  continuò  Cozio  a  procacciarsi  per  ogni  verso 
le  grazie  d'Augusto,  Augusto  non  ritirò  il  suo  favore 
e  la  sua  benevolenza  da  Cozio,  il  quale  seppe  ottenerla 
poi  anche  da' primi  Cesari,  che  a  lui  succedettero.  Fi- 
gliuolo di  Cozio  era  probabilmente  quel  Vestale,  cui  l'in- 
felice Ovidio  indirizzò  la  settima  Epistola  del  libro  quarto, 
scritta  dal  Ponto,  invocandolo  come  testimone  presente 
delle  miserie  del  suo  esiglio.  Viene  egli  chiamato  dal 
Poeta 

o»id.  ex  ponto       .      ....  Alpìnìs  juvenìs  regìhus  orte; 

lib.  IV.  eleg.  tu,       .'     ,, 

ed  altrove 

....  Progenies  ahi  fortissima  Donni. 

Era  allora  Vestale  Preside,  o  se  vuoisi.  Procuratore 
della  Mesia  ,  paese  di  recente  conquistatosi  da  Crasso  uno 
de'  luogotenenti  d'  Augusto.  Viene  Vestale  lodato  assai 
da  Ovidio,  non  meno  per  gentilezza,  che  per  valore.  Egli 


popolazioni  Coziane  mantenute  fedeli  a'  Romani ,  non  fu  merito  del  solo  Cozio 
che  le  governava,  ma  di  esse  parlicolarraeiite  anroni;  poiché  ove  fosse 
stato  altrimenti  avrebbe  egli  detto  Cotii  Be^num.  Certo  è  che  in  tempi  assai 
posteriori,  e  dopo  che  le  Alpi  Cozie  vennero  ridotte  in  provincia  da  Nerone, 
Susa ,  benché  governata  da  un  Preside,  o  Prefetto,  avea  tuttavia  il  titolo 
di  Municipio,  tanto  rilevandosi  da  più  lapidi  riferite  dagli  Illustratori  dei 
marmi  Torinesi  {Mormora  Tour.  P.  I,  pag.  iSy   e  seg. ,  e  pag.   l56.  ) 


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,„-ll      anni.     iSulA.  1. 


DI   GIUSEPPE   FnANCHl-PONT.    GAP.    VI.  5o[) 

offenufo  avea  nella  Milizia  il  grado  di  Primipilo,  cioè 
di  tale  che  sotto  il  suo  comando  avea  parecchi  centu- 
rioni. Viene  dal  lusinghiero  Ovidio  pregato  qual  suo 
Protettore,  e  dal  contesto  di  tutta  l'Ovidiana  elegia  si 
scorge,  che  Vestale  facea  sua  dimora  in  Tomi  capitale 
della  Mesia  inferiore,  che  cadea  sotto  la  denominazione 
gpnerale  di  Ponto,  e  città  ov' era  stato  esiliato  Ovidio. 
Ma  come  avrebbe  Vestale  stretta  amicizia  con  Ovidio 
tutto  intrinseco  della  corte  d'Augusto,  se  non  si  fossero 
prima  conosciuti  in  Roma?  Come  avrebbe  quello  (atte- 
nuto da  Augusto  il  governo  di  sì  importante  provincia 
qual  era  la  Mesia,  vinta  di  recente,  situata  in  mezzo  a 
belligere  e  feroci  nazioni,  una  di  quelle  provincie,  che 
Augusto  s'era  riserbato,  lasciando  al  Senato  l'altre  ch'erano     vid. diob.,» 

.  .       SiClin.inAuguifc 

tranquille  e  disarmate,  se  stato  non  fosse  Vestale  m  grazia 
di  Cesare  Augusto.^..  Racconta  Svetonio,  che  Augusto 
uso  era  di  trattare  umanamente  i  parenti  dei  Re  suoi 
confederati,  e  talora  allevare  insieme  a' figliuoli  suoi  pro- 
prj  quelli  degli  amici  ,  e  provvederli  poscia  secondo  il  svet. UAugun. 
loro  grado.  Perchè  dunque  non  si  potrà  sospettare  da 
un  tal  racconto,  che  Vestale  sia  stato  allevato  nella  casa 
di  Cesare,  e  ch'ivi  abbia  contratta  con  Ovidio  un'ami- 
cizia, che  con  troppo  diversa  sorte  si  rinnovò  poi  nella 
Mesia?...  Un  non  so  che  d'Alpigiano  anche  in  mezzo  di 
Roma  potè  liberare  Vestale  dallo  aver  parte  negli  intrighi, 
che  rovinarono  il  troppo  fiicilo,  e  curioso  Poeta;  e  gli 
avrà  lasciato  seguitar  nella  Milizia  il  sentier  d  onore.  In 
questo  giro    d'  anni    si   guerreggiava    da    Tiberio    nella 


5o6  DE*  TORSI   SEGUSINI 

PaoDonia  paese  colla  Mesia  confinante,  e  forse  Vestale , 
dopo  aver  militato  sotto  gli  ordini  di  lui ,  recato  si  sarà 
nella  Mesia  (  dove  fu  poi  Preside  ),  e  colà  sotto  il  co- 
tnaodo  duo  certo  Vitellio  Propretore  avrà  ajntato  Cotti 
Re  della  Tracia  detta  Od/isia,  alleato  de' Romani,  che 
parimenti  guerreg^giò  sotto  Tiberio  nella  Pannouia,  e 
che  fu  figliuolo  di  quel  Rametalce,  che  adottò  il  pre- 
nome di  Giulio,  a  ricuperare  la  città  d'  Fgepso,  che  stata 
gli  era  tolta  da   Huscoporide  suo  zio  paterno,  il  che    ci 

Ub.'ivcumN"i!'  viene  indicato  da  Ovidio  nella  mentovata   Elegia. 

Mentre  Vestale  or  a'  Geli ,  or  a'  Sarmali  rendeva  il 
nome  Romano  terribile;  ne  punto  temendo  gli  avve- 
lenati dardi  nemici,  che  se  gli  piantavano  in  sul  cimiero, 
Oria.  Eicg.  e  n.ello  scudo,  rosse  faceva  (  come  dice  poeticamente 
Ovidio  )  di  sangue  barbarico  le  acque  del  Danubio; 
Cozio  di  lui  genitore  seguitava  tuttavia  in  Italia  a  me- 
ritarsi la  confidenza  de'  Cesari.  Morto  Augusto,  il  diffi- 
cile, il  sospettoso  Tiberio  rilevante  e  gelosa  impresa  al 
nostro  Cozio  affidò,  la  quale  fu  di  sedare  un  periglioso 
Duranti.  Cic-  popolare    tumulto.    Iri    P\>llenza    antica  ,  e    sia    fiorente 

rinolT^Ts'inl!»  ^'*^^  situata  poco  al  dissotto  al  confluente  della  Stura  e 
del  Tanaro ,  morto  era  un  cittadino  primario ,  che  aveva 
pure  il  grado  di  Primipilo ,   e  convien  dire   ass^i   ricco. 

ber.*cap.'xxx . lì.  La  plebe  non  volle  acconsentir  mai ,  che  il  corpo  di 
quello  fosse  levato  di  piazza  per  essere  sepolto ,  sino  a 
tanto  che  non  s'ebbe  fatti  dar  per  forza  dagli  eredi  i 
danari,  onde  si  desse  lo  spettacolo  de' Gladiatori,  Tiberio 
mandò  allora  soldati  da  Roma,  e  mandò  probabilmente 


cu 


DI    Clt'SEPPE   FRANCHr-PONT.    CAP.    VT.  607 

una  delle  tre  Coorti  Urbane ,  così  dette  a  dillVreoza  delle 
nuove  Pretoriane,  (iiKe  dodici  iustituilesi  da  Cesare  Au- 
gusto ascendenti  a  dodici  mila  soldati  trattenuti  ognora 
ne'  contorni  di  Roma;  ed  un'altra  Coorte  cliiainù  da  vi- 
cini Slati  di  Cozio.  Questi  come  Prefetto  nominato  da 
Augusto  autorità  avea  sopra  alcune  Legioni,  potea  punir 
i  soldati  di  morte,  e  molto  più  estesa  era  la  giurisdizion 
sua  nel  civile,  e  nel  militare,  che  non  fosse  quella  isfessa 
de' Proconsoli ,  a' cjuali   Augusto  1' avea  tolta.  Oltre   ciò  i    vid.  Nieupoore 

■Tfc  .  .  .  .  RilUUUl       C]UÌ     O- 

Proconsoli    non    rimaneano    al  governo    delle  Provincie,  in»  0 pud  Rem. 

°  '  '    oblia.    Sf<l.    i, 

che  un  anno  solo;  i  Legati  di  Cesare,  i  Presidi,  i  Pre-  "-'i'  '^.M- 
fetti,  vi  stavano  sino  a  tanto  che  piacesse  allo  Imperatore;     caut.  Ami. 

liti  -1  ì  /->.  •         Tk        r  •  1"'!'  f^u").    <<="• 

end  e  da  credere-,  che  a  Cozio  tuttavia  rretetto  venisse  m. 
affidata  quella  spedizione.  Fingendo  adunque  d' essersi 
mosso  per  altra  impresa,  segretamente  fece  entrare,  come 
narra  Svetomo  medesimo  ,  le  Coorti  nella  cititi  per  op- 
poste porte.  Qiu'ndi  scoperte  d' improvviso  le  armi,  dato 
nellef  trombe,  contenuta  la  plebe,  fattin/e  prigioni  i  capi, 
ricondu.sse  in  Poi  lenza  la  tranquillità,  il  buon  ordine.  * 
Ciò  fece  poi  credere  a  Giornande  erroneamente,  che  nel 
Regno  di  C(  zio  fosse  inchiusa  anche  Pollenza  istessa.  3>,rDsnJ«  dt 
La  smania  -,  che  mostrarono  i  Pollentici  per  li  gladia- 
tòrj  spettacoli,  ci  fa  p<nsai>e ,  che  la  ricca  Pollenza  non 


*  Il  I'I^^GO^E  rrca  uiin  Mcilnglia  roninln  in  onore  ili  (]ozio  ,  e  de'  Sol- 
d.ili  ToriiiPsi  per  coin«ndo  di  TibTio  ,  da  mi  arguir  si  polrebbe  ,  che  a 
qupll' iiiipirsa  si  recassero  pure  Soldalesolie  Torinesi,  ma  neMiiii  altro, 
eh'  io  s.ippia  ,  fa  incnzionc  Hi  siffalta  iMed.Tglia  ,  ed  o^iiua  sa  quiiiito  slcoo 
sospetti  i  Monumenti  amichi  .  che  si   trovano  soltanto  prvseu  il  PiNOOKit, 


5o8  ■  ,-    .1K0    de' TORSI   SEGUSINI 

sia  stata    delle  ultime  città   a  provvedersi    d'anfiteatro» 
Si  vuol  concedere  ,    che  ne'  Scpti  ,    e    ne'  Comizj    dare 
aIb'"^''' Uh*''  P"^    anco  si  costumassero  quegli  spettacoli  sanguinosi,  e 
«p-5-  che  non  vi  fossei'o  anfiteatri  di  pietra  neppur  in  Roma 

a'  tempi  di  cui  parliamo.  Ma  che  i  Pollentini  n'  ab- 
biano poi  avuto  uno  ,  e  che  questo  sia  fabbrica  de'  buoni 
tempi ,  avvegnaché  costrutta  di  mattoni ,  si  ricava  da 
ruderi ,  che  ancor  ne  rimangono  ,  i  quali  esaminai  io 
stesso  pochi  anni  addietro.  Vidi  la  forma  ovale  ,  ed  { 
manifesti  segni  dell'  arena  ,  o  cavedio  ;  osservai  le  pre- 
cinzioni,  e  l'indizio  dei  gradi,  ma  il  tutto  ingombro 
da  rusticani  abituri  ,  dagU  spinai ,  e  dall'  erba  coverto. 
Ciò  nulla  ostante  ruderi  taU  meritavansi  d'  esser  avver- 

MaSeiloc.cil.       ..1,1.»  .  t-,  p 

oap.  xtr.  titi  dal  Maffei  ,  il  quale  avrebbe  nommata  Pollenza  fra 

le  città  pochissime  ,  che  furono  adorne  d'  Anfiteatro. 
Le  altre  rovine  poi  d'  edifizj  grandiosi ,  che  in  quei 
contorni  rimangono ,  provano  ,  che  popolatissima  dovea 
essere  Pollenza  ,  e  che  il  contenerla  fu  opera  da  venir 
sopramodo  celebrata. 

Dopo  di  questa  più  non  parla  l'Istoria  d'altre,  ira- 
prese  di  Gozio  ;  ma  supplisce  ad  un  tale  silenzio  il  sa- 
pei'si ,  che  il  figliuolo  di  lui ,  il  fratello  per  avventura 
di  Vestale  ,  che  ebbe  1'  istesso  nome  del  padre ,  e  che 
diremo  noi  Cozio  giuniore  ,  meritò ,  che  Claudio  gli 
accrescesse  il  dominio  paterno  ,  secondo  che  narra 
Dion.  cisnus  Dione  ,  e  che  per  la  prima  volta  Re   il  salutasse.   Tal 

ub.  6a,iium.  :4.  Ir 

cosa  dà  motivo  di  credere ,  che  fosse  questa  per  parte 
dell'  Imperatore   una  concessione  autentica ,  diremo  noi. 


DI    GIUSEPPE    FRANCHI-POKT.    CAF.    VI.  Scig 

del  Titolo  Regio  ,  titolo  però  sempre  continuato  a  darsi 
a  que'  Principi  da'  loro  Sudditi  naturali  ,  moni  re  che 
gli  alteri  Romani  non  volevano  chiamarli  altrimenti  , 
che  Prefetti  ;  tanto  più  che  lo  stesso  Svetonio  par-  J"xxxwi'.'"'' 
landò  di  Cozio  a'  tempi  di  Tiberio  chiama  il  dominio 
di  lui  Regno.  Gli  Illustratori  de'  marmi  Torinesi  con- 
fondono Cozio  giuniore  col  padre  suo  figliuolo  di  Donno  ;  Mar.  Tanrin. 
ma  sarebbe  un  protrarre  di  troppo  la  vita  di  qucst'  is». 
ultimo  abbracciando  la  opinion  loro  ;  e  sapendosi ,  che 
presso  i  Romani  spesse  volte  il  padre  e  il  figliuolo  por- 
tavano i  nomi  istessi  ;  terremo  dunque  per  fermo ,  che 
Cozio  ,  dichiarato  Re  da  Claudio  ,  fosse  il  figliuolo  di 
quegli ,  che  innalzò  l' Arco  ad  Augusto.  Poco  godette 
egli  peraltro  del  titolo  Regio  ;  ma  dir  bisogna ,  che 
siasi  spenta  in  esso  lui  la  forte ,  e  genei-osa  prosapia 
di  Donno  , 

.  .  .  Proles  alti  jorltssima  Donni  m,  iì1i.iy. 

poiché  le  Alpi  Cozie  furono  ridotte  in  Provincia  Ro- 
mana da  Nerone  Cesare.  Susa  diventò  allora  un  rag-  ca^' x\m. 
guardevole  Municipio  ,  come  da  alcune  lapidi  s' impara , 
riferite  dagli  Illustratori  de'  marmi  Torinesi ,  e  tale  Susa 
continuò  ad  essere  ,  sinché  sfasciandosi  il  Romano  Im- 
pero ,  ed  invasa  da'  Barbari  l' Itaha ,  corse  la  sorte  ■^^i.'yVTi!T. 
deU' altre  ItaUche   Città.  »f.,.f.,.W. 


5io 

INDICE. 


Pag. 


Cap.     I.   Torsi  loricati  di  marmo  trovali  in  Suso  : 

varie  specie  di  loriche »    /^'ò6 

II.  Descrizione  ,   ed    illustrazione    de   bassi- 
rilievi  intagliali    ^ulle    loriche    dei   due 

Torsi  Secusini '•444 

III.  Dell'  epoca ,  e  del  lavoro  delle  statue ,  a 
cui  appartenessero,  i  Torsi  Secusini  :  con- 
getture intorno  al  sito,  in  cui  fossero  col- 
locate       »    4^4 

JLV.  Agrippa  rappresentato  probabilmente  in 
una  delle  statue ,   di  cui  ci  rimangono  i 

busti       .     ; »    4^7 

P^.  Si  cerca  qual  personaggio  verosimilmente 
Josse  effigialo  nella  statua  ,  a  cui  spella 

Poltro   l'orso  Secusino »    4^' 

yi.  Regno,  e  Prefettura  di  Cozio\  notizie  ri- 
guardanti i  discendenti  di  quel  Re,  insino 
ali  estinzione  della  sua  stirpe    .     .     .     »    5oj 


Sii 
DE    L'INFLUENGE 


DE    l'esprit    de    MÉDITATION    SUR    LES    LETTRBS, 


PAR  J.   M.  DEGERANDO. 

Lu   le  8  floréal  ao  x3. 
9 


C 


EST  en  vain  qu'en  obtenant  pour  la  première  foia 
riioaaeur  de  m'asseoir  au  milieu  de  cette  illustre  Com- 
pagnie ,  j'essayerais  de  me  renfermer  dans  les  formes 
académiques  ;  un  sentiment  me  domine,  me  préoc- 
cupe  tout  entier  ;  j'ai  besoin  avaat  lout  de  lui  donner 
un  libre  cours;  e" est  eelui  d'une  profonde  gratitude,  et 
je  vous  l'exprirae  avec  émotion,  mais  avec  siraplicité, 
comrae  un  fiis  adoptif ,  re^u  dans  la  famille ,  qui  a  eu 
la  généiosité  de  lui  ouvrir  son  sein  et  de  l'adinettre  à 
la  parti'ipation  d'un  riche  héritage.  A  peine  avais-je  dé- 
buté  dans  la  carrière,  que  vos  honotables  suttrages  sont 
veuus  encourager  mes  efforfs.  Vous  savez  combien  ils 
tn'étaient  ch<  rs  les  liens  qui  m'unissaient  à  vous,  et 
vous  avez  daigné,  par  une  faveur  speciale,  les  rendre 
ancore  plus  intimes:  faveur  prétieuse ,  qui  me  déguisant 
en  queiqiie  sorte  la  distance  qui  nous  séparé,  me  per- 
meltra  d  liabitcr  par  la  pensée  au  milieu  de  vous;  en- 
fìn,  à  fous  ces  bieufaifs,  vous  avez,  Messieurs ,  et  frès- 
illustres  Gonfrères,    ajouté    tous  ceux    d'une  .aimable  et 


5lÌ2       DE    l'iNFLUENCE    DE    l'eSPIXIT    DE   MÉDITATION    ETC, 

cordiale  hospitalité-  Je  ne  puis  acquitter  uue  dette  si 
grande  que  par  des  hommages  qui  partent  du  coeur. 
Vous  accueillerez  avec  bonfé  ce  tribut  que  je  vous  offre, 
aù  moment  où  je  me  separé  de  vous,  et  je  serai  fidèle 
à   l'acquifter  pendant   toute   ma  vie. 

Telles  sont  les  jouissances  épurées  qui  appartiennent 
aux  associafions  littéraires.  Fondées  sur  l'estime,  dirigées 
vers  leplusnoble  but,  le  zèFè  désinféressé  de  la  science , 
elles  formeut  des  liens  indépendans  des  lieux  etdcs  tems, 
elles  unissent  Its  hommes  par  tout  ce  qu'il  y  a  de  plus 
élevé  dans  nofre  nature,  par  la  communauté  des  idées 
grandes  et  utiles.  Heureux  celui  qui  sent  toute  la  diguité 
des  honneurs  académiques  !  Son  amc  a  counu  le  feu 
sacre ,.  le  zèle  sublime  pour  le  progrès  et  la  propaga- 
tioa  des  connaissances  humaines.  Ne  rendentrils  pas  en 
effet  un  éclatant  témoignage  aux  associafions  savanles 
les  progrès  rapides  que  les  sciences  ont  éprouvés  depuis 
l'epoque  de  leur  fondatiou?  Les  sciences  doivent  aux 
Communications  académiques  ce  que  l'industrie  doit  au 
commerce.  Aujourd'hui  l'empire  des  lumières  est  à  jamais 
établi  sur  la  terre,  et  les  institutions  académiques  sont 
comme  autant  de  magislratures  pateroelles,  qui  en  pro- 
tégeant  les  vraies  connaissances,  écarteront  du  sanctuaire 
ces  faux  savans,  dont  la  présomption  et  les  travers  sont 
pour  elles   le  plus  grand  de  tous   les  dangers. 

Ces  peusées,  Messieurs,  se  renouvellent  naturellemnnt 
dans  l'esprit,  à  la  présence  de  votre  savanfe  Assemblée; 
il   en  est  peu    qui  répoadent    plus  dignement  à  une    si 


,.r)r'<  PAR   3.   M.   DÉGÉkANDO.  5i5 

haute  'destination ;  et,  lorsqu'en  posaiit  le  picei  clnns  cetfe 
enceinte,  od  se  rappclle  combieu  dhonorables  travnux 
elle  a  vu  pi'ocluiie,  on  entend  rcpélcr  dus  uoins  cou- 
sacrés  avec  distinction  daus  les  aunales  littéraires»  lorsque 
notre  cail  y  conteniple  daiis  ses  Tenérablcs  Chefs  des 
honinies  qui  siègcnt  au  premier  rang  pnrriii  les  savans 
de  l'Europe,  on  s'applaudii  pour  les  intércls  de  la  science, 
dont  les  desliuées  rcposent  sur  uce  Ielle  garanlie.  Par 
une  circonstancc  particulièrc  cette  Académie  s'est  élevée 
spontauémcut  à  la  hauteur  quelle  dcvait  occuper;  elle 
n'a  poÌDt  eu  d'adolesceuce,  -et.  quoique  recente  encore  , 
elle  est  déjà  riclie  eu  résuUats  et  pleine  d'aunées.  D'une 
part  nous  la  voyons  encore  honorée  par  la  présence 
d'un  de  ses  véuérables  fbudateurs,  dont  lenom  cher 
,aux,  sciences  et  aux;  lettresy  rappelle  daus  les  inembres 
de  la  mème  famille  tous  Ics  gcures  de  succcs,  les  vcrlus 
et  Ics  graccs,  les  souveoirs  et  Ics  espérances:  de  l'autre 
nous  jMrcouroDS  ces  collections  si  fécondes,  qui  seruble- 
raient  avoir  exi^é  de  si  lougues  recherches.  =  Kous 
yoyoa's  encore  le  berceau.  de  celte  Académie;  uous  la  con- 
tcniplons  debout  dans  toute  sa  mafurité;  et  nous  nous 
dcuiandons  avec  élonnement  quelle  cause  a  pu  donucr 
à  cettc  institution  une  solidité  et  une  grandeur  que  d'au- 
trcs  doivent  seulemeut  ù  la  durce:  =  je  crois,  Rlessicurs, 
l'avoir  découverle  cette  cause.  C'est-  parce  que  lAcadémie 
de  Turin  repoussa  de  son  seiu  ,  dès  sa  première  origine, 
ces  prétentions,  qui,  quoique  nées  de  la  médiocrité,  de- 
robeut   trop  souvent   Ics  récompenses   dues    au  vrai   raé- 

65 


5l4      PK  LÌNFT.UENCE  DE  lV.SPRIT  DB  MEDITATION  ETC, 

rife  ;  cesi;  parce  qn'elle  siit  écaiter  d'elle  toutes  le& 
procliictions  frivoles  ,  qui  ne  sont  qu'iiii  jeu  de  l'esprit, 
et  n'ont  point  l'avcu  de  la  raisoo  ;  cesi  paice  qu'clle 
donna  dès  sa  naissance  à  ses  travaux  un  cnractère  grave 
et  sérieux  ;  c'est  en  un  mot  parce  qu'elle  prif  pour  guide 
le  genie  de  la  méditation,  ce  genie  tou^-puis^ant  et  trop 
méconnn,  qui  donne  à  l'homme  de  si  grandes  forces, 
parce  quii  lui  enseigne  1  empire  de  lui-mème,  qui  éclairc 
la  raison  eu  élevant  lame;  ce  genie  pere  de  toutes  les 
conceptions  vastes,  legislateur  de  toutes  les  connaissan- 
ces,  ce  genie  enfin ,  qui  seul  peut  élever  les  lettres  i\ 
leur  véritable  dignité,  leur  donner  le  mouvement  et  la 
vie,  et  imprimer  à  leur  production  le  sceau  de  la  gran- 
deur  et  de  la  durée.  La  nature  elle-mème  semble  avoir 
consacré  ces  lieux  comme  un  tempie  à  la  mcdilation; 
font  nous  y  invite,  et  la  présence  des  alpes,  de  ces 
masses  imposantes,  antiques  témoins  des  preniières  épo- 
ques  du  monde,  et  le  contraste  toujours  subsistant  eutre 
ces  rochers,  ces  frimafs  et  les  plaines  rianfes,  les  rives 
fécondes  de  l'Rridan,  et  le  poids  de  tant  de  souvenirs 
de  l'histoire,  enfin  les  moeurs  simples  et  labourieux  de 
cette  uation.  Les  jeux  de  l'imagination  mobile  qui  se 
déploient  cliez  les  autres  peuples  de  l'Italie,  ne  sont  en 
quelque  sorte  pour  vous  qu'un  spectacle;  vous  les  con- 
sidérez  du  haut  de  vos  alpes  avec  le  calme  d'un  juge; 
le  charme  qu'ua  penseur  trouve  dans  ces  lieux ,  nous 
explique  comment  ces  li«ux  ont  dù  engeudrer  tant  de 
penseurs. 


PAR    J.    M.    DÉCÉBANDO.  5l5 

«Fai  dlt,  Messieurs,  que  les  lettres  n'iovoquaient  pas 
moins  que  les  sciences,  le  sccours  et  rinfluencc  de  ì& 
méditation,  et  je  me  proposai»  de  dévcloppcr  aujoui d'Imi 
cette  vérité  importante,  trop  pcu  connue  cepeudant  peiit- 
ètra,  du  moins  dans  la  pratique  meme,  faut-il  le  dire? 
vérité  qui  scandaiiserail  quelques-uns  de  uos  deuii-litté- 
rateurs  de  salons  et  de  gazettes ,  toujours  préts  à  prendre 
fait  et  cause,  dès  qu'ou  iait  l'apologie  de  la  raison  et 
la  censure  de  la  frivolitc.  Si  des  devoirs  impéiieux 
n'eusseut  absorbé  tous  mes  loisirs,  je  vous  auraissoumis 
à  cet  égard  quelques  cousidérations ,  et  j'aurais  cru 
offrir  à  l'Acadt-niie  un  tribut  digne  d'elle,  au  moins 
par  son  sujet;  traiter  de  la  méditation,  ce  serait  parler 
sa  langue;  ce  serait  faire  l'éloge  de  tous  ses  travaux, 
que  de  niettre  au  jour  l'influence  du  principe  qui  jes 
a  esseutiellement  fccondés. 

J'aurais  essayé  de  nionlrer  d'abord  que  l'exercice  de 
la  méditation  esf  celni  qui  développe  Ics  dcux  preraières 
facultés  de  l'esprit  bumain  ,  cellcs  dont  l'heureuse  alliance 
assure  tous  les  succès  des  travaux  littéraircs  ;  laitenlion 
et  Yimagi/mtìon  ,=  etite  atteulion  réfléchie  et  active, 
qui  se  replie  au-dedans,  qui  fixe,  détcrmine ,  met  en 
ordre  tuutes  les  idécs,  apj)récie  tous  les  rapports,  élablit 
chaque  cliose  dans  ses  justes  proportions ,  et  en  sa  vraie 
place;  cette  aftention  libre  et  maitresse  d'elle-mème,  qui 
nous  affrsncbit  de  l'esclavage  des  distractions  exterui'S , 
et  rassemble  l'esprit  tont  cntier  sur  l'objet  qu'il  doit 
saisir=;  cette   imagiuatiou    énergique,    mais    sagc  ,     qui 


5ìG      DF,  l'iNFLUENCE  BE  l'i'SPRIT  r»E  MÉniTATION  ETC, 

réiinit  et  condense  Ics  idik^s,  forme  devant  l'esprit  étonné 
des  masses  impnsantes  et  régnlières  ,  ouvre  des  peispec- 
tives  nouvelles,,  rògnt^  sur  l'avenir,  piane  sur  les  espaces 
et  sur  les  temps,  ouvre  ayec  hardiesse  les  routes  de 
l'invention  ;  mais  qui  toujours  rc^oit  ses  forces  du  dcdans,. 
mais  qui  toujours ,  comme  une  armée  docile  à  la  voix 
de  son  olu-f,  doit  s'artéter  au  terme  que  la  ràison  lui 
prescrit,   rester  soumis  axix  lois  qu'elle  impose. 

Npus  aurions  montré  que  l'atfentiòn  privée  des  grands 
obiets ,  que  la  méditafiòn  doit  lui  offrir,  degènere  ea 
subtilité  d'esprit,,  éspèce  de  nialadie  intellectuelle  qui 
dégrade  les  productions  littéraires,  leur  donne,  je  ne 
sais  quoi  de  mesquin,  d'étroit  et  de  précieux  ;  que 
l'imagination  ayant  rotnpu  le  freiu  qu'uue  sage  médita- 
tioa  lui  avait  donne ,  perd  infailliblement  la  trace  du 
beau ,  parce  quelle  perd  celle  du  vrai  ;  s'égare  à  la 
poursuite  de  je  ne  sais  quels  fanfómes  bizarres,  parce 
quelle  a  perdu  le  sentitnent  de  la  sirnple  nature,  et 
ne  nous  offre  plus  au  lieu  des  conceptions  élt-ganles  et 
majestueuses ,  que  des  accuraulations  grotesques  didées 
étonnées  de  Jeur  rapprochement  mutuel  ,  vain  delire 
qui  peut  causer  quelque  surprise  ,  mais  de  cetfe  surprise 
que  font  naìtre  dans  tous  les  genres  les  aberrations  qu'on 
nomme  des    monstres. 

J 'espère  émettre  un  principe  approuvé  par  cette  Aca- 
démie,  si  je  dis  que  la  première  source  de  fout,  ce 
qui  donne  un  caractère  distingue  aux  productions  litté- 
raires, que  cette  première  source  est  dans  lame;  je  veux 


PAR  .T.  M.  rif.n^RAKDO.  5 17 

dire,  dans  les  sentitnens  ék'vés  et  gi'n<^ioux,  dnns  le 
Saint  cnlhoiisiasme  |)«)iir  toiit  ce  qui  est  vnii ,  Jjcau  et 
bon  ;  notte  cher  Vai  vi-.nargue  la  dit,  Ìps  granJps  pen- 
sé''s  dennent  du  coiur;  celui  qui  sent  forlenieut  et  no- 
blement ,  peut  avoir  besoin  encore  de  quelque  exeicice 
diius  lemploi  df  l;i  langue ,  mais  il  possedè  certaioe- 
ment  cu  lui  le  germe  du  véritable  taient  ,  il  possedè 
]a  substance,  In  vie,  j'allais  dire  la  moiille  des  produc- 
tions.  Le  siyle,  quand  il  est  pur  et  conforme  aux  règies, 
n'est  qu'un  transparent  fìdèle,  au  Irnvers  les  ames  se 
voient,  se  sentent  et  communiquent  enfre  elles,  le  goùt 
lui-mème  appartieni  plus  qu'on  ne  croit  aux  facullés  du 
cocur,  car  le  sfntimeut  des  choses  délicates  tient  de 
prcs  à  la  générosité  ,  et  souvent  en  est  mérae  une  éma- 
nation.  Mais  où  naissent,  où  se  nourrissent  ces  éniotions 
nobles,  profoudes  et  pures  qui  doivent  iospirer  le  genie? 
est-ce  au  milieu  du  fumulte  des  passions,  au  milieu  des 
distractions  des  plaisirs,  sur  une  scène  bruyante  etagitée? 
non,  sans  doute;  là,  le  coeur  se  parlagfe,  se  dissipe , 
s'épuise  mème  bi<»ntót.  11  peut  t'prouver  cette  agitation, 
qui  piait  ;uiK  hommes  mécootens  d'eux-mémes;  mais 
l'agifation  du  conur  n'est  pas  la  sensibilità ,  elicla  détruit 
au  contrairc;  c'est  sous  la  sauvegarde  du  recueillenient, 
du  silence,  ([ue  la  doucc  sensibilità  a  été  placée ;  ainsi 
la  souice  limpide  est  protégce  par  les  ombrages  qui 
se  .courbent  sur  elle;  c'est  dans  la  médilatioa  que  lame 
se  retrempe,  s'élùve,  qu'elle  acquicrt  la  consciente  de 
ce  qu'elle  est,  qu'elle    se  nourrit    de  toutes    les  pensée» 


6i8  DE  l'influence  de  l'esprit  de  méditation  etc, 
qui  honorent  nofre  nature,  cju'elle  s'ennoblit  par  un 
commerce  sublime  avec  son  celeste  auteur,  qu' elle  ap- 
prend  à  voir  l'univers  dans  sa  cause ,  l'homme  dans  loute 
sa  diluite,  à  expliquer  le  présent  par  l'avenir;  c'est  là 
qu'elle  découvre,  dans  toute  sou  éteudue,  l'admirable  et 
éternelle  alliance  de  la  vérité  et  de  la  vertu. 

Od  se  plaint  aiijourd'hui ,  ou  se  plaint  assez  juste- 
ment  d'une  espèce  de  divorce  eulre  la  morale  et  les  Ict- 
trt's,  divorce  dans  lequel  Ics  lettres  ont  dù  perdre  leur 
pi'cmière  dignité  et  leur  plus  grand  pouvoir;  mais  quelle 
en  a  été  la  véritable  cause  ?  c'est  que  dans  un  siede 
corrompu  les  gens  du  monde  ont  cru  pouvoir  devenir 
hommes  de  lettres  avec  le  seul  avantage  que  leur 
donnait  ce  qu'ils  appellent  l'esprit  ^  espèce  de  t^lent, 
qui  ne  s'exerce  guères  que  sur  la  surface  des  choses, 
et  qui  n'est  que  le  coté  brillant  de  la  frivolité;  c'est 
que  uos  jeunes  élèves  ont  cru  pouvoir  associer  les 
études  littéraires  au  goùt  des  plaisirs  ;  c'est  qu'avides 
de  succès  prématurés,  ils  ont  negligé  de  venir  s'iustruire 
à  la  plus  grande  de  toutes  les  écoles  ,  celle  de  la  solitude  ; 
ils  ont  fui  leur  piopre  coeur.  De-là,  toutes  ces  pensée» 
efférainées,  ces  formes  brisées  du  style,  où  l'on  sacrifie 
tout  à  ce  qu'on  appelle  le  trait ,  ce  défaut  de  pian ,  d'en- 
chaìnement  entre  les  idées ,  ce  délaut  d'un  largc  et 
riche  tissu ,  si  je  puis  m'exprimer  de  la  sorte;  défaut 
qui  atte&te  le  défaut  de  suite,  de  fécoudité  et  de  gran- 
deur  dans  les  conceptioos;  et  ceux-là  méme,  qui  sup- 
pléant    par   calcul  à  ce  qui    devait  venir    du  coeur,  ont 


PAR    J.     IM.    rÉGÉHANnO.  SlQ 

Yonlu  dii  moins  rchausscr  leurs  proHuctions  par  une 
monile  de  parade  et  d'emprnnt  qu'ils  léservdil  pour 
leucs  livres,  j'allais  presque  dire  pour  I«'urs  libraires; 
mais  qu'ils  ne  sonp;ent  giières  à  employer  pour  Itur 
propre  usaj^e;  ceux-là  ne  réussissent  point  encore  à  rtMia- 
biliter  la  litlératiire,  ils  discufent  plus  qu'ils  nesenfent; 
le  laof^ai^e  de  la  vertu  grimace  daos  leurs  bouches  ; 
ils  ont  le  talrnt  de  giacer  les  expressions ,  qui  nous 
touchaient,  quund  elles  étaient  ditcs  simplement.  bossutT, 
Fénélon,  Roi'ssiìau,  prands  écrivnius  dn  grand  siècie, 
vous  ne  cherchiez  point  les  expressions  du  scntiment , 
de  la  vertu  dans  le  dessein  mercénaire  de  la  faire 
servir  au  siiccòs  d'une  phrase,  ou  d'un  discours  ;  mais 
vos  paroles  partaient  d'un  cocur  rempli ,  nourri  de  mé- 
■  ditations  profondes,  et  votre  triomphe  était  assuré  de 
lui-mènic! 

Que  n'anrais-je  pas  eu  A  dire,  Mcssieurs,  et  quelle 
liclle  carrière  se  serait  ouverte  devaot  moi,  j'aurais  essayé 
de  pi  né(rer  dans  cet  atelier  secret ,  disons  plutót  dans 
ce  siiD.tuaire,  oià  le  genie  en  silence  prépare ,  dispose, 
élabore  ces  pensées  augustes,  qui  se  découvrant  ensuite 
au\  regards  des  hommes,  conquièreut  leur  admiralioa 
el  leur  respect,  et  l<ur  apparaissent  comme  des  émana- 
tions  de  la  Divinité  mème.  J'aurais  essayé  de  décrire 
la  suite  des  opératious,  leufes  et  intérieures,  par  les- 
quelles  la  méditation  conduit  ce  bel  ouvrage;  comment 
elle  donne  aux  idées  l'étendue,  la  régularité,  la  gran- 
deur,   la  simplicité,  la  justesse;  comment  elle  leur  assigne 


520      DE   l'iNFLUENCE  DE  l'eSPRIT  DE  MEDITATION  ETC, 

mème  d'avance  le  costume  qui  leur  convicnt.  J'aurais 
rappelé  ccs  maximes  antiqucs,  qui  placent  dans  la  vérité 
la  première  coudition  dii  beau,  et  nous  aurions  cucore 
considéré  la  méditation  dans  une  de.ses  fonctions  les 
plus  augustes,  celle  de  chercher  à  découvrir  la  véiitc  : 
ici  nous  aurions  apercu  le  lien  cache,  mais  éferuel, 
qui  unit  les  sciences  aux  ledres,  uous  aurions  remarqué 
les  causes  qui  rendent  leurs  intérèts  communs,  cclles 
qui  doiv.cnt  maintenir  enlre  leurs  succès  un  certain  rap- 
port,  peut-étre  aussi  aurions -nous  entrevu  les  moyens 
de  rendre  ces  succès  plus  courtement  parallèles  et  siinul- 
tanés.  Mieux  liés  entr'eux ,  qu'ils  ne  le  sont  peut-étre, 
par  le  seul  effet  de  la  disfeance,  à  laquelle  resteut  les  uns 
des  autres ,  ceux  qui  cultivent  les  deux  branches  :  nous 
aurions  montré  la  nécessité  de  leur  rapprochemeut ,  d'un 
commerce  habituel  entr'eux ,  rapprochement ,  dont  la 
forme  actuelle  de  l'Académie  nous  présente  un  généreux 
cxemple. 

Veuillez ,  Messieurs,  me  pardonner,  si  au  lieu  de  ces 
développemens,  je  ne  puis  voas  offrir  qu'une  ébau- 
che  imparfaite  et  tracce  à  la  hàte.  J'ai  moins  de  re- 
grets ,  quand  je  pense  que  les  vérités  dont  je  voulais 
essayer  de  rendre  corapte ,  sont  familières  ù  ccux,  qui 
me  font  fhonneur  de  m'entendre.  Mon  but  est  rempli, 
si  dans  ce  jour  doux  et  sacre  pour  moi,  dans  ce  jour 
que  j'avais  long-tems  ambitionné ,  où  il  m'est  perrais 
dadresser  de  vive  voix  à  tous  mes  Gonfrères  l'hommage 
d'une  gratitude  ,  que  je  reuouvelle  en  particulier  à  chacun 


PAR  J.  M.  dégéhando.  Sar 

d'eux  dans  ce  jour,  où  comblé  de  Icurs  bontés,  je  m'unis 
à  eux  par  It-s  liens  de    la   liateruité    la  plus  honorable, 

'      1  '    '     '      •         '    .  ir/!.       )         ''l'i; 

j'ai  réussi  du  moins  à  les  convfiincre  de  moa  dévoixe- 
tnent  pour  la  Compagnie  j  ^^e  ^moa  ze\e  pour  sa  gioire, 
de  ma  profonde  estime  pour  ses  travaux. 

Daiguez,  Monsieur  le  Vice-Président ,  recevoir  en  son 
nom  l'expressioD  de  ces  sentiraens,  vous ,  qu'elle  s'ap- 
plaudit  de  voir  à  sa  lète,  en  labsence  de  l'Auguste 
Protecteur.  qui  l'a  adoplée,  et  qui  la  preside;  vous  qui 
dans  une  carrière  remplie  par  tant  d'honorables  travaux, 
n'avez  pu,  malgré  votre  modeste  simplicité,  dérober 
votre  nom  à  la  célébrité  ,  vous  que  le  genie  a  porte  aui 
sommets  les  plus  élevés  des  sciences,  et  que  la  verta 
rapproche  au  milieu  de  nous  pour  recevoir  toufes  nos 
affections,  et  le  i-espect  parficulier  de  ceux,  qui,  comme 
moi,  shouoreat  d'ètre  vos  disciplcs. 


65 


5aa 

DELLA 
TRADUZIONE    DEGLI   AMORI   DI    DAFNI    E   CLOE 

DI    LONGO 

ATTHIBVITÀ    al    COMItlBNDATOH    «IO.     BATTISTA  WANSIKI, 

MEMORIA 

DI  GIANFRANCESCO  GALEANl  NAPIONE. 

Letta  lì  7  germinale  anno  i3. 

Pi  COSA  degna  di  non  picciola  meraviglia,  che  nel 
Secolo  XVI,  secolo  considerato  come  il  piìi  famoso  per 
le  Lettere  in  Italia,  ed  in  cui  l'invenzione  della  stampa, 
essendo  cosa  recente,  dovea  impegnare  gli  studiosi  tutti 
a  prevalersene  avidamente ,  tanti  sieno  gli  uomini  di 
chiaro  grido,  i  quali,  mentre  vissero,  o  non  si  presero 
pensiero  di  pubblicare  essi  medesimi  le  opere  loro  più 
elaborate ,  ovvero  che  da  altri  si  pubblicassero.  Il  fatto 
è  incontrastabile,  sia  che  ciò  procedesse  da  una  certa 
incontentabilità ,  e  brama  di  perfezione  propria  degli 
ingegni  più  rari,  sia  da  amor  di  quiete  e  per  isfuggir 
le  riprensioni  de' critici  maligni,  e  le  persecuzioni  de' po- 
tenti odiatori  della  verità,    sia  eziandio   dalla    difficoltà 


DI    OtATTFRANCESCO    GAT.EAHI    NAPIONE.  523 

di  trovare  stampatori,  prima  che  colia  morte  avessero 
domata  la  invidia  ,  ed  acquistata  quella  fama ,  ciie  troppo 
sovente  ò  l'unica,  tarda,  e  vana  ricompensa  de' Lette- 
rati. Non  parlo  degli  Storici  sollanto,  come  iì  Guicciar» 

DINI,     il    SkJRETARIO   FlOHENTlNO,    il    SeCWI  ,  il  VaRCHI  ,    ic 

cai  opere  non  videro  la  luce  se  non  se  dopo  la  morte 
loixj,  poiché  troppo  agevole  è  il  congeKurnrne  il  mo- 
tivo. Narrando  essi  evenimenti  o  contemporanei ,  o  troppo 
a' tempi  loio  vicini,  non  poteano  dir  senza  pericolo  ciò, 
che  riputavano  vero,  come  l'infelice  Bonfadio  per  sua 
somma  sventura  piH)v(S.  Lo  stesso  Anton-Maria  Oraziani, 
che  visse  in  fine  del  secolo,  mai  non  volle  permettere 
vivendo,  che  si  pubblicasse  la  sua  Storia  della  guerra 
di  Cipro  dell'anno  1670:  e  tuttoché  savio  ed  imparziale 
scr}ttor<e  ed  informatissimo  de' successi,  come  quegli  che 
fu  iutimo  amico,  piuttosto  che  famigliare  del  celebre  ne- 
goziatore il  Cardinal  Commenoone,  e  quindi  Nunzio 
egli  medesimo  in  Venezia,  nondimeno,  uscita  poi  alla 
luce,  parecchi  anni  dopo  che  avea  egli  cessato  di  vivere, 
!a  mentovata  Storia  sua,  venne  tacciato  dal  Doge  Fosca-  Pwaiìni. ut. 
BINI  come  d'animo  avverso  alla  Veneta  Repubblica.  Quanto  ut.  u ,  pag. os^. 
perciò  ne  sarebbe  stata  inopportuna  la  pubblicazione  prima 
della  sua  Nunziatura  ,  e  tanto  più  nel  tempo  in  cui  eser- 
citò quel    carico! 

Più  singoiar  cosa  si  k,  che  molte  opere  di  Pnesin , 
di  mera  erudizione,  e  di  amena  Letteratura  abbiano 
dovuto  correre  la  slessa  sorte.  Tra  molti  esempj  basti 
quello  d'  Annibal   Caro.  Le  opere ,  per  cui  egli  è   rino- 


524         DELLA  TRADUZIONE  DEGLI  AMORI  DI  DAFNI  E  CLOE 

mato ,   la  Traduzion  della  Eneide ,  la  Raccolta   delle  sue 

lettere  famigliari,   le  Rime,    la  Commedia,   come  pme 

la   versione   delia  Rettorica  di  Aristotile,  ed  altre  tradu- 

Segherri.viia  zionì   siie  DOD   vidcro  la   luce,  fuorcliè  dopo  la  morte  di 

a  Aanibal  Caro  "^ 

p.xLv.xLvi.  lui,  per  opera  di  Gio,  Battista  Caro,  e  di  Lepido  suoi 
Nipoti.  Altro  non  si  pubblicò  lui  vivente,  se  non  se 
qualche  lettera  e  sonetto  .«parsamente,  e  lo  scherzevole 
Comcnto  sopra  un  poco  onesto  Capitolo  del  Molza. 
La  stessa  Apologia  contro  il  Castelvetro  non  si  sarebbe 
forse  stampata  ,  se  non  fosse  stato  per  dir  cosi  costretto 
il  Caro  a  darla  alla  luce  dal  suo  formidabile  avversario, 
e  dalle  istigazioni  degli  amici,  e  segnatamente  del  Varchi. 
Intanto  par  quasi  due  secoli  interi  si  differì  la  pubbli- 
cazione delle  Lettere  sue  di  Negozio,  e  l'Opera  insigae 
sulle  Medaglie ,  che  comprendeva  tutta  la  vasta  materia 
numismatica  divisa  in  quattro  volumi,  nel  primo  de' quali 
illustrato  avea  il  Caro  le  Medaglie  delle  Famiglie  Ro- 
mane; nel  secondo  quelle  degli  Imperadori;  e  delle  Im- 
peradrici  nel  terzo;  e  nel  quarto  ed  ultimo  le  Medaglie 
sjiioges. Episi.  Greche,  opera  lodata  assai  da  Niccolò  Einsio  ,  che  fatto 

nwcite  la  ^PiV  i^c  avea  l'acquisto  in   Roma,   e   di  cui  si  saranno  vero- 

Iro  Burniranno,       -«i  .  ...  .  !•*_*  •  s 

Leida: i7J7,prcs-  Similmente  moltissimo  giovato  non  pochi  antiquarj ,  perì 

so  il  Zeno  ,  Noie  .  .  r  •  ili  m  J 

aiFonian.,tom.  miscrabilmente  m   un  naufragio  noli  anno   looA,  secondo 
I ,  p.  187.  ^^  '.  . 

che  narra  lo  stesso  Niccolò  Einsio  ,  senza  mai  aver  ri- 
trovato durante  un  intero  secolo,  che  stette  sul  margine 
dell'  obblio ,  chi  le  porgesse  pietosa  mano  per  trarla  a 
eterna  vita.  Piìi  mirabile  cosa  è,  che  la  Traduzione  delle 
cose  pastorali    di    Longo  degli  amori  di  Dafni  e  Cloe, 


m    GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIOKE.  525 

Opera  elaboratissima  degli  anni  migliori  del  Caro  ,  che 
per  essere  di  picciola  mole ,  e  di  galante  ,  per  non  dir 
lubrica  Letteratura ,  dovea  eccitar  la  brama  di  vederla 
alla  luce  presso  i  dotti  non  meno  ,  che  presso  gli  indotti, 
e  stimolar  1'  avidità  degli  stampatori ,  abbia  tardato  sino 
a  questi  ultimi  tempi  a  comparire  in  istampa.  E  questa 
sorte  non  le  sarebbe  forse  potuta  peranco  toccare,  se, 
rinvenutone  fordinatamente  da  un  colto  nostro  Signor 
Piemontese  un  Manoscritto,  non  si  fosse  egli  preso  pen- 
siero di  farlo  pubblicare  splendidamente  dall'  insigne 
Tipografo  Bodoni  in  Parma,  essendo  per  così  fatto  modo 
a  due  nostri  Paesani  tenuto  il  Caro  di  questa  parte 
della  sua  fama.  Quanto  rare  però  di  questa  elegante  e 
leggiadra  Operetta  del  Caro  ne  fossero  le  copie,  e  qual 
grave  rischio  abbia  corso  di  andare  irremissibilmente  smar- 
rita, nulla   il  dà  più  palesemente   a   divedere    quanto  lo    FoniaDini.Bib. 

essere  stata  erroneamente  creduta  rtappresentazione  pasto-  4ij,ctiiviZ.-Do. 

'^'^  '■  V.  pure  il  Se- 

rale  scenica,   come  f  Aminta    ed    il    Pastor  fido,   e    per  Rh"«' «' •-•••V 

'  dille     opere  del 

conseguente    la    più    antica    delle  Favole  pastorali,    dal  J;f"'f;o''n,"^"i{; 
FoNTANiNi  Letterato,   che,   sebben    tacciato    di    parecchj  ^'^i„t,\^"^ 
errori  dal  suo  annotatore  Apostolo  Zeno,  e  da  altri   cri- 
tici valenti,    vivea    però    in   mezzo   alle  copiose    Biblio- 
teche di  Roma,  era  versatissimo  nella  Bibliografia  Italiana, 
segnatamente    del  secolo   XVI,  ed  avea   dettato    intorno     Fonimim. 

in  •  Il     /-•      T  Aminu  difes» 

alle  Pastorali  un'  opera  di  proposito,  il  Codice  stesso  , 
da  cui  fu  tratta  l'Edizion  Bodoniana,  non  solamente  non 
è  autografo,  ma  inoltre,  come  vedremo,  mancante  ia 
alcuna  parte. 


5c6    DELLA  TRADUZIONE  DEGLI  AMORI  DI  DAFNI  F.  CLOE 

Ma  il  più  evidente  riscontro  deU;i  rarità  somma  delle 
copie  manoscritte,  che  se  ne  avessero,  anche  in  tempi 
meno  rimoti  da  quello,  in  cui  fiorì  l'autore  della  Tra- 
duzione, si  è  lo  scandaloso  plagio,  da  nessuno,  eh*  io 
sappia,  avvertito,  che  credette  di  poterne  fare  a  man 
salva  uno  Scrittore  del  secolo  XVII,  plagio  di  cui  avreb- 
crenim  ile  fu-  bopo  potuto  faf  ponipa  come  de' più  insigni  il  Crenio, 

ribus     librariis, 

LcvicniTui  1'  Almei.ovenio,  c  quelli  tutti,  che  della  vergognosa 
Plagiar ior.sji la-  nigtcì IH  de'furti  letterarj  di  proposito  trattarono:  e  che 
mostra  a  quali  strane  vicende  vadimo  pur  troppo  sog- 
getti i  manoscritti.  Nota  è  agli  eruditi  la  Traduzione  di 
LoNGo  pubblicata  in  Bologna  nell'  anno  1643  dal  Com- 
meodafore  Gio.  Battista  Manzini  Bolognese  fecondo  scrit- 
tore di  molti  componimenti  condannati  ali  obblio,  che 
fu  in  Torino  alla  Corte  de' nostri  antichi  Principi,  e 
della  cui  vita  ed  avventure  scrisse  rolla  sua  solita  dili- 
genza il  rinomato  Storico  degli  Scrittori  Bolognesi  il 
».  Fanhiiii.  Contc   Fantuzzi.    Scoocia    ed    infrdel    ti'aduzione    venne 

«nlr.     Manzini 

•Gio.  *aiii.in.  questa  chiamata  da  alcuni,  ed  il  Quadrio  dice,  che  non 
meritava  alcun  pregio.  *  Ma  1'  opera,  che  porta  in  fronte 
il  nome  del  Manzini  ,  non  è  in  alcun  modo  traduzione 
dal  Greco  originale;  e  se  non  merita  pregio,  anzi  bia- 
.simo  e  vitupero  per  quanto  in  e.ssa  si  contiene  del  Man- 
zini ,  pregevolissimo   è  ciò  che  si  conservò  delia  Tradu- 


*  Il  Maffei,  TraduUori  Ililiani.  Vfnrzia  1720.  p^p.  61:  —  I.ON'CO 
Sofista  —  Romanzo  da  Gio.  Ballista  Manzinj.  Bologua  1643,  ma  con 
alterazioni. 


DI    GIAWrBANCESCO    GALEANI    BAPIONE.  627 

rione  di  AnnibaI  Caro  ,  non  essendo  alfro  questo  libro, 
che  la  traduzione  del  Caro  variata  e  tronca  quanto  alle 
cose  in  alcuni  luoghi,  e  defomiata  e  guasta  rispetto  allo 
stile ,  cosa  che  non  so ,  se  da  alcuno  mai  sia  stata  per 
lo  dianzi  avvertita. 

Id  fatti  il  Manzini  medesimo  non  intitolò  il  «no  la- 
voro traduzione;  non  dissimulò,  che  avea  avuto  avanti 
agli  occlij  un  libro,  cui  avea  giudicato  opportuno  di 
dare  forma  diversa.  Intitolò  il  Manzini  Y  opera  sua  Gli 
amori  innocenti  di  Dafni  e  della  Cloe,  Favola  Greca 
descritta  in  Italiano.  *  Dice  descritta,  non  dice  tradotta 
con  ambiguità  maliziosa;  ma  non  ostante  questo  equi- 
voco modo  di  esprimersi ,  come  mai  pofea  dire  il  Man- 
zini, che  descritta  fosse  da  lui  in  Italiano,  mentre  la  det- 
tatura Italiana  è  anch'  essa  lavoro  altrui,  vale  a  dire  di 
AnnibaI  Caro?  Se  avesse  egli  detto  ji fatta,  l'espressione 
sarebbe  stata  meno  lontana  dal  vero.  Cosi  il  Berni  chiamò 
rifatto  r  Orlando  innamorato  del  Bojardo,  quantunque 
con  poca  fatica  ne  avesse  soltanto  migliorata  la  lingua. 
Ma  qui  il  rifatto  si  sarebbe  dovuto  intendere  in  peggio, 
non  in  meglio.  Nou  accuserò  già  il  Manzini  di  aver 
peggiorata  la  traduzione  del  Caro  per  aver  omessi  alcuni 
luoghi   osceni;  ma  il  comincieiò   a   biasimare   per  avere 


*  Gli  Amori  Iiinorrnti  di  Dnfoi  e  della  Cloe,  favola  Greca  descrilUi  in 
luiliano  dal  Coinmendator  D.  (iio.  Battista  Maneini  al  polenli»s)mo  et  in- 
vitlissiim  Iiiippradore  Fcrdiiiniido  HI.  In  Bologna  MDCXLIII  presso  Gia- 
como Monti.   Con  licenza  de  Superiori ,   in  4-'' 


528         DELLA  TRADUZIONE  DEGLI  AMORI  DI  DAFNI  E  CLOE 

sostituito  a  quegli  amori  impuri,  ma  narrati  con  natura- 
lezza e  con  purilìi  di  lingua  inimitabile,  studiati  concetti 
e  sospiri  romanzeschi  sui  fare  del  Caloandro  B'edele, 
Maggior  biasimo  merita  per  avere  soppressa  la  notizia 
del  manoscritto  Italiano,  di  cui  si  valse,  e  dell'Autore 
di  esso  con  plagio  manifesto.  E  6nalmenfe  non  si  potrà 
mai  abbastanza  riprendere  e  vituperare,  per  aver  travi- 
sata cosa  sì  bella,  che,  mercè  la  vanità  e  la  temerità 
di  lui ,  corse  pericolo  di  andare  irremissibilmente  smar- 
rita: cosicché  furto  letterario  piii  pregiudiciale  di  questo 
non  saprei,  che  si  fosse  fatto  giammai:  perciocché,  seb- 
ben  al  presente,  che  abbiamo  tra  le  mani  il  testo  sin- 
cero del  Caro,  agevole  sia  lo  scorgere  ad  ogni  tratto 
d'onde  derivalo  sia  lo  strano  lavoro  del  Manzini,  mai 
però  non  si  sarebbe  potuto  sospettare,  che  fosse  opera 
del  Caro  il  fondo  di  quella  traduzione ,  qualora  non  se 
ne  potesse  fare  il  confronto:  tanta  è  la  colluvie  di  fecciosa 
lingua,  e  di  modi  di  dire  viziosi,  che  introdusse  l'autore 
plagiario  a  contaminare  la  purissima  vena  della  detta- 
tura  del  Caro. 

Male  senza  paragone  minore  sarebbe  stato,  se,  pago 
il  Manzini  d'  involare  la  gloria  della  traduzion  del  Caro, 
e  risparmiando  la  malaugurata  sua  fatica ,  si  fosse  con- 
tentato di  pubblicarla  incorrotta  sotto  il  nome  suo  pro- 
prio; men  difficile  sarebbe  riuscito  scoprire  il  furio,  e, 
quello  che  è  più,  si  sarebbe  conservato  nella  sua  ori- 
ginale bellezza,  ed  integrità  il  primiero  lavoro.  Ma  come 
mai  potea  recare  sano  giudjcio  di  un  lavoro   pregevole 


Di   GIANFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  629 

per  aurea  e   sdiiclta    semplicità,   ed  elf;rauz.i   nali'a ,   chi    „ 

cliiama  il  tessuto  di  quel  delizioso  Romanzetto:  favo-  «^^'^•"'•"o  i^»- 
laccio  Greca,  rancida,  sregolata,  e  di  poco  peso  P 
Quella  lindura,  quella  spontanea  facilità  e  felicità  di  espres- 
sioni, come  potea  incontrare  il  genio  di  uno  scrittore 
de' più  turgidi  del  gonfio  Seicento?  Paragonare  Io  stile 
del  Caro  con  quello  del  Manzini  sarebbe  lo  stesso,  come 
mettere  in  confronto  l'attillatura  degli  abiti  adattati  alla 
vita  e  disinvolti  del  Cinquecento,  co' ciondoli,  coi  gran 
nastri  e  i  gran  pennacchj  dei  macchinosi  abbigliamenti 
del  Seicento.  Qual  senso  potea  avere  delle  incontaminate 
bellezze  dello  stile  del  Caro  uno  scrittore,  che  non  temè 
dire  nella  sua  Epistola  Dedicatoria,  che  l' Imperador  Fer- 
dinando =  si  era  comprale  le  acclamazioni  dì  tulle  le 
età  con  V  ha^er  speso  un  cenlinajo  d  eserciti ,  con 
V  aver  sparso  il  sangue  da  tutte  le  vene,  con  l  Jiaversi 
fiaccate  e  svenate  à  piedi  le  corna  e  le  corone  de  Regi 
nemici  ,  e  de'  Dinasti  rubelli ?  eppure  strano  innesto 
si  fece  e  mostruoso  dal  Manzini  di  queste  due  maniere 
di  stile,  e  nel  tulio  che  ne  risultò  ben  può  ancora  un 
acuto  critico  ravvisare  e  distinguere  l'  uno  dall'  altro , 
tanto  essendo  vago  il  fondo  del  Caro,  che  non  potè 
interamente  deformarlo  il  suo  Deturpatore. 

»    Come  panno   di  grana  in  bigio  tinto 

'■  ^  "i^      .  Tastoni  S.  R. 

»    lliliene  ancor  della  beltà  primiera;  Cnto  x,  «.  «3. 

»    E  nel  morto  color  d'  un  nero  estint^o 
»    Porporeggiar  si  vede   iu   vista  altera. 

67 


53o         DELLA  TRADUZIONE  DEGLI  AMORI  DI  DAFNI  E  CLOE 

Per  chiarirsi  poi,  che  questa  opera  del  MA^z^Nl  non 
è  altro  sostanzialmente  se  non  se  la  traduzione  del  Caro, 
basta  il  confrontarla;  e  soveicbia  e  tediosa  cosa  sarebbe 
se  mi  accingessi  a  farlo  partitamente.  Per  darne  però  uà 
saggio,  e  per  convincere  ad  un  tempo  di  furto  ad  evi- 
denza il  MA^ZINI ,  basterà  il  confronto  di  un  solo  tratto. 
Ognun  sa ,  che  tutti  i  testi  Greci  di  Longo  ,  su'  quali 
si  sono  fatte  le  edizioni  di  quel  celebre  Romanzo  Greco 
de'  bassi  tempi ,  sino  a  quella  pubblicatasi  in  Parigi  nell' 
anno  1778,  dal  rinomato  Grecista  Signor  Villoison,sì 
sono  trovati  mancanti  nel  primo  Ragionamento,  o  sia 
Libro;  e  dal  contesto  si  raccoglie,  che  la  Lacuna  è  dì 
piìi  pagine.  Uno  schietto  erudito  Tedesco,  che  pubblicò 
v.r edizione  P^^'^  qucsto  Grcco  Romanzo,  in  una  annotazione  apposta 
ifanau"^6uT°°  al  luogo  dì  qucsta  Lacuua ,  disse  in  suo  Latino:  desunt 
?ìm/la,  de  osculo  scilicet  harraiio,  de  Durcone  vìtulum 
donante,  de  lavatione  Dafnidis'.  osculum  enhn  Chtoes^ 
et  lavatìo  Dafnidis  orìgìneìn  videntur  dedisse  mutuo 
UH  amori.  Il  Caro  poi  fu  il  solo  tra  i  Traduttori,  che 
accinto  siasi  a  supplire  a  quella  mancanza ,  ed  a  ristau- 
rare  quel  bel  monumento  tronco  della  Greca  Letteratura, 
facendo  negli  ameni  studj  non  diversamente  di  quello , 
che  fece  nelle  arti  figurative  il  suo  celebratissirao  con- 
temporaneo Michelangelo  con  ristaurar  la  statua  detta 
del  Gladiatore  inoliente.  Ora  se  questo  Supplemento  me- 
desimo del  Caro,  sebben  alquanto  alterato  e  guasto, 
tutto  intero»  ed  al  sito  preciso,  in  cui  ritrovar  si  dee, 
si  rinvenisse  nella  pretesa  traduzione   del  Manzini,  noà 


DI   CUNFRANCESCO    GALEANI    NAPIONE.  53 1 

dovremo  riguardar  ciò  come  una  evidente  riprova,  che 
esso  Manzini  rbl)e  alle  mani  un  codice  manoscrilfo  della 
traduzione  elegantissima  del  Caro,  e  the,  invece  di  pub- 
blicarla incorrotta ,  se  la  fece  sua  impudentemente,  dopo 
di  averla  prima  dctuipata?  Ecco  adunque  come  inco- 
mincia il   Caro   il  suo  supplemento: 

«  Scampato  Dafni  da  questo  pericolo  ,  come  gentile , 
»  e  conoscente  eh'  egli  era,  ringraziò  Dorcone  del  suo 
»  ajuto,  offerendoRpgli  molto;  e  la  Cloe  altresì  le  pose 
T>  affeziona ,  e  ibctli  iutonio  di  molte  amorevolezee  ; 
tt=  ed  il  MamzÌnI  non  diversamente  comincia  =  scam-  lìk  i.paf.  is 
y>  pato  Daini  da  questo  pericolo  come  gentile  e.  cono- 
»  iscente-,  eh'  egli  era  ringraziò  Dorcone  ,  olk-rendosegU 
7)  per  k  pariglia  ,  e  la  Cloe  altresì  gli  ne  mostrò  Boa 
»  poca  affezione ■  facendogliene  perciò  di  molte  cai-ezze: 
■=*  segue  Annibal  Caro  =  era  Dorcone  un  cotal  tar^  g 
»  pagnuolo  inframettente  ,  di  pel  rosso  ,  di  persona 
•»  piccoletto  ,  e  di  maniere  tutto  nel  praticar  curio- 
»  so  ,  nel  parlar  lusinghiero  /,  e  nel  pensier  mali- 
»  gnuzzo ,  in  somma  un  cattivo  bestiuolo:  =  ed  il 
Manzini  seguendo  il  Caro,  ma  cominciando  a  stan- 
carsi di  essere  elegante  come  lui  =  era  Dorcone  un 
y>  cotal  tarpagnuolo  inframettente  di  pel  rosso  ,  di  per- 
»  sona  homicialto,  nel  parlar  lusinghiero  e  d'entragna, 
»  anzi  elle  no  malignuzzo,  e  tutto  insieme  un  maledetto 
»  bestiuolo  =  continua  il  Caro  con  ischietta  dettatura  = 
»  avea  costui  più  volte  veduta  la  Cloe,  e  piacendoli 
»    cercava    di    farhsi    amico,    e   di    già  avea    gittate    uà 


532        DELLA  TRADUZIONE  DEGLI  AMORI  DI  DAFNI' E  CLOE 

»  motto  a  Driantb  di  volerla  per  moglie  =  il  Manzini 
dice  pur  lo  stesso,  ina  cercando  d'  infrascare  il  Caf.o, 
come  quel  corto  trndutfor  di  Virgilio  ,  di  cui  disse 
p\}Y  si  bene' un  bell'ingegno  Francee  le  sol!  il  wut 
donner  de  Fes/irit'à  VinciLE,  aggiunge  paragoni,  che 
nel  Caro  non  sono,  dicendo  con  una  grazia  sgarba- 
tissima  ==  avea  costui  più  volte  buttato  1'  occhio  alla 
»  Cloe,  e  vedutala  bclluccia  come  una  mela  rosa,  e  fresca 
»  come  una  viola  mammola,  non  potè  non  soddisfarsene 
»  a  dismisura,  onde  desideratasi,  e  procacciatene  l' ami- 
»  ciziay  si  era  condotto  sin  a  buttar  motto  a  Driaute 
»  di  desiderarsela  in  moglie  =.  Il  Caro  =  ora  iu  su 
».  questa  r  occasione  ,  veggendo  Dafni  cortese.,  e  soro 
»  com'era',  e 'parendoli!  la  Cloe  Semplicetta,  ed  arren- 
»  devole  per  le  carezze ,  che  ella  per  amor  di  Dafui  le 
»  facea  ec.  =  il  Manzini  =  Hora  in  su  questa  occa- 
?>  sione  scoprendo  che  Dafui  era  così  soro ,  come  cortese, 
»  e  parendoli  la  Cloe  tanto  arrendevole  quanto  bella 
»  ingannato  da  quelle  carezze  ec.  =  ma  non  mi  pare 
necessario  lo  estendermi  più  a  lungo,  e  proseguire 
il  confronto;  perciocché  da  quello  che  sin  qui  si  e 
fatto  si  vede  manifestamente  non  solo  quale  sia  lo 
scandaloso  plagio  del  Manzini,  ma  inoltre  come,  se- 
condo lo  stile  di  que'  rubatori ,  che  indegni  sono  di 
posseder  ciò  che  rapiscono  ,  non  sappia  valutar  ciò 
che  ha  involato,  e  presumendo  di  migliorarlo  il  guasti; 
e  già  mi  sembra  sentir  esclamare  l' ombra  di  Annibal 
Caro.    Quid  viiserum  laceras  !    parce  sepullo  :  se  non 


m    CIANFRAXCESCO    CALEANI   NAriONE.  535 

che  le  vcudcUe  del  Caro  si  nuseramentc  lacerato  dal' 
Manziki  giù  vennero  fatte  da  quello  Spirito  gentile, 
che  salvò   dall'  obblio  la  Traduzione   di  Lonco  di    lui. 

Vero  è  che  queste  non  sono  totalmente  compite  : 
perciocché  nel  Testo  della  Traduzione  di  Lo^GO,  che 
servì  alla  famosa  edizione  del  Bodoni  ,  il  Supplemento 
del  Caro  è  mancante:  che  all'  incontro  intero  e  com- 
pito era  il  Testo  ,  che  venne  corrotto  dal  Manzini. 
Di  fatti  il  Testo  del  Bodoni,  per  ciò  che  riguarda  il 
Supplemento ,  termina  con  queste  parole  =  E  pur  non 
»  tornando ,  fra  dubitar  che  fosse  morto ,  e  creder  che 
"  le  si  togliesse  vivo,  dolente  e  gelosa  non  cessava  di 
r>  richiamarlo  =  le  quali  parole  sono  alterate  dal  Man-  „  •  .  ^ 
ZINI  in  questa  guisa  =  e  pur  non  tornando  Dafni,  *'•-•'• 
»  ella  non  cessava  o  di  dubitar  eh'  ei  fosse  morto,  o 
»  di  credere,  che  spontaneo  se  le  togliesse  vivo;  onde 
»  dolente  e  gelosa  a  dismisura  non  riffinava  di  chiamarlo 
»  a  tutta  lena.  =  Ma  qui  non  termina  il  Manzim  ,  e 
prosiegue  per  più  di  ima  facciata,  insino  a  tanto  che 
la  narrazione  viene  naturalmente  a  congiungersi  con 
quelle  parole  della  Traduzione  del  Caro,  che  dicono 
=  quindi  poiché  fu  solo  in  questa  guisa  tra  se  stesso 
»  vaneggiava:  oimè  !  che  bacio  è  questo  ec.  :^  parole 
travisate  dal  Manzini  così  =  restato  solo  ,  o  Dio , 
»  come,  oh  Dio,  quanto  egli  si  trovò  sprofondato  nel 
»  cuore  il  bacio  ec. ..»  Da  ciò  manifestainenle  si  vede, 
che  il  testo  della  Traduzione  del  Caro,  del  quale  si 
valse    il  Manzini    era    fiiii  compito,   cjie  non  quello   su 


534         DELLA  TRADUZIONE  DEGLI  AMORI  DI  DAFNI  E  CLOE 

cui  si  fece  la  splendida  Edizione  Bodoniana  ;  né  è  da 
siippoisi  che  il  Caro,  che  tanto  limò  questa  sua  ele- 
gante traduzione ,  e  che  intraprese  a  supplir  a  quella 
Lacuna,  abbia  lasciato  il  Supplemento  medesimo  imper- 
fetto. Ad  ogni  modo  sì  fatto  frammento  pregevolissimo 
per  quello,  che  contiene  di  Annibal  Caro,  qui  si  unisce 
non  tanto  per  supplire  a  quella  Lacuna  del  testo  Greco, 
come  per  porgere  materia  a'  Critici  di  gusto  fino  e  pur- 
gato nelle  cose  della  Lingua  nostra,  ed  esperti  nel  di- 
stinguere il  diverso  sapore  degli  stili  diversi ,  di  eser- 
citarsi a  separare  il  puro  oro  del  Caro  ,  dalla  lega  di  vii 
metallo,  colla  quale  non  temette  di  mescolarlo  il  Manzini. 

ULTIMA    PAPlTE 

DEL   StnPPLEMENTO    DI    ANNIBAL   CARO    AL   BAGIONAMENTO    PRIMO 
DEGLI   AMORI    PASTORALI   DI    DAFNI   E   DI    CLOE 

DI     LON  G  O 

Come  sta  presso  il  Manzini,  pag.  .i3,  e  14,  e  colla  stessa  sua  ortografia. 

•Quesieparoie       -E  /?«^  noìi  *  tomaiìclo ,  fra  dubitar  che  fosse  morto, 
ìrvoT'coroe^ie  6  Creder  che  le  si  togliesse  vivo,  dolente  e  gelosa  non 

altre  in  Bnesono  •    7  •  7 

éi  AoDibai  Caro,  pessova  di  ricluamarlo. 

«  Quando  parue  a  Dafni  d'  hauer  à  bastanza  scherzato 
y  rimessosi  in  fondo,  lentamente  nuotando  sott' acqua  ,  si 
»  ricondusse  a  piò  della  Cloe,  e  quindi  sbucando  in  un 
T   momento ,  e  balzandole  a  petto ,  prima  di  paura  tutta 


DI    GIANFRANCESCO    GALEANI   NAPIONE.  555 

»  la  scosse,  poscia  di  gioja   e   di    dilcUo  la  ben  colmò. 

»  Aperte  le  braccia,  volandoceli  incontro,  ah  caro  (gridò 

»  ella  )  e  dove  se  stato  là  sin  hota?  tanto  dì  mìo  dó- 

»  lorctì  godi  tìi?  respiro,  ohimè,  respiro  ajipena  ;  e  but- 

»  fategli   le  braccia    al  collo  con  estrema  violenza   lo  si 

»  trasse    incontanente  al  petto,  e  con  supremo  contento 

»  dell'uno,   e  dell'altro  cuore  cara,  e  soavemente  su  le 

»  labbra  Si  lo  buciò.  A'  quel  bacio  ,  come  nave  dal  veleno 

»  della  remora   alloppiato ,  Dafni  arrestò.  Senti  cadérsi  il 

»  cuore  per  l'immensa  dolcezza,  e  rendendogliele  quanto 

»  più  saporitamente  seppe,  divertì,  et  a  burlarsi  con  esso 

»  lei  di  suo  timore,  et  à  raccontarle   quanto  si  fosse  fatto 

>  gabbo  di  suo  vaneggiamento,  et  ad   aditarle  il  foro  di 

»  doue  bavea   sin    bora  osseruati  quanti    moti    ella   fatti 

»  hauesse.  La  Cloe  con  lezi  lior  di  sdegno  mordendosi 

»  il  dito   per  vedersi  beffata,  bor  di  pace,   e  di  affeto , 

»  per  timor  che  di  suo  sdegno  egli  non  disdegnasse,  hor 

»  di  allegrezza  vedendosi  pur  di  nuouo  il  sospirato  fra  le 

»  braccia,  andana  tirando  in  longo  le  congratulazioni,  forse 

»  per  allungar  1'  occasione  d'  andarsi  di  quando  in  quando 

»  pur  di  nuouo  stringendo  il  tenero  teneramente  al  petto. 

»  Esaggeraua  la  bella  il  dolore  e  '1  martore  in  che  l' hauea 

»  tenuta  sì  longa   diuisione,  ed  egli  per  lo  più  simulaua 

»  di  non  credergnene ,  sì  per  l'estremo  contento  cb' ei 

»  godcua  in  veder  con  quant'  affetto  1'  affetto  suggerisce 

»  alla  sua  cara  nouc  formalità  da  testificargliele,  come  per 

»  rigoder  di  quelle   bellissime  ire ,   che  le  imporporauau 

»  le  gote  ogni,  e  qualunque  volta  le  venia  da  ridubitare, 


536    DELLA  TRADOZIONÈ  DEGLI  AMORI  DI  DAFNI  E  CLOE 

»  eh'  egli  pur  ne  dubitasse.  Non  restarono  impunite  da 
»  i  flagelli  d'  amore  queste  girandole  di  Dafui ,  che  ter- 
/>  minati  gli  abbracci  della  Cloe,  ò  per  me' dire  sospesi, 
p  rimeuossi  dou' erano  e  suoi  panni  per  riucslirsi,  man- 
»    dando  la  Cloe   a  curare  intanto  le  mandrc.  y> 

Quindi  poiché  fu  solo  in  questa  'guisa  tra  se  stesso 
vaneggiava  :  cime  !  che  bacio  è  questo  !  ec. . . . 


537 
Correzioni  ed  Aggiunte    alla    Dissertazione    ìntornqì\ 
a'   Tursi    Secusini. 

X_iE  Stampo,   nnche  le   più  accurate,  come  beue  osservò     viicomiPrrr. 

•Ili  X7'         •       r\     •    ■  \T  r  .  1    1  .       «1  Tomo  III  itti 

il   cflcbie   EjQnto  (Quirino  Visconti,   a  Ironie  de  marmi,  Mu«o  pio  eie- 

.  .  .  .      .        f  .       iiit-at.  pag.   VII, 

sono  DuHa  più,  per  ciò  che  riguarda  gli  studj  dell  àdCì- 
quaria,  di  quello  che  sieuo  le  Tavole  anatomiche  rispetto 
agjii  studj   dell'Anatomia.  Invano  pervia  di  esse  si  tenle- 
rebhono  nuove  scoperte,  come  indarno  spererebbe  l'Ana- 
tomista ritrar  dalle  Tavole  anatomiche  nuovi  lumi  sull'or- 
ganizzazione de' corpi  umani.  Di  questa  veiilà  ebbe  campo 
di  convincersi  1'  Autore  della  Dissertazione  intorno  a'  Torsi 
Secusini  :   perciocché ,  sebbene  avesse  esaminati  prima  at- 
tentamente i  Marmi   originali,   dovette  però  dettarla  lungi 
da  Torino  ,    avendone    soltanto   sotto    1'  occhio   disegni  ; 
che  anzi    non    vide    quelli   del  signor    Boucheron,    ciie 
qui    si    uniscono,    se  non   se  dopo    di    averla    compila. 
L'ispezione    che    ora   si  è   fatto  di  nuovo    de' gessi,  ha 
dato  luogo  alle  presenti  correzioni  ed  aggiunte.  Essendosi 
poi   periufeso  che  fosse  stata  spedita  a  Parigi   in  un  coi 
Torsi   originali,  anche  una  testa   di  marmo,    che  si  di- 
ceva   essere    stala    trovata    in    un   con   essi ,   si    cercò   di 
averne  speciale  contezza;    ma   da    un    artista    intelligen- 
tissimo  che    la  vide    si   ebbe    la   notizia,   che,   oltre   ad 
esser   questa    frammentata,    non    può     in    nessun    modo 
appartenere    ai    Torsi    di    cui     si  tratta,    per    essere    di 
proporzione  notabilmente   diversa. 

Pag.  444  e  44^  •    La  supposta    armilla  al  braccio  di 

68 


5?8 

Apollo,   di  cui  qui  sì  parla  y   e  che  non  si  vede  nel  di- 
segno del  signor  Boucheron  ,  si  fe  riconosciuto  non  esser 
altro  che  una  sbavatura  del  gesso,  che  trasse  in  inganno 
chi  r  osservò  ;   massime   essendo  nel  resto  1'  Apolline  ve- 
ramente con  forme  ed  abbigliamento   muliebre,   come  lo 
dimostrano  non  solamente  i  lineamenti  femminili,  ma  la 
lunga  tunica,  ed  anche  specialmente  l'acconciatura  de' ca- 
pelli,  siccome  molto  bene  si  ravvisa  nel  gesso  medesimo. 
Pctg.   461:   Nello  scudo  della  Pallade  si  distingue  bensì 
la  Gorgone ,    come  la  disegnò  il  signor  Boucheron  pre- 
nominato,   ma  non    la  Civetta.    L'immagine  della  Dea 
poi  è  rappresentata ,     cotne   in  esso  disegno,    in  maestà, 
colle    gambe    disgiunte,     e    non   incrocicchiate  come   si 
era    supposto  ,    e  mostra  tutta   la   dignità  e  compostezza 
conveniente    ad  nna    Divinità.    Inoltre    sono  notabili    le 
diverse  maniere    de' panneggiamenti  che   vennero  esatta- 
mente copiati  dal  signor  Boucheron.  Quello  della  clamide 
della   Pallade    con    andamento   di  pieghe  simmetriche  ed 
angolose   sul    fare    dello  stile    Etrusco,    o    Greco-Italico 
antico  che  vogliam  dire  ;  quello  delle  Donzelle  che  stanno 
attorno  alla  Dea  con  pieghe  curve  ed  ondeggianti ,  quali 
s'incontrano   in   molti  bassi  rilievi  antichi   copiati  da'  piìi 
vetusti   Greci    monumenti  ,    e   che    alcuni    credono    che 
abbiano  avuto  origine    da'  panni  sottili    di   lana ,    che    si 
adoperavano   comunemente;    quello  finalmente  grandioso 
e  nobile  delle  clamidi   di  entrambi  i  Torsi  di  un  bello 
ideale     squisitissimo ,    cosicché  si  può  affermare  che  piìi 
belle    pieghe   non  furono   viste   giammai.  Questa  parti- 


539 
colarità  serve  ogni  volta  più  a  comprovare  che  il  lavoro 
delle  nostre  statue  fu  dell'epoca  più  felice  delle  Arti 
in  Italia,  vale  a  dire  del  Secolo  di  Augusto;  e  che  noa 
a  caso  uè' panneggiamenti  della  Minerva,  e  delle  Donzelle 
che  le  fanno  corteggio  espresse  il  valente  Artista  stili 
é  maniere  diverse  di  scolpire,  ma  bensì  per  rappresen- 
tare esattamente  antiche  statue,  venerate  per  avventura 
sotto  quelle  precise  forme,  e  con  quel  antico  gusto  scol- 
pite. Che  la  Dea  Pallade  poi  sia  effigiata  senza  dubbio 
nessuno  in  questa  lorica ,  e  non  già  Roma  ,  come  forse 
taluno  potrebbe  sospettare,  lo  dimostra  ad  evidenza  ciò 
che  dottamente  osservò  il  prenominato  Visconti  in  tale 
proposito.  La  Dea  Roma ,  die  egli ,  è  tutta  diversa  da 
Pallade.  Pallade  non  si  vede  mai  né  succinta,  né  con 
una  mammella  nuda  a  guisa  di  Amazone.  Le  Rome  scol- 
pite possono  bensì  somigliar  a  Pallade,  ma  sono  sempre 
disfinte  da  quella  Dea  o  dall'attitudine,  o  dai  simboli. 
Roma  è  quasi  sempre  assisa,  e  Minerva  stante;  l'egregio  viwoniiMuwo 
busto  di  Roma  in  Villa  Pinciana  ,  ha  sull'elmo  la  lupa  con  ^ so.^noia^cd). e 
Romolo;  ed  altrove  egli  asserisce,  che  per  evitar  l'equi- 
voco tra  Roma  e  Minerva  si  è  posta  ognora  sull'  elmo 
della  prima  l'immagine  della  lupa,  e  si  è  abbigliata  a 
guisa  di  Amazone  coli' omero  ignudo,  come  non  si  vede 
mai   la  Diva  di  Atene. 

Pag.  /(53;  Una  Danzatrice  Spartana  in  tutto  simile 
alle  due  Donzelle  effigiate  nel  busto  di  cui  qui  si  ra- 
giona, simile  non  solo  nella  breve  tunica,  ma  uell'an- 
damcuto    delle    pieghe    ondeggianti    di    essa,    e    nella 


54o 

corona   di  foglie  di  pnlma ,   vien  riferita  dallo  stesso  insi- 
vi,conii  M.iseo  guc   Antiquario    Visconti.    Riflette     il     medesimo    esser 

PloClcUI      r    III,      J  T 

"«.jS'"'''"  "*'r^"*  "'  osservazione  la  somiglianza  precisa  di  questa 
figura  con  quella  di  una  Vittoria  alata,  e  danzante  attorno 
ai  Palladio,  scolpita  nell'usbergo  della  statua  di  Clo- 
dio  Albino,   di  stile,    e   forse    di   tempi   migliori    che  la 

7./.w,/.iaT  XI,  scultura   del  capo  non  sia:    aargluuge,    che  fra   le   anti- 

p»g.  li  e  la.  ì   •  X     T?  •  •  ^  o  o     ' 

cliità  farnesiane  vi  ha  un  torace  quasi  simile,  se  non 
che  le  figure  attorno  al  simulacro  di  Pallade  non  sono 
alate,  ed  ambedue  atteggiate  uniformemente;  e  ne  infe- 
risce, che  la  scultura  Farnesiana  deve  quindi  aversi  per 
pi'ìi  antica ,  e  che  è  probabile  che  un  artefice  poste- 
riore o  per  capriccio ,  o  per  ignoranza  del  vero  signi- 
ficato di  quel  basso  rilievo  abbia  trasformato  quelle 
Fanciulle  in  due  Vittorie,  aggiungendovi  per  maggiore 
evidenza  le  ali.  Ora  posto  tutto  questo ,  aggiungeremo 
noi  essere  probabile,  che  il  nostro  torace  affatto  con- 
simile al  Farnesiano  sia  più  antico  ,  e  sia  stato  II  modello 
di  esso.  E  chi  sa  che  la  Statua  Secusina  non  fosse  per 
avventura  una  replica  di  quella  medesima  di  Agrippa 
posta  nel  portico  del  Panteon,  divenuta  poscia,  quanto 
agli  ornati ,  per  l'eccellenza  dell'  arte ,  modello  de'  po- 
steriori Scultori  ? 

Pag.  /|56:  La  Memoria  del  signor  Abate  Tarini  in- 
torno alla  tazza  argentea  che  offre  la  pugna  di  Ercole 
colle  Amazoni  si  pubblica  in  un  col  disegno  di  essa 
tazza  in  questo  medesimo  volume    dell'Accademia,  pag. 


e  scg. 


64i 
jiddilion  au  Mémoire  qui  a  pour  tilre:  Do  l'influenco 
.    de   lesprit    de    mcditatiou    jiic^    ics.iittUiea^'  punt  MJ 

ij^o    .>■)•:!'■  I   ob  ';  '-. 

JLjt  poiii^quoi  refuserions  -  nous  à  ceux  dont  la  raison 
-s'eHòrce  de  penetrar  les  secreta  de  la  nature,  d'attcindre 
fluxplus  Biiblimes  hautcurs  du  clikul?  Pourquoi  leur  rcfu- 
«erioDS>  DOiis  la  puissauce  de  venir  récréer;  et  reposèr 
leur  ^esprit  nù  seio  des  rians  parleiies  que  la  littérature  a 
■émaillés  de  fltoirs  ?  Qui  oserait  Jeur  .  di&puter  le  droit 
de  les  embelljr  dux-mémes?  L»c$  orabrrs  de  Platon  et 
■de  PiiiNt.,'^  de  Oalember-B)  et  de  Buffon,  se  leveraient 
pQur<iles"coDfoadi'c;  pourquoi  'inéme  refuserions  -  nous 
•è  .l'iHomme  de-  leittres  ravanito^e  de  nourrir  ses  médita- 
tions  par  de  siérieuses  pensées?  Quo  pcutHl'  sortir  d'un 
esprit"  vide,  si  ce  n'est  de  vagufls  idées?  Quelle  plus  bdlfe 
destinée  pour  le^  lettres,  que  de  revélir  la  scie^ce  d'un 
costume  digne  d'elle,  que  de  devenir  sur  la  terre  cominé 
les  Hc^aults  des  vérités  éternclles?  Je  n'entends  poiut 
dire  qu'iine  étude  trop  exclusive  des  sciences  absirailes 
n'ait  il'inconvénient  de  fra])per  l'iraagination  d'soe  «orte 
de  stérilité;^  mais  on  ne  me  fera  point  ctoire  au  divorce 
de  ce  qui  est  vrai  et  de  ce  qui  est  beau;  lorsqiìe  j'en- 
tends  des  hommes  qui  s'crigent  eux-mémcs  on  avocafs 
de  la  litfi^rature,  provoquer  par  liurs  déclamations  exa- 
gérées  contre  Ics  «ci*oce»  une-sorte  de  guerre  civile 
sur  la  terre  du  g^oie,  je  crains  bien  que  de  tcls  hom- 
mes ne  soient  pas  mus  par  uu  zèle    auì>si  pur  et  aussi 

69 


542 

désintéressé  que  celui  dont  ils  affectent  le  laogage ,  je 
craius  qu'ils  ne  soieat  plus  occupés  de  leur  propre  cause , 
que  de  celle  des  lettrcs  elles-mémes ;  nou,  je  ne  recon- 
naitrai  jamais  comme  un  véritable  homme  de  lettres  celui 
qui  dégrade  ce  noble  titre  par  l'apologie  'de  l'ignoraace. 
Pour  vous,  Messieurs ,  toutes  les  carrières  vous  sont  ouver- 
tes;  vous  foulez  aux  [libds  la  terre  .classique;,  les  tnoniiinens 
de  l'histoire  sont  accumulés  sous  vos  yeuic;  la  voix  des 
siècles  semble  sortir  encore  de  toutes  r!  les  ruioes  qui 
selèvent  autour.  de  vous,  et  vous  redire  toutes  les  tra- 
ditions  antiques;  la  nature  vous  offre  le  spectacle  de  ses 
scènes  ,les  plus  variéés  ,>  et  de  ses  plus  àugustes  mer- 
veiJJes  ;MÌtt  ciel  pur  ouvre  à  vos  regards  une  route  sùre 
et  libre  pour  parcourir  les  régioas  immenses  de.  l'ùni- 
vers ,  et  suivre  la  marche  des  moudes  ;  les  chants  de 
iI'Arioste  et  du  Tasse,  les  accens  harmonieux  de  Racine 
iretentissent  également  dans  les  t'chos  des  alpes;  parmi 
■vous  aussi' ils  denaandeut  des  disciples!  ah!  combien  l'ame 
s'élève  en  presene^  "de  bes  souvenirs  et  de  ces  specfacles, 
et  que  d©  aobles  espérances  se  concoivent,  lorsqu'on 
^,vous  lYoit  au  !  milieu  ideux  soutenir  l'autorilé  de  vos 
exemples,  de  la  force  de  vos  eucouragenaens ,  les  heu-. 
-reuses  influeopes  qu'ils  do^vent  répandre  sur  ces  coatcées!< 


oUyia  ,^T^3jj;g    ab'    '»>ioa  'ìriii     .i  fi  liitir-,  >/>t':  o-iinoa  P,oìyitf^ 
-ftiod  al^  ab  91.'  'fa 

UìiiB  Ì.9  'luq  UiUB    alàs  n»  isq  auon  &bc\  iimoz  oa  aam 


TAVOLA. 


NOTIZIA    DE'    LAVORI. 


P. 


REAMBOLO  .  ,  .  .  .  .  pag  I. 

Morale  ,  e  politica     ........  in. 

Metafisica          .....;...  xii 

Letteratura  ,  critica  ,  ed  erudizione      ....  xvii. 

Stilè XXXVI. 

Poesia           ....•...,  XLV. 

Traduzioni              ........  ux. 

Belle  arti      .         . ixv. 

LAVORI    DEGLI    ACCADEMICI. 

Discours  sur  rutillté  des  sciences  ,  littérature  et  beaux  -  arfs 
Par  f^bbé  Vincent   Tarin pag.   t» 

Explication  d'un  bas-relief  antique,  etc.  Par  le  méme     ■         6. 

Nouvel  aper9U  sur  les  causes  de  la  chùte  des  lettres  aux 
siècles  de  l'ère  vulgaire,  appelés  de  fer.  Par  31.'  Emanuel 
B^r^-S.-P^iUL.       .         .  .         ir. 

Réflexions  sur  les  divers  systcmes  de  versification.  Par  le  C: 
Dépf.ret  .........         23. 

Du  goùt  en  peinture ,  etc.  Par  le  C.  Pécbevx    .         .         44. 

Rétlexions  sur  l'art  de  bien  draper  les  figures.  Par  M.'Rep'fi.  53. 

Dialogo  tra  morti  ,  cioè  tra  Pietro  Cornelio  ,  e  '1  marchese 
Maffei  sopra  la  tragedia.  Di  Emanuele  lÌAf^ A  S,P^olo,   71» 


Dialogo  tra  Paracelso ,  iTraacesco  Plzatro  ,  e  Lauv  Scozzese  ; 
sui  modi  diversi  di  accumular  l'oro.   Del  medesimo,  pag.   85. 

Sul'a  natura  dell'eloquenza.  Discorso  di  Francesco  Rkgis     io5 

Della  patria  di  Cristoforo  Colombo.  Disseriazione  di  Gianfran- 
Cesco  GytLE^Ni  Napiose         .         .         .         .         .         ii6. 

Notice  hisforique  sur  une  inscriplion  consulaire  trouvée  dans 
les  décombres  du  donjon  d'une  des  portes  de  la  ville  de  Tu- 
rin.   Par  Modeste  Paroi.rtti  .....  265. 

Vita  di  Alessandro  Vittorio  Papacino  d'Antoni,  scritta  da, /Voi*- 

mperp  B^lbo     .         .         .  .      '„^83. 

Sulla  necessità  che  corre  di  rettificare  la  vista  agli  aljievi  di- 
segnatori. IJi  Vincenzo  Antonio  Ret^klx.i         .         .      ,  ,^77' 

Dell'  origine  delle  stampe  delle  figure  in  legno  ,  ed  in  rni^e. 
Di  Giqnfrancesco  Galeoni  Napione      .         ...  .383» 

La  luna  abitata.  Egloga  di  Gasparo  Morardo      .         .         4o5. 

De' Torsi  secusini.  Dissertazione  di  Giuseppe  FranchiPont  484. 

De  l'influence  de  l'esprit  de  méditation  sur  les  lettres.  Par  J.M. 
Dégkrakdo     .         .         ...         .         .         .         .         5 1 1 . 

Della  traduzione  degli  amori  di  Dafni    e    Cloe    di   Longo   ec. 

'    Di  Gianfrancesco   G^LE^yi  Napione      .  .  .  Sza. 

.Aggiunta    alla   dissertazione    di    Giuseppe  ..Franchi -Pont  sui 

.'•  Tor«i  secufiini  .         .         .       .».'    'li<i-<-i-«4      .         .         SSy. 


ERKoni.  Correzioni. 

NOTIZIA    DE'  LAVORI. 

Tag.    (XXXV)      Zin,  i3.  l'altro  suo  senoo.  Itg.    l'alto  suo  senno. 

(  XXX.1X  )            25.  Diritto  e  stima.  Diritto  estima. 

(\LV)                    II,  i]ualebe  <]ualclie, 

(XUIX)                '  I.  sandria.  Alessandria. 

DISSERTAZIONI. 

fng.     106                Lìn.  19.  eun  slabil  posscHor.  Itg.    essere. 

114                         8.  osi,  esse.